The Girl On Fire - Il Morbo di Atlantide

di ValeryJackson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Skyler ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 36: *** Epilogo ***
Capitolo 37: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** Prologo: Skyler ***


Il legno sembra fermo, ma è sottoposto a pressioni interne che, lentamente, lo spaccano. La ceramica si rompe, facendo subito mostra dei suoi cocci rotti. Il legno no. Finché può, rimane intatto, nasconde. Si lascia torturare ma non confessa.
Ecco, Skyler Garcia era di legno.
Skyler aveva solo quindici anni, eppure in quel brevissimo lasso di tempo, ne aveva passate tante. La vita, infatti, aveva scelto una via più complicata per lei, rendendole tutto più difficile.
Skyler, appunto, aveva solo quindici anni. Bella, di media statura, magra ma con delle curve formose, aveva la pelle color caramello, qualità ereditata dalla madre. Anche i capelli li aveva ereditati dalla madre. Lunghi, scuri, non erano né ricci né lisci, ma erano leggermente mossi da delle piccole onde che le incorniciavano il volto. Ma la cosa di cui andava più fiera erano gli occhi. Marroni, di quel marrone intenso, penetrante, erano attraversati da delle striature dorate, che li rendevano lucidi e quasi di vetro.
Skyler, in fondo, era una bella ragazza, se non fosse stato per il fatto che era un maschiaccio. Più che un maschiaccio, era una ribelle. Ma era stata abituata così.
La sua famiglia era un po’ strana. Sua madre, ad esempio, era per metà messicana. Sua nonna, però, era per metà messicana e per metà Canadese, mentre suo nonno era per metà messicano e per metà italiano. Quindi lei, in fondo, era una sorta di americana/messicana/italiana/canadese. Di suo padre, invece, non sapeva niente. Non l’aveva mai conosciuto, e non aveva idea se fosse vivo o morto. Sapeva solo che le aveva abbandonate quado lei era ancora piccola, e, sebbene la madre non ne avesse mai parlato male, lei lo odiava. O meglio, lo ignorava.
Ma non è questo l’importante.
Sua madre era una gran lavoratrice. Faticava molto, e faceva di tutto pur di non far mancare niente alla figlia. Era dolce, buona e gentile. E amava Skyler con tutto il suo cuore. Aveva solo sette anni quando se ne andò.
La madre lavorava in un’officina di un paesino nei pressi di Los Angeles. Era l’unica donna lì, ma era amata ed apprezzata, essendo una delle più brave meccaniche in zona. Una sera, Skyler se lo ricorda, si trovava all’officina.
Era tardi, e lei ed altri tre ragazzi erano rimasti lì per qualche ora extra. Skyler era con lei, seduta in un angolo a giocare con la sua bambola di pezza, o per lo meno quello che di più vicino aveva ad una bambola di pezza, e cioè un piccolo straccio legato con un fiocco rosa e con una pallina da tennis al posto della testa. La chiamava Miss Pezzetta.
Dopo una certa ora, la madre aveva deciso di andarsene. Aveva raccolto le sue cose, aveva preso per mano la figlia e si era avviata verso l’uscita. Non appena furono arrivate al loro pick-up, Skyler aveva iniziato a gridare qualcosa.
«Mamma! Mamma! Miss Pezzetta! Miss pezzetta è rimasta dentro!»
La mamma l’aveva guardata, con un misto di sconforto e stanchezza. «Tesoro, non puoi farne a meno per stasera?»
«No, mamma! Io non riesco a dormire senza! E tu lo sai. Lei è la mia bambola preferita.»
La mamma aveva sbuffato, rassegnata. «E va bene. Sali in macchina, vado a riprenderla. Ma solo perché sei tu, micha
E così, mentre Skyler saliva in macchina, la madre era tornata indietro, correndo verso l’officina e sparendo dietro la sua enorme porta rossa. È in quel momento che è successo.
Si trattò di un attimo. Un solo e semplice secondo, e si era scatenato l’inferno.
Qualcosa era esploso. Skyler non sapeva di per certo cosa, non l’aveva mai capito. Ma sapeva con certezza che era accaduto. Perché lei c’era. L’aveva visto.
L’officina era andata in fiamme, e con lei tutto ciò che c’era dentro. In poco tempo erano arrivati i pompieri, che avevano tentato di spegnere il fuoco.
Skyler non ricordava esattamente cosa aveva fatto. Molto probabilmente era scesa dalla macchina, e si era precipitata di corsa verso l’officina. Voleva entrare. Qualcuno deve averla bloccata. Sicuramente avrà urlato il nome della mamma.
Ecco, quella era stata l’ultima volta che l’aveva vista. Era stato otto anni prima.
Ora Skyler viveva con lo zio. Zio Ben, il fratello della madre. Dopo la sua morte era stata affidata a lui la custodia della bambina. I nonni erano contrari, ma, a quanto pareva, la donna aveva lasciato un testamento, o per lo meno una testimonianza scritta in cui chiedeva apertamente l’affidamento della figlia al fratello. Inutile descrivere il malcontento dei nonni. Come biasimarli, d’altronde. Lui era arruolato nei Marines, e loro non erano gli unici a ritenerlo incapace di occuparsi di una bambina di soli sette anni. Molti sostenevano che fosse per via del suo lavoro, ma Skyler sapeva che non era così. Per quanto rispettato, lo zio Ben non era mai piaciuto a nessuno. Era un tipo abbastanza riservato.
Comunque, dopo un acceso dibattito, l’affidamento fu assegnato, e Skyler andò a vivere con lo zio in una piccola casa sul lago nei pressi di Baltimora. O meglio, della parte brutta di Baltimora.
La loro casa era piccola, ma accogliente, e lo zio faceva di tutto per farla sentire a proprio agio. Avevano anche instaurato un bellissimo rapporto, e, dopo aver perso ogni contatto con i nonni, lui era diventato l’unica famiglia che lei avesse mai avuto, e lei la sua. Erano un tutt’uno. Skyler e zio contro tutti. E ad entrambi andava bene così.
Il luogo dove vivevano non era dei migliori. Era un quartiere di delinquenti e di criminali, e il bullismo, lì, era all’ordine del giorno. Molti lo definivano “il nuovo Bronx”. Skyler lo definiva semplicemente il Porcile. Ma in fondo non potevano andarsene. Per questo suo zio, fin dai sette anni, aveva pensato bene di allenarla come un vero soldato. Skyler era ancora piccola, ma aveva ricevuto lo stesso addestramento di un componente dei Marines, con tanto di flessioni e tecniche di autodifesa. Aveva irrigidito i muscoli e sviluppato un forte senso di concentrazione e degli ottimi riflessi. Skyler, poi, era iperattiva, e questo, anche se può sembrare strano, l’aveva aiutata molto per le tecniche di combattimento. Ora, a quindici anni, sarebbe capace di stendere un giocatore della squadra di football senza problemi. Anche se non l’ha mai fatto. Quando vivi in un quartiere come quello impari a farti i fatti tuoi. Skyler aveva capito molto presto che se non dai fastidio a nessuno, loro non danno fastidio a te, e che l’unico modo per non avere problemi è quello di passare inosservati.
Non che Skyler ci riuscisse, ovvio. Era davvero difficile non notarla. Nessuno la salutava, e lei non aveva amici, ma tutti nutrivano una sorta di rispetto nei suoi confronti, e nessuno l’aveva mai attaccata. Conoscevano la sua storia, e la lasciavano in pace. L’unica volta in cui qualcuno l’aveva infastidita è stato in prima media, quando un ragazzo di seconda l’ha presa in giro offendendo sua madre. Skyler semplicemente gli ha rotto il naso. È stata punita, e quel ragazzo ha perso molto sangue, ma ne è valsa la pena. Nessuno ha mai più osato parlarne.
Ma i problemi di Skyler erano altri. Suo zio era spesso via per qualche missione, e lei rimaneva più di una volta a casa da sola, costretta a vedersela con il mondo. A nove anni ha imparato a cucinare. A dieci a farsi il bucato. Si sentiva sola e triste. Non dava colpe allo zio per questo. In fondo era il suo lavoro, e lui lo faceva soprattutto per lei. Ma era frustrante. A scuola era anche peggio. Non sapeva cosa rispondere a domande del tipo “Dove sono i tuoi genitori?” oppure “Chi si occupa di te?” senza rendere pubblica la stranezza della sua situazione. Era sempre quella diversa. La meticcia. L’americana che non era americana. Quella con la madre morta e il padre assente. Quella che combinava guai in classe e che non riusciva a concentrarsi sulla lezione. Quella che è stata espulsa da una miriade di scuole. La dislessica e l’iperattiva. Dopo un po’ impari che confonderti con gli altri semplicemente non funziona, soprattutto nel suo caso. Se la gente continua ad additarti, allora tanto vale dargli qualcosa da guardare. Strisce rosse fra i capelli? Perché no! Gli anfibi con l’uniforme della scuola? Ma certo. Il preside diceva: “Dovrò chiamare i tuoi genitori, signorinella”. E Skyler rispondeva: “Buona fortuna”.
Era così, la sua vita, e Skyler ormai ci aveva fatto l’abitudine.
Scese dall’autobus, che la lasciava a pochi isolati da casa. Era stata tutto il tempo con la fronte appoggiata al finestrino, seduta da sola con le cuffiette nelle orecchie, ed aveva fatto appena in tempo ad accorgersi che doveva scendere.
Prese il suo zaino e se lo coricò in spalla, incamminandosi verso casa. Dall’aspetto che aveva, molti avrebbero pensato che fosse una ragazza rock. Ciocche rosse, giacca di pelle e anfibi, camminava a testa bassa sperando di non incrociare lo sguardo di nessuno, ma comunque con passo fiero. In realtà, invece, in quel momento stava ascoltando Wherever you will go dei The Calling, ed era solo una delle tante canzoni romantiche che la facevano sognare. Amava rilassarsi così. Con la musica e basta. In molti l’avevano capito, per questo ogni volta che la vedevano con le cuffiette nelle orecchie la lasciavano stare.
Non ci mise molto per arrivare a casa, come al solito. Giusto il tempo di tre canzoni.
La sua casetta era piccola, ma confortevole. Posta proprio sulle sponde del lago, era una piccola struttura di legno su due piani, tutta bianca. Dentro, la casa era arredata con dei semplicissimi mobili in mogano, che davano un che di rustico all’abitazione. Le uniche cose che davano un po’ di colore al tutto, se così lo si può definire, erano le statuette indiane che lo zio aveva sul comò e sugli scaffali della libreria, fra tutti i libri. Ben aveva una specie di fissa per queste cose. Diceva che ogni figura, ogni ciondolo, aveva un significato, uno scopo. Il Bisonte rappresentava l’abbondanza. L’Orso era il simbolo dell’introspezione. La Tartaruga della saggezza. Con il tempo, seguendo i suoi insegnamenti, anche Skyler aveva imparato ad associare ogni animale ad una di queste cose. Non perché ci credesse davvero, diciamo che era solo un modo per sentirsi più vicina a lui, al suo modo di pensare.
Lui, infatti, portava sempre una collanina con il ciondolo di un’aquila in volo in un cerchio. Diceva che serviva per raggiungere la perfezione. Lo aveva sempre lì, appeso al collo, insieme alla catenina con la piastrina di metallo con su scritti tutti i suoi dati che portavano tutti i militari. La sua, però, era speciale. Ben, infatti, vi aveva appeso il ciondolo di una palma. «Per ricordarmi che dopo ogni guerra c’è sempre il paradiso» aveva detto. Non se ne separava mai, da nessuna delle due.
Anche Skyler aveva una collana. Un piccolo ciondolo, appeso ad un cinturino di cuoio. Rappresentava un cavallo alato che attraversava un anello. Lo zio le aveva spiegato che quello serviva per stare bene con se stessi. Skyler non sapeva se era vero, ma le piaceva pensare che lo fosse.
Entrò in casa, lasciando automaticamente l’IPod sul comò e buttando lo zaino a terra, come faceva ogni volta.
Si tolse la giacca di pelle. «Zio! Sono a casa!» urlò, mentre la appendeva all’attaccapanni.
Dovette aspettare alcuni secondi per ottenere una risposta. «Cucina!» fu tutto ciò che lo zio le disse.
Skyler sospirò e si diresse in cucina. Quando entrò dentro, però, non vide nessuno. «Ma dove sei?»
«Sotto il lavandino.»
Skyler non disse niente. Si limitò ad aggrottare le sopracciglia e a sbirciare sotto il lavello. Lì, lo zio era sdraiato a pancia in su, maglietta e pantaloni sporchi di grasso, che armeggiava con alcuni tubi.
Nel tentativo di girarne uno, però, gli scivolò di mano, producendo un rumore sordo. Ben imprecò in spagnolo, al ché Skyler si lasciò scappare un risolino.
«Che stai facendo?»
Lo zio sospirò e si tirò su a vedere. Anche il viso era sporco di grasso. «Ricordi che ti dicevo che il tubo perdeva?»
Skyler annuì.
«Beh, ho provato a ripararlo. Ma a quanto pare non lo sto facendo nel modo giusto» disse, indicando il tubo a terra, che ora giaceva in una piccola pozza d’acqua.
Skyler rise. «Dà qua, faccio io!» esclamò. Aiutò lo zio ad alzarsi e prese il suo posto. Era sempre stata lei il meccanico bravo, in famiglia. Suo zio si limitava solo a cucinare.
Chiuse gli occhi in due fessure ed esaminò bene la situazione. Prima di iniziare, però, si legò i capelli in una coda. Lo faceva sempre quando doveva sperimentare, aggiustare, creare. Avere i capelli legati la aiutava a pensare. Molti potrebbero giudicarla una cosa strana. Per lei era semplicemente l’unico modo per concentrarsi.
Armeggiò per qualche minuto con la chiave inglese e in men che non si dica il tubo fu riparato.
«Ecco fatto!» esclamò, soddisfatta, tirandosi in piedi e aprendo il lavandino, per vedere se funzionasse. «Come nuovo» disse, con un sorriso.
Lo zio le si avvicinò scettico e fece la stessa prova. Lo rifece un’altra volta, tanto per esserne sicuro. Sospirò. «L’ho detto io, che non ero bravo» ammise, sconsolato.
Skyler sorrise. «I lavori di manutenzione non hanno mai fatto per te.»
Lo zio si finse offeso. «Oh, beh, scusami se non so riparare uno stupido lavandino. È sempre stata tua madre quella brava in queste cose. Io mi limitavo ad osservare.»
Skyler lo guadò. Un grosso groppo le era appena salito in gola, ma non voleva darlo a vedere. Si limitò ad abbozzare quello che doveva sembrare un sorriso e a voltarsi dall’altra parte.
Guardò fuori dalla finestra. Il sole stava già tramontando, e fra poco sarebbe stata ora di cena.
«Come è andata oggi a scuola, Skyler?» chiese lo zio, tanto per aprire un discorso.
Skyler strinse gli occhi. Oh, cavolo! Proprio l’ultima domanda che avrebbe voluto sentire.
«In realtà…» cantilenò, voltandosi lentamente, con un tono un po’ troppo acuto. «Non è andata esattamente come previsto
Lo zio la guardò ed inarcò un sopracciglio. «Definisci come previsto.»
«Beh, ecco, io…» iniziò a giustificarsi lei, ma alla fine si rese conto che non sarebbe servito a niente. Sbuffò. «Ho preso una nota disciplinare.»
«Cosa?» Lo zio sembrava più scioccato che indignato. «Come, Skyler? Un’altra?»
«Oh, ma non è stata colpa mia! È stato Mark Tames ad istigarmi! Se lui non mi avesse detto niente io non lo avrei mai picchiato.»
«Lo hai picchiato?»
«Sì, ma se lo meritava! Ha iniziato a dire delle cose spregevoli ed io non potevo far finta di niente!»
Guardò lo zio, con tono di supplica. Lui la squadrò un secondo, la fronte aggrottata in un cipiglio di disappunto. Poi distolse lo sguardo. «Spero che almeno tu gli abbia rotto il naso.»
Skyler corrucciò le sopracciglia, sconcertata. «Dovevo rompergli il naso?»
«Ma certo!» Lo zio sembrava indignato. «Insomma, ti sei presa una nota disciplinare per questo. Spero almeno che tu abbia dimostrato a quel tipo chi è che comanda!»
Skyler sorrise, sollevata. «Quindi non sei arrabbiato?»
«Oh, sono furioso! Una nota disciplinare è sempre una nota disciplinare. E per quanto io voglia sapere tutti i dettagli e il modo in cui l’hai picchiato, non posso fartela passare liscia.»
«Oh, andiamo, Ben! Se lo meritava, te l’ho detto!»
«Mi dispiace, Skyler. Stasera lavi i piatti tu, e non si discute.»
Skyler non lo fece. Sapeva che quando lo zio decideva una cosa, non si poteva disobbedire. Si limitò a guardarlo, in un misto di stupore e angoscia.
Lo zio se ne accorse, e le sorrise dolcemente, baciandole la fronte. «Vado a farmi la doccia» le disse. «Poi scendo e cucino io. Va bene il sushi?»
Skyler mise il broncio, incrociando le braccia. «Voglio i tacos.»
Lo zio rise. «Bene, e tacos siano!» Detto questo, si avviò su per le scale, per poi chiudersi dietro la porta del bagno.
Skyler si mosse dalla sua posizione solo quando sentì sgorgare l’acqua della doccia.
Sbuffò, frustrata. «Stupida scuola!»
 
Ω Ω Ω
 
Skyler si era appena diretta in cucina. Come promesso, lo zio aveva cucinato i tacos, e ora, per punizione, a lei toccava lavare i piatti.
Si legò i capelli e sbuffò. Meglio mettersi subito all’opera. Prima iniziava, prima poteva buttarsi sul divano a guardare la tv. Magari trasmettevano qualche incontro di wrestling.
Una volta finito di lavare l’ultimo piatto, alzò lo sguardo per rimetterlo nella credenza. Mentre alcune ciocche sfuggivano dalla sua coda ribelle e le ricadevano sul viso, una strana cosa bianca attirò la sua attenzione. Aggrottò la fronte, mettendo a posto il piatto, poi si sfilò i guanti e prese quella che aveva tutta l’aria di essere una busta. Sopra c’era una scritta.

PER IL SOLDATO BENJAMIN GARCIA
DIPARTIMENTO DELLA DIFESA DEGLI STATI UNITI
 
Skyler non ci pensò due volte. Aprì la busta e ne lesse il contenuto. Si sentì mancare il fiato. Come un automa, si mosse verso il soggiorno, dove si trovava lo zio, senza mai staccare gli occhi dal foglio.
Una volta lì si fermò sulla soglia della porta.
«Oh, eccoti, finalmente!» esclamò lo zio, sentendola arrivare. Si alzò dal divano e si voltò. «Mi stavo giusto chiedendo quanto ci mettevi a…»
Si bloccò all’istante, non appena si rese conto di ciò che la nipote aveva in mano. Solo a quel punto Skyler alzò lo sguardo. «Ti hanno arruolato» mormorò, quasi con un filo di voce. Trattenne una lacrima e stavolta urlò. «Devi partire per l’Afghanistan!» Sembrava quasi un’accusa.
Lo zio la guardò dolcemente e fece un passo verso di lei. Skyler però ne fece uno indietro. «Perché non me l’hai detto?»
«Skyler, era così difficile. Non sapevo come dirti che sarei dovuto andare.»
«Starai via per sei mesi.» La sua voce era rotta. Ce la stava mettendo tutta per non scoppiare a piangere.
«Lo so» mormorò lo zio. «Ma devo andare.»
«Non sei obbligato» singhiozzò la ragazza. Una lacrima le rigò la guancia, ma lei non si preoccupò neanche di asciugarla. Tanto sapeva che presto ne sarebbero arrivate altre.
Lo zio la guardò con dolcezza, accarezzandole la gota con il dorso della mano. «Oh, mi hija. Sai che non ho scelta. È il mio lavoro, devo andare.»
«Ma non puoi lasciarmi qui.» Altre lacrime le rigarono le guance. «Come farò senza di te?»
Lo zio allargò le braccia, nel quale lei si buttò a capofitto. «Non pensarlo nemmeno, okay? Tu sei forte, sei la ragazza più tosta che io abbia mai visto. Non ho mai incontrato nessuna più capace di te. So che te la caverai benissimo anche da sola.»
«Ma sei mesi»  replicò Skyler, stringendo nei pugni la maglia dello zio. «Non sei mai stato via per sei mesi.»
Ben le accarezzò i capelli, tentando di consolarla. «Lo so, è tanto tempo. Ma, ehi, se ci pensi non è poi così brutto, no? Potremmo tenerci in contatto attraverso il computer per più di una volta al mese. Potrei scriverti qualche lettera. E poi, dai, ogni cosa ha un inizio e una fine. Questi sei mesi passeranno molto più in fretta di quanto pensi.»
Skyler si staccò dall’abbraccio e si asciugò le guance con il dorso della mano. «Quando parti?»
Lo zio sospirò. «Fra tre giorni.»
«Bene» annuì lei. Era strano che piangesse. In fondo lo zio partiva spesso per lavoro, e quella non era di certo la prima volta che restava a casa da sola. Eppure stavolta avvertiva un vuoto dentro sé, come se avesse appena perso la parte più importante del puzzle. Forse perché lui non glie l’aveva detto. O forse semplicemente perché era stanca di dover sempre affrontare tutto da sola, senza nessuno che le desse conforto.
Si diresse sul divano, continuando ad asciugarsi le guance. Fra poco lo zio avrebbe iniziato le raccomandazioni, ripetendole la lista di tutte le persone di cui si poteva o non si poteva fidare. Avrebbe iniziato a dirle dove comprare la spesa, dove prelevare soldi, dove andare a passeggiare. E poi avrebbe concluso il tutto con un «Te quiero, mi hija.» Proprio come faceva sempre.
Si stesero entrami sul divano ed accesero la tv. Skyler si accoccolò fra le braccia dello zio, e strinse forte i pungi, tentando di non piangere mentre annusava la sua maglietta.
Scelse lei il film, quella sera. Volle vedere Titanic. Forse perché quel film le piaceva tanto nonostante l’avesse visto un milione di volte. O forse perché così aveva una scusa per dare libero sfogo alle lacrime.



Angolo Scrittrice.
Hola gente!!
Credevate davvero di esservi liberati di me? Muahahahah! Eh no, miei cari. Sono ancora qui, stavolta con una nuova fanfiction!
Non so dirvi esattamente come mi sia venuta l'ispirazione, so soltanto che, al mare, ho acceso il computer e ho iniziato a scrivere questa... cosa. Poi, andando avanti, ho pensato. Perchè non pubblicarla? Magari piace...

La domanda ora è: Vi piace? D: So che non è molto per giudicare una storia, e che questo è solo un prologo.
Ho intenzione di pubblicare il prossimo capitolo, ma non dopo aver saputo se ne vale davvero la pena. Vi piace questo nuvo personaggio? Che ne dite di Skyler?
Ovviamente, in questa storia ci saranno dei personaggi inventati da me, ma non preoccupatevi: ci saranno anche i nostri amatissimi semidei, come Percy, i fratelli Stoll, Piper, Leo... e poi ancora Chirone, e Grover. Non temete!
Ho tentato di creare una storia che non uscisse completamente dall'universo di zio Rick, ma ci ho messo del mio. Tutti i suoi personaggi sono in secondo piano, e qui i veri protagonisti sono i miei. Uno di loro, come avrete ben capito, è Skyler. Gli altri li scoprirete con il tempo.
Mi raccomando, fatemi sapere se può interessare. Mi basta anche un semplice commentino, bello o brutto che sia.
Tengo molto a questa storia, e spero che con il tempo possa piacere. Intanto, ringrazio tutti quelli che ora stanno leggendo questo Angolo Scrittrice, perchè vuol dire che avete cliccato la mia storia, perchè la trovate interessante o perchè non avete niente da fare, non importa. Ma soprattutto, perchè non avete chiuso il pc non appena avete letto questa parte in grassetto.

Siete la mia forza!! ;*
Spero di ricevere presto vostre notizie!
A presto
Un bacio <3

ValeryJackson

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Alzò ancora di più il volume.
Ormai era quasi al massimo, ma a lei non importava. Era sola, adesso, e non c’era nessuno in casa che potesse gridarle di abbassare.
Sentiva raramente la musica allo stereo. La maggior parte delle volte preferiva ascoltarla attraverso le cuffiette del suo IPod, perché era un modo per avere un po’ di privacy, e perché odiava quando lo zio si lamentava delle sue scelte musicali. Voleva godersela in pace, per stare un po’ da sola con se stessa.
Ma stavolta era diverso. Non voleva restare da sola. Voleva qualcuno che la consolasse; qualcuno che l’abbracciasse e che le dicesse che le voleva bene. Voleva che lo zio fosse lì con lei.
Ma ormai era partito, e a quell’ora, molto probabilmente, era già a kilometri di distanza.
Skyler lo aveva accompagnato fino all’aeroporto. Aveva portato il suo borsone, poi lo aveva guardato e gli aveva sistemato la divisa. Infine era affondata fra le sue braccia. Si era sforzata di non piangere - l’aveva promesso-, ma non appena lui distoglieva lo sguardo lei lasciava che una lacrima solitaria le solcasse la guancia.
Prima di andarsene suo zio le aveva sfiorato la collana.
«Quando sei triste e pensi di non farcela, ricordati che lei è sempre con te. Ti proteggerà.» Ci aveva battuto due colpetti con il dito. «Aiuta sempre a stare…»
«… Bene con se stessi» avevano concluso insieme.
Lo zio aveva sorriso. «Esatto. Per stare bene se stessi. Non te lo dimenticare.» Le aveva preso il viso fra le mani e le aveva baciato la fronte, per poi stringersela al petto. «Te quiero, mi hija.»
«Te quiero, tìo.»
Poi lui si era voltato ed era salito sull’aereo. Skyler aveva aspettato che questo decollasse. È stato in quel momento che era scoppiata a piangere. E aveva continuato finché non era tornata a casa.
Ed ora era lì, distesa sul suo letto, a pancia in giù, la testa affondata nel cuscino e la coperta stretta tra i pugni, ad ascoltare il cd #3 dei The Script a tutto volume, senza nessuno che le urlasse di abbassare.
Quando sentì arrivare l’ultima canzone, lentamente alzò il capo, cercando con lo sguardo la piccola sveglietta riposta sul suo comodino.
Erano le 7 e 29.
Skyler sbuffò. Era quasi ora di cena. Aveva pensato di non mangiare niente quella sera, ma il suo stomaco stava iniziando a brontolare.
Lentamente e con un po’ di riluttanza si alzò dal letto e si diresse in cucina. Aprì il frigo e scrutò all’interno.
Vuoto.
Fece la stessa cosa con le dispense ed ottenne lo stesso risultato.
Fantastico!, pensò. Ora non ho neanche niente da mangiare. 
Ricordò le parole dello zio. Se in casa non hai niente, chiama subito la signora Petunia. Ti porterà da mangiare in un batter d’occhio!”
No!, pensò subito Skyler. Non se ne parla. Non voglio altra gente che mi guardi con compassione.
Scrutò la stanza in cerca del telefono. Ordinerò cinese.
E così fece. In meno di mezz’ora un fattorino si presentò alla sua porta e le consegnò una monoporzione di spaghetti di soia con frutti di mare e degli involtini primavera.
Skyler si infilò il pigiama e si sedette sul divano. Prese le bacchette cinesi fornitegli dal fattorino ed iniziò a mangiare, accendendo la tv su un canale di documentari.
Stava scoprendo come una tartaruga depone le uova quando qualcuno bussò alla porta.
Skyler controllò l’orario. «Chi è a quest’ora?» si chiese, corrucciando le sopracciglia. Si alzò dal divano e andò verso la porta. Poggiò un orecchio sul legno gelido, nel tentativo di sentire qualche voce familiare, ma dall’altra parte non proveniva neanche un rumore.
Insospettita, schiuse leggermente la porta.
«Chi è?» domandò.
«Per favore, ragazzina» gracchio una voce roca. «Ho bisogno di aiuto.»
Skyler non riusciva a scorgere la flebile figura attraverso lo spiraglio della porta, così la aprì del tutto.
Davanti a lei, una donna anziana (molto anziana!) se ne stava lì, avvolta in un logoro scialle, che tremava per il freddo, nonostante fossero in estate e fuori ci fossero circa 30°.
«P-posso aiutarla, signora?»  chiese Skyler, titubante.
«Oh, sì cara. Ti prego. Credo di essermi persa.»
Skyler si guardò intorno, cercando qualche accompagnatore per l’anziana donna. «Come è arrivata fin qui?»
«Stavo andando dai miei nipotini» spiegò lei. «Ma purtroppo la macchina si è fermata. Ho provato a continuare il tragitto a piedi, ma sono troppo vecchia e stanca.» Sospirò.
Skyler inarcò un sopracciglio e la scrutò dall’alto in basso. «È venuta fin qui con una macchina?» chiese, scettica.
«Oh, sì» gracchiò quella. «Con una di quelle vecchie. Ma ormai è andata.»
«Se vuole posso provare ad aggiustarla. Sa, ci so fare con i motori. Magari potrei…»
«Oh, no… credo di non sentirmi molto bene!»  si lamentò la donna, e quasi svenne. «Ho camminato così tanto per arrivare fin qui, e non regge più, la mia povera schiena!»
Skyler la sostenne per un braccio, quando questa barcollò in avanti e minacciò di cadere. «Va bene, si accomodi. Le do un bicchiere d’acqua.»
Accompagnò la vecchia stanca fino al divano, poi le andò a prendere un bicchiere d’acqua.
Quando tornò glie lo porse. «Ecco qua» disse. «Beva.»
La vecchia non se lo fece ripetere due volte. Bevve l’acqua tutta d’un sorso, con un’avidità che Skyler non aveva mai visto prima.
Quando ebbe svuotato il bicchiere, si pulì gli angoli della bocca con il dorso della rugosa mano. «Ah, ci voleva proprio» sospirò. Poi si voltò a guardare Skyler e fece una cosa che la lasciò di stucco. L’annusò. «Sai, hai un buon odore, bambina mia» la elogiò.
Skyler si scansò da lei, scalando di un posto. «G… grazie» balbettò, non sapendo esattamente cosa dire.
La vecchia, però, continuò a fissarla insistentemente.
«V-vuole qualcosa da mangiare?» le chiese, tanto per cambiare discorso. «Vado a prenderle delle patatine.»
E fece per alzarsi, ma la donna le bloccò il polso con l’ossuta mano. «Non è delle patatine che ho voglia, cara» le disse.
Skyler aggrottò la fronte, non capendo. «Cracker?»
L’anziana donna scosse la testa. «No, cara.» Sorrise, in quello che sembrava un ghigno soddisfatto. «Ho voglia di mangiare te.»
Poi successe l’impensabile.
I suoi occhi si incendiarono, diventando incandescenti come due tizzoni del barbecue. La sua mano scivolò via dal polso di Skyler, e le sue dita diventarono artigli, lunghi e affilati. Il suo logoro scialle si fuse con le braccia diventando delle grandi e ruvide ali di pelle. Non era più umana. Era una megera avvizzita con le ali da pipistrello, il corpo pieno di piume, gli unghioni e la bocca piena di zanne ingiallite. Gli occhi rossi continuavano a fissare maliziosi Skyler.
Lei per poco non urlò. Avrebbe voluto farlo, certo, ma tutto il fiato che aveva in gola gli era stato tolto per la sorpresa. Tutto ciò che riuscì a fare fu indietreggiare.
Il mostro vide il terrore sul suo volto, e rise di gusto. «Oh, non scappare, tesssoro» soffiò. «La festa è appena cominciata.»
Detto questo, si lanciò su Skyler.
Lei si spostò un secondo prima che il mostro le finisse addosso, e quello andò a cozzare con il muso contro il vecchio comò di mogano. Urlò di frustrazione e si voltò a guardarla.
Skyler fece l’unica cosa sensata che in quel momento le venne in mente di fare.
Corse in cucina.
Aprì freneticamente tutti i cassetti e afferrò il coltello più affilato che riuscì a trovare. Lo puntò contro il mostro. Quello rise.
«Pensi davvero di riuscire a sconfiggermi con un misero coltello da cucina?» Rise ancora. «Povera illusa.»
Si avventò di nuovo contro di lei. Skyler si abbassò prontamente, ma il mostro ormai aveva imparato la lezione, così si fermò appena in tempo prima di sbattere contro il vetro della finestra.
Skyler corse in salotto. Provò ad uscire dalla porta ma il mostro le si piazzò davanti.
Spaventata, iniziò a fendere l’aria con il coltello, non arrecando nessun danno, però, alla megera che aveva davanti.
Ad un certo punto, in preda alla disperazione, menò un ultimo fendente, e colpì un’ala del mostro. Quello urlò di frustrazione. Con gli occhi infuocati, scansò con un’ala il braccio di Skyler, e il coltello le scivolò di mano.
Lei cadde a terra.
«Ah ah. Finalmente ti sei arresa, eh?» Il mostro rise mostrando i denti aguzzi e gialli. Skyler sentì montare il panico. «Bene. Ora posso mangiare in pace.»
Successe tutto in una frazione di secondo. Skyler chiuse gli occhi, preparandosi al peggio, e il mostro si scagliò contro di lei. Ma qualcuno lo fermò.
Un ragazzo, con una spada luccicante in mano, si frappose fra i due e menò un fendente sul viso del mostro.
Quello uggiolò. Distolse la sua attenzione da Skyler e guardò il ragazzo come una furia. Provò ad attaccarlo, ma lui era troppo veloce. Schivava i colpi con una rapiditá sorprendente, e menava fendenti così forti che il mostro era costretto ad arretrare. Dopo che l’ebbe colpito un paio di volte, il ragazzo provò un affondo, e la sua spada trapassò il petto del mostro proprio dove si trovava il cuore.
Quell’essere diventò come un castello di sabbia in balia di un ventilatore: esplose in una nube di polvere gialla, volatilizzandosi all’istante e lasciandosi dietro una gran puzza di zolfo, uno stridulo grido di morte e un gelo malevolo nell’aria.
Il ragazzo fece due grandi respiri, prima di voltarsi. Skyler, ancora a terra, lo fissava stralunata.
Era un ragazzo abbastanza alto, abbronzato, muscoloso. I capelli erano neri e un po’ arruffati e gli occhi erano di un verde smeraldo, quasi simile al colore del mare. Indossava un paio di jeans e una maglietta arancione. Ora, Skyler era dislessica, ma non si sa come fu subito in grado di leggere quella scritta. CAMPO MEZZOSANGUE.
Il ragazzo fece un passo verso di lei, ma lei ne fece uno indietro. Lui aprì la bocca per parlare ma lei si lanciò sul coltello che era caduto a pochi metri di distanza, si alzò in piedi e glie lo puntò contro. «Chi… chi sei?» balbettò, tenendo il coltello con entrambe le mani tremanti.
Il ragazzo la squadrò un attimo, poi sorrise. «Ciao. Bel modo di ringraziarmi per averti salvato la vita. Dovrei farlo più spesso» disse, alludendo al coltello.
Skyler però non pensò di abbassarlo. Il ragazzo la scrutò ancora un po’ con quei suoi grandi occhi verdi. «Stai bene?» le chiese. Sembrava preoccupato.
Skyler restò un attimo sorpresa da quella domanda, poi annuì. Il ragazzo sospirò. «Bene» mormorò.
Poco lontano da loro, l’eco di un urlo squarciò l’aria.
Il volto di lui si fece preoccupato. «Dobbiamo andare» annunciò. Ed iniziò a raccattare le cose della ragazza da terra.
«Cosa? Dove dobbiamo andare? Quando? Perché? Chi sei?» chiese Skyler, così velocemente che dubitò che il ragazzo l’avesse sentita.
«Non c’è tempo per le domande. Ti spiegherò tutto a tempo debito» disse, passandole il suo IPod. Skyler lo guardò senza capire. «Ora dobbiamo andare» ripeté lui.
«Perché dovrei fidarmi di te?» domandò, cercando di apparire calma e controllata.
«Perché ti ho salvato la vita, non ti basta? Se non fosse stato per me, ora saresti già nella sua pancia.»
Skyler tentennò. Aveva ragione. Sospirò e lo osservò prendere un cappotto dall’attaccapanni. «Cos’era quella cosa?»
Il ragazzo si fermò di colpo, come se qualcuno avesse appena premuto il tasto ‘pausa’. Guardò Skyler. «Era un’arpia» ammise, sconsolato. «E se non ce ne andiamo subito ne arriveranno delle altre.»
Skyler era troppo confusa. «Un… un’arpia?» chiese. «Cos’è un’arpia?» Il ragazzo non le rispose, così lei cambiò domanda. «Come sapevi che era qui?»
«Oh, è facile. Ti osservavamo già da molto. I mostri sono sempre stati attratti dai mezzosangue
Skyler sembrò indignata. Quel ragazzo l’aveva appena chiamata mezzosangue? Forse non aveva sentito bene. Forse intendeva qualcos’altro. Sua madre era per metà messicana, e i suoi nonni erano chi italo-americano e chi per metà canadese. La parola mezzosangue non le piaceva per niente.
«Scusami?» sbottò, offesa. «Come mi hai chiamato?» Il ragazzo ignorò la domanda. Skyler avvampò di rabbia. Stava iniziando a stancarsi di tutto questo. Non ce la faceva più. «Va fuori da casa mia» disse, a denti stretti.
Il ragazzo la fissò sbigottito. «Scusa?»
«Hai capito bene» insistette lei. «Voglio che tu esca di qui immediatamente.»
«Come?!» Adesso sembrava davvero scioccato. «Ti ho salvato da quel mostro e tu mi cacci di casa?»
«Quel mostro non era reale» disse lei, risoluta. «Niente di tutto questo è reale. È tutta un’invenzione della mia mente malata. Ho mangiato pesante stasera. A volte mi succede.»
Il ragazzo sgranò gli occhi, sorpreso. «Non è reale? Non è reale?!» sbottò. «L’ho disintegrato davanti ai tuoi occhi. Sono qui di fronte a te con una spada in mano. Come puoi pensare che tutto questo non è reale?»
«Te l'ho detto, a volte mi succede. Molto probabilmente c’era del chili in quegli involtini primavera.» Scrollò le spalle. «Per quanto ne so io, anche tu potresti essere un’allucinazione.»
Il ragazzo eliminò in due falcate la distanza che li divideva e le pizzicò un braccio.
«Ahi!» saltò Skyler, guardandolo storto.
«Sono abbastanza vero, adesso?» Skyler non rispose.
Il ragazzo sospirò e si prese la testa fra le mani. Poi tornò a guardare la ragazza. «Okay, senti. So che è difficile. Per tutti noi lo è stato. Ma ora devi ascoltarmi. Lì fuori ci sono un altro centinaio di mostri che non aspettano altro che venire qui e mangiarti. Non sei al sicuro, ormai. Ti troveranno. Ci troveranno. E quando lo faranno, non so per quanto tempo riuscirò a combatterli. Per cui devi fidarti di me. Non voglio farti del male, e tu lo sai, ma voglio che tu capisca. Sono qui per aiutarti.» La guardò negli occhi. Skyler si sentì subito catturata da quello sguardo, che sotto il suo sembrava cambiare continuamente colore, passando dal verde smeraldo ad un verde acqua. Lo sguardo più pragmatico e incisivo che lei avesse mai visto.
«Perché dovresti farlo?» domandò, risoluta.
Il ragazzo sospirò, a denti stretti. «Perché sono come te» rispose.
Skyler aggrottò la fronte. Sentì le guance infiammate e una collera pazzesca impadronirsi di lei. «Tu non sai niente di me» sibilò, a denti stretti.
«No?» Inarcò un sopracciglio. «Scommetto che hai cambiato scuola un sacco di volte. Scommetto che in moltissimi casi ti hanno espulsa.»
Skyler sembrò confusa. «Come…»
«Sei dislessica, iperattiva, e probabilmente hai anche disturbo da deficit dell’attenzione.»
Deglutì, cercando di mascherare il suo imbarazzo.
Il ragazzo sospirò. «Senti, voglio solo aiutarti» le disse.  «Ti fidi di me?»
Lei non seppe cosa rispondere. Si fidava di lui? Certo che no, ovvio! Lo aveva conosciuto solo da pochi minuti, e lui era spuntato all’improvviso in casa sua. Come poteva fidarsi di un tipo così? Ma c’era qualcosa nel suo sguardo, nei suoi occhi, che le infondeva sicurezza. Che la spingeva a credere che fosse una brava persona. Lentamente, annuì.
Il ragazzo sospirò, molto probabilmente non essendosi accorto di trattenere il fiato. «Bene» disse, con un sorriso. «Perché ora dobbiamo andare.» Si guardò un po’ intorno, perlustrando la zona. Poi tornò a fissare la ragazza. «Senti, mi dispiace, ma ti devo addormentare.»
«Cosa?!» Skyler era scioccata.
«Tranquilla, non è niente» la rassicurò. Le prese il viso fra le mani e la costrinse a guardarlo. Sorrise. «Non preoccuparti, non ti farà male. Non sentirai niente.»
BONG!
Qualcosa di duro la colpì in testa.
Skyler svenne.



Angolo Scrittrice.
Saaalveee!!!!!
Come state? Spero bene :D
Ecco qui il secondo capitolo. Ho aspettato un po' per pubblicarlo, per valutare se ne valeva davvero la pena, e per questo devo ringraziarvi. Se non fosse stato per voi, l'avrei già accantonato nel dimenticatoio. Quindi ringrazio infinitamente le quattro persone che hanno messo la storia fra le seguite e le due che l'hanno messa fra le preferite, ma soprattutto tutte coloro che hanno commentato il capitolo precedente. Siete la mia forza, e non vi ringrazierò mai abbastanza!
Grazie!
Anyway, tornando al capitolo. Che ve ne pare? Ormai, si entra nel vivo della storia. Chi sarà mai questo ragazzo? E chi ha colpito Skyler? Ahah, lo scoprirete nel prossimo capitolo ;)
Intanto, mi rendereste la ragazza più felice del mondo se commentate. Così capisco se la storia vi inizia a piacere o se devo cambiare mestiere xDxD
Aspetto con ansia le vostre opinioni!
Alla prossima!
Un bacio infinito
!!
ValeryJackson
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Skyler sentiva delle voci.
Arrivavano ovattate, e lontane. O forse erano le sue orecchie a non sentirci bene.
Schiuse gli occhi, stanca. Era distesa su un letto morbido, all’interno di una stanza di legno bianca. C’erano pochi mobili lì, giusto un piccolo comò e qualche comodino. Poco al di là del letto, scorse una tenda. Dietro quella tenda avvertiva dei rumori. Molto probabilmente c’erano altre stanze, come quella, ed erano separate solamente da quel pezzo di stoffa.
Aggrottò la fronte, cercando di capire deve si trovasse, quando un odore pungente le sfiorò le narici. Disinfettante.
Si trovava in un ospedale.
Skyler odiava gli ospedali. Suo zio scherzava spesso sul fatto che era nata strillando e che non avesse smesso finché non l’avevano portata fuori dal reparto maternità. La spaventavano a morte gli aghi, le pillole, ma soprattutto l’odore dei malati. Sapeva che era una cosa brutta da dire, ma, insomma… la malattia? Beh, perché doveva avere un odore così… malato?
Storse il naso, provando a mettersi seduta. Ma una fitta di dolore le colpì la nuca. A quel punto ricordò tutto. La casa. L’anziana. Il mostro. Il ragazzo. La botta in testa.
Sentì montare il panico. Era tutto vero, o se lo era solo immaginato? Dove si trovava, adesso?
Ignorando bellamente il dolore lancinante alla testa, si mise a sedere. Si guardò intorno, perlustrando la stanza, quando qualcuno attirò la sua attenzione.
Due ragazzi, accanto al suo letto, stavano discutendo. Skyler si tappò il naso e soffiò, sturandosi le orecchie per sentire ciò che dicevano.
<< No, ma dico, sei impazzito? Ti avevo detto di non farlo!>> stava urlando quello di spalle.
<< Lo so, lo so. Ma cosa gli avremmo detto, eh? Vieni con noi anche se non ci hai mai visto in vita tua! Fidati del tipo con la spada e del ragazzo capra!>>
<< Ragazzi… >> mormorò Skyler, ma i due non la sentirono.
<< Le avevo promesso che l’avrei solo addormentata >> disse il primo.
<< Beh, si è addormentata, infatti.>>
<< È svenuta!>> sbottò quello di spalle, con un tono fra l’accusatorio e il disperato.
<< Dettagli, dettagli >> borbottò l’altro, con noncuranza, sventolando una mano.
<< Mi spieghi che cosa le diremo non appena si sveglia?!>>
<< Ehi, non sono stato io quello che si è introdotto in casa sua e… >>
Skyler tossì con forza, per attirare la loro attenzione. I due smisero immediatamente di litigare e si voltarono a guardarla. Sembravano sorpresi, come se non si aspettassero che lei si svegliasse così presto. Skyler riconobbe nel ragazzo di spalle il tipo che l’aveva salvata da quel mostro.
Restarono alcuni secondi in silenzio, indecisi sul da farsi. Poi il ragazzo dagli occhi verdi abbozzò un sorriso imbarazzato. Si grattò la nuca. << Ehm… ciao.>>
Non appena Skyler spostò lo sguardo da lui all’altro ragazzo, le venne un colpo. Era normale, con la pelle color cioccolato, gli occhi scuri e i capelli corti e ricci. Già, normale. Peccato che fra quei capelli spuntassero due piccole corna, e che la parte inferiore del suo corpo fosse quella di una… capra?
Skyler sgranò gli occhi, guardandolo terrorizzata. Il ragazzo dagli occhi verdi se ne accorse e fece una smorfia. << Oh, Grover!>> lo ammonì. << Copriti, per favore!>>
Grover sembrò accorgersi solo in quel momento che la ragazza stesse fissando le sue gambe da capra. Saltò sul posto e afferrò al volo un asciugamano rosa che qualcuno aveva distrattamente lasciato lì, usandolo per coprirsi le gambe caprine alla meno peggio.
A quella scena, il ragazzo dagli occhi verdi sorrise. Poi tornò a guardare Skyler. Il suo sorriso si trasformò immediatamente da uno divertito a uno rassicurante. Skyler fu quasi accecata dal bianco dei suoi denti.
<< Ciao >> ripeté il ragazzo.
Skyler si limitò a fissarlo. Lui però non si scoraggiò e si avvicinò di più al letto. << Sai, non ho ancora capito come ti chiami.>>
Skyler lo guardò negli occhi. Non sapeva niente di quel ragazzo, e da quel che aveva capito lui e il suo amico le avevano appena dato una botta in testa. Eppure sentiva di potersi fidare di lui. Se lo sentiva nella pancia, a meno che quella non fosse fame. Sollevò un angolo della bocca a quel pensiero.
<< Skyler >> rispose. << Mi chiamo Skyler.>>
Il ragazzo annuì e sembrò rilassarsi un po’ di più. << Bene… Skyler. Io sono Percy. Percy Jackson.>>
Skyler lo squadrò. Almeno adesso sapeva come si chiamava. Era già un passo avanti.
<< Come ti senti?>> le chiese lui.
<< Dove mi trovo?>> domandò invece lei, ignorando la domanda. Era stanca di tutti quei giri di parole. Voleva sapere la verità.
Il sorriso sul volto del ragazzo si spense, sostituito da un’espressione di preoccupazione. Aggrottò la fronte. << Sei in un ospedale.>>
Skyler fece roteare gli occhi. << Questo l’avevo capito >> sbottò. << Voglio capire perché sono qui. E chi siete voi. E perché quel tizio ha per metà il corpo di una capra!>>
<< Ehi, sono un satiro!>> ribatté Grover, offeso. Skyler lo ignorò.
Percy la guardò, soppesandola con lo sguardo. Poi sospirò e si sedette affranto accanto a lei, sul bordo del letto. << È una storia un po’ complicata >> disse.
<< Beh, voglio sentirla >> insistette Skyler. << Ne ho sentite tante di storie strambe. Sono una ragazza intelligente, non mi lascio impressionare.>>
Percy abbozzò un sorriso tirato. Poi la guardò negli occhi. << Io, come te, sono un mezzosangue.>>
Skyler storse il naso. L’aveva già chiamata con quel nome strano, a casa sua, e non le era affatto piaciuto. Cos’era, una specie di razzista? Fece una faccia indignata.
Vedendola, Percy scoppiò a ridere. << Non è un’offesa, se è questo che pensi >> disse. Poi, improvvisamente, si fece serio. << Io intendo dire un semidio.>>
Skyler aggrottò la fronte, soppesando quell’ultima parola. << Un semidio?>> ripeté, non capendo.
Percy annuì. Poi prese fiato e parlò. << Vedi, molti anni fa, gli dei greci scesero sulla terra. Loro esistevano, e molte persone li veneravano. Vivevano in Grecia. Poi, col passare degli anni, hanno capito che dovevano modernizzarsi un po’, così si stabilirono qui, a New York, e ricostruirono il Monte Olimpo sull’Empire State Building. Ma vedi, durante questo lasso di tempo, gli dei non si erano soltanto spostati, ma erano anche scesi sulla terra sotto forma umana. Molti di loro si erano innamorati proprio di esseri umani. E alcuni avevano addirittura avuto dei figli. I cosiddetti mezzosangue. Siamo una specie di incrocio fra un mortale e un dio.>>
Skyler lo fissò. Poi, scoppiò a ridere. << Cioè, tu vuoi farmi credere che gli dei dell’Olimpo, gli stessi che io avrei dovuto studiare a scuola e che hanno una statua in ogni museo in circolazione, sono veri, e che uno di loro è sceso sulla terra e ha avuto un figlio con mia madre?>> Rise ancora. << Ridicolo.>> Poi, rendendosi conto che Percy non rideva, si fece improvvisamente seria. << Stai scherzando, vero?>>
Il ragazzo scosse la testa. << So che è difficile da credere, ma è così. Anch’io all’inizio ci ho messo un po’ per elaborare la cosa. Ma è vera, e tu devi credermi. Gli dei dell’Olimpo sono reali. Tutti i personaggi della mitologia greca sono reali. L’arpia…>> Skyler alzò di scattò lo sguardo, ricordando il mostro che l’aveva attaccata. << Quel mostro era vero >> concluse il ragazzo.
Skyler si sentì crollare in mille pezzi. Era come se fosse stata appena travolta da un uragano. Cerchi di convincerti che non è reale, ma la sua forza ti fa capire che non te lo stai solo immaginando.
Fece una cosa che non avrebbe mai pensato di fare davanti a qualcuno. Si strinse le ginocchia al petto, si prese il viso fra le mani e pianse. Pianse con una fontana.
Non sapeva bene perché lo faceva. Forse perché aveva appena scoperto che suo padre era vivo. Forse perché lui non si era mai degnato di salutarla. Forse perché magari avrebbe potuto fare qualcosa per salvare sua madre, e invece se né stato lì con le mani in mano. Forse perché tutto quello in cui fino ad adesso aveva creduto si era appena sgretolato sotto le sue mani. Tutte le sue convinzioni. Tutti i suoi ricordi. Si era tutto sciolto come un castello di sabbia in riva al mare. Un minuto, e non c’era più.
Non riusciva a fermare le lacrime. Percy se ne accorse e le posò una mano sul ginocchio. << Ehi, non fare così. Non c’è motivo di piangere >> la rassicurò. Ma Skyler non volle smettere. Non ce la faceva. Percy allora le mise le mani sulle spalle e la attirò delicatamente a se, stringendosela al petto. << Sshh … Non piangere >> le sussurrava all’orecchio, cullandola dolcemente. Le accarezzò i capelli. << Va tutto bene.>>
Lentamente, Skyler smise di piangere, e pian piano le sue lacrime diventarono solo dei lievi singhiozzi.
Non appena si rese conto che il ragazzo la stava ancora abbracciando, si tirò via di scatto, asciugandosi freneticamente le guance con i dorsi e i palmi delle mani. << Mi… mi… mi dispiace >> balbettò, incerta. << Io… io non volevo piangere. Insomma, non lo faccio mai. È solo che… >>
<< Non devi darmi spiegazioni >> la tranquillizzò lui, guardandola dolcemente. << Ognuno reagisce in modo diverso.>>
Skyler annuì, poco convinta. Se forse lui avesse saputo la sua situazione, sicuramente non avrebbe detto così. Ma, no, non glie l’avrebbe detto. Per quanto stesse iniziando a fidarsi di quel ragazzo, non era ancora pronta a rivelargli un simile particolare della sua vita. Non era ancora pronta a rivelarlo a nessuno. Non ancora, almeno.
Lo guardò negli occhi, nonostante avesse la vista ancora appannata. << Chi è mio padre?>> domandò, schietta.
Il ragazzo si rabbuiò in volto. << Non lo so >> ammise. << Dobbiamo aspettare che il tuo genitore divino ti riconosca. Ma sono sicuro che lo farà presto.>>
Skyler perse lo sguardo nel vuoto. Poi una nuova domanda le balenò nella testa. << Chi è il tuo genitore divino?>> chiese.
 Il ragazzo accennò un sorriso e, distrattamente, andò a sfiorarsi l’avambraccio. Skyler abbassò lo sguardo. Lì, Percy aveva una specie di tatuaggio, stilizzato, completamente nero. Raffigurava un tridente. << Poseidone >> rispose lui, sovrappensiero, lo sguardo perso in un punto imprecisato. << Il dio dei mari…>> mormorò.
In quel momento si sentì uno scalpitio di zoccoli. Entrambi i ragazzi si voltarono e qualcuno emerse da dietro la tenda. Era Chirone. Non appena vide le zampe di un cavallo, Skyler sgranò gli occhi.
<< Bene, ecco la nuova arrivata!>> esclamò il centauro, allargando le braccia e sorridendo. << È un piacere incontrarti, cara.>>
Chirone notò lo sguardo sorpreso della ragazza. << Oh, scusa >> disse, imbarazzato. << Forse sarei dovuto venire sulla mia sedia a rotelle.>>
Skyler distolse a fatica gli occhi dal didietro del centauro. << Credo di doverci fare l’abitudine >> mormorò.
L’uomo rise, poi le porse la mano. << Beh, io sono Chirone, l’allenatore del Campo.>>
<< Campo? Quale Campo?>> Skyler sembrava confusa.
Percy si portò una mano alla fronte, come se si fosse appena ricordato una cosa. << Ah, già. Mi ero dimenticato di dirti del Campo!>>
<< Quale Campo?>> ripeté Skyler.
<< Il Campo Mezzosangue >> rispose Chirone. Skyler aggrottò la fronte, così Chirone le spiegò. << È un campo speciale dove si riuniscono tutti i mezzosangue. Qui si addestrano, imparano a scalare e a combattere. Diventano dei veri guerrieri.>> Allargò le braccia. << Ti trovi qui, adesso.>>
Skyler sembrò confusa. << Ma non ero in un ospedale?>>
Il centauro rise. << Oh, no. Qui niente ospedali. Ci pensano i figli di Apollo a guarire i feriti.>>
Ok, la cosa stava diventando sempre più strana. A Skyler girava la testa.
Prima che lei potesse fare qualche altra domanda, un signore varcò la soglia della tenda insieme a due ragazze. Era basso e panciuto, e indossava una ridicola camicia hawaiana tigrata. Skyler non si rese neanche conto che una delle due ragazze era completamente bagnata.
<< Bene, bene, bene >> esclamò lui. << Ecco la nostra nuova recluta. Skiper, giusto?>>
<< Skyler >> lo ammonì lei.
<< È uguale. Hai già conosciuto il nostro Peter Johanson?>>
<< È Percy Jackson, signore >> lo corresse lui, scocciato.
<< È uguale.>>
Percy si stirò sul volto il sorriso più falso che Skyler avesse mai visto, socchiudendo gli occhi. Sembrava infastidito dalla presenza di quell’uomo. << Skyler >> disse, fingendosi contento. << Ti presento il signor D, il direttore del Campo.>>
Skyler squadrò l’uomo. << D sta per…>>
<< Dioniso, dolcezza >> rispose l’uomo. << Dio del vino e della bella vita.>>
Nessuno applaudì o sorrise. Chirone scosse leggermente la testa,  rassegnato. << Bene Skyler >> disse. << Credo sia arrivato il momento di fare il giro del campo.>>
<< Ci penso io, Chirone >> si offrì Percy, alzandosi in piedi e pulendosi della polvere inesistente dai pantaloni.
<< Oh, non credo tu ne abbia il tempo >> ribatté l’uomo. Percy lo guardò senza capire. << A quanto pare Michael ne ha combinata un’altra delle sue.>>
Percy fece roteare gli occhi. << Che ha fatto, stavolta?>>
<< Beh, mi è arrivata voce di un lago, quattro driadi, due figlie di Demetra, tre figlie di Afrodite. Oh, e naturalmente tanta acqua. Ma credo che lui possa spiegartelo meglio. È qui fuori.>>
Percy sbuffò, scocciato. << Non preoccuparti per Skyler >> continuò il centauro. << Ci penserà Piper a lei.>>
Una delle due ragazze, quella asciutta, si fece avanti e sorrise a Skyler. << Ciao, mi chiamo Piper >> disse, porgendole la mano. << Figlia di Afrodite.>> Skyler glie la strinse e abbozzò un sorriso.
Poi, tutti si dileguarono, lasciandole sole. Piper aspettò pazientemente che Skyler si alzasse in piedi, mentre cercava di non calcolare il forte mal di testa che aveva. Poi, insieme, uscirono dalla stanza.
Una volta superata la tenda, Skyler si guardò intorno. Come aveva immaginato, tutte le altre stanze erano simili alla sua. Alcune avevano le tende chiuse, altre invece aperta. Mentre faceva scorrere lo sguardo lungo il corridoio, qualcuno attirò la sua attenzione.
Era Percy, che discuteva con la ragazza bagnata di prima, mentre Chirone cercava di calmarli. Ma non furono loro tre che bisticciavano ad attirare l’attenzione di Skyler, bensì il ragazzo accanto a loro. Avrà avuto circa sedici anni, i capelli neri coperti da un cappello blu elettrico con la tesa. Teneva la testa bassa, fissando il pavimento, le mani nelle tasche dei jeans, e aveva tutta l’aria di non avere la benché minima voglia di trovarsi lì.
Poi, il ragazzo alzò finalmente il viso e incrociò per puro caso il suo sguardo.
Skyler si sentì tremare le gambe. I suoi occhi erano di un blu così intenso ed acceso che, a confronto, al colore del cappello gli facevano un baffo. Erano grandi, e lucidi, attenti, e quasi accecanti. Sembravano quasi magnetici. Skyler non riusciva a smettere di guardarli. Non aveva mai visto occhi così. In realtà, non credeva neanche che fosse umanamente possibile averceli di quel colore.
A distoglierla dai suoi pensieri ci pensò Piper, che le scosse un braccio. << Skyler, andiamo?>>
Skyler annuì, esitante. Prima di andare, lanciò un’ultima occhiata al ragazzo, che però era tornato con la testa china e lo sguardo sul pavimento.
Peccato, pensò Skyler, con un sospiro. Poi si morse la lingua, maledicendosi mentalmente per quel pensiero, e seguì Piper fuori dalla struttura.
 
Ω Ω Ω
 
Piper le aveva già fatto fare tutto il giro del Campo.
Le aveva mostrato il poligono del giavellotto, il campo da basket, il poligono di tiro con l’arco, il laghetto del canottaggio e l’arena per gli allenamenti di scherma. Erano anche passate per la scuderia, dove la ragazza le aveva mostrato i pegasi. Skyler però non ne era molto felice, dato che uno di loro aveva scambiato le sue ciocche rosse per qualcosa da mangiare, e aveva tentato di addentarle la testa.
Avevano anche visto la sala mensa, accanto al falò del Campo. Piper le aveva spiegato un po’ di cose.
<< È qui che veniamo a mangiare tutte le volte. Ci dividiamo in gruppi, secondo le nostre case, e poi alla fine buttiamo nel fuoco un’offerta per gli dei. È la prassi.>>
Skyler aveva guardato con circospezione quel grosso fuoco, ma non aveva detto niente. Aveva continuato a seguire Piper. In seguito, la Figlia di Afrodite le aveva anche spiegato che lì non era l’unica ad essere dislessica.
<< Tutti qui siamo dislessici, perché il nostro cervello è impostato sul greco antico. Sappiamo leggere solo quello. E l’iperattività… beh, quelli non sono altro che i nostri riflessi da combattimento.>>
Skyler era stupefatta. Ecco perché aveva letto con tanta facilità la maglietta di Percy. Ed ecco perché era così brava nella lotta. Quante cose ancora doveva scoprire in un giorno?
Finito il giro del campo, Piper l’accompagno di fronte ad una casa. Era bianca, e piccola, e fra tutte quelle che la circondavano sembrava in assoluto la più normale. La porta era di legno battuto, e sopra padroneggiava il simbolo di quello che sembrava un caduceo.
<< Casa numero undici >> annunciò Piper, bussando alla porta. Nessuno rispose, così lei aprì. << La Casa di Ermes. Prego, accomodati.>>
Skyler entrò, un po’ titubante.
All’interno, accanto all’arredamento semplice, un numero indescrivibile di letti occupava tutto lo spazio, ma a quanto pare non bastava. A terra, infatti, c’erano dei sacchi a pelo sparsi per tutto il pavimento.
La casa era vuota, fatta eccezione per una ragazza, che se ne stava seduta sul suo letto, intenta a leggere un giornale.
Lei sembrò non accorgersi dell’arrivo delle due ragazze, così Piper tossì, per attirare la sua attenzione. A quel punto la ragazza alzò lo sguardo.
<< Dove sono gli altri?>> chiese.
Lei fece spallucce. << I fratelli Stoll si sono sfidati ad una partita di basket. Credo che gli altri siano andati a guardare.>>
<< E perché tu non sei con loro?>>
Lei scrollò le spalle e sventolò il giornalino. << Preferisco vedere il giornale.>>
<< Come fai a leggere, se sei dislessica?>> chiese Piper, scettica.
<< E chi ha parlato di leggere?>> esclamò quella. Sorrise malandrina e lanciò il giornale a Piper, che lo prese al volo. << Io guardo solo le immagini >> esclamò, facendo l’occhiolino.
Era una rivista di Teen Vogue, e in copertina c’erano alcuni tra gli attori più sexy di Hollywood. In mutande.
La Figlia di Afrodite storse il naso, mentre Skyler sorrideva dietro di lei.
Piper tornò a concentrarsi sul perché era lì. << Beh, sono venuta qui per presentarvi Skyler. Resterà con voi finché non sarà riconosciuta.>>
<< Uuh. Un’indeterminata!>> esclamò la ragazza, alzandosi in piedi. Solo a quel punto Skyler poté osservarla meglio. Era alta come lei, e molto probabilmente aveva la sua stessa età. I suoi capelli erano biondi e ribelli, pieni di ricci che continuavano a sfuggire dalla coda che aveva per ricaderle sugli occhi. Il viso sembrava quasi angelico. Nessuno avrebbe mai immaginato che fosse figlia del dio dei ladri. Una cosa, però, la tradiva. Gli occhi, grigi e furbi, che sembravano studiare al momento il modo migliore per svaligiarti.
Regalò a Skyler un gran sorriso. << Ciao, io sono Emma >> disse, porgendole la mano. << Ma puoi chiamarmi Sasha.>>
Skyler glie la strinse, poi aggrottò la fronte. << Sasha? Che affinità ci sono fra il nome Emma e il nome Sasha?>> domandò.
Lei scrollò le spalle. << Nessuna. Solo che nessuno mi ha mai chiamato Sasha. È carino, come nome.>> Sospirò, teatralmente. << Oh, beh. Ci ho provato.>>
Skyler si lasciò scappare un sorriso. Quella ragazza sembrava simpatica.
Accanto a lei, Piper sospirò. << Beh, vi lascio a fare amicizia. Non leggetemi troppe riviste, eh?>> le ammonì, andando verso la porta.
Emma fece appena in tempo a farle una smorfia prima che se ne andasse. Poi tornò a guardare Skyler.
<< E così… non sei stata ancora riconosciuta, eh?>>
Skyler scosse la testa. << Credo di no. Insomma, sono arrivata solo… ieri, credo. Non so neanche che cosa significhi essere riconosciuti.>>
Emma la squadrò, con sguardo attento. Poi sospirò. << Beh, comunque lo saprai presto. Chi è il tuo genitore divino, intendo. Spero per te che non sia Ermes. Sai, vivere qui è una vera rottura.>>
Solo in quel momento Skyler sembrò accorgersi del perché era lì. Lei aveva un genitore divino. Lei… gli altri l’avevano definita una mezzosangue. Un groppo le salì in gola, ma si sforzò di chiedere. << Quindi tu sei figlia di Ermes?>>
<< Si. Dio dei mercanti, dei viaggiatori, dei ladri, queste cose qua. Sai, il messaggero degli dei.>>
Skyler annuì, e posò distrattamente lo sguardo sul braccio destro della ragazza. Anche lei aveva un tatuaggio. Solo che il suo rappresentava un caduceo.
Skyler si guardò intorno, perlustrando la zona. << E così >> disse, con voce assente. << È così terribile vivere qui?>>
<< No, non tanto >> ammise Emma, scrollando le spalle. << I fratelli Stoll sono simpatici, e qui stai sicura che non ti annoi mai. Il problema arriva quando devi andare in bagno. Sai, con tutti i ragazzi che ci sono qui è sempre una lotta.>>
All’improvviso, senza alcun motivo apparente, una lacrima solcò il viso di Skyler. Emma se ne accorse. << Ehi, ehi, ehi. No, non piangere >> le disse, raggiungendola e posandole una mano sulla spalla. << Non è così grave. Se dici hai ragazzi che hai le tue cose loro ti lasciano passare.>>
<< Oh, ma non è per questo!>> esclamò Skyler, abbandonandosi sul letto lì vicino. << È che è successo tutto così in fretta. Il mostro. I mezzosangue. Gli dei. Fino a ieri io ero solo una ragazza normale!>> Si prese la testa fra le mani, e iniziò a piangere.
Cavolo, era la seconda volta che lo faceva in poche ore! Non le era mai successo. Lei non piangeva mai in pubblico. Ma ora, non riusciva a controllarsi. Avevano appena stravolta la sua vita, diamine! Non sapeva più quale fosse la verità.
Emma non disse niente, ma le porse una mano e l’aiutò ad alzarsi. Poi l’abbraccio, permettendole di affondare il viso nell’incavo del suo collo e di sfogarsi.
Skyler si sentì strana. Non aveva mai avuto nessuno che la consolasse, a parte suo zio. Le era sempre mancato… qualcosa.
Quando finalmente si fu calmata, Emma sciolse l’abbraccio e la guardò negli occhi. << Bene >> disse, sorridendole con dolcezza. << Credo proprio che tu abbia bisogno di un po’ di riposo. Hai immagazzinato abbastanza notizie, per oggi. Possono bastare. Quando torneranno, poi, ti presenterò il resto dei ragazzi.>> Le fece l’occhiolino.
Skyler si asciugò le guance con il dorso della mano. Poi annuì e sorrise debolmente. Si era appena svegliata, ma, ora che ci pensava, era molto stanca, e il dolore alla nuca era tornato a farsi sentire. Si sentiva la testa pulsare.
Con calma, si diresse verso uno dei letti, quello più solato degli altri.
<< Ehm, no… >> balbettò Emma, grattandosi la nuca. Sorrise, imbarazzata. << Quel letto è già occupato.>>
<< Oh, ok… >> Skyler si guardò intorno. << Allora dove posso sistemarmi?>>
<< Credo che ti toccherà dormire in uno dei sacchi a pelo >> rispose Emma.
La mora la guardò scioccata. Dico, ma stiamo scherzando? Non era mai stata in campeggio in vita sua e ora doveva mettersi a dormire per terra? Roba da pazzi.
Purtroppo, dallo sguardo della bionda, si rese conto che non scherzava. Sbuffò e con riluttanza afferrò un sacco a pelo da terra e vi si infilò dentro. Chiuse gli occhi.
<< Sogni d’oro >> mormorò Emma, dopo un po’.
Skyler sorrise, mentre si stava dirigendo fra le braccia di Morfeo.
Ora sapeva che cosa le era sempre mancato. Un’amica. Le era sempre mancata un’amica.
E, forse, ora l’aveva anche trovata.

Angolo Scrittrice.
Hi Guys!!
Non so voi, ma oggi per me è stato il primo giorno di scuola, e sono un po'... scossa. O.o
Vabbè, è stato bello rivedere tutti i compagni.
By the way, so che non vi interessa. ;) Ecco a voi il nuovo capitolo!! Ringrazio infinitamente tutti voi per aver messo la storia fra le preferite, le seguite, e le ricordate. Mi avete reso felicissima. Ma soprattutto ringrazio
giascali e
Fred Beckendorf99 per aver commentato il capitolo precedente. Vi adoro *.*
Coomunque... che ne pensate? Vi è piaciuto questo capitolo? Finalmente si capisce chi è questo ragazzo con gli occhi verdi. E finalmente Skyler ora sa del campo.
Questo capitolo è anche molto importante, perchè si introduce un personaggio essenziale della storia.
Emma, Figlia di Ermes. Che dite, vi piace il suo personaggio? Personalmente, l'adoro. ^^ Ma forse sono un po' di parte...
Mi fate sapere cosa ne pensate, vero? Un piccolo commentino? :3
Graziee <3
Aspetto con ansia vostre notizie.
Bacioni!!

ValeryJackson
P.s. Ho deciso di aggiornare una volta a settimana, così da essere costante e da avere il tempo di scrivere. Che ne dite? Vi va bene se aggiorno ogni martedi? ^^
P.p.s. Non so se si è capita molto la cosa dei tatuaggi, ma spero di si. Nel prossimo capitolo, comunque, verrà chiarita. Dico solo che l'idea mi è venta vedendo una foto di Percy con un tridente tatuato sul braccio e ho pensato. Cacchio, è figo! Perchè no? *^*


Peace and love to everyone!

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


<< Skyler… >>
Qualcuno sussurrò il suo nome.
Skyler grugnì e si girò dall’altra parte. Stava dormendo così beatamente, perché proprio ora venivano a svegliarla?
<< Skyler… >>
Qualcuno le scrollò una spalla. Skyler non rispose.
All’improvviso, un secchio d’acqua gelida si riversò su di lei, facendola sobbalzare.
<< Skyler!>> urlarono stavolta.
Skyler si alzò di scatto, ritrovandosi bagnata fracida. Intorno a lei, circa una trentina di ragazzi e ragazze di tutte le età la osservavano, attenti.
Skyler cercò il colpevole di quello scherzo con l’acqua, gli occhi che lanciavano fiamme. Lo trovò quasi subito. Anzi, li trovò. Due ragazzi, gemelli, in piedi accanto a lei. Erano più alti di lei di una spanna, magri, i lineamenti elfici. Avevano una zazzera di capelli marroni, gli occhi marroni vispi e attenti. La squadravano dall’alto in basso. Uno dei due aveva un secchio vuoto in mano.
<< Voi!>> esclamò Skyler, puntandogli un dito contro e fulminandoli con lo sguardo. I due indietreggiarono.
In quel momento, Skyler si accorse di Emma al loro fianco. Sorrideva imbarazzata. << Scusa il risveglio un po’ brusco >> disse. << Ma è quasi ora di cena e volevo presentarti ai ragazzi.>> Non aspettò una risposta dalla ragazza, partì subito con le presentazioni. << Loro sono Travis e Connor Stoll, i capogruppo della casa undici.>>
<< Piacere!>> esclamò quello con le mani libere, porgendole la mano e sfoderando un sorriso incerto. << Io sono Connor.>>
<< E io sono Travis >> disse l’altro. Fece per porgerle la mano, ma poi si accorse del secchio vuoto che ancora stringeva in pugno. Imbarazzato, e molto probabilmente anche preoccupato per la reazione della ragazza, se lo nascose dietro la schiena, abbozzando un sorriso.
Skyler li squadrò attentamente, cercando di ricordare ogni loro minimo dettaglio.
<< Imparerai a distinguerli >> la tranquillizzò Emma, buttando una mano in aria con noncuranza.
<< Che vuol dire capogruppo?>> chiese all’improvviso Skyler.
<< Vuol dire che qui comandiamo noi >> le rispose Travis, gonfiando il petto.
Skyler aggrottò la fronte. << In realtà, un capogruppo è colui che si occupa dell’organizzazione della casa >> le spiegò Connor. << Solitamente è colui che sta qui da più tempo, oppure che ha portato a termine il maggior numero di imprese. Per quanto riguarda i figli di Ermes, siamo noi… >>
Skyler lanciò un’occhiata ad Emma, alzando le sopracciglia. << Quindi voi siete fratelli?>>
Emma fece una smorfia. << Evitiamo di parlarne >> disse, al ché Connor le diede un’affettuosa spallata.
<< Bene, si sa qualcosa del suo genitore divino?>> disse poi. Fra i due, sembrava essere lui il più serio.
Emma scosse la testa. << Indeterminata.>>
<< Qualche sospetto?>>
<< Nessuno.>>
Connor guardò la mora attentamente. << Da quant’è che sei qui?>> le chiese.
Skyler si grattò un braccio, a disagio. << Da ieri… credo.>> Sembrava triste, ma era vero. Da quando si era risvegliata, Skyler aveva completamente perso la cognizione del tempo. Non aveva neanche idea di quanto avesse dormito.
Connor storse il naso. << Chiederemo a Percy. È lui ce ti ha portato qui, giusto?>>
Skyler annuì.
Connor fece un cenno del capo e tutti i ragazzi presenti nella stanza corsero verso di lei. Si presentarono, uno ad uno, ma Skyler era ancora troppo scossa dal risveglio con l’acqua gelata per ricordarseli tutti.
Poi, Travis le lanciò alcuni vestiti. << Tieni >> le disse. << Questi sono di Emma. Dovrebbero andarti bene. Puoi cambiarti in bagno, poi andremo tutti a cena. Indosserai questi finché non ci arriveranno i tuoi vestiti.>>
<< I miei vestiti?>>
<< Si. Percy e Grover hanno portato un borsone con alcune delle tue cose e parecchi dei tuoi vestiti. Lo prenderemo più tardi.>>
Skyler soppesò l’affermazione per qualche secondo. Poi fece una faccia indignata. << Quei due hanno frugato fra i miei vestiti?!>>
Emma le diede una pacca sulla spalla. << Tranquilla, Percy è un tipo serio. Su Grover non posso metterci la mano sul fuoco, ma…>>
Mentre su suo viso si dipingeva ancora di più un’espressione scioccata, alcune ragazze la spinsero in bagno.
Skyler sbuffò, scrutando i vestiti che le avevano dato. Erano dei semplici shorts e una maglietta arancione del campo.
Sempre meglio di niente, pensò.
Poi si guardò allo specchio. E sgranò gli occhi.
Era un completo disastro!
I capelli erano tutti arruffati, e gli occhi erano contornati da due profonde occhiaie. Indossava i suoi soliti anfibi, ma la cosa peggiore era che era… in pigiama!
Oh, cavolo!
Si maledisse, arrossendo al solo pensiero che tutti quei ragazzi lì fuori, anzi, molto probabilmente tutti i ragazzi che l’avevano vista passare per il campo, l’avevano vista in pigiama.
Dannazione, come aveva fatto a non accorgersi di indossare ancora il pigiama?!
Si morse la lingua, non appena il suo pensiero andò al ragazzo con gli occhi blu che aveva incrociato prima.
Che figura!
Velocemente, si sfilò quell’insolito abbigliamento e si tolse gli anfibi sudici, poi si immerse nella doccia.
Si fece un bel bagno. Quando uscì, si asciugò velocemente i capelli con un asciugamano e si infilò i vestiti puliti. Quindi si pettinò e si truccò. Ricordava ancora gli insegnamenti della Signora Puff. Era una simpatica anziana, da cui un tempo Skyler e lo zio andavano sempre a fare la spesa. Lei era stata una truccatrice professionista da giovane, e aveva deciso di insegnare a Skyler tutti i suoi trucchetti.
Matita nera sopra, bianca sotto. Così metti in risalto i tuoi bellissimi occhi marroni”.
E così fece, così faceva sempre. Poi si infilò di nuovo i suoi anfibi. Si legò i capelli in un’ordinata coda di cavallo e si guardò allo specchio. Sorrise.
Il trucco le era uscito proprio bene, e i vestiti non erano così male come aveva pensato. Gli shorts le arrivavano a metà coscia, mettendo in risalto le sue bellissime gambe, e la maglietta era semplice ma elegante. Si sfiorò il ciondolo indiano appeso al collo, che ora era in bella vista. Ti voglio bene, zio, pensò. Poi uscì.
Non appena la videro, i ragazzi sgranarono gli occhi.
<< Wow… >> si lasciò scappare Travis, spalancando la bocca. Si beccò una bella gomitata da suo fratello, che però non riusciva a distogliere lo sguardo.
Fu Emma a farli tornare alla realtà, battendo davanti a loro le mani. << Ehm, ragazzi… andiamo?>>
Gli Stoll sembrarono riprendersi da quello stato di trance, e cercarono di assumere la loro aria più rispettosa mentre ordinavano a tutti di mettersi in fila.
Skyler si mise all’ultimo posto. Essendo la sua prima volta, non aveva idea di come comportarsi, così decise di fare ciò che facevano gli altri. Iniziarono a marciare tutti in un’ordinata fila indiana.
Mentre uscivano dalla Casa Undici, Skyler si guardò intorno. Una miriade di ragazzi, più di quanto lei avesse mai immaginato, facevano come loro, stando ben attenti a non mescolarsi. Provò ad individuarne alcuni, facendo ricorso ad alcuni sprazzi di mitologia greca che le erano rimasti impressi nella mente. Fino ad allora non sapeva perché, ma la mitologia greca le era sempre interessata.
Dunque, Atena. Di sicuro sono quei ragazzi biondi. Sembrano molto intelligenti. Demetra… Sicuramente sono quei ragazzi con i fiori fra i capelli. Afrodite… Beh, questa è facile. Sono quei ragazzi con gli specchi in mano! Ares… Forse sono quei tipi con le lance, ma spero di no….
Mentre era immersa nei suoi pensieri, non si era neanche accorta di aver sbagliato strada, così andò a sbattere contro qualcuno.
Sarebbe caduta all’indietro, se questo non l’avesse sorretta. Alzò lo sguardo. Si ritrovò davanti il ragazzo più bello che avesse mai visto.
Era più alto di lei di circa cinque o sei centimetri, muscoloso, ma non troppo, con braccia possenti, e un po’ scolpite. Ma il viso era dolce. Aveva i capelli mossi, biondi, che gli incorniciavano il volto perfetto. Un sorriso bellissimo e talmente bianco da risultare quasi abbagliante. E gli occhi. Oh, Skyler sarebbe rimasta lì ad osservarli per ore. Erano verdi, ma di un verde così trasparente da sembrare quasi fossero fatti d’acqua, con delle striature gialline che li rendevano teneri.
Le sorrise, e Skyler si sentì crollare le ginocchia. << Sc… scusa >> balbettò, non sapendo cosa dire. << Io non… volevo.>>
Lui scosse la testa, sorridendo. << Non preoccuparti.>>
Skyler restò un secondo lì, ad osservarlo, poi sentì una voce familiare.
<< Skyler! Muoviti!>> Era Emma, che la chiamava a squarciagola. Uscì da quel momentaneo stato di trance, e si accorse di essere ancora avvolta dalle braccia di quel ragazzo misterioso. Con riluttanza, si divincolò da quello strano abbraccio e corse in direzione dell’amica.
Marciarono fino al padiglione, dove delle torce fiammeggiavano attorno alle colonne di marmo e un fuoco centrale ardeva incessantemente. Ogni ragazzo si sedette al tavolo della propria casa, che era apparecchiato con una tovaglia bianca bordata di porpora.
Skyler si accomodò al suo tavolo, e osservò Chirone mentre alzava il suo bicchiere ed esclamava. << Agli dei!>>
Tutti lo imitarono. << Agli dei!>>
Un centinaio di ninfe dei boschi portarono degli enormi vassoi colmi di cibo, e tutti iniziarono subito a mangiare. Skyler si guardò intorno con circospezione, sorpresa da tanto cibo.
<< Mangia >> la incoraggiò Emma, riempendosi la bocca. << È tutto cibo degli dei!>> biascicò.
Skyler sorrise. Esaminò il vassoio, poi decise di prendere un pezzo di pizza e una coscia di pollo.
La cena si svolse in silenzio, nonostante i componenti di ogni casa parlassero fra loro.
Skyler era assorta nei suoi pensieri, quando Emma esclamò. << Uuh! A quanto pare qualcuno ha fatto colpo!>>
Skyler alzò lo sguardo, e vide la bionda indicare con un cenno del capo il tavolo alle sue spalle. Skyler osservò in quella direzione.
Era il tavolo di Poseidone. Lo sapeva, perché aveva riconosciuto subito Percy, che era intento a mangiare un pezzo di pizza. Accanto a lui, c’erano solo altri due ragazzi. Una ragazzina, sugli undici anni circa, con i capelli scuri e un corpo mingherlino, e… lui. Il ragazzo con gli occhi blu. E la stava guardando.
Non appena però si accorse che Skyler guardava nella sua direzione, distolse subito gli occhi. Ma Skyler l’aveva visto. Aveva incrociato per un attimo il suo sguardo. Solo che stavolta aveva gli occhi… verdi. Sempre molto accesi, di un verde quasi innaturale. Skyler aggrottò la fronte.
<< Come si chiama quel ragazzo?>>
Emma ingoiò un chicco d’uva. << Michael Smith, Figlio di Poseidone.>> Aspettò un secondo prima di pronunciare la prossima affermazione. << È carino.>>
Skyler annuì, distrattamente. Poi scosse la testa e si riprese. << È il fratello di Percy?>>
La bionda annuì. << Si, e anche della piccola Rosemary. Percy è una specie di leggenda qui al campo, perché è colui che ha salvato il mondo dall’ascesa di Crono. Michael invece è… è il combina guai. Non fa altro che mettersi nei casini, casini che poi tocca al fratello maggiore risolvere. Credo che lo faccia un po’ per ripicca.>>
Skyler lo osservò, senza proferire parola. Una domanda le sorse spontanea. << Perché ha gli occhi verdi?>> Non ottenne risposta, così la riformulò. << Quando l’ho visto la prima volta aveva gli occhi di un blu elettrico. Perché ora li ha verdi?>>
Emma sorrise, malandrina. << È una caratteristica di tutti i figli di Poseidone. Il colore dei loro occhi cambia a seconda del mare. Un giorno è blu, l’altro è verde. Ogni volta è sempre una sorpresa.>>
Skyler lo osservò ancora, in silenzio. Poi, fece scorrere lo sguardo sugli altri tavoli, finché non lo vide.
<< Chi è lui, invece?>> chiese, indicando all’amica il ragazzo biondo che aveva scontrato poco prima con un cenno del capo.
Emma sorrise. << John Davis, Figlio di Apollo.>> Poi, notando lo sguardo perso di Skyler si affrettò ad aggiungere. << Dimenticatelo >> la ammonì. << John è il ragazzo più richiesto del campo. Quasi tutte cadono ai suoi piedi. È bello, atletico, e molte dicono sia molto simpatico, anche se molto riservato. Con tutte le figlie di Afrodite che gli ronzano intorno è improbabile che si accorga di te.>>
Skyler distolse lo sguardo, guardando l’amica. << A te piace?>>
Lei scrollò le spalle. << Non è il mio tipo.>>
<< Non è vero!>> ribatté Connor, che era seduto accanto a Skyler e che aveva ascoltato tutta la conversazione. << La verità è che lui non se la fila.>>
<< Oh, ma smettila!>> disse Emma, facendo una smorfia e lanciandogli addosso un chicco d’uva. << Non è vero!>>
<< Oh, si che è vero!>> ribadì Travis, seduto accanto a lei, di fronte al fratello. << Quello lì non da retta a nessuna ragazza!>>
Skyler lo osservò, ma rimase in silenzio. Emma gli tirò uno schiaffo dietro la nuca. << Cretino! Non infrangere i suoi sogni da quindicenne innamorata!>> Poi si rivolse alla mora. << Scusalo, Skyler. I ragazzi non capiscono un tubo!>>
Skyler rise, divertita. Poi decise di cambiare discorso. << Come mai in questo tavolo siamo così tanti? Sono tutti figli di Ermes?>>
<< Indeterminati >> borbottò Travis con la bocca piena di pudding. << Sono tutti ragazzi che aspettano di essere riconosciuti.>>
<< E perché vengono nella casa di Ermes?>>
Emma alzò le spalle. << Tutti dicono che è perché Ermes è il dio dei viandanti. Io credo che sia solo perché nostro padre è l’ultimo della lista. Il santo recupero.>>
<< Ehi!>> esclamò Connor. << È sempre di nostro padre che stai parlando!>>
Emma scrollò le spalle, con noncuranza. << Tanto lo sai anche tu che è così.>>
A Skyler cadde l’occhio sul tatuaggio che la ragazza aveva sull’avambraccio. Guardò i fratelli Stoll. Anche loro ne avevano uno uguale. Aggrottò la fronte. << Perché avete tutti quei tatuaggi?>> chiese.
Emma sorrise, divertita. << Non sono tatuaggi. Ogni volta che veniamo riconosciuti, ci spunta un simbolo così sull’avambraccio. Questo simbolo cambia a seconda del nostro genitore divino. Il nostro è il caduceo, simbolo di nostro padre. È come una specie di marchio.>>
Skyler si fissò l’avambraccio vuoto.
<< Non preoccuparti >> la tranquillizzò Connor. << Prima o poi spunterà anche a te.>> Le fece l’occhiolino e bevve qualcosa dal suo bicchiere.
Skyler strinse i pugni. Quel codardo di suo padre! Non solo non si era fatto vedere per anni, lasciando lei e sua madre a vedersela da sole. Non solo non si era presentato al funerale. Non solo non si era mai interessato a lei. Ma ora addirittura tardava a riconoscerla! Ora non riusciva neanche a trovare il tempo di distogliere un attimo gli occhi dal suo lavoro o da qualunque altra cosa stesse facendo in quel momento sul monte olimpo e a dire: Oh, guardate! Quella è mia figlia!
Codardo!
Skyler tentò di non fare caso alla sua frustrazione, masticando con forza un chicco d’uva.
Codardo…
 
Ω Ω Ω
 
La cena era già finita da un pezzo ormai, e Skyler fu molto sorpresa quando vide alzarsi Dioniso dal tavolo in cui di solito mangiava con Chirone.
Il dio del vino si schiarì la voce. << Bene, marmocchi. Credo che io debba salutarvi. È iniziata l’estate, quindi presumo che molti di voi qui siano nuovi. Nel caso qualcuno non lo sappia, il sono il Signor D, il capo, qui in mezzo. Non mi interessa quello che farete qui, l’importante è che voi non mi disturbiate durante una delle mia partite a pinnacolo. Né durante la cena. Né durante il mio riposino pomeridiano. Oh, insomma! Non scocciatemi e non avrete vita breve!>> Tutti restarono in silenzio. << Bene >> continuò lui. << Prima di andare, volevo annunciarvi che, sfortunatamente, abbiamo già un nuovo arrivato: Skiper Gramìa.>>
Chirone si chinò su di lui e mormorò qualcosa.
<< Ehm, Skyler Garcia >> si corresse il signor D. << Giusto. Urrà e via discorrendo. Adesso correte al vostro stupido falò.>>
Tutti i ragazzi si alzarono contemporaneamente, così Skyler decise di imitarli. Vide Emma prendere un grappo d’uva dal tavolo.
<< Che fai?>> le chiese.
<< È per l’offerta agli dei >> spiegò la bionda. << La facciamo sempre prima di andare al falò.>>
Skyler osservò anche i fratelli Stoll afferrare del cibo, così prese un trancio di pizza e li seguì fino al fuoco che ardeva al centro del padiglione.
Vide l’amica buttare il grappolo lì dentro e bisbigliare. << A Ermes.>>
Si avvicinò al fuoco. Lo osservò innalzarsi con le sue fiamme arancioni per diversi secondi, poi vi buttò dentro il trancio di pizza. Pensò un po’ a chi dedicarlo. << Agli dei >> mormorò, con indifferenza.
Non aveva idea di chi fosse il suo genitore divino, e non è che ci fosse qualche dio che le stesse particolarmente simpatico, così tanto vale darlo a tutti. Per lei era indifferente.
Seguì i figli di Ermes verso il falò, dove tutti i ragazzi del campo mangiavano marshmallows  e cantavano sulle note delle arpi e delle chitarre dei figli di Apollo.
Sembra quasi un campo normale, pensò Skyler con un sorriso. Non si accorse che nella distrazione stava andando addosso ad una persona.
<< Ahi!>> esclamò quella, voltandosi furiosa.
Skyler sembrò tornare in se. << Scusa, mi dispiace tanto >> balbettò, mortificata.
La ragazza la fulminò, con uno sguardo truce. Era più alta di lei di circa una spanna buona, e aveva all’incirca diciotto anni. I capelli rossicci e gli occhi color nocciola tradivano in realtà la sua corporatura prorompente. Indossava dei jeans strappati e una maglia del campo, e Skyler non poté fare a meno di notare il braccialetto con dei piccoli tori che portava al polso muscoloso.
<< Stai attenta, rammollita!>> sbraitò la ragazza. Poi la osservò per un attimo, e sul suo viso si dipinse un ghigno divertito. << Ma guarda, guarda >> cantilenò. Sembrava quasi soddisfatta. << Cosa abbiamo qui? Una pivella.>> La squadrò dall’alto in basso, e Skyler immaginò stesse già pregustando il modo migliore per buttarla a terra.
In quel momento arrivò Emma, che afferrò la mora per un braccio. << Forza, Skyler. Andiamo a sederci.>>
<< Oh, e così tu sei Skyler!>> esclamò la ragazza.
Skyler la fissò. Aveva già notato il tatuaggio che aveva sul braccio. Era uno strano semicerchio, che ad un certo punto si bloccava ed andava all’insù. Sembra quasi un’animale, pensò. Ma quale?
Continuò ad osservare quel tatuaggio per un paio di secondi, cercando di mettere in moto gli ingranaggi nel suo cervello per cercare di capire a che dio appartenesse.
La ragazza se ne accorse, e la guardò irritata. << Che vuoi?>> sbottò. << Hai qualcosa da ribattere?>>
Skyler scosse la testa, allontanandosi dai suoi pensieri. << No, niente >> rispose con freddezza.
La ragazza non sembrò convinta. Sorrise, in modo inquietante. << Sai, qui riserviamo un trattamento speciali ai nuovi arrivati >> disse, avvicinandosi lentamente a lei. Skyler riusciva quasi a sentire la puzza di tacos al formaggio del suo alito. La ragazza la guardò come un gatto guarda un uccellino.  << Ti va di provarlo?>>
Emma strattonò il braccio di Skyler con più forza. << Lasciaci stare, Janice!>> esclamò. << Noi non cerchiamo rogne.>>
<< Tu non intrometterti, biondina.>> Tornò a guardare Skyler. << Non stavo parlando con te.>>
Skyler non rispose, ma sostenne il suo sguardo. Sapeva che era sbagliato reagire. Di tipi così nella sua vita ne aveva incontrati tanti, e sapeva che la cosa più giusta era ignorarli. Ma quella ragazza le faceva venire una tale voglia di tirarle un pugno...
Digrignò i denti e strinse i pugni. Emma se ne accorse e la tirò via. << Andiamocene >> disse, tenendo gli occhi fissi su Janice, per assicurarsi che non le seguisse. << I ragazzi ci stanno aspettando.>>
Janice continuò ad osservarle andare via, poi tornò a chiacchierare con le sue amiche.
<< Stai lontana dai figli di Ares >> la ammonì Emma, guardando negli occhi l’amica. << Quelli lì portano solo guai.>>
Skyler annuì, ma non rispose. Sapeva che non sarebbe finita lì. Chiunque fosse questa Janice, ormai era sul piede di guerra. E aveva preso di mira proprio lei.

Angolo Scrittrice.
Ciao belli!!

Si, lo so. Avevo detto che avrei postato un capitolo ogni martedì. Ma questo capitolo (come gli altri) era pronto da un pezzo, ed io era troppo curiosa di sapere cosa ne pensate per aspettare. Si lo so, sono incoerente -.- Ma vabbè.
Dunquo... Che ne pensate? Vi è piaciuto? Ahah, mi complimento con tutte le ragazze che avevano capito che il ragazzo con gli occhi blu era Michael. Come ho già detto, nella mia storia ci saranno altri figli di Poseidone. Uno, perchè sono fighi. Due, perchè Percy tutto solo nella sua casa numero tre mi faceva un po' pena, e poi mi è sembrata carina l'idea del fratello ribelle che è stufo di essere sempre paragonato al "salvatore dell'Olimpo". Spero che col tempo apprezziate questo personaggio. E poi ne entra in scena un altro. John. Che ne pensate di lui? Figo, vero? ;D Ahah, ok basta. Siete voi che dovete dirmi come vi sembrano i personaggi, e non voglio influenzarvi.
Non so se si era capito, ma era un messaggio subliminare per dirvi di commentare! ^^ ahah
A proposito di commenti, ringrazio infinitamente
giascali, Fred_Beckendorf99 (visto? I fratelli Stoll tutti per te ;D) e Fred Halliwell per aver commentato il capitolo precedente. Siete i miei angeli! *-* Invito anche tutti gli altri a commentare. Avere dei pareri è sempre bello, e chi scrive può immaginare i salti di gioia che faccio quando vedo una recensione nuova! E poi voglio ringraziare la persona che l'ha messa fra le ricordate, le nove che l'hanno messa fra le seguite e le cinque che l'hanno messa fra le preferite. Mei dei, grazie di cuore! Sono al settimo cielo!
Vabbè, ora vi lascio. Aspetto ansiosa i vostri commenti ^^
Un bacione enorme ;*

ValeryJackson
P.s. Non so se si era capito, ma il tatuaggio di Janice ricorda una specie di toro stilizzato, animale sacro ad Ares. E' complicato spiegarli. Quindi, se volete, vi posto una foto dove vi mostro come li immagino, così vi spemplifico le cose! ^^
P.p.s. Siete andati a vedere SoM al cinema? Io si, ed è stato mitico! *-* Effetti speciali da urlo e il mio Logan come sempre impeccabile! Non mi dilungo a parlarne, perchè altrimenti non basterebbe un altro capitolo xDxD Ma vi dico solo che l'ho amato, anzi, di più! <3 Alla prossima ;D

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Emma l’aveva svegliata presto quella mattina. Chirone aveva chiesto espressamente di averla un po’ di tempo con se, proprio per insegnarle alcune tecniche di combattimento.
Peccato che non ce ne fosse alcun bisogno. Skyler era forte, e veloce, e in meno di mezz’ora aveva già messo a tappeto quattro mezzosangue.
Chirone sorrise compiaciuto quando Skyler buttò a terra il quinto.
<< Ben fatto >> esclamò, dandole una pacca sulla spalla. << Se continui così molto presto potresti tenere tu delle lezioni qui.>>
Skyler ne era contenta. Tutti gli insegnamenti dello zio, infondo, erano serviti a qualcosa. Non era facile battere questa ragazza.
Il resto della giornata fu abbastanza tranquillo, seppur faticoso. Skyler si allenò molto, spostandosi in diverse postazioni. Prima all’arrampicata. Poi al canottaggio. Infine al tiro con l’arco. Qui aveva anche incontrato lo sguardo di John, ma aveva deciso di non darci importanza.
Aveva eccelso in tutte. Ok, forse in tiro con l’arco non proprio, ma centrare il bersaglio con una freccia non era mai stato il suo forte.
Chirone aveva deciso di abbandonarla dopo la postazione di canottaggio, capendo che ormai era capace di badare a se stessa.
Dopo l’ennesimo fallimento con arco e frecce, Skyler decise di dirigersi verso gli anelli dell’arrampicata. Erano facili. Skyler ci aveva giocato molte volte al parco giochi, alle elementari, ed era sempre riuscita a farli tutti senza cadere.
Questi, però, erano un po’ diversi. Erano di più, e più robusti. Ma erano anche meno pesanti. Ogni volta che ti appendevi ad uno, questo traballava, facendoti penzolare come una catenella rotta di un portachiavi.
Skyler aspettò che il ragazzo in fila davanti a lei cadesse al dodicesimo anello, prima di decidersi ad andare.
È facile, pensò, fra se e se. Prima destra, poi sinistra. Afferra il prossimo, tienilo stretto. Non cadere. Semplice. Vai!
Afferrò il primo anello e si lasciò andare. Era sospesa nel vuoto, le gambe penzoloni, sorretta semplicemente dal braccio sinistro.
Afferra l’altro!, si disse.
E così fece. Afferrò il prossimo anello e lasciò andare l’altro. Continuò ad avanzare. All’inizio andare avanti sembrava faticoso, ma poi ci prese la mano, e le sue braccia si muovevano con velocità, afferrando agilmente ad uno ad uno gli anelli e permettendole di continuare.
Dopo un po’, qualcosa le punse una gamba. Skyler fece una smorfia, pensando che molto probabilmente fosse stato un insetto, ma non lasciò andare.
Avanzò per altri tre anelli, quando qualcosa le colpì il fianco. Skyler si fermò un attimo per guardarsi intorno. Possibile che uno sciame di api si fosse improvvisamente organizzato per cospirare contro di lei?
Sospetto sbagliato. Skyler capì subito chi era il colpevole quando vide Janice e le sue amiche ridacchiare sotto di lei. Era tutto il giorno che la seguivano, le aveva viste. Ogni volta che Skyler eseguiva un esercizio con successo, loro la fulminavano con lo sguardo.
Sono gelose, pensò Skyler, continuando ad avanzare. Provò a non pensare ai sassolini che Janice aveva in mano quando uno di questi le colpì il ginocchio.
<< Che c’è, Skyler?>> le urlò la figlia di Ares dal basso. << Vuoi mollare?>>
Skyler strinse i denti. Ignorarle. È questo che doveva fare. Non doveva dar loro alcuna soddisfazione.
Le ragazze continuarono a lanciarle dei sassolini, colpendola più volte alle gambe e ai fianchi. Alcune volte erano anche più fortunate, perché riuscivano a colpirle addirittura le braccia.
Ma Skyler non cedeva. Era arrivata quasi alla fine quando un sassolino le colpì con forza la mano. Skyler mollò la presa, più per la sorpresa che per il dolore, e cadde a terra sotto gli occhi di tutti.
A quel punto, le ragazze risero di cuore.
<< Ah ah. Pappamolle!>> esclamava Janice, tenendosi la pancia.
Skyler sentì montare un moto di rabbia. Le guance le si infiammarono e sentì tutto il suo corpo fremere per l’eccitazione. Strinse i pugni.
Vorrei che bruciassero, pensò, fulminandole con lo sguardo.
In quel momento, una morsa dolorosa le invase la bocca dello stomaco. Le ragazze smisero immediatamente di ridere e cominciarono a urlare.
Solo a quel punto Skyler si rese conto di ciò che stava succedendo.
Tutto intorno a loro, delle fiamme alte due metri le avvolgevano, e sembravano ruggire lanciandosi in cielo.
Skyler sgranò gli occhi. Fuoco! Quello è fuoco!
Sentì montare il panico. Tutto, ma non il fuoco.
Avrebbe voluto scappare. Avrebbe voluto scattare in piedi e correre il più lontano possibile da quello scempio. Ma non lo fece. Restò lì, immobile, bloccata dal terrore. La vista cominciò ad annebbiarsi e non vide neanche i satiri che accorsero per spegnere le fiamme con dei secchi d’acqua.
Poi, un forte getto d’acqua colpì anche lei.
Skyler guardò, confusa e scioccata, il ragazzo che l’aveva appena bagnata.
<< Stavi andando a fuoco >> le spiegò quello, piegato con le mani sulle ginocchia, affannato molto probabilmente per la corsa per recuperare l’acqua.
Skyler si sentì morire. Possibile che le fiamme fossero arrivate fino a lei? E che lei non sia riuscita a scappare? Se non fosse stato per quel ragazzo, sarebbe morta. Proprio come sua madre.
Balzò in piedi, mossa da un impeto di confusione. Avrebbe voluto piangere, ma non lì. Non davanti a tutti.
Si guardò un attimo intorno, cercando di riacquistare il senso dell’orientamento.
Stava per correre verso la casa di Ermes, quando Janice la afferrò per un braccio. << Questa me la paghi, mocciosetta >> sibilò, a denti stretti. << Domani sera, dopo la cena. Quando tutti saranno andati a dormire. Fatti trovare vicino al Pugno di Zeus. Ti ridurrò in poltiglia.>>
Skyler non rispose, e lei la lasciò andare.
A quel punto, non c’era più nessuno a fermarla, e lei fu libera di correre via. Delle lacrime calde le bagnarono il viso.
Non piangere, si disse. Devi essere forte per entrambe.
 
Angolo Scrittrice.
Ok, ok... non linciatemi.
Ci ho messo tempo, i know, w questo capitolo forse è più corto che insoddisfacente. Avrei voluto pubblicarlo subito, ma non ho potuto... (causa computer morto -.-) So che forse non è il massimo per chiedervi un parere ma... che ne pensate? Vi è piaciuto? Forse è il capitolo più corto che io abbia mai scritto, ma mi piacerebbe moltissimo sapere la vostra opinione! Me la lasciate una recensione? D: anche piccola. Anche minuscola... Pleasee! *labbruccio da cucciola* :3
Non preoccupatevi, il prossimo capitolo, lo prometto, non vi deluderà. Sarà più lungo, e spero tanto che vi piacerà. Se riceverò qualche recensione, potrei anche pubblicarlo prestissimo ;D xDxD
No, dai, scherzi a parte, come sempre voglio ringraziare tutti coloro che perdono un pò del loro tempo per fermarsi a leggere questo angolo autrice, ma soprattutto la storia. Ringrazio i nove che l'hanno messa fra le seguite, i cinque delle preferite, e anche l'unico delle ricordate ^^ ma, soprattutto, ringrazio le mie Charlie's Angeles (posso chiamarvi così? Ahah o preferite Valery's Angels? xDxD), o, per meglio dire, le tre ragazze che hanno recensito il capitolo precedente:
giascali, Fred_Beckendorf99 e Fred Halliwell. Grazie ragazze, siete fantastiche! E' grazie anche ai vostri commenti che sono felice di scrivere questa storia. Ovviamente, per tutti gli altri, sarebbe un piacere enorme ricevere anche i vostri, di commenti! ^^ non preoccupatevi, belli, neutri o brutti che siano, sono tutti bene accetti, e sono sempre una motivazione in più per continuare a pubblicare! :)
Bene, detto questo, vi saluto. Ci sentiamo al prossimo capitolo! Grazie a tutti quanti!
Un bacio enorme! ;*

ValeryJackson


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


La mattina dopo, Skyler si alzò presto da sola.
La notizia del suo imminente scontro con Janice aveva ormai già fatto il giro del campo, e lei non aveva saputo rifiutare. Sarebbe sembrata codarda, e l’ultima cosa che voleva era farsi una pessima reputazione lì al campo.
Questo è peggio della vita reale, pensò, dirigendosi verso l’arena per gli allenamenti di scherma.
Arrivata lì, fu abbastanza sorpresa di trovare dei ragazzi che già si allenavano. Erano tutti molto agili e preparati.
Skyler non sapeva un bel niente di scherma, ma da ciò che le aveva riferito Emma, lei e Janice si sarebbero sfidate in un combattimento di spade. Era meglio allenarsi, giusto per non farsi trovare impreparate.
Non sarà poi così difficile, no?, si disse, indossando un’armatura e prendendo a caso una spada.
Aspettò di trovare un compagno, per iniziare ad allenarsi.
Un figlio di Demetra si fece avanti, brandendo la sua spada. Skyler non avrebbe mai pensato che un figlio della pacifica dea della terra fosse così combattivo, finché questo non cominciò ad attaccare.
La ragazza riuscì a parare qualche colpo, ma il ragazzo era decisamente più allenato, e dopo aver deviato la sua spada riuscì anche a ferirle una guancia.
<< Ehi, vacci piano!>> urlò qualcuno alle loro spalle. Percy si precipitò accanto a Skyler e l’aiutò ad alzarsi. << È la sua prima volta.>>
Il ragazzo alzò le mani, non ritenendosi colpevole, così Percy sbuffò e trascinò Skyler verso un tavolino pieno di medicine. Prese un po’ di ovatta con del disinfettante e si voltò a guardarla.
Aggrottò la fronte, iniziando a tamponarle la ferita. Skyler sobbalzò un attimo per il bruciore, ma lo lasciò fare.
<< Pensavo sapessi combattere >> le disse lui, fermandosi un attimo.
Skyler sbuffò, distogliendo lo sguardo. << Lo pensavo anch’io.>>
<< I lottatori mantengono sempre la stessa velocità durante il combattimento. Se tu la cambi, destabilizzi l’avversario.>>
Skyler sospirò, frustrata. << So come si lotta, Percy!>> sbottò. << È la spada che non so usare.>>
Percy la guardò un secondo. << Ho sentito del tuo incontro con Janice, stasera >> disse.
Skyler abbassò lo sguardo.
<< Ti ucciderà, lo sai, vero?>>
<< Lo so, ma che cosa dovevo fare?>> esclamò, irritata. << Dovevo tirarmi indietro e fare la figura della codarda? So come vanno queste cose, Percy. Ci sono cresciuta! E so per certo che se mi presento lì e le prenderò di santa ragione, almeno ci sarò andata!>>
<< Tu non capisci >> insistette lui. << Janice è forte, e vendicativa. Non si fermerà solo perché tu sarai ansante a terra. continuerà a combattere finché tu non crollerai. Letteralmente!>> La guardò con dolcezza. << È una figlia di Ares, Skyler >> disse. << Lei si allena qui da quando aveva sette anni.>>
Anch’io mi alleno da quando avevo sette anni, pensò lei, ma non lo disse.
Percy sospirò e decise di rassegnarsi. << Tieni il tronco dritto e le spalle rilassate. Se conosco i figli di Ares, so che Janice non farà altro che attaccare, quindi tu dovrai difenderti. Mano destra avanti, sinistra dietro, gambe divaricate. Bilancia il peso, per avere maggiore equilibrio.>> La guardò, e Skyler capì che le stava dando istruzioni. Decise di ascoltare con più attenzione. << Se vuoi attaccare, ti conviene un fendente. È il colpo più potente, e l’unico che forse può darti qualche possibilità di colpirla. Sta attenta alle gambe. Se difendi solo il busto, è lì che Janice colpirà. Per difenderti, inclina il busto in avanti. Gamba destra avanti e sinistra dietro. Tieni la lama parallela al terreno, all’altezza del bacino. E il peso leggermente spostato indietro, così che tu possa arretrare senza inciampare.>>
Guardò Skyler. La ragazza si accorse solo in quel momento di trattenere il fiato. Tentò di ripassarsi mentalmente tutte le mosse, facendo attenzione a non lasciarne neanche una.
Percy le sollevò il mento con una mano e continuò a medicarle la ferita. Skyler era troppo concentrata per fare qualcosa di più di una semplice smorfia.
Il ragazzo abbozzò un sorriso. << Non coprirla, questa >> le disse. << Ti fa sembrare di più una dura.>>
Skyler lo guardò, senza capire. Quello sguardo avrebbe potuto evitarlo, perché non appena il ragazzo fece incontrare i loro occhi, lo stomaco di Skyler si contorse.
Sono azzurri, pensò. Azzurri come il mare.
Percy le sorrise, e Skyler sentì le guance infiammarsi non appena avvertì il suo respiro caldo sulla pelle.
Quando ebbe finito di medicarla, Percy afferrò da terra la sua spada.
<< Andiamo a trovarti una spada più adatta a te >> le disse. << Questa è troppo pesante.>>
Skyler annuì e seguì il ragazzo verso l’armeria.
Chissà cos’avrebbero dato le altre ragazze del campo per stare al mio posto, pensò con un sorriso, tentando di distogliere l’attenzione dagli occhi azzurri del ragazzo.
 
Ω Ω Ω
 
La situazione era peggiore di quanto pensasse.
Non era riuscita a mangiare, con il pensiero dello scontro imminente che l’aspettava. Durante tutta la cena, Janice la guardava con gli occhi che lanciavano fiamme. Sorrideva, ma non di quei sorrisi che ti mettono di buon umore. Era un sorriso minaccioso, soddisfatto. Era chiaro che stava già pregustando la sua vittoria, e ormai anche Skyler aveva cominciato a pensare di non avere molte possibilità.
Ma ormai era tardi per tirarsi indietro.
L’appuntamento era stato concordato. Si sarebbero trovate nei pressi del pugno di Zeus, subito dopo la cena. Skyler aveva calcolato dieci minuti per studiare una tattica, ma quando aveva controllato l’orario si era resa conto che dieci minuti non bastavano.
Con un sospiro, cercando di mantenere la mente ferma e di non farsi scoraggiare, si diresse verso il punto previsto.
Quando arrivò lì, però, rimase spaesata. Erano accorsi tutti, e quando dico tutti, intendo proprio tutti. Tutti i ragazzi del campo erano lì per vedere quella lotta. Anche i più piccoli, quelli che non superavano gli undici anni, aspettavano ansiosi il gong di partenza. Skyler si chiese come avessero fatto tutti quei ragazzi ad arrivare lì di nascosto senza che né il signor D né Chirone se ne accorgessero.
Davvero organizzati.
Erano raggruppati tutti in cerchio, e quando la videro arrivare si aprirono in un varco per farla passare. Skyler in quel momento capì. Lei e Janice avrebbero lottato in uno spazio in mezzo a loro, proprio sotto gli occhi di tutti.
Fantastico, pensò Skyler. Di male in peggio.
Non appena raggiunse il centro, Janice si voltò a guardarla. Sorrise strafottente, poi sguainò la sua spada.
<< Prepara le tue armi, mocciosetta >> le disse. << Voglio finire prima dell’alba.>>
Skyler sospirò e sguainò la sua spada. Era grande, e lucente. Lei e Percy l’avevano scelta quella mattina. Percy le aveva fatto provare tutti i tipi di armi, dai coltellini ai giavellotti, ma nessuna sembrava adatta a lei. Poi avevano trovato questa. Perfettamente bilanciata, sembrava essere stata forgiata proprio in base alle sue mani.
<< Non ho idea di come si chiami >> aveva ammesso il semidio, leggermente imbarazzato. << Non l’avevo mai vista qui. Però sembra perfetta per te.>>
E lo è, infatti, pensò Skyler mentre la teneva in pugno.
Mentre si fronteggiavano l’un l’altra, un ragazzo si fece avanti.
<< Bene, semidei >> esordì. << Siamo qui per assistere ad uno scontro!>>
Tutti i presenti iniziarono ad esultare e fischiare. Tranne Skyler, ovviamente. Lei era troppo occupata a trovare un modo per tenersi in vita.
Il ragazzo si sgranchì la voce. << Da una parte, abbiamo una delle combattenti migliori di questo campo. Janice, la Figlia di Ares!>>
Un coro di acclamazioni si levò più forte dalla loro destra, mentre tutti gli altri applaudivano. Janice sorrise, trionfante.
<< Dall’altra parte >> continuò il ragazzo. << Abbiamo la nuova arrivata, colei che ha accettato la sfida. Skyler >> urlò il suo nome, poi si fermò. La guardò per un attimo, titubante, e allora Skyler capì. Lei non poteva essere presentata come si deve. Lei non era ancora stata riconosciuta. Non poteva essere “Skyler, la figlia di quello” o “Skyler, la figlia di quell’altro. Lei era semplicemente… Skyler.
Grazie mille, papà, pensò con amarezza. Ti voglio bene anch’io.
Il ragazzo la fissò in silenzio per alcuni secondi ancora, poi, un sorriso malandrino parve farsi strada sul suo volto.
<< Skyler!>> esclamò. << La Ragazza in Fiamme!>>
Tutti esultarono e Skyler rimase sbigottita. Quel nome non le piaceva per niente, ma sapeva a cosa era dovuto. Al fatto che l’altro giorno stesse andando a fuoco. Evidentemente quel ragazzo era presente, quando è successo. Ma dev’essere stato tutto uno stupido errore. Lei non era una ragazza amante del fuoco. Lei lo odiava.
Il ragazzo levò una mano e Skyler scrollò le spalle per scrollarsi di dosso la tensione. Il ragazzo urlò. << Pronte!>>
Entrambe si misero in posizione d’attacco, guardandosi negli occhi.
<< Partenza… >> continuò quello.
Skyler strinse di più l’elsa della spada.
<< Via!>> il ragazzo abbassò di scatto la mano e si ributtò nella mischia.
Janice sogghignò. << Pronta ad essere ridotta in cenere?>>
Per la prima volta di quando era lì, Skyler sorrise. << Credo che tu abbia fatto male i tuoi conti.>>
Janice non ci pensò un secondo di più. Attaccò. Tentò un potente affondo, ma Skyler, in qualche modo, riuscì a pararlo.
Quel pomeriggio aveva ripassato attentamente gli insegnamenti di Percy, e anche prima, a cena, non aveva fatto altro che ripeterli.
Janice menò un fendente, e stavolta la fece barcollare. Janice continuò ad attaccare. Menava affondi, fendenti, e tutto ciò che Skyler riusciva a fare era difendersi ed arretrare. Sperò che con tutto quell’attaccare dopo un po’ la sua avversaria si fosse stancata. Ma non era così. Janice era forte, e resistente. Ed era pur sempre figlia di Ares. Per questo Skyler non avrebbe dovuto sorprendersi molto quando la ferì ad un braccio.
Concentrati!, si disse, non mollando la presa sulla spada.
Janice provò a colpirla alla spalla sinistra, colpendo dall’alto. Skyler riuscì a bloccare la lama, ma Janice era troppo forte, e le bastò fare un po’ di pressione perché la sua spada scivolasse sul braccio della ragazza.
Skyler soffocò un gemito, stringendo i denti. Janice provò a colpirle le gambe, e, stavolta, Skyler riuscì a difendersi meglio. La figlia di Ares allora aumentò la velocità e la potenza dei colpi, costringendo Skyler ad arretrare velocemente.
La colpi al fianco, alla mano, al polpaccio, e quando Skyler riuscì a ferirle una gamba, non fece altro che irritarla di più.
Tentò un altro paio di colpi, colpendola alla coscia.
Quando Skyler perse l’equilibrio e barcollò all’indietro, Janice rise. Menò un altro fendente, colpendola alla faccia.
Skyler riuscì a scansarsi, ma non prima di essere colpita dalla lama su una guancia, dove si creò un taglio profondo.
A quel punto, Janice, soddisfatta, approfittò del suo momento di smarrimento e la colpì in testa con l’elsa della spada.
Skyler perse l’equilibrio e cadde prono a terra. A quel punto, Janice si librò in una risata.
<< Adesso basta!>> urlò qualcuno dalla mischia, e Skyler riconobbe la voce di Percy.
Il ragazzo tentò di correre accanto alla mora, ma fu fermato da alcuni figli di Ares.
<< Stanne fuori Jackson >> ringhiò Janice. Poi guardò Skyler con un mezzo sorriso. << Questa guerra non ti riguarda.>>
Skyler provò ad alzarsi, ma senza successo.
<< Ne vuoi ancora, mocciosetta?>> sibilò, divertita. Skyler irrigidì la mascella ma non rispose. Non riusciva ad alzarsi. Ci provò un paio di volte, ma ricadeva sempre a terra.
Janice esultò. << Partita chiusa!>>
Tutti attorno a lei esultavano, scandendo ad alta voce il nome della ragazza. Lei allargò le braccia e corse verso la mischia, permettendo così alle sue amiche e a tutti gli altri di complimentarsi con lei.
Skyler tentò di rialzarsi, facendo forza con le braccia. Ma invano. Tutto ciò era abbastanza umiliante. Era sudata e stanca, aveva il viso coperto di terra e di fango e non aveva neanche la forza di riuscire ad alzarsi in piedi.
Mio zio sarebbe deluso di me, pensò con rammarico.
Tutto ciò che lui le aveva insegnato, tutti quegli anni passati ad addestrarsi. Non erano serviti a niente. Ora era lì, sdraiata a terra, e non riusciva ad alzarsi.
<< Rispetto per tutti, paura di nessuno>>, le ripeteva sempre lo zio, dopo ogni combattimento. << Qualunque cosa accada, non arrenderti mai.>>
Eppure sembrava che lei si stesse arrendendo. Le facevano male le gambe e sapeva che non avrebbe retto a lungo.
No, non mi arrenderò!
Lo zio l’aveva allenata per uno scopo. Per far si che lei fosse sempre stata in grado di difendersi, di badare a se stessa. Non avrebbe deluso così le sue aspettative.
Fece forza sui palmi delle mani e, digrignando i denti, sollevò il busto da terra. Strinse gli occhi, per lo sforzo, e mise un ginocchio a terra. Chiuse gli occhi. Fece un respiro profondo.
In quel momento, le parole dello zio le rimbombarono nella testa.

Aveva solo otto anni, e quello era uno dei suoi primi addestramenti. 
Lo zio le stava insegnando qualche tecnica di combattimento, usando lo stesso metodo di addestramento che si usa per i militari. Per Skyler quella era una delle prime volte, e le sue braccia non erano pronte a reagire.
<< Concentrati!>> le ripeteva lo zio, ogni volta che lei finiva a terra. Non voleva deluderlo, così si alzava e continuava a combattere.
Dopo l’ennesimo tentativo, lo zio la buttò per la centesima volta a terra.
Skyler era esausta. Guardava la figura imponente dello zio, sopra di lei, e si massaggiava i numerosi graffi su gambe e braccia dipingendosi sul volto una smorfia di dolore.
Voleva smettere. Basta. Era sull’orlo delle lacrime.
Lo zio si accorse del suo momentaneo crollo emotivo, ed irrigidì la mascella.
<< Ginocchio a terra, soldato.>> Skyler lo guardò, senza capire, ma dalla sua espressione capì che non scherzava. << Ginocchio a terra >> ripeté, e stavolta Skyler obbedì.
Lo zio, a quel punto, la imitò, e si ritrovarono faccia a faccia.
<< Chiudi gli occhi.>>
Skyler decise che quello non era il momento migliore per obbiettare, così si limitò a fare ciò che lo zio le diceva. Chiuse gli occhi.
<< Fai un bel respiro.>>
Skyler lo fece.
<< Fanne un altro.>>
Ne fece un altro.
<< Ora sgombra la mente, e concentrati su un solo suono. Focalizzalo. Ora aguzza i tuoi sensi, e fai attenzione ad ogni minimo movimento, ad ogni singolo zampettìo di insetti, ad ogni minuscolo spostamento d’aria. Lo senti?>> Skyler annuì. << Adesso focalizza il tuo nemico. Lo vedi?>> Skyler annuì, un po' esitante. << Pensa a come batterlo >> continuò lui. << Tu sei più forte di lui, e puoi sconfiggerlo quando vuoi. Basta che tu alzi una mano, e il suo vetro cadrà in mille pezzi. Tu puoi batterlo. Tu sai che puoi batterlo. Sei una guerriera. Sfodera le tue armi.>>
 
Skyler aprì gli occhi di scatto. Digrignò i denti e si alzò lentamente.
I mormorii e le risate intorno a lei cessarono all’istante. Tutti si voltarono a guardarla. Skyler raccolse la spada da terra e si voltò versò la sua rivale.
Quando Janice si accorse che tutti avevano smesso di esultare, si decise a girarsi. Sorrise, strafottente, e strinse la presa sulla sua spada.
<< Che c’è? Ne vuoi ancora?>> le chiese, divertita.
Skyler non rispose, ma si limitò a gettare a terra la sua spada. Janice non capì il significato di quel gesto, e sembrò un attimo confusa. Poi, Skyler strinse i pugni e si mise in posizione di combattimento.
A quel punto, Janice per poco non rise. << Ah! Vuoi sfidarmi in un combattimento corpo a corpo?>> chiese, fra l’incredulo e il divertito. Skyler non rispose. Non aveva senso sprecare quel poco di energia che aveva per parlare. Intorno a loro si levarono dei mormorii sorpresi e qualche risata.
Janice rise, sfacciata, e buttò la sua spada a terra. << Bene >> esclamò, mettendosi in posizione di combattimento. Ghignò. << Se è questo che vuoi.>>
Skyler non rispose neanche stavolta, ma si limitò a fissarla.
Restarono alcuni secondi a squadrarsi a vicenda, poi Janice attaccò. Urlò e si buttò su di lei, provando ad atterrarla.
Skyler aspettò fino all’ultimo secondo per spostarsi, e ci riuscì senza problemi.
Come sospettavo, pensò. Forte ma troppo lenta.
Janice sembrò riprendersi un attimo dallo stupore per la velocità con cui Skyler era scappata, e decise di attaccare ancora.
Menò prima un gancio destro, poi uno sinistro. La cosa buffa, però, era che Skyler sembrava sapere già tutte le sue mosse. Le parava senza difficoltà, e per lei quei pugni avevano la stessa forza di quelli di un bambino.
Janice sembrava frustrata e dopo un po’ iniziò a stancarsi. Skyler lo capì dal sudore che le colava sulla fronte, nonostante non decidesse di fermarsi.
È il momento, pensò.
Janice provò a tirarle un pugno alla testa, ma Skyler le fermò il braccio a mezz’aria con una mano. Con il braccio libero, le menò una gomitata sulla spalla, facendola piegare sulle ginocchia dal dolore. Poi le menò un’altra gomitata sull’orecchio. Janice perse l’equilibrio e barcollò all’indietro.
Scrollo un paio di volte la testa, gli occhi serrati, poi, quando ebbe ripreso i sensi, guardò Skyler con sguardo truce.
Menò un urlò di battaglia e provò con un gancio sinistro, ma Skyler fu più veloce e si abbassò appena in tempo. Così Janice tentò con un montante destro, ma Skyler le afferrò il pugno chiuso e le storse il braccio, facendola piegare in due con una ginocchiata all’inguine.
Janice strinse i denti e non appena si riprese ricominciò a lottare. Ad un certo punto, capì che un singolo pugno non funzionava. Così, con il fiato grosso, provò a colpire Skyler con entrambe le mani.
Skyler fece roteare entrambe le braccia, così da allontanare quelle dell’avversaria. Poi, sfruttò quel momento di disorientamento per colpirle, contemporaneamente, con entrambe le mani, con forza le orecchie. Quella mossa destabilizzò non poco l’equilibrio di Janice, e Skyler approfittò del momento per menarle con forza un calcio in pieno petto.
Janice fu sbalzata all’indietro, e cadde addosso alle sue compagne. Mentre lei tentava di riprendersi, le altre la aiutavano ad alzarsi.
Janice guardò un’ultima volta Skyler. Era frustrata, coperta di lividi e sudore. La fulminò con lo sguardo e si lanciò alla carica. Iniziò a tirare pugni con una furia impressionante, e, nonostante Skyler riuscisse a pararli, veniva comunque colpita. Ma questo non la scoraggiava. Quando Janice provò ad afferrarla in un abbraccio mortale, lei si abbassò velocemente e colpì la ragazza al polpaccio con il gomito. Poi si alzò e la colpì, sempre con il gomito, alla schiena.
Janice barcollò in avanti, poi si voltò e si lanciò, per l’ennesima volta, verso di lei.
A metà strada alzò il pugno destro, sfinita. Così Skyler lo afferrò e le storse il braccio con così tanta forza da farle fare una capriola a mezz’aria, per poi farla cadere supina con un tonfo.
Fra i presenti calò il silenzio.
Janice non faceva altro che mugugnare e lamentarsi, e non riusciva ad alzarsi.
Skyler la fissò per un momento, senza parlare, il fiato grosso. Poi, si rese conto che i ragazzi intorno a lei avevano smesso di esultare. Lentamente, alzò lo sguardo, sconcertata. Tutti la fissavano, allibiti, e nessuno sapeva cosa dire.
Skyler si guardò intorno, ma nessuno osò dire una parola. Aveva vinto, questo era chiaro. Ma nessuno riusciva ancora a spiegarsi come avesse fatto.
Skyler si pulì un rivolo di sangue che le colava dalla bocca con il dorso della mano, poi si girò, per potersene andare.
I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, e si aprirono subito in un varco per farla passare. Sembravano… spaventati.
Skyler ne approfittò e si allontanò da quell’ammasso di gente zoppicando. Il silenzio che era sceso sul pugno di Zeus sembrava quasi irreale.
Skyler non si voltò indietro, mentre se ne andava. Le faceva male tutto, braccia, gambe e addominali. Le pulsava la testa ed era quasi sicura di essersi slogata la mandibola. Sentiva il sapore metallico del sangue in bocca.
Aveva una smorfia di dolore dipinta sul volto, mentre camminava, però, in cuor suo sapeva che avrebbe dovuto sorridere.
Aveva vinto. Aveva battuto la figlia di Ares. E allora perché non era soddisfatta? Perché si sentiva così… cattiva?
Le sembrò di essere una di quei classici bulli del suo quartiere. Non è così, è lei la bulla. Lei ha voluto questa sfida, si ripeteva.
Ma non ci avrebbe pensato. Tutto ciò che voleva ora era dormire.
E accelerò il passò, quando sentì dal cielo il grido agghiacciante delle arpie.

Angolo Scrittrice
Holaa! :D
Vi starete chiedendo
: "Cavolo, ha già aggiornato?" Ebbene si ^^ ahah. Dato che l'altra volta vi avevo lasciato con un capitolo un po' cortino, ho pensato che forse (e dico forse) vi avrebbe fatto piacere saperne di più. Ho pensato bene? Ahah chi lo sa.
Allora? Che ve ne pare? Vi è piaciuto il capitolo? :3 *occhi da cucciolo mode on* Skyler si è finalmente battuta con Janice. La verità è che ero indecisa se farla vincere o meno, infatti come vedete stava per perdere, ma poi ho pensato: "Cavolo, lo zio la allena da sempre, perchè non dimostrare ciò che ha imparato?" E così eccomi qui ^.^
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, e aspetto con ansia qualche vostro parere; bello, brutto o neutro che sia, ogni recesnione è sempre bene accetta. E a proposito di recensioni, ringrazio (come sempre) le mie ormai aggiudicate Valery's Angels (preparatevi, perchè vi chiamerò sempre così ;D), ovvero coloro che hanno commentato il capitolo precedente, e cioè:
giascali, Fred_Beckendorf99 e Fred Halliwell (so che credi che non sia necessario, ma non mi importa, perchè è anche grazie a voi che ogni volta sono motivata a scrivere questa storia :D) Vi adoro! *-* E, per non escludere nessuno, ringraziamo anche i nove che hanno messo la storia fra le seguite, quello che l'ha messa fra le ricordate e i cinque che l'hanno messa fra le preferite! Siete fantastici!
Bene, detto questo detto tutto, ora vi lascio. Spero che il capitolo vi sia piaciuto :)
Un bacionee! ;*
La vostra
ValeryJackson

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


<< È stato pazzesco!>> esclamò Emma, piena di entusiasmo.
Era ancora su di giri per quello che era successo la sera prima. Skyler era tornata alla capanna numero undici e si era subito addormentata, perciò Emma non aveva potuto complimentarsi con lei. Quella mattina, poi, delle figlie di Apollo erano andate da Skyler per curarle le varie ferite prima che Chirone le vedesse, e, quando se ne furono andate, Emma aveva pensato bene che fosse il momento giusto per parlare.
<< Cavolo, l’hai stesa, ragazza!>> disse. << Janice non ce la faceva più ad alzarsi. L’hai completamente umiliata! Dove hai imparato a combattere così?>>
Nonostante l’entusiasmo di Emma, Skyler non si sentiva affatto bene. Era contenta di aver vinto, ma non era per niente soddisfatta per ciò che aveva fatto. Janice era cattiva, certo, ma neanche lei si meritava un trattamento così, e Skyler aveva passato tutta la notte a pensare quanto si sia comportata da egoista.
<< Mio zio >> disse, in risposta alla domanda dell’amica. Aprì la bocca per parlare, poi si fermò. Aggrottò la fronte, soppesando attentamente le parole. << Lui… mi allena da quando ero piccola.>>
Sperò vivamente che l’amica non facesse domande. Quella, per fortuna, si limitò a sorridere. << Figo!>> esclamò. << Magari ce l’avessi io uno zio che mi insegna queste cose!>>
Skyler lasciò andare il respiro per il sollievo, non essendosi neanche accorta di trattenerlo. Guardò la bionda. << Perché, come sono i tuoi zii?>>
Emma storse il naso. << Io non ho zii >> rispose, fredda.
<< Oh, scusa… >> mormorò Skyler, in forte imbarazzo.
Emma se ne accorse e scoppiò a ridere. << Oh, no! Non in quel senso. I miei zii non se ne fregano un cavolo di me. Per loro è come se non esistessi, e la cosa è reciproca.>>
Skyler avrebbe voluto consolarla, spiegandole che anche per lei il resto della sua famiglia era indifferente, e che aveva solo lo zio, ma si trattenne dal farlo. Non era ancora pronta a parlare di questo. Mentre pensava questo, una domanda le sorse spontanea. << E tua madre?>>
Il sorriso sul viso di Emma scomparve all’istante, e la ragazza si rabbuiò. Skyler stava per scusarsi, quando la bionda la interruppe. << Lei mi odia >> disse. Non diede neanche il tempo alla mora di pensare ad una risposta, che continuò. << Non glien'é mai importato niente di me. Sai, lei era una donna determinata. La ballerina, è questo che diceva alla gente quando le chiedevano che lavoro facesse. Ma io ho sempre saputo che in realtà era una spogliarellista. Lavorava a Las Vegas. Quando nacqui io, i suoi capi la licenziarono. Le dissero che ormai era troppo vecchia per fare quel mestiere e che doveva badare ai suoi figli. Lei diede la colpa a me per questo.>> Aggrottò la fronte e continuò. << Iniziò a bere. Non perché ne avesse veramente bisogno, ma perché lo trovava un passatempo migliore che fare la madre. Sono cresciuta da sola, in pratica. Senza nessuno che mi dicesse cosa è giusto e cosa è sbagliato. All’età di nove anni iniziai a capire che potevo ottenere quello che volevo. Rubando, intendo.>> Fece un sorriso amaro. << Ero la miglior ladra in circolazione, da degna figlia di Ermes. Rubavo di tutto. Caramelle, merendine, giocattoli. La gente mi denunciava, ma mia madre non si faceva mai vedere, e così ero costretta a dormire sempre in caserma, quasi ogni notte. Dopo l’ennesimo furto, mia madre mi spedì in riformatorio. Ne ho cambiati dodici. Ci andavo, restavo tre giorni, e poi scappavo. Tornavo per strada, e continuavo a prendere cose che non erano mie. Non perché avessi la necessità di farlo, ovvio. È solo che… non lo so, credo che volevo attirare l’attenzione. La sua attenzione. Volevo essere notata. E a quanto pare l’unico modo per farlo era rubando. Così lo facevo. A dieci anni rubai una macchina. Una BMW, di un rosso fiammante. Il proprietario non se ne accorse finché non decise di uscire a prendere un gelato.>> Un altro sorriso amareggiato. << A quel punto mi spedirono di nuovo in riformatorio. Al Santa Cathrina. Era un incubo. Le suore lì mi picchiavano, e il cibo era peggio di quello dei carcerati. Volevo andarmene, dovevo. Così, una sera, raccattai tutte le mie cose e scappai. Ma non tornai a casa.>> Guardò Skyler, con occhi lucidi. << Venni qui. Grover mi trovò e mi accompagnò al campo. Qui era tutto diverso, capisci? Qui alla gente importava di me.>> La voce le si incrinò, e Skyler giurò che stesse per scoppiare a piangere. << Mia madre non mi ha mai cercato. Non ha mai voluto sapere che fine ho fatto.>>
Guardò davanti a se e represse le lacrime che stavano per uscire. << Vorrei che fosse morta.>>
Skyler rimase in silenzio. Vedendo il sorriso dell’amica, non avrebbe mai pensato che dietro quell’aria giocosa ci fosse tanta tristezza, tanto rancore.
“Vorrei che fosse morta
Quelle erano le parole che l’avevano turbata di più. Lei lo sapeva, sapeva cosa si provava a vivere senza una madre. E non era certo una bella sensazione.
Pensò che se avesse condiviso con Emma il suo dolore, forse lei si sarebbe rimangiata tutto.
Ma non lo fece. Restò lì, in silenzio, ad osservare la sua amica riassumere piano paino il sorriso di sempre e tornare a parlare d’altro, come se non fosse successo niente.
Non era il momento di aprirsi agli altri. Anche perché aveva paura di scoppiare a piangere anche lei.

Ω Ω Ω

Skyler passeggiava sulla sponda del lago.
Si era data appuntamento lì con Emma circa un’ora fa, e ora aspettava che l’amica tornasse con qualche coperta, per potersi stendere a terra.
Si incamminò sulla passerella di legno. Poi, arrivata alla fine, si inginocchiò e immerse le dita nell’acqua ghiacciata. Era così limpida. A tratti, se si concentrava, riusciva quasi a scorgervi qualche pesciolino. Emma l’aveva avvertita che ci vivevano delle ninfe, là giù, ma tutto era così calmo e silenzioso che Skyler dubitò fortemente fossero sveglie.
Dopo la conversazione con l’amica, Skyler non aveva più accennato all’argomento per tutto il pomeriggio. Ora, però, voleva raccontare tutto ad Emma. Ci aveva riflettuto a lungo, ed era giunta alla conclusione che se voleva che l’amicizia fra lei e la bionda durasse, non doveva nasconderle delle cose così importanti. Doveva dirglielo. Sperava solo che ce ne fosse l’occasione.
Mosse leggermente la mano, e dei cerchi d’acqua si espansero intorno ad essa. Si sporse un po’ di più, in modo da poterla immergere tutta, fino al polso, ma per poco non cadde.
Tutta colpa della spada. Quella mattina, lei ed Emma erano andate ad allenarsi, e Skyler non aveva ancora riposto la spada. Non riusciva a separarsene. Era come… se una forza magica la legasse ad essa. Ora, però, era troppo pesante, e doveva liberarsene, se non voleva cadere in acqua.
Si alzò lentamente, non distogliendo gli occhi da quella visione limpida, e fece per sospirare, quando qualcuno la spinse con forza in acqua.
Per Skyler fu come una doccia fredda. L’acqua era gelida, e le pungeva la pelle, facendola rabbrividire. Skyler tentò di tornare a galla, ma riuscì solo a tirar fuori la testa. Si sentiva affondare. Prese una grande boccata d’aria, e vide tre ragazze nel punto dove lei si trovava. Alzò la mano, per chiedere aiuto.
<< Nuota, ragazza. Nuota!>> urlò qualcuno. Janice.
Skyler prese un’altra boccata, prima di rifinire sott’acqua. C’era qualcosa che la tirava verso il basso. Qualcosa di pesante che le impediva di tornare a galla.
Anche le dita scomparvero sotto il pelo dell’acqua. La spada. Doveva togliersela.
Si agitò, nel panico, tentando in tutti i modi di togliersela di dosso. Ma la pressione dell’acqua la rallentava, e rendeva tutti i suoi movimenti lenti e fluidi.
Delle bolle d’aria le uscirono dal naso.
Stava per cedere, non ce la faceva. Le stavano per scoppiare i polmoni. Tentò in tutti i modi di staccare la spada dal suo fianco, ma invano.
A Skyler sembrò che le stesse per scoppiare il petto. Guardò verso l’alto. Col poco fiato che ho, non ce la farò mai a tornare a galla, pensò.
Lentamente, chiuse gli occhi. È finita.
Smise di lottare. Abbandonò le braccia e lasciò che le ultime bolle d’aria uscissero dalla sua bocca, per poi esibirsi in una macabra danza sopra il suo viso e scomparire verso l’alto.
Schiuse gli occhi, nonostante ormai vedesse tutto appannato, e l’acqua le invase i polmoni. Stava annegando.
Poi, all’improvviso, qualcosa le cinse la vita. Non qualcosa, qualcuno. Quello era un braccio.
Con due abili mosse, riuscì ad allontanare la spada, lasciando che cadesse nel vuoto. Poi iniziò a nuotare con forza, trascinando Skyler in salvo. Skyler non aveva ancora del tutto perso i sensi, quando sentì l’aria calda accarezzarle il viso. Quel qualcuno la trascinò fino a riva.
Poi, svenne.
Ω Ω Ω

Due labbra schiuse si posarono sulle sue.
Liberarono aria.
Due mani robuste le premettero con forza sul petto, più e più volte.
La scena si ripeté. Qualcuno le stava facendo la respirazione bocca a bocca.
Dopo alcuni minuti, Skyler tossì, sgranando gli occhi. La fecero girare di fianco, e lei vomitò tutta l’acqua ingerita. Annaspò, in cerca di un po’ d’aria, e quando finalmente i suoi polmoni si furono ristabilizzati, una mano si posò dietro la sua schiena, aiutandola a sedersi.
Skyler batté le palpebre, tentando di mettere a fuoco ciò che aveva davanti.
Non appena l’acqua fu scomparsa completamente dalle sue ciglia, Skyler fu libera di guardare.
Accanto a lei, che le sorreggeva la schiena, un ragazzo biondo la guardava preoccupato. Era John.
Spostò lo sguardo. Davanti a lei, con la stessa espressione, un ragazzo dagli occhi cristallini la fissava, in attesa. Era Michael, ed era completamente bagnato.
A Skyler ci vollero dieci secondi per capire la situazione.
<< Come ti senti?>> le chiese John, con apprensione.
Skyler tossì, poi annuì leggermente. << B… bene >> mormorò, con un filo di voce. Tremava, questo era evidente. John fece per togliersi la felpa che indossava, per porgergliela, quando si sentì qualcuno urlare.
<< Skyler!>>
Emma si precipitò al loro fianco. Stringeva in mano una coperta. << Che cosa è successo?>> chiese, preoccupata.
Michael si passò una mano fra i capelli bagnati. << Janice l’ha buttata in acqua >> spiegò. << L’abbiamo tirata fuori.>>
Emma non perse tempo, e non appena si rese conto che l’amica tremava le avvolse le spalle con la coperta. La sua faccia era una maschera di rabbia.
<< Questa me la paga, quella stronza!>> sbraitò. << Non appena la trovo io… >>
<< No!>> la interruppe Skyler, con grande sorpresa di tutti. Abbassò lo sguardo, sentendosi osservata, poi continuò. << Non dovete fare niente.>>
<< Ma Skyler!>> esclamò Emma. << Stava per farti annegare!>>
<< Me lo sono meritato >> insistette la mora. << Ieri le ho fatto fare una brutta figura, e lei si è vendicata.>> Guardò la bionda. << Ora siamo pari.>>
<< Ma Skyler, stava per farti annegare, lei… >>
<< Promettimi che non dirai niente.>> Quella non rispose. << Promettimelo >> insistette.
Emma sbuffò, ma annuì lentamente. << Te lo prometto.>>
Skyler guardò i due ragazzi. Avrebbe dovuto fare anche a loro la stessa domanda, ma loro annuirono. Il messaggio era chiaro. Non avrebbero detto niente.
Skyler accennò un sorriso, mentre Emma l’aiutava ad alzarsi.
Insieme, si diressero verso casa.
Skyler non voleva vendicarsi per quello scherzo crudele. Sapeva come andavano queste cose, ed era convinta che se si fosse messa a predicare contro Janice sarebbe stato peggio, e che era meglio lasciar correre.
Non le importava in che modo la ragazza avesse voluto pareggiare i conti. Le importava solo essere viva.
Ma non è a questo che pensava, mentre si stendeva sul letto, tremante.
Continuava a pensare a quei due ragazzi che le avevano appena salvato la vita.

Angolo Scrittrice.
Ciao a tuttii!!
Si, oggi l'angolo scrittrice è celeste. Perchè mi gira così ;) Allora, che ve ne pare di questo nuovo capitolo? Mi scuso in anticipo per eventuali errori. L'ho riletto, ma qualcosa può essermi sfuggito, quindi scusate >.<
Coomunque... Vi è piaciuto? Forse un po' corto, ma essenziale. Fatemi sapere i vostri pareri, sono curiosa ^^
Nel caso non si fosse capito perché la mia scrittura è un po' una cacatina, Skyler è stata tirata fuori da Michael (Figlio di Poseidone ;D) e poi rianimata da John (Figlio di Apollo, alias dio della medicina ;D) con la respirazione bocca a bocca. Oh yeah.
Scusate se questo angolo scrittrice è un po' povero, ma è ora di cena e mia madre mi chiama. +
Anyway, non posso andarmene senza ringraziare vivamente le mia meravigliose Valery's Angeles, che da oggi sono aumentate. :D Ringrazio infatti:
giascali, Fred_Beckendorf99, Fred Halliwell, moon_26 e bibrilove98. Grazie, siete fantastiche e non smetterò mai di dirvi che vi adoro. Ma, ovviamente, ringrazio anche tutti quelli che hanno messo la storia fra le seguite, le preferite e le ricordate. Grazie grazie grazie.
Ook, per oggi ho finito. Aspetto ansiosa le vostre opinioni.
Buona cena a tutti e alla prossima ;*
Un bacione enorme!
La vostra
ValeryJackson

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Erano tutti radunati intorno al falò.
Avevano appena finito di mangiare, e avevano già fatto la loro offerta agli dei.
Skyler non aveva degnato Janice di uno sguardo. Quella mattina aveva rischiato di annegare, e ora l’ultima cosa che voleva era che la figlia di Ares sguainasse di nuovo la sua spada.
Le aveva dato una bella lezione, la sera prima, ma a quanto pare lei non si dava per vinta.
Il numero di indeterminati al campo era aumentato, e la casa undici ora traboccava di gente.
Skyler ed Emma condividevano con loro una panca di legno, accanto ai figli di Demetra.
I figli di Apollo avevano incordato le chitarre, e ora suonavano canzoni allegre. Skyler però non alzò lo sguardo per cercare John. Incontrare i suoi occhi sarebbe stato troppo imbarazzante.
<< Io non capisco >> disse sottovoce, ad Emma. << Perché ci riuniamo qui ogni sera?>>
<< Per avere qualche determinato >> sorrise lei. Poi, notando che l’amica non aveva capito, spiegò. << Questo è il momento in cui i nostri genitori divini si decidono a riconoscerci. Così tutti i semidei possono andare nelle rispettive case.>>
Skyler aggrottò la fronte. << Ma non capisco. Sono qui da tre giorni. Perché non sono stata ancora riconosciuta?>>
Emma si rabbuiò in volto, ma si sforzò di scrollare le spalle. << Forse tuo padre ha avuto da fare.>>
Skyler annuì, ma non ne fu molto convinta. Emma si voltò a guardarla. << Hai mai assistito a un riconoscimento?>>
Skyler scosse la testa, ed Emma sorrise. Poi riprese a cantare.
Dopo un po’, sulla testa di un ragazzo accanto a loro apparve qualcosa. Era un simbolo d’orato, che rappresentava due rami d’alloro incrociati con al centro una stellina.
Skyler sobbalzò e il ragazzo sembrò spaventato. Dai figli di Apollo si levò un urlo.
<< È stato appena riconosciuto >> spiegò Emma alla mora. << È figlio di Apollo.>>
La cosa si ripeté un paio di volte. Vennero riconosciuti due figli di Demetra, altri due figli di Apollo, tre figlie di Afrodite e un figlio di Ares.
Dopo un po’, Skyler smise di tenere il conto. Non era giusto. Quei ragazzi erano lì da meno di un giorno, e già erano stati riconosciuti. Possibile che suo padre ancora non si muovesse?
Perse lo sguardo nel fuoco che aveva di fronte. Le fiamme erano rosse, gialle e arancioni, e si libravano in aria con una naturalezza agghiacciante. Skyler lo osservò attentamente. Non si perdeva un singolo movimento di quelle fiamme. Riusciva a tenerle sott’occhio.
Poi, accadde una cosa strana. Perché era come se lei fosse le fiamme. Si, riusciva a controllarle. Desiderò che queste si abbassassero e quelle si abbassavano. Desiderò che diventassero più alte e quelle schizzavano in cielo.
Il suo sguardo non riusciva a spostarsi. Sentiva il fuoco scorrere dentro di se. Sentiva un insolito calore infiammarle le guance e pomparle le vene.
Sentì un leggero bruciore sull’avambraccio. Se lo sfregò distrattamente, senza darci troppo peso, e continuò a fissare il fuoco. Diventò bollente, come se avesse la febbre. Il bruciore sul braccio iniziava ad essere fastidioso, ma decise di non pensarci.
Emma, accanto a lei, sussultò.
<< Ehm, Skyler… >> balbettò, spaventata.
In quel momento Skyler distolse l’attenzione dai suoi pensieri. E rimase senza fiato.
Il suo corpo brillava di un’aura intensa, abbagliante, di un forte rosso fuoco. Alzò preoccupata lo sguardo. Un’incudine con un martello fluttuavano sopra il suo capo, brillando come non mai.
Rimase così per un paio di secondi, poi, la luce e il simbolo sulla sua testa scomparvero con la stessa rapidità con cui erano arrivati.
Rimasero un attimo tutti in silenzio. Poi, un urlo di gioia si levò da un gruppo di ragazzi.
Emma scosse Skyler per un braccio.
<< Skyler! Sei stata riconosciuta!>>
Skyler era ancora sotto shock. << Ma… ma da chi?>> balbettò.
<< Da Efesto!>> esclamò Connor, seduto dietro di lei, scrollandole le spalle.
Skyler rimase senza parole. Abbassò lo sguardo sul suo braccio. Ora, proprio nel punto in cui sentiva quel bruciore fastidioso, spiccava un tatuaggio. Un simbolo nero, stilizzato. Rappresentava un’incudine e un martello.
Rappresentava il simbolo che le brillava prima sulla testa.
Rappresentava il simbolo di Efesto.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler continuava a grattarsi sovrappensiero il suo nuovo tatuaggio.
Dopo di lei, erano stati riconosciuti altri tre ragazzi, due figli di Atena e una figlia di Ermes. Emma ora era impegnata ad accogliere la sua nuova sorella, così, un ragazzo si era offerto di accompagnare Skyler alla capanna numero Nove. Dai capelli biondi e gli occhi attenti, Skyler capì subito che si trattava di un figlio di Atena.
La accompagnò per tutto il campo, e Skyler non poté fare altro che seguirlo. Ancora non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto.
Da fuori, la casa di Efesto somigliava a una specie di grosso camper con le pareti di metallo scintillante e le finestre con gli infissi di metallo. L’ingresso era come la porta circolare della cassaforte di una banca, spessa più di mezzo metro. Si apriva con un sacco di ingranaggi e pistoni idraulici che mandavano vapore.
Il ragazzo, che si era presentato come Mark, bussò due volte e poi aprì la porta. Le fece cenno di entrare e Skyler obbedì, titubante.
Dentro, la casa sembrava deserta. Molto probabilmente i ragazzi non erano ancora rientrati.
<< Benvenuta nella casa Nove >> le disse il figlio di Atena.
Skyler si guardò intorno. Cuccette d’acciaio erano ripiegate contro le pareti, come letti ribaltabili ultramoderni. Ognuna aveva un pannello di controllo digitale pieno di lucine, gemme luminescenti e ingranaggi. Skyler intuì che ogni ragazzo aveva la propria combinazione personale per aprire il letto. Si chiese quale sarebbe stata la sua. Oltre a quello, poi, probabilmente c’era anche una nicchia con gli oggetti personali e forse qualche trappola per tenere alla larga gli ospiti indesiderati, come ad esempio i figli di Ermes.
Il secondo piano era collegato al primo con un palo da pompiere, anche se dall’esterno non sembrava neppure esserci, un secondo piano. Una scala circolare, invece, conduceva nel seminterrato. Le pareti erano tappezzate di ogni genere di attrezzo che Skyler riuscisse a immaginare, oltre a un enorme assortimento di coltelli, spade e altre armi. Un grande tavolo da lavoro straripava di pezzetti di metallo di qualunque tipo: viti, bulloni, rondelle, chiodi, rivetti e un milione di altri componenti meccanici.
Guardandosi attorno, a Skyler venne un groppo in gola. Le sembrava di essere nell’officina dove lavorava la madre. Non per tutto quello che la circondava, ma per l’odore di olio e metallo e di motori caldi che aleggiava nell’aria. Scacciò via la malinconia.
<< E così… questa sarà casa mia?>> chiese.
Mark annuì. << Proprio così. Qui vivono tutti i figli di Efesto.>>
<< Ripetimi ancora di che cosa è il dio mio padre.>>
<< Beh, Efesto… è il dio dei fabbri e del fuoco.>>
Skyler annuì. Lo aveva già sentito dire. Dio dei fabbri e del fuoco. Ironico, pensando a come era morta sua madre.
Mark si guardò un attimo intorno, poi fece cenno a Skyler di seguirlo. << Vieni, probabilmente ci sarà qualcuno di sotto.>>
Skyler seguì il ragazzo per le scale a chiocciola. Quando arrivarono al piano terra, rimase sbalordita. Quello che aveva pensato fosse il seminterrato, in realtà era la fucina più grande che avesse mai visto.
Colonne di marmo bianco costeggiavano le pareti annerite di fuliggine. I comignoli pompavano fumo da sopra un elaborato timpano greco, carico di statue di dei e mostri. Sulle pareti, diverse ruote azionavano una serie di ingranaggi di bronzo di cui la ragazza non riusciva a capire l’utilità.
Skyler udì il rumore delle macchine, del fuoco che ruggiva e dei martelli che risuonavano sulle incudini.
La sua bocca si aprì in una perfetta ‘o’ per lo stupore. Notò un ragazzo con la testa china su un tavolo, che armeggiava con qualche attrezzo.
Mark tossì per attirare la sua attenzione e a quel punto il ragazzo alzò lo sguardo. Aveva i capelli ricci e neri, e la pelle caffellatte leggermente più scura di quella di Skyler. Non dimostrava più di sedici anni. Aveva una faccia allegra, da monello, e dal sorriso scaltro si capiva subito che era meglio non lasciarlo nei paraggi di fiammiferi o oggetti affilati. Le sue dita non smisero di giocherellare con due bulloni neanche quando guardò gli altri due.
Mark indicò la ragazza accanto a se. << Perfetto. Ehm… Leo, sono qui per presentarti Skyler. Skyler, lui è un tuo nuovo fratello, Leo Valdez.>>
La bocca di Leo si aprì lentamente in un sorriso. Si alzò dalla sua postazione a andò verso Skyler.
<< Piacere!>> esultò, contento. Le porse la mano. << Benvenuta nella casa Nove!>>
Skyler osservò la mano che il ragazzo le stava porgendo. Era sporca di grasso e fuliggine. Leo se ne accorse e arrossì, imbarazzato. << Ehm, mi dispiace… >> balbettò, cercando di pulirsela sui pantaloni, sporchi anche quelli. Non fece altro che peggiorare la situazione.
Skyler sorrise. << Non fa niente >> disse, e gli strinse con forza la mano, sporca e tutto.
Il ragazzo ricambiò il sorriso.
<< Leo è il capogruppo della casa Nove >> spiegò Mark. << Per qualsiasi cosa, rivolgiti a lui.>>
Il ragazzo gonfiò il petto. << Sono a tua disposizione, sorella.>>
<< Bene, la lascio nelle tue mani, allora >> continuò il figlio di Atena, salutando i ragazzi e incamminandosi per le scale.
I due fratelli rimasero un attimo in silenzio. << È un piacere averti qui >> esordì Leo.
Skyler annuì, guardandosi intorno. << Anche per me… credo.>>
<< Fantastico!>> Leo tornò al suo tavolo da lavoro. << Sei abile nel costruire cose?>>
Skyler indugiò, non sapendo cosa rispondere. Era sempre stata lei il meccanico di famiglia, quella che riparava le macchine e aggiustava i lavandini. Ma creare… beh, non ci aveva mai provato.
<< Non lo so… >> rispose, incerta. << Dovrei?>>
<< Tutti i figli di Efesto sono abili costruttori >> spiegò Leo. Le passò un cacciavite e una chiave inglese. << Com’è che fai di cognome?>> le chiese.
<< Garcia >> rispose lei, non sapendo esattamente cosa fare con quegli attrezzi.
<< Davvero?>> esclamò lui, sorpreso. << Non dirmi che anche tu sei messicana!>>
<< In parte >> disse Skyler, scrollando le spalle. << La mia famiglia è un po’ complicata.>>
Leo rise, poi si alzò e andò a prendere una cassetta degli attrezzi. << Ecco, qui c’è tutto quello di cui hai bisogno. Vuoi costruire qualcosa?>>
<< In realtà… >> mormorò Skyler. << Ora sarei un po’ stanca.>>
<< Oh, certo!>> si affrettò a dire Leo, posando la cassetta e mettendo a posto gli attrezzi. Sembrava un po’ agitato. << Allora ti… ti faccio vedere i letti.>>
Corse di sopra prima che Skyler potesse dire qualcosa, così la ragazza fu costretta a seguirlo. Quando furono sopra, Leo sorrise e spalancò le braccia.
<< Eccoli qua!>>
Skyler non volle smorzare il suo entusiasmo, dicendogli che li aveva già visti. Si guardò intorno. << Ehm… qual è il mio?>>
<< Oh, si!>> Leo si precipitò verso una parete e digitò una rapida combinazione. Un letto si staccò lentamente dal muro. << Ta dan!!>> Sorrise, poi andò alla parete opposta e ne aprì un altro. << E questo è il mio, se hai bisogno di qualcosa.>>
Skyler annuì e aprì la bocca per parlare, ma Leo la interruppe. << Puoi farci quello che vuoi!>> esclamò. << Puoi montarci un televisore, metterci un frigo bar. Io ci ho montato anche un impianto stereo!>> Skyler aprì di nuovo la bocca per dire qualcosa, ma il ragazzo la interruppe di nuovo. << Ora che comincerai ad imparare come costruire le cose sarà più facile. In realtà dovresti essere già in grado di farlo, ma questi sono dettagli.>> Skyler riprovò a parlare, ma ottenne lo stesso risultato. << Sai, devi vedere il letto di William! È fichissimo!>>
Skyler annuì, aspettando alcuni secondi che il ragazzo smettesse di parlare.
<< Allora, ti piace?>> chiese lui, ansioso.
Skyler osservò il letto e annuì. << Ehm, si… è… è un letto molto… carino.>> Non sapeva proprio cosa dire. Per lei era solo un letto.
Il sorriso sul volto di Leo si sciolse lentamente. Il ragazzo si prese la testa fra le mani e si lasciò cadere sul letto. << Oh, scusa...>> mormorò. << Vedi, il fatto è che… è la prima volta che mostro la casa ad un nuovo ragazzo. Sono diventato capogruppo solo l’anno scorso, e non abbiamo un nuovo fratello da allora. Io… >> Si sfregò la faccia con le mani sporche. << Oh, sono un disastro!>>
Skyler sorrise e gli mise una mano sulla spalla in modo rassicurante. << Ehi, non demoralizzarti >> lo tranquillizzò. << La casa mi piace, è solo che io sono ancora un po’ scossa, e per me tutto questo è nuovo.>> Notando che il ragazzo era poco convinto, strinse la presa sulla spalla. << Secondo me sarai un ottimo fratello.>>
Leo la guardò, ringraziandola con gli occhi scuri. Poi sorrise. << Sai, credo che sia meglio che tu vada a dormire >> le disse, alzandosi dal letto.
Skyler annuì e si tolse le scarpe.
<< Riposati, Ragazza in Fiamme!>> esclamò lui, scendendo di nuovo nelle fucine.
Skyler si bloccò di colpo. Non poteva credere di aver sentito di nuovo quel soprannome. Era così che la conoscevano? Come la Ragazza in Fiamme? Storse il naso. Odiava quel soprannome.
Si coricò sotto le coperte e chiuse gli occhi. Cercò di non pensare a tutto ciò che era appena successo. Suo padre finalmente l’aveva riconosciuta, eppure lei non riusciva ad essere contenta. Si immaginava qualcosa di… diverso. E quel soprannome, poi! Ora che era figlia del dio del fuoco, tutti quanti non avrebbero fatto altro che chiamarla così.
Ma infondo, qualcosa di buono era successo. Aveva conosciuto Leo. Le era simpatico, quel ragazzo. E, nonostante lo conoscesse da così poco, in cuor suo sapeva e sperava che sarebbe stato un ottimo fratello.

Angolo Scrittrice
Ta dan!!
Eccomi qui, con un nuovo capitolo tutto per voi!
E...
...
...
...
...
E' stata riconosciutaaa!!! Yee!
Ok, forse non siete entusiasmati quanto me, ma spero comunque che siate contenti, e che il capitolo vi sia piaciuto ^^ Complimenti a tutti coloro che avevano indovinato il genitore divino di Skyler. Si, è figlia di Efesto. ;) Eppure, nonostante sia stata riconosciuta, non è felice. Perchè? Cosa la turba? Si scoprirà col tempo... muahahah!
Anyway, ha la fortuna di essere la sorella di Leo! Quanti di voi lo amano? Io lo adoro! Secondo voi sarà un bravo fratellone?

Now, i want say thanks, of course, to my favourite Valery's Angels, who have commented the last chapter. In poche parole, grazie di cuore a: giascali, Fred_Beckendorf99, Fred Halliwell, moon_26 e bibrilove98. Grazie, siete davvero i miei angeli ;*
E grazie anche a tutti coloro che hanno messo la storia fra seguite, preferite o ricordate.
E grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Insomma, Thank You So Much! I love you! *^*
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione. Bella, brutta o neutra che sia, non mi offendo se dite che questa storia fa cacca.
Ook, detto questo detto tutto, io vi lascio.
Alla prossima!
A Big Kiss!
Yours
ValeryJackson

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Si rigirò fra le coperte, e si mise di fianco.
Lentamene, schiuse gli occhi. Una flebile luce non le permise di mettere subito a fuoco, ma, non appena vi si abituò, si rese conto di trovarsi della casa Nove.
In quel momento, tutti gli avvenimenti della sera prima le attraversarono la mente come un lampo, facendola tornare alla realtà.
Si sfiorò con delicatezza l’avambraccio. Era ancora lì. Il marchio di Efesto. L’incudine con il martello.
Sospirò e, con molta calma, si mise a sedere. Chiuse gli occhi, sbadigliò e si stiracchiò per bene. Non appena li riaprì, si ritrovò davanti il volto di un ragazzo che la guardava attento.
<< Ciao!>> tuonò Leo, con un sorrisone sulle labbra. Skyler sobbalzò, spaventata.
<< Leo!>> lo rimproverò, posandosi una mano sul petto. << Mi hai fatto prendere un colpo!>>
<< Ops, scusa… >> mormorò lui, imbarazzato, passandosi una mano fra i capelli ricci. Poi sorrise sornione. << Sai, credevo che non ti saresti mai svegliata.>>
Skyler si guardò intorno. Tutti gli altri letti erano vuoti. << Sono già tutti in piedi?>>
<< Già >> confermò Leo. << Qui al campo ci si alza presto.>> Poi la guardò. << Avevo quasi pensato di svegliarti con un secchio d’acqua.>>
Skyler lo fulminò con lo sguardo. << Tu provaci, e ti ritrovi un occhio nero >> minacciò.
Leo alzò le mani, in segno di resa, e Skyler sospirò. << Ho messo le tue cose lì >> le disse il ragazzo, indicandole il comodino accanto al letto. << Ieri sera eri così stanca che non hai neanche disfatto la tua borsa.>>
Skyler osservò ciò che c’era sul quel comodino. Il suo IPod, una rivista di Teen Vogue che le aveva dato Emma, la sua spazzola per i capelli, un braccialetto di legno che le aveva regalato la madre quando era piccola e una delle statuette indiane dello zio. C’era anche una foto. Skyler la prese e la osservò. Raffigurava suo zio, con una Skyler di tre anni in braccio.
Skyler amava quella foto. Quando era stata scattata, sua madre era ancora viva. Erano andate insieme a prendere lo zio Ben in aeroporto, dopo il suo ultimo viaggio in Iraq. Lo zio, infatti, indossava la divisa militare. Skyler era molto diversa, da bambina. I capelli erano lunghi, di un liscio perfetto. Non avevano ciocche rosse, e risplendevano di quel color castagna. Indossava un abitino verde, lungo. Se glie lo avessero proposto ora, Skyler si sarebbe fatta una risata e l’avrebbe incenerito. Da bambina, invece, Skyler lo adorava. Aveva qualche merletto e qualche fantasia floreale. Fra i capelli, poi, aveva un cerchietto dello stesso verde oliva. Era una bella bambina, ammise. Era una bambina felice.
Leo guardò di sottecchi la foto, ammirandola. << È tuo zio?>> chiese.
Skyler annuì, con un po’ di amarezza. Poi cacciò in dentro le lacrime e rimise attentamente la foto sul comodino. << Dove sono gli altri?>> chiese, nel tentativo di cambiare argomento.
<< Sono tutti di sotto >> rispose Leo. Poi si alzò e si pulì le mani sui pantaloni. << Vestiti, voglio presentarteli.>>
Skyler annuì. Si alzò dal letto, andò in bagno, e dopo mezz’ora ne uscì con un paio di shorts e una maglietta del campo.
Leo le sorrise e lei lo seguì nella fucina.
Una volta arrivati lì, Skyler spalancò la bocca. Una ventina di ragazzi e ragazze, tutti più o meno dai dodici ai diciotto anni, lavoravano freneticamente. Ognuno aveva una sua postazione, constatò Skyler, e tutti erano molto concentrati. Le loro mani si muovevano abilmente fra fili, bulloni e pinze, e non commettevano il minimo errore.
Leo si sgranchì la voce, per attirare l’attenzione. Tutte le mani smisero di lavorare e una ventina di teste si voltarono.
<< Ragazzi >> esordì Leo, con un sorriso sulle labbra. << Voglio presentarvi una nostra nuova sorella, Skyler. Skyler, ecco a te tutti i figli di Efesto.>>
Tutti i ragazzi si staccarono dalla loro posizione e andarono a presentarsi. Alcuni le sorridevano contenti, altri la squadravano dalla testa ai piedi. Tutti, però, le stringevano la mano, con le loro sporche di grasso e fuliggine. Qualcuno addirittura la abbracciava. Così, in meno di cinque minuti, era già sporca senza il  bisogno di dover toccare niente.
Ci mise un po’ per ricordare i nomi. Erano tutti così uguali, con gli stessi occhi e le stesse mani callose e possenti, eppure erano tutti così diversi.
Naya, per esempio, era una ragazza bassina e corpulenta. Aveva i capelli di un fucsia acceso, e indossava sempre una bandana. Gray, invece, aveva una cicatrice sulla guancia, segno forse di qualche battaglia.
Dopo che si furono presentati tutti, e che Skyler ebbe memorizzato i loro nomi, Leo la accompagno a quella che sarebbe stata la sua postazione.
<< Qui arrivano delle ordinazione nuove ogni giorno >> spiegò. << Chiedono di tutto. Armi, elmetti, giochi. Tutto ciò di cui i ragazzi hanno bisogno, noi sappiamo fabbricarlo.>> La invitò a sedersi. << Per questo ci alziamo prima degli altri. Altrimenti, poi, non avremmo tempo per allenarci.>>
Skyler si guardò intorno, osservando i suoi fratelli che costruivano chissà che cosa. << E… io… che cosa dovrei fare?>> chiese, incerta.
<< Che domande, fai quello che facciamo tutti! Costruisci!>> Leo si guardò le spalle, come per assicurarsi che nessuno li sentisse. Poi si sporse un po’ su di lei. << Sai, molti di noi sanno già inventare.>>
<< Inventare?>>
<< Si, esatto. Armi nuove, nuove armature. Dopo un po’ ci rompe costruire sempre ciò che ci dicono gli altri, così diamo libero sfogo alla nostra fantasia e costruiamo ciò che ci pare.>> Le fece l’occhiolino. << Prima o poi lo farai anche tu.>>
Skyler prese in mano una chiave inglese, dubbiosa. A casa era sempre stata lei quello che aggiustava tutto, certo, ma inventare… Non aveva mai pensato di costruire qualcosa da se. Davvero ne era capace? Scrollò le spalle. << Forse >> disse. Sospirò. << Da dove comincio?>>
<< Oh, no >> esclamò Leo, guardandola da capo a piedi, scettico. << Non puoi lavorare così.>>
Skyler inarcò un sopracciglio. << Perché, cos’ho che non va?>> chiese, non capendo e guardando i suoi vestiti.
<< Ti serve una divisa.>>
Skyler guardò le altre sorelle. Aveva già notato che nessuno di loro, neanche Leo, indossavano le magliette del campo. Avevano tutti dei pantaloni larghi e delle magliette vecchie, oppure, la maggior parte indossava delle tute da lavoro. Sembravano… tanti meccanici.
Leo chiamò due delle ragazze, che, con riluttanza, lasciarono i loro lavori e li raggiunsero. Il ragazzo ordinò loro di dare a Skyler qualcosa di adatto, e le due, contente, le sorrisero malandrine e la trascinarono al piano di sopra. Le diedero dei vestiti e la spedirono in bagno.
Quando ne uscì, Skyler sembrava un’altra persona. Le ragazze le avevano dato una tuta da meccanico abbastanza aderente, completamente di jeans, e una semplice maglia bianca a maniche corte da mettere sotto. Le avevano permesso di indossare ancora i suoi anfibi, e Skyler ne era stata molto contenta. Guardandosi allo specchio, sorrise.
Sembro mia madre, pensò, con una fitta di tristezza.
Quando tornarono nella fucina, Leo la guardò, ammirato.
<< Ottimo lavoro, ragazze >> si complimentò con le sorelle. Loro gli fecero l’occhiolino e tornarono alle loro postazioni. Il ragazzo si concentrò su Skyler. Fischiò. << Cavolo, stai benissimo.>>
<< Grazie >> arrossì lei, con un sorriso.
Leo la contemplò ancora un attimo, poi, si ricordò di ciò che doveva dirle. << Ah, si, vieni. Ora ti spiego.>> Si avvicinarono entrambi al tavolo da lavoro della ragazza. << Questi attrezzi sono tutti tuoi. Ogni tanto faccio un giro di circospezione, per vedere se va tutto bene. Se hai qualche problema, non esitare a chiamare. Queste >> le mostrò un foglietto. << Sono le tue ordinazioni. Non farti spaventare da ciò che trovi scritto. Una volta che inizi a lavorare, le mani si muovono da sole.>>
Le fece l’occhiolino e Skyler annuì. Si legò i capelli in una perfetta coda di cavallo e si mise a sedere.
Come le succedeva sempre quando aveva i capelli raccolti, seppe esattamente cosa doveva fare. La prima cosa che doveva riparare era una spada. Non aveva mai visto una spada, e non aveva neanche idea di come fosse fatta, eppure la riparò senza problemi. Era come se una mappa con le istruzioni fosse apparsa nella sua testa, come se le sue mani sapessero esattamente cosa fare.
Quando ebbe riparato anche la terza arma, Leo se ne andò e la lasciò lavorare.
Ne aveva riparate già dieci quando tornò. Skyler era impegnata a irrobustire uno scudo, ma aveva qualche problema a far aderire bene i bulloni. Leo se ne accorse.
<< Prova con la fiamma ossidrica >> le disse. La prese e la accese.
Skyler scattò in piedi. Arretrò di qualche passo, fissando spaventata la fiamma.
All’inizio Leo non capì, poi si rese contò di ciò che turbava la ragazza. Scoppiò in una sonora risata. << Ehi, stai tranquilla >> la rassicurò. << Noi figli di Efesto siamo immuni al fuoco. Tutti quanti.>> Si passò la fiamma sulla mano e la mostrò alla ragazza. << Vedi?>> Poi sorrise. << Sai, in teoria non dovrei dirtelo per non darti false illusioni, ma… >> Si chinò leggermente su di lei e le bisbigliò all’orecchio. << Alcuni di noi sono anche capaci di dominare il fuoco. È una cosa molto rara. Nessuno qui ha questo potere. L’ultimo che si era saputo è morto nel 1699, e si dice sia quello che ha incendiato Londra. Poi sono arrivato io.>> Si allontanò leggermente e le mostrò le sue dita prendere fuoco. << Qui sono l’unico a saperlo fare.>> Le fiamme gli avvolgevano le dita affusolate. Passarono dalle dita al suo palmo, e li si esibirono in una flebile danza. Skyler le fissava, terrorizzata.
Leo sorrise. << Sono come la Torcia Umana >> spiegò. Le fiamme dalla sua mano sparirono con la stessa velocità con cui erano arrivate. Il ragazzo le passò la fiamma ossidrica. << Non avere paura del fuoco >> le disse. << Sei immune anche tu.>>
Detto questo, se ne andò, lasciandola sola. Skyler osservò per qualche secondo ciò che aveva in mano.
Era immune al fuoco, lo era sempre stata. Era facile. Accendi questa fiamma e ripara quel bullone, si disse.
Ma non lo fece. Non adesso, non ancora. Non era ancora pronta. La strinse con forza, poi la lasciò andare sul bancone. Prese una chiave inglese e continuò a fare forza sul bullone.
Non era ancora pronta.
 
Ω Ω Ω
 
Aveva già terminato metà delle ordinazioni quando Leo tornò da lei.
<< Ehi Skyler >> le disse. << C’è un figlio di Apollo che ha bisogno che gli si ripari l’arco. Gli altri sono già impegnati, ci pensi tu?>>
Skyler ripassò mentalmente tutto il lavoro che aveva da fare. Si passò il dorso della mano sulla guancia, probabilmente nel tentativo di pulirla, ma questo non fece che sporcarla di più. Ormai, tutta la sua tuta era sporca, e le sue mani erano sudice.
<< Va bene, fallo venire >> acconsentì.
Il fratello andò a chiamare il ragazzo, e lei ne approfittò per pulirsi con un panno un po’ di grasso dalle mani.
Non voglio sporcargli l’arco, si disse.
Leo tornò poco dopo. << È la.>> Le indicò la porta. Poi le diede una pacca sulla spalla. << Buon lavoro!>>
Skyler alzò lo sguardo nella direzione indicata dal fratello.
Il suo primo pensiero fu solo uno.
Oh, cavolo!
Davanti a lei, a pochi metri di distanza, c’era John. Indossava un paio di jeans, e la maglietta del campo. Quella maglia, poi, era leggermente aderente, così Skyler si rese conto di quanto il suo fisico fosse perfetto. Portava un arco rotto in mano.
Quando i suoi occhi verdi incontrarono i suoi, lui le sorrise. Si avvicinò, forse avendo capito che sarebbe stata lei ad aggiustargli l’arma. Skyler sentì montare il panico.
Fece un punto della situazione. Lui è lì, con il suo fisico perfetto e il suo sorriso smagliante, ed io sono qui, sporca di grasso dalla testa ai piedi. Perfetto!
Ma ormai era tardi per tirarsi indietro.
<< Ciao!>> esclamò lui, raggiante. Skyler era troppo nervosa per rispondere al saluto, così lui si limitò a spiegare. << Il mio arco è rotto, si può aggiustare?>>
Skyler mugugnò qualcosa di incomprensibile. Lui aggrottò la fronte e lei si rese subito conto che stava facendo la figura della scema. << Ci penso subito!>> urlò, forse con un po’ troppa enfasi.
Gli diede un attimo le spalle, per poter prendere gli attrezzi, e in quel momento strizzò gli occhi. Così non va bene.
Quando tornò a guardarlo, si sforzò di sorridergli, poi si concentrò sull’arco.
Mentre lavorava, lui le stava vicino. Troppo vicino. Skyler riusciva a sentire il suo profumo di colonia accarezzarle le narici.
<< Tu sei… Skyler, giusto?>> disse lui, giusto per ammazzare il tempo.
Skyler annuì. << C’eri anche tu ieri sera, vero?>>
<< Beh, si. C’erano tutti. Anche se ti avevo notato già da prima. Sei una brava lottatrice >> affermò. Poi sorrise. << E poi una volta mi sei finita addosso.>>
Skyler avvampò all’istante, pensando a quel momento. Possibile che lui ancora se lo ricordasse?
<< Già, me lo ricordo >> mormorò, in imbarazzo. << Scusa ancora.>>
<< Figurati. Succede a tutti di inciampare.>> La osservò per un attimo. << Sai, sei stata davvero brava quella sera, contro Janice.>>
Skyler irrigidì i muscoli. << Eri fra il pubblico?>>
<< Scherzi?>> esclamò lui. << C’erano tutti! Il campo non fa altro che parlare di te. La nuova arrivata che batte in una lotta la figlia di Ares. Ormai sei una leggenda.>>
Skyler abbassò lo sguardo, in difficoltà. Lui se ne accorse e la rassicurò con un sorriso gentile. << Ti chiamano tutti la Ragazza in Fiamme.>>
Skyler strinse con forza il giraviti che aveva in mano. Di nuovo quello stupido soprannome. Lei non voleva essere la Ragazza in Fiamme. Lei odiava le fiamme!
Guardò John, e si perse in quelle sfere verdi che erano i suoi occhi. Sentì lo stomaco contorcersi. Quegli occhi erano così cristallini, che giurò che se li avesse osservati ancora per molto, lui sarebbe riuscito a capire tutti i suoi segreti. Ma non aveva voglia di distogliere lo sguardo.
Si rese conto solo in quel momento di quanto i loro visi fossero vicini. Ad un palmo, tanto che Skyler sentiva il suo respiro caldo sulla pelle. Avvampò, ma, al contrario di ciò che si sarebbe aspettata di fare, sorrise.
<< Sai, non ti ho ancora ringraziato per l’altro giorno >> gli disse.
Lui abbassò lo sguardo, imbarazzato, poi sorrise. << Non ho fatto niente di che.>>
<< Davvero? Se non fosse stato per te, ora sarei morta >>affermò. << Mi hai salvato la vita.>>
<< Non ho fatto tutto da solo.>>
Skyler rise. << No, ma hai fatto la tua parte.>>
Lui le scrutò un attimo il viso, e Skyler vide con la coda dell’occhio che stava sorridendo. << Grazie >> continuò.
Lui scosse la testa. << Non ringraziarmi. Se fossi stata tu al mio posto avresti fatto lo stesso.>>
Skyler fece finta di pensarci un po’ su. << Si, molto probabilmente hai ragione.>> Sorrise e gli passo l’arco, come nuovo. << Come farò a sdebitarmi?>>
<< L’hai già fatto >> rispose lui, prendendo l’arma e guardandola ammirato. La guardò negli occhi. << Sai, ho notato che non sei molto abile con arco e frecce >> disse.
Skyler arrossì. << Non ci ho mai provato al di fuori del campo >> si giustificò.
<< Beh, pensavo… se ti va… >> John si passò una mano fra i capelli, imbarazzato. << Ecco io, magari potrei… darti qualche lezione privata >> disse, tutto d’un fiato. Skyler lo guardò, stupita. << Se ti va >> ripeté lui.
Skyler rimase un attimo in silenzio, poi i suoi occhi si illuminarono e sorrise. << Si, mi piacerebbe.>>
John sospirò, sollevato, rendendosi conto solo in quel momento di trattenere il fiato. Ricambiò il sorriso. << Bene, allora… quando puoi.>>
Skyler annuì. << Quando posso.>>
<< Ehm, ok, allora… ciao.>>
<< Ciao.>>
Si sorrisero un’ultima volta, poi John se ne andò. Non appena Skyler fu sicura che lui non la guardasse, saltò di gioia.
<< Si!>> esclamò, contenta. I ragazzi che avevano le postazioni accanto a la sua si voltarono a guardarla, ma a lei non importava. Improvvisò addirittura un piccolo balletto della felicità, mentre si sedeva.
Era contenta. Troppo contenta!
Per questo finì di fare il suo lavoro non riuscendo a togliersi un sorriso ebete stampato in faccia.
 
Ω Ω Ω

Era già esausta.
Lei e i suoi fratelli avevano finito di lavorare da poco, e, dopo aver lottato per decidere chi avesse la precedenza in bagno, tutti si erano lavati, avevano indossato le magliette del campo ed erano andati ad allenarsi.
A metà strada, Skyler era stata raggiunta da Emma.
<< Ehi!>> trillò la bionda, con un po’ troppo entusiasmo.
Skyler tentò di sorridere ma era troppo stanca. << Ciao.>>
<< Allora?>> chiese Emma, curiosa. << Com’è stato il tuo primo giorno nella tua nuova casa?>>
Skyler si stiracchiò e scosse la testa. Doveva restare sveglia. << È andata bene >> rispose. << Sono stati tutti molto simpatici e gentili con me.>>
<< Mi fa piacere >> sorrise Emma.
Skyler ricordò solo in quel momento del ragazzo che camminava al suo fianco.
<< Ah, Emma, lui è Leo, mio fratello >> si affrettò a dire. << Leo, lei è la mia amica Emma.>>
<< Oserei dire la migliore >> mormorò la ragazza, e subito il sorriso sul suo volto si spense. Squadrò Leo dalla testa ai piedi. Quello non parve accorgersene, perché le sorrise e le tese la mano.
<< Piacere di conoscerti. Io sono… >>
<< So già chi sei >> lo interruppe, brusca. << Il primo figlio di Efesto dopo secoli in grado dominare il fuoco. Il genio che è diventato capogruppo dopo neanche una settimana >> esclamò, con finto entusiasmo. Al ché Leo ritirò la mano. Emma lo guardò con aria di sufficienza. << Hai sconfitto Encelado solo la scorsa estate. So benissimo chi sei.>>
Leo abbassò un attimo lo sguardo, imbarazzato. Emma aveva appena elencato tutte le sue gesta, ma le aveva tirate fuori dalla bocca come se fossero una colpa. Nell’abbassare lo sguardo, notò il simbolo impresso sull’avambraccio di lei. Sorrise, malandrino.
<< Tu sei figlia di Ermes, giusto?>>
Emma parve un attimo sorpresa, non aspettandosi quell’osservazione. Leo ne approfittò per pensare a cos’altro dire.
<< Si… si, infatti >> balbettò lei.
Lui sorrise sornione, si avvicinò a lei e accostò le labbra al suo orecchio. << Allora capisco che fine hanno fatto i prodotti di bellezza delle figlie di Afrodite >> le disse. << E perché tu sei così bella.>>
Non rimase lì per vedere la sua reazione. Si limitò a sorridere soddisfatto e ad allontanarsi verso la lezione di scherma. Emma restò lì, basita. Skyler le si avvicinò, la fronte aggrottata.
<< Che cosa ti ha detto?>> le chiese. << Non sono riuscita a sentire.>>
Emma si voltò per guardare nella direzione in cui era appena sparito il ragazzo. << Niente >> mormorò. << Solo ‘piacere di averti conosciuta’.>>
Skyler annuì, poco convinta.
Insieme, le due ragazze si avviarono verso l’arena. Skyler si sforzò di restare allerta. Almeno fino alla fine della lezione di scherma.
 
Ω Ω Ω
 
Para. Attenta. Schiva.
Attacca. Para. Para.
Spostati!
Usare la spada era molto più impegnativo di quanto Skyler avesse pensato.
L’avevano messa in coppia con Travis Stoll, e lui aveva giurato che ci sarebbe andato piano. Eppure, la stava sovrastando.
Skyler riusciva a parare i colpi, ma non riusciva mai ad assestarne uno. Era incredibile. Non appena provava a menare un fendente, Travis la intercettava, costringendola ad arretrare.
Era anche sleale, però. Travis si allenava da parecchi anni, mentre per lei quella era ancora una delle sue prime lezioni.
Dopo l’ennesimo colpo parato, Travis la disarmò e poi le ferì il braccio.
Skyler perse l’equilibrio e cadde atterra.
<< Oh, dei! Scusami, mi dispiace!>> esclamò lui, andandole incontro. << Mi dispiace, non volevo!>>
Skyler non capì perché si preoccupasse tanto, finché non sentì il sangue colarle sul braccio. Guardò la ferita. Era molto più profonda di quanto si sarebbe immaginata.
Skyler provò ad alzarsi, aiutata da Travis. In quel momento arrivarono anche Emma e Connor .
Quest’ultimo controllò rapidamente la ferita. << Dovresti fartela curare >> le disse.
Skyler fece una smorfia per lo sforzo, ma scosse la testa. << Non serve, sto bene.>>
Connor aggrottò la fronte. << È molto profonda. E perdi molto sangue. Non ci vorrà niente. Vai in infermeria, e le figlie di Apollo te le cureranno in un attimo.>>
Skyler stava per ribattere che non le faceva male, quando un rivolo di sangue le colò fino al polso. Storse il naso, più che per il dolore per il disgusto.
<< Ok >> acconsentì.
Si avviò incerta verso l’infermeria, seguita dalle gride di scuse di Travis, che continuava a ripetere che non voleva.
Skyler sorrise. Dopo lo avrebbe rassicurato che non le aveva fatto niente e che stava bene.
In realtà, non aveva affatto bisogno di cure mediche. La ferita non le faceva alcun male, e il sangue si sarebbe sicuramente fermato se tamponato un po’. Ma decise lo stesso di non tornare indietro. Forse, mentre le fasciavano il braccio, avrebbe avuto qualche secondo per riposare. E pensare.
 
Ω Ω Ω
 
Non appena entrò in infermeria, ebbe subito la voglia di tornare indietro.
Ragazze e ragazzi figli di Apollo sfrecciavano frenetici avanti e indietro. Molti ragazzi sanguinavano, altri vomitavano, alcuni svenivano. Nell’aria, un pungente odore di disinfettante arrivò alle narici di Skyler. Le venne un conato di vomito, ma lo represse. Almeno finché non passò davanti a lei un ragazzo su una barella. Era pieno di sangue, a causa di un brutto taglio allo stomaco. In confronto, quello di Skyler sembrava un semplice graffietto.
Camminò per quegli stretti corridoi, in cerca di qualcuno che le desse retta.
Quando era stata lì la prima volta, non c’era tutta questa confusione. O forse era lei che non l’aveva notata, immersa com’era nei suoi pensieri.
Finalmente, trovò una ragazza che invece di correre avanti e indietro scriveva qualcosa su una cartella. Le si avvicinò.
<< Ciao, ehm… scusa. Ho un brutto taglio al braccio, mi hanno detto di venire qui.>>
La ragazza alzò appena lo sguardo, giusto quel tanto che le bastava per constatare la gravità della ferita. Tornò subito a scrivere sulla sua cartella. Non la guardò neanche in faccia, quando parlò.
<< Mi dispiace, ma al momento non abbiamo ragazzi disponibili. Puoi tornare a casa e venire più tardi, oppure puoi aspettare che si liberi qualcuno lì.>> Le indicò una porta con la penna.
Skyler mormorò un grazie, ma la ragazza non le rispose e continuò a scribacchiare.
Incerta, Skyler andò nella stanza indicata dalla ragazza.
Era una specie di sala d’aspetto. Le pareti erano gialle, e non c’erano mobili a parte uno scaffale con qualche disinfettante e medicine e una marea di sedie di plastica, posizionate accuratamente lungo tutto il perimetro della stanza.
Nella sala c’era solo un ragazzo. Non appena lo vide, a Skyler venne un colpo. Era Michael, il figlio di Poseidone. Quello che le aveva salvato la vita. Era seduto su una delle sedie di plastica, molto probabilmente perché aspettava qualcuno.
Skyler restò immobile sulla porta. Lo guardò, e per un attimo se lo rivide proiettato davanti, tutto bagnato che la tirava fuori dall’acqua.
Non appena il ragazzo la notò, riabbassò velocemente lo sguardo, quasi imbarazzato.
Fu quel gesto a distogliere Skyler dai suoi pensieri, convincendola ad entrare. Si sedette su una delle sedie posizionate nel muro opposto al suo.
Il ragazzo non la degnò di uno sguardo. Skyler fece lo stesso. Decise di non dargli retta.
Molto probabilmente non gradisce la mia presenza, pensò.
La cosa la irritava molto, ma pensò bene di fingersi disinteressata, utilizzando tutta la sua attenzione per scrutare la sua ferita. La sfiorò con la punta delle dita e sobbalzò, facendo una smorfia di dolore.
Michael se ne accorse e fece un mezzo sorriso. << Se aspetti che venga qualcuno a curartela, resterai delusa >> le disse, al ché Skyler alzò lo sguardo. << È un’ora che aspetto qui e non è ancora venuto nessuno.>>
Skyler lo squadrò, di sottecchi. Aveva il suo solito aspetto trasandato, con i capelli arruffati e la maglietta del campo tutta stropicciata, ma a parte questo non aveva nulla di strano. Sembrava più sano di un pesce.
La ragazza inarcò un sopracciglio. << Che cosa ti è successo?>> chiese, sospettosa.
Il ragazzo sembrò indugiare, indeciso se dirglielo o meno. Poi, con uno sbuffo, si alzò la maglietta. Lì, all’altezza del fianco, la sua pelle era rossa e bruciata. Faceva impressione, e si riusciva a intravedere la carne viva pulsare.
Skyler sgranò gli occhi, sorpresa, e si lasciò sfuggire un “Oh, dei”.
Lui sorrise. << Non è così terribile come sembra >> disse.
Skyler ci mise un secondo per capire di aver appena fatto la figura della stupida, così si ricompose e guardò il ragazzo. << Ti fa male?>> chiese, in tono apprensivo.
Lui storse il naso. << Naah… è più che altro… fastidiosa.>>
Skyler annuì, distrattamente, continuando a studiare la ferita. Ne aveva già viste di così gravi, nella sua vita, e lo zio le aveva detto esattamente come curarla.
Guardò lo scaffale con il disinfettante e le medicine, poi tornò a guardare il ragazzo. << Posso pensarci io, se vuoi.>>
Michael la guardò inarcando un sopracciglio, e Skyler dubitò di non essere sembrata troppo sfacciata. Senza volerlo, arrossì violentemente.
<< So… so curarlo.>>
Michael guardò incerto prima lei, poi la sua ferita, poi di nuovo lei. << Davvero?>>
<< Certo. Non dico di essere brava come i figli di Apollo, ma posso provare a curartelo mentre aspettiamo loro.>>
Michael la studiò per alcuni secondi, poi alzò le spalle, fingendo indifferenza. << Se ti va.>>
Skyler esitò un attimo, interdetta dal comportamento del ragazzo. Poi si alzò e andò verso lo scaffale.
Studiò le medicine un attimo, poi, storcendo il naso, prese del disinfettante e un po’ di ovatta.
Andò a sedersi accanto a Michael, che nel frattempo aveva riabbassato la maglietta.
<< Fammi vedere >> gli disse.
Lui sospirò, poi alzò la maglietta. Da vicino era ancora peggio di quanto sembrasse. La pelle era letteralmente bruciacchiata, e si intravedeva la rosea carne viva, che sembra ancora più delicata e fragile. Vedendola così, Skyler non si sorprese se a qualcuno, vedendola, venisse da vomitare.
Storse il naso, nel tentativo di scacciare quel pensiero. Prese un pezzo di ovatta e la bagnò con il disinfettante. Poi sfiorò delicatamente la ferita con le dita.
Michael scattò. << Ahi >> si lamentò, guardandola storta.
Skyler si strinse nelle spalle. << Scusa… >> mormorò, dispiaciuta. Prese l’ovatta bagnata e guardò Michael. << Farà un po’ male >> lo avvertì. Poi, senza preavviso, tamponò la ferita con l’ovatta.
Michael sobbalzò all’istante. << Ah >> esclamò. Skyler smise di tamponare e lo guardò in attesa. Michael ci mise qualche secondo per capire la figura che stava facendo. Si stava mostrando debole. Se non riusciva a sopportare neanche un po’ di disinfettante, come poteva far credere alla ragazza di essere un ragazzo forte? Strinse i denti e annuì leggermente. Skyler lo strofinò di nuovo con il disinfettante, ma stavolta lui non disse niente. Si limitò a stringere i denti e a fare grandi respiri con una smorfia sulla faccia, tentando di gestire il dolore.
Skyler continuò a curarlo in silenzio. Dopo un po’, si lasciò scappare un sorriso sarcastico. << Mi spieghi come hai fatto a farti una cosa del genere?>>
<< Oh, è facile >> esclamò lui. << Basta un po’ di fuoco, un cane a tre teste e il figlio del dio della morte.>>
Skyler aggrottò la fronte. << Intendi Ade?>>
Michael rise, distogliendo lo sguardo. << Lasciamo stare.>>
Lei sorrise e scosse lievemente la testa. Senza volerlo, andò a toccare un punto di carne viva. A contatto con il fresco disinfettante, Michael sobbalzò.
<< Scusa… >> mormorò Skyler.
Michael le scrutò un attimo il volto. << Io sono Michael, comunque.>>
<< Lo so >> rispose lei, con un sorriso. << Io sono Skyler.>>
<< Lo so >> ribatté lui, distogliendo lo sguardo con un sorriso amaro.
Skyler aggrottò la fronte, divertita. << Se ci conosciamo già perché non ci siamo mai parlati?>>
Lui scosse la testa. << Non ne ho la minima idea.>>
Scoppiarono entrambi in una sommessa risata. Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Michael parlò.
<< Tu sei…. Figlia di Efesto, giusto?>> disse, facendole credere di averci pensato.
Skyler annuì. << Già, sono stata riconosciuta da poco.>>
<< Lo so, c’ero anch’io quella sera >> le disse. Poi abbassò lo sguardo sul suo tatuaggio. << Ci ha messo un po’, il signorino.>>
Skyler rise per il nomignolo strano che aveva usato, poi lasciò cadere lo sguardo sul tridente impresso sull’avambraccio di lui. << Tu padre invece è Poseidone >> affermò.
Michael annuì. << Uno dei tre pezzi grossi >> mormorò, con scarso entusiasmo.
<< Sei il fratello di Percy, vero?>>
Michael parve un attimo turbato da quell’affermazione, e Skyler si chiese il perché. Poi lui aggrottò la fronte, e sorrise amaramente. << Già… A quanto pare mio fratello è una leggenda. Quello che ha salvato il campo, ha sconfitto Crono… di sicuro ti hanno già raccontato la storia.>> Skyler aprì la bocca per dire che, no, non gliel’avevano ancora raccontata, ma Michael la precedette. << Io invece sono l’esatto opposto. A quanto pare, sono la pecora nera della famiglia.>>
Skyler lo squadrò in volto. << Non dire così.>>
<< Ma è vero. È mio fratello l’eroe. Io sono… semplicemente il fratellino combina guai che fa disastri a cui lui poi deve rimediare >> ammise. Poi abbassò lo sguardo. << In tutta la mia vita non ho mai fatto nulla di eroico >> mormorò.
<< Hai salvato me >> esclamò lei, decisa. Lui la guardò, sorpreso, e Skyler si pentì subito di averlo detto. Abbassò lo sguardo, imbarazzata. << Ecco, io… non ti ho ancora ringraziato per l’altro giorno. Se non fosse stato per te, sarei annegata.>>
Michael scrollò le spalle, ma si vedeva che sorrideva, compiaciuto. << Non ho fatto niente di che. Ho visto Janice buttarti in acqua, e quando mi sono accorto che non risalivi più mi sono tuffato. Lo avrebbe fatto chiunque.>>
<< No, non è vero. Janice e le sue amiche mi avrebbero lasciato lì ad affondare. Sono proprio… proprio…>> Non riusciva a trovare le parole, per questo sbuffò, frustrata.
Michael la guardò di sottecchi. << Sai, ancora non capisco perché tu non abbia voluto reagire. Quello che hanno fatto è spregevole, meritano una punizione.>>
Skyler scosse la testa, con convinzione. << È proprio questo che vogliono. Un motivo in più per darmi contro. Quello che ha fatto Janice lo ha fatto solo per vendetta. Dopo che io… >> esitò un attimo. << Dopo che io l’ho umiliata, lì, davanti a tutti, lei si è sentita offesa. E le serviva qualcosa per rimarcare la sua autorità, per far capire che era la più forte.>> Strinse le labbra in una linea sottile. << Sono come i bulli del mio quartiere. Se li lasci perdere, loro si dimenticano di te.>>
<< È un po’ difficile dimenticarsi di te >> affermò Michael, divertito. << Insomma, quello che hai fatto è stato… epico. Hai steso una figlia di Ares in un combattimento, nessuno può vantarsi di un gesto simile. Al campo, ormai, sei famosa. Skyler Garcia >> esclamò, gesticolando davanti a se come se stesse prendendo le misure di un cartellone pubblicitario. Skyler trattenne il fiato. Ecco, stava per dirlo. Il soprannome che tanto odiava. Quello che ormai le avevano affibbiato tutti. Michael sorrise sornione. << La paladina dei deboli.>> Guardò entusiasta Skyler. << Che te ne pare?>>
Skyler lo guardò, esterrefatta. Poi sorrise, contenta, con gli occhi che esprimevano gratitudine. Anche se Michael non ne capiva il perché. In fondo, non aveva detto niente di speciale.
Lei ripensò alle sue parole, ammirata. C’era qualcosa in quel ragazzo, qualcosa che lo rendeva diverso dagli altri, che lo elevava dal giudizio della gente. Ma forse era proprio questo il punto. Lui non era come il resto della massa. Lui aveva pensieri suoi, non ascoltava gli altri. E, senza saperlo, si era appena aggiudicato un posto nella sua lista dei preferiti.
Skyler rise, con una risata semplice e cristallina. << Si, mi piace. Ha un suo perché.>>
Michael rimase un attimo in silenzio, a contemplarla, mentre lei riprendeva a tamponarli la ferita, il sorriso sulle labbra.
Era bella, anzi magnifica. E lui era come imbambolato. Dai suoi capelli, dal suo sorriso, dalle sue mani delicate. Dai suoi occhi scuri in cui riusciva sempre a distinguere delle striature dorate.
Starei ore a contemplare quelle striature, pensò. Poi si scosse dai suoi pensieri.  Ma cosa sto dicendo?!, si rimproverò, aggrottando la fronte. Distolse lo sguardo dal suo viso e si sforzò di pensare ad altro. Insomma, era solo… Skyler.
Fisso gli occhi sulla sua ferita, che lei stava ancora meticolosamente curando. Alzò un angolo della bocca. << Sai, è strano >> disse, facendole alzare lo sguardo. << Prima, quando sono venuto qui, ho mostrato ad alcune ragazze la mia ferita. Una l’ha guardata, inorridita, con gli occhi sgranati. Le altre due hanno avuto dei conati di vomito. Mi hanno spedito qui, quasi disgustate.>> Rise. << Tu, invece, non hai fatto una piega. L’hai guardata, eppure non ti ha fatto schifo, non hai distolto lo sguardo e non hai nemmeno avuto i conati di vomito.>> Studiò il suo volto, un sopracciglio inarcato. << Perché?>>
Skyler strinse le labbra, in un sorriso sarcastico. Lo guardò negli occhi. << Ho visto di peggio.>>
In quel momento, i loro sguardi si incrociarono. Fu come se qualcuno avesse scattato loro una foto. Rimasero lì, in silenzio, gli occhi attratti come da una calamita, entrambi incapaci di spostare lo sguardo.
Skyler sentì un nodo allo stomaco quando incontrò i suoi. Erano azzurri, di un azzurro forte, accecante. Poi, parvero cambiare sotto il suo stesso sguardo. Da azzurri, diventarono sempre più chiari, prendendo una tonalità così cristallina da sembrare diafana. Erano diventati di ghiaccio, anche se striati da qualche venatura più azzurra.
Skyler non poté fare altro che contemplarli, ammirata. Solo in quel momento, si rese conto di quanto i loro volti fossero vicini. Prima non ci aveva fatto caso, ma ora che lo aveva lì, i nasi ad un soffio dallo sfiorarsi, non poté fare a meno di sentirsi le gambe di gelatina.
Ad interrompere quel sottile velo di magia, ci pensò una figlia di Apollo, che irruppe nella stanza.
<< Ragazzi >> esclamò. << Si è liberato un posto, chi dei due ha bisogno di aiuto?>>
Entrambi sobbalzarono, come svegliati da uno stato di trance. Si allontanarono con uno scatto e distolsero lo sguardo, arrossendo violentemente.
<< Si, beh, io… >> balbettò Skyler, grattandosi distrattamente la mano.
<< Ecco, io, insomma… >> fece Michael, passandosi imbarazzato una mano fra i capelli.
La ragazza li guardò con un sopracciglio inarcato, in attesa.
Michael sorrise a Skyler. << Vai tu. Stai perdendo molto sangue. Ti cureranno in fretta.>>
<< Sei sicuro? Tu sei qui da prima di me.>>
Lui scosse la testa. << Non preoccuparti. Posso aspettare.>>
Skyler gli sorrise, riconoscente. Si alzò e seguì la ragazza fuori dalla porta. Prima di uscire, si voltò a guardarlo. << Ci vediamo, allora >> disse.
Lui le sorrise, annuendo. << Ci vediamo.>>
Skyler ricambiò in sorriso e seguì la ragazza per lo stretto corridoio.
<< Sai, non abbiamo tutto il tempo qui perché voi giochiate ai piccioncini innamorati >> si lamentò quella.
Lei arrossì imbarazzata, ma non poté fare a meno di sorridere.
Non sentì neanche il dolore, quando alla ferita le misero i punti.

Angolo Scrittrice
Holaaa!!
Salve pella ciente! Allora, che ve ne pare? Vi è piaciuto il capitolo?
Finalmente iniziamo a capire un po' di più su altri due personaggi molto importanti per la storia: Michael e John. Sono, come avrete capito, molto diversi, e entrambi hanno colpito, in un modo o nell'altro, la nostra Skyler. Ma, sono curiosa... A voi chi piace di più? Il figlio di Poseidone o di Apollo? Ahah :D
Skyler, poi, sta iniziando ad instaurare anche un bellissimo rapporto fratello/sorella con Leo, e spero che questo vi piaccia! ^^
Ma soprattutto, spero che il capitolo in se vi sia piaciuto
.
Che cosa ne pensate? E' bello, brutto? Noioso? Fatemi conoscere la vostra opinione, sono tutte bene accette. Ma soprattutto mi rendereste felicissima!
Bene, detto questo, è arrivato il momento di dedicare il mio spazietto alle Valery's Angels migliori del mondo, e cioè:
giascali, Fred_Beckendorf99, Fred Halliwell (spero di essermi riscattata ;D), moon_26, bibrilove98 e _percypotter_! Che cosa farei io senza di voi? Eh? Sapete dirmelo? Ahah, vi adoro! E' anche grazie a voi se questa storia va avanti. Ma, ovviamente, ringrazio anche tutti coloro che hanno messo la storia fra le preferite, le seguite e le ricordate, e anche tutti voi, lettori silenziosi, che leggete questa sottospecie di fanfic! I. Love. You!
Bene, è ora di andare. Grazie a tutti, e alla prossima
Un bacione enorme ;*
La vostra
ValeryJackson
P.s. Scusate se questo capitolo é un po' troppo lungo >.< i'm sorry! 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Rientrò nella casa Nove fradicia di sudore.
Era passata circa una settimana dal suo arrivo in quella casa, ed era andata alla grande.
Skyler aveva subito fatto amicizia con i suoi nuovi fratelli, e, nonostante non ci parlasse granché durante il resto della giornata, lavorava bene con loro, e apprezzava molto l’aiuto delle sue sorelle quando non sapeva come aggiustare qualcosa. Cosa che succedeva di rado.
Eh già. Aveva scoperto di avere un talento innato per quel genere di cose. All’inizio lo credeva impossibile, poi pian piano ci aveva preso la mano e ora era una delle più richieste dagli altri semidei del campo. Portavano tutto da lei. Armi, scudi, armature, giocattoli. Di tutto. A lei bastava legarsi i capelli in una coda di cavallo, esaminare la situazione, e lasciare che le sue mani si muovessero da sole. Non era mai stato così facile.
A darle grande supporto, poi, c’era Leo. Lui e Skyler avevano condiviso praticamente tutto, nell’ultima settimana. Leo aveva fatto di tutto per farla sentire a proprio agio, e Skyler non aveva mai rifiutato il suo aiuto, nonostante a volte non ce ne fosse alcun bisogno. Si sentiva bene, con lui. Protetta, fra le braccia di un fratello maggiore. Perché è questo che ormai era diventato Leo. A tutti gli effetti, e nel vero senso della parola. Il suo fratellone. Skyler aveva scoperto di volergli un bene dell’anima, e a volte si sorprendeva a ringraziare gli dei, per averle regalato un fratello così dolce.
Oltre poi ad essersi ambientata nella sua nuova casa, Skyler aveva continuato gli allenamenti, diventando pure piuttosto brava. Non che prima non lo fosse. Lo zio l’aveva allenata per anni, e a volte si ritrovava sempre a seguire i suoi consigli, nonostante con lui non avesse mai impugnato una spada. Chissà cosa direbbe se la vedesse. Sarebbe fiero di lei? La guarderebbe con orgoglio, vedendola lottare?
Era questo che pensava Skyler mentre rientrava in casa. Oltre a “Ho fame” e “Devo fare la pipì”.
Quando si sedette sul letto per sfilarsi gli scarponi, si rese conto che in casa non c’era nessuno.
Si staranno ancora allenando, pensò, massaggiandosi i piedi.
Poi udì un rumore sordo provenire dal piano di sotto. Velocemente, si infilò le pantofole e scese le scale.
Lì, la fucina era vuota. Si spostò lentamente verso il primo tavolo da lavoro e vi afferrò una chiave inglese. Stava per ispezionare la stanza, alla ricerca di un intruso, quando una testa riccia fece capolino sul muro.
Skyler sospirò di sollievo. << Leo!>> lo chiamò.
Il ragazzo era di spalle, e quando udì il suo nome sobbalzò e si voltò di scatto. << Skyler >> esclamò, sorpreso. Poi abbozzò un sorriso imbarazzato e si grattò la nuca. << Che ci fai qui?>> chiese, a denti stretti.
Skyler aggrottò la fronte. << Che ci fai tu, qui >> ribatté. << Io sono appena arrivata.>> Si sporse leggermente per vedere ciò che il fratello stava palesemente nascondendo dietro la schiena. << Che stavi facendo?>>
<< Chi, io? Niente >> balbettò lui, fingendo invano noncuranza. << Proprio niente.>>
<< Mh-mh.>> Skyler si sporse ancora di più, scettica. Non riuscendo a vedere niente, fissò il fratello con un sopracciglio inarcato, le braccia conserte.
Leo trattenne il fiato per un attimo, poi non resse quello sguardo e sbuffò rassegnato. << Oh, e va bene!>> sbottò. << Però prometti di non dirlo a nessuno.>>
Skyler mostrò le mani, per dimostrare che le dita non fossero incrociate, e giurò.
Leo si guardò circospetto intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno. Poi, Skyler lo raggiunse e lui cacciò dalla tasca uno strano telecomando.
Skyler aggrottò la fronte, divertita. << Che cos’è?>>
Leo non rispose, e digitò una rapida sequenza di numeri su quello che sembrava un display.
Poi aspettò. Aspettarono entrambi. Skyler un po’ scettica, a dir la verità.
Dopo alcuni secondi di silenzio, il terreno si mosse.
Si sentì una leggera vibrazione e, con una lentezza da film, la parete davanti a loro si squarciò, mostrando una scalinata che portava verso il basso.
Skyler sgranò gli occhi, sorpresa, mentre Leo sorrideva compiaciuto. << Vieni >> le disse, e lei lo seguì giù per le scale.
Se Skyler era sorpresa all’inizio, una volta sotto rimase allibita. Si trovavano un una specie di bunker, una sorta di officina secondaria di cui, a quanto pare, solo Leo conosceva l’esistenza.
<< Ho scoperto questo posto circa nove mesi fa >> spiegò, muovendosi con disinvoltura in quel buco. Si avvicinò ad una parete ed accese la luce. La stanza si rivelò molto più grande di quanto Skyler avesse immaginato. Al centro, un telo enorme copriva qualcosa.
Leo fece spallucce. << È il mio rifugio segreto.>>
Skyler si guardò intorno, la bocca aperta in una ‘o’ perfetta. << Leo, è… è… >> Non riusciva a trovare le parole. Boccheggiò un secondo, poi un pensiero le attraversò la mente. Aggrottò la fronte. << Ma che ci fai tu qui?>>
Leo sembrò esitare. Guardò la tromba delle scale, per assicurarsi che nessuno li avesse seguiti. Poi studiò Skyler. << Devi promettere di non dirlo a nessuno.>>
Skyler alzò gli occhi al cielo. << Leo, l’ho già fatto.>>
<< Promettilo.>>
Sbuffò. << Lo prometto.>>
Leo aspettò qualche secondo. Poi, si avvicinò al grosso telo che c’era in mezzo alla stanza e, con uno scatto, lo fece cadere a terra.
Skyler trattenne il fiato. Quel telo non nascondeva una semplice macchina. Sotto, c’era una specie di drago di metallo, tutto di bronzo.
Leo sorrise, soddisfatto. << Ti presento il mio progetto personale.>>
Skyler si avvicinò lentamente a lui, affiancandolo, senza però distogliere gli occhi dal drago. << È.. è un drago?>> balbettò.
Leo annuì. << Non può ancora volare. Però ci sto lavorando, e presto sarà in grado di sputare fiamme.>>
Skyler deglutì, la gola secca. << E perché stai costruendo… un drago di metallo?>>
L’espressione di Leo mutò, diventando più cupa. << Ne ho perso uno, l’anno scorso >> spiegò, gli occhi tristi. << Era un grande. Ora spero che questo sia allo stesso livello. Si chiamava Festus.>>
Skyler trattenne una risata. << Il drago felice?>>
Risero entrambi.  Poi Leo guardò Skyler. << Ehi, potresti aiutarmi >> disse, con un sorriso. << In due, riusciremo a finirlo prima.>>
Skyler valutò un attimo la situazione, studiando le condizioni del drago. Poi ricambiò il sorriso. << Si, si potrebbe fare.>>
<< Fantastico!>> esclamò Leo, contento. Poi accarezzò il muso di metallo. << Sai, a volte vengo qui anche per potermi sfogare. In modo che gli altri poi non siano gelosi >> ammise. << Ma con te sono sicuro che non corro rischi.>>
Skyler aggrottò la fronte. << In che senso?>> disse, non capendo.
Leo fece un sorriso sghembo. << Tutti gli altri mi guardano sempre male, quando uso la mia abilità con il fuoco. Loro non lo ammettono, ma io so che è così. Me ne accorgo. Ma so che per te è diverso. Tu non vuoi avere la capacità di dominare il fuoco. Non ti chiudi in bagno per venti minuti osservando ossessivamente la tua mano nella speranza che si accenda. Non mi lanci occhiatacce se uso il mio dito al posto della fiamma ossidrica.>> La guardò. << Tu sei diversa.>>
Skyler non seppe cosa dire. Era diversa? Si, e Leo non immaginava neanche quanto. Però aveva ragione. Lei non voleva dominare il fuoco, non ne aveva nessuna voglia, né alcuna necessità. Anzi, lei non voleva proprio averci a che fare. Per ovvi motivi…
<< Ti mostro una cosa >> le disse il ragazzo, avvicinandosi alla parete. << Ma non dirlo a nessuno.>> Le fece l’occhiolino. Poi, posò il palmo sul muro screpolato. Skyler non capì cosa avesse intenzione di fare, quando la parete andò a fuoco.
Piccole fiammelle si propagarono intorno alle dita di Leo, espandendosi e formando uno strano disegno. Lentamente.
Corsero lungo il muro, infilandosi negli intercapedini, negli angoli. In meno di cinque secondi, la stanza andò a fuoco.
Skyler seguiva i movimenti delle fiamme, con la gola secca. Sgranò gli occhi, e sentì montare il panico. Iniziò a sudare, e il suo respiro divenne irregolare, grosso. Le gambe le diventarono di gelatina, e tutte quelle fiamme le portarono un’unica parola alla testa. Morte.  
Leo si accorse che qualcosa non andava. << Skyler >> mormorò, preoccupato.
Ma Skyler non lo ascoltava. La voce arrivava ovattata, troppo lontana per poter distinguere qualche parola. Iniziò ad indietreggiare, il corpo scosso da violenti brividi. Il fratello provò ad avvicinarsi, ma Skyler non lo degnò di uno sguardo.
Continuó ad indietreggiare, spaventata da quello spettacolo. Mentre camminava all’indietro, tenendo d’occhio le fiamme, inciampò in un cacciavite.
Cadde a terra, e fu a quel punto che si scosse. Si rese conto della situazione, si rese conto del pericolo. Scattò in piedi e corse su per le scale.
Rientrò nella fucina, senza guardarsi alle spalle.
Crollò a terra. Si strinse le ginocchia al petto con entrambe le braccia e fece grandi respiri, tentando di ragionare. Strizzò gli occhi più volte, le labbra tremanti. Aveva la fronte e la nuca imperlate di sudore.
Dopo un po’, qualcuno arrivò dietro di lei, e le posò una mano sulla spalla. << Skyler, stai bene?>> chiese Leo, visibilmente preoccupato.
Skyler aprì la bocca, per replicare, ma non ne uscì alcun suono. Era bloccata. Vide la vista appannarsi.
Leo le si sedette accanto, guardandola con preoccupazione.
<< Mi… mi dispiace >> disse, ma la voce le si spezzò. Si accorse di piangere quando sentì un sapore salato in bocca.
Leo non sapeva cosa dire, così lei continuò. << Io… io… scusa, Leo… Io non so cosa mi sia preso… è solo che… ho visto il fuoco e… >> Si interruppe. Non riusciva a formulare neanche una frase di senso compiuto, e ormai i singhiozzi le impedivano di parlare.
Leo le accarezzò la schiena. << Ehi, non devi scusarti >> le disse. Poi le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. << È solo che… non capisco che cosa è successo. Io… io non volevo spaventarti, te lo giuro. Non sapevo che… >>
<< No >> lo interruppe Skyler, scuotendo la testa. << Non scusarti. Non potevi saperlo.>>
<< Mi dispiace >> mormorò lui. << Io non volevo.>>
Ci fu un attimo di silenzio, in cui Skyler prese dei bei respiri, nel tentativo di calmarsi. Leo le sedeva accanto, senza dire una parola. Era dispiaciuto, e si sentiva in colpa per tutto questo. In quel momento, Skyler si sentì un vero schifo, perché gli stava facendo credere di avere una colpa che in realtà non gli apparteneva. Avrebbe potuto restare in silenzio, ma a che scopo? Forse, parlarne con qualcuno avrebbe alleviato il suo dolore.
Si lasciò sfuggire un ultimo singhiozzo. << È stato otto anni fa >> cominciò, senza dire nient’altro. Aveva la voce ancora spezzata, ma non le importava. Leo si mise in ascolto. << Mia madre lavorava in un’officina vicino Los Angeles. Era una sera come tante. Lei era lì, ed io stavo accanto a lei, giocando con la mia bambola di pezza. Così passavamo le giornate. Quando mia madre ebbe finito di lavorare, andammo tutte e due in macchina. Io però mi accorsi di aver scordato dentro la mia bambola di pezza. La pregai di andare a prenderla. Lei non voleva, era stanca, ma io insistevo. Così, lei è rientrata dentro. E l’officina è esplosa. Una grossa esplosione. Enorme. C’era fuoco da tutte le parti. Questo è il ricordo più vivido che ho, perché il resto è tutto confuso. Sono scesa dalla macchina, e ho provato ad entrare. Dei pompieri me lo hanno vietato, ed io piangevo. È stata l’ultima volta che ho visto mia madre.>> Lasciò che una lacrima le rigò il viso e guardò Leo. << Capisci? Il fuoco se l’è mangiata.>> Singhiozzò. << E ho sempre paura che possa mangiare anche me.>>
Leo la guardò negli occhi, lo sguardo triste. Poi annuì. << Lo so >> disse.
<< No, non lo sai >> urlò lei, le lacrime ormai che le rigavano le guance.  << Tu non sai come mi sento. L’ho uccisa, capisci? Io ho fatto bruciare mia madre. Io l’ho pregata perché rientrasse a prendere la mia bambola, quando l’officina è esplosa. Sono stata io. Io! Continuo a torturarmi la mente chiedendomi come sarebbe stato se non l’avessi fatto. Se fossi stata zitta, se non avessi insistito. Se non mi fossi scordata quella stupida bambola!>> Si prese la testa fra le mani, torturandosi i capelli continuando a piangere. << È stata tutta colpa mia >> singhiozzò. << Avrei dovuto esserci io al suo posto.>>
Rimasero un attimo in silenzio, un silenzio che fu Leo a rompere. << Mia madre è morta quando avevo cinque anni >> le disse. << In un certo senso, nello stesso modo in cui è morta la tua. In un’officina. È bruciata. Solo che in quel caso sono stato io ad appiccare il fuoco.>> Si interruppe e Skyler alzò lo sguardo. Anche lui ora aveva gli occhi appannati.
<< Credi che non sappia come ci si sente, a vivere con i sensi di colpa? Credi che… non sogni ogni volta come sarebbe stata la mia vita, se ci fosse stata mia madre?>> La guardò per un attimo, poi sorrise amaramente. << Credo di sapere perfettamente come ti senti.>>
Skyler non seppe cosa dire. Rimase interdetta, davanti a quella rivelazione. Poi abbassò lo sguardo. << Non dirlo a nessuno>> mormorò.
<< Come?>>
<< Non dirlo a nessuno. Non voglio che si sappia in giro che ho paura del fuoco. Hai… hai visto come reagisco, e non voglio. Sono una figlia di Efesto, e ne sono immune. Poi sembrerebbe strano.>>
Leo sorrise e le accarezzò i capelli. << Vieni qui >> le disse, attirandola a se. Lei si accoccolò sul suo petto e lui la stritolò in un abbraccio. << Sarà il nostro piccolo segreto.>>
<< Promesso?>>
<< Promesso.>>
Skyler si lasciò sfuggire un sorriso. << Sei il migliore, Leo.>>
<< Lo so.>>
Risero entrambi, contenti e sollevati. A tal punto, da non rendersi neanche conto di Ariel, figlia di Afrodite e migliore amica di Janice, che origliava con un ghigno soddisfatto da dietro la porta.
 
Ω Ω Ω
 
A cena non era successo nulla di speciale.
Ognuno si era seduto al proprio tavolo per parlare con i fratelli, e il mangiare era squisito come al solito. Al suo tavolo facevano battutine, ma Skyler, come come sempre, non stava ascoltando. Faceva vagare lo sguardo su tutti i semidei presenti, soffermandosi ogni tanto ad osservarne qualcuno con attenzione. Aveva già trovato i suoi compagni. I tavoli erano disposti come degli enormi banchi di scuola, a file di due, per cui non era difficile trovarli.
Quello della casa di Ermes era solo una fila più avanti al suo, alla sua destra. Emma di sedeva quasi sempre di fronte a lei, così che ogni volta che avrebbero voluto fare un commento, si sarebbero viste facilmente senza dare nell’occhio. In quel momento, però, Emma era impegnata e ridere, tenendosi la pancia, mentre Travis dava divertito delle energiche pacche sulla schiena di Connor, che si stava strozzando. Quei due erano comici. Anche mentre uno di loro stava soffocando, riuscivano a farti ridere. Tanto che a Skyler strapparono un sorriso.
Poi, nella fila dietro di lei, esattamente due file dopo il tavolo di Ermes, c’era quello di Apollo. Skyler doveva sempre girarsi di spalle per vederlo, per cui non lo faceva quasi mai, ma ogni volta che ci provava, riusciva sempre a scorgere il viso di John, a volte anche ad incrociare il suo sguardo.
Poi, esattamente due file avanti a lei, dal suo stesso lato, c’era il tavolo di Poseidone. A separarli era il tavolo dei figli di Afrodite, che sghignazzavano sempre oppure si truccavano, facendo pettegolezzi. Se aguzzava bene l’udito, riusciva anche ad udirne qualcuno, ma la maggior parte delle volte erano troppo frivoli e noiosi per essere degni della sua attenzione.
Comunque, nonostante i capelli perfettamente lucidi e gonfi dei figli della dea dell’amore che le ostruivano la visuale, Skyler non faceva fatica a vedere Michael. Era sempre lì, seduto di fronte a lei, accanto a suo fratello. La loro sorellina, Rose, invece le dava sempre le spalle. Era un po’ triste vederli lì, dato che erano solo in tre, ma sembravano comunque divertirsi, e Skyler giurò fossero molto legati.
Ogni volta che si fermava ad osservarli, incrociava sempre gli occhi di Michael. Sussultava, ogni volta, e, nonostante lo sapesse, riusciva ancora a rimanere senza fiato quando vedeva i suoi occhi cambiare. Un giorno verdi. L’altro azzurri. Poi addirittura violetti. Era sempre una sorpresa.
Come adesso, quando, mentre lei lo fissava, Michael alzò per caso lo sguardo e la notò. Erano grigi, i suoi occhi, proprio come un mare in tempesta.
Lui sostenne un po’ il suo sguardo, prima di regalarle un sorriso timido. Skyler riuscì a ricambiarlo, prima che lui abbassasse di nuovo gli occhi sul piatto.
Lasciò quel sorriso sulle sue labbra un po’ più del dovuto, tanto che Leo, seduto di fronte a lei, se ne accorse, e si voltò per capire cosa la sorella stesse osservando. Lei arrossì, e distolse lo sguardo, imbarazzata, mentre Leo la guardava con un sopracciglio inarcato. Che avesse capito o no, non disse niente, e la cena si concluse come si concludevano tutte le altre.
Poi, arrivò il momento dell’offerta per gli dei.
Tutti i ragazzi si misero in fila e aspettarono il loro turno. Il fuoco era più grande, quella sera, più imperioso, e Skyler, in altre circostanze, sarebbe scappata via. Ma non lo fece. Ormai aveva imparato a controllarsi, quando si trovava lì, in modo che nessuno si accorgesse che le sudavano le mani.
Quando arrivò il suo turno, lo osservò un attimo titubante. Molto probabilmente Chirone lo aveva alimentato quel giorno, perché le fiamme svettavano più in alto. Strinse nel pugno il pezzo di carne che aveva in mano, poi fece un leggero inchino e sussurrò. << Per Efesto.>> Poi buttò nel fuoco il pezzo di carne e aspettò che questo bruciasse.
Si grattò distrattamente il braccio, mentre si teneva a debita distanza.
Stava per andarsene, quando qualcuno la spinse. Con un po’ troppa forza. Skyler fu presa alla sprovvista, per questo perse facilmente l’equilibrio e barcollò in avanti. Inciampò nel piede di qualcuno, che forse si trovava lì per caso o forse era stato messo lì apposta. Poi, finì nel fuoco.
Fiamme incandescenti si innalzavano attorno a lei, esibendosi in una danza macabra per far risaltare tutti i suoi colori. Il rosso. Il giallo. L’arancio. In quel momento a Skyler sembravano i colori della morte.
Sentì montare il panico. Si guardò intorno, disperata, alla ricerca di una via d’uscita. Ma non c’era. O meglio, lei non riusciva a trovarla. Perché in quel momento era completamente impietrita. Con gli occhi fuori dalle orbite, iniziò a respirare affannosamente, con il fiato grosso. Poi cominciò a sudare.
Doveva stare calma. Lei era figlia di Efesto, era immune al fuoco. Non poteva bruciare.
No, eccome se poteva. Poteva farlo. Era così che era morta sua madre.
Il panico si trasformò ben presto in disperazione, e Skyler fu colpita immediatamente dal pensiero che non ci fosse via d’uscita.
Il fuoco no ti fa niente, si disse. Stai calma.
Allungò il braccio e sfiorò con le dita una fiamma. Lo ritrasse di scatto. No, non poteva farcela. Rischiava di bruciare.
Strinse forte gli occhi, con un forte nodo alla gola. << Aiuto… >> mormorò, con la voce rotta. << Aiuto!>> Stavolta lo gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
Una mano le afferrò con forza il polso e la tirò fuori da quell’inferno. Senza capire bene come, si ritrovò fra le braccia di Leo.
Pian piano, ritrovò la calma. Era rimasta solo sette secondi dentro quel fuoco, ma a lei era sembrata un’eternità. Strinse con forza la maglietta del ragazzo nei pungi. In quel momento, le sue braccia sembravano il posto più sicuro del mondo. Stava per riprendersi, quando sentì delle voci riecheggiare nell’aria.
Dapprima arrivavano al suo orecchio ovattate, ma poi diventarono più chiare. Erano risate.
Le risate di Janice, che, con le sue amiche, aveva assistito a tutta la scena.
La guardò, con un ghigno soddisfatto. << Non è divertente, ragazzi?>> esclamò, rivolgendosi a tutti e a nessuno. Skyler si rese conto solo in quel momento che tutti la stavano osservando. << Una figlia di Efesto, che ha paura del fuoco.>> Il suo ghigno diventò un sorriso malefico. << Sei ridicola.>>
Skyler si sentì mancare il fiato. Non lì, non davanti a tutti. Non poteva essere successo davvero.
Leo fulminò Janice con un’occhiata di puro odio, mentre Skyler si divincolava lentamente dall’abbraccio.
Si guardò intorno. Tutti i semidei del campo la osservavano, a bocca aperta. Molti di loro avevano gli occhi sgranati, altri un’espressione neutra, indecifrabile. Alcuni di loro mormoravano qualcosa. Fatto sta, che tutti fissavano la scena. Questo significava che tutti l’avevano vista andare nel panico. Che tutti, ora, conoscevano la sua più grande paura.
Sentì un groppo in gola, e gli occhi cominciarono a pizzicarle. Si portò una mano alla bocca, e non si rese neanche conto di Leo che stava fronteggiando Janice, guadagnandosi un forte pugno alla mascella.
All’improvviso, tutto sembrava sfocato, i suoni lontani. Ma forse, era tutta colpa delle lacrime che stavano per rigarle le guance.
Si voltò di scatto e corse via, più veloce che poteva. A quel punto, non gli impedì più di cadere. Erano calde, e bagnate, e Skyler riusciva a sentire il loro sapore salato in bocca, ma non poteva farne a meno. Non riusciva a fermarle.
Corse fino a che non le mancò il fiato, non sapendo dove stesse andando, per via della sua vista offuscata.
Si rese conto solo dopo che era scappata nel bosco. Era ancora nei confini del campo, questo lo sapeva, ma si trovava al buio, segno evidente che il falò era molto lontano.
Degli alberi enormi si stagliavano su di lei, comprendo la Luna. Skyler trovò per puro caso il tronco di un albero, caduto a terra, e lo usò come panchina personale. Poggiò la testa sulle ginocchia, avvolgendosele con le braccia, e cominciò a piangere.
Dopo un po’, sentì delle voci chiamarla.
<< Skyler!>> Non riusciva a capire chi fosse. << Skyler!>>
Dopo un po’ la vide. Era Emma.
Non appena la bionda la scorse da dietro un albero le corse incontro. << Skyler… >> mormorò, gli occhi pieni di tristezza.
Si sedette accanto a lei sul tronco e le accarezzò la schiena. Skyler non riusciva a smettere di singhiozzare, ma era confortante sapere di avere qualcuno accanto.
<< Skyler, non piangere >> le disse, ma questo non fece che peggiorare la situazione. << Non devi fare così. Non darle questa soddisfazione.>>
<< E che cosa dovrei fare, secondo te, eh?>> sbottò lei, adirata. << Tu non sai come mi sento.>>
Continuò a piangere, le lacrime calde che le bagnavano le guance. Emma sospirò e attirò l’amica a se, stringendola in un abbraccio. << So come ti senti >> mormorò, anche se Skyler giurò non fosse vero. << Ma ora ti devi calmare.>>
Skyler cercò di seguire il suo consiglio e dopo un po’ le lacrime si trasformarono in dei singhiozzi sommessi. Non appena si fu calmata, Skyler sciolse l’abbraccio e si stropicciò gli occhi con entrambe le mani.
Quando li riaprì, il suo cuore perse un battito. Davanti a lei, sia Michael che John osservavano la scena. Il primo con la spalla appoggiata a un albero, il secondo con i pungi chiusi e uno sguardo preoccupato, mentre si sentiva impotente. Erano corsi a cercarla.
Oh no. E adesso?
<< Che cosa ci fate voi qui?>> chiese Skyler, aggrottando la fronte, anche se sapeva già la risposta.
I due ragazzi si avvicinarono. << Eravamo preoccupati per te >> rispose John, e Michael si limitò a squadrarla in cerca di qualche graffio.
Skyler abbassò lo sguardo sulle sue mani. << Sto bene >> mormorò, poco convinta.
Michael sospirò e andò a sedersi di fronte a lei, posando la schiena contro un albero che si trovava solo due metri di distanza dal tronco caduto. John lo imitò, ma rimase in piedi, posando solo la spalla contro lo stesso albero.
In quel momento, Skyler si sentì osservata. Focalizzò l’attenzione sul bordo della sua maglietta. << Vi ho detto che sto bene.>>
Emma la guardò con dolcezza. << Ne sei sicura?>>
Skyler annuì, ma le sfuggì un singhiozzo. Si morse il labbro inferiore per evitarne altri. Emma sospirò.  << Skyler, non devi preoccuparti. È normale avere paura di qualcosa. Tutti hanno paura.>>
<< Si, ma tu non capisci >> sbottò lei, guardandola. << Io sono figlia di Efesto, dio del foco. Eppure ho paura di lui. Ho paura del mio Elemento. Io dovrei dominarlo, e invece… >> Si bloccò un istante. << … e invece mi fa rivivere brutti ricordi.>>
Aprì la bocca per dire qualcosa, poi abbassò lo sguardo. Voleva davvero dirlo? Raccontarlo a loro? Avrebbe dovuto sentirsi a disagio, e invece c’era qualcosa, in quel momento, che la spingeva a parlare. Fece un respiro tremante. << Mia madre è morta quando io avevo solo sette anni >> disse. << Lavorava in un’officina, e alcune volte io andavo con lei. Ero lì il giorno in cui è successo. Io l’ho pregata di tornare dentro per prendermi una cosa e l’officina…>> Si morse il labbro, reprimendo le lacrime. << E l’officina è esplosa. Mia mamma è morta bruciata. Vivo con i sensi di colpa da allora. Sono stata io a costringerla a rientrare dentro. Io le ho impedito di tornare a casa.>> Vide la sua vista appannarsi. << È come se io l’avessi uccisa.>> La voce le si incrinò. Per un attimo, fra i quattro ragazzi calò il silenzio.
Fu Emma a romperlo. << Tutti abbiamo le nostre paure >> le disse accarezzandole la schiena.
Skyler scosse la testa. << È diverso.>>
<< E cosa c’è di diverso? Credi che io non abbia paura di nulla?>> Notò che Skyler non era intensionata a degnarla di uno sguardo, così fece un bel respiro. << Ho paura delle altezze >> confessò, al ché Skyler alzò gli occhi. << Quando ero molto piccola, mio nonno cadde da un palazzo facendo bungee jumping. Sai che non avevo un bel rapporto con mia madre, per cui fino ai tre anni mio nonno è stato ciò che di più caro avevo al mondo. Era uno spericolato.>> Gli occhi le si appannarono di un velo di tristezza. << Non sono mai salita a più di un metro d’altezza. Se lo faccio, mi tremano le gambe, vado nel panico, e non riesco più a scendere. È una fobia.>>
Ci fu di nuovo un breve silenzio. John spostava rapidamente lo sguardo dall’una all’altra, osservandole con attenzione. Dopo un po’ si decise e sospirò. << Se vi dico la mia paura, giurate di non ridere?>> chiese. Le ragazze si scambiarono uno sguardo curioso, poi annuirono all’unisono. Prese un bel respiro. << Ho paura dei cavalli.>>
Emma inarcò un sopracciglio, e soffocò una risata. << Dei cavalli?>>
<< Si, dei cavalli.>> A quel punto, Emma rise. << Ehi, avevi promesso di non ridere!>>
<< Scusa, ma… come fai ad avere paura dei cavalli? Sono così carini.>>
<< Fidati, non per me >> rispose lui, sbuffando. Alzò gli occhi al cielo. << Quando avevo undici anni facevo equitazione. Ero bravo, e partecipavo anche a molte gare. Vedete, mia madre, dopo aver partorito me, si è risposata con un altro uomo. Per mantenerci. Insieme, hanno avuto altri due figli, che in teoria sono i miei fratelli. Almeno per la legge. Ma ho sempre saputo che cos’ero. Lo sapevamo tutti e tre. Un giorno, mentre provavo un percorso ad ostacoli, il mio cavallo si è ribellato. Mi ha disarcionato, ed io sono volato giù dalla sella. Sembrava impazzito. I miei arrivarono giusto in tempo.>> Si fermò un attimo. << Cadendo, mi ruppi la colonna vertebrale. I medici dissero che per me non c’erano chance, e che molto probabilmente sarei morto entro la fine della giornata. Mia madre era disperata. Alla fine, fece l’unica cosa che sarebbe stata in grado di salvarmi. Pregò mio padre.>>
<< Il dio della medicina >> mormorò Skyler affascinata.
John annuì. << Si, esatto. Mio padre arrivò. Usò tutte le sue competenze mediche, e mi salvò tirandomi per i capelli. Quando mi sono svegliato, avevo già questo.>> Indicò il tatuaggio che aveva sul braccio. Due rami d’alloro, intrecciati, con al centro una piccola stellina.
<< E poi sei venuto qui?>> chiese Emma.
Annuì di nuovo. << Ho lasciato la mia famiglia e sono venuto al campo.>> I suoi occhi sembravano addolorati. << Da quel giorno non mi sono mai più avvicinato ad un cavallo. È come.. come se rivivessi di nuovo quel dolore lancinante, e non avessi modo di guarirlo.>>   
Emma corrucciò leggermente la fronte. << Ecco perché non ti vedo mai alle lezioni di equitazione.>>
John annuì lentamente. Skyler lo guardò. << E con i pegasi?>>
Lui scosse la testa. << È lo stesso. Io… non lo so, è che quando guardo i loro occhi…>> Rabbrividì, e un brivido gli corse anche lungo la colonna vertebrale.
Skyler rimase un attimo in silenzio, poi sospirò. << Almeno tu non hai paura del tuo elemento >> disse, lo sguardo perso nel terreno.
<< È la stessa cosa >> insistette lui. << La mia è una paura proprio come la tua. Anzi, forse addirittura più stupida.>>
<< No, non è vero >> replicò. << Tu… tu non hai paura del sole. Non hai paura di arco e frecce. Si, è vero, forse se qualcuno lo venisse a sapere non sarebbe una bella cosa, ma non diventeresti mai un fenomeno da baraccone quanto potrei io.>> Lo guardò intensamente negli occhi. << Io ho paura del fuoco, John. E il fuoco è il mio elemento.>>
<< Io ho paura dell’acqua >> esordì Michael, che fino ad allora non aveva spiccicato una parola. Tutti si voltarono a fissarlo, sbalorditi, e calò nell’aria un silenzio imbarazzante. A quel punto, Michael sorrise amaramente, lo sguardo perso in un punto indefinito. << So cosa state pensando. Un figlio di Poseidone che ha paura dell’acqua… >> Alzò lo sguardo, incrociando gli occhi con quelli di Skyler. << Strambo, eh?>> Sorrideva, come se fosse solo un gioco, ma nei suoi occhi si poteva benissimo leggere il rammarico e la tristezza. Abbassò di nuovo lo sguardo, strappando distrattamente qualche filo d’erba dal terreno.
<< Sai, anche mia madre è morta quando ero piccolo >> disse, raccontando a tutti ma rivolgendo un discorso diretto a Skyler. << Avevo cinque anni. Lei faceva la cameriera su una nave da crociera.>> Un sorriso triste si dipinse sul suo volto. << Adorava quel lavoro. Un giorno, mentre lavorava, la sua nave è affondata, e lei è morta. È morta in acqua, capite? È morta annegata. E lui non l’ha salvata. Mio padre, intendo. Lui… non ha fatto niente per impedirlo. Da quel giorno, ogni volta che mi immergo sott’acqua non faccio altro che pensare a lei. Ai suoi capelli, al suo sorriso. A come è morta. Io… >> Fece una pausa, scuotendo la testa per scacciare le lacrime. << Io non posso farcela. Non… non ho gli altri poteri dei miei fratelli. Loro riescono a respirare sott’acqua, riescono a creare delle bolle di protezione. Io no. Io… non so, a volte credo che se mai mi trovassi sott’acqua senza ossigeno, morirei. Morirei proprio come mia madre.>> Prese un sassolino da terra e se lo rigirò fra le mani. << È da quando lei è morta che ho questa fobia. Forse perché ho paura di finire come lei.>> Strinse con forza il sassolino nel pugno e lo lanciò lontano. << O forse è solo un atteggiamento di ripicca verso mio padre.>>
Skyler lo squadrò un secondo. << Tuo padre non poteva fare niente >> affermò, decisa.
<< Mio padre poteva aiutarla!>> sbraitò lui.  << È il dio del mare, per gli dei! Dov’era quando la nave è affondata? Dov’era quando mia madre annegava, quando aveva bisogno di lui?>> Nessuno rispose. << Non c’era >> concluse lui. << Credi davvero che ci sarebbe per me?>>
<< Vorresti dire che siamo nella stessa situazione?>>
<< No, voglio dire che tu sei fortunata. Tu almeno hai l’incudine, hai i bulloni, hai il martello. Io senza l’acqua che cos’ho?>>
<< Ragazzi >> intervenne Emma. << Adesso basta.>>
<< Stai mentendo >> esclamò Skyler. << Se avevi paura dell’acqua, allora perché ti sei buttato nel lago?!>>
<< Per salvare te, scema!>> sbottò lui. Poi, avvampò e abbassò imbarazzato lo sguardo. << L’ho fatto per salvare te >> mormorò.
Skyler non seppe cosa dire. Boccheggiò un attimo, tentando di afferrare al volo le parole, ma niente. Strinse adirata i denti. << Non darmi mai più della scema >> sibilò. Michael la guardò, ma si limitò a scrollare le spalle.
Skyler si guardò intorno, nel tentativo di distogliere l’attenzione dalla strafottenza di quel ragazzo. Aggrottò la fronte. << Dove siamo?>> Intorno a lei, solo alberi.
I ragazzi perlustrarono la zona con lo sguardo. << Vicino al lago >> disse Michael. Quando tutti si voltarono a guardarlo, lui fece spallucce. << L’ho visto mentre venivamo.>> La sua voce si abbassò ad un sussurro. << E riesco anche a sentirlo.>>
<< Lì c’è il campo di fragole del Signor D >> aggiunse Emma. << Travis e Connor vengono sempre qui a rubarle.>>
<< E il Signor D li ha scoperti?>> chiese John.
Emma accennò un sorriso. << Ancora no.>>
A quel punto, la rabbia di Skyler si dissolse, e finalmente si rese conto della situazione. Erano lì, insieme. Quattro ragazzi, ognuno con i propri sogni, le proprie speranze, le proprie paure. Tutti loro si erano appena rivelati come non avevano mai fatto con nessun’altro, portando a galla quel lato nascosto del loro animo che avevano tenuto in un angolo per tanto tempo.
La mora fece scorrere velocemente lo sguardo dall’uno all’altro, studiandoli in ogni minimo particolare. << Promettetemi una cosa >> disse, rompendo il silenzio che si era creato. Tutti e tre la guardarono, incuriositi. Sospirò. << Giuriamo su questi alberi, sul lago, e sul campo di fragole del signor D, che non diremo mai niente a nessuno. Questa conversazione resterà fra questi metri quadri, e nessuno proferirà parola con qualcuno riguardo le paure dell’altro.>> Li guardò intensamente, ad uno ad uno. << Sarà il nostro segreto.>>
Emma e John sorrisero, all’unisono. << Lo giuro >> disse la bionda, quando la mora si voltò a guardarla.
Poi guardò John. << Lo giuro >> annuì lui.
Infine, lo sguardo di Skyler si spostò su Michael, e così anche quello degli altri due. Stava fissando il terreno, ma quando si sentì osservato, alzò lentamente lo sguardo. Fece scattare gli occhi da un ragazzo all’altro, che lo guardavano in attesa, finché non incontrarono quelli neri di Skyler. Lì, si soffermarono un po’ più del dovuto. Il figlio di Poseidone fece spallucce, ma si vedeva che tentava di nascondere un sorriso. << Lo giuro >> disse.
Sul volto di Skyler si fece largo un sorriso smagliante. << Bene >> annuì. << Lo giuro anch’io.>>
E così, quel giuramento fu stipulato. Lì, lontano da tutto e da tutti, lontano dagli altri ragazzi, lontano dai loro fratelli. Lì c’erano solo loro quattro, che si erano dichiarati e consolati a vicenda, e che ora si giuravano fedeltà.
Nessuno di loro avrebbe potuto immaginare che quello fosse solo l'inizio di una profonda amicizia.

Angolo Scrittrice
Ciaoooo!!! :D
So che di solito aggiorno ogni martedì, ma dato che domani non credevo di farcela e il capitolo era già pronto ho pensato: perchè no? So... eccomi qui.
Vi è piaciuto il capitolo? Ve lo dico, anche se forse sto facendo un errore, ma questo è uno dei capitoli più importanti di tutta la storia. Il problema è che fa un po' schifo. Davvero, scusatemi. Non so perchè, ma non sono per niente soddisfatta. Ho paura di non essere riuscita a creare nè la suspance nè le emozioni che volevo. Che amarezza! D:
Voi cosa ne pensate? Vi è piaciuto? Spero di si...
Anyway, vi dico semplicemente che è importante perchè è il capitolo in cui si scoprono le principali paure dei nostri personaggi, e dato che la storia si concentrerà anche principalmente su quello e che queste loro paure potrebbero essere un bene o un male... beh, ora basta, lo scoprirete col tempo ;) è anche importante, comunque, perchè questo loro "segrete" li legherà, poi, per il resto della storia, e come si capisce dall'ultima frase, è solo l'inizio di una profonda amicizia.
Lo so, lo so... sto tentando inutilmente di salvarmi la reputazione dopo questo schifo di capitolo. Ma, vi prego, non lanciatemi i pomodori! Vengo in pace D:
By the way, è arrivato il momento di ringraziare i miei angeli preferiti *^* e cioè:
giascali, Fred_Beckendorf99, Fred Halliwell, moon_26, bibrilove98, _percypotter_, Greg Heffley e Kyira! Siete fantastiche, davvero. Degli angeli nel vero senso della parola ;D
Ok, credo di aver detto tutto. Grazie a tutti per aver letto questo spazio autrice e per non avermi riso in faccia, e thanks a tutti quelli che hanno messo la storia fra preferite, seguite e ricordate e a tutti voi, lettori silenziosi :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto nonostante la sua schifosità ^^
Alla prossima! Un bacio enorme :3
La vostra
ValeryJackson

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Si svegliò già stanca morta.
Si mise a sedere e si stiracchiò, stropicciandosi gli occhi, gonfi per il pianto della sera prima. Aveva pensato che sarebbe stata costretta a non rimettere più piede al campo, dopo ciò che era successo, ma alla fine era accaduta una cosa impensata.
La sera prima, infatti, lei, Emma, Michael e John si erano confidati. Avevano aperto i loro cuori, rivelando cose che molto probabilmente non sapevano neanche i loro fratelli. Avevano stretto un patto, e Skyler si chiedeva se sarebbero riusciti a mantenerlo.
Che cosa era successo, esattamente, la sera prima? Janice l’aveva umiliata davanti a tutti, questo se lo ricordava. Ma poi? Era scoppiata a piangere, ed era corsa nel bosco. Ed era stata seguita dai suoi… amici?
Poteva davvero definirli così?
Emma era la sua migliore amica da un po’, ormai. Questo lo sapeva. Ma gli altri due? L’avevano seguita perché volevano consolarla, o perché gli faceva pena? O forse volevano semplicemente vedere come stava, perché ormai la ritenevano una sua amica?
Skyler era sempre stata molto attenta nell’usare quell’aggettivo. Di amici veri ce n’erano pochi, e lei lo sapeva. Tutti gli altri erano solo conoscenti. John e Michael… che cos’erano?
Continuò a porsi questa domanda, mentre si lavava e si preparava per un’altra giornata al campo. Un sorriso le comparve sulle labbra. Qualunque fosse il motivo, le aveva fatto piacere che fossero lì con lei. E anche che le avessero rivelato i loro più grandi segreti. Era come se… se la ritenessero importante. E faceva ancora fatica ad abituarsi a questa sensazione.
Senza controllare se i suoi fratelli dormissero o fossero già svegli, si infilò un paio di converse nere e uscì di casa, dirigendosi verso la capanna numero Undici. Lì, trovò Emma che l’aspettava fuori dalla porta.
Si salutarono con un sorriso, e poi si avviarono insieme all’arena, per gli allenamenti di scherma.
Durante il tragitto, parlarono un po’. In realtà parlava solo Emma, mentre Skyler l’ascoltava in silenzio. Emma parlava di tutto, ma non accennò neanche una volta a quanto successo la sera prima, e Skyler glie ne fu immensamente grata.
Circa a metà strada, poi, incontrarono Percy. Sembrava un po’ stanco, e aveva il braccio di un ragazzo attorno alla spalla, che si aggrappava a lui a peso morto.
Skyler aggrottò la fronte non appena lo notò. << Ehi, Percy.>>
Il semidio sbuffò, per togliersi una ciocca di capelli corvini dagli occhi, che in quel momento erano azzurri. << Ciao ragazze.>>
<< Cos’è successo?>> chiese Emma. In quel momento le ragazze riconobbero l'altro ragazzo. Era Tito, figlio di Apollo.
Percy sospirò. << È caduto dal palo. Ci ha provato, ma non ci è riuscito.>>
Emma annuì, sconfortata, mentre Skyler continuava a non capire.
Il ragazzo fra le braccia di Percy mugugnò qualcosa. << Sarà meglio che lo porti in infermeria >> disse, afferrandolo più saldamente. << Ci vediamo ragazze!>> aggiunse, con un sorriso stanco, e poi trascinò Tito dagli altri figli di Apollo.
<< Ciao Percy!>> esclamò Emma, ricambiando il sorriso.
<< Ciao >> mormorò semplicemente Skyler, mentre cercava di capire il senso delle sue parole. Quando fallì per l’ennesima volta, si arrese. << Che cosa voleva dire Percy?>> chiese all’amica. << Che cos’è il palo?>>
L’amica la guardò un attimo di sfuggita, indecisa se dirglielo o meno, tanto che lei si chiese il perché.
La bionda sospirò e si fermò all’improvviso. Alzò un dito, per indicare qualcosa. << Quello è il palo >> rispose. La mora seguì con gli occhi la direzione da lei indicata. Ma tutto ciò che vide fu un enorme palo di legno, alto più di otto metri, con la stessa circonferenza del tronco di un pino, che si ergeva nell’erba apparentemente senza motivo.
Inarcò un sopracciglio. << E perché quel ragazzo ci è salito sopra?>>
Emma sospirò, e spostò il dito sul punto del palo che svettava verso il cielo.  << La vedi quella freccia?>> disse. Skyler assottigliò gli occhi, e la vide. Una freccia, conficcata alla fine del tronco, nel punto più in alto. Annuì. << Chirone l’ha lanciata lì circa tre mesi fa. Per esercitarci. Chi riuscirà a prenderla sarà davvero pronto ad affrontare quello che c’è là fuori, ha detto. Non appena l’ha annunciato, tutti hanno riso. Insomma, che ci vuole ad arrampicarsi su un tronco e prendere una freccia? Noi ci alleniamo tutti i giorni, no? Beh, non sarebbe stato Chirone, se fosse stato facile. Ci hanno provato in centinaia, ma tutti finivano per cadere con il sedere a terra. Chirone ci ha dato il via libera, dicendo che potevamo usare tutto ciò che volevamo, l’importante era che la prendevamo. Ma nessuno ci è mai riuscito. Neanche i figli di Ares, o quelli di Atena. Nessuno. Credo che molti di loro ci hanno anche rinunciato.>> Sospirò.
Skyler studiò il palo di legno con sguardo attento. << E perché è così difficile?>>
<< È ripido. E scivoloso. Per questo Chirone afferma che solo chi riuscirà a prenderla, sfidando la forza di gravità, è il migliore. Tutti vogliono dimostrare di essere quella persona, ovvio. Ma è impossibile. Secondo me è una fregatura.>>
Skyler rimase ancora un po’ in silenzio ad osservare quella freccia. Chissà se lei sarebbe stata in grado di prenderla, si chiese, con un sospiro. Sarebbe rimasta lì immobile, se non si fosse accorta di Emma che aveva ripreso a camminare verso l’arena.
Lanciò un’ultima occhiata alla freccia di sfuggita, prima che anche quella sparisse dalla sua visuale.
 
Ω Ω Ω
 
Anche per quella giornata, gli allenamenti erano finiti.
Era quasi il tramonto, e i ragazzi avevano un po’ di tempo, prima che suonasse il corno per la cena. Skyler si stava dirigendo con Emma verso la casa Undici, ridendo fra una chiacchierata e l’altra.
Il loro sorriso si spense non appena arrivarono di fronte al palo.
Un gruppo numeroso di semidei vi si era riunito intorno, e uno di loro era intento a scalare. Skyler la riconobbe subito. Era Janice.
Era arrivata quasi a metà, e molti facevano il tifo per lei. Si stava arrampicando facendo forza sulla sua spada. Ma aveva le mani sudate. Così, dopo un po’, l’arma le scivolò dalle mani, e lei cadde a terra.
Alcuni ragazzi le furono subito intorno per aiutarla.
Lei si rialzò a fatica, rifiutando l’aiuto di tutti. Poi, il suo sguardo incontrò il volto di Skyler, e la sua bocca si stirò in un sorriso maligno.
<< Guarda, guarda chi abbiamo qui >> cantilenò, con sarcasmo. << Signore e signori. Skyler, la figlia di Efesto che brucia fra le fiamme.>> Rise, e fu subito seguita da tutti gli altri.
Skyler digrignò i denti e strinse i pugni, mentre la vista le si appannava.
<< Oh, che c’è? Vuoi piangere?>> esclamò la figlia di Ares, facendo tremare il labbro inferiore per prenderla in giro. Altre risatine. Janice sorrise, avvicinandosi a lei così tanto che Skyler poteva contare ogni minima goccia di sudore che le imperlava la fronte. << Fatti da parte >> sibilò, dandole uno spintone con la spalla per poi superarla e andarsene, seguita da tutti gli altri.
Emma aspettò che se ne fossero andati, seguendoli con lo sguardo, prima di voltarsi a guardare Skyler, che aveva gli occhi fissi in un punto imprecisato, sforzandosi di mantenere la calma. << Non prendertela >> le disse.
Lei non era offesa. Era adirata. Lo si poteva capire dal modo in cui le sue unghie erano conficcate nei suoi palmi, lasciandoci i segni.
Emma fece un mezzo sorriso. << Pensa al fatto che neanche lei è riuscita a scalare il palo.>>
Skyler fece un ghigno, soddisfatta. Emma riprese a camminare, ma lei, prima di seguirla, posò lo sguardo sulla freccia.
Quella, sotto i suoi occhi, sembrò emettere un luccichio, illuminata dal sole.
Lo stesso luccichio si specchiò negli occhi di Skyler.
Le era venuta un’idea.
 
Ω Ω Ω
 
Era rischioso, lo sapeva. Ma si era convinta, ormai, che non aveva altra scelta.
Voleva scalare il palo. Emma le aveva detto che era una pessima idea, e l’aveva anche avvertita sui pericoli che correva. Ma non le importava. Se c’era un modo per dimostrare agli altri che lei non era semplicemente l’ultima arrivata, quel modo era prendere quella maledettissima freccia.
Non può essere tanto difficile, no?, pensò.
Alzò lo sguardo, ammirando il palo che la sovrastava con la sua grandezza. Intravedeva il cielo arancione del tramonto, ma dovette comunque assottigliare gli occhi per poter focalizzare il suo bersaglio.
Poi, studiò con il palmo la superficie del tronco. Era liscia, proprio come aveva detto Emma. Davvero non c’erano appigli su quel tronco.
Con un sospirò, provò ad arrampicarsi. Avvinghiò il tronco con entrambe le braccia. Fece un salto e lo circondò anche con le gambe. Iniziò a strisciare così per un po’, ma cadde a terra dopo il primo metro.
Si rialzò, con una smorfia, e si tolse la terra dal giubbino.
Faceva un po’ freddo, quella sera, per questo aveva deciso di mettere il suo giubbotto di pelle.
Le venne un lampo di genio. La pelle.
Con foga, si sfilò il giubbino, per osservarlo. Poi, senza perdere un attimo, avvolse il tronco con quello, mentre lei lo teneva dall’altra parte. Provò a farlo muovere su e giù, per vedere se accadeva ciò che pensava. Poi alzò le braccia il più possibile, e, non appena fu sopra la sua testa, lo tirò giù con forza. Il giubbino si spostò di qualche centimetro.
Sorrise, soddisfatta. Alzò gli occhi per scrutare la freccia. Il cielo stava tramontando. Doveva muoversi, se voleva prenderla prima di cena. Digrignò i denti e irrigidì i muscoli.
Arrotolò il giubbino su se stesso, poi si attorcigliò le maniche attorno alle mani, il più stretto possibile.
Prese un bel respiro, e iniziò a scalare. Doveva tirarsi su con le braccia, e solo con quelle, dato che non aveva un appoggio per i piedi. E, nonostante all’inizio scivolasse e la sua andatura fosse titubante, alla fine prese il ritmo, e iniziò ad avanzare con più facilità.
Stava scendendo la sera, e faceva freddo, a quell’altezza. Il vento le schiaffeggiava le braccia nude, pungendole con tanti minuscoli aghi. O forse era solo la sua impressione. Forse era solo lo sforzo. In quel momento ringraziò mentalmente lo zio per averla allenata tanto. Se ce la stava facendo, era anche merito suo.
Lì non contava la forza, o il modo, o l’impegno. Lì contava la resistenza. Ed era proprio questo che la stava aiutando a non cadere.
Quando superò di un metro la metà, iniziò a sentire i primi dolori. Aveva le braccia stanche, e le mani le bruciavano da morire mentre la fronte era imperlata di sudore. Ma non poteva fermarsi. Non qui. Non ora. Strinse con forza i denti, fino a farsi male. Non si accorse neanche del ragazzo che era appena arrivato, e che la guardava dal basso allibito.
Skyler continuò ad avanzare. Ma, ad un certo punto, perse momentaneamente la presa sulla giacca. La riacquistò subito, ma ora le sue gambe ciondolavano nel vuoto, e Skyler si sentì mancare il respiro. Le dimenò nell’aria, andando nel panico.
Mancano solo due metri, si disse. Ce la devo fare.
E poi, lo vide.
Una sporgenza. No, non una sporgenza. Il tronco era tagliato. Dalla spada di Janice, pensò Skyler.
Non perse tempo. Strinse ancora di più i denti e si diede lo slancio. Riuscì a poggiare il piede in quella fessura, e così a riprendere l’equilibrio.
Si concesse un secondo per sospirare, sollevata. C’era mancato poco. Se fosse caduta da quell’altezza, ci sarebbe voluto più di un figlio di Apollo per rimetterla in sesto.
Alzò lo sguardo. La freccia era così vicina. Dalla posizione in cui si trovava, riusciva a scorgere ogni suo minimo dettaglio.
Con il volto ormai una maschera di fatica, fece perno sul piede per ripartire, e continuò a scalare.
Il ragazzo, che la stava ancora fissando dal basso, si riscosse immediatamente, capendo ciò che stava per fare. Corse verso la casa grande, intento a chiamare gli altri.
Skyler continuò a salire, e a salire, e a salire. Le facevano male i muscoli, le facevano male le braccia. Le faceva male tutto. Ma non si fermò. Ormai era vicina. Un ultimo sforzo, e ce l’avrebbe fatta.
I semidei arrivarono a flotti. Quel ragazzo aveva avvisato gli altri, in preda all’eccitazione, e nessuno aveva esitato neanche un secondo a correre verso il palo. C’erano tutti. Emma. Michael. John. Grover. Percy. Leo. Ad aprire la fila, quel ragazzo, con un Chirone preoccupato e una Janice furiosa.
Quest’ultima accelerò il passo, arrivando per prima al palo. 
Non fece neanche in tempo ad alzare la testa, che una freccia si conficcò nel terreno davanti a lei, a pochi centimetri dai suoi piedi.
Alzarono tutti lo sguardo, stupiti. Skyler era seduta in cima al tronco, esausta, e sorrideva, soddisfatta e felice.
Per un attimo rimasero tutti in silenzio. Guardarono Chirone. Il centauro fissò Skyler, dal basso. Poi, lentamente, sorrise, e alzò la mano per salutarla con un cenno.
Tutti esultarono, euforici.
Janice non ci poteva credere. Perché quella ci era riuscita e lei no? Come aveva fatto? Aveva forse barato?
Purtroppo, la risposta le arrivò come un pugno in faccia. Ce l’aveva fatta da sola. Era riuscita dove lei aveva fallito.
Ad irritarla ancora di più, fu il figlio di Poseidone. << Wow >> mormorò infatti Percy, con un sorriso, battendo le mani.
Questo era troppo. Se anche lui, l’eroe del campo, era rimasto sorpreso da una cosa del genere, vuol dire che era una cosa grossa.
Pestò un piede a terra, emettendo un grido di frustrazione. Poi, girò sui tacchi e se ne andò.
Skyler, da lassù, non riusciva a credere che tutto questo putiferio fosse per lei. Ora, finalmente, non le avrebbero più riso in faccia. Ora era la loro eroina.
 
Ω Ω Ω
 
Scendere da quel palo, alla fine, non era stato affatto facile. Ma ne era valsa la pena.
Ora, invece di sghignazzare ogni volta che la vedevano, tutti al campo si fermavano per congratularsi. Era davvero gratificante, essere apprezzati. Chissà se sarebbe durata ancora per molto, prima che si ricordassero che aveva paura del fuoco e che ridessero di lei.
Decise di non pensarci, e di godersi questo momento.
La cena era stata, come al solito, squisita, e, dopo l’offerta agli dei, tutti si erano riuniti intorno al falò per le canzoni del campo, cantate per lo più dai figli di Apollo.
Skyler raggiunse Emma non appena la bionda aveva buttato una coscia di pollo nel fuoco, e insieme si diressero dagli altri.
Appena arrivarono al falò, notarono che tutti i tronchi d’albero che fungevano da panche erano stati occupati.
Skyler aggrottò la fronte. << E ora che facciamo?>>
Emma si guardò intorno, cercando una soluzione. Al suo occhio attento, non sfuggì un tronco vuoto. Non c’era nessuno lì, perché era molto appartato, e soprattutto troppo lontano dal fuoco e dagli altri. Sorrise. << Andiamo lì >> disse, poi prese per mano l’amica e la trascinò fino a quella panca.
Non appena si sedettero, i figli di Apollo cominciarono a cantare. Erano molto lontani, per cui non si sentiva benissimo, ma riuscivano comunque ad afferrare qualche parola. Dopo tre canzoni, entrambe le ragazze cominciarono ad annoiarsi, e decisero di fare altro.
Skyler iniziò a guardarsi intorno, come se cercasse qualcosa.
<< Sei stata davvero grande, oggi >> esordì Emma.
Skyler accennò un sorriso modesto, gli occhi che guizzavano ovunque. << Grazie.>>
<< Cavolo, quando ti ho visto lassù non potevo crederci! È stato fantastico!>>
<< Mh-mh.>>
<< Non ci era mai riuscito nessuno, e tu invece ce l’hai fatta!>>
<< Mh-mh.>>
<< Janice era furiosa!>>
<< Mh-mh.>>
<< Ora ti stimerà tutto il campo.>>
<< Mh-mh.>>
Emma guardò l’amica, un sopracciglio inarcato. << Skyler, mi stai ascoltando?>>
<< Eh?>> fece quella, che sembrò essersi appena svegliata.
Emma la squadrò un secondo. << Stai cercando qualcuno?>>
Skyler sospirò. Che senso aveva mentire, con lei? << In realtà stavo cercando Michael o John. Sai dopo quello…>> Abbassò la voce ad un sussurro. << Dopo quello che è successo ieri sera, beh, io pensavo… >>
<< Che si sarebbero seduti accanto a noi?>> la interruppe Emma.
Skyler annuì debolmente, abbassando lo sguardo. << Come minimo.>>
Emma sospirò, scuotendo la testa. << Michael è di là >> disse, indicando una panca non proprio lontana. << E John… ah, si. John è accanto a quei figli di Apollo. Sai, li ho notati non appena siamo arrivate. Credevo anch'io che dopo ieri ci avrebbero almeno salutate, invece non ci hanno degnato di uno sguardo.>>
Skyler si fissò le mani, che stavano torturando il lembo della maglietta. << Speravo che dopo tutto saremmo stati amici.>>
<< Già, lo speravo anch’io. Ma forse loro non vogliono essere nostri amici.>>
<< E se fossero solo timidi?>> provò la mora, con un filo di speranza. << E se vogliono che andiamo noi da loro?>>
<< Non se ne parla >> esclamò Emma, scuotendo i ricci biondi. << Se vogliono stare con noi, allora verranno. Non voglio fare la figura della ragazza senza amici che si illude non appena qualcuno le parla.>>
<< Ehm… Emma. Noi siamo così.>>
<< No, invece! Tu ti sei mai fidata a prima vista di qualcuno?>>
<< Beh, con te si.>>
<< A parte con me! Con gli altri?>>
Skyler esitò. << Sai che non mi fido facilmente delle persone >> mormorò.
<< Allora non vedo perché loro debbano fidarsi di te.>>
Skyler afferrò il messaggio, con un po’ di amarezza. Alzò lo sguardo, cercando i due ragazzi. << Facciamo una cosa >> disse. << Se vengono loro, vorrà dire che ci considerano loro amiche, altrimenti li ignoreremo, ok?>>
Emma ghignò. << Scommetto cinque dracme che non lo faranno.>>
<< Scommessa accettata.>>
Le due si guardarono e risero di gusto. Ascoltarono altre quattro canzoni, prima di sentire una voce davanti a loro.
<< Ehm… ciao >> disse qualcuno. Le ragazze alzarono lo sguardo, e si ritrovarono difronte a un John leggermente imbarazzato. << Come va?>>
Skyler sorrise, gli occhi illuminati. << Bene, grazie.>>
John annuì. Poi indicò il posto libero accanto alla mora. << Posso sedermi?>>
Il sorriso di Skyler si allargò. << Ma certo.>> Le ragazze gli fecero un po’ di spazio e lui si sedette accanto alla figlia di Efesto.
Sorrise, e parve rilassarsi. << Come mai vi siete sedute qui?>> chiese.
<< Tutti gli altri posti erano occupati >> rispose Emma, scrollando le spalle. << E poi qui è abbastanza tranquillo. Ti vedono tutti, ma nessuno fa caso a te.>>
<< È appartato >> aggiunse Skyler.
John annuì, poi aggrottò la fronte come se stesse pensando a qualcosa. << Si, avete ragione. Mi piace qui.>>
Skyler si voltò per guardare l’amica. << Sono cinque dracme.>>
Emma inarcò le sopracciglia. << La scommessa valeva per entrambi.>>
Skyler spostò lo sguardo su Michael. Era seduto lì, in silenzio. Per un attimo le sembrò che li stesse guardando, ma il movimento dei suoi occhi fu così fulmineo che iniziò a credere di esserselo solo immaginato.
Le due ragazze cominciarono a parlare con John, principalmente di cavolate, quando Michael si avvicinò a loro con passo esitante.
<< Ehm… >> mormorò, quando tutti si girarono a guardarlo. Lui si passò una mano fra i capelli, imbarazzato.  << Vi dispiace se mi siedo?>>
A quel punto, anche sul volto di Emma si dipinse un sorriso. << Certo, vieni pure >> disse, facendogli spazio.
Il ragazzo sorrise, incerto, sedendosi accanto alla bionda.
Ed eccoli lì. Tutti e quattro, tutti insieme. Proprio come la sera prima, ma in un contesto diverso. Stavolta, nessuno piangeva, nessuno era triste, nessuno si vergognava di parlare.
Si raccontavano i fatti del giorno, facendo qualche commento e qualche battuta, e in quel momento tutti e quattro si sentivano bene, si sentivano degli adolescenti normali.
<< Sapete, dovremmo sederci sempre qui >> esordì Emma, a un certo punto. << Questo potrebbe diventare il "nostro posto".>> Mimò con le virgolette le ultime due parole.
<< Tipo un punto di ritrovo?>> chiese John.
<< Esatto.>> Si guardò intorno in cerca di qualcosa, quando notò il coltellino di bronzo appeso alla cintura di Michael.
<< Dammi quello >> disse.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio, ma glie lo porse. Emma si alzò in piedi e andò alle spalle dei ragazzi. Poi si mise in ginocchio e cominciò a incidere qualcosa sul legno.  
<< Che fai?>> le chiese Michael, divertito.
Emma aveva la lingua fra i denti, un’espressione concentrata. << Marchio il territorio.>>
Tutti si sporsero a guardare, non capendo. Sul legno, dei taglietti mostravano le loro iniziali, messe in ordine.
<< JEMS >> lesse John, ad alta voce, unendole tutte. Corrucciò le sopracciglia. << Mi piace. Ha un suo stile.>>
<< Fa molto new age.>> aggiunse Michael.
Le ragazze risero di gusto.
<< Quindi ora cosa siamo?>> chiese Skyler. << Una squadra? Un gruppo?>>
<< Siamo amici >> rispose Emma, con un sorriso.
<< Ah >> esclamò Michael, divertito. << Non ho mai avuto degli amici.>> Tutti si voltarono a guardarlo. Lui se ne accorse e parve offeso. << Scherzavo, ovviamente!>>
Gli altri risero, non appena esibì la sua faccia indignata.
<< Amici >> mormorò Skyler.
<< Ha un bel suono >> commentò John, con un sorriso scaltro.
<< Già >> concordò Emma. << Ci sono cose di me che sapete solo voi. E credo che la cosa sia reciproca.>>
Tutti annuirono. << Quindi… >> Michel esitò, guardandoli titubante. << C’è una possibilità che noi diventiamo… si, insomma… qualcosa di più? Come, non so... miglior amici?>>
Emma sorrise. << Credo proprio di si.>>
<< Migliori amici >> mormorò Skyler, soppesando quelle parole. Poi sorrise. << Si, mi piace.>>

Angolo Scrittrice
Aaalloraa... Innanzi tutto.. Eccomi qui! :D
Scusate se aggiorno a quest'ora tarda, ma oggi sono stata un po' impegnata. Però sono riuscita comunque ad aggiornare, no? ;D
So che forse questo capitolo un po' banale, ma da qui i nostri protagonisti iniziano davvero ad instaurare un rapporto che si trasformerà presto in una profonda amicizia, e non volevo non descrivere le loro sensazioni dopo il confronto della sera precedente.
Anyway, spero che vi sia piaciuto, e che non abbia deluso le vostre aspettative. Vi dico già che il prossimo capitolo sarà un po' diverso, e forse un po' più lungo. Detto questo, voglio aggiungere qualche scusa per la banalità prima di ringraiziarvi di cuore.
Eh, già, perchè è arrivat proprio il momento di ringraziare tutti coloro che hanno messo la storia fra seguite, ricordate e preferite, tutti i 441 lettori silenziosi che ogni volta leggono la mia storia, e poi voi, le mie bellissime Valery's Angeles, che ogni volta mi recensite, mi supportate, mi spronate, e mi scaldate il cuore con i vostri bellissimi complimenti riuscendo anche a strapparmi qualche risata. Ecco, il mio grazie spaciale va a voi:
giascali, Fred_Beckendorf99, Fred Halliwell, _percypotter_, moon_26, Kyra, bibrilove98 e Greg Heffley. Siete dolcissime, e vi adoro ogni giorno di più *^*
Per questo, voglio dedicarvi una foto di Logan che, personalmente, adoro.
Spero tanto che piaccia anche a voi :3
Un bacio enorme, la vostra ValeryJackson

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Erano tutti emozionati per la Caccia alla Bandiera.
Chirone l’aveva annunciata la sera prima, e tutti erano subito andati in fibrillazione, all’idea di combattere per vincere una battaglia.
Skyler non capiva il motivo di tanta agitazione, ma Emma le aveva spiegato che li al Campo era una specie di tradizione, e poi aveva pregato Travis e Connor affinché si dessero da fare per scoprire quali sarebbero stati gli abbinamenti.
La casa di Efesto faceva squadra con quella di Ermes, Apollo, Ecate, Ipno, Atena e Poseidone.
Quella di Ares, invece, con quella di Afrodite, Demetra, Morfeo, Iride, Dioniso e Eolo.
Skyler era elettrizzata all’idea di avere in squadra i suoi amici, per questo, mentre si dirigeva verso il suo gruppo con Leo, lo faceva con un sorriso.
Quando arrivarono, erano già tutti lì, pronti ad ideare uno schema.
Non c’erano stati dubbi su chi sarebbe stato il capo. Percy si era fatto avanti senza che nessuno avesse il bisogno di chiederglielo e/o obbiettare. Come se ormai quello del capo fosse il suo compito fisso. Ed in un certo senso lo era.
Dall’altra parte, un figlio di Ares aveva in mano le redini, e Skyler riuscì a vedere benissimo Janice lanciarle dei ghigni soddisfatti mentre gli altri parlavano.
Decise che se non voleva restare impreparata, doveva ascoltare lo schema di gioco, così andò vicino ad Emma e si mise in ascolto.
<< Allora, ragazzi >> stava dicendo Percy, con tono fermo, da chi si fa rispettare. << Questa è la nostra prima Caccia alla Bandiera. Lo schema è semplice, quindi non dovete preoccuparvi. Sappiamo bene che ci saranno i figli di Ares a proteggere la bandiera, mentre molto probabilmente i figli di Afrodite o di Eolo tenteranno di prendere la nostra. La mia idea è questa.>> Guardò tutti negli occhi, spartendo ordini. << Case di Ecate e Ipno, voi proteggerete il lato Est, Ermes e Efesto, voi direttamente la bandiera.>> Tutti annuirono. << Annabeth >> disse, voltandosi verso una ragazza bionda al suo fianco. Skyler aveva sentito parlare di lei. Emma le aveva detto che era la ragazza di Percy. A vederla così, sembrava una ragazza dolcissima e simpatica, ma nei suoi occhi si leggeva una tale determinazione che Skyler rabbrividì. << Tu e i figli di Atena prenderete la bandiera.>>
La bionda annuì. << Mi serve qualcuno a proteggere il lato Ovest. Saremo solo in quattro ad andare a prenderla.>>
<< Bene >> concordò il moro. << Scegli tu i più validi.>> Lei annuì di nuovo, così lui si voltò verso i fratelli. << Michael. Rose. Noi andiamo al confine con i figli di Apollo.>>
I ragazzi annuirono, Michael con sguardo cupo, Rose scuotendo con veemenza la testa, emozionata. I boccoli scuri le ricadevano delicati sul viso da undicenne, e i suoi occhi, ora azzurri, tradivano una certa positività. Skyler la osservò, con un sorriso. Michael le aveva raccontato la sua storia. Era arrivata al campo solo due anni prima, dopo che un satiro era andato a prenderla mentre si trovava a scuola. La sua mamma era morta per un tumore più o meno nello stesso periodo, e Rose era davvero distrutta, quando era arrivata. Ma poi si era ambientata.  Andava d’accordo con la maggior parte del Campo, e, dopo che la sera stessa in cui era arrivata era stata riconosciuta da Poseidone, non solo aveva instaurato un rapporto bellissimo con i fratelli, ma aveva anche conosciuto la madre di Percy, Sally, che aveva deciso di adottarla, e che per lei era diventata come una seconda madre.
Tutti i ragazzi si dispersero, andando a mettersi le armature o a limare le armi.
Skyler decise di fare lo stesso e, mentre si legava le cinghie della sua, di armatura, vide poco lontano Michael tentare impacciato di fare lo stesso.
Skyler sorrise, e si incamminò verso di lui.
<< Lascia, faccio io >> disse, prendendo in mano le cinghie e facendolo voltare di schiena con una smorfia.
<< Ho sempre odiato questa cosa >> fece lui, mentre lei allacciava l’ultima.
Forse un po’ troppo stretta, dato che lui sobbalzò. << Scusa >> mormorò lei, allentandogliela. << L’armatura, intendi?>>
<< No, la Caccia alla Bandiera.>>
Skyler aggrottò la fronte, con capendo. << Perché? Insomma, da come Percy parla, non è la prima volta che ne fate una.>>
<< Infatti, ma questo non vuol dire che mi piaccia.>> Osservò con sguardo perso alcuni ragazzi preparare le armi e ripassare insieme le tattiche di gioco. Michael corrucciò le sopracciglia. << Ma non capiscono che è tutto sbagliato?>> esclamò, scuotendo la testa.
Skyler inarcò un sopracciglio, così lui sospirò. << La… la tattica. Non va bene. Non funzionerà mai! Loro…>> Indicò con un cenno della mano i loro avversari. << Loro faranno esattamente l’opposto. Scommetto che saranno i figli di Morfeo a prendere la bandiera. Possono farti dormire in meno di cinque secondi, non avranno problemi. I figli di Ares proteggeranno la loro, certo, ma i figli di Afrodite… >> Fece una breve pausa. << Loro non prenderanno la nostra. Staranno lì, ad aspettarci, sparsi su tutti i fronti.>> Guardò Skyler negli occhi, e capì che lei non stava seguendo il suo discorso. << Tenteranno di distrarci. Con la loro lingua ammaliatrice, con il loro fascino.>> Sospirò. << È così che fanno sempre.>>
<< E perché non glie lo dici?>> fece lei. << A Percy, intendo. Digli che non funzionerà. Modificate il piano!>>
Lui rise. << No, non se ne parla. Qui… qui tutti pendono dalle sue labbra, nessuno ascolterebbe il fratellino irrilevante a cui non hanno mai assegnato una missione.>>
Skyler boccheggiò, in cerca di una risposta sensata. Che però non trovò. Sospirò, distogliendo lo sguardo. Poi corrucciò le sopracciglia. << Ma tu come sai queste cose?>> chiese, guardandolo.
Michael fece spallucce. << Ho osservato. Sai, quando non sei impegnato a studiare una tattica hai molto tempo da perdere, così ho visto cosa facevano gli altri. Ogni volta che le case di Ares e Afrodite sono alleate, usano sempre lo stesso schema di gioco.>>
Lei lo soppesò un attimo con lo sguardo, scrutandogli il viso. << Secondo me dovresti dirglielo.>>
<< Non se ne parla!>> ripeté lui, stizzito. Emma e John si accorsero dei due amici parlare e si avvicinarono.
Michael guardò prima l’uno, poi l’altra, da sopra le spalle di Skyler. Poi tornò a guardare la mora. << Ti dico che nessuno mi ascolterà. Non ho nessuno dalla mia parte.>>
<< Noi siamo dalla tua parte!>> esclamò lei, al che gli altri annuirono. Michael li guardò, spaesato, così lei fece roteare gli occhi.
<< Skyler ha ragione >> disse Emma, attirando l’attenzione del ragazzo. << Noi vogliamo vincere, no? E tu sai come fare.>> Sorrise, malandrina. << E poi, ti appoggiamo. Che amici saremmo, se no?>>
Michael la fissò, incredulo. Poi spostò lo sguardo su John. Il biondo fece spallucce. << Dicci solo quello che dobbiamo fare.>>
Skyler fece un passo indietro e osservò il moro, con sguardo fiero. << Noi siamo con te >> affermò, decisa.
Michael squadrò i suoi amici, nel tentativo di capire se dicessero la verità o meno. Quando si accorse che erano sinceri, per lui fu come un’iniezione di adrenalina.
<< Ok. Ho un piano >> affermò, cercando di avere il tono più deciso possibile. Fece una breve pausa. << Ma vi avverto. Non è esattamente una strategia militare...>>
E poi, iniziò a spartire ordini.
 
Ω Ω Ω
 
Il suono del corno che segnava l’inizio del gioco rimbombò per tutto il campo.
I ragazzi iniziarono a disperdersi. La squadra di Percy aveva la bandiera nel lato Sud, mentre l’altra squadra in quello Nord. A dividere i due territori, semplicemente il fiume che attraversava il bosco.
Lo scopo del gioco era semplice. Portare la bandiera avversaria oltre il fiume.
Percy sguainò Vortice, poi si voltò verso i suoi compagni, osservandoli mentre scomparivano fra gli alberi, raggiungendo le rispettive posizioni.
Inspirò a fondo l’aria umida che lo circondava. Chiuse gli occhi, e per un secondo gli parve di essere tornato a Montauk, alla sua vecchia casa sul lago, e di sentire di nuovo l’odore dei marshmallows azzurri che la madre faceva squagliare lentamente sul fuoco.
Non si accorse neanche che Rose gli si era avvicinata, finché non la sentì respirare.
Percy schiuse leggermente solo un occhio, e la guardò di sottecchi. Sembrava pensierosa, e aggrottava le sopracciglia, concentrata.
Percy richiuse gli occhi e sorrise. << Qualcosa non va?>>
Rose fece una smorfia. << Sei sicuro che la nostra strategia funzionerà? Insomma, mi sembra troppo… instabile.>>
Percy aprì definitivamente gli occhi e la guardò, alzando un angolo della bocca in un sorriso storto. << Che c’è, non ti fidi del tuo fratellone?>>
<< No, non è quello. È solo che…>> Rose sospirò, affranta. << Lascia perdere.>>
<< Ehi >> esclamò lui, posandole le mani sulle spalle. << Se hai qualcosa da dire, puoi dirla.>>
La ragazzina scosse la testa, facendo volteggiare in aria i boccoli scuri. << No, niente di importante. Chiedevo solo se eri sicuro.>>
<< Certo che lo sono!>> rispose lui, raggiante. << E se qualcosa va male, si risolve diversamente. I figli di Poseidone hanno sempre un piano.>>
La piccola inarcò un sopracciglio. << Ma quelli non erano i figli di Atena?>>
<< Dettagli >> mormorò lui, buttando con noncuranza una mano in aria.
Rose rise. Poi si guardò intorno. << A proposito di figli di Poseidone…  >> disse. << Dov’è Michael?>>
Percy sobbalzò, come se fosse appena stato investito da un getto di acqua ghiacciata. Si voltò di scatto, guardando un ad uno tutti i ragazzi, gli occhi sgranati, sperando di trovarvi il viso del fratello. Quando non lo vide, la verità lo colpì come un pugno in faccia.
Si portò una mano a coprirsi gli occhi, mentre scuoteva la testa affranto.
<< Oh, no…>>
 
Ω Ω Ω
 
<< Sei sicuro che funzionerà?>> gli chiese John, per l’ennesima volta.
Lui e Michael stavano camminando per il bosco da circa dieci minuti, facendosi strada con arco e spada sguainati.
Michael alzò gli occhi al cielo, buttando indietro la testa. << Si >> rispose, per l’ennesima volta, esasperato. Poi si guardò intorno. << O almeno spero.>>
Fecero qualche altro passo, prima che John allargasse le braccia e sbuffasse. << Ripetimi ancora perché lo sto facendo.>>
<< Ehm, perché sei mio amico, forse?>> cantilenò Michael, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Si fermarono entrambi.
John fece finta di pensarci, al che Michael lo guardò. Il biondo inarcò un sopracciglio. << E questo sarebbe un buon motivo?>>
Michael sbuffò, frustrato, scuotendo la testa. Poi riprese a camminare, avanzando a grandi falcate.
John si strinse nelle spalle, allargando le braccia. << Ho bisogno di un motivo valido!>> gli urlò, ma molto probabilmente lui era già troppo lontano per sentirlo.
Decise di seguirlo, e lo raggiunse con una leggera corsetta.
Quando fu al suo fianco, Michael parlò. << I figli di Atena si saranno già addentrati nel bosco per prendere la bandiera. I figli di Afrodite li avranno già braccati, perciò noi dobbiamo…>>
<< Ciao, ragazzi >> mormorò una voce dietro di loro.
I ragazzi si voltarono di scatto, John incoccando una freccia, Michael brandendo la sua spada.
Dall’ombra, una figura sinuosa ancheggiò verso di loro. Non appena si espose alla luce del sole, i ragazzi la riconobbero. Era Drew, la figlia di Afrodite.
Michael strinse gli occhi. Oh, cavolo!, pensò, ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un: << Dannazione!>> a denti stretti.
Drew sorrise, malandrina. << Che cosa dicevate, a proposito dei figli di Afrodite?>> chiese, spostandosi con fare seducente i capelli su una spalla e incrociando le braccia.
Michael e John la osservarono. Non indossava un’armatura, bensì degli abiti aderenti che lasciavano poco spazio all’immaginazione. Non ottenendo risposta, Drew continuò. << Quindi… che ci fanno due come voi, soli in mezzo al bosco?>>
<< Potremmo farti la stessa domanda >> disse impassibile John, tenendo tesa la corda dell’arco.
<< Suvvia, abbassate le armi >> ridacchiò la ragazza. << Vengo in pace.>>
I ragazzi si guardarono. Sapevano che era sbagliato abbassare la guardia, ma la voce di Drew era così seducente… e poi, cosa poteva fargli una disarmata figlia di Afrodite?
Riposero le armi.
Drew sorrise, con un sorriso smagliante. << Non mi avete ancora detto cosa ci fate qui.>>
Michael sospirò. Le parole gli uscirono di bocca senza che lui potesse fermarle. << Volevamo prendere la bandiera. Sapevamo che i figli di Atena sarebbero stati braccati dai figli di Afrodite, perciò noi volevamo….>> Non finì la frase. Si perse a guardare gli occhi della ragazza, che cambiavano continuamente colore passando dal verde, al blu, al marrone. Un po’ come i suoi, solo che quelli di Drew erano più… sexy.
La ragazza fece un passo verso di loro. << Wow, come degli eroi!>> esclamò, forse con un po’ troppo entusiasmo.
Dietro di lei, apparvero altre due ragazze, anche loro figlie di Afrodite. Una bionda, l’altra bruna. Li guardarono con un sorriso smagliante.
Drew si morde il labbro, con fare provocante. << Ho sempre avuto un debole per gli eroi >> Disse. Poi si arrotolò una ciocca di capelli intorno all’indice. << Allora… che fate stasera?>>
Michael e John si scambiarono uno sguardo di intesa. Sorrisero, poi risposero alla domanda.
 
Ω Ω Ω
 
<< Se questo piano va a rotoli, giuro che lo ammazzo >> esclamò Emma, districandosi per l’ennesima volta una foglia dai crespi ricci biondi.
Skyler la guardò con un sorriso. << Non capisco dove sia il problema.>>
<< Il problema è che se non riusciamo a prendere questa bandiera e facciamo perdere la squadra, tutti se la prenderanno con noi.>>
<< E allora?>>
<< E allora?!>> ripeté Emma, indignata. << E allora saranno cavoli nostri! Sai, i figli di Atena sembrano tanto dei secchioni, ma non ti consiglio di vederli arrabbiati.>>
Ma Skyler ormai non la stava più ascoltando. Si erano separate dal gruppo da un po’, e ormai avrebbero già dovuto trovare la bandiera.
Dopo qualche passo, fra un imprecazione di Emma e una foglia fra capelli, finalmente la videro. In lontananza.
Sorrisero entrambe, poi corsero dietro un masso a circa tre metri di distanza e si sporsero a guardare.
Skyler pensò velocemente. << Allora, i figli di Morfeo ci bloccheranno di sicuro la strada. Magari possiamo fare il giro e… >> Si voltò verso l’amica. Ma lì vi trovò solo l’aria.
Si guardò intorno, quando vide Emma sgattaiolare verso la bandiera.
<< Emma!>> la chiamò, a bassa voce. Ma quella non la sentì. La osservò arrampicarsi abilmente sulla roccia nella quale era incastrata, staccarla dal palo e riscendere dalla roccia, il tutto senza il minimo rumore, ma soprattutto senza che nessuno dei semidei si voltasse a guardarla.
Quando la raggiunse, Skyler la fissò allibita. << Ma come hai…. Come… >>
<< Oh, ti prego >> esclamò quella. Sorrise, malandrina. << È stato fin troppo facile.>>
Skyler le sorrise. Non si accorsero neanche del figlio di Morfeo che si era voltato e si era accorto che mancava la bandiera.
<< La bandiera!>> urlò. Tutti gli altri si girarono. << È stata presa!>>
<< Ehi, voi due!>> esclamò una ragazza, indicando Emma e Skyler. Le due amiche si pietrificarono. << Prendetele!>> ordinò agli altri.
Emma tirò Skyler per un braccio. << Scappa!>> gridò.
Le due ragazze iniziarono a correre.
Un ragazzo suonò il corno.
 
Ω Ω Ω
 
<< … E così, a cinque anni ho preso la varicella >> concluse Michael, orgoglioso.
Drew sorrise. << Che storia interessante.>>
<< Già >> annuì lui. << Sai, ormai credo di averti detto tutto.>> Poi aggrottò la fronte. << Eppure ho come la sensazione di dimenticare qualcosa…>>
Il suono assordante di un corno rimbombò per la foresta, spaventando alcuni uccelli che presero il volo.
Drew si voltò di scatto. << Ma cosa…>>
<< Oh, ecco cosa mi ero dimenticato!>> esclamò Michael, schioccando le dita, come se gli si fosse appena accesa la lampadina. Sorrise furbo alla ragazza. << Non eravamo noi a dover prendere la bandiera.>>
La bocca di Drew si aprì in una ‘o’ perfetta, incredula. << Ma cosa… Come…. Quando…>>
<< Noi eravamo solo il diversivo >> spiegò Michael. Le fece l’occhiolino. << Fregata.>>
Il volto di Drew passò immediatamente dalla sorpresa, all’indignazione, alla rabbia. Li fulminò con lo sguardo.
John picchiettò con il gomito il braccio di Michael. << Credo sia meglio andare >> mormorò.
Si voltarono, pronti a scappare. Ma le altre due ragazze gli barrarono la strada.
<< Non così in fretta >> esclamò Drew, con un sorriso maligno. << Con voi non abbiamo ancora finito.>> Poi, sguainò la spada.
Le altre due la imitarono, tirando fuori una una spada, l’altra un coltello.
Poi, attaccarono.
Michael provò a tirar fuori la sua, di spada, ma fu subito disarmato dalla bionda, che gli menò un fendente diretto al petto. Michael fece appena in tempo ad indietreggiare.
La ragazza lo guardò con sguardo truce, poi provò un affondo.
Michael si abbassò e si lanciò a terra, verso la sua spada. La afferrò e riuscì a fermare a mezz’aria giusto in tempo la spada dell’avversaria, quando gli era a ormai pochi centimetri dalla faccia.
Strinse i denti e fece pressione sulla spada, costringendo la ragazza ad indietreggiare. Si alzò velocemente e le colpì l’orecchio con la parte piatta della lama, facendola cadere a terra.
A circa un metro da lui, John stava atterrando l’altra figlia di Afrodite.
Stava per gridargli di andare, quando si accorse di Drew, che lo guardava con sguardo furioso.
Michael sorrise, preoccupato. << Coraggio, Drew. Parliamone >> tentò. Ma la ragazza aveva già brandito il coltello.
Avanzò furiosa verso di lui, e stava per colpirlo con la lama, quando una freccia sfrecciò davanti a loro, andandosi a conficcare nell’albero di fronte. Legata all’estremità della freccia, una spessa corda che ora li divideva.
I ragazzi si guardarono, senza capire. Poi Michael si voltò e vide che John aveva legato l’altra estremità della corda al tronco di un albero. Doveva essersi preparato quella cosa prima, nel caso fosse stato necessario.
Michael approfittò del momento di disorientamento di Drew. Tese la corda, come fosse quella di una fionda. Poi la rilasciò.
Quella andò a colpire con forza il naso della ragazza, che sanguinò e cadde con il sedere a terra.
Michael si voltò verso John. << Corri!>> ordinò.
E corsero.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler ed Emma continuarono a correre a perdifiato, sforzandosi di non inciampare nei rametti secchi che c’erano a terra e di non farsi raggiungere.
Ma era difficile, e ormai erano a corto di fiato.
Emma si voltò quel tanto che bastava per capire che le stavano raggiungendo. Si fermò di colpò, costringendo a fermarsi anche Skyler.
<< Emma, cosa… >> cominciò la mora, ma lei le passò la bandiera. Skyler la guardò senza capire.
<< Corri!>> esclamò la bionda. Poi strinse i denti, decisa. << Io li tengo a bada.>>
In altre circostanze Skyler avrebbe obbiettato, ma in quel momento quei ragazzi erano così vicini che strinse più forte la bandiera nel pugno e riprese a correre a perdifiato.
Quando l’amica scomparve fra gli alberi, Emma si voltò decisa verso i suoi avversari. Erano circa una decina.
Quelli si fermarono di colpo, a guardarla. Brandirono le loro armi.
Emma li squadrò con decisione, poi cacciò dalla tasca un coltellino. Il coltellino di Michael. Non aveva idea del perché il ragazzo lo avesse dato a lei, ma al momento era l’unica arma che aveva.
Gli altri semidei risero. Davvero quella ragazza aveva intenzione di difendersi con un coltellino? Ridicolo…
Emma alzò un angolo della bocca in quello che doveva sembrare un sorriso scaltro. Un lampo le attraversò gli occhi. Poi attaccò.
Prese una leggera rincorsa, e con una velocità disarmante colpì il primo ragazzo alla guancia con il coltello, sfruttando poi la sua sorpresa per buttarlo a terra con un calcio in pieno petto.
Si voltò verso il secondo e si abbassò, mentre la lama della sua spanda fendeva l’aria sopra la sua testa. A quel punto lo colpì con il coltello al polpaccio, e quando quello si piegò per il dolore gli colpì la schiena con l’elsa.
Il terzo fu un po’ più difficile da atterrare, perché sembrava più allenato. Fu costretta, infatti, a deviare con una capriola all’indietro la sua spada, per poi colpirlo con un paio di fendenti e fargli perdere l’equilibrio.
La stessa fine, più o meno, la fecero tutti gli altri ragazzi.
Sembrava una macchina da guerra. Era imbattibile.
E tutto, solo con un coltellino.
 
Ω Ω Ω
 
Percy stava studiando con occhio attento la sponda avversaria, un po’ per prepararsi ad un eventuale arrivo dei figli di Atena, un po’ sperando di intravedere il volto di Michael.
Quando le figure di John e del fratello apparvero fra gli alberi, il suo volto passò dalla rabbia alla sorpresa.
I due ragazzi sorpassarono con un balzo lo stretto fiume ed atterrarono ai suoi piedi ansimanti.
Si rimisero in piedi subito e entrambi osservarono nervosi il bosco dal quale erano appena venuti.
<< Michael!>> chiese Percy, interdetto. << Che cosa sta succedendo? Dov’eri?>>
<< Non adesso, Percy >> lo interruppe quello.
Percy aggrottò la fronte. << Ma che cosa state facendo?>>
<< Fidati di me, ok?>> disse Michael. Poi allungò il collo nel tentativo di vedere meglio fra gli alberi. Non scorgendo niente, si agitò sul posto, ansioso. Iniziò a pregare sottovoce, a denti stretti. << Andiamo… Andiamo… Andiamo… >>
 
 Ω Ω Ω
 
Skyler continuava a correre, senza fiato.
Doveva raggiungere l’altra sponda del fiume, e doveva farlo prima dell’altra squadra.
Le gambe le facevano male, e dopo un po’ iniziarono a bruciarle i polmoni.
Decise di fermarsi, ansimante, per riprendere fiato. Si appoggiò con la mano contro un albero e fece dei grandi respiri.
Chiuse gli occhi e respirò ancora.
In quel momento, il suo cuore perse un battito.
<< Ehi, tu!>> gridò qualcuno alle sue spalle. Skyler si voltò di scatto. In un primo momento pensò che i ragazzi che la inseguivano prima l’avessero raggiunta, ma quando vide il volto di tre figli di Ares guardarla in cagnesco, montò il panico.
Iniziò a correre.  << Fermati!>> gridò uno di loro, e la seguirono.
Skyler tentò di aumentare la velocità, ma sentiva il loro fiato sul collo, e sapeva che non erano molto lontani.
Strinse i denti. Il fiume!, si disse. Trova il fiume!
Il fiume… Il fiume… Il fiume!
Quando lo vide in lontananza le brillarono gli occhi. Sorrise debolmente, e stava quasi per rallentare, quando il rumore sordo di un rametto rotto e alcune grida le ricordarono che non era ancora finita.
Strinse i denti, ansimante per la paura, e non mollò. Ma le sue gambe stavano cedendo, e i figli di Ares erano sempre più vicini.
Riconobbe le figure dei due amici in lontananza e, presa da un moto di disperazione per la paura di non farcela, urlò l’unica cosa che la sua mente stanca riusciva a formulare per cercare aiuto. << Michael!>>
Il ragazzo non perse tempo. Si guardò intorno, alla ricerca disperata di qualcosa, ma trovò solo una cosa. L’acqua.
Il fiume, ma certo!
Si concentrò su quest’ultimo. Skyler era vicina, ma se non avesse fatto qualcosa quei ragazzi l’avrebbero di sicuro raggiunta, e a quel punto sarebbe stata la fine.
Tese una mano e si concentrò ancora di più. In un primo momento non successe niente, ma poi un brivido gli scosse la schiena, e a quel punto la sentì. L’acqua.  L’acqua che gli scorreva nelle vene. L’acqua che faceva tutto ciò che lui voleva. La sentiva muoversi, la sentiva rallentare. La sentiva sotto i polpastrelli come se in quel momento la stesse sfiorando. Fece un respiro profondo e aspettò. Aspettò il momento giusto. Aspettò di essere pronto.
Accadde tutto in una frazione di secondo, ma a lui sembrò un’eternità.
Con uno scatto secco della mano, il fiume esplose, e l’acqua cominciò a salire. Come attratta da una forza ultraterrena che la risucchiava verso il cielo, si espanse, vorticando, e formò un muro perfetto davanti agli occhi di tutti.
Michael si sentì avvampare per lo sforzo. Una goccia di sudore gli colò lungo la tempia, ma lui non ci fece caso. Prese possesso del suo elemento con entrambe le mani e poi, con un grido e un gesto fulmineo, scagliò l’acqua contro i suoi avversari.
Giusto in tempo.
Skyler era arrivata vicino alla sponda. Vedendosi arrivare addosso quella moltitudine d’acqua, per un attimo temette che l’avrebbe collassata. Ma questa non lo fece. Si aprì in un varco, e mentre lei vi passava dentro gli altri venivano sommersi.
Corse per lo sprint finale, fece un salto, e…
Atterrò con un capitombolo sull’altra sponda, ansimante. Aveva il fiato grosso, e le sue dita tastavano tremanti il terreno bagnato, in cerca di un appoggio per rialzarsi. Tutte e dieci le sue dita.
Per un attimo non ricordò ciò che era successo. Poi alzò lo sguardo e sgranò gli occhi, sorpresa. Perché a pochi centimetri da lei giaceva, a terra, la bandiera della squadra avversaria.
Le ci vollero pochi secondi per capire ciò che era successo, e quando lo capì, la sua bocca si allargò in un sorriso.
<< Abbiamo vinto >> mormorò.
<< Skyler >> la chiamò Michael, accanto a lei, stanco. Ma la sua voce tradiva una certa emozione.
<< Abbiamo vinto!>> esclamò lei. Tutti esultarono. Skyler si alzò di scatto e buttò le braccia attorno al collo di Michael, che fu costretto a barcollare un po’ indietro, ma che comunque le strinse forte i fianchi, iniziando a ridere per il sollievo. Skyler rise con lui.
John sorrise, raggiante, e, nel momento in cui accanto a loro arrivò un’Emma un po’ stanca e con qualche graffio, lui la strinse a se e attirò tutti e tre in un abbraccio colmo di gioia.
Ce l’avevano fatta. Avevano vinto!
Erano increduli, tutti e quattro. E stanchi. E felici.
Dopo un po’ sciolsero l’abbraccio, e Skyler andò a raccogliere la bandiera che ancora giaceva a terra, con un sorriso.
Non appena la toccò, su questa iniziò a vorticare una macchia nera e informe. Skyler aggrottò la fronte. << Che succede?>> chiese.
<< Si sta formando il simbolo di Efesto >> spiegò Emma. << Hai portato qui la bandiera, quindi questa sarà in tuo onore.>>
<< Cosa? No!>> esclamò la mora, un po’ in ansia. Mise la bandiera in mano ad Emma. << Io l’ho semplicemente portata qui. Sei tu che l’hai presa. E che hai impedito a quei ragazzi di raggiungerci.>>
Sul pezzo di stoffa rosso la figura informe passò da dei contorni bassi e ciotti ad alcuni più lunghi e fini. Emma sgranò gli occhi. << No, cosa centro io! Non l’avrei mai fatto se non me l’avesse detto Michael!>> E cacciò la bandiera in mano al figlio di Poseidone.
<< Scherziamo?>> esclamò quest’ultimo. << Non sarei qui se John non mi avesse salvato la pelle!>> Detto questo, il pezzo di stoffa passò in mano a John.
<< State scherzando?>> esclamò il biondo, scuotendo la testa.  << Non se ne parla, io non ho fatto niente!>>
E così iniziarono a discutere. Su chi dovesse tenere la bandiera. Su quale simbolo avrebbe dovuto esserci impresso. Su di chi fosse il merito della vittoria.
La bandiera passava nelle mani di tutti, e la macchia nera sembrava indecisa su quale forma prendere, come una goccia di caffè che cade su un liscio pezzo di vetro.
Dopo qualche minuto di battibecchi e di voci accavallate, Emma prese parola.
<< Ragazzi!>> esclamò, zittendoli tutti. Prese in mano la bandiera e sospirò. << Insieme.>>
La guardarono tutti per un secondo, poi annuirono. Lei fece un cenno con la testa, decisa. << Bene. Al mio tre >> annunciò. Diede un’occhiata alla bandiera. Lentamente, si stava già imprimendo il caduceo di Ermes. Sgranò gli occhi. << Tre!>> urlò.
I ragazzi afferrarono la bandiera contemporaneamente, e la macchia nera sembrò andare in tilt.
Il pezzo di stoffa iniziò a brillare, di una luce verde, intensa. Così intensa che tutti furono costretti a chiudere gli occhi, voltando il capo dall’altro lato.
Non appena la luce si spense, i quattro amici lentamente aprirono gli occhi, e guardarono la bandiera fra le loro mani.
C’era un’incudine. Un’incudine come quella che Skyler aveva tatuata sul braccio. Solo che al posto del martello c’era un tridente. E questo tridente era avvolto da due serpenti. E tutto il disegno era contornato da due foglie di alloro intrecciate.
I ragazzi si guardarono. E sorrisero. C’erano tutti i loro simboli, lì. Il tridente di Michael, l’incudine di Skyler. I serpenti del caduceo di Emma e le foglie di alloro di John.
Quella era la loro bandiera.
<< Incredibile >> mormorò John, prendendola fra le mani e ammirandola. Accarezzò la figura con il pollice.
<< Michael >> esclamò una voce alle sue spalle.
 Il ragazzo strizzò gli occhi, stringendo i denti. Oh, no…
Si voltò lentamente, e si ritrovò il volto di Percy a fissarlo, con sguardo serio.
Michael accennò un sorriso, spaventato. << Ehi… >> mormorò, ma notando che il fratello non cambiava espressione, decise di cambiare tattica. << Ok, senti. Posso spiegare >> iniziò, così velocemente che era difficile stargli dietro. << Non è che pensassi che il tuo piano non andasse bene. Era fantastico, come tutti gli altri piani, e tutti erano entusiasti, e io non volevo rovinare il momento, ma sapevo che ogni volta che i figli di Ares si alleano con quelli di Afrodite usano la stessa tattica, e sapevo che i figli di Atena che avevi mandato sarebbero stati braccati, così ho pensato di dover fare qualcosa, ma non te l’ho detto per non ferirti, così io e John ci siamo offerti come cavie e… >>
<< Ehi, ehi, ehi!>> lo interruppe Percy, posandogli le mani sulle spalle. Sorrise. << Sei stato grande.>>
<< Davvero?>> Michael sembrava incredulo. Inarcò un sopracciglio. << Non sei arrabbiato?>>
<< Scherzi? Ci hai fatto vincere! Certo, avrei preferito che me l’avessi detto, ma il tuo piano è stato geniale. Annabeth mi ha detto che i figli di Afrodite li avevano distratti. Non so esattamente cosa questo significhi, ma so per certo che non avremmo mai vinto se non fosse stato per te.>>
Gli regalò il suo sorriso più smagliante, sorriso che Michael ricambiò. Poi, lo abbracciò. << Sono fiero di te.>>
A Michael sembrò di volare. Strinse il fratello a se, incredulo, e nel frattempo quelle parole gli rimbombavano nella testa, dandogli una carica pazzesca.
Quando Percy gli diede qualche pacca sulla schiena per sciogliere l’abbraccio, prese Michael per mano. Si voltò verso tutti gli altri semidei presenti e gonfiò il petto. << Signore e signori. Il vincitore… >> enunciò.
Michael afferrò automaticamente la mano di Skyler, accanto a lui, che afferrò quella di Emma, che afferrò quella di John, che aveva ancora in mano la bandiera.
A vedere quella scena, Percy sorrise. << I vincitori >> si corresse. << Della Caccia alla Bandiera!>> Alzò loro le braccia e tutti esultarono.
I ragazzi guardarono tutti quei mezzosangue acclamarli, emozionati. John sventolò in aria la bandiera, trionfante.
Michael e Skyler si scambiarono un sorriso. Skyler non riusciva a credere ai propri occhi.
Michael era contento, e colpito dalle parole del fratello. Eppure in quel momento tutto ciò a cui riusciva a pensare erano le sue dita intrecciate a quelle di Skyler.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler uscì dalla capanna numero Nove con un sorriso sulle labbra.
Quella mattina era stato un vero successo. Non solo per lei, ma per tutti quanti. Emma aveva dimostrato di non essere la classica bionda svampita che pensa solo a divertirsi, ma una vera e propria macchina da guerra. John si era rivelato il miglior compagno che si possa desiderare nel caso tu venga attaccato da delle figlie di Afrodite inferocite. Michael aveva fatto capire a tutto il campo di non essere semplicemente “il fratello di Percy”. E Skyler… beh, Skyler aveva riportato la bandiera, e, sebbene il merito non fosse tutto suo, mentre si dirigeva verso la mensa tutti i ragazzi si fermavano per congratularsi, per stringerle la mano, o semplicemente per regalarle un sorriso.
Mentre tutti i suoi fratelli si complimentavano menandole delle pacche sulla schiena, qualcuno l’afferrò da dietro.
<< Oggi sei stata fantastica!>> esclamò Leo, prendendola da dietro, sollevandola e facendola girare. Lei rise.
<< Non ho fatto niente di che >> rispose Skyler, non appena sentì di nuovo la terra sotto i piedi.
<< Scherzi?>> Leo le sorrise, raggiante. Mentre continuavano a camminare, il fratello le mise un braccio intorno alle spalle.
<< È mia sorella, gente!>> esclamò, con orgoglio, indicandola agli altri semidei di passaggio. Skyler rise di nuovo.
Poi Leo le scoccò un bacio sulla guancia e raggiunse di corsa i suoi fratelli.
Skyler sorrise, scuotendo leggermente la testa. Due mani le accarezzarono entrambe le braccia da dietro.
<< Ehi Skyler!>> esclamò Emma, mentre, con John, la sorpassava. << Grande lavoro, oggi!>>
<< Anche voi!>> urlò di rimando la mora.
John sorrise. << Ci vediamo al falò?>>
Gli occhi di Skyler si illuminarono. << Certo!>>
Detto questo, i due ragazzi scomparvero nella folla, dirigendosi verso i rispettivi tavoli della mensa.
Skyler si grattò distrattamente un braccio, con un sorriso. Per l’ennesima volta in quei pochi minuti, qualcuno l’afferrò da dietro.
Ma stavolta le prese il polso, costringendola a fermarsi e a voltarsi.
Si ritrovò di fronte un Michael i cui occhi verdi la scrutavano raggianti.
<< Ehi >> gli sorrise Skyler, un po’ sorpresa.
Michael guardò oltre le spalle della ragazza, per assicurarsi che nessuno li notasse, poi le sorrise malandrino. << Vieni con me.>>
Non le diede neanche il tempo di pensare a una qualche domanda. La prese per mano e la trascinò via di lì, lontano da tutti gli altri.
Sorpassarono l’arena, poi le scuderie, e infine il poligono di tiro con l’arco. Skyler non capì dove il ragazzo la stesse portando finché non scorse il lago in lontananza.
<< Ma dove stiamo andando?>> chiese, allungando il collo sopra la sua spalla nella vana speranza di scorgere qualcosa.
Michael si voltò per un secondo a guardarla, alzando un angolo della bocca in un sorriso. << Lo vedrai >> disse, semplicemente, facendole l’occhiolino.
Continuarono a camminare per un po’ e, finalmente, arrivarono nei pressi del lago. Mentre lo costeggiavano in un silenzio quasi religioso, Skyler perse il suo sguardo nell’acqua cristallina, e non si accorse neanche che Michael l’aveva portata sulla passerella di legno finché non si fermarono.
Skyler si guardò intorno. << Che ci facciamo qui?>> chiese, inarcando un sopracciglio.
Michael sorrise, e, con una scrollata di spalle, andò a sedersi alla fine della passerella, immergendo i piedi nell’acqua senza neanche togliersi le scarpe. Accanto a lui, un fagotto informe.
<< Vedi, lì c’era troppo trambusto >> disse, senza guardare la ragazza. << Tutti credono che sia merito nostro se oggi abbiamo vinto, quindi non avrebbero fatto altro che venire ai nostri tavoli per congratularsi. Sarebbe stato di una noia mortale! E poi, se avessi dato retta a tutti, Rose avrebbe finito tutte le patatine.>>
Skyler rise, scuotendo impercettibilmente la testa. Poi andò a sedersi accanto a lui e lo imitò, immergendo le scarpe nell’acqua ghiacciata. << Quindi hai intenzione di restare a digiuno?>> domandò, divertita.
Michael la guardò scettico. << Cosa? Certo che no!>> Si voltò verso il fagotto che aveva accanto, slegò il nodo che aveva fatto per chiuderlo e vi prese dentro qualcosa. Passó a Skyler una confezione quadrata.
Skyler la osservò. Sopra, il logo della McDonald’s occupava gran parte dello spazio. Con circospezione lo aprì, e si lasciò sfuggire un sorriso. Un panino. C’era un semplice hamburger con le patatine.
Vide con la coda dell’occhio Michael aprire un’altra confezione con dentro lo stesso. Il ragazzo prese il panino e sorrise. << Bon appétit >> esclamò, facendo alla ragazza un cenno con il capo. Poi lo addentò.
Skyler titubò qualche secondo, poi prese il suo panino e vi diede un morso. Era davvero buono.
Soffocò un sorriso, e diede un altro morso. << È la prima volta che mangio un hamburger ad un appuntamento >> disse.
Michael sgranò gli occhi, e gli andò di traverso il boccone che aveva appena addentato. Si portò il pugno chiuso alla bocca a iniziò a tossire, tentando di riprendere fiato. << Appuntamento?>> gracchiò, paonazzo.
<< Si >> rispose Skyler. Poi si rese conto del malinteso e si affrettò ad aggiungere:  << Con un amico.>> Si sentì avvampare. << Si, insomma, non sono mai andata sul lago a mangiare un hamburger con un amico. Non che io avessi amici con cui farlo, ovvio. Cioè, non è che non avessi amici, non ero un’asociale. Solo che alcune persone mi inspiravano più un ‘vai a quel paese’ che un ‘ti voglio bene’. Cioè, non che io fossi un’attaccabrighe, è solo che…>>
<< Ehi, tranquilla. Ho capito >> la rassicurò Michael, con un sorriso storto.
Sorriso che Skyler ricambiò. << Bene >> annuì. Poi abbassò lo sguardo, imbarazzata.
Era davvero bella quando sorrideva, pensò Michael, osservandola. Anche se non gliel’avrebbe detto mai.
Restarono per qualche minuto in silenzio, continuando a mangiare.
<< Non hai paura adesso?>> esordì Skyler, dopo un po’. Michael la guardò senza capire. << Dell’acqua >> specificò lei. << Sei così vicino. Non hai paura?>>
Michael sospirò, distogliendo lo sguardo e puntandolo su quella grande distesa blu che aveva davanti. Fece spallucce. << Non è che sono un vero e proprio idrofobo >> disse. Poi aggrottò la fronte. << Non ho paura di stare nei pressi dell’acqua, ho solo paura di… >> Esitò un secondo. << Annegare. Annegare come ha fatto mia madre.>> Puntò i suoi occhi, ora blu, in quelli di Skyler. << Vedi, sono l’unico figlio di Poseidone che non è capace di respirare sott’acqua. Ci ho provato molte volte, davvero, ma tutte le volte… a salvarmi era solo il mio istinto vitale, che mi imponeva di tornare a galla e respirare. È inutile, non ne sono capace. Percy e Rose non lo sanno, ma credo che…>> Sospirò. << Credo che se mi trovassi sott’acqua senza più aria nei polmoni morirei. Morirei così come tutti gli altri.>>
<< Beh, non è detto >> disse Skyler. Lo guardò e gli rivolse un sorriso incoraggiante. << Magari in quel caso il tuo istinto vitale ti aiuterà a scoprire i tuoi poteri.>>
Michael sorrise amaramente. << Credo che se non si sono presentati fino ad ora non lo faranno più.>>
Skyler abbassò lo sguardo e continuò a mangiare. Michael la imitò. Restarono in silenzio, finché non ebbero ingoiato l’ultimo pezzo del panino e gran parte delle patatine.
<< Comunque non hai bisogno di saper respirare sott’acqua >> disse Skyler, costringendo Michael ad alzare lo sguardo. La ragazza fece spallucce. << Sei un ottimo stratega. Un po’ strano, è vero, ma in fondo il tuo stupido piano ci ha fatto vincere.>>
Michael rise, divertito. << Beh, grazie. Ma non ce l’avrei mai fatta senza di voi.>>
Skyler scosse la testa. << Prenditi il merito, per una volta >> lo rimproverò. << Se tu non ci avessi detto cosa, come e quando farlo, noi avremmo seguito il piano di Percy, e la nostra squadra avrebbe perso.>>
Michael ci pensò un po’ su, soppesando quelle parole. << Si, forse hai ragione >> mormorò, inclinando leggermente la testa da un lato. Pensandoci bene, un po’ di merito lo aveva anche lui.
<< Ah, a proposito!>> esclamò Skyler, come se si fosse appena ricordata di una cosa importantissima. Iniziò a frugare nelle tasche dei suoi jeans.  << Ho un regalo per te >> spiegò. << Volevo dartelo al falò, ma dato che credo che per stasera non ci andremo, te lo do ora.>> Estrasse qualcosa dalla tasca anteriore e glie la porse. << Ecco.>>
Michael l’osservò, rigirandosela fra le mani. << È una… penna >> mormorò, incredulo. << Ehm, beh… ehm, grazie. Si, grazie. Non sapevo proprio come fare a firmare tutti quegli autografi >> commentò, sarcastico.
Skyler gli diede uno schiaffetto sul braccio. << Stupido >> esclamò. << Non è una semplice penna.>> Gliela indicò con un cenno del mento. << Usala.>>
Michael inarcò un sopracciglio, scettico. Poi, con un sospiro, tolse il cappuccio.
La punta della penna si allungò a dismisura, fino a svettare verso l’alto in modo minaccioso. La base si allargò, e in pochi secondi fra le mani di Michael c’era una… spada.
<< Wow >> esclamò, allontanandola dal viso senza però lasciare la presa sull’elsa. Guardò Skyler, sbigottito. << È… è… è una spada!>>
Skyler sorrise soddisfatta. << Già.>> Scrollò le spalle. << Ho notato che tuo fratello ne ha una simile, e la prima volta che l’ho vista ho pensato: “cavolo, che figata”. E poi ci sei tu, che vai sempre in giro con quel coltellino minuscolo, così ho pensato che ti sarebbe servita, in futuro, una spada. E che potevo costruirtene una. Certo, forse non è funzionale come quella di Percy, ma la lama è comunque di bronzo celeste, e può uccidere mostri… se è assolutamente necessario.>>
Michael la guardò, senza parole. Aprì la bocca nel tentativo di trovarle nell’aria, ma non fu così fortunato. Dopo un po’ si accorse di star facendo la figura dello scemo, e che Skyler lo osservava in attesa. Così si sforzò di parlare. << È… bellissima.>> mormorò. Banale! Impegnati di più! << Io… >> sorrise. << Grazie.>> Che originalità.
Ma Skyler non sembrò dare molto peso alla quantità delle parole, e sorrise, raggiante. << Sono felice che ti piaccia >> disse, contenta. << Ci ho messo un po’ per costruirla.>>
Michael osservò la spada, ammirato. << Io… io sono senza parole.>> Guardò Skyler, corrucciando le sopracciglia. << Ma perché l’hai fatto?>>
Skyler fece spallucce. << Te l’ho detto, perché pensavo che ne avessi bisogno.>> Scrollò le spalle. << E poi perché non avevo nulla da fare.>>
Michael rise. Poi strinse di più la presa sull’elsa della sua nuova spada e menò dei fendenti verso l’alto, facendole fendere prima l’aria, poi l’acqua ai suoi piedi. Era davvero comoda, e leggera. Non aveva trovato mai un’arma così bella.
Fece un sorriso storto. << E ce l’ha un nome?>>
<< Un nome?>> Skyler aggrottò la fronte. << No, in realtà non ci ho pensato.>> Si voltò a guardarlo. << Come vorresti chiamarla?>>
Michael ci pensò un po’ su. << Che ne dici di… Doron?>> Guardò Skyler. << Significa ‘dono’ in greco.>>
<< Doron…>> ripeté Skyler. << "E così il prode Michael afferrò Doron e la sguainò contro il nemico" >> scherzò, scimmiottando la voce profonda di un narratore. Risero insieme. << Si >> annuì la ragazza. << Mi piace.>>
Si scambiarono un sorriso. Skyler lo osservò mentre continuava a sfiorare con i polpastrelli la lama della spada, ammirato.
<< Orai potrai guidare anche tu un’armata, proprio come fa tuo fratello.>>
Michael si fermò di botto. Sorrise amaramente e scosse la testa. << No… >> mormorò. << Io… io no sarò mai come mio fratello. Lui è forte, intraprendente, valoroso. Tutti gli altri semidei pendono dalle sue labbra.>> Inarcò le sopracciglia. << A me non mi ascolta nessuno.>>
<< Non è vero.>>
<< No, lo so che è vero >> insistette. << Ma non fa niente. Insomma, non si può avere tutto dalla vita, no?>>
<< Tu non hai niente in meno a tuo fratello.>>
<< Oh, si invece. Andiamo. Io non ho mai ottenuto neanche un’impresa, lui ha salvato il mondo intero dai Titani. Io occupo le mie giornate ad organizzare guai nel tentativo di attirare l’attenzione, lui ha rinunciato all’immortalità per stare con la sua ragazza.>> Fece un altro sorriso colmo di amarezza. << Il confronto è inevitabile.>>
<< Nessuno ti paragona a lui >> riprovò Skyler.
<< E invece si.>> La scrutò in volto. << Sai perché non faccio altro che combinare guai? Per far capire a tutti che io non sono come mio fratello. Perché voglio essere me stesso. Non voglio essere etichettato da tutti come ‘il fratello del grande Percy’. Voglio essere semplicemente… Michael.>>
<< Tutti ti conoscono come Michael, e lo sai.>>
<< No, no, non è così. Io…>> Esitò. << Io so che non sarò mai come lui. È il mio destino.>> Sospirò. << E purtroppo non posso cambiarlo.>>
<< No. No, invece!>> esclamò Skyler, adirata. Era quasi incredula. << Tutti possiamo scegliere la nostra storia, nessuno escluso. Non ti piace il tuo destino? Scrivine uno nuovo. Sei arrabbiato perché gli altri ti ignorano? Dimostragli perché non dovrebbero. Vuoi toglierti di dosso l’etichetta di ‘fratello di Percy’?>> disse, mimando con le virgolette l’ultima frase. Lo guardò intensamente negli occhi.  << Fai in modo che si ricordino di te.>>
Michael sostenne per un po’ il suo sguardo, poi lo abbassò, imbarazzato. << Non è così facile >> commentò. << Non credo che qualcuno sceglierebbe mai me, per guidare un’armata.>>
Skyler sospirò, scuotendo impercettibilmente la testa. Osservò un punto imprecisato davanti a lei. << So come ti senti >> gli disse. << Tutti abbiamo bisogno di essere scelti. Di avere la consapevolezza di essere accettati così come siamo, pur sapendo che anche solo spostando lo sguardo ci sia qualcuno migliore di noi.>> Abbassò leggermente il tono della voce, come se stesse parlando a se stessa. << Tutti ne abbiamo bisogno.>>
Michael la squadrò, poi inarcò un sopracciglio. << E questa dove l’hai letta?>>
Riuscì a strapparle un sorriso. Skyler gli diede un leggero pugno sul braccio. << Cretino >> disse, fingendosi offesa.
Michael non riuscì a trattenere una sonora risata, che dopo un po’ contagiò anche Skyler.
<< Quello che stavo cercando di dire >> continuò la ragazza, che non voleva perdere il filo del discorso. << È che non devi preoccuparti. Anche tu hai qualcuno che prima o poi ti sceglierà.>>
<< Davvero?>> Michael, più che sorpreso, sembrava divertito. << Chi?>>
<< Noi. I tuoi amici.>> Michael la guardò negli occhi e Skyler sorrise, stringendosi nelle spalle. << Siamo con te, ricordi?>>
Anche Michael sorrise, ma stavolta riconoscente. Perché quella piccola frase, quelle tre piccole parole, riuscivano a infondergli un calore che gli invadeva lentamente tutto il petto. Gioia. Gioia, e anche sicurezza. La sicurezza di avere degli amici speciali.
La luna si stava alzando lentamente nella notte, rispecchiandosi nel calore del lago e regalando al viso di Skyler una luminosità strana. Sembra una dea, pensò Michael, senza esitazione. Dopo un po’ si morse la lingua.
Ma che cosa ti dice il cervello? È Skyler. Skyler! Diamine, pensa ad altro. Agitò lentamente i piedi nell’acqua scura. Pensa ad altro, pensa ad altro, pensa ad altro, pensa ad altro….
Accanto a lui, Skyler sussultò. Lui alzò lo sguardo per capire cosa stesse succedendo, e notò che la ragazza stava fissando un punto dietro di lui, con un sorriso. Si voltò, ma non vide niente di interessante. << Che c’è?>> le chiese, inarcando un sopracciglio.
<< Sta per piovere >> rispose lei, indicandogli con un cenno il cielo ai confini della barriera.
Michael vide delle piccole gocce di pioggia infrangersi delicate e silenziose contro il campo di forza. << Non devi preoccuparti >> disse, scrollando le spalle con noncuranza. << Qui gli agenti atmosferici non possono entrare.>>
<< Cosa? No!>> esclamò lei, che, con grande sorpresa del ragazzo, era dispiaciuta. << Io adoro la pioggia! E amo quando mi bagna i capelli.>>
Michael la guardò in modo strano, al che lei sbuffò. << Qui non arriva proprio mai?>>
<< Beh, no… >> disse Michael. Poi aggrottò la fronte. << Si ferma vicino ai confini del campo.>>
Gli occhi di Skyler si illuminarono, e la ragazza saltò in piedi. Sorrise raggiante e iniziò a correre.
<< Ehi, dove vai?>> le urlò dietro Michael, seguendola con lo sguardo.
Lei si voltò a guardarlo. << Dai, vieni!>> Gli fece cenno di seguirla. Poi riprese a correre.
Michael si alzò di scatto, cacciando i piedi fuori dall’acqua. Chiuse la sua nuova spada e si infilò la penna in tasca. Poi raccolse la coperta con la quale aveva portato lì il cibo e si incamminò dietro la ragazza, correndo nel tentativo di tenere il passo.
Non capiva dove volesse andare, poi vide le due grosse colonne di marmo che segnavano l’entrata del campo. O l’uscita.
Si fermò accanto ad un albero ed osservò la ragazza avvicinarsi circospetta alle due colonne e mettere una mano fuori dalla barriera. Questa divenne immediatamente bagnata.
Skyler chiuse gli occhi, con un sospiro rilassato. Poi li riaprì e uscì completamente.
La pioggia la colpì con una potenza improvvisa, e tante minuscole goccioline si infransero sul suo viso, bagnandole poi capelli e vestiti. Skyler allargò le braccia, buttando la testa all’indietro e rivolgendo il viso al cielo. Sorrise, trionfante, poi cacciò fuori la lingua e permise alla pioggia di bagnarle anche quella.
Era così rilassante stare lì. Sembrava quasi che quell’acqua riuscisse a far scivolare via tutti i pensieri, liberandole la mente.
Rise, e volteggiò su se stessa un paio di volte, i capelli che le si attaccavano al viso, così come i vestiti al corpo.
Poi si girò verso Michael, che la stava ancora osservando. << Coraggio!>> gli urlò, con un sorriso. Michael esitò, e Skyler buttò le braccia al cielo. << Qui è bellissimo!>>
Michael la osservò ancora per un secondo, mentre volteggiava sotto la pioggia e tirava fuori la lingua.
Involontariamente, sorrise. Buttò a terra la coperta che ancora reggeva in mano e corse dalla ragazza.
In un primo momento il contatto con la pioggia fu devastante, poi divenne piacevole, e Michael si ritrovò a sfregarsi il viso con quell’acqua ghiacciata, chiudendo gli occhi.
Guardò Skyler e lei gli sorrise. << Te l’avevo detto che era fantastico!>> esclamò. << E tu scemo che non volevi darmi retta.>>
<< Ah, si?>> disse lui, sorridendo malandrino. Pizzicò un fianco di Skyler e lei sobbalzò. Il sorriso di Michael si allargò, e continuò a pizzicarle i fianchi, mentre lei rideva e lo pregava di non farlo.
Skyler corse via, e lui la seguì. La raggiunse in un attimo.
Le afferrò i fianchi da dietro con un braccio e la sollevò, facendola girare.
Skyler rise. Risero entrambi.
Rimasero sotto la pioggia a giocare come due bambini di cinque anni finché un fulmine minaccioso squarciò il cielo, costringendoli a rientrare.
Non appena furono di nuovo all’asciutto, iniziarono subito a tremare, infreddoliti. Forse Skyler un po’ di più, così Michael prese la coperta da terra e andò verso di lei.
<< Ecco, tieni >> disse. Si posizionò difronte a lei e le avvolse la coperta intorno alle spalle.
Skyler gli sorrise, riconoscente, mentre batteva i denti. << G... grazie >> mormorò.
Anche Michael aveva freddo, così Skyler si accoccolò contro il suo petto e gli avvolse la vita con la coperta.
Michael poggiò il mento sul suo capo e sorrise. << Però è stato fantastico >> disse.
Skyler si staccò dal suo petto quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi. << Te l’avevo detto >> mormorò, soddisfatta.
Ma Michael non l’ascoltò. Era troppo impegnato a contemplare i suoi occhi, così scuri, attraversati da delle sfumature dorate. Sarebbe stato ore ad osservare quelle sfumature, per scorgerne ogni minimo particolare.
Skyler allungò una mano per scostargli i capelli bagnati dalla fronte, e senza volerlo le sue ciglia gli accarezzarono il mento.
Michael sentì un brivido lungo la schiena. Si sorrisero, mentre i loro fiati si condensavano davanti ai loro volti.
Poi, un urlo squarciò il cielo. Erano le arpie. Era il momento del coprifuoco.
Michael chiuse gli occhi, affranto. Quando li riaprì Skyler si stava ancora stringendo nella coperta.
<< Credo che sia meglio andare >> borbottò, al che lei annuì.
Insieme si diressero di nuovo verso il centro del campo.
Arrivati davanti alla Casa Grande, si fermarono.
<< Io vado di qua >> disse Skyler, indicando alla sua sinistra.
<< Già… E… e io… ehm, vado di qua >> balbettò Michael, indicando alla sua destra quasi dispiaciuto.
<< Allora, ehm… buonanotte.>>
<< Si… buonanotte.>>
Stavano per salutarsi quando Skyler fece un passo avanti. Gli accarezzò una guancia e con un sorriso gli diede un bacio sopra l’angolo della bocca. Lo guardò negli occhi. << Grazie di tutto >> sussurrò.
Michael non disse una parola.
Skyler si voltò e si incamminò, ancora stretta nella sua coperta, verso la casa Nove, non senza prima girarsi per lanciargli un ultimo sguardo.
Michael rimase lì, allibito, per circa cinque minuti. Rimase immobile a fissare il punto in cui Skyler se n’era appena andata anche dopo che era scomparsa.
Si sfiorò con una mano tremante il punto in cui Skyler l’aveva baciato, e sorrise.
Sarebbe rimasto lì, scioccato, all’infinito, se un altro urlo delle arpie non gli avesse ricordato che era il momento di tornare a casa.

Angolo Scrittrice.
Holaaaa!!
Eccomi qui! Ma davvero credevate di esservi liberati di me? Muahahah poveri illusi xD
No, la verità è che mi dispiace di aver aggiornato solo oggi, ma ieri sera sono tornata dall'Umbria molto tardi ed ero così stanca che non ce l'ho fatta neanche ad accendere il pc.
Anyway, spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto. Si, è molto lungo, forse troppo, ma molti di voi mi hanno detto che amano i capitoli lunghi, quindi spero di non aver combinato un disastro.
Parlando del capitolo... andiamo, che campo mezzosangue era senza caccia alla bandiera? ahah, non poteva mancare. E poi è stata una buona occasione per Michael di riscattarsi. In realtà il suo piano era molto semplice, e ora lo spiego nel caso non si fosse capito: lui sapeva che le figlie di Afrodite avrebbero distratto coloro che dovevano prendere la bandiera con la loro lingua ammaliatrice mentre i ragazzi della loro squadra vincevano, così Michael ha pensato di andare con John nel bosco, offrendosi come "esca" facendo credere alle figlie di Afrodite che erano loro due a dover prendere la bandiera, mentre in realtà questo compito spettava a Emma e Skyler.
Un genio, no? xDxD ahahah
Anyway, credo che forse questo capitolo piacerà alla maggior parte di voi. Perchè? Perchè qui ci sono un po' di momenti romantici fra Michael e Skyler, e da quanto ho capito molti di voi li amano insieme ;) quindi, spero di non avervi deluso.
Nel caso qualcuno ci sia rimasto male perchè sperava in un fluff (?) fra Skyler e John, don't worry, rimedierò. ;D
Beh, detto questo, è arrivato il momento dei ringraziamenti. Credo sia inutile dire quanto io vi sia grata e quanto vi ami, perchè mi ripeterei inutilmente, per questo mi limito a ringraziare col cuore le mie Valery's Angeles:
giascali, Fred_Beckendorf99, Fred Halliwell, bibrilove98, _percypotter_, Kyira, moon_26 e Greg Heffley. E poi, un grazie anche alle 3 persone che hanno messo la storia fra le ricordate, alle 17 (*-*) che l'hanno messa fra le seguite e alle 17 (*^*) che l'hanno messa fra le preferite. E grazie anche a voi, lettori silenziosi. Grazie tante! <3
Bene, credo di aver detto tutto. Grazie ancora e un bacio enorme
dalla vostra
ValeryJackson

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Il sole batteva splendente sugli alberi, sui suoi rami, sulle sue foglie, illuminando il Campo Mezzosangue di una luce estiva. Le acqua erano calme, il tempo splendido.
Nonostante il caldo e la voglia invitante di starsene distesi sulle sponde del lago in panciolle, tutti i semidei si stavano allenando, chi con arco e frecce, chi con le spade.
Michael osservava, in silenzio, i ragazzi allenarsi nell’arena, seduto su una delle gradinate. O meglio, all’inizio li osservava, perché ora la sua attenzione era totalmente rivolta alla piccola penna che continuava a rigirarsi fra le mani.
Non era riuscito a chiudere occhio tutta la notte, pensando al regalo che gli aveva fatto Skyler.
“Siamo con te, ricordi?” gli aveva detto, con un sorriso timido sulle labbra.
Sono con me… Chissà perché, questo pensiero lo faceva sorridere. Forse aveva anche lui qualcuno dalla sua parte. Forse anche lui poteva avere delle persone che si fidassero di lui, ciecamente e senza fare domande. Forse. Sarebbe stato bello.
Contemplò la penna fra le sue mani, maledicendosi mentalmente per la sua stupidità.
Io non so usarla una spada, pensò. Non ci ho neppure mai provato.
Era così immerso nei suoi pensieri da non accorgersi di Emma che, con un sopracciglio inarcato, gli andava incontro.
<< Ciao >> esclamò la bionda, sedendosi accanto a lui.
Michael alzò lo sguardo e la osservò finché i loro occhi non furono alla stessa altezza. Accennò un flebile sorriso. << Ciao >> mormorò, abbassando gli occhi.
Emma seguì la direzione del suo sguardo, e notò la penna che il ragazzo stringeva fra le mani.
Lo guardò, interrogativa. << Ti sei messo a scrivere romanzi, per caso?>>
<< Non è una semplice penna >> disse Michael, visibilmente scocciato. Poi corresse il tiro. << In realtà è una spada.>>
<< Una…>> Emma fissò la penna con la fronte aggrottata. << Una spada?>>
Michael annuì, poi, capendo che la ragazza non gli credeva, tolse il cappuccio e questa si allargò fra le sue mani.
Emma sgranò gli occhi e trattenne il fiato. << Wow… >> si lasciò sfuggire. Avvicinò il naso alla spada e sfiorò con i polpastrelli la lama di bronzo. Sorrise. << È bellissima. Dove l’hai presa?>>
<< Me l’ha fatta Skyler >> rispose lui, cercando di non far trapelare alcuna emozione.
Emma lo guardò, inarcando un sopracciglio. << Perché non ti stai allenando con gli altri?>>
Michael scrollò le spalle, fingendo noncuranza. << Ecco io… >> Iniziava a sentirsi a disagio. Avrebbe voluto mentirle, avrebbe voluto raccontarle una bugia e svignarsela, ma guardandola negli occhi grigi capì che a quella ragazza non sarebbe sfuggito niente. Si lasciò andare ad un sospiro frustrato. << Diciamo semplicemente che… non sono un granché, con le armi >> ammise.
Emma lo fissò per un attimo in silenzio, poi rise. << Si, come no. Bella questa!>> Si asciugò una lacrima immaginaria, poi, quando si accorse che Michael non stava ridendo, tornò seria. << Aspetta, ma dici sul serio?>>
Michael abbassò lo sguardo, stringendo i denti. << Sono già abbastanza demotivato di mio. Non ho bisogno di te che mi ridi in faccia >> disse, acido.
Emma scosse la testa. << No, io… >> Fece un bel respiro. << Scusa, credevo stessi scherzando.>> Lo guardò, ed ebbe paura di averlo ferito veramente. << Davvero non sai lottare?>>
Michael alzò gli occhi al cielo, sospirando. << Non è che non so lottare, è solo che… >> Sbuffò, frustrato. << Non ho mai usato una spada, ecco.>>
<< Ma… ma ieri alla Caccia alla Bandiera ne avevi una.>>
Michael fece un sorriso storto. << Conoscevi il mio piano. Non era esattamente quello che si poteva definire necessitante di un duello o un corpo a corpo.>>
Emma soffocò una risata, poi si ricompose. Guardò Michael, comprensiva. << Beh, comunque ci hai fatto vincere. Il come non mi interessa.>>
Michael fece spallucce. << Non ho fatto niente di che.>>
<< Oh, andiamo!>> esclamò lei, buttando le braccia in aria. << Quante persone dovranno dirti che è stato tutto merito tuo prima che tu ci creda?>>
In quel momento Michael avrebbe dovuto sentirsi lusingato, ma una domanda gli sorse spontanea. Aggrottò la fronte. << Come sai che me l’ha detto qualcun altro?>>
Emma scrollò le spalle, fingendo nonchalance. << Beh, Skyler è la mia migliore amica. Mi ha detto di averti detto la stessa cosa e che tu non le hai creduto.>>
Michael inarcò le sopracciglia, poi si lasciò sfuggire un sorriso. << Aspetta, aspetta. Avete parlato di me?>>
<< Non è importante.>>
<< E che avete detto?>> continuò lui.
<< Questi non sono affari che ti riguardano >> lo rimproverò lei. Michael rise, ed Emma si lasciò sfuggire un sorriso.
Quando Michael si fu calmato, un lampo gli attraversò la mente. << Ah, a proposito di ieri >> esclamò. Iniziò a frugare nelle sue tasche, finché non lo trovò. Lo osservò soddisfatto, poi passò il suo coltellino ad Emma. << Sei stata grande con questo coso >> le disse. << Hai fatto tutto ciò che io non sono mai riuscito a fare da quando lo posseggo.>> La guardò, con un sorriso. << Credo che tu sappia difendertici meglio di me.>>
Emma sgranò gli occhi, incrociandoli con i suoi. << E con questo cosa vorresti dire?>>
<< Che è tuo.>> Michael sorrise. << Te lo regalo.>>
Emma lo squadrò in volto, cercando qualunque cosa che le permettesse di capire se quello era o no uno scherzo. << Stai bluffando, vero?>>
Michael scosse la testa. << Assolutamente no.>>
<< Cosa? No, io… io non posso accettare >> esclamò, facendo danzare in aria i riccioli biondi. << Io… questo… questo è il tuo coltellino. Non posso accettare.>> Provò a ridarglielo, ma lui lo respinse gentilmente, chiudendoglielo nel pugno. << Te l’ho detto, a me non serve. Tu saprai usarlo meglio.>> Fece un sorriso divertito. << E poi io in teoria dovrei usare questa.>> Indicò con un cenno la spada che ancora aveva fra le mani.
Emma osservò stupefatta il coltellino, poi sorrise. << Grazie >> esclamò, riconoscente.
<< E di che? Figurati >> fece spallucce Michael. Emma rise e gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia. Rise anche Michael.
Emma lo guardò con un sorrisetto divertito. << Da oggi in poi con questa spada sarai un vero guerriero.>>
Michael sorrise amaramente. << Io non sono un guerriero.>>
<< Già, hai ragione >> concordò quella, con sarcasmo. << Tu non sei un guerriero. Uno stupido, quello si. Ma non un guerriero.>>
Il ragazzo le fece una smorfia. << Simpatica >> borbottò.
Emma trattenne un sorriso e lo guardò negli occhi. << Sai qual è il modo migliore per diventare un guerriero?>> chiese. Michael scosse impercettibilmente la testa, ed Emma accompagnò la sua affermazione con un lieve cenno della testa. << Voler diventare un guerriero.>>
Ci fu un qualche secondo di silenzio. Poi la ragazza si alzò in pedi, e squadrò con gli occhi chiusi a due fessure i ragazzi che si allenavano prima di scendere velocemente le gradinate e correre verso l’arena. Quando si accorse di essere sola si voltò verso Michael.
<< Beh?>> urlò, guardandolo.
<< Beh cosa?>>
Emma allargò le braccia. << Dobbiamo allenarci! Tu devi imparare ad usare la spada ed io devo perfezionare la mia tecnica.>> Sorrise, malandrina. << Vediamo se riesci a farti sconfiggere da un coltellino.>> Sventolò in aria la sua piccola arma.
Michael sorrise, divertito da quella “pseudo-offesa”.
Si alzò in piedi e raggiunse di corsa l’amica che lo aspettava per lottare.
 
Ω Ω Ω
 
John incoccò una freccia, tese l’asco e se lo avvicinò alla guancia.
Socchiuse lentamente un occhio, calcolando mentalmente il suo bersaglio e il movimento lento e caldo del vento.
Focalizzò l’obbiettivo. E lasciò andare la freccia.
Questa si conficcò con uno scatto nel centro esatto del bersaglio, fendendo l’aria con un flebile fruscio.
Era la decima che andava a segno, quella mattina. Dieci su dieci.
Fece un bel respiro e ne afferrò un’altra. Tese di nuovo l’arco e la scagliò contro un altro bersaglio, facendo centro anche stavolta.
Così non è divertente, pensò. Dopo un po’ scoccia.
Fece per prendere un’altra freccia, quando si accorse che la sua faretra era vuota.
Sospirò e si avvicinò pensieroso al piccolo tavolo di legno su cui erano state posate, o per meglio dire buttate una serie infinita di armi, afferrando tre frecce che erano incastrate sotto una spada.
Quando alzò distrattamente lo sguardo, ebbe un sussultò.
Skyler era lì, a pochi metri da lui, e lo fissava con un sorriso, le braccia incrociate.
John sgranò leggermente gli occhi, ma si sforzò di sorridere. << Ehi >> mormorò.
Skyler avvampò violentemente, e John sorrise ancora di più vedendo le sue guance prendere una tonalità tendente al porpora.
<< C… Ciao >> balbettò lei, imbarazzata.
<< Che ci fai qui?>> le chiese John, aggrottando la fronte divertito.
<< Beh, ecco, io… Non… Passavo di qui e ti ho visto… beh, ecco… sei bravo.>> Avvampò ancora di più. << Io… Mi dispiace, non volevo distrarti. Ora me ne vado.>> E fece per andarsene, ma John la fermò.
<< No, aspetta >> la chiamò, al che lei o guardò. John si grattò la nuca, imbarazzato. << Non mi dai fastidio.>>
Si guardarono per un secondo, poi Skyler sorrise. John si rilassò all’istante. << Bene >> esclamò la ragazza. << Non ti dispiace allora se ti osservo?>>
<< No, figurati >> rispose John, fingendo nonchalance mentre incoccava una freccia. Tese l’arco e Skyler gli fu subito affianco.
John aspettò un secondo. Si sentiva a disagio, in un certo senso. Lo aveva fatto un milione di volte, eppure ora aveva paura di sbagliare. Paura di fare brutta figura con lei. Ma perché mai dovrebbe averne?
Fece un bel respiro, e lasciò andare la freccia. Questa si conficcò esattamente nel cerchietto nero al centro del bersaglio.
Skyler sorrise, ammirata. << Sei davvero bravo.>>
John ricambiò il sorriso. << Grazie. Tutti i figli di Apollo sono ottimi arcieri. Credo sia una dote naturale.>>
<< Come mai sei qui da solo?>>
John alzò un angolo della bocca, amaramente. << Tutti gli altri sono a lezione di equitazione.>>
Skyler annuì, distrattamente, e fra loro calò uno strano silenzio mentre osservavano entrambi la freccia illuminata dal sole.
<< Senti… >> mormorò Skyler, dopo un po’. John la guardo e lei gli regalò un sorriso sornione. << È ancora valida quella lezione gratuita?>>
Il volto di John parve illuminarsi più di quanto non fosse già. << Certo che si!>> Si guardò un attimo intorno. << Ecco, prendi questo >> le disse, porgendole l’arco. << Iniziamo subito.>>
Skyler squadrò l’arco con un sopracciglio inarcato. << E tu come fai, scusa?>>
John sorrise, malandrino. << Con questo >> esclamò, sventolando in aria il braccio. Il braccialetto che aveva al polso tintinnò. Era molto bello, e Skyler non ci aveva mai fatto caso. Tutto d’oro, era un semplicissimo bracciale “alla schiava” che gli copriva metà avambraccio. Un robusto laccio dorato gli si attorcigliava tutto intorno, ed era tempestato di minuscoli diamantini che giocavano con la luce del sole. All’inizio, Skyler non capì. Poi John iniziò a srotolarsi il bracciale dal braccio e lei fu costretta a trattenere il fiato.
Davanti a lei, infatti, un bellissimo arco dorato aveva preso forma, la corda tesa, l’impugnatura cosparsa degli stessi piccoli diamanti.
Guardò John, basita.
<< M… Ma… Ma… >> balbettò, senza parole.
John sorrise. << È un regalo di mio padre >> spiegò. << Lo porto sempre con me.>>
Skyler lo osservò, esterrefatta. Sfiorò i diamanti con le dita.  << È bellissimo >> mormorò.
John annuì. Poi aggrottò la fronte.  << Già.>>
Skyler lo guardò di sottecchi. << E con le frecce come fai?>>
John corrucciò le sopracciglia. << In che senso?>>
<< Beh, prima o poi finiscono, no?>> rispose lei, scrollando le spalle. << Cos’è, hai anche un anello che si trasforma in venti frecce?>>
John rise di gusto. << No >> disse, scrollando leggermente la testa. Poi le sorrise, divertito. << Guarda.>> Skyler rivolse lo sguardo al palmo vuoto del ragazzo, sospeso all’altezza del suo ventre. Lo osservarono entrambi. Dopo un po’, il palmo iniziò ad illuminarsi. Tanti piccoli filamenti gialli si staccarono dalle sue dita, per poi librarsi in aria ed unirsi in una strana danza. Si accorciavano, si allungavano, si compattavano. Infine, iniziarono a prendere la curiosa forma di una freccia. Passarono alcuni secondi, poi la figura si solidificò e John strinse nel pugno il dardo.
Guardò Skyler, in attesa.
La ragazza aveva la bocca aperta in una ‘o’ perfetta. Lentamente, prese la freccia dalle mani di John, e lui la lasciò la fare. Se la portò ad altezza viso e se la rigirò fra le dita, stupefatta.  << Wow >> mormorò. << Tu hai… hai creato una… una freccia da…>>
<< La luce >> annuì John. << Già. È un’altra delle doti dei figli di Apollo.>>
<< Vuoi dire che tutti i figli di Apollo creano cose con la luce?>> chiese Skyler, sgranando gli occhi.
<< No, solo alcuni.>> John scrollò le spalle. << È un dono molto raro. Qui al campo siamo solo quattro quelli capaci di farlo. Non è che andiamo in giro a vantarcene.>>
Skyler continuò a guardare la freccia.  << E costruite solo frecce?>>
<< No, in realtà possiamo farci di tutto. Ma la freccia è di sicuro la cosa più pratica.>>
Skyler sorrise, poi alzò lo sguardo. I loro occhi si incatenarono per un attimo, finché la bocca di John non si allargò in un sorriso.
<< Su, fammi vedere cosa sai fare >> disse, indicando con un cenno del capo un bersaglio non poco lontano.
Skyler inarcò un sopracciglio. << Scusami? Ma non dovevi essere tu ad insegnarmi?>>
<< Se non so dove sbagli, come faccio a correggerti?>> Le regalò un sorriso rassicurante e si allontanò di qualche passo.
<< Su.>>
Skyler sospirò, le labbra strette in una linea sottile. Incoccò una freccia, poi osservò il bersaglio e tese l‘arco. Dopo qualche secondo di esitazione, lasciò andare la freccia, che mancò il bersaglio di qualche metro. Sbuffò frustrata.
John sorrise e le andò vicino. << Sei troppo rigida >> la rimproverò. Le porse un’altra freccia e Skyler riprovò.
In men che non si dica, le mani di John si posarono sulle sue, provocandole un fremito, che però non diede a vedere. Il ragazzo l’aiutò a tendere l’arco, e prese la mira accostando la guancia alla sua tempia. << Solleva l’arco fino all’altezza delle spalle >> le disse. << E parallelo al terreno. Ruota il polso e il gomito dell’arco per permettere alla corda di chiudersi senza infierire sul braccio.>>
Skyler obbedì, o meglio, tentò di obbedire mentre si sforzava di non farsi distrarre dal profumo della pelle di John, che le inebriava le narici. Sapeva di… menta?
Si scosse dai suoi pensieri e si concentrò sul bersaglio. John le diede qualche altra indicazione, poi aggiustò il tiro di poco. Le diede il via e Skyler lasciò andare la freccia, che si conficcò nel bersaglio a pochi centimetri dal centro.
Skyler si voltò per guardare John, con un sorriso trionfante, e per un attimo i loro nasi si scontrarono, prima che lui si scostasse, imbarazzato.
<< Visto?>> disse. << È facile.>>
Skyler rise e annuì, guardando di nuovo la sua freccia incredula.
<< Quando ti sarai allenata abbastanza, sarai in grado di fare questo >> le disse John, facendole l’occhiolino. Incoccò contemporaneamente tre frecce, prese la mira, e con uno scatto deciso delle dita le lasciò andare, permettendogli di conficcarsi nel centro esatto di tre diversi bersagli.
Skyler lo guardò, ammirata. Il suo profilo era perfetto, il volto baciato dai raggi del sole. Era incredibile quanto i suoi capelli biondo miele sembrassero dorati con quella luce. Gli occhi luminosi, un sorriso aperto.
Per questo il sorriso di Skyler si spense non appena la vide. Da sotto la scollatura della maglietta, alla base del collo, una cicatrice che scompariva sotto la stoffa arancione della maglia del campo. Non era facile notarla, perché piccola e ben nascosta, ma a Skyler mancò comunque un battito quando la vide.
Fu colta in flagrante a fissarla da John, che aggrottò le sopracciglia. << Che c’è?>>
Skyler abbassò automaticamente lo sguardo, arrossendo imbarazzata. << N… Niente.>>
Ma John non le credette. Andò con la mano nel punto in cui lei stava guardando, e quando sentì al tatto la cicatrice, si rabbuiò. << Ah >> mormorò, abbassando lo sguardo.
<< Mi… mi dispiace >> balbettò inutilmente lei. << Non volevo. Scusa.>>
<< No, non preoccuparti >> la rassicurò lui, sforzandosi invano di sorridere. << Non fa niente.>>
Skyler lo squadrò un attimo seria in volto. << Che cos’è?>> chiese, troppo velocemente per poter impedire a quelle parole di uscire.
John strinse le labbra in una linea sottile. Sospirò. << La cicatrice di quando mi sono operato alla colonna vertebrale >> rispose.
Skyler annuì. Lo aveva immaginato. Per un attimo si pentì di averglielo chiesto, poi si rese conto che ormai era troppo tardi e decise di andare fino in fondo. Strinse i denti. << Posso vederla?>> chiese, cauta.
John la guardò un secondo, senza capire. Il suo sguardo era incredibilmente serio, ma anche preoccupato, e a John gli si strinse il cuore. E se si fosse impressionata? Se non avesse più potuto guardarlo se non con compassione? Eppure, c’era qualcosa che lo spingeva a farlo. Qualcosa che lo spronava a condividere le sue congiure con qualcuno, a non nascondersi più dietro una maglietta.
Sospirò e si sfilò lentamente la maglietta del campo, rivelando i muscoli perfetti dovuti a tanti anni di allenamento, poi si voltò d spalle e mostrò a Skyler la sua schiena.
La ragazza ebbe un sussulto. Una lunga e spessa cicatrice gli attraversava tutto il dorso. Partiva dall’atlante, e continuava lineare fino a terminare al coccige. Perfetta. Increspata. Cattiva. Gli segava in due la schiena come se fosse pronta ad aprirsi in un varco da un momento all’altro.
Skyler si avvicinò, senza distogliere lo sguardo. Lentamente, alzò una mano, e la sfiorò con il polpastrelli seguendone il percorso. Dopo un po’, John sussultò.
Skyler allontanò la mano di scatto. << Scusa >> mormorò. Lo guardò. << Ti fa male?>>
John fece una smorfia di dolore. << No. Più che altro è il dolore che è legato ad essa.>>
Skyler non rispose, e a quel punto John si voltò. I loro visi erano incredibilmente vicini, eppure nessuno dei due faceva cenno a spostarsi. John la guardò con occhi tristi, poi sorrise amaramente, facendo spalucce. << Sai, a volte i ricordi fanno male.>>
Detto questo, si rinfilò la maglietta, dando il tempo a Skyler di riprendersi.
Quando si fu risistemato, lei lo guardò. << Parlami della tua famiglia >> gli disse. << Com’era tua madre?>>
<< Un angelo >> disse semplicemente. Poi andò verso il tavolo pieno di armi, seguito da Skyler.  Vi si appoggiò e sorrise sognante, lo sguardo perso nel vuoto. << Un vero angelo. Lei… era gentile con tutti, non si arrabbiava mai. Faceva l’infermiera in un ospedale e a volte faceva gli straordinari anche se sapeva di non essere pagata.>> Abbassò momentaneamente lo sguardo. << Ero un bambino fortunato.>>
<< E poi, che è successo?>>
John sospirò. << E poi si è risposata. Con un uomo di nome Dave. Lui… era simpatico, e sempre gentile con me. Si amavano molto.>>
<< Davvero?>>
<< Oh, si. A tal punto che qualche anno dopo hanno avuto due figli.>>
<< Quanti anni avevi?>>
John incrociò pensieroso le braccia al petto, aggrottando la fronte. << Nove anni. Sai, non avevo mai avuto dei fratellini, e loro erano davvero simpatici.>>
<< E poi?>>
Un altro sospiro. << E poi… abbiamo iniziato a vivere come una famiglia normale. O almeno, ci abbiamo provato. Entrambi i miei genitori sapevano che cos’ero, e ogni volta che si presentava un pericolo decidevano di cambiare città. Ci siamo trasferiti, migliaia di volte. Ed ogni volta era sempre per colpa mia. Loro… erano sacrificati.>> Guardò Skyler, con sguardo triste. << Quella era la mia vita, non la loro.>>
<< E poi cos’è successo?>> chiese ancora, spronandolo a continuare.
John distolse lo sguardo. << Poi è successo l’incidente. Sono caduto da cavallo, e mi sono rotto la colonna vertebrale. Ma questa storia la sai già. Comunque, quando mio padre mi salvò la vita, mi lasciarono qualche altro giorno in ospedale, per ‘convalescenza’. Pensavano che stessi dormendo quando lo sentii.>>
<< Quando sentisti cosa?>>
<< Dave che urlava. Che litigava con la mamma come non aveva mai fatto. Tesi l’orecchio e li ascoltai. Lui diceva che me ne dovevo andare. Che non riusciva più a reggere questa situazione, e che se ci fossero stati i miei fratelli con me quel giorno sarebbero morti entrambi. Mi ha definito ‘una mina vacante’.>>
Fece una pausa, reprimendo le lacrime e stringendo i denti nel tentativo di non perdere il controllo. << La verità è che aveva ragione. So che non lo pensava sul serio, e che tutto ciò che ha detto lo aveva detto in un momento d’ira. Ma cavolo, Skyler, aveva ragione. Ero una mina vacante. Io…>> Esitò. << Io rischiavo di distruggere tutti quelli che avevo accanto. Tutti loro potevano morire solo perché io ero figlio di un dio. Capisci come mi sentivo? Ero pericoloso.>> La guardò intensamente negli occhi. << Per questo sono scappato. Per impedire ai miei genitori di soffrire. Per impedire che i miei fratelli si facessero del male.>> Si morse il labbro inferiore. << Non ho nemmeno salutato mia mamma.>>
Ci fu qualche minuto di silenzio, silenzio che fu Skyler a spezzare. << L’hai più rivista?>> gli chiese. << Tua madre, intendo.>>
John esitò un attimo, poi scosse la testa. << No. Ormai non la vedo da quattro anni.>>
Skyler lo squadrò in volto. << E non ti manca mai?>>
John sorrise amaramente, lo sguardo perso nel vuoto. Si, certo che gli mancava. Desiderava ogni giorno di rivederla. Desiderava ogni giorno di tornare a casa ed abbracciarla, di stringerla forte e di nascondere il viso nella sua spalla. E piangere, piangere senza fermarsi. Piangere come solo con lei poteva fare, scusarsi per averla abbandonata, per non averla neanche salutata. Le mancava il suo sorriso, le mancavano i suoi capelli. Le mancava quel suo continuo profumo di limone e quell’odore di biscotti bruciacchiati che ogni volta inondava l’aria di casa, ma che a lui piaceva tanto. Le mancava lei. Ma questo, a Skyler, non l’avrebbe mai detto. Non sarebbe mai riuscito a dire tutte quelle cose a qualcuno. Non ancora, almeno.
<< Ogni giorno >> semplicemente mormorò, con una punta di tristezza. Caddero entrambi in uno strano silenzio, quasi imbarazzante, gli sguardi fissi sulla freccia di Skyler nel bersaglio senza che nessuno dei due la vedesse davvero.
Dopo un po’, fu John a rompere quel silenzio. << Parlami di tuo zio, invece >> le disse, per cambiare argomento. Si voltò a guardarla e le regalò un sorriso. << Vivi con lui, no?>>
Skyler sorrise, annuendo leggermente. << Si… Lui è… è fantastico. Si prende cura di me da quando avevo sette anni, ormai. Non posso non amarlo.>>
John annuì, con un sorriso. << Te l’ha regalata lui quella, vero?>> disse, indicando qualcosa con un cenno del mento. << Non te ne separi mai.>>
Skyler rimase un attimo interdetta, non capendo. Poi, portò la mano nel punto indicato da John e quando sotto i polpastrelli sentì solo il freddo metallo della sua collana le venne una fitta di nostalgia. Sorrise, amaramente. << Si >> mormorò, distogliendo lo sguardo. << Lui… lui era come fissato con queste cose. Questo è uno spirito indiano. Era convinto che questi ciondoli funzionassero davvero, e a me sinceramente questa sua ossessione non dava fastidio, per cui non ribattevo.>> Sfiorò con le dita il suo cavallo alato. << Diceva che questa serviva per stare bene con se stessi.>>
John annuì di nuovo, come trovando giusto il suo discorso. Poi corrucciò le sopracciglia. << E lui dov’è adesso?>> domandò.
Skyler si irrigidì. Non glie l’aveva detto, non l’aveva detto a nessuno. Né a lui, né a Leo, né a Michael, né a Emma. A nessuno. Che suo zio era in guerra. Che dormiva ogni notte in Afghanistan. Che stava rischiando la vita e che non avesse idea se fosse o meno vivo. Era troppo triste, da raccontare. Lei ormai ci era abituata, ma non voleva che gli altri la compatissero, né che la consolassero, né che l’abbracciassero come impietositi mormorando il solito “mi dispiace, non lo sapevo”.
Spostò lo sguardo dall’altra parte. << Beh, lui è… >> cominciò, ma poi si bloccò. Si morse il labbro e sbatté più volte le palpebre per evitare che i suoi occhi si appannassero.
Quando finalmente si fu ripresa, si rese conto del suo interminabile silenzio, e tornò a guardare John. Incrociò i suoi occhi verdi, e si lasciò sfuggire un sorriso malandrino.
<< Sai, credo proprio che se mi allenassi un altro po’ diventerei più brava di te >> disse, per sviare quell’argomento.
John non ci fece caso, o almeno, fece finta di non accorgersene, e inarcò un sopracciglio. << Cosa? Ma per favore… >> replicò, e le pizzicò un fianco.
Skyler sobbalzò. Quando John se ne accorse, un sorriso malandrino si fece largo sul suo volto. Skyler sgranò gli occhi, e mormorò inutilmente un netto << No >> prima che lui iniziasse a farle il solletico.
Skyler si piegò in due dalle risate, e, fra una supplica e l’altra, rimase senza fiato. John rise con lei, divertito.
Skyler provò a scappare, ma lui la afferrò per le gambe e se la coricò in spalla.
<< Mettimi giù >> ordinò lei, dandogli qualche schiaffetto sulla schiena, mentre rideva come una matta.
Lui, dopo un po’, obbedì, con una risata, e quando i piedi di lei toccarono terra lo guardò un attimo, il sorriso sulle labbra. Poi gli pizzicò a sua volta i fianchi e scappò.
<< Ehi!>> esclamò John, fingendosi offeso, e la seguì.
Corsero entrambi giù per la collina, il fiato smorzato per le troppe risate, e quando John riuscì a raggiungerla e le afferrò un polso, lei inciampò, cadendo e facendo cadere anche lui.
Rotolarono entrambi giù per la collina, le magliette del campo e i pantaloni sporchi di terra ed erba.
Quando smisero di ruzzolare, John era sopra di lei, le mani poggiate a terra accanto ai suoi fianchi per evitare di schiacciarla.
Solo quando le loro risate smisero di togliergli il fiato si resero conto di quanto i loro volti fossero vicini. Troppo vicini.
I loro nasi si scontravano, e i loro fiati, corti per le troppe risa, si incrociavano in quei pochi centimetri di distanza che li separavano per fondersi in un unico elemento.
Si guardarono negli occhi. Skyler quasi si perse in quelli di lui, ancora più chiari per via della luce del sole. Sembravano di un verde innaturale, e faceva davvero fatica a definirne l’iride.
John, dal canto suo, arrossì. A quella distanza riusciva benissimo a sentire l’odore dei capelli di Skyler. Sapevano di lavanda e olio per macchine, e gli inebriavano le narici facendogli rizzare i capelli sulla nuca.
Senza rendersene conto, si avvicinarono un po’ di più, e le loro labbra si sfiorarono quando una voce li riportò alla realtà.
<< John!>> chiamò Will Sollace, il capo cabina della casa di Apollo.
John chiuse gli occhi, affranto. Pessimo tempismo, lo sapevano entrambi.
Lui le lanciò un’ultima fugace occhiata, e, mentre lei arrossiva, si tirò lentamente in piedi. Dopo essersi scostato l’erba dai pantaloni, le porse entrambe le mani e l’aiutò ad alzarsi.
Si voltò imbarazzato verso il fratello, che li stava raggiungendo.
<< John, ma dov’eri? Ti ho cercato dappertutto.>>
<< Beh, ecco, io… >> balbettò il biondo, grattandosi la nuca.
Will spostò lo sguardo da lui a Skyler a lui alle loro mani che, senza volerlo, si erano unite. Inarcò un sopracciglio. << Beh, comunque volevo dirti che ti aspettiamo per la lezione di tiro con l’arco. Ricordi? Avevamo detto a Chirone che addestravamo i novellini.>>
John annuì, corrucciando le sopracciglia. << Oh, si, mi ricordo!>> esclamò. << Beh, arriviamo.>>
Will annuì e lanciò ad entrambi un’ultima occhiata sospettosa prima di risalire la collina.
A quel punto, John sospirò e si voltò verso Skyler. Le fece un sorriso timido. << Andiamo?>>
Con un sorriso raggiante, Skyler annuì, e insieme si avviarono verso il poligono di tiro con l’arco tenendosi ancora, inconsciamente, per mano.

Angolo Scrittrice
Bounjour! Allora, prima di scusarmi perchè forse aspettavate questo capitolo ieri e di giustificarmi dicendo che prima o poi butterò questo schifo di computer dalla finestra per la disperazione, voglio dire due cose:
1) Non pensate male. Fra Emma e Michael non c'è niente. Come avrete capito, in questa storia i quattro protagonisti diventeranno via via sempre più legati l'uno all'altra, e creeranno una grande amicizia, quindi mi sembrava carino scrivere anche parti in cui quest'amicizia veniva fuori, oltre che parti romantiche. Emma e Michael sono solo ottimi  amici, don't worry.
Detto questo, passiamo al punto numero 2) Beh, in realtà niente. Volevo solo dirvi che mi dispiace, il capitolo precendente, purtroppo, non ha ricevuto moltissime recensioni, forse perchè il capitolo era troppo lungo, forse perchè ho scritto qualcosa che ha deluso le vostre aspettative. In entrambi i casi, mi dispiace tanto :'( se le motivazioni sono queste, giurò che mi rifarò, magari scrivendo qualcosa di un po' più decente. Spero solo che il motivo non sia che questa storia comincia ad annoiarvi, perchè in tal caso mi scuso in partenza. Scusate tanto...
Ok, ora, praliamo del capitolo. Lo so, lo so, fa un po' schifo, anche perchè non succede niente di eclatante, ma, come ho detto prima, avevo voglia di far conoscere un po' di più la bella amicizia che sta nascendo fra questi quattro, e poi non potevo non accontentare anche le ragazze che mi hanno chiesto una scena 'romantica' fra Skyler e John. Spero di non avervi deluso e che vi sia piaciuto.
Poi, ne ho approfittato per far vedere John sotto una luce diversa. Ne ha passate tante, e soffre molto, e anche solo il fatto di essersi aperto con una persona che non sia lui stesso dimostra quanto in realtà si stia scrollando di dosso la nomina di 'str**o e convinto', perchè non è così, ve lo assicuro ;)
Anyway, voglio ringraziare di cuore le mie fedelissime Valery's Angels, che, nonostante la forse deludente schifosità del capitolo precendente, hanno commentato, rendendomi felicissima. Quindi un grazie di cuore a:
Fred_Beckendorf99, Fred Halliwell, bibrilove98, _percypotter_, Greg Heffley e le nostre new entry Cielomagico e Bibi96 ;D Grazie, grazie, grazie di cuore. Vi amo! *^*
Bene, ora credo di dover andare. Sono quasi sicura di riuscire a pubblicare la prossima settima, ma il giorno ancora non lo so con precisione. Un bacione enorme a tutti quanti! ;*
Con affetto,
ValeryJackson

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Era stata una giornata faticosa, oggi, al campo.
Skyler ed Emma si erano allenate duramente, e, dopo alcune ore di scherma, la maggior parte perse a causa di Michael che faceva l’idiota, e altre lezioni private di tiro con l’arco da parte di John, Skyler faceva fatica anche a camminare.
‘Una giornata intensa’ aveva detto a Leo mentre insieme si dirigevano verso il padiglione della mensa.
Sbadigliò, stiracchiandosi, e posò la testa sulla spalla del fratello finché Emma, da dietro, non la fece sussultare.
<< Ehi!>> esclamò infatti la bionda, con un sorriso raggiante. Skyler non capiva perché, ma Emma sembrava non essere mai stanca. E questa cosa la irritava non poco.
<< Come fai a strascicarti dietro i piedi dalla stanchezza?>> chiese, un po’ acida.
Emma rise. << Ci sono abituata, mia cara.>> Le fece l’occhiolino. << Ricorda che sono qui da prima di te.>>
Skyler le fece una smorfia, che Emma ricambiò. Poi risero insieme.
Entrarono nel padiglione della mensa e quando arrivarono al tavolo di Efesto, Skyler si sedette accanto a Leo. Dopo un po’, Emma si sedette di fronte a lei.
Skyler corrucciò le sopracciglia. << Ma non dovrebbe essere vietato sedersi ad un tavolo che non è il tuo?>> le chiese.
Emma scrollò le spalle. << Si. Ma solo finché non suona il corno.>>
Skyler aggrottò la fronte, non ricordando quel particolare. Poi fece spallucce e decise che non le importava più di tanto. Guardò Leo accanto a lei.
Il ragazzo aveva lo sguardo perso nel vuoto, il mento poggiato sul palmo della mano, e guardava qualcosa con aria sognante.
Skyler inarcò un sopracciglio e gli schioccò due dita davanti agli occhi. Leo parve risvegliarsi da uno stato di trance, e Skyler lo guardò, curiosa. << Che stavi guardando?>>
Leo le squadrò un attimo il volto, indeciso se dirglielo o meno. Poi emise un sospiro teatrale e tornò alla posizione di prima.
<< Charlotte McAdams >> rispose, estasiato.
Skyler guardò Emma, senza capire, e notò che l’amica aveva irrigidito la mascella. << Figlia di Afrodite >> le spiegò la bionda, con una punta di disprezzo. Skyler alzò gli occhi al cielo.
<< Non è bellissima?>> disse Leo, con un sorriso ebete in faccia. Emma si voltò a guardare la ragazza seduta dietro di lei.
Aveva lunghi capelli scuri, e gli occhi azzurri erano contornati da un quintale di mascara. Aveva un fisico perfetto, e due labbra carnose con accanto un piccolo neo cindycrawfordiano davvero carino. Non si poteva certo dire che non fosse una degna figlia di Afrodite.
La bionda storse il naso. << Nah… >> mormorò. << Onestamente, ho visto di meglio.>>
Leo la guardò, come se avesse appena detto un’eresia, del tipo ‘i cani viola volano’. Inarcò un sopracciglio. << Io no >> ribatté, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Poi tornò a guardare la ragazza.
Emma strinse gli occhi a due fessure, digrignando i denti. << Si dia il caso che ci siano molte ragazze molto più belle e gentili di lei >> disse, stizzita. << Ma a quanto pare il tuo cervello di escremento di pegaso non riesce ancora a capirlo.>>
Il voltò di Leo si illuminò e, come colto di sorpresa, il ragazzo sgranò gli occhi. Poi guardò Emma e le rivolse un sorriso malizioso. << Che c’è?>> cantilenò, malandrino. << Non sarai mica gelosa?>>
Se il volto di Emma avesse potuto essere un colore, quello sarebbe stato di sicuro il rosso fuoco. La ragazza arrossì, sgranando gli occhi e avvampando fino alle punte dei biondi capelli. << Cosa?>> balbettò, scioccata. Boccheggiò un attimo, in cerca di qualcosa di pungente da dire per controbattere, ma non trovò niente. Guardò Leo con sguardo truce. << Gelosa? Io? Ptf. Ma per favore. E di chi, poi? Di quella li?>>
Leo sorrise. << No, di lei no.>> La guardò, divertito. << Ma magari di me si.>>
Emma non poteva certo diventare più rossa di così. << Si >> esclamò, acida. << E magari i cavalli volano.>>
<< Questa affermazione non è del tutto errata >> disse Skyler, alzando un dito come se si trovasse a scuola o se si sentisse quella di troppo.
Emma parve accorgersi solo in quel momento che la sua amica era lì. << Oh, è uguale.>> Fulminó Leo con lo sguardo. << Tu sei completamente fuori di testa.>>
Leo rise, divertito, al che Emma sbuffò, frustrata, salutò Skyler e andò al suo tavolo un secondo prima che il corno suonasse.
Dopo un po’, tutti iniziarono a mangiare. La cena era ottima, come sempre, e Skyler non si era resa conto di quanto in realtà avesse fame finché non aveva addentato la prima coscia di pollo.
Passo circa mezz’ora, in cui la cena volò fra una chiacchiera e l’altra. Skyler, però, era abbastanza silenziosa, e non fece fatica a sentire le parole crude che venivano bisbigliate accanto al suo orecchio.
<< Allora, come va, Ragazza in Fiamme?>> la provocò Janice, con un ghigno divertito.
Skyler strinse denti e pugni. La figlia di Ares lo notò e parve divertita. << Sai, ho sentito dire che a insegnarti a lottare è stato tuo zio. È un militare, vero?>> Skyler non rispose, così lei continuò. << I militari, in questo periodo, non dovrebbero essere in Afghanistan? Non dirmi che c’è anche il tuo.>> Altro silenzio da parte della mora, che irrigidì la schiena e si impose di restare calma. Janice fece un risolino. << Oh, cielo. Allora è vero. Ti ha abbandonata per quanto? Tre, quattro, sei mesi?>> Scosse la testa come se fosse delusa. << Che persona irresponsabile.>>
Prima che qualcuno potesse rendersene conto, Skyler era schizzata via dalla sua sedia, aveva immobilizzato Janice con il braccio destro dietro la schiena, e con l’altra mano le aveva afferrato il naso, schiacciandole la guancia contro il tavolo.
<< Lavati la bocca quando parli di lui >> sputò fuori, a denti stretti. Osservò un attimo il volto sofferente di Janice premuto contro il ripiano di marmo del tavolo, prima di rendersi conto del silenzio che la circondava. Lentamente, alzò lo sguardo. Tutti la fissavano, allibiti, e la maggior parte di loro aveva smesso anche di mangiare. Skyler si guardò intorno, studiando i volti di tutti i semidei presenti, per poi fermarsi su quello di Chirone, che scuoteva la testa, affranto. Anche se lei non capiva perché.
Poi, finalmente, tutto le fu più chiaro. Non era sorpresa quella che si leggeva nei volti dei ragazzi. Era più… paura. Soggezione.
Lentamente, Skyler lasciò andare il naso di Janice, e poi il braccio. Quando la figlia di Ares si ricompose e si portò una mano al naso sanguinante, le lanciò un ghigno, soddisfatta. << Bel lavoro >> mormorò.
Gli occhi di Skyler si riempirono di lacrime. Strinse i pugni, adirata, e avrebbe volentieri finito di romperle il naso se non fosse stato il buon senso a frenarla. Invece, corse via.
Il padiglione della mensa rimase in un silenzio tombale. Prontamente, John si fece largo fra gli altri ragazzi e corse all’inseguimento di Skyler. Quando passò davanti il tavolo di Poseidone, anche Michael si alzò, ma il biondo lo fermò con un cenno della mano, facendogli capire con un occhiata che ci avrebbe pensato lui.
Quando John sparì finalmente dalla sua visuale, Michael si rimise a sedere, affranto, sfregandosi il volto con le mani.
Guardò Emma, che nel frattempo aveva convinto Leo a non fare niente.
I due amici si scambiarono un’occhiata, preoccupati. Sapevano entrambi cosa stava succedendo, e non era una buona cosa. Uno, perché ora tutti avrebbero visto Skyler come la violenta della situazione. Due, perché era severamente vietato dalle regole del campo attaccare qualcuno durante il pranzo, e adesso Skyler sarebbe finita di sicuro in un mare di guai.
 
Ω Ω Ω
 
John cercò Skyler per un po’ fra gli spogli alberi del confine del bosco, finché non sentì dei singhiozzi sommessi nell’aria.
Skyler era lì, accanto ad un albero, le spalle tremanti, che si sforzava di non piangere.
<< Skyler… >> mormorò John, preoccupato.
<< Va via >> disse Skyler con voce spezzata, gli occhi colmi di lacrime.
Il ragazzo sospirò e si avvicinò cauto a lei. Le mise le mani sulle spalle e glie le strinse un po’, per darle conforto.
<< Skyler, che succede?>> le chiese.
La ragazza tirò su col naso, alzando gli occhi al cielo nel tentativo di frenare le lacrime.
<< Io… io non capisco!>> esclamò, adirata. << Perché ce l’hanno con me? Che cosa gli ho fatto?>>
<< Che cosa ti ha detto Janice?>> domandò John, calmo.
<< Vogliono screditarmi >> rispose invece Skyler. << Vogliono farmi sembrare agli occhi di tutti quella che non sono. Janice sa benissimo che posso batterla da un momento all’altro. L’ho fatto una volta e posso farlo ancora. Ma non lo sopporta. Per questo, dato che non può battermi con la forza vuole battermi con la parola. Vuole far credere a tutti che io sono un’attaccabrighe. Vuole farmi odiare.>> Fece un respiro tremante. << Vuole far credere a tutti che sono cattiva.>>
<< Ehi >> mormorò John, non appena vide una lacrima rigarle il volto. La fece girare e l’attirò a se, stringendosela al petto.
A quel punto, Skyler non trattenne più le lacrime. Le lasciò cadere, silenziose, interrotte solo da qualche singhiozzo che si faceva largo ogni tanto. Strinse forte la maglietta di John nei pugni e vi ci affondò il viso.
John le accarezzò i capelli, e aspettò che si calmasse per poterle prendere il viso fra le mani e costringerla a guardarlo negli occhi.
<< Ehi >> mormorò, con un sorriso dolce. << Tu non sei cattiva, ok? Nessuno crede che tu lo sia. E se lo credono, peggio per loro.>> La guardò negli occhi e il suo sorriso si allargò. << Tu sei la ragazza più dolce che io conosca. Sei simpatica, sei ironica, sei leale. Sei calma, e so che non faresti del male ad una mosca a meno che non fosse prettamente necessario.>> Skyler gli scrutò il volto, sorpresa. Lui, accorgendosi di avere ancora il suo viso fra le mani, le accarezzò la guancia con il pollice, asciugando una lacrima che vi si era depositata. << E poi, non devi preoccuparti. Avrai sempre me, ed Emma, e Michael. Noi non ti lasciamo. Lo hai detto anche tu a Michael.>> Le fece un sorriso rassicurante. << Siamo con te, ricordi?>>
Skyler lo guardò negli occhi, poi sorrise, riconoscente. << Grazie, John >> mormorò, al che lui le regalò un sorriso radioso.
Skyler tirò su col naso si asciugò i residui delle lacrime con il dorso della mano. Lo sguardo le cadde per caso sulla maglietta di John. Rise. << Mi dispiace.>>
John inarcò un sopracciglio. << Di cosa?>>
<< Ti ho bagnato tutta la maglietta >> ridacchiò lei.
John guardò il capo arancione, un angolo della bocca alzato. Poi guardò Skyler negli occhi e le accarezzò i capelli. << Me ne farei bagnare altre cento se questo bastasse a farti sentire meglio >> rispose, con un sorriso sincero.
Skyler lo guardò negli occhi verdi, perdendosi nel loro chiarore, nel loro luccichio, nella loro spontaneità.
Lei, invece, aveva proprio gli occhi di chi aveva appena pianto. Un po’ gonfi, rossi, ma imperlati ancora da quel velo di lacrime che li rendeva brillanti, bellissimi, secondo il parere di John.
Si regalarono un sorriso, poi lui le mise un braccio intorno alle spalle. << Su, torniamo dagli altri >> sussurrò. Lei annuì, e, mentre Skyler posava la testa sulla sua spalla, John la strinse a se, facendole dimenticare per un momento perché un attimo prima fosse così triste.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler accompagnò il suo nuovo fratellino verso la cabina Nove.
Si chiamava Microft, e aveva 13 anni. Quella sera, subito dopo la cena, al falò erano state riconosciute ben nove persone. Skyler si era seduta all’ormai solito posto con Michael, Emma e John, e stavano tutti cantando allegramente sulle note intonate dalle chitarre dei figli di Apollo, quando era stata riconosciuta la prima figlia di Atena. Ne erano seguiti altri due, un figlio di Ares, tre figli di Demetra e poi, lui, Microft, il piccolo Micky, che all’inizio era sembrato un po’ spiazzato ma che sembrava essersi adattato subito alla nuova situazione.
Era molto simile ai suoi fratelli. Abbastanza robusto e alto quanto basta per arrivare alla spalla di Skyler, aveva i capelli neri e gli occhi dello stesso colore, che gli incorniciavano un viso olivastro come d'altronde tutto il resto della sua pelle.
Insieme, i due fratelli entrarono nella casa numero Nove, e Skyler gli tenne aperta le porta permettendogli di varcare la soglia per primo.
<< E questa è la tua nuova casa >> gli disse, con un sorriso. Gli altri, come aveva immaginato, non c’erano, ma sperava comunque di trovare qualcuno mentre scendeva le scale per andare nella fucina.
Quando furono a circa metà scalinata, sentirono una voce.
 << I'm waking up, I feel it in my bone. Love to make my systems go!>>
Quando  entrarono nella fucina, Skyler rimase un attimo senza parole. Leo era lì, solo, seduto alla sua postazione da lavoro, una pinza in una mano e un cacciavite nell’altra, e cantava a squarciagola quella che Skyler riconobbe come Radioactive degli Imagine Dragons, agitando le braccia in aria in quello che per lui doveva sembrare un ballo, ma che agli altri appariva come una hola mal riuscita fatta nel bel mezzo di una sbronza da un fuori di testa.
Leo non si accorse del loro arrivo e continuò a cantare in modo stonato. << Welcome to the new age, to the new age >> intonò, preso dal testo della canzone. << Welcome to the new age, to the new age!>>
Skyler sgranò gli occhi, imbarazzata.
<< Whoa, whoa, I'm radioactive, radioactive!>>
<< Leo… >> lo chiamò una prima volta la sorella a denti stretti, mentre osservava con la coda dell’occhio il piccolo Microft fissarlo allibito.
<< Whoa, whoa,  I’m… radioactive!>>
<< Leo!>> urlò.
Leo si bloccò all’istante. Si girò lentamente di spalle, e li guardò, imbarazzato. Fece un sorriso timido e si strinse nelle spalle. << Radioactive?>> concluse, arrossendo.
Skyler si coprì gli occhi con una mano, scuotendo la testa sconsolata, mentre Microft tratteneva a stento un sorriso.
<< Leo, ti presento Microft >> disse la ragazza, indicando il ragazzino accanto a lei. << Microft, lui è Leo, il capogruppo della casa Nove.>> Squadrò un attimo il fratello maggiore, che intanto si sforzava di sorridere in modo accogliente.
Fece una smorfia. << Ci tengo a precisare che siamo fratelli solo per metà >> disse. Microft ridacchiò.
Skyler sospirò teatralmente e poi raggiunse Leo alla sua postazione di lavoro. << Dove sono gli altri?>> chiese, sbirciando da sopra la sua spalla.
Leo scrollò le spalle. << Sono andati a prendere le ordinazioni da Chirone.>>
<< Mh >> mugugnò Skyler, per niente interessata alla storia. La sua attenzione era, invece, totalmente rivolta agli attrezzi che il fratello stava maneggiando, impegnato a costruire qualcosa che per lei non aveva alcun senso e forma.
Corrucciò le sopracciglia. << Che stai facendo?>> domandò, curiosa.
Gli occhi di Leo parvero illuminarsi. Sorrise, poi lanciò una rapida occhiata a Microft, che era rimasto al suo posto, prima di abbassare il tono della voce per rispondere. << Sto lavorando al nostro progetto >> sussurrò.
A Skyler non servirono altre domande per capire a cosa si riferisse. Guardò la massa informe di metallo e fili bruciacchiati che giaceva sul tavolo, ma non riusciva a individuarne alcuna parte che fosse utile per un drago. Inarcò un sopracciglio. << E questo cosa sarebbe?>> chiese, badando bene a mantenere il tono di voce abbastanza basso.
Leo sorrise << La testa.>>
La fronte di Skyler si aggrottò. << Ma il drago non ne aveva già una?>>
<< Si!>> esclamò Leo, contento. << Ma non sarebbe fantastico se ne avesse addirittura due? Che so, una magari potrebbe sputare fuoco, mentre l’altra divora i nemici. Sarebbe una figata!>> Prese qualcosa dal tavolo con le mani sporche di grasso e glie la passo. << Guarda, questi potrebbero essere gli occhi.>>
Skyler studiò i due rubini che aveva in mano, scettica. Poi alzò lentamente lo sguardo verso il fratello. << Leo >> mormorò, con il tono di un adulto che sta cercando il modo più gentile per dire a un bambino che Babbo Natale non esiste. << Non sarebbe meglio costruirgli prima delle ali?>>
Il sorriso sul volto di Leo scemò lentamente, e, nonostante il tono della ragazza fosse dolce, si senti un vero idiota. La guardò, affranto, la schiena che si curvava per lo sconforto. << Dici, eh?>>
<< No, non saprei >> disse Skyler, tentando di consolarlo. << Io… la mia era solo un’idea. Si, insomma, ha bisogno di volare, altrimenti non avrebbe senso tenerlo chiuso lì sotto. E poi non vedo cosa dovrebbe farsene di due teste.>> Il suo sguardo si addolcì ancora di più, e posò una mano sulla spalla del fratello, stringendogliela in modo rassicurante. << Poi non è detto che non sarebbe una figata.>>
Leo abbozzò un sorriso, e la guardò, riconoscente. Poi sospirò. << La verità è che hai ragione. Se deve avere una qualche utilità, questo drago deve possedere un paio d’ali. Il fatto è che è difficile. Non ne ho mai costruite, prima d’ora.>>
Skyler gli sorrise. << Non preoccuparti, lo faremo insieme.>> Lanciò un’occhiata a Microft, che li stava ancora aspettando sul ciglio della porta. Lo indicò con un cenno del capo. << Ora però non sarebbe meglio fargli fare il giro della casa?>>
<< Oh, ti prego, pensaci tu!>> si lamentò teatralmente Leo. << Sai che sono un disastro.>>
Skyler lo squadrò un attimo in volto, dubbiosa, poi fece roteare gli occhi e sbuffò. << Va bene >> rispose, frustrata. Lo guardò in modo minaccioso, assottigliando gli occhi e puntandogli un dito al petto. << Ma che sia l’ultima volta, chiaro?>>
Leo sorrise, sornione, così Skyler alzò di nuovo gli occhi al cielo e si diresse verso il ragazzino.
Lo accompagnò di sopra e gli mostrò le camere. Gli disse dov’era il bagno, gli spiegò come aprire i letti, e poi lo informò su tutti gli orari del campo e degli allenamenti.
Quando ebbe finito, andò verso una parete vuota e digitò una combinazione.  << E questo sarà il tuo letto >> gli disse, con un sorriso. << Ora è un po’ spoglio, ma potrai decorarlo come vuoi. E inoltre, Leo potrà anche spiegarti come montarci un impianto stereo e una mini tv.>>
Il ragazzo annuì, sovrappensiero. Poi, invece di fare domande al quale Skyler potesse rispondere con un ‘il bagno e in fondo a sinistra’ o ‘la colazione inizia alle sette’, ne fece una che la asciò spiazzata.
<< Dov’è il drago?>>
A Skyler per poco non andò di traverso la saliva che stava inconsciamente deglutendo. Lo guardò, sorpresa.
<< Vi ho sentiti parlare di un drago, prima >> spiegò Microft. << Dov’è? E perché ne avete uno?>>
Skyler sentì improvvisamente la gola secca, ma si sforzò di sorridere e di apparire rilassata. << Un… un drago?>> Finse una risata. << Non ci sono draghi qui.>>
 << Si, invece! Ho sentito mentre ne parlavate.>>
Skyler lo guardò con dolcezza e gli andò vicino per accarezzargli i capelli. << Io credo che tu sia molto stanco. Questa prima giornata al campo deve averti sfiancato. Perché non vai a letto?>> Sorrise, ma dall’espressione di Microft capì che non credeva ad una sola parola di quello che diceva.
Microft arrossì. << Io… io non sono stanco. Vi ho sentito… vi ho visto...>>
<< Ne riparliamo domattina, eh? Magari dopo una bella tazza di latte caldo…>>
Il ragazzino corrucciò le sopracciglia, dubbioso, e lei sentì montare il panico. Se non se ne fosse andata alla svelta, molto probabilmente il fratellino avrebbe scoperto tutto.
Si dileguò con un rapido buonanotte, e poi gli spiegò dove prendere degli asciugamani puliti nel caso avesse voglia di una doccia prima di raggiungere le scale.
Anche a quella distanza, però, la voce di Microft le arrivò forte e chiara. << Se mi state mentendo, scoprirò la verità!>> urlò.
Skyler arrestò il passo. Rimase un attimo lì, immobile, poi riprese a camminare come se niente fosse.
Si, l’avrebbe scoperta. Ma solo se loro lo avessero davvero voluto.

Angolo Scrittrice.
Ciao! *si sgranchisce la voce* *evita un pomodoro* *una patata la colpisce in faccia* *si massaggia la fronte dolorante*
Bene, ehm... Ok, partiamo dal presupposto che questo capitolo non mi piace per niente e che non so nenahce quale dio mi abbia cecato nel postarlo, vorrei dire che: si, è vero, è forse uno dei capitoli più brevi che io abbia mai scritto, e mi vergogno molto per questo, ma ho voluto postarlo lo stesso per un motivo. La verità è che in teoria sarebbe una sorta di capitolo di passaggio, ma ho deciso di spargere qua e la degli indizi che saranno chiari poi con il seguire della storia ;)
Quindi non è del tutto inutile, no?
Anyway, qui abbiamo diverse cose, come una Emma 'gelosa', un nuovo fratello che non si fa gli affari suoi, un altro momento romantico fra Skyler e John (bribrilove98 non me ne volere ;) ), ancora più complicità fra Skyler e Leo, eccetera, eccetera, eccetera... si, lo so, mi sto un po' arrampiacando sugli specchi, ma ormai il capitolo è postato ed è tardi per tornare indietro.
By the way, è arrivato il momento di ringraziare le mie bellissime Valery's Angeles, che nei commenti dello scorso capitolo mi hanno consolato e mi hanno sostenuto con parole bellissime *-* spero che questo capitolo vi piaccia, nonostante sia breve. Vi prometto che il prossimo sarà più lungo ;D
Grazie di cuore a:
Fred Halliwell, bibrilove98, Fred_Beckendorf99, _percypotter_, Greg Heffley, Cielomagico e Bibi96 *^*
E poi, vorrei ringraziare anche le 3 persone che hanno messo la storia fra le ricordate, le 20 (*o*) che l'hanno messa fra le seguite e le 19 (*O*) che l'hanno messa fra le preferite. Vi giuro, quando ho letto quei numeri ho avuto un attacco di cuore *Q* vi amo tuttiii!!
Un bacione enorme, alla prossima!
oxox

ValeryJackson

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Angolo Scrittrice
Ahah ciaoo! Sorpresi di vedermi qui? ;D Beh, prima di inziare, volevo dirvi due cose. Uno: vorrei ringraziare tutte i miei Valery's Angels (eh si, da oggi c'è anche un ragazzo ;D) che, con i loro bellissimi commenti e tutto il loro supporto mi motivano ogni giorno di più. Grazie, grazie, grazie. Per sdebitarmi, dato che non ho altro modo, voglio dedicarvi questo capitolo, tutto per voi ^^
Secondo: non mi odiate. Poi capirete perchè vi sto dicendo questo, ma non mi odiate. Ho i miei buoni motivi ^^
Detto questo, buona lettura a tutti!
Bacii ;*


 
Era una mattina abbastanza soleggiata sulle coste di Long Island.
Le attività, al Campo, si svolgevano come sempre, monotone e regolari. Eccetto per Skyler.
Quella mattina, tutta trafelata e con i capelli scompigliati, si era presentata alla casa Nove una figlia di Demetra. La ragazza sembrava abbastanza preoccupata, e in semplici e rapide parole aveva spiegato ai figli di Efesto il suo problema.
Il tosaerba del campo era esploso, spargendo detriti, fango e erbacce secche dappertutto.
Ripulire non era un problema, ci avrebbero pensato loro insieme alle ninfe. Il punto è che avevano bisogno del tosaerba per poter estirpare le erbacce e rendere il campo quantomeno presentabile per il solstizio d’estate, che sarebbe stato a breve.
Lì per lì, i figli di Efesto le stavano ridendo in faccia, poi però si erano trattenuti, avevano soffocato tutti un sorriso, e infine Leo aveva chiesto a Skyler di occuparsene.
Skyler, all’inizio, era sembrata riluttante. Ma poi quella povera figlia di Demetra le aveva fatto, onestamente, un po’ pena, e così aveva acconsentito, seguendola fuori dalla fucina.
Per tutto il tragitto che le separava dal tosaerba incriminato, la ragazza non aveva fatto altro che parlare, lamentandosi del fatto che ora dovevano ricominciare tutto da capo e esponendo la sua ipotesi secondo la quale era tutta opera dei fratelli Stoll. Dopo un po’, Skyler aveva smesso di ascoltarla.
Aveva rivolto i pensieri da tutt’altra parte, ed era tornata sulla terra solo quando si era ritrovata il tosaerba mezzo rotto sotto il naso.
A quel punto, aveva chiesto alla ragazza di lasciarla sola, aveva esaminato la situazione, si era legata i capelli nella sua immancabile coda di cavallo e, dopo aver estratto un cacciavite dalla sua cintura degli attrezzi, si era messa a lavoro.
Ormai era da quasi mezz’ora che ci lavorava, ed era così concentrata da non accorgersi neanche che qualcuno, alle sua spalle, l’osservava.
John era arrivato lì quasi in contemporanea con la ragazza. Si stava dirigendo sovrappensiero verso il campo da basket, quando una chioma dalle striature rosse aveva attirato la sua attenzione. Quando aveva capito che si trattava di Skyler, non aveva smesso un attimo di guardarla.
L’aveva osservata mentre si piegava sul tosaerba, aveva ammirato la maestria con la quale si era legata i capelli, aveva studiato la curva sinuosa del suo collo, e aveva sorriso, quando lei, con uno sbuffo, si era scansata una ciocca di capelli dagli occhi.
Era bella anche vestita da meccanico, pensò, per poi mordersi la lingua.
Rimase lì a contemplarla per qualche altro minuto, poi capì di doverle parlare quando la sentì imprecare sottovoce per via di un filo bruciacchiato.
Si fece coraggio, prese un bel respiro e si avvicinò. << Ehi >> esclamò, sfoderando il suo miglior sorriso.
Skyler si voltò quel tanto che bastava per potergli sorridere. << Ehi >> disse, la voce schiacciata dallo sforzo di girare un bullone.
<< Ti serve una mano?>> chiese John.
<< No, no, ce la faccio >> ribatté prontamente lei, sforzandosi di sorridere.
John la osservò un attimo in silenzio, poi sospirò. << Allora… >> cominciò, tanto per dire qualcosa. << Come va?>>
Skyler si arrestò e lo guardò, un sopracciglio inarcato. << Da quant’è che non ci vediamo, John?>>
Lui corrucciò le sopracciglia, confuso. << Da ieri sera al falò, credo…>>
Skyler rise. << Beh, allora credo proprio che non sia cambiato niente da ieri sera.>>
A quel punto, John si sentì avvampare. Skyler rise un’altra volta, prima di rivolgere di nuovo l’attenzione al suo tosaerba.
Era così bella. I capelli erano raccolti perfettamente, lasciandole scoperto il bellissimo viso, ma alcune ciocche ribelli sfuggivano al nastro, e le ricadevano in avanti sfiorandole le guance. John era come estasiato da quella visione. Da come le sue guance fossero imporporate dallo sforzo, da come il suo naso si arricciasse ogni volta che si rendeva conto che qualcosa non andava, da come il suo corpo fosse sinuoso e fluido nei movimenti, da come si mordesse il labbro inferiore pensierosa, e da come le sue labbra, appunto, sembrassero così morbide…
John arrossì violentemente per quel pensiero assurdo, come se lei avesse potuto in qualche modo sentirlo.
Ma che cosa mi sta succedendo?, si rimproverò. È solo Skyler…
Già, era proprio questo il punto. Era Skyler. Negli ultimi giorni non aveva fatto altro che pensare a lei. A quanto fosse bella, a quanto fosse dolce. Alla sua risata e alle piccole striature dorate che addolcivano i suoi occhi, rendendoli bellissimi.
Ogni mattina si svegliava con le farfalle nello stomaco al solo pensiero di vederla, di parlarle, di scherzare con lei. Gli sarebbe bastato guardarla per sentir crollare le ginocchia.
Era strano, è vero, eppure si, era così. E più volte si era scoperto a chiedersi se anche lei provasse le stesse cose o se fosse tutto frutto della sua immaginazione.
Prima che potesse pentirsene, decise di dire qualcosa. << Skyler, posso farti una domanda?>>
<< Mh >> fu la risposta di Skyler, che nella sua lingua significava: ‘si, certo, in questo momento sono impegnata ad aggiustare un tosaerba per dei fanatici col pollice verde, ma andiamo, spara’.
John prese un bel respiro e aprì la bocca per parlare, ma fu interrotto da alcuni risolini. Si voltò, curioso, per vedere da dove provenissero, e si accorse che alcune figlie di Afrodite stavano confabulando maliziosamente fra di loro, volgendo più volte lo sguardo verso una coppia di ragazzi seduti su una panchina.
Anche Skyler alzò lo sguardo e sorrise. << Bella coppia, vero?>>
John aggrottò la fronte. << Ma di chi parli?>>
<< Di loro.>> Indicò i ragazzi sulla panchina con un cenno del capo. << Non vedi come stanno bene insieme?>>
John li osservò. Erano seduti sulla stessa panchina, è vero, ma esattamente ai due lati opposti. Non si parlavano, non si guardavano, lei leggeva un libro mentre lui era impegnato a limare la sua spada. A vederli così, sembravano due perfetti estranei che si erano trovati sulla stessa panchina per caso.
<< Ma se non si parlano nemmeno >> rispose, confuso.
<< Appunto. Sono fatti così.>>
John sembrava non capire. << In che senso?>>
Skyler fece spallucce. << Scappano.>>
<< Scappano?>>
<< Si, scappano. Scappano da tutto. Da tutto quello che può fargli del male.>>
<< Credo di non capire…>>
Skyler alzò gli occhi al cielo. << Guardali >> intimò. << Ogni tanto si incrociano sguardi, sorrisi, molte volte senza neanche farlo apposta. Poi, quando uno si avvicina, l’altro si allontana.>>
John li osservò un attimo, in silenzio, e dopo un po’ si rese conto che la sua amica aveva ragione. << Ma perché non si parlano?>>
<< Perché non possono. Litigano. Loro si odiano.>> Quando non ci fu risposta da parte di John, Skyler sorrise. << Strano, vero? Scappano da loro stessi. Scappano pur sapendo che insieme si completano. Scappano perché non possono fare altro che sbagliare, finché non si perdono. Ma poi capiscono quanto l’uno completi l’altro e tornano punto e a capo.>>
John inarcò un sopracciglio. << Non capisco il senso di tutto questo.>>
Skyler rise. << Sei un ragazzo, non puoi capire.>> Poi, notando la sua finta faccia indignata, rise ancora di più. Gli diede un leggero pugno sul braccio e tornò al suo lavoro. Dopo un po’, parve ricordarsi di una cosa. Corrucciò le sopracciglia. << Ma tu non volevi farmi una domanda?>>
John  si sentì avvampare. Sgranò gli occhi e, preso alla sprovvista, iniziò a balbettare. << Oh, ecco, io… ehm… beh, il fatto è che… non so bene come spiegarmi.>>
Skyler fece un mezzo sorriso. << Provaci.>>
<< Ok, ehm… ok.>> John si grattò la nuca, imbarazzato. << Se ci fossero due amici. Due ragazzi, molto uniti, che condividono praticamente tutto e stanno sempre insieme. Ecco, poi… poi, ad un certo punto, uno dei due si ferma un attimo, a pensare, e si rende conto che in realtà la ragazza che ha accanto per lui non è una semplice amica, ma forse qualcosa di più. E sente le farfalle nello stomaco ogni volta che la vede, e pensa sempre a lei. Ecco, a quel punto, come fa il ragazzo a capire se la ragazza prova lo stesso?>>
Skyler ci pensò un attimo, aggrottando la fronte. << Beh, non lo so… Può provare a chiederglielo. Se la invita ad uscire e lei accetta senza esitare, vuol dire che non aspettava altro.>>
<< Mh.>> John annuì, ragionando sulle sue parole. Poi corrucciò le sopracciglia e prese un bel respiro. << Senti… >> cominciò, entrambe le mani nascoste nelle tasche dei jeans. << Hai da fare stasera?>>
Gli occhi di Skyler sembrarono illuminarsi più del sole che picchiava sulle loro teste. O forse se l’era solo immaginato. La ragazza fece un mezzo sorriso. << No >> rispose. << Perché, avevi in mente qualcosa?>>
<< No, io… no… cioè, si… insomma… pensavo che… che magari potremmo uscire. Io e te. Da soli.>> Si passò una mano fra i capelli, a disagio. << Ma se non ti va non fa niente. Lo capisco. Si, insomma, io…>>
<< Ok >> lo interruppe Skyler.
<< Come?>>
<< Va bene. Mi farebbe piacere uscire con te.>> Sorrise, raggiante. << Ci vediamo stasera.>>
<< Davvero? Cioè, si. Si, ok. Allora, ehm, a… a stasera. Passo a prenderti a…>>
<< Alle sette >> gli suggerì lei.
<< Alle sette.>> John annuì. << Perfetto. Si, si, perfetto.>> Sembrava un po’ confuso, come se la risposta immediata di Skyler lo avesse colto di sorpresa. << Allora a… a stasera.>> Dall’intonazione della sua voce, sembrava più una domanda.
Skyler sorrise. << A stasera.>>
A quel punto, il ragazzo parve rilassarsi. Fece mente locale, e si lasciò sfuggire un sorriso splendido e smagliante. Fece per andarsene, ma poi una domanda gli sorse spontanea. << Skyler?>> chiamò, al che la ragazza si voltò. Lui esitò un attimo.
<< Questo è un appuntamento?>>
La ragazza trattenne a stento un sorriso. Scrollò le spalle. << Non lo so. Vedremo.>> Lo guardò un attimo negli occhi.
<< Sorprendimi.>>
Si voltò di nuovo verso il tosaerba e si rimise a lavorare, lasciando lì un John un po’ interdetto. Poi, il ragazzo sorrise, soddisfatto e anche un po’ divertito dalla sfida che la ragazza gli aveva lanciato.
Si voltò e si diresse verso il campo da basket, stringendo un pugno a mezz’aria in segno di vittoria, ed era così perso nei suoi pensieri da non rendersi neanche conto che Skyler, alle sue spalle, stava esultando.
 
Ω Ω Ω
 
Michael era letteralmente saltato giù dal letto, quella mattina.
Non aveva chiuso occhio tutta la notte, per via di un unico pensiero che gli ronzava nella testa da una settimana a quella parte.
Skyler…
Non pensava ad altro. Ai suoi capelli, ai suoi occhi, al suo sorriso. Ormai gli sembrava quasi di averla sempre di fronte, anche quando lei era dall’altra parte del campo.
Era stato alla casa di Efesto, poco prima, sperando di trovarla, ma i suo fratelli gli avevano detto che stava riparando il tosaerba dei figli di Demetra.
A quel punto non aveva perso un attimo. Si era precipitato fuori dalla capanna numero Nove ed era corso verso la numero Quattro, con il cuore che batteva a mille.
Non poteva più aspettare. Era da troppo tempo, ormai, che ci pensava, e vivere con l’interrogativo se anche lei provasse lo stesso oppure se fosse tutto un'illusione era straziante.
Non sapeva chi gli aveva iniettato questa dose di coraggio. Sapeva solo che l’adrenalina gli pompava nelle vene, e la sua iperattività gli impediva, in quel momento, di arrestare la sua corsa e chiedersi se davvero fosse la cosa più giusta da fare.
Si stava proprio domandando cosa le avrebbe detto quando sarebbe arrivato lì, quando qualcuno entrò nel suo campo visivo.
<< Michael!>> esclamò John, costringendolo a fermarsi.
<< Non adesso, John >> lo ammonì lui, con il fiato corto. Fece per andarsene, ma John gli posò una mano sul petto e gli impedì di correre via. Di correre da lei.
<< No, aspetta >> implorò il biondo. << Ho bisogno del tuo aiuto.>>
<< Ti aiuto dopo, ok?>> Michael temeva che ogni secondo speso per parlare con l’amico permettessero a Skyler di finire il lavoro che stava facendo e di andare da un’altra parte. << Ora ho una cosa urgente da fare.>>
<< Per favore, è importante!>> esclamò John. << Ho bisogno del tuo aiuto ora più che mai.>>
Michael si morse il labbro e prese un bel respiro. Guardò l’amico negli occhi e poi alzò i suoi al cielo, sbuffando. << Va bene. Spara.>>
<< Ok, ehm… >> John si sforzò di trovare le parole giuste per cominciare. << Tu sei il mio migliore amico, giusto?>>
<< Giusto.>>
<< Quindi in ogni caso saresti sempre dalla mia parte e non mi tradiresti mai, vero?>>
Michael non riusciva a capire cosa c’entrasse questo con il problema di John, ma confermò lo stesso.
Il biondo annuì. << Bene. Quindi se ti dicessi che mi sono innamorato di una ragazza, una ragazza impensabile e fuori dal comune, e se poi ti dicessi che l’ho invitata per un appuntamento romantico e lei ha accettato, e che me la sto facendo sotto, tu mi sosterresti, no?>>
Michael corrucciò le sopracciglia, e squadrò il volto dell’amico, con un mezzo sorriso. << John, ti senti bene?>>
<< Si. Certo, sto bene. Me la sto solo facendo sotto, te l’ho detto.>>
A quel punto, Michael trattenne a stento una risata. Lo guardò, divertito. << Per una ragazza? Chi è, Medusa, forse?>>
John si morse un labbro, indeciso se dirglielo o meno. Poi si fece coraggio. << No... >> rispose. << È Skyler.>>
La risata di Michael si interruppe bruscamente. Guardò l’amico, con gli occhi sgranati, sperando che quello fosse solo uno stupido scherzo, ma quando riconobbe l’espressione seria sul suo volto capì che forse non stava mentendo. << S… Skyler?>> balbettò. Si sentiva la gola secca. John annuì, e lui ebbe la sensazione di essere stato appena preso a schiaffi in faccia.
Notando il suo lungo silenzio, John sospirò. << Senti, lo so che ti sembra strano, e che Skyler è la nostra migliore amica, eccetera eccetera, ma… >> Guardò il moro negli occhi ora blu, e notò la sua faccia sconvolta. << Oh, per gli dei, Michael! Avevi detto che saresti stato dalla mia parte!>>
Il ragazzo deglutì, cosa che si rivelò più difficile del previsto. Guardò John e si sforzò di riprendere in mano la situazione.
<< S... si >> farfugliò. << Si è vero.>> Era scioccato. Il suo sangue era diventato così gelido che se ora qualcuno l’avesse pugnalato con un coltello affilato dal suo corpo non sarebbe uscita una goccia di sangue. Dopo un po’, corrucciò le sopracciglia. << Ma io che centro, scusa?>>
John sembrò esitare, poi parlò. << Ho bisogno di consigli. Devi aiutarmi ad organizzare l’appuntamento.>>
Michael strabuzzò gli occhi. << Io?>>
<< Si. Io… io non sono pratico con queste cose. Non sono mai uscito con una ragazza.>>
<< Ma se hai avuto migliaia di appuntamenti!>>
<< Si, ma non così. Non con queste farfalle nello stomaco. Io… io non so come comportarmi quando c’è Skyler. Lei è diversa da tutte le altre, capisci. È diversa da tutte le ragazze che ho incontrato. Lei è bellissima, è fantastica, è speciale. E voglio che anche il nostro appuntamento lo sia.>> Il suo tono, ora era implorante. << Ti prego, ho bisogno di te. Aiutami ad organizzare l’appuntamento perfetto.>> Notando la smorfia dell’amico, giunse le mani e sporse il labbro inferiore, in una posa da cucciolo bastonato. << Ti prego… >> supplicò. << Se non vuoi farlo per me almeno fallo per Skyler.>>
Forse John non lo sapeva, ma aveva appena toccato un tasto dolente per Michael. Davanti alle suppliche dell’amico e alla cruda realtà, capì che tutto ciò che poteva fare era rassegnarsi, e fare ciò che era più giusto. Fece roteare gli occhi.
<< Va bene >> mormorò. Il biondo esultò, contento, e per un attimo Michael sperò davvero che non gli si sarebbe ritorto tutto contro.
<< Prepara carta e penna.>>
 
Ω Ω Ω
 
Organizzare un appuntamento era molto più difficile di quanto Michael avesse immaginato.
Soprattutto perché non era lui a doverci andare.
<< … Allora poi vai dai satiri e gli chiedi aiuto per preparare i panini. Avviserò le ninfe del vostro arrivo. Sarà molto romantico, e Skyler adora l’acqua >> stava spiegando il figlio di Poseidone.
Presero entrambi appunti su dei taccuini. Alla fine, dopo una serie di discussioni e di idee strambe, avevano optato per un romantico pic-nic sul lago. L’idea era venuta da Michael, e John ne era stato subito entusiasta.
<< E poi?>> chiese infatti il biondo, continuando a prendere appunti. << Quando arriviamo lì che facciamo?>>
<< Aspettate.>> Michael pensò. << Chiederò alle ninfe di preparare uno spettacolino per voi. Intanto, però, parlale.>>
<< E che le dico?>>
<< Ehm, non lo so…>> Lo sguardo di Michael si perse nel vuoto. << Dille che ami il suo sorriso. Che è bellissima quando corruccia le sopracciglia e arriccia il naso. Che ti fa impazzire la sua risata, quando stringe gli occhi e si tiene la pancia. Che trovi fantastico il modo in cui si lega i capelli per concentrarsi o per costruire qualcosa…>>
<< Davvero?>> John sorrise. << Questa non la sapevo.>> Scrisse anche l’ultima nota sul suo taccuino. Poi, aggrottò la fronte. << Ma tu come sai tutte queste cose?>>
Michael arrossì violentemente, ma sperò che l’amico non lo notasse. << Oh, beh, io... >> balbettò. << Osservo. Mi piace tentare di capire la gente.>>
<< Ah >> mormorò John, scettico. Poi scrollò le spalle e riportò l’attenzione sull’appuntamento. << Comunque, che ne pensi se le preparassi una crostata di fragole?>>
<< Amarene >> lo corresse bruscamente Michael. Poi si rese conto di ciò che aveva appena detto e aggiunse. << La crostata preferita di Skyler è quella di amarene.>>
John annuì, pensieroso. Poi rivolse all’amico un sorriso sincero. << Grazie Michael.>>
Il figlio di Poseidone si sforzò di ricambiare il sorriso, abbassando lo sguardo. << Non devi ringraziarmi >> disse, scuotendo leggermente la testa. Poi gli fece l’occhiolino. << L’appuntamento non è ancora iniziato.>>
John rise, coinvolgendo anche Michael.
Dopo circa un’altra mezz’ora di suggerimenti, consigli e battute, il taccuino di John era completamente pieno, e non c’era neanche uno spazio bianco per disegnarci un piccolo fulmine.
Il biondo sorrise, soddisfatto. << Ecco fatto. Abbiamo finito, no?>>
Michael annuì, sospirando. << Si >> esclamò, alzandosi in piedi. Alzò lo sguardo e scrutò ad occhi socchiusi il cielo. << E dobbiamo anche muoverci. Il sole sta calando.>>
<< Oh, cavolo!>> John imprecò sottovoce. Iniziò a stringere e schiudere i pugni, agitato. << Io… io non sono pronto. Non ce la faccio >> balbettò.
<< Cosa?>> Michael sembrava scioccato. << Abbiamo studiato tutto il pomeriggio. Che cosa c’è che non va, adesso?>>
<< È Skyler >> rimbottò l’amico, come se Michael l’avesse dimenticato. << Ho paura che quando me la ritroverò davanti dimenticherò tutto.>>
Il moro si lasciò sfuggire un sorriso. << Ehi, non succederà, ok?>> lo rassicurò, dandogli una pacca sulla spalla. << Si te stesso e andrà tutto bene.>>
<< Vieni con me.>>
<< Come?>>
<< No. Non nel senso di un appuntamento a tre >> si corresse John, imbarazzato. << Nel senso… non lasciarmi solo con lei. Rimani in disparte, magari aiutami se qualcosa va storto. Io… mi sento più sicuro se so di non essere solo, anche se non fai niente.>> Si morse il labbro. << Per favore.>>
Michael esitò. Si, è vero, lo aveva già aiutato ad organizzare l’appuntamento perfetto con la ragazza che, con un solo sorriso, gli faceva ballare lo stomaco. Lo aveva consigliato, lo aveva aiutato. Ma ora addirittura assistere al loro appuntamento? No, mai. Questo era troppo.
Eppure, quando vide gli occhi imploranti dell’amico e si rese conto di quanto in realtà fosse agitato, non riuscì a rifiutare. << Va bene >> acconsentì.
John esultò, tirando un respiro di sollievo. A quel punto, Michael sospirò. << Va a farti una doccia >> gli disse. << E mettiti una camicia pulita. E ripassa tutto. Io vado ad avvertire le ninfe.>> Fece per andarsene, quando John lo chiamò. A quel punto, si voltò.
John gli sorrise, riconoscente. << Sei un ottimo amico.>>
Per Michael fu come uno schiaffo in faccia. No, non lo sono, pensò, ma non lo disse. Si sforzò invece di sorridere, per poi voltarsi e andare via.
Doveva aiutarli. Doveva farlo per John. Doveva farlo per Skyler. In fondo, se lo meritavano entrambi.
Si, era più che sicuro che fosse la cosa giusta da fare.
E allora perché in quel momento avrebbe voluto solo gridare?
 
Ω Ω Ω
 
Skyler era una frana in fatto di appuntamenti.
Non perché non sapesse come comportarsi o cosa fare, è solo che non sapeva mai, mai che cosa indossare.
Era per questo che, capito il suo problema, Emma aveva chiesto aiuto.
La ragazza era andata dall’amica non appena John era sparito dalla sua visuale, emozionata e anche un po’ agitata. All’inizio Emma era rimasta un attimo interdetta da quella notizia, ma poi si era ripresa, e, capendo che per l’amica era davvero importante, si era data da fare.
Aveva implorato Piper e le sue sorelle di darle una mano. Lei non era molto ferrata in fatto di vestiti, e un aiuto delle figlie di Afrodite non guasta mai.
Ora era seduta su un letto della capanna numero Nove, un giornale in mano, mentre aspettava paziente che Skyler e le altre ragazze uscissero dal bagno.
<< No, non voglio metterlo!>> gridavano.
<< Ma devi!>>
<< Ti sta benissimo!>>
<< Ti ho detto di no!>>
Dopo alcuni minuti di grida sommesse e imprecazioni, le figlie di Afrodite uscirono dal bagno, sul volto un’espressione soddisfatta.
Emma alzò gli occhi dal giornale e le guardò, curiosa. << Allora?>>
Piper sorrise. << Guarda tu stessa.>>
A quel punto, Emma si voltò per guardare l’amica. Rimase a bocca aperta.
Skyler era assolutamente… perfetta. Le figlie di Afrodite avevano pensato, per lei, ad un look comodo ma elegante. Le avevano fatto indossare degli shorts chiari, che mettevano in risalto le sue belle gambe, e poi un top di pizzo bianco e una camicetta, semplice, rossa, con le maniche a tre quarti e chiudibile da un solo bottone.
Trucco e parrucco erano semplici e aggraziati. Le ragazze avevano pensato di lasciarle i capelli sciolti, arricciati solo un po’ alle punte, e il trucco era lieve e appena accennato, ma caratterizzato da un bel rossetto rosso che evidenziava le sue labbra carnose.
A completare l’opera, poi, dopo molte lotte e qualche capello involontariamente bruciacchiato, erano riuscite nell’impresa di cui nessuno mai aveva neanche osato parlare: farle mettere i tacchi. Belli, laccati, erano rossi come la sua camicetta.
Vedendo la sua espressione sconcertata, Emma le regalò un sorriso. << Stai benissimo >> le disse.
Skyler inarcò un sopracciglio. << Dici?>>
Emma annuì, e Skyler sorrise. A quel punto le figlie di Afrodite si lanciarono in una serie di apprezzamenti su quanto fosse bella e su come fossero grandi nel loro lavoro.
Ad interrompere quello scambio di carinerie e buoni consigli fra ragazze ci pensò Leo, che entrò nella stanza proprio nel momento meno opportuno.
<< Che state facendo?>> chiese, sconvolto dalla vista di tante ragazze. Poi, quando il suo sguardo si posò su Skyler, sgranò gli occhi. << E tu dove devi andare vestita così?>>
<< Questi non sono affari tuoi >> lo ammonì Emma, accigliata. Lo indicò con un cenno, e le altre ragazze lo trascinarono fuori dalla stanza.
<< Aspettate!>> gridava intanto lui. << Dove deve andare? E lasciatemi, quella è mia sorella!>>
Skyler rise, mentre Emma scuoteva la testa divertita. Poi guardò l’amica. << Sta tranquilla. Lo teniamo a bada noi.>>
Skyler sorrise e andò a sedersi sul bordo del letto, accanto a lei. Emma incrociò le gambe e la guardò, raggiante. << Allora, sei pronta?>>
Skyler sospirò, mordendosi il labbro inferiore. << Non lo so. Mi sembra tutto così… irreale…>>
Emma soffocò una risata. << Tu e John. Chi l’avrebbe mai detto…>>
<< Sembra strano, eh?>> Skyler sorrise. << All’inizio non ci credevo neanch’io. Eppure, quando me l’ha chiesto, mi è sembrato come se non aspettassi altro da tutta la vita. Ero… emozionata, e il cuore mi batteva a mille, e non riuscivo a togliermi quel sorriso ebete dalla faccia e…>> Esitò, guardando l’amica. << Sembra strano?>>
Emma sorrise, scuotendo la testa. << Assolutamente no >> la rassicurò. Poi la squadrò per un secondo e non riuscì a trattenersi dall’abbracciarla. << Sono così felice per te >> le sussurrò all’orecchio.
Poi, qualcuno bussò alla porta. Le ragazze sciolsero l’abbraccio e Skyler lanciò un’occhiata all’ingresso di legno, agitata. << Oh no, è già qui…>>
Saltarono giù dal letto, come se l’avessero fatto migliaia di volte, e iniziarono a ricontrollare i dettagli per assicurarsi che fosse tutto perfetto.
Emma le risistemò un attimo i capelli. << Va tutto bene. Ma ora va.>> Skyler titubò. << Va!>> la rimbottò l’amica.
A quel punto, Skyler prese un bel respiro e si avvicinò alla porta.
<< Divertitevi >> le gridò dietro Emma, con un sorriso. << E non procreate.>>
Skyler le fece una smorfia, divertita, e aspettò che l’amica sparisse al piano di sotto prima di aprire l’uscio.
Non appena John la vide, sgranò gli occhi. Rimase senza fiato, e non riuscì a trattenere un flebile << Wow…>> Poi si ricompose, e rivolse a Skyler il suo miglior sorriso. << Sei…>> Non riusciva a trovare le parole adatte. << Bellissima.>>
Skyler arrossì fino alle punte dei già mezzi rossi capelli. << Grazie >> mormorò. Spostandosi distrattamente una ciocca dietro l’orecchio. Poi sorrise al ragazzo. << Allora, dove andiamo?>> chiese.
Lui sorrise malandrino. << È una sorpresa >> rispose, facendole l’occhiolino. Le offrì la mano e Skyler l’afferrò, curiosa ma anche divertita.
Si fece trascinare dal ragazzo per un po’, finché le sue scarpe col tacco non iniziarono a sprofondare nel fango. Skyler iniziò, involontariamente, a zoppicare.
<< Ahi >> si lamentò, con una smorfia. << Stupide scarpe >> imprecò poi.
<< Saranno anche stupide >> fece John, con un ghigno divertito. << Ma su di te fanno una certa figura.>>
<< Non la penseresti così se fossi tu ad indossarle. Hai mai arrancato su un prato con i tacchi alti? Io credo di no.>>
John rise, poi le diede le spalle e fletté leggermente le ginocchia. << Su, vieni >> disse, incitandola a salirgli sulle spalle. Skyler non se lo fece ripetere due volte, e con un sorriso si mise cavalcioni sulla sua schiena, stringendogli le braccia attorno al collo.
John ebbe un attimo un fremito, con i suoi capelli che gli solleticavano il volto e il suo respiro che gli accarezzava delicatamente il collo, ma decise di non darlo a vedere, e se la coricò meglio, distribuendo il peso.
Skyler rise divertita, mentre John, estasiato da quella risata, continuava a camminare.
Arrivarono dopo pochi minuti. Skyler non capì dove si trovassero finché non sentì l’odore dolciastro del lago invadere l’aria. Quando John si fermò, lei scese dalla sua schiena, ammirando il paesaggio.
Un piccolo telo era steso proprio sulle sue sponde, con sopra un piccolo cestino di vimini e un mazzo di rose.
Quando li vide, la bocca di Skyler si aprì in una ‘o’ perfetta. John lo notò, e sorrise, soddisfatto. << Andiamo >> le disse, prendendola per mano.
Skyler non riusciva a credere ai propri occhi. John raccolse il mazzo di rose da terra e glie lo porse. << Queste sono per te >> disse. Poi si strinse nelle spalle. << Spero ti piacciano.>>
<< Scherzi? La rosa è il mio fiore preferito!>> Skyler le annusò, inebriandosi del loro profumo. << Come facevi a saperlo?>>
John fece spallucce. << Ho anch’io i miei segreti.>>
Skyler rise. Poi osservò John sedersi sul telo sotto di loro, prima di imitarlo.
Il ragazzo aprì il cesto di vimini e ne tirò fuori qualche succo di frutta, una scatola di biscotti e dei tramezzini.
<< Non sapevo che gusto preferissi >> spiegò, porgendole un panino. << Così ne ho preparato più di uno.>>
Skyler sorrise e lo prese. Dentro c’erano uova e pomodori. Perfetto.
Mentre mangiavano in un dolce silenzio, la ragazza si guardò intorno, estasiata. Quel lago, quella sera, sembrava ancora più magico, e non poté fare a meno di notare di quanto gran parte della magia fosse dovuta dalla presenza di John al suo fianco.
Dopo aver finito di mangiare, i due iniziarono a parlare del più e del meno, ridendo e scherzando.
<< Sia, devo ammettere che sono rimasta alquanto sorpresa quando mi hai chiesto di uscire >> stava dicendo Skyler. Poi abbassò lo sguardo, imbarazzata. << Pensavo che non l’avresti mai fatto.>>
John sorrise, contento. Poi fece spallucce. << Ci ho messo un po’ per trovare il coraggio necessario.>> La guardò intensamente negli occhi. << Ma ne è valsa la pena.>>
Skyler arrossì, poi lanciò un’occhiata ai panini scartati e i biscotti mangiucchiati accanto a loro. << L’idea del pic-nic è stata fantastica >> si congratulò. << Non credevo che ti sarebbe venuto in mente.>>
John sorrise compiaciuto, spostando il peso sulle mani posate sul terriccio dietro di lui. << Ti ho sorpreso?>>
Skyler ci pensò un po’ su. << Si, John. Mi hai sorpreso.>>
Il ragazzo la guardò. Era davvero bellissima, con quei suoi occhi scuri e dorati. Era quasi convinto di non aver mai visto niente di così bello.
La osservò in silenzio, mentre giocherellava con le punte dei suoi capelli, quasi scocciata. Un angolo della sua bocca si alzò in un sorriso storto. Skyler lo notò e inarcò un sopracciglio. << Cos’hai da ridere?>>
A quel puntò il suo sorriso si allargò. Scrollò le spalle. << No, niente. Stavo solo pensando.>>
Skyler si riassestò sul posto, curiosa. << A cosa?>>
John scosse leggermente la testa. << Sai, ora ho capito perché ogni volta che sei pensierosa hai i capelli legati >> le disse. << Ti aiuta a pensare, no?>>
Skyler parve sorpresa. Sgranò gli occhi, ma sorrise. << S… si >> balbettò, stupita. << Io… mi aiuta a concentrarmi. Non lo so, è come se quando avessi i capelli legati davanti ai miei occhi apparisse una carta, su cui sono scritti tutti i codici, e le manovre, come riparare le cose… è come se si aprisse un file nella mia testa.>>
<< Si, lo so… >> mormorò lui. << Michael me l’aveva detto.>>
<< Cosa?>>
<< Eh?>> John si rese improvvisamente conto dell’errore. Boccheggiò qualche secondo in cerca di una risposta, quando un ramo si spezzò a pochi metri da loro.
Skyler si voltò di scatto, dandogli il tempo di riprendere fiato. << Hai sentito?>>
John sospirò, sollevato. << No >> rispose.
Poi guardò il suo orologio e sorrise. << Ho una sorpresa per te >> disse.
<< Un’altra?>>
John le fece l’occhiolino, indicandole con un cenno il lago.
Skyler spostò lo sguardo, assottigliando gli occhi per vedere meglio. Quando la vide. L’acqua, che si alzava e si abbassava, come se stesse respirando.
All’improvviso, una lieve musica si disperse nell’aria, e l’acqua iniziò ad alzarsi verso il cielo, modellandosi, fino a plasmare delle figure umane.
Skyler sgranò gli occhi quando si rese conto di cosa si trattava. Erano delle ninfe d’acqua, che li guardavano e li salutavano, sorridendo.
John si accorse del suo stupore e sorrise. << Su, vieni. Non fanno del male.>>
Skyler lo guardò, titubante. Lui si alzò da terra e le porse una mano. Dopo un po’, lei l’afferrò. Lentamente, si diressero sulle sponde del lago, verso le ninfe, che nel frattempo avevano iniziato a giocare con l’acqua e a formarvici tante piccole figure, come animali, fiori…
Skyler le guardò, sorpresa. Quasi sussultò, quando John le avvolse da dietro la vita con le braccia, posando il mento sulla sua spalla.
Lei avvampò, ma sorrise, osservando una ninfa che pian piano le si era avvicinata. Da quella distanza, Skyler poté constatare che il loro corpo era interamente fatto d’acqua, e che da vicino erano ancora più splendide.
Con un volto gentile, la ninfa alzò una mano, e subito su di essa si formò un fiore d’acqua. Poi lo porse a Skyler.
La ragazza lo sfiorò delicatamente, estasiata, prima che questo si dissolvesse e la ninfa tornasse dalle sue sorelle. A quel punto, iniziarono a fare una cosa che Skyler non si sarebbe mai aspettata. Iniziarono a danzare.
A ritmo della musica, che stava ancora, magicamente, vibrando nell’aria. I loro movimenti erano delicati, i loro passi aggraziati.
Skyler si rese conto solo in quel momento di avere ancora intorno alla vita le braccia di John, quando lui la strinse dolcemente.
<< Sono belle, vero?>> le chiese.
Skyler annuì. Poi lui le prese una mano e si posizionò davanti a lei. Skyler corrucciò le sopracciglia. << Che vuoi fare?>>
Lui sorrise, fingendo un inchino regale. << Mi concede questo ballo, milady?>>
Skyler lo guardò, senza capire. Lui si avvicinò ancora di più e le posò una mano sulla schiena, stringendo l’altra. Accostò le labbra al suo orecchio. << Ti avverto che non sono molto bravo >> sussurrò.
Skyler rise.
Iniziarono a danzare, impacciati, nel vano tentativo di andare a tempo con la musica. Per un attimo, si dimenticarono di tutto.
Delle ninfe che danzavano al loro fianco, del pic-nic, dell’appuntamento. Esistevano solo loro, le loro risate, e i loro occhi che di tanto in tanto si incrociavano.
Quando John fece fare a Skyler l’ennesima giravolte, lei rise. << Tu sei pazzo >> scherzò.
<< Per fortuna >> rispose lui, attirandola di nuovo a se. << Se no col cavolo che lo facevo.>>
Skyler corrugò la fronte. << Che cosa?>>
John la guardò negli occhi. Fu come se qualcuno avesse scattato loro una foto. Rimasero lì, immobili, avvolti da un velo di magia.
Erano così vicini che i loro nasi quasi si sfioravano, e Skyler riusciva a sentire il profumo della pelle di lui inebriarle piacevolmente le narici. Lo sguardo di John si spostava rapidamente dagli occhi di lei, al suo naso, alla sua bocca, mentre il suo volto si faceva sempre più vicino.
<< Questo >> mormorò, poi. Le prese il viso fra le mani e la baciò.
Skyler non aveva mai provato nulla del genere. Si sentì avvampare, il suo cervello si sciolse come burro fuso, e fu invasa da rivelazioni bellissime che prima ignorava. Come ad esempio quanto fossero morbide le sue labbra, e quanto fosse straordinario il fatto che lei espirasse esattamente quando lui espirava e viceversa.
Skyler schiuse leggermente le labbra, permettendogli di approfondire il bacio. Era come se le loro anime si fossero fuse in una sola.
E si resero improvvisamente conto che non aspettavano altro entrambi.
 
Ω Ω Ω
 
Michael si buttò di pesò sul letto, affranto. Osservò il soffitto, sospirando.
Come poteva aver fatto una cosa del genere? Come aveva fatto a non capire?
Aveva fatto proprio come John gli aveva chiesto. Era stato lì, tutto il tempo. Li aveva osservati, li aveva esaminati. Aveva detto alle ninfe quando uscire dall’acqua e danzare e aveva spezzato quel benedettissimo ramo per distogliere l’attenzione dall’errore di John.
Aveva fatto tutto, in modo soddisfacente. Eppure, quando li aveva visti danzare, gli era salito un groppo in gola. Erano felici, e spensierati, e lui avrebbe dovuto essere felice per loro, e contento che il suo piano fosse riuscito.
Ma quando si erano baciati… si, solo quando li aveva visti baciarsi si era reso conto di cosa in realtà avesse perso.
Si coprì il volto con un gemito.
In quel momento, la porta si aprì, e Percy entrò nella cabina numero Tre.
Guardò Michael, la fronte aggrottata. << Michael?>> chiamò. << Va tutto bene?>>
Lui si stropicciò gli occhi, che senza volerlo si erano appannati. << Alla grande >> mormorò, poco convinto.
Percy lo scrutò, posando distrattamente Vortice sul comodino. << Che cos’hai?>> chiese.
<< Niente >> rispose il fratello.
Percy inarcò un sopracciglio. << Michael, per favore. Sono tuo fratello.>>
<< Niente, davvero. Sto bene.>>
Percy non rispose. Si avvicinò al letto e fissò il fratello in silenzio finché quello non alzò lo sguardo. << Me lo dici tu che cos’hai o devo tempestarti di domande finché nella disperazione più totale non mi dai la risposta?>>
Michael sbuffò, frustrato. << E va bene >> mormorò, tirandosi su a sedere e posando la schiena alla testiera del letto. Guardò il fratello negli occhi. << È per una ragazza.>>
Percy annuì lentamente, poi si sedette sul bordo della branda. << A che grado siamo?>> chiese.
L’angolo della bocca di Michael si alzò in un sorriso amaro. Quello era un vecchio gioco che lui e Percy avevano inventato per poter parlare liberamente dei loro problemi con le ragazze senza il pericolo che dietro la porta ci fosse Rose ad origliare.
In realtà, era molto semplice. Secondo loro, ogni volta che soffrivi per amore attraversavi sei gradi diversi di dolore. E, man mano che si andava avanti, la situazione diventava sempre più grave.
Il primo: pensi che la cosa peggiore che ti possa capitare sia un cuore spezzato, e che tutto si possa rimediare. Ma quello che ti uccide davvero è il secondo grado, perché ti rendi conto che no, non riesci a guarire quel cuore spezzato. Ed è a quel punto che raggiungi il terzo grado, quello in cui il tuo mondo si spacca nel mezzo, travolgendoti con le sue macerie. Poi arriva il quarto grado. Bello, quasi piacevole, perché pensi di aver guarito te stesso, e che sei davvero pronto ad andare avanti. Convinzione errata. Perché poi c’è il quinto, in cui vedi la ragazza che domina il tuo cuore, la ragazza che ti piace insieme a qualcun altro. Ed è a quel punto che raggiungi il sesto grado. Il più crudele, il più amaro. Perché è qui che ti rendi conto che forse, con lei, hai fatto proprio una cazzata.
Michael sospirò, con voce tremante. << Credo che abbiamo superato da un pezzo il sesto.>>
Percy fece una smorfia, come se si fosse appena scottato. Poi guardò il fratello. << Racconta.>>
Michael esitò, abbassando lo sguardo. << Metti… metti che c’è una ragazza >> cominciò. << Forte, e simpatica. E bella. Bella da morire. Beh, tu sei convinto che una così non ti calcolerà mai, e invece, per una qualche ragione che non riesci ancora a spiegare, lei diventa la tua migliore amica, e iniziate a condividere tutto. Gioie, risate, lacrime, sorrisi. Tutto. E ogni giorno che passa ti rendi conto di quanto ti piacciano i suoi occhi, e di quanto sia musicale la sua risata. E di quanta voglia hai, irrefrenabile, di prenderla per un braccio e attirarla contro il tuo petto. E stringerla, stringerla più forte che puoi. Stringerla finché non senti le sue costole contro le tue. Stringerla perché vuoi inalare il suo profumo, che ti fa impazzire. E a quel punto realizzi... Realizzi di esserti innamorato di lei, realizzi di non poterne fare a meno. E la osservi, lì, da lontano, desiderando di andare a parlarle e di dirle tutto ciò che provi per lei. E lo fai. Oh, si, vuoi farlo. Un giorno ti alzi e ti dici: “Questo è il gran giorno”. E così vai da lei, carico di energia. Pronto a dirle tutto e a sapere cosa ne pensa. Ma scopri che qualcuno ti ha già preceduto. E che quel qualcuno è il tuo migliore amico.>> Tentennò un attimo. << Lui ti chiede aiuto per poterla conquistare. E tu che fai a quel punto? Lo aiuti, ovvio. Perché è il tuo migliore amico, e perché non vuoi tradire la sua fiducia. Organizzi per loro l’appuntamento perfetto. E loro, alla fine, si baciano. Ed è qui che crolla tutto. Si, perché… dovresti essere felice per loro, e invece senti il tuo cuore cadere a pezzi. E cadi giù, sempre più giù. E capisci che quella non era solo una cotta passeggera, e che forse hai perso la cosa più bella della tua vita. Ecco, a quel punto, che fai?>>
Percy rifletté un attimo, soppesando le sue parole. Poi sgranò gli occhi. << Oh, cavolo >> esclamò. << Ti sei innamorato di Skyler.>>
Michael avrebbe potuto negare, ma che senso aveva, ormai? Abbassò lo sguardo, affranto. << È così evidente?>>
Percy fischiò. << È un bel problema >> disse. Poi guardò Michael, preoccupato. << E che cosa intendi fare?>>
<< Che voglio fare? E che cosa dovrei fare?>> sbottò lui. << Starò a guardare, ecco che devo fare. Voglio bene a entrambi, e non farei mai nulla che possa fargli del male.>> Ci pensò un po’ su, poi fece una smorfia. << Bello schifo.>>
Percy sospirò. << Funziona così. Tra cento miliardi di neuroni nel cervello ce n’è uno disobbediente, temerario, ribelle, che sfuggirà alle sinapsi, abbandonerà il sistema nervoso centrale e si dirigerà per istinto vitale verso il cuore, contaminandolo. E a quel punto non hai scampo, e ti innamori.>>
Michael scrutò il fratello, con un sopracciglio inarcato. << Tu passi troppo tempo con Annabeth >> constatò.
Percy rise, divertito. << Sono d’accordo.>> Ci fu un attimo di imbarazzante silenzio. << Ehi, non abbatterti >> esclamò poi il maggiore, dandogli una pacca su una gamba. << So come ci si sente >> gli disse. << Quando ami qualcuno e non sei corrisposto fa male qui, al centro del petto.>>
Michael fece una smorfia. << Questo non aiuta.>>
Percy riprovò. << Dovremmo imparare a dire quello che sentiamo subito, e non aspettare in continuazione. A volte aspettare e non dire niente è peggio che dire qualcosa e beccarsi una mazzata. Che alla fine, a furia di aspettare e non dire niente, uno le mazzate rischia di darsele da se. E fanno pure più male.>>
Guardò il fratello, che ora sembrava più abbattuto di prima. << Scusa… >> mormorò, dispiaciuto. << Come consigliere faccio un po’ schifo.>>
<< Sai cosa fa schifo, invece?>> ribatté Michael. << Vedere la persona che ti rende felice essere felice con qualcun altro.>>
Percy, a quel punto, non seppe proprio cosa rispondere. Vedeva suo fratello così triste, affranto mentre si sforzava di trattenere le lacrime, e si sentiva impotente, proprio come quando aveva visto Luke abbandonare la vita sotto il suo stesso sguardo. Allora non aveva potuto impedirlo, ma dopo quella volta si era ripromesso di non fare più lo stesso errore.
Si alzò dal letto di Michael e andò verso il suo. Aprì un cassettone che si trovava ai piedi di quest’ultimo e vi cercò qualcosa.
Michael non aveva idea di cosa ci fosse là dentro. Non aveva mai osato chiederlo, e sapeva che le cose del fratello, per lui, erano off-limits. Onestamente, poi, Vortice gli faceva un po’ paura.
<< Sai >> esclamò Percy, afferrando qualcosa e guardandolo. << La cioccolata contiene feniletammina, la stessa sostanza rilasciata dal nostro cervello quando ci innamoriamo.>> Sventolò in aria una barretta avvolta da una strana carta blu. Si risedette sul letto, la passò al fratello e sorrise. << Quindi perché innamorarsi?>> Fece spallucce. << Mangiamo cioccolata.>>
Michael osservò con le sopracciglia inarcate la barretta che aveva fra le mani. Poi alzò lo sguardo sul fratello e non riuscì a trattenere un sorriso.
Lo guardò riconoscente. << Grazie, Percy.>>
Il ragazzo gli fece l’occhiolino. << Quando vuoi.>>
Poi Michael scartò la barretta, la spezzò in due e, insieme al fratello, cominciò a mangiarla.
E, per un breve istante, smise di pensare a Skyler.

Angolo Scrittrice
Eccomi qua!! :D
Allora...
Chi ha scritto il capitolo più lungo di sempre?
*sventola convulsamente una mano in aria* Io! Io!
Bene... chi si è impegnata tanto per scriverlo?
*sventola di nuovo la mano* Io! Io!
Ok! E chi si beccherà tanti pomodori in faccia per ciò che è successo ai personaggi?
*alza la mano, abbattuta* Io... *un pomodoro la colpisce in piena faccia*
Wehlaa! (da dove è uscita questa? O.o) Come va?
Visto? Non posso crederci... Sono riuscita già ad aggiornare :D mi sento importante xD
Ok... prima che mi diciate qualunque cosa, voglio scusarmi. Si, perchè so che la maggior parte di voi odierà questo capitolo, e forse odierà me (ora sapete perchè) ma, ehi, non abbattiamoci. Grazie a questo capitolo possiamo affermare due cose. Uno: Michael è completamente innamorato di Skyler. Due: E' un idiota.
Ma questo lo sapevamo già, no? :D *qualcuno le lancia una zucchina* ahah
So che dopo questo colpo basso al nostro figlio di Poseidone molto probabilmente mi manderete al Tartaro, ma spero comunque con tutto il cuore che questo capitolo vi piaccia. Mi sono impegnata tanto nel scriverlo, ci ho messo tutta me stessa, e spero che apprezziate.
E poi, come dice il grande John Lennon: "At the end, everything will be right. And if is not right, it is not the end"
**metafora a libera interpretazione**
Detto questo, è arrivato il momento di ringraziare tutti gli Angeli di Vale, che la sostengono, e che nello scorso capitolo le hanno fatto l'impagabile dono di ben 10 recensioni! *^* Quanto posso amarvi? Troppo! Sarei persa senza di voi! Un grazie grande quanto l'infinito a: giascali, Bibi96, Fred Halliwell, Fred_Becendorf99, bibrilove98, _percypotter_, Cielomagico, Greg Heffley, Ciacinski e francescool99. E poi un grazie speciale va anche a Elvisi01, che mi ha fatto sapere i suoi apprezzamenti sulla storia per messaggio privato.
Siete tutti fantastici! Grazie, grazie, grazie con tutto il cuore.
Bene, ora credo proprio di avervi scocciato abbastanza. Un bacione a tutti, e grazie ancora!
Alla prossima, la vostra
ValeryJackson ;*
P.s. L'ispirazione per il 'giochetto' sui sei gradi di dolore inventato da Michael e Percy mi è venuta ascoltando la fantastica canzone "Six degrees" dei mitici The Script. ^^
P.p.s. Scusate per evenutali errori di battitura ^^
P.p.p.s. Ehm... no, ho finito xD Ciaoo!

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Si trovava in un posto strano. O forse era semplicemente una sua sensazione, dato che non aveva idea di dove si trovasse.
Intorno a lei, il buio.
Skyler aveva caldo. Ma non di quel caldo che ti imperla la fronte e ti fa sudare. No. Skyler era avvolta da un caldo letale, soffocante. Si sentiva le gambe pesanti e non riusciva ad inalare aria sufficiente per far funzionare regolarmente i polmoni.
Una voce le arrivò alle orecchie, ovattata. Ma non era una voce normale. Era quasi metallica, come se fosse stata registrata e poi trasmessa a bassa frequenza. Riusciva, però, comunque a farle gelare il sangue.
La voce rise, malefica. Skyler rabbrividì, e qualcosa esplose.
Intorno a lei, una luce si accese. Anzi, no, non una luce. Ma del fuoco. Era circondata unicamente dal fuoco.
Si guardò intorno, disperata, mentre un’altra risata riecheggiava nell’aria.
<< Non puoi scappare, Skyler Garcia >> disse la voce, malefica. << Non puoi scappare.>>
Skyler sapeva che era un sogno. Doveva esserlo per forza, perché era troppo inquietante. Alla vista di tutto quel fuoco, iniziò ad ansimare.
<< La tua paura del fuoco mi commuove, ragazza >> disse quella, e Skyler impallidì. << Ti avrei già bruciata, se non fossi essenziale.>>
Skyler non riusciva a capire. Essenziale per cosa? Chi era? E che cosa voleva?
La voce sghignazzò. << Ma per fortuna non serve che io ferisca direttamente te per farti del male.>>
Il cuore di Skyler perse un battito. Un pensiero orribile le sfiorò la mente. << No…>> mormorò, senza fiato.
<< Oh, si >> replicò quella. << Tuo zio ha fatto un ottimo lavoro in Afghanistan.>>
<< No!>> Skyler sentì gli occhi bruciare, ma non sapeva dire se questo era dovuto al fuoco che la circondava oppure alle imminenti lacrime.
Si guardò intorno. Doveva pur esserci un modo per scappare. Quello che la voce diceva non poteva essere vero. Chi era, poi? E dove si nascondeva? Forse in quel preciso momento la stava osservando.
Andò nel panico, immaginando due occhi malefici che la osservavano, divertiti. Avrebbe potuto correre, ma dove? Intorno era tutto un fuoco. Si sarebbe bruciata, e la vista di quelle fiamme le impediva di pensare.
Aveva il fiato corto, e ansava, a corto di ossigeno. Il sudore le imperlava fastidiosamente la pelle, bagnandole gli occhi, incollandole i capelli al volto e colandole lungo la schiena.
Sentì il suo cuore andare a mille, e la sua vista appannarsi. Quando qualcosa uscì dalle fiamme. Un figura, forse umana, che si avvicinava a lei lentamente.
Skyler sbatté le palpebre più volte, tentando di rimuovere il panno che aveva davanti agli occhi. Quando riconobbe la figura, il suo cuore mancò un battito.
<< Zio…>> mormorò, disperata e ma anche un po’ sollevata.
Lo zio era lì, davanti a lei. Indossava la sua divisa mimetica, aveva i capelli meticolosamente tagliati in stile militare e la sua postura era autoritaria e imponente.
Guardò la nipote, con la mascella irrigidita. Aveva ancora entrambe le sue collane appese al collo, e la piastrina da militare rifletteva in modo sinistro la luce del fuoco. << Ginocchio a terra, soldato >> esclamò, con una calma sorprendente.
Skyler aggrottò la fronte, non capendo. Le fiamme iniziarono ad avvicinarsi, e lei sentiva sempre di più la pressione calare. Guardò lo zio, ma egli non si scompose.
<< Ginocchio a terra, soldato >> ripeté. Skyler obbedì. Si inginocchiò a terra con così tanta forza che si fece anche male. Sentì lo zio avvicinarsi, ma non alzò lo sguardo. Non aveva le forze per farlo.
<< Chiudi gli occhi.>> Skyler esitò, prima di farlo. Tentò di regolarizzare il respiro, e di scacciare quell’ondata di panico che la stava invadendo mentre sentiva le fiamme sfiorarle la schiena.
Lo zio si inginocchiò accanto a lei, non appena Skyler strinse occhi e denti, imponendosi di non urlare.
<< Tutto questo non è reale >> le disse lo zio, con un misto di durezza e dolcezza nella voce. << La paura non è reale. Il pericolo, quello si, è reale. Ma la paura no.>> Ci fu un attimo di silenzio. << La paura è una scelta. Non farti condizionare da questa. Non permettere che ti invada.>>
Skyler prese un bel respiro, mentre recuperava la calma.
<< Ricorda chi è il vero nemico.>>
 
Skyler si svegliò, di soprassalto.
Aveva il fiato corto, le pupille dilatate. Era tutta sudata, e il pigiama le si era incollato al corpo, dandole la sensazione di essere schiacciata in una scatola a pressione.
Ansimante, si guardò intorno. Lei stava tremando, ma tutti gli altri sembravano non essersi minimamente accorti del suo attacco d’ansia, e dormivano beati nei loro letti.
Skyler chiuse gli occhi, facendo respiri profondi.
Era da una settimana che quel sogno la tormentava. Sempre presente, sempre lo stesso, il suono metallico di quella voce, ormai, le rimbombava nella mente anche di giorno.
Lentamente, si alzò dal letto, e con passo leggero si diresse verso quello dell’unica persona che, in quei momenti, riusciva a tranquillizzarla.
<< Leo >> sussurrò, scrollandogli leggermente la spalle.
Il ragazzo farfugliò qualcosa di incomprensibile, poi Skyler gli scrollò di nuovo delicatamente la spalla e lui schiuse un occhio.
Non appena riconobbe il volto della sorella nell’oscurità, sospirò. << Brutto sogno?>> chiese, la voce ancora impastata dal sonno.
Skyler si morse un labbro, reprimendo le lacrime, e annuì.
Leo sospirò di nuovo e si spostò di lato, facendole spazio nel letto.
Lei si infilò sotto le coperte, e lui le avvolse le spalle con un braccio, con fare protettivo. Skyler posò la testa sul suo petto e rimasero in silenzio finché il respiro di Leo non si fece regolare e il ragazzo riprese a dormire.
A quel punto, Skyler era di nuovo sola. Non sapeva perché, ma sentire anche solo la presenza del fratello accanto la faceva sentire meglio, e la tranquillizzava, nonostante non riuscisse comunque a farle fare sogni tranquilli.
Per questo Skyler non si riaddormentò. Aveva pura di sognare di nuovo quella voce, aveva paura di essere di nuovo circondata dal fuoco. Leo le ripeteva sempre che quello era solo un sogno. Eppure a lei sembrava tutto così reale.
<< Ricorda chi è il vero nemico.>>, le diceva ad un certo punto lo zio. Ma che cosa voleva dire? Chi era il vero nemico?
Skyler sentì di nuovo montare il panico, per questo decise di non pensarci più. Concentrò la propria attenzione su altro. Erano le due del mattino. Fra qualche ora, tutti i suoi fratelli si sarebbero svegliati e avrebbero cominciato a lavorare sulle proprie ordinazioni. Alcuni di loro, però, facevano altro. Molti costruivano le loro personali invenzioni, e, come le aveva detto Leo, alcuni di loro ne creavano anche di sorprendenti.
Lei non ci aveva ancora mai provato. Non ancora, almeno.
E, mentre ‘pensava ad altro’, uno strano disegno si fece largo nella sua mente.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler era seduta alla sua postazione.
Ok, seduta è un eufemismo. Diciamo che, a causa della sua iperattività era schizzata così tante volte dalla sedia che aveva deciso di lavorare in piedi. Nessuno poteva darle torto, però. Quella notte, presa dall’insonnia, aveva deciso di iniziare anche lei il suo Progetto Personale. Aveva pensato a qualcosa che in quel momento le era sembrato geniale, e, a sveglia suonata, si era precipitata nelle fucine prima degli altri e aveva cominciato freneticamente a lavorare. Dopo un po’, però, ciò che stava facendo sembrava senza senso, e Skyler si era ritrovata a collegare fili e incastrare bulloni senza una logica precisa.
Imprecò per l’ennesima volta, sbuffando e spostandosi dagli occhi una ciocca di capelli.
Poi, qualcuno le avvolse i fianchi da dietro.
<< Buongiorno!>> esclamò John, sorridendo raggiante.
<< Buongiorno un corno >> rispose Skyler, frustrata.
John corrucciò le sopracciglia e posò il mento sulla sua spalla. << Che succede?>>
Skyler sospirò. << Niente… >> disse.  << Sono solo un po’ stanca.>>
John sorrise, facendo sfoggio di due tenere fossette. << Potremmo andare al lago >> propose. << E magari rilassarci un po’.>>
Skyler fu davvero tentata di accettare. Lei e John stavano insieme, ormai, già da una settimana e qualche giorno, eppure erano pochi i momenti che riuscivano a passare insieme. Ma purtroppo lei aveva un lavoro da fare, e, sebbene la proposta di riposarsi un po’ fosse allettante, scosse la testa.
<< Non posso >> gli ricordò. << Ho da fare, lo sai.>>
<< Lo so >> mormorò John, dispiaciuto. << Ma un po’ di riposo non fa male a nessuno.>>
Skyler rise. << Non tentarmi >> lo rimproverò, divertita.
<< E dai… >> implorò lui, baciandole l’estremità del collo lasciata scoperta dalla tuta da lavoro e provocandole un fremito. Poi le lasció una scia di dolci baci sul collo. Avvicinò le labbra al suo orecchio quando lei si girò.
<< No >> lo ammonì, con un sorriso, scuotendogli un dito davanti al volto. << Non ci provare.>>
John fece roteare gli occhi, ma non riuscì ad impedire agli angoli della bocca di alzarsi. Sorrise, malandrino. << Perché?>> chiese, divertito. << Se no che mi fai?>>
Skyler inarcò un sopracciglio e gli morse delicatamente il labbro inferiore. << Ti faccio male >> lo minacciò.
Lui rise, e Skyler si voltò nuovamente con un ghigno verso il suo lavoro.
John posò il mento sulla sua spalla, stringendole un po’ di più i fianchi, e osservò quello che la ragazza si rigirava fra le mani.
Corrucciò le sopracciglia. << Che cos’è?>> chiese, curioso.
Skyler sospirò. << Non ne ho idea >> ammise, un po’ abbattuta.
John inarcò un sopracciglio. << Che cosa avevi pensato di costruire?>>
Skyler scosse leggermente la testa. << Non lo so. Io… ero partita con un’idea ben precisa, ma quando ho iniziato a realizzarla ho capito che non aveva senso. La verità è che non so che fare. Volevo costruire qualcosa che fosse utile in una battaglia, ma non mi viene in mente niente.>>
John ci pensò un po’ su. << Beh, potrebbe essere quello che vuoi >> la incoraggiò.
<< Ma è troppo piccolo >> gli fece notare lei. Ed era vero. Era grande più o meno quanto la sua falange, e, seppur volendo, non era in grado di contenere neanche un coltellino.
<< Beh, ma questo non importa >> le disse John. << Sai, a volte le cose più grandi sono proprio quelle più difficili da vedere.>>
Skyler si portò il piccolo quadratino tecnologico davanti al viso, pensierosa. Iniziò a pensare a tutto ciò che avrebbe potuto contenere, e le vennero in mente alcuni progetti che però scartò subito.
La sua testa viaggiava così velocemente che per un attimo temette che stesse per scoppiare.
E a quel punto, le venne un’idea.
 
Ω Ω Ω
 
Era pomeriggio inoltrato.
Skyler aveva finito da poco gli allenamenti, e si era subito rimessa a lavoro. Pian piano, il suo progetto stava prendendo forma, ma ad un certo punto si era accorta che le mancava qualcosa.
Si era alzata dalla sua postazione e si era precipitata verso la capanna numero Tre, prendendo appunti mentali nel tentativo di non scordare nulla.
Quando si ritrovò davanti alla porta di mogano, questa era già aperta. Bussò comunque, per non spaventare nessuno, poi entrò.
La casa era vuota. Molto probabilmente Percy e Rose si stavano ancora allenando, e di Michael non c’era nessuna traccia.
Ma quando Skyler alzò lo sguardo, il suo cuore perse un battito.
C’era un ragazzo, lì, seduto sul letto. Ed era abbastanza inquietante. Aveva la pelle un po’ pallida, risaltata ancora di più dai vestiti interamente neri, una zazzera di spettinati capelli corvini e due occhi scuri come l’ossidiana. Ma non fu il suo sguardo inquisitore ad inquietarla, quanto più la lunga spada nera che aveva legata al fianco.
Skyler tentò di non scomporsi, ma deglutì. << C… ciao >> mormorò.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. << Ciao >> disse.
<< Io sto… sto cercando Michael.>>
A quel punto, il ragazzo le inarcò entrambe. << È in bagno >> disse, indicando la porta con un cenno del capo.
Skyler annuì. << Grazie >> fece, e andò verso il bagno, forse con un passo un po’ troppo svelto, ma quel ragazzo la inquietava davvero.
Bussò alla porta e quando sentì un sommesso  << Avanti >> entrò.
<< Sentì Michael avrei bisogno di un favore. Non è che potresti prestarmi il tuo…>> Quando alzò lo sguardo, rimase senza fiato. Il figlio di Poseidone doveva essersi appena lavato, perché un leggero vapore appannava i vetri e lo specchio. Indossava semplicemente un paio di jeans, e quando lo sguardo di Skyler cadde sul suo petto nudo la ragazza si scordò improvvisamente tutto ciò che voleva dire. << Oh >> mormorò. Non aveva mai pensato che Michael potesse avere quei pettorali, ma forse i tanti anni passati al campo erano stati d’aiuto. Era molto più allenato di quanto Skyler immaginasse.
<< Ciao!>> esclamò il figlio di Poseidone, sorridendo.
Quando Skyler si accorse del suo interminabile silenzio avvampò, abbassando gli occhi. << C… ciao >> balbettò, imbarazzata. << Scusami, i…io volevo solo…>>
<< Non preoccuparti >> la tranquillizzò lui, uscendo dal bagno. << Avevo appena finito.>>
Se ciò fosse stato possibile, Skyler arrossì ancora di più. Sperò solo che il ragazzo non lo notasse.
Quando lo seguì fuori dal bagno, tentò in tutti i modi di evitare il suo sguardo, troppo imbarazzata.
<< Che ci fai qui?>> le chiese Michael, prendendo un asciugamano pulito dal cassetto.
<< Oh, ehm…>> Che ci faceva lì? Skyler non lo ricordava. Poi strizzò gli occhi e si sforzò di non balbettare. << Io… dovevo chiederti una cosa.>>
Michael annuì. << Ok, spara.>>
Skyler esitò. Alzò lo sguardo, ma stavolta, i suoi occhi, invece di posarsi di nuovo per sbaglio sul petto di Michael caddero sul ragazzo che li osservava, sempre seduto al solito posto, la schiena poggiata alla testiera del letto.
Michael lo notò, e con la fronte aggrottata seguì la direzione del suo sguardo, voltandosi. Quando lo vide, Michael sorrise.
<< Oh, già >> esclamò. << Vi siete già conosciuti?>> chiese.
Skyler scosse la testa. Michael indicò il ragazzo con un cenno. << Skyler, ti presento Nico Di Angelo, figlio di Ade. Nico.>> Si voltò verso il ragazzo, sorridente. << Lei è Skyler.>>
Il figlio di Ade sembrò ghignare, divertito, o forse era solo una sua impressione. << E così tu sei Skyler!>> esclamò, squadrando la ragazza. << Finalmente ti conosco. Michael non fa che parlare di te!>> Poi rise sommessamente, mentre il figlio di Poseidone, arrossito, lo inceneriva con lo sguardo.
A quel punto Nico si alzò dal letto e si avvicinò alla ragazza, porgendole la mano. Sorrise, per la prima volta da quando Skyler l’aveva visto. << Piacere di conoscerti, comunque.>>
Skyler gliela strinse, squadrandolo. Poi corrucciò le sopracciglia. << Figlio di Ade, hai detto?>>
Il voltò di Nico si rabbuiò. << Così pare.>>
Skyler ricordava qualcosa a proposito di un figlio di Ade. Qualcosa che gli aveva detto Michael, riguardo un fuoco e un cane a tre teste…
<< Allora >> esclamò Michael, asciugandosi alla meno peggio i capelli bagnati con un asciugamano. << Che cosa volevi dirmi?>>
Skyler lo guardò, e parve immediatamente ricordarsi del perché era lì. << Ah, si! Volevo chiederti se potevi prestarmi il tuo mp3.>>
Michael inarcò un sopracciglio. << Il mio mp3?>> ripeté, scettico, infilandosi una maglietta pulita del campo. Meglio, così Skyler non si deconcentrava.
<< S… si. Ne ho bisogno.>>
<< Che cosa devi farci tu con il mio mp3?>> domandò lui, che nel frattempo, però, lo stava già prendendo dal comodino.
Le andò vicino e glielo porse. Lei lo afferrò, sorridendo. << Grazie >> disse. << Ne ho bisogno per un progetto a cui sto lavorando.>>
<< Non lo rivedrò più, vero?>> chiese Michael, rassegnato.
Skyler rise, poi gli fece l’occhiolino. << Non ti prometto niente.>>
Michael scosse la testa, sospirando, senza però riuscire a trattenere un sorriso. Senza preavviso, ma soprattutto cogliendolo di sorpresa, Skyler gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia.
<< Grazie!>> esclamò, indietreggiando verso la porta e sventolando in aria il lettore mp3. Poi guardò il figlio di Ade. << Ciao, Nico. È stato un piacere conoscerti.>>
<< Ciao ciao >> cantilenò lui, con scarso entusiasmo, come se mentalmente si stesse già preparando per qualcosa che lo annoiava non poco.
Skyler sorrise a entrambi, poi se ne andò. Non appena fu fuori, si rigirò fra le mani il piccolo lettore musicale, studiandolo. Poi si lasciò sfuggire un sorriso, mentre tornava verso la casa numero Nove.
Non si voltò,
però, a guardare indietro, per paura che, al pensiero dell’amico, rischiasse di nuovo di arrossire.
 
Ω Ω Ω
 
Erano circa le tre del mattino, ma Skyler e Leo non stavano dormendo.
Loro, mentre al Campo Mezzosangue regnava il silenzio, si erano rinchiusi nella loro fucina, e stavano lavorando al loro progetto.
<< Continuo a pensare che dovremmo costruirgli delle ali >> stava dicendo Skyler, sdraiata su uno skateboard sotto la pancia del drago. << Altrimenti non può volare.>>
<< Si, si >> farfuglio Leo, facendo correre l’argomento con un gesto della mano, come faceva sempre. Era seduto ad un tavolo a pochi metri da lei, e stava armeggiando con una radio. << Pensiamo prima ad aggiustarlo, però.>>
Skyler scivolò fuori dalla pancia, completamente sporca d’olio e grasso, solo per poterlo guardare, scettica. << Pensiamo?>> ripeté. << Qui mi sembra che stia lavorando solo io.>>
Leo la ignorò, così lei sbuffò, frustrata. Si alzò e, dopo essersi pulita le mani sulla tuta da lavoro, andò verso il fratello. << Si può sapere che stai facendo?>> lo riproverò.
<< Sto aggiustando questa vecchia radio >> le spiegò lui, concentrato. << Chirone mi ha chiesto di riparargliela in modo che lui possa seguire e sbraitare contro le partite di cricket in cui i satiri vincono contro i centauri.>>
Skyler inarcò un sopracciglio. << Ha detto proprio così?>>
Leo scrollò le spalle. << No, ma l’ho immaginato.>>
Skyler alzò gli occhi al cielo. Aspettarono alcuni minuti in silenzio, Leo di trovare la combinazione giusta, Skyler che il fratello lasciasse quella stupida radio e si infilasse lui stesso sotto la pancia di quello stupido drago.
Dopo un po’, Leo unì due fili, e la radio iniziò a farfugliare qualcosa, trovando una frequenza.
“Sono sconcertanti le notizie che ci arrivano negli ultimi giorni dall’esercito Americano. La spedizione in Afghanistan si sta rivelando preoccupante, e con situazioni terribili per la maggior parte di loro. Sono già ventiquattro i morti, sette i feriti. Dodici, invece, e il numero di coloro che sono dispersi, e di cui non si conosce la sorte. Il presidente Obama ha dichiarato che…”
Poi la radiò crepitò, e si spense.
<< Oh, andiamo!>> imprecò Leo, sbattendola sul tavolo e scuotendola con forza.
Skyler, accanto a lui, era paralizzata. Aveva gli occhi fuori dalle orbite, e il solo sentire quelle parole le fece gelare il sangue.
Un unico pensiero, in quel momento, riusciva ad attraversarle la mente, e lo shock era tale da impedirle addirittura di fare dei ragionamenti sensati.
Lo zio era lì, era in Afghanistan. Poteva essere morto, ferito, disperso o che altro, e lei non lo sapeva. Gli avrebbe fatto del male, prima o poi , la voce l’aveva avvertita. Forse ci aveva già provato…
Si sentì crollare le ginocchia, e montò il panico. Cominciò ad ansimare, scioccata, indietreggiando lentamente per allontanarsi il più possibile da quella radio maledetta.
Leo se ne accorse troppo tardi, però, e quando si era girato, con la fronte aggrottata, mormorando un preoccupato  << Skyler >> lei era già andata via, precipitandosi fuori da quella casa e correndo più forte che poteva.
Attraversò il campo, con gli occhi che bruciavano. Si sentiva i polmoni in fiamme, e le sembrava che il cuore fosse stato appena afferrato da una mano invisibile che le aveva attraversato il petto, e che ora lo stava stringendo in una morsa d’acciaio.
Passò davanti alla casa di Ermes, di Afrodite e di Atena. Le sorpassò tutte, fino ad arrivare disperata davanti alla casa di Apollo.
Perché c’era solo un posto in cui voleva stare, in quel momento, una sola persona che voleva vedere. E con la vista offuscata non riusciva neanche a pensare ad altro.
 
Ω Ω Ω
 
Bussò più volte alla porta, con mano tremate.
Singhiozzava, ma riuscì comunque a sentire qualcuno cadere dal letto e strascicare i piedi fino alla porta.
Il ragazzo l’aprì, stropicciandosi gli occhi assonnato e sbadigliando, ma non appena la vide sull’uscio, sull’orlo delle lacrime, sgranò gli occhi, preoccupato.
<< Skyler, ma che cosa…?>>
Skyler si fiondò fra le sue braccia prima di permettergli di fare qualunque domanda. Lo travolse con così tanta velocità che il ragazzo fu costretto a barcollare all’indietro, per non perdere l’equilibrio.
A quel punto Skyler non ce la fece più, e iniziò a piangere. Il suo era un pianto disperato, che era riuscita a trattenere per fin troppo tempo, e che ora non poteva neanche pensare di evitare.
Le lacrime le sgorgarono come un fiume in piena, lasciando il ragazzo un po’ interdetto. Finché non si rese conto che quelle lacrime non si sarebbero fermate da sole.
Lentamente, Michael l’avvolse in un abbraccio, accostandosela al petto. La strinse forte, per consolarla, e le lasciò un bacio fra i capelli, prima di posare il mento sopra la sua testa e accarezzarle i capelli, con fare rassicurante.
Skyler strinse nei pugni la sua maglietta, soffocandoci le lacrime e continuando a singhiozzare.
Rimasero così, in silenzio. Skyler che piangeva, Michael che non voleva fare domande. E forse era meglio così. Perché in quel momento, tutto ciò che Skyler voleva era farsi abbracciare. Voleva sentire il calore di qualcuno, voleva continuare a piangere finché i polmoni non le avrebbero fatto male e finché fosse stata anche troppo stanca per farlo.
Voleva stare, appunto, fra le braccia di qualcuno che non le faceva domande. Che non le chiedeva spiegazioni, ma che la consolasse solo perché non sopportava l’idea di vederla così.
Quando era corsa da Michael non ci aveva ragionato un attimo. Non aveva pensato a cosa fosse giusto o sbagliato. Non aveva idea del perché lo faceva e perché i suoi piedi si fossero mossi automaticamente verso casa sua. Ma non le importava.
Perché ora lì, stretta al suo petto, si rese conto che solo quel dolce profumo di salsedine riusciva a tranquillizzarla.
E, fra le braccia dell’amico, sfogò tutte quelle lacrime tenute in serbo per un momento di sfogo che sembrava non arrivare mai.

Angolo Scrittrice
Bonjour!! :D
Eccomi qua, pronta per voi con un nuovo capitolo. Devo dire che temevo un po' il fatto che, dopo la mia precedente 'prestazione' mi avreste tutti abbandonato, ma se ora state leggendo questo piccolo (per così dire xD) spazio in grassetto, significa che avete ancora voglia di seguire la mia storia, e per questo non so come ringraziarvi.
Allora, che ve ne pare? Sono riuscita o no a farmi perdonare? Un momento fra Skyler e Michael non poteva mancare. Ve l'avevo promesso, e vi giuro che ho fatto il possibile per renderlo più puccioso (?) possibile xD
Spero tanto che vi sia piaciuto, davvero. :3
E poi Nico? Ahah, era ovvio, non poteva mancare! Devo ammettere di essermi divertita molto a scrivere quella parte, e nel caso non sia riuscita a spiegarmi nel capitolo, era proprio lui il figlio di Ade che aveva causato quella brutta ustione a Michael (capitolo 8). Quindi possiamo in un certo senso affermare che è grazie a lui se Michael e Skyler si sono presentati, no? ;)
ahah, ovazioni per Nico a parte, ho una notiziona bomba da darvi. Non per allarmarvi (se mai una notizia del genere possa allarmarvi) ma ci siamoo! :D Il prossimo capitolo, lo giuro, è quello decisivo. Quello su cui si fonda la storia. Quello in cui capiremo (finalmente) il motivo del titolo 'Il Morbo di Atlentide'. Non siete contenti?
*silenzio**rotola una palla di fieno**ancora silenzio*
Oh, beh, io non vedo l'ora. Sono emozionata all'idea di scriverlo, non aspettavo altro! :D quindi, spero vivamente che vi piacerà.
Ok, detto questo, voglio informarvi che ultimamente sono alquanto fissata con Hunger Games. Avevo già letto tutta la trilogia circa un anno fa, ma quando ho visto il film al cinema il mio cuore si è sciolto. Quel film è perfetto, c'è tutto, e gli attori sono uno più bravo dell'altro. Sapevo già della bravura di Josh e Liam e delle interpretazioni da brivido di Jen, ma devo ammettere che mi ha davvero sorpreso Sam Claflin, colui che interpreta Finnick. Quando si dice bello e bravo *^* Quindi, giusto per darvi un po' di fastidio, vi posto una sua foto.

Sto sbavando *Q*
Ok, ora basta. Sono più che sicura che vi siete rotti di sentirmi fangirlizzare. Quindi, passiamo alle cose davvero importanti, e cioè ai ringraziamenti. Infatti, è arrivato il momento di inchinarmi a tutte le mie Valery's Angels, che mi sostengono e che hanno commentato lo scorso capitolo.
Un grazie e enorme a:
giascali, Greg Heffley, Fred_Beckendorf99, bibrilove98, Fred Halliwell, Kalyma P Jackson, Prescelta di Poseidone e moon_26 <3 Vi adoro! *o*
E poi vorrei ringraziare anche
Athenafra e fool99, che mi hanno fatto sapere i loro apprezzamenti per la storia tramite messaggio privato. Anche se efp non li ha calcolati come commenti, vi ringrazio infinitamente lo stesso :3
Bien bien, credo di aver detto tutto. Ok, ho capito, ora vi lascio xD Al prossimo capitolo! Spero che questo vi sia piaciuto!
Kisses,
ValeryJackson

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Attenzione: Capitolo eccessivamente lungo. Prepararsi psicologicamente prima della lettura. ;)

Era quasi sera, ormai.
Skyler aveva saltato tutti gli allenamenti, quel giorno.
Era ancora scossa per quanto avvenuto la sera prima, e non se la sentiva di andare lì, in mezzo agli altri mezzosangue, solo per spalmarsi un sorriso falso in faccia e fingere che andasse tutto bene. Perché non andava affatto bene.
Michael, ovviamente, era stato dalla sua parte. Aveva capito le sue esigenze, e aveva fatto credere a tutti che stesse poco bene. Non avevano più parlato della sera prima. Forse per imbarazzo, o forse perché non c’era davvero nulla da dire. Skyler era corsa da lui per il semplice motivo di voler essere consolata, e lui l’aveva fatto, senza obbiezioni. Aveva anche giurato di non dire a nessuno del suo liberatorio sfogo, e questo aveva tolto un grosso peso sul cuore della ragazza.
Ora, il padiglione era deserto.
Skyler aveva afferrato una spada a caso, e, presa da un impeto d’ira, aveva cominciato a fare a brandelli tutti i manichini utilizzati per gli allenamenti di scherma.
Aveva appena staccato la testa a uno di loro con un grido di frustrazione, quando sentì dei passi dietro di lei.
<< Sai, i fantocci non sono infiniti.>>
Skyler si voltò, sussultando. Nico la osservava con un ghigno divertito. Ad essere sinceri non l’aveva sentito arrivare. Era come se fosse apparso dall’ombra materializzandosi lì solo in quel momento.
Lo guardò, senza dire una parola, mentre Nico si avvicinava lentamente a lei, rendendo i propri lineamenti un po’ più chiari.
<< Come va?>>
Skyler rimase un attimo interdetta da quella domanda, ma si sforzo di non scomporsi. << Bene, grazie.>>
Nico si guardò intorno, inarcando un sopracciglio. << Perché sei qui tutta sola?>> chiese. Poi indicò con un cenno del capo la testa del manichino decapitato. << E perché fai a fette i nostri fantocci?>>
Skyler non rispose. In realtà, non sapeva proprio come rispondere omettendo la verità. Lo sguardo di Nico passò lentamente dal curioso al comprensivo. << Ah, ho capito…>> annuì. << È per tuo zio, vero? Si trova in Afghanistan?>>
Il cuore di Skyler saltò un battito. Sgranò gli occhi, senza parole. Come faceva a saperlo? Possibile che Michael l’avesse tradita?
<< Chi ti ha detto che…?>>
Nico rise sommessamente, scuotendo la testa. << Ehi, no, aspetta, non pensare male. Non è stato Michael, se è questo che credi. Lui non ha detto niente. Sono stati gli spiriti.>>
Skyler aggrottò la fronte. << Gli spiriti?>>
<< Si, certo. Gli spiriti dei caduti in guerra. Sai, sono capace di comunicare con loro, o qualcosa del genere… e mi hanno raccontato le loro sventure.>>
Skyler ci mise un po’ per metabolizzare l’informazione, ma, non appena lo fece, un’orribile pensiero le attraversò la mente, togliendole il fiato. Guardò Nico, terrorizzata. << Mio zio è…>> Non riusciva neanche a dirlo. La voce le si smorzò prima che potesse finire la frase.
Nico scosse la testa, gli occhi di ossidiana che la squadravano, indecifrabili. << No, tuo zio non è morto. Sono stati gli altri militari a raccontarmi tutto.>>
Skyler tirò un sospirò di sollievo. Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un sorriso.
Nico la osservò, senza proferire parola. Quando Skyler li riaprì, gli rivolse un sorriso sincero, quasi riconoscente. Come se fosse merito suo, se lo zio fosse ancora vivo. Come se lui gli avesse appena regalato un raggio di sole.
A quel punto, lo sguardo di Nico si addolcì. << Non devi preoccuparti, comunque >> le disse, abbozzando un sorriso. << Se mai dovesse succedergli qualcosa, io sarei il primo a saperlo. E tu la seconda.>>
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante, nel quale Skyler non sapeva se ringraziarlo o abbracciarlo tanto era felice.
Fu Nico il primo a prendere parola, alzando gli occhi verso il cielo e sorridendo. << Credo sia meglio andare >> disse, indicando una nebbiolina di fumo che si librava in aria poco lontana da loro. << Il falò starà per iniziare.>>
Skyler annuì, cominciando a camminare. Quando però si accorse di non essere seguita, si voltò verso il ragazzo.
<< Non vieni?>> gli chiese, notando che non accennava a spostarsi.
Nico fece spallucce. << Naah… Vai tu. I figli di Ade non sono proprio i benvenuti qui al Campo Mezzosangue.>>
Non le diede neanche il tempo di replicare. Si incamminò verso un punto imprecisato e poi sparì, avvolto dal un velo di buio e oscurità.
Skyler rimase qualche secondo ad osservare il punto in cui il ragazzo era appena magicamente sparito.
Poi sorrise, divertita, e, mentre lo ringraziava mentalmente, si avviò verso il falò.
 
Ω Ω Ω
 
Erano seduti al solito posto. Lei, Emma e Michael. I figli di Apollo si stavano esibendo in un misto di cori e chitarre, mentre tutti gli altri battevano le mani a tempo e qualcuno sorrideva.
Skyler sospirò, rilassata. Era seduta schiena contro schiena con Leo, che quella sera aveva deciso di sedersi con loro, mentre Percy era seduto accanto a Michael, che gli parlava con uno strano linguaggio in codice. Emma, nel mezzo, invece, cercava di cantare non preoccupandosi minimamente di essere stonata o cosa.
Sembrava una sera come tutte le altre, eppure c’era qualcosa di strano. Skyler non percepiva la stessa splendida energia. Certo, tutti cantavano e si divertivano, ma era come se ci fosse un’aria più… abbattuta? Stanca? In realtà non aveva voglia di pensarci.
Puntellò il gomito nel fianco del fratello, stranamente silenzioso. << Leo, che fai?>>
Il ragazzo ci mise un po’ a rispondere. Stava armeggiando con qualche filo di rame e un paio di bulloni, intrecciandogli e slegandoli senza una logica ben precisa. << Sto costruendo una cosa >> rispose, poco convinto.
Skyler abbozzò un sorriso. << Fa vedere >> disse, al che Leo gliela passò.
Non appena la vide, Skyler aggrottò la fronte. << Che cos’è?>>
Leo scosse la testa, divertito. << Non ne ho idea.>>
Risero entrambi. Poi la ragazza ridiede la strana ‘creazione’ al fratello, che iniziò a rismontarla.
A quel punto, Skyler si perse nei suoi pensieri, almeno finché non arrivò John, che si sedette accanto a lei.
<< Ehi!>> esclamò sorridendo, avvolgendole le spalle con un braccio e baciandole la tempia. << Come stai?>>
Skyler abbozzò un sorriso, poggiando la testa nell’incavo del suo collo. << Ora bene >> sussurrò.
Michael, dall’altra parte della panca, li osservava, digrignando i denti mentre una forte morsa gli stringeva lo stomaco. Abbassò lo sguardo, torturandosi le mani per sforzarsi di pensare ad altro.
Percy, accanto a lui, lo notò e gli diede una lieve pacca sulla spalla. << Allora, com’è andata oggi a lezione di tiro con l’arco?>>
Michael sorrise, riconoscendo il tentativo del fratello di cambiare discorso. Scrollò le spalle. << Abbastanza bene.>>
Percy annuì, prima di tossire. All'inizio era una semplice tossettina, ma in breve crebbe fino a diventare un crescendo vibrante che gli scuoteva il corpo, così forte che per poco non cadde dalla panca.
Michael gli diede una pacca dietro la schiena, guardandolo con la fronte aggrottata. << Percy, ti senti bene?>>
<< Si, si >> rispose quello, sforzandosi di sorridere. Aveva una brutta cera, e la sua voce era poco più di un sussurro. << Credo di avere solo un po’ di bronchite. È da qualche giorno che tossisco così.>>
Michael annuì, poco convinto. << Dovresti riposare >> gli disse.
<< Si, lo credo anch’io >> confermò Percy, mestamente. Poi si sfregò le mani, che avevano le dita congelate, e rabbrividì.
<< Sai, credo proprio che ci andrò ora >> disse, alzandosi. << Non credo di sentirmi tanto…>>
Non finì la frase, che svenne.
<< Percy!>> esclamò Michael, afferrandolo al volo, mentre il fratello rivoltava gli occhi all’indietro e cadeva a peso morto.
Skyler li guardò, preoccupata. Le sembrò una cosa assurda, e non capì cosa esattamente stesse succedendo.
Finché non si rese conto che molti, intorno a lei, tossivano e svenivano.
 
Ω Ω Ω
 
Le ore che erano seguite erano state tutto un susseguirsi confuso di persone preoccupate e semidei che venivano scortati chissà dove.
Chirone era scattato sul posto, quando si era reso conto della situazione, ed era corso in infermeria senza avvertire nessuno di niente. Aveva fatto barrare tutte le porte, e aveva impedito a chiunque di accedervi.
Tant’é che adesso, a distanza di due ore, i quattro ragazzi ancora faticavano ad entrare.
<< Voi non capite >> stava insistendo Michael, mentre tre satiri grandi e grossi sbarravano loro la strada. << Noi dobbiamo entrare. Dobbiamo parlare con Chirone!>>
Nonostante i ragazzi scalpitassero, i satiri erano molto più forti di quanto sembrassero, e sorpassare la soglia sembrava davvero impossibile.
Dopo un po’, Skyler intravide da sopra la spalla del satiro la figura del centauro. << Chirone!>> esclamò, chiamandolo.
Il centauro si voltò, guardandoli con sguardo vitreo. Camminava fianco a fianco con una giovane semidea figlia di Apollo, che leggeva delle informazioni sulla sua cartellina riferendole direttamente a lui.
Chirone sospirò, facendo poi cenno ai satiri di lasciarli passare.
I tre li lasciarono andare, facendosi da parte. Michael, indignato, si riassestò la maglietta, sorpassandoli con un’aria di sufficienza.
Corsero tutti incontro al centauro.
<< Chirone, ma che combina?>> chiese Michael, scioccato. << Che diavolo sta succedendo?>>
Chirone li guardò, sospirando. Sembrava indeciso, come se stesse per riverargli un’informazione di massima importanza, ma era convinto che fosse una pessima idea. Fece cenno alla figlia di Apollo di andarsene, e lei, riluttante, obbedì.
Dopo di che, il centauro si avviò per lo stretto corridoio del loro ospedale, e i ragazzi furono costretti a mettersi in fila indiana per poterlo seguire, Michael ad aprirla, John che la chiudeva turbato.
Chirone sembrava stanco. Aveva due grosse occhiaie, e le sue pupille erano così spiritate da far credere che non dormisse da giorni. Aveva, inoltre, la schiena inarcata, come se ormai si fosse rassegnato a portare su di essa un peso troppo grande.
<< La situazione è molto più grave di quanto pensassi >> affermò, serio ma anche sfinito. << E ormai credo che non ci sia più niente da fare.>>
<< Perché, cosa succede?>> chiese Emma.
I ragazzi continuavano a seguirlo, non capendo. Mentre passavano per lo stretto corridoi, i loro sguardi si spostavano continuamente da una stanza all’altra, tutte, incredibilmente piene.
Piene di ragazzi, semidei e semidee. Avevano un volto cadaverico, e scarno, il respiro corto, e tutti giacevano inermi sulle brandine, senza parlare e senza accennare alcun movimento. Come se si stessero riposando. Oppure stessero dormendo.
Figlie di Apollo frenetiche si spostavano da una brandina all’altra con un’agilità impressionante, controllando le varie pressioni e poi scuotendo le teste, avvilite.
<< È iniziato tutto qualche giorno fa >> cominciò Chirone, con tono grave. << Stavo facendo la mia solita lezione di scherma, quando dei ragazzi sono corsi da me, disperati. Ora uno, ora due, ora tre. Tutti con la stessa. Identica. Cosa >> scandì. Si bloccò, guadagnandosi l’attenzione di tutti. << Il Morbo di Atlantide.>>
Michael aggrottò la fronte, curioso. << Che cos’è?>>
Chirone sorrise, amaramente, per poi riprendere a camminare. << La malattia più terribile di tutti i secoli, ragazzo >> spiegò. << Il Morbo di Atlantide non lascia scampo. Ti colpisce inizialmente come se fosse una semplice influenza, e poi pian paino succhia via tutta la tua forza vitale. Non riesci più a camminare, non riesci più a stare in piedi, non riesci più a parlare, non riesci più a respirare. Ti riduci ad un letto d’ospedale. E lì la tua anima ti abbandona.>>
Skyler non riusciva ancora a capire. << Ma non potete curarlo?>>
Chirone rise, triste. << Oh, credimi, bambina mia, lo vorrei tanto. Davvero tanto. Ma purtroppo non posso. Erano… circa settecento anni che non si ripresentava una situazione del genere. Il Morbo di Atlantide ormai doveva essere estinto, e nessuno aveva mai pensato che potesse tornare.>>
Emma deglutì, la gola secca. << Vuol dire che tutti questi ragazzi…?>> La sua voce si smorzò. Guardò dentro una stanza, e le si bloccò il cuore nel vedere una figlia di Afrodite piangere disperata sul corpo inerme del fratello.
<< Stiamo facendo il possibile >> ammise Chirone, sconsolato. << Ma se all’inizio erano solo due, ora qui c’è quasi tutto il campo. Le nostre infermiere sono poche, anche le ninfe e i satiri ci danno una mano. Ma purtroppo non facciamo progressi.>>
<< Ma deve pur esserci una cura, no?>> insistette John.
<< Si. Si, c’è una cura >> affermò Chirone. << Me purtroppo noi non potremmo averla mai.>>
<< E perché?>>
Il centauro sospirò. << Perché è impossibile. Servono degli specifici ingredienti per poterne creare una, e non so neanche se sono più in grado di prepararla. Non ricordo come si fa. Ve l’ho detto, sono settecento anni che non vedo una cosa del genere.>>
<< E non si possono prendere questi ingredienti e tentare?>> provò Emma.
Chirone scosse mestamente la testa. << No, mia cara, non si può. Questi ingredienti sono sparsi per tutta l’America. Sarebbe un viaggio angusto, impossibile. E mortale. Non permetterei mai ad un ragazzo di rischiare la vita così. Non tornerebbe a casa di sicuro. Non ci è mai riuscito nessuno.>>
Continuarono a percorrere il corridoio, in silenzio, mentre volti pallidi e visi disperati si alternavano davanti ai loro occhi.
<< E… quali sono questi ingredienti?>> chiese Michael.
Chirone sospirò, pronunciandoli come se stesse citando una profezia. << Un dente d’oro di leone. La punta del corno di un Minotauro. Una lacrima di ippogrifo. L’occhio di vetro di una Chimera. Una goccia di rugiada delle nevi. Una pelle del serpente Pitone. E infine una lacrima di Fenice.>>
Quello che seguì dopo fu il totale silenzio, interrotto solo qua e là dal rumore sordo che gli zoccoli del centauro provocavano sul pavimento di marmo.
Nessuno di loro capiva il significato di quelle parole. Ma una domanda sorgeva loro spontanea.
<< Quindi per questi semidei non c’è speranza?>> chiese Emma, dando voce ai pensieri di tutti.
Chirone scosse la testa, sconsolato. << Ci stiamo provando, ma ho paura che non ce la faremo mai senza una dovuta cura. Purtroppo temo che…>>
La voce gli si incrinò, e fu costretto ad abbassare lo sguardo per evitare di crollare. Era difficile da ammettere, impensabile. Aveva passato anni ad addestrare semidei nella speranza che potessero difendersi da qualunque mostro o creatura strana li attaccasse, e ora le loro vite venivano stroncate da un’insulsa epidemia. E purtroppo non c’era niente da fare…
Continuarono a percorrere il corridoio, in silenzio, osservando con sguardo cupo tutti quei poveri ragazzi che giacevano pallidi sulle loro brandine.
Non proferirono parola, finché Michael non si fermò di colpo, facendo addossare tutti gli altri.
<< No…>> mormorò, con voce spezzata.
Skyler non capì a cosa si riferisse fino a che non seguì la direzione del suo sguardo.
Lì, disteso su un letto d’ospedale, c’era un ragazzo. Aveva il volto pallido, e le labbra bluastre, mentre una strana macchina, accanto a lui, metteva in evidenza il suo battito, che correva ad una lentezza preoccupante. Sgranò gli occhi.
Quel ragazzo era Percy.
<< Michael >> sussurrò, preoccupata. Ma non fece in tempo ad afferrargli il braccio che l’amico era già corso verso la branda.
<< No!>> esclamò infatti, precipitandosi nella stanza.
Guardò il fratello giacere inerme e sentì montare il panico.<< No >> continuava a ripetere. Si inginocchiò accanto a lui e gli prese la mano. Era incredibilmente fredda. << No, no, no, no, no. Percy! Su, coraggio, svegliati. Dai, andiamo.>> disse, scrollandgli una spalla. Il fratello non rispose. << Andiamo, alzati, non è divertente >> lo rimproverò, con un verso di scherno. Ma Percy non accennò a spostarsi. << Se questo è uno scherzo è di pessimo gusto.>> Gli occhi di Michael guizzavano sul volto del fratello freneticamente. In cerca di un sorriso. In cerca di una smorfia. In cerca di… qualcosa!
Ma il volto di Percy restava comunque immobile, e fu a quel punto, se prima Michael pensasse fosse solo uno scherzo, che si rese veramente conto della situazione.
<< Michael >> sussurrò Chirone, preoccupato.
<< Percy >> chiamò lui, ma la voce uscì strozzata. Vide la vista appannarsi, e sentì le lacrime salirgli agli occhi. << Percy, andiamo. Svegliati.>> Una lacrima gli rigò la guancia. << Per favore.>>
La mano del centauro si posò sulla sua spalla. << Mi dispiace, ragazzo… >> mormorò.
Michael scosse con veemenza la testa. << No >> esclamò, alzandosi di scatto e allontanandosi dal letto del fratello, come se una diversa prospettiva potesse offrirgli un’alternativa migliore. Non riusciva a crederci, e lo shock era tale da impedirgli addirittura di pensare. << No, ci dev’essere un modo!>> insistette.
Chirone abbassò lo sguardo. << Mi dispiace >> ripeté.
Skyler soffocò un singhiozzo. Si strinse al petto di John, e lui l’abbracciò, con fare rassicurante, mentre lei premeva il volto contro la sua maglietta per frenare le lacrime. Sembrava tutto così… surreale. Nessuno riusciva a crederci. Nessuno voleva crederci. E fu solo una voce a riportare Skyler alla realtà.
<< Rose >> sussurrò Emma, preoccupata.
Skyler alzò lo sguardo, e vide la ragazzina sul ciglio della porta. Aveva gli occhi sgranati, una mano a coprire la bocca, e fissava il fratello inerme sconvolta. I suoi occhi si riempirono di lacrime.
<< Percy… >> mormorò. Si avvicinò al letto e accarezzò il suo volto pallido con mano tremante. Un singhiozzo strozzato le uscì dalla bocca. Iniziò a piangere, e nascose il viso nella felpa di Michael, distrutta.
Michael l’avvolse con le braccia. Avrebbe voluto consolarla, ma la verità è che era sconvolto anche lui. Disperato. Scioccato. Incredulo.
Dopo un po’, la piccola Rose si staccò da lui, e si inginocchiò accanto all’altro fratello. Intrecciò le dita fra le sue, e gli squadrò il volto attraverso il panno dovuto dalle lacrime. << Ditemi che si riprenderà >> supplicò, con voce smorzata.
Chirone sospirò, grave. << Mi dispiace, ragazzi. Ma non c’è niente che io possa fare.>> Si stropicciò gli occhi, forse per scacciare la stanchezza, o forse perché non voleva guardare i due figli di Poseidone mentre dava loro quella notizia. << Ha come minimo una settimana, massimo otto giorni. Dopo di che…>>
Non finì la frase, che Rose ricominciò a piangere.
Fu a quel punto che Michael schizzò fuori dalla stanza e corse via.
<< Michael!>> urlò Skyler, staccandosi dal petto di John e rincorrendolo, seguita dagli altri due.
Ma lui non si fermò. Corse a perdifiato, costringendo Skyler a seguirlo fino alla capanna Tre.
Quando la ragazza entrò dentro, lo vide afferrare freneticamente uno zaino, buttarlo sul letto, e cominciare riempirlo di roba.
<< Michael!>> lo chiamò, andandogli incontro. Ma lui non si fermò, incastrando una maglietta pulita sul fondo. Skyler seguì convulsamente i suoi movimenti, finché non le venne il mal di testa.
<< Michael, fermati! Che stai facendo?>> esclamò, togliendo della roba dallo zaino.
Michael non le diede retta, e la rinfilò dentro. << Devo muovermi. Non posso aspettare. Devo partire.>>
<< Partire per dove?>> chiese lei, buttando le braccia al cielo.
<< Non lo so. Io…>> Aveva il fiato grosso. << Io… devo trovare tutti gli ingredienti. Devo portarli al campo, così Percy potrà guarire.>>
<< Michael, è una pazzia >> lo rimbottò lei, impedendogli di infilare un pantalone nello zaino. Michael lo lanciò in aria e ne afferrò un altro.
<< Io… devo andare. Devo… devo… devo sbrigarmi.>>
<< Michael >> lo chiamò lei.
<< Devo muovermi. Devo… devo…>>
<< Michael!>> urlò lei, scrollandolo per le spalle. << Calmati!>>
<< Non posso calmarmi!>> sbottò lui, con le lacrime agli occhi. << Mio fratello è in fin di vita in un letto d’ospedale, lo capisci?! Io devo salvarlo. Lui è tutta la mia famiglia! È tutto quello che ho! Si è sempre preso cura di me. Si è sempre occupato di me. Lui è tutto ciò che mi resta. E adesso è in fin di vita! Devo salvarlo, sono la sua unica possibilità. Non posso lascarlo andar via!>> Delle lacrime gli rigarono le guance, bagnandogli il viso. << Se lui muore, muoio anch’io.>>
Skyler lo guardò intensamente negli occhi, poi gli buttò le braccia al collo e lo abbracciò.
Michael si strinse forte a lei, aggrappandovisi come se fosse la sua unica ancora di salvezza, e lui stesse sprofondando nel mare.
Affondò il viso nell’incavo del suo collo e cominciò a piangere, disperato.
Era come se i ruoli si fossero invertiti. Ora era Michael quello che aveva bisogno di essere consolato, e Skyler quella disposta a farlo, senza pregiudizi, senza domande, senza preoccuparsi del perché di quelle lacrime. Ma unicamente per la semplice voglia di non vederlo più così. Di fargli capire che lei c’era, e che non l’avrebbe mai lasciato.
Quando il pianto di Michael scemò in dei semplici singhiozzi, Skyler sciolse quell’abbraccio, e lo guardò negli occhi.
<< Vengo con te >> disse, decisa.
Michael aggrottò la fronte. << Come?>>
<< Se hai intenzione di avventurarti in questa missione sucida, va bene. Io vengo con te.>>
<< Anche io >> aggiunse John, presenza della quale Michael si accorse solo in quel momento.
<< E anch’io >> annuì Emma.
Michael sgranò gli occhi. << Cosa? No! Non se ne parla. Non vi chiederei mai di fare una cosa del genere!>>
<< Noi non ti lasciamo andare da solo, chiaro?>> ribatté Skyler. Lo guardò intensamente negli occhi. << Siamo con te, ricordi?>>
Michael spostò lo sguardo dall’uno all’altro, squadrandoli con attenzione. Sembravano decisi, davvero. Forse un po’ spaventati, ma sapeva comunque che non lo avrebbero abbandonato. Non l’avrebbero mai fatto, e lui gli era grato per questo.
Si strofinò il naso gocciolante. << Bene >> annuì, improvvisamente carico di una nuova energia. Guardò il suo misero zainetto semivuoto. << Dobbiamo partire stanotte >> affermò.
<< E come facciamo?>> chiese John. << Chirone non ce lo permetterà mai.>>
<< Dobbiamo distrarlo >> propose Emma. << Non deve accorgersi della nostra assenza. Almeno fino a domani.>>
<< E come?>> chiese Skyler, guardandoli.
Nessuno rispose. Ci ragionarono per qualche minuto. Poi, un pensiero baluginò nella testa di Michael.
<< Ho un’idea.>>
 
Ω Ω Ω
 
Qualcuno bussò alla porta.
Grover si alzò riluttante dalla sua poltroncina arancione. Era stanco morto, eppure, con tutti i pensieri che gli affollavano la mente, non riusciva proprio a dormire.
Sbadigliò, stiracchiandosi, per poi aprire e trovarsi
davanti un Michael in attesa.
<< No!>> esclamò brusco, non appena lo vide.
Michael allargò le braccia. << Non sai nemmeno quello che volevo dire.>>
<< Oh, si che lo so!>> disse, puntandogli un dito contro. << Volevi dire che andrai alla ricerca degli ingredienti per curare tuo fratello.>>
<< In realtà voleva dire che andremo.>>
Solo in quel momento, Grover si accorse degli altri tre ragazzi, che lo osservavano poco lontano.
Spalancò la bocca, scioccato. << Cosa?>> Li fissò sbigottito. << State scherzando?>>
<< Assolutamente no >> rispose Emma, senza il minimo accenno di ironia.
<< Non potete farlo!>>
<< Non puoi fermarci >> ribatté Michael.
<< Morirete!>>
<< Dobbiamo almeno tentare.>> Michael lo guardò, sconsolato. << Senti, io non posso restare qui a guardare mio fratello perdere lentamente la vita. Devo fare qualcosa!>>
<< E vorreste partire voi?>> Grover li squadrò, con tono accusatorio. << Tu sei appena arrivata al campo >> disse, indicando Skyler. << E voi altri, in tutti gli anni che avete passato qui, non avete mai ottenuto un’impresa!>>
<< Questi sono solo dettagli.>> Emma scrollò le spalle, con noncuranza.
Grover fissò Michael.
<< Senti, non ti chiedo di essere d’accordo >> cominciò il figlio di Poseidone. << Il fatto è che… Io… Io non posso lasciare che succeda, capisci? Percy non può morire. E se c’è anche una minima possibilità che io possa aiutarlo, allora devo coglierla al balzo.>> Lo guardò, supplicante. << Ti prego. Dacci una mano.>>
Grover lo squadrò un attimo, in silenzio. Poi sospirò, facendo roteare gli occhi. << Che devo fare?>>
Michael accennò un sorriso. << Devi solo coprirci. Chirone non ci permetterà mai di partire per quest’impresa, quindi non deve saperlo. Basta che lo tieni all’oscuro di tutto per uno… due giorni. Non so, vedi tu. L’importante è che ci dai qualche ora di vantaggio.>>
Grover sospirò, ma, invece di annuire, chiese: << E Rose?>>
Michael si rabbuiò. I suoi occhi si appannarono di un velo di tristezza. << Stalle vicino >> sussurrò. << Fra qualche giorno sarà il suo compleanno, e lei ha bisogno di tutta la protezione possibile. Non abbandonarla. Ha già perso un fratello comunque, sarebbe troppo per lei perderli entrambi.>>
Grover annuì, mestamente. Poi guardò Michael e si lasciò sfuggire un sorriso malinconico. << Sei proprio come tuo fratello, sai? Pronto a tutto, pur di salvare gli altri.>> Gli diede una pacca sulla spalla. << Se adesso fosse qui, ti direbbe che è fiero di te.>>
Michael abbozzò un sorriso, riconoscente. Poi fece per andarsene, quando Grover lo chiamò.
Si voltò, e il satiro esitò. << Buona fortuna >> sussurrò, abbastanza forte perché Michael potesse sentirlo. Poi rientrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
A quel punto, Michael raggiunse i suoi amici.
<< Allora?>> chiese Emma, impaziente.
Michael sospirò, non essendosi accorto, fino ad ora, di aver trattenuto il fiato. << Ci aiuterà >> disse.
Gli altri sorrisero. Poi, Michael alzò lo sguardò verso il cielo, osservando la luna.
<< Sarà meglio che ci prepariamo >> annunciò. << Partiamo fra qualche ora.>>
Seguì un silenzio imbarazzante. Emma e John si scambiarono un’occhiata, poi fu la ragazza a parlare.
<< Michael, credi che dovremmo…>> cominciò, ma poi si bloccò. Il figlio di Poseidone la guardò, senza capire, e lei chiese aiuto con lo sguardo a John.
Il figlio di Apollo si grattò la nuca. << Si, insomma, noi… stavamo pensando che forse era il caso di…>>
<< Andare dall’Oracolo?>> lo interruppe lui.
Gli altri due non risposero, ma annuirono. Skyler aggrottò la fronte.
<< Che Oracolo?>>
<< L’Oracolo di Delfi >> le spiegò Emma. << Prima di ogni impresa, è solito che gli eroi si rechino da lui per ricevere una profezia.>>
<< E a che cosa serve?>>
<< Beh, dipende >> intervenne John. << A volte può indicarci dove andare, altre volte cosa potrebbe succedere. Altre…>> Non finì la frase, ma Skyler recepì il messaggio. Guardò Michael.
Il ragazzo sospirò. << Credete sia il caso?>> chiese, con una ruga di preoccupazione fra le sopracciglia.
<< Potrebbe essere utile >> insistette Emma. << Magari potrebbe dirci da che parte andare.>>
Nonostante fosse dura ammetterlo, aveva ragione. Volevano partire, ma non avevano alcuna idea di dove dovessero cercare, né dove si trovassero gli ingredienti. Era come trovarsi in un vicolo cieco. Lentamente, Michael annuì. << Bene, allora…>>
<< Ci vado io >> intervenne Skyler. Michael non lo disse, ma lei poté benissimo leggere nei suoi occhi un caloroso ringraziamento. A quanto pareva temevano un po’ tutti quest’Oracolo, ma lei non capiva il perché. Doveva solo ascoltare una profezia, giusto?
Sperò solo di non aver fatto la scelta sbagliata.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler infilò l’ultima cosa nello zaino.
Era quasi ora di andare, e ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
Solo ora, lì, nel silenzio un po’ assordante che penetrava nei muri della capanna numero Nove, Skyler si rese veramente conto di quello che stava per fare.
Chirone li aveva avvertiti. Quella era una missione suicida. Nessuno era mai riuscito a tornare vivo, e forse Grover aveva ragione. Che speranza avevano, tre semidei mai usciti dal campo e la nuova arrivata?
Le probabilità che ce la facessero erano meno di zero. Eppure non poteva mollare. Doveva aiutare Michael. Dovevano aiutare Michael. Loro erano una squadra, erano uniti. Non si sarebbero mai separati. E, seppur a Skyler tremassero le gambe al solo pensiero di andare, non li avrebbe mai lasciati soli.
Chiuse lo zaino, attenta a non fare il benché minimo rumore.
Erano circa le due del mattino, e tutti i ragazzi, o almeno quelli che non si trovavano in ospedale accanto ai loro fratelli, stavano dormendo. Skyler si mise lo zaino in spalla, sospirando.
Se ci avesse riflettuto un attimo, non sarebbe partita più. Doveva seguire l’istinto, e l’istinto ora le diceva che non poteva abbandonare i suoi amici. Non avrebbe mai permesso che partissero per una missione sucida mentre lei se ne stava lì a poltrire.
Era la cosa giusta da fare.
Si avviò con passo cauto verso la porta, quando una voce la bloccò.
<< Dove vai?>> le chiese Leo, e lei fu costretta a girarsi. Non aveva pensato che potesse essere ancora sveglio, ma molto probabilmente si era rintanato nelle fucine.
Skyler non rispose, mordendosi il labbro. Solo a quel punto Leo sembrò notare lo zaino che aveva in spalla.
Sgranò gli occhi. << Che cosa vuoi fare?>> esclamò.
<< Shh! Abbassa la voce!>> lo rimproverò lei, assicurandosi che non si fosse svegliato nessuno. La sua voce si ridusse ad un sussurro. << Devo andare.>>
Il sangue di Leo raggelò, e si avvicinò a lei cauto, abbassando il tono di voce. << Dove?>> chiese, anche se sapeva già la risposta.
Skyler abbassò lo sguardo. Leo non aveva bisogno di altre conferme. Scosse la testa, con veemenza. << No, no, no, non se ne parla! Tu non ci vai.>>
<< Ma devo >> insistette lei. << Michael ha intenzione di partire, e io non posso lasciarlo solo.>>
<< Per l’amor del cielo, Skyler!>> sbottò Leo, adirato. << Non ti lascerò andare al macello!>>
<< Senti >> sospirò lei. << So che… so che forse è un’idea folle, e che io sono la persona meno indicata per una missione del genere. Ma ti prego, ti prego, fidati di me >> supplicò. << Per favore…>>
Leo la guardò, senza parole. Quello che la sorella stava dicendo era pura follia. Era impazzita, non potevano esserci altre spiegazioni. Eppure nei suoi occhi infuocava una tale energia, una tale determinazione, che Leo dubitò che l’avrebbe ascoltato. Quando capì che non c’era modo di farle cambiare idea, sentì montare il panico.
<< Tu… t-tu non puoi andare >> disse, anche se più che un’affermazione sembrava un modo di convincere se stesso. << È… è pericoloso. Se dovesse succederti qualcosa, io…>>
<< Leo >> lo interruppe lei, prendendogli il viso fra le mani. Avrebbe voluto consolarlo, avrebbe voluto dirgli che sarebbe andato tutto bene, e che sarebbe tornata a casa sana e salva. Ma sarebbe stata una squallida bugia.
Abbozzò un sorriso triste. << Devo andare… >> mormorò. Poi gli passò affettuosamente una mano fra i capelli.
<< Mi dispiace >> sussurrò.
Leo era come paralizzato. Avrebbe voluto dirle mille cose, avrebbe voluto cacciar fuori mille scuse per convincerla a restare, ma quando la vide incamminarsi verso la porta, capì che era troppo tardi.
Si rese conto che, in realtà, lei aveva già deciso, e che tutto ciò che lui poteva fare era provare ad aiutarla. Un ricordo gli attraversò la mente.
<< Skyler >> chiamò, al che lei si voltò.
Frugò nelle tasche e, quando trovò quello che stava cercando, le andò vicino e glie lo porse. << Questo è per te >> le disse. Sorrise amaramente. << Lo stavo… lo stavo costruendo per te. Volevo regalartelo per un’occasione speciale, ma credo che tu ne abbia più bisogno ora.>>
Skyler osservò ciò che aveva fra le mani, stupefatta. Si trattava di una collana. Un ciondolo, a forma di cono, con un elaborato intreccio di metallo che contornava la parte superiore, e che sorreggeva un cristallo blu cobalto fino alla punta. Skyler avrebbe riconosciuto quel materiale ovunque. Era bronzo celeste. Quella era una spada.
Guardò Leo, senza parole. Lui le prese il ciondolo dalle mani e glielo appuntò al collo. Poi la guardò negli occhi e le accarezzò i capelli con fare protettivo. << Buona fortuna >> sussurrò.
Skyler non resisté all’impulso di abbracciarlo. Affondò fra le sue braccia, inalando quel suo profumo di ruggine e olio per macchine con la paura che fosse l’ultima volta che lo sentiva. Trattenne le lacrime, premendo il viso contro la sua maglietta.
<< Ti voglio bene, Leo >> gli disse.
Leo le lasciò un bacio fra i capelli. << Vedi di restare viva >> sussurrò.
Skyler soffocò un sorriso. Poi, emise un sospirò tremante, e andò via da quella casa prima che delle lacrime le bagnassero il viso, rendendole più difficile l’ultimo addio.
 
Ω Ω Ω
 
La casa dell’Oracolo era molto più lontana di quanto Skyler immaginasse.
Si trovava in cima ad una collina, poco distante dal falò, eppure lei non ci aveva mai fatto caso.
Si avvicinò, titubante. La casetta era piccola, e decrepita. La porta di mogano segnava ormai il passare degli anni, e sembrava intrisa di polvere. Sbiadite, delle lettere greche su di essa formavano la frase “Segui te stesso.”
Skyler si chiese se fosse davvero possibile abitarci. La metteva un po’ in soggezione. Avrebbe voluto tirarsi indietro, ma ormai l’aveva promesso ai suoi amici.
Prese un bel respiro, e bussò.
Per un po’ non si sentì alcun rumore. Poi, il tonfo di qualcosa che cade, seguito dal rumore sordo di un piede che sbatte vicino ad un mobile arrivò al suo orecchio. Qualcuno imprecò, poi aprì.
Skyler rimase un attimo interdetta. Quella che aveva davanti non era la vecchietta decrepita che si era immaginata. Era una ragazza di più o meno sedici anni, con folti e rossi capelli ricci e due grandi occhi verdi. La scrutava da sopra le lentiggini come se potesse ucciderla davvero, eppure non riusciva a prenderla sul serio con quei pantaloni sporchi di vernice e la maglia stropicciata.
Non appena la ragazza la vide, storse il naso. << Ciao >> borbottò, spostandosi dalla porta. << Prego, entra.>>
Skyler esitò. Sicuri che non aveva sbagliato casa?
Dentro era anche peggio. Decorata con quadri e acchiappasogni sulle pareti rosa e verdi, la cosa più normale in quel posto sembrava essere il tavolo di faggio. Se non fosse stato macchiato di arancione.
Rimase a bocca aperta, più per la sorpresa che per lo stupore. Si voltò lentamente a guardare la rossa. << Ehm, ciao…>> mormorò, imbarazzata. << Scusa, forse ho sbagliato. Io stavo cercando…>>
<< L’Oracolo di Delfi >> finì quella per lei. Poi fece un breve inchino. << Beh, ce l’hai davanti. Rachel Elizabeth Dare, a tua completa disposizione.>>
Non diede a Skyler neanche il tempo di inarcare un sopracciglio. Si avviò verso il tavolo tinto d’arancio e aprì un grosso libro rilegato in pelle che vi stava sopra. << Skyler Garcia, giusto?>> disse, un po’ saccente. Skyler annuì. << Bene. Ti stavo aspettando.>>
Skyler la studiò attentamente. << Sapevi che sarei venuta?>>
Rachel annuì mestamente. Quella ragazza era una completa contraddizione. I vestiti, i capelli, gli occhi, il viso, tutto lasciava pensare ad una ragazza allegra e sorridente, gioviale. Invece si comportava come se fosse già una donna matura e responsabile, come se fosse da tempo cupa e triste. O forse era perché lei già sapeva quello che stava succedendo al campo. E magari anche qualcosa di più.
Rachel le indicò una sedia con un cenno. << Prego, accomodati.>>
Skyler obbedì, più per timore che per qualcos’altro. Rachel le si sedette di fronte, dal lato opposto del tavolo. Posò i gomiti sul ripiano scuro. << So quello che volete fare >> annunciò, e, chissà perché, Skyler non si sorprese. Squadrò un attimo la mora dall’alto in basso, poi congiunse le mani. << Ma non vi fermerò.>>
Skyler ebbe un sussulto. << Perché sai che torneremo sani e salvi?>> provò, speranzosa.
Rachel rise. << Oh, no. Perché so che state facendo la cosa giusta. In realtà avete il 70% di possibilità di tornare senza un braccio. Nel migliore dei casi.>>
Skyler deglutì, ma non distolse le sguardo. Aveva la gola secca, ma si sforzò di parlare. << E tu… tu non puoi aiutarci? Con una delle tue magie, o che so…>>
<< Cara, io enuncio profezie, non sono Houdini.>> Allungò il braccio verso una mensola lì vicino e vi prese un piatto. << Vuoi dei biscotti?>>
Skyler li guardò, confusa. Aveva lo stomaco così ingarbugliato, che il solo pensare al cibo le faceva venir voglia di vomitare. Scosse la testa.
Rachel scrollò le spalle, poi ne afferrò uno e lo ingurgitò. Skyler stava cominciando a perdere la pazienza.
<< Beh?>> sbottò, ad un certo punto. << Vuoi dirmi questa profezia o no?>>
Rachel sorrise, divertita. << Non le faccio a comando. Deve venirmi…>> Mosse teatralmente una mano in aria. << L’ispirazione.>> Skyler inarcò con un sopracciglio, scettica. << Dovrai aspettare.>>
La mora sospirò. Cercò di mantenere la calma, così distolse lo sguardo, perlustrando la stanza. C’erano quadri un po’ ovunque. Alcuni fatti ad acquerello, altri con i pastelli. E raffiguravano di tutto, dagli animali, alle persone, alle cose più strane. Sulla parete di fronte, ce n’era uno incompleto.
Ritraeva un ragazzo, con i capelli biondi e gli occhi chiari. Skyler aggrottò la fronte. Assomigliava molto a John. Perché mai l’Oracolo di Delfi doveva avere la foto del suo ragazzo appesa in salotto?
Rachel seguì la direzione suo sguardo, confusa, per poi arrossire violentemente. << Oh! Ehm…>> balbettò, alzandosi di scatto e coprendolo alla meno peggio. Abbozzò un sorriso imbarazzato. << Questo non è ancora terminato.>>
Skyler avrebbe replicato, ma non rispose. Perché ad un certo punto le mancò il fiato. La ragazza aveva cominciato a brillare. Di una luce verde, intensa, che per poco non l’accecò.
Rachel si piegò in due, come se qualcuno le avesse dato un pugno nello stomaco. Poi drizzò di scatto la schiena e i suoi occhi si illuminarono di una luce verde serpente.
Quando parlò, la sua voce sembrò quasi triplicata, come se ci fossero altre tre persone a farle l'eco, mentre lei citava:
 
Sette ingredienti ai semidei serviranno,
e il viaggio della morte quattro di loro intraprenderanno
La fiducia di un mostro uno di loro guadagnerà,
E nella neve il male il sandalo alato ruberà.
Sette, ventiquattro, diciotto, trentasei
Per un sacrificio nel blu sprofonderai
Un tradimento avverrà dall’aiutante inaspettata
E se non bruci il mostro nessuna vita potrà essere salvata
 
Pronunciata l’ultima parola, Rachel svenne.
Skyler si precipitò verso di lei, aiutandola a sedersi. Scottava come se fosse febbricitante.
<< Sto bene >> mormorò, con un filo di voce.
Skyler avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola. Guardò Rachel, con la pelle d’oca.
La rossa sospirò, chiudendo gli occhi. << Ti ho appena detto la profezia, vero?>>
Skyler non rispose. Si allontanò lentamente da lei, per poi uscire di corsa dalla porta.
Rachel la seguì, con affanno. << Ehi, mi dispiace!>> urlò, dall’uscio. Seguì con lo sguardo la ragazza correre via. << Buona fortuna!>>
Ma Skyler non la sentì. Perché ora sulle pareti della sua mente rimbombavano ancora le terrificanti parole della profezia.
 
Ω Ω Ω
 
Raccontare quanto successo con l’Oracolo agli amici non fu affatto facile. Quando ebbe finito, nessuno sapeva esattamente cosa dire.
<< Beh, i primi due versi mi sembrano chiari >> sospirò Michael, sforzandosi di essere ottimista.
<< Si, ma gli altri?>> chiese Emma, concentrandosi. << Chi è che sprofonderà nel blu? E che mostro dovrà essere bruciato? Come farà uno di noi a guadagnarsi la fiducia di uno di loro? E poi cosa diavolo significano quei numeri?!>>
Michael aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono. Scosse la testa, sconsolato. << Non lo so >> ammise.
John si passò una mano fra i capelli, pensieroso. << Beh, comunque non è servito a niente >> disse. << Non sappiamo ancora dove andare.>>
Skyler sussultò. Era vero. Era stata così occupata a correre via dalla casa di Rachel dopo la profezia da non chiederle qualche altra informazione, o una traduzione, o qualunque cosa.
Stupida!, si maledisse.
Guardò i suoi amici, con aria colpevole. E adesso?
Michael abbassò lo sguardo. << Sentite, ragazzi, non siete costretti a venire con me. Quest’impresa sembra non avere né capo e né coda, è un suicidio, e, davvero, lo capirei se vorreste restare.>>
<< Amico, stai scherzando?>> disse John, dando voce ai pensieri di tutti. << Noi non ti abbandoniamo proprio ora, ok? Dove va uno vanno tutti.>> Gli diede una pacca sulla spalla, e le ragazze sorrisero.
Michael li guardò, riconoscente. << Grazie >> mormorò.
John annuì, sorridendo. << Dobbiamo solo trovare un altro modo per andarcene di qui.>>
Il loro discorso fu interrotto da delle grida non troppo lontane.
<< Emma!>>
La ragazza si voltò, colta alla sprovvista. Quando vide arrivare verso di lei Travis e Connor Stoll, il suo cuore perse un battito.
<< Pensavo che non ti avesse visto nessuno!>> la rimproverò Michael.
<< Infatti >> mormorò lei, sgranando gli occhi. Poi corse incontro ai fratelli. << Travis. Connor. Cosa ci fate qui?>>
I due fratelli avevano il fiatone, ma riuscirono comunque a parlare.
<< Ti abbiamo visto uscire dalla nostra cabina mentre tornavamo dall’ospedale >> spiegò Connor.
<< Avevi in spalla uno zaino, e non ci abbiamo messo molto a capire che cosa avevi intenzione di fare >> continuò Travis.
<< Già >> mormorò lei, abbassando lo sguardo afflitta. << Ma a quanto pare non c’è niente da fare. Non abbiamo idea di dove cercare.>>
I fratelli sorrisero malandrini. << È per questo che volevamo darti questa >> disse Connor, mentre Travis si sfilava qualcosa dalla tanca.
Gliela porse. Si trattava di una cartina geografica. Eppure era apparentemente vuota. Niente mappa, niente segni, niente contorni, niente figure, niente scritte. Niente di niente.
Emma inarcò un sopracciglio. << Che cos’è?>>
<< La Mappa dei Sette Mondi >> enunciò Travis, con un sorriso. << L’abbiamo rubata a Chirone durante la nostra seconda estate qui, e lui ancora non lo sa.>>
Emma sembrò esitare, per questo Connor le spiegò. << Funziona così, guarda >> disse, posandoci una mano sopra. Chiuse gli occhi, e parve concentrarsi. Lentamente, sulla carta iniziarono a formarsi delle spesse linee scure, che pian piano si fusero, creando quella che sembrava essere una perfetta rappresentazione del campo. Su di essa, un puntino rosso lampeggiava, indicando la posizione in cui in quel momento si trovavano. Tutti gli altri, invece, rappresentavano tutti gli altri semidei. I puntini si muovevano, si giravano, si spostavano. Emma riusciva persino a vedere quello di Chirone camminare avanti e indietro nella propria stanza, senza una logica ben precisa.
La ragazza sgranò gli occhi, e i fratelli sorrisero soddisfatti.
<< Puoi vederci quello che vuoi >> disse Connor.
<< Quando vuoi >> aggiunse Travis.
<< Come vuoi. Basta pensare intensamente a un animale.>>
<< Una persona.>>
<< Un oggetto.>>
<< Una casa.>>
<< Un mostro.>>
<< Un dio.>>
<< Qualunque cosa. E questo ti indicherà il posto esatto in cui si trova, e tutti i sui spostamenti.>>
<< In qualsiasi luogo.>>
<< Ogni giorno.>>
<< E ogni minuto.>>
<< Di ogni ora.>>
Si scambiarono uno sguardo, per poi parlare all’unisono. << Pensiamo che ti servirà.>>
Emma non seppe cosa dire. Si lasciò sfuggire un sorriso, e non resistette all’impulso di abbracciarli.
<< Grazie, grazie, grazie!>> esclamò, mentre loro ridevano.
Guardò la mappa, senza parole. Le linee che formavano il Campo Mezzosangue stavano ormai svanendo, e non restava altro che un semplice foglio di carta. Lo piegò con cura e se lo infilò nella tasca posteriore dei jeans.
Guardò i fratelli. << Tieni duro, sorellina >> disse Travis, facendole l’occhiolino.
Poi guardò anche gli altri, che avevano assistito a tutta la scena. << E in bocca al lupo, ragazzi!>>
<< Crepi >> borbottò Michael, con scarso entusiasmo.
Dopo di che, gli Stoll si allontanarono, lasciandoli di nuovo soli.
Emma si voltò a guardare gli amici. Sorrise, decisa e improvvisamente carica di energie. << Andiamo.>>
 
Ω Ω Ω
 
Attraversarono il bosco, sforzandosi di fare più silenzio possibile.
Se volevano uscire dal Campo, dovevano attraversare i confini del campo di forza. Arrestarono la loro corsa solo quando videro le tre sentinelle fare da guardia davanti le colonne di marmo. Si nascosero dietro dei cespugli.
Michael strinse i denti. << Come facciamo a superarli?>> chiese.
<< Posso pensarci io >> disse John. << Ma le mie frecce soporifere durano solo un paio d’ore. Non credo che poi avremo il tempo necessario per correre lontano.>>
<< E chi ha parlato di correre?>> fece Emma, tastandosi le tasche della felpa. Con un sorriso scaltro, ne cacciò fuori un mazzo di chiavi. << Argo dovrebbe nascondere un po’ meglio le chiavi del suo furgone.>>
John strabuzzò gli occhi. << Hai rubato le chiavi ad Argo?>> domandò sorpreso.
Emma scrollò le spalle. << Non vedo cosa ci sia di strano.>>
<< Quel tizio ha cento occhi!>>
Emma sorrise, facendogli l’occhiolino. << Sono sempre figlia del dio dei ladri, no?>>
Skyler squadrò le tre sentinelle, socchiudendo gli occhi. Erano armati fino al collo. << Va bene. Ma diamoci una mossa.>>
John annuì, staccandosi dal gruppo. Si nascose dietro un albero e prese in mano il suo bracciale, che si trasformò subito in un arco. Incoccò una freccia della faretra che si era meticolosamente preparato poco prima e aspettò.
Prese un bel respiro e uscì dal suo nascondiglio, scagliando la freccia dritta sul polpaccio di uno dei ragazzi. Questo svenne a terra, addormentato.
Il suo compagnò si voltò, preoccupato, ma non fece in tempo a sguainare la spada, che John aveva già incoccato un’altra freccia, conficcandogliela nel braccio.
La terza sentinella lo notò e partì all’attacco. Brandì la lancia, ma John ne incoccò un’altra senza scomporsi e mirò dritto alla mano del ragazzo, che cadde con un tonfo accanto ai suoi compagni.
John fece cenno ai suoi amici del via libera.
<< Su, andiamo >> li incitò, e loro non se lo fecero ripetere due volte. Emma gli passò le chiavi, e insieme corsero verso il furgone del centocchio, che la bionda aveva accuratamente parcheggiato in cima alla collina.
<< Ha un guasto al motore >> disse a Skyler. << Pensaci tu.>>
La mora annuì. Corse verso la vettura rossa fiammeggiante e vi si infilò sotto, mentre gli altri salivano. Iniziò ad armeggiare con fili e bulloni, e quando John girò le chiavi si sentì il classico sfrigolio che precedeva una perfetta accensione. Uscì da sotto il furgone e salì al posto del passeggero.
<< Fatto >> annunciò, controllando il tassametro della benzina.
Michael osservò i suoi amici, esterrefatto, e solo in quel momento si rese conto, con un sorriso, che senza di loro sarebbe stato davvero perso.
<< Bene >> esclamò, soddisfatto.
John guardò Emma dallo specchietto retrovisore. << Allora, da dove iniziamo?>>
La ragazza aprì la mappa, concentrandosi. Delle strane linee cominciarono a prendere forma
<< Dall’occhio di vetro di una Chimera >> annunciò. << Virginia, Washington DC.>>

Angolo Scrittrice.
Bounjour!
Allora, ehm, che dire... Eccoci quaaa!! Sono riuscita già ad aggiornare.
Tan-tan-taaaaaan!!!!! *musichetta di suspance O.o* No? Ok... bando alle ciance.
Ci siamo ragazzi! Finalmente questo dannatissimo capitolo è arrivato! Cavolo, ero così in ansia. Devo ammettere che non vedevo l'ora di scirverlo, e le mie mani non potevano crederci quando è arrivato il momento. Tant'è che l'emozione le ha fregate.
Non fraintendetemi, sono felice di averlo scritto, solo che non sono per niente soddisfatta. Non lo so, mi sembra... banale... e poi sembra molto più statico di tutti gli altri 'capitoli di passaggio' che ho scritto D: Ma perchè?!
Ovviamente, spero che questa sia solo una mia impressione, e che il capitolo, nonostante la sua schifocacosilità (?) vi sia piaciuto. ^^
Beh, che ve ne pare? Finalmente abbiamo capito cos'era questo benedettissimo Morbo di Atlantide! Eh, si, per chi avesse pensato che fosse solo un gioco di parole, beh, vi sbagliavate, perchè questo è un morbo vero e prorpio. Una malattia, forse molto più temibile di tanti altri mostri, perchè non può essere sconfitta. C'è solo un modo, ed è un viaggio della speranza, dalla quale non è mai tornato vivo nessuno. Eppure Michael avrebbe fatto qualunque cosa pur di salvare il fratello. Cucciolo *^* Ma ovviamente non poteva partire da solo. Andiamo, credevate davvero che i suoi migiori amici l'avrebbero mandato al macello? ahah, certo che no!
E così, è questa la loro impresa. Un'impresa proibita, suicida, e non esattamente voluta dal campo. Mi sa che Chirone andrà su tutte le furie, voi che dite? xD Va beh, scherzi a parte, spero che l'idea non vi sembri banale, e che, ora che la storia è entrata nel vivo, cominci ad interessarvi sempre di più :D
Poi, ci sono due o tre cosette che vorrei dirvi. 1) scusate per eventuali errori di battitura, ma è tardi e i miei occhi fanno 'giacomo giacomo' Dx 2) La profezia. Premetto di non essere 'sto gran genio con le rime, però mi sono impegnata, dai ^^ 3) volevo lasciarvi qui la foto di come immagino la collana che Leo ha regalato a Skyler, dato che credo di non averla esattamente descritta come si deve:


 
Detto questo, è arrivato il momento di ringraziare loro, gli Angeli di Valery, che mi sostengono sempre, e a cui sinceramente devo questo sedicesimo capitolo :3 per cui grazie di cuore a: giascali, Fred_Beckendorf99, Fred Halliwell, bibrilove98, moon_26, Greg Heffley, Ciacinski, Cielomagico, Kalyma P Jackson e Jason_Storm. Grazie! Perdonatemi se sono tutti dello stesso colore, ma sono davvero stanca Dx
Anyway, è arrivato il momento di salutarvi. Un bacione a tutti quanti, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! E scusate per questo angolo autrice un po' senza senso xD
Alla prossima ;*
Love, ValeryJackson
 
 
 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Affrontare in macchina un tragitto che parte da New York e arriva a Washington DC non è affatto facile.
La situazione non migliora, inoltre, se ci hai impiegato tutta la mattina, se sei un sedicenne mezzosangue, e se sei costretto a percorrere quei 328 km tenendo d’occhio, contemporaneamente, sia la strada che ciò che ti circonda.
John ormai non ne poteva più di guidare. Gli si erano assopite le gambe, e temeva di non essere molto d’aiuto ai suoi amici con le mani intorpidite. Eppure, nonostante il sonno imminente, l’adrenalina continuava a tenerlo sveglio, mentre Emma gli diceva dove andare.
<< Gira a destra >> gli disse ad un certo punto, e lui obbedì.
Skyler aveva la fronte appoggiata contro il finestrino, mentre vedeva sfrecciare sfocata la città sotto i suoi occhi.
<< Io non capisco una cosa >> disse, senza distogliere gli occhi alla strada. Poi si voltò per guardare gli amici. << Che cosa stiamo cercando, esattamente?>>
Nessuno rispose. Dopo un po’, Emma disse a John di svoltare a sinistra. << Non lo so >> ammise la bionda, con sconcerto.
<< Chirone ha detto che fra gli ingredienti per la cura c’era anche l’occhio di vetro di una Chimera, ma questo non ha alcun senso.>>
<< Si deve trovare, infatti >> fece John, accodandosi lentamente ad una fila di macchine che aspettava scattasse il verde. Guardò Emma dallo specchietto retrovisore. << Quella ricetta è come una profezia. Bisogna interpretarla.>>
<< E secondo te cosa vuole dire?>> chiese Michael, che ansioso si contorceva le mani. << Che cos’è l’occhio di vetro di una Chimera?>>
<< La Chimera ha un solo volto >> pensò Emma ad alta voce.  << La testa di un leone. Ma nei libri di mitologia non dicono se ha anche un occhio di vetro.>>
<< Credete che intenda quello?>> domandò Skyler. << L’occhio del leone?>>
Emma scrollò le spalle. << Se siamo fortunati…>>
Quel pronostico a Michael non piaceva per niente. Già l’idea di affrontare una Chimera era poco allettante, ma come avrebbero fatto a prendere il suo occhio? E che schifo, poi…
Emma gettò un’altra occhiata sulla cartina, poi si sporse verso John. << Vai di qua >> gli disse, indicandogli una curva.
John corrucciò le sopracciglia. << Si può sapere dove stiamo andando?>> chiese, ubbidendo.
Emma sembrò perplessa. << Io… non lo so. Dice che saremo vicini tra tre, due, uno… Frena!>>
John frenò bruscamente, alzando un po’ di polvere dall’asfalto. I ragazzi tossirono per un secondo, per poi alzare lo sguardo.
Davanti a loro, un’enorme costruzione si stagliava abbagliante verso l’alto, mentre la cupola bianca sfiorava il cielo. L’enorme giardino pullulava di persone, gruppi di turisti, famiglie in vacanza.
Lo sconcerto penetrò nei finestrini, mentre Skyler inarcava un sopracciglio. << Il Campidoglio?>>
Che senso aveva? Perché mai un mostro doveva trovarsi in un luogo pubblico? Lentamente, scesero dall’auto.
Emma guardò di nuovo la cartina, scettica. << Beh, il puntino rosso si è fermato >> disse, alzando lo sguardo verso la cupola bianca. << La Chimera è qui.>>
Calò il silenzio. Che si fossero sbagliati? Che la mappa di Travis e Connor fosse una fregatura? C’era solo un modo per saperlo…
<< Entriamo >> fece Michael. Gli altri annuirono, e si incamminarono verso la struttura con passo deciso.
Da vicino il Campidoglio era più grande di quanto Skyler ricordasse. C’era stata tempo fa con suo zio, quando, per una medaglia al valore, erano stati costretti ad andare a Washington.
Tutt’intorno, sorrisi e risate regnavano nell’aria. Era una mattina di piena estate, e non sorprendeva che molte persone avessero deciso di passare una giornata da turisti, o semplicemente di visitare un monumento storico con la propria famiglia.
Nonostante ciò, John non era affatto tranquillo. Continuava a guardarsi intorno, i muscoli tesi, nella paura di poter scorgere da qualche parte il profilo della Chimera. Non aveva mai affrontato un mostro del genere, prima d’ora, ed era sicuro che non fosse come infilare qualche freccia nel bersaglio.
Continuò a far vagare lo sguardo, quando il suo sangue si gelò. Si fermò di colpo, costringendo tutti gli altri a voltarsi.
Skyler aggrottò la fronte, preoccupata. << John, che succede?>>
Il ragazzo non rispose. Si irrigidì. Non poteva essere. Era impossibile. Insomma, in tutta l’America, non potevano trovarsi proprio lì. Non potevano essere loro. E invece, era proprio così.
Eccoli lì, sorridenti, mentre compravano dei ghiaccioli dal carretto dei gelati. Non poteva sbagliarsi, John avrebbe riconosciuto quella chioma bionda fra mille...
Non ricevendo risposta, Skyler gli sfiorò il braccio. << John, ti senti bene?>>
Il ragazzo si riprese. Scacciò via lo shock, con un bel respiro. Non si era neanche accorto di trattenere il fiato. Guardò la sua ragazza, sforzandosi di accennare un sorriso. << Si, tutto ok >> annuì.
Skyler rimase un po’ perplessa, ma lo prese comunque per mano, riprendendo a camminare.
Entrarono nel Campidoglio già tesi. Si guardarono intorno, scrutando ogni minimo passante. L’atrio pullulava di gente.
Emma riaprì la sua cartina. << È qui dentro >> annunciò.
Michael inarcò un sopracciglio. << Nell’atrio?>>
Emma alzò lo sguardo. << Non capisco. Avremmo già dovuto vederla.>>
<< Forse si confonde fra queste persone >> propose John, che, dopo l’avvenimento di prima, si stava sforzando di concentrarsi sulla missione. << Magari ha mutato forma.>>
Skyler fece scorrere lo sguardo fra i presenti, eppure nessuno aveva l’aria tanto minacciosa da sembrare un mostro assassino.
<< Dividiamoci >> suggerì.
Gli altri annuirono. Le ragazze si dileguarono a destra, mentre i ragazzi si spostavano verso sinistra.
Emma e Skyler si guardarono intorno.
<< Che ne dici di quello là?>> chiese la mora, indicando con un cenno un uomo ciotto e apparentemente ubbriaco.
Emma aveva la mano posata sulla tasca dove nascondeva il coltellino, pronta a sfilarlo per qualsiasi evenienza. << Naah…>> Scosse la testa. << Non credo. Che ne pensi invece di lui?>> disse, alludendo ad un uomo in giacca e cravatta che, tutto solo, leggeva il giornale.
Skyler corrucciò le sopracciglia. << Sembra un brav’uomo.>>
Emma emise uno sbuffo. << Non farti ingannare dagli uomini con la cravatta >> la informò. << Sono i peggiori.>>
Skyler squadrò l’uomo. << No, non penso sia lui. E poi dubito che i mostri sappiano leggere.>>
<< Magari fa solo finta >> aveva ribattuto Emma, ma Skyler non l'ascoltava già più, mentre il suo sguardo continuava a vagare sulla sala.
Sembravano tutti così innocenti, così innocui.
Dopo un po’, una signora la urtò.
<< Oh, mi dispiace >> borbottò, con un accento vagamente francese. Skyler alzò lo sguardo. Era una signora corpulenta, bassa, con un tailleur rosa confetto ed una ridicola borsetta arancione in una mano, nella quale un tenero chihuahua supplicava con occhi imploranti un po’ di pietà.
<< Non importa >> rispose Skyler, sorridendo cordialmente.
La donna la squadrò. Aveva un’aria di sufficienza, e quel suo sguardo inquisitore metteva Skyler a disagio. Notandolo, la signora sogghignò.
<< Sei molto carina, sai >> le disse, mielosa. << E hai anche un buon odore. Sei greca per caso?>>
Skyler trattenne l’impulso di annusarsi i vestiti. In Grecia c’erano le capre. Le stava forse dicendo che puzzava?
<< Ehm, no… Americana >> rispose, sconcertata.
La donna annuì. Skyler le rivolse un sorriso imbarazzato, che lei, prima di andarsene, ricambiò facendo vibrare la lingua biforcuta fra i denti.
Skyler la seguì con lo sguardo, mentre svoltava l’angolo.
Un secondo. Lingua biforcuta?
Skyler sentì il proprio cuore fermarsi.
<< Emma >> mormorò, ma ormai era troppo tardi, perché un grido aveva già squarciato l’aria.
Le due ragazze si precipitarono, svoltando l’angolo, e quello che videro non gli piacque per niente.
Gente terrorizzata scappava a destra e a manca, urlando e scalpitando. Skyler vide proprio ciò che temeva. La strana signora in rosa ormai non c’era più, e se per questo neanche il cagnolino.
Diventava sempre più grande, raggiungendo dimensioni sempre più grandi. Ruggì. Qualcuno gridò di paura.
<< Giù!>> urlò Skyler, mentre un banchetto di libri per turisti volava sopra le loro teste.
Quello strano coso ora era alto quasi tre metri, con della bava che gli colava lungo le zanne. Aveva ancora la borsetta.
Skyler non aveva mai visto niente di più terrificante. Aveva la testa di un leone, con la criniera incrostata di qualcosa che somigliava molto a del sangue. Il corpo e gli zoccoli erano di una capra gigante, e, al posto della coda, aveva un lungo serpente a sonagli, che spuntava direttamente dal suo posteriore irsuto.
Il mostro le guardò, con aria minacciosa, e se non fosse stato per la loro iperattività, sarebbero già state spiaccicate da una colonna di marmo. La Chimera sembrava voler distruggere tutto ciò che la circondava, mentre si avvicinava alle proprie prede.
Le ragazze corsero a perdifiato, nascondendosi dietro una colonna.
<< Andiamo, andiamo >> imprecò Skyler, scuotendo con vigore la collana, senza risultato. Poi notò qualcosa. Il cristallo all’interno ‘ballava’, e sembrava non essere fissato bene. Oppure…
Skyler lo piegò, e la collana si ingrandì fra le sue mani, prendendo la forma di una spada. La lama era liscia e ghiacciata, lunga più di un metro, e risplendeva di un blu lucente.
La ragazza guardò l’amica, che aveva già brandito il coltello e che ora si stava sporgendo oltre la colonna.
<< Mi sa che ci ha scambiato per la sua cena…>> borbottò la bionda.
Skyler la imitò, e si ritrasse appena in tempo prima di essere colpita dallo zaino di un turista.
<< Skyler!>> urlò John. I due ragazzi le raggiunsero.
<< Che cosa è successo?>> chiese Michael, preoccupato.
Emma sbuffò. << Abbiamo trovato la Chimera.>>
<< Fantastico >> esclamò il figlio di Poseidone, con scarso entusiasmo. << E dov’è?>>
<< È lì, idiota >> lo punzecchiò lei. << Ma tutto questo non ha senso! Quel mostro non ha alcun occhio di vetro!>>
<< Ma è qui, no?>> ribatté John. << E nonostante non ci sia di alcun aiuto non possiamo lasciare che faccia del male a tutta questa gente.>>
Emma esitò un secondo, per poi alzare gli occhi al cielo. << Odio quando hai ragione >> sbottò, per poi uscire dal nascondiglio.
La situazione era più grave di quanto immaginassero. La Chimera stava distruggendo tutto, seminando il panico.
I ragazzi brandirono le loro armi, ma lei non parve notarli.
<< Dobbiamo attirare la sua attenzione >> gridò Michael. Si separarono, circondandola.
L’unica però che la Chimera parve notare era Skyler.
John se ne accorse e, mentre il mostro le mostrava le zanne, incoccò una freccia e glie la lanciò dritta sul collo. Abbastanza per farlo voltare.
<< Ehi!>> esclamò John, scuotendo in aria le braccia. << Sono qui, corpo di capra!>>
La Chimera si voltò completamente verso di lui, dimenticandosi della presenza della ragazza.
Non appena le diede le spalle, Skyler notò qualcosa. La coda del mostro, il serpente, guizzava freneticamente da tutte le parti. Si guardava intorno, come se stesse memorizzando ogni minimo particolare per poi riferirlo al vero cervello. Osservava tutto, però, con un solo occhio, che vibrava incontrollato. L’altro, invece, era fermo, immobile, e si differenziava dal primo per un colore diverso, così diafano. Skyler avrebbe potuto specchiarvisi. Era come se fosse…
<< Di vetro >> mormorò, con un filo di voce. La verità la colpì come un pugno in faccia. << Ragazzi!>> urlò. << L’occhio della coda è di vetro!>>
Michael si voltò di scatto a guardarla. Che stupido, perché non ci aveva pensato?
Corse da lei, stringendo l’elsa della spada così forte da procurarsi delle nocche bianche.
Non appena la raggiunse, Skyler gli indicò la coda con un cenno. Michael strinse i denti. << Dobbiamo prenderla >> disse, deciso.
<< E come?>> ribatté lei.
Michael provò ad avvicinarvisi con la punta della spada, ma il serpente se ne accorse, e soffiò, mettendo in mostra i suoi aguzzi denti. I ragazzi indietreggiarono.
<< Ci serve un altro modo >> constatò Michael.
<< L’altro occhio >> pensò Skyler a voce alta. Michael la guardò, senza capire. << Vede solo da un occhio >> spiegò. << Se riusciamo a metterglielo fuori uso, non ci vedrà arrivare.>>
Michael si guardò intorno. Non potevano avvicinarsi con le loro spade, perché era troppo rischioso. E allora come fare? Non avevano nient’altro. Ma di una cosa era sicuro: quell’occhio doveva essere suo. Lo doveva a Percy, e non si sarebbe arreso senza prima lottare.
I piani militari non erano certo il suo forte, ma quando vide un piccolo negozietto di souvenir che non era ancora stato disintegrato dalla Chimera, un’idea gli baluginò nella mente.
<< Tienilo occupato >> disse a Skyler, correndo nel negozio.
Skyler lanciò un’occhiata al serpente, brandendo la spada. Non aveva mai visto un mostro in vita sua. Certo, aveva combattuto già con un’arpia, ma non era la stessa cosa. Lì era indifesa, pensava fosse tutto un songo, e l’arpia non era di certo alta più di tre metri.
Però Michael aveva un piano. Si fidava di lui, e se la loro missione era aiutare il campo, allora non si sarebbe tirata indietro.
Aspettò un po’, ma il ragazzo non sembrò tornare. Da dietro il profilo del mostro, Skyler scorse John indietreggiare con passo esitante mentre aspettava il momento giusto per incoccare una freccia.
Strinse i denti. Dovevano muoversi, o il mostro l’avrebbe inghiottito. Guardò il serpente nell’occhio buono, e quello soffiò, facendola sobbalzare.
<< Sta buono >> sussurrò, avvicinandosi a lui. Il serpente seguiva i movimenti della sua testa, come ipnotizzato. O forse la stava studiando. Skyler azzardò ad alzare la spada, ma quello se ne accorse, e scattò verso di lei. Se non fosse stato legato ad un posteriore caprino, l’avrebbe già divorata.
<< Skyler!>> chiamò Michael. La ragazza si voltò giusto in tempo per vederlo lanciare qualcosa, che afferrò al volo.
La osservò. Era una boccetta… di senape?
Seppur stupido, recepì il messaggio. La aprì con foga, spremendo il contenuto sul muso del serpente con una precisione impressionante. Quello si contorse, strizzando l’occhio buono. Era il momento giusto per attaccare.
Michael si precipitò da lei, e, sguainando la spada, tagliò di netto la testa del serpente.
La testa di leone, dall’altro lato, ruggì, straziata. Evidentemente si era accorta del dolore, e non doveva essere piacevole.
Si impennò sugli zoccoli caprini. Poi strusciò una zampa a terra, proprio come un toro che si prepara ad andare incontro alla bandiera rossa.
Solo che di fronte a lei c’era solo…
<< John!>> urlò Skyler, quando lei partì alla carica.
Il ragazzo sgranò gli occhi. In una frazione di secondo si voltò, accorgendosi di trovarsi ai piedi di due colonne affiancate. La soluzione era solo una: scansarsi.
E così fece. Balzò di lato giusto in tempo, mentre la Chimera sbatteva il capo contro le colonne e queste la sovrastavano.
John ruzzolò di lato, provocandosi qualche graffio. Emma e Skyler gli furono subito accanto.
<< Stai bene?>> gli chiese la bionda, preoccupata.
John fece perno sulle mani, alzandosi a fatica. << Si >> borbottò, con una smorfia di dolore. << La prossima volta avvertitemi, però, prima di lanciarmi contro una Chimera imbestialita.>>
Skyler ridacchiò. John si massaggiò una spalla dolorante. << Avete l’occhio?>>
Tutti si voltarono verso Michael, che stava estraendo l’occhio dalla coda inerme con la punta della spada. << Che schifo >> mormorò il figlio di Poseidone. Prese una boccetta di vetro dallo zaino e ve lo chiuse dentro.
Lanciò un’occhiata ai suoi amici. << Dobbiamo andarcene di qui.>>
Tutti annuirono, uscendo fuori dal Campidoglio.
La situazione all’esterno era di panico generale. C’erano persone che urlavano, che scappavano, e, sebbene molte si fossero tranquillizzate dall’arrivo della polizia, c’era comunque qualcuno che saliva i macchina e partiva a tutta velocità.
Skyler si chiese cosa vedessero quei mortali attraverso la Foschia. Un leone gigante? Una capra troppo grassa? Qualunque cosa avessero in mente, non avevano idea del pericolo che avevano scampato.
Emma passò a Michael le chiavi della macchina. << Tutto questo trambusto non mi piace >> disse, guardandosi intorno. << La gente quand’è nel panico inizia a farsi troppe domande.>>
<< Andiamo via >> fece Michael, indicando con un cenno il furgoncino. Le altre annuirono.
Quando Skyler si guardò alle spalle. << Ragazzi >> chiamò, al che loro si fermarono.
Lei aggrottò la fronte, facendo vagare lo sguardo intorno a se. << Dov’è John?>>
 
Ω Ω Ω
 
John non se ne poteva andare.
Non così, non dopo aver visto lei.
Aveva cercato di non pensarci per tutto questo tempo. Aveva provato a dimenticare, perché il dolore era troppo forte.
Eppure, quando aveva scorso la sua chioma bionda fra tutte le altre, il battito del suo cuore era accelerato.
Non poteva abbandonarla un’altra volta, non senza prima risentire la sua voce.
Sua madre gli mancava così tanto.
Era dura da ammettere, ma era così. Non tanto per non mostrarsi debole, quanto più per non voler rivivere un’altra volta il dolore che portava la sua lontananza.
John si era sempre pentito di non averla mai salutata. Di non averla mai abbracciata per l’ultima volta, di non averle mai sussurrato l’ultimo addio.
Era sempre stata una donna bellissima. Era così che la ricordava. Come una donna stupenda, della quale Apollo non poteva fare altro che innamorarsi.
Era venuta lì con tutta la famiglia, questo John lo sapeva. Con Dave, con i suoi fratellini. Eppure, in quel momento, era seduta lì tutta sola, su una panchina nel prato. Le gambe accavallate, il vestito giallo canarino, gli occhi verdi che guardavano con dolcezza i passanti, senza però incrociare mai i loro sguardi. Aveva in grembo una bustina di semi, che lanciava a quei ciotti piccioni che la circondavano.
Non appena la vide, John ebbe un tuffo al cuore. Era la cosa giusta da fare? Avrebbe potuto andarsene. Avrebbe potuto far finta di niente e tornare dai suoi amici. Ma sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato una seconda volta.
Si avvicinò a lei, con passò esitante.
La madre non aveva alzato lo sguardo. Forse perché era immersa nei suoi pensieri, o forse semplicemente perché non ne aveva voglia. Nel vedere dei piccoli piccioni mangiare dei semi direttamente dal palmo della sua mano, John abbozzò un sorriso.
<< Sei sempre stata brava, con gli animali.>>
La donna si voltò di scatto. Non appena lo vide, sgranò gli occhi, incredula.
John sorrise, malinconico. << Ciao, mamma.>>
Alla donna mancò il fiato, e per poco non svenne. Si portò alla bocca una mano tremante, mentre le sue pupille si dilatavano ancora di più. << John >> sussurrò, con voce spezzata.
Il ragazzo le andò incontro e lei balzò in piedi, raggiungendolo. Non appena furono abbastanza vicini, i suoi occhi si riempirono di lacrime. << John >> mormorò, buttandogli le braccia al collo. Lo strinse forte a se, come se volesse constatare se fosse tutto frutto della sua immaginazione, come se non volesse separarsene mai più.
John le accarezzò i capelli, mentre lei singhiozzava fra le sue braccia. Non poteva crederci neanche lui. Quanto gli erano mancati i suoi capelli.
Sua madre era tutto un pianto. Si staccò da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.
<< Il mio bambino >> mormorò, con voce strozzata. Gli passò le mani fra i capelli, scostandoglieli dalla fronte, come se si stesse assicurando che i lineamenti fossero gli stessi. I suoi singhiozzi erano così forti da impedirle anche di parlare. << Oh, John. Sei tornato. Sei tornato.>> Non riusciva a capacitarsene. Sorrise, il volto bagnato dalle lacrime. << Mi sei mancato così tanto >> singhiozzò. << Non c’è stata notte in cui non ho pensato a te.>>
<< Sto bene, mamma >> la tranquillizzò lui. << Ora vivo al Campo Mezzosangue. Quello è un posto sicuro per me.>>
La madre emise un sospiro tremante, incapace di trovare le parole adatte. Riusciva solo a contemplarlo, fra le lacrime. << Mi sei mancato così tanto >> ripeté, prendendogli le mani e baciandogli i palmi.
John trattenne a stento le lacrime. Doveva essere forte, lo doveva ad entrambi. Le accarezzò le guance con entrambe le mani, asciugandogliele. << Mamma >> sussurrò, alzandole il viso. << Mamma, guardami.>> La donna lo guardò negli occhi.
<< Come sta Dave?>> chiese.
La donna aggrottò la fronte. << Come?>>
<< Come sta Dave?>> ripeté John. << E Annie. E Lucas. Tutti quanti. Come stanno?>>
La madre annuì leggermente. << Bene.>>
<< E tu?>> La voce di John si incrinò, e lui dovette sforzarsi per continuare. << Tu, come stai?>>
<< Io… io sto bene, John. Ma questo che centra?>>
Come faceva a guardarla negli occhi mentre glielo diceva? << Io non posse restare >> sussurrò, al che lei sgranò gli occhi. <<  Non posso.>>
<< No >> La voce della donna uscì smorzata. << No, no, no, no. No, ti prego, John. Ti prego >> implorò, mentre nuove lacrime le riempivano gli occhi. Gli buttò le braccia al collo e lo strinse a se. << No, ti prego non andare >> supplicò. << Non lasciarmi.>>
John dovette richiamare a raccolta tutta la sua forza per non scoppiare a piangere in quel preciso istante. Gli occhi gli bruciavano, ma trattenne le lacrime, sforzandosi di essere forte. << Non posso >> le sussurrò all’orecchio. Alzò gli occhi al cielo, per scacciare le lacrime, e digrignò i denti. << Mi dispiace.>>
La donna singhiozzò disperata, e John fu costretto a strizzare gli occhi per allontanare il più possibile quel suono straziante dalla sua mente. Si staccò da lei e le prese le mani. << Devo andare >> mormorò, mentre lei piangeva addolorata. Le accarezzò una guancia. << Abbi cura di te.>> Abbozzò un sorriso, poi si portò le mani accanto al volto e le baciò le dita. << Ti voglio bene, mamma.>>
La donna fece appena in tempo ad accarezzargli un’ultima volta il viso, prima che il ragazzo si allontanò da lei.
Lo guardò andar via, straziata. Si accasciò di nuovo sulla panchina e continuò a piangere, con la gola che bruciava, scossa da forti singhiozzi. Si portò le mani al petto, come se questo potesse impedirle di provare quel forte dolore. Ma non puoi sopportare quella sofferenza quando perdi un figlio. Soprattutto non quando lo perdi per la seconda volta.
John emise un sospiro tremante, mentre si sforzava di non voltarsi indietro. Perché sapeva che, se l’avesse fatto, non sarebbe riuscito a guardarla senza scoppiare in lacrime.
Era così concentrato a scacciare il velo di lacrime da non accorgersi dei suoi amici che gli correvano incontro.
<< John >> chiamò Skyler, per attirare la sua attenzione.
Non appena la vide, John l’abbracciò. Così, senza apparente motivo. Aveva solo bisogno di conforto, un conforto che solo lei poteva dargli.
Skyler aggrottò la fronte, non capendo il perché di quell’abbraccio. Infatti, quando si staccarono, lo guardò con un cipiglio interrogativo.
<< John, va tutto bene?>> chiese Emma, preoccupata.
John annuì, sfregandosi la faccia. << Si, sto bene.>>
<< Dov’eri finito?>> chiese Michael, con tono di rimprovero.
<< Oh, io, ehm…>> John sospirò, passandosi una mano fra i capelli. << Io… Mi ero perso, scusate.>>
Skyler non se la bevve. Sapeva che sotto c’era qualcos’altro, ma non ebbe bisogno di fare domande.
Quando da sopra la spalla del ragazzo vide quella donna bionda in lacrime, quella donna bionda che gli somigliava così tanto, trattenne il fiato, e capì tutto.
Guardò negli occhi John, con sguardo dolce. Gli accarezzò un braccio, abbozzando un sorriso, per poi far intrecciare le loro dita. << Su, andiamo >> sussurrò.
John annuì mestamente, ma anche riconoscente, e, insieme agli amici, si diressero verso il furgone di Argo.
Emma stava giusto estraendo la mappa dalla tasca posteriore dei pantaloni, che un grido squarciò l’aria.
I ragazzi si voltarono, con gli occhi sgranati.
La Chimera era tornata. E non nel senso che si era rigenerata in pochi minuti. No, non era mai morta. Aveva ancora una freccia conficcata nel collo, era piena di graffi e ammaccature, e la coda non c’era. Fatto sta che era furiosa.
Menò una zampata alla cieca, facendo volare via un albero e seminando il panico.
Il cuore di John mancò un battito. Sua madre, i suoi fratelli, la sua famiglia. Erano tutti lì.
<< No!>> gridò, precipitandosi verso il mostro.
Skyler tentò di trattenerlo, ma inutilmente. << John!>> urlò, seguendolo.
La situazione era peggio di quanto John pensasse. La Chimera stava distruggendo tutto, e persone terrorizzate correvano strillanti in tutte le direzioni, senza una logica ben precisa.
John cercò con lo sguardo i suoi genitori. Sperò che fossero già andati via, ma non ne aveva la certezza. Quel mostro avrebbe potuto fargli del male, e lui non se lo sarebbe mai perdonato.
Lo osservò, paralizzato, finché questo non schiacciò con una zampa un passeggino, fortunatamente già vuoto.
Brandì l’arco senza pensarci due volte. Incoccò una freccia e la scagliò dritta sull’orecchio del nemico. Non un colpo abbastanza forte da distruggerlo o fargli del male, ma efficace per attirare la sua attenzione.
Il mostro si girò, indispettito. John incoccò altre due frecce, che colpirono una la mandibola, l’altra l’occhio.
La Chimera uggiolò di dolore. Lo guardò, con un occhio semiaperto, poi ruggì e partì alla carica. John si scansò appena in tempo, prima che con una zampata la Chimera lo schiacciasse. La sua sorte la ebbe un albero, che districò le proprie radici e volteggiò nell’aria, atterrando proprio sul furgone rosso di Argo.
Questo si schiacciò sotto il suo peso, andando in mille pezzi.
John si rialzò a fatica e fronteggiò la Chimera.
Lei avanzava minacciosa verso di lui, e lui era bloccato. Ogni passo che indietreggiava, si ritrovava sempre più vicino a sfiorare le colonne di marmo con la schiena.
La Chimera soffiò, facendo mostra dei suoi canini. Non aveva via di scampo, o attaccava, o si sarebbe ritrovato un purè di semidio.
Cercò di pensare in fretta, facendo guizzare lo sguardo da destra a sinistra, senza però perdere di vista il mostro. Quest’ultimo ruggì, leccandosi i baffi.
E a lui venne un’idea. Spostò rapidamente una mano dietro la schiena, infilandola nella propria faretra e passando in rassegna tutte le frecce.
Eppure doveva esserci, pensò, agitato. Mi ricordo che c’era.
Poi, i suoi polpastrelli ne sfiorarono la punta. John la afferrò e la incoccò.
Una piccola freccia-bomba. Letale, se attivata, ma comunque simile a tutte le altre. Tolse con il pollice una spoletta dall’impennaggio, e subito un lieve ticchettio iniziò a segnare il conto alla rovescia.
La Chimera si avvicinò. John fece un respiro profondo, prese la mira e la lanciò, dritta sul cuore.
Il mostro non si scompose. In realtà, era come se non si fosse accorto della freccia. Ghignò, maligno, e per un attimo John pensò di aver sbagliato tutto, quando il ticchettio si fece più forte.
Il mostro se ne accorse. Drizzò le orecchie, incuriosito, finché non si rese conto che quel rumore veniva proprio dal suo petto.
Abbassò lo sguardo, e il ticchettio accelerò. La Chimera fece appena in tempo a emettere un lieve miagolio, che il suo corpo esplose.
La terra tremò, mentre quella si dissolveva in un cumulo di polvere. John perse l’equilibrio, e non fece in tempo a spostarsi, che le colonne gli crollarono addosso, sovrastandolo.
<< No!>> urlò Skyler, raggiungendolo. Corse da lui e iniziò a spostare i massi. << John. John!>>
Non appena ne scorse una mano sotto le macerie, la afferrò e lo trascinò via. John non si muoveva.
Skyler si chinò freneticamente accanto a lui, il fiato grosso per la preoccupazione.
<< No >> sussurrò. Posò le mani tremanti sul suo petto, ma questo non si mosse. Non lo sentiva respirare, e un’ondata di panico l’avvolse. << John >> chiamò, scrollandolo per le spalle. Gli accarezzò la fronte, scostandogli i capelli dal viso.
<< No, no, no, no, John, andiamo. Svegliati.>> I suoi occhi guizzavano freneticamente dal suo viso al suo petto, per assicurarsi che respirasse. Ma non riusciva a capirlo.
Mentre stava per temere il peggio, il corpo di John ebbe un fremito. Skyler sussultò, posandogli una mano sul petto. Il ragazzo tossì e boccheggiò, in cerca d’aria.
Skyler trattenne il fiato. << John? Stai bene?>> domandò, con voce tremante.
Il ragazzo fece una smorfia di dolore, alzandosi suoi gomiti. Mugugnò qualcosa. << Credo di si.>>
Lei tirò un sospiro di sollievo. << Oh, grazie al cielo >> mormorò, abbracciandolo. A John quella stretta faceva male, ma non disse comunque niente. Gli piaceva, e comunque se riusciva ancora a sentirla voleva dire che era ancora vivo.
Solo in quel momento si accorse di Emma e Michael, che li guardavano con volti sollevati.
<< Si può sapere che ti è saltato in mente?>> lo rimproverò la bionda. << Avresti potuto morire!>>
John borbottò qualcosa di incomprensibile, al che lei fece roteare gli occhi.
Skyler si staccò da lui e gli prese il viso fra le mani, sorridente, per assicurarsi che non ci fosse alcun danno. Solo allora John si rese conto che la ragazza aveva gli occhi lucidi.
<< Dobbiamo andarcene di qui >> disse Michael, guardandosi intorno. << O dovremmo spiegare tutto questo alla polizia.>>
<< Sono d’accordo >> disse John, provando ad alzarsi con una smorfia di dolore. Michael gli fu subito accanto, e, insieme a Skyler, si passarono entrambi un braccio del ragazzo sopra le spalle, aiutandolo.
<< Qual è la prossima tappa?>> chiese il biondo, guardando Emma.
La figlia di Ermes estrasse la Mappa dei Sette Mari dalla tasca posteriore dei jeans e l’aprì. Aspettò qualche secondo, finché delle strane linee non si formarono su di essa.
<< Un dente d’oro di leone >> enunciò, con sguardo serio. << Parco Nazionale Mammoth Cave, Kentucky.>>
<< E come ci andiamo?>> chiese Skyler, lanciando un’occhiata a quel poco che restava del loro furgone.
Emma sospirò, aggrottando la fronte. << Questo è un bel problema.>>

Angolo Scrittrice
Hola genteee!!! :D
Eee.... eccomi qua! Siete contenti? *rotola una balla di fieno*
Ook... come non detto xD
Allora, vi è piaciuto il capitolo? Finalmente sono partiti per questa benedettissima missione!
Prima tappa, Washington DC. Ahah, hanno quasi distrutto tutto il Campidoglio, ma ne è valsa la pena. Per chi pensava che non ce l'avessero fatta, beccatevi questa, bitches! Hanno preso l'occhio, hanno preso l'occhio! ^^ *canticchia, contenta*
Diciamo che quella di Michael poteva essere un'idea geniale. Non sarà il maestro delle strategie militari, ma andiamo, voi avevate pensato alla senape? ahah xD
In questo capitolo ho pensato di dare un po' di spazio in più anche ai pensieri di John. Si è dimostrato molto più intrepido (e incosciente) di quanto sembrasse, e poi c'è stato l'incontro con la mamma. Beh, che dire, aveva pensato da un po' ad un loro possibile incontro, e mi sono chiesta che cosa avrebbe provato se l'avesse vista. E così, ho scritto questa... cosa. Devo ammettere di essermi un po' commossa mentre la scrivevo, e spero tanto che quella scena vi sia piaciuta, perchè ci tenevo tanto.
Inoltre, spero anche di non avervi deluso. La prima tappa di un'impresa è sempe difficile da scrivere, perché c'è senmpre il timore di non soddisfare le aspettative, o di fare cilecca. Spero davvero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, e se non è stato così mi scuso in partenza.
Anyway, ora devo
proprio ringraziare i mei angeli. Si, proprio voi, ragazzi, che nello scorso capitolo mi avete commosso con ben 11 recensioni *^* Non ci sono parole, davvero. Un grazie enorme a:
Fred Halliwell, Fred_Beckendorf99, moon_26, giascali, Bibi96, Jason_Storm, Cielomagico, bibrilove98, Greg Heffley, Ciacinski e Kalyma P Jackson.
Grazie con il cuore, davvero. <3
By the way, volevo fare un annuncio. Come voi ben sapete da questa settimane iniziano le vacanze di
Natale, e credo proprio che la mia agenda sarà piena di impegni... beh, natalizi. Per cui, aggiornerò solo dopo la fine della vacanze. Non me ne volete, ma dovrete aspettare due settimane :,(
Ook, credo di aver detto tutto. Dato che dubito che ci risentiremo,
vi auguro adesso un felice Natale, e un fantastico anno nuovo ;*
Vi amo tutti! Un bacione :)
La vostra
ValeryJackson

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


<< Dobbiamo inventarci qualcosa!>>
I ragazzi si erano allontanati il più possibile dal putiferio generale che regnava nei giardini del Campidoglio, ancora un po’ scossi, con un John zoppicante al seguito che ora smangiucchiava dei pezzetti di ambrosia seduto sul marciapiede.
Dovevano spostarsi, e alla svelta. Non avevano tutto il giorno, e poi se quegli umani avessero smesso di gridare e si sarebbero posti delle domande, di sicuro avrebbero ricordato il ragazzo biondo che lottava contro un coso gigante mentre quello distruggeva un monumento nazionale.
Il problema, però, era proprio quello: spostarsi. Come potevano, dopo aver ‘accidentalmente’ distrutto il furgone di Argo, non che loro unico mezzo di trasporto?
<< Tutto questo è ridicolo >> borbottò Skyler, sbuffando dopo l’ennesimo silenzio. << Siamo semidei, diamine! Avremmo pure qualche vantaggio in più, no?>>
Michael aggrottò la fronte, pensieroso. << Beh, in realtà c’è un modo.>>
Emma gli lanciò un’occhiata torva. << E che cosa aspetti a dircelo, Einstein?>>
Michael decise di ignorarla, tastandosi le tasche. Ne cacciò fuori qualche dracma d’oro. << Percy me ne aveva parlato, una volta >> disse, abbassando lo sguardo sulla moneta. << Di una specie di taxi semidivino.>>
<< Il Cocchio della Dannazione >> mormorò Emma, guardandolo. << Ho sentito Travis e Connor parlarne, tempo fa.>>
<< E che cos’è, esattamente, questo Cocchio della Dannazione?>> chiese Skyler, che stava cominciando a spazientirsi.
Emma e Michael si scambiarono un’occhiata, prima che la bionda prese in mano le dracme. << Da qua >> gli disse. << Faccio io.>>
Si allontanò di tre passi e strinse la moneta d’oro fra le dita. << Stêthi, ô hàrma diabolês!>> gridò.
A Skyler corse un brivido lungo la schiena. Emma lanciò la moneta per strada, e questa si fuse sull’asfalto.
Per un attimo, non accadde nulla. Poi, nel punto in cui la dracma si era fusa, l’asfalto si scurì, ribollendo. Una macchia emerse dal liquido melmoso.
Era un taxi.
Skyler inarcò un sopracciglio. << Mi prendete in giro?>>
Nessuno le rispose. Neanche John, che si alzò da terra ed entrò nell’auto, sui sedili posteriori. Gli altri lo seguirono, Skyler con riluttanza.
Quando furono tutti a bordo, Emma chiuse la portiera e si sporse in avanti. << Ehm… salve.>>
Skyler sussultò. Davanti a lei, al volante, tre donne di diversa altezza sedevano con la schiena dritta, mettendo in mostra i propri capelli grigi e arruffati, che coprivano ai ragazzi la visuale della strada.
Quella di mezzo ghignò, non voltandosi neanche. << Avete bisogno di un passaggio?>>
<< Ehm… si.>> Emma sembrò esitare, lanciando uno sguardo a Michael al suo fianco. << Dovremmo andare al Parco Nazionale Mammoth Cave >> disse. << Nel Kentucky.>>
<< Sappiamo dov’è, semidea >> sbottò quella a destra. << Piuttosto, avete le dracme?>>
Emma tese la mano verso di loro, stringendo in pugno dieci monete d’oro.
Quella a sinistra sorrise. << Molto bene >> mormorò. Accese il motore e tolse il freno a mano. << Allacciate le cinture, ragazzi >> li rimbottò. << E reggetevi forte.>>
<< Perché mai dovremmo reggerci…>> cominciò Skyler, ma non riuscì a terminare la frase, che la donna pigiò sull’acceleratore e i ragazzi furono scaraventati contro lo schienale, sbattendo sul poggiatesta.
Washington diventò una massa indistinta di colori sfocati e suoni fugaci. Sfrecciarono accanto ad auto e persone a grande velocità, mancando i pedoni per un pelo. Skyler quasi cacciò un urlo quando passarono accanto ad un passeggino. Erano sballottati l’uno contro l’altro, ed erano costretti a reggersi ad ogni appiglio possibile per non cadere sul pavimento lurido.
<< Va a sinistra! Va a sinistra!>> strepitò quella di mezzo.
<< Beh, se tu mi dessi l’occhio, Vespa, lo vedrei da sola!>> si lamentò quella alla guida.
<< Dalle l’occhio, Vespa! Non è tuo >> la rimproverò quella a destra.
<< Sta zitta, Rabbia >> ribatté Vespa.
<< Dallo a me.>> Rabbia provò a prenderlo, ma senza risultato.
<< Smettetela voi due!>> le riprese la donna alla guida.
<< Smettila tu, Tempesta!>> Rabbia le fece la linguaccia.
Sono pazze, pensò Skyler. Ma il suo stomaco era così sottosopra che non riusciva neanche a parlare.
<< È rosso!>> urlò Vespa a un certo punto. << Frena!>>
Ma Tempesta non si fermò. Premette nuovamente sull’acceleratore e si esibì in uno slalom di macchine, con un gran stridore di gomme.
<< M… mi scusi >> borbottò Skyler, reprimendo un conato di vomito. << Siete sicure di avere la patente?>>
<< Ma certo!>> Le tre donne si voltarono verso di loro, sorridenti.
I ragazzi urlarono.
<< Hanno un occhio!>> gridò John, scioccato, schiacciato contro il finestrino. << Un occhio in tutto!>>
<< Un occhio che dovrebbe essere mio!>> puntualizzò Tempesta, stizzita.
<< No!>> strepitò Vespa, stridula. << Tu l’hai tenuto ieri!>>
<< Ma io sto guidando, vecchia idiota!>>
<< Non mi importa! Svolta!>>
Tempesta sterzò bruscamente, scaraventando tutti sulla parte sinistra del taxi. Pigiò nuovamente sull’acceleratore, e raggiunsero una velocità di cento chilometri all’ora.
Le tre sorelle iniziarono a litigare, perdendo momentaneamente di vista, se così si può dire, la strada.
Menavano schiaffi e pugni, mentre si tiravano per i capelli.
Michael fu sbalzato verso l’alto, e sbatté la testa contro tettuccio dell’auto. << Nel caso a qualcuno interessi >> intervenne, massaggiandosi il capo. << Di questo passo ci ammazzeremo.>>
Le donne non lo degnarono di uno sguardo. Continuarono a litigare, mentre Tempesta continuava a tenere premuto l’acceleratore.
Ad un certo punto, quest’ultima lasciò perfino il volante.
<< No!>> urlarono i ragazzi in coro, accompagnati da un disgustoso plop. Qualcosa volò via dalla faccia di Vespa.
La vecchietta annaspò, nel tentativo di riprenderlo, ma riuscì soltanto a spostarlo ulteriormente.
Michael fece appena in tempo a vedere un bulbo oculare viscido e verdognolo scivolare sotto il sedile, che sbatté di nuovo la testa sul soffitto dell’auto.
<< Non ci vedo!>> dissero all’unisono le tre sorelle.  << Dacci l’occhio! Dacci l’occhio!>>
<< Dagli l’occhio! Dagli l'occhio!>> gridò Skyler, nel panico, scuotendolo per la gamba.
<< Non ce l’ho!>> rispose quello, guardandosi intorno.
Il taxi sterzò nuovamente, e i ragazzi urlarono con tutto il fiato che avevano in gola. Ci furono una serie di curve pericolose e giri della morte, prima che, dopo un ribaltamento, il taxi frenò bruscamente. Le gomme stridettero sull’asfalto, e una nube di polvere circondò l’auto.
Rabbia si chinò a raccogliere l’occhio, sorridendo soddisfatta. << Siamo a destinazione, ragazzi >> trillò, contenta.
I ragazzi scesero dall’auto, pietrificati. Chiusero la portiera, e, senza proferire parola, Emma allungò loro i soldi.
Rabbia ne morse uno, per assicurarsi che fossero veri. Poi ghignò, urlò a Tempesta di ripartire, e il taxi si allontanò a gran velocità, sparendo in un nanosecondo.
I ragazzi erano ancora sconvolti. Guardavano il punto in cui un attimo prima si trovava l’auto, lottando contro il voltastomaco.
<< Sto per vomitare >> mormorò Skyler, con il viso verdognolo.
Emma scosse leggermente la testa, ancora incredula. << La prossima volta ci vengo a piedi.>>
Superato lo shock, Michael si voltò, guardandosi intorno. Si trovavano difronte ad una distesa di grotte enorme, mentre mille cartelli segnavano l’entrata o l’uscita di ognuna di loro.
Era stranamente deserta, e Michael trovò la forza di alzare il braccio, per controllare l’orologio.
<< Sono le due >> annunciò, sforzandosi di ritrovare il controllo. << Il parco apre fra un’ora. Diamoci da fare.>>
 
Ω Ω Ω
 
I ragazzi ormai erano stufi di vedere solo stalattiti.
E non solo perché erano già entrati in tutte le grotte che componevano il Mammoth Cave senza trovare un bel niente, ma anche perché non avevano idea di che cosa dovessero trovare. E il tempo stringeva.
<< Secondo voi che cos’è il dente d’oro di leone?>> aveva chiesto Skyler ad un certo punto mentre uscivano dall’ennesima grotta a mani vuote.
<< Potrebbe riferirsi al fiore >> aveva proposto John. << Nelle medicine c’è sempre qualche pianta. Magari per ‘oro’ intende una particolare sfumatura del colore.>>
Skyler aveva annuito, sovrappensiero, mentre entravano in un’altra spelonca. Aveva le gambe indolenzite, e non si era ancora del tutto ripresa dalla corsa sfrenata in quel taxi della morte. << Avrebbe senso >> mormorò.
Michael schioccò la lingua, guardandosi intorno. Si, poteva anche essere, ma gli sembrava troppo facile, e un posto del genere non dava l’aria di essere un distributore industriale di fiori. << Io non credo >> disse, pentendosene subito dopo. Strinse i pugni e fece un bel respiro. << Qui non ci sono fiori >> affermò, giusto per avere qualcosa da dire. L’eco delle sue parole rimbombava contro le pareti rocciose.
John scrollò le spalle. << Se fosse stato un fiore come gli altri ora non saremmo qui, ti pare? Magari è proprio questa la sua particolarità. Magari è l’unico a nascere nella roccia.>>
Michael aprì la bocca per replicare, ma non aveva niente con cui ribattere. Pensandoci bene, la teoria di John non faceva una piega. E in quel momento si sorprese a sperare che ciò che stavano cercando fosse davvero un innocuo fiore.
Si separarono, mentre ognuno di loro controllava un angolo diverso della caverna.
Dopo l’ennesimo buco nell’acqua trovato dietro un masso, Emma prese pensierosa la Mappa dalla tasca posteriore dei jeans. L’aprì, e aspettò che le spesse linee nere mostrassero il luogo in cui si trovavano.
La cartina della grotta prese vita all’istante, ma gli unici puntini che riusciva ad identificare erano il suo e quelli degli amici.
<< Non capisco >> mormorò, frustrata. Il dente di leone era lì, lei lo sapeva. Non se lo era immaginato. Quando aveva aperto la carta, a Washington, quella aveva indicato proprio il Kentucky, ne era certa. E allora perché ora il dente di leone sembrava essere sparito?  Perché non appariva più sulla mappa?
Che si fosse sbagliata? Che avesse frainteso, portando tutti dalla parte sbagliata? Aveva preferito non dirlo ai suoi amici finché non ne sarebbe stata certa, ma se era davvero così, allora stavano solo perdendo tempo. E non potevano permettersi di perdere tempo.
Aprì la bocca per parlare, ma la voce di Skyler la precedette, arrivando all’orecchio di tutti.
<< Ragazzi!>> chiamò la mora, dall’altra parte della caverna. << Venite a vedere.>>
I ragazzi si avvicinarono, titubanti.
Skyler era ferma davanti ad un enorme ammasso di pietre, apparentemente senza motivo. Ma non appena Emma le fu accanto, si rese conto che su quelle pietre c’era una lapide. E che su quella lapide c’era una scritta.
<< È greco >> mormorò Skyler, mentre gli altri facevano scorrere lo sguardo su quelle strane parole.
Dopo un po’, Michael aggrottò la fronte. << Ma che cosa vuol dire?>>
<< È una filastrocca >> rispose Emma, poco convinta. << Una filastrocca molto antica.>>
Skyler era come estasiata nel vedere le lettere vorticarle davanti agli occhi per formare delle parole di senso compiuto. Non era mai riuscita a leggere, se non qualche semplice parolina come ‘cane’ o ‘casa’, e, quelle rare volte in cui ci provava, ci metteva troppo tempo e poi le veniva sempre un gran mal di testa.
Riuscire a comprendere rapidamente tutto ciò che intendevano le scritte la emozionava così tanto che le lesse ad alta voce, senza pensare, come rapita da quegli strani versi:
<< Ha dei denti aguzzi, è il re della foresta.
Osserva un corpo che muore, e poi gli fa una festa.
Ascolta la voce nel tuo petto, che ti impone di scappare.
Perché se Era ti trova, la morte sarai costretto ad affrontare.>>
Non appena pronunciò l’ultima parola, la terra cominciò a tremare. Alcuni ciottoli caddero dal soffitto, atterrando sul pavimento e alzando un mucchio di polvere. I ragazzi persero l’equilibrio, e furono costretti a reggersi l’uno all’altro pur di non cadere.
Non appena l’improvviso terremoto terminò, un potente ruggito squarciò l’aria.
A Michael salì un brivido lungo la schiena. Si voltò verso gli amici, appena in tempo per vedere John ed Emma nascondersi dietro un grosso masso.
<< Michael!>> lo rimproverò John. << Muoviti!>>
Michael guardò Skyler al suo fianco. Continuava a tenere lo sguardo fisso su quella lapide, come se fosse in uno stato di trance. Sembrava non essersi accorta di ciò che era appena successo.
Il ruggito si ripeté. Michael si guardò intorno, alla ricerca disperata di un riparo. Afferrò Skyler per un polso e la strattonò, trascinandola verso l’uscita. Quando erano entrati, aveva notato una sorta di colonna accanto ad essa, e in quel momento sembrava essere l’unico posto sicuro. 
La colonna, però, non era abbastanza grande per celarli entrambi, così furono costretti a comprimersi l’uno contro l’altro nel disperato tentativo di nascondersi.
Non appena Skyler fu schiacciata contro il petto di Michael, parve tornare in se. Si sentiva scombussolata e intontita, e aveva una leggera nausea. Avvertiva la guancia di Michael sfregare contro il suo naso, e in quel momento quella era la sua unica certezza.
Si strinse a lui, mentre faceva dei lunghi respiri per regolarizzare il battito del cuore.
Michael aveva la schiena premuta contro la colonna rocciosa, ed era costretto a voltare la testa per riuscire a veder qualcosa.
Dopo qualche secondo, un’ombra fece capolino nella caverna. O meglio, all’inizio era una. Poi diventarono due, tre, finché Michael arrivò a contarne sette. L’ultima sembrava essere più grande e più minacciosa.
Il ragazzo avvertì dei passi. Trattenne il fiato, finché alle sue spalle non entrò qualcuno. Erano… persone.
Sette uomini, nessuno dei quali armato. Indossavano delle semplicissime tenute militari, e, nonostante il petto gonfio e l’andatura fiera, non rappresentavano alcuna minaccia.
Si era immaginato tutto? Beh, anche se non sembravano essere pericolosi, Michael non si fidava di loro, e non se la sentiva di uscire allo scoperto.
Gli uomini si guardarono intorno, come se cercassero qualcosa. Riguardo alle ombre, però, Michael non si era sbagliato. L’ultimo ad essere entrato era davvero più grande e minaccioso, e onestamente lo metteva un po’ in soggezione. Era alto più di due metri, e i capelli erano tagliati così meticolosamente che chiunque avrebbe potuto credere che non ne avesse, se solo non fossero stati bianchi.
Non appena l’uomo si voltò per guardarsi alle spalle, Skyler, fra le sue braccia, sussultò. Strinse nel pugno la maglietta dell’amico, e parve trattenere il fiato.
Michael la guardò. Nella caverna regnava il silenzio, e, benché la ragazza avesse gli occhi sgranati e velati di paura, non aveva alcuna intenzione di farsi scoprire.
Indicò con un cenno del capo l’uomo più alto, e solo quando Michael tornò a guardarlo capì. Al collo, aveva appesa una catenina con uno strano ciondolo appuntito. Quel ciondolo era d’oro. Ed aveva la forma di un dente.
Che fosse ciò che stavano cercando?
Quando lo osservò, Michael non ebbe dubbi. Qualunque cosa rappresentasse per l’uomo quel dente, lui doveva averlo. E non gli importava se quel tizio era alto circa un metro più di lui.
Avvolse Skyler con un braccio, in un istinto di protezione. Tre di quegli uomini si voltarono nella loro direzione, e i ragazzi trattennero il fiato.
Non parvero notarli, e ben presto tornarono a far vagare lo sguardo lungo pareti.
Michael infilò una mano in tasca. Vi cacciò la sua penna, e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata a quegli strani uomini, sguainò la sua spada.
Nell’aprirsi, la lama emise un fruscio metallico, che, nell’inquietante silenzio che avvolgeva la caverna, echeggiò sulle pareti.
L’uomo più alto si voltò di scatto. Annusò l’aira, e, per un terribile istante, sembrò un animale.
Mentre continuava ad allargare le narici, parve trovare ciò che stava cercando, e ghignò soddisfatto.
Ci ha trovati, pensò Michael. Ma non fece in tempo a formulare un pensiero razionale, che l’uomo si trasformò.
Iniziò a tremare, e una strana luce bianca gli si disegnò intorno, lungo i contorni delle spalle e delle braccia. Cadde in ginocchio e cominciò ad ansare. Si contorse, mentre testa sobbalzava su e giù. Allargò le braccia, e Michael sussultò quando vide le sue unghie diventare nere ed allungarsi, fino a formare dei pericolosissimi artigli. Il suo corpo si ricoprì di peli, e solo quando la sua pelle si ritrasse nei muscoli e nelle ossa i ragazzi sentirono montare il panico.
Quello che una volta era un uomo, ora era un enorme e terrificante…
<< Leone >> sussurrò Skyler, dando voce ai suoi pensieri.
Il leone ruggì, così forte da far tremare non solo le pareti della caverna, ma anche le carcasse dei ragazzi.
Ringhiò, cominciando ad avanzare.
Michael non sapeva cosa fare. Aveva paura, ma era consapevole che se fossero rimasti lì dietro si sarebbero ritrovati in un vicolo cieco.
Guardò Skyler negli occhi, e vi lesse tutto il panico che stava montando dentro di lei.
Strinse forte l’elsa della spada. << Aspettami qui >> le sussurrò.
<< Michael, no!>> replicò lei, ma non fece in tempo a trattenerlo, che Michael era già uscito allo scoperto, e ora brandiva la sua spada.
Nel momento esatto in cui si ritrovò di fronte al leone, il ragazzo si pentì di essere stato così impulsivo. Non aveva un piano, e quel coso era molto più grosso di quanto aveva immaginato.
Il leone avanzò lentamente, squadrandolo dall’alto in basso, come se stesse già pregustando la sua prossima cena.
Michael brandì la spada, con mano tremante, ed era così concentrato a tenere gli occhi fissi sul leone in balia di qualche possibile attacco da quasi non rendersi conto che anche tutti gli altri uomini si stavano trasformando.
Un altro ruggito squarciò l’aria. E in un attimo, non si capì più niente.
Tre leoni si avventarono su di lui con una velocità impressionante. Michael riuscì ad evitarli con un balzo, ma barcollò all’indietro, perdendo l’equilibrio.
Non appena uno dei leoni fu dentro la sua portata, menò un fendente, e il mostro si disintegrò in un ammasso di polvere.
L’altro balzò verso di lui, ma Michael si scansò. Gli andò alle spalle e, con un movimento rapido, gli tagliò la testa di netto.
Il terzo leone sembrava più timoroso, ma poi si decise ad attaccare. I due girarono in tondo, il leone con i denti esposti, Michael con la spada sguainata.
L’animale tentò di disarmarlo con una zampata, ma Michael strinse la presa sull’elsa. Un ringhio sommesso uscì dalla gola del mostro.
Quest’ultimo decise, allora, di abbandonare la difensiva. Gli corse incontro, facendo mostra dei suoi denti aguzzi, così inquietanti da sembrare quasi desiderosi egli stessi di sangue.
Il leone fu rapido, ma Michael di più. Nonostante lo evitò per un pelo provocandosi qualche graffio, riuscì comunque a conficcargli la lama della spada dritta nello sterno, mentre il leone era ancora a mezz’aria.
Stava quasi per rilassarli, ma quando la fitta nebbia di polvere creata dalle macerie del mostro svanì, un altro leone partì all’attacco.
Michael fu colto di sorpresa, e perse l’equilibrio, cadendo supino con il mostro sul petto.
L’impatto brusco col terreno gli fece perdere la presa sulla spada, che ruzzolò a circa un metro di distanza, fuori dalla sua portata.
Il mostro gli teneva le braccia ancorate alla pietra con entrambe le zampe, e tutto ciò che Michael poteva fare era divincolarsi mentre quello mordeva con foga l’aria a pochi centimetri dal suo volto.
Era spacciato, se lo sentiva. Tutta una vita ad allenarsi per uccidere mostri, e ora veniva sbranato da un insulso leone. Era una vergogna, per i semidei.
Se Percy fosse qui, saprebbe cosa fare, pensò, con rammarico.
Ma Percy non era lì, e soprattutto lui non era Percy. Non lo era mai stato, e mai lo sarà.
Il fratello era forte, coraggioso, nobile, gentile. Lui non aveva nessuna di queste qualità. Non era mai stato forte, e il coraggio era solo una delle tante cose che gli mancava. La nobiltà era sempre stata un’utopia, per lui, e la cosa più gentile che avesse mai fatto in sedici anni era stato cedere le proprie patatine a Rose quando aveva mal di pancia.
Il leone ringhiò, e per un breve istante lui pensò di smettere di combattere. Che senso aveva tentare di salvare il fratello, se non riusciva neanche a salvare se stesso? Aveva davvero creduto di potercela fare?
Michael smise di opporre resistenza, e il leone sembrò ghignare.
Ruggì, pronto a sbranarlo, ma il ruggito si interruppe a metà. Il mostro sgranò gli occhi, senza fiato, e solo quando barcollò di lato Michael si accorse della freccia conficcata del suo fianco. Poi ne arrivò un’altra. E un’altra. E un’altra. Dopo l’ennesima freccia, il leone si dissolse in un cumulo di polvere prima di riuscire a toccare terra.
Michael si voltò di scatto, e vide John incoccare un’altra freccia e guardarsi intorno. Pronto ad attaccare.
Il biondo corse verso l’amico, aiutandolo a rialzarsi.
<< Stai bene?>> gli chiese, preoccupato.
Michael annuì, un po’ sotto shock. << S… si >> balbettò. Accennò un piccolo sorriso. << Grazie.>>
<< Non c’è di che >> ribatté John, scrollando le spalle. Michael non era mai stato così contento di non essere partito da solo.
Poi si guardò intorno, facendo vagare lo sguardo nella grotta. Sentì un groppo salirgli alla gola quando si accorse che erano soli. << Dove sono le ragazze?>>
John sgranò gli occhi, ma non fece in tempo a rispondere che un grido fendette l’aria.
 
Ω Ω Ω
 
Le ragazze erano circondate. Per quanto si può essere circondati da tre leoni inferociti.
Erano bloccate contro la parete calcarea, e mentre i leoni avanzavano, loro erano costrette ad indietreggiare.
Impugnavano entrambe un’arma, eppure Emma era frustrata di sentirsi così vulnerabile.
<< Indietro!>> intimò, brandendo il suo coltellino come l’arma pericolosa che non era.
Skyler agitò la spada, ma i mostri non si scomposero, e continuarono ad andargli incontro minacciosi.
Quando con la schiena sfiorò la parete di pietra, la mora sussultò.
<< Ehm… Emma?>> chiamò. << Che facciamo?>>
<< Potremmo batterli >> propose la bionda.
Skyler annuì. Non si era ancora del tutto ripresa da ciò che era successo con quella lapide. Si sentiva fragile, e stanca, e nonostante il suo spirito le intimava di avanzare contro quei mostri e ucciderli, le sue condizioni fisiche le imponevano di esitare.
Che chance aveva, lei, contro tre temibili leoni? Al momento, meno di zero.
Guardò Emma con la coda dell’occhio, e notò che stava fissando qualcosa. Seguì la direzione del suo sguardo.
Uno dei tre leoni, quello di mezzo, era più alto e muscoloso, e aveva al collo qualcosa. Era l’uomo che Skyler aveva visto trasformarsi, e anche in quel momento un brivido le corse lungo la schiena.
<< Ha il dente d’oro >> disse all’amica, tenendo alta la spada. << Quello che cerchiamo.>>
Emma lo squadrò, e solo quando il leone ringhiò per esibire i suoi denti aguzzi, la ragazza notò che glie ne mancava uno.
Un dente d’oro di leone. Non aveva immaginato di dover prendere quelle parole alla lettera.
Digrignò i denti. << Dobbiamo prenderlo >> affermò, decisa.
<< E come?>> domandò Skyler.
<< Ci penso io >> disse. << Tu tienili occupati.>>
<< E che dovrei fare, secondo te?>> sbottò la mora.
<< Non lo so. Sei tu la figlia di Efesto, no? Inventati qualcosa.>>
Non le diede neanche il tempo di replicare, che sgattaiolò di lato.
Inventare qualcosa. La faceva facile, lei. Come poteva intentare qualcosa, se non aveva nulla con cui costruirla?
No, le serviva un’alternativa. Doveva pur esserci un altro modo…
Si guardò intorno, alla ricerca disperata di qualcosa.
Quando per caso alzò lo sguardo, qualcosa la trovò.
Un crepa. No, non una crepa. Una vera e propria fenditura. Un crepaccio, che attraversava metà soffitto fino ad arrivare al terreno.
Seguì con lo sguardo il percorso di quella spaccatura, finché non sa la ritrovò in corrispondenza con il proprio bacino.
Senza esitare, vi infilò la spada.  
Non successe nulla.
Un po’ di pressione, ecco che doveva fare. Prima però doveva assicurarsi che fosse un buon piano.
<< Emma!>> chiamò. << Sei pronta?>>
Non dovette aspettare molto per una risposta. << Si!>> urlò la bionda di rimando.
<< Bene!>> Skyler annuì, decisa. << Allora al mio tre.>>
Prese un bel respiro.
<< Uno.>>
Il leoni si avvicinarono pericolosamente.
<< Due.>>
Uno di loro ruggì, e una goccia di sudore le colò sulla tempia.
<< Tre!>>
Fece pressione. Per un attimo sembrò tutto vano, poi la crepa si allargò. Lentamente, il suo spessore aumentò, finno ad arrivare all’apice del suo percorso.
La terra tremò per un nanosecondo, costringendo i leoni ad arrestarsi.
Emma vide quel momentaneo smarrimento come l’occasione giusta per attaccare. Scivolò sotto la pancia del mostro, e gli strappò la collana. Poi, un po’ per paura un po’ per ripicca, gli conficcò la lama del coltello nella pancia, provocandogli uno squarcio che gli attraversava tutto il ventre.
Il leone si disintegrò in un cumulo di polvere, che la sovrastò. Tossì, e fece appena in tempo a ruzzolare di lato con un grido, che gli altri due furono sommersi dalle macerie, vaporizzandosi.
Skyler, che si era rannicchiata contro il muro per non essere travolta dalle macerie, corse subito incontro all’amica.
<< Emma!>> esclamò, preoccupata. L’afferrò per un braccio e la tirò in piedi.
La bionda tossì, avendo inalato non solo gran parte della polvere alzata dalle macerie, ma anche gran parte del mostro.
Quando si scoterò i vestiti nel vano tentativo di pulirli, arrivarono anche Michael e John.
<< State bene?>> chiese John, squadrandole in cerca di qualche ferita grave.
<< Si >> mormorò Emma, con voce forzata. Se la sgranchì. << Voi?>>
Michael annuì. << Niente di rotto. Avete trovato il dente?>>
Emma lo guardò, con un sorriso scaltro. Poi gli allungò la catenina e glie la fece cadere sul palmo. << Non ringraziarmi.>>
Michael sorrise, raggiante. Avvicinò il dente al viso, e lo squadrò per bene. Sembrava un semplice canino come tutti gli altri, eppure, chissà perché, sarebbe riuscito a salvare molte vite.
Mordendosi il labbro soddisfatto, lo strinse nel pugno e se lo infilò in tasca. << Perfetto >> si complimentò. << Ottimo lavoro.>>
Emma grugnì, ma non aveva le forze necessarie per punzecchiarlo. Giurò di avere qualche costola incrinata, ma decise di non darlo a vedere.
<< Si può sapere che cos’erano quei cosi?>> sbottò, adirata. << Chi li ha mai visti?>>
<< Sono i Leoni del Peccato >> rispose John, con tono piatto. Aggrottò la fronte, sforzandosi di ricordare. << Nel… nell’antichità, quei leoni appartenevano a Era. Sono uno dei suoi animali sacri, e la dea spesso li usava per punire gli adulteri. Lei era…>> Si passò una mano fra i capelli, prima di continuare. << Era in continua lotta contro i tradimenti fra consorti. Non li sopportava, e non li sopporta tutt’ora. I Leoni del Peccato intervenivano lì dove lei non poteva intromettersi. Riconoscevano i peccatori, e attaccavano solamente coloro che avevano commesso un tradimento.>>
<< E allora perché ci hanno attaccato?>> domandò Skyler, infuriata. << Noi non abbiamo commesso nessun tradimento!>>
Michael si morse la lingua, avvampando. Abbassò lo sguardo. Per una qualche strana ragione, si sentiva chiamato in causa. Lui si era innamorato della ragazza del suo migliore amico, e più di una volta aveva sognato di baciarla. Era un tradimento, quello?
Era per questo che i leoni li avevano attaccati? C’era dell’infedeltà, in lui?
Lanciò uno sguardo a Skyler, e per un attimo incrociò i suoi occhi. Vederli gli fece solo più male. Come poteva smettere di pensare a lei, quando bastava uno sguardo per fargli tremare le gambe? Come poteva convincersi che l’attacco dei leoni non fosse colpa sua, se tutto ciò che desiderava in quel momento era prenderle il viso fra le mani e baciarla?
Dopo qualche secondo di silenzio, John scrollò le spalle. << Molto probabilmente avevano capito che siamo semidei >> ipotizzò.
<< Infondo tutti i mostri vogliono vederci morti, no?>>
Gli altri annuirono, prendendo in considerazione quell’ipotesi.
Poi, Skyler sospirò, e allontanando quei pensieri con una leggera scrollata di testa, si voltò a guardare Emma.
<< Dove andiamo, adesso?>>
Emma si tastò un attimo le tasche, spaventata all’idea di aver perso la mappa in tutto quel trambusto. Quando le sue dita sfiorano la ruvida carta, tirò un sospiro di sollievo. La aprì, esitante.
<< Ehm… la punta del corno del Minotauro >> annunciò. << Monte Rushmore, Montagne Rocciose, Dakota del Sud.>>
<< Fantastico >> borbottò Michael, con scarso entusiasmo. << Di male in peggio.>>
<< Beh, magari non è come pensiamo >> propose Skyler, notando lo sconforto sulla faccia di tutti. << In fondo pensavamo che il dente d’oro fosse un fiore e ci siamo ritrovati a combattere contro dei leoni inferociti.>>
<< Credo che la ricetta sia molto chiara riguardo a questo ingrediente >> le fece notare John. << Ci serve la punta del corno del Minotauro, e non ci sono altre interpretazioni.>>
Skyler aprì la bocca per ribattere, ma non ne uscì alcun suono. Tentò di afferrare le parole nell’aria, ma non trovò niente, così la richiuse.
Emma sospirò con tono grave. << Il problema, ora, è come ottenerlo.>>
<< Ci pensiamo dopo >> fece Michael. Si guardò intorno, per poi tornare a guardare i sui amici. << Il parco sta per aprire, e credo che non saranno molto contenti di trovarci qui. Dobbiamo andarcene.>>
John annuì, poi indicò con un cenno le macerie accanto a loro. << E questi massi?>>
<< Beh?>> ribatté Emma, con un’alzata di spalle. << Qui dentro è pieno di massi caduti e macerie piene di muffa. Uno in più non fa differenza.>>
I ragazzi risero, scuotendo leggermente la testa.
Stavano per affrontare un Minotauro, eppure nessuno di loro aveva la voglia, o il coraggio, di pensarci.

Angolo Scrittrice.
E... ... ... ... ... Buon Anno!
Mei dei, ragazzi, non ci credo. E' il 2014!
Bene, devo ammettere che sono molto esaltata per vari motivi, e ora vi spiego perchè:
1) Beh, è l'anno nuovo, come posso non essere esaltata? E poi questo è il primo capitolo che pubblico nel 2014, e spero ne arriveranno altri ;)
2) Ho già aggiornato! Si, so che di solito aggiornavo ogni martedi, e che moto probabilmente questo capitolo non era in programma, ma era già pronto da Santo Stefano, e non ce la facevo più a non pubblicarlo, so... Spero vivamente che vi sia
piaciuto, ma di questo ne parleremo dopo.
3) Dopo un continuo conflitto con le mie mani che continuavano a cambiare il rating della storia, ho deciso di metterlo giallo. Non chiedetemi perchè, quello verde andava benissimo, e non ho intenzione di aggiungere alcuna scena sconcia, ma ho notato che molte (ovvero quasi tutte) storie in questo fandom che non raccontano niente di che hanno il rating giallo, e io mi sentivo fuori luogo, così ho deciso di cambiarlo. Perchè si. xD
4) Ecco, peer questo sono troppo esaltata, perchè voi (si, proprio voi lettori) mi avete fatto il più bel regalo di Natale di sempre. Quindi grazie a tutti voi, 1033 visualizzatori del primo capitolo. Non posso crederci,
1033
. Fa strano anche dirlo! Grazie, grazie, grazie.
5) E se il punto prima mi esaltava, questo mi esalta ancora di più. Si, perchè qualche giorno fa, grazie alla recensione di
Fyamma
, ho pensato di far un salto nelle storie più popolari. E sapete cosa ho trovato? La mia. Al settimo posto!! Oh miei dei, oh mei dei! Sto impazzendo di gioia! Grazie grazie grazie grazie grazie grazie grazie. E' anche merito vostro, anzi, no, è tutto merito vostro, Angeli. Cosa farei senza di voi? Non so ancora spiegarmelo. *o*
Bene, detto questo (so che non vi interessava, ma pazienza xD) passiamo al capitolo.
Vi è piaciuto? O ha fatto schifo? Non mi sorprenderei se mi diceste la seconda, ma ormai sapete come sono fatta, quindi evito di insultarmi e di dirvi che non ne sono molto soddisfatta. Che novità, eh? ;) Oh, beh, che ci vuoi fare. Gli anni passano, ma io resto sempre uguale. Anche se devo ancora capire se questo è un bene o un male O.o (toh, guarda, ho fatto la rima!)
Dunque, dicevamo? Ah, si. Hai visto
Ciacinski? Niente Leone Nemea ;) Era scontato anche per me, ahah, e a proposito di questi leoni voglio dirvi una cosa. Prima che me lo facciate notare, vi avverto: Questi. Leoni. Non. Esistono
.
Avevo bisogno di qualcosa di originale, e così li ho inventati. Non li troverete su Wikipedia ;D ahah
Anche la filastrocca (ovviamente) è inventata da me. Si può benissimo capire, perchè è abbastanza banale, ma è una filastrocca, quindi ci sta.

Ehm, che altro...? Bof, pare di aver detto tutto. Quindi passiamo l'occhio di bue ai miei angeli.
Ringrazio con tutto il cuore, l'anima, e tutto ciò che può contenere il mio corpo:
Ciacinski, giascali, Silena Beckendorf, Fred Halliwell, bibrilove98, annidm200, Greg Heffley, Zaynsbestfriend, Fyamma, Jason_Strom, moon_26 e Kalyma P Jackson
. Grazie, per credere in me, ma soprattutto per regalarmi ogni volta un sorriso, con le vostre splendide recensioni. Vi adoro! *^*
Ook, credo di aver detto tutto. Me ne vado, così non vi rompo più le scatole xD
Un bacione enorme, e buon 2014!
Sempre vostra,
ValeryJackson

P.s. Sono andata al cinema a vedere Frozen, e mi sono innamorata di quel film! *^* So che non c'entra niente, ma volevo dirvelo ;*

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Quando finalmente riuscirono ad andare via dal Parco Nazionale Mammoth Cave passando inosservati, era già pomeriggio inoltrato.
Troppo tardi, perché riuscissero ad arrivare dal Kentucky al Dakota del Sud in tempo.
<< Potremmo riposare >> aveva proposto Emma, con un’alzata di spalle. << Magari potremmo prendere una stanza in un motel.>>
John e Skyler acconsentirono immediatamente, tirando fuori dagli zaini alcuni soldi per contarli.
Solo Michael era un po’ riluttante. Non potevano perdere tempo, e poi dubitava che sarebbe riuscito a dormire con in testa il pensiero di dover affrontare un Minotauro.
Ma, notando i volti sporchi e stanchi degli amici, annuì. << Andiamo a rinfrescarci.>>
Arrivare nel Dakota del Sud non era facile, e, dopo essersi trovati tutti d’accordo nel denigrare un’altra possibile corseacon le Sorelle Grigie, optarono per il mezzo di trasporto più semplice e veloce.
Il treno.
Si trovavano proprio lì, in questo momento.
Emma continuava a guardarsi freneticamente intorno, reggendosi ai braccioli della sua sedia come se fosse pronta a stritolarli. Sembrava impaziente, e in ansia.
Quando Skyler, seduta di fronte a lei, se ne accorse, inarcò un sopracciglio.
Si sporse in avanti. << Emma? Ti senti bene?>>
Emma iniziò a far tremare la gamba, come se si stesse riscaldando per una corsa imminente.
<< Si, si >> esclamò frettolosamente, guardandosi intorno. << Perché?>>
Skyler la squadrò un attimo. << Ehm, non lo so. Sembri… oh, perché non fermi quella gamba?>>
Emma si immobilizzò. Conficcò ancora di più le unghie nei braccioli, per poi stringere i denti. << Sc… scusa >> balbettò. << È solo che non riesco a stare tranquilla.>>
Skyler aggrottò la fronte. << Perché?>>
Emma si morse il labbro inferiore, giudicando se dirglielo o meno. Poi, sentendo tutti gli occhi puntati su di se, sbuffò frustrata. << Oh, e va bene! È la prima volta che viaggio in treno. Contenti?>>
Lentamente, sul volto di Skyler comparve un ghigno. << Hai paura… del treno?>> Sembrava divertita.
Emma la fulminò con lo sguardo. << Non del treno >> puntualizzò. << Delle persone che ci sono sul treno. Hai pensato che forse uno di questi tizi potrebbe essere un mostro? Eh? Eh?!>> Scosse la testa. << Non possiamo abbassare la guardia. Chi vi dice che prima o poi non verremo attaccati?>>
Skyler soffocò una risata. Non aveva mai visto l’amica in preda al panico. Ed era una scena molto divertente.
John sorrise. << Emma, rilassati >> le sussurrò. << Se qui ci fosse un mostro ci avrebbe già attaccato, non credi?>>
Emma scrollò la testa con veemenza. << Sono furbi >> ribatté. << Loro aspettano il momento adatto per distruggerci.>>
<< Si, e magari ingoiare le nostre budella >> commentò Michael, sarcastico. Quando vide gli occhi della bionda sgranarsi pieni di terrore, il moro non riuscì a trattenere una risata.
Emma gli lanciò un’occhiataccia, al che lui si zittì, tentando di soffocarla dietro un sorriso.
<< Ehi, rilassati >> mormorò dolcemente Skyler, rimproverando Michael con lo sguardo. << Qui non ci sono mostri, ok?>>
Emma annuì, anche se non sembrava essere molto convinta. John, seduto al suo fianco, le diede una pacca sulla gamba, per rassicurarla, e solo a quel punto la ragazza si rese conto della figura che stava facendo.
Sbuffò, spazientita, per poi tornare, fingendo indifferenza, a guardarsi intorno, con l’ansia di scorgere qualche donna o ragazzino brandire le sue ali e trasformarsi in un mostro assetato di sangue.
Continuarono a viaggiare, in silenzio, mentre attraverso il finestrino il paesaggio sfrecciava indistinto sotto i loro occhi.
Dopo un po’, Emma si alzò in piedi. << Vado a fare un giro di perquisizione >> annunciò, aggrottando la fronte.
Michael abbozzò un sorriso storto. << Avvertici, se vieni smembrata da un vecchietto.>> Poi ridacchiò, guadagnandosi una gomitata nello sterno da Skyler, seduta al suo fianco.
Emma gli lanciò un’occhiata di fuoco. << Sta attento, Ragazzo Pesce >> lo minacciò, puntandogli un dito contro. << Se non trovo qualche mostro su questo treno mi sfogherò con te.>> Poi si voltò, sferzando l’aria con i suoi capelli biondi, e si allontanò con passo deciso.
Skyler sospirò, posando il capo sul poggiatesta. Lanciò un’occhiata a John, e questi le fece l’occhiolino rassicurante, facendola sorridere.
Improvvisamente, Michael si sentì di troppo. Arrossì. << I… io la raggiungo >> balbettò, alzandosi. << Non si sa mai che punti il coltello su qualche vecchietta indifesa.>> Ridacchiò, imbarazzato, per poi correre nel punto in cui aveva visto Emma sparire.
John e Skyler rimasero soli.
Calò il silenzio, che fu interrotto solo quando John si accorse dello sguardo cupo di Skyler. << C’è qualcosa che non va?>> chiese, corrucciando le sopracciglia.
Skyler abbozzò un sorriso. << No, è tutto ok.>>
John scosse leggermente la testa. << Skyler, sono il tuo ragazzo. Me ne accorgo, se c’è qualcosa che ti turba.>>
Skyler abbassò lo sguardo. Si morse il labbro inferiore, e, a disagio, cominciò a torturare il lembo della sua sporca maglietta. Si erano ripuliti un po’, prima di salire sul treno, per evitare sguardi indiscreti, eppure riusciva a percepire il sudiciume sfregare contro i suoi polpastrelli.
Sembrava triste, e anche tanto. John si sporse in avanti e le strinse le mani. << Ehi >> sussurrò, preoccupato. << Che succede?>>
Skyler trovò il coraggio di guardarlo negli occhi. Sembravano più lucidi del solito, e se non avesse conosciuto l’orgoglio della sua ragazza, John avrebbe giurato che stesse per piangere.
La ragazza sospirò. << Non è giusto >> esclamò.
<< Che cosa?>>
<< Tutto questo! Io…>> Alzò gli occhi al cielo, mordendosi l’interno della guancia. << Credo di essere solo d’intralcio per questa missione >> affermò.
<< Cosa?>> John sembrava confuso. << Ma che stai dicendo?>>
<< Insomma, guarda!>> esclamò lei. << Da quando sono qui non ho fatto altro che mettervi in pericolo. Tu stavi per essere schiacciato da una Chimera. Emma stava per essere sommersa dalle macerie. Michael stava per essere sbranato da un leone. E tutto per colpa mia! Che cosa succederà ora che dovremo affrontare il Minotauro? Eh? Io…>> Abbassò lo sguardo, mordicchiandosi il labbro inferiore. << Non so, a volte credo di portare solo sfortuna.>>
<< Non dirlo neanche per scherzo!>> la rimproverò lui, arrabbiato. Ma lei non ribatté. Allora il suo sguardo si addolcì, e le accarezzò il dorso della mano, facendovici dei piccoli cerchi concentrici con il pollice. << Hai paura?>>
Skyler scosse la testa. << Voglio solo non farvi del male.>>
<< E non ce ne farai >> insisté lui. Sospirò. << Skyler, questa è una missione, per di più suicida. È normale che a volte ci capitino dei mostri che non siamo in grado di affrontare, ed è anche normale che qualcuno di noi rischi la vita. Ma non devi pensare che sia per colpa tua. Se succede, è perché è così che doveva andare. Tu non c’entri, chiaro?>>
Dopo un attimo di esitazione, Skyler annuì. Poi guardò il biondo, riconoscente. << Grazie, John.>>
Il ragazzo sorrise. << Farei qualunque cosa, pur di vederti felice. E poi, non devi demoralizzarti con questi pensieri. Ci ragioneremo un po’ su quando arriveremo al motel, dopo esserci rinfrescati e aver mangiato qualcosa. Ora pensa solo a rilassarti.>>
Skyler ridacchiò, facendo allargare il sorriso di John.
Poi la ragazza si sporse in avanti, e, facendo sfiorare i loro nasi, sorrise. << Che cosa farei senza di te?>> gli sussurrò, a fior di labbra.
John fece finta di pensarci. << Mmh… probabilmente niente.>> Poi risero insieme, prima di baciarsi.
Alle loro spalle, qualcuno si sgranchì la voce. I due si staccarono quel tanto che bastava per poter voltare il capo.
Michael si grattò la nuca, imbarazzato. << Non per interrompere le vostre effusioni da piccioncini >> puntualizzò. << Ma vorrei informarvi che qui non ci sono mostri.>>
Skyler spostò lo sguardo per guardare Emma con aria saccente, ma quando vide l’amica, sgranò gli occhi. << Che cosa è successo?>> esclamò.
Emma aveva i capelli arruffati e gli occhi spiritati, non che maglia e viso sporchi di qualcosa che sembrava… sugo?
Michael buttò la mano in aria, fingendosi noncurante. << Furio Kish ha minacciato una vecchia signora di morte, e quella lì le ha buttato il proprio pranzo in faccia.>>
Emma strinse i pugni. << Io la uccido!>> esclamò, furiosa.
Fece per avviarsi verso il vagone sul quale si trovava la donna, ma Michael glie lo impedì, inarcando un sopracciglio. << Whoa, sta calma, furia scatenata. Non combinare altri casini.>>
<< Io sono calma >> ribatté Emma, gonfiando il petto e puntando il mento all’insù. Grossa. Bugia. Perché al solo pensiero di quella donna seduta tranquilla e pulita al suo posto, sentì le proprie orecchie andare a fuoco.
Fece per correre da lei, cacciando un grido di battaglia, al che Michael fece roteare gli occhi. << Oh, ma andiamo >> si lamentò, prendendola per i fianchi e coricandosela di peso in spalla. La lasciò cadere seduta al suo posto. << Non facciamoci riconoscere >> la ammonì, puntandole un dito contro.
Emma gli lanciò un’occhiataccia, contrariata, ma poi strinse forte i braccioli della sedia e sbuffò, frustrata.
Michael scosse la testa. Pensò di sedersi anche lui, e stava per farlo, prima di accorgersi che Skyler e John si stavano ancora tenendo per mano. Questo gli diede molto più fastidio di quanto avrebbe dovuto.
Tossicchiò, anche se non ne aveva davvero bisogno. << Ehm, scusate. Permesso. Scusate. Scusate >> mormorò, mentre passava imbarazzato in mezzo a loro, costringendoli a separarsi.
Cadde di peso al suo posto, e squadrò per un attimo John, accorgendosi solo dopo di avere i denti digrignati.
Skyler lanciò un’occhiata ad Emma, che, seduta di fronte a lei, stava esaminando la sua maglietta. Abbozzò un sorriso. << Su, andiamo a pulirci >> le disse, alzandosi e porgendole la mano.
Emma la accettò, riluttante. << Ma potrei benissimo andare lì e farle…>>
<< Andiamo >> la rimbottò Skyler, trascinandola lungo il corridoio del vagone e poi verso i bagni.
Michael le osservò andare via, finché non uscirono dal suo campo visivo.
A quel punto, rimasero solo lui e John, avvolti da un silenzio imbarazzante. O meglio, per Michael era imbarazzante. Non riusciva più a guardare l’amico dopo quello che era successo in quella caverna. Si sentiva a disagio con lui, e tremendamente in colpa. Perché lo mandavano in bestia quegli atteggiamenti che fra fidanzati erano normali, e perché non riusciva a capacitarsi all’idea di fargli questo enorme torto.
Aveva un cotta per la sua ragazza, diamine! In un certo senso, era come pugnalarlo alle spalle.
Non poteva continuare così. Doveva dirglielo, o il suo cervello sarebbe scoppiato.
Si riassestò sul posto, incerto, per poi sgranchirsi la voce. << Ehm… John?>>
L’amico si voltò a guardarlo. Sembrava rilassato, e questo faceva sentire Michael ancora più sotto pressione. << Ehm…>> balbettò, grattandosi un orecchio. << Ecco, io… dovrei… dovrei dirti una cosa.>>
John aggrottò la fronte, e raddrizzò la schiena, improvvisamente attento. << Ok, spara.>>
Michael esitò. Era davvero la cosa giusta da fare, o dopo se ne sarebbe pentito? Molto probabilmente, entrambe le cose. Ma se ora si fosse tirato indietro, giurò che non avrebbe più avuto il coraggio necessario per farlo.
Si sporse in avanti, posando i gomiti sulle ginocchia e torturandosi le mani. << Riguarda…>> Distolse lo sguardo. << Riguarda i Leoni del Peccato.>>
John sembrò confuso, e questo metteva Michael ancora più in soggezione, perché significava che non aveva la minima idea di ciò che stava succedendo, e che ben presto il figlio di Poseidone si sarebbe ritrovato con un occhio nero in più e un amico in meno.
Aprì la bocca per parlare, ma inizialmente non ne uscì alcun suono. << Ecco, io…>>
Qualcosa lo interruppe. No, non qualcosa. Qualcuno.
Skyler tornò indietro proprio nel momento meno adatto.
<< Scusate >> mormorò, con un sorriso imbarazzato. Si strinse nelle spalle, poi si intromise fra i due, sporgendosi per afferrare uno zaino sopra la testa di John.
I ragazzi la osservarono, silenziosi, aspettando che se ne andasse per poter continuare.
Poi il treno sussultò, facendole perdere l’equilibrio. Sarebbe caduta addosso al suo ragazzo, se questo non l’avesse sorretta per i fianchi.
Lui sorrise, malandrino. << Non riesci proprio a starmi lontana, eh?>>
Skyler assottigliò lo sguardo, sforzandosi di trattenere un sorriso. << Non montarti troppo, Romeo >> lo rimproverò, puntandogli un dito contro. << E soprattutto non provocarmi. Ricorda che posso sempre romperti un braccio.>>
John sogghignò. Solo in quel momento, Skyler sembrò ricordarsi della presenza di Michael, e si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, imbarazzata. << Ehm, io… torno da Emma >> disse, allontanandosi impacciata.
John la guardò andare via, con un sorriso ebete stampato in faccia, poi si voltò per guardare Michael. << Scusa. Che volevi dirmi?>>
Michael strinse i denti. Si passò una mano fra i capelli, per poi stirarsi sul volto un sorriso forzato. Scosse la testa. << Niente di importante.>>
John non insistette. Fece spallucce, per poi posare il capo sul poggiatesta e guardare fuori dal finestrino.
Michael si passò una mano davanti alla bocca, imponendosi di non imprecare.
Forse non era il momento giusto, si disse. Forse non lo sarà mai.
Ed era frustrante, davvero. Sapere di avere un segreto e non poterlo rivelare. Vedere i suoi migliori amici corteggiarsi e non poter fare niente per impedirlo. Era… ingiusto.
Ingiusto perché lui non aveva fatto niente per meritarselo.
Ingiusto perché forse anche lui, alla fine, meritava un po’ di felicità.
 
Ω Ω Ω
 
Il giorno seguente, un leggero venticello rinfrescava l’aria facendo vibrare appena le foglie degli alberi.
Il Dakota del Sud era molto più freddo di quanto i ragazzi avessero pensato.
Erano riusciti a trovare un motel abbastanza decente, con prezzi convenienti e una lontananza dalla città sufficiente per non dare nell’occhio. La proprietaria era gentile, ma le camere erano un disastro, e Skyler non si sarebbe sorpresa se da un momento all’altro da sotto il letto fosse spuntato un topo morto misto a un cumulo di polvere.
Ma non ci diedero molto peso. Non erano lì per riposarsi, e dopo aver discusso fino a mezzanotte inoltrata e aver gentilmente rifiutato la colazione offertagli dalla dolce signora, avevano chiamato un taxi, e si erano avviati verso la loro prossima destinazione.
Michael era nervoso, proprio come tutti gli altri. Non aveva chiuso occhio tutta la notte, pensando a ciò che li aspettava.
Un Minotauro? Scherziamo? Se assomiglia almeno un po’ a quello descritto nei libri, siamo spacciati.
Ecco cosa pensava, ma non aveva il coraggio di dirlo ad alta voce. Per questo, nel silenzio carico di tensione che aveva invaso il taxi, lui cercava di distogliere l’attenzione dai propri pensieri guardando il paesaggio attraverso il finestrino, mentre si sfregava i palmi delle mani sui jeans nel vano tentativo di asciugare il sudore.
Il taxista era messicano, per questo, quando notò che i ragazzi non avevano voglia di parlare, mise su un po’ di musica, troppo allegra per i gusti del ragazzo. 
Era così preso a digrignare i denti mentre quello fischiettava, da non accorgersi neanche di far tremare la gamba.
Skyler, al suo fianco, vi posò una mano sopra, e solo a quel puntò Michael la fermò.
<< Rilassati >> gli sussurrò, con fare rassicurante.
Michael strinse nei pugni la stoffa dei jeans. << Come faccio a rilassarmi?>> sbottò, con lo stesso, basso tono di voce.
Skyler sospirò. << Andrà tutto bene >> gli disse, e, nonostante tentava di sembrare sicura, Michael notò il tentennamento nei suoi occhi, e questo lo innervosì ancora di più.
Dopo un tempo che sembrava indefinito, il taxi si fermò.
È buffo come si perda la cognizione del tempo mentre ti dirigi verso la morte, pensò Michael, pagando il taxista.
Skyler fece appena in tempo a mormorare un << Gracias >> che l’uomo sorrise sotto i folti baffi e se ne andò.
A quel punto, i ragazzi si voltarono, e, seguendo il flusso di persone, si diressero verso l’attrazione che tutti bramavano.
C’era molta più gente di quanto avessero immaginato. Famiglie, scuole in gita, gruppi di persone asiatiche in vacanza. Ovunque ti giravi, vedevi uomini, donne e bambini con delle bandierine dell’America in mano, macchine fotografiche appese al collo e dei gran sorrisi stampati sul volto.
Solo quando Skyler alzò gli occhi, si rese conto del motivo di tanto clamore.
Non aveva mai visto il Monte Rushmore. Da vicino, i volti dei quattro presidenti erano molto più grandi, mentre sembravano seguirti con lo sguardo ovunque tu andassi. Un po’ come la gioconda, solo che loro erano quattro, ed erano di pietra.
Skyler sospirò, stupita, e fu solo il fruscio della mappa che si apriva a farla tornare alla realtà.
Mentre Emma controllava la cartina, i ragazzi si guardarono intorno con circospezione.
<< Dov’è?>> chiese John, il volto serio.
Emma aggrottò la fronte, ma non rispose.
A quel punto, Skyler le diede una leggera gomitata. << Emma. Dov’è?>> ripeté, nascondendo le mani nelle tasche del giubbino di pelle.
Emma alzò lo sguardo, fissando un punto indefinito davanti a se. << Lì >> disse.
John corrucciò le sopracciglia, assottigliando gli occhi per vedere meglio. << Ma lì non c’è niente!>> esclamò.
<< Beh, guardate voi stessi.>>
I ragazzi si sporsero per osservare la cartina. Emma aveva ragione, il Minotauro sembrava trovarsi proprio di fronte a loro. Eppure, sotto i loro sguardi, solo persone.
<< Credete che si nasconda fra questa gente?>> chiese Michael, squadrando tutti dall’alto in basso.
<< È possibile >> rispose Emma. << Basta solo capire chi è. Ecco, ad esempio in questo momento sta…>> Si bloccò di colpo, sgranando gli occhi.
<< Non è possibile >> sussurrò.
<< Che cosa?>> domandò Skyler, guardandola.
Emma alzò lo sguardo, incredula. << È dentro la roccia!>>
<< Dentro la roccia?>> fece John, scettico, mentre si sporgeva per osservare la cartina.
<< Lui… si. Come… non è possibile. È appena entrato dentro la roccia. Guardate.>> Indicò un puntino luminoso sulla mappa. << Come…>> balbettò, senza riuscire a formulare una domanda.
<< Beh, non è detto che si trovi dentro la roccia >> ipotizzò Michael, al che gli altri lo guardarono.
Emma aggrottò la fronte. << Che vuoi dire?>>
Lui fece spallucce. << Beh, magari il suo rifugio non è qui. Può trovarsi dentro la roccia…>> cominciò, ma Skyler, guardandolo negli occhi, trattenne il fiato e finì per lui.
<< Oppure si trova sotto.>>
Dopo un attimo di esitazione, Michael annuì.
John ci pensò un po’ su. << Avrebbe senso >> confermò.
<< Grandioso!>> esclamò Emma, con scarso entusiasmo. << Come procediamo?>>
<< Dobbiamo trovare un modo per entrare >> disse Skyler, guardandosi intorno.
I ragazzi la imitarono, schierandosi accanto a lei. Ma tutto ciò che trovarono fu… niente. E avrebbero continuato a trovare niente, se non si fossero spostati.
<< Dividiamoci >> ordinò Michael, e gli altri non ebbero bisogno di annuire o confermare.
Come se fosse del tutto normale, o come se avessero studiato quel piano migliaia di volte prima di allora, John ed Emma sparirono a destra, confondendosi fra la folla.
Michael si mise il cappuccio della felpa in testa e curvò la schiena. Skyler strinse i pungi nascosti nelle tasche della giacca e, senza abbassare la guardia, si spostarono verso sinistra.
Alla ricerca di un’entrata segreta. Alla ricerca di un modo per scendere sottoterra. Alla ricerca di qualcosa.
 
Ω Ω Ω
 
<< Non è possibile >> sbuffò Skyler.
Stavano cercando da più di mezz’ora, e non avevano ancora trovato niente. Ormai si erano allontanati dalla calca di persone, e, aggirando il Monte Rushmore nella vana speranza di avere fortuna, non avevano trovato altro che alberi e terra brecciata.
Michael scrollò la testa, sconsolato. << Qui non c’è niente >> affermò.
Skyler digrignò i denti. << Eppure deve esserci un modo. Questo Minotauro da qualche parte dovrà pure uscire o entrare, no?>>
Michael fece spallucce, ma non disse altro. Continuarono a camminare per altri dieci minuti, prima che si rendessero conto che ora anche gli alberi erano spariti, e che sul loro sentiero non restava altro che terra
<< Sarà meglio tornare dagli altri >> propose Michael, sconcertato. << Magari sono stati più fortunati.>>
Skyler annuì, e, prima di voltarsi, diede un calcio ad un sassolino. Questo fece un balzò, ruzzolando sul terreno, prima di fermarsi di nuovo con un suono metallico.
Skyler si bloccò di colpo.
Un suono metallico?
Corrucciò la fronte, guardando il punto in cui il sassolino si era fermato. << Aspetta un attimo >> disse.
Si inginocchiò accanto al sassolino, e batté il dito sul terreno. Sembrava essere più rigido in quel punto.
Scavò un poco, finché, ad una profondità di circa sei centimetri, con le unghie non grattò del cemento.
<< Aiutami a liberare questo punto >> esclamò, emozionata.
Si misero a scavare insieme, e, due minuti più tardi, avevano scoperto una lastra di metallo di circa un metro di lato.
Skyler ne afferrò le estremità, cercando di infilare le dita sotto i bordi di cemento, ma era troppo pesante e troppo spessa per essere sollevata. Michael provò ad imitarla, ottenendo lo stesso risultato.
<< Ci serve qualcosa per fare leva >> osservò lui, pensieroso.
Un lampo corse negli occhi di Skyler, mentre frugava nelle sue tasche. << Oppure, potremmo usare questo.>>
Michael la guardò con un cipiglio interrogativo, finché non notò ciò che la ragazza teneva in mano. Era un piccolo quadratino, grande più o meno quanto la sua falange. Era bianco, e strano.
Le sembra il momento di masticare una gomma?, pensò, e stava per chiederglielo, quando Skyler si portò il quadratino davanti al volto e lo osservò.
<< Che cos’è?>> domandò allora Michael, inarcando un sopracciglio.
Skyler abbozzò un sorriso storto. << L’ho costruito io >> disse. << L’avevo portato, nel caso potesse tornare utile, ma non so esattamente quale sia la sua funzione.>>
Michael soppesò quelle parole, fissando il marchingegno da sopra la sua spalla. Fino a quando una domanda gli sorse spontanea. << L’hai fatto quando hai preso in prestito il mio mp3?>>
Skyler annuì, pensierosa. << L’ho fatto con il tuo mp3 >> specificò.
Michael sgranò gli occhi. << Che cosa?>> esclamò, indignato. << Mi stai forse dicendo che…>>
<< Spostati >> ordinò Skyler, e Michael esitò.
La ragazza afferrò entrambe le estremità del quadratino, e poi, con uno scatto secco, spinse una in avanti e una indietro.
Il marchingegno emise un leggero ticchettio. Skyler lo posò sulla lastra di metallo, quando il tempo fu scandito da quel rumore più velocemente.
<< Corri!>> esclamò lei. Afferrò Michael per un braccio e lo tirò indietro, il più lontano possibile da quel coso.
Quando il ticchettio diventò così veloce da sembrare un unico suono prolungato, Viva la vida dei Coldplay risuonò nell’aria, seguita da una grossa esplosione.
La terra tremò, e i ragazzi furono scaraventati a terra per l’impatto.
Rannicchiati sul terreno, si coprirono il capo con le mani, finché non furono sicuri che fosse tutto finito. Tossicchiarono un po’, per via della polvere causata da quella detonazione.
Poi si voltarono. Ora, nel punto esatto in cui si trovava la piastra di metallo, c’era un grande, ed enorme… buco.
Michael spalancò la bocca, scioccato. Guardo Skyler, con una punta di terrore negli occhi. << Cosa è… come hai… come...>> balbettò.
Skyler sorrise, soddisfatta. << Le cose più grandi sono proprio le cose più difficili da vedere.>>
Michael la squadrò un attimo, allibito. Spostò lo sguardo da lei, al buco, a lei, e poi ancora al buco. Skyler alzò le sopracciglia, nell’attesa che metabolizzasse l’informazione, e quando fu così, Michael domandò sconvolto: << Quello era il mio mp3?>>
Skyler rise, ignorando la domanda. Si alzò da terra e, dopo essersi pulita alla meno peggio la polvere dai pantaloni, andò verso il buco. Michael la imitò.
La fossa era molto più ampia di ciò che Skyler aveva immaginato. Aveva un diametro di circa tre metri, e aveva rivelato quello che aveva tutta l’aria di essere un pozzo, o l’entrata di una caverna.
Skyler si strinse nelle spalle, abbozzando un sorriso. << Oops!>>
Michael guardò quel cratere, terrorizzato. Poi fissó Skyler come se fosse pazza. << Quello era il mio mp3?>> domandò, incapace di riuscire a pensare ad altro.
Skyler corrucciò le sopracciglia. << Dobbiamo sbrigarci >> rispose invece. << L’esplosione avrà creato parecchio trambusto, molto probabilmente qualcuno sta già arrivando.>>
<< Quello era il mio mp3!>>
La ragazza si aggrappò al braccio dell’amico e fece un passo avanti. << Aiutami a scendere.>>
Michael la osservò a bocca aperta, mentre lei scendeva titubante all’interno del cratere.
<< Il mio mp3 >> mormorò, scandalizzato. << Hai appena distrutto il mio mp3!>>
<< Muoviti!>> lo rimproverò lei, dall’interno della fossa. Ma non poté fare a meno di celare un sorriso.

Angolo Scrittrice.
Bounjour!
Eccomi qua, non so come sono riuscita già ad agiornare.
Allora, so che molti di voi si aspettavano l'incontro col Minotauro, ma ho deciso che troppa azione di seguito dopo un po' stufava, e che quindi c'era bisogno di un capitolo di passaggio. So che questo non è niente di che, però pazienza, ormai il danno è fatto. Finalmente, peró, abbiamo capito qual'era l'invenzione di Skyler (Capitolo 15 ;D)
Anyway, vi è piaciuto almeno un po'? Spero di si :3
Beh, devo ancora fare una ricerca di John Lennon per inglese, quindi evitero di parlare, oggi. Ahah, approfittatene, perchè è un evento più unico che raro! xD
Quindi, passiamo ai ringraziamenti: Un grazie enorme alle mie Valery's Angels:
giascali, Cielomagico, Grag Heffley, Fred Halliwell, Kalyma P Jackson, Silena Beckendorf, moon_26, Fyamma e Ciacinski. Grazie per le recensioni del capitolo precedente. Vi voglio bene *-*
Bien bien, ora devo proprio andare xS un bacione enorme, e spero che il capitolo vi piaccia
Sempre vostra,
ValeryJackson

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


La grotta era fredda, e puzzava di terra bagnata.
I ragazzi avanzarono lentamente, cauti, finché il buio non diventò troppo pesto persino per l’occhio di un gatto.
Intorno a loro, solo silenzio. Eppure, non riuscivano ad ignorare quella frustrante pelle d’oca che li avvisava di non abbassare la guardia.
Con i denti digrignati, strinsero nei pugni la penna e la collana, sguainando le spade.
Una debole luce rimbalzò sulle pareti calcaree di quel sottospecie di strano labirinto, ed entrambi furono costretti ad assottigliare un attimo lo sguardo per abituarsi all’improvviso bagliore.
Le spade non erano lucenti come avevano sperato, ma era sempre meglio di niente.
Con i nervi tesi, continuarono a camminare, a volte inciampando in qualche sasso, a volte essendo costretti a piegare la schiena. Non avevano idea di dove andare, e l’unica cosa che li faceva avanzare erano i continui tunnel che ogni tanto si formavano a destra o a sinistra, e poi, beh… l’istinto.
Una volta Chirone aveva detto a Michael che l’istinto di un mezzosangue non sbaglia mai.
In quel momento, il ragazzo sperò avesse torto. Perché se fosse accaduto davvero ciò che l’istinto li suggeriva, allora non sarebbe successo nulla di buono.
Skyler, accanto a lui, continuava ad inciampare, imprecando, tant’è che ad un certo punto pensò bene di tenere una mano premuta sulla parete al suo fianco, nella vana speranza che le facesse strada.
Avanzarono per quelle che sembravano ore, ma che forse, in realtà, erano solo pochi minuti. Finché, ad un certo punto, il tunnel nella quale stavano camminando si fece più stretto. I ragazzi furono costretti a continuare a piccoli passi, le loro spalle che si sfioravano e che, nel contempo, sfioravano anche la parete.
Skyler stava cominciando a stancarsi. I piedi le dolevano, la paura e l’ansia le provocavano fitte allo stomaco, e l’unica cosa che sembrava esserci in quel posto era la roccia.
Un altro buco nell’acqua, pensò, con una fitta di rabbia. Forse Emma e John l’hanno già trovato, e se ora stanno combattendo contro di lui, noi non siamo di alcuna utilità, rinchiusi qui sotto.
Era così impegnata ad essere frustrata, da non accorgersi che, davanti a lei, il tunnel sfociava in quella che sembrava essere un’enorme stanza.
Continuò a camminare, contando mentalmente il tempo che avrebbero impiegato ad uscire di lì, e colpì un sassolino con la punta della scarpa.
Il ciottolo rimbalzò poco lontano con un rumore sordo, e qualcosa, alla sua destra, emise uno sbuffo.
Skyler non ebbe neanche il tempo di pensare. Fu attirata indietro da Michael, che, dopo averla afferrata per un polso, la strattonò con forza, riportandola nello stretto tunnel.
La sorpresa e lo sconcerto furono tali che Skyler perse la presa sulla spada, che ruzzolò rumorosamente a qualche metro da lei.
<< Ma che fai!>> esclamò, fulminando Michael con lo sguardo.
Il ragazzo la guardò negli occhi, la fronte accigliata. << Hai deciso di morire, per caso?>> sibilò, arrabbiato.
<< E tu hai deciso di farmi lottare disarmata?>> ribatté lei, con lo stesso tono. Il figlio di Poseidone aveva ancora il suo polso stretto nel pugno, ma poi, lentamente, lo lasciò andare.
Skyler trattenne l’impulso di sfregarselo. Guardò ancora Michael, corrucciata, prima di rendersi conto del perché di tale gesto.
Adesso, mentre la rabbia lentamente sbolliva, lo sentiva anche lei. Un respiro pesante, molto simile ad un russare. Un brivido le corse lungo la schiena.
Esitanti, e ragazzi si sporsero per controllare in quell’enorme stanza di roccia. Quando Skyler lo vide, ebbe un tuffo al cuore.
Era grosso, anzi, enorme! Rannicchiato così, nella posizione in cui si trovava, sembrava alto più di due metri. Aveva la pelle solcata da vene, con delle braccia e delle gambe così possenti che Skyler giurò ci fossero nascosti centinaia di cocomeri, sotto quell’ammasso di peli. Già, esatto. Peli. Quel mostro ne era coperto. Non solo alle gambe, dove Skyler ormai era abituata a vederli circondata com'era da centauri e satiri, ma addirittura sulla parte superiore. Un’ispida peluria nera saliva sempre più fitta dall’ombelico alle spalle. E Skyler avrebbe pagato oro affinché quella fosse la parte più spaventosa.
Due corna enormi e possenti, infatti, si stagliavano sopra il suo capo, minacciose, e quasi desiderose di trafiggere qualche corpo con le loro punte.
Il ronfare del Minotauro era forte e regolare, e al momento sembrava essere l’unico suono presente nella stanza.
Skyler represse un brivido, mentre lo osservava, e sentì Michael, davanti lei, deglutire.
<< D’accordo >> mormorò il figlio di Poseidone stringendo l’elsa della spada. << Tu aspettami qui, ci penso io.>>
<< Cosa? Non se ne parla!>> sbottò Skyler, sussurrando però per paura di svegliare il mostro. << Io vengo con te.>>
<< È troppo pericoloso >> bisbigliò Michael, a denti stretti. << Non voglio che ti faccia del male.>>
<< Non me ne starò ad aspettare in un angolo mentre tu combatti contro quel mostro >> ribatté lei, adirata. << Smettila di fare l’eroe >> lo rimproverò poi, al che lui la guardò. I loro sguardi si incrociarono, e Michael dovette riconoscere il luccichio deciso che c’era negli occhi della ragazza, molto più che nei suoi. Lei scosse impercettibilmente la testa. << Io non ti lascio.>>
Michael represse un sospiro di sollievo. Era bello sapere di avere qualcuno accanto, anche se quello era l’ultimo posto nel quale avrebbe voluto avere compagnia. Annuì pronto, improvvisamente carico di adrenalina, e dopo aver accennato un lieve sorriso, tornò a guardare il mostro.
<< Che cosa facciamo?>> chiese, squadrandolo con circospezione.
Skyler stava facendo lo stesso. << Abbiamo bisogno di quelle corna >> ammise, risoluta. Il ragazzo assentì.
Dopo alcuni secondi, lei sospirò. << Pensaci tu >> gli disse. Strinse i denti e raccolse la spada da terra. << Io lo distraggo.>>
Michael sembrò esitare. Guardò prima lei, poi il mostro, poi lei, e poi di nuovo il mostro. Se avesse agito in tempo, sarebbe riuscito ad ucciderlo prima che potesse farle del male. Sembrava un buon piano, seppur infondato, e in quel momento sembrava essere la sua unica ancora di speranza.
<< Ok >> mormorò. Con cautela, uscirono dal tunnel. Michael si mosse lungo il perimetro della stanza, sforzandosi di non tradire quel silenzio che li circondava.
Solo quando vide la figura del ragazzo sparire dietro il corpo massiccio del mostro, Skyler si rese conto di quanto avesse paura.
Che cos’era lei, in confronto ad un bestione alto due metri? Che cosa avrebbe potuto fare, nella speranza di salvarsi la pelle? Sarebbe morta? Quelli erano i suoi ultimi respiri?
Ormai era tardi per pensarci. Michael stava aspettando un suo segnale, e se non voleva davvero sentirsi inutile in quella missione, doveva muoversi e inventarsi qualcosa.
Io lo distraggo”, aveva detto poco prima. Si, ma come? Avrebbe potuto svegliarlo, punzecchiandogli il muso con la spada, eppure le tremavano le gambe al solo pensiero di avvicinarsi. No, da morta non sarebbe stata di alcun aiuto.
Si guardò intorno, nella speranza di trovare qualcosa da lanciare, ma tutto ciò che sembrava circondarla erano dei miseri sassolini.
Andranno bene, si disse, afferrando il più grosso che riuscì a trovare. Se lo rigirò fra le mani, facendo un bel respiro. Una goccia di sudore le colò lungo la schiena, ma la ignorò. Trattenne il fiato, caricò il braccio e lanciò.
Il ciottolo colpì il Minotauro giusto sul capo, e questi si rigirò nel sonno, ronfando. Skyler ne lanciò un altro, e un altro, e un altro.
Quando vide un occhio del mostro schiudersi, sussultò.
<< Ehi, Maxi mucca!>> esclamò, ostentando una falsa sicurezza. << Vieni a prendermi!>>
Un embolo nel cervello del Minotauro si azionò, e, dopo che le sue narici si furono allargate a dismisura inspirando l’aria circostante, sgranò gli occhi.
Si voltò verso Skyler con uno scatto della testa così cruento che lei per poco non temé che le sarebbe ruzzolata accanto ai piedi.
Il mostro sembrò fare dei grandi respiri, mentre inclinava la testa per squadrarla. Con un lentezza raccapricciante, si alzò in piedi, dimostrando a Skyler che no, non si sbagliava. Quel coso era alto davvero più di due metri.
Le corna arrivavano a sfiorare il basso soffitto della grotta, facendolo sembrare invincibile. Skyler deglutì, senza fiato.
<< P…p… prova a prendermi >> balbettò.
A quel punto, il Minotauro mugghiò di rabbia. Emise uno sbuffo dal naso, raschiando un piede contro il terreno. Incurvò leggermente la schiena e sembrò puntare le lunga corna verso di lei.
Fantastico!, pensò Skyler, terrorizzata. Sono spacciata.
Passò una frazione di secondo quando il mostro le corse incontro. Skyler riuscì a spostarsi giusto in tempo, ruzzolando di lato, mentre stringeva l’elsa della spada con così tanta forza nella paura di perderla da avere le nocche bianche. Il mostro mugghiò di nuovo, frustrato, quando per poco non andò a sbattere contro la parete. Fiutò un po’ l’aria, poi si voltò verso di lei e sembrò caricare ancora.
<< Skyler!>> esclamò Michael, mentre lei faticava a rialzarsi.
La ragazza osservò l’uomo-toro correre verso di lei. Strinse i denti e, non sapendo esattamente il perché, gli andò incontro.
Quando seppe di essere abbastanza vicina, si piegò sulle ginocchia e scivolò sul terreno. Passò esattamente in mezzo alle gambe del mostro, e approfittò di quel momento per affondargli nel polpaccio la sua spada.
Il mostro uggiolò di dolore, piegandosi su un ginocchio. Nel farlo, però, fece tremare il terreno, e Skyler cadde carponi per l’impatto. Michael le fu subito accanto.
<< Stai bene?>> le chiese, preoccupato.
Lei annuì, incapace di proferire parola, anche se non ne era molto sicura.
Si voltarono entrambi a guardare il Minotauro, che ora sembrava essersi ripreso. Mentre del sangue nero gli colava lungo il polpaccio, il mostro si girò verso di loro.
Skyler giurò che avrebbe caricato di nuovo, se un freccia non gli si fosse conficcata giusto nel petto. Senza ferirlo gravemente, ovvio, ma fu abbastanza per attirare la sua attenzione.
Mentre lui se la estraeva con forza, adirato, Emma e John fecero trafelati il loro ingresso nella stanza, da un tunnel secondario. Emma aveva gli occhi spiritati, e stringeva in una mano la mappa, nell’altra il coltellino.
John estrasse un’altra freccia dalla faretra mentre correvano verso gli amici.
<< Tutto ok?>> chiese, al che loro annuirono. Poi incoccò il dardo e lo conficcò nella spalla del mostro.
Questo emise un rantolo, arrabbiato. Estrasse anche questa, per poi portarsela davanti al muso peloso e spezzarla in due con il solo uso del pollice.
Skyler deglutì, quando il Minotauro avanzò minaccioso verso di loro, facendo tremare il terreno sotto i suoi passi.
<< Ragazzi?>> balbettò Emma, preoccupata. << Che facciamo?>>
Solo nel momento in cui il mostro fu a circa un metro da loro, e Skyler fu costretta ad alzare lo sguardo per poterlo osservare, si rese conto di avere gli occhi sgranati.
<< Ehm… Skyler?>> disse John a denti stretti, tendendo la corda dell’arco. << Sarebbe il momento giusto per legarsi i capelli.>>
Il Minotauro urlò, facendo tremare le pareti. La mora fece appena in tempo ad urlare un << Via!>> con tutto il fiato che aveva in gola che i ragazzi si spostarono, poco prima che la zampata del mostro atterrasse nel punto in cui si trovavano. Si dispersero, correndo ognuno verso un diverso angolo della stanza.
Quando Skyler pensò di essere abbastanza lontana, si inginocchiò a terra, ansimando. Tentò impacciata di sfilarsi il laccio per la coda da polso e, non appena ci riuscì, si legò i capelli in una disordinata coda di cavallo.
Quando si voltò a guardare il mostro, tutto le sembrò improvvisamente più chiaro.
È forte, pensò. Ma ha una vista e un udito pessimi. Se solo riuscissimo ad indebolirgli anche l’olfatto… a quel punto saremo invisibili.
Il suo sguardo cadde sullo zaino che aveva abbandonato in mezzo alla stanza.
Lo raggiunse e, con mani tremanti, lo aprì. Dentro vi trovò un po’ d’acqua, qualche cambio, nettare e ambrosia e… formaggio feta.
Formaggio feta, ma certo! Quella mattina, quando la donna del motel gli aveva offerto la colazione, si era presentata in camera loro con un vassoio pieno di roba, compreso il formaggio. I ragazzi avevano denigrato, e quella donna sembrava esserci rimasta molto male. Così, per non deluderla, Skyler aveva afferrato la prima cosa che la era capitata sotto mano dal vassoio, ringraziandola educatamente.
Fece vibrare lo sguardo dal mostro al formaggio fra le sue mani.
Se solo potessi squagliarlo. A quel punto l’odore lo depisterebbe.
Era un piano folle, è vero, e se non fosse stata così impegnata a salvarsi la pelle avrebbe scherzato sul fatto che passava troppo tempo con Michael.
<< John!>> chiamò, a squarciagola. Non dovette aspettare molto, che il ragazzo le fu accanto.
Skyler schiacciò quel grosso pezzo di formaggio puzzolente fra le mani, reprimendo in fondo alla gola un nodo di disgusto.
Poi lo passò a John. << Lancialo sul naso del mostro >> ordinò.
Lui sembrò confuso. << Cosa?>>
<< Ora!>>
Il ragazzo non obbiettò. Afferrò quella massa informe che una volta era un pezzo di feta, lo infilzò con una freccia, poi incoccò quest’ultima e, dopo aver preso la mira, la scagliò dritta contro il naso del mostro.
Questi sembrò non accorgersene, finché un forte tanfo non gli invase le narici. Tentò di rimuoverla, infuriato, ma la sua pessima vista e l’impossibilità di incrociare gli occhi perché troppo lontani non glielo permisero. Il mostro tastò l’aria, incapace di orientarsi.
Skyler corse contro di lui e, approfittando di quello smarrimento, lo attaccò con un fendente rivolto al fianco.
Il mostro si piegò in due, reggendosi la ferita, per poi voltarsi verso di lei, rabbioso, e scagliarla con una mano contro il muro.
Skyler vi sbatté di schiena, e l’impatto fu così forte da smorzarle il fiato. Tossì, nella speranza di ridare aria ai polmoni, un dolore sordo che le pulsava contro la schiena. Si mise carponi e provò ad alzarsi, ma quando fu in ginocchio non si rese conto che l’uomo-toro stava caricando contro di lei.
<< Skyler!>> urlò Michael, quando quello prese la rincorsa.
Il figlio di Poseidone corse contro la ragazza, chinandosi su di lei e spingendola contro il muro. Skyler sentì il petto del ragazzo contro la schiena, mentre lui le faceva scudo con il suo corpo.
Il mostro, per fortuna, sbagliò mira, e infilzò le sue corna proprio ai lati dei due ragazzi. Per un attimo, Michael benedisse la sua pessima vista, e quando il mostro disincastrò le corna dalla roccia, ne usufruì per alzarsi da terra e menare un affondo sul suo muso.
Questi cacciò un urlo raccapricciante. Skyler provò ad alzarsi, e fece appena in tempo a notare una strana deformazione delle corna del mostro prima di sentire le ginocchia cedere.
Michael la sorresse per un braccio. << Tutto ok?>> le chiese.
Skyler fece una smorfia di dolore. << Si >> borbottò, reggendosi un fianco.
Il mostro sembrava completamente confuso in quel momento, ed Emma ne approfittò. Si scagliò contro il Minotauro e, con un rapido movimento del braccio, gli affondò il suo coltellino nella coscia.
Lui ululò, un po’ per dolore un po’ per rabbia, e, smarrito, andò a sbattere contro la parete di roccia, provocando una pioggia di polvere e calcinacci.
Sbuffò, adirato. Le sue narici si allargarono a dismisura, mentre si sforzava di distinguere l’odore di quei mezzosangue sopra il tanfo della fesa.
Curvò la schiena, e iniziò a tastare il terreno alla cieca.
Michael fece appena in tempo a spostarsi, prima che il mostro lo schiacciasse con una zampata, e riuscì addirittura a ferirgli il braccio, facendolo sanguinare.
Ma la stessa fortuna non l’ebbe Emma. Tentò di affondare il coltello nella sua enorme zampa, ma questo non ferì il mostro, ed ebbe il solo risultato di rivelare la sua posizione.
Nonostante non ci vedesse, il mostro si girò a guardarla, e, un po’ per fortuna un po’ per qualcos’altro, afferrò l’aria, riuscendo a stringere la ragazza in una morsa d’acciaio.
Emma sentì le proprie costole incrinarsi, mentre il mostro riassumeva una posizione eretta, trionfante, sollevandole i piedi da terra.
Mugghiò, facendo tremare la stanza, per poi stringere ancora di più la bionda nel suo pugno, facendola gemere di dolore.
<< Emma!>> esclamò Skyler.
I tre ragazzi corsero verso il mostro, per liberarla, ma il mostro fendette l’aria con il braccio, facendoli indietreggiare.
John strinse la presa sull’arco, nel vedere l’amica agonizzante. Il Minotauro strinse ancora di più il pugno, e stavolta, Emma fu sicura di essersi rotta tutte le ossa. Un dolore lancinante le invase tutto il corpo, partendo dalla colonna vertebrale e diramandosi per le gambe e per la nuca. Strabuzzò gli occhi, boccheggiando, mentre l’aria faticava sempre di più ad entrarle nei polmoni.
<< No!>> urlò Skyler, poco prima di scorgere con la coda dell’occhio una freccia lucente formarsi fra le mani di John.
Il biondo la posizionò nella cocca, per poi prendere la mira. Ma esitò.
<< Che aspetti!>> sbraitò Michael, impotente. << Uccidilo!>>
<< Non posso!>>
<< E perché?>>
<< Perché la freccia esploderebbe. Se venisse a contatto con qualcosa di vivo, la luce abbandonerebbe la sua forma, e tornerebbe ad essere luce nel corpo di quel mostro.>>
<< E che problema c’è se salta in aria?>>
John digrignò i denti, continuando a tenere l’arco teso. << Salterebbe in aria anche Emma.>>
Skyler ebbe un tuffo al cuore. Guardò l’amica, disperata, e fu come se la caverna le fosse appena crollata addosso quando si rese conto che non poteva aiutarla.
No, deve esserci un modo!
Strinse l’elsa della spada, ma sapeva che non avrebbe potuto avvicinarsi. Ricordò ciò che lo zio le diceva sempre quando, dopo un allenamento deludente, si demoralizzava.
<< C’è sempre un modo. Devi solo capire tu qual’é.>>
E a volte serve anche un po’ di fortuna, pensò, mentre una strana idea le si formava in testa.
Prima che potesse avere un ripensamento, corse verso il mostro, ignorando le grida dei due amici che le intimavano di fermarsi.
Alzò il braccio armato sopra il capo, e, quando fu a circa un metro da lui, si fermò, prese la mira e… lanciò la spada.
La scena parve svolgersi a rallentatore. La spada volteggiò nell’aria che la separava dal mostro, proprio come facevano i coltelli che una volta aveva visto lanciare a Janice. La direzione della punta variava, prima rivolgendosi a lei, e poi a lui. Quando sembrò che il tempo si fosse fermato, e la mora trattenne il fiato, la spada si conficcò dritta nel suo sterno, affondando fino a metà lama.
Il mostro mugghiò di dolore, mentre del sangue nero gli colava dalla ferita. Lasciò andare Emma, che cadde al suolo priva di sensi, e Skyler fece per correrle incontro, quando il mostro agitò le braccia, colpendola e scaraventandola dall’altro lato della stanza, prima di disintegrarsi in un cumulo di polvere.
L’impatto che Skyler ebbe con la parete fu ancora peggio di quello di prima. Atterrò di fianco, dolorante, incapace di muovere anche un solo muscolo. Giurò che le sue ossa si fossero rotte, e, quando tentò di alzarsi, ne ebbe la conferma.
Fece perno sulle mani, ma una forte fitta le colpì la base della colonna vertebrale, facendola crollare a terra con un lamento dolorante.
Michael le fu subito accanto, e Skyler era troppo impegnata a stringere i denti per notare John che, chino su Emma, estraeva qualcosa dal suo zaino.
Michael le mise una mano dietro la nuca, e solo in quel momento la ragazza si accorse che le pulsava terribilmente. << Ah!>> esclamò, al che lui, spaventato, la ritrasse.
Skyler poteva leggere benissimo l’apprensione sul suo volto, ma non aveva le forze necessarie per tranquillizzarlo, se non afferrargli la mano.
Dopo un po’, uno zaino cadde al suo fianco, e John si inginocchiò su di lei.
<< Come stai?>> le chiese, accarezzandole la fronte. Ricevette come risposta solo un semplice gemito.
Le labbra del biondo si strinsero in una linea sottile, mentre estraeva qualcosa dalla borsa.
<< Mangia questa >> disse, cacciandole in bocca un pezzo di ambrosia. Poi sospirò. << Hai qualche costola incrinata, ma niente di così grave, non preoccuparti. Credo comunque che tu ti sia distorta una caviglia.>>
<< Come sta Emma?>> chiese Michael.
John si morse il labbro, mentre si spalmava le mani di una strana sostanza. << Ha diverse distorsioni e un ematoma. L’impatto le ha causato anche un lieve trauma cranico, ma ce la farà.>>
Michael sospirò, sollevato, non essendosi neanche accorto di trattenere il fiato. Lui e l’amico avevano solo qualche graffio, e, per una qualche strana ragione, si sentiva terribilmente in colpa, mentre le ragazze stramazzavano al suolo.
John guardò Skyler. Non l’avevano mai visto così serio e concentrato, ma immaginarono che fosse normale, dato che il figlio del dio della medicina aveva in mano le loro vite.
<< Ti farà un po’ male >> avvertì. Poi posò i palmi sul ventre di Skyler.
La ragazza urlò di dolore, incurvando la schiena e stringendo i denti, mentre si aggrappava agli amici con tutte le sue forze.
Dopo quella che sembrò un’eternità, John alzò le mani, e Skyler ansimò, tentando di calmarsi.
<< Che cos’è quello?>> chiese Michael.
<< Medicine del campo >> rispose vago John, riponendolo nello zaino. << Delle invenzioni di Chirone. Sono venuto prevenuto.>> Si alzò in piedi. << Non farle toccare il terreno con la gamba destra. È lì che aveva la distorsione, e se la sforza le farà di nuovo male.>> Poi afferrò lo zaino e corse verso Emma.
Michael guardò Skyler, che ora sembrava aver regolarizzato il respiro e preso un po’ di colore.
Con delicatezza, la prese in braccio, per poi stringersela incoscientemente al petto in un istinto di protezione. << Come va?>> le sussurrò, preoccupato.
Lei annuì leggermente. << Meglio >> rispose. Poi sospirò. << Mi dispiace >> disse con un fil di voce.
Michael aggrottò la fronte. << Per cosa?>>
<< Per aver ucciso il mostro.>>
Il ragazzo ebbe un tuffo al cuore. Era stato così impegnato a preoccuparsi degli amici da dimenticarsi completamente del loro obbiettivo. Ora il mostro era morto, e loro non avevano il corno.
<< Non fa niente >> disse, anche se in fondo al suo cuore si stava facendo largo una lieve sensazione di fallimento. << Troveremo un altro modo.>>
<< Forse non tutto è perduto >> fece Skyler, speranzosa. Ricordava che nelle corna del Minotauro aveva notato qualcosa di diverso, ed indicò con un cenno un punto della stanza a Michael.
Il ragazzo, seppur non capendo quali fossero le sue intenzioni, ce la portò.
All’inizio, Skyler insisté di poter stare in piedi da sola, ma Michael obbiettò, così fu costretta a reggersi in piedi su una gamba, mentre lui le reggeva i fianchi.
Perlustrò a tentoni il muro, cercando fra le macerie calcaree. Per un attimo, il ragazzo pensò che avesse battuto anche la testa, ma poi fra quel cumulo di sassi e polvere emerse qualcosa.
Un minuscolo corno appuntito, incastrato nella roccia. Skyler lo estrasse, trionfante. Era più piccolo del suo palmo, ma forse poteva bastare. Guardò Michael negli occhi, e notò il luccichio di gioia nelle sue iridi blu.
Ce l’aveva fatta. Ce l'avevano fatta. Ora avevano il terzo ingrediente. E forse, la presenza di Skyler non era così inutile come la ragazza pensava.

Angolo Scrittrice.
Bounjour!
Bien, bien, bien, come vedete ho aggiornato. Eheh, pensavate di esservela scampata? ;) sorry, guys, ma il martedì è mio, e farò sempre di tutto per pubblicare.
Alors... finalmente questo benedetto incontro con il Minotauro! A parte il finale un po' impietoso (yes, I know) che ve ne pare? Vi è piaciuto? Vi sietee annoiati? Entrambe le cose? E' possibile fare entrambe le cose? Bah, questo resterà sempre uno dei grandi misteri della vita...
Anyway, ora hanno il terzo ingrediente. Oh, yep. Ma quale sarà il prossimo? Stavolta non ve lo dico, o meglio, non sapevo come inserirlo nel capitolo. Ma facciamo finta che io l'abbia fatto apposta e che voglia lasciarvi alla scoperta, così sembra più figo ;) xD ahah
Ook... scherzi a parte, credo di poter evitare eventuali commenti, dato che, beh, dovete dirmelo voi cosa vi è sembrato, io non c'entro. Posso solo dire, però, che mi è piaciuto molto immaginare John come una giovane crocerossina :3 so che è un dettaglio futile, ma a me piace. Insomma, il figlio del dio della medicina che cura anche le ferite più incurabili. Insomma, non è... forte?
ahah, ok, sono le dieci e sto delirando. Passiamo ai ringraziamenti, che è meglio.
Ringrazio infinitamente le mie Valery's Angels:
bibrilove98, Fyamma, Fred Halliwell, Cielomagico, Greg Heffley, _percypotter_, sofy_1394, Riario1, Ciacinski e Kalyma P Jackson
.
Potrei dilungarmi in una bella sviolinata, ma non mi sembra il caso. Oookey, credo sia il momento di andare.
Adios, e buona... buona... oh, buono tutto, dato che non so quando la leggerete xD
Un bacio, ValeryJackson

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


TE L'AVEVO PROMESSO:
Voglio dedicare questo capitolo alla mia

fedele compagna di banco Martina,
che dice di essere la mia Musa ispiratrice.
L'importante è essere convinti nella vita, Marty!
Ahah, scherzo, ti voglio bene
;*

La sera era ormai calata sull’imponente Monte Rushmore, e la folla che lo circondava si era lentamente dissipata, lasciando spazio sono a qualche animale della notte che fino a quel momento era rimasto nell’ombra dei boschi.
Quando avevano letto sulla mappa quale sarebbe stata la prossima destinazione, ai ragazzi era venuto un tuffo al cuore.
«Una pelle del serpente Pitone» aveva sussurrato Emma, con un filo di voce. «Big Spring, Missouri Ozark, Missouri.»
I ragazzi conoscevano quel posto. In quel momento, le loro menti erano infestate da una miriade di domande, come ad esempio “Perché il serpente Pitone vive lì, in un parco nazionale?” o “Come prendiamo la sua pelle?”, ma al momento, tutto ciò a cui riuscivano a pensare era come arrivarci.
Nonostante le cure di John, le ragazze non si erano ancora riprese. A Skyler faceva sempre male la gamba, che le imponeva di zoppicare leggermente, ed Emma era già una fortuna se riuscisse a reggersi in piedi.
Non abbiamo il tempo per tornare al motel, pensò Michael, con rammarico. E forse non avevano neanche i soldi e la forza necessari per trovarne un altro nelle vicinanze.
Per questo, furono costretti a fare chiò che mai avrebbero pensato di fare in una missione: chiedere aiuto ai mortali.
Mentre le ragazze si riposavano all’ombra di un albero, Michael e John avevano cercato qualcuno che potesse offrirgli un passaggio fino al Missouri, e alla fine, dopo tante domande a vuoto e molti due di picche, erano riusciti ad ottenerlo.
E così, erano saliti su un bus pieno di turisti asiatici.
Quegli uomini erano stati molto gentili, e li avevano accolti senza pregiudizi nonostante le loro pessime condizioni. Sembrava non importargli, oppure facevano finta di non notarlo. Erano davvero tanti, e per riuscire a trovare dei posti i ragazzi erano stati costretti a scomodare alcuni bambini, che si erano seduti sul pavimento nel fondo. Variavano, appunto, da donne a uomini, da anziani a bambini, e tutti avevano un perenne sorriso stampato in faccia mentre si guardavano intorno, facendo foto anche alle cose più impensabili, come alle mucche o agli alberi, come se non avessero mai visto una mucca o degli alberi.
Il loro comportamento era alquanto singolare, eppure i ragazzi erano troppo stanchi per potersene preoccupare.
Dopo alcune ore di viaggio, quando finalmente l’ansia e l’adrenalina erano sbollite, riuscirono ad addormantarsi. O meglio, alcuni di loro.
Dopo che ebbe tempestato di domande apprensive Skyler per una buona mezz’ora, il cipiglio preoccupato che corrugava la fronte di John era sparito, lasciando posto solo ad un’espressione assonnata.
Il ragazzo era intimorito, e lei lo sapeva. Sentiva sulle spalle tutto il peso del loro benessere fisico, dato che sembrava essere l’unico in grado di poterli guarire, e questo lo metteva in soggezione, perché semmai non fosse stato in grado di curarli, sarebbe vissuto con i sensi di colpa per tutta la vita.
Per questo, nonostante le desse abbastanza fastidio tutta quell’apprensione, Skyler lo aveva lasciato fare, regalandogli dei sorrisi rassicuranti e permettendogli di massaggiarle la caviglia slogata, cosa che trovò molto rilassante.
Ora, John si era addormantato, posando la testa sul finestrino e assopendosi lentamente.
Sembrava rilassato, e Skyler non riuscì a trattenere un sorriso. Gli passò dolcemente una mano fra i capelli, mentre ammirava i suoi lineamenti perfetti.
A differenza del ragazzo, lei non riusciva proprio a dormire. Era distrutta, certo, ma con l’adrenalina che le pompava nelle vene non riusciva a stare calma. O forse era ansia, cosa molto più probabile.
Quando aveva deciso di partire per quella missione, non avrebbe mai immaginato di dover combattere contro tutti quei mostri. Prima la Chimera, poi i Leoni del Peccato, poi il Minotauro, ora il serpente Pitone e poi chissà chi altro.
Lei era soltanto una semplice ragazzina di Baltimora. Sapeva difendersi, certo, ma non con in mano una spada. Incosciamente, benedisse tutte le ore passate ad allenarsi al Campo. All’inizio le odiava, e avrebbe preferito di gran lunga dormire per tutto il pomeriggio, ma ora sembravano essere l’unica cosa in grado di salvarle la pelle. Quelle, e i suoi amici. Come avrebbe fatto, senza di loro?
Nessuno aveva il coraggio di ammetterlo, ma erano una squadra perfetta. Ognuno riusciva a svolgere un compito preciso che pareva indispensabile per la missione. Se non fossero stati una squadra, a quest’ora nessuno di loro sarrebbe stato ancora vivo.
Dicevano che a volte il destino delle persone era già scritto nelle stelle, e forse il loro destino era stato proprio quello di incontrarsi. Di incontrarsi e di diventare, ormai, dipendenti gli uni dagli altri.
Con delicatezza, per paura di svegliarlo, Skyler accarezzò la guancia di John, per poi voltarsi dall’altra parte con un lieve sospiro.
Proprio alla sua sinistra, seduti dall’altro lato del bus, c’erano Emma e Michael.
Anche la figlia di Ermes era piombata nel mondo dei sogni, sfinita, e stava usando la spalla di Michael a mo di cuscino.
Il ragazzo, però, non obbiettava. Non gli dava fastidio, e forse sentire il respiro di Emma vibrare accanto al suo orecchio poteva essere anche un sollievo, come conferma che i suoi amici fossero ancora tutti vivi.
Alla luce della luna che filtrava attraverso gli spessi finestrini, Skyler osservò il volto di Michael. Non stava dormendo, questo era evidente, e aveva un’espressione cupa mentre si rigirava la sua penna fra le mani.
Skyler aggrottò la fronte, sporgendosi un po’ verso di lui.
«Ehi» sussurrò, abbastanza forte, però, perché lui si voltasse a guardarla. «Che hai?»
Michael abbozzò un sorriso triste. «Niente» mormorò, con poca convinzione.
Skyler inclinò leggermente la testa di lato. «Michael, non mentirmi» lo rimproverò.
Il ragazzo la osservò un attimo, poi distolse lo sguardo, riportandolo nuovamente alla penna. «È solo che… a volte mi sento in colpa.»
Skyler aggrottò la fronte. «In colpa per cosa?»
«Per… tutto questo.» Si morse il labbro. «So benissimo che è tutta colpa mia.»
Skyler non si scompose, ma strinse le labbra in una linea sottile. «Non ti seguo.»
Michael sospirò. «Non avrei mai dovuto dirvi quali erano le mie intenzioni. Sarei dovuto partire da solo e basta. Quella notte i miei pensieri erano così accavallati che non avevo proprio pensato che, chiedendovi di venire, vi avrei condannato a morte certa.»
«Tu non ce l’hai chiesto» ribatté Skyler. «Siamo noi che abbiamo deciso di venire.»
«Si, ma io ve l’ho permesso!» Michael scosse leggermente la testa. «Se non l’avessi fatto, ora sarei partito da solo. Avrei dovuto combattere tutti questi mostri da solo. E voi sareste sani e salvi.»
«E credi davvero che noi ti avremmo permesso di farlo?» Skyler represse una risata sarcastica, provocando uno sbuffo. «Siamo tuoi amici, Michael. Ti avremmo seguito comunque. Non sei tu che ci hai obbligato a venire, ma siamo noi che abbiamo voluto farlo.»
«Ma… perché?»
«Perché siamo una squadra» rispose lei, decisa, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «E perché non ti avremmo mai abbandonato. Noi ci completiamo a vicenda, capisci? Noi ci… ci salviamo la vita l'un l'altro.» Ci pensò un attimo, poi sorrise. «Siamo come i tre moschettieri.»
Finalmente, il figlio di Poseidone alzò lo sguardo, per regalarle un sopracciglio inarcato e un sorriso divertito. «Ma loro non erano solo tre?»
«Dimentichi che c’era anche D’Artagnan.»
Risero sommessamente insieme. Emma si rigirò nel sonno, e, dopo aver deciso che la spalla di Michael era diventata ormai scomoda, si spostò di lato, poggiando la testa sul finestrino.
Michael la osservò, con un sorriso, poi tornò a guardare la mora. «Grazie, Skyler» sussurrò, riconoscente.
La ragazza gli rivolse un sorriso rassicurante. «Di niente.»
Restarono per un attimo senza proferire parola, in un silenzio piacevole che aveva avvolto entrambi. Dopo un po’, Michael si sgranchì la voce, nonostante non ne avesse davvero bisogno.
«Secondo te che cos’è la pelle del serpente Pitone?» chiese.
Nell’oscurità, gli sembrò di vedere Skyler irrigidirsi, ma forse se lo era solo immaginato. Una cosa che non si era immaginato, però, era l’espressione turbata sul suo volto.
«Non lo so» ammise la figlia di Efesto, con una punta di preoccupazione. «Ma Pitone è un serpente, e i serpenti fanno la muta. Forse la farà anche lui.»
«Ed è così rara?»
La ragazza ci pensò un po’ su, poi scrollò le spalle. «Può darsi. Sono sicura che John ne saprà qualcosa più di noi. Infondo, era l’unico a conoscere la storia dei Leoni del Peccato.»
Al solo sentir nominare quei mostri, i muscoli di Michael si tesero. Per un attimo, aveva dimenticato quel piccolo particolare, e perché i suoi amici fossero stati quasi sbranati da quei mostri.
Era colpa sua, e lui lo sapeva. Ci aveva ragionato a lungo, su questa cosa, nella speranza di trovare un’altra qualsiasi (per quanto plausibile) spiegazione. Ma nella sua testa, l’unica cosa che sembrava avere senso e che continuava a salire a galla era la sua teoria. Li avevano attaccati perché avevano percepito l’odore dell’infedeltà, e, sebbene Skyler non ne fosse al corrente, lui non poteva ignorarlo.
Gli piaceva, e gli piaceva da impazzire. Non c’era una cosa, in lei, che gli permettesse di pensare il contrario. Amava la morbidezza dei suoi capelli, amava il suo profumo. Amava le striature dorate dei suoi occhi, e amava il modo in cui arricciava il naso. Amava quella sua precisione nel legarsi i capelli. Amava il suo spirito di sacrificio, e il suo animo nobile. Amava cose che anche la ragazza ignorava.
Eppure, lei non l’avrebbe mai saputo. Non finché non l’avesse rivelato a qualcuno che non fosse suo fratello. Non finché avrebbe tenuto quel segreto nascosto nel suo cuore.
Quando poco prima l’aveva ringraziata, lei aveva risposto “di niente”, convinta che si riferisse alle parole rassicuranti che gli aveva rivolto per consolarlo. Non sapeva, in realtà, che Michael voleva ringraziarla per ben altro. Voleva ringraziarla di esistere, e di essere così bella. Voleva ringraziarla di essere entrata nella sua vita, e di avergli ricordato che anche lui era ancora in grado di amare. Voleva ringraziarla di averlo fatto sentire così speciale, così parte di qualcosa, sebbene non sapesse ancora cosa, e sebbene lei non l’avesse fatto apposta. Voleva ringraziarla di essergli accanto, e di essere diventata la cosa più bella della sua vita.
Al solo pensiero, si morse la lingua. Ecco, come poteva pensare che i Leoni del Peccato non li avessero attaccati per colpa sua quando desiderava dirle tutte quelle cose?
Il rimpianto c’era, e anche tanto. Ma ancora di più, c’era quella sensazione di colpa, che provava verso l’unico vero amico che avesse mai avuto e la ragazza che era ignara di tutto.
Avrebbe voluto dirglielo, in quello stesso istante. Ma se non si fosse deciso alla svelta, non l’avrebbe mai fatto.
Il giorno prima, sul treno, non era riuscito a confidarsi con John. In un primo momento ne era completamente sicuro, ma poi aveva esitato. Si voltò verso la ragazza, e la osservò guardare il paesaggio fuori dal finestrino.
Nonostante fossero circondati da una trentina di perone, stavano dormendo tutti, e in quel momento erano soli. Avrebbe dovuto sbrigarsi, prima che fosse caduta nel sonno anche lei.
Fece un pel respiro. «Ehm… Skyler?» chiamò.
La ragazza si girò lentamente, per poi guardarlo negli occhi. «Si?»
Michael esitò, perso com’era nel contemplare quelle iridi scure, che, nella fioca luce che gli donava solo la luna, sembravano ancora più lucenti, e le striature dorate sembravano davvero oro puro.
«Ecco, io… dovrei dirti una cosa.»
La ragazza corrucciò leggermente le sopracciglia, riassestandosi sul posto. «Ok» annuì. «Spara.»
Improvvisamente, Michael si accorse di sudare freddo. Come avrebbe reagito, se l’avesse saputo? Gli avrebbe rivolto le spalle? Gli avrebbe buttato le braccia al collo e l’avrebbe baciato? L’avrebbe amato, o odiato?
L’imprevedibilità di quelle risposte era snervante. Lui non volveva perderla. Seppur come semplice amica, lui voleva averla al suo fianco. Non poteva rovinare tutto. Ma ormai, si rese conto, era tardi per tirarsi indietro.
«Si tratta…» balbettò, con la gola secca. «Si tratta dei Leoni del Peccato.»
Skyler non sembrò turbata, ma piuttosto incuriosita. «Quei cosi? Che succede, non era il dente di quel mostro che dovevamo cercare? Pensi che abbiamo sbagliato a…»
«No, no. Certo che no» la interruppe lui, scuotendo la testa. «Io… era da un po’ che volevo dirtelo, ma non ne ho mai avuto il coraggio.» Prese un bel respiro. «Ecco, il fatto è che io sono…»
Proprio nel momento in cui stava per dirlo, qualcuno si intromise fra loro.
«Involtini plimavela?» chiese una donna asiatica, che stava camminando lungo il corridoio con una pirofila in mano.
Michael controllò l’orario, confuso. Erano quasi le due del mattino. Come facevano quei tipi a mangiare a quell’orario?
Forse è colpa del jet lag, pensò.
Skyler sorrise, scuotendo la testa. «No, grazie» rispose educatamente per entrambi.
Quando la donna li superò per andare a servire altri due anziani, i ragazzi la seguirono con lo sguardo. Poi si guardarono, e Skyler inarcò un sopracciglio. «Quei tizi sono davvero strani» commentò, divertita.
Michael annuì, abbozzando un sorriso. «Già» mormorò.
Skyler scosse leggermente la testa, soffocando una risata. Poi tornò a guardarlo. «Va beh… stavi dicendo?»
Michael parve ricordarsi solo in quel momento di ciò di cui stavano parlando. Si sentì avvampare, e gli mancò il fiato. «Oh, sì, certo. Beh, io volevo dirtelo già da un po' di tempo. Il fatto è che mi sono…»
Per l’ennesima volta in quei pochi minuti, i ragazzi furono interrotti, e Michael si chiese se fosse veramente il destino e semplicemente sfortuna.
La donna che era seduta davanti a Skyler si mise in ginocchio sul proprio sedile, voltandosi verso la ragazza. Le allungò una scatola con un sorriso.
«Bilcotti della foltuna» disse, notando il suo smarrimento. Poi il suo sorriso si allargò. «Plendi, lagazza, plendi. Lolo pledicono futulo.»
Skyler guardò Michael, che alzò le spalle. Avevano già qualcuno che prediceva loro il futuro, e la maggior parte delle volte non era nulla di buono. Ma quelli erano solo biscotti con dentro dei fogliettini infilati a casaccio da qualcuno. Non erano pericolosi, e forse in quel momento aveva bisogno di pensare ad altro per un po’. Sorrise, divertita, per poi prenderne uno dalla scatola. La donna li offrì anche a Michael, ma lui li rifiutò, così tornò a sedersi composta.
Skyler lanciò un’occhiata al figlio di Poseidone. «Lo apro?»
Lui scrollò le spalle. «Ma si… magari ci porta davvero fortuna.»
Lei ridacchiò, poi lo aprì. Ignorando le briciole sul proprio pantalone, chiuse nel pugno le due parti del biscotto, aprendo e leggendo il cartoncino che c’era dentro.
«È una citazione» disse a Michael. Poi si sgranchì la voce e la lesse. «Se guardi in cielo, e fissi una stella, e poi senti dei brividi sotto la pelle, non coprirti, non cercare calore. Non è freddo, ma è solo amore.» Richiuse il bigliettino e sorrise. «Khalil Gibran.» Guardò Michael negli occhi, che in quel momento erano di un blu scurissimo, quasi quanto il cielo notturno. Poi fece spallucce. «Secondo te che cosa vuol dire?»
«Forse è un invito a cercare la tua stella» propose Michael.
Skyler annuì, poi, con un sospiro, si voltò verso John, accarezzandogli i capelli con dolcezza. «Si, forse è così.»
In quel momento, il cuore di Michael si strinse in una morse d’acciaio. Quel biglietto parlava d’amore, e l’unica persona per cui Skyler riusciva a provarlo non era di certo lui. Skyler era di John, doveva farsene una ragione. E, a malincuore, si rese conto che rivelarle i suoi veri sentimenti non sarebbe servito proprio a niente. Osservò Skyler con una punta di rammarico, mentre, sovrappensiero, carezzava i capelli baciati dal sole del suo ragazzo.
Solo ad un certo punto, la mora sembrò ricordarsi della loro conversazione, e si voltò verso il figlio di Poseidone. «Scusa» mormorò, imbarazzata. «Che cosa volevi dirmi?»
Michael esitò un secondo, aprendo la bocca senza però farvici uscire alcun suono. Poi la richiuse e scosse leggermente la testa. «Niente di importante, non preoccuparti» mentì, con un sorriso amaro.
Skyler aggrottò la fronte, non facendosi ingannare dal tono del ragazzo. «Sei sicuro?»
Lui annuì, poco convinto. Poi la guardò negli occhi. «Prova a dormire» le disse, con un cenno gentile. «Se riusciamo ad arrivare al Big Spring entro domani mattina, avremmo parecchio lavoro da fare.»
Skyler sembrò titubare un attimo, mentre guardava negli occhi del ragazzo, nei quali Michael tentava di nascondere la propria tristezza. Poi, pensandoci un po’ su, si accorse di essere veramente stanca, e che era da fin troppo tempo che non chiudeva occhio. «Ok» mormorò, reprimendo uno sbadiglio. «Riposati pure tu, però.» Michael annuì. A quel punto, Skyler si stiracchiò, con le palpebre pesanti. «Sogni d’oro, Michael» disse, per poi poggiare la testa sulla spalla di John.
Michael sospirò. Sogni d’oro a te, pensò, dato che era abbastanza sicuro che quella notte non sarebbe riuscito a chiudere occhio.
Ω Ω Ω

Intorno a lui, regnava un silenzio rilassante.
Era nei pressi di un fiume, ne era sicuro. Michael riusciva a sentirlo.
Si mosse un po’ fra gli alberi, senza sapere bene il perché. Era una foresta fitta, quella, eppure non trasmetteva altro che tranquillità. Il sole che vibrava nel cielo sbatteva caldo sulla sua pelle, facendogli colare una goccia di sudore sulla tempia.
Quando vide la distesa d’acqua in lontananza, sorrise, e vi si avvicinò.
Era strano, ma non aveva paura. Il fiume era piatto come vetro, screziato di quell’azzurro impossibile che si vede solo nei dipinti a olio dimenticati troppo a lungo in una soffitta umida. Si sentiva calmo, e al sicuro.
Mentre respirava l’aria dolciastra a pieni polmoni, sentì una risata alle sue spalle.
Si voltò, giusto in tempo per scorgere una chioma mora e rossa poco distante da lui.
La ragazza sorrise, per poi avvicinare le mani a coppa alla bocca ed esclamare. «Prendimi, se ci riesci!»
Michael sorrise, mentre la vedeva voltarsi e correre via, lungo la riva del fiume.
Senza esitare, la seguì. Per un po’, riuscì a tenerla d’occhio con lo sguardo. Poi, però, la perse di vista.
Aggrottò la fronte, accelerando il passo. Finché non si ritrovò davanti ad un vicolo cieco.
D’innanzi a lui, solo alberi.
Dove sei?, pensò.
Si guardò intorno, cercandola con gli occhi. Fino a quando non vide una figura uscire allo scoperto, nascosta dietro il tronco di un possente cipresso.
Michael sgranò gli occhi.
Skyler era bellissima. Indossava un semplicissimo vestito bianco lungo fino al ginocchio, in tipico stile impero, con dei ricami dorati sul merletto, le braccia nude che venivano baciate dalla luce del sole.
Aveva i capelli raccolti in una treccia che le ricadeva dolcemente sulla spalla destra.
Sembrava un dea greca, nel vero senso della parola. Non che Michael ne avesse viste molte, di dee, ma fra tutte quelle che aveva visto, non ce n’era nessuna bella quanto Skyler.
La ragazza ridacchiò, e solo in quel momento, Michael si rese conto di essere arrossito violentemente. Si sgranchì la voce, anche se non ne aveva davvero bisogno.
«Quando ti sei cambiata?» le chiese, imbarazzato.
Skyler sorrise, ma non rispose. Lentamente, si avvicinò a lui, e il ragazzo sentì i battiti del suo cuore accelerare vertiginosamente.
Solo quando la ragazza fu così vicina da poter sentire il suo fiato caldo accarezzargli il volto, Michael sentì le ginocchia cedere.
Skyler si mordicchiò il labbro inferiore, sorridendo maliziosamente.
Si sporse in avanti, verso il suo volto, costretta ad alzarsi leggermente sulle punte, per poi guardarlo negli occhi. I loro nasi si sfioravano a tal punto, che riuscivano a respirare la stessa aria.
Mentre Michael faceva appello a tutta la sua forza di volontà per mantenere il controllo, Skyler disse ciò che lui non avrebbe mai immaginato.
«Baciami» gli sussurrò sulle labbra.
Michael deglutì. Si sentiva la gola secca, ed era sicuro che non fosse una questione di disidratazione.
Aprì la bocca, nella vana speranza di farvi uscire un qualunque suono, ma poi la richiuse. Scosse leggermente la testa. «Non posso» disse, a malincuore. Non poteva non pensare a John. Che cosa avrebbe detto, se lo avesse visto sudare così per la sua ragazza?
Il sorriso di Skyler non vacillò. «Si che puoi» replicò. «Ma solo se lo vuoi davvero. Se desideri ardentemente una cosa, devi lottare per ottenerla. Basta non esitare davanti alle occasioni, no?»
Michael la guardò negli occhi, perdendosi in quelle meravigliose iridi scure.
Skyler inclinò leggermente il capo. «Perché non fai come in battaglia?» gli chiese. «Perché non segui l’istinto?»
Michael esitò, riflettendo sulle sue parole. Dopo un attimo che sembrò eterno, sorrise, e, cogliendo di sorpresa la ragazza, le prese il volto fra le mani.
Riusciva a sentire le labbra di Skyler sfiorare le sue. Chiuse gli occhi, come improvvisamente voglioso di godersi appieno quel momento. Senza interruzioni, senza problemi, senza pensare a niente. C’erano solo lui, Skyler, e quel bacio che attendeva da un tempo infinito.
Poi, un gridò di paura squarciò l’aria.
Michael sgranò gli occhi, spaventato, e solo a quel punto si rese conto che la ragazza era sparita.
Si guardò intorno, cercandola con lo sguardo, mentre le strana consapevolezza che quel grido appartenesse a lei si insinuava nel suo petto.
«Lei non può sfuggirmi» sussurrò a quel punto una voce. Michael non la riconobbe, ma gli fece venire i brividi. Arrivava alle sue orecchie ovattata, come se chi stesse parlando lo stesse facendo attraverso una bolla d’acqua. Era metallica, e inquietante. E il ragazzo non aveva idea di che cosa stesse parlando.
Mentre continuava a spostare rapidamente gli occhi da una parte all’altra cercando il proprietario di quel suono, la vide.
Skyler era ferma a pochi metri da lui, e lo osservava. Nonostante sembrasse stare bene, Michael riusciva benissimo a distinguere nel suo sguardo una nota di paura. Sospirò, sollevato nel vederla sana e salva, accorgendosi solo in quel momento di aver trattenuto il fiato.
Poi la notò. Una corda, anzi, no, non era una corda. Era un vera e propria catena. Più di una. Avvolgevano le gambe della ragazza, come capaci di vita propria, mentre le risalivano lungo il corpo stringendola in un abbraccio mortale. Le intrappolarono petto, braccia e gambe, e solo quando una si serrò attorno al suo collo, impedendole di respirare, Michael sembrò riprendersi dallo shock.
«No!» esclamò, e fece per correrle incontro, ma era bloccato. Il suo corpo non rispondeva ai comandi del cervello, e per un attimo temette di essere incatenato anche lui. Del sudore gli colò lungo la fronte, mentre lottava con tutte le sue forze per spostarsi, facendo vibrare freneticamente lo sguardo da Skyler ai suoi piedi.
Per un attimo, il volto della ragazza divenne paonazzo, e lei sembrò incapace di ingerire aria. Fu quella vista a dargli la forza necessaria, e, con uno slancio, alzò i piedi dal terreno e corse verso di lei.
Stava quasi per raggiungerla, quando qualcosa lo fece inciampare. Cadde supino, sfregiandosi le ginocchia e le mani. Apparentemente non c’era niente, eppure lui riusciva a sentire quella forza misteriosa premere sulla sua schiena, impedendogli di alzarsi.
Strinse i denti, lottando con tutte le sue forze.
«Non puoi salvarla» cantilenò quell’orribile voce nella sua testa. Michael continuò a provare, invano. «Lei sarà mia, prima o poi. E se non potrà essere mia, allora non sarà di nessun'altro.»
Qualcosa, davanti a lui, esplose, costringendolo ad alzare lo sguardo. Delle fiamme divamparono dal terreno, avvolgendo la ragazza che ormai non aveva più neanche la forza di gridare.
«No!» esclamò Michael, premendo con forza le mani sul terreno nel vano tentativo di rialzarsi. «No! Skyler! Lasciala stare!»
La voce rise, divertita, e il figlio di Poseidone sentì montare il panico.
«Non puoi salvarla» ripeté, divertita. «In nessun modo.»
Qualcosa tagliò di netto l’aria sopra la sua testa. Michael alzò lo sguardo, giusto in tempo per scorgere il profondo taglio sul fianco di Skyler, che stava iniziando a sanguinare. La ragazza gridò di dolore, privandosi anche dell’ultimo respiro che le era rimasto nei polmoni.
Sul vestito bianco, lentamente, si formò una macchia di sangue, che si espanse incrostandosi sulla seta. Lei crollò a terra, agonizzante, e le catene infuocate si strinsero di più attorno a lei.
«No!» gridò Michael, disperato. Ormai sembrava impossibile alzarsi da terra, eppure lui non smise di provare. «Skyler!» Sentì gli occhi bruciare, e una lacrima gli rigò il volto sporco di terra.
Una risata malefica rimbombò sulle pareti del suo cranio. «Devi fare una scelta, figlio di Poseidone» disse la voce, mentre lui stringeva i denti per tornare in piedi. «Non puoi salvarli entrambi. O lei, o tuo fratello.»
Michael non capì, e questo sembrò divertirla non poco. Guardò Skyler, disperato, e si rese conto che la ragazza lo stava lentamente abbandonando. Le catene si erano fatte ancora più strette, la ferita non aveva smesso di sanguinare copiosamente, e il fuoco l’avvolgeva in una danza tetra e macabra.
Attraverso il rosso della fiamme, il ragazzo riuscì ad incrociare i suoi occhi, che ormai sembravano quasi del tutto spenti.
«Aiuto» sibilò Skyler, con un filo di voce. Poi strabuzzò gli occhi, perché la catena attorno al suo collo l’avvolse fino all’inverosimile. «Michael» sussurrò, agonizzante.
«No!» esclamò lui, con le lacrime agli occhi.
Poi, il richiamo sembrò farsi più forte, aumentando ogni volta.
«Michael. Michael. Michael.»

«Michael!» esclamò qualcuno, scuotendolo per la gamba. «Michael, svegliati!»
Michael si svegliò di soprassalto. Aveva le pupille dilatate, e il fiato grosso. Quando vide il volto di Skyler davanti al suo, si rese conto di trovarsi ancora nel pullman. Era tutto sudato, e si sentiva la gola secca.
Non riusciva a regolarizzare il respiro.
«Ehi, calmati» gli sussurrò lei, con dolcezza. «Era solo un sogno.»
Un orribile sogno, pensò lui, ma non lo disse. Spostò lo sguardo nel posto vuoto accanto al suo, e poi fuori dal finestrino. Skyler era accanto a lui, e stava bene, eppure non riusciva a calmarsi.
Ti toccherà scegliere, lo aveva avvertito la voce. Si, ma scegliere cosa? E che c’entravano Skyler e suo fratello?
Era così immerso nei suoi pensieri, che solo dopo si accorse del sole che splendeva all’orizzonte. Era mattina, e il bus si era fermato.
Aggrottò la fronte. «Che succede?» chiese, con la voce ancora impastata dal sonno.
Skyler strinse le labbra in una linea sottile. «Alzati» gli disse, lanciandogli il suo zaino. «Siamo arrivati.»

Angolo Scrittrice.
Bonjour! :D Comme ça va?
Ahah, scusate, ma devo allenarmi con il francese, dato che fra poco inizio il Delf.
Bien, bien, sorvolando... eccomi qui! Contenti? *passa una balla di fieno* Come non detto. Aggiorno ora, perchè poi devo studiare, quindi credo che non mi dilungherò molto. Questo era un altro capitolo di passaggio, come avrete ben capito, dato che non c'è alcuna scena d'azione. Ma voglio evidenziare il sogno di Michael, che contiene un messaggio abbastanza immportante, ma poi capirete perchè ;)

Finalmente non è più solo la nostra Skyler a fare brutti sogni. Michael, ma cosa mi combini? ahah, devo ammettere di essermi divertita a descrivere la sua voglia di baciarla (seppur per finzione) e anche a scrivere tutte le battute delle persone cinesi sostituendo le 'l' alle 'r'. Ahah, si, lo so, mi diverto con poco xD
Beh, anyway, che ne pensate? Vi è piaciuto il capitolo? Fatemi sapere ;3
Intanto, voglio ringraaziare (come sempre, d'altronde) le mie Valery's Angels, e cioè:
Fred Halliwell, Fyamma, Kalyma P Jackson, Greg Heffley, sofy_1394, _percypotter_, Riario1, callmefred_7, Ciacinski e moon_26. Grazie, grazie, grazie davvero!
Bene, è meglio che vada a studiare Dx
Un bacione,
La vostra
ValeryJackson
P.s. Ho pensato di cambiare le virgolette (?) delle battute, che ora sono più piccole. Che ne pensate? Credete sia meglio?

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Il bus si fermò proprio davanti l’entrata del Parco Nazionale.
Una volta scesi, i ragazzi si voltarono per ringraziare, e furono costretti a salutare le persone asiatiche attraverso i finestrini con un gran sorriso sulla faccia, finché l’autista non mise in moto e ripartì.
Non appena il pullman fu sparito dal loro campo visivo, le spalle dei ragazzi si abbassarono, sollevate, e i sorrisi scomparvero dai loro volti, lasciando spazio ad un’espressione concentrata.
Diedero le spalle alla strada, puntando lo sguardo sulla folta vegetazione che li circondava.
«Dove andiamo?» chiese Skyler con un cenno, mentre Emma estraeva la mappa dalla tasca.
La bionda lanciò un’occhiata alla sua destra. «Di qua» annunciò, incamminandosi guidata dalla Mappa, con gli altri al seguito.
Per un po’, i ragazzi si limitarono a guardarsi intorno circospetti, con i nervi tesi. Poi, resesi conto di essere gli unici a camminare fra quelle sterpaglie ben curate, brandirono le loro armi.
Dopo aver camminato per circa mezz’ora, il terreno fangoso si trasformò in una piana riarsa e interrotta solo da ciuffi di rovi e di oleandro. Diventò difficile arrancare, ma, stringendo i denti, i ragazzi seguirono Emma finché la folta erba smeraldo non decise di tornare al proprio posto.
Camminavano ormai da più di un’ora, e il caldo era crudelmente opprimente.
Asciugandosi la fronte con la manica della felpa, Michael si rese conto che i suoi amici avanzavano parecchi metri davanti a lui.
«Ehi» sussurrò una voce alle sue spalle. Michael sussultò, perché si, l’aveva riconosciuta subito.
Quando Skyler fu al suo fianco, lui evitò bellamente di guardarla. Con la coda dell’occhio, notò che aveva raccolto i capelli, e la sua giacca a vento era saldamente legata in vita.
La ragazza sopirò, corrucciando lievemente le sopracciglia. «Va tutto bene?» gli chiese.
Michael rimasse un attimo interdetto da quella domanda, prima di annuire. «Certo.»
Skyler lo guardò, scrutandogli il volto, e il ragazzo si sentì improvvisamente in soggezione. «Davvero?» ribatté lei, dubbiosa. «Perché sembri turbato.»
E lo era davvero. Da quando aveva aperto gli occhi, non aveva fatto altro che pensare a quel sogno strano. Aveva provato a togliersi quell’agghiacciante voce dalla mente, tentando di focalizzare l’attenzione su altro, ma senza risultato, dato che sentiva ancora una forza misteriosa premere sulle sue spalle.
O lei, o tuo fratello, gli aveva detto, e lui non riusciva ancora a capire che cosa intendesse. Aveva anche cercato di convincersi che quello fosse solo uno stupido sogno, ma, in cuor suo, sapeva che non era così, e la cosa lo terrorizzava ancora di più.
Facendo appello a tutti gli anni passati a raccontare bugie, scrollò le spalle. «Sto bene» disse, fingendosi non curante.
La ragazza inarcò un sopracciglio. Aprì la bocca per replicare, ma poi la richiuse, e Michael si accorse solo in quel momento di aver trattenuto il respiro.
Continuarono a camminare per un po’, in silenzio, finché Skyler non alzò di nuovo lo sguardo verso di lui. «Che cosa hai sognato?»
La domanda lo colse così di sorpresa che per poco a Michael non andò di traverso la sua stessa saliva. Si sentì la gola secca, e giurò che non fosse solo un effetto collaterale del caldo. «N…niente» balbettò, con scarsa convinzione. Poi si sgranchì la voce e domandò con più fermezza: «Perché?»
Skyler fece spallucce. «Beh, non lo so. Quando ti sei svegliato sembravi molto preoccupato.» Esitò un attimo, prima di aggiungere. «Hai ripetuto più volte il mio nome.»
Michael si morse la lingua. Come poteva essere stato così impudente? Va bene che non era del tutto cosciente, ma non aveva mai immaginato di parlare nel sonno. Per la prima volta da quando lei gli si era avvicinata, alzò lo sguardo e la guardò negli occhi.
Erano attenti, e luccicavano di curiosità, ma, per un terribile istante che gli contorse lo stomaco, Michael li vide mutare sotto il suo sguardo, mentre abbandonavano lentamente la vita fino a diventare incapaci di vedere.
Scacciò quella visione orribile con una manata immaginaria, e la folta nebbia che aleggiava intorno al suo volto parve scomparire, facendogli ritrovare nel proprio campo visivo solo il viso di Skyler. Sembrava in attesa, e solo in quel momento il ragazzo si accorse del suo lungo silenzio.
Abbozzò un sorriso storto, mentre una risatina nervosa si faceva largo nella sua gola. «Davvero?» disse, con le guance in fiamme.
L’espressione di Skyler non mutò, e la ragazza annuì. «Continuavi a chiamarmi, e poi a dire qualcosa come: “No, lasciala stare!”.» Lo scrutò un attimo, con un’espressione fra il curioso e il preoccupato dipinta sul volto. «Che cosa stavi sognando?»
Michael sentì una forte morsa attanagliargli lo stomaco, stringendoglielo in un pugno d’acciaio. «Ecco, io…» Esitò. Aveva davvero voglia di dirglielo? Che senso aveva, se non ne capiva neanche lui il significato? Sarebbe stata più al sicuro se l’avesse saputo, o il contrario?
Abbassò lo sguardo verso la punta delle sue scarpe, prima di grattarsi la nuca imbarazzato. «Io… non me lo ricordo» mentì.
Skyler sembrò pensarci un attimo, poco convinta, al che lui abbozzò un sorriso innocente. «Molto probabilmente non era niente di importante» disse, con una scrollata di spalle. La ragazza annuì.
Continuarono ad avanzare nella folta vegetazione, finché non si accorsero che Emma e John, davanti a loro, si erano fermati.
«Che succede?» chiese Skyler, raggiungendoli.
Emma increspò le labbra, e solo a quel punto la mora si guardò intorno. Erano arrivati ai confini del Parco Nazionale. Davanti a loro, solo un mucchio di alberi e cespugli che nessuno fino ad allora aveva mai avuto il coraggio di attraversare.
«Il Parco Nazionale finisce qui» disse Emma, con tono piatto.
«E…?» la incitò Skyler.
La bionda alzò il capo dalla Mappa, guardando d’innanzi a se con lo sguardo assottigliato. «Il Serpente Pitone si trova lì.»
Michael si morse l’interno della guancia. Chissà perché, la cosa non gli piaceva affatto. Non avrebbe dovuto cambiare molto il fatto che il mostro si trovasse o meno fra le mura di un parco nazionale, eppure, per un motivo che neanche lui riusciva a spiegarsi, l’idea di trovarsi in un posto già conosciuto da altri lo tranquillizzava, anziché pensare di doversi inoltrare in un posto che molto probabilmente non aveva mai conosciuto la civiltà umana.
John sospirò, rompendo quello strano silenzio carico di tensione che si era creato. «Beh, guardate il lato positivo» disse, stringendosi nelle spalle. «Non c’è il pericolo di distruggere un altro monumento nazionale.»
Chissà perché, Skyler capì di essere stata chiamata in causa. Fece roteare gli occhi con uno sbuffo. «Si è trattato solo di una serie di incidenti» si giustificò. «E il monte Rushmore è ancora tutto intero.»
John ridacchiò, al che Skyler gli regalò una smorfia. Poi strinse di più l’elsa della sua spada. «Muoviamoci» li incitò, squadrando attentamente la folta vegetazione davanti a se. «Voglio trovare quel serpente prima di sera.»
 
Ω Ω Ω
 
L’erba al di fuori del Parco Nazionale era molto più alta di quanto avessero immaginato.
Ormai avevano superato i suoi confini già da un po’, inoltrandosi in quello che aveva tutta l’aria di essere un fitto bosco pieno solo di alberi e sterpaglia.
La possibilità di tornare sui propri passi era vana, perché erano troppo lontani, e perché ormai si stava già scandendo la lieve brezza del pomeriggio.
I ragazzi avevano continuato a seguire Emma con le armi strette in pugno. Al momento non c’era traccia di alcun mostro o di qualche possibile minaccia, ma, per un motivo che neanche loro riuscivano a spiegarsi, quegli imponenti e folti alberi che gli impedivano la vista del sole li mettevano in soggezione, costringendoli ad avanzare con i nervi tesi.
Dopo un tempo che parve infinito, Emma sussultò.
«Di qua!» esclamò, cominciando a correre verso una meta imprecisata.
Gli altri le furono subito dietro, e, con grande stupore, si accorsero che pian piano gli alberi stavano sparendo, lasciando libero un sentiero verso uno spazio più ampio.
All’improvviso, Emma si bloccò. Skyler le fu accanto dopo neanche dieci secondi.
«Allora?» chiese, assottigliando lo sguardo.
La bionda non le rispose. L’afferrò per un braccio e la strattonò dietro un cespuglio.
«Ehi, ma che cosa…» fece per protestare Skyler, ma le parole le morirono in gola non appena alzò lo sguardo. Sgranò gli occhi. «Oh miei dei…»
Era indecisa se definire quello spettacolo spettacolare o raccapricciante. Molto probabilmente, era entrambe le cose.
Gli alberi, ormai, erano quasi del tutto spariti. Riuscivi ad intravederne solo qualcuno qua e là, mentre delimitavano il perimetro del fiume più pulito che la ragazza avesse mai visto.
Non che ne avesse visti tanti, di fiumi. La sua conoscenza si limitava semplicemente a quello del campo e a quello che scorreva vicino casa sua, a Baltimora. Ma questo era di gran lunga migliore. Limpido, di un azzurro spettacolare che veniva interrotto solo ogni tanto dal bianco della sua schiuma, aveva un letto enorme. La vegetazione sulle sue sponde era di un verde brillante, proprio come gli occhi di John alla luce della luna, o quelli di Michael quando cambiavano colore. Sembrava prendere da quella distesa d’acqua tutta la linfa vitale, per il solo fine di apparire bellissima.
Skyler emise un sospiro. Sarebbe stato uno spettacolo perfetto, se non fosse stato per quell’orribile tana.
Si, proprio tana. O almeno, questo sembrava. In realtà, appariva più come una discarica, o la stanza di un adolescente quando non viene pulita. Perché il terriccio fangoso accanto alle sponde del fiume era pieno, anzi stracolmo di… pelli. Pelli di serpenti.
«Avevi ragione» bisbigliò Michael, incapace di distogliere lo sguardo. «Il serpente fa la muta.»
«Credete che sia il suo nascondiglio?» domandò Skyler.
«E che altro?» fece spallucce Emma.
Skyler osservò attentamente l’altro lato del fiume. «Dite che dovremmo attraversare?»
«È l’unico modo» ammise John.
Michael si irrigidì. Skyler, accanto a lui, se ne accorse, e lo guardò preoccupata, mentre si mordeva il labbro. Non potevano chiedergli questo. Lui non le avrebbe mai ordinato di attraversare il fuoco. Fu per questo che la ragazza cominciò a guardarsi intorno, in cerca di un’alternativa.
«Potremmo passare sopra quei massi» propose, indicando delle rocce che si stagliavano nell’acqua. «La superfice mi sembra abbastanza levigata.
Gli altri annuirono. Forse non era la migliore delle alternative, ma per lo meno non dovevano attraversare direttamente la corrente d'acqua.
Nonostante ciò, però, Michael continuava a non essere tranquillo, e gli sudavano le mani mentre, lottando contro le vertigini, saltava da un masso all’altro.
Arrivati sull’altra sponda, il moro si impose di non crollare sulle ginocchia. Si mossero un po’ lungo la riva del fiume, finché le pelli del serpente non entrarono nel loro campo visivo. Vederle da vicino metteva ancora più in soggezione. Erano inquietanti, e trasmettevano un’aura di morte.
John fu il primo a guardarsi intorno, preoccupato. Se le sue pelli erano lì, dov’era Pitone?
Era così impegnato a giocherellare nervoso con la punta del suo arco da non accorgersi di Michael che, raccogliendo una delle tante pelli da terra, la infilava nello zaino.
«Che schifo…» borbottò Emma, con una smorfia.
Michael sopirò, prima di scuotere la testa. «Io non capisco» disse. «Se è una pelle di serpente come tutti gli altri, cos’ha di speciale?»
«Credi che non sia quella che cerchiamo?» gli chiese Skyler.
«Credo che non abbia senso. Insomma, volete farmi credere che questo Pitone non ha nulla di diverso?»
«Oh, si che ce l’ha» esclamò John, annuendo. «Pitone fa la muta solo una volta ogni quindici anni.»
Il figlio di Poseidone aggrottò le sopracciglia. «Ogni quindici anni? Ma allora… allora perché ce ne sono così tante?»
La mascella di John si contrasse. «Perché nessuno è mai riuscito a prenderne una.»
Un silenzio carico di tensione cadde fra i presenti, incapaci di aggiungere altro. Solo quando Michael si alzò da terra, scostandosi un po’ di polvere dai pantaloni, Emma schioccò la lingua. «C’è qualcosa che non va» mormorò, pensierosa. Si guardò intorno. «È stato troppo facile…»
Quasi l’avesse chiamato egli stessa, un sibilo arrivò dalle loro spalle. I ragazzi si immobilizzarono, sguainando le loro spade. Si unirono in un piccolo cerchio, mettendosi schiena contro schiena, mentre puntavano le loro armi verso il nulla.
Un altro sibilo riecheggiò fra i folti alberi, seguito da un sinistro fruscio. Skyler aveva la pelle d’oca. Era lì, se lo sentiva, ma non era sicura che sarebbe riuscita a combatterlo. Solo quando un ramo si spezzò alla destra di John, e lui incoccò una freccia tendendo la corda, un muso fece capolino fra la vegetazione.
E se prima sembrava solo la testa di un serpente un po’ troppo cresciuto, poi si rivelò per ciò che era realmente. Quello non era un serpente. Era un drago. Ed era enorme.
Lungo più di cinque metri, sgusciava sulle zampe calpestando il terreno noncurante. La sua pelle era verdognola, ricoperta di squame luccicanti, e quando mostrò le fauci, luccicarono anche quelle. Di sangue, però. Di quello incrostato ne era pieno, insieme ad erbacce e fango secco. Solo le ali, stranamente, erano limpide, di un bianco così candido, ma capaci di scaraventarti via come una fogliolina con la loro ampiezza di oltre due metri.
Il mostro li fissò con gli occhi gialli iniettati di sangue, facendo vibrare fra i denti la lingua biforcuta.
Skyler sentì montare il panico non appena il suo forte tanfo di zolfo le invase le narici.
«Ehm… ragazzi?» mormorò, tremante. «Che facciamo?»
«Non credo che ci lascerà passare» commentò Emma, sarcastica.
«E quindi?» chiese Michael.
John non aveva perso di vista neanche un attimo il muso del mostro. La corda dell’arco era ancora tesa a sfiorarli la guancia, la freccia pronta a schizzare via. Tra tutti, era forse quello che aveva più paura. Il mostro aveva riconosciuto l’odore di mezzosangue, certo, ma era come se sentisse i suoi occhietti piccoli puntati addosso. Secoli fa, era stato proprio Apollo ad uccidere quel serpente, e John era consapevole dell’odio che Pitone provava verso di lui. E forse anche verso i suoi figli.
«Tenetevi pronti» ordinò, cercando di recuperare un po’ di saliva.
«Che cosa vuoi fare?» domandò Skyler.
John assottigliò lo sguardo, come pronto ad inquadrare un bersaglio attraverso il mirino. «Ucciderlo.»
Accadde tutto nel tempo di un battito di cuore. John lasciò andare la freccia, che si conficcò dritta nell’occhio del temibile serpente.
Questi strepitò, alzandosi sulle zampe anteriori mentre fendeva l’aria con le possenti ali. I ragazzi fecero appena in tempo a balzare di lato, che il mostro schiacciò il terreno nel punto esatto i cui si trovavano, creando un piccolo avvallamento.
Iniziò a dimenare la coda. Non perché sapesse esattamente come agire, ma solo perché era consapevole che, date le sue dimensioni, avrebbe di sicuro colpito qualcuno. Infatti non sbagliò. Quando Michael conficcò la spada nel suo fianco, quello lo scacciò via con un colpo di giunta, scaraventandolo dritto nel fiume.
«Michael!» esclamò Emma, preoccupata. Il ragazzo riemerse dall’acqua, rendendosi conto che gli arrivava solo fino al fianco, ma ne aveva comunque ingerita abbastanza perché dovesse sforzarsi per respirare.
L’altra vittima di Pitone fu proprio la bionda, che, tentando di difendersi dalle sue fauci brandendo il coltellino, non si rese conto della possente ala che la frustò, facendola sbattere contro un albero. Emma perse i sensi, crollando a terra, e il mostro l’avrebbe di sicuro sbranata se non fosse stato distratto da una serie di frecce che gli si conficcavano nel fianco.
«Da questa parte, serpentello!» esclamò John, pentendosene subito dopo. Pitone, infatti, annusò un attimo l’aria, prima di curvare le labbra in quello che aveva tutta l’aria di essere un ghigno soddisfatto.
Si avvicinò al figlio di Apollo con passo lento e regolare, inclinando la testa come se stesse pregustando il suo prossimo spuntino. A John tremavano le mani dalla paura, ma incoccò comunque una freccia. E riuscì addirittura a conficcargliela sul muso, prima che questi lo scaraventasse di lato con una zampata.
John non fece neanche in tempo ad accasciarsi sul terreno, che il mostro lo riacciuffò. Avvolse stretta la coda attorno ai suoi fianchi, mentre John stringeva i denti lottando contro il dolore.
«John!» esclamò Skyler, quando le fauci del mostro si chiusero a pochi centimetri da suo naso.
Agì d’istinto. Corse verso quell’orribile mostro e gli salì in groppa, conficcandogli tre quarti della spada nella schiena.
Il mostro urlò di dolore, lasciando cadere John al suolo e disarcionandola.
L’impatto con il terreno fangoso fu così brutale che Skyler venne disarmata, e le si smorzò il fiato in gola.
Il serpente Pitone marciò minaccioso verso di lei, e la ragazza riuscì ad alzarsi appena in tempo prima che la schiacciasse con una zampa.
Skyler indietreggiò, tenendo lo sguardo fisso sul mostro. Non riusciva a vedere più la sua spada, e lui sembrava averlo capito, perché si muoveva con una calma degna da manuale.
Con la coda dell’occhio, Skyler vide Emma riprendere lentamente i sensi, e John stramazzare al suolo. Michael non c’era, e fu quando arrivò la consapevolezza di essere completamente sola che sentì montare il panico.
Una morsa dolorosa le invase la bocca dello stomaco. Sentì le guance infiammarsi, e la paura penetrarle nel petto come la lama affilata di un coltello appena levigato. Strinse i pugni.
Fu solo a quel punto che urlò. Sgranò gli occhi, terrorizzata.
Perché Pitone stava andando a fuoco.
Il serpente si contorse in una danza macabra, mentre rosse fiamme alte più di tre metri gli avvolgevano il corpo.
Skyler restò immobile, bloccata dal panico. Ormai il mostro non le faceva più così tanta paura. Ormai a spaventarla c’erano solo fiamme. Alte, rosse, gialle, cattive. Proprio come quelle che le avevano lentamente portato via sua madre.
Il mostro si alzò sulle zampe posteriori, lanciando un grido verso il cielo.
In quel momento, una freccia gli si conficcò nel petto. Ma non era una freccia come tutte le altre. Era una freccia dorata, fatta di luce.
Lentamente, perse la sua forma, mentre un lume di fondeva con il suo petto squamoso. In poco tempo, scomparve, e Pitone fece giusto in tempo a trasformarsi in polvere, che esplose.
Una tetra pioggia di cenere si riversò sui verdi alberi, cadendo al suolo spostata dal vento.
Skyler non si mosse neanche di un millimetro, mentre lottava con un conato di vomito. Poi, una grande onda del fiume le si riversò addosso.
La ragazza tossì un paio di volte, confusa e scioccata, sentendo i vestiti incollarsi lentamente al suo corpo. Si voltò di scatto verso il fiume, e solo a quel punto si rese conto di Michael che, gattoni a terra e bagnato fradicio, la guardava, ansimante.
Incrociò il suo sguardo, e lui sembrava troppo stanco per dipingersi sul volto un’espressione spaventata.
«Stavi andando a fuoco» borbottò semplicemente, al che il sangue di Skyler si gelò.
Non adesso, non ancora. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono. Era così pietrificata da non sentire neanche John, che, corso al suo fianco, le posava gentilmente la propria felpa sulle spalle.
Aveva la pelle d’oca per via del contatto con l’acqua ghiacciata, e tremava come una foglia. Anche se non riusciva a capire bene per quale dei due motivi.
Quando si rese conto che la ragazza non smetteva di essere scossa dai brividi, John l’abbracciò, stringendosela al petto.
«È finita» le sussurrò all’orecchio, per far si che solo lei potesse sentirlo. «È finita.»
Skyler si impose di annuire, anche se stentava a crederci.
Aveva visto quelle fiamme divampare con i suoi stessi occhi. Avevano circondato anche lei. E, seppur consapevole di esserne uscita illesa, non riusciva ad ignorare quel macigno che le premeva come una pietra sullo stomaco. Conosceva già quella sensazione.
Ed era pura paura.
 
Ω Ω Ω
 
Quando ormai era calata la sera, i ragazzi si erano già accampati.
Si erano inoltrati ancora di più nella fitta boscaglia, e, lasciatisi ormai il covo di Pitone alle spalle, pensarono bene di accendere un piccolo fuoco per riscaldarsi e per poter sgranocchiare qualcosa.
A questo, ovviamente, ci pensò John. Al momento sembrava quello più in forma, per quanto in forma potesse essere uno che era stato quasi ucciso da una specie di drago. Però i suoi amici avevano un aspetto peggiore. Skyler era ancora scossa da dei tremitii, ogni tanto. Emma, seppur si ostinasse a dire che non era così, non poteva sottoporsi ad un eccessivo sforzo fisico. E Michael… beh, Michael era qualche ora che se ne stava in disparte, in silenzio, con un’espressione cupa e una cosa strana stretta fra le mani.
Avevano appena finito di mangiare l’ultimo pezzo di carne essiccata che erano riusciti a riesumare dallo spoglio zaino, che Emma si addormentò. Michael si sedette su un tronco a pochi metri da loro, e così, intorno al fuoco, rimasero solo Skyler e John.
«Credo che ci toccherà andare a caccia, domani» disse quest'ultimo, tanto per dire qualcosa. «Le nostre provviste sono limitate, e non sappiamo per quanto ancora resteremo in questa giungla.»
Skyler annuì distrattamente, lo sguardo fisso in un punto imprecisato. Non lo stava ascoltando, e il biondo se ne accorse, perché le scrollò leggermente la spalla.
«Ehi, cos’hai?»
Skyler accennò una scrollata di testa, pronta a ribattere che non c’era niente che non andasse, ma le parole le morirono in gola. Aprì la bocca, per dire qualcosa, poi la richiuse. La cosa si ripeté altre tre volte prima che si decidesse a parlare.
«Posso farti una domanda?» chiese, a bruciapelo.
Lui rimase un attimo interdetto, ma annuì.
«Quando…» Esitò. «Quando un Oracolo da una profezia, e ti dice ciò che accadrà, segue una logica precisa? Insomma, secondo te succede tutto con ordine, oppure le cose avvengono a caso?»
John ci pensò un attimo su, prima di chiedere: «Ti riferisci a una profezia in particolare?»
Skyler scrollò le spalle, fingendosi noncurante, ma abbassò lo sguardo. «Hai visto cos’è successo» disse, con tono cupo. «Se non bruci il mostro nessuna vita potrà essere salvata. Credi… credi che si riferisse a quello? Credi… credi che si riferisse a me che do fuoco a Pitone?»
Il ragazzo titubò, indeciso su cosa risponderle. Dopo un po’, aggrottò la fronte, facendo spallucce. «No, non credo. Quando l’Oracolo da una profezia, c’è sempre un ordine da seguire. In teoria, quella dovrebbe essere l’ultima cosa.»
«Si, ma credi si riferisse a me?»
John si voltò a guardarla, e quella fu la prima volta in cui lei alzò lo sguardo. Sembrava spaventata, e anche terribilmente in ansia. Schiuse la bocca per farvi uscire un secco “no”, ma lei lo precedette.
«Perché io non credo di farcela» disse, e il tremitio della sua voce tradiva le prossime lacrime. «Io…» Si bloccò un attimo, abbassando gli occhi a fissare la terra sotto i suoi piedi. «Io… non ce la faccio. E se tocca davvero a me bruciare qualcosa? E se poi non ci riesco? Io… non riesco vedere il fuoco in mano ad altri, come posso pretendere di generarlo? E se fossi la vostra rovina?»
«Ehi, tu questo non lo devi nemmeno pensare» la rimproverò lui. Si guardarono negli occhi, e Skyler vide benissimo la sua determinazione. «Tu non sarai la rovina di nessuno, chiaro? E non dovrai bruciare nessun mostro. Non permetterò che questo accada. Ti proteggerò, va bene? Anche se volesse dire incendiare quel coso con un accendino.»
Gli occhi di Skyler erano velati di lacrime, ma nonostante ciò, sorrise. «Avresti bisogno di un accendino molto grande.»
Lui abbozzò un sorriso malandrino. «Potrei procurarmelo.»
La ragazza rise sommessamente, abbassando lo sguardo triste. John sospirò. «Ehi, guardami» le sussurrò. Le prese il mento con una mano e la costrinse ad alzare gli occhi. «Guardami.» I loro sguardi si incrociarono, e, per un breve istante, John dimenticò tutto ciò che aveva in mente di dirle. Le sorrise dolcemente, inclinando leggermente la testa di lato.
«Ti amo» le disse, senza pensarci.
Skyler parve colpita, ma anche improvvisamente rincuorata da quelle parole. Sorrise a sua volta. «Ti amo anch’io.»
I loro volti di avvicinarono lentamente, e i due ragazzi si baciarono. Era un bacio dolce, delicato, ma carico della speranza e della presenza che John voleva trasmetterle. Perché lui c’era, e ci sarebbe sempre stato. E di questo lei ne era sicura.
Quando si staccarono, il figlio di Apollo le baciò la fronte, prima di stringersela al petto. Poi, lasciandole un bacio fra i capelli, le sussurrò: «Prova a dormire un po’, ti farà bene. Farò io il primo turno di guardia.»
Skyler annuì contro la sua maglietta.
Si, forse dormire le avrebbe fatto bene. E forse l’avrebbe distolta da tutti quei pensieri.
 
Ω Ω Ω
 
«Ricorda chi è il vero nemico, mi hija.» La voce dello zio continuava a rimbombarle contro le pareti della scatola cranica. Sembrava un ordine, o un avvertimento. «Ricorda chi è il vero nemico…»
 
Skyler si svegliò di soprassalto. Era madida di sudore, e ansimava.
Si guardò intorno, spaventata. Sembrava tutto normale. Era tornata nella foresta del Missouri. A pochi metri da lei, Emma e John dormivano sotto un pino. Skyler fece dei grandi respiri, tentando di regolarizzare il respiro.
Si girò su un fianco, posando la guancia sul fresco terriccio su cui si era addormentata. Poi, grazie alla tremula luce del fuoco, vide qualcosa.
Qualche metro più là, Michael stava facendo il turno di guardia. Era seduto in silenzio e in disparte, ed aveva un’espressione cupa dipinta sul volto.
Dopo un po’, Skyler decise che non avrebbe più ripreso sonno. O meglio, che non voleva farlo. Strinse le spalle nella felpa di John che aveva ancora addosso e si alzò.
Accompagnata dal fruscio di foglie spezzate sotto le sue scarpe, si avvicinò al ragazzo.
«Posso?» gli chiese, indicando il posto accanto a lui.
Il figlio di Poseidone alzò lo sguardo quel tanto che bastava per capire chi fosse, poi annuì.
Lei si sedette, in silenzio. Rimasero in quella quiete interrotta solo ogni tanto dal dolce suono di qualche grillo, entrambi gli occhi fissi sul fuoco davanti a loro.
Poi, Michael sospirò. «Come stai?» le chiese, senza spostare lo sguardo.
Lei fece spallucce. Poi, rendendosi conto di quanto la sua risposta fosse concisa, inclinò la testa di lato. «Bene» mentì. E aggiunse: «Sicuramente meglio di prima.»
Michael annuì, sovrappensiero. Fu a quel punto che lei si voltò a guardarlo. «E tu, invece? Come stai?»
Il ragazzo abbozzò un sorriso divertito. «Cosa ti fa pensare che io abbia bisogno di farmelo chiedere?»
Skyler lo scrutò un attimo, poi si strinse nelle spalle. «La tua espressione. Sei silenzioso, e triste. Ho pensato ci fosse qualcosa che non andava.»
Michael emise una risata, più simile ad uno sbuffo. Skyler avrebbe giurato che fosse divertito, se non fosse stato per l’espressione mesta del suo volto. Il ragazzo spostò lo sguardo su un albero accanto a lui, mentre lei continuava a fissarlo, in attesa.
Dopo un po’, sospirò. «Oggi è il compleanno di Rose» mormorò, con tono piatto.
Skyler ebbe una stretta al cuore, quando lui si voltò a guardarla. «Oggi compie dodici anni.»
La ragazza aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. «Oh. Io…» balbettò. Poi prese un bel respiro. «Non lo sapevo.»
Michael fece un sorriso amaro, abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Solo seguendo la direzione dei suoi occhi, che in quel momento erano blu, Skyler notò cos’aveva in mano.
Sembrava una collanina. Un ciondolo, perlopiù. Legato ad un filo azzurro, c’era una piccola moneta intagliata nel legno. Su una faccia c’era un tridente, sull’altra tre iniziali intrecciate. Una R, una M e una P.
L’angolo della bocca di Skyler si curvò all’insù. «L’hai fatto tu, quello?» chiese.
Lui annuì leggermente. «Volevo regalarglielo. Sai, l’ho fatto prima… prima che accadesse tutto questo.» Sospirò di nuovo, più per trattenere le lacrime che per vero bisogno. «Sai cos’è che mi fa davvero arrabbiare?» sbottò. «Non poter essere con lei in questo momento. Me la immagino lì, sola, accanto al letto di Percy, mentre stringe la sua mano e prega tutti gli dei affinché si salvi. Ma io so che non sta pregando solo per lui. No, lei è… lei è preoccupata anche per me. Lo sento qui, capisci? Al centro del petto. Questa sensazione opprimente che mi incolpa per averla lasciata sola. Perché è questo che ho fatto, Skyler. L’ho lasciata sola. Per partire per una missione impossibile e tra l’altro suicida.» Strinse di più la collanina nel pungo. «Per giocare a fare l’eroe che non sarò mai.»
Skyler lo guardò, e sentì crescere un moto di rabbia. Che però svanì, non appena vide quell’espressione. «Tu sei già il suo eroe» gli disse, con dolcezza. Poi allungò una mano e strinse la sua. Il ragazzo si voltò a guardarla, un po’ sorpreso. «Senti, lei sa che tutto questo lo stai facendo per Percy. Per loro. Per voi. E non potrebbe mai avercela con te, se è questo che stai pensando.»
«Ma io l’ho abbandonata» ribadì lui. «L’ho lasciata lì tutta sola.»
«Ma Rose non è sola. C’è Grover, e Chirone, e Connor, e Annabeth, e Travis, e Leo. Sono tutti lì, a consolarla, a darle conforto.» Gli strinse un po’ di più la mano. «Lei non sarà mai sola» ripeté.
Michael fu scosso da un brivido di sollievo, sentendo le dita della ragazza intrecciarsi alle sue. Rose non era sola, e non lo era neanche lui. E forse, un giorno, sarebbe riuscito a vedere quel ciondolo di legno appeso al suo collo. In quel momento, era tutto ciò che desiderava.
Avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di poter rivedere il suo viso. Pur di sapere che stava bene, che era in forma. Sarebbe stato disposto a tornare indietro, se le circostanze non gli avessero imposto di restare.
Rimasero per un po’ in silenzio, ad osservare le tremule fiamme del falò davanti a loro. Silenzio che fu Skyler a rompere, con una domanda inaspettata.
«Perché non la chiami?»
Michael sussultò, guardandola confuso. «Come?»
«Si. Insomma, Emma una volta me ne ha parlato. Di una specie di… Messaggio Iride, giusto?»
Lui aggrottò la fronte. «Beh, si. Ma… ma questo che c’entra?»
Skyler si strinse nelle spalle. «Beh, potresti farne uno anche tu. Giusto per fare gli auguri a Rose.»
Michael esitò. Si, ammise di averci pensato anche lui. Ma era troppo rischioso. Se durante il messaggio Iride ci fosse stato anche Chirone, avrebbe subito mandato una squadra di recupero per riportarli al campo. Si sarebbe arrabbiato, e tanto. E poi Michael non era sicuro che fosse la cosa giusta da fare.
«Io… non posso» balbettò.
Skyler inarcò le sopracciglia. «E cosa te lo impedisce?»
Michael provò a replicare, ma non ci riuscì. A quel punto, Skyler si tastò le tasche, tirandone fuori una dracma d’oro. Gliela passò. Poi si alzò da terra, prese la borraccia piena d’acqua e ne versò un po’ del contenuto accanto al braciere infuocato.
Questa sfiorò solo due rami roventi, emettendo un sibilo. Poi, una fitta nebbiolina candida si levò dal fuoco.
«Ti conviene sbrigarti» lo avvertì, mentre Michael la guardava a bocca aperta. «Non credo durerà in eterno.»
Detto questo, se ne andò, lasciandolo di nuovo solo.
Il ragazzo esitò. In cuor suo, sapeva che non era la cosa giusta da fare. Eppure la dracma sembrava scottare fra le sue dita, e, quando si accorse che quella nebbiolina stava lentamente svanendo, agì d’istinto. Si alzò da terra e gettò la moneta in quella sottospecie di arcobaleno. Questa scomparve in uno scintillio dorato.
«Campo Mezzosangue» disse, poi esitò per un secondo. «Rosemary Jackson.»
Per un attimo, non successe nulla. Poi, attraverso la nebbia, comparve un’immagine. All’inizio era sfocata, ma poi Michael riuscì benissimo a distinguere una stanza d’ospedale. In ginocchio accanto al letto, la sorellina teneva per mano il fratello malato.
Il suo cuore perse un battito.
«Rose» chiamò, ma la vece gli si smorzò in gola, e tutto ciò che ne uscì fu un lieve sussurro.
Abbastanza forte, però, perché rimbombasse nel silenzio che c’era in quella stanza. La ragazzina si guardò intorno, confusa, finché non incrociò il suo sguardo.
Quasi immediatamente, i suoi grandi occhi blu si riempirono di lacrime. «Michael» mormorò incredula, portandosi una mano a coprire la bocca. Si alzò da terra e corse verso la figura del fratello, ma, non appena la raggiunse, questa tremolò. Fece un passo indietro, incapace di distogliere lo sguardo. «Michael» ripeté.
Il ragazzo si sforzò di regalarle un sorriso, mentre ingoiava un nodo di malinconia. «Ciao» sussurrò.
A quel punto, la piccola Rose non trattenne più le lacrime. Le bagnarono calde le guance, mentre dei piccoli singhiozzi le sfuggivano ribelli dalle labbra.
«Mi manchi tanto» gli disse, e questo non fece che rendere più ardua la lotta di Michael contro il pianto.
«Anche tu» ammise. Poi sospirò. «Rose, mi dispiace. Di averti lasciata sola, di essermene andato. Io… l’ho fatto solo perché pensavo che sarei riuscito a…»
«Credevo fossi morto» lo interruppe lei. Sembrava quasi un’accusa.
Il cuore di Michael vacillò. «Rose…»
«Che cos’altro avrei dovuto pensare? Non c’erano più tue notizie da giorni, nessuno sapeva dov’eri. Grover ci ha detto che cos’avevi fatto solo ieri ed io ho temuto il peggio. Riesci ad immaginare come mi sia sentita sapendoti là fuori? Con tutti quei mostri. Da solo…»
«Non sono solo» la rassicurò lui, anche se sembrava più lo stesse ricordando a se stesso. «C’è Skyler con me. E John. Ed Emma. Noi ce la faremo, Rose. Ce la faremo.»
«Magari può venire qualcuno ad aiutarvi. Se Chirone organizzasse una squadra loro potrebbero…»
«No» la interruppe subito. «Non se ne parla, è troppo rischioso.»
«Ma sarebbe un aiuto in più…»
«Rose, non devi dire a nessuno di questo messaggio Iride, capito?» la ammonì. «A nessuno.» La guardò negli occhi, e lei sembrò interdetta.
«Ma… perché?» obiettò.
«Rose, non devi farlo» ripeté. «Promettimelo.» La ragazza fissò gli occhi nei suoi, ma non rispose. «Promettimelo» le chiese di nuovo.
Dopo alcuni secondi, la piccola annuì. Distolse velocemente lo sguardo e si pulì con il dorso della mano le guance bagnate. «State tutti bene?» domandò.
Michael annuì. «Si, certo.» Il suo tono voleva essere rassicurante, ma in verità non ci credeva nemmeno lui. Abbassò un attimo gli occhi, osservando ciò che ancora stringeva in mano. Sorrise, triste. «Sai, per il tuo compleanno avevo preparato questa» le disse, mostrandogliela. «Non è niente di che, però ti giuro che l’ho fatta col cuore.»
Rose la guardò, estasiata, prima che le sue labbra si allargassero in un sorriso. «Michael, ma è… è bellissima» esclamò. Poi alzò lo sguardo su di lui. «Grazie.»
Lui abbassò lo sguardo, stringendosi nelle spalle.
«Vorrei che fossi qui» sussurrò Rose, dopo un po’.
Lui la osservò, la vista leggermente appannata. Annuì. «Lo vorrei anch’io.»
«Promettimi che tornerai» implorò la ragazza, la quale ormai aveva ricominciato a piangere. Tirò su col naso. «Ti prego.»
La sua sembrava più una supplica che altro, e Michael stavolta fu davvero sicuro che il suo cuore si fosse spazzato in mille, minuscoli pezzettini. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono. In realtà, erano molte le cose che voleva dirle. Voleva dirle di non preoccuparsi, e che lui stava bene. Voleva dirle che avrebbe lottato anche con i denti, se questo avesse significato tornare a casa. Voleva prenderle il viso fra le mani come faceva sempre quando piangeva e sussurrarle che sarebbe andato tutto per il meglio. Che lui era lì, e che non l’abbandonava. Che qualunque cosa fosse successa, sarebbe sempre stato il suo angolo custode. E che le voleva un mondo di bene.
Voleva dirglielo, e l’avrebbe fatto, se la sua immagine non avesse cominciato a tremolare. Sentì montare il panico.
«No, non andartene!» esclamò Rose, nel tentativo di correre verso la sua figura. Il ragazzo la guardò, gli occhi sgranati, e quando i loro sguardi si incrociarono, il tempo sembrò fermarsi.
«Ti voglio bene, Rose» le disse lui, protendendo una mano a sfiorare la nebbiolina.
La ragazzina posò la sua, per così dire, su quella del fratello, e a Michael sembrò davvero di sentire il suo calore contro il palmo.
«Promettimi che tornerai» lo scongiurò lei, fra un singhiozzo e l’altro. Notando il suo silenzio, ripeté. «Promettimelo. Ti prego.»
Con un tuffo al cuore, Michael annuì. «Te lo prometto» sussurrò. La sua immagine, ormai, era del tutto sfocata, quasi indistinguibile. Il ragazzo sentì un nodo attanagliarli la gola, mentre le sorrideva, rassicurante. «Buon compleanno, Rose.»
Poi, la figura minuta della sorellina scomparve, lasciando posto solo all’oscurità.
Il silenzio che lo avvolse dopo fu addirittura più doloroso.
Michael si sedette a terra, gli occhi che bruciavano. Posò i gomiti sulle ginocchia e si sfregò la faccia, come se bastasse per far andare via anche i pensieri. Si passò le mani fra i capelli, con un sospiro tremante, prima di guardare il punto in quei solo un attimo prima si trovava la sorella.
Aveva voglia di piangere, e di urlare con tutto il fiato che aveva in gola. Voleva rompere qualcosa.
Ma non lo fece. Restò lì, in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, a meditare su ciò che le aveva detto.
Le ho promesso che sarei tornato, rammentò.
E tornerò.
Si, lui sarebbe tornato. L’avrebbe fatto per il Campo. L'avrebbe fatto per Percy. L’avrebbe fatto per i suoi amici.
L’avrebbe fatto per Rose.

Angolo Scrittrice.
Muahahahahah!
Andiamo, credevate davvero di esservi liberati di me? Eh, no, guys, I'm here. Si, so che è un po' tardi, ma ho dovuto studiare tutto il pomeriggio per un compito in classe, quindi non ho avuto tempo. :S
Ma eccomi qui, con il mio *controlla il numero* 22 tentativo di scrivere qualcosa di decente. Che purtroppo, non è riuscito. Non fraintendetemi, ci ho messo tutta me stessa per scriverlo, soprattutto la scena fra Michael e Rose, ma, invece di uscire una cosa carina è uscita... questa cacchina qui.
Spero comunque che vi piaccia, però.
Anyway, sono molto stanca, per cui passerò subito ai ringraziamenti. Ora voglio una stendig ovation per tutte le mie Valery's Angels:
Fred Halliwell, _percypotter_, Zaynsbestfriend, Ciacinski, Riario1, chakira, sofy_1394, Kalyma P Jackson, Fyamma e Greg Heffley.
Grazie, grazie, grazie!
Bien bien, ora credo sia meglio andare.
Un bacione a tutti quanti, davvero.
Sempre vostra,
ValeryJackson

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Il sole si stava lentamente facendo strada fra le ombre degli alberi, dando inizio ad una nuova mattina d’estate. Nonostante ciò, però, la folta vegetazione che li circondava non faceva altro che renderli più inquieti di quanto non fossero.
Era fitta, e la cosa più difficile da fare in quel posto era di sicuro ispezionare il perimetro, nell’eventualità di qualche mostro alle calcagna.
Michael aveva fatto da guardia al loro insulso accampamento fino all’alba. Poi, Emma gli aveva dato il cambio, e lui ne aveva approfittato per sdraiarsi a terra e riposarsi un po’. Il sonno, però, aveva tardato ad arrivare. Mille pensieri gli affollavano la mente perentori; sopra fra tutti, la conversazione con la sorella della sera prima. Vedere il suo volto triste gli aveva spezzato il cuore, ma gli aveva dato anche un motivo in più per tornare. Il problema, ora, era riuscire a farlo.
Quando finalmente riuscì ad addormentarsi, fece sogni agitati.
Una volta svegliato, aveva la fronte leggermente imperlata di sudore, e il suo petto si alzava e abbassava freneticamente nel vano tentativo di regolarizzare il battito cardiaco.
Non appena aprì gli occhi, una forte luce lo accecò. Li richiuse subito, portando una mano a coprirsi il volto, poi se li stropicciò, mugugnando qualcosa di incomprensibile. Con la bocca ancora impastata dal sonno e un forte mal di testa, si tirò a sedere.
All’inizio, faticò a mettere a fuoco lo spazio intorno a se. Poi, assottigliando lo sguardo, riconobbe le figure dei tre amici.
«Buongiorno, Bella Addormentata» lo schernì Emma, con un sorrisetto divertito.
Michael non aveva ancora la lucidità necessaria per poterle rispondere a tono, per cui si limitò a fare una smorfia.
«Dormito bene?» Stavolta era stato John a parlare.
Un’altra smorfia da parte sua, ma stavolta accompagnata da un: «Abbastanza.»
Mentre si stiracchiava, scacciando via anche l’ultima ombra di sonno, notò che i ragazzi stavano mangiando delle more.
«E queste?» domandò, corrucciando le sopracciglia.
Skyler fece spallucce. «Le ho raccolte stamattina. Non avevo molto sonno.» Poi gliene passò un pugno, e Michael non si rese conto di quanto in realtà avesse fame finché non le ingurgitò in un sol boccone.
«Emma ha trovato una pista» lo informò John, facendogli tornare in mente la cruda realtà.
Il figlio di Poseidone si girò verso la bionda, con la fronte aggrottata. «E cioè?»
Prima di rispondergli, Emma tirò fuori dalla tasca la Mappa dei Sette Mari, aprendola e mettendogliela sotto il naso. «Ho scoperto che Pitone non era l’unico mostro a vivere qui» disse. «Ce ne sono altri. Altri mostri mitologici che hanno costruito le loro tane fra gli alberi, o accanto ai fiumi, o in alcune grotte. In poche parole, siamo circondati da molte specie. Ma ce n’è una in particolare che ci interessa.»
Michael incastrò gli occhi sgranati nei suoi non appena vide tutti quei puntini sulla mappa. «L’Ippogrifo» sussurrò.
La figlia di Ermes annuì. «Vivono in branchi, ma ce ne sono diversi, e tutti separati. Credo che siano molto… territoriali, non so. Un branco, ad esempio, sta ad ovest, mentre l’altro continua a spostarsi solo ad est. Ma non so esattamente come fare a trovarli.»
Michael non la stava più ascoltando. Il suo cervello si era fermato alla parola vivono, e continuava a fissare la mappa sovrappensiero. Gli serviva una lacrima di quel mostro, e non gli veniva in mente alcun modo per prenderla.
Anche Skyler sembrò avere lo stesso pensiero, perché aggrottò la fronte preoccupata. «Hai idea di dove possiamo cercarne uno?»
Emma scosse la testa. «Te l’ho detto, è complicato. Si muovono in branchi, certo, ma non rimangono mai fermi nello stesso punto. Anche se si spostano sempre a ovest, è comunque difficile indicare un punto preciso.»
«E quindi che si fa?» chiese John.
Emma sospirò. Guardò un attimo i suoi amici, in attesa di qualche idea, ma quando uno strano silenzio li avvolse, scrollò le spalle. «Non abbiamo scelta, dobbiamo cercarli.»
«E come?» replicò Michael. «Non possiamo giocare a nascondino nei boschi in eterno.»
«Beh, è l’unico modo.» La bionda lo guardò, con aria di sfida. «Ci serve quella lacrima, giusto? O vuoi tirarti indietro proprio ora?»
Il figlio di Poseidone non rispose, ma tutti poterono notare i muscoli della sua mascella contrarsi, segno evidente che stava digrignando i denti con molta forza.
Abbassò lo sguardo un attimo, poi annuì. «Ok» disse, passando la mappa alla figlia di Ermes. «In questo caso ci conviene sbrigarci.»
 
Ω Ω Ω
 
Lentamente, stava calando la sera.
Ormai era da tutto il giorno che cercavano. Avevano deciso di separarsi, ispezionando diverse direzioni, ma sempre restando abbastanza vicini, così che, se fosse successo qualcosa, sarebbero stati in grado di aiutarsi.
Skyler si faceva largo fra la sterpaglia con la sua spada. Era stanca, e dopo le more di quella mattina non aveva mangiato più niente, se non qualche frutto che trovava per strada. Le dolevano i piedi, e un’insopportabile frustrazione continuava ad espandersi nel suo petto, rendendola ancora più nervosa di quanto non fosse già.
Oramai era quasi buio, e tutto ciò che avevano trovato era… niente. Niente di niente.
Non sapeva neanche com’era fatto un Ippogrifo, lei. Non ne aveva mai visto uno. Ricordava un’immagine trovata su un libro tanto tempo fa, ma non era sicura che, se se ne fosse trovato uno davanti, l’avrebbe riconosciuto.
Imprecando contro le foglie che per l’ennesima volta le si erano incastrate fra i capelli, Skyler non si accorse di aver continuato a camminare senza una meta. Finché non si ritrovò in un vicolo cieco. O meglio, in uno spazio aperto. Gli alberi si interrompevano, cedendo il posto ad un ampio giardinetto dal perimetro circondato da cespugli e fiori. L’erbaccia le arrivava fin su la caviglia, ma poco le importava, perché quel posto aveva qualcosa di… suggestivo.
Muovendosi con circospezione, si guardò intorno. Sembrava essere deserto, e dava l’idea di un passaggio segreto per un altro universo. Si sentiva osservata. Ma non come quando giri per la metro e continui a guardarti intorno per paura che un ladro ti segua. No, lei si sentiva osservata davvero. Avvertiva tanti minuscoli occhietti puntati sulla schiena, quasi a voler studiare ogni sua mossa, o come se avessero paura.
Assottigliando lo sguardo, si avvicinò ad uno dei cespugli. All’inizio, sembrava un bronco del tutto normale. Ma poi, la ragazza sussultò. L’aveva visto, ne era sicura. Un piccolo bagliore, che si era acceso e si era spento con la stessa rapidità.
Lo osservò ancora, finché non ne vide un altro, ma in un punto diverso. Poi un altro, e poi un altro. Poi addirittura due. Dopo un po’, tutto il cespuglio si stava illuminando.
Skyler spalancò la bocca, seguendo con lo sguardo la scia che si propagava ovunque, finché tutto, intorno a lei, non cominciò a brillare. Solo allora capì.
Lucciole. Migliaia di lucciole, che liberavano energia sotto forma di luce creando uno spettacolo sensazionale. Skyler le osservava, estasiata, mentre danzavano e si esibivano volando intorno a lei.
Era in assoluto la cosa più bella che avesse mai visto. Le seguì con gli occhi, ammirata, girando su se stessa. Solo quando si voltò, però, rimase senza fiato.
All’improvviso, le lucciole persero tutta la loro magnificenza, perché davanti a lei c’era l’essere più regale che avesse mai incontrato.
Aveva più o meno le dimensioni di un cavallo, ma era molto più imponente. Il corpo era equino, per l’appunto, eppure aveva due enormi ali d’aquila che gli spuntavano proprio sopra la schiena. Anche il muso era di un rapace, e il becco duro e appuntito sembrava in grado di inciderti la carne. Con il suo colore grigio argento, risplendeva al chiaro di luna, come illuminato da una forza misteriosa.
Skyler si irrigidì, quando l’Ippogrifo puntò gli occhi scuri nei suoi.
La fissava, come in grado di scrutarle l’anima con quelle pietre d’ossidiana. Eppure, non sembrava cattivo. Emanava un’aura forte, sicura, e infondeva in Skyler una sensazione di protezione.
Senza rendersene conto, la ragazza richiuse la sua spada. L’ippogrifo la guardò, mentre, esitante, faceva un passo avanti.
La figlia di Efesto non riusciva a distogliere lo sguardo, e, per un breve istante, si sentì legata a lui, e come all’improvviso consapevole che quella creatura non aveva alcuna intenzione di farle del male.
Anche l’Ippogrifo avvertiva qualcosa. Era l’aura della ragazza, che oscillava dentro di lei buona e gentile. Sapeva che non voleva ucciderlo, ma che, mentre avanzava verso di lui rapita, aveva solo bisogno di chiedergli qualcosa.
Quando Skyler fu a pochi passi di distanza, il mostro si inchinò. La ragazza sobbalzò, indietreggiando un attimo, e l’Ippogrifo giurò che non avesse capito il suo gesto. La stava rassicurando. Voleva farle capire che, qualunque favore gli avesse chiesto, lui l’avrebbe aiutata.
Quando Skyler intese ciò che la creatura stava facendo, sentì il suo respiro fermarsi. Non si era neanche accorta di trattenere il fiato, finché l’Ippogrifo non incastrò gli occhi nei suoi.
Esitante, e come ammaliata da quello sguardo, la ragazza alzò una mano. L’Ippogrifo non indietreggiò, come si sarebbe aspettata, ma restò lì, privo di paura, mentre lei avvicinava il palmo al suo muso e lo accarezzava.
Skyler sorrise, accorgendosi che il mostro non accennava a volersi spostare. I suoi occhi brillarono d’emozione, finché una voce, alla sua destra, non la riportò alla realtà.
«Skyler, sta attenta!» esclamò John. E, prima che lei potesse urlargli di non farlo, una freccia si conficcò nell’occhio dell’Ippogrifo.
Il mostro berciò di dolore, alzando le zampe anteriori verso il cielo e buttandola a terra senza volerlo.
John le fu subito accanto, e, guardando l’arrabbiato Ippogrifo, incoccò un’altra freccia.
«No!» esclamò Skyler, guadagnandosi un’espressione confusa. «Non ucciderlo. Non è cattivo.»
John corrucciò la fronte, non capendo. «Come?» Spostò velocemente lo sguardo da lui a lei, da lui a lei. «Ma… ma io l’ho visto. Stava per attaccarti, ti ha anche disarmato.»
«Non mi ha disarmato» ribatté lei, con la vista appannata. «Sono io che ho riposto la spada. Lo stavo solo accarezzando. Lui non voleva uccidermi.»
Un altro grido squarciò l’aria, e stavolta, ai ragazzi si gelò il sangue nelle vene.
Alzando gli occhi al cielo terrorizzati, scorsero la figura di un altro mostro stagliarsi su di loro.
Il grifone scese in picchiata, e i due fecero appena in tempo a spostarsi che questi atterrò nel punto esatto in cui si trovavano.
Aveva il possente corpo di un leone, ma la testa di un’aquila. Anche le zampe anteriori erano di un rapace, e gli artigli erano incrostati di ciò che con ribrezzo Skyler scoprì essere sangue. Le ali piumate non erano per nulla simili a quelle dell’Ippogrifo, perché spennate e di un marrone tinto di giallo. I suoi occhietti rossi scrutarono i ragazzi con attenzione, prima che inclinasse la testa di lato e sembrasse ghignare, maligno.
Avanzò verso di loro con uno stridio inquietante.
John incoccò una freccia, fulmineo, ma il grifone si scansò prima che potesse colpirgli l’ala. Con gli artigli, provò a graffiarlo, ma John rotolò di lato ed incoccò un’altra freccia. Sarebbe riuscito a lanciarla, se il mostro non l’avesse scagliato contro un albero con una zampata, disarmandolo e smorzandogli il fiato per l’impatto.
«John!» esclamò Skyler. Il grifone di voltò di scatto verso di lei, con gli occhi iniettati di sangue.
La ragazza sguainò la spada con mano tremante, pronta a fronteggiarlo. Quando questi si scagliò contro di lei con un urlo, brandì la lama e menò un fendente. Lo colpì solo ad un fianco, senza arrecargli danni gravi, ma il suo shock fu sufficiente per permetterle di studiare la mossa successiva.
Prese una leggera rincorsa e provò un affondo. All’inizio il mostro lo schivò, ma poi lei riuscì a ferirgli una gamba, facendolo guaire. Sembrava molto arrabbiato, per questo non si sorprese molto quando si scagliò contro di lei, tentando di colpirla.
Skyler riuscì ad impedire a quegli artigli di graffiarle il viso grazie alla spada, ma l’impatto la fece comunque barcollare all’indietro. Prima che riuscisse a rendersene conto, qualcosa di sporco e piumato le colpì il fianco, facendole perdere l’equilibrio.
Skyler cadde supina nel fango, e si sarebbe rialzata, se non fosse stato per qualcosa di incredibilmente pesante che le ancorava le braccia al terreno.
Sei artigli le affondarono nella carne, provocandole un dolore lancinante. Il mostro la sollevò alcuni centimetri da terra, prima di sbattercela di nuovo. La nuca della ragazza batté violentemente, e, dopo un po’, cominciò a pulsare. Macchie nere cominciarono a danzarle davanti a gli occhi, oscurandole la visuale, e l’unica conferma che aveva del mostro sopra di se era il suo fiato fetido che le accarezzava le guance.
Stringendo i pugni, si accorse di aver perso la spada. Ormai il dolore alle braccia era così forte che fu costretta a soffocare un conato di vomito, mentre il grifone cercava di beccarle il volto senza alcuna pietà.
Un urlo strozzato le uscì dalle labbra, mentre tentava di divincolarsi dalla sua presa.
È davvero finita?, si chiese, in preda alla disperazione.
Fu solo quando quel grande becco affondò nella sua guancia che sentì la presa sulle braccia allentarsi.
Con grande sorpresa, si accorse che il mostro se n’era andato. Confusa, e anche un po’ stordita, alzò il capo. No, il mostro non se n’era andato. Era qualcuno che l’aveva spostato.
L’Ippogrifo si era posizionato proprio di fronte a lei, pronto a proteggerla. Ringhiò, contro il grifone, ma quest’ultimo sembrò non farsi intimorire, tanto che lo attaccò. Gli saltò addosso con una velocità impressionante, e non ci mise molto ad affondare gli artigli nella sua carne.
L’Ippogrifo urlò di dolore, ma poi se lo scrollò di dosso, e con un rapido movimento d’ali lo scagliò contro un albero. Il grifone sembrava intontito, ma anche deciso a non dargliela vinta. Caricò, e, dopo essersi alzato in volo con le sue possenti ali, affondo il rostro nel fianco dell’altro mostro.
L’Ippogrifo si piegò in due, stringendo forte gli occhi di ossidiana. Riuscì a scrollarselo di dosso un’altra volta, ma, con un fianco sanguinante e il respiro affannato, sembrava davvero impossibile continuare a fronteggiarlo.
Skyler avrebbe voluto gridare, alzarsi da terra ed aiutarlo, ma la testa ancora le girava, e non riusciva a capire dove fosse finita la sua spada. Si tirò su a sedere, con fatica, giusto in tempo per scorgerli lottare qualche metro più in là. Sembravano entrambi stanchi, e al limite delle forze, e lei era pronta a fare qualcosa, finché, per la sorpresa, non si bloccò.
L’Ippogrifo era riuscito ad affondare il becco nel collo nel grifone, e a stringere tanto da strozzarlo. Gli occhi di quest’ultimo erano spalancati, terrorizzati, ma si dissolse in un cumulo di polvere prima che riuscisse ad urlare.
L’ippogrifo si voltò trionfante verso di lei, ma non fece in tempo a scorgere il suo sorriso, che si accasciò a terra.
L’urlo di Skyler rimbombò per tutta la foresta. «No!»
Si alzò in piedi, e, incurante del forte dolore che le pulsava contro le tempie, gli corse incontro.
La ferita al fianco era più grave di quanto pensasse. La sfiorò con i palmi, e subito le sue mani furono imbrattate di sangue.
«No» mormorò, quando si rese conto di ciò che stava succedendo. Una lacrima solitaria le solcò la guancia. «No.»
Il respiro dell’Ippogrifo era irregolare, come se gli costasse fatica anche il solo stare sdraiato. La mente di Skyler era così sotto shock che a malapena si accorse di John, inginocchiato al suo fianco.
«Ti prego, salvalo» implorò, ormai incapace di fermare il pianto.
Il ragazzo sospirò mestamente. «Temo che ormai sia troppo tardi.»
«No» singhiozzò lei. Calde lacrime le rigarono le guance, mentre John se la stringeva al petto e cercava di consolarla.
In quel momento, arrivarono affannati Emma e Michael, che, alla vista di quella scena, rimasero alquanto interdetti.
Skyler continuò a piangere, disperata, finché un pigolio non attirò la sua attenzione.
Si bloccò di colpo, mentre un brivido le drizzava i peli sulla nuca. Con una lentezza titubante, si allontanò dal petto del biondo, rivolgendo il capo verso il mostro accanto a se.
Era ancora disteso su un fianco, coperto di terra e sangue cremisi, eppure, i suoi occhi erano aperti. Certo, non grondanti di vita, ma il suo petto continuava ancora ad alzarsi ed abbassarsi, seppur con un ritmo un po’ meno regolare.
L’Ippogrifo sollevò leggermente il capo da terra, al che Skyler si chinò verso di lui. Solo quando scorse qualcosa luccicare all’angolo del suo occhio, capì cos’aveva intenzione di fare.
«Michael» sussurrò, con il fiato sospeso. «Dammi una fiala.»
Il ragazzo aprì il suo zaino e ne estrasse una bottiglietta, per poi passarla alla mora.
La ragazza la avvicinò all’occhio della creatura, e la richiuse solo quando vide una lacrima scivolare al suo interno.
Con occhi appannati, gli sorrise riconoscente. «Grazie» sussurrò. E, sebbene lui fosse in fin di vita, sembrò ricambiare quel sorriso, e richiuse gli occhi in un’apparente stato di pace.
I ragazzi furono avvolti da un silenzio irreale. Asciugandosi le guance con il dorso della mano, Skyler si alzò lentamente da terra, seguita da John. Si avvicinò a Michael, e poi gli porse la fiala, non prima di aver celato il suo sguardo triste dietro un sorriso forzato.
Il ragazzo la infilò nello zaino, senza proferir parola, ma, quando rialzò gli occhi, si bloccò.
Skyler corrucciò lo sopracciglia, confusa, finché non seguì la direzione del suo sguardo. A quel punto, rimase senza fiato.
Una ragazza si stava facendo largo fra gli alberi, con camminata sinuosa. No, non era una ragazza. Era… era… sembrava quasi un fantasma. La pelle era eburnea, quasi trasparente. I capelli albini le ricadevano leggiadri sulla schiena, e le labbra carnose erano dello stesso colore dei vestiti che indossava. Completamente bianche. Aveva due occhi grandi, dolci, dello stesso colore niveo del ghiaccio. Ma la cosa più stupefacente erano di sicuro le ali.
Belle, leggiadre, bianche come il latte, si muovevano con la stessa velocità di quelle di un colibrì, così impercettibilmente da sembrare quasi ferme, mentre la tenevano sospesa a circa cinque centimetri da terra.
La ragazza si avvicinò a loro, attirandoli con il suo volto gentile, e gli sorrise, prima che Skyler riuscisse a sussurrare un flebile: «Chi sei?»
Lei sospirò, stringendosi leggermente nelle spalle. «Sono uno spirito del bosco» spiegò, con voce garbata. Poi osservò qualcosa oltre la loro spalla. «Sono qui per lui» mormorò.
I ragazzi osservarono il punto da lei indicato, ma tutto ciò che vi trovarono fu il corpo inerme dell’Ippogrifo.
Emma si voltò a guardarla, con un sopracciglio inarcato. «Sei un fantasma?»
Lei ridacchiò, mentre, con passo leggiadro, si avvicinava al mostro. «No» rispose divertita, scrollando la testa. «Io non sono morta. Sono uno spirito del bosco, vivo qui nella foresta. Un po’ come le ninfe, solo che noi abbiamo le ali.»
«E cosa avete di diverso dalle ninfe?» domandò John.
Lei scrollò le spalle. «Noi prendiamo sul serio il nostro lavoro. Siamo qui per un compito preciso, e difendiamo ciò che Zeus ci ha donato.» Delle espressioni sconcertate si fecero largo sui volti dei ragazzi, al che lei si lasciò sfuggire un sorriso. «Non è complicato» li consolò. «Nessuno sa della nostra esistenza perché non vogliamo farci vedere, ma proteggiamo i nostri elementi anche a costo della nostra stessa vita.»
«E quindi…» cantilenò Emma, un po’ titubante. «Tu proteggi il bosco?»
«In un certo senso.»
«Ma se vuoi passare inosservata non dovresti essere verde? Infondo, è quello il colore del bosco.»
La ragazza rise, di una risata dolce e cristallina. «Ma io non proteggo il bosco. Quello è il compito degli spiriti della natura. Oh, no. Io proteggo loro.» E con un cenno, indicò l’Ippogrifo steso sul terreno.
Lo spirito ci mise un po’, prima di capire che i ragazzi non avevano afferrato il concetto. «Io non proteggo le piante» specificò. «Io proteggo le anime. Le anime dei mostri, le anime degli animali… per questo sono bianca come a maggior parte di loro.»
«Intendi come le anime pure?» chiese Michael.
«Intendo come le anime nobili.» Abbozzò un sorriso, prima di voltarsi verso la creatura inerme. «Ora, se non vi dispiace, ho qualcosa da fare.»
Avvolta da un silenzio caricò di curiosità, si inginocchiò accanto al mostro. Gli posò una mano sul ventre ferito, poi la passò sul tutto il resto del corpo, accarezzandogli il becco e le zampe. Una polverina bianca, simile a neve, si staccò dal suo palmo, e, dopo alcuni secondi, il corpo dell’Ippogrifo si trasformò in cenere nivea, e si allontanò insieme al vento.
I ragazzi osservarono la scena a bocca aperta, senza parole. Quando lo spirito si rimise in piedi, solo John ebbe il coraggio di chiedere: «Che gli hai fatto?»
L’albina si voltò, con un sorriso malinconico sulle labbra. «Una benedizione. Protegge il suo spirito per l’eternità, e lo aiuta ad affrontare indenne il viaggio fino alla sua meta.»
«Forte» esclamò Michael, dopo un attimo di puro silenzio.
Si guadagnò una gomitata nello sterno da Skyler, che però non riuscì a trattenere un sorriso. «Non potresti fare una benedizione del genere anche a noi?» chiese, speranzosa.
Lo spirito scosse la testa. «No, mi dispiace» si scusò. «Funziona solo con i mostri e gli animali selvatici.»
«Quindi avrebbe effetto solo su Michael» commentò Emma.
Il ragazzo la guardò, indignato. «Ehi!»
Strappò una risata a tutti quanti. Anche allo spirito, che, dopo averli squadrati per un secondo, scrollò le spalle. «Vi conviene riposarvi» mormorò. «Avete l’aria stanca, e anche un po’ abbattuta. Se volete posso vegliare su di voi fino a domani mattina, ma dopo sarete costretti a continuare il vostro cammino da soli.»
Skyler le sorrise, riconoscente, prima di annuire. «Grazie.»
Lo spirito del bosco fece spallucce. Poi, con uno sfarfallio d’ali, si alzò in volo, confondendo la sua figura fra gli alberi.
«Diamoci una mossa» li incitò John, quando si resero conto di essere davvero soli. E, con i piedi gonfi e gli animi stanchi, cercarono un riparo nel fitto bosco.
 
Ω Ω Ω
 
Trovarlo non era stato affatto facile, ma, alla fine, i ragazzi erano riusciti ad accendere un fuoco ai piedi di un pino.
Avevano mangiato le ultime scorte riesumate nei loro zaini, e, sforzandosi di non angosciarsi del fatto di aver finito ogni loro risorsa di cibo, si fecero avvolgere dalle braccia di Morfeo.
Prendere sonno non era stato semplice, eppure, forse anche grazie alla consapevolezza di avere uno spirito a vegliare su di loro, dopo un po’ tutti dormivano. Tutti, eccetto Skyler.
Aveva quasi paura di prendere sonno, considerati tutti i sogni precedenti. E poi, dopo quanto successo, i sensi di colpa la stavano divorando.
Aveva già condiviso con John i suoi pensieri, e lui, per consolarla, l’aveva abbracciata, mentre insieme si stendevano sotto un tronco a riposare. Skyler, però, non riusciva a togliersi dalla testa il corpo morente dell’Ippogrifo, e quei suoi occhi di ossidiana, che l’osservavano, ormai, incapaci di poter vedere.
Nel silenzio che li circondava, Skyler sentì gli occhi bruciare, e, stretta al petto di John, si lasciò sfuggire un singhiozzo.
La ragazza avrebbe giurato che il biondo si fosse già addormentato, eppure, quando lui le accarezzò i capelli, non fu per niente sorpresa.
«Ehi» le bisbigliò John, con fare rassicurante. «Non piangere.»
«L’ho ucciso io, John» singhiozzò lei, trattenendo le lacrime. «Lui si è sacrificato per salvare me.»
«Ssh» sussurrò il ragazzo, stringendosela di più al petto. «Non dire così.»
«Si è scagliato contro quel grifone per aiutarmi» ribatté lei, con voce strozzata. «E io non ho fatto niente per impedirglielo.»
«Non avresti potuto fare nulla.»
«Avrei potuto aiutarlo. Avrei potuto… Se solo avessi…»
«Ssh» le intimò lui, mentre lei scoppiava a piangere fra le sue braccia. Sembrava davvero abbattuta, e il ragazzo si chiese se non fosse arrivata al limite della rottura. «Lui ti ha salvato perché voleva farlo» la tranquillizzò, nel tentativo di frenare quei singhiozzi. «Ha riconosciuto in te qualcosa di speciale. Qualcosa per cui valeva la pena lottare.»
Lei rabbrividì, quando un pensiero le attraversò la mente. «La fiducia di un mostro uno di loro guadagnerà» sussurrò, ricordando con orrore le parole della profezia.

Lui annuì mestamente. Poi le accarezzò delicatamente una guancia e sospirò. «So che per te tutto questo è difficile da accettare. Che ti sembra ingiusto, e che credi sia tutta colpa tua. Ma te lo assicuro, non è così. Questo è il mondo, Skyler. Questo è il nostro mondo. Fatto di semidei, mostri, dei, nemici. C’è chi perde la vita ogni giorno, e chi lotta per trattenerla. Non devi aver paura di quello che succede intorno a te. Prima o poi ci farai l’abitudine. Ciò che importa è che tu non abbia mai, e dico mai, voglia di cedere. Non devi cedere, Skyler. Perché se lo fai, allora si che avrai davvero rinunciato alla giustizia.»
I singhiozzi della mora si placarono, e lei alzò il viso quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi. Lui abbozzò un sorriso. «Non cedere mai, Ragazza in Fiamme.»
Skyler trattenne il fiato. Diversamente da tutte le altre volte, quel soprannome non le diede fastidio. Anzi, le diede forza. Le ricordò ciò che era veramente.
Lei era una figlia di Efesto, era una mezzosangue. Era una Garcia, e non si sarebbe mai arresa di fronte alle difficoltà.
Con gli occhi che brillavano per via del pianto, Skyler sorrise, per poi chinarsi verso John e baciarlo. Di un bacio dolce e carico di fiducia. Di un bacio capace di farle capire che era questa la vita che voleva, la vita che le spettava.
Quando si staccarono, la ragazza affondò il viso nell’incavo del collo del biondo, inebriandosi del suo confortante profumo di menta. Lentamente, anche le ultime lacrime sfuggite al suo controllo si placarono, e rimasero solo i loro respiri a far rumore, mentre vibravano vicini, all’unisono con i battiti dei loro cuori.
Prima che John cadesse nel mondo dei sogni, Skyler si strinse di più al suo petto, soffocando il viso nella sua maglietta. La guancia premuta così forte contro il suo cuore, quasi volesse entrarci dentro, per andare in un posto sicuro, per trovare un posto dove cercare la salvezza.
Perché si, lei stava precipitando. Era arrivata al limite dell’emotività, e mai come adesso si era ritrovata ad aver voglia di piangere per qualsiasi cosa capitasse intorno a se.
Quello era un mondo spregevole, fatto solo per coloro che erano in grado di lottare. E no, lei non era più così sicura di essere capace di farlo.
Ma sapeva che non era sola. Lei aveva i suoi amici, aveva i suoi compagni. Loro non l’avrebbero abbandonata. E forse, o almeno questo era ciò che sperava, sarebbero riusciti a darle la forza necessaria per affrontare a denti stretti tutto quello. Tutti i mostri, tutti i cattivi, tutte le ingiurie, tutti i nemici.
Tutte le sue paure.
Si, mi sa che in fondo ce l’avrebbe fatta. E, nonostante avesse paura di prendere sonno, il suo respiro si fece regolare, e nel buio della foresta cedette alla magia di Morfeo.

Angolo Scrittrice.
Eccomi qua! Sempre io, sempre con un nuovo capitolo, sempre di martedì. Yep.
Spero tanto che vi sia piaciuto. Mentre lo rileggevo l'incontro con l'Ippogrifo mi sembrava un po' statico, ma avevo un impegno da rispettare ;) per cui non l'ho cambiato.
Alors, vi è piaciuto? Vi ha annoiato? Questo non lo so, ditemelo voi. Fatto sta che ora hanno trovato il quinto ingrediente. La lacrima di un'Ippogrifo. C'è chi pensava l'avrebbero ottenuta in modo diverso? ahah, mi dispiace illudervi, ma l'Ippogrifo non era cattivo. Era un cucciolotto, piuttosto ^^
Altro verso della profezia: fatto. Eheh, si sta compiendo! Lentamente, ma si sta compiendo.
Prima che qualcuno me lo faccia notare, lo dico io. Gli spiriti che ho citato non esistono. O meglio, non so se nella mitologia greca esistono, ma questi li ho inventati io. Mi serviva qualcosa di diverso dalle ninfe che avesse a che fare con la natura, gli elementi e tutto il resto... ma poi capirete perchè.
Comunque, se credete che la mia descrizione dello spirito del bosco non sia delle migliori, ditemelo. Vi pubblicherò la foto che mi ha ispirata.
Ook, credo che per oggi sia tutto. Ah, no! Devo ancora ringraziare i mei angeli. Bene, allora un grazie speciale va a:
heartbeat_F_, Kalyma P Jackson, Fyamma, Riario1, Greg Heffley, callmefred_7, Ciacinski e Fred Halliwell. Grazie angeli, grazie di tutto ;)
Ooook, ora è davvero tutto. Un bacio, e grazie per aver letto la parte in grassetto, perchè significa che avete ancora la santa pazienza di sopportare i mei scleri xD
Alla prossima,

ValeryJackson

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


L’Oblio, in un modo o nell’altro, le aveva sempre fatto paura.
Emma non sognava spesso, ma tutte le volte che lo faceva, all’inizio si ritrovava sempre in questo posto buio, in questa stanza chiusa e senza pareti, che riusciva a soffocarla ma che sembrava priva di qualsiasi via di uscita.
Ormai aveva imparato che, per poter uscire da lì, doveva solo aspettare. Aspettare che la prospettiva intorno a se cambiasse. Aspettare di vedere ciò che Morfeo aveva deciso di mostrarle.
Quando si trovava in quel posto, però, non poteva fare a meno di pensare. Aveva chiesto in giro, eppure nessuno sembrava avere il suo stesso problema. Perché solo lei non riusciva a vedere? Che cos’aveva di diverso dagli altri? Aveva provato più volte a rispondere a questa domanda con un: «Evidentemente ogni semidio sogna in modo diverso.», eppure, per qualche motivo che neanche lei riusciva a spiegare, era consapevole che non fosse così.
Che quel nero rappresentasse forse il vuoto che aveva lei dentro? Che l’Oblio indicasse lo stato precario in cui il suo cuore oscillava da anni prima di esplodere?
Questo lei non lo sapeva. O meglio, non voleva saperlo. Perché trovarsi difronte alla cruda realtà avrebbe fatto solo più male.
Finalmente, dopo un tempo che parve infinito, il sogno cambiò, e senza capire come si ritrovò a passeggiare per il Campo Mezzosangue.
Era diverso da come lo ricordava. L’aria era cupa, pesante, e le poche persone che incontrava sul suo cammino avevano un’espressione mesta sul volto, sprigionando un’aura di negatività.
Emma immaginava fosse dovuto a ciò che in quel momento il Campo stava affrontando, eppure le sembrò che, da quando erano partiti, la situazione era peggiorata. I ragazzi, ormai, erano tutti consapevoli di ciò che li circondava. Sempre meno persone riuscivano a reggersi in piedi e l’infermeria doveva essere stracolma, perché molti lettini occupati da corpi malati circondavano il perimetro della casa grande, rendendo il paesaggio ancora più macabro di quanto non fosse.
Senza rendersene conto, si accorse di essere entrata nell’infermeria.
Continuava a guardarsi intorno, preoccupata, incapace di ignorare quel macigno sul cuore che le ricordava che tutte quelle persone contavano su di loro, e che erano la loro unica possibilità.
Quando buttò l’occhio in una stanza, vide la piccola Rose in ginocchio accanto al letto del fratello. Lo teneva per mano, squadrandogli il volto, ma i suoi occhi erano vacui, ormai privi di speranza. Tutto ciò che vi si intravedeva era il rossore e il gonfiore, dovuto probabilmente alle tante ore di pianto che aveva affrontato.
Mentre la osservava con occhi tristi, Emma sentì due ragazze parlare poco lontano dalla porta. Entrambe bionde, una con gli occhi grigi e una con gli occhi verdi, avevano due tatuaggi diversi sui rispettivi avambracci.
«Non si allontana dal letto del fratello ormai da giorni» disse la prima, quella con gli occhi verdi che aveva tutta l’aria di essere una figlia di Apollo. «Io non so che fare. Non ho il coraggio di chiederle di andarsene, ma deve riposare. Stare sveglia tutta la notte non l’aiuterà a recuperare il fratello.»
L’altra ragazza, quella con gli occhi grigi, annuì cupa. Emma vi riconobbe Annabeth, la ragazza di Percy, e capì che l'oggetto della discussione era proprio Rose.
«Vedrò di parlarle» disse la figlia di Atena, stropicciandosi gli occhi come qualcuno che aveva urgente bisogno di dormire, ma che si rifiutava di prendere sonno da un po’. «Ma devi capire che non è un periodo facile per lei. Suo fratello sta male, e l’unico che le era rimasto è sparito, e non si hanno più sue notizie da giorni.»
«Io mi preoccupo solo per la sua incolumità» ribatté la figlia di Apollo. Poi, notando il suo sconforto, le posò una mano sulla spalla. «Ha bisogno di riposare» mormorò con dolcezza.
«No» sussurrò Annabeth, scuotendo leggermente la testa. «Lei ha bisogno di un amico. Ha bisogno di qualcuno che le dia conforto. Noi… noi stiamo facendo il possibile. Io, Grover, Chirone… ma lei… non vuole ascoltarci.»
L’altra sospirò. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse, e, dopo aver salutato Annabeth, se ne andò, lasciandola lì tutta sola.
La figlia di Atena si passò le mani sul viso, distrutta. Poi, preso un bel respiro, entrò nella stanza del figlio di Poseidone, e si inginocchiò accanto alla piccola Rose.
Emma si scansò, per permetterle di passare, anche se sapeva di non esserle di alcun intralcio. Osservò per un attimo le due intente ad abbracciarsi in modo rassicurante, finché non sentì dei passi leggeri davanti a se.
Alzò il capo, osservando il ragazzino che le stava difronte. Aveva sì e no tredici anni, una zazzera di capelli neri ad incorniciargli il volto giovane. Si sporgeva oltre la soglia, e osservava con sguardo cupo le due ragazze nella stanza. Forse aveva sentito la conversazione di poco prima. Forse gli dispiaceva per la piccola figlia di Poseidone.
Emma ci mise un po’ per ricordare chi fosse, e quando ci riuscì, rimase non poco sorpresa. Era Microft, il piccolo fratellino di Skyler. Osservava la scena con occhi impotenti, come se avesse voluto aiutarla, ma non ne era capace.
Emma aprì la bocca per chiedergli qualcosa, quando fu risucchiata da un vortice d’energia che la portò dall’altra parte del corridoio.
Imprecò, e fece per tornare indietro, quando, buttando l’occhio nella stanza che aveva difronte, non le si gelò il sangue.
«No» sussurrò, sgranando gli occhi. Se non l’avesse visto personalmente, non ci avrebbe mai creduto. Si sarebbe rifiutata di farlo, perché non poteva essere vero. Non poteva, non era giusto!
Eppure, quando si accorse che sul viso di Connor non c’era alcun segno di vita, sentì montare il panico. Non anche lui, non proprio ora.
Travis, ovviamente, era seduto accanto al letto, e gli stringeva la mano così forte da avere le nocche bianche. Forse perché sperava che il fratello ricambiasse la sua stretta, o forse perché credeva che così facendo aveva più speranze di riuscire ad ancorare la sua anima al corpo ancora per un po’.
Emma non poteva crederci. Non voleva crederci. Da quanto tempo Connor era così? Uno, due giorni? Quando era partita, era in perfetta salute. Un po’ preoccupato per gli altri semidei, ma pur sempre in perfetta salute. Come aveva fatto a ridursi così? Quando? Perché?
Avrebbe voluto che Travis rispondesse a tutte le sue domande, ma quando aprì la bocca per parlare, tutto ciò che ne uscì fu un singulto. Sentiva gli occhi bruciare, e l’aria nei polmoni venne meno quando si sforzò di trattenere le lacrime.
Travis, accanto al letto, aveva lo sguardo perso nel vuoto. Era cupo, privo di tutta la vitalità che di solito lo caratterizzava. Avvolto in un silenzio pesante e opprimente, il ragazzo disegnò dei cerchi con il pollice sul dorso della mano del fratello.
«Non preoccuparti, Connor» gli disse, con la voce roca di chi si sta sforzando di non piangere. «Emma tornerà. Ce l’ha promesso, lei ce la farà. Vi salverà tutti…» Le parole gli morirono in gola. Si morse con forza il labbro, per poi abbassare lo sguardo. «Lei ce la farà» sussurrò ancora. «Ne sono convinto. Ce la farà.»
Emma sentì il suo cuore mancare un battito. Non riusciva a guardare il fratello senza sentirsi soffocare.
Lui si sentiva perso senza il ragazzo. Travis senza Connor è come il pane senza la marmellata. Può benissimo andare bene, ma non avrà mai lo stesso buon sapore.
Improvvisamente, il macigno di responsabilità che aveva sul cuore si fece più pesante, ma le diede anche una nuova forza. Ora, anche lei aveva un motivo in più per tornare indietro. Anche lei doveva salvare qualcuno. Fece un passo verso Travis, alzando il mento in tono di sfida. Di sfida verso la malattia. Di sfida verso il destino.
«Tornerò» gli promise, seppur consapevole che lui non poteva sentirla. Strinse i pugni. «Fosse l’ultima cosa che faccio.»
Poi, il sogno cambiò.
Il Campo sparì, i corpi inermi di tutte quelle persone si dissolsero, e l’aria cupa che fino a poco prima la circondava lasciò il posto a delle accecanti luci rosse.
Si trovava davanti un locale notturno. Gente, ma perlopiù uomini, entravano e uscivano con un’espressione compiaciuta e brilla in volto.
Tutto, in quel posto, sapeva di poco legale. Senza che ne avesse voglia, la porta si aprì, ed Emma fu trascinata dentro dalla stessa forza che l’aveva portata davanti la stanza del fratello.
Dopo un po’, decise di camminare da sola, e si guardò intorno con circospezione. Che ci faceva lì? Era un bar pieno di uomini. Vecchi o giovani che fossero, erano tutti lì per una sola cosa, e la bionda lo capì non appena vide due donne mezze nude entrare nella stanza.
C’erano diversi cubi e alcuni divanetti sparsi qua e là, e il barista continuava a riempire bicchieri di vodka a chiunque si avvicinasse al bancone.
L’aria era così pesante e pregna di alcool e sudore che Emma dovette trattenere un conato di vomito.
Senza rendersene conto, aveva continuato a camminare, fino a ritrovarsi davanti ad una porta con una grossa stella gialla incisa sopra.
Mentre la guardava con un sopracciglio inarcato, altre cinque donne uscirono da lì. Indossavano tutte delle parrucche, e dei vestiti che lasciavano poco spazio all’immaginazione. Con sguardo languido, entrarono nella sala, disperdendosi fra i tavoli.
Emma le seguì con sguardo disgustato, poi, quando la porta si aprì per l’ennesima volta, fu trascinata dentro.
Ora, la stanza era deserta. Tutte le donne dovevano già essere uscite, lasciando trucchi aperti e vestiti sparsi sul pavimento. C’erano ben dodici postazioni diverse, tutte munite di specchio e basi per il trucco.
Emma fece vagare lo sguardo lungo le pareti, confusa, quando si accorse di non essere sola.
Davanti a lei, una sola donna era rimasta nella stanza. Era seduta davanti allo specchio, con abiti succinti e trucco eccessivo. I lunghi capelli biondi le ricadevano leggiadri sulla schiena, e il fisico slanciato faceva invidia all’età che in realtà dimostrava di avere. Guardava con sguardo vuoto il suo riflesso nello specchio, e solo quando la riconobbe, Emma ebbe un tuffo al cuore.
«Mamma» sussurrò, senza fiato.
Si, era proprio lei. La mamma in tutto il suo splendore. Aveva i suoi stessi capelli, i suoi stessi lineamenti, seppur segnati dagli anni. Non sembrava brilla, come l’ultima volta che Emma l’aveva vista, ma piuttosto stanca, le spalle curve e gli occhi tinti di lacrime.
Ripresasi dallo shock iniziale, Emma si rese conto che la madre non stava guardando se stessa nello specchio. Guardava una foto, appesa alla meno peggio sul vetro. Una foto raffigurante una bambina.
Emma non ci mise molto a riconoscersi.
La madre la accarezzò, con mano tremante, mentre un singulto le scuoteva le spalle, gli occhi pieni di lacrime.
Al vedere quella scena, Emma ebbe voglia di tirarle un pugno in faccia. Che cosa significava? Forse che le mancava? Solo quando aveva perso la figlia si era ricordata di averne una? Non poteva pensarci prima, eh? Non poteva pensarci prima che lei se ne andasse?
Emma non l’avrebbe mai perdonata, l’aveva giurato sugli dei. L’aveva fatta soffrire, e sapeva che in realtà non aveva alcuna importanza per lei. E allora, perché aveva voglia di urlare? Perché non riusciva ad essere indifferente difronte a quella scena? Aveva passato anni ad imparare a governare i suoi sentimenti, ad essere impassibile, se necessario. Perché ora non ci riusciva? Forse perché le mancava davvero. Forse perché avrebbe voluto che fosse stata una madre migliore, e perché non sopportava essere presa in giro così.
Tutto questo era solo una menzogna. Alla madre lei non mancava. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo. O almeno, aveva sempre creduto di saperlo.
Perché aveva ancora una sua foto? Perché guardava la figlia come se tutto ciò che desiderasse fosse vederla tornare indietro?
Emma vide la sua vista appannarsi, e solo a quel punto si rese conto di aver stretto i pugni così forte da essersi conficcata le unghie nei palmi.
Anche la madre strinse i suoi, di pugni. Ma più per impedirsi di piangere che per altro.
Alla ragazza salì un groppo in gola, ma fu costretta ad ingoiarlo, quando qualcuno bussò alla porta.
Senza che la madre avesse il tempo di dire «Permesso», il cardine cigolò, ed un uomo fece capolino nella stanza. Era brutto e grasso, e con il sigaro in bocca sorrise crudele.
«Preparati» disse semplicemente, indicando con un cenno la musica stordente che rimbombava fuori. «I clienti stanno aspettando.»
Poi se ne uscì, lasciandola sola. La donna annuì mestamente, sospirando e abbassando lo sguardo. Aprì un cassetto, e vi prese una parrucca viola che poco dopo si sistemò sui capelli. Con sguardo vuoto, si fissò allo specchio.
Ora non sembrava più la stessa persona. Ora Emma non vedeva più sua madre. Sembrava priva di anima, priva di sentimenti.
Come un automa, la donna si alzò dalla sedia, dirigendosi verso la porta.
Emma fece appena in tempo a vederla scomparire fra i tavoli illuminati da luci rosse, che la scena cambiò.
Fu come se un vortice l’avesse appena inghiottita. Era disorientata, tant’è che ci mise un po’ per capire dove fosse.
Sembrava una fucina, ma era diversa da quelle del campo. Era un po’ più piccola, e soprattutto era sicura di non averla mai vista.
Un unico enorme tavolo da lavoro si ergeva contro la parete, mentre un forte odore di olio per macchine e bruciato si librava nell’aria.
Seduto curvo su una sedia, con la testa china sul tavolo, un ragazzo stava maneggiando con alcune pinze. Sembrava concentrato, ed Emma si chiese come facesse con la musica a palla che rimbombava contro lo pareti.
Il volume era altissimo, forse per fare i modo che riuscisse a superare quello dei pensieri. Le sarebbe venuto subito un gran mal di testa, se quello non fosse stato un sogno.
Mentre si guardava intorno per cercare di capire dove fosse, il suo sguardo si soffermò su quel ragazzo.
Quest’ultimo tentò di forzare un bullone dentro un pezzo di ferro, e, quando la pinza gli sfuggì di mano, batté con forza i pugni sul tavolo. «Maledizione!» urlò.
Solo allora, Emma lo riconobbe. Aggrottò la fronte, facendo un passo avanti. «Leo?» disse, incredula.
Il ragazzo, ovviamente, non la sentì. Si prese la testa fra le mani e la scrollò leggermente, affranto.
Emma non capiva. Perché Morfeo le mostrava Leo? Che c’entrava lei con il figlio di Efesto? Avrebbe dovuto esserci Skyler lì. Lei che ci faceva?
Prima che ebbe il tempo di porsi altre domande, lo sentì imprecare qualcosa.
«Non ce la farò mai» borbottò, sconfitto. Poi batté il palmo sul tavolo. «Non sono in grado di costruire un paio di ali!» esclamò, rivolto al soffitto.
«Forse potrei aiutarti io» disse una voce alle sue spalle, al che il ragazzo si voltò. Sgranò gli occhi, ma Emma non fece in tempo a seguire la direzione del suo sguardo che il sogno cambiò un’altra volta.
Il vortice stavolta la trasportò in un luogo del tutto diverso. Non c’era musica, non c’era tristezza. Si trovava in una semplice stanza bianca, priva di porte, che in qualche modo le infondeva calma e sicurezza.
Si guardò intorno, in cerca di qualcosa, quando vide una figura stagliarsi davanti a lei.
Per via della forte luce, fu costretta ad assottigliare lo sguardo, ma quando lo riconobbe, quasi non ci credette.
«Ermes?» domandò, stupita.
Il dio dei ladri di avvicinò a lei, con passo leggiadro. Non era esattamente come se lo aspettava. Indossava dei pantaloncini da corsa di nylon e una maglietta della Maratona di New York. Era magro e atletico, con i capelli sale e pepe e un sorriso scaltro.
Notando il suo sconcerto, il dio rise. «Che c’è?» chiese. «Ti aspettavi un dio un po’ diverso?»
Emma scosse la testa. «No, è solo che…» Corrucciò le sopracciglia, lasciando in sospeso quella domanda. «Come stai?»
Il dio inclinò la testa di lato. «Questo dovrei chiedertelo io» le fece notare. Poi la guardò con sguardo dolce. «Come stai?»
Emma sorrise amaramente, prima di alzare le spalle. «Non c’è male» rispose, con sarcasmo.
Il dio sospirò, poi si sedette a terra e invitò lei a fare lo stesso, picchiettando un dito sul posto vuoto accanto a se. Con un po’ di esitazione, la ragazza ubbidì.
Dopo circa un minuto di silenzio, Ermes aggrottò la fronte. «Mi dispiace» sussurrò.
Emma annuì, abbassando lo sguardo. «Anche a me.» Giocherellò con il lembo della sua maglietta, prima di dire sommessamente: «Connor sta male.»
Stavolta, fu il turno del dio di annuire. «Si, lo so. E non è l’unico. Molti dei miei figli si sono ammalati, e chissà quanti altri lo faranno.»
«Ma voi non potete fare qualcosa?» chiese Emma, speranzosa. «Siete dei, per la miseria! Aiutateci.»
Il dio sospirò, scrollando la testa mestamente. «Lo vorrei tanto, ma purtroppo non c’è niente che possiamo fare. È come quando il mondo fu attaccato dalla peste. Ci sono cose in cui non possiamo intervenire.»
«Apollo ha salvato John, quando era piccolo» gli fece notare.
Il dio inclinò la testa di lato. «È un po’ diverso.»
Emma avrebbe voluto replicare, ma non lo fece. Il silenzio che li circondava si fece così carico di tensione che solo il sospiro del dio riuscì a spezzarlo. «Comunque» disse. «Sono qui per parlarti.»
Emma inarcò un sopracciglio. «Di cosa?»
A quel punto, Ermes fece un sorriso malandrino. «Non posso aiutarvi direttamente, è vero. Ma posso pur sempre darvi una mano.»
La ragazza corrucciò le sopracciglia. «In che senso?»
«So che siete a corto di cibo, e ho alcune cosucce che potrebbero tornarvi utili. Ho un piccolo negozietto invisibile agli occhi mortali, ad Orlando, Florida. Venite, e vi aiuterò.»
«E come ci arriviamo?» chiese Emma, confusa.
Ermes, fece spallucce. «Questo è un problema vostro.»
Emma si sarebbe finta offesa, se un forte fischio non fosse risuonato per tutta la stanza.
«Oh, è ora di andare» esclamò il dio, alzandosi e spazzandosi via dai pantaloni della polvere immaginaria. Fece l’occhiolino alla figlia. «Ci vediamo ad Orlando.»
«Aspetta!» esclamò Emma, alzandosi in piedi mentre lui si allontanava. «Come ci arriviamo?»
«Ti prego, tesoro» ribatté lui, allargando le braccia. «Sei la figlia del dio dei ladri. Dovrebbe esserci un centro alimentari, a pochi metri da voi. Cercatelo e il gioco è fatto.»
«Si, ma… come ti trovo?»
Lui sorrise. «Credo che sulla Mappa dei Sette Mari il mio negozio apparirà. È invisibile agli occhi umani, ma non a quelli semidivini.»
Il dio fece per andarsene, mentre la luce intorno a lui si faceva più forte.
«Ermes!» esclamò Emma, mentre avvertiva di nuovo quel vortice vorticarle intorno. Il dio si girò per guardarla. «Grazie.»
Dopo un tempo che parve infinito, Ermes sorrise. La guardò negli occhi, poi le fece un occhiolino complice e le sussurrò: «Chiamami papà.»
Poi, il vortice la inghiottì nuovamente, ma stavolta, a circondarla, solo buio.

Ω Ω Ω

Quando gli altri ragazzi si svegliarono, Emma era già in piedi da un pezzo.
Passò agli amici alcuni frutti raccolti da un albero vicino, e, mentre mangiavano, meditò sul sogno di quella notte. Quando si accorse che tutti avevano finito di mangiare e che si erano scrollati un po’ di dosso l’impasto del sonno, decise di parlare.
«Dobbiamo andarcene» iniziò, guadagnando l’attenzione di tutti.
Michael ghignò, divertito. «E come?»
Emma sospirò, meditando un attimo sulla risposta da dare. «Mio padre ha un negozio per semidei in Florida, ad Orlando. Potrà rifornirci di cibo e magari darci qualcosa che può tornare utile…»
John corrucciò le sopracciglia, confuso. «E come pensi di arrivarci, ad Orlando?»
Emma aveva uno sguardo fiero, deciso, e non esitò neanche un secondo quando diede la risposta. Raccontò agli amici del proprio sogno, scegliendo di tenere per se, però, alcuni particolari. Come la sua visita nel locale dove lavorava la madre, o come il fatto di aver visto Leo. Non sapeva perché, ma il solo pensiero la faceva arrossire, e sarebbe stato davvero imbarazzante farlo in presenza di Skyler. «Ermes ha detto che c’è un piccolo supermercato a pochi metri da qui» spiegò. «Ho controllato sulla mappa ed è vero. Dobbiamo solo trovarlo.»
«E poi?» domandò giustamente Skyler.
Sul volto di Emma si dipinse un sorrisetto malandrino. «E poi lasciate fare a me.»
I ragazzi non fecero altre domande, un po’ perché si fidavano, un po’ perché avevano paura delle risposte.
Quando si alzarono, pronti ad andare, distrussero il loro accampamento improvvisato, nascondendolo alla meno peggio dietro terra, foglie e alberi per evitare che qualche mostro seguisse le loro tracce. Poi, si coricarono gli zaini in spalla e si inoltrarono nel bosco.
Dopo qualche ora di ricerche, gli alberi cominciarono a scemare, lasciando spazio a quella che aveva tutta l’aria di essere un’ambiente civilizzato.
Senza rendersene conto, Skyler continuò a camminare, ormai con gli occhi attenti e privi di sonno e i nervi tesi. Lentamente, si rese conto di trovarsi su un suolo asfaltato, per poi ritrovarsi di fronte ciò che stavano cercando.
«Ragazzi!» chiamò, al ché loro la raggiunsero.
Il supermercato era molto più piccolo di ciò che avevano immaginato. Beh, non che si fossero aspettati chissà quale centro alimentare, ma quello era grande poco più di una di quelle case che gli anziani costruiscono in campagna, con tanto di parcheggio.
Quest’ultimo, però, era pieno di macchine. Per quanto pieno potesse essere un parcheggio da venti posti.
Emma sorrise, allargando le braccia compiaciuta. «Perfetto!» esclamò. Poi guardò gli amici. «Quale volete?»
Skyler si voltò verso di lei strabuzzando gli occhi. «Aspetta, aspetta. Intendi… rubarla?»
La bionda fece spallucce, noncurante. «Certo.»
«Ma… ma, ma… Ma non è illegale?» domandò, abbassando il tono di voce sull’ultima parola. «Sei sicura che possiamo farlo?»
La figlia di Ermes annuì. «Ovvio. Possiamo fare tutto ciò che vogliamo. Purché non sia espressamente vietato da un cartello.» Si guardò intorno, con fare teatrale. «Ma qui non ce ne sono.»
La mora la guardò, con un sopracciglio inarcato, ma preferì non obbiettare. Emma le fece cenno di seguirla. «Su, vieni con me.»
Le due ragazze sparirono fra le macchine, lasciando soli i due ragazzi a guardarsi intorno nervosi, per paura che qualcuno li notasse. Dopo un po’, una macchina si parcheggiò ruspante davanti a loro, con ancora il motore acceso. Era una BMW grigio metallizzato, più grande persino del camion di Argo.
Il finestrino si abbassò lentamente, rivelando il volto di Emma soddisfatto. «Andiamo?» chiese lei, invitandoli a salire.
Solo allora i ragazzi si accorsero di avere gli occhi sgranati.
«Ma… ma come hai fatto?» chiese Michael, incredulo. «E l’antifurto?»
Emma scrollò le spalle, scendendo dall’auto. «Tu mi sottovaluti, Ragazzo Pesce. Sono o non sono figlia del dio dei ladri?»
Il moro boccheggiò in cerca di una risposta, ma le parole gli morirono in gola. Emma sorrise, gongolante. «L’idiota aveva anche delle chiavi di riserva accanto al cruscotto» disse, sventolando in aria un mazzo di chiavi. Poi lo lanciò a Michael, che lo prese al volo. «Guida tu.»
Il ragazzo non obbiettò, entusiasta. Nonostante fosse un’auto rubata, gli faceva comunque un certo effetto guidarne una di tale cilindrata. E poi così bella!
«Dove hai detto che andiamo?» chiese attraverso lo specchietto retrovisore, quando Emma e John si furono posizionati sui sedili posteriori. Accanto a lui, al lato del passeggero, Skyler continuava ad osservare la porta del supermercato, assicurandosi che il proprietario della suddetta macchina non si facesse vivo.
Emma sospirò. «Ad Orlando, in Florida.» Poi trattenne un sorriso. «Andiamo a fare visita al mio bel paparino.»


Angolo Scrittrice.
Holaaa!
Eccomi qui! Vi sono mancata? *rotola una balla di fieno* Ook...
Allora, vi è piaciuto il capitolo? Finalmente, posso accontentarvi. Molti di voi mi avevano chiesto di mettere un po' più in risalto il personaggio di Emma, e spero di esserci riuscita. Questo sogno è stato molto importante, per quattro ragioni:

1) Ora sappiamo in che situazione si trova il Campo Mezzosangue. E' malato anche Connor. Non picchiatemi! *si nasconde* Beh, effettivamente, qui lo dico e qui lo nego, avevo pensat di farlo ammalare dall'inizio, ma poi mi sembrava crudele, e quello messo peggio qui è Percy, quindi mi sono concentrata su di lui. I figli di Ermes sono tanti, quelli di Poseidone solo tre. :c Ma ora hanno un motivo in più per tornare, right?
2) Beh, sappiamo qualcosa sul passato di Emma. Rivedere la madre, per lei, è stato un pò un trauma. Che ne pensate?
3) Chi aveva intuito il luogo dove si trovava Leo? Ahah, ebbene si, è la fucina segreta sua e di Skyler. Ma perchè l'ha sognato Emma? Che deve farci con delle ali? E chi è che gli offerto aiuto?
4) Eh, beh, Ermes ci ha svelato la prossima tappa. Eh, si, proprio Orlando. Dove c'è Disneyland *^*
By the way, voglio ringraziare tutte le mie Valery's Angels, che mi sostengono sempre mostrandomi tutto il loro supporto. Grazie infinite a:
Fred Halliwell, Riario1, giascali, Ciacinski, callmefred_7, Greg Heffley, heartbeat_F_ e Kalyma P Jackson
Grazie, grazie, grazie. Mi sa che mi tocca andare dal dentista, ora, vero? Dx
Un bacione a tutti e grazie ancora!
Love,
ValeryJackson

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Voglio dedicare questo capitolo
alla mia amica Martina,
che oggi compie gli anni.
Auguri, bulletta mia!
Ti voglio bene ;*

 

Camminare per le strade di Orlando era come attraversare il Paese delle Meraviglie.
Era già calata la sera, e le strade erano tutte illuminate da luci spettacolari che regalavano alla città qualcosa di… mozzafiato.
I ragazzi non potevano fare a meno di guardarsi intorno estasiati. Anche Michael, che stava guidando, faticava a tenere gli occhi fissi sulla strada, attratto com’era da tutto ciò che lo circondava.
Emma, invece, aveva il volto schiacciato contro il finestrino, ammirata, ed era così persa nei suoi pensieri che per poco non dimenticò di ordinare a Michael di girare a destra. In lontananza, al di sopra di qualche palazzo, svettava nel cielo la più grande montagna russa che Skyler avesse mai visto. Sembrava bellissima, e le fece venire una voglia enorme di scendere dalla macchina e andare a provarla.
Sarà solo l’influenza della città, si disse, eppure non poteva fare a meno di sperare che il negozio di Ermes si trovasse dentro il parco divertimenti. Per questo, quando Emma disse al figlio di Poseidone di andare dal lato opposto, sentì un moto di delusione invaderle il petto.
Dopo un tempo che parve infinito, Emma vide il puntino rosso sulla mappa avvicinarsi. Avvertì Michael che doveva girare a sinistra, e poi gli ordinò di fermarsi con un gran stridore di gomme.
I ragazzi scesero dall’auto, guardandosi intorno. Il piazzale dove si erano fermati era pieno zeppo di negozi, che vagavano da un genere all’altro. C’era un negozio di alimentari, una boutique di scarpe, un’estetista, un negozio di animali.
Tutti guardarono Emma, confusi.
«Sarà uno di questi» disse la bionda, scrollando leggermente le spalle. «Cercate quello dall’aria più divina.»
E così fecero. Strinsero gli occhi a due fessure e si misero a cercare. Skyler non ne capiva molto di negozi camuffati, ma quando l’occhio le cadde su un’agenzia viaggi e le lettere dell’insegna “Dimmi se vedi sani miraggi” cominciarono a vorticare formando la scritta “Messaggi divini di Ermes” non ebbe alcun dubbio.
Lo disse agli amici, e insieme entrarono in quell’ambiguo negozio che aveva ben poco di divino. Le pareti passavano dal bianco, all’arancione, al porpora. Poster di aerei e paesaggi tropicali abbellivano la stanza, e una grossa scrivania troneggiava a pochi metri dalla porta.
Stavano quasi per convincersi che fosse il posto sbagliato, quando notarono un uomo atletico con capo chino sul tavolo. Emma si sgranchì la voce, per attirare la sua attenzione, ma lui non alzò lo sguardo.
«Mi scusi…» chiamò la bionda a quel punto, sporgendosi verso di lui. «Stiamo cercando Ermes.»
Solo a quel punto, l’uomo sollevò il capo, fissando i ragazzi con occhi furbi e scintillanti. Emma sussultò.
«Un pochino offeso che non mi avete riconosciuto…» cantilenò il dio, sorridendo malandrino. «Ma sono felice di avervi qui.»
«Ciao, papà» salutò Emma, con un cenno del capo. Sembrava leggermente imbarazzata.
Il dio sorrise raggiante. «Ciao, figliola! Sono felice che ce l’abbiate fatta. Che ti avevo detto? Essere figlia del dio dei ladri ha i suoi vantaggi.» Detto questo, si alzò dalla sedia, indicando con un ampio gesto della mano una porta alle sue spalle. «Prego, seguitemi» gli disse, per poi entrare nell’altra stanza.
I ragazzi l’imitarono, e non appena superarono la soglia rimasero a bocca aperta. Quel posto era più grande di quanto avessero immaginato. Ma che dico grande, era enorme!
Aveva tutta l’aria di essere un magazzino, ma molto più spettacolare. Era pieno di carrelli elevatori, ed era impossibile definirne il perimetro. Nastri trasportatori spostavano oggetti che all’apparenza sembravano del tutto normali. Ma, osservandoli bene, Skyler si accorse che non avevano proprio nulla di ordinario. Uomini e altri esseri che i ragazzi non riuscivano ad identificare si muovevano freneticamente da una postazione all’altra, assicurandosi che i carichi fossero giusti, consultando le ordinazioni, imballando i pacchi. Proprio come il più grande magazzino di trasporti del mondo, solo che lì dentro non c’era niente di adatto al mondo.
Ermes allargò lo braccia con un’espressione compiaciuta. «Bello, eh?» gongolò, soddisfatto. «Qui c’è tutto ciò di cui avrete bisogno.»
«L’hai costruito davvero tu?» chiese Emma, sorpresa. «Tutti i semidei del mondo vengono qui?»
«Beh, non l’ho costruito tutto da solo, mi hanno aiutato i miei dipendenti. E la maggior parte dei semidei non viene personalmente, ma ordina on-line.»
«Hai un sito on-line?» domandò John, inarcando un sopracciglio.
«Quale dio non ce l’ha?» rise Ermes, come se la cosa fosse del tutto normale. «Alcuni non si prendono neanche la briga di nasconderlo agli occhi mortali. Come Afrodite, che ha aperto quel meetic.com. Si diverte a combinare le persone basandosi solo sulle loro risposte a determinate domande. Chi meglio della dea dell’amore, per farti incontrare l’anima gemella?»
I ragazzi si scambiarono un’occhiata perplessa, mentre continuavano a seguire il dio per la stanza. Dopo un po’, quest’ultimo sospirò. «Ma comunque, non siete venuti qui per questo, giusto? Ecco, ho proprio qui quello che fa per… Ryan, quante volte devo ripeterti di mettere le cose nel polistirolo, prima di imballarle! Non voglio che si rompano prima del tempo!» Ermes scosse leggermente la testa, rassegnato. Poi sembrò ricordarsi improvvisamente dei ragazzi che lo fissavano in attesa. «Ah, già! Stavo dicendo. Ho qui quello che fa per voi. Venite.» Li portò accanto ad un nastro trasportatore.
«Ecco, questo è per te, John» disse, afferrando quello che somigliava un barattolo di crema e porgendolo al biondo.
Il ragazzo aggrottò la fronte. «Che cos’è?»
«Medicine. Basta una spalmata di questa crema, e allevia tutti i dolori. Ti sarà utile, nel caso vi succeda qualcosa.»
John si rigirò lo strano barattolo fra le mani. «Come le medicine che ho rubato al Campo?»
Il dio sorrise malandrino. «Da chi credi che le abbia ordinate Chirone, eh?» rise. Poi afferrò qualcos’altro dal nastro. «Questo è per Michael» esclamò, porgendogliela. «Vedrai, ti servirà.»
Il ragazzo lo guardò, scettico. «Una corda di metallo? Cosa me ne faccio di una corda di metallo?»
«Fidati, tornerà utile. Resiste a qualunque tipo di temperatura, ed è un pessimo conduttore di calore, quindi se da un lato c’è qualcosa che brucia, dall’altro lato rimarrà fresca come la neve.»
Il figlio di Poseidone continuava a non capire. Avrebbe voluto fargli mille domande, o per lo meno obbiettare, ma quando aprì la bocca per parlare, Ermes lo precedette.
«Ah!» esclamò, deliziato. Afferrò uno strano quadratino dal nastro trasportatore e se lo rigirò fra le dita. «Questa è la mia ultima creazione» annunciò, soddisfatto. «È solo un prototipo, ma sono convinto che sia più che buono.» Fece un cenno verso Skyler. «Sei stata tu ad ispirarmi.»
La mora inarcò un sopracciglio, confusa. «Io?»
«Già. Geniale l’idea della bomba tascabile, anche se ne è costato un mp3. Sai, quando l’ho riprodotto, mi sono permesso di fare qualche modificazione.» Glielo lanciò, al che lei lo afferrò al volo. «Ovviamente non ho utilizzato un mp3, ma un computer molto più avanzato. Il procedimento, però, è lo stesso. Spingi le due estremità ai lati opposti, e dopo un po’ la bomba esplode. Ma l’esplosione è molto più grande. Potrebbe far affondare il Titanic in pochi minuti, invece che in due ore. Ma purtroppo non sono riuscito ad evitare che si disintegrasse dopo lo scoppio, quindi avrai un’unica possibilità. Non fare la piromane.»
Skyler lo fissò offesa, ma anche un po’ ammirata. Stava per ribattere che lei non era affatto una piromane, quando Ermes si voltò verso Emma.
Le sorrise, affettuoso. «Ovviamente ho qualcosa anche per te, tesoro» le disse. Le diede le spalle ed afferrò al volo dal nastro trasportatore qualcosa di rettangolare e molto sottile. Se la rigirò un attimo fra le mani, poi gliela porse, orgoglioso.
Emma sembrò a disagio. Guardò ciò che il padre le aveva regalato e non poté fare a meno di provare un moto di delusione. «È una... carta di credito!» esclamò, fingendosi entusiasta. Si sforzò di sorridere. «Wow, grazie. Non sapevo proprio come andare a fare shopping ultimamente.»
Ermes rise, di una risata dolce e cristallina. «Non è una carta di credito» la corresse, divertito. «È una chiave.» Poi, notando lo sconcerto della figlia, spiegò: «Basta che l’avvicini a qualunque tipo di serratura, e questa prenderà la sua forma e ti permetterà di aprirla. Funziona con qualsiasi cosa. Può tornarvi utile, non si sa mai.»
Emma tornò a guardare la carta, che ora sembrò brillare fra le sue mani. Alzò lo sguardo sul padre, riconoscente. «Grazie» sussurrò.
Ermes sorrise. «Non c’è di che.» Le mise una mano sulla spalla e strinse forte, come a volerle infondere coraggio. Poi guardò gli altri e si sfregò le mani. «Beh, credo che ora possiate andare.»
«Tutto qui?» chiese Michael, inarcando un sopracciglio. «Non hai qualcosa di un po’ più…» Fece tintinnare la corda di metallo. «Efficiente?» azzardò.
Il dio gli fece l’occhiolino, complice. «Credo che nulla può tornarvi più utile di ciò che vi ho già dato.»
Michael increspò le labbra in una smorfia, poco convinto. Poi sospirò. «Qualche ultimo consiglio?»
Ermes ghignò. «Vedete di non morire.»
Ci fu un secondo di imbarazzante silenzio, che fu rotto da una vocetta squillante e saccente. «Ti diverti ad innervosirli ancora di più, vero?»
Con sconcerto, i ragazzi si resero conto che proveniva dai pantaloni del dio dei ladri. Quest’ultimo si tastò le tasche, per poi estrarne un telefono cellulare. «Quando la smetterete di origliare?» sbuffò, rivolto all’apparecchio. Due creature di attorcigliavano attorno all’antenna: erano due serpenti verdi, non più grandi di lombrichi.
«Non stavamo origliando» si giustificò la stessa vocetta femminile di prima. «Sei tu che dimentichi sempre di riattaccare.»
«Hai dei…» John esitò, corrucciando le sopracciglia. «Hai dei… serpenti sul telefono.»
«Come? Oh, tranquilli, non mordono. Dite ciao, George e Martha.»
«Ciao George e Martha» gracchiò una voce maschile.
«Non sei divertente» ribatté quella femminile, che doveva essere Martha.
Emma inarcò le sopracciglia, ammirata. «Questo sì che è forte» commentò.
«Strano, vorrai dire» la corresse Skyler in un sussurro.
«Ho una Cacciatrice di Artemide sulla due» annunciò George, rivolto ad Ermes. «E Chirone sulla quattro.»
«Cosa? Chirone?» esclamò Michael, sorpreso.
«Non adesso» rispose brusco il dio dei ladri, ricacciandosi in cellulare in tasca.
«C’è una figlia di Apollo sulla tre» disse Martha.
«Non adesso!» Ermes si voltò verso i ragazzi, sorridendo imbarazzato. «Ora dovete proprio andare. Sapete, ho molte ordinazioni da terminare, e poco tempo per farlo.»
«Oh» Emma sembrò un po’ dispiaciuta. Era la prima volta che passava tanto tempo in compagnia del padre, ed era triste pensare che forse quella era l’ultima volta che lo vedeva. «Beh, allora…» Pensò alla cosa giusta da dire in quei casi, ma le parole sembrarono morirle in gola. «Grazie.»
«Non c’è di che» sorrise il dio.
«Afrodite sulla sette» lo informò George.
«Buona fortuna» mormorò il dio, ignorandolo. Poi li accompagnò verso la porta.
«Figlia di Atena sulla otto» disse Martha.
«Atra Cacciatrice sulla uno» esclamò George.
«Chirone sta provando a richiamare. Sai, credo che dovresti dargli più attenzioni.»
«Oh, tacete!» sbottò Ermes, e, senza volerlo, sbatté la porta dietro le spalle dei ragazzi con così tanta forza da far risuonare l’eco dell’impatto per tutta la stanza, come un diapason che viene posato sul terreno.
Senza proferire parola, i ragazzi uscirono dal negozio, che ora era tornato ad essere una normalissima agenzia viaggi. Chiunque li avesse visti uscire da lì, non sarebbe riuscito a giustificare i loro volti sconcertati, immaginandoli come dei semplici ragazzi in procinto di organizzare un viaggio per l’estate.
Ma i pensieri che affollavano le loro menti erano così tanti, che a fatica ricordarono di tenere alta la guardia.
Skyler continuava a rigirarsi il quadratino fra le mani, dubbiosa. Michael continuava ad imprecare contro la sua misera corda di metallo. John aveva cominciato a riflettere sulle parole del dio, che aveva definito quella medicina poco più che un antidolorifico. E allora perché lui era riuscito a curarci anche delle ferite vere e proprie, come traumi cranici o distorsioni? Erano forse medicine diverse? Se così era, perché somigliavano tanto? Per quanto riguarda Emma, era ancora scossa dall’incontro con il padre.
Si riscosse solo quando, per puro caso, si accorse di aver già sorpassato da un pezzo il luogo del parcheggio.
«Ehm, ragazzi?» chiamò, attirando la loro attenzione. Corrucciò le sopracciglia. «Dov’è la macchina?»
Tutti si guardarono intorno, rendendosi conto solo ora di quell’assenza. Poi si voltarono verso Michael.
«L’avevo parcheggiata qui, lo giuro!»
«Beh, allora caccia le chiavi e aprila. Magari l’avranno solo spostata» suggerì Skyler.
Il ragazzo si tastò le tasche, dapprima con calma, poi con frenesia. Avvampò, sgranando gli occhi.
«Michael» cantilenò Emma, a denti stretti. Sembrava fosse sul punto di arrabbiarsi. «Ce le hai le chiavi, vero?»
Il ragazzo boccheggiò, in cerca di una risposta, ma tutto ciò che riuscì a fare fu ingerire altra aria. «Ecco, io…» esitò, imbarazzato. «Giuro, non pensavo di dovermele portare dietro! Ero distratto, e così le ho lasciate in macchina.»
«Che cosa?» esclamò Emma, fulminandolo con lo sguardo. Michael fece un passo indietro, spaventato. «Come ti viene in mente di lasciare le chiavi in macchina!» sbottò la bionda.
Lui fece spallucce. «Pensavo non ci fosse niente di male.»
«Niente di male? Dei santissimi, Michael!» buttò le braccia al cielo. «Quale idiota lascerebbe le chiavi in una macchina rubata!»
Avanzò minacciosa verso di lui, una furia bionda pronta a spezzargli le ossa, e Michael temette che sarebbe stato costretto a sguainare la propria spada, se Skyler non si fosse frapposta tra i due.
«Evitiamo, per favore» li rimproverò, con sguardo serio. Lanciò un’occhiataccia a Michael, poi si voltò verso Emma. «Puoi rubare un’altra macchina, no?»
La bionda digrignò i denti, furiosa. Poi sbuffò. «Certo che posso» borbottò. Si guardò intorno. «Seguitemi.» Gli altri obbedirono, ma quando il figlio di Poseidone fece un passo avanti, lei lo fulminò con lo sguardo. Gli puntò un dito contro. «Con te facciamo i conti dopo» sibilò, prima di avviarsi impettita per chi sa dove.
Gli altri non capirono che cos’avesse intenzione di fare, ma la cosa più preoccupante era un’altra.
Guardandosi intorno, si accorsero che la città era cambiata. La maggior parte dei negozi aveva chiuso i battenti cedendo il posto a bar e locali notturni. Le luci per le strade erano diventate più accecanti e luminose. Ma soprattutto, le stelle illuminavano un cielo scuro come la pece.
Con orrore, si resero conto che la notte era ormai scesa su Orlando. Quanto tempo avevano passato nel negozio di Ermes? Sembravano solo pochi minuti, e invece… Perché il dio non gliel’aveva detto?
Vagando per le strade, cercarono di passare inosservati, mentre Emma continuava a guardarsi intorno in cerca di qualcosa. Skyler stava per domandare cosa avesse in mente, quando la bionda li trascinò in un vicolo buio. Solo due lampioni illuminavano la stretta strada, e sarebbe sembrata disabitata da parecchio tempo, se non fosse stato per i secchi della spazzatura stracolmi e le lattine di birra buttate sul cemento.
Facendo vagare lo sguardo, Emma li trascinò davanti un grosso garage. Skyler assottigliò lo sguardo, faticando a leggerne l’insegna, ma dopo un po’ tradusse “Concessionaria, Big Gino”.
«Dovrebbe essere un parcheggio» spiegò Emma. «O un meccanico, non so. Però dovrebbero esserci delle macchine.» Aggrottò la fronte. «O almeno spero.»
Skyler inarcò un sopracciglio, curiosa. «Come sapevi che c’era una concessionaria, qui?»
Lei fece spallucce. «Non lo sapevo. Ho tirato a indovinare. E poi ho visto abbastanza film per imparare che i luoghi migliori per rubare qualcosa sono quelli bui e desolati.»
Skyler aprì la bocca per replicare, ma poi esitò. Sentiva una strana sensazione, in un punto imprecisato alla bocca dello stomaco, che l’avvertiva che c’era qualcosa che non andava. Era a disagio, come se qualcuno la stesse osservando. E l’idea che fosse vero non le piaceva per niente.
Mentre lei guardava le spalle agli amici, Emma, aiutata dai due ragazzi, afferrò un piede di porco abbandonato lì vicino, e fece pressione sotto la porta di ferro nel tentativo di aprirla.
«Non potevi usare il regalino di tuo padre?» domandò John, stringendo i denti per lo sforzo.
Emma gli rispose con voce compressa. «E poi che fine farebbe il divertimento?»
Con un ultimo sforzo, finalmente la serratura scattò. I ragazzi fecero due passi indietro, ed Emma afferrò la maniglia del garage. «Sceglietene una e andiamocene» li avvertì, sollevando la saracinesca.
Ma quando guardarono all’interno della stanza, illuminata solo da una fioca luce a led, sgranarono gli occhi.
Era un parcheggio enorme, molto più di ciò che avevano immaginato. Ma non doveva godere di buona reputazione, perché all’interno, nel centro esatto della stanza, c’era un’unica, misera macchina. Ed era una Simca 1000 rosso fiammante.
«È uno scherzo?» domandò Michael, mentre gli altri fissavano l’auto a bocca aperta.
John fece roteare gli occhi. «Quel catorcio non arriva neanche a Lakeland!»
Emma incrociò le braccia al petto. «Fatevela andare bene» borbottò.
«Scherziamo?» esclamò Skyler, sconvolta.
«Beh, tutto questo non sarebbe successo se qualcuno non si fosse fatto rubare la macchina.»
«Ho già detto che mi dispiace!» si giustificò Michael.
«È colpa tua se siamo in questo casino» lo accusò Emma.
Il figlio di Poseidone stava per ribattere, quando la luce della concessionaria sfarfallò. I ragazzi si guardarono intorno, sorpresi. Alle loro spalle, il garage si richiuse con un tonfo.
«Ma che diamine…» iniziò John, ma non fece in tempo a terminare l’imprecazione che una voce riecheggiò per la stanza.
«Bene, bene, bene.»
L’istinto da mezzosangue ebbe la meglio. I ragazzi sguainarono le loro armi con un fruscio di lame e corde d’arco tese, fronteggiando la voce in posizione di combattimento.
Dall’ombra, emerse una figura. Sembrava una persona, eppure Skyler giurò che fosse tutto fuorché umano.
Era alto quasi due metri, con una corporatura robusta e imponente. Non aveva armi con se, ma il sorriso malefico che aveva dipinto sul volto faceva intendere che li stava spettando. Indossava un paio di jeans scuri e una camicia nera, i capelli corvini tirati indietro da chili di gel. Gli occhi, dello stesso colore del ghiaccio, sembravano febbricitanti di cattiveria. Sarebbe potuto sembrare un bell’uomo, se una spessa cicatrice non gli avesse attraversato il volto, partendo dal sopracciglio sinistro e scendendo giù fino al mento.
Skyler sentì un brivido correrle lungo la schiena.
L’uomo rise. «Come siete teneri. Quattro mezzosangue alla conquista del mondo» li derise. Poi ghignò. «Che peccato che non potrete raccontare le vostre gesta agli altri.»
«Chi sei?» domandò brusco Michael, stringendo di più l’elsa della spada.
L’uomo corrucciò le sopracciglia. «Che importanza ha chi vi uccide?» chiese a sua volta, con sarcasmo. Poi gli fece l’occhiolino. «E poi io sono qui per lei.»
Skyler sentì mancare un battito, quando si accorse che la persona che aveva indicato con un cenno era lei. John le si parò davanti, in un istinto di protezione. «Non provare a toccarla» minacciò, a denti stretti.
L’uomo rise, divertito. «E chi mi fermerà? Tu? O tu?» disse, rivolgendosi a Michael. Poi ghignò. «Non credete che avrete già il vostro bel da fare?»
«Siamo in quattro contro uno» gli fece notare Emma.
Lui fece schioccare la lingua, con disappunto. «Mi sa che hai bisogno di qualche ripetizione di matematica.»
Fu a quel punto che li videro. Altri undici uomini, che si erano schierati dietro il tizio con la cicatrice con le spade in mano. Skyler deglutì, e l’uomo sembrò accorgersene, perché ghignò. «Diamo inizio alla festa.»
Nell’arco di cinque secondi, non si capì più nulla. Gli uomini si avventarono su di loro, e i ragazzi furono costretti a separarsi.
Emma ferì il primo al petto con il coltellino. Lo disarmò con un rapido scatto del polso, ma poi fu costretta ad abbassarsi, perché il secondo tagliò di netto l’aria sopra la sua testa. Riuscì ad evitare anche il secondo colpo, ma il terzo purtroppo andò a segno, ferendole il braccio e disarmandola. Il coltellino ruzzolò a pochi metri da lei. L’uomo tentò un altro affondo, ma Emma si spostò rapida alla sua destra, lasciandogli un calcio nel fianco. Prese la ricorsa e scivolò sul pavimento, riafferrando il coltello e rialzandosi subito dopo. Il secondo uomo sembrava aver ripreso fiato dopo quel colpo basso, e il primo aveva raccolto la sua spada. Li avrebbe trattenuti, ma per quanto? L’avrebbero sopraffatta?
Dall’altro lato della stanza, John non aveva di questi problemi. Aveva già abbattuto due uomini con una serie di frecce indirizzate ai loro petti, e ora ne stava incoccando un’altra. Prese la mira, e la lanciò nell’occhio di un uomo che stava caricando verso di lui. Non prima, però, che questi lo colpisse al fianco con la propria spada. Non gli inferse un taglio grave, certo, ma quel momento di distrazione fu abbastanza per permettere ad un altro uomo di avvicinarsi e puntare l’arma al suo petto.
John fece appena in tempo ad alzare lo sguardo, che vide la lama passargli ad un soffio dal cuore. La parò con il dorso dell’arco. L’uomo tentò un altro affondo, ma John gli afferrò prontamente il polso, cogliendolo di sorpresa. Con l’arco stretto nell’altra mano, gli scagliò un pugno sul volto. Poi una gomitata sull’orecchio, e in fine un calcio sull’addome. L’uomo cadde a terra, senza fiato, e il biondo lo colpì con l’arma sulla nuca, facendolo svenire.
Si voltò, pronto a fronteggiare un altro nemico, e gli salì un groppo in gola. Gli uomini sembravano moltiplicarsi sotto il suo sguardo, mentre avanzavano minacciosi verso di lui.
Anche Skyler faceva fatica a fronteggiarli. Erano più alti di lei di quasi due spanne, ma soprattutto più grossi.
Uno di loro tentò di colpirle il fianco con la spada, ma lei riuscì a pararlo, e menò un affondo. Il taglio inferto non fu grave, ma fu abbastanza per farlo barcollare all’indietro. Skyler approfittò di quel tentennamento per lasciargli l’impronta della suola sul petto, e farlo cadere a terra con un tonfo.
L’uomo ringhiò, frustrato, e, grazie ad un montante, si rialzò da terra, provando ad attaccare. Le avrebbe di sicuro squarciato il petto in due, se Skyler non l’avesse parato in tempo. Lo disarmò, facendo ruotare la lama della propria spada, per poi trapassargli il petto con un affondo.
L’uomo spalancò gli occhi, mentre un rivolo di sangue gli usciva dalla bocca. Nel vederlo accasciarsi a terra, Skyler ebbe un attimo di esitazione, nella quale si sentì un mostro. Esitazione che le costò cara, dato che non vide l’altro uomo arrivarle alle spalle.
Riuscì a scansarsi, certo, ma prima che riuscisse a contrattaccare, l’uomo le provocò un profondo taglio sull’avambraccio, facendole perdere la presa sull’elsa.
Era disarmata, e il suo sorriso malefico non lasciava intendere nessuna voglia di trattativa. Skyler sentì una goccia di sudore colarle lungo la tempia, mentre continuava ad arretrare facendo vibrare lo sguardo da un lato all’altro della stanza. I suoi amici non sembravano in condizioni migliori. Emma era circondata da quattro uomini ed era piena di tagli e ferite. John aveva quasi finito le sue frecce, e si sforzava di parare i loro attacchi a mani nude. Michael era caduto a terra e stringeva la lama dell’avversario nella mano insanguinata per far si che non si avvicinasse al suo collo. E, inoltre, il tizio con la cicatrice sull’occhio sembrava essere sparito.
«Io sono qui per lei», aveva detto. Si, ma perché? Che cosa voleva da lei? Chi era?
Troppe domande le si affollavano vorticose nella mente, tant’è che fu solo il suo istinto ad agire, quando l’uomo cerco di colpirle la testa con il piatto della spada.
Skyler si abbassò prontamente, mentre la lama sferzava l’aria sopra la sua testa. Si avvicinò a lui e, afferrandogli la mano che impugnava l’arma, gli storse con forza il braccio, facendolo piegare in due dal dolore. Lui perse la presa sulla sua spada, che cozzò contro il pavimento con un suono metallico. Skyler l’allontanò con un calcio, colpendogli poi il mento con una ginocchiata. L’uomo indietreggiò, mentre un rivolo di sangue gli attraversava il labbro. La guardò con sguardo truce, quasi potesse assassinarla con gli occhi. Poi tirò su col naso, sputò un po’ di saliva mista a sangue, e attaccò.
Skyler scivolò sotto di lui mentre il suo braccio disegnava un arco nel punto esatto in cui si trovava prima. Gli colpì il tendine con il tallone, poi la nuca con un gomito. L’uomo minacciò di cadere prono a terra, ma si riscosse. Si voltò verso di lei e la colse di sorpresa, facendole credere di volerle colpire la faccia mentre invece il suo pugno si depositò con forza sul suo fianco.
Skyler sentì il fiato che aveva in gola smorzarsi, ma strinse i denti e gli sferrò un pugno nello stomaco. L’uomo, però, sembrava essere in una posizione di vantaggio, così che, prima di piegarsi in due per il dolore al ventre, le colpì il volto con un pugno, facendola cadere a terra.
Per l’impatto, Skyler sbatté violentemente la nuca sul pavimento. Questa cominciò a pulsare, e delle macchie nere cominciarono a danzarle davanti agli occhi, oscurandole la vista.
Sopra di lei, distinse la figura sfocata dell’uomo, che, seppur con qualche graffio e ansimante, stringeva i pugni con tale forza da farsi venire le nocche bianche.
Skyler si guardò intorno, in cerca di aiuto, quando, a circa un metro da lei, vide la sua spada. Strisciò furtiva sul pavimento, nel tentativo di prenderla, ma l’uomo se ne accorse. Stava allungando il braccio a tal punto da riuscire a sfiorare la lama, quando lui si mise cavalcioni su di lei. La forza del suo peso la schiacciò come un pezzo di formaggio in una busta sottovuoto. Le sue ginocchia le ancoravano le braccia al terreno, e le sue mani robuste si serravano attorno al suo collo. Immediatamente, cominciarono a stringere.
Skyler vide di nuovo quei puntini neri vorticarle nella retina, mentre l’aria faticava sempre di più ad entrarle nei polmoni. Diventò paonazza in viso, e cercò di divincolarsi dalla sua presa, ma sembrava tutto inutile. In breve tempo, i puntini neri davanti ai suoi occhi diventarono una macchia unica, che le impediva di vedere qualunque cosa se non qualche immagine sfocata ogni tanto. Il petto stava per scoppiarle, e ormai non ingeriva più aria da circa un minuto. Stava quasi per arrendersi all’idea di smettere di lottare, quando qualcuno urlò alla sua destra.
«No!»
Il suono arrivava ovattato al suo orecchio, per via del sangue che le era salito nel cervello, ma non riuscì a chiedersi di chi fosse quella voce. Perché quando spostarono di peso l’uomo dal suo corpo, tutto ciò che la sua mente le imponeva di fare era respirare.
Boccheggiò a fatica, in cerca di ossigeno, mentre la macchia nera cedeva il posto ad una visione della stanza un po’ sfocata.
Con ancora i polmoni non sufficientemente pieni, Skyler voltò il capo, quel tanto che bastava per scorgere con la coda dell’occhio Michael affondare la lama nel ventre del suo strangolatore e poi abbattere un altro uomo subito dopo.
Ma fu qualcos’altro ad attirare davvero la sua attenzione. L’occhio le cadde sulla macchina, e ci rimase più del dovuto. Assottigliando lo sguardo, notò qualcosa di strano. Nella posizione in cui si trovava, e cioè stesa a terra com’era, riusciva a vedere sotto l'auto. C’era qualcosa che lampeggiava. Una lucina verde, che sembrava scandire il tempo con un lieve ticchettio. Con orrore, Skyler si rese conto che erano dei numeri, e che stavano regredendo precipitosamente.
Fu a quel punto che davvero le mancò il fiato.
Dopo aver sconfitto anche un terzo aggressore che era corso in aiuto degli altri, Michael si precipitò da Skyler, inginocchiandosi accanto a lei.
«Skyler» la chiamò, preoccupato, ma la voce, all’orecchio della ragazza, arrivava ancora un po’ ovattata. «Skyler, stai bene?»
La ragazza tossì con forza, nel tentativo di recuperare anche quel minimo d’aria che le mancava. Il figlio di Poseidone, per evitare che scossa da quella tosse fragorosa sbattesse di nuovo con il capo sul pavimento, le mise una mano dietro la nuca, posandole l'altra sul ventre con fare protettivo.
«Su, vieni» le disse. Le afferrò una mano e fece scivolare il braccio della ragazza sulle sue spalle, stringendole forte il fianco con l’altro braccio e aiutandola ad alzarsi.
Skyler tossì di nuovo, sentendo il dolore alla nuca acuirsi.
«Esploderà» gracchiò, ancora a corto di fiato.
Michael aggrottò la fronte, confuso. «Come?»
«La macchina» aggiunse lei, terrorizzata. Lo guardò negli occhi, e sentì il panico infestarle come un virus la mente. «Esploderà.»
Michael sgranò gli occhi, difficile a dirsi se più sorpreso o terrorizzato. Fu come se, in quel momento, tutti i rumori intorno loro si attenuarono, scomparendo lentamente. Ci fu solo un suono che Skyler riusciva a distinguere in quella confusione, ed era un terribile, raccapricciante ticchettio. Un ticchettio che stava quasi giungendo alla fine.
Fu solo quando quell'orribile ticchettio si interruppe, che il panico cedette il posto alla ragione.
«Giù!» urlò, con tutto il fiato che aveva in gola.
Successe tutto in una frazione di secondo.  
La macchina esplose.
Michael si strinse Skyler al petto, spingendola a terra e facendole scudo con il proprio corpo.
Decine di corpi inermi vennero scaraventati con forza contro le pareti.
L’impatto fece tremare il terreno.
I rumori della battaglia si spensero.
Un silenzio agghiacciante si insinuò nella stanza.
Poi, il nulla.

Angolo Scrittrice.
Holaa! Eccomi quii! ^^
Vi sono mancata? No, vè? Va beh, pazienza. L'importante e che sia riuscita ad aggiornare. Temevo davvero di non farcela, dato che il capitolo non era ancora finito. L'ho scritto quasi tutto oggi, quindi non so esattamente come è uscito.
Vi è piaciuto? Ha fatto schifo? Fatemi sapere, sono curiosa. Spero che la scena della battaglia sia stata decente, e che siate riusciti a figurarvi almeno un po' ciò che succedeva. Se no, non esitate a dirmelo. Accetto tutte le critiche ;)
La macchina è esplosa. (citando zio Rick: KABOOM!) Che cosa accadrà adesso? I nostri eroi si sono salvati? Che ne penste?
Mentre rileggevo il capitolo (mi scuso in anticipo per qualche errore grammaticale e/o di battitura) ho notato che ci sono cose forse non tanto chiare. Per quanto riguarda la macchina, la Simca 1000 è un'auto vecchissima, un catorcio, insomma. Proprio ccome quelle che si vedono nei film americani. E Lakeland è una città della Florida vicinissima ad Orlando, per questo John si lamentava.
Beh, credo che non ci sia altro da dire. Ora conosciamo i doni di Ermes. Ahah, scopriremo presto in cosa torneranno utili ai ragazzi. Gli dei hanno sempre un piano, right? ;3
Detto questo, è il momento di ringraziare i miei Valery's Angels, e cioè:
Fred Halliwell, heartbeat_F_, Ciacinski, Greg Heffley, Ema_Joey, callmefred_7, Riario1, Luce_ombra00, giascali e Kalyma P Jackson.
Grazie di cuore, davvero! Sono senza parole. Più di 200 recensioni?! Quando ho visto quel numero mi é venuto un colpo. 200, ragazzi. 200! Siete fantastici. Davvero, io... Non so come ringraziarvi! **
Ook, credo sia ora di andare.
Un bacione enorme, e al prossimo martedì ;*
Love,
ValeryJackson

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


«Ricorda chi è il vero nemico, Skyler» le ripeté lo zio, perentorio. «Ricordalo. Ricordalo. Ricordalo…»
 
Skyler si svegliò di soprassalto, con il cuore in gola. Aveva i vestiti incollati al corpo, la fronte sudata, ma non riusciva a capire se questo fosse dovuto al caldo che la circondava o alla paura.
Caldo. Non ricordava che ad Orlando ci fossero così alte temperature. Non quando c’era stata lei, non la sera.
Sbarrò gli occhi. La luce del sole era accecante, tant’è che fu costretta ad assottigliare lo sguardo prima di mettere a fuoco qualcosa.
Le pulsava la testa, a tal punto da immaginare il proprio cervello sbattere contro la scatola cranica implorando di uscire. Quella non era assolutamente Orlando. L’aria era frizzante, intinta dall’odore delle piante di eucalipto. Il sole picchiava sulle bianche case che la circondavano, donando loro un aspetto strano, quasi hollywoodiano. Con sgomento, la ragazza si accorse di essere seduta ad un tavolino di un bar all’aperto. Agli altri tavoli, c’erano ciclisti, uomini d’affari e studenti universitari che chiacchieravano e bevevano granite e caffè, mentre tanti pedoni passeggiavano davanti ad alcuni negozietti caratteristici. Le strade erano costernate da arbusti e azalee in fiore, e risate cristalline si levavano dalle bocche delle persone, librandosi in aria e raggiungendo il cielo cristallino.
Skyler lanciò un’occhiata confusa ai suoi amici, che, piegati sul tavolino a causa di un sonno improvviso, avevano iniziato a guardarsi intorno con aria disorientata.
«Che cosa è successo?» chiese Michael, premendosi i palmi sugli occhi per via del forte mal di testa.
Skyler si riassestò sulla sedia, sforzandosi di ragionare. «C’è stata un’esplosione» disse, più per ricordarlo a se stessa che agli altri. Guardò Michael. «Come abbiamo fatto ad uscirne vivi?»
«Credo sia merito di mio padre» affermò Emma, estraendo qualcosa dalla tasca dei pantaloni. Con grande sorpresa di tutti, si accorsero che era un rotolo di banconote. John fischiò.
Skyler aggrottò la fronte. Ora tutto aveva più senso. Quel lampeggiare che aveva visto sotto la macchina, quella bomba… doveva trattarsi di uno dei prototipi di Ermes, che il dio aveva voluto sperimentare. Forse sapeva già cosa sarebbe successo e aveva voluto aiutarli. Li aveva riforniti di soldi e li aveva portati in salvo chissà dove.
A constatare la grandezza dell’esplosione, però, Skyler ebbe un fremito. Era stata così forte che avevano quasi rischiato la pelle. Poteva essere pericolosa, e improvvisamente la mini bomba sembrò bruciarle la carne mentre scottava nella tasca dei suoi jeans.
Scuotendo leggermente il capo per scacciare quella sensazione, si agitò sul posto. «Dove sono quei tizi?»
I ragazzi si guardarono intorno, un po’ preoccupati. Poi, John sospirò. «Ermes deve aver pensato anche a loro. O li ha spediti da qualche altra parte, o li ha fatti morire nell’esplosione.»
Emma sorrise malandrina, e, passandosi prima un dito sulle labbra, cominciò a contare i soldi. «Grazie, paparino» sussurrò, contenta.
Skyler annuì. Poi voltò il capo osservando alcuni bambini mangiare il gelato. «Dove siamo?»
Emma corrucciò le sopracciglia, alzando un foglio plastificato dal tavolo e sforzandosi di leggere. «Peet’s Coffee & Tea, California» disse, mostrandolo all’amica.
Michael, accanto a lei, sorrise. «Fantastico!» esclamò. «Ordiniamo?»
Gli altri tre lo guardarono, un sopracciglio inarcato. «Che c’è?» chiese lui, facendo spallucce. «Siamo seduti ad un bar, in California, con un rotolo di banconote e gli stomaci vuoti. Cosa c’è di male?»
Skyler ed Emma si scambiarono un’occhiata, titubanti, poi la bionda chiamò una cameriera e ordinò. Dopo circa un quarto d’ora, la donna tornò con un latte alla vaniglia per John, due cioccolate moca per Emma e Skyler e una fetta di cheesecake ai frutti di bosco per Michael.
I ragazzi mangiarono e bevvero avidamente, rendendosi conto solo in quel momento di quanto realmente fossero affamati. Quando ebbero finito di ingurgitare tutto, si accasciarono sulle sedie, con un sospiro soddisfatto.
Fu solo la sferzante luce calda del mattino a far tornare Skyler alla realtà. «È passato un giorno» disse, al che gli altri la guardarono. «Sono passati cinque giorni, ragazzi. A quest’ora dovremmo essere già tornati.»
Un silenzio imbarazzante calò fra loro, mentre tutti cercavano la cosa giusta da dire. Michael punzecchiò con la forchetta qualche briciola rimasta nel piatto. «Abbiamo ancora due tramonti» mormorò, evitando di alzare lo sguardo. «Possiamo farcela.»
«Qual è il prossimo ingrediente?» chiese John, con un cenno.
Emma estrasse la Mappa dei Sette Mari dalla tasca dei pantaloni. La aprì, scansò le tazze e il piatto e la stese sul tavolo. «Dunque, ne sono rimasti solo due» annunciò, posando i palmi sulla carta. «Una goccia di rugiada delle nevi e una lacrima di Fenice. Quale preferite?»
«La rugiada» rispose repentina Skyler, guadagnandosi un’occhiata da tutti. Si strinse nelle spalle. «Non so neanche cosa sia una Fenice» si giustificò.
Michael corrucciò le sopracciglia. «Dove si trova?» chiese.
Emma osservò la carta, ma sembrò esitare. «Alert» disse, titubante. «Nunavut, Canada.»
«Alert?» La figlia di Efesto sembrava sorpresa. «È la città più fredda del mondo. Lì ci sarà ancora la neve.»
«Che dobbiamo cercare, esattamente?» domandò Michael.
«Credo di saperlo» disse John. «All’inizio non capivo, ma ora è chiaro. Ad Alert c’è un laboratorio biochimico che studia gli agenti atmosferici e le piante. Credo si trovi lì per sfruttare il clima rigido. Una delle loro ultime ricerche era proprio trovare un modo di coltivare delle piante anche lì. Hanno creato delle gocce di rugiada, e l’hanno fatto sciogliendo la neve.»
«Fantastico!» esclamò Emma, con un sorriso. «Dobbiamo solo intrufolarci in questo laboratorio e prendere una di queste gocce.»
John fece schioccare la lingua. «Non credo sarà così facile. Hanno un sistema di sicurezza molto avanzato.»
Emma inarcò le sopracciglia, un’espressione indignata in volto. «Sono offesa, sapete? Voi continuate a sottovalutare le mie capacità.»
«Pensi di poterci riuscire?» chiese Michael, non riuscendo a mascherare un tono speranzoso.
Emma ghignò. «Ovvio. E poi devo ancora sperimentare il nuovo giocattolino di mio padre.»
«Il problema è un altro, però» ricordò Skyler, con tono serio. «Alert è praticamente dall’altra parte del paese, e non abbiamo tutto questo tempo. Come ci arriviamo?»
«Qualcuno ha bisogno di un passaggio?» chiese una voce alle loro spalle. I ragazzi si voltarono di scatto.
Una donna li osservava, con le braccia incrociate. Aveva lunghi capelli ramati raccolti in una coda, il corpo snello e abbronzato. Indossava un paio di shorts scoloriti e una maglietta con su scritto “I ♥ California”; ai piedi un paio di coturni color bronzo. Con occhi neri come la pece, squadrava i ragazzi quasi non avesse voglia di trovarsi lì.
John inarcò un sopracciglio. «Chi sei?»
La donna sbuffò, poi allargò le braccia e fece un mezzo inchino. «Melpomene, musa della tragedia greca. Al vostro servizio, figlio di Apollo.»
John sgranò gli occhi, mentre gli altri la guardavano con aria confusa. «Aspetta, hai detto musa?» chiese Michael, sorpreso. «Come quelle nove donne al servizio di Apollo?»
«Noi non siamo al servizio del dio del sole» lo corresse quella irritata. «Noi accompagniamo il dio del sole. Ma comunque si, come quelle nove donne.»
«Ti manda mio padre?» domandò John.
La donna annuì, con fare tragico. «Credeva aveste bisogno di un passaggio e mi ha chiesto un favore. Ma non credete che mi faccia piacere essere qui. Preferirei di gran lunga recitare una delle mie tragedie piuttosto che straportare a destra e a manca quattro sciocchi marmocchi.»
«Fantastico» borbottò John, guardando Emma. «Tuo padre ci salva la vita e ci regala doni e soldi, e il mio ci manda una musa psicotica che recita tragedie.»
La donna sembrò offesa. «Se non gradisci la mia presenza, potete benissimo attraversare il paese da soli.»
«No!» esclamò Michael, balzando in piedi. Guardò John e gli diede una pacca sulla spalla. «Coraggio amico, è la nostra unica possibilità.»
Il biondo squadrò la donna da capo a piedi. «E se fosse un tranello? Davvero vi fidate di lei?»
«No» ammise Skyler, scrollando le spalle. «Ma che alternative abbiamo?»
Michael si accorse dell’esitazione dell’amico, e puntellò il gomito sul suo braccio. «Andiamo» cantilenò, cercando di essere convincente. «Carino e coccoloso.»
John corrucciò le sopracciglia, dubbioso, ma si rese conto di non avere molta scelta quando vide gli amici alzarsi e seguire la donna, lasciandolo lì solo con qualche tazza sporca e una mancia abbondante per la cameriera.
Seguirono la musa lungo il marciapiede, e poi lungo la strada, fino a che una lussuosa macchina nera non entrò nel loro campo visivo.
«Sei sicura di poterci portare ad Alert in tempo?» chiese John, ancora un po’ scettico.
Melpomene ghignò. «Diciamo che il mio è un mezzo veloce.»
«Quanto veloce?» domandò Michael.
«Abbastanza.»
Skyler si bloccò di colpo, arrestando la sua camminata. «Aspettate» disse, al che gli altri la guardarono. «Non sarà un’altra di quelle corse stile Cocchio della Dannazione, vero? Perché non credo che il mio stomaco reggerebbe.»
La donna rise. «No, non preoccuparti. Io uso altri metodi.»
«Tipo?» fece Emma, ma non ottenne risposta finché non si furono accomodati sul sedile posteriore. Melpomene li guardò attraverso lo specchietto retrovisore. «Tipo i portali» sorrise.
John corrucciò le sopracciglia. «Portali?»
Lei fece spallucce. «Perché credi che esista Ecate, se no. I portali sono la via più rapida.»
«E tu sai aprirne uno?»
La donna inarcò un sopracciglio. «Ma certo!» esclamò, ingranando la marcia. Gli lanciò un’ultima occhiata. «Reggetevi forte.»
Accadde tutto così rapidamente che i ragazzi non riuscirono a pensare. La musa accelerò, decisa a non alzare il piede dall’acceleratore. Raggiunsero i cento km/h, mentre la macchina faceva lo slalom fra i passanti guadagnandosi delle espressioni non proprio cordiali da quest’ultimi.
Se non fossero stati così impegnati ad aggrapparsi l’uno all’altro e a sforzarsi di non vomitare, i ragazzi avrebbero notato una piccola spirale rosa vorticare qualche metro avanti alla macchina, ingrandendosi fino a diventare qualcosa di simile ad un buco nero. La musa vi andò incontro, senza esitazione.
E dopo un giro della morte il caldo afoso della California fu sostituito da un leggero venticello.
Skyler guardò fuori dal finestrino. Il paesaggio che li circondava era freddo e deserto, ma soprattutto, cosa ancora più strana, era ricoperto di…
«Neve» sussurrò la mora, sovrappensiero. Erano arrivati ad Alert.
Faceva uno strano effetto vedere la neve d’estate, ma era comunque uno spettacolo sensazionale. Senza che se ne rendesse conto, un brivido le corse lungo tutto il corpo, e si strinse nelle spalle infreddolita. Ma, d’altronde, si trovavano molto vicini all’Antartide. Che si aspettava?
La macchina frenò bruscamente, e la musa si voltò a guardarli. «Potete scendere.»
I ragazzi la guardarono, straniti, ma poi ubbidirono. Lei infilò i sandali nella neve con loro. «Da qui credo possiate continuare da soli» gli disse.
«Ma come» si lamentò Emma, stupita. «Non vieni con noi?»
«Ovvio che no» rispose prontamente Melpomene, incrociando le braccia al petto. «Il mio compito era semplicemente quello di trasportavi qui. Niente di più, niente di meno.»
I ragazzi si guardarono intorno, un po’ disorientati. Poi, John fece una cosa alquanto singolare in quel momento. Sorrise. «Grazie» disse, anche se sembrava più rivolto a qualcun altro che alla musa.
Quest’ultima scrollò le spalle. «Non c’è di che. Ma io non ho fatto niente di speciale. Dovresti ringraziare tuo padre. È lui che mi ha pregato di venire.» John annuì, ma non disse niente. La musa sospirò con tono grave. «So che non dovrei dirvi niente» cominciò. «Ma c’è un piccolo paesino a pochi metri da qui. Compratevi dei giacconi, o morirete di freddo.»
Il biondo si voltò verso gli amici e fece un cenno col capo. «Andiamo?» chiese.
Gli altri concordarono con un segno d’assenso. Si coricarono gli zaini in spalla, e fecero per incamminarsi, quando la voce della donna li costrinse a fermarsi. «Un’ultima cosa!» esclamò infatti quella. I ragazzi la guardarono, in attesa, ma gli occhi della musa si incastrarono con quelli di John. Sembrava agitata, e anche molto, molto preoccupata. «Fate attenzione» si raccomandò in un sussurro.
John corrucciò le sopracciglia, un po’ turbato. Si avviarono lungo il sentiero innevato, mentre le loro suole lasciavano impronte profonde sulla neve, eppure il figlio di Apollo si accorse di essere davvero sconcertato solo quando sentì il motore della macchina riazionarsi e ripartire.
Cos’era quello della musa? Una raccomandazione? Un avvertimento?
E perché si sentiva così scosso dalle sue parole?
 
Ω Ω Ω
 
Definirla città era un eufemismo, perché tutto ciò che li circondava sembrava essere appena uscito da una piccola fiera di paese. Gli abitanti erano poco più di una trentina di persone, e le piccole case di legno si alternavano lungo la strada ad alcuni negozietti che vendevano l’essenziale per la sopravvivenza, come cibo, coperte e cappotti.
Mentre i suoi amici si intrufolavano in un negozio per comprare qualche giubbino, Skyler si era offerta di chiedere informazioni su dove potessero trovare il loro famoso laboratorio. Ad indicarle la strada era stato un grassoccio e baffuto signore, che, sorridendo solo quella moltitudine di barba, le aveva spiegato per bene come arrivarci. Era molto lontano dalla città, circa un paio di chilometri, ma se si fossero impegnati sarebbero riusciti a raggiungerlo prima di sera.
Ad attirare la sua attenzione mentre aspettava i suoi amici a braccia incrociate su quella che doveva sembrare una panchina, fu un gruppetto di persone tutte radunate alla fine della strada. Si chiudevano in un semicerchio, e guardavano ammirati qualcuno davanti a loro. Avvicinandosi circospetta con un sopracciglio inarcato, Skyler si alzò in punta di piedi per poter scorgere qualcosa oltre la spalla di un robusto signore. Allungando un po’ il collo, capì il motivo di tanto entusiasmo. Un giovane uomo, che non avrà avuto più di trent’anni, si stava esibendo in uno spettacolino. Era alto e mingherlino, ed indossava fiero un cilindro sul capo e un malconcio papillon.
«Scelga una carta, signora» disse, porgendo ad una donna corpulenta un mazzo.
Questa scelse una carta, osservandola per bene. Poi, con un sorrisetto, la rimise nel mazzo, e il mago cominciò a mischiare. La donna lo osservava con attenzione, studiando attentamente tutti i suoi movimenti nel vano tentativo di capire quale fosse il trucco. Dopo un po’, l’uomo estrasse un tre di cuori. «È questa la sua carta?»
La donna sorrise, compiaciuta. «No» rispose, scuotendo la testa.
Lui aggrottò le sopracciglia, confuso. «Ne è sicura?» domandò. Lei annuì, e a quel punto lui fece una cosa strana. Contò una per una le carte nel mazzo. «Guardi bene, signora» le disse. Quando ebbe finito di ispezionare tutte le carte, alzò lo sguardo.
«Le dispiace cacciare il portafogli?» chiese ad un uomo con il mono ciglio.
Quest’ultimo lo guardò, interdetto, ma poi ubbidì. Il mago gli si avvicinò con disinvoltura. Con il suo permesso, afferrò il portafogli e lo aprì, ispezionandolo per bene. Dopo un po’, un sorrisino soddisfatto si fece largo sul suo volto. «Oh, eccola qui!» esclamò, estraendo dalle monetine un quadratino di carta.
Restituì il portafogli al suo proprietario e lo aprì, facendogli prendere la forma di una carta. La osservò per un secondo, poi la voltò, per far sì che la vedessero tutti.
«È questa la sua carta, signora?»
La donna spalancò la bocca, riconoscendo la sua regina di cuori. Boccheggiò un attimo, in cerca di qualcosa da dire, mentre dal pubblico si levava un applauso entusiasta.
«Ma… ma come ha fatto?» chiese lei, sconvolta. «L’ho tenuta d’occhio per tutto il tempo. Ho osservato tutti i suoi movimenti.»
«È qui che ha sbagliato, signora» la corresse il mago, riprendendo a mischiare le carte. Alzò un angolo della bocca in un ghigno compiaciuto. Poi sollevò lo sguardo, guardando il pubblico. «Perché più da vicino guardi le cose, in realtà meno vedrai.»
Un altro applauso seguì le sue parole, accompagnato da un leggero mormorio. Skyler aggrottò la fronte, riflettendo sulle sue parole. Mentre il mago faceva scivolare lo sguardo sul suo pubblico, incontrò gli occhi della ragazza, soffermandovisi più del dovuto. Le regalò un sorrisetto sghembo, che le fece corrucciare le sopracciglia. Poi, qualcuno le mise una mano sulla spalla.
«Ehi» la chiamò qualcuno, facendola sobbalzare.
Michael le passò un giubbino di pelliccia. «Tieni, questo è per te.»
Lei annuì, titubante. «G… grazie» mormorò.
Il figlio di Poseidone inarcò un sopracciglio. «Skyler, ti senti bene?»
Lei lo guardò. Lanciò un’ultima occhiata al mago, ma questo si stava esibendo in un altro dei suoi trucchetti, sorridendo con la consapevolezza di ingannare tutti. La ragazza si sgranchì la voce. «Si» annuì. «Si, certo. Andiamo. Il laboratorio è un po’ lontano.»
 
Ω Ω Ω
 
Quando finalmente riuscirono a scorgere i contorni del laboratorio all’orizzonte, era già calata la sera.
La struttura era chiusa, come avevano immaginato e sperato. Costretti ad inclinare il capo per poterlo guardare meglio, si sorpresero di quanto in realtà fosse grande. Si avvicinarono alla porta, con cautela.
«Sei sicura di poterlo aprire?» chiese John sottovoce, mentre Emma estraeva il dono di suo padre dallo zaino.
«Fidati di me» ribatté. Si rigirò la carta fra le mani, ed esitò. In realtà, non aveva idea di come funzionasse. Non l’aveva mai usata, e il padre non le aveva detto niente che potesse indurla a capirlo. Con titubanza, premette la carta contro la serratura elettrica. Per un attimo, non successe niente. Poi, questa parve modellarsi fra le sue mani, rimpicciolendo e prendendo la forma di un pass card.
Emma lo passò nella serratura e questa scattò con una lucetta verde. La porta si aprì con un fruscio metallico.
La bionda sorrise, soddisfatta, mentre John inarcava le sopracciglia stupito. «Però» si complimentò, mentre furtivi si introducevano all’interno. La porta si richiuse alle loro spalle con lo stesso fruscio.
Il laboratorio era pieno di corridoi di ogni genere, a loro volta rimpinguati di porte e stanze. I ragazzi non avevano idea di dove cercare, per questo decisero di perlustrare i corridoi nel tentativo di trovare qualche indizio. Mentre camminavano guardandosi intorno con circospezione, l’occhio di Skyler cadde su una porta con un’insegna. Era scritta in molte lingue, tra cui anche il greco, per questo non ci mise molto a tradurla. «John?» chiamò, attirando però l’attenzione di tutti. «Credi che quello di cui ci hai parlato possa essere un progetto top secret?»
I ragazzi osservarono il cartello.
 
PROGETTO TRASFUSIONE ALFA.
REPARTO B.
VIETATO L’ACCESSO AI NON ADDETTI.
 
I quattro si guardarono, decidendo tutti nello stesso istante che quella “trasfusione” poteva riferirsi ad una sola cosa. L’avevano trovato.
Avvicinando la sua carta alla serratura, Emma girò la chiave e la porta si aprì. Quando entrarono dentro, si guardarono intorno ammirati. La stanza era piena di piante di ogni genere: Brocchinia, Ninfea, Edera, Cactus, Zamia. Variavano tutte dal tipo al colore.
John sospirò. «Su una di queste piante deve trovarsi una goccia di rugiada che non è ancora stata assorbita. Dobbiamo trovarla.»
«Dobbiamo cercare su ogni pianta?» chiese Michael, scettico.
«Su ogni foglia» lo corresse il biondo.
I ragazzi cominciarono a cercare, rassegnati. In quella stanza c’era una moltitudine di vegetali diversi, eppure nessuno di questi sembrava sorreggere una sola goccia di rugiada.
Dopo l’ennesima pianta scartata con sconforto, Skyler si fermò a pensare. Doveva pur esserci un modo più semplice, no? Non potevano restare piegati su quelle piante per tutto quel tempo. Osservò i suoi amici, i loro respiri infrangersi sulle foglie e i loro occhi scrutarle attenti. E allora capì. Capì dove stavano sbagliando. Capì qual era il loro errore.
Le risuonarono in testa le parole del mago.
«Più da vicino guardi, in realtà meno vedrai.»
Corrucciando le sopracciglia, si allontanò dalle piante guardandosi intorno. Alzò lo sguardo. Scrutò il soffitto e tutte le pareti. E fu a quel punto che, stringendo gli occhi in due fessure, la vide. Una macchina. No, non era una macchina. Era un condensatore. Entra neve sopra, esce rugiada sotto. Passa attraverso dei tubicini, e poi viene assorbita dalle piante.
«Ragazzi!» esclamò, col fiato sospeso. «L’ho trovata!»
Gli altri seguirono la direzione del suo sguardo. Michael sorrise, sollevato.
«Presto, dammi una fialetta» gli disse Emma, avvicinandosi con John alla macchina. Il biondo se la mise sulle spalle, per far sì che la ragazza potesse arrivarci. Facendo meticolosamente attenzione ad ogni minimo movimento, Emma sfilò con delicatezza un tubicino dalla macchina. Fece scivolare una goccia nella fiala, e poi lo rimise al suo posto. Richiuse la boccetta e scese dalle spalle dell’amico.
Sorrise, raggiante. «Ce l’abbiamo fatta» esclamò.
Poi, l’allarme cominciò a suonare. Delle lampeggianti luci rosse iniziarono ad illuminare il soffitto, e una sirena acutissima attutì ogni rumore ai loro timpani.
«Ma che diavolo succede!» urlò Skyler, confusa.
«Non sono stata io!» assicurò Emma. «Lo giuro!»
«Viene dalla porta principale!» li informò John, sporgendosi fuori dalla soglia. La verità li colpì come uno schiaffo in piena faccia. «Mi sa che abbiamo visite.»
Mentre il panico si dipingeva sui loro volti, si precipitarono fuori dalla stanza. Il fischio della sirena si stava facendo più acuto e snervante, e il sangue pompava nei loro cervelli impedendogli di pensare con lucidità.
Quando svoltarono l’angolo, furono costretti ad arrestare la loro corsa. Alla fine del corridoio, c’erano degli uomini. Indossavano abiti neri e molti impugnavano un’arma. Quando uno di loro si voltò a guardarli, con orrore Skyler riconobbe l’uomo con la cicatrice che li aveva aggrediti in Colorado.
«Eccoli!» tuonò la voce dell’uomo, mentre li indicava con la punta della sua spada. Gli altri partirono alla carica.
«Correte!» esclamò Skyler, precipitandosi dall’altra parte del corridoio.
Dopo un paio di corse sostenute a fatica, i ragazzi si resero conto di trovarsi in una specie di labirinto. A confermare ancora di più la loro teoria fu il momento in cui si ritrovarono in un vicolo cieco. Davanti a loro, una lastra di vetro delimitava la fine del corridoio, mentre alle loro spalle gli uomini urlavano e sbraitavano.
John lanciò un’occhiata al figlio di Poseidone. «Michael!» esclamò. «Tieniti pronto!»
Lui annuì. Accelerarono il passo e si scagliarono con forza contro il muro di vetro, infrangendolo in mille pezzi. Ruzzolarono nella neve. Si rialzarono a fatica, ricoperti di graffi e ferite, e fecero appena in tempo a vedere Skyler ed Emma saltare nella neve accanto a loro che ripresero a correre.
Purtroppo, anche gli uomini si lanciarono oltre il loro varco, a differenza di ciò che avevano sperato.
I ragazzi corsero a perdifiato. La neve rendeva più pesanti e difficoltosi i loro passi, e le urla degli uomini non facevano altro che alimentare ancora di più la loro adrenalina. Finché non diminuirono.
Con il cuore a mille, Skyler si guardò alle spalle, sperando di averli seminati, ma quando riportò lo sguardo davanti a se, le mancò il fiato.
Altri uomini li stavano aspettando alla fine della strada. Non riusciva a capire come fossero arrivati lì, ma smise di chiederselo quando gli altri uomini che li stavano seguendo li raggiunsero.
Erano circondati.
Skyler si guardò intorno, impaurita. Erano nel bel mezzo del nulla, e la città era troppo lontana per poter chiedere aiuto. In altre parole, erano completamente soli.
I ragazzi sguainarono le armi.
«Ma chi si rivede!» esclamò la voce rude e cattiva dell’uomo con la cicatrice. Quest’ultimo di fece largo fra i suoi uomini. «Credevate davvero di scappare, vero?» Rise. «Poveri illusi. Quello di Orlando è stato proprio un bel trucchetto, devo ammetterlo. Ma non vi salverà dal peggio.»
Li guardò con un ghigno malvagio, mentre loro stringevano i denti e impugnavano le loro armi con tale forza da avere le nocche bianche. «Fateli fuori» sibilò.
Gli uomini attaccarono. Skyler vide un ammasso di centroni da ottanta chili venirle addosso.
Indietreggiò, rischiando quasi di perdere l’equilibrio, poi parò il primo colpo di spada. Nonostante fossero molto forti, erano piuttosto lenti, per cui riuscì a disarmare il primo uomo e a farlo cadere con il volto nella neve.
Il secondo fu più difficile da sconfiggere. Le menò un fendente, e poi provò a ferirla con un affondo. Skyler riuscì a parare entrambi i colpi, ma quando lui provò con una stoccata lei si scansò così bruscamente che minacciò di cadere a terra. Le loro spade cozzarono, quando lui tentò di colpirle il volto, e Skyler usufruì di quel contatto per disarmarlo con un rapido movimento del polso ed infilargli la lama nel ventre. L’uomo si accasciò a terra, agonizzante.
Skyler ansimò. Stava per porre fine alle sue pene con il colpo di grazia, quando qualcuno l’afferrò da dietro. Due braccia possenti le strinsero gli arti lungo i fianchi, impedendole qualunque movimento.
L’uomo ridacchiò, mentre lei stringeva i denti e si dimenava nel tentativo di liberarsi. Non poteva utilizzare la spada, e sembrava tutto inutile.
Lo zio le aveva spiegato più volte come agire nel caso qualcuno l’avesse afferrata da dietro, ma non era mai riuscita a sperimentarlo. Era ora di provarci. Gettando la spada a terra, si abbassò sulle ginocchia, riuscendo a scivolare via dalle braccia del nemico. Gli afferrò le caviglie con entrambe le mani e si rialzò in piedi. Quello cadde supino a terra, gemendo di dolore. A quel punto, Skyler gli afferrò le caviglie dei pantaloni e glie li tirò giù. Lo rigirò, usufruendo di tutta la forza che possedeva, e lui si ribaltò, cadendo prono con un tonfo. Poi, sfruttò quel suo momento di disorientamento per afferrare la spada da terra e colpirgli con forza la nuca con l’elsa, facendolo svenire.
Si voltò, pronta a fronteggiare qualcun altro, e fece appena in tempo a ferire un uomo sul fianco, che quello cadde a terra, in una pozza di sangue scuro.  
John, a pochi metri da lei, ne aveva già abbattuti cinque grazie alle sue frecce. Ne stava per afferrare un’altra, quando i suoi polpastrelli sfiorarono ciascuna cocca che aveva nella faretra. Gli venne un tuffo al cuore.
Uno. Due. Tre. Ce n’erano solo tre. Tre misere frecce, poi sarebbe stato disarmato. Che fare, ora?
Si guardò intorno, in cerca di qualcosa che potesse fungergli da arma, ma non trovò niente. Non poteva sprecare le sue ultime frecce, doveva conservarsele per il momento in cui ne avrebbe avuto davvero bisogno. Ma gli uomini si stavano avvicinando, e poco ci sarebbe voluto prima che si rendessero conto che non avrebbe potuto sconfiggerli, e che avessero attaccato.
Nonostante il freddo, John sentì una goccia di sudore colargli lungo la tempia, mentre posava lo sguardo sulla luna. Era piena, e lucente. Sperava non fosse stato costretto a farlo. Ogni volta che utilizzava il suo potere, sentiva sempre una fitta al cuore. Erano tutti suoi nemici, certo, ma vederli esplodere non lo rendeva mai fiero delle sue gesta.
Ma che scelta aveva? Non sapeva neanche se ci sarebbe riuscito. Ci aveva provato sempre e solo con il sole. Ma con la luna era lo stesso, no? Era sempre luce. E poi Artemide non era sua zia? Non lo avrebbe aiutato?
Fece vibrare velocemente lo sguardo dal cielo ai suoi nemici, che correvano verso di lui con le spade sguainate.
Strinse i pugni e si concentrò, ma non successe niente.
Coraggio, supplicò, chiudendo gli occhi. Ormai a separarli c’erano solo pochi metri. Ti prego, ti prego, ti prego.
Quasi le sue preghiere fossero davvero servite a qualcosa, le sue dita brillarono. John le guardò, stupito, mentre qualcosa si modellava sul suo palmo. Era una freccia, dello stesso colore della luna.
Con un po’ d’esitazione, la incoccò. Doveva lanciarla? Era la cosa giusta da fare? Non ci pensò molto quando la cuspide di allontanò dal suo arco e si conficcò nel petto di un uomo. Quello abbassò lo sguardo, terrorizzato, e sgranò gli occhi, quando la freccia penetrò nel suo petto e si dissolse. Non fece neanche in tempo ad incrociare lo sguardo del figlio di Apollo, che fu avvolto da un’aura bianca, ed esplose. John distolse lo sguardo, mentre altri due uomini venivano scaraventati in aria per via dell’impatto.
Un’altra freccia prese forma fra le sue dita e il biondo la incoccò. Gli altri uomini, però, esitarono, spaventati. Li aveva in pugno. Avevano paura di lui.
Ma perché avrebbe preferito il contrario?
A pochi metri di distanza da lui, non essendosi accorti dell’esplosione, Emma e Michael fronteggiavano i nemici schiena contro schiena. Erano circondati, e si sforzavano di allontanarli con fendenti e parate.
Ma il vantaggio numerico faceva la differenza, e ben presto si ritrovarono accerchiati senza nessuna via d’uscita.
Emma avanzò verso uno degli uomini, ferendogli il petto con alcuni fendenti del suo coltello. Poi parò il colpo diretto al suo viso di un altro.
La spada di Michael cozzò contro quella del suo avversario, ed entrambi fecero un passo indietro per non perdere l’equilibrio. Un altro uomo si unì al suo compare, e insieme attaccarono il ragazzo mentre quest’ultimo faticava a tenergli testa. Ma non aveva osservato per anni il fratello lottare per niente.
Fletté leggermente le ginocchia, e, facendo credere all’avversario di volergli colpire il fianco, gli menò un fendente sul viso, facendolo cadere nella neve. L’altro provò a colpirlo, ma Michael gli ferì il dorso della mano, facendogli perdere la presa sulla spada, e poi lo colpì al petto con l’elsa.
Si voltò per fronteggiarne un altro, ma fu troppo lento. L’uomo con la cicatrice lo disarmò e gli colpì il ventre con lo stivale, facendolo cadere a terra. Con la sua suola premuta contro il petto, Michael sentì la punta della sua spada sfiorargli il naso. Chiuse gli occhi, preparandosi al peggio. Ma non accadde nulla. Li riaprì, stupito, e incontrò i suoi occhi malvagi e il suo ghigno soddisfatto.
L’uomo premette la lama contro il suo labbro superiore, senza però infliggergli alcun danno. La fece scivolare sul suo mento, e poi lungo il suo collo, fino a fermarsi sulla giugulare.
Michael tremava. Più per rabbia che per paura, però. Lo guardò, pieno di odio. Stava per sputargli in faccia qualche aggettivo poco carino, quando un grido attirò la sua attenzione.
Spostando lo sguardo, vide Emma divincolarsi dalla presa di due uomini. Uno di loro la teneva per un braccio, mentre le puntava il suo stesso coltellino alla gola. L’altro, invece, aveva stretto nel pungo l’altro suo polso, e le teneva la bocca chiusa con la sua possente mano ignorando i feroci morsi della ragazza.
«No!» esclamò Michael. Cercò di divincolarsi, ma l’uomo con la cicatrice premette con più forza lo stivale sul suo petto, provocandogli una fitta di dolore. Schiacciò di più la lama contro la sua giugulare, poi gli pestò una mano con il piede libero, facendolo urlare di dolore. Emma si divincolò ancora di più nel vedere quella scena.
Michael strinse i denti, trascurando il dolore. «Lasciatela stare» sibilò, con voce soffocata.
L’uomo rise. Incrociò i suoi occhi ora blu, sorridendo divertito. «Povero illuso» lo derise. Spostò tutto il peso sul piede che schiacciava le sue dita. Michael stramazzò, mentre una fitta di dolore gli partiva dal polso e raggiungeva la spalla come un lampo. L’uomo alzò la spada, e la sua lama scintillò sotto la macabra luce della luna, prima che affondasse nel braccio nel ragazzo.
L’urlo straziato del figlio di Poseidone quasi lo divertì. Si voltò verso i suoi uomini. «Ordinate la ritirata» disse, con tono fermo.
«Portiamo entrambi?» chiese colui che premeva la mano sulla bocca di Emma.
L’uomo con la cicatrice la guardò e si avvicinò. Osservò la bionda negli occhi grigi, poi le sfiorò uno zigomo con il dito affusolato, provocandole un brivido di disgusto.
Ghignò, maligno. «No» rispose, lasciando trapelare una certa soddisfazione. «Lei andrà bene.» Poi le diede le spalle e urlò, con voce fredda e glaciale. «Torniamo alla base!»
Tutti gli altri uomini smisero di combattere, estraendo degli strani arnesi dalle tasche. Erano piatti, e circolari. Una pietra verde al centro si illuminò e pian piano, uno ad uno, cominciarono a scomparire.
Skyler e John si guardarono, confusi, prima che si rendessero conto di ciò che stava succedendo.
Michael si era ripreso dal lancinante dolore, e ora faceva perno sul braccio sano, nel tentativo di rialzarsi. Cercò di scorgere la figura di Emma, per poterla aiutare, ma la sua vista era come velata da un panno. Per fortuna, il suo udito funzionava ancora.
«Ma che cosa ne facciamo di lei, Generale?» stava ribattendo l’uomo che puntava un coltello alla gola della bionda.
«Decideremo quando saremo arrivati» rispose brusco l’uomo con la cicatrice, che si scoprì essere il Generale.
«Perché non la gettiamo in mare?» propose allora l’altro uomo. «O la chiudiamo nella cabina.»
«Questi non sono affari che vi riguardano, Capitano!» esclamò quindi il Generale, che stava perdendo le staffe. Estrasse un arnese piatto simile a quello degli altri uomini e questo brillò. «A lei ci penso io.»
Poi, tutti e quattro furono avvolti da un’accecante fascio verde, e le loro figure scomparvero.
«No!» esclamò John, che da lontano aveva assistito alla scena. Fece per corrergli incontro, nel tentativo di salvare la sua amica, ma quando fece un passo avanti, una fitta lancinante gli colpì la bocca dello stomaco, e il fiato gli si smorzò il gola.
Con una lentezza spaventosa, John abbassò lo sguardo. La lama di una spada spuntava dal suo ventre, trapassandolo.
Sangue cremisi sgorgava copioso dalla bocca del suo stomaco, macchiandogli la maglietta.
Un brivido gli corse lungo la cicatrice sulla colonna vertebrale, il punto in cui la lama era affondata.
Un rivolo di sangue gli rigò il labbro inferiore.
La lama si sfilò dal suo ventre, e le sue iridi verdi si rovesciarono all’indietro.
Il suo corpo cedette, ormai privo di respiro e di forza.
Ormai privo di vita.
Skyler urlò.

Angolo Scrittrice.
Zan zan!
Bounjor a tout le monde. Bien bien, sono riuscita pubblicare qesto capitolo. Beh, che dire... penso non sia stato esattamente come ve lo aspettavate. Insomma, si, hanno preso il penultimo ingredente, ma Emma è stata rapita e John ormai è... caput. Ah, dopo tante minacce di morte vi ho accontentato... Credo. Poverino, però. Ok, lo ammetto, potevo regalargli una morte un pò più decente. Un pò più eroica.
Anyway, che ve ne è parso? Vi è piaciuto? Fatemi sapere, mi raccomando. Sono curiosissima **
Ora sappiamo almeno il nome di quel tizio con la cicatrice. Ma che cosa vuole? E chi lo manda? Queste saranno tutte risposte che avrete col tempo.
Scusate, ma sono un pò triste per il nostro amico biondo. Voi no? :,( Povero John. E povera Skyler, anche. Come la prenderà, secondo voi?
Va bieeen... credo che sia arrivato il momento dei ringraziamenti. All'inizio non arrivavano molti commenti, per cui avevo paura di avervi deluso, e che il cpaitolo non vi fosse piaciuto. In tal caso, spero di essermi riscattata.
Ringrazio con tutto il cuore:
Luce_ombra00, giascali, FoxFace00, heartbeat_F_, Kalyma P Jackson, Ciacinski e Ema_Joey. Grazie, angeli. Siete la mia forza **
Oook, ora devo proprio studiare. Bacioni, e al prossimo martedì ;)
oxox,
ValeryJackson


 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


La lama si sfilò dal suo ventre, e le sue iridi verdi si rovesciarono all’indietro.
Il suo corpo cedette, ormai privo di respiro e di forza.
Ormai privo di vita.
Skyler urlò.


«No!» Il grido di terrore della figlia di Efesto tagliò di netto l’aria gelida che li circondava.
L’uomo che aveva accoltellato il suo ragazzo si voltò di scatto, un ghigno malvagio sul volto. Poi, si avvicinò ad altri due compagni che avevano osservato la scena, e insieme scomparvero nella notte.
La scena sembrò svolgersi a rallentatore.
Skyler aveva smesso di ragionare. Non capiva più niente, e un dolore lancinante all’altezza del petto le impediva di pensare con razionalità.
«John!» esclamò, correndo a perdifiato contro di lui. Quando si inginocchiò accanto al suo corpo inerme, le venne un tuffo al cuore.
«No» sussurrò, incredula e terrorizzata. Il ragazzo giaceva su un tappeto di neve cremisi, così come la tonalità che aveva raggiunto in quel momento la sua maglietta. Non appena le mani di lei sfiorarono il suo torace, tremanti, si imbrattarono immediatamente di sangue. «No» Skyler scosse con violenza la testa, gli occhi sgranati. «No, no, no, no. No!» L’ultimo quasi lo urlò. Non poteva essere. Non era vero. Se lo stava solo immaginando.
Michael si inginocchiò al fianco dell’amico, gli occhi venati d’orrore.
«John» chiamò la ragazza, con gli occhi che bruciavano. «No, ti prego, John.» Il ragazzo tentò di lottare contro le sue palpebre, ma alla fine queste cominciarono a chiudersi. «No. John guardami» lo implorò Skyler. «Guardami!» Gli afferrò il viso fra le mani incrostate di sangue e lo costrinse ad alzare lo sguardo. Il ragazzo emise un rantolo strozzato nel vano tentativo di respirare. Skyler lo guardò negli occhi, ma questi erano vitrei e privi di vita. «John, resisti» supplicò, mentre calde lacrime le rigavano le guance disperate. La sua voce tremava come una foglia d’inverno.
Il ragazzo fece un sospiro tremulo. Un angolo della sua bocca accennò un dolce sorriso. «Skyler» sussurrò, con un filo di voce. Aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma il fiato gli si smorzò in gola.
«No.» Skyler scosse la testa, terrorizzata. I suoi occhi guizzavano sul volto del ragazzo, spiritati. «No, John resisti. Resisti!» esclamò, scuotendogli il volto. Alzò di scatto lo sguardo su Michael, che li fissava stordito.
«Prendi la crema di Ermes!» urlò Skyler, con voce roca. «Presto!»
Michael obbedì, e, riscossosi da quello stato di pietrificazione, si alzò e corse a prendere lo zaino dell’amico. Vi frugò dentro con frenesia e, quando si inginocchiò di nuovo accanto al biondo, si riempì le mani di quanta più crema potessero contenere. Posò i palmi sul ventre del ragazzo, sporcandoseli di sangue. John si lamentò sommessamente, agonizzante, ma la ferita non si rimarginava. Michael provò ancora, ma non successe niente. «Non funziona» mormorò, terrorizzato.
Skyler lo guardò, incredula. «Riprova!» ordinò, singhiozzando.
Michael ritentò, ma non accadde nulla. «Non funziona» ripeté, avvilito e incredulo.
«Non è possibile» obbiettò la ragazza, la vista offuscata dalle lacrime. Era nel panico. Mentre fissava Michael, il suo respiro diventò affannato e il sangue cominciò a pulsarle nelle orecchie. Era così disorientata da non rendersi neanche conto della ferocia della sua risposta. «Lui ci è riuscito. Riprova, Michael. Riprova!»
«Non…» La voce di John uscì in un lamento strozzato, riuscendo però ad attirare l’attenzione dei ragazzi. «Non funziona» sussurrò. Alzò lo sguardo vitreo verso il cielo, mentre la sua anima si avvicinava di più a quest’ultimo che alla terra. «Non funziona.»
«No.» Questa volta fu Michael ad obbiettare. Afferrò John per le spalle e lo scosse con forza. «No, non mollare, amico!» gli ordinò. Ma il biondo non rispose. Con orrore, si rese conto che il suo battito stava rallentando vertiginosamente. «Reagisci, dannazione!» urlò, accorgendosi delle sue lacrime solo quando avvertì un sapore salato in bocca. «Reagisci!»
Ma John non reagì. Skyler sgranò gli occhi, incredula, mentre Michael si allontanava da lui, sconvolto.
«No» mormorò la ragazza, posandogli le mani sul petto. Questo, però, era immobile. Il panico, a quel punto, prese il sopravvento. «No, ti prego John. No. No.» Singhiozzi e lacrime si confondevano con le sue suppliche. «Ti prego non lasciarmi» implorò. Strinse la sua maglietta sporca nei pungi. «John» chiamò. Ma lui non rispose. «John.» Stavolta fu sicura che non le avrebbe più risposto.
«No» sussurrò un’ultima volta, distrutta. Poi il suo urlo raggiunse la luna. «No!»
Si accasciò sul suo petto, piangendo. Non che fino ad allora non avesse pianto, ma ora questo era più forte, più disperato. Michael, accanto a lei, si rifiutava di credere ai propri occhi.
Non poteva essere morto. Non lì, non John.
Non così.
Eppure, tutto ciò che poteva definirsi vita aveva abbandonato il suo corpo, e Skyler stava piangendo su un cadavere. Un cadavere che non avrebbe dovuto essere tale.
La disperazione che li avvolgeva era straziante, come acido versato su occhi condannati a restare aperti.
Skyler continuò a singhiozzare, il cuore trafitto da una freccia d’argento.
Quando, ad un certo punto, accadde qualcosa di strano. Si, strano.
Perché il corpo di John cominciò a brillare.
Mentre Michael lo fissava sconvolto, Skyler smise di piangere ed alzò lo sguardo, confusa. Non era il suo corpo a brillare, ma il suo avambraccio.
Il tatuaggio della casa di Apollo.
Luccicava di una luce verde e accecante. Skyler corrucciò le sopracciglia, non capendo. «Ma che cosa…»
Michael sgranò gli occhi. «La benedizione di Apollo» sussurrò, senza fiato.
«La che?»
Il figlio di Poseidone non ebbe il tempo di rispondere, perché la luce verde li accecò, costringendoli a voltare il capo. Restò sospesa in aria per alcuni secondi, illuminando tutto. Poi se ne andò.
Lentamente, i ragazzi tornarono a guardare John. Skyler lo squadrò, un po’ confusa, ma poi sussultò. Il petto di John, sotto i suoi palmi, ebbe un fremito.
«John» chiamò lei, con voce fioca. Il petto del biondo si alzò ancora, e, a quel punto, il ragazzo tossì, cercando di ingerire aria.
Skyler strabuzzò gli occhi. «John!» esclamò. Gli prese con foga il viso fra le mani, incredula. Per un attimo temette di aver immaginato tutto, finché il figlio di Apollo non alzò lo sguardo stanco. I loro occhi si incrociarono, e Skyler vi riconobbe il luccichio inconfondibile che la faceva impazzire.
«Oh miei dei…» mormorò lei.
John abbozzò un sorriso sghembo, mentre lottava contro il sonno che inondava il suo copro, impedendogli di fare qualcosa di diverso dal muovere i muscoli facciali. «Ehi…» cominciò, con un filo di voce, ma non fece in tempo a terminare la frase, che Skyler gli buttò le braccia al collo, stringendolo con forza. Cominciò a singhiozzare e a ridere alle stesso tempo, sollevata, ma soprattutto incapace di pensare con lucidità.
Michael si accasciò a terra, rilassando i muscoli e concedendosi una risata.
John li fissò, affaticato, ma non capì. Abbassò di poco lo sguardo, e notò la pozza di neve cremisi sulla quale giaceva. Non ricordava niente di tutto ciò che era successo. Non capiva perché i suoi amici fossero così disperati. Eppure, sentendo il piccolo corpo di Skyler tremare fra le sue braccia, non riuscì a pensare ad altro se non ad inebriarsi del suo profumo, tentando di scacciare quella strana sensazione al centro del petto che gli ricordava che aveva appena rischiato di non sentirlo mai più.
«Sono qui» le sussurrò all’orecchio, con un filo di voce. «Non ti lascio, Ragazza in Fiamme.»
E Skyler giurò di non aver mai amato tanto quel soprannome come allora.


Ω Ω Ω

Nelle due ore che seguirono, Skyler era ancora sconvolta.
Aveva osservato una spada trafiggere il corpo del suo ragazzo, e aveva visto John morire sotto i suoi occhi. Emma era stata rapita da un maniaco senza scrupoli e portata chissà dove, e John era risuscitato grazie ad una benedizione di suo padre, che aveva deciso che non era ancora arrivato il suo momento.
Il tutto in meno di mezz’ora.
Era stanca, e confusa.
John, sebbene fosse ancora vivo, non riusciva ancora ad alzarsi. Il suo corpo era ancora debole e privo di forze. Insomma, era pur sempre morto! Per questo, dopo aver trovato un posto sicuro dove accamparsi fra gli alberi, Skyler si era presa cura di lui, mentre Michael si era offerto di cercare qualcosa da mangiare.
La figlia di Efesto non riusciva ancora a mettere in ordine i pensieri. Accarezzava il viso di John, che, coperto anche dal cappotto della ragazza, si era addormentato quasi subito. La sua ferita si era rimarginata quasi del tutto, riducendosi solo ad un semplice taglio, e Skyler aveva dovuto bendarlo. Sembrava distrutto, e affaticato. Eppure era vivo. Respirava. Skyler aveva controllato ogni dieci secondi, e lui non aveva mai smesso. Non l’aveva perso.
Il solo pensiero le faceva venir voglia di piangere per il sollievo. Eppure era troppo stanca anche lei per scoppiare in lacrime. E poi un altro pensiero le affollava perentorio la mente.
Dov’era Emma? Che cosa le era successo? L’avevano rapita, e nessuno aveva idea di dove l’avessero portata. Stava bene? Le era successo qualcosa?
La consapevolezza di non saper rispondere a quelle domande le faceva bruciare la bocca dello stomaco. Perché? Perché proprio lei? Perché non qualcun altro?
E nella neve il male il sandalo alato ruberà.
La neve. Il sandalo alato. Il male. La profezia si stava avverando. Si, ma come salvarla, ora? 
In quel momento, mentre passava dolcemente una mano fra i capelli biondi di John, la figura di Michael fece capolino fra gli alberi. Stringeva in una mano quello che aveva tutta l’aria di essere un coniglio.
Da quando John si era risvegliato, non si erano rivolti la parola. Skyler non sapeva dire il perché, eppure non aveva voglia di parlare con lui.
Il ragazzo si avvicinò al piccolo fuocherello che avevano preparato e lasciò cadere il corpo senza vita del coniglio nella neve. Lei non lo degnò di uno sguardo.
«Cacciare con una spada è più difficile di quanto pensassi» commentò il moro, rompendo il silenzio che li avvolgeva come una fredda coperta. «Se avessi saputo usare l’arco di John, sarebbe stato più facile.»
Skyler strinse i denti, infastidita. Usare l’arco di John? Non doveva nemmeno provarci. Quell’arco era suo, punto. Suo e di nessun altro.
Il figlio di Poseidone, rendendosi conto di non ricevere risposta, continuò. «Se fosse sveglio potrebbe scuoiarlo lui. È molto più bravo di me.»
«Non lo sveglierò per questo» rispose brusca Skyler.
«Lo so» sospirò lui. «Stavo solo dicendo che…»
«John era morto!» lo interruppe lei, guardandolo negli occhi con astio. Il suo tono di voce si era alzato, ne era certa. «Era morto, per la miseria. Ed Emma è stata rapita da quei… da quei… da quei maniaci!»
Michael corrucciò le sopracciglia, avvertendo la sua rabbia. Poi strinse i pugni, non distogliendo lo sguardo. «Lo dici come se fosse colpa mia» le fece notare.
Skyler non rispose. Si alzò di scatto, fulminandolo con lo sguardo. Poi si voltò, ed iniziò ad inoltrarsi con passo deciso nel folto bosco.
Michael tradusse quel comportamento come una risposta affermativa.
«Skyler!» la chiamò, correndole dietro.
La raggiunse, ma lei non volle fermarsi, così fu costretto a camminarle tre passi indietro. Nonostante avesse avvertito palesemente la presenza del ragazzo dietro di lei, Skyler non accennò a voltarsi.
Michael allargò le braccia, scioccato. «Non ci credo!» esclamò, sconvolto. «Tu credi che sia colpa mia.»
«Io non credo che sia colpa tua» rispose lei risoluta, affondando le unghie nei palmi per la rabbia. «È colpa tua.»
Sul volto di Michael si mescolavano offesa e confusione. «Che cosa? Ma di che diamine stai parlando!»
«Lanciamoci in una missione suicida tutti insieme!» gli fece il verso Skyler, gesticolando animatamente. «Salviamo il Campo! Ma si, dai.»
«Si può sapere dove vuoi andare a parare?»
«Siamo venuti qui solo per te. Per te e per la tua stupida voglia di fare l’eroe. Ma, notizia del giorno, Michael. Non è così che si diventa eroi!»
«Ma che vuoi!» esclamò lui, infuriato. «Non sono io che vi ho chiesto di venire con me.»
«E che cosa avremmo dovuto fare?» lo accusò Skyler, furiosa, rifiutandosi ancora di voltarsi a guardarlo. «Lasciarti morire a Washington? Perché è questo che sarebbe successo, Michael. Non ce l’avresti fatta.»
Michael fece un sorriso amaro, sconvolto. «Ma come? Non eri tu quella “Noi siamo una squadra. Noi ci completiamo a vicenda. Siamo come i tre moschettieri…”»
«Si, ma questo era prima che John morisse!» lo interruppe lei, con la voce grondante di rabbia. «Prima che Emma venisse rapita!»
«John è ancora vivo!» le fece notare lui, mentre Skyler continuava a farsi strada fra i folti alberi ricoperti di neve.
«Si, ma Emma è ancora chissà dove!» ribatté lei, mentre i suoi passi ostinati lasciavano una scia di impronte sul suo percorso. «Hai pensato a cosa quei pazzi potrebbero farle? Eh? Hai pensato a cosa potrebbe succederle?»
«È ovvio che ci ho pensato!» rispose lui, indignato. «Ogni secondo da quando l’ho vista sparire con quegli uomini. Ma, dannazione, Skyler, non è colpa mia. Non sono io che ho deciso che doveva essere rapita. Non sono io che l’ho buttata fra le braccia di quei tizi!»
«Si, ma avresti potuto evitarlo.»
Michael inarcò un sopracciglio, sconvolto. «Evitarlo? E come, secondo te?»
«Tu eri lì, Michael!» esclamò lei. «Avresti potuto aiutarla! Avresti potuto fare… qualcosa!»
«E cosa!» Michael sentì la rabbia corrodergli la bocca dello stomaco. «Che cosa avrei dovuto fare? Avrebbero ucciso anche me.»
Skyler non ribatté a quell’affermazione, ne rispose. Continuò semplicemente a camminare, mentre Michael la seguiva confuso, arrabbiato, triste e sconvolto. Mentre il suo silenzio gli penetrava nel petto, finalmente pensò di aver capito come realmente stavano le cose.
«È questo che avresti voluto?» domandò, con tono amaro. «Che avessero rapito me al posto di Emma? Che fossi morto io, al posto di John?» Solo quando ebbe pronunciato l’ultima frase si rese conto di quanto in realtà temesse la risposta.
«Oh, no!» esclamò Skyler, voltandosi di scatto e fronteggiandolo. Aveva gli occhi lucidi, e la voce le tremava a tal punto da far credere che stesse trattenendo le lacrime. Gli puntò un dito contro. «Non provare a giocarti questa carta, Michael. Non puoi!» Lo fulminò con lo sguardo, stringendo i denti per la rabbia. «Non puoi» sibilò.
Poi si voltò di nuovo e riprese a camminare spedita verso una meta indefinita.
Michael rimase un attimo lì, impietrito dallo shock, ma si riscosse non appena vide Skyler allontanarsi sempre di più da suo campo visivo. «Aspetta!» urlò, correndole dietro.
Ma Skyler non aspettò. Non aveva intenzione di farlo.
Era stato proprio come se lo aspettava. Guardarlo negli occhi non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Ce l’aveva a morte con lui, ma perché? Perché stava sfogando tutta la sua rabbia e il suo rancore sul figlio di Poseidone? Perché se pensava davvero tutte le cose che aveva detto gliele diceva solo ora? Forse perché non le pensava davvero? Con chi ce l’aveva, realmente? Con se stessa? Con l’uomo con la cicatrice? O con il mondo intero?
Perché l’ultima domanda del ragazzo l’aveva ferita tanto?
«Skyler.» La voce di Michael arrivò forte e chiara al suo orecchio. Ma era diversa. Il suo tono sembrava quasi un avvertimento, e c’era un’altra emozione che la percuoteva. Paura.
Skyler non si sarebbe fermata, se non avesse sentito il terreno sotto i suoi piedi emettere un suono sinistro, simile ad un crack.
La ragazza si immobilizzò, sgranando gli occhi. Spaventata, abbassò lentamente lo sguardo, e quello che vide la lasciò senza fiato.
Quello che aveva sotto i piedi non era terra innevata, ma puro e finissimo… ghiaccio. Stava camminando su un lago ghiacciato.
«Skyler» la chiamò cauto il ragazzo, rendendosi conto che la ragazza stava tremando impercettibilmente. Per fortuna, lui era rimasto sulla sponda del lago, essendosi accorto del pericolo poco prima di avventarvisi.
Skyler si voltò lentamente verso di lui, muovendosi con prudenza per evitare di far rompere la lastra di ghiaccio. Ma questa sembrava comunque incapace di reggere il suo peso ancora per molto.
La figlia di Efesto trattenne il fiato, spaventata.
«Skyler» ripeté con tono fermo Michael, cercando un contatto visivo. «Skyler, guardami» ordinò.
La ragazza obbedì, incatenando i suoi impauriti occhi scuri con quelli decisi color del ghiaccio di lui.
«Stai tranquilla» mormorò lui, tentando di infonderle coraggio. «Ci sono qua io, ok? Non ti lascerò andare.»
Skyler lanciò uno sguardo terrorizzato al lago ghiacciato sotto di lei.
«Ehi» le sussurrò Michael, tornando a far incrociare i loro occhi. «Non ti lascerò andare» le ripeté, quasi fosse una promessa. Fece un sospiro tremante. «Ti fidi di me?»
La ragazza annuì, senza esitare, e quel piccolo gesto gli infuse tutto il coraggio che il quel momento non aveva. Annuì, deciso. «Bene» disse, con tono fermo. «Non ti muovere.»
Non l’avrebbe fatto comunque, pensò poi fra se e se, dandosi mentalmente dello stupido.
Si guardò intorno, cercando di non tradire il suo smarrimento. La verità? Non ce l’aveva un piano. Non aveva idea di come tirarla via di lì. Aveva poco tempo, e la lastra di ghiaccio era così sottile che dubitava avrebbe resistito a lungo. Ma di una cosa era sicuro. Non avrebbe permesso al destino di portargli via anche lei.
Senza la benché minima spiegazione del perché lo stesse facendo, trovò l’unico appiglio di salvezza in un robusto ramo spezzato lungo poco più di due metri e lo afferrò. Era abbastanza pesante, quindi Michael pensò ce l’avrebbe fatta.
«Ok» mormorò, cercando di avere un tono fermo e rassicurante. Le allungò il ramo. «Afferra questo.»
Skyler inarcò un sopracciglio. «Come, scusa?»
«Non obbiettare» la rimproverò lui. «Fidati di me e basta.»
Skyler afferrò l’altra estremità del ramo, titubante.
«Sei pronta?» le chiese lui, mentre lei stringeva saldamente la presa. La ragazza annuì. «Va bene. Ora ti tiro via, ok? Al mio tre. Uno.» Michael spostò un piede all’indietro, per darsi il giusto slancio. «Due.» Strinse anche lui più saldamente, tanto da avere le nocche bianche. «Tre!»
Tirò con forza il ramo a se, con uno scatto deciso. Skyler venne strattonata in avanti, mentre le sue suole scivolavano velocemente sulla lastra di ghiaccio. A causa dell’impatto, quando raggiunse la sponda del fiume, perse l’equilibrio. Ma Michael la afferrò prontamente fra le braccia, e insieme caddero nella neve.
Quando il ragazzo aprì gli occhi, rimase paralizzato. Il corpo di Skyler, sopra il suo, emanava un calore impressionante, e lui cercava di convincersi che fosse quello il motivo per cui stava avvampando. Le sue braccia erano ancora strette attorno ai suoi fianchi, a mo’ di protezione.
Ma la verità era che non se ne rendeva neanche conto, impegnato com’era a cercare di ricordare come si respirasse. I loro volti erano a circa cinque centimetri di distanza. I loro nasi si sfioravano, e i loro respiri si condensavano mischiandosi nel poco spazio che li separava. I due ragazzi si guardarono negli occhi, e Michael sentì il suo cuore perdere un battito quando rimase ipnotizzato da quelle striature dorate.
Skyler, d’altro canto, non riusciva a distogliere lo sguardo. Gli occhi del figlio di Poseidone erano diafani, quasi bianchi, ed erano attraversati da alcune venature azzurre che sembravano danzare come le onde del mare.
Non seppe dire di preciso quanto tempo rimasero lì imbambolati, a guardarsi senza trovare il coraggio di proferire parola, fatto sta che dopo un po’ Skyler si rese conto della situazione e arrossì violentemente.
«Sarà meglio tornare indietro» balbettò, alzandosi in piedi e tornando sui suoi passi, seguendo le impronte che le loro scarpe avevano lasciato.
Michael rimase qualche altro secondo lì, steso a terra. Abbandonò il capo all’indietro e chiuse gli occhi. Non sapeva spiegarsi il perché, ma non riusciva ad affogare una certa delusione.
In realtà lo so benissimo il perché, pensò, con un sospiro. Perché? Perché doveva innamorarsi proprio della sua migliore amica? Perché non di una figlia di Afrodite? Ce n’erano così tante al campo, libere e disponibili. Perché proprio lei?
La vita è ingiusta, si disse, alzandosi da terra e correndole dietro. Si diverte a vedermi soffrire.
Ω Ω Ω

Il fuoco crepitava silenziosamente davanti ai suoi occhi.
Da quando erano tornati all’accampamento, Skyler e Michael non si erano rivolti più la parola. John ancora dormiva, e mentre la ragazza sedeva al suo fianco per assicurarsi che stesse bene, Michael aveva iniziato a scuoiare il coniglio che aveva catturato poco prima, per poi cuocerlo sul fuoco.
Avevano mangiato in silenzio, e non se l’erano sentita di svegliare John, per cui avevano conservato una piccola porzione anche per lui e l’avevano lasciato riposare.
Dopo di ché, Michael si era allontanato di qualche metro, sedendosi sotto un albero poco lontano, e Skyler si era accomodata sotto un tronco accanto al fuoco, le ginocchia strette al petto, lo sguardo perso del vuoto.
Aveva voglia di parlargli, ma per dirgli cosa? E come faceva ad essere sicura che lui non ce l’avesse con lei? In fondo, ci era andata giù pesante, poco prima.
Si avvolse le gambe con le braccia, rannicchiandosi ancora di più. Solo poco dopo si rese conto che Michael si stava avvicinando.
Il ragazzo si sedette accanto a lei, incrociando le gambe. Restarono in silenzio per un po’, ad osservare il crepitio delle fiamme, finché entrambi non trovarono il coraggio di parlare.
«Senti, devo parlarti» dissero all’unisono.
«È importante» ribatterono entrambi.
Si guardarono. «Ok, dimmelo tu.»
Michael abbassò lo sguardo, mentre Skyler si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Ecco, in realtà…»
Trattennero tutti e due il fiato, in attesa di ciò che l’altro stava per dire. Poi, rendendosi conto del silenzio, all’unisono sbottarono. «Mi dispiace.»
Si guardarono negli occhi, poi, dopo alcuni secondi, risero divertiti.
John si agitò nel sonno, poco lontano, così le loro risate di dissolsero lentamente nell’aria.
Skyler lanciò un’occhiata a Michael, che, con un cenno del capo, la invitò a parlare per prima.
«Mi dispiace» ripeté la ragazza, lasciando trapelare un certo rammarico.
Michael corrucciò le sopracciglia. «Per cosa?»
«Per prima. Io… io non pensavo davvero tutte quelle brutte cose. Ma ero arrabbiata, e frustrata, e spaventata. E credo… credo di essermela presa con la prima persona che mi sono ritrovata davanti. So che tutto questo non è facile neanche per te, ma ti giuro, non volevo aggredirti così. Io… non so neanche come mi siano venute in mente tutte quelle cattiverie.»
«Non devi scusarti» la interruppe Michael, scuotendo leggermente il capo. «La verità è che avevi ragione. Nessuno ha avuto il coraggio di dirmelo prima, e io ho cercato di negare l’evidenza. Ma è colpa mia. Sono io che ho deciso di partire per questa missione, ed è colpa mia se ora siamo in questo stato. Forse avevi ragione.» Abbassò lo sguardo sulle sue mani, che giocavano con un rametto spezzato. «Forse sarebbe stato meglio se fossi morto io al posto di John.»
«Questo non devi dirlo neanche per scherzo» esclamò Skyler, furente di rabbia. Michael la guardò nei seri occhi. «Non augurarti mai la tua morte al posto di quella di altre persone. Non pensare che sarebbe stato meglio così per tutti, perché non è così. Chiaro? Non. È. Così.» Si guardarono a lungo negli occhi, prima che Skyler sospirasse. «Non so cosa avrei fatto se avessi perso anche te. Quindi, per favore, non dirlo mai più.»
Poi lei distolse lo sguardo, lasciando lui a fissare i suoi capelli imbambolato. Un nuovo silenzio li avvolse, stavolta però carico di tensione. Osservando il fuoco, ad un certo punto Skyler rabbrividì.
«Hai freddo?» le chiese Michael, con tono apprensivo.
Lei annuì leggermente, stringendosi nelle spalle. «Un po’.»
«Tieni.» Il ragazzo si sfilò il giubbino, mentre un freddo pungente gli pizzicava la pelle sotto la felpa leggera. «Prendi questo.»
«Cosa? No» si oppose Skyler, afferrandogli un polso con una mano per fermarlo. «Morirai di freddo.»
«Nah» fece spallucce lui, fingendosi noncurante. «Io sto bene così. Forza, prendilo.» E glielo mise sulle spalle, senza aspettare obiezioni o cenni d’assenso.
Skyler aprì la bocca per ribattere, ma quanto lui le sorrise, ci ripensò. «Grazie» sussurrò, riconoscente.
Lui le squadrò un attimo il volto, con un’espressione quasi indecisa. Poi sospirò, e si fece coraggio. «Skyler?» chiamò, titubante. «Posso… posso chiederti una cosa?»
Skyler sembrò un po’ sorpresa da quella domanda, ma annuì. «Certo.»
«Ecco, il fatto è che…» Michael si grattò la nuca. Sembrava in imbarazzo, e la figlia di Efesto non riusciva a capirne il motivo. «Non mi hai mai…» balbettò lui. «Non mi hai mai detto perché piangevi. Quella sera, quando sei venuta nella cabina Tre in lacrime. Allora mi sembrava una cosa importante, ma non volevo farti domande, perché temevo che avrei solo peggiorato la situazione. Non so, forse… forse speravo che me l’avessi detto tu, un giorno, che cosa è successo. Quando saresti stata pronta.» Si voltò a guardarla, ma non trovò il suo sguardo. Skyler fissava un punto indefinito davanti a se, e sembrava stesse lottando per gestire le sue emozioni. In quel momento, Michael si sentì un verme per averle ricordato quella sera, ma sperava lei capisse che non l’aveva fatto con cattiveria. «Voglio solo aiutarti» le spiegò, con dolcezza.
Skyler fece un sospiro tremante. Abbassò incerta lo sguardo, e si sforzò di trattenere le lacrime. «Mio zio è in Afghanistan» sbottò, dopo un minuto di silenzio.
Michael non osò proferire parola, così lei lo prese come un invito a continuare. «Quella sera ero nella cabina Nove con Leo, e alla radio hanno mandato una notizia su una spedizione dei Marines. Parlava di molti morti, e feriti. Io… io non lo so cosa mi sia preso. Insomma, non è la prima volta che parte, e ormai dovrei esserci abituata. Ci sono abituata. È solo che…» Tirò su col naso, mentre la sua voce diventava incerta. «Da quando tutto il mio mondo è cambiato, io sono cambiata con lui. Prima non piangevo quasi mai. Ero più forte, e affrontavo le situazioni di petto. Ora, invece, non ci riesco. Sono diventata debole, non riesco più a gestire le mie emozioni.» Calde lacrime iniziarono a rigarle le guance, e Skyler temette che se non avesse pronunciato le ultime parole tutte d’un fiato le sarebbe mancata la forza. «Sono fragile, ed ho una paura enorme di poter perdere mio zio, o che possa succedergli qualcosa, o che possa succedere qualcosa a me, e che io non riesca a dirgli mai addio, o che non tornerò più indietro e lui…»
«Ehi, ehi, ehi» la interruppe Michael, mentre lei cominciava a piangere sommessamente. Senza pensarci, le prese il volto fra le mani, e la costrinse a guardarlo negli occhi. «Non devi preoccuparti, ok? Sono convinto che tuo zio sta benissimo, e a te non succederà un bel niente, chiaro? Non lo permetterò. È normale avere voglia di sfogarsi, qualche volta, ma questo non fa di te una persona debole. Sei la ragazza più forte e determinata che io conosca.» Le sorrise dolcemente, asciugandole una lacrima con il pollice. «E poi non sei fragile, sei bellissima.»
Inutile dire che si pentì immediatamente di ciò che aveva appena detto. Ma ormai era tardi per tirarsi indietro. E poi non ci riusciva. Era così ipnotizzato dal suo volto, dai suoi occhi. Solo in quel momento si rese conto di quanto in realtà fossero vicini. Il suo sguardo passava velocemente dai suoi occhi, al suo naso, alle sue guance, alla sua bocca, e il figlio di Poseidone la trovò perfetta nella sua fragilità.
Skyler lo guardò, riconoscente, e, sorridendo, premette la sa guancia contro il palmo del ragazzo. «Grazie, Michael» mormorò, e sembrò quasi non accorgersi di quanta voglia avesse in realtà lui di baciarla in quel preciso istante. «Sei il migliore amico che io abbia mai avuto.»
Michael sentì un tuffo al cuore, ma si sforzò comunque di abbozzare un sorriso incerto. Ecco che cos’era lui. Un amico, e nulla di più. Forse non sarebbe mai stato nulla di più. Forse Skyler non sarebbe mai riuscita a provare ciò che lui provava per lei. Ma, guardandola ora, decise che anche il semplice fatto di essere solo un amico poteva andargli bene, se fosse bastato a farla sorridere.
Avvicinandosi ancora di più, le baciò dolcemente una guancia, lasciando lì le sue labbra un po’ più del dovuto. Poi la guardò negli occhi, accarezzandole uno zigomo con il pollice.
«Vieni qui» sussurrò, baciandole la fronte e attirandosela al petto. Skyler non oppose resistenza, e si lasciò cullare dal suo abbraccio protettivo. Michael posò il mento sul suo capo, e, lentamente, si sdraiò sul tronco dell’albero sotto la quale erano seduti, trascinandola delicatamente con se.
Il quel momento, mentre le accarezzava i capelli, il ragazzo si rese conto di quanto Skyler avesse ragione. Era fragile, fra le sue braccia, a tal punto che aveva paura che se l’avesse stretta troppo l’avrebbe rotta come una bambola di porcellana. Una ragazza talmente forte, eppure fragile come l’intreccio dei fili di una ragnatela. Ma aveva bisogno di protezione, e lui era pronto a dargliela, qualunque sarebbe stato il prezzo.
La luna era abbastanza alta in cielo, e il figlio di Poseidone immaginò fosse davvero tardi. «Prova a riposare» le disse dolcemente, ascoltando il ritmo del suo cuore battere in sincrono col suo.
Skyler disegnò un cerchio sul suo petto, titubante. Poi sospirò. «Posso rivelarti un segreto?» gli chiese, di punto in bianco.
Michael annuì, ma poi ricordò che lei non poteva vederlo, così rispose: «Ma certo.»
Skyler esitò. «Ho paura di addormentarmi.»
Il ragazzo corrucciò le sopracciglia, perplesso. «E perché?»
«Perché… perché ho paura di sognare brutte cose. Non voglio fare brutti sogni.»
A Michael sfuggì un sorriso, intenerito, quasi stesse abbracciando una bambina. «Non devi preoccuparti» le assicurò, con tono sicuro. «Se arrivano, li distruggo io.»
Skyler inarcò un sopracciglio, scettica. «E come pensi di fare?»
«Non mi hai costruito una spada per niente, no?»
A quel punto, Skyler rise sommessamente, facendo compiacere il ragazzo. Solo in quel momento si rese conto di quanto in realtà avesse sonno. «Va bene» mormorò, sbadigliando. «Sono nelle tue mani, allora.»
Michael se la strinse un po’ di più al petto, lasciandole un bacio fra i capelli. «Ti proteggo io, principessa.» Ma, giurò, a quel punto Skyler non lo sentì, perché si era già addormentata.
Michael restò in silenzio, ascoltando il ritmo regolare dei suoi respiri.
Era strano, ma era come se in quel momento non avesse più paura di niente. Come se non esistesse più il Morbo di Atlantide, e la cura da trovare. Come se John non fosse morto, ed Emma non fosse stata rapita. Come se fosse semplicemente un ragazzo normale, che stringeva fra le braccia la ragazza che lo faceva impazzire, e che si inebriava le narici con il dolce profumo di lavanda che emanavano i suoi capelli.
Con delicatezza, quasi avesse paura di svegliarla, le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Poi, con così tanta dolcezza che sembrava neanche la sfiorasse, le accarezzò prima lo zigomo, poi le belle sopracciglia, il profilo sinuoso del naso, la curva graziosa del mento, e la linea perfetta delle labbra.
Quante notti aveva sognato di baciare quelle labbra? Forse troppe, e forse era proprio questo il problema. Forse tutto questo era sbagliato, forse doveva solo cercare di allontanare il suo cuore da lei. Forse doveva solo pensare ad altro, e forse doveva smetterla di desiderarla così tanto.
Forse, forse, forse. Si, ma poi? C’era mai riuscito qualcuno? Poteva mai riuscirci lui? Forse sì. O forse no.
Come faceva a smettere di pensare a lei quando era l’unico motivo per cui ancora non aveva sfidato la morte?
Forse avrebbe dovuto dimenticarla, e forse sarebbe stato meno male.
Forse avrebbe potuto essere solo il buon amico che lei desiderava. Si, forse ce l’avrebbe fatta. O forse no.
E poi, si addormentò anche lui.
Ω Ω Ω

Sembrerà strano, ma quella notte Skyler non fece davvero nessun brutto sogno.
Dormì beatamente, di un sonno profondo, e non si sarebbe svegliata se non avesse sentito dei rumori intorno a se.
Qualcuno stava buttando altra legna del fuoco, trascinandola nella neve.
Quasi in contemporanea con Michael, la ragazza aprì gli occhi. Si sforzò di mettere a fuoco ciò che la circondava, mentre, con uno sbadiglio, si scrollava il sonno di dosso. Michael si stropicciò gli occhi, ancora un po’ assonnato.
John era in piedi, e sembrava in gran forma. Graffi e ferite erano spariti, e non faticava più a muoversi. Aveva ancora la benda attorno al tronco, ma la ferita sembrava essersi rimarginata, e non sanguinava più.
«Buongiorno» borbottò lui, con un certo distacco.
«John!» esclamò Skyler. Si alzò da terra e gli buttò le braccia al collo. «Come stai?»
Il biondo lanciò un’occhiata indecifrabile a Michael, ma poi avvolse i fianchi della ragazza e la strinse a se. «Sto bene» le disse, abbozzando un sorriso.
Skyler lo guardò negli occhi, con apprensione. «Sei sicuro? Perché sai, ti ho visto morto solo qualche ora fa, e non vorrei che ti sforzassi troppo. Siediti, ci penso io a…»
«Skyler, sto bene» la interruppe lui, divertito. Le accarezzò i capelli. «Sono sveglio da più di due ore. Ho avuto abbastanza tempo per recuperare le forze e per pensare.»
Stranamente, Michael sentì un groppo in gola, ma si sforzò di avere un tono sarcastico. «Ben tornato nel mondo dei vivi» si congratulò.
«Pensare a cosa?» chiese invece Skyler, curiosa.
«A dove potesse essere Emma» rispose John, forse con un po’ troppa decisione nella voce. Se la sgranchì. «Non devono essere molto lontani, altrimenti non capisco come abbiano fatto a raggiungerci fino al laboratorio. Forse un posto qui vicino. O un nascondiglio.»
«Ma si sono teletrasportati» gli fece notare Skyler. «Come sappiamo che non si trovano a chilometri da qui?»
«Perché loro non avevano idea di dove stessimo andando» disse John, con sicurezza. «Altrimenti sarebbero arrivati al laboratorio prima di noi, non credi? No, io credo che prima siano arrivati ad Alert, e dopo ci abbiano raggiunto al laboratorio. E poi perché non si sono materializzati direttamente dentro, se erano sicuri che ci trovassimo già lì?»
«Io ho sentito qualcosa» esclamò Michael ad un certo punto, guadagnandosi l’attenzione di entrambi. «Mentre stavano per portare via Emma, li ho sentiti parlare.» Corrugò la fronte, sforzandosi di ricordare. «Dicevano qualcosa a proposito ... del mare… e di una cabina. L’uomo con la cicatrice ha chiamato uno dei due Capitano.»
Skyler e John corrucciarono le sopracciglia, provando a ragionare. Poi, nello stesso istante, si guardarono negli occhi ed esclamarono: «Il porto!»
«Alert ha un porto, giusto?» chiese la mora.
«Si, credo a pochi metri da qui.»
«Pensi che si trovino su una barca?»
«Lo spero. Se siamo fortunati, non è ancora salpata.»
«Fantastico!» esclamò Michael, alzandosi in piedi. «E allora cosa aspettiamo?»
«Ci serve prima un piano d’attacco» gli ricordò brusco John. «Non credo che ci lasceranno salire e portare via Emma come se niente fosse.»
Non preoccuparti, Emma, pensò Skyler, mentre i due ragazzi cominciavano a discutere su come agire.
Stiamo venendo a salvarti.

Angolo Scrittrice.
Ta-da-da-daaaann!!!
Ciao, ragazzi! Eccomi qui, come sempre. Vi sono mancata? ahah

Beh, primma di dire qualunque altra cosa, voglio confessarvi che questo capitolo è stato un parto. Volevo creare un'atmosfera triste, malinconica, romantica... un pò di sorpresa. Ma non credo di esserci riuscita. Spero di si, comunque. Ma passiamo alle cose importanti.
John è vivoo! Ahah, sorpresa! People, please, non avrei mai potuto ucciderlo. E' sempre il ragazzo della povera Skyler, non sono così cattiva. E poi non si meritava comunque una morte così brutale. Il nostro Apollo l'ha salvato... ancora. Che bravo paparino! ahahah xD
Come avrete ben notato, Michael è ancora tormentato da tutti i suoi "problemi tipici della friendzone". Mi dispiace
heartbeat_F_
, ma una scenetta dolciosa tra il figlio di Poseidone e la figlia di Efesto ci stava. E comunque non è successo niente di che, no? Ma pensa al lato positivo: John è vivo! Yeah!
Ehm, scusate, ma sono troppo contenta ^^
Comunque, voglio ringraziare tutti quei santi Angeli che hanno recensito lo scorso capitolo, facendomi uno dei regali più belli di sempre. 14 recensioni, ragazzi! Quando ho visto quel numero, ho quasi avuto un infarto. Un grazie infinito a:
giascali, Ciacinski, Fred Halliwell, victoriajackson, kiara00, saaaraneedsoreo, chakira, heartbeat_F_, bigpercyfourjackson, Luce_ombra00, Fyamma, FoxFace00, Ema_Joey e Kalyma P Jackson
. Grazie, grazie, grazie, grazie. L'ho già detto grazie?
Ma c'è un'altra cosa per cui non vi ringrazierò mai abbastanza. L'altro giorno stavo vedendo le storie più popolari di questo fandom, e quasi per caso ho cliccato su più recensioni positive di sempre. E sapete che cosa ho trovato? La mia. Al primo posto!
Dei, ma avete deciso di farmi morire? Davvero, non ci sono parole per desrivere quanto io vi sia grata, e quanto questo sognifichi per me. Se ho ottenuto questo risultato, è ssoprattutto grazie a voi, che mi supportate e che mi incitate con le vostre bellissime parole.

Grazie, davvero.
Una strafelice
ValeryJackson
P.s. La profezia si sta avverandoo... ;P ahah

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Dopo aver distrutto tutto ciò che restava del loro accampamento provvisorio e dopo aver raccolto un po’ di forza di volontà per poter affrontare un paio d’ore di viaggio a piedi, finalmente erano riusciti a ritornare in città.
Lì, avevano cercato qualcuno che potesse spiegargli come raggiungere il porto, trovando un uomo disposto addirittura a portarceli personalmente. In cambio di qualche soldo, ovvio.
Così, erano saliti sul pick-up, sistemandosi fra alcuni cappotti di pelle e alcune scatole piene di blocchi di ghiaccio, e avevano iniziato a contare i soldi che restavano, mentre l’uomo li conduceva alla loro destinazione. Non erano molti, ma furono abbastanza per far sì che quello fosse contento, e che se ne andasse via con un sorriso stampato in volto.
Per Michael, fu peggio di come se l’era immaginato. Quando gli amici avevano nominato il porto, non aveva osato obbiettare, perché sapeva che, in un modo o nell’altro, quello era l’unico modo per salvare Emma.
Ma trovarsi lì, di fronte a tutta quell’acqua. Aveva sperato che sarebbe riuscito a gestire le proprie emozioni. E invece, quando si ritrovò davanti tutte quelle barche, restò paralizzato. Non era neanche riuscito a seguire gli amici, che, senza pensarci, si erano avviati verso il luogo dove le scialuppe erano ormeggiate.
I ragazzi se ne accorsero, e arrestarono la loro corsa per voltarsi a guardarlo. Con cautela, si avvicinarono entrambi al ragazzo.
«Ehi» sussurrò Skyler, posandogli una mano sul braccio con fare rassicurante. «Va tutto bene?»
«I… io…» balbettò il figlio di Poseidone, incapace di articolare una frase di senso compiuto. «Io non ce la faccio.»
«Non devi preoccuparti» mormorò la figlia di Efesto, accennando un sorriso. «Ci siamo noi qui con te. Non ti succederà niente.»
Michael la guardò negli occhi, e lei inclinò il capo di lato, con dolcezza. Sorrise. «Siamo con te, ricordi?»
«Skyler ha ragione» disse a quel punto John, attirando l’attenzione del ragazzo. Gli mise una mano sulla spalla e strinse forte. «Non devi preoccuparti. Con noi in giro, non ti succederà niente.» Fece un sorriso sghembo. «E poi, io so nuotare abbastanza bene.»
Quell’affermazione strappò un sorriso al figlio di Poseidone. Non sapeva dire il perché, ma credeva che John ce l’avesse con lui. Fino a quel momento, non gli aveva rivolto neanche una parola. Ogni tanto lo osservava, magari fulminandolo o soppesandolo con lo sguardo, ma poi tornava a fare ciò che stava facendo come se niente fosse. Qualcosa gli suggeriva che fosse per via di quella notte, quando lui e Skyler avevano dormito abbracciati, senza pensare ad eventuali conseguenze. Forse per la figlia di Efesto non era significato niente, ma per lui sì. Per lui era significato eccome! Come avrebbe potuto essere altrimenti, dopo quello che provava per lei? Per un attimo, aveva immaginato come sarebbe stato restare così per sempre, con la sua guancia posata sul suo petto, con il suo corpo contro il suo, con il suo odore di lavanda che gli infondeva un senso di beatitudine che non aveva mai provato prima.
E, a ripensarci ora, si sentì in colpa per quel pensiero. Era convinto che John non gli avrebbe parlato più, eppure ora gli stava addirittura offrendo la sua protezione.
Chissà perché, ma questo gli infuse molto più coraggio delle dita affusolate di Skyler che sfioravano il suo braccio.
Distolse per un attimo lo sguardo, osservando il mare.
Per anni era stato il suo nemico più temuto. Quello alla quale non osava avvicinarsi, quello che gli faceva molta più paura dei fiumi e dei laghi.
Quel coso si era inghiottito sua madre. Senza ritegno, senza pietà. Se l’era portata via, e lui non aveva neanche avuto l’opportunità di dirle addio. Per anni era stato costretto a piangere su una tomba vuota, perché il suo corpo non era mai stato ritrovato. Per anni si era sentito solo e disperso, senza nessuno che gli ricordasse che cosa si provasse ad amare ed essere amati. E tutto per colpa di cosa? Di uno stupido ammasso d’acqua.
Ma adesso basta, quella storia doveva finire. Era arrivato il momento di affrontare le situazioni di petto. Era arrivato il momento di smettere di avere paura. Era arrivato il momento di salvare Emma.
Alzò di poco il mento, in tono di sfida, e annuì.
«Andiamo» disse, con una decisione che non pensava di possedere. Ora, aggiunse poi con il pensiero, temendo di poter cambiare idea.
Skyler e John sorrisero, raggianti, poi si avviarono verso le barche, con il ragazzo al seguito.
Seppur titubante, Michael li aiutò a cercare.
Una barca. Emma era su una barca. Si, ma quale? Di sicuro aveva un nome greco inciso sul fianco, e di sicuro l’avrebbero riconosciuta. Eppure, lì sembravano tutte uguali.
Skyler si avvicinò ad un pescatore, chiedendogli se avesse mai visto scialuppe con nomi strani.
L’uomo ci pensò un po’ su, ma poi annuì, e con quel suo strano accento affermò. «Si, ce n’era una. Era grande, e il Capitano era un tipo strano. Ma non ci ho mai parlato.»
«Ricorda il nome della barca?» domandò Skyler, speranzosa.
«Ehm, si… anche se non so esattamente come si pronuncia. Era un nome greco, mi pare. C’era scritto καρδιά του διαβόλου. Ma non ho idea di cosa significhi.»
Purtroppo, Skyler lo sapeva bene. Cuore del diavolo. Chissà perché, qualcosa le diceva che fosse la barca giusta. Ignorò il brivido che le corse lungo la schiena, e si sforzò di non mostrare il suo tentennamento. «Sa dirmi dov’è, adesso?»
«È appena salpata» rispose l’uomo indicandole con un cenno qualcosa nel mare. Skyler seguì la direzione del suo sguardo, e la vide. Grande, imponente, sembrava una normalissima nave da crociera. Ma dentro c’era la sua amica. E lei doveva tirarla fuori di lì.
Non era molto lontana, per cui immaginò fosse partita solo quella mattina.
«C’è un modo rapido per arrivarci?»
«Potresti affittare uno scafo» propose l’uomo, con noncuranza. «Ma ti verrebbe a costare parecchi soldi.»
Qualunque prezzo, pensò Skyler, mentre, dandosi un tono autoritario, cominciava a trattare con il pescatore.


Ω Ω Ω

Nell’aria c’era odore di putrido. Da qualche parte, nell’ombra, stava gocciolando dell’acqua.
Emma non mangiava ormai da troppe ore. Non aveva idea di dove si trovasse. Dopo essersi teletrasportata con quegli uomini, il suo corpo non aveva retto lo sforzo, ed era svenuta. Quando si era ripresa, poi, si era risvegliata già lì. In quel posto umido, pieno di gabbie, con delle forti vertigini e le mani ammanettate da una corda di metallo che spuntava fuori dalla parete.
Ormai le bruciavano i polsi, e vani erano stati i tentativi si liberarsi. Ci aveva provato per ore con qualche forcina, ma si erano rotte tutte, e il coltello e la carta erano nel suo zaino appeso al muro, fuori dalla gabbia.
Aveva un vuoto allo stomaco così profondo che le venne la nausea, ma tutto ciò che quei mostri si erano degnati di lasciarle era un piatto con qualche cracker che doveva trovarsi lì dalla Seconda Guerra Mondiale. I cracker si muovevano, ma la ragazza non riusciva a dire se per via dei vermi che li abitavano o delle sue allucinazioni.
Dopo un tempo passato lì che sembrava interminabile, iniziò anche il mal di mare.
Si trovava su una nave, questo l’aveva capito. Più volte aveva sentito il Generale chiamare l’uomo al quale aveva morso la mano Capitano. E poi sentiva delle dolci onde cullare tutto.
Le forze l’avevano abbandonata quasi del tutto, ma se c’era una cosa che non aveva mai perso negli anni, era la cocciutaggine.
Stanno arrivando, si disse, mentre cercava di aprire le manette con un’altra forcina. Non mi abbandonerebbero mai.
Si ruppe anche quella.
In quel momento, per la prima volta da ore la porta si aprì, ed Emma drizzò la schiena scossa da un moto di speranza.
Ma non appena nella stanza fece capolino una figura alta e possente, le sue spalle si abbassarono immediatamente.
Il Capitano fece il suo ingresso con il petto sporto in avanti, le mani dietro la schiena. I suoi tacchetti di cuoio producevano un rumore sordo sul pavimento di metallo, riecheggiando sulle pareti prive di vita.
Emma evitò di guardarlo, infastidita dalla sua presenza, ma avvertiva comunque i suoi occhietti piccoli perforarle la pelle. L’uomo ghignò.
«La suite è di vostro gradimento, signorina?» chiese, prendendosi gioco di lei.
Emma strinse le labbra in una linea sottile, esibendo un sorriso falso e pieno di astio. «Credo proprio che dovreste rinnovare il personale.»
Il Capitano rise sommessamente, divertito. Si avvicinò lentamente alla sua gabbia, mentre si massaggiava con il pollice l’altra mano. «Sai, devo farti i complimenti per la tua dentatura. Davvero esemplare» disse, guadagnandosi un’occhiataccia dalla bionda. «Hai avuto l’apparecchio, per caso?»
Emma lo ignorò, evitando il suo sguardo, e mentre l’uomo misurava la stanza a grandi passi, qualcosa attirò la sua attenzione.
Un tintinnio.
Di chiavi.
La ragazza spostò velocemente lo sguardo verso la fonte di quel suono, e all’improvviso le vide. Il Capitano aveva un mazzo di chiavi appese al fianco, circa una decina. Sicuramente c’erano anche quelle della sua gabbia, e molto probabilmente anche quelle delle manette.
Sforzandosi di non tradire alcuna emozione, Emma alzò gli occhi su di lui, esibendo un sorriso scaltro.
«E così» cominciò, fingendosi noncurante. «Tu sei il secondino, qui, giusto?»
L’uomo arrestò la sua camminata, visibilmente infastidito, e la ragazza capì di aver colpito nel segno.
«No» rispose lui, stizzito. «Io sono il capitano.»
«Il capitano.» Emma fece finta di soppesare quella parola. «Quindi questa nave è tua?»
Il Capitano sorrise, compiaciuto, e allargò le braccia gonfiando il petto. «Proprio così. Ogni singolo centimetro.»
«Quindi non dovresti trovarti… che so, sul ponte, a comandare?»
Lui fece un sospiro teatrale, giocherellando con un anello che portava al dito. «Nah. Ho deciso di prendermi una piccola pausa. E poi, non potevo lasciare la mia ospite tutta sola, ti pare?»
«Mh.» Emma annuì, poco convinta. «E il Generale sa che sei qui?»
L’uomo sembrò irrigidirsi al sentire quel nome, ma non si scompose. «Il Generale non è tenuto a conoscere tutti i miei spostamenti.»
«Davvero?» La ragazza parve sorpresa. «Perché da come ti parla, non si direbbe.»
Il Capitano inarcò un sopracciglio, non capendo. «Che vorresti dire?»
Emma fece spallucce. «Beh, è ovvio che è lui che comanda, qui. E che voi seguite tutti i suoi ordini.»
L’uomo digrignò i denti. «Io non seguo gli ordini di nessuno.»
Emma rise, di una risata sguaiata e derisoria. «Oh, andiamo. Si vede lontano un miglio. Ma la cosa non mi sorprende più di tanto. Lui è imponente, e si fa rispettare. Tu, invece, sei solo un debole alla mercé dei più forti. Uno schiavo, insomma. Non sarai mai al suo livello.»
Dalla sua espressione, il Capitano dimostrava una certa rabbia infiammargli la faccia. I suoi occhi erano furenti, e le vene sulle tempie pulsavano, quasi fossero loro stesse adirate. L’uomo si portò una mano al fianco, afferrando le chiavi, e con due grandi falcate raggiunse la porta della gabbia.
«Ora ti faccio vedere io, ragazzina» minacciò, mentre nel mazzo cercava la chiave giusta.
Emma soffocò un gridolino soddisfatto, e osservò ansiosa l’uomo scegliere una chiave ed infilarla nella serratura. Ce l’aveva fatta. Stava per uscire.
Il Capitano stava per girare la chiave, quando una voce glielo impedì.
«Non lo faccia.»
L’uomo si bloccò all’istante, impallidendo.
Emma spostò lo sguardo sulla porta, e rabbrividì anche lei.
Il Generale fissava il Capitano con un viso impassibile, ma dove era palpabile il disappunto. Indossava ancora il suo completo nero, la cicatrice sul volto gli donava un aspetto agghiacciante.
Il Capitano fece due passi indietro, allontanandosi dalla gabbia e mettendosi sull’attenti. A quel punto, il Generale guardò Emma, e un ghigno divertito gli comparve sul volto.
«Astuta» si complimentò, con un cenno del capo. Si avvicinò alla gabbia, senza levarle gli occhi di dosso. «Sfruttare le debolezze degli altri è sempre stato il modo migliore per ottenere qualcosa. Ma con il nostro Capitano era abbastanza facile, vista la poca personalità.»
Il Capitano divenne rosso in viso, adirato, ma non osò contraddirlo. Sembrava spaventato, e questo non fece che mettere in soggezione Emma ancora di più. «Figlia di Ermes, immagino.»
Emma non rispose, ma si sforzò di sostenere il suo sguardo. Dopo averla scrutata per un po’, l’uomo allungò una mano verso il Capitano, senza far vacillare il suo sorriso da vampiro.
«Mi dia le chiavi» ordinò, e non ottenne obbiezioni. Il Capitano gliele passò, con titubanza, e quello aprì la serratura della gabbia. Gliele restituì, lanciandogliele, e si avvicinò lentamente alla ragazza.
Emma sentì un nodo stringerle la bocca dello stomaco, ma continuò a sfidarlo con lo sguardo.
Il Generale si chinò leggermente e strattonò le sue catene, così forte da costringerla ad alzarsi, con un mugugno di disappunto.
Quando furono faccia a faccia, Emma si rese finalmente conto dei dieci centimetri che li differenziavano in altezza, e si sentì vulnerabile, davanti a quell’imponenza. L’uomo sembrò accorgersene, perché ghignò.
Fece un passo verso di lei, tant’è che ora la bionda sentiva il suo fiato fetido carezzarle il viso. Il Generale la squadrò da capo a piedi, con occhio attento.
«Sei affamata» disse. Non era una domanda. La cosa sembrava divertirlo. «Capitano, avete portato qualcosa da mangiare alla nostra ospite?»
«Nell’angolo, signore.»
L’uomo si voltò verso il punto indicato dal suo secondino, e vedendo i cracker ammuffiti e andati a male rise di gusto. Tornò a guardare Emma.
«Mi dispiace, ma non siamo abituati ai forestieri.» Le sfiorò uno zigomo con un dito affusolato, provocandole un brivido di disgusto. «È un peccato, con una bella fanciulla come te.»
Emma giurò di dover vomitare. Quell’uomo la disgustava, e solo le catene in quel momento le impedivano di lasciargli una ginocchiata nelle parti basse.
Il Generale le afferrò il viso con una mano, proprio sotto il mento, e lentamente la portò alla sua altezza. Emma non sentiva più il pavimento sotto i piedi, e si sforzava di fare grandi respiri a denti stretti, faticando ad ingerire aria a sufficienza.
Ma non distolse lo sguardo. Continuò a fissarlo, con aria di sfida, cercando di fargli capire che non era così facile impaurirla. Il sorriso da vampiro ricomparve sul volto del Generale, che, ad un palmo dal suo naso, soffocò una risata beffarda.
«Sai, è stato un bene che alla fine abbiamo preso te e non il tuo amico» disse, con voce roca. «Almeno così potremmo divertirci un po’.»
Le passò un lurido dito sulle labbra, ed Emma sentì un groppo salirle in gola, ma la sua espressione non vacillò.
«E poi» continuò il Generale. «Non mi sembrano poi questi grandi amici. Tutta la notte, e non sono neanche venuti a salvarti. Non ti sembra strano?» La fissò, con un sopracciglio inarcato, e vide il suo sguardo argentato fissarlo con odio. Rise. «Oh, dei. Tu ancora ci speri. Beh, in effetti, anch’io ne sarei contento» ammise, con un’alzata di spalle. «Sarà molto divertente vederli soffrire uno ad uno, mentre implorano di morire. Lei non crede, Capitano?»
«Affermativo» rispose quello, con un sorriso arcigno.
«Non provare a toccarli» sibilò Emma a quel punto, a denti stretti.
Il Generale la guardò, con un sopracciglio inarcato. «E chi me lo impedirà? Tu?» Rise di nuovo, quasi fosse divertito. Poi, con la mano libera, estrasse un piccolo coltellino argentato da un fodero sul fianco, e schiacciò la lama contro la gota di Emma.
La figlia di Ermes sussultò.
«Sai, non mentivo, prima» disse lui, facendole scivolare la lama fino al mento, e poi risalire fino allo zigomo. «Sei davvero una bella ragazza. E sarebbe proprio un peccato, se accadesse qualcosa a questo bel visino.» E così dicendo, affondò leggermente la lama nella sua guancia, facendo sgorgare un po’ di sangue. Era solo un taglio superficiale, e non le fece molto male, ma sembrava essere semplicemente un avvertimento.
Il respiro di Emma si fece affannato, mentre il suo corpo grondava di rabbia. Fece uno scatto, nel tentativo di liberarsi, ma il Generale la teneva ancora ben salda a qualche centimetro da terra.
L’uomo ghignò, divertito. «Tornerò più tardi, dolcezza» sussurrò, con voce disgustosa. «Fa la brava, eh?»
Detto questo, lasciò la presa sulla sua gola, ed Emma cadde a terra con un tonfo. Le catene tintinnarono quando il Generale le calciò con un piede.
Con fare autoritario, uscì dalla gabbia, facendo cenno al Capitano di richiuderla. Questo obbedì, per poi seguire l’uomo fuori dalla stanza, lasciando Emma sola.
La ragazza si rannicchiò in un angolo; unico compagno, il gocciolare dell’acqua. Aveva ancora il fiato grosso. In quel momento, le emozioni la sopraffecero. Rabbia. Rancore. Odio. Tristezza. Vuoto.
Furono così forti, che non si rese neanche conto della lacrima solitaria che le stava rigando la guancia finché non sentì un sapore salato in bocca. Emma tirò su col naso. Se l’asciugò con furia con il dorso della mano, e questa si mescolò con il sangue della ferita.
Vedendo la sua mano macchiata di rosso, giurò che fosse sul punto di crollare. Si strinse le ginocchia al petto, premendosi un palmo contro la fronte, mentre si imponeva di arrestare immediatamente le lacrime che invece continuavano a bagnarle le guance.
L’avrebbero salvata. L’avrebbero tirata via da quello schifo, lei lo sapeva. Si fidava di loro. Si fidava come mai di nessun altro. Non doveva fare altro che aspettare. Aspettare, ed essere paziente.
Tanto stavano arrivando.
Ne era sicura.
Lo sapeva.
Ci sperava.
E pregava che fossero arrivati prima di quella sera, prima che il Generale fosse tornato.
Ma dove siete, ragazzi?
Ω Ω Ω

Dopo una serie di discussioni, i ragazzi erano riusciti ad ottenere lo scafo ad un prezzo ragionevole, sfruttando così anche gli ultimi soldi che gli restavano.
Farlo partire era stata di sicuro la parte più difficile, ma quando finalmente ci furono riusciti, salparono alla velocità massima raggiunta da quel coso alla volta della barca.
Michael sembrava più nervoso nel previsto, mentre stringeva i bordi dello scafo con così tanta forza da farsi venire le nocche bianche, eppure non si lamentava. Fu proprio grazie al suo tentare di distrarsi che i ragazzi trovarono una corda a bordo.
Quando finalmente raggiunsero la nave, si scambiarono un’occhiata. Il problema arrivava ora: come avrebbero fatto a salire?
John sembrò pensarci prima di tutti. Legò la corda trovata da Michael ad una freccia e la incoccò, scagliandola verso il cielo. Questa si conficcò nel pavimento della scialuppa, e la corda si tese.
«Non credo che reggerà a lungo» disse, tastando la resistenza di quell’appiglio improvvisato. «Dovrà arrampicarsi prima uno, e poi tirare su gli altri.»
«Vado io» si offrì Skyler, guadagnandosi un secco ‘no’ da entrambi i ragazzi. La figlia di Efesto sembrò offesa. «Sono la più leggera, qui, e non credo proprio che la corda sopporterebbe il vostro peso. E poi, scusate, ma solo perché sono l’unica ragazza non significa che non sia più brava di voi ad arrampicarmi.»
I ragazzi si scambiarono un’occhiata, ancora titubanti. «È pericoloso» le ricordò John, preoccupato.
Skyler sbuffò, voltandosi ad osservare la sua meta. «Ho visto di peggio.»
Non sembrava decisa ad accettare obbiezioni, per cui il figlio di Apollo la aiutò a legarsi la corda attorno alla vita e a tastarne la residenza.
«Sii prudente» la ammonì in un sussurro, al che lei gli fece l’occhiolino per tranquillizzarlo.
Non appena scalò il primo metro, Skyler si pentì di essersi offerta volontaria. Era molto più difficile di quanto sembrasse, e le sue mani sudate scivolavano sopra la fune. Trovare un appiglio per i piedi, poi, era a dir poco impossibile. Fu costretta a reggersi con tutte le sue forse, quando sdrucciolò e i suoi piedi rimasero sospesi in aria.
«Skyler!» la chiamò John, preoccupato, mentre i ragazzi la fissavano con i nervi tesi.
«Sto bene» li tranquillizzò lei, a denti stretti. «Sto bene.» Ma, mentre si issava con fatica a bordo della nave, una goccia di sudore le rotolò sulla tempia, e asciugandosela con il dorso della mano si accorse di avere il fiato corto e la fronte imperlata.
Slegò la corda dalla freccia, e si fece forza mentre i ragazzi cominciavano a scalare. Per primo salì John, poi Michael. Quando anche l’ultimo fra loro fu salito a bordo, buttarono la corda in mare, per evitare che qualcuno la trovasse.
Dopo di che, si guardarono intorno. «E adesso?» chiese Skyler, abbassando il tono di voce per paura di essere sentita.
«Ci conviene trovare Emma prima che ci rinchiudano in una gabbia» commentò Michael, privo di sarcasmo.
«Ma smettila» gli disse Skyler, incamminandosi sul pontile. Sembrava deserto, dov’era la ciurma?
Mentre continuavano a camminare, nella speranza di trovare qualche indizio, Michael ad un tratto si bloccò.
«Aspettate» disse, guadagnandosi l’attenzione di entrambi. Si voltò verso il mare e aggrottò le sopracciglia, confuso.
Skyler gli si avvicinò, con cautela. «Michael, che succede?»
«Questo posto» mormorò lui, come sovrappensiero. «Io so dove siamo.»
«Certo, è normale» lo rassicurò John, con una scrollata di spalle. «È una caratteristica di tutti i figli di Poseidone. L’orientamento in mare.»
«No.» Michael scrollò leggermente la testa. Poi indicò con un dito dei punti invisibili agli occhi degli amici, ma che lui percepiva benissimo. «Sette gradi Nord. Ventiquattro gradi Ovest. Diciotto gradi Est. Trentasei gradi Sud.»
Sette, ventiquattro, diciotto, trentasei.
Skyler e John si scambiarono uno sguardo allarmato.
«La profezia» sussurrò lei, senza fiato. «Quei numeri erano delle coordinate.»
«Ma questo che cosa significa?» chiese Michael, ancora confuso.
«Che siete nel posto giusto» rispose una voce gelida alle loro spalle.

 
Ω Ω Ω

«Ve l’avevo detto, io, che c’erano delle gabbie» commentò Michael, con disappunto.
Lottare era stato praticamente inutile, quando circa venti uomini dell’equipaggio si erano avventati su di loro. Per lo meno, però, avevano trovato Emma. Anche se non sembrava molto felice di vederli lì dentro.
«La prossima volta che mi rapiscono, per favore, ricordatemi di non farmi salvare da voi» disse infatti la bionda, con sarcasmo.
«Fa silenzio, Emma» la ammonì John, con uno sbuffo. Lui e la ragazza erano rinchiusi in due gabbie comunicanti, accanto al muro. Il biondo stava cercando di toglierle le manette con l’ennesima forcina, ma non sembrava ottenere grandi risultati.
«Un po’ più a sinistra» lo corresse Emma, che seguiva tutti i suoi movimenti con lo sguardo. «E forza un po’! Cos’hai, le mani di ricotta, per caso?»
John sembrò offeso. «Beh, scusami tanto se ero morto solo qualche ora fa!»
A quella risposta Emma non ribatté, ma fece roteare comunque gli occhi e continuò a seguire i suoi movimenti con attenzione.
Michael e Skyler, invece, erano stati rinchiusi in due gabbie appoggiate al muro accanto. Anche le loro erano comunicanti, ma di comunicazione, fra loro, ce n’era ben poca. Erano seduti schiena contro schiena, e sembravano incapaci di rivolgersi la parola. Skyler continuava a tenere lo sguardo basso, rigirandosi qualcosa fra le mani, mentre lui si sforzava di non vomitare.
Michael si guardò intorno, disgustato. Che bella fine, per gli ‘eroi’ del Campo. Quanto tempo sarebbe passato, prima che li avessero uccisi? Sicuramente uno, due se erano fortunati. Giorni, ovviamente.
Quella missione, per il figlio di Poseidone, si stava rivelando un fallimento dopo l’altro. Prima il suo migliore amico veniva ucciso, e la ragazza che gli piaceva finiva per odiarlo. Suo fratello peggiorava di giorno in giorno, e sua sorella aspettava il suo ritorno invano, da sola. Poi, Emma veniva rapita, ed era stato convinto che sarebbero riusciti a salvarla, finché non erano stati rinchiusi lì dentro anche loro. John aveva anche provato a chiederle cosa avesse fatto alla guancia, vedendola incrostata di sangue, ma la bionda aveva preferito non rispondere, e questo non aveva fatto altro che corrodere di rabbia lo stomaco del figlio di Poseidone ancora di più.
Dopo un tempo che parve inesorabile, John riuscì finalmente a liberare Emma, e la ragazza tirò un teatrale sospiro di sollievo, sfregandosi i polsi.
«Fantastico!» esclamò, soddisfatta. «Ora dobbiamo solo trovare un modo per uscire di qui.»
«Non credo ne esista uno» ribatté Skyler, ma così a bassa voce che solo Michael riuscì a sentirla.
Il ragazzo si voltò quel tanto che bastava per poterle squadrare il volto, e per poter finalmente notare che cos’è che si rigirava fra le mani con tanta malinconia. Era la collana che le aveva regalato lo zio, di questo ne era certo, ma in quel momento sembrava solo un semplice ostacolo che la separava ancora di più da lui.
«C’è sempre un modo» le sussurrò lui, con fare rassicurante.
Lei abbozzò un sorriso amaro. «Ne sei proprio sicuro?»
Michael recepì il messaggio. Non c’era speranza, in quegli occhi screziati d’oro. Ma non c’era neanche paura. C’era solo… tristezza. E quella che sembrava tanto rassegnazione.
Sapeva benissimo a cosa stava pensando, ma non gli andava bene. Era stato lui a prometterle che avrebbe riabbracciato di nuovo lo zio, lui che aveva cercato di infonderle coraggio. E ora, non sopportava l’idea che lei lo abbandonasse così.
«Ehi» la chiamò, con tono dolce ma deciso. «Ti ho promesso che rivedrai ancora tu zio e lo farai, chiaro?» le disse, ma lei sembrò esitare. «Ti tirerò fuori di qui» giurò.
Finalmente, Skyler alzò gli occhi, incastrandoli in quelli ora azzurri di lui. «Davvero?» chiese, titubante.
Michael le regalò un sorriso sghembo. «Ho la buona abitudine di mantenere sempre le promesse che faccio» assicurò.
Skyler sorrise. Riportò lo sguardo sulla sua collana, e stavolta la strinse forte nel pugno. «E dimmi, hai qualche idea?»
Michael ci pensò un po’ su, prima di rispondere. Le possibilità a loro favore non erano tante, e tutte comunque molto rischiose. Le loro armi non avrebbero scalfito minimamente le barre della gabbia, e neanche le frecce di John sarebbero servite a qualcosa. Avrebbero potuto usare le chiavi magiche di Ermes, ma erano nello zaino di Emma, dall’altra parte della parete.
Era praticamente impossibile arrivarci. A meno che…
«Si» rispose, voltandosi a guardarla. «In effetti un’idea ce l’ho.»


Ω Ω Ω

Nella stanza, era tutto tranquillo.
L’unico rumore che faceva compagnia ai ragazzi era quel fastidioso gocciolare di qualche tubo rotto. Perfino Emma, nella disperazione più totale, aveva cominciato a giocherellare con le sue vecchie catene, facendole tintinnare.
Sembrava tutto orribilmente calmo e silenzioso, quando, ad un certo punto, la nave si inclinò, facendo scivolare i ragazzi sul lato destro delle loro gabbie.
«Ma che cavolo…» cominciò Emma, ma fu interrotta dall’esclamazione di Skyler.
«Michael, un po’ più a destra!»
Il figlio di Poseidone obbedì. La sua idea, ovviamente, era semplice, ma quantomeno efficace. Per attuarla, però, aveva bisogno di tutta la sua concentrazione.
Non aveva mai controllato qualcosa di grande come il mare. C’era bisogno di uno sforzo immane, che, ad essere sinceri, non aveva immaginato. Ma se volevano avere una minima possibilità di uscire vivi di lì, quella era avere quelle dannate chiavi. E se loro non avessero potuto raggiungere le chiavi, allora, beh, le chiavi sarebbero arrivate da loro.
La nave si inclinò un’altra volta, facendo sbandare tutti a sinistra.
«Dannazione!» imprecò Emma, massaggiandosi un braccio dolorante. Il suo zaino oscillava ancora appeso al muro, ma sembrava non volerne sapere di scendere.
«Michael, un po’ di più!» lo incitò Skyler, mentre allungava il braccio oltre le sbarre pronta ad afferrarlo.
Il ragazzo chiuse gli occhi e si concentrò.
«Ma che sta succedendo?» chiese Emma, confusa.
I ragazzi vennero proiettati in avanti, e sbatterono contro le sbarre di metallo.
John fece una smorfia. «Michael sta cercando di ucciderci.»
Finalmente, lo zaino si staccò dalla parete, ed iniziò a scivolare verso di loro. Era ancora troppo lontano, però.
«Più a destra! Più a destra!»
I ragazzi vennero strattonati un’altra volta, e ringraziando gli dei Skyler riuscì ad afferrarlo con un sorriso soddisfatto.
Mentre Michael si accasciava a terra con la fronte imperlata di sudore, la figlia di Efesto vi frugò dentro con furia e appoggiò la carta alla serratura della sua gabbia. Questa si modellò un secondo fra le sue mani, poi prese la forma di una chiave, e la serratura scattò. Con orgoglio e un’adrenalina pazzesca che le pompava nelle vene, Skyler liberò anche gli altri.
«Andiamocene!» li incitò John, l’ultimo ad uscire dalla propria gabbia.
Gli altri annuirono e corsero fuori. Si trovavano in uno strano corridoio, stretto e lercio. Nelle altre stanza, variavano le cose più strane e inquietanti. Da cassette piene di quelle che sembravano armi di tortura ad una gabbia con un mostro simile ad una piovra gigante, che sembrava non mangiare da giorni. Skyler non seppe dire quale delle due le facesse più paura.
Mentre continuavano a correre, l’assordante allarme della nave suonò. Il suo ronzio snervante era così acuto da otturargli le orecchie, per questo si accorsero degli uomini che li raggiungevano solo quando se li ritrovarono di fronte.
«Di qua!» gridò John, cercando di sovrastare quel rumore. Svoltò a destra e gli altri lo seguirono. Skyler non aveva idea di come facesse a sapere dove andare, ma decise di non fare domande quando sbucarono sul ponte. Molto probabilmente aveva studiato il percorso quando li avevano trascinati lì, si disse, ma faceva fatica a pensare con il cuore che le chiudeva la gola.
Quasi immediatamente, degli uomini cercarono di bloccargli la strada, ma Emma ne abbatté velocemente uno con il suo coltello, mentre l’altro veniva colpito da una freccia di John. Il biondo, però, si affrettò a raccogliere il suo dardo.
«Prendiamo una scialuppa!» esclamò Emma, e gli altri acconsentirono senza neanche il bisogno di parlare. Si precipitarono verso una di quelle, abbattendo tutti coloro che tentavano di fermarli.
Non appena l’ebbero raggiunta, Emma si affrettò a tagliarne i fili, lasciandone uno libero mentre gli altri vi saltavano sopra.
Erano tutti lì, tranne Skyler. Lei aveva un’altra cosa da fare prima di andare. Si rigirò il regalo di Ermes fra le mani.
Affonderebbe il Titanic in pochi minuti, eh?, pensò fra se e se. Vediamo davvero che cosa è il grado di fare.
Lo attivò, e questo cominciò un rapido conto alla rovescia. Lo lanciò contro il timone e scappò via.
Michael la vide arrivare, e si preparò a rompere l’ultima fune della scialuppa. Skyler salì sulla ringhiera, pronta a lanciarsi, quando qualcuno la strattonò da dietro, riportandola sul ponte. Ma Michael aveva già tagliato la corda.
«Skyler!» esclamò John, mentre la scialuppa scompariva dalla sua vista e cadeva in mare.
Skyler cadde supina a terra con un tonfo, e le si smorzò il fiato in gola. Per un attimo la sua vista fu appannata, ma poi mise a fuoco, e tutto fu più chiaro.
Il Capitano aveva alzato minaccioso la sua spada su di lei, ed era pronto a conficcargliela nel petto.
Skyler fece appena in tempo a spostarsi, che la lama affondò con una forza brutale nel pavimento di legno, incastrandovisi. La ragazza approfittò di quel momento, e gli lasciò un calcio sulla mano, facendogli perdere la presa sull’elsa. Lui provò a colpirle la mascella con un pugno, ma lei glielo bloccò a mezzaria e colpì con il gomito il braccio teso dell’uomo. Questo si piegò dal dolore, e lei gli sbatté il suo zaino sull’orecchio, disorientandolo.
Skyler scappò via. Riuscì appena a sentire un «Non lasciatela scappare!» urlato a squarciagola che saltò giù dalla ringhiera. E la nave esplose.
Un fuoco enorme divampò nell’aria, alimentando il panico generale. Skyler cadde in acqua con un tonfo, e si affrettò a nuotare il più velocemente possibile per allontanarsi da quel posto.
Dopo un po’, quando ormai i suoi muscoli minacciavano di cedere alla forza del mare, sentì una voce chiamarla.
«Skyler!»
La ragazza si voltò, e vide la scialuppa dei suoi amici avvicinarsi attraverso le ciglia bagnate. Vi andò incontro, stanca morta, e non appena fu abbastanza vicina, John le tese una mano.
«Ce la faccio» rispose lei, con il fiatone. Si aggrappò al bordo della barca, e fece per issarsi su, quando qualcosa le avvolse i fianchi e la trascinò sott’acqua.
«Skyler!» urlò Michael, mentre si tuffava per salvarla.
All’inizio, non la vide distintamente, ma poi i capelli rossi di Skyler entrarono nel suo campo visivo. Si dimenava e si dibatteva, mentre qualcosa continuava a trascinarla verso il fondo.
Era il mostro a forma di piovra che avevano visto sulla nave, e sembrava intenzionato a non lasciarla. Michael nuotò il più velocemente possibile, incurante della pressione che gli schiacciava il cervello man mano che scendeva. Se avesse avuto i poteri di tutti gli altri figli di Poseidone, sarebbe stato più facile. Ma lui non poteva respirare sott’acqua, per cui doveva cercare di trattenere il fiato il più a lungo possibile.
Avvicinandosi ancora di più, vide il mostro-piovra trascinare Skyler in quelli che sembravano i relitti di una vecchia nave da crociera. Michael li seguì, con l’adrenalina che gli pompava nel cervello, e si avvicinò a loro appena in tempo per vedere il mostro lanciare Skyler in una stanza ormai colma d’acqua e chiudere la porta metallica con un tonfo. La ragazza batté con forza i pugni, cercando di uscire, ma lui la ignorò.
Molto probabilmente si starà preparando per un pranzetto, pensò, infuriato. Non avrebbe mai permesso che quel mostro le facesse del male, neanche se era molto più grande di ciò che ricordava. Sguainò la sua spada, e, nonostante fossero sott’acqua, il mostro marino sembrò avvertirla, perché si voltò verso di lui e ruggì.
Michael avrebbe di sicuro deglutito, se avesse avuto ancora la salivazione.
Senza che trovasse il tempo di ragionare, il mostro si scagliò contro di lui, e il figlio di Poseidone fece appena in tempo a scansarsi, che un suo tentacolo fendette il mare con un sibilo.
Michael alzò la spada con entrambe le mani, che sembrava più pesante a causa dell’acqua, e, stringendo i denti, lo tagliò di netto. Il mostro urlò di dolore e indietreggiò, mentre un liquido nero si disperdeva nel mare.
Il ragazzo approfittò di quel momento di distrazione per correre verso la stanza di Skyler. La ragazza aveva smesso di battere i pugni sulla porta, e, per un attimo, il ragazzo temette il peggio. Provò ad aprirla, ma non ci riuscì. Gli serviva un maggiore urto. Nuotò fino all’altro muro dello stretto corridoio, e vi piantò i piedi contro. Si diede una forte spinta, e cozzò con la spalla contro la porta di metallo. E così una, due, tre volte. Dopo un po’, il vecchio cardine arrugginito cedette, e la porta di aprì.
Skyler era ancora viva, per fortuna, ma non sembrava averne per molto. Gli occhi le fuoriuscivano dalle orbite, e Michael giurò non avesse molta aria nei polmoni.
Mentre i due ragazzi nuotavano il più velocemente possibile fuori dalla nave, il mostro ruggì. Michael si voltò a fronteggiarlo. Allargò le braccia, chiuse gli occhi, e fece ciò che mai si sarebbe immaginato di fare. Chiese aiuto all’acqua. Con sua grande sorpresa, questa gli rispose. Sembrava davvero pronta a fare qualunque cosa, pur di aiutarlo. Qualunque cosa lui le avesse ordinato. Immaginò quel mostro schiacciato dalla sua pressione. Era quella la fine che si meritava. Quando non lo sentì più uggiolare, capì di averlo in pugno. Era come se avvertisse la sua pelle viscida sotto i polpastrelli, il suo cranio comprimersi fino a scoppiare.
E poi, la piovra esplose in una nube nera. Una forte scossa fece tremare il relitto della nave, che cominciò a sgretolarsi pezzo dopo pezzo.
I ragazzi nuotarono fuori, con il cuore in gola, ma sarebbero dovuti uscire al più presto, se non volevano rimanere sepolti lì.
Quando vide il ponte in lontananza, Michael sentì il soffitto crollare alle sue spalle. Terrorizzato, tese una mano verso Skyler, e una forte pressione dell’acqua spinse la ragazza fuori di lì.
Michael si affrettò a nuotare fuori, e fece appena in tempo a raggiungere il ponte, che la nave crollò.
Skyler si voltò a guardarlo, mentre il panico di non trovarlo le formava un macigno sulla bocca dello stomaco. Ma poi lo vide. Eccolo, era lì, sano e salvo. Ma allora perché non la raggiungeva?
Nuotando verso di lui, solo quando gli fu abbastanza vicino Skyler capì. La sua gamba era rimasta incastrata sotto le macerie della nave, e anche lui sembrava un po’ a corto di fiato.
Sgranando gli occhi, Skyler si precipitò verso di lui. Cercò di spostare le macerie, di allontanarle, di aiutarlo. Ma sembrava tutto inutile, e lei non aveva neanche le forze per farlo.
Dopo alcuni secondi interminabili, Michael sentì bruciare i polmoni. Guardò Skyler, terrorizzato, che disperata si sforzava in tutti i modi di aiutarlo, e capì che anche lei doveva essere al limite delle sue possibilità.
Quelle macerie erano troppo pesanti per essere spostate, e forse alla fine sarebbe anche riuscito a salvarsi, ma lei no. Lei non ce l’avrebbe fatta. Non era abituata a trattenere il fiato così a lungo, di sicuro non quanto poteva esserlo lui.
Non potevano salvarsi entrambi. O lui. O lei. Doveva fare una scelta.
Fu impressionante la facilità con la quale decise.
Afferrò Skyler per un polso e la tirò via dalle macerie, mentre lei si ribellava. Le prese il viso fra le mani e la costrinse ad incontrare le sue iridi blu.
Il suo sguardo era intenso, e molto calmo. All’inizio, Skyler non capì. Ma quando le fu chiaro quello che aveva in mente di fare sgranò gli occhi e scosse con violenza la testa. Lui le accarezzò una guancia, con delicatezza, e questo non fece che spaventarla ancora di più.
Si dimenò, ma invano.
Lui posò dolcemente le labbra su quelle schiuse di lei.
E vi soffiò dentro tutta l’aria che gli restava nei polmoni.
Skyler continuò a dimenarsi, cercando di allontanarsi o quantomeno di fermarlo, ma stranamente sembrava non avere le forze di fare più niente.
Quando lui si staccò da lei, il suo sguardo non sembrava pentito, o rammaricato. Era solo… pieno di speranza. La speranza che lei si salvasse, la speranza che potesse tornare al campo e riabbracciare poi suo zio.
Solo speranza.
Skyler provò ad avvicinarsi di nuovo a lui, per restituirgli quell’aria che le aveva donato, ma lui la fermò. Mentre lei lo fissava, terrorizzata, qualcosa cominciò a vorticarle intorno, allontanandola. L’acqua cercava di separarla da lui. O era lui che voleva mandarla via?
La ragazza tese una mano e afferrò la sua, come a volersi ancorare a lui, ma quella corrente era troppo forte per poter essere combattuta.
Lentamente, le dita del ragazzo scivolarono via dalle due, e Michael le regalò un sorriso rassicurante. Con orrore, Skyler capì che era lui stesso ad allontanarla, e solo quando la sua sagoma fu inghiottita dal buio degli abissi la ragazza si rese conto di aver raggiunto la superficie.
La sua testa emerse a fatica dal pelo dell’acqua, mentre l’impatto improvviso con il mondo esterno le faceva bruciare i polmoni. Boccheggiò, alla ricerca disperata di un po’ d’aria, e solo quando l’acqua ebbe abbandonato i suoi timpani riuscì a sentir chiamare il suo nome.
«Skyler!»
Prima che riuscisse a trovare la forza di voltarsi, qualcuno la issò sulla barca, e la figlia di Efesto svenne.
John le fece una rapida respirazione bocca a bocca. Una, due, tre volte. Poi, Skyler tossì, sgranando gli occhi. Il ragazzo la fece girare di fianco, e lei vomitò tutta l’acqua ingerita, per poi cominciare a tremare.
Emma si precipitò immediatamente da lei e le avvolse una coperta che avevano trovato sulla scialuppa attorno alle spalle.
Nel frattempo, John si era voltato verso il mare, cercando Michael con lo sguardo. Ma lui non c’era.
«Skyler?» chiese, cauto. «Dov’è Michael?»
Skyler iniziò a piangere, disperata, mentre una lama crudele le lacerava lentamente il petto.
Emma se la strinse al petto, per consolarla, e fu a quel punto che i ragazzi capirono. Le lacrime salirono anche ai loro occhi.
«Maledizione!» imprecò John, calciando con forza il fianco dell’imbarcazione mentre si sforzava di non piangere. Anche Emma iniziò a singhiozzare piano.
Per un sacrificio nel blu sprofonderai.
Skyler si strinse le braccia attorno allo stomaco, emettendo un lamento strozzato. Era un suono disperato, triste, doloroso. E lei sembrava sul punto si crollare da un momento all’altro.
Nessuno ebbe il coraggio di parlare, e un silenzio carico di tensione calò sui tre ragazzi che piangevano affranti.
Mentre le due amiche si stringevano l’una all’altra, per darsi forza, John continuava a scrutare il mare, incapace di trattenere ancora a lungo quelle emozioni.
E poi, ad un tratto, le vide.
Delle bollicine. Danzavano sul pelo dell’acqua per poi disperdersi informemente nel mare. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, sporgendosi un po’. Per poi rischiare di ricadere all’indietro per la troppa sorpresa.
Michael emerse all’improvviso dall’acqua, tossendo e boccheggiando il cerca di ossigeno.
«Michael!» esclamò John, aiutandolo a salire sulla scialuppa. Il moro si piegò sulle ginocchia, sputacchiando un po’, mentre il biondo lo guardava stupito. Sembrava stesse bene. Anzi, sembrava in gran forma. Di sicuro non era morto.
«Che cosa è successo?» gli chiese, sconvolto, mentre gli menava delle pacche sulla schiena per aiutarlo a tossire.
Michael fece un sorriso sghembo. «A quanto pare non sono più l’unico figlio di Poseidone a non saper respirare sott’acqua.»
John rise, sollevato, e solo quando lo abbracciò Emma si rese conto di ciò che stava succedendo.
«Michael!» esultò, correndogli incontro e buttandogli le braccia al collo. «Sei vivo!»
Il ragazzo rise, mentre lei si asciugava gli occhi con i palmi delle mani. Poi, il suo sguardo si spostò su Skyler. Sorrise, rincuorato nel vederla sana e salva, e le andò incontro. Ma, poco prima che potesse abbracciarla, la ragazza gli lasciò uno schiaffo così forte sulla guancia che lui fu costretto a voltare il capo.
Michael la guardò, senza capire.
«Non provare mai più a fare una cosa del genere. Mi hai capito?» sibilò Skyler a denti stretti, puntandogli un dito contro. Poi, dopo aver tirato su col naso, gli buttò le braccia al collo, e cominciò a singhiozzare. «Temevo di averti perso» sussurrò, con voce strozzata.
Michael le avvolse le braccia attorno ai fianchi, stringendola a se in un abbraccio. Le posò un dolce bacio sul collo, per poi sorridere. «Non è così facile liberarsi di me» sussurrò di rimando.
Rimasero così per quelle che a lui sembrarono ore, ma che in realtà erano solo pochi secondi.
Poi, John si sgranchì la voce, e i due ragazzi si separarono, arrossendo leggermente.
Solo in quel momento, Skyler si rese conto che Emma aveva tirato fuori la Mappa dei Sette Mari, e che la stava scrutando con attenzione. Si asciugò le guance con il dorso della mano e corrucciò le sopracciglia. «Che stai facendo?» chiese.
Emma esibì un sorriso storto. «Non crederete mica che rimanga in mezzo al mare per sempre, vero?»
«Ma che cosa stai cercando?» domandò allora Michael.
«L’ultimo ingrediente» rispose lei, guardandolo. «Si trova a Niihau, un’isola disabitata della Hawaii.»
«La lacrima di una fenice» bisbigliò Michael, senza fiato.
Lei annuì. «Esatto.»
«Si, ma come ci arriviamo?» chiese John, alludendo al fatto che non avessero né uno scafo, né dei remi.
Michael si sporse leggermente fuori dalla barca, sfiorando le dita con il pelo dell’acqua. Stranamente, non si sentì terrorizzato, ma solo incredibilmente forte e rilassato. Sorrise.
«Posso pensarci io.»

Angolo Scrittrice.
Bounjour!
Eccomi qui, finalmente pronto. Allora, innanzi tutto voglio scusarmi per l'imperdonabile gaff (?) di ieri. Rileggendo, ho notato tanti di quegli errori che non mi sorprende che molti di voi hanno deciso di abbandonare la storia. Che poi, diciamocelo, fa solo leggermente, minimamente un po' schifo. 
Ma va beh, tralasciando la storia in se, parliamo di questo capitolo. Perchè? Perchè tutti quelli più importanti vengono fuori una schifezza? D: vi giuro, nella mia mente era molto più carino. Forse dovrei darmi all'ippica -.-
Nonostante sia... quello che è, spero comunque che vi sia piaciuto. Sono successe un po' di cose: 1) Emma è stata ritrovata. 2) Sanno dove cercare il prossimo (non che ultimo) ingrediente (Hawaii, baby!). 3) La profezia si sta avverando. Mancano solo due versi (muahahah). 4) Michael si è sacrificato per Skyler.
Quanti di voi pensavano che fosse morto? *rotola una balla di fieno* Immaginavo... ma comunque, l'idea era quella. Che lui si sacrificasse per Skyler, donandole tutta l'aria che aveva nei polmoni per permetterle di tornare in superficie. Che rischiasse di morire (o morisse, come volete) perchè era l'unico figlio di Poseidone a non saper respirare sott'acqua, e che infine scoprisse che non è così e superasse la sua paura dell'acqua. Il tutto, condito con un po' di fluff. (
heartbeat_F_ molto probabilmente ora mi starà odiando, ma è stato più forte di me **)
Ook, basta chiacchiere, è il momento di ringraziare i miei Valery's Angels, che nonostante tutto sono sempre qui <3, e cioè:
bigpercyfourjackson, Fred Halliwell, Greg Heffley, Kalyma P Jackson, kiara00, heartbeat_F_, Ema_Joey, giascali, saaaraneedsoreo, Luce_ombra00, FoxFace00 e Ciacinski.
Non so cosa farei senza di voi, davvero. Siete la mia forza!
Credo sia il momento di andare, perchè vi sto rompendo un po' troppo. Prima, però, voglio ringraziare anche le 45 persone che hanno messo la storia fra le preferite, le 52 che l'hanno messa fra le seguite e le 7 che l'hanno messa fra le ricordate. E poi tutti i lettori silenziosi e tutte voi, anime pie, che ora state leggendo questa parte in grassetto. Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie, grazie! Siete davvero fantastici, tutti quanti.
E mi scuso ancora per questo capitolo che va oltre il deludente.
Un bacione a tutti voi!
Sempre vostra,
ValeryJackson

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Alla fine, Michael era riuscito a trainare la barca nel mare per quasi tutta la notte, grazie ai suoi poteri.
Il peggio era arrivato dopo, quando, verso l’alba, un forte temporale si era abbattuto su di loro, agitando le acqua e facendo così ribaltare la scialuppa e tutto ciò che conteneva, compresi i ragazzi. Erano quasi vicino all’isola di Niihau, e si erano sforzati di restare uniti mentre la corrente li trasportava verso la spiaggia più vicina.
Ma, alla fine, il temporale aveva avuto la meglio, e tutti erano stati scaraventati lontano perdendo i sensi.
Erano passate circa un paio d’ore, e il temporale era finalmente cessato, quando Michael si svegliò.
Per un attimo, fu costretto a chiudere gli occhi in due fessure, accecato dalla luce del sole. Sputacchiò un po’ a terra, la gola raschiata dall’acqua salata del mare e dalla sabbia.
Sabbia.
Si guardò intorno, spaesato. Si trovava su un’oasi tropicale, e il fatto di essere solo gli fece intuire che fosse disabitata. Ignorando il caldo pungente e i vestiti bagnati che gli si appiccicavano al corpo, Michael fece perno sulle mani, alzandosi in piedi un po’ barcollante.
Quando aveva pensato di essere solo, era davvero solo. Dov’erano i suoi amici?
«Skyler!» chiamò, portando le mani a coppa accanto alla bocca. «John! Emma!»
«Michael!» gli rispose una flebile voce poco dopo. Michael vi corse incontro, frastornato, finché non vide sfocata la figura di Skyler precipitarsi contro di lui.
«Skyler!» esclamò, affrettando il passo.
La ragazza gli si buttò fra le braccia, ansimando. Anche lei era completamente fradicia, e sembrava confusa. Michael la strinse a se. «Grazie al cielo» bisbigliò sui suoi capelli, sollevato.
Lei si divincolò dall’abbraccio per guardarlo negli occhi allarmata. «Come stai?»
Il ragazzo annuì leggermente. «Bene.»
«Dove sono gli altri?»
Si guardarono un po’ intorno, ma non li videro. Cominciarono ad urlare i loro nomi, senza ottenere risposta. Stavano quasi per temere il peggio, quando una voce attirò la loro attenzione.
«Siamo qui!» esclamò, mentre loro si affrettavano a raggiungerla. Trovarono Emma poco dopo. Era sdraiata prona sulla sabbia, e si sforzava di alzarsi senza successo.
«Aspetta, ti aiuto» si offrì Michael, tirandola su. La bionda tossì, per poi cercare di scrollarsi un po’ di sabbia dai pantaloni.
«Dov’è John?» chiese Skyler, preoccupata.
La figlia di Ermes le indicò distrattamente un punto alla loro destra, e tutti e tre si precipitarono in quella direzione.
«John!» lo chiamò Skyler, quando il biondo entrò nel loro campo visivo. Si fermò accanto a lui, con un sopracciglio inarcato. «Stai bene?»
Del figlio di Apollo, infatti, si vedeva solo la parte di sopra del busto, dato che l’altra era sotterrata dalla sabbia. Il ragazzo la guardò, con occhi spiritati. «Sono stato ghigliottinato!» esclamò, guadagnandosi un’espressione scettica dagli amici. «Non sento più le gambe!»
«Aspetta, ti aiutiamo» gli disse Michael, e, insieme a Skyler, si passò un braccio dell’amico attorno alle spalle e lo disincastrò dalla sabbia. 
Il biondo parve sollevato nel rivedere i suoi piedi. «Come ti senti?» gli chiese Skyler, scostandogli un po’ di granelli dalla maglietta.
Lui ridacchiò. «Come chi ha appena passato due ore in una sabbia mobile.»
Skyler fece roteare gli occhi, non riuscendo a mascherare un sorriso. Poi guardò Emma. «Siamo a Niihao, vero?»
«Si» rispose Michael al posto suo, osservando con gli occhi a due fessure il mare.
Emma sfilò la Mappa dei Sette Mari dai pantaloni e l’aprì. Si concentrò un secondo, fissandola con insistenza; poi aggrottò la fonte. «Non funziona» imprecò, scoraggiata.
I ragazzi si avvicinarono a lei, osservando la mappa da sopra la sua spalla.
«Molto probabilmente si sarà rotta con il temporale» propose John, con un’alzata di spalle.
«O forse qui c’è troppa magia contrastante» ipotizzò Michael. I ragazzi si guardarono, titubanti.
«E quindi come la troviamo?» domandò giustamente Skyler, dando voce ai pensieri di tutti. «La fenice, intendo.»
«Ci separiamo» disse Emma con tono deciso, chiudendo di scatto la mappa e accantonandola nella tasca dei pantaloni. «Skyler e Michael, voi andate a Ovest. John, io e te andiamo a Est. Se qualcuno di noi la trova, faccia un fischio.»
«Un fischio, certo» borbottò Michael, con sarcasmo.
Emma lo fissò, un sopracciglio inarcato. «Hai un piano migliore, per caso?»
Il ragazzo fece per ribattere, ma quando aprì la bocca non ne uscì alcun suono. Le sue labbra si incresparono in una linea sottile, mentre si rendeva conto dell’evidenza, e cioè che quello era la loro unica alternativa.
Emma tradusse quel silenzio come un consenso alla sua proposta. «Perfetto» sospirò, con un’alzata di spalle. «Andiamo, John.» E si incamminò verso la sua meta, con passo deciso.
Il biondo fece per seguirla, ma, prima che gli altri due ragazzi potessero correre dall’altra parte, afferrò Skyler per un polso, costringendola a voltarsi. Esitò un attimo, prima di sussurrare: «Fate attenzione.»
La mora sorrise, cercando di essere rassicurante. «Beh, anche voi.»
«Skyler, non sto scherzando» la ammonì lui, con tono serio. La guardò negli occhi. «Ho già rischiato di perderti una volta. Non potrei sopportare che capiti di nuovo.»
«Tranquillo» lo rasserenò lei, avvicinandosi di un passo. Esibì un sorriso malandrino. «Non sono mica il genere di ragazza che rischia la vita, io.»
John rise sommessamente, annuendo. Poi le schioccò un bacio sulla guancia e si affrettò a raggiungere la figlia di Ermes.
Skyler rimase un attimo lì, a guardarlo correre via. Poi, con un sospiro, si voltò verso Michael. E si accorse che la stava fissando con un’espressione indecifrabile.
Corrucciò le sopracciglia. «Che c’è?»
Lui sembrò riprendersi da uno stato di trance, e scosse la testa. «Niente.»
Skyler non se la bevve, ma decise di non indagare. Qualunque cosa stesse pensando, quello non era né il luogo né il momento giusto per parlarne. Si incamminò sulla sabbia disambigua, con il figlio di Poseidone al seguito.
Dopo circa mezz’ora di cammino, quel posto sembrava davvero tutto uguale.
«Forse non dovremmo camminare in riva al mare» aveva supposto Michael ad un certo punto. «Forse dovremmo andare verso il cuore dell’isola.»
E così fecero. O meglio, così pensarono di fare, finché non si persero.
 
Ω Ω Ω
 
Quel posto era davvero tutto uguale.
Michael e Skyler se ne accorsero a loro spese, quando, girando a destra, si scontrarono per la terza volta contro lo stesso albero tropicale.
Michael sbuffò, infastidito, facendosi largo fra l’alta sterpaglia. Si incamminò di nuovo nel folto della calda foresta, e Skyler lo seguì. Il sole era pungente, e l’aria afosa. I vestiti si erano appiccicati ai loro corpi per il troppo sudore, e non avevano ancora trovato niente che potesse dargli come minimo un indizio.
«E se abbiamo sbagliato isola?» chiese Skyler ad un tratto, guadagnandosi solo due sopracciglia corrucciate. Michael non voleva pensarci, e lei non aveva voglia di ricordarglielo.
Camminava dietro di lui, lo sguardo fisso sul terreno ed un’aria stanca, anzi, sfinita.
Fu solo quando alzò lo sguardo che la vide.
«Attento!» esclamò, afferrandolo per un braccio e strattonandolo all’indietro poco prima che il ragazzo facesse un altro passo.
Il terreno davanti a loro si sgretolò, lasciando allo scoperto quella che aveva tutta l’aria di essere una trappola.
Michael guardò Skyler, allibito. «Come hai fatto ad accorgertene?»
Ma lei non gli rispose. Un po’ perché non lo sapeva, un po’ perché ora un’altra domanda le stava frullando nella testa. Quella trappola non si era costruita da sola, giusto? Se no, chi ce l’aveva messa.
Fece vagare lo sguardo intorno a se, gli occhi stretti a due fessure e la mente concentrata. Uno scintillio alla sua destra attirò la sua attenzione. Skyler girò la testa di scatto, appena in tempo per vedere qualcosa puntare dritta contro le loro teste.
Sgranò gli occhi. «Giù!» urlò, buttandosi addosso a Michael e scaraventando entrambi sul terreno.
Un tronco d’albero caduto sferzò l’aria sopra di loro, sfiorandoli appena. I due ragazzi si rialzarono con un balzo, ansimanti, e sguainarono le loro spade mettendosi schiena contro schiena.
Chi era stato a lanciarlo? Qualunque fosse la risposta, ora ne avevano la conferma: non erano soli su quell’isola.
Si guardarono intorno, smarriti e con i nervi tesi, pronti a combattere ogni possibile aggressore. Solo quando la figura di qualcuno sbucò dagli alberi, però, Skyler seppe in che direzione puntare la spada.
«Chi sei?» esclamò, rivolta a quell’ombra misteriosa. Quest’ultima si fece avanti, con passo esitante.
E a quel punto Skyler si rilassò.
Era una ragazza, ma non sembrava affatto umana. La sua camminata era sinuosa e delicata, e sembrava quasi non sfiorasse il terreno. I capelli variavano dal mogano al nocciola, e le ricadevano sciolti sugli abiti color pistacchio. I suoi occhi erano grandi, verdi, gentili. Ma la cosa più strana era la sua pelle, perché era di un lievissimo e chiarissimo… verde.
La figlia di Efesto la fissò allibita mentre faceva un passo in avanti, e solo a quel punto notò le verdi ali.
«Chi sei?» ripeté, stavolta con un tono un po’ più garbato.
La ragazza le sorrise. «Mi chiamo Fysi» rispose, con dolcezza. «Sono uno spirito della natura.»
Skyler guardò Michael, dubbiosa, e capì che erano giunti alla stessa conclusione. Abbassarono le armi, storditi.
«Tu proteggi questo posto?» domandò il figlio di Poseidone, guardandola circospetto.
Lo spirito annuì, raggiante. «Esatto! Come fate a saperlo?»
«Abbiamo incontrato un altro spirito come te» le raccontò Skyler. «Però era uno spirito del bosco. Ci ha aiutato.»
«Di sicuro era Pnéma» commentò sarcastica una voce alle loro spalle, guadagnandosi la loro attenzione. «È l’unica così ingenua da aiutare gli umani.»
I ragazzi si voltarono, confusi. Un altro spirito si fece largo fra la folta vegetazione, ma stavolta era… diverso. Aveva lunghi capelli rossi raccolti in una treccia, la pelle rosea e arrossata. E due occhi color cremisi che li squadravano dall’alto in basso. Un sorriso malandrino si dipinse sul suo volto, e si esibì in una sarcastica riverenza. «Fotia» si presentò, con sufficienza. Poi ghignò. «Spirito del fuoco.»
Skyler fece un passo indietro, sentendo montare il panico, e Michael le si parò davanti, quasi volesse proteggerla.
Lo spirito del fuoco rise. «Non preoccuparti, semidio. Non ho nessuna intenzione di far del male alla tua amichetta» esclamò. Poi gli fece l’occhiolino. «Non ancora, almeno.»
«Fotia, smettila di spaventarli!» la sgridò Fysi, scocciata. Si avvicinò ai ragazzi con passo sinuoso. «Scusatela» bisbigliò. «Fa sempre così.»
Skyler annuì, ma non riuscì a distogliere lo sguardo da quelle iridi rosse. Non si fidava di lei, per niente. Era uno spirito del fuoco, giusto? E il fuoco era sinonimo di male.
«Perché siete qui?» sbottò la rossa, infastidita dal commento dell’altro spirito.
«Stiamo cercando una cosa» rispose Michael, guardando entrambe. «La Fenice. Voi sapete dov’è?»
Gli occhi di Fysi si illuminarono, quasi non aspettasse altro se non che qualcuno le facesse quella domanda. «Ma certo!» esclamò, congiungendo le mani. «Noi siamo sue servitrici da millenni. Fotia è anche una delle sue protettrici. Vero, Fotia?»
«Sta zitta» la ammonì lei, lanciando uno sguardo truce ai due ragazzi. «Non conosciamo nemmeno le loro intenzioni.»
«Vogliamo solo una sua lacrima» giurò Michael, ma si accorse di non averla convinta. «Vi prego, se sapete dov’è, aiutateci. Ne abbiamo un assoluto bisogno.»
«Ha…ha ragione» balbettò Skyler, da dietro la sua spalla. «Non potreste… portarci da lei?»
«Ovvio che si!» trillò Fysi, ma si sovrappose con il secco «No!» di Fotia. I due spiriti si scambiarono un’occhiataccia.
«Fysi, non se ne parla» sibilò la rossa, a denti stretti.
Il sorriso dell’altra non vacillò. «Oh, ma andiamo, Fotia. Perché non dovremmo aiutarli?»
«Lo sai benissimo il perché.»
Fysi increspò le labbra, con disappunto. Regalò un sorriso rassicurante ai ragazzi, poi si rivolse all’altro spirito. «Posso parlarti un secondo?»
Non aspettò una risposta. Si avvicinò a lei e la tirò in disparte, cominciando a discuterci.
«Sono sicura che sta cercando di convincerla» disse Skyler, osservando la gesticolazione delle sue mani.
Michael sospirò. «Spero che ci riuscirà. È l’ultimo ingrediente, per la miseria.»
«Non mi fido si quella Fotia» sbottò Skyler ad un tratto. «Secondo me nasconde qualcosa.»
«È solo il fatto che è uno spirito del fuoco a fartela odiare» le fece notare lui, con tono rassicurante. La ragazza corrucciò le sopracciglia, dubbiosa.
«Ehi» le sussurrò il figlio di Poseidone, allungando una mano per toccare una ciocca scura che le copriva gli occhi. Se la avvolse attorno al dito, e solo quando il suo sguardo incontrò quelle iridi scure e sentì il fiato venir meno, si accorse di quanto in realtà fosse intimo quel gesto. Un po’ troppo, forse. Ma la sua voce non vibrò. «Io non credo che sia cattiva. È solo un po’ brusca. E poi Fysi mi sembra davvero gentile. Sono sicuro che ci aiuterà.»
Skyler esitò un attimo, titubante, ma poi annuì. In quel momento, lo spirito della natura tornò da loro.
«Buone notizie!» esultò, con un sorriso raggiante. I ragazzi la guardarono, in attesa. «Fotia ha promesso di non intralciarci la strada. Possiamo andare.»
«Ci porterai dalla Fenice?» domandò Michael, speranzoso.
«Ma certo. E ora, seguitemi. È un po’ lontano, ma se ci sbrighiamo la raggiungeremo prima del tramonto.»
 
Ω Ω Ω
 
Mentre seguivano Fysi ancora più nel cuore dell’isola, i ragazzi avevano chiesto spiegazioni e conferme allo spirito della natura, che non aveva tardato a rispondere.
«La Fenice è una creatura davvero speciale» gli aveva detto. «Già anticamente, era vista come il simbolo della resurrezione. Vederla all’opera è straordinario. Quando sente sopraggiungere la sua morte, si ritira in un luogo appartato, costruisce il suo nido su una quercia o su una palma e aspetta. Aspetta che i raggi del sole la incendino, e si lascia consumare dalle sue stesse fiamme.»
A quell’affermazione, Skyler aveva sussultato. «Quindi, quando la vedremo sarà ricoperta dalle fiamme?»
«Oh, no. La Fenice è una creatura focolare, certo, ma non brucia sempre. È anche per questo che è protetta dagli spiriti del fuoco» l’aveva tranquillizzata, alludendo con un cenno del capo a Fotia. Poi aveva sospirato. «Comunque, da quel cumulo di cenere emerge poi un piccolo uovo, che i raggi del sole fanno crescere rapidamente fino a trasformarlo nella nuova Fenice. E così ad oltranza da millenni, ormai.» A quel punto, aveva sorriso. «La Fenice ha dei veri e propri poteri curativi. Una sua lacrima è in grado di curare qualunque cosa. Ferite, tagli, dolori, tumori…»
«Anche delle antiche malattie?» aveva chiesto speranzoso Michael.
Lei aveva annuito. «Qualunque cosa! Ecco perché è così raro guadagnarne una.»
Skyler aveva corrucciato le sopracciglia. «In che senso?»
«È logico che non tutti possono averla. Quello è un dono che la Fenice vi fa, e per scegliere a chi regalarlo, si avvicina solamente a determinate persone. Solo chi ha un cuore nobile è degno di ottenere una sua lacrima. E per una volta soltanto.»
Dopo quell’affermazione, Skyler e Michael si erano guardati, ingoiando silenziosamente tutte le loro paure.
E se la Fenice non li avesse ritenuti degni di possedere una sua lacrima? E se nessuno dei due aveva il cuore abbastanza nobile da soddisfarla? Come avrebbero fatto, in quei casi? Come l’avrebbero avuta?
Non avevano avuto il coraggio di chiederlo a Fysi, per cui avevano continuato a seguirla su per il sentiero senza fiatare. Dopo un po’, lo spirito della natura li portò su per una collina, che ben presto diventò una montagna.
I ragazzi si scoprirono costretti a scalare, mentre si sforzavano di tenere il passo dello spirito e del vibrare delle sue ali.
«Coraggio, ci siamo quasi!» esclamò ad un tratto lei, dopo circa mezz’ora di cammino.
Michael porse una mano a Skyler, e insieme si issarono su per l’ultimo tratto di strada. Quando finalmente la raggiunsero e capirono che si era fermata, erano esausti.
«È qui dentro» bisbigliò lei, quasi avesse paura di svegliare qualcuno.
I ragazzi alzarono lo sguardo. Davanti a loro, l’entrata di una grotta sembrava invitarli ad entrare all’interno della montagna.
Molto probabilmente la Fenice si nascondeva lì dentro. Non ebbero neanche il tempo di fare domande, però, che Fysi svolazzò all’interno.
I ragazzi entrarono, titubanti. All’inizio sembrava semplicemente uno strettissimo corridoio, ma poi, pian piano, videro la loro meta espandersi. Senza rendersene conto, sbucarono in quella che aveva tutta l’aria di essere una grossa stanza.
Con un brivido, Skyler notò che era molto simile a quella del Minotauro. Solo che era molto più piccola. E senza altri corridoi o porte. Ma, soprattutto, aveva una sorta di altarino giusto al centro, sul quale stava appollaiato l’essere più bello che la ragazza avesse mai visto.
Aveva l’aspetto di un’aquila reale, ma il piumaggio aveva un colore splendido e particolare: il collo era color oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda, con penne rosee che la frastagliavano leggiadre. Le ali, invece, variavano dall’oro al porpora. Aveva un lungo becco affusolato, snelle zampe e due lunghe piume, una rosa ed una azzurra, che le scivolavano morbidamente sul capo, mentre altre tre, una rosea, una blu ed una color rosso fuoco, le pendevano dalla coda piumata.
I due semidei la fissarono, senza fiato, ricordando solo dopo il motivo per cui erano lì.
Michael aprì il suo zaino e vi cacciò un fialetta, ma sembrò esitare.
«Che aspetti?» lo incitò Skyler, inarcando un sopracciglio. «Prendi una lacrima.»
«Non posso» sussurrò lui, affranto. La ragazza lo guardò, senza capire. «Il mio non è un cuore nobile, Skyler. O almeno non lo è abbastanza. Non credo che la Fenice me la darebbe mai. E se solo ci provassi, potrebbe spaventarsi. E se scappa via? Non possiamo rischiare così tanto.» Le allungò la fialetta, ma Skyler continuava a non capire. «Prendila tu.»
A quel punto, la figlia di Efesto strabuzzò gli occhi. «Io?» fece, incredula.
Il figlio di Poseidone annuì. «A te la darebbe di sicuro» le disse. Poi fece un sorriso sghembo. «Hai sempre avuto il cuore più nobile di tutti.»
Skyler lo fissò, confusa, e capì che non stava mentendo. Avrebbe voluto replicare, ma con tutte le circostanze che dominavano quella situazione le parole le morirono in gola.
Con un po’ di esitazione, prese la fiala, e il ragazzo la incoraggiò con un cenno del capo.
Non sapeva come faceva ad essere così sicuro. E se la Fenice non l’avesse data neanche a lei? E se non la ritenesse poi così tanto nobile?
Ricordò un vecchio proverbio indù che le recitava sempre lo zio: «Non c’è nulla di nobile nell’essere superiore agli altri. La vera nobiltà sta nell’essere superiore alla persona che eravamo fino a ieri.»
Lei era più nobile di quella persona? Era migliore della Skyler di prima?
Una parte di lei le confidava che si, era davvero cambiata. E che si, era cambiata soprattutto in meglio. Ma l’altra parte continuava a riportarle alla mente tutte le domande che poi la facevano esitare.
Come si giudica, la nobiltà? Chi decide chi è nobile e chi no?
Non fece in tempo a darsi una risposta, che si accorse di essere a poco più di mezzo metro dall’altarino. La Fenice la guardò negli occhi, quasi le stesse scrutando l’animo, e in quel momento Skyler si sentì solo piccola e fragile.
Non sapendo bene cosa fare, allungò la mano. Si rese conto poi che non era la mano che stringeva la fialetta. Che cosa aveva intenzione di fare? Accarezzarla? Non ne aveva idea neanche lei, ma rimase molto sorpresa quando il collo della Fenice si allungò verso il suo palmo.
Sentì le sue morbide piume sfregarle contro i polpastrelli, e venne invasa da una sensazione di calore densa e piacevole.
La Fenice la guardò di nuovo, e stavolta i suoi due rubini sembravano solo pieni di tanta dolcezza. Skyler sorrise, e, titubante, allungò la fialetta verso di lei.
Si rese conto di star trattenendo il fiato solo quando vide una lacrima cristallina scivolare lungo lo sporco vetro.
Quasi avesse paura che fosse tutto un sogno, chiuse la fiala, e indietreggiò lentamente.
Non si fermò finché non andò a sbattere contro Michael, che l’afferrò per i fianchi, costringendola a voltarsi.
Era raggiante.
«Ce l’hai fatta!» esclamò, con un sorriso sulle labbra. L’abbracciò, e lei ricambiò la stretta, sollevata.
Quando finalmente si staccarono, il ragazzo prese in mano la fialetta, e la osservò controluce grazie al flebile bagliore emesso dalla Fenice.
L’ultimo ingrediente! L’ultimo ingrediente, e lo stava stringendo tra le mani.
Ce l’ho davvero fatta, Percy, pensò, con un sorriso. Ce l’abbiamo fatta. Ora è tutto finito.
«Raggiungiamo gli altri» disse alla ragazza, guadagnandosi un cenno d’assenso. «Ci conviene andare il più presto possibile via di qui.»
«Non capisco perché così tanta fretta» esclamò una voce gelida alle loro spalle. I ragazzi si voltarono, mentre un brivido attraversava le loro schiene.
Dall’ombra del tunnel da dove erano entrati sbucarono uno, due, tre, poi sei figure. Ma quella che attirò la loro attenzione era forse quella più glaciale.
Il Generale li fissò, con un ghigno soddisfatto.
Skyler sentì montare il panico. Si guardò intorno, alla ricerca disperata di una via di fuga, ma non c’era. Erano in trappola.
L’uomo rise, divertito. «Ottimo lavoro» disse, rivolto a qualcuno alle loro spalle. I ragazzi seguirono la direzione del suo sguardo, ma lì vi trovarono solo Fysi. «Senza di te non li avremmo mai trovati.»
Skyler sentì un groppo salirle alla gola.
Un tradimento avverrà dall’aiutante inaspettata.
Guardò lo spirito, terrorizzata. «Fysi?» la supplicò con lo sguardo.
Questa fece spallucce. «Mi dispiace, ragazzi» si giustificò lei. «Ma ho avuto un’offerta migliore.»
Mentre il suo sguardo si riempiva d’orrore e di stupore, Skyler sentì qualcuno afferrarla da dietro e bloccarle le braccia lungo i fianchi.
«No!» si ribellò Michael al suo fianco, che cercava di divincolarsi dalla presa di due uomini.
Il Generale si avvicinò alla figlia di Efesto, guardandola negli occhi.
La ragazza rabbrividì, spaventata, e, quasi se ne fosse accorto, l’uomo ghignò compiaciuto.
Avvicinò le labbra al suo orecchio, sfiorandolo con un sorriso, e sussurrò, in modo che solo lei potesse sentirlo.
«Bentornata all’inferno.»

Angolo Scrittrice.
Hola gentee! ¿Como estan?
ahah, eccomi qui, pronta per voi ;)
Allors... vi è piaciuto in capitolo? Ora hanno l'ultimo ingrediente! Oh yeah B)
Per chi se lo stesse chiedendo: andiamo, davvero pensavate che gli avrei reso la vita così facile? Eheh, eh no, sorry. Hanno l'ultimo ingrediente, ma dovranno vedersela ancora con il generale. Che tra l'altro non è neanche morto. Non chiedetemi perchè, quell'uomo è immortale. Non nel senso che è immortale immortale, ma che è immortale "immortale"... Oh, lasciamo stare, va.
Cooomunque, si ripresentano di nuovo gli spiriti inventati dalla demente qui presente (uh, ho fatto la rima O.o). Ho pensato di dargli un nome, perché mi sembrava carino e perché rendeva più facile la narrazione. La profezia si sta avverando! Manca solo un verso, ormai. Dei, come sono gasata ** a proposito, cosa ne pensate dell'atteggiamento dei nostri due spiriti? Avevate capito che Fysi era immischiata con il Generale? Spero di no, perché significa che sono riusicta nel mio intento ahah! xD
Anyway, Volevo avvertirvi che ormai mancano davvero pochi capitoli alla fine. Qualcosa come tre, più o meno. Non lo so, devo ancora scriverli, quindi non so come regolarmi. Ma, by the way, ora voglio ringraziare tutti i mei dolcissimi Valery's Angels, che sono davvero un toccasana, soprattutto nei momenti in cui la mia autostima cala sotto zero. Un grazie enorme a:
kiara00, Fred Halliwell, FoxFace00, giascali, Greg Heffley, chakira, heartbeat_F_, Luce_ombra00 Ema_Joey. Vi adoro, davvero. Siete fantastici! **
Bien bien, credo sia arrivato il momento di salutarci. Ma prima, voglio che ci fermiamo tutti un attimo, per ammirare la perfezione che cerca di ucciderci alla premiere di Noah  a Berlino:

 

 
Tu mi ucciderai di questo passo, Lerman. Giuro, è una delle sue foto più spettacolari. E il bello è che non era neanche in posa. Dei, ma guardatelo! Con quel ciuffo, e il sorrio accennato, e gli occhi lucidi per l'emozione ...**
Ok, ok, la smetto. Continuerò a fantasticare su di lui in camera mia. Ma è un cucciolo di panda, dannazione. Compatitemi D:  
Va beh, dai, ho capito. ;P Un bacione enorme, e grazie a tutti.
A martedì prossimo!
oxox,
ValeryJackson
P.s. *sbava*

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


Emma ormai era stanca di continuare a cercare, e la consapevolezza di non avere la minima idea di dove stessero andando non serviva certo ad alleviare la tensione che le attanagliava la bocca dello stomaco.
Chissà perché, si sentiva osservata. Come se qualcuno stesse seguendo tutti i loro movimenti da lontano, aspettando solo il momento giusto per attaccare.
Lei e John continuavano a farsi strada nella folta vegetazione, in silenzio. Un silenzio forse un po’ troppo opprimente.
«Cosa credi che abbiano trovato?» chiese Emma, proprio per spezzarlo. «Michael e Skyler, dall’altra parte.»
John aprì la bocca per parlare, le spalle tese e la fronte corrucciata. Poi la richiuse e sospirò. «Non lo so.» Si guardò introno, affranto. «Di sicuro più di quanto abbiamo trovato noi.»
Emma annuì, abbassando lo sguardo. Fine della conversazione, era chiaro ad entrambi.
Non sapevano cosa dirsi in circostanze del genere, e l’assenza d’acqua nelle loro borracce sembrava essere come cartavetro che sfregava contro le loro gole.
Continuarono ad avanzare, silenziosi, finché non sentirono un rumore.
Un ramo che si spezzava.
Emma brandì prontamente il suo coltellino, con i nervi tesi, e John incoccò una freccia di luce. Si guardarono intorno, in cerca della cosa dalla quale difendersi. Ma, intorno a loro, solo alberi.
Un fruscio alla sua destra attirò l’attenzione della bionda.
Emma si voltò, stringendo gli occhi a due fessure e scrutando la vegetazione. Quando vide una, due, dieci ombre avanzare sinuose verso di loro, trattenne il fiato.
«John» bisbigliò, in un misto di meraviglia e preoccupazione.
Il ragazzo non capì cosa fosse successo finché non si voltò. A quel punto, il fiatò si smorzò anche a lui. Di paura, però.
Un branco di pegasi li osservava a circa tre metri di distanza, squadrandoli senza riuscire a capirli veramente.
Erano selvatici, questo era evidente, perché avevano delle lunghe criniere spettinate e dei corpi molto più robusti rispetto a quelli del campo.
John sentì montare il panico. Prima che riuscisse a dominare le proprie emozioni, migliaia di immagini invasero la sua mente, travolgendolo. Erano ricordi.
Un sé di undici anni che cadeva dalla sella.
Due occhi rossi come il sangue che lo osservano indemoniati.
Un crack.
Dolore. Tanto dolore.
Un dolore lanciante, meschino, inguaribile.
Un dolore che aveva già provato.
Per quanto si sforzasse, non riuscì ad impedire a quelle sensazioni di sgorgare, di invaderlo. Cominciò ad ansimare, la mente annebbiata dalla paura e dalla consapevolezza di non poter scappare. Le sue gambe iniziarono a tremare, e da lì tutto il corpo.
«John» mormorò Emma, preoccupata, ma la voce arrivò così ovattata alle sue orecchie che neanche la senti. Prima che lei riuscisse ad allungare una mano per tranquillizzarlo, il figlio di Apollo indietreggiò, terrorizzato. Ma il suo equilibrio era precario, e riuscì a fare solo due passi, prima di inciampare e cadere a terra.
Sentiva il sangue pulsargli nelle vene, i battiti accelerati del suo cuore rimbombargli nella scatola cranica, molesti. E poi una fitta. Una fitta che partì dal coccige e gli attraversò la schiena fino all’atlante.
La cicatrice. La cicatrice bruciava.
Un altro flash-back gli passò davanti agli occhi.
John cacciò un grido di frustrazione, premendosi i palmi sulle palpebre con così tanta forza da temere che le retine sfiorassero il cervello.
La sua fronte era imperlata di sudore, e il fiato corto per via del panico che gli stringeva i polmoni in una morsa d’acciaio.
Altre immagini, di quel giorno cruciale.
I suoi genitori che piangevano, il mostro che si avventava su di lui, l’operazione.
Aveva visto una luce. Non sapeva se fosse dovuta alla presenza del padre nella stanza o alla sua avanzata verso i campi Elisi, ma l’aveva vista. E sapeva di dolore.
Come fare? Come fare a cacciar via dalla mente tutti quei ricordi? Li aveva ignorati per tutti questi anni, sopprimendoli in un angolo remoto della sua mente per evitare che lo distruggessero, eppure ora eccoli lì, che lo stavano divorando.
E lui non poteva farci niente.
Quando Emma si inginocchiò accanto a lui, John non riusciva a smettere di tremare.
«John» lo chiamò la ragazza, afferrandogli con forza il polso per far sì che la guardasse. «John, calmati. Calmati» mormorò, con voce rassicurante. «Non possono farti niente, non sono cattivi.» Ma il ragazzo continuava ad ansimare, terrorizzato. «Guardali, non sono cattivi.»
Il biondo aveva paura di farlo. Lo sapeva, sapeva che non erano cattivi. Ma riportavano a galla troppi ricordi. Era per questo che li temeva così tanto. Era per colpa loro se due piccoli occhi l’avevano reso così vulnerabile.
«John, guardami» ordinò Emma, con tono fermo ma deciso. Gli scostò le mani dagli occhi, schioccandogli due dita davanti al volto e poi indicando le sue iridi argentate. «John, guardami!»
Il ragazzo obbedì. Si sforzava ancora di frenare quella valanga, ma purtroppo senza risultato.
«Respira» sussurrò lei, prendendo un gran respiro e ricacciando fuori l’aria. John la imitò. E così una, due, tre volte. Mentre lui continuava ad ingerire e rigettare aria nella speranza che il suo cuore tornasse ad un battito regolare, lei lo guardò con decisione negli occhi. «Loro non ti faranno niente, mi hai capito?» gli mormorò, tranquillizzandolo con lo sguardo. «Quelli che ti fanno stare male sono solo ricordi. Combatti quei ricordi, John. Non lasciare che ti sopraffacciano.» Lui esitò un attimo, mentre il suo respiro tornava normale.
«Sono innocui» assicurò lei, prima di abbozzare un sorriso. «Sono innocui.»
John distolse lo sguardo solo quando sentì il panico diluirsi, scivolare via come burro al sole. Chiuse gli occhi, riordinando le idee. Non doveva pensarci. Se avesse davvero combattuto contro tutti quei ricordi, allora sarebbe riuscito a domarli.
Deglutì con un po’ di fatica, riportando di nuovo gli occhi sulla ragazza. Poi annuì.
Lei si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, rilassando le spalle. «Stai meglio?» domandò.
«S-sto meglio» balbettò lui, rialzandosi da terra. Il suo equilibrio era ancora un po’ instabile, ma quando Emma cercò di aiutarlo glielo impedì. «Sto meglio.»
Con una mano si asciugò la fronte imperlata di sudore, mentre osservava l’amica lanciare un’occhiata fugace alla sua destra. Non aveva intenzione, però, di seguire la direzione del suo sguardo. Non sapeva se quel branco di pegasi era ancora lì e non voleva saperlo. Doveva smetterla di avere così tanta paura di loro, e il modo migliore per cominciare a farlo non era certo guardarli di nuovo negli occhi.
Fortunatamente, a distrarlo fu un altro suono, che lo fece voltare di scatto.
Lo conosceva fin troppo bene. Forse Emma non l’aveva sentito, ma a lui non era sfuggito. Era il fruscio di una corda che si tende, di una freccia incoccata e pronta per essere lanciata. Ma il suo arco lo stringeva ancora fra le mani.
Assottigliò lo sguardo, corrucciando le sopracciglia.
«John, che c’è?» chiese la bionda, non capendo. Ma lui non rispose. Continuò a fissare nella direzione dalla quale era venuto quel fruscio, le orecchie tese nella speranza di risentirlo di nuovo.
Poi, il sole rifletté un suo raggio su qualcosa di luminoso. John sgranò gli occhi. «Ma che cosa…»
Ma non fece in tempo a finir di porre la domanda, che qualcosa sferzò l’aria accanto a lui, conficcandosi nell’albero alle loro spalle.
Emma sobbalzò, lanciando un grido di sorpresa. «Che cos’era?» domandò, con una mano sul petto per via dello spavento.
John vi si avvicinò, con circospezione. Aveva tutta l’aria di essere una freccia, ma non era una freccia. Era più corta, lunga circa la metà di un dardo normale, ma soprattutto era più ciotta.
John la disincastrò dall’albero, rigirandosela fra le mani. Fu proprio mentre la studiava con attenzione, che notò il piccolo timer che aveva attaccato su un fianco.
Gli mancò il fiato in gola. «Va via!» esclamò, buttandola a terra. Ma era troppo tardi.
La bomba esplose, e con lei tutto ciò che la circondava. Emma andò a sbattere contro un albero, accasciandosi a terra, ma l’impatto peggiore l’ebbe John, che era più vicino. Anzi, troppo vicino.
Il branco di pegasi si imbizzarrì, terrorizzato. Nitrirono, dileguandosi in tutte le direzioni possibili nella speranza di scappare. Intorno a loro, alcuni alberi cominciarono a prendere fuoco.
Emma tossì con forza, inalando però del fumo. Quest’ultimo raggiunse subito i suoi polmoni, incendiandoli. La figlia di Ermes si guardò intorno. «John» chiamò, ma tutto ciò che ne uscì fu un sussurro strozzato. Tossì ancora, tentando di alzare la voce. «John.»
Ma quello che si avvicinò subito dopo a lei non era affatto John. Un uomo l'afferrò con forza per le braccia, strattonandola e tirandola in piedi. Per un attimo, Emma pensò che volesse aiutarla. Ma poi l’uomo le bloccò le braccia dietro la schiena, aiutato da un altro.
La ragazza aveva la vista ancora un po’ offuscata, ma, assottigliando lo sguardo, si sforzò di vedere comunque qualcosa attraverso tutto quel fumo. Intorno a lei, tutto era andato distrutto nell’esplosione, e un albero alla sua destra stava ancora bruciando. Circa sei uomini si guardavano intorno con disappunto, le spade sguainate ed i muscoli tesi, come se stessero cercando qualcuno.
Emma seguì per un secondo ogni loro movimento, finché qualcuno non ostruì il suo campo visivo.
Quando la bionda alzò lo sguardo, il suo cuore mancò un battito.
Il Capitano le sorrise, con un ghigno arcigno. «Ma chi si rivede» cantilenò, avvicinandosi. Emma sostenne il suo sguardo. «Di un po’, ti sono mancato?» La ragazza non rispose, ma l’occhiata piena di rabbia e disgusto che gli rivolse fu palese.
Il Capitano si voltò, rivolgendosi ai suoi uomini. «Dove sono gli altri?» domandò.
«Non ci sono, Capitano» rispose uno da parte di tutti. «Ci sono solo questi due.»
«Lui in che condizioni è?»
Uno di loro si chinò a terra, e solo a quel punto Emma si rese conto del corpo inerme che giaceva a terra. L’uomo gli portò due dita al collo, per poi storcere le labbra. «Sembra morto, signore.»
Il Capitano ghignò. «Molto bene.»
Emma sentì il fiato venir meno, mentre il cuore minacciava di perdere i suoi battiti. La vista le si offuscò di nuovo, e gli occhi bruciavano. «No» gracchiò, con un singhiozzo.
Il Capitano si voltò a guardarla. Le afferrò il mento con una mano, costringendola ad alzare lo sguardo. «A quanto pare» sibilò. «Qui siamo rimasti solo noi due.»
Ridacchiò, mentre lei lo fulminava con lo sguardo. «Dove sono gli altri due?»
Emma non rispose, e dopo circa un minuto di silenzio, l’uomo capì che non aveva intenzione di dirglielo. Digrignò i denti, irrigidendo la mascella. Lasciò andare il suo mento, senza però distogliere lo sguardo. «Portiamola via» ordinò ai suoi uomini. «Da un’altra parte. Nel luogo d’incontro.»
«E lui, signore?» chiese giustamente uno di loro, indicando John con un cenno del capo.
Il Capitano sbuffò. «Lui sicuramente sarà già morto. E se non lo è, lo sarà presto. Sarebbe solo un peso.»
Detto questo, tutti quanti gli rivolsero un saluto militare, quasi fossero d’accordo con le sue decisioni. Prima che quei due strattonassero di nuovo l’esile corpo di Emma per trascinarla chissà dove, il Capitano si chinò su di lei e sussurrò. «Chi è che comanda, adesso?»
 
Ω Ω Ω
 
Mentre tutto, intorno a lui, continuava a bruciare, John sentì le grida di un'Emma che si ribellava allontanarsi.
Quell’uomo aveva detto che era morto, ma lui non lo era affatto. Però lo sarebbe stato presto, se non avesse trovato una soluzione.
Gli faceva male tutto, e sia il fianco che il braccio erano ustionati gravemente. Il suo respiro era irregolare, e le palpebre così pesanti da minacciare di chiudersi. Ma lui non doveva mollare.
Tenne lo sguardo fissò sul cielo, deciso a non cedere al sonno che lo soffocava. Perché altrimenti non si sarebbe svegliato più.
Fece dei grandi respiri, ma fu solo peggio. Il fumo penetrò nei suoi polmoni, raschiandoglieli. John trattenne il fiato, ma non aveva le forze per restare così a lungo.
Un suono di scalpiccio ovattato arrivò al suo orecchio destro. John voltò il capo, lentamente, e con la vista offuscata vide due paia di zoccoli avvicinarsi a lui.
Era troppo impegnato a sopravvivere per andare nel panico.
Per un attimo, pensò che quel pegaso credesse davvero che fosse morto, e che voleva mangiarlo. Ma poi sentì qualcosa di ruvido e umido sfregare contro la sua mano, inzuppandogliela.
Quell’animale lo stava leccando. Non aveva idea del perché lo stesse facendo, ma era piacevole. Lo aiutava a non sentire più il bruciore delle ustioni.
Il pegaso passò la lingua lungo tutto il suo braccio, per poi concentrarsi sul suo fianco. Dopo circa un quarto d’ora, indietreggiò.
John non riusciva a scorgerlo neanche con la coda dell’occhio, ma sentiva la sua presenza incombere su di lui.
Con un po’ di esitazione, provò ad alzarsi. I suoi muscoli erano ancora indolenziti, troppo deboli per sorreggere il suo peso. Ma il fianco non gli faceva più male. Né il fianco, né il braccio. Lanciò un’occhiata alle sue ustioni. Erano sparite. Al loro posto, c’era solo una piccola zona un po’ più rosea della sua pelle, ma per il resto erano sparite.
John si domandò se fosse merito del pegaso, mentre lo cercava con lo sguardo. Forse la sua saliva aveva dei poteri curativi che lui non conosceva. Non si era mai interessato più di tanto a questo genere di informazioni.
Quasi subito, quando si tirò su a sedere e sollevò gli occhi, lo vide osservarlo da lontano. Se ne stava lì, a circa un metro da lui, e sembrava avere paura.
John continuava a fissarlo, incapace di distogliere lo sguardo. Una strana sensazione ormai nota si stava insinuando nel suo petto, e non poté fare a meno di indietreggiare quando il pegaso fece un passo avanti.
Questo, però, sembrò spaventarlo, perché arrestò la sua camminata e tornò dove si trovava prima.
John si diede mentalmente dello stupido. Era solo un cavallo, per la miseria. Un cavallo, solo e assolutamente uguale a tutti gli altri.
Ma forse era proprio quello il problema.
John chiuse un attimo gli occhi, facendo due grandi respiri. Quel pegaso l’aveva aiutato. Avrebbe potuto infischiarsene, e invece era tornato indietro e l’aveva curato. Gli aveva salvato la vita.
Cercò di pensare a questo, mentre riapriva gli occhi e lo guardava. Un immagine tentò di riaffiorare alla sua mente, ma lui la soffocò, deglutendo con fatica. Allungò una mano verso di lui, esitante.
Il pegaso lo squadrò un attimo, indeciso, ma poi si avvicinò con circospezione. Era arrivato a circa mezzo metro di distanza quando John sentì il suo cuore fremere.
Il cavallo annusò con curiosità il palmo teso della sua mano, per poi leccargliela. Riconobbe il sapore della sua saliva, e vi ci poggiò il muso, nitrendo leggermente.
John sfiorò con delicatezza il dorso di quel naso liscio e un po’ sporco.
Lo stava accarezzando. Lui, senza più paura. Stava accarezzando un cavallo. Il pegaso gli leccò di nuovo il palmo, facendogli sfuggire un sorriso.
Quell’animale non era cattivo. E forse non lo era mai stato. Forse non lo era mai stato nessuno di loro.
La verità, è che la cosa di cui lui aveva più paura erano i suoi ricordi, perché facevano troppo male e perchè lui non riusciva a combatterli. Ma adesso aveva seguito il consiglio di Emma. Li aveva domati, e, mentre continuava ad accarezzare quella creatura, non gli facevano più così tanta paura.
Il pegaso gli masticò un po’ i capelli, cacciando via anche quei pochi residui di sangue dovuti a qualche ferita superficiale alla testa.
John cercò di alzarsi in piedi, per poi fare qualche passo un po’ barcollante. Si guardò un intorno, spaesato, e solo quando si rese conto di essere davvero solo con quel cavallo la verità lo colpì come un pugno nello stomaco.
Emma…
Portò le mani a coppa alla bocca e gridò. «Emma!»
Niente.
Si passò una mano fra i capelli, preoccupato.
«Dannazione!» imprecò, dando un calcio ad un albero lì vicino. Il tronco di quest’ultimo si sgretolò un po’, incenerito.
La sua amica era stata rapita, e lui non aveva idea di dove l’avessero portata.
Il pegaso nitrì, ma lui lo ignorò. Cercò di pensare a tutti i possibili posti dove avrebbero potuto segregarla, ma il problema giungeva sempre quando si trattava di come arrivarci.
Il pegaso nitrì di nuovo, cercando di attirare la sua attenzione.
John lo guardò. Il cavallo alato si stava agitando sul posto, e continuava ad indicare con un cenno del muso un punto indefinito.
John corrucciò le sopracciglia, ma poi capì. Sgranò gli occhi. «Tu sai dove l’hanno portata?»
Il pegaso nitrì, alzandosi sulle zampe posteriori in segno d’assenso. John si grattò la fronte. «E come pensi che potrei arrivarci?»
A quel punto, il pegaso rastrellò uno zoccolo a terra, sbuffando con le grosse narici. Spiegò le grandi ali bianche e gli diede la schiena, in attesa.
Il ragazzo ci mise un po’ per capire.
Lo stava invitando a cavalcare. Dopo circa quattro anni, il modo migliore per arrivare in fretta dalla sua amica era saltare sul suo dorso e prendere il volo.
Ma era davvero pronto a farlo? Dopo tutto questo tempo passato ad aver paura dei cavalli, era davvero pronto a montare uno di loro?
Doveva compiere una scelta. Chi avrebbe vinto?
La necessità di salvare Emma?
O le sue paure?
 
Ω Ω Ω
 
Emma cercava di ribellarsi con tutte le sue forze, mentre gli uomini continuavano a strattonarla chissà dove. La tenevano ben salda, e dopo un po’ il sole cocente e la loro stretta di ferro cominciarono a bruciarle sulla pelle.
Passarono circa un paio d’ore, e la figlia di Ermes si rese conto di star scalando una montagna solo quando camminare divenne più faticoso.
In quel momento, smise di ribellarsi, stupita, e si guardò intorno.
Il luogo d’incontro? Chi potevano mai incontrare su una montagna di un’isola disabitata? C’erano altre persone con loro? Avevano forse rapito o attaccato Skyler e Michael?
Per porgersi quelle domande rimase ferma un secondo più del dovuto, tant’è che l’uomo che le stringeva il braccio destro le diede una spinta, costringendola a camminare. 
Faceva caldo, e il sudore le imperlava la fronte appiccicandole i vestiti al corpo.
Gli uomini continuarono ad avanzare, e ad un certo punto si sistemarono in fila indiana, per poter passare su uno stretto pendio roccioso.
Doveva pur esserci una via di fuga, in tutto questo. Era disposta a tutto.
Ma quando si sporse a sinistra, le sue convinzioni vacillarono.
Una forte nausea le invase lo stomaco, mentre la testa cominciava a girarle.
C’era il vuoto. Si trovavano a chissà quanti metri d’altezza, e sotto di loro solo aria.
Le sue gambe cedettero, ed Emma rischiò di accasciarsi fra le braccia degli uomini che la stringevano.
Il Capitano le lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio, e l’angolo della sua bocca ebbe un guizzo, probabilmente convinto che la paura della ragazza fosse dovuta a loro.
Emma si sforzò di non pensarci, e, preso un bel respiro, chiuse gli occhi, facendosi guidare dai suoi rapitori.
Dopo un tempo che parve infinito, il Capitano si fermò, e con lui tutti gli altri. Emma alzò lo sguardo. Si trovavano alla fine del pendio, in uno spazio grande ma che sembrava fin troppo stretto.
Il Capitano si voltò a guardarla, con un ghigno soddisfatto. «Lasciatela» ordinò, e i suoi uomini obbedirono.
Emma provò l’impulso di sfregarsi le braccia non appena la lasciarono, ma sarebbe stato un segno di debolezza, e l’ultima cosa che voleva era dimostrare a quell’uomo di avere paura.
Uno dei due le diede uno spintone, facendola barcollare in avanti. Il Capitano continuava a puntarle gli occhi addosso, e per un po’ la figlia di Ermes provò a sostenere con astio il suo sguardo.
L’uomo le girò introno, portandosi alle sue spalle. Emma si voltò a guardarlo, per tenerlo d’occhio, e quando lui fece un passo avanti, lei ne fece uno indietro.
Lui provò di nuovo ad avanzare verso di lei, ma la ragazza indietreggiò, finché i suoi talloni non trovarono un precipizio. Emma chiuse gli occhi, sforzandosi di non tremare.
«Dove ci troviamo?» chiese, cercando di non tradire il tremitio della sua voce.
Il Capitano sorrise. «Ho pensato di parlarti, prima di condurti dal Generale» annunciò, giocherellando con un bottone della sua camicia.
Emma deglutì. «Il Generale è qui?»
L’uomo sembrò rabbuiarsi, ma annuì. «Ci ha ordinato» cominciò, ma poi ci ripensò. «Ci ha chiesto di cercarvi. Sai, non gli è piaciuto per niente quello scherzetto sulla nave. Né tanto meno a me.»
Emma soffocò una risata sarcastica. «Come se ce ne importasse qualcosa.»
Il Capitano digrignò i denti, e si irrigidì. «Ad ogni modo, lui ha intenzione di uccidervi tutti» riprese. Poi la guardò con un ghigno arcigno. «Ma io sono qui per proporti un accordo.»
Emma inarcò un sopracciglio, in ascolto. Per precauzione, fece qualche passo avanti, pur di allontanarsi da quel precipizio. «Che genere di accordo?»
Gli occhi del Capitano si illuminarono, come se non aspettasse altro che quella domanda. «Come ben sai, per voi ci sono davvero pochissime speranze di sopravvivenza» cominciò. «Vi porteremo tutti sul Cuore del Drago. Vedi? Quella montagna laggiù» disse, indicandogliela con un cenno. Emma seguì con lo sguardo la direzione del suo braccio, mentre lui continuava a parlare. «E lì, beh… sappiamo entrambi che cosa potrebbe succedervi.»
La bionda lo guardò, con un misto di odio e preoccupazione. Lui ghignò. «Ma tu potresti salvarti.»
Emma aggrottò la fronte, non capendo. «Che cosa vuoi da me?» ringhiò.
Lui rise, quasi la stesse prendendo in giro. «Voglio solo la tua collaborazione. Io voglio trovare i tuoi amici e tu vuoi salvarti la pelle, giusto? Perché non aiutarci a vicenda, allora.»
Emma sembrò indignata. «Tu mi stai…»
«Oh, andiamo, non fare la difficile!» la interruppe lui, zittendola con un gesto della mano. «Sappiamo entrambi che se non accetti per te finirà male. Ti sto offrendo la mia protezione, non ti pare?» Sorrise, avvicinandosi di un passo. Ma stavolta, Emma non indietreggiò. «Per loro non c’è comunque storia, non riusciresti lo stesso a salvarti. E poi, guardati intorno» esclamò, allargando le braccia. «Loro non stanno cercando di salvare te.»
Emma strinse i pugni, conficcandosi le unghie nella carne con così tanta forza da procurarsi dei piccoli segni a forma di mezzaluna sui palmi. «E che cosa speri di ottenere?»
«Beh, tu, intanto, ne ottieni la vita. Ed io…» Fece un sorriso sghembo. «Sai, mi sei sempre piaciuta, figlia di Ermes.»
Emma inarcò le sopracciglia, incrociando le braccia al petto. «Oh, davvero?» disse, scettica.
Lui alzò le mani in segno di resa, ridacchiando. «Lo so, lo so. Non sembrerebbe. Ma, ehi, cerca di capirmi. Mi avete distrutto la nave, dovevo pur vendicarmi. Ma ho sempre ritenuto che fossi tu la più intelligente.» La guardò negli occhi, inclinando leggermente la testa di lato. «E sono convinto che tu sappia riconoscere una buona offerta quando la vedi.» La bionda esitò, e questo gli diede un motivo in più per continuare. «Ciò che ti chiedo io è semplice. Tu ti allei con noi, e nessuno ti farà più del male.»
«E con allearmi con voi intendi tradire i miei amici?»
Lui arricciò il naso. «Intendo aiutarci a capire le loro debolezze, si.»
Emma fece un breve sospiro, irrigidendosi. «Fammi capire bene» cominciò, stringendo gli occhi a due fessure. «Tu vuoi che io vi aiuti a distruggere i miei amici. Che vi dica il modo più crudele per sconfiggerli, e che li tradisca così, di punto in bianco. E tutto questo in cambio della vita.»
Lui annuì, compiaciuto. «L’ho detto, io, che eri intelligente.»
Emma distolse lo sguardo, facendo credere che ci stesse pensando. Dopo un po’, gli diede le spalle e con esitazione si avvicinò al precipizio.
Il suo cuore sfarfallò non appena un forte vento le scompigliò i biondi capelli, ma, stringendo i denti, si impose di guardare giù.
Perse un battito, mentre una crudele nausea le assaliva lo stomaco. Si trovavano a circa venti metri di altezza, e la vertigine le faceva girare vorticosamente la testa.
Era sempre la stessa storia. Era per questo che non riusciva mai a scalare più di un metro del muro al campo. Era per questo che ogni volta che i suoi fratelli si sfidavano a chi raggiungesse prima la cima dell’albero lei scappava via. Era per questo che non aveva mai viaggiato su un aereo, che non era mai salita su un tetto, che non si era mai arrampicata su un cornicione, che adesso faticava a guardare in basso.
Lei aveva paura. Era strano, da dire, ma era così. Lei aveva paura come non ne aveva mia avuta in vita sua. I denti le battevano per un riflesso incontrollato, aveva la pelle d’oca e giurò che se non si fosse allontanata immediatamente da lì avrebbe rischiato di vomitare. Cominciò ad ansimare, ma fortunatamente il Capitano era troppo lontano perché potesse sentirla. Emma irrigidì la mascella, serrando gli occhi e imponendosi di calmarsi.
Ma non ci riusciva. Ora capiva come doveva sentirsi Skyler quando vedeva il fuoco, o Michael quando scorgeva l’acqua, o John quando vedeva un cavallo o un pegaso fissarlo con astio.
Per anni, lei aveva sempre ignorato la sua paura. Ci aveva sempre girato intorno, senza mai affrontarla realmente. Ma, lo stava imparando a sue spese, prima o poi la vita ti ci pone davanti, e sta a te scegliere se farti sopraffare o se affrontarla di petto.
Si voltò verso il Capitano, guardandolo negli occhi. Lentamente, andò verso di lui, finché non si trovarono a circa un metro di distanza.
Lui sorrise. «Allora, hai deciso?» domandò. «Ci aiuterai?»
Emma ghignò, avvicinandosi ancora di più. Si sporse verso di lui, sussurrando in modo che fosse l’unico a poterla sentire. Lui trattenne il fiato, eccitato, ma ciò che gli disse lo spiazzò.
«Preferisco morire.»
Il Capitano non ebbe neanche il tempo di metabolizzare quelle parole, che Emma si era già voltata e aveva cominciato a correre verso il precipizio.
La ragazza non riuscì a pensare. Vi andò incontro, senza esitare, e quando la terra sotto i suoi piedi stava per finire, saltò.
L’aria le fischiò nelle orecchie, così forte da impedirle qualunque pensiero.
Il terreno si sollevava verso di lei, pronto a raggiungerla. O era lei ad andare verso di lui? Era impossibile dirlo, in quello stato.
Stava morendo. Il cuore le batteva così forte nel petto da farle male, e ogni muscolo del suo corpo era in tensione mentre la sensazione della caduta le afferrava lo stomaco.  
Era consapevole di ciò che aveva fatto, e non se ne pentiva. Ma quando chiuse gli occhi, pronta ad affogare fra le braccia di Gea, qualcosa la afferrò al volo, arrestando la sua caduta.
Emma sbarrò gli occhi, scioccata, e non capì cosa fosse successo finché non incontrò le iridi verdi di John.
«Emma!» esclamò lui, con un sorriso. «Sei viva!»
«Già…» cercò di sussurrare lei, ma la sua voce spezzata si perse nel vento. Alzò lo sguardo, osservando il punto dal quale si era lanciata, e un nodo le si strinse in gola per la paura. Ansimava. «Avete visto tutti?» urlò, con occhi spiritati. «Perché col Tartato che lo rifaccio!»
John rise, sollevato. Se la strinse al petto, poi la guardò sorpreso. «Erano più di venti metri!»
Emma deglutì, rabbrividendo. «Ti prego, non ricordarmelo.»
Solo in quel momento, mentre si guardava intorno, si rese conto che in realtà stavano volando. Stupita, guardò sotto di se, e vide un bellissimo pegaso portarli in salvo controvento.
«John!» esultò, mentre un sorriso si faceva largo sul suo viso. Lo guardò. «Ma questo è un pegaso!»
Il ragazzo forzò una risata a fior di labbra, visibilmente teso. «Ti prego, non ricordarmelo» mormorò, a denti stretti. Emma rise, divertita.
Il pegaso sembrò nitrire preoccupato, e a quel punto John si rabbuiò. «Dobbiamo trovare Skyler e Michael» disse, con tono determinato. «Temo che gli sia successo qualcosa.»
Emma annuì, cupa ma decisa. «Li hanno presi. Il Generale li ha portati su quella montagna.» Si voltò a guardarlo, pronta a dargli coraggio, ma quando incrociò i suoi occhi capì che non ce n’era bisogno.
«Muoviamoci» lo incitò.
E, dopo che il pegaso si fu leggermente impennato, volarono più veloce che poterono verso quella che sembrava essere la vera e propria battaglia.

Angolo Scrittrice.
Okey ragazzuoli, eccomi qui. Scusate se non sono riusicta a pubblicare prima, ma oggi è stata una giornata un po' così, quindi sorvoliamo...
Alors, che ve ne pare? Vi è piaciuto il capitolo? Spero tanto di si...
Molti di voi mi avevano chiesto che fine avessero fatto Emma e John, e, beh, questa è la risposta. Sono stati costretti anche loro ad affrontare le loro peggiori paure. Abbiamo capito più a fondo quella di John (che ora non sembra più tanto stupida come all'inizio, lo ammetto xD) e abbiamo visto Emma sconfiggere la sua pur di salvare i suoi amici. Che ragazza dal cuore d'oro, lei :3
Bien bien, è molto tardi e domani c'è scuola, quindi passo direttamente ai ringraziamenti. Un grazie infinito a:
kiara00, Fred Halliwell, heartbeat_F_, FoxFace00, chakira, DormitePayne, Ema_Joey e Greg Heffley. Siete fantastici, Angeli <3
Oookey, ora è arrivato davvero il momento di andare. Un bacio enorme e grazie ancora.
Sempre vostra,
ValeryJackson


 

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


Il Generale aveva ordinato ai suoi uomini di portarli su quella che aveva denominato “Cuore del Drago”, e che poi Skyler aveva scoperto essere una montagna.
La ragazza si era fatta trascinare senza opporre resistenza, mentre si sforzava di capire cosa il Generale volesse da loro e meditava sul modo migliore per scappare.
Michael, invece, continuava a provare a divincolarsi dalla loro presa. Ogni tentativo di combattere o ribellarsi, però, era pressoché inutile, per cui, dopo un po’, anche il figlio di Poseidone smise di opporsi.
Gli uomini li trascinarono quasi fin su la vetta, per poi fermarsi su un avvallamento roccioso grande più o meno quanto uno stadio di football, all’ombra dell’ultima cresta del monte.
Skyler si guardò intorno, spaesata. Perché li avevano portati lì?
Non fece in tempo a darsi una risposta, che sentì Michael, circa due metri dietro di lei, tentare invano di divincolarsi con uno strattone. Avvertì la risata sommessa del Generale pungerle l’orecchio, poco prima che i due uomini che la tenevano ferma la costringessero a voltarsi, ponendola di fronte alla scena.
I suoi occhi incontrarono quelli di ghiaccio del Generale, che le sorrise, come un vampiro.
«Come va?» chiese, ironico, ma tutto ciò che ottenne fu un’occhiataccia da parte della figlia di Efesto, che stringeva i denti per evitare di esplodere in insulti e parole che forse avrebbero solo peggiorato la situazione. Decise di sostenere il suo sguardo, però.
Resosi conto dell’imminente silenzio, l’uomo si avvicinò di qualche passo, senza mutare l’espressione del viso.
La squadrò da capo a piedi, indecifrabile, e Skyler sentì un brivido salirle lungo la schiena. «Sai, sono proprio curioso di sapere cosa vorrà farne, di te» sussurrò, confondendola ancora di più. Ghignò, afferrandole il viso con una mano e avvicinando le labbra alla sua guancia. «Io avrei già un’idea in mente.» Skyler digrignò i denti, ingoiando una sensazione di disgusto.
«Non la toccare!» sbraitò Michael, e fece per saltargli addosso, ma i due uomini continuarono a tenerlo fermo.
Il Generale si voltò di scatto, guardandolo con un sopracciglio inarcato. Lasciò il volto della ragazza e si avvicinò al figlio di Poseidone, per poi abbozzare un sorriso sghembo, tanto che la cicatrice sul suo volto sembrò incresparsi. Guardò prima lui, poi Skyler, poi di nuovo lui. «Altrimenti?» domandò, beffardo. Ma non ottenne risposta.
«Lascialo» ordinò all’uomo che stringeva il suo braccio destro, con un cenno del capo.
Questi esitò un attimo, ma poi obbedì. Michael non capì il significato di quel gesto, ma non lasciò trasparire alcuna confusione, solo rabbia, mentre sosteneva lo sguardo dell’uomo.
Quest’ultimo non si lasciò scalfire. «E così» cantilenò, con una punta di divertimento in quelle parole. «Questa sfacciata ti piace molto, eh?» Michael sgranò gli occhi, interdetto. Lanciò una fugace occhiata a Skyler, che li osservava perplessa e spaventata, e digrignò i denti. Il Generale rise. «Immaginavo» mormorò. Si avvicinò di un passo a lui, sovrastandolo con i suoi dieci centimetri in più d’altezza. «È molto eroico, da parte tua, cercare di difenderla. Davvero. Assolutamente commovente.» Ghignò, perforandolo con il suo sguardo di ghiaccio. «Ma hai deciso di metterti contro la persona sbagliata.»
Detto questo, gli afferrò con forza il braccio, artigliando in una morsa d’acciaio con le dita proprio il punto in cui, ad Alert, vi aveva affondato la spada.
Michael gridò dal dolore, non potendo immaginare che quella ferita fosse ancora aperta, e che facesse ancora tanto male. Si piegò in due, mentre la bile gli risaliva alla gola e la vista cominciava ad appannarsi.
«Michael, no!» esclamò Skyler, tentando di correre da lui. Ma non riuscì a muoversi di un passo, e sentì le lacrime salirle agli occhi. «Lascialo stare!»
In quel momento, un grido squarciò l’aria. Ma più che disperato, sembrava essere un grido di battaglia. E proveniva da sopra le loro teste.
Tutti alzarono lo sguardo, stupiti, e Skyler fece appena in tempo a scorgere un paio di maestose ali ombrare la luce del sole, che qualcosa si scagliò su di loro.
Palle di fuoco.
Skyler strabuzzò gli occhi, mentre tutti gli uomini cominciavano a gridare e a tentare di scappare.
I due che le tenevano le braccia se la diedero a gambe, e Skyler approfittò di quel momento di panico generale per ruzzolare di lato, evitando un’ondata di fiamme che si riversò proprio nel punto in cui si ritrovava un attimo prima.
Mentre si ritrovava carponi per terra, ansimante, alzò lo sguardo, e sentì montare il panico.
Tutto, intorno a lei, stava andando a fuoco. Fiamme enormi divampavano verso il cielo, circondandola e gettando il terrore nei cuori dei suoi rapitori. Il suo battito accelerò, mentre diventava sempre più difficile continuare a respirare.
Non ti farà del male, continuava a ripetersi, spaventata. Tu ne sei immune. Ne sei immune, ne sei immune!
Ma, purtroppo, quei pensieri non riuscivano mai a raggiungere quella parte di cervello dedicata alla ragione. Sentì la gola cominciare a bruciarle, mentre il panico la pietrificava.
«Skyler!» esclamò qualcuno, attraverso le fiamme. Michael si precipitò verso la ragazza, inginocchiandosi accanto a lei. Probabilmente si rese conto quanto il suo respiro fosse irregolare, o forse semplicemente sapeva quanto tutto ciò la terrorizzasse. Fatto sta che se la strinse al petto in un istinto di protezione, sforzandosi di tranquillizzarla. «Skyler, va tutto bene» le sussurrò, con tono convincente. «Non ti accadrà niente, ok? Ci sono qua io, le fiamme non ti faranno del male. Non permetterò che ti facciano del male.» La sua voce aveva un tono sicuro e autoritario, nonostante i polmoni gli bruciassero come se fossero stati appena spazzolati con la cartavetro. Lui non era immune al fuoco, e tutto quel fumo lo stava annientando. Ma non aveva intenzione di lasciare Skyler lì. Né di permettere che si lasciasse sopraffare dal terrore.
«Ti porto via di qui» assicurò, guardandosi intorno in cerca di una via d’uscita attraverso quel muro di fiamme. La prese in braccio, e lasciò che lei nascondesse il viso nell’incavo del suo collo, mentre lui continuava a cercare. Tossì, trattenendo il fiato il più possibile nel tentativo di ingerire meno fumo. Ma faceva comunque fatica a concentrarsi. «Ti porto via.»
Finalmente, trovò uno spiraglio di speranza illuminargli una via d’uscita in mezzo a tutto quel fuoco. Vi corse incontro, senza permettersi alcuna esitazione, e quando furono fuori da quella prigione si allontanò il più possibile. Si rese conto che solo il luogo dove poco prima si trovavano stava bruciando, mentre in tutto il resto sembrava regnare la quiete.
Michael tossì ancora, faticando ad iniettare aria nel polmoni bruciati. Il petto gli doleva e la testa gli girava, eppure non lasciò andare Skyler neanche per un secondo. Si accasciò a terra, tenendo ancora la ragazza fra le braccia.
«È tutto finito» disse, stringendosela al petto e lasciandole un bacio fra i capelli. «È finita, siamo fuori. È tutto finito, Skyler.»
Con un po’ di difficoltà, Skyler riacquistò un respiro regolare, e solo quando sentì le lacrime salirle imperterrite agli occhi nascose il viso nella maglietta di Michael, singhiozzando piano.
Lui la strinse ancora di più a se, nel tentativo di infonderle coraggio, di farle provare un senso di protezione. Posò le labbra sul suo capo ed inspirò appieno l’odore dei suoi capelli. Sapevano di fumo, certo, ma vi era ancora inconfondibile il profumo di lavanda che gli aveva sempre fatto ballare lo stomaco. Chiuse gli occhi, facendosi cullare dal calore del suo corpo e dal mormorio dei suoi singhiozzi che si affievolivano.
Li riaprì solo quando sentì dei passi sordi infrangersi sul terreno. Alzò lo sguardo, interdetto, e lo stupore lo lasciò a bocca aperta.
«Tu?» sussurrò, incredulo.
Anche Skyler allontanò il viso dalla sua maglietta e sollevò lo sguardo, corrucciando leggermente lo sopracciglia. «Fotia?» domandò, stupita.
Lo spirito del fuoco esibì un sorriso sghembo, ironica. «Anche per me è un piacere vedervi» esclamò, incrociando le braccia.
Michael la guardò, confuso, ma gli bastò un’occhiata alle rocce alle sue spalle, che erano ancora in fiamme, per capire. «Sei stata tu?»
Lei sbuffò. «Ovvio! E chi altro, se no? Dovreste ringraziarmi.»
«Ma…» stavolta era stata Skyler a parlare. «Ma… perché l’hai fatto?»
Lo spirito sospirò, ed esitò un attimo, prima di fare spallucce e rispondere. «Sapevo quello che Fysi aveva intenzione di fare. Quegli uomini sono arrivati qui molto prima di voi. Il Generale…» Titubò, ma poi riprese. «Il Generale era approdato sulle nostre spiagge il giorno prima. Ha cercato di convincerci che catturarvi fosse la cosa più giusta, e che voi eravate un pericolo, ma quando vi ho visti arrivare ho capito che il vero mostro, qui, era lui. Sono la protettrice della Fenice, so riconoscere un cuore buono, quando lo vedo. E voi ce l’avevate. Ho provato a dissuadere Fysi, lo giuro, ma quando lei si è imposta con tutte le sue forza, ho deciso che non me ne importava niente, e che poteva gettarvi fra le braccia di chi le pareva. Solo che poi sono arrivati i sensi di colpa.» Fece una smorfia, quasi fosse disgustata. «Odio quando mi costringono a fare la cosa giusta.»
Michael boccheggiò un attimo, in cerca di qualcosa da dire. Lanciò un’ultima occhiata alle fiamme che divampavano, per poi tornare a guardarla. «Tu ci hai salvato la vita.»
Fotia roteò gli occhi, frustrata. «Ho solo saldato un debito. Serviva unicamente per espiare i miei sensi di colpa, niente di più. Non credetevi troppo importanti.»
Michael abbozzò un sorriso, alzandosi da terra, per poi aiutare anche Skyler porgendole entrambe le mani. «Dobbiamo andarcene» affermò, deciso. «Prima che quegli uomini riescano ad uscire dalle fiamme e…»
«Eccoli là!» sbraitò qualcuno alle loro spalle. I ragazzi si voltarono, scorgendo il Generale indicarli con uno sguardo truce ed i vestiti bruciati. I suoi occhi di ghiaccio grondavano d’odio. «Prendeteli!» ordinò.
Mentre gli uomini si precipitavano contro di loro con delle grida di battaglia, Michael afferrò la mano di Skyler, scappando dalla parte opposta. Fotia esitò per un secondo, ma poi li seguì in volo, facendo vibrare le sue ali.
I due mezzosangue corsero a perdifiato, ma quegli uomini erano troppo veloci, e stavano per raggiungerli. Nonostante lo spirito del fuoco continuava ad investirli con le sue fiamme, quelli non arretrarono, e ben presto sospinsero Skyler e Michael sull’orlo di un dirupo.
I ragazzi si voltarono, terrorizzati, appena in tempo per scorgerli avanzare pericolosamente. Il fuoco li aveva rallentati, certo, ma non poteva fermarli per sempre. Per questo furono costretti a fare un passo indietro, quando quelli li circondarono.
«Fotia» implorò Michael, a denti stretti. «Ti prego, aiutaci.»
Lei scosse la testa, volando sulle lori teste avvilita. «Mi dispiace, ma più di così non so che fare. Gli spiriti non possono uccidere, è la regola. Potevo solo rallentarli.»
Il Generale a capo del gruppo ghignò, inumidendosi le labbra. Michael sguainò la spada e si parò davanti a Skyler, quasi volesse proteggerla. Alle sue spalle, anche la figlia di Efesto brandì la sua.
Il Generale rise, divertito alla vista di quella scena. «Distruggeteli» ordinò, con un sorriso malvagio. «Ma lasciate viva la ragazza.»
Detto questo, gli uomini si avventarono su di loro. Michael gli andò incontro, con determinazione, e riuscì a farne fuori due, prima che la sua spada cozzasse contro quella di un altro.
Skyler strinse i denti e si buttò nella mischia, ferendo un uomo e colpendone un altro giusto al centro della faccia.
Uno di loro cercò di attaccarla da dietro, ma Skyler fu abbastanza veloce da schivare il suo colpo e assestargliene uno al centro del petto, con l’elsa della spada. L’uomo barcollò all’indietro, ma dopo un attimo di disorientamento tornò all’attacco. Tentò prima con un montante destro, poi con un affondo, ma la ragazza riuscì a pararli entrambi. Quando le loro spade cozzarono per l’ennesima volta, Skyler fletté le ginocchia, ferendogli una gamba. Lui si piegò in due dal dolore, e lei riuscì a colpirgli il capo prima con il gomito, e poi con il ginocchio, approfittando del suo stordimento per gettarlo a terra con un calcio in pieno petto. Metodi un po’ rudi, certo, ma efficaci.
Non appena però sentì il tonfo del suo corpo contro il terreno e si voltò, le mancò il fiato. Un uomo aveva la lama della spada premuta contro la sua gola, poco sotto il mento. Lei non l’aveva sentito arrivare, e ormai lui era talmente vicino che cercare di colpirlo avrebbe significato un corpo senza testa. Deglutì appena, preparandosi al peggio, mentre lui esercitava una leggera pressione sulla lama.
Skyler sentì il metallo freddo bruciarle contro l’ugola, quando una freccia gli trapassò il petto. L’uomo strabuzzò gli occhi, e un rivolo di sangue gli colò sulle labbra mentre barcollava all’indietro e si accasciava a terra.
Skyler alzò gli occhi, scrutando il cielo con lo sguardo. Fu solo a quel punto che vide un maestoso pegaso scendere in picchiata verso di loro, con John ed Emma in sella.
Il suo volto fu illuminato da un sorriso. «John!» esclamò, felice. «John! Emma!»
«Skyler!» Il biondo non aspettò neanche che gli zoccoli del pegaso toccassero terra per saltare giù e correre verso di lei.
La abbracciò, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo. «State bene?» domandò, preoccupato.
Skyler annuì, prima di staccarsi da lui quel po’ che bastava per scrutargli il volto. «E voi?»
«Abbiamo avuto giorni migliori» commentò Emma con una smorfia, guadagnandosi una risatina da parte dell’amica e un abbraccio.
«Dov’è Michael?» chiese John, scrutando fra le persone che lottavano.
Skyler si voltò cercandolo con lo sguardo, per scorgerlo poi disarmato mentre un uomo lo spingeva con la spada sull’orlo del dirupo. «Michael!» urlò Skyler, precipitandosi verso di lui con gli amici al seguito.
Ma, non appena furono abbastanza vicini, videro un’ombra stagliarsi su di loro, oscurando in sole.
Tutti alzarono il capo, stupiti, e Michael approfittò di quello stordimento generale per disarmare l’uomo e affondargli la spada nel ventre.
Skyler guardò il cielo, confusa, perché qualunque cosa stesse volando sulle loro teste, era enorme. Ma mai si sarebbe aspettata ciò che invece stava vedendo.
«Pista!» esclamò qualcuno, montando un enorme e temibile drago di metallo.
La creatura si stagliò nel cielo, imponente, prima di gettarsi in picchiata su di loro e seminare il panico.
Uomini terrorizzati correvano a destra e a manca, ma era quasi impossibile evitare che quelle enormi ali li scagliassero da qualche parte.
Skyler ed Emma si gettarono a terra, mentre John gli faceva scudo con il suo corpo quando il drago passava sulle loro teste.
Solo dopo un po’ il panico generale fu sostituito da un insieme di lamenti ed ossa rotte.
Skyler alzò lo sguardo, immune proprio come i suoi amici alla furia della creatura di metallo, e scorse quest’ultima accovacciarsi sul terreno accanto a loro e ritirare le proprie ali.
Qualcuno scivolò via dalla sella sul suo dorso, sgranchendosi le gambe e guardandosi intorno con aria soddisfatta.
Gli occhi di Skyler si illuminarono.
«Leo!» esclamò, alzandosi da terra e correndogli incontro. Il ragazzo seguì con lo sguardo la voce della sorella, guardando nella sua direzione, per poi sorridere e allargare le braccia.
Skyler gli saltò al collo, stringendolo in un abbraccio con tutte le forze che possedeva. «Non posso crederci» continuava a mormorare. «Non posso crederci. Non posso crederci.»
«Sei viva!» esultava invece il fratello, fra una risata di sollievo e l’altra.
Skyler si staccò da lui, scrutandolo senza parole. «Che cosa ci fai qui? Ti credevo al campo!»
Lui fece spallucce, abbassando lo sguardo. «Non potevo lasciare che vi capitasse qualcosa. E poi, come vedi, avevate bisogno del mio aiuto.»
Gli occhi di Skyler si spostarono sul grande drago che riposava accanto a loro, per poi tornare sul volto del ragazzo. Corrucciò le sopracciglia. «E questo?»
Leo sorrise, compiaciuto. «Skyler» cominciò, dando una pacca sul suo dorso di metallo. Gonfiò leggermente il petto. «Ti presento il nostro drago felice.»
Se la bocca della ragazza avesse potuto essere una lettera, sarebbe stata una ‘o’ perfetta. Boccheggiò un attimo, in cerca di parole che non arrivavano. «Vuoi dire che…»
«Ho continuato a costruirlo non appena siete partiti» la anticipò Leo, annuendo soddisfatto. «L’ho aggiustato, l’ho perfezionato, e poi ho fatto in modo che fosse adatto per un… salvataggio d’emergenza. Non appena l’ho finito, sono subito corso da voi. E visto?» Lo indicò, con un sorriso a trentadue denti. «Ha solo una testa!»
«E le ali?» chiese Skyler, stupita. «Pensavo che non le sapessi costruire.»
Il ragazzo sospirò, annuendo leggermente. «Mi ha aiutato Microft.»
Lei strabuzzò gli occhi. «Micky?»
Leo annuì ancora, abbozzando un sorriso sghembo. «Quel ragazzino è davvero bravo con le pinze.»
Skyler rise, appuntandosi mentalmente di complimentarsi con lui e di ringraziarlo non appena fossero tornati a casa. Se fossero tornati a casa.
La sua espressione si incupì, facendole aggrottare la fronte. «Ma come hai fatto a trovarci?» domandò ancora, confusa.
Le labbra di Leo ebbero un fremito, quasi volesse sorridere ma capisse che non fosse il momento più adatto per farlo. «Ricordi quando ti ho regalato la collana?» disse, alludendo alla spada che aveva fabbricato per lei. Skyler annuì, non capendo dove volesse andare a parare. «Beh, quella sera, quando te l’ho messa al collo, avevo appena finito di fabbricare un piccolo cip, una sorta di cerca persone invisibile e senza peso. Per questo a quell’ora ero ancora sveglio. Quando te l’ho data… beh, ero preoccupato, e ho pensato che se mai avessi avuto bisogno di me, dovevo sapere come raggiungerti. Per questo l’ho nascosto nella collana.» Frugò in una delle tante tasche della sua cintura e vi cacciò un piccolo palmare. Sullo schermo, Skyler notò uno strano puntino rosso, che lampeggiava proprio nel punto esatto in cui si trovava lei. Guardò il fratello, in un’espressione mista di offesa e stupore.
Cercò di dire qualcosa, ma non trovò nulla di abbastanza tagliente e intelligente, così si limitò a dargli un pugno sul braccio.
«Ahia!» si lamentò Leo, massaggiandoselo. «È questo il ringraziamento per avervi salvato?»
Skyler inarcò le sopracciglia, quasi volesse sfidarlo ad aggiungere altro, ed aprì la bocca per rimproverarlo, quando Emma, accanto a loro, si sgranchì la voce.
«Ehm, scusate?» chiamò, attirando la loro attenzione. «Ma non credo sia una mossa saggia restare qui ancora a lungo.»
Sul volto di Leo comparve un sorriso sornione, mentre sembrava essersi accorto solo in quel momento della presenza degli altri ragazzi. «Oh, ciao!» esclamò, illuminandosi. Notò gli occhi della ragazza scrutarlo attraverso due fessure, per cui le fece l’occhiolino. «Ti sono mancato?»
Emma fece roteare gli occhi, esasperata. «Ne avete ancora per molto?» si lamentò, cercando di cambiare argomento. «Perché vorrei andare via.»
«Non così in fretta» la interruppe una voce alle sue spalle, facendo voltare tutti.
Il Generale li fissava, la spada sguainata. A dispetto dei suoi uomini, lui non aveva subito alcun danno grave, se non un livido sullo zigomo e qualche ammaccatura.
Come facesse quell’uomo a scamparla sempre, era ancora un mistero. Il suo sguardo strisciò viscidamente su tutti i ragazzi, fino a soffermarsi su Skyler, mentre il suo inquietante sorriso gli compariva sulle labbra. «La festa non è ancora finita.»
E mentre Skyler faceva un passo indietro per allontanarsi il più possibile da lui, Leo ne faceva uno avanti, estraendo dalla sua cintura un martello e rigirandoselo fra le mani. «Siamo in cinque contro uno» gli fece notare, sfacciato. «Sei sicuro che ti convenga combattere?»
Il Generale lo guardò, inarcando un sopracciglio. Soffocò una risata sarcastica, allargando le braccia, e quando un angolo della sua bocca si alzò, la sua cicatrice sembrò avere un fremito. «Io non ho intenzione di combattere» disse, come se fosse ovvio. I ragazzi si scambiarono un’occhiata, senza capire. Fu a quel punto che l’uomo ghignò soddisfatto. «Stavo solo cercando di prendere tempo.»
La terra tremò. E non nel senso che i ragazzi sentirono le forze venire meno dato che i loro sensi avvertivano il pericolo. No, tremò davvero. E un grosso fragore inghiottì i loro timpani, frastornandoli.
Skyler lanciò uno sguardo confuso al Generale, avvertendo la sua risata sconquassarle il cervello. «Buona fortuna, ragazzi» esclamò, con sarcasmo, estraendo un piccolo piatto con una pietra verde dalla tasca. Ma, prima di teletrasportarsi chissà dove, sorrise alla figlia di Efesto, facendole l’occhiolino. «Ci vediamo nei tuoi incubi, bambina» la salutò. E con questo sparì in una nube smeraldo.
Un ruggito tagliò di netto l’aria. La terra tremò ancora, stavolta più forte di prima, a tal punto che i ragazzi caddero carponi a terra.
Un’altra scossa. Ed un’altra ancora.
Skyler alzò il capo.
E sgranò gli occhi terrorizzata.

Angolo Scrittrice.
Holaa! Eccomi qui. Un po' prima del solito, oggi ;)
Bien bien, allora? Vi è piaciuto il capitolo? Spero di si.
Per tutti coloro che mi avevano chiesto che fine avesse fatto Leo: Tadaan! Non potevo rispondere alle vostre domande, perchè altrimenti avrei spoilerato tutto, ma adesso sappiamo che il nostro figlio di Efesto non è rimasto con le mani in mano. E sappiamo anche l'identità della persona misteriosa che era apparsa nel sogno di Emma. Ve la ricordate? Beh, complimenti a tutti quelli che avevano capito si trattasse di Microft. Piccolo ma buono, mi dicono ;D
Ora la minaccia 'Generale' non è più un problema, dato che se l'è data a gambe, ma ce n'è una molto mooolto peggio. Volete sapere di cosa si tratta? Non ve lo dico. muahahah, sono cattiva!
Bene, ora credo sia arrivato il momento di ringraziare tutti i mei Valery's Angels, e cioè:
heartbeat_F_, Ema_Joey, Greg Heffley, saaaraneedsoreo, Kalyma P Jackson, FoxFace00, DormitePayne, kiara00 e Kyira, che nello scorso capitolo mi hanno regalato nove bellissime recensioni.
Ma non solo. Vorrei anche ringraziare voi, 2025 lettori silenziosi, che spero di non deludere, e che vi piaccia la mia storia. Alle 9 persone che l'hanno inserita fra le ricordate, alle 57 che l'hanno messa fra le seguite e alle 52 che l'hanno aggiunta fra le preferite **
Grazie, grazie, grazie. Per il vostro sostegno, per il vostro supporto. Per tutto.
Vi adoro tutti! <3
Un bacione enorme, e al prossimo martedì.
Vostra,
ValeryJackson

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


Un ruggito tagliò di netto l’aria. La terra tremò ancora, stavolta più forte di prima, a tal punto che i ragazzi caddero carponi a terra.
Un’altra scossa. Ed un’altra ancora.
Skyler alzò il capo.
E sgranò gli occhi terrorizzata.

 

Di tutto ciò che avrebbe potuto immaginare riuscisse a fare quel rumore, mai si sarebbe immaginata… questo.
Skyler indietreggiò, spaventata, così velocemente da ferirsi le ginocchia sul terreno brecciato.
Espressioni di terrore e stupore si alternavano sui volti dei suoi amici, disorientandoli, mentre tutto ciò che lei riusciva a pensare era: Oh, no.
«Skyler, vieni via di lì!» le urlò Michael, cercando di sovrastare il frastuono creato dai passi di quel mostro.
Dai passi del gigante.
Era in assoluto la creatura più orrenda e grande che la ragazza avesse mai visto.
Era alto più di quattro metri. La pelle che ricopriva il suo corpo variava in una sfumatura fra il verde e il marrone, richiamando l’attenzione della terra che lo circondava. Lungi e crespi capelli gli raggiungevano il grasso bacino, intrecciandosi in malconci dread con foglie, fango e rami spezzati. Indossava solo un logoro gonnellino beige, così che il prominente addome si riversasse sul davanti in una disgustosa pancia. La sua andatura era barcollante per via del troppo peso, e ogni suo passo lasciava sul terreno dei solchi di circa venti centimetri.
Il mostro ruggì di nuovo, annusando l’aria con circospezione.
Non doveva averla vista, o almeno, questo sperava Skyler mentre i suoi muscoli rifiutavano di attivarsi.
Qualcuno le afferrò con forza il polso, strattonandola e costringendola a correre. Michael la trascinò verso il drago di metallo di Leo, facendola acquattare dietro il suo dorso per potersi nascondere.
Con il fiato grosso, Skyler si rese conto che anche i suoi amici si erano nascosti lì. Il cuore le batteva a mille, così chiuse gli occhi e posò la schiena sul fianco del drago, nell’inutile tentativo di regolarizzare il battito.
«Che cos’è quel coso?» chiese Emma, spaventata.
Skyler scosse la testa. «Non lo so» rispose, con un filo di voce.
«Si chiama Anteo» rispose una voce alla loro destra, costringendoli a voltarsi. Era Fotia, e l’espressione sul suo volto non fece che preoccupare ancora di più la figlia di Efesto.
«Chi… chi è Anteo?» balbettò Leo, con occhi spiritati.
Lo spirito del fuoco corrucciò le sopracciglia, sedendosi a gambe incrociate sul terreno e guardando i ragazzi. «È il gigante dell’isola» rispose, sforzandosi di non rabbrividire. «Figlio di Poseidone e di Gea.»
«Oh, fantastico!» esclamò sarcastico Michael, stringendo i denti. «Una riunione di famiglia.»
Fotia cercò di ignorarlo, ma non ci riuscì. Gli lanciò un’occhiataccia. «Non dovreste scherzare» lo rimproverò. «Anteo è davvero uno dei mostri peggiori che siano mai esistiti.»
«Nel senso che è cattivo?» domandò John.
«Nel senso che è invincibile.» I ragazzi la guardarono, senza capire. «È stato sconfitto solo una volta, per mano di Eracle. Lui… finché rimane a contatto con sua madre, la terra, questa gli restituisce le forze. Il figlio di Zeus l’ha soffocato sollevandolo da terra. Dovrete farvi venire qualche idea simile.»
«Per esempio?» chiese Skyler, squadrandola.
Fotia scrollò le spalle. «E che ne so io» si difese. «Gli spiriti non uccidono, credevo di esser stata chiara. Non sono un’esperta di piani omicidi. Dovrete cavarvela da soli.»
Il mostro ruggì ancora, stavolta in un misto di rabbia e frustrazione. I ragazzi sobbalzarono, mentre il loro cuore galoppava. «E vi conviene farlo alla svelta.»
Skyler e Michael si guardarono. Il figlio di Poseidone sguainò la sua spada e, quasi gli avesse letto nel pensiero, la figlia di Efesto bisbigliò: «Non pensarci nemmeno.»
«Io lo distraggo, tu lo attacchi» disse sicuro lui, facendo finta di non averla sentita. Non aspettò conferma. Si sfilò la malconcia felpa, si alzò da terra e uscì dal suo nascondiglio.
«Michael, no!» esclamò Skyler, provando a fermarlo. Ma ormai era troppo tardi.
«Ehi!» urlò il figlio di Poseidone, cercando di attirare l’attenzione del mostro. Sventolò la sua felpa blu in aria. «Ehi, sono qui!»
Il mostro si voltò di scatto verso di lui. Assottigliò lo sguardo, faticando a scorgerlo, così piccolo da quell’altezza.
«John, tieniti pronto» ordinò Skyler, sguainando la sua spada.
«Ma che cosa…» provò ad obbiettare il biondo, ma lei lo interruppe.
«Fallo e basta.»
Il figlio di Apollo esitò, ma poi incoccò una freccia di luce.
Nel frattempo, Anteo era finalmente riuscito a vedere il piccolo corpo del figlio di Poseidone. Rugghiò, battendo un piede a terra con così tanta forza da far tremare il terreno. Michael ci mise qualche secondo prima di capire che stava avanzando verso di lui.
Barcollò all’indietro, ma il mostro era veloce, e questo di sicuro non se l’era aspettato. Ormai era a circa due metri di distanza, quando qualcuno si lasciò su di lui, facendolo cadere di lato. Skyler e Michael ruzzolarono sul fianco, sbucciandosi palmi e ginocchia, mentre al loro posto appariva John, che tendeva l’arco e scagliava la freccia proprio contro il petto del mostro.
Quest’ultimo urlò, indietreggiando.
La figlia di Efesto tossì, facendo perno sulle braccia per rialzarsi. «La tua mania suicida non ti aiuterà a scampare alla morte» borbottò, con una smorfia.
Michael non rispose, era troppo impegnato ad osservare la freccia di John sprofondare nel petto di Anteo e disperdersi in luce dorata. Ma questo non lo scalfì. Anzi, lo fece solo infuriare.
E come se quell’arma letale non fosse mai esistita, batté i pugni sul petto, lanciando un grido di battaglia. Cominciò a correre verso di loro, rincorrendo tutti e nessuno. I ragazzi si separarono, scappando in direzioni opposte.
Questo per un attimo disorientò il mostro, me ben presto cominciò a menare pugni alla cieca.
John scagliò qualche altra freccia, senza però fargli alcun male. Michael provò con un affondo nel piede, ma la sua spada ebbe l’effetto tale di uno spillo nel palmo, e con orrore osservò la sua carne rigenerarsi.
Quel mostro era invincibile, e lo era davvero. Senza che neanche se ne rendesse conto, sbatteva a destra e a manca i corpi senza peso dei ragazzi, facendoli cadere con forza sul terreno.
L’ultima a subire questo trattamento fu Skyler, che, dopo aver tentato di ferirgli inutilmente il polpaccio, venne scaraventata dal suo possente braccio in aria, per poi ruzzolare sul terreno dolorante. Il mostro si girò a guardarla, avanzando minaccioso verso di lei.
Alla vista di quella scena, Emma le corse incontro, cercando di attirare l’attenzione del gigante.
«Ehi!» urlò, facendolo voltare. «Perché non te la prendi con qualcuno più in forma di te!»
Non aveva idea se Anteo avesse capito o no la sua frecciatina, fatto sta che si dimenticò di Skyler e si incamminò barcollante verso la figlia di Ermes.
La bionda ebbe un attimo di esitazione, ma non si fece impressionare. Invece, gli corse incontro e all’ultimo secondo si piegò sulle ginocchia, scivolando sotto di lui e affondandogli il coltello nel ginocchio.
Il mostro urlò, ma solo per qualche secondo. Emma si rialzò alle sue spalle e mentre la sua ferita si rimarginava Anteo si voltò furioso a guardarla. Allungò una mano, pronto ad afferrarla per stringerla in una morsa d’acciaio, ma la ragazza non glielo permise. Menò alcuni fendenti con il coltellino, ferendogli il palmo aperto e facendolo infuriare.
Frustrato, il gigante chiuse la mano in un pugno, sollevandolo in alto e scagliandolo su di lei un attimo dopo. Emma fece appena in tempo a lanciarsi di lato, che le sue grasse dita batterono con forza nel punto in cui lei si trovava poco prima.
Cadendo, però, perse la presa sul coltello, che rotolò a circa due metri di distanza. La ragazza fece perno sulle mani per rialzarsi, stringendo i denti nel tentativo di ignorare il bruciore ai palmi e alle ginocchia.
Alzò lo sguardo su di lui, non sapendo cosa fare, quando vide il suo enorme piede sovrastarla.
Si coprì la testa con le braccia, preparandosi ad essere schiacciata, quando qualcuno si chinò su di lei, facendole scudo con il proprio corpo.
Emma non capì che cosa stesse succedendo, finché non avvertì due calde braccia avvolgerla, in un istinto di protezione.
Leo non aveva la benché minima idea di cosa fare, così fece l’unica cosa che gli riusciva bene. Prese fuoco.
La sua schiena si incendiò, e sinuose fiamme divamparono dalle sue spalle, alte e minacciose.
Se sé ne fosse accorto prima, Anteo sarebbe riuscito ad evitarle. Ma ora il suo piede era troppo vicino ai due ragazzi, e per questo si incendiò.
Il mostrò urlò di dolore, indietreggiando ed allontanandosi da loro.
Nonostante la sua schiena avesse già smesso di bruciare, Leo ed Emma rimasero qualche altro secondo così, incapaci di credere a ciò che era appena successo. Avevano entrambi il fiato grosso, i cuori che tremavano dalla paura.
Lentamente, Leo sciolse l’abbraccio che la teneva protetta e al sicuro, permettendole di sollevare il capo e guardarlo con i suoi grandi occhi argentati sgranati.
Lanciò un’occhiata titubante al mostro, per poi tornare a guardare lui. «G-Grazie» balbettò, con la gola secca. Solo in quel momento si rese conto di stringere nel pugno la sua maglietta, per cui la lasciò andare, arrossendo.
Leo chiuse gli occhi, provando a riprendere fiato mentre inclinava la testa di lato. Un sorriso malandrino si dipinse sulle sue labbra. «Non c’è di che» sussurrò.
Skyler, che aveva assistito a tutta la scena, dal canto suo non aveva niente di che sorridere.
La sola vista delle spalle incendiate di Leo l’aveva dapprima paralizzata, e poi aveva trasformato quel panico in un’adrenalina tale che era indietreggiata strisciando senza accorgersene sul terreno fangoso. Il cuore le martellava nel petto, e gli occhi minacciavano di uscirle dalle orbite per lo spavento. Cominciò ad ansimare, ma i suoi timpani erano troppo ovattati perché potesse accorgersene.
Il mostro, per via del piede dolorante, sembrava essersi allontanato dai due ragazzi, e ora barcollava all’indietro lanciando in aria grida di rabbia e frustrazione. Skyler lo osservò, incapace di muovere alcun muscolo.
La sua pianta era arrostita, nera come il carbone che brucia nel fuoco ardente. E la cosa più strana è che non si risanava. Nonostante toccasse più volte il terreno con i grossi palmi, la terra sembrava non volerlo aiutare. O meglio, non ci riusciva.
La guarigione era diventata più lenta, quasi invisibile all’occhio umano. Skyler ci mise qualche secondo per capire. E quando ci arrivò le mancò il fiato in gola.
«Il fuoco» bisbigliò, con voce strozzata. Non si era neanche accorta di Fotia che era accorsa al suo fianco, finché non le sfiorò una spalla con la rosea mano. Skyler si voltò di scatto a guardarla, con gli occhi spiritati. «Il fuoco» ripeté, stavolta con più convinzione. Lo spirito corrucciò le sopracciglia, non capendo, e la ragazza cominciò a far vibrare lo sguardo da lei al mostro, a lei al mostro. «Lo scalfisce. Non riesce a risanarsi. Perché non riesce a risanarsi?»
Fotia aggrottò la fronte, pensandoci un po’ su. «Credo siano le leggi della natura.»
A Skyler tornò in mente una filastrocca che conosceva da bambina, e che ai tempi credeva le spiegasse come funzionava il mondo. La recitò con un fil di voce, sovrappensiero. «La terra batte l’acqua. L’acqua uccide il fuoco. Il fuoco…»
«Brucia la terra» terminarono insieme. Si guardarono, e quando la figlia di Efesto incrociò il suo sguardo cremisi, il suo cuore mancò un battito.
«Non crederai che…» fece per domandare, ma le parole le morirono in gola.
Lo spirito si inginocchiò accanto a lei, posandole le mani sulle spalle. «Skyler. Skyler, ascoltami. È l’unica soluzione.»
Sentì un groppo attanagliarle la gola, bloccandole il respiro.
E se non bruci il mostro nessuna vita potrà essere salvata.
Era l'ultimo verso della profezia. Si riferiva a quello.

 «I-i… io non posso» obbiettò lei, scuotendo con vigore la testa. «Non posso.»
«Skyler, devi farlo.»
«Può farlo Leo. Anche lui è un figlio di Efesto. Può pensarci lui.»
«Skyler, guardami» le ordinò Fotia, con tono duro. «Skyler, guardami.» La mora obbedì. «Devi vincere le tue paure. È arrivato il momento di guardarle in faccia e sfidarle. Fa che sia tu a frenare loro, e non il contrario. Fa in modo che non ti buttino giù, ma che ti accendano. Controllale, Skyler. Controllale.»
Controllarle. Non aveva mai pensato di farlo.
Per anni il suo unico scopo era stato evitarle. Ignorarle, girarci intorno. Affrontarle sembrava un pensiero anche fin troppo lontano. Ma ora…
Si rese conto che tutti avevano sconfitto i propri fantasmi. Michael si era buttato in acqua per salvare lei. John aveva montato un cavallo per poter correre da Emma. Ed Emma si era lanciata da uno strapiombo di 20 metri, pur di non tradire i suoi amici.
E lei? Lei era pronta a farlo? Era pronta a vedere qualcosa andare a fuoco, e a correrci incontro? Era pronta a non scorgere più il viso della defunta madre ogni volta che la minacciavano le fiamme?
Era pronta ad ascoltare gli altri?
Perché era di questo che si trattava. Fidarsi di loro. Fidarsi di tutte quelle persone che continuavano a ripeterle che il fuoco non le avrebbe fatto niente, e che sarebbe andato tutto bene. Ma è facile essere coraggiosi quando le paure non sono le tue.
Ma ora non si trattava più solo di lei. Ora c’erano in ballo le vite dei suoi amici, le vite dei ragazzi del campo.
Credeva di essere diversa dalla Skyler spaventata di un tempo. Ma lo era davvero? Era davvero cresciuta, ora?
Spostò lentamente lo sguardo da Fotia ai suoi amici, per poi posarlo sul gigante.
C’era solo un modo per scoprirlo.
«Leo!» esclamò, alzandosi con un balzo da terra e correndo verso di lui. Il fratello si voltò e le andò incontro, e solo quando l’ebbe raggiunto Skyler si accorse di avere il fiatone. Si posò le mani sulle ginocchia, con una smorfia.
«Skyler, tutto bene?» le chiese lui, preoccupato.
«Ho bisogno» ansimò lei. «Di un’esplosione.» Raddrizzò la schiena e lo guardò negli occhi.
«Che genere di esplosione?» domandò lui, confuso.
Skyler lanciò un’occhiata al mostro, prima di rispondere. «Devi creare un solco. Di circa cinque metri.» Lui l’osservò con le sopracciglia sollevate. «Credi di riuscirci?»
Leo sbuffò. «Sorella, ti prego. Sono stato cacciato da ben tre case famiglia con l’accusa di “piromane senza controllo”, e mi chiedi se so provocare un’esplosione?»
«Deve essere molto grande» gli fece notare lei.
Lui le fece l’occhiolino. «Lascia fare a me.» E fece per cacciare qualcosa dalla cintura, ma prima chiese. «Ma… perché?»
«Non preoccuparti del perché» lo rimbottò lei, nervosa. «Tu fallo e basta. Ah! E poi vedi di farci cadere Anteo, dentro.»
«E come pensi che debba fare?» urlò Leo, allargando le braccia, per farsi sentire, dato che lei si era già allontanata di corsa.
«Inventati qualcosa!» gli urlò lei di rimando, prima di voltarsi definitivamente e correre dai suoi amici.
Fortunatamente, li trovò tutti insieme, mentre Emma e Michael aiutavano John ad alzarsi da terra.
Non appena il biondo incrociò il suo sguardo spiritato, si tirò in piedi da solo e le corse incontro.
«Skyler!» esclamò, preoccupato. «Come stai?»
Fece per abbracciarla, ma lei lo fermò. «Non c’è tempo.»
Il ragazzo la fissò, senza capire, così lei guardò Michael. «Hai ancora la corda di Ermes?»
Lui la osservò, basito, ma poi, lentamente, annuì. «Che devi farci?» le chiese John, confuso.
«Dammela» ordinò lei al figlio di Poseidone, mentre si voltava a guardare il biondo. Esitò un attimo, indecisa se dirglielo o meno, e sospirò. «Non fatemi cadere.»
«Cadere?» ribatté Emma, corrucciando le sopracciglia. «Perché, dove dovresti cadere?»
Una grossa esplosione proruppe nel suolo, facendo tremare il terreno. Un grido del gigante squarciò l’aria, e Skyler sentì i suoi battiti aumentare ancora di più.
«Anteo è immune a tutto ma non al fuoco» spiegò, mentre prendeva la corda dalle mani di Michael e se la legava attorno alla vita. «Sono le leggi della natura, non ve le hanno insegnate alle elementari?»
«Sì, ma questo che centra?» domandò John, non capendo. Skyler lo guardò negli occhi, un po’ cupa, e a quel punto gli fu tutto più chiaro.
Le puntò un dito contro, pregandola con lo sguardo che fosse solo uno scherzo, ma quando aprì la bocca per parlare le parole gli si fermarono in gola.
«Non te lo lascerò fare» sibilò, a denti stretti.
«Ma devo» replicò lei. «È l’unica soluzione.»
«È pericoloso» le fece notare lui.
«John» sussurrò lei, cercando il suo sguardo. Ma sembrava incapace di agguantarlo. «John. John, guardami.» Gli afferrò il viso fra le mani e lo costrinse ad ubbidirle. «Guardami» implorò.
Incastrò i suoi occhi scuri in quelli ambrati di lui, e il suo tono si addolcì. «Fidati di me, ok?» gli intimò, ma lui non rispose. «John? John, ti fidi di me?»
Lui esitò, e in quel momento il suo cuore sfarfallò. Era spaventata dalla sua risposta, ma non capiva se più dal fatto che lui potesse scuotere la testa o che potesse acconsentire con un cenno d’assenso.
Lentamente, il figlio di Apollo annuì, e Skyler si sentì come se qualcuno le avesse appena tolto un grosso macigno dallo stomaco. Chiuse gli occhi, posando la fronte sulla sua e sospirando. Lui le cinse i fianchi con le braccia, e Skyler non capì bene le sue intenzioni finché non lo sentì stringerle meglio la corda attorno alla vita. Le sorrise, dolce. «Torna da me, Ragazza in Fiamme.»
A quel punto, sorrise anche lei. Le lasciò un tenero bacio sulle labbra, poco prima che il mostro ululasse e cadesse a terra con un tonfo.
Skyler si voltò. Leo l’aveva spinto dentro l’enorme fosso con l’aiuto del suo drago di metallo, e Anteo sembrava faticare ad uscire di lì.
Era il momento, doveva andare.
Skyler osservò i suoi amici afferrare l’altra estremità della corda e tenerla ben salda. I suoi occhi incontrarono quelli di ognuno di loro, per poi soffermarsi su quelli ora azzurri di Michael.
Il figlio di Poseidone le sorrise. Non ti lascerò andare, le mimò con le labbra, in modo che solo lei potesse sentirlo.
Skyler riconobbe la stessa frase che le aveva detto quando, ad Alert, l’aveva salvata dalla lastra di ghiaccio.
Allora era seguito un: Ti fidi di me?
Skyler si fidava di lui. Si fidava di tutti quanti. Ora doveva solo imparare a fidarsi di se stessa.
Si girò verso il mostro, i nervi tesi. Poi si inginocchiò a terra e chiuse gli occhi.
Non poteva tirarsi indietro. Non lì, non ora. Era arrivato il momento di mandar via i suoi demoni interiori. Di combatterli, di sconfiggerli. Di annientarli.
E a quel punto capì.
Il sogno che aveva fatto per giorni, nella quale continuava a vedere lo zio. Le sue parole le rimbombarono nella testa.
«Ricorda chi è il vero nemico.»
All’inizio non capiva. Aveva associato quella frase a diverse cose, come i mostri che aveva affrontato, il Morbo di Atlantide, il Generale.
Ma ora era tutto più chiaro.
Il fuoco. Era il fuoco il suo vero nemico.
Era lui che la paralizzava, che l’annientava, che l’opprimeva.
Era lui che le impediva di agire, di pensare, di essere serena.
Era lui che le aveva vietato la possibilità di essere felice.
Ma ora basta, era arrivato il momento di finirla.
«Il pericolo è reale» continuava a ricordarle lo zio. «La paura è una scelta.»
E lei aveva fatto la sua.
Riaprì gli occhi, e senza spavento, senza timore, senza esitazione cominciò a correre verso il mostro. Mentre lo faceva, sguainò la spada, e si sentì avvampare. Una morsa dolorosa le invase la bocca dello stomaco, ma stavolta lei non la fermò. Lasciò che l’adrenalina fluisse nelle sue vene, che le pompasse nel cuore, che le otturasse le orecchie. I suoi battiti cardiaci accelerarono, e i suoi pugni si strinsero con così tanta forza che si procurò dei piccoli segni a forma di mezzaluna sui palmi.
Fu a quel punto che il fuoco divampò.
Ma non dietro di lei, o intorno.
No, era proprio lei a bruciare. Calde fiamme le danzavano intorno, annebbiando i suoi lineamenti. Diventarono un tutt’uno con gli scuri capelli, per poi fondersi con il resto del corpo.
Non appena ebbe raggiunto la fossa dove si trovava Anteo, Skyler saltò, sollevando la spada. La corda dietro di lei si tese, e la ragazza precipitò nel vuoto.
Poi, la sua spada si conficcò dritta nella testa del mostro. Il gigante urlò, dibattendosi. Cercò di cacciarla via, graffiandole con le sue unghie affilate prima il fianco e poi le braccia.
Ma Skyler non cedette. Chiuse gli occhi e si concentrò. Le fiamme si diffusero dai suoi palmi alla sua spada, per poi sprofondare nella testa del mostro.
Quest’ultimò prese fuoco. Lingue di fuoco cominciarono ad avvolgere il suo corpo, incenerendolo mentre le sue grida si perdevano nell’aria. Provò un’ultima volta a dimenarsi, ma invano.
Le sue dita iniziarono a sgretolarsi, e con orrore Anteo si rese conto che lo stava facendo anche il resto delle sue carni. Ben presto, Skyler perse l’appoggio sotto i piedi, e rimase appesa a mezz’aria per la corda. Guardò sotto di sé.
Il corpo del mostro stava implodendo, minacciando di esplodere da un momento all’altro.
Sgranando gli occhi, Skyler agitò la corda.
Fortunatamente, i ragazzi sembrarono recepire il messaggio. Cominciarono a tirarla su, con un po’ di fatica, mentre lei osservava spaventata il busto del gigante arrivare al limite.
Quando finalmente raggiunse la cima del dirupo, vi si aggrappò con entrambe le mani. Gli altri l’afferrarono saldamente per i polsi, e, poco prima che Anteo finalmente scoppiasse, riuscirono a tirarla su.
Un forte boato echeggiò per tutta l’isola, sconquassando tutto. Per la forza dell’impatto, Skyler finì di peso addosso ai suoi amici, e, per afferrarla, tutti e quattro caddero per terra.
Si strinsero l’uno all’altra, aspettando che quel rumore finisse. Solo quando sembrò ormai un ricordo lontano, John si lasciò sfuggire una risata sollevata.
Tutti gli altri lo imitarono subito dopo. Si alzarono in piedi, tenendosi ancora stretti, e i loro muscoli tesi si rilassarono non appena si guardarono negli occhi.
Skyler chiuse i suoi.
Ce l’avevano fatta. Ce l’aveva fatta.
Era davvero tutto finito.
Michael, al suo fianco, incrociò per un attimo il suo sguardo, pieno di orgoglio, e le sorrise.
La figlia di Efesto provò a ricambiare il sorriso, ma, non appena ne accennò uno, sentì mancare le forze.
Le palpebre le si fecero più pesanti, e le ginocchia le cedettero. John la afferrò al volo poco prima che cadesse a terra.
«Skyler!» esclamò preoccupato, facendola sdraiare dolcemente sul fangoso terreno e stringendola saldamente fra le braccia.
Michael sgranò gli occhi, interdetto.
Skyler si reggeva un fianco.
E solo quando lei scostò la mano, e il figlio di Poseidone notò quell’enorme pozza di sangue della quale era sporca la sua maglietta, sentì montare il panico.

Angolo Scrittrice.
Holaa! Oggi è martedì e sono qui. (e devo anche muovermi, dato che ho un sacco di compiti da fare)
Bien bien, da dove cominciare? Innanzi tutto, vi è piaciuto il capitolo? Spero vivamente di sì, perchè era molto importante.
Finalmente, Skyler è riuscita a superare la sua paura del fuoco. E' stata l'ultima, ma ce l'ha fatta. E abbiamo anche capito il significato delle parole dello zio. Chi aveva indovinato il vero nemico? ahah, spero di avervi sorpreso, comunque ^^
Inoltre, davvero pensavate che sconfitto il mostro sarebbero tornati tutti a casa? muahahah! Ehm... no. Skyler l'ha sconfitto, è vero, ma è rimmasta anche ferita gravemente. *ogni riferimento a sogni e/o presagi da parte di altri protagonisti è puramente casuale/intenzionale* Devo davvero continuare? Mmm... naah. Niente Spoiler, è la regola.
E comunque, niente draghi, mi dispiace. Ho ricacciato un vecchio gigante decrepito dal cilindro. ;)
La profezia é terminata! Yeah! Qualcuno di voi aveva immaginato si riferisse a quello? Non so se essere contenta o preoccupata, ma lo deciderò poi con calma.
Comunque, ho fatto i conti, e mancano esattamente tre capitoli alla fine (compreso l'epilogo). Dei, non posso crederci! E' quasi finita D: ora sono depressa :C
Va beh, ringrazio i miei Valery's Angels e me ne vado, che è meglio. Thank you so much to:
Ema_Joey, FoxFace00, heartbeat_F_, Kalyma P Jackson, Fred Halliwell, carrots_98, DormitePayne, kiara00, Greg Heffley, Kyira e giascali.
Un bacione enorme a tutti, e al prossimo martedì ;*
oxox, 
ValeryJackson 

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 33 ***


Michael sgranò gli occhi, interdetto.
Skyler si reggeva un fianco.
E solo quando lei scostò la mano, e il figlio di Poseidone notò quell’enorme pozza di sangue della quale era sporca la sua maglietta, sentì montare il panico.
 
«Skyler» la chiamò John, con occhi spiritati.
Il respiro della figlia di Efesto era irregolare, e anche il solo ingerire aria le imperlava la fronte di sudore.
Attraverso lo squarcio della maglietta, Michael riusciva a vedere la carne viva gocciolare sangue, e solo in quel momento si rese conto di quando in realtà la ferita fosse profonda. In ginocchio accanto a lei, il suo sguardo vagava da quella al suo viso, pallido come un cencio.
«Sto bene» ansimò la ragazza, con la gola secca. Provò a deglutire, ma invano. «Sto bene.» Ma non stava affatto bene. Il suo volto era incrostato di terra e stanchezza, e per via del sudore i capelli le si incollavano alle guance, dandole un’aria cadaverica. Con mano tremante, provò a sfiorarsi di nuovo la ferita, ma subito un dolore lancinante le colpì il fianco, costringendola a digrignare i denti in una smorfia di dolore.
Emma, in piedi dietro John, si lasciò sfuggire un singhiozzo, che subito frenò premendosi la mano sulla bocca, imponendosi di non piangere.
«Ehi, ma che succede?» domandò Leo, correndo verso di loro. Era appena sceso dalla groppa del suo drago, e non aveva assistito alla scena. Non appena fu abbastanza vicino da poter notare il corpo inerme della sorella che giaceva a terra, sgranò gli occhi, accelerando il passo.
Emma gli si piazzò davanti appena in tempo, premendogli i palmi sul petto e impedendogli di andare da lei, di fare qualche stupidaggine. Il ragazzo provò ad opporsi, ma lei strinse la sua maglietta nei pugni.
«Leo, no» mormorò la bionda, con voce tramante.
«Skyler» sussurrò il ragazzo, incapace di credere ai propri occhi. Emma lo fece indietreggiare, allontanandolo dalla scena. Cercò di essere forte, ma dopo un po’ non resse più. Affondò il viso nella sua maglietta sporca e si lasciò sfuggire un altro singhiozzo.
Michael ebbe un flashback che gli fece gelare il sangue.
Quel taglio. Quell’espressione. Quel sangue.
Quel sogno…
«Non mi guardate così» li rimproverò Skyler, con un filo di voce. «Sto bene» obbiettò. «Sto…» Ma non terminò la frase. Le sue palpebre si fecero pesanti, minacciando di chiudersi, e lei non aveva le forze necessarie per opporsi.
«Skyler» esclamò John, prendendole il viso con una mano e costringendola a guardarlo. Aveva gli occhi imperlati di lacrime, e la foce gli vibrava leggermente. «Skyler, guardami. Guardami. Andrà tutto bene, ok? Non mollare. Andrà tutto bene.»
La mora provò ad annuire, ma tutto ciò che riuscì a fare fu un semplice cenno, mentre diventava sempre più difficile respirare e pensare allo stesso tempo. «Andrà tutto bene» ripeté, ma non riuscì a convincere neanche se stessa. Un brivido le corse lungo la schiena. «Ho un po’ freddo, John» sussurrò, poco pima che gli occhi tentassero di nuovo di chiudersi.
«Skyler!» la chiamò John, scrollandola leggermente per impedirle di addormentarsi. Altrimenti non si sarebbe svegliata più. «Skyler, guardami.» Ma la ragazza non ci riusciva.
Michael scosse convulsamente la testa, con gli occhi sgranati. «No» mormorò con un fil di voce. Indietreggiò lentamente, senza riuscire ad alzarsi, rastrellando con i talloni il terreno. «No.»
«Non puoi salvarla, figlio di Poseidone» riecheggiò una voce nella sua mente. Michael sentì il cuore mancare un battito.
«Non puoi salvarla.»
Non poteva essere vero. Non lì, non ora. Era ancora peggio che nel sogno.
Lì era tutto vero, lì il suo sangue era reale.
E lì davvero lui non poteva salvarla.
Scosse di nuovo la testa, incapace di distogliere lo sguardo. Il suo respiro accelerò, e i battiti del suo cuore si fecero irregolari. «No.»
Non il quel posto. Non così.
Non lei.
Non poteva morire. Non era giusto, non poteva permetterlo.
Gliel’aveva promesso. Le aveva promesso che l’avrebbe protetta. Le aveva promesso che l’avrebbe riportata a casa, che avrebbe rivisto di nuovo lo zio.
Le aveva promesso che non l’avrebbe lasciata andare.
E non l’avrebbe fatto.
Il panico che attanagliava il suo cuore si trasformò in adrenalina, che attivò i suoi muscoli quasi fossero stati colpiti da una scossa elettrica. Un’idea gli baluginò nella testa.
Indietreggiò più velocemente, con il sangue che gli pompava nelle vene, per poi voltarsi, fare perno sulle mani ed alzarsi da terra con uno slancio. Fu così istantaneo che per poco non perse l’equilibrio, ma dopo qualche passo lo riacquistò, e riuscì a non cadere.
Mentre correva a perdifiato, faceva vagare lo sguardo intorno a sé, disperato.
Dov’è? Dov’è? Dov’è?
Non appena lo vide, vi si precipitò incontro, afferrandolo al volo e tornando da Skyler.
Si lasciò cadere con un tonfo accanto a lei, ignorando il dolore alle ginocchia.
«Non preoccuparti, andrà tutto bene» le assicurò, cominciando a frugare convulsamente nel suo zaino.
Skyler gli lanciò una fugace occhiata, che sarebbe stata scettica, se ne avesse avuto le forze.
«Ho un piano. Andrà tutto bene.» La guardò negli occhi, implorandola con lo sguardo. «Resisti.»
«Michael» provò a ribattere lei, con un fil di voce.
«Resisti!» la interruppe lui, continuando a cercare frustrato qualcosa nello zaino. «Non ti lascerò andare, ok?» Quasi lo urlò, in un moto d’ira. «Non lo permetterò.»
Quando sembrò trovare ciò che stava cercando e lo estrasse, Skyler non capì. Ma non appena vide un raggio di sole infrangersi controluce sulla fialetta, sentì smorzarsi il fiato. Sgranò gli occhi.
La lacrima della Fenice.  Che cosa aveva intenzione di fare?
Michael stappò la boccetta, incastrando le iridi azzurre nelle sue. Scosse impercettibilmente la testa. «Non ti lascerò andare.»
Fece per inclinare la fialetta, ma Skyler gli afferrò il polso, stringendolo con tutta la forza che le era possibile. «No!» lo fermò, guadagnandosi un’occhiata confusa. «Non farlo.»
«Ma…»
«Non te lo lascerò fare!» esclamò la figlia di Efesto, ma arrabbiarsi era troppo faticoso, e così fu costretta ad abbassare la voce, ansimante. «Quello è l’unico modo per salvare il Campo, Michael. Per salvare tuo fratello. Non te lo lascerò fare.» Fece un respiro tremante, reprimendo le lacrime. «Non farlo.»
Michael esitò, mentre quella voce agghiacciante gli riecheggiava nella testa.
«Devi fare una scelta, figlio di Poseidone» gli ricordò. «Non puoi salvarli entrambi. O lei, o tuo fratello.»
O lei, o tuo fratello.
Quell’affermazione non l’aveva mai spaventato tanto come in quel momento.
Ora gli era tutto più chiaro.
Ma come poteva? Come poteva scegliere fra la sua famiglia e la sua amicizia? Come poteva decidere se fosse più forte l’amore per Percy o l’amore per lei?
Lui era stato il suo passato, la sua ancora, il suo eroe.
Lei era il suo presente, il suo cuore e il suo futuro.
Come poteva scegliere fra l’acqua e il fuoco?
Come poteva scegliere chi doveva morire?
La guardò negli occhi, con un tuffo al cuore.
Vedere suo fratello star male, avere poche ore di vita, lo distruggeva un passo alla volta. Sapeva che se aveva una possibilità di salvarlo, era solo portargli gli ingredienti che aveva recuperato, e sapeva anche che così facendo non avrebbe salvato solo lui, ma tutto il campo. Era partito apposta per quell’obbiettivo.
Ma vedere Skyler così… era peggio.
Perché lo lacerava all’interno.
E perché gli lacerava proprio il cuore.
Abbozzò un sorriso dolce, afferrandole delicatamente la mano che ancora stringeva saldamente il suo polso, e con accortezza la scostò dal suo braccio. Intrecciò le dita alle sue, stringendole forte mentre Skyler continuava a non capire.
«Non posso perderti» le sussurrò, così a bassa voce che solo lei riuscì a sentirlo.
Poi inclinò la fialetta.
La lacrima della Fenice scivolò lentamente sul lucido vetro.
E cadde con un tocco leggero sul fianco di Skyler.
La ragazza sgranò gli occhi, in un misto di confusione e stupore.
La lacrima penetrò nella sua ferita scomparendo sotto il sangue e la carne viva. E, lentamente, questa si rimarginò.
La pelle si ricongiunse nel modo in cui si trovava prima, e del sangue non rimase altro che una piccola macchia incrostata.
Al suo posto, comparve una cicatrice, quasi invisibile all’occhio umano. Skyler se la sfiorò con mano tremante, tastandone la forma con la punta delle dita, mentre il suo respiro tornava regolare.
John sgranò gli occhi, sorpreso. Guardò Michael. Poi, con un sorriso, spostò i verdi occhi su Skyler.
Lei aveva gli occhi lucidi, ma sorrise.
John l’abbracciò di slancio, stringendola ancor di più fra le braccia e permettendole di nascondere il viso nell’incavo del suo collo, ridendo e piangendo allo stesso tempo, sollevato.
Michael rilassò i nervi tesi, accorgendosi solo in quel momento di aver trattenuto il respiro, e chiuse gli occhi, ringraziando mentalmente tutti gli dei per averla salvata.
Ma poi avvertì un tuffo al cuore.
Era finita.
Tutta la missione, le loro battaglie, le fatiche per arrivare fin lì.
Era stato tutto inutile.
Aveva costretto Percy a morire. Aveva salvato Skyler, ma aveva perso anche l’ultima possibilità che aveva di poterlo guarire.
Aveva perso lui. Per sempre.
Quando riaprì gli occhi, notò che Skyler si era tirata su a sedere, e che lo guardava con un luccichio di dispiacere negli occhi.
Gli accarezzò un guancia, sfiorandogli lo zigomo con il pollice, e lui premette il viso contro il suo palmo, inebriandosi del suo calore.
Skyler aprì la bocca per parlare, quando qualcosa stridette in lontananza.
Sembrava il verso di un animale.
I ragazzi alzarono gli occhi, confusi, e dopo averli stretti a due fessure per via del sole, videro qualcosa stagliarsi nel cielo in lontananza.
Due possenti ali risplendettero controluce davanti al sole, prima che lo strano essere si gettasse in picchiata su di loro.
Solo quando fu abbastanza vicino, Michael trattenne il fiato.
La Fenice sembrava riflettere i raggi di luce sulle sue piume colorate, acquisendo un aspetto magico e regale. Con un battito d’ali leggiadro, si avvicinò ai ragazzi, posandosi sulla spalla di Michael.
Il ragazzo non capì. Che cosa ci faceva lì? Voleva forse che Skyler prendesse un’altra lacrima? Fysi gli aveva detto che ne donava solo una ad ogni persona con il cuore nobile. Non era forse così?
La Fenice paupulò, facendogli perdere l’espressione interdetta che dominava il suo volto. Poi indicò con un cenno del becco la sua mano.
Michael abbassò lo sguardo, confuso. Non si era reso conto di stringere ancora la fialetta fra le mani. Lentamente, vi allentò la presa, aprendo il palmo e permettendo alle nocche di riacquisire il proprio colore naturale.
La Fenice gongolò, soddisfatta, protendendo il becco verso la fialetta. Michael trattenne il fiato, stupito.
Non vorrà mica…
Esitante, avvicinò la mano tremante al muso della creatura, stringendo la fialetta fra le dita e porgendogliela.
La Fenice si sporse in avanti, sbattendo le ali per non perdere l’equilibrio, ed inclinò la testa di lato.
Qualcosa luccicò accanto al suo occhio.
Ed una lacrima si depositò sul fondo della fiala.
La creatura stridette, soddisfatta. Poi spiegò le dorate ali e, con una rapida mossa, si alzò in volo, sollevandosi dalla spalla di Michael e stridendo verso il cielo. Scomparve alla volta del sole, avvolta da un’aura magica.
Michael strinse interdetto la fialetta nel pugno, richiudendola con mano tremante.
Solo in quel momento, si accorse del silenzio che regnava intorno a lui.
Guardò Skyler negli occhi, incapace di fiatare. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì ad estrarne alcun suono, che lei gli butto le braccia al collo.
Dagli altri ragazzi si levarono esclamazioni di gioia ed incredulità.
Michael non riusciva ancora a parlare.
«Hai sempre avuto il cuore più nobile di tutti» gli sussurrò Skyler, in modo che solo lui potesse sentirla.
Michael chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire una risata sollevata, mentre si rendeva davvero conto di ciò che questo significava.
Ce l’aveva fatta.
Quella lacrima, quel gesto, quella Fenice.
Poteva salvare suo fratello.
Le braccia di Skyler scivolarono dal suo collo, per posarvici le mani. La figlia di Efesto appoggiò la fonte contro la sua, le guance bagnate da lacrime di gioia. Sorrise. «Torniamo a casa» mormorò, felice.
Lui annuì con occhi lucidi, sorridendo a sua volta. «Torniamo a casa.»
Un rumore metallico attirò la loro attenzione, mentre Skyler si allontanava da lui per voltarsi a guardare.
Leo era montato sul suo drago di metallo, con un enorme sorriso dipinto sul volto.
«È ora di andare!» esclamò, contento. «Ci ho messo un giorno intero per arrivare qui. Se vogliamo arrivare in tempo, dobbiamo sbrigarci.»
Mentre gli altri si avvicinavano a lui, il ragazzo ammiccò in direzione di Emma. Le porse una mano. «Posso chiederle di cavalcare con me verso il tramonto, princesa?»
La figlia di Ermes fece roteare gli occhi, sbuffando, ma poi afferrò la sua mano e si fece issare sul dorso del drago. Leo la fece sedere davanti a sé, all’amazzone. Afferrò le due maniglie che si trovavano di fronte a lei, come scusa per avvolgerla con le braccia e stringersi più vicino. Un po’ troppo vicino.
«Non provare mai più a chiamarmi così» minacciò Emma, lanciandogli un’occhiataccia.
Lui sorrise malandrino. «Ok» annuì. Poi si sgranchì la voce. «Le diamo il benvenuto sulla Drago Felice Line. In caso di emergenza, le uscite di sicurezza sono lì, lì, lì e lì» disse, indicando dei punti a caso. «Se le viene sonno, può appoggiarsi al petto del sottoscritto. Le consigliamo di non sporgersi fuori, di non mangiare durante le ore di volo, ma soprattutto di stringersi forte al figlio di Efesto in caso di turbolenza.»
«Che genere di turbolenza?» domandò Emma, con un sopracciglio inarcato.
Il ragazzo sorrise sornione, battendo un tallone contro il fianco del drago. Quest’ultimo sferzò l’aria con le sue ali, sollevandosi sulle zampe posteriori.
Emma si lasciò sfuggire un gridolino, mentre il drago ricadeva con un tonfo a terra. Con grande sorpresa, si ritrovò a stringere con forza la maglietta di Leo. Il figlio di Efesto adesso teneva con la mano destra la maniglia opposta, ed il suo braccio era avvolto saldamente attorno alla sua vita.
Emma si voltò a guardarlo, pronta a fulminarlo con lo sguardo, ma i loro corpi erano talmente vicini che non appena lo fece, i loro nasi si sfiorarono.
Il ragazzo la guardò negli occhi, perdendosi in quelle iridi argentate. Sorrise. «Sta tranquilla» le sussurrò, malizioso, facendole l'occhiolino. «Ti reggo io, princesa.»
Nel frattempo, Michael e John avevano aiutato Skyler ad alzarsi, mentre la ragazza recuperava pian piano le forze.
Il figlio di Apollo saltò sul dorso del drago subito dopo, sedendosi dietro Leo, e Skyler provò ad imitarlo arrampicandovisi.
Nonostante avesse riacquistato il suo colorito naturale, faceva ancora molta fatica a compiere simili sforzi. Michael se ne accorse, e rampò accanto a lei sul fianco di metallo del drago, avvolgendole i fianchi con un braccio. Le sorrise, aiutandola ad issarsi dietro John, sedendosi dietro di lei subito dopo.
Indugiò un attimo, prima di avvolgerle la vita da dietro con le braccia, stringendola a sé. Skyler sospirò, approfittando di quella situazione per poter posare la schiena contro il suo petto e rilassarsi.
Michael fece un gran respiro, inspirando il dolce profumo della sua pelle. Le loro guance si sfioravano, e il ragazzo sentì un brivido fargli rizzare i peli sul collo.
L’occhio gli cadde sul suo fianco, senza che lo volesse, soffermandosi sullo squarcio della sua maglietta, che lasciava intravedere la pelle nuda. La sfiorò delicatamente con la punta delle dita, esitante, avvertendo la nuova cicatrice della ragazza sfregare contro i suoi polpastrelli.
Skyler sussultò un attimo, ma lo lasciò fare, e Michael giurò di non essersi mai sentito così in colpa come in quel momento.
Ma non era colpa sua. Lo sapeva.
E sapeva che neanche Skyler lo aveva minimamente pensato. Lo capì quando lei gli accarezzò il braccio, fino a raggiungere la sua mano ed intrecciare le dita alle sue, stringendosi contro il suo petto.
Tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento era protezione, e Michael, incoscientemente, gliela stava dando.
Il ragazzo sfiorò la sua mascella con la punta del naso, per poi toccare appena il suo collo con le labbra. Il suo naso scivolò dolcemente dalla sua mascella allo spazio dietro il suo orecchio, e lì Michael le lasciò un bacio, lasciandole sfuggire un sorriso. 
«Tenetevi forte» intimò Leo, battendo di nuovo i talloni per far attivare il drago.
Quest’ultimo agitò le sue possenti ali, dapprima lentamente, poi con maggiore forza. Si sollevò da terra, sostenendo il proprio peso a fatica, ma poi sembrò diventare più leggero, e distese la schiena virando verso l’alto. Si alzò in volo, mentre il sole stava lasciando spazio ad un placida luna.
Avevano poco tempo per poter raggiungere il Campo Mezzosangue.
E forse, e dico forse, ce l’avrebbero fatta davvero.
 
Ω Ω Ω
 
Arrivare al Campo fu molto più complicato di quanto avessero previsto.
Ci misero un intero giorno e un’intera notte, e dovettero fare i conti con diverse turbolenze e varie trombe d’aria che ogni tanto, invece di trascinarli avanti, li risucchiavano indietro.
Il tempo era poco, e i ragazzi lo sapevano.
«Massimo otto giorni» li aveva avvertiti Chirone, poco prima che decidessero di partire. «Dopo di che…»
Allora, il centauro non aveva terminato la frase, ma sapevano tutti benissimo cosa c’era scritto fra le righe.
Facendo un rapido calcolo mentale mentre cavalcavano il drago di metallo, Michael si rese conto di quanto in realtà fosse tardi. Era l’ottavo giorno. O ora, o mai più.
Un groppo gli salì in gola, bloccandogli il respiro. E se non ce l’avessero fatta? E se non fossero arrivati in tempo?
Non voleva nemmeno pensarci.
Non doveva.
Non poteva.
Non ci riusciva.
 
Ω Ω Ω
 
Assottigliando lo sguardo attraverso la fitta nebbia serale, Leo fu il primo a scorgere i confini del campo.
Avvertì gli altri, e, con una rapida planata, il drago si gettò su quest’ultimo, scendendo in picchiata verso il fitto bosco.
Se avesse calcolato meglio le direzioni, Leo sarebbe riuscito a farlo atterrare vicino alla Casa Grande. Ma le lunghe ore di viaggio avevano sfinito anche lui, per cui tutto ciò che riuscì a fare poco prima che si schiantassero al suolo fu farlo cadere con un tonfo in mezzo ai fitti alberi.
Il drago si accasciò con poca delicatezza a terra, sollevando una nube di fumo e polvere. I ragazzi tossirono, un po’ storditi per via dell’impatto.
«Ha bisogno di qualche piccola modifica» constatò Leo, tossendo ancora.
Skyler lo imitò, assicurandosi con lo sguardo che i suoi amici stessero tutti bene. Ma non appena si voltò per osservare Michael, al suo posto vi trovò solo l’aria, mentre la sua figura correva a perdifiato fra la folta vegetazione.
«Michael!» lo chiamò inseguendolo, subito imitata dagli altri.
Ma il ragazzo non la sentì neanche. Il sangue gli pompava nelle vene, e il cuore batteva così forte da rimbombargli contro la scatola cranica, otturandogli i timpani.
Non aveva mai corso così veloce in vita sua, e il suo corpo ne risentiva. Il fiato non reggeva, e lo sforzo era tale che, dopo tutte quelle notti insonni e quei combattimenti, le gambe minacciavano di cedere da un momento all’altro.
Non aveva tempo per autocommiserarsi, né tanto meno per fermarsi.
Doveva raggiungere suo fratello il prima possibile.
Corri, corri, corri…
Era come se imporselo lo rendesse più veloce.
Ad un tratto, vide le chiome degli alberi diradarsi, e la flebile fiamma del falò comparire in lontananza. Accelerò il passo, incurante della stanchezza e del dolore.
Attraversò il campo di corsa, ignorando le espressioni dei ragazzi che si voltavano a guardarlo stupito e le ormai soffocanti barelle piene di semidei inerti e malati.
Puntò dritto all’infermeria.
Vi entrò come un matto, urtando due satiri e tre figlie di Apollo, che lo chiamarono per nome, basiti, senza neanche guadagnare un mi dispiace.
Sorpassò diverse stanze, schizzando lungo i corridoi, per poi precipitarsi nella camera di Percy.
Lì, una figlia di Apollo armeggiava con qualche disinfettante accanto al tavolo. Michael guardò il corpo del fratello, il fiato grosso per via della corsa, e, per un attimo, pregò che si muovesse. Che si alzasse in piedi e che corresse ad abbracciarlo, per poi sgridarlo per tutti i casini che aveva combinato.
E invece se ne stava lì, immobile, e questo fu come una pugnalata in pieno petto.
«Dannazione» imprecò, a denti stretti.
La figlia di Apollo si voltò. Sobbalzò, sorpresa, per poi sgranare gli occhi, fissandolo come si guarda un fantasma.
«Michael…» cominciò, senza parole.
«Dov’è Chirone?» la interruppe lui, brusco. Ma non aspettò risposta. Si precipitò fuori dalla stanza, mentre lei apriva la bocca per dire qualcosa.
Attraversò a passo svelto il corridoio, infilando furioso la testa in ogni stanza. L’adrenalina nuotava così velocemente nelle sue vene da annebbiargli la mente, tant’è che non se ne rese neanche conto ,quando gli amici lo raggiunsero a corto di fiato.
Finalmente, quando aprì con uno slancio la porta di una camera, dentro vi trovò il centauro, mentre visitava senza impegno due pazienti figli di Ares.
Quando Chirone lo vide, per poco non gli saltarono gli occhi dalle orbite.
«Michael?» chiese, quasi pensasse di esserselo solo immaginato.
«Ho gli ingredienti» si affrettò a dire il figlio di Poseidone, lanciandogli lo zaino che l’uomo prese al volo.
Notò che il centauro lo osservava, come sotto shock, per cui diede un pugno alla porta della camera, furioso. «Presto, si muova! Ho gli ingredienti!»
Chirone sembrò svegliarsi da uno stato di trance, e si precipitò al trotto al seguito di Michael, che correva ansioso verso la camera del fratello.
Non appena entrarono, Chirone svuotò il contenuto dello zaino sul tavolo, passando in rassegna gli ingredienti sotto lo sguardo ancora confuso della figlia di Apollo.
Afferrò una ciotola e cominciò a mischiarli insieme, schiacciandoli, indurendoli, amalgamandoli.
«Non so se ricordo come si fa» disse, più a sé stesso che agli altri.
Michael si inginocchiò accanto al letto del fratello, afferrandogli una mano, mentre Skyler, Emma e John osservavano la scena con il fiato sospeso.
«Andrà tutto bene» sussurrò il figlio di Poseidone, stringendo le pallide dita di Percy nel palmo. «Andrà tutto bene.»
Finalmente, Chirone finì di mescolare gli ingredienti, e quando si avvicinò al letto nella ciotola c’era solo una gelatinosa poltiglia verdognola. Michael immaginava vi avrebbe fatto qualcosa per guarire il fratello, invece quello si agitò sul posto, ed esitò.
«Ragazzo, voglio che tu sappia che c’è anche la possibilità che…» Ma non terminò la frase.
Michael lo guardò, con il fiato bloccato in gola. Sapeva cosa il centauro stava cercando di dirgli.
E se non funzionava? E se questa cura era solo una menzogna, e se avevano portato gli ingredienti sbagliati?
E se Chirone non l’aveva preparata bene? E se non ci fosse mai stato un modo per salvarlo?
Il ragazzo annuì leggermente, stringendo i denti per darsi forza. Chirone sospirò, teso e nervoso. Infilò due dita nella poltiglia verde, schiuse la bocca di Percy con l'altra mano e applicò una striscia di quella cura sul suo palato.
Michael aspettò.
Immaginò il momento in cui l’avrebbe guardato negli occhi, il momento in cui avrebbe sorriso un’altra volta.
Strinse di più la sua mano. «Andiamo» pregò, a denti stretti, incapace di distogliere lo sguardo dal suo volto. «Andiamo.»
Ma Percy non si mosse. Rimase così, immobile. Fu come se qualcosa, nel petto di Michael, si fosse appena lacerato. Qualcosa di molto vicino al cuore.
«Torna da me, Percy» mormorò, con voce spezzata. Serrò ancora di più le dita attorno alla sua mano, quasi si aspettasse che il fratello ricambiasse la sua stretta. «Ti prego, torna da me.»
Ma non successe nulla.
Nella stanza cadde il silenzio, un silenzio glaciale e pieno di speranze andate in fumo.
Chirone sospirò affranto, allontanandosi dal lettino, mentre nessuno degli altri tre ragazzi aveva il coraggio di fiatare, osservando distrutti la scena.
Michael sentì un singhiozzo soffocare infondo alla sua gola. «Ti prego» mormorò a denti stretti, mentre la sua vista si appannava, gli occhi coperti da un velo di lacrime. «Ti prego.» La seconda volta sembrò più una supplica.
Ma Percy non rispose, neanche stavolta.
Un brivido gli corse lungo la schiena, mentre si rendeva conto della realtà.
Non gli avrebbe risposto. Né ora, né mai.
Eppure si rifiutava di crederci. Si rifiutava di arrendersi di fronte all’evidenza.
Abbassò lo sguardo sulle loro mani unite, incapace di osservare ancora il suo volto immobile. Soffocò le lacrime, rifiutandosi di piangere. Perché, se l’avrebbe fatto, voleva dire che era davvero finita. Ma non riuscì comunque ad impedire a un singhiozzo di uscir fuori dalle sue labbra.
Fu a quel punto che la sentì.
Una stretta. Dapprima debole, poi più forte e intensa.
Michael sgranò gli occhi, osservando le loro mani congiunte.
Le dita di Percy ebbero un fremito incerto, prima di stringersi sicure attorno alla sua mano tremante.
«Ehi» sussurrò una voce fioca, e solo a quel punto Michael alzò lo sguardo. Osservò il volto del ragazzo, e gli parve di scorgere un guizzo sulle sue labbra.
«P-Percy?» balbettò, trattenendo il fiato.
Il naso di Percy si arricciò, e poi lui schiuse lentamente le palpebre, faticando ad aprirle.
Michael incontrò quasi subito gli occhi verde smeraldo del fratello. Identici ai suoi. Identici al mare. Lo guardavano, con quel luccichio di dolcezza che li caratterizzava, e non riuscirono a nascondere un’ombra di sorriso.
Sorriso che svanì, non appena vide i suoi occhi lucidi per via delle lacrime. Le sopracciglia di Percy si corrucciarono, facendo trasparire la sua confusione. «Perché piangi?»
«Percy!» esclamò stavolta Michael, incredulo.
Tutti si voltarono a guardare, senza fiato. Solo quando si resero conto di ciò che era appena successo, i loro occhi si riempirono di giubilo.
«Oh miei dei…» sussurrò la figlia di Apollo, portandosi una mano alla bocca. E solo a quel punto nella stanza esplosero risate fitte di incredula felicità.
Chirone si appoggiò al tavolo, tirando un sospiro di sollievo.
«Michael?» gracchiò Percy, con un po’ di fatica. «Che cos’è successo?»
«Niente. È tutto finito, adesso» lo tranquillizzò Michael, accarezzandogli la fronte ancora sotto shock. Calde lacrime gli bagnarono il viso, dolci. Ma erano lacrime di gioia. Di gioia e di sollievo. «È tutto finito» ripeté, con voce smorzata.
Anche Skyler si lasciò sfuggire una lacrima, mentre abbracciava John e sorrideva con lui. Emma, dal canto suo, aveva posato la schiena contro il muro ed era scivolata giù, sedendosi a terra e ridendo euforica con la testa fra le mani.
Michael non riusciva a smettere di fissare il fratello, quasi avesse paura che fosse tutto un sogno. Ma non era un sogno, era realtà. Lo capiva dal modo in cui si guardava intorno spaesato, dalla stretta tenue ma anche decisa che esercitava sulla sua mano, dalla lucentezza smeraldina degli occhi che lo aveva sempre caratterizzato.
Percy emise un sospiro tremante, ancora un po’ confuso. Deglutì un po’ di saliva, nel tentativo di inumidire la gola secca, ma subito una smorfia disgustata si dipinse sul suo viso. «Che schifo» si lamentò. «Perché ho quest’orribile sapore in bocca?»
Michael rise fra le lacrime, divertito. «Fidati, non vorresti saperlo.»
Percy arricciò il naso, contrariato. «Non ricordo nulla» ammise, stordito. «Che cos’è successo?»
Michael scosse la testa, sorridendo allo stesso tempo. «Non importa, ormai. È finita.» Gli mise una mano sulla spalla e strinse forte, come a volergli trasmettere tutta la sua gioia. Poi strinse di nuovo la sua mano, perché ancora non ci credeva, e perché voleva assicurarsi che fosse davvero così.
Percy gli rivolse un sorriso incerto, annuendo leggermente. E, mentre non riusciva e non voleva impedire a calde lacrime di rigargli il volto, Michael sorrise, ripetendolo, stavolta, più a se stesso, quasi fosse una conferma.
«È finita.»

Angolo Scrittrice
Holaaa!!
Tandadadan!!!
Vai con lo sclero fra tre. Due. Uno.

aaaaaaaaah! **
Sono molto happy, now. No, sul serio. Ce l'hanno fatta! Hanno salvato Percy!
Ma andiamo per gradi.
Dunquo, il taglio sul fianco e la presunta morte di Skyler erano ricollegati (come avrete capito) al sogno di Michael del capitolo 21. O lei, o tuo fratello, ricordate? E lui ha scelto lei ** certo, un po' a malincuore, ma quella è stata una reazione istantanea, e diciamo che non ha molto pensato alle conseguenze, se non a salvare Skyler. Ora, però, abbiamo capito di che genere di scelta si trattava.
Leo è tornato a flirtare con Emma! ahah! Giuro, mi diverto troppo a scrivere di quei due. Perchè me li immagino davvero fare una cosa del genere, Leo che rompe, loro che bisticciano, e poi... va beh, lasciamo stare.
E così, sono arrivati al Campo. Per un attimo hanno temuto che la cura non facesse effetto, ma poi Percy si è svegliato. E così (lo dico, tanto l'avrete già capito) faranno tutti gli altri.
Ora è finita. Ma è davvero finita.
In un primo momento avevo immaginato questo come ultimo capitolo, ma poi ho deciso che volevo rompervi ancora un po', e quindi dovrete sopportarmi per altre due settimane (y)
Spero di aver fatto la scelta giusta, e che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ringrazio infinitamente i miei Valery's Angels, che mi supportano e mi danno la forza ogni volta **:
Greg Heffley, Ema_Joey, giascali, carrots_98, _Kayla_ heartbeat_F_, Kalyma P Jackson, FoxFace00, DormitePayne e kiara00. Grazie, grazie, grazie.
Un bacione enorme, e auguratemi in bocca al lupo, perché vado a fare i compiti >.<
Al prossimo martedì!
Sempre vostra,
ValeryJackson

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 34 ***


Erano passati ormai tre giorni da quando i ragazzi erano tornati al campo.
Tre giorni pullulanti di emozioni.
Subito dopo Percy, Chirone era passato di stanza in stanza, somministrando la cura a tutti i ragazzi vittime del Morbo di Atlantide.
Lentamente, ogni semidio si era svegliato, fra l’incredulità e la felicità generale.
È strano, pensò Skyler, passeggiando fra gli stretti corridoi della grande infermeria. Sembra passato così tanto tempo.
Eppure, di tempo non ne era proprio passato. Lo si capiva dal fatto che le stanze erano ancora piene, dato che Chirone aveva categoricamente proibito ai ragazzi di alzarsi dai loro letti se non dopo una settimana. Così, per sicurezza. Oppure dall’aria sorpresa che ancora avevano i semidei del campo ogni qualvolta la vedevano passare.
Ma forse, si rese conto, quella non se la sarebbero tolta mai.
Come avrebbero potuto, dopo tutto quello che era successo? A volte stentava a crederci anche lei.
Era arrivata lì senza niente, senza delle certezze e con un cuore appesantito dai ricordi. Tutti avrebbero scommesso che non avrebbe retto neanche una settimana. E invece aveva salvato il Campo.
Avevano.
Senza i suoi amici, in quel momento non sarebbe stata lì, ne era convinta. Eppure, non riusciva ancora a parlare con loro come si deve.
Gli eventi si erano riversati su di loro così rapidamente che ormai era diventato anche un lusso respirare. Michael passava tutto il giorno nella stanza di Percy, seduto accanto al suo letto. Emma si alternava fra gli allentamenti e la stanza di Connor. E John riusciva a sfuggirle ogni volta.
Non era abituata a tutti quei complimenti e a tutte quelle attenzioni, e riceverle tutte in un colpo era faticoso.
Ogni volta che incrociava qualcuno, questo sembrava aver appena visto un angelo barrargli la strada. Le rivolgevano sorrisi sinceri, ringraziamenti continui. Chirone le aveva assicurato che era normale.
«Ogni volta che sacrifichi la tua vita per il bene comune, qui al Campo diventi un eroe» le aveva spiegato. «Ti ci abituerai presto.»
E poi aveva aggiunto un flebile «Sono fiero di voi.»
Era strano, perché nessuno era mai stato fiero di lei. Eccetto suo zio, ma in quella circostanza lui non contava. La cosa la riempiva di orgoglio, ma anche di una certa soggezione.
E se non fosse stata all’altezza? E se avesse deluso tutti? Non aveva mai desiderato essere un’eroina. E se non ne fosse stata in grado?
Si attorcigliò una ciocca di capelli attorno al dito, mordicchiandosi il labbro pensierosa.
Che cosa aveva, lei, di tanto eroico?
Non fece in tempo a rispondersi, che la sua attenzione fu catalizzata da qualcos’altro.
Il suo occhio cadde all’interno di una stanza, nella quale c’era il letto di Percy.
Il ragazzo vi era ancora steso sopra, in attesa di riacquistare le forze, ma aveva un colorito decisamente migliore. I suoi occhi erano tornati a brillare, e il suo sorriso ad allargarsi tanto da raggiungere le orecchie.
Seduta sul materasso, ai piedi del letto, c’era Rose, che sorrideva contenta mentre le sue gambe penzolavano nel vuoto.
Anche sul volto di Michael c’era un piccolo sorriso, che il ragazzo non era riuscito a celare. Era seduto su una sedia accanto al letto, i gomiti posati sulle ginocchia, e sembrava rilassato come Skyler non l’aveva mai visto.
I figli di Poseidone si alternavano. Dapprima Percy faceva qualche battuta o domanda, poi Michael raccontava a grandi linee la loro impresa, ed infine Rose lo accusava di averla fatta stare in pensiero, provocando una risata generale.
Sono davvero una bella famiglia, pensò Skyler, con un sospiro.
In quel momento, quasi si fosse accorto della sua presenza sul ciglio della porta, Michael si voltò. Percy e Rose continuarono a parlare spensierati, mentre le iridi blu del figlio di Poseidone incontravano quelle screziate d’oro di lei.
Michael le sorrise, raggiante. Skyler ricambiò, un po’ esitante, per poi riprendere a camminare lungo il corridoio, lasciandoli di nuovo soli; quasi si sentisse di troppo.
Lanciando un’occhiata nelle altre stanze, si rese conto che più o meno in tutte regnava quel genere di atmosfera. Persone felici, volti sollevati. La disperazione, ormai, sembrava lontana anni luce.
Skyler continuò ad osservare, inebriandosi di quella dolce sensazione che lentamente si stava impossessando del suo petto, e che le faceva notare che forse, finalmente, aveva fatto qualcosa di buono.
I suoi piedi, però, si inchiodarono di colpo al pavimento, non appena i suoi occhi si posarono nella stanza successiva.
Vide ciò che non avrebbe mai pensato di poter vedere.
Janice, seduta su una sedia accanto ad un letto, sorrideva. Ma
sorrideva davvero. Il suo non era un ghigno, o un’espressione sadica che spesso le si disegnava sul volto.
No, sembrava davvero… felice.
Stringeva la mano di qualcuno, e solo spostando lo sguardo Skyler si rese conto che si trattava di una bambina. Aveva più o meno sette anni, e nonostante la fisicità corpulenta, sembrava piccola, troppo piccola per il grande letto che occupava. Dal tatuaggio che aveva sul braccio, la ragazza si accorse che era una figlia di Ares.
Deve aver avuto il Morbo di Atlantide anche lei, ragionò, sovrappensiero.
Solo dopo si rese conto che Janice la stava fissando. Il sorriso dal suo volto era sparito, sostituito dalla soluta espressione truce che la caratterizzava. Si alzò in piedi, con uno scatto tale da far stridere la sedia contro il bianco pavimento, e Skyler sussultò.
La figlia di Ares andò verso di lei, ma Skyler non si mosse. Un po’ perché non voleva, un po’ perché aveva deciso che, dopo tutto ciò che aveva visto e patito, Janice non le faceva più così tanta paura.
La ragazza si fermò ad un passo da lei, tanto che la figlia di Efesto poteva avvertire la sua acqua di colonia pungerle le narici. La sfidò con lo sguardo. E poi, fece ciò che Skyler mai si sarebbe aspettata.
L’abbracciò.
Di un abbraccio tenero, sincero. All’inizio la mora si irrigidì. Ma poi, capendo che in quel gesto non c’erano doppi fini, lo ricambiò, stringendola a sua volta.
«Grazie» le sussurrò Janice all’orecchio, e dal tremitio della sua voce, Skyler giurò si stesse sforzando per non piangere. «Grazie per averla salvata.»
Skyler annuì contro la sua spalla, abbozzando appena un sorriso sghembo. «Non c’è di che.»
Infondo, pensò la figlia di Efesto, anche lei aveva un cuore. La sua era solo una corazza che si era costruita, e che lentamente si stava sgretolando. E forse, chissà, magari un giorno qualcuno sarebbe riuscito a vedere il tenero cuore che vi si nascondeva all’interno.
Lentamente, Janice sciolse l’abbraccio, lasciando una pacca sulla spalla ad una Skyler ancora un po’ stupita e tornando a sedersi accanto alla sorellina.
Forse, chissà.
Nel frattempo, però, Skyler si accontentava di esserne riuscita a scorgere almeno un piccolo lembo.
 
Ω Ω Ω
 
Ormai era già pomeriggio inoltrato.
Emma era appena stata da Connor.
C’era anche Travis, lì, e i tre fratelli avevano trascorso il pomeriggio a raccontarsi battute e a farsi stupidi scherzi. Più volte i due ragazzi avevano provato a fare ad Emma qualche domanda riguardante la loro missione, ma ogni volta lei dava risposte vaghe, quindi, dopo un paio di tentativi, avevano lasciato perdere.
Ad Emma non piaceva rivangare il passato. Ormai erano tornati al Campo. Erano passati tre giorni, e stavano tutti bene. Perché continuare a pensarci?
E poi, quell’avventura portava con se troppi ricordi complicati per essere spiegati a parole. Ed Emma doveva ancora decidere se erano belli o brutti.
Il sole si stava lentamente nascondendo dietro le chiome dei folti alberi del bosco che si stagliavano nel cielo, cedendo il posto ad un tenue tramonto che tingeva le nuvole di arancio.
Emma sospirò, sovrappensiero. Erano giorni che non parlava con i suoi amici, e forse una bella chiacchierata con qualcuno che non aveva la benché minima voglia di parlare se non del più e del meno le avrebbe fatto bene.
Ma non aveva idea di dove fossero.
Forse al lago? Di solito, Michael andava lì. E, se lui era ancora in infermeria col fratello, di sicuro c’era Skyler, dato che la ragazza si rifugiava lì ogni qualvolta aveva bisogno di pensare. O di stare da sola. O semplicemente di allontanarsi da tutto e da tutti.
Ma, una volta scorse in lontananza le sue sponde bagnate, percorse con lo sguardo il perimetro, e rimase alquanto delusa. Non c’era traccia dei suoi amici.
Ma c’era qualcun altro, in ginocchio accanto alla riva del lago. Emma corrucciò le sopracciglia, avvicinandosi circospetta, e solo quando la sua figura fu ben delineata soffocò un lieve sussulto.
Leo era intento ad armeggiare con uno strano marchingegno, le mani e il volto sporchi di grasso e fuliggine. Sembrava concentrato, mentre stringeva un bullone con un cacciavite.
Emma si avvicinò a lui, incrociando le braccia al petto.
«Ciao, Leo» salutò, ma non ricevette risposta. Il figlio di Efesto si limitò ad un cenno del capo, senza distogliere l’attenzione dal suo lavoro. Emma riprovò. «Hai visto Skyler, per caso?»
Il ragazzo esercitò una maggiore pressione sul cacciavite, trattenendo il respiro per via dello sforzo. «No» mormorò. L’arnese gli sfuggì di mano e il bullone saltò in aria. La macchina sotto di lui si sfaldò lentamente, mentre piccoli pezzi rotolavano lui terreno.
Leo imprecò, battendo un pugno a terra. «Dannazione!»
Emma inarcò un sopracciglio, osservando la sua invenzione ormai distrutta con aria scettica. «Si può sapere che stai facendo?»
Leo inclinò la testa in avanti, chiudendo gli occhi, quasi si stesse concedendo un attimo di riposo prima di ricominciare ad avvitare quel bullone. Si portò una mano dietro al collo. «Ti ricordi di Charlotte, vero?»
Emma si irrigidì, conficcandosi le unghie nelle braccia ancora incrociate per impedire al suo viso di contorcersi in una smorfia di disgusto. «Mh-mh.»
«Beh, è lì. La vedi?» Leo le indicò un punto con un cenno del capo.
Emma seguì quella direzione con lo sguardo, e solo a quel punto si accorse di loro. Non poco lontano, raggruppati accanto ad un albero, c’erano circa cinque figli di Afrodite. Se ne stavano racchiusi in cerchio, le mani a coprire la bocca mentre sussurravano qualcosa al proprio vicino. Sul volto, sorrisetti maliziosi, mentre gli lanciavano delle occhiate di tanto in tanto. Fra loro c’era anche Charlotte.
«E quindi?» domandò brusca la figlia di Ermes, rabbuiandosi in viso.
«E quindi?» ripeté Leo, guardandola come se fosse pazza. Sembrava davvero scioccato, ma lei non riusciva a capire. «Sto cercando di fare colpo su di lei da giorni» le spiegò il figlio di Efesto, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Anzi, da settimane! Volevo costruire qualcosa di straordinario davanti ai suoi occhi, sperando di colpirla.» Guardò affranto le reliquie ormai inutilizzabili del suo sfortunato marchingegno, indicandoli con un’allargata di braccia. «Ma sta andando un vero schifo
Emma spostò di nuovo lo sguardo sui figli di Afrodite, osservandoli con gli occhi stretti a due fessure.
Charlotte sembrava essere il centro focalizzante della discussione. I suoi fratelli sghignazzavano, puntellandole i fianchi con i gomiti, complici. Solo quando si voltarono tutti nella loro direzione e scoppiarono in una sonora risata, Emma capì.
Si stavano prendendo gioco di loro. No, non di loro, ma di Leo.
Evidentemente sapevano della sua cotta sconsiderata per quella ragazza, e lo stavano deridendo senza alcun ritegno, giocando con i suoi sentimenti.
Emma sentì un moto di rabbia invaderle il petto. Digrignò i denti, reprimendo l’impulso di andare lì e tirare quell’oca per i capelli.
Non potevano scherzare così con i cuori delle persone. Non era giusto. Né nei confronti di Leo, né di nessun altro. Avevano bisogno di una lezione. Ma una lezione umiliante.
Si, ma come impartirgliela?
Un’idea le baluginò nella mente.
«Leo. Ridi» ordinò a denti stretti, guadagnandosi un’occhiata confusa dal figlio di Efesto.
«Come, scusa?» chiese lui, inarcando un sopracciglio.
«Non fare domande e fa come ti dico» lo rimproverò lei, fulminandolo con lo sguardo. «Ridi
Leo ubbidì. Subito dopo, Emma si unì alla sua risata, regalandogliene una così bella, così dolce, così cristallina, che persino gli usignoli avrebbero smesso di cantare pur di ascoltarla.
O almeno, questo é ciò che pensò Leo, che continuava a non capire.
Ma Emma sapeva benissimo cosa stava facendo. Come aveva sospettato, i figli di Afrodite si voltarono a guardarli, sorpresi e indignati. Charlotte, con i pugni serrati, si allontanò da loro, avvicinandosi ai due semidei in riva al lago. Quando fu a circa un metro di distanza, si esibì nel suo miglior sorriso. «Ciao, Leo» salutò, raggiante.
Leo saltò in piedi, così velocemente da urtare con una gamba un pezzo di metallo, che rimbalzò a terra con un sonoro tonfo. Arrossì, cercando tastoni una pezza nelle tasche dei suoi pantaloni nel vano tentativo di pulirsi le mani. «C… Charlotte» balbettò, con un sorriso incerto, maledicendosi mentalmente per il tremitio della sua voce.
«Ehi, Charlotte» si intromise Emma, facendo un passo avanti e afferrando il ragazzo per un braccio. In altre circostanze, Leo avrebbe avuto un’espressione confusa, ma in quel momento il suo cervello era troppo fuori uso per fare qualcosa di diverso dal ricordare come si respira.
La bionda sorrise alla figlia di Afrodite, sfacciata, guadagnandosi un’occhiataccia da quest’ultima.
Poi, Charlotte tornò a guardare lui, riacquisendo l’espressione di prima. «Allora» cantilenò, con voce suadente. «Che stavi facendo?»
«Oh. Ehm, ecco… io…» cominciò a ciangottare Leo, ma Emma lo interruppe prontamente.
«In realtà» disse infatti la bionda. «Stavamo giusto andando a fare una passeggiata.»
«Oh, ma davvero?» esclamò Charlotte, con finto entusiasmo. Poi arricciò il naso. «Peccato. Perché speravo proprio che a Leo andasse di fare due passi con me.»
«Si!» scattò subito Leo, illuminandosi in volto.
«No!» lo contraddisse Emma. I due si scambiarono un’occhiata, ma poi lei tornò a sorridere. «Non mi sembra il caso.»
«E perché mai?» domandò Charlotte, incrociando le braccia al petto con tono di sfida.
«Perché…» La mente di Emma cominciò a pedalare, in cerca di una scusa plausibile. «Sarebbe imbarazzante» esordì. Un sorriso sghembo le comparve sul volto. «Andiamo, riesci a pensarci? Io, tu e Leo?» Rise, quasi fosse divertita.
«Io non intendevo un’uscita a tre» precisò Charlotte, lanciando a Leo uno sguardo malizioso. «Magari Leo vorrebbe restare da solo con me.»
Il ragazzo fece per annuire, ma Emma lo precedette anche stavolta. «O magari no.»
«Eh?» bisbigliò Leo, fissandola come se fosse pazza, ma lei lo zittì con una gomitata nel fianco.
«E tu che ne sai?» la provocò la mora, inarcando le sopracciglia. «Cosa ti fa pensare che lui possa scegliere un’insulsa figlia di Ermes come te ad una figlia di Afrodite come me?»
Emma si sforzò di non far vacillare il suo sorriso tirato. «Le circostanze» rispose, vaga.
«Oh, ma insomma!» esclamò Charlotte, sarcastica. «Guardami. E» Fece una smorfia. «Guardati.»
«Che cosa vorresti insinuare?» scattò Emma, facendo un passo avanti, pronta a romperle quel bel nasino che si ritrovava.
«Che non saresti all’altezza» la provocò Charlotte con un ghigno. «Né di lui, né di nessun altro ragazzo.»
«Ehi, ehi. Calmiamoci» si intromise Leo, afferrando Emma per i fianchi poco prima che potesse avventarsi su di lei. «Cerchiamo di trovare un compromesso.»
«Un compromesso per cosa?» sbottò Charlotte, scambiandosi con Emma un’occhiata di puro astio. «Davvero sceglieresti lei a me?»
Leo si grattò la nuca, un po’ in imbarazzo. «Beh, ecco, la verità è che…»
Stava per rovinare tutto, Emma se lo sentiva. Avrebbe detto la verità, e Charlotte sarebbe andata via con un sorrisino soddisfatto, continuando a prendersi gioco di lui, a prendersi gioco di tutti. E poi, Emma ci avrebbe fatto una figuraccia.
Perciò fece l’unica cosa che le venne in mente di fare, pur di impedirgli di parlare.
Gli prese il volto fra le mani e lo baciò.
Leo sgranò gli occhi, stupito, e il suo voltò avvampò così tanto che minacciò di prendere fuoco da un momento all’altro. Letteralmente.
Ma poi l’imbarazzo e la confusione furono sostituiti da una sensazione piacevole. Una sensazione che nasceva dal centro del petto e che si diradava dolcemente per tutto il corpo.
Chiuse gli occhi, mentre il suo cervello smetteva lentamente di ragionare.
Emma non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere, eppure, in quel momento, sembrava davvero difficile mettere insieme un pensiero logico. Le sue guance si arrossarono, ma lei non ci badò, mentre una strana morsa le stringeva la bocca dello stomaco.
Le sue labbra esitarono un secondo, ma poi, lentamente, si schiusero.
Leo ne approfittò. Approfondì quel bacio, e le loro lingue si scontrarono con così tanto trasporto che il ragazzo si sorprese nello scoprire che non desiderava altro. Le sue labbra erano morbide, bramose, e, Leo poté giurarlo, pian piano ne stava diventando dipendente. Come lo si diventa di una di quelle cose dalla quale non riesci a separarti, desiderandone sempre di più. Come lo si diventa di una droga, che ti inebetisce il cervello e ti consuma ogni capacità di pensare.
Le avvolse i fianchi con le braccia, stringendo il corpo al suo. La fece alzare sulle punte, e la sua mano risalì dolcemente la sua colonna vertebrale, accarezzandole il collo e fermandosi sulla nuca, mentre le sue dita giocavano con i suoi biondi capelli.
Emma si impose di reprimere un brivido di piacere, che minacciava di farle venire la pelle d’oca, e, senza pensarci, gli avvolse le braccia attorno al collo, avvicinando ancora di più il viso al suo. Per quanto ancora potessero avvicinarsi.
Il tutto, sotto lo sguardo allibito di Charlotte, che, con un’espressione indignata, si conficcò le unghie nei palmi. Furiosa, pestò un piede a terra, girando sui tacchi e allontanandosi da quella scena, mentre i suoi fratelli cominciavano a sghignazzarle alle spalle.
Emma si staccò lentamente da lui, le labbra rosee e gonfie per via del bacio. I loro nasi si scontravano ancora, e i loro volti erano ancora molto vicini, mentre le loro braccia continuavano a cingere l’altro.
Emma abbozzò un sorriso. «Non ti muovere» sussurrò, le labbra che sfioravano le sue mentre parlava. Con la coda dell’occhio, osservò il gruppetto di figli di Afrodite che ancora li fissava. «Non ancora» intimò. «Non ancora.»
Lentamente, i ragazzi si allontanarono, sparendo dal loro campo visivo.
A quel punto, Emma si rilassò, accorgendosi solo in quell’istante di aver trattenuto il respiro. Sorrise, malandrina, per poi guardare nella direzione nella quale era sparita Charlotte, con aria soddisfatta.
Leo, il respiro, lo stava ancora trattenendo. «Tu mi hai…» boccheggiò, incapace di formulare un qualunque genere di frase. «Tu mi hai…»
«Impedito di fare la figura dell’idiota?» suggerì Emma, guardandolo negli occhi. «Si, l’ho fatto.»
«M-m…ma tu hai…» riprovò lui. «Insomma noi abbiamo… e tu mi hai…»
«Oh» bisbigliò Emma, con un sorriso sghembo. «Non ringraziarmi.» Gli diede due leggeri schiaffetti sulla guancia, facendogli complice un occhiolino. Poi si allontanò da lui, sciogliendosi dall’abbraccio, e si allontanò a braccia incrociate come se non fosse successo niente.
Leo fissò un attimo la sua schiena, allibito. Poi, qualcosa dentro di lui scattò, facendo riaccendere il suo cervello e permettendogli di formulare un pensiero sensato. «Ehi!» esclamò. I suoi muscoli guizzarono, costringendolo a correrle dietro. «Ehi, aspetta!»
Ma Emma non lo fece. Un po’ perché non aveva voglia di farlo, un po’ perché non voleva che la vedesse sorridere mentre se ne andava.
 
Ω Ω Ω
 
La sera stava placidamente calando sul Campo Mezzosangue, segno evidente che la cena stava per iniziare.
Skyler non aveva ancora trovato John.
Aveva pensato fosse meglio non disturbare Michael, dato che sapeva che il figlio di Poseidone stava cercando di recuperare tutto il tempo perso con il fratello, per cui si era rivolta ad Emma.
Aveva provato a parlare un po’ con lei, ma la ragazza si comportava in modo strano, rispondendo con dei monosillabi e continuando a guardarsi alle spalle, come per assicurarsi che nessuno la stesse seguendo. Dopo un po’, Skyler ci aveva rinunciato. Ora le restava solo John.
Ma il biondo sembrava evitarla da giorni. Non la cercava, non la chiamava mai. Non le aveva neanche chiesto come stava, se si sentiva bene, come si sentiva, ora che aveva sconfitto la sua paura.
Insomma, non è questo che fanno i fidanzati?
Skyler non riusciva proprio a spiegarselo, se non quando cercava di convincersi che era un atteggiamento normale. Forse era scosso. O, magari, chissà, aveva i suoi buoni motivi per ignorarla. Aveva forse fatto qualcosa di sbagliato? Lo aveva forse… offeso? Snobbato? Tradito?
Questo non poteva saperlo. O, meglio, non voleva saperlo.
Ne aveva abbastanza dei cuori spezzati, e il suo si era già auto ricostruito troppe volte. 
Si incamminò verso la casa di Apollo, sovrappensiero.
La maggior parte dei ragazzi che l’abitava era ancora in infermeria, ma fortunatamente riuscì a fermare due sorelle, poco prima che si dirigessero verso la mensa.
«Dovrebbe trovarsi in armeria» le avevano detto, con diffidenza.
Tanto valeva tentare.
Si avviò senza troppo affanno verso il deposito di armi, le braccia incrociate al petto mentre i suoi pensieri vagavano liberi senza seguire un filo logico ben preciso.
Non appena vi arrivò, si affacciò all’interno, rimanendo ferma sul ciglio della porta. Fece vagare lo sguardo per la stanza, finché non lo vide.
Era seduto su una panca di legno, intento a lucidare il suo arco senza il benché minimo impegno. Lo sguardo perso in un punto imprecisato, come se la sua mano facesse scorrere quel panno sul dorso dell’arma per un riflesso incontrollato. Il suo volto era illuminato dalla flebile luce della luna che filtrava dalle finestre del posto, donandogli un’aria quasi angelica, ma Skyler sembrò non accorgersene, mentre si sedeva accanto a lui.
«Ehi» lo salutò, quasi esitante.
John alzò appena lo sguardo, quel tanto che bastava per poterle rivolgere un sorriso tirato. «Ehi» ricambiò, senza troppa convinzione.
Poi, silenzio.
Skyler sentì un groppo salirle in gola. Era strano. John era sempre stata la persona con cui le era più facile parlare, sfogarsi, confrontarsi. Ora, invece, riusciva a malapena a rivolgergli un saluto senza sentirsi in imbarazzo.
Che cosa le prendeva? Che cosa prendeva ad entrambi?
Skyler strinse le labbra in una linea sottile, guardandolo come se fosse indecisa se dirgli o meno qualcosa. Poi, le sue mani si strinsero attorno ai bordi della panca. «Che cosa sta succedendo, John?» sbottò, irritata.
Il ragazzo non si scompose. Si limitò a corrucciare leggermente le sopracciglia, senza però preoccuparsi di avere un’espressione confusa. «Niente» rispose semplicemente.
Skyler si lasciò sfuggire una risata ironica, amara. «Oh, ti prego!» esclamò. «Me ne sono accorta, sai? Non mi parli, non mi guardi. Sono tre giorni che non fai altro che evitarmi.» Lo guardò intensamente, cercando il suo sguardo, e non riuscì a soffocare una certa delusione quando non lo trovò. «Non sono stupida.»
John non rispose. Le sue dita iniziarono a giocherellare nervose con il suo arco, intrecciandosi alla corda per poi lasciarla andare. Il ragazzo sospirò, mordendosi l’interno della guancia. Poi alzò lo sguardo, osservandola serio. «Ti piace Michael?» domandò all’improvviso.
Skyler, che in quel momento si stava inumidendo le labbra, restò così sorpresa da quella domanda che le andò di traverso la sua stessa saliva. Cominciò a tossire, aggrottando la fronte. «Che cosa?» scattò, ma la sua voce suonò più acuta di quanto avesse voluto. Se la sgranchì. «M-m… ma che cosa ti viene in mente?» balbettò, a disagio. «Perché mai dovrebbe piacermi Michael?»
John abbozzò un sorriso sghembo, abbassando lo sguardo sul suo arco. «Perché lui è innamorato pazzo di te.»
Ci fu un secondo di silenzio imbarazzante, nella quale Skyler si sentì avvampare violentemente. «Ma cosa…» provò a dire, ma la domanda le morì in gola.
John la guardò negli occhi, sorridendo amaramente. «Ho visto come ti guarda, Skyler» disse, con tono dolce. «Come se tu fossi la cosa più bella del mondo e lui avesse costantemente bisogno di te. Come una pianta dell’acqua, capisci?»
Skyler aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. «I-io…»
«È il mio migliore amico, Skyler» sussurrò John, con tono serio. «Me ne sono accorto.» Accennò un flebile sorriso, inclinando leggermente la testa di lato. «Non sono stupido» bisbigliò, ripetendo ciò che gli aveva detto lei poco fa.
Skyler esitò un attimo, mentre non sapeva esattamente cosa dire. Deglutì a fatica, ma questo non l’aiutò a non avere la gola secca. «Che cosa stai cercando di dirmi, John?» riuscì a chiedere, ma dalla sua bocca uscì poco più che un sussurro.
John sospirò, mentre si mordicchiava il labbro pensieroso. Poi annuì, ed affermò deciso. «Va da lui. So che anche tu provi qualcosa di più di una semplice amicizia.» La guardò, incoraggiandola con lo sguardo. «Va da lui.»
Skyler soppesò un attimo le sue parole.
Provava qualcosa di più di una semplice amicizia per Michael? In realtà, non ci aveva mai pensato.
Ma ora che ci ragionava un po’ su, il suo cuore non poteva fare a meno di galoppare.
Il modo in cui lui la guardava, il modo in cui riusciva a farla arrossire.
La sensazione di protezione che provava ogni volta che si stringeva contro il suo petto, il nodo allo stomaco che avvertiva sempre quando incrociava i suoi occhi.
I suoi capelli, le sue battute, la sua risata. Il suo sorriso, e quello spirito coraggioso che l’aveva sempre spinto a sacrificarsi per lei, a farla sentire speciale.
Forse non se n’era mai resa conto, o forse aveva sempre cercato di non pensarci. Ma ora era più che convinta che John avesse ragione.
Michael non era mai stato solo un buon amico, per lei.
E forse lo aveva sempre saputo.
Guardò John, mentre un nuovo senso di colpa le invadeva il petto, confondendosi con il timore per la risposta alla domanda che stava per fare. «E noi? Cioè, tu…?» Sospirò, mordendosi un labbro per impedire ai suoi occhi di inumidirsi. «Non voglio perderti, John.»
«E non mi perderai» rispose prontamente lui, senza esitazione. Intrecciò le dita alle sue, sorridendole rassicurante. «Skyler, solo perché ho capito che Michael è innamorato di te, non significa che io non ti voglia un bene dell’anima. Sarò sempre il tuo migliore amico, okay? La tua spalla su cui piangere, la tua ancora quando avrai bisogno di aiuto. E in quanto tale, voglio che tu sia felice. Va da lui, Skyler.» La guardò negli occhi, stringendole ancora di più la mano, per farle capire che era sicuro di ciò che stava dicendo. «È la cosa giusta da fare.»
Skyler sorrise, non riuscendo a trattenere un risolino sollevato. Aveva gli occhi lucidi, ma stavolta di gioia. «Grazie, John» mormorò, contenta. «Sei davvero la persona più bella che io abbia mai conosciuto.»
John rise, quasi fosse divertito da quell’affermazione, e quel suono limpido e cristallino spezzò il silenzio dell’armeria. «No, non lo sono» disse, scrollando leggermente il capo.
Skyler gli lasciò una leggera gomitata nel fianco, per poi rivolgergli, non appena lui si voltò a guardarla, un sorriso sincero. «Sono sicura che troverai la ragazza giusta per te» annuì, e lo credeva davvero. John lo sapeva.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, osservando il pavimento sporco di quel posto. Poi un sorriso triste si dipinse sul suo volto. «Spero solo, un giorno, di poter guardare qualcuna nel modo in cui lui guarda te.»
Skyler si strinse a lui, posando la testa sulla sua spalla e abbracciandolo, come farebbe una vera amica. Come farebbero due veri amici.
John la lasciò fare, con un sorriso sulle labbra. Poi la scansò giocosamente, premendole una mano dietro la schiena per farla alzare. «Su, che cosa ci fai ancora qui!» esclamò, divertito. «Corri da lui, no? Se sei fortunata, è ancora al lago.»
Skyler rise, alzandosi in piedi per seguire il suo suggerimento. Ma, prima di farlo, gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia, facendogli accennare una flebile risata.
Quando la ragazza fu corsa via, scomparendo nel buio della sera, John fu di nuovo avvolto dal silenzio.
Era rimasto ancora solo. E stavolta lo era davvero.
Ma non era affatto pentito della sua scelta. Lui non sarebbe mai riuscito ad amare Skyler tanto quanto l'amava Michael. Per lui quel genere di sentimento era ignoto, quasi impossibile.
Avrebbe visto i suoi due migliori amici felici, e questo gli bastava. Anche se non riusciva a negare a se stesso una certa delusione.
E se lui non ci fosse mai riuscito? Ad amare così, intendo.
Era difficile da ammettere, eppure John dubitava davvero delle sue capacità.
Ma forse non era Skyler la ragazza giusta per il suo cuore. Forse la sua anima gemella doveva ancora arrivare.
«Ehi, John» esclamò qualcuno, allontanandolo dai suoi pensieri.
Il ragazzo alzò lo sguardo, seguendo la direzione di quella voce. Sul ciglio della porta, c’era Rose. La ragazza era appena uscita dalle scuderie, e molto probabilmente si stava dirigendo verso la mensa.
Corrucciò le sopracciglia, un po’ confusa. «Che ci fai qui tutto solo?»
John lanciò un’occhiata al suo arco, ancora stretto nel suo pungo. Scrollò le spalle, fingendosi noncurante. «Niente di che.»
Lei fece spallucce, e fece per andarsene. Ma, quando si accorse che lui non l’avrebbe seguita, tornò a guardarlo. Sorrise, quasi divertita, e se possibile il suo sorriso illuminò quella stanza più della luna stessa. «Che fai, non vieni?»
John esitò. Era arrivato il momento di guardare avanti. Doveva smettere di chiedersi cosa il destino avesse in serbo per lui e vivere alla giornata, dandosi la possibilità di sorprendersi.
Sorrise a sua volta, alzandosi in piedi e facendo tornare il suo arco ad un semplice braccialetto, infilandoselo poi al polso. Sospirò, andando verso di lei. «Andiamo» annuì.
E si avviarono insieme.
Rose, verso quella che sarebbe stata la sua cena.
John, verso quello che sperava sarebbe stato un nuovo, fantastico inizio.

Angolo Scrittrice.
Ed ecco qui, signore e signori, la vostra VakeryJackson, in diretta dalle Marche.
*Pubblico in delirio fa l'haola*
Eh, già, sono riuscita ad aggiornare anche da qui, lontano da casa.
Non chiedetemi come ho fatto, perchè non lo so. Ma l'importante è che io sia qui, right?
Ma parliamo del capitolo (che molto probabilmente non piacerà a
kiara00 e ad heartbeat_F_, ma va beh)
Allooora...
Ci sono tante cose da dire, non credete? Ma andiamo per gradi.
In primo luogo, tutti sono felici e contenti, now. Ma questo era scontato u.u
Pooi... Emma ha baciato Leo. Emma ha baciato Leo! ** Okay, so che vi aspettavate un loro imminente fidanzamento. Ma, andiamo, non sono i tipi. Forse non è stata la scena più romantica che io abbia mai scritto (dato che non ci sono frasi sdolcinate e sguardi teneri) ma spero comunque che vi sia piaciuta :3
Per quanto riguarda Skyler e John. Beh, credete ancora che John sia troppo biondo? ahaha, spero che con questo capitolo si sia smentito. Lui ha un cuore grande, anzi, immenso, e dolcissimo, soprattutto. Quella di figo sbruffone è solo un'idea che gli altri hanno di lui, senza conoscerlo realmente. Ha rinunciato alla sua ragazza per dare la possibilità al suo migliore amico di essere felice. Alzi la mano che l'avrebbe fatto!
Ma tranquille, si riprenderà anche lui. In fondo, il mare è pieno di pesci, no? ;) *ogni riferimento a scene specifiche del capitolo è puramente casuale/intenzionale*
Ora. Devo annunciarvi che sono gasatissima e super contenta. Per due motivi.
Il primo: ho camprato il Marchio di Atena *^* non serve che mi dilunghi, perchè sono sicura che comprendete la mia gioia. aaah! Sono troppo hapi! Lo inizierò stasera! (dopo Arrow e Tomorrow People, of course u.u)
Il Secondo: 300. Questo numero mi fa tremare le gambe. 300 recensioni! Ma scherziamo? 300? Sul serio? A me? Credo che le parole non bastino per descrivervi quanto vi sia grata. Questo è un traguado che mai, mai e poi mai avrei neanche lontanamente immaginato! Grazie, Angeli. Siete la cosa più bella che uno scrittore possa desiderare! **
Giuro, un giorno vi ringrazierò tutti come si deve. Ma ora, ringrazio quelli che hanno recensito il capitolo precedente, e cioè:
Ema_Joey, Greg Heffley, heartbeat_F_, carrots_98, FoxFace00, Kalyma P Jackson, DormitePayne, _Kayla_, Theggy, kiara00, chakira e Fred Halliwell.
Grazie. Grazie. Grazie. Grazie! <3
Grazie.
Beh, credo sia arrivato il momento di andare (a scrivere l'epilogo, nrd)
Un bacione, e al prossimo martedì!
Sempre vostra,
ValeryJackson

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Capitolo 36
*** Epilogo ***


Il vento danzava leggero in quello scuro cielo di mezz’estate. Si nascondeva fra gli alberi, e dava a tutto ciò che incontrava un movimento sinuoso, quasi regale.
Rinfrescava l’aria, dopo aver trionfato sul sole.
Ma, nonostante questo, Skyler riusciva a sudare.
Le sue mani erano diventate scivolose, ormai inutilizzabili, e lo sfregarle contro il pantalone non sembrava essere molto d’aiuto. Pareva quasi fossero loro agitate, mentre tremavano, intimorite.
Il suo stomaco era chiuso in una morsa d’acciaio, come stretto da un pugno di ferro che le bloccava il respiro. Si rendeva conto di essere in apnea solo quando i suoi polmoni reclamavano aria.
All’inizio, era corsa via dall’armeria, decisa ad arrivare al lago il prima possibile. Ma, poi, aveva rallentato. Quasi avesse paura, quasi si stesse domandando se fosse la cosa giusta. 
Quando raggiunse quelle sponde bagnate, si fermò, perlustrandole con lo sguardo.
Non ci mise molto a trovarlo. Non solo perché era l’unica persona a trovarsi ancora lì, ma anche perché la Luna sembrava volesse aiutarla, illuminandogli il volto con la sua placida luce.
Michael era seduto alla fine della passerella di legno, i pedi immersi nell’acqua.
Nel vederlo, il cuore di Skyler fece un balzo, arrampicandosi fin su alla gola. Tentò di deglutire, ma senza risultato, per cui, con passo esitante, si decise a raggiungerlo.
Quando fu circa ad un metro di distanza, si bloccò. Lui non si era ancora accorto della sua presenza, e lei non voleva farsi vedere così, pallida come un cencio.
Sospirò, scrollando le spalle come se servisse ad alleviare la tensione, poi si abbracciò la pancia ed andò verso di lui.
«Ehi» lo salutò, sorridendo raggiante.
Michael alzò lo sguardo, e, non appena la vide, un angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso storto. «Ehi!» ricambiò, esclamando felice.
Skyler corrucciò le sopracciglia, sospirando e pregando gli dei che lui non si accorgesse di quanto fosse nervosa. «Che ci fai qui?» domandò.
Lui fece spallucce, riportando lo sguardo sul lago. «Mi rilasso» rispose. Poi esitò. «Credo.»
Lei fece un sorriso sghembo, quasi fosse divertita. Scosse leggermente la testa e si sedette accanto a lui, immergendo a sua volta i piedi nel lago. «Non ti sei ancora abituato a tutte quelle attenzioni, vero?»
Michael arricciò il naso. «Onestamente no» ammise. «Tutti continuano a definirmi un eroe, a ringraziarmi. Ma io non mi sento così. Insomma, non ho fatto niente.» Si strinse nelle spalle. «Ho solo cercato di salvare mio fratello. Chi non l’avrebbe fatto?»
«Ehm… più della metà dei ragazzi del Campo?» propose Skyler, sarcastica.
Risero insieme. Furono avvolti improvvisamente da uno strano silenzio, mentre i loro sguardi si posavano sull’orizzonte che avevano davanti.
Skyler strinse il bordo della passerella con entrambe le mani. Avrebbe voluto dirglielo, ma come? Aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse, indecisa. Questo successe anche una seconda volta.
Alla fine, optò per la via più drastica. «Io e John ci siamo lasciati» esclamò, ad un tratto.
Michael la guardò, confuso ma anche stupito. Quando si rese conto che non stava mentendo, i suoi occhi si sgranarono. «Cosa? E perché?»
Skyler fece spallucce, abbassando lo sguardo. «Abbiamo capito di non essere fatti l’uno per l’altra.»
Michael soppesò quelle parole, ancora sorpreso. Poi un pensiero gli attraversò la mente, e spostò lo sguardo sulle sue mani, che stavano giocando con l’orlo della maglietta. «E quindi adesso voi due siete…?» fece per chiedere, ma quella domanda gli sembrava inappropriata.
A dispetto di quanto pensasse, Skyler sorrise. «Amici» annuì la ragazza, senza esitazione. «Degli ottimi amici. E infondo, credo sia ciò che siamo sempre stati. Forse non eravamo predestinati, ma questo non ci impedisce di volerci un bene immenso.»
Michael alzò lo sguardo, e si sorprese nel trovare il suo, che luccicava di tanta dolcezza. «Sarà sempre il mio migliore amico. Ed io sarò la sua. Niente di più, mai niente di meno.»
Michael annuì, sorridendo a sua volta. Distolse gli occhi per farli vagare lungo il profilo del lago, e Skyler si sentì come se qualcosa le fosse stato appena sottratto. Arrossì leggermente, soppesando un attimo le parole che le ronzavano nella mente, prima di decidersi a dirle.
«Sai, mi sono accorta di non averti ancora ringraziato» esordì.
Michael corrucciò le sopracciglia, perplesso. «Per cosa?»
La ragazza sorrise. «Per avermi salvato la vita.»
Michael soffocò una risata, scrollando leggermente la testa. «Non devi ringraziarmi» le disse. «Chiunque si sarebbe tuffato in mare, al posto mio. Chiunque avrebbe ucciso quel mostro e chiunque avrebbe scelto di salvare te. Non ho fatto niente di speciale.»
Skyler fece una smorfia, inclinando di poco il capo. «Non mi riferivo a quello.»
Michael sembrò non capire, ma lei non aggiunse altro. Ci fu qualche secondo di silenzio, prima che lei sorridesse. «Ricordi la frase del biscotto della fortuna?» Lui sembrò confuso, così lei sollevò le sopracciglia. «Si, dai! Quella che abbiamo letto su quel bus pieno di asiatici. La frase di Gibran.» Si sgranchì la voce, drizzando la schiena e prendendo un bel respiro, prima di citare. «Se guardi in cielo, e fissi una stella, e poi senti dei brividi sotto la pelle, non coprirti, non cercare calore. Non è freddo…»
«… Ma solo amore» terminarono insieme. Skyler lo guardò, e lui sorrise.
«Si, me la ricordo» annuì. Poi inarcò un sopracciglio. «Ma che centra?»
«Ricordi, ti avevo chiesto il significato» cominciò a dire Skyler, parlando così velocemente da non riuscire a prendere fiato. «E tu me lo spiegasti, ma in quel momento non avevo davvero capito. Il mio cuore gridava un nome, ma io cercavo di ignorarlo, perché pensavo fosse sbagliato, e perché non credevo potesse essere reale. Ma adesso ho deciso di ascoltarlo.»
Michael la guardò confuso, non trovando però il suo sguardo. Aggrottò la fonte. «E con questo cosa vorresti dire?»
Finalmente, Skyler lo guardò intensamente negli occhi, e Michael giurò che in quel momento si fosse dimenticato come si respira. Le sue iridi scure erano indecifrabili, sincere.
Skyler sospirò, prima di annuire decisa e rispondere. «Che credo di aver trovato la mia stella.»
Michael continuava a non capire. O almeno, non ci era ancora arrivato. Ma quando avvertì il respiro di Skyler vibrare accanto al suo, il suo cervello decise che non aveva poi tanta importanza, e che non era quello il momento di mettersi a pensare.
Skyler gli prese dolcemente il mento con una mano, e avvicinò il volto al suo. I loro nasi si sfiorarono, e Michael desiderò accorciare quelle distanze come un’aquila desidera spiccare il volo. Ardentemente e con tutta se stessa.
Skyler accarezzò con il pollice il contorno delle sue labbra, che lentamente si schiusero.
E poi, con dolcezza, lo baciò.
Michael non se lo sarebbe mai aspettato, e la sorpresa e lo shock erano tali da impedirgli di fare qualunque cosa se non quella di godersi quel bacio. Le labbra di lei erano esattamente come le aveva immaginate ogni notte. Morbide, calde e buonissime.
Quando Skyler si allontanò quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, le palpebre di Michael esitarono un secondo, prima di aprirsi.
Il ragazzo incastrò gli occhi, che in quel momento erano di un affascinante blu cobalto, nei suoi, guardandola ancora incredulo. Poi, quando si rese conto che ciò che era successo era tutto reale, e che lei si stava mordicchiando il labbro in attesa di una risposta o di una reazione, lui, come un idiota, scoppiò in una risata. Lei inarcò un sopracciglio, interdetta, per cui lui sorrise, inclinando leggermente la testa di lato.
«Sembro sfacciato se dico che aspettavo questo momento dal primo giorno che ti ho vista?» chiese, in un sussurro.
Skyler rise, lasciandogli un leggero pugno sulla spalla.  «Stupido» mormorò, scuotendo la testa.
«No, davvero!» assicurò lui, annuendo. «Io… credo di essermi infatuato di te esattamente nel momento in cui sei uscita da quella stanza, in infermeria. Con gli occhi arrosati dal pianto e il tuo pigiama malconcio.»
Skyler fece un sorriso sghembo. «Molto romantico» commentò ironica.
«Ma è la verità. Io… io non so spiegare perché.» Incontrò il suo sguardo, e fece spallucce. «A volte succede. A volte ci sono persone che con gli occhi non si limitano a guardarti, ma che ti assorbono. Con te… non so, mi sono sentito come se fossi entrato in un tunnel dove tutto ciò che potevo fare era aggrapparmi alla vertigine.» Esitò un attimo, prima di continuare. «È che la tua voce mi tranquillizza. Sarà il tuo modo di parlare, sarà il tuo modo di chiamarmi, sarà quel tono dolce che mi riservi. È che sei tu. Quando si tratta di te, ti giuro, non so cosa mi succede. Per quanto cerchi di trattenermi, se si tratta di te, io sono felice.»
La guardò intensamente negli occhi, perdendosi in quelle bellissime striature dorate. Quante volte aveva sognato quel momento? Quante volte aveva desiderato dirle tutte quelle cose, senza però trovare mai il coraggio? Quante volte si era tirato indietro, pensando a lei, pensando a John, pensando agli altri?
Ma ora sentiva che era arrivato il momento. Era arrivato il momento di dirle finalmente quello che provava. Era arrivato il momento di prenderle il volto fra le mani e farle sentire l’intensità del suo sentimento, ignorando le farfalle nello stomaco, ignorando il sangue che pulsava nelle vene, ignorando il cuore che gli martellava nel petto. Ignorando tutto il resto.
Il quel momento c’erano solo lui e lei.
E questo era tutto ciò che aspettava.
Sorrise, piantagrane, accarezzandole una guancia per poi spostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Sei entrata nella mia vita come un uragano» ammise. «Hai distrutto tutto, e sono stato costretto a ricostruirla daccapo. Ma grazie. Grazie per avermi fatto capire cosa significa veramente tenere tanto ad una persona. Grazie per avermi reso migliore, anche se non era tua intenzione.» Fece sfiorare le punte dei loro nasi, prima di sorridere e sussurrarle a fior di labbra. «E grazie per avermi fatto innamorare di te.»
La guardò negli occhi, posandole una mano sulla guancia. E poi, finalmente, la baciò.
Stavolta, però, fu più intenso. C’era dentro tutto ciò che pensava di lei, tutti i sogni, tutti i desideri, tutte le promesse. C’erano dentro tutte le parole non dette, ma bramate e tenute nascoste in un cassetto del cuore che minacciava di non essere mai aperto, ma che ora aveva finalmente visto la luce. C’era dentro un sentimento, una passione incontrollabile. Magari strana, anomala e insolita. Ma pur sempre bellissima.
Skyler chiuse gli occhi, godendosi quel bacio, e lentamente le sue labbra si schiusero.
Michael avvertì qualcosa bloccargli il respiro in gola. La sua lingua esitò, quasi avesse paura di far la cosa sbagliata, quasi temesse di rovinare tutto. Ma, quando incontrò quella di Skyler, che senza esitazione raggiunse la sua, il ragazzo non poté fare a meno di sorridere contro le sue labbra.
Si lasciò andare, perdendosi nel dolce sapore di ciliegia, e di fuoco, e di cose belle che avevano le labbra di lei.
Le cinse i fianchi con un braccio, nell’intenzione di attirarla a se e stringerla contro il suo corpo. Ma, non appena lo fece, il movimento fu così repentino e inaspettato che Skyler perse l’equilibrio.
Cadde in acqua, con un gridolino di sorpresa. Michael tentò di afferrarla al volo, ma, nel farlo, scivolò anche lui.
I due ragazzi risalirono a galla, bagnati fradici. Si guardarono, e ci fu un istante di imbarazzante silenzio, prima di scoppiare entrambi in una sonora risata. L’acqua gli arrivava alla vita, e Skyler ebbe la buona idea di schizzarla in faccia al ragazzo, a mo’ di dispetto.
Michael si finse offeso, e la schizzò a sua volta, provocandole una risata cristallina. Cominciarono a scherzare, quasi fossero due bambini di cinque anni. Quasi non ci fosse stato né il Campo, né il Morbo di Atlantide, né nessuna missione, né nessun problema.
C’erano solo due ragazzi, felici e bagnati, che si rincorrevano spensierati.
Dopo l’ennesimo spruzzo ben piazzato, Skyler rise, provando a scappare. Ma Michael era pur sempre figlio di Poseidone, e così la raggiunse in fretta, senza alcuno sforzo.
La afferrò per un polso e l’attirò a se, costringendola a voltarsi.
Si ritrovarono a pochi centimetri l’uno dall’altra, il fiato grosso, i volti ad un palmo.
Michael scrutò il suo, estasiato. Sollevò esitante una mano, per toccare una ciocca bagnata che le copriva gli occhi. Se l’avvolse attorno a dito, per poi spostargliela dietro l’orecchio. La prima volta che aveva compiuto quel gesto, gli era sembrato inappropriato; perfino troppo intimo, per un amico. Ora, invece, tutto ciò che riusciva a passare per la sua mente era la consapevolezza di quanto fosse bella.
Fece scivolare le sue dita tremanti dal suo zigomo alla sua mascella, e poi su fino al lobo.
I loro respiri si condensavano nel poco spazio che li separava, e Michael sentì il suo venire meno quando le posò una mano sulla guancia, e lei vi si appoggiò, chiudendo gli occhi e sorridendo appena.
I suoi occhi blu si spostavano velocemente dalle sue iridi scure, al suo naso, alla sua bocca.
Poi le prese il viso fra le mani e, incurante delle conseguenze, la baciò di nuovo.
Questa volta sembrò tutto più naturale. Come se l’avessero fatto già un milione di volte. Le loro labbra si schiusero contemporaneamente, e le loro lingue si abbracciarono, dolci, calde, bramose.
Michael fece scivolare le sue mani dal suo viso alle sue spalle, e poi giù fino alla vita.
Le cinse i fianchi con entrambe le braccia, e il suo palmo si aprì nell’incavo della sua schiena, mentre l’attirava a sé.
La sollevò appena, facendola alzare sulle punte e permettendole di raggiungere la sua stessa altezza.
Skyler gli strinse le braccia attorno al collo, mentre le sue dita si nascondevano fra i suoi scuri capelli.
Giurò di non essersi mai sentita così bene.
Così felice, così amata, così parte di qualcosa.
Tempo fa era ancora indecisa se la sua vita fosse cambiata in meglio o in peggio.
Ma ora lì, con quel bacio, con quella luna, con quel calore nel cuore, non aveva più dubbi.
Meglio, pensò tra sé e sé.
Decisamente meglio.
 
Ω Ω Ω
 
Il volto di Skyler si librava a mezz’aria, come intrappolato in una bolla di sapone sospinta dalla gravità su entrambi i lati. Immobile, sospesa.
La ragazza sorrise, negli occhi un luccichio di felicità. Si trovava al falò del Campo, ed era circondata da tutti i suoi amici, i suoi compagni d’avventura. Da tutte le persone che le volevano bene.
Delle note leggere e spensierate di perdevano nell’aria, spargendo allegria.
Al solo vedere tutta quella gioia, l’uomo sorrise.
Erano giorni che l’osservava, che ammirava i suoi lineamenti, che scrutava i suoi occhi e che studiava ogni suo dettaglio, fin nei minimi particolari. Avrebbe potuto descriverla perfettamente, in tre secondi e ad occhi chiusi.
Eppure non riusciva a non sorprendersi ogni volta che la vedesse.
La sua chiave per il successo. Il suo premio della vittoria.
Non la guardava con occhi così bramosi finché non aveva capito che era lei la parte più importante del suo piano. Quella essenziale.
Che era lei, il suo asso nella manica.
Doveva solo trovare un modo per raggiungerla; per arrivare a lei e farla sua.
Ma come? C’era forse qualcosa che gli sfuggiva?
I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dal rimbombare ponderoso di passi sul pavimento di marmo.
La pesante porta di mogano alle sue spalle cigolò, e il Generale entrò nella stanza senza chiedere neanche il permesso, troppo era agitato.
Non appena si rese conto dell’errore, si irrigidì, esibendosi in quello che sembrava un goffo inchino.
«Signore…» mormorò, con voce strozzata. Se la sgranchì e tentò di assumere un’aria rispettabile, da Generale. «Sono desolato. Ci abbiamo provato in tutti i modi, ma purtroppo la situazione ci è sfuggita di mano. È stato…»
«Incompetenti» tuonò l’uomo, mantenendo una calma glaciale. Il Generale rabbrividì, ma cercò di non scomporsi.
L’uomo si voltò a guardarlo, scrutandolo con le labbra incurvate in un ghigno sadico. «Se siete ancora in vita, è perché ho ancora bisogno di voi, Generale» disse, con sufficienza, al ché il Generale deglutì.
L’uomo sospirò teatralmente e tornò a guardare il volto della ragazza, il cui sorriso riempiva gran parte dello spazio. Sembrava felice, e serena.
Peccato che questa felicità durerà poco, pensò, già pregustando la vittoria.
«Se voglio ottenere ciò che voglio» esordì, con freddezza. «Dovrò prendermelo con le mie mani.»
Il Generale corrucciò leggermente le sopracciglia. «S-se posso permettermi, Signore» balbettò, confuso ma anche un po’ spaventato. «Perché proprio lei? Che cos’ha di così speciale?»
«Il fuoco, Generale» spiegò l’uomo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. I suoi occhi si illuminarono di una sadica esaltazione. «Lei ha il fuoco dentro. Un fuoco forte, e potente. Che brucia in continuazione e che la rende invincibile. Viva.» Si strinse nelle spalle. «Il tipo di fuoco che serve a me.»
Strinse le forti dita in un pugno, fissandolo con un ghigno come se all’interno ci fosse qualcosa. Qualcosa che non poteva scappare. «Farò mia la sua forza. E solo allora potrò definirmi imbattibile.»
Il Generale sospirò, a disagio. «E come intende fare?»
«Un bacio, Generale» mormorò lui, gli occhi lividi di cattiveria. «Ho bisogno solo di quello.» Sfiorò con una mano la nuvola di fumo che racchiudeva il volto di Skyler, e la sua immagine, per un attimo, tremolò.
«Un bacio» ripeté. «Solo un bacio, e sarò legato al suo fuoco.»
 

 

Fine

 
Angolo Scrittrice.
Aggiungerei un piccolo sottotitolo fra parentesi sotto quella parola, con scritto "per ora".
Salve, semidei.
Fine... Cavolo, fa un effetto strano. Non posso credere che sia davvero finita. E' la prima storia che concludo, e questo mi rende filice ma anche triste. Felice, perchè sapere di aver raggiunto un traguardo è una gioia immmensa. Triste, perchè sto per abbandonare un pezzo di me.
O forse no...
Allora, il fatto è questo. Avevo quest'idea in mente già da un po', ma fino all'ultimo era decisa a non metterla in atto. Ma poi, grazie ad alcuni di voi (in particolare a 
kiara00) ho deciso che forse potevo provarci.
Si, avete capito bene. Insomma, è finita, ma non è davvero finita. Il Campo ha superato il Morbo di Atlantide, Skyler e Michael si sono messi insieme, e tutti sono felici e contenti... pensano che durerà per sempre. Ma forse non è così.
Dipende tutto da voi. Ho in mente un seguito, come avrete capito. Con una nuova storia, ovviamente, ma che alla fine è sempre la stessa. Non nel senso di un'altra malattia, aspettate xD nel senso che ci saranno sempre tutti. Skyler, Michael, Emma, John. Si chiarirebbero alcune cose, se ne aggiungerebbero altre. Un classico sequel, insomma.
Da come avrete capito, il Generale non è morto. Né è fuori dai giochi. Ma chi è davvero la mente di tutto? Chi è quell'uomo? C'è qualcuno con molta più autorità del Generale, che addirittura lo spaventa. Ma chi è? E che vuole da Skyler?
Allora, la domanda che vi faccio è questa. Vi prego, non mi linciate! So che molto probabilmente adesso la maggior parte di voi mi sta odiando, e che il resto ha già chiuso internet e mi  ha già mandato a quel paese. Ma per me è importante. Ho tante idee per la testa, e mi piacerebbe continuare a raccontarvi le avventure di questi quattro ragazzi, vorse un pò sfortunati, forse non proprio eroici come tutti gli altri, ma pur sempre vivi e speciali. O almeno, per me. Ecco, vorrei continuare a raccontarvi la storia della Ragazza in Fiamme.
Se non volete, vi capisco. Fatemi sapere.
Se vi piacerebbe un seguito, sapete che io sono pronta a cominciare, e che ho già tante di quelle idee in testa che aspettano solo il momento giusto per essere scritte!
In caso contrario, non fa niente. Le scriverò comunque, ma le terrò per me, e voi potreste benissimo vedere il finale perfetto nel bacio di quei due ed immaginare quest'ultima scena come una alla "non si finisce mai, con il male". E poi stop.
Ditemi voi, accetto qualunque opzione. 
I ringraziamenti ufficiali arriveranno fra qualche giorno, nella quale vi comunicherò, in base alle vostre decisioni, se il seguito ci sarà o no. Vi ringrazierò tutti come si deve. Nel frattempo, perciò, ringrazio i Valery's Angels che hanno commentato lo scorso capitolo, e cioè:
Wise Girl98, carrots_98, Fred Halliwell, saaaraneedsoreo, Greg Heffley, DormitePayne, FoxFace00, giascali, Ema_Joey, kiara00 e Kalyma P Jackson.
Grazie, grazie davvero di cuore. Non riesco ancora a capacitarmi di quel numero infinito, quel numero che significa per me più di quanto potreste mai immaginare.
Spero davvero tanto che quest'epilogo sia piaciuto, a tutti (soprattutto il bacio tanto atteso fra Michael e Skyler). Questa storia ha significato davvero tanto per me, mi ha insegnato tanto, e spero col cuore che sia piaciuta anche a voi, e di non avervi deluso. E scusate, se è così. Ma ora non voglio pensarci.
Ci vediamo fra qualche giorno, e nel frattempo, grazie ancora.
Un bacione enorme,  vi amo tutti!
Sempre vostra,
ValeryJackson  
 
 
 

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Capitolo 37
*** Ringraziamenti ***


Ringraziamenti

 
Ciao, ragazzi.
Come promesso, sono qui, a rompervi per l'ennesima (e giuro ultima) volta.
Per cui eccomi qui, nel mio ormai famoso martedì, a fare quella che molto probabilmente sarà una delle mia ultime pubblicazioni da qui a un po'. Ma prima di ringraziarvi, voglio parlare di un altro argomento ugualmente importante (o almeno per me).
Il Sequel.
Dunque, come vi aveva già accennato nell'Angolo Autrice dell'Epilogo, avevo intenzione di scriverne uno. Ho ancora tantissime idee per la testa, e la mia voglia più grande è sicuramente quella di riportarle su carta, di farvele leggere e di sapere cosa ne pensate.
So che può sembrare strano da dire, ma questa storia, ormai, fa davvero parte di me. All'inizio, quando ho pubblicato il primo, insignificante prologo, mai avrei pensato che potesse riscuotere un tale successo. In breve tempo i Valery's Angels sono aumentati, e così le persone che la seguivano, che la leggevano, che mi deliziavano con le loro recensioni. In questi mesi c'è stato un alternarsi di alti e bassi, di litigate, di risate, di pianti, di momenti indimenticabili. Ma la mia storia era sempre lì. Anonima. Ingenua. Esitante. Ma pur sempre piena di una compattezza che a volte aiutava anche me; che mi distraeva, che mi rincuorava, che mi rilassava. Ogni volta che raggiungevo un nuovo traguardo il mio cuore si riempiva di gioia. Perchè giuro mai, mai avrei pensato che quattro semplici personaggi nati nella mente malata di una strana ragazza di una città sconosciuta sarebbero potuti arrivare all'ottavo posto delle storie più popolari, al primo posto delle storie con più recensioni positive di sempre. Ai cuori (spero) di almeno parte di voi.
Mai avrei pensato che avrebbero scalato con me questa salita impressionante.
Eppure, ce l'hanno fatta.
Ce l'abbiamo fatta.
Ce l'ho fatta.
E voglio farcela ancora.
Voglio scrivere ancora di loro, continuare a raccontarvi le loro avventure. Voglio spiegarvi il perché dei loro malesseri, delle loro risate, dei loro litigi, dei loro pianti. Dei loro successi.
Ma ciò che desidero, anche, è che voi lo vogliate. Per questo ho chiesto il vostro consenso e il vostro parere. Volevo essere sicura di non fare la scelta sbagliata, e che semmai venisse pubblicato questo sequel avesse un futuro, o almeno un pò di senso.
Le vostre recensioni sono arrivate in tante. E, leggendole una ad una, sono giunta ad una conclusione ormai definitiva.
Il Sequel ci sarà.
La conferma è stata data all'unanimità, e non avete idea di quanto questo mi abbia reso tanto, troppo felice.
Grazie, grazie davvero. Per l'entusiasmo e soprattutto per la fiducia. Spero davvero di non deludervi.  
Ho già iniziato a buttar su un foglio varie idee, e penso che presto le scriverò. Quindi, facendo qualche rapido calcolo, credo che il seguito potrebbe arrivare più o meno fra giugno/luglio.
Spero che lo leggiate. Se qualcuno, poi, vuole essere avvisato, me lo dica. Provvederò personalmente. ;)
Detto questo, credo sia proprio arrivato il momento di parlare davvero del motore di tutto, e cioè di voi, cari lettori, che mi avete aiutato a rendere questa storia quello che è. Vorrei baciarvi tutti, uno per uno.
Grazie infinite, col cuore e con l'anima a:
- i 2416 lettori silenziosi, che nonostante tutto hanno continuato a leggere la storia fino alla fine.
- le persone che
hanno aggiunto la storia fra le ricordate bibrilove98; Cris Valdez; FoxFace00; ImagineMonkeys; kiara00; leo98; Mrs_Direction; perrieshatchie_; Theggy; _haroldsjuliet;  _Simmiu_Zoe_Jackson_
- le persone che
hanno aggiunto la storia fra le seguite: 8Sherlin8 ; Across Borders ; Aelle Amazon; aleboh; Alix96; Amisa; AnnabethJackson; biankina1; Boiafaus13; Burro_di_arachidi; callmefred_7; Cielomagico; Dauntless_; Eli123456689; elil2; ElvisDeli; Ema_Joey; EmilyPotter; FinnickH_G; Flos Ignis; fool99; FoxFace00; Fyamma; giascali; Giulippa14; GossipGirl88; Greg Heffley; heartbeat_F_; Ilovebook; Infinito26; James Carstairs; katniss potter jackson; lalad5; Lallyary_Jackson; leo98; Luce_ombra00; Lylaria; maliksmysun; marika silente; morosita8; Portuguese D Rogue; Poseidonson97; Roby smiler; Rose of Blood; Sara JB; saretta2323; sel_direction; ShockSlytherin; solisoli_17; TheBlondeBrave; Thecatchingfire_; Theggy; TiaSeraph; tigrotte2000; VerifieldDemi; X3CamillaXD; _haribooinlove; _haroldsjuliet;  _Kayla_; _lulaby_;  _Maryanne; tama_chan_
- le persone che
hanno aggiunto la storia fra le preferite: akumetsu; Aria13; Athenafra; A_M_N; Belladore; Bibi96; bibrilove98; Burro_di_arachidi; canux; carrots_98; chakira; Ciacinski; DiamanteLightMoon; DormitePayne; Ema_Joey; FinnickH_G; fool99; FoxFace00; Fred Halliwell; FredGeorgeWeasley; FriendshipIsNotEnough; Fyamma; giugiu8; Greg Heffley; INAS; Infinito26; Kalyma P Jackson; kiara00; littlelouder_; Luce_ombra00; martinajsd; Music_99; njallsarms; PeaceandLovewithBTR; Prescelta di Poseidone; Riccia99; riordansideas; saaaraneedsoreo; saretta2323; ScucciottolaTua_12: Silena Beckendorf; sofy_1394; Sophie_Lager; Theggy; ukuhlushwa; vendounicorni; VeryBaby88; victoriajackson; Wise Girl98; yoo_bro; _bluecookies; _Kayla_; _percypotter_.
Ma soprattutto, voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno regalato quelle 327 recensioni, i miei Angeli. Senza di voi non sarei mai arrivata a questo punto, e il vostro è stato davvero un supporto fantastico. Grazie per tutti i bellissimi complimenti. Grazie per avermi fatto sorridere anche durante una giornata nera. Non importa se ci siete stati sempre, o se raramente, o se solo una volta.
Grazie, grazie a
tutti i miei Valery's Angels, e cioè: giascali; Fred Halliwell; Silena Beckendorf; bibrilove98; moon_26; littlelouder_; _percypotter_; Greg Heffley; _Kayla_; victoriajackson; FoxFace00; Cielomagico; Bibi96; fool99; Ciacinski; Kalyma P Jackson; Prescelta di Poseidone; Jason_Storm; Fyamma; annidm200; Poseidonson97; sofy_1394; Riario1; callmefred_7; chakira; heartbeat_F_; Luce_ombra00; Ema_Joey; kiara00; saaaraneedsoreo; Wise Girl98; DormitePayne; Theggy e martinajsd.
Davvero, non ci sono parole per descrivere quanto io vi sia grata, per tutto. Non vi ringrazierò mai abbastanza. E forse vi sembrerà stupido, o scontato, od una frase fatta presa dai libri di matematica, o peggio ancora una parola di poco valore, ma grazie. Grazie per aver creduto in me. Grazie per avermi ascoltato, consigliato, rincuorato. E grazie per avermi dato una possibilità. 
Per adesso è tutto, ma spero davvero di poterci rincontrare ancora, un giorno.
Io, comunque, non escludo il ritorno.
Un bacione enorme, per tutti, tutti quanti.
Sempre vostra,

ValeryJackson


 

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