The Training.

di annasophia evans
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Chapter 1. ***
Capitolo 3: *** Chapter 2. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


The Training.

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PROLOGO.

Steve.
La casa è in ordine, forse perché è completamente vuota. Solo io e il mio letto, qualche raggio di sole che cerca di infiltrarsi tra la tendina perennemente chiusa, e i miei pensieri che si rincorrono, che giocano a rimbalzare su i muri monocromatici. Questa è la mia vita, da qualche mese a questa parte. Completa solitudine, completo vuoto.
Da quando Natasha è partita, le mie giornate sono più lunghe, e tutto ha meno senso. Lo S.H.I.E.L.D ha meno bisogno di me e tutto ciò è invivibile. In tutta la mia vita, ho sempre pensato il mondo avesse bisogno del mio aiuto.
Ma ora che il letto ha preso la mia forma e la stanza si è adattata al mio odore, penso che fare davvero qualcosa è praticamente vitale.
La faccenda di Bucky mi ha distrutto, e certe volte mi arrendo al pensiero che lui sia davvero cambiato. Non è più come quando eravamo nell’esercito, ‘qualche anno fa’ e sembra stupido avere la sensazione di averlo perso per sempre. Ma lui è lì dentro, da qualche parte. Nel suo cuore, so che qualcosa è rimasto. I miei occhi li ricorda, l’ho visto.
Continuo a volergli bene come ho sempre fatto, ma mi è difficile. Tremendamente difficile. Ora che non riesco a salvare lui, credo di non volere salvare nemmeno me stesso.


Jess.
Il finestrino del treno riflette la mia figura esile, e per la prima volta da un po’ riesco a guardarmi il volto senza girarmi dall’altra parte dopo pochi secondi. Poco dopo, il mio sguardo passa dalle mie ciglia ben allungate ai binari del treno che passano veloci, scattanti, pur restando immobili.
Immagino già Washignton, grande, chiassosa, allegra. Immagino il grattacielo enorme che si estenderà avanti ai miei occhi una volta entrata nella mia nuova abitazione, che forse tra qualche settimana riuscirò a chiamare ‘casa’.
L’addestramento dello S.H.I.E.L.D. mi fa paura. Io non sono come loro, io sono tremendamente normale. Nessun dono. Sono solo un esperimento riuscito male. La materia che mi gira nelle vene al posto del sangue era solo qualcosa che poteva, doveva essere letale, ma che io sopporto da dodici lunghissimi anni.
Ferro liquido, acciaio che scorre. Non hanno mai capito cos’è. Nessun dottore, nessuno scenziato. Io sono solo un grandissimo enigma da risolvere. Come un fottutissimo indovinello.
E diciamocela tutta, non voglio nemmeno farla, questa cosa. Sono così bassa e magra da far schifo, e l’unico potere che ho è quello di far incazzare la gente.
Ma forse è questo, ciò che sto facendo. Sto cercando di imparare quali potrei avere, e come usarli. E lo S.H.I.E.L.D. vuole me e nessun’altra diciannovenne sbandata che vive dall’altra parte del pianeta.
Non so cos’è ciò che mi sveglia da i miei pensieri, in questo momento. Forse il fatto che siamo appena arrivati nella mia nuova città, o forse il fatto che la terra sotto il treno si è completamente fermata.
Mi guardo le scarpe sudice un’ultima volta, e sono pronta ad alzarmi, a rinascere.
Così mi alzo, ma l’unica cosa che riesco a sentire è un insostenibile mal di testa.
 

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Capitolo 2
*** Chapter 1. ***


CHAPTER 1. – The first day.

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Steve.

La barba incolta e gli occhi chiari un pò lucidi per la stanchezza mi fanno sembrare distrutto più di quanto credevo di essere.
È da cinque minuti che guardo la mia figura riflessa nello specchio, ed è come settanta anni fa. Ricordo di quando cercavo qualcosa di attraente nel mio volto, nel mio corpo, e non c’era mai nulla. Poi l’esperimento, poi tutte quello che ho trovato, e di nuovo, ancora, quello che ogni giorno riesco a perdere.
Ieri sera ho ricevuto una chiamata dallo Shield, mi hanno convocato e, contemplando lo scaffale più in alto della cucina, mi chiedo cosa vogliano. Ultimamente non sono stato né un danno né un aiuto ed entrambe le cose mi spaventano, in un certo senso.
Il vuoto che trovo nei miei pensieri mi abbandona ad un’altra notte vuota e solitaria, come in questi ultimi mesi ho imparato a vivere.
Non sono mai stato così. Ed è difficile ricordare i bei tempi passati quando il mio uncio compagno è il cuscino impregnato di lacrime e sudore.


Jess.

Non so cosa mi sveglia, molto probabilmente la porta scorrevole del bagno che aprendosi fa rumore. Esce la mia coinquilina che non ho ancora conosciuto, ma che intravedo tra il poco spazio che rimane aperto tra le mie palpebre.
È una bella, bellissima ragazza. La pelle chiara, gli occhi grandi e luminosi. I capelli che le scendono sulle spalle e un sorriso che fa invidia al diavolo. Ogni parte del suo volto condivide allegria. Le fossette che le compaiono appena nota che sono spudoratamente sveglia accennano un’espressione un pò malinconica.
Quasi salto per sedermi sul bordo del letto duro come il marmo e tormento i miei occhi con le mani ancora un po’ indolenzite prima di ricordarmi di non aver tolto quel minimo di mascara sufficiente a farmi sembrare un mostro.
-Ehi.- rompe il silenzio, con il sorriso di chi scoppierà a piangere tra un po’.
-Ehi.- cerco di mostrarmi sicura, indipendentemente dal fatto che siano solo le nove del mattino e che io ho ancora tremendamente sonno.
-Piacere, Sophie.- si avvicina a me con la mano tesa, ma mi fermo un secondo a guardare come le sue mani completamente rovinate, sorprendentemente assomiglino alle mie.
-Jessica, o Jess.- cerco di sorridere dolcemente, e lo stesso faccio con la stretta di mano, voglio farle una buona impressione, perché per tutto un anno saremo insieme, e si, lei potrebbe essere la mia unica amica.
-Quindi, qual è la tua storia?- me lo chiede volandomi le spalle per mettere in ordine la valigia ancora piena e intatta.
-Nessuna storia, ero solo una bambina senza genitori e senza una casa, e mi lasciavo iniettare una roba grigia nelle vene fino a qualche mese fa, quando ho scelto di… beh, di andarmene.- mi sale alla gola un magone che mai prima avevo sentito, le lacrime mi arrivano agli occhi e mi giro verso la finestra, facendo finta che la luce del sole che si fa strada tra le finestre sia la causa degli occhi gonfi e tristi. Non so nemmeno come io ci sia riuscita, a dirle, tutte quelle cose. Così velocemente, sembra stupido, ma è stato come togliere un cerotto. E tutto il dolore mi si sta concentrando dentro, tutto in pochi secondi, e quando  Sophie si gira vedo che mi sente la voce spezzata, il cuore distrutto.
-E la tua, invece?- cerco di concentrare la conversazione su di lei, lei si mette seduta, stando attenta a serrare le gambe. Vedo che con qualche mossa che voleva essere distratta si aggiusta l’asciugamano che la tiene quasi completamente coperta.
-Io sono solo intelligente, solo questo.- un sorriso un pò amaro, quasi come se le dispiacesse essere un genio di qualche materia che io non so nemmeno che esistesse.
Ricambio il sorriso, annuendo leggermente, e la guardo negli occhi, cercando di stabilire un minimo di contatto visivo. Scatta sulle gambe gracili e anch’io mi ricordo di aver portato una valigia piena di vestiti che dovrebbero uscire fuori da quell’ammasso di oggetti messi alla rinfusa.
Esattamente come qualcuno che scappa.
In questo momento mi accorgo di aver sempre scappato da qualcosa. Dall’idea di essere nata sola, dall’idea di essere un esperimento incerto.
Dall’idea di non essere mai stata davvero qualcuno.







Angolo """scrittrice""".
Quindi, primo capitolo. Nuovo personaggio, Sophie. Non so, cercando di immaginare il suo personaggio, mi spuntava in mente la Seyfried, so here she is.
Poi, cercavo di immaginarmi un pò Jess, e sinceramente non ho idea di un suo aspetto fisico. Quindi, mi affido a voi e alla vostra immaginazione. Nelle recensioni, cercate di farmi qualche nome di attrice, o cantante, o non so che vedreste bene nei panni della gran figa che Jess diventerà.
Grazie, se siete arrivati fino a quì, e ciao. Ho decisamente bisogno di Lana Del Rey.

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Capitolo 3
*** Chapter 2. ***



Chapter 2.


Jess
-Nei prossimi giorni dovrete seguire un allenamento ben preciso, cinque volte alla settimana. Alcuni di voi dovranno essere sottoposti a specifici esami, altri avranno solo lezioni in privato per sviluppare le proprie capacità- nella mia mente si sono già formati i due gruppi, e io sono dalla parte degli esami. –Una volta a settimana, invece, dovrete sottoporvi a delle sedute psicoterapeutiche.-
-Non siamo matti.- qualcuno mormora velocemente queste parole e un gruppo di ragazzi dall’altra parte della sala ridacchia cercando di non sembrare troppo inopportuni. E come se Nick Fury avesse le orecchie impiantate in ogni parete della stanza, risponde prima che tutti si rendano conto di cosa è appena accaduto.
-Non siete matti, ma siete supereroi. Se volete essere supereroi, avete bisogno di essere sani. Mentalmente e fisicamente.- un occhiolino fugace e il silenzio totale.
Quella che prima era una folla di persone, è diventata una lunghissima fila. Inizia esattamente nel punto dove Fury ha fissato il foglio dei turni con una spilla che riflette impercettibilmente la luce dalla porta fino al soffitto.
Arrivato il mio turno, alzo la testa velocemente e in pochi secondi memorizzo la sequenza per le prossime due settimane.
Lunedì: Allenamento Fisico
Martedì: Allenamento Fisico
Mercoledì: Seduta Scientifica
Giovedì: Allenamento Fisico
Venerdì: Seduta Psicoterapeutica
Cerco di ricordare la data e l’orario. È 23 Settembre, venerdì, e l’orologio attaccato alla parete mi suggerisce che mi restano solo 10 minuti per arrivare allo studio.
Cerco il più velocemente possibile di oltrepassare tutta la gente che nel corridoio ha formato dei gruppetti tra cui le chiacchiere e le risate hanno oltrepassato il volume che tollero.
Ed eccola, finalmente, la D13. Il mondo si ferma per qualche secondo, e io mi rendo finalmente conto che sto per raccontare tutta la mia confusa storia ad uno sconosciuto. Però, senza nemmeno accorgermene, colpisco troppo velocemente la porta, cercando di chiedere permesso.
Apre una splendida donna, non troppo alta, con gli occhi più verdi che io abbia mai visto, lucenti, allegri. Gli occhiali sulla punta  del naso, uno sguardo fugace alla cartellina apparentemente fredda e mi guarda sorridendo: -Jessica Barnett?-
-Si, sono io.- le sorrido anch’io, poi subito mi fa entrare nello studio. Con un gesto m’invita a sedermi sulla poltroncina di pelle, e senza indugiare un attimo mi accomodo. Lei fa altrettanto, su una poltrona completamente uguale alla mia.
-Ok, vorrei iniziare col dirti che questo non sarà un interrogatorio, voglio che tu sia a tuo agio. Quello che faccio, è solo per te.- probabilmente cerca qualche parola che le faccia capire che sono d’accordo o che mi va bene, ma non la penso come lei. Quindi accenno ad un movimento con la testa, così da far intendere di aver almeno capito.
-Mi chiamo Rachel, è per l’intero anno sarò la tua psicologa, ma probabilmente non t’interessa, perché sei qui per parlare di te.- l’ho mandata in tilt, forse. L’ho sicuramente mandata in tilt.
-Ehm, quindi di cosa dovrei parlare?- so cosa dire, ma più semplicemente non mi va di dirlo.
-Di te, della tua storia, di quello che sai fare.- so esattamente ciò che significa ‘quello che sai fare’. Vuole che parli dei miei poteri, e allora quale miglior storia strappa-lacrime della mia vita?
Quindi inizio, e appena inizio ad aprire la bocca mi sento morire: -Non ho mai avuto una famiglia, credo. Solo una madre che al primo cassonetto ha pensato di abbandonare i suoi due neonati gemelli: me e mio fratello.- mi fermo un secondo per riuscire a capire con quale cattiveria sto parlando della donna che mi ha dato vita, poi ci penso ancora, penso a cosa è riuscita a farmi solo abbandonandomi e o voglia di continuare a parlare, voglia di infliggermi quel dolore ancora per un pò.
-In realtà non so neanche l’identità della persona che mi ha trovata e che mi ha lasciata all’ospedale, e che quindi ha trovato mio fratello senza vita.-
Rachel chiude gli occhi lentamente, come se avesse ricevuto una pugnalata in petto. Aspetto impaziente di continuare, e quando apre gli occhi mi sento libera di farlo.
-Mi hanno tenuta nell’orfanotrofio per un po’, sei anni. E mi è andata più che bene, poi due coniugi mi hanno adottata. E la mia vita ha iniziato a fare schifo sul serio. I miei genitori adottivi iniziarono ad avere dei problemi. Mio padre aveva un negozio, non mi hanno mai voluto dire cosa vendeva, l’unica cosa che mi dicevano di continuo era ‘Tuo padre è in difficoltà, vogliono fargli del male, ma non ce lo possiamo permettere.’ Quindi un giorno mi svegliarono e mi portarono da queste persone, e in sette anni ero mi ritrovai abbandonata per l’ennesima volta. Iniziarono ad iniettarmi uno strano liquido in corpo, e ogni giorno mi dicevano ‘Fallo per tuo padre’, ‘Lo sai facendo solo per la tua famiglia’. Ma io non avevo una famiglia, non l’ho mai avuta e mai l’avrò.-
Sospiro lentamente, e mi accorgo che le lacrime sono arrivate agli occhi. Guardo Rachel quasi per dirle ‘Ti prego, voglio andarmene’, e lei sembra aver capito quanto rivivere la mia storia mi faccia soffrire.
-Mi dispiace, Jessica.-
-Grazie.- abbasso lo sguardo sulle mie mani che dall’inizio del racconto si tormentano a vicenda.
-Quindi, mancano pochi minuti, ti dispiace raccontarmi solo dei tuoi poteri?-
-Quel liquido di cui raccontavo prima ha rigenerato praticamente quasi tutto nel mio corpo. È come se avessi le ossa, il sangue e tutto il resto di acciaio, anche se non è esattamente così.-
-E quindi cosa riesci a fare, di preciso?- sembra davvero interessata, non stupita come tutte le altre persone a cui racconto cosa succede sotto la mia pelle. Continua ad annotare ogni parola che dico, e in realtà non mi dispiace troppo.
-In realtà non ho dei poteri straordinari. Sono solo molto forte, e pesante.- un cenno con la bocca per cedere la parola a lei e mi sento libera. Quello che dovevo dire, l’ho detto, e mi sento dannatamente libera.
-Sei probabilmente la persona più interessante che io abbia mai ascoltato in dieci anni di servizio.-
Mi viene da sorridere, e lo faccio. Senza pensare al seguito, senza rimorsi o niente. Non sorrido da troppo tempo, ho quasi dimenticato come si fa. Questo è il primo sorriso sincero.
-Bene, direi che per oggi abbiamo finito, o vuoi dirmi qualcosa tu?-
Non ho più ragione di parlare ancora, quindi mi raddrizzo sulla poltrona che al mio più insignificante rumore produce un suono diverso e accenno semplicemente ad un ‘no’.
Mi alzo, mi dirigo verso la porta, saluto velocemente ed esco. Appena la porta si chiude sento le gambe cedere, la testa volare e la pancia brontolare.
Non è dolore, è nostalgia. È disprezzo. È malinconia.
È la mia vita.
 

Steve.
Mi guardo allo specchio cercando di capire in quale punto non mi sia ancora rasato per bene.
Nick mi ha convocato, vuole vedermi, e non posso presentarmi in questo stato.
La depressione di questi ultimi mesi mi ha completamente divorato, ma da quando è arrivato Settembre sento le strade affollarsi, le persone ritornare alla loro vita. Come se tutte l’estate fosse stata un bel sogno da cui poi bisogna risvegliarsi. E così è stato, ma non per me.
Quest’estate è stata solo un incubo, e sembra che la puzza nel mio appartamento voglia ricordarmelo ogni secondo. Devo fare qualcosa, non posso restare così per il resto dei miei giorni, che sembrano troppo infiniti per essere vissuti.
Sono stato settanta lunghissimi anni senza Bucky, posso continuare a starci per altri settanta. O almeno, voglio convincermene.
Indosso la maglietta che sembra più pulita e il jeans più freddo, le scarpe e cerco di evitare lo specchio. Mi fa troppo male vedermi così cambiato e distrutto.
Prendo il telefono di casa, cerco il biglietto da visita che una volta una donna mi offrì, e la chiamo. Voglio ripulire questo appartamento da ogni brutto ricordo, o ci potrei impazzire rinchiuso dentro.
Apro la porta, esco e la richiudo e mi sento debole. Ho appena chiuso la porta di quella gabbia e non voglio entrarci mai più. Voglio entrarci come lo Steve allegro e ambizioso di una volta, il vero Steve Rogers.
Anche a piedi raggiungo la base in pochissimo. L’aria che mi attraversa il corpo ad ogni curva del marciapiede mi fa sentire vivo come non ero da un pò.
Appena entro dal cancello principale mi sento osservato: lo sanno tutti. Faccio finta che non m’interessi, ma non è affatto vero. Mi sento male solo al pensiero.
Arrivo al piano più alto del grattacielo centrale e mi accorgo di non voler davvero incontrare Nick. Non ce la posso fare. Non sono pronto a sentirmi richiamare per l’assoluto nulla prodotto in questi ultimi mesi. Ma devo. È il mio lavoro.
Quindi apro la porta senza bussare, perché so perfettamente che lui mi aspetta impaziente.
-Nick.- gira la poltrona fino a potermi guardare dritto negli occhi.
-Steve.- sorride amaramente e vedo che una lacrima sta per scendergli sul volto imbronciato.
Mi avvicino e senza accennare nemmeno ad una parola mi abbraccia, e in quel momento capisco che vorrei sprofondare nei miei stessi pensieri.
-Bentornato, Capitano.-




-Angolo   ""scrittrice""
Allorasssss. Ehm, cantate l'alluluja, perchè ce l'ho finalmente fatta.
Volevate sapere di più di Jess, ed eccovi TUUUUUUUUUUTTA la sua storia.
Volevate un capitolo più lungo, ed eccovi il capitolo MOOOOOOLTO più lungo.
Ok,
tra esame di terza media e questa robbbbbba che oso chiamare 'storia' il mio povero word sta per impazzire, ma vbb, che ve frega?! boh.
In tutto questa storia ha rucevuto *rulloditamburi*... 5 misere recensioni. cchecchifo.
Non so, fatevi sentre, perchè poi mi passa la voglia.
Ah, mo me scordavo. QUANT'E' FAVOLOSA LA MIA RACHEL? Okay? Okay.
Addio. A PRESTO
(speriamo).

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