Il segreto del demone

di SophieClefi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** - Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** - Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** - Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** - Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** - Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** -Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** - Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** - Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** - Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** - Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** -Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** - Capitolo 1 ***


Ciao a tutti! SophieClefi è lo pseudonimo di due ragazze. Abbiamo deciso di pubblicare su questo sito il primo capitolo della nostra storia (Il segreto del demone), sperando di ricevere consigli e pareri per migliorarla.
Il nostro problema più grande è la grammatica (la lingua italiana ha davvero tante regole!), quindi non fatevi troppi problemi e avvertite se trovate eventuali errori. ^.^
Buona lettura!




Capitolo 1

 

Era una tremenda sofferenza alzarsi presto per andare a scuola dopo essere stata sveglia fino a tardi la sera prima.

Aprii gli occhi lentamente. Mi sembravano pesantissimi, sentivo di avere due enormi occhiaie e pensai di coprirle con un po' di fondotinta. Entrai in bagno e mi feci una doccia, poi andai in cucina e mangiai una fetta biscottata con un po' di marmellata alle fragole, infine ritornai in bagno per lavarmi i denti e per nascondere le due borse nere sotto gli occhi.

Aprii lo sportello sotto il lavandino e cercai il fondotinta. Era da tanto che non lo usavo, perché non ne avevo mai avuto bisogno. Dopo un po' mi accorsi che nell'armadietto non c'era e mi misi a cercarlo sulla mensola, ma dopo cinque minuti mi ricordai che l'avevo lasciato nella mia borsa, perché qualche mese prima l'avevo preso per andare da Sue.

Sue era la mia migliore amica. Ci eravamo conosciute in prima media ed eravamo sempre state insieme. Adesso frequentavamo le stesse superiori ed eravamo anche nella stessa classe. Sue aveva i capelli neri, lunghi e lisci, due occhi azzurri ed era sempre sorridente. Poteva sembrare una ragazza strana a chi non la conosceva, perché aveva un carattere particolare, diverso da chiunque altro avessi mai conosciuto.

Uscii dal bagno e mi diressi verso l'ingresso. Chiusi la porta di casa e mi incamminai verso la fermata dell’autobus. Ero l'unica sedicenne sfigata che non aveva ancora l'automobile. I miei genitori ne avevano una, ma ogni giorno la usavano per andare a lavoro. Uscivano di casa prima di me, perché per arrivare in ufficio dovevano percorrere un'ora e mezza di strada. Per loro fortuna lavoravano nello stesso posto e la mattina facevano i turni per guidare. La sera tornavano alle nove- dieci e poi andavano subito a letto.

Camminando arrivai alla fermata, che si trovava di fronte alla palestra dove facevo scherma, e mi sedetti sulla panchina. Nessuno . Intorno a me c'era il nulla. La prima volta che ero venuta qui questo posto mi spaventò a morte. Non c'era nessuna luce accesa, se non quella del lampione sull'altro lato della strada. Nessuna macchina. Sentivo il vento freddo sulla pelle. Ormai era dicembre inoltrato e tra un paio di settimane ci sarebbero state le vacanze di Natale, così finalmente sarei potuta stare con Sue senza preoccuparmi della scuola.

Una flebile nebbia mi offuscava la vista, ma riuscii a scorgere i due fari gialli dell'autobus che si stava avvicinando. Il mezzo si accostò al lato della strada accanto a me e le porte mi si aprirono davanti. Salii e sorrisi al conducente. L'autobus era vuoto: ero sempre la prima a salire. Andai negli ultimi posti e mi sedetti guardando fuori dal finestrino.

Era ancora buio, buio pesto. Nel quartiere dove abitavo le case erano malconce: piccole, di mattoni a vista e, a volte, avevano tetti di legno. Fortunatamente la mia casa era una piccola villa abbandonata, ma ristrutturata da capo a piedi quando i miei genitori anni fa vi si erano trasferiti, che si trovava nell'unica zona nuova del quartiere. Apparteneva al mio bis bis nonno, ma lui l'aveva data in affitto e non ci aveva mai abitato. Prima di noi c'erano state due famiglie, che in seguito si erano trasferite a New Reims.

L'autobus curvò e mi spostai leggermente a destra. La mia testa si appoggiò al finestrino e un brivido mi scorse lungo la schiena per il freddo contatto con il vetro. Riuscivo a scorgere appena i contorni delle case e del marciapiede. Il mio respiro appannava il vetro, già abbastanza opaco.

Chiusi gli occhi, ma non mi addormentai: rimasi ad ascoltare il rumore emesso dall'autobus e poi... il rumore della pioggia. Era iniziato a piovere. Un ticchettio instancabile. Il conducente schiacciò dei pulsanti e i tergicristalli iniziarono a muoversi.

Il ritmo di andatura dell'autobus era rallentato, ma il mezzo continuava a procedere. Un'altra curva a destra, una rotonda e poi c'era solo la lunga traiettoria di due chilometri e mezzo che mi separava dal centro della città. Attorno c'erano solo campi, sterminate coltivazioni di granoturco e mais. In estate quel pezzo di strada offriva uno spettacolo magnifico, perché i campi si riempivano di papaveri e ci si sentiva immersi nella natura; ma in inverno, i colori marrognoli dei cereali rendevano l'atmosfera ancora più cupa di quanto fosse già.

L'autista accelerò e d'un tratto, con un gran tonfo, l'autobus sobbalzò.

Mi rialzai e con sguardo preoccupato guardai in direzione del conducente. Lui aprì lo sportello e, guardandomi, mi disse:

  • Scendo un attimo a controllare... penso di aver preso una buca o un sasso... spero di non aver investito un animale!

Dopo aver detto ciò scese dall'autobus e io d'istinto lo seguii. Quando fui sull'uscita vidi il conducente in piedi, con la bocca spalancata e le mani tra i capelli. Era diventato pallido in viso e la sua era un'espressione di paura mista a terrore.

Scesi e guardai nella stessa direzione in cui stava guardando il conducente.

Dietro all'autobus, accasciato a terra, c'era un ragazzo. Aveva dei jeans scuri e una maglietta bianca: l'aveva investito.

  • Che fa lì impalato?! Chiami un'ambulanza! Io controllo come sta il ragazzo!

Mi sembrò di avere appena pronunciato quella che sarebbe stata la mia rovina. Io avevo detto a un signore, con trent'anni in più di me, di chiamare i soccorsi, mentre io avrei controllato il ragazzo? Cose da pazzi! Mi pentii subito di ciò che avevo detto e deglutii un po' di saliva che mi si era formata in bocca. Con cautela avanzai verso il ragazzo. Era immobile. L'aveva ucciso?

Man mano che mi avvicinavo lo fissavo sempre più preoccupata e sconvolta. L'aveva investito in pieno: l'autobus aveva sobbalzato, eppure il ragazzo sembrava tutto intero. Non un graffio, non un polso rotto, nessuna frattura visibile. Era sdraiato su un fianco, con le gambe piegate quasi contro il petto e le braccia erano curve contro il viso. Messo in quella posizione mi era impossibile vederlo in faccia. Solo la maglietta aveva il segno nero delle ruote dell'autobus, così ebbi la certezza che l'avevamo investito realmente.

Feci ancora un passo traballante e sperai che il conducente chiamasse in fretta i soccorsi e scendesse dall’autobus per controllare il ragazzo, ma il mio desiderio non venne esaudito.

Quando mi trovai a un metro da lui mi accucciai a terra.

  • Ehi, stai bene?

Mi pentii nuovamente delle mie parole. Cosa volevo dire con Ehi, stai bene ? Era stato investito! Cercai un'altra frase più intelligente e coerente.

  • Riesci a sentirmi?

Non si mosse di un centimetro. Iniziavo a pensare realmente che fosse morto sul colpo. Sentii dei passi muoversi sull'autobus e mi girai verso le porte del mezzo. Il conducente si affacciò tutto sudato.

  • In che condizioni è? Ho chiamato l'ambulanza e la polizia, tra poco dovrebbero arrivare!

Un rumore dietro di me mi fece voltare di scatto e, appena lo vidi, feci un salto indietro.

Il ragazzo che era stato investito poco prima era in piedi di fronte a me, tutto intatto, a qualche metro di distanza. Non aveva nulla di rotto. Spalancai gli occhi.

Era alto una ventina di centimetri in più di me, aveva un fisico da paura e degli occhi incandescenti. Due enormi occhi rossi che brillavano nel buio come due fuochi e sembravano bruciare tutto ciò che si trovava intorno a lui. Intorno a noi.

Il viso, mi dissi. Strizzai gli occhi per cercare di riconoscerlo, ma il buio lo nascondeva. Non c'era più un ragazzo davanti a me, non c'era una persona, c'erano due profondi occhi rossi, e nient'altro. Rimase così solo un istante, poi si voltò di scatto e iniziò a correre velocissimo.

Non te ne puoi andare così! - Avrei voluto urlargli, ma non ci riuscii. Ero troppo sconvolta dalla vista di quegli occhi, di quell'essere.

Il ragazzo continuava a correre, ma rimasi ancora più sorpresa quando vidi che era scalzo. I suoi piedi erano intatti, perfetti, sembravano non sentire il cemento ruvido sopra il quale stavano correndo.

La mia attenzione venne catturata da una spirale rosso fuoco, incandescente come gli occhi, sotto la pianta di un piede. Poteva essere un tatuaggio? No, era sicuramente qualcosa di diverso. Qualcosa di molto più di un semplice tatuaggio. Una cosa strana quanto i suoi occhi.

  • Chi era?- Riuscii a sussurrare solo questo.

Quando mi voltai vidi il conducente pallido in viso. Una goccia di sudore gli stava scorrendo lungo la tempia destra.

  • Oh... è vivo, e sembra che stia bene...

Nelle sue parole si sentiva il terrore che stava provando.

  • Ma ha visto i suoi occhi? Quello non può essere un ragazzo normale! Deve avere di sicuro dei problemi! Erano...

  • Gli occhi? Cosa avevano di strano? Tu eri proprio davanti a lui e da dietro non sono riuscito a vederlo in faccia... Sapresti riconoscerlo? Potremmo farlo presente alla polizia!

  • Cosa?!

Non li aveva visti? Com'era possibile? Cosa avrei dovuto fare? Era meglio dire tutto alla polizia o mi avrebbero presa per pazza? La seconda opzione era la più probabile.

  • No... non l'ho visto bene in faccia...

Erano le uniche parole che mi sentivo di dire. Decisi che sarebbe stato meglio aspettare fino all'arrivo della polizia prima confessare ciò che avevo visto di quel ragazzo. Almeno avrei avuto il tempo di pensare a cosa riferire.

  • E' meglio che informi i tuoi genitori dell'accaduto, dicendo loro che non puoi più andare a scuola.

  • Sì... adesso lo faccio.

Presi il cellulare e composi il numero di mia mamma.

 

 

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Capitolo 2
*** - Capitolo 2 ***


Eccoci qui con il secondo capitolo della storia! Speriamo vi piaccia :)



Capitolo 2

 

 

Avvertii i miei genitori e, quando raccontai loro quello che era successo -tralasciando gli occhi e la spirale-, mi bombardarono di domande: erano preoccupati.

  • Stai bene?

  • Sì...

  • E il ragazzo sta bene?

  • E' scappato... siamo scesi e lui si è rialzato in piedi ed è fuggito via.

  • Fuggito? Vuoi che torniamo indietro?

  • No! Non mi è successo nulla, adesso stiamo aspettando la polizia.

  • La polizia?

  • Ci fanno solo delle domande!

  • Chi c'è lì con te?

Mi sentivo oppressa. Ero già abbastanza sconvolta da ciò che era successo, ci mancavano solo le domande snervanti di mia mamma!

Finalmente dopo venti minuti notai in lontananza i fari e il lampeggiante dell'auto della polizia e mi affrettai a chiudere la conversazione.

  • Mamma sono arrivati i poliziotti! Devo andare! Ti chiamo più tardi per raccontarti com'è andata.

  • Va bene, stai attenta tesoro.

Riposi il cellulare nella tasca del giubbino e andai vicino all'autista, che era seduto di fronte a me, sulla porta dell'autobus. L'auto con il lampeggiante si fermò qualche metro dietro il mezzo e scesero due tizi in divisa. Si avvicinarono a noi e ci squadrarono da cima a fondo.

  • Cos'è successo?

Chiese il primo poliziotto, un tizio alto, con i capelli ricci e rossi, magro come un'acciuga. Se l'avessi visto per strada non avrei mai detto che un tizio come lui sarebbe potuto essere un poliziotto, anzi, avrei pensato fosse uno di quelli che davanti al primo bullo di turno scappa come un coniglio. Aveva circa vent'anni, non di più, e si atteggiava con un -non so che- da ''divo''.

L'altro poliziotto, un tipo basso e grasso con dei folti baffi neri, si avvicinò e ci scrutò nuovamente.

  • Raccontateci cosa avete visto. Vogliamo tutti i dettagli.

L'autista iniziò a raccontare la sua versione dei fatti, mentre io ero persa nei miei pensieri.

Il cielo iniziava ormai a schiarirsi e la nebbia che ci circondava veniva pian piano risucchiata dai raggi del sole che stavano colorando i campi. Alzai gli occhi al cielo e mi accorsi in quell'istante che aveva smesso di piovere.

  • Ora tocca a lei signorina!- Mi disse il ragazzo che sembrava un'acciuga.

  • Allora... questa mattina ho preso l'autobus, e tutto stava andando bene, ma, mentre stavamo percorrendo questo tratto di strada, il mezzo è sobbalzato. Siamo scesi per controllare e per terra abbiamo visto un ragazzo. Mentre l'autista chiamava aiuto io mi sono avvicinata per controllare, ma il ragazzo si è alzato in piedi. Il conducente, che poco prima era sceso dall'autobus, l'ha visto a sua volta. Poi, in un attimo, il ragazzo si è girato ed è corso via.

I poliziotti mi ascoltavano attentamente e i loro visi erano così seri che quasi mi misi a ridere.

  • C'è altro? L'avete riconosciuto?

  • No.- Risposi secca.

Riflettei un attimo. Cosa sarebbe stato meglio dire? Credo che non mi avrebbero preso sul serio se avessi detto ''Aveva gli occhi rossi e una spirale infuocata sul piede. Oh, e correva pure scalzo!'' . I poliziotti si erano già voltati e stavano ringraziando l'autista per la collaborazione. Li sentivo parlare dei ''danni al veicolo'' e cose simili.

  • Aveva un simbolo... -Sussurrai. Si voltarono tutti verso di me.

  • Che simbolo esattamente?- Mi chiese l'uomo grasso.

  • Una spirale su un piede... non ricordo quale.

  • Era scalzo?

  • Sì...

  • Bene... una spirale sul piede hai detto? Che luogo insolito per farsi un tatuaggio!

Stavo per aggiungere qualcosa del tipo, “Infatti non era un tatuaggio, credo.”, ma non lo feci.

  • Ragazzina te la senti di andare a scuola o ti dobbiamo portare a casa?- L'agente Acciuga mi stava domandando cosa fare.

  • Ce la faccio, grazie. La fermata è qui vicino.

L'autista salì sull'autobus, che fece inversione e seguì l'auto della polizia che stava ritornando in centrale. Io mi incamminai verso la città. Presi il cellulare e mandai un messaggio a Sue.

EHI, ARRIVO IN RITARDO! DOPO TI SPIEGO...

Dopo pochi istanti mi rispose: VA BENE! ENTRI ALLA SECONDA ORA?

SI'.

Riposi il telefono in tasca e affrettai il passo. Dopo dieci minuti arrivai alla fermata e guardai l'orario di arrivo del prossimo autobus. 8:54h. Erano le 8:47. Perfetto! Dopo pochi minuti arrivò l'autobus e salii.

  • Ciao Sheila!

Mi voltai nella direzione in cui proveniva la voce.

  • Ehi Barney!

Era il mio autista preferito e quello che conoscevo meglio. Era simpatico ed espressivo, aveva corti capelli grigi e degli occhiali tondi.

  • Cos'è successo? Come mai vai a scuola adesso?

  • Lascia stare... è stata una mattinaccia! Te lo dirà il tuo collega.

Gli feci un sorriso e lui ricambiò, poi andai a sedermi. Dopo quindici minuti arrivai davanti alla scuola, scesi, salutai Barney e mi incamminai verso l'entrata.

Attraversai il corridoio alla velocità della luce e piombai in classe senza neanche bussare. Rimasi un attimo sulla porta pronta per essere sgridata dal professore di scienze, invece, con mia grande sorpresa, mi accorsi che, anche se le lezioni erano iniziate da più di venti minuti, il prof non era ancora arrivato. Mi guardai attorno e vidi tutti chiacchierare allegramente. Andai a sedermi accanto a Sue, in prima fila.

  • Ehi che succede qui? Che fine ha fatto il professore?

  • Ciao tesoro! Oh il prof dici? L'hanno chiamato urgentemente in segreteria e non è ancora tornato! Che ti è successo? Sei orribile!

  • Grazie per la sincerità, Sue.- Lo sapevo già, perché oltre a non aver messo il fondotinta

avevo passato una mattina orribile. Lei mi guardò con un sorrisetto malizioso.

  • Hai passato una nottata turbolenta? Cos'hai combinato?

Capii dove voleva arrivare: - Niente di quello che pensi tu! Mi copri se arriva il prof, mentre vado

in bagno a nascondermi queste borse nere?

Aspettai un attimo la sua risposta. Mi fissava con uno strano sorriso sul viso.

  • Conta pure su di me! E credimi, è meglio per tutti!- Scoppiò a ridere.

La guardai di sottecchi e mi precipitai in bagno. Avevo messo la borsa con il fondotinta in cartella, così avrei potuto usarlo. Frugai per un po', mentre mi sistemavo di fronte ad uno specchio. Tirai fuori la scatolina di fondotinta e la aprii.

- Merda!

L'avevo finito: la scatola era vuota. Sentii dei rumori provenire dalla porta di un bagno.

  • Tutto bene? C'è... qualcuno?- Domandai.

Non mi rispose nessuno, così mi avvicinai. Avevo sentito un rumore di passi e non l'avevo immaginato: era impossibile!

Quando fui vicino alla porta allungai una mano sulla maniglia. Tremavo leggermente. Perché lo facevo? Forse ero spaventata ancora da quella mattina.

La porta si spalancò davanti a me. Mi ritrovai di fronte a ragazzo con i jeans e una felpa blu. Aveva il cappuccio tirato in testa, che gli copriva il volto. Riuscivo a vedergli solo la bocca.

  • Cosa vuoi?- La sua voce era forte, ma anche molto attraente.

  • Scusa, pensavo che ci fosse qualcuno che stava male...

  • A quanto pare ti sei sbagliata- Quelle parole erano molto fredde. Il tono di voce che aveva usato prima si era disperso nel nulla.

  • Mi dispiace... Ehi ma cosa ci fai nel bagno delle femmine?!

Mi girò intorno e uscì dal bagno sbattendo la porta e senza badare alla mia domanda. Rimasi sola e mi guardai attorno cupa. Presi il fondotinta e lo buttai nel cestino, poi uscii adiratissima dal bagno. La mia testa bolliva di rabbia e non solo per il fatto che la mia unica fonte di salvezza fosse finita, ma anche per l'incontro con quel ragazzo. Era stato così rude e poco delicato!

Rientrai in classe e fissai Sue.

  • Qualcosa non va?- Mi chiese.

  • Il fondotinta è finito...- Commentai. Vidi formarsi un sorriso sulla sua bocca, ma subito si spense.

  • Vieni, ti metto il mio.

Mi avvicinai con la sedia a Sue e aspettai che tirasse fuori i trucchi. Ne portava sempre un po' con se, per sicurezza. Io non ne avevo la minima intenzione e, a differenza di lei, sarei potuta benissimo sopravvivere senza del lucidalabbra.

  • Bene ho fatto la prima.- Mi disse, staccando il dito dal mio viso. - Tocca all'altro.

Il professore mise un piede in aula e subito ci alzammo. Sue chiuse il fondotinta e lo tenne in mano dietro la schiena, per non farlo vedere all'insegnante. Mi girai e guardai i miei compagni. Purtroppo Sue e io eravamo in prima fila durante tutte le lezioni e il professore ci beccava sempre a parlare o a ridere. L'anno scorso ci aveva separato, quest'anno ci eravamo ripromesse di non chiacchierare, ma resistere era dura.

  • Perché tutti stanno parlando? -Le chiesi.

  • Non so! Forse hanno notato qualcosa di buffo nel prof! - Mi disse scherzando.

Sbuffai e riguardai in direzione della cattedra. Quando lo vidi sgranai gli occhi.

  • No, non ci credo! - Sussurrai.

Sue si girò verso di me: -Ehi che ti prende?

  • Quel...ragazzo...- Indicai in direzione della porta: un tizio era appoggiato al cornicione.

  • Uh lo conosci?

  • Quello era poco fa nel bagno delle ragazze!

  • Un pervertito eh?- Fece un sospiro e poi le sue labbra si dilatarono.- Mi piace!

  • Ma come ti piace?! Hai appena detto che è un pervertito!

  • Oh sì, ma hai visto che muscolatura?

 

Mi girai lo guardai. Aveva ancora il cappuccio sulla testa e solo metà viso si intravedeva. In effetti non era niente male: i bicipiti sporgevano dalla felpa e le sue braccia sembravano davvero muscolose.

  • Ragazzi, lui è...

  • Chiamatemi Blaze. - Il ragazzo interruppe il professore.

  • Esatto Blaze, il vostro nuovo compagno di classe. Si è trasferito ed è indietro con biologia, quindi farà le lezioni con noi... Scegli un posto dove vuoi sederti.

  • Laggiù va benissimo, grazie.

Blaze andò in fondo all'aula e si sedette in un banco vuoto. Nessuno osava fiatare e non per paura del professore, ma per Blaze, che era davvero terrificante. Era cupo, ma sembrava anche tanto solo.

  • Va bene...

Il professore tirò un sospiro e andò a sedersi alla cattedra. La lezione iniziò.

  • Sue, perché continui a fissarlo?

  • E' così sexy...

  • Non gli vedi nemmeno il viso!

  • Ma guarda che corpo... la bocca... il naso... deve essere un principe azzurro!

  • Io lo trovo terrificante!

  • Forse...solo un po'...

La voce dell'insegnante ci riportò alla normalità.

  • Signorina Barker, signorina Evans... dato che vi piace così tanto parlare, dopo scuola voglio che facciate una relazione sulla lezione e domani mattina la voglio nel mio cassetto.

  • Ma professor Mic...

  • Avevate degli impegni? - Io e Sue facemmo segno di sì con la testa.

  • Mi dispiace, li dovrete cancellare.

Mi girai verso Sue e la fulminai con gli occhi. Lei alzò le spalle e mosse un dito dicendo 'dopo' con le labbra. Annuii e iniziai a seguire le lezione.

 

La campanella suonò puntuale alle 13:30 e tutti si alzarono dalla seggiole e uscirono, mentre io mi avvicinai al banco di Sue.

  • Cosa devi dirmi?

  • Oh, vedi oggi vengono casa mia dei parenti dall'Australia e io non...

  • Ferma, mi stai dicendo che non puoi fare la ricerca con me oggi?

  • Diciamo di sì... Ti prego perdonami! Ma sono così fighi, poi i miei genitori mi ammazzano se non ci sono!

La rabbia mi pervase il corpo. 'Diavolo!' Pensai. Feci tre profondi respiri, e quando ritrovai la calma ricominciai a parlare.

  • E io ti faccio questo favore in cambio di cosa?

Sue sorrise: - Ti accompagno a scuola per una settimana!

  • E...? - La spronai.

  • E... ti porto anche a casa! Prendere o lasciare!

  • Affare fatto!

Ci sorridemmo e Sue si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia. Preparò le sue cose nella cartella, se la mise a spalle e uscì dall'aula.

Mi sedetti nel banco e tirai fuori un foglio bianco. Una relazione... su che cosa? Presi la penna blu e iniziai a scrivere il mio nome e quello di Sue.

  • Sue Barker... Sheila Evans...

Staccai la penna dal foglio e lo fissai. Relazione, relazione...

  • Su cosa diavolo era la relazione?!- Sussurrai.

  • Sulla lezione di oggi.

La voce che mi aveva risposto proveniva da infondo all'aula. Era una voce famigliare, l'avevo già sentita.

  • Blaze,...giusto?

Se ne stava seduto sulla seggiola con le braccia incrociate dietro la testa e le gambe lunghe sotto il tavolo. Frequentavamo alcune lezioni insieme, tra le quali biologia e letteratura che, per l'appunto, era stata l'ultima ora di lezione.

  • Cosa ci fai ancora qui? Non vai a casa?- Gli domandai.

  • Che te ne importa?

  • Quanta freddezza.- Lo guardai seria.- Ti ho solo fatto una domanda.

Blaze alzò le spalle. Mi rigirai verso il foglio e iniziai a scrivere il titolo. Per quello che mi ricordavo la lezione era sui beni del nostro pianeta, una cosa simile a ''L'acqua è preziosa, l'aria è inquinata,...'' e simili. Iniziai a scrivere la prima riga, ma in qualche modo mi sentivo osservata. Sapevo che c'era Blaze e la sua presenza mi metteva sotto pressione.

  • Puoi uscire dall'aula per favore?!- Gli urlai contro. Oltre a mettermi a disagio mi sentivo agitata, vulnerabile, con lui.

  • Smettila di rivolgermi la parola come se mi conoscessi.

  • Si può sapere cosa ti ho fatto?

  • Sei noiosa.

  • Noiosa io?

Ribollivo di rabbia. Chi credeva di essere? Era appena arrivato, non sapeva nulla di me! Come poteva dire che ero noiosa? Dovevo finire la relazione entro il giorno successivo, e non avevo la minima intenzione di farmi dei problemi per quel ragazzo. Dovevo trovare una frase da dirgli per chiudere la storia.

  • Parla quello che ha un preservativo in testa...

Con la coda dell'occhio guardai la sua reazione e nel vederla rimasi sorpresa. Il suo viso, o almeno, la parte visibile, era ricoperto da un sorriso.

  • Non ha senso... e poi è il cappuccio della felpa. - Mi spiegò.

Nel voltarmi mi accorsi di quanto fosse bello: aveva sollevato il cappuccio quel po' che mi consentiva di vedergli il viso. Un lieve sorriso mi si dipinse in volto. Aveva dei bellissimi capelli castani non troppo lunghi e due occhi profondi.

D'un tratto si riaccupò e si tirò nuovamente su il cappuccio. Il suo sorriso scomparve e, dopo pochi attimi, anche il mio fece lo stesso.

  • Devo andare.- Mi disse.

Si alzò dalla seggiola e uscì velocissimo dall'aula. I miei occhi l'avevano seguito per tutto il tempo, ma un rumore mi rimbombava nelle orecchie, poi mi accorsi: era il mio cuore che batteva ad un ritmo accelerato. Lo sentivo tamburellarmi nel petto. Arrossii.

  • Che mi sta succedendo?

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Capitolo 3
*** - Capitolo 3 ***


Ecco qui anche il terzo capitolo! Commentate :D
SophieClefi




Capitolo 3

 

 

Finii la relazione e andai nella sala insegnanti. Non era la prima volta che dovevo consegnare un compito per il professore, quindi trovai subito il suo cassetto e ci appoggiai il foglio. Uscii dalla stanza salutando il mio insegnante di fisica e me ne andai dalla scuola.

Il cielo era rosso. Erano le quattro e mezza circa di pomeriggio e iniziava a diventare scuro. Mi incamminai verso la fermata dell'autobus e quando arrivai là guardai gli orari.

  • 16: 47... Ok.

Mi sedetti sulla panchina e iniziai a pensare. Blaze. Un sorriso mi si formò sul volto.

Il mio sguardo si fermò su un cartello appeso ad un cestino vicino agli orari dell'autobus.

“ Le corse dopo le 16:00 dei giorni 7/12 e 8/12 saranno sospese.”

Sapendo già quello che sarebbe successo mi passai una mano sulla faccia e mi sistemai i capelli dietro le orecchie. Iniziai a pensare cosa fare. Era il 7 dicembre e Sue mi aveva già detto che era impegnata a casa con dei parenti. Chiamai i miei genitori.

  • Pronto?

  • Pronto mamma... sono io...

  • Che c'è? Un altro incidente?

  • No tranquilla... mi chiedevo solo se oggi tornavate prima dal lavoro, perché gli autobus non passano più.

  • Sei ancora a scuola? Ti sei fatta dare di nuovo un compito di punizione? Per cosa questa volta?

  • Parlavo con Sue.

  • Lei non c'è? Non può darti un passaggio a casa?

Non risposi subito, ma pensai. Dopo tutto quello che era successo, mia mamma era già abbastanza preoccupata del fatto che avevo investito una persona, figuriamoci se si doveva anche preoccupare del fatto che tornavo a casa da sola. Certo, non mi andava neppure a me di fare sette chilometri a piedi mentre si faceva buio, però era l'unica opzione possibile.

  • Si. Le chiederò un passaggio.

  • Bene! Prepara la cena: c'è della pasta nel mobile e della passata di pomodoro sulla mensola. A dopo.

  • Ok, ciao.

Misi il telefono in tasca e sospirai. Mi guardai attorno e, come immaginavo, ero sola come un cane. Decisi di aspettare comunque le 16:47, per verificare che le corse fossero state veramente sospese e che -magari- avevano sbagliato a mettere il volantino.

Presi le cuffiette del telefono, le attaccai e misi su la prima canzone disponibile. Dopo dieci minuti mi accorsi che non era passato nessun autobus. Guardai l'orario. 17:06. Mi alzai dalla panchina, mi misi lo zaino in spalle e mi incamminai verso casa. Secondo i miei calcoli sarei arrivata a casa in un'ora circa e con il buio. Non mi spaventava l'idea di camminare per strada da sola a quell'ora, ma mi terrorizzava il fatto di dover percorrere il tratto di strada dove quella mattina avevamo investito un ragazzo.

Un soffio di vento mi fece rabbrividire. Affrettai il passo e in tre quarti d'ora ero già arrivata al punto dell'incidente. Odiavo quel pezzo di strada: era buio e solo quattro lampioni emanavano una flebile luce giallastra in tutta la traiettoria. Mi muovevo sul ciglio della strada con la musica nelle orecchie, quando d'un tratto sentii una macchina in lontananza dietro di me. Mi girai di impulso e mi misi al centro della strada sventolando le braccia. Aspettai che la macchina si fosse avvicinata per poter parlare.

  • Mi scusi ho urgentemente bisogno di un passaggio! Sono rimasta a piedi ed è da quaranta minuti che cammino. Abito in quella zona, mi potrebbe accompagnare per un po'?

La macchina mi si fermò accanto e rimasi in attesa di una risposta. Il finestrino si abbassò.

  • Sei rimasta a piedi...Evans?

  • Tu? Che ci fai qui? Mi hai detto che te ne dovevi andare.

Blaze alzò un sopracciglio.

  • Lo vuoi il passaggio o no?

 

 

Pochi istanti dopo mi ritrovai in auto con lui. Spensi il telefono e misi le cuffiette nello zaino.

  • Grazie.- Gli dissi.

Sapevo che non avrei ricevuto nessuna risposta, così iniziai a guardare fuori.

  • Bella macchina.- Stavo cercando di apparire 'simpatica'. Dopo la conversazione di quella mattina era il minimo che potessi fare per ringraziarlo del passaggio.

  • Come mai sei a piedi?- Stranamente mi fece quella domanda.

  • Non ho un'auto. Sue mi ha abbandonata e i miei genitori sono via per lavoro.

La macchina continuava a percorrere il lungo tratto di strada diritto.

  • Tu che ci fai in giro a quest'ora?

  • Avevo del lavoro da fare.

  • Lavori?

  • No, non quel tipo di lavoro.

  • Oh, sei uno di quelli che lavora in quei locali di spogliarellisti e cubisti?

Mi fece un sorriso e, tenendo la mano sinistra sul volante, con la destra si tirò giù il cappuccio della felpa.

  • No, non è nemmeno quello.

  • Grazie al cielo! Temevo veramente di essere finita in classe con un pervertito.

  • Ti faccio così paura Evans?

  • Non ho mai detto che mi fai paura.

L'auto aveva ormai finito quel lungo tratto di strada ed era entrata nel quartiere in cui abitavo. Le case fiancheggiavano una strada principale, fino ad una fontana, dalla quale poi partiva una strada per andare fuori città. La mia casa si trovava vicino a questa fontana e a delle case nuove, appena costruite. Era una villa con un grande giardino. Il mio bis bis nonno amava la natura, per questo aveva coltivato delle piante e un orto, in cui cresceva un po' di tutto. Nessuno aveva mai osato abbattere un albero o piastrellare quel giardino, perché nel suo complesso non causava alcun problema.

L'auto arrivò alla rotonda e svoltò magicamente a destra. Si fermò proprio davanti a casa mia e Blaze spense il motore.

  • Come hai fatto?- Gli domandai stupita.

  • Fatto cosa?

  • La mia casa, come hai indovinato quale fosse e dove era?

Mi fece uno di quei suoi sorrisi magnetici: - Per prima cosa ti ho trovata mentre percorrevi il tratto di strada che collegava Sant Heaven al centro, per cui dovevi per forza abitare in questo quartiere e secondo, qui vivono persone trasandate-

  • Mi stai dando della barbona?

  • Ehi aspetta fammi finire!- Si fermò e mi sorrise nuovamente. Ogni volta che mi sorrideva il mio cuore faceva un salto.- Tu non mi sembri affatto una barbona e qui c'è solo questa zona in cui le persone sono ok. Quindi, o vivevi qui, o venivi qui per fare dei lavori a pagamento sulla strada.

Spalancai la bocca per quell'ultima affermazione, ma la richiusi subito dopo mordendomi il labbro. Lui emise una risatina.

Aprii lo sportello dell'auto e scesi. Lui abbassò il finestrino.

  • Ci vediamo domani!- Gli dissi con tutta la sfacciataggine che avevo in corpo.- Spero che tu faccia un incidente prima di tornare a casa!

Mi girai e camminai verso casa.

Un brivido mi pervase il corpo. Mi voltai e guardai la macchina. Blaze era dentro e mi fece un cenno con la testa. Mi rigirai e continuai a camminare, rigida come un paletto.

Una marea di pensieri mi riempirono la mente, mentre tiravo fuori le chiavi dalla cartella. Il ragazzo con gli occhi di fuoco, una strana sensazione nello stomaco, la tremenda paura di essere come una perla di vetro sull'orlo del tavolo e cosa doveva fare Blaze in un quartiere come questo?

 

Aspettai che la macchina di Blaze si fosse allontanata e poi guardai l'orologio. Erano le 18:19. I miei genitori sarebbero tornati si e no tra tre ore minimo. Mi voltai verso la direzione in cui se n’era andato. Lo vidi in lontananza arrivare fino alla rotonda, poi l'auto frenò e alla fontana andò dritto. Perché si stava inoltrando nei quartieri di Sant Heaven? Perché non stava tornando indietro da dove eravamo arrivati?

Il mio respiro si stava facendo affannato. Quando mi accorsi che stavo correndo nella direzione in cui era andata l'auto di Blaze era troppo tardi per fermarmi.

Avevo visto la macchina andare dritta per Bulge streat e quella strada portava solo in due posti: o il bar 'Da Carlo' o una vecchia fabbrica di ferro abbandonata. Rabbrividii al solo pensiero.

Avevo sentito dire che quella fabbrica apparteneva ad un vecchio signore, avido con tutti. Quando era morto aveva lasciato la fabbrica in mano a suo nipote, ma durante la notte gli operai sentivano sempre dei rumori provenire dal vecchio ufficio dell'ex proprietario. Dopo tre anni il nipote aveva deciso di chiuderla perché veniva continuamente tormentato dalla voce del vecchio e la fabbrica era ormai caduta in rovina.

Continuai a correre per la strada finchè vidi l'auto di Blaze. Era parcheggiata di fronte al muro di cinta della fabbrica. Restando vicina ai muri delle case della strada avanzai, strisciando fino ai cassonetti, posti poco dietro l'auto di Blaze. Un tanfo mi arrivò al naso e fui costretta a tapparlo con le dita. Mi alzai sulle punte dei piedi e mi aggrappai con le mani al muro della fabbrica. Feci un salto e con le braccia mi tirai su quel poco che bastava per sbirciare dentro. Le luci di una finestra erano accese. Blaze doveva per forza essere dentro.

La fabbrica aveva un aria completamente abbandonata: mattoni a vista, travi malconce, finestre rotte. Eppure Blaze era entrato.

Vidi una figura sull'uscio della porta. Forse era una sentinella? Poteva essere una specie di circolo segreto? Aspettai nascosta che quell'uomo facesse qualcosa. Era ormai buio e non riuscivo a distinguergli il volto, ma sicuramente non era Blaze: era troppo basso e magro per essere lui.

Dopo mezz'ora la porta dietro la sentinella si aprì e un filo di luce brillò nell'oscurità. Mi ci volle un po' prima di distinguere un uomo con in mano una torcia. Stavano dandosi il cambio, ma neppure quell'uomo era Blaze. Quante persone potevano esserci dentro la fabbrica? Per avere una sentinella dovevano essere grossi affari. Una voce mi perforò le orecchie.

  • Ehi vai a dare un'occhiata nei dintorni!

L'uomo che stava entrando aveva ordinato alla nuova sentinella di guardare in giro se era tutto ok, e io non ero affatto ok. Il cuore iniziò a martellarmi nel petto. Mi accucciai dietro il cassonetto e ascoltai i passi. Gli occhi iniziarono a luccicarmi. Sentivo la suola delle scarpe dell'uomo picchiettare sul terreno ed avanzare lentamente verso di me.

Cercai di respirare più lentamente, per paura che mi sentisse. Mi strinsi forte la ginocchia al petto. Era solo questione di attimi, poi mi avrebbe trovata. Perché mi ero cacciata in quella situazione? Se avessi rivisto Blaze lo avrei preso a pugni. Perché? Non era nemmeno colpa sua. Una porta si aprì in lontananza.

  • Ehi Jim, ti vogliono dentro.

  • Sì arrivo.

I passi della sentinella si allontanarono. Probabilmente qualcuno lo aveva chiamato. Mi alzai e guardai nella direzione da cui proveniva la voce. Il ragazzo non era uscito dalla porta principale, quella in cui facevano la guardia i due uomini, ma da una laterale posta al primo piano.

“ Blaze!” Era lui. Là sulla porta,che aspettava l'altro uomo per entrare. Mi aveva salvata.

Aspettai nascosta dietro al cassonetto che i due fossero rientrati e poi corsi fuori dal mio nascondiglio e mi precipitai a casa.

Correvo per strada con il cuore in gola. Cosa sarebbe successo se Blaze non fosse arrivato?

Arrivai a casa e, una volta entrata, chiusi a chiave la porta. Andai in cucina e presi un bicchiere dalla mensola, aprii il rubinetto a ci versai dentro dell'acqua, poi la bevvi tutta in un sorso, per mandare via il cattivo sapore che avevo in gola. Mi girai verso la porta e guardai l'orologio. 19:01. Ero stata fuori per circa mezz'ora senza neanche accorgermene.

Andai in bagno e mi feci una doccia, poi preparai la tavola e feci i compiti. Cenai, lavai i piatti e alle nove aspettai i miei.

Sentii la porta di casa aprirsi e mi precipitai all'entrata. I miei genitori entrarono e nel vederli tirai un sospiro di sollievo. Avevo proprio voglia di un po' di compagnia, per non pensare a tutto quello che mi era successo.

  • Oh Sheila, tutto bene? Eravamo così in pensiero!

Mia madre corse verso di me e mi abbracciò. Le sorrisi e poi li feci sedere sul divano. Le raccontai tutto, tralasciando ovviamente le parti che riguardavano gli occhi rosso fuoco e la spirale sul piede, poi mi misi in pigiama e andai a dormire.

Appena entrai nel letto i miei occhi si fecero sempre più pesanti e in pochi attimi il sonno mi raggiunse.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** - Capitolo 4 ***


Evviva! Siamo riuscite a pubblicare anche questo capitolo :') La storia ci sta ''prendendo'' molto, quindi abbiamo tante idee e sorprese da inserire nei prossimi capitoli u.u 
Continuate a seguirci e vedrete ;D



Capitolo 4

 

 

Sue mi passò a prendere alle sette in punto con la sua Fiat.

  • Tesoro c'è Sue!

  • Sì mamma ora vado!

Quel giorno i miei genitori sarebbero andati a lavoro più tardi. Mi infilai un giubbino pesante, presi la cartella e me la misi su una spalla. Scesi le scale di corsa e mi precipitai nell'auto di Sue. Aprii la portiera gialla ed entrai.

  • Come va?- Le domandai.- E grazie per il passaggio!

  • Wow, tesoro come mai sei così bella oggi?

In effetti quella mattina mi ero svegliata riposata e piena di vitalità: avevo fatto la doccia, mi ero messa dei jeans, una maglietta a mezze maniche rossa e una felpa dello stesso colore della maglietta, poi mi ero fatta una treccia e mi ero messa del mascara.

  • Così- Le riposi solamente.

  • Io lo so il perché... vuoi fare colpo su qualcuno non è vero?- Sue fece uno dei suoi sorrisetti maliziosi.

  • Questo è l'ultimo dei miei problemi.- In effetti non mi sarebbe dispiaciuto che qualche ragazzo mostrasse dell'interesse per me, ma avevo altre cose a cui pensare.

  • E io ti devo credere? Potresti provarci con Peter! Quello si che è un gran bel bocconcino!

Rimasi un attimo perplessa e cercai di ricordarmi di lui. Sue notò la mia espressione e non esitò ad aggiungere:

  • Quarta G, alto, figo da paura... Quello di cui tutte parlano.

  • Oh certo! Adesso ricordo! Non è niente male, hai ragione!

Le feci un sorriso, sperando che non capisse che non avevo la minima idea di chi fosse quel Peter. Sue sembrò crederci e accese il motore. L'auto uscì dal parcheggio e partì come un razzo.

Passammo il tempo nell'auto a parlare di compiti di biologia e matematica e del professore di scienze e dopo quaranta minuti arrivammo a scuola.

Sue parcheggiò l'auto vicino ad un furgoncino rosso fuoco scendemmo e entrammo nell'atrio. Eravamo arrivate prima del suono della campanella e i corridoi erano pieni di ragazzi. Molti di loro non li conoscevo, altri li conoscevo solo di vista.

Entrammo in aula e il mio sguardo si posò su un banco in fondo all'aula: quello di Blaze.

  • Uh il novellino brucia già il primo giorno?

Sue, dietro di me, notò anche lei il banco vuoto.

  • Sarà in ritardo, magari arriverà dopo!

Così dicendo andai a sedermi. I minuti passavano ed io ero sempre più preoccupata. E se Blaze avesse avuto problemi con quei tizi nella fabbrica? Se gli fosse successo qualcosa? La mia mente si riempì di tutte le possibili cause della sua assenza e tutte riguardavano la fabbrica abbandonata.

  • Ehi She, a cosa stai pensando?

La voce di Sue mi riportò alla normalità. “ A Blaze” No, non avrei potuto dirgli che stavo pensando a lui, altrimenti chissà cosa avrebbe pensato. E poi... perché dovevo preoccuparmi di lui? Non lo conoscevo nemmeno.

  • Nulla, sto guardando i tuoi orecchini, sono davvero belli! Dove li hai presi?

Sue mi sorrise e iniziò a parlare del negozio in cui aveva comperato i suoi gioielli.

La campanella suonò ed entrò la professoressa di letteratura. Appoggiò i libri sulla cattedra, si sedette, aprì la borsa, tirò fuori il registro e fece l'appello. Mancava solo Blaze, ma non era ancora stato aggiunto nell'elenco della classe. Richiuse il registro e lo lasciò sulla cattedra. Si alzò ed iniziò a spiegare la lezione.

La mattinata passava lentamente e le ore parevano non terminare mai. Quel giorno saremmo usciti da scuola a mezzogiorno e la cosa mi tirava un po' su il morale.

 

Il suono della campanella fu accompagnato da un sospiro di sollievo. Presi i quaderni e l'astuccio che avevo sul banco e lo riposi in cartella. Com'era bello fare tutto con calma! Di solito dovevo uscire velocissima dall'aula per prendere il primo autobus e arrivare così a casa prima, ma quel giorno mi avrebbe accompagnata Sue.

  • Sei pronta?

Sue mi fece cenno di sì con la testa e si mise la borsa a spalle. Io feci lo stesso con il mio zaino. Uscimmo dall'aula e ci incamminammo in corridoio. Stavamo parlando di quanto fosse stata buffa la performance di un ragazzo ad un programma Tv, quando mi sentii afferrare il braccio. Mi girai nella direzione in cui mi avevano tirato.

  • Sheila, mi devi aiutare!

Blaze aveva un'espressione seria e un po' preoccupata.

  • Blaze? Cosa ti è successo?

Lo guardai da capo a piedi. Gli occhi mi si sgranarono. Aveva i jeans strappati su più punti, il viso sporco di terra e i capelli spettinati. Rimasi per un momento con la bocca spalancata.

  • Ho avuto dei problemi... Non potresti prestarmi dei vestiti?

  • Qui non ho nulla. Potresti chiedere a uno dei ragazzi. Perché sei venuto a domandarlo proprio a me?

  • Andiamo Evans! Sei l'unica a cui lo posso chiedere! Poi... mi sono accorto che, alla fine, non sei poi così noiosa come pensavo...

Mi fece un sorriso.

  • Ti accompagno a casa, così mi impresti i vestiti.

  • Mi dispiace, Sue mi da un passaggio.

Mi girai verso di lei e le feci un sorriso. Lei si morse il labbro e quell'azione non prometteva nulla di buono.

  • Non fa niente She, tu vai pure con Blaze! Mio papà si arrabbia sempre dicendo che arrivo in ritardo! Andate pure, su! Dagli i vestiti e... divertitevi! A domani!

Non ebbi neppure il tempo di ribadire, che Sue era scappata via per il corridoio facendomi l'occhiolino.

  • Allora Evans? Che fai?- Blaze alzò un sopracciglio.

 

 

La macchina di Blaze era calda e scura. Aveva una vernice nera opaca fuori, e dentro dei sedili beige , che emanavano uno strano odore di pelle. Blaze stava guidando spensierato per portarmi a casa. Lo guardai: era la prima volta che lo ammiravo così da vicino. Aveva dei bellissimi capelli castani, mossi, due profondi occhi verdi, e un sorriso magnifico, che avevo notato in quelle poche volte che me ne aveva fatto uno. La felpa gli copriva tutti i muscoli e non avrei saputo dire quanti e dove ce li avesse, ma ero sicura che senza maglietta fosse un vero e proprio schianto!

Blaze si voltò verso di me.

  • Che c'è?- Mi chiese.

Io scossi la testa e mi voltai verso il finestrino. Ormai non mi stupiva più il fatto che Blaze mi rispondesse in modo rude, avevo capito che era una persona con problemi e che era un po' strano.

  • Cosa ti è successo?

  • Te l'ho detto no? Sono finito nei guai... una cosa da niente.

  • Non ti credo. Vorrei almeno sapere la verità, dato che ti sto portando a casa mia e ti sto prestando dei vestiti.

Blaze sbuffò e continuò a guidare. Io appoggiai la fronte al vetro. E se fosse un drogato? Se fosse un maniaco sessuale?

Eliminai dalla mia testa quelle ipotesi e chiusi gli occhi.

  • Sei stanca?- La sua voce mi arrivò dolce all'orecchio.

  • Già... Posso dormire? Non è che poi mi salti addosso o mi spari mentre sto riposando, vero?

Blaze rise leggermente. Alzai la testa e lo guardai. Il suo braccio si allungò verso di me e mi ritrovai il suo pugno chiuso, con il mignolo alzato, vicino al mio petto.

  • L'ho visto fare da queste parti- Si affrettò ad aggiungere.- Lo fate per promettere qualcosa, no?

Mi misi a ridere e, mentre lo facevo, gli strinsi il mignolo con il mio.

  • Blaze, hai giurato sulla tua automobile, che non mi farai nulla mentre dormo!- Affermai.

  • Sulla mia automobile? Chi l'ha mai detto?- Blaze si girò verso di me e mi guardò stupito.

Mi morsi il labbro per non ridere. - Avresti dovuto pensarci due volte prima di fare giuramenti di cui non conosci nemmeno gli effetti!

Ci sorridemmo a vicenda.

  • Va bene, per stavolta non ti farò nulla. Devo però ammettere che mi era piaciuta l'idea di stuprarti mentre dormivi...

  • Cosa?! - Sgranai gli occhi.

  • Tranquilla, ormai ho giurato! E... non l'avrei mai fatto. Ci sono migliaia di ragazze più attraenti di te.

  • Divertente.- Commentai ironicamente.

Mi rimisi comoda verso il finestrino e mentre cercavo di calmare la rabbia che avevo in corpo, i miei occhi si chiusero lentamente, la mia testa si svuotò e il nero mi avvolse.

 

Mi sentii scuotere brutalmente e, quando mi svegliai, mi trovai con il viso vicinissimo a quello di Blaze.

  • Hai fatto una bella dormita.- disse sorridendomi.

  • Siamo già arrivati?- Gli chiesi.

Blaze si limitò a farmi un altro dei suoi bellissimi sorrisi e mi slacciò la cintura.

  • Grazie.-Gli dissi.- Potevo farlo anche da sola.

Scesi dall'auto e lui la chiuse. Aveva parcheggiato proprio davanti a casa mia. Tirai fuori le chiavi e percorsi il vialetto. Dietro di me sentivo la sua presenza e la cosa mi metteva in imbarazzo. Arrivammo alla porta e inserii le chiavi nella serratura.

Blaze mi si avvicinò, finchè non fu a pochi centimetri da me. Lo sentivo alle spalle e il mio cuore iniziò a battere velocemente. Ma cosa sto facendo?

La sua bocca mi sfiorò l'orecchio. Sentivo il suo respiro e il suo profumo.

  • Se hai paura di tenere uno sconosciuto in casa, tranquilla. Sarò veloce. Prendo i vestiti e me ne vado.

  • Non ho paura di te, te l'ho già detto.

La mia voce tremava leggermente, ma non per la paura. Il contatto con la sua pelle, così calda, quasi bollente. Sentii il suo viso allontanarsi un po'.

  • Accetto la sfida.

Lo sentii appena sussurrare. Girai la chiave e la porta si aprì seguita da un cigolio. Entrai e mi fermai sulla soglia.

  • Prego entra. Non c'è nessuno.

Deglutii appena ebbi pronunciato quella frase. Eravamo da soli a casa. Se avesse veramente voluto farmi qualcosa, quello sarebbe stato il momento ideale. Non sapevo il perché, ma stare con Blaze mi preoccupava tantissimo. Avevo l'impressione che lui fosse qualcuno di pericoloso, qualcuno di cui non mi potevo fidare. Dovevo essere cauta.

  • Ti faccio provare dei vestiti di mio papà... magari quelli che non usa mai, così non si accorge che te li ho prestati. Vieni.

Salii le scale e lui mi seguiva senza nemmeno dire una parola. Arrivati al primo piano, percorsi il corridoio ed entrai nella camera dei miei genitori, di fronte alla quale c'era la mia camera e accanto il bagno, infine uno sgabuzzino.

Superai il letto e mi trovai davanti l'armadio. Blaze si era fermato sulla porta. Nella stanza regnava un silenzio spettrale: si sentivano solo i miei passi ed il mio respiro. Lui, invece, non emetteva nemmeno un suono. Sembrava quasi non respirare.

Aprii le ante del mobile e cercai una maglietta e dei pantaloni. Trovai in un cassetto un maglione grigio che non avevo mai visto addosso a mio papà e, sotto file e file di magliette, trovai dei pantaloni da ginnastica. Forse non era l'abbinamento migliore che avessi mai fatto, ma era il massimo che potevo fare.

  • Provati un po' questi! Io ti aspetto fuori. Se hai dei problemi dimmelo ok?

Blaze fece cenno di sì con la testa e prese in mano i vestiti. Io fissai per un attimo i suoi occhi verdi e poi uscii dalla stanza. Mi sedetti davanti alla porta della camera, sul pavimento. Aspettai per pochi minuti, finchè la porta davanti a me si aprì leggermente e ne uscì un suono.

  • Sheila... non voglio crearti dei problemi, ma... i vestiti di tuo papà non mi vanno bene.

Sentii dalla sua voce che era imbarazzato, così mi scappò un sorrisetto.

  • Perché? Cosa c'è che non va? Sono larghi?

Lo sentii sbuffare: - Sono stretti. Non hai nient'altro da darmi?

Ci pensai un po' su. Nella mia famiglia c'era solo mio papà di ragazzo e, a meno che Blaze si accontentasse di vestiti da donna, doveva farsi andare bene quelli. Poi un lampo mi balenò in mente.

  • Blaze, rivestiti! Te ne faccio provare altri.

Ero ancora seduta per terra e stavo fissando la porta della camera, quando il piccolo spiraglio che aveva aperto Blaze si ingrandì. Alzai lo sguardo e vidi che lui se ne stava a torso nudo a fissarmi, con un sorriso malizioso in viso. Distolsi lo sguardo imbarazzata e non potei fare a meno di arrossire.

  • Vuoi rivestirmi tu, Evans?

Sbuffai, sempre con lo sguardo fisso sul pavimento: - Sbrigati.

La porta si chiuse e dopo poco Blaze riuscì dalla camera vestito. Mi alzai di scatto e mi incamminai per il corridoio, poi iniziai a scendere le scale.

  • Da questa parte.- Gli spiegai.

Una volta arrivati a piano terra girammo dietro la scala e ci trovammo davanti la porta di una camera.

  • Cosa c'è qui?

  • La camera di mio fratello.- Dissi con un filo di voce.

Feci due profondi respiri e toccai la maniglia. Una scarica elettrica mi pervase il corpo. Deglutii. Era ormai da tanto tempo che non ci entravo, non ci entrava mai nessuno. Tirai giù la maniglia e diedi una spinta alla porta, che si aprì. La stanza era perfettamente come mi ricordavo: grande, semplice e polverosa. A mio fratello non importava nulla dell'ordine, così la sua stanza era un caos. Il letto era l'unica cosa intatta. Libri aperti ricoprivano la scrivania, che si trovava di fronte alla porta. Una bacheca piena di foto era appesa vicino al letto, e sotto ad essa c'era un comodino, altrettanto colmo di immagini e fotografie. Una flebile luce giallastra filtrava dalle finestre semi chiuse dietro alla scrivania. Mi scappò un sorriso ripensando a tutte le volte che Jake si era arrabbiato perché la scrivania dava le spalle alle finestre.

  • Apro una finestra che ne dici?- Chiesi timidamente al mio ospite.

Senza attendere la risposta percorsi la stanza barcollando e quando arrivai alla finestra esitai, prima di aprirla.

  • Non vive più qui? La stanza sembra... abbandonata.

Sospirai. Spalancai le ante e, appena mi girai verso Blaze, fui avvolta da mille granelli di polvere.

  • In effetti è così.- Spiegai.

Mi spostai dalla finestra e andai verso l'armadio, che si trovava di fronte al letto. Blaze, a sua volta, era entrato nella stanza e stava scrutando ogni angolo. Mi voltai a guardarlo. Si era avvicinato al comodino e stava guardando le foto. Si girò verso di me e gli feci un sorriso tenero.

  • Mi dispiace.- Mi disse. Distolsi subito lo sguardo e aprii l'armadio. Con una mano mi sfregai gli occhi, che erano diventati improvvisamente umidi.

  • Non importa. Ora ti cerco dei vestiti ma, ti prego, riportameli.

  • Certo, te lo prometto.- Le sue parole erano serie.

Frugai nell'armadio e presi una maglietta e dei jeans. Appena mi girai notai che Blaze stava allungando una mano verso una foto sulla bacheca.

  • No! Ti prego, non toccarle!- Urlai.

Lui si voltò di colpo, con le sopracciglia alzate.

  • Scusami, è solo che ci tengo molto. Mi sono rimaste solo quelle di lui.

Mi avvicinai a lui con i vestiti stretti al petto e fissai la foto che stava guardando lui. Era una foto di qualche anno prima. C'eravamo io e mio fratello che facevamo una faccia buffissima, noi ci divertivamo così. Sorrisi.

  • Questa l'abbiamo fatta quando siamo andati per la prima volta in canoa e ci siamo ribaltati. Lui dava la colpa a me, mentre io a lui.- Risi timidamente- Alla fine ci ritrovammo tutti e due bagnati fradici, ma alla fine è stata una bella esperienza. Anche mia mamma- Mi bloccai e fissai Blaze. Mi stava guardando con un espressione dolce e interessata nel contempo. Era davvero grazioso. - Scusa, sto parlando troppo.

  • Figurati. Posso... sapere cosa gli è successo?

Mi voltai verso la porta. La mia espressione si rabbuiò, e Blaze lo notò subito: - Un incidente in moto, niente di più. La morte più stupida di tutte. La più comune. Non voglio parlarne.

  • Certo, scusa. Posso almeno sapere come si chiamava?

Esitai un momento. Perché avrei dovuto dirgli quelle cose su mio fratello? Non lo aveva mai conosciuto, né incontrato. Era morto due anni fa, mentre stava andando ad una festa senza il permesso dei miei genitori, e la sua perdita mi aveva sconvolto la vita. Non sempre andavo d'accordo con lui, ma c'era sempre quando avevo bisogno di un aiuto, di un consiglio. Quando l'ospedale chiamò a casa mia, fui io a rispondere al telefono. Passai mesi a piangere, passai i pomeriggi chiusa in casa. L'unica che mi dava un po' di consolazione era Sue. Riflettei ancora un po', poi mi accorsi che forse Blaze cercava solo di dimostrare il suo dispiacere.

  • Jake... si chiamava così.

Tirai un lungo sospiro, e lui rimase in silenzio.

  • Grazie per i vestiti.

Il mio cuore fece un tuffo. La sua voce mi parve quasi sussurrata nel mio orecchio. Gli appoggiai i vestiti sul letto e uscii dalla stanza.

 

 

Dopo qualche minuto Blaze riapparve da dietro la porta della camera di Jake, indossando i suoi vestiti. Nel vederlo mi tornò in mente mio fratello. Gli sorrisi teneramente. Lui si avvicinò, ricambiando il sorriso.

Ero appoggiata alla parete di fronte alla scala, con un piede appoggiato al muro e le mani dietro la schiena.

Quando fu a pochi centimetri da me, piegò la testa in avanti e sentii le sue labbra a pochi centimetri dalla mia fronte. Mi morsi il labbro. Mi appoggiò una mano sul braccio e sentii una scarica elettrica nel punto in cui mi aveva toccata. Rimase così per qualche minuto, poi, ripensando al suo gesto, si staccò. I nostri sguardi si incrociarono. I suoi occhi verdi erano dello stesso colore dello smeraldo e alcune ciocche di capelli castano scuro gli ricadevano sulla fronte. La sua mano mi accarezzò la guancia. Il suo tocco era così premuroso, così caldo. Io rimasi confusa.

  • Prometto di riportarteli tutti interi.

Accompagnò quelle parole con un sorriso. Io annuii senza nemmeno fiatare, poi lentamente la sua mano scivolò via dalla mia guancia. L'incanto di quel momento svanì e Blaze uscì dalla casa, seguito dal rumore di una porta che sbatte.

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Capitolo 5
*** - Capitolo 5 ***


Buona sera a tutti! Abbiamo visto che molti di voi stanno seguendo la storia e la cosa ci fa molto piacere ^^ Non ci dispiacerebbe nemmeno ricevere qualche recensione (ok, è un ORDINE! RECENSITE!) AHAHAHAHA E' un modo per conoscere gli effetti che ha su di voi la storia; scrivete cosa ne pensate, se vi piace, personaggio preferito, cosa trovate di noioso, ecc. Vorremmo davvero conoscere la vostra opinione :)
Scriveteci, a presto (si spera) ;D

SophieClefi





Capitolo 5

 

 

Il giorno successivo mi svegliai prima dei miei genitori e, come al solito, scesi in cucina per preparare la colazione. Feci del latte caldo e mangiai dei biscotti. Sparecchiai e lavai la tazza nel lavandino, poi andai in bagno a cambiarmi. La sera prima avevo preparato una felpa blu e un paio di jeans strappati sul ginocchio e li avevo riposti in bagno, così mi vestii velocemente. Mi lavai i denti e mi pettinai i capelli. La mattina li avevo sempre sparpagliati un po' dappertutto e li odiavo perché non stavano mai a posto. Iniziai a passare la spazzola, finchè tutti i nodi non se ne furono andati, poi misi alcune ciocche di capelli davanti alle spalle e infine mi diedi una ricontrollata veloce, prima di uscire dal bagno.

Scesi le scale e mi misi lo zaino in spalla. Arrivai all'uscio e afferrai la maniglia, ma prima di girarla mi bloccai. Tornai indietro fino alle scale e mi ritrovai davanti alla porta di mio fratello. La aprii stando attenta a non fare rumore. Il pomeriggio prima, con Blaze, mi ero dimenticata di chiudere la finestra ed era rimasta aperta tutta notte. Entrai nella stanza e un brivido mi percorse la schiena. Andai velocemente verso la finestra e chiusi ante e vetrate, poi uscii. Mi rigirai per dare una controllata alla camera e fu allora che notai i vestiti di Blaze sul letto.

  • Che idiota.- Dissi, alzando gli occhi al cielo.

Li presi in mano e cercai di piegarli. Stesi la maglietta bianca sul letto. Tutto il fronte era coperto da grandi segni neri, come di pneumatici. Mi balenò in mente la maglietta del ragazzo che avevo investito due giorni prima. Velocemente confrontai le impronte delle ruote tra la maglietta di Blaze e quella del ragazzo investito. Più ci pensavo, più il terrore mi saliva in corpo. Dopo pochi minuti crollai e mi lasciai andare sul letto. Le molle cigolarono e io rimasi pietrificata con la maglia bianca in mano.

Blaze era il ragazzo che era stato investito la mattina scorsa. Com'è possibile?

Poi nella mente mi si formarono altre domande, a cui era impossibile, per me, rispondere. Cos'era Blaze? Un mostro? I suoi occhi non avevano mai avuto il colore rosso. Anche il pomeriggio prima li avevo fissati bene, erano verdi. E la spirale? Per sapere se Blaze era veramente lo stesso ragazzo investito avrei dovuto guardargli la pianta del piede, cosa impossibile. Come avrei potuto guardare in un posto tanto bizzarro? Non avrei di certo potuto andare da lui dicendo “ Scusa, ti togli le scarpe? Devo vedere se hai una spirale sotto il piede.”

Scossi forte la testa e presi una decisione: avrei chiarito la cosa direttamente con Blaze, quel giorno stesso. Piegai i vestiti e li misi in una borsa, che riposi a sua volta in cartella. Presi il cellulare dal tavolo della cucina e uscii nel cortile, aspettando Sue. Poco dopo arrivò e salii in macchina.

 

 

Arrivammo a scuola dieci minuti prima della campanella ed entrammo in classe. Sue si sedette sul banco e appoggiò la schiena al muro. Io scaraventai con forza lo zaino a terra e mi sedetti sulla sedia.

  • Caspita come sei arrabbiata oggi!

  • Non sono '' arrabbiata''. Solo... preoccupata.

  • Ehi.- Sue si sporse verso di me e mi guardò negli occhi. Mi fece un sorriso.- Se devi parlare con qualcuno, sai che io ci sono sempre, vero?

Le sorrisi a sua volta e feci cenno di si con la testa. Mi sporsi verso di lei e la abbracciai. Lei ricambiò, stringendomi. Ci lasciammo proprio nel momento in cui entrò Blaze. Mi voltai e lo fissai negli occhi, spalancandoli. Lui si limitò a fissarmi con un aria interrogativa. Rimase fermo a guardarmi solo per un istante, poi andò a sedersi.

  • Senti tesoro, tu esci con lui?

  • Sue cosa stai dicendo?- Le chiesi, scrollando la testa.

  • Uh, meglio così!- Disse facendomi l'occhiolino.

La professoressa entrò in classe subito dopo Blaze e tutti ci sedemmo. La lezione iniziò, ma l'ansia e la preoccupazione crescevano ogni minuto che passava. Ascoltavo le parole dell'insegnante con la testa appoggiata sulla mano e gli occhi fissi su un punto della stanza.

Dopo due interminabili ore di storia la campanella segnò l'inizio della ricreazione. Sue si alzò dalla seggiola e si stiracchiò per bene, io rimasi seduta a guardarla.

  • Senti She, devo andare da un mio amico di quarta, vuoi venire?

  • No, grazie, devo fare una cosa.- Le risposi scrollando la testa.

Sue alzò le spalle e uscì dall'aula. Mi guardai attorno: Blaze non c'era. Dovevo iniziare a cercarlo, ma la scuola era grande e non era così facile trovarlo. Poteva anche essere tornato a casa, per quel che ne sapevo. Mi alzai e presi la brioche confezionata che avevo portato da casa dalla cartella. Passando accanto alla porta lasciai cadere il sacchetto nel cestino ed iniziai a mangiare.

Camminavo lentamente per i corridoi facendo scorrere lo sguardo su ogni persona che vedevo. Feci passare tutto il primo piano, ma Blaze non c'era. Mi fermai e mi appoggiai al muro. Vediamo.. Blaze dove andrebbe? Rimasi un po' incerta, poi con un sorriso iniziai a camminare verso l'ultimo piano della scuola. Blaze era un tipo misterioso, a cui non piaceva farsi vedere, quindi sarebbe di sicuro stato nel posto più isolato della scuola, e l'ultimo piano era proprio quel genere di posto.

Salii le scale quasi di corsa ed appena arrivai al pianerottolo diedi un'occhiata disperata a destra e a sinistra. Il mio sguardo finì su un ragazzo con la felpa blu che stava passando davanti a me, con il cappuccio in testa. Blaze! Finalmente l'avevo trovato. Iniziai a corrergli dietro, ma il mio braccio venne afferrato da qualcuno.

  • Chi stai seguendo, piccola stalker?

  • Blaze?

I miei occhi si spalancarono. Evidentemente il ragazzo che credevo fosse Blaze non lo era.

  • Allora?

  • Ti stavo cercando- Confessai.

  • A sì? E lo stavi facendo rincorrendo un altro?

  • Pensavo fossi tu! E' per questo che lo seguivo...- Quelle sue parole mi fecero arrossire.

  • Per prima cosa non ho la felpa blu e seconda cosa io sono più attraente di quello.- Disse con un aria arrogante.

  • Lo so.- Bisbigliai.- ma non cambiare discorso!

Nel sentire quelle parole Blaze si mise a ridere.

  • Allora cosa mi volevi dire di tanto urgente?

  • Ho bisogno di parlarti. In un posto più... isolato, diciamo.

Blaze alzò le sopracciglia e rimase in silenzio per un istante. -Immagino sia una cosa seria.

Annuii.

  • Va bene, oggi alle... quattro al bar “ Da Carlo”. Lo conosci?

Rabbrividii appena ebbi sentito il nome. Quel bar era proprio vicino alla fabbrica abbandonata. Deglutii e, cercando di non far scoprire il mio timore, dissi: - Certo! Restiamo d'accordo così allora.

Sorrisi e mi girai rigidamente verso il corridoio da cui ero venuta. Camminai prima lentamente, poi, appena voltato l'angolo in modo che Blaze non potesse vedermi iniziai a correre per le scale ed entrai in classe con il fiatone. Mi sentii tirare per il braccio nuovamente.

  • Ma perché tutti mi devono prendere così?!- Urlai.

  • Tesoro, cosa dici?- Mi disse Sue, guardandomi confusa.

  • Nulla, lascia stare. Che succede?

  • Vieni, ti devo presentare delle persone! Due ragazzi stra fighi, ti avverto potresti avere una perdita di bava appena li vedi.

  • Ma che schifo, Sue!- Mi finsi orripilata, ma in realtà ridacchiavo insieme a lei. - E tu ne hai già preso uno di mira, giusto? - Le chiesi facendo un sorriso malizioso.

Sue ricambiò il sorriso e mi trascinò fino ad arrivare davanti ad un'aula. Guardai la targhetta appesa sopra la porta e lessi “4G”. Inarcai le sopracciglia sforzandomi di ricordare dove avessi già sentito quella classe. Sue salutò due ragazzi, che ricambiarono e vennero verso di noi.

  • Sheila questi sono Luke e Peter.

Smisi di pensare e guardai i due ragazzi sorridendo. Entrambi erano alti, ma quello sulla destra era cinque-dieci centimetri più basso dell'altro. Ispezionai prima il ragazzo sulla sinistra. Era muscoloso e affascinante. Dei corti capelli biondi stavano ritti in testa e due occhi marroni gli facevano assumere un carattere misterioso. Quello sulla destra, tanto affascinante, quanto muscoloso, aveva i capelli scuri con dei riflessi rossi e due occhi azzurri, che ti congelavano con uno sguardo.

  • Piacere- Dissi stringendo la mano prima a quello sulla destra, poi a quello sulla sinistra.

  • Piacere mio, Peter.

Intuii, quindi, che l'altro ragazzo a sinistra fosse Luke.

Rimasi un attimo pensierosa, poi mi ricordai. Ma certo, Peter! Quel ragazzo di cui mi aveva parlato Sue il giorno prima! Bè, in effetti non era proprio niente male.

  • Bene, che ne dite di iniziare a conoscervi mentre io e Luke ce ne andiamo da qualche parte?

Risi sonoramente - Tu mi devi spiegare un bel po' di cose!- Dissi rivolta a Sue.

Lei mi sorrise a sua volta. - Già, è da un po' che non parliamo.

I due si voltarono ed iniziarono a camminare per il corridoio. Quando arrivarono alla fine girarono a sinistra e io vidi le loro mani intrecciarsi.

Risi scuotendo la testa. Peter era rimasto davanti a me, così gli chiesi spiegazioni.

  • Da quanto va avanti questa storia?

  • Diciamo... da qualche settimana. - Mi rispose sorridendo.

  • Sue è davvero imprevedibile! E pensare che ieri mi parlava di te!

  • Di me? Sul serio? Che peccato, mi sono fatto scappare una gnocca come quella!

Rimasi un po' incerta. Nessuno aveva mai parlato così di Sue, ma avrei scommesso che se lei avesse sentito quelle parole ne sarebbe stata felice. Mi limitai a sorridere.

  • Sei single?- Mi chiese.

  • Sì.- La domanda mi mise in imbarazzo. Vidi lui assumere una strana espressione, così mi affrettai ad aggiungere: - E tu?

  • Sembrerà strano, ma anche io non ho la ragazza.

  • Non è poi così anormale, voglio dire: tanti ragazzi non hanno una fidanzata!

  • Sì ma... sono fighi quanto me?

    Modesto il ragazzo..Gli sorrisi e lui si mise le mani nelle tasche dei jeans.

  • Vuoi andare in cortile?- Mi chiese guardando per terra.

  • Oh, mi sa che tra poco suona la campanella. Sai, ora ho geometria e me la cavo abbastanza bene. Il problema è che il professore è cattivissimo e non posso arrivare in ritardo.- Mi morsi il labbro e sperai che lui rinunciasse a farmi uscire.

Fece una smorfia.- Non ti va di fare un giro con me, eh?

  • No, è solo che...- Dissi scuotendo la testa.

  • Ho capito. La prossima volta però ci conto. - Mi disse, mentre mi strizzò l'occhio sinistro.

Spalancai la bocca e inarcai le sopracciglia, ma subito dopo ridacchiai. - ...Forse.

Lui si mise a ridere, ma il suo sguardo finì su qualcosa e subito ritornò serio.

  • Mi hai detto di non avere il ragazzo, giusto?

Annuii.

  • E allora chi è quello?

Indicò una persona dietro di me. Blaze se ne stava con la schiena appoggiata al muro, con le mani in tasca e un piede appoggiato contro la parete. Guardava verso di noi e dai suoi occhi uscivano ondate minacciose e malvagie.

  • Perché ci guarda così male?- Chiese Peter, facendo una faccia strana.

  • Io... non lo so...- Rimasi a fissarlo per un po', poi mi voltai di nuovo verso Peter.- Lascialo stare, ha qualche problema.

Peter alzò le spalle.

Il rumore della campanella mi fece sobbalzare - Devo andare in classe! Ci vediamo Peter e salutami Luke.- Iniziai a camminare verso il corridoio guardando Peter.

  • Certo! E ricordati che abbiamo un conto in sospeso.- Mi disse strizzandomi l'occhio.

A quell'esclamazione arrossii e mi voltai di scatto. Senza accorgermene ero andata nella stessa direzione in cui si trovava Blaze, così finii con il trovarmelo accanto.

  • Cosa voleva?

Feci un salto.- Blaze! Mi hai spaventata! Nulla... non voleva nu…- Mi bloccai e lo fissai.- Cosa te ne importa?

Lui alzò le sopracciglia e rimase immobile. Io feci un sospiro e lo superai. Arrivai in classe e sul mio banco mi attendeva una cosa molto sgradevole.

  • Va bene ragazzi che vi amate e starete sempre insieme, ma vi prego non fate queste cose in pubblico, grazie.

Mi misi le mani sui fianchi e aspettai che Sue e Luke si staccassero e scendessero dal mio banco. Erano abbracciati e mezzi aggrovigliati, lui con le mani sui fianchi di lei e Sue con le mani nei capelli di Luke.

  • Luke, ci sentiamo dopo!- Disse Sue lasciandolo.

Mentre Luke stava uscendo dalla porta, Sue si mordeva il labbro. Mi sedetti accanto a lei.

  • C'è qualcosa che vorresti dirmi, Sue?-. Inarcai le sopracciglia.

  • Ehm..forse si.- Ridacchiò. -Non sei felice per me?- Mi domandò sedendosi accanto a me e aggiustandosi i capelli.

Feci un profondo respiro e annuii. - Sì, Sue sono felice che tu abbia trovato l'amore della tua vita.- Dissi, gesticolando con le mani.

Sue scoppiò a ridere. - Ok, ok. Capisco che è da poco che ci conosciamo, ma magari lo potrà diventare in futuro!

Alzai un sopracciglio e Sue mi capì al volo.

  • Dici che corro troppo?- Mi chiese dubbiosa.

 

 

 

Le lezioni finirono e riposi quaderno, astuccio e diario in cartella. Vidi Sue alzarsi, già pronta con la borsa in spalla.

  • Veloce tesoro, c'è Luke che mi aspetta!

  • Luke?

Sue annuì. Io sbuffai e, appena ebbi finito di sistemare tutto, la seguii. Fuori dall'aula c'erano Luke e Peter, appoggiati alla parete che ci stavano aspettando. Sue gli sorrise e si avvicinò a Luke. Io mi accostai a Peter, ma a differenza della mia amica, che baciò il suo ragazzo, mi limitai a sorridere.

Non avevo la minima voglia di stare con loro, avevo cose più importanti a cui pensare, ma Sue era pur sempre la mia migliore amica.

  • Ti porto a casa io, piccola.- Sentii Luke dire.

  • Va bene, ma Sheila? Sai, devo accompagnarla a casa.

Sue e Luke si girarono verso di me. Rimasi in attesa di qualche risposta.

  • La accompagno io, non c'è problema!

Mi girai nella direzione da cui proveniva la voce e trovai Peter, con le chiavi della macchina in mano che mi faceva l'occhiolino. Sue gli sorrise.

  • Perfetto! Allora noi andiamo!- La sentii dire.

Non ebbi nemmeno il tempo di pensare a qualcosa da dire che Peter mi afferrò la mano e mi tirò fuori dalla scuola. Superammo l'atrio ed entrammo nel parcheggio. Sentivo delle occhiate gelose provenire dalle ragazze della scuola, mentre ci guardavano tenerci per mano. Ma... perché lo stava facendo?!

Diedi uno strattone con il braccio e mi liberai dalla sua presa. Lui si fermò e mi guardò confuso.

  • Scusami io...- Non trovavo le parole con cui spiegare quel mio gesto.

  • Non importa, ho esagerato, forse. Scusami tu.- Mi disse facendomi un sorriso.

Ora capivo perché piaceva a tutte: oltre al fatto di essere un bel ragazzo, aveva anche un lato gentile e questo lo rendeva veramente affascinante.

Continuammo a camminare, io dietro di lui, ma senza tenerci per mano. Arrivammo vicino ad una Porsche e ci fermammo. Lo guardai sbalordita. Quella era la sua macchina?!

  • Caspita!- Esclamai.

  • Ti piace?- Mi chiese.

  • Certo, è...bellissima.

Rimasi per un po' ad osservarla con la bocca spalancata. Ci girai intorno, accarezzai la vernice bianca e infine mi fermai per rivederla nel complesso.

  • Devo dire che hai un gusto eccellente per le automobili! Ti sarà costata tantissimo però.

  • No, mio papà è un avvocato e qualche anno fa ha dovuto aiutare il padrone di un concessionario di auto. Come pagamento gli ha offerto questa macchina, così mio padre l'ha regalata a me. Saliamo?

Gli sorrisi e mi morsi il labbro. Annuii entusiasta e lui mi aprì la portiera.

  • Wow, come sei galante!- Gli dissi scherzando.

  • E' un piacere servirla, signorina- Mi rispose, stando al gioco.

Peter chiuse la portiera e salì dal lato del guidatore. Inserì le chiavi e girò. Il motore si accese facendomi salire il cuore in gola. Non ero mai salita su un'automobile così bella e costosa. L'auto scivolò fuori dal parcheggio della scuola e iniziò ad andare verso la città.

  • Bene, allora, dove abiti?

  • Oh...- Mi ero completamente dimenticata che abitavo lontano dal centro della città e non gli avevo ancora chiesto se per lui era un problema portarmi fino là.- Vedi abito un po' fuori.

  • Non è un problema. Non ho nulla da fare, ti accompagno volentieri.

  • Abito nel quartiere di Sant Heaven, nella zona nuova.

  • Oh, capito.

Stranamente Peter non fece come tutti gli altri che, quando dicevo loro il nome del quartiere in cui abitavo, restavano a bocca aperta. Si limitò ad annuire ed a guidare. Gli interni della macchina erano rivestiti in pelle grigia, mentre la leva delle marce aveva il pomello in legno. Mi girai verso Peter.

  • Sai, sarebbe meglio se ti allacciassi la cintura, con quest'auto non passiamo di certo inosservati e se ci beccano i vigili sono guai.- Gli dissi.

  • Oh, dai, tanto ormai mi conoscono!

  • E chissà come mai! Quante volte ti hanno fermato?

  • Mha... tre.

  • Tre? Appena? Sono sorpresa!- Gli dissi scherzando.

  • Già, questo mese mi è andata piuttosto bene- Disse ridacchiando.

  • Cosa?!

Quella frase mi aveva lasciato senza parole. Con chi diavolo ero salita in macchina?! Evitai di parlare di altre cose che mi avrebbero potuto spaventare ancora di più su Peter e rimasi zitta tutto il tempo. Lui accese la radio e mise su uno di quei canali in cui trasmettevano solo musica rock e relativi vari.

Dopo circa venti minuti stavamo già percorrendo il rettilineo per arrivare a Sant Heaven, e lui ruppe il silenzio.

  • Ti va di fermarci da qualche parte per bere qualcosa?

  • Non so, che ore sono?

Allungai il collo verso il display dell'auto per vedere l'orario. Peter fu più svelto di me e me lo disse.

  • Le tre e mezza.

Tre e mezza?! Mi tornò in mente il mio appuntamento con Blaze. Era alle 16, quindi avevo solo mezz'ora per prepararmi ed andare al bar. Avevo dimenticato per tutta la mattina che avevo cose più importanti che andare in giro con un delinquente sulla sua Porsche Carrera!

  • No, mi dispiace, ho un impegno.- Gli dissi, cercando di sembrare calma.

Lui alzò le spalle.- Pazienza.

Tirai un sospiro di sollievo e cominciai a tamburellare con le dita sulle ginocchia. Cosa avrei detto a Blaze? I battiti del cuore accelerarono, le mani iniziarono a sudarmi. Poco dopo indicai a Peter la zona in cui abitavo e si fermò nel cortile di casa mia.

Mi slacciai la cintura e mi precipitai fuori. Lui abbassò il finestrino per salutarmi.

  • Grazie per il passaggio!- Gli dissi.

  • Ci vediamo domani a scuola, bellezza.

Non diedi importanza a quelle parole ed entrai in casa di corsa. Accesi le luci e salii in camera. Iniziai a frugare nell'armadio cercando qualche vestito da indossare. Avevo pochissimo tempo per prepararmi.

Alla fine indossai un paio di pantaloni verdi stretti e un maglione bianco. Mi sistemai i capelli con delle forcine e mi misi un paio di scarpe. Tirai fuori dalla cartella i vestiti di Blaze e li misi in borsa. Indossai il cappotto ed uscii, incamminandomi verso il bar “Da Carlo”.

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Capitolo 6
*** - Capitolo 6 ***


Ci scusiamo per i tempi d'attesa che sono stati un pò più lunghi rispetto al solito ^.^ Noi cerchiamo sempre di fare le cose al meglio, quindi chiediamo umilmente perdono *si inchinano*.
Grazie mille a chi ha commentato la storia, a presto :D

Sophie Clefi

 




Capitolo 6

 

 

 

Aprii la porta di legno marcio ed entrai. Il locale era avvolto da un odore di fumo e tabacco nauseante. Guardai i tavoli. Era un bar in vecchio stile, con tavolini di legno e seggiole verdi, illuminato da una luce soffusa e coperto da ampie vetrate. Un signore sulla cinquantina, con baffi folti e capelli lunghi, tutti unti, che gli ricadevano sulle spalle, stava fumando un sigaro dietro il bancone del bar.

Diedi una rapida occhiata alle persone sedute ai tavoli, finchè non trovai il volto famigliare di Blaze. Se ne stava seduto con la testa appoggiata su una mano, mentre guardava il cellulare appoggiato sul tavolo. Prima di dirigermi verso di lui guardai l'orario: 16:14. Sì ero in ritardo!

Blaze alzò gli occhi e i nostri sguardi si incontrarono. Fece un sorrisetto e un cenno con la mano.

Arrivata al suo tavolo rimasi un po' incerta.

  • Prego, siediti.- Mi disse con voce calma.

  • Grazie.

Aspettai che Blaze finisse di usare il telefono per poi parlargli chiaramente dell'incidente e della maglietta, ma la verità era che non mi sentivo affatto pronta per affrontare quella faccenda.

Continuavo a fissarlo, mentre la paura mi saliva in corpo. Lui se ne accorse e mise via il telefono, sistemandosi sulla panca.

  • Allora? Cosa c'è di così importante da dirmi?

Esitai un attimo. Come avrei potuto dirglielo? - E' difficile...

  • Non importa, prenditi tutto il tempo che ti serve, non ho impegni.- Mi spiegò sorridendo.

  • Io... ti ho riportato i vestiti.- Dissi, mentre tiravo fuori dalla borsa la maglia e i pantaloni.- Ma prima voglio delle spiegazioni.

  • Cosa c'è che non va nei miei vestiti?- Chiese confuso.

  • Vedi...- Presi la maglietta e la stesi sul tavolo, poi indicai i segni neri degli pneumatici.- Questo non va bene.

  • Non riesco a capire.

Blaze sembrava veramente non capire. E se stesse fingendo? Doveva essere di sicuro così e lo faceva un gran bene.

  • Non mi imbrogli Blaze.- Gli dissi con voce ferma.- Quella mattina...ero io la ragazza che c'era sull'autobus.

L'incosciente se ne stava seduto con le sopracciglia curve. Quella sua espressione mi dava proprio sui nervi. Non era più facile ammettere tutto e chiarire una volta per tutte?

  • Eri tu vero? Quel ragazzo che è stato investito?

Mi sporsi verso di lui e lo fissai negli occhi. Lui sembrava più impassibile che mai.

  • C'è però una cosa che non mi torna...

  • Sentiamo.- Mi disse sporgendosi a sua volta verso di me.

Le nostre facce si trovavano ad una ventina di centimetri di distanza. Vidi formarsi un sorriso cupo sul suo viso.

  • I tuoi occhi sono verdi, su questo non ci piove, ma quella mattina... quella volta erano rossi. Erano due fuochi in mezzo ad un mare di oscurità. Come fai?

  • Complimenti. Devo ammettere che hai un'immaginazione niente male.

  • Blaze non sono pazza e tu lo sai.- La mia voce era decisa.

  • E posso sapere come hai scoperto che io sono quello stesso ragazzo?

  • Semplice- Dissi sorridendo, ma il mio sorriso era del tutto privo di gioia.- Ti sei tradito da solo. Hai lasciato la maglietta a casa mia e, ahimè, aveva gli stessi segni degli pneumatici che c'erano sulla maglietta di quel ragazzo.

Blaze sbuffò, distogliendo lo sguardo. - Dovresti temermi a morte allora.

Girò la testa di scatto e i nostri sguardi tornarono ad incontrarsi. Il mio respiro si fece irregolare. Cercai di trattenermi il più possibile per non far trasparire la mia paura e, con la voce più calma che trovai dissi: - No, tu non mi spaventi e non so ancora per quanto te lo devo ripetere.

  • Tu non mi conosci affatto, se sapessi più cose su di me scapperesti con la coda tra le gambe.

  • Beh questo è tutto da vedere!

Tornai a sedermi, abbandonandomi sullo schienale. Incrociai le braccia al petto e feci due profondi respiri. Lasciai allentare un po' la tensione che si era creata tra di noi e poi continuai a parlare.

  • Tu non vuoi farmi del male.

  • E questo cosa te lo fa pensare?- Disse, appoggiandosi la testa su una mano.

Blaze sembrava stufo, ma al contempo irritato da quella conversazione. Certo, avrei potuto fare finta di niente, lasciare correre questo piccolo dettaglio della maglietta, fingendo di ricordarmi male, ma ero convinta di aver fatto la scelta giusta parlando con lui. Non avevo affatto voglia di litigare con un mio compagno di scuola, specialmente con Blaze, ma se questo serviva a scoprire la verità, avrei di sicuro rischiato.

  • Hai avuto un sacco di occasioni per uccidermi o che altro, eppure sono ancora qui, sana e salva.- Affermai con voce calma.

  • Forse non hai pensato al fatto che non ti ho fatto nulla solo perché ti ritenevo utile.

Utile? Intendeva che mi aveva usata per tutto questo tempo? Se fosse stato veramente così? Cosa voleva da me? Non gli avevo neppure dato molto: semplicemente gli avevo prestato dei vestiti.

  • Utile?- Scattai in piedi. Il tavolo si mosse e andò verso Blaze. I clienti -o meglio- quei tre tizi che c'erano nel bar, si girarono e fissarono il nostro tavolo.

Mi morsi il labbro e strinsi i pugni. Blaze mi guardò divertito.

  • Bè? Che ti succede, Evans?- Mi chiese.

In quel momento avrei solo voluto prenderlo a pugni e farlo tornare a casa con la faccia viola. Blaze si voltò e sorrise ai presenti, facendo un cenno con la testa.

  • Va tutto bene, continuate pure.- Si affrettò a dire.

Aspettai che i signori si fossero voltati.

  • No, brutto stronzo- Dissi con voce calma.- Non va affatto bene.

Aspettai qualche secondo, poi ripartii all'attacco: -Mi hai appena detto che ti sei approfittato di me per tutto questo tempo, come può andare tutto bene?! Fortuna che sono solo tre giorni!- Continuavo ad urlare.- Ti ho fatto entrare in casa mia, ti ho prestato dei vestiti, e tu sai che hanno un valore affettivo per me. Io ti ho dato tutta questa fiducia e per cosa?!

Blaze non diceva nulla. Se ne stava seduto, fissandomi impassibile. Era nel contempo tanto carino, quanto irritante. Faceva finta di non ascoltarmi? Bene, allora gli avrei dato il colpo di grazia!

  • Avrei preferito investirti sul serio quella mattina!

A quest'ultima affermazione Blaze inarcò le sopracciglia e i suoi occhi verdi mi penetrarono all'istante. Era sfida aperta tra noi due: uno di quei momenti in cui nei film si dice “ Ti aspetto domani, alle due fuori da scuola, per chiudere una volta per tutte questa faccenda.”, ma nessuno dei due parlò. Restammo così per qualche minuto, per qualche interminabile minuto.

Una figura si stagliò accanto a Blaze, oscurandolo e ci girammo a guardarlo. Era una ragazzo alto, muscoloso, con dei corti capelli mossi e color senape, vestito con dei semplici jeans e una maglia nera a mezze maniche, che permetteva di vedere un grosso tatuaggio, rappresentante un serpente. Questo ragazzo appoggiò una mano sulla spalla di Blaze.

  • Amico ti disturbo?- La sua voce era forte e virile. Avrà avuto circa diciotto-vent'anni, non di più.

  • Figurati.- Disse Blaze voltandosi verso il suo amico, facendogli un sorriso.

Era in grado anche di sorridergli? Blaze non era per niente dispiaciuto di ciò che mi aveva detto, ecco come stavano le cose! Mi sedetti e incrociai nuovamente le braccia al petto.

L'amico si accorse di me.

  • E questa chi è?

  • E' solo una mia compagna di scuola. Tanto bella quanto pazza.

  • Senti chi parla! Sei tu quello che mi fa incazzare.

Feci un sorriso sforzato all'amico di Blaze e poi tornai a fissare l'elemento del mio odio, che faceva finta di nulla e parlava con il ragazzo che aveva accanto.

Notai delle occhiate inquietanti arrivarmi dal nuovo arrivato. Cosa voleva? Infine si decise a parlarmi.

  • Ci siamo già visti da qualche parte? - Mi chiese perplesso.

  • Che io sappia, no.

Detto ciò lui tornò a dare attenzione a ciò che stava dicendo Blaze. Era davvero una persona singolare. Un tizio curioso, da come era vestito sembrava che fosse di questo quartiere: abiti stacciati, sporchi, ma sul braccio portava due bracciali d'oro, che aveva rubato o che si era procurato illegalmente. Forse avrei anche potuto stringergli la mano e presentarmi, se non fosse che in quel momento ero circondata da un'aurea tenebrosa e la mia testa girava solo intorno ad un unico pensiero: sotterrare Blaze.

La mia attenzione fu catturata dall'espressione stupita di Craig, il nome che avevo sentito pronunciare poco prima da Blaze mentre parlava con il suo amico.

Blaze fu costretto ad interrompere il suo discorso per fissare il suo amico. Le sue sopracciglia si piegarono fino quasi a toccarsi e infine esclamò:

  • Ehi Craig, tutto ok?

Craig spalancò gli occhi e mi fulminò con un'occhiata. Quando parlò di nuovo la sua voce era calma e fredda.

  • Amico, se non hai altri impegni, alza il culo che dobbiamo andare.

Blaze dapprima rimase un po' confuso, poi alzò le spalle e si alzò dalla seggiola.

  • Va bene, andiamo, tanto con lei ho finito.

Voleva chiuderla così facilmente? Per me andava bene, avrei comunque scoperto, in un modo o nell'altro, le cose che Blaze non aveva intenzione di dirmi. Sarei partita da lui, da come si chiamava di cognome, poi avrei scoperto quale strano lavoro facesse nella fabbrica abbandonata, infine, dopo aver scoperto tutto ciò che desideravo, gli avrei detto che sapevo tutto di lui.

Accompagnai la sua uscita con un gestaccio, poi, quando la rabbia svanì e mi fui calmata, uscii a mia volta dal locale e mi incamminai verso casa mia.


 

Dopo una decina di minuti arrivai all'uscio di casa e aprii. Accesi le luci e mi affacciai alla porta della cucina per vedere l'orario: erano le 16:45. Alle cinque sarei dovuta andare all'allenamento di sciabola. Era da più di tre anni che la facevo e dopo la morte di mio fratello era diventata la mia passione. Anche Jake la praticava: andavamo insieme ogni lunedì e venerdì per due ore ad allenarci. Avevamo anche fatto delle gare importanti, ma io non ero mai stata brava quanto lui. A casa si allenava di continuo, andava a vedere i tornei, gli allenamenti degli altri, insomma, sembrava nato per la sciabola, poi, dopo il suo incidente, avevo deciso di raggiungere il suo livello; avevo deciso di portare alto il suo nome, diventando brava, allenandomi duramente. In meno di due anni, dalla morte di mio fratello, avevo fatto enormi progressi.

Sul camino, in soggiorno, erano esposti i nostri trofei. Tre di Jake e due miei. Il sogno del mio fratellone era quello di vincere alle nazionali e avrebbe dovuto gareggiare l'estate di due anni fa, ma l'incidente successe proprio prima che lui potesse realizzare il suo desiderio.

Mi infilai la tuta della palestra in cui praticavo sciabola, blu con due righe bianche ai lati dei pantaloni e con una scritta bianca stampata sul petto che diceva “Sant Heaven's Club”.

Presi il borsone dall'armadio e ci infilai dentro i vestiti di ricambio e la divisa con la sciabola. Scesi le scale, mettendomi quel mattone in spalla e chiusi la porta.

La palestra distava, per mia fortuna, quindici minuti a piedi da casa mia, perché si trovava nel mio quartiere. Mi bastava arrivare alla rotonda e girare a sinistra. Una volta arrivata all'ultima strada a destra avrei svoltato e, a sinistra, dopo una decina di metri, avrei trovato la palestra: un edificio grigio, con i muri scrostati, con un cartello blu appeso fuori dall'entrata, per indicare il nome del nostro Club. Il mio allenatore si chiamava Matias, era un ragazzo di circa venticinque anni, alto, castano, con due occhi blu.

Camminando per strada il freddo mi martellava la pelle del viso. Sentivo il naso congelato e le mani erano diventate pallidissime. Andare a lezione mi sembrò un'ottima occasione per sfogare la rabbia che provavo per Blaze. Mi avrebbe liberato la mente, ne ero sicura.

Dopo una quindicina di minuti arrivai in palestra. Entrai nello spogliatoio e mi cambiai. Quando vidi Matias avvicinarsi non potei non trattenere un sorrisetto.

  • Allora, come ti senti?- Mi chiese.

  • Come una bomba ad orologeria.

 

 

Due ore dopo uscii dalla palestra, distrutta. Avevo i muscoli doloranti e il contatto con il vento gelido mi paralizzò all'istante. I miei genitori sarebbero tornati tardi, come al solito, ma quella sera avrei potuto aspettarli alzata, perché il giorno dopo era sabato e il sabato stavo a casa da scuola.

Percorsi la strada al contrario di come l'avevo percorsa quando ero venuta ed arrivai a casa alle sette e mezza circa. La lucina del telefono di casa, poggiato a destra dell'entrata, lampeggiava, così capii che c'era registrato un messaggio nella segreteria telefonica. Presi la cornetta e schiacciai qualche tasto. Il messaggio iniziò ad essere trasmesso:

“ Ciao tesoro, senti siamo rimasti intrappolati nel traffico.”- Riconobbi la voce di mia mamma.- “ Non so se riusciamo a tornare stasera, comunque non aspettarci in piedi. Mettiti d'accordo con Sue e uscite pure se volete, però prima fai i compiti. C'è dello stufato nel forno se ti va. A presto, baci. Mamma e Papà.”

La fine del messaggio fu segnalata da un lungo tu-tuum ripetuto. Riappoggiai la cornetta e andai in cucina. Aprii lo sportello del forno e con un dito toccai lo stufato. Calcolai il tempo che ci avrebbe messo per scaldarsi e andai a lavarmi.

Dopo cinque minuti scesi le scale e ritornai in cucina con una salvietta sui capelli bagnati. Il bagno si trovava al primo piano, sulla destra appena salite le scale.

Tirai fuori lo stufato, dopo essermi messa le patine alle mani e lo misi su un piatto. Mi sedetti a capotavola e accesi la televisione. La cucina era piccola, si trovava accanto all'entrata e ricordava tanto una di quelle stanze degli anni 80, con le piastrelle beige e i mobili di legno. Il tavolo si trovava di fronte al lavello ed era messo per orizzontale. La televisione era invece posta su una credenza accanto alla tavola da pranzo.

Finii di cenare e lavai i piatti e i bicchieri. Spensi la Tv e salii in camera mia. Presi libri e quaderni e mi misi a fare i compiti seduta sulla scrivania.

Ero immersa nel mondo dell' algebra quando il telefono mi squillò. Sbattei un pugno sulla superficie della scrivania ed afferrai con un gesto brusco il telefono.

  • Pronto Sue?

  • Ohi tesoro, ti disturbo?

  • In effetti..- Sue non mi lasciò finire la frase.

  • Bé in realtà non mi importa! Ho una proposta succulenta da farti!

  • Sentiamola, basta che ti sbrighi, che ho da fare.

  • Tranquilla, ne vale la pena!

Sue fece un profondo respiro, poi disse, tutto ad un fiato: - Tu. Io. Domani. Gita. Super divertimento.

  • Se magari ti spiegassi meglio potrei anche farci un pensierino.- Le dissi per incitarla a parlare.

  • Va bene, va bene. Mi è venuta la brillante idea di andare in qualche bel posticino a divertirci. Possiamo fare una gita con tanto di picnic! Che ne dici?

  • Un picnic a dicembre? Ma che idee ti vengono in mente?!

  • Oh, suvvia! Il posto che ho scelto si trova vicino al mare, e per di più domani danno temperature in rialzo, quindi si starà bene all'aperto!

  • Non so... ho anche i compiti da finire.- Le confessai.

  • Stronzate! In trenta minuti li finisci, ti chiedo solo una mattinata da trascorrere insieme!

Valutai un attimo le mie possibilità: o restare a casa, chiusa come un cane in gabbia, riempiendomi la testa di Blaze, Blaze, Blaze, Blaze, oppure andare con lei a divertirmi e a liberare la mente. Bè, la decisione era evidente. “ Al diavolo Blaze!” mi dissi.

  • Passi tu a prendermi?

  • Ovvio! Ci vediamo domani alle 10:00. Ti faccio un colpo di clacson quando sono arrivata. Ah, e... vestiti bene mi raccomando!

  • Vestirmi bene? Ma perché mai?

Tu-tuum. Sue mi aveva riattaccato il telefono in faccia senza darmi nemmeno delle spiegazioni.

  • Brutto esserino malvagio! Questa è la tua riconoscenza dopo tutte le volte che ti ho aiutato?

Scossi la testa ridendo e mi rimisi a pensare ai numeri e ai problemi di algebra.

Vestirmi bene? Che le era saltato per la testa? Oltre al fatto di essere dicembre inoltrato mi sembrava poco logico essere eleganti per mangiare sull'erba, così decisi di non darle retta. Avrei messo dei jeans e una felpa, magari mi sarei truccata un po', ma di certo non mi sarei messa in ghingheri solo per una gita.

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Capitolo 7
*** -Capitolo 7 ***


Buooongiorno! A grande richiesta (?) ecco il settimo capitolo :D
Lo sappiamo, siamo in ritardo rispetto alle date di pubblicazione, ma andando avanti i tempi si faranno sempre più lunghi D:
Continuate a seguirci e a recensire, grazie!

SophieClefi




Capitolo 7

 

 

Il profumo di pane tostato arrivò fino alla mia stanza. Inspirai tre o quattro volte poi aprii gli occhi. Mi ritrovai a fissare il soffitto della mia camera e notai una zanzara postata proprio accanto al lampadario. Mi misi a sedere e stiracchiai un po' le braccia e la schiena. Andai verso la finestra, posta a destra del letto e aprii le ante. Un'ondata di luce mi travolse. Sfregandomi gli occhi uscii dalla camera e mi diressi verso la cucina.

  • Buongiorno tesoro, dormito bene?- Mi chiese mia mamma.

  • Sì mamma, grazie. Che ore sono?

Mi avvicinai a lei e mi diede un bacio sulla fronte.

  • Quasi le nove. Oggi esci?

  • Vado a fare un pic-nic con Sue.

  • Ma siamo in dicembre! Morirete di freddo.- Mi scoccò un'occhiata diffidente

  • Si, lo so. Ma abbiamo saputo che oggi farà caldo e poi lo facciamo solo per fare qualcosa di diverso dal solito. - Le dissi scrollando le spalle.

  • Uhm, ok. Però vedi di non prendere freddo. A che ora passa a prenderti?

  • Alle dieci.

Presi una fetta di pane tostato e la misi nel piatto, poi andai a sedermi. Sulla tavola erano già posti marmellata, miele e burro e i tovaglioli, così non esitai e mi misi a spalmarci sopra un po' di marmellata.

Quando finii misi la tazza nel lavandino e pulii la tavola dalle briciole di pane rimaste, poi salii in camera per prepararmi.

“ Vestiti bene!” Mi aveva detto Sue, ma io non ero affatto disposta ad ascoltarla. Aprii l'armadio e scelsi un paio di jeans chiari e un maglione beige. Ci abbinai una sciarpa color nocciola e un giubbino di pelle marrone, mi vestii e finii di truccarmi in bagno. Pensai che se Sue avesse visto almeno che mi ero truccata, magari avrebbe lasciato passare il fatto dei vestiti. Mi misi del rimmel, tracciai il contorno degli occhi con una matita nera, passai un velo di lucidalabbra sulle labbra e misi due orecchini rotondi. Mi diedi un'ultima revisionata allo specchio e sorrisi.

Mi strofinai la mano sinistra proprio sopra il labbro, dove avevo un neo. Mi ero sporcata con un po' di marmellata, e ora avevo una striscia rossa proprio in quel punto. Presi dell'acqua e mi strofinai la mano in viso, per pulirmi.

“Sheila ti sei sporcata tutta! Guarda che imbranata!” Jake me lo rinfacciava sempre.

Quando ero piccola mi capitava spesso di sporcarmi mentre mangiavo, così lui mi aiutava a pulirmi. I nostri genitori erano spesso via per lavoro e toccava a lui badare a me. E' sempre stato un fratello tanto premuroso: se qualcuno mi faceva piangere lui correva sempre in mio aiuto e si dirigeva con aria infuriata dal colpevole, terrorizzandolo a morte. Ovviamente, però, come tutti i fratelli del mondo, litigavamo anche, e quando ciò accadeva, scoppiava il finimondo.

Il suono del clacson mi informò che Sue era arrivata, così uscii dal bagno, presi la borsa e mi misi il giubbino di pelle, poi mi precipitai alla porta.

Quando varcai la soglia rimasi alquanto confusa guardando l'automobile che era parcheggiata sulla strada: non assomigliava minimamente a quella della mia migliore amica. Feci qualche passo incerta, poi vidi uno sportello aprirsi e Sue uscì dall'auto sventolando il braccio.

  • Tesoro, sbrigati che qui c'è gente che aspetta!

Le feci un cenno con il capo e mi avvicinai con una leggera corsetta. Quando fui a pochi metri dal veicolo capii il piano di Sue: al volante c'era Luke, e se c'era lui, ci doveva per forza essere anche Peter. Un'uscita a quattro, perfetto. Davvero perfetto. Ovviamente la cosa era ironica.

Aprii la portiera scuotendo il capo e sforzandomi di sorridere al viso altrettanto allegro di Peter.

  • Come butta?- Mi disse dandomi il pugno.

  • Bene, tu?- Dissi senza mostrare il mio nervosismo e rispondendo al saluto.

  • Mica male, ora.

Ehi, frena, bello! Gli feci nuovamente un sorriso falso, tanto quanto lo era stato quello precedente e mi allacciai la cintura.

- Ehi Luke! Grazie per il passaggio!

  • Non c'è di che, ora si parte!

Sue gli si avvicinò e gli diede un bacio. Ero felice di vedere la mia amica stare bene con qualcuno. Forse il giorno prima ero stata un po' severa con lei, ma poi, a guardarli, notai che stavano davvero bene insieme ed io non potevo che essere soddisfatta per lei.

L'auto partì e scivolò via dal cortile di casa mia.

Durante il viaggio ascoltammo la musica dalla radio della macchina e ridemmo alle battute sceme di Peter.

  • Cosa fa Dracula al parco?

  • Non voglio saperlo, grazie!- Affermai alzando le braccia, ma senza trattenere una risatina.

Luke e Sue si mordevano il labbro inferiore con i denti, in attesa della risposta all'indovinello.

  • Porta a spasso i suoi canini!- Disse Peter tutto ad un fiato.

L'auto si riempì di una sonora risata, mentre sfrecciava via sulla Glare Street.

 

Circa un'ora dopo eravamo arrivati a destinazione ed avevamo parcheggiato la macchina in un piccolo spiazzo di terreno proprio ai piedi della collinetta verde sulla quale si trovava un bosco. Scaricammo il cibo e le bevande dall'auto e ci incamminammo su per il sentiero. Avevo in spalla una borsa arancione contenente bibite e posate varie e camminavo proprio dietro a Sue e Luke. Peter era rimasto indietro per finire di scaricare le ultime cose e per chiudere l'automobile.

La sua spalla si appoggiò delicatamente contro la mia.

  • Ti serve una mano?- Mi chiese facendo un sorriso.

  • No, non ti preoccupare, so cavarmela da sola.

Dopo dieci minuti arrivammo sulla cima della collina, superammo il bosco di faggi e ci ritrovammo su una scogliera ricoperta di erba. La vista era meravigliosa. Davanti a me si estendeva il mare, azzurro e cristallino come non mai. Un venticello fresco mi fece rabbrividire e inspirai tre o quattro volte l'odore di sale che mi arrivava da nord, prima di muovermi.

Avevamo scelto la giornata giusta: non c'era nessuno oltre a noi. Sue stese una stuoia per terra e ci mise sopra un telo rosso, poi si sedette e appoggiò le borse. Io la raggiunsi, ma una volta appoggiate le borse mi precipitai al pelo della scogliera e guardai giù. Le onde del mare si rifrangevano contro gli scogli, per poi tornare indietro e rimescolarsi con il resto dell'acqua.

Qualcuno si avvicinò e mi mise le mani sui fianchi. Mi irrigidii.

  • Ti piace il mare?- Peter mi aveva quasi sussurrato quelle parole nell'orecchio.

  • Diciamo di sì, ma l'ho visto poche volte. I miei genitori sono spesso via per lavoro e non andiamo quasi mai in vacanza.

  • Ho una casa, poco distante da qui. Se volete quest'estate potremmo andarci tutti insieme, che ne dici? Potrei proporlo anche a Sue e Luke.

  • Wow.- Ero veramente colpita- ed eccitata allo stesso tempo- per l'idea di trascorrere una vacanza, dopo tanto tempo, con i miei amici al mare, ma, benché la proposta fosse allettante, non me la sentivo affatto.- Ci penserò.

Forse se avessi dovuto passare una settimana con Sue l'avrei fatto, ma con Peter e Luke, che conoscevo da pochissimo proprio no.

Senza sembrare troppo rude mi staccai dalla presa di Peter e mi diressi verso il punto in cui avevamo steso il telo rosso per mangiare. Sue e Luke erano seduti con le mani intrecciate e si sorridevano teneramente.

  • Quando si mangia?- Chiesi, interrompendoli.

  • Se vuoi così tanto mangiare, perché non inizi a preparare?- Mi chiese Sue sfacciatamente, facendo un sorriso che diceva “Grazie tante per aver rovinato un momento così bello.”

Alzai le spalle e mi sedetti sulla stuoia. Iniziai a tirare fuori le cose dalla borsa, quando Peter mi si sedette accanto.

  • Ti aiuto.- Mi disse.

  • Grazie.- Gli sorrisi.

Quando finimmo di preparare cibo, bevande, piatti e bicchieri, anche Sue e Luke smisero di fare ciò che stavano facendo e iniziarono ad affondare i denti nei panini al prosciutto che avevamo portato.

Dopo aver riempito il nostro stomaco di deliziosi panini imbottiti, biscotti al cioccolato e coca, ci sdraiammo esausti sul telo rosso, uno accanto all'altro. Misi le braccia sotto la testa e alzai un ginocchio. Fissai il cielo, accompagnata dal rumore del mare così vicino e da quello del vento tra le foglie. Quel luogo era dotato di una calma eccezionale ed era capace di liberarmi la mente, facendomi lasciare tutte le questioni che riguardavano scuola, famiglia, Jake e Blaze alle spalle.

  • Giochiamo a nascondino.

Mi tirai su, appoggiandomi sui gomiti e un po’ confusa guardai chi era stato a parlare.

  • Non mi sembra una cosa da ragazzi di sedici anni, Luke.- Dissi sfacciatamente.

  • Oh, andiamo! E' un gioco per tutti! Voi che ne pensate?- Rispose Luke fissando Peter e Sue.

  • Io ci sto!- Disse Peter scattando in piedi.

Sue sorrise e si alzò a sua volta. Rimanemmo un attimo in silenzio, poi li vidi girarsi tutti verso di me con un sorrisetto cupo. Feci un profondo respiro e strinsi i pugni.

  • Io non conto.- Riuscii a dire.

Loro risero ed iniziarono a decidere a chi sarebbe toccato contare. Alla fine il ruolo fu affidato a Sue e noi ci preparammo a correre. Era da tantissimo tempo che non giocavo a nascondino; l'ultima volta ci avevo giocato con Jake, all'età di sei anni circa.

  • Pronti...Via!

Mi sembrava di essere in uno di quei programmi per bambini, in cui i personaggi sono uno più stupido dell'altro. Iniziai a correre e mi inoltrai nel bosco. Peter e Luke erano entrambi corsi in direzioni diverse, cercando qualche posto ben nascosto tra un albero o l'altro.

Superai un tronco caduto, pestai delle foglie secche e intanto cercavo un nascondiglio dove mi sarei potuta rifugiare per un po'. Infine trovai un masso vicino ad un abete, abbastanza nascosto tra le foglie degli alberi, e subito mi ci accovacciai dietro.

Sue doveva aver già iniziato a cercarci, ma poiché non avevo udito la sua voce, mi dovevo essere allontanata di parecchio. Incrociai le gambe ed appoggiai la schiena alla roccia.

  • Merda, ci sei già tu?

Mi voltai e vidi Peter con una mano sulla roccia e l'altra sul ginocchio, piegato in due per la corsa.

  • Cambio nascondiglio!- Mi disse.

  • Ormai Sue ha già finito di contare! Resta qui, altrimenti ti scopre!- Riuscii a dirgli.

Lui diede un'ultima occhiata attorno e infine, facendomi un sorriso, si sedette accanto a me, lasciandosi scivolare sulla roccia. Oddio, che momento imbarazzante. Se Sue ci avesse trovato così, non so per quanto tempo mi avrebbe presa in giro dicendomi che mi piaceva Peter. Calma, respira. Mi dissi.

  • Allora, qual'è il tuo piano?

  • Il mio...piano?- Chiesi confusa.

  • Sì! Preferisci che uno di noi due la distragga, o vuoi provare a fare tana usando il fattore sorpresa?

Fattore sorpresa”? Ma come diavolo parla questo?!

  • Veramente non me ne intendo molto...- Confessai.

  • Ok, allora...- Peter si mise in ginocchio, mettendosi una mano sui jeans.- Io distraggo, tu corri!

  • Ma cosa...?

Non ebbi il tempo di finire la frase che lui scattò in piedi ed uscì dal nostro nascondiglio. Mi sporsi un po' con la testa dal masso per vedere in quale direzione era corso, e mentre lo osservavo notai le sue ciocche rosse. Risaltavano tanto con il sole. Chissà perché si era tinto i capelli in quel modo... magari per una ragazza. Frena, pensa al gioco.

  • Giusto, al gioco.- Sussurrai.

Mi riaccucciai dietro alla roccia e attesi qualche segnale.

Dopo una decina di minuti stavo aspettando ardentemente che Sue mi venisse a trovare e che quel gioco finisse il prima possibile, ma non fu così. Sentii il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni e quando guardai lo schermo vidi un messaggio.

SEI RIMASTA SOLO TU! LUKE HA FATTO TANA, IO SONO STATO PRESO! SBRIGATI E LIBERAMI. FORZA, BELLEZZA! PETER

Come ha fatto ad avere il mio numero? Pensai, ma ormai non c'era più da stupirsi. Mi venne da ridere pensando a Peter che si era fatto prendere da Sue: lui, un ragazzo stra figo, super ricco, che si è lasciato battere dalla piccola Sue.

OK -MIO CARO- CERCHERO' DI SCAPPARE DA SUE E DI TANARMI.

E ME? NON MI LIBERI?

Grrrrrr. VEDREMO.-Gli risposi.

Guardai al di là della roccia, oltre l'abete, ma vidi Sue girata di spalle, e subito mi abbassai. Non sapevo se sperare si essere scoperta o di correre e finire questo gioco. Optai per la prima opzione, quindi aspettai che Sue si avvicinasse. Con mia grande sorpresa sentii i suoi passi allontanarsi, così, quando non riuscii a sentire più nulla, mi alzai in piedi. Guardai a destra ed a sinistra. Nessuno. Perfetto! Iniziai a correre, cercando di fare il meno rumore possibile, ma la “grazia” non era una delle mie qualità. A peggiorare la situazione c'era anche il fatto che il terreno era ricoperto di foglie secche e ramoscelli.

  • Sheila!

La voce di Sue mi arrivò e mi fece trasalire. Continuai a correre, senza girarmi a guardare dov'era Sue. Schivai dei rami, saltai dei massi, evitai un tronco caduto, ed infine mi ritrovai nella distesa verde vicino al punto in cui avevamo fatto il picnic. Luke e Peter erano seduti sulla stuoia, ma quando mi videro scattarono in piedi.

  • Forza Sheila, ci sei quasi!- Mi incitò Peter agitando le braccia.- La panchina, tocca la panchina e urla “Tana libera tutti”!

La panchina, giusto! Corsi accanto ai due ragazzi e con il braccio teso mi buttai sulla panchina. Appena sentii il tocco del legno sotto la mia mano urlai la frase che mi aveva detto Peter e mi sedetti, sfinita. Sue mi raggiunse dopo poco con il fiatone.

  • Grande!- Mi disse Peter abbracciandomi.

Ero troppo stanca per rispondergli, così mi limitai a restituirgli l'abbraccio.

  • Wow, sei forte!- Scherzò Luke, dandomi un colpetto sulla spalla.

Peter si sedette accanto a me e io ricambiai il sorriso di Luke.

  • Va bene, capisco che è stata brava, ma a me non dite nulla?- Sbraitò Sue.

Ci sorridemmo a vicenda e Luke si alzò dalla panchina e le andò incontro. La abbracciò e... ci pensò lui a consolarla.


 

Un venticello fresco mi sfiorò il viso. Erano circa le tre e mezza di pomeriggio e il cielo era azzurro e limpido. Peter incrociò le sue dita con le mie e si mise ad osservare il paesaggio che ci trovavamo davanti.

Quando mi accorsi che lo stavo guardando da un pezzo- era troppo tardi. Si girò verso di me e sobbalzò, allontanando la mano dalla mia.

  • Scusami, io... sono stato troppo scortese?- Mi chiese alzando un sopracciglio.

Bè, non ero certo abituata a farmi abbracciare dai ragazzi o a tenermi per mano con un amico da poco conosciuto, ma mi guardava con un'aria così innocente e dispiaciuta che non potei resistere.

  • No, scusami tu. E' solo che non sono abituata a... questo.- Confessai.

  • Ehi, tranquilla.-Mi sussurrò, avvicinandosi a me.- E' colpa mia.

Gli sorrisi, ringraziandolo di avermi capito e incrociai nuovamente le mie dita con le sue.

  • Allora, chi fa un'altra partita?- Chiese Luke euforico per l'entusiasmo.

“Dio no!”


 


 

Quando finimmo di giocare erano le quattro e mezza di pomeriggio. Io e Peter ci eravamo allontanati da Sue e Luke e ci eravamo seduti sulla panchina, proprio come avevamo fatto prima.

  • Mi piace questo posto.-Mi disse.- Mi fa riflettere molto.

  • Ci vieni spesso?

  • Sì, di solito ci vengo il sabato con gli amici. A volte però vengo anche da solo, per una ventina di minuti, per poter pensare.

Sorrisi. - Io è la prima volta che ci vengo, ma mi piace tantissimo. Trasmette una calma davvero magnifica. Resterei qui per sempre.

  • Anche io resterei qui con una ragazza così per sempre.

Ci guardammo di sottecchi e io gli sorrisi imbarazzata.

  • Sheila?

  • Mmm?

Mi voltai e Peter mi si avvicinò. Mi appoggiò una mano sulla guancia e iniziò ad accarezzarmi teneramente la pelle con il pollice. I suoi occhi azzurri penetrarono i miei e mi sciolsi al suo sguardo. Vidi le sue labbra formare un piccolo sorriso. Eravamo ad una decina di centimetri, non di più. Mi sarebbe bastato poco per baciarlo: dovevo solo avvicinarmi un po'; oppure poteva farlo lui.

In un lampo queste idee mi si frantumarono in testa. Peter mi aveva così accecata che non ero stata neppure in grado di ragionare: io non lo volevo baciare. Era bello come un sex simbol, ma sentivo che non potevo compiere quel gesto.

Le sue labbra si schiusero leggermente e si protrasse ancor più verso di me. Avrei potuto saltare giù dalla panchina, oppure solo spostarmi leggermente, ma mi sentivo incapace di muovermi, incantata da quegli occhi così azzuri e profondi.

  • Sheila io...

  • Ehi, voi due! Qui stiamo già caricando la macchina! Muovetevi!

Ci girammo, rossi come due pomodori, verso Sue, che ci stava chiamando in lontananza, agitando il braccio. Peter aveva ancora la mano sulla mia guancia e ci trovavamo ancora molto vicini.

Quando Sue si fu girata ci voltammo e tornammo a fissarci negli occhi. Peter sospirò e tolse la sua mano dal mio viso, lasciandosi dietro un buon profumo di pulito. Il suo braccio si mosse in cerca della mia mano e, quando la raggiunse, la afferrò e la strinse con la sua. Prima di alzarsi mi diede un lieve e tenero bacio sulla guancia e- in quell'attimo- chiusi gli occhi, sentendo quel suo profumo tanto caloroso.


 

La Citroen sfrecciava ai centodieci km/h sull'autostrada.

Al ritorno fu Sue a guidare. Luke era seduto accanto a lei e indossava un paio di occhiali da sole scuri. Non so come avesse fatto Luke a lasciar guidare la sua automobile a quel pericolo ambulante, ma in una coppia è importante la fiducia, no?

Peter faceva dondolare la testa a destra e sinistra, ascoltando una canzone con le cuffiette. Lo fissai per un momento. Se Sue non ci avesse fermato, cosa avrebbe fatto lui? Mi avrebbe... baciata?

Scossi con decisione il capo e mi rivolsi a destra, guardando fuori dal finestrino. Io e Peter ci conoscevamo da solo due giorni, non potevamo di certo già iniziare un rapporto.


Arrivammo a casa di Peter alle sei meno dieci.

  • Mi dispiace Sheila, ma non posso accompagnarti fino a casa.- Mi disse Luke. -Non penso che questa bellezza riesca a fare altri 20 km.- Disse indicando la macchina. -Spero che riesca a fare almeno i 5 km che ci sono da qui a casa mia. Magari potresti...

  • Ci penso io!

Mi voltai e Peter mi fece l'occhiolino. Faceva girare le chiavi della sua automobile sul suo dito indice, mentre teneva l'altra mano in tasca. Salutammo Luke e Sue e salimmo sull'auto di Peter. La mia migliore amica sarebbe rimasta dal suo ragazzo ancora per un po', perché avevano la casa libera, ma prima di lasciarli soli le feci promettere di non compiere gesti sconsiderati senza pensare.

  • Dove la porto, principessa?- Mi chiese Peter salendo sulla Porsche.

  • Una volta le principesse venivano portate sulla carrozza- Protestai.

  • Preferiresti una scomoda e vecchia carrozza a questo gioiellino?

Beh, forse no.

  • Ok, hai vinto. Ti ricordi la strada?

  • Ho una memoria di ferro!- Esclamò strizzando l'occhio.

Troppo presuntuoso e orgoglioso, meno male che lo conosco solo da due giorni! Sospirai, feci spallucce e sorrisi.

Il veicolo uscì rombando dal viale alberato della casa di Peter. Era davvero ricco. Abitava nel centro di Angel's Bay, in una villa bianca circondata da un prato verdissimo. Si entrava da un grande cancello di ferro e si percorreva la strada di ghiaia ai cui lati si trovavano immensi pioppi, ormai spogli. Davanti al portone di legno grezzo c'era un piccolo spiazzo ed un portico con seggiole e un tavolino. Luke ci aveva lasciato in questa zona, poi, con Sue, era partito.

Cullata dal rumore delle gomme sull'asfalto, appoggiai la testa allo schienale di pelle e feci un profondo respiro.

  • Sai Peter? Mi sono divertita davvero tanto oggi. Figurati che prima non volevo nemmeno venire.- Volevo essere molto chiara con lui.

  • E cosa ti ha fatto cambiare idea?

  • Mha...Forse vi avevo solo giudicato male.

Fece un piccolo sorriso e scosse quasi impercettibilmente la testa.

Grazie a quella giornata ero stata in grado di liberarmi la testa dai mille problemi che mi assillavano. Mi ero divertita, avevo conosciuto due fantastiche persone, mi ero sentita libera da ogni questione.

Peter guidava, con lo sguardo fisso sulla strada. Stranamente, durante tutto il tragitto, non superò mai gli 80 km/h. Mi limitai a fissare i paesaggi che ci circondavano. Parchi dotati di un manto di triste erba verde, ormai consumata dal freddo inverno; Panchine di legno umide e congelate; Strade deserte e solitarie. Ecco, poi, scagliarsi all'orizzonte, il monotono rettilineo affiancato da campi altrettanto abbandonati.

Dei candidi fiocchi di neve fresca iniziarono ad annebbiare il vetro della Porsche.

  • Grandioso. -Esordii.

  • Mi piace la neve.- Mi confidò Peter.

  • Anche a me, ma quando sei in casa, davanti al camino, con una tazza di cioccolata calda in mano.

  • Se questo era un invito lo accetto molto volentieri!

  • Uff!-Sbuffai.-Perché tu fraintendi sempre tutto?

Fu la prima volta che sentii ridere Peter in quel modo. Era un suono strano, stridulo ma così tanto allegro. Era umile, sincero.

Subito si ricompose e arrossì leggermente in viso.

  • Si, lo so. La mia risata è imbarazzante.

  • No.- Ricambiai la sua risata con un sorriso altrettanto allegro.- Mi piace come ridi. Arrivati alla rotonda Peter girò a sinistra, sbagliando completamente strada.

  • Ehi, frena! Primo errore per Mister “ Ho una memoria di ferro”!- Gli rinfacciai.

  • Sembrerà strano, ma anche io non sono perfetto.- Si giustificò lui.

  • Coosa? Impossibile!- Esclamai, con una mano davanti alla bocca.

Gli diedi le indicazioni per ritornare sulla via principale. Lo feci proseguire un altro po' diritto, poi, una volta arrivati...

Già.

Proprio là eravamo arrivati. La grossa fabbrica buia- sia fuori che all'interno- ci guardava cupa di fronte alla Porsche.

  • Che stanno facendo quelli?- Mi chiese Peter curvando un sopracciglio e indicando due tizi, vicino ai cassonetti, che si picchiavano.

  • Quello lo conosco!

Uno dei due, infatti, era proprio lo stesso tizio che avevo incontrato al bar con Blaze, il suo amico che lo aveva portato via. Craig.

Bella compagnia che hai. Dissi nella mente, rivolta ad un immaginario Blaze.

Quando la macchina si fu avvicinata, illuminando i due, Craig si staccò dall'altro ragazzo, che cadde a terra sfinito, e se ne andò dentro la fabbrica, saltando con un unico balzo la muraglia che la circondava.

  • Co...come ha fatto?- Mi chiese Peter scuotendo la testa.

  • Non ne ho la più pallida idea. Forse...parkour?- Dissi.

Peter rimase a bocca aperta a fissare il punto in cui se n'era andato il nostro misterioso ragazzo.

Non esitammo nemmeno e saltammo giù dall'auto, dopo aver messo le quattro frecce. Sant Heaven non era un quartiere popolato, ma era giusto rispettare il codice stradale.

Ci precipitammo dal povero ragazzo accasciato a terra e mi accucciai accanto a lui. Peter fece lo stesso e, delicatamente, girò il corpo, in modo che potessimo vederne il volto. Si sentì un rumore di costole rotte e, quando riuscì a metterlo a pancia all'aria, le braccia caddero morte lungo i fianchi dell'uomo.

  • E' irriconoscibile...- Esclamai con un espressione disgustata sul viso.

  • Non è della scuola; e nemmeno della città.- Si affrettò ad aggiungere.

  • Come lo sai?

  • Sul collo ha una scritta.- Disse, indicando con un dito un disegno nero, ormai ricoperto quasi interamente da sangue.- New Reims. La città accanto alla nostra.

  • Perché uno si farebbe un tatuaggio simile? Che senso ha?

  • Segni come questi di solito li facevano ai carcerati, era una specie di marchio, ma pensavo fosse da molto tempo che non ne facevano più uso.

  • Oh.- Mi rialzai.

Peter stava tenendo il polso destro del ragazzo con le dita della mano sinistra, e con l'indice e il medio dell'altra premeva, cercando di contare i battiti. Sembrava proprio morto. Aveva la faccia ricoperta da lividi enormi; un occhio era talmente gonfio da non riuscire nemmeno a tenerlo aperto; il sangue gli colava dalla ferita sopra un sopracciglio, mentre la bocca era aperta, per cercare invano aiuto.

  • Chiamo un'ambulanza.- Dissi.

Peter mi raggiuse.

  • E' vivo. Speriamo che i soccorsi facciano in fretta.

Composi il numero, ma il telefono non ebbe fatto che uno squillo, che sentimmo provenire da destra il rumore di un'automobile. Alzammo gli occhi e ci ritrovammo accecati da due fanali gialli.

  • Chiediamo aiuto!- Proposi.

Peter si voltò.- Sheila, credo che non ne abbiamo bisogno...

  • Cosa?- Chiesi confusa.

Mi girai a mia volta e solo allora capii le parole di Peter. Il ragazzo era scomparso. Di nuovo no! Imprecai a bassa voce. Si era volatilizzato: un attimo prima era morto stecchito sul pavimento e l'attimo seguente era corso via. Spalancai gli occhi, incredula e mi morsi il labbro. Picchiai un piede a terra e mi passai una mano tra i capelli.

  • Al diavolo!- Urlai.

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Capitolo 8
*** - Capitolo 8 ***


Ecco qui per voi, nel magico giorno della Vigilia di Natale, l'ottavo capitolo della storia! Cercate di non prendere freddo, di mangiare tanti dolci e passare la giornata con il sorriso :)
Auguri a tutti!

SophieClefi






Capitolo 8



 

  • Le...6...?

La mia voce era roca e bassa. Allungai un braccio verso quella che mi sembrava una scatola arancione e la presi tra le mani. Portai l'oggetto vicino ai miei occhi e con una mano mi strofinai le palpebre.

  • Oh...la sveglia segna le...9.

La riappoggiai sul comodino e mi tirai a sedere sul letto. Mi stiracchiai un po', poi uscii dalla camera e scesi le scale, dirigendomi in cucina.

Era domenica e i miei genitori sarebbero stati a casa tutto il giorno. Sue non mi chiedeva mai di uscire al fine settimana, perché sapeva benissimo che era uno dei pochi giorni che avrei potuto trascorrere con la mia famiglia.

Prima mi bastava avere Jake, ma da quando era morto avevo sempre più necessità di poter ricevere dell'amore paterno.

Papà era seduto in salotto, leggendo il giornale.

  • Buongiorno.- Dissi facendogli un sorriso.

  • Ciao, dormito bene?

In effetti... no. - Sì, benissimo.

Dopo che il corpo del ragazzo era scomparso, la sera prima, avevo solo una cosa in mente: scoprire più cose possibili su Blaze e quel posto sudicio. Peter mi aveva accompagnata a casa e, vedendomi sconvolta, aveva cercato di tranquillizzarmi dicendomi che-magari- si era sentito meglio e se n'era andato. Ovviamente non gli credevo. Era successa la stessa cosa anche con Blaze. Era stato investito dall'autobus, eppure era scattato in piedi e se n'era andato più in forma di prima.

Avevo passato tutta la serata a cercare informazioni sulla fabbrica. I miei genitori erano tornati per le otto e mezza, avevamo mangiato e subito dopo avevo preso computer e stampante e tanto, tanto intuito, e mi ero messa a fare ricerche su ricerche. Risultato?

Ottimo.

Ero riuscita a trovare delle cartine riguardo l'interno dell'edificio: aveva una pianta rettangolare, poche stanze al piano terra e grandi macchinari per lavorare il ferro. Il retro della fabbrica aveva un enorme cancello automatico che dava su uno spiazzo rettangolare dove una volta ci sarebbero dovute essere le lastre di metallo.

Inoltre, dopo altrettanti numerosi tentativi, ero riuscita a scovare vecchi articoli di giornale. Il primo riguardava l'inaugurazione della fabbrica, avvenuta circa nel 1912 e affidata ad Arnold Morris, primo padrone dell'impresa. Dopo sessant'anni di lavoro questo signore, all'età di novantuno anni era morto, impalato da una lastra di ferro caduta una notte quando lui era solo in fabbrica. Il caso era stato archiviato come 'sfortunata morte avvenuta casualmente ecc.'. Due anni dopo, nel 1974, la fabbrica era stata riaperta dal nipote, Joshu Morris, ma gli operai non potevano lavorare, perché sentivano dei rumori nel vecchio ufficio del proprietario. Quando uno dei lavoratori ipotizzò la presenza di un potenziale fantasma, nessuno volle più recarsi in quel posto e nessuna società prelevò la fabbrica, così cadde in rovina.

Avevo ricavato molte informazioni da internet, ma nessuna di esse mi serviva per scoprire il segreto di Blaze. Che fosse il fantasma del vecchio che si era impossessato del corpo di un giovane? Lo dubitavo fortemente. Non credevo nei fantasmi.

  • Sei pronta per la gara?

  • Gara?- Chiesi confusa a mia madre, che era sbucata dalla cucina.

  • Ti sei dimenticata? Oggi hai l'amichevole di scherma!

  • Oh... certo che mi ricordo!

Merda. Avevo troppe cose in testa per pensare ai miei impegni extra-Blaze.

Mi diressi in cucina, feci colazione con una brioche alla marmellata , poi ritornai in camera. Avanzai nel buio della stanza e, quando arrivai alla finestra, aprii le ante.

Wow. Il paesaggio era tutto ricoperto da un manto di neve candida. Le case, i tetti, le strade, tutto era splendente e luminoso. Misi fuori una mano, tenendo il palmo rivolto verso il cielo e aspettai che un fiocco mi si posasse sopra. Non aspettai molto, perché nevicava proprio in abbondanza. Quando ritrassi la mano in camera, notai la forma perfetta del fiocco di neve, ma in breve quello si sciolse, lasciandomi sulla mano una minuscola gocciolina d'acqua.

Un'aria gelida mi fece rabbrividire, così chiusi la finestra e aprii l'armadio. Presi la borsa di scherma e ci infilai dentro tuta, scarpe, acqua e ricambio. Andai in bagno e finii di prepararmi, poi scesi di nuovo in salotto, dove i miei genitori mi stavano aspettando. Mamma sembrava tanto una di quelle signore delle serie tv degli anni '90: aveva una camicia bianca, infilata in una gonna blu lunga fino al ginocchio. Sotto ad essa si intravedevano delle calze color pelle, infine si era legata i capelli biondi in un cucù in cima alla testa. Aveva un gusto alquanto particolare riguardo ai vestiti.

Mio padre, invece, era vestito come al solito: jeans, camicia a quadretti, occhiali e capelli corti.

Uscimmo di casa e ci dirigemmo a piedi verso la palestra.

  • Tesoro, a scuola tutto bene?- Mi chiese mia mamma.

  • Sì. Ho preso una punizione dal professore di Scienze, ma o fatto il compito e il giorno dopo gliel'ho riconsegnata. Ora è tutto ok.

  • E' l'unico giorno in cui possiamo stare insieme: godiamocelo, non parliamo di scuola. - Disse sorridendo mio padre.

Continuammo a camminare sotto la neve per una decina di minuti, finchè giungemmo all'entrata della palestra. Io mi diressi verso lo spogliatoio, mentre i miei genitori andarono a sedersi tra il pubblico.

  • Guarda un po' chi si rivede, come andiamo?- Mi chiese una voce stridula.

  • Stavo meglio senza di te, Bailey - Confessai facendo una smorfia.

Beiley era una ragazzina di quindici anni, alta, bionda, con occhi azzurrissimi e capelli corti. Aveva da sempre avuto una cotta per mio fratello, ma lui non le aveva mai mostrato il benché minimo interesse. Era vanitosa, sfacciata e...vanitosa l'ho già detto?

  • Sarà pure una gara amichevole, ma non ho intenzione di perdere contro di te. Dopo aver cambiato palestra ho fatto molti progressi.

Cinque mesi dopo la morte di Jake, infatti, era andata ad iscriversi ad un altro club di scherma, in città. Praticava questo sport da quando aveva sei anni e, per questo, era molto agile. Non le avrei permesso di battermi, non questa volta; dovevo farle vedere quanto ero migliorata in questi anni.


 

Quando finii la gara era mezzogiorno e mezzo.

Avevo perso. Già. Più abbattuta di me, in quel momento, non c'era nessuno. Prima della gara avevo ripensato alla storia della fabbrica e a Blaze e, purtroppo, ci avevo pensato durante tutto il duello. La cosa non mi era stata affatto di aiuto. Mi sentivo stanchissima, così, quando tornai a casa, mi sdraiai sul divano e ci restai finchè mia mamma non finì di preparare il pranzo.

***

  • Jake pensi sia meglio il vestito nero o quello rosso per la festa del club?- Chiese Bailey con la sua voce stridula, tenendo, uno per mano, due vestiti cortissimi, entrambi senza spalline.

  • Perché non chiedi a qualcun altro? - Rispose mio fratello, tenendo la testa appoggiata su una mano.

  • Voglio il TUO parere, ti prego!- Piagnucolò quella ragazzina.

  • Sheila?

Mi tira in ballo? Che fa? Lo sa che non ho il minimo senso del gusto in materia di vestiti.

Cercai di sforzarmi il più possibile e infine optai per quello meno volgare.

  • Quello nero...- Dissi con un filo di voce.

  • Che ne dici, Bailey, di indossare il vestito nero e di dare quello rosso a Sheila?

Era il pomeriggio prima della festa di scherma. Jake, Bailey, io e tutti gli altri ragazzi avevamo finito di allenarci e ci stavamo preparando per andare a casa. Ogni volta che quella mocciosa faceva una domanda del genere a mio fratello, lui non le dava mai una vera e propria risposta e per questo Bailey si infuriava a morte.

Ovviamente, quella sera, Bailey non ebbe alcuna intenzione di prestarmi il suo vestitino rosso.


 


 


 

Sue passò a prendermi, come aveva promesso, alle 7:12. Chiusi casa e mi diressi verso la Fiat bianca.

  • Sono stanchissima.- Mi disse, accompagnando le parole da un rumoroso sbadiglio.

  • Sue non sei per niente educata.- Le osai dire.

  • Andiamo, ci conosciamo da una vita! Sai quante cose imbarazzanti abbiamo fatto insieme?

  • Sì lo so, ma ti prego, non farmele ricordare- Dissi ridendo.

L'auto uscì dal vialetto e, come al solito, Sue guidò fino a scuola. Parcheggiammo nel cortile pieno di neve fresca e scendemmo dal veicolo.

  • Oh, al diavolo la neve!- Urlò Sue infuriata.

  • Che ti è successo?- Chiesi.

Feci il giro dell'auto per vedere cosa le era successo: una sciarpa rossa le era caduta in un mucchietto di neve infangata.

  • Su, puoi lavarla quando torni a casa!- Dissi, sdrammatizzando la cosa.

  • Lavarla? Sai quanto mi è costata? Era il mio ultimo acquisto e non l'ho potuto nemmeno mostrare a nessuno!

Alla fine la convinsi, dopo tanti sforzi, a farle lasciare la sciarpa in auto, per non peggiorare la cosa ulteriormente.

Entrammo nell'atrio della scuola e, seguendo i lunghi corridoi, giungemmo ai nostri armadietti. Prendemmo i libri e ci dirigemmo in classe. Ci sedemmo appena in tempo, perché la professoressa chiuse la porta subito dopo che noi fummo entrate.

  • Bene ragazzi, oggi interrogo sulla ''Divina Commedia''. Avete avuto una settimana per prepararvi e non accetto giustificazioni!

Argh! Quella serpe!

Mi voltai verso Sue, la quale a sua volta mi guardò e mosse le labbra: Merda.

Non aveva studiato, il che non era affatto strano per lei, ma aveva promesso ai suoi genitori che avrebbe superato tutti gli esami alla fine dell'anno e sarebbe stata promossa, cosa impossibile se non avesse iniziato ad impegnarsi.

  • Blaze Hataway!

Mi ero quasi dimenticata che ci fosse anche lui in classe. Scivolai un po' in dietro sulla seggiola e lo fissai. Era venuto a scuola sempre con la solita felpa e gli stessi jeans del giorno prima. Una ciocca ribelle di capelli gli copriva l'occhio sinistro, ma il suo aspetto era sempre quello di un bellissimo ragazzo liceale.

Con mio grande stupore riuscì a rispondere a tutte le domande che l'insegnante gli aveva posto. Sapeva tutto di Dante, dell'Inferno, del linguaggio usato.

  • Ci sono dei versi che ti piacciono particolarmente? E' l'ultima domanda.- Affermò la professoressa, scarabocchiando qualcosa sul registro.

  • Certamente.- Blaze si voltò e il suo sguardo si incrociò con il mio.

Restò in silenzio per qualche secondo, poi fece un respiro e iniziò a parlare, sempre con gli occhi rivolti verso di me. Aveva intenzione di fissarmi per tutto il tempo? Che gli era preso?

  • ...Amor condusse noi ad una morte.
    Caina attende chi a vita ci spense".
    Queste parole da lor ci fuor porte.”

I suoi occhi sembravano bruciare i miei. Quel verde così intenso stava tramutando in un'ondata di cattiveria e odio. Ma che cosa...?

  • Strano il ragazzo.- Affermò Sue, riportandomi in quel luogo chiamato 'scuola'.- Ha guardato in questa direzione per tutto il tempo. Che gli hai fatto -rubacuori-?

Alzai un sopracciglio stupita.- Non gli ho fatto nulla, figuriamoci!

In effetti, da come Blaze mi guardava, si sarebbe potuto dire che gli avevo fatto qualcosa di molto grosso, ma non era affatto così. Anzi, se non se ne ricordava, era stato lui a dirmi che mi aveva solo usata! Io ero quella arrabbiata, non lui. La cosa mi stava divenendo sempre più difficile da pensare. Anche se mi aveva detto tutte quelle cose, io volevo comunque scoprire qualcosa su di lui: il mistero sulla fabbrica. Non ci avrei rinunciato, di questo ero sicura, ma era veramente giusto che io mi preoccupassi per lui? Non avevo già fatto abbastanza fidandomi di lui quando ci eravamo appena conosciuti?

Io e lui ci trovavamo agli opposti dell'aula: io in prima fila, lui in un angolo, solo. Eravamo due opposti. Non aveva amici, era bravissimo in letteratura, era bello e sexy. Due occhi verdi, niente da invidiare ai miei color nocciola, e un fisico da paura. Forse era un campione in qualche sport. Non me lo immaginavo né a fare equitazione né tennis. Quello...era un fisico da nuotatore esperto. Forse in estate faceva il bagnino, ma chissà dove. Mi sarebbe piaciuto vederlo in costume mentre flirtava con le ragazze, mostrando la sua bella muscolatura a tutti. Avrà avuto delle fidanzate?

  • She...non vorrei essere il tuo quaderno.

Abbassai lo sguardo sul foglio che prima era bianco: ora era ricoperto da spesse righe che avevo tracciato con la matita mentre pensavo a Blaze. Mi aveva fatto innervosire, diavolo!


 


 

La campanella era suonata già da dieci minuti, ma Sue aveva voluto aspettare Luke per salutarlo. Ero appoggiata contro una parete del corridoio, con le mani in tasca, posta accanto a Sue, che invece aspettava il suo ragazzo mordendosi il labbro.

Dopo svariati minuti due volti famigliari comparvero sulla soglia della classe 4 G. Sue alzò un braccio e li chiamò. Peter e Luke si avvicinarono con due magnifici sorrisi sulle labbra e, quando furono a pochi passi da noi, Luke prese tra le braccia Sue e la baciò timidamente: erano davvero carini insieme.

  • Ti serve un passaggio Peter?- Chiese Sue.

  • No, grazie. Oggi ho degli affari da sbrigare. Ci vediamo domani ok?

Facemmo cenno di sì con la testa e Peter uscì da scuola, mentre io, Sue e Luke, ci recammo nel cortile per prendere l'auto.

  • Sheila sta dietro!- Urlò Sue correndo verso il parcheggio.

  • Cosa?! No, scordatevelo!

Iniziai a correre anche io insieme a loro, ma, per mia sfortuna, arrivai per ultima all'auto e quindi fui costretta a sedermi nei posti dietro. Sue accese il motore, mentre Luke si sistemò e si allacciò la cintura.

  • Sei completamente diverso dal tuo amico, sai?- Dissi, sporgendomi in avanti tra il buco dei due sedili.

  • Peter dici? No, mi sto comportando bene perché c'è la mia ragazza.- Affermò facendo un sorriso.

L'auto si mosse ed uscì dal viale della scuola.

Il paesaggio era ancora tutto bianco, ma non nevicava più. Dalle strade era stata rimossa più neve possibile per renderle praticabili, così i marciapiedi erano diventati enormi montagne bianche, che costringevano i pedoni a scendere in strada. La temperatura era scesa sotto zero, e la gente era costretta a mettersi maglione, giubbino e sciarpa. Mi piaceva la neve, ma aspettavo con ansia l'estate. Il pensiero che tra pochi giorni sarebbero iniziate le vacanze di Natale mi rallegrava solo in parte, perché in realtà i miei genitori avrebbero lavorato comunque.

  • Non so per quanto questo catorcio potrà ancora muoversi.

  • L'importante è che mi porti a casa!- Dissi allegramente, rivolta a Sue.

Dopo un paio di curve ci ritrovammo sul lungo rettilineo, ma, non appena imboccammo la strada, notammo che la neve non era stata affatto spalata. L'automobile continuò ad avanzare, a volte sgommando per la mancata adesione delle gomme sulla neve e il suo ritmo diminuì.

  • Andiamo bella, fammi vedere che sai fare!- Disse Sue cambiando marcia.

L'auto sembrò non ascoltarla, perché non appena arrivammo a metà strada non riuscimmo più a proseguire.

Guardai fuori dal finestrino e notai che la vettura era immersa nella neve, alta almeno una ventina di centimetri.

  • Sheila, ti conviene scendere- Mi disse Sue.

  • Perchè?- Chiesi sbalordita.

Sicuramente non sarei scesa a spingere. - La cosa più intelligente da fare è che tu vada a casa a piedi da qui e io e Luke spingiamo l'auto e facciamo inversione. In città le strade sono pulite e se si è rotto qualcosa c'è un meccanico nella Wishes Street.

  • Siete sicuri? Non volete davvero un aiuto?- Domandai incerta.

  • Non sarei un vero uomo se lo lasciassi fare a due donzelle!- Disse Luke, picchiettandosi una mano sul muscolo del braccio sinistro.

Io e Sue ridemmo per un attimo: - Va bene, allora mi incammino. Ci vediamo domani e grazie del passaggio!- Scesi dal veicolo e cercai di avanzare in mezzo a quella montagna di neve. Normalmente ci avrei messo solo una quindicina di minuti per tornare a casa, dal punto in cui ci eravamo fermati, ma quella volta, riuscirci in venti minuti, era di sicuro un'impresa. Capivo che Sant Heaven fosse il posto più solo del mondo, ma, lasciarlo addirittura isolato dal resto della città, era fin troppo!

Dopo venticinque minuti riuscii ad arrivare all'entrata del quartiere. Le mie gambe stavano congelando, ma mi rallegrava l'idea di arrivare a casa e farmi un bel bagno caldo. Tirai fuori di tasca i guanti e li indossai. Avvicinai le mani alla bocca e ci soffiai sopra per scaldarle, poi ricominciai a camminare.

Una figura slanciata uscì dalla strada in cui si trovava la mia palestra di scherma e la fermata del bus. D'un primo momento non ci feci molto caso, e continuai a camminare sul mio lato della strada. Solo dopo qualche minuto mi accorsi che quel tizio che avevo visto sbucare sulla strada mi stava seguendo. Accelerai il passo, ma con tutta la neve era davvero difficile. Approfittai di una curva a destra per voltarmi e guardarlo di sfuggita. Non è possibile. Incredula per ciò che avevo visto, mi rivoltai una seconda volta, senza preoccuparmi di farmi scoprire e alla fine capii di non aver sbagliato: Blaze mi stava seguendo. No, calma. Magari deve andare alla fabbrica? Strinsi i pugni e proseguii per la mia strada. Ormai ero vicina parchetto che si trovava tra la rotonda e casa mia, ed ero sicura che lui avrebbe girato a sinistra. Con mia grande sorpresa non lo fece, anzi, mi continuò a seguire, finchè, con i nervi a fior di pelle, mi voltai e lo affrontai.

  • Che fai, mi pedini?- Esitai un attimo, poi aggiunsi: - ...stalker!

Blaze alzò lo sguardo e mi fissò negli occhi. - Chi?- Chiese, guardandosi intorno.- ...Io?- Domandò, facendo un sorrisetto e alzando un sopracciglio.

Cercai di riacquistare la calma. - No guarda, quel pupazzo di neve!- Indicai con l'indice destro un ammasso di neve, ormai deforme, che avevo fatto qualche giorno prima mentre andavo a scuola, nel parco.- La smetti di prendermi in giro?

  • Perché sei così arrabbiata, Evans?- Mi chiese, sempre impassibile.

Continuai a camminare, dandogli le spalle, ma non senza parlargli:- Me lo chiedi pure? Ti rinfresco la memoria: primo, l'altro giorno mi hai scaricata in quel bar e te ne sei andato con quel tuo amico Craig che, tra l'altro, ho scoperto recentemente essere un poco di buono, secondo, oggi a scuola mi hai guardata per tutto il tempo come se ti facessi ribrezzo e terzo, mi devi ancora una spiegazione per la storia della maglie-

Non ebbi il tempo di finire la frase, che una palla di neve mi colpì sulla nuca, così, infuriata, mi voltai molto lentamente.

  • Mi hai appena tirato una...

Subito Blaze me ne tirò un'altra, che mi colpì in pieno viso. Tolsi la neve dalla faccia con una mano e vidi che lui stava ridendo di gusto.

  • Questa me la paghi, stronzo!

Mollai lo zaino in mezzo alla neve e mi misi a rincorrere Blaze, che intanto era scappato da qualche parte dietro cespugli bianchi come nuvole e scivoli ormai impraticabili. Mi chinai per prendere un po' di neve, ma una palla mi colpì sul sedere. Scattai in piedi e lo vidi dietro di me, piegato in due dalle risate. Approfittai della situazione e gli tirai ciò che avevo in mano, ma la mia mira era pari a zero. La palla gli sfiorò solamente un braccio e cadde, mischiandosi con il resto del prato.

Blaze rise:- Non mi hai nemmeno beccato!

Mi morsi il labbro e mi misi a ridere: dopotutto avevo fatto una figuraccia.

  • Scappa o te ne pentirai!- Urlai.

Blaze corse tra i giochi del parco, e solo allora mi accorsi che non aveva su il giubbino. Non aveva freddo? Non mi soffermai tanto a pensarci, perché la questione scomparve dalla mente proprio come mi era arrivata e mi concentrai sulla battaglia. Purtroppo Blaze era molto più veloce a correre e più agile di me a muoversi nella neve, così lo persi di vista, ma non mi arresi. Feci passare una mano su un'altalena e raccolsi la neve, poi, camminando lentamente, cercai di scoprire dove si fosse nascosto.

  • Blaze, dove sei?- Dissi, dolcemente.- Stai tranquillo, ti assicuro che non ti succederà nulla di male se vieni fuori subito.

Né io né lui sapevamo che ciò era vero, ma lui mi prese alla lettera e sbucò da dietro un albero che avevo davanti. La vicinanza tra noi due mi fu di aiuto e scagliai la palla di neve, che stavolta lo colpì sulla guancia sinistra. Appena ebbi tirato la palla, Blaze mi afferrò per la vita e cademmo nella neve.

  • Ahi!- Affermai.

Blaze si trovava proprio sopra di me e mi fissava con un sorrisetto malizioso. Non promette nulla di buono, pensai, ed infatti fu così: con la mano destra prese della neve e me la spalmò in faccia. Il contatto con la neve fredda mi fece trasalire. Quando Blaze ebbe finito di riempirmi il viso e fu soddisfatto del suo lavoro, con la mano destra mi tolsi subito tutta la neve, senza lasciargli nemmeno assaporare il frutto del suo lavoro. Mi morsi un labbro per non ridere.

  • Sei ancora sporco.- Dissi, pulendogli la guancia dalla neve.

Rimanemmo così, per qualche minuto, a fissarci negli occhi. La neve lo rendeva ancora più bello: i suoi capelli scuri e ribelli e i suoi occhi verdi contrastavano nettamente con il bianco che ci circondava.

  • Scusa, mi sposto.- Disse, sdraiandosi accanto a me. Il vento sembrava essersi fermato e perfino le persone sembravano scomparse. C'eravamo solo Blaze e io, sdraiati in quella distesa bianca. Passò qualche interminabile minuto prima che uno di noi due aprì bocca.

  • Quindi... abbiamo intenzione di rimanere qua per sempre?- Domandai.

  • Perché no? Si sta bene.

Mi tirai sui gomiti, tanto quanto mi bastava per vederlo. Blaze aveva le mani incrociate dietro la testa e mi fissava con un sopracciglio alzato.

  • Non senti... freddo?

Fece per scuotere la testa, ma si fermò. - Un pochino.

- Io vado a casa, tieni questa, altrimenti ti ammali.- Mi alzai e mi tolsi la sciarpa, lasciandogliela cadere sulla pancia. - Penso che la Anderson si arrabbierebbe se il suo più bravo studente di letteratura si prendesse un raffreddore.

Non attesi la risposta e iniziai a camminare verso casa. Le parole di Blaze mi arrivarono leggere all'orecchio.

  • Grazie.

Mi voltai: lui era ancora sdraiato nelle neve.

  • Di nulla, ma ricorda che anche oggi hai accuratamente evitato di parlare della storia della maglietta. La prossima volta, costi quel che costi, tu mi dirai tutto.

Quando ebbi finito di pronunciare quelle parole mi voltai, soddisfatta e compiaciuta di me stessa per ciò che ero riuscita a dirgli.

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Capitolo 9
*** - Capitolo 9 ***


Ciao a tutti! Come state? Come avevamo già detto i tempi di pubblicazione si stanno un pò allungando, e questo a causa di  nostri impegni ^^''
Piccolo avvertimento: dal prossimo capitolo le cose inizieranno a farsi un pò più... ''piccanti'', quindi continuate a seguirci ;)
A presto (si spera ahahah) ♥






Capitolo 9


 

Martedì mattina mi svegliai con una grande voglia di rivedere Blaze. Ciò che era successo il pomeriggio prima, mi aveva fatto sperare nuovamente che io e lui saremmo potuti andare d'accordo. Ero determinata a parlare e chiarire, sempre se lui lo avesse voluto.

Uscii dal letto e scesi le scale, attenta a non farmi sentire dai miei genitori, poi andai in cucina e feci colazione con del tè caldo e dei biscotti. Infine ritornai in camera e mi misi un paio di jeans stretti e un maglioncino blu, andai in bagno, mi misi del mascara e, mettendomi il giubbino e lo zaino in spalla, uscii di casa, dirigendomi verso Sue. Il pomeriggio prima avevano rimosso la neve dalle strade, così avrei potuto avere un passaggio per tornare a casa.

  • Allora, quest'auto cammina ancora?- Chiesi, sedendomi sul sedile.

  • Uhm, sì... il meccanico ha fatto ciò che doveva fare ed ora è come nuova.- Rispose, senza la minima convinzione.

  • Sarà. Ehi, cosa facciamo a Capodanno?- Domandai entusiasta.

  • Ho sentito che hanno aperto una pista di pattinaggio sul ghiaccio l'altro giorno alla radio, ed è anche vicino al centro. Magari possiamo andarci con Luke e Peter.

“...o Blaze” pensai.

Sue non lo conosceva minimamente: io a scuola ero quella che lo conosceva di più. Non aveva mai parlato con altre ragazze, eccetto quelle che gli andavano intorno per corteggiarlo, e anche con i ragazzi non andava molto d'accordo. Era un tipo strano, particolare, ma, in fondo, non mi dispiaceva.

L'auto entrò nel cortile della scuola, che per la prima volta era pieno di ragazzi con sciarpe e guanti e sigarette in mano. Mi slacciai la cintura e aprii la portiera. Mi sistemai la sciarpa, che avevo messo in cartella, al collo e raggiunsi Sue dietro la macchina.

  • Ne ho alcune in borsa, vuoi unirti a quel gruppo?- Mi chiese, indicando dei ragazzi di quinta.

  • Hai cosa?- Domandai confusa.

  • Sigarette. Le ho rubate dal pacchetto di mia mamma, che crede ancora di imbrogliarci tutti con la storia che ha smesso di fumare. Ne conosco due di quei ragazzi: sono simpatici e maturi.

  • Oh.- Scossi la testa.- Io passo.

  • Capisco, sarà per un'altra volta.- Mi disse.

Entrammo in corridoio e ci dirigemmo verso gli armadietti. Sistemai i libri, tenendo in mano solo quelli che mi servivano e mi diressi in classe. Sue mi aveva detto che sarebbe andata dal suo ragazzo per salutarlo prima dell'inizio delle lezioni.

Appena misi piede in aula guardai verso i banchi in ultima fila, e il mio sguardo incontrò quello di Blaze. Mi fece un veloce cenno della testa, accompagnato da un leggero sorrisetto. Lo salutai con la mano e poi mi andai a sedere. Improvvisamente mi era venuto caldo, così tolsi il giubbino e lo misi sulla seggiola. Notai solo allora che sul banco c'erano la mia sciarpa e i vestiti di Jake che Blaze mi aveva riportato. Mentre sistemavo l'occorrente per la lezione di chimica sul banco, davo delle piccole e veloci occhiate in direzione di Blaze, attenta a non farmi vedere. Sembrava vivere in un mondo tutto suo: non seguiva le lezioni, nessuno conosceva nulla di lui, nemmeno io e, anzi, quel poco che sapevo gli aveva peggiorato la reputazione, eppure a scuola aveva dei voti altissimi e sembrava che la sua vita privata non interessasse granché alle ragazze. Ovviamente io ero l'eccezione.

Sue mi raggiunse poco prima che il professore entrasse in classe accompagnato da una studentessa. D'un primo momento pensai che fosse una sua studentessa di quinta, ma dovetti ricredermi non appena l'insegnante parlò.

  • Sedetevi, per favore. Devo presentarvi una persona: lei è Cassandra Wilson e sarà la vostra nuova compagna di classe.

Spalancai gli occhi quando riuscii a vederla bene: era alta, snella, con un corpo perfetto; aveva due occhi verdi acqua, truccati con del mascara e una linea di eye-liner nero, dei lunghi capelli mossi color rosso fuoco, legati in una coda sulla cima della testa, e due labbra carnose.

  • Sarà una modella?- Mi chiese Sue, mettendosi una mano davanti alla bocca per non farsi sentire.

  • Probabile, ma quella gonna è troppo corta.- Ribattei.

In effetti portava una camicetta bianca, sbottonata fino all'inizio dei seni e una gonna color bordeaux che le arrivava a metà coscia. Il comportamento dei ragazzi, al suo arrivo, era cambiato notevolmente: prima erano stanchi e privi di qualunque entusiasmo, poi si erano ripresi e sui loro volti era comparso un leggero sorrisetto. Perfino Blaze, che fino ad allora era stato seduto con la testa appoggiata alla mano a scarabocchiare qualcosa sul banco, vedendola, restò con gli occhi spalancati.

  • Prego, si accomodi pure, signorina. Là c'è un banco vuoto.

  • Con piacere.- La sua voce non era di certo meno bella del suo aspetto.

Senza dir nemmeno una parola, ma con una sguardo compiaciuto per tutte quelle occhiate maliziose dei ragazzi nei suoi confronti, percorse tutta l'aula e giunse fino in fondo. Quando arrivò accanto al banco vuoto nel quale sarebbe dovuta sedersi, afferrò un angolo del tavolo e lo tirò vicino a quello di Blaze.

Tutta la classe tacque.

Si conoscevano? Accavallò le gambe e la gonna si spostò, mostrando ancor di più le cosce. Tom, un mio compagno di classe, guardò Blaze e gli fece l'occhiolino. Quanto detestavo quel comportamento dei ragazzi! Nemmeno il professore si degnò di aggiungere qualcosa o di rimproverarla; l'unica cosa che disse fu: '' ...Ok, iniziamo la lezione.'' Le cose tra me e Blaze sembravano potersi riparare, ma sempre più inconvenienti sembravano separarci l'un dall'altro.

Dopo l'arrivo della nuova ragazza, Cassandra Wilson, le lezioni continuarono normalmente: ragazzi annoiati, ragazze -naturalmente- scocciate dalla presenza di una ''top-model'' in classe, e professori non curanti di nulla. Durante tutta l'ora di lezione la nuova arrivata non fece altro che osservare il suo vicino di banco ed ogni volta che mi voltavo verso di loro mi sentivo bruciare dalla rabbia.

 

Il suono della campanella mi fece trasalire. L'ora di storia era stata una noia mortale e avrei anche potuto dormire, se non fosse per il fatto che ero in prima fila. Presi la merenda che tenevo in cartella e iniziai a mordicchiare qualche pezzo di pane, mentre Sue si stiracchiava le braccia dietro la schiena.

  • Mi accompagni da Luke?- Mi chiese sorridendo.

  • Ho da fare.- Dissi; cosa che in effetti era vera.

  • Ci vediamo dopo allora. Ti saluto Peter?- Mi chiese.

  • Come ti pare.- Forse avevo pronunciato quelle parole con un tono di voce abbastanza freddo, perché quando guardai Sue la trovai scioccata, così aggiunsi: - Certo! Sto scherzando.

Sue si guardò intorno con aria sospetta e poi, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nei dintorni, si avvicinò.

- Ma... le cose tra te e Peter come vanno? Voglio dire, vi state frequentando?

Per un attimo smisi di mordere il panino e la fissai immobile negli occhi. Non ci avevo nemmeno pensato: non avevo mai ritenuto Peter come un mio potenziale fidanzato; a ripensarci, lui aveva dato più volte prova di non volere da me solo una semplice amicizia, ma fino a quel momento avevo creduto che quel comportamento facesse parte del suo carattere.

  • No. Almeno, per me è così.- Dichiarai.- Ammetto che è un bel ragazzo, ma non è il mio tipo.

Mi rivenne in mente la giornata in cui lui aveva tentato di baciarmi, o almeno così credevo, e arrossii leggermente.

  • Allora com'è il tuo tipo?- Mi chiese curiosa.

  • Ma non dovevi andare da Luke? Ti starà aspettando, poverino!- Esclamai per cambiare discorso.

  • Eh no, non mi freghi cara! Sputa il rospo.

Sue non sembrava cedere: - Facciamo così: adesso vado a fare un giro per i corridoi, così mi schiarisco le idee e poi ne parliamo, ok?- Non le lasciai tempo di rispondere.- E anche se non ti va bene io ci vado lo stesso!

Mi alzai dalla seggiola e mi fiondai fuori dall'aula. Avevo mille pensieri in testa e un unico obbiettivo: trovare Blaze. Al suono della campanella era subito uscito dall'aula, seguito dalla nuova arrivata.

Inoltrandomi sempre di più tra i corridoi pieni da alunni, mi misi a rimuginare su tutto ciò che mi era capitato. Blaze era entrato nella mia vita da un giorno all'altro, ma prima di lui c'era stato quell'incidente con l'autobus. Il veicolo aveva sobbalzato e quando ero scesa avevo visto un ragazzo a terra; pochi secondi ed era corso via, rialzandosi come se nulla fosse. Dopo le lezioni mi ero incamminata verso casa a causa dello sciopero dei mezzi pubblici e Blaze mi aveva riportata a casa. L'avevo seguito fino alla fabbrica per vedere che cosa facesse in un posto del genere, ma, oltre a farmi quasi beccare, non ero riuscita nemmeno a scoprire granché. Il giorno dopo non era venuto a scuola, ma quando l'avevo rivisto mi aveva chiesto dei vestiti per chissà quale motivo. Aveva chiesto di mio fratello ed io, stoltamente, gli avevo raccontato alcune cose. Poi era successo tutto il trambusto riguardante il nostro incontro al bar Da Carlo per la maglietta, e poi era subentrato anche Peter...

Svoltai a sinistra, facendomi spazio tra i ragazzi. Una coppia di fidanzati si stava baciando, incuranti di tutto ciò che li circondava, contro un armadietto. Un ragazzo basso, esile e con dei grossi occhiali sul naso, era, tremante, pressato contro il muro da dei ragazzi più grandi. Se la vigliaccheria fosse stata un po' meno presente in me, avrei anche potuto andare ad aiutarlo, ma esitai. Mi fermai ad osservare la scena, che mi provocava una terribile tristezza. Ragazzi alti, muscolosi, spingevano il poveretto da tutte le parti, mentre lui si limitava a tenere lo sguardo basso e a stringersi i libri al petto. Strinsi i pugni e feci qualche passo incerta. Cosa avrei potuto fare io? Ero alta poco più di quel ragazzo, mentre quei tizi arrivavano quasi allo stipite della porta.

  • Ehi!- Dissi, cercando di mantenere un tono di voce neutro.

  • Perché non lo lasciate stare?

Qualcuno era intervenuto al posto mio. Mi voltai e mi trovai accanto Peter. Mi fece un veloce sorriso, poi focalizzò la sua attenzione sui quei quattro bulli.

  • Che hai?- Sbuffò uno di loro, dirigendosi verso di noi.

Da vicino faceva ancora più paura.

  • Non state esagerando?- Disse tranquillamente il salvatore.

  • E tu chi sei per dire a noi se stiamo sbagliando o no?- Un altro ragazzo, alto, con i capelli rossi, ci raggiunse.

  • Io nessuno, ma scommetto che la Signora Louis sarà molto scontenta nel sentire che suo figlio Klarc importunava uno studente di prima.

  • Ehi, come fai a conoscere il mio nome?- Chiese il ragazzo che aveva parlato per primo.

Wow. Peter mi stupiva ogni giorno di più.

  • Mio padre è Richard Kollins, direttore di una concessionaria di auto. Si da il caso che tua madre sia dipendente lì e che una sera sia venuta a casa nostra a cenare. Era così orgogliosa di suo figlio...- Non terminò la frase, dando a quelle parole ancora più senso di sfida.

Mi morsi il labbro per non ridere. Ottima mossa! Quei quattro individui si guardarono cupi. Klarc si morse il labbro e fece una smorfia, poi disse:

  • Solo per questa volta, Kollins.

Si voltò verso il ragazzo ancora tremante e, con un colpo di mano, gli buttò a terra tutti i libri che teneva stretti al petto.

Quando io e Peter rimanemmo soli, andammo verso il ragazzo ancora spaventato per quel suo brutto incidente e lo aiutammo a raccogliere i libri.

  • Tutto bene?- Mi avvicinai e gli passai un libro.

  • Sì... Grazie.- Si sistemò gli occhiali sul naso e si calmò un po', prima di riparlare:- Mi chiamo Dustin.

  • Piacere Dustin. Noi siamo Sheila e Peter. - Gli feci un sorriso.- Forse è meglio se torni in classe... Mi sembri ancora un po' scosso.

Senza obiettare si diresse verso il corridoio, schivando ogni persona e ogni sguardo.

Quando Dustin se ne fu andato, mi voltai verso Peter e lo ringraziai del suo aiuto.

  • Ti va di andare a fare un giro?- Mi chiese ad un certo punto.

Avrei accettato volentieri, se non fosse per il motivo che dovevo incontrare qualcun altro. Incurvai leggermente le sopracciglia e Peter intuì che avrei risposto negativamente, così si affrettò ad aggiungere:

  • Oh, ma non fa nulla. Senti She, conosco un posto carino che si chiama ''Born to hell''; è una discoteca e mi piacerebbe andarci con te e con Sue e Luke. Pensaci su, ok?

Peter mi si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia, poi si voltò e continuò a camminare lungo il corridoio. Lo fissai per qualche secondo mentre si inoltrava nella folla di studenti, poi continuai imperterrita il mio percorso.

Salii le scale che portavano all'ultimo piano, sicura che lì avrei trovato Blaze, e la mia intuizione non fu sbagliata: lui si trovava nello stesso punto dell'altra volta, in piedi , con le mani in tasca, appoggiato alla parete. C'era però una cosa diversa nella scena, ossia Cassandra. Se ne stava in piedi innanzi a lui, guardandolo con degli occhi vogliosi. Mi spiaccicai contro la parete, cercando di nascondermi dietro la porta. Ringraziai il cielo del fatto che quell'angolo della scuola fosse deserto, altrimenti non avrei osato immaginare la figuraccia che avrei fatto. Sbirciando da una fessura notai che Blaze, a differenza di lei, sembrava scocciato da quel discorso, mentre Cassandra era seria e al contempo  stesso provocatoria.

Mi sporsi un po' dalla porta, ma in quel momento lei si voltò e i nostri sguardi si incrociarono. Il mio cuore fece un salto. Cassandra fece un sorrisetto e si voltò verso Blaze. Avvicinandosi a lui gli posò le labbra sull'orecchio e gli sussurrò qualcosa. Avrei voluto sentire anche io ciò che si erano detti, magari anche la nuova arrivata c'entrava qualcosa con il mistero che avvolgeva la fabbrica.

Blaze si girò verso di me e mi fissò. Senza esitare scappai via, scendendo le scale correndo e precipitandomi in classe. Quando giunsi dentro mi accorsi di avere il fiato corto, così mi sedetti e aspettai di calmarmi.

Però, chi l'avrebbe mai detto? Blaze e quella tizia si conoscevano e, a quanto sembrava dalla loro vicinanza, erano anche in molta confidenza.

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Capitolo 10
*** - Capitolo 10. ***


Eccoci di nuovo qui! L'attesa è stata lunga, ma credo ne sia valsa la pena ;) Questo capitolo è pieno di fatti interessanti... e dai prossimi la storia inizierà ad entrare nel vivo dell'azione :D
Grazie mille a chi ci ha scritto, a chi si segue e/o ci ha messo tra i preferiti

SophieClefi




Capitolo 10


 

Era passata poco più di una settimana dall'ultima volta che avevo parlato con Blaze; ora non ci sentivamo nemmeno più. A scuola passavo il tempo con Sue, mentre nelle pause si aggiungevano a noi anche Peter e Luke. Con loro mi divertivo e in parte riuscivo anche a non pensare sempre a Blaze, ma ogni tanto, quando mi ritrovavo sola in casa, mi veniva da pensare a cosa stava facendo lui in quel momento, se si trovava nella fabbrica, magari in compagnia di Cassandra. Durante le lezioni non osavo mai voltarmi o guardarlo e, a quanto pareva, nemmeno lui era intenzionato a rivolgermi la parola. Forse avrei dovuto lasciarlo perdere una volta per tutte, senza dovermi rovinare il fegato a capire cosa gli passasse per la testa, ma non ci riuscivo.

In questi giorni avevo cercato di immergermi nella scuola, studiando e recuperando le materie che erano in una situazione critica. Era ormai già il ventidue dicembre ed era l'ultimo giorno di scherma e di scuola, prima delle vacanze di Natale.

Mi voltai e fissai la sveglia sul comodino: segnava le sette. Mi alzai dalla scrivania, chiudendo i quaderni che avevo aperti sul banco e sistemando penne e matite nell'astuccio. Uscii dalla camera e scesi le scale, fiondandomi in cucina. Cercai della pasta, del sugo e tutto ciò che mi sarebbe potuto servire per fare una cena decente e dopo una quindicina di minuti riuscii a mettere qualcosa sotto i denti. Lavai a mano piatti e bicchieri e misi ciò che mi era avanzato nel forno, in caso mamma e papà lo avessero voluto mangiare una volta tornati dal lavoro. Il telefono di casa squillò, così andai in salotto e presi in mano la cornetta.

  • Pronto?- Domandai.

  • Sheila, tesoro sono la mamma. Adesso torniamo a casa, hai mangiato di già?

Dal suo tono di voce percepii che dovesse essere stanca. - Sì, ma ho lasciato della pasta in forno.

  • Va bene. A scuola tutto ok?

  • Certo, vi racconterò meglio quando arriverete qui.

Ci salutammo velocemente e, non appena riagganciai, sentii il mio cellulare dalla camera suonare. Feci una corsa e afferrai velocemente il telefono che si trovava sul letto.

  • Sue, ciao.- Dissi.

  • Ciao, cara. Senti, Peter mi ha detto che ti ha già avvisata, ma io ho preferito chiamarti lo stesso...

  • Avvisata su cosa?- Chiesi, un po' titubante.

  • Lo sapevo che avrei fatto bene a ridirtelo! Domani c'è una mega festa in una discoteca sul mare, si chiama ''Born to Hell'' e tu, io, Luke e Peter ci andremo, vero?

Quando Sue pronunciò il nome del locale mi ricordai subito del giorno in cui io avevo salvato Dustin dai bulli con l'aiuto di Peter e lui mi aveva invitata in quel posto.

  • Chiedo ai miei genitori non appena tornano, ma credo possa andare bene.

Sentii Sue urlare dall'altra parte del telefono. - Ci divertiremo, stanne certa!

Sorrisi. - Lo spero! Ora torna a fare matematica, che se non la recuperi devi rifare l'anno!

  • Uff, guastafeste! Senti... un vestitino carino ce l'hai?

  • Dovrei vedere nell'armadio. E se mi mettessi la maglietta che mi hai regalato al compleanno?

  • Si può fare, ma ti porto io una gonna. Tacchi?

  • Sinceramente Sue, mi hai mai vista con i tacchi?

  • Effettivamente mai, ma potresti fare qualcosa per risaltare agli occhi di Peter.

''Effettivamente'' non vedevo nemmeno il motivo per cui avrei dovuto vestirmi bene per farmi vedere da lui. Che lui ci provasse con me, era una cosa, ma io non riuscivo a vederlo come un mio potenziale ragazzo. Forse perché non ne avevo mai avuto uno, forse perché semplicemente non era il mio tipo.

  • Se mi mettessi i tacchi diventerei lo zimbello della serata.- Esordii.

  • Oh...giusto, tu non sai camminare, vero? Ok, allora ballerine e alle nove e mezza sono da te. Ciao tesoro.

  • Va bene, ciao Sue.

Quando appoggiai il telefono sul comodino nella casa ritornò a regnare un silenzio di tomba, e allora capii di sentirmi davvero sola. Finché Jake era vivo, non avevo mai avuto paura di stare in casa, sapevo che lui ci sarebbe sempre stato per me, che se mi fosse successo qualcosa, sarebbe corso in mio aiuto, ma ora... ora era diverso. C'erano giorni in cui per ogni singolo rumore mi spaventavo. All'inizio avevo anche pensato alla presenza di un fantasma, magari quello di mio fratello, e allora tornavo serena.

Un rumore fortissimo, come di una finestra che si rompeva, mi martellò le orecchie. Spalancai gli occhi e sentii il cuore in gola. C'era qualcuno in casa. Gettai un'occhiata verso la porta della mia camera, aperta, che permetteva di vedere il corridoio e le scale per scendere di sotto. Restai in ascolto e udii cassetti che si aprivano e ante che sbattevano. Ladri? Feci dei passi, incerta e tremante, cercando di non fare rumore. Pensai a cosa avrei potuto prendere per proteggermi. Istintivamente presi il cellulare e inviai un messaggio a Sue con scritto: QUALCUNO E' ENTRATO IN CASA MIA E STA FRUGANDO NEI CASSETTI. TI PREGO VIENI QUI IN FRETTA!

Feci scorrere le dita sudate e tremanti lungo tutto il bordo della scrivania e, quando giunsi alla porta, mi affacciai leggermente per vedere se c'era qualcuno. Non riuscii ad individuare nessuna persona, ma i rumori di sotto continuavano. Afferrai la lampada che avevo a sinistra e che accendevo la sera, quando studiavo, e la tenni stretta forte contro il petto. Mi accucciai a terra e mi morsi il labbro. Il cuore mi batteva fortissimo ed iniziai a pregare. Mamma, papà, tornate presto! Qualcuno venga a salvarmi!

Sapevo che Sue ci avrebbe impiegato minimo venti minuti per arrivare fino qua, così mi rimaneva solo di aspettare che quel ladro se ne andasse e non mi trovasse.

Aspettai. Aspettai tremando, finchè i rumori cessarono. Feci due profondi respiri e mi rialzai. Mi sporsi dalla porta e guardai giù in salotto: nessuno. Mi feci coraggio e feci dei passi fuori dalla stanza, accompagnata da umide lacrime che mi scendevano dagli occhi.

Arrivai alla scala ed appoggiai il primo piede sul gradino. Continuai così finché non giunsi in fondo; mi guardai attorno, ma in salotto non vi era nulla di rotto, e così in cucina: ogni cosa era esattamente come l'avevo lasciata. Un brivido gelato mi percorse la schiena: qualcuno era entrato nella camera di Jake. Controllai la porta della sua stanza, sempre con la lampada stretta nella mano sinistra. Afferrai la maniglia e la abbassai lentamente, ma dall'altra parte della porta non si udiva nulla. Tremando, feci aprire uno spiraglio e notai parte del letto di Jake pieno di fotografie. Spalancai la porta lentamente e vidi che la stanza era completamente stata messa all'aria. Le immagini appese alla bacheca si trovavano ora sparse per la stanza, l'armadio a destra aveva le ante aperte, la scrivania era diventata una montagna di carte e quaderni, contenuti una volta nei cassetti. La cosa che più mi colpì era però il buco nella finestra, fatto con un grosso masso che ora giaceva sul pavimento. Chiunque fosse entrato, lo aveva fatto sicuramente da lì. Mi voltai di impulso e corsi fuori dalla casa. Soltanto una volta che fui uscita mi sentii veramente al sicuro. Mi sedetti sui gradini della porta e attesi lì Sue, con una lampada stretta al petto e le lacrime agli occhi.


 

L'arrivo della mia amica fu accompagnato da un'automobile della polizia, dalla quale scesero gli stessi tizi della mattina in cui avevo investito Blaze: quello alto, riccio e rosso, e quello basso, grasso con i baffi.

Mi interrogarono e controllarono in casa, poi attesero tutti l'arrivo dei miei genitori, compresa Sue, che da quando era arrivata non mi aveva mai lasciato la mano. Quando mia mamma mi vide mi corse incontro e mi abbracciò forte, successivamente, lei e papà, sistemarono le cose con i poliziotti.

Qualche ora dopo entrammo in camera di Jake e mettemmo tutto in ordine, anche perché la polizia aveva riscontrato che non mancava alcun oggetto all'appello di quelli che erano nella stanza di mio fratello. La sera chiesi ai miei se fossi potuta andare in discoteca il giorno dopo e, anche se all'inizio un po' titubanti, alla fine accettarono, trovandola una scusa buona per farmi svagare un po' e non pensare alla faccenda dei ladri.


 

Sue arrivò da me alle nove, come mi aveva detto, mi prestò una gonna nera a vita alta, attillata, lunga fino a metà coscia, e ci abbinai sopra la maglia bianca a strisce nere che lei mi aveva regalato per il compleanno. Mi aiutò a truccarmi ed infine si sistemò anche lei. Sue indossava un abito stretto senza spallini con lo scollo a cuore, tutto nero, e portava delle scarpe con il tacco. Si era messa del rossetto rosso, un paio di orecchini ovali, e aveva lasciato sciolti i capelli, mentre io avevo un trucco meno appariscente del suo: lucidalabbra, mascara nero e matita agli occhi.

Indossai le ballerine e raggiunsi Sue all'ingresso.

- Mamma tornerò circa all'una, non aspettarmi alzata!- Urlai.

Dal bagno mi arrivò la sua voce ovattata. - Va bene tesoro, divertiti.

Ci fiondammo in auto, entusiaste per la serata che ci aspettava. Durante tutto il tragitto Sue mise il volume della radio quasi al massimo, ma non mi infastidiva, forse perché ciò che avrei vissuto dopo sarebbe stato peggio di quello. ''Born to hell'' era un discoteca abbastanza famosa e frequentata dai ragazzi dai sedici anni in su, che si trovava sul lungomare, a qualche chilometro dalla città.

Una volta entrate nella villa, ci ritrovammo immerse in auto di ogni genere, parcheggiate sui lati della strada principale che univa il cancello dorato all'ingresso della discoteca. Una volta sistemata l'auto aspettammo i nostri compagni vicino alla porta d'entrata, dove era posto un omone grande e grosso: il body-guard.

''Born to hell'' era un locale di forma rettangolare di due piani, sovrastato da una mega-terrazza all'aperto, dove in estate si facevano le feste. L'ingresso, formato da due colonne bianche, sopra le quali stava posta l'insegna con il nome del posto, era pieno di ragazzi, messi in fila accanto al body-guard, pronti per entrare.

Mi appoggiai con la schiena alla parete vicino all'entrata. La musica house mi arrivava violenta all'orecchio e mi riempiva di carica. Non ero mai stata la ragazza tipica da disco, che si scatena una volta in pista, ma ogni tanto mi capitava di ritrovarmi tra la folla a saltare e ridere.

In lontananza vedemmo arrivare i nostri due ragazzi. Vedendoli da vicino notai che avevano un aspetto molto diverso rispetto a quello che avevano di solito a scuola: forse erano le pettinature piene di gel, forse erano le camice, forse era solo l'atmosfera.

  • Tesoro per l'entrata è tutto ok, vero?- Chiese Sue rivolta a Luke.

  • Certo, il mio amico Stefen ci farà entrare in un batter d'occhio!- Commentò, facendo l'occhiolino.

Sorrisi, piena di entusiasmo e seguii i miei amici che si avvicinavano alla cassa. Vidi Luke dire qualcosa al ragazzo che era seduto dietro il banco e poi ci fece cenno con la mano di seguirlo nella discoteca. Non sapevo né cosa Luke avesse detto al cassiere, né se dovevo pagare qualcosa per l'entrata, ma una volta dentro non me ne importava più nulla. Di fronte a noi, dalla parte opposta della sala c'era il dj, intento a mixare canzoni e luci, mentre sopra, c'era il secondo piano, cioè una specie di balcone a forma rettangolare con un buco in mezzo, in modo che chi stava sopra riuscisse a vedere la gente che ballava.

  • Tesoro noi andiamo a prendere da bere, vieni?- Mi disse la mia amica urlando.

  • Non ne ho voglia, vado a ballare.- Le risposi, utilizzando più o meno lo stesso tono di voce.

Sentii qualcuno afferrarmi per la vita e mi voltai, ritrovandomi il viso di Peter accanto.

  • Ti va di scatenarti, eh? Sai, mi chiamano ''il re della pista da ballo'', quindi ti lascio immaginare. Se non mi hai mai visto in azione non hai mai visto realmente qualcuno ballare!- Affermò, con molta sfacciataggine.

  • Allora mostrami il tuo talento!- Ribattei, dandogli un pugno leggero sulla spalla.

Lui mi sorrise e, tenendomi per mano, mi portò al centro della pista. C'era gente dappertutto, che beveva, ballava o, negli angoli, che faceva altro -diciamo-.

Peter iniziò a muoversi a ritmo di musica, muovendo tutto il corpo. Era davvero sbalorditivo! Doveva essere stato a davvero tante feste per saper ballare in quel modo! Le ragazze intorno a noi si fermarono e si voltarono a guardarlo, urlando cose come “Quanto è figo!” oppure “Com'è sexy!”. Alcune iniziarono a mordersi i labbri, altre iniziarono a muoversi per farsi notare, mentre altre ancora avevano pure il coraggio di andare da lui e strusciarvisi contro per bene. Scossi la testa ridendo e uscii dalla pista da ballo, lasciando a Peter tutto il divertimento.

Trovai una poltrona libera e mi ci fiondai. La gonna di Sue era davvero troppo corta per i miei gusti, così evitai di accavallare le gambe. Guardai in direzione della pista e notai il mio amico, scatenato come non mai, ballare la canzone ''I'm sexy and I know it'', ovviamente remixata dal dj. D'un tratto lo vidi però guardarsi attorno e, quando mi vide, mi raggiunse, muovendosi e mordendosi il labbro inferiore in modo provocatorio. Quando fu a pochi passi da me risi, poi mi alzai ed iniziai a ballare insieme a lui, con una sua mano appoggiata sulla mia schiena. Continuammo così fino alla fine della canzone, finchè non mi attirò a sé, stringendomi i fianchi con le mani.

  • Vado al bar, vuoi qualcosa?- Mi domandò.

  • Una vodka, grazie.

Lasciò la presa e si diresse verso le scale che portavano al piano superiore, dove c'erano i tavoli e le bevande. Lo seguii con lo sguardo fino a che non raggiunse il secondo piano. Lo vidi salutarmi con la mano, mentre si sporgeva dal balcone che dava sulla pista e io ricambiai con un sorriso. Mi voltai e raggiunsi la mia poltrona che, magicamente, era rimasta vuota.


 

Passarono interminabili minuti prima che Peter tornò da me più brillo che mai. Inizialmente pensai al fatto che non si fosse sentito bene ed avevo intenzione di andare a cercarlo, ma poi ci avevo ripensato e rimasi ad aspettare ancora un po', pensando che la causa di così tanta attesa non fosse altro che la numerosa folla di gente che c'era nel locale; ma fu solo quando vidi comparire sulle scale la sua figura ondeggiante che capii che si era ubriacato. Più si avvicinava più riuscivo a distinguere che aveva in mano un bicchiere di un alcolico che non assomigliava affatto alla vodka. Scattai in piedi, indecisa su ciò che avrei dovuto fare.

  • Scusa tesoro.- Mi disse una volta arrivato di fronte a me. -Vuoi contribuire?-

Mi porse il bicchiere, ma con una faccia disgustata lo allontanai con una mano.

  • Stai d'incanto con quel vestito!- Affermò squadrandomi storto.

  • Grazie, ma avrei preferito sentirmi dire una cosa così da una persona sobria e non da una ubriaca fradicia.

Non appena ebbi pronunciato quelle parole mi voltai, per andarmene, ma la sua mano mi afferrò un polso e mi costrinse a girarmi. Non ebbi il tempo di parlare, di pensare e nemmeno di reagire, che mi ritrovai le sue labbra proprio sopra le mie. Orripilata, mi staccai dalla sua presa urlando, ancora sconvolta.

  • Cosa diavolo ti salta in mente?!- Ero infuriata.

  • Piccola rilassati. Lo so che lo vuoi.- Il suo tono di voce faceva intendere perfettamente ciò che aveva in mente.

Peter ritornò all'attacco e mi afferrò nuovamente per i polsi, stavolta con entrambe le mani, lasciando cadere il bicchiere per terra. Urlai con tutte le mie forze, pregandolo di lasciarmi, ma la musica copriva la mia voce. Mi portò in un angolo della sala e mi sbatté con forza contro il muro.

  • Ti prego Peter, cerca di ragionare!- Lo supplicai, ma lui non ne volle sapere.

Mi prese per i fianchi ed iniziò a baciarmi il collo. Ogni suo bacio lasciava un brivido gelido sulla mia pelle. Iniziai a prenderlo a pugni sul petto, così mi afferrò le mani e me le tenne strette sopra la testa. Quando poi la mia bocca venne di nuovo in contatto con le sue labbra, mi sentii scoppiare. Iniziò a baciarmi sempre più violentemente, mentre il fiato mi diventava sempre più debole.

  • Peter non respiro!

Dopo le mie parole mi lasciò stare per un po' e continuò a puntare la sua attenzione sul mio collo, dove mi lasciò innumerevoli succhiotti. Con una mano mi alzò la maglietta ed iniziò ad accarezzarmi la pancia. Trattenni il fiato. Fissavo i suoi occhi vuoti e privi di qualsiasi sentimento e subito dopo vagavo con lo sguardo in giro per la sala, in cerca di aiuto. Sue, Luke!

  • Questo sarà forte.- Mi avvisò, mentre io lo fissavo con aria supplichevole, scuotendo il capo.

Mi baciò di nuovo, ma stavolta in modo più focoso. Sentire la sua lingua dentro la mia bocca mi provocava un disgusto enorme. La sua mano intanto era salita ed era arrivata fino al mio seno. Quando mi toccò per la prima volta rimasi del tutto sbalordita, ma, proprio in quell'istante vidi comparire da sinistra un pugno, che lo scaraventò a terra. Io rimasi immobile, coprendomi il viso con le mani per nascondere le lacrime. Mi voltai e vidi Blaze.

- Che cazzo credi di fare eh?!- Intuii dal suo tono di voce che fosse infuriato nero e, ovviamente, Peter non gli rispose, poiché non aveva nemmeno le forze per rialzarsi. -Se la tocchi un'altra volta non mi limiterò solo a spaccarti la faccia!-

Blaze gli tirò un calcio in pancia e mi trascinò fuori dal locale tenendomi per mano, passando dalla porta sul retro al fine di evitare il contatto con il body-guard.

Uscimmo dal cancello della villa e continuammo a camminare lungo la strada. La mia vista era offuscata e mi sembrava ancora impossibile che Peter mi avesse fatto ''quello''. Mi portai una mano al collo e sentii nuovamente la sensazione che avevo provato quando lui mi aveva baciato: dolore, ma non dolore corporale, ero rimasta ferita dal suo comportamento.

  • Ti fa male?-

Alzai lo sguardo e guardai Blaze, che, dopo aver pronunciato quelle parole, si era subito voltato.

  • No.- Dissi con un filo di voce.

In quell'istante si fermò e si voltò. Ci fissammo in viso e notai che la sua mascella era contratta. Mi lasciò la mano e iniziò a sfilarsi la felpa. Quando ebbe finito me la porse.

  • Tieni. Mettitela o ti prenderai un raffreddore.

Senza proferire parola la indossai. Mi stava di qualche taglia più grande, ma in compenso aveva un buon odore. Blaze si avvicinò lentamente e mi abbracciò. Non sapevo perché, ma in quella situazione l'unica cosa che volevo fare era piangere e sfogarmi con qualcuno. Così mi ritrovai tra le sue braccia, con le guance piene di lacrime, con gli occhi rossi, a piangere come una bambina, lasciandomi accarezzare i capelli dalla sua mano gentile.


 

L'auto di Blaze faceva uno strano rumore, forse a causa delle basse temperature o forse perché era da tempo che non la faceva riparare. Poco dopo aver raggiunto la vettura avevo avvisato la mia amica che sarei tornata a casa prima e che un giorno le avrei spiegato cosa era successo. Ero seduta nel posto passeggero, con le mani appoggiate sulle ginocchia fissando la persona che avevo accanto.

- Cosa c'è?- Disse sbuffando.

Non risposi. Già altre volte mi aveva chiesto se ci fosse qualche cosa che non andava, ma io, in tutta la serata, non avevo mai risposto. Mi voltai dalla parte del finestrino e, guardando fuori, lo ringraziai.

- Grazie.- Dissi sinceramente.

Con una manovra brusca l'auto si fermò in mezzo alla strada che portava a Sant Heaven e fui leggermente spinta in avanti.

- Cosa ti prende?- Chiesi.

Blaze si voltò a fissarmi, poi sospirò e appoggiò la testa sul volante.

- Per un certo periodo non verrò a scuola. Non so se ci vedremo dopo le vacanze di Natale.-

- Perché?-domandai. -E' successo qualcosa?-

- Sto sbagliando tutto. Io... penso di essermi affezionato a te.-

Spalancai la bocca e gli occhi mi si illuminarono. Feci un leggero sorriso. Finalmente dopo una serata orribile come quella, avevo avuto una bella notizia, più o meno.

- Ed è per questo che te ne vai? Non c'è nulla di male!- Esclamai.

Blaze si girò e i nostri sguardi si incrociarono. I suoi occhi verdi rispecchiavano perfettamente ciò che provava: dolore, tristezza e solitudine. Nel suo sguardo c'era qualcosa di così misterioso...

- Prima, alla discoteca.- Iniziò.-Non ho colpito Peter perché ti ho vista in pericolo.

Scossi la testa, sforzandomi di capire cosa intendeva. Non mi voleva salvare?

- Quando ho visto quel tizio baciarti io...sono diventato geloso. Ho agito per pura e semplice gelosia. Poi mi sono avvicinato e ho scoperto che in realtà lui stava agendo secondo la sua volontà e non la tua.-

- Quindi...- Cercai di affermare.

- ...quindi lo avrei colpito anche se tu avessi voluto veramente baciarlo.- Concluse.

Rimasi allibita da ciò che le mie orecchie avevano sentito. Non avrei mai e poi mai immaginato che un ragazzo come lui avrebbe potuto fare una cosa simile, ma a quanto pareva mi sbagliavo. Aveva picchiato Peter solo perché era geloso; questo voleva dire che per lui ero speciale, no? Non sapevo più cosa pensare: nella testa sentivo ancora la musica del locale, mentre se chiudevo gli occhi vedevo Peter. L'unica cosa che volevo in quel momento era stare con qualcuno di cui mi fidavo, che non mi avrebbe mai fatto del male.

- Blaze, sei così... misterioso.- Affermai, tenendo lo sguardo basso. - Se ti facessi delle domande tu mi risponderesti?-

Lo sentii respirare forte prima che aprì bocca: - No, mi dispiace. Dopotutto è meglio così, credimi.-

Riaccese il motore dell'auto e continuammo ad avanzare. Dopo quelle sue parole non ci fu più alcun discorso. Forse anche lui stava male quanto me in quel momento.

Arrivammo nel cortile di casa mia e scendemmo. Le luci erano tutte spente in casa e ciò voleva dire che i miei genitori erano già andati a letto. Feci qualche passo in direzione della porta, ma quando sentii che Blaze non mi stava seguendo mi arrestai e mi voltai.

Lui se ne stava appoggiato al cofano della macchina, con le mani nei pantaloni di jeans.

- Credo che questo...sia un addio.- Disse semplicemente.

Improvvisamente sentii le lacrime scendermi sulle guance, così subito mi affrettai ad asciugarle con la manica della felpa.

- Mi accompagni fino alla porta?- Chiesi singhiozzando.

Si alzò dall'auto e mi seguì. Sentivo le gambe tremarmi ad ogni passo, mentre sentivo gli occhi scoppiarmi e il petto battermi ad un ritmo irregolare. Arrivati di fronte all'entrata mi voltai e restammo l'uno di fronte all'altra, ma con gli sguardi bassi. Non so cosa in quel momento mi fece trovare un briciolo di coraggio, ma riuscii a parlare.

- Qualche tempo mi sono fatta una promessa: avrei scoperto tutti i tuoi segreti, ad ogni costo. Quindi... sappi che non mi arrenderò.- Lo guardai negli occhi e lui fece lo stesso con me. Non esitai più di tanto e continuai il discorso, cercando di sorridere. - Io non ho paura di te Blaze Hataway!-

Gli tirai scherzando un pugno contro il petto e finii con l'appoggiarmi ad esso. Blaze mi cinse nuovamente con le sue braccia e mi racchiuse in tenero abbraccio. Non riuscivo nemmeno più a piangere, ormai non sarebbe cambiato più nulla.

- Sheila, se fosse per me ti racconterei tutto, ma non posso.- Farfugliò tra i miei capelli.

Mi staccai leggermente da lui e restammo a fissarci per qualche minuto. Lui mi spostò qualche ciocca di capelli dal viso, poi m accarezzò la guancia. Le sue mani erano calde e chiusi gli occhi. Improvvisamente nella mia mente apparvero le immagini della discoteca, di Peter ubriaco, dei suoi baci, del pugno di Blaze, e subito spalancai gli occhi. Blaze notò le mia reazione.

- Cosa è successo?-

- Blaze, ti prego ho paura. Resta ancora un po' con me.- Lo supplicai.

Esitò un attimo e poi rispose. - Scusa ma devo andare. Stare con te per più tempo peggiorerebbe solo la situazione. Ma... ti posso concedere una cosa, solo per stanotte, promettilo!- Io annuii: avrei fatto di tutto per sentirlo vicino. Tirò fuori un bigliettino dai pantaloni con scritto un numero. - Questo è il numero del mio cellulare. Chiama solo se hai bisogno di aiuto, ma domani mattina ti prego di buttarlo. Dobbiamo eliminare ogni contatto tra di noi.-

Nonostante le sue parole fossero dure, io lo ringraziai e gli gettai le braccia al collo. Ci abbracciammo forte, perché entrambi sapevamo che quella sarebbe stata l'ultima volta che ci saremmo rivisti. Allentai la presa e lui fece lo stesso. Scivolai piano fuori da quell'abbraccio e i nostri visi si trovarono a pochi centimetri di distanza. Vidi la sua mascella contrarsi un pochino: forse anche lui aveva capito la situazione. Le sue mani si strinsero con forza intorno ai miei fianchi e ci avvicinammo. Sorrisi e avvicinai il mio volto al suo. Le nostre labbra si sfiorarono appena, quando la porta di casa si aprì ed uscì mia mamma in camicia da notte.

Io e Blaze ci voltammo con la bocca spalancata e anche lei aveva un'espressione pressapoco stupita. Riuscì a dire un semplice: - Scusate.- e poi richiuse la porta. Voltai innumerevoli volte la testa in direzione di Blaze e della porta chiusa, incapace di proferire parola, così, nell'equivoco, lui si voltò e se ne andò, dicendo: - Forse è meglio così.-

Fu pochissimo il tempo che ci impiegò per salire in macchina ed uscire dal cortile di casa, così mi ritrovai sola di fronte alla porta. Ero certa che dall'altra parte avrei trovato mia madre con le braccia conserte in attesa di ricevere spiegazioni, così respirai due o tre volte profondamente prima di entrare in casa.

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Capitolo 11
*** - Capitolo 11 ***


Buon-salve a tutti ^w^ Non siamo morte! Dopo più di un mese (e ci scusiamo enormemente per questo) ecco qui l'undicesimo capitolo! Siamo davvero contente dei messaggi e delle recensioni ricevute fino ad ora e vi ringraziamo di cuore ♥ Promettiamo di aggiornare il più presto possibile :)
Baci, SophieClefi


 
 


Capitolo 11


 

Non era certo quello il modo in cui uno si immagina di presentare il proprio compagno di scuola ai suoi genitori, però io mi ero ritrovata proprio in quella strana situazione. Quando misi piede in salotto rimasi sconcertata dal fatto di trovare mia madre seduta sul divano intenta a guardare la televisione, ma quando mi avvicinai notai che i suoi occhi sembravano persi nel vuoto.

- Noi due dobbiamo parlare.- Disse con tono di voce decisamente neutro.

- Ok. Innanzitutto lui è un mio compagno di scuola.-Esordii.

- Come si chiama?-

Andai a sedermi sul divano accanto a lei e continuai il discorso. -Blaze. E' nuovo. Credo sia stato bocciato un po' di volte perché sembra molto più grande, però non è male.- Cercai di convincerla.

- Se lo dici tu.

- Dai, non ti piace neanche un po'?- Chiesi perplessa.

Per la prima volta durante tutta la conversazione, si girò a guardarmi e mi sorrise. - E' un bel ragazzo, solo che non immaginavo di incontrarlo in quel modo. Avrei preferito che mi dicessi prima di avere il fidanzato.-

- No! Ti sbagli! E' successo tutto stasera, cioè forse è già finito, ma non ne sono sicura, è tutto così complicato!- Dissi tutta la frase senza nemmeno respirare e fissai mia madre un po' perplessa.

Lei, al contrario, si limitò e prendermi la testa con una mano e a baciarmi la fronte.

- Dormici su tesoro, vedrai che domani avrai le idee più chiare.-

Non mi sarei mai aspettata una reazione simile da mia madre, ma, d'altro canto, meglio così.

Mi fiondai in camera e richiusi immediatamente la porta dietro di me, tirando, finalmente, un sospiro di sollievo.

* * *

Era circa mezzanotte quando mi alzai per andare in bagno. Scesi dal letto e appoggiai i piedi sul pavimento, venendo a contatto con la superficie fredda sottostante. Rabbrividii, ma il bisogno era troppo urgente per cercare anche le ciabatte. Mi fiondai in corridoio, cercando di fare il meno rumore possibile, ma, a quanto pareva, qualcun altro non ci aveva pensato due volte.

- Che dolore!- Sentii mio fratello imprecare a bassa voce.

Scesi le scale e vidi la porta della sua camera socchiusa.

- Jake che stai facendo?- Domandai, stupita dal fatto di vederlo in piedi a quell'ora mentre indossava dei vestiti che erano ben diversi da un piagiama.

Si girò verso di me e notai che aveva il casco della moto in mano. - Sheila? Che ci fai ancora sveglia?-

- Dovevo andare in bagno, ma poi ho sentito un rumore...- Lo guardai per un attimo perplessa. - Mi spieghi perché sei vestito così?- Chiesi, indicando i jeans e il giubbino di pelle.

Non appena ebbi pronunciato quelle parole sentii delle voci sussurrate provenienti da fuori: -Sbrigati Jake! Non possiamo fare tardi!- Guardai in direzione della finestra, che dava sul cortile, e vidi un gruppo di ragazzi in moto con delle sigarette in bocca.

- Non dirmi che stai andando ad una festa! Lo sai che mamma e papà non vogliono!- Proclamai alzando la voce.

Subito Jake reagì, tappandomi la bocca con una mano.

- Non sono affari tuoi She. Ormai ho diciotto anni e questa festa mi interessa molto.-

- Questo però non ti da il diritto di disubbidire ai nostri genitori.- Affermai, spostando la sua mano dalla mia faccia.

- Cazzo Jake! Quelli là non ci fanno entrare se non ti dai una mossa!- Quei ragazzi mi davano davvero sui nervi. Avrei voluto dirgli ''Andatevene, altrimenti dico ai vostri genitori che fumate!'', ma le uniche volte che ci avevo provato, si erano messi a ridere, e anche Jake lo trovava molto infantile.

- Portami con te!- Esordii infine.

Mio fratello si voltò verso di me e spalancò sia occhi che bocca. - Cosa?- Chiese incredulo.

- Voglio venire anche io!-

- Sei troppo piccola per questo genere di feste e poi ci impiegheresti troppo a vestirti.-

- Ho quattordici anni! Sono tutt'altro che piccola!- Incrociai le braccia in segno di protesta.

Jake posò il caso sulla scrivania e tirò un respiro profondo. Mi si avvicinò e mi poggiò le mani sulle spalle.

- Ti prometto che non appena avrai l'età giusta, ti porterò sul lungomare, dove hanno aperto questo nuovo locale chiamato ''Born to Hell'', così ci diamo alla pazza gioia! Ci stai?- Sorrise.

Esitai un attimo, ma poi annuii, trovando la proposta conveniente. Mi scompigliò i capelli con una mano, poi tornò alla scrivania dove aveva lasciato il casco e lo indossò. Uscì dalla finestra, attento a non fare il benché minimo rumore.

- Ora fila a letto e bocca chiusa.- La sua voce era ovattata a causa del casco.

Io mi sporsi dalla finestra. - Quando torni?-

- Tranquilla, prima delle sette sarò già a casa a subire i postumi della sbornia.- Mi rispose, facendomi l'occhiolino.

Sorrisi, ma con un sorriso falso e sforzato, poi gli feci per ripicca una linguaccia. Restai a guardarlo mentre spingeva la moto fuori dal vialetto e raggiungeva i suoi amici, finchè la sua figura sparì dietro al muro della casa.


 

* * *

Mi svegliai boccheggiando, con la fronte grondante di sudore per il terribile sogno. Non era certo quella la scena che mi terrorizzava, ma ciò che sarebbe successo dopo. Quella era stata l'ultima volta che avevo visto Jake vivo prima dell'incidente, perché proprio quella notte fu investito. Tirai le coperte in fondo al letto e mi alzai, cercando di calmarmi, poi mi venne in mente che Blaze mi aveva dato il suo numero di cellulare. D'istinto impugnai il telefono e me lo strinsi forte al petto, mentre quest'ultimo iniziò a battermi ancora più forte di quanto già facesse.

Aspettai un po' prima di risdraiarmi e comporre il numero. Ogni squillo faceva aumentare l'ansia, mentre le mie mani si facevano sempre più fredde e sudaticce. Attesi finchè qualcuno dall'altro lato non mi rispose.

- Ti manco di già?-

Quando sentii la sua voce mi sembrò di scoppiare di gioia. Erano passate solo un paio d'ore e sinceramente iniziavo a temere davvero di non riuscire più a fare a meno di lui.

- Blaze...ti prego non riagganciare.- L'unica cosa che volevo era sentirlo parlare, parlare e parlare ancora, sperando che il giorno seguente non arrivasse mai e che non gli avrei mai dovuto dire addio.

Lo sentii respirare sonoramente prima di rispondere. - ...Ok. Vediamo un po', cosa vuoi che ti racconti?-

- Qualcosa di te. A partire dalla tua famiglia.- Sospirai.

- Mi chiamo Blaze Hataway e mio padre aveva il mio stesso cognome. In realtà non ho mai conosciuto i miei genitori, ma ormai me ne sono fatto una ragione. Sto vivendo in una specie di... come dire? Dormitorio...-

Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da ciò che mi stava dicendo. Ora lo immaginavo seduto davanti al caminetto all'età di nove anni, con i suoi genitori, pronti ad aprire i regali che si trovavano sotto l'albero, poi lo vedevo al suo primo giorno di scuole medie, con lo zaino in spalla, tutto solo e spaesato. I pensieri mi portavano lontano, e con essi anche la mia presa sul telefono divenne meno salda. Le dita mi scivolarono sotto il cuscino.

- Sheila...sei ancora lì?-

Fu l'ultima cosa che sentii prima di addormentarmi.


 


 

Gli ultimi giorni erano letteralmente volati. Ormai era già il primo gennaio del nuovo anno ed ero a dormire da Sue. Mi spogliai velocemente ad indossai il pigiama azzurro che avevo ricevuto per Natale.

  • Stai proprio bene con quel pigiamino.

Sue era spuntata dalla porta del bagno e mi stava osservando. Ovviamente colsi subito la punta di ironia che c'era nella sua frase.

  • Me l'hanno regalato a Natale. Non voglio che i miei genitori sappiano che è infantile.

  • E' sempre un problema quando succede così.- Sospirò.- L'anno scorso mi hanno regalato una maglietta di un colore orribile e ogni volta che mia mamma mi suggeriva di metterla trovavo sempre una scusa da usare.

Scoppiammo a ridere. Era da tanto tempo che non parlavo con la mia migliore amica liberamente. Prima di partire da casa, però, mi ero ben schiarita le idee su quali argomenti affrontare con lei e quali no: da evitare assolutamente il fatto che Blaze abbia occhi rossi fosforescenti e una spirale sul piede.

  • Che cosa hai fatto a Natale?- Mi chiese, sedendosi sul letto.

  • Come al solito sono andata con i miei genitori sulla tomba di Jake... mi sembra ieri che sia avvenuta quella telefonata dall'ospedale...

  • Già, ti credo.- Ci fu un momento di pausa.- E...per quello che riguarda Peter bhè, non avrei mai e poi mai immaginato che ti potesse fare una cosa simile!

L'ultimo dell'anno ero andata con Sue e Luke a pattinare, ovviamente dopo essermi per bene assicurata che Peter non ci sarebbe stato, e così ho avuto l'occasione di raccontarle ciò che era successo.

  • Luke mi ha detto che ora è completamente distrutto. Quella sera non era affatto lucido e dopo essersi accorto di quello che aveva fatto è scoppiato in lacrime.

  • Dovrebbe farmi sentire meglio?- Dissi secca.- Mi dispiace, ma ciò che mi ha fatto non è una cosa facile da perdonare.

  • Gli piacerebbe parlarti. Almeno per scusarsi.

La raggiunsi e mi sedetti a mia volta sul letto. Feci due o tre profondi respiri prima di parlare. - Va bene. Magari quando torniamo a scuola.

Lei mi guardò e mi sorrise. - E con l'altro? Come va?

Argomento pericoloso! Ora dovevo essere estremamente cauta, ma al contempo stesso dovevo sembrare calma.

  • E'... una cosa un po' complessa.

  • Uh, vedo che però hai subito capito a chi mi stavo riferendo! Che cosa mi nascondi?

Si avvicinò ed iniziò a farmi il solletico. Io scattai in piedi e per una decina di minuti cercai di scappare da lei, che mi rincorreva come una matta per tutta la camera.

  • Io sto comunque aspettando una risposta.- Affermò dopo un po'.

  • Se smetti di rincorrermi parlerò.- Esordii.

Sue ubbidì e si sdraiò supina sul tappeto che stava ai piedi del letto, mentre io tornai alla mia posizione di una volta sul morbido letto.

  • Uhm...ieri mi ha accompagnato a casa e ci siamo quasi baciati.

Mi strinsi nelle spalle, cercando di nascondere il sorrisino ebete che mi era sicuramente spuntato in faccia. La reazione della mia amica fu, invece, completamente diversa: dapprima si rialzò e mi fissò , poi spalancò gli occhi, e infine si mise a ridere.

  • Caspita! Stai facendo colpo su tutti, eh?

  • La mia bellezza è davvero disarmante!- Urlai, alzandomi in piedi.

La stanza si riempì di una sonora risata.

  • E la nuova arrivata? Cassandra? Come ti sembra?- Chiesi, cercando di sviare l'argomento ''Blaze''.

  • Bella, alta, -troppo- alta, magra, con un fisico da paura e vanitosa. Appena è entrata in classe potevo vedere le enormi colate di bava scendere dalle bocche dei ragazzi.

Risi. - Se ci fossi stata tu al suo posto non credo ti sarebbe dispiaciuto. Comunque... non lo so, mi sta antipatica.

Oltre al fatto che sicuramente nasconde qualcosa con...

  • E' perché conosce Blaze, vero?

Fissai allibita la mia amica : - Che fai? Mi leggi nel pensiero?

Passammo la serata a raccontarci tutto quello di cui non avevamo parlato negli ultimi giorni. Mi raccontò di come lei e Luke, un giovedì pomeriggio, al supermercato del centro, si erano scontrati e lui le aveva rovesciato addosso tutto il contenuto della sua borse della spesa, terminammo di discutere sulla questione di Cassandra, su Peter, su Blaze.


 


 

I cassonetti dello sporco vicino a casa erano stracolmi, così dovetti optare per quelli più distanti, che, per mia sfortuna, si trovavano proprio dove c'era la fabbrica. Era il secondo giorno di gennaio e la neve persisteva ancora a cadere. Con i due pesanti maglioni che avevo sotto il giubbino, la sciarpa di lana e una cuffia, il freddo non mi spaventava, ma c'era ben altro là, che mi metteva i brividi.

Muoversi nella neve lo avevo sempre trovato difficoltoso, con due sacchi dell'immondizia in mano poi! Dovevo sembrare un pinguino cicciottello che muove i primi passi all'aria aperta. Ci avrei impiegato circa una decina di minuti per raggiungere il mio obbiettivo, data la mia scarsa agilità.

Continuai finchè non arrivai sull'angolo dopo il bar ''Da Carlo'' e mi ritrovai davanti quell'enorme costruzione che cadeva a pezzi. Rabbrividii al solo pensiero di entrarci, ma sapevo che prima o poi l'avrei dovuto fare. Attraversai la strada e quando giunsi ai cassonetti, aiutandomi con una mano e appoggiando un sacco a terra, gettai l'altro all'interno.

Fu allora che sentii dei rumori. Mi alzai in punta di piedi per cercare di vedere al di là del muro di cinta della fabbrica, ma era troppo alto e non riuscii a vedere nulla, così decisi di accucciarmi e di camminare senza far rumore fino al cancello per spiare qualcosa dalle sbarre di ferro.

Abbandonai il sacco nero là dove l'avevo lasciato e mi avvicinai al muro. Iniziai a distinguere due voci, due voci di due ragazzi. Erano basse e forti, ma dal tono uno sembrava stesse rimproverando l'altro. Riuscii a capire solo una piccola parte del discorso dei due, forse perché più concentrata a capire di chi fosse una delle due voci, che mi sembrava famigliare.

  • Cos'è questa storia?- Il ragazzo dalla voce famigliare sembrava scioccato.

  • Vedi ragazzo...- sentii dei passi-...c'è una cosa che non mi torna sul tuo conto. Tu ci hai riferito che sei come noi. - Il tono di voce era serio e riuscii a distinguere una punta di rabbia in ciò che stava dicendo. - Che vieni dal nostro stesso posto, che hai la nostra stessa origine.

Per ciò che avevo ascoltato fino ad allora, non avevo capito nulla del discorso, eppure c'era qualcosa che mi pareva di avere già sentito nel tono di voce del primo ragazzo che aveva parlato.

Intanto il tizio che stava parlando smise di camminare e fece una breve pausa prima di cominciare di nuovo a parlare: - Ma a quanto pare non è così, eh?

  • Non so di cosa tu stia parlando.- Il ragazzo cercava di rendersi convincente, ma, come era solito fare da mio fratello, non lo era stato.

  • Queste cazzate mi stanno stufando e la mia pazienza ha un limite!- L'aveva notato anche il suo compare.

Ciò che giunse poi al mio orecchio fu il rumore di qualcosa che sbatteva, forse un pugno, forse una porta che si era chiusa di scatto, comunque il resto venne da sé ed io sobbalzai per lo spavento, mettendomi prontamente una mano sulla bocca.

  • Guarda qui! Ti ricorda qualcosa, o meglio, qualcuno?- L'atmosfera tra i due era decisamente cambiata e a dimostrazione di ciò era il cambio di voce che l'accusatore aveva avuto in quei pochi secondi.

  • Dove l'hai presa?- Rispose subito l'altro. Ovviamente era sorpreso da ciò che il tizio gli aveva fatto vedere.

Forse una fotografia?

  • Faccio io le domande qui! Cosa ci fai in una fotografia con una ragazza? Tu non dovresti avere contatti con nessuno siccome sei un demone, Jake!

A quell'ultima affermazione mi mancò il respiro. Aveva detto Jake? Aveva detto...demone? Mi sporsi dalle sbarre del cancello, che intanto avevo raggiunto, ma qualcosa mi coprì il volto, qualcosa di scuro e di tremendamente caldo, che mi tirò indietro, non permettendomi di vedere...mio fratello. E così come questo qualcosa era comparso, così i miei occhi si chiusero e io sprofondai in un sonno pesante, provocato da un fumo di nebbia nero che era arrivato insieme a ciò che mi aveva coperto.
 

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Capitolo 12
*** -Capitolo 12 ***


Siamo tornateee! Dopo più di un mese abbiamo pubblicato anche il 12 capitolo! :D
Un grazie di cuore a tutte quelle persone che hanno recensito la storia, che l'hanno messa nei preferiti o nella categoria ''seguite''

Noi continuiamo ad andare avanti e speriamo di non deludervi ;D
SophieClefi





Capitolo 12


 

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai nella mia camera, sdraiata sul letto. Mi portai una mano sulla fronte a causa del forte mal di testa. Aiutandomi con l'altra mano libera mi misi a sedere e cercai di ragionare. Era il secondo giorno di gennaio e i miei genitori dopo pranzo erano dovuti partire per andare a lavorare, solo che non li avevo visti né salutarmi, né lasciare casa. Camminai fino alla porta della camera e la aprii un po'.

  • Mamma, papà? Ci siete?

Non arrivò alcuna risposta, allora voleva dire che erano già in viaggio. C'era una cosa che non mi tornava, però: dopo pranzo cosa avevo fatto? Cercai di ricordarmi, ma non riuscii a trovare nulla. Avevo come un buco nella testa che non mi permetteva di ricordare cosa avevo fatto durante quel lasso di tempo. Uscii definitivamente dalla stanza e scesi le scale per andare in cucina e cercare qualche pastiglia che mi facesse passare il dolore al capo.

Ricapitolando io e mia mamma avevamo preparato la pasta, la carne e a mezzogiorno avevamo iniziato a mangiare, mentre mio papà ci aveva raggiunto qualche minuto più tardi. Avevamo terminato circa all'una e i miei genitori dovevano essere a lavoro alle tre, così erano partiti alle due, o almeno, così avevano dovuto fare, poiché io non li avevo minimamente visti. Dopo pranzo avrei dovuto fare sicuramente qualcosa, come per esempio addormentarmi, e questa poteva essere un'ipotesi molto probabile, magari anche a causa del mal di testa.

Una volta giunta in cucina aprii lo sportello dove tenevamo i farmaci e cercai la scatola con l'aspirina. Una volta trovata la aprii ed estrassi uno dei blocchetti che contenevano le pastiglie. Mi accorsi che c'era solo un'ultima pastiglia, così la staccai dal cartoncino e la appoggiai sul tavolo. Presi un bicchiere e lo riempii d'acqua, poi ingoiai la pastiglia. Bevvi il contenuto del bicchiere e lo riposi nel lavandino. Infine aprii lo sportello sotto di esso e, afferrando con una mano il blocchetto vuoto delle pastiglie, aprii il cestino dello sporco. Fu allora che vidi che mancava il sacco della spazzatura.

Mi balenò in testa l'immagine di me che camminavo nella neve con i sacchi neri in mano. Scossi la testa. Dopo pranzo avevo potuto fare quello, molto probabile, ma allora perché non me lo ricordavo? Avevo qualche malattia? Avevo picchiato la testa? Ovviamente no, anche perché sarebbe stato impossibile poi ritrovarmi sdraiata nel letto e i miei genitori non mi avrebbero lasciata sola in casa se avessi battuto la testa.

La cosa era sempre più strana, così decisi di vestirmi ed uscire, per ripercorrere la strada fatta per andare ai cassonetti. Mi vestii pesantemente ed uscii. Il freddo mi martellò subito la testa, non di certo migliorando la situazione. Quando arrivai allo spiazzo riuscii a notare, già da una certa distanza, che i cassoni erano stracolmi di sacchi blu e neri, sia all'interno, sia all'esterno.

Un altra scena mi apparve: io che camminavo verso la rotonda lasciandomi alle spalle questo posto. Ciò voleva dire che ero andata ai cassonetti più distanti, ossia quelli vicino alla fabbrica.

Ormai ci stavo quasi facendo l'abitudine alla sensazione di terrore che mi scuoteva ogni volta che pensavo a quel posto, così continuai a camminare. Dopo una quindicina di minuti arrivai di fronte alla costruzione e notai subito accanto ai cassonetti un sacco nero.

La mia testa iniziò a riempirsi di immagini: io che buttavo un sacco nero, io che sentivo delle voci, la parola demone, la parola Jake, il fumo nero. Tutto mi ritornò in mente e allora capii che qualcuno mi aveva dovuta riportare a casa, ed io sapevo già chi fosse stato.

Mi fiondai a casa, correndo all'impazzata e salii in camera. Come immaginavo: la finestra era aperta. Non completamente, ma non era nemmeno chiusa, perché era impossibile riuscire a girare la maniglia dell'esterno.

La pastiglia iniziava finalmente a farmi effetto, così non persi tempo: era venuta l'ora di agire.

 


 

Erano le quattro e mezza di pomeriggio e i miei genitori non sarebbero tornati prima delle nove-dieci di sera, ciò voleva dire che avevo circa quattro ore e mezza per riuscire nel mio intento. In queste ultime ore mi ero studiata a memoria le cartine della fabbrica e ora nella mia mente erano impressi disegni e nomi delle stanze.

Una volta giunta alla fabbrica mi preparai ad entrare in azione: mi sistemai accanto ai cassonetti dell'immondizia, posti a destra dell'entrata dell'edificio, pronta ad agire. Il mio travestimento era impeccabile e mi sarebbe sicuramente stato utile a nascondermi nel buio.

Infilandomi la cuffia nera sul capo e nascondendo sotto di essa alcune ciocche ribelli, attesi impaziente di sentire qualche rumore.

Una porta si aprì e, come avevo previsto, le due guardie si salutarono per darsi il cambio. Fu allora che saltai sul bidone cercando di fare meno rumore possibile.

  • Vado a dare un'occhiata nei dintorni.- Affermò uno dei due.

Perfetto, tutto secondo i piani. Il sangue iniziò a scorrermi velocemente nelle vene e i battiti del cuore acceleravano ogni volta che la sentinella avanzava verso l'uscita della fabbrica. Sapevo che non avrei potuto sbagliare: un passo falso, un minimo rumore, e potevo scordarmi di completare la mia missione.

Quando l'uomo fu sul punto di superare il cancello dell'uscita, io balzai dall'altro lato della fabbrica, superando il muretto con un unico, agile, movimento.

Atterrai sull'erba fresca a piedi pari e restai con le orecchie ben all'erta, pronta a capire se avevo sbagliato qualcosa. La guardia starnutì e il mio cuore fece un salto per lo spavento. Sentii poi i passi allontanarsi e allora capii di essere riuscita ad entrare nel cortile sana e salva, ma la mia impresa non era che a un quarto dell'opera.

Non persi altro tempo e proseguii tra l'erba umida del prato, restando con la schiena ricurva.

Avevo studiato a memoria ogni angolo dell'edificio, ma, vista dal vivo, incuteva ancora più timore e sembrava smisuratamente più grande. Deglutii e avanzai. Quando arrivai al lato della fabbrica rimasi lungo tutto il tragitto contro il muro, ma il mio scopo era quello di arrivare alle scale antincendio: da lì avrei poi potuto raggiungere il piano superiore e vedere tutto dall'altro.

Avrei finalmente scoperto che cosa faceva Blaze lì dentro e sarei potuta venire alla luce di tutto il mistero che lo circondava. E questo era sempre stato ciò che avevo voluto fare.

Quando ebbi la scala di ferro davanti a me iniziai con cautela a salire i gradini, mentre cercavo di vedere, tra le fessure delle finestre, cosa ci fosse all'interno. Quando arrivai alla seconda rampa di scale iniziai a sentire delle voci. Deglutii e mi morsi il labbro. A quanto pareva il numero degli esseri che vivevano in quell'edificio era più alto del previsto. Ma ciò non mi scoraggiò. Continuai a proseguire finchè non giunsi alla fine e mi ritrovai davanti una porta. Appoggiai l'orecchio e la cosa mi confermò che il brusio proveniva da lì. Afferrai la maniglia con le mani sudate e il corpo tremante. Ciò che stavo facendo era pericolosissimo e se mi avessero beccata non avrei osato immaginare quale fosse la mia fine. Piegai leggermente il metallo che tenevo sotto la mia mano destra, ma con grande sorpresa notai che la porta non si apriva.

  • Grande, ora che faccio?- Bisbigliai frastornata.

Mi guardai attorno e notai una finestra accanto alla scala. Tu sei matta, cara, mi dissi, ma non potevo tornarmene a casa a mani vuote. Scavalcai la ringhiera della scala e mi sporsi verso la finestra. Sotto di me c'erano circa cinque metri di dislivello e, una caduta da un'altezza simile, mi avrebbe portato sicuramente alla morte. Cercai di non pensarci, ma sapevo di rischiare tanto. La finestra era aperta, grazie al cielo, ma per aprirla completamente avevo bisogno di un'asta per sollevare il vetro. La fortuna era proprio dalla mia parte: sul pianerottolo della scala c'era un'asta di metallo lunga almeno quanto un braccio. La raccolsi e, infilandola tra il vetro e il legno della finestra, spinsi in su, cercando di alzare il vetro. Dopo alcuni tentativi ci riuscii e la finestra si aprì senza nemmeno troppi rumori. Ora non mi rimaneva altro che saltare e cercare di afferrare il bordo della cornice della finestra.

Cercai di sporgermi il più possibile e, quando riuscii a toccare con le dita il legno freddo, decisi di spingere con le gambe e di saltare, e così feci. Le mani erano sudate e quel legno consumato di certo non facilitava l'operazione.

  • Sheila, ce la devi fare!- Mi auto-dissi.

Radunai tutta la forza che avevo in corpo nelle braccia e con uno sforzo immane riuscii ad entrare nella fabbrica. Scesi dalla finestra, cercando di rimanere nell'ombra e atterrai in un corridoio con una specie di parapetto. Accucciandomi, mi avvicinai e mi sporsi. Ciò che vidi era completamente inimmaginabile: decine, centinaia di persone se ne stavano là, sedute sui vecchi macchinari a parlare, ridere, altri erano invece sdraiati. Blaze. Subito mi misi a cercarlo, ma non riuscii a trovarlo. C'erano persone di tutte le età e di tutte le razze: cinesi, africani, indiani, ma tutti sembravano vivere beatamente. Certo, le auree che li circondavano erano oscure e al contempo macabre, ma loro sembravano stare bene.

Mi voltai a sinistra e, appiccicandomi alla parete dalla quale ero entrata, seguii il corridoio che, come sapevo, svoltava a destra e alla cui fine c'era uno studio. Quello era il mio obiettivo: là avrei sicuramente trovato informazioni sul nuovo arrivato.

Percorsi tutto il perimetro finchè non mi ritrovai la porta marrone dell'ufficio davanti. Deglutii silenziosamente e appoggiai un orecchia al legno freddo della porta. Nessun rumore: doveva essere vuota. Afferrai la maniglia e senza esitare – Tanto anche se apri poco o tanto ti scoprono comunque- mi auto-dissi, entrai nella stanza spalancando la porta.

Con mia grande sorpresa dentro non c'era nessuno.

La stanza era grande e polverosa. I muri e le pareti erano di mattoni crudi, mentre negli angoli in alto c'erano delle minuscole ragnatele, segno evidente che ogni tanto la stanza veniva pulita. A sinistra dell'entrata c'era una scrivania di ferro ricoperta da fogli vari; dietro ad essa si ergeva invece un armadio di legno chiaro. Sul lato opposto della stanza si trovava invece uno scaffale con libri e volumi riguardanti l'utilizzo dei vari macchinari dell'edificio.

Di fronte a me c'era una parete ricoperta da enormi finestre, ma, grazie al cielo, le tapparelle erano abbassate e la luce filtrava esile dai buchi di queste ultime. Feci qualche passo incerta per raggiungere la scrivania, ma mi accorsi di un libro che giaceva per terra. Lo raccolsi e lessi il titolo: ''Divina Commedia''. Lo aprii e notai che alcune parti erano sottolineate.

''Per me si va ne la città dolente

per me si va ne l'etterno dolore,

per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e 'l primo amore.

Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.
''

E proseguii:

''Venimmo al piè d'un nobile castello,
sette volte cerchiato d'alte mura,
difeso intorno d'un bel fiumicello.

Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura.

Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorità ne' lor sembianti:
parlavan rado, con voci soavi.
''

Un lampo mi balenò in testa, così iniziai a girare le pagine per trovare quello che stavo cercando.

Quando ebbi raggiunto il mio obiettivo, tutto mi sembrava più chiaro.

 ''[...]Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.
''

Bingo! Quell'ufficio doveva essere di Blaze, perché quei pezzi di testo sottolineati erano gli stessi che lui aveva ripetuto in classe nelle interrogazioni.

Riappoggiai il libro a terra e mi avvicinai alla scrivania. Poi, una volta raggiunta, scostai dei fogli e iniziai a cercare indizi. In mezzo a tutte quelle cartacce c'erano anche delle fotografie. Ne presi in mano una e subito vidi che le due persone nella foto eravamo io e mio fratello Jake. Allibita la riposi e diedi un'occhiata veloce anche alle altre: Jake, io, io con lui, casa nostra, una foto di famiglia. Iniziai ad aver paura. Abbandonai il tavolo facendo qualche passo incerto all'indietro, portandomi una mano sulla bocca. Cosa voleva dire tutto questo?

La porta si aprì all'improvviso e si richiuse subito dopo con un colpo secco.

  • Cosa ci fai tu qui?!

Mi morsi il labbro: Blaze era entrato nella stanza.

  • Cosa vuoi da me?- Dissi singhiozzando con gli occhi umidi di lacrime.

Blaze guardò rapidamente la scrivania e intuì ciò che era successo. Tirò un sospiro e mi si avvicinò.

  • Si può sapere che ti è saltato in mente? Questo posto è pericoloso!- Mi rimproverò, tenendo però un tono di voce basso.

  • Blaze...cosa vuol dire tutto questo?- Domandai, indicando il tavolo stracolmo di fotografie mie e di Jake.

Lui abbassò lo sguardo e mi prese per mano. -Sapevo che prima o poi avresti fatto qualche sciocchezza. Hai fegato, proprio come lui.

Avrei voluto chiedergli a chi si stessa riferendo con quel ''lui'', ma non ne ebbi il tempo: dei rumori stavano giungendo dal corridoio.

Spalancai gli occhi: - Ora cosa faccio?- Chiesi in preda al panico.

Blaze non rispose; si voltò ad osservare la porta e si portò una mano alla tempia.

I passi si facevano sempre più rumorosi e, con l'aumentare di essi, anche lo schiamazzo delle voci aumentava. Squadrai Blaze con aria interrogativa. Mi aiuterai, vero?
Lui non mi lasciò nemmeno il tempo di pensare: mi afferrò per un polso ed aprì con forza brutale l'armadio dietro alla scrivania. Mi gettò sgarbatamente al suo interno, poi entrò anche lui, chiudendosi le ante di legno beige alle spalle.
I nostri petti si toccavano ad ogni mio respiro e le ginocchia mi tremavano leggermente. Blaze mi stava ancora tenendo per il polso, ma, con la testa girata, era intento ad ascoltare l'arrivo dei suoi ''compagni'' in corridoio.
Quando il rumore si fece tanto forte mi rannicchiai contro di lui, stringendo tra le mani la sua maglietta bianca. Lui mi lasciò il braccio e si limitò ad abbracciarmi e a passarmi una mano tra i capelli.
- Ragazzi Blaze deve essere uscito, qui non c'è.- Aveva detto uno, aprendo e chiudendo velocemente la porta.- Avvisate Craig.
Quando sentii la porta sbattere e i passi allontanarsi mi rilassai un poco.
- Il mio cuore stava battendo così velocemente...-Confessai sussurrando, ancora cullata tra le sue braccia.

- Il mio si comporta così ogni volta che sto con te.- Le sue parole mi fecero sussultare, giungendo piano al mio orecchio, come tesori preziosi.- ...Se solo ce ne avessi uno.- Si affrettò ad aggiungere.

  • Blaze... io so che tu non sei cattivo. Ma ancora non riesco a capire quale sia il tuo scopo.

Alzai il viso dalla sua maglietta e i miei occhi si incrociarono con i suoi rosso fuoco. Sorrisi all'idea di quanto magici e stupendi fossero.

  • Mi piacciono.- Affermai.- Mi piacciono i tuoi occhi rossi.

Lo sentii fare una smorfia. - Non sei terrorizzata?

  • No.

  • Neanche se ti dico che... io non sono ciò che credi?

  • Ormai non so nemmeno più cosa pensare. Inizialmente credevo fossi una specie di vampiro con gli occhi rossi che voleva solo prosciugarmi tutto il sangue che avevo in corpo. - Affermai, portandomi due dita vicino alla bocca e imitando i canini dei vampiri.

Blaze rise, sempre stando attento a non alzare troppo la voce. Mi afferrò le mani e se le appoggiò al petto, mentre il suo viso si avvicinò alla mia spalla. - Stai pronta allora, Sheila Evans, perché questo vampiro si farà di te un bello spuntino.

Mi morse piano la pelle del collo per poi lasciarci un tenero bacio. Miliardi di sensazioni mi pervasero il corpo in quell'istante: avrei voluto che lui lo continuasse a fare all'infinito.

  • Blaze...-Lo richiamai.

Alzò il viso, che finì a pochi centimetri dal mio. Riuscivo a sentire il calore che emanava e al contempo stesso ero totalmente persa nei suoi occhi fiammeggianti. Lo vidi sorridere e poi chiusi gli occhi. Blaze mi baciò. Il contatto tra le nostre bocche fu prima timido e delicato, solo una breve perlustrazione, poi si tramutò in qualcosa di più focoso e passionale. Feci scorrere le mie mani dal suo petto fino ad incrociargliele attorno al collo, tirandolo ancora di più verso di me. Lui mi strinse i fianchi e al contempo stesso le nostre lingue si incrociarono. Sentivo la sua bocca premere e scottare sulle mie labbra, mentre le sue mani scorrevano lungo il mio bacino. Era un bacio che entrambi aspettavamo da tempo e che sembrò durare un'eternità.


 


 

  • Posso sapere dove si trova?- Gli chiesi.

Io e Blaze stavamo camminando per strada per recarci a casa sua, anche se lui non la definiva così, ma piuttosto la sua ''tana''.

  • Dobbiamo camminare ancora per un po'.- Mi spiegò.- Sei così impaziente di passare del tempo da sola con me?- Chiese scherzando.

Gli diedi un pugno amichevole sulla schiena e lui mi mise un braccio attorno alle spalle.

  • Sei caldo.- Dissi.

  • Lo siamo tutti. Direi che come vampiro non ho un futuro eh?

Gli sorrisi e proseguimmo per la strada. Eravamo usciti da Sant Heaven per dirigerci ancora più fuori dalla città e ormai da una decina di minuti stavamo percorrendo la carreggiata.

  • Da questa parte.- Mi indicò. Più o meno si trova laggiù.

Lasciammo la strada principale per prenderne una laterale, di ciottoli, che conduceva in un boschetto.

Passarono ancora una quindicina di minuti prima che vedessimo in lontananza una casetta di legno, circondata da cespugli di bacche e intuii che quella era la nostra meta.

Quando entrai nella baracca mi accorsi che sarebbe stato impossibile per una persona vivere in quello stato: lo spazio era insufficiente, c'era solo un letto con lenzuola verdi, una scrivania sopra la quale si trovavano volumi e libri vari, una seggiola e una finestrella che si trovava proprio sopra la testata del letto.

  • Vivi...qui?- Chiesi allibita.

Lui si mise a ridere. - Cos'è quella faccia? Te l'ho detto, no, che è solo una specie di rifugio? Qui ci tengo il mio cucciolo.

  • Cucciolo?- Domandai, alquanto confusa.

Blaze uscì dalla stanza e io lo seguii, poi si portò due dita alla bocca e emise un fischio. Subito, dal cuore del bosco, sentimmo dei rumori e dei fruscii di foglie: qualcuno o qualcosa si stava avvicinando.

Furono pochi istanti, e poi vidi quell'enorme lupo nero alto quasi il doppio di noi, con occhi gialli e un aspetto feroce, che mostrava i denti ringhiando con la bocca piena di bava. Feci un passo indietro incerta, con gli occhi spalancati dal terrore. Cos'era quella creatura?

  • Lui è Fenrir, credo che tu ne abbia sentito parlare.- Mi spiegò Blaze, che intanto si era avvicinato alla bestia e gli aveva appoggiato una mano sul muso. - E' un tenerone, coraggio avvicinati, non aver paura!

  • Non aver paura un corno!- Urlai.

Il lupo si avvicinò a me e mi mostrò i denti emettendo un suono cupo e grave.

  • E... non gli piaccio nemmeno.- Affermai deglutendo.

  • Ti capisce, sai? Ed è anche in grado di parlare.

Guardai Blaze con aria sconcertata. Aveva un lupo, un enorme lupo come animale domestico. Un lupo che parlava Viveva in una casetta in mezzo ad un bosco. Aveva miriadi di foto mie e di mio fratello nella fabbrica. Aveva degli occhi rosso fuoco. E poi cos'altro? Ormai mi aspettavo di tutto.

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