La verità può cambiarti la vita

di Kaira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una sera come le altre ***
Capitolo 2: *** L'incontro ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo. Dubbi ***
Capitolo 4: *** Complicazioni ***
Capitolo 5: *** Cosa sta succedendo? ***
Capitolo 6: *** Spiegazioni ***
Capitolo 7: *** E ora? ***
Capitolo 8: *** Una nuova casa ***
Capitolo 9: *** Opzioni ***
Capitolo 10: *** Decisioni difficili ***
Capitolo 11: *** È solo un’altra truffa, vero? ***
Capitolo 12: *** Lasciar andare ***
Capitolo 13: *** Una nuova vita ***



Capitolo 1
*** Una sera come le altre ***


Questa storia è nata mentre guardavo la quarta stagione di White Collar, mancano quindi riferimenti agli ultimi episodi della quarta e alla quinta stagione. La storia è completa e composta di 13 capitoli. Ho scelto il rating arancio per via degli argomenti trattati e di alcuni momenti un po’ hot, ma si tratta di accenni. Buona lettura.

 

I personaggi riconoscibili non mi appartengono, sono proprietà di chi ne detiene i diritti; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Una sera come le altre

 

La giornata era stata intensa, non pericolosa o particolarmente frenetica, solo piena di documenti da leggere e moduli da compilare. Neal Caffrey era tronato a casa da qualche ora, nell’attico a Manhattan in cui grazie a June abitava, si era fatto una doccia e una cena veloce. Ora si trovava seduto in terrazzo, un bicchiere di vino rosso in mano e lo sguardo fisso davanti a lui. Neal non prestava nessuna attenzione al buffo animale decorativo di pietra, la sua mente era concentrata sul caso proposto da Peter quella mattina. Stavano indagando su di un furto di alcune opere presso un ricco collezionista privato dell’Upper East Side: due quadri, un cofanetto, alcuni gioielli e tre statue, due di autori contemporanei molto quotati e una proveniente dall’antica Roma, un busto di donna. Era proprio quest’ultimo pezzo a preoccuparlo. Peter, senza darci troppo peso, gli aveva chiesto: “Ti viene in mente nessuno che potrebbe essere interessato ad un’opera del genere?”
Neal aveva finto di pensarci su qualche secondo e poi aveva buttato li due nomi a caso, due ladri ben noti all’FBI. Uno solo era però il nome che gli era venuto in mente: Alex.

 

Finito il lavoro Peter Burke era tornato a casa, ben felice di trovare sua moglie e la cena ad aspettarlo. Lui ed Elizabeth avevano chiacchierato del più e del meno. Dopo aver portato Satchmo a fare un giretto, Peter si era deciso ad andare a letto. Per tutto il tempo un pensiero lo aveva tormentato, poco prima di uscire dall’ufficio Diana gli aveva riferito che una vecchia conoscenza era tornata in città: Alexandra Hunter. La ragazza era una truffatrice ed un ladra, appassionata di manufatti antichi, il furto dai Conard non poteva essere una coincidenza. L’indomani avrebbe parlato con Neal, voleva sapere se l’aveva rivista o se aveva tentato di mettersi in contatto con lui. Peter sapeva di dover stare molto attento con Neal, il legame tra il suo consulente e la Hunter era poco chiaro, ma resistente. Con questo pensiero Peter Burke si addormentò.

 

Alex sapeva di non poter andare in albergo, li FBI l’avrebbe rintracciata subito, per fortuna aveva ancora molti amici, uno di questi era stato così gentile da offrirle le chiavi del suo appartamento per qualche giorno. Aveva solo una piccola borsa e non aveva nemmeno intenzione di disfarla, mangiò velocemente qualcosa ed uscì. Era stupido essere tornata a New York, ma doveva assolutamente vedere Neal.


Il suono insistente del cellulare svegliò Neal dalla scomoda posizione in cui si era addormentato sulla sedia in terrazzo. Guardò l’orologio e vide che erano le 2.00 a. m. Lesse il messaggio che lampeggiava sul cellulare: Sono di sotto, puoi farmi salire. A.
Neal si alzò e scese ad aprire alla sua ospite. Alex sulla porta era vestita di nero, pantaloni molto aderenti ed un maglioncino leggermente più scuro, una catenina spariva nello scollo a V.
“Che ci fai qui?” chiese Neal abbracciandola. Vedersela sulla porta aveva risvegliato i suo timori, sperava non fosse coinvolta nel furto su cui stava indagando, non voleva dover scegliere tra lei ed il suo lavoro all’FBI.
“Volevo vederti” fu la risposta sussurrata della ragazza. Neal la guardò sorpreso, non era da Alex essere così diretta, le allusioni tra loro non erano certo mancate in passato e neanche le avance reciproche e i doppi sensi, presentarsi a casa sua nel cuore della notte, sapendo di essere ricercata dall’FBI, era un po’ oltre l’idea di gioco, anche per Alex.
Neal accompagnò di sopra la ragazza e la fece accomodare offrendole un bicchiere di vino rosso, calice che lei accetto e bevve tutto di un sorso riponendo il bicchiere sul tavolo.
Neal era sempre più confuso. La guardava per capire cosa l’avesse spinta da lui, ma Alex non parlava, si limitava a spostare lo sguardo qua e là per la stanza, come se non sapesse bene da dove cominciare.
“Sono felice di vederti, ma non credi che sia un po’ rischioso?” chiese Neal cercando di catturare il suo sguardo. La ragazza si limitò a fissare il bordo del bicchiere per qualche secondo, poi alzò piano la testa e quando incrociò gli occhi azzurri di Neal disse: “Ti ho mentito”
“E io ho mentito a te, ti ricordi, Neal e Alex è quello che siamo, l’hai detto tu” disse il ragazzo citando un frase che lei gli aveva detto qualche tempo prima, tentando di sdrammatizzare, non riusciva a capire questa Alex, taciturna e senza parole.
“No questo è diverso…” iniziò lei e quando lui fece per interromperla lo zittì con un lieve tocco sulle labbra “…ricordi Milano dodici anni fa” sussurrò Alex.
Neal fece di si con la testa, come poteva dimenticare.
“Ti ho mentito” ripeté lei prendendogli una mano e fissandolo negli occhi, quasi mormorando aggiunse “Non sono mai andata all’ospedale…”
Neal non credeva alle sue orecchie “Stai dicendo che…” non finì la frase, non ce n’era bisogno, leggeva negli occhi marroni velati di lacrime, che Alex non stava tentando di prenderlo in giro, forse per la prima volta era davvero sincera.
“Come si chiama?” chiese Neal con un tono più aspro di quanto lui stesso avrebbe voluto.
Alex guardò un attimo nel vuoto fuori dalla finestra, ma Neal le prese il viso tra le mani costringendola a guardarlo negli occhi “Come si chiama?” ripeté il truffatore cercando di mettere un po’ di dolcezza nella voce.
“Chiamano…” sussurrò Alex ancora bloccata dalla mano di Neal “ si chiamano… Ariel e Nicholas, erano due, gemelli”
Neal faticava a riordinare le idee “Due” sussurrò più a se stesso che ad Alex.

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Capitolo 2
*** L'incontro ***


Ecco il secondo capitolo. Nella mia storia il caso Adler in cui Neal, Alex e Kate si sono conosciuti è avvenuto almeno quattordici anni prima degli avvenimenti raccontati nella fanfiction, non so se corrisponda, perché non mi è molto chiaro lo scorrere del tempo nel telefilm, se non è così consideratela una piccola licenza poetica. Buona lettura.

I personaggi riconoscibili non mi appartengono, sono proprietà di chi ne detiene i diritti; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro


Secondo capitolo. L’incontro
 

La mattina seguente in ufficio Neal faticava a mantenere la concentrazione, Jones stava riassumendo per la squadra i risultati della sua indagine, dei principali sospettati a proposito del furto dai Conard: due erano in prigione, uno era morto e di tre non si sapeva che fine avessero fatto, restavano il Trapezista, un ladro senza nome specializzato in furti spettacolari e Alexandra Hunter.
A sentire il nome di Alex, Neal ebbe un sussulto, fu solo un secondo ma Peter se ne accorse, alzò un sopracciglio, come per invitarlo a parlare. Neal disse la prima cosa che gli venne in mente “Hai fatto qualche ricerca anche su TJ Flinch?”
“Il ladro di gioielli” chiese Jones e alla conferma di Neal aggiunse “é uno dei due in prigione.”
“Ok” disse Neal prendendo qualche appunto sul foglio che aveva davanti a sé. Peter fece finta di niente ed invitò Jones a continuare.
Pochi minuti dopo Peter prese la parola “Allora riassumendo ci rimangono due plausibili sospettati: il Trapezista e la Hunter. Quale dei due ha avuto maggiori probabilità di commettere il furto?” chiese Peter scorrendo con gli occhi le facce dei suoi collaboratori, Neal sembrava tranquillo, il sussulto di poco prima non si era ripetuto. Peter si chiese se poteva averlo immaginato, ma conosceva Neal troppo ben ormai e sapeva che tra lui e la Hunter c’era qualcosa di speciale.
“Il Trapezista adora i colpi negli appartamenti agli ultimi piani” disse Diana “e quello dei Conard è un attico” concluse Jones.
“Però è molto sospetto che la Hunter sia arrivata in città proprio ieri…” aggiunse Diana mordicchiando la punta della penna. Neal rimase impassibile, era troppo abile per farsi cogliere in fallo due volte, finse un’espressione sorpresa e chiese “Alex è a New York?”
“Tu non lo sapevi?” domandò Peter alzando scettico un sopracciglio.
“No” rispose Neal deciso “Se avesse cercato di contattarmi te l’avrei detto.”
“Si come no” sussurro Peter tra sé, iniziando a raccogliere le sue cose dal tavolo dove erano riuniti, poi a voce alta aggiunse “Diana, scopri dove alloggia la Hunter e chi a visto da quando è arrivata. Jones tu occupati del Trapezista, vedi cosa riesci a scoprire.”
“ E io?” chiese Neal alzandosi.
“Tu vieni con me, andiamo dai Conard per un sopralluogo, voglio controllare una cosa” disse Peter prendendo la giacca ed uscendo. Neal lo seguì, mentre Jones e Diana si diressero alle rispettive scrivanie.

 

La giornata era stata strana, Neal era stato strano, per tutto il tempo era sembrato sovrappensiero, distratto. Per Peter era chiaro che Neal si fosse dimostrato reticente a proposito di Alex, sicuramente sapeva più di quello che aveva detto, ma quanto di più. La preoccupazione per un’amica indagata, Peter poteva anche capirla, ma la totale mancanza di entusiasmo dimostrata da Neal davanti alle opere della collezione dei Conard, o peggio, il finto sorriso sfoggiato quando espressamente chiamato in causa, lo impensierivano. Si c’era qualcosa che non andava con Neal e Peter era deciso a scoprire cosa al più presto. Provò a parlarne con Elizabeth, ma le rassicurazioni della moglie non spensero quel senso d’inquietudine che lo infastidiva.

 

Neal sperava di trovare Alex ancora da June, per tutto il giorno non aveva fatto altro che pensare a quello che gli aveva confessato la ragazza. Aveva cercato di prestare attenzione a Peter e al caso, sia per capire come incastrare il Trapezista, sia per non insospettire ulteriormente Peter, ma non c’era riuscito molto bene. Il pensiero tornava sempre li a quella sera a Milano dodici anni prima. La sera in cui in accordo con Alex avevano deciso che non potevano essere genitori, che sarebbero stati inadatti e che dovevano risolvere la cosa in un altro modo. Aveva insistito parecchio per accompagnare Alex all’ospedale, ma lei si era rifiutata, ribadendo che la truffa che avevano architettato era costata loro mesi di preparazione e farla saltare così all’ultimo non aveva senso, Neal doveva restare al suo posto e prepararsi al colpo. Ora capiva perché era stata così categorica nell’anteporre la frode a sé stessa, non ci era andata in ospedale. Avevano portato a termine il furto e si erano separati, per più di un anno non l’aveva rivista e adesso gli era chiaro perché.
Fece i gradini di corsa ed entrò nel suo appartamento. Alex era li, seduta sul divano e non era sola. Una ragazzina magra con lunghi capelli mossi e neri era seduta per terra vicino ad una delle finestre, gli dava la schiena, stava scrivendo o disegnando, in un quaderno che poggiava sulle gambe incrociate. Ariel, la ragazzina doveva essere Ariel, sua figlia, il pensiero colpì Neal dritto allo stomaco; due sentimenti contrastanti s’impossessarono della sua mente, rabbia e felicità; era felice, anzi felicissimo che Alex gli avesse mentito, ma era anche arrabbiato, aveva perso dodici anni ed era un estraneo per quella ragazzina, uno sconosciuto. Un finto colpo di tosse alla sua destra lo distrasse dai suo pensieri, anche la ragazza si girò e per una attimo Neal incrociò dei bellissimi occhi azzurri spalancati, i suoi occhi, Ariel aveva i suoi occhi, il pensiero lo riempì di calore.
Neal si girò verso la fonte del colpo di tosse e si ritrovò davanti un ragazzino seduto al tavolo della cucina, il viso allungato incorniciato da morbidi capelli color cioccolata, anche gli occhi che lo stavano fissando erano scuri, lo scrutavano, indagatori ed incerti. Doveva trattarsi di Nicholas, suo figlio. Neal si sentì stupido, lui che aveva sempre avuto il dono della parola ora non sapeva cosa dire. Ariel nel frattempo si era alzata facendo cadere il quaderno a terra e si era avvicinata. Anche Alex li aveva raggiunti e aveva appoggiato una mano sul braccio di Neal stringendolo come ad incoraggiarlo.
“Ariel, Nicholas, questo è Neal, vostro padre” disse Alex con tono tranquillo.
“Ciao” disse Nicholas fissandolo attraverso il tavolo.
“Ci…ci…ciao” balbettò Neal. Il ragazzino sorrise, lo stesso sorriso che Neal rifilava agli altri quando voleva rabbonirli o ben disporli.
La ragazzina lo fissava, poi successe una cosa che Neal non si sarebbe mai aspettato. Ariel coprì di corsa lo spazio che li separava e lo abbracciò, stringendolo. Dopo un attimo di sorpresa Neal ricambiò l’abbraccio dolcemente, abbassandosi un po’.
“Piacere di conoscerti” disse la ragazzina con la testa affondata nel suo petto. “Il piacere è tutto mio” rispose Neal alla testa di capelli corvini, con il tono più dolce che Alex gli avesse mai sentito usare.

 

Dopo una cena a dir poco surreale, Neal ed Alex avevano lasciato i gemelli addormentati in una delle camere per gli ospiti di June, una camera dalle tinte azzurre e verdi, arredata con molto gusto. Chiudendosi la porta alle spalle Neal aveva dato un’ultima occhiata ai gemelli, dormivano raggomitolati sotto la coperta, sembravano sereni.
Il truffatore salì le scale dietro ad Alex e si sedette accanto alla ragazza quando questa prese posto sul divano.
“Mi sembra che sia andata bene…” iniziò Alex
“Direi di si” concluse Neal.
“Sono fantastici Alex, è incredibile, come hai fatto?” chiese Neal prendendole una mano, Alex sorrise “Risponderò a tutte le tue domande… mi dispiace Neal, non dovevo tenerti fuori e che le nostre vite erano così complicate…”
Alex era ben cosciente delle mani di Neal, che mentre lei rispondeva alle sue domande, lentamente erano passate dal stringere le sue mani ad accarezzarle un braccio, ora la destra stava disegnando piccoli circoli sul suo avambraccio, mentre la sinistra le aveva appena sistemato un ricciolo dietro all’orecchio. Erano così vicini che poteva sentire il respiro leggero di Neal sulla pelle.
Quando rispose “Verde” all’ultima delle domande di Neal “Qual’é il colore preferito di Ariel?” Alex si ritrovò a perdersi in due occhi blu, in cui vedeva curiosità, interesse e desiderio. Neal la stava fissando così intensamente che sembrava volesse leggerle la mente, fu allora che Alex smise di parlare e lo baciò. Neal rispose al bacio, prima dolcemente, poi con sempre più passione. Lei non chiedeva altro, era innamorata di lui da sempre ed aveva avuto il terrore che questa volta Neal non potesse o volesse perdonarla per avergli mentito. Ora accettava più che volentieri il suo peso che la schiacciava con dolcezza sul divano. Una mano di Neal le teneva la nuca, mentre l’altra giocava con la sua maglia. Le lingue si scontravano, assaporandosi di nuovo. Alex sfilò la camicia del truffatore dai pantaloni accarezzandogli la schiena nuda. Neal si alzò porgendo ad Alex una mano, lei la prese e si lasciò sollevare. Neal la fece sedere sul tavolo della cucina, i due si sfilarono a vicenda i vestiti. Con le gambe intrecciate al torso di Neal, Alex si lasciò cadere all’indietro, mentre il ragazzo giocava con i suoi seni. Neal risalì piano baciandole la scapola, la gola, la guancia fino a guardarla negli occhi, ora in entrambi c’era solo desiderio.

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo. Dubbi ***



“…Neal risalì piano baciandole la scapola, la gola, la guancia fino a guardarla negli occhi, ora in entrambi c’era solo desiderio.”

Secondo capitolo

 

Terzo capitolo. Dubbi

 

Il chiarore che entrava dalle enormi vetrate la svegliò, la stanza era immersa nella luce. Alex ci mise un po’ per capire dove si trovava, camera sua non era mai stata così luminosa. Poi ricordò la sera precedente, l'incontro dei gemelli con il padre, la cena, le chiacchere e… si girò di scatto verso l’altra parte del letto. Neal era semi coperto dal lenzuolo e sembrava dormire sereno, un pensiero attraversò la mente di Alex: possibile che Neal cadesse sempre in piedi, sicuramente non erano tanti quelli in libertà condizionata con un attico a Manhattan. Neal si girò nel sonno verso di lei, stava sorridendo, sembrava felice. Alex era quasi dispiaciuta di doverlo svegliare, ma l’ultima cosa che voleva era che i gemelli entrassero nella stanza trovandoli così, non poteva dar loro false speranze, tra lei e Neal c’era sempre stata attrazione fisica, ma il ragazzo non era materiale per una relazione stabile o per lo meno non lo era con lei.

 

Neal salì di corsa le scale, era terribilmente in ritardo per il lavoro. Aveva chiamato Peter e gli aveva detto che a causa del traffico ci avrebbe messo più del solito ad arrivare, il che era vero solo in parte. Il traffico aveva aggiunto quindici minuti buoni ai venti di ritardo con cui era partito da casa di June. Alex l’aveva svegliato nel mezzo di uno strano sogno, non ricordava bene i dettagli, solo un colore, il verde, ed il senso di pace e tranquillità, nel sogno non aveva idea di dove si trovasse né del perché, sentiva solo che era felice.
Alex non aveva fatto parola di quello che era successo tra loro, gli aveva detto che presto i gemelli si sarebbero alzati e che non voleva rischiare che entrassero trovandoli nel letto seminudi, poi aveva raccolto i suoi vestiti da terra ed era sparita nel bagno. Lui si era alzato ed appena uscita Alex era stato il suo turno di prepararsi. Finita la doccia voleva parlarle, ma non ce n’era stato il tempo, i gemelli erano già seduti al tavolo in terrazzo, stavano facendo colazione.
June aveva fatto servire un vassoio ricolmo di fette di pane, biscotti e brioches. Neal era rimasto fermo sulla porta a guardare lo strano quadretto davanti ai suoi occhi. June di spalle stava raccontando ai ragazzi dell’ultima gita allo zoo con la nipote, Nicholas rideva inzuppando un cornetto nel cioccolato, Ariel era concentrata nella preparazione di una fetta di pane imburrato. Alex era seduta a sinistra di June, con una mano stava appoggiando una tazzina da caffè sul tavolo, mentre con l’altra si stringeva al petto una gamba, la maglia ampia e bianca che indossava le lasciava scoperta una spalla. Neal si rese conto di quanto gli sembrasse giusta quell’immagine, avrebbe fatto di tutto per proteggere le quattro persone davanti a lui. Alex lo aveva notato impalato sulla soglia e gli aveva fatto cenno di sedersi tra lei e Nicholas, sulla sedia vuota. Passando alle spalle della donna Neal le aveva accarezzato distrattamente la schiena, causando un brivido a entrambi. Non gli era sfuggito lo sguardo d’intesa tra i gemelli. Si era unito a loro e distratto dalla conversazione non si era accorto dell’ora.

 

“Ben arrivato!” disse ironica Diana quando lo vide entrare in sala riunioni.
“Scusate, sono partito un po’ tardi” disse Neal sedendosi su una delle sedie vuote “Cosa mi sono perso?”
Peter distolse lo sguardo dalla lavagna piena di annotazioni appesa al muro e disse “Non ci sono novità sul Trapezista e per quanto riguarda la Hunter non alloggia in nessun albergo, per lo meno non usando uno degli alias che conosciamo” il tono di Peter faceva intendere un ma. Neal lo guardò interrogativo e l’agente proseguì “C’è stato un altro furto ad una collezione privata stanotte, alcuni pezzi sono spariti dalla casa degli Harrington.”
Questo potrebbe scagionare Alex, fu il primo pensiero di Neal, poi si rese conto che non avrebbe potuto dire a Peter della notte passata con la ragazza, senza dare troppe spiegazioni. Un secondo pensiero ben più sinistro lo colse subito dopo …e se Alex si fosse creata un alibi e avesse commissionato il furto a qualcuno? Alexandra Hunter sarebbe stata capace di usarlo in questo modo? Era già successo in passato che loro si fossero mentiti a vicenda, l’ultima volta lei aveva trafugato un tesoro greco sfruttando proprio il suo legame con l’FBI.
“Neal qualche idea?” la domanda di Peter lo distolse dalla spirale negativa dei suoi pensieri “No Peter, nessuna. Non ho novità sul Trapezista e non ho notizie di Alex”
Diana scambiò con Peter uno sguardo complice che a Neal non piacque per niente.

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Capitolo 4
*** Complicazioni ***


Visto che ho saltato domenica oggi pubblico due capitoli.

I personaggi riconoscibili non mi appartengono, sono proprietà di chi ne detiene i diritti; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Complicazioni

 

I tre giorni seguenti passarono relativamente tranquilli. Non ci furono altri furti e le indagini proseguirono senza portare rilevanti novità. Neal aveva visto Alex e i ragazzi due volte, incontri brevi, non più a casa sua, ma in luoghi pubblici diversi, che lui frequentava abitualmente, dovevano evitare che un controllo dei suoi movimenti insospettisse qualcuno. Lui ed Alex non erano più rimasti da soli e non avevano ancora parlato di quanto era successo tra loro.
Peter aveva riunito la squadra e stavano rileggendo nuovamente le deposizioni dei pochi testimoni, era ora di pranzo e Neal iniziava ad annoiarsi. Diana propose di andare al bar vicino al bureau e prendere un panino, per schiarirsi le idee, tanto non stavano concludendo niente. Peter approvò e vi si recarono tutti assieme prendendo un tavolo che dava sulla strada.
Stavano chiacchierando da una mezz’ora quando il telefono di Neal squillò, era un numero sconosciuto. Gli altri lo guardarono con aria interrogativa. Il truffatore non fece in tempo a rispondere, che una donna piombò al loro tavolo, era sconvolta, la cascata di boccoli castani le ricadeva ai lati del volto, sfuggendo alle mollette con cui li aveva inizialmente imbrigliati.
“Neal è terribile… io non… non…” Alex balbettava frasi sconnesse.
Ben consapevole dello sguardo sorpreso di Jones, deluso di Peter e sarcastico di Diana, Neal si alzò e abbracciò forte la ragazza cercando di calmarla. Un freddo terrore si stava impossessando di lui. Doveva restare lucido. Alex non era stupida, piombare lì si sarebbe rivelato un disastro, cosa poteva essere successo di tanto grave?
“Alex guardami!” ordinò dolcemente Neal alla ragazza stringendole il viso tra le mani e costringendola a guardarlo negli occhi. Le pupille nocciola erano enormi e lucide di lacrime.
“Cos’è successo?” chiese Neal.
“Ariel… Ariel ha avuto una crisi, è…” riuscì a balbettare Alex.
Neal sentì il sangue gelarsi nelle vene. Aveva capito che qualcosa in sua figlia non andava, la ragazza era estremamente pallida e magra, ma non era riuscito a sollevare il discorso con Alex in quei tre giorni. Gli agenti dell’FBI alle sue spalle erano increduli, conoscevano la Hunter e non sapevano come inquadrare la situazione.
“Ariel è cosa?” chiese Neal con un tremore nella voce.
Diana cercò Peter con lo sguardo, il tono del truffatore l’aveva lasciata basita, preoccupazione e terrore, per una Ariel di cui non avevano mai sentito parlare. Peter non sapeva che dire, nemmeno lui aveva idea di cosa stesse succedendo.

 

Neal si sedette sulla panca davanti al piatto abbandonato e si trascinò dietro Alex cercando di farla ragionare. La ragazza scattò in piedi e gli urlò in faccia “Non capisci, non c’è tempo! È in ospedale, i dottori dicono che non ce la farà… io devo andare… io non dovevo cercarti… io…” Alex straparlava con gli occhi di tutti puntati addosso.
Neal non la stava più ascoltando “non ce la farà” le parole riecheggiavano nella sua mente spazzando via tutto il resto. Sua figlia, sua figlia di cui aveva scoperto l’esistenza da quattro giorni era in ospedale ed i medici pensavano che non ce l’avrebbe fatta.
La mano di qualcuno sulla spalla lo risvegliò dai suoi pensieri, si voltò di scatto. Peter lo stava fissando.
“Dobbiamo andare all’ospedale… io devo andare… ho sbagliato…” Alex continuava la sua litania cercando di liberarsi il polso, ma la presa di Neal era salda, non l’avrebbe lasciata andare senza un spiegazione.
“Chi è Ariel?” chiese Peter.
“Non ora” rispose secco Neal, poi si alzo e strattonando bruscamente Alex, che continuava a divincolarsi, la costrinse a guardarlo. Ora tutto il locale li stava osservando, qualcuno era anche indeciso se intervenire, lo stesso Jones era balzato in piedi per evitare eventuali fughe.
“Quale ospedale Alex?” chiese Neal in tono lento e perentorio in modo da ottenere una risposta dalla ragazza.
“Il Mount Sinai” disse Alex.*
“È fuori dalle mie due miglia…” commentò Neal, più a se stesso che al resto delle persone nel locale, si girò verso Peter e gli altri e chiese: “Vi prego potreste accompagnarmi all’ospedale?”
Il tono disperato di Neal fece trasalire Peter, chi era questa Ariel per trasformare così il suo consulente. Si scambiò un'occhiata con Diana e Jones, quest’ultimo si alzò e uscendo disse: “Vado a prendere la macchina.”

 

Il viaggio in macchina si era svolto nel silenzio più assoluto. Alex, che aveva recuperato un po’ del suo solito contegno, fissava l’orologio senza proferire parola. Il mutismo di Neal fu interrotto solo da una chiamata di Mozzie, da quello che Peter era riuscito a capire, l’amico di Neal si trovava già all’ospedale.
L’agente Burke voleva delle risposte dai due truffatori seduti nel retro della macchina, ma lo sguardo angosciato sui loro volti lo fece desistere, almeno per il momento. Diana e Jones avevano insistito per venire con loro, Jones guidava e Diana era seduta dietro dal lato sinistro, Neal era a destra e la Hunter nel mezzo. Alex non sembrava cosciente di essere bloccata all’interno di una macchina dei federali. Neal le cingeva le spalle con un braccio stringendola a sé, la ragazza sembrava divorata dall’ansia.
Peter aveva già incontrato Alex e le aveva anche consigliato di lasciare il paese, era convinto che fosse una pessima influenza per Neal e che questo suo entrare ed uscire a piacimento dalla vita del suo consulente, fosse più un danno che un beneficio per il suo collaboratore. La ragazza gli era sempre sembrata forte, scaltra, perfettamente padrona del gioco e di sé stessa, cos’era successo?

 

Note:

*L’ospedale Mount Sinai esiste, l’indirizzo è 1 Gustave L. Levy Pl, New York, NY 10029, Stati Uniti, si trova a nord di Central Park, calcolando le due miglia della cavigliera dal reale edificio dell’FBI all’estremità sud della penisola di Manhattan sarebbe fuori dal raggio di Neal, è una mia congettura.

 

Un anticipo del prossimo capitolo:

Peter non avendo ricevuto risposta chiese di nuovo: “Mozzie, che sta succedendo? Alex piomba al bar fuori di sé…” l’agente Burke si accorse che a quelle parole il ragazzino aveva stretto più forte il bicchiere, sempre continuando a fissare il liquido all’interno senza sollevare la testa “Che ci fai tu qui?” chiese ancora Peter a Mozzie “ ..e chi è il ragazzo?” disse indicando la sedia accanto.

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Capitolo 5
*** Cosa sta succedendo? ***


Non sono un medico, quello che scrivo riguardo l’ospedale, i sintomi e le cure di Ariel è da considerarsi opera di fantasia.
I personaggi riconoscibili non mi appartengono, sono proprietà di chi ne detiene i diritti; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringrazio chi mi segue. Spero la mia storia vi piaccia almeno un pochino. Buona lettura

 

Quinto capitolo. Cosa sta succedendo?

 

Arrivati all’ospedale Mount Sinai scesero dalla macchina, Jones si preoccupò di cercare un parcheggio. Alex corse all’interno dell’ospedale, seguita da Neal e dagli altri. La ragazza si diresse sicura verso la terapia intensiva.
Svoltato l’angolo si trovarono davanti una sala d’aspetto con alcune file di sedie in plastica colorata e una macchina per il caffè. Mozzie alzò la testa appena li sentì arrivare. Alex si blocco quando un ragazzino dai capelli marroni le si fiondò tra le braccia, se Neal non fosse stato subito dietro di lei a sorreggerli probabilmente sarebbero caduti entrambi.
Peter guardò il ragazzino, occhi marroni come i capelli, alto all’incirca un metro e cinquanta, poteva avere forse undici o dodici anni.
L'agente si girò verso Neal con aria interrogativa, ma un medico uscì dalle porte a vetri. Neal automaticamente strinse Alex in un abbraccio da dietro e con la mano accarezzò la testa del ragazzino. Diana non sapeva cosa pensare. In quel momento anche Jones li raggiunse.
“È… è… è…” balbettò Alex, era un fascio di nervi.
“La paziente al momento è stabile” disse il medico con tono pacato “Purtroppo la sua situazione clinica è piuttosto grave.”
Neal stringeva Alex talmente forte che Peter pensava sinceramente che potesse romperla, la ragazza non sembrava nemmeno accorgersene.
“Abbiamo fermato l’emorragia e stabilizzato tutti i valori vitali, per quanto possibile” disse il medico.
“Cosa potete fare?” chiese Neal con la voce carica di preoccupazione.
“Mi scusi, chi è lei?” domandò il dottore, come se vedesse Neal per la prima volta.
“Sono il padre di Ariel” rispose Neal, consapevole dello sguardo incredulo di Peter che gli perforava la schiena.

 

Neal e Alex avevano seguito il medico in una saletta appartata, il ragazzino si era seduto silenzioso su una sedia accanto a Mozzie, fissava un bicchiere di plastica ed aveva gli occhi rossi dallo sforzo di trattenere le lacrime.
“Il padre di Ariel?” ripeté Peter fra sé, poi si voltò verso i suoi collaboratori e lesse sui loro volti lo steso stupore. Guardò Mozzie seduto in un angolo della sala d’aspetto, sembrava preoccupato, ma non sorpreso.
Peter si avvicino “Che sta succedendo?” chiese, sedendosi sul posto libero a destra di Mozzie, il ragazzino occupava quello a sinistra.
Anche Diana e Jones si erano avvicinati. Mozzie guardò prima Peter e poi gli altri due, nonostante l’abilità di anni di truffe gli si leggeva in faccia che non sapeva che fare.
Peter non avendo ricevuto risposta chiese di nuovo: “Mozzie, che sta succedendo? Alex piomba al bar fuori di sé…” l’agente Burke si accorse che a quelle parole il ragazzino aveva stretto più forte il bicchiere, sempre continuando a fissare il liquido all’interno senza sollevare la testa “Che ci fai tu qui?” chiese ancora Peter a Mozzie “ ..e chi è il ragazzo?” disse indicando la sedia accanto.
“Quante domande Peter, come faccio a risponderti se non mi dai il tempo” disse Mozzie con un ampio gesto della mano. Il ragazzino sorrise a testa bassa.
“Non so da che parte cominciare, né cosa dirti in effetti…” iniziò Mozzie guardando Peter e poi gli altri. Diana aveva preso posto su una sedia di fronte a loro, mentre Jones se ne stava in piedi appoggiato alla macchina delle bevande, sembrava molto a disagio.
“Inizia dalla parte in cui scopriamo che Neal ha un figlio…” disse Peter guardando il truffatore dritto negli occhi. Mozzie non distolse lo sguardo.
“Due” disse il ragazzino continuando a fissare il bicchiere. Mozzie cercò lo sguardo di Nicholas per metterlo in guardia, mai dire cose non necessarie all’FBI.
“Cosa?” chiese Peter.
Nicholas alzò lo sguardo e fissando l’agente aggiunse “Neal ha due figli.”
Peter incredulo si guardò intorno con aria interrogativa.
Mozzie decise di intervenire “Peter questo è Nicholas, Nicholas questo è Peter e loro sono l’agente Jones e l’agente Berrigan” disse indicando i due.
“Tu sei Peter Burke?” domandò Nicholas.
Peter fece segno di sì con la testa e il ragazzino aggiunse “Quindi tu sei l’agente che ha arrestato mio padre.”
Peter ci mise una paio di secondi ad elaborare il significato delle parole. Il ragazzino che aveva davanti e che evidentemente si chiamava Nicholas, era figlio di Neal, così come l’Ariel per cui ora si trovavano in ospedale. L’agente poteva vedere una certa somiglianza, non gli occhi, che erano marroni, anzi non marroni, color cioccolata, intensi e furbi, occhi che aveva già visto, il ragazzino aveva gli occhi di Alex. 
“E ora sei il suo custode” disse Nicholas mettendo parecchia enfasi sulla parola custode e mimando con le dita le virgolette, la voce del ragazzino e il gesto riportarono Peter alla realtà.
“Si, sono io…” rispose, voleva aggiungere altro, ma fu interrotto da Diana “Aspetta un attimo. Tu sei il figlio di Caffrey?”
Nicholas girò la testa verso l’agente Berrigan e fece un cenno d’assenso “e Ariel è figlia di Caffrey?” proseguì Diana.
Nicholas rispose con un altro cenno della testa. “…ed è tua sorella?” chiese ancora Diana.
Mozzie stava per intervenire per mettere fine all’interrogatorio di Diana, quando dalle porte scorrevoli riemerse Alex. Nicholas si alzò rovesciando il bicchiere e corse ad abbracciare la madre. Lei lo strinse forte e i due si scambiarono alcune frasi in quello che a Peter sembrò russo, poi si avvicinarono al gruppetto ancora seduto.
“Grazie Mozzie” disse Alex lasciandosi cadere sulla sedia lasciata vuota dal figlio poco prima. Nicholas le si sedette accanto.
“Dov’è Neal?” chiese Peter.
Alex si girò verso l’agente, vedeva la preoccupazione nei suoi occhi “Neal è con Ariel” rispose piano.
“Le serve altro sangue?” chiese Nicholas interrompendo la madre. Alex si girò verso di lui “Tuo padre è compatibile” disse “e comunque tu non farei altri prelievi” aggiunse perentoria. Il ragazzino la guardò torvo, ora si che Peter vedeva qualcosa di Neal.
Nicholas si alzò.
“Dove vai?” lo fermò Alex prendendolo per un polso.
“Al bagno” rispose il ragazzino divincolandosi.
Alex guardò il figlio lasciare la stanza, poi chiuse gli occhi, si chinò e prendendosi la testa tra le mani si massaggiò le tempie.

 

“Alex?” chiamò Peter per attirare l’attenzione della ricettatrice, dato che lei non accennava ad alzare la testa aggiunse “Alex, puoi spiegarmi? Che sta succedendo?”
Peter non voleva essere brusco, ma era stufo di non capire, voleva delle risposte. Aveva appena scoperto che il suo collaboratore aveva non uno, ma due figli, ragazzini di cui non aveva trovato traccia nelle sue indagini.
Alex sollevò la testa e sospirò, poi guardando Peter negl’occhi disse “Neal non sapeva niente di loro fino a cinque giorni fa.”
“Neal non sapeva di avere dei figli?” intervenne Jones per la prima volta.
“No, non lo sapeva” ripeté Alex “non gliel’ho mai detto.”
“E perché adesso?” chiese Diana.
Alex guardò la porta della sala d’aspetto, visto che Nicholas non stava ritornando si voltò verso gli agenti e disse “Ariel sta molto male, le crisi sono sempre più frequenti… io non… i medici non sono ottimisti… io non avevo il diritto…” il volume della voce di Alex si ridusse ad un sussurro quando terminò “…io volevo che Neal la conoscesse.”

 

Dal prossimo capitolo:

“Che sta succedendo?” chiese Peter, ormai quella domanda gli sembrava di averla posta troppe volte quel giorno, ma non aveva ottenuto nessuna risposta soddisfacente.
Neal alzò la testa e chiese “Dall’inizio?”
“Dall’inizio” confermò Peter.

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Capitolo 6
*** Spiegazioni ***


Sesto capitolo. Spiegazioni

 

Il silenzio regnava nella sala d’aspetto. Peter aveva mille domande, ma Alex non sembrava propensa a rispondere e di Neal non c’era traccia. Il telefono di Alex vibrò, lei lesse il messaggio e si alzò. Jones, sempre in piedi vicino alla macchina del caffè, guardò Peter per capire se doveva fermarla. Alex era ricercata per il furto delle opere greche ed anche se la situazione era complicata, lasciarla semplicemente andare non corrispondeva alla morale dell’FBI. In quel momento le porte a vetri si aprirono nuovamente e ne uscì Neal. Diana notò che il truffatore aveva perso quasi tutta la sfrontatezza che di solito lo caratterizzava, aveva i vestiti sgualciti e con la mano teneva fermo un batuffolo di cotone sul braccio. Alex lo intercettò a metà della stanza. Neal la abbracciò sussurrandole qualcosa all’orecchio, il batuffolo di cotone cadde a terra, la ragazza per risposta lo baciò sulla bocca. Non fu un bacio breve e costrinse gli agenti a distogliere lo sguardo.
Alex si staccò da Neal, i due si guardarono un attimo negli occhi fronte contro fronte, poi la ragazza si voltò verso il gruppo in attesa e chiese “Mozzie puoi recuperare Nicholas dovunque sia finito?”
In risposta Mozzie si alzò e si diresse verso l’uscita.
Alex lanciò uno sguardo agli agenti dell’FBI nell’angolo e sparì nuovamente oltre la porta a vetri.
Neal si avvicinò ai suoi colleghi, prese posto accanto a Diana, di fronte a Peter e si sistemò la manica della camicia, conscio che tutti lo stavano fissando.
“Che sta succedendo?” chiese Peter, ormai quella domanda gli sembrava di averla posta troppe volte quel giorno, ma non aveva ottenuto nessuna risposta soddisfacente.
Neal alzò la testa e chiese “Dall’inizio?”
“Dall’inizio” confermò Peter.

 

Neal sospirò e poi iniziò a raccontare agli agenti dell’arrivo di Alex a casa sua cinque giorni prima, di come aveva saputo dei gemelli e del loro primo incontro, di dodici anni prima e di Milano. Gli occhi di Diana si spalancarono leggermente quando seppe del mancato aborto, ma non fece domande né proferì parola. Neal proseguì tralasciando la maggior parte dei dettagli, spiegando agli agenti come aveva incontrato un paio di volte i gemelli, dei suoi timori per l’indagine in corso ed il possibile coinvolgimento di Alex. Accennò anche al fatto che la ragazza era a casa sua la notte del secondo furto e che quindi non poteva aver commesso il reato, per lo meno non personalmente.
Scese un attimo di silenzio e Peter colse l’occasione per chiedere “Perché Ariel è in ospedale?”
Neal si passò una mano tra i capelli prima di rispondere “Ariel ha frequenti emorragie interne. I medici non sono concordi sulla malattia e purtroppo sta peggiorando.”
Peter si alzò e si avvicino al suo consulente stringendogli lievemente la spalla. Neal alzò gli occhi verso di lui riconoscente. Peter non aveva figli, lui ed Elizabeth li avrebbero voluti, ma non era successo, poteva però immaginare quanto dovesse essere traumatico scoprire di avere una figlia e che questa fosse malata.
“Io ho lo stesso gruppo sanguineo dei gemelli e sono perfettamente compatibile, quindi posso aiutare Ariel con le trasfusioni” aggiunse Neal, come a spiegare la sua presenza lì ed in un certo senso lo strano comportamento di Alex.

 

Era calato il silenzio da un paio di minuti, quando Diana alzò di scatto la testa e chiese “Ma dov’è finito Mozzie col ragazzino?”
Peter si guardò intorno, non c’era traccia dei due, era così preso dal racconto di Neal e dai suoi pensieri in proposito, che non si era reso conto che Mozzie non era tornato. Era strano che Neal non fosse andato a cercare il figlio, era vero che lo conosceva da pochi giorni, ma anche Mozzie in teoria. Peter scambiò uno sguardo con Jones e poi con Diana. Un terribile sospetto stava prendendo corpo nella sua mente.
“Alex è in terapia intensiva, vero Neal?” chiese Peter.
Neal lo fissava con occhi inespressivi senza rispondere.
Cavolo, pensò Peter “Jones vai a vedere se trovi Mozzie!” ordinò all’agente, dopo di che indicando a Diana le porte scorrevoli disse “Vedi se riesci a entrare o comunque fatti dire se la Hunter è con la bambina!”
Diana si alzò e si diresse verso l’accesso alla terapia intensiva. Neal saltò in piedi per seguirla, ma Peter lo bloccò per un braccio “Perché non stai cercando ovunque l’altro tuo figlio?” chiese l'agente a Neal a bruciapelo, con un tono più brusco di quello che avrebbe voluto.
“C’è Mozzie con lui, se ci fossero problemi mi avrebbe avvisato” disse il truffatore ed aggiunse “..è un periodo difficile, Nicholas ha bisogno di tempo.”
Peter guardò Neal con sospetto senza lasciargli il braccio.

 

Pochi minuti dopo Diana uscì dalla terapia intensiva “Sparita!” disse “La Hunter è scomparsa. La ragazzina è ancora nel suo letto, sta riposando, ma della madre non c’è traccia” concluse avvicinandosi a Peter e lanciando un’occhiata di traverso a Neal.
In quel momento Jones rientrò nella sala d’aspetto, aveva il fiatone “Ho controllato tutti i bagni di quest’area, niente ometto pelato e niente ragazzino.”
I tre agenti dell’FBI si girarono contemporaneamente verso Neal fissandolo, fu Peter a parlare per primo “Ci hai distratti parlando mentre la Hunter fuggiva?”
“No” disse Neal deciso “Non sapevo che pensasse di scappare.”
“Come no” commentò sarcastica Diana.

 

Lo sguardo di Peter era quello più difficile da sostenere, Neal sapeva che i tre agenti dell’FBI lo consideravano colpevole, ma non avevano nessuna prova. Erano stati loro a pretendere delle spiegazioni e a farlo parlare tutto il tempo. Neal non avrebbe certo lasciato che arrestassero Alex, con i suoi precedenti la ragazza avrebbe rischiato molti anni di prigione e con lui in libertà vigilata i servizi sociali avrebbero potuto portargli via i figli. Se tutti avevano seguito il piano, Alex doveva essere uscita da una porta di sicurezza vicina alla terapia intensiva, a cui Mozzie aveva disattivato l’allarme; una volta all’esterno Alex e suo figlio dovevano aver trovato una macchina, che un amico della ragazza aveva lasciato per loro. Avevano venti minuti di vantaggio sui federali, il piano prevedeva di nascondersi in un luogo sicuro. Neal avrebbe preferito che lasciassero il paese, ma Alex non aveva voluto, non se la sentiva di allontanarsi troppo da Ariel. In realtà la donna gli aveva assicurato che sarebbe riuscita a far tornare Nicholas in Italia, dove il padre di Alex si sarebbe occupato di lui, almeno finché non si fosse risolta la situazione. A Neal dispiaceva separarsi dal figlio appena conosciuto, ma non c’erano alternative, almeno per ora.

 

Prima che Peter potesse torchiarlo con le sue domande, un’infermiera uscì dalla terapia intensiva per dire a Neal che Ariel si era svegliata e chiedeva di lui. Scambiato uno sguardo con Peter, Neal si era diretto al capezzale della figlia.
“Jones resta qui e controlla Neal, più tardi ti mando una macchina per riportalo a casa, fatti dare il cambio stanotte per tenerlo d’occhio” ordinò Peter, poi si girò verso Diana “Noi torniamo in ufficio.”

 

Nel prossimo capitolo:

“Domani potrebbero dimettere Ariel dall’ospedale…” disse Peter alla moglie.
I due erano seduti in giardino, era una serata tiepida. Satchmo se ne stava disteso ai piedi della sdraio di Elizabeth a rosicchiare un osso di gomma. La donna si voltò verso il marito “Cosa succederà?”

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Capitolo 7
*** E ora? ***


Settimo capitolo. E ora?

 

La settimana successiva era passata velocemente, Peter, dopo una discussione con Neal sul suo comportamento e sulla fuga di Alex, gli aveva comunque concesso di andare due volte al giorno, accompagnato, all’ospedale a trovare Ariel. Dopo quattro giorni la ragazzina aveva lasciato la terapia intensiva, la sua malattia era cronica e i medici stavano aspettando che si rimettesse per dimetterla, nel frattempo la sottoponevano ad analisi e test. Grazie al sangue di Neal la ripresa faceva ben sperare ed i medici erano fiduciosi.
Peter aveva parlato con Elizabeth dell’accaduto e sua moglie si era dimostrata molto indulgente con Neal, aveva insistito per accompagnarlo all’ospedale ed aveva fatto amicizia con Ariel. Anche Peter aveva conosciuto la ragazzina e doveva ammettere che gli era simpatica, sembrava così fragile, magrissima e con una cornice di capelli scuri che facevano risaltare ancora di più il pallore del viso, la parlantina piuttosto sciolta gli ricordava Neal. Ariel era molto espansiva ed aveva legato subito anche con Jones e Diana.
Mozzie era ricomparso già la prima sera in ospedale, non c’era traccia di Nicholas, non che Peter se lo aspettasse; la giustificazione del truffatore era stata che il ragazzino aveva fame, così erano andati al bar dell’ospedale e nella confusione Nicholas era sparito. Peter non aveva prove per dimostrare il contrario e neanche una gran voglia d’indagare.
Peter era sicuro che Alex non fosse troppo lontana, aveva il sospetto che fosse in contatto con Neal, ma il suo consulente si comportava normalmente e la sorveglianza a casa sua non aveva rilevato niente di strano.

 

“Domani potrebbero dimettere Ariel dall’ospedale…” disse Peter alla moglie.
I due erano seduti in giardino, era una serata tiepida. Satchmo se ne stava disteso ai piedi della sdraio di Elizabeth a rosicchiare un osso di gomma. La donna si voltò verso il marito e chiese: “Cosa succederà?”
“Non ne ho idea” rispose Peter “I documenti di Neal sono risultati regolari”
Allo sguardo interrogativo di Elizabeth, Peter sollevo le spalle e continuò: “Alex deve aver dichiarato che Neal era il padre, i certificati di nascita portano il suo nome e se nessuno si oppone la ragazzina dovrebbe essere affidata alla custodia del padre, per ora… certo potrebbero intervenire i servizi sociali, in fondo Neal è in libertà condizionata” concluse Peter pensieroso.
“Potremo intercedere in suo favore” suggerì Elizabeth sistemando meglio lo scialle che le copriva le spalle.
“Cosa intendi?” chiese il marito guardandola curioso.
“Non so, magari è possibile prendere in custodia anche la bambina oltre al padre…” butto lì Elizabeth. Il marito la guardò stranito, poi capì dove voleva andare a parare “Vuoi chiedere l’affidamento?”
“Perché no, nel caso non fosse affidata a Neal potremo proporci noi, non voglio che siano separati e che Ariel sia data a sconosciuti” disse Elizabeth in tono accorato.
Peter non era particolarmente sorpreso dalla proposta della moglie, in effetti ci aveva pensato anche lui.
“Lo sai vero che Alex non è lontana e che non lascerà a lungo la figlia in America…” disse l’agente.
“Credi che sia ancora qui?” chiese Elizabeth accarezzando Satchmo dietro alle orecchie, il labrador le aveva portato l’osso smangiucchiato, fiero del suo lavoro.
“Ne sono sicuro, non ho prove perché è sparita, ma Neal è troppo tranquillo, deve sapere dov’è” disse Peter prendendo un sorso di birra dalla bottiglia.
“Gliel’hai chiesto?” domandò Elizabeth e sorridendo aggiunse “Non come agente dell’FBI però, come amico”
Peter si perse un attimo negli occhi nocciola della moglie, poi sospirò e disse “Non credo di riuscire a distinguere le due cose”

 

 

Neal sapeva che non sarebbe stato facile, sperava ovviamente che gli affidassero Ariel senza troppe complicazioni, ma non ci credeva molto. June aveva subito garantito la massima disponibilità ed aveva anche preparato una stanza per la ragazzina se si fosse trasferita li, la sua padrona di casa era veramente una donna speciale e Neal si riteneva molto fortunato ad averla incontrata. Appena arrivato in ufficio aveva trovato ad attenderlo un’assistente sociale, ora era seduto con lei nella sala riunioni, una signora sui cinquant’anni robusta, vestita con una gonna grigia ed un cardigan marrone a righe. Anche Peter e Diana erano nella stanza, Neal non aveva niente in contrario al fatto che fossero presenti all’incontro.
“Lei non è esattamente un cittadino modello signor Caffrey…” iniziò l’assistente sociale sfogliando le carte che aveva davanti e facendo vagare lo sguardo per la stanza.
“Sto cercando di fare ammenda signora Moore” disse Neal rivolgendo all’assistente il suo sorriso più affascianante.
“Ariel sembra molto affezionata... però non si può ignorare che si tratta di un minore straniero… non siamo riusciti a rintracciare la madre… lei sa dove si trova la signora Marcello?” chiese la Moore.
Peter e Diana si scambiarono uno sguardo stupito, ma Neal intervenne prima che potessero fare domande “Da quando ha lasciato l’ospedale non l’ho più vista e non ho modo di contattarla.”
Dalla sua sedia ad un capo del tavolo Peter guardava il suo consulente, sembrava perfettamente a suo agio nel suo bel completo firmato, l’agente però lo conosceva bene ormai, per Peter era evidente che Neal fosse seriamente preoccupato per il risultato della conversazione. Marcello doveva essere il cognome di uno degli alias di Alex, Peter si ripromise di controllare appena possibile.

La signora Moore stava mettendo in dubbio la capacità di Neal di occuparsi correttamente della ragazzina, al che Peter decise d’intervenire, non aveva parlato con il suo consulente della sua idea, ma non pensava che avesse qualcosa in contrario.
“Signora Moore, dato che la situazione di Ariel è solo temporanea …fintanto che non si sbloccherà la situazione con l’Italia e visto che la sua malattia richiede …assistenza costante… e una buona dose di sangue a portata di mano, potrebbe sembrarle ragionevole affidare Ariel al padre, a condizione che viva con me e con mia moglie?” chiese Peter tutto d’un fiato.
Neal si girò verso l’agente e lo guardò sbalordito, non che non pensasse che Elizabeth avrebbe potuto fare una cosa del genere, però lo rincuorava sapere che l’amico era disposto ad aiutarlo.
La signora Moore ci pensò su un po’, fece qualche telefonata ed alla fine acconsentì all’accordo, Ariel sarebbe stata affidata al padre a condizione di vivere con i coniugi Burke. Quando la Moore, accompagnata da Diana, uscì dalla stanza e si diresse all’ascensore, Neal e Peter si guardarono per un attimo, poi Neal avanzò ed abbracciò l’agente “Grazie” gli sussurrò all’orecchio.
Un po’ a disagio Peter si fece indietro e commentò “Non farmene pentire.”

 

Dal prossimo capitolo:

“Come va?” chiese Peter abbracciando la moglie ed offrendole una birra dal tavolo.
“Bene… credo… Ariel sta sistemando le sue cose, scende tra un attimo” rispose Elizabeth prendendo la birra.
Neal si diresse verso il salotto, Peter fece per seguirlo, ma la moglie lo trattenne per la manica della camicia e sorridendo disse “Dagli due minuti, tesoro”

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Capitolo 8
*** Una nuova casa ***


Ottavo capitolo. Una nuova casa

 

“Questa sarà la tua stanza… almeno per un po’” disse con dolcezza Elizabeth sorridendo ad Ariel che si guardava intorno curiosa.
La ragazzina era stata dimessa dall’ospedale alle cinque del pomeriggio, Elizabeth aveva insistito per andare con Neal e Peter a prenderla e preso del gelato per il dopo cena, i quattro avevano raggiunto la casa dei Burke, dove Satchmo li aveva accolti con tutti gli onori. Ariel era finita sul pavimento abbracciata al cagnone giallo, sotto lo sguardo leggermente preoccupato di Neal, il quale palesemente non sapeva come comportarsi. La situazione era nuova per tutti.
Neal e Peter si erano diretti in cucina, mentre Elizabeth aveva mostrando ad Ariel la casa.

“Grazie Peter” disse Neal fissando il bicchiere di vino che l’amico gli aveva offerto, Peter prese un sorso di birra direttamente dalla bottiglia.
“Ariel è… speciale, merita aiuto” disse Peter serio e poi aggiunse “inoltre El mi avrebbe ucciso se non vi avessimo aiutato!”
Neal sorrise e in quel momento Elizabeth entrò in cucina.
“Come va?” chiese Peter abbracciando la moglie ed offrendole una birra dal tavolo.
“Bene… credo… Ariel sta sistemando le sue cose, scende tra un attimo” rispose Elizabeth prendendo la birra.
Neal si diresse verso il salotto, Peter fece per seguirlo, ma la moglie lo trattenne per la manica della camicia e sorridendo disse “Dagli due minuti, tesoro”

 

Alla fine Elizabeth propose di mangiare cinese, tutti approvarono, così ordinarono da un ristorantino poco distante, che in mezz’ora pensò alla consegna. La cena trascorse tranquilla e dopo una telefonata a June, per rassicurarla delle condizioni di Ariel, anche Neal si rilassò godendosi la compagnia.
Al momento dei biscotti della fortuna suonò il telefono.
Elizabeth si alzò ed andò a rispondere, rientrata in cucina sorrise a Neal e appoggiando una mano sulla spalla di Ariel le disse “Tesoro è per te, puoi prendere la telefonata dal ricevitore in salotto”
Ariel si alzò e corse al telefono. Elizabeth tornò a sedersi al suo posto prendendo un sorso di vino.
“È?” chiese Peter alzando un sopracciglio con aria interrogativa.
“Sì” rispose Elizabeth senza scomporsi e riponendo il bicchiere sul tavolo. 

 

Neal aveva passato davvero una bella serata, era contento che Ariel fosse uscita dall’ospedale, anche se si trattava solo di una tregua e non di una vera e propria guarigione. Quello cinese non era il suo cibo preferito, ma ne era valsa la pena. La telefonata di Alex aveva illuminato Ariel, che si era mantenuta allegra per il resto del tempo passato assieme. Finito di mangiare Neal aveva aiutato Elizabeth a sparecchiare, mentre Peter e Ariel guardavano cosa c’era in tv, poi aveva raggiunto la figlia e si era seduto accanto a lei sul divano. Verso le dieci Ariel si era addormentata tra le sue braccia, così Neal l’aveva portata nella sua nuova stanza cercando di non svegliarla, non era servito, così si erano salutati mentre le rimboccava le coperte e le prometteva che si sarebbero rivisti il giorno seguente.
Aveva ringraziato i Burke e li aveva pregati di chiamarlo in qualsiasi momento, se ce ne fosse stato bisogno. Nella settimana appena trascorsa aveva fatto alcune trasfusioni, in modo da avere una scorta di sangue per Ariel, le sacche erano in ospedale. A Neal dispiaceva lasciare la figlia, ma aveva rifiutato l’offerta di Elizabeth di fermarsi a dormire da loro, la telefonata di Alex non era solo per Ariel. Era stato rischioso chiamare direttamente dai Burke, ma Neal sapeva che Alex doveva aver usato una cabina, da cui non sarebbero riusciti a risalire al suo nascondiglio.
Neal sapeva che l’FBI lo teneva sotto controllo. Peter non si era dato molto da fare per trovare Alex, anzi per i suoi standard era stato approssimativo e piuttosto scialbo nelle ricerche, Neal era felice di questo, ma non poteva comunque rischiare entrando in contatto diretto con Alex; era escluso andare da lei, a causa della cavigliera che tracciava ogni suo movimento, e la casa di June probabilmente era sorvegliata. Avevano trovato un altro modo.
Per questo non fu troppo sorpreso quando una limousine rallentò, si accostò e l’autista abbassato il finestrino gli chiese “Vuole un passaggio signor Caffrey?”
Con un sorriso Neal aprì la portiera della lunga macchina nera e salì.

 

Nel prossimo capitolo:

Neal ed Ariel avevano passato del tempo seduti sul tappeto del salotto dei Burke giocando con Satchmo, dopo di che padre e figlia erano saliti di sopra nella camera di Ariel.
Peter li sentiva chiacchierare attraverso la porta socchiusa, non parlavano in inglese e l’agente non capiva cosa si stessero dicendo.
“Stai origliando?” gli chiese Elizabeth passandogli un braccio dietro alla schiena e appoggiandogli la testa su una spalla.

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Capitolo 9
*** Opzioni ***


Oggi un capitolo più lungo perchè quasi sicuramente domani non aggiornerò.
Ho deciso di mantenere Hughes a capo della White Collar in ricordo dell’attore James Rebhorn recentemente scomparso.

 

Nono capitolo. Opzioni

 

Il giorno dopo in ufficio Peter aveva fatto rintracciare la chiamata arrivata a casa sua la sera precedente, una cabina telefonica in New Jersey. Peter aveva sempre sospettato che Alex non fosse andata lontano. La sera prima non aveva fatto domande, era comprensibile che la Hunter fosse preoccupata delle condizioni della figlia e Peter conosceva abbastanza sua moglie da sapere che la felicità della bambina era la cosa più importante per lei. In realtà, il sorriso con cui Ariel era tornata in cucina dopo cinque minuti di telefonata ed il buon umore che la ragazzina aveva avuto per il resto della serata, avevano contagiato anche lui. Alex aveva molti difetti, però per quel poco che Peter aveva visto doveva essere una buona madre, sicuramente Ariel le era molto affezionata.
La mattinata trascorse tranquilla, dato che non c’erano rilevanti novità sui furti negli appartamenti della settimana precedente, tutta la squadra si dedicò ad un nuovo caso: alcune monete contraffatte rinvenute durante una perquisizione della narcotici nel covo di alcuni tossici. Neal si era dimostrato particolarmente collaborativo e Peter aveva apprezzato alcune deduzioni molto utili di Jones, che li avevano fatti progredire nell’indagine.
Per pranzo Elizabeth aveva accompagnato Ariel nell’ufficio dell’FBI, la ragazzina si era guardata intorno suscitando la curiosità di tutti i colleghi. Neal era molto fiero della rapidità di pensiero di sua figlia, dell’arguzia di alcune sue risposte e dell’ottima conoscenza dell’inglese che dimostrava. Neal sapeva che non era quella la sua prima lingua. Alex gli aveva raccontato che i gemelli erano cresciuti principalmente in Italia, dove vivevano in una villa appartenuta alla famiglia della madre di Alex. La signora Marcello era una nobile decaduta, innamorata dell’arte e proprietaria di una notevole collezione di opere, accumulate nei secoli dai suoi antenati. Alex viveva in Italia come Alessandra Marcello e tenendosi nell’ombra era riuscita ad evitare che qualcuno collegasse le due identità. I gemelli parlavano l’italiano, avevano imparato il russo e l’inglese dalla madre e grazie a differenti tate nel corso degli anni, se la cavavano abbastanza bene anche con il francese ed il tedesco. Alex gli aveva raccontato di numerosi viaggi in cui aveva portato anche i gemelli e Neal provava una punta d’invidia nei suoi confronti, se solo avesse saputo della loro esistenza forse alcune cose le avrebbe fatte diversamente, sicuramente l’anno precedente avrebbe scelto una meta diversa da Capoverde per la sua fuga.
Avevano mangiato tutti assieme nella sala riunioni il pranzo portato da Elizabeth, uno strappo alla regola, concesso da Hughes in cambio di una porzione di polpa di granchi del Maine, uno dei suoi piatti preferiti.
Alle due si era presentato Mozzie, nel pomeriggio avrebbe fatto da guida ad Ariel nell’esplorazione del museo di storia naturale, Elizabeth aveva degli impegni di lavoro improrogabili e a Mozzie non dispiaceva portare in giro la ragazzina. Ariel era affascinata delle teorie sulle cospirazioni e al truffatore piaceva fare ipotesi con lei.

 

Verso le sei Peter e Neal avevano lasciato l’ufficio dell’FBI, come da accordi con Elizabeth, Neal si sarebbe fermato a cena da loro, per stare un po’ con Ariel. La cena si era dimostrata molto varia, perché Elizabeth aveva bisogno di cavie per testare l’offerta di un nuovo servizio di catering, non tutti i piatti erano ben riusciti, ma nel complesso il banchetto si era rivelato di ottima qualità. Neal ed Ariel avevano passato del tempo seduti sul tappeto del salotto dei Burke giocando con Satchmo, dopo di che padre e figlia erano saliti di sopra nella camera di Ariel.
Peter li sentiva chiacchierare attraverso la porta socchiusa, non parlavano in inglese e l’agente non capiva cosa si stessero dicendo.
“Stai origliando?” gli chiese Elizabeth passandogli un braccio dietro alla schiena e appoggiandogli la testa su una spalla.
“Non capisco cosa dicono” disse Peter baciando la moglie sulla fronte.
“Perché parlano in italiano” chiarì Elizabeth “capisco solo qualche parola dal mio soggiorno a Roma e sono molto arrugginita, ma credo che Neal le stia raccontando una storia” disse la donna girandosi per scendere le scale e portando il marito con sé.
Un’ora più tardi Neal trovò i Burke in giardino sulle sedie a sdraio, quando, lasciata Ariel addormentata sotto le coperte, scese a salutare prima di andare via.

 

L’aria fresca della sera lo risveglio dal leggero torpore che gli era calato addosso raccontando ad Ariel la favola della buona notte, certo sua figlia era un po’ grande per le fiabe, ma quella era una storia speciale, che con qualche rimaneggiamento raccontava di un sottomarino affondato e di un grande tesoro. Neal stava pensando a come fosse cambiata la sua vita in due settimane, era felice della gentilezza dimostrata da Peter ed Elizabeth e temeva che questa volta sarebbe stato davvero difficile non ferirli, probabilmente avrebbe rovinato definitivamente la loro amicizia.
Perso in questi pensieri non si accorse subito della macchina che rallentava ed ebbe un sussulto quando una voce gli disse: “Vuole un passaggio anche oggi signor Caffrey?”
Non si aspettava che la macchina si materializzasse anche quella sera. Era rischioso vedersi due volte nello stesso modo in due giorni.
Neal si voltò verso la limousine, si guardò un attimo attorno e salì. L’interno della macchina era un tripudio di radica e pelle nera, da una angolo Alex lo accolse con un sorriso.
“Lo so che è pericoloso rifarlo subito, ma non resistevo” disse la ragazza avvicinandosi, mentre Neal prendeva posto sul sedile accanto a lei.
“Lo sai quanto suona ambiguo quello che hai appena detto” le rispose Neal con un sorriso affascinante guardandola negli occhi, l’espressione di Alex mutò rapidamente dal cordiale al seduttivo, piegò la testa di lato mordendosi il labbro inferiore. Neal non resistette e la spinse contro lo schienale baciandola. Alex lasciò che le mani del truffatore la accarezzassero, scivolando sotto la sua maglia, Neal approfondì il bacio divaricando con la lingua le labbra della ragazza. Dopo aver indugiato per un po’ in baci e carezze con un mugolio Alex costrinse Neal a staccarsi quel tanto che le bastava per parlare.
“Come sta mia figlia?” chiese la ragazza con la voce roca per l’eccitazione.
“Nostra figlia” la corresse Neal baciandole il collo. Alex lo guardò storto e lo spinse un po’ più indietro.
“Come sta Ariel?” richiese la ragazza con un tono lievemente seccato.
Neal si stacco definitivamente da lei tornando ad appoggiarsi allo schienale dell’auto “Ariel sta bene, i Burke la trattano come la nipotina che non hanno mai avuto e oggi lo zio Mozzie l’ha portata al museo di storia naturale”
“Lo zio Mozzie?” chiese Alex alzando un sopracciglio.
La ragazza non voleva che Neal si ritraesse, era felice di sapere che Ariel stava bene e ovviamente le condizioni della figlia erano la sua priorità, ma le piaceva il contatto fisico con Neal, iniziò quindi ad accarezzargli il petto attraverso la camicia aperta. Neal seguì con lo sguardo i movimenti della mano della ragazza che lentamente gli sfilava la giacca, per poi passare alla camicia.
“Lo sai che l’autista ci guarda?” chiese Neal senza fermarla.
“Il divisorio è fatto apposta” rispose Alex sedendosi sul pavimento della limousine e dedicando tutta la sua attenzione ai bottoni dei pantaloni di Neal.

 

A tarda notte nel suo letto da solo Neal non riusciva a prendere sonno, una delle cose che gli aveva detto Alex prima di salutarsi lo tormentava. “Non esiste un modo per farlo senza ferire nessuno” queste erano state le esatte parole della ragazza e Neal sapeva che aveva ragione. Non potevano andare avanti a lungo con gl’incontri clandestini e Alex doveva lasciare il paese prima possibile. Neal sapeva che la ragazza non avrebbe mai lasciato Ariel in America e per quanto Alex apprezzasse l’aiuto dei Burke, non era disposta a separarsi dalla figlia. Il problema era che adesso nemmeno lui voleva separarsene, già gli dispiaceva non passare del tempo con Nicholas, che Alex era riuscita con estrema fatica a rispedire in Italia, gli aveva detto che era essenziale che lui fosse là per aiutare il nonno a coordinare il trasferimento.
In realtà Neal sapeva esattamente cosa dovevano fare, il problema erano le conseguenze che le loro azioni avrebbero avuto. Ci voleva del tempo per organizzare tutto, questa volta niente doveva essere lasciato al caso, nuove identità per tutti e cinque - Neal sapeva che Mozzie restava a New York solo per lui e non aveva dubbi che si sarebbe trasferito volentieri - un paese senza estradizione verso gli Stati Uniti, dove fosse possibile comprare ottime cure, e una casa per essere una vera famiglia. Il problema era Peter, una volta tradito avrebbe fatto di tutto per ritrovarlo o avrebbe lasciato perdere? ed Elizabeth come l’avrebbe presa? Neal odiava l’idea di ferirla. Per il truffatore la cosa migliore sarebbe stata attendere la fine della sua condanna, per poi raggiungere Alex ed i ragazzi, ma voleva dire perdere altri tre anni, nel migliore dei casi, era disposto ad aspettare? La salute di Ariel era precaria, come gli aveva spiegato Alex, le crisi erano difficili da prevedere, un attimo prima Ariel stava bene ed il momento dopo dovevano correre in ospedale per fermare un nuova emorragia. Il suo sangue sembrava aver aiutato la ragazzina, ma quanto sarebbe durata? Come avrebbe potuto continuare ad aiutare Ariel senza tradire la fiducia di Peter? Assillato da queste domande che gli ronzavano in testa, Neal non prese sonno se non poco prima del suono della sveglia.

 

La mattina in ufficio Neal scoprì che c’erano delle novità sui furti negli appartamenti dai Conrad e dagli Harrington, alcuni pezzi erano ricomparsi il giorno prima sul mercato. Ora il ricettatore, una vecchia conoscenza di Neal, era sottoposto alle domande incrociate di Peter e Diana. Neal e Jones seguivano l’interrogatorio dal vetro a specchio nella saletta adiacente.
“Lo conosci?” chiese Jones indicando il tipo basso seduto davanti a Peter.
“Sì” rispose Neal e continuò “è un pesce molto piccolo, di solito si occupava di merce come lettori dvd e televisori… deve aver tentato il salto di qualità”
“Non gli ha portato fortuna… quando l’hai visto l’ultima volta?” domandò Jones.
“Prima della prigione, ma non ho mai richiesto i suoi per così dire… servizi” disse Neal sempre con lo sguardo rivolto ai tre nella sala.

 

L’interrogatorio del ricettatore non aveva portato grandi rivelazioni, aveva ricevuto i pezzi da un tipo alto sulla quarantina, sfogliando le foto segnaletiche aveva identificato un tale Ron Fintch, un intermediario di piccolo calibro, con la fedina penale sporca. L’FBI aveva emesso un mandato di fermo nei suoi confronti. Il ricettatore non aveva riconosciuto Alex tra le foto che gli erano state mostrate, cosa che rassicurò relativamente Neal, dato che il ladro si era chiaramente servito di Fintch proprio per evitare il collegamento con il ricettatore.
Quella sera June aveva insistito, perché Ariel ed i Burke fossero suoi ospiti a cena, così finito il lavoro Neal si era recato direttamente al suo appartamento. Entrando aveva visto subito Mozzie seduto al tavolo della cucina con una bottiglia di Cabernet aperta davanti.
“Qualche novità?” gli chiese Neal sedendosi e versandosi da bere.
“I documenti saranno pronti in un paio di settimane… Alex deve lasciare il paese” commentò Mozzie facendo ruotare il liquido rosso nel bicchiere.
“Credi che non lo sappia?” rispose Neal ironico.
“Magari se evitassi d’incontrarla potrebbe essere un incentivo a partire…” buttò li Mozzie guardando Neal negli occhi. Il truffatore resse il suo sguardo e sorrise. L’amico era sempre informato di tutto, talvolta questa sua incredibile abilità risultava seccante.
“Nei prossimi giorni cercherò di convincerla a partire, tu puoi farle avere informazioni sulla salute di Ariel e in un mese e mezzo al massimo dovremo essere pronti a lasciare il paese” dichiarò Neal prendendo un sorso di vino.
“E con Mr. e Ms. FBI?” chiese Mozzes appoggiandosi allo schienale della sedia.
“Non posso dirgli niente… mi odieranno probabilmente… ma non vedo altra soluzione… ci ho pensato molto… dobbiamo sparire” disse Neal fissando l’amico.

 

Dal prossimo capitolo:

“Ariel, ti trovi bene con noi?” chiese Peter in tono gentile, lei rispose con un cenno affermativo della testa, allora Peter continuò “Però ti manca la mamma…”
La ragazzina rivolse lo sguardo al pavimento sentendo nominare la madre, poi sollevò gli occhi e fissando Peter disse piano “Ci sono abituata”

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Capitolo 10
*** Decisioni difficili ***


Decimo capitolo. Decisioni difficili

 

Le settimane seguenti passarono rapidamente. Le indagini sui furti negli appartamenti alla fine portarono ad identificare proprio in Ron Fintch il famoso Trapezista, l’uomo era stato abile nel tenere separate le sue identità ed era ricorso al piccolo ricettatore, solo perché aveva un disperato bisogno di soldi, un’altra vittima del vizio del gioco. Alex era risultata estranea ai fatti e se rimaneva il mandato di cattura per il furto delle opere greche, il suo arresto non era più una priorità per il Bureau.

Peter aveva fatto un’indagine discreta sul cognome Marcello ed era risalito all’identità di Alessandra Marcello, alias Alexandra Hunter, figlia di Mara Marcello e di Maximilian Frost, il cui vero cognome era Hunter, la ragazza aveva usato il cognome della madre per crearsi una vita del tutto rispettabile in Italia. Alessandra Marcello aveva cresciuto i suoi due figli gemelli nella villa di famiglia, i ragazzi avevano frequentato le scuole in zona e si erano sempre comportati come tutti i loro coetanei. Nessuno aveva mai conosciuto il padre dei gemelli e Alessandra era un membro ben voluto della piccola comunità.
Ovviamente quando Peter era entrato in possesso di queste informazioni, la villa di famiglia era risultata deserta e nessuno aveva più visto Alessandra, Nicholas o Maximilian da almeno un mese. Mara Marcello viveva da anni in un piccolo villaggio in Africa centrale, dove con i soldi di famiglia e le donazioni gestiva un ospedale per i locali, anche lì non c’era traccia dei suoi famigliari. Erano spariti nel nulla.

Ariel aveva avuto una crisi una decina di giorni dopo essere stata dimessa dall’ospedale, per fortuna niente di grave, erano bastati due giorni di ricovero ed una trasfusione per rimetterla in piedi.
Alex aveva chiamato dai Burke la sera stessa in cui la ragazzina era stata nuovamente dimessa dall’ospedale, questa volta la chiamata era stata fatta da un telefono pubblico di Budapest, una pista che non aveva portato da nessuna parte.
La vita famigliare dei Burke si era rimodellata sui bisogni di Ariel. Elizabeth e Mozzie si alternavano nel tenere compagnia alla ragazzina e se nessuno dei due poteva, anche Diana si prestava volentieri a fare da babysitter. Ariel passava molto tempo con June e ovviamente con Neal.
Il rapporto tra padre e figlia cresceva si giorno in giorno, ora Neal sapeva dire subito se Ariel stesse realmente bene o fingesse solamente di stare bene, il truffatore rivedeva se stesso e Alex in alcuni comportamenti della ragazzina e non aveva particolari problemi a smascherarne i trucchetti. Neal aveva scoperto, con un certo orgoglio, che Ariel era una borseggiatrice piuttosto abile, certo non una qualità che un padre normale avrebbe apprezzato, ma lui era pur sempre Neal Caffrey.
La cosa che lo aveva colpito di più però, era la bravura della figlia a disegnare, i due passavano intere serate a dipingere. Neal era felice di insegnare ad Ariel come tratteggiare i contorni delle figure, come impostare i colori, come riprodurre i grandi capolavori. Elizabeth aveva regalato ad Ariel un cavalletto e padre e figlia passavano ore nella stanza della ragazzina.
Peter apprezzava questa nuova routine, però man mano che i giorni passavano la tranquillità di Neal e di Ariel lo lasciavano sempre più inquieto. A parte le due telefonate, la ragazzina apparentemente non sentiva la madre da un mese, né chiedeva di lei, questo lo preoccupava.
Una domenica sera, dopo che Neal se ne era andato prima di cena per un impegno con June, Peter ne aveva approfittato per parlare con Ariel.
“Ciao” le disse sedendosi sul letto dietro al cavalletto su cui la ragazza stava dipingendo una copia piuttosto fedele delle ninfee di Monet.
“Ciao” rispose Ariel senza voltarsi.
“È stato un bel pomeriggio” continuò Peter
“Si, mi sono divertita al parco, …è pieno di scoiattoli, lo sai che in Italia non ci sono scoiattoli nei parchi” disse Ariel poggiando il pennello e voltandosi
“No, non lo sapevo” rispose Peter, poi guardando Ariel negli occhi chiese “Ti manca l’Italia?”
Gli occhi blu della ragazzina si rattristarono prima di rispondere “Un pochino” poi sorrise come a scusarsi.
“Ariel, ti trovi bene con noi?” chiese Peter in tono gentile, lei rispose con un cenno affermativo della testa, allora Peter continuò “Però ti manca la mamma…”
La ragazzina rivolse lo sguardo al pavimento sentendo nominare la madre, poi sollevò gli occhi e fissando Peter disse piano “Ci sono abituata”
“Cosa?” chiese Peter, non era sicuro di aver capito bene.
Ariel si alzò sistemandosi la gonna colorata “Ci sono abituata” ripete a voce più alta, vedendo lo sguardo interrogativo di Peter continuò “Sono stata spesso in ospedale… E la mamma a volte fa lunghi viaggi… non è la prima volta che non la vedo per tanto tempo …il viaggio più lungo è durato sedici mesi circa due anni fa”
Peter guardò la ragazzina confuso, poi si ricordò, Alex era stata in prigione. I due gemelli avevano entrambi i genitori criminali, certo non erano assassini, ma quello che Peter non riusciva proprio a capire, era come avesse potuto Alex fare quello che faceva lasciando i due bambini a casa ad aspettarla. Infondo Peter si era chiesto spesso cosa spingesse Neal ad agire così, l’uomo era affascinante ed intelligente, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, non ultimo diventare lui stesso un artista affermato, invece si era dato al crimine, questa cosa Peter non se la sarebbe mai spiegata.
L’annuncio di Elizabeth che la cena era in tavola mise fine alla conversazione e la serata trascorse tranquilla davanti alla tv. I pensieri di Peter tornarono più volte alle parole scambiate con Ariel e al comportamento del suo collaboratore; prima di addormentarsi Peter confessò parte delle sue elucubrazioni alla moglie, Elizabeth si dimostrò poco incline a giustificare alcuni comportamenti di Alex, ma sottolineò come Ariel fosse educata ed intelligente, una compagnia sempre piacevole. Peter si addormentò con un fastidioso senso di stallo, sognò di essere su di una spiaggia bellissima con Elizabeth ed Ariel, tutto era perfetto, tranne dei pesanti nuvoloni neri carichi di pioggia all’orizzonte.

 

“Siamo pronti” disse Mozzie a Neal quella sera, i due erano seduti al tavolo della cucina nell’appartamento al terzo piano della splendida casa di June. Erano passate otto settimane dal giorno in cui Alex era piombata al bar, dove Neal e gli altri stavano pranzando, trasformando completamente la vita del truffatore.
“Si può fare anche domani” aggiunse Mozzie intrecciando le dita davanti a sé sul tavolo e fissando l’amico negli occhi.
Mozzie era certo che il legame di Neal con i figli, anche se recentissimo, fosse particolarmente intenso, non era la prima volta però che organizzavano una fuga, Neal si sarebbe tirato indietro? Anche prima di salire sull’aereo con Kate, anni prima, Neal aveva avuto un attimo di esitazione di fronte a Peter, incertezza che si era rivelata la sua salvezza. Come avrebbe affrontato l’idea di tradire la fiducia dei suoi colleghi all’FBI definitivamente? Questa volta non ci sarebbero state seconde possibilità, se la fuga fosse andata male sarebbero finiti tutti in prigione per moltissimo tempo.
Non c’era bisogno di parole tra i due amici, seduti uno di fronte all’altro nell’attico newyorkese, si stavano facendo le stesse domande.
Alla fine fu Neal a rompere il silenzio “Non ti preoccupare Moz, ci ho pensato a lungo… è l’unica soluzione”
“Lo sai che i Burke soffriranno e potrebbero avere dei problemi” disse Mozzie
“Faranno delle indagini e poi tutti si dimenticheranno di noi” commentò Neal alzandosi e prendendo una bottiglia di whisky da uno scaffale. Aprì un’anta della cucina e prese due bicchieri, versò abbondantemente da bere a sé e all’amico.
“Grazie” disse Mozzie prendendo il suo bicchiere “allora siamo d’accordo, sarà per domani?” chiese  lasciando scorrere il liquido ambrato già per la gola. Neal fece di sì con la testa.
“Cosa hai detto ad Ariel?” chiese Mozzie curioso sollevando lo sguardo verso l’amico.
“Tutto” rispose Neal fissando il bordo del suo bicchiere.

 

Dal prossimo capitolo:

Seduto sul suo divano al buio, Peter non poteva credere a quello che era successo. Stava li e fissava il vuoto, ascoltando i singhiozzi di Elizabeth che provenivano dalla camera da letto.

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Capitolo 11
*** È solo un’altra truffa, vero? ***


Undicesimo capitolo. È solo un’altra truffa, vero?

 

Seduto sul suo divano al buio, Peter non poteva credere a quello che era successo. Stava li e fissava il vuoto, ascoltando i singhiozzi di Elizabeth che provenivano dalla camera da letto.
La giornata era iniziata come al solito, lui, Elizabeth ed Ariel avevano fatto colazione assieme seduti al tavolo del soggiorno, quel maledetto tavolo che ora stava li, davanti a suoi occhi, senza che riuscisse davvero a vederlo. Finito il caffè Peter si era recato in ufficio, dove aveva lavorato ad una caso con i colleghi. Ariel aveva passato la mattinata con Elizabeth in centro a visitare alcune location per un party che si sarebbe tenuto a fine mese. A pranzo le due avevano raggiunto lui e Neal al Bureau, ai quattro si erano uniti anche Jones e Diana, per un panino in compagnia in un bar vicino all’ufficio.
Tutto era stato molto normale, Ariel era spiritosa come sempre e Neal aveva assecondato le battute della figlia ridendo più del solito. Anche Diana si era rilassata, mostrando il suo lato tenero in compagnia della ragazzina.
Era venerdì e Neal gli aveva chiesto il pomeriggio libero, voleva portare Ariel ad una rappresentazione in un piccolo teatro all’interno delle sue due miglia. Peter non aveva niente in contrario, non stavano svolgendo indagini urgenti e la presenza del suo collaboratore non era indispensabile.
Padre e figlia avevano salutato tutti e si erano allontanati verso la fermata della metro, diretti probabilmente da June e poi a teatro. Elizabeth era tornata in ufficio, perché aveva alcuni appuntamenti con dei clienti. Peter, Jones e Diana erano rientrati al Bureau.
Il pomeriggio era trascorso tranquillo, fino alla telefonata.

Hughes aveva convocato Peter, Diana e Jones nel suo ufficio, l’espressione grave sul suo volto non faceva presagire niente di buono.
“Sedetevi” aveva detto il capo in tono spento.
Peter e Diana avevano occupato le due sedie davanti alla scrivania, mentre Jones si era appoggiato al muro.
“Cos’è successo capo?” aveva chiesto Diana preoccupata.
“C’è stato un incidente in centro tre ore fa” aveva iniziato Hughes.
“Ho sentito alcuni colleghi che ne parlavano” lo aveva interrotto Jones e aveva continuato “..un’autocisterna ha saltato un semaforo e tamponato un taxi, poi è esplosa. Gran brutto affare, ci sono stati dei morti” 
Peter e Diana si erano guardati sconcertati, la White Collar non s’interessava di incidenti stradali, doveva essere coinvolto qualcuno che conoscevano. L’espressione di Hughes si era fatta ancora più grave, mentre scuotendo la testa mestamente aveva detto “L’autista del camion, i passeggieri e il guidatore del taxi.”
“C’erano passeggieri?” aveva chiesto Peter con apprensione.
“I cadaveri si sono carbonizzati, l’altissima temperatura ha lasciato ben poco della macchina, i tecnici faranno il possibile, ma non so cosa riusciranno a recuperare…” aveva detto Hughes guardando i volti nervosi dei suoi sottoposti.
“Cosa sta cercando di dirci capo?” aveva chiesto Diana con la voce incrinata dall’ansia.
Hughes si era voltato e aveva lasciato scorrere un attimo lo sguardo fuori dalla vetrata, poi era tornato a guardare i suoi collaboratori e sospirando aveva detto le parole che Peter non avrebbe mai voluto sentire “La cavigliera di Caffrey ha smesso di funzionare, il Bureau ha rintracciato la sua ultima posizione, era su quel taxi.”

 

Le settimane seguenti erano confuse nei ricordi di Elizabeth, allo shock per l’incidente era subentrato il dolore; già la prima sera era stato chiaro che anche Ariel doveva essersi trovata su quel taxi assieme al padre, o per lo meno non c’era più traccia a New York di nessuno dei due.
Per giorni Peter aveva fatto indagini e congetture, cercando di capire la dinamica dell’incidente, aggrappandosi all’idea che si trattasse di una delle fughe di Neal e non di una terribile tragedia. Infondo non era la prima volta che il truffatore inscenava la sua morte. Aveva portato avanti le ricerche, ma non c’erano piste credibili. La scientifica aveva confermato la presenza di quattro diversi DNA sul luogo dell’incidente, ulteriori analisi avrebbero cercato di dare un’identità ai resti.
Quattro giorni dopo l’incidente alla porta di casa Burke era comparso Mozzie, l’uomo era visibilmente sconvolto, aveva parlato con Alex e quest’ultima aveva dato di matto e si era resa irreperibile, nessuno dei contatti del truffatore aveva più avuto sue notizie.

Era quasi il tramonto ed Elizabeth si trovava nella stanza che per alcuni mesi aveva ospitato Ariel, stava riordinando le sue cose senza realmente riuscire a fare granché. Gli esami avevano confermato che i DNA recuperati appartenevano a Neal Caffrey e a sua figlia, oltre che a un autista serbo immigrato da alcuni anni in America in cerca di fortuna e al cinquantenne del New Jersey che guidava il taxi. Le indagini erano state ufficialmente chiuse e i quattro erano stati dichiarati morti.
Quella mattina sotto un cielo incredibilmente sereno si era tenuta la cerimonia funebre per Neal e sua figlia, una funzione intima, non c’erano corpi da seppellire e ci sarebbe stata solo una lapide simbolica. Al rito avevano partecipato una ventina di persone, tra cui alcuni dipendenti del Bureau, i coniugi Burke, June, Mozzie, Jones e Diana. Alex non si era vista e neanche nessun vecchio amico di Neal. Una signora elegante sulla sessantina si era avvicinata ai coniugi Burke e aveva stretto loro la mano ringraziandoli, si era presentata come Mara Marcello, la nonna di Ariel. Finita la cerimonia tutti avevano lasciato il cimitero alla spicciolata.
Mozzie aveva abbracciato Elizabeth e salutato Peter, niente lo tratteneva più a New York, lui e June avrebbero viaggiato un po’ per il mondo.
Seduta sul letto della piccola camera Elizabeth fissava il cavalletto che aveva regalato ad Ariel, dove restava incompiuto un disegno ad acquarello, lacrime silenziose le solcavano le guance.

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Capitolo 12
*** Lasciar andare ***


Questo capitolo è molto corto, serve ad introdurre il capitolo che posterò domani con cui si concluderà questa storia.
I personaggi riconoscibili non mi appartengono, sono proprietà di chi ne detiene i diritti; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Dodicesimo capitolo. Lasciar andare


Due anni dopo l’incidente

 

Peter era seduto sulla sedia a sdraio in legno, con cui avevano arredato la veranda della casa che lui ed Elizabeth avevano comprato a Washington l’anno precedente.
Dopo un mese era stato chiaro ad entrambi che la loro vita non sarebbe più stata quella di prima, le proposte di lavoro nella capitale erano state una benedizione, un’opportunità di ricominciare, lasciandosi parte del dolore alle spalle. La squadra si era sciolta, Jones era passato ad un'altra divisione, mentre Diana aveva accettato un incarico all’estero, ogni tanto si sentivano ancora e qualche mese prima avevano preso un caffè assieme.
Quella non era una serata qualunque, erano trascorsi due anni dalla morte di Neal. L’agente aveva aperto un vino col tappo di sughero per brindare al ricordo dell’amico, in cielo non c’era una nuvola e la luna piena brillava placida sopra la sua testa rischiarando la notte.
“Pensieroso?” gli chiese la moglie uscendo in veranda e sedendosi accanto a lui, indossava una vestaglia leggera, la serata era tiepida e Peter l’avvolse in un abbraccio facendole appoggiare la testa sul suo petto.
“Sono già due anni” disse Peter baciando la nuca castana di Elizabeth, poi aggiunse “Non c’è stata nessuna segnalazione, niente di niente, dal giorno dell’incidente Alex e Nicholas sono spariti nel nulla”
“Lo trovi strano?” chiese Elizabeth stringendosi di più tra le sue braccia per approfittare del calore emanato dal corpo del marito.
“Un po’… non riesco a non pensare … o sperare …che non sia una coincidenza” disse piano Peter facendo vagare lo sguardo per il giardino. Satchmo ormai aveva superato i dieci anni e anche se era ancora in buona salute, non aveva più la vitalità di un tempo; ora era sdraiato nell’erba poco oltre il margine della veranda e russava piano.
“Tesoro, lo so che non hai rinunciato all’idea che si sia trattato tutto di un piano di Neal…” iniziò Elizabeth accarezzando il braccio del marito.
“Sai che da più di un anno anche Mozzie è svanito…” la interruppe Peter “..all’inizio ha girato l’Europa con June, poi hanno fatto tappa in India e a Pechino; da Shangai June ha preso un aereo che l’ha riportata a New York e Mozzie è …scomparso, inghiottito dal nulla anche lui” terminò Peter con lo sguardo perso nel vuoto.
“Questo non è strano, in fondo non abbiamo mai saputo neanche il suo vero nome” commentò Elizabeth prendendo un sorso di vino dal bicchiere di Peter.
Vedendo che il marito restava in silenzio Elizabeth si girò per guardarlo in faccia “Conosco quell’espressione” disse la donna guardandolo negli occhi “Non lascerai perdere vero?”
“Il caso è chiuso” disse Peter “per lo zio Sam Neal Caffrey è morto… non ho intenzione di riaprire vecchie ferite”

 

Dal prossimo capitolo:

Fu in quel momento che Peter li vide, un ragazzo ed una ragazza sui sedici o diciassette anni, i due spuntarono da dietro un duna. La ragazza indossava una tunica leggera verde ed un ampio capello di paglia, il ragazzo era in costume, i capelli scuri bagnati e gli occhiali da sole, stavano venendo verso di loro, ma non potevano vederli per via della vegetazione.

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Capitolo 13
*** Una nuova vita ***


Tredicesimo capitolo. Una nuova vita

 

Cinque anni dopo l’incidente

 

Era assurdo che fossero li, Peter non riusciva a crederci.
Circa due anni e mezzo dopo il loro trasferimento a Washington Elizabeth si era ammalata, l’assicurazione non copriva le spese per alcune cure sperimentali e un misterioso benefattore aveva pagato tutte le parcelle. Peter non aveva fatto domande, grazie a quei soldi aveva potuto offrire alla moglie le migliori cure esistenti e questo gli era bastato. Superato il periodo critico e visto che Elizabeth migliorava di giorno in giorno, Peter aveva iniziato ad indagare discretamente, senza coinvolgere nessuno, una sua ricerca personale nel poco tempo che gli rimaneva tra il lavoro e le ore passate a tenere compagnia alla moglie.
Nel giro di un anno Elizabeth si era ristabilita completamente e la sua ricerca aveva iniziato a dare i primi frutti.
Poi una sera era arrivata la cartolina. Era la copia di un disegno ad acquarello, sul retro nessun mittente e nessuna firma, solo la scritta: Lascia perdere ti prego.
All’inizio Peter aveva tergiversato, non sapeva se parlarne o meno alla moglie, alla fine aveva deciso di raccontarle tutto. Elizabeth aveva guardato la cartolina e la felicità le aveva illuminato il volto e gli occhi, un sorriso che Peter non vedeva più da tempo. Poi la donna si era alzata, era salita in camera e ne era ridiscesa con una cartella tra le mani. Peter ne conosceva il contenuto: i disegni che Ariel aveva fatto durante il suo soggiorno da loro. Elizabeth non se ne era voluta separare. La donna si era seduta accanto a Peter sul divano, aveva aperto la cartella e ne aveva preso il primo disegno, lo aveva passato al marito. Peter aveva capito subito dove volesse arrivare, il disegno che aveva in mano, l’incompiuto, era quello rimasto sul cavalletto il giorno dell’incidente ed era lo stesso raffigurato nella cartolina, solo due persone sapevano di quel disegno e in teoria dovevano essere entrambe morte da cinque anni.

 

Ora i coniugi Burke erano li, avevano affittato un bungalow da una famiglia locale e per tutti si stavano godendo il viaggio per il loro venticinquesimo anniversario di matrimonio, una coppia felice che festeggiava la possibilità di stare ancora insieme.
Erano arrivati da cinque giorni. Peter ed Elizabeth avevano deciso di visitare tutta la zona, quel pomeriggio avevano optato per una spiaggia piuttosto isolata, molto bella, ma difficile da raggiungere. I due avevano dovuto lasciare la macchina a qualche miglio di distanza e fare l’ultimo tratto a piedi. Ora si stavano godendo l’ombra delle palme seduti sugli asciugamani distesi sulla sabbia morbida. Elizabeth sorrideva mentre spalmava al marito la crema solare sulla schiena.
Fu in quel momento che Peter li vide, un ragazzo ed una ragazza sui sedici o diciassette anni, i due spuntarono da dietro un duna. La ragazza indossava una tunica leggera verde ed un ampio capello di paglia, il ragazzo era in costume, i capelli scuri bagnati e gli occhiali da sole, stavano venendo verso di loro, ma non potevano vederli per via della vegetazione.
Elizabeth sentì il marito irrigidirsi sotto il suo tocco “Che c’è tesoro?” gli chiese sorpresa.
Peter non rispose, prese il mento della moglie con una mano e le guidò lo sguardo verso la direzione da cui stavano arrivando i due giovani. In pieno sole, con i capelli scuriti dall’acqua e gli occhi invisibili dietro le lenti a specchio, il ragazzo era esattamente come Peter si sarebbe immaginato fosse stato Neal a diciassette anni.
Elizabeth era balzata in piedi e si era lanciata verso i due, Peter non aveva fatto in tempo a fermarla. Avevano parlato spesso di come si sarebbero comportati se li avessero trovati davvero, era diventato il loro gioco, la loro missione in un certo senso.

Elizabeth raggiunse i due giovani, che la guardarono sorpresi.
“Ariel?” chiese la donna timidamente avvicinando una mano alla ragazza, senza toccarla. Anche Peter si era accostato e aveva visto chiaramente la sorpresa sui visi dei due ragazzi. Quello che doveva essere Nicholas appariva sconcertato. Peter sapeva che il ragazzo non aveva mai incontrato sua moglie, quindi Nicholas non aveva idea di chi fosse la donna che si era avvicinata, ma appena aveva scorto lui dietro di lei, si era ritratto, passando una mano intorno alla vita della sorella. Il tocco aveva risvegliato quella che doveva essere Ariel dal suo momentaneo stato di trance, la ragazza li aveva guardati un attimo intensamente, poi in un inglese stentato aveva detto “Scusare me, non so chi voi cercare, io Amanda” indicando sé stessa con la mano e sottolineando il tutto scuotendo la testa.
“No Ariel… Amanda” ripeté la ragazza fissando i Burke con luminosi occhi azzurri.
Elizabeth era senza parole, fu Peter ad intervenire: “Si certo, scusateci, uno scambio di persona” sorrise e scandendo lentamente le parole aggiunse: “Ariel era una nostra cara amica, tu le assomigli molto” detto questo si allontanò portando via la moglie.
Dopo qualche metro Peter si voltò verso i ragazzi ancora impietriti e in tono normale disse: “Va bene, ho lasciato perdere… nessuna indagine dell’FBI, nessun agente, nessuno… io e mia moglie siamo qui in vacanza per goderci questo bel mare.”
Dopo aver sorriso ai due ragazzi Peter si era girato e sempre trascinandosi dietro un’allibita Elizabeth era tornato alle loro cose, le aveva raccolte e si era messo in marcia lungo il sentiero che li avrebbe riportati alla macchina.
Quando la donna si era voltata verso la spiaggia i due giovani erano scomparsi e per un attimo Elizabeth pensò di esserseli sognati.

 

“Non ce la facevi proprio a rinunciare…” disse la voce dell’uomo seduto sulla sedia della piccola cucina del bungalow che i Burke avevano affittato per la loro vacanza.
Erano passati quattro giorni dall’incontro con i ragazzi in spiaggia e Peter aveva quasi perso le speranze. L’uomo si alzò dalla sedia e gli andò incontro, indossava dei pantaloni bianchi leggeri, una camicia azzurra molto chiara ed in testa aveva la solita fedora in versione panna. Peter non poteva credere ai suoi occhi, l’uomo in piedi davanti a lui era senza ombra di dubbio Neal Caffrey, cinque anni più vecchio dell’ultima volta che l’aveva visto e molto più abbronzato, ma comunque Neal.
Elizabeth non si trattenne, si avvicinò a Neal, lo abbracciò e lo schiaffeggiò per poi tornare ad abbracciarlo, aveva gli occhi rigati di lacrime.
“Me lo merito” disse Neal ricambiando l’abbraccio.
“Come hai potuto” piagnucolò Elizabeth sempre stringendolo forte a sé.
“Non sai quanto mi dispiace Elizabeth, se ci fosse stato un altro modo… io non volevo farvi soffrire” disse Neal chiudendo gli occhi e respirando il profumo dei capelli della donna.
Peter sbottò incredulo “Non volevi farci soffrire? Cosa diavolo pensavi che sarebbe successo?”
L’agente era arrabbiato con Neal per quello che gli aveva fatto passare, ma era anche felice che fossero vivi e orgoglioso di aver seguito le tracce nel modo giusto, di essere riuscito a ritrovarli, di non aver mai rinunciato. Quello che aveva detto in spiaggia era vero, non c’era nessuna indagine e non ci sarebbe mai stata, per il mondo Neal Caffrey e sua figlia erano morti e non era intenzione di Peter cambiare le cose.
“Non mi avrebbero mai lasciato andare Peter, questo lo sai anche tu… e anche una volta scontata la condanna, sarei stato comunque nel radar del Bureau per tutta la vita, non avrei mai potuto avvicinarmi ad Alex senza farla arrestare…” iniziò a spiegare Neal con la voce leggermente incrinata, stava fissando Peter negli occhi, gli leggeva in faccia il conflitto interiore che lo animava.
Elizabeth si staccò da Neal e fece un passo indietro, Peter e Neal si fissarono per quello che alla donna sembrò un tempo interminabile, poi il marito fece due passi e abbracciò l’amico stringendolo forte.
“Grazie” sussurro Neal ricambiando l’abbraccio “Grazie a te” disse Peter trattenendo a stento le lacrime “Credi non sappia chi ha pagato le parcelle dell’ospedale” aggiunse piano sussurrando nell’orecchio di Neal, l’ex-truffatore in risposta sorrise.

 

“E l’incidente?” chiese Peter bevendo un sorso di birra.
L’agente e Neal erano seduti su di un morbido divano nel soggiorno della casa di Neal, anche Elizabeth era con loro. Da un’oretta buona Neal stava rispondendo alle loro domande, spiegando la nuova vita sua e della sua famiglia in quel paradiso senza estradizione. Le risposte dell’ex-truffatore erano piuttosto vaghe ed il discorso era rapidamente passato a tutti quelli che Neal aveva conosciuto a New York, l’ex-truffatore era curioso della nuova vita a Washington dei coniugi Burke.
“Dell’incidente meno ne sai e meglio è Peter” disse Neal sorridendo “comunque non è morto nessuno… è stato estremamente complicato da organizzare…”
“Ci credo” disse Elizabeth e aggiunse in tono triste “Non sai che giorni terribili sono stati… non so se ti perdonerò mai veramente per questo”
Neal le sorrise stringendole piano un braccio “Mi dispiace” disse sincero.
In quel momento una bambina entrò di corsa nella stanza urlando “Papà! Trovato!” e corse tra le braccia di Neal.
La piccolina aveva all’incirca tre anni, capelli e occhi castani, era incredibilmente abbronzata ed indossava un vestitino giallo svolazzante. Neal la accolse tra le braccia e la sollevò, la bambina rise felice e si accoccolò stringendosi al padre.
“Mi dispiace mi è sfuggita” disse una voce femminile dalla porta, la bambina nascose la faccia nel petto del padre. La donna entrò in salotto salutando in tono allegro “Peter, …Elizabeth … è piccolo il mondo”
Era vestita con una maglia bianca ed una gonna color sabbia ampia che le scendeva fino a coprire la punta dei sandali, morbide onde di capelli marroni le incorniciava il volto abbronzato.
“Ciao Alex!” disse Peter e la bambina lo guardò confusa.
“Anna” lo corresse Alex “Peter dovresti sapere che mi chiamo Anna, ogni tanto l’amico di papà è smemorato, cosa ci vuoi fare” disse la donna facendo l’occhiolino alla bambina tra le braccia di Neal.
L’uomo si alzò mettendo a terra la figlia, si avvicinò ad Alex e la strinse in un abbraccio dandole un bacio sulla guancia, poi si voltò verso i Burke e indicando la bambina disse: “Peter, Elizabeth, questa è Samanta, la piccola di casa Delacroix, ha quasi tre anni e tra quindici giorni faremo una grande festa di compleanno.”
Peter sapeva che ora Neal si faceva chiamare Matthew Delacroix, Alex cioè Anna Delacroix era sua moglie, mente i gemelli erano diventati Amanda ed Etienne. Samanta era semplicemente Samanta Delacroix, troppo piccola per avere idea del complicato passato che aveva portato i suoi genitori ad essere quelli che erano, chissà magari un giorno le avrebbero raccontato tutta la verità o forse solo una parte. Per ora Peter era felice di passare gli ultimi giorni della sua vacanza in compagnia di sua moglie, di un nuovo-vecchio amico, della sua famiglia e di un vicino di casa pelato fissato con le cospirazioni.

 

FINE

 

Spero la storia vi sia piaciuta, io mi sono divertita a scriverla. Grazie a chi a letto e doppio grazie a chi a anche commentato.

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