Sword's chronicle

di Mariam Kasinaga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordo n° 1 ***
Capitolo 2: *** Ricordo n° 1 ***
Capitolo 3: *** Ricordo n° 2 ***
Capitolo 4: *** Ricordo n° 3 ***



Capitolo 1
*** Ricordo n° 1 ***


Partecipa al contest “La ragazza e la spada”

Sword’s chronicle

Prologo

Io sono quella lì, riuscite a vedermi in mezzo a tutta questa confusione? Guardate come quell’uomo mi tiene con forza, urlando come un barbaro, mentre mi inzozzo di fango e sangue secco. A volte vorrei essere altrove, lontano da tutta questa confusione e da questi uomini che combattono per cosa? Per l’onore, la fama o perché sono stati semplicemente costretti dal loro re ad obbedire agli ordini?

Riesco a vedere tutto attorno a me: la Morte sul campo di battaglia, la Disperazione negli occhi del mio uomo. Nulla sfugge al mio sguardo, nemmeno quell’esile corpo rannicchiato e coperto di stracci vicino ad una casa. Una volta, qualcuno ha detto di non essere troppo generosi nel sentenziare giudizi di vita e di morte, ma dopo tutte le cure che ha prestato al mio cavaliere, quella povera ragazza non si meritava certo di stare nella polvere come un cane.

Mi accorgo che, nonostante sia in mezzo alla mischia, Sir Robin lancia qualche sguardo in direzione di quella povera sventurata: forse si sta maledicendo per ciò che ha fatto, per il terribile gesto che ha compiuto in preda all’arroganza cavalleresca ed il suo stupido fanatismo religioso. Percepisco le sue mani stringere la presa su di me ed un attimo dopo allentarsi bruscamente, scagliandomi lontana da lui. Compio un’elegante parabola in aria, meravigliandomi di come il sopra ed il sotto possano confondersi in un immenso, gigantesco caleidoscopio di colori ed emozioni e cado pesantemente a terra.

Sento delle mani tastarmi disperatamente, sollevarmi in aria e, nel momento in cui un colpo si abbatte con forza su di me, ogni cellula del mio essere vibra tremendamente. Vorrei tornare dal mio uomo, urlargli che se Aisha è morta la colpa non è certo mia: l’ho uccisa, questo è vero, ma il braccio che guidava me, una delle migliori spade mai forgiate nei territori dell’Ovest aldilà delle Montagne, era il suo.

Non poteva scappare da questa verità. 

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Capitolo 2
*** Ricordo n° 1 ***


Ricordo n° 1 – Come arrivammo ai Confini del Mondo

 

Sir Robin aveva trent’anni quando fu sconfitto per la prima volta sul campo di battaglia. Ricordo ancora le mille emozioni che si erano susseguite sul suo volto in pochi minuti: l’incredulità per vedere il suo esercito battuto dagli stessi barbari che si era promesso di eliminare, l’orgoglio di voler spingere i suoi all’ennesima carica, la disperazione dinnanzi alla carneficina che ne era seguita e, infine, la vergogna di salire sul suo cavallo e ritirarsi insieme ai pochi sopravvissuti. Quella fu una delle poche volte che lo vidi piangere: le sue lacrime scivolavano lentamente lungo le guance candide, per poi cadere come piccole perle sul mio fodero. Era in quel modo, attraverso quel liquido salato, che mi trasmetteva il suo stato d’animo. Avevamo combattuto insieme innumerevoli volte ed avrei potuto elencare tutte le sue vittorie: ricordo tutte le notti in cui, in preda ai fumi dell’alcol e trascinato dai suoi amici cavalieri, mi abbandonava in un angolo della sua tenda per andare a divertirsi con le donne che seguivano fedelmente l’esercito ovunque andasse. Credo fosse quella sua eccessiva sicurezza, quella sensazione di impotenza, che lo aveva portato a sottovalutare il reale potenziale bellico dei barbari. Ancora, sono sicura che fu per qualche strano sentimento umano a me ignoto se una notte decise di abbandonare ciò che restava del suo esercito per deviare verso Sud, dove non vi è altro se non la fine del mondo.

Arrivammo ai Confini all’alba, lui assetato ed affamato, entrambi sporchi. Quel che vidi, sarà per sempre lo spettacolo più bello che io abbia mai ammirato: all’orizzonte, dove la linea del cielo e dell’acqua si univano, a pochi chilometri dalla costa, vi era un’enorme cascata, di cui avevamo cominciato a sentire il rombo il giorno prima. La grande massa d’acqua si infrangeva contro delle rocce granitiche, prima di lambire i bordi della terra ed, infine, cadere pesantemente nel baratro oscuro che gli abitanti del luogo chiamavano la Voragine. Sir Robin tirò delicatamente le briglie del suo cavallo con la mano sinistra, mentre il braccio destro giaceva inerte lungo il fianco a causa di una ferita riportata nell’ultima battaglia. Faticosamente, il mio cavaliere riuscì a smontare dalla cavalcatura e trascinarsi fino alla sottile spiaggia candida che si estendeva davanti a noi. Allentò il fodero, facendomi cadere al suolo con un tonfo attutito dalla sabbia, si slacciò il gabbione dell’armatura e le placche metalliche che gli proteggevano gli altri e, con un profondo sospiro, si sedette affianco a me. Rimanemmo in quella posizione per interi minuti, scanditi esclusivamente dal rombo assordante dell’acqua, fino a quando non mi accorsi che qualcosa aveva catturato la sua attenzione: alla nostra sinistra si stava avvicinando una ragazza con dei lunghi capelli rossi e la pelle indurita dal sole. I suoi piedi affondavano nella sabbia, mentre correva nel tentativo di inseguire una bambina che aveva i suoi stessi occhi azzurri. Riuscì ad afferrarla a pochi metri da noi, rivolgendoci degli sguardi furtivi. Le bisbigliò qualcosa all’orecchio indicando la direzione opposte e si avvicinò lentamente, senza distogliere lo sguardo da Sir Robin. Lui le rivolse quello che sperava potesse essere un sorriso, ma nelle ultime settimane il destino era stato talmente crudele con lui che il suo volto sembrava essere la maschera della disperazione.

Il giorno in cui nascerà, tra i forgiatori dell’Ovest, un uomo in grado di farci comprendere appieno il linguaggio umano, egli si meriterà a buon diritto il titolo di Maestro d’Armi. Fu difficile comprendere il dialogo tra il mio padrone e quella ragazza, la quale sembrava decisamente preoccupata per le numerose ferite di Sir Robin, specialmente quella che gli aveva completamente paralizzato il braccio. Continuava ad indicare freneticamente la direzione dove si era allontanata la bambina, probabilmente il luogo dove si trovava il suo villaggio, ed il braccio del mio cavaliere, tirandolo per una manica. Lui all’inizio continuava a scuotere la testa con forza, chinandosi a raccogliermi ed allacciando il mio fodero al fianco, ma nell’ascoltarla parlare, la sua espressione si addolcì leggermente. Montò a cavallo e le fece cenno di indicargli la strada, facendole trotterellare l’animale a fianco.


 

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Capitolo 3
*** Ricordo n° 2 ***


Ricordo n°2 –Quando il mio fodero venne violato

Dal lungo periodo di convalescenza di Sir Robin compresi che, se avessimo continuato il nostro viaggio senza meta, probabilmente mi sarei ritrovata senza un proprietario nell’arco di pochi giorni. Il mio cavaliere mi aveva appoggiato delicatamente ad una parete della stanza che il padre di Aisha, un guaritore, gli aveva offerto e si era poi sdraiato nel letto che gli era stato preparato. Osservai il padre della ragazza tastare la pelle che lambiva la ferita, spalmarci degli unguenti che aveva preparato in precedenza ed, infine, fasciargli il braccio con delle bende immacolate. Sir Robin continuava a mormorare parole di ringraziamento fino a quando, spossato dalle vicissitudini degli ultimi giorni, si era addormentato profondamente. Guardai ripetersi queste azioni per due mesi, rallegrandomi di come recuperasse velocemente le forze e dell’impegno con cui quell’umile famiglia si prodigava per lui. Aisha era quella che trascorreva più tempo al suo capezzale, facendo trascorrere il tempo raccontando antiche leggende sulla Voragine mentre gli cambiava le bende o supplicandolo di raccontarle qualcosa della sua vita. In quelle occasioni, l’espressione del mio padrone si induriva e si lasciava scivolare in un mutismo che poteva durare interi giorni.

Rimasi appoggiata a quella parete per tutta la durata sua degenza, ponendomi le stesse domande che, probabilmente, gli assillavano la mente: i nostri alleati erano riusciti a sconfiggere il nemico? Dove si trovava il nostro esercito sbandato e, soprattutto, cosa avrebbe fatto una volta trovato questo villaggio? Probabilmente l’avrebbero saccheggiato e, qualora avessero riconosciuto Sir Robin, lo avrebbero riportato a casa con loro. Non era mia abitudine affezionarmi agli umani, ad eccezione del mio cavaliere, ma quella famiglia aveva dimostrato una nobiltà d’animo tale che non avrebbe dovuto essere ricompensata con la morte. Erano questi i miei pensieri quando sentii delle dita sfiorarmi l’elsa: Aisha era inginocchiata davanti a me, i penetranti occhi azzurri che guizzavano lungo il mio fodero nell’inutile tentativo di comprendere ciò che vi era scritto. Maledii il mio creatore per non avermi dato una voce, continuando a gettare occhiate al letto di Sir Robin, che dormiva tranquillamente. La ragazza rimase con la mano a mezz’aria per qualche secondo, indecisa sul da farsi, voltandosi per controllare che il mio cavaliere non si svegliasse. Sorrise leggermente e tornò a guardarmi, tendendo la sua mano verso di me ed afferrandomi l’elsa.

Sir Robin era Gran Maestro del Sacro Ordine dei cavalieri di Kardiss, da sempre impegnati a proteggere il regno dalle numerose scorribande dei barbari che flagellavano i confini. Il loro Credo si basa su poche, essenziali regole, tra cui la più importante riguarda le armi: nessuna spada, lancia o scudo di un cavaliere di Kardiss può essere toccato da una donna, chiunque essa sia. Non appena Aisha mi sguainò dal fodero, sentii un formicolio lungo tutta la mia lama. Quelle dita esili e sottili erano profondamente diverse rispetto a quelle a cui ero abituata: era una presa poco salda e gentile, simile al modo in cui ogni giorno aveva toccato i bendaggi del mio padrone. Lo sguardo della ragazza continuava a guizzare su ogni centimetro del mio acciaio, con espressione stupita, mentre appoggiava nuovamente il fodero al muro e mi afferrava l’elsa con entrambe le mani, mulinandomi lentamente in aria. Era ancora impegnata in quell’attività quando Sir Robin cominciò ad agitarsi nel letto ed aprì svogliatamente gli occhi, voltandosi verso di noi. Percepii i suoi occhi color ambra fissi su di me, quasi increduli, mentre in gola gli moriva un grido di sgomento. Buttò di malagrazia le coperte da un lato e si alzò frettolosamente sotto lo sguardo terrorizzato della ragazza che, dopo avermi lasciato cadere pesantemente sul pavimento di legno, si precipitò fuori dalla stanza.

Il mio cavaliere mi afferrò con forza, mi immerse nella bacinella che la madre di Aisha riempiva regolarmente con acqua pulita e cominciò a mormorare delle preghiere, continuando a a sfiorare con le dita il filo della lama. Sapevo quale terribile pensiero gli stava riempiendo il cervello, ma speravo che, in nome della riconoscenza che doveva loro, non avrebbe privato quei due poveretti della loro figlia maggiore. Lo ascoltai mormorare formule

di ringraziamento e di perdono, lo sentii supplicare gli Dei di farmi tornare ad essere una spada non insozzata da mani femminili e, nei pochi momenti in cui speravo che anche le mie preghiere venissero esaudite, lo senti supplicare per l’anima della ragazza.

 

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Capitolo 4
*** Ricordo n° 3 ***


Ricordo n°3 –Il giorno in cui la sabbia si tinse di rosso

Il padre della ragazza continuava a mormorare frasi incoerenti a Sir Robin, il quale tentava inutilmente di scansare la madre di Aisha, che gli si era gettata ai piedi. Lei si era rifugiata nell’angolo più lontano della stanza, tremante, mentre abbracciava la sorellina che piangeva disperata. Il mio cavaliere liquidò in pochi passi la distanza che li divideva e l’afferrò per i capelli, trascinandola fuori. Osservai i due genitori impotenti cessare ogni resistenza e guardarlo compiere quel gesto totalmente impotenti, consapevoli che ogni loro tentativo di salvare Aisha sarebbe stato punito con la morte.

Nonostante la tragicità del momento, non riuscivo a non pensare a come quei momenti, nonostante tutto intrisi di solennità, sembrassero ogni volta come suggellati da un surreale silenzio. In quei pochi minuti tutto sembrava muoversi al rallentatore, ogni persona pareva un attore su un palcoscenico, perfettamente conscio di ciò che doveva fare per rendere grandioso lo spettacolo a cui, nolente o volente, aveva preso parte. Il mio cavaliere rimase interdetto per qualche secondo, mentre il sangue rosso vivo della ragazza si mescolava a quello dei suoi capelli sparpagliati sulla sabbia candida. Respirava affannosamente, continuando a stringere convulsamente la mia elsa, fissando gli occhi, ormai senza vita, di Aisha. Si voltò leggermente quando sentì l’urlo straziante della madre di lei, che prese il corpo senza vita tra le braccia cominciando ad accarezzarlo e mormorando parole di cui non conoscevo di significato. Suo marito la raggiunse subito dopo, prendendosi il volto tra le mani ed urlando alla bambina di rimanere in casa. Non capitava spesso che Sir Robin compisse atti che mi infastidivano, ma quando cominciò a sostenere la legittimità del mio gesto, sperai con forza che capisse quanto patetiche potessero apparire le sue parole. Avrebbe potuto non dar peso al gesto di Aisha, la quale probabilmente non l’aveva nemmeno riconosciuto come membro dell’Ordine, eppure aveva deciso di seguire alla lettera la regola più terribile del suo Credo. Aveva avuto il privilegio della scelta, ma aveva deciso di seguire la strada del dovere.

Il mio cavaliere spostò lo sguardo sulla linea dell’orizzonte e smise di parlare, lasciandosi sfuggire un sospiro di rassegnazione: ciò che rimaneva del suo esercito allo sbando stava galoppando verso il villaggio di pescatori per saccheggiarlo, dato che avevano bisogno di vettovaglie e quei territori non facevano parte del regno che si erano impegnati a difendere. Stando al fianco di Sir Robin avevo imparato che in regola vigevano poche regole, ma tutte erano nettamente a sfavore dei civili: nulla avrebbe impedito a quelle poche decine di cavalieri di bruciare le case ed uccidere chiunque avesse opposto resistenza alla loro scorribanda. Mi sentii nuovamente impotente al pensiero della carneficina che si sarebbe compiuta da lì a pochi minuti, ma ero ben conscia di ciò che stava provando il mio cavaliere: quelli erano i suoi uomini, gli stessi che si era impegnato di proteggere e far ritornare in patria dalle loro famiglie. Loro erano la punta di diamante dell’armata di un regno costantemente minacciato dai barbari e la loro sopravvivenza era ben più necessaria di quella di un centinaio di pescatori.

Essere Gran Maestro comportava delle responsabilità, delle scelte da compiere costantemente e, soprattutto, la consapevolezza che ognuna di queste aveva un prezzo da pagare. Era in questo modo che l’anima del mio uomo si era logorata e lacerata ogni singolo giorno, fino a frantumarsi in mille pezzi. Aveva vinto numerose guerre, ma ognuna di questa gli lasciava dei morti sulla coscienza, trafiggendogli il cuore di croci.

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