I Figli di Caino

di Shade Owl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1: I Signori di Notte ***
Capitolo 3: *** Cap. 2: I Figli di Caino ***
Capitolo 4: *** Cap. 3: La Festa d'Autunno ***
Capitolo 5: *** Cap. 4: La strada migliore ***
Capitolo 6: *** Cap. 5: Su per la montagna ***
Capitolo 7: *** Cap. 6: Promesse ***
Capitolo 8: *** Cap. 7: Nuovi ordini ***
Capitolo 9: *** Cap. 8: Duello alla pari ***
Capitolo 10: *** Cap. 9: L'assassino ***
Capitolo 11: *** Cap. 10: Gli Architetti ***
Capitolo 12: *** Cap. 11: Le indicazioni di Margareth ***
Capitolo 13: *** Cap. 12: Ipotesi ***
Capitolo 14: *** Cap. 13: Scambi di confidenze ***
Capitolo 15: *** Cap. 14: Viniva ***
Capitolo 16: *** Cap. 15: La nuova avversaria ***
Capitolo 17: *** Cap. 16: Drow ***
Capitolo 18: *** Cap. 17: La guida per il mondo sotterraneo ***
Capitolo 19: *** Cap. 18: La Matriarca ***
Capitolo 20: *** Cap. 19: Sentirsi esclusa ***
Capitolo 21: *** Cap. 20: Il litigio ***
Capitolo 22: *** Cap. 21: L'arrivo del Crociato ***
Capitolo 23: *** Cap. 22: Vita iniziatica ***
Capitolo 24: *** Cap. 23: Nika e Shebali ***
Capitolo 25: *** Cap. 24: Nozioni di fiducia ***
Capitolo 26: *** Cap. 25: Aumento di rischio ***
Capitolo 27: *** Cap. 26: La prova ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nathan Clarke sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo in quel momento, tendendo l’orecchio con attenzione per captare segnali di presenze estranee. Tutto il suo corpo si irrigidì impercettibilmente, i muscoli pronti a scattare alla minima sollecitazione. Nonostante questo, il suo viso non mostrò alcun segnale di allarme o nervosismo, mantenendo la stessa espressione di quando i suoi occhi erano totalmente assorbiti dalla lettura.
Aveva sentito un rumore tra le fronde del bosco, appena udibile sotto il tenue soffio della brezza che lo avvolgeva. Nonostante fosse dicembre, e quell’inverno avesse portato alcune tra le temperature più rigide degli ultimi anni, non sentiva freddo, e questo era uno dei motivi principali per cui era uscito a caccia.
Il suo compagno, a differenza di lui, non sembrava aver sentito alcunché, tanto che ancora trafficava col piccolo fuoco da campo che stava allestendo, imbacuccato nella sua giacca pesante e nel cappello di lana. Sembrava quasi sovrappeso, rannicchiato sui calcagni e con quelle cose addosso.
Quando notò che non stava più leggendo, anche lui entrò in tensione, mettendo una mano sul coltello da caccia che aveva appeso alla cintura.
- Cos’hai sentito, Nate?- sussurrò, cercando qualcosa nel sottobosco, mezzo sbiancato dalla neve caduta la notte precedente.
Nathan scosse la testa senza rispondere, continuando a guardare nello stesso punto per qualche istante, in silenzio. Greg cominciò ad alzarsi lentamente, facendo per raggiungere le lance e le altre armi che avevano lasciato accanto a un albero, senza distogliere lo sguardo. Dopo un lungo minuto, tuttavia, Nathan tornò a rilassarsi, grattandosi la testa castana e sorridendo con leggerezza.
- Nulla. Era solo un passero.-
Greg esalò un respiro tremante, sciogliendosi tutto insieme e accasciandosi di nuovo a terra.
- Dio santo, Nate… ti detesto quando fai così! E poi, sei sicuro che fosse un passero?-
- Rilassati.- lo incitò lui - Non ci accadrà nulla.-
- Senti, sai bene che mi sento più tranquillo cacciando con te che con chiunque altro…- brontolò l’amico, tornando a dedicarsi al fuoco - … ma per favore, potresti irrigidirti solo quando c’è qualcosa di veramente grosso e cattivo? Tipo un orso?-
- Gli orsi non escono d’inverno. Dovresti saperlo.-
- A meno che non vengano disturbati. So anche questo. E so anche che non gli fa piacere.- aggiunse Greg, abbandonando finalmente i rametti, che avevano cominciato a bruciare, per sedersi contro un tronco d’albero - Che ti leggi di bello?-
- Nulla che possa interessarti.- rispose Nathan, sollevando appena il libro per mostrargli il titolo, senza staccare gli occhi dalle pagine.
Greg grugnì, grattandosi la barba incolta.
- Ancora storia?- sbuffò - Non sei mica un abate. Voglio dire, quale cacciatore legge quei mattoni?-
- Questo cacciatore.- sorrise Nathan.
- Prima o poi mi devi spiegare da dove sei uscito fuori, amico…- ridacchiò Greg - Padre taglialegna, madre coltivatrice… vien da chiedersi quale cicogna ti abbia portato.-
- Greg, mi deludi… pensavo sapessi che i bambini si trovano sotto i cavoli.-
Entrambi scoppiarono a ridere, e Nathan fece per mettersi a cena con l’amico, vagamente affamato dopo l’intensa giornata passata tra i boschi.
Erano usciti a caccia tre giorni prima, alla ricerca di cervi e lepri per la dispensa cittadina, lasciando i cavalli in un luogo sicuro del bosco, ma sarebbero rientrati al massimo l’indomani: gli animali che erano riusciti a catturare in quel breve periodo (un paio di lepri, una leucrotta e un cervo) erano più che sufficienti a sfamare molte bocche per qualche settimana, ma Nathan puntava a stanare anche un cinghiale, prima di andarsene. Uno solo di quei suini avrebbe tenuto a casa lui e Greg, oltre che tutti gli altri cacciatori della città, per anche un mese o più, dandogli il tempo di leggere i libri che aveva appena ricevuto e che ancora non aveva avuto nemmeno l’occasione di scartare.
Il problema, tuttavia, erano le altre creature che avrebbero potuto incrociare nel bel mezzo di un bosco o delle montagne, e gli orsi disturbati durante il letargo erano tra le meno pericolose: i Lindorm uscivano spesso a caccia lungo la catena del Chaphan-haam proprio in quel periodo, rendendo quasi impraticabili quei sentieri, mentre tra i boschi spesso si potevano incrociare i Paimon o persino una o due Banshee. Difficilmente un cacciatore medio si sarebbe messo all’opera con quel tipo di concorrenza.
Se Greg aveva accettato di accompagnarlo, quindi, era perché in città Nathan aveva la fama di avere catturato, tanti anni prima, un Monocero, per non parlare di quando aveva ucciso una Vuivre, l’anno precedente. Era forse il solo a non avere paura di quelle creature e, a dire il vero, tutti lo avevano quasi supplicato di uscire a caccia per rimpolpare un po’ le scorte di cibo. Senza contare che le pelli sarebbero state ben gradite al conciatore della valle, che ne avrebbe ricavato nuovi tessuti per i sarti, mentre il materiale di scarto sarebbe andato in pasto ai maiali o agli alchimisti delle città più vicine. In parole povere, tutti ci avrebbero guadagnato da quella battuta di caccia.
Consumarono la cena in relativo silenzio, scambiandosi poche opinioni sull’andamento della giornata e su come far fruttare al meglio quella successiva prima di doversene andare. Conclusero che l’ideale sarebbe stato spostarsi verso est, dove più probabilmente avrebbero trovato qualche cinghiale, e appena calò il buio decisero di andare a riposare.
- Okay, adesso l’ho sentito anch’io.- disse Greg, bloccato a metà del gesto di infilarsi nel sacco a pelo.
Nathan annuì lentamente, alzandosi in piedi senza fare rumore: stavano per mettersi a dormire quando un suono nuovo era giunto alle loro orecchie dal profondo del bosco, diverso da tutti quelli che avevano sentito fino a quel momento. Non era minaccioso, ma acuto e penetrante, solo vagamente ovattato dalla lontananza.
- Di sicuro, non è un passero stavolta.- decretò Nathan.
- Al di là del fatto che lo si capisce chiaramente… un giorno dovrai spiegarmi come fai a distinguere i suoni che altri nemmeno sentono.- brontolò l’amico, rimettendosi in spalla la balestra da caccia.
- Oh, sono le vibrazioni.- rispose lui, sbrigativo - Questo è un pianto, ad esempio. Uno umano.-
Prima che Greg potesse aggiungere qualcosa, Nathan era già scattato avanti, uscendo dal debole cerchio di luce del fuoco quasi totalmente spento. Udì a malapena il richiamo del compagno, seguendo le urla che si facevano più forti man mano che si avvicinava. Ogni secondo che passava, il timbro vocale diventava meno confuso… non era di un adulto.
C’è un neonato nel bosco!
- Nathan!- gridò Greg, da qualche parte dietro di lui.
Guidato dalle proprie orecchie, escluse la voce dell’amico e continuò a inseguire il pianto del piccolo, evitando i rami bassi e i tronchi degli alberi sulla sua strada; appena fu sicuro di essere abbastanza vicino si fermò per orientarsi meglio: non vedeva niente, ma era vicino… estremamente vicino, a pochi passi da lui, sicuramente.
Si inginocchiò a terra e tastò il terreno, seguendo le strida dell’infante finché le sue dita non trovarono qualcosa di diverso dalle radici sporgenti e la neve mista a polvere e legnetti: era un tessuto sottile, leggero e sbrindellato, forse un lenzuolo.
- Nathan, dannazione!-
- Sono qui! L’ho trovato!-
Prese il fagotto piangente tra le braccia con estrema cautela, sentendolo spaventosamente gelato: sicuramente il neonato non era lì da molto, se aveva ancora la forza di strillare in quel modo.
- Va tutto bene, coraggio…- mormorò, togliendosi la giacca e sostituendola all’inutile lenzuolo zuppo - Ora ci sono io. Ssssh… shhh…-
I passi pesanti di Greg preannunciarono il suo arrivo molto prima della luce della fiaccola che aveva acceso ridestando alla meglio i resti del fuoco di bivacco. Un alone luminoso rimbalzò tra le piante e la neve candida sotto di lui, mostrandogli il piccolo che aveva appena raccolto, la cui carnagione aveva già assunto un brutto colore bluastro. Ancora poco e sarebbe morto assiderato.
Doveva avere pochi mesi, e mentre lo avvolgeva nella giacca vide che era una bambina. Una chiazza biondiccia le cresceva sulla testa, e strepitava con tutte le proprie forze, disperata e infreddolita, forse anche spaventata e affamata, agitando i minuscoli pugnetti sopra di sé. Sulla sua fronte c’era una lunga cicatrice rosata e irregolare, leggermente sbilenca e impossibile da non notare. Vedendola ebbe un istante di esitazione, ma solo uno, prima di riprendere a sfregare dolcemente il suo minuscolo corpicino nel tentativo di scaldarla.
- Cosa… cos’è?- esclamò Greg, rallentando e guardandoli incredulo.
- Una bambina, Greg. Una bambina.- rispose quietamente lui, rialzandosi con la piccola tra le braccia - L’hanno abbandonata qui a morire.-
- Cosa?- fece lui, avvicinandosi di un paio di passi - Bastardi… come possono…-
All’improvviso smise di parlare, fissando la piccola e, in particolare, la cicatrice che aveva sulla fronte. La fiaccola gli tremolò tra le dita, e subito dopo fece un passo indietro.
- Nate…- disse.
- Lo so, Greg.- Nathan gli scoccò uno sguardo penetrante - E so cosa stai pensando. E la risposta è no.-
- Ma…-
- Ho detto di no. Non ho intenzione di lasciarla qui, né di ucciderla o di farle qualsiasi altra cosa.- rispose - Tornerà in città con noi.-
- Ma…-
- E se la cosa non ti sta bene, Greg…- continuò, imperterrito e fermo, mentre l’amico esitava ancora sotto il suo sguardo duro - … allora sappi che ho preso nota delle tue obiezioni. E sappi anche che, se proverai a impedirmelo, dovrai vedertela con me.-
Lasciò che le sue parole, calme ma chiare e dirette, sfumassero nell’aria, a differenza della minaccia nemmeno troppo velata che portavano con sé. Alla fine Greg distolse lo sguardo, leccandosi a disagio il labbro superiore.
- Nate… io… non so se è una buona idea… se lo si venisse a sapere…-
- Allora faremo in modo che non accada.- disse tranquillamente Nathan - La curerò io. La responsabilità sarà soltanto mia, d’accordo?-
Greg annuì senza guardarlo, la fronte lucida di sudore freddo.
- Mi sembra ancora una pessima idea.- disse - Nate… puoi fare il grande eroe finché ti pare, ma lo sai bene perché è stata mollata qui nel bosco. Dannazione, guardala… ha il Marchio! Il Marchio di Caino!-

Eeeehmm... sì. Lo devo ammettere: ho appena cominciato a scriverla, sono pronti solo pochi capitoli (quindi potrei una o due volte saltare l'inserimento, visto che voglio provare a riprendere il ritmo giornaliero, almeno per adesso), e la strada da fare per me è ancora lunga, in termini di avvenimenti. In ogni caso, spero di riuscire a tener duro quanto basta.
Orbene, vi saluto. A domani!

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Capitolo 2
*** Cap. 1: I Signori di Notte ***


Athena era una giovane quindicenne bionda, dai capelli un po’ ispidi e non molto lunghi, che la facevano somigliare vagamente a un porcospino giallo. Non era particolarmente alta (anzi, per la sua età era anche bassa), né tantomeno aveva una costituzione massiccia. Lei, personalmente, riteneva di essere sottosviluppata dal punto di vista fisico, convinzione rafforzata anche dalla piccola misura del seno, parte integrante dell’autostima di un’adolescente, un problema che Nathan, alla fine, aveva deciso di non affrontare più fino a quando non fosse cresciuta un po’: tutte le volte che cercava di parlarne con lei, difatti, Athena finiva sistematicamente col rabbuiarsi e deprimersi, nonostante risiedesse nella fronte il suo guaio più grosso. Tuttavia, abituata com'era a nascondere quel particolare dettaglio, tendeva a pensarci più raramente.
- Più alta la guardia!-
Riavendosi solo in quel momento dalla propria distrazione, Athena lanciò un flebile singulto e alzò di corsa la spada da allenamento, bloccando per un soffio il suo affondo. Purtroppo la postura compromessa le costò l’equilibrio, e dopo aver fermato la stoccata si sbilanciò all’indietro e scivolò a terra, battendo un forte colpo di natiche sul pavimento.
- Ahi!- esclamò in tono lagnoso la ragazzina. Si rialzò massaggiandosi il fondoschiena e gli scoccò uno sguardo da cucciolo bastonato - Mi hai fatto male…- brontolò.
Nathan sorrise con pazienza, appoggiando a terra la spada di legno per la punta come se fosse un bastone.
- Hai tenuto i piedi in posizione quasi parallela. Questo ti ha tolto equilibrio: più vicini sono i piedi tra loro e più è difficile mantenere la guardia quando si viene colpiti, tanto che basta un semplice colpetto per farti cadere.-
Athena sbuffò, sistemandosi meglio la fascia di stoffa che aveva legato attorno alla fronte per assorbire il sudore e tenere lontana la frangia dagli occhi.
- Lo so, me lo ripeti tutti i giorni.-
- Questo perché ripeti l’errore tutti i giorni, Scintilla.- spiegò lui in tono mite - Comunque, per oggi può bastare così. Vai a lavarti e poi vieni a mangiare.-
- Cucini tu stasera?- chiese Athena, mentre riponevano in una rastrelliera vicino alla porta scorrevole le spade di legno.
Nathan scosse la testa.
- No, oggi dovrai pensarci tu. Io ho alcune cose da fare prima di cena, ti raggiungerò più tardi.-
- Di cosa si tratta? Devi concordare un’altra battuta di caccia?-
Nathan scosse ancora la testa, scompigliandole i capelli, e si avviò lungo il corridoio.
- Faccende che richiedono un’attenzione particolare.- rispose lui - Sono i Signori di Notte.-
Athena si accigliò, arrossendo un poco.
- E dai, avevo cinque anni!- protestò - Perché devi sempre chiamarli così?-
Nathan si voltò, sorridendo.
- Perché sennò non saprei come chiamarli.- rispose, strizzandole l’occhio.
 
Athena guardò Nate allontanarsi ridacchiando, mantenendo l’espressione imbronciata finché non ebbe svoltato l’angolo, poi quando fu sparito sbuffò e si diresse verso il bagno.
Molti avrebbero trovato strano che dei cacciatori si esercitassero nella scherma, eppure quella era la routine, in casa di Nathan Clarke, e fin da quando aveva imparato a camminare anche lei aveva dovuto cominciare a seguirla: sveglia alle sei del mattino, colazione, un veloce riscaldamento per sciogliere i muscoli e svegliarsi del tutto, poi dritti sui libri fino all’ora di pranzo. Dopo mangiato pausa e allenamenti fisici, prima con gli esercizi e poi con le armi finte, più raramente quelle vere.
Che poi, le cose strane nella vita con lui erano davvero parecchie, tanto che ormai Athena ci aveva fatto definitivamente l’abitudine. Tanto per cominciare, non sembrava affatto un cacciatore, a guardarlo: aveva un fisico invidiabile, tonico e scattante, ed era ben alto, ma tendeva a radersi regolarmente e a tagliarsi i capelli anche a costo di farlo da solo, a differenza di molti suoi colleghi che, invece, trascuravano un po’ di più l’aspetto fisico (come il suo amico Greg, barbuto e irsuto come un orso). Proprio per questo motivo Athena non faceva che chiedersi come mai non fosse ancora sposato.
Inoltre teneva moltissimo all’aspetto culturale nella sua educazione, e sembrava prendersela di più per una sessione di studio mancata che per un allenamento saltato, e conservava non pochi libri in casa (una casa quasi troppo grande per loro due da soli), soprattutto nel suo studio. Era certa di una cosa, dopo tanti anni che viveva con lui: aveva i soldi, e parecchi, ma non venivano solo dalle sue attività come cacciatore, questo era impossibile. Di sicuro Nathan aveva altre fonti di reddito, e qualcosa le diceva che c’entravano i “Signori di Notte”, come si ostinava a chiamarli lui, ma ogni volta che provava a chiedergli chiarimenti si rifiutava di approfondire l’argomento.
Nate, sai essere frustrante, lo sai? Pensò, andando verso il bagno.
 
Nathan aprì la porta dello studio facendo scattare la serratura con cui la chiudeva sempre e intascò di nuovo la chiave, tirandosi dietro l’uscio. L’interno era immerso nella penombra, anche grazie alle tende scure che coprivano la portafinestra, e solo una fioca luce bluastra, dovuta soprattutto al fatto che era già il tramonto, illuminava le poltrone, le librerie e il resto del mobilio là dentro.
Due persone lo aspettavano in piedi in un angolo, silenziose e immobili come manichini, apparentemente indifferenti al fatto che fino a un momento prima quella stanza fosse chiusa a doppia mandata. Nathan gli sorrise facendogli un cenno e si sedette alla poltrona più vicina alla portafinestra, allungandosi verso il tavolino davanti a lui, su cui erano posati alcuni bicchieri e una bottiglia di Distillato di Rovo.
- Qualcuno ne vuole un sorso?- chiese, sollevando appena la bottiglia.
La più alta delle due figure scosse la testa, avvicinandosi a lui. Il mantello frusciò appena nella sua scia.
- No, ti ringrazio, Nathan.- rispose - Siamo a digiuno.-
- Anche io, ma ho appena terminato l’allenamento con Athena… come si evince dal mio odore.- sorrise Nathan - Un bicchiere prima di cena mi rinvigorirà.-
Versò una generosa dose di Distillato e si abbandonò contro lo schienale della poltrona, accavallando le gambe.
- Allora, Lucius… non mi presenti la signorina?-
Lucius sorrise appena, facendo fremere i lungi baffi neri, e fece un cenno all'altra persona che era con lui, che si avvicinò di un paio di passi e accennò a un breve inchino. I boccoli biondi tremolarono lievemente mentre abbassava il capo.
- Nathan Clarke, permettimi di presentarti la nostra nuova collaboratrice.- disse - Margareth Orwell, della contea di Wiskerdell.-
Nathan le fece un cenno col bicchiere, e la giovane sorrise imbarazzata, distogliendo lo sguardo.
- Non serve essere così timida, Margareth.- disse Nathan - Presentarsi a me è pura formalità. Tanto, senza offesa, domani mi sarò già dimenticato il tuo nome… non posso ricordarmi di tutti. Sarà Lucius a darti ordini per mio conto. Se vuoi aver paura di qualcuno, abbine di lui.- ridacchiò.
- A tale proposito, ho alcune cose da comunicarti.- disse l’uomo, ignorando la sua battuta e traendo da sotto il mantello una custodia di cuoio - Ci sono giunte numerose segnalazioni dai nostri informatori più fidati, e alcune di queste faccende richiedono, a mio parere, la nostra attenzione.-
- Lo immaginavo.- sospirò Nathan, sorseggiando il Distillato - Dai, sentiamo… di cosa si tratta?-
- Dunque…- disse Lucius, aprendo il cilindro ed estraendone alcune carte - Una grave tempesta si è abbattuta sulle coltivazioni di cereali a nordest, e successivamente una vuivre si è insediata da quelle parti. Attualmente, riteniamo che si trovi ancora lì. Questo ha causato una penuria di mercanzia nel Mercato Centrale a Shaka, dove i prezzi sono saliti vertiginosamente. Molte famiglie potrebbero non farcela a superare l’inverno.-
Nathan annuì lentamente, senza guardarlo, lo sguardo serio perso nel vuoto. Lucius continuò.
- Un’altra segnalazione riguarda una tribù di Drow che è entrata in conflitto con la vicina comunità umana per questioni territoriali. Attualmente i rapporti parlano di semplici tensioni, ma c’è il rischio che presto si giunga a uno spargimento di sangue.-
- Quali sarebbero queste “questioni territoriali”?-
- I pastori umani del luogo hanno erroneamente portato le greggi su un terreno a loro sacro di superficie, così i Drow sono usciti nottetempo e hanno massacrato una parte del bestiame. Mi sono preso la libertà di inviare un paio dei nostri a monitorare la cosa, ma attendono tue istruzioni.-
Nathan fece un cenno per fargli capire che approvava l’iniziativa e buttò giù un altro sorso.
- Molto bene.- disse - Altro?-
- Un incantatore è stato trovato morto nella sua bottega… ucciso, sembra.- riprese Lucius - Le indagini sono tutt’ora in corso. Poi ci è giunta una lettera piuttosto preoccupante da un informatore nel regno di Anik, e infine un marito geloso ha scatenato una rissa in una taverna due giorni fa ed è stato arrestato.-
Nathan scosse a testa.
- Mariti gelosi e incantatori morti non sono di nostra competenza.- osservò.
- L’uomo che è stato arrestato è il figlio di un vicario.- spiegò Lucius - Per questo hanno pensato che potesse interessarci. Quanto all’incantatore, si sospettava fosse coinvolto nel mercato nero e fosse dedito ad alcuni incantamenti illegali. Il corpo di guardia locale ritiene che possa essere stato un suo cliente scontento.-
- Ad ogni modo, non è roba nostra.- replicò Nathan, finendo il Distillato di Rovo nel bicchiere - A meno che non causi gravi problemi a livello politico o danni alla popolazione, e non mi sembra questo il caso. Piuttosto, dimmi della lettera.-
- Il sovrano di Anik si è smarrito durante una battuta di caccia.- spiegò immediatamente Lucius, senza neanche consultare gli appunti - Attualmente lo stanno ancora cercando, ma manca già da due giorni, e ogni minuto che passa la situazione si fa sempre più tesa. Egli era il principale, se non l’unico, sostenitore della pace tra il suo regno e il nostro paese. I ministri, al contrario, mirano da anni alle miniere d’argento a ovest e, se Re Huber non verrà ritrovato, a salire sul trono sarà suo figlio dodicenne Hicabod. Non è in grado di opporsi da solo ai ministri, è troppo giovane. Le cose potrebbero peggiorare in qualsiasi momento.-
Nathan si massaggiò pensieroso il mento, giocherellando col bicchiere vuoto.
- Manda qualcuno a uccidere o catturare la vuivre che ha attaccato i campi del nordest.- disse - E fai in modo che la camera di commercio entri in seduta per discutere una soluzione per la crisi dei cereali a Shaka. Vediamo di non far morire di fame nessuno, mi si rovinerebbe il Natale.-
Un accenno di risata si levò dalla gola di Margareth, che per tutto il tempo era rimasta silenziosamente in ascolto. Lucius le scoccò uno sguardo severo, mentre Nathan sorrise e le strizzò l’occhio.
- Quanto ai Drow, proponi una mediazione con i pastori e trova un punto d’incontro. Per quanto ne so, i terreni sacri sono solitamente cimiteri o luoghi di culto mistico, ma stavolta è un terreno di superficie, e nessun loro precetto è contrario al pascolo in zone esterne al sottosuolo, se questo viene autorizzato dal loro Consiglio Anziano. Si è trattato di un’incomprensione, probabilmente i paesani non sapevano che quello era il loro territorio.-
Lucius annuì, mettendo via gli appunti e la custodia di cuoio.
- Molto bene. E per il resto?-
- Manda subito qualcuno dei nostri a cercare Re Hubert, e fai insediare un consigliere fidato tra i ministri di Anik. Se il sovrano non salta fuori sarà suo figlio a dover prendere le decisioni, e non possiamo lasciarlo diventare un burattino nelle mani dei burocrati… serve qualcuno che lo protegga. E, già che ci siamo, chiedigli di indagare su questa loro smania di conquista: l’avidità è un’ottima scusa, ma non mi convince del tutto. Vogliono qualcos’altro oltre l’argento, e dobbiamo scoprire cos’è.-
Lucius annuì di nuovo.
- Me ne occuperò personalmente. Manderò i nostri uomini migliori.- promise - C’è altro che posso fare?-
- Puoi salutare Baba, Zoey e il Crociato, ma oltre a questo non credo ci sia altro.- sorrise Nathan - Io tornerò alla rocca la settimana prossima, appena sarà finita la Festa d’Autunno qui in città. Non mi fermerò a lungo, ma sarà un’occasione per vedere con i miei occhi come vanno le cose. È di Maxwell Asimov.- aggiunse.
Margareth sussultò, allontanandosi rapidamente dalla libreria. Il tomo che aveva estratto col dito scivolò a terra con un tonfo.
- Maxwell Asimov, Oltre l’umano, la scienza. Un saggio romanzato su come l’uomo possa evolversi solo attraverso il progresso scientifico e culturale. Scoprirai, leggendolo, che molti nostri precetti si basano su questo suo pensiero.-
Lucius raccolse il libro, scoccando un’occhiata critica a Margareth, e lo rimise al suo posto.
- Non so più quante volte ho letto questo romanzo.- disse, voltandosi verso Nathan - La protagonista si chiama “Athena”, giusto?-
Nathan gli strizzò  l’occhio.
- Già. Si chiama Athena.-

In seguito a diverse segnalazioni mi sono accorto di una cosa: ho sorvolato troppo. Prometto, quindi, che farò più attenzione, in futuro. Dopotutto, vi avevo avvertiti sui dubbi che avevo, no?
Altra cosa da dire, è che sto volutamente evitando un po' di descrizioni dei personaggi, e che finora mi sono limitato a Nathan e Athena: questo perché verranno quando saranno visti da occhi che non li conoscono, perché mi piace di più così, ecco.
In ogni caso, non posso che ringraziare i lettori che mi seguono, ovvero Ely79, LullabyMilla, FabTaurus, Lune91, Iryael e KuRaMa FaN, che mi seguono. E aggiungo anche che siete già parecchi, per qualcosa che ho iniziato solo ieri... grazie davvero, a domani!

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Capitolo 3
*** Cap. 2: I Figli di Caino ***


Athena Asimov versò nel proprio piatto una generosa porzione di minestra ai legumi in cui immerse qualche fetta di pane e, cucchiaio alla mano, cominciò a mangiare con voracità: l’allenamento di quella sera le aveva messo una gran fame, soprattutto per via del fatto che in quei giorni le sessioni di studio ed esercizio si erano fatte particolarmente intense. Questo era dovuto all’imminente partenza di Nate che ogni anno, dopo la Festa d’Autunno, partiva per qualche giorno verso una località nota solo a lui, e stava via almeno una o due settimane. A lei non era permesso seguirlo, e durante la sua assenza la tensione in casa saliva, dato che rimaneva da sola e doveva badare a se stessa senza il suo aiuto.
A questo pensiero si sentì vagamente abbattuta, come le accadeva sempre i quei momenti. Sospirando tristemente, posò un attimo il cucchiaio e si passò la mano sulla fronte, saggiando per l’ennesima volta con le dita il rilievo irregolare e vagamente ruvido che formava la sua cicatrice.
L’aveva fin da quando era nata, ed era l’altro (nonché principale) motivo della scarsa quantità di tempo che passava con persone della sua età, oltre alle intense lezioni di Nate: non poteva rischiare che qualcuno la vedesse. Nate le aveva spiegato molte volte quanto fosse importante nasconderla, arrivando a cucirle personalmente un particolare cappello di cuoio, dotato persino di una piccola visiera frontale, da indossare quando usciva di casa. Il Marchio di Caino non era ben visto dalla gente, e per quanto grande potesse essere il rispetto di cui godeva Nate in città, nessuno avrebbe tollerato la presenza di una Figlia di Caino tra le cosiddette “persone normali”.
Il motivo di tanta ostilità, come le aveva insegnato Nate, era la paura: paura di morire, di essere assaliti nel sonno o alle spalle, di essere uccisi da chi, come lei, portava quel segno sulla fronte.
È il destino di coloro che nascono con il Marchio di Caino, le aveva detto Nate tanto tempo prima, o almeno è quello che ritengono tutti, anche molti grandi pensatori. Non so dirti perché alcuni nascano con quella cicatrice, né come sia possibile che ciò avvenga: nessuno ha mai studiato da vicino uno di voi, sempre per il timore di essere ucciso. Se un Figlio di Caino dovesse essere scoperto mentre si aggira in un luogo civilizzato, il minimo che deve aspettarsi è l’esilio a vita. In casi più estremi… anche la morte.
Ma Nate non aveva paura. Non ne aveva mai avuta, almeno di lei, e non l’aveva mai trattata in modo diverso da come trattava chiunque altro, e forse persino meglio di tante persone che conosceva. L’aveva salvata quando si era imbattuto in lei nel bosco, l’aveva portata a casa, aveva convinto Greg a mantenere il segreto… si era sempre preso cura di lei, perché sapeva che non c’era nulla di cui aver paura. Lei non era cattiva. Non era un'assassina.
Io non voglio uccidere nessuno, pensò, ricominciando a mangiare.
 
Terminata la discussione con Lucius, Nathan aprì la portafinestra e uscì sulla veranda, inspirando a pieni polmoni l’aria fresca della sera. Ormai il sole era scomparso dal cielo, e l’intera volta celeste si era tinta di nero, punteggiata da stelle simili a migliaia di fuochi infinitamente distanti. A quell’ora nessuno era più in strada, e la città taceva quasi del tutto, mentre dalle finestre filtravano le luci delle lampade di chi ancora stava cenando, proiettando ombre tremolanti che, a intermittenza, oscuravano le finestre. Un cane abbaiò in lontananza per un secondo, e gli alberi del bosco vicino, lo stesso in cui quindici anni prima aveva trovato Athena, frusciavano sotto la carezza del vento.
Il Palazzo della Signoria, al centro della città, era stato decorato a festa con drappi e stendardi gialli, rossi e marroni, e così molti degli edifici più vicini o più importanti, e anche se col buio non si potevano distinguere i colori, durante le ore diurne era facile vedere l’autunno vestirli dalle tegole e i comignoli fin quasi al livello della strada. Tutto era pronto per la Festa d’Autunno, e già gli abitanti non stavano più nella pelle, dimentichi (di certo volutamente) che presto sarebbe arrivato l’inverno, e con esso quelle creature che durante l’estate solitamente si nascondevano o riposavano, rendendo più difficile il compito ai cacciatori come lui.
Lucius gli si avvicinò lentamente, insieme a Margareth, e guardò a sua volta la piccola città in procinto di addormentarsi, senza sorridere.
- Siete a buon punto con i preparativi.- osservò.
Nathan, al contrario, fece un mezzo sorriso.
- Il sindaco voleva che fosse tutto pronto il prima possibile. Non ama perdere tempo, non per questo genere di cose.-
Lucius annuì una volta, in modo quasi forzato, e si voltò verso Margareth.
- Vai a preparare i cavalli.- le ordinò asciutto - Preparali alla partenza, torniamo subito alla rocca per trasmettere gli ordini.-
La giovane annuì senza dire niente e lasciò la veranda, allontanandosi in silenzio nell’ombra.
- Mi sembra a posto.- dichiarò Nathan, seguendola con lo sguardo finché ne fu in grado.
Lucius fece una smorfia.
- Ha bisogno di un po’ di disciplina. D’altra parte, eccelle nell’arte del fioretto ed è una cultrice della letteratura d’autore. Ha anche scritto qualche poesia di proprio pugno, e non negherò di averne apprezzate una o due.-
- Non capita spesso di sentirti elogiare qualcuno, Lucius.- sorrise Nathan, dandogli una pacca sulla spalla - Stai forse invecchiando, amico mio?-
Finalmente l’uomo si sciolse in un breve sorriso, appoggiandosi con lui alla balaustra di legno.
- Può darsi.- concesse - Ma tu sembri invecchiare ben più velocemente di me, Nathan.-
- Ma va’?- chiese questi, in tono vago, mentre scrutava quietamente il cielo.
- Parlo della tua giovane protetta.-
- Lo so.- disse tranquillamente - Ti disturba la sua… “particolarità”.-
- Mi disturba di più il fatto che non disturbi te, a dire il vero.- rettificò l’amico, incupendosi - Lo sai cosa vuol dire essere come lei. Dimmene uno che sia sfuggito alla propria condizione.-
- Solo perché non ne conosco nessuno, non vuol dire che non ne esistano.- osservò pacatamente Nathan, sempre senza guardarlo.
- E cosa avverrà quando… se il tempo mi darà ragione?- sbottò Lucius, correggendosi dopo un istante di esitazione, anche se lo fece solo per rispetto verso di lui - Tu sei tu, ma questo non ti rende immortale. Quello che hanno fatto al tuo corpo in passato, per quanto terribile, ti avrà anche rafforzato ma…-
- Lucius, se dovessi morire potrai dirmi “te l’avevo detto”.- replicò senza sorridere Nathan, guardandolo finalmente nei suoi occhi scuri e furiosi - Ma fino ad allora, ti prego, fidati di me.-
Lucius sostenne il suo sguardo per un po’, ma alla fine si voltò da un’altra parte, rattristandosi.
- Io mi fido ciecamente di te, sempre.- disse - Ma questo non mi impedisce di preoccuparmi.-
- Lo so.- rispose lui - Tuttavia, Athena è una bravissima ragazza, e nutro molte speranze per il suo futuro. Un giorno farà grandi cose, ed è per questo che la sto preparando. Quando verrà il momento, voglio che sappia a cosa va incontro.-
Lucius aggrottò la fronte.
- Intendi presentarla ufficialmente?- chiese.
- Sì, ma non adesso, è ancora presto. Lo farò quando sarà più grande, per ora non è pronta.-
Lucius sospirò, allontanandosi dalla balaustra.
- Spero che tu sappia ciò che fai, amico mio.- disse - Perché nessuno può guardarti le spalle finché rimani qui, né sostituirti.-
Nathan gli rispose con l’ennesimo sorriso, guardandolo mentre scompariva nell’oscurità, il mantello nero che ondeggiava silenzioso alle sue spalle.
 
Nate la raggiunse quando ormai aveva già finito di cenare, mentre pompava l’acqua per lavare le stoviglie. Aveva ancora indosso gli abiti di prima, il che significava che non si era ancora potuto lavare, e sembrava vagamente affaticato.
- Come mai quella faccia?- gli chiese mentre si sedeva - Brutte notizie?-
Nate fece un cenno non compromettente con la spalla, avvicinando il tegame di minestra a sé.
- Sai che non posso raccontarti niente dei miei incontri con quelle persone, Athena.- le ricordò mentre si serviva.
- Non ti ho mica chiesto i dettagli, no?- osservò lei, accigliandosi - Dai, sono grande adesso… perché non mi puoi dire niente?-
- Perché è un segreto.- sorrise lui, strizzandole l’occhio - Ma forse un giorno potrò mettertene a parte.-
- Davvero?-
- Certo. Purché tu lavi anche il mio piatto mentre io vado a farmi un bagno, quando avrò finito di cenare.-
Mentre Nate mangiava, Athena si sedette di fronte a lui, continuando a passarsi un dito sulla cicatrice con fare pensieroso. Per un po’ non si parlarono, e l’unico suono fu quello di minestra trangugiata e pane masticato.
- Mi racconti di nuovo la storia?- chiese - Quella dei Figli di Caino.-
Nate aggrottò la fronte, deglutendo un grosso boccone di pane, e la guardò con vago stupore.
- La sai già a memoria.- osservò.
- Sì, ma mi piace sentirla da te.- rispose con semplicità lei.
Con un sospiro e un mezzo sorriso, Nate inghiottì un cucchiaio di minestra e cominciò a parlare:
- Bene… dunque, in un tempo così antico che nessuno ormai ricorda, quando ancora le città non esistevano e gli uomini compivano i primi passi su questo mondo regalato loro da Dio, c’erano due fratelli. Il maggiore si chiamava Caino, ed era un coltivatore. L’altro era invece Abele, più giovane di lui, ed era un pastore. I due fratelli erano visti dalle genti che abitavano lì vicino come l’esempio di amore familiare, di aiuto reciproco e di equilibrio: mentre uno cresceva il bestiame da cui venivano ricavate lane e carni, l’altro coltivava i campi con cui allevarli, e ai quali tornavano gli animali una volta morti. Tuttavia, un giorno i due fratelli ebbero un alterco. Nessuno può dire davvero cosa avvenne: qualcuno disse che era per ottenere il favore del genitore, qualcun altro per gelosia verso una donna, e altri per una semplice questione di ira del momento… tuttavia, quando la polvere si posò e le voci dei due si furono zittite, Abele giaceva a terra con una mortale ferita alla testa, e Caino incombeva su di lui stringendo tra le mani una pietra.-
Fece una pausa per bere un po’ d’acqua e proseguì, come se non si fosse mai interrotto.
- Fino a quel momento, la gente era sempre morta per la vecchiaia, o per incidente nella caccia o nel lavoro. Disgustato da questo atroce crimine, Dio punì quindi Caino per ciò che aveva fatto, marchiandolo in fronte e condannandolo a non trovare più un luogo da chiamare “casa”. Ma la maledizione, così si dice, fu molto più potente di quanto avesse previsto Dio stesso, e si ripercosse anche sulla sua discendenza, e in seguito su chiunque un giorno avesse macchiato le proprie mani di sangue. E fu così che nacquero i Figli di Caino.-
Terminata la storia, e anche di mangiare, Nate si alzò in piedi e si stiracchiò.
- Bene, ora vado a farmi un bagno.- annunciò - E smettila di pensare alla cicatrice, ti fa solo preoccupare. Un giorno le cose potrebbero anche cambiare.-
Athena annuì, alzandosi in piedi a sua volta.
- Lo so.- disse - Me lo dici sempre.-
Lui le regalò un altro sorriso e uscì dalla cucina, massaggiandosi il collo con una mano. Mentre lavava anche le sue stoviglie, Athena si chiese in silenzio quando, di preciso, le cose sarebbero cambiate.

Ed ecco che, finalmente, qualche interrogativo, almeno su Athena, viene risolto, per adesso. Questo probabilmente spiegherà anche ai più "anziani" tra voi lettori perché ho deciso di adottare il colore blu, che finora avevo riservato a "Il Viaggio della Salvezza" e a "La vera storia del Corvo e della Vampira Rossa" (non dico di più perché voglio che i lettori in questione ci arrivino da soli, gli altri sono liberi di chiedermelo se non vogliono pupparsi altre due long. Sì, sono cattivo, lo so).
Ringrazio Ely79, LullabyMilla, FabTaurus, Lune91, Iryael e KuRaMa FaN, che mi stanno seguendo già. Un salutone a tutti, al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Cap. 3: La Festa d'Autunno ***


Nei giorni successivi, l’intera città si mobilitò al massimo delle proprie risorse per ultimare i preparativi dell’imminente ricorrenza: bancarelle di dolci e frutta comparvero lungo la via principale, insieme a piccoli carretti improvvisati di svariati artigiani. Bambole, vestiti, ninnoli di metallo o pietre luccicanti si affacciarono nell’aria di settembre, e qualche mercante arrivò dalle località più vicine, sfidando i passi impervi della catena di Chaphan–haam o gli alberi del bosco lì attorno per vendere prodotti che, normalmente, arrivavano solo su ordinazione delle persone più benestanti.
Athena trovava coinvolgente quel periodo dell’anno, nonostante di solito tendesse a isolarsi dal resto della comunità per ridurre al minimo il rischio di essere scoperta: tutti apparivano felici e spensierati, indubbiamente più gentili di quanto lo fossero nella maggior parte delle occasioni, più allegri e disponibili. Era la Festa d’Autunno a fare loro questo effetto, con l’afflusso di visitatori, di denaro e di storie che giungevano dal mondo esterno alla cittadina, facendoli sentire parte di un posto molto più grande di quella semplice valle.
Aggirandosi per le strade con Nate e Greg e gustandosi una mela caramellata, la fronte protetta dagli sguardi altrui grazie al cappello, Athena si fermava quasi ad ogni bancarella, allungando il collo speranzosa nel capannello di gente che le circondava, sbirciando alla ricerca di un nuovo ninnolo straniero che potesse piacerle. Ogni tanto si voltava verso i suoi due accompagnatori, agitando una mano, per accertarsi di non perderli di vista, e tutte le volte Nate rispondeva con un sorriso e un gesto identico, imitato (anche se meno entusiasticamente) da Greg.
Quando lo scambio di cenni si ripeté per la terza volta, tuttavia, la ragazzina non poté non notare il cambiamento di Nate, che da un paio di giorni le sembrava strano: anche se davanti a lei si mostrava sempre lo stesso, appena voltava lo sguardo smetteva di sorridere, assumendo un’aria più cupa e pensierosa, come se ci fosse qualcosa che non andava. All’inizio aveva creduto che dipendesse dalla visita dei “Signori di Notte”, ma le date non coincidevano affatto. In fondo, si erano fatti vivi l’ultima volta quasi quattro giorni prima, mentre lui si era incupito più o meno alla vigilia della Festa d’Autunno, ovvero un paio di giorni dopo. E, più la ricorrenza si avvicinava, più i sintomi si facevano evidenti, nonostante cercasse in tutti i modi di non darlo a vedere.
Lo fissò per un momento, alla ricerca di ulteriori dettagli rivelatori, ma ormai si era già lanciato in una conversazione con Greg, e non la notò.
 
Nathan sospirò lentamente, affondando le mani nelle tasche dei calzoni, e diede un colpetto col piede a un sasso solitario sul selciato, facendolo rimbalzare un paio di volte lungo la strada. Greg, al suo fianco, gli diede leggermente di gomito, attirando la sua attenzione.
- Ehi, Nate?- lo chiamò - Cosa c’è? Ti vedo un po’ strano, oggi.-
Lui fece una smorfia, scrollando la spalla.
- Pensieri.- rispose semplicemente.
- C’entrano i tizi che sono venuti a trovarti l’altra notte?-
Nathan aggrottò la fronte. L’amico sorrise nella barba, assumendo un’aria innocente.
- Dai, lo sanno quasi tutti che della gente strana venuta da fuori ti viene a trovare ogni tanto dopo il tramonto. Cos’è, hai dei vizietti particolari, per caso?-
- Se era una battuta, sappi che non fa ridere.- ribatté pacatamente Nathan, anche se una nota gelida trasparì dalla sua voce - I miei accordi col sindaco in merito alle mie attività sono ben chiari: fornisco i miei servizi come cacciatore per la comunità e aiuto come posso i nostri concittadini, e in cambio non voglio domande in merito ai miei altri impegni, di qualsiasi natura essi siano. E, visto quanto mi prodigo ogni anno per tenere al sicuro la gente da cose come le Banshee o per fare arrivare carne fresca sul bancone del macellaio, immagino di poter pretendere un po’ di discrezione da parte vostra.-
- Su, su, scherzavo, andiamo…- disse in fretta Greg, scrollando la testa irsuta - Lo sai bene che puoi contare su di me, no? Mi sembra di essere stato molto discreto su… ehm… una certa persona… in questi ultimi anni, nonostante tutto.-
Nathan alzò di nuovo un sopracciglio.
- Scusa, Greg, ma i miei affari mi appartengono.- replicò - E di certe cose non parlo nemmeno con Athena. So bene quanto tu sia fidato, ma se non parlo c’è un buon motivo.-
Greg sospirò, scrollando le braccia.
- Come vuoi, mi stavo solo preoccupando per te. Libero di tenerti i tuoi segreti.-
Nathan scosse la testa, sorridendo con pazienza.
- Perdonami, Greg… è che ho ricevuto notizie inaspettate e pare che dovrò occuparmi di una certa cosa.-
- Da come lo dici, sembra che questa “cosa” sia alquanto spiacevole.-
Nathan si fermò, fissando Athena che sollevava estasiata una collana di pietre colorate da un banchetto.
- Spiacevole?- ripeté - Sì… temo che per qualcuno lo sarà.- ammise.
 
Un paio d’ore più tardi Greg si separò da loro per trattare con un mercante venuto da fuori l’acquisto di un nuovo coltello da caccia. Athena e Nate rimasero da soli per un po’, mentre il sole calava sempre più oltre le cime delle montagne, tingendo l’azzurro alle loro spalle di rosso e di viola. Per tutto il tempo, Nate parve assente, e continuò a lanciare occhiate al cielo come se si aspettasse di vedere qualche cambiamento improvviso. A un certo punto, Athena fu pronta a giurare che fosse addirittura agitato e nervoso.
- È tutto a posto?- gli chiese a un certo punto, seduta su una staccionata di legno, sbocconcellando un pezzo dolce.
Appoggiato al suo fianco, Nate inspirò profondamente, ad occhi chiusi, e per una volta non sorrise.
- Ho delle cose da fare, Scintilla.- rispose - Devo rientrare un momento a casa.-
- Te ne vai così presto?- brontolò delusa Athena.
- Come ho detto, devo occuparmi di alcune questioni urgenti. Ma tu non preoccuparti e divertiti, se ne avrò l’opportunità ti raggiungerò presto, d’accordo? E basta dolci, lo sai che ti fanno male.-
Finalmente le sorrise, dandole un buffetto sul braccio, e si allontanò dalla staccionata con un colpo di bacino. Ad Athena non sfuggì il breve brillio del coltello da caccia che teneva nella cinta.
E mentre lo guardava allontanarsi, provò una punta di apprensione: Nate non andava mai in giro armato quando stava in città. Perché si era portato un coltello, allora?
 
La festa andò avanti per molto tempo ancora, e mentre le lanterne venivano accese ad ogni angolo i saltimbanchi cominciarono ad esibirsi su palchetti più o meno improvvisati, e lunghe tavolate di cibarie furono allestite qua e là. Ognuno dei presenti si aggirava con un piatto tra le mani, masticando pezzi di carne arrosto, frutta e tozzi di pane, mentre si godeva gli spettacoli degli artisti di strada.
Athena fece del proprio meglio per fare come aveva detto Nate e, per un po’, riuscì a godersi anche senza di lui l’atmosfera della Festa d’Autunno, dimenticandosi i suoi dubbi e, per qualche istante, persino la presenza del Marchio sulla sua fronte. Fortunatamente i suoi concittadini erano ormai molto abituati a vederla a capo coperto, e nessuno si faceva domande in materia. Dopotutto, Nathan Clarke garantiva per lei sempre e comunque: nessuno avrebbe mai messo in dubbio le sue parole.
Si godette in quasi totale tranquillità il resto della serata, a eccezione dei momenti in cui si ritrovava a pensare a Nate e a ciò che stava facendo in quel preciso momento. Le sue ansie, tuttavia, non le impedirono di divertirsi e, soprattutto, di ignorare almeno in parte l’ordine di non mangiare altri dolci: prima che la serata potesse dirsi conclusa riuscì a mettere le mani su un pezzo di torta e su un’altra mela caramellata, con la quale terminò la propria cena.
Quando finalmente la giornata finì, Athena si avviò verso casa sorridendo, ormai dimentica di qualunque cosa riguardasse anche solo vagamente Nate, staccando grossi morsi dal proprio dolce, quasi saltellando lungo la strada sempre meno affollata. Lo zucchero ormai la stava mandando davvero in fibrillazione.
Qualcuno gridò qualcosa, forse un augurio a qualcuno, e un ragazzo corse verso il fondo della via così in fretta che per poco non la urtò.
- Ehi, attento!- esclamò, afferrandosi istintivamente il cappello per non perderlo.
Lui parve ignorarla e sparì dietro l’angolo, insieme ad altre due persone. Sorpresa e incuriosita, Athena affrettò il passo, mentre nuove grida, decisamente non di felicità ma piuttosto di allarme, risuonavano qua e là nelle strade. Un bagliore e una colonna di fumo catturarono la sua attenzione, e comprese che era scoppiato un incendio da qualche parte.
Oh no!
Cominciò a correre a sua volta, seguendo il flusso di persone che si affrettavano a portare aiuto, qualcuno trascinandosi dietro anche secchi pieni d’acqua. Il volume delle voci aumentò, e presto il crepitio delle fiamme si fece sentire in sottofondo.
Cosa può essere successo? Pensò.
Qualcuno doveva aver lasciato il camino acceso, o delle candele. Forse una lanterna era stata fissata male ed era caduta, appiccando il fuoco. Le possibilità erano tantissime. A preoccuparla davvero, tuttavia, fu il fatto che più andava avanti e più si rendeva conto di conoscere fin troppo bene quella strada.
Quando raggiunse finalmente il luogo del disastro, infatti, vide che ad andare a fuoco era proprio la casa dove viveva con Nate.

Eh beh, mi sa che ho saltato un giorno. Ma che volete, era il primo maggio, ho fatto festa anch'io...
Ringrazio come sempre 
Ely79, LullabyMilla, FabTaurus, Lune91, Iryael e KuRaMa FaN, che mi stanno seguendo, e aggiungo anche Shiho93, Kira16 e NemoTheNameless, vecchie conoscenze, e Wendy90, che hanno appena cominciato a seguire la storia. A presto!

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Capitolo 5
*** Cap. 4: La strada migliore ***


Le fiamme divampavano con poderosi ruggiti di impietosa ferocia, divorando il legno delle travi che sostenevano l’edificio e sgretolando le parti in muratura con il solo calore. Molte finestre erano già esplose per via della temperatura, e lingue infuocato lambivano quei tratti delle pareti come se cercassero di fuggire dalla casa, dirette verso il cielo. Mentre guardava attonita e terrorizzata la scena, con i dolci di quella sera che le pesavano improvvisamente nello stomaco, una parte del tetto crollò su se stessa, sparendo nelle profondità della casa e lasciando uscire altre fiamme.
Una folla sempre più grande si era riunita intorno al luogo del disastro, gridando e agitandosi. Due catene umane si passavano rapidamente i secchi d’acqua presi dal pozzo più vicino, e alcuni altri erano all’opera con coperte e stracci per soffocare i falò più esterni prima che bruciassero anche gli edifici vicini.
Athena sentì di tremare sempre più violentemente e, all’improvviso, si ritrovò appoggiata all’angolo della casa alla sua sinistra, senza nemmeno sapere come ci fosse finita.
Devo trovare Nate…
Il pensiero le rimbombò nella mente quasi d’istinto, e d’improvviso seppe cosa doveva fare. Si staccò dal muro, imponendosi un contegno, e cominciò ad avviarsi verso i soccorritori: Nate avrebbe senz’altro saputo spiegarle cos’era successo alla casa, come mai stava bruciando, e avrebbe trovato un rimedio per quella situazione.
- Athena!-
Sentendosi chiamare, Athena si fermò, guardandosi attorno. Le ci volle qualche secondo per individuare Greg, non molto lontano da lei. Tra le mani stringeva una coperta annerita e bruciacchiata, ed era sporco di fuliggine, oltre che scarmigliato. Doveva essere entrato pensando che in casa ci fosse qualcuno.
- Greg!- esclamò, correndogli incontro - Stai bene? Cos’è successo? Com’è scoppiato l’incendio?-
Greg non le rispose, limitandosi a fissarla. Le sue mani stringevano la coperta quasi convulsamente, strizzando via gli ultimi residui di acqua che il fuoco non era riuscito ad asciugare, i quali andarono a mescolarsi alla sporcizia formando piccole goccioline di liquido nerastro. Negli occhi aveva uno sguardo vuoto e distante, come se non la vedesse davvero… o come se invece la vedesse per la prima volta.
- Tu…- mormorò - Athena… perché?-
- Perché… cosa?- chiese lei, confusa.
- Perché l’hai fatto? Come hai potuto?- gridò Greg, gettando a terra la coperta e facendo improvvisamente un passo avanti.
Ora era arrabbiato, anzi, furioso. Senza preavviso l’afferrò per le spalle, stringendo talmente forte da farle male.
- Greg!- esclamò lei, spaventata - Lasciami… che stai facendo?-
- Perché?- gridò il cacciatore - Lui si fidava di te! COME HAI POTUTO FARLO? PERCHÉ HAI UCCISO NATHAN?-
- Io… Nathan… cosa? Gre…-
All’improvviso ogni suono divenne sordo, come se un rombo penetrante le avesse devastato le orecchie, lasciando solo una vaga vibrazione sui timpani. Le grida di Greg o il rumore della casa che bruciava persero ogni significato. Le sue labbra continuavano a muoversi, ma non riusciva nemmeno a sentirlo, né a ricordarsi perché ce l’aveva con lei, mentre realizzava un evento che, fino a quel momento, si era semplicemente rifiutata di considerare… che quell’incendio non avesse coinvolto solo la casa… che Nate fosse…
- Nate…-
- Non pronunciare il suo nome!- gridò Greg - Non devi dire il suo nome!-
Le sue mani salirono improvvisamente attorno alla sua gola, e la strinsero forte. Non riuscì più a respirare, e per quanto provasse ad allentarla la stretta non diminuì.
- Perché? Perché?- continuava a gridare Greg, gli occhi quasi fuori dalle orbite.
- Greg… non… riesco… respirare…-
Le cedettero le ginocchia e scivolò all’indietro sotto il suo peso, le forze che le venivano meno sempre più rapidamente.
- GREG!- gridò qualcuno.
Ci fu un gran tramestio, mentre numerose mani afferravano il cacciatore e lo tiravano indietro; almeno quattro uomini diversi dovettero combinare gli sforzi per liberarla, tra cui addirittura il Sindaco, accorso come molti altri per aiutare a spegnere l’incendio.
- LASCIATEMI!- gridava Greg, divincolandosi in tutti i modi.
- Smettila! Basta!- gridò il Sindaco, le guance carnose che tremolavano ad ogni parola - Cosa ti prende?-
Athena tossì, rotolando sul fianco con una mano sulla gola. Si rialzò barcollando e cominciò a correre, mentre alle sue spalle risuonavano le parole che più aveva temuto negli ultimi quindici anni della sua vita:
- È STATA LEI! ATHENA È UNA FIGLIA DI CAINO!-
 
Continuò a correre finché non uscì dalla città, ma la sua mente era altrove, lontana dall’azione che le sue gambe stavano faticosamente cercando di compiere, ignara della fatica o del fiato mozzo, del dolore alla gola, del bruciore al gomito che aveva sbattuto quando era caduta…
Nate è morto…
Quell’unico pensiero era tutto ciò che riecheggiava nella sua testa, e ad ogni passaggio era come una coltellata che scavava sempre più a fondo nella sua carne. Si sentiva malissimo, nemmeno si rendeva conto di cosa aveva intorno, aveva lo stomaco a pezzi. Non si accorse nemmeno di avere cominciato a piangere, ma quando le sue guance furono fradice non poté non rendersene conto.
All’improvviso cadde in ginocchio, e dopo appena un secondo vomitò più e più volte, riuscendo a malapena a riprendere aria prima di un nuovo conato, tremando come una foglia al vento. La testa le pulsava dolorosamente, gli occhi bruciavano, le sembrò di essere sul punto di rimettere anche le proprie interiora…
Quando finalmente il flusso si fermò, concedendole una pausa, riuscì a recuperare abbastanza lucidità da capire dove si trovava e da sentire grida e rumori ancora distanti che provenivano dalle case alle sue spalle: a furia di correre aveva raggiunto il bosco in cui tanto spesso si era avventurata per cacciare con…
- Nate…- gemette, tornando a chinare la testa.
Sentì le lacrime scorrere di nuovo, ma stavolta impose a se stessa di non cedere: doveva scappare, adesso.
Si rialzò asciugandosi furiosamente gli occhi, togliendosi il cappello, e richiamò alla memoria tutte le lezioni che Nate le aveva impartito nel corso degli anni. Non l’aveva costretta solo a leggere libri su libri, non l’aveva addestrata soltanto a combattere…
In quello stesso bosco, in casa o sulle montagne, Nate aveva più volte pensato a come avrebbe potuto salvarsi in simili situazioni, arrivando a illustrarle eventualità che, da sempre, Athena aveva sperato di non dover mai, mai affrontare in vita sua e che, adesso, si erano verificate tutte in una sola volta.
Un giorno qualcuno potrebbe scoprire il Marchio di Caino sulla tua fronte, Le aveva detto. E io potrei non essere presente per proteggerti. In quel caso sarai sola, completamente sola, e potrai contare soltanto sulle tue forze, Scintilla. Dovrai valutare le risorse a disposizione, i pericoli che dovrai affrontare e il numero di inseguitori.
L’intera città l’avrebbe inseguita sicuramente: il membro più importante e apprezzato dell’intera comunità era morto, e la colpa sarebbe di certo ricaduta su di lei. Sarebbe stato strano se si fossero mobilitati in pochi.
Ma perché proprio io? Pensò con rabbia. Perché sono una Figlia di Caino?
Come poteva Greg pensare questo di lei, dopo tutto quel tempo? Dopo tutti gli anni in cui era vissuta con loro, nella stessa città… aveva condiviso la casa con Nate, lui le aveva rimboccato le coperte quando era piccola, le aveva insegnato a leggere e scrivere, l’aveva costretta a prendere amarissimi decotti di erbe quando era malata… come avrebbe potuto ucciderlo?
Represse un nuovo moto di lacrime e si costrinse a pensare al da farsi: il bosco era fitto e pieno di nascondigli, e grazie a Nate ormai lo conosceva come se fosse casa sua (Casa è bruciata… le sussurrò una voce all’orecchio), persino meglio di cacciatori esperti come Greg, ma con l’inverno alle porte avrebbe rischiato di incontrare creature che avrebbe evitato più che volentieri: non era in grado di affrontare cose del genere da sola, e Nate le aveva ripetuto più volte di non rischiare inutilmente la vita, specie considerando il fatto che era disarmata.
Inoltre, se anche fosse riuscita ad attraversare indenne quella selva, dall’altro lato si sarebbe imbattuta in una vasta pianura senza troppi luoghi dove trovare riparo. Se invece avesse piegato verso nordovest sarebbe arrivata alla catena dei Chaphan–haam. Anche quelli erano pericolosi, ma una viaggiatrice solitaria li avrebbe attraversati più rapidamente di un nutrito gruppo di persone appesantite da armi e bagagli vari. E, una volta oltrepassate le montagne, si sarebbe potuta nascondere nella città immediatamente oltre, in cui sarebbe riuscita a procurarsi un cavallo e qualche equipaggiamento. E poi…
Devo sbrigarmi! Si disse. Non ho molto tempo!
Si voltò verso nordovest, rimettendosi il cappello, e cominciò a correre con un groppo in gola, imponendosi di non scoppiare di nuovo in lacrime e al tempo stesso cercando in ogni modo di non lasciare altre tracce che facilitassero gli inseguitori.

Perdonatemi per la lunga assenza, ma non avete idea del periodo che ho affrontato. Ieri, per la prima volta dopo giorni, sono riuscito ad accendere il computer, e ho potuto farlo solo la sera tardi, quando ero troppo stanco per fare qualsiasi cosa. Comunque, cercherò di non mancare più così a lungo (almeno finché non comincia l'estate, quando ricomincerò a lavorare... ma lì vedremo come regolarci).
Ringrazio 
Ely79, LullabyMilla, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael e KuRaMa FaN, che mi seguono. A presto!

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Capitolo 6
*** Cap. 5: Su per la montagna ***


Athena non si guardò indietro quando sentì gli schiamazzi di uomini e cani che battevano i sentieri del bosco, continuando a salire su per la montagna lungo le impervie vie non segnate che aveva imparato nel corso degli anni seguendo Nate praticamente ovunque in quella zona, anche per intere settimane. Nessuno conosceva quelle montagne come lui, e ormai Athena era l’unica persona vivente a non temere di perdersi lassù.
Proseguì per ore seguendo passaggi noti solo a lei, scivolando tra le rocce e seguendo costoni rocciosi sempre più sottili, camminando con estrema attenzione. Per due volte rischiò di scivolare, e perse il conto dei tagli che si fece alle mani o alle ginocchia mentre superava pietre particolarmente affilate. Presto si ritrovò a sanguinare, la tunica rotta in più punti per procurarsi bendaggi di fortuna quando si accorse di avere le mani completamente escoriate. Il freddo non le faceva quasi sentire il dolore, ma il sangue le aveva reso scivolose le dita, rendendole difficile l’arrampicata.
Devo fermarmi… decise dopo ore di fuga, stringendo alla meglio le strisce di stoffa attorno alle mani. Mi serve un posto per riposare.
Sbirciò con cautela i sentieri sotto di sé, dove gli inseguitori ancora la cercavano inutilmente: le loro torce sembravano tante lucciole agitate, le voci solo un mormorio indistinto, ed era difficile vedere chiaramente chi ci fosse nella folla. D’altra parte, nonostante il buio e la distanza, riuscì comunque a scorgere Greg, che apriva la strada come se avesse più fretta degli altri. O, più probabilmente, come se volesse trovarla a tutti i costi.
Ignorando la fitta che sentì nel petto all’idea che l’amico di tanti anni adesso fosse suo nemico, identificò anche il Sindaco Goddard immediatamente dietro di lui, un po’ sovrappeso e grigio. Da lassù, con quella torcia in mano, sembrava una candela rotonda. Anche lui lo conosceva da molto tempo, fin da quando alcuni anni prima era andato a trovare Nate per chiedergli un consiglio sui razionamenti delle provviste invernali, e quando l’aveva vista le aveva strizzato l’occhio e aveva mimato un gioco di prestigio facendole comparire una moneta di rame dall’orecchio. Quella volta le era sembrato un buffo uomo panciuto, e quando ogni tanto Nate aveva parlato di lui lo aveva sempre descritto come una persona buona, un po’ troppo attaccata al bilancio cittadino, forse, ma fondamentalmente corretta e degna di fiducia.
Riconobbe, anche se a stento, altre persone che conosceva, quasi tutti cacciatori; ma anche il fabbro Lionel Higghins, dal quale era spesso andata a ritirare frecce nuove, coltelli appena riparati e affilati, una spada a cui era stata cambiata l’elsa, svariati oggetti di casa fatti in metallo che richiedevano una manutenzione… e poi il fornaio, attempato e un po’ burbero, ma che teneva sempre da parte per lei e Nate un pacchetto di pane appena sfornato, croccante e profumato… e anche il dottor Turner, che una volta le aveva medicato un ginocchio sbucciato quando aveva cinque anni…
Tutti mi danno la caccia.
Le persone che fino al giorno prima la salutavano per strada, vedendola come la tenera trovatella accolta dal loro più amato e apprezzato concittadino, a cui riservavano solo sorrisi e comprensione per l’orribile sorte a cui i suoi genitori naturali l’avrebbero lasciata se non fosse stato per Nate, ora la consideravano solo una pericolosa fuggitiva assassina, una traditrice, una serpe in seno da schiacciare prima che mordesse di nuovo.
Fortunatamente non avrebbero mai trovato i sentieri che aveva usato lei per salire, e prima che potessero raggiungerla fin lì avrebbero perso molte ore, una volta spuntato il sole. Se avesse oltrepassato quel lato della montagna e si fosse trovata un posto per riposare, sarebbe stata non proprio al sicuro ma quasi: era buio pesto, e torce o non torce non avrebbero mai potuto seguirla di notte. Prima di arrampicarsi avrebbero atteso le prime luci dell’alba.
Ricominciò a procedere lungo l’impervio sentiero tra le pietre, sgusciando il più in fretta possibile oltre gli ostacoli, facendo del proprio meglio per non far cadere sassolini che avrebbero potuto segnalare la sua presenza.
 
Quando finalmente smise di scappare erano passate da tempo le due di notte, e il freddo si era fatto più intenso che mai: aveva le membra intirizzite, le mani a pezzi, era sudata fradicia e le facevano malissimo le gambe e i piedi. Non avrebbe mai potuto continuare, non senza prima essersi fermata un po’.
Scovò una rientranza tra le rocce, a malapena un buco nella parete della montagna; ci si accoccolò dentro, trovando un minimo di riparo dal vento, e si strinse le gambe contro il petto, cercando di scaldarsi. Non c’era legna lassù, e se anche ne avesse trovata non avrebbe mai osato accendere un fuoco, non con tante persone che la cercavano. Sarebbe stata costretta a tenere duro, almeno per qualche ora. Dormire era fuori discussione, lo avrebbe fatto solo con la luce del sole, quando fosse stato un po’ più caldo.
Mentre cercava di non congelare e di recuperare un po’ le forze, oltre che di tenere la propria mente concentrata, lontana dall’oceano di dolore che covava dentro, abbozzò un’idea su come procedere una volta lasciata la catena dei Chaphan–haam: lì intorno c’era qualche comunità di montanari, forse anche un rifugio per i viaggiatori dispersi, in cui si sarebbe potuta curare le ferite alle mani e riscaldare. Ancora oltre, raggiunto il versante settentrionale della cordigliera, c’era quasi certamente una città, una grande città in cui mescolarsi tra la folla e sparire. Da lì sarebbe potuta andare ovunque e… e ricominciare daccapo, in qualche modo.
Tuttavia, per quanto Nate le avesse insegnato bene, non si era mai spinta oltre un certo punto. Conosceva la strada per il rifugio più vicino, sempre che fosse veramente lì (l’ultima volta Nate si era limitato a indicarle la direzione da seguire, promettendole di portarcela alla loro uscita successiva, che mai avrebbero potuto fare, adesso), ma per il resto si sarebbe dovuta affidare all’intuito e all’istinto.
- Nate…- mormorò nelle proprie ginocchia, stringendole con più forza - Nate, perché sei morto?-
Greg era convinto che fosse stata lei a ucciderlo, quando invece aveva passato tutta la sera alla festa, come moltissimi altri. Ma il fatto che fosse una Figlia di Caino era sufficiente, per lui e per tutti gli altri paesani. Un mostro abbandonato nel bosco e cresciuto solo per uccidere il suo salvatore, senza neanche uno straccio di motivo. Solo una stupida cicatrice.
Inspirò a fondo per calmarsi e recuperò la lucidità, riflettendo su un dettaglio che fino a quel momento aveva dato per scontato: ucciso. Nate non era morto in un incendio accidentale, non si era trattato di una casualità. Qualcuno lo aveva assassinato. Per quanto potesse essere facile accusare una Figlia di Caino di una cosa del genere, per quanto Greg potesse essere sconvolto e furioso, difficilmente avrebbe tradito in quel modo la fiducia che Nate aveva riposto in lui accusandola di una tragica fatalità: qualcuno si era macchiato col sangue di Nate, e lei c’era andata di mezzo.
Questo significava che un assassino a piede libero, in effetti, c’era ancora.
Ma non sono io! pensò furiosa. Stanno dando la caccia alla persona sbagliata!
Purtroppo, non sarebbe mai potuta tornare indietro per indagare, per cercare indizi di qualche tipo… al momento, la situazione era troppo pericolosa. L’avrebbero uccisa a vista, o forse solo catturata e poi giustiziata, a seconda, ma di certo nessuno le avrebbe dato retta se avesse provato a difendersi. Se voleva scoprire chi era stato avrebbe dovuto seguire un’altra strada e, soprattutto, le serviva aiuto.
I Signori di Notte!
Chiunque fossero, quelle persone erano sempre state una presenza molto importante per Nate, che si rinchiudeva nel suo studio da solo con loro e ci rimaneva anche per delle ore a discutere. Un paio di volte aveva cercato di origliare, e anche se non era mai riuscita davvero a capire il senso dei loro discorsi, aveva colto parole come “rocca”, “Regione di Aehl” e “pochi giorni a cavallo”. Non un granché, ma forse era una traccia per riuscire a trovarli: se li avesse raggiunti avrebbe potuto scoprire qualcosa di più su di lui, dissipare almeno una parte del mistero che avvolgeva certi aspetti della sua vita e, con un po’ di fortuna, della sua morte. In ogni caso, le serviva di certo aiuto, e quegli oscuri sconosciuti erano i soli a cui potesse sperare di rivolgersi, in quella situazione.
Rinfrancata dal pensiero di avere un piano meglio definito, ricacciò per l’ennesima volta la disperazione in un angolo minuscolo della mente e si rialzò, riprendendo a camminare verso il luogo in cui Nate le aveva indicato di cercare rifugio.

Nuovo capitolo, nuovi propositi. C'è da dire che ho fatto due o tre pensierini in merito a certi dettagli della trama, che potrei anche decidere di modificare un po' rispetto al progetto originale. In ogni caso non credo che importi molto a nessuno, visto che il progetto originale lo conosco solamente io e che voialtri non avete la più pallida idea di cosa sta per succedere, quindi l'unico a cui tange sono io.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael e KuRaMa FaN, e infine anche King_Peter, che sono i lettori che mi stanno seguendo. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** Cap. 6: Promesse ***


Lucius si sedette alla scrivania del piccolo studio, abbandonandosi contro l’alto schienale della sedia, e strinse di nuovo tra le mani il biglietto appena arrivato. Un profondo moto di tristezza, delusione e, forse, una punta di disperazione, gli balenarono negli occhi mentre lo leggeva una seconda volta.
Il piccione che lo aveva portato fino alla Rocca aveva volato per tutta la notte e parte della mattinata, e onestamente non aveva ancora compreso da parte di chi provenisse: lui conosceva molto bene le identità segrete di ogni informatore, tuttavia non ce n’erano in quell’area, e Nathan Clarke era il solo contatto che avesse in città. Eppure, stando a quella lettera, Nathan era morto. Qualcuno lo aveva ucciso e poi aveva appiccato un incendio alla sua casa.
Nel messaggio c’erano tutti i dettagli, scritti nel codice che solo i loro contatti e accoliti conoscevano a memoria.
- Oh, Nathan…- mormorò, accartocciando il foglietto.
Sulle prime aveva pensato a uno scherzo, un pessimo scherzo dello stesso Nathan per burlarsi dei suoi timori e vendicarsi della scarsa fiducia che nutriva nella sua giovane protetta, ma conosceva bene l’amico che, per tanti anni, era stato un faro e una guida per tutti loro, e sapeva bene, in cuor suo, che quelle terribili notizie erano assolutamente veritiere: Nathan Clarke era morto.
A scrivere poteva essere stato chiunque, in fondo: forse Nathan aveva rivelato a qualcuno il codice e l’ubicazione della piccionaia in cui trovare il giusto messaggero, così da poter far sapere loro in tempo che gli era successo qualcosa. Dopotutto non era uno sprovveduto: quel suo amico cacciatore, Greg, si era già dimostrato degno di fiducia mantenendo il segreto su Athena Asimov, e il Sindaco Goddard sapeva che persone non meglio identificate (nella fattispecie lui e, talvolta, qualche sottoposto) andavano e venivano periodicamente per consultarsi con lui per discutere di affari segreti. Uno solo di loro due avrebbe potuto informarli dell’accaduto.
Quindi, a premere di più per lui, era l’effettiva gravità della cosa. E, soprattutto, la fuga dell’unica persona che avrebbe potuto avvicinarsi abbastanza per uccidere un uomo come Nathan Clarke.
Nessun altro ci sarebbe mai riuscito. Nemmeno io.
Nathan era stato accoltellato alle spalle, all’altezza dei reni, e la lama era penetrata abbastanza da perforare gli organi vitali. Non avrebbe mai offerto la schiena come bersaglio a un intruso… e nessun altro in città avrebbe avuto un motivo valido per fare una cosa del genere.
- I Figli di Caino seguiranno il destino del loro antenato.- mormorò, prendendo da un cassetto due bicchieri e portandoli al davanzale della finestra - Uccideranno e poi fuggiranno. E così sarà finché non verranno fermati.-
Prese dallo scaffale vicino una bottiglia di Distillato di Rovo e riempì entrambi i bicchieri, poi finì il proprio in due soli sorsi. Subito dopo sollevò l’altro e lo rovesciò fuori dalla finestra.
- Alla tua, amico mio.- disse - Prometto che andrò fino in fondo a questa storia.-
 
Athena si svegliò dal proprio giaciglio di rocce e sassi intirizzita e dolorante. Levò lo sguardo al cielo, e vide che era ancora presto, il sole stava ancora sorgendo. Sbadigliando e strofinandosi gli occhi, si rialzò in piedi a fatica, scrollandosi di dosso la stanchezza e la fatica accumulata nella fuga.
Non mi posso fermare, ancora.
Era quasi arrivata a destinazione, e probabilmente sarebbe riuscita a seminare definitivamente gli inseguitori entro mezzogiorno. Era più veloce di loro, e conosceva meglio quei sentieri, dopotutto.
- Athena?-
Sentendosi chiamare Athena si voltò di scatto, il cuore a mille, guardandosi freneticamente intorno. Temeva di vedere qualcuno, di essere già stata raggiunta nonostante il vantaggio accumulato, nonostante fosse stata così attenta, così rapida…
- Scintilla? Sono qui!-
Si voltò di nuovo, sentendo stavolta un’emozione differente sgorgarle dentro. Lo vide, sorridente come al solito, in fondo al sentiero, seduto su una roccia, a non più di una cinquantina di metri da lei. Nate era lì, illeso, sano… vivo. Illogicamente, irrazionalmente vivo.
- Nate!- gridò.
Cominciò a correre, slittando sulle pietre più piccole, e per poco non cadde a faccia in giù sul terreno duro, mentre si affrettava a raggiungerlo. Lui si alzò in piedi senza cambiare espressione, aprendo le braccia. E poi…
… poi, all’improvviso, un muro di fiamme si alzò tra loro, e Athena gridò di paura, sollevando le mani e indietreggiando così bruscamente da cadere all’indietro.
- Nate!-
Lui continuò a sorriderle, anche mentre il fuoco compariva lungo tutto il sentiero, mentre cominciava a lambirgli le gambe, a risalire su per i suoi vestiti…
 
- Nate!-
La coperta scivolò giù dal letto, atterrando con un morbido tonfo sul pavimento di assi della capanna, e Athena comprese di aver sognato.
Un sogno… solo un sogno…
Si passò le mani sulla faccia, trattenendo le lacrime.
Era stata una stupida a credere che fosse reale, anche se stava dormendo: era arrivata al rifugio verso le quattro di notte, una semplice costruzione di legno e pietra formata da un’unica stanza quadrata. Dentro c’erano un tavolo, un armadio, una piccola dispensa con un paio di provviste e un caminetto con la legna. Appena entrata si era fiondata a prendere le coperte e, chiusa la porta col saliscendi, non aveva esitato a infilarsi nel letto ancora imbozzolata nel fagotto in cui si era avvolta. Il letto si era rivelato abbastanza comodo, ma dopo quello che aveva passato c’era poco che non avrebbe trovato accogliente.
Schiarendosi la voce per allentare il nodo che le era rimasto in gola, Athena si alzò dal letto e aprì le imposte; il sole entrò di prepotenza nel rifugio, ma non particolarmente forte: aveva dormito poco, solo quattro ore al massimo. Il suo tempo non si era ancora esaurito.
Bene… posso farcela, allora!
Guardò nell’armadio, e trovò una tunica vecchia e scolorita ma integra, oltre che un mantello, lasciati sicuramente lì dal custode della baita. Non esitò a indossare la prima, sostituendo la propria, ormai sbrindellata, e tirò fuori il secondo. Mentre lo faceva, un oggetto duro cadde a terra, tintinnando appena: un coltello da caccia, non molto grande ma abbastanza affilato e resistente. Finalmente aveva trovato un’arma.
La prese e la soppesò, osservandola attentamente. Ne controllò il bilanciamento, saggiò il filo passandolo sulla sua vecchia tunica e, quando fu soddisfatta, lo infilò nella cinta dei calzoni.
Perfetto… è ora di andare.
Cercando di cancellare dalla mente quel sogno così vivido e ingannevole, raccolse tutte le provviste che riuscì a infilare nelle tasche del mantello e lasciò il rifugio, riprendendo il proprio cammino.
 
Da quel punto in poi, tutta la strada che avrebbe percorso sarebbe stata completamente nuova per lei, e quindi il suo vantaggio poteva dirsi azzerato, sotto quel punto di vista. Poteva solo sperare di prendere i sentieri meno impervi e di non incrociare Greg e gli altri prima di arrivare alla città più vicina.
Intorno a lei, qualche richiamo di animale riecheggiò tra le montagne della catena, insieme al verso assai meno rassicurante di una creatura più grossa di un semplice daino o di qualche uccello.
- Lindorm.- mormorò, mentre un’involontaria smorfia le increspava il volto.
Una volta, tanto tempo prima, Nate le aveva mostrato una di quelle creature. Era autunno, come quel giorno, e il Lindorm in questione era uno dei più grandi, uscito fuori stagione per preparare il territorio ad accogliere i piccoli nati durante l’estate. Lui non li aveva visti, ed erano stati tutto il tempo ad osservarlo: un lungo rettile vermiforme, dotato di quattro zampe e di due piccole ali appena sufficienti per consentirgli di planare. La bocca era grande e robusta, le mascelle abbastanza forti da permettergli di spezzare le pietre meno resistenti. Erano animali pericolosi, soprattutto per cacciatori solitari, ma a lei era sembrato solo una specie di vermone un po’ goffo, che si muoveva lentamente e scivolava sulle pietre più piccole.
Lei però non era lenta, goffa o sprovveduta: si sarebbe tenuta alla larga da quei bestioni, e se anche l’avessero scoperta si sarebbe comportata di conseguenza.
Non posso avere paura. pensò, scalando un macigno che bloccava la strada. Ora sono da sola. Posso contare solo sulle mie forze. È mia responsabilità badare a me.
Nate non poteva più aiutarla, ormai. Nessuno avrebbe potuto farlo, e prima lo avesse capito meglio sarebbe stato per lei: doveva essere forte, o nessuno avrebbe mai potuto scoprire la verità sulla morte di Nathan Clarke.
Prometto che andrò fino in fondo a questa storia. promise, fermandosi a osservare dall’alto la città a fondovalle.

Sapete, non avevo idea di come intitolare questo capitolo finché non l'ho finito. Succede sempre più spesso, a dire il vero...
Ringrazio 
Ely79, LullabyMilla, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN e King_Peter, i lettori che seguono la storia. A presto!

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Capitolo 8
*** Cap. 7: Nuovi ordini ***


Messi via i bicchieri, Lucius aprì un altro cassetto e ne trasse un lucido piatto d’argento, così liscio che lo si sarebbe potuto scambiare per uno specchio. Lungo il bordo erano incisi due simboli, ripetuti alternativamente, che formavano un anello perfetto. Erano rune, e solo un bravo incantatore avrebbe saputo riprodurle correttamente: lui aveva una discreta infarinatura in materia, ma non sarebbe mai stato capace di creare un oggetto come quello, né di infondergli un qualsiasi tipo di capacità, neanche ricopiando con esattezza quelle rune. L’arte dell’incantamento era una disciplina oscura e misteriosa, a cui pochi avevano accesso. Fortuna voleva che, tra le loro fila, ci fossero persone come Baba dotati della giusta abilità.
Prese una piuma d’aquila e, senza intingerla nell’inchiostro, pose la punta sulla superficie del piatto, cominciando a scrivere. Le parole comparvero ugualmente, in una scia luminosa che brillava pochi secondi prima di scomparire.
Miei cari amici e fratelli, ci troviamo all’alba di un triste giorno, e mio malgrado devo farmi latore di notizie molto spiacevoli. Ieri notte, poco dopo le undici, è avvenuta una terribile tragedia: Nathan Clarke, nostra guida da molti anni, ha perso la vita nella propria abitazione.
Qui s’interruppe per lasciare il tempo alle parole di cancellarsi da sole e, anche, per avere modo di riprendere fiato.
Stando alle informazioni attualmente in mio possesso, è stato assalito alle spalle e pugnalato. Successivamente, la sua casa è stata bruciata, con lui ancora al suo interno. Le nostre fonti mi dicono che un messaggio è stato inciso sulle pareti poco prima che ciò avvenisse.
Fece un’altra pausa, ad occhi chiusi. Rivide le parole balenargli all’interno delle palpebre, vivide come se le avesse avute davanti personalmente.
I Figli di Caino seguiranno il proprio percorso. Così è dai tempi antichi e così sarà fino alla fine dei tempi.
- Già… fino alla fine dei tempi…- mormorò, mentre lo scriveva.
Già da quindici anni Nathan allevava da solo una giovane di nome Athena Asimov, dopo averla raccolta nel bosco, abbandonata alla nascita perché venuta al mondo con il Marchio di Caino sulla fronte. Egli aveva sempre creduto che questo destino potesse essere cambiato, e ne ha pagato lo scotto. Nostro compito, quindi, è trovare la ragazza prima che lo facciano altri, e scoprire la verità. So che Nathan vorrebbe che avesse un giusto processo, ed è ciò che faremo. Vi chiedo quindi di trattenere la sete di vendetta e di portarla alla Rocca viva e, possibilmente, in salute. Tale ordine è diretto a tutti i nostri accoliti, meno quelli impegnati nelle questioni più pressanti.
Per un attimo pensò di terminare il messaggio in qualche modo, con qualche frase di augurio o di fiducia. Purtroppo non gli sovvenne nulla, e lasciò le lettere sfumare nel piatto, dirette a tutti i membri. Sospirando, lo mise via poco dopo, prendendo atto solo in quel momento di essere appena diventato il Facente Funzione.
 
Athena mise male un piede mentre scendeva e, rimbalzando sui sassi col fondoschiena, raggiunse l’ultima curva del sentiero, battendo i denti quando atterrò per l’ultima volta.
- Ahia!- esclamò.
Con un gemito si tirò su, massaggiandosi le cosce e i gutei indolenziti, poi gettò uno sguardo alle sue spalle: ormai il rifugio era scomparso da ore, e poteva quasi considerarsi al sicuro, dopo tutta la strada che aveva fatto. Escludendo le soste, era quasi riuscita a raggiungere l’altro versante della catena nel giro di dieci ore circa, un’impresa che i suoi inseguitori non avrebbero potuto eguagliare tanto facilmente. Dopotutto, non erano a conoscenza di quelle strade quanto lei, e con ogni probabilità erano ancora a metà strada per la vetta. Se anche avessero trovato qualche sua traccia, ormai non avrebbero fatto in tempo a raggiungerla prima che sparisse definitivamente dal loro raggio d’azione.
Si risistemò il mantello sulle spalle e si accertò di avere ancora il coltello, riprendendo a scendere: in capo a un paio d’ore al massimo si sarebbe ritrovata in città.
E avrò veramente bisogno di questo… pensò, giocherellando con la visiera del cappello.
 
Margareth Orwell si sciacquò la faccia in una pozza poco distante dal luogo in cui aveva legato il cavallo, traendo dei respiri profondi per calmarsi e recuperare compostezza, ancora sconvolta dalle notizie appena ricevute. Quando riaprì le palpebre, vide il proprio riflesso fissarla con occhi resi enormi dall’emozione che ancora si trascinava dentro di lei. Il suo sguardo di cristallo tremò per un secondo al pensiero della morte di Nathan Clarke, ma non versò lacrime. L’unico liquido che scorreva lungo la sua pelle chiara era l’acqua con cui si era bagnata; presto le gocce raggiunsero il collo, dandole brividi di freddo, e s’insinuarono nel colletto dell’abito che indossava, dando l’illusione che il blu notte fosse picchiettato di nero.
Non aveva conosciuto Nathan Clarke bene quanto Lucius Alten, che fino a quando non fosse stato nominato il suo successore sarebbe stato il Facente Funzione, e lo aveva visto solo quella volta circa una settimana prima, a casa sua, la stessa casa in cui era morto. Tuttavia, non poteva fare a meno di provare un discreto turbamento: aveva visto il luogo in cui si era consumata la tragedia, c’era stata e aveva avuto la sua assassina a non più di venti o trenta metri di distanza, appena dall’altro lato dell’abitazione. Forse era un pensiero sciocco e irrazionale, ma dentro di sé sentiva di essere colpevole per non aver fatto qualcosa che impedisse la sua morte. E Lucius, che era suo amico da molto tempo, probabilmente doveva stare persino peggio.
- Ehi? Ragazza di Ghiaccio? Che ti prende?-
La voce del ladruncolo che era con lei la riscosse all’improvviso: si era completamente scordata della sua presenza da quando aveva ricevuto il messaggio.
Si rialzò in piedi facendo scricchiolare appena le suole degli stivali neri che le fasciavano i polpacci e scosse la gonna dell’abito per pulirla dalla polvere, voltandosi verso il piccolo ometto semicalvo che aveva catturato la sera prima. Ripensando a come lo aveva braccato, intrappolato e infine preso (il tutto con una certa facilità, peraltro) si sentì quasi umiliata: essendo entrata da poco, ed anche in qualità di membro più giovane, le era stato affidato il semplicissimo incarico di acciuffare un uomo che da mesi tormentava le chiese della regione rubando candelieri, offerte, ostensori e statuette sacre. Probabilmente un puro e semplice test, una cosa di poco conto che tuttavia rientrava ugualmente nelle competenze del gruppo. E che, davanti all’ordine appena ricevuto e alle notizie che le erano arrivate, perdeva ogni importanza.
Si avvicinò con passi rapidi al cavallo, ignorando il suo sguardo a metà tra lo spaventato e l’incuriosito, e prese uno stiletto dalla bisaccia.
- Ehi, ma che intenzioni hai?- esclamò l’uomo, agitandosi nel tentativo di alzarsi in piedi e cercando invano di allontanarsi dall’animale, al quale era legato per i polsi.
- Sta fermo.- ordinò seccamente Margareth, calando la piccola lama sulla corda - Mi è appena arrivato un messaggio urgente. Non ho più tempo per te, ho una cosa estremamente importante da fare, e voglio da te un’informazione.-
- Informazione? Che informazione?- borbottò confuso il ladro, i cui occhi scattavano alternativamente dalla mano in cui lei stringeva ancora l’arma a quella in cui, invece, teneva ben saldo il capo della fune che ancora gli bloccava i polsi.
- Sulla vicina catena dei Chaphan–haam.- rispose lei - Ci sei mai stato?-
- Eh? Oh sì, sì… un sacco di volte, mi ci nascondo spessissimo nella bella stagione, eh sì… lì non ti trova nessuno se sai muoverti, ci sono strade che conoscono pochi, sai…-
- Bene.- tagliò corto lei - E tu sei tra questi?-
- Oh, certo, certo, eh…- annuì freneticamente l’ometto, chiaramente ansioso di darle ciò che voleva, sicuramente nella speranza di vederla sparire presto - Ma mica vorrai che ti ci porti io, eh? No, perché inizia a fare freddo, i Lindorm stanno uscendo dal leta…-
- Non voglio andare fin lassù!- sbottò Margareth, cominciando a spazientirsi - Voglio sapere cosa farebbe della feccia come te se dovesse abbandonare il villaggio in fondo alla valle in fretta e furia.-
- Che? Il villaggio in fondo alla valle?- ripeté lui - Tesoruccio, da quelle parti c’è quel Clarke! Non ci va nessuno a fare casino lì!-
Margareth strinse gli occhi in uno sguardo tagliente. L’uomo deglutì.
- D’accordo, d’accordo!- disse - Beh, se io volessi scappare da lì di corsa e dovessi passare per i Chaphan credo che sceglierei la città sull’altro versante… comesichiama… Drona! Sì, ecco… da lì poi prenderei un cava…-
- E quanto dista da qui?-
- Eh? Ah, non molto, mezza gio…-
- Perfetto.- lo interruppe Margareth, legando la fune all’albero dove era attaccato il cavallo e prendendo da una bisaccia un oggetto che somigliava molto a un timbro per la ceralacca - Tu resta qui, adesso.- continuò, premendo l’oggetto sul nodo. Una runa si impresse sulla corda per qualche istante, emettendo una tenue luce fredda e poi scomparendo - E non cercare di scioglierlo, tanto sai che non ci riusciresti.-
- Ehi, ma che fai, ragazzina, mi lasci qui?- protestò furioso il ladro, mentre Margareth montava a cavallo.
- Precisamente.-
- Ma ti ho aiutata! Ti ho detto quello che volevi sapere! Dicevi che non avevi più tempo per me!-
- Ho detto di non avere più tempo per te, non che ti avrei lasciato andare. Rilassati, manderò qualcuno a prenderti appena raggiungerò Drona.-
- E io che faccio nel frattempo? Conto i bastoncini?-
- Buona idea.- replicò Margareth, mentre il cavallo si allontanava da lui - Comincia pure. Fammi sapere a quanto arrivi.-
Poi spronò l’animale e partì al trotto.

Dopo alcuni giorni di assenza (dovute alle mie condizioni fisiche non proprio al top) ritorno con un nuovo capitolo. Presto cominceremo a ingranare un po' di più.
Ringrazio 
Ely79, LullabyMilla, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN e King_Peter, che mi seguono, e anche Jasmine1996, che ha appena iniziato. A presto!

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Capitolo 9
*** Cap. 8: Duello alla pari ***


Athena scivolò sotto le bancarelle del mercato con appena un guizzo del mantello, non vista grazie all’ingente quantità di persone che affollava la via. Sbirciando attraverso la stoffa che copriva il banco del fruttivendolo, individuò molte possibili prede tra gli ignari passanti.
Entrare in città non era stato difficile: le guardie al fianco dei cancelli non erano minimamente in allerta, e nessuno stava cercando possibili Figli di Caino tra i mercanti e i contadini o i semplici viaggiatori. Una volta entro la cinta muraria, però, aveva dovuto cominciare a nascondersi, a guardarsi le spalle, a non dare nell’occhio.
Se dovessi uscire dalla valle senza di me, comportati come se fossi in pericolo. le aveva raccomandato Nate. Perché probabilmente lo sarai davvero, in quel caso. Coprirti il capo funzionerà fino a un certo punto: in molti girano con drappi, cappelli, cappucci ed elmi, tra le persone normali, ma basterà destare il minimo sospetto per spingere una guardia a chiederti di mostrare la fronte. Comportati quindi nel modo più normale possibile, se puoi. E se dovessi essere costretta… ruba.
Per tutto il tempo in cui aveva camminato per le strade di Drona (il nome lo aveva appreso per caso, ascoltando una conversazione altrui) non era minimamente riuscita a godersi la visita alla nuova città. Non era mai uscita dalla valle, non si era mai spinta così lontana da casa, e spesso si era chiesta cosa ci fosse oltre le montagne o il bosco, ma ora che aveva la possibilità di espandere i propri orizzonti non sentiva più quell’interesse. Dentro di sé covava troppa tensione, troppo terrore, e anche troppa tristezza, perché quel luogo polveroso, fatto di vicoli e di edifici squallidi, potesse incuriosirla davvero. Forse, in futuro, le cose sarebbero cambiate, ma per il momento non era abbastanza padrona della situazione per sentirsi a proprio agio.
Specie considerando il fatto che, adesso, doveva derubare qualcuno.
Ci aveva riflettuto molto a lungo nel corso della giornata, mentre raccoglieva le informazioni che le servivano per proseguire il viaggio, e quello era l’unico modo in cui avrebbe potuto procurarsi rapidamente dei soldi. O meglio, l’unico modo dignitoso… le alternative, quali che fossero, al momento le apparivano tutt’altro che allettanti. Soprattutto quelle che prevedevano di stare senza vestiti. E i soldi le servivano, davvero: anche i cavalli potevano essere rubati, e pure le provviste, ma le armi no. Nessun fabbro o armaiolo le avrebbe mai rese di facile accesso, e a lei serviva decisamente qualcosa di meglio di quell’inutile coltellino lungo sì e no cinque centimetri.
Adocchiato il diversivo adatto, un uomo grasso e vestito meglio di molte altre persone, che camminava tutto impettito con una donna molto più giovane e magra di lui al fianco, estrasse la piccola lama; spostò rapidamente lo sguardo sul servitore, che seguiva lui e la donna appena mezzo passo più indietro, e trasse un profondo respiro per calmarsi: un conto era cacciare gli animali, un altro era cacciare le persone.
Preso a due mani il coraggio, spiccò una rapida corsa tra la folla, sgusciando tra la gente senza mai sfiorare nessuno. Era solo una delle tante figure che correvano qua e là, come i messaggeri dei mercanti più ricchi o i garzoni che sbrigavano le commissioni al posto dei loro padroni. Passò alle spalle del servo e con un rapido guizzo del coltello recise la cinta dei suoi calzoni, i quali scivolarono a terra dopo pochi istanti; mentre quello abbassava lo sguardo, ancora intento a realizzare quanto appena accaduto, le risate scoppiarono tutto intorno a loro, e Athena si confuse in mezzo agli spettatori più vicini; il ricco padrone del servo, accortosi dell’accaduto, guardò il povero malcapitato con espressione torva e cominciò a sbraitare, mentre lui, in completo imbarazzo, cercava di tenersi su alla meglio i calzoni e al tempo stesso di farsi quanto più piccolo possibile sotto l’ira del proprio signore. La donna, per parte sua, si limitò a indietreggiare in silenzio, come se quella scena non la riguardasse, e presto arrivò a distogliere lo sguardo, assumendo un’espressione seccata.
Mentre l’attenzione di tutti era calamitata sull’uomo grasso che urlava e sul suo sfortunato servitore, Athena alleggerì quattro persone diverse dei rispettivi portamonete, scegliendo quelli più gonfi e promettenti, e poi si dileguò all’interno di un vicolo, dirigendosi il più lontano possibile dal luogo del misfatto, mentre il cuore le batteva con una rapidità inaudita: si sentiva carica, esaltata, quasi invincibile, in quel preciso momento. Come se non ci fosse nulla che non potesse fare, se solo l’avesse voluto.
Ma era l’eccitazione del momento, un furore passeggero che l’avrebbe abbandonata presto. Nate l’aveva avvertita di non affidarsi a simili emozioni, se e quando si fosse trovata a provarle: l’avrebbero solo messa in pericolo.
Quando fu abbastanza lontana da potersi sentire al sicuro, Athena si fermò per riprendere fiato, ancora all’interno dell’intrico di vicoli che formavano i sobborghi di Drona. La strada in cui era finita era circondata dalle mura di alti edifici senza quasi alcuna finestra, e le poche porte che si aprivano attorno a lei erano chiuse e silenziose. Difficilmente sarebbe stata disturbata.
Bene… posso restare qui, allora…
Scelse un punto qualsiasi tra una vecchia cassa di legno mezza rotta e un carretto fatiscente e si sedette, rovesciando il bottino tra le proprie gambe incrociate. Alcune monete tintinnarono sul selciato, rivelandole che aveva abbastanza denaro, adesso, da potersi permettere una spada e, forse, un pugnale decente, a seconda della qualità e dei prezzi dell’artigiano a cui si fosse rivolta.
Beh, almeno non sarò messa così male, in caso di bisogno.
Raccolse di nuovo le monete e le infilò in un’unica borsa di pelle, che nascose con cura sotto le vesti. Mentre si muoveva sentì un suono di passi lenti avvicinarsi, di qualcuno che si dirigeva sicuramente verso di lei e non faceva nulla per nascondere la sua avanzata. Ben presto, da una via laterale poco più avanti uscì una persona, e quella persona la stava guardando.
 
Era una ragazza poco più alta di lei dai lunghi capelli biondi che, arricciati in grandi boccoli, si erano accorciati fino ad arrivarle alle spalle. Probabilmente, se fossero stati lisci avrebbero superato la metà superiore della sua schiena.
Era magra e slanciata, di aspetto gradevole, e indossava un sontuoso quanto insolito vestito blu la cui gonna, ampia e comoda, le arrivava poco sotto il ginocchio. Ai piedi calzava stivali neri che sparivano oltre l’orlo dell’abito, e allacciata alla vita aveva una spada lunga e molto sottile, dalla guardia formata da una calotta di metallo emisferica. Era un fioretto.
Curiosa, Athena la osservò mentre avanzava con calma verso di lei, e seppe subito che quella ragazza, apparentemente più grande di lei, così elegante nelle movenze e nel portamento, pulita, dall’aspetto puro e sofisticato nonostante il suo abito fosse tanto corto e sconveniente per una persona di aspetto tanto aristocratico, non era lì per caso.
La ragazza si fermò a dieci passi di distanza da lei, e fissò gli occhi chiari come il cristallo nei suoi. La sua mano destra afferrò saldamente l’impugnatura dell’arma, senza sfilarla.
- Athena Asimov.- disse - Sei tu, dico bene?-
Athena esitò. Poi annuì lentamente.
- Tu conoscevi Nate, vero?- le chiese.
- Nathan Clarke.- corresse la ragazza - In seguito alla sua morte abbiamo ricevuto l’ordine di catturarti. Non opporre resistenza e nessuno si farà male. Posso garantirti un equo processo e…-
- Equo processo?- ripeté Athena, aggrottando la fronte - Equo… processo?-
Afferrò il cappello, senza pensare, e se lo strappò di dosso. Lo sguardo della ragazza fu immediatamente calamitato dallo sfregio che le attraversava la fronte, e la vide fremere per un istante, come se fosse stata sul punto di indietreggiare ma si fosse trattenuta all’ultimo.
- Già.- disse Athena, furiosa - Questo mi garantirà un equo processo, proprio come dici tu. Tu, che hai paura solo a vedere la mia cicatrice. E scommetto che non servirà a nulla dirti che non ho fatto niente!- esclamò, rimettendosi con rabbia il cappello.
Finalmente la sconosciuta riuscì a guardarla di nuovo, e non mostrò né imbarazzo né timore.
- Ti faccio le mie scuse. Una reazione involontaria.- disse, anche se in tono vagamente gelido - In ogni caso, ho ricevuto l’ordine di scortarti e di condurti viva e in salute a…-
- Tieni per te i tuoi ordini!- sbottò Athena, preparandosi a correre - Ho capito dove vuoi portarmi, ma ci verrò alle mie regole. Non alle tue!-
Detto questo, si voltò e corse nella direzione da cui era venuta; i passi della ragazza non tardarono a farsi sentire, e con un tuffo al cuore comprese dopo poco tempo che stava guadagnando terreno.
Devo togliermela di torno!
Svoltò in una via laterale si fermò appena dietro l’angolo, giungendo le mani e stendendo entrambe le braccia. Appena vide l’orlo della veste blu fare capolino da dietro l’edificio scattò con tutte le proprie forze, colpendo al petto la ragazza con una tale mazzata da toglierle il fiato. La sentì boccheggiare mentre cadeva indietro, e prima che potesse rialzarsi ricominciò a correre; fece sì e no mezzo passo, comunque, e poi cadde a sua volta, a faccia in giù: la sua avversaria si era mossa più in fretta del previsto, afferrandola per le caviglie. Athena scalciò, liberando un piede dalla sua stretta, e si girò sulla schiena per non perderla di vista. Con la mano libera, la ragazza fece per prendere il fioretto, ma le impedì di raggiungerlo colpendole la spalla con una pedata che le strappò un gemito e la allontanò da lei. La stretta sull’altra caviglia si fece più debole per un secondo, ma prima di potersi liberare del tutto quella tornò a serrare le dita, ben decisa a non lasciarla andare. Freneticamente, Athena tastò in giro con un braccio alla ricerca di qualcosa da lanciarle o da usare per colpirla, e la sua mano capitò tra alcuni rifiuti. Toccò scarti di cibo, carte vecchie, qualcosa che forse era una cinta di cuoio logora e, infine, un pezzo di legno. Lo afferrò saldamente e lo estrasse dal mucchio di ciarpame con rapidità, sollevando una scia di pattume maleodorante, e lo calò con forza, diretta al viso della ragazza.
Lei sgranò gli occhi e, finalmente, riuscì a estrarre la propria arma, mettendola per traverso e spingendo con entrambe le mani dalle due estremità. Il legno fu bloccato dal filo del fioretto, e con un piccolo balzo la sconosciuta riuscì a liberarsi dalla pressione, rimettendosi poi in piedi in posizione di combattimento. Athena si rialzò a sua volta, brandendo con entrambe le mani l’arma improvvisata, decisamente più corta e goffa dell’elegante lama dell’avversaria. Inoltre, si accorse solo in quel momento che una piccola formazione di brina gelida era comparsa sull’estremità del bastone.
Guardò il fioretto, e vide che sulla guardia era inciso un simbolo. Grazie agli insegnamenti di Nate, riconobbe subito una runa del ghiaccio.
- Lasciami in pace!- sbottò.
La ragazza aggrottò appena la fronte.
- Sei accusata di omicidio. Dell’omicidio della nostra guida, per giunta. Se anche potessi o volessi farlo, e così non è, ti assicuro che persone ben più abili ed esperte di me verrebbero a prenderti.-
- Io non ho ucciso nessuno!-
- Allora arrenditi e racconta la tua versione. È la cosa giusta da fare.-
Esasperata, Athena sollevò il bastone e cercò di colpirla, ma l’altra si rivelò indubbiamente più veloce di lei: con un movimento fluido intercettò l’attacco e lo deviò facendo un’elegante piroetta. Il fioretto sferzò l’aria sibilando, e la punta le graffiò appena una spalla. Non sentì davvero dolore, ma una sensazione di freddo intenso avvolse il taglio, come se ci avessero premuto sopra del ghiaccio.
Finse un nuovo attacco dall’alto col bastone, e non appena vide il fioretto sollevarsi di nuovo lo fece roteare all’indietro e colpì dal basso verso l’alto, mirando al suo addome per stordirla. Anche in quel caso, comunque, la ragazza si rivelò incredibilmente rapida, e le bastò un movimento di polso per farle mancare il bersaglio, fendendo poi nuovamente l’aria con l’arma. Stavolta, tuttavia, graffiò solo il vuoto: aspettandosi quella contromossa, Athena era già indietreggiata, e non appena vide un’apertura nella sua guardia caricò il peso sulla gamba davanti e le diede una testata al petto, togliendole ancora il fiato. La ragazza indietreggiò di un paio di passi, poi decise di passare all’attacco.
Muoveva il fioretto in rapidissimi affondi e stoccate, tentandola con la punta per infliggerle tagli ed escoriazioni superficiali ma che, ogni volta che andavano a segno, le lasciavano la stessa sensazione di gelo che aveva sentito la prima volta: non aveva bisogno di colpire i punti vitali, presto i suoi muscoli sarebbero stati così intirizziti dal freddo che avrebbe finito col crollare da sola. Non poteva batterla in un combattimento di scherma, quello era indubbiamente il suo territorio: doveva inventare.
Quando la vide preparare l’ennesimo affondo, Athena prese un bel respiro e strinse i denti, smettendo di indietreggiare o schivare, ma anzi scattando avanti.
La ragazza sgranò gli occhi per la sorpresa vedendola gettarsi direttamente contro la sua lama, ma quella non la scalfì nemmeno: l’esitazione che ebbe l’avversaria le bastò per evitare la punta del fioretto, che passò da parte a parte un lembo del mantello senza farle niente. Abbandonato il bastone, Athena serrò il pugno e colpì la sconosciuta al volto con tutte le sue forze, facendola indietreggiare; approfittando del suo stordimento, Athena le assestò una gomitata all’addome, e quando la vide piegata in due la finì calando entrambi i pugni sulla sua schiena, mandandola lunga distesa.
 
Ansimante e sanguinando dai tagli gelati che si aprivano un po’ dappertutto su di lei, Athena indietreggiò, mentre la ragazza cercava di mettersi carponi gemendo dolorosamente.
- Non… ho ucciso… Nathan…- le ripeté, facendo per andarsene.
Poi una freccia le sibilò accanto all’orecchio, e andò a conficcarsi nella parete accanto a loro. Un urletto spaventato le scappò dalle labbra, ed entrambe guardarono il dardo vibrare appena. Una runa fiammeggiante brillava sulla sua asta, indicando l’attivazione dell’incantamento. La ragazza sconosciuta scattò verso il proprio fioretto.
Dopo pochi istanti, vampe infuocate si sprigionarono dalla freccia misteriosa.

Come promesso, le cose iniziano un pochino a smuoversi. Le spiegazioni del caso le rimando a dopo, ora non è certo il momento...
Ringrazio Ely79, LullabyMilla, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN, King_Peter e Jasmine1996, che seguono la storia. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** Cap. 9: L'assassino ***


Margareth sentì a malapena il calore delle fiamme sprigionate dalla runa della freccia, mentre quelle invadevano una parte della strada e appiccavano principi d’incendio più o meno gravi. Stringendo l’impugnatura del fioretto, aveva trascinato indietro Athena, allontanandola rapidamente dal dardo e puntando la propria arma come se volesse trafiggere l’aria. L’incantamento di cui era infusa reagì immediatamente, e una barriera evanescente, di ghiaccio e di neve, le circondò entrambe. Le fiamme non riuscirono a scalfirla, infrangendosi sulla protezione come l’acqua sulle rocce, e quando il potere della runa di fuoco si fu esaurito si ritrovarono all’interno dell’unica parte di strada non annerita né bruciata, mentre lingue incandescenti lambivano pareti e cianfrusaglie varie.
Sollevata, Margareth esalò un sospiro e si voltò verso Athena, abbassando il fioretto. La ragazzina ansimava, gli occhi sgranati, e guardava la freccia ormai carbonizzata; poi si voltò verso di lei, e deglutì per calmarsi.
- Stai bene?- le chiese Margareth.
Athena annuì, strofinandosi una guancia in un apparente tic nervoso.
- Co… cosa…-
- Non cosa. Chi.- corresse Margareth, alzandosi in piedi e setacciando con lo sguardo i tetti sopra di loro.
Quella freccia veniva sicuramente dall’alto, impossibile negarlo: era orientata in diagonale, con la punta verso il terreno formando sulla parete un angolo di cento, centodieci gradi al massimo. Quindi, il misterioso arciere si trovava o su uno dei tetti più bassi o all’interno di un edificio.
Tuttavia, c’era anche un’altra domanda: chi poteva volere la loro morte?
La risposta le raggiunse quasi subito, uscendo da una porta in fiamme che abbatté dall’interno con un calcio bene assestato. Quella rovinò a terra, schiacciando e soffocando il fuoco che la consumava, e le fronteggiò entrambe con la schiena ben dritta.
La sua testa era avvolta in un cappuccio scuro che lo copriva dai capelli fino al mento, lasciando visibili solo gli occhi scintillanti. I suoi abiti erano anonimi e comodi, privi di decorazioni particolari, simili a quelli di un qualsiasi cacciatore, pur non nascondendo del tutto un fisico maschile scolpito e robusto. Appesi alla schiena aveva un arco completo di faretra, le cui frecce erano sicuramente incantate come quella appena scoccata. A parte un lungo coltello appeso alla cintura, Margareth non vide altre armi, ma avrebbe scommesso il suo fioretto che ne aveva sicuramente altre nascoste addosso.
- Impressionante.- disse l’uomo, incrociando le braccia - Sei riuscita a fermare un incantamento di fuoco di tale portata con un fioretto. Mi avevano avvertito che siete pieni di risorse, ma non credevo fino a questo punto. Specie per una recluta.-
Margareth s’incupì.
- Chi sei?- gli chiese - Perché ci hai attaccate?-
L’uomo probabilmente sorrise, lo comprese dal movimento dei suoi occhi.
- Oh, solo un… ribelle, per così dire. Che è rimasto affascinato da alcune idee espresse di recente da un grande uomo.-
Athena si alzò finalmente in piedi. Sembrava aver superato lo shock, e adesso era accigliata e tesa, di nuovo pronta a scattare come quando aveva combattuto contro di lei. Margareth, suo malgrado, si ritrovò ad ammettere che era piuttosto in gamba per la sua età.
- Nate è morto tra le fiamme.- disse, scossa da un lieve tremito - Sei stato tu? Lo hai ucciso tu con le tue frecce?-
Lo straniero scosse la testa.
- Temo che le cose siano più complicate di così. Posso solo dirti che non ero presente, il mio incarico è solo uno: prendermi la tua testa, ragazzina. Ed anche la tua, Architetto, visto che l’hai raggiunta prima di me.- aggiunse, voltandosi verso Margareth.
Lei arricciò un angolo delle labbra, sollevando il fioretto.
- Provaci.- gli disse - Ma ricorda che le guardie arriveranno presto, con tutto questo fuoco. Non hai molto tempo.-
L’uomo prese una freccia dalla faretra e la osservò per un momento, rigirandola lentamente.
- Lo so bene, ma non ci vorrà molto, non preoccuparti.- disse, rimettendola a posto e prendendone un’altra, molto vicina alla precedente. Esaminò anche quella, come alla ricerca di qualche differenza - Naturalmente non sono così sciocco da farlo senza le dovute cautele, capisci? Non posso permettermi di sbagliare.-
Prese una terza freccia, e stavolta annuì.
- Sì. Come dicevo, devo sincerarmi di non fallire.-
Con un movimento repentino scagliò a terra la freccia, conficcandola nel selciato bruciacchiato. Una runa diversa comparve sul legno, e immediatamente dopo sprigionò un intenso bagliore, accecandola.
 
Appena vide la runa comparire, Athena ricordò l’ennesima lezione di Nate e i numerosi libri sulla magia runica che aveva letto nel corso degli anni, grazie ai quali aveva imparato a riconoscere i singoli glifi e il loro significato. Quella runa era lì per abbagliare lei e la sua avversaria e dare all’assassino un vantaggio.
Istintivamente chiuse gli occhi e si coprì il volto col braccio. Sentì la ragazza al suo fianco gridare, e percepì un movimento davanti a sé, una sorta di fruscio della stoffa. Si chinò all’istante e scattò in avanti a testa bassa, approfittando del fatto che anche l’uomo aveva sicuramente gli occhi chiusi per proteggersi dalla luce, e come un ariete in carica lo investì all’addome. Era grosso, e non lo smosse di un millimetro, ma la sorpresa gli impedì di indurire i muscoli e proteggersi. Tentennò, gemendo per il dolore e fermandosi, mentre Athena rimbalzava indietro. A quel punto l’effetto della runa cessò, ed entrambi poterono riaprire gli occhi.
La ragazza col vestito blu era indietreggiata, una mano sugli occhi e un’espressione vagamente sofferente che le deformava il volto. Il fioretto era puntato verso il basso, il braccio molle lungo il fianco. Non poteva combattere così.
- Meraviglioso…- ridacchiò l’uomo, brandendo il proprio pugnale - Sei davvero brava, ragazzina. Hai riconosciuto la runa?-
- Conosco quasi tutte le rune esistenti al mondo.- ribatté Athena, rialzandosi di nuovo.
Lui annuì.
- Beh, poco male. Non ha alcuna importanza.-
Con un altro movimento fluido e preciso, di chi sa bene come usare un pugnale, l’assassino fendette l’aria, mirando alla sua gola. Athena si piegò leggermente all’indietro, evitando il contatto con la lama, e rievocò all’istante le numerose lezioni di Nate sul come difendersi dalle aggressioni altrui. Era preparata al combattimento con un avversario fisicamente più imponente di lei, e non temeva il confronto.
Certo, una cosa era la teoria e un’altra la pratica… ma Nate non aveva cresciuto una sprovveduta.
Mentre lui affondava di nuovo il pugnale, Athena si abbassò di pochi centimetri, facendolo passare sopra la propria testa, e si rialzò quasi subito con il pugno serrato, colpendolo proprio sotto l’ascella, in un punto che sapeva essere molto sensibile. All’istante l’uomo si lasciò scappare un lamento strozzato, stringendosi rapidamente la parte offesa; il pugnale gli scappò di mano e cadde al suolo con un tintinnio. Athena lo ignorò e lo colpì forte con il taglio della mano alla gola, approfittando della sua momentanea distrazione. Questo gli mozzò il fiato e lo fece cadere in ginocchio, e senza esitare Athena roteò su se stessa, colpendolo di tacco a una tempia.
Senza più emettere un qualsiasi suono, l’uomo crollò a terra privo di sensi.
 
La vista di Margareth tornò lentamente ma progressivamente, mostrandole Athena che incombeva sul loro aggressore svenuto, illesa e vittoriosa. Stupita, si strofinò di nuovo gli occhi e fece un passo avanti, mettendole la mano libera sulla spalla.
- Sei stata tu?- le chiese.
Athena annuì.
- Certo. Chi altri, sennò?-
Margareth scosse la testa.
- Non ti credevo così brava.- disse - Era tre volte più grosso di te.-
- E i Lindorm sono anche più grossi di lui.- ribatté Athena, piccata - Eppure non mi fanno paura nemmeno loro.-
Margareth sorrise e rinfoderò il fioretto, inginocchiandosi a terra.
- Cosa fai?-
- Voglio vederlo in faccia.- rispose semplicemente - Devo capire chi è.-
Afferrò saldamente il cappuccio e glielo strappò di dosso, liberando una folta chioma nera e la barba incolta del suo viso. Non lo aveva mai visto prima di allora, ma sulla fronte…
- Oh mio Dio!- esclamò Athena, trattenendo il fiato - Lui…-
Margareth annuì.
- Già. Un Figlio di Caino.- disse, osservando la lunga cicatrice che si perdeva nell’attaccatura dei capelli - Ovvio che ci voleva morte. È nella sua stessa natura.-
- Certo. Siamo tutti dei mostri, hai pienamente ragione.-
Margareth si voltò, e vide che Athena adesso fissava lei, accigliata e con le braccia incrociate. Sospirando, si rialzò spazzolandosi con le mani la gonna per togliere almeno un po’ di fuliggine.
- Scusa. Non è questo che volevo dire.- rispose.
- Almeno adesso mi credi?- le chiese - Hai capito che dicevo la verità?-
Margareth non rispose, tendendo l’orecchio: in lontananza sentiva già il suono di passi e di voci concitate.
- Ne parleremo dopo.- rispose - Sta già arrivando qualcuno. Forse le guardie, forse dei semplici passanti… comunque, è meglio spostarci.-
La prese per un polso e la trascinò con sé, conducendola rapidamente il più lontano possibile dal luogo dello scontro e dai guai in arrivo.
 
Athena seguì la ragazza fino alle stalle nord di Drona, dove lei le disse di aver lasciato il proprio cavallo. Si presentò anche, finalmente, dicendo di chiamarsi Margareth Orwell.
- Quel tipo ti conosceva?- le chiese quando ormai erano vicine alle stalle - Ti ha chiamata…-
- Non dirlo!- disse rapidamente Margareth, voltandosi di scatto verso di lei con un dito sollevato - Non… dirlo. Mai. Non in pubblico.-
Era seria e la fissava con occhi quasi lampeggianti, come se fosse essenziale che non parlasse. Athena esitò, poi annuì.
- Va… va bene, come ti pare.- rispose - Ma vuoi spiegarmi…-
- Te lo dirò in separata sede.- la interruppe Margareth, ricominciando a camminare - Vieni, prendiamo un cavallo per te e usciamo dalla città.-
- Ehi, no, aspetta!- protestò Athena, afferrandola per l’abito - Io non mi muovo se non posso prima prendere qualcosa con cui difendermi! Quello tornerà a cercarci di sicuro!-
Margareth sospirò.
- D’accordo.- disse - Allora vai da quella parte, c’è un’armeria poco lontano.- e spiegò, indicando una piazza - Prendi qualcosa e raggiungimi, io mi occupo di trovarti un cavallo. Il denaro mi basta, non sarà necessario rubare di nuovo.-
Athena arrossì appena.
- Non avevo scelta.- borbottò  - Al mio posto cosa avresti fatto?-
- Ne parleremo più tardi.- rispose lei - Ora vai. Posso sperare di rivederti o tenterai di nuovo la fuga?-
- Fuga? Stai scherzando?- sbottò Athena - Finalmente qualcuno mi crede quando dico che non ho fatto niente e mi può dare qualche dannata risposta! Non solo non scapperò, ma ti giuro che non ti libererai di me fino a quando non mi avrai spiegato cosa accidenti succede qui! Chiaro?-
Margareth esitò, sgranando gli occhi per lo stupore di fronte alla sua veemenza. Alla fine annuì e, soddisfatta, Athena girò sui tacchi e si avviò rapidamente verso l’armeria vicina. Mentre la guardava allontanarsi, sentì dentro di sé un’insolita sensazione… quasi un presentimento.
Il presentimento che l’incarico di catturare Athena Asimov non solo non fosse semplice, ma anche pieno di sorprese. E non tutte sarebbero state piacevoli.

E infine rieccomi. Mi dispiace di non riuscire a fare pubblicazioni quotidiane come speravo, ma almeno non è più un capitolo a settimana come con "The Hollow Game".
Ringrazio 
Ely79, LullabyMilla, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN, King_Peter e Jasmine1996, che seguono la storia, e do il benvenuto a Terry5, che ha appena iniziato a leggerla. A presto!

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Capitolo 11
*** Cap. 10: Gli Architetti ***


Coi soldi che aveva rubato, Athena riuscì a pagare una spada a una mano non particolarmente bella o pregiata, ma funzionale e affidabile, e anche un coltello da caccia più efficace del minuscolo temperino con cui aveva viaggiato fino a quel momento. Inoltre ebbe finalmente un minimo di fortuna e, contrattando un po’, riuscì a spendere gli ultimi spiccioli per comprare un vecchio arco e qualche freccia, cosa che le fece non poco piacere: magari aveva ancora qualche carenza nella scherma, però ci sapeva fare nel tiro al bersaglio.
Quando tornò alle stalle cittadine, Margareth l’aspettava come promesso con due cavalli, uno nero e piuttosto grande, su cui era stata sistemata una bella sella di cuoio, mentre l’altro, un po’ più piccolo, era di colore beige. L’usura della sella le fece capire chiaramente che quello nero doveva essere proprio il cavallo della sua misteriosa compagna.
- Dove andiamo?- chiese, issandosi in groppa all’animale.
Margareth non rispose e, spronando con un colpetto di redini il proprio destriero, la precedette verso l’uscita nord della città. Scocciata per il suo mutismo, Athena si affrettò a seguirla mentre, all’improvviso, intorno a lei cominciavano a risuonare alcuni sussurri vagamente agitati.
- Cosa sta succedendo?- borbottò, osservando curiosa e accigliata la folla.
- Il Figlio di Caino.- mormorò Margareth, così piano che solo lei la sentì - Mentre eri via si è sparsa la voce del suo arresto. Incendio doloso e tentata strage. La sentenza è la morte immediata.-
Athena esitò, incerta su come reagire.
- Oh.- disse dopo un secondo di pausa.
In realtà, in parte era dispiaciuta per la notizia: proprio come lei, anche quell’uomo veniva discriminato a vista per via della propria cicatrice, senza che ci fossero prove concrete della sua colpevolezza. Dall’altra, comunque, non si sentiva poi così propensa a piangere per qualcuno che aveva appena tentato di ucciderla.
- In ogni caso, è fuggito.- aggiunse rapidamente Margareth - Quando lo hanno preso credevano che fosse ancora svenuto e non si sono affrettati a legarlo. Ha ucciso una guardia e ne ha presa un’altra come ostaggio, poi è sparito. Probabilmente, se è furbo, starà lasciando Drona come noi.-
Athena non rispose neanche questa volta, e uscirono in silenzio dai cancelli, che le guardie chiusero rapidamente alle loro spalle, sicuramente nel tentativo di impedire all’assassino di scappare.
- Fortuna che siamo evidentemente due ragazze.- commentò, osservando i pesanti battenti di legno e metallo.
- Fortuna che non ti hanno vista senza cappello.- replicò Margareth - Dai, sbrigati. Se vuoi delle risposte, mi devi seguire.-
Sbuffando scocciata, Athena si affrettò a rincorrerla, affiancandosi al suo cavallo. Imboccarono un sentiero sterrato che dopo alcune decine di metri giungeva a un crocicchio segnalato da un palo pieno di frecce indicatrici. Athena guardò con una fitta al cuore quello che indicava il luogo che, fino a poco tempo prima, era stata la sua casa, e si sorprese a pensare che, in fondo, non erano passati nemmeno due giorni dall’ultima volta che aveva visto Nate. Le sembrava molto più tempo, e invece…
- Stai bene?-
La voce di Margareth la riscosse, e vide che la stava guardando con aria seriamente preoccupata. A quel punto si accorse di una lacrima che le scorreva sulla guancia.
- Sì.- borbottò, strofinandosela via - Tutto a posto. Scusa.-
Margareth si lasciò sfuggire un respiro lento e paziente, come se stesse sospirando dal naso.
- Mi dispiace.- disse - Se davvero non sei stata tu ad uccidere Nathan Clarke, nessuno è più addolorato di te… e io non ti ho nemmeno chiesto come ti senti.-
Athena non rispose, limitandosi a strofinare di nuovo l’occhio.
- Allora, da che parte si va? Io puntavo verso la Regione di Aehl, facevo bene?-
Margareth aggrottò la fronte.
- Perché volevi andare lì?-
- Pensavo che la vostra base fosse da quelle parti.- rispose lei - Ho sentito Nate nominarla, origliando una volta o due.-
Margareth ridacchiò, scuotendo la testa.
- Spiacente, ma non è così semplice.- rispose - Per entrare nella Rocca non basta presentarsi lì e bussare. Hai indovinato la meta, te lo concedo, ma non la troverai mai da sola. Hai bisogno di me.-
Athena annuì.
- Allora portamici.-
- Non posso.- replicò lei, scuotendo la testa - Vieni, intanto troviamo un posto per dormire. Ti racconterò ogni cosa davanti a un piatto caldo e con un tetto sopra la testa.-
 
La strada che imboccarono conduceva verso un posto che Athena non aveva mai nemmeno sentito, ma Margareth sembrava sapere quello che stava facendo, e non contestò la scelta. Dopo poche ore di viaggio, quando ormai il sole stava già procedendo verso la linea dell’orizzonte, incrociarono una locanda al margine del sentiero, dall’aspetto un po’ polveroso e sobrio, ma nel complesso accettabile e tranquillo. Presa una stanza per la notte, si sedettero entrambe a un tavolo isolato nell’angolo più remoto della stanza, dove una cameriera silenziosa portò loro due piatti di zuppa calda, un po’ di pane e una brocca d’acqua.
Margareth, con un gemito di sollievo, intinse un tozzo di pane nel piatto e prese una bella cucchiaiata, come se avesse aspettato quella sosta per tutta la giornata. Athena attese pazientemente che si decidesse a dire qualcosa (dopotutto aveva promesso di spiegare una volta arrivate alla prima locanda, e lei aveva aspettato in silenzio per delle ore, nonostante le domande che la rodevano da dentro), ma quando si accorse che la sua accompagnatrice non accennava ad aprire bocca se non per riempirla, decise di averne abbastanza.
- Allora, questa Rocca?- chiese, scocciata.
Margareth sembrò riscuotersi solo in quel momento.
- Le mie scuse.- rispose - Quando mi è giunto l’ordine di cercarti ho cavalcato tutto il giorno senza sosta, e non ho mangiato altro che un po’ di pane secco.-
- Hai tutta la mia comprensione, ma parla!- sbottò, accigliata.
- Sì, certo.- sospirò lei - Dunque… da dove comincio?-
- Da Nate.- rispose subito Athena - Chi era? Cosa aveva a che fare con voi? E chi siete… voi?-
- Già… hai scelto un argomento interessante.- mormorò Margareth, giocherellando con la propria zuppa - Noi siamo gli Architetti.- disse, abbassando ulteriormente la voce, tanto che Athena faticò molto a sentirla, nonostante la stanza fosse quasi vuota e loro fossero piuttosto isolate da tutti - Membri di una società segreta, la più potente e più grande del mondo.-
Athena aggrottò la fronte: architetti? Tutto qui?
- E cosa fate? Costruite cose?- borbottò, delusa.
Margareth si lasciò scappare un sorrisetto.
- In… un certo senso.- rispose - Gli Architetti non si occupano di palazzi. Si occupano di futuro, di progresso. Gettano le basi per un mondo migliore, e si assicurano che le persone normali, come quelli che vedi qui dentro con noi…- e accennò all’uomo che mangiava da solo davanti al camino, alla cameriera, al mercante e a sua moglie che chiacchieravano tranquilli poco lontano dalla porta, al proprietario che spazzava il pavimento - … possano beneficiarne in eterno. Condurre una vita priva di sofferenze, di difficoltà, almeno per quello che è possibile. Prevenire le guerre, le incursioni dei predoni, promuovere la costruzione di strade o edifici pubblici come scuole e ospedali… spesso, se non sempre, è opera nostra. Diamo gli strumenti necessari, piantiamo un seme e lasciamo che cresca, curato da persone capaci di apprezzarlo, e interveniamo quando necessario. Talvolta combattendo, se la situazione lo richiede.-
Athena non disse niente, limitandosi a infilarsi in bocca un cucchiaio di zuppa in un gesto più meccanico che altro, assorta nell’ascolto della spiegazione. Onestamente stava ancora faticando a capire tutto quello che Margareth le diceva ma, se aveva bene intuito il succo, non le dispiaceva poi tanto. Di certo, molti discorsi che faceva lo stesso Nate erano in linea con quel tipo di ragionamento.
- Non è facile diventare un Architetto.- continuò Margareth, sempre a bassa voce - Non puoi trovarli, tanto per cominciare… sono loro che trovano te, sempre. E tutti i loro membri, anche i meno importanti, eccellono nelle più svariate discipline, e non intendo solo quelle che riguardano il combattimento, che già sono importanti. Parlo di incantatori di alto livello, scrittori, uomini di scienza… l’attuale Facente Funzione, Lucius Alten, è un noto e rispettato filosofo della natura, per farti un esempio, e Nathan Clarke stesso…-
- Lui era uno storico.- mormorò Athena - Vero?-
Margareth annuì.
- Sì. Lui era il più grande esperto a livello mondiale, probabilmente. Era convinto che nel passato si potessero trovare gli insegnamenti necessari a costruire un futuro migliore. Gli Architetti esistono da molto tempo, credo più di due secoli, e furono fondati seguendo il pensiero di uno scrittore di nome Maxwell Asimov, Oltre l’umano, la scienza. Lo hai mai letto?-
- Tre volte.- borbottò lei - E studiavo storia, come Nate.-
- Già…- replicò con un sorrisetto Margareth - Non te lo posso dire con certezza. Sono solo una recluta, faccio parte degli Architetti da poco tempo. Comunque, il tuo addestramento, i tuoi studi… tutte queste cose sono più della normale educazione didattica, e nessun cacciatore si esercita molto con la spada o nel combattimento corpo a corpo. Lo sai, vero?-
Athena annuì, gli occhi bassi, e non rispose.
- Lo avrai certamente capito anche tu.- continuò lei - Nathan Clarke voleva che tu diventassi una di noi, un giorno, nonostante… nonostante le tue “particolari condizioni”. È a questo che ti stava preparando, e non credo gl’importasse dei pareri contrari.-
Cercando di trattenere un singhiozzo, Athena si asciugò l’angolo di un occhio.
- Cos’era lui per voi?- chiese.
- Lui era l’uomo più importante dell’intera Rocca.- disse Margareth - Divenne il capo degli Architetti molti anni fa. Il suo carisma e la sua aura di sicurezza ci hanno guidati a lungo. Tutti lo amavano molto.-
- Io lo amavo molto.- replicò Athena, senza pensare.
- Lo so.- Margareth mise giù il cucchiaio, il piatto finalmente svuotato - Ti prego, mangia. Sembri un cadavere.-
Athena guardò la propria porzione di zuppa. Si accorse che le veniva da vomitare.
- Non ho fame.- biascicò.
Scoprire che Nate le aveva voluto bene al punto tale da scommettere sul suo futuro come Architetto, da rischiare la propria reputazione tra i suoi sottoposti arrivando a proporre una Figlia di Caino, per lei fu come perderlo di nuovo. Era stato l’unico a credere in lei quando nessun altro lo avrebbe fatto, non sapendo della sua cicatrice, e adesso non le rimanevano altro che anni di insegnamenti e un mucchio di ricordi. Belli, indelebili, teneri ricordi, che tuttavia non sarebbero mai stati come riaverlo con sé.
All’improvviso, si sentì terribilmente sola.
 
L’assassino scese da cavallo quando ormai era già molto lontano da Drona, sotto un cielo punteggiato di stelle. Sfuggire alle guardie non era stato poi così difficile, era abituato a problemi ben peggiori, ad inseguitori più ostici e avversari decisamente più validi. Tuttavia, l’essere stato steso da una ragazzina di quarantacinque chili era decisamente umiliante.
Scacciando dalla mente quel pensiero, rivolse la propria attenzione all’accampamento presso il quale era finalmente giunto, dove lo aspettava un piccolo gruppo di persone. Al momento non erano poi molte, sì e no una decina scarsa, ma già sapeva che presto sarebbe cresciuto in numero.
Quando lo riconobbero, gli uomini e le donne di guardia gli rivolsero rapidi cenni di saluto mentre legava il cavallo a uno dei paletti piantati nel terreno, qualcuno borbottò qualcosa che suonava come un “bene arrivato”. Tuttavia, lui rispose solo sbrigativamente e si affrettò a raggiungere il centro del campo, dove il grosso dei membri del gruppo era seduto, nei pressi di un fuoco acceso. Quasi tutti indossavano dei mantelli per combattere il freddo della sera, e nessuno di loro aveva il volto in vista. Uno in particolare era quasi sdraiato contro alcuni cuscini e il proprio bagaglio, e si muoveva con cautela e lentezza, come se fosse ferito, o si stesse riprendendo da un grave trauma. Fu proprio a lui che si rivolse, avanzando fino ad essere a un passo dal fuoco.
- Ah, sei tornato.- disse l’uomo, con voce stanca - Mi fa piacere.-
- Grazie. Come ti senti? Va meglio?-
- Guarirò presto, non ci metterò molto. Comunque, dovrò stare a riposo ancora un po’, temo. Ma dimmi del tuo incarico… hai avuto successo?-
L’assassino scosse la testa, dispiaciuto.
- No.- rispose - Sono mortificato, ma ho fallito. La ragazza è scappata. Con lei c’è un’altra ragazza, un membro degli Architetti. All’inizio combattevano, sicuramente l’ordine di catturarla è già stato trasmesso. Ora è con lei.-
L’atmosfera si fece d’un tratto più tesa, più densa, e l’attenzione di tutti fu calamitata dal loro dialogo. Qualche mormorio si levò lì attorno, ma appena l’uomo disteso ricominciò a parlare tacquero tutti.
- Quindi, se ho ben capito, Athena Asimov ti è sfuggita.- disse lentamente, raddrizzandosi un poco - E, inoltre, ha persino incontrato un Architetto. Ti avevo chiesto di occuparti di lei proprio per evitare che ciò accadesse. Era imperativo che nessuno di loro la trovasse… che la verità non venisse a galla. E ora mi dici che adesso viaggia in compagnia di uno di loro?-
- Sì.- annuì l’assassino - Sono… veramente costernato. Ho fallito, ed è solo mia la colpa. Avevo sottovalutato la sua preparazione… capisco che tu sia arrabbiato.-
- Già. Questo complica molto le cose.-
- Lo so.- annuì di nuovo lui - Ma posso prometterti che non accadrà di nuovo.-
- Oh, lo so.- replicò l’uomo.
Con un movimento repentino, estrasse da sotto un cuscino una lama e la lanciò contro l’assassino, colpendolo alla gola. Quello emise un gorgoglio e, senza opporre alcuna resistenza, crollò faccia avanti nel fuoco. Nessuno degli astanti reagì in alcun modo.
- Dannazione, non dovevo farlo… questo domani farà davvero male…- gemette l’uomo, tornando a rilassarsi - Per favore, levatelo di lì, prima che ci appesti tutti.- ordinò - E trovatemi qualcuno meno imbecille.-

Scusate se ho tardato un po' a inserire il capitolo, ma ieri sera EFP non andava e non ho potuto fare niente.
Ringrazio Ely79, LullabyMilla, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN, King_Peter, Jasmine1996 e Terry5, che mi stanno seguendo. E aggiungo anche Wendy90, che mi sono appena accorto avere cominciato a seguire la storia. A presto!

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Capitolo 12
*** Cap. 11: Le indicazioni di Margareth ***


Trangugiata a forza qualche altra cucchiaiata di zuppa (Margareth disse chiaramente che non si sarebbero alzate se prima non avesse mandato giù qualcosa), le due salirono al piano superiore, dove c’erano le camere da letto. Una volta arrivate, Margareth scaricò i bagagli ai piedi del giaciglio più lontano dalla porta e si sedette sul materasso con un sospiro.
- Non posso contattare gli altri in maniera autonoma.- disse, togliendosi uno stivale e massaggiandosi la pianta del piede, indolenzito dopo la lunga giornata - Servirebbero strumenti che non ho con me, o un piccione viaggiatore addestrato e capace di superare l’incantamento che avvolge la Rocca. E, per il momento, non possiamo procurarci nessuna di queste due cose. Dovremo aspettare prima di potergli dire qual è effettivamente la situazione.-
Athena, ferma sulla porta, non disse niente, guardandola mentre cominciava a sbottonarsi l’abito per mettersi a dormire.
- A proposito di questo, non posso portarti fino alla Rocca, al momento.- continuò - Come ti ho accennato, un potente incantamento la avvolge e la protegge. Per riuscire ad attraversarlo servono due oggetti che, uniti insieme, ti permettono di passare. Un Architetto, quando giunge lì per la prima volta, è già in possesso di queste due cose, ma va anche detto che il suo tempo è illimitato, al contrario del nostro.-
Athena annuì.
- Perché ci stanno inseguendo.- borbottò.
- Già. Per questo non ho fatto preparare un bagno.- disse Margareth, storcendo il naso e togliendosi il vestito - E ne avrei davvero bisogno. Anche tu scommetto.- aggiunse, lanciandole una rapida occhiata.
Lei esitò e poi abbassò lo sguardo su se stessa: in effetti non ci aveva pensato, ma aveva un aspetto terribile. I suoi vestiti erano strappati (in particolare i calzoni, che indossava dal giorno della fuga), il mantello era logoro, gli stivali così pieni di polvere da sembrare che avessero almeno cinquant’anni. Inoltre, vestita ci aveva pure dormito, la notte precedente, e non si era quasi mai tolta il cappello per tutto il tempo, quindi non osava immaginare in quali condizioni versasse la sua testa, che anzi le prudeva un po’.
- Sì… alla prossima sosta.- disse - Allora… questi oggetti, che roba sono? Dove li trovo?-
- Si tratta di due artefatti runici che vanno riuniti insieme.- rispose Margareth, incrociando le gambe - Ma cosa fai ancora lì sulla porta? Non vorrai dormire vestita anche stanotte?-
Athena scosse la testa e, dopo un momento, si avvicinò all’altro letto, mentre Margareth riprendeva a parlare.
- Per prima cosa, ci conviene continuare a seguire questa strada. Così arriveremo a Viniva nel giro di qualche giorno, e da lì potremo facilmente raggiungere i Drow.-
- I… i Drow?- ripeté Athena, la tunica mezza sfilata - Perché?-
- Perché il primo manufatto è custodito nelle loro gallerie.- rispose Margareth - Non sono nostri alleati, ma nemmeno nostri nemici, e non ci ostacoleranno se porteremo loro il giusto rispetto. Vedrai, sarà istruttivo.-
- Se lo dici tu.- borbottò Athena, non del tutto convinta: Nate le aveva parlato spesso dei Drow, dipingendoli come un popolo fiero e coraggioso, legato alle proprie tradizioni e, anche se un po’ diffidente nei confronti delle altre razze, non apertamente ostile. Tuttavia, in qualsiasi libro lei avesse letto la loro storia, non importava quanto autorevole o approfondito, venivano costantemente citati come parte avversa in molte guerre del passato e in alcuni conflitti minori. Certo, l’ultima volta che i Drow erano scesi in guerra contro le razze di superficie risaliva ad almeno duecento anni prima (e questo, alla luce delle parole di Margareth, poteva essere merito degli Architetti), ma erano comunque ritenuti minacciosi da molti.
Però scusa… chi sono io per giudicarli? pensò, mentre un leggero prurito le attraversava la fronte all’atto di togliersi il cappello.
- La cosa che più mi preoccupa non sono i Drow, te lo garantisco.- proseguì Margareth, ignara delle sue elucubrazioni - Quell’assassino ti ha trovata molto in fretta, oggi. Hai idea di come sia possibile?-
Athena scosse la testa, sedendosi sul letto di fronte al suo.
- Nessuna. Sono scappata attraversando le montagne, prendendo sentieri che solo Nate conosceva. Ho lasciato di sicuro qualche traccia, visto che sono corsa via senza equipaggiamento, armi o vestiti adatti, ma minima. Ci vorrebbero giorni anche per chi conosce la catena a trovare il percorso che ho fatto io.-
- Allora è probabile che, semplicemente, si aspettasse che avresti preso quella strada.- decise Margareth, annuendo lentamente tra sé, le mani giunte - Così ti ho trovata… mi sono informata su quale sarebbe stata la tua via di fuga più probabile e ti ho aspettata a Drona, setacciandola da cima a fondo per scoprire se eri già arrivata o ripartita.-
- E se mi dovessi inseguire adesso, che faresti?-
- Sapendo che sei in compagnia di un Architetto che ha ricevuto l’ordine di condurti alla Rocca, mi accerterei di impedirti di raggiungerla.- rispose lei - Considerando che un’azione diretta ha fallito, proverei a precederti e a sottrarre almeno uno dei due manufatti che stai cercando. Certo, prima dovrei sapere dove cercare, ma visto che i nostri nemici hanno ucciso Nathan Clarke è corretto supporre…-
- Aspetta… i “nostri nemici”? Al plurale?- la interruppe Athena - Pensi… che ci siano altri oltre a quel tipo?-
Margareth annuì.
- Certo. Lo hai sentito, no? Si è definito come uno qualunque, che però è stato “affascinato dalle parole di un grande uomo” o qualcosa del genere… di certo non sarà stato l’unico. Mi chiedo solo chi possa essere questo “grande uomo” e come possa avere “affascinato” un Figlio di Caino.-
Athena scosse la testa, priva di idee.
- Potremmo pensarci un’altra volta, che ne dici?- le chiese - Dopotutto, non ne sappiamo quasi niente, e abbiamo anche troppi pensieri, adesso. Arriviamo alla Rocca e poi lasciamo che siano gli Architetti a risolvere la cosa.-
- Giusto.- annuì Margareth. Sospirò, sollevando il suo sguardo cristallino fino a fissarlo nei suoi occhi - Allora, cambiando discorso… come ti senti?-
Athena si sdraiò quasi troppo in fretta, infilandosi sotto le coperte con un piccolo tramestio di gambe.
- Sto bene.- rispose, atona.
- Già, si vede.- replicò Margareth, raddrizzandosi un po’ - Tuo padre è morto, tutti quelli che conoscevi ce l’ha con te e un gruppo di assassini vuole ucciderti. Starai sicuramente benissimo.-
- Senti, si può sapere cosa vuoi?- sbottò Athena, furiosa, scattando su - Grazie per quello che stai facendo, ma come sto non ti riguarda, d’accordo?-
- Lo sto dicendo per te, stupida.- rispose tranquillamente Margareth, inarcando appena un sopracciglio sottile - Noi due non ci conosciamo, ma tenerti tutto dentro non ti aiuterà. E neanche piangerti addosso. Finora sei stata brava, ma non durerai un altro minuto di questo passo.-
- E allora cosa dovrei fare? Far finta di niente?-
- No. Ma se c’è qualcosa che vorresti tirare fuori fallo ora, o almeno prima che qualcun altro cerchi di attaccarci. E di sicuro non ti fa bene aspettare.-
Nel suo tono non c’erano né rabbia né biasimo, ma solo pazienza. Athena sentì la collera crescere ancora di più, e per un momento la sua mano corse al fianco, dove di solito conservava il coltellino trovato in montagna, prima di ricordarsi che era ancora nella cintura, in mezzo al mucchio di abiti ai piedi del letto.
A quel gesto Margareth s’irrigidì istintivamente, e la calma parve abbandonarla per un istante. Un’ombra di paura le attraversò il volto, ma passò quasi subito.
- Sei disarmata.- le ricordò.
Athena si riscosse all’improvviso, guardando la propria mano ancora appoggiata sul fianco con stupore e, al tempo stesso, orrore. Perché aveva cercato un’arma?
Volevo attaccare Margareth?
No, non voleva farlo. Non ci aveva nemmeno pensato… ma quel gesto era stato istintivo, automatico. Una specie di risposta a uno stimolo. Stava per scattare, e solo perché aveva momentaneamente perso la pazienza.
Si lasciò cadere a sedere sul materasso, svuotata.
- Mi dispiace.- mormorò.
Margareth non rispose, e nessuna delle due parlò più.

Mi sa che ho aspettato un giorno di troppo, ma ho perso il conto e, inoltre, non avrei potuto in ogni caso pubblicare, ieri. Comunque ho rimediato oggi, dai.
Ringrazio 
Ely79, Alice Spades (che ha cambiato nome), Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che mi seguono. A presto!

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Capitolo 13
*** Cap. 12: Ipotesi ***


Durante la notte ci fu un discreto livello di affluenza al piccolo accampamento che, se all’inizio contava solo una decina scarsa di persone, nel giro di poche ore raggiunse un’estensione circa tre volte superiore a quanto era stato montato la prima volta, coprendo una grande porzione d’erba della prateria in cui era stato sistemato. Dopo aver congedato sommariamente il proprio inetto sicario, il capo del campo era andato a riposare nella propria tenda, scegliendo di coricarsi presto per rimettersi il più velocemente possibile: gli arti, il torso, occhi e orecchie erano ancora doloranti a causa dell’esperienza stressante che avevano dovuto sopportare nei giorni passati, e ancora adesso i suoi movimenti erano, sebbene lievemente più fluidi di prima, piuttosto goffi e lenti rispetto a quando sarebbe tornato in forma.
Gli ordini erano di lasciarlo dormire tutta la notte, ma quando una mano lo scosse gentilmente per svegliarlo, aprì gli occhi su uno scorcio di cielo ancora scuro e sonnacchioso, sulle tende addormentate e sull’erba spazzata da una brezza autunnale fresca e vivace.
- Perdonatemi, Ser.- disse il giovane che lo aveva disturbato, un diciassettenne dalla chioma bruna che, per quanto folta, non riusciva a coprire del tutto il suo Marchio di Caino - Una persona voleva vedervi. Si è offerta volontaria per la caccia alla ragazza Asimov e all’Architetto che l’accompagna.-
Lui grugnì e annuì al tempo stesso, sforzandosi di non sbadigliare, e si mise seduto non senza un minimo sforzo.
- Chi è?- chiese.
- Temo di non sapervi rispondere, Ser. Vi aspetta qui fuori.-
- Oh, molto bene.- sospirò, alzandosi in piedi con l’aiuto del giovane.
Sostenuto dal ragazzo, zoppicò cautamente fino all’ingresso della tenda e vide una figura solitaria seduta vicina ai resti freddi del fuoco della sera prima. Quando lo scorse accennò un movimento, come se volesse correre ad aiutarlo, ma lui scosse la testa per dirgli di rimanere dov’era. Si fece lasciare su un tronco steso davanti al falò spento e congedò il suo accompagnatore, soffocando nuovamente uno sbadiglio.
- Allora…- esordì - Arthur mi dice che ti sei offerta volontaria per inseguire le due fuggiasche, giusto?-
La donna (perché di una donna si trattava, era evidente anche attraverso il mantello) annuì con fermezza, mentre qualche ciocca scura le sfuggiva dal cappuccio. Le sue labbra sottili si tesero per un istante.
- Ho saputo che l’ultimo ad aver ricevuto l’incarico ha fallito, e che volevate affidarlo a qualcuno più capace.- disse.
- Sì, è vero.- confermò - Sei appena arrivata?-
- Un’ora fa. Vengo da…-
L’uomo alzò la mano, scuotendo la testa.
- Prima che tu continui, ci terrei a dirti una cosa.- la interruppe - Qui nessuno di noi ha un passato. Ogni membro del nostro accampamento proviene da storie difficili, di sotterfugi, morte e maltrattamenti, odio ed esilio. Di conseguenza, parlare del passato, raccontare agli altri esperienze così dolorose, è superfluo. Molti preferiscono tenerle per sé e ricominciare da zero. Quindi, dimentica il nome della tua famiglia, se mai l’hai conosciuta, o quello della tua casa perduta. Dimmi solo come ti chiami.-
Lei annuì lentamente, togliendosi il cappuccio. I capelli, ondulati e appiattiti dalla lunga permanenza sotto la stoffa, parvero come inspirare di sollievo. Era ancora giovane, anche se aveva già superato l’età da marito, forse sui trent’anni. Aveva la pelle chiara e segnata dalle intemperie e le difficoltà, e sulla fronte il solito Marchio di Caino a sfregiarla, come ogni suo simile presente al campo in quel momento. I suoi occhi lo guardavano fisso, come se fosse in qualche modo rapita dalle sue parole, o avesse trovato la conferma di qualcosa. Probabilmente aveva sentito parlare di lui e delle sue idee, prima di quell’incontro.
- Astrid.- disse - Mi chiamo Astrid.-
- E dimmi, Astrid: cosa ti fa pensare di riuscire a raggiungere e uccidere quelle ragazze?-
- Perché sono brava.- rispose senza giri di parole lei, ora seria e decisa - Perché mi sono spesso trovata a dover scappare da qualcuno, come loro, e so come ragiona una persona che fugge. Perché ho viaggiato per queste terre in lungo e in largo in cerca di un posto sempre nuovo per nascondermi. E soprattutto, perché io non tornerò indietro senza avere prima ottenuto un risultato.-
Impressionato dalle sue parole, l’uomo sorrise e annuì lentamente.
- Molto bene.- disse - In questo caso, ti lascio carta bianca. L’unica indicazione che posso darti è che, prima di condurre Athena Asimov alla Rocca, l’Architetto dovrà necessariamente fare un lungo giro per reperire due oggetti che garantiscono l’accesso a quel luogo. Il più vicino si trova nel territorio sotterraneo dei Drow, e senza dubbio si staranno recando lì. Segui la loro stessa strada e le raggiungerai.-
Astrid fece un cenno affermativo, ma non si mosse.
- Se sappiamo dove si stanno dirigendo e perché, come mai non avete fatto qualcosa prima?- chiese - Avreste potuto penetrare subito nel territorio dei Drow e sottrarre i manufatti in questione prima ancora che fuggisse, no?-
- Ho forse detto che non l’abbiamo fatto?-
- Io…-
L’uomo rise, scuotendo la testa.
- Beh, purtroppo è proprio così. Sfortunatamente il mio viso è ben noto ai Drow, e anche se non avessero avuto motivo per attaccarmi non mi avrebbero lasciato avvicinare al manufatto. Si tratta di un oggetto che può essere raccolto una sola volta dalla stessa persona. E io, fino a non molto tempo fa, ero da solo.-
Astrid esitò.
- Voi… siete un Architetto?-
L’uomo si limitò a sorridere ancora.
- Ogni cosa a tempo debito.- rispose - Ora vai, se ne hai la forza. Quelle due hanno un certo vantaggio su di te, e potrebbero sfuggirti se ti attardi ancora.-
Astrid rimase immobile a fissarlo per un altro istante, come se volesse chiedergli ancora qualcosa, ma alla fine si calò di nuovo il cappuccio sul viso e si alzò, diretta verso i cavalli.
 
La mattina giunse presto, e con essa il risveglio da una notte agitata e animata da sogni vividi e pieni di rancore, rancore che spesso veniva sfogato anche con la violenza. Riaperti gli occhi Athena si rese conto di non ricordare i minimi dettagli, ma sapeva bene di non aver fatto altro che sognare di litigare e poi di uccidere in preda all’ira tante persone diverse, probabilmente più di una volta la stessa Margareth. Se per via di quanto accaduto la sera prima o per lo stress o per l’influsso del Marchio di Caino… questo non lo sapeva.
- Ben svegliata.- la salutò Margareth, che si stava già infilando il vestito, un braccio quasi completamente infilato nella lunga manica - Non hai una bella cera.-
Athena non rispose, passandosi le mani sul viso. Si sentiva uno straccio.
- Rischio qualcosa a chiederti come ti senti?-
Lei sospirò, lasciando ricadere le braccia.
- Non bene.- rispose - Contenta adesso?-
Margareth non replicò, finendo di vestirsi. Mentre Athena faceva altrettanto si allacciò la cintura e si mise gli stivali, arrivando a terminare l’opera quando lei doveva ancora finire di mettersi i calzoni.
- Ieri…- disse, in piedi di fianco al proprio letto - … mi sono preoccupata per te. Ho provato a trattarti come avrei trattato una persona qualunque che ha appena perso qualcuno che le era caro, perché è ciò che avrebbe fatto Nathan Clarke, nonché quello che si sarebbe aspettato da un Architetto come me. E posso capire che tu sia sconvolta e arrabbiata… se però il rischio che corro è di essere accoltellata, allora ti tratterò alla stregua di una qualsiasi Figlia di Caino.-
Il suo tono non era arrabbiato, ma vibrava comunque di un’ombra di rancore. Athena non riuscì ad alzare lo sguardo, vergognandosi del gesto automatico compiuto dalla sua mano durante la discussione.
- Mi… mi dispiace.- borbottò - Tu… avevi ragione, ieri. Mi sto piangendo addosso e mi sto consumando. Volevi essere gentile, e io me la sono presa… ma ti giuro… ti giuro che non avevo intenzione di farti del male. Non so perché ho… cercato un’arma o… o comunque fatto quel movimento.-
Margareth sospirò, allontanandosi dal proprio letto e sedendosi accanto a lei.
- Ti era mai successo prima?- le chiese.
Athena scosse la testa, finendo di allacciarsi la cinta dei calzoni.
- No, mai.-
- E ti sei mai arrabbiata in quel modo? Ti sei mai sentita così frustrata o contrariata?-
Ancora, Athena fece cenno di diniego.
- No. Le persone attorno a me erano sempre gentili, e solo Nate mi sgridava ogni tanto… ma anche lui era sempre molto buono con me. Mi dava fastidio la sola idea di vederlo arrabbiato.-
Margareth annuì lentamente, come se stesse ponderando qualcosa.
- Beh, forse è un discorso legato alla rabbia.- disse - Quando una persona perde la testa tende a comportarsi in modi piuttosto… barbari, come se regredisse allo stato di un animale. Magari per te, che sei una Figlia di Caino, vale un discorso simile, una reazione istintiva a una minaccia reale o solo immaginata, anche solo verbale, che si traduce subito in un meccanismo di difesa anche piuttosto violento.-
Athena aggrottò la fronte, voltandosi finalmente a guardarla.
- Non ho capito la metà delle cose che hai detto.- ammise.
- Stavo cercando di spiegarti perché, secondo me, hai cercato istintivamente il coltellino, ieri.- sospirò Margareth, rassegnata - Ma la filosofia naturale non è la mia specialità, né la mente umana. Io mi intendo di letteratura e poesie. Dovremmo chiedere a Lucius, quando lo incontreremo. Lui potrà dirci di più.-
Athena si strinse nelle spalle, andando a recuperare il cappello.
- Beh, onestamente non sono poi così interessata.- disse - Non m’importa del perché l’ho fatto. Mi basta non farlo più. Per il resto, voglio solo scoprire chi ha ucciso Nate.-
- Sapere cosa ti fa scattare potrebbe impedire che ti succeda di nuovo.- osservò Margareth, alzando un sopracciglio - E poi, considera che nessuno ha mai studiato i Figli di Caino, neanche noi Architetti. A dire il vero, non ne abbiamo mai avuto l’occasione. Forse è anche per questo che Nathan Clarke teneva così tanto a te.-
Athena si voltò a guardarla, accigliata. Cogliendo il messaggio, Margareth scosse la testa.
- Scusa, non intendevo dire questo.- rettificò - Il fatto è che, crescendoti, poteva magari scoprire cose che normalmente non è possibile sapere sulle persone come te. Capisci cosa intendo dire?-
- Sì, ho capito.- rispose Athena - Comunque, che ne dici se ci muoviamo, adesso? Prima partiamo e prima arriviamo, no? Lasciamo per dopo questi discorsi.-
Annuendo per dirsi d’accordo, Margareth si rialzò e andò a recuperare il proprio fioretto.

Bene, ecco che riprendo a pubblicare i capitoli di questa sotira, dopo la breve pausa con Timmi e i suoi guai quotidiani. Ringrazio come sempre Ely79, Alice Spades (che ha cambiato nome), Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che mi seguono come sempre. A presto!

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Capitolo 14
*** Cap. 13: Scambi di confidenze ***


Il viaggio con Margareth non si dimostrò particolarmente spiacevole, e per i successivi due giorni Athena non pensò più troppo spesso a ciò che si era lasciata alle spalle. Gli unici momenti in cui la sua mente si soffermava di nuovo sulle sue perdite e sull’ingiustizia che aveva subito erano quelli immediatamente precedenti il sonno, o durante le ore di guardia, quando non aveva nulla che potesse distrarla e la sua mente, stanca dopo la giornata a cavallo o le chiacchiere con Margareth, cedeva finalmente all’assalto delle brutte emozioni, lasciandola in balia della tristezza e dello sconforto.
Nonostante questo, comunque, ritrovò il sorriso, in alcune occasioni, ascoltando la sua nuova compagna declamare qualche poesia mentre cavalcavano o, in casi piuttosto rari, raccogliendo informazioni più dettagliate sugli Architetti.
Margareth non fu particolarmente prodiga di dettagli, in quanto l’approfondimento di certi argomenti era proibito al di fuori della società segreta, specialmente per una novizia come lo era lei, ma Athena ebbe ugualmente modo di imparare qualcosa di più sulle persone che componevano quel misterioso gruppo: le informazioni arrivavano quasi tutte dagli informatori, persone fidate che pur non essendo dei veri Architetti aiutavano la causa segnalando i problemi o i propri sospetti e chiedendo loro di intervenire in qualche modo, attraverso piccioni viaggiatori, oggetti infusi di particolari incantamenti o semplici lettere, anche se ogni cosa era scritta usando un particolare codice che rendeva impossibile ad un estraneo comprendere il contenuto del messaggio.
In secondo luogo, Lucius Alten presto non fu più il solo nome in suo possesso: Margareth le raccontò di una donna che chiamò solo “Baba”, senza aggiungere un cognome né specificare se quello fosse veramente il suo nome proprio o meno, e le spiegò che era una stupefacente incantatrice, capace come pochi altri, in grado di infondere potere in quasi ogni oggetto o materiale. Era stata lei, anni prima, a rendere il suo fioretto così potente.
L’altra persona di cui le disse qualcosa fu una figura più misteriosa, il “Crociato”, come lo chiamò lei. Dal poco che le raccontò (e non fu molto anche perché lei stessa non lo conosceva di persona), Athena immaginò che fosse una persona molto abile e un buon combattente, ma non avendo esempi pratici a cui affidarsi decise che avrebbe giudicato se e quando lo avesse incontrato.
Per parte sua, comunque, non rimase passiva: anche Margareth aveva, come lei, delle curiosità da soddisfare, e molte di esse riguardavano Nate. Le chiese che tipo fosse, come trascorresse le sue giornate, com’era vivere insieme a lui… Athena sulle prime si limitò a rispondere con brevi spiegazioni e, un paio di volte, monosillabi, non ritenendo particolarmente degne di nota certe inezie, cose che per lei erano avvenimenti quotidiani e a cui non faceva più caso da anni. Poi però, dopo poco tempo, si ritrovò a ridere con Margareth, quasi soffocandosi con il pane e formaggio che stavano consumando a pranzo, mentre le raccontava che un giorno, per il suo compleanno, lei, Greg e qualcuno degli altri cacciatori gli avevano preparato una festa a sorpresa che si era conclusa con la torta che volava sopra le teste di tutti e atterrava precisamente sulla testa dello stesso Nate, soprattutto a causa di Athena e di un suo passo falso.
- Come sei entrata negli Architetti?- le chiese quando entrambe ebbero smesso di ridere.
Margareth scosse la testa, bevendo qualche sorso d’acqua per liberarsi la gola da un pezzo di pane.
- Nello stesso modo in cui lo diventano molte altre persone.- rispose - Gli Architetti tengono d’occhio molte famiglie altolocate. Avere contatti nella borghesia permette loro di sapere cose che altri non sanno anche prima che queste avvengano, o di semplificare certe procedure burocratiche, o di fare arrivare le loro opinioni in alto… addirittura, per le imprese più dispendiose, ci sono alcuni contatti che consentono di ricevere i giusti finanziamenti.-
- Ah… e questo cosa c’entra con te?- chiese Athena, prima annuendo e poi scuotendo la testa.
- La famiglia Orwell è una delle più antiche e rispettate, nella contea di Wiskerdell.- rispose Margareth, mentre una punta d’orgoglio le attraversava il volto - Io sono l’ultimogenita della mia famiglia. Due miei fratelli hanno importanti cariche pubbliche, e mia sorella maggiore è sposata con il terzo nipote di un alto funzionario del Ministero delle Finanze.-
- Oh. Wow.- commentò laconica Athena - Fortuna che non porti cappelli, o la tua testa non ci starebbe.-
Margareth le scoccò un’occhiataccia.
- Ridi pure, cacciatrice in erba.- rispose - Ma ti assicuro che non sto esagerando affatto, è tutto vero, dalla prima all’ultima delle mie parole. E, per rispondere alla tua domanda, gli Architetti non si limitano a cercare il talento. Certo, è estremamente apprezzato, e chi lo dimostra spesso viene inserito a sua volta nell’alta società, una volta divenuto Architetto vero e proprio… tuttavia, le famiglie come la mia vengono tenute d’occhio proprio per non lasciarsi sfuggire una persona come me.-
- “Come te” in che senso?-
- Nel senso che ho molti contatti utili e sono una maestra di scherma, ecco in che senso.- rispose lei, dando un colpetto affettuoso al fioretto - Questo ha fatto di me la candidata ideale per loro. E l’essere stata la prima a trovarti, oltre che la sola fino ad ora a capire che sei innocente non fa che confermare questa tesi.-
- Sarà, ma continui a sembrarmi un po’ piena di te. Senza offesa.- disse Athena, posando il mento sui palmi.
Non lo disse con cattiveria, né con l’intento di ferirla: semplicemente, era abituata a constatare quello che vedeva e a farne parola per prima, senza dare giudizi o insultare. Margareth poteva anche avere ragione ed essere da sempre la perfetta candidata al ruolo di Architetto, ma in ogni caso il suo discorso la faceva sembrare fin troppo orgogliosa della propria condizione, fin quasi alla spacconaggine, per non dire alla superbia.
- Non sto cercando di darmi arie o di sembrare più importante di quello che sono.- replicò lei, accigliata ma in tono abbastanza paziente - So che la famiglia di Nathan Clarke, per esempio, era molto umile e povera, ma quella di Oliver Kegyvek, invece… uno che si è addestrato con me…- spiegò, vedendola confusa - Insomma, lui era addirittura strettamente imparentato con il Consigliere Luganell, che è la terza carica più alta di tutto il paese… eppure, dopo un paio di mesi, è stato allontanato, non ha raggiunto i requisiti richiesti. In parole povere, la famiglia, le tue abilità, il tuo cervello… tutte le tue qualità innate, insomma, sono molto importanti per gli Architetti, ma nessuna vale più della tua volontà e del tuo impegno. Mi hanno scelta per quella che sono, ma mi hanno tenuta perché ho dimostrato loro che ne valeva la pena… e te l’assicuro, Athena: non è stata una passeggiata.-
E incrociò le braccia, scura in volto. Athena non rispose, limitandosi a sostenere il suo sguardo, e quando rimontarono in sella lo fecero in silenzio, silenzio che si protrasse per alcune ore.
 
- Quindi… quel tuo compagno che hanno allontanato.- disse Athena, verso il tramonto.
- Cosa vuoi sapere?- chiese Margareth, dondolando al ritmo dei passi del cavallo.
- Hai detto che all’inizio lo credevano adatto, ma poi lo hanno mandato via, no?- chiese - Intendi dire che c’è un qualche tipo di scuola apposita?-
- Per gli Architetti? No, non proprio.- rispose lei - Certo, c’è la Rocca, e un’ala intera dell’edificio è adibita all’addestramento dei neofiti, ma non abbiamo scuole sparse per il paese. Semmai, qualcuno dei nostri insegna nelle accademie vere e proprie, come quelle artistiche o militari, e ci segnala una o più persone ogni tanto.-
- Ma se siete una società segreta, perché le persone che avete scartato dopo che sono arrivate alla Rocca non raccontano di voi in giro?-
Margareth sorrise con la faccia di chi si è sentito chiedere qualcosa di ovvio.
- Athena… tu stessa stai seguendo lo stesso cammino che ho fatto io tempo fa.- disse - Avevo tredici anni, all’epoca. Tredici anni e ben poco che frenasse la mia lingua… dubito che una ragazzina tanto piccola possa tacere facilmente, o capire fino in fondo l’importanza di certi segreti solo sentendosi dire “non devi rivelarlo mai a nessuno”. Eppure, mai una volta ho fiatato da allora, e anzi sono stata estremamente attenta a non parlare mai ad alta voce degli Architetti se non in privato.-
- Vuoi dire che è il viaggio a convincerti a non dire niente?-
- In parte.- annuì lei - La difficoltà delle prove che ho superato mi ha dato la giusta misura di quanto fosse importante il segreto. Ma anche alcune cose che ho visto lungo la strada, parlando con le persone giuste, sono servite.-
- E questo funziona anche per chi viene respinto?-
- Beh, naturalmente non possiamo esserne sicuri.- rispose Margareth, scuotendo la testa - Un rifiuto del genere può lasciare un grave risentimento nell’animo di una persona. Per questo ricorriamo alla magia runica: tramite il giusto incantamento possiamo eliminare dalla memoria del soggetto i ricordi della Rocca, degli Architetti e dei membri della società segreta e rimpiazzarli con storie di copertura che spieghino le lunghe assenze di chi viene sottoposto al processo.-
- E le persone che allontanate… vi lasciano fare?-
- Alcune.- sospirò lei - Altri, come Oliver, arrivano anche a piangere. Come se fosse doloroso…- brontolò, scuotendo la testa con disapprovazione.
Athena non disse niente ma, in cuor suo, fece solenne voto di non provare mai a fare imbestialire gli Architetti.

Scusatemi se sono stato assente così a lungo, ma è un periodo difficile per mettersi a scrivere, e purtroppo presto peggiorerà. Non interromperò le pubblicazioni, questo no, ma non vi nascondo di cominciare a temere di dover regredire di nuovo al livello di "un capitolo a settimana" come con "The Hollow Game". Beh, vedremo.
Ringrazio 
Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che mi seguono come sempre, e anche Paola P, che ha appena inserito la storia tra le preferite. A presto!

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Capitolo 15
*** Cap. 14: Viniva ***


Ebbene, eccomi di ritorno, dopo tre mesi di assenza. Scusatemi, so bene che avevo detto di voler provare a pubblicare almeno un capitolo a settimana, ma non mi è proprio stato possibile. Ad ogni modo, da oggi riprendo a scrivere, così smaltisco gli arretrati.
Per prima cosa, ricapitoliamo la storia fin qui (così non perdiamo il filo): Athena, adottata da Nathan Clarke, viene accusata del suo omicidio in quanto Figlia di Caino, e dunque ritenuta un'assassina per natura. Sfuggita agli inseguitori incontra Margareth, un membro della società segreta degli Architetti capitanata dallo stesso Nathan, che dopo averla salvata da un attentato alla sua vita decide di aiutarla a raggiungere gli Architetti e a scoprire la verità. Attualmente le due sono dirette ad una delle città sotterranee dei Drow, dove Athena dovrà affrontare una prova che la porterà più vicina alla Rocca, il luogo dove si riuniscono gli Architetti.
Nel frattempo un misterioso gruppo di Figli di Caino, comandato da un uomo di idenità ignota, cospira per ucciderle entrambe in quanto uniche testimoni di una parte di verità sulla morte di Nathan Clarke, e per distruggere (presumibilmente) anche gli altri Architetti. Una di essi, Astrid, si offre volontaria per inseguirle e fermarle.
E ora, passiamo al capitolo...

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Il secondo giorno di viaggio, quando secondo Margareth mancavano poco più di dieci leghe dalla destinazione, le nuvole che fino a quel momento erano state poco più che una presenza capace di smorzare i raggi del sole e portare un po’ di fresco si addensarono in una massa scura e compatta, cominciando a rovesciare acqua su di loro con forza sempre maggiore. Presto si ritrovarono zuppe fino al midollo, nonostante i nuovi mantelli che avevano acquistato per poche monete da un mercante itinerante che avevano incrociato circa un’ora dopo l’inizio del temporale. Quando finalmente decisero di fermarsi a riposare, la pianura aveva già da qualche ora ceduto il passo a dolci pendii erbosi che, con l’acquazzone, si erano ben presto trasformati in vere e proprie trappole di fango su cui non potevano che slittare a ogni passo, costrette ad arrancare a piedi perché impossibilitate a usare i cavalli in una simile situazione.
Grazie a Dio, la loro buona sorte parve ridestarsi almeno in parte e, superata la prima collina, ebbero la fortuna di trovare una piccola grotta naturale nel fianco della successiva, un po’ fredda ma relativamente asciutta e riparata.
- Non sono mai stata così bagnata neanche dopo un intero giorno a mollo…- gemette Margareth, strizzandosi i ricci fradici con stizza.
Athena non replicò, limitandosi a fare altrettanto col proprio cappello.
- Almeno, questo rallenterà eventuali inseguitori.- disse - Seguire le tracce di qualcuno sotto la pioggia intensa è quasi impossibile.-
Margareth si strinse nelle spalle e, avvolgendosi meglio nel proprio mantello, sedette sulla dura roccia scrutando con aria torva il panorama all’esterno, grigio e freddo per il maltempo.
- Entro domani dovremmo arrivare a Viniva.- sentenziò - Da lì sarà facile raggiungere i Drow… è proprio oltre questo gruppo di colline. Ma se continua così la tireremo troppo per le lunghe, e non spererei di scoraggiare i nostri avversari: hanno ucciso Nathan Clarke, non si scoraggeranno per così poco.-
- Ne parli come se fosse un’impresa degna di un gigante.- osservò Athena, cercando di non suonare troppo malinconica.
- Beh, in un certo senso…- sbuffò lei. Le lanciò uno sguardo strano, a palpebre strette, come se fosse sorpresa e sospettosa insieme - Perché, non lo sai?-
- Cosa non so? Sii più specifica, per favore.-
- Nathan Clarke… gli avevano fatto degli incantamenti.-
- Sì, questo è ovvio… in casa avevamo un po’ di roba infusa di magia runica…-
- No, non parlo di oggetti, parlo di lui stesso.- chiarì Margareth - Si dice che sulle sue ossa fossero stati usati incantamenti illegali.-
Athena aggrottò la fronte.
- Incantamenti illegali? Cioè… aspetta, si è fatto… infondere le ossa di magia runica?- chiese, con un tremito nella voce.
- Questo è quello che si dice alla Rocca.- rispose lei.
Athena deglutì: gli incantamenti illegali erano stati messi al bando secoli e secoli prima, in quanto ritenuti troppo pericolosi da eseguire. Pochi incantatori ne erano in grado, e se anche avessero avuto l’abilità necessaria per aprire le carni dei loro clienti con tagli che arrivavano fino alle ossa, incidere le rune richieste, infonderle di potere e poi richiudere il tutto, non era affatto scontato che l’operazione riuscisse. Per prima cosa, chi subiva tutto questo pativa le pene dell’inferno, anche perché il processo andava ripetuto più volte per ogni osso da incantare. In secondo luogo, era raro trovare persone dotate di un fisico sufficientemente solido da sopportare un simile stress: molti morivano durante il procedimento o poco dopo, stroncati dal dolore o dalla magia dentro di loro. D’altra parte, quelli che sopravvivevano ottenevano grandi benefici in questo modo… anche se, a dirla tutta, non esisteva nessuno così matto da rischiare tanto, e Nate di certo non lo era mai stato. D’altra parte, ormai, non poteva più nemmeno essere così sicura di conoscerlo…
- Beh, comunque appena la pioggia cala direi di rimetterci in marcia.- propose Margareth, come se niente fosse - Aggireremo il prossimo pendio, così risparmieremo un’ora, e forse (e dico forse) potremmo farcela addirittura in serata, se teniamo un buon passo. Ci stai?-
Athena ci mise qualche secondo per registrare la domanda, assorta com’era nei propri pensieri. Subito, annuì.
- Sì, certo.- rispose - Pensi che a Viniva ci sia un modo per contattare gli altri Architetti?-
- Se non c’è, di sicuro lo troveremo una volta raggiunti i Drow.- replicò Margareth - Devono pur avvertire la Rocca che qualcuno è passato per sostenere la loro prova, giusto?-
Athena annuì ancora.
Giusto. pensò.
 
Ci vollero almeno altre due ore prima che la cascata d’acqua si riducesse abbastanza da permettere loro di proseguire. Per tutto il pomeriggio rimase comunque presente sotto forma di una fitta foresta di aghi ghiacciati. Seguendo il percorso suggerito da Margareth oltrepassarono le colline mentre la poca luce che filtrava dalla cortina di nuvole calava sempre di più. Ben prima del tramonto il cielo si fece più scuro e cupo, il freddo più intenso, accompagnato da un vento pungente e fastidioso che soffiava loro direttamente in faccia con ululati acuti. Una volta Nate aveva definito quel clima “tempo da Banshee”.
- Ci siamo!- gridò Margareth a un certo punto, quando ormai era quasi scesa la notte - Appena dopo questa svolta arriveremo a Viniva!-
Athena sputacchiò un miscuglio d’acqua mista a erba secca che le era finito in bocca con una ventata e non rispose: la sua mente era già concentrata sul tetto della locanda in cui avrebbero alloggiato e al piatto di zuppa calda che le aspettava. Per tutto il giorno aveva arrancato nel fango, sotto la pioggia, al freddo e nell’umidità più intensa, mangiando solo qualche pezzo di pane e formaggio.
La sua delusione, quindi, fu ancora più intensa quando superarono l’ultima curva e videro Viniva.
 
La città era spenta, silenziosa, priva di una minima parvenza di calore. Nessuno dei comignoli emetteva fumo, e le finestre sembravano vuote.
- Qualcosa non va.- disse Margareth, fermandosi sul sentiero - Viniva sembra vuota.-
- Per forza, diluvia!- sbuffò spazientita Athena: cosa pretendeva, con tutta quell’acqua?-
- No, intendo dire… è troppo vuota.- spiegò lei, asciugandosi inutilmente la fronte col dorso del braccio - Guarda… niente caminetti accesi, niente luci… è presto, ancora il sole sta tramontando. Nessuna locanda chiude così presto, e non ci credo che tutti abbiano già finito di cenare e siano andati a letto. Guarda, laggiù c’è il Palazzo Comunale… perché è così tranquillo? È sempre l’ultimo edificio a spegnersi, in qualsiasi città della regione…-
- Senti, perché non ci limitiamo a entrare e a scoprire cosa succede?- ringhiò, mentre la pioggia e riempiva gli occhi - Ho fame, sono stanca morta e fa un freddo tremendo! Non voglio passare la notte qui fuori, accidenti!-
- Potrebbe essere pericoloso.-
- Lo è anche una polmonite.-
Margareth sospirò rassegnata.
- Va bene… ma tieni gli occhi aperti, per favore.-
- Come se negli ultimi giorni avessi tenuto la guardia bassa.-
 
Più si avvicinavano a Viniva più diventava chiaro che Margareth aveva ragione: la città era silenziosa, spenta. Non si sentivano nemmeno le voci dei bambini dentro le case, o i suoni degli abitanti intenti a prepararsi per andare a letto. Raggiunsero in fretta la locanda, vicina al confine urbano, e non trovarono nemmeno lo stalliere.
- Ora sei convinta?- chiese Margareth, asciugandosi alla meglio la testa - C’è davvero qualcosa che non va.-
Athena non rispose, sfilando la spada dalla sella del cavallo e allacciandola alla cintura.
- Diamo un’occhiata in giro?- chiese.
Margareth aggrottò la fronte, guardandola da sopra le braccia incrociate.
- Credevo che volessi riposarti e mangiare qualcosa di caldo.- la redarguì, ostentando un sorrisetto provocatorio.
- Piantala di prendermi in giro.- borbottò lei - Come se mi potessi riposare in una situazione simile.-
- Certo, ma restiamo unite.- rispose Margareth - Qualsiasi cosa sia successa qui…-
- Già, cosa è successo qui?- chese Athena, mentre uscivano di nuovo sotto la pioggia.
La compagna si strinse nelle spalle.
 - Non lo so. Proviamo a entrare nella locanda, ci sarà pure qualcuno.-
- Certo, è così piena di vita…-
Margareth non rispose.
 
Aprirono la porta, che riecheggiò nell’ampia sala piena di tavoli di legno e sedie vuote. Oltre il lungo bancone c’erano alcune vecchie bottiglie polverose disposte disordinatamente su alcuni scaffali, vicino a due grandi botti di birra. Quella più lontano dalla porta era scheggiato su un lato, e il contenuto era colato completamente per terra fino a formare una grande pozza scura quasi essiccata, lasciando sul pavimento di legno una macchia opaca. Sulle scale che portavano al piano di sopra c’era un bagaglio rovesciato, il contenuto sparso per i gradini, e alcune porte delle camere erano spalancate. Una era sparita, a eccezione di due identiche schegge di legno in prossimità dei cardini.
- Però… accogliente…- commentò Athena, guardandosi intorno.
- Qualunque cosa sia successa, non possono essere passati più di due giorni.- decretò Margareth, facendo qualche passo avanti - Quella birra per terra non si è ancora asciugata.-
- D’accordo, ma che si fa?-
- Continuiamo a cercare. Qualcuno sarà pure rimasto in città, no?-
- Non sappiamo nemmeno cos’è successo, però. Forse se ne sono andati tutti… e anche di fretta, direi.- aggiunse, adocchiando il bagaglio rotto sulle scale - Pensi che siano stati i Drow?-
- Ma no, figurati… la tribù che abita qui vicino è pacifica… perlomeno, più di molte altre. E gli abitanti di Viniva commerciano con loro ogni tanto. No, i Drow sono nostri alleati, gli Architetti non gli perdonerebbero una cosa simile… è successo qualcos’altro.-
Uscirono di nuovo in strada e provarono a frugare in alcune botteghe, trovandole vuote e disordinate come la taverna. Due o tre case lungo la strada erano aperte, le porte danneggiate (se non completamente scomparse) come nel caso della camera della locanda, e anche lì non trovarono nessuno che potesse dare loro qualche spiegazione. C’erano solo polvere e silenzio: in un’abitazione si imbatterono in quella che sicuramente era stata una stanza da letto per bambini, i giocattoli alla rinfusa e un cavallo a dondolo steso su un fianco. Si aggirarono per le vie fino a quando l’acqua non riprese a cadere con rinnovato vigore, costringendole a tornare nella locanda, dove almeno avrebbero trovato cibo per loro e i cavalli, oltre che un riparo.
- Non credo che dovremmo dormire qui.- sentenziò Margareth mentre si sedevano a un tavolo con due vassoi carichi di pane, zuppa appena scaldata (ne avevano trovato un tegame pieno sul fornello, come se il cuoco fosse sparito subito prima di finire di prepararla) e una caraffa d’acqua - Non sappiamo cos’è accaduto, e qualsiasi cosa abbia fatto fuggire gli abitanti potrebbe essere ancora nei paraggi. Non siamo al sicuro.-
- Non ho visto segni di lotta, però.- osservò Athena, staccando un pezzo di pane e immergendolo nel piatto - Né tracce di sangue, o impronte di qualche tipo. E non solo all’esterno, che piove… ovunque siamo state era tutto in ordine o quasi.- lanciò uno sguardo alle scale, dove ancora giaceva il baule rotto - Guarda… quello, per esempio, sembra essere come… non so… caduto, piuttosto che abbandonato in fretta e furia. Ed era lo stesso per quel cavallo a dondolo… non c’è niente che indichi violenza.-
Margareth allungò una mano verso il bicchiere, persa nei propri pensieri, e fece per versarsi una sorsata d’acqua, quando alle loro orecchie giunse un suono diverso dal silenzio o dallo scrosciare della pioggia: era il nitrito dei cavalli, e parevano piuttosto agitati, anche se ovattato e indebolito dalle pareti e la distanza.
- E ora cosa c’è?- mormorò Margareth, posando la caraffa.
Entrambe si alzarono rapidamente e raggiunsero l’uscita, dirette verso la stalla. Dal piano di sopra, nascosta dietro un angolo in ombra, Astrid le osservò in silenzio mentre se ne andavano, maledicendo mentalmente il tempismo di quei dannati animali.
Ora non funzionerà più… pensò.

Finalmente un nuovo capitolo. Lo posto ora per farmi perdonare per la lunga assenza, ma non so se stasera riuscirò a prepararne un altro, sono ancora in rodaggio dopo la forzata immobilità creativa, e mi devo ancora riabituare ai ritmi di scrittura che avevo. In ogni caso farò del mio meglio per tornare quello di una volta.
Ringrazio Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che mi hanno letto fino a non molto tempo fa e che spero abbiano avuto la pazienza di aspettare questo nuovo capitolo. In caso contrario non fa niente... recupereremo.
A presto!

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Capitolo 16
*** Cap. 15: La nuova avversaria ***


Più si avvicinavano alla stalla e più i nitriti dei cavalli diventavano forti, insieme allo scalpiccio dei loro zoccoli. Nei loro versi si sentivano chiaramente disperazione mista a paura. Athena fu la prima a entrare, camminando più in fretta senza nemmeno rendersene conto, ma dopo appena un paio di passi si sentì afferrare per il colletto e tirare bruscamente indietro, proprio prima che l’anta del cubicolo si aprisse con uno schianto a causa di un calcio particolarmente violento di uno degli animali. Evitò per un pelo di rompersi qualcosa, mentre il cavallo si agitava sempre più, uscendo nello spazio aperto davanti a loro e poi fuori dall’edificio, gli occhi che roteavano impazziti. Le due indietreggiarono rapidamente per evitare di essere travolte o colpite dai suoi zoccoli.
- Ma che cavolo succede?- esclamò Athena.
- Sembra che… qualcosa lo abbia terrorizzato a morte!- disse Margareth - Aspetta, ora provo a…-
Fece per avvicinarsi nel tentativo di calmarlo in qualche modo, ma all’improvviso quello si impennò sulle zampe posteriori e, contemporaneamente, venne avvolto da un’intensa luce che le abbagliò entrambe, costringendole a coprirsi gli occhi. Un fenomeno simile parve accadere all’altro animale, ancora nella stalla, da cui filtravano lame lucenti e i suoi versi disperati.
Poi tutto finì, senza alcun preavviso, proprio così com’era cominciato. Del cavallo non c’era più traccia.
 
Per un istante Athena rimase immobile a fissare il punto in cui, fino a un secondo prima, c’era la cavalcatura di Margareth, e adesso solo aria e pioggia leggera; ripresasi dallo shock si precipitò nella stalla, e scoprì che anche il suo cavallo era sparito, dileguatosi nell’aria senza apparente motivo.
- Morti.- disse Margareth alle sue spalle, in tono sorprendentemente tranquillo, solo vagamente venato di allarme - Deve essere stata una qualche magia runica, ma non so proprio cosa…-
- È stata l’acqua.- la interruppe Athena, voltandosi verso di lei - Hanno impresso nell’acqua una runa di cancellazione… fa letteralmente sparire chiunque la beva.-
Margareth sgranò gli occhi, sorpresa.
- Una runa… impressa in acqua?- ripeté - Ma… com’è possibile? Non si può imprimere una runa nel liquido!-
- Si può, se sai come fare.- corresse Athena - E se hai la runa giusta, ovviamente. Non è facile, questo no, ma se sei un incantatore abbastanza bravo…-
- D’accordo, ma tu come lo sai?-
Athena si strinse nelle spalle.
- Nate.- rispose semplicemente.
Non era un’incantatrice, questo no, ma lo aveva già detto in passato, l’educazione che le era stata impartita comprendeva anche le rune. Se avesse voluto, ma soprattutto se ne avesse avuto tempo, avrebbe potuto passare alle esercitazioni pratiche. Certo, senza un maestro capace e paziente avrebbe impiegato decenni, ma sarebbe potuta diventare un’incantatrice.
- Potrebbero essere stati gli assassini di Nathan Clarke?- chiese Margareth.
- Beh, non so… non è una runa che possono usare tutti, servirebbe un sacco di energia, per non parlare di… ah, insomma, il succo è che potrebbe farlo solo un maestro di altissima classe.-
- E visto che di loro non sappiamo niente… ma quel tipo, l’altra volta, non sembrava un incantatore, anche se aveva frecce di fuoco. Di certo hanno qualcuno capace di usare le rune, quindi potrebbero essere stati loro.- si avvicinò all’abbeveratoio, stringendo le braccia tra di loro - Se quest’acqua è inquinata dalla magia runica potrebbe esserlo anche quella che stavamo per bere noi. Non è sicuro qui.-
- Beh, finalmente l’avete capito.-
La voce che ruppe il silenzio fece sussultare entrambe, nuova e improvvisa in tutto quel silenzio di tomba. Non si erano aspettate di trovare qualcuno, dopo la lunga ispezione che avevano fatto in città, e adesso una donna parlava loro. Si guardarono attorno per qualche istante senza vederla, prima che dicesse ancora qualcosa.
- Sono quassù.-
La individuarono appollaiata sul soppalco della stalla, una gamba che penzolava nel vuoto e l’altra ripiegata contro il petto. Indossava un mantello da viaggio e abiti da caccia, e sulla fronte spiccava chiaramente la sua cicatrice, solo vagamente coperta dalla frangia bruna.
- Tu chi sei? Sei stata tu a uccidere tutti gli abitanti della città?- chiese Margareth.
La donna scosse la testa.
- Mi chiamo Astrid. Era già così quando sono arrivata.- rispose.
- Perché dovremmo crederti?- sbottò Athena, la mano già sull’impugnatura della spada - Sei una Figlia di Caino, no?-
- Lo sei anche tu, piccolina.- osservò la donna.
- Sì, ma io non cerco di uccidere nessuno. Sei una compagna del tizio dell’altra volta, vero?- replicò lei, accigliata.
La donna mosse appena una spalla, senza rispondere.
- Se non sei stata tu…- disse Margareth, portando le mani sui fianchi - … allora cos’è successo? Come mai l’acqua è stata inquinata dalla magia runica?-
- Beh, perché non sono certo io la prima a mettere piede da queste parti.- rispose l’altra - Saranno almeno due mesi che ci prepariamo, forse anche di più. Non avete idea di quello che abbiamo fatto per essere in grado di affrontare anche gli Architetti, oltre che le autorità costituite… e visto che non potevamo raggiungere i Drow abbiamo dovuto accontentarci. Se riuscirò a bloccarvi qui sarà un ottimo risultato, per me.-
Prese qualcosa da una tasca e lo lanciò ai loro piedi: era un sasso, su cui era stata impressa una runa di fuoco.
- Maledizione… a terra!-
Entrambe si lanciarono di lato, rotolando nel tentativo di allontanarsi dalla pietra. Pietra che però non si attivò: rimase semplicemente a terra, inerte e senza vita. Solo allora, con Margareth quasi fuori dalla stalla e lei sempre più all’interno, Athena comprese.
Un trucco!
E allora un coltello volò nell’aria, piantandosi in una delle travi portanti dell’edificio di legno. A quel punto sì che la runa brillò, emettendo un intenso fiotto di fiamme che distrusse l’asse in pochi secondi.
 
Con un potente scricchiolio il soffitto franò a terra e il fuoco si espanse in fretta, ignorando la pioggia che entrava dai buchi formatisi sopra di lui, troppo sottile per fare la differenza. Paglia e altri materiali infiammabili presero rapidamente ad ardere, sollevando fumo acre e pesante. Una barriera infuocata la separò da Margareth, impedendole di raggiungerla, e Astrid era sparita.
- Margareth!- gridò Athena, indietreggiando e sollevando un braccio per coprirsi il naso e la bocca - Mar… marga…-
Un eccesso di tosse mozzò le sue parole, costringendola a inginocchiarsi: aveva inalato troppo fumo, e a malapena riusciva a respirare.
Cercando di riprendersi e di schiarirsi la vista offuscata dalle lacrime, Athena guardò le lingue incandescenti che la circondavano e si alzavano sempre di più, minacciando di inghiottirla: era morto così Nate? Bloccato in un edificio rovente, soffocato dal fumo e dalla tosse? O il coltello era riuscito ad arrivare prima, e non aveva sofferto?
Onestamente, sperava proprio che fosse morto prima.
 
Margareth si ritrovò tagliata fuori dalla stalla in fiamme, e Athena era sparita dalla sua vista, sicuramente ancora all’interno dell’edificio e da sola. Le parve anche di sentire la sua voce, per un momento.
Maledizione…
- Athena!- gridò.
- Oh, ma non mi dire… ti preoccupi per una Figlia di Caino?-
Furiosa, Margareth si voltò verso la sua sinistra, dove era ricomparsa Astrid, con una spada stretta nel pugno.
- Dopotutto è solo un’altra assassina, dovresti saperlo. Perché avere così paura per la sua incolumità?-
- Lei non ha fatto nulla di male, feccia.- rispose Margareth, sguainando il fioretto - Al contrario di voi, è onesta e innocente quanto lo sono io.-
A quelle parole, Astrid scoppiò a ridere di gusto, tenendosi la pancia con la mano libera, e scosse la testa vigorosamente.
- Innocente? Sul serio? Mai sentita una sciocchezza simile!-
- Ha passato tutta la sua vita finora al fianco di Nathan Clarke in persona, e nonostante questo…-
- No, non partire per la tangente, carina… non parlavo di lei.- rispose Astrid, accennando alla stalla incendiata e tornando di colpo seria - Sì, concordo che è sorprendente… tutti i Figli di Caino nascono tali in quanto destinati a uccidere almeno una persona nel corso della loro vita, ma io parlavo di te.-
Margareth esitò, ora sorpresa.
- Come?-
- Su, tesorino… sii onesta, almeno con te stessa.- replicò la donna - Tu non sei innocente, come non lo è nessuno dei tuoi preziosi Architetti… a dire il vero, per quanto detesti la cosiddetta “gente normale”, voi riuscite addirittura a disgustarmi.-
Puntò la spada contro di lei, e il suo sguardo si fece ancora più torvo, più deciso.
- Vi professate promotori del progresso e del benessere di tutti, ma nemmeno voi riuscite a trovare spazio per noi Figli di Caino, in questo vostro “mondo perfetto” che cercate disperatamente di creare. Le persone che erano in questa città almeno ammettevano di detestarci. Voi invece vi limitate a ignorarci.-
- Questo non è vero!- esplose Margareth, schiumante di rabbia. Alzò il braccio di scatto e indicò furiosa la stalla - Athena! Quella ragazza è una Figlia di Caino come te, eppure è stata cresciuta nientemeno che da Nathan Clarke in persona! Il nostro capo! Non puoi dire che noi Architetti…-
- Lui è stato il primo ed unico uomo a mostrare pietà per noi. Quanti di voi lo hanno sostenuto? Quanti hanno, o avrebbero, preso uno di noi in casa e lo avrebbero allevato come un figlio?-
- Questo vi rende solo più colpevoli di quanto già siate!- urlò Margareth - Avete ucciso l’unico uomo che vi abbia teso una mano!-
Astrid sospirò.
- Già… purtroppo, il suo metodo era troppo lento. Un giorno, forse, saremmo stati accettati… ma tra molti, troppi anni. E non avrebbe mai approvato il nostro sistema, ci avrebbe contrastati. Era una minaccia troppo grande, per questo è morto.-
- E ora volete uccidere anche Athena, giusto? Per nascondere la verità!-
- A noi basta che non arrivi alla Rocca viva. In effetti, al momento sei tu a preoccuparmi. Perché vedi, Athena Asimov da sola è una cosa… ma Athena Asimov accompagnata da un Architetto che crede alla sua storia e che può testimoniare a suo favore… questo è un vero problema.-
Dopodiché, in un battito di ciglia, le fu addosso.

Ok, rieccomi. Ci ho messo qualche giorno, ma sono riuscito a preparare il nuovo capitolo della storia, e adesso si comincia a fare un po' più sul serio. Ringrazio Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa FaN, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che ancora mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 17
*** Cap. 16: Drow ***


Athena si schiacciò a terra, inspirando lentamente la striscia d’aria fresca rimasta nella stalla in fiamme, mentre l’irritazione da fumo si attenuava un po’. Una trave cadde da qualche parte poco lontano da lei, ma non se ne curò e, quando si sentì pronta, si tirò la tunica fin sopra il naso e corse verso l’abbeveratoio dei cavalli: l’acqua all’interno era stata inquinata dalla magia runica, ma se non l’avesse ingerita forse (forse) non le sarebbe accaduto niente… e comunque qualcosa doveva pur farla. Se doveva scegliere tra lo scomparire nell’aria, il bruciare viva o il soffocare per il fumo, tanto valeva rischiare con la prima possibilità.
Quindi, senza esitazione, si tuffò completamente nella vasca di legno, stando bene attenta a sigillare gli occhi e la bocca e a tapparsi il naso. Sarebbe bastata una goccia per far scattare l’incantamento.
Rimase dentro giusto il tempo di bagnarsi fino al midollo, poi uscì rapidamente e, sgocciolando acqua in giro, si diresse verso la parete di fondo; anche quella era mezza divorata dalle fiamme, come tutto il resto, e non c’erano aperture in grado di farla scappare via. D’altra parte, il legno in quel punto era indebolito e consumato, il fuoco lo aveva reso estremamente fragile. Doveva solo essere abbastanza veloce.
Su… un bel respiro…
Indietreggiò di un paio di passi, incassò la testa tra le spalle e formò una solida protezione coi gomiti, correndo con tutte le sue forze e chinandosi in avanti. Se avesse colpito con la giusta spallata…
Quando fu a pochi centimetri dalla meta, una trave cedette proprio sopra di lei, e una pioggia di detriti le franò addosso, seppellendola sotto un cumulo di legno bruciato e detriti ardenti.
 
Margareth parò il primo affondo di Astrid e rispose con una veloce stoccata, spostandosi di lato nel contempo per uscire dal suo asse e trovare un punto scoperto. Il suo movimento improvviso colse alla sprovvista la sua avversaria che, nella foga dell’attacco iniziale, abbassò la guardia sul fianco sinistro. Un semplice affondo alla giusta altezza e l’avrebbe messa fuori gioco subito.
Fece per colpire, la punta del fioretto pronta a scavare nella sua carne, ma quello che aveva preso per un attimo di distrazione si rivelò una finta calcolata e, con una rapidità sorprendente, Astrid piroettò all’indietro, la spada in orizzontale rivolta verso il suolo. Il fioretto cozzò contro la lama senza produrre danni, e subito dopo arrivò il nuovo attacco, stavolta dal basso. Quasi le mozzò un orecchio, e se non avesse deviato in tempo la spada ci avrebbe rimesso anche di più.
Da quel momento in poi fu difficile riuscire a contrattaccare: Astrid cominciò a sferrare colpi in rapida successione, e anche se non poteva competere con la velocità di un fioretto aveva il peso dalla sua parte. Il più delle volte Margareth, avendo un’arma tanto leggera e sottile, si ritrovava costretta a schivare e a deviare con tutta la forza che aveva, usando anche entrambe le braccia. Più il combattimento andava avanti e più lei si affaticava, mentre Astrid sembrava ancora padrona di sé e, soprattutto, del campo di battaglia.
E c’è anche Athena che ha bisogno di aiuto… pensò, mentre evitava l’ennesimo colpo. Devo finire ora!
 
Athena gemette, riprendendosi dopo il doloroso impatto della trave contro la sua schiena. Si rese conto immediatamente di essere svenuta, ma a giudicare dai suoi vestiti, ancora umidi nonostante il calore, non potevano essere passati più di uno o due minuti. Cercò di alzarsi, ma l’asse sopra di lei era troppo pesante e, soprattutto, scoprì che le faceva un male tremendo la spalla. Forse era solo una botta, al massimo un livido, anche perché riusciva ancora a muoverla, e quindi di certo non era una frattura… ma se invece fosse stata una lussazione, prima di poter impugnare ancora una spada o l’arco avrebbe dovuto aspettare parecchio.
Dai, sei ancora viva… è la cosa più importante per ora, no?
Grugnendo per lo sforzo, impiegò tutte le proprie energie per liberarsi, senza risparmiarne nessuna: se il crollo aveva veramente fatto qualcosa di buono, di certo aveva aperto un varco nella parete. Ora non doveva più sfondarla, e se fosse riuscita a liberarsi prima che venisse giù anche il resto…
Andiamo, andiamo, andiamo…
Sentì un certo scricchiolio sopra di lei, e un tizzone infuocato rotolò pericolosamente vicino alla sua guancia, per poi rimbalzare innocentemente a terra. Ignorandolo, Athena continuò a spingere finché non fu abbastanza lontana dal suolo e afferrò il bordo irregolare della crepa davanti a lei con una mano. L’altro bracciò cominciò subito a tremare, rimasto da solo nello sforzo di sostenere il peso suo e dei detriti (Almeno è sicuro che non mi sono lussata niente…), ma ignorò anche quello. Ormai c’era quasi…
- E forza, accidenti!- urlò, tirando disperatamente nel tentativo di liberare le gambe.
Purtroppo, per quanto bene allenata e istruita, per quanto preparata potesse essere, non era altro che una quindicenne piccola e nemmeno tanto sicura delle sue stesse forze, che era arrivata tanto lontano solo sforzandosi di non pensarci. Ma il suo corpo conosceva i suoi limiti, e tutto quel peso era troppo per una persona come lei, stanca dopo un lungo viaggio e provata dalle troppe emozioni.
Non riuscì a liberarsi, e alla fine cedette anche il braccio che sosteneva tutto. Ricadde a terra, sfiatata e accaldata, inalando il fumo della stalla in fiamme. Tossì di nuovo, mentre i suoi occhi secchi iniziavano a lacrimare.
 
Intere porzioni del tetto della stalla cominciarono a sparire sempre più rapidamente, inghiottite dalle fiamme sempre più alte, che già stavano cominciando ad attecchire anche alla locanda lì a fianco. Ad Athena non rimaneva molto tempo, e Margareth era ancora bloccata lì a combattere contro un’avversaria che, sicuramente, non era interessata a finire il combattimento tanto presto. Senz’altro per Astrid il problema peggiore era proprio lei, in quanto Architetto, ma senza Athena sarebbe comunque stato difficile dimostrare il complotto in atto, e si sarebbero tutti accorti del problema solo quando fosse stato troppo tardi.
Di sicuro erano questi i pensieri della Figlia di Caino, e Margareth sapeva di doversi sbrigare.
- Che c’è, Architetto? Ti vedo in difficoltà!- la schernì lei, continuando a martellarla di colpi e costringendola a indietreggiare, allontanandola dalla stalla.
Rimangiandosi la replica, Margareth sferzò l’aria con il fioretto nel tentativo di creare spazio tra loro, ma durò appena un istante: anche se Astrid indietreggiò per evitare la lama, nell’attimo successivo tornò ad attaccare, stavolta con tanta rapidità e aggressività che le fece perdere l’equilibrio. Slittò sul terreno bagnato, rischiando di cadere rovinosamente, e dovette fare un ampio passo indietro per mantenersi eretta, arrivando anche a piantare il fioretto nel suolo fradicio per avere un altro appoggio. A quell’atto, Astrid scoppiò a ridere.
- Patetico!- esclamò - È tutto qui quello che sai fare? Si sta dimostrando molto più facile del previsto!-
Margareth non le rispose e recuperò l’arma, puntandogliela contro. Tuttavia, anziché lanciarsi ancora verso di lei, spiccò un piccolo salto laterale, spostandosi verso il porticato della locanda. Ci salì sopra, sempre tenendo sotto controllo l’avversaria, che la seguì con lo sguardo senza mai abbassare la guardia.
- Ma che stai facendo?- chiese lei, ora sospettosa - Vuoi attirarmi nella locanda? Pensi di potermi battere cambiando ambiente?-
Margareth scosse la testa.
- No, ti voglio levare di torno.- rispose, abbassando l’arma e prendendola per la lama - Non ho perso l’equilibrio, prima. L’ho fatto di proposito.-
Le mostrò il fioretto, indicando col dito il punto in cui era incisa la runa.
- E allora? È una runa!-
- Sì, una runa di ghiaccio, per essere esatti.- rispose lei - E tu sei su un terreno pieno d’acqua.-
A quelle parole, Astrid abbassò lo sguardo e vide gli effetti della magia runica spandersi in un ampio raggio tutto intorno al punto in cui Margareth aveva conficcato il fioretto poco prima: l’acqua e parte del terreno stavano congelando rapidamente, rendendolo ancor più scivoloso. Restare in piedi adesso, specie con un’arma tanto pesante. In effetti, in condizioni normali una persona armata di fioretto difficilmente avrebbe potuto sconfiggerne una armata di spada, a parità di preparazione e abilità… tuttavia, Margareth non era così sprovveduta.
Senza un attimo di esitazione, afferrò saldamente la balaustra del porticato e lo scavalcò con un balzo, puntando entrambe le gambe contro Astrid. A causa del ghiaccio lei non riuscì a evitarla, e finì lunga distesa dopo un forte colpo al petto.
Atterrata con estrema attenzione per non fare la stessa fine, Margareth saltò di nuovo per uscire in fretta dalla pozza gelata e corse verso la stalla, sperando che non fosse troppo tardi.
Quando fu davanti all’edificio, ormai quasi ridotto a un mucchio di cenere e braci ardenti, Margareth vide una figura accoccolata a terra, avvolta in un mantello nero su cui era impresso un emblema bianco, un grande occhio dall’iride a forma di diamante circondato da un cerchio. Lo riconobbe subito.
- Gre’as’anto, Thalack's Sol.-
L’uomo si voltò lentamene, mentre qualche ciocca color latte sfuggiva dal riparo offerto dal cappuccio, e un viso del colore del cielo notturno solcato da figure di inchiostro bianco, magro e cupo, la squadrava con occhi di una rara colorazione viola intenso.
- Gre’as’anto, Sel Tresk’ri’s Beldroin Margareth Orwell. Devo supporre che questa sia una tua conoscente?-
Si scostò un poco, rivelando Athena stesa ai suoi piedi, tossicchiante e coi vestiti sporchi e bruciacchiati, ma ancora viva. Immediatamente si rilassò, esalando un sospiro di sollievo nel vederla in salvo.
Un’imprecazione sommessa le ricordò che Astrid era ancora lì, e subito si voltò verso di lei. Il Drow si rialzò, affiancandola e dimostrandole di essere anche più alto di lei, e a sua volta rivolse la propria attenzione ad Astrid, ora di nuovo in piedi e con la spada in mano ma esitante a combattere ancora: era chiaro che non si era aspettata l’arrivo di un nuovo avversario, stavolta ben più pericoloso di qualsiasi recluta degli Architetti.
- Il segno della Maledizione di Elistraee.- disse - Il P’obon Axsa. Hai fatto sparire tu la gente di questa città? Rispondi sinceramente e con umiltà, ed incontrerai la mia clemenza.-
Astrid borbottò qualcosa tra i denti e ripose la spada.
- Maledizione… non finisce qui, sappiatelo!-
Detto questo si voltò e cominciò a correre, sparendo rapidamente tra gli edifici. Margareth fece per andarle dietro, ma il Drow la trattenne per un braccio.
- Pazienta, Sel Tresk’ri’s Beldroin. La tua compagna necessita di cure, e io di una spiegazione per la Signora. Ci sarà un’altra occasione per catturarla.-
Margareth trattenne uno sbuffo scocciato e rinfoderò il fioretto.
- D’accordo… grazie per essere intervenuto. Mi aiuti a portarla dentro?-

Per questo capitolo mi sono dovuto immergere nell'oscura cultura dei Drow, ovvero gli Elfi Scuri, che fino a non troppo tempo fa mi era quasi del tutto sconosciuta. Ancora adesso non sono un esperto, e soprattutto sono un neofita con la lingua. Ho comunque fatto del mio meglio per essere quanto più corretto possibile (anche se chi conosce bene i Drow sa che non sono affatto amichevoli con gli umani, il più delle volte... qui ho proprio fatto di testa mia).
Ringrazio come sempre 
Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa KIUUBY, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che mi stanno seguendo. A presto, col prossimo capitolo!

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Capitolo 18
*** Cap. 17: La guida per il mondo sotterraneo ***


Athena era ancora a metà strada tra l’incoscienza e la veglia quando venne sollevata di nuovo e portata dentro un altro edificio, lontana dall’incendio. Intravide a malapena il volto scuro dell’uomo che la trasportava a forza di braccia, o Margareth che apriva la porta davanti a loro. Poco dopo venne adagiata su un letto, e finalmente chiuse gli occhi.
Al suo risveglio la pioggia aveva smesso di cadere, anche se dalla finestra filtravano raggi di un sole debole e incerto. Forse era l’alba, ma di sicuro c’erano ancora molte nuvole in cielo, e l’aria portava con sé l’odore di fumo e di cenere: l’incendio si era estinto. Qualcuno le aveva tolto il cappello, che trovò appoggiato su un rozzo sgabello di legno accanto al letto; si protese cautamente per prenderlo e sentì la spalla lanciarle un grido di avvertimento: dopo la brutta avventura del giorno prima era ancora rigida e dolorante, probabilmente viola per i lividi.
Accidenti, che botta… pensò scocciata. E che figura del cavolo… se Nate fosse qui…
Però non c’era. Non poteva rimproverarla per la sua imprudenza.
Inspirando a fondo per scacciare quel pensiero, si guardò attorno con maggiore attenzione, scoprendo di essere in una delle abitazioni che aveva ispezionato il giorno prima con Margareth, in precedenza appartenuta, con ogni probabilità, a una famiglia non molto grande. Quella era l’unica stanza da letto, e infatti trovò Margareth non lontana da lei, che dormiva nel giaciglio che un tempo era appartenuto ai genitori.
Che brava… io sono svenuta e lei se ne approfitta per accaparrarsi il letto più grande…
Poi si accorse di un terzo respiro, diverso dal suo o da quello della compagna. Era quasi impercettibile, poco più di un refolo prodotto da una porta che si apriva. Solo allora, ricordando che c’era anche un uomo con loro, uno sconosciuto che l’aveva portata fuori dalla stalla, vide una terza figura, seduta con le spalle contro una parete, a gambe incrociate. Un lungo mantello lo copriva da capo a piedi, nascondendogli il corpo e buona parte del volto, anche se la chioma candida ricadeva liberamente verso il basso, penzolandogli dalle spalle.
Lo osservò per un istante, finché quello non alzò il capo, lentamente ma così all’improvviso che Athena ebbe un sussulto: aveva creduto che fosse addormentato. Invece, i suoi occhi erano bene aperti, di un viola intenso. Sul volto color ossidiana aveva dipinti dei complicati disegni dall’aria elegante e articolata, anche se non riusciva a coglierne il significato: una sottile linea curva gli attraversava la fronte, scendendo fino alle guance per poi arrestarsi in due tratti leggeri che la facevano sembrare appuntita. Proseguendo, altre linee ancor più sottili si diramavano sui suoi zigomi e lungo il setto nasale, come spine e arbusti di rovo.
I suoi lineamenti erano netti e definiti, senza tracce di rughe particolari. Sembrava avere un viso del tutto senza tempo, nonostante l’espressione seriosa, quasi fredda.
- Gre’as’anto, l’essnil.- disse lentamente. Aveva una voce cadenzata e profonda, con una nota quasi musicale nel timbro - Non fare sforzi eccessivi. Hai respirato molto fumo ieri notte.-
Athena esitò, sistemandosi meglio il cappello sulla testa.
- Ehm… io… cos’è che hai detto, scusa?-
- Gre’as’anto, l’essnil.- borbottò Margareth dal suo letto, girandosi dall’altro lato senza nemmeno aprire gli occhi - In Drowish: pace, ragazza.-
- Oh. Ehm… grazie. È un… un saluto?-
Il Drow annuì.
- Il mio nome è Kibir Dûl Khazdîn, Qu’abban del casato De’Drextan.-
- Ah… ehm…-
- Non sa di cosa stai parlando, Kibir.- sbuffò Margareth, mettendosi a sedere sul letto con aria rassegnata - Allora… Kibir Dûl Khazdîn, è un Qu’abban… cioè, è un diplomatico del casato Drow Drextan, la casta che governa Llenxia, ovvero la città dove siamo dirette. È venuto da queste parti perché da settimane hanno perso i contatti con Viniva senza una ragione.-
- E… voi due vi conoscete?-
- Certo che sì.- rispose Margareth - Sono stata qui in passato, te l’ho detto, no?-
Kibir non fece commenti e si alzò in piedi, estraendo da sotto il mantello un otre di cuoio, mostrando abiti scuri e aderenti, modellati attorno a un fisico muscoloso e tonico. Si avvicinò ad Athena e le tese la ghirba.
- Tieni.- disse - Devi avere sete. Ieri ti ho inumidito le labbra, ma altra acqua ti farà certamente bene. Non temere, ho usato la pioggia, stanotte.-
Athena mormorò appena un “grazie”, prendendo l’otre e portandolo alle labbra. Mentre lei si dissetava Margareth si infilò gli stivali e sistemò alla meglio i propri capelli, guardandosi nell’unico specchio presente.
- Nnnnh… ho bisogno di un bagno come si deve… e di una spazzola. Ho i capelli in uno stato pietoso!-
- A Llenxia troverai tutto ciò di cui necessiti, Sel Tresk’ri’s Beldroin.-
- Oh, lo spero davvero!- esclamò lei, sorridendogli - Cielo, sono passati anni dall’ultima volta che ho visitato Llenxia… come sta la Matrona Shi’nill?-
- La Ilharess Shi’nil De’Drextan è in buona salute. Sarà lieta di ricevere te e la tua giovane compagna, Sel Tresk’ri’s Beldroin, anche se turbata dalle notizie che le proterò.-
- Già… potrai darle il benvenuto nella compagnia.- mormorò Margareth a capo chino, senza più sorridere. Scosse la testa, agitando i boccoli increspati dal maltempo e dalla sporcizia, e sospirò - Athena, come ti senti? Ce la fai a camminare?-
Athena annuì, allungandosi per prendere gli stivali.
- Cos’è successo ieri? Mentre ero nella stalla, intendo. Dov’è quella donna?-
- Fuggita.- rispose Kibir - Quando sono arrivato io ha preferito ritirarsi.-
- Puoi biasimarla?- disse Margareth con una smorfia - Peccato solo che sia una nemica… è brava, mi ha messa davvero in difficoltà.-
- Pensi che si rifarà viva?- chiese Athena.
- Se non lei qualcuno dei suoi amici. Comunque ne parleremo più tardi, quando saremo a Llenxia. Qui non siamo di certo al sicuro.-
 
Senza più i cavalli dovettero procedere a piedi. Kibir si mise silenziosamente alla guida del loro piccolo gruppo, senza proferire più parola dopo le poche frasi che aveva scambiato con loro quella mattina presto. Anche Margareth si chiuse in un mutismo cupo per la maggior parte del tempo, e perlopiù rimase sulle sue lungo tutto il tragitto.
Il Drow le condusse nei meandri più profondi del gruppo di colline che circondava la città, scegliendo solo all’inizio un sentiero battuto e ben riconoscibile, per poi sportarsi ben presto nell’erba alta, ancora così umida per la pioggia che presto i loro abiti si bagnarono fino al ginocchio. Athena dovette aguzzare la vista e usare tutta l’abilità di cacciatrice che le era stata inculcata da Nate, ma alla fine riuscì a distinguere le tracce evidenti di un passaggio prolungato e relativamente frequente in quell’area, per quanto i piedi di chi ci aveva camminato fossero leggeri e prudenti: uno stelo piegato, un arbusto rotto, un piccolo affossamento pieno d’acqua, creato senz’ombra di dubbio da un passo frettoloso e pesante…
- Ci passate spesso di qui?- chiese alla fine, anche per spezzare quel silenzio tremendo, che ormai iniziava a non sopportare più.
Kibir si voltò a malapena, sena mostrare emozioni degne di nota, scoccandole un’occhiata penetrante, mentre le colline intorno a loro si facevano più alte e gli alberi lentamente più fitti.
- Questo è il cammino più breve per la mia casa, l’essnil. Ma non usiamo mai per più di una settimana lo stesso percorso. Non amiamo le visite.-
- I Drow sono piuttosto riservati.- spiegò Margareth - Cambiano strada spesso, e le loro città sotterranee sono difficili da raggiungere senza una guida. Finché staremo a Llenxia non correremo pericoli.-
- Mh… e gli hai anche spiegato perché dovremmo correre dei pericoli?-
- Ho avuto modo di porre le mie domande.- disse senza voltarsi Kibir - Ora starà alla Ilharess ascoltare l’intera storia e giudicare.-
- Qualsiasi aiuto vorrete dare ai Sel Tresk’ri’s Beldroin sarà bene accetto, Kibir.- disse Margareth.
- Meno parole strane, per favore…- implorò stancamente Athena.
- Scusa. Dimenticavo che tu non parli il Drowish.- sospirò la compagna - La “Ilharess” è la Matrona, ovvero colei che governa un clan Drow. È la massima autorità.-
- Ah… e quel poema di prima? Quel sel teski–qualcosa?-
- Sel Tresk’ri’s Beldroin.- recitò Kibir - Così noi chiamiamo le persone come la tua compagna.-
- I Drow non hanno una parola adatta per “Architetto”.- spiegò Margareth, stringendosi nelle spalle - Quindi ci chiamano in quel modo, che letteralmente vuol dire “creatore del nuovo mondo”. Comunque…- concluse rivolgendo verso l’alto i palmi delle mani - … se non ti dispiace rimanderei la lezione di Drowish a più tardi. Abbiamo un bel po’ di cose da fare, senza dimenticare la tua prova.-
Athena annuì e non aprì più bocca, proprio come loro, anche se così facendo finì col suggellare l’atmosfera cupa che si era venuta a creare intorno a loro. Nel frattempo la quantità e l’altezza delle piante era aumentata, tanto da trasformare il paesaggio collinare in un bosco irregolare e tortuoso, pieno di sentieri serpeggianti più o meno visibili tra le frasche; Kibir scelse i passaggi più difficili da scorgere, fino ad arrivare a un’apertura nel fianco di un colle pietroso, seminascosta dietro una coppia di tronchi gemelli.
- Qui.- disse il Drow, facendo appena un cenno prima di precederle.
Si infilò agilmente nell’apertura buia, e i suoi passi riecheggiarono a malapena, quasi si muovesse sulle piume. Athena entrò subito dopo di lui, ritrovandosi all'istante nell’oscurità quasi totale. Riusciva a malapena a distinguere Kibir davanti a lei, che armeggiava con qualcosa appeso alla parete della piccola grotta. Sulle prime pensò che stesse accendendo una luce, ma dopo almeno un minuto che il buio proseguiva si rese conto che stava facendo altro. Margareth le passò davanti, camminando di lato contro la parete troppo vicina, e afferrò quello che Kibir le tendeva, che si rivelò essere il capo di una fune non troppo lunga.
- I Drow vedono bene anche nell’oscurità.- spiegò, passando la cima della corda ad Athena - Quindi non usano quasi mai fonti di luce durante gli spostamenti sotterranei. Afferra questa e non lasciarla, perché se ti perdi qui sotto ti assicuro che ne passerà di tempo prima che tu riesca a rivedere il sole.-
Athena annuì senza fare domande e si avvolse la fune attorno al polso, stringendola forte nel palmo, mentre Margareth faceva altrettanto verso il centro. Kibir si legò il suo capo alla cinta e, dopo essersi assicurato che entrambe si fossero aggrappate saldamente, riprese a muoversi in silenzio.
Il tragittò sotterraneo durò molto a lungo, e per tutto il viaggio gli unici suoni che sentirono furono quelli dei loro passi. E con tutto quel buio e l’assenza di un modo per misurare il tempo effettivamente trascorso fu impossibile dire, in seguito, quanto a lungo continuarono a seguire Kibir, che dal canto suo non fece nulla per alleggerire l’atmosfera, così come non la fece Margareth; il loro atteggiamento non incentivava la conversazione, e l’atmosfera pesante servì solo a dare libero sfogo alla depressione che Athena covava dentro da giorni.
Mi manca tanto Nate… pensò.
Si sfregò nervosamente la fronte sotto il cappello, che aveva improvvisamente cominciato a prudere: quella dannata cicatrice… per causa sua aveva dovuto rinunciare ad avere una vita normale, si era sempre nascosta per paura di essere uccisa, e ora veniva usata come pretesto per incolparla di un crimine non suo. E l’unica persona in grado di tirarla fuori da quella situazione a malapena le rivolgeva la parola.
Che rabbia…
 
Astrid strinse forte la fascia di stoffa attorno alla mano, tirando coi denti per tenerla in tensione e poi tagliandola col coltello. Messo via il rotolo, immerse il resto nel secchio d’olio al suo fianco, insieme a tutti gli altri che ci aveva già messo. A quel punto si abbandonò sul tronco caduto sospirando per la stanchezza: quattro ore di sonno erano poche, nonostante la sua resistenza, specie dopo tante notti passate a cavallo.
Comunque, doveva darsi una mossa e finire in fretta: non aveva idea di quanto a lungo sarebbero rimaste a Llenxia, e per allora voleva farsi trovare preparata. Quelle due erano già fuggite abbastanza a lungo.

Onestamente volevo impostare il capitolo in un altro modo, ma mi è venuto così... beh, ormai è fatta.
Dico come sempre grazie a Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa KIUUBY, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 19
*** Cap. 18: La Matriarca ***


A prescindere dalla durata, che pur non potendo essere misurata con precisione fu sicuramente lunga, quel viaggio nei cunicoli fu tutt’altro che divertente: l’atmosfera non migliorò di una virgola, e fu con grande sollievo che Athena, alla fine, riuscì a vedere un tenue bagliore rischiarare l’aria dopo l’ennesima svolta.
Per tutto il tempo non aveva fatto altro che incespicare e arrancare nella scia di Kibir, non potendo vedere nemmeno dove metteva i piedi, ma finalmente intravedeva la fine di tutto quel buio. Era anche ora, in effetti.
- Siamo arrivati?- chiese speranzosa, non appena comparvero le prime lamelle di luce.
Kibir, ovvero l’alta sagoma scura davanti a lei, annuì.
- Siamo entrati nel territorio di Llenxia. Troveremo una scorta ad attenderci, ci porteranno immediatamente dalla Ilharess.-
Per un attimo Athena fu sul punto di chiedere come facessero a sapere del loro arrivo, ma in fondo non era stata in grado di scorgere nulla durante il percorso. Probabilmente c’erano sentinelle ovunque, in quei tunnel.
Pochi minuti dopo raggiunsero l’ultima svolta ed arrivarono in vista della città di Llenxia. A quel punto Athena si fermò, sollevando il braccio per ripararsi gli occhi, infastiditi dopo la prolungata oscurità; quando se la sentì di guardare, vide che erano entrati in una caverna. Una enorme, gigantesca caverna, dal soffitto così alto che a fatica riusciva a distinguerlo. Colonne di pietra naturali si ergevano nella parte più esterna della sua circonferenza, e qualche stalagmite faceva capolino qua e là sul terreno roccioso. Incrostazioni cristalline si affacciavano su numerose superfici verticali, riflettendo luce da una fonte sconosciuta: probabilmente era così che quell’antro altrimenti nero come i corridoi che avevano appena attraversato veniva illuminato.
Al centro esatto della grotta era stata costruita una città, che nulla aveva da invidiare a quelle di superficie: c’erano abitazioni e botteghe, suoni di molte voci che animavano le sue vie di ciottoli e che uscivano dalle finestre aperte, odori di cibo cotto e, ogni tanto, le grida di qualcuno. Pur non essendo nelle immediate vicinanze del confine cittadino, Athena poteva chiaramente distinguere gli abitanti che camminavano per le strade, da soli o in compagnia, o addirittura seguiti da creature simili a lucertole. Qualcuno era a piedi, altri invece cavalcavano animali che non aveva mai visto prima di allora, e che a quella distanza non riusciva a identificare bene: somigliavano vagamente ai Lindorm, ma erano più piccoli, oltre che un po’ più alti da terra.
Al centro esatto della città c’era un grande palazzo di pietra levigata, tanto che sovrastava tutti gli altri edifici, molto simile ai castelli che aveva visto disegnati nei libri che Nate le aveva fatto leggere durante l’infanzia, con gli stendardi del casato che penzolavano da alcune delle finestre e dalle nicchie sotto il tetto. Ciononostante, non le ricordava alcun esempio di architettura umana. Certo, lei non era un’esperta, e non avrebbe saputo riconoscere la differenza tra una colonna e un pilastro, ma c’era qualcosa, nell’aspetto di quel castello, che le diceva chiaramente “io non sono come quelli che conosci”.
Poi, mentre Margareth la liberava dalla corda (non si era accorta di essersi imbambolata lì dov’era) il suo sguardo fu catturato dal piccolo gruppo di Drow poco più avanti: erano in quattro, e ognuno di loro indossava armature leggere sopra le vesti, e un mantello identico a quello di Kibir. Appese al fianco avevano delle corte spade ricurve, e portavano piccoli scudi la cui forma ricordava quella di una goccia (o di una foglia, difficile dirlo) con due punte.
Kibir si avvicinò a loro, e quello che sembrava il capo, un Drow dai capelli grigi, fece un passo avanti portandosi una mano su cuore e facendo un breve inchino.
- Gre’as’anto, Qu’abban.- disse.
Kibir rispose al saluto senza inchinarsi e cominciò a parlare in Drowish, in modo deciso e diretto, come se stesse dando degli ordini. Il Drow annuì un paio di volte, poi si voltò verso uno dei suoi uomini e gli disse qualcosa. Subito, quello fece un cenno militare e si allontanò di corsa.
- Cosa fa?- chiese Athena.
- Corre ad annunciarci.- rispose Margareth - La Ilharess non si aspettava l’arrivo di un Architetto, né di umani in genere. E poi, le notizie che portiamo non sono proprio… ehm… piacevoli, sai…-
A quel punto Kibir fece loro cenno di seguirlo e si avviò. I soldati aspettarono che lo raggiungessero, poi si accodarono alla loro scia, camminando in silenzio. Ormai Athena si stava chiedendo se fosse un’usanza dei Drow quella di non parlare con nessuno.
Fu tuttavia costretta a ricredersi presto quando entrarono a Llenxia e cominciarono a camminare per la via principale, seguendo il tragitto più breve per il palazzo che vedevano in lontananza: le persone che aveva intorno, a parte l’aspetto, non avevano nulla di diverso dagli esseri umani o dalle altre razze che vivevano in superficie. C’erano bambini che giocavano agli angoli delle strade, e uomini o donne alle bancarelle o nei negozi, che trattavano l’acquisto di questo e quello. Due Drow stavano discutendo nel loro dialetto madre, ma Athena non riuscì a comprendere il motivo; una donna, apparentemente piuttosto ricca e importante, stava dicendo qualcosa a un uomo Drow che, sicuramente, era il suo servo, e a giudicare dalla sua faccia era piuttosto scontenta.
- Potrebbe tagliargli la mano.-
Athena sussultò sentendo la voce di Kibir. Si voltò verso di lui, e si accorse che aveva seguito il suo sguardo. Era serio come al solito, e osservava la scena senza mostrare emozioni.
- Quella è una Yatharil, una sacerdotessa votata al culto di Eilistraee. Il suo servo ha perduto una missiva importante. Temo che gli taglierà la mano, e dovrà ritenersi fortunato.-
- Gli taglierà la mano? Per così poco?- esclamò Athena.
- Funziona così, da queste parti.- disse Margareth, scrollando le spalle - E prima che tu dica altro, accetta un consiglio: non contestare usanze che non conosci, soprattutto quando sei ospite. Eviterai di farti un sacco di nemici. Soprattutto qui.-
Athena si rimangiò la replica e sbuffò.
 
Quando raggiunsero il palazzo, le guardie che le avevano accompagnate si fermarono all’entrata mentre loro, invece, proseguirono su per la piccola rampa di gradini grigi e poi attraverso i corridoi, sempre seguendo Kibir. Il Drow si fermò dopo lunghi minuti, davanti a un portone di legno laccato e decorato, incassato in un arco levigato, composto da mattoni di pietra in rilievo su cui era stato inciso più e più volte l’emblema della casata alternato con altri di più difficile identificazione, simili a foglie secche dagli orli appuntiti.
- Ora verremo ricevuti dalla Ilharess Shi’nil De’Drextan.- disse Kibir, rivolgendosi ad Athena - A rischio di apparire indelicato, ti chiedo di comportarti di conseguenza.-
- Chiaro.- disse Athena, alzando un sopracciglio ma senza commentare - Quindi quale di tutte quelle assurdità è il suo nome?- mormorò a Margareth mentre Kibir bussava lentamente.
La compagna roteò gli occhi sospirando.
- Sai, credo che fosse questo che intendeva Kibir.- sussurrò di rimando lei, mentre la porta si apriva - Ilharess è il titolo, te l’ho già detto. Chiamala così, oppure “Matriarca”, o “Grande Shi’nil”. Andrà più che bene. Ma, per l’amor di tutto ciò che è sacro, non irritarla. Fare arrabbiare una Matriarca Drow potrebbe essere l’ultima cosa che fai nella vita.-
- Già, perché ho davvero voglia di dare a qualcun altro un motivo per uccidermi.- biasciò mentre seguivano Kibir nella stanza.
 
La sala delle udienze si rivelò più piccola di quanto Athena avesse immaginato, anche se al suo interno avrebbe potuto accogliere facilmente una casa di modeste dimensioni. Arazzi color porpora o viola scuro erano appesi lungo le pareti, e sopra vi era ancora una volta impresso l’emblema della casata. Non c’erano altre decorazioni nella stanza, anche se la struttura appariva elaborata ed esteticamente molto curata.
Sul pavimento era steso un lungo tappeto nero che smorzava il suono dei loro passi e arrivava fino in fondo alla sala, dove una pedana rialzata di pietra ospitava un divanetto di marmo foderato da cuscini rossi e drappi purpurei. E, sopra di esso, era sdraiata una donna.
Era una Drow, e se Athena non avesse saputo che era impossibile stabilirne l’età solo con uno sguardo avrebbe pensato che fosse una coetanea di Nate: non c’erano quasi rughe sul suo viso color ossidiana, e la sua pelle era liscia come velluto. Una catena dorata le circondava la fronte, sparendo poi sotto i lunghi e morbidi capelli corvini che le scendevano lungo le spalle. Un’ambra a forma di goccia era appesa al centro esatto dell’ornamento, sopra i suoi penetranti occhi grigi, e sembrava quasi avere un terzo occhio arancione.
Portava un abito nero e rosso con ricami viola acceso, e infilato all’indice sinistro aveva un grande anello d’oro a forma di ragno, i cui occhi erano dei minuscoli smeraldi.
La donna li attese in silenzio, mentre la porta si richiudeva dietro di loro, e quando furono arrivati Kibir portò una mano al petto e s’inginocchiò con riverenza.
- Gre’as’anto, jatha’la Ilharess Shi’nil.-
- Gre’as’anto, Qu’abban Kibir.- rispose lei. Alzò poi gli occhi su di loro, soffermandosi per un istante su Athena, che sostenne il suo sguardo senza cedere né mostrare emozioni - Gre’as’anto anche a te, Margareth Orwell. È passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo viste.-
Margareth fece un profondo ma breve inchino.
- Sono onorata di incontrarla di nuovo, mia signora. Mi permetta di presentarle la mia compagna, Athena Asimov.-
Le diede leggermente di gomito, e Athena le lanciò uno sguardo fugace. Muovendo solo gli occhi, Margareth le fece capire che doveva inchinarsi.
- Oh, ehm… sì, piacere di conoscerla, Matriarca Shi’nil.- disse in fretta, chinando la schiena più che poteva.
- Rialzati, Kibir, e riferisci.- disse la Matriarca senza risponderle - Cosa hai scoperto durante la tua missione in superficie? Mi viene detto che le tue notizie non sono buone.-
- Invero non lo sono.- rispose lui, tornando in posizione eretta - La vicina città di Viniva ha subito una tragica sorte per mano di coloro che portano il P’obon Axsa.-
- Marchio maledetto.- tradusse in un sussurro Margareth.
La Matriarca chiuse gli occhi come se stesse riflettendo e, con un unico movimento fluido, fece scivolare a terra le gambe. I piedi nudi toccarono terra quasi senza un suono, e la donna si alzò subito.
- Raccontatemi tutto.- disse - E non tralasciate alcun dettaglio in proposito.-

Scusate se ci ho messo un po', il capitolo era pronto da due giorni, ma o mi scordavo di postarlo o non avevo il tempo di mettermi al computer (nè le forze, in quei casi). Come se non bastasse, adesso mi ritrovo con un raffreddore di quelli seri, e se non mi passa entro subito esplodo.
Ringrazio come al solito sempre grazie a Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa KIUUBY, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, i lettori che mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 20
*** Cap. 19: Sentirsi esclusa ***


Per “raccontatemi tutto” la Matriarca Shi’nil intendeva “Margareth e Kibir, ditemi cos’è successo”. Questo Athena lo scoprì appena la donna li guidò fuori dalla stanza, quando fece un cenno a una delle guardie lì fuori, che prontamente chinò il capo e mise allungò una mano verso il lato opposto del corridoio, come se volesse mostrarle la strada.
- Da questa parte, per favore.- le disse, notando la sua esitazione.
Athena non si mosse ancora, voltandosi verso Margareth che già si avviava dietro i due Drow.
- Vai.- la incitò stancamente - Noi ci vediamo tra poco, il tempo di finire il discorso.-
E, prima di poter replicare, la vide ripartire dietro i due ospiti, senza più degnarla di uno sguardo. Dopo un ultimo sguardo rassegnato alla sua schiena blu, Athena inspirò profondamente e si voltò verso il Drow che aspettava pazientemente una sua mossa.
- Ehm… salve.- borbottò - Allora, dove… dove si va?-
- Devo mostrarvi la stanza riservata agli aspiranti Sel Tresk’ri’s Beldroin.-
- Wow… già lo sapete, non perdete tempo, eh? Sono qui da poco più di un’ora…-
- Siete arrivata con la Sel Tresk’ri’s Beldroin Margareth Orwell, e siete stata presentata dal Qu’abban Dûl Khazdîn. Ora, se permettete…-
- Eh? Ah, sì…-
Il Drow si avviò lungo la strada, superando il suo collega, che per tutto il tempo era rimasto silenzioso e rigido come una statua colorata.
- Quindi… come sarebbe questa stanza?- chiese.
- Si tratta di una delle camere più grandi del palazzo. La quarta per dimensioni. È un grande onore, ed ha ospitato nel corso del tempo personalità di grande rilievo all’interno della società segreta a cui aspiri. Uomini come Lucius Alten o il grande Nathan Clarke hanno passato le loro notti al suo interno…-
- Aspetta!- esclamò Athena, fermandosi all’improvviso - Hai detto… Nathan Clarke?-
La guardia si fermò a sua volta e annuì.
- Naturalmente. Quasi ogni membro della vostra organizzazione ha passato un periodo più o meno breve al suo interno da quando è stata destinata a tale uso, più di ottocento anni fa. Mio padre ha personalmente accompagnato molti di loro prima di me.-
Athena non disse nulla, sostenendo in silenzio lo sguardo perplesso della guardia davanti a lei, che la osservava come se avesse detto qualcosa di strano. Cosa che, in effetti, non era poi così lontana dal vero.
Avrebbe dovuto aspettarselo, in fondo: Nate era stato un Architetto come Margareth, quindi era logico pensare che in passato avesse fatto quello stesso viaggio per sostenere le fantomatiche prove sul percorso. Di conseguenza, anche lui era passato di lì.
- Scusa…- mormorò - Solo… sai, lo conoscevo. Nathan Clarke, intendo.-
- Parli al passato.- osservò il Drow, alzando appena un sopracciglio - Forse è accaduto qualcosa?-
- È morto.- rispose con voce piatta, senza guardarlo.
La guardia esitò, raddrizzando leggermente la schiena. Un fremito gli attraversò gli occhi, ma non ebbe particolari reazioni esteriori.
- Capisco.- disse - Nathan Clarke… terribile.-
Le fece un altro cenno e ripresero a camminare fino a raggiungere delle scale.
- Se posso permettermi…- disse il Drow dopo qualche tempo - … ritengo che non dovrebbe diffondere troppo alla leggera una simile notizia. Un uomo come Nathan Clarke era molto rispettato anche tra di noi. Raccontare della sua sorte prima di una precisa dichiarazione della Ilharess potrebbe portare a gravi conseguenze.-
Athena lo osservò per un attimo e, anche se il suo accompagnatore guardava dritto davanti a sé senza mostrare emozioni, comprese che la notizia lo aveva turbato.
- Hai ragione.- mormorò - Scusa. Non pensavo che fosse così importante. Ti garantisco, però, che nessuno di voi può essere più affranto di me.-
Il Drow non rispose.
 
Athena rimase da sola per quasi due ore prima che Margareth si facesse viva, e senza più nessuno con cui parlare il silenzio finì definitivamente con l’avvolgerla. Inutile negarlo, più passava il tempo e più si sentiva sola, oltre che esclusa.
Il lato positivo fu che almeno poté farsi un bagno, il primo da settimane (iniziava ad avere prurito in parti del corpo che mai avrebbe osato mostrare in pubblico, ormai), e anche cambiarsi d’abito. Fu un sollievo gettate via gli stracci ormai logori che portava fin dal giorno in cui era scappata di corsa da casa, ormai strappati, sudici e bruciacchiati.
Quelli che trovò sul letto a baldacchino della stanza erano puliti e praticamente nuovi ripiegati e stirati con cura sull’estremità. Stendendoli scoprì che erano di foggia Drow, di un intenso e caldo colore rosso con rifiniture nere. Per un istante temette che le avessero dato qualcosa di simile al vestito di Margareth, lungo e con la gonna… non che il suo in particolare fosse scomodo, le aveva visto fare movimenti agili e rapidi senza il minimo disagio… semmai era preoccupata di trovare una lunga veste come quella indossata dalla Matriarca, del tutto inutile in combattimento. Grazie al cielo, tuttavia, ebbe una piacevole sorpresa quando vide che era un completo da cacciatore, perfettamente in tono con lo stendardo della casata.
- Beh… mica male…- commentò, saggiando la stoffa tra le dita.
Cominciò a vestirsi seduta sul letto, ed era ancora a metà della tunica quando finalmente Margareth la raggiunse.
- Oh, bene… ti piacciono?- chiese con un sorrisetto - Tienili con cura, mi raccomando. Gli abiti di foggia Drow sono diversi dai soliti stracci di noi umani, sai?-
- Mh.- grugnì lei - Annotato. E tu ti sei divertita con i tuoi amichetti neri?-
Margareth aggrottò la fronte, bloccandosi nell’atto di sbottonarsi il vestito.
- Cosa?-
- Niente. Posso almeno sapere cos’ha detto la Matriarca?-
- Beh, certo… contavo di dirtelo adesso.- rispose lei, riprendendo a svestirsi - Ma mi spieghi cos’hai, Athena? Mi sbaglio o sei irritata per qualcosa?-
- Irritata, dici?- sbuffò - E perché? Perché da quando abbiamo incontrato Kibir hai praticamente smesso di parlarmi se non è necessario? Perché mi hai mollata da sola per due ore? No, assolutamente, sto benissimo!- sbottò, pestando a terra il piede dopo essersi infilata lo stivale, senza nemmeno rendersene conto.
Margareth sospirò, rinunciando momentaneamente a farsi il bagno e sedendosi accanto a lei, il vestito quasi totalmente slacciato che le penzolava dalle spalle.
- Va bene, senti… non volevo tagliarti fuori o mancarti di rispetto, d’accordo? Il fatto è che dopo l’attacco di quella Astrid ho avuto un sacco di cose per la testa… sono preoccupata per quello che ha detto, per il fatto che sono mesi che si preparano, se non addirittura anni… e mi chiedo come abbiano fatto a uccidere Nathan Clarke. E quanto al fatto che ho parlato da sola con la Matriarca, è perché sei una novizia.-
- Una che?-
- Sei appena alla prima tappa del tuo cammino iniziatico come Architetto.- spiegò con pazienza Margareth - Certo, il tuo è un caso speciale, ma il regolamento vieta di coinvolgervi in riunioni ufficiali come quella.-
- Ma io so già tutto, porca miseria!- obbiettò Athena, risentita - Quindi non trattarmi come una povera mentecatta!-
- Beh, su questo non c’è problema.- la rassicurò lei, sorridendole - Ho spiegato la tua situazione. Ora non dobbiamo più preoccuparci di mantenere le apparenze davanti alla Matriarca. Ha compreso la situazione, e potrai partecipare alle nostre riunioni, va bene?-
- Grazie.- grugnì lei, anche se era ancora imbronciata.
Margareth sorrise di nuovo e si allungò all’indietro sul letto per raggiungere il suo cappello, abbandonato su un angolo del materasso.
- Qualche giorno fa mi hai detto che ti sembravo un po’ piena di me.- le ricordò - Sai tu cosa mi sembri?-
- Sì… una bambina.- brontolò Athena, incrociando le braccia.
Margareth le mise il cappello, nascondendole la cicatrice e arruffandole i capelli per la scarsa cura con cui lo fece.
- Già. Abbiamo entrambe bisogno di portare pazienza, che ne dici?-
- Dico che la prossima volta cerca almeno di avvertirmi prima.- replicò lei - Piuttosto, mi dici finalmente che razza di prova dovrò affrontare?-
- Ah, giusto.- disse Margareth, rialzandosi e riprendendo a spogliarsi - Me ne stavo dimenticando… per diventare un Architetto dovrai ottenere un amuleto rituale Drow.-
- E come faccio a prenderlo?- le gridò dietro, mentre spariva oltre il paravento e versava l’acqua nel catino appena oltre.
- Con l’Iniziazione di Caccia!- rispose Margareth, alzando la voce a sua volta - Insieme ai giovani Drow che aspirano a diventare tali, ovviamente! Seguirai il loro stesso addestramento per un po’, poi sosterrai la prova iniziatica con loro!-
- Cosa?- chiese, alzandosi per raggiungerla - Addestramento? Ma io… sono già una cacciatrice! Lo faccio da quando ho imparato a camminare!- esclamò quando ebbe oltrepassato il paravento.
Margareth sospirò, abbandonandosi al tepore dell’acqua mantenuta in temperatura dalle rune incise all’interno del catino. Sembrava che, come lei, avesse atteso quel bagno per moooolto tempo.
- Credimi, non hai idea di quello che stai dicendo, Athena… sei brava senza dubbio, ma fai fatica anche a tenere testa a me. Un semplice cacciatore dei Drow vale quanto il miglior soldato umano, se non di più… persino per un Architetto bene addestrato è difficile sconfiggere uno dei loro guerrieri. Sono abituati a cacciare creature come… che so… hai presente i Lindorm che abitano sulle montagne dove vivevi? Beh, un Drow potrebbe catturarne uno da solo.-
Athena esitò: lei non ci sarebbe riuscita.
- Ah…- disse - Ehm… e quindi… che dovrei fare?-
Margareth gemette di piacere, sprofondando un altro po’ nell’acqua calda.
- Domattina ti porterò al campo di addestramento dei cacciatori.- rispose in tono sonnacchioso - Preparati a sudare tanto. Ma taaaaanto…-

Mi dispiace se ci metto un po' a postaare, ma tra una cosa e l'altra è sempre un problema mantenere un appuntamento fisso. Comunque, come vedete, pubblico sempre.
Ringrazio Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa KIUUBY, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 21
*** Cap. 20: Il litigio ***


Il mattino dopo Athena si svegliò con la mano di Margareth stretta attorno alla spalla, che la scuoteva con decisione. Aprendo gli occhi la trovò già vestita e perfettamente sveglia, impeccabile come il giorno in cui l’aveva conosciuta, i ricci di nuovo a posto e un lungo abito nero messole a disposizione dalla servitù del palazzo.
- Non è così presto come potresti pensare anche se capirlo, qui sotto, non è proprio semplicissimo.- disse Margareth, avvicinandosi al tavolo di cristallo e prendendo un frutto nero come l’ebano dalla ciotola - All’inizio è un po’ strano, ma ti ci abituerai.-
Athena sbadigliò, strofinandosi un occhio, e gettò uno sguardo fuori dal balcone, che Margareth aveva già provveduto ad aprire: la luce era della stessa intensità di quando si erano coricate, come se non fosse cambiato nulla durante la notte. Le sembrava di aver dormito non più di cinque minuti.
- Il campo di addestramento non è troppo lontano.- continuò la sua compagna, lanciandole un frutto. Istintivamente, Athena lo prese al volo - Ottimi riflessi, ti ho sottovalutata…- ridacchiò - Dai, vestiti e raggiungimi, ti aspetto fuori.-
Athena continuò a sfregarsi un occhio, guardandola arrabbiata mentre lasciava la stanza, ma non disse niente. Piuttosto, osservò per un attimo il frutto che le aveva lanciato: era nero come l’ossidiana, e aveva quasi la stessa consistenza. Inoltre era privo di odore: col cavolo che lo avrebbe mangiato.
La colazione può aspettare… pensò, togliendosi il pigiama di seta con cui aveva dormito (il miglior pigiama che avesse mai indossato) e cercando i calzoni.
 
Margareth la accompagnò attraverso la città, e per quasi tutto il tragitto le spiegò che, per tutto il periodo che avrebbe trascorso con i giovani Drow nel loro campo di addestramento, avrebbe dormito, mangiato e, di fatto, vissuto insieme  a loro. Sarebbe rimasta quasi sempre all’interno del campo stesso, e a sera sarebbe dovuta rientrare nelle camerate per la notte al suono del corno, seguendo gli orari che le avrebbero imposto. Avrebbe avuto poco tempo libero, ma in quei casi le sarebbe stato permesso uscire e andare dove voleva in città, a patto che rientrasse entro l’orario notturno.
Athena la ascoltò a metà, facendosi più piccola che poteva: dopo aver capito che sarebbe convissuta con degli estranei, il suo primo pensiero fu che da quel momento in poi nascondere il Marchio di Caino sarebbe stato estremamente difficile, forse quasi impossibile, e lei ancora non era certa di potersi fidare della discrezione dei Drow: Kibir le aveva già visto la fronte, senza alcun dubbio, ma non aveva mai fatto cenno alla sua condizione, e non aveva idea di quale fosse l’effettiva posizione di quel popolo sulle persone con il suo “problema”. Lui poteva aver taciuto o chiuso un occhio su richiesta di Margareth, ma gli altri?
- Margareth?- la interruppe alla fine, quando ormai erano quasi arrivate - Non mi hai mai detto come farò con… con questo.-
E indicò il cappello, che come al solito portava calato fin quasi sugli occhi nel tentativo di coprirsi.
- Come hai fatto, fino ad oggi?- chiese lei, inclinando appena la testa.
- Ho evitato di espormi troppo.- spiegò, non senza sentirsi un po’ seccata - Passavo le giornate con Nate. Uscivo pochissimo, e sempre col cappello. Non ho mai passato una notte fuori casa tranne che nel bosco, e sempre e comunque con Nate o Greg… un suo amico che sapeva…- al pensiero di Greg e del modo in cui aveva reagito quella notte, la notte in cui Nate era morto, una lama di sconforto la trafisse - Insomma, non ho mai passato tanto tempo con degli estranei. Tu sei la prima.- concluse, scacciando quella sgradevole sensazione.
- Beh, mi sento onorata, ma ora te la faccio io una domanda.- rispose lei, per nulla colpita - Tu ti fidi davvero di qualcuno?-
Athena aggrottò la guardò sorpresa.
- Cosa?-
- Ti ho chiesto se ti fidi di qualcuno. Se hai mai provato a credere che il mondo non è così cattivo come pensi, che c’è qualcuno, a parte Nathan Clarke, che può credere che una Figlia di Caino non è per forza un’assassina. E se la risposta, come presumo, è no, allora è inutile chiedere a me come fare per il “tuo problema”. Perché se non imparerai a fidarti, a dare agli altri una possibilità, non saprai mai chi è davvero tuo amico e chi invece non lo è.-
Erano arrivate nei pressi del confine della città, e un grande edificio squadrato si ergeva a poca distanza, incastrato tra due colonne naturali di roccia, quasi a ridosso della parete della caverna.
Athena si voltò a fronteggiare Margareth, e all’improvviso la sua apprensione era sparita, sostituita adesso dal risentimento.
- Sì.- rispose - L’ho fatto. Solo due volte, ma l’ho fatto. Ma Greg ha preferito accusarmi e cacciarmi come una bestia insieme a tutti gli altri… e poi ci sei tu.-
Margareth esitò.
- Come?-
- Mi hai chiesto se c’è qualcuno a parte Nate che possa credere che io non sia un’assassina solo perché sono nata così.- osservò - Finora ho pensato che tu fossi dalla mia parte, Margareth… ma se non pensi nemmeno che io abbia una minima speranza, dimmi: cosa mi succederà dopo che avremo finito qui? Quando quelli che hanno mandato Astrid saranno… catturati, o uccisi, o qualsiasi cosa vorrete fargli, a me cosa succederà? Rimarrò tra gli Architetti?-
Margareth scosse la testa, senza mostrare sorpresa o rabbia, ma solo condiscendenza.
- Allora, numero uno: io sono l’ultima arrivata, ficcatelo in testa. Non posso né potrò mai garantirti niente per il futuro, né mi pare di averlo mai fatto. Numero due, quando ti ho chiesto se ti sei mai fidata di qualcuno, non intendevo dire…-
- Ma è quello che hai pensato!- sbottò Athena.
Un paio di Drow nelle vicinanze si voltarono a guardarle. Lei li ignorò.
- Per te sono solo una bambina spaventata che potrebbe tagliarti la gola nel sonno.- continuò - Sai cosa, Margareth? Non ho bisogno di te per raggiungere gli altri Architetti. Chiederò a Kibir o alla Matriarca quale sarà il prossimo passo. Tu vai pure. Non sei più necessaria.-
E girò sui tacchi, avviandosi verso l’edificio.
- Athena…- provò a dire lei.
- Sparisci!- esclamò, senza nemmeno voltarsi.
Ne ho abbastanza di amici fasulli…
 
Entrò senza voltarsi nell’edificio, e quando si fu richiusa alle spalle il portone ci si appoggiò di spalle, esalando un lungo respiro tremante. Si sentiva svuotata.
- Sei quella nuova?-
Una voce la fece sussultare all’improvviso, e per poco non scivolò. Alzò lo sguardo, il cuore che batteva a mille, e vide un giovane Drow poco più avanti nel corridoio, ma non avrebbe saputo dire se fosse stato lì da sempre o se fosse arrivato solo in quel momento. Indossava una divisa da cacciatore simile alla sua, e aveva il cappuccio alzato, che gli copriva la chioma bianchissima.
- Sei l’umana che deve sostenere la prova, dico bene?- chiese, osservandola con occhi curiosi - Dov’è la tua accompagnatrice?-
L’accenno a Margareth le diede una scarica di energia e di furore che la fece raddrizzare quasi di scatto.
- Sono solo io.- disse risoluta - Mi chiamo Athena. Athena Asimov. Sono qui per sostenere la prova di caccia.-
Il giovane Drow annuì.
- Io sono Nazdr Ylowrr. Mi è stato ordinato di mostrarti la camerata e di presentarti agli altri.-
Le fece cenno di seguirlo lungo il corridoio. Athena esitò solo un momento, sentendo all’improvviso una grande indecisione mista a paura dentro di sé. Non aveva ancora idea di come fare a cavarsela, circondata da tanti estranei che non solo appartenevano a una città diversa dalla sua, ma anche a una cultura e a una razza che le erano praticamente sconosciuti.
Tuttavia, se davvero voleva dimostrare di non avere ucciso Nate e trovare un minimo indizio sulla sua morte e sull’identità dei suoi avversari, quella per diventare Architetto era l’unica strada che poteva percorrere. Non aveva scelta, doveva andare.
Pensando questo, si fece forza e seguì Nazdr Ylowrr verso i dormitori.

Avevo pensato di allungare, ma dopo attenta riflessione mi sono reso conto che proseguire nella narrazione in questo capitolo sarebbe stato deleterio. Così è venuto un po' più corto, ma secondo me funziona. Poi mi direte voi.
Ringrazio come sempre Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa KIUUBY, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, i lettori che mi seguono. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 22
*** Cap. 21: L'arrivo del Crociato ***


La camerata era una stanza lunga e dal soffitto alto, con poche finestre poste a intervalli regolari sulle pareti spoglie e grigie. Non c’erano letti, ma un numero considerevole di amache riempiva quasi tutto lo spazio all’interno, smorzando ulteriormente la luce che entrava e dando l’impressione che quel posto sembrasse ancor più piccolo di quello che era. L’effetto complessivo era un po’ opprimente.
La maggior parte delle amache era vuota, essendo quel dormitorio fatto apposta per ospitare un numero decisamente enorme di persone, ma nonostante questo c’era un certo numero di Drow nel dormitorio, qualcuno sdraiato sul proprio giaciglio, altri seduti per terra o su degli sgabelli. C’era chi leggeva, qualcuno giocava a scacchi, e uno sonnecchiava. La maggior parte di loro erano di sesso maschile, e c’erano pochissime donne.
Quando Athena e Nazdr varcarono la soglia, quasi tutti interruppero quanto stavano facendo per osservarli, gli occhi improvvisamente animati da un barlume di curiosità. Nazdr si fece avanti con le mani sui fianchi e si schiarì la voce, richiamando ulteriormente la loro attenzione.
- Prego, fate molta attenzione!- esclamò - Qui con me c’è la giovane abitante di superficie di cui ci avevano parlato ieri, Athena Asimov. È qui per sostenere la prova dell’Iniziazione di Caccia.-
Sentendosi addosso tanti occhi in una sola volta, Athena provò improvvisamente l’impulso di affondare la faccia nel bagaglio che stringeva al petto. Dovette fare uno sforzo per non voltarsi e scappare via come una lepre in fuga: per un momento aveva coltivato l’illusione di potersi mescolare ai Drow senza dare tanto nell’occhio…
- Scegli pure il giaciglio che preferisci.- continuò Nazdr, rivolgendosi solo a lei - Sistema le tue cose e ambientati. Domani comincerai l’addestramento, e ti verrà spiegato come funziona la vita qui. Vedrai anche la disposizione interna dell’edificio, quindi è superfluo portarti in giro. Hai domande?-
Per un momento Athena accennò a scuotere la testa, poi ci ripensò e annuì.
- Sì, un paio.- rispose - In cosa consisterà la mia prova?-
- Sarà una prova di caccia.-
- Sì, questo lo so…- chiarì Athena, che già lo aveva immaginato - Intendo dire… a cosa dovrò dare la caccia?-
- Questo verrà deciso a tempo debito.- rispose il Drow - Per ognuno di noi è qualcosa di diverso. Anche il giorno dell’Iniziazione avviene in momenti diversi, a seconda della preparazione del singolo individuo.-
- Ah. Questo risponde alla seconda domanda…- borbottò Athena, che avrebbe voluto sapere anche quanti avrebbero sostenuto la prova insieme a lei - Beh… non mi viene in mente altro, e se non hai tu qualcosa da dirmi…-
- Non ce l’ho.- rispose Nazdr - Ti lascio alla tua sistemazione.-
Un attimo dopo sparì oltre la porta, tornando nei corridoi dell’edificio e lasciandola da sola ad affrontare gli sguardi incuriositi di tutti gli altri Drow. Lei esitò, schiarendosi brevemente la voce, e fissò un punto del pavimento mentre avanzava a zigzag tra le amache. Oltrepassò la zona più “popolata”, dove si erano concentrati gli altri apprendisti, e scelse un’amaca vicino a una finestra, un po’ discosta rispetto alle altre e seminascosta da quelle che la separavano dai Drow. Ci mise sopra il bagaglio e cercò di arrampicarcisi sopra a sua volta, intenzionata a fingere di non esistere finché non fosse stato strettamente necessario, magari impiegando il suo tempo a pensare ad un modo per nascondere o mascherare la cicatrice anche senza il bisogno del cappello.
Purtroppo il suo brillante piano fu rovinato dall’amaca stessa e dalla sua scarsa dimestichezza con quel tipo di giaciglio: dopo averci messo sopra un ginocchio cercò di fare leva per scavalcare l’orlo; il risultato fu che l’amaca le scivolò da sotto la gamba, ribaltandosi e facendola cadere a terra con un grugnito, seguita a ruota dallo zaino, che le atterrò sulla schiena, mozzandole il respiro.
Porca miseria, che dolore… pensò, cominciando lentamente a rialzarsi.
Sentì una breve risatina sommessa provenire da qualche parte poco più in là, e fece del suo meglio per ignorarla.
Proprio un bel modo per presentarsi…
 
Astrid finì di legare l’ultimo straccio imbevuto d’olio sul ramo dell’albero che aveva scelto, il quale ormai era pieno di bende di stoffa fradicia dalla cima fin quasi al tronco e si asciugò il sudore con una porzione di pelle non ancora unta, facendo un passo indietro per ammirare bene il risultato. Soddisfatta alla vista della pianta, la cui chioma era ormai costituita quasi più di panni strappati che foglie, decise che poteva concedersi una pausa prima di organizzare la mossa successiva. Andò al torrente lì vicino e si lavò via l’olio dalle mani, per poi sedersi poco distante e mangiare qualcosa, pensando che tutto sommato, quella sera, avrebbe potuto dormire tutta la notte, per la prima volta dopo quasi una settimana. Il lavoro rimastole era relativamente poco, e dubitava di doversi impegnare oltre. C’era sempre la possibilità che le sfuggissero in qualche modo, certo, ma ucciderle in quel preciso momento non era il suo obbiettivo primario. Quantomeno, sarebbe stata sufficiente l’Architetto, ma era comunque un qualcosa in più: creare scompiglio e spaventarle, farle stancare, correre via e combattere. Prima o poi, per quanto brave o fortunate potessero essere, anche loro avrebbero esaurito le forze, si sarebbero consumate come lo stoppino di una candela. Lo scontro diretto non l’avrebbe favorita, a maggior ragione ora che erano in compagnia di un’intera tribù di Drow, ma se avesse trasformato la loro contesa in una battaglia di logoramento, allora avrebbe senz’altro avuto la meglio.
Era quasi sul punto di stendersi sotto un albero per riposare quando udì un frullo d’ali sopra di lei. Alzando lo sguardo, vide un animale scendere nella sua direzione: un gheppio dalla testa rossa e il ventre bianco.
Si posò su un ramo basso, in attesa. Senza esitare, Astrid gli tolse dalla zampa il piccolo cilindro che portava, e prima che potesse aprirlo vide il volatile ripartire, emettendo il suo richiamo. Sparì rapidamente tra le fronde, anche grazie all’incipiente ombra della sera: qualunque cosa fosse quel messaggio, non necessitava di una risposta, e ricordando ciò che era accaduto al suo predecessore, sperava davvero che non fosse una “lettera di congedo”.
Esitò per un momento prima di aprirlo, temendo quanto sarebbe potuto accadere: dopo tutti quei giorni non aveva ancora portato dei risultati, nonostante il suo impegno. Ciononostante, non potevano volersi già sbarazzare di lei: in fondo, non si era ancora arresa, proprio come aveva promesso, né aveva la benché minima intenzione di farlo.
Oh, andiamo… si disse, togliendo il coperchio al cilindro.
Srotolò il messaggio, che grazie al cielo si rivelò non essere una runa, e con un sospiro di sollievo si sedette a leggere, sfidando la poca luce:
 
Astrid
So che non hai avuto successo, ancora. In caso contrario avremmo ricevuto tue notizie. Ti farà tuttavia piacere sapere che le altre nostre attività procedono senza alcun intoppo, e anzi danno i primi frutti. Finora gli altri Architetti non sono riusciti a trovare tracce delle fuggitive. Questo ti faciliterà il compito.
A proposito di questo, le mie ferite stanno guarendo rapidamente. Presto potrò di nuovo viaggiare, e ciò significa che, nel caso non avessi ancora concluso per allora, ti raggiungerò per occuparmi di persona della faccenda. Buona fortuna.
 
Non era firmato, ma sapeva bene a chi apparteneva, e tutto sommato non erano cattive notizie. D’altra parte, doveva impegnarsi al meglio delle sue capacità fino a che non fosse stata raggiunta dallo stesso uomo che le aveva affidato quel compito. Se anche non avesse ottenuto nulla per quel giorno, avrebbe comunque potuto dire di averci provato in ogni modo. Una difesa debole, ma sempre meglio di niente.
 
Lucius si sciacquò vigorosamente il viso più volte, stanco e provato dopo la lunga giornata. Iniziava ad essere troppo vecchio per quel genere di vita: gli Architetti avevano bisogno urgente di un nuovo capo, uno vero e proprio, e non un Facente Funzione come lui. Anche se di fatto aveva il comando temporaneo, il suo potere decisionale era troppo limitato, troppo soggetto alle obiezioni dei membri più anziani. E i più, al momento, erano fuori in missione, cosa che rendeva le loro risposte piuttosto lente ad arrivare, procrastinando ulteriormente l’effettiva presa di posizione dell’intero gruppo.
Qualcuno bussò alla porta della sua camera con vigore e rapidità, come se andasse di fretta. Sospirando, si asciugò la faccia in un panno e si voltò.
- Avanti.- disse svogliatamente.
Un uomo entrò quasi subito dopo che aveva aperto bocca, sicuramente in ansiosa attesa di quell’invito. Era alto, e indossava un’armatura metallica ricoperta da una lunga tunica bianca che arrivava quasi fino a terra, su cui era impressa una grande croce rossa. Sotto braccio aveva un elmo chiuso, con solo due aperture per gli occhi e una manciata di fori per respirare. Si era già tolto anche il cappuccio protettivo, liberando i capelli, neri e ribelli, e mostrando chiaramente la cicatrice biancastra che gli correva sul lato della faccia. Lucius la ricordava bene, il giorno in cui se l’era procurata pochi avevano creduto che il suo occhio si sarebbe salvato.
Non si era fatto la barba, e infatti ora cresceva ispida su guance e collo, dandogli un aspetto tetro e ostile.
- Ah, sei arrivato.- disse Lucius, mentre il Crociato chiudeva la porta - Beh, non ti aspettavo. E il problema con quella tribù Drow?-
- Questo è più importante.- rispose seccamente lui, posando l’elmo sulla scrivania vicina - Ho lasciato disposizioni a Kartyss e Ophan. Si occuperanno loro della questione.-
- Sono ancora inesperti.-
- Sono più che adatti. Lui sa usare la testa, lei sa parlare alla gente. Insieme possono gestire la cosa. E ormai sono Architetti da quattro anni, è tempo di dare loro un po’ di corda. Io preferisco scoprire cos’è accaduto a Nathan.-
- Non c’è molto da scoprire, Nimàt. Un nostro informatore ci ha avvertiti che la giovane Athena Asimov ha ceduto ai suoi istinti naturali e ha tradito Nathan, assassinandolo, e poi è fuggita. Ora la sola cosa che resta da fare è trovarla.-
- Hai con te il messaggio?-
Lucius scosse la testa.
- No, è nello studio. Vuoi vederlo?-
- Può aspettare.- rispose il Crociato, mettendo le mani sui fianchi - Ma ho avuto tempo per riflettere mentre tornavo alla Rocca… non ricordo informatori in quella zona. Nathan era praticamente isolato.-
- Aveva molti amici, in città.- spiegò Lucius, sedendosi sul letto - Probabilmente ha istruito uno di loro per simili evenienze.-
- Parlandogli anche del nostro codice? È improbabile, e lo sai anche tu.-
Lucius non rispose, posando il capo sui pugni giunti, cercando di rimettere in moto la mente provata.
- Non ti sembra strano?- chiese il Crociato, avvicinandosi di un paio di passi - Una ragazzina di quindici anni e quaranta chili al massimo che riesce a uccidere Nathan. Lo avrà anche preso alle spalle, ma entrambi sappiamo benissimo che il suo corpo non era come il nostro.-
Lucius annuì: non era un segreto vero e proprio, ma solo gli Architetti più anziani e vicini a Nathan, come lo erano loro due, sapevano che da bambino era stato rapito e usato per esperimenti illegali sulle rune. Gli avevano aperto le carni e poi inciso le ossa per infondergli incantamenti potenti e pericolosi, così da renderlo una specie di mostro. Il fatto che fosse riuscito a sopravvivere era da considerarsi nientemeno che un autentico miracolo: quasi tutti quelli che, come lui, avevano subito lo stesso trattamento, erano usciti menomati, storpi o morti dalla prigionia. Pochi sopportavano tanto.
Anche per questo, in vita, Nathan Clarke era stato un combattente migliore di molti altri, forse il più grande di tutti.
- Athena Asimov aveva una possibilità minima di uccidere Nathan. Il fatto che sia sopravvissuto alle atrocità che subì da bambino vuol dire una cosa sola: una semplice coltellata alla schiena non sarebbe mai stata sufficiente con lui.- proseguì Nimàt, col suo tono fermo e deciso - E poi, c’è un’altra cosa che non capisco: perché bruciare la sua casa? A cosa è servito? Cosa c’era da nascondere?-
- Nessuno ha mai detto che ci fosse qualcosa da nascondere.- osservò Lucius.
- Quindi non aveva senso quell’incendio, no?-
Lucius alzò lo sguardo e incrociò quello azzurro e penetrante dell’amico. Rimasero in silenzio per qualche attimo, finché Lucius non tornò a fissare un punto diverso.
- Ho dato ordine di condurla qui viva.- disse - Quando l’avremo trovata, Athena potrà darci la sua versione. A prescindere da quale sia la verità, Nathan avrebbe comunque voluto così.-
- Hai fatto la cosa giusta. E per quanto riguarda i miei dubbi?-
- Tieniteli e usali.- rispose Lucius, con un cenno della mano - Forse è un bene, in fondo… dopotutto hai ragione tu, ci sono dettagli che non riesco a far quadrare del tutto… potrebbero essere eventi casuali o fortuiti, ma non è detto. È bene accertarsi che le cose stiano effettivamente così prima di procedere… non voglio ritrovarmi tra le mani un disastro peggiore di quanto lo sia già.-
Il Crociato annuì senza sorridere.
- Bene. Avete trovato tracce della ragazza?-
- Nessuno è ancora rientrato, di quelli usciti a cercarla. Ho ricevuto messaggi dalla metà di loro.-
- E l’altra metà?-
- Qualcuno è impossibilitato, non si trovano in luoghi dove possono usare i nostri piccioni viaggiatori e non hanno specchi runici come me. Altri sono nuovi, e ignorano del tutto la posizione delle voliere, quindi anche volendo non saprebbero come fare a contattarci se non tornando qui. A loro, in effetti, ho già detto di rientrare un paio di giorni fa. Preferisco impiegarli in altre mansioni.-
- Quindi i nuovi sono tutti qui o impegnati in altri tipi di missione?-
Lucius annuì, ma poi si bloccò.
- No.- disse lentamente - In effetti no. Una non è tornata.-
- Chi?-
- Margareth Orwell di Wiskerdell.- rispose - Il nostro più recente acquisto, per così dire. Le avevo ordinato di occuparsi di una faccenda in una località non tanto lontana dalla residenza di Nathan. Il ladro che doveva rintracciare è stato trovato grazie a una sua indicazione, ma lei è scomparsa.-
Il Crociato aggrottò la fronte.
- Potrebbe aver trovato Athena?-
Lucius scosse la testa.
- Non lo so. Ma si è sempre distinta per il suo ingegno e le capacità di ragionamento, mentre veniva addestrata. Non è impossibile… dopotutto, era in missione appena oltre le montagne che circondavano la valle, e se Athena Asimov fosse fuggita proprio attraverso quei sentieri…-
- Capisco.- disse Nimàt, riprendendo l’elmo - In tal caso, parto subito. Comincerò la ricerca dall’ultimo luogo in cui è stata vista. Con un po’ di fortuna riuscirò a trovarla.-
Lucius annuì e lo guardò uscire, trattenendosi dall’augurargli di trovarla ancora in vita.

So di aver saltato a pié pari un'intera settimana, quindi chiedo scusa per il ritardo. In compenso, il capitolo è un po' più lungo del solito. Non tanto, ma giusto un pochino.
Ringrazio come sempre 
Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa KIUUBY, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, i lettori che mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 23
*** Cap. 22: Vita iniziatica ***


La sveglia arrivò molto presto e, se Athena non fosse stata avvezza alle levatacce, avrebbe avuto seri problemi a svegliarsi quando (probabilmente) in superficie il sole non era ancora sorto. Di certo quel poco che vide dalle finestre che davano su Llenxia le disse chiaramente che il grosso della popolazione cittadina non era ancora in attività: le strade sembravano vuote, anche a quella distanza, e i suoni che permeavano l’edificio di addestramento erano sommessi, quasi sonnacchiosi, come se i suoi compagni esitassero a uscire dal torpore delle coperte.
Un’altra cosa di cui fu intimamente grata fu la sua condizione di fuggiasca che, ironia della sorte, la stava decisamente favorendo nell’accontentarsi dell’amaca: certo, il letto in cui aveva dormito a palazzo era  ben altra cosa, tuttavia dopo tante notti passate su sassi, radici e terriccio umido un semplice baccello di stoffa sospeso a un metro da terra non le dava poi tanto fastidio.
La colazione si svolse in una grande sala con un solo tavolo di legno oblungo, e le abluzioni successive furono espletate in fretta. Conclusa la routine mattutina Nazdr Ylowrr li portò tutti all’esterno, nel cortile dell’edificio, dove si misero tutti in riga in religioso silenzio. Athena si ritrovò tra due giovani Drow: uno era un po’ più alto di lei, maschio, i capelli corti e argentei; l’altro, quello a sinistra, era una delle poche femmine presenti nel gruppo, dai lunghi capelli neri un po’ ribelli. Distolse rapidamente lo sguardo quando si accorse che la stava osservando a sua volta, ma sentì chiaramente i suoi occhi rimanere su di lei finché un rumore di passi cadenzati e leggeri giunse alle loro orecchie. Pochi istanti dopo comparve Kibir, serio e silenzioso come era sempre stato; nel passarle davanti non la guardò nemmeno, e arrivò fino in fondo alla fila senza dire una parola. Subito dopo tornò indietro, affiancandosi di nuovo a Nazdr.
- Ci sono elementi nuovi?- chiese semplicemente, abbracciandoli con lo sguardo.
- Sì, signore.- rispose Nazdr - La giovane umana…-
- Oltre a lei, figlio degli Ylowrr. Ne sono già al corrente.-
- La settimana scorsa sono arrivati altri due iniziati. Devo presentarli?-
- No. Per adesso fa completare a tutti il percorso di base. Quando avranno terminato voglio che si esercitino nel combattimento uno contro uno.-
Nazdr fece un cenno col capo e gridò qualcosa in drowish. L’intera fila reagì subito, cominciando a muoversi verso sinistra, e Athena li seguì immediatamente, chiedendosi cosa l’aspettasse adesso.
 
Nazdr li portò sul retro dell’edificio, dove si apriva una galleria che li condusse tutti in un’altra grotta, meno ampia o luminosa di quella dove sorgeva Llenxia ma organizzata in un percorso obbligato tra le stalagmiti, costellato di ostacoli ottenuti direttamente dalla roccia, sagomata per l'occasione, che da materiali raccolti all’esterno: c’erano pareti ripide, fossi, cumuli di pietre, corde, pali piantati nel terreno e numerose altre cose messe lì per rendere più difficile il cammino… o, più probabilmente, la corsa.
- Dovrai completare l’intero percorso.- disse Nazdr - E dovrai farlo nel più breve tempo possibile.-
Colta di sorpresa dalla sua improvvisa vicinanza, Athena ebbe un piccolo sussulto: non lo aveva sentito arrivare, e adesso era al suo fianco, mentre gli altri Drow si erano portati quasi tutti all’inizio del percorso nella roccia, prendendo posizione.
- All’inizio lo troverai duro senza alcun dubbio.- continuò Nazdr, senza mostrare emozioni - In effetti, i tempi medi sono basati su quelli dei membri del nostro popolo. Limitati a fare del tuo meglio.-
Gran bella prova di fiducia… pensò Athena.
- Grazie.- disse - C’è altro che devo sapere?-
- No. Ma potresti toglierti questo.- e fece per prendere il cappello per la visiera, ma istintivamente Athena lo afferrò con entrambe le mani, trattenendolo.
- No!- esclamò - No, ehm… grazie, Nazdr. Io… io credo che lo terrò.-
- Hai i capelli corti. Non c’è il rischio che ti vadano negli occhi, e potrebbe scivolarti e ostruire la tua visuale.-
- Starò benissimo, io… lo portavo sempre quando andavo a caccia nel bosco.-
Nazdr la guardò per un istante ancora, probabilmente dubbioso, ma alla fine scrollò le spalle e si allontanò, senza dire un’altra parola. Quando fu abbastanza distante Athena si rilassò con un sospiro e fece per avviarsi verso l’inizio del percorso; fu allora che notò la giovane Drow che poco prima era stata di fianco a lei che, accovacciata su una stalagmite smussata, la osservava con la stessa intensità di quando Kibir era venuto a fare l’ispezione mattutina.
 
Margareth si appoggiò al davanzale del balcone, sospirando, mentre il suo sguardo abbracciava l’intera Llenxia che, al di là del cortile del palazzo, proseguiva con la sua vita come se nulla fosse, ignara di quanto stava accadendo in superficie. O, forse, semplicemente noncurante.
Oltre all’omicidio di Nathan Clarke e alla misteriosa rivolta dei Figli di Caino, c’erano un sacco di cose che le davano pensiero. Fino a poco tempo prima non ci aveva neanche fatto caso, tuttavia dopo l’incontro con Astrid aveva avuto molto su cui riflettere: se davvero si stavano preparando da tempo, al punto tale che già erano riusciti a far sparire la popolazione di una città intera, era possibile che avessero anche fatto molto di più. C’era qualcos’altro che nascondeva le loro azioni?
Un re è sparito e i suoi consiglieri spingono alla guerra il figlio. pensò, ricordando una conversazione avvenuta poco prima dell’inizio di quella tragedia tra Lucius e Nathan. Nathan pensava che non fosse solo una questione di avidità. Potrebbero essere stati loro?
Secondo la maggior parte della gente, i Figli di Caino erano solo persone pronte a trasformarsi in assassini, privi di un vero scopo ma mossi solo dall’istinto di uccidere qualcuno. Tuttavia, già il fatto che si fossero organizzati in quel modo dimostrava il contrario, quindi non era una possibilità da escludere… doveva far pervenire un messaggio agli Architetti il prima possibile, ma con Astrid sulle loro tracce non era sicura di poter mandare un piccione viaggiatore. L’impegno che lei e i suoi compagni stavano mettendo nei tentativi di ucciderle la faceva dubitare che potesse essere tanto facile.
- Ti vedo pensierosa.-
Sussultò per l’improvviso suono della voce di Kibir, entrato nella stanza senza che se ne accorgesse. Purtroppo, se c’era una cosa che i Drow sapevano fare era muoversi in silenzio. A volte anche troppo.
- Stavo solo riflettendo su alcune cose.- rispose, mentre lui usciva sul balcone - A cosa devo la visita? La Matriarca vuole vedermi?-
Kibir scosse la testa.
- Pensavo solo che volessi sapere della tua amica.-
Margareth sbuffò.
- Athena è stata piuttosto chiara, ieri.- replicò - Posso andare per la mia strada, e lasciare che lei segua la sua.-
- Eppure sei ancora qui.- osservò Kibir.
Margareth si morse un labbro.
- Athena è una Figlia di Caino.- disse il Drow, incrociando le braccia - Ciò la rende diversa da te. Porta un peso sulle proprie spalle, aggravato dal dolore della perdita e dalla paura. E non possiamo negare la possibilità che la sua stessa condizione la renda più incline alle reazioni ostili.-
- E quindi cosa dovrei fare? Lasciare che mi urli contro?-
- Se può servire…- replicò Kibir, scrollando le spalle - Dimmi, sai come sono diventato Qu’abban?-
- Con raccomandazioni e sorrisi?- chiese in tono sarcastico Margareth.
Kibir non parve gradire troppo la battuta, dato che s’incupì più del solito e lasciò scivolare le mani lungo i fianchi: in realtà lei sapeva bene come funzionava la vita nel mondo sotterraneo, ed era tutt’altro che semplice. La società Drow era matriarcale, e gli uomini erano cittadini di seconda classe, sempre e comunque. Persino gli stessi figli della Matriarca (che poteva prendere ben più di un marito) erano spesso uccisi o banditi, se la situazione lo richiedeva. La maggior parte dei maschi Drow finiva col diventare un servo di una padrona appartenente a una casta nobiliare elevata, e anche lì doveva considerarsi molto fortunato. Altri venivano addestrati come soldati, e pochi ottenevano titoli importanti quanto quello di Kibir.
E, se la memoria non le giocava un brutto scherzo, Kibir non era affatto nato in una casata importante.
- No.- rispose il Drow, serio - Ho dovuto lavorare, impegnarmi, studiare… uccidere, anche. Il nostro è un mondo duro e spietato. La vita di una persona nata con il P’obon Axsa sulla fronte è estremamente difficile, proprio come lo è stata la mia. Tu mi vedi forte e sicuro, adesso, ma in passato io stesso ho dovuto affrontare la maledizione della mia nascita, di una condizione che non avevo chiesto. Athena ha appena cominciato a lottare. Dalle un po’ di tempo e le cose cambieranno. Nel frattempo abbi pazienza… e mostrale un po’ di sostegno.-
Margareth sospirò.
- Cosa credi che dovrei fare, adesso? Intendo, in questo preciso momento?-
- Per adesso aspetta. Lascia che si getti alle spalle la vostra lite, poi vai a cercarla. Per allora, magari, sarà pronta a darti ascolto.-
Margareth fece un sorrisetto che Kibir non ricambiò. Se fosse per la sua solita, impassibile serietà o per la brutta battuta di un secondo prima, non seppe dirlo.
 
Athena si issò con fatica oltre il secondo, nonché il più alto, dei tre muri di assi presenti nella grotta, conquistano finalmente la metà del percorso a ostacoli. Purtroppo non le fu di alcuna consolazione, dato che i suoi compagni Drow erano già arrivati alla fine da un pezzo.
Quando loro avevano terminato lei era a malapena riuscita a coprire un terzo della strada, sudando copiosamente, e adesso sentiva i muscoli rigidi e doloranti, tanto che dopo aver scavalcato la barricata rischiò di cadere sulla roccia. Dovette fare un vero sforzo per tenersi aggrappata alle assi, respirando così affannosamente che le faceva male il petto, e non riuscì neanche a usare entrambe le mani, ma solo la destra, mentre l’altra le penzolava inerte lungo il fianco.
- Lasciati cadere!-
Riaprì un occhio coperto di sudore e polvere e vide, più di due metri sotto di lei, la stessa ragazza Drow che l’aveva tenuta d’occhio all’inizio della giornata.
- Lasciati cadere, forza!- esclamò di nuovo lei - Ti prendo io! Fidati!-
Beh… tanto non è che riuscirò a scendere da sola… osservò.
Annuì per farle capire che accettava e, non appena l’altra ebbe sollevato le braccia, mollò la presa. Le cadde direttamente addosso, ma la Drow barcollò a malapena, pur essendo alta sì e no quanto lei, afferrandola saldamente prima che toccasse terra. La aiutò a sedersi, sistemandola con la schiena contro la parete di legno, e le tese un otre di pelle pieno d’acqua.
- Ecco qui.- disse - Bevi, devi essere assetata.-
Athena non se lo fece dire due volte e quasi le strappò di mano la ghirba, inghiottendo avidi sorsi che le guarirono la gola riarsa.
- Piano, o ti sentirai male.- disse la Drow, sedendosi a gambe incrociate davanti a lei - Piuttosto, ti sei fatta male? Ho visto che cadevi, prima.-
Athena scosse la testa, abbassando l’otre e riprendendo fiato.
- No… sto… sto bene.- ansimò - Gra…zie.-
Lei si strinse nelle spalle.
- Ho sentito dire che di solito quelli della tua razza non durano più di tanto qua sotto.- disse - La maggior parte di voi cede presto, quando fa il percorso la prima volta.-
- Beh… ho mantenuto la media, almeno.- brontolò scocciata Athena.
Ma la giovane Drow scosse la testa, agitando la chioma nera.
- No, non direi. L’ultimo è arrivato solo fin laggiù.- e indicò un punto molto più indietro - Era una femmina anche lei. Io non ero ancora una iniziata, non l’ho mai vista, ma so che ha dovuto aspettare quasi cinque mesi prima completare tutto il percorso e superare la prova di iniziazione.-
- Io non ho cinque mesi.- disse Athena - Devo finire il prima possibile.-
La Drow appoggiò la guancia su un palmo, guardandola in diagonale.
- Vai di fretta, eh?- disse - Forse ti posso aiutare. Ti va se ti insegno a combattere come noi? Ti aiuterò a completare il percorso e a raggiungere in fretta il giorno della prova. Sei abbastanza promettente, non sarà complicato.-
Athena aggrottò la fronte.
- Lo faresti?- chiese - E perché mai?-
La giovane Drow sorrise strizzando le palpebre, guardandola con l’aria di un gatto che osserva il canarino.
- Perché voglio qualcosa da te, ovviamente.- rispose, grattandosi delicatamente la guancia con un dito - Oh, dimenticavo… il mio nome è Nyx.- 

So di essere mancato per un po', scusate... è un periodo un po' così. Beh, vi saluto e spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KuRaMa KIUUBY, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che mi stanno seguendo. A presto!

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Capitolo 24
*** Cap. 23: Nika e Shebali ***


Nyx le permise di riposare per una decina di minuti prima di costringerla a rialzarsi, e subito dopo la condusse dagli altri Drow all’ingresso della caverna. Si erano già divisi a coppie o sistemati in disparte dopo aver preso alcune armi dalle rastrelliere vicine all’entrata, e avevano cominciato a lottare tra loro. Pur essendo un allenamento, Athena non poté fare a meno di notare che stavano usando spade e coltelli veri, non di legno come quelli a cui si era abituata con Nate, e soprattutto non ci andavano leggeri: più volte vide una lama cozzare contro la pietra tanto forte da produrre scintille, o gocce di sangue cadere dai tagli che i giovani Drow si erano inferti l’un l’altro. L’occhio le cadde in particolare su uno di loro, il cui braccio destro era coperto completamente da placche metalliche dalla spalla fino alla punta delle dita. Le ci volle un po’ per scorgere le rune incise qua e là sull’arto, e comprese che non si trattava di una protezione quanto di una protesi: il braccio gli era stato tagliato via.
- Qualcosa non va?- le chiese Nyx, mentre prendeva quello che restava dalle rastrelliere.
- Usate armi vere per scontri finti?- chiese Athena, osservando con un po’ di apprensione uno scintillio sinistro attraversare la lama ricurva che Nyx stava prendendo in quel momento.
- Scontri… finti?- ripeté con un sogghigno lei - Ah! Voi kivvin… credete sempre che basti fare finta per imparare. Pensi forse che facendo finta di leggere imparerai a leggere?-
- Ma questo che c’entra… non si può fingere di leggere!- esclamò Athena.
- Già. E non si può fingere di combattere.- replicò lei in tono duro, ficcandole tra le braccia una spada corta, un’ascia e un lungo bastone - Qui non siamo morbidi come voi kivvin, con tutte le vostre cerimonie e i vostri “per favore”, “scusatemi” e “mi dispiace”. Un passo falso e finisci come lui.- e indicò il Drow col braccio di metallo.
Athena si trattenne dal deglutire. In quel preciso momento faticava a immaginarsi Margareth in una simile situazione: ma come accidenti era riuscita a tenere il passo con quella gente?
- Oh, per Loth ed Elistraee…- sospirò Nyx, roteando gli occhi al di sopra della bracciata di lame tintinnanti che portava - E dire che fino a un minuto fa mi sembravi così promettente… vieni, allontaniamoci. Per un po’ voleranno coltelli.-
- Ma… che ce ne facciamo di tutta questa roba?- chiese smarrita Athena, trotterellandole dietro.
- Devi imparare a usarle. Tutte.- rispose lei - Non puoi mai sapere quali ti serviranno, non potrai contare in eterno solo su un’unica arma.-
- Nyx, io ho fretta!- esclamò - Non posso passare dei mesi qua sotto!-
- Non ci vorranno mesi!- ribatté scocciata lei - Sei già parzialmente addestrata, no? Cosa sai fare?-
- Beh… so usare la spada, e poi sono una cacciatrice… per gli umani lo sono!- sbottò, quando l’altra si voltò per scoccarle uno sguardo obliquo - Quindi so usare l’arco, la balestra e il coltello…-
- Ci hai mai combattuto?-
- Con cosa?-
- Con archi e coltelli.-
- Ho ucciso cervi e conigli, e ho scuoiato…-
- Insomma, no.- la interruppe Nyx, scaricando tutto in un angolo particolarmente isolato della grotta - Beh, vedremo cosa sai fa…-
- Mi fai parlare?- esclamò esasperata Athena, mollando le armi a sua volta - Stavo dicendo che ho anche imparato a usarli per difendermi, va bene?-
- Via, via, non scaldarti… devo sapere fin dove arrivi, o non saprò da dove iniziare.- replicò Nyx, in tutta tranquillità - Bene, allora partirei con la spada, per adesso, tanto per vedere quanto sei effettivamente preparata.-
Ne raccolse una da terra e gliela lanciò. Athena la afferrò al volo, crucciata.
- Mi spieghi perché combattere tra noi?- chiese - Siete cacciatori, no? Io lo facevo con Nate perché voleva che diventassi un Architetto, ma voi…-
- Beh, è solamente logica.- rispose Nyx, scrollando le spalle - Un animale non para i tuoi attacchi, non mette alla prova i tuoi riflessi. Solo i predatori più grandi e più pericolosi ti aggrediscono con armi da lancio, o ti prendono alle spalle… impara a farlo con qualcuno potente come un tuo simile e sarai in vantaggio con la maggior parte delle bestie che si incontrano di solito. Normalmente tu i cervi maschi adulti li uccidi con l’arco, vero?-
- Certo. Non è divertente farsi incornare.-
- Noi li uccidiamo con spade e coltelli.- disse Nyx, senza sorridere - E solitamente non riescono a caricarci in tempo.-
Alzò la spada, e Athena fece lo stesso.
- Bene, al lavoro.- disse - Fammi vedere cosa sai fare.-
 
Quella sera Kibir entrò nella sala delle udienze della Matriarca, oltrepassando le guardie senza degnarle di un’occhiata. Lei era già al suo posto sul seggio, in attesa del suo arrivo. Aggrappato alla sua spalla c’era un pipistrello adulto, a cui la Matriarca allungava periodicamente chicchi di frutta secca importata dalla superficie che pescava dalla ciotola lì accanto.
- Mia signora.- disse in Drowish con un inchino, quando la ebbe raggiunta.
- Kibir.- rispose lei - Grazie per la sollecitudine. Ho a lungo ponderato le notizie che mi avete riferito, e ho deciso che dobbiamo intervenire, in nome dell’alleanza che abbiamo con la gente di superficie.-
- Perdonate la mia impertinenza, signora, ma ero persuaso che avrebbe scelto di non aiutare oltre le nostre giovani ospiti.- disse Kibir, chinando il capo.
- All’inizio lo avevo pensato a mia volta.- concordò lei, allungando un altro po’ di frutta al pipistrello, che squittì soddisfatto - D’altra parte, l’inerzia potrebbe non essere la migliore delle decisioni, vista la situazione attuale. Così come gli umani, anche noi siamo talvolta soggetti alla Maledizione di Elistraee. Loth esige numerosi tributi di sangue, tanti quanti coloro che portano il Marchio. Se coloro che sono stati scelti dalla Divina Loth scegliessero di voltarci le spalle e unirsi a loro, il problema non riguarderà più solo la superficie, ma anche noi. Non voglio correre questo rischio.-
- Molto bene. Cosa ordinate, allora?-
- Devi partire subito per le Terre Luminose.- rispose la Matriarca, passando un dito affusolato sul dorso del pipistrello - Trova i Creatori del Nuovo Mondo e porta loro un messaggio. Informali sullo stato attuale delle cose e chiarisci l’equivoco, perché possano concentrarsi sulla situazione.-
Kibir eseguì un nuovo inchino.
- Come comandate.- disse - Se dunque non c’è altro, partirò immediatamente per la superficie.-
- Molto bene. Buon viaggio, dunque.- lo congedò la Matriarca, tornando a concentrarsi esclusivamente sul pipistrello.1
 
Athena si sfregò con energia il panno sulla testa per asciugarsi i capelli, rientrando nel dormitorio a passi lenti e rigidi: la giornata con Nyx era stata tutt’altro che riposante, e ancor meno soddisfacente.
La Drow l’aveva spremuta come un limone, fino all’ultima goccia: dopo l’allenamento con le spade, che le aveva procurato almeno tre volte i tagli che era riuscita a infliggere all’improvvisata istruttrice, erano passate al tiro con l’arco (per stavolta Nyx aveva deciso di lasciarle colpire al volo delle pietre, cosa tutt’altro che facile) e poi ai pugnali da combattimento, che le avevano procurato altri tagli. Infine, avevano usato entrambe due lunghi bastoni, e quelli l’avevano riempita di lividi e contusioni. Erano andate avanti così fino all’ora di pranzo, e durante l’intero pomeriggio si erano concentrate sull’allenare i suoi riflessi e i suoi muscoli: Nyx le aveva tirato contro dei sassi, e lei aveva dovuto schivarli tutti. Ogni volta che sbagliava direzione, o che si muoveva troppo lentamente, un nuovo livido o taglio compariva da qualche parte sulle sue braccia, sul suo addome, sulle sue gambe o sul suo viso, e una volta per poco non ci aveva rimesso un occhio, nonostante Nyx fosse stata attenta a non mirare direttamente alla testa. Doveva ammetterlo, già iniziava a non sopportarla.
In teoria, adesso che era arrivata la sera, aveva circa due ore di libertà prima del coprifuoco, e se avesse voluto avrebbe potuto fare una scappata in città. Tuttavia, non se la sentiva minimamente di fare come tutti gli altri apprendisti del centro di addestramento e uscire: era sfinita, di pessimo umore e indolenzita fino alle ossa. E poi Llenxia non aveva nulla di attraente ai suoi occhi, il giretto sommario che aveva fatto mentre l’attraversava con Margareth e Kibir era stato più che sufficiente.
Appena arrivata all’amaca recuperò il cappello e se lo mise rapidamente in testa, lo sguardo teso alla ricerca di eventuali spettatori indesiderati. La fortuna l’aveva assistita mentre si lavava, grazie ai numerosi paraventi e all’esiguo numero di persone presenti, ma non le andava di rischiare senza motivo. Poi, completamente esausta, si sdraiò sull’amaca ed esalò un vibrante sospiro di stanchezza, intenzionata ad addormentarsi immediatamente.
Tuttavia, la voce di Nyx vanificò quel tentativo.
- Oh, ma allora sei qui.-
Gemendo, aprì un occhio e le lanciò un ipotetico dardo infuocato, che lei non parve cogliere mentre la osservava con le mani sui fianchi.
- Che c’è ora?- grugnì.
- Non ti va di fare un giro? Vuoi davvero andare a letto così presto? Abbiamo due ore tutte per noi, ti conviene sfruttarle, sai?-
- Magari un’altra volta. O mai.- sbuffò, coprendosi gli occhi col braccio - Sono stanchissima, e non ho voglia di vedere nessuno. Nessuno, capito?-
- Piantala di fare la solitaria.- disse Nyx, saltando agilmente sull’amaca più vicina e sedendosi a gambe incrociate sulla tela.
- Non faccio la solitaria. Voglio solo finire l’addestramento e tornare subito in superficie. Le cose lassù vanno male, e…-
- … e… cosa? Sei l’unica a poter rimettere tutto a posto? No. Ci sono anche gli altri Sel Tresk’ri’s Beldroin, e loro sono più anziani ed esperti di te, no? E sono molti di più, tu sei da sola. Una ragazzina non farà certo la differenza.-
- Loro non faranno proprio un bel niente, va bene?- sbottò, alzandosi a sedere con rabbia - Tu non sai niente, Nyx, quindi chiudi il becco, d’accordo?-
Nyx aggrottò la fronte, forse offesa, forse incuriosita.
- Niente? E perché? Non è compito loro intervenire se ci sono problemi? Non è questo che fanno di solito?-
- Sì, ma… senti, loro non hanno idea di cosa succeda, sono stati ingannati, chiaro? Credono che sia tutta colpa mia, e Margareth è l’unica che…- scosse la testa, alzando le mani - Senti, sai che c’è? Non importa! Non sono affari tuoi!-
- E perché no?- chiese Nyx - Insomma, perché non parli un po’ con me? Sto provando a farti un favore, potresti almeno mostrarti minimamente amichevole con chi cerca di aiutarti.-
Athena le scoccò uno sguardo ostile.
- Allora, numero uno: chi ti fa un favore di solito non vuole nulla in cambio, e tu nemmeno mi hai detto cosa vuoi di preciso. Numero due, non sono nella situazione di chi può o vuole farsi degli amici.-
- Ma se davvero hai dei problemi, qualche amico in più ti fa comodo, no?- osservò in tono ragionevole Nyx.
Athena aprì la bocca per replicare, ma scoprì che non sapeva cosa dire, in realtà: Nate le aveva sempre insegnato a non fidarsi di nessuno all’infuori di lui casomai il suo segreto fosse venuto a galla, meno che mai in caso di sua improvvisa scomparsa, ma non l’aveva preparata a cosa fare di preciso se la colpa della sua morte fosse ricaduta proprio su di lei. Nessuno ci aveva mai pensato.
- Sai, dovresti pensare bene a quello che ti conviene, in certi casi.- disse Nyx, alzandosi senza però mostrare alcun risentimento - Beh, se proprio ci tieni, ti lascio da sola. Quando avrai deciso fammi un fischio, va bene? Tanto sarò nei paraggi, non è che vado da qualche parte…-
Si allontanò canticchiando sommessamente in drowish, e mentre imboccava la porta incrociò Nazdr che entrava. Gli fece appena un cenno, che lui non ricambiò. Anzi, la seguì con lo sguardo per qualche secondo, stringendo gli occhi con aria diffidente. Quando fu fuori portata d’orecchio e le parole della canzonetta che mormorava ebbero lasciato la stanza si voltò verso Athena e la raggiunse direttamente, senza cambiare espressione.
- Buona sera.- le disse senza alcun calore - Vedo che hai passato una giornata molto intensa.-
- Già.- ammise lei, massaggiandosi cautamente il livido accanto all’occhio - Non male per il primo giorno, eh?-
- C’è chi, il primo giorno, l’occhio lo ha perso.- disse in tono duro Nazdr - Ho notato che hai passato molto tempo con Nyx Colnbluth.-
- Coln…? ehm, sì. Nyx si è offerta di aiutarmi. Non è contro qualche regola, vero?- chiese, improvvisamente preoccupata di aver contravvenuto senza saperlo a un qualche codice di condotta che non conosceva.
- Nau.- rispose lui, scuotendo la testa, e Athena suppose che significasse “no” - Tuttavia, ti raccomando molta attenzione.-
- Già, sa essere letale con quei dannati sassi…-
- Non è ciò che intendevo.- replicò subito Nazdr - Nyx Colnblunth è da sempre una Nika, ma aspira a divenire una Shebali.-
Athena lo guardò con tanto d’occhi.
- Ehm… scusa, Nazdr, ma… non ho idea di cosa voglia dire. Non parlo drowish.-
Lui annuì.
- Nelgetha… perdonami. Un Nika è un membro del nostro popolo privo di casato, o uno straniero. In parole povere, non fa parte, come me e la massima parte degli abitanti di Llenxia, del casato dei De’Drextan.-
- Siete tutti parte della stessa famiglia?-
- Nau. C’è chi non ha alcun legame di parentela con la Ilharess Shi’nil o con qualunque altro abitante della città, anche se sono casi a’leain… rari. Io, ad esempio, sono nipote di terzo grado del secondo cugino del Qu’Abban Kibir Dûl Khazdîn. In ogni caso, io faccio parte del casato. Nyx Colnblunth no.-
- E questo ha importanza?-
Lui annuì.
- Come ho detto, aspira a diventare una Shebali. Una Drow non nobile in attesa di scalare la gerarchia sociale, per migliorare le proprie condizioni, entrare nel casato, far parte della comunità come nostra pari.-
- Beh, non ci vedo nulla di male.- osservò Athena - Vuole solo condizioni di vita migliori, no?-
- L’aumento del numero di membri del casato è senz’altro un bene, e presto avrà sufficiente credito per fare tale domanda e diventare una Shebali a tutti gli effetti.- concordò Nazdr - Ma ciò significa anche essere disposti a tutto. Un qualsiasi Shebali non esiterebbe a uccidere o usare altre persone per ottenere ciò che vuole. Noi Drow siamo senz’altro avvezzi a questo genere di comportamento, ma rimaniamo ugualmente guardinghi quando abbiamo a che fare con simili persone. Tuttavia trovo di cattivo gusto usare dei conblunthen come te per raggiungere tale scopo.-
Athena non rispose. Nazdr fece un cenno col capo e si avviò verso l’uscita, ancora scuro in volto.
- Aspetta!- lo richiamò Athena, correndogli dietro.
Lui si voltò, ancora accigliato.
- La parola che hai usato… con… cobl…-
- Conblunthen.-
- Sì, quella. Perché somiglia al cognome di Nyx?-
- Lei è una Nika.- rispose Nazdr - Dunque, non ha un cognome. Si tratta di un sostantivo. Quello che ho usato per riferirmi a te è solo nella forma plurale.-
- Ah… e cosa… cosa significa?-
Nazdr incrociò le braccia.
- Straniera.-
Detto questo si voltò di nuovo e se ne andò.

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1) Questa conversazione intera è in drowish tradotta in italiano per tre motivi: numero uno, essendo da soli, la Matriarca e Kibir non avevano bisogno di usare il linguaggio comune; numero due, dubito che uno solo di voi lettori parli il drowish, o almeno che lo parli bene abbastanza da capire tutto quello che si sono detti; numero tre, non ho la più pallida idea di come scrivere un'intera conversazione in drowish...

E vabeh... mi ci è voluto un po' di tempo, ma sono riuscito a scrivere anche questo nuovo capitolo. Scusate l'attesa. Devo ammetterlo, quando ho iniziato a usare un po' di più il drowish, verso la fine, ho cominciato a fare il doppio della fatica... ancora non lo mastico molto bene, e il mio dizionario è un po' incompleto.
Comunque, ringrazio come al solito 
Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KURAMA DI SAGITTER, King_Peter, Jasmine1996, Terry5 e Wendy90, che mi seguono, e anche Iryael e Ciccy, che hanno cominciato a seguire a loro volta la storia. A presto!

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Capitolo 25
*** Cap. 24: Nozioni di fiducia ***


Kibir uscì nella notte del mondo di superficie, calando il cappuccio del mantello fin quasi sugli occhi. Sopra di lui bruciavano le stelle di un cielo senza luna, scuro quasi quanto l’oscurità da cui era appena uscito.
Appena fu all’aria aperta si fermò per alcuni istanti, osservando la volta celeste che era sopra di lui in silenzio, i complicati di disegni che quei minuscoli punti luminosi tracciavano come se fossero stati messi appositamente lì da qualcuno. Forse una divinità annoiata si era divertita a creare quello spettacolo all’alba dei tempi, per avere qualcosa da fare alla nascita del mondo. Di certo, non era stata una divinità Drow a pensarci: non avrebbe avuto motivo per creare qualcosa che la sua razza non poteva ammirare se non raramente.
Gli umani tendevano a dare per scontato il loro cielo, ma da dove veniva lui il buio era buio e basta. Non c’erano stelle a rischiararlo, o una luna che la maggior parte delle volte portava un po’ di luce. Non c’era nemmeno il vento, o l’odore delle piante. Gli unici spostamenti d’aria avvenivano per i movimenti degli abitanti del sottosuolo, e gli odori erano quasi sempre quelli dell’umidità e della pietra. Persino i suoni erano diversi. Le differenze tra i due mondi non si contavano, ma il cielo e il buio della superficie erano in cima alla sua lista: lassù tutto era luce, talmente tanto che persino l’oscurità era luminosa.
Ora devo andare.
Si costrinse a riscuotersi dalla propria immobilità e si avviò lungo il sentiero, diretto verso il centro abitato più vicino. Con quello che era successo al villaggio confinante avrebbe dovuto viaggiare per giorni prima di raggiungere un qualsiasi villaggio, e non poteva permettersi di perdere tempo.
Strinse saldamente il bastone da viaggio, calandosi ancora meglio il cappuccio sulla fronte. Durante la notte nessuno si sarebbe accorto che non era un essere umano, quindi non avrebbe dovuto preoccuparsi… d’altra parte, durante il giorno non sarebbe stato semplice passare inosservato. Aveva dovuto procurarsi abiti più umili e rinunciare ai simboli della casata, a eccezione di un pendaglio nel suo zaino. In quel modo avrebbe potuto spacciarsi per un semplice viaggiatore o un reietto scacciato dai suoi simili per un qualche motivo. Avrebbe ragionato con calma sulla storia da fornire a chiunque gli avesse fatto domande, cosa peraltro rara: pochi amavano avvicinare un Drow, e ancora meno fargli delle domande. Gli umani di rado si comportavano in modo ostile nei confronti di quelli come lui, troppo preoccupati di finire mutilati o uccisi, e si limitavano a guardarlo con sospetto e timore ogni volta che saliva in superficie.
Raggiunse il sentiero senza incidenti e lo percorse fino al bivio che lo avrebbe condotto a Viniva o a Sorira, a seconda della direzione che intendeva prendere. Tornando indietro si sarebbe diretto verso le montagne. Accennò a imboccare il secondo percorso, quello per Sorira, quando un odore pungente gli colpì le narici, inducendolo a fermarsi. Cominciò ad annusare l’aria, guardandosi attorno, seguendo quell’aroma particolare che lo indusse ad alzare lo sguardo; individuò quasi subito un albero i cui rami erano stati rivestiti di stracci imbevuti in un qualcosa che dava loro quella strana fragranza. Mosse un altro passo e strinse gli occhi: nonostante la lieve brezza che spazzava il sentiero e muoveva i rami della pianta, quei brandelli di stoffa erano immobili, rigidi. Eppure erano certamente tessuto strappato e legato alla meglio, vedeva chiaramente le sfilacciature e i nodi.
Olio di Kalashar.
Non era un albero. Era una trappola. E non per lui.
- Dove sei, umana?- chiese.
Sentì un movimento alle sue spalle, ma non era un rumore. Era più di uno spostamento d’aria che si muoveva in direzione opposta  a quella della brezza. Con uno scatto repentino tese all’indietro il braccio, agguantando un polso armato di pugnale ben prima che potesse trafiggerlo.
La donna umana cercò di liberarsi con uno strattone che, tuttavia, non lo fece nemmeno barcollare, e rassegnata gli lanciò uno sguardo truce, a cui Kibir rispose nell’identica maniera.
- Un albero pieno di stracci imbevuti in olio di Kalashar.- disse Kibir - Il cui odore è inesistente per gli esseri umani come te. Non ero io quello che speravi di cogliere di sorpresa, dico bene?-
- Infatti.- replicò lei.
Fece scattare la gamba, colpendolo con un calcio dietro il ginocchio. Stavolta non riuscì a fermarla, e la gamba gli cedette trascinandolo a terra. Approfittando del momento l’umana si liberò dalla sua stretta e mosse la mano in una parabola che partiva dal basso, mirando alla sua gola. Senza scomporsi, Kibir alzò il braccio e lo incrociò al suo, fermando di nuovo l’arma senza farsi nulla; si rialzò mentre lei roteava su se stessa e sollevava una gamba per colpirlo al volto, ed evitò ancora l’attacco inarcando lievemente la schiena. Il suo stivale passò a più di mezzo palmo da lui, innocuo, ma appena prima che toccasse terra scattò ancora, stavolta verso l’alto. Lo fermò col palmo della mano, e la stessa sorte toccò alla gomitata e all’ennesimo affondo del pugnale che vennero dopo. A quel punto, Kibir passò al contrattacco.
Allungò il palmo, prendendola al mento con forza mentre le teneva il braccio in tensione. La testa della donna scattò indietro, poi le assestò un colpo di taglio alla gola, facendole emettere un rantolo, e infine usò il braccio imprigionato come leva per rovesciarla a terra sulla schiena, strappandole di mano il coltello.
- Ho affrontato numerosi umani con egual successo.- disse piatto - Non sarai tu a fermarmi.- scoccò uno sguardo all’albero - E la tua trappola è inutile. Nessuno passerà di qui.-
Incapace di parlare a causa del colpo alla gola, la donna si limitò ad ansimare e boccheggiare, guardandolo con rabbia.
 
Le luci erano state spente e le imposte chiuse da tempo quando finalmente Nyx rientrò nel dormitorio. Tutti gli altri erano già a letto da un pezzo, e nell’aria c’era il suono dei loro respiri. I suoi passi erano poco più di un fruscio smorzato, un alito di vento tra i soffi e i mormorii dei dormienti.
Athena si mantenne immobile, senza tuttavia irrigidirsi, sdraiata sull’amaca come se stesse effettivamente dormendo, l’orecchio teso in sostituzione della vista: più si avvicinava e più chiaramente la sentiva. Non solo il suono dei piedi nudi contro il pavimento, ma anche il suo respiro, meno profondo e regolare di quello degli altri…
Attese che fosse a meno di un metro da lei, poi scattò, rovesciandosi in un turbinio di gambe e braccia. Le si abbarbicò addosso come una piovra, passandole attorno al collo il braccio destro e agganciandole le gambe con la sua. Le serrò le braccia lungo il busto in una morsa di ferro e la fece sbilanciare in avanti. Caddero a terra con un tonfo, e a Nyx sfuggì un gemito a stento trattenuto quando colpì il suolo col mento. Subito Athena le passò le braccia sotto le ascelle e le cinse la collottola, tirando mentre spingeva sui suoi glutei coi talloni, costringendola a inarcarsi e bloccandola.
Presa!
- Non è contro le regole rientrare a quest’ora?- le soffiò all’orecchio.
- Athena?- borbottò a denti stretti Nyx, impedita persino nel parlare a causa della posizione - Ma dico, sei… impazzita?-
- No, sono furiosa, va bene?- sbottò - Cosa stai macchinando? Cosa vuoi da me?-
- Beh… intanto…- ringhiò lei, rilassando le spalle.
A sorpresa riuscì a sgusciare via dalla sua morsa, scivolando di nuovo a terra. Senza più presa, Athena cadde all’indietro e sentì la Drow sfilarsi da sotto i suoi piedi, poi muovendosi in silenzio le fu sopra. Il suo gomito le schiacciò la gola, anche se non abbastanza da soffocarla, e con l’altra mano le inchiodò il braccio a terra.
- … questo!- sbottò, terminando la frase. Anche se non la vedeva, Athena comprese che era furiosa - Ora, dammi un buon motivo per non strangolarti seduta stante, idiota di una kivvin!-
Athena tentò debolmente di liberarsi, ma qualsiasi posizione avesse assunto era talmente solida che non riuscì a smuoverla neanche un po'.
- Lasciami!- grugnì.
- Certo, come tu hai lasciato me!- rispose lei - Facciamo una bella cosa, allora… se riesci a togliermi di dosso parliamo. Se non ce la fai ti spedisco dritta dritta da Loth. Hai due minuti, a partire da adesso!-
- Ho parlato con Nazdr!- sbottò Athena - Mi ha detto chi sei! Mi ha detto cosa vuoi!-
- Ah, ma davvero?-
Sentì la pressione alla gola svanire, poi Nyx la afferrò per la maglia e la tirò in piedi, trascinandola verso il fondo della stanza, zigzagando per schivare le amache. Poi una porta sia aprì e si richiuse, e Nyx la lasciò andare; una candela si accese nel buio, illuminando un ripostiglio pieno di scope, cuscini e coperte.
- Ora possiamo parlare.- disse la Drow - E anche se ho la pelle nera e non si vede, sappi che mi si sta allargando un livido qui.- e biascicò qualcosa in Drowish mentre si massaggiava il mento, inviperita.
Athena attese in silenzio che finisse di insultarla (non capiva le parole, ma il tono era quello), sistemandosi meglio il cappello in testa, che si era un po’ mosso durante la colluttazione.
- Insomma hai parlato col vecchio Nazdr, eh?- chiese - E cos’avrà detto, stavolta? Ho rubato dei rifornimenti per andarmene in giro da sola una settimana? Ho pisciato sulla cena della Matriarca?-
Athena aggrottò la fronte.
- La tua difesa è che Nazdr si inventa delle falsità per infamarti?-
- No, non inventa niente.- sogghignò Nyx - Ma avevo dei buoni motivi. Allora, cosa ti avrebbe raccontato?-
- Mi ha detto cosa vuoi da me!- rispose Athena, furiosa - Vuoi sfruttarmi per diventare parte della Casata!-
- Beh, tu stai sfruttando me per diventare un Architetto…- replicò subito l’altra, scrollando le spalle - Cosa c’è di diverso?-
- Di diverso c’è che non ti ho cercata io. Tu sei venuta da me a offrirmi un aiuto…-
- E in cambio voglio qualcosa. Ti sembra così strano?-
- No. Ma non permetto a nessuno di usarmi per un qualche capriccio politico!-
- E calmati!- sbuffò Nyx, scocciata - Sai una cosa? Sei un po’ troppo aggressiva, ragazza mia.- lanciò uno sguardo al cappello, sollevando un sopracciglio - Sarà mica per quello?-
Athena afferrò istintivamente il copricapo, perdendo tutta la rabbia che aveva dentro e impallidendo.
- Cosa?- chiese con voce acuta - Di… di che stai parlando?-
- Della cicatrice che tieni là sotto.- rispose - Te l’ho vista mentre ti lavavi. Sei una dei Prescelti di Loth? Credo che lassù vi chiamino… comesidice... Figli di… Ca…Caino?-
Athena non rispose, continuando a tenersi la testa senza nemmeno rendersene conto, fissando ad occhi sgranati Nyx e sentendo lo stupore invaderla a ondate: non aveva paura. Non era preoccupata. No, in volto le leggeva solo risentimento (di certo dovuto all’aggressione di poco prima), curiosità e lo sforzo che stava facendo per ricordare il termine giusto.
- Sì.- mormorò alla fine - Figlia di Caino… è così che mi chiamano in superficie.- ammise. Abbassò lentamente le braccia senza smettere di guardarla - Non hai… non hai paura?-
- Cosa? Perché?- chiese stupita Nyx.
Athena non rispose subito, studiandola ancora un po’: all’inizio, doveva ammetterlo, aveva pensato che l’assenza di panico dipendesse dal fatto che sapeva di esserle superiore in combattimento, ma non vedeva traccia di spavalderia o arroganza sul suo viso. Era solo sorpresa.
- Io… quelli come me non sono… molto apprezzati.- disse, distogliendo lo sguardo.
Si sedette a terra, e Nyx fece lo stesso. Con un sospiro, Athena continuò:
- Nathan Clarke è morto. Lo sai?-
Nyx annuì.
- L’ho sentito dire. La Ilharess lo ha comunicato oggi pomeriggio.-
- Beh… hanno accusato me.- spiegò - Mi ha trovata quando ero piccola e mi ha cresciuta. Poi, poche settimane fa, lo hanno ucciso e mi hanno messa in mezzo. Margareth finora è stata l’unica a credermi.-
- Perché avrebbero dovuto accusare proprio te, scusa?- chiese la Drow senza capire.
- Per questa, ovvio!- rise senza alcuna allegria lei, dandosi un colpetto sulla fronte - Sono una Figlia di Caino, quindi un’assassina… anche se non ho mai ucciso nessuno in vita mia.
Nyx si accigliò.
- Quindi è per questo che sei così diffidente e di fretta.-
- Già.- ammise - Sta succedendo qualcosa, in superficie. I veri assassini sono altri Figli di Caino, e qualunque obbiettivo abbiano ora vogliono uccidere me per eliminare ogni traccia. Hai capito, adesso?-
Nyx sospirò.
- Sì, chiaro.- rispose - Ma tu sei comunque troppo tesa, Athena. Non dovevi saltarmi addosso in quel modo. Non ti voglio fare alcun male. L’unica cosa che voglio da te è poterti seguire quando lascerai Llenxia.-
- Vuoi venire con me? Perché?-
- Perché è il modo migliore che mi è venuto in mente per diventare un membro del casato. Un Nika deve presentare una regolare domanda per diventare parte di un casato, e diventa Shebali dopo averlo fatto, rimanendo tale finché non viene accettato. Per tutto il tempo viene tenuto d’occhio, valutato, studiato, per capire se merita di far parte della famiglia. Io più di altri verrò esaminata: ho avuto la grande fortuna di nascere femmina, e se entrerò a far parte della casa Shi’nil potrò aspirare a posizioni importanti… per questo vorranno accertarsi che sia degna di un tale onore.-
- Ancora non capisco…-
- No? A me sembra ovvio!- ridacchiò lei - Aiutare un aspirante Sel Tresk’ri’s Beldroin a superare il suo percorso iniziatico mi potrebbe fruttare parecchio… il tuo appoggio, una volta divenuta tale, potrebbe essere determinante.-
- Ma viaggiare con me è pericoloso!- le ricordò Athena - Mi danno la caccia!-
- A maggior ragione voglio venire!- esclamò entusiasta Nyx - Proteggerti mi darà ancora più credito agli occhi della Ilharess!-
- E pisciarle nella minestra quanto credito ti da?-
- Nessuno, ma se l’avesse saputo mi avrebbero appesa per i pollici nelle segrete e scuoiata viva a suon di frustate.- ammise Nyx - Sai, ero un po’ incavolata e mi sono intrufolata nelle cucine del palazzo per farle una sorpresina, ma mi hanno scoperta e riconsegnata a Nazdr. E lui non ha detto niente a Kibir, per fortuna.-
Athena sospirò, sconfitta: qualsiasi cosa avesse detto, di certo Nyx non avrebbe cambiato idea.
- Quindi vuoi davvero venire?- chiese.
La Drow annuì.
- Sì.- rispose - E voglio anche un’altra cosa da te.-
A quelle parole, lei si accigliò.
- Ancora?-
- Sì… ma tranquilla, non è un favore per me. A dire il vero, è un favore che io faccio a te. Gratuitamente.-
Allungò la mano e prese tra le dita la tesa del suo cappello. Istintivamente Athena ne afferrò i bordi, spaventata, e lo trattenne al suo posto, il cuore che batteva a mille alla sola idea di separarsene anche per un solo istante.
Tuttavia, il sorriso di Nyx si fece un po’ più ampio e la guardò negli occhi con pazienza, continuando a tirare finché la sua presa non si allentò, anche se con molta esitazione. Lentamente le sfilò il cappello, lasciando liberi i suoi capelli e mettendo in mostra lo sfregio sulla sua fronte.
- Ecco.- disse, posando il copricapo sulle sue gambe - Tutto a posto. Non è successo niente, no? Qui nessuno ti farà del male.-
Athena prese il cappello, ma non se lo mise. Si toccò la fronte con la mano libera, sentendo le creste della cicatrice grattarle i polpastrelli, e chiuse gli occhi reprimendo un piccolo brivido.
- Nessuno?- chiese.
- Nessuno.- rispose lei - Quelli come te sono trattati in modo diverso, da noi.-
Athena la guardò, e Nyx sorrise di nuovo.
- Si tratta solo di avere fiducia.- disse - E per te è ora di cominciare.-

Eeeeehmmmm... sì, lo so. Manco da più di un mese. Mi dispiace. Sono in un periodo di stasi e scrivere è diventato difficile, sfortunatamente. Sto andando molto a rilento, ma almeno ho finito questo, e spero di poter presto riprendere ritmi migliori. Per adesso saluto e ringrazio, come sempre, Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KURAMA DI SAGITTER, King_Peter, Jasmine1996, Terry5, Wendy90, Iryael e Ciccy, che mi hanno seguito finora. Abbiate pazienza, con me, spero di riuscire a farmi di nuovo vivo a breve!

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Capitolo 26
*** Cap. 25: Aumento di rischio ***


Dopo la partenza di Kibir, a Margareth non rimase molto da fare: da sola e senza più nessuno con cui trascorrere le giornate, le rimaneva solo il dubbio su come impiegare il proprio tempo libero, peraltro non poco. In qualità di gradita ospite della Matriarca godeva di numerose libertà, ed essendo lei un Architetto aveva anche la facoltà di occuparsi di alcuni incarichi ufficiali, se richiesto espressamente. D’altra parte, a Llenxia c’era un po’ di tensione politica, ora che la notizia della morte di Nathan Clarke e dei disordini in superficie si era diffusa. Molti dei consiglieri avevano espresso timori riguardo a possibili conseguenze per il casato e per le alleanze sia nel sottosuolo che con gli umani, e un suo intervento diretto, magari volto anche a distendere gli animi, avrebbe potuto creare ulteriori disagi.
Si ritrovò così a passare molto tempo tra le vie del mercato, a bere qualcosa di caldo nelle osterie e, una volta, andò anche ad assistere ad una funzione religiosa dedicata a Elistraee, la prima a cui si recava da un anno a quella parte. Erano ormai passati cinque giorni da quando Athena era andata nella casa di addestramento per cacciatori, ma ancora non era andata a trovarla: Kibir le aveva consigliato di lasciar passare un po’ di tempo, tuttavia non aveva specificato quanto, e non era sicura di essere bene accolta. Ripensò all’ultima volta che si erano viste, mentre osservava un sarto che esponeva fuori dalla bottega alcune merci, alla rabbia che aveva letto in volto alla compagna, e un sospiro le scappò involontariamente dalle labbra, sia dispiaciuto che risentito.
Trascorse la giornata nel solito modo, camminando e visitando quei luoghi che aveva visto durante la sua precedente permanenza o in cui non era stata in grado di recarsi per qualche motivo, comprò un pendente particolarmente carino e verso l’ora di cena tornò sui propri passi, in direzione del palazzo.
Una volta arrivata incrociò un paio di guardie e, nei corridoi, un consigliere che discuteva di qualcosa in Drowish con un servitore, ma non si fermò, limitandosi a un rispettoso cenno di saluto quando si accorsero della sua presenza, e si recò subito alla propria camera.
- Ciao.-
Colta di sorpresa si fece scuotere da un sussulto, rischiando di lasciarsi scappare di mano la porta, che quasi sbatté mentre si richiudeva: col cuore che ancora rallentava i battiti vide Athena seduta a gambe incrociate sul suo letto. Indossava una delle divise datele alla casa di addestramento, ma non il proprio cappello. Aveva qualche livido, alcuni anche vecchi di giorni, e un taglio quasi rimarginato spiccava sul dorso della sua mano.
- Athena!- esclamò - Cosa… cosa fai qui?-
- Sono… venuta a trovarti. Ho un paio d’ore di… di libera uscita ogni sera, sai…- borbottò - Io… ecco, mi volevo… scusare.- disse, abbassando lo sguardo - Sai… per come ti ho trattata l’altra volta.-
Margareth non rispose, avvicinandosi al letto.
- Beh, sei ancora sconvolta e spaventata, immagino.- disse in tono neutro.
- Sei troppo diplomatica. Ho esagerato, questa è la verità.-
- Io sono sempre diplomatica, Athena. È questo che mi hanno insegnato a fare qui.- osservò lei.
- Sul serio?- chiese l’altra, aggrottando la fronte - E quando?-
- Quando mi addestravo, ovvio.- rispose Margareth - Non ho mai detto che i Drow insegnino solo a combattere… a seconda delle attitudini si sostiene una prova diversa. Ho fatto un tentativo con la caccia, ma dopo aver miseramente fallito il percorso base ho deciso di passare alla diplomazia. Me la cavo molto meglio.-
- Aspetta…- disse lentamente Athena, indicandola - Quindi… quindi sei tu quella che non è riuscita a fare neanche un quarto del percorso base?-
Margareth sentì di arrossire leggermente.
- Beh, lo hai fatto anche tu, immagino che avrai visto quanto è difficile per un umano!- sbottò risentita.
Athena scoppiò a ridere, e Margareth si accigliò.
- Grazie tante.- disse in tono acido.
- Scu…scusa…- rise lei con voce soffocata, premendosi le mani sulla bocca - È che… finora ho provato a… a immaginarti che facevi… tutte quelle… quelle cose…-
- Va bene, ora finiscila, d’accordo?- le intimò, seccata - Non è divertente!-
- Punti di vista.- rispose Athena, smettendo comunque di ridere.
Margareth sospirò, scuotendo la testa.
- E a te come sta andando?- chiese - Mi sembri un po’… contusa.-
- Ah… sì, non è proprio una passeggiata.- ammise lei, sfiorandosi un livido sul mento - Però me la sto cavando. Miglioro rapidamente secondo Nyx.-
- Nyx?- ripeté Margareth - Chi sarebbe Nyx?-
Subito dopo si udì un rumore di vetri infranti provenire dal bagno, ed entrambe sussultarono. Una giovane Drow uscì immediatamente, sbattendosi la porta alle spalle.
- Ehm… qualcuno ha rotto il flacone di olio da bagno.- borbottò.
 
- Quindi ti sta insegnando a combattere come un Drow?- chiese Margareth, osservando Nyx attraverso la porta del balcone.
La giovane Drow era seduta al tavolo da sola, e si stava godendo tutta contenta la frutta che una guardia aveva portato poco prima. Athena annuì.
- Già. Mi ha avvicinata il primo giorno, e si è offerta di aiutarmi. In cambio vuole venire con noi.-
- Perché?-
- Lei è una Nika, ma vuole fare domanda per entrare nella casata.- spiegò Athena - E crede che accompagnandoci potrà guadagnare prestigio.-
- Beh, su questo ha ragione.- concesse Margareth - E tu hai accettato?-
- Sono in debito con lei.- le ricordò Athena  - E credo possa esserci utile. È bravina, sai? Finora non l’ho ancora battuta, anche se sto migliorando parecchio.-
- Se per te va bene… una cacciatrice Drow può aiutarci. Sa seguire le piste e nascondere le tracce. E poi, un debito è un debito. Ed è meglio non averne con i Drow. Sai cosa fanno se non li onori?-
Athena scosse la testa.
- Ti tagliano mani e piedi e ti lasciano morire dissanguato su un altare dedicato alla dea Loth.-
- Ah…- borbottò Athena - Ehm… che… che bello.-
Margareth sorrise.
- Comunque… tra una settimana sosterrò la prova.-
Lei la guardò sorpresa.
- Come?- chiese - Di già?-
- Te l’ho detto che sto facendo molti progressi, no?- rispose lei - Secondo Nazdr sarò pronta se continuo così, devo solo completare il percorso base, e Kibir sarebbe d’accordo se fosse qui. A proposito, dov’è? È un po’ che non lo vedo.-
- In superficie. La Matriarca lo ha incaricato di avvertire gli Architetti. È partito tre giorni fa.-
- Quindi gli Architetti sanno che non ho fatto niente?-
- Lo scopo del viaggio è quello.- rispose Margareth, scrollando le spalle - Se siamo fortunate presto interverranno per fermare i Figli di Caino, e tu potrai sostenere la seconda prova in santa pace.-
Athena sorrise, evidentemente rincuorata: di certo, l’idea di poter essere presto ufficialmente scagionata (e di mettere finalmente fine a quella storia) doveva alleggerirla di un grosso peso.
Anche se non sappiamo ancora di preciso cosa sia successo a Nathan Clarke, né chi sia stato a ucciderlo. pensò tra sé e sé Margareth.
 
La sera prima della prova Athena fu mandata a dormire presto, insieme a quei giovani Drow che, come lei, erano stati ritenuti pronti. Anche Nyx era tra loro: le era stata data la possibilità di diventare una vera cacciatrice molto tempo prima, ma aveva preferito rifiutare di completare l’addestramento, prolungando la sua permanenza nel dormitorio di proposito, per i suoi soliti, imperscrutabili motivi. Athena di certo non le chiese come mai non si fosse decisa prima, né pensò di farlo in un secondo momento. Di certo non era un mistero il motivo per cui aveva scelto proprio quel giorno per farsi promuovere, e approfondire l’argomento non sarebbe stato di alcuna utilità.
Prima di farli andare a letto, Nazdr aveva tenuto lei e gli altri in cortile per un quarto d’ora almeno, durante i quali aveva tenuto un discorso in Drowish che Athena non era riuscita a seguire fino in fondo (Nyx le aveva insegnato un paio di termini, e qualcos’altro lo aveva imparato da sola, ma era ben lontana dal comprendere l’idioma del sottosuolo). Probabilmente era qualcosa che riguardava il diventare adulti o roba del genere.
In effetti non badò molto a quei dettagli, e per lei fu come se l’intera serata fosse semplicemente slittata via: un minuto prima era seduta in mensa a mangiare e quello dopo era sdraiata sull’amaca a fissare il soffitto scuro. Nyx, poco distante, scriveva qualcosa su una pergamena, tracciando glifi della lingua Drow che ancora Athena faticava a capire.
- Quando ci diranno cosa dobbiamo uccidere, lo sai?- chiese Athena.
- Domani. Il tempo di darci le armi.- rispose distrattamente Nyx.
Athena si voltò a guardarla.
- Cosa scrivi?-
- Mi sto studiando un piano. È sempre meglio averne uno. Così magari non muori.-
Athena ridacchiò.
- Qualche buona idea?-
- Nulla che ti serva sapere. Sei una cacciatrice da anni, e io ti ho fatta diventare una brava cacciatrice. Sai camminare da sola. Ora dormi.-
Detto questo mise via la pergamena e si rigirò nell’amaca, provocandone il dondolio. Athena rimase a guardare per qualche secondo la sua chioma scura e si lasciò scappare un sorrisetto, sprofondando un po’ di più sotto la coperta e seguì il suo consiglio, chiudendo gli occhi al mondo.
 
Margareth aprì la porta della camera chiedendosi chi mai potesse essere a quell’ora della sera (aveva già indossato la camicia da notte e stava per andare a riposare) e il suo stupore aumentò enormemente quando non si trovò davanti una guardia o un servitore, come si era immaginata, ma Shi’nil in persona.
- Mia signora!- esclamò Margareth, confusa - Voi… posso fare qualcosa?-
- Lasciarmi entrare, se non ti dispiace.- rispose lei, incrociando le braccia sulla bella veste. Ancora non si era preparata per la notte, e una ruga d’espressione le solcava la fronte. In qualche modo, a Margareth non comunicò nulla di positivo - Ho qualcosa di cui vorrei metterti a parte, e preferirei farlo il prima possibile.-
Margareth si affrettò a farsi da parte, imbarazzata per il non averlo fatto appena l’aveva vista oltre la soglia, e la donna entrò senza produrre altro che un lieve fruscio del velluto.
- Chiudi la porta.- le disse - E siediti, per favore.-
Margareth eseguì e prese posto di fronte a lei al tavolo, cercando di ignorare (come faceva la propria ospite) di essere in camicia da notte senza nemmeno la vestaglia addosso.
- Ricorderai che ho mandato Kibir in superficie la scorsa settimana.- disse la Matriarca. Lei annuì - Ad oggi, ancora non è tornato.-
- Ha avuto problemi?-
- Vorrei saperlo.- ammise la donna - Ma non ho sue notizie da tempo. Se avesse saputo di tardare avrebbe mandato un messaggero.-
- Lo avete fatto cercare?-
- Naturalmente. Ho mandato due dei nostri migliori cacciatori a seguire le sue tracce. Ha incontrato qualcuno al crocicchio e c’è stato un breve combattimento, da cui è uscito ovviamente vincitore. Le impronte suggeriscono che la sua avversaria sia stata la stessa donna che ha cercato di ucciderti mentre eri con Athena a Viniva.-
Margareth annuì lentamente, ricordando l’abilità di Astrid in combattimento e paragonandola a quello che sapeva di Kibir: due livelli immensamente differenti.
- Se non ha avuto problemi nello scontro, cosa gli è successo?-
- Questo è qualcosa che ignoriamo.- continuò la Matriarca - I cacciatori sostengono che abbia fatto prigioniera la donna. Senz’altro era intenzionato a interrogarla. Purtroppo, ha combattuto di nuovo, alcuni giorni più tardi, e molto più a lungo. È a quel punto che si perdono le sue tracce.-
- Credete che sia caduto in un’imboscata?-
Ma Shi’nil scosse la testa.
- No. Le tracce suggeriscono che qualcuno abbia trovato per primo il luogo del precedente scontro e si sia affrettato a raggiungerlo. Chiunque lo abbia affrontato voleva liberare la donna umana, e tutto suggerisce che ci sia riuscito. La sorte di Kibir, a questo punto, mi è ignota.-
Margareth esitò, indecisa su cosa dire: sapeva che Kibir era sempre stato un ottimo combattente persino tra i Drow, profondamente acculturato e un gran conoscitore delle arti magiche. Affrontare un avversario del genere era pericoloso persino per un altro Drow, e nulla faceva sospettare che ci fossero abitanti del sottosuolo tra i loro nemici (in caso contrario li avrebbero già affrontati, e probabilmente lei e Athena sarebbero uscite tutt’altro che bene da simili situazioni). Ma nessun umano, nemmeno un Architetto bene addestrato, sarebbe riuscito a sconfiggere uno come Kibir e a farlo sparire come se non fosse mai esistito. Non ne avrebbe avuto la forza, né le risorse. Certo, un uomo abile come il Crociato, forse, sarebbe riuscito a tenergli testa, magari a liberare Astrid, ma poi avrebbe dovuto ritirarsi.
- So cosa stai pensando.- disse la Matriarca - Che nessuno sarebbe riuscito a fare tanto. Solo Nathan Clarke, per i motivi che sappiamo, vantava una forza sufficiente a combattere alla pari con un Drow bene addestrato come lo era Kibir.-
- Parlate al passato.- osservò Margareth - Presumete il peggio?-
- Non posso permettermi di presumere il meglio.- replicò lei. A quel punto si alzò, silenziosamente come si era seduta, e la guardò negli occhi - Volevo solamente che ne fossi informata. Domani la tua compagna sosterrà la prova di rito, e secondo i suoi istruttori ci sono buone probabilità che la superi con successo. Ciò significa che tornerete presto in superficie, e se i vostri inseguitori possiedono la forza di uccidere un Drow come Kibir sarete in grave pericolo.-
Margareth annuì e la accompagnò alla porta, ringraziandola e rispondendo al saluto con cui si congedò. Prima di tornare verso il proprio letto perse qualche istante per crogiolarsi nel pensiero tutt’altro che rassicurante di come la situazione fosse improvvisamente peggiorata.
Non va bene. Pensò. Non va bene per niente.

Ha ragione Margareth, non va bene. E non c'è bisogno che sia io a spiegarvi perché, mi fido abbastanza dei miei lettori da supporre che possano immaginarlo da soli. Ma comunque lo spiegherò lo stesso quando sarà il momento, tanto per rimangiarmi quello che ho appena detto.
Ringrazio 
Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KING KURAMA, King_Peter, Jasmine1996, Terry5, Wendy90, Iryael e Ciccy, che mi seguono nella storia. A presto!

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Capitolo 27
*** Cap. 26: La prova ***


- State per cominciare l’ultima prova. Dopo oggi, quelli di voi che torneranno vittoriosi saranno ritenuti a tutti gli effetti dei veri cacciatori, e potranno aspirare a posizioni di spicco all’interno della casata. Servirete la Ilharess, sarete i muscoli e gli occhi di Llenxia. Ci porterete il cibo, rintraccerete i nostri nemici e proteggerete le carovane dalle aggressioni. E ora a voi… scegliete le vostre armi e mostrate a Elistraee di meritare la sua benevolenza.-
Il discorso di incoraggiamento di Nazdr, stavolta pronunciato (grazie al cielo) in lingua comune, durò molto poco, e subito dopo tutti si avvicinarono alle fornitissime rastrelliere, raccogliendo le armi che preferivano e che meglio si adattavano ai loro stili di caccia.
Athena fece altrettanto, senza badare molto ai suoi cinque compagni e cercando quello di cui aveva bisogno. Non ci fu bisogno di accalcarsi o fare in fretta, non con il numero di armi disponibili, molto superiore al loro. Ignorò completamente le spade, inutili per un cacciatore nella stragrande maggioranza dei casi, e optò per l’arco (ricavato da un qualche legno nero e rifinito con strisce di cuoio poco più chiare), due pugnali e una daga. Per un istante fu tentata di prendersi anche una lancia, ma decise di no: Nate non aveva mai avuto bisogno di usarne una, né contro un cinghiale né tantomeno contro la Vuivre che aveva ucciso anni prima. Certo, lui aveva delle rune incise sulle ossa, rune che lo rendevano più che un uomo, ma le aveva insegnato molto. Era certa di poter affrontare qualsiasi cosa si trovasse davanti anche con armi poco ingombranti. Meglio fare ricorso all’intelligenza che alla forza e all’equipaggiamento. Se poi avesse rimpianto la lancia tanto peggio, ma se la sarebbe comunque cavata, in qualche modo.
- Tieni.- disse Nazdr, quando si avvicinò a lui dopo aver finito - Prendi una di queste e poi vai.-
Le stava tendendo una serie di tessere di legno identiche, dalla forma quadrata. Athena ne scelse una a caso e la girò, trovandosi a guardare quello che senza dubbio era un insetto.
Aveva un aspetto vagamente simile a quello di una blatta o giù di lì, dal corpo segmentato e chitinoso, dalla schiena quasi piatta, e sei zampe nodose sbucavano fuori dall’addome. Due grosse tenaglie ornavano la bocca, insieme a delle sottili antenne su cui cresceva una rada e corta peluria ispida e due piccoli occhi neri.
Anche se quello era solo un ritratto su tavoletta, ad Athena quella creatura non piacque affatto: prima di tutto le trasmetteva ostilità anche così e, in secondo luogo, lei non era mai stata una grande amante degli insetti.
- Cos’è?- chiese.
- Quello è un Ankheg.- rispose Nazdr, mentre un giovane Drow prendeva la propria tavoletta.
Athena annuì meccanicamente, continuando a guardare l’immagine, e si voltò verso Nyx, poco distante, che stava osservando a sua volta il ritratto del proprio bersaglio. Accorgendosi del suo sguardo le lanciò un sorrisetto e la intascò.
- Drider.- disse - Brutti, schifosi e cattivacci. E i seguaci più devoti di Loth li adorano alla follia. Forse dovrei ricordare a Nazdr che i miei genitori erano seguaci di Loth da vivi…-
- La cosa ti creerà problemi?- chiese Athena.
Lei scosse la testa.
- Sono morti quando ero piccola. Non sono cresciuta come seguace di Loth, e onestamente di religione non mi interesso in modo eccessivo. Il problema è semmai che questi cosi sono proprio cattivi. Tu invece?-
Le mostrò l’immagine dell’Ankheg, e Nyx alzò le sopracciglia con vaga sorpresa.
- Beh, carino. Ti do un solo consiglio prima di separarci, allora: se ti sputa tu spostati.-
Athena aggrottò la fronte.
- Questi cosi sputano?-
- Solo se li esasperi.- rispose lei, caricandosi in spalla l’arco, le frecce, la lancia e la spada che aveva scelto - Bene, ci vediamo appena abbiamo finito. Ehi, facciamo a chi finisce prima? L’ultima paga pegno?-
- Che pegno?- chiese Athena, mentre l’amica si allontanava.
- Boh. Te lo dico quando mi viene in mente!-
 
Nazdr le indicò un tunnel da seguire per trovare più facilmente la sua preda e le augurò buona fortuna. Addentrandosi nella galleria con solo una torcia come compagnia, Athena si lasciò presto alle spalle il calore e la luce di Llenxia e presto si ritrovò circondata dalle tenebre del sottosuolo. Nyx in quelle ultime due settimane le aveva spiegato nel dettaglio come muoversi durante la caccia tra le tenebre senza perdersi e, soprattutto, in che modo aggredire una preda che non sarebbe riuscita a vedere. Quello era stato per lei un chiodo fisso per tutto il tempo, in fondo: se non poteva usare gli occhi avrebbe avuto uno svantaggio terribile, specie considerando che qualsiasi cosa avesse dovuto uccidere avrebbe avuto una vita intera di abitudine al buio. Una luce poteva andare bene all’inizio, ma per avere successo avrebbe dovuto spegnerla… perdendo così ogni punto di riferimento.
Sì, qui va bene… pensò quando si fu inoltrata abbastanza nei tunnel e nelle caverne che circondavano Llenxia.
Torse il braccio per infilare una mano nel piccolo zaino e ne trasse un piccolo barattolo di vetro che aveva acquistato un paio di giorni prima da un alchimista: il contenuto era stato fatto appositamente per lei, e se lo avesse applicato sugli occhi avrebbe avuto otto ore per vedere tra le ombre senza nessun tipo di problema.
Spense la torcia sfregandola al suolo e infilò due dita nel barattolo, strofinandosele poi su entrambe le palpebre. Massaggiò qualche secondo e, quando lentamente provò ad aprire di nuovo gli occhi, scoprì che il composto stava già iniziando a fare effetto.
Magnifico!
Tutto, intorno a lei, aveva recuperato i suoi contorni. Distingueva chiaramente le sagome di quasi tutto in un raggio di molti metri, anche se i colori tendevano tutti verso un freddo azzurro bluastro.
Riprese la marcia, stavolta cercando di essere il più silenziosa possibile, inoltrandosi in una grotta che si apriva lì vicino, le orecchie aperte e tese per cogliere qualsiasi segno di vita. Si mantenne bassa, rasente alle pietre più grandi, e i suoi sensi si concentrarono sul trovare la propria preda.
Non fu una cosa facile, e si imbatté in ogni genere di creatura prima di trovare un Ankheg: talpe, vermi, pipistrelli e bestie striscianti d’ogni genere la facevano da padroni, alcuni anche di dimensioni importanti; trovò persino un torrente sotterraneo attorno al quale si aggiravano creature che somigliavano a orridi e pallidi pesci bipedi, le schiene curve e le pinne allungate come se fossero arti veri e propri, che strisciavano sul terreno nei dintorni del fiume e azzannavano all’istante quello che trovavano a portata. Subito dopo lo trascinavano sott’acqua, sparendo in un turbinio di pinne. Athena comprese subito di dovergli stare lontana.
Trovò il primo accenno di Ankheg solo dopo la seconda applicazione dell’unguento per gli occhi, in una conca a circa tre chilometri dal torrente dei pesci–mostro.
Erano in cinque, un adulto e quattro piccoli, probabilmente appena usciti dallo stadio larvale. Non che s’intendesse molto di Ankheg, di come crescevano eccetera, ma le dimensioni parlavano chiaro. E l’adulto, quello che doveva uccidere lei, era alto almeno tre metri da terra (ergendosi sulle quattro zampe posteriori) e lungo non meno di cinque.
Forse una lancia mi avrebbe fatto comodo, in fondo…
I piccoli stavano mangiando, strappando brandelli di carne dal corpo di un animale morto ormai troppo martoriato per essere riconosciuto, mentre l’adulto li teneva d’occhio. Attaccare adesso e sperare di cavarsela sarebbe stato davvero stupido.
Appiattita sulla cima di una roccia, Athena osservava la scena con attenzione, cercando possibili punti deboli e valutando la situazione da ogni punto di vista.
Va bene… prima di tutto devo fare in modo che i piccoli non mi saltino addosso all’improvviso. In secondo luogo, devo attirare l’adulto da qualche parte. Terzo, devo ucciderlo con un colpo solo per evitare che contrattacchi.
Combattendo la repulsione tornò a guardare i resti dilaniati e sanguinolenti della creatura morta lì sotto: era grande quasi quanto lo stesso Ankheg adulto, e ce n’era uno solo. Di conseguenza, era improbabile che i piccoli lo avessero aggredito e ucciso da soli. Era stata di certo la madre.
Ottimo. Ora devo solo aspettare.
 
La famiglia di Ankheg si ritirò nel nido una volta finito di mangiare, la madre per ultima, infilandosi in una fenditura quasi rasente al suolo, appiattendosi e strisciando in modo a dir poco disgustoso fuori dal suo campo visivo. Athena rimase immobile finché non furono spariti, poi indietreggiò lentamente e si allontanò quanto bastava per non essere sentita, sistemandosi in un angolo della grotta sotterranea. Si tolse di dosso l’equipaggiamento e lo zaino e fece una pausa per mangiare, raccogliendo le idee nel frattempo: se voleva che l’Ankheg adulto diventasse un bersaglio facile doveva necessariamente aspettare che uscisse a caccia, ma nel mentre poteva organizzare le cose in modo tale che la situazione volgesse facilmente a suo vantaggio.
Terminato il proprio pasto (un po’ di pane e formaggio e un frutto) si rimise tutto in spalla e cominciò la propria opera.
Usando le applicazioni dell’unguento per tenere il conto del tempo che passava poté dire con certezza di aver trascorso altre sedici ore da sola nel buio dopo l’avvistamento della preda. Grazie alla sua esperienza di cacciatrice, alle lezioni di Nate e anche a quelle di Nyx, riuscì a identificare il percorso di caccia preferito dell’Ankheg e a intuire da dove sarebbe passato. Scovò una talpa gigante che mangiava tranquillamente a distanza di sicurezza dalla tana degli Ankheg e dal loro terreno di caccia, e prima che l’animale si accorgesse oltre ogni ragionevole dubbio della sua presenza incoccò una freccia imbevuta con un filtro soporifero e lo ferì alla zampa.
Trascinò la bestia svenuta sul terreno di caccia (non senza qualche difficoltà) e la legò a una pesante pietra con una corda, anche se dubitava che, casomai si fosse svegliata, quella misura di sicurezza avrebbe tenuto duro a lungo. Dopo aver terminato si arrampicò in un punto fuori vista e rimase in attesa.
Finì con l’addormentarsi un paio d’ore, ma quando si svegliò la talpa era dove l’aveva lasciata, e l’effetto del filtro soporifero non era ancora terminato. Ci volle qualche ora prima che desse i primi segni di vita, deboli e confusi: gli strascichi stavano intontendo la talpa, e per un po’ ancora sarebbe stata incapace di comprendere la situazione. Sperando che non rompesse la corda con gli artigli prima del tempo, Athena preparò una seconda freccia drogata e la tenne d’occhio.
Era quasi sul punto di addormentarla di nuovo quando, finalmente, l’Ankheg fu a portata d’orecchio.
Arriva… benissimo! pensò Athena, sentendo lo zampettio della creatura avvicinarsi.
La talpa cominciò a svegliarsi un po’ di più, percependo il pericolo imminente, e si dedicò alla corda che la tratteneva, mordendola nel tentativo di spezzarla. Ancora un po’ instupidita dalla droga non riuscì a liberarsi al primo colpo, e l’Ankheg fu in vista molto prima che ce la facesse. Non appena scorse la preda accelerò, stridendo appena, mentre quella squittiva e faceva del proprio meglio per spezzare la fune.
Con calma, Athena si mise in posizione e incoccò la freccia, mirando verso il proprio bersaglio senza fretta, seguendone i movimenti con cura. Quando fu quasi sul punto di affondare le tenaglie nella carne della talpa lasciò andare la corda, scoccando il dardo.
Quello sibilò nell’aria fredda della grotta e raggiunse l’Ankheg che, distratto, non si accorse in tempo del pericolo. La punta penetrò nella chitina con un suono un po’ viscido poco sotto la testa, strappandogli un verso di dolore. La talpa, approfittando del momento, riuscì a liberarsi e corse via, mentre l’Ankheg tentava inutilmente di strapparsi di dosso la freccia.
Maledizione… pensò Athena, scocciata: sperava di colpirlo in testa, al cervello, così da farlo fuori subito.
Incoccò un altro dardo e si accinse a colpire, ma aveva sottovalutato la velocità dell’avversario, che le fu sopra prima ancora che potesse provare a prendere la mira: zampettando furiosamente, il gigantesco insetto si arrampicò da lei e le si parò davanti stridendo, le chele che scattavano a ripetizione, per nulla intontito dal filtro in cui aveva immesso la punta della freccia: il sonnifero difficilmente avrebbe funzionato su qualcosa di così grosso.
Schivò l’assalto delle tenaglie e si lasciò rotolare giù dal pietrone, atterrando di schiena a quasi dieci metri di distanza. L’Ankheg si era già lanciato all’inseguimento, ma almeno da lì poteva usare l’arco.
Stavolta lo colpì in un occhio, fermando la sua avanzata e costringendolo a contorcersi e a gridare per il dolore, le zampe anteriori che si agitavano follemente. Adesso era mezzo cieco.
Si rialzò in fretta e corse via, preparando un terzo dardo, ma quando vide che il nemico si era già ripreso e le stava dietro senza nemmeno sforzarsi, decise di rinunciare definitivamente al combattimento sulla distanza: le sue falcate erano troppo grandi, non poteva seminarlo.
Lasciò cadere l’arco e sguainò la daga, saltando per evitare nuovamente le tenaglie. Si portò nel suo punto cieco e affondò la lama dietro la chela più vicina, staccandola parzialmente. L’Ankheg urlò di nuovo, furibondo, e scattò indietro, peggiorando le cose: l’arma penetrò ancora più in profondità, sbucando dalla parte opposta e recidendo del tutto l’appendice, che cadde a terra in una pioggia di sangue viscoso. Poi roteò su se stessa e tranciò quasi di netto una delle zampe sottili all’insetto, sbilanciandolo per l’improvviso cambiamento di equilibrio. Stavolta non riuscì a spostarsi in tempo, e la creatura le cadde addosso, schiacciandola a terra e facendole perdere la presa sulla daga, che rotolò almeno venti centimetri fuori dalla sua portata.
Bloccata dov’era dalla mole dell’avversario, che già attorcigliava il lungo corpo per riuscire a riportarla nel proprio campo visivo, Athena allungò a mano verso uno dei due pugnali da caccia, mentre dalla bocca dell’Ankheg gocciolava qualcosa si chiaro, che si mischiava al sangue ed emanava un odore acre. La creatura sputò verso di lei, e all’istante Athena si contorse per cercare di evitarlo. Lo schizzo colpì il terreno dove un attimo prima c’era la sua spalla, e un fumo puzzolente le entrò nelle narici: quella porcheria era acida.
Sguainò il pugnale e colpì più e più volte il fianco del nemico, aprendogli nuove ferite ma senza riuscire a smuoverlo, mentre quello già si preparava a sputare ancora. Certa che se non avesse fatto qualcosa subito sarebbe stata uccisa, Athena lanciò l’arma verso il muso dell’Ankheg, che lo spostò all’istante per evitare di essere colpito.
Nel muoversi, per fortuna, fu anche troppo affrettato ed entusiasta, perché la pressione che la bloccava si allentò, permettendole di sgusciare via. Rapida come uno scoiattolo gli saltò sulla groppa e si arrampicò lungo il collo del mostro, afferrando il secondo pugnale. Barcollando, l’Ankheg cercò di rialzarsi e di disarcionarla, ma prima di poterci riuscire Athena gli affondò l’arma nella nuca, strappandogli l’ennesimo grido. Le zampe dell’Ankheg cedettero di schianto, e la creatura si ritrovò ad annaspare debolmente al suolo. Athena, rimasta dov’era aggrappandosi al manico del pugnale, saltò a terra all’istante e corse a recuperare la daga, che poi affondò nel collo e di nuovo nella testa della sua preda, proprio tra gli occhi.
A quel punto l’Ankheg, esausto, emise un gorgoglio e si accasciò senza più muoversi.

Sì, lo so... un po' d'azione è mancata. Per questo rimedio.
Ringrazio 
Ely79, Alice Spades, Shiho93, Kira16, NemoTheNameless, FabTaurus, Lune91, Iryael, KING KURAMA, King_Peter, Jasmine1996, Terry5, Wendy90, Iryael e Ciccy, che mi seguono. A presto!

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