I'm in love now

di LilyLunaWhite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sequestro di persona. ***
Capitolo 2: *** Mare e... Maschere. ***
Capitolo 3: *** Stalker. ***
Capitolo 4: *** Scommessa. ***
Capitolo 5: *** L'amico. ***
Capitolo 6: *** Un altro rapimento? ***
Capitolo 7: *** Kiss Me. ***
Capitolo 8: *** Rivelazioni. ***
Capitolo 9: *** Certezze. ***
Capitolo 10: *** Sentimenti. ***
Capitolo 11: *** Vigilia di Natale. ***
Capitolo 12: *** Alajos. ***
Capitolo 13: *** Natale. ***
Capitolo 14: *** Where’d you go? ***
Capitolo 15: *** Confessioni. ***
Capitolo 16: *** La Vita Non È Mai Giusta. ***
Capitolo 17: *** La Forza Dei Sentimenti. ***
Capitolo 18: *** AVVISO. ***



Capitolo 1
*** Sequestro di persona. ***


Titolo storia: I'm in love now.
Titolo capitolo: 01Sequestro di persona.
Autrice: Lily Luna White
Sezione: Romantico.
Genere: Romantico, Sentimentale.
Tipo coppia: Het.
Rating: Arancione
Beta: Lucia. 
 


Capitolo uno: Sequestro di persona.

P.O.V. Jenny

Come ogni venerdì pomeriggio, dopo l’ora di pranzo e il mio breve riposo pomeridiano, mi recai nella biblioteca del mio paesino. Non era molto fornita, ma almeno trovavo quelle poche informazioni che cercavo. Preferivo scovarle tra i libri che leggerle sul computer. Forse sì, cercare al computer sarebbe stato più veloce, ma amavo l’odore dei libri, specie se vecchi, e amavo ancor di più sfogliarli e leggerli. Anche per questo motivo, ero considerata antica dai miei compagni di classe che sapevano delle mie continue escursioni alla biblioteca del paese.
«Buon pomeriggio Jenny. Anche oggi ti immergi tra i libri?», mi domandò con un sorriso la bibliotecaria. Era una donna sui cinquant'anni, capelli lunghi fino alle spalle di un rosso spento. Il suo corpo era minuto ed esile, ma aveva un carattere forte, contrariamente a quello che si potesse dire a prima vista. Portava un paio di occhiali da lettura e dietro le lenti si nascondevano due occhi castani colmi di sapere.
«Buongiorno a lei, Sofia. Si, anche oggi dovrà sopportarmi. Come le avevo promesso, non si libererà tanto facilmente di me».
«I libri te li ho già poggiati sul tavolo dove ti metti di solito», mi disse, dopo una piccola risata.
Sorrisi lievemente. La sua gentilezza mi aveva colta di sorpresa. Erano sei mesi che venivo con regolarità, ogni venerdì, in quella biblioteca e ormai Sofia aveva imparato a conoscermi.
«Grazie mille Sofia», dissi, varcando la porta che separava il piccolo ingresso alla biblioteca vera e propria.
Poi, mi ricordai di una cosa e mi affacciai alla porta, per guardare la bibliotecaria: «È già arrivato?», sussurrai a Sofia, con la faccia da cucciolo bastonato.
Sofia scoppiò a ridere in silenzio, per non disturbare la quiete della biblioteca, e scosse la testa.
Tirai un sospiro di sollievo, ma non cantai vittoria: Raffaele poteva essere semplicemente in ritardo, anche se non era nel suo stile. Quel ragazzo arrivava sempre cinque minuti prima di me, facendosi trovare seduto nel tavolo ove di solito leggevo e studiavo io.
Trovando tutto già pronto, presi dalla borsa il mio borsellino, il mio piccolo quaderno e il tablet e cominciai a studiare, immergendomi nella lettura di quei libri.
Era trascorsa più di un’ora e di Raffaele nessuna notizia. Sorrisi compiaciuta: finalmente si era arreso.
Lo avevo conosciuto due mesi fa, incontrandolo per caso in biblioteca. Di solito il venerdì trovavo sempre la biblioteca libera, tranne per qualche studente universitario che si stava preparando per qualche esame e cercava un posto tranquillo ove studiare e fu proprio in quel modo che incontrai quel ragazzo che, da allora, non mi aveva più lasciata in pace.

«Sofia, per caso è presente questo libro nella biblioteca?», sussurrai non appena la bibliotecaria si avvicinò a me per leggere il titolo di un libro che mi ero appuntata sul quadernetto.
«Si, nella solita sezione. Vuoi che te lo vada a prendere io, Jenny?»
«Non si preoccupi, lo prendo io. La ringrazio Sofia».
«Di nulla, mia cara».
Mi diressi nella sezione indicatami da Sofia e cominciai la mia ricerca. Trovai il libro nel ripiano più alto e cominciai a volgere lo sguardo a destra e sinistra, per poter trovare la scala. La trovai nella sezione di medicina.
«Scusi, le serve la scala?», domandai con distacco e in modo formale ad un ragazzo che era alla ricerca di qualche libro in quella sezione.
«No, se vuoi puoi prenderla. Ti serve una mano?», mi domandò, voltandosi verso di me e sorridendo leggermente.
Aveva gli occhi azzurri-grigi che esprimevano gentilezza e sincerità.
Non mi lasciai ingannare dal suo sguardo.
Non dovevo permettermi di fare altri errori.
Chiusi leggermente gli occhi e lo guardai con freddezza: «No, grazie. Faccio da sola», e, senza degnarlo di un altro sguardo, me ne andai portando con me la scala.


Da quel giorno, me lo ritrovo sempre in biblioteca, con una scusa o con un’altra, che cercava ogni volta di attirare la mia attenzione o che provava ad intraprendere un discorso con me. Dal canto mio, rispondevo sempre freddamente, comportamento che assumevo con tutti i ragazzi, soprattutto con quelli come Raffaele e non perché volevo fare la preziosa, semplicemente preferivo tenere alla larga i ragazzi dalla mia vita in quanto sono solo una distrazione.
«Come procede la stesura del libro?», sussurrò una voce al mio orecchio.
Senza voltarmi sapevo già a chi appartenesse quella voce e, nella mia mente, mi maledissi per aver cantato vittoria troppo presto.
«Bene, Raffaele. Con quale scusa ti sei presentato qui, oggi?», domandai con tono distaccato, alzando lo sguardo e puntando i miei occhi neri su di lui.
«Nessuna scusa. Volevo solo vederti e sono passato a salutarti».
Quella risposta mi aveva lasciata senza parole. Con le sue scuse aveva sempre fatto intuire che era lì per me, anche perché, appena poteva, cercava di aiutarmi nel libro che stavo provando a scrivere o nei compiti scolastici. Questa volta, invece, era stato sincero e diretto e mi aveva letteralmente lasciata senza parole.
Come mio solito, però, mascherai le mie emozioni e lo guardai con un sorriso beffardo: «Di certo non te l’ho chiesto io.», sussurrai, guardandolo dritto negli occhi.
«Sei la solita scontrosa», sussurrò anche lui, cominciando a prendere le mie cose e a metterle nella mia borsa.
«Ehi, mi spieghi che stai facendo?», sbottai arrabbiata, cercando di fermarlo.
Non mi ascoltò minimamente e, dopo aver messo i libri della biblioteca a posto, si caricò il mio piccolo zainetto in spalla e cominciò a dirigersi verso l’uscita dell'edificio, seguito dalla sottoscritta.
«Buona sera Sofia, mi spiace ma temo che rapirò una delle sue pupille», scherzò, salutando Sofia prima di uscire dalla biblioteca con noncuranza.
«Mi spieghi che intenzioni hai?», gli urlai contro, una volta uscita dalla biblioteca e aver rassicurato Sofia.
Raffaele non mi rispose e si fermò soltanto dopo aver raggiunto la sua moto, che avevo avuto modo di osservare le altre volte.
«Ho l’intenzione di rapirti, semplice», mi disse ridacchiando e porgendomi un casco.
«Io con te non vengo da nessuna parte. Sai che questo si chiama sequestro di persona?»
«Davvero, non lo sapevo», commentò sarcastico.
«Mi chiedo se tu abbia realmente ventidue anni, perché, credimi, ne dimostri cinque», allungai la mano cercando di afferrare la borsa, ignorando il casco che Raffaele mi stava porgendo.
«Si, forse sono un bambino, ma di una cosa sono sicuro: lo zainetto non lo hai se non vieni con me», questa volta fu lui a sorridermi beffardo.
Se non si era ancora capito, lo dico per iscritto: ho sempre odiato Raffaele e ora lo stavo odiando ancora di più.
Puntai i miei occhi sul ragazzo che tranquillamente continuava a sorridermi.
«Mi stai ricattando, Raffaele?»
«Credo proprio di sì, piccola Jenny».
Sbuffai arrabbiata e, per non dare ancora spettacolo ai passanti che si fermavano per osservarci, presi il casco e lo indossai.
«Ti sei decisa finalmente», mi guardò con un sorriso che esprimeva la felicità che provava in quel momento e mi aiutò a sistemare bene il casco.
«Ricordati che ti odio e ricordati che questa è la prima e l’ultima volta che te la do vinta».
«Vedremo», disse porgendomi il mio zainetto.
Mentre me lo mettevo in spalla, valutai l’idea di scappare, visto che ormai avevo quello che mi apparteneva, ma Raffaele parve comprendere i miei pensieri e, con un braccio, mi cinse le spalle da dietro e io dovetti reprimere un brivido di terrore: «Promettimi che non scapperai», sussurrò al mio orecchio.
«Promesso», dissi con un sospiro rassegnato. Quel maledetto era riuscito ad incastrarmi, ma non sapeva che ero molto vendicativa e giurai a me stessa che gliel’avrei fatta pagare.
Appena Raffaele accese la moto, mi fece segno di salire.
«Sei già stata in moto?», mi domandò appena salii in moto.
«Si, anche se non su una moto del genere. Mi sono limitata alle moto che usano gli studenti alle superiori».
«Allora ti consiglio di reggerti a me».
«Puoi scordartelo», dissi, reggendomi al maniglione posteriore e abbassando la visiera del casco.
«La solita scontrosa. Vedremo. Comunque, ovunque tu ti voglia reggere, reggiti forte».
Ascoltai il suo consiglio, reggendomi forte mentre Raffaele abbassò la visiera del suo casco e diede gas, per poi partire.
Andare su quella moto non era per niente simile all’andare su una Vespa. Ben presto cambiai idea e cinsi i fianchi di Raffaele, per paura di cadere all’indietro. Appena portai le braccia intorno ai suoi fianchi e poggiai la testa sulla sua schiena, Raffaele rallentò leggermente e capii che aveva intenzionalmente deciso di andare troppo veloce.
Due a zero per lui.
Sbuffai, me l’avrebbe pagata cara.
Eravamo in autostrada e mi chiesi dove, Raffaele, mi stesse portando. Mentalmente pensai che, forse, era meglio avvertire con un messaggio i miei genitori, non appena quel pazzo idiota si sarebbe fermato: non volevo farli preoccupare.
Quando sentii la moto rallentare, alzai con cautela la testa, restando poi stupita.
«Ti piace?», mi chiese Raffaele, alzando la visiera del casco e fermandosi sul ciglio della strada per farmi ammirare il panorama.
«Si», risposi senza guardarlo e tenendo lo sguardo fisso sul mare.
«Ci fermeremo più avanti, ma volevo farti ammirare subito il mio luogo preferito. Sai, il mare ha la capacità di rilassarmi. Quando sono nervoso o arrabbiato, prendo la moto e vengo qui».
Ascoltai le sue parole, senza però voltarmi. Stando alle sue parole avevamo una cosa in comune, ma non glielo dissi. Non amavo condividere i miei pensieri, almeno non quelli legati ai sentimenti. Sorrisi e per fortuna il casco mi aiutava a celare quel mio raro sorriso sincero. Lì, in quel posto, mi sentivo bene, rilassata e felice. Forse, alla fine, accettare di seguire Raffaele non era stata una cattiva idea, solo che dovevo stare attenta a non mostrare nulla, a restare impassibile a tutto ciò.
Quando ripartimmo, per trovare un parcheggio, ripensai a tutte le volte che mio padre mi aveva portata al mare per farmi rilassare e per farmi trovare nuovamente il sorriso. Mi mancavano le lunghe passeggiate sulla spiaggia in sua compagnia, eppure in quei ultimi tre anni avevo sempre rifiutato le sue proposte di andare a passeggiare in riva al mare. In quei ultimi anni, ero cambiata davvero tanto e avevo eretto dei muri attorno a me che impedivano a chiunque di avvicinarsi. La mia famiglia compresa.
Una volta trovato un parcheggio, scendemmo dalla moto e di sottecchi lo fissai. I suoi capelli castano chiaro, già di loro disordinati, lo erano ancor di più a causa del casco. Era alto e slanciato e, come mi disse lui una volta, la sua statura gli era stata molto utile quando, da adolescente, giocava a basket. Il suo abbigliamento era elegante e al contempo sportivo, ed era impeccabile. Da quello che avevo compreso di lui, ci teneva sempre a fare bella figura e, come ripeteva spesso, l’aspetto esteriore è la prima cosa che si nota e va curato. Quando me lo diceva, mi faceva innervosire, visto che io me ne fregavo altamente dell’aspetto esteriore e dell’abbigliamento. Quando gli porsi il casco, incrociai i suoi occhi del colore del cielo di quel giorno: grigio chiaro. Esprimevano la solita allegria che caratterizzava il carattere di Raffaele e ostentavano l’eccessiva sicurezza che lui aveva di se stesso. Ed era proprio quella sicurezza che mi dava fastidio.
«Grazie piccola scontrosa», ridacchiò, mettendo i caschi a posto e continuò anche quando lo guardai male.
Mandai un messaggio a mia madre, per poi incamminarmi verso il mare, venendo raggiunta subito dopo da lui. Guardando quell’immensa distesa d’acqua mi era venuta la voglia omicida di affogare Raffaele, ma tentai di domarla.
In fondo, volevo mandare in carcere lui, non me stessa.

~Angolo autrice.~
Salve ragazzi, la piccola me è tornata con questa storia e, questa volta, con una long. Non pubblicavo da un bel po' perché nel frattempo tramavo e scrivevo questa storia che spero vi possa piacere. Così, eccomi qui con il primo capitolo.
Volevo ringraziare, come sempre, la mia carissima Lucia che con pazienza legge e corregge tutte le mie storie e i miei orrori, chiedendomi in cambio di essere la prima a leggere le mie “opere”. ♥
Finiti i ringraziamenti, vi lascio una piccola comunicazione. Per pubblicare con regolarità, ho deciso di mettere un capitolo alla settimana e per l'esattezza ogni martedì. In questo modo, sono regolare con la pubblicazione dei capitoli e nel frattempo posso continuare a scrivere gli altri capitoli della storia senza trascurare la scuola e soprattutto senza sparire per lunghi periodi e lasciarvi senza il continuo della storia.
Detto questo, ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia e tutti coloro che gentilmente mi lasceranno un loro piccolo parere.
A presto.
Lily. ♥

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Capitolo 2
*** Mare e... Maschere. ***



 
Capitolo due: Mare e... Maschere.
 
P.O.V. Jenny
 
Anche se eravamo agli inizi di dicembre, il mare restava bellissimo. A causa del sole pallido e del cielo leggermente annuvolato e grigio, il mare era di un colore scuro, ma era calmo e increspato di tanto in tanto da qualche onda. Tenni lo sguardo sempre fisso su di esso, senza mai distoglierlo: sentivo il suo sguardo puntato su di me ed evitai di voltarmi per non incrociare i suoi occhi grigi.
«A cosa pensi?», mi domandò Raffaele in un sussurro, quasi a non voler spezzare l’armonia di quel luogo.
«A nulla.», borbottai di rimando. Non potevo dirgli che pensavo a tante cose e che finalmente mi sentivo in pace con me stessa.
«Dico seriamente.», continuò lui.
«Pensavo a come ucciderti.», volevo essere minacciosa, ma il tono della mia voce era rilassato e flebile e lui parve accorgersene perché, con la coda dell’occhio, lo vidi sorridere compiaciuto.
Tre a zero per lui.
Bene, stavo cominciando a perdere colpi e, tra tutte le persone al mondo, li stavo perdendo proprio con lui. Di bene in meglio. Purtroppo per me, quel luogo mi impediva di mentire e metteva a nudo le mie reali emozioni. Per questo preferivo restare in silenzio, per questo preferivo non guardarlo negli occhi. Perché non volevo che Raffaele si avvicinasse a me. Preferivo creare una certa distanza tra me e le persone e impedivo a chiunque di oltrepassare quel limite che imponevo. Ecco perché, da un anno circa, avevo sempre rifiutato gli inviti di mio padre a passeggiare sul mare, perché sapevo che, così facendo, non sarei riuscita a tenere tutti lontani da me.
«Voglio tornare a casa.», sussurrai, abbassando il viso.
«Non se ne parla nemmeno. Siamo appena arrivati e voglio restare qui un bel po’. Se ti do fastidio, fa' come se io non esistessi.», mentre parlò, si stese sul telo che aveva portato con sé e chiuse gli occhi.
Sospirai. Era davvero insopportabile e sapevo che senza di lui, però, non sarei potuta tornare a casa, visto che non avevo portato con me i soldi e non potevo comprarmi il biglietto per il bus, per non parlare del fatto che gli avevo promesso che non sarei scappata. Sì, mi aveva incastrata proprio bene.
Volsi lo sguardo verso di lui, trovandolo apparentemente addormentato. Lo mossi leggermente, ma non aprì gli occhi. Poggiai il mio zainetto sul telo, mi tolsi le scarpe, arrotolai leggermente i pantaloni, scoprendo le caviglie, e, con cautela, guardandomi di tanto in tanto alle spalle, mi avvicinai alla riva, lasciando che l’acqua fredda di dicembre mi bagnasse i piedi. Era davvero gelida, però mi piaceva quella sensazione. Sorrisi divertita, respirando l’aria di quel luogo, serena.
«Finalmente hai sorriso.», mi sussurrò una voce alle mie spalle, spaventandomi.
Raffaele era al mio fianco, con lo sguardo puntato verso di me, mentre io ero diventata di marmo.
«Ehi, tutto bene?», mi domandò preoccupato, allungando una mano verso di me.
Allontanai con uno schiaffo la sua mano e indietreggiai. Non stava andando affatto bene. Abbassai il viso e dopo lunghi respiri ripresi il controllo di me stessa.
«Mi spieghi che vuoi da me?», alzai lo sguardo puntando i miei occhi su di lui, ritornando fredda e scontrosa.
«Farti sorridere, proprio come hai fatto prima. Come vedo, ne sei ancora capace.»
«Forse ti sfugge il fatto che io non voglio sorridere. Che io sto bene così. Poi, tra l’altro, chi ti ha detto di fare tutto ciò? Non io. Non puoi intrometterti nella mia vita e fare quello che ti pare, non hai alcun…», non riuscii a terminare perché Raffaele mi mise una mano sulla bocca tappandola.
«Lo voglio fare perché a te ci tengo e non provare a obiettare ancora. Ho visto, anche se solo per pochi attimi, chi sei realmente e sappi che farò di tutto per toglierti quella maschera di freddezza che ti sei costruita. Sono stato chiaro?», mentre mi parlava, teneva lo sguardo incatenato al mio e parlava con voce bassa e seria, priva di allegria. Non l’avevo mai sentito parlare in quel modo e non avevo mai visto il suo sguardo bruciare in quel modo.
Abbassai lo sguardo. Non sapevo come controbattere e poi, cosa avrei dovuto dirgli? Mi ero fatta fregare per bene. L’unica mia consolazione era che, dopo gli esami di maturità, mi sarei trasferita a Milano e avrei continuato lì i miei studi, lontano da lui. Dovevo solo trovare un modo per restargli distante fino a luglio, poi sarei sparita.
Mi tirò a sé, distogliendomi dai miei pensieri e abbracciandomi: «Ricordati che mi hai promesso che non saresti scappata da me e la promessa era generale, non relativa ad oggi.»
 
«Promettimi che non scapperai.»
«Promesso.»
 
Ripensai alla promessa e constatai che aveva ragione. Mi aveva fregata un’altra volta.
«Quello che io voglio, a te non interessa proprio?», borbottai allontanandolo con forza.
«Non hai voce in capitolo. Decido io.», ridacchiò Raffaele, riprendendo a sorridere.
«Vedi di alimentare di meno il tuo ego, mi infastidisce.»
«E tu vedi di non essere scontrosa, “mi infastidisce”.», mi fece il verso.
Sbuffai innervosita e cominciai a schizzarlo.
«Giuro che se non la finisci, ti affogo.», lo guardai in cagnesco continuando a schizzarlo.
«Tanto non ci riesci.», e per confermare le sue parole, mi prese per i fianchi e mi caricò in spalla.
«Mettimi giù, idiota.»
Anche se restavo scontrosa, dovevo ammettere che mi stavo divertendo. Forse, per una volta, potevo anche lasciarmi andare alle emozioni, proprio come facevo una volta. Una volta non distruggerà di certo il muro che mi ero costruita l'anno precedente.
«Raffaele, mettimi giù.», dissi lasciandomi andare alle risate.
«E perché dovrei, piccola Jenny?»
«Perché te lo ordino.»
Stavo ridendo dopo tanto tempo e lo stavo facendo assieme a quel ragazzo che ritenevo insopportabile, troppo sicuro di sé e troppo sfacciato.
Passai così il mio pomeriggio al mare, tra risate e dispetti, in compagnia di un ragazzo che odiavo.
 
Era sera e stavamo mangiando un gelato seduti su una panchina. Raffaele mi aveva obbligata a prenderne uno prima di riaccompagnarmi a casa.
«Perché non mostri mai il sorriso che avevi oggi?», mi domandò ad un certo punto, «Sai, avresti molti ragazzi che ti fanno la corte.»
Lo guardai scioccata: «Forse non mi interessano i ragazzi?»
«Menti.»
«No.»
«Secondo me, sì.»
«Se non la finisci ti sporco con il gelato. Non contraddirmi.»
«Va bene, basta che eviti di fare la scontrosa.», borbottò, gonfiando le guance e facendomi ridere: sembrava un bambino piccolo.
«Vedi che io ho ragione? Non hai per niente ventidue anni, ne hai cinque.»
«Ehi, così distruggi il mio ego.»
«Quanto mi dispiace.», dissi ironica.
«Sei odiosa quando fai così.»
«Grazie per il complimento.»
Continuammo così per altri lunghi minuti, proseguendo a mangiare il gelato con calma. Forse alla fin fine, non era poi un ragazzo odioso, forse.
Stavamo camminando vicini e in silenzio, ma non in uno carico di tensione, anzi era piacevole.
Giunti alla sua moto, mi passò il casco e, prima di infilarmelo, posai lo sguardo nuovamente verso il mare. Mi era proprio mancato anche se, a causa sua, mi aveva fatto perdere molti punti contro quel ragazzo odioso di Raffaele.
«Krieger1, ti troviamo ovunque. Cos’è, hai trovato una nuova preda?»
Nel sentire quella voce, mi voltai e mi trovai quattro ragazzi in sella a delle moto di grossa cilindrata, senza casco e con dei ghigni che non promettevano nulla di buono. Il ragazzo che aveva parlato era in testa al gruppo e indossava una giacca di pelle nera e dei jeans strappati. Aveva i capelli tirati in su con il gel a formare una cresta e aveva dei piercing. È vero che l’apparenza inganna, ma il suo sguardo non ti aiutava di certo a cambiare idea.
Raffaele li ignorò, prendendomi un polso e tirandomi gentilmente a sé, senza mai dar loro le spalle e mettendomi lui il casco. Aveva lo sguardo privo di emozioni e i tratti del viso erano rigidi e marcati, così decisi di non allontanarmi e di lasciarmi aiutare.
«Krieger, cos’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?», continuò il ragazzo di prima, facendo ridere i suoi amici.
Mi stavano facendo innervosire così, senza pensare alle conseguenze, mi tolsi il casco e li guardai uno ad uno.
«Vedete di sparire e di non importunarci.», urlai con rabbia.
«Tanto userà anche te e poi ti getterà come un giocattolo usato. Lo ha sempre fatto. Vero Krieger?»
Stavo per controbattere, ma Raffaele mi chiuse la bocca con una mano, avvicinandosi al mio orecchio e cominciando a sussurrare poche parole: «Mettiti il casco e non fiatare più.»
La sua voce era fredda e atona, priva di alcuna emozione, così come lo sguardo. Annuii lentamente e, senza farmelo ripetere due volte, rimisi il casco, lasciando che lui, nuovamente, me lo sistemasse.
«Giuseppe, da qui fino all’inizio dell’autostrada. Solo io e te. Se vinco, ci lascerai in pace.», Raffaele puntò il suo sguardo gelido sul ragazzo in testa al gruppo, parlando con calma e scandendo bene ogni parola.
«Se vinco io, lei sarà mia, sappilo.», rispose Giuseppe con un ghigno, «E lei sarà in sella con te.»
«Te lo scordi.»
«Detto io le regole.»
Osservai Raffaele. Aveva il viso, se possibile, ancora più contratto e stava decidendo. Avevo capito che stavano parlando di una gara motociclistica e anche molto pericolosa, dato che si sarebbe svolta tra le strade della città, e il fatto che ero io la posta in gioco mi faceva rabbrividire. Come al solito mi cacciavo nei guai. Posai nuovamente lo sguardo su Raffaele: stava ancora valutando la proposta di Giuseppe.
Non so il perché, ma presi io la decisione che Raffaele non riusciva a prendere.
«Va bene.», urlai con voce ferma e sicura, ignorando lo sguardo di Raffaele nel sentire quelle due parole.
«Bene, la ragazza è saggia.», ghignò Giuseppe, cominciando a scommettere con i suoi amici.
«Ti rendi conto di quello che hai appena detto?», mi sussurrò Raffaele, avvicinandosi a me, «Quale parte del “non fiatare più”, non ti era chiara? Accidenti a te. Gareggiare in due sulla stessa moto è più difficile, soprattutto con una persona inesperta.», lo vidi scompigliarsi i capelli dalla preoccupazione.
«Scusa.», mormorai.
«Ormai il danno è fatto. Ascoltami bene. Su quella moto, stringiti forte a me e cerca di assecondare ogni mio movimento, così mi renderai le cose più semplici. Non voglio perdere e, soprattutto, non posso perdere.», puntò il suo sguardo freddo su di me e per la prima volta ebbi timore di lui.
«Ok.», sussurrai.
Addolcì lo sguardo e mi diede una pacca sulla spalla: «Andrà tutto bene, vedrai. Non avere mai paura e fidati di me, soprattutto in sella alla moto.»
Annuii piano, incapace di parlare. Avevo paura, ma se Raffaele era nei casini era anche a causa mia e della mia incapacità di tenere la bocca chiusa. Dunque, decisi di avere fiducia in lui e di non avere paura.
Quando lui ebbe indossato il casco ed era salito in moto, mi fece cenno di salire e io obbedii, stringendomi immediatamente a lui.
Fu questione di un attimo e la gara cominciò. La velocità era talmente elevata che mi toglieva il respiro e, al contempo, non faceva che aumentare l’adrenalina nel mio corpo. Avevo una paura folle, eppure quella paura mi piaceva, mi faceva sentire viva. Sentii una mano di lui sulle mie e io lo strinsi più forte per rassicurarlo, anche perché avevo paura nel sapere che stava guidando a quella velocità con una sola mano. A metà strada, la moto di Giuseppe era leggermente più avanti della nostra e, in quel tratto, cominciarono le curve, il che rese tutto più difficile. Avevo visto molte gare di moto GP e sapevo quali erano i movimenti, il difficile era coordinarli assieme a Raffaele, perché bastava poco e avremmo perso l’equilibrio. In quel tratto, Giuseppe riuscì a distanziarci di un po’ e io sentii Raffaele imprecare. Volevo chiudere gli occhi e stavo cominciando ad avere paura, ma cercai di resistere e di fidarmi del ragazzo che stavo stringendo in quel momento. Quando il tratto pieno di curve terminò, la strada si fece nuovamente rettilinea e, per nostra fortuna, era anche poco trafficata. Raffaele accelerò ancora di più e in qualche minuto raggiungemmo Giuseppe, il quale aveva cominciato a rallentare a causa delle macchine davanti a sé, mentre Raffaele, inserendosi tra le due file della corsia, riuscì a superare l'avversario. Lentamente, voltai il capo alle mie spalle e vidi la moto di Giuseppe a pochi metri da noi e, ritornando a guardare davanti, l’entrata dell’autostrada che si avvicinava sempre di più. Il mio cuore cominciò a battere così forte che temevo sarei morta di infarto lì, su quella moto e in quell’istante. Solo dopo aver constatato che Raffaele, con un po’ d'astuzia, era riuscito a vincere, tirai un sospiro di sollievo.
Girai nuovamente la testa verso Giuseppe e notai che si era fermato ed aveva una postura rigida. Molto probabilmente era arrabbiato per aver perso quella gara.
Dal canto suo, Raffaele, cominciò a rallentare e, non appena sul nostro cammino trovammo un autogrill, si fermò.
Mi tolsi il casco stupita, scendendo assieme al ragazzo che avevo davanti.
«Perché ci siamo fermati qui?», domandai.
Lui, senza darmi alcuna risposta, si tolse il casco e mi abbracciò con forza. Lo lasciai fare, senza però comprendere la ragione del suo gesto.
«Raffaele, tutto bene?», domandai preoccupata, sciogliendo l’abbraccio. Gli abbracci mi mettevano a disagio e cercavo sempre di evitarli o di farli durare poco, per questo mi allontanai di qualche passo da lui. E poi, restava pur sempre il ragazzo che odiavo di più al mondo.
«Scusa per averti cacciata in questo casino e per averti messa in pericolo.», sussurrò lui a bassa voce.
«Non preoccuparti e poi è colpa mia. Se fossi stata zitta come tu mi avevi detto, non sarebbe successo nulla. Comunque, alla fin fine, mi sono divertita.», parlai con il mio solito tono distaccato, senza però guardarlo negli occhi.
«Divertita? E non hai avuto paura?», sentendo l’ironia nella sua voce, alzai lo sguardo e lo ritrovai a sorridere divertito.
Ecco, era ritornato il solito ragazzo: tregua terminata.
«Sappi che la tregua è terminata, ora ti conviene riportarmi a casa, altrimenti giuro che non mi trattengo dal denunciarti. Oltre al sequestro di persona, dovrei aggiungere anche guida pericolosa.»
«Ed ecco la solita ragazza scontrosa. Sai, ti preferivo come prima.», sbuffò lui, accendendo la moto e salendo in sella.
«Mi dispiace per te, ma quella ragazza l’hai vista solo nella nostra temporanea tregua. E adesso, vedi di guidare.», dissi raggiungendolo e allacciando nuovamente il casco.
Tregua terminata o no, mi ero divertita e alla fine si era risolto tutto per il meglio. Mi chiedevo solo chi fossero quei ragazzi e come mai conoscessero Raffaele. Loro e il ragazzo dagli occhi grigi sembravano completamente opposti, eppure si conoscevano. Decisi di smettere di pensare.
In fondo, che importanza aveva? Tanto non li avrei mai più rivisti visto che mi sarei tenuta a debita distanza da Raffaele e sarei stata molto più attenta nello stargli vicino, qualora non sarei riuscita a stargli lontana.
 
1 Krieger: (ˈkʀiːɡɐ) Parola tedesca che significa “Guerriero”.

~Angolo autrice.~
Salve ragazzi, eccomi qua, puntuale come un orologio. Vi assicuro, che se arrivo ad essere puntuale e ad ignorare la scuola, questa storia è realmente importante per la sottoscritta. Per quest'ultima ragione, ringrazio tutti i lettori silenziosi che invito a farsi avanti e a lasciarmi qualche piccola recensione ma, soprattutto, ringrazio le due ragazze che hanno recensito il capitolo precedente. Inoltre, un sentito grazie va ai lettori che silenziosamente mi seguono da facebook e a quelli che mancano di farmi sapere cosa pensano delle mie storie. Infine, un grazie va come sempre alla mia Lucia che ha letto e corretto anche questo ennesimo capitolo.
Che altro dire. Vi è piaciuto questo secondo capitolo? Fatemelo sapere, se vi va, con una piccola recensione. ♥
Alla prossima settimana.
Lily. ♥

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Capitolo 3
*** Stalker. ***




Capitolo tre: Stalker.
 
P.O.V. Raffaele
 
L’avevo riaccompagnata a casa solo un paio di ore fa e già mi mancava terribilmente, ma almeno avevo scoperto dove abitava.
Inizialmente mi ero intestardito con lei perché non era come le altre. Di solite le ragazze appena mi vedevano, cadevano ai miei piedi, mentre lei era diversa. A differenza delle altre restava fredda, impassibile e scontrosa. Ora, invece, non era più solo una semplice sfida contro me stesso, per potermi vantare, desideravo realmente che lei sorridesse. Più le settimane passavano e più notavo che lei non sorrideva mai e, se lo faceva, era solo un sorriso tirato e cortese e mai sincero. Quando la guardavo, mi ricordavo del mio periodo adolescenziale e i momenti in cui avevo solo compiuto un errore dietro l’altro, periodo dove dei sentimenti non sapevo cosa farmene. A ripensarci, mi odiavo e, se si potesse tornare indietro, lo farei volentieri per rimediare a tutti i casini passati. Però, la vita va avanti.
Presi un pezzetto di carta dalla tasca dei pantaloni e lo rigirai tra le dita. Lessi attentamente le dieci cifre scritte su quel foglietto e sorrisi tra me: avere il suo numero era stato abbastanza facile, anche se credo che Jenny lo aggiungerà alla lista dei reati per la mia denuncia. Ridacchiai e, ripensando ai suoi sorrisi sinceri che ella mi aveva mostrato quel pomeriggio, compresi che, alla fine l’aggiungere il reato per aver rubato i suoi dati personali, era un compromesso accettabile. Era sera tarda e decisi di scriverle un messaggio, tanto prima o poi sarei morto per mano sua.
 
Piccola scontrosa, ti auguro una serena notte. Un tuo ammiratore.
 
Rilessi il messaggio e glielo inviai, chiedendomi se sarebbe mai riuscita a comprendere che quell'“ammiratore” altri non era che la persona che più odiava. Quando il mio telefono vibrò, compresi che era una sua risposta e, ridacchiando, la lessi.
 
Chi sei? E come mai hai il mio numero?
 
Mi buttai sul letto e scoppiai a ridere. Non mi aveva riconosciuto, nonostante io la chiamassi sempre “piccola scontrosa”. Da un lato ne ero felice, perché così avrei potuto scriverle e avvicinarmi di più a lei.
 
Ti basti sapere che sono un tuo ammiratore. Comunque è tardi, va a letto piccola scontrosa. <3
 
Chiusi gli occhi, rilassandomi, pensando che quella sfida era forse una delle più impegnative che io avessi mai affrontato. In passato, avevo incontrato ragazze che si comportavano come Jenny, ma era solo perché amavano attirare l’attenzione su di loro; mentre Jenny lei lo faceva per qualche ragione a me oscura e che tuttavia volevo scoprire.
Volevo che anche lei, come le altre ragazze, cadesse ai miei piedi. Se non fossi riuscito in quella mia impresa, avrei perso prima di tutto la scommessa contro me stesso e mai me lo sarei perdonato; e, poi, avrei perso la scommessa con i miei amici che non penserebbero due volte a rovinarmi la reputazione al campus. O almeno, questo era quello che desideravo fino a questo pomeriggio. Il vederla sorridere mi aveva mandato la mente in confusione e non sapevo cosa realmente volevo da lei. Volevo vederla sorridere davvero o volevo solo mantenere la mia reputazione di dongiovanni? Oppure volevo entrambe le cose? Alla fine, non ero poi così realmente cambiato rispetto a quello che ero in passato. Tuttora avevo paura di mostrare i miei sentimenti e recitavo con tutti, ma almeno avevo smesso di fare determinate azioni, il che, per me, era un gran passo avanti.
La vibrazione del mio cellulare, mi riscosse dai miei pensieri e, riaprendo gli occhi, lessi la risposta di Jenny.
 
Non voglio ammiratori… Preferisco stare da sola…
E poi per me, sei uno stalker, non un ammiratore. Quindi vedi di non importunarmi.
Notte.
 
Sorrisi leggermente e decisi di non risponderle, per non turbarla ulteriormente. In una seconda occasione, le avrei detto che quello stalker ero io. Per ora, era meglio mettersi a riposare dato che, tra una settimana, avevo un esame da preparare e, di certo, non volevo rovinare la mia media scolastica.
Spensi la luce e lasciai che Morfeo mi cullasse nel mondo dei sogni.
 
***
 
Quella mattina, mi svegliai alle sette dopo aver dormito pochissimo a causa dei continui pensieri rivolti a Jenny. Ancora assonnato, mi alzai e mi diressi in cucina per prepararmi una tazza di caffè o non sarei mai riuscito a svegliarmi completamente e concentrarmi sullo studio.
Passai l’intera giornata chino sui libri e solo verso sera una chiamata di mio padre interruppe il mio studio.
«Papà, cosa è successo?», domandai preoccupato.
Attesi una sua risposta e, quando me la diede dopo diversi secondi di attesa, imprecai e chiusi la chiamata, cominciando a vestirmi immediatamente per poterlo raggiungere.
 
 
P.O.V. Jenny
 
Era trascorsa una settimana esatta da quando avevo trascorso il sabato pomeriggio al mare con Raffaele e, nel contempo, si avvicinavano le tanto attese vacanze natalizie, anche se non mi sarei potuta riposare nemmeno un giorno. A scuola, i professori, ogni giorno ed ogni ora, trovavano il momento adatto per poterci ricordare che, anche se mancavano diversi mesi, gli esami di maturità erano ormai alle porte e che non potevamo riposarci nemmeno un secondo. A compensare le loro parole, erano il carico di studio che ogni professore assegnava per casa. Quella settimana avevo avuto tre compiti scritti e nemmeno un attimo di tregua e la stanchezza si faceva sentire. Però, nonostante fossi stanca, mi recai ugualmente in biblioteca per potermi dedicare allo studio per continuare a scrivere il libro. Avevo diverse passioni, tra cui la scrittura. Essa, assieme alla lettura, erano gli hobby che più preferivo. Preferivo restare chiusa in casa a leggere o a scrivere piuttosto che uscire con altre persone. Quando ci provavo, mi ritrovavo a stare sempre in disparte e in silenzio, senza mai parlare, a meno che non mi veniva posta direttamente una domanda. Praticamente ero asociale. Reputavo la gente falsa e ogni azione che, apparentemente, era motivata da gentilezza, in realtà, essa era solo un’azione a loro favore. Per questo motivo, evitavo di relazionarmi e mantenevo il rapporto su un livello abbastanza formale e non permettevo a nessuno di legarsi con me. Anche perché, chi mai vorrebbe legarsi ad una ragazza che praticamente, se non interpellata, non parla mai?
Passai il pomeriggio in biblioteca a leggere e prendere appunti e soltanto quando, verso il tramonto, uscii dall’edificio, mi accorsi che quel sabato era stato diverso dagli altri, più tranquillo. Mi guardai in giro, sentendo la mancanza di qualcosa e, solo diversi minuti dopo, compresi che quello che mancava quel sabato era la presenza odiosa di Raffaele. Non era mai mancato e quella sua assenza mi stupii non poco, ma mi rese felice perché pensai che finalmente si fosse arreso. Eppure, nonostante la felicità, sentivo un vuoto dovuta alla sua assenza. Mi diedi della sciocca e cominciai a sopprimere quella sensazione di vuoto. Alla fine, era meglio così.
Mentre mi incamminavo verso casa, sentii il mio cellulare suonare. Curiosa lo presi, chiedendomi chi mai potesse avermi mandato un messaggio a quell’ora. Quando lessi il mittente, sospirai. Era ancora quel ragazzo anonimo che io avevo salvato sul cellulare come “Stalker”, un nome più che appropriato.
 
Tra dieci minuti al parco. Tranquilla, non ti farò del male anche perché mi conosci abbastanza bene.
Il tuo ammiratore.
 
Fissai incredula il cellulare. Davvero egli credeva che io lo avrei raggiunto al parco, nonostante per me fosse un completo sconosciuto? Deve essere completamente idiota, pensai. Eppure ero curiosa. Chiunque fosse quella persona, diceva che io lo conoscevo abbastanza bene e, di sicuro, sapeva come far incuriosire la gente. Come mio solito, a dispetto della ragione, mi lasciai trascinare dalla curiosità e mi diressi al parco. Come immaginavo, visto che era sabato sera, il parco era gremito di gente che, pur di uscire, aveva deciso di combattere il freddo di quella sera. Decisi di rispondere al messaggio dello “Stalker”.
 
Dove devo aspettarti?
 
Mentre attendevo la risposta, decisi di passeggiare per il parco e di fermarmi nell’area dedicata ai bambini e di sedermi sull’altalena. Sin da quando ero bambina, avevo amato quella giostra: mi dava un senso di libertà che nessun altra cosa, a parte la lettura, riusciva a darmi. Quando il cellulare mi annunciò un nuovo messaggio, lo lessi e scrissi immediatamente la mia posizione visto che, lo “Stalker”, aveva detto che mi avrebbe raggiunto lui. Spostai lo sguardo sull’area circostante notando, con mio sollievo, che non era isolata.
 
 
P.O.V. Raffaele
 
Il suo messaggio diceva che era nell’area dedicata ai bambini, seduta su un’altalena, così mi diressi da lei.
In quella settimana avevo riflettuto molto e più di una volta avevo cercato di dare una spiegazione alle domande a cui, però, non riuscivo a dare una spiegazione. Avevo però capito, che se davvero volevo trovare delle risposte, avrei dovuto lasciarmi andare e smetterla di ragionare come uno stratega che deve far cadere in trappola la sua preda. In quella settimana, i miei sogni erano stati popolati dal suo sorriso e, il sol pensare a lei, riusciva a darmi la forza di affrontare i miei problemi di famiglia che in quella settimana si erano ripresentati nuovamente.
Quando la vidi seduta sull'altalena, mi avvicinai cautamente alle sue spalle e, senza fare alcun rumore, posai le mie mani sui suoi occhi per oscurarle la vista. La sentii irrigidirsi e, con voce tremante, domandarmi: «Chi sei?»
«Il tuo stalker.», sussurrai al suo orecchio, trattenendo le risate.
«Togli le mani dai miei occhi.», urlò Jenny furibonda, scatenando le mie risate.
Sentendo che si era rilassata, le ridiedi la vista e mi preparai ad una sua sfuriata che, ne ero certo, sarebbe arrivata subito.
«Sequestro di persona, guida pericolosa e ora anche stalking? Davvero i miei complimenti. La tua pena aumenta ogni giorno di più.», cominciò a parlare lei furibonda, alzandosi e venendomi incontro, «Reprimere la voglia omicida nei tuoi confronti diventa sempre più difficile, sappilo.»
La guardai scoppiando a ridere. Aveva il viso arrossato dalla rabbia e gli occhi furenti, eppure a suo modo, sembrava tenera. Almeno non era fredda e apatica.
«Non potevo mancare al nostro appuntamento settimanale. Visto che non sono potuto presentarmi in biblioteca a causa di un esame, dovevo pur recuperare in qualche modo. Così, eccomi qui.»
«In realtà sono stata benissimo oggi, senza di te. Fino a qualche minuto fa la mia giornata la si poteva definire più che perfetta. Grazie per avermela rovinata.»
«Veramente non sono stato io ad accettare un invito da un apparente sconosciuto.», la rimbeccai io.
La vidi stringere i pugni, ma non smisi di sorridere e, poi, mi sorprese. Caricò il braccio e tentò di darmi un pugno che io, però, parai tranquillamente con la mano.
«Jenny, così non andiamo bene. Sai che ora potrei denunciarti anche io, per aggressione?», ridacchiai lievemente, serrando dolcemente la mano sul suo pugno e tirandola a me. Avevo deciso di seguire il mio istinto e in quel momento non desideravo altro che stringerla tra le mie braccia.
«No, la mia aggressione era legittima difesa.», disse, cercando di sfuggire al mio abbraccio.
«Forse hai ragione tu e, comunque, non puoi scappare. Me l’hai promesso.»
Erano bastate quelle mie semplici parole per calmarla.
«Odio gli abbracci e odio la vicinanza dei ragazzi…», sussurrò lievemente.
«Perché?», chiesi curioso.
«Che cosa vuoi da me?»
«Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda.», sussurrai con un sorriso.
«Rispondi.», ribatté testarda.
«Vuoi realmente saperlo?»
«Si.»
«Allora guardami.»
Attesi che lei alzasse il viso e incatenai il mio sguardo al suo. Aveva gli occhi neri, profondi e, impenetrabili. Come ogni volta, quando incontravo il suo sguardo, notavo che erano privi di luce, spenti e questo mi metteva addosso un’inspiegabile tristezza.
Agii d’impulso, mi chinai e posai le mie labbra sulle sue. Constatai che erano fredde ma, allo stesso tempo, dolci.
Fu a quel contatto che riuscii a rispondere alla maggior parte delle mie domande.
 
~Angolo Autrice.~
Salve gente. Sono tornata nuovamente e puntuale come un orologio, anche se l’orario non è dei migliori. Però, sono dettagli.
Senza dilungarmi troppo, passo con il ringraziare come sempre Lucia per aver letto e corretto la mia storia. Credetemi, senza di lei sarei persa visto che scrivo per lo più la sera tardi o di notte e quindi, vi lascio immaginare gli orrori che scrivo.
Inoltre vorrei ringraziare chi ha recensito il mio capitolo precedente e ringraziare tutti i lettori silenziosi e infine, tutti coloro che leggono e mi seguono da Facebook. Siete fantastici. ♥
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e soprattutto vi abbia un po’ sorpreso il finale. So che forse, molti, penseranno che il primo bacio tra loro due sia arrivato in fretta ma, chi mi conosce sa che sono nota per non rendere facile la vita ai miei personaggi. e.e Si, sono cattiva con i miei personaggi. Vi avverto. e.e
Spero mi lasciate un piccolo commento anche questa volta e spero continuiate a seguirmi e che questa storia possa interessarvi.
Detto questo, vi saluto con la promessa di esserci anche la prossima settimana.
Vostra,
Lily.

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Capitolo 4
*** Scommessa. ***




Capitolo quattro: Scommessa.
 
P.O.V. Jenny
 
Fu questione di un attimo e ritrovai le labbra di lui sulle mie. Non era il mio primo bacio, ma mi sentii impacciata soprattutto perché non stavo capendo più niente. Mentre lui posava con delicatezza le labbra sulle mie, io chiusi gli occhi e nella mia mente cominciarono a nascere mille domande.
Perché non lo stavo allontanando?
Perché il vuoto che sentivo all’uscita della biblioteca, ora era scomparso?
Perché il mio cuore batteva fortissimo?
Perché provavo gioia in quel suo gesto?
Perché, d’un tratto, quelle braccia da cui precedentemente cercavo di fuggire, ora desideravo che mi stringessero di più?
Perché, improvvisamente mi sentivo così felice?
Le domande continuavano ad affollare la mia mente, ma a nessuna di quelle riuscivo a dare una risposta. Mi sentivo felice, proprio come quel pomeriggio trascorso al mare con lui. Eppure, oltre a quella felicità, dentro di me si stava diramando anche un’altra emozione: la paura. Era una paura che in parte non comprendevo, ma sapevo che avevo paura che, quel ragazzo, potesse ferirmi come gli altri. Fu proprio quella paura a darmi la forza di poggiare le mani sul petto di lui, e cominciare a far leva. Sapevo bene che era più forte di me, ma speravo che capisse. Era stato un bacio timido e non possessivo e volgare, eppure ne avevo paura. Come sparai, lui comprese e si allontanò ed io, immediatamente, riaprii gli occhi per guardarlo. Aveva le guance leggermente arrossate, segno che anche lui era i imbarazzo e i suoi occhi erano più luminosi che mai e sprizzavano gioia.
Abbassai il viso per cercare le parole adatte da dire in quel momento, ma non ne ebbi nemmeno il tempo di parlare che una voce a me sconosciuta, interruppe i miei pensieri.
«Non ci credo. Raffaele ha vinto ancora!»
Alzai il viso e mi ritrovai di fronte ad un gruppo di cinque persone che ci guardavano. Il ragazzo che aveva parlato, aveva l’età di Raffaele, aveva i capelli biondo cenere, lisci e leggermente lunghi, accuratamente messi in ordine. Essi ricadevano sbarazzini sulla fronte alta del ragazzo, circondando il viso tondo. Gli occhi erano grandi come quelli dei bambini ed erano di un verde scuro. A guardarlo, pareva un bambino, sia a causa della sua altezza non molto alta paragonata a quella di Raffaele e sia per lo sguardo giocoso che aveva.
«Ragazzi, la scommessa l’ho vinta io! Raffaele ha conquistato anche la ragazzina che si atteggiava da dura!», a parlare, questa volta, era stato un ragazzo che però non vidi bene.
Il mio sguardo era puntato a terra per nascondere il  viso rigato dalle lacrime.
Quel bacio, quelle attenzioni, quel suo comportamento erano dettate non da gentilezza, ma bensì da una scommessa con i suoi amici.
La paura del fidarsi nuovamente di una persona, era fondata: alla fine, erano tutti uguali.
Alzai il viso verso il ragazzo che, ancora, mi abbracciava e con una forza che nemmeno io sapevo di avere lo spinsi via e gli schiaffeggiai una guancia. Poi, senza dire nulla, corsi via. Volevo allontanarmi da quel parco, da quelle persone che giocavano e scommettevano sui sentimenti altrui e soprattutto volevo allontanarmi da lui.
 
 
P.O.V. Raffaele
 
Stava piangendo.
Mentre Jenny correva via, l’unica cosa che riuscivo a pensare era questa: l’avevo fatta piangere.
Volevo correrle dietro, fermarla, abbracciarla e rassicurarla, ma come potevo fare ciò dopo che lei, aveva sentito quello che io avevo fatto? Come potevo biasimarla… Aveva tutte le ragioni per odiarmi. In fondo, ero stato io a tradirla, nonostante lei pian piano stava cominciando a togliere la maschera di apatia che indossava per proteggersi.
Strinsi le mani in pugno, tenendo le braccia lungo i fianchi.
Mi sentivo un mostro.
Sentii distrattamente la voce di Walter che allontanava tutti e diceva loro di lasciarmi solo. Lei era l’unico ad avermi compreso, lui era l’unico che in tredici anni mi capiva sempre.
«Raf, che succede?», mi domandò lui venendomi in contro. Mi sedetti sull’altalena, a peso morto e cominciai a dondolarmi leggermente con il viso chino e lo sguardo puntato a terra. Con la coda dell’occhio, vidi Walter poggiarsi ad una delle colonne che sosteneva la giostra e puntare i suoi occhi su di me.
«Le ho davvero ferite tutte così, come lei?», domandai dubbioso.
«Alcune si. Delle ragazze ti amavano veramente. Perché questa domanda?», incrociò le braccia al petto pronto ad ascoltarmi.
«Le altre volte non sentivo niente. Ci uscivo, le baciavo e alcune le portavo a letto e poi, le lasciavo. Con loro non sentivo nulla a parte la felicità nel constatare che un’altra ragazza era caduta ai miei piedi. Questa volta, non sono felice di aver vinto e non capisco nemmeno completamente il perché. So che Jenny, a differenza delle altre, è diversa e credo sia stata questa sua diversità, a spingermi ad andarle dietro. Però, perché ora che so di averla persa, mi sento distrutto? Perché non sorrido e vado avanti come le altre volte? E perché sono qui, che mentre parlo ripenso al bacio che le ho dato? Perché sto così male, spiegamelo Walter, perché io non lo capisco.», mi sfogai senza mai fermarmi e, una volta che terminai, restai in silenzio.
«Ti sei innamorato di quella ragazza, semplice.»
La semplicità con cui disse quella frase mi spiazzò, eppure sapevo che era vero perché anche io lo avevo compreso. Lo avevo capito nel momento esatto in cui avevo poggiato le mie labbra sulle sue.
Però, non volevo ammetterlo. Se lo avessi fatto, mi sarei sentito male. Sarebbe stato ammettere di aver perso, l’unica ragazza che io ero riuscito ad amare dopo tantissimi anni e io, non lo avrei mai sopportato.
«Ti sbagli, non è così. Non la amo. È solo una come tante altre.», mentii al mio migliore amico per poi alzarmi e allontanarmi da quel posto. Volevo stare solo e soprattutto volevo stare lontano dal mio migliore amico e dalla verità che lui aveva esternato.
 
P.O.V. Walter
 
Dovevo aiutare il mio migliore amico. Anche se non lo aveva ammesso a causa del suo orgoglio, sapevo bene che stava male. Tuttavia, sapevo che dovevo darli un po’ di tempo. Non potevo agire se lui, almeno con me, non fosse stato sincero.
Erano le due notte e io ero concentrato negli studi di psicologia, quando il mio cellulare vibrò sulla scrivania. Lo presi con aria assonnata ma, non appena lo lessi mi ripresi e corsi silenziosamente all’ingresso.
Non appena aprii la porta, mi trovai davanti Raffaele, con i vestiti sgualciti, gli occhi arrossati e l’odore di alcool.
«Avanti, entra.», mi feci da parte per farlo entrare in casa, «Non fare rumore, i miei genitori dormono.», continuai con un sussurro.
I miei genitori erano abituati a vedere Raffaele imbucarsi in casa di notte e, non dicevano mai nulla anzi, per loro era come un secondo figlio visto quello che lui aveva fatto per me in passato.
Non appena lo raggiunsi in camera, lo trovai seduto a terra con la schiena poggiata al mio letto e gli occhi chiusi.
«Cosa hai combinato?», domandai preoccupato. Temevo avesse ripreso con i vecchi vizi che aveva, ovvero andare a letto con diverse ragazze o fare gare illegali di motociclismo e, data la situazione sentimentale in cui si trovava, sperai caldamente non fosse il primo caso.
«Nulla, ho incontrato nuovamente Giuseppe, mi ha riproposto una gara e ho accettato. Per festeggiare la mia vittoria sono andato a bere e forse ho bevuto un po’ troppo visto che faticavo a guidare la moto. Scusa l’ennesima intrusione in casa, amico…», spiegò Raffaele con voce impastata dalla stanchezza e dalla sbronza.
«Sei il solito. Mi chiedo perché tu continui a distruggerti così…», con un sospiro, abbandonai il libro di psicologia sulla scrivania e mi sedetti accanto a lui. Fisicamente ero più piccolo di lui ed ero anche più debole, dovevo ammetterlo, però psicologicamente ero più maturo io di lui. In poche parole, ci compensavamo.
Lui scoppiò a ridere a bassa voce per poi guardarmi: «Ho perso completamente la testa. L’ho persa per quella ragazza… Non riesco a togliermela dalla testa… Ripenso ancora alle sue lacrime e al fatto che sia stato io a farla piangere… Io che volevo proteggerla, sono stato il primo a ferirla… All’inizio, lo ammetto, la inseguivo perché mi sentivo ferito nell’orgoglio perché era l’unica che non era caduta ai miei piedi… Poi, quando l’ho vista sorridere con sincerità, quando ho visto che ragazza meravigliosa si nasconde dietro quella maschera di freddezza e apatia… Mi sono innamorato di lei… E non desideravo più vincere quella stupida scommessa, desideravo averla sempre tra le mie braccia… Desideravo farla sorridere… Anzi, desidero… Però, ho paura perché sai bene che il mio passato continua a perseguitarmi… Quel passato dal quale tento di fuggire, ma che mi tiene tra le sue spire… Se lei conosce chi ero, chi sono davvero, pensi che rimarrebbe? Non credo… Chi mai vorrebbe stare con un mostro come me…»
Lo ascoltai in silenzio. Mentre parlava, era scoppiato a piangere e io, me ne spaventai: era la prima volta che lo vedevo piangere. Finalmente, aveva fatto quello che in tutti quei anni non era riuscito a fare, si era sfogato con me e aveva messo da parte il suo orgoglio. In parte doveva essere stato merito dell’alcool, ma almeno ero riuscito ad ascoltare i suoi pensieri, ad ascoltare cosa lo turbava e cosa lo faceva soffrire.
«Amico mio, ora riposati e non pensare più a nulla. Se vuoi, resta pure da me in questi giorni.»
Lui annuii soltanto e dopo aver accettato degli indumenti puliti lo feci coricare nel mio letto, mentre io sarei andato a dormire sul divano. In quel momento, tra i due, era lui che aveva più bisogno di dormire. Mentre mi stesi sul divano, pensai al fatto che finalmente potevo agire e saldare il vecchio debito che tenevo con lui. Finalmente potevo essere io ad aiutarlo. Sorrisi e poi, chiusi gli occhi, addormentandomi immediatamente a causa della troppa stanchezza accumulata in quella giornata.
 
Era lunedì ed era ormai mattina inoltrata. Avevamo trascorso la domenica dietro il mio libro di psicologia.  Raffaele per sdebitarsi dell’ospitalità aveva insistito con l’aiutarmi con lo studio e la preparazione e ora, se n’era appena andato. Guardai l’orologio e decisi di mettermi al lavoro. Presi una delle mie chiavette USB e la ripulii dal suo contenuto, per poi mettere al suo interno solo una canzone, quella che Raffaele ascoltava insistentemente il giorno prima. L’avevo ascoltata e avevo compreso il perché la ascoltasse. Dopo aver sistemato la chiavetta USB, mi andai a docciare e inseguito, dopo essermi vestito, uscii di casa. Mi diressi verso la scuola di Jenny, a piedi e una volta arrivato, constatai che mancavano dieci minuti alla fine delle lezioni e così, decisi di attenderla.
Volevo aiutare Raffaele e lei, doveva sapere la verità. Attesi pazientemente e, una volta suonata la campanella che annunciava la fine delle lezioni, tenni lo sguardo aperto, cercando di trovarla tra tutti quei studenti. Non appena la trovai, le andai incontro.
Aveva i capelli lisci e neri legati in una coda alta e gli occhi neri e profondi. Aveva il viso leggermente allungato e quando sorrideva leggermente le si intravedevano le fossette sulle guance. Gli occhi erano a grandi e a mandorla e, come li aveva descritti sempre Raffaele, arano vuoti.
Mi fermai davanti a lei e la presi dolcemente per un polso, portandola via di là.
Ora, entravo in gioco io.

~Angolo autrice.~
Salve ragazzi e buon martedì a tutti. Come potete vedere sono tornata e con un piccolo colpo di scena. ♥
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e volevo ringraziare Alys per aver recensito anche il mio precedente capitolo e Marty per aver messo la storia tra le sue preferite. Inoltre ringrazio quei lettori silenziosi a cui chiedo di lasciarmi anche un loro piccolo parere e soprattutto ringrazio tutti coloro che mi seguono su Facebook e soprattutto voglio ringraziare Amy che ogni giorno mi intasa la chat chiedendomi spoiler o domandandomi a che punto sono con la storia. ♥
Spero che non mi uccidiate perché dopo questo capitolo, temo per la mia incolumità.
Inoltre, non posso non ringraziare, per l'ennesima volta, Lucia che come ogni volta ha corretto e riletto questo capitolo. Grazie Lù. ♥
Che altro dirvi se non lasciate un piccolo commento per farmi sapere cosa ne pensate e la sottoscritta, tornerà puntuale la prossima settimana. ♥
A presto,
Lily.

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Capitolo 5
*** L'amico. ***




 
Capitolo cinque: L’amico.
 
P.O.V. Walter
 
La portai al parco, senza lasciarle mai il polso e senza mai rispondere alle sue insistenti domande.
Mentre mi dirigevo al parco, stavo pensando a cosa potevo dirle o meglio, a come dirglielo. Dovevo spiegarli chi era realmente Raffaele senza però menzionare il suo passato: quello, sarebbe stato il compito di lui, non il mio.
Mi lasciai andare ad un sospiro e varcai il cancello che era posto a confine del parco.
Il mio compito, stava per iniziare.
 
P.O.V. Jenny
 
Un ragazzo dagli occhi verdi mi stava trascinando via dalla mia scuola. Non li avevo mai parlato, tuttavia il suo sguardo mi era famigliare, ma non ricordavo dove lo avessi visto.
«Mi dici che cosa vuoi da me?», gli domandai, per l’ennesima volta, infastidita dal suo atteggiamento.
«Tranquilla, non ti farò del male.», si voltò verso di me, sorridendomi con dolcezza. Fu in quel momento che mi ricordai dove avevo visto quel ragazzo e il terrore mi invase.
Mi portò al parco e mi fece sedere su una panchina, restando in piedi davanti a me con disinvoltura e continuando a sorridere.
«Scusa il piccolo rapimento Jenny. Io sono Walter, il miglior amico di Raffaele.»
Volevo essere fredda e scontrosa, ma non riuscivo a comprendere il perché con quel ragazzo non ci riuscivo. Il suo sorriso mi disarmava. Da quando lo aveva visto quel giorno, non l’aveva mai abbandonato.
«Piacere…», sussurrai incerta.
«Sai, so che Raffaele sembra superficiale e so che hai tutte le ragioni per odiarlo, però ti consiglio di darli una seconda possibilità. Il suo passato non è tutto rose e fiori e non ha mai conosciuto l’amore, non ha mai provato a usare il cuore perché ha sempre sofferto e soprattutto è cresciuto più in fretta del dovuto. Nonostante i suoi errori, che ti assicuro li ho visti tutti, è una persona magnifica. Devi sapere che io sono di origini germaniche, mia madre è tedesca e conobbe mio padre, che invece è italiano, in Germania. Ho vissuto lì fino all’età di circa otto anni, poi a causa del lavoro di mio padre, mi sono trasferito qui in Italia. Non avevo amici ed essendo sempre stato un ragazzo timido e debole, venivo costantemente preso di mira e dunque, ero vittima di bullismo. Fu proprio Raffaele che mi salvò dai bulli alle elementari. Ero finito in classe con lui ed egli era il bambino più amato, temuto e misterioso. Non aveva mai alzato un dito per difendere gli altri, se non sé stesso. Quella volta non fu così: mi difese. Quel giorno ero in ritardo a scuola e purtroppo, come me, erano in ritardo anche altri tre bambini più grandi di me di un anno circa. Mi bloccarono mentre stavo salendo le scale per raggiungere la mia aula al primo piano e cominciarono a spintonarmi e a far uscire il mio materiale dalla cartella per poi buttarlo giù dalle scale. Quando cominciai a raccogliere il mio materiale, per rimetterlo nella cartella, ricevetti l’ennesima spinta ma, questa volta, inciampai e mancai lo scalino. Poco prima di cadere sulle scale e rotolare giù, venni afferrato da qualcuno alle mie spalle: Raffaele. Grazie a lui me la cavai solo con una leggera slogatura alla caviglia, così però non si può dire per gli altri tre bambini…»
«Cosa gli ha combinato a quei bambini?», lo interruppi preoccupata.
Walter ridacchiò, per poi alzare lo sguardo verso il cielo.
«Tutti e tre corsero in infermeria con il naso sanguinante e tutto il loro materiale era volato giù dalle scale. Infatti venne punito, ma tutti lo interpretarono come un gesto carino… In fondo, lui non aveva mai difeso nessuno.»
Ascoltai la sua spiegazione e, senza lasciarmi il tempo per replicare, riprese a narrare.
«Fu Raffaele ad accompagnarmi in infermeria e in quell’occasione, davanti ai miei genitori, alla preside e ad una delle mie maestre, fui costretto a raccontare che ero vittima di bullismo e che i lividi che avevo sul corpo non erano dovuti alla mia sbadataggine ma alle percosse. I miei genitori, disperati, volevano farmi cambiare scuola o, addirittura, mi avevano proposto di tornare in Germania. Anche per la preside e per la maestra, quelle erano le due soluzioni migliori e dispiaciute chiesero scusa a me e alla mia famiglia. Vedi, Jenny, io non parlai con nessuno proprio per evitare questo: non volevo partire e ritornare in Germania. Lo dissi, ma nessuno degli adulti era d’accordo così cominciai a scoraggiarmi. In quel momento, però, Raffaele mi venne vicino, posò una sua mano sulla mia spalla e guardando tutti gli adulti dritti negli occhi, disse loro che mi avrebbe protetto, che non avrebbe permesso a nessuno di farmi del male e che loro dovevano tener conto prima i miei desideri, anche se apparentemente non erano giusti. Inutile dire che mi sorprese e, dalle facce della maestra e della preside, non ero l’unico a provare quella emozione. Fu da quel giorno che ebbe inizio la nostra amicizia, ricordo persino la data. Da quel giorno nessuno provò più a picchiarmi o a prendermi in giro, anzi cominciarono a trattarmi con riguardo anche se sapevo che c’era gente che era invidiosa del nostro rapporto: io, un piccolo e debole tedesco ero riuscito a diventare un amico e, il primo amico, di Raffaele, impresa alla quale tutti avevano fallito.»
 
P.O.V. Walter
 
Appena terminai di raccontare una piccola parte del mio passato con Raffaele, posai il mio sguardo sul profilo del viso di lei. Era pensierosa e restava in silenzio, come se stesse riflettendo sulle mie parole.
«Cosa dovrei fare?», mi chiese, alla fine.
«Come ti ho detto all’inizio, prova a darli una seconda possibilità. so bene che ti sto chiedendo troppo, ma da quando ti ha incontrata, ho rivisto per un po’ il vero Raffaele. Però, non posso costringerti: la scelta spetta a te. Io, ti ho solo voluto narrare la persona che ho conosciuto che, alla fin fine, è il vero volto di Raffaele.»
«Perché si nasconde dietro ad una maschera?»
«Questo non spetta a me dirtelo, ma a lui quando si sentirà pronto e se tu li darai una seconda possibilità.»
«Non saprei… Ci devo pensare…»
Le sorrisi gentilmente: mi sentivo soddisfatto, almeno non mi aveva detto un secco no.
Le porsi la chiavetta USB, «Prendi questa, al suo interno c’è una canzone. Ieri, quando Raffaele era a casa mia, ascoltava sempre e solo questa canzone e inseguito ho compreso il perché. Ti chiedo di riflettere ascoltandola, magari ti aiuterà a prendere la decisione giusta.»
Prese la chiavetta USB e, in silenzio, mi alzai dalla panchina.
«Vieni, ti accompagno a casa. Ti ho trattenuta qui per un bel po’ e, dunque, per sdebitarmi ti accompagno a casa.», le proposi con un sorriso leggero, che si allargò quando ella accettò la mia proposta.
Finalmente ero riuscito ad aiutare Raffaele e, sperai, che le mie parole sarebbero bastate a convincere quella strana ragazza che pareva non avesse più emozioni.
Ora, spettava a lei.

~Angolo autrice.~
Buon pomeriggio ragazzi, come ogni martedì sono qui con un nuovo capitolo. Ecco qui il migliore amico di Raffaele che cerca di aiutarlo. Cosa ne pensate di Walter? ♥
C'era chi si chiedeva quale fosse il debito di cui Walter parlava, così eccovi qui la risposta a quel quesito. Ora, però, è tutto nelle mani di Jenny.
A parte questo, ringrazio come sempre Lucia per aver corretto il capitolo, Alys93 per aver recensito nuovamente il mio capitolo precedente, marti_96borgi per aver messo la storia tra le preferite, Amy che mi segue sempre da Facebook e, infine, tutti i lettori silenziosi che leggono la mia storia sia qui che su Facebook.
Spero mi lasciate un vostro parere. ♥
Alla prossima settimana,
Lily.

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Capitolo 6
*** Un altro rapimento? ***




Capitolo sette: Un altro rapimento?
 
P.O.V. Jenny
 
Non conoscevo quel ragazzo, eppure quando lo vedevo mi sembrava naturale aprirmi in un sorriso, anche se sapevo bene che realmente sincero non era, dato che avvertivo dentro di me la solita apatia che mi caratterizzava, ma almeno mi sentivo serena.
Lo vidi avanzare verso di me e sedersi al mio fianco, sotto quella quercia che doveva avere sui cinquant’anni di vita, visto il suo tronco robusto.
«Stavi ascoltando la canzone che ti avevo passato?», mi domandò Walter curioso.
Puntai il mio sguardo sul viso tondo del ragazzo che avevo davanti e annuii leggermente.
«Hai preso una decisione?»
Annuii nuovamente incapace di parlare. Improvvisamente, la tranquillità che avevo avvertito precedentemente, era sparita del tutto.
«La paura ci fa fare scelte che apparentemente ci proteggono, ma che in realtà ci rinchiudono e ci priva delle nostre ali.», mi disse con un sorriso leggero.
Ero sorpresa.
«Come hai intuito la mia scelta e i miei pensieri?», diedi voce a quello che avevo in testa.
«Studio psicologia e i tuoi silenzi e il tuo sguardo ancora vuoto e privo di emozioni mi ha parlato.»
Rimasi in silenzio, indecisa.
Se fino a poco fa ero sicura di voler evitare Raffaele, di tenerlo lontano dalla mia vita, ora non ne ero più tanto sicura.
«Volevo allontanarmi da lui perché non lo conosco e ho la strana sensazione che lui possa farmi soffrire e io non voglio questo.»
«Tu vedi solo questa prospettiva negativa, ma se invece lui ti facesse star bene e ti rendesse felice? Se non provi, non lo saprai mai.»
«Credo di preferire il dubbio al dolore. Almeno credo.»
«Perché eviti l’amore e i vari sentimenti?»
A quella domanda, restai nuovamente sorpresa.
Walter riusciva a leggermi dentro, eppure nessuno ne era capace.
«Sicuro che stai studiando ancora psicologia? A me pare che tu sia già uno psicologo.», tentai malamente di sviare il discorso.
Ridacchiò leggermente, «Non cambiare il discorso.»
Sospirai e puntai lo sguardo davanti a me pur di evitare i suoi occhi verde smeraldo che, a differenza delle altre due volte che li avevo visti, oggi erano più chiari e limpidi.
«Preferisco non parlarne. Non voglio riportare a galla il passato. Però ammetto che se prima ero sicura di evitarlo, ora che ti ho parlato, non lo sono più.», dopo aver sospirato nuovamente, volsi lo sguardo verso di lui, «Che cosa devo fare?»
«Questo lo devi capire da sola.», mi rispose, alzandosi in piedi e pulendosi i jeans scuri dall’erba.
«Mi sento più confusa di prima.», ammisi in un sussurro.
«Datti del tempo. Per certe cose, meglio non avere fretta.»
Restai in silenzio e lo vidi indietreggiare leggermente.
«Ora devo andare. Alla prossima Jenny.», mi salutò con un gesto della mano, ma lo fermai prima che potesse andare.
«Walter, aspetta!», esclamai alzandomi subito e raggiungerlo.
«Dimmi.»
«Per caso sai che significa Krieger1
«Come mai questa domanda?»
Nella sua domanda, notai una leggera curiosità e cercai di placarla restando però sul vago. Non volevo raccontargli della mia giornata al mare con Raffaele, anche perché dopo quel giorno non avevo più sorriso con sincerità.
«Ho sentito che chiamano Raffaele con quel nome.»
«È una parola tedesca e vuol dire guerriero. Raffaele porta questo nome dall’inizio delle medie, ma ormai sono in pochi a conoscerlo. Infatti, mi stupisce che tu lo conosca.»
«Perché lo chiamano così?», chiesi ancora più curiosa, sperando di poter conoscere qualcosa in più sul passato di Raffaele.
«Chiedilo a lui.», mi sorrise furbo il biondo, «Alla prossima Jenny!»
Lo vidi andar via, con ancor più domande di prima e la confusione in testa.
Cosa dovevo fare?
Con quella domanda, decisi di tornare a casa e di mettermi a studiare, per portarmi avanti con il programma: non volevo restare indietro e ritrovarmi in altri casini, per di più scolastici.
Quindi, con un sospiro, afferrai il mio skate e tornai a casa dove cominciai i miei studi che, per fortuna, tennero la mia mente impegnata e incapace di pensare al ragazzo che mi stava incasinando i pensieri.
 
Avevo trascorso i primi giorni di vacanza tra studio, passeggiate con lo skate e aiutando i miei genitori e mia sorella maggiore nel ristorante di famiglia, servendo i vari tavoli. Il ristorante non era molto grande, ma
era abbastanza conosciuto e apprezzato. Era arredato con semplicità, ma al contempo era moderno e elegante. Era a causa del ristorante che vedevo poco i miei genitori, ma questo non mi rendeva triste anche perché cercavano in ogni modo di non farmi mancare nulla ed erano sempre stati premurosi e attenti ad ogni mia necessità. Infatti, avevano pensato di comprare l'appartamento presente sopra il ristorante visto che i precedenti proprietari avevano traslocato. Da alcuni mesi avevano già avviato le varie pratiche e dall’anno nuovo saremmo potuti andare a vivere nella nuova casa in modo da poterci vedere di più e stare più vicini.
Sorrisi mentalmente all’idea.
Anche se ero cambiata negli ultimi anni, continuavo a voler un gran bene alla mia famiglia e alle volte mi rattristava vederli preoccupati per il mio cambiamento, ma cercavo in ogni modo di mostrarmi tranquilla e serena per non dare preoccupazioni inutili ai miei genitori. Vedevano che in quegl'ultimi tre anni, non invitavo più amici a casa, non uscivo se non da sola, non parlavo molto e sorridevo a fatica. Però, cercai in tutti i modi di tranquillizzarli.
Anche la sera prima della Vigilia di Natale, stavo lavorando nel ristorante, servendo i vari clienti che volevano trascorrere la sera prima della festività in totale serenità. Proprio mentre prendevo le ordinazioni di una coppia, sentii la porta aprirsi e così mi affrettai a segnare le ordinazioni e ad avviarmi verso l’entrata per accogliere i clienti e farli accomodare ad un tavolo. Quando però giunsi all’ingresso del ristorante, rimasi sorpresa.
Raffaele e Walter si trovavano davanti a me: il primo mi guardava con freddezza, senza lasciar trapelare alcuna emozione; mentre, il secondo mi sorrideva divertito, sicuramente sorpreso di trovarmi lì.
 
P.O.V. Raffaele
 
Era l’ora di pranzo e io e Walter decidemmo di dirigerci verso il ristorante vicino alla nostra posizione. Non era la prima volta che finivamo a mangiare in quel luogo, per questo mi sorpresi di trovare Jenny ad accoglierci.
Indossava la classica divisa da cameriere e dovevo ammettere che era davvero carina. Però, cercai di non far trapelare alcuna emozione: mi ero ripromesso di dimenticarla e di andare per la mia strada, anche se, a volte, cedevo e cercavo di avvicinarmi di nascosto a lei, senza però arrivare mai a ad avvicinarmi abbastanza da poterle parlare, da poterla ferire di nuovo.
Non volevo farla soffrire di nuovo e poi quello che volevo lo avevo ricevuto: la vittoria della scommessa con i miei amici. Per me era tutto un gioco, non credevo nei sentimenti e mai lo avrei fatto. Certo, con Jenny mi stavo ricredendo, ma il vederla ferita mi aveva riscosso.
Come mai con Jenny non era un gioco?
La osservai e constatai che il suo fisico passava inosservato visto che rientrava in quello che io consideravo “nella norma”. Avevo incontrato ragazze più belle fisicamente rispetto a Jenny. Quindi, quell’attrazione verso di lei non era fisica, anche perché non avevo mai avuto quei pensieri su di lei.
Quindi compresi che ad attirarmi era il suo carattere, il suo sguardo e il vuoto che ella si portava dentro. Anche Walter mi aveva confermato che quella ragazza stava combattendo da sola una silenziosa battaglia e io, inconsciamente, avevo il desiderio di volerla aiutare. Però, non potevo farlo.
Io non potevo proprio perché avrei finito solo con il ferirla di continuo. Negli anni si cambia, questo è vero, ma il passato non si cancella e io, anche se ero un po’ cambiato, avevo un passato che avrebbe spaventato chiunque. Uno come me non poteva permettersi una relazione. Avrei soltanto distrutto tutto e avrei ferito ancor di più Jenny e io non volevo questo. Nell’ultimo mese avevo sempre quell’irrefrenabile desiderio di proteggerla, ma dopo l’episodio del bacio, compresi che se davvero volevo adempiere al mio compito, dovevo proteggerla solo da me stesso e dal mio mondo.
Distolsi lo sguardo da quello di Jenny e la vidi ricomporsi, per poi accompagnarci ad un tavolo, come se nulla fosse. Anche lei era brava a nascondere i sentimenti, solo che avevamo due modi differenti di farlo: lei lo faceva con il silenzio, io compiendo gesti spericolati e per nulla attenti.
«Raf, mi ascolti?», domandò Walter, ma sentivo la sua voce lontana, sommersa dai miei innumerevoli pensieri e ragionamenti.
«Krieger, prestami attenzione.», sentirmi chiamare in quel modo mi riscosse dai miei pensieri.
Sentire quello che ormai era diventato il mio soprannome, pronunciato da lui, aveva tutt’altro effetto. Quella parola tedesca risultava fredda e dura mentre usciva dalle labbra sorridenti del mio amico.
«Scusami, pensavo.», gli risposi ridacchiando.
«Dire che stavi solo pensando è un eufemismo. Tu stavi navigando tra i pensieri.», rispose lui ridendo.
«Dumm2.», gli risposi scuotendo la testa e ridacchiando, «Che volevi dirmi, comunque?»
«Nulla, ti stavo dicendo che ero sorpreso di vedere qui Jenny.»
«In effetti, hai ragione.», gli sussurrai di rimando, prima che la ragazza in questione tornasse da noi per portarci due menù.
«Ecco i vostri menù. Appena siete pronti per ordinare, chiamatemi pure.»
La ascoltai con attenzione e constatai che ci parlava con voce professionale e distaccata, come se non ci conoscesse. Sapevo che Walter aveva parlato con lei, anche se non ero a conoscenza del motivo, e quindi questo suo atteggiamento mi sorprese. Non è che cambiasse molto dal solito però, il fatto che lei fingeva di non conoscermi, mi alterava non poco, cosa che Walter intuii dal mio sguardo. Ormai eravamo come fratelli, anche se opposti.
«Jenny, con noi puoi mettere da parte la professionalità. In fondo ci conosci.», le rivolse la parola Walter, senza mai smettere di ridere.
«Scusate, colpa dell’abitudine.», sorrise cortesemente per poi voltarsi verso un gruppo di clienti che la stava chiamando, «Torno appena avete scelto cosa ordinare.», disse rivolgendosi di nuovo a noi, per poi dirigersi verso gli altri clienti.
«Krieger, calmati dai.»
«Non fare lo psicologo con me, Walter.», sbuffai leggermente, cominciando a guardare il menù.
Alla fine, decidemmo di prendere il solito e mangiammo parlando del più e del meno, senza mai trattare di Jenny. Walter aveva ormai compreso che quell’argomento mi innervosiva e mi faceva fare gesti che lui considerava sconsiderati. Però, cosa pretendeva? Dopo quell’episodio, lei non gli aveva dato la possibilità di spiegarsi, aveva persino smesso di andare il sabato in biblioteca, cosa che io continuavo a fare. Mi davo dello stupido, ma non riuscivo a non andare in quel luogo, ogni sabato in quei posti che ormai erano diventati i nostri.
Però mi domandavo ancora da quando lei lavorava lì, in quel ristorante. Così dopo aver pranzato con Walter, con una scusa restai solo. Mi sedetti sulla moto e attesi che ella finisse il turno. Ero stufo di aspettare e in quel momento maledissi anche i buoni propositi nel lasciarla fuori dal mio mondo.
A metà pomeriggio, notai una signora che spingeva dolcemente Jenny fuori dal locale, come se volesse lasciarle del tempo libero. Non vi prestai molta attenzione e notai piuttosto che Jenny stringeva tra le mani uno skate e questo mi sorprese, visto che non pensavo che ella amasse quel genere di sport. Non appena la signora rientrò, mi avvicinai rapidamente a lei e dalle sue spalle le tappai la bocca per non farla urlare.
«Vieni con me e non fiatare.», la minacciai parlando freddamente.
Ella annuii leggermente, rilassando i muscoli tesi non appena capii che ero io.
«Ricordati che mi hai promesso di non scappare, quella volta. Quella promessa è ancora valida.», le dissi prima di liberarla e, senza lasciarle il tempo di parlare, le afferrai una mano e la trascinai verso la moto.
«Prendi.», le passai un casco, parlando sempre freddamente.
«Mi stai rapendo di nuovo?», mi chiese lei infuriata.
«Esattamente. E ti conviene mettere quel casco e salire in moto o lo faccio con le cattive.»
Sbuffò sonoramente e trovai quel gesto alquanto tenero. Poggiò a terra lo skate, mise il casco e attese che io salissi in moto per poi seguirmi. Mi cinse il fianco solamente con un braccio visto che, con l’altro, era intenta a reggere lo skate e quando fui sicuro che mi stesse stringendo forte, partii rapidamente.
Avevo bisogno di calmarmi e avevo bisogno che lei fosse sincera con me, quindi decisi di portarla nel luogo del nostro primo appuntamento, se così si può definire il primo “rapimento”.
Una volta giunti al mare, parcheggiai la moto e mi diressi in spiaggia, senza aspettarla.
Ero rigido, teso e freddo, lo sapevo bene, eppure faticavo a calmarmi.
«Ehi, aspettami!», la sentii urlare e corrermi dietro.
Quando Jenny mi raggiunse, ero seduto sulla sabbia fine e asciutta a scrutare il tramonto sul mare: il mio momento preferito della giornata.
«Raffaele, mi spieghi questo tuo comportamento?», chiese stizzita lei, guardandomi in modo truce.
«Siediti.», le ordinai.
«No, non lo faccio.», protestò con veemenza.
Senza troppe cerimonie, la tirai a me per un polso, facendola sedere sulle mie gambe, facendo cadere lo skate accanto a noi.
 
P.O.V. Jenny
 
Era da quando mi aveva rapita nuovamente che si comportava in quel modo strano. Era freddo e distaccato, ma soprattutto mi stava dando fin troppi ordini, cosa che non tolleravo proprio. Era diverso, mi faceva quasi paura. Quando mi tirò a se e mi fece sedere sulle sue gambe, potei constatare che effettivamente aveva il corpo rigido e i suoi gesti erano meccanici, freddi e privi di emozione. Mi stavo chiedendo cosa gli stesse succedendo. Senza volerlo, gli sfiorai una guancia e i tratti rigidi della mascella.
«Cosa ti sta succedendo?», chiesi timorosa.
Senza rispondere, puntò i suoi occhi su di me e in quel momento tremai di paura. Erano freddi e incutevano timore. L’azzurro che avevo sempre paragonato al cielo o al mare era sparito. Ora erano grigi e cupi. Forse per colpa del cielo annuvolato o forse perché in quel momento stavo scoprendo un lato nascosto di Raffaele. Ero piena di domande e di dubbi a cui non sapevo dare una risposta.
Distolsi lo sguardo dal suo, abbassando la mano con cui avevo sfiorato il suo viso e guardandole sul mio grembo. Mi sentivo a disagio, avevo paura e non ero pronta. Ero sola con lui e questo significava parlare di me, di lui, ma soprattutto di noi, perché sì, dopo quel bacio, sapevamo che un noi c’era. Restava da definire cosa eravamo realmente.
Però in quel momento, una domanda sovrastava tutte le altre: cosa succedeva a Raffaele? Perché non sorrideva come sempre?
Domande, troppe domande, a cui non riuscivo a dare una risposta.
E così attesi che lui rompesse quel silenzio che mi stava riempiendo di ansia.
 
1 Krieger: (ˈkʀiːɡɐ) Parola tedesca che significa “Guerriero”.
2 Dumm: Parola tedesca che significa “Scemo”, “Stupido”.

~Angolo autrice.~
Eccomi qui con questo nuovo capitolo che spero possa piacervi. ♥
Volevo ringraziare tutti coloro che mi seguono su Facebook e chi legge questa mia storia su EFP. Un ringraziamento speciale va ad Alys93 per aver recensito anche il mio capitolo precedente e Dubhe_DB_RedRubin per il commento breve. ♥
Inoltre ringrazio Alys93Dubhe_DB_RedRubin e _TheWall_ per aver messo la mia storia tra le seguite; un grazie va anche a Marty_0202 perché ha messo la mia storia tra le preferite. Infine, come per ogni capitolo, ringrazio Lucia per aver corretto anche questo settimo capitolo. ♥
Spero mi lasciate un commento e che questa storia vi stia piacendo. Per il resto, alla prossima settimana. ♥
Lily.

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Capitolo 7
*** Kiss Me. ***




Capitolo sei: Kiss Me
 
P.O.V. Jenny
 
Erano trascorsi diversi giorni da quando avevo parlato con Walter e ancora non avevo osato ascoltare la canzone che egli mi aveva passato. Preferivo non ascoltarla perché temevo che, facendolo, sarei tornata da Raffaele e questo non potevo permettermelo. Mi ero ripromessa che sarei stata alla larga da lui e così avrei fatto. Sapevo bene che mi stavo comportando da egoista, ma nonostante questo continuavo a percorrere quella strada. Avevo smesso di andare in biblioteca o meglio, passavo soltanto per prendere i libri di cui avevo bisogno e mi chiudevo in casa a leggerli, anche se non era una cosa che amavo molto, ma almeno evitavo di incontrare Raffaele. Infatti, stando alle parole della signora Sofia, egli continuava ad andare ogni sabato in biblioteca alla solita ora e si sedeva sempre nel tavolo ove trascorrevamo assieme il tempo. Ammetto che questo mi metteva addosso un'inspiegabile tristezza e ogni volta sentivo un vuoto nel petto al quale non sapevo attribuire una causa. A dire il vero, non volevo trovare la causa perché, intuitivamente, conoscevo già la risposta. Inoltre, avevo notato che spesso passava davanti a casa con la sua moto senza, però, mai fermarsi.
Più cercavo di non pensare a lui e più, invece, Raffaele era nei miei pensieri. Arrivai a pensare che nonostante si fosse avvicinato a me per via di una scommessa, era stato a suo modo gentile.
Sospirai.
Sì, stavo diventando realmente pazza e, se non avessi trovato al più presto una soluzione, mi sarei distratta con lo studio e con il lavoro. Per mia fortuna la scuola era terminata il giorno prima e, visto che era domenica, ero anche esonerata dal lavoro. Questo, però, non mi aiutava a distrarmi e a non pensare a quello che mi era accaduto. Così, presi il mio skate e uscii di casa per andare al parco a farmi un giro. Per essere una domenica di dicembre, il tempo era abbastanza caldo, anche se c’era un venticello freddo che, andando con lo skate, mi fece pentire di non aver indossato una felpa più pesante. Era da un po’ che vagavo per il parco, quando mi arrestai davanti alla panchina dove Walter mi aveva raccontato come era nata la sua amicizia con Raffaele. Forse, fu proprio quel posto che mi spinse a prendere il cellulare e cambiare la musica che stavo ascoltando e cercare il brano che Walter mi aveva passato. Lo aveva rinominato, così io non sapevo né il titolo e né, tantomeno, il cantante. Alzai il volume al massimo e schiacciai play, prima di poter avere ripensamenti.
Rimasi stupita e i miei occhi si inumidirono immediatamente.
Fermai la canzone, presi il mio skate e corsi in un posto del parco ben isolato. Volevo stare sola e ascoltare quella canzone che a insaputa di Walter conoscevo bene.
Mi sedetti sotto una grossa quercia, poggiando lo skate al mio fianco e rimisi la canzone, canticchiandola leggermente.
 
Settle down with me
Cover me up
Cuddle me in
Lie down with me
Hold me in your arms.
Sistemati insieme a me
Coprimi
Coccolami
Stenditi insieme a me
Stringimi tra le tue braccia.
 
Chiusi gli occhi e mi lasciai andare, per una volta, alle mie sensazioni, immaginando come sarebbe stato ritornare tra le sue braccia, come quella sera, quell’ultima sera in cui l’avevo visto e gli avevo parlato.
 
I’ve fallen for your eyes
But they don’t know me yet.
Mi sono innamorato dei tuoi occhi
Ma loro ancora non mi conoscono.
 
Era vero. Credevo di averlo conosciuto, ma quello che lui mi aveva mostrato, era davvero Raffaele? O, anche lui, come me, portava una maschera? Ormai me lo chiedevo da tempo. Volevo capire chi era Raffaele, volevo comprendere perché in sua assenza sentivo un vuoto che mi lasciava senza fiato, volevo capire perché per lui avevo riso e pianto… Perché?
 
Settle down with me
And I’ll be your safety. 
Sistemati insieme a me
E sarò la tua salvezza.
 
Avrei voluto credere a quelle parole, eppure non ci riuscivo. Mi sforzavo, ma la paura tornava a tormentarmi e con essa i ricordi che pian piano uscivano allo scoperto tornando ad occupare la mia mente e a farmi tornare momenti che credevo di aver dimenticato per sempre. Eppure, solo in quel momento compresi quanto in realtà, in quegli ultimi anni, quei ricordi si erano impossessati di me, facendomi diventare un’altra persona.
 
I was made to keep your body warm
But I’m cold as, the wind blows
So hold me in your arms.
Sono stato creato per tenere caldo il tuo corpo
Ma sono freddo mentre il vento soffia
Perciò stringimi tra le tue braccia.
 
A quella strofa, mi scappò un sorriso leggero. Mi ricordai della giornata passata al mare, del calore del suo corpo e del freddo di quel giorno che a malapena avevo avvertito. Però, lui mi aveva usata. Anche Giuseppe l’aveva apostrofata come ennesima conquista del ragazzo. Lei non valeva nulla per Raffaele… Eppure quella canzone, sembrava dirmi il contrario.
 
This feels like I’ve fallen in love.
Sembra che io mi sia innamorato.
 
Se a lui pareva di essersi innamorato, io cosa provavo? Mi ero dimenticata da tempo dei sentimenti a tal punto, da non saperli più nemmeno distinguere. Poi, mi chiedevo se lui fosse sincero, se realmente provava quei sentimenti per me o se io ero solo un’altra delle sue prede. Secondo Walter no, ma era realmente così? In quel momento, mi tornò in mente la gara motociclistica e le parole che Giuseppe pronunciò quella volta.
 
«Krieger1, ti troviamo ovunque. Cos’è, hai trovato una nuova preda?»
 
Ricordo che quella volta non ci badai molto visto che ero concentrata a guardare i ragazzi e a capire cosa volevano. Però ora, mi stavo chiedendo come facesse uno come Raffaele a conoscere uno come Giuseppe. Mi sembravano due mondi completamente differenti, eppure sapevo che sotto c'era qualcosa che non andava o meglio, qualcosa che io non sapevo. In fondo, cosa sapevo io di Raffaele? Nulla. E poi, perché lo chiamavano Krieger?
Poi, Giuseppe mi aveva definita un’altra preda e questo avvalorava la mia tesi, ovvero che il ragazzo che mi aveva baciato nel parco si stava solo prendendo gioco di me e io da brava dovevo stargli lontana.
 
So kiss me like you wanna be loved.
Baciami come se volessi essere amata.
 
Nel cantare flebilmente quella frase, un sorriso amaro comparve sulle mie labbra. Volevo essere amata, in fondo sapevo che quello era solo il mio unico desiderio, eppure ne avevo paura. Avevo paura di lasciarmi andare ai sentimenti e di essere ferita perché l’amore ti porta su due strade: o al paradiso dove tu ti senti la persona più felice del mondo oppure, oppure all’inferno dove provi solo un immenso dolore. Non volevo correre il rischio di prendere la seconda strada e poi non potevo permettermi di avere distrazioni.
Inoltre, Raffaele mi dava l’impressione di essere un ragazzo che mi avrebbe condotto solo verso l'inferno, verso il dolore. Stavo cominciando a fidarmi di lui e, alla fine, si è rivelato per quello che è: falso. Mi aveva solo usata per vincere una stupida scommessa e io, mi ero lasciata prendere in giro.
Eppure, in sua presenza stavo bene, mi sentivo serena e rilassata mentre, quando lui non c’era avvertivo una strana sensazione di vuoto, come se qualcosa mi mancasse. Come se qualcuno mi mancasse. Come se lui mi mancasse.
Però, non potevo permettermi di avere quei pensieri, di provare dei sentimenti, soprattutto se questi erano d’amore. Dovevo ucciderli, esattamente come avevo fatto con tutti gli altri che avevo in passato e, soprattutto, dovevo dimenticarmi di Raffaele.
Questo era il mio obiettivo.
 
Tolsi le cuffie e rimisi il cellulare in tasca, per poi rivolgere la mia attenzione alle persone che passeggiavano per il parco. Nella zona in cui mi ero nascosta, c’erano pochissime persone, per lo più anziani e nel vederli mi sfuggì un mezzo sorriso: loro sì che avevano conosciuto l’amore.
Un fruscio alle mie spalle mi distolse dai miei pensieri e spaventata mi voltai, restando sorpresa.
«Che ci fai qui?», domandai rapidamente.
«Facevo una passeggiata.», mi rispose il ragazzo con tranquillità.
Nel vederlo, un leggero sorriso comparve sul mio volto.
 
1 Krieger: (ˈkʀiːɡɐ) Parola tedesca che significa “Guerriero”.

~Angolo autrice.~
Salve ragazzi, un po' tardi come orario, ma puntuale. Purtroppo non riuscivo ad accedere nel mio account.
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia e sono pienamente consapevole di avervi lasciato, alla fine, con il fiato sospeso.
Come sempre ringrazio tutti quelli che mi seguono e mi recensiscono sia qui che su facebook. Ringrazio, infine, come sempre Lucia per aver corretto il capitolo. ♥
Alla prossima settimana e ai lettori silenziosi, chiedo di lasciare qualche recensione. Non vi mangio mica. D:
Lily

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Capitolo 8
*** Rivelazioni. ***




Capitolo otto: Rivelazioni.
 
P.O.V. Jenny
 
«Raffaele?», sussurrai debolmente, notando che lui non accennava minimamente a rompere quel silenzio che per me era diventato quasi insopportabile.
Lui tenne lo sguardo fermo davanti a sé continuando a ignorarmi e ciò non fece che farmi stare male. Non capivo il perché, ma con lui non riuscivo a restare impassibile: quando lui era al mio fianco mi risultava semplice essere me stessa, ma sentivo dentro di me un groviglio di emozioni che mi mandavano in confusione e mi facevano stare male.
«Ho capito, vado via.», sussurrai debolmente e mentre tentavo di alzarmi dalle sue gambe lui mi strinse con più forza contro il suo petto, impedendomi di muovermi.
«Dove scappi? Ti sei dimenticata della promessa?», sussurrò con voce bassa e roca, incrociando per pochi secondi il suo sguardo di ghiaccio con il mio.
Sentii dei brividi di paura correre lungo la schiena e non riuscii a rispondergli.
«Hai paura di me?», posò nuovamente il suo sguardo su di me, ma questa volta il tono della sua voce sembrava più dolce rispetto a prima.
«Come hai fatto a capirlo?», domandai sorpresa e curiosa, con la voce appena udibile.
«Il tuo corpo parla. Se non te ne sei accorta, stai tremando da diversi minuti.»
Fu solo nell’udire quelle parole che mi accorsi del tremore del mio corpo. Cercai di calmarlo, ma invano.
«Scusa.», sussurrai debolmente.
«Jenny, promettimi di essere sincera. Di cosa hai parlato con Walter?», domandò ignorando il mio debole tentativo di scusarmi.
Restai in silenzio e chinai nuovamente il capo, trovando interessanti le dita delle mie mani che nervose si intrecciavano e si scioglievano.
Poi presi una decisione: lui doveva sapere la verità.
Però un pensiero mi colpii la mente, facendomi avere dei ripensamenti.
«Chiedi a me di essere sincera eppure tu non lo sei stato con me. Mi hai solo preso in giro. Mi venivi dietro solo per una scommessa. Credevo di conoscerti almeno un po’, ma poi ho compreso che in realtà non ti conosco affatto e sì, ho una tremenda paura di te. Quindi non chiedermi di essere sincera quando tu sei stato il primo a non esserlo con me.», parlai senza mai fermarmi, cercando di esprimere a parole tutti quei pensieri aggrovigliati e confusi che avevo, senza però riuscire a terminare visto che lui, prontamente, aveva posato un dito sulle mie labbra.
«Di solito quello che parlava assai ero io. Ci siamo scambiati i ruoli?», sussurrò con sarcasmo.
Brontolai debolmente parendo quasi infantile.
«Comunque non sai come stanno realmente le cose.», aggiunse in seguito.
«Allora come stanno?», domandai curiosa.
«L’ho posta io la domanda, per primo.», mi rispose pacato.
«Va bene.», decisi di essere sincera con lui.
Avevo paura di esserlo, ma se per avere la verità da lui dovevo anche io essere sincera, lo avrei fatto.
Presi dalla tasca dei jeans il cellulare e cercai la canzone che mi aveva passato Walter, per poi schiacciare play e restare in silenzio mentre le parole di Ed Sheeran riempivano lo spazio che ci circondava.
Quando la canzone terminò, rimisi lentamente il cellulare in tasca e mi azzardai a guardarlo, trovandolo con gli occhi chiusi.
Aveva i capelli più sbarazzini del solito, forse a causa del casco o forse a causa del vento leggero e freddo che era presente quel giorno. Il viso era illuminato dai deboli raggi invernali di un sole ormai calante e le labbra erano socchiuse.
Abbassai nuovamente il viso, sentendo il cuore battere forte. Nuovamente compresi che con lui non riuscivo più a controllare le mie emozioni.
Da quando mi aveva rapita la prima volta, avevo sentito i miei muri sgretolarsi pian piano, ma tuttavia restare in piedi. Poi, dopo quel bacio, nonostante il dolore causato dalla verità, tutti i muri che avevo creato per proteggermi erano crollati del tutto, lasciando libere tutte le emozioni che fino a quel giorno avevo tenute nascoste e rinchiuse. Era da quel giorno che mi sentivo perennemente confusa, avevo sempre un forte mal di testa e l’unico mio pensiero era Raffaele.
«Abbiamo parlato di te.», sussurrai quando il silenzio divenne insopportabile e quando i miei pensieri tornarono a offuscarmi violentemente la mente.
Lo guardai riaprire gli occhi e fissarmi con intensità, sembrava quasi che volesse scavarmi l’anima e trovare da essa le risposte che cercava.
«Cosa ti ha raccontato Walter?»
«Solo di come siete diventati amici. Mi ha raccontato di quando eravate alle elementari e tu l’hai salvato dall’ennesima azione di bullismo nei suoi confronti.», spiegai lentamente.
«Ti ha detto altro?»
«Mi ha detto che non hai un passato facile e che non ti lasci andare ai sentimenti, perché non credi più in essi. Inoltre mi ha fatto comprendere che indossi sempre una maschera, ma a parte queste cose non mi ha rivelato null’altro. Ha detto che non spettava a lui parlarmi di te o del tuo passato.»
Lo sentii sospirare, per poi aumentare la presa sul mio corpo, costringendomi così a poggiare la testa sul suo petto. Quell’abbraccio sembrava protettivo, più dolce rispetto a prima, che pareva più possessivo.
«Sei arrabbiato?», chiesi preoccupata.
«No, non lo sono. Ammetto però di avere paura.», mi confessò lentamente, come se pronunciare quelle parole li costassero molto.
Lo sentii prendere un respiro profondo e la sua presa allentarsi, liberandomi appena da essa, giusto quel poco che mi serviva per mettermi almeno in posizione eretta.
«Inizialmente ti rincorrevo perché tu, a differenza delle altre, non eri caduta ai miei piedi, se così possiamo dire. Non lo facevi apposta per farti notare, realmente non eri interessata a me e questo colpii il mio orgoglio. Infantile, lo so, eppure è successo. Così, mentre i miei amici del campus mi prendevano in giro dicendomi che finalmente avevo trovato una ragazza che riusciva a tenermi testa, scommisi che sarei riuscito a farti innamorare di me. I mesi, però, passavano e tu continuavi ad ignorare le mie attenzioni, così decisi di rapirti e portarti qui, in un posto che amavo. Speravo così di avvicinarti a me. Infatti, riuscii nel mio intento e riuscii a vedere chi si nascondeva dietro quella maschera di indifferenza e freddezza. Per la prima volta vidi i tuoi sorrisi sinceri, la tua allegria e la tua spontaneità. In quell’istante però qualcosa cambiò. Sì, stavo vincendo la scommessa, ma quella all’improvviso non mi importava più. Il vederti sorridere mi aveva fatto desiderare solo una cosa: proteggerti e vedere ancora quei tuoi sorrisi. Solo che come posso proteggerti se io stesso e il mio mondo rappresentiamo il primo pericolo per te? Ero confuso. Così, quella sera decisi di dare solo retta al cuore, per una volta volevo dare ascolto a quell’organo che ho sempre ignorato. Non so nemmeno il perché, ma desiderai farlo. Però, i miei amici mi hanno visto e il resto della storia la sai.»
Lo ascoltai senza fiato, cercando di comprendere e di assimilare ogni parola che usciva dalle sue labbra. Appena aveva terminato di parlare, puntò lo sguardo davanti a sé, sul mare che ormai si stava scurendo, lasciandomi così il tempo per riflettere.
Pensando attentamente, c’erano due domande che mi assillavano, così decisi di esternarle.
«Cosa hai capito esattamente con quel bacio? E perché dici che sei il primo da cui dovresti proteggermi? Ti prego, spiegami tutto perché io non ti sto capendo più di tanto.»
«Alla seconda domanda non voglio risponderti perché voglio tenerti lontana da quel mondo. Alla prima ti rispondo a modo mio. Chiudi gli occhi.», mi rispose sussurrando quelle parole al mio orecchio.
Repressi un brivido lungo la schiena, ma decisi di fare come lui aveva richiesto, così chiusi gli occhi.
«Hai paura?», mi domandò curioso, mentre io tenni gli occhi ben chiusi.
«No.», mormorai in un lieve sussurro.
Lui non mi rispose, ma improvvisamente sentii le sue labbra sulle mie. Per la seconda volta, Raffaele mi stava baciando e come la prima volta mi sentii impacciata e non capivo quale fosse la sua risposta.
Mi amava? Era davvero così?
 
P.O.V. Raffaele
 
Finalmente la stavo ribaciando. Non riuscivo a comprendere il perché, ma erano settimane che desideravo rifarlo, che desideravo ardentemente posare le mie labbra su quelle calde di lei. Nonostante il freddo di dicembre, le sue labbra ardevano sulle mie e riuscivo ad avvertire la sua timidezza e la sua insicurezza. Decisi di non esagerare con quel bacio, in fondo non sapevo nemmeno se ella avesse baciato qualcun altro oltre me e non volevo metterla a disagio. Allontanai leggermente il viso dal suo e puntai i miei occhi nei suoi cercando di comprendere cosa le stesse passando per la testa in quel momento, ma il suo sguardo vuoto e enigmatico non mi permise di capirla.
«A cosa stai pensando?», le domandai curioso.
«A questo bacio e a cosa significhi realmente.», mi rispose lei con voce appena udibile.
Mi sfuggì un sorriso e le carezzai il viso.
«Che sei mia.», le risposi prontamente.
«Quindi che sono la tua fidanzata?», mi chiese lei, domanda alla quale restai in silenzio.
Non avevo mai pensato ad una ragazza con quel termine. Per me l’amore era solo puro divertimento, niente di serio, complicato e dunque senza alcun impegno. Usare quel termine però significava prendere un impegno prenderne uno e io non ero sicuro di esserne in grado.
«Non voglio prendermi un impegno così grande, non ne sarei capace. Non ora, almeno.», le risposi sinceramente.
«Comprendo.», mi rispose solamente.
La vidi distogliere lo sguardo dal mio e abbassare il viso e compresi di averla ferita. Forse non si aspettava una risposta simile da me, ma avevo preferito essere sincero e dirle come la pensavo, piuttosto che darle false illusioni. È vero, con il passato avevo chiuso, eppure di tanto in tanto riaprivo quella porta e permettevo ad esso di rientrare nella mia vita e non volevo che lei, a causa di questo, ne soffrisse.
«Ascolta.», misi due dita sotto il suo mento e le alzai il viso, «Voglio provarci seriamente con te, ma non riesco ancora a definire la nostra relazione con i termini che tu vorresti. L’unica certezza che posso darti è dirti che sei l’unica ad essere riuscita a mettere in dubbio tutto quello in cui credevo. Sei l’unica che è riuscita a darmi la volontà di cambiare determinate cose di me stesso. Inoltre, quando dico di volerti proteggere a qualunque costo, fidati che è così. Sei la persona più importante che al momento ho, l’unica a cui farei affidamento oltre Walter, per cui dammi del tempo e per favore, qualsiasi cosa accada, non scappare mai da me.», a metà di quel mio discorso, non riuscendo a reggere il suo sguardo, chiusi gli occhi. Volevo realmente provarci, volevo realmente credere in quel sentimento che per anni avevo considerato falso e inutile. Volevo realmente credere in lei, anche se non ne comprendevo ancora il motivo. Però, per una volta, volevo agire secondo il cuore e non dare retta alle mie paure e convinzioni che, fino a quel giorno, mi avevano portato sempre a compiere un errore dopo l’altro.
Quando riaprii gli occhi, li puntai sul viso di lei, in attesa di una sua risposta.

~Angolo autrice.~
Rieccomi ragazzi, dopo tre settimane. Chiedo immediatamente scusa per questo mio ritardo, ma con la fine della scuola non sono riuscita a scrivere e avevo finito i capitoli che mi ero già preparata, quindi sono stata assente. Come se non bastasse, ho cambiato computer e ho impiegato un giorno intero a ripescare tutte le mie storie e sono anche stata senza connessione. In poche parole, vari eventi mi hanno impedito di pubblicare questo capitolo che spero vi sia piaciuto. Inoltre, con tale capitolo spero anche di essere riuscita a farmi perdonare, almeno un po', per il mio ritardo. Come sempre spero che mi lasciate qualche recensione e volevo ringraziare in primis Lucia che ha corretto il capitolo, poi chi recensisce le mie storie sia qui sia su facebook e tutti coloro che hanno messo questa storia tra le preferite e le seguite. Siete fantastici. ♥
Detto questo, vi saluto senza dilunguarmi troppo così posso pubblicare immediatamente e lasciarvi al capitolo. ♥
A presto,
Lily.

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Capitolo 9
*** Certezze. ***




Capitolo nove: Certezze.
 
P.O.V. Raffaele
 
«Non mi sarei mai aspettata questo discorso da te, questo lo ammetto. Dopo quello che era successo, ti credevo il solito ragazzo che si vuole solo mettere in mostra, uno che calpesta i sentimenti e che di essi se ne frega ed effettivamente sei così. Però hai anche detto che con me vuoi provarci realmente. Mi chiedo soltanto perché: perché all’improvviso hai cambiato idea? Perché all’improvviso mi ritrovo ad ascoltare una canzone di Ed dove si parla del ricominciare ad amare? Perché tutto questo? Hai detto che non riesci a definire la nostra relazione con i termini che io vorrei, eppure io avrei bisogno di certezze, vorrei essere sicura che il mio passato non si ripeta. Forse ti sarai chiesto perché mi nascondo dietro una maschera di apatia e freddezza, se vuoi la risposta è perché ho dato retta ai sentimenti e sono stata uccisa. Così mi sono isolata e ho pensato solo a me stessa e ai miei obiettivi. Non voglio morire di nuovo. Ho bisogno delle certezze e pare che tu, per ora, non sia in grado di darmele. Per questo non credo potrebbe mai funzionare tra di noi.», attesi che concludesse il suo discorso e la osservai mentre lei, a metà di quel monologo, abbassò il viso per evitare il mio sguardo e riuscire meglio a far uscire quelle parole che, ne ero sicuro, stavano facendo male ad entrambi.
Purtroppo, la verità non sempre è facile da accettare. Spesso, fa più male di una menzogna.
In quell’istante, temendo di poterla perdere di nuovo, decisi di fare una cosa che mai avevo fatto, almeno non per una ragazza. A parole non ero bravo a esprimere i miei sentimenti, però attraverso le canzoni riuscivo a mostrare parte di me, o almeno Walter mi aveva sempre detto questo quando silenziosamente mi ascoltava cantare a bassa voce le canzoni che, in quei momenti, descrivevano i miei pensieri o il mio umore.
La strinsi nuovamente tra le mie braccia e mi avvicinai al suo orecchio, cominciando a cantare a bassa voce una canzone che in quel momento esprimeva il mio tormento interiore.
«[…] You see her when you close your eyes,
Maybe one day you’ll understand why,
Everything you touch surely dies.                                                                 
But you only need the light when it’s burning low,
Only miss the sun when it starts to snow,
Only know you love her when you let her go. […]1»
 
P.O.V. Jenny
 
Restai senza parole. Mi stava cantando una canzone e in quelle parole scorgevo dei messaggi rivolti a me. Pareva come se egli mi stesse parlando attraverso essa. Quando terminò, non accennò a lasciarmi andare, continuando a stringermi forte a lui e io chiusi gli occhi e cominciai a riflettere.
Avevo paura, però da quella canzone compresi che anche per lui tutta quella situazione era nuova e che stava provando a lasciarsi andare ai sentimenti, cosa che, da quello che ero riuscita a capire grazie alle sue parole, era una cosa che egli non aveva mai fatto.
Mi allontanai leggermente da lui solo per riuscire a guardarlo negli occhi, ora più chiari rispetto a prima, ma prima che potessi parlare lo fece lui sorprendendomi nuovamente.
«Ti ho persa una volta e per riaverti al mio fianco ho dovuto aggiungere un secondo rapimento alla mia lista dei reati. Ti prego, non sparire di nuovo, non lo sopporterei. Ricordi? Mi hai promesso di non sparire mai.»
I suoi occhi, in quel momento, erano così sinceri che mi disarmarono. Ai miei occhi pareva un bambino, un ragazzino che aveva paura di stare da solo e in quel momento mi chiesi se, in realtà, non fosse realmente proprio così. Se quel ragazzo sempre sfacciato, in realtà, non avesse paura di restare solo. Però, quando ricordai quella sera al parco e gli innumerevoli amici, tra cui Walter, compresi che non poteva realmente essere così. Allora, per l’ennesima volta, mi domandai perché Raffaele aveva costruito quella maschera. Però, a quanto pareva, non era intenzionato a farmi entrare nel suo mondo e questo mi paralizzava dalla paura e lasciava spazio alle mie incertezze e ai miei timori.
«Raffaele, se non mi dai certezze io non reggerei, sono sincera. Non vuoi nemmeno farmi conoscere il mondo dal quale vieni perché dici di volermi proteggere, ma quel mondo rappresenta una piccola parte di te e quindi in qualche modo mi stai negando la possibilità di conoscerti. Se non fosse per queste mie incertezze, ti direi anche di provarci, ma non so nulla di te e tu non sai nulla di me. Affrettare le cose non porterà a nulla di buono o almeno io penso questo.»
Osservai il suo sguardo e notai come egli si era leggermente rabbuiato.
«Sei arrabbiato?», chiesi titubante.
«Si, ma non con te. Con me stesso. Comunque facciamo così. Definiamo la nostra relazione come amicizia, solo che tu resti mia.»
Nell’udire quelle ultime parole, scoppiai a ridere, «Sei molto possessivo?»
«Possessivo si, ma è la prima volta che mi succede con una ragazza. Quindi, a quel termine aggiungerei anche geloso. Complimenti mia cara Jenny, mi hai appena fatto conoscere due sentimenti a me sconosciuti.»
Quando terminò di parlare, mi guardò in modo serio per poi scoppiare a ridere e unirsi a me.
Finalmente la tensione che aleggiava tra noi in precedenza sembrava stemprata.
Quando le risate cessarono, mi porse la mano e lo guardai confusa.
«Amici?»
«Amici.», gli risposi con un sorriso.
Dopo anni, stavo permettendo ad una persona di entrare nella mia vita e sapevo bene che quella mia scelta non avrebbe portato ad una via semplice, però volevo rischiare e credere in quel ragazzo, anche se non sapevo cosa mi spingesse a compiere un tale gesto sconsiderato e avventato.
Avevo mille domande da porgli, ma quando l’ora si fece tarda gli chiesi se poteva accompagnarmi a casa. I miei genitori non avrebbero avuto nulla da ridire, anzi sarebbero stati felici che io avessi ripreso ad uscire, però non li avevo avvertiti e non volevo farli preoccupare più del necessario.
Come le altre volte, mi feci aiutare ad indossare il casco e salii in moto, dietro di lui, ma senza fare le mie solite storie. Cinsi con un braccio i suoi fianchi e con l’altra mano reggevo il mio skateboard, mentre Raffaele guidava la moto fino a casa mia.
Il viaggio non fu lungo come l’andata a causa della sua guida da pazzi: sembrava che egli amasse spingere la moto fino ai limiti e, ricordandomi dell’unica gara motociclistica in cui venni immischiata, compresi che effettivamente era così. Raffaele pareva essere un ragazzo che amava spingersi ai limiti e rischiare sempre. Questo mi preoccupava un po’ e mi metteva in agitazione ma, per quella volta, decisi di non dare voce ai miei pensieri per non rovinare l’atmosfera serena che si era creata tra noi.
Una volta giunta a casa, scesi dalla sua moto e gli porsi il casco, aspettando che anche lui lo facesse.
«Grazie di tutto.», sussurrai a bassa voce, in modo impacciato.
Non mi trovavo in una situazione simile da troppo tempo e non sapevo come comportarmi e né tantomeno cosa dire. Eppure, pur di rompere quel silenzio, gli avevo detto la prima cosa che mi era venuta in mente.
«Domani hai da fare?», mi domandò in un sussurro.
«Dovrei portarmi avanti con lo studio. Non vorrei restare troppo indietro e dover recuperare tutto in pochi giorni.»
«Domani mattina, alle nove, ti passo a prendere. Fatti trovare pronta e con i libri. Studiamo insieme tutta la mattina e parte del primo pomeriggio. Poi sappi, però, che ti voglio solo con me.»
Nel sentire la sua proposta e l’audacia con cui aveva pronunciato quelle parole, arrossii leggermente e sperai che quel gesto involontario passasse inosservato.
«Va bene, mi farò trovare pronta ma non vorrei disturbare.»
«Tranquilla, anche io e Walter abbiamo da studiare.»
«Ci sarà anche lui?»
«Si, se per te non è un problema. E poi, resta con noi solo per il tempo che trascorreremo con lo studio.»
«Nessun problema.», abbassai il viso imbarazzata.
Calò un leggero silenzio tra di noi e la mia curiosità mi spinse ad alzare nuovamente il viso per comprendere cosa stesse passando per la testa del ragazzo che in quel momento si trovava di fronte a me.
Non scorsi nulla: era di nuovo enigmatico e questo mi rattristò un po’, però, come in precedenza, non ci badai.
Lo osservai mentre indossava nuovamente il casco e accendeva la moto, senza tuttavia andare via.
«Non mi saluti?», mi domandò divertito.
«Si, scusa. Buona notte, a domani.», mi affrettai ad aggiungere impacciata.
Odiavo quella situazione  e lui sembrava averlo capito e si divertiva particolarmente a vedermi in difficoltà.
«Mi devi dare anche un abbraccio. Gli amici dimostrano il proprio affetto anche con i gesti.», mi disse lui divertito ricevendo un’occhiata tremenda da parte mia.
«Ti stai divertendo?», domandai arrabbiata.
«Abbastanza. È bello vederti impacciata. Di solito sei così sicura di te.», scoppiò in una risata leggera. «Comunque, un abbraccio lo vorrei davvero. Me lo concedi?»
Sbuffai irritata e lo abbracciai leggermente, venendo poi stretta dalle sue braccia.
«Notte Jenny, a domani.», mi sussurrò con un sorriso all’orecchio, prima di lasciarmi andare e dare gas alla moto.
Quella sera, rientrai a casa con il viso in fiamme e con due genitori che mi scrutavano e sorridevano come non mai, segno che avevano assistito alla scena successa fuori dalla nostra abitazione, cosa che non contribuì a farmi smettere di arrossire.
 
1 Traduzione:
“La vedi quando chiudi gli occhi,
Forse un giorno capirai perché,
Tutto ciò che tocchi muore.
Ma tu hai bisogno della fiamma solo quando si sta spegnendo,
Ti manca il sole solo quando sta cominciando a nevicare,
Ti rendi conto di amarla solo quando la lasci andare.”
[Let Her Go – Passenger.]

~Angolo autrice.~
Eccomi qui, in perfetto orario e con questo nuovo capitolo che spero possiate apprezzare. ♥
Come sempre ringrazio Lucia per aver corretto la storia, chi recensisce qui e su fecebook e tutti quelli che mi seguono. Siete fantastici. ♥
Alla prossima settimana. ♥
Lily.

Ps. Appena trovo un po' di tempo prometto di rispondere alle varie recensioni.

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Capitolo 10
*** Sentimenti. ***


Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 10. Sentimenti.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia.



Capitolo dieci: Sentimenti.
 
P.O.V. Jenny
 
Quella mattina presto, quando mi svegliai, mi sentivo più stanca del solito. La sera precedente, dopo che Raffaele mi aveva accompagnata a casa, mi ero dovuta sorbire la felicità dei miei genitori, i quali erano entusiasti di vedermi uscire di nuovo. Inoltre, mi avevano fatto molteplici domande su Raffaele accorgendomi in questo modo di non conoscerlo davvero, così li liquidai con un “Lo sto conoscendo e siamo solo amici”. Alla parola amici, mio padre si rilassò visibilmente e mia madre si imbronciò leggermente, proprio come una bambina piccola. Al ricordo di quella scena, scoppiai silenziosamente a ridere. Preparai la borsa con i libri che mi servivano per quel giorno, mi vestii con i primi abiti che trovai nell’armadio e mi diressi in cucina per fare colazione, ove trovai mia padre e mia madre seduti a tavola.
«Ti stavamo aspettando. È da tanto tempo che non facciamo colazione assieme.», mi disse mia madre con un sorriso, mentre mio padre poggiava il giornale del giorno.
«Manca Clary. Dov’è?», domandai con curiosità, sedendomi a tavola.
«Tua sorella è uscita mezz’ora fa con i suoi amici.», mi spiegò mio padre, riempiendosi una tazza con latte e caffè.
«Quindi oggi facciamo colazione noi tre.», aggiunse mia madre.
Annuii leggermente e presi i miei biscotti preferiti per inzupparli nel latte. Era da tempo che non mi sentivo così felice di alzarmi la mattina. Repressi un sorriso e finsi indifferenza quando notai lo sguardo di mia madre puntato su di me. Piegai di lato la testa non riuscendo a capire cosa non andasse in me, per poi guardarmi senza tuttavia comprendere cosa stesse guardando mia madre.
«Jenny, hai davvero intenzione di uscire in quel modo?», spiegò mia madre.
Indossavo una felpa nera e dei jeans stretti e scuri, dunque non comprendevo cosa non approvasse del mio vestiario.
«Si, perché? In fondo devo solo studiare.»
«Però sarai con Raffaele e quel suo amico, Walter… Per una volta vestiti in modo più femminile…», sospirò mia madre scatenando una risata da parte di mio padre.
«Stai istigando mia figlia a mettersi in mostra?», disse mio padre guardando mia madre con affetto.
Mia madre lo guardò con un sorriso carico di sentimento e io abbassai lo sguardo non riuscendo a reggere tutto quell’amore che i miei genitori riuscivano a trasmettersi con uno sguardo.
L’amore e i sentimenti, in generale, mi facevano ancora troppo male e preferivo tenerli alla larga, anche se con Raffaele stavo ridimensionando la mia prospettiva riguardante essi.
Terminai in fretta la colazione e mi diressi in bagno per lavarmi i denti e quando posai lo sguardo sullo specchio stentai a riconoscermi. La mia pelle, solitamente pallida, era leggermente arrossata sulle guance, cosa che non mi era mai capitata prima. Sbuffai ripetutamente e infine uscii di casa e lo attesi pazientemente.
Posai nuovamente lo sguardo sull’orologio, constatando che Raffaele era in ritardo di ben quindici minuti. Più passava il tempo e più temevo che egli mi avesse solo presa in giro. Stavo cominciando ad andare in iperventilazione e avevo paura di essermi fidata nuovamente della persona sbagliata. Le mie paure cessarono nell’istante esatto in cui una piccola auto blu si fermò davanti a me e abbassò il finestrino.
«Jenny, sali in macchina.»
 
P.O.V. Walter
 
Ero stato in ospedale con Raffaele perdendo con egli la concezione del tempo. Quando entrambi notammo l’ora, diedi una pacca al mio amico e decisi che sarei andato a prendere io Jenny con una scusa.
Quando notai il suo sguardo mi preoccupai. Vi lessi paura e dolore e compresi cosa più o meno quella ragazza avesse pensato in quel momento e fui felice quando incrociando il mio sguardo si tranquillizzò e riprese a nascondere le sue emozioni.
Attesi che salisse in macchina e, dopo averle rivolto un sorriso rassicurante, la accompagnai a casa mia.
«Buongiorno Jenny e scusa il ritardo. Raffaele mi ha avvertito questa mattina che la sua moto non partiva e quindi ora è bloccato in officina a sistemarla. Così, sono venuto io. Spero non ti dispiaccia.», trovai una scusa plausibile per non dirle che in realtà Raffaele era in ospedale. Ancora non riuscivo a comprendere il motivo per il quale lui non le avesse ancora parlato di quella situazione.
Mi lasciai sfuggire un debole sospiro.
«Buongiorno anche a te e grazie per essere venuto. Cosa è successo alla moto di Raffaele?»
«Non ti saprei dire. Io a differenza sua non ci capisco molto di meccanica. Comunque mi ha detto che ci avrebbe raggiunti più tardi.», risi dolcemente e parcheggiai davanti alla mia abitazione, notando con la coda dell’occhio un piccolo sorriso sorgere sul viso di Jenny.
Una volta entrati in casa, constatai che i miei erano già usciti per andare a lavoro, così accompagnai Jenny in camera mia e le passai una sedia per accomodarsi alla scrivania che il giorno precedente avevo liberato da tutti i miei libri.
Dopo qualche chiacchiera piacevole, entrambi ci immergemmo nello studio, lasciando che un piacevole silenzio calasse tra di noi.
Fu verso le undici che il rumore delle chiavi e i passi spediti di qualcuno, disturbò quella quiete. Quando vidi Raffaele entrare in camera e abbracciare Jenny però mi tranquillizzai e mi lasciai scappare un sorriso.
Nel guardarli compresi che anche due persone che hanno smesso di amare, che non credono più nei sentimenti e che per anni non hanno fatto altro che sopprimerli prendendosi gioco di essi, alla fine sono costrette a piegarsi davanti alla forza delle emozioni.
Raffaele non era mai stato così dipendente da una ragazza. Non aveva mai mostrato così tanto entusiasmo nel vederla. Non era mai stato così delicato con nessuna di esse. Non aveva mai sorriso realmente come in quel momento.
Jenny la conoscevo poco, eppure era facile da capire. Il suo cuore doveva essere stato calpestato in passato e per paura di morire lo aveva rinchiuso in una gabbia dietro una moltitudine di muri. Purtroppo il dolore causato dalle persone di cui ci siamo fidati in passato è il più difficile da guarire. Molti dicono che sia il tempo a guarire ferite simili, ma sono stato abbastanza a contatto con le persone da aver capito che il tempo non fa che scorrere, chi guarisce le ferite sono le altre persone che con mano gentile curano quel cuore dilaniato. Nello sguardo di Jenny scorgevo questo e nel suo animo vi avevo letto il bisogno di essere guarita, di non essere abbandonata e ferita nuovamente. Il bisogno che lei aveva di Raffaele.
Trattenni una piccola risata, per non interrompere quel loro momento. Quella situazione era nata da un gioco e invece ora era diventata una corsa ai sentimenti, alla fiducia reciproca… All’amore.
In quel momento mi domandai quando, quei due, sarebbero arrivati a capire che il loro era un legame più forte dell’amicizia. D’altra parte però, ero contento che avessero deciso di proseguire con cautela, in fondo “le gioie violente hanno violenta fine1.
«Cosa hai da ridere?», mi domandò Raffaele distraendomi dai miei pensieri.
Lo guardai per qualche secondo mentre lui con un sorriso continuava a stringere tra le braccia una Jenny imbarazzata e sorpresa quanto me dal comportamento del mio amico.
«Nulla. Ora mi è proibito anche ridere?», gli risposi in seguito.
«Torna a studiare la tua amata psicologia che io ho altro da studiare.», mi rispose posando lo sguardo sulla ragazza che, se posso dire, divenne ancora più imbarazzata.
«Vedi che se non la finisci di guardarla me la consumi.», dissi nel vano tentativo di salvare Jenny.
Osservai Raffaele posare lo sguardo su Jenny e poi, lentamente, lasciarla andare, cercando di nascondere invano l’imbarazzo che anche lui stava provando.
Nel vedere quella scena, non resistetti e scattai una foto ai due per poi scoppiare a ridere.
Ero felice di vedere il mio migliore amico con quel sorriso. Lo avevo da sempre considerato mio fratello ed ero contento che, finalmente, fosse arrivata una ragazza come Jenny nella sua vita. La seconda cosa migliore della sua vita dopo aver incontrato me, stando alle sue parole.
Fu con quelle risate che trascorremmo la mattinata a studiare. Pian piano Jenny cominciò a sbloccarsi anche in mia presenza e il sorriso che Raffaele mi aveva descritto dopo la loro prima uscita al mare, riuscii a vederlo di persona e solo allora compresi per cosa Raffaele stava lottando.
 
1. La frase è tratta da una citazione di William Shakespeare, tratta dall’opera teatrale di “Romeo e Giulietta”. La citazione completa è la seguente:
“Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio. Il più squisito miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza, e basta assaggiarlo per levarsene la voglia. Perciò ama moderatamente: l'amore che dura fa così.”

[William Shakespeare, dall’opera teatrale di Romeo e Giulietta.]

~Angolo autrice.~
Rieccomi miei cari lettori. So di essere in ritardo ma non stando mai a casa e dopo aver avuto anche una serie di problemi alla connessione, non sono riuscita ad aggiornare prima di oggi questa storia. Premesso ciò vorrei darvi due avvisi importanti.
Il primo riguarda i periodi di aggiornamento che non saranno più regolari, ma appena potrò aggiornerò questa storia cercando comunque di farlo almeno una volta a settimana. Prometto di provarci. Per qualsiasi avviso, informazioni sullo stato della storia o per avere qualche piccolo spoiler, potete contattarmi su facebook.
Il secondo avviso, invece, riguarda la mia partenza all'estero verso metà o fine agosto. Non so ancora di preciso per quanto tempo starò via, però posso già avvisarvi che all'estero non potrò aggiornare la storia, ma al massimo potrò continuare a scriverla in modo da accelerare gli aggiornamenti una volta ritornata in Italia.

Terminati gli avvisi, passiamo al capitolo. Come avevo annunciato ad alcuni lettori su facebook, questo decimo capitolo è totalmente impostato su un livello riflessivo piuttosto che narrativo, nonostante abbia inserito di tanto in tanto qualche elemento rivelatorio sui personaggi principali della storia. Inizialmente, quando stavo impostando nella mia testa la tipologia di questa narrazione, avevo deciso di dare più importanza ai sentimenti visti dal punto di vista psicologico, piuttosto che dare importanza alla narrazione in sè. Di storie d'amore ne esistono tantissime e sicuramente alcune sono migliori della mia, per cui avevo deciso di innalzare il livello della storia sul psicologico, cosa che mi riesce meglio. Ecco il motivo, tra l'altro, della varietà dei personaggi e della perenne presenza dei pensieri riflessivi di ogni personaggio. Non a caso, ho deciso di creare una storia con più punti di vista in modo tale da mostrare ai lettori come in una stessa situazione, diverse persone ci si pongono davanti in maniera differente. Questo perché sono convinta che quello che noi diventiamo, lo dobbiamo in primis al contesto della famiglia in cui cresciamo, ma anche e soprattutto dalle relazioni e dagli eventi che incontriamo nel nostro cammino. Infatti in questa storia, oltre al rapporto d'amore tra i personaggi principali, narrerò le loro varie situazioni all'interno del contesto famiglia e amicizia

Dopo aver precisato e riassunto un po' a grandi linee l'idea che ho di questa storia, concludo con i vari ringraziamenti.
Prima di tutto volevo ringraziare Lucia che, oltre a correggere i capitoli, si accinge a recensirli e a darmi sia il parere oggettivo che il suo parere soggettivo. È colei che per prima mi aiuta e mi sprona a continuare a scrivere e senza di lei non sarei mai arrivata a questo decimo capitolo. 
Poi volevo ringraziare Alys93 che segue le mie storie e ascolta le mie trame folli da ben due anni. Inoltre la ringrazio per tutte le recensioni che lascia in ogni mio capitolo. 
In seguito passo con il ringraziare due persone in particolare che mi seguono su Facebook e che non fanno che elogiarmi e dire che amano questa storia. Dunque questo mio ringraziamento va ad Amy e Alessandro per il sostegno e i complimenti. Grazie ragazzi. 
Inoltre volevo ringraziare Ichiro_TakahashiMarty_0202Alys93, Cande_e_TiniDubhe_DB_RedRubin, _SaveMe_, per aver messo la mia storia tra le preferite o le seguite. Grazie di cuore anche a voi. 
Infine ringrazio tutti i lettori silenziosi che leggono la mia storia. 

Concludo chiedendo venia per le note d'autrice molto lunghe e spero che mi lasciate qualche recensione per dirmi cosa ne pensate di questa storia. Mi farebbe molto piacere.
Alla prossima.

Lily

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Capitolo 11
*** Vigilia di Natale. ***


Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 11. Vigilia di Natale.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia.



Capitolo undici: Vigilia di Natale.

P.O.V. Jenny
 
Quello era il giorno della Vigilia di Natale e io stavo trascorrendo il pomeriggio assieme a Raffaele. Solo un’ora prima avevamo lasciato la casa di Walter per dirigerci a piedi verso il parco.
Non so chi lo avesse deciso o se realmente avessimo preso quella decisione, ma ci eravamo fermati nella zona ove vi erano state costruite delle giostre per i bambini. Quel luogo dove Raffaele mi aveva baciato la prima volta. Quel pomeriggio non vi era nessuno, eravamo soli tranne che per qualche passante che attraversava quella zone del parco senza fermarsi, diretto sicuramente o a fare le ultime compere oppure per tornare a casa e preparare le decorazioni.
Ogni anno io e i miei genitori celebravamo la Vigilia a casa, mentre il Natale lo festeggiavamo al ristorante con i clienti. Una piccola festa che oltre a divertire tutti quanti, incrementavano i guadagni del ristorante.
Inoltre, da tre anni, passavo il ventiquattro dicembre chiusa in casa, nell’attesa del festeggiamento non stava accadendo. Avevo trascorso la mattinata e il primo pomeriggio in compagnia di Walter e Raffaele studiando ognuno il proprio carico di libri, rompendo raramente il silenzio per condividere qualche aneddoto divertente o semplicemente per parlare un po’. Avevamo pranzato tutti e tre assieme nella cucina di Walter e ora, invece, ero fuori per una passeggiata solo con Raffaele.
Constatai che era una giornata completamente diversa da tutte le Vigilie di Natale che io avevo trascorso. Anzi, a dire il vero, era una giornata differente rispetto a tutte le altre della mia vita.
«Perché stai sorridendo? Rendimi partecipe dei tuoi pensieri.», disse una voce maschile interrompendo i miei pensieri.
Alzai lo sguardo verso la voce, accorgendomi solo in quell’istante che stavo sorridendo leggermente. Smisi di dondolarmi sull’altalena, luogo dove ci eravamo fermati, e incrociai gli occhi chiari di Raffaele. Erano grigi e, nonostante esso rientrava tra i colori freddi, il suo sguardo era caldo e sereno.
Sorrisi apertamente e ripresi a dondolarmi più velocemente.
«Pensavo a come trascorrevo la Vigilia di Natale gli altri anni, rendendomi conto che questa è completamente diversa.»
Egli rimase poggiato ad uno dei pali che sostenevano la giostra, con sguardo sereno.
«Mi ero dimenticato che oggi è la Vigilia, sai?», sussurrò leggermente.
«Come fai a scordarti che giorno è oggi?»
«Per me è un giorno come un altro.»
Smisi di dondolarmi e lo guardai con cautela.
«La tua famiglia non festeggia il Natale?», tenni lo sguardo posato su di lui, curiosa.
Intravidi l’ombra di un sorriso amaro, prima che egli posasse una mano sui miei capelli e li scompigliasse dolcemente.
«Ci vediamo questa sera alle nove, qui. Va bene?», evitò la mia domanda e invece mi fece quella strana proposta.
«Perché?»
«Lo scoprirai.»
Non mi rivelò null’altro e lasciai cadere il discorso. In quel momento sembrava distante e in qualche modo assente e triste e volevo comprendere più di ogni altra cosa il motivo di quel suo comportamento, ma non riuscii a porgli la domanda. In fondo, lui voleva tenermi fuori dal suo mondo, preferendo entrare nel mio; cosa che però io non avevo del tutto accettato. Tuttavia, non volevo sforzarlo. Avevamo preso la decisione di andare con cautela in quel percorso a noi sconosciuto che entrambi avevamo deciso di intraprendere l’uno al fianco dell’altro.
Così smisi di pensare, con la speranza che un giorno mi avrebbe permesso di conoscerlo davvero.
Mi riaccompagnò a casa in moto e prima di lasciarmi andare, restando in sella e prendendo in mano il casco che gli stavo porgendo, mi carezzò lievemente il viso con sguardo triste, per poi accelerare e dirigersi verso una meta a me sconosciuta.
 
P.O.V. Raffaele
 
 
Erano anni che non festeggiavo il Natale. Ormai quella festività per me era un giorno come un altro e con il trascorrere degli anni avevo imparato a non badare alle decorazioni presenti in giro per il paese. Per questo mi ero completamente dimenticato, anche quest’anno, di tale ricorrenza. Però questa mia dimenticanza mi aveva portato a scordarmi che non tutti la pensavano come me. Sia Walter che Jenny festeggiavano il Natale. Walter mi aveva proposto più volte di festeggiarlo con la sua famiglia visto che i suoi genitori mi consideravano un loro secondo figlio, ma io puntualmente rifiutavo l’invito. Il Natale era una festività che andava trascorsa con la famiglia e io mi sarei sentito di troppo.
Per questa ragione non volevo dire a Jenny della mia famiglia e del fatto che non festeggiavo il Natale. L’avrei fatta entrare, anche se di poco, nel mio mondo e l’avrei introdotta nel cammino che l’avrebbe portata a scoprire la verità sulla mia seconda vita, quella che tenevo nascosta persino a Walter. Inoltre, avrebbe cercato in tutti i modi o di trascorrerlo con me per non lasciarmi solo oppure di invitarmi a casa sua. Ormai la stavo cominciando a conoscere e a capire i suoi atteggiamenti ed ero quasi convinto che avrebbe reagito in quella maniera.
Quel pensiero mi fece sorridere.
Non meritavo una ragazza come Jenny, lo sapevo bene. Eppure, ero lì a girare per i negozi a cercare un regalo che potesse piacerle e che l’avrebbe portata a pensarmi. Non la meritavo, eppure cercavo in tutti i modi di tenerla stretta a me.
Non avevo idea di cosa potesse piacerle o di cosa avesse bisogno. Avevo escluso categoricamente vestiti o abiti femminili. Tutte le volte che l’avevo vista in quei mesi avevo notato come per lei l’aspetto esteriore contasse poco e avevo intuito che non indossava abiti femminili. L’avevo anche vista con uno skate e quindi la mia ipotesi sembrava fondata.
Concretamente sapevo che amava la lettura e la scrittura, solo che non avevo idea di quali libri ella avesse già letto e quali ancora doveva leggere.
Passando davanti ad una piccola libreria però mi venne un’idea.
Sorridendo, vi entrai e mi guardai intorno.
Era un luogo piccolo e l’intero negozio si estendeva in una stanza stretta e lunga. La libreria era semibuia, in quanto l’unica fonte di luce proveniva dalla finestra posta sopra la porta dell’ingresso e da qualche piccolo lume posizionato frettolosamente e senza un preciso ordine in quella stanza. Nel vedere gli oggetti che il negoziante aveva usato come illuminazione, mi venne da sorridere: o egli era uno attaccato alle tradizioni e il tutto faceva parte della scenografia del negozio, oppure egli non sapeva nemmeno cosa fosse l’elettricità.
Contrariamente alle dimensioni piccole della stanza, vi erano tantissimi libri e mi chiedevo come facesse il negoziante a trovarli visto che in tutte le pareti, anche quella ove vi si trovava l’ingresso, erano presenti delle librerie alte fino al soffitto e pieni di libri di ogni genere. Notai che alcuni di loro, quelli che avevano l’aria di essere i più antichi, erano stipati negli scaffali più alti, mentre quelli più recenti in quelli inferiori oppure in pile, quasi ordinate, che partivano da terra.
Ero così impegnato a immaginare che faccia avrebbe fatto Jenny se fosse entrata in un posto simile che non mi ero accorto della figura che mi osservava da dietro un piccolo tavolo quadrato di legno scuro, che doveva fungere da bancone.
«Posso aiutarla, signorino?», domandò una voce con dolcezza. Era bassa e forte, ma al contempo dolce e rassicurante. Nell’udirla, un’improvvisa calma si fece spazio nel mio animo.
Abbassai il mio sguardo sulla figura che avevo di fronte e ne rimasi sorpreso. Pareva essere uscito da uno dei libri fantasy che tanto amavo leggere da bambino. Era un uomo senza età, leggermente basso e di una corporatura snella, nonostante l’età avanzata che dimostrava. Aveva un sorriso gentile e sincero, non uno di cortesia che i commercianti rivolgevano ai clienti. I capelli erano lunghi fino alle spalle e aveva una lunga barba che giungeva fino al petto; inoltre, entrambe, erano di un candido bianco. Però, la cosa che mi aveva colpito di più in lui erano gli occhi. Erano di un castano molto chiaro, come l’oro fuso. Erano profondi, sinceri e ti disarmavano. Avevo come l’impressione che egli potesse scavare nel profondo dell’anima e forse, era davvero così.
«Voglio fare un regalo ad una persona a me speciale.», gli risposi non appena riuscii a riprendermi.
 
P.O.V. Jenny
 
Come avevo concordato quel pomeriggio con Raffaele, alle nove in punto lo stavo aspettando seduta sulla giostra che tanto amavo. Mi stavo dondolando lievemente sull’altalena quando dei passi alle mie spalle mi misero in allarme. Quando però riuscii a distinguere il suo volto dalle tenebre, mi rilassai immediatamente e attesi che lui mi raggiungesse.
Sorrideva con dolcezza e teneva le mani nelle tasche del suo giaccone color nocciola.
«Scusa il ritardo, piccola scontrosa.»
«Finiscila di chiamarmi così e poi sono le nove in punto. Non sei in ritardo!», gli risposi sorridendo lievemente e alzandomi.
Era strano sorridere sempre o almeno lo era per me che in quegli ultimi anni avevo smesso completamente di farlo e, cosa ancora più straordinaria, era l'unico capace di farmi quell’effetto. Solo Raffaele riusciva a farmi sorridere davvero.
«Amo chiamarti così. Qualcosa in contrario piccola scontrosa?», mi rispose ponendomi l’ennesima domanda.
Se c’era una cosa che avevo capito di Raffaele è che a volte preferiva rispondere con delle domande. Non ti dava mai la certezza di una risposta e ti lasciava con più quesiti rispetto a prima. Apparentemente non sembrava, ma egli pareva essere un ragazzo misterioso, non come quelli che si leggono nei libri, tetri e solitari, ma un ragazzo misterioso che nonostante apparentemente sembri avere una vita perfetta e felice, nasconde qualcosa. E questo, lo rendeva ancora più affascinante, lo dovevo ammettere.
«Qualcosa in contrario avrei. Sai, non sono scontrosa.»
Non mi rispose ma in compenso scoppiò a ridere. Restai lì a guardarlo ridere e a pensare a quanto fosse bello in quei momenti.
Era inutile che mentivo a me stessa: lo amavo.
Non sapevo come era potuto succedere, ma provavo quel sentimento. Però avevo ancora paura ad affrontarlo, non di nuovo e non senza che egli mi desse le dovute sicurezze.
Non volevo soffrire di nuovo.
«Piccola Jenny ti piace?», domandò non appena smise di ridere.
«Direi che è molto meglio.»
«Allora, piccola Jenny, dove sono il mio bacino e il mio abbraccio?»
Quella domanda mi fece arrossire. Io non facevo mai nulla di simile, così lui da quel pomeriggio, ogni volta che si aspettava da parte mia un abbraccio o un bacino, mi poneva quella domanda. Alle volte chiedeva quei gesti semplicemente perché li desiderava ricevere da parte mia, o almeno così mi aveva spiegato.
Quindi, con molta lentezza mi avvicinai a lui, gli diedi un bacio sulla guancia alzandomi sulle punta dei piedi e infine lo abbracciai forte, sentendo le sue braccia ricambiare la stretta.
«Sai, hai le mani e le labbra gelide.», mi sussurrò all’orecchio sinistro.
Repressi dei brividi lungo la schiena che di certo, non erano dovuti al freddo. Alle volte la sua improvvisa dolcezza priva di sarcasmo, mi sorprendeva e mi riempiva di brividi lungo la spina dorsale.
In effetti, quando egli mi prese le mani e le poggiò sul suo petto, constatai che erano davvero molto fredde rispetto alle sue.
Alzai il viso verso di lui per ringraziarlo ritrovandomi così troppo vicina a lui.
Persi un battito.
Sentii il suo pollice caldo sfiorare le mie labbra fredde e leggermente screpolate.
Persi un altro battito.
I suoi occhi erano di un blu scuro, seri, dolci e impenetrabili. Constatai che, per l’ennesima volta, avevano cambiato colore. La particolarità di quegli occhi non avrebbe mai smesso di sorprendermi.
Ed anche per questo, il mio respiro si fermò.
Mi mancava l’aria.
E prima che riuscissi a pensare razionalmente, le mie labbra erano sulle sue. Rispetto agli altri baci, questo non era dolce. Pareva come se egli avesse bisogno di baciarmi. Sembrava come se avesse aspettato millenni per potermi baciare. Nel bisogno di quel bacio, vi trovai anche possessione.
Io appartenevo a lui. E non come un oggetto che appartiene ad una persona. No, il mio cuore apparteneva a lui perché io avevo bisogno di lui. Perché lui era l’unico ad avermi dato di nuovo quella voglia di vivere che io avevo perso da anni.
E a me andava bene così.
Ricambiai quel bacio con altrettanto bisogno fino a quando i miei polmoni non cominciarono a protestare per mancanza di aria.
Quando le nostre labbra si allontanarono, entrambi avevamo il fiato corto e anche se era una cosa imbarazzante, nulla in quel momento mi importava, nulla eccetto lui.
Nascosi il viso tra le sue braccia, tenendolo poggiato sul suo petto e lasciando che le sue braccia mi tenessero stretta al suo corpo.
Era calato il silenzio, rotto solo dai nostri respiri che pian piano tornavano più normali e leggeri.
Solo dopo qualche minuto, avvertii le sue labbra sulla mia fronte, in un bacio più leggero.
«Sei eccezionale Jenny. Davvero.», mi disse carezzandomi con dolcezza i capelli e lasciandomi senza parole.
Cosa potevo rispondergli? Non lo sapevo, per questo decisi di restare semplicemente in silenzio.
Avevamo un rapporto particolare. Ufficialmente eravamo amici e cercavamo di comportarci come tali, ma delle volte bastava uno sguardo e avvertivo dentro di me quel bisogno di essere amata, ma non da una persona qualunque. Di essere amata da lui. In quelle ore che avevo trascorso dopo ciò che ci era successo al mare, avevo riflettuto molto e anche se avevo la sensazione di essere in equilibrio su un filo, sospesa nel vuoto, non riuscivo a pensare razionalmente, a desiderare di tornare indietro. Volevo proseguire su quel filo. Volevo raggiungere la fine perché sapevo che vi avrei trovato lui. Lui, l’unico che era riuscito a rompere quei muri che mi ero costruita attorno. L’unico che, nonostante non mi conoscesse davvero, mi aveva accettata. E poco mi importava se la nostra relazione per ora era in bilico, non aveva una propria denominazione. Non mi importava nulla. L’unica cosa che per me importava davvero era avere lui al mio fianco, nella speranza di non soffrire di nuovo.
«Guarda, ti ho fatto un piccolo regalo.»
Alzai lo sguardo verso di lui, smettendo di riflettere, e mostrandogli la mia sorpresa.
Non mi ero aspettata un regalo da parte sua anche se, dovevo ammetterlo, nel pomeriggio dopo che entrambi ci eravamo divisi, ero andata a scegliere il regalo per lui, anche se con molte difficoltà.
«Mi hai fatto un regalo?», domandai.
«Certamente. Aprilo!»
Presi il pacchettino con incarto rosso che mi stava porgendo e constatai che era leggero e non aveva una forma ben definita. Curiosa, lo scartai e vi trovai al suo interno un foulard nero con i teschi di piccole dimensioni.
Gli sorrisi felice e, anticipando la sua solita richiesta, lo abbracciai forte e gli baciai le guance.
«Grazie Raf!», esclamai con gioia.
Egli dopo aver ricambiato la mia stretta, mi prese dalle mani il foulard e mi guardò dritto negli occhi.
«Ti fidi di me?»
«Certo che si, perché mi chiedi questo?»
«Questo non è il vero regalo.», sorrise compiaciuto della mia espressione sorpresa e si mise alle mie spalle, bendandomi gli occhi e controllando che io non vedessi nulla.
«Che stai facendo?», domandai stringendomi ad un suo braccio, per paura di essere lasciata lì, sola, con gli occhi bendati.
«Fidati di me.», disse prima di posare un braccio dietro la mia schiena e un altro poco sotto le mie ginocchia, per poi prendermi in braccio e stringermi al suo petto.
«Raffaele, sappi che odio le sorprese. Non sembra, ma le odio.», affermai preoccupata, mentre egli camminava verso chissà quale meta.
Quando mi posò sul sedile di una macchina, mi preoccupai ulteriormente, soprattutto quando non sentii più la sua presenza e la porta della macchina chiudersi. Cominciai a chiamarlo spaventata e mentre stavo per togliermi il foulard dagli occhi, avvertii delle mani sulle mie, impedendomi così di compiere quel gesto.
«Ehi, calma, sono qui.», mi sussurrò con dolcezza Raffaele, abbracciandomi forte e carezzandomi i capelli.
Ero terrorizzata. Ero sempre stata razionale, soprattutto in quegli ultimi anni, e non conoscere cosa sarebbe successo da lì a poco, mi paralizzava dalla paura. Mi sentivo stupida ad avere una simile paura eppure la avvertivo e mi paralizzava.
«Perché hai paura, piccola Jenny?», sussurrò ancora, stringendomi più forte.
«Non mi abbandonerai, vero? Non mi farai del male?», sussurrai spaventata.
In quel momento non ragionavo più e parlavo senza riflettere. Erano anni che non mi sentivo così.
«Non ti farò mai del male. Te l’ho detto: io voglio solo proteggerti. Inoltre, non ti abbandono. Sta tranquilla piccola mia.»
Mi baciò la fronte con dolcezza e grazie a quel gesto e alle sue parole rassicuranti, poco dopo riuscii a calmarmi.
 
P.O.V. Raffaele
 
Mi ero spaventato. Nel vederla in quello stato, l’unico pensiero che avevo era quello di proteggerla.
Mi stavo chiedendo cosa le fosse successo nel suo passato per ridurla nello stato in cui la stavo guardando ora. Anche se sapevo che sicuramente la causa di tutto doveva essere di una persona e di certo non avevo bisogno della consulenza di Walter per averne la conferma. Nonostante Jenny si atteggiasse da dura e si dimostrasse forte, era fragile e debole e odiavo colui o colei che l’aveva ridotta così.
Cercai di domare la rabbia verso la persona che sicuramente aveva ucciso la mia Jenny e cercai di concentrarmi solo su di lei.
Ormai lei era la mia unica ragione che mi spronava ad andare avanti.
L’unica cosa buona che mi era capitata nella vita.
Lei era la luce nelle tenebre della mia vita.


~Angolo autrice.~
Cari lettori, dopo due mesi sono tornata. Chiedo scusa per il ritardo, ma come già detto nel precedente capitolo, mi sarei assentata per un po’.
Per farmi perdonare, ho scritto un capitolo un po’ più lungo e abbastanza rilassante.
Inizialmente volevo creare un unico capitolo dedicato al Natale, invece ho preferito dividere in due capitoli questa festività, quindi il prossimo capitolo arriverà la prossima settimana e non tra qualche mese.
Inoltre volevo darvi un piccolo avvertimento da scrittrice malefica quale io sono: tra un po’, arriveranno i veri colpi di scena e riguarderanno il passato di uno dei personaggi della storia. ù.ù
A parte questo, ringrazio tutti quanti, per il sostegno che mi date per questa storia e anche i lettori silenziosi che invito a farsi avanti e a darmi un loro parere. Fino ad ora non ho morso nessuno. xD
Concludo qui perché non voglio tardare l’aggiornamento della storia e tenervi ulteriormente sulle spine.
Al prossimo aggiornamento,
Lily.

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Capitolo 12
*** Alajos. ***


Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 12Alajos.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia




Capitolo dodici: Alajos.
 
P.O.V. Raffaele
 
Non appena parcheggiai vicino al luogo ove la stavo conducendo, sentii il suo cellulare animarsi e un brano per pianoforte riempire l’abitacolo. Non conoscevo il compositore e sicuramente avrei indagato un po’.
«Te lo prendo io il cellulare, tu non osare scoprire gli occhi.», la intimo con dolcezza.
«Va bene, ma almeno dimmi chi è.», rispose lei ridendo leggermente.
Sorrisi segretamente nel vederla di nuovo rilassata e, aprendo la tracolla che lei portava, presi il suo cellulare, leggendo il nome sul display.
«È tua madre.», le annunciai e, senza attendere il suo permesso, accettai la chiamata e risposi io, «Pronto, sono Raffaele, l’amico di Jenny.», annunciai prima che la madre di Jenny potesse parlare.
Per un paio di secondi calò il silenzio sia nella mia auto sia dall’altro capo del telefono, finché la madre, ripresasi dallo shock, mi rispose con dolcezza. Mi era chiaro che Jenny doveva averle parlato di me o non credo mi avrebbe risposto con così tanta tranquillità.
Misi il vivavoce in modo tale che anche Jenny potesse ascoltare.
«Raffaele, Jenny è con te?», domandò la donna.
«Sì mamma, sono qui.», le rispose lei con un sorriso imbarazzato.
«Dove sei?», le chiese nuovamente la madre.
«Signora, Jenny non lo sa. Le sto per mostrare il mio regalo di Natale e quindi al momento ha gli occhi bendati.», mi intromisi con gentilezza, trattenendo a stento una risata che contagiò anche la madre di lei.
«Raffaele, quando avete finito la accompagni tu a casa? Non vorrei che girasse da sola a quest’ora.»
«Stia tranquilla signora, non la lascerei girare da sola a quest’ora nemmeno io.»
«Grazie caro. Jenny, ci vediamo questa sera per la cena della Vigilia e Raffaele, grazie mille.»
Quel ringraziamento da parte della madre di Jenny mi sorprese.
Per cosa mi stava ringraziando?
«Divertitevi ragazzi e buona Vigilia a te, Raffaele.», aggiunse lei, prima di staccare la chiamata, lasciandomi ancora sorpreso.
Per un paio di minuti, né io e nemmeno la mia piccola scontrosa parlammo, ognuno di noi perso nei propri pensieri.
Quando posai lo sguardo su di lei, la trovai tesa e se avessi potuto guardare i suoi occhi, sono sicuro, vi avrei letto tristezza.
«Mia madre ti adora.», sussurrò lei con timidezza.
«Perché?»
«Perché mi stai salvando.»
Salvarla, io?
Io non la stavo salvando. Io l’avrei ferita, di questo ne ero certo.
Però mi chiedevo da cosa, per loro, la stessi salvando.
Decisi di non pensarci e prontamente cambiai argomento.
«Di chi era quella melodia che hai come suoneria?», le domandai con tono più leggero, mascherando con efficienza il mio tormento interno.
«Yiruma, un pianista sud coreano che amo particolarmente. Quello è uno dei brani che amo di più.»
«Come si intitola?»
«Kiss the rain.», mi rispose prontamente con un sorriso sulle labbra, «Quella melodia ha la capacità di rilassarmi.»
«Un giorno te lo suonerò.», affermai con convinzione.
«Sai suonare il piano?», domandò curiosa.
«Mio padre voleva che imparassi a suonare almeno uno strumento e scelsi il violino. Però me la cavo anche con il piano.»
La osservai mentre sul suo viso si dipingeva una smorfia di sorpresa che mi fece ridere.
«Tu sai suonare qualche strumento?», le domandai a mia volta, sinceramente interessato a conoscere di più quella misteriosa ragazza.
«Ho una conoscenza abbastanza elementare sia della tastiera sia del flauto. Erano gli strumenti che scelsi alle medie. E poi so fare qualcosa di semplice alla chitarra visto che mia sorella la suonava e mi ha insegnato qualcosa.», affermò con una leggera alzata di spalle.
«Notevole, mia piccola scontrosa.», affermai ridendo divertito.
«Mi avevi promesso di non chiamarmi più così.», mormora mettendo un dolce broncio, che mi fece ridere di più.
«Sto scendendo dalla macchina per poi aiutarti a scendere, va bene? Non preoccuparti. Io sono sempre con te.», cerco di rassicurarla prima di scendere. Non volevo rivederla nel panico.
«Okay.», sussurrò a malapena, irrigidendosi immediatamente e trattenendo a stento la paura che la stava per sopraffare.
Velocemente, scesi dalla macchina e quasi di corsa andai ad aprire lo sportello del passeggero, aiutando Jenny a scendere e stringendola subito in un forte abbraccio.
Cominciai a carezzarle piano i capelli con l’intento di calmarla e di rassicurarla, avvertendo pian piano il suo corpo sciogliersi e rilassarsi tra le mie braccia.
«Tutto bene?», le sussurrai con dolcezza al suo orecchio.
«Si, grazie Raf.»
Le presi una mano, chiusi la macchina con il telecomando e temendo che potesse inciampare e farsi male a causa degli occhi ancora bendati la sollevai sulle braccia.
«Ehi, ma che fai?», urlò tra le risate.
«Evito che tu cada a causa della tua momentanea cecità. Non è mica un reato.»
«Dipende da cosa hai intenzione di fare o da dove mi stai portando, altrimenti mi spiace per te, ma sarò costretta ad aggiungere un altro reato alla lista.»
Il suo sarcasmo mi fece sorridere e per tutta risposta, le posai un bacio tra i capelli.
Non appena raggiungemmo il luogo della mia sorpresa, la posai delicatamente a terra, tenendola tuttavia stretta a me. Le sfilai dolcemente il foulard dagli occhi e glielo misi al collo.
Ella riaprì leggermente gli occhi e mi guardò con un sorriso timido, per poi guardare oltre la mia spalle nel vano tentativo di capire dove l’avevo portata ma, quello che avrebbe potuto scorgere era solo una stradina, scarsamente illuminata, uguale a molte altre.
«La sorpresa è alle tue spalle.», le sussurrai nel tentativo di chiarire le sue domande inespresse.
La guardai mentre si voltava e osservava la porta d’ingresso della libreria che quel pomeriggio avevo scovato.
Si voltò verso di me con uno sguardo luminoso e felice e prima che potessi solo pensare ad altro, mi saltò addosso, abbracciandomi con forza e allacciando le braccia dietro al collo.
«Noto che ne sei entusiasta.», le dissi con una risata leggera.
Ero riuscito a renderla felice e questo per me valeva moltissimo.
«Sono più che felice Raf. Peccato che però è chiusa, ormai sono le nove passate.», sussurrò lei con tristezza.
«Per te, invece, è aperto anche a quest’ora.»
«Come?», mi guardò esterrefatta e per tutta risposta bussai tre volte alla porta.
 
P.O.V. Jenny
 
Un uomo anziano, che pareva essere uscito da uno dei miei libri fantasy, ci aprì la porta e dopo aver sorriso a Raffaele, ci fece entrare.
Lo guardai con timidezza e constatai che sicuramente egli doveva essere il proprietario del negozio. In seguito, lasciai vagare il mio sguardo sulla moltitudine di libri presenti in quello spazio piccolo. Erano ovunque. Sugli scaffali alti fino alle pareti, a terra a formare delle piccole piramidi e persino sul tavolo che doveva fungere da bancone. Ero estasiata e l’odore di libri che c’era in quella stanza era il profumo più buono che avessi mai sentito. Mi rendeva felice e mi tranquillizzava.
«Jenny, lui è Alajos, ma tutti preferiscono chiamarlo con il suo secondo nome, Fernando.», lo presentò Raffaele, «Alajos, lei è la mia Jenny.», aggiunse con un sorriso felice che il negoziante ricambiò appieno.
Non mi sfuggì l’aggettivo possessivo che egli usò, termine che mi fece arrossire leggermente.
«Piacere di conoscerti Jenny. Raffaele mi ha parlato molto di te, però venite di là a prendere una tazza di tè.», disse cordiale, indicandoci un ingresso dietro al bancone.
Ci avviammo nel luogo da lui indicatoci, entrando così in un'altra stanza che doveva fungere da abitazione. La cosa che mi rese felice è che anche qui, egli possedesse una libreria carica di libri di ogni genere.
«Alajos, hai davvero molti libri!», mi lasciai sfuggire, guardando tutto con ammirazione.
Anche questa stanza era illuminata fiocamente da qualche lume sparso ovunque.
Alajos ci fece accomodare su dei cuscini posti intorno ad un tavolino basso. Sia io che Raffaele, ci sedemmo su uno di essi,  rivestititi di un tessuto rosso, e scoprendo così la loro immensa morbidezza. Mi misi a gambe incrociate e osservai attentamente i movimenti del proprietario di quella magnifica libreria.
Preparò il tè per poi disporre sia le tazze sia la teiera sul tavolino, sedendosi successivamente di fronte a noi e versando quel caldo liquido dorato nelle nostre tazze.
«Mia cara Jenny, posso essere d’accordo con te sul fatto che posseggo molti libri. Molti di essi sono stati dimenticati e io cerco di mantener vivo il loro ricordo, ripescandoli ogni tanto e leggendoli ancora una volta. Sai Jenny, c’è uno scrittore che in un suo romanzo dice che “Ogni libro, ogni volume che vedi possiede un’anima, l’anima di chi lo ha scritto e l’anima di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso. Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza”1. Per questo possiedo tanti libri e molti sono così vecchi che temo possano rovinarsi e perdersi con il tempo. Ricordo le citazioni, ma non sono uno degli uomini-libro2, per quanto mi piacerebbe avere una memoria come la loro.»
Lo ascoltai affascinata, facendo tesoro delle sue parole e cominciando con cautela a bere il tè che egli ci aveva preparato.
«Alajos, di chi è la citazione? E chi sono gli uomini-libro?», domandò curioso il ragazzo che sedeva al mio fianco. Ascoltava rapito le parole dell’anziano che sedeva di fonte a noi e mai, prima di allora, lo avevo visto così rapito.
«Gli uomini-libro erano delle persone che pur di conservare la cultura in una società distopica dove i libri venivano bruciati li imparavano a memoria.», risposi io alla seconda domanda di Raffaele, senza quasi accorgermene.
«Esattamente Jenny. Vedo che hai letto e apprezzato “Fahrenheit 451”. Conosci Ray Bradbury?», si rivolse a me, Alajos, guardandomi con dolcezza, mentre Raffaele aveva uno sguardo pieno di orgoglio nei miei confronti, che mi fece arrossire leggermente.
«No, di Ray Bradbury ho letto solo questo romanzo per ora, ma sono curiosa anche di leggere gli altri.», risposi con sincerità.
«E conosci l’autore della mia citazione, per caso?», domandò Alajos con la sua consueta dolcezza.
«No, mai sentita.», risposi affascinata di scoprire di chi fosse quella citazione, desiderio che vedevo rispecchiato anche in Raffaele.
«È uno scrittore spagnolo, Carlos Ruiz Zafón, e il romanzo si intitola “L’ombra del vento”. Da come mi ha parlato Raffaele di te, sono sicuro che potrebbe piacerti.»
Senza aggiungere altro, si alzò e torno nella stanza adiacente, quella che fungeva da negozio, e dopo diversi minuti ritornò con due libri in mano. Erano entrambi di dimensioni non troppo grandi e con la copertina flessibile.
«Ecco, prendete questi.», ci disse, porgendo a me una copia de “L’ombra del vento”, mentre a Raffaele diede il romanzo di Bradbury.
«Sono sicuro che ne farete buon uso.», aggiunse con un sorriso.
Alzai lo sguardo e lo guardai negli occhi. Vi scorgevo tanta saggezza, dolcezza e forza, sentimenti che riuscivano a calmarmi, effetto che anche la sua voce, avevo notato, riusciva a donarmi.
«Grazie.», sussurrammo all’unisono io e il ragazzo che era seduto al mio fianco e che mi stava salvando senza nemmeno che se ne accorgesse.
«Comunque, parliamo del regalo che Raffaele aveva intenzione di farti, Jenny. Mi ha fatto leggere qualche tuo scritto e devo dire che hai talento. Così ho accettato la richiesta che egli mi ha fatto. Da oggi, potrai venire qui e io sarò felicissimo di aiutarti.», parlò con calma e mi sorprese quando espose il vero regalo che Raffaele mi aveva fatto.
«Almeno, questo povero vecchio quale io sono, potrà avere un po’ di compagnia.», aggiunse in seguito con una leggera risata che non coinvolse anche me.
«Grazie mille Alajos, dico davvero… Grazie ad entrambi.»
 
P.O.V. Raffaele
 
Nel sentire la sua gioia, non resistetti più e la abbracciai con forza, posandole in seguito, un bacio tra i capelli neri di lei.
Nei minuti successivi, terminammo di bere il tè in compagnia di Alajos, chiacchierando con leggerezza dei libri, finché non notai l’ora, constatando che era tardi.
Entrambi, salutammo l’anziano proprietario della libreria e ci avviammo verso l’uscita.
Jenny mi precedette e non appena ella uscì dal negozio, Alajos mi richiamò, facendomi voltare verso di lui. Ero appena fuori dall’uscio della porta ed egli mi raggiunse con passo calmo e sereno.
«Raffaele, ricorda queste mie parole: “Oh, siamo avvezzi a cose del genere. Tutti noi abbiamo commesso la specie giusta di errori, diversamente non saremmo qui3.», disse quelle parole con un sorriso leggero, per poi chiudere la porta senza lasciarmi il tempo di poter replicare o semplicemente chiedere spiegazioni.
Che cosa voleva dirmi?
Sapevo bene di aver fatto molti errori e, onestamente, continuavo tutt’ora a farli. Tuttavia, non riuscivo a comprendere a pieno le sue parole.
Il richiamo di Jenny, che aspettava accanto alla macchina, mi distrasse momentaneamente dai miei pensieri e decisi di non pensarci, almeno fino a quando non avrei accompagnato la mia piccola scontrosa a casa.
Con un sorriso, mi diressi verso di lei, dimenticando tutto il resto.
Egoisticamente, mi ero presa Jenny e per ora non avevo bisogno di altro, se non pensare a lei.
Lei e nessun’altra.
 
1 Citazione tratta dal romanzo di Carlos Ruiz Zafón, “L’ombra del vento”.
2 Termine tratto dal romanzo di Ray Bradbury, “Fahrenheit 451”.
3 Citazione tratta dal romanzo di Ray Bradbury, “Fahrenheit 451”.

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Capitolo 13
*** Natale. ***


Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 13Natale.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia. 


Capitolo tredici: Natale.
 
P.O.V. Jenny
 
Erano le dieci quando Raffaele mi aveva riaccompagnata a casa e ora eravamo nella sua auto, fermi sotto casa mia. Durante tutto il tragitto eravamo rimasti in completo silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, a riflettere sulle parole che Alajos ci aveva detto. Avevo notato che Raffaele era più rigido e non riuscivo a capire se la causa ero io o se era successo qualcos’altro che io non sapevo. Anzi, di Raffaele non sapevo quasi nulla. Lo avevo fissato di sottecchi e il suo viso era rimasto impassibile per tutto il tempo, ma di tanto in tanto lo avevo udito sospirare. Ora, eravamo sotto casa mia e lui non accennava a spostare lo sguardo dalla strada che aveva di fronte a sé. Pareva completamente assente e questo mi rattristava. Quando avevo accettato di lasciarmi andare e di affidare il mio cuore alle cure di Raffaele, sapevo bene che avrei ricominciato a provare dei sentimenti e avevo accettato di correre quel rischio, nonostante fossi riluttante a provare nuovamente dolore a causa di qualcuno. Però, il dolore e la tristezza che stavo provando in quel momento non erano causate da Raffaele in sé, ma avvertivo quelle emozioni perché egli le stava provando, era come se il mio animo fosse collegato al suo.
«Raf, che succede?», gli domandai preoccupata, senza tuttavia ricevere una risposta.
Lo continuai a guardare per diversi minuti finché, con un sospiro, uscii dall’auto e mi diressi verso casa, stringendo forte al petto la borsa ove era custodito il pacco regalo per lui. Prima di entrare in casa, con un rombo di motore, notai la macchina di Raffaele sfrecciare via, ignorandomi completamente.
Cosa gli era successo?
Ero nel panico, ma dovevo resistere. In fondo lui mi aveva detto che non mi avrebbe mai lasciata sola e che mi avrebbe protetta. Mi convinsi che doveva essere fin troppo in sovrappensiero e che preferiva stare da solo per un po’. Forse, la causa del suo malumore era il mondo dal quale lui voleva proteggermi e quindi non me ne poteva parlare. Il suo mondo.
Prima di entrare a casa, presi un bel respiro e cercai di ignorare gli ultimi avvenimenti, concentrandomi su quelli precedenti. In questo modo, sorridere sarebbe stato più semplice: non volevo rovinare la festa a nessuno. Non di nuovo.
 
***
 
Il pranzo di Natale nel ristorante era terminato da un paio di ore e di lui ancora nessuna traccia. In quelle lunghe ore non avevo fatto che pensarlo, chiedendomi di continuo dove fosse, con chi fosse e se stava bene. Ero completamente piena di dubbi e paure e ormai non riuscivo più a sorridere, nemmeno pensando a quei momenti sereni che avevo passato con Raffaele prima di ieri sera.
Mi rifugiai nel parco, in un luogo appartato dove nessuno mi avrebbe potuto trovare. Faceva freddo, ma il foulard che egli mi aveva regalato il giorno prima riusciva a tenermi al caldo. Sedevo su una panchina e i primi fiocchi di neve di quella giornata stavano cominciando a scendere lentamente mentre io continuavo a stringere forte al petto la borsa ove tenevo ancora custodito il suo regalo.
Con una scusa ero riuscita a liquidare la mia famiglia, avvertendoli che sarei rincasata tardi, però non avevo voglia di rientrare. Non avevo voglia di andare da nessuna parte.
In quel momento sentivo solo di aver sbagliato tutto.
Non dovevo permettere al mio cuore di uscire fuori dalla gabbia nel quale lo avevo rinchiuso per anni. Se non lo avessi fatto non avrei mai avvertito quel dolore che mi stava piegando in due e mi stava facendo piangere.
Le mie lacrime erano così calde e in completa contrapposizione con le mie guance gelide a causa del freddo di quella giornata grigia.
Repressi un brivido e mi strinsi le ginocchia al petto cominciando a tremare per la paura. Il terrore di essere abbandonata e di provare nuovamente quello che mi era successo in passato.
 
«Tu sei Jenny?», mi domandò una ragazza con un’aria da chi si sentiva superiore a tutto e tutti.
«Si, sono io, perché?», domandai a mia volta.
Ella non rispose, ma scoppiò in una sonora e falsa risata.
«Oddio, e quindi saresti tu la povera sfigata Jenny?», domandò retoricamente con scherno, «Sai, ora capisco perché il tuo ragazzo cerca consolazione da me e dalle altre. Una che come te si imbarazza persino a dare un semplice bacio, come può appagare i suoi desideri più sfrenati? Sta con te solo perché le fai pena. Ricordatelo.»
 
Ricordare quelle parole mi fecero piangere con maggiore forza e non mi preoccupai di essere sentita. Con quel freddo era improbabile che sarei stata disturbata o scovata.
Mi sentivo vuota e un dolore mi attraversava il petto togliendomi il fiato.
Credevo di averla vinta quella paura, ma mi ero sbagliata.
Avevo ancora l’antropofobia.
Avevo ancora paura delle persone perché con il tempo avevo imparato che l’egoismo dell’uomo avrebbe solo portato a far soffrire chi lo circondava. La pensavo così, anche se lo psicologo mi aveva sempre detto che non tutti gli uomini lasciano che l’egoismo detti le sue azioni. Non gli credevo. Non gli avevo mai creduto. Le persone erano tutte uguali. Credevo che Raffaele fosse diverso e invece mi aveva illusa e poi era semplicemente sparito.
Sorrisi amaramente tra le lacrime.
Magari avessi solo quella fobia.
Con il mio psicologo, durante i nostri incontri mensili, scherzavo sempre sul numero notevole di fobie che possedevo. Riderci sopra mi sembrava più semplice rispetto all’affrontarle di petto.
Lo squillo continuo del mio cellulare interruppe i miei pensieri. Era da un paio di minuti che squillava con insistenza, ma continuai ad ignorarlo. Non volevo sentire nessuno, non ora che i miei demoni erano riaffiorati, non ora che sentivo un buco nel petto che mi stava uccidendo. No, non mi sarei fatta più vedere in quelle condizioni.
Mi stesi sulla panchina, con la borsa ancora stretta al petto e chiusi gli occhi, cercando di ignorare il freddo pungente che mi stava ghiacciando le ossa. C’era un altro tipo di gelo che superava quello corporeo. Era più profondo, più pungente, più doloroso.
Piansi ancora, maledicendo la mia debolezza.
Lasciai fuoriuscire le lacrime che velocemente rigavano le mie guance, perdendosi tra le pieghe del foulard.
Perché a dispetto del tempo che avevo impiegato ad ergere i muri che servivano a proteggermi, ora essi si erano sgretolati tutti in poco tempo? Perché avevo permesso ad una persona di lasciarmi così esposta e indifesa in quel mondo che non faceva che procurare dolore agli altri?
Distrattamente mi accorsi che la neve aveva cominciato a scendere con maggiore intensità, eppure non volevo muovermi d lì. Non volevo farmi rivedere dalla mia famiglia in quelle condizioni, non volevo tornare a fare visita allo psicologo ogni settimana. Ogni mese era più che sufficiente rivivere ogni mio incubo, ogni mia fobia, ogni mio ricordo doloroso.
Preferivo il gelo al rivivere di nuovo l’incubo del mio passato.
 
P.O.V. Raffaele
 
«Stia tranquilla signora, sicuramente starà con il mio amico Walter.», tranquillizzai la madre di Jenny sorridendole in modo rassicurante, cercando di ignorare i miei timori.
«Va bene Raffaele, divertitevi e buon Natale a te!», sussurrò la donna con dolcezza.
«Grazie. Buon Natale anche a lei e alla sua famiglia!», risposi prima di cominciare a correre verso la casa di Walter.
 
«Jenny non è uscita con te?», mi aveva sussurrato terrorizzata la madre di Jenny, ferma e rigida per la paura, sull’uscio dell’abitazione.
«No, non è con me!»
«Sai dove potrebbe essere? Non possiamo perderla di vista… Non dopo quello che le è successo, non sapendo i problemi che lei ha.», mentre ella parlava, sentivo il suo tono di voce incrinarsi sempre di più.
«Non si preoccupi. Le avevo detto di andare da Walter. Sicuramente si sono scordati di avvertirmi.», le dissi nel vano tentativo di calmarla, pur di capire cosa succedeva a Jenny.
«Cosa ha Jenny che tanto la preoccupa?», aggiunsi poco dopo.
«Jenny non vuole che io ne parli, ma ella ha diverse fobie a causa di eventi passati. Infatti, è in cura da uno psicologo da un paio di anni.», rispose la donna che avevo di fronte, senza tuttavia sbilanciarsi troppo.
«Stia tranquilla signora, sicuramente starà con il mio amico Walter.»
«Va bene Raffaele, divertitevi e buon Natale a te!»
«Grazie. Buon Natale anche a lei e alla sua famiglia!»
 
I ricordi del dialogo che pochi minuti prima avevo avuto con la madre di Jenny mi raggelò il sangue. Composi immediatamente il numero di Walter e non appena egli mi confermò che la mia piccola scontrosa non era da lui entrai nel panico.
«No Walter, non venire. Aspettami nel nostro rifugio, la vado a cercare io. Porta con te tutto il dispensabile.», gli dissi per poi riattaccare subito e cominciare a chiamare senza sosta Jenny, nella speranza che ella mi rispondesse.
Era tutta colpa mia. Mia e del passato che mi portavo dietro da anni.
Imprecai sonoramente, correndo verso il parco.
Se avevo imparato a conoscerla almeno un po’, sapevo che quello era un suo rifugio. Il problema, ora, era setacciare tutto il parco.
Mi odiavo. Dovevo difenderla e invece ero stato io a ferirla.
«Dannazione!», esclamai con rabbia, correndo per il parco.
Quando la neve aumentò, cominciai a preoccuparmi seriamente, ed iniziai a urlare il suo nome.
Ero spaventato.
Non volevo perderla.
Non potevo.
 
P.O.V. Jenny
 
Un angelo mi stava chiamando.
Urlava il mio nome.
Una voce che amavo tanto.
Sentivo freddo e avevo gli occhi pesanti.
Però la voce di quell’angelo era calda e accogliente.
Chiusi gli occhi e, guidata da quel suono angelico, mi lasciai avvolgere dalle tenebre.

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Capitolo 14
*** Where’d you go? ***


Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 14Where’d you go?.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia




Capitolo quattordici: Where’d you go?
 
P.O.V. Raffaele
 
Hey there now
Where’d you go?
You left me here so unexpected
You changed my life
I hope you know
cause now I’m lost
So unprotected. 1

All’improvviso le parole di quella canzone mi tornarono in mente, lasciandomi letteralmente senza fiato.
Mi ero comportato da stupido il giorno precedente, quando l’avevo riaccompagnata a casa. Ero così preso dai miei pensieri che mi stavano schiacciando sempre di più, spingendomi verso l’abisso, verso quell'oscurità dalla quale stavo cercando di tenerla lontana. Però lei doveva aver frainteso, doveva aver pensato che io non la volevo più, che la volevo abbandonare.
Ero stato così stupido ed egoista da aver dimenticato l’estrema fragilità della mia piccola Jenny.
Mai come in quel momento mi ero odiato.
Mai.
«Jenny!!!», urlai, cercando di reprimere la rabbia verso me stesso.
Non la riuscivo a trovare eppure doveva essere lì. Ne ero sicuro, o almeno avevo quel presentimento.
Ero quasi giunto alla fine del parco e non avevo ancora trovato Jenny, quando il cellulare cominciò a vibrare con insistenza tale che, dopo alcune chiamate perse, decisi di rispondere e maledire chiunque mi stava cercando in quel momento.
«Al momento non sono reperibile, quindi vedi di lasciarmi stare.», urlai con rabbia una volta aperta la chiamata.
«Raffaele, vedi di moderare i tuoi toni con me.», mi rispose freddamente il mittente di quella chiamata.
Scheiße2.
«Non avevo visto chi mi stava chiamando.», mormorai teso.
Tra tutte le persone, egli era l’ultimo che volevo sentire in questo momento.
«Dopodomani.», affermò senza scomporsi, per poi terminare la conversazione.
Mi sfuggì un’altra imprecazione ma, dopo aver riacquistato il mio equilibrio, ripresi a cercare Jenny.
Il lavoro poteva attendere.
Ripresi a cercarla e, quando stavo per perdere le speranze e chiamare Walter, riuscii a vederla.
Era stesa su una panchina, gli occhi chiusi e il corpo leggermente coperto dalla neve. Aveva il volto semi coperto dal foulard che le avevo regalato io e quel gesto mi fece sentire peggio. Mi sentivo un mostro.
Le corsi incontro, preoccupato, e la scossi piano, senza tuttavia riuscire a svegliarla. La pelle era gelida e le labbra erano diventate quasi viola, segno che ella era in quella posizione da troppo tempo e stava per avere un’ipotermia. Mi tolsi immediatamente il giubbotto, la avvolsi intorno ad esso e la presi tra le braccia, portandola speditamente nella mia auto. La adagiai sui sedili posteriori dell’auto, stando ben attento a non sballottarla troppo, e non appena entrai in auto accesi l’aria condizionata impostandola sul caldo.
«Walter, riscalda più che puoi la mia stanza del rifugio. Accendi la stufa che usiamo in inverno e prendi una coperta pesante.», sbraitai non appena il mio migliore amico rispose alla mia chiamata e, senza attendere una sua risposta, chiusi il telefono e guidai verso il piccolo appartamento che condividevo con Walter e dove mi rifugiavo con lui ogni qual volta non mi andava di vedere nessuno, nemmeno la mia famiglia.
Superavo di gran lunga il limite di velocità, ma in quel momento avevo solo un pensiero per la testa: portare Jenny in un posto caldo e asciutto.
Non appena arrivai, Walter, che evidentemente mi stava aspettando controllando dalla finestra dell’ingresso, mi aprì la porta e mi aiutò a portare Jenny nella mia camera che, come avevo richiesto, era calda. Adagiai Jenny sul mio letto e cominciai a toglierle sia il mio giubbotto che quello che indossava lei, accorgendomi solo in quel momento della borsa che ella teneva stretta al petto. Gliela sfilai velocemente, poggiandola sul comodino accanto al letto e cominciai a spogliarla per toglierle i vestiti ormai fradici a causa della neve che le si era sciolta addosso. Nel frattempo, Walter, intuendo le mie intenzioni, prese alcuni miei indumenti dall’armadio e me li poggiò sul letto, per poi comunicarmi che andava in cucina a preparare qualcosa di caldo, lasciandomi da solo con lei, gesto di cui gliene fui grato.
La spogliai, lasciandole l’intimo addosso e la rivestii immediatamente con i miei abiti, caldi e asciutti.
Risi debolmente quando un pensiero mi sfiorò la mente. Quando la mia piccola scontrosa sarebbe venuta a conoscenza delle azioni che avevo compiuto qualche minuto prima, ero sicuro che avrebbe aggiunto la voce “molestie” all’elenco dei reati da me compiuti nei suoi confronti.
Con quel pensiero divertente, la coprii con le coperte e mi stesi al suo fianco, abbracciandola forte e cercando di tenerla al caldo anche con il mio corpo.
La guardai e l’ilarità che avevo lasciò spazio alla tristezza. Le scostai con dolcezza i capelli dal suo viso e la guardai. Aveva ripreso un po’ del suo abituale colorito, ma era ancora fredda e immobile, come se fosse morta. Il pensiero che lei non potesse più riaprire gli occhi, mi lasciò senza fiato. Non poteva accadere una cosa simile. Non poteva e non doveva succedere. Non lo avrei permesso. Anche se, a malincuore, dovetti ammettere a me stesso che se Jenny si trovava in quello stato, la colpa la dovevo attribuire solo alla mia persona. Reagendo di impulso, baciai le sue fredde labbra, come se volessi trasmetterle così il mio calore.
«Svegliati piccola… Forza…», sussurrai debolmente, agitato come non lo ero mai stato.
Nemmeno durante il lavoro che facevo ero così ansioso. Avevo imparato a mantenere la calma e ad avere il sangue freddo. Eppure, in quel momento, non ci riuscivo proprio.
Mi odiavo come non mai.
Mi infilai sotto le coperte e la strinsi dolcemente al petto, massaggiandole il corpo, cercando in questo modo di far fluire più velocemente il sangue, in modo tale da poterla riscaldare almeno un po’. Inoltre, cercai di scaldarla con il calore del mio corpo, stringendola ancora di più verso il mio petto, mormorando di continuo il suo nome, come una dolce nenia.
 
P.O.V. Jenny
 
Mi ridestai dal mio sonno improvviso tenendo tuttavia gli occhi chiusi. Non volevo aprirli e poi mi sentivo troppo stordita. Infatti, mi ci vollero un paio di minuti per capire che la panchina dove mi ero stesa improvvisamente era fin troppo calda e comoda e che non stringevo più la mia borsa tra le mani. Cominciai ad agitarmi e aprii immediatamente gli occhi, alzandomi di scatto dal letto in cui ero stata adagiata, gesto che però mi provocò delle fitte alla tempia e che mi lasciarono confusa per qualche secondo. Non appena riuscii a reggermi in piedi, mi alzai dal letto e cominciai a guardarmi intorno. La stanza era semibuia e l’unica fonte di luce proveniva dalla porta leggermente aperta, dietro la quale si sentiva solo una canzone tenuta a volume basso, solo come sottofondo. Prima di uscire da lì, però, vagai con lo sguardo cercando di capire a chi potesse appartenere quella stanza, senza tuttavia riconoscerla. Era arredata in modo semplice ed era pulita ed ordinata. Non riuscivo nemmeno a capire se era di una ragazza o di un ragazzo.
Ragazzo…
Quel pensiero mi colpì con forza e avvertii distrattamente il mio respiro farsi irregolare e spezzato, mentre con le mani vagavo sul mio corpo, cercando di capire se ero stata toccata o meno, notando solo in quel momento gli abiti che indossavo: non erano miei. Erano molto più grandi e indubbiamente maschili. Indossavo una maglia bianca a maniche corte e una felpa grigia con il cappuccio, mentre le gambe erano coperte da un pantalone della tuta di color nero o blu scuro, non riuscivo a vedere bene nella semi oscurità della stanza, arrotolati più volte alla caviglia in modo da far uscire i miei piedi, ai quali calzavo delle calze lunghe e calde, anch’esse non mie. Rapidamente alzai sia la maglia che la felpa, notando che sotto gli indumenti avevo solo l’intimo, segno che chi mi aveva cambiata, mi aveva vista semi nuda e magari si era anche approfittato di me mentre ero incosciente.
Il panico mi assalì nuovamente e mi maledissi mentalmente per non essere tornata a casa ma aver fatto una pazzia come quella di dormire su una panchina.
Mi avvicinai alla finestra, in silenzio, per non attirare l’attenzione di chiunque si trovasse nelle altre stanze di quella casa, e valutai se calarmi o meno dalla finestra. Aveva smesso di nevicare e l’intero paese era coperto di uno spesso strato di quel manto bianco. Mi trovavo al piano terra, quindi ne dedussi che quella doveva essere una casa ad un solo piano, il che mi avrebbe facilitato la fuga. Sarebbe stato così se, mentre cercavo di aprire silenziosamente la finestra, un pensiero non avesse fatto capolino nella mia mente: la mia borsa con il regalo di Raffaele.
Pensare a lui e al suo abbandono mi procurava una fitta di dolore, ma nonostante lui avesse scelto di proseguire la sua vita senza di me, io volevo quel regalo. Lo volevo tenere con me. Non so per quale assurda ragione, ma non volevo lasciarlo in mano di chi mi aveva portata in quella casa.
Dopo un profondo respiro, mi diressi verso la porta e cautamente la aprii.
Mi trovai in un lungo corridoio, in fondo al quale vi si intravedeva una luce. Camminai verso di essa per poi bloccarmi. Quello alla mia destra, era solo uno specchio che rifletteva la luce della stanza che vi si trovava esattamente di fronte. Mi fermai un attimo davanti ad esso e guardai il mio riflesso: ero pallida, lo sguardo ancora leggermente assonnato, i capelli completamente disordinati e gli abiti troppo grandi per il mio esile e minuto corpo.
Scossi leggermente la testa, ricordando quale era il mio obiettivo. Svoltai a sinistra e ripresi a camminare verso la porta dalla quale proveniva sia la luce, sia una canzone tenuta a volume basso. Avanzai con passo malfermo e scostai di poco la porta e quello che vidi mi lasciò senza parole.
Raffaele e Walter stavano giocando a carte in quello che doveva essere il salotto. Erano seduti a terra e giocavano ridendo in silenzio e prendendosi scherzosamente in giro senza far alcun rumore. Evidentemente non volevano svegliarla. La musica proveniva da uno stereo di ultima generazione posizionato accanto ad un televisore a schermo piatto e a diverse console.
Ero senza parole.
Come avevano fatto a trovarmi?
E perché mi avevano portata con loro?
E dove mi trovavo esattamente?
«Che ci faccio qui?», sussurrai non appena varcai la porta, guardandoli con occhi spalancati e tremando leggermente per la paura.
Tutta quella situazione, per me, non aveva senso.
Lui se n’era andato. Mi aveva abbandonata.
O io avevo frainteso?
Mi sentivo così confusa.
Incrociai lo sguardo di lui e osservai attentamente i suoi gesti che vedevo a rallentatore: muovere la mano per poggiare le carte a terra, mettersi in ginocchio e guardarmi con uno sguardo di chi ha intuito i miei pensieri confusi e poi le sue braccia aprirsi come le ali di un angelo.
Il mio angelo.
E non ci pensai due volte a rifugiarmi lì, correndo verso Raffaele e gettandomi tra le sue braccia che prontamente mi afferrarono e mi strinsero a lui.
Si poteva amare una persona in maniera così totalitaria? La si poteva amare nonostante i segreti, le ferite, gli ostacoli e le paure? Non lo sapevo, ma io lo amavo.
Tutto girava intorno a lui. E mai come in quel momento non fui sicura di quanto ormai, in così poco tempo, egli fosse diventato importante.
Ripensai alle parole che gli avevo scritto nel biglietto del suo regalo. Agli inizi ero scettica, ma ora ero sicura di aver scelto le parole più giuste.
Lui era il mio mondo ormai.
 
1 Inizio della canzone dei Simple Plan intitolata “Gone too Soon”.
La traduzione è la seguente:
“Heilà, adesso
Dove sei andata?
Mi hai lasciato qui all’improvviso
Mi hai cambiato la vita
Spero che tu lo sappia
Perché adesso sono smarrito
Così indifeso.”
 
2 Scheiße: parola tedesca che significa “merda”.

~Angolo autrice.~
Dopo vari capitoli, torno a scrivere nel mio piccolo angolino. Volevo farlo perché ci tenevo a ringraziare un paio di persone che mi aiutano a portare avanti questa storia, commentando o semplicemente seguendomi in silenzio.
Vorrei partire subito con il ringraziare una persona, ovvero Alys93 perché sono due anni e mezzo che mi è accanto e mi sostiene in ogni storia che scrivo o in ogni progetto che la mia mente vulcanica progetta. Inoltre la ringrazio perché oltre a trovare il tempo per leggere i capitoli, trova il tempo anche per recensirli e per stare con me su Facebook a discutere di un progetto che stiamo portando aventi assieme. Quindi, mia cara Alys, per ringraziarti ti voglio dedicare questo capitolo. ♥
Continuando con i ringraziamenti, non posso non nominare Alessandro e Amy che nonostante non siano su EFP, mi seguono e mi danno i loro parere su Facebook, dove si divertono a mandarmi messaggi di morte ogni qual volta li lascio con il fiato sospeso, soprattutto dopo il precedente capitolo. Ragazzi, sono sadica lo sapete, però vi voglio bene e vi ringrazio per il tempo che mi dedicate di volta in volta. ♥
Inoltre vorrei ringraziare chi mi segue, chi mi ricorda e chi mi ha messa tra i preferiti, sostenendomi anche in silenzio e in particolare:
- giota123, Ichiro_Takahashi, Marty_0202, che hanno messo la storia tra le preferite;
- Dubhe_DB_RedRubin, che mi ha messo questa storia tra le ricordate;
- 2Sister4E, Alys93, black liberty, Cande_e_Tini, Dubhe_DB_RedRubin, Pipe99, Strawberry Swing, per aver messo, infine, la storia tra le seguite.
Nuovamente grazie a tutti voi. ♥
Infine, ma non meno importante, ringrazio colei che legge in anteprima ogni mia storia, correggendole e dandomi un primo parere della storia. Quindi, mia cara Lucia, grazie mille per il tempo che mi dedichi nonostante i tuoi innumerevoli impegni. ♥
Concludo qui i ringraziamenti e spero continuerete a supportarmi (e sopportarmi), lasciandomi un vostro parere o semplicemente continuando a seguirmi.
Alla prossima. ♥
Lily.

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Capitolo 15
*** Confessioni. ***


Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 15. Confessioni.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia.

Capitolo quindici: Confessioni.


P.O.V. Raffaele


Walter era uscito da poco di casa, dicendo che era meglio se io fossi rimasto da solo con lei. Aveva ragione, eppure la sua proposta sembrava rattristarlo o forse ero io ad aver visto male l’espressione delusa del suo viso, il sorriso tirato e gli occhi tristi. Scossi la testa, cercando di pensare ad altro, e richiusi la porta a chiave. Tornando in salone, raccolsi le carte e le misi a posto per poi avvicinarmi alla porta del bagno dove Jenny si era chiusa dentro per farsi una doccia. Dopo essermi accertato che ella stava bene e dopo aver udito la sua voce, mi diressi in cucina dove cominciai a cucinare del brodo caldo: dopo il freddo che la mia piccola scontrosa si era preso, doccia e brodo caldo l’avrebbero rimessa del tutto in sesto e io mi sarei rassicurato e sarei riuscito a mettere a tacere il lato iperprotettivo che si faceva strada in me ogni volta che ero con lei.

«Raf, ho finito la doccia.», sussurrò lei alle mie spalle.

Mi voltai e la osservai attentamente. Indossava di nuovo i miei abiti, quelli con cui l’avevo fatta dormire ma adesso aveva un aspetto più colorito e un aspetto più sereno. Con disapprovazione, però, notai che aveva i capelli ancora bagnati e con un sospiro, spensi il fuoco per far freddare leggermente il brodo e senza troppe cerimonie, le presi una mano e la trascinai in camera mia.

«Siediti sul letto e aspettami qui, senza muoverti.», le intimai prima di uscire dalla camera.

Presi il phon e tornai da lei attaccando lo spinotto alla presa e avvicinandomi al letto.

«Posso?», le chiesi indicandole i capelli.

«Vorresti asciugarmi i capelli?»

«Si, non dovresti stare così. È inverno e tu questo pomeriggio hai preso fin troppo freddo. Non voglio che ti prendi un malanno.»

«Prepotente.», borbottò lei gonfiando le guance.

«Come scusa?», domandai inarcando un sopracciglio.

«Sei un prepotente che si diverte a comandare.», chiarì incrociando le braccia al petto e mantenendo quel suo adorabile broncio.

«Questo non dovevi dirmelo.», le sussurrai prima di lasciare il phon a terra e lanciarmi su di lei.


P.O.V. Jenny


Improvvisamente mi ritrovai stesa sul letto con Raffaele a sovrastarmi. Si sosteneva con le braccia, poggiando i palmi delle mani ai lati della mia testa mentre poggiava il peso del corpo sulle ginocchia che erano vicine ai miei fianchi. Pareva un felino che sovrastava la sua preda e, quest’ultima, ero indubbiamente io. Però, lo stare in quella posizione, mi riportarono alla mente ricordi che cercavo di giorno in giorno di tenere nascosti e che mi facevano nascere una paura folle, terrore che lui parve leggere nel mio sguardo.

«Ehi, piccola, stai tranquilla. Non ti farò niente che tu non voglia.», mi sorrise con dolcezza per poi, però, lasciarsi andare ad un ghigno, «A parte il solletico, ovviamente.»

E fu con quelle parole che egli cominciò a farmi il solletico sui fianchi e tra le mie risate involontarie cercai di sfuggire alla sua presa, cosa che ben presto scoprii impossibile visto che lui bloccava ogni mia via di fuga.

«Dai, basta!», esclamai tra le varie risate, colpendolo ovunque pur di farmi liberare.

«No, mi hai dato del prepotente e ora ti meriti una punizione.»

«Va bene, va bene. Non sei un prepotente ma un adorabile dispotico.»

«Vedi che è la stessa cosa, se non peggiore rispetto alla prima affermazione.», mi rispose lui ridendo ma smettendola di farmi il solletico.

«Vedi che questi son dettagli.», gli risposi ridacchiando.

«Dettagli pur sempre significativi. E ora, da brava, lascia che ti asciughi i capelli. Non voglio che ti raffreddi.», affermò con sguardo triste per poi aggiungere in un sussurro, «Quando ti ho trovato in quelle condizioni ho avuto davvero paura.»

«Mi spieghi cosa è successo?», domandai, forse, per l’ennesima volta.

Da quando mi ero ripresa dalla sorpresa di trovarmi a casa di Raffaele, avevo posto quel quesito innumerevoli volte e ogni volta ottenevo la stessa risposta.

«Non ora, dopo.»

Si alzò in piedi e mi aiutò a rimettermi in posizione seduta e senza fiatare prese il phon e cominciò ad asciugarmi meticolosamente i capelli. I movimenti delle sue mani erano lenti e ritmici e pian piano mi rilassarono. Nessuno, a parte mia madre, mi aveva asciugato i capelli e mi sentivo strana nel sapere che stavo permettendo a Raffaele di fare ciò.

Di permetterlo ad un ragazzo.

Dopo quello che mi era successo negli anni precedenti, non avevo permesso a nessuno di avvicinarsi. Mi erano servite diverse sedute dallo psicologo prima di riuscire a tollerare, almeno apparentemente e senza destare sospetti, la vicinanza di qualcuno.

Mi chiedevo spesso se avessi permesso a Raffale di starmi accanto se lo avessi incontrato tre anni prima. Era un pensiero ormai fisso e perennemente presente nella mia mente. La risposta più probabile è che no, non glie l’avrei permesso.

«Jenny?», la sua voce mi riscosse dai miei pensieri e lo guardai con aria inizialmente assente, per poi pian piano ritornare al presente, «Stai bene? C’è qualcosa che ti fa male?»

Sorrisi debolmente. Il mio Raffaele era agitato e preoccupato.

Nella mente restai interdetta.

Avevo detto “mio”, senza nemmeno pensarci due volte.

Scossi la testa e pensai che effettivamente quell’aggettivo possessivo non era poi così tanto fuori posto. In fondo lui mi aveva detto che io ero sua, dunque anche lui era mio.

Sorrisi di nuovo, dovendo sembrare pazza agli occhi indagatori di Raffaele che, ancora, attendeva una mia risposta.

«Sto bene, pensavo solo a tante cose.», dissi con un’improvvisa felicità e mi sfiorai i capelli, trovandoli completamente asciutti, caldi, morbidi e, senza nemmeno accorgermene, mi ritrovai ad annusarli leggermente, avvertendo immediatamente la fragranza dello shampoo che usava Raffaele: era dolcissimo.

«Mi spieghi perché sorridi così tanto? Sono diversi minuti che non fai che sorridere in modo quasi infantile e sciocco.», indagò il ragazzo che mi stava di fronte, trattenendo a stento una risata divertita.

«La risposta è semplice: sei mio.», dissi con un sorriso gioioso.

«E lo hai capito solo adesso?», mormorò lui con un sorriso divertito, rilassandosi visibilmente.

«Si, l’ho realizzato soltanto adesso. Se io sono tua, tu sei mio, giusto?»

«Wahr1!», sussurrò lui con un sorriso baciandomi la fronte.

«Cosa hai detto?»

«Vero. L’ho detto in tedesco.»

«Perché ogni tanto usi termini tedeschi?», domandai curiosa piegando di lato la testa e guardandolo negli occhi.

«Non lo so. Ogni tanto, da quando Walter mi ha insegnato il tedesco, mi lascio sfuggire alcuni termini. Credo che sia un piccolo vizio involontario.», rispose ridacchiando appena.

«Ora che ci penso… Perché ti chiamano Krieger2? Walter mi ha solo detto che significa “guerriero” e che ti hanno affibbiato questo nome alle medie.»

«Non te lo posso dire.», rispose con voce ferma, senza tuttavia smettere di sorridere.

«E dai, ti prego!», esclamai imbronciandomi, «Sono tanto curiosa e poi vorrei sapere qualcosa su di te.»

Lo sentì sospirare e scrutarmi con uno sguardo serio e pensieroso.

«Dopo ti dirò anche questo. Prima voglio aprire il mio regalo e farti mangiare qualcosa di caldo.»

Lo vidi ghignare e io avvampai letteralmente.

«Come sai del regalo?»

«Ho dovuto mettere le mani nella tua borsa per rassicurare tua madre e ho trovato un pacchetto con il mio nome. Sono ore che muoio di curiosità.»

Lo osservai cautamente, notando che in quel momento aveva l’aria di un bambino. Alle volte pareva un ragazzo adulto, altre volte, come in quel momento, pareva un bambino piccolo che si entusiasmava con poco. Se prima aveva un ghigno perché era consapevole di avermi sorpreso nuovamente, ora aveva un sorriso genuino e infantile. Se non fosse un ragazzo controllato, ne ero certa, lo avrei visto saltare per la felicità e magari, addirittura, a battere le mani per via dell’entusiasmo incontrollato che provava.

«Ti stai controllando, non è vero?»

«Ci puoi giurare. Sono realmente curioso di vedere cosa mi hai regalato e a stento riesco a controllare il mio entusiasmo.»

«Dov’è la mia borsa?»

«In salone.», rispose e senza aggiungere altro, mi prese in braccio, caricandomi su una spalla e tra le nostre risate, si incamminò verso il salotto dove mi depositò sul divano e mi porse la borsa, sedendosi al mio fianco con impaziente attesa.

Presi il suo regalo dalla borsa e senza dire nulla glielo porsi, aspettando di vedere la sua faccia non appena lo avrebbe scartato.

Una volta che egli strappò la carta da pacchi, prese la confezione rettangolare e la guardò stupito.

Rimase per qualche minuto in religioso silenzio, fissando il mio regalo: un iPod nano di colore nero.

Prese silenziosamente il biglietto degli auguri che avevo scritto con la mia penna stilografica su un cartoncino pergamenato e lesse le parole che avevo scelto di dedicargli.


"Sai qual è un errore che si fa sempre?

Quello di credere che la vita sia immutabile,

che una volta preso un binario lo si debba percorrere fino in fondo.

Il destino invece ha molta più fantasia di noi.

Proprio quando credi di trovarti in una situazione senza via di scampo,

quando raggiungi il picco di disperazione massima, con la velocità di una raffica di vento tutto cambia,

si stravolge, e da un momento all'altro ti trovi a vivere una nuova vita."

[Susanna Tamaro, "Va dove ti porta il cuore".]


Attesi pazientemente diversi minuti, per poi non resistere e rompere quel silenzio.

«Se non ti piace posso tenermelo io e farti un altro regalo. Purtroppo non posso andare a restituirlo perché ho già inserito alcuni brani che pensavo avrebbero potuto aiutarti a conoscermi, più le due canzoni che so che ti fanno pensare a me. Non sei l’unico che si trova meglio a comunicare con la musica.», spiegai il mio regalo, guardandolo con una leggera e malcelata tensione.

«Non serve che tu te lo tenga. È il regalo più bello che mi abbiano mai fatto e poi, hai appena detto che al suo interno troverò un lato di te, quindi, se non ti dispiace, accetto il regalo. Solo, mi chiedevo quanto hai speso per il sottoscritto, che a dirla tutta non si merita nulla da parte tua.»

«Sono soldi che avevo messo da parte, quindi non farti problemi e poi tu meriti anche di più.»

«No Jenny, io non merito nulla di tutto ciò. Non merito nemmeno te, a dirla tutta. Però sono così egoista che ti ho presa comunque. È pericoloso starmi accanto, però voglio comunque averti. Ho provato a starti lontano, ma ho fallito miseramente. Volevi sapere perché mi chiamano Krieger? Alle medie, facevo gare illegali con le moto e tuttora, alle volte, torno a farle. Questo è solo un minimo della mia vita dalla quale voglio tenerti lontana. Sono pericoloso e anche la mia vita lo è. Credimi Jenny, ci sono cose che nemmeno a Walter ho detto e l’ho fatto solo perché così posso proteggerlo e metterlo il meno possibile in pericolo. Per questo non ti merito. Perché nonostante io sappia com’è la mia vita, ti sto ugualmente mettendo in pericolo, ti sto comunque tenendo al mio fianco. Io non potrò mai salvarti, ma soltanto condannarti.»

Lo lasciai parlare senza mai interromperlo, soppesando con calma le sue parole.

Avevo di nuovo paura. Mi stavo immischiando in una situazione che era del tutto fuori dalla mia portata. Ero ancora debole e non avrei mai retto una situazione simile, soprattutto perché io non la conoscevo del tutto, perché egli si ostinava ancora a tenermi lontana dal suo mondo, anche se mi aveva appena mostrato uno spiraglio, seppur minimo, della sua vita.

Inoltre, avevo scorso in lui paura e insicurezza, per cui mi domandai se avrei potuto provare ad essere forte per entrambi e provare a salvarlo da quel mondo che lo tormentava. Però come potevo salvarlo se non conoscevo la sua vita?

Restai in silenzio, non sapendo come rispondergli.

«Sai, ho notato che la mia vicinanza, molto spesso, ti terrorizza. Da un lato so che è giusto così, perché dovresti aver paura di me, ma dall’altro mi sento morire perché mi sento un mostro incapace di prendersi cura di una persona fragile come te. Ho costantemente paura di spezzarti e oggi, quando ti ho vista fredda e immobile su quella panchina, ho temuto davvero il peggio, ho temuto di non riuscire più a perdermi nel tuo sguardo così enigmatico a volte e altre così chiaro; di non poter vedere più i tuoi rari sorrisi, quelli che riservi solo quando sei con me, oppure il poterti stringere a me e bearmi del tuo calore. Tu mi hai dedicato quelle parole, ma in realtà sono io che dovrei dedicartele perché nel mio buio cammino, tu sei il mio angelo, la mia luce. Per questo, ho perennemente paura. Se ti perdessi, ricadrei nel buio totale e la mia vita tornerebbe ad essere piatta e monotona. Oggi, quando ti ho vista e poi quando ti ho portata qui, ho realmente pensato che tu fossi morta. Quella convinzione mi ha fatto stare male quindi, per favore, non farlo mai più, non sparire mai e se proprio vorrai scappare lo faremo assieme, ma non metterti mai più in pericolo come hai fatto oggi. Non voglio perderti, non ora che ti ho trovata.»

Lo ascoltai e involontariamente delle calde lacrime cominciarono a rigarmi il viso. Ormai, quando ero in sua presenza, restare fredda e impassibile mi era impossibile: con lui, tutte le mie emozioni, fuoriuscivano senza che io riuscissi a controllarle.

Notai lo sguardo di Raffaele diventare via via più cupo e allarmato nel vedere le mie lacrime.

«Ehi, piccola, ho detto qualcosa che ti ha ferito?»

Non riuscendo a parlare, scossi la testa e, per dare conferma alla mia negazione, lo abbracciai forte, poggiando la testa sul suo petto, consapevole di averlo sorpresa. In effetti ero sorpresa anche io: quel gesto mi era venuto così spontaneo e solo perché ero con Raffaele. Con lui, mi sentivo di nuovo me stessa anche se a volte avevo paura che anche egli potesse tradirmi e ferirmi come mi era successo in passato.

«Sai, credevo che tu non mi volessi più, che ti eri già stancato di me e che mi avevi solo usata. Ho avuto così tanta paura e quando mi sono svegliata su un letto non mio e con dei vestiti che non mi appartenevano, mi sono spaventata. Non riesco ancora a dirti il perché, ma ho troppa paura delle persone e soprattutto dei ragazzi. Per questo a volte ho paura, ma credimi non ho paura di te. È una paura che mi porto dietro da anni e che a volte prende possesso di me senza che io me ne renda conto. Per cui, ti prego, se mi vedi impaurita non prenderti la colpa per questa mia fobia perché non è assolutamente colpa tua ma bensì di persone che ormai, almeno fisicamente, fanno parte del mio passato, anche se, molto spesso, le ritrovo a torturarmi la mente. Solo quando sono con te, dopo tre anni, riesco a sentirmi al sicuro, nonostante i miei attacchi di panico. Tu mi fai sentire me stessa, riesci a farmi sorridere e a farmi stare bene, nonostante le paure e nonostante i tuoi continui avvertimenti sulla tua vita pericolosa. Ancora non so se sarò capace di essere forte e reggere questo rapporto incasinato, ma ti prometto che ce la metterò tutta tu, se mai dov’essi arrivare a mollare, non lasciare che io scappi. Ti do il permesso di rapirmi quante volte vuoi, ma non mollarmi mai.», inizialmente faticavo a parlare a causa del pianto, ma più andavo avanti e più trovavo il coraggio e la sicurezza di dire quelle parole.

Egli non rispose subito, ma si limitò a stringermi più forte contro il suo petto: quel gesto valeva più di mille parole. Lui, ne ero certa, non mi avrebbe mai lasciata.

~Angolo autrice.~
Buona sera a tutti (?),
Premetto dicendo che non sono la vostra Lily, ma sono la sua beta. Per suoi motivi personali che non tocca a me dire, è stata assente e sarà ancora assente e mi ha incaricato di pubblicare al suo posto i capitoli che mi ha passato. Se ci sto con i tempi di correzione, perché sono un po' piena di impegni anch'io, per i capitoli che ho penso di aggiornare il martedì. Eventuali ritardi sono dovuti per mancanza di tempo nel correggere,anche se farò il possibile conoscendo, da lettrice, quanto è odiosa la lunga attesa di un nuovo capitolo.
A martedì prossimo, allora.
Beta di Lily.

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Capitolo 16
*** La Vita Non È Mai Giusta. ***


Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 16La vita non è mai giusta.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia. 

Capitolo sedici: La vita non è mai giusta.


 

P.O.V. Raffaele

Ero in cucina a lavare quelle poche stoviglie che avevo usato per preparare il brodo caldo a Jenny, che solo qualche minuto prima aveva terminato. Mentre svolgevo quel compito, pressoché inutile e dettato solo dal desiderio di tenermi occupato visto che comunque possedevo una lavastoviglie, origliavo la conversazione telefonica di Jenny. La mia piccola scontrosa aveva chiamato la madre per rassicurarla e dirle che stava bene. Mentre lei era incosciente, alla madre avevo detto solamente che si era sentita poco bene e l’avevo costretta a riposare un po’, promettendole che appena si fosse svegliata l’avrei fatta chiamare; e così avevo fatto. Jenny aveva scelto di continuare con quella scusa per non far preoccupare la madre, dicendole solo che aveva avuto un piccolo calo di zuccheri che, a quanto mi era parso di capire, non era nemmeno un evento tanto raro nella vita di Jenny. Cosa che però stava preoccupando tutti era la neve che aveva ripreso a scendere, ma con molta più intensità rispetto a prima, il che rendeva la visibilità in strada praticamente nulla. In tal proposito, avevo proposto a Jenny di chiedere alla madre se ella volesse che la riaccompagnassi con calma a casa a piedi oppure se le andava bene che lei si fermasse qui da me fino a quando le strade non fossero tornate accessibili alla circolazione automobilistica o pedonale. Stavo sperando che la madre le dicesse di farsi riaccompagnare a casa, a piedi, facendo cautela e non perché non la volessi in casa, ma perché tra due giorni avrei dovuto svolgere un lavoro e non sapevo come giustificare la mia assenza in casa e, soprattutto, sarei morto di preoccupazione a saperla da sola a casa mia, in quanto temevo qualche altra sua pazzia. Era una ragazza così fragile, che ormai vivevo con il continuo terrore di spezzarla perché, lo sapevo bene, ne ero più che capace; eppure non volevo assolutamente che questo accadesse, desideravo solo vederla serena e, magari, provare a guarirla. Però, mi chiedevo, ne ero capace?

«Raf, stai consumando il piatto.»

La voce di Jenny alle mie spalle mi ridestò dal turbine di pensieri nei quali mi ero perso. Abbassai lo sguardo e capì cosa intendesse la ragazza con quella sua affermazione: stavo ancora insaponando e lavando lo stesso piatto da diversi minuti.

Scossi la testa e sorrisi: «Ero solo sovrappensiero.»

«Comunque, che ha detto tua madre?», domandai poco dopo, prima che ella mi chiedesse a cosa stessi pensando cambiando così argomento.

«Mi ha detto di stare attenta ai miei cali di zucchero e ti ringrazia per avermi costretta a riposare, visto che lei non riesce mai a farmi stare ferma. Inoltre, ha detto che se per me andava bene potevo restare qui da te, almeno fin quando il tempo non migliora.»

«E tu che le hai detto?»

«Credo sia ovvio. Dopo il freddo che ho preso oggi, non vorrei mai rischiare di ammalarmi, oppure il prepotente qui accanto a me non mi darà tregua con le sue apprensioni.», mentre spiegava questo, la vidi sorridere con aria giocosa e sedersi sul ripiano della cucina accanto all’acquaio.

«Ringrazia il fatto che sto lavando le stoviglie, piccola maleducata, e poi vediamo chi è il prepotente pieno di apprensioni.», le risposi scoppiando a ridere.

«Dovevi sentire mio padre. Borbottava e cercava di strappare il telefono dalle mani di mia madre solo per potermi chiedere se ero sicura a voler restare qui, altrimenti sarebbe venuto a prendermi lui. Diceva “Mia figlia a casa di un ragazzo per non si sa quanto tempo?”, ma voi due siete matte.»

La osservai mentre faceva l’imitazione del padre e notai che improvvisamente il suo sorriso era leggermente più tirato rispetto a quello precedente.

«Credo sia normale. Ogni padre si preoccuperebbe nel sapere che la propria bambina si trova sola soletta a casa di un ragazzo.»

La vidi annuire e abbassare il viso, comprendendo così che c’era qualcosa che non andava.

«Jenny, sicura che i tuoi ti abbiano dato il permesso di restare da me?»

«Si, tranquillo. Loro, nonostante quello che ha detto papà e nonostante le loro paure, si fidano molto di te, cosa comunque assurda visto che non ti conoscono proprio. Anzi, a dire il vero, non ti conosco bene nemmeno io, però resta il fatto che ti considerano un ragazzo maturo e… E nulla… Per cui tranquillo.»

Mentre la osservavo, notai che verso la fine della frase era diventata ancora più cupa e che faticava a parlare, cosa che non era da lei. Asciugai le mani in un canovaccio e, dopo averlo appoggiato sul bordo dell’acquaio, mi avvicinai a lei. Cautamente, le divaricai le ginocchia, rassicurandola con lo sguardo, e con i fianchi mi intrufolai tra di esse, in modo da trovarmi il più vicino possibile a lei.

«Cosa succede?», domandai dopo averle preso il viso tra le mani e averglielo sollevato leggermente.

Aveva lo sguardo completamente vuoto e assente, sguardo che però con me aveva smesso di mostrare e quindi nel rivederla in quello stato, mi stavo preoccupando enormemente.

«Non posso dirtelo.»

«Non puoi o non vuoi?»

«Anche tu hai dei segreti.»

Aveva ragione. Chi ero io per obbligarla a rivelarmi cosa aveva quando io in primis le nascondevo il mio passato? Eppure, volevo sapere cosa la stava rattristando e volevo aiutarla come potevo.

«Io però ti ho detto una piccola cosa su di me: ho fatto e di tanto in tanto continuo a fare gare illegali con i motori. Sei tu che ora dovresti dirmi qualcosa.»

«La stai prendendo come un gioco?»

«Se la vuoi mettere così, allora sì. Prendiamola come un gioco: tu mi riveli una cosa e io te ne rivelo un’altra.»

La vidi sospirare e riflettere sulle mie parole, per poi annuire cautamente.

«Va bene. I miei hanno paura a lasciarmi con un ragazzo perché tre anni fa mi sono successi una serie di episodi che hanno portato i miei genitori a controllare con chi esco, cosa che comunque non è servito a nulla in questi ultimi anni visto che sono rimasta perennemente da sola.»

«Non si fidano di me?»

«Teoricamente dovrebbe essere così visto che non ti conoscono, ma il punto non è questo. Anzi, ti stimano molto perché stai riuscendo a farmi tornare quella che ero, ma hanno comunque paura.»

«Perché? Cosa è successo?»

«No, il gioco non consisteva nel “Raffaele fa tante domande e Jenny risponde”.»

La guardai mentre mi ammoniva e non riuscii a trattenere un sorriso.

«E va bene. Su, fammi una domanda.»

«Davvero posso?»

«Se per avere delle risposte da te, devo subire un interrogatorio, allora avanti, spara una domanda.», risposi dopo un sospiro esasperato.

«Perché fai le gare motociclistiche illegali? Onestamente ho un po’ paura perché temo tu ti possa fare male.»

Quella sua affermazione mi lasciò leggermente spiazzato. Anche lei, come me, si preoccupava: solo che lei era molto più brava a nasconderlo.

«Stai tranquilla, non mi faccio male e onestamente non mi sono nemmeno preso una multa fino ad oggi. Comunque, le faccio per soldi. Sai, qualche soldo in più messo da parte per l’Università non è mai male.»

«Quindi lo fai per poter proseguire gli studi?», domandò ancora.

Notai che pian piano il suo sguardo stava tornando luminoso e sereno ma, tuttavia, non ero disposto a non sapere cosa turbava Jenny e la sua famiglia. Volevo saperlo, anche perché volevo capire come dovevo comportarmi con lei.

«E no, una domanda alla volta. Ora tocca a me. Cosa è successo tre anni fa?»

Dopo aver riposto quella domanda, risultando quasi insistente, osservai lo sguardo di lei incupirsi nuovamente e le pupille dilatarsi dal terrore. Quelle sue reazioni mi stavano spaventando a tal punto che avrei potuto perdere la testa.

«Jenny, rilassati. Se non te la senti non rispondere. Io voglio saperlo perché voglio capirti e voglio provare davvero ad aiutarti.», le spiegai mentre cominciai a carezzarle le guance che avevano improvvisamente perso colorito.

«Ti prego Raf, non voglio dirlo. Non voglio rivivere tutto.»

«Va bene, allora sta tranquilla.», le sussurrai con dolcezza stringendola forte al mio petto. Non sapevo cosa le fosse successo, eppure avevo la netta sensazione che se ne fossi venuto a conoscenza avrei dovuto trattenere la mia rabbia. Chiunque avesse ridotto Jenny in quello stato, meritava di pagarne le conseguenze, poco mi importava se era una persona del suo passato. Doveva pagare lo stesso.

Avvertì le braccia esili di lei stringermi con forza e decisi di rimandare la mia rabbia: ora dovevo solo occuparmi di lei e dovevo tranquillizzarla.


 

***


 

Era ormai calata la sera e il tempo non era migliorato. Stavamo seduti su una delle poltrone di fronte al camino, ognuno perso nei propri pensieri. La stanza era illuminata solo dal fuoco che scoppiettava allegramente nel camino, per cui mi accorsi soltanto dal respiro regolare di Jenny che ella si era addormentata tra le mie braccia. Scostai la coperta con la quale avevo coperto entrambi e, tenendola saldamente tra le braccia, la portai nella mia stanza, adagiandola sul letto. La coprii per bene e le posai un dolce bacio sulla fronte, per poi osservarla per quello che a me parvero minuti, ma che solo in seguito scoprii essere ore. Quella notte, non riuscivo proprio a dormire, ancora pensieroso sulla vicenda che aveva cambiato Jenny tre anni prima e che ella si rifiutava di raccontarmi. Sapevo perfettamente che quella vicenda mi avrebbe portato a dover domare uno dei miei moti eccessivi di rabbia e quella mia sensazione mi preoccupava non poco, sia perché non volevo mai mostrare quel lato di me a Jenny e sia perché rischiavo di perdere il controllo e ferirla. Passai una mano tra i capelli e tornai a sedermi sulla poltrona che solo qualche ora prima avevo condiviso con la mia piccola scontrosa. Per calmare la rabbia, decisi di fumarmi una sigaretta conscio che, comunque, non mi avrebbe aiutato per niente. Mentre ero al mio terzo tiro, la suoneria del mio telefono mi distrasse momentaneamente ma, quando lessi il numero sul display, rifiutai la chiamata e tolsi la suoneria. Non volevo essere disturbato da nessuno, men che meno da gente inutile.

Pensai a Jenny. Era bello vederla dormire: aveva il viso più rilassato, più sereno e, cosa ancora più affascinante, ella borbottava nel sonno. Mi ritrovai a sorridere per la mia stupidità. Ero completamente diventato dipendente dalla sua presenza e non facevo che pensare a lei, a come farla sorridere, a come proteggerla da me e dalla mia vita che, ad essere onesti, faceva realmente schifo. Tutti si limitavano a vedere l’apparenza, si limitavano a vedere che ero colui che tutti temono, che ha sempre avuto voti alti nonostante passassi poco tempo a studiare, colui che attira e seduce le donne. Però nessuno, a parte Walter, si era mai chiesto come io fossi realmente, se io ero davvero felice. Nessuno. Poi, era arrivata Jenny. Un incontro casuale che però mi aveva cambiato. Lei, lei era stata l’unica a non cedere al mio sguardo, l’unica ragazza ad avermi tenuto testa. Certo, alla fine anche lei si era innamorata di me perché, anche se lei non lo ammetteva o non lo aveva espresso in modo diretto, io lo avevo intuito, ma lei era diversa dagli altri. Lei si era innamorata di me per quello che ero, per quello che ha visto ogni giorno ad ogni nostro incontro, per quello che, in parte, ha conosciuto di me. Jenny era unica e dovevo ammetterlo a me stesso: la amavo. Però non riuscivo a capire se quel mio amore era passeggero come al solito, oppure quello che provavo era serio a tal punto di essere persino in grado di darle quello che lei realmente voleva da me: sicurezza e un pilastro forte che l’aiutasse a riprendere in mano la sua vita. Dovevo capire questo altrimenti avrei rischiato di ferirla e io non volevo assolutamente che accadesse ciò.

«Potrei avere un po’ di quel liquore, sperando che sia abbastanza forte?»

La sua voce mi riportò al presente, lasciandomi non poco sorpreso. Teoricamente ella doveva stare nel mio letto a riposare e non sveglia alle tre di notte.

Spensi la sigaretta che stavo fumando nel posacenere ormai pieno di cicche di sigarette fumate durante le ore che avevo passato in solitudine a pensare e girai il viso verso di lei, per guardarla dritto negli occhi.

«Non dovresti essere a letto?», la rimproverai.

«Ho avuto un incubo e non riesco più a dormire. Posso stare con te?»

Posai il posacenere sul bordo di marmo del caminetto e non feci in tempo a spostare anche il bicchierino di Poitìn che Jenny lo afferrò e lo bevve tutto d’un fiato.

«Hai appena bevuto un Poitìn con tasso alcolico pari al 90% come se fosse acqua fresca.», ribadii irritato, strappandole il bicchiere di mano e tirandola a me, facendola sedere sulle mie ginocchia.

«Davvero ha un tasso alcolico così elevato?», domandò ingenuamente lei.

Aveva lo sguardo perso, infantile oserei dire. Era lei, ma nello stesso tempo avevo l’impressione di trovarmi di fronte ad un’altra Jenny, molto più piccola e sconsiderata.

«Sì, non sto scherzando.»

«Allora, era proprio quello che mi serviva!», esclamò con un sorriso che però mi fece irritare ancora di più.

«Signorina, vedi di smetterla. Questa è l’ultima volta che bevi qualcosa con un tasso alcolico così elevato. La prossima volta, sappi che sarai in guai seri.»

«Sì papà. Però tu puoi bere cose forti e io no. E poi, ho appena scoperto che fumi e questa cosa non si fa, perché ti fa solo male.», affermò con sarcasmo.

Sì, Jenny improvvisamente era diventata completamente infantile e molto più schietta del solito. La guardai negli occhi scoprendo che le erano diventati lucidi e le guance erano molto arrossate, segno che l’alcol le aveva fatto effetto.

«Stai bene?», le domandai più dolcemente carezzandole una guancia.

«Perché resta sempre nei miei sogni? Cerco di dimenticare, eppure anche se sono passati tre anni e non lo vedo più, lui è sempre nei miei sogni. Perché?»

La guardai senza parole. Jenny era cambiata nuovamente. Ora pareva essere più vecchia dell’età che aveva, più stanca, più triste, più provata da quel qualcosa che io non sapevo, ma che le aveva sicuramente distrutto la vita. Nuovamente avvertii la furia invadere il mio corpo e la mia mente perché odiavo vedere Jenny in quello stato, era una ragazza e come tale doveva comportarsi: uscire con gli amici, divertirsi, pensare ai ragazzi o ad altre cose che di solito fanno le ragazze. Invece Jenny era sola, aveva perennemente paura, fobie che affrontava chiudendosi in se stessa e non permettendo a nessuno di entrare nel suo mondo. Quando passavo il venerdì con lei in biblioteca, avevo notato che ella era più rilassata soltanto quando leggeva o scriveva, come se l’entrare in altri mondi o il creare altri universi, l’aiutava ad andare avanti a scappare per un po’ dalla realtà e ritrovare le forze per proseguire la sua frenetica corsa ad ostacoli nella realtà.

«Chi è che sta sempre nei tuoi sogni?», domandai in un sussurro, sperando che lei si confidasse.

«Lui. Non voglio dire come si chiama, non ci riuscirei, mi fa troppo male.»

«Allora chiamalo come preferisci, però ora calmati. Non potrà più farti del male.», le risposi a mia volta, stringendola forte a me e cercando di calmare i violenti tremori del suo corpo.

Nel vederla in quello stato, avevo la brutta sensazione che quella storia che Jenny teneva nascosta fosse più grave di quel che io avevo immaginato.

«Io lo amavo, ma lui mi tradiva. Ogni sera andava a letto con altre ragazze e io, nonostante altre persone mi riferissero ciò, continuavo a fidarmi della sua parola, continuavo a credere a quello che lui mi diceva. Quando però, anche la mia migliore amica arrivò a dirmi che lui mi tradiva, non le credetti. Però lei mi mostrò delle foto in cui lei era a letto con lui. Lei, la mia migliore amica, era andata a letto con lui. Ricordo che quando vidi quelle foto scappai via da scuola, nonostante le lezioni non fossero terminate. Avevo bisogno di riprendermi, avevo bisogno di stare da sola e di capire cosa dovevo fare. Lui però aveva assistito a tutto l’episodio, standosene in disparte e ridendosela con i suoi amici, per cui quando ero fuggita da scuola lui mi seguì. Mi ero rifugiata in una delle stradine del centro storico. Era una strada senza via d’uscita e per questo non ci passava mai nessuno. Tra l’altro era anche buia e non vi erano portoni. Quindi lì sarei stata da sola e sarei riuscita a calmarmi. Purtroppo non andò così: quella stradina divenne la mia condanna. Quando vidi che lui mi aveva seguita, gli urlai il perché mi tradiva e sai come mi rispose? “Credi davvero che io stia con te per amore? Io voglio solo vincere una scommessa nel fare qualcosa che nessuno è mai riuscito a fare: portarti a letto”. Lui stava con me solo per una scommessa. Solo per quello.»

Nel sentire quelle ultime parole rimasi spiazzato. Ora capivo perché Jenny aveva sofferto nel sapere che io, mi ero avvicinata a lei, solo per vincere una scommessa. Ora capivo tutto e mai, come in quel momento, mi ero odiato così tanto. Nel vederla prendere un profondo respiro, credetti che ella avesse terminato, che ella si fosse sfogata del tutto ma in realtà stava solo prendendo fiato per dirmi la cosa che davvero l’aveva segnata, la cosa che mi fece andare su tutte le furie.

«Fu quel giorno, in quella stradina, che lui vinse la scommessa. Si prese con la forza il mio corpo, e poi mi lasciò lì, sanguinante e priva di coscienza.», chiuse gli occhi e con un sussurro aggiunse una citazione, «”Ho imparato che la vita non è mai giusta. Se c'è una cosa che dovrebbero insegnare a scuola è proprio questa”1

Quelle parole furono la mia condanna. In quel momento desiderai sapere il nome di quel ragazzo solo per poterlo trovare e uccidere. L’unica cosa che mi calmò, fu il vedere le lacrime di Jenny. Lei non avrebbe mai visto quel lato oscuro del mio carattere, lei non doveva mai vedere il mio sguardo carico di odio e desiderio omicida. Lei non doveva vedere nulla di tutto ciò. Lei meritava solo la dolcezza e l’affetto che, terze persone, le avevano negato. E io avrei lottato per darle quello che lei chiedeva.

Con quei pensieri, calmai la mia rabbia e cominciai a stringerla forte al petto, sussurrandole parole di conforto che mai avrei creduto di essere capace di poter pronunciare. Pian piano, nonostante quella sua improvvisa confessione dolorosa, dopo una mezz’oretta ella si riaddormentò. Aveva ancora le lacrime agli occhi che continuavano a rigarle quelle guance tinte di rosso sia dall’alcol e sia dalla stanchezza, così le asciugai delicatamente le guance e le posai un piccolo bacio sulla fronte.

Lo avevo capito da tempo ormai: ero innamorato di lei e poco importava se avevo paura di non essere abbastanza per lei o di essere sbagliato come ragazzo. Io avrei fatto di tutto per proteggerla e renderla felice. Di tutto. E ora ne ero sicuro.

«Ti amo piccola.», le sussurrai dolcemente, continuando a stringerla forte al mio petto, nella speranza di poterle regalare un sonno migliore.


 

1. Citazione tratta dal libro di Nicholas Sparks intitolato “I passi dell’amore”.

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Capitolo 17
*** La Forza Dei Sentimenti. ***


Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 17. La forza dei sentimenti. 
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia.
 

P.O.V. Raffaele

Mentre lei riposava tranquilla nel mio letto, io ero steso al suo fianco per paura che elle fosse nuovamente tormentata da un incubo. Ogni volta che la sentivo tremare mentre dormiva, avvertivo i miei battiti cardiaci arrestarsi e il mio sguardo si posava immediatamente sul suo viso. In quella lunga notte avevo la sensazione di essere diventato improvvisamente bradicardico1 o un soggetto affetto da aritmia2 a causa dei miei battiti che, o deceleravano all’improvviso oppure erano talmente irregolari che in un primo momento mi spaventai. Per fortuna, sapevo bene che tutti quei sintomi erano soltanto dettati dalla mia condizione emotiva che, al momento, era abbastanza instabile. Per cercare di calmarmi e non pensare alla storia che Jenny mi aveva raccontato soltanto un’ora prima, presi il regalo di Natale che ella mi aveva fatto e misi le cuffiette nelle orecchie, avviando la riproduzione casuale. Volevo conoscere la mia piccola scontrosa, la volevo proteggere e soprattutto volevo farla sorridere di nuovo e dimostrarle che l’amore può togliere e ferire, ma anche donare gioia e serenità.

La prima canzone che ascoltai era inglese e di un gruppo che non avevo riconosciuto, per cui dovetti guardare sul piccolo display il nome del gruppo. Erano i Simple Plan e mi diedi mentalmente dello stupido perché, anche se non conoscevo bene le loro canzoni, sapevo perfettamente chi essi fossero. Rimisi la canzone e la ascoltai una seconda volta, con più attenzione rispetto a prima.


I want to start by letting you know this

Because of you my life has a purpose

You helped be who i am today

I see myself in every word you say

Sometimes it feels like nobody gets me

Trapped in a world where everyone hates me

There’s so much that I’m going through

I wouldn’t be here if it wasn’t for you.


 

Voglio iniziare facendoti sapere questo

Grazie a te la mia vita ha uno scopo

Mi hai aiutata ad essere quel che sono oggi

Mi rivedo in ogni parola che dici

A volte sembra che nessuno mi comprenda

Sono intrappolata in un mondo in cui tutti mi odiano

Sto passando per così tante cose

Non sarei qui se non fosse stato per te.

 

Fermai la canzone e cominciai a riflettere su quelle prime parole. Mi stavo immaginando Jenny chiusa in camera sua al buio e in lacrime, con le cuffie nelle orecchie e la canzone messa in ripetizione, cercando di trarre rifugio in quelle parole, magari associando quella voce ad un salvatore. La stavo immaginando mentre si aggrappava a quella canzone con tutte le sue forze per impedirsi di cadere giù, nel baratro del dolore. La immaginavo mentre si sentiva sola, incompresa da tutti e, soprattutto, odiata da tutti coloro che ella amava. La immaginavo prigioniera dei suoi ricordi dolorosi, da quei pensieri dai quali invece lei voleva solo scappare.


I was broken

I was choking

I was lost

This Song saved my life.

I was bleeding, stopped believing

Could have died

This song saved my life.

I was down

I was drowning

But it came on just in time

This song saved my life.


 

Ero distrutta

Stavo soffocando

Ero smarrita

Questa canzone mi ha salvato la vita.

Stavo sanguinando, avevo smesso di credere

Sarei potuta morire

Questa canzone mi ha salvato la vita.

Ero depressa

Stavo annegando

Ma è arrivata giusto in tempo

Questa canzone mi ha salvato la vita.


Più immaginavo la mia piccola Jenny in quel periodo e più avevo il folle desiderio di trovare chi le aveva distrutto la vita. Erano trascorsi tre anni e mi chiedevo dove egli si trovasse in quel momento, ma sperai fortemente che, chiunque fosse il ragazzo, si trovasse molto lontano dalla mia Jenny. Lo speravo per lui, perché, se così non fosse stato, gli avrei fatto passare le pene dell’inferno.

Mentre ascoltavo “This Song Saved My Life”3 volgere verso la fine, posai il mio sguardo sul viso rilassato di Jenny. Quando mi aveva detto che da quella Play List avrei imparato a conoscerla, non stava scherzando. Più immaginavo quei suoi ultimi tre anni e più comprendevo l’immensa solitudine che ella aveva vissuto.

***

Avevo trascorso tutta la notte così. Ascoltando le canzoni della Play List di Jenny. Mi alzai dal letto alle sei e mezza dl mattino, osservando Jenny che continuava a dormire serena. Non avevo chiuso occhio nemmeno per un secondo: ero tormentato da mille pensieri e avevo la testa piena delle canzoni che parlavano di Jenny.

Mi diressi nello studio, stanza adiacente alla mia camera da letto, e dopo aver acceso il mio computer portatile, mi accomodai sulla sieda e cominciai a fare delle ricerche sulla storia che mi aveva raccontato Jenny, anche se già sospettavo che non vi avrei trovato nulla. In effetti, avevo ragione. Non trovai alcuna notizia di quella faccenda, nemmeno nei giornali locali. Nulla. Sicuramente la famiglia aveva imposto il silenzio di stampa e se da un lato ne ero felice, almeno Jenny non si eradovuta preoccupare di doversi sorbire continui interrogatori da parte delle persone o i loro perenni sguardi, dall'altro lato me ne rammaricai perché ciò stava a significare che non sarei venuto a conoscenza del nome del piccolo verme che aveva osato ferire nel profondo Jenny.

Spazientito e nuovamente incollerito con quel misterioso ragazzo, mi alzai di scatto e mi diressi in salotto dove, ancora posata sul divano, vi era la borsa di Jenny. Senza permesso le presi il telefono, ennesimo reato che avrei dovuto aggiungere alla lista di misfatti da me commessi e cercai il numero della madre. Aveva smesso di nevicare ma, prima di riportare Jenny a casa, avevo bisogno di parlare con i suoi genitori senza che ella sapesse nulla.

Scrissi il numero della madre sul mio telefono e avviai la chiamata, sperando che la madre fosse già sveglia.

Al terzo squillo, le mie mute preghiere furono accolte.

«Pronto?», domandò incerta una voce femminile dall’altro capo del telefono.

«Signora, sono Raffaele. Scusi se la disturbo a quest’ora, ma avrei bisogno di parlarle prima che io riaccompagni Jenny a casa.», affermai arrivando subito al dunque.

«Jenny sta bene?», domandò preoccupata.

«Si si, o almeno fisicamente si. Davvero, avrei bisogno di parlarle oggi, se è possibile.»

«Verso le otto io faccio una piccola pausa al ristorante. Jenny ti ha detto dove lavoro?»

«Sì, so dov’è il ristorante. Per le otto mi vede lì e soprattutto, grazie mille.»

Dopo le battute di congedo, chiusi la chiamata e tornai nello studio, dove mi rimisi al computer.


P.O.V. Jenny

Quando mi svegliai, trovai un bigliettino accanto a me. Era scritto in bella grafia e la firma mi fece comprendere che quello era da parte di Raf. Non aveva scritto molto, soltanto che era dovuto uscire per un servizio e che io, per nessuna ragione, dovevo mettere piede fuori casa. Inoltre il biglietto mi diceva di andare in cucina. Incuriosita, con ancora il biglietto di Raffaele in mano, mi diressi in cucina dove il mio sguardo cadde sull’orologio: erano le sette e mezza di mattina. Trovai la tavola apparecchiata e un altro biglietto del mio Raf che mi diceva che avevo la colazione già pronta nel microonde e che la dovevo riscaldare. Con un sorriso, presi anche quel secondo biglietto e riscaldai la colazione e lessi il Post Scriptum con curiosità: dopo la colazione dovevo andare nella stanza adiacente alla camera da letto. Incuriosita, consumai rapidamente la colazione e lavai sia il piatto ove in precedenza vi era posato il cornetto e sia la tazza dalla quale avevo bevuto il latte. Dopo aver rimesso in ordine la cucina, andai nella stanza indicatami dal biglietto, scoprendo così che essa era allestita per essere uno studio. Girovagai un po’ per quella stanza, per poi avvicinarmi alla scrivania di legno scuro dove vi erano impilati in ordine alcuni fogli e vi erano posati in modo sparso diversi libri di medicina. Sapevo bene che lui stava studiando medicina e, incuriosita, aprii uno di quei libri, senza tuttavia capirci qualcosa per questo, e quindi lo riposi nuovamente. In quel momento mi accorsi dell’ennesimo biglietto di Raffaele e, sorridendo lievemente, lo presi. Si trovava sopra il suo computer portatile ed era tenuto fermo da una piccola chiavetta USB. Mi sedetti sulla sedie di Raffaele, davanti al suo computer e davanti alla porta finestra che mi mostrava un paesaggio innevato, e lessi con attenzione il suo biglietto, più lungo rispetto agli altri e che mi riportò alla memoria episodi notturni che ricordavo vagamente.

 

Cara Jenny,

se sei arrivata a leggere questo biglietto vuol dire che la tua caccia al tesoro mattutina è quasi terminata. Nella chiavetta troverai alcune canzoni che desidero dedicarti, nella speranza che ogni volta che non avrai la mia presenza fisica accanto a te, tu possa ritrovarmi nelle parole di quelle canzoni.

Non so se ricordi qualcosa relativo a ciò che è successo questa notte, ma fidati, mi hai lasciato senza parole, ma con un’enorme rabbia nell’animo contro colui che ti ha ridotta in questo stato e credimi se te lo dico: se trovo l’artefice dei tuoi mali, gli darò una lezione di quelle che non se le scorderà più per tutta la vita.

Anche per questo motivo ti ho lasciato questo mio piccolo dono, affinché tu non debba più pensare a colui che ti ha rovinato la vita e affinché tu non faccia altre pazzie che mi porterebbero a preoccuparmi enormemente.

Per cui, ti prego, in mia assenza ascolta quelle canzoni, cercando di non pensare al passato, ma bensì al tuo presente e al futuro. Io, dal canto mio, ti prometto di tornare il prima possibile, anche perché credimi, a qualsiasi ora tu leggerai questo mio biglietto, posso affermare che mi manchi tanto.

Al mio ritorno, dovrò anche dirti una cosa molto importante.

 

Tuo,

Raffaele


Ps. La password del mio computer è PiccolaScontrosa.


Quelle sue parole mi fecero riportare alla memoria prima dei ricordi spiacevoli e poi, come se nulla fosse, quelle stesse parole riuscirono a rassicurarmi come mai nessuno era riuscito a fare.

Seguendo le sue istruzioni, accesi il computer e dopo aver messo la password che egli mi aveva scritto nel biglietto, ebbi l’accesso al suo portatile. Doveva avere un’immensa fiducia se mi aveva dato la possibilità di accedervi senza problemi. Inseii la piccola Pen Drive in una delle porte USB e, dopo aver avviato la riproduzione di tutti i brani, cominciai l’ascolto di quelle numerose canzoni.

Intorno alle nove sentii la porta di casa aprirsi e stoppai la musica, chiedendomi preoccupata chi potesse essere, se Raffaele, qualcuno della sua famiglia o Walter. Quando vidi la sua figura entrare nello studio, il mio corpo, da essere teso, si rilassò completamente e, come se fosse una cosa per me semplice e normale, sorrisi di gioia e alzandomi dalla sedia gli corsi incontro per poterlo abbracciare forte. Mi meravigliai più io che Raffaele, ma le canzoni che lui mi aveva dedicato mi avevano resa più estroversa, almeno con lui. Conscia di averlo sorpresa, dopo l’abbraccio feci un passo indietro e presi parola per prima.

«Ben tornato a casa Raf.», sussurrai con gioia.

«Grazie dell’accoglienza, moglie cara.», affermo con un ghigno, dopo una fragorosa risata, ben consapevole che con quella frase mi avrebbe messa in imbarazzo, reazione che non tardò ad arrivare da parte mia.

Non sapendo come controbattere, incrociai le braccia al petto e lo guardai di traverso, restando in silenzio.

«Dai, non mi guardare così.», disse con un sorriso avvicinandosi a me, «Lo sai che adoro vederti imbronciata e comunque grazie per l’accoglienza. Hai fatto la brava?»

Alzai gli occhi al cielo e sospirai.

«Il solito iper protettivo.», borbottai per poi aggiungere con voce più alta, «Si, ho fatto la brava bambina e sono stata davanti al computer come da te espressamente richiesto.»

Rise per il mio tono di voce esasperato e mi scompigliò i capelli con aria giocosa.

«Bene, allora meriti un regalo.»

Mi passò un pacco che fino a quel momento non avevo notato e lo scartai con trepidante attesa e con estrema curiosità.

Vi trovai due libri che non possedevo, ma che erano nella mia lista dei desideri: i primi due libri della saga degli Angeli Caduti. Però, non furono solo quelli ad attirare la mia attenzione: tra i due volumi, vi era una busta per le lettere. Con trepidante attesa, la aprì e trovai due cose: il cartoncino con il contenuto della lettera e un altro regalino nascosto nell’ovatta e in un sacchettino.

Aprì emozionata il biglietto e vi trovai solo quattro parole scritte con la calligrafia di Raffaele:
 

Ti Amo Piccola Scontrosa!


Quel solo biglietto mi fece emozionare tantissimo, però dovevo scoprire cosa vi era nascosto nel sacchettino che, con mani tremanti per l’emozione, faticai ad aprire. Quando finalmente ci riuscii, sul palmo della mano vi erano due piccole fedine d’argento. Incredula, alzai lo sguardo verso il ragazzo che, senza dire nulla, mi aveva osservata scartare i regali, sorreggendo via via, quelli che avevo già scartato.

«Sono delle fedine…», sussurrai sorpresa.

Lo vidi camminare verso la scrivania e poggiare i libri e la busta delle lettere, per poi parlare senza guardarmi.

«Quando questa notte mi hai rivelato cosa ti era successo, ho preso la mia decisione. Era palese che prima tenevo comunque a te, ma non come tu desideravi. Era più come la relazione descritta nella canzone di Celentano “L’emozione non ha voce”4 che ti ho messo su quella chiavetta questa mattina. Però, stavo mentendo a me stesso: io desideravo darti quello che tu volevi, ma avevo paura. Anzi, tutt’ora ho paura di ferirti. Tuttavia, voglio provare ad essere migliore, ad essere migliore per te. Per cui, anche se un po’ presto, ti chiedo di accettare quelle fedine, come simbolo del nostro legame così potrai trovarmi sempre nella musica, nei tuoi pensieri e in quell’anello in modo tale che esso ti ricordi che io ho scelto te e solamente te. Quindi, mia piccola Jenny, vuoi essere la mia ragazza?»

Lo guardai sbalordita. Mai avrei creduto possibile di sentire, un giorno, quelle parole da Raffaele.

Mai.

Eppure, quelle frasi e quella proposta, erano tutto quello che desideravo sentire.

Ed ero pronta a rischiare tutto.

Non sapevo perché.

Non sapevo bene nemmeno per cosa.

Sapevo solo che lui era colui che mi rendeva di nuovo felice.

Lui era quello che per me stava cambiando.

Raffaele è stato quello che mi aveva sempre cercata, inizialmente per scommessa ma poi per amore.

Amore che io ricambiavo.

Amore che provavo in modo incondizionato verso quel ragazzo pieno di segreti sulla sua vita, ma che in più di un’occasione mi aveva dimostrato di tenere a me.

Lo amavo.

Anche se avevo paura di soffrire come in passato, il mio cuore era tornato a battere con una forza che mai, prima di allora, avevo avvertito nel petto.

Lo amavo ed era con lui che io ero rinata.

Ed era con lui che volevo stare.

Con lui volevo combattere le mie paure.

Con lui volevo combattere il mio passato.

Con lui volevo sorridere di nuovo.

Con lui volevo imparare ad amare davvero una persona.

Con lui volevo imparare a sostenere una persona.

Con lui volevo imparare ad ascoltare una persona.

Con lui, semplicemente, volevo imparare a vivere.

«Ti amo Raffaele.»

Riuscì a dire solo quelle tre parole, ma esse bastarono ad entrambi.

Suggellammo quelle parole infilandoci a vicenda le fedine e, immediatamente, mi ritrovai tra le braccia di Raffaele e le sue labbra sulle mie.

In passato avevo amato, ma quello era un amore costruito su infinite bugie, sul dolore e sulle lacrime.

Ora, amavo un ragazzo con il quale stavo costruendo una storia ben diversa perché in cuor mio lo sapevo: Raffaele, anche se non aveva mai amato qualcuna, era cambiato ed ora amava me.

E io, finalmente, avevo ritrovato qualcuno per il quale rimettermi in gioco.

Qualcuno che mi amava.

E che io amavo.


~Angolo autrice.~
Buon pomeriggio a tutti,
Vi avviso che questo è l'ultimo capitolo che ho, quindi dal prossimo dovrebbe tornare Lily.
È stato un piacere conoscervi, alla prossima.
Beta di Lily.

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Capitolo 18
*** AVVISO. ***


Miei cari lettori,
So che aspettate da tanto il prossimo capitolo e che rimarrete sicuramente delusi nel constatare che questo sarà solo un avviso.
Prima che vi allarmiate, volevo da subito dire che questa storia la continuerò, solo che dovrò rallentare i tempi.
Sono stata per un periodo in ospedale a causa di un’operazione che ho dovuto affrontare, per cui a parte i capitoli che la mia beta ha pubblicato perché ero riuscita già a scriverli, non ho avuto possibilità di scriverne altri (anche se sono già tutti nella mia testa) e quindi pubblicare.
Altra questione è la scuola: frequentando il quinto superiore sono abbastanza incasinata con la maturità (sempre se la scuola e lo studio mi permetteranno di arrivarci viva). Per cui, più che con l’ospedale, arrabbiatevi con la scuola e lo studio che mi stanno massacrando. D:
Infine, avendo la mia beta abbastanza incasinata anche lei con lo studio, il capitolo che ero riuscita a scrivere qualche settimana fa è ancora in fase di correzione.
Per cui, date tutte queste circostanze, non potrò pubblicare con regolarità, ma prometto di dedicare qualche notte a scrivere almeno uno o due capitoli in modo da non lasciarvi senza questa mia storia.
Inoltre, volevo ringraziare con tutto il cuore, tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite. Non immaginate quanto ciò mi renda felice. *-*
Ora chiudo qua e vi auguro la buonanotte o il buongiorno (se mai leggerete questo avviso di giorno, cosa più probabile data l’ora) e spero di riuscire a pubblicare il prima possibile.
A presto. ♥
Lily Luna White

Ps. Se trovate errori idioti di grammatica e ortografia, vi chiedo umilmente perdono ma data l’ora in cui sto scrivendo e constatando che fino a poco fa stavo studiando, credo che sia più che normale visto il mio esaurimento da maturando. T^T

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