I segreti rubati

di Beatrix Bonnie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il nuovo compagno di classe ***
Capitolo 2: *** La DDD e il McDragon ***
Capitolo 3: *** Il video rubato ***
Capitolo 4: *** La caccia al tesoro ***
Capitolo 5: *** Nel buio del cimitero ***



Capitolo 1
*** Il nuovo compagno di classe ***


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CAPITOLO 1
Il nuovo compagno di classe




Maryon




Il primo giorno di scuola era sicuramente il più brutto di tutto l’anno. Anche se Maryon aveva solo dieci anni, da brava studentessa, aveva imparato ad odiare e temere insieme il giorno in cui tutto ricomincia. Dopotutto, non era più una bambina: stava per iniziare il quinto e penultimo anno della primary school alla “Central Infs” di Dublino. Va bene, era una scuola pubblica, non di quelle private da fighettini, ma la scuola pubblica sapeva di vita e di strada. Lungo la sua carriera, Maryon aveva visto di tutto: aveva visto mocci al naso così lunghi da arrivare al mento, aveva assistito a rapine organizzate di dolcetti dalla mensa e sapeva indicare il migliore spacciatore di caramelle gommose del cortile scolastico.
E tutto questo perché lei era una vera dura. Una di quelle toste, che non si fanno mettere i piedi in testa anche se sono le migliori della classe. Buona parte della sua fama era data dal suo arrivo a scuola: ogni giorno si faceva portare fin davanti all'entrata in moto dal babbo. Una moto vera, col casco e tutto quanto. Questa era una cosa davvero ganza.
Poi, non guastava il fatto che avesse un caratterino niente male: estroversa, caparbia e irascibile; gli altri bambini avevano imparato in fretta che era meglio non frapporsi fra Maryon e il suo obiettivo, se non volevano finire nei guai.
Niente o nessuno avrebbe mai osato rubarle il suo primato.
O così credeva.
Quella mattina di settembre, piena di buoni propositi per l’anno in arrivo, Maryon varcò la temibile soglia e si ritrovò all’interno dell’edificio scolastico. Conosceva perfettamente il percorso fino all'aula di matematica, così vi si diresse, guardando con sufficienza i bambini più piccoli. Entrata in classe, cercò con lo sguardo un ragazzino con i capelli color paglia, che le sorrise allegro quando si accorse che lo stava osservando. Lei gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo, gridando: «Ciao, Colin!»
Quello rispose con uno sbadiglio, ancora troppo assonnato per la levataccia di quella mattina a cui non era più abituato. «Ciao, Maryon» mormorò poco dopo, con la voce impastata. «Come hai passato l’estate?»
«Bene, grazie! Io e il babbo ci siamo divertiti un mondo. E tu?»
«Sì, sì. Bene» rispose con un sorrisetto sbrigativo. Maryon sospettava che l'amico avrebbe apprezzato di più una vacanza all'avventura come la sua, piuttosto che sopportarsi i tre fratelli durante la classica, noiosa e ripetitiva settimana in campagna dai nonni.
«Dai, troviamoci un posto!» propose Maryon dirigendosi a spintoni verso due banchi in terza fila.
«Ehi, mi ci stavo sedendo io!» protestò un loro compagno, quando vide Maryon che si gettava sulla sedia per rubargli il posto.
«Smamma, George!» replicò Maryon, in tono secco.
«Non c'è mica scritto sopra il tuo nome» si lagnò George, piantandosi davanti al banco con un'aria che voleva essere minacciosa.
Maryon fece un passo verso di lui e incrociò le braccia al petto, in una posa da vera dura. «No, ma fra poco ci sarà spiaccicato sopra il tuo muso» latrò, usando il suo miglior tono da gangster.
E, in effetti, c'era da giurare che avrebbe potuto farlo, a giudicare dal suo sguardo.
Impressionante, per una bambina di dieci anni alta poco più di un metro e venti.
Il George in questione mugugnò qualcosa, ma si allontanò rassegnato, ben consapevole che non era proprio il caso di mettersi contro una come Maryon.
«Sei una vera teppista, Maryon» commentò Colin con un tono di rimprovero palesemente finto.
Maryon sogghignò. «Lo so» concesse, e avrebbe aggiunto altro se la sua attenzione non fosse stata richiamata verso la porta dell’aula, dove era appena comparso un bambino nuovo.
E questo cocco di papà chi sarebbe? si domandò Maryon, stupita.
Il ragazzino era tutto impettito in un completo nero, con camicia bianca e cravatta dai toni scuri. Al posto della solita cartella scolastica aveva una valigetta ventiquattrore di una qualche marca famosa. I capelli neri erano perfettamente pettinati con la riga sul fianco, come se non avessero mai avuto una piega diversa.
Il nuovo alunno gettò uno sguardo di sufficienza con i suoi glaciali occhi azzurri ai compagni, poi si sedette al primo banco, ignorando completamente gli altri.
Ogni domanda gli fu risparmiata dal fulmineo arrivo del maestro di matematica. «Buongiorno, bambini» disse, sorridendo alla classe.
«Buongiorno, maestro O’Connel» risposero in coro.
Lo sguardo dell’insegnante fu subito rapito dal suo nuovo alunno. «Oh, ma chi abbiamo qui? Un nuovo compagno! Perché non ti alzi e ti presenti alla classe?»
Il bambino gli riservò con uno sguardo di sufficienza, poi si alzò e si girò verso gli altri. «Mi chiamo Christopher Alfred McGregor. Sono stato costretto a venire a scuola anche se il mio quoziente intellettivo è di gran lunga superiore rispetto a quello di tutte le persone presenti in quest’aula. Ergo, vorrei sottolineare l’inutilità di questa messa in scena, ideata da mia madre allo scopo di farmi socializzare con i miei coetanei.»
E, con quelle parole, si risedette nel silenzio generale.
Il primo a riprendersi fu il maestro (probabilmente l’unico che aveva capito il discorso). «Molto bene Christopher, sono convinto che ti troverai benissimo!» disse con aria giovale, come se nulla fosse. Dopodiché, forse per nascondere un certo disagio causato dalle parole del ragazzino, riordinò le sue cose sulla cattedra e poi, come suo solito, fece l’appello. «Bene» mormorò infine, quando anche l'ultimo alunno ebbe risposto alla sua chiamata. «Per evitare che vi dimentichiate le cose che abbiamo fatto l’anno scorso, facciamo un bel ripasso. Maryon, vuoi venire alla lavagna?»
La bambina sorrise compiaciuta e si alzò dal banco: era sempre stata la più brava in matematica, come del resto in tutte le altre materie. Il maestro le dettò una semplice moltiplicazione che svolse con un ordine prefetto. Il sorriso sul volto di Maryon si allargò quando l’insegnante si complimentò con lei.
«Ora scrivi: trentadue diviso cinque.»
La bambina scrisse l’operazione alla lavagna e cominciò a risolverla, ma fu interrotta dalla voce del maestro. «Christopher, perché non stai seguendo?» L'insegnante non pareva per nulla contento che qualcuno si distraesse durante la sua lezione.
Maryon gettò un’occhiata sul banco del compagno e vide un libro con strane formule e grafici. Sorrise, convinta che quel cocchino si sarebbe preso una bella strigliata. E se la meritava tutta.
Christopher, per nulla intimorito, alzò leggermente i suoi occhi azzurri, cercando quelli del maestro. «Perché è veramente patetico» rispose in tono piatto.
«Come?» L’insegnante O'Connel strabuzzò gli occhi, stupito.
«È patetico fare queste cose elementari» ripeté il ragazzino, con aria visibilmente annoiata.
«Ah, sì? Allora perché non mi dici tu quanto fa trentadue diviso cinque?»
«Sei virgola quattro» rispose prontamente Christopher, senza la minima esitazione.
Il maestro rimase interdetto per un attimo, ma poi aggiunse: «E visto che sai fare le divisioni ti ritieni tanto bravo che puoi permetterti di non seguire la lezione?»
Christopher rivolse all’insegnate un sorriso che gli fece gelare il sangue nelle vene. Non aveva nulla di grazioso, quel bambino. Sembrava un perfido e assetato vampiro imprigionato nel corpo di un decenne. Francamente inquietante.
«Ascolti» sbottò Christopher, con aria scocciata. «So calcolare a mente le radici quadrate, i logaritmi e i cubi; conosco tutte le basi che possono essere utilizzate in matematica, ho studiato i teoremi di Pitagora, Talete ed Euclide; sono in grado di risolvere equazioni, disequazioni, sistemi e operazioni con seno, coseno e tangente. Credo di avere il diritto di considerare “patetiche” delle divisioni del genere.»
Calò il silenzio. Ancora una volta nessuno seppe cosa rispondere a quelle parole dette in modo così saccente. Inoltre, praticamente tutti i bambini non avevano la più pallida idea di cosa fossero quelle strane cose che il compagno nuovo aveva nominato.
Il maestro, dal canto suo, scocciato da tanta superbia che riteneva infondata, lo provocò: «Allora qual è la radice quadrata di seicentoquarantuno?»
«Venticinque virgola trecentodiciotto» rispose con sicurezza Christopher. «Approssimato al terzo decimale, ovviamente.»
Qualche rapido tocco sui tasti della calcolatrice e il numero 25,317977 apparve sul display luminoso.
«Come diavolo hai fatto?» sbottò incredulo il maestro.
Christopher sorrise nuovamente, anche più furbescamente di prima, se possibile. «Gliel’ho detto che il mio Q.I. è superiore a quello di tutte le persone presenti in quest’aula» rispose, con aria provocatoria. «E ora, se non le dispiace, gradirei tornare al mio studio di chimica industriale, sicuramente più interessante di questa ripetitiva conversazione.»
E quella era decisamente l'ultima parola per chiudere la questione.
Per tutto il resto dell'ora, il maestro non disse più nulla a Christopher ma continuò la lezione come se lui non esistesse.
L’unica che sembrava prestare attenzione al nuovo compagno era Maryon, infastidita dalla bravura dell’avversario e dal riferimento quasi casuale al suo esercizio come “patetico”. Il suo sguardo infuocato non si levò un attimo dalla figura china di Christopher, mentre il povero Colin, che in matematica era un vero disastro, non osava chiederle una mano per paura di cadere vittima della sua ira.

Christopher



Christopher Alfred McGregor era quello che si definisce un enfant prodige.
A essere sinceri, le sue straordinarie capacità non erano sempre state così manifeste. Quando, all'età di due anni e mezzo, il piccolo Christopher non aveva ancora spiccicato una sola parola, sua madre Angeline si era decisa a portarlo dal logopedista.
“Non parla” non era una definizione sufficiente per la condizione in cui versava il piccolo rampollo di famiglia: non solo Christopher non pronunciava alcun suono di senso compiuto, ma non emetteva nemmeno quei teneri balbettii che solitamente provocano sorrisi ilari e infantili sulle labbra di genitori e parenti. Non comunicava in nessun modo con il mondo esterno, nemmeno a gesti. Tutto ciò di cui aveva bisogno se lo faceva da solo o, se non era in grado, non lo faceva proprio. Si limitava a fissare gli adulti con quei suoi occhioni azzurri e nient'altro.
La logopedista cui Angeline si era rivolta, fresca di laurea e di giovanili aspettative sul suo lavoro, aveva svolto numerose sedute con il bambino, sfoderando tutte le tecniche migliori che le avevano insegnato all'università. Niente da fare. Christopher restava muto come un pesce.
E Angeline si sarebbe anche rassegnata all'idea di avere un figlio muto, senonché tutte le analisi mediche cui l'aveva sottoposto non avevano riscontrato alcuna anomalia nell'apparato fonico.
È un problema psicologico, si disse allora. Lo psicologo tentò a più riprese di far disegnare il bambino, ma il piccolo non faceva altro che prendere in mano la matita e fissarlo. Nulla pareva smuoverlo.
Fu così che Angeline suggellò con le lacrime di una madre l'accettazione del suo dolore: aveva un figlio ritardato. L'avrebbe amato come prima, e anche più di prima, ma l'amarezza non sarebbe mai scomparsa. Il bambino non avrebbe mai parlato, né letto un libro, né disegnato, né cantato. Non avrebbe potuto frequentare la scuola, o trovare un lavoro.
«Che ne sarà di te, bimbo mio, quando io non ci sarò più?» gli chiese una sera, con le lacrime agli occhi.
Ma Christopher, disteso nel suo lettino, col pigiama con gli orsetti disegnati sopra, si limitò a fissarla.
Fu durante un tranquillo pomeriggio di febbraio che la situazione cambiò radicalmente prospettiva. Angeline stava preparando la cena, quando si accorse che Christopher non era più in cucina. Chiese al marito, Alfred, se avesse visto il bambino. Lo chiamò, per quanto sapesse che lui non poteva risponderle, e lo cercò in tutta la casa.
Fu con un sospiro di sollievo che lo trovò nella sala della musica, seduto sulla poltrona preferita di Alfred. Con le braccia aperte e tese nello sforzo, teneva in mano il giornale economico, come se stesse leggendo, e tra le gambe paffute si vedeva spuntare una cravatta del padre. Il bimbo doveva averla indossata come una collana, dal momento che Alfred aveva il vizio di sfilarsela senza sciogliere il nodo.
«Oh, amore, sei qui» sussurrò Angeline, rincuorata.
«Il mercato di Londra si è chiuso ieri sera con una leggera perdita in tutti i settori.»
Una voce infantile.
Nulla di più delicato e soave era mai giunto alle orecchie di Angeline. La voce del suo bambino. Parlava!
La donna gli corse incontro e si gettò ai suoi piedi. «Christopher, tu parli!»
Il bimbo lasciò che la parte più alta del giornale si piegasse indietro, così da poter fissare la madre negli occhi. «Non parlo. Sto leggendo.»
E, per quanto al contrario, Angeline fu perfettamente in grado di leggere sulla prima riga dell'articolo le stesse identiche parole che suo figlio aveva appena pronunciato.
E svenne.
Da allora la vita del piccolo rampollo McGregor era stata un infinito succedersi di trionfi e traguardi raggiunti: aveva imparato a scrivere e far di conto all'età di quattro anni, a cinque aveva cominciato a suonare il pianoforte, a sei aveva iniziato a tradurre versioni in latino, a sette si era dedicato ai primi studi di fisica. Inutile dire che non c'era stato alcun bisogno di mandarlo a scuola: ufficialmente la sua istruzione veniva seguita da istruttori privati, in pratica si autogestiva in tutto. Il piccolo Christopher aveva deciso di voler prendere la laurea in fisica, per cui dedicò ogni energia allo studio di quella materia: il suo obiettivo era quello di laurearsi entro i dodici anni e conseguire il dottorato entro i quindici. Dopodiché avrebbe avuto davanti a sé una vita di successi. In questi suoi luminosi piani si intromise l'unica persona in grado di imporre delle decisioni nella sua vita: sua madre Angeline.
La madre gli comunicò il suo assurdo piano una sera di fine agosto: lo chiamò in salotto e gli fece segno di sedersi sul divano tra lei e il padre. Christopher la assecondò con una certa riluttanza, sicuro che la presenza di entrambi i genitori non significasse altro che guai. L'ultima volta che si era trovato in quella situazione era stato quando gli avevano comunicato la morte del nonno. Ma questa volta sua madre era tutta un sorriso: quindi non poteva essere morto nessuno, no?
«Christopher, caro» cominciò Angeline, con il suo tono più zuccheroso.
Il bambino la squadrò con viva preoccupazione.
«Io e tuo padre abbiamo pensato di iscriverti a scuola, quest'anno.»
L'annuncio fu seguito da un gelido silenzio. Christopher sentì sgretolarsi il suo mondo, ma decise di comportarsi come una persona seria: incrociò le gambe e unì la punta delle dita, pronto a discutere di quella decisione come un vero manager. Dopotutto, qualcuno doveva pur fare l'adulto. «Non credo che ce ne sia il benché minimo bisogno» fece ragionevolmente notare.
«Non è per la tua istruzione, sciocchino» lo spiazzò sua madre. «È perché così conosci un po' di tuoi coetanei e ti fai qualche amichetto.» Amichetto? Christopher rabbrividì. «Non voglio conoscere dei miei coetanei» borbottò il bambino, che si figurava già circondato da mostriciattoli urlanti, con il moccio al naso, la bava alla bocca, le ginocchia sbucciate e i capelli sporchi di fango. Fango. Rabbrividì di nuovo.
Angeline cercò di incoraggiarlo. «Oh, avanti, non stai mai con altri ragazzini della tua età.»
«Mi costringete a stare con Angelica, tutte le volte che ci vediamo» fece notare Christopher. «Credo sia una tortura più che sufficiente.»
«Orsacchiotto, te l'ho detto che devi essere gentile con lei» lo sgridò sua madre. «Soprattutto dopo quello che le è successo.»
«Essere gentile è un conto, assecondare le sue follie è un altro: è una punizione disumana» brontolò Christopher, sempre portato al vittimismo quando si trattava di considerare le sue sventure. «Quando avevamo sei anni, era convinta che io e lei ci saremmo dovuti sposare» annunciò drammatico. «Sposare, io? Non ne ho alcuna intenzione! Le dissi chiaro e tondo che nulla avrebbe mai ostacolato la mia carriera, tanto meno lei e le sue assurde pretese di matrimonio!»
«Oh santo cielo, Christopher!» scoppiò Angeline. «Ma ti senti? Sembra di sentir parlare un trentenne!»
«Non è colpa mia se sono un enfant prodige estremamente maturo» replicò Christopher, per nulla impressionato.
«Basta!» sbottò sua madre. «Tu hai bisogno di stare in mezzo ad altri bambini, per imparare a giocare con loro e a essere un bambino normale. Sono stufa di sentirti parlare di fisica quantistica.»
Era un ordine secco e diretto, su questo non c'era dubbio, ma Christopher era troppo disperato per rendersi conto che avrebbe fatto meglio a stare zitto e obbedire, invece di continuare a comportarsi come un adulto in miniatura. «Madre, io non sono un bambino normale, lo sai. Sto per laurearmi in fisica e ho solo dieci anni!»
«Appunto» rispose secca Angeline. «Hai solo dieci anni. E i bambini di quell'età vanno a scuola. Tu comincerai il tuo primo anno alla “Central Infs”.»
Christopher ricevette uno schiaffo in piena faccia. Uno schiaffo metaforico, s'intende, ma non fu affatto meno doloroso. «La “Central Infs”?» ripeté incredulo. «Ma è una scuola pubblica!»
«Ci lavora la sorella di una mia amica e dice che è un ottimo istituto» replicò inflessibile Angeline.
Christopher tremò. Scimpanzé, scimpanzé muniti di cartella e braghini al ginocchio, ecco quello che pensava dei bambini che frequentavano le scuole pubbliche. Niente divisa, niente ordine, niente controlli. Bullismo, delinquenza, droghe e nessuna possibilità di redenzione per quegli avanzi di galera travestiti da bambini.
Christopher avrebbe anche (forse, s'intende, col tempo) potuto accettare di andare a scuola, se solo si fosse trattato del “St Bartleby College per Giovani Gentiluomini” che aveva frequentato suo padre, un rispettabile istituto maschile, per rampolli di famiglie ricche e perbene.
Ma... una scuola pubblica? In mezzo a marmaglia demoniaca?
L'avrebbero fatto a pezzi.
Fu così che il genio Christopher lasciò posto al suo animo di bambino. «Ma, mamma!» piagnucolò. E c'era da dire che il tono lagnoso gli veniva particolarmente naturale. «Perché vuoi farmi questo torto? Non sono forse un bravo figlio?»
«Non fare il melodrammatico, Chris» tagliò corto Angeline, interrompendo sul nascere qualsiasi capriccio.
E come ogni bambino sulla faccia della terra sa, quando un genitore non cede, bisogna provare con l'altro. «Padre?» lo interpellò Christopher. «Come puoi permettere questo scempio?»
«Tua madre ha deciso» decretò Alfred. Poi, forse per un'occhiataccia da parte della moglie, aggiunse: «E io condivido le sue scelte.»
Christopher scattò in piedi, indignato. «Siete dei genitori terribili!» strillò. «Vi odio!» E scappò in camera sua.
Sua madre venne a bussare alla porta dopo una buona mezzora; cercò di entrare, ma lui aveva chiuso a chiave. «Chris, fammi entrare» gli ordinò con voce ferma.
«No.» Christopher, chino sull'enorme vocabolario di latino, non si alzò nemmeno dalla sedia della scrivania.
«Chris, fammi entrare o butto giù la porta.»
«Non puoi» replicò il bambino. «È di legno di mogano, spessa cinque centimetri, con cardini in ferro battuto particolarmente resistenti. La tua sola forza corporea non è in grado di abbatterla.»
Probabilmente la donna si mangiò le dita per evitare di cacciare un urlo di disperazione. Non era colpa sua se lui era un genio. «Allora vieni fuori tu» tentò dopo un attimo.
«No.» Le sue dita infantili scorrevano veloci lungo le righe del testo latino che stava leggendo, pronte a individuare e sottolineare tutti i verbi. «Non uscirò mai più di qui» aggiunse infine, testardo. «Mai più.»
Fu di parola. Almeno per quello che poteva essere un bambino di dieci anni. Se ne restò chiuso in camera per una settimana, uscendo solo per i bisogni strettamente necessari, quando non c'era nessuno in casa. Passò le giornate a tradurre gli Annales di Tacito, senza interruzione: tenere occupata la mente in un compito particolarmente impegnativo era l'unica cosa che lo salvasse dal terribile pensiero della scuola pubblica che lo attendeva.
Alla fine comparve in cucina dopo un'intera settimana di reclusione.
Era il primo giorno di scuola.
Indossava un completo nero di Armani e una cravatta dai toni scuri. In mano, una ventiquattrore di pelle che lo faceva assomigliare a un manager in miniatura.
La faccia non avrebbe stonato ad un funerale.
«Sono pronto al mio martirio.»





Ecco a voi un nuovo racconto del ciclo di Faerie!
Questo, a dire la verità, è il primo che scrissi dedicato a questi personaggi ma, dal momento che risaliva ormai a ben 8 anni fa e versava in uno stato pietoso (potrete non crederci, ma a 16 anni scrivevo da schifo XD), necessitava di una pesante revisione. Così, ho deciso di inserire i racconti di Faerie in ordine cronologico e non di scrittura: dopo la storia di sir Gregory, quella del padre di Maryon e la one-shot su Maryon e Chris a 6 anni, benvenuti nel cuore della serie! Maryon, Chris, Colin e compagnia bella sono i primissimi personaggi originali di cui abbia mai scritto, per questo motivo ci sono molto affezionata. In questo primo capitolo ve li ho un po' presentati... spero di avervi incuriositi ad andare avanti con la storia. =)
In linea di massima, aggiornerò ogni 3/4 giorni.
Alla prossima,
Beatrix B.

N.B. la storia sta partecipando al Circoli e Salotti contest. Ringrazio la giudice per avermi dato l'occasione di rimettere mano a questa vecchia storia.

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Capitolo 2
*** La DDD e il McDragon ***


CAPITOLO 2
La DDD e il McDragon




Maryon




«Odioso, odioso, odioso, odioso!» Ad ogni ripetizione Maryon sbatteva i pugni sul tavolo della mensa.
Le ore della mattina erano passate velocemente e tutti i bambini della “Central Infs” si erano rifugiati in refettorio per cercare di ingozzarsi di budino al cioccolato prima che finisse.
«Abbassa la voce! Potrebbe sentirti» le sussurrò Colin tra un boccone e l’altro.
Maryon puntò gli occhi dritti in quelli dell’amico. «E che senta pure. Tanto non diventerà meno odioso» sbraitò con astio.
Proprio in quel momento McGregor passò davanti a loro, reggendo il suo vassoio con aria altezzosa. Andò a sedersi a un tavolo lontano da tutti, attirando non pochi sguardi per il suo comportamento snob e il suo abbigliamento impeccabile.
Maryon aveva preso come un affronto personale la bravura di McGregor, visto che era sempre stata lei la migliore in tutte le materie. Inoltre quel cocco di papà aveva un atteggiamento strafottente che lo rendeva così... odioso!
Non c'era termine migliore per descriverlo!
E tutte le persone che Maryon Alborgeth trovava odiose, di solito, facevano una brutta fine.
«Se continuerà a comportarsi così, finirà presto nelle mire della DDD» commentò Maryon, gli occhi puntati sulla schiena del suo avversario, quasi come se la cosa la divertisse.
«Ma noi non siamo in eterna lotta con la DDD?» si informò Colin, sbavando budino al cioccolato ovunque.
Maryon ci pensò su. Eterna lotta, così aveva sempre sostenuto la bambina e a buon diritto: lei e Colin erano la legge, la DDD la mafia. Ad essere sinceri, che il bene stesse dalla loro parte, l'aveva deciso lei. Però, in quel piccolo mondo che era la “Central Infs”, la banda rivale era famosa per la tassa sulle merendine imposta ai bambini del primo anno, per non parlare delle scommesse sulle lotte clandestine tra piccioni e il tentativo di imporre il proprio monopolio sullo spaccio di bibite gassate con lo zucchero. Suo padre, una volta, le aveva fatto vedere un film da ridere (era in bianco e nero e il titolo c'entrava qualcosa con il caldo, ma non se lo ricordava bene) dove si parlava della mafia americana. Papà diceva che la mafia in America ce l'avevano portata Italiani e Irlandesi e lei, sentendosi ferita nell'orgoglio di fiera cittadina irlandese, era andata in biblioteca a cercare un libro sull'argomento. Non c'aveva capito un tubo, ma da allora aveva deciso che la mafia era cattiva e che la DDD doveva essere la mafia. Per cui, di conseguenza, lei e Colin erano i bravi poliziotti che la combattono.
La DDD, infatti, era l'acronimo della banda composta da tre loro coetanei: Daniel, il capobanda, Dorian, il belloccio e David, lo stupido. Lei e Colin, però, preferivano etichettarla come “la Delegazione Dei Deficienti” (ovviamente, solo dopo che Luke, uno dei fratelli più grandi di Colin, aveva spiegato loro cosa volesse dire “delegazione”).
Nessuno ricordava bene come fosse cominciata la loro rivalità, né quale fosse stata la causa scatenante. In realtà, Maryon non era particolarmente altruista, né trovava entusiasmante fare la parte dell'eroina (come invece le rinfacciava sempre Colin), ma aveva sempre odiato i prepotenti; a meno che, com'era ovvio, la prepotente in questione non fosse lei. Ma tutte le sue azioni dispotiche non erano fine a loro stesse, come quelle della DDD: se lei tiranneggiava qualcuno, era solo per ottenere qualcosa di cui aveva assoluto bisogno. Quindi, lei era giustificata, loro no. Per questo adorava mettere i bastoni tra le ruote alla DDD, trascinandosi dietro un rassegnato Colin.
Era in corso una vera e propria guerra tra bande. E, come ogni banda che si rispetti, anche Maryon e Colin dovevano scegliersi un nome: McDragon. M stava per Maryon , C per Colin e dragon per il drago, l'animale simbolo che si erano scelti. La bambina, prendendo l'idea da qualche film di gangster, aveva imposto all'amico che si facessero un tatuaggio. Non di quelli veri, ovviamente: avevano comprato in tabaccheria una bustina di tatuaggi che si fissavano con l'acqua, tutti a forma di drago. E se li facevano sempre sul braccio destro, sotto la spalla. Proprio come una vera banda.
«Maryon, lo mangi il tuo budino?» La voce di Colin la strappò dai suoi pensieri.
La bambina fece un cenno disinteressato con la testa. Colin allora ne approfittò, goloso di dolci e di cioccolato come pochi altri.
«Lasceremo fare alla DDD, comunque» annunciò Maryon dopo una lunga meditazione. Per una volta, era del tutto intenzionata a godersi lo spettacolo: McGregor era esattamente il tipo di vittima che avrebbe potuto cadere nella rete della DDD e lei non aveva alcuna intenzione di intervenire. O, almeno, fintanto che la situazione non l'avesse richiesto. Nel caso, salvando quel cocchino da un pestaggio sicuro, avrebbe ottenuto un vantaggio su di lui e gli avrebbe dimostrato quanto era ganza.

Colin



Erano in molti, a scuola, a chiedersi perché quell'animo pacifico di Colin Weaving stesse dietro ad una teppista come Maryon. In realtà, Colin era tutt'altro che pacifico: appariva tale solo perché veniva comparato alla sua scatenata migliore amica. Lui era furbo, ecco tutto: sfruttava la vulcanica energia della ragazzina e la assecondava in tutti i suoi giochi, finché c'era da divertirsi. E anche quando il tutto diventava troppo pericoloso, avere un'amica come Maryon era un ottimo scudo: era sicuramente colpa dell'altra quando combinavano qualche casino perché, andiamo, lui aveva la faccina troppo angelica per essere colpevole!
O, almeno, così la pensavano tutti gli adulti. E poi Maryon era nata per fare l'eroina che si strugge per il destino crudele a lei riservato, quindi Colin le lasciava quel ruolo senza troppi problemi.
Inoltre, in compagnia di Maryon non ci si annoiava mai: lei era un vulcano di idee con i giochi e ogni cosa si trasformava in un'avventura. Avevano scalato l'Everest quel giorno che erano saliti in cima alle colline che dominavano il vecchio porto di Dublino; e poi avevano affrontato un leone quando si erano intrufolati nel giardino del suo vicino a recuperare la palla e avevano avuto a che fare con il suo stupido carlino. Per non parlare della volta in cui avevano esplorato le grotte sotterranee di un vulcano, nell'andare alla ricerca delle pile di scorta nello sgabuzzino di casa Alborgeth.
E poi Maryon diceva che nel cortile scolastico c'era la mafia e loro erano le forze dell'ordine, per cui dovevano combatterla. In realtà, Colin avrebbe detto che assomigliavano più alla Gestapo che a normali forze di polizia, se solo avesse saputo cosa fosse la Gestapo. Suo fratello Luke l'aveva nominata una volta, per paragonarla a Maroyn, ma lui ovviamente non se lo ricordava.
Ehi, aveva solo dieci anni e preferiva di gran lunga credere di star combattendo la mafia, piuttosto che occupare la testa con cose inutili come lo studio della storia.
Quando, quel giorno, Maryon aveva decretato che non sarebbero intervenuti in difesa del loro nuovo compagno di scuola, per poco Colin non si era strangolato con il budino. Certo, nemmeno a lui stava troppo simpatico quello stoccafisso in miniatura, ma non schierarsi apertamente contro la DDD era... era... era come essere dei poliziotti corrotti!
«Siamo corrotti, Maryon?» indagò preoccupato.
«Hai il budino sulla faccia» replicò l'amica, con un'aria di compatimento.
Colin si affrettò a pulirsi con la manica della felpa, ma non ebbe tempo di ripetere la domanda, perché un gruppetto di bambine, tutte vestite di fucsia, passò cinguettando alle spalle dell'amica.
«Ciao, Colin» lo salutò sua sorella Jennipher, con un sorriso enorme. Jenny aveva un anno meno di lui e si era guadagnata l'entrata nel club più esclusivo della scuola solo perché la mamma le aveva fatto l'abbonamento al giornalino di Rossana.
«Ciao, Colin!» trillarono alcune altre bambine, con ridolini divertiti.
«Ciao» rispose accondiscendente il ragazzino. Jenny sosteneva che un sacco di sue amiche lo volessero baciare perché era carino. Francamente, il suo primo pensiero era stato “bleah” e poi, quando ne aveva parlato con Maryon, lei aveva risposto che quelle ochette gli correvano dietro solo perché era famoso. Non importava, era “bleah” comunque.
L'unica cosa che davvero non capiva era come Maryon e Jenny potessero essere amiche, dal momento che sua sorella si metteva in combutta con le checchine vestite di rosa (così le chiamava Maryon, almeno), mentre l'altra era un maschiaccio fatto e finito.
«È vero che c'è un bambino nuovo a scuola?» domandò proprio in quel momento Jenny, scuotendo il suo caschetto di capelli rossi, che faceva a pugni con la maglietta fucsia; si era staccata dal suo nuovo gruppo di compagne per unirsi al loro tavolo.
«Sì» sibilò Maryon, perfida come una vipera. «È proprio...» si voltò per indicare McGregor al tavolo, ma lui non c'era più. «Dov'è andato?» latrò in direzione di Colin.
«E che ne so!» borbottò il ragazzino, stringendosi nelle spalle. «Non sono mica il suo cane da guardia.»
Maryon, invece, ispezionò la sala mensa come un segugio da caccia alla ricerca della sua preda. Non trovò McGregor, ma riuscì a individuare la DDD che si stava dirigendo verso il cortile interno. «Seguiamoli!» esclamò, balzando in piedi e strattonando il povero Colin per un braccio.
Il bambino pensò rassegnato che prima o poi l'avrebbero fatto santo. San Colin dalla “Central Infs”.

Christopher



Odiava quella scuola, odiava i maestri che pensavano di dovergli insegnare qualcosa, odiava gli altri bambini, con i loro patetici compiti, i giochi infantili e lo stesso vocabolario di uno zulu che pretende di filosofeggiare in giapponese.
Ridacchiò. Ehi, questa era buona.
Se ne stava seduto su una delle poche panchine del cortile della scuola a leggere, a riflettere su quanto odiasse quel posto e a considerare come la sua intelligenza fosse sprecata in una scuola elementare, quando un gruppetto di marmocchi lo raggiunse.
«Ehi, Lecchino!» lo apostrofò un tizio, tirandogli un debole calcio alla caviglia. «Che fai?»
Christopher nemmeno sollevò gli occhi dalla pagina.
«Ehi, ti ho detto: “che fai?”» ripeté il ragazzino, tirandogli un altro calcio.
Christopher allora alzò lo sguardo annoiato e fissò il marmocchio in questione con i suoi glaciali occhi azzurri. «Posso comprendere che le tue ridotte capacità mentali ti impediscano di analizzare adeguatamente la realtà, ma è difficile fare qualcosa di diverso dal leggere con un libro in mano, non trovi?» E poi sorrise con tutta la faccia tosta di cui era capace.
Gli altri bambini si scambiarono occhiate perplesse: nessuno aveva seguito il filo di quel discorso complicato. Un bambino che somigliava ad una scimmietta, dall'aria molto meno furba rispetto agli altri (e non che gli altri si potessero definire dei geni, eh), dimenticò per un attimo che lui doveva fare la parte del bullo e decise di dare voce al pensiero di tutti. «Eh?» borbottò perplesso.
Sapendo di essere riuscito nell'intento di ridicolizzare gli avversari, il sorriso maligno sul volto di Christopher si allargò.
Allora un altro bambino biondo, con la puzzetta sotto il naso, si passò le mani tra i capelli, spinse di lato Scimmietta e decise di prendere parte al divertimento. «E cosa leggi?» chiese con finta aria materna.
Christopher non si scompose: quella era solo una marmaglia ignorante che non poteva capire nulla dei suoi studi. «Scommetto che se ti rispondessi “Chanson de Roland” ti lascerei nel buio più completo, quindi è necessaria una piccola spiegazione, ma temo che parlarti di componimento in lingua volgare (in seguito all’accezione che il termine ha acquistato nel corso della storia) susciti in te una certa ilarità causata dal tuo vocabolario ristretto e dalla tua ignoranza riguardo alla letteratura medioevale.»
«Eh?» ripete Scimmietta e questa volta il verso rimbalzò tra gli altri bambini.
Il sorriso di Christopher si allargò ancora di più.
«Ci stai forse prendendo in giro?» latrò il primo tizio, quello che gli aveva tirato i calci, assumendo la sua migliore aria da gradasso.
Christopher finse di avere un attimo di incertezza. «Mmm… Sì, direi proprio di sì» rispose infine.
Realizzò di aver giocato troppo con il fuoco quando il ragazzino ringhiò nella sua direzione e caricò indietro il braccio per tirargli un bel pugno, incitato dagli altri demonietti. Era già pronto a strillare, a minacciare di denunciare quella massa di delinquenti e anche a piagnucolare un po' con la mamma, se fosse servito a ritirarlo da scuola, quando qualcuno ordinò al bullo di fermarsi.
Al centro del gruppetto di sadici spettatori, si stagliava una bambina con lo sguardo di fuoco, dritta in piedi e con le mani chiuse a pugno, appoggiate sui fianchi.
Il ragazzino abbassò il braccio e assunse una finta aria angelica. «Ma guarda chi si vede, Maryon l'eroina!» salutò, con una leggera sfumatura di sarcasmo.
«Smammate» ordinò la marmocchia di nome Maryon, con un tono che non ammetteva repliche.
«Ehi, il cortile è di tutti…» incominciò il biondino con la puzza sotto il naso, ma fu subito interrotto da quel demonietto vestito da bambina.
«Esatto e qui ci vogliamo stare noi, quindi andatevene!» intimò loro.
«Ma c’eravamo prima noi!» protestò Scimmietta, evidentemente il più stupido dei tre. Ci doveva sempre essere un anello debole nelle bande dei gangster.
«Imbecille, stai zitto» gli ordinò il biondino. «Da quando il McDragon è diventato altruista? Cosa ve ne frega se picchiamo un po’ quel Lecchino?» aggiunse poi, rivolto al piccolo dittatore in gonnella e al suo compare lentigginoso.
«Non siamo altruisti, è solo che ci divertiamo a darvi fastidio» rispose appunto il compare, con un sorrisetto di sfida.
«Ben detto, Colin. E ora andatevene!» aggiunse Maryon.
La tensione era talmente palpabile che sembrava che l'aria ne tremasse. Il silenzio calò come un sudario sugli altri bambini che attendevano di scoprire chi avrebbe vinto quella battaglia tra titani.
Alla fine fu il bulletto a cedere. Negli anni a venire, quando i più piccoli, ormai diventati grandi, avrebbero raccontato la storia tramutata in leggenda alle nuove leve, nessuno sarebbe mai stato in grado di capire come fosse successo che tre giovanotti avessero potuto soccombere ad una ragazzina sola, pure un po' minuta. Nessuno, chiaramente, che non avesse visto con i propri occhi lo sguardo della suddetta ragazzina.
«Questa volta avete vinto, ma ve ne pentirete.» Il bambino fece segno agli alti due e, con la coda fra le gambe come un cane bastonato, si allontanò. Con loro, se ne andò anche la piccola folla, delusa per il mancato spettacolo.
Solo allora il demonietto di nome Maryon si voltò verso di lui e Christopher poté riconoscere la bambina che aveva eseguito gli esercizi di matematica alla lavagna, quella mattina. Nell'alzarsi dalla panchina, ricambiò l'occhiataccia, ma quando capì che quella non se ne sarebbe andata, senza prima ricevere i ringraziamenti dovuti, alzò gli occhi al cielo. «Non ti aspetterai che ti ringrazi?»
«Ti abbiamo salvato il collo, se non te ne sei accorto» rispose Maryon in modo sgarbato e seccato.
«Oh, allora mi inchinerò di fronte a cotale manifestazione di magnanimità!» la schernì Christopher con una vocetta acuta, fingendo un buffo inchino. Poi le si avvicinò, le mise una mano sulla spalla e la guardò dritta negli occhi. «So perché l’hai fatto. Volevi dimostrarmi la tua superiorità e farmi sentire in debito con te. Ma hai sbagliato, perché io non ho conti in sospeso con nessuno.»
«Sei la persona più odiosa del mondo!» gli strillò dietro Maryon, quando lui fece per andarsene. «Odioso, odioso, odioso!»
Christopher si voltò appena. «Infantile, oltre che ripetitiva.»
Al che Maryon afferrò una pigna da terra e gliela scagliò contro, colpendolo dritto sulla nuca. «Sei impossibile!» urlò.
Christopher si voltò e la squadrò da capo a piedi: nessuno aveva mai osato tirargli qualcosa addosso. Si massaggiò il punto dov'era stato colpito, indignato. «Lo so di essere impossibile» gracchiò alla fine, offeso. «Molti psicologi hanno tentato di capire il mio carattere, ovviamente senza riuscirci.»
Maryon fece qualche passo verso di lui con aria decisa. Era talmente vicina che Christopher poteva distinguere le varie sfumature di verde dei suoi occhi. «Io non sono uno pisi… quella roba lì, ma una cosa l'ho capita: sei solo un pallone gonfiato che considera gli altri meno delle caccole del naso. Se continui così, non ci sarà una persona al mondo che vorrà esserti amica.»
Christopher avrebbe voluto rispondere con un’altra battutina sprezzante e pungente, ma un nodo gli aveva arrotolato la lingua. Quella marmocchia presuntuosa aveva ragione, in fin dei conti, e questo gli rodeva lo stomaco più di una intera bottiglia di acido solforico. Un silenzio imbarazzante fece da cornice ad un'agguerrita lotta di sguardi tra i due bambini. Maryon capì di aver colpito nel segno quando il suo avversario abbassò leggermente gli occhi. Sorrise compiaciuta e con un ultimo sguardo di sfida, gli voltò le spalle definitivamente.
Christopher, mordendosi le labbra per la sconfitta, la osservò allontanarsi; solo dopo un attimo notò che il compagno lentigginoso era ancora lì a fissarlo. «Vuoi anche tu il mio ringraziamento?» domandò sprezzante.
Il bambino fece una smorfia e scosse le spalle. «No. Non mi sei poi così antipatico.»
«Lo prendo come un complimento.»
Lentigginoso alzò nuovamente le spalle, in segno di disinteresse. «Come vuoi» mormorò e poi si affrettò a seguire Maryon.






Eccoci con il secondo capitolo!
Ho deciso di pubblicarlo di già perché poi sarò via per qualche giorno.
Qui siamo ancora in fase di presentazione dei personaggi, in realtà... avete conosciuto meglio Colin e la banda rivale DDD. Christopher è un frignone patentato, quindi rassegnatevi. ;)
Da questo salvataggio improvviso, si svilupperà tutta la vicenda! Stay turned! =)
Intanto, vi lascio QUI il disegno dei protagonisti. Non sono adorabili?
Alla prossima,
Beatrix B.

N.B. la storia sta partecipando al Circoli e Salotti contest. Ringrazio la giudice per avermi dato l'occasione di rimettere mano a questa vecchia storia.

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Capitolo 3
*** Il video rubato ***


CAPITOLO 3
Il video rubato




Maryon




La prima settimana di scuola trascorse tranquilla e senza intoppi. McGregor continuò a fare il saputello finché la maestra di Inglese non lo mise a tacere, dicendo che sua mamma l'aveva contattata e aveva insistito perché lui seguisse le lezioni. Da quel momento, McGregor si zittì e si meritò il soprannome di “cocco di mamma”, con enorme soddisfazione di Maryon.
La cosa più preoccupante della settimana fu che la DDD non fece nulla per vendicarsi della sconfitta subita il primo giorno. Era una regola del cortile scolastico quella secondo cui non potevi ignorare la tacita richiesta di vendetta dei torti ricevuti, se volevi restare a galla e non essere etichettato come un perdente.
«Forse hanno capito che siamo grandiosi e hanno deciso di lasciarci in pace» si azzardò Colin quel pomeriggio, mentre si dirigevano verso gli armadietti per riporvi i libri alla fine dell'ennesima, noiosa giornata di scuola.
Maryon lanciò all'amico un'occhiata di commiserazione. «Non ci sperare troppo... non si arrenderanno così facilmente.» Aprì l’armadietto senza badare a quello che stava facendo. «E poi lo sai che Dorian è un genietto del male con gli scherzi.»
«Cos'hai appeso lì?» le domandò Colin, indicando un foglio che era attaccato con il nastro adesivo sulla parte interna dello sportello.
Maryon lo strappò dall'anta e inorridì non appena riconobbe la grafia spigolosa di Daniel.

Photobucket

Passò il foglietto a Colin con mani tremanti. Vide sbiancare perfino le lentiggini sul viso del suo amico.
«Siamo davvero morti» sussurrò Colin, gli occhioni nocciola sgranati. «Come avranno fatto a sapere del video?»
«L'avranno sentito quando ne parlavamo l'altro giorno in mensa.» Maryon sbatté con violenza l'anta del suo armadietto. Era stata una sciocca a portare il video a scuola, convinta che fosse al sicuro solamente perché era sotto chiave. Si era dimenticata del fatto che David sapeva scassinare gli armadietti a suon di pugni. «Dobbiamo riprendercelo, assolutamente» sentenziò. «Non voglio che l'intera scuola rida di me perché dormo ancora con l’orso di pezza che mi aveva dato mamma.»
«Io sono una frana negli indovinelli» borbottò sconsolato Colin, osservando la composizione del primo indizio.

Photobucket

Lesse l’enigma lentamente, scandendo ogni singola parola: «Come si chiama il particolare principio per sapere dove trovare particelle d'aria che se sono vuote si mostrano ai matematici degne ricerche?» Il bambino alzò gli occhi dal foglio e guardò l'amica. «Cosa caspita vuol dire?»
Maryon scosse la testa sempre più preoccupata. «Forse potremmo chiede aiuto ai tuoi fratelli...» buttò lì.
Colin si concesse una risatina isterica, forse dovuta alla situazione drammatica in cui si trovavano. «Jenny ha un anno in meno di noi e non credo sia in grado di aiutarci» commentò. «Per quanto riguarda Luke e Joy… sai come sono fatti… se gli chiediamo un favore per recuperare il video, poi vorranno vederlo e forse preferisco che lo veda la DDD piuttosto che loro due: sarebbero in grado di prendermi in giro per sempre.»
Maryon si morse il labbro: Colin aveva ragione, i gemelli Luke e Joy erano due adolescenti nella piena fase delle idiozie, quindi il loro aiuto si sarebbe potuto rivelare più dannoso che altro. «Mio padre ci aiuterebbe...» tentò sottovoce.
«Non si può, lo sai. È un adulto.» Colin scosse la testa. «O vuoi che ti diano della mocciosa frignona?»
Maryon sbuffò. Ancora una volta l'amico aveva ragione: una legge non scritta della scuola vietava il ricorso agli adulti (di solito la maestra) per risolvere una qualsiasi controversia, pena l'essere etichettati come mocciosi piagnucolosi. E addio reputazione da ganza. La bambina controllò l’orologio: avevano solo tre ore per compire la missione. Non ce la avrebbero mai fatta. Si prese la testa tra le mani senza sapere come uscire da quella situazione.
«Un modo ci sarebbe» propose a bassa voce Colin.
Maryon alzò la testa e fissò l’amico diritto negli occhi.
Il bambino prese un respiro profondo. «Potremmo chiedere aiuto a Christopher.»
«NO! Questo mai!» strillò Maryon di risposta. Avrebbe ballato la samba con una tigre siberiana affamata piuttosto che chiedere aiuto a quel lecchino di McGregor. Lo disse anche a Colin, giusto per chiarire la situazione.
L'amico cercò di farla ragionare. «Pensaci, è l’unica soluzione. Lui è super-mega-intelligente, no?»
«Colin! Sveglia! Lui odia questa scuola. Pensi che ci aiuterebbe solo perché glielo chiediamo per favore?» Maryon non aveva alcuna intenzione di cedere, per quanto sospettasse che la proposta dall'amico fosse davvero l'unica soluzione. «E poi se ne è già andato a casa» borbottò infine, imbronciata.
Colin la guardò dritta negli occhi, come faceva sempre lei quando doveva dire qualcosa di veramente serio. «Maryon, è la nostra unica speranza. E poi, quanti McGregor pensi che ci siano in tutta la città? Troveremo casa sua.»
«No, mai.» Maryon si impuntò. «Non puoi chiedermelo.»

Christopher



Casa McGregor non assomigliava affatto a quella che la gente comunemente chiama “casa”. Casa McGregor era in realtà una villa in stile neogotico risalente all'Ottocento, che la leggenda diceva sorgesse nello stesso appezzamento di terreno che la regina Aoife la Rossa aveva concesso a sir Gregory di Scozia, capostipite della dinastia. Ad essere sinceri, la villa aveva subito parecchie modifiche negli ultimi due secoli, a cominciare dal nuovo impianto di teleriscaldamento a pavimento, fino alle più sofisticate telecamere a circuito chiuso. Christopher aveva personalmente modificato i dispositivi di sicurezza, affinché proiezioni a ciclo continuo delle immagini riprese dalle telecamere fossero visibili sullo schermo appeso alla parete a fianco della sua scrivania.
Fu proprio per quel motivo che, quel pomeriggio di settembre, poté assistere impotente all'orrore che si era scatenato nell'ingresso di villa McGregor.
Quando aveva sentito qualcuno suonare al cancello, non aveva dato tanto peso alla cosa, pensando ingenuamente che fosse una delle amiche pettegole di sua madre. Ma era stata l'immagine che era apparsa sullo schermo centrale ad attirare la sua attenzione: due mocciosi che percorrevano il vialetto del giardino. Senza un minimo di contegno, Christopher aveva spiaccicato il naso contro lo schermo e aveva sgranato gli occhi: erano quel demonietto di Maryon e il suo amico Lentigginoso!
Ingrandisci l'immagine, seleziona l'audio!
Smanettò frenetico sui tasti, finché il maestoso ingresso della casa non riempì lo schermo.
«Ehm, siamo Maryon e Colin, degli amici di Christopher. È in casa?» stava dicendo Maryon. Almeno aveva il buon gusto di essere titubante.
Angeline si illuminò.
Fantastico. Sua madre doveva essersi convinta che il suo stupido piano per farlo socializzare con dei coetanei, mandandolo in pasto ai mocciosi della scuola pubblica, avesse funzionato.
Di' che non ci sono, di' che non ci sono, di' che non ci sono!
Nella vana speranza di possedere qualche potere telepatico nascosto, Christopher concentrò tutte le sue energie verso lo schermo.
«Certo, è in camera sua.» Sua madre indicò ai marmocchi lo scalone che portava al piano di sopra.
Grandioso.
Christopher si appoggiò all'alto schienale della sua sedia girevole in pelle e attese l'inevitabile. Dopo pochi minuti, sua madre bussò alla porta.
«Avanti» mormorò tetro.
«Chirs, tesoro, ci sono i tuoi amici» trillò sua madre, facendo entrare nella stanza i bambini. Christopher riservò loro un'occhiataccia talmente lugubre che perfino l'entusiasmo di sua madre vacillò. «Vi lascio soli» ebbe l'illuminazione di dire. E si affrettò a chiudere la porta.
Christopher unì la punta delle dita e squadrò da capo a piedi i due intrusi come un re sul suo trono. «Immagino che non siate qui per farmi le vostre scuse.»
«Ehm, non solo» rispose Maryon, leggermente intimorita. Christopher adorava fare quell'effetto alla gente: la marmocchia era entrata nella fossa del leone e non poteva più tornare indietro. Soddisfatto, la squadrò dall'alto in basso, in attesa che continuasse.
«Ascolta, mi dispiace!» sbottò dopo pochi secondi. «Ma se hai intenzione di farmi sentire un verme, sappi che non ci riuscirai, perché io so benissimo che la colpa è anche tua!» All'occhiataccia dell'altro fu costretta ad aggiungere: «Non sei stato poi tanto gentile con noi.»
Christopher non se la sentì di ribattere: in fondo era vero.
Ottenuto il tacito assenso dell'avversario, Maryon riprese: «Quindi, adesso, se non ti va di aiutarci perché siamo solo delle caccole di naso rispetto al grande genio di Christopher McGregor, ok, ce ne andiamo. Ma se hai anche solo una briciola di rimorso, potresti dedicarci qualche minuto del tuo prezioso tempo!»
In dieci anni di vita, Christopher non aveva mai trovato una persona capace di zittirlo. Adesso, quella bambina l’aveva messo a tacere due volte in una settimana. Forse l’aveva sottovalutata. Forse non era poi così male.
«Affare fatto» rispose Christopher, invitandoli ad accostarsi alla scrivania. «Avete dieci minuti per convincermi a collaborare. Vediamo che siete in grado di fare.»
Sui volti di Maryon e Colin si allungò un sorriso di vittoria. Non sprecarono il tempo prezioso: tirarono subito fuori l’indovinello e spiegarono velocemente la situazione.
«Cosa significa DDD?» domandò perplesso Christopher.
«In teoria sono le iniziali di Daniel, David e Dorian…» spiegò Maryon.
«…in realtà noi preferiamo etichettarla come Delegazione Dei Deficienti» completò Colin (Christopher decise che era arrivato il momento di smetterla di apostrofarlo nella sua testa come “Lentigginoso”, altrimenti alla fine gli sarebbe scappato anche ad alta voce).
«Sono quei tre che ti volevano prendere a pugni» aggiunse Maryon, per specificare la situazione.
«Immaginavo» rispose Christopher, osservando il foglio che aveva in mano. «McDragon, invece, a che cosa si riferisce?»
«È il nome del nostro club. M sta per Maryon, C per Colin» spiegò la ragazzina.
«E dragon sta per drago, il nostro simbolo» aggiunse l’amico, tirando su la manica e mostrando un tatuaggio a forma di drago sul braccio. Christopher rabbrividì, improvvisamente conscio della pericolosità di quella gang: quale bambino di dieci anni, sano di mente, si sarebbe sottoposto ad una dolorosa pratica tribale di dubbio gusto estetico solo per rimarcare la propria fedeltà e il proprio senso di appartenenza?
«Sono tatuaggi per bambini» lo prese in giro Maryon, che doveva essersi accorta del suo attimo di sconcerto. Forse che avesse intuito la sua inconfessabile paura per gli aghi?
«Che mi dite del video?» Christopher cercò di sviare l'attenzione da sé. Mai mettersi contro una come Maryon, ricordò a se stesso. Sembrava saperne sempre una più degli altri e questo la metteva decisamente in posizione di vantaggio.
Colin lanciò uno sguardo all'amica: solo dopo aver ricevuto un cenno di assenso si decise a svuotare il sacco: «Ci avevamo registrato i nostri segreti, qualche settimana fa. Segreti inconfessabili, quel tipo di segreti che devono rimanere tra amici. Avevamo intenzione di fare una capsula del tempo, da dissotterrare fra venti anni.»
«Un bottino molto ghiotto» commentò Christopher..






Ecco il terzo capitolo!
Come ve la cavate con gli indovinelli? Io sono una frana come Colin... e sono una frana anche nel crearli, quindi abbiate pietà!
Ah, se a qualcuno interessasse sapere come il capostipite della dinastia McGregor sia venuto in possesso di quell'appezzamento di terreno su cui ora giace villa McGregor, vi consiglio la sua storia: La leggenda di sir Gregory
Grazie a tutti quelli passati a dare un'occhiata! Alla prossima
Beatrix B.

N.B. la storia sta partecipando al Circoli e Salotti contest. Ringrazio la giudice per avermi dato l'occasione di rimettere mano a questa vecchia storia.

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Capitolo 4
*** La caccia al tesoro ***


CAPITOLO 4
La caccia al tesoro




Colin




Colin era ottimista sulla riuscita dell'impresa. Generalmente, lui era un tipo positivo; se poi aveva dalla sua parte l'aiuto di quel piccolo genietto di Christopher McGregor, poteva stare tranquillo e smettere pure di sforzarsi per trovare una soluzione.
«Per me l'indovinello non vuol dire proprio un accidente, comunque» si sentì in dovere di puntualizzare, quando notò le sopracciglia di Christopher aggrottarsi, mentre leggeva l'indizio della DDD.
«È perché ci deve essere una chiave di lettura secondaria» spiegò il ragazzino. «La risoluzione non si trova al livello letterale, capisci?» Lo guardò dritto negli occhi, ma Colin si limitò ad alzare le spalle.
«No, capire è compito tuo» rispose con naturalezza. «Il mio è quello di sorridere e annuire.» Come per sottolineare le parole, indicò soddisfatto il sorriso a trentadue denti che si stampò sulla faccia.
Maryon lo scansò con una gomitata. «Comunque, tu capisci quello che ha scritto la DDD, no?» chiese speranzosa a Christopher.
Lui fece una smorfia. «Questo indovinello non l’hanno scritto loro. È troppo complicato.»
«Non sono tutti così scemi come pensi» lo rimbeccò Maryon, imbronciata. «E poi Dorian ha una mente diabolica quando si tratta di fare scherzi.»
Colin sogghignò. «È che Maryon ha una cotta segreta per lui» sussurrò all'orecchio di Christopher, ma nemmeno troppo a bassa voce.
«Quanto sei stupido, Colin» borbottò Maryon, in risposta all'amico.
«Tutte le bambine della scuola hanno una cotta per lui» sentenziò Colin, in tono risaputo. «È perché assomiglia a Simon di “Settimo Cielo”. Me l'ha detto Jenny.»
«La piantiamo di parlare di Dorian e ci concentriamo sull'indizio?» si lamentò Christopher. «Volete che vi aiuti a risolverlo o no?»
«Certo!» esclamarono all'unisono Colin e Maryon.
«Ottimo.» Christopher afferrò una matita dal portapenne di legno scuro che occupava l'angolo destro della scrivania. «Allora state zitti e lasciatemi lavorare.»
Colin cominciò a fare bolle d'aria con la bocca, mentre osservava la stanza del nuovo compagno: probabilmente era grossa quanto tutto il pianoterra della sua villetta a schiera. C'era un pianoforte verticale, un armadio immenso di legno scuro, una portafinestra oltre la quale si intravedeva un balcone in pietra, una scrivania immensa con un computer di ultima generazione. «Ma tu ce li hai dei giocattoli?» non riuscì a trattenersi dal chiedere.
Christopher alzò i suoi occhi azzurri su di lui, poi tornò a concentrarsi sull'indovinello. «Non ricordo di aver mai posseduto giocattoli» rispose infine, con una smorfia.
«Neanche uno piccolo, piccolo, piccolo?» si informò Colin, diminuendo il tono di voce ad ogni ripetizione. «Colin!» lo apostrofò Maryon, con tanto di occhiataccia.
Il bambino si strinse nelle spalle. «Chiedevo solo.»
«Ho trovato!» annunciò proprio in quel momento Christopher. «Guardate qui. C’è scritto “Christ Church”» disse, facendo scorrere il dito su una serie di lettere in diagonale.
«Grandioso, Chris! Andiamo!» esclamò Maryon, battendo le mani entusiasta.
«Andiamo?» le fece eco Christopher, facendo una smorfia al sentire il nomignolo che gli aveva affibbiato. «Non credo proprio. Voi andate, io resto. Quando avrete trovato il prossimo indizio, me lo porterete per risolverlo.»
Colin cercò di farlo ragionare: dovevano risolvere i prossimi indovinelli entro le sette di sera e mancavano solo due ore, ma Christopher fu irremovibile.
«Non mi costringere ad usare le maniere forti» lo minacciò Maryon, bulletta come sempre.
«Che cosa vuoi fare?» la schernì Christopher, per nulla intimorito dall'avvertimento. «Prendermi a calci con la tua forza bruta da maschiaccio?»
«No.» Maryon sorrise. E sembrava un ragno che ha appena catturato una mosca nella sua tela. Andò ad aprire la porta e, prima che Christopher potesse rendersene conto per fermarla, chiamò: «Signora McGregor?»
La donna arrivò con in mano un pacco di biancheria che depositò sul letto del figlio. «Dimmi pure, cara.»
«Christopher può uscire a fare un giro in città con noi?» domandò angelica Maryon.
«Certo, basta che me lo riportiate a casa prima di cena» rispose la signora McGregor, con un sorriso.
«Non si preoccupi. È l’orario massimo anche dei nostri genitori» si sentì in dovere di specificare Colin. Anche perché sua mamma era una specie di rottweiler quando si trattava di tornare in ritardo.
Christopher, nel frattempo, aveva indossato un soprabito nero che lo faceva sembrare un grosso avvoltoio. O forse quell'impressione era data dalla sua faccia lugubre. Quando passò a fianco di Maryon, le sibilò: «Non ti abituare troppo alla vittoria.» Dopodiché se ne uscì dalla stanza con il broncio e le mani in tasca.

Maryon



La chiesa era immensa. Le colonne sembravano toccare il cielo mentre i loro passi risuonavano sul pavimento di marmo.
«È in perfetto stile gotico...» cominciò a dire Christopher, ma fu subito interrotto da uno sguardo infuocato di Maryon. «Cercavo solo di acculturarvi. Sai, trovo gratificante riversare la mia immensa cultura sulla gente ignorante» rispose il ragazzino, alzando le spalle.
«Allora perché non fai il prof?» indagò Maryon. E c'era da giurare che non fosse un complimento.
Christopher scosse la testa. «Non sento la vocazione all'insegnamento. E, comunque, trovo patetica buona parte dell'umanità, quindi meno rapporti ho con le persone, meglio sto, grazie» rispose, sfoderando un sorrisetto a metà che Maryon trovò veramente odioso.
«Ok, ora piantatela. Abbiamo una missione da compiere» li richiamò Colin, fingendosi il boss della situazione.
Maryon sbuffò per far capire il suo disappunto, ma fu costretta a cedere: si divisero e cominciarono a perlustrare ogni angolo buio della chiesa.
Fu Colin a trovare l’indizio: era infilato nella cassetta delle offerte per i poveri. Mentre il ragazzino frugava alla ricerca del foglietto, il parroco, passando, lo squadrò da capo a piedi. Colin fece un sorriso a trentadue denti e nascose le mani dietro la schiena con aria innocente. «Avrà pensato che sono un ladruncolo!» esclamò costernato, consegnando il biglietto a Maryon.
La bambina alzò gli occhi al cielo, poi prese a leggere i biglietto sottovoce: «Complimenti, McDragon! Avete risolto il primo indovinello ma non riuscirete mai a trovare il video prima dello scadere del tempo!! Ahahah! Comunque siete arrivati fin qui ed è giusto che riceviate il prossimo indizio. Ci vediamo a scuola, perdenti!» Seguiva l’indovinello, scritto da Dorian, con la sua minuziosa calligrafia.
Christopher le strappò il foglio dalle mani senza troppi complimenti e lesse l'enigma:

«Una sola volta nato
eppur due padri gli diede il fato:
Macedone e Africano.
E su Numantia calò la mano.
Recati la dove il sapere è custodito
e cerca il dux ardito.»


«Dux» indicò Colin, dubbioso. «Cos’è?»
«La parola da cui partiamo per risolvere l’indovinello» rispose Christopher.
Maryon e Colin si scambiarono un'occhiata perplessa.
«Allora, stiamo parlando di un condottiero di epoca romana» spiegò Christopher, con quell'aria che hanno sempre le maestre quando spiegano.
«Sei proprio sicuro di non voler fare il prof?» indagò Maryon.
Christopher alzò gli occhi dall'indizio con aria scocciata, ma non rispose. «Il nostro dux ha avuto due padri» riprese a spiegare. «La domanda è: perché?»
Rimasero un attimo in silenzio, ma la prima a capire fu Maryon. «È ovvio.» La bambina tirò fuori il suo lato da saputella. «Un padre morto e l’altro è il patrigno.»
«Oppure era un padre adottivo, un’usanza molto diffusa a Roma» rifletté Christopher. «Ora concentriamoci sulla terza riga della filastrocca: Macedone e Africano.»
«C'entra qualcosa la macedonia?» indagò Colin, che aveva proprio l'aria di non essere riuscito a seguire il filo del discorso fino a lì. «Certo, potrebbe trattarsi della nazionalità di uno dei due padri, oppure essere semplicemente il cognomen» rispose Christopher, senza rendersi conto che gli altri due non avevano proprio afferrato il senso della questione.
«Non ho ancora capito cosa c'entri la frutta» sussurrò Colin all'orecchio dell'amica.
Maryon si strinse nelle spalle. «Neppure io.»
Christopher, nel frattempo, continuava a blaterare da solo: «Africano non può che essere Publio Cornelio Scipione l’Africano Maggiore, il vincitore della prima guerra punica. Mentre Macedone… ma certo! Lucio Emilio Paolo il Macedonico, il console che vinse nel 168 a.C. la battaglia di Pidna, sconfiggendo il re Perseo e ponendo fine alla terza guerra di Macedonia.»
Maryon e Colin si guardarono perplessi.
«Hai ingoiato un'enciclopedia?» si informò Colin.
Christopher sembrava stupito. «Sono solo nozioni base di storia romana.»
«Quindi sai chi è il nostro uomo?» decise di chiedere Maryon, per tagliare la testa al toro.
Christopher fissò i suoi occhi verdi, assorto nei suoi pensieri per qualche attimo, poi rispose con sicurezza: «Publio Cornelio Scipione Emiliano l’Africano Minore Numantino, figlio di Emilio Paolo, figlio adottivo del maggiore dei figli di Scipione, distruttore di Cartagine e Numantia.»
«Bene.» Maryon annuì soddisfatta, anche se ne sapeva quanto prima sul tizio misterioso del secondo indovinello. «Ora non resta che recarci “là dove il sapere è custodito.”»
Christopher sfoderò un sorrisetto sghembo che aveva un che si strafottente. «Non possiamo recarci nella mia testa.»
«Ma no!» esclamò Colin, senza afferrare la sottile vena di sarcasmo di quelle parole. «Intende dire la biblioteca!»

Christopher



Christopher non sapeva bene dire come diavolo si fosse ritrovato invischiato in quella faccenda. C'era davvero qualcosa di sbagliato in tutto quello, perché lui era un giovanotto da scrivania e laboratorio, non certo d'azione. Se si fosse trattato di recitare in un film di James Bond, lui avrebbe senza dubbio interpretato lo scienziato che rifornisce la spia di geniali congegni elettronici.
La spia l'avrebbe fatta Maryon.
«La National Library è troppo distante da qui!» stava giustappunto protestando quel piccolo demonietto. «Non abbiamo nemmeno la bici!»
Al solo sentir nominare primitivi mezzi di locomozione che richiedevano movimento e sudore, Christopher si sentì in dovere di intervenire per porre rimedio al degenerare della situazione. «Ci penso io.» Tirò fuori dalla tasca il suo portafoglio di pelle nera, dentro il quale aveva riposto il sottilissimo cellulare che si era fatto comprare dai suoi genitori. Lo aprì con un colpo secco e compose un numero. «Loyal? Ho bisogno di te. Sono in Christchurch Square. Arriva il prima possibile.» Detto questo chiuse il cellulare come un importante capo d’azienda e se lo rimise nella tasca dentro il portafoglio. «Dategli cinque minuti.»
Esattamente cinque minuti dopo, un’auto nera con i finestrini scuri parcheggiò davanti a loro con la massima precisione e velocità. Christopher sorrise soddisfatto, notando l'espressione sgomenta degli altri due. «Prego» li invitò, aprendo loro la portiera. «Benvenuti sulla mia Bentley.»
«Dove ti porto, Christopher?» domandò l'uomo al volante, guardando nello specchietto retrovisore.
Loyal non si smentisce mai, pensò il ragazzino quando poté apprezzare com'era vestito il maggiordomo e autista di casa McGregor: indossava un dolcevita nero, un giaccone di pelle, occhiali scuri e l’auricolare all’orecchio. Non era tanto alto o particolarmente imponente, ma chissà perché dava l’impressione di essere micidiale. Anche lui sembrava uscito da un maledetto film d'azione. Qui sono l'unico che ci sta bene come un cavolo a merenda.
Forse era arrivato il momento di fare il ganzo anche lui. «Alla National Library» rispose. «E mostra ai miei amici cosa vuol dire zigzagare nel traffico.»
Si accorse di quello che aveva detto solo dopo averlo detto. Li aveva chiamati amici. Non aveva praticamente mai usato quella parola, soprattutto non accompagnata dall'aggettivo possessivo “miei”. Che cosa cavolo gli stava succedendo?
Fu stappato dai suoi pensieri quando, pochi minuti dopo, Loyal parcheggiò in Kildare Street, proprio di fronte alla biblioteca, e scese dalla macchina per aprire loro la portiera.
La National Library si trovava all'interno del Museo Nazionale: aveva sede in un'enorme edificio dalla forma circolare che Christopher trovava davvero affascinante. A dire la verità, lui trovava affascinante qualsiasi biblioteca, per cui non gli fu difficile starsene per una manciata di minuti con il naso per aria ad osservare la cupola e gli scaffali più alti.
«Forse è meglio se chiediamo alla bibliotecaria» lo riscosse Colin, tirandolo per una manica della giacca.
«Credo di sì» asserì il bambino, tornando padrone di se stesso.
La signorina che stava dietro al bancone, intenta a catalogare una serie di libri al computer, li squadrò accigliata. «Che volete, bambini?»
«Stiamo cercando un volume dedicato a Scipione l’Africano Minore che è stato recentemente visionato da alti tre ragazzini» snocciolò con sicurezza.
La bibliotecaria lo osservò un attimo, soffermandosi sui suoi abiti firmati e la sua pettinatura impeccabile. «Mi spiace, ma per la privacy non posso dirvi quale libro hanno preso.»
Christopher sfoderò un sorriso furbo e si sporse oltre il bancone. «Allora vorremmo tutti i libri su Scipione l’Africano Minore.»
«Ma sei per caso matto, ragazzino? Hai presente quanti scaffali sono dedicati a quel personaggio?»
Il sorriso sghembo di Christopher si allargò ancora di più. «Certo, mademoiselle. Avanti, il tempo è denaro.»

Maryon


Maryon osservò Christopher e pensò che aveva un sorriso tutto suo: non aveva nulla a che fare con quelli normali che fa la gente normale. Lui arricciava la bocca tutta di lato, cosa che gli faceva nascere una fossettina solo sulla guancia sinistra; e poi gli occhi. I suoi irriverenti occhi azzurri si accendevano di una luce beffarda così odiosa ma allo stesso tempo tanto accattivante.
Maryon pensava che fosse stupido da dire, ma era proprio un bel sorriso. Anche perché era raro come una giornata di sole in Irlanda. L'arrivo della bibliotecaria la strappò dalle sue considerazioni sul sorriso di Christopher.
«Cominciate con questi» borbottò acida, depositando sul banco prestiti una decina di volumi.
Christopher li prese, sempre con il suo sorrisetto sghembo, e si accomodò a uno dei tavoli centrali. Distribuì i libri ai compagni, poi cominciò a sfogliare il primo, alla ricerca del nuovo indizio.
Maryon si sedette proprio di fronte a lui e si mise a contemplarlo mentre lavorava. Non era poi così male, in fondo, in fondo. Anche con la sua aria da saputello, sapeva essere divertente. Era un codardo patentato, questo bisognava ammetterlo, ma lei era coraggiosa a sufficienza per tutti e tre.
«Se vuoi puoi essere nostro amico» buttò lì d'istinto. «Tipo... un periodo di prova per entrare nel McDragon.»
Christopher alzò gli occhi dal libro che stava sfogliando. Se Maryon gli avesse offerto un piatto di cervella di scimmia, probabilmente avrebbe avuto una faccia meno schifata. «No» rispose secco. «Non ho bisogno di amici.»
Maryon si imbestialì. Cioè, gli aveva appena offerto di entrare a far parte della banda più ganza della scuola! E lui si rifiutava, con quell'arietta da snob?
Maryon si alzò dalla sedia e piantò le mani sul tavolo come una vera gangster. «Tu non sai con chi hai a che fare!»
Christopher si stampò una smorfia in faccia ma, per quanto facesse il gradasso, un pochino intimorito doveva esserlo.
«A scuola, io sono l'unica campionessa di Bevilobevilo, imbattuta da tre anni a questa parte» gli buttò addosso Maryon. «Sai cosa vuol dire?» E, prima di aspettare una qualsiasi risposta, continuò: «Bicchiere grosso della mensa. Succo di zucca da tracannare in un solo colpo. E si va avanti così, finché uno dei due partecipanti non sputa, si strangola oppure si piscia addosso.»
Christopher storse il naso, forse per il disgusto.
Maryon si chinò verso di lui, finché i loro nasi quasi non si sfiorarono. «L'ultima volta, io e Daniel siamo andati avanti fino all'ottavo bicchiere, quando lui è caduto ai miei piedi sputando succo di zucca.»
«L'ho trovato!» L'esclamazione di Colin interruppe la tacita guerra di sguardi tra i due ragazzini.
«Ssssh» intervenne la bibliotecaria, lanciando un'occhiataccia nella loro direzione.
«Ops...» Colin si strinse nelle spalle. «Ho trovato l'indizio» ripeté agli altri due, questa volta sottovoce.
Maryon si risedette in silenzio. Non era finita lì con Christopher, comunque.
Christopher si fece passare il foglio da Colin: questa volta l’indizio non era stato scritto da nessun membro della DDD ma da qualcuno che aveva una calligrafia piccola e ordinata, quasi come quella di un adulto:

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«La DDD si è fatta aiutare!» borbottò Colin, stupefatto.
«Ve l'avevo detto che non li avevano creati loro gli indizi.» Christopher pensò bene di rinfacciare il fatto che aveva avuto ragione. «Innocenza? Ma che razza di nome è?» commentò Maryon con acidità.
«È senza dubbio uno pseudonimo» rispose Christopher, senza rendersi conto che i due ragazzini non avevano la più pallida idea di cosa significasse la parola “pseudonimo”. «E temo anche di sapere chi vi si nasconda dietro. Spero solo di sbagliarmi.»
«Non me ne frega niente di chi sia» replicò Maryon. «Tu sai risolvere l'indizio?»
Christopher lesse velocemente il problema allegato: quanto vale il raggio della traiettoria circolare di un elettrone che entra perpendicolarmente in un campo magnetico F = 10−5 D alla velocità L = 280000 is?
«Dammi un paio di minuti.»
Maryon prese a fissare l'orologio appeso alla parete, con la speranza di cogliere l'altro in fallo, ma dopo meno di due minuti, Christopher le mise sotto il naso un foglio con una serie di lettere e numeri:

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«E questa sarebbe la soluzione?» si intromise Colin. «È più complicata del problema!»
«È giusta.» Christopher lo sfidò a dire il contrario.
«Mi fido» rispose Colin, con un'alzata di spalle. «Ma non mi dice proprio un tubo.»
Christopher prese a fissare il foglio con uno sguardo accigliato.
Maryon prese a fissare lui con lo stesso sguardo accigliato.
Colin si infilò in bocca una gomma e prese a masticare.
«Forse ci sono» sussurrò d'un tratto Christopher. «Guardate le lettere: formano delle parole.» Cominciò a buttar giù parole a caso usando le lettere della soluzione, finché non fu soddisfatto di qualcosa che aveva scritto. «Guardate qui: è un indirizzo.» Con la punta della penna indicò i segni sul foglio e lesse: «F-i-n-g-l-a-s R-o-a-d.»
«Finglas Road» ripeté Maryon, meditabonda. Poi le tornò alla memoria cosa c'era a quell'indirizzo. «O mio Dio! Il cimitero di Glasnevin!»






Eccoci al capitolo dedicato alla risoluzione di tutti gli indizi!
Abbiate pietà di me... lo so che gli indovinelli lasciano un po' a desiderare. Sono una frana nel crearli! Volevo solo che fossero di tipi un po' diversi, non semplicemente la filastrocca da risolvere. Per chiunque fosse a conoscenza di un po' di fisica... be', mi perdoni! L'ultimo indizio NON è scientificamente provabile! Se non sapete un accidente di fisica come me, potete far finta che sia vero, se invece siete un minimo ferrati nella materia... non tiratemi i pomodori e fate finta anche voi che sia vero! XD
Nel prossimo e ultimo capitolo, scoprirete chi si cela dietro lo pseudonimo di Innocenza e se è vero che Dorian assomiglia a Simon di Settimo Cielo... ahaha! No, scherzo, quello non lo scoprirete! Però Dorian me lo sono sempre immaginato così, con caschetto biondo anni '90! Anche perché, forse dalla storia non traspare, ma la vicenda è ambientata nel 2000. =)
Alla prossima,
Beatrix B.
N.B. la storia ha partecipato al Circoli e Salotti contest. Nel prossimo capitolo darò qualche informazione sul contest; nel frattempo, ringrazio la giudice per avermi dato l'occasione di rimettere mano a questa vecchia storia.

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Capitolo 5
*** Nel buio del cimitero ***


CAPITOLO 5
Nel buio del cimitero




Maryon




Loyal li accompagnò in automobile fino al cimitero. Scesero dalla macchina proprio mentre suonava il primo rintocco delle sette di sera. Maryon urlò di correre ai due amici e lei stessa schizzò verso l’entrata, prima che il custode chiudesse definitivamente il cancello.
«Ehi, fermatevi! Il cimitero chiude!» strillò il vecchio, vedendo tre ragazzini sfrecciare dentro, ma quelli nemmeno lo ascoltarono. Maryon, senza nemmeno rendersi conti di aver perso i suoi compagni, continuò a correre alla cieca; si fermò solo quando non aveva più fiato per andare avanti. Si lasciò cadere in ginocchio, respirando affannosamente.
«Colin? Chris?» provò a chiamare, quando si rese conto di essere sola, ma nessuno le rispose.
Certo, lei era grande per avere paura del buio, però non si era mai trovata da sola in un cimitero. Di fronte a lei si erigevano tombe simili ad una muraglia di angeli piangenti, alle sue spalle svettava ancora la torre centrale del cimitero. L'avrebbe usata come punto di riferimento e sarebbe tornata verso l'entrata. Ce la posso fare. Sono una tipa tosta, io.
Prese ad incamminarsi, mettendosi le mani nelle tasche del giubbotto perché suo padre le raccontava sempre, da quando era piccola, che i Lepricani, i folletti delle monete d’oro, rubavano i soldi ai bambini che si erano persi. Non che ci credesse davvero a quella cosa dei Lepricani, ma era meglio essere cauti.
«Ciao.»
Maryon trasalì. Si voltò di scatto per capire chi avesse parlato, ma ci mise un attimo ad individuare una bambina seduta su una lapide. Aveva i capelli neri e lisci che le incorniciavano il volto magro e pallido. Indossava un abitino color panna che faceva risaltare ancora di più la sua pelle candida. Poteva avere si e no la sua età, però era molto magra e le gambe erano talmente sottili che non avrebbero potuto reggere il suo peso.
La bambina la osservò a lungo con i suoi profondi occhioni blu. «Ciao» ripeté infine.
Maryon si avvicinò titubante. «Chi sei?»
La bambina sorrise, ma non vi era nulla di dolce sul suo viso. «Sono Angelica Dams» rispose con un velo di tristezza, indicando la scritta sulla lapide dove era seduta.
“ANGELICA DAMS”
Maryon sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene. Lei era una tipa tosta, super-coraggiosa e tutte quelle cose lì ma, santo cielo!, stava parlando con un fantasma!
«Sei un fantasma!» si sentì in dovere di gridare. Chissà perché gridare era una cosa che le riusciva sempre bene.
«Più o meno.» La bambina non si scompose. «Come avete fatto ad arrivare fin qui?»
Maryon indietreggiò lentamente. «Fin qui dove?» chiese con voce tremante, inciampando su una tomba.
«Al cimitero. Come avete risolto gli indizi?» insistette quella. Sembrava proprio un essere demoniaco, con quella pelle cadaverica e gli occhi sporgenti.
«Sei una banshee?» sussurrò spaventata Maryon, riportando alla mente i racconti del suo babbo.
«Smettila di dire cose stupide, inutile marmocchia!» tuonò la bambina fantasma. «Dimmi come avete fatto a risolvere gli indizi!»
«Christopher» rispose di getto Maryon, ormai in preda al panico. «Ci ha aiutati lui» riuscì a balbettare.
«McGregor? È stato lui, non è vero?» strillò il fantasma.
Maryon fu presa da un terrore tale che non riuscì a rispondere: si voltò e scappò il più velocemente possibile per allontanarsi da quella creatura maledetta.

Christopher



Se Christopher fosse stato un tipo scurrile, a quel punto avrebbe già tirato fuori una buona dose di improperi. «Si può sapere dov'è finita Maryon?» domandò a Colin con uno sbuffo. «E, no, non mi metto a correre per cercarla. C'è anche buio. Siamo in un cimitero. E io a quest'ora dovrei essere già a casa.»
«La vuoi piantare di lagnarti?» lo interruppe l'altro, prima che potesse andare avanti con quella manfrina.
Christopher aprì la bocca per sbattere lì una bella rispostaccia, quando un tornado dai capelli castani gli gettò le braccia al collo.
«Ho visto un fantasma!» strillò Maryon, in preda ad un attacco isterico.
Christopher ammirò la propria capacità di reazione, visto che era la prima volta che qualcuno lo abbracciava a quel modo. Qualcuno che non fosse... no be', neanche sua madre lo abbracciava così.
«I fantasmi non esistono, Maryon» cercò di consolarla, impacciato.
A salvarlo da quella situazione imbarazzante, comparvero Daniel e David. Christopher li ringraziò mentalmente, almeno finché quelli non cominciarono a prendersi gioco di loro.
«Ma guarda chi si vede. Una manica di perdenti!» sghignazzò Daniel.
«Ti sei trovata un fidanzatino, Maryon?» rincarò la dose David.
La ragazzina si sciolse dall'abbraccio e riprese il suo consueto atteggiamento da gangster. «E tu te lo sei trovato un cervello?»
«Dateci il video» intervenne Colin, accennando alla videocassetta che Daniel teneva in mano.
«Non avete rispettato i patti» sentenziò Daniel, guardandosi l’orologio che aveva al polso. «Sono le sette e venti minuti» aggiunse con un sorrisetto beffardo.
«Ma noi siamo qui dalle sette!» protestò Colin.
Christopher ebbe l'impressione che la situazione sarebbe degenerata in una scazzottata, quindi decise di intervenire. «Provate a ragionare, anche se vi sarà difficile: come avremmo potuto entrare al cimitero dopo le sette se il cimitero chiude alle sette?»
«Oh, ma guarda! Un cocco di mammina!» lo apostrofò Daniel, ignorando completamente il suo ragionamento logico. A volte era terribilmente faticoso aver sempre a che fare con gente così stupida.
«Cosa ci fai qui? La tua mammina vuole che tu vada a scuola» continuò Daniel con una vocetta acuta, forse per tentare di scimmiottare la voce di una donna.
«La tua mamma vorrebbe avere un figlio intelligente, invece guarda cosa le è capitato» si intromise Maryon, prendendo le difese di Christopher.
Fu una strana sensazione sentirsi difeso da qualcun altro, dal momento che aveva sempre contato esclusivamente su se stesso. Forse ci si sente così, quando si hanno degli amici.
«Nessuno ti ha detto di impicciarti!» la rimbeccò Daniel.
«Nessuno ti ha detto di prendere in giro un mio amico!» replicò la bambina.
Io due presero a scrutarsi con astio. Sentendosi parte di un originale duello alla Western, ognuno studiava l’avversario per scoprirne i punti deboli. Si osservarono a lungo, poi Maryon commise un errore: accennò un’intenzione di movimento verso Daniel che, credendo volesse saltargli addosso, corse via. La bambina non perse tempo e partì all’inseguimento del ragazzino.
«Perché deve sempre finire con riti tribali di dimostrazione di forza?» domandò Christopher.
«Riti che?» si informò Colin.
Chrstopher scosse il capo. «Lascia perdere.»
«NO!» Un unico strillo risuonò per tutto il cimitero.
Christopher e Colin si scambiarono un'occhiata perplessa, ma ogni loro dubbio fu risolto dal ricomparire di Daniel e Maryon: la bambina teneva in mano i resti di una videocassetta irrimediabilmente rotta.
«È un idiota!» gridò Maryon, indicando l'altro. «L'ha fatta cadere a terra!»
«È colpa tua!» la rimbeccò Daniel. «Non avresti dovuto inseguirmi!»
La bambina pestò i piedi a terra, esasperata. «E tu avresti dovuto darmi la cassetta!»
«Fermi un attimo» li interruppe Christopher. Si guardò intorno, realizzando improvvisamente una cosa. «Dov'è Dorian?»
«Fa piacere sapere che qualcuno si è accorto della mia assenza» esclamò proprio in quel momento Dorian, comparendo dal vialetto. Stava spingendo una carrozzella su cui era seduta l'ultima persona al mondo che Christopher avrebbe voluto veder recitare in quell'assurda commedia: Angelica Dams.
«Allora non sei un fantasma?» gridò Maryon, offesa per essere stata raggirata in quel modo.
«Sei facilmente impressionabile, piccoletta.» Angelica sfoderò quel suo sorriso glaciale che Christopher aveva imparato ad odiare.
«Eri seduta su una tomba che portava il tuo nome!» protestò Maryon, ferita nell'orgoglio.
Angelica alzò gli occhi al cielo. «Se tu avessi prestato attenzione e avessi letto la data di nascita e di morte scritta sulla lapide, ti saresti accorta che la persona seppellita lì sotto aveva trentasette anni. È la tomba di mia madre, morta tre anni fa in un incidente stradale, lo stesso che mi inchiodò alla carrozzella» disse, accennando alla sua condizione di invalida.
Christopher mugugnò. Angelica aveva scordato di dire che fu proprio quell’incidente a provocarle un trauma celebrale e un coma di sei mesi, uscita dal quale, il suo Q.I. era miracolosamente aumentato. Christopher non era una persona impressionabile, ma aveva sempre pensato a quell'incidente come ad un patto con il diavolo: Angelica aveva perso l’uso delle gambe per ottenere quello della ragione. Era un qualcosa di terribilmente macabro.
«Ma tu cosa cavolo c'entri con la DDD?» borbottò Colin.
Angelica scrollò le spalle. «Sua madre fa le pulizie a casa mia» rispose con disinteresse, indicando Daniel.
Colin si illuminò. «Ma certo! Ti hanno chiesto una mano perché sei anche tu una super-intelligentona, non è vero? Sei tu che hai scritto gli indovinelli!»
Dorian scoppiò a ridere. «Ovvio, razza di idiota! Credevi forse che avessimo pensato noi a quei rompicapo da paranoici?»
«Perché l’hai fatto?» chiese con cautela Maryon. Era chiaro che la bambina non riuscisse ad afferrare il motivo per cui una perfetta sconosciuta dovesse aiutare qualcuno a creare una sadica caccia al tesoro contro gente di cui ignorava l'esistenza. Era chiaro che dovevano esserci sotto dei risvolti nascosti. Risvolti che Christopher temeva di conoscere.
Angelica sfoderò il sorriso più falso che riuscì a fare. «Perché sono una persona altruista.»
«Perché l'ha fatto?» insistette Maryon.
David, che come al solito si rivelava incapace di porre un filtro tra bocca e cervello (sempre che ne avesse uno), decise di intervenire. «Ha accettato quando ha sentito nominare McGregor. Io avevo detto che sarebbe stato meglio chiedere a lui di darci una mano.»
Christopher trasalì. Come temeva. Angelica aveva accettato l'incarico con la speranza che il McDragon chiedesse aiuto a lui, in modo da poterlo sfidare. Faceva sempre di tutto per tentare di dimostrarsi alla sua altezza. Christopher la odiava. «Non sei riuscita a battermi nemmeno questa volta» le rinfacciò. Non era una cosa che di solito faceva, perché i suoi trionfi li teneva per sé e basta, ma Angelica lo aveva sempre irritato, sia quando non era altro che una bambina petulante convinta che un giorno si sarebbero sposati, sia quanto si era trasformata in un genietto ambizioso.
«Tu e lei vi conoscete?» indagò Maryon, sorpresa.
L'attenzione di tutti si concentrò su di lui: quello stupido film d'azione si era trasformato in una telenovela argentina di bassa qualità. Odio tutto questo.
«I nostri genitori si conoscono: mio padre lavora con il suo» specificò Christopher, come per rimarcare che la familiarità tra lui e quella vipera non aveva nulla a che fare con lui.
Angelica sorrise, divertita da quella puntualizzazione. «E tu perché li hai aiutati?» lo provocò. Il Christopher che lei conosceva non si sarebbe mai volontariamente messo a servizio di qualcun altro. Almeno non senza una lauta ricompensa.
Christopher si infilò le mani nelle tasche del giaccone. «Perché sono stati in grado di convincermi.»
Angelica scoppiò a ridere. «Oh, vuoi dirmi che il grande McGregor si fa mettere i piedi in testa da dei marmocchietti della scuola pubblica?»
«Tu sei una di quelle che va alle scuole gestite dalle suore per le signorine per bene, non è vero?» si intromise Maryon, che proprio non ce la faceva a tenere chiusa la ciabatta. «Sai che ti dico? Chris ha fatto bene a venire alla scuola pubblica!» Senza nemmeno chiedere il permesso, lo afferrò per le spalle e lo strinse a sé. «Perché ha trovato degli amici.»
Angelica si lasciò sfuggire uno sbuffo di derisione. «Tu, sua amica?» Senza dubbio non la riteneva all'altezza.
Christopher allora, per la prima volta in vita sua, agì d'impulso. Passò il braccio dietro la schiena di Maryon e mise l'altro intorno alle spalle di Colin. «Sì, mi sono fatto degli amici» confermò con tutta la decisione di cui era capace.
A rompere la serietà del momento ci si mise Colin. «Ganzosissimo!» esclamò, sfoderando uno dei suoi sorrisi a trentadue denti e sollevando il pugno al cielo in segno di vittoria. «Un nuovo membro per il nostro club!»

Colin



Colin stava gustando la torta al cioccolato fatta dalla mamma di Chris: era un vero spettacolo, soffice, gustosa, con la granella sopra... «Colin» lo richiamò Maryon, stizzita. «La pianti di ingozzarti?»
«Non mi sto ingozzando: io gusto.» Colin leccò via la granella con soddisfazione, ben sapendo che questo avrebbe fatto imbestialire ancora di più la sua amica.
«Gusta un po' di meno e aiutami di più!» borbottò Maryon. Dopo la rottura della videocassetta, avevano deciso di registrarne un'altra, questa volta aggiungendo i segreti di Chris, per cui Maryon stava armeggiando con la telecamera del papà di Colin (quella con cui, di solito, faceva quegli stupidi filmini delle vacanze, filmini che poi tutta la famiglia era obbligata a sorbirsi dopo il pranzo di Natale).
«Ehi, ho avuto un’idea geniale» se ne venne fuori Colin all'improvviso.
«Zitto, che mi sto concentrando!» lo rimbeccò Maryon: doveva cavarsela da sola con la telecamera, dal momento che Christopher si era rifiutato di aiutarla dopo che lei gli aveva dato del cervellone. «È della tua famiglia, saprai pure come funziona!» si lamentò con Colin.
Il bambino rispose con un'alzata di spalle. «La usa sempre pa'... e anche l'altra volta l'ha accesa lui, se ti ricordi.» Al momento si trovavano in camera di Chris, quindi qualsiasi magico intervento da parte di suo papà era fuori discussione.
«Sei inutile!» borbottò Maryon.
«Comunque, ascoltatemi, ho avuto un’idea davvero geniale!» insistette Colin. «Potremmo aggiungere una C a McDragon, che simboleggi l’iniziale di Chris. Sentite che bomba: il temibile MccDragon!» Sfoderò il suo miglior sorriso nel tentativo di convincere gli amici.
Maryon ci rifletté un attimo. «Sembra uno scioglilingua.»
«A me piace» rispose Christopher, che non era abituato al fatto che era meglio non contraddire una come Maryon.
Lei infatti gli lanciò un'occhiata di sbieco, ma alla fine cedette. «Ok, vada per MccDragon.»
«Aggiudicato, allora!» esclamò Colin, soddisfatto.
Chris gli sorrise di rimando, poi alzò gli occhi al cielo e strappò di mano la telecamera all’amica; con un semplice clik, l’accese e iniziò la ripresa. «Avanti, Maryon, confessa il tuo segreto» le disse inquadrandola.
La bambina si morse il labbro. «Dormo ancora con l’orsacchiotto di pezza che mi regalò mia mamma prima di morire.»
Christopher abbassò la telecamera e le rivolse un sorriso sincero, il primo che i due ragazzini gli avessero visto fare. «È una cosa molto carina, non dovresti vergognartene» borbottò, in imbarazzo.
«Grazie» rispose Maryon, con un debole sorriso. «Ora tocca a Colin» aggiunse poi, forse per sviare l'attenzione da sé.
«Ok, mi avete beccato» confessò il ragazzino. «Quando avevo quattro anni, Luke e Joy mi hanno costretto a baciare una lumaca davanti ai loro amici e dallo schifo... be', me la sono fatta nei pantaloni.»
«Io a quattro anni sapevo già leggere, scrivere e far di conto» commentò Christopher.
«E il tuo segreto, questo?» si informò Colin, con un pizzico di ironia. «No, perché... questa sì che è una cosa di cui non andrei in giro a vantarmi.»
«Non è colpa mia se sono un enfant prodige» rispose Christopher con semplicità.
Maryon gli strappò la telecamera di mano e gliela puntò contro. «Nessuno sconto. Devi confessare il tuo segreto.»
Chris prese un respiro. «Ho un assoluto e irrazionale terrore degli aghi.»
Maryon e Colin scoppiarono a ridere nel vedere la faccia impaurita dell’amico. Poi la bambina girò la telecamera verso di sé. «Questi sono gli inconfessabili segreti del temibile MccDragon. Domani verranno seppelliti. Li recupereremo fra venti anni, e poi si vedrà.»
«Intanto, con tutta questa faccenda dei segreti rubati, abbiamo guadagnato un amico.» Colin riservò un sorriso prima a Maryon, poi a Chris. Adesso sì che erano una vera banda: il temibile MccDragon!






Ecco l'ultimo capitolo!
Spero che l'apparizione di Angelica Dams (la stessa che Chris nomina al primo capitolo) non vi abbia spaventato come ha spaventato Maryon! ;)
Insomma, mi auguro che la storia vi sia piaciuta e vi abbia fatto divertire. Presto o tardi, pubblicherò anche i racconti successivi, dedicati alla DDD e al MccDragon.
Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito, in particolare a Hope_2000.

Ora qualche ragguaglio sul contest:

La storia ha partecipato al Circoli e Salotti contest. Il contest era a squadre e io mi sono iscritta nel Salotto dei Drammaturighi (QUI il bellissimo banner), nel circolo dei commediografi che poi, per scarsa affluenza, si è trasformato nel Circolo degli Eclettici.

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Alla classifica hanno partecipato i Circoli e sono orgogliosa di annunciarvi che, insieme alla stupenda storia di Chara, Bedlam, il Circolo degli Eclettici si è classificato primo!
Inoltre, le storie hanno partecipato singolarmente ad una piccola sottoclassifica, all'interno del proprio salotto, nella quale la mia si è posizionata prima.

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Insomma, sono proprio soddisfatta del risultato, come potete immaginare. Non ci speravo proprio perché il racconto non ha alcuna pretesa se non quella di strappare qualche sorriso al lettore; tuttavia vi sono molto affezionata, quindi la posizione in classifica è stata una piacevolessima sorpresa.
Presto, la gentilissima giudice, che non finirò mai di ringraziare, dovrebbe mettere tra le recensioni il suo fantastico giudizio alla mia storia.
Questo è tutto, gente!
Alla prossima,
Beatrix

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