Eternity.

di OfeliaMontgomery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Agnes Lowery 1635. ***
Capitolo 2: *** Johanna de Burgh 1643. (Parte Prima) ***
Capitolo 3: *** Johanna de Burgh 1643. (Parte Seconda) ***



Capitolo 1
*** Agnes Lowery 1635. ***


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1635

Agnes non ricordava nulla della sua vita prima della trasformazione in un vampiro. I suoi primi ricordi furono oscuri e raccapriccianti. Ricordava il dolore che aveva provato nel trasformarsi in un vampiro. Il battito del suo cuore che cessava, la mancanza dell’aria nei polmoni e le fitte che le trapassavano tutto il corpo, dalla testa ai piedi, facendola urlare dal dolore e poi il suo sentire le forze abbandonarla fino a farla svenire.
Agnes si risvegliò solamente quando muovendo una mano, toccò l’acqua gelata del mare. Galleggiava nel mare con il corpo immerso nell’acqua, la pesantezza del suo vestito stava cercando di trascinarla nelle profondità. I suoi lunghi capelli biondo platino erano sparsi disordinatamente sul viso e nell’acqua. La sua pelle bianca come la neve faceva un bellissimo contrasto con il mare scuro.
Era notte ed il cielo era nero senza alcuna traccia di stelle, l’unica fonte di luce erano due lampioni ai lati della strada che distavano qualche metro dal punto in cui si trovava la ragazza. La sua gola iniziò a seccarsi e la sua voglia di sangue umano aumentava sempre di più. Aveva bisogno di nutrirsi al più presto, sennò sarebbe impazzita. Cercando di nuotare si avvicinò a riva, fece molta fatica per via del vestito pesante, ma alla fine ci riuscì. Se fosse stata umana a quell’ora avrebbe avuto il fiatone, invece ora non sentiva niente; sentiva solamente la sete di sangue aumentare.
Appena fu fuori dall’acqua, si trascinò sulla spiaggia ed appoggiò il viso sul terreno sabbioso, sporcandosi la guancia ed iniziò a respirare anche non ne necessitava. Stette lì pochi minuti, il tempo di decidere cosa fare. Doveva nutrirsi al più presto ma come? Cosa avrebbe dovuto fare?
Agnes alzò lo sguardo nell’esatto momento in cui passarono un uomo accompagnato da una prostituta. E allora capì, avrebbe dovuto fingere di essere una sgualdrina per poter uccidere uomini e perché no anche donne.
Si alzò da terra e strizzando il vestito e anche i capelli, si diresse verso la strada per ritornare a casa sua - era l’unico ricordo che aveva della sua vecchia vita -.
Camminò per circa un quarto d’ora, il suo corpo si stava indebolendo, doveva mangiare immediatamente.
Agnes alzò il suo sguardo di ghiaccio ed incontrò quello di un uomo poco distante da lei. Quell’uomo vedendo lo stato in cui era la povera ragazza, si avvicinò a lei. Ah, pessima, pessima idea. Perché? Perché Agnes fece spuntare i suoi canini bianchi e affilati e li conficcò nel collo di quel uomo, succhiandone il sangue con avidità. Quando ebbe finito di bere, il corpo del ormai cadavere era completamente prosciugato del suo sangue. Era rimasta solamente la carcassa di quel uomo.
Agnes si pulì la bocca con la manica dal vestito poi sorrise macabramente; girò il viso verso i lampioni e la luce di essi fece luccicare gli occhi color sangue della ragazza.
La ragazza camminando velocemente, si spostò da quel punto, lasciando lì il cadavere. Camminava così velocemente che persino lei stessa stentava a crederci. L’essere vampiri aveva dei vantaggi: si correva molto velocemente, si aveva un forza sovrumana, non serviva respirare e non si provava dolore. Gli svantaggi per così dire era solamente il fatto di cibarsi di persone umane o animali. La luce del sole non era un problema. Non bruciavano come si diceva nelle leggende. Potevano vivere tranquillamente anche di giorno come se fossero persone normali. Ecco perché per i cacciatori di vampiri era più difficile scovarli.
Agnes continuò a correre fin quando si fermò davanti alla villa in cui abitava. Le luci erano spente. Solamente un lampione disposto davanti al cancello della villa la illuminava, facendo così notare i muri fatti in pietra bianche e la lunga stradina che portava fino ai gradini della casa.
Agnes non riusciva a ricordare niente della sua precedente vita e se in quella casa ci fosse qualcuno che la conosceva? Cosa dovrebbe fare che non si ricordava nulla? Poco le importava perché scavalcò il cancello, rimanendo anche impigliata con la gonna del vestito, che dovette strappare per riuscire a liberarsi.
Quando saltò giù, la ghiaia sotto ai suoi piedi iniziò a scricchiolare; per non fare rumore iniziò a correre velocemente verso la villa. Arrivò davanti alla porta della casa in pochissimi secondi. Appena provò a girare il pomello della porta, constatò che era chiusa a chiave. Maledì ogni cosa. Scese i gradini e si avvicinò alla finestra della sua casa; c’era una grata fissa incastrata nella pietra, Agnes pensò in caso di atti di vandalismo. Scuotendo la testa, strinse fra le mani le sbarre di ferro e con forza le tirò verso di sé, staccandole dal muro. Buttò la grata per terra poi si pulì le mani.  Si fasciò un pezzo di stoffa - strappato dal vestito - intorno alla mano poi stringendo il pungo, colpì la finestra, frantumandola in mille pezzi. Delle schegge di vetro le colpirono il viso ferendola, ma subito dopo la ferità si rimarginò, senza lasciar alcuna cicatrice. Pulì per bene i bordi poi tirandosi su la lunga gonna, entrò nella finestra, facendo un piccolo ma forte saltello.
Appena mise piedi nella villa, con la sua vista da vampiro ci mise poco ad arrivare alle candele e ad accenderle. La stanza si illuminò mostrando un bel salotto ordinato: c’erano due credenze in legno con cassettiere e vetrinette in cristallo, decorate con incisioni artistiche e il piano in onice era verde chiaro ed erano appoggiate alla parete di fronte a dove stava lei. Sulla lato destro della stanza c’era un tavolo massiccio con quattro sedie, lavorate e intarsiate, probabilmente riportate dalla Spagna.
Al centro c’erano un divano e due poltrone con decorazioni a fiori e stoffe pregiate, di cui le finiture e tessuti erano fatti a mano. E c’erano anche un paio di quadri appesi ai muri della stanza.
Si guardò in giro spaesata, non ricordava nulla. Quel posto non le suscitava nessun ricordo, nessuno momento felice o triste. Nulla di nulla.
Drizzò la schiena e sorridendo macabramente incominciò a fare il tour della casa, felice che non ci abitasse nessuno.
 
~
 
Agnes nei giorni seguenti, iniziò a fingere di essere una prostituta; avvicinava i clienti a lei usando il controllo della mente e se li portava a casa. Li uccideva, ma prima si faceva pagare per cose che mai avrebbe fatto. I corpi li gettava nel mare, ma ben presto i scaricatori di porto iniziarono ad accorgersi del accumularsi delle carcasse delle persone.
Gli scaricatori di porto avvisarono il sindaco e la polizia dell’accaduto; misero più guardie intorno al mare e per Agnes fu molto difficile riuscire a gettare i corpi lì, così iniziò a buttarli nel pozzo dietro alla sua villa e a darli fuoco quando si accumulavano.
Tutto il paese cominciò a spaventarsi perché le persone sparivano e non si riusciva più a ritrovarle. Donne avevano perso i loro mariti, figli che avevano perso i loro padri e sorelle che avevano perso i loro fratelli.
Nessuno sospettava di Agnes anche perché usciva sempre, ma comunque cercava di non dare nell’occhio. Di quei tempi la pelle bianca era la bellezza di una donna e quindi nessuna doveva avere la pelle abbronzata.
Di giorno era una dolcissima e timida ragazza; la gente parlava di quanto fossero dispiaciuti perché ‘aveva perso i genitori in un brutto incidente’ di cui lei nemmeno non ricordava. E di notte era un’assassina, una divoratrice di uomini e donne a cui succhiava via la vita. Nessuno sospettava di lei o forse qualcuno c’era?

 

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Capitolo 2
*** Johanna de Burgh 1643. (Parte Prima) ***


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1643
 
– Signorina Johanna, sua madre, madame de Burgh la desidera per la cena – parlò il valletto, entrando nella stanza della ragazza.
Johanna girò il capo verso il suo valletto e con un cenno della mano, lo fece uscire dalla sua stanza. La ragazza si diede un’ultima occhiata allo specchio, quando ebbe finito di contemplare la sua immagine, da lady perfetta, girò i tacchi e si diresse verso la porta della sua camera. I capelli castani ramato erano rigorosamente raccolti dietro, sulla nuca che lasciavano scendere due ciocche sul collo ed erano state arricchite con delle spille. I suoi grandi occhi color delle nocciole facevano risaltare la sua pelle chiarissima. Il vestito dalla scollatura quadrata incorniciava il suo seno prosperoso. Il bustino rigido le stringeva la vita in modo naturale e la grande e vistosa gonna nascondeva i suoi larghi fianchi. Il vestito era azzurro con qualche ricamo a fiori bianco, proprio come piaceva alla madre.
Quando uscì dalla sua stanza, trovò il suo valletto ad aspettarla; era in piedi in mezzo al corridoio, sembrava quasi una statua. Johanna dovette trattenersi dal ridere, portandosi velocemente la mano davanti alla bocca, coprendola.
– Signorina ad aspettarla c’è anche il duca Ratliff. E’ molto entusiasta di chiederle la mano – disse gentilmente il valletto, spostandosi di qualche passo indietro, facendo si che  Johanna stesse davanti a lui.
Johanna fece una smorfia – Non voglio diventare duchessa, ho solamente diciassette anni, diamine – esclamò incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio.
Il suo adorato valletto scosse la testa, facendo svolazzare qualche ciocca di capelli neri corvino nell’aria.
– Si faccia forza signorina Johanna, sua madre ha già accettato per voi – continuò il valletto, continuando a camminare dietro a Johanna.
– Diamine – esclamò arrabbiata la ragazza.
Johanna iniziò a correre velocemente per il corridoio, tenendo alzata la gonna per non cadere al suolo. Con un colpo di braccia, spalancò le porte a due battenti che portavano al salotto della villa, dove si trovavano la madre, il padre, le sue sorelle, il duca Ratliff e il padre di lui. Erano tutto sorridenti, tutti tranne lei.
– Madre come avete osato accettare senza il mio consenso? – chiese furiosa Johanna, mettendo entrambe le mani sui fianchi.
La madre si alzò dalla poltrona visibilmente imbarazzata per come le aveva parlato la figlia, si sventolò il ventaglio sul viso per nascondere il rossore delle guance – Ho accettato perché penso che sia una buona opportunità per renderti più addomesticata e meno selvaggia – parlò con voce bassa ma autoritaria, continuando a sventolarsi sul viso il ventaglio.
Johanna strinse i pugni mentre sentiva la madre parlarle – Ho solo diciassette anni. Non voglio sposarmi – esclamò la ragazza digrignando i denti.
– Smettila di fare così. Non sei una maschio e questo non è di sicuro un comportamento da fanciulla – la sgridò la madre poi prendendola per il polso, la fece sedere sulla poltrona.
– Duca Ratliff sono veramente desolata per il comportamento di mia figlia, spero vivamente che il matrimonio si farà – disse con voce mielosa la madre per persuadere il duca.
Il duca sorrise gentilmente – Madame de Burgh sposerò vostra figlia – disse con voce melodiosa.
Tutti in quella stanza sembravano essere stati ammaliati dal duca, persino il padre che lo guardava con tanta ammirazione, da sembrare persino strano.
Il duca Ratliff aveva i capelli color del rame ed erano spettinati e lasciati abbastanza lunghi da essere eleganti; Johanna avrebbe voluto passare le dita fra la sua chioma, per sentire la morbidezza e la sofficità al solo tatto. I capelli color rame facevano contrasto con i suoi occhi color dell’erba che guardavano attentamente ogni mossa che facevano le persone in quella stanza. I ciuffi che gli ricadevano sul viso, gli incorniciavano il volto niveo e giovane. Il suo sorriso era finto tanto quanto la parrucca che indossava la madre di Johanna in quel momento.
– Vedrete signorina Johanna da noi vi troverete benissimo – esordì il duca, sfoggiando un sorriso che mostrava la sua dentatura bianca e perfetta.
Johanna fece spallucce – Se lo dite voi – commentò acida poi sospirò appoggiando la testa contro lo schienale della poltrona.
– Per noi si è fatto tardi, verremo anche domani a farvi vista, porterò anche mia moglie così potrete parlare del matrimonio – disse il principe - padre del duca -, andando a baciare la mano della madre di Johanna.
– Certamente, ne sarei davvero felice – commentò la madame sorridendo gentilmente.
– Castor, cortesemente accompagnate fuori il duca e il principe – ordinò il padre di Johanna al loro maggiordomo. L’uomo fece un inchino e facendo segno ai Ratliff di seguirlo, chiuse la porta a due battenti alle loro spalle.
Johanna era sul punto di alzarsi quando la madre le tirò uno schiaffo in pieno viso – Non comportarti mai più così…oh perché sei così selvaggia, perché non puoi essere come le tue sorelle? – chiese la madre con voce fastidiosa continuando a sventolare il ventaglio.
Johanna la guardò male – Allora perché non fate sposare o Lauren o Louise con il duca? Perchè io? – domandò innervosita.
– Perché le tue sorelle sono più piccole, sennò avrei sicuramente scelto Lauren invece che te signorina – rispose la madre sospirando, – C’è una guerra di mezzo. L’unico modo per non venir coinvolti in tutto ciò: è sposare il duca Ratliff e spostarci nella loro dimora – continuò la donna prendendo una tazza di te dal tavolino e bevendone un sorso.
– Ovviamente, c’era sotto qualcosa – commentò Johanna alzandosi dalla poltrona e uscendo dalla stanza con sotto fondo le urla della madre che le dicevano che l’avrebbe sposato comunque andava.
 
 
Due mesi dopo.
 
La servitù femminile stava preparando Johanna per il matrimonio; la stavano aiutando ad indossare il vestito che avrebbe dovuto indossare alla cerimonia. Un lungo abito bianco con il collo alto e con un largo strascico nel dietro. Le stavano stringendo il corsetto, mentre una donna sulla quarantina le sistemava i capelli per poi mettere il velo.
– Perché devo stare così coperta? Non posso nemmeno mostrare i miei fianchi con questo dannato vestito così largo – commentò Johanna guardandosi allo specchio con disgusto. Odiava quel vestito, anzi odiava questa stupida cerimonia. Non voleva sposarsi, era giovane e spensierata. Non era pronta per un matrimonio.
– Perchè l’abito bianco è simbolo di purezza e il velo servirà ad impedire allo sposo di vedervi prima della cerimonia, perché porta sfortuna farlo prima. Il velo è inoltre simbolo di verginità e voi signorina non avete mai avuto nessun uomo – spiegò la valletta più anziana mentre le metteva il velo. Johanna arrossì di colpo poi fece spallucce continuando a guardare il suo riflesso nello specchio.
La valletta che le aveva messo il vestito, adesso la stava aiutando a mettersi le scarpe, rigorosamente bianche.
– Signorina siete bellissima – commentarono la servitù, guardando la ragazza attraverso lo specchio. Johanna invece avrebbe voluto strapparsi quegli abiti di dosso e scappare via da lì, ma c’era qualcuno che glielo impediva: la sua famiglia.
 
~
 
Johanna e la sua famiglia, arrivarono con la carrozza davanti alla chiesa del loro piccolo paese, Victor - il duca Ratliff - era lì che aspettava la ragazza in tutto il suo splendore. Indossava una giacca nera con la  pochette di seta bianca - come anche la camicia - era stata inserita a filo nella tasca di essa. I pantaloni dello stesso colore della giacca, erano abbinate alle scarpe nere e lucide che gli calzavano perfettamente ai piedi. E al collo non poteva mancare un papillon bianco. Era incantevole e raggiante in quel abito, sembrava un dio greco. Però più lo guardava e più si rendeva conto che c’era qualcosa che non quadrava; era troppo pallido, si intravedevano persino le vene delle tempie. Johanna era ancora convinta che quel matrimonio fosse una stupidità, e se lui pensava che lei avrebbe ceduto subito alle sue stupide regole…beh si sbagliava e anche di tanto.
Johanna fece un profondo respiro poi uscì per prima dalla carrozza, aiutata dal cocchiere; i suoi famigliari uscirono poco dopo ed entrarono di corsa nella chiesa. Invece la ragazza si avvicinò a passo lento al duca e mettendosi al suo fianco, aspettò che lui le mettesse una mano intorno alla vita. Victor le sorrise mostrando i suoi denti bianchissimi e poi lentamente, mise la mano intorno alla vita della ragazza e pian piano entrarono nella chiesa.
La chiese era luminosissima, piena di fiori e piena di gente. Tutti gli ospiti erano in piedi lungo le navate ai lati della chiesa che aspettavano con ansia il loro passaggio. Appena misero piede dentro, Johanna poté notare che la navata centrale era bloccata da ostacoli che dovevano rispecchiavano le virtù della sposa - come le aveva spiegato una sua valletta -. Due di questi ostacoli erano una scopa che simboleggiava le doti di brava casalinga e un bambino in lacrime che simboleggiava la sua capacità di buona madre. Johanna sgranò gli occhi, non poteva crederci, voleva un bambino? Ma lei aveva solamente diciassette anni! La sua purità doveva restare tale per moltissimo tempo, non l’avrebbe persa con una persona che neanche conosceva.
Johanna fece un profondo respiro mentre continuava a camminare. Passarono lungo la navata che andava dal portone centrale d’ingresso all’altare, facendo lo slalom fra gli ostacoli. Johanna dovette più volte alzare il vestito per non inciampare in quegli ‘ostacoli’; il duca le teneva la mano per sorreggerla anche se a lei poco importava.
Appena furono arrivati all’altare, gli ospiti alle loro spalle si andarono a sedere ai loro posti poi la cerimonia iniziò.
Johanna stava tremando e ringraziò di avere il viso nascosto dal velo perché stava piangendo, non per l’emozione, ma per la rabbia.
Il prete iniziò con Victor, lo guardò e sorridendogli, iniziò a parlare.
– Vuoi tu prendere questa donna come tua sposa e promettere, davanti a Dio e questi testimoni, di essere un marito leale e fedele, di amarla e rispettarla in qualunque circostanza, di vivere con lei e di accudirla, in ricchezza ed in povertà, nella gioia e nel dolore, nella buona e nella cattiva sorte finché morte non vi separi ? – domandò il prete al duca.
Victor si girò verso Johanna e cercando di guardarla negli occhi disse: – Lo voglio –
Il prete sorrise poi guardando Johanna domandò la stessa cosa anche a lei.
– Vuoi tu prendere questo uomo come tuo sposo e promettere, davanti a Dio e questi testimoni, di essere per lui una moglie leale e fedele, di amarlo e rispettarlo in qualunque circostanza, di vivere con lui e di accudirlo, in ricchezza ed in povertà, nella gioia e nel dolore, nella buona e nella cattiva sorte finché morte non vi separi? –
Johanna guardò la madre che la incitava a rispondere. La guardava con il suo solito sguardo severo mentre continuava ad incitarla a farlo, scuotendo la testa esasperata. La ragazza fece un respiro profondo ed infine rispose: – Lo voglio – con tono piatto, senza emozione verso quel ragazzo.
– E per il potere a me conferito,vi dichiaro marito e moglie. Ora puoi baciare la sposa! – disse il prete rivolto verso Victor.
Il duca annuì e sorridendo, alzò il velo alla ragazza ed unì la sua bocca a quella dei lei con forza e senza amore. Gli ospiti si alzarono in piedi ed iniziarono ad applaudire felice, soprattutto la madre di Johanna perché finalmente aveva avuto quello che voleva: la figlia addomesticata.

 

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Capitolo 3
*** Johanna de Burgh 1643. (Parte Seconda) ***


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– Non potete costringermi a stare rinchiusa in casa! – sbraitò Johanna contro a suo marito.
Erano passati appena due giorni e già avevano litigato ben quattro volte con questa cinque. La prima fu la sera del loro matrimonio, lui voleva prendersi la sua verginità invece lei non voleva, vinse Johanna. La seconda volta fu il giorno dopo, Victor voleva che Johanna mangiasse il pesce, ma a lei non piaceva, vinse ancora lei. La terza volta per la posizione nel letto matrimoniale, vinse lui. La quarta e quinta volta  perché Johanna voleva uscire di casa ma Victor glielo impediva e questa era ancora in atto.
– Sì, voi siete mia. Non voglio che altri uomini vi guardino – urlò Victor sbattendo anche le mani sul tavolo, facendo muovere il bicchiere che c’era appoggiato.
Johanna lo guardò malissimo – Voi non potete decidere per me. Questo matrimonio è solo una maledizione, solo questo – esclamò poi girando i tacchi, uscì dal salotto.
Johanna non aveva intenzione di rimare in quel posto ancora per molto, era stanca. Era lì solamente da due giorni eppure sembravano secoli. Non poteva fare niente. Non poteva uscire, non poteva leggere, non poteva ricevere ospiti, non poteva nemmeno vedere la sua famiglia. Era in gabbia, in un prigione costruita da Victor. L’unica via di fuga era la porta della cucina che dava sul giardino dietro alla villa, ma era sempre piena di cuochi e cameriere, quindi era impossibile oltrepassarlo se non alla notte. Ed era quello che avrebbe fatto Johanna quella sera.
Stava già preparando la sua valigia per poter scappare quella sera. Non voleva sprecare nemmeno un altro minuto in quel posto. Se dovesse rimanere ancora lì diventerebbe pazza.
Era un posto da pazzi; le persone sembravano morti che camminavano, erano pallidi e con occhiaie sotto agli occhi e quelle che avevano non erano normali. Johanna sapeva com’erano le occhiaie normali perché l’aveva visto su suo padre e su se stessa quando sua madre le disse che doveva sposarsi e lei per protesta non dormì per due giorni.
Le occhiaie e la pelle pallida che aveva il personale dei Ratliff era inspiegabile. Avevano gli occhi contornati di blu e la pelle in certi punti lasciava intravedere persino le vene, poi sembrava che non dormissero mai e che non prendessero nemmeno un po’ di sole da quando erano nati. Johanna era pallida, si, ma perché sua madre le aveva imposto niente sole per tenere una tonalità della pelle chiarissima.
Sembrava che non mangiassero neanche, Johanna non gli aveva mai visti bere o mangiare qualcosa. E poi era terrorizzata da quelle persone. La notte precedente stava camminando per i corridoi della villa in cerca della cucina, quando si imbatté in un cameriera, si spaventò tantissimo perché oltre a sembrare un morto, aveva tutto il grembiule sporco di sangue. Si scusò poi di corsa tornò in camera e si nascose sotto alle coperte con il cuore che batteva all’impazzita.
Johanna corse nella camera da letto, si chiuse la porta alle spalle e correndo verso il baule che si trovava infondo al letto, iniziò a tirare fuori qualche vestito che poteva portarsi dietro.
Di colpo bussarono alla porta, – Signora Ratliff, suo marito vorrebbe la sua presenza a pranzo – parlò da fuori una cameriera dalla voce metallica, come il resto del personale d’altronde.
Johanna sbuffò – Gli dica che non ci penso nemmeno – gridai, infilando in una sacca un vestito viola.
La cameriera bussò ancora – Signora, suo marito la desidera – disse insistente. Johanna gonfiò le guance poi camminando velocemente, andò ad aprire la porta – Gli dica di pagarsi una prostituta se desidera avere qualcuno – disse secca poi la richiuse, ma la cameriere fu più veloce ed entrò nella stanza.
– Signora deve venire – disse guardandola di sottecchi.
Johanna sbuffò scuotendo la testa – Perché? Io non ho fame, lo capisci? – domandò furiosa.
La cameriera la prese per un braccio e la trascinò fuori dalla stanza. Fuori ad aspettarle c’era Victor che la incenerì con lo sguardo.
– Tu vieni a pranzo con me – disse prendendola per un polso e stringendoglielo fortemente, facendola gemere dal dolore.
– Lasciami, mi fai male – strillava Johanna mentre veniva trascinata nella sala da pranzo, dove ad aspettarli c’era la famiglia di lei.
Johanna appena li vide spalancò gli occhi – Vi prego portatemi via da qui. Questi sono pazzi, ma li avete visti? – domandò indicando la cameriera alle sue spalle.
La madre se ne stava ferma a fissarla mentre con una mano si faceva aria con il ventaglio. Johanna avrebbe voluto spaccarglielo in testa quel ventaglio, magari ragionava un po’.
– Tesoro non dire idiozie, sono persone così deliziose – disse la madre con la sua solita voce stridula.
Lauren e Louise guardavano il duca Ratliff con devozione e un po’ di malizia e Johanna si chiese perché, perché aveva due sorelle così stupide. Quello che il duca mostrava era tutta finzione, niente era vero e Johanna lo aveva capito vivendo con lui solamente da due giorni.
Era pazzo e sadico e chissà cos’altro. Lei era una sua preda e non l’avrebbe lasciata andare tanto facilmente.
– Non è vero! E’ pazzo, sono pazzi – urlò Johanna muovendo la braccia nell’aria.
Victor gli mise una mano intorno alla vita e gli sussurrò di calmarsi, cosa che Johanna non fece, si alterò ancora di più.
– Non dirmi di calmarmi pazzo, sadico e chissà cos’altro. Cosa vuoi farmi? Uccidermi e poi farmi a pezzi? – sbraitò Johanna guardando malissimo suo marito.
– Johanna! – strillò con voce acuta la madre. Si alzò addirittura in piedi, quindi significava che era davvero arrabbiata.
– Siediti immediatamente – le ordinò la madre, indicando la poltrona al fianco delle sue sorelle.
Sbuffando, andò a sedersi. Victor la seguì a ruota, si sedette sul bracciolo della poltrona poi incrociò le gambe, portandosi una mano sotto al mento.
– Mio padre vi sta tenendo al sicuro, ha messo molte guardie intorno alla vostra villa – Victor incominciò a parlare con la sua voce melodiosa tanto quanto irritante.
La madre di Johanna così come il padre, lo ringraziarono infinitamente e si scusarono anche per il comportamento della figlia.
– Non è nulla. Penso sia normale, vive qui solamente da due giorni. Non sarà abituata a vivere da qualcun altro – disse Victor accarezzando una guancia a Johanna.
Johanna fece spallucce e allontanò il viso dalla mano del marito – Io non voglio vivere qui. Voglio tornare a casa mia – disse seria.
Il padre di Johanna si alzò in piedi e puntò un dito contro la figlia – Tu non tornerai a casa. Sei sposata e hai dei doveri da compiere. Il primo è sicuramente dare un primogenito a tuo marito – urlò, facendola spaventare.
Johanna si alzò di scatto dalla poltrona e guardò malissimo il padre – Io non darò la mia purezza ad una persona che non conosco e che non voglio conoscere – sbraitò furiosa contro la sua famiglia.
Lauren portando da parte i suoi lunghi capelli castani, fece gli occhi dolci a Victor – Come puoi essere così ingrata? Hai un uomo meraviglioso al tuo fianco – esordì con voce bassa, spostando lo sguardo su Johanna.
Johanna la intimò con lo sguardo a stare zitta – Allora perché non l’hai sposato tu? Uh? – domandò alzando le sopracciglia.
– Basta Johanna! E’ tuo marito e questa è la tua casa – disse seria la madre continuando a sventolare il suo ventaglio. Johanna sospirò rassegnata.
 
 ~
 
Johanna stava leggendo un libro in camera sua, la poltrona in cui stava era puntata verso il letto e ogni tanto alzava la testa per controllare se Victor stesse dormendo o la stesse controllando.
Johanna diede un’altra e poté constatare che Victor stava dormendo; appoggiò il libro sul tavolo al fianco della poltrona e prendendo da dietro essa la sua sacca, uscì dalla stanza con in mano una candela.
Camminava lentamente e cercava di fare il minor rumore possibile, aveva paura, paura di poter svegliare qualcuno del personale. Non voleva che costui o costei corresse da Victor per dirgli che stava scappando.
Johanna teneva la candela davanti al suo viso, per riuscire a vedere meglio il corridoio per nulla illuminato. Il respiro stava iniziando ad accelerare e il cuore le batteva fortissimo. Senza neanche accorgersene, iniziò a tremare per l’ansia. Le gambe iniziarono a diventare molli,  ma Johanna cercò di farsi comunque forza per raggiungere la cucina.
Quando fu davanti alla porta della cucina, controllò che alle sue spalle non ci fosse nessuno e con la luce della candela controllò che non ci fosse nessuno nemmeno all’interno.
Aprendo pian piano la porta di legno, entrò nella cucina. Quando vide la porta che portava alla sua libertà, i suoi occhi iniziarono a brillare per felicità. Fece un passo in avanti e il pavimento legnoso scricchiolò un po’. Johanna trattenne il respiro e pregò che nessuno l’avesse seguita. Fece altri passi, cercando di far scricchiolare il minor possibile il pavimento. Arrivò davanti alla porta per la sua libertà e girando il pomello, l’aprì. Una ventata di aria gelida la colpì in pieno, ma questo non la fermò. Johanna uscì da lì con la sua sacca sulle spalle.
Quella notte faceva davvero freddo. L’aria gelida passava nelle fessure del vestito di Johanna, facendola rabbrividire. Johanna continuava a camminare, non si era nemmeno fermata a guardare la casa, nessun addio, nessun arrivederci.
Ad ogni respiro una nuvola di vapore le si formava davanti al viso. La ragazza si strinse di più nel suo vestito e nel suo scialle, fin troppo leggero per quella notte.
Camminava velocemente per le strade di una Londra illuminata dai lampioni e piena di ubriaconi e prostitute. Non sapeva nemmeno dove andare, la sua famiglia era stata chiara: non la rivolevano a casa. Dove sarebbe andata? Da chi? Dalla sua adorata amica Sophia? E se anche lei non ne voleva sapere niente di lei?
– Guardate una ragazzina. Ragazzina ti vuoi divertire con noi? – parlò un uomo basso e grasso che teneva in mano una brocca di birra. Era ubriaco e si stava avvicinando velocemente verso di lei.
– No, grazie – disse spaventata Johanna, accelerando il passo.
Quel uomo rise e iniziò a seguirla – Forza ragazzina vieni con me, ti posso pagare bene – disse singhiozzando.
Johanna stava trattenendo a stento le lacrime, – Non sono una prostituta e lasciatemi in pace – parlò veloce poi svoltò in un vicolo e si ritrovò faccia a faccia con l’unica persona che non avrebbe mai voluto rivedere: Victor.

 

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