Like a Gunshot

di Elenwen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Diario ***
Capitolo 2: *** A new day ***
Capitolo 3: *** I can't believe it ***
Capitolo 4: *** Diario ***
Capitolo 5: *** Who is Who ***
Capitolo 6: *** Friend or foe ***
Capitolo 7: *** Behind the Screen ***
Capitolo 8: *** Let the game commence ***
Capitolo 9: *** No actually you don't John! ***
Capitolo 10: *** Hidden ***
Capitolo 11: *** Diario ***
Capitolo 12: *** Mystery ***



Capitolo 1
*** Diario ***



Like a Gunshot

 

Caro diario, come sempre sono qui a raccontarti la mia giornata...

Dopo essere andata via da mia madre a Milano... Non saprei come descrivertelo, sentivo qualcosa dentro di me, forse un cambiamento di vita oppure soltanto voglia di un po' d'avventura non lo so. Poco dopo la morte di mio padre, ferito gravemente in guerra, trovai tra i suoi oggetti personali una piccola scatola color arancione che conteneva le cose a lui più care. Un pacchetto di sigarette... Wow stranamente era pieno! Questa era una delle sue idee: smettere di fumare; un vecchio orologio da taschino appartenente a mio nonno, un portafoglio in cuoio e delle vecchie fotografie di famiglia. Tra queste foto solo una mi lasciò perplessa: ritraeva mio padre e un suo caro amico. Non ho mai visto quella persona, dietro la fotografia trovai scritto :

 

"Londra – Io e John Hamish Watson"

 

Mio padre, brillante come era, adorava scattare fotografie, erano la sua seconda passione dopo il tabacco. Lui e il suo amico John avevano un sguardo felice. John era un uomo magro, biondo, di carnagione chiara e a giudicare dalla foto... Probabilmente non era molto alto! Dietro di loro un bellissimo sfondo nel bel mezzo della piazza di Piccadilly Circus, ma nessuna data, nessun numero di telefono... niente! Niente che possa aiutarmi a capire "chi è John Watson?"

Restai a guardare e a girare quelle fotografie quando un piccolo foglietto di carta stropicciato ricadde sulla scrivania. Non l'avevo notato prima, in mezzo a tutte quelle foto... Lo presi, la calligrafia era illeggibile e in più era a matita quindi con il tempo era andata a rovinarsi, accesi la luce della lampada per tentare di decifrarlo meglio.

 

"Sta accanto al mio cuore, accanto ai miei pensieri e accanto a te.

Come il rumore di uno sparo la tua mente viaggerà nella rabbia,

e un giorno quest'anima tornerà tra noi."

 

Che intendeva dire? Cosa significava? Non poteva essere un semplice messaggio, tra quelle parole si celava una risposta ovviamente, ma quale? Cosa poteva nascondere mio padre? Piegai quel piccolo foglietto e lo misi tra le carte del mio borsellino.

Ecco perché sono venuta a Londra e ho cercato subito una casa. Ho comprato immediatamente un appartamento a Wyndham Street a buon prezzo, non intendevo affatto prenderlo in affitto, la mia permanenza in Inghilterra non sarebbe stata certo di qualche mese! Avevo bisogno di capire molte cose ed esaminare ogni indizio. Ora sono qui, a Londra, in cerca di risposte. Il cielo è sempre nuvoloso qui e mi rattristisce molto questo tempo, credi che i londinesi vedano mai il sole? Questo però non vuol dire nulla... Pioggia o non pioggia troverò John Watson! Non posso vivere con tutto questo mistero, ho bisogno di risposte e lui saprà dirmi la verità su mio padre.

Mio caro diario... Perdona il mio modo a volte troppo infantile, spero che un giorno rileggendo queste righe possa farmi due risate ma fino a quel giorno, mi auguro che tu possa essere utile rileggendo ogni mio percorso, aiutandomi a collegare ogni indizio. E' tutto per oggi...ora ti lascio lì sul comodino dentro a un cassetto, sono le 23:30 e domani mi aspetta una lunga ricerca, a presto.

 

 

Jenna


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 Ogni riferimento a luoghi, persone esistenti e fatti realmente accaduti è puramente casuale

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Capitolo 2
*** A new day ***


A new day

 

Un nuovo giorno splendeva fuori dalle finestre dell'appartamento 27 di Wyndham Street e le luci dell'alba penetravano attraverso i vetri, colorando parte del salotto e della cucina ancora privi di arredo. La sveglia appoggiata sul comodino squillò alle 6 in punto e Jenna, ancora addormentata, si voltò allungando il braccio per fermare tutto quel fracasso ma la ragazza si sporse un po' troppo in là e cadde dal letto ritrovandosi per terra avvolta nel suo lenzuolo bianco. Almeno la sveglia cessò di suonare.
Seduta per terra si mise le mani sul capo come se stesse tornando a navigare nel mare dei suoi pensieri che come aveva riaperto gli occhi erano tornati a galla. Non indossava nemmeno un vero e proprio pigiama! Odiava quei pigiami rosa, azzurri, gialli, oppure con scrtitte tipo "sogni d'oro". Portava semplicemente degli indumenti sfruttati, si sentiva più a suo agio sapendo di avere addosso una vecchia maglietta e un vecchio paio di pantaloni della tuta così che in caso di incendio o pericolo si sarebbe sicuramente vergognata di meno in mezzo alla strada tra la gente. I suoi capelli mori e ricci erano scompigliati ma il suo viso era una meraviglia anche da esausto.
Senza dire una parola o un mugugno, accese le casse del suo stereo ascoltando i brani dei suoi artisti preferiti e si diresse in bagno per farsi una doccia per svegliarsi completamente. Dopo 20 minuti Jenna era pronta per affrontare una nuova giornata: indossò i suoi inseparabili anfibi, dei jeans attillati, un maglioncino color blu oceano, quasi nero e una giacca per ripararsi dal freddo. Scese le strette scale di legno che la portarono al pianterreno e molto lentamente si avvicinò al portone d'ingresso, afferrò la maniglia e tirò un grande respiro a pieni polmoni. Uscì dall'appartamento e guardò verso il cielo ammirando per la prima volta i raggi del sole illuminare Londra, "è proprio la giornata perfetta per cominciare le ricerche" si disse la ragazza sospirando sotto a un sorriso.
Jenna ancora piena di pensieri decise di giungere fino alla piazza di Piccadilly Circus, attraversando il Marybelone e tagliando per Regent St. "Ci siamo!" disse la ragazza nella sua mente nel bel mezzo della piazza. Tirò fuori dalla tasca della sua giacca la foto di suo padre insieme a John Watson per confrontare il passato e il presente: "Dunque Jenna... Pensa! Perchè qui in questa piazza?" si chiese. Le veniva naturale parlare da sola, non aveva amici o compagnie e preferiva di gran lunga restare nel suo mondo visto che nessuno riusciva a prenderla sul serio.
Rimase a riflettere confrontando e guardando ogni dettaglio della fotografia: “Mio padre non scattava mai una fotografia prima di un addio... Non doveva essere tanto lontano, doveva fermarsi in un posto tranquillo... Un posto di ritrovo!" surrò la fanciulla voltandosi verso Shaftesbury Avenue. Percorse senza dubbi quella strada, non c'era più niente a cui pensare, quasi d'intuito aveva capito quale direzione percorse il padre molti anni prima. Jenna conosceva perfettamente Londra, ogni strada, ogni via e ogni scorciatoia per ogni evenienza. Fin da piccola sua madre portava la a casa dei nonni per le vacanze estive. Percorrendo lungo il 12 Bloomsbury St, Jenna si fermò di colpo davanti a quel enorme palazzo, quel posto le era assolutamente familiare: era lì dove abitavano i suoi nonni. Notò la libreria sotto casa accennando un piccolo sorriso da quelle labbra fredde "Cari nonni, mi mancate tanto... Almeno adesso la nonna ha una libreria tutta sua." disse lasciando correre una piccola lacrima.
Attraversò la strada arrivando al meraviglioso British Museum, si guardò intorno non trovando nulla di tranquillo per suo padre: "Ho bisogno di fermarmi cinque minuti, è qui me lo sento! Questo è il centro di tutto, John Watson deve essere qui da qualche parte!" si disse la ragazza. Passò in mezzo alla folla del museo sedendosi su un panchina del Russell Square sorseggiando un buon caffè . Jenna detestava sentirsi una fallita per tutti i tentativi andati a male, ma in quell'istante non poteva fare altro, si odiava: "Ho sbagliato, non dovevo nemmeno venire qui in cerca di risposte. Ormai è passato troppo tempo..." Disperata guardò per l'ultima volta la fotografia, convincendosi di aver fallito per l'ennesima volta. Intenta a strappare la foto a pochi metri di distanza una voce penetrò nelle sue orecchie: "John! John Watson... Stamdford, Mike Stamdford eravamo insieme alla Bards!"

 

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Capitolo 3
*** I can't believe it ***



I can't believe it



Jenna alzò immediatamente lo sguardo verso ovest, le sue orecchie non potevano credere di aver udito quel nome: "Ti prego di che ti chiami Jason, Jack, Joseph o come vuoi... Questo è solo un sogno della mia fantasia... Non può essere vero!" Vide un signore voltarsi, era biondo con un taglio di cappelli molto corto e con sè portava un bastone.

"Si, si scusami! Ciao Mike!" disse il signore avvicinandosi al suo amico

"Si, lo so... Sono ingrassato, ahimè! Ho saputo che ti sei fatto sparare, che è successo?" domandò l'amico.

Mi hanno sparato, si beh..." rispose John.

La ragazza non riusciva a credere ai suoi occhi, quello era l'uomo della foto, era John Watson! Preda ad un attacco di panico misto eccitazione prese il cellulare dalla borsa e finse di chiamare qualcuno, il suo finto fidanzato così da poter controllare il suo obiettivo senza dare troppo nell'occhio.
Non poteva certo piombargli addosso con le sue mille domande, non lo conosceva affatto! La chiaccherata tra i due amici durò quasi 40 minuti. Rimasero a parlare del più e del meno sorseggiando anche loro un caffè quando insieme si avviarono al St Bart's Hospital. Sarebbe stato un grosso errore lasciar andare John Watson senza nemmeno riuscire a parlargli un momento, così la ragazza decise di inseguirlo fino a casa non appena fosse uscito da quell'edificio. Jenna si appostò nel parcheggio attendendo John all'uscita dell'ospedale, ma un'altra persona sbucò fuori furtivamente. Era un ragazzo alto, con i capelli scuri e ricci e la carnagione chiaria. Fissò il moro per qualche istante tanto che lui si sentì osservato e si voltò nervosamente col suo cappotto lungo fino ai piedi e una sciarpa grigia per coprirsi la gola. La giovane ragazza fece in tempo a cambiare la sua posizione e sembrare una passante poco prima che il ragazzo guardò nella sua direzione e alzando il braccio destro urlò "Taxi!" Jenna si sentiva affascinata da quello sconosciuto, la sua bellezza era come un fiore e forse aveva l'aria di una di quelle persone che l'avrebbe presa sul serio. Il taxi accostò vicino al marciapiede facendo salire il bel moro. Lei guardò il taxi andarsene sussurrando "Beh... Benvenuta a Londra Jenna!" sorridendo.
Attese altre tre ore prima che John Watson e "Mike" uscissero, nel frattempo pensò accuratamente alla parole da dirgli davanti a John: per lei non era affatto facile, sicuramente si sarebbe fatta prendere dall'agitazione: "Salve signor Watson, guardi questa foto.. Le dice niente?” pensò. “Ohhh avanti Jenna non fare la stupida!" si disse fra sè la ragazza. "Signor Watson, salve sono la figlia del suo caro amico Rise ucciso in Afghanistan, le vorr..."
In quell'istante i due uscirono dall'ospedale, si salutarono e si diressero ognuno per la propria strada.
Jenna seguì John molto lentamente senza farsi cogliere di sorpresa, lo teneva d'occhio dall'altro lato della strada.. John zoppiacava, probabilmente una ferita di guerra causata da uno sparo come aveva detto prima Mike, la sua espressione era malinconica, seria, agitata e aveva uno strano tic nervoso quando muoveva le dita della mano sinistra.
Jenna passò quasi tutta la giornata fuori, ormai sistava facendo sera, il cielo stellato brillava sulla città e la luna illuminava il maestoso Big Ben. John Watson fece ritorno al suo appartamento in Macklin Street, una via buia fiancheggiata da due file di alberi e illuminata solo dalle luci proveniente dalle abitazioni. La ragazza tirò un grande respiro, felicissima di aver trovato la persona che stava cercando da settimane e che finalmente era a pochi metri da lei. "E' stato un colpo di fortuna trovarti Mr. Watson!" disse Jenna guardando la finestra dell'appartamento di John.
Per un istante scordò di essere sotto a quella finestra, sbatte i suoi occhi marroni scostando la testa: "Sarà meglio tornare a Piccadilly, ormai è tardi" indietreggiò e corse verso Shorts Gardens, la via accanto, giundengo poi alla Shaftesbury Avenue. Arrivata in piazza Piccadilly, si sedette sui gradini della fontana centrale, la Shaftesbury Memorial Fountain per riprendere fiato. La piazza era ancora affollata di gente, i colori dei led e i pullman a due piani rossi le ricordavano le bellissime giornate passate con suo padre proprio lì qualche anno prima.
Il tempo passò velocemente, erano le otto di sera passate e Jenna s'incamminò verso la via di casa ma una voce maschile dietro di lei la fece paralizzare: "Perchè avete seguito quell'uomo?" le domandò.
La ragazza si voltò per guardare la persona che aveva formulato quella domanda: "Mi scusi? Cosa sta dicendo?" rispose, mentre i suoi occhi guardavano quell'uomo. Era il ragazzo di prima, quello che aveva visto uscire dall'ospedale poco dopo che John vi era entrato. Il bel londinese si avvicinò a Jenna con aria molto sospetta "Beh allora se quella persona che ha seguito non aveva niente di particolare significa che lei è semplicemente pazza!" esclamò lui. Jenna perplessa rispose negandondo tutto quanto: "Io non stavo proprio seguendo nessuno..." e il ragazzo ribattè: "Dal suo viso e dai suoi occhi si denota stress accumulato durante la giornata e sudore, quindi ha corso, corso dietro quell'uomo. Deve volere qualcosa da lui, risposte presumo. Uh è vero... Noi ci siamo già incrociati al St. Bart's Hospotal!"
Jenna si innervosì e gli rispose in malo modo: "Mi scusi ma lei chi è? Non può sapere cosa ho fatto, poco dopo lei ha preso un taxi!"
Il ragazzo dalla carnagione chiara guardò la ragazza dritto nei suo occhi parlandole senza prendere fiato: “Io so perfettamente chi è lei, riconosco una persona disperata quando mi si para davanti, disperata e in cerca di risposte... Molto probabilmente per un qualcosa di affettivo, relativo a un parente o a un genitore. E' nuova qui a Londra, ma conosce benissimo tutte le strade, quindi significa che vi è già stata in passato, vi è cresciuta qui molti anni fa. I suoi lineamenti non sono perfettamente londinesi, ad un primo sguardo direi italiani e nella tasca destra della giacca tiene qualcosa di molto prezioso, non fa altro che aprire e chiudere la cerniera per controllarne il contenuto, qualcosa che ha a che fare con quell'uomo. Si considera una persona incapace e triste dico bene? Ora sono le 20.30 e lei si sente stanca, si è alzata molto presto questa mattina, presumibilmente alle 6 e domani farà altrettanto perchè non vede l'ora di pedinare di nuovo quell'uomo per riuscire ad estorcergli quante più informazioni possibili su suo padre! Ho sbagliato qualcosa forse?"
Jenna rimase stupita e sbalordita dalla descrizione del ragazzo londinese, non aveva mai sentito, trovato o conosciuto qualcuno così perspicace, rimase in silenzio per un paio di secondi poi disse: "E' stato straordinario..." "Mmm strano, non me lo dice mai nessuno..." rispose il ragazzo. "Perchè di solito cosa dicono?" disse Jenna e il londinese ribattè senza pensarci "L'espressione più cortese è fuori dai piedi!"
La ragazza sorrise davanti al bel londinese dalla carnagione chiara " Ehm, mi scusi non ci siamo presentati... Jenna Rice" disse sorridendo..." Il mio nome è Sherlock Holmes" rispose stringendo la mano di lei. C'era qualcosa di molto famigliare in quello Sherlock Holmes, Jenna non si fidava mai delle persone, restava sempre per conto suo, ma avvertiva in lui qualcosa di speciale, entrambi sorrisero e il ragazzo londinese accompagnò la ragazza in taxi fino alla porta di casa in Wyndham Street. Sherlock pagò il taxista offrendole il passaggio, si voltò guardandola insospettito "Non hai parlato neanche un secondo di te Helena." disse, "Mi chiamo Jenna" rispose la ragazza ammonendolo - "E non parlo molto di me perchè non c'è nulla in me che valga la pena dire." Il giovane Holmes tirò un grande respiro e unì le mani appoggiando le dita dell'indice e medio sotto la punta del naso e quelle del pollice sotto il suo sottile mento "E' molto interessante ciò che hai appena detto.. Mi è tutto chiaro ora!" Jenna confusa inclinò la testa verso sinistra: "Come scusa?" domandò. Sherlock furtivamente rispose colpendo nel vivo la ragazza "Come il rumore di uno sparo la tua mente viaggerà nella rabbia". Jenna spalancò gli occhi "Che cosa hai detto? Come fai a sapere... Devo andare. E' stato un piacere conoscerti Mr. Holmes e grazie per il taxi!"
Il ragazzo guardò Jenna attentamente, sicuramente nascondeva molte cose ma in quel momento decise di lasciarla andare e non indagare ulteriormente: "Ci rivedremo presto...221b di Baker Street."

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Capitolo 4
*** Diario ***


Caro diario... Ho una bellissima notizia da darti, finalmente ho trovato John Watson!
E' stato un colpo di fortuna credimi... Ero pronta a gettare la spugna e se non l'avessi visto entro i successivi 60 secondi probabilmente a quest'ora starei imballando tutte le mie cose e prenotando il primo volo per tornare a Milano da mia madre. Ero seduta su una delle panchine del Russell Square Park gustandomi un buon caffè e come al solito ero molto amareggiata per il fatto di non aver trovato nessun indizio che potesse aiutarmi nel trovare quell'uomo.

Nella mia mente non volavano solo insulti, ma peggio, Odio sentirmi, anzi essere una ragazza inutile e incapace.
Beh, tornando a noi... Oggi è stata una giornata stressante ma allo stesso tempo particolare diciamo e nel momento in cui ero pronta a lasciar perdere le ricerche una voce mi fece trasalire.
A pochi metri di distanza un signore seduto anche lui su una delle panchine fermò un passante che stava attraversando il parco il quale ovviamente si voltò e io riuscii a focalizzare il suo viso... I suoi occhi castani, i capelli corti biondo cenere e la sua statura non superare al metro e settanta. Lo riconobbi all'istante. Era davvero lui, John Watson.
I due rimasero a chiaccherare per quasi un'ora e poi si avviarono verso l'ospedale e lì attesi ben altre tre ore prima che uscissero dall'edificio. Ero decisa a parlare con quell'uomo o piuttosto... A seguirlo! Poco dopo che Mr. Watson entrò, mentre attendevo appostata vicino a un parcheggio, vidi un uomo uscire dalla stessa porta e prendere un taxi: era alto, moro, un bell'uomo insomma che più tardi, scoprii chiamarsi Sherlock.
Era un tipo un po' strano ma sembrava abbastanza gentile anche se, devo ammetterlo, qualche volta pareva avere quasi un atteggiamento infantile... Forse questa era la cosa che lo rendeva particolare non so.
Quando ritornai al parco, lui era lì, riuscì a capire tutto di me solo osservando i miei occhi gonfi per la stanchezza e avendomi pedinato mentre inseguivo John Watson tornare al suo appartamento.
All'inizio la sua presenza a Piccadilly mi spaventò parecchio: non riesco ancora a comprendere come abbia fatto a intuire tutte quelle cose di me, le mie intenzioni, non ricordo di aver notato qualcuno dietro di me percorre la mia stessa strada, sono stata attenta a ogni singola via per non farmi scoprire da John e invece mi sarei dovuta preoccupare di Sherlock...

 

Come diavolo ha fatto a dirmi il messaggio di mio padre?
Dove può averlo visto? O chi può avergliene parlato?
Perchè l'ha detto proprio a me?
Ma soprattutto... Il messaggio di mio padre potrebbe averlo anche John Watson?
Può essere che John Watson non fosse in quel parco per caso
e che stesse cercando non lo so...Qualche indizio o qualcosa di simile?

 

Caro diario sono decisamente confusa! Troppi pensieri mi soffocano in questo momento, c'è troppo mistero.
Credo che questo segreto sia un qualcosa di molto più grande di un semplice enigma di famiglia scritto su un foglietto stropicciato.
Non ho mai creduto a queste storie piene di segreti ma mio padre non può aver scritto una cosa del genere senza alcun motivo, giusto? Sono sicura che mi stia sfuggendo qualcosa e sicuramente è qui, davanti ai miei occhi.
Domani andrò a fare visita a Sherlock Holmes, al 221b di Baker Street, per scusarmi visto che questa sera sono stata alquanto scortese con lui.
Dopo che lui citò quell'enigma io praticamente gli chiusi la porta in faccia senza salutarlo come una persona civile dovrebbe. Mi ha accompagnata a casa, ha pagato anche il taxi ma dopo avergli sentito dire quelle parole io ero troppo spaventata, credevo che quel ragazzo fosse una minaccia, che stupida, vero? Penso che in qualche modo lui possa aiutarmi nelle mie ricerche... E' molto sveglio e credo che potrebbe anche nascere una bella amicizia se solo la smettesse di cogliermi di sorpresa. Ora basta fantasticare, non sono mai stata così ottimista, devo avere la febbre!
Domani mattina comincerò a sistemare l'appartamento e poi nel pomeriggio andrò a scusarmi. Ti sembra possibile che una persona viva nella sua nuova casa da più di due settimana e ancora tiri fuori i vestiti dalla valigia? Non sono normale, lo so... Ma non ho mai avuto il tempo per dedicarmi alla casa...che pazza! Mio caro diario sto diventando paranoica e monotona, ti lascio sul comodino, probabilmente questa notte non riuscirò a chiudere occhio.

Jenna

 

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Capitolo 5
*** Who is Who ***


Who is Who


Jenna salì in auto ma come l'autista girò la chiave udì il suono del cellulare provenire dal suo taschino e capì che non sarebbe tornata presto a Wyndham Street.
L'uomo lesse velocemente e poi si rivolse alla sua passeggera:
"C'è stato un cambio di programma signorina."
"Come dice scusi?"
rispose sorpresa la ragazza. Improvvisamente la portiera sinistra della vettura da dove lei era appena salita, si aprì ed entrò colui che si definiva l'acerrimo nemico di Sherlock Holmes.
"Signorina Rice, quanto tempo!" disse con un sorriso forzato mettendosi comodo sul sedile dell'auto.
"Cosa ci fa lei qui?" disse sorpresa la ragazza.
"Diciamo che qualcuno non ha potuto fare a meno di mettersi in mostra" disse accarezzando il manico del suo ombrello.
L'auto partì dirigendosi verso l'università di Cardiff, Jenna riconobbe la strada ma rimase silenziosa tutto il tempo a riflettere sulle parole dell'uomo che le sedeva a fianco. Era tarda sera quando la giovane ragazza uscì dal capannone dove quell'uomo l'aveva tenuta legata e sotto interrogatorio, il clima era freddo e umido, la luna e la luce dei lampioni riflettevano nelle pozzanghere lungo tutto il tragitto. Quella persona non sembrava certo malvagia, pensò la ragazza. Curiosa e impaziente di aver risposte gli domandò:
"Perchè è qui? Non ha una macchina sua? Dove mi sta portando?”
"Signora Rice..." replicò cercando di non esporsi troppo – "Signora Rice meno ne sa meglio è... Ma a quanto pare lei vuole sapere, eh? Abbiamo un faccenda da sbrigare, la prego di scendere dalla macchina adesso."
La ragazza non se lo fece ripetere due volte e seguì alla lettera le sue parole, scese dalla vettura e vide a pochi metri di distanza Sherlock Holmes e John Watson venire dalla sua parte .
"Allora un altro caso risolto, sempre al servizio della società... Ma non è mai questa la vera ragione" disse.
Sherlock notò Jenna di fianco ad un uomo con l'ombrello che era appena sceso dalla macchina e si diresse velocemente verso di lui:
"Cosa ci fai qui?"
"Come sempre sono preoccupato per te" disse l'uomo
"Ho sentito parlare delle tue preoccupazioni..." rispose Sherlock con tono seccato. "Aaah sempre così aggressivo! Non pensi mai che tu ed io potremmo essere dalla stessa parte?"
"Ehm... Stranamente no!" disse Sherlock.
"Abbiamo in comune più di quanto tu creda, questo sciocco antagonismo tra noi è semplicemente puerile... Le persone soffrono e sai che questo sconvolge sempre la mamma."
Jenna, stupita da quelle parole alzò lo sguardo verso l'uomo
"Io... Io la sconvolgo?! Non sono certo io a sconvolgerla Mycroft!" Rispose Sherlock. "Un momento scusata, mamma... Chi è mamma?" intervenne John.
"Mia madre... Nostra madre... Questo è mio fratello Mycroft" disse il moro.
La ragazza, impreparata a questa notizia o forse all'intera conversazione chiese subito spiegazioni: "Un momento... Lei mi ha rapita, legata a una sedia, interrogata su Sherlock e adesso sta dicendo che in realtà era preoccupato per... suo fratello?”
"Quindi anche lei... Non lo so, pensavo che lui fosse un genio del crimine!" disse confuso John.
"Oh... Per l'amor del cielo! Ho un piccolo incarico nel governo inglese."disse Mycroft.
"Già... Lui è nel governo inglese, ovviamente quando non è troppo occupato coi servizi segreti o con la CIA come libero professionista... Buona serata Mycroft, cerca di non scatenare una guerra prima che arrivi a casa mia." disse Sherlock superandolo ma la presenza della ragazza gli fece cambiare idea e si voltò verso il fratello:
"Oh certo, la ragazza... Sicuramente Mycroft le tue telecamere ci avranno colti in flagranti mentre conversavamo a Piccadilly ma se permetti vorrei invitarla a cena visto come l'hai ridotta, avresti dovuto essere più gentile... Povera è ancora spaventata non vedi?"disse Sherlock montando una scenata.
Mycroft innervosito li lasciò andare: "Credo che voi tre abbiate molte cose da dirvi... Ah dottor Watson, si riguardi!"
"Stia tranquillo... Quindi quando diceva che si preoccupava per lui lo intendeva veramente?"
"Certamente"
rispose Mycroft.
"E' proprio da bambini...”
“E' sempre stato così pieno di risentimenti, si immagini le cene di Natale."

"Preferisco non pensarci! Buona sera."
Non appena Mycroft ripartì la ragazza tirò un sospiro di sollievo, accettò l'invito e tutti e tre tornarono a Baker Street pronti a gustare un'ottima cena in un ristorante cinese. Si sedettero al tavolo accanto a una finestra che si affacciava sulla via notturna più bella di Londra ed ordinarono la specialità della casa: sogliola con gamberi, funghi cinesi, ananas brasati e un tocco di zenzero. Pochi minuti dopo arrivò al tavolo il proprietario del locale:
"Signor Holmes! Che bello rivederla, qualsiasi cosa dal menù, tutto quello che ha ordinato è gratis a lei e ai suoi colleghi, offre la casa!"
Jenna guardò Sherlock sorpresa "Colleghi?"
"Lei signorina, se mi permette ha una faccia molto furba, non si faccia mettere i piedi in testa da questo ragazzo, lo conosco da anni e sono certo che voi... Beh escluso il signore seduto accanto a lei, insieme siete una macchina risolvi crimini!" disse ironizzando il proprietario per tornare poi in cucina.
Cadde un silenzio profondo, Jenna e John guardarono il ragazzo moro seduto vicino a loro il quale stufo ed imbarazzato, confessò il perchè fosse così amico di quell'uomo: "Quattro anni fa, il proprietario del locale era in un guaio, stava per essere mandato in carcere per un doppio omicidio con furto, ma riuscii a far credere alla polizia che lui era intento a rubare in un negozio per alimentari dall'altra parte di Londra, così scontò solo due anni al posto di trenta."
Jenna rimase abbagliata dal riassunto dal ragazzo
"No aspetta, un momento... Omicidi, crimini quindi tu sei un investigatore?" domandò Jenna
"Meglio! Sono solo un consulente investigatore, ho inventato io questo lavoro. Quando la polizia brancola nel buio, ovvero sempre, consulta me" rispose Sherlock con tono tranquillo e pacato.
"Straordinario!" esclamò "Quindi puoi dare alla polizia una o più piste per le indagini dando una semplice occhiata agli indizi?" domandò la ragazza.
"La pista più probabile secondo le mie deduzioni... Che sono praticamente sempre esatte!" disse sorridendo fissando la ragazza.
John Watson guardò Jenna e Sherlock perplesso e incuriosito domandò:
"Cos' ho io che non va nelle vostre mente?"
"E' molto semplice John: tu quando parli non avverti nulla intorno a te... Guarda lei invece... Mentre cerca di parlare i suoi occhi corrono a destra e a sinistra scrutando attentamente ogni minimo dettaglio che la circonda."spiegò Sherlock.
“Voi due siete fuori di testa" rispose John ridendo.
Durante la cena parlarono del più e del meno e si instaurò immediatamente un legame di amicizia tra tutti e tre. John Watson, si ritrovò circondato a cenare con due persone strane e probabilmente pazze allo stesso tempo. Sherlock, mentre terminava la sua portata, continua a guardare Jenna, eppure John era proprio davanti ai suoi occhi ma lei sembrava disinteressata, come se non lo avesse mai visto prima e non gli interessasse. Il giovane consulente si voltò verso John e poi verso Jenna e disse ridendo:
"Voi due siete proprio sicuri che non vi siete mai visti prima?"
John guardò la ragazza molto titubante e pochi istanti dopo si ricordò dell'incidente avvenuto qualche ora davanti al suo appartamento:
"Aspetta, ma tu sei Helena? La ragazza di questa mattina?" chiese John.
"Helena?" domandò Sherlock guardando la ragazza "Non dirmi che hai utilizzato un nome falso per questo idiota? Senza offesa John..." disse sorridendo.
Jenna iniziò a ridere "Ah ah ah in effetti si... Scusa John se ho mentito... Il mio vero nome è Jenna!" allungandogli la mano.
John la strinse come se l'avesse incontrata per la prima volta:
"Beh... Io sono sempre John!" le rispose ed entrambi scoppiarono a ridere, anche Sherlock sorrise all'umorismo del soldato.
"Mi chiedo perchè mentire, non ti fidavi forse?" disse John incuriosito.
"Sveglia dottore!" intervenne Sherlock facendo ragionare il suo nuovo amico.
"Tu mi hai seguito... e l'incedente di questa mattina non è stato un caso... Come sono andato?"
Jenna chinò la testa, tirò un lungo respiro e decise di raccontare la verità "Due su due. Non è stato un caso lo scontro di questa mattina, ti stavo cercando da settimane... Ma ora stringendo la tua mano destra ho visto della polvere da sparo sotto le unghie, come potevo fidarmi? Se non ci fosse qui Sherlock ti avrei seguito per l'ennesima volta senza concludere nulla..." John sorridese pensando che fosse solo uno scherzo.
"John perdona la mia intrusione ma credo che non sia opportuno parlarne qui ed ora... Gradirei affrontare la questione a casa. Seguitemi." consigliò Sherlock. Uscirono dal ristorante e si rifugiarono all'appartamento 221b. Quando Jenna salì le scale che portavano all'appartamento di sopra, la prima cosa che vide dalla porta socchiusa fu un enorme teschio di bufalo appeso alla parete con addosso un paio di cuffie.
"Perdona il mio disordine Helena... Io e il dottor Watson abbiamo appena traslocato." disse Sherlock.
Jenna appoggiò la sua borsa sul divano in pelle marrone davanti a lei e si guardò intorno. "Niente male come appartamento... Il mio a Wyndham Street è ancora tutto da sistemare, al confronto questo sembra perfetto!”
John si diresse in cucina mentre domandava alla ragazza: "Posso offrirti del caffè?" - "John, un po' di contegno... ha 25 anni!" aggiunse Sherlock.
“Non le ho mica offerto del whisky!” replicò John.
“No, no Sherlock, va bene. Nessun problema, prendo volentieri il caffè di questa mattina John!" rispose lei con un sorriso.
Intanto Sherlock si sfilò il cappotto e la sciarpa grigia appendendoli dietro la porta. Tra quelle mura ricoperte di carta da parati strana, polvere, libri di ogni genere, oggetti bizzarri e persino da un teschio appoggiato sul caminetto, Jenna si sentì come se fosse veramente a casa sua. Si sedette sul divano mentre Sherlock rimase in piedi fino all'arrivo del suo amico.
"Possiamo cominciare?" domandò il ragazzo moro cercando di affrettare il dottore a servire il caffè.
Rapidamente John servì la prima tazza a Jenna la quale tirò un lungo respiro e poi cominciò a raccontare tutto:
" Mi chiamo Jenna Rice, italiana da parte di mia madre e inglese da parte di mio padre... Lui era un militare, si chiamava James, James Rice ed è morto qualche tempo fa. Dopo la sua morte ho cominciato a trovare cose che non riconoscevo, cose del suo passato a me completamente sconosciute così ho deciso di seguirli ed eccomi qui, a Londra... Con questa!" spiegò la ragazza tirando fuori dalla giacca la foto di suo padre insieme a John. I due osservarono attentamente la foto.
"Dietro è la sua calligrafia, ho controllato." disse la ragazza
"Rammento quel giorno, quando abbiamo scattato la foto. Aspetta un momento... Hai detto di chiamarti Rice, giusto?" domandò Watson.
"Si..." rispose Jenna.
"Mi ricordo di quest'uomo, tuo padre, ma allora era conosciuto come Arthur Smith..."

 

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Capitolo 6
*** Friend or foe ***


Friend or foe


Cielo grigio su Londra. Durante la notte la luna lasciò spazio alle nuvole, tanto da coprirne tutto lo sfondo stellato nascondendo la bellezza della città.
Jenna non riuscì a chiudere occhio quella notte: si riposò per non più di un paio di ore e alla fine, dopo essersi rigirata mille volte tra le coperte si mise supina a fissare il soffitto. Il pensiero di non riuscire a parlare con John Watson la terrorizzava, bastava un solo piccolo passo falso e lei sarebbe dovuta tornare a casa senza ottenere risposte. Aveva bisogno di tempo: tempo per conoscerlo, tempo per studiare le sue abitudini, tempo per trovare le parole adeguate... Tempo per ogni cosa.
Sopra il bianco lenzuolo Jenna era coccolata da una calda coperta di lana blu scura, visto che non era mai stata un'amante del colore, d'altronde come dimostrava il suo abbigliamento: nero, blu, viola scuro e sorprendentemente ancora nero. Anche se il suo viso era meraviglioso, non adorava essere al centro dell'attenzione, certo non era timida, ma preferiva nascondersi passando inosservata tra la folla.
Dopo un ultimo tentativo miseramente fallito, Jenna decise di alzarsi e appoggiò la punta dei piedi sul freddo parquet tinta noce. Sgranò i suoi bellissimi occhi marroni guardando poi le pareti bianche del suo appartamento quasi privo di arredi. Erano solo le 5 del mattino e le fredde vie di Londra erano ancora illuminate dai lampioni. La ragazza indossava come al solito i suoi orribili vestiti sfruttati che lei chiamava "pigiama": un pantalone della tuta nera e una t-shirt verde.
Intenta a cercare una soluzione al “problema John Watson”, ciondolò per casa, osservando e pensando a come poter sistemare quell'appartamento di ben 65 metri quadrati. Quella casa a Wyndham Street, una volta era abitata da una coppia di neo sposini che probabilmente non era durata molto dato che, a detta dell'agente immobiliare, la moglie si era adoperata affinché tutti i muri venissero ridipinti di bianco il prima possibile per cancellare le tracce della loro permanenza. Quelle mura così asettiche e spoglie certo non aiutavano la ragazza a sentirsi a proprio agio in quella casa nuova.
Per ingannare il tempo andò in salotto e cominciò ad aprire uno dei tanti scatoloni ancora pieni ed immacolati, togliendo con cura il nastro adesivo. Proprio in quello scatolone Jenna si ritrovò tra le mani la piccola vecchia scatola arancione di suo padre: la osservò di nuovo attentamente, come se il tempo in quel momento si fosse fermato... La dolce ragazza rimase ad ammirarla senza staccarle gli occhi di dosso mentre sentiva gli occhi inumidirsi. L'appoggiò sul tavolino del salotto, accanto al divano di pelle nera, lasciato dagli ex-coniugi: "Credo di impazzire" – disse sussurrando. Distaccò lo sguardo da quei ricordi intrappolati nella scatola e si concentrò su quello che conteneva lo scatolone imballato.
Sul fondo di esso, dopo tutti i suoi strumenti da cucina, trovò inaspettatamente il suo quaderno da disegno dalla rilegatura morbida in pelle rossiccia e decorato da una chiusura a laccio : "E tu cosa ci fai qui? Non ricordavo di averti portato con me!" - disse stupita Jenna - “Beh già che ci sei.. Credo che mi farebbe bene distrarmi un po' disegnando!" aggiunse.
Qualche ora dopo, ripose il quaderno su uno scaffale in salotto terminando così la sistemazione della casa: "C'è ancora tanto lavoro da fare... E soprattutto quelle pareti bianche devono assolutamente sparire! Che gusti orrendi aveva quella donna!" disse Jenna sbuffando e incamminandosi verso il bagno.
Terminata la doccia, passò l'asciugamano sui capelli e poi li lasciò asciugare all'aria mentre iniziò ad armeggiare con i trucchi.
Non era una di quelle persone che ci andavano pesante col make-up, usava solo un fondotinta per coprire il volto stanco, cipria e una matita nera . Era una ragazza semplice però spesso ritenuta strana: il suo parlare da sola la rendeva goffa ma simpatica anche se molti preferivano ignorarla e lasciarla nel suo mondo. Fin dalle scuole medie Jenna si sentiva esclusa dalla classe e questo la rese abbastanza forte per poter reagire ad ogni ostacolo.
Dopo dieci minuti la ragazza era pronta per uscire, abbandonò velocemente il pigiama e corse così al suo appartamento.
Passarono due ore da quando Jenna chiuse la porta dell'appartamento alle sue spalle.
La ragazza si avviò lentamente verso la casa di John Watson: percorse Drury Lane, svoltò a sinistra entrando in Macklin Street ma proprio in quell'istante John Watson uscì dalla sua abitazione. Portava sempre il suo bastone e un ombrello per ripararsi dalla pioggia.
Chiaramente non poteva stare lì impalata a fissarlo e così escogitò un piano per riuscire almeno a guardarlo in faccia. Tirò fuori dalla borsa il suo quaderno da disegno e s'incamminò verso di lui andandogli incontro, urtando contro la sua spalla destra e facendo cadere il quaderno sul marciapiede bagnato.
Jenna: "Oh no! Mi dispiace moltissimo! Ero distratta..."
John: " No, no, si figuri... Capita!"

I due si accucciarono per recuperando il quaderno umido dalla pioggia, aperto e pieno di disegni e schizzi. Lo afferrarono contemporaneamente guardandosi negli occhi e si scambiarono un semplice sorriso. John abbassò lo sguardo ammirando i meravigliosi ritratti: “Se mi permette una critica... Sono davvero molto belli!" disse accennando un altro sorriso e riparandola sotto il suo ombrello.
La ragazza davanti a quella persona che cercava disperatamente da così tanto tempo rimase stupita dalle sue buone maniere.
"La ringrazio signor..."
"John, mi chiamo John"
aggiunse il soldato.
Jenna sorrise e si presentò "Piacere! Mi chiamo... Helena" rispose stringendogli la mano.
"Le va un caffè Helena? Conosco un posto qui vicino dove lo fanno davvero ottimo..." le chiese.
"Mi piacerebbe tanto John, magari un'altra volta..." rispose Jenna mentendo.
"Certo, capisco... A presto allora!" disse amareggiato Watson guardando la ragazza.
"A presto" replicò lei.
Jenna si affrettò a fuggire, camminò a passo spedito per tutta la via sbucando a Stukeley Street sulla sua sinistra.
Non ci poteva credere, il suo bersaglio, il suo obiettivo finale era appena passato davanti ai suoi occhi.
Appoggiò la schiena su una delle tante mura bianche della via e guardando il cielo schiarirsi tirò un lungo e profondo respiro: "Stai calma Jenna!" si disse - "Dovevo per forza mentire...Non... Non potevo fare altrimenti!” quasi per convincersi. Si lasciò scappare una piccola risata e tranquillamente prese la strada per Russell Square. Si arrestò al parco per riprendere il fiato e la sanità mentale: un susseguirsi infinito di domande le balenavano in testa.
"Devo parlarne con Sherlock Holmes! Lui probabilmente sa qualcosa e non posso aspettare oltre..." disse sussurrando quando venne interrotta da una chiamata.
Aprì la borsa per prendere al cellulare:

 

Alex
accetta / rifiuta

 


Jenna rimase sorpresa da quella chiamata: per quale motivo Alex, il suo ex-ragazzo, avrebbe dovuto ricontattarla dopo sei mesi dalla rottura? La loro storia durò per due anni, ma con il passare del tempo il suo interesse per lei andava visibilmente scemando, soprattutto con l'inizio delle sue ricerche sul passato del padre:
“Da quando è cominciato questa storia ti sei allontanata..." Certo, quello era il ritornello che si sentiva sempre dire ogni volta che qualcosa tra di loro non andava. Jenna rinunciò all'amore, rinunciò alla sua vecchia vita lasciandosi tutto alle spalle.
La ragazza sospettosa rifiutò la chiamata e le nove successive, mentre s'incamminava verso Baker Street.
"Dunque... Aveva detto 221b credo..." disse surrando mentre il cellulare le vibrava in tasca per l'ennesima volta.
"Ah! Eccola qui: proprio accanto a un bel bar... Hai capito il bel fusto londinese!" ribattè la ragazza nella sua mente.
Suonò il campanello e, dopo pochi istanti, una briosa signora, probabilmente sulla settantina, aprì la porta.
"Buongiorno signora. Sto cercando il Signor Sherlock Holmes, abita qui?"
La vecchia signora molto titubante le chiese: "Un momento... Lei è una delle sue clienti?"
"Prego? Quali clienti?" chiese sbalordita.
La vecchia signora rise dicendo: "Oooh mi scusi! Mi auguro che faccia sul serio questa volta il giovanotto!"
Jenna non capiva cosa stesse dicendo, o sottintendendo, la gentile signora dai capelli castani; la fissò per un paio di secondi arrivando a una conclusione.
"Immagino che il signor Holmes non sia in casa..." disse sorridendo.
La signora si ricordò improvvisamente della domanda iniziale: "Ah si, certo, Sherlock tornerà questa sera... Deve mostrare l'appartamento qui di sopra a un suo amico o almeno così dice lui..."
"Capisco... Passerò più tardi allora. Arrivederci e scusi il disturbo.” disse.
La signora chiuse la porta accompagnata dalla sua risata un po' fastidiosa.
Jenna indietreggiò scostando la testa lentamente "Quella donna è proprio matta!" disse sorridendo. Il telefono ricominciò a squillare:

 

Alex
accetta / rifiuta

 


Infastidita e stressata dalla sua insistenza, Jenna rispose arrabbiata: "Pronto?"
Ci mise dieci secondi buoni l'altra persona a risponderle mentre sentiva un ghigno in sottofondo.
"Ahhh... Finalmente ci siamo decise a rispondere signorina Rice, eh?" disse un uomo che sicuramente non era Alex.
"Chi sei? Come fai a sapere il mio nome?" disse la ragazza spaventata voltandosi a destra e a sinistra.
"Questo non ha la benchè minima importanza. Ci vedremo tra poco, non temete. La invito a salire sulla macchina, prego." replicò la voce.
Un attimo dopo un'auto si fermò davanti a lei.
La ragazza rimase paralizzata. Guardò scendere impietrita un uomo in divisa che le aprì lo sportello posteriore della vettura e le disse: "Prego signorina, si accomodi."
In quell'istante, Jenna pensò velocemente ad una qualsiasi via di fuga ma non le venne in mente niente e spaventata non poté far altro che salire in macchina.
Non più di venti minuti dopo la macchina si fermò fuori da un capannone: dovevano aver lasciato Londra. Questo fu l'ultimo suo ricordo; si risvegliò due ore dopo imbavagliata e legata a una sedia.
La ragazza si guardò intorno, l'enorme capannone era freddo e umido, scosse la testa e le braccia tentando di slegarsi il bavaglio e le corde che le bloccarono i polsi ma fu quasi inutile: riuscì solo a far scendere leggermente il bavaglio sul mento, mentre dei passi si avvicinarono da dietro.
"Spero abbiate fatto buon viaggio." disse una voce maschile avvicinandosi sempre di più alla ragazza.
Jenna non rispose, rimase a guardare l'uomo che l'aveva rapita con aria furiosa.
"Avanti non siate puerile... Non c'è alcun motivo per essere arrabbiata signorina Rice" aggiunse slegandole i polsi.
Subito dopo quell'energumeno la tirò per i capelli e le sussurrò all'orecchio:
"Ora ascoltatemi con molta attenzione e vogliate scusare le mie maniere, diciamo poco ortodosse, ma questo sembra essere l'unico modo per fermarvi. Vedete quella videocamera lassù? Se oserete anche solo pensare di sfiorarmi o altro, i miei agenti qua fuori saranno ben felici di farvene pentire fino al vostro ultimo respiro. Sono stato sufficientemente chiaro?"
Jenna rimase in silenzio accennando un gemito per aver accettato la spaventosa richiesta.
"Molto bene..." riprese l'uomo.
Jenna si alzò guardandolo dritto negli occhi: “Posso sapere almeno chi è lei? Se questa dovesse essere la mia fine..." disse.
"Irrilevante. Sono qui per questioni più importanti... Dunque signorina Rice, cosa mi sa dire su Sherlock Holmes ?"
“Che non ho idea di chi sia.” rispose seccata Jenna.
L'uomo sorrise. "Ma davvero? Si da il caso che le telecamere vi abbiano inquadrati ieri sera a Piccadilly insieme,dopo di che vi ha accompagnata a casa, offrendole la corsa in taxi. Che gesto nobile da parte sua..." disse ironizzando l'uomo.
La ragazza rise davanti all'uomo.
“Ohhh guarda un po' chi non è più impaurita..." disse stupito.
"Beh, perchè lei non è pericoloso!" replicò Jenna.
"Certo... Come vuole... Volendo essere diretti, se lei intendesse proseguire la sua relazione con Sherlock Holmes instaurando una semplice amicizia e facendone rapporto a me di tanto in tanto le verrà lasciata una cospicua somma di denaro mensile in grado di coprire più che degnamente tutti i suoi bisogni."
"Wow. Deve essere importante... Che cosa vuole lei da Sherlock Holmes?" domandò Jenna.
"Informazioni!" rispose evasivamente l'uomo.
La ragazza notò una certa preoccupazione nel volto del rapitore.
"Lei sembra preoccupato... Per lui più che di lui direi..." disse colpendo nel vivo l'uomo.
"Se così le fa comodo credere... Lui stesso mi ha definito il suo “acerrimo nemico”, ci rifletta sopra."
Jenna decisa, gli si avvicinò parlandogli a bassa voce.
"Visto che per lei sembra essere così importante credo proprio che continuerò a vedere il signor Holmes e, perché no, potrei anche instaurarci una “semplice amicizia... Ma non farò il suo sporco gioco né ora né mai!" disse andando verso l'uscita del capannone.
"Signorina Rice non sia così impulsiva, le risposte a volte sono proprio davanti ai nostri occhi. Non le farò più una proposta del genere al nostro prossimo incontro!" alzò la voce l'uomo vedendo andare la giovane ragazza.
“Perfetto! Ci conto!”
Jenna uscì dal capannone, imbattendosi di nuovo nell'autista che prontamente le aprì la portiera per riportarla a Wyndham Street.

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Capitolo 7
*** Behind the Screen ***




Behind the Screen

L'eccitazione di Jenna si trasformò immediatamente in sconforto e confusione; non ci poteva credere: suo padre le aveva mentito? Tutte le sue ricerche erano state inutili? Sarebbe dovuta tornare al punto di partenza?
Si alzò dal divano e cominciò a camminare avanti e indietro per il salotto cercando di respirare regolarmente.
"Stai bene?" le chiese il dottore sbalordito dalla sua reazione.
“Certo... Solo un istante, devo riprendermi dalla notizia." disse appoggiando la mano destra sulla sua fronte.
Sherlock era ancora seduto sul tavolino di legno accanto al divano cominciò a meditare unendo le mani eappoggiando le dita dell'indice e medio sotto la punta del naso e quelle del pollice sotto il suo sottile mento.
"E' molto interessante..." disse attirando l'attenzione di John e Jenna " John potresti prestarmi il tuo telefono?" domandò al dottore.
Senza pensare troppo alla richiesta del suo coinquilino, John gli diede il telefono e con un semplice tasto Sherlock bloccò i tastie poi si rivolse alla ragazza:
"Jenna potresti darmi quel foglietto stropicciato che tieni nella tasca sinistra?"
Jenna inclinò lo sguardo "Come diavolo hai fat...”
“Non ha importanza ora, il foglio per favore"esclamò Sherlock.
Il ragazzo afferrò il foglietto ancora piegato, lo aprì e lo mise a confronto con lo sfondo del cellulare di John: "Questo spiega tutto!" e poi ridacchiando li fece vedere agli altri due.



 

"Come il rumore di uno sparo la tua mente viaggerà nella rabbia"
 


"Non ci posso credere, è la stessa frase ma in francese... Come può lo stesso verso essere anche sul cellulare di John? Questi erano gli enigmi di mio padre come..." confusa e stanca la ragazza si lasciò andare sulla poltrona di pelle nera.
"Hey! Quella è la mia poltrona!" esclamò il ragazzo moro.
"Sherlock sono stanca confusa e immersa fino alla gola in un mistero che di certo non mi aspettavo... e tu ti preoccupi di dove mi siedo?!"
"Oooh scusa sciocca stalkeratrice di soldati, sarà meglio per te che..."
"Ora basta, calmatevi! Così non risolviamo niente..."
disse John intervenendo per calmare gli animi e mettendosi inmezzo ai due: "Sentite, io non so cosa ci sia dietro a tutto questo e a quella frase in francese sul mio telefono, ma so solo che quando ero in A
fghanistan
ho conosciuto l'uomo della foto, tuo padre... Era un brav'uomo e mi ha salvato la vita diverse volte sul campo di battaglia..." disse John aprendosi con Jenna.
La ragazza si alzò dalla poltrona avvicinandosi molto lentamente verso i due investigatori: "Non posso passare il resto della mia vita chiedendomi , quindi con o senza il vostro aiuto io voglio andare avanti con questa storia..."
Sherlock guardò per prima Jenna e poi John "Accettiamo il caso!" rispose senza lasciar terminare la coraggiosa ragazza.
Il dottor Watson senza indugio si voltò verso Sherlock "Aspetta, cosa? Pochi minuti fa stavi litigando con lei per una poltrona!"
"Non ha importanza, John! Avremo tutto il tempo per litigare." ribattè Sherlock, guardando con la coda dell'occhio Jenna. Il dottore tirò dei grandi respiri a pieni polmoni guardando il pavimento per qualche istante
"Jenna vorrei tanto riaccompagnarti a casa, ma sarebbe pericoloso camminare per Londra alle 4 del mattino quindi perché non ti fermi qui? Solo per questa notte e non recherai alcun disturbo, affatto!" disse cercando di convincere la giovane ragazza.
"Non mi sembra il caso e poi ci sono solo due camere quindi..."
"Non preoccuparti, io dormirò sul divano... Insisto."
Lei sorrise davanti alle buone maniere di John Watson e accettò l'invito di alloggiare nel loro appartamento per una notte:
"Se proprio insisti...Resterò allora." disse.
Dieci minuti dopo, Jenna si ritrovò nella stanza di sopra, nel letto di John, sotto le calde coperte di lana che il dottore le aveva lasciato. Pensierosa e preoccupata chiuse gli occhi e si addormentò subito ma per non più di tre ore, giusto il tempo per recuperare le forze.
Si fecero le 7 del mattino e Jenna di dormire non ne voleva già più sapere, si alzò da letto con addosso i vestiti del giorno precedente, si infilò gli anfibi e scese dalle scale lasciando un biglietto sul tavolo in salotto.
Nel momento in cui appoggiò il foglio venne improvvisamente colta in flagrante da Sherlock.
"Te ne vai via così presto?" le chiese il moro con addosso una vestaglia beige.
Jenna appena udì la sua voce chiuse gli occhi lentamente, si voltò, lo guardò e gli porse il messaggio.
"Che diavolo è questo?" chiese il ragazzo moro con il suo atteggiamento infantile. Sherlock aprì la busta e tra quelle righe lesse


"...Anche se avete accettato il caso ho paura per voi.
Durante queste mie piccole ricerche ho perso molte persone...
Non voglio che accada di nuovo."

 

disse Sherlock leggendo il messaggio ad alta voce davanti alla ragazza. I due si guardarono silenziosamente negli occhi mentre il sole sorgeva e la luce dell'alba colorava parte dell'arredamento creando un'atmosfera molto romantica.
Jenna distaccò lo sguardo da lui e indietreggiò di un passo "Per sdebitarmi, anche se non è abbastanza per niente ma... Posso prepararti un tè?" disse Jenna dirigendosi in cucina. Sherlock non le staccò gli occhi di dosso, nella sua mente correvano troppi indizi su di lei: sincera, lavorava in una libreria, disegna, ha un fratello, trucco semplice, odia sbagliare, nervosa, pazza, tatuaggio...Forse due, bugiarda, segreta, capelli in ordine, cucina, spalle dritte, mani piccole, ha un cane, scrive molto... Sherlock pochi istanti dopo abbandonò i suoi pensieri e lentamente si avviò in cucina restando a guardare la velocità di Jenna nel preparargli la colazione.
Jenna si voltò verso Sherlock: "Latte giusto?" domandò.
"Oh si, grazie.." rispose il ragazzo ancora distratto dai pensieri.
In meno di due minuti il tè al latte di Sherlock era pronto per essere servito, " Ehm... prendi pure le tazze accanto al lavandino, il mio servizio da tè deve essere ancora imballato negli scatoloni..." disse ironizzando il ragazzo moro.
"Ah ah il mio appartamento, dopo due settimane è ancora privo di arredo, figurati di servizi da tè..." scherzò la ragazza.
Jenna servì il tè caldo a Sherlock, lui afferrò la tazza e la appoggiò sulle sue piccole labbra buffando, intento a raffreddarlo leggermente.
"Helena..."
"Jenna.."
disse correggendo il ragazzo
"Jenna...Ho riflettuto sul tuo caso questa notte."
"Non hai chiuso occhio tutta la notte per il caso? Un momento... E John?"
domandò Jenna.
"Ha dormito nella mia stanza. Ti dicevo del caso... Credo che ora tu debba stare molto attenta a Wyndham Street" disse con tono serio.
La ragazza senza pensarci due volte ribattè "So badare a me stessa, grazie."
"Questo lo vedo ma... Ci sono delle complicazioni." disse il ragazzo moro. "Ieri sera dopo l'omicidio all'università di Cardiff ho scoperto di avere un nemico, un certo Moriarty. Non so chi sia e cosa voglia ma è senza dubbio pericoloso e credo che in qualche modo, per qualche strana ragione, il tuo caso sia legato a lui, quindi nessuno di noi si dovrebbeallontanare dal gruppo, nemmeno John, rimaniamo uniti se possiamo." spiegò Sherlock.
"Starò più attenta allora..." rispose Jenna fredda e rigida.
"Oh il tè è delizioso, meglio di quello che mi prepara la signore Hudson!" disse complimentandosi con la ragazza lasciandosi scappare una risata.
Pochi minuti dopo il silenzio che riempiva l'appartamento venne interrotto dai passi John Watson che provenivano dal corridoio "Buongiorno, già svegli?"
“John ti posso offrire del tè al latte?"
domandò Jenna.
Il dottore rimase impalato davanti alla porta della cucina "si ti ringrazio.." rispose dopo uno sbadiglio e mettendosi a sedere a tavola. La ragazza dopo che servì il tè a John lasciò sul tavolo dei biscotti trovati nella credenza.
"Un momento, perchè a me non hai offerto i biscotti?!" domandò con tono irritato Sherlock.
"Perchè ovviamente tu non mangi mai niente a colazione, si vede..." rispose Jenna,

"Hey mi sono appena svegliato e voi litigate già per dei biscotti? Mi sono perso qualcosa forse?"
"No!" risposero entrambi i litiganti voltandosi verso John.
Il dottore rimase a guardarli stupito, scosse la testa lasciando perdere e torno a gustarsi la colazione.
"Tra poco vado a fare la spesa, potete riprendere la dscussione tranquilli" aggiunse sorridendo.
"Mio caro John temo che le nostre litigate ti mancheranno invece... Io levo il disturbo e torno a casa mia..." disse la ragazza.
Jenna non voleva andarsene da Baker Street, in quell'istante capiì di sentirsi a casa più lì che nel suo appartamento o da qualsiasi altra parte fosse mai stata e i suoi nuovi amici stavano già prendendo il posto di una nuova famiglia per lei, andò in salotto a recuperare la sua borsa e salutò i signori stringendogli la mano.

Il dottor John Watson insistette per riaccompagnarla a casa, ma Jenna rifiutò l'invito per non recargli ulteriore disturbo, dopotutto probabilmente aveva passato la notte sul pavimento della camera di Sherlock per lei.
La ragazza indietreggiò, imboccò le scale ed uscì dall'appartamento mentre entrambi gli investigatori udirono la porta d'entrata sbattere.

"Certo che è molto strana quella Jenna!"
"E' solo una ragazzina viziata!" rispose Sherlock con tono menefreghista e poi aggiunse: "Sono sicuro che sia una di quelle stupide persone che scrive stupide cose su degli stupidi diari.”
"Sherlock, lo sai vero che io ho un blog? E' la stessa identica cosa...Che cosa intendi dire con ?" domandò il dottore,
"Che siete degli idioti, perdete tempo a scrivere su una pagina che probabilmente nessuno leggerà mai quando potreste pensare a cose più serie!” rispose aggressivo il ragazzo.
"Ho capito ti serve un caso..." disse sussurrando John.
“Ooooh che noia!!!"disse il moro.
Pochi minuti dopo il giovane ragazzo saltò in piedi entusiasta dicendo:"Devo andare in banca!"


 

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Capitolo 8
*** Let the game commence ***


Let the game commence
 

Poco dopo Jenna arrivò al suo appartamento a Wyndham Street, chiuse la porta dietro di sé e vi si appoggiò contro tirando un grande respiro. Subito la mente cominciò a ripensare a quanto appreso la notte precedente: il mistero di suo padre secondo Sherlock Holmes era un caso come tutti, né più né meno interessante, ma lei non voleva più aspettare, non poteva. Voleva scoprire la verità su suo padre: perché quella frase? Perché aveva dato a John un nome falso...O forse a lei? Basta, era il momento di scoprire la verità.
Il sole filtrava dalle finestre del salotto e colorava di giallo quelle orribili pareti bianche che Jenna tanto odiava, prima o poi avrebbe trovato il tempo di sistemarle pensò ma certo aveva cose più urgenti di cui occuparsi. La ragazza si avviò lentamente in cucina, lasciando la sua borsa a tracolla piena di informazioni, scartoffie e disegni sul divano nero in pelle che i vecchi proprietari avevano abbandonato.
Si preparò un buon tè caldo, da brava londinese, e cominciò a riflettere:

"Per quale motivo scriverlo in francese ?"pensò ancora confusa da quell'enigma.
"E poi perché lo sfondo di un cellulare? Cosa significa? E perchè metterlo dentro il telefono di John...."

La ragazza all'improvviso si bloccò davanti al bancone della cucina e disse ad alta voce: "Ma certo!! Ovviamente se Sherlock ha trovato lo sfondo, dentro al telefono di John si potrebbero trovare altri indizi, è sufficiente un chip o una qualsiasi scheda! " disse Jenna cercando d'immaginare il telefono del dottor Watson.
In quell'istante il suo cellulare suonò e le arrivò un messaggio da un numero sconosciuto:


bella calligrafia

Lo sguardo della ragazza rimase fisso e immobile sullo schermo intento a pensare a chi potesse averle mandato quel messaggio.

Sherlock? - Rispose dubbiosa al messaggio.

Bingo!

Jenna sorrise leggendo le parole del suo nuovo amico.

Hai trovato qualcosa? - Domandò lei.

Nulla al momento. Adesso sono qui con la polizia ad indagare su un omicidio... Passa più tardi a BS. - rispose lui.

La ragazza in un certo senso si sentiva protetta da Sherlock Holmes, le sue parola anche se fredde e distaccate le davano conforto, non era più sola.
Sorrise e ripose il telefono nella tasca dei jeans, bevve ancora un ultimo sorso di tè e andò in camera da letto prevedendo un bel bagno caldo e decisamente un cambio di vestiti.
Mentre s'incamminava trovò qualcosa di strano: il parquet del corridoio era pieno di graffi ma non casuali, come se fossero stati lasciati per indicare qualcosa, la porta era rimasta chiusa dall'interno, il che era praticamente impossibile a meno che lei non si fosse lanciata dalla finestra per uscire di casa. Jenna allora, nonostante il timore che qualcuno le fosse entrato in casa, prese coraggio o una gran dose di stupida e sfondò la porta. Quando entrò nella stanza trovò tutte le pareti segnate da strani simboli gialli.

Spaventata chiamò immediatamente la polizia e mandò un messaggio a Sherlock:

Aiuto WS, presto!


"Sherlock hai ricevuto un messaggio" disse John Watson facendolo notare al suo collega.
"Grazie John ma non mi interessa, sarà sicuramente Helena che piagnucola su suo padre!" Rispose Sherlock infastidito dall'interruzione.
La chiamata arrivò immediatamente in centrale e a sua volta venne trasferita all'ispettore Dimmock che era sulla scena di un crimine insieme a Sherlock Holmes e John Watson chiamati per esaminare con più attenzione i fatti.
"Signori, c'è stata una chiamata da Wyndham Street e pare sia compatibile con questo caso. Muoviamoci!" Esclamò l'ispettore Dimmock.
In quell'istante John e Sherlock si voltarono verso l'ispettore: "So esattamente di chi si tratta. Sbrighiamoci non abbiamo tanto tempo!" disse il ragazzo moro correndo giù dalle scale dell'appartamento e scappando dalla scena del crimine.

"Un momento Sherlock!" urlò John seguendo il ragazzo.
"John corri, se prendiamo un taxi ci metteremmo il doppio della polizia!" rispose al dottore correndo tra la folla di Londra.
I due investigatori giunsero a Wyndham Street in meno di 10 minuti.
"Sherlock fermati, ho il fiatone, non sono più allenato!" disse il dottore affaticato.
"Avanti John questo era a malapena un riscaldamento!" rispose il ragazzo moro voltandosi verso il dottor Watson.
"Allora 27, 27, 27, 27, 27..." bisbigliò Sherlock cercando l'appartamento di Jenna.

"Che stai dicendo?!” chiese il dottore ancora sbalordito dagli atteggiamenti del suo coinquilino.
"Eccola, è là fuori!" rispose lui evitando la domanda di John.
"Meno male che siete arrivati... Hai ricevuto il messaggio?" Domandò la ragazza
"Si ma non l'ho letto." rispose il ragazzo moro entrando immediatamente nell'appartamento osservando ogni particolare della casa e tirando fuori dalla tasca la sua piccola lente di ingrandimento.
John invece si preoccupò subito della salute della ragazza e le misurò le pulsazioni.
"John a quello ci pensiamo più tardi..." intervenne il ragazzo distratto dal suo lavoro. Sherlock camminava avanti e indietro per il salotto e la cucina: pulito, pulito, pulito.

A un certo punto i suoi occhi lo portarono nel corridoio, dove trovò i graffi sul parquet che lo conducevano dritto nella camera da letto e rimase colpito davanti a quegli enormi simboli dipinti sulle pareti.
"Sono esattamente gli stessi simboli trovati alla banca!" disse entusiasta Sherlock, fotografò i simboli e uscì dalla stanza accompagnando gli altri due verso l'ingresso.
"Tra non molto arriverà la polizia, odia quando arrivo per primo su una scena... Ho tutto quello che mi serve."
"Sherlock cosa hai trovato nella camera?" domandò il dottore incuriosito.
Il detective porse il suo cellulare a John e gli mostrò le fotografie.
"Sono le stesse che abbiamo visto in banca!" esclamò.

"Esattamente." rispose il ragazzo sorridendo.
"Sherlock, perché sorridi?”
“Ora sappiamo che non è stata opera di una sola persona, la vernice è ancora fresca."
Proprio in quell'istante irruppe la polizia varcando la soglia di casa e appena fuori l'ispettore Dimmock scese dalla macchina e si diresse verso i tre.
"Che diavolo è questo? Un nuovo bar o il luogo di un'effrazione?” disse urlando loro per mandarli fuori prima di entrare anche lui nell'appartamento della ragazza.
Gli agenti perlustrarono ogni stanza fino alla camera da letto dove videro anche loro gli strani segni gialli e perlustrando lo sgabuzzino rinvenirono una bomboletta spray color giallo. Dimmock senza indugio arrestò la ragazza spaventata, mettendola in manette.

"Oh buon Dio ispettore! Apra gli occhi avanti... Come può una ragazza fare dei disegni sulle pareti di casa sua e
poi chiamare la polizia?"
disse Sherlock mettendosi davanti alla portiera della macchina della polizia e impedendo l'arresto di Jenna.
"Devo prenderlo come intralcio alla giustizia? Non è il primo pazzo criminale che catturo ragazzino... Spostati!" rispose infastidito.
"D'accordo come vuole lei... Allora mi illumini la prego: ha intenzione di incolparla prima o dopo aver fatto esaminare le impronte digitali sulla bomboletta spray?" disse ironizzando Sherlock.

L'investigatore e l'ispettore si ritrovarono faccia a faccia guardandosi negli occhi come due rivali pronti a lottare per far valere la propria ragione.
"Sa perfettamente che la ragazza non è colpevole..." Aggiunse il giovane detective convincendo l'avversario a lasciare andare Jenna.
"Avanti su, fuori dai piedi!" disse Dimmock togliendole le manette e spingendola quasi addosso a Sherlock.
"La casa però rimane sotto sequestro finché le indagini non saranno terminate. Ti consiglio di trovarti un hotel ragazza." aggiunse salendo in macchina e dirigersi verso la centrale.
"Perfetto ora sono anche una senza tetto!" disse arrabbiata Jenna.
"Stai bene?" Le domandò Sherlock con tono sincero.
"Cosa?! Si.. Sto abbastanza bene, chiunque abbia ridipinto l'interno se ne era già andato... Sono solo un po' scossa e preoccupata visto che non ho più una casa!"
"Oh si che che l'hai..." Rispose John sorridendo.
“Tecnicamente si, ma è sotto sequestro quindi non posso neanche prendere uno spillo" disse la ragazza esausta sedendosi sui gradini davanti la porta.
“Non è quello che intendevo...” ribattè il dottore.
“Come? Oh... No, non posso stare da voi, ci sono solo due stanze e non voglio che per che cavalleria uno finisca a dormire sul pavimento!"
"Perché no? Ne parleremo con la signora Hudson non ti preoccupare. Nella mia stanza c'è un enorme cabina armadio... Potremmo ricavarci una stanza no?" disse John cercando l'appoggio del suo coinquilino.
“Non lo so... Non sono portato per i lavori manuali, ma posso darti consigli su come fare evitando così di dover affidare il lavoro a terzi e spendere un'ingente quantità di denaro che non possiedi..."
“Ehm si, grazie... Proprio quello che cercavo!” disse sarcastico il dottore.
“Ok va bene, mi avete convinta, ma solo per lo spettacolo gratis!" rispose sorridendo la ragazza.
"Avrei solo bisogno la mia borsa e quella piccola scatoletta arancione... Non è che posso..."
Sherlock alzò lo sguardo e disse: "Voi due girate l'angolo, vado io a recuperare il tutto... se ti vedessero di nuovo lì dentro, questa volta ti porterebbero sicuramente in centrale".


 

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Capitolo 9
*** No actually you don't John! ***


   
No actually you don't John!
 

Con disinvoltura e rapidità, Sherlock entrò nuovamente nell'appartamento di Jenna e si diresse immediatamente verso il lato sinistro del divano dove si trovava la borsa a tracolla della ragazza, lasciata indietro dagli agenti ancora impegnati con i simboli gialli trovati nella camera da letto, piuttosto che sul resto della casa. Il ragazzo la recuperò velocemente e subito dopo prese la scatola arancione, che Jenna non voleva certo che la polizia trovasse e usasse in qualche modo come prova, e silenziosamente uscì svoltando a sinistra per York Street.
John e Jenna attesero il detective non più di cinque minuti e durante l'attesa il dottore cominciò a pensare alla ragazza sotto una diversa luce: forse perché conosceva bene suo padre, il quale gli salvò la vita innumerevoli volte, forse perché il suo coinquilino non la detestava troppo o forse semplicemente perché, in quel poco tempo che aveva avuto a disposizione per frequentarla gli sembrava quasi di conoscerla da sempre.
"Sai, Jenna... Io non ti ho ancora capita veramente... Beh si, sei una brava ragazza, questo non c'è dubbio... Ma quello che sto cercando di dirti è...." cominciò a farfugliare John.
"John fermati, ho capito cosa vuoi sapere: perché rischiare, giusto? Perché passare la vita a chiedersi perché? È questo ciò che intendi ?" intervenne lei per aiutarlo.
John annui senza fiatare.
"Beh non ho niente di meglio da fare!" rispose la ragazza ironizzano.
"Non mi dispiace alzarmi ogni mattina e pensare a ogni singola mossa di mio padre, oh certo è dai schizzati lo so perfettamente ma ormai ci sono abituata... E credo che la vostra collaborazione mi possa essere di grande aiuto" aggiunse infine.
Il dottore rimase alquanto spiazzato dalle parole di Jenna: praticamente gli aveva appena detto di essere un po' pazza e quindi lui si sarebbe trovato a condividere la casa con due coinquilini squilibrati senza un minimo di cognizione per le ore notturnee chissà cos'altro... Povero lui!
"Oh certo, capisco.... Si... Si ora mi è molto chiaro..." rispose il dottore.
"In realtà no, non è affatto chiaro!" ribatté la ragazza intuendo la menzogna dal suo sguardo.
"Va bene, va bene hai vinto tu... Non ho capito nulla di quello che volev dire.. Lo devo ammettere! Ah ah ha sei riuscita a scoprire che mentivo... Come l'hai capito ?"
"Ah ah ah ho un ottimo maestro se vogliamo proprio dirlo... " rispose Jenna ridacchiando.
"Quale maestro?!" intervenne Sherlock a pochissimi passi da loro.
"Oh nulla Sherlock, stavamo chiacchierando" replicò John.
Il giovane ragazzo moro cortesemente diede la borsa alla sua nuova amica mentre lei gli chiedeva preoccupata: "Sei riuscito a trovare la scatola arancione?"
"E' all'interno della borsa, c'è tutto." rispose lui tranquillizzandola.
"Bene ora che abbiamo tutto torniamo a Baker Street... Il gioco è iniziato!"
Il 221b di Baker Street diventò subito la nuova casa di Jenna; le pareti decorate da vecchie carte da parati e gli oggetti strani che la circondavano rendevano l'appartamento strambo ma accogliente.
Tutto ciò che alla ragazza mancava era la vera amicizia, aveva più che altro qualche conoscente in realtà e detestava essere presa in giro per il suo modo di fareconsiderato nevrotico. La compagnia di John Watson e Sherlock Holmes per quanto potesse sembrare tutt'altro che normale, faceva invece sentire la ragazza a proprioagio.
Passarono due giorni e dell'assassino non ve ne fu traccia. I tre investigatori si rinchiusero in casa cercando di assemblare i pezzi del puzzle. Alla fine fu il dottor Watson il primo a cedere, stremato dalla pressione delle indagini e così decise diprendere una strada diversa, un nuovo lavoro:
"Sono spiacente ma non posso andare avanti in questo modo... Voi vi divertite a cercare assassini, risolvere omicidi... Ma io non sono portato, ne ho viste troppe e dato che le teorie non pagano le bollette andrò a cercarmi un lavoro, devo uscire, deve esserci qualcosa di normale nella mia vita. Dopo tutto sono un dottore militare, ci sarà pure un posto all'ospedale o in qualche clinica..."disse un po' parlando con gli altri due e un po' cercando di convincere sé stesso ad indossare la giacca e ad uscire di casa.
Sherlock e Jenna annuirono e diedero ragione al dottor Watson ma non appena udirono la porta chiudersi entrambi scoppiarono a ridere!
"Credi che lo abbiamo stressato?" domandò Jenna ridendo.
"Tornerà indietro. Gli concedo una settimana... Non è proprio nelle sue corde essere un dottore!" rispose Sherlock incamminandosi verso il caminetto per dare nuovamente un'occhiata generale a tutti gli indizi che aveva appiccicato sullo specchio. Jenna, cercando di aiutare il suo amico Sherlock afferrò il portatile di John, si sedette sul divano marrone e si mise all'opera cercando informazioni sui segni che vi erano nell'appartamento a Wyndham Street.
In quei dieci minuti il silenzio dominava in salotto: non un sospiro, non un bisbiglio, non un rumore se non quello dei taxi che passavano di continuo sotto casa e della gente. La dolce ragazza rimase anche lei in silenzio fissando la luce del mattino cheormai filtrava dalle finestre. Sherlock si era seduto stranamente sul tavolo appoggiando le gambe sulle sua sedia restando a fissare gli indizi, quando improvvisamente Jenna trovò tra le ultime notizie un grande indizio.
"Sherlock..." lo chiamò.
"Fa silenzio! Sto pensando." Rispose aggressivamente il ragazzo.
Jenna si alzò dal divano, si avvicinò a lui e gli porse il portatile: "Avanti, non dubitare mai di me" disse lei guardandolo negli occhi. La ragazza sapeva di non potercerto competere con il grande Sherlock Holmes, specie, nella sua materia preferita, era semplicemente normale ai suoi occhi, anche se sotto certi aspetti riusciva a percepire molto velocemente le varie situazioni e alcuni indizi rispetto al detective.
Sherlock innervosito non rispose e il suo sguardo si abbassò verso il computersull'articolo di un giornalista ucciso la scorsa notte:
"Porte e finestre chiuse dall'interno... Proprio come Van Coon! Ottimo!" disse entusiasta il ragazzo.
Jenna un po' sbalordita dalla gioia di Sherlock per un nuovo cadavere, lo lasciò gioire da solo: "Vaaa bene... Sarà meglio che ti prepari un te" disse avviandosi verso la cucina.
Non fece in tempo a riempire il bollitore che udì dei passi salire le scale:
"Cucù "
"Buongiorno signora Hudson... Ha portato il te a Sherlock vero? Questa mattina non sono proprio in vena di prepararglielo..." disse Jenna sorridendo alla dolce signora che abitava di sotto.
"Io proprio voi due non vi capisco, d'accordo che ho idee molto diverse da voi, più vecchie ma..." disse la signora appoggiando il servizio da te sul tavolo accanto alla poltrona rossa del dottor Watson.
"Cosa non capisce signora Hudson?" chiese la ragazza guardando con la coda dell'occhio Sherlock che sembrava ignorarle mentre era ancora chino sul computer.
"Con questo non voglio dire che non ti voglio qui Jenna cara, ma avere come due coinquilini due uomini...Non è un po' troppo eccessivo?” disse la signora servendo il te a Sherlock.
Jenna cominciò a ridere.
"Signora Hudson mi hanno appena sequestrato la casa e sono una sospettata e poi..." ma fu interrotta dalla Hudson: "Oh no, no io intendevo dire altro!" rispose ridendo.
"Signora Hudson dove sono i biscotti?" domandò Sherlock.
"Li ho finiti caro."
"Beh cosa aspetta ad andarli a comprare? In fondo alla via c'è un negozio già aperto!" disse il ragazzo cercando di mandar via la signora.
"Oooooh eh va bene! Me ne vado, ma dopo voglio parlare un po' con te Jenna..."
"Certo, solo che Jenna temo non se ne intenda ancora di menopausa!" rispose Sherlock buttandola fuori dall'appartamento e sbattendo la porta.
"Finalmente!"
Jenna rimase a guardare il ragazzo ridendo sotto i baffi.
"Adesso cos'hai da ridere?!"
"Niente! Ah ah ha povera signora Hudson... Avanti, mettiamoci al lavoro intanto che aspettiamo John."
Passarono altre quattro ore prima che John Watson tornasse a Baker Street giusto in tempo per il pranzo.
Il salotto era scuro, le tende tirate, ed era illuminato da delle candele mentre per terra era pieno di fogli carta scarabocchiati e appallottolati. Era proprio il suo appartamento?
"Che state facendo?!" disse spaventato guardando i due in piedi in mezzo alla sala.
"Stiamo risolvendo il caso, che altro?" rispose Jenna.
"Solo che Sherlock va troppo in fretta e non lascia il tempo di pensare, quindi scrivo idee, deduzioni o pensieri che mi indica e poi il scarto buttandoli a terra..."
"Cosa?!" Esclamò John,
"Ehm si certo, mi spiego... Buttando i fogli mi é più semplice creare una pista." spiegò la ragazza.
John rimase fermo e immobile davanti all'ingresso, tirò un grande respiro e guardò Jenna dicendole: "Da quando sei entrata in questa casa non sei più la stessa. Ora,posso capire il caso di tuo padre, ma non questo... Stai... Stai diventando come Sherlock, se non peggio.. Tu hai bisogno di aria! Come tuo medico ti obbligo ad uscire di qua per almeno un paio d'ore e respirare aria pulita!"
“Oggi dovremmo andare dalla polizia, un altro uomo è stato ucciso proprio comeVancoon... Oh com'è andato il lavoro?" chiese il giovane consulente.
John finse di non aver capito la parola <polizia> e rispose immediatamente:
"Bene, lei è fantastica"
"Lei?"
domando Sherlock
"Si, è fantastico il posto, insomma... Lo studio, la stanza! Comincio domani mattina" rispose John avviandosiverso la cucina.
" Jenna non hai neanche preparato il pranzo?!"
"Sono stata occupata John...Guarda in frigo, qualcosa ci sarà..." rispose Jenna mentre scriveva un messaggio sul foglio <Corriere ????>


 

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Capitolo 10
*** Hidden ***


 
Hidden 
 

Il giovane Sherlock Holmes camminava avanti e indietro per il salotto, intento a ragionare sui possibili collegamenti tra le due vittime e il significato di quei simboli gialli, insieme alla ragazza, la quale era seduta sul divano con la penna in mano pronta a scrivere un altro messaggio da gettare sul pavimento.
"Sherlock dovremmo andare in centrale, così siamo troppo lenti..." disse la giovane alzandosi dal divano e recuperando la sua giacca in pelle.
"Che idea brillante... Credi che non ci abbia pensato? Mi dai forse dello stupido?!" rispose nervosamente il detectivemoro voltandosi verso la ragazza con le braccia conserte.
"Beh visto che non fai altro che ciondolare per il salotto senza parlare allora si, penso che tu sia decisamente uno stupido!" gli rispose Jenna scocciata dal suo atteggiamento.
"Ragazzi calmatevi!" intervenne John dalla cucina mentre si serviva il pranzo.
Jenna arrabbiata ed amareggiata abbassò lo sguardo e silenziosamente si avviò verso la sua camera e vi si chiuse dentro.
Il dottor Watson seduto a tavola davanti a un bel piatto di insalata di riso, cucinato dalla signora Hudson
la sera prima, tirò un grande respiro e disse al suo collega:
"Sherlock che cosa ti prende? E' una ragazza, una persona, un essere umano non puoi trattarla così..."
"Oh scusa dottore se lei è così irritante... Non è solo una ragazzina viziata, ma anche incredibilmente fastidiosa!” disse Sherlock raggiungendolo in cucina.
"Cos... C... Vai subito da lei e chiedile scusa!" ordinò al ragazzo puntando l'indice destro nella direzione della camera della ragazza.
"Che cosa? Chiederle scusa? Io? Non ci penso nemmeno!" ribatté il moro infastidito.
"Bene, allora le parlerò io... Come al solito!" aggiunse John spazientito riprendendo a pranzare.
Il dottor John Watson poco dopo finito la sua abbondante porzione, salì le scale fino al secondo piano in cerca della piccola Jenna.
Bussò ma lei non rispose. Bussò di nuovo. Niente. Allora provò ad abbassare la maniglia della porta, sperando che non fosse chiusa a chiave. Lei era lì, davanti a lui, seduta sul bordo del letto che si stringeva le ginocchia al petto in lacrime.
"Ehi... Come stai?” chiese John ma la ragazza ancora una volta non gli rispose, si limitò a scuotere la testa.
“Jenna che ti succede?" domandò.
"Nulla John, nulla..." rispose lei voltandosi dall'altro lato e cercando di asciugarsi le lacrime sulla manica del maglione.
Watson fece qualche passo fino ad esserle di fronte, inclinò la testa verso la finestra osservandole il viso rigato dalle lacrime.
"Jenna stai piangendo, non puoi non avere nulla... È per Sherlock, vero?" chiese preoccupato.
"No...beh in parte si... E' tutta questa situazione... Prima mio padre che sembra avesse avuto problemi d'identità, poi quei segni in camera da letto, la polizia che mi sequestra la casa per le indagini... Credo di essere sul punto di scoppiare e poi lui è così esasperante..." rispose guardando il dottore con gli occhi lucidi.
John, studiò il volto della ragazza, tirò un grande respiro e si sedette sul letto accanto a lei.
"Sei solo un po' stressata, su coraggio... E poi Sherlock è quello che è, fa innervosire chiunque, anche me... Ma non ti reputa affatto una sciocca! Purtroppo è il suo modo di fare... Un po' troppo infantile lo ammetto." disse cercando diconsolarla.
"Sai cosa facciamo adesso? Usciamo e andiamo in centrale a vedere cos'ha scoperto la polizia ok? Solo perché Sherlock non lo fa non vuol dire che non sia una buona idea!” aggiunse il dottore sorridendo.
Jenna sorrise a sua volta e ad un tratto il suo viso non era più così triste.
"Basta piangere! Usciamo, prendiamo un po' d'aria e magari un caffè lungo la strada che ne dici?" disse infine John alzandosi da letto.
Jenna annui seguendo il dottore giù per le scale.
"Ah eccoti qui, hai già finito di piagnucolare?" domando il detective sarcastico.
La ragazza evitò di rispondere alla provocazione, indossò la sua giacca di pelle e imboccò nuovamente le scale dicendo: "Dobbiamo andare a Scotland Yard, vi aspetto di sotto."
"Vedo che ha già cambiato umore... Basta mi sono stancato di lei. Finiamo alla svelta questo caso! La sua presenza mi irrita.” disse Sherlock mentre indossava il suo cappotto.
I tre salirono su un taxi che li portò davanti alla sede di Scotland Yard.
Sherlock, nervoso e pieno di sé, evitò tutti gli agenti e piombando nello ufficio dell'ispettore Dimmock gli disse:"Ispettore c'è stato un incidente la scorsa notte, Brian Lukis, un giornalista assassinato a casa sua con porte e finestre chiuse dall'interno!"
"Devo ammetterlo...E' simile. I due uomini sono stati uccisi da qualcuno che sa attraversare i muri quindi?"
chiese l'ispettore.
"Crede sul serio che la morte di Eddy Vancoon sia uno dei tanti suicidi della città? Ha visto il rapporto della balistica suppongo, le indagini potrebbero andare più in fretta se lei facesse più attenzione alle mie indicazioni! Le ho procurato una indagine per omicidio... Mi sono guadagnato almeno cinque minuti a casa della vittima, no?Muoviamoci!" replicò Sherlock mettendolo alle strette.
Dimmock, innervosito dalla pressione del ragazzo che lo spingeva a velocizzare le ricerche, alla fine si convinse e portò Sherlock, John e Jenna all'appartamento di Lukis. I tre perlustrarono la casa del giornalista assassinato la notte precedente in cerca di nuovi indizi che la polizia si era lasciata sfuggire.
Il giovane ragazzo era sempre al centro dell'attenzione, come se John e Jenna non fossero lì insieme all'ispettore, i suoi occhi ballavano a destra e a sinistra esaminando accuratamente tutti gli oggetti che arredavano l'abitazione. Era la prima volta che Jenna restava a fissare Sherlock durante una scena del crimine, in quel preciso istante si fermò ad ammirarlo mentre camminava e bisbigliava, ragionando su ogni singola cosa.
"Ispettore, siamo al quarto piano, basta questo per essere al sicuro... E' decisamente un assassino che sa arrampicarsi sui muri! " disse sbalordito il consulente detective.
"Come prego? Intende dire che spider man esiste?" ironizzò Dimmock.
"Avanti non sia così stupido, persino la mia collega ha capito di che assassino stiamo parlando..." disse Sherlock guardando Jenna.
La ragazza ignorò i modi del giovane, prese l'iniziativa e spiegò la sua teoria all'ispettore: "Eddy Vancoon lavorava in banca, quei segni gialli sulle pareti sono dei codici molto probabilmente... Una specie di avvertimento credo in realtà... E il giorno dopo è morto, ucciso da un colpo di pistola alla tempia , sia le porte che le finestre erano chiuse dall'interno. Per quanto riguarda il giornalista morto, non sappiamo dove abbia visto il codice ma anche lui si è barricato in casa e l'assassino è..."
"Si è arrampicato ed è entrato dal lucernario." concluse Sherlock sorridendo alla ragazza.
"Esatto.." rispose Jenna voltandosi verso di lui.
Il giovane salì le scale, recuperando sugli ultimi scalini un libro preso in prestito dalla biblioteca.
"Cosa avevano in comune questi due uomini?" sussurrò Sherlock mentre controllava il timbro della biblioteca stampato all'interno del libro.
"Credo che dovremmo cominciare da qui! " aggiunse correndo fuori dall'abitazione seguito dai suoi due coinquilini.
Presero un taxi e andarono alla biblioteca di West Kensington Library obbligando il taxista ad infrangere qualche limite di velocità.
Nella biblioteca il giovane detective aprì il libro dell'ex - giornalista che aveva portato con sè: Dunque sezione narrativa che è ... Da quella parte!" disse dirigendosi verso le scale dell'ala sinistra che portavano al primo piano. Arrivati diede subito ordini ai coi compagni: "la data del timbro è la stessa della morte di Lukis, cercate tra gli scaffali...deve esserci qualcosa qui!"
Il dottor Watson e Jenna cominciarono a controllare tutti i libri dello scaffale dove ci sarebbe dovuto essere il libro di Lukis.
Ancora arrabbiata per l'atteggiamento del detective, Jenna decise di concentrarsi sul caso e chiese a Sherlock: "Credi che i segni siano dentro a qualcuno di questi libri? Sarebbe impossibile da trovare se non si conoscesse alla perfezione la vittima"
"Helena fai silenzio, non è il tuo forte pensare..."
rispose distratto dalle ricerche, "Sherlock!" urlò il dottore.
"Che cosa ho detto questa volta?!" chiese il ragazzo.
"Sherlock guarda qui!" risposte il dottorWatson facendo segno ad entrambi di raggiungerlo.
I tre investigatori trovarono davanti ai lori occhi i soliti simboli fatti con una bomboletta spray gialla tracciati sotto un ripiano dello scaffale. Sherlock rimase immobile a fissare quei segni, i suoi occhi azzurri increduli non si capacitavano di aver sbagliato pista.
La giovane ragazza si voltò verso Sherlock toccandogli il braccio sinistro.
"Cosa ti dicevo prima?"disse ironizzando.
"Torniamo a Baker Street!" rispose lui senza degnarla di uno sguardo.

 

 

 

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Capitolo 11
*** Diario ***


L'assassino è ancora in circolazione, da un momento all'altro la prossima vittima non avrà più scampo.
Un vento freddo come il ghiaccio soffiava quel 21 ottobre a Baker Street e il caso degli omicidi non era ancora concluso.
Cosa avevano in comune quei due uomini? Perché ucciderli a sangue freddo?
E perché casa mia? Perchè io? Cosa si cela dietro a tutti questi simboli?
Non intendo morire proprio in questi giorni, anzi non intendo affatto morire così giovane, ma credo di non averenessuna via d'uscita...
John e Sherlock a volte, e a loro modo, sono molto protettevi nei miei confronti ma suppongo che non vedano ciò che mi spaventa.
Ho paura.
Non credevo che questa avventura si trasformasse in un dramma così pericoloso...
Volevo solo scoprire chi fosse mio padre e perché avesse organizzato tutta questa farsa!
I simboli lasciati sulle pareti del mio appartamento erano un messaggio, lo stesso che avevano visto Vancoon e Lukis
poco prima di ricevere una pallottola in testa:"uomo morto".
Tutto questo non mi è affatto chiaro, per quale motivo?
Eddy Vancoon lavorava in banca e viaggiava molto spesso in Cina, stessa identica cosa faceva il giornalista... Le due vittime, a parer mio, lavoravano per la stessa persona e probabilmente trasportavano non si sa bene cosa dalla Cina a Londra, vista la lingua dei segni: erano dei corrieri, dei fattorini in pratica, che portavano qualcosa di non molto legale credo.
Sono confusa e stanca, non credo di poter reggere ancora per molto... La scorsa notte ho dormito poco e male e ho fatto più volte uno strano sogno. Incontravo sempre una persona, non aveva un volto preciso, era un estraneo... La sua voce maschile mi accompagnava in una stanza spoglia e bianca dove una forte luce sembrava accecarmi.
Ogni volta che cercavo di uscire di lì, sbagliavo qualcosa, commettevo un errore e lui mi raggiungeva sempre per uccidermi nei modi più orribili possibili.
Non mi restano molte ore penso... Ma non voglio perdere anche loro!
John e Sherlock sono diventati come una famiglia per me. Non li sopporto quando mi stanno intorno e cercano di terminare il caso, ma alla fine sono sempre io a cercarli e a trascorrere momenti con loro, alti o bassi che siano, come se fossero gli ultimi istanti della mia vita.
Ora sono proprio qui, in salotto, davanti al caminetto ad assemblare i pezzi di questo puzzle, la loro presenza mi rallegra, mi fa sentire al sicuro ma allo stesso momento non si sono mai voltati per capire ciò che vedo, penso e sento nella mia testa.
Caro diario... Se dovesse andare come credo e questa sarà la mia ultima pagina in cui scrivo della mia vita, vorrei ringraziarti per tutto: per avermi aiutato a riflettere, a collegare ogni indizio, ogni speranza e a tutto ciò che potesse servire per portami qui a Londra.
Grazie per tutto e per avermi dato la possibilità di conoscere, come il destino ha voluto, le persone più forti e in gamba che potessero farmi cambiare opinione riguardo alla vera amicizia.


Jenna.


 

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Capitolo 12
*** Mystery ***


Mystery


I due si erano posizionati davanti al caminetto a fissare quel muro pieno di schizzi, foto e simboli di ogni genere alla disperata ricerca di un collegamento.
I simboli potevano significare qualunque cosa: potevano essere contemplati dai linguaggi più disparati come quello dei tatuaggi o dei geroglifici oppure anche quello dei cartelli stradali, ma tutto ciò non riguardava il semplice segno bensì ciò da cui proveniva, un codice.
Il dottor Watson certo non poteva immaginare che sarebbe morta un'altra persona, lui era abituato ad affrontare la vita come un normale cittadino londinese soprattutto dopo i numerosi anni di guerra in Afghanistan. Quei segni gialli non volevano indicare solo la morte di due persone, ma la fine di una terza vita, quella di Jenna. Qualcuno sapeva della sua esistenza e delle sue intenzioni e per qualche ragione non la voleva nel gioco. Sherlock non sopportava quella ragazza dal carattere irritante e fastidioso, le litigate a Baker Street diventavano sempre più frequenti e il rumore delle loro discussioni erano ormai il dolce suono del risveglio per John.
Jenna Rice era molto simile a Sherlock Holmes: i suoi pensieri, la sua intelligenza e le sue doti di deduzione facevano sentire il giovane ragazzo in competizione e questo lo innervosiva parecchio. Il detective era al corrente dei fatti e aveva subito intuito cosa sarebbe successo di lì a poco alla giovane ragazza ed era deciso ad impedire che qualcuno potesse farle del male. Lentamente si voltò per guardarla con occhi preoccupati tirando un grande respiro, il viso di lei era nascosto dalla chioma dei suoi capelli castani e ricci, seduta sul divano mentre scriveva sul suo diario.
Tornò a concentrarsi sui simboli, il silenzio dominava il salotto, strinse gli occhi cercando di trovare la soluzione nel suo palazzo mentale, ma i suoi pensieri erano rivolti a Jenna.


Un'enorme stanza bianca lo circondava e davanti a sé si trovava un immenso corridoio con centinaia e centinaia di porte. Ogni porta conduceva a un ricordo preciso o ad un'informazione acquisita anche di sfuggita del giovane investigatore, ma la confusione lo condusse da una sola parte.
Si voltò indietro e vide Jenna al centro di una stanza in piedi immobile, i suoi capelli castani, lunghi e ricci le facevano risaltare ancora di più il suo bellissimo viso che era impallidito e i suoi occhi fissavano il vuoto.

Il giovane Sherlock si mise di fronte a lei, accarezzandole il viso con due dita ma il suo tocco leggero e delicato
fece cadere a terra la ragazza accompagnata dal rumore di uno sparo.
Holmes indietreggiò scappando dal quell'orribile pensiero, lasciando il freddo cadavere di lei a terra.

Corse indietro, sbucando nuovamente nel lungo e infinito corridoio.
La sua stessa voce rimbombava nella sua mente e il suono di ogni singola parola faceva tremare il corridoio 

Potrebbe morire in qualsiasi momento se la lasciassi uscire da qui...
Quei simboli portano a lei, ma per cosa?!
Un bancario, un giornalista e una ragazza da poco
arrivata a Londra...

Ad un tratto spalancò gli occhi e disse: “Ma certo... suo padre!” indossando il suo cappotto.
"Come dici?" domandò John voltandosi verso Sherlock sbalordito.
"Suo padre era un soldato proprio come me, cosa può accomunarli scusa?" aggiunse poco dopo.
"John tu senti ma non ascolti! Suo padre non era un semplice soldato e probabilmente lavorava per dei superiori i quali ora sono alla ricerca della figlia!"
La ragazza alzò il capo, colta improvvisamente da un mare di domande e preoccupazioni.
"Cosa? Si può sapere chi diavolo era mio padre?!" disse guardando Sherlock mentre indossava i suoi guanti in pelle nera e il suo viso piano piano diventava sempre più chiaro e pallido come quello di un fantasma.
"Sherlock così la spaventi, non potresti usare un po' più di tatto?” lo rimproverò il dottore.
"Si dovrà abituare a questo. Ora muoviamoci: mi serve un consiglio sulla vernice, andiamo!" replicò il consulente nascondendo le preoccupazioni per lei.
La giovane non esitò a recuperare la borsa e la sua inseparabile giacca di pelle nera per seguire il ragazzo.
"Sherlock!" lo chiamò percorrendo le scale in legno
"Tu sai cosa c'è dietro a tutto questo..." gli chiese con un filo di voce davanti alla porta principale.
"Non ne sono sicuro.." rispose lui staccandole gli occhi di dosso e uscendo dal 221b.
"Scusate ma se uscite potreste almeno prendere le chiavi! " urlò John ancora dentro cercando le chiavi di casa.
"Voi due siete incontrollabili, lasciate le cose fuori posto o ve le dimenticate!" esclamò il dottore chiudendo la porta.
“Non esagerare..." gli disse Sherlock sottovoce alzando la mano destra per chiamare un taxi.
Il taxi li portò fino al quartiere di Westminster, a Trafalgar Square, nel cuore della città londinese.
Il cielo era coperto da nuvole e un leggero vento ghiacciato soffiava verso nord tra le scalinate del National Gallery.
La giovane ragazza camminava di fianco a Sherlock Holmes a passo spedito, ma il suo corpo sembrava non reggere allo spavento. Entrambi gli investigatori notarono il suo atteggiamento e il suo sguardo pieno di paure.
John Watson colse l'attimo per cercare di calmarla, la prese sotto braccio raccontandole qualche spiritoso episodio avvenutodurante i suoi anni di studio alla Bart's.
"Sherlock dove ci stai portando?" domandò il dottore.
"Ho bisogno un consiglio sulla vernice, non ci metteremo molto." rispose il moro avviandosi verso il retro della galleria.
Sherlock Holmes si avvicinò a un ragazzo che a giudicare dall'aspetto e dal suo borsone pieno di bombolette spray era sicuramente un appassionato di murales.
"Non è un capolavoro? L'ho chiamato “delirio urbano di sangue” disse l'artista concentrato a ultimare il suo lavoro.
"Uhm... Interessante" rispose il ragazzo moro ignorando il suo entusiasmo.
"Ho due minuti prima che un agente sbuchi da quell'angolo, possiamo parlare mentre lavoro?"
"Conosci l'autore di questi segni?" gli chiese Sherlock mostrandogli le foto dell'appartamento di Jenna.
"Riconosco la vernice... Direi che è allo zinco."
“E i simboli li riconosci?” chiese impaziente il dottor Watson.
"Non mi sembra una lingua vera e propria..." replicò l'artista non convinto
"Due uomini sono morti! Decodificare questo codice ci aiuterà a scovare l'assassino prima che un altra persona venga uccisa" lo interruppe Sherlock.
"Beh è tutto qui quello che hai?"chiese il giovane.
"Vuoi aiutarci o no?"
"Chiederò in giro..."

Improvvisamente due agenti svoltarono nella via e senza indugio Sherlock e Jenna recuperano il cellulare dalle mani dell'artista e scapparono percorrendo un'infinità di strettoie per tornare a Baker Street, lasciando il povero John Watson impalato davanti ai due addetti.
I due, dopo una lunga corsa tra i quartieri e i viali di Londra, rallentarono svoltando per Crawford Street, a pochi passi dal 221b. Quando riprese fiato, Jenna sorrise davanti agli occhi marroni di Sherlock non molto distante da lei. La rabbia che provavano entrambi per l'altro a poco a poco si stava trasformando in un amicizia e il giovane ragazzo sorrise lasciandosi scappare una risata.
"Ahah abbiamo lasciato John da solo" disse ridendo sotto i baffi.
"Beh John non andrà molto lontano da Scotland Yard ahah".
In quel preciso istante Sherlock dimenticò di avere sotto la sua responsabilità la vita di Jenna, quella ragazza gli aveva portato un vortice di allegria, ma ad un tratto il suo viso tornò ad essere serio e preoccupato tanto da non rivolgerle una parola. Sherlock fece cenno di entrare in casa velocemente e la seguì subito dopo.
"Sherlock... ma John ha le chiavi" disse la giovane Jenna con tono molto cauto.
"Le ho anch'io le chiavi..." rispose scassinando la porta del 221b accennando un piccolo sorriso.
Attesero quasi due ore prima dell'arrivo di John Watson, stanco e stressato.
"Ooh ce ne hai messo di tempo!" disse Sherlock ancora distratto dai suoi simboli appesi al muro.
"Beh sai Sherlock in centrale bisogna fare tutto con ordine, formalità, impronte digitali e dovrò essere in tribunale martedì!”

"cosa?" domandò l'investigatore distratto dai simboli

"io Sherlock! In tribunale! Martedì! Mi daranno un ordine di restrizione per comportamenti antisociali!" replico arrabbiato il dottor watson.
" Ah ah..." rispose il ragazzo guardando i fogli che aveva tra le mani.
"Sherlock mi stai ascoltando?! Devo essere in tribunale martedì e il tuo amico farà meglio a costituirsi!" esclamò il dottor Watson.
In quell'istante Jenna scoppiò a ridere: "Ah ah John, se devo proprio dirlo ti è andata di lusso...avrebbero potuto sbatterti in cella e buttare via la chiave solo per aver decorato il retro della galleria”
“Cosa?! Ma avete capito quel che ho detto prima?!" disse il dottore.
"Ma certo! Devo capire di più su questi segni, forza John dobbiamo recuperare l'agenda del giornalista... La polizia avrà sequestrato ogni cosa!" disse il giovane Sherlock spingendo il dottore verso l'uscita.
"Tu ed Helena andate in centrale e recuperate la sua agenda, io vado dalla segretaria di Vancoon... Se ripercorriamo i loro passi probabilmente troveremo un punto d'incontro!" aggiunse il ragazzo prima di alzarsi il bavero del cappotto e uscire.
John Watson tirò un grande respiro, stanco ed esausto non alzò nemmeno il braccio, un taxi fermò direttamente davanti alla porta del 221b ed i neo investigatori vi salirono indicando al tassista la loro destinazione, Scoltand Yard.

 

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