Lies

di Honey Tiger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il nuovo arrivato ***
Capitolo 2: *** Bunnies e le regole da seguire ***
Capitolo 3: *** Il mio nome è ... ***
Capitolo 4: *** Il ballo - la prima parte ***
Capitolo 5: *** Il ballo - la seconda parte ***
Capitolo 6: *** Finalmente a casa ***
Capitolo 7: *** 7 – Sogno o realtà? ***



Capitolo 1
*** Il nuovo arrivato ***


 

Licenza Creative Commons

Quest'opera "Lies" scritta da "Krystal Darlend" è distribuita con la Licenza
 Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Unported.

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[Capitolo betato da: Malika]

 

                                                                                                               
 1. Il nuovo arrivato. 

 


      Che cos'è l'amore? Esiste qualcuno capace di spiegarne il vero significato?
Per Lexie Blackett la risposta era semplice: lei aveva sempre dichiarato di non essersi mai innamorata veramente, di non aver mai sentito lo stomaco sfarfallare e la testa girare alla semplice vista del ragazzo che le piaceva; di conseguenza non aveva mai dovuto provare nemmeno il dolore di un cuore spezzato. Anche se la parola “dolore” la conosceva fin troppo bene.
Lexie era la figlia di un miliardario imprenditore dell'alta società, Sebastian, e di una stilista di fama mondiale, Aurora Moore. I soldi perciò non erano mai stati un problema per lei, anche se, nonostante fosse già maggiorenne, doveva ancora rendere conto ai genitori di tutte le spese fatte con la carta di credito e con il libretto degli assegni. In realtà avrebbe speso tutto, dal primo all'ultimo centesimo, compresi l'oro e gli oggetti a lei più cari, per ottenere una cosa soltanto, una cosa che aveva sempre desiderato e che in teoria avrebbe dovuto essere ovvia e naturale per qualsiasi famiglia, tranne che per la sua: l'amore.
A suo padre non bastava che lei avesse un comportamento impeccabile fuori dal collegio, che rispondesse sempre educatamente, che partecipasse alle mille e noiose feste di famiglia e che avesse i voti migliori dell'intero istituto. Ogni volta che ne aveva l'occasione, la riprendeva e aveva particolarmente a cuore il suo rendimento scolastico: «Questi voti sono troppo bassi! Devi impegnarti di più, altrimenti non andrai da nessuna parte, non farai carriera e sarai la rovina del cognome che porti!»
Ecco, queste erano più o meno le parole che Lexie si sentiva più spesso rivolgere da suo padre. Sempre più difficili da mandare giù, da dimenticare e andare avanti.
Fu proprio quello uno dei motivi che l'avevano spinta, all'età di quattordici anni, a farsi spedire a studiare nel collegio più lontano del Paese, ma anche il più difficile: da una parte desiderava dare soddisfazione ai suoi genitori, ma dall'altra voleva anche allontanarsi il più possibile da loro, tanto da essere praticamente irraggiungibile.
La George Washington University era la scuola più costosa e più all'avanguardia del mondo e, se non si disponeva di un certo reddito, quella meta rimaneva soltanto negli sogni di chi la bramava. Le borse di studio erano generose, ma erano disponibili soltanto una decina di posti e Lexie, pur avendo i voti alti e la possibilità di richiederla, aveva preferito lasciarla a qualcuno che non potesse permettersi di pagare la retta in altro modo e che desiderasse veramente, sicuramente più di lei, studiare per realizzare i propri sogni.
L'inizio dei corsi alla George Washington, comunque, era battezzato ogni anno sempre nello stesso modo: dalla stridula voce della preside resa gracchia dall'altoparlante: «Buongiorno a tutti gli studenti e le studentesse. Do il benvenuto alla George Washington a tutti i nuovi iscritti, e il bentornato alle vecchie conoscenze. Qui è la preside, Katherine Rutherford, che vi annuncia che le lezioni avranno inizio fra cinque minuti. Siete pregati di non tardare. Grazie e buon proseguimento delle lezioni.»
La frase riecheggiava per tutte le pareti del collegio mentre, come ogni mattina, Lexie, senza il benché minimo desiderio, cercava di riprendersi dal lungo sonno e di trovare la forza di prendere i libri in mano.
Qualcuno bussò alla porta della stanza.
«Lex, muoviti!» gridò una voce maschile, che Lexie riconobbe subito appartenere al suo migliore amico, Jack Jackson, J.J. per gli amici. «Siamo in ritardo e non ho nessuna intenzione di far visita a Zia Kate di prima mattina».
«Eccomi, sto arrivando...»
Lexie indossò le prime scarpe che trovò, si aggiustò la gonna a scacchi e si abbottonò la camicetta bianca. Prima di aprire la porta, prese un bel respiro e allargò leggermente le gambe, pronta a essere investita dall'abbraccio stritola ossa di J.J.
«Tre mesi che non ci vediamo e mi diventi uno schianto del genere?» Come da copione, non appena aprì la porta si trovò strizzata come un panno bagnato. J.J. le baciò le guance e lei gli concesse un sorriso, uno di quelli che non passavano inosservati.
Perché sì, Lexie oltre a essere ricca e intelligente, era anche bellissima. I suoi occhi azzurri da cerbiatta avevano la capacità di incantare chiunque, per non parlare dei capelli biondi e lunghi che le ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle; era alta circa un metro e settanta, con lunghe gambe che riuscivano a togliere il fiato anche fasciate da un paio di vecchi pantaloni, e con un fondo schiena e un seno tali da far invidia anche alle modelle.
Essendo figlia di una grande stilista, le era capitato diverse volte in passato di sfilare per lei. Inizialmente le piaceva, ma col passare del tempo le pressioni dei fotografi e soprattutto di sua madre erano diventate insopportabili. Erano tutti un mangia di meno, fai più palestra, acconcia i capelli così, e quello fallo così, e quell'altro così, eccetera, eccetera, e lei odiava venir sottomessa in quel modo, quindi, con la scusa del collegio era riuscita ad allontanarsi dalla madre senza ferire i suoi sentimenti.
«J.J.! Togli le mani e, tanto per la cronaca, non ti voglio parlare! Non ti sei fatto sentire per un'intera estate!» Lexie si liberò dalla sua stretta e si avviò in cortile, dove il caldo sole le accarezzò la pelle candida.
J.J., senza chiedere il permesso, entrò nell'appartamento di Lexie e si diresse in cucina, dove cominciò a rovistare negli armadietti.
«Dove sono...» borbottò, prima di aprire il mobile sotto il lavello. «Ah, ecco. Sempre la solita» con un sorriso ne tirò fuori tre libri di testo e con una corsa raggiunse Lexie. «Con questi sono perdonato?» Le sventolò i libri sotto il naso e poi le passò il braccio libero sulle spalle.
«Certo che no, ma grazie lo stesso» Lexie gli diede un pizzicotto sul braccio e una sberla sulla nuca.
«Vedo che la violenza è aumentata in mia assenza. Successo qualcosa?» chiese il ragazzo assumendo un espressione da cucciolo bastonato. I suoi capelli biondi, sempre in totale disordine, avevano un fascino irresistibile su Lexie e con gli occhioni verdi Jack riusciva sempre a farsi perdonare in pochi secondi. Infatti lei lo abbracciò e cominciò a pensare alle parole adatte per raccontare quello che le era successo in tre mesi di vacanze.
Lexie, da quando si era trasferita in collegio all'età di quattordici anni, aveva sviluppato una doppia personalità: calma, dolce, gentile e soprattutto obbediente quando c'erano i suoi genitori nei paraggi, mentre non appena tornava a scuola le cose cambiavano e lei riprendeva il controllo di se stessa, mostrando la vera Lexie Blackett: una ragazza amante del pericolo, che disobbediva alle regole, anche a quelle più insignificanti; aggressiva con chi la infastidiva, violenta e senza peli sulla lingua nei confronti del genere femminile, e con una particolare passione per il non rispettare il coprifuoco del campus.
«Ti riassumo in poche parole tutta la mia estate: ricevimenti noiosi, matrimoni di lontani parenti di cui ignoravo perfino l'esistenza, qualche festa passabile...». Fece una smorfia. «... totale astinenza dal genere maschile, e in più mio padre ha scoperto i soldi che ho speso per comprarmi l'ultimo giocattolino».
«Giocattolino? Fammi indovinare» disse J.J., con un'espressione divertita. «Un veicolo nuovo?»
«In realtà è una macchinina. Le ho fatto fare qualche piccola modifica dal mio meccanico e ora è un vero gioiellino» sorrise come una bambina in un negozio di confetti. «E stasera ho intenzione di andare a festeggiare la mia sopravvivenza. Ti vuoi unire?» chiese, prima di spalancare la porta e fare il proprio ingresso nell'aula di letteratura.
L'insegnante, il professor Samuel Wilson – basso, bruno e brutto –, alzò gli occhi dal libro di testo che teneva aperto tra le mani. «Signorina Blackett, signor Jackson. La lezione è iniziata circa...» diede un'occhiata all'orologio da polso. «... quindici minuti fa.»
«Mi scusi, professor Wilson,» disse Lexie. «Ma il signorino Jackson si era improvvisamente sentito male». E sbatté le palpebre, con quel suo modo di fare in grado di sciogliere anche il professore dal cuore di ghiaccio, che infatti si schiarì la voce e fece cenno a entrambi di mettersi seduti.
«Troppo comodo usare quegli occhioni» si lamentò J.J. sottovoce mentre entrambi si dirigevano agli unici due posti liberi rimasti, in prima fila.
Il professor Wilson amava girovagare per l'aula mentre spiegava e questo comportava silenzio assoluto tra i banchi. La quiete però fu presto spezzata da una rapida bussata e dall'immediato spalancarsi della porta d'ingresso. Sulla soglia apparve la preside Rutherford che fece preoccupare Lexie e J.J., non perché avessero paura di lei, ma temevano di essere stati scoperti a giocare con i telefonini sotto i banchi: una delle tante regole della George Washington, infatti, era quella di tenere spento qualsiasi apparecchio elettronico durante le ore di lezione.
«Professor Wilson» disse la preside, con uno strano sorriso sulle labbra. «Mi perdoni l'interruzione. Sono passata a presentarvi il vostro nuovo compagno di classe». La preside Rutherford era una donna conosciuta per il suo carattere ed era spietata con chiunque non rispettasse le regole del collegio.
«Ci mancava solo un altro coglione. Sarà uno di quelli intelligenti o solo l'ennesimo figlio di papà?» disse Lexie sottovoce, ma evidentemente non abbastanza.
«Se hai qualcosa da borbottare, Blackett» disse infatti la preside. «Dillo a voce alta, altrimenti sei pregata di stare in silenzio.»
«Ho chiesto soltanto se il nuovo arrivato fosse un secchione o un figlio di papà» rispose Lexie facendo spallucce. «Niente di troppo complicato, insomma». Se non sono i genitori, mai farsi mettere i piedi in testa era infatti la sua regola numero uno.
«Veramente nessuna delle due. Lavoro e mi pago da solo la retta». Occhi castani, capelli scuri, un corpo che riusciva ad attirare l'attenzione anche vestito con un paio di jeans e una semplice maglietta bianca, e un sorriso da togliere il fiato. La prima cosa che Lexie notava in un ragazzo era infatti il sorriso: non le importava se poi il tipo fosse bello o brutto, se sorrideva in quel modo era in grado di fare follie. E il sorriso del nuovo arrivato era decisamente da follie.
«E bravo il ragazzo...» sussurrò, un po' stupita dalla risposta ricevuta e un po' incantata nella contemplazione del suo corpo. Lui era ancora in piedi all'ingresso, immobile, ad osservare la classe e a scoccare qualche breve sorriso quando incrociava lo sguardo di una ragazza. Quando i suoi occhi si posarono su Lexie però, sembrò stupita di vederla lì, nel suo stesso corso.
«Blackett» disse la preside alzando gli occhi al cielo. «Credo sia inutile invitarla nel mio ufficio, ormai lascio la porta aperta per lei. Faccia in fretta. A voialtri, buon proseguimento della lezione. Mi scusi di nuovo, professor Wilson». Detto questo, si dileguò nel corridoio e si chiuse la porta alle spalle.
Lexie non sembrava per niente dispiaciuta a quella prospettiva.
«Peccato, credo proprio che non potrò seguire la sua lezione, oggi». Si alzò tutta raggiante, ben felice di non essere costretta a sorbirsi la noiosa spiegazione del professore, anche se letteratura era una delle sue materie preferite.
«Non si preoccupi, signorina,» disse il professor Wilson. «Non ci mancherà».
La classe scoppiò a ridere, mentre Lexie, sorpresa da quella frecciata, si avvicinava cauta al nuovo arrivato.
«Devi lavorare moltissimo per poterti permettere questa scuola» gli disse a bassa voce. «Complimenti!» gli sorrise, sincera. Lexie era anche brava a riconoscere i meriti degli altri e a congratularsi per gli altrui successi.
Fece per uscire dall'aula, ma sembrò ripensarci e si voltò di nuovo verso la cattedra: «Professore, se ha qualche frustrazione sessuale, perché non la risolve con sua moglie invece di scaricare tutto su noi poveri studenti?» si mise un dito sul mento: «Anzi, no: ricchi studenti!»
«In presidenza! Subito!» urlò il professore oltraggiato, anche se, dopo cinque anni, ormai sapeva che doveva aspettarsi quello e altro da Lexie Blackett, la ragazza con alle spalle il maggior numero di richiami dell'intero istituto.
L'ufficio della preside era spazioso e luminoso, le pareti color oro; quella in fondo era interamente occupata da una massiccia libreria piena di volumi. La scrivania, posta al centro della stanza, era di legno riccamente intagliato e occupava la lunghezza della stanza almeno per la metà. Dal soffitto, al centro, pendeva un lampadario costituito da una serie di piccoli pendenti di cristallo che davano l'illusione di una pioggia sottile.
«Signorina Blackett» la accolse la preside, accomodata dietro la scrivania, quando Lexie entrò. «Bentornata. Ha passato bene le vacanze estive?»
Lexie si sedette sulla comoda poltrona accanto alla libreria. «Decisamente no, ma immagino di dovermi accontentare».
«Se non fosse per il suo modo di fare, per il continuo rispondere ai professori e l'ostinarsi a trasgredire alle regole, lei sarebbe l'allieva perfetta, una studentessa di cui tutti andrebbero fieri. Ne è consapevole? Ne sei consapevole, Lexie?» La preside era passata a darle del tu, come se fossero amiche di vecchia data.
Lexie finse di prendersi un attimo per riflettere, poi schiuse le labbra in un ghigno e scrollò le spalle, annuendo: «Qualsiasi cosa faccia, ai miei genitori non interessa cosa io voglia davvero per il mio futuro. L'unico modo che ho per non farmi inghiottire da questo inferno» ruotò l'indice per comprendere tutta la stanza. «È quello di rendere quelle lezioni pallose e insopportabili un po' più divertenti. E poi...» schiuse le labbra in un dolce sorriso. «Mi sono affezionata a lei» allungò le braccia, come se volesse abbracciarla, ma ottenne in cambio soltanto un'occhiataccia.
La preside si alzò con un sospiro e le si avvicinò. «Questo è il tuo ultimo anno, ancora uno e poi sarai fuori e, chissà, forse riuscirai davvero a realizzare il tuo sogno» le accarezzò i capelli e la fece tornare alle lezioni.
La preside Rutherford aveva sempre ritenuto Lexie una ragazza fuori dal comune e, quando era entrata alla George Washington, aveva riposto grandi speranze in lei e nel suo futuro. Poi aveva conosciuto i suoi genitori. All'inizio aveva pensato che avessero solo delle grandi aspettative per una ragazza tanto talentuosa - avere una figlia intelligente e con voti alti in tutte le materie era un po' il sogno di ogni genitore -, ma le era sembrato un po’ troppo che la obbligassero anche a frequentare tutti i corsi extra-curricolari a disposizione: pianoforte, disegno, canto, danza e tante altre cose che Lexie era sempre in grado di svolgere con successo, con un talento sempre fuori dal comune.
Sapeva bene che trascorrere metà dell'adolescenza chiusa sempre nelle stesse quattro mura non era semplice, non lo era mai stato per nessuno, ma in tutta la sua carriera non aveva mai visto nessun altro con lo stesso desiderio di restare a scuola che aveva Lexie, l'unica che pregava che le vacanze non arrivassero mai, l'unica che non voleva mai tornare a casa.

Tutte le stelle del cielo erano nascoste dietro a fitte nuvole che minacciavano di scaricare un acquazzone da un momento all'altro. Il silenzio che circondava la ragazza seduta sulla sella della moto era quasi inquietante, si potevano udire gli scricchiolii dei piccoli roditori che cercavano da mangiare nelle spazzature.
La ragazza, che era al telefono, chiuse la chiamata con un: «Arrivo...» per poi abbassare la visiera del casco. «Il gioco inizia» e, con un rombo assordante, avviò il motore, che si scaldò in pochi secondi.
Sfrecciare lungo le strade buie in sella alla sua MV F4 R312, quando i semafori verdi regnavano in continuazione e non c'era pericolo di investire qualche pedone distratto, era la cosa che la ragazza amava fare di più. Quella moto era un capolavoro dell’Agusta con sospensioni evolute e professionali, per non parlare delle modifiche apportate per renderla più maneggevole e più flessibile anche sulle curve più pericolose.
Per giungere al luogo stabilito per l'incontro, impiegò a malapena cinque minuti. Correre a quasi duecento chilometri orari aveva i suoi piccoli vantaggi.
Si trattava di un largo spiazzo cementato dove si trovavano già parcheggiate diverse moto che erano al centro dell'attenzione di un gruppo di ragazzi. Le uniche ragazze che partecipavano all'evento erano ancora sedute sulle rispettive selle.
Dopo aver parcheggiato la moto, la ragazza si sfilò il casco.
«Bentornata, Angioletto» disse una voce maschile alle sue spalle.
Lei si voltò, con i lunghi capelli rossi come il fuoco che si innalzavano con il vento delle vie buie. Dietro di lei, un ragazzo in maglietta e jeans neri che si confondeva con il buio della notte; un abbigliamento anonimo, l'unica cosa che attirava l'attenzione di lui erano i suoi capelli, verdi fosforescente.
«Giochi ancora o ti sei ritirata?» chiese lui, avvicinandosi alla ragazza con un sorriso. «Quest'estate sei completamente sparita, pensavo che ti avessero presa...»
«Non sono così stupida, Scott» lo interruppe lei. «E poi cos'è tutto questo interessamento?»
«Curiosità, Angioletto. Curiosità,» rispose Scott con un'alzata di spalle. «Sono cambiate un po' di cose da quando sei sparita dalla circolazione. Vedi quel tipo?» Indicò dietro di sé. «Per il momento, sembra che nessuno sia riuscito a batterlo».
Il ragazzo in questione se ne stava in disparte. Indossava una maglietta bianca con un paio di jeans e un fisico da modello che non lo faceva passare inosservato, eppure teneva tutte le ragazze a debita distanza.
Lo conosceva, era sicura di averlo già visto da qualche parte, ma non riusciva a ricordare né quando né dove. Il fisico, gli occhi, i capelli scuri, la moto, i vestiti: tutto ciò che riguardava quello sconosciuto la attirava come una calamita. Si sentiva attratta da lui in maniera impressionante, proprio come era accaduto quella mattina con...
«Non. Ci. Credo!» disse sottovoce, indossando il casco più in fretta possibile.
«Non giochi?» chiese Scott notando il cambiamento della ragazza. «La posta è sempre la stessa: cinquanta se guardi e basta, duecento se vuoi unirti» le sorrise, mentre la rossa si infilava una mano nella tasca degli shorts verde militare ed estraeva i soldi necessari per partecipare alla gara. «In bocca al lupo, Angioletto. Il vincitore si beccherà millesette, e so che tu sapresti fare buon uso di quel denaro» le fece l'occhiolino e si allontanò verso un altro gruppo di ragazzi.
La rossa fece per cercare di nuovo con lo sguardo lo sconosciuto, quando le si avvicinò un tizio di cui non ricordava il nome che aveva incrociato alle gare già un paio di volte.
«Carina la moto» le disse lui. «Ma sarai in grado di guidarla?»
Lei abbassò lo sguardo sulla moto di lui. Una BMW S1000RR, una moto dal grande potenziale, sicuramente in grado di batterla, ma aveva già avuto modo di vederlo gareggiare; era sicura – a meno che non esistesse la magia e lui avesse imparato a correre mentre lei era via – di poterlo sconfiggere. Gli sorrise.
«E tu sei pronto a tirare fuori i soldi per una scommessa?»
«Hey, Scott,» disse lui e Scott subito comparve al suo fianco. «Scommessa personale con la signorina...» Guardò la rossa, in attesa che lei si presentasse, ma lei non disse nulla. «Tieni» Allungò un mazzetto di banconote che Scott non si prese la briga di contare.
«Non ho tutti quei soldi con me» disse la rossa, guardandolo impassibile.
«Allora se perderai passerai la notte con me».
«Ci sto».
La risposta immediata sembrò stupire un po' il ragazzo: nei suoi occhi castani lampeggiò per un attimo la sorpresa, che lui subito celò dietro a un sorriso. «Ci vediamo alla fine. Che vinca il migliore» le spedì un bacio al vento e si fece inghiottire da un gruppo di ragazze che cominciarono ad abbracciarlo e a baciarlo.
"Sbruffone".
«Scott mi aveva detto che eri un Angioletto» disse una voce fredda e maschile alle sue spalle. «Invece scopro che porti anche le corna...»
Era lo sconosciuto, lo stesso del suo corso. Non era la prima volta che qualcuno le faceva un'allusione del genere, ma quella frase, pronunciata da lui ebbe un effetto diverso dal solito: la ferì e la fece vergognare, per la prima volta, di se stessa. Chi era lui per giudicarla in quel modo? Che cosa voleva? E soprattutto, perché lei si sentiva in dovere di giustificarsi, di spiegare il perché di quella scommessa?
«Quei soldi mi servono, questo non lo posso negare» disse. «Ma conosco il suo modo di correre e, a meno che non usi qualche trucco sporco, sono sicura di poterlo battere senza problemi» gli sorrise e per un attimo le sembrò che lo sconosciuto ricambiasse.
«Ti toglieresti il casco? Vorrei vederti in viso se non ti dispiace.»
«La prossima volta!» La rossa accese il motore e si spostò sulla linea di partenza.
Lo sconosciuto non perse tempo però, si infilò il casco a sua volta e si affrettò a montare in sella della propria moto. Si affiancò alla rossa e disse: «Allora voglio fare una scommessa: se vinco, mi dirai chi sei e dove ti ho già vista, perché hai un viso che ho già visto. In caso contrario, ti lascerò tutti i soldi che ho nel portafoglio. Hai detto che ti servono i soldi, no?»
«Sì, ma con gli estranei io non gareggio».
«Ragazzi e ragazze, siete pronti?» urlò una ragazza, posizionandosi in mezzo la strada. «Le regole sono sempre le stesse: fino al centro e poi indietro. Chi vince prenderà i soldi, chi perde, beh, sfigato lui...» Alzò la bandiera bianca nel cielo.
I motori di diverse moto presero vita e quando quella stessa bandiera scivolò a terra, le ruote presero vita e la corsa ebbe inizio.

 

Angolo della piccola Autrice 

Buongiorno a te che stai leggendo anche queste piccole note :)
Prima di riportare sul foglio questa storia, avevo in mente tante cose da dirvi, da spiegare la "difficile" vita della protagonista, da chiedervi piccole cose, ma ora, arrivata alla fine mi mancano le parole e non so che cosa dire. Sembra strano, eppure è cosi. Zero, come se quella parte del mio cervello fosse stata cancellata.
Però alcune cosette mi sono venute in mente ad esempio: 
1) La George Washington esiste davvero, ma non sono riuscita a trovare maggiori informazioni riguardanti i corsi e specializzazioni quindi farò alla cieca e farò di questo nome una scuola "personalizzata".
2) Il strano comportamento di Lexie verso i professori perfino il modo in cui sono stati descritti i suoi genitori e tutto i resto, verrà spiegato più avanti, con piccoli passi verrà svelato tutto e anche il motivo del perché la preside non comunica ai genitori della ragazza del suo comportamento fuori luogo e sicuramente da punire severamente.
3) Madre e padre della ragazza verranno mostrati tra 2-3 capitoli quindi anche voi capirete meglio del perché Lexie ha questo atteggiamento e perché ha paura del padre.
Ultimissima cosetta, la storia si suddivide in due parte ovvero quella mattutina e quella serale. Sono collegate tra loro e tutto ha le sue risposte, ma dovrete aspettare ;)
e mi raccomando, non giudicate il libro da una copertina, cosi come non giudicate Lexie nel modo sbagliato :)
Chi sarà poi la rossa? mmh, scoprite voi stessi, ma attenti, non tutto è come sembra, oppure si?

Alla prossima e un bacione a tutti.

Krystal

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Capitolo 2
*** Bunnies e le regole da seguire ***


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[Capitolo betato da: Malika]

 

                                                                                                               
 2. Bunnies e le regole da seguire. 

 



      Sfrecciare lungo le vie notturne di Washington a centonovanta chilometri orari era il passatempo preferito della ragazza rossa: amava quel genere di pericolo, l’adrenalina che le pulsava nelle vene e la gola secca per la paura di sbagliare.
La maggior parte del tragitto, l’aveva attraversato prima in classifica, ma poi, all'ultima curva, quella che la fotteva in tutte le gare, l’inquietudine e la paura le bloccarono il respiro e finì per decelerare, andando a inseguire il ragazzo del corso.
Il traguardo si avvicinava sempre di più, ogni secondo che passava, ma qualsiasi cosa lei cercasse di fare non era abbastanza per farle sorpassare il ragazzo senza nome.
«Che tu sia dannato!» borbottò, provando un'ultima volta a superarlo a destra e, quando il ragazzo abboccò al suo tranello, lei si spostò nella corsia opposta. Entrambi erano primi pari merito, entrambi stavano per raggiungere la linea bianca disegnata provvisoriamente per la gara, e vincere. "Ultimo sforzo..." La rossa non fece in tempo a finire il pensiero, che la moto del ragazzo, con un'ultima accelerata, la superò.
La gara era terminata e lei aveva perso.
«Caspita, per un attimo ho davvero pensato che mi avresti superato e il mio portafoglio sarebbe stato svuotato! Stavi per vincere! Complimenti!» disse il ragazzo del suo corso con un'espressione divertita in volto mentre allungava la mano e stringeva quella della sua avversaria.
«Non importa se vinci di un centimetro o di un chilometro, l'importante è vincere! E tu, amico mio, sei un grande pilota!» sbucò dal nulla la testa di Scott che si mise a congratularsi con il ragazzo.
«Non puoi copiare le frasi di Dominic Toretto! Sono squallide se vengono pronunciate da te!» intervenne la rossa allungando la mano e afferrando il mazzetto della sua scommessa con il riccio.
«Togliti il casco che vorrei vedere il volto della ragazza che stava per farmi il culo!» intervenne il ragazzo del corso con un sorriso.
«Si, certo...» gli fece un occhiolino lei per poi accelerare bruscamente e lasciare dietro di sé soltanto una striscia nera.
«Dove pensi di scappare Angioletto?» si domandò lui usando lo stesso nomignolo affibbiatogli da Scott.

Alle sette in punto, Lexie, stremata e indebolita, era distesa nella vasca da bagno con tanto di schiuma e bollicine che, delicate come le piume, le accarezzavano la pelle.
La sera prima era riuscita a scappare dal college senza farsi notare da nessuno per poi a notte tarda, rifugiarsi all'interno di una discoteca situata al centro della città. Aveva bevuto e ballato fino allo sfinimento, lasciandosi alle spalle tutta l'estate. Alle sei, con il sorgere del sole, aveva attraversato la strada a piedi e aveva cercato di raggiungere il suo dormitorio senza ottenere il risultato da lei desiderato: non aveva la tessera e non poteva neanche richiedere una copia, altrimenti si sarebbe fatta scoprire con le sue stesse mani. Cosi, senza pensare due volte, aveva raggiunto la stanza del suo amico e si era rifugiata da lui.
«Lex, ti prego muoviti, altrimenti entro senza chiudere gli occhi!» la voce assonnata di J.J. si fece sentire attraverso la porta chiusa, mentre Lexie, con movimenti lenti e occhi semiaperti, si avvolgeva intorno un asciugamano pulito e apriva la porta sbadigliando.
«Sono distrutta» sbadigliò un'altra volta e si strofinò gli occhi come una bambina. «Posso rimanere qui a dormire fino alla fine delle lezioni?» chiese buttando la testa sulle spalle dell'amico.
«Certo che no! Ray e Stephen si sveglieranno a momenti e tu in quel preciso istante dovrai essere pronta a portare il tuo culetto fuori dalla mia stanza. Conosci il regolamento!»
«Si mamma! Prestami una maglia e un paio di pantaloni da indossare intanto, non ho niente se non gli stracci di ieri e con quelli non mi posso far vedere in giro.».
«Conosci la strada. Muoviti, però!»
Lei e Jack erano amici di vecchia data, ma si trovavano nel college per due motivi differenti: lui era rinchiuso lì per volontà dei genitori, mentre per lei significava libertà di scegliere, anche se la maggior parte delle persone che la conoscevano davvero ritenevano che lei si nascondesse dalla vita reale. Lexie reputava la scuola come una casa, nonostante avesse più nemici che amici: tutto a causa del suo difficile carattere che non permetteva quasi a nessuno di avvicinarsi.
Nella stanza regnava la confusione più totale: vestiti sparsi ovunque si posassero gli occhi, libri ammucchiati sopra la scrivania posta vicino la finestra e un armadio che occupava un’intera parete, con dei poster fissati sulle ante, al cui interno c’era il caos – era la parola più adatta per descrivere il macello che ci regnava. In qualche modo, Lexie riuscì a trovare un paio di pantaloni larghi che abbinò ad una camicia senza maniche, insieme al top che aveva indossato la notte appena trascorsa.
Si stava aggiustando i capelli quando J.J. rientrò nella stanza indossando soltanto dei boxer neri: «Possibile che anche con degli stracci del genere riesci ad essere cosi sexy?»
«Colpa di madre natura!» rispose lei, alzando leggermente la camicia e svelando il piccolo oggetto che le pendeva dall'ombelico.
«Piercing? Se lo vede tuo padre sei morta, bambola!» Si chinò ed esaminò al meglio l’oggetto a forma di una piccola lacrima.
«E' per questo che il secondo non l'ho fatto sul labbro ma sulla lingua».
«Come, quando e dove?»
Lexie sorrise e tirò fuori la lingua, dove in mezzo brillava un piccolo brillantino bianco, impossibile da notare se non si faceva particolare attenzione.
«Tu sei pazza! Manca solo un tatuaggio e avrai trasgredito a tutte le regole del vecchio».
«Più o meno» - aprì la finestra che conduceva al campo sportivo. - «Ci vediamo alle lezioni, forse. E comunque è meglio se ti vesti: credo che Stephen mi abbia vista entrare qui dentro con soltanto l’intimo e non vorrei che si facesse delle strane idee».
«Mi procuri soltanto dei guai. Adesso sparisci per favore! Ah, dimenticavo» - prese un paio di occhiali da sole da sopra il mobile e li buttò addosso a lei. - «Mettiti questi se non hai i tuoi, ma quelle lenti le dovresti buttare!»
Per un attimo la ragazza sembrò sulle nuvole e poi, come se si fosse ricordata di qualcosa d’importante, si diede una leggera botta sulla testa: «Cazzo, mi ero dimenticata!» Sorrise e indossò gli occhiali che le coprirono la metà della faccia.
Da oltre un anno, Lexie aveva cominciato ad avere una diversa percezione dell’ambiente che la circondava, la vista era diminuita fino al punto di dover indossare degli occhiali, anche se lei preferiva di gran lunga le lenti a contatto.
«Buongiorno a tutti gli studenti e le studentesse della George Washington University. Qui è la preside, Katherine Rutherford, che vi annuncia che le lezioni avranno inizio fra cinque minuti. Siete pregati di non tardare. Inoltre, un avviso per la signorina Lexie Blackett: è pregata di presentarsi in presidenza. Grazie e buon proseguimento delle lezioni».
«Che cazzo vuole adesso?» sbottò Lexie e sbuffando, si diresse nella presidenza come le era stato richiesto.
Il campus era diviso in tre grandi strutture, due delle quali erano i dormitori maschili e femminili collocati ai lati opposti dell’edificio nel quale si svolgevano regolarmente le lezioni. Nello spazio circostante, l’area verde circondava qualsiasi cosa, come ad esempio la biblioteca, rifornita di molti libri, la piscina, la palestra con gli assistenti e i professionisti per poter tenere d’occhio tutti gli studenti e far in modo che nessuno corresse pericolo, il teatro e altri luoghi dove Lexie non aveva ancora messo piede.
L’edificio dove si svolgevano le lezioni, chiamato anche “cuore del college”, era a quattro piani dove al primo erano situate sala d’attesa, presidenza, reception e sala professori, controllata ventiquattrore da due sorveglianti visto che all'interno erano rinchiusi i test e i risultati degli esami.
«Blackett, prego, faccia come se fosse a casa sua e si tolga quei occhiali, non siamo al mare» la riprese la preside Rutherford, non appena Lexie entrò nella stanza senza bussare e senza chiedere il permesso: si era buttata letteralmente sulla poltrona nera. Preoccupata di essere stata in qualche modo scoperta, si tolse gli occhiali e lì buttò dentro la borsa, cercando intanto, una scusa plausibile per il colore dei suoi occhi.
«Da quando in qua il colore dei tuoi occhi è» – si avvicinò ulteriormente a lei per poter osservare al meglio. – «Castano tendente al giallo?»
“Come pensavo! Mai che si facesse un po’ dei cazzi suoi!” «Ho perso le lenti mensili e avevo soltanto quelle di Halloween» rispose con la prima cavolata che la sua mente aveva elaborato.
«Si, certo...» fece la preside, lasciando la frase in sospeso, mentre si alzava dalla sua postazione e chiudeva la porta per non essere disturbata. « E dimmi un po’, dove sei stata questa notte?»
«Nel mio comodissimo lettino, successo qualcosa?» chiese lei, senza mostrare un ben che minimo di interesse, fingendo di non sapere di che cosa si trattasse: aveva imparato a recitare e non c'era ormai nessuno capace di leggerle negli occhi se non il suo migliore amico. «E mi spieghi come sei riuscita ad entrare senza avere la tua tessera?» aprì la mano, rivelando una chiave collegata ad una carta.
«Va bene, va bene! Dirò la verità basta che non ci va di mezzo J.J., cioè Jack Jackson, ecco, ieri sera sono uscita per una nuotata notturna e quando cercavo di rientrare, ho notato che non avevo più con me la tessera, quindi, ho pensato di passare la notte da lui senza farmi scoprire».
«La tessera è stata trovata nell'erba all'entrata, ma non credere di passarla liscia, sei in punizione!» Il sorriso che si disegnò sul volto della preside fu l’unica cosa che spaventò la piccola Lexie Blackett.
Finita la riunione con zia Kate, Lexie si dovette affrettare di raggiungere l'aula di calcolo, dove il professor Ralph Krueger, un uomo con oltre quarant'anni di carriera sulle spalle, con gli occhiali con le lenti più spesse di un fondo di bicchiere e i capelli che l'avevano salutato anni or sono, non attendeva altro che lei per iniziare la sua lezione.
«Scusi il ritardo, ma la preside mi ha trattenuto più del dovuto». Bugia, per strada era passata nel bar per fare la colazione, senza contare poi, che era tornata nella sua stanza e si era tolta le lenti scure, ma senza preoccuparsi di prendere i libri per le lezioni.
«Si, si accomodi per favore che iniziamo un nuovo argomento, state attenti e prendete appunti, tutti!»
"Più vecchio è, più rompe le palle" pensò Lexie mentre si dirigeva all'unico banco libero, dove l'altra metà era occupata da un ragazzo che dormiva beatamente. «Scusa amico, ma questo serve più a me che a te» estrasse il libro da sotto le mani della bella addormentata e poi con un sorriso, cominciò a seguire la lezione.
Tutto procedeva a meraviglia almeno finché una ragazza un po’ distratta, buttò a terra un dizionario pesante. «Buongiorno anche a te che m'hai svegliato!» fece il ragazzo con voce assonnata alla tipa che gli sorrideva.
"Di nuovo lui".
«E guarda un po’ chi ho piacere di avere al mio fianco, Lexie Blackett, la ragazza che non sa tenere la lingua a freno» disse lui divertito mentre allungava la mano e si riprendeva il libro.
«Ehi! Perché non torni a dormire e mi lasci seguire?» chiese a sua volta Lexie, mostrandosi forte e senza esitazioni, cercando in tutti i modi di mascherare la sua soggezione nei confronti di lui.
«La prossima volta, magari portati il libro» ribadì lui, sbadigliando tranquillamente, senza coprirsi la bocca.
«Signorini laggiù, silenzio per favore!» la voce del professore s'intromise nella chiacchierata dei due ragazzi e a meno che non intendessero passare il resto dell'ora in presidenza, dovevano chiudere la bocca e seguire le lezioni, almeno finché non fossero giunte al termine.
«Lexie Blackett e Mathew White, ho una punizione da assegnarvi».
«Cosa?» la voce di entrambi gli studenti richiamati si alzò di un ottava non appena la parola punizione uscì dalle labbra del professore.
«Si, la Rutherford ha richiesto espressamente che voi due rimaniate nella sala e svolgiate questo compito» si avvicinò a loro, mentre gli altri studenti uscivano senza preoccuparsi di nulla.
«Un test di matematica? Ma stiamo scherzando?» chiese a quel punto la ragazza, senza disturbarsi delle conseguenze che avrebbe potuto portare il suo tono di voce.
«Signorina, la prego di abbassare il tono della voce e sbrigarsi a completare il test entro la fine della ricreazione, altrimenti, parole della Rutherford stessa: vi rimanderà nella materia di calcolo e, sinceramente, io non ho niente incontrario» Il professore raccolse il suo materiale e uscì dalla sala, lasciando i due studenti da soli a decidere del loro destino.
«Che cosa ho fatto questa volta?» si chiese Lexie mentre rifletteva su che cosa potesse aver sbagliato, di nuovo. La punizione per aver dormito da J.J. consisteva nel fatto di dover aiutare Erick King, il professore di pianoforte a tenere sotto controllo i ragazzini del primo e aiutarlo con le prime dieci lezioni.
«Che cosa ha fatto il gruppo di scienziati di Blackett? Guarda, ha il tuo stesso cognome questo pazzo! Forse avete qualcosa in comune» scherzò Matthew, mentre con calma stava già passando alla seconda pagina del test. Che dire, due pagine su quindici, era decisamente più avanti di lei.
«Fottiti» fu l'unica risposta di Lexie, mentre prendeva i fogli dal banco e usciva dalla sala sculettando leggermente.
«Culetto niente male, come anche il caratterino bambola, ma vedremo che cosa penserà Sebastian di questo» Con un ghigno divertito continuò a compilare i fogli.

«Siamo solo al secondo giorno di scuola e sei già stata da zia Kate per ben due volte, i miei complimenti cara» fece J.J. non appena le si avvicinò, posandole il braccio intorno alla spalla.
«Non è colpa mia, è lei che non riesce proprio a stare lontano» scherzò Lexie con naturalezza.
«Che fine hai fatto ieri? Dopo la ramanzina non sei più tornata a lezioni, successo qualcosa?» chiese a quel punto il ragazzo, osservandole gli occhi. Era l'unico in grado di scoprire se mentisse, bastava soltanto uno sguardo ai suoi occhi e la verità veniva a galla.
«Ho chiamato a mamma e gli ho chiesto se mi lasciava uscire per il pomeriggio, dovevo acquistare nuove scarpe, sai com'è» rispose lei, continuando a camminare.
«Si, certo, questa è la scusa per lei, dove sei stata?»
«Dal meccanico» sussurrò piano, quasi non si volesse far sentire, peccato che J.J. non era sordo e non si perse d'animo a tirarle leggermente i capelli biondi: «Sei una ragazza e non un marmocchio, come fai a passare tutto quel tempo chiusa dentro quelle umide e» - fece un'espressione schifata. - «Puzzolenti autofficine?»
Lexie si mise ridere, infilando la mano negli capelli di lui. «E' l'unica cosa che mi permette di stare in pace con me stessa e poi, a me piace e questo ti dovrebbe bastare!»
«Tu sei l'unica donna che conosco alla quale piacciono i motori. Alla fine non m'hai nemmeno detto che macchina ti sei comprata».
«Una Lamborghini Aventador, bianca, è in grado di raggiunge cento chilometri orari in tre secondi. Devi vederla, è assolutamente bellissima e ieri, grazie a Maikol, sono riuscita a portarla oltre duecentocinquanta chilometri orari» rispose con un strano luccichio negli occhi.
«Chi è Maikol?» fu l'unica cosa che chiese il suo amico.
«Il mio meccanico, niente di speciale, ma con quelle mani è in grado di fare tutto!» Un sorriso malizioso spuntò sulle labbra di Jack. «No, non ci sono mai andata con lui» si affrettò ad aggiungere.
«Che cosa sono quei fogli?» chiese J.J. cambiando radicalmente il discorso.
«Boh, la zia Kate ha minacciato me e il nuovo arrivato che se non compiliamo questo test entro la fine ricreazione, ci abbassa il voto in calcolo» fece le spallucce e continuò il suo cammino verso la mensa del college.
«E quando pensi di farlo? Sono quindici pagine di» - sfogliò i fogli e guardò alcune domande. - «Teoria e calcoli e mancano precisamente» - guardò poi l'ora sul telefono. - «Quarantacinque minuti. Io ti consiglio di iniziare a compilarlo».
«Si, dopo...» scacciò il resto della frase con la mano come se fosse una mosca fastidiosa. « E poi, la colazione di stamattina faceva letteralmente schifo, quindi, prima provvedo al mio pancino» - sorrise e si mise la mano sullo stomaco che, non appena aveva iniziato a parlare di cibo, aveva incominciato a brontolare. - «E poi, se avrò del tempo, faccio anche questo stramaledetto test».
«Mi chiedo ancora oggi come riesci a mascherare questa tua personalità a casa. Forza, andiamo a mangiare che poi devi sforzare il cervellino e compilare questi fogli».
Il college, secondo la mente di Lexie, aveva un lato positivo e uno negativo; quello positivo si concentrava sul fatto che tutti, escluso i novellini, la conoscevano e di conseguenza non la giudicavano per la famiglia da cui proveniva. Si avvicinavano soltanto se costretti dai professori o, quelli più coraggiosi, se desideravano avere un appuntamento con lei. Le ragazze difficilmente l'affiancavano visto che faceva parte del gruppo delle Bunnies, ovvero delle quattro reginette più desiderate e ambite della George Washington University. Poi c'era il lato negativo, ovvero quelli che erano appena arrivati e di conseguenza la giudicavano soltanto per i soldi che aveva nelle tasche, come gran parte dei ragazzini del primo anno che le lanciavano sguardi maliziosi e sussurravano sottovoce.
Fino a quel punto era in grado di trattenersi, accettava con un enorme sforzo di essere sulle bocche di ragazzi visto che aveva un corpo da desiderare e, anche se la maggior parte delle volte si vestiva da stracciona o con indumenti da buttare assolutamente, riusciva ugualmente ad attirare l'attenzione.
«Ieri ti sei salvata, vedremo se anche oggi andrà cosi» fece J.J. aprendo la porta della mensa.
La sala in cui misero i piedi era grandissima con tanto di tavoli stracolmi di studenti, chi a mangiare e chi a studiare. «Prendiamo da mangiare dai, non ascoltare» disse Jack, accarezzandole la vita e trascinandola dietro di sé.
«Tranquillo J.J., non ho paura» gli mostrò il suo sorriso più bello, ma nonostante si fosse sforzata tantissimo, J.J. capì il suo stato d'animo e si affrettò a cercare un tavolo vuoto.
«Proprio oggi dovevano occupare tutti i posti?»
«Andiamo di sopra, Alyx e Amy non sono ancora rientrate dalle vacanze e Sophie, dovrebbe essere alle lezioni extra, quindi non ci dovrebbero essere problemi» suggerì Lexie attraversando la mensa con naturalezza.
«Sicura che poi Alyx non mi uccide? Sai com'è, ci tengo alle mie parti basse» fece preoccupato il ragazzo, cercando di coprire le voci che avevano già iniziato a circolare: "Lei è la figlia di Sebastian Blackett", mentre una ragazza poco più che quindicenne, senza preoccuparsi minimamente del tono della voce aggiunse: «Figlia di Blackett? Scommetto cinquemila dollari che è una zoccola!» e poi, cominciò a ridere senza curarsi dello sguardo che Lexie le aveva riservato, ma senza fermarsi, almeno finché la stessa voce non aggiunse: «Oddio, si porta dietro anche un cagnolino?»
Impulsiva, ecco un'altra parola che descriveva alla perfezione il carattere di Lexie. Con un ghigno malefico, allentò il passo e si avvicinò al tavolino di un gruppo dei ragazzi del quinto anno che tenevano posati sul tavolo delle sigarette. Infilò nella manica un piccolo oggetto senza farsi notare per poi far l'occhiolino al ragazzo che la guardava stupito. «Tagliato i capelli Ray?» chiese al coinquilino di Jack, mentre si allontanava piano e osservava un ragazzo poco più piccolo di lei che consigliava alla mora di stare al proprio posto se non desiderava di avere dei guai. Peccato che, non gli diede ascolto, infatti disse: «E' solo viziata, tranquilli, non morde.»
«J.J. mi è venuta un'improvvisa voglia di ritornare da zia Kate, ma sai, non le piace ricevere visite senza un valido motivo» si avvicinò alla sconosciuta e si mise tranquilla sopra le sua gambe, mentre osservava l'espressione stupita della sua prossima vittima. «Allora tesoro, che ne dici di dirmi quello che pensi di me, in faccia? Cosa sono secondo te?» chiese con voce sottile, senza far trasparire il suo divertimento, guardandola dall'alto come se fosse un moscerino da schiacciare. La ragazzina abbassò gli occhi, ma rimase in silenzio senza proferire parola. «Come pensavo, tesoro» le diede due buffetti sulle guance e si alzò in piedi, per poi allontanarsi verso Jack.
«Troia».
«Oh tesoro, non ci speravo più!» tornò sui suoi passi e, tutta sorridente, si rimise nella posizione precedente: «Grazie, mi hai reso questa giornata stupenda, forse non avrò neanche bisogno di una settimana per far cambiare l'opinione su di me!» le prese alcune ciocche dei capelli e avvolgendoseli delicatamente attorno le dita, rivolse la sua attenzione sul resto del gruppo. «Allora ragazzine, vi spiego alcune regole fondamentali per non avere dei guai con le Bunnies. La prima, potete chiamarmi in qualsiasi modo ma non troia, zoccola o con qualsiasi altra parola che significa sempre la stessa cosa, perché, come dire» - fece portandosi la mano sotto il mento. - «Se lo fate, abbiate almeno la decenza di dirlo in faccia, odio chi parla alle spalle e forse a quel punto sarò meno vendicativa. Seconda regola: non permettetevi in nessun modo di infastidire il mio gruppo o il mio amico, perché credetemi, sarei disposta a tutto, anche essere espulsa» la ciocca scura dei capelli che Lexie aveva avuto tra le mani cadde a terra, lasciando dietro di sé soltanto una scia di fumo e la puzza di bruciato. «Perché vedete, so essere cattiva se qualcuno mi fa arrabbiare».
«I miei capelli! Mi hai bruciato i capelli! Brutta troia, io ti faccio cacciare da qui!» cominciò a urlare mentre tutti gli studenti presenti nella mensa cominciavano a ridere.
«Lexie! Non spaventare i ragazzini e porta il tuo culetto qua sopra! Ti devo parlare, da sola!» parlò qualcuno da sopra le scale e fece intendere con un'unica frase di non voler nessuno fra i piedi, il suo migliore amico compreso.
«Tranquilla, sto con Ray e il gruppo» sussurrò Jack porgendogli i fogli del test e una penna nera. «Mi raccomando, compila questi se non vuoi avere dei guai con i tuoi genitori» le sorrise, lasciandole un delicato bacio sulla guancia.
«Sophie, sempre a rovinare i miei momenti migliori!» si lamentò Lexie non appena la raggiunse al secondo piano.
Le quattro ragazze avevano fatto in modo che i loro genitori lasciassero un bell'assegno con tanti di zeri per far costruire un ambiente soltanto per loro, per le quattro reginette della scuola. L'opera che era stata creata permetteva di osservare tutta la mensa. Un mobile in fondo la stanza con tanti di libri, una dispensa rifornita con ogni bontà e un divano di pelle, dove la ragazza che aveva parlato, stava seduta comodamente con le gambe posate sopra il tavolino di vetro.
«Vuoi essere cacciata? La Rutherford non accetta un comportamento del genere e le Bunnies non vanno in giro a bruciare i capelli alle ragazzine» la voce autoritaria, ma con un leggero accento francese, uscì dalle labbra sottili della ragazza mora.
«Sophie! Stiamo scherzando vero? Quella mi ha chiamato troia e tu pensi che io resti senza fare nulla?» fece Lexie sdraiandosi sopra le gambe della ragazza.
«Non riesco a capire come abbia fatto a stare senza le tue pazzie in questi tre mesi!» esclamò Sophie alzando gli occhi al cielo.
«Portandoti a letto il tuo ragazzo, credo, stai ancora con quello?» chiese a quel punto Lexie, afferrando una brioche e con gli occhi luccicanti, mangiarla come se fosse la cosa più buona del mondo.
«Voglio sapere come fai a mangiare tutte quelle schifezze e rimanere sempre in linea! Comunque sia, quest'estate, Marco mi ha portata con sé sul set fotografico di sua madre, in Italia! Vedessi che foto ci ha fatto» cominciò a raccontare la sua estate, mentre Lexie, un po’ distratta, compilava i fogli da riconsegnare.
«La vuoi sapere ultima? Alyx e Amy, a quanto sembra, sono state richieste per recitare in un film, e indovina? Tornano fra un mese come le nuove star del cinema e…» - guardò Lexie, tutta concentrata sugli fogli davanti il tavolino. - «Che cosa stai facendo? Cosa sono questi?»
«La mia punizione per non so cosa ho fatto» rispose, passando alla pagina successiva. «Continua, ti stavo ascoltando».
«Vuoi una mano?» chiese Sophie con un sorriso, allungando la mano e afferrando le ultime due pagine. «Ok, ritiro la mia offerta» aggiunse subito dopo.
La ragazza dai lunghi capelli castani si aggiustò la camicia bianca e si stirò i pantaloni neri che le fasciavano a perfezione le gambe snelle. Il colore della pelle, olivastro, metteva in risalto gli occhi castani, mentre le labbra rosee, sottili e seducenti si stiravano in un sorriso. «Perché continui a indossare quei stracci se puoi avere a disposizione i capi più costosi di questo mondo?» chiese a Lexie, ma il ticchettio dei tacchi distrasse quest’ultima dal compito, che infatti si lamentò: «Odio quel rumore! Togli i tacchi o stai ferma! Ti prego!»
«Oddio, chi è quello?»
«Non lo so e non m’interessa, devo finire questo test entro cinque minuti o la mia media su calcolo si abbasserà e i miei non saranno tanto contenti» parlò Lexie senza alzare la testa.
«Sembra invece che lui conosca a te, sta salendo le scale e si avvicina sempre di più.»
«Blackett! Ma stiamo scherzando? E' da venti minuti che ti cerco, hai finito questo stramaledetto test? Non posso andarmene nel dormitorio se non lo consegniamo insieme e in più, la Rutherford ha detto che sei di nuovo in punizione per non aver ascoltato il professor Krueger!» fece il ragazzo, guardandosi intorno, per poi prendere una mela e portandosela alla bocca.
«Tesoro, smetti di mordere quella mela e mordi me, per favore...» Una voce sensuale arrivò alle loro spalle, mentre sulle labbra di Matthew si dipingeva un sorriso a trentadue denti.
«Alyx? Non dovevi tornare fra una settimana?» chiese Sophie abbracciandola stretta, mentre la rossa non staccava gli occhi dal ragazzo.
Capelli rossi come il fuoco, occhi chiari che brillavano e un sorriso malizioso, tutto abbinato ad un vestitino corto che a malapena le arrivava fino le ginocchia, un paio di scarpe con il tacco alto e una borsetta sulle spalle. Bastava una parola per descriverla: sexy.
«Ho terminato ieri le ultime riprese, è Amy che torna fra un mese!» - poi si avvicinò al ragazzo, scrutandolo attentamente: - «Tu invece chi sei?»
«Chiunque tu voglia che io sia» sussurrò Matthew avvicinandosi pericolosamente alle labbra della ragazza rossa, peccato che proprio all'ultimo Lexie si intromise in mezzo e l'abbracciò stretta a sé. «Preferisci un sconosciuto a me?» chiese lei sottovoce.
«Certo che no, però, guarda che culo!» Sussurrò Alyx all'orecchio dell'amica mentre lei si girava e assumeva un'espressione divertita.
«Se lo dici tu, ho visto di meglio» rispose con uno sbuffo.
«Allora me li devi presentare! Assolutamente!»
«Blackett! Ti dai una mossa o devo poltrire qui insieme a te?» chiese il ragazzo alzando i suoi fogli in aria.
«Si eccomi, che rottura di palle che sei!»
«Non ti puoi immaginare quanto lo sei tu!»
«La signorina Lexie Blackett e il signorino Matthew White sono pregati di presentarsi in presidenza entro cinque minuti» l'avviso risuonò per tutto il college mentre Lexie, svogliata, salutava le amiche e scendeva le scale.
«Ti vuoi muovere?» chiese a quel punto a Matthew che si era incantato ad osservare Alyx.
«Sì, eccomi» Si girò e assorto nei suoi pensieri raggiunse Lexie in due passi che si era fermata ad allacciarsi la scarpa slacciata.
«Quelle scarpe...» sussurrò piano il ragazzo, osservandola al meglio, soffermandosi poi sugli occhi.
«Qualcosa non va?» disse Lexie con un sorriso e riprese a camminare sicura di sé stessa. Convinta che non ci fosse niente che potesse andare storto.

 

 

Angolo della piccola Autrice 

Ed ecco il secondo capitolo, appena sfornato xD.
Non sono brava con le parole quindi ringrazio semplicemente tutti: chi ha letto, chi ha recensito e chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordato/seguite
Ringrazio tutti e sono davvero felice di poter condividere questa storia con voi. Spero di poter avere vostre notizie anche in questo capitolo.

Alla prossima miei cari lettori, un bacione a tutti.
Krystal

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Capitolo 3
*** Il mio nome è ... ***


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Quest'opera "Lies" scritta da "Krystal Darlend" è distribuita con la Licenza
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[Capitolo betato da: Malika]

 

                                                                                                               
 3. Il mio nome è... 

 


      La notte oscura, dove le stelle erano le uniche testimoni di quel buio così tenebroso, stava per giungere al termine, ma la mente di Matthew White non intendeva andare a riposare. Lui desiderava sfogarsi e, visto che la moto era già parcheggiata nel garage e chiusa a chiave, doveva trovare un'altra valvola di sfogo: qualcuno che fosse capace di donargli il piacere senza chiedere troppo in cambio, qualcuno che fosse capace di fargli dimenticare la notte passata in quella discoteca in piena città.
«Non ti hanno spiegato le regole? Lo sai che non puoi stare fuori a quest'ora?» Una voce sensuale gli arrivò alle spalle e per un attimo sembrò perfino sorprenderlo.
«E a te non hanno detto che è vietato fumare vicino i dormitori?» indicò lui il pacchetto di sigarette sulle gambe della ragazza e si mise vicino a lei.
«Certo che si, ma non sono una che segue le regole. Non l'ho mai fatto» sorrise e si guardò intorno.
«Aspetti qualcuno?» chiese lui, curioso dall’atteggiamento della ragazza.
«Si, un'amica».
«E perché non è nella sua stanza?»
«Forse perché è l'unica che ha le palle per uscire di notte da quest'inferno e andare a divertirsi sul serio» sorrise lei un po’ dispiaciuta di non poter partecipare a quelle notti fuori dal comune.
«Mancano tre ore all'inizio delle lezioni e io conosco un bel modo per divertirsi» ammiccò Matthew con un sorriso malizioso che aveva solo un secondo fine.
«Non credo che la mia coinquilina quando rientrerà sarà felice di vedere il suo letto occupato da te» rispose invece lei, alzandosi e con un gesto delicato, lo prese per la maglietta a lo avvicinò alle labbra. «Però sono troppo presa dal tuo profumo per fregarmi di questi particolari, ho voglia di giocare» sorrise compiaciuta dalla situazione e cominciò a baciarlo.
Non era niente che riguardasse qualche sentimento nascosto, era per gioco, la voglia del momento e l'eccitazione allo stato puro. Matthew non aveva perso tempo e senza porsi troppi problemi aveva già alzato la maglietta della ragazza rossa e le stava palpando il seno destro. Tanto meno si poneva qualche problema lei, che con uno slancio gli era saltata addosso e aveva agganciato le gambe dietro alla sua schiena.
«Secondo piano, stanza undici, fai in fretta» mormorò sulle labbra del ragazzo che, senza farselo ripetere due volte, raggiunse in fretta la stanza e chiuse a chiave la porta.
«La biondina mi ammazzerà domani!»
«Ne varrà la pena, credimi» sussurrò Matthew mentre la posava sopra il tavolo della cucina, o almeno era quello che pensava che fosse, e cominciava a spogliarla: prima la maglietta che fece un volo senza conoscere la destinazione, poi il reggiseno che la seguì senza troppi indugi.
Matthew si fermò solo per qualche secondo, per ammirare meglio il seno della ragazza, pieno e così invitante che non riuscì a trattenersi e si lasciò guidare dall'istinto, quello che gli sussurrava di chinarsi e dare piacere alla sua nuova amica.
«In camera» disse lei, gemendo di piacere mentre allacciava di nuovo le gambe su di lui e si faceva portare nell'altra stanza, dove in un secondo sparirono tutti gli indumenti, intimo compreso.
«Con o senza?» chiese lui staccandosi leggermente dalle labbra della rossa per aspettare la sua risposta, ormai eccitato dalla situazione.
«Decisamente con, per quanto m'ispiri: sesso sicuro, non posso rischiare» allungò la mano verso i vestiti, da cui estrasse un profilattico e sorrise compiaciuta.
«Tu sì che sai sorprendermi».
«Meglio essere sicura» riprese a baciarlo con foga mentre con le mani andava a infilare il preservativo, stando attenta alle sue unghie per non combinare un casino. «Fatto, ora tocca a te sorprendermi» ammiccò lei per poi divaricare leggermente le gambe e portarsi quanto più vicino a lui: per sentirlo di più, per sentire maggiormente quello che stava per accadere.
Gemiti, sospiri, godimento e l'odore del corpo della ragazza addormentata al suo fianco erano le uniche cose rimaste impresse nella mente di Matthew. "La bambolina ci sa fare"; sorrise mentre ripensava alle due ore appena trascorse. Lei lo aveva indotto al piacere più puro e vero che esisteva sulla faccia della terra, l'aveva portato all'orgasmo più intenso, ma non era lei che Matthew desiderava avere nel suo letto.
«Angey, chi sei?» chiese lui, osservando attentamente i capelli rossi sparsi sul cuscino. Stesso colore di lei, ma completamente diversa, il sorriso che le illuminavano gli occhi era qualcosa di magnetico, mentre per il fisico non aveva idee a cosa poter paragonare la bellezza, visto che neanche nei sogni più belli, non era stato capace di immaginarla più incantevole.
La sveglia interruppe tutti i pensieri mentre la voce impastata dal sonno di Alyx lo fece sorridere: «Math, sei una bomba a letto!» gli lasciò un dolce bacio sulle labbra che lo turbò leggermente, ma subito si riprese in quanto Alyx si alzò e totalmente e completamente nuda, si avviò verso una stanza. «Mi faccio una doccia veloce e poi torno!» disse, per poi urlare qualche minuto dopo dall’altro lato della camera: «Fa’ come se fossi a casa tua, tesoro!»
«Ti prendo in parola» sussurrò Matthew, alzandosi in piedi e scoprendosi completamente.
«Alyx, ho bisogno delle bende, le mie sono finite l'altro giorno e poi perché la porta è chiusa a chiave? Non provare a dirmi che ti sei di…» La voce, che si bloccò improvvisamente, proveniva dalla finestra aperta e quando la ragazza, a cui apparteneva la voce e che si era arrampicata fino al secondo piano, alzò lo sguardo, quello che le si presentò davanti la sorprese talmente tanto che, senza rendersene conto, si lasciò andare. Si udì solo il suo urlo e poi più niente.
«Lexie!» gridò Matthew, raggiungendo la finestra e guardando giù, preoccupato.
«Ti scongiuro dimmi che non hai fatto sesso con Alyx!» la voce che uscì dalle labbra di lei sembrava triste, quasi delusa.
Lexie aveva fatto giusto in tempo a spostare le gambe e posarle sui folti rami di un albero, lo stesso albero che ogni mattina Lexie malediva per la sua posizione visto che copriva la maggior parte del panorama, mentre con le mani si aggrappò al davanzale della finestra.
«Oddio, Lexie! Che cosa fai lì?» fece la rossa, correndo a vedere che cosa fosse accaduto in sua assenza.
«La stessa cosa che farai tu fra due minuti!» Fu la sua risposta con un occhiata fredda, poi afferrò la mano che gli veniva offerta dal ragazzo.
L'unione delle loro mani fece scorrere una scossa lungo tutta la spina dorsale di entrambi i ragazzi, che se non fossero stati in quella particolare situazione, si sarebbero sicuramente ritratti.
«Grazie» disse Lexie coprendosi gli occhi per non guardare le parti basse del ragazzo che, preoccupato, non aveva fatto in tempo a mettersi addosso qualcosa.
«Dio Lex, sembri mia nonna! Cos'è ti imbarazzi a vedere un ragazzo nudo?» chiese Alyx senza peli sulla lingua.
«Ricordami una cosa: di chi è la stanza?» la voce che uscì dalle labbra di Lexie era minacciosa, sembrava più un avvertimento celato dietro parole da lei pronunciate.
Matthew rimase un po’ stupito da quel tono, ma affascinato dai suoi occhi ghiacciati. Alyx si trattenne dal rispondere: conosceva la sua amica e sapeva che dietro al suo comportamento si nascondeva qualcosa di non detto, qualcosa che l'aveva turbata alla vista del ragazzo.
«Ho litigato di nuovo con Sophie e quella stronza mi ha cacciato dalla camera» fece la rossa con il broncio, intanto che si rivestiva e lanciava a Matthew i suoi indumenti.
«Non farmi il broncio, ti ho preparato il bagno per farmi perdonare» sorrise furba come una volpe e saltò al collo di Lexie. «Lo so che non sei davvero arrabbiata con me. Forza, spogliati e vai a farti il bagno, poi mi racconti che cosa è successo» e nel frattempo che parlava, con gesti delicati sfilava la felpa di Lexie.
«Che cosa hai combinato?» urlò Alyx alla vista della canottiera insanguinata alla base dello stomaco, diventando completamente bianca in volto.
«Non è niente, solo un piccolo graffio» sorrise lei, avviandosi al bagno. «Avete due minuti per sloggiare dalla mia camera! Sia chiaro, vi voglio fuori entrambi!» sbatté la porta dietro di sé e lasciò che i due ragazzi si rivestissero e abbandonassero la stanza.
«Scusala, certe volte è davvero strana, ma è un tesoro se la conosci bene e farebbe di tutto per le persone a lei care».
«Tranquilla, ha ragione lei. Abbiamo un po’, esagerato ma ci siamo divertiti» ammiccò Matthew allontanandosi verso il bar centrale, dove avrebbe potuto fare colazione e riflettere su quello che aveva visto.
Nella testa del ragazzo ballava solo un’idea e, per smettere di pensare se Lexie c'entrasse qualcosa con le moto, doveva controllare la sua gamba e allora avrebbe saputo la verità. Ma cosa avrebbe fatto se la sua gamba fosse nelle stesse condizioni della notte?

                                                                                                [    … Diverse ore prima …   ]

Lui, Matthew White, aveva perso la gara e tutti i soldi che aveva scommesso solo per andare a soccorrere la ragazza dai capelli rossi, sopranominata Angioletto, anche se la metà dei partecipanti alle gare la chiamava Diavoletto per la sua lingua biforcuta.
Il percorso per la vittoria era semplice: curve, qualche svolta pericolosa, ma nulla che gli sfidanti non sapessero affrontare. Un trucco c’era però: il pomeriggio aveva piovuto e la strada era scivolosa.
«Questa volta sarò io a vincere!» Era stata l’ultima cosa che aveva urlato la rossa prima di mettersi in sella alla moto e dare l’inizio al divertimento.
Erano gli ultimi cinque chilometri e lei avrebbe vinto, l’ultima curva e avrebbe ottenuto la sua rivincita su Matthew; peccato che sterzò troppo in fretta, le ruote si bloccarono e l’unica cosa che poté fare fu lasciarsi andare e cadere al suolo.
Matthew non fece altro che assistere a tutta la scena che si svolgeva davanti i suoi occhi: la gamba della ragazza che veniva trascinata sotto la moto e poi sbatteva contro il marciapiede. Lui non rimuginò neanche un secondo, abbandonò la gara e corse da lei.
Con massima cura aveva alzato il motoveicolo e analizzato i danni visibili sul corpo della ragazza rossa.
«Grazie al cielo che questa volta hai indossato la tuta ...» sussurrò lui, anche se contrariato per il modo in cui quella stoffa avvolgeva il corpo della ragazza: la rendeva irresistibile e quella sera, aveva attirava gli occhi di ogni individuo. Ma come dar torto a loro se anche lui aveva analizzato ogni centimetro di quel corpo perfetto?
Il busto era stato protetto dal materiale resistente della tuta, ma la gamba aveva strusciato troppo intensamente sull’asfalto tanto che la pelle morbida e vellutata della rossa ora era ricoperta interamente da sfregi e dal sangue.
«Angioletto, apri gli occhi, non farmi questo scherzo, alzati dai» fece lui, guardandola oltre la visiera del casco: aveva paura che, togliendolo, avrebbe provocato ulteriori danni.
I minuti trascorrevano veloci, ma lei continuava ad essere incosciente; contemporaneamente la paura di Matthew aumentava a dismisura. Non si spiegava il perché di tutto quel terrore per la ragazza, ma senza esitazioni chiamò un taxi che passava di lì in quel momento. Non poteva chiamare un'ambulanza visto che con essa sarebbe arrivata anche una pattuglia di carabinieri che li avrebbe arrestato per le corse clandestine.
Una volta dentro la macchina Matthew non tolse gli occhi da lei neanche per un secondo e solo dopo una decina di minuti trascorsi ad osservarla, notò con piacere che si stava riprendendo.
«Dove sono? Perché mi pesa la testa?» la ragazza rossa si toccò il casco e poi se lo tolse con un sonoro sbuffo. «Che cosa è successo?» si rivolse a Matthew che la guardava scombussolato.
«Sei caduta dalla moto. Ti fa male da qualche parte?» domandò lui visibilmente preoccupato.
La ragazza esaminò la sua gamba malridotta e storse la bocca non appena provò a muoversi. «Dove stiamo andando?»
«In ospedale per farti un controllo».
Alla risposta che le venne data, la rossa spalancò gli occhi e disse: «Io non vado da nessuna parte!» poi, fece fermare il taxi e scese.
«Sei impazzita? Rientra che ti serve un dottore!» la sgridò Matthew come se fosse una bambina.
«Non sono affari tuoi, ma vedi: la gamba sta bene, riesco a stare in piedi e non ho niente di rotto, di conseguenza, puoi andartene!» sputò lei quelle parole come se fossero veleno, ma più che altro, stava cercando di nascondere la sua paura per gli ospedali: l'unica cosa che associava a quei posti era un brutto ricordo, e non intendeva in nessun caso, neanche se stesse per morire dissanguata, andare lì dentro, in quel luogo pieno di sofferenza e di morte.
"Morte... Lui non la meritava" fu l'unico pensiero che riuscì a apparentemente calmarla e a farla stare zitta per qualche minuto.
«La mia moto, dov'è?» sussurrò lei, poi si mise seduta sopra un marciapiede e si tolse i guanti di pelle, ricordando le parole dette dall'amica: "Stasera sono sicura che pioverà, mettiti almeno la tuta da corsa che non si sa mai!"
«Perché non vuoi farti visitare?» chiese a quel punto Matthew, osservando l'espressione contrariata della rossa.
«Ho detto di no, punto e basta! So cavarmela anche da sola, guarda!» si tolse lo zainetto dalle spalle e buttò tutto il contenuto a terra.
«Oddio, ma tu ti porti sempre tutte queste cose dietro?» fu l'unica cosa che uscì dalle labbra di Matthew. Il contenuto dello zainetto era alquanto strano: farmaci, bende, disinfettanti e non potevano mancare il pacchetto di sigarette, da cui ne estrasse una e la portò alle labbra.
Prima di cominciare a medicarsi, però, estrasse il cellulare dallo tasca posteriore dello zainetto e inviò un messaggio.
Secondi, minuti o forse anche ore passarono prima che la rossa riprendesse a respirare tranquillamente senza stringere i denti per il dolore. Si era medicata da sola, senza alcun aiuto.
«Preferisci soffrire cosi piuttosto che andare da un dottore?» aveva chiesto Matthew, osservandola rapito mentre lei si bendava la ferita con movimenti delicati.
«Guarda che i dottori avrebbero fatto la stessa cosa, da chi pensi che abbia imparato?» sorrise, poi prese la boccetta che stava posata a terra e bevve il suo contenuto: tè alla pesca.
«Cosa significa A.B.?» chiese, curioso del significato di quelle lettere così delicatamente incise.
Sembrò solo per una frazione di secondo che lei non capisse la domanda, ma poi con un sorriso fece: «Sono le iniziali del mio nome, ma no, non te lo dico qual è!»
«Dai, non fare la bambina, dimmi il tuo nome! Altrimenti come vuoi che ti chiami?» Si avvicinò e si mise seduto accanto a lei.
«E cosa ottengo in cambio?»
«Che cosa vuoi?» sorrise lui, felice che in qualche modo avrebbe saputo il suo nome. Non importava cosa gli avrebbe chiesto, avrebbe fatto di tutto, anche perdere le gare, se questo avesse significato raggiungere il suo obbiettivo.
La risposta che gli fu data, però, lo sorprese leggermente, non avrebbe mai immaginato di udire: «Portami alla moto e poi in una discoteca, ho bisogno di svago».
«In discoteca? A ballare?» ripeté Matthew, confuso.
«Sì, ballare; sai, dove la gente suda e si scatena? Voglio che mi porti a ballare!»
«Solo questo? In cambio mi dirai il tuo vero nome?»
«Sì»
«Non è per dire, ma credo che non ti faranno entrare in una discoteca ridotta in quello stato» indicò la tuta malridotta e la gamba fasciata.
«Per questo non ti devi preoccupare».
Un altro taxi lì riporto al luogo della caduta, dove la rossa, aiutata da Matthew, nascose la moto dietro ad un edificio abbandonato. «Domani tornerò a riprenderti, puoi contare» sussurrò lei alla moto, giurando anche che il giorno successivo avrebbe chiamato un meccanico per farla ritornare com’era.
«Dove nascondevi quei vestiti?» chiese lui, osservandola: pantaloni strappati ma senza mostrare la ferita sulla gamba, un top bianco insieme ad una maglietta attillata e degli stivaletti con un tacco alto.
«Nella moto, quando perdo vado a divertirmi per dimenticare queste stronzate» sorrise radiosa, come se tutto quello che era successo qualche minuto prima non l'avesse minimamente toccata. Sembrava felice.
La discoteca che scelse Matthew non si trovava tanto vicino a dove avevano nascosto la moto: era distante oltre cinquanta chilometri e tutta quella distanza l’avevano percorsa con il motoveicolo di lui, per "risparmiare", aveva suggerito il ragazzo. Ma la verità era ben un'altra: Matthew desiderava avere le mani della ragazza intorno alla propria vita più a lungo possibile.
Una volta arrivati a destinazione, la ragazza osservo il panorama intorno a lei e domandò: «Perché hai scelto proprio questo posto se c'era una discoteca più che rispettabile vicino alla George Washington University?» chiese la rossa con un sorriso enigmatico.
«Frequenti anche tu quell'università?»
«Mi sembra più che ovvio!»
Matthew sorrise, ammirando gli occhi della ragazza: castani con i bordi gialli. Avrebbe però giurato che, quando lei era sul taxi, i suoi occhi fossero semplicemente castani.
Continuò a vagare con gli occhi, osservando le labbra carnose ma seducenti, le guance rosee e un naso piccolo, ma che completava l'opera di una graziosa e attraente ragazza. Un angelo sceso in terra, pensava spesso lui quando si perdeva ad osservarla. Era tremendamente attratto dal suo corpo che certe volte non si rendeva neanche conto di desiderarla, di volerla al suo fianco e renderla felice.
Ogniqualvolta pensava a lei, però, la sua bellezza gli ricordava quella della ragazza del suo corso, la viziata e smorfiosa Lexie Blackett. Non poteva negarlo, ma anche quella ragazza era qualcosa di unico, di stupefacente che madre natura aveva deciso di creare.
«Angey» fece ad punto la rossa con un sorriso.
«Cosa?» Matthew, preso dai pensieri, non collegò immediatamente le cose e solo dopo che lei gli disse: «Il mio nome, è Angey» lui sorrise, felice di conoscere finalmente il nome di lei.
Angey.
«Piacere, io sono Matthew ... » ma non finì la frase che Angey aggiunse «Conosco il tuo nome, White» mentre si avvicinavano al buttafuori che faceva da guardia al locale.
Per la milionesima volta nella serata, lui si perse nei suoi occhi, nelle sue labbra, nelle sue forme; tutto quanto lo attirava. Qualsiasi cosa guardasse del corpo di Angey, non riusciva a non fare pensieri poco casti. La desiderava: ogni cosa del suo fisico lo attirava in una maniera impressionante.
La osservava ballare sopra il tavolino con movimenti sensuali e non poteva far altro che invidiare i due ragazzi che le ronzavano intorno. Sembrava a suo agio a muoversi in quel modo sexy, con quelle gambe fasciate dai pantaloni e la maglia che ogni tanto si alzava sui fianchi. Nella sua testa ronzava solo un pensiero: portarla lontano da tutti.
«Ma che fai? Continui a ronzare qui intorno? Divertiti, sai cosa significa?» urlò Angey per poi aggiungere: «Prendimi!» fece una giravolta sul tavolo e si buttò letteralmente tra le braccia di Matthew.
«Puzzi di alcool peggio di mio nonno, e credimi, lui beve tanto».
«Non ho bevuto tanto, solo cinque o sette cicchetti. Riesco a stare in piedi da sola, guarda!» si mise vicino il tavolo e cercò di stare ferma, peccato che non ottenne il risultato desiderato.
«Va bene, mi arrendo, portami alla fermata, per favore.»
«Cosa? Non ti senti bene?»
«No, tranquillo. Credo che accetterò il tuo consiglio e mi farò visitare» cominciò ad lamentarsi con voce dolce.
Le ore trascorrono in fretta quando si è in bella compagnia e stare seduti a terra con una bottiglia di tè alla pesca tra le mani era la cosa che Angey preferiva maggiormente.
I taxi sembravano aver dimenticato che esistesse quella via in cui Matthew l'aveva condotta.
I primi dieci minuti passarono in silenzio completo, ma ora non c'era un secondo che non fosse occupato dalla voce di uno dei due: entrambi si stavano aprendo, confidandosi e chiedendo dei consigli. Tutto procedeva tranquillo, senza pensieri e peli sulla lingua da parte di lei, almeno finché Matthew non si fece avanti e le chiese il vero motivo del perché corresse.
Angey rimase in silenzio e quando alzò lo sguardo, Matthew non poté non notare quella strana luce nei suoi occhi, le lacrime stavano per uscire ed era colpa sua. «Mi dispiace, non dovevo».
«Ho iniziato a correre quando avevo più o meno quattordici anni, era solo un passatempo, diciamo per sfuggire alle regole di casa».
«Quattordici anni? E chi era quel pazzo che ti lasciava una moto?» Chiese lui, sbalordito da quella inaspettata rivelazione.
«Mio fratello, mi aveva comprato una moto e l’aveva modificata, rendendola più leggera e più sicura. Lui mi capiva e cercava di rendere la mia infanzia migliore della sua. Diceva che per iniziare a capire quello che mi aspettava in futuro dovevo prima provare la vera adrenalina e rendermi conto che cosa avrei perso» guardò il cielo pieno di stelle.
«Non avevo capito cosa volesse dire fino all'età di diciassette anni, quando fu annunciato che sarei stata io a prendere le redini della società nel caso in cui mio padre morisse, e solo lì, davanti a lui, capì cosa mi voleva dire. Davanti al suo corpo fermo e freddo».
Le lacrime cominciarono a scendere, silenziose, mentre il singhiozzo prendeva il sopravento e liberava le urla che Angey nascondeva da troppo tempo. Non aveva mai parlato con nessuno di quello che era successo quel giorno, come se lui non fosse mai esistito. Non era poi tanto difficile capire il perché: era un figlio fuori dal matrimonio, qualcosa di inconcepibile per suo padre, ma a quel tempo, troppo preso dalla fama e dal denaro, non se ne preoccupò. Aveva i soldi e quelli bastavano per far tacere le bocche troppo grandi.
Angey venne a conoscenza dell'esistenza del fratello all'età di otto anni, per puro caso: lo aveva incontrato nello studio del padre. Si affezionarono immediatamente tanto che, per continuare a vedere la piccola Angey, Stephen aveva giurato di tenere il segreto di essere il figlio illegittimo al patto che Angey non andasse lontano da lui visto che all’età di dieci anni doveva trasferirsi per frequentare una scuola privata, lontano da casa. «Lui rappresentava la mia unica salvezza che poi si dissolse nel nulla» sussurrò l'amara verità.
«Mi dispiace, se posso fare qualcosa non esi...»
«No, non voglio niente se non andare a casa, quindi, mi puoi accompagnare alla fermata? Quella che si trova dietro quella casa?» indicò una via ancora con le lacrime agli occhi. «Si, lo sapevo fin dal principio, ma anche io desideravo parlare un po’ con te» anticipò la frase di Matthew.
«Ti posso accompagnare se vuoi» propose Matthew, mentre la aiutava a camminare.
«Preferisco restare da sola, grazie».

                                                                                          [   … Ritorno al giorno dopo …   ]

«Se ci fa fare un'altro test in pieno svolgimento delle lezioni giuro che l'ammazzo!» esclamò Lexie mentre era appoggiata contro la scrivania della preside.
«Abbassa la voce se non vuoi che ti senta!» la rimproverò immediatamente Matthew, mentre con gli occhi esaminava attentamente il corpo della sua compagna, in cerca di qualche indizio.
«Matthew, per quanto pensi ancora di fissarmi di nascosto? Non ti è bastata la scopata con Alyx nel mio letto?» la voce tagliente che uscì dalle labbra della bionda, risuonò nella stanza.
«Silenzio e seduti».
La Rutherford entrò nella stanza con un sorriso a trentadue denti e due lettere in mano: «Tra una settimana si terrà la premiazione di tuo padre, Lexie, e questi sono i vostri inviti» ne consegnò uno a Lexie e l’altro lo passò a Matthew.
«Sono gli inviti speciali, perché anche lui?» chiese a quel punto Lexie, stupita dalla faccenda.
«Tuo padre ha espressamente richiesto di consegnarle a voi due e di riferirti di richiamarlo».
Leggermente scossa, prese il telefono dalla tasca e compose il numero che ormai conosceva a memoria. Non si preoccupò di uscire, voleva avere soltanto delle spiegazioni, nient’altro.
"Devo presumere che hai ricevuto l'invito. Tra una settimana avverrà l'apertura della mia nuova azienda, tu e Matthew siete pregati di arrivare puntuali!" La voce fredda risuonò dall’altro lato del telefono.
«Sì» rispose solamente lei con il capo chino.
"Il jet privato ti aspetterà in Virginia, alcuni dei miei collaboratori mi devono consegnare dei documenti, quindi, se preferisci, puoi partire da lì a patto che dai un passaggio anche a Matthew. Ti va bene?" la domanda che le fu posta non la stupì semplicemente, bensì la lasciò completamente senza parole. Non aveva mai ottenuto il permesso di suo padre per guidare da sola: per lui avere soldi significava non fare assolutamente nulla e quindi, si meravigliò talmente che per qualche secondo non disse nulla.
“Alla prossima settimana figlia mia”.
La linea della comunicazione fu spezzata ma il viso di Lexie si illuminò talmente tanto dalla gioia che abbracciò la prima persona a lei accanto: Matthew. «Non ci posso credere! Posso guidare!» gridò poi, entusiasta della situazione. «In Virginia ci verrà a prendere uno dei jet di mio padre, ma fino a lì andremmo con la mia nuova macchinina!» comunicò con gli occhi che le brillavano per la felicità.
Non le importava nulla che cosa c'entrasse Matthew con la nuova apertura e tanto meno le importava dover sopportare Matthew per un intero viaggio. Era felice perché, per la prima volta, suo padre le aveva permesso di fare qualcosa che precedentemente le aveva vietato severamente.

 

 

Angolo della piccola Autrice 

Nuovo capitolo, quasi non ci credo.
Prima di tutto vorrei ringraziare tutte quelle ragazze che si sono soffermate maggiormente e mi hanno lasciato una traccia di loro passaggio nel capitolo precedente. Ringrazio coloro che mi hanno dato dei suggerimenti e corretto piccoli errori di distrazione :)
Ringrazio anche chi ha letto soltanto e ancora di più chi ha inserito la storia nei preferiti/seguiti/ricordate. Ringrazio tutti dal profondo del cuore e spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento :)
Passando alla storia, finalmente si è venuto a conoscenza del nome della misteriosa ragazza rossa: Angey, ma sarà quello vero oppure anche questa volta è solo una bugia?
Secondo voi chi è questa ragazza? [attenti, perché non è cosi scontato come pensate, o forse si? chi lo sa xP]
Chi di voi invece vorrebbe un ragazzo come Matthew? Non si conoscono ancora i particolari di lui, ma piano scopriremo insieme tutto quello che lo riguarda. Anche lui ha i suoi segreti e anche lui, come Lexie ha da nascondere qualcosa, ma che cosa vi starete chiedendo, ebbene, questo lo scoprirete solo con il tempo e la pazienza di aspettare i nuovi capitoli.

Alla prossima miei cari lettori, un bacione a tutti.
Krystal

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Capitolo 4
*** Il ballo - la prima parte ***


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[Capitolo betato da: Malika]

 

                                                                                                               
 4. Il ballo - la prima parte 

 

      La settimana trascorse in fretta, fra i corsi obbligatori e le punizioni che la Rutherford assegnava a Lexie per il comportamento inadeguato, e arrivò finalmente il giorno da lei tanto atteso: venerdì. La partenza.
«Blackett!» urlò il professore di musica, Eric King, in quanto la ragazza si era fermata a discutere sonoramente con J.J., il quale non aveva intenzioni di lasciarla partire con la nuova macchina appena modificata.
«Non me ne frega un cazzo! Se tu e il signor simpatia - che poi è simpatico quanto un calcio nel culo - siete diventati tanto amiconi, sono affari vostri, ma io non intendo arrivare in Virginia con una corriera o peggio, con qualcuno che mi deve accompagnare» J.J. la guardò stupefatto e scosse la testa. «Voglio andare da sola, chiedi al signor simpatia di prendere un'altro passaggio, così tu stai calmo e io mi diverto!» ribadì Lexie, portando gli spartiti richiesti al professore, che si trovava accanto il pianoforte posto al centro della stanza semivuota.
Per un'intera settimana, lei non aveva fatto altro che evitare Matthew, cercando di stargli il più lontano possibile, anche se con gli stessi corsi era un po' difficile. Non comprendeva ancora il perché, ma in qualche modo si sentiva tradita dal comportamento di Matthew e da quello di Alyx. Evitava tutti, ma l'unica che le restava al fianco era Sophie, che la capiva e la consolava in quel momento difficile, anche se era lei quella che aveva bisogno d'aiuto per l’incidente in cui è stata coinvolta.
Per la prima volta dopo tre anni aveva deciso di dedicarsi ai corsi che non conosceva, voleva tenere la mente occupata e qual era il modo migliore se non studiare? Peccato che di mezzo c’erano sempre delle ragazzine del primo corso che continuavano con le offese e lei, più aspra che mai, non risparmiava le parole.
«Fai un po’ come ti pare! Mi sono stufato del tuo comportamento!» gridò J.J. per poi andarsene senza chiedere scusa per il trambusto scatenato nella silenziosa aula musicale.
«Blackett! Quante volte la devo avvisare che io non voglio che tu alzi la voce nella mia aula?» la voce del professore, ferma e profonda, le arrivò alle spalle, spaventandola.
Erick King è l’uomo più conosciuto all'interno del college per il suo aspetto fisico, e ora che si trovava a due centimetri dal suo corpo lei stessa affermava che fosse una visione: moro, zigomi alti e, nascosti da ciglia lunghe e folte, due occhi azzurri.
«Non ho fatto nulla! Non sono stata io ad urlare!» protestò Lexie a voce bassa.
La punizione, ovvero aiutare il professore con le nuove alunne, durava già da cinque giorni, ma Lexie non si era ancora abituata agli occhi del professore, i quali la osservavano in ogni minimo dettaglio.
«In questa settimana lei è stata l'unica a procurarmi più guai con la preside che un intero corso di studentesse».
Lexie abbassò gli occhi, colpevole.
«Sono una persona razionale, ma mi sento in dovere di attribuirle una punizione» osservò gli spartiti tra le sue dita e poi le passò un foglio. «Suona questo brano e non dirò nulla alla preside Rutherford».
«Perché?»
«Curiosità più che altro, ma vorrei solo verificare se qualche voce del campus sia vera o meno».
Per la centesima volta, il comportamento del professore la sorprese: nessuno si era mai preoccupato di cercare la verità cosi senza aggiungere altro si accomodò dietro al pianoforte nero.
Studiò lo spartito con la massima cura e si concentrò; conosceva la melodia, l'aveva imparata a suonare anni addietro per la gara di primavera.
La melodia che si diffuse nella stanza per i primi istanti lasciò senza parole il professore che, leggermente sorpreso, si accomodò accanto a Lexie e incominciò a seguire i movimenti delle sue mani. Nei suoi trent'anni aveva incontrato poche persone che fossero in grado di incantare in quel modo con una melodia: la sicurezza con cui Lexie muoveva le dita sui tasti lo mandava fuori di testa, era terribilmente attratto da quella melodia, come se fosse qualcosa di magico, unico nel suo genere.
«Crede ancora che io sia una ragazzina viziata piena di soldi che non conosce il senso della vita? Oppure ha sentito in giro che sono una grande sguald…»
«Shh, non continuare per favore» la zittì prima che continuasse ad elencare i nomignoli a lei affibbiati. «Credo semplicemente che lei sia stata ferita e ha paura di mostrarsi com'è realmente: preferisce soffrire in solitudine piuttosto che cercare una spalla su cui piangere. La sua maschera la nasconde, ma non è la vera Lexie Blackett. Non è cosi?»
Una lacrima scese dalla guancia di Lexie, furtiva, inarrestabile. «Non mi conosce ...» sussurrò lei, indecisa per la prima volta se scappare dalla cruda verità oppure fingere per l’ennesima volta.
«Forse non la ragazza fredda che è ora, ma conosco la Lexie gentile e con un vero sorriso sulle labbra».
«Come?»
Peccato che non ottenne nessuna risposta in quanto una voce si innalzò nell'aria: «Lexie!»
«Buona giornata signorina Blackett» la salutò il professore, cordiale e se ne andò tranquillo.
«White, che diavolo vuoi?» chiese Lexie, asciugandosi gli occhi.
«A che ora partiamo?»
«Fra due ore davanti al garage della scuola» detto ciò, si allontanò senza aggiungere altro.

«Chissà per quale motivo io non mi stupisco minimamente che tu possegga una Lamborghini. Che spreco ...» sussurrò Matthew, mentre sulle labbra di Lexie si formava un ghigno divertito.
«Lexie, ti chiedo solo di stare attenta» fece J.J. ancora con il broncio.
«Sì, paparino» prese lei in giro il suo amico per poi buttarsi fra le sue braccia. Gli scompigliò i capelli e con un bacio sulla guancia lo fece ritornare al campus.
Lexie Blackett e Jack Jackson si sono conosciuti all’età di dodici anni, ad una cena di beneficenza per i bambini senzatetto, organizzata dai genitori di lui. Inizialmente, J.J. la considerava una bambina senza personalità, la offendeva su tutto quello che gli era possibile e di certo non perdeva nessuna occasione per deriderla. Solo quando lui fu spedito al college, Lexie, oramai padrona di se stessa, gli aveva mostrato chi era davvero e qual’era il suo vero carattere.
“Sto per tornare Stephen” pensò con un sorriso amaro, mentre si legava i capelli con un elastico e si toglieva gli stivaletti con il tacco per sostituirli con delle comode scarpe da ginnastica.
«Ti serve ancora tanto?» chiese Mathew tra uno sbuffo e l'altro.
«La macchina è mia e decido io».
Accese la macchina e il suono del motore ormai famigliare per lei, iniziò a fare le “fusa”, come le piaceva dire. Allacciò la cintura di sicurezza e con manovre delicate uscì dalla scuola, per poi immettersi nel traffico mattutino di Washington.
Con la musica alta e settecento cavalli di potenza, Lexie si sentiva completa con l’adrenalina che le scorreva nelle vene.
Sfrecciava a gran velocità e superava qualsiasi ostacolo si poneva sulla sua strada.
Matthew rimase in silenzio per tutto il tragitto, non cercò di iniziare una conversazione e tantomeno lo faceva lei. Entrambi avevano un orgoglio da difendere.
In realtà, nei momenti in cui lei ispezionava la lista delle canzoni sul display, Matthew la osservava con attenzione, facendo in modo che non se ne accorgesse.
Non riusciva a non pensare a lei, al sangue che aveva visto quella volta nella sua stanza. L’idea che fosse lei la ragazza rossa lo innervosiva, lo mandava fuori di testa semplicemente perché la notte in cui quella ragazza era caduta e poi si era aperta con lui confidandogli tutti quei segreti l’aveva resa diversa ai suoi occhi. L’aveva guardata con gli occhi di chi comprende il significato della parola soffrire. L’aveva abbracciata e poi baciata sulla tempia prima di lasciarla andare su quel taxi che l’aveva riportata alla realtà.
“La ragazza rossa, Angey, è Lexie Blackett?” Tale domanda gli circolava nella testa da troppo tempo e non aveva ancora scoperto nulla, anche perché Lexie si teneva sempre a debita distanza da lui. Ma per quale motivo?

La strada da percorrere fino a Virginia era tanta, ma con la velocità a cui andava Lexie, arrivarono prima del previsto.
Parcheggiata la macchina nel garage custodito, si avviarono verso il jet che li attendeva senza fretta.
Mathew, un po’ in colpa per le parole pronunciate all’inizio, ovvero che la macchina fosse uno spreco per lei, intendeva chiedere perdono; peccato che lei, non appena entrò sul jet, si chiuse dentro la cabina di comando e non si fece vedere per tutto il tragitto.
In piena notte arrivarono a Chicago, dove fuori dall’aereo del padre di Lexie, li attendevano due macchine, una limousine nera e una Bugatti Veyron bianca.
«Justin, quanto tempo!» esclamò Lexie saltando tra le braccia di un uomo in completo nero non appena il portellone fu aperto.
Matthew rimase senza parole, mentre una leggera fitta di gelosia gli attraversava il corpo. Osservò l’uomo che, con rispetto, si rivolgeva a Lexie e le domandava come andasse a scuola.
A prima vista, uno sconosciuto li avrebbe scambiato per padre e figlia, ma qual’era il sentimento che lei provava per quel uomo? “Perché tutti quelli che le girano intorno sono maschi?”
Con un sonoro sbuffo, Matthew scese dal jet e si avvicinò all’uomo, che gli sorrise cordiale e disse: «Lei deve essere Matthew White, il signor Sebastian mi ha ordinato di accompagnarla dovunque lei desidera. Sarà ospitato nelle stanze della villa Blackett per l'intero soggiorno».
«Grazie ehm...»
«Justin Smith» rispose lui alla muta domanda di Matthew.
Lexie, con un sorriso a trentadue denti si avvicinò alla macchina e la esaminò: «Accidenti, non avevo ancora visto la sorellina di Super Sport, la Veyron Vitesse vista da cosi vicino è ancora più bella» si voltò verso Justin e con una strana luce negli occhi chiese: «Da chi?»
«Sua madre».
«Mi piace il suo modo di chiedere scusa perché non potrà vedermi né salutarmi. Grazie Justin, saprò come divertirmi con questi 1.200 CV di potenza» prese le chiavi dall’autista e gli baciò la guancia. «Non aspettatemi svegli, vado a divertirmi».
«Cosa? Dove pensi di andare?» sbottò Matthew prima che lei sparisse dalla sua vista.
«Siamo a Chicago, la mia casa, dove pensi che voglia andare?» gli fece un occhiolino e salì in macchina: in meno di cinque secondi scomparì dalla vista dei due ragazzi.
«Signorino White, desidera andare?» chiese Justin avviandosi alla piccola limousine e aprendo la portiera.
«Vorrei solo riposare».
«Come desidera».
Lungo il viaggio verso villa Blackett, Matthew non fece altro che rimarginare sulle parole delle da Lexie: “Mi piace il suo modo di chiedere scusa perché non potrà vedermi né salutarmi …”. Che cosa intendeva dire con quella frase? «Perché Lexie crede che quella macchina fosse un modo di chiedere scusa di sua madre?» chiese, incapace di trattenere il suo interesse verso quella ragazza.
«La signora Moore è una donna famosa nel mondo della moda e, come spesso lei stessa afferma, non ha tempo da perdere. Nelle occasioni importanti come quella di domani, la si intravede di rado e se ciò accade è solo per qualche minuto».
«E quella macchina per cos’è?»
«La signora Moore conosce l’amore che la signorina Lexie nutre verso le auto e quando non le è possibile dedicarle tempo, approfitta di questa sua debolezza per scusarsi» spiegò Justin con tono cauto, senza tradire nessuna emozione.
«Ma è come se non avesse una madre» sussurrò Matthew con gli occhi fuori dalle orbite.
Il comportamento di Lexie all’interno della scuola gli risultava difficile da capire eppure, dopo aver ascoltato quelle parole riguardanti la madre, riusciva a comprenderla in parte: forse si sentiva sola ed era quella la spiegazione del suo comportamento. Era la prima volta che da quando l’aveva conosciuta cercava delle giustificazioni alle sue azioni.
“Perché questo interessamento?” Scosse la testa e si concentrò sul panorama.

La notte era limpida e avvolgente. Gli ospiti cominciavano ad arrivare, mentre il suono degli strumenti musicali si udiva leggero nell'aria. Tutto era perfetto, sembrava che non ci fosse niente che potesse andare storto. Ma c'era una cosa che mancava, lei.
Lexie aveva passato l'intera notte fuori casa, non aveva fatto sapere nulla a nessuno e non si era degnata neanche di farsi vedere dagli invitati.
Il piano terra della casa era stato interamente preparato per la serata, diversi tavoli avevano le pietanze più buone e gli champagne più deliziosi che Matthew avesse mai assaggiato, ma l'unica cosa che non gli quadrava era l’assenza della figlia di Sebastian Blackett, il quale, però, non si preoccupava minimamente della mancanza della ragazza.
«Matthew, ti vedo teso. Ti turba qualcosa?» la voce autoritaria del padre di Lexie gli arrivò alle spalle. L'uomo che aveva di fronte era oltre i cinquant’anni; indossava abiti firmati fatti su misura, eleganti, che lo rendevano attraente nonostante l’età. Aveva capelli scuri e corti, occhi azzurri, chiari e freddi come quelli di Lexie.
«Sebastian, che piacere rivederti per quest'occasione. Mi complimento con te» parlò qualcuno alle spalle di Matthew e di conseguenza, l’attenzione di Sebastian fu spostata sull’uomo.
Tutti gli invitati erano eleganti: indumenti fatti su misura, le donne con abiti lunghi e senza dubbio costosi. Matthew non era da meno: nella stanza che gli era stata riservata aveva trovato tutto quello che gli occorreva per la serata.
"Chi è quella?" sussurrò qualcuno alle spalle di Mathew. "Quella ragazza è senza dubbio la più bella che io abbia mai visto!" sussurrò invece un ragazzo che si trovava a pochi passi da lui.
Bramoso di scoprire di chi si trattasse, si girò e rimase incantato, senza fiato e senza parole per la visione che gli si presentò davanti.
Un abito lungo, di un tenue azzurro, fasciava alla perfezione il corpo della ragazza; il corpetto, ornato da diamanti Swarovski e da una rosa, scendeva per tutta la lunghezza del vestito. Una parte dei capelli era stata raccolta in un’acconciatura, mentre il resto il resto era lasciato libero in morbidi boccoli biondi.
Tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di lei, ma non era solo il suo fascino a stupire, bensì anche la camminata regale, composta e seducente al tempo stesso.
«Padre» fece Lexie avvicinandosi a lui e salutandolo con un sorriso. «Congratulazioni per il suo successo».
«Angey, il motivo del tuo ritardo?»
«Le misure che ha mandato Madre risalivano a due anni addietro, sono cresciuta e l’abito che era stato preparato era piccolo» chinò leggermente il capo, mentre composta rispondeva a suo padre, quasi fosse sotto effetto di qualche magia. Sembrava tutt'alta persona, completamente diversa da quella che conosceva Matthew. Aveva qualcosa di diverso e anche il nome che suo padre aveva pronunciato. Angey. Un’altra coincidenza?
«Signorina, posso avere l'onore di chiedere il suo nome?» aveva chiesto un ragazzo poco più grande di Matthew; sorrideva e sembrava che non avesse occhi che per Lexie.
«Signor Daniel, mi perdoni, ma non mi riconosce?» il tono di Lexie era gentile e affettuoso, mentre il padre sorrideva compiaciuto dal comportamento della figlia.
«Ricorderei senza dubbio la visione più bella dei miei occhi» ammiccò a quel punto Daniel, mentre Matthew osservava la scena un po’ schifato e deluso del fatto che Lexie non gli rispondeva a dovere, che non mostrava il suo vera carattere: la ragazza ribelle che odiava essere corteggiata solo per la sua bellezza.
«Signor Daniel, sono Angey Lexie Blackett».
«Lexie?» domandò lui stupito, senza parole per la seconda volta. «Mi permetti l'onore di questo ballo?»
«Vorrei, ma il primo ballo viene sempre dedicato a mio padre» con le scuse più sentite, Lexie si allontanò da lui e si avvicinò al padre, il quale la prese per la mano e la scortò fino al centro della stanza. La musica cambiò e con essa iniziarono le danze.
Matthew per l’intero ballo non ebbe la forza di smettere di guardarla, di osservarla muoversi con quel vestito lungo e bellissimo; non ne aveva la forza.
«Quella ragazza è l'orgoglio vivente di Sebastian. Sono Daniel, un collaboratore, tu invece?» cercò di conversare il ragazzo, mentre entrambi si erano incantati sulla figura più bella della serata.
«Io sono Matthew e sono il fidanzato di Lexie» mentì senza rendersi conto di quello che aveva appena annunciato. “Che cosa mi prende?”
«Sapevo che una ragazza come lei non sarebbe stata libera per tanto tempo. Spero che non ti dispiaccia se ti rubo un ballo».
«Si invece!» ribadì Matthew senza preoccuparsi di sembrare maleducato. Daniel lo guardò stupefatto e con la scusa di andare a prendere da bere, si allontanò da lui.
Lexie, non appena finì il ballo con il padre, si sorprese alla vista di Matthew che le prendeva gentilmente la mano e la conduceva al centro della stanza.
«Angey eh?» fece lui, stringendole la vita con una mano e con l’altra la mano di Lexie.
«E' il mio primo nome» rispose Lexie con tono pacato, seguendo la musica con i passi lenti. «Tu invece che mi dici? Perché sei sotto l'ala protettrice di mio padre?»
«Un tempo mio padre lavorava come dipendente in una delle fabbriche del tuo; era segretario o qualcosa del genere. Portava spesso il lavoro a casa per non rimanere indietro. Sai, sono bravo nei calcoli». Le fece fare una giravolta e poi sorrise: «Per puro caso, in uno di quei fogli trovai diversi numeri che non quadravano. Inizialmente tuo padre mi assunse per controllare piccole cose, dove scoprì diversi giri di numeri: ogni tre mesi, oltre due milioni di sterline venivano fatti sparire senza che nessuno se ne accorgesse. Scoperto questo, tuo padre mi voleva assumere come segretario personale, peccato che quello fosse qualcosa oltre la mia portata».
«Fammi indovinare, la frase che lavori e studi era una baggianata?»
«Te lo ricordi eh? Durante le ore libere lavoro davvero per tuo padre: gestisco i conti e controllo che non ci siano errori o qualcuno che cerca di fare il furbo.» Lexie gli sorrise cortese, forse per la prima volta in tutta la settimana che gli si era tenuta a debita distanza. «Come mai nessuno ti chiama Angey?»
«Non mi presento mai con quel nome. Solo mio padre si ostina di usarlo ancora» rispose a quel gioco di domante. «Perché hai cercato di seguirmi per tutta la settimana?» chiese lei con un sorriso malizioso, mentre si avvicinava alle labbra di lui e poi si allontanava.
Una lenta tortura alla quale Matthew stava cedendo. Le osservava le labbra e gli sembrava di essere quasi in trance. «Assomigli a una ragazza, volevo solo sapere se fossi tu o meno».
«E la risposta qual è?» un altro sorriso malizioso.
«Non conosco ancora la risposta. Perché il tuo comportamento è cambiato cosi radicalmente davanti a tuo padre?»
La domanda che le fu posta la sorprese, era raro che qualcuno si accorgesse del suo comportamento, ma infondo nessuno la conosceva davvero.
«Soffro di una malattia nei suoi confronti».
La melodia degli strumenti finì e con essa anche il ballo. Lexie salutò cordialmente il ragazzo e cominciò ad allontanarsi, quando fu presa per il braccio e trattenuta. «Dimmi la verità: Angey sei tu non è vero?» fece Mathew avvicinandosi ulteriormente al corpo di Lexie, posando le labbra su quelle di lei; un piccolo contatto che provocò una scossa in entrambi corpi.
«Non sono nessuno se non una ragazza libera, per sempre» soffiò leggermente sulle labbra di lui. «Cos'è, Alyx non ti soddisfa abbastanza a letto?» la voce fredda e tagliente di Lexie lo fece indietreggiare, non per la frase, ma per il suo tono, come se fosse un’altra ragazza, più cattiva.
«Angey, ti voglio presentare un mio caro amico. Vieni». La voce del padre la sorprese, ma allo stesso tempo la riportò al suo comportamento perfetto, degno di una principessa.
«Si, padre» sorrise e camminò al suo fianco, finché non raggiunsero la persona che lei doveva conoscere.
«Angey, non penso che tu ti ricordi di lui, Erick King. Insegna nel tuo stesso college, lo sapevi?» Lexie, non appena posò gli occhi sull’individuo, collegò le parole e rimase senza fiato per la bellezza che trasudava il suo professore di musica.
«Erick, lei è mia figlia, Angey. Te la ricordi vero?»
I due si osservarono attentamente, mentre le guance di Lexie prendevano un leggero colorito roseo.


 

Angolo della piccola Autrice 

Ma quanto tempo è passato? O.O Non aggiorno questa storia da una vita!! eh si, scusatemi =.=" ci sarà ancora qualcuno che ha la voglia e il tempo di leggere? 
Chiedo scusa per tutto questo ritardo, ma da adesso cercherò di essere più presente e quindi ho pensato ad un piano: una settima per ogni storia.. Di conseguenza, questa storia verrà aggiornata ogni tre settimane e cercherò di essere puntuale.
Prima di concludere, voglio ringraziare la mia bravissima beta, senza di lei questa storia sarebbe piena, zeppa, di errori di grammatica XD
grazie davvero <3 <3 sei un angelo!!

Alla prossima miei cari lettori, spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento :)

Un bacione
Krystal

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Capitolo 5
*** Il ballo - la seconda parte ***


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[Capitolo betato da: Malika]

 

                                                                                                               
 5. Il ballo - la seconda parte.

 

      I due si osservarono attentamente, mentre le guance di Lexie prendevano un leggero colorito roseo.
«Certo che mi ricordo di lei, come potrei dimenticare la bambina che, con le guance rosse, mi chiedeva sempre di accompagnarla al pianoforte?»
Quelle parole riportarono con un flash back alla memoria di Lexie tutti quei momenti in cui un ragazzo andava a trovare suo padre per discutere alcuni contratti. Lei aveva circa dieci anni quando lo aveva sentito suonare per la prima volta e, da quel momento, si era innamorata della sua musica.
«First Love di Utada Hikaru, sbagliavo le note finali e gli chiedevo di correggermi» annunciò lei come se si fosse ricordata di qualcosa di estremamente importante. Erick sorrise, felice che anche lei non si fosse dimenticata della musica che suonavano insieme. «Chiedo scusa per non averla riconosciuta immediatamente».
«Sto diventando vecchio e brutto ed è normale che tu non mi abbia riconosciuto». Se la rise sotto i baffi, ricordando che, l’ultima volta che l’aveva vista, Lexie gli aveva detto: “Lei è il secondo uomo più bello che io abbia mai visto.”
Le guance di Lexie presero fuoco non appena intuì a cosa andava a parare il professore: aveva dodici anni quando aveva deciso di correre il suo primo rischio e annunciare apertamente i suoi pensieri; pensava che, se gli avesse detto quelle parole, lui non sarebbe partito e le sarebbe rimasto vicino, per aiutarla a suonare e migliorare; invece se ne era andato e con lui si era portato via anche una piccola parte della felicità di Lexie.
«Sei diventata bravissima in mia assenza, complimenti».
«Erick, ho saputo che sei stato in Europa a studiare insieme al tuo maestro; che ne dici di mostrare che cosa hai imparato?» si intromise Sebastian nella conversazione con voce fredda, autoritaria, ma nella domanda c'era qualcosa che assomigliava più ad un ordine, come se non fossero solo amici.
«Con vero piacere. Lexie, che ne dici di accompagnarmi?» allungò la mano verso la ragazza, che rimase senza parole visto che non si aspettava una proposta del genere.
«Erick, preferirei sentire soltanto te». Sebastian, nonostante fosse un buon intenditore della musica, non riusciva a comprendere l’amore che sua figlia provava nel suonare quello strumento a lui tanto complicato: le aveva concesso di prendere le lezioni private solo perché suo padre aveva insistito che la sua unica nipote dovesse saper suonare almeno uno strumento musicale. Fin dal primo giorno che era nata a suo padre Michael, non era andato giù il fatto che fosse una femmina e non un maschio, come invece si aspettavano tutti.
Lexie Angey Blackett era stata la prima femmina nata nell’interno famiglia Blackett ed era la prima ragazza nata da quando il cognome aveva iniziato a esistere ovvero oltre duecento anni, per più era anche primogenita.
«Sebastian, amico mio, non credi di star esagerando? Perché non la lasci un po’ in santa pace?» chiese Erick avvicinandosi ulteriormente al padre di lei. Non avevano la stessa età, eppure si davano del tu come se fossero amici di vecchia data.
«Matthew White, ma che piacere rivederla» fece il professore non appena il ragazzo si avvicinò a Lexie e le posò il braccio intorno alla vita.
«Non posso affermare la stessa cosa. Lexie ti posso parlare in privato?»
Lexie posò lo sguardo in quello di Matthew e lo osservò attentamente: il castano dei suoi occhi brillava di una luce diversa, non era quella che aveva quando la derideva o la prendeva in giro, questa volta era qualcosa di più serio. Quando sorrise poi, lei non poté far altro che riportare alla mente l’avvenimento di pochi istanti prima: il bacio. Come si era permesso di sfiorarla in quel modo cosi intimo? Lei che aveva sempre odiato chiunque che le si avvicinasse con quegli scopi.
“Alyx non lo soddisfaceva abbastanza?” Se si fosse solamente permesso di nuovo di avvicinarsi a lei in quel modo, non ci avrebbe pensato due volte a dagli una lezione.
«Certo, scusatemi» fu la sua risposta, accompagnata da un sorriso verso Erick e il padre.
Una volta fuori all’aria aperta, Lexie respirò a pieni polmoni e si appoggiò alla sua macchina, parcheggiata dieci metri più lontano dall’entrata.
«Grazie per avermi fatto uscire, ma no, non ho assolutamente voglia di parlare con te!» estrasse dalla pochette una sigaretta e se la portò alla labbra. Osservava il cielo stellato continuando ad espirare le piccole nuvole di fumo: sembrava rilassata, in pace con sé stessa, ma lo era davvero?
«Non ho visto tua madre, è presente?» chiese Matthew, per rompere il silenzio mentre esaminava la macchina e sognava ad occhi aperti. Desiderava con tutto il cuore guidare un veicolo del genere, ma non aveva gli stessi soldi di Blackett e di conseguenza, non gli era possibile realizzare un sogno del genere.
«Non lo so, non l’ho vista. Perché sei cosi ostinato? Cos'è? Il mio paparino ti ha chiesto di seguirmi?» chiese Lexie con un sorriso furbo, mentre si passava una mano tra i capelli; alcuni dei boccoli si spostarono sulle spalle, rendendo la sua immagine più provocante e seducente, mentre gli occhi chiari e il fisico perfetto la rendevano ragazza più attraente della serata.
«Sono qui perché,» fece una pausa e si guardò intorno: «Ti vorrei proporre di andare a fare qualche sfida con la macchina».
«Ma sei pazzo?» fu l’immediata risposta che gli diede lei.
Lexie lo osservò smarrita e sorpresa al tempo stesso per una proposta del genere, mentre Matthew si sentiva confuso in quanto si aspettava una reazione diversa, più eccitata. La immaginava con un sorriso sulle labbra come quando aveva guidato per arrivare fino a Virginia.
«Si, perchè no? Sai correre, hai la macchina, i soldi, che cosa ti manca? Non ti andrebbe di provare qualcosa di nuovo? Qualcosa di più eccitante?» la sfidò, avvicinandosi ulteriormente a lei.
«La macchina è stata registrata a nome di mia madre, lo scoprirebbero immediatamente».
«Si toglie la targa e il gioco è fatto! Dai, non mi dirai che hai paura!» sorrise lui, furbo, in quanto aveva scoperto il suo amore per il pericolo. Lo aveva notato per la strada, mentre si divertiva a superare le macchine a zig-zag, rischiando più volte di rimanere coinvolta in un incidente.
«Non ho paura!» ribadì immediatamente lei, offesa. «Semplicemente non posso rischiare».
Estrasse le chiavi dalla pochette e allungò la mano verso di lui: «Puoi farti un giro, consideralo un ringraziamento per aver tenuto la bocca chiusa riguardo il mio comportamento. Lo so che non gli hai riferito nulla».
«Signorina Lexie, suo padre la cerca». La voce di Justin le arrivò alle spalle mentre, delicato, le posava una giacca sulle spalle per non farle prendere freddo.
«Justin, per quanto tempo deve ancora durare questa stupida festa? Se non finisce prima di mezzanotte giuro che vado ad ubriacarmi nella prima discoteca che trovo!»
Scocciata e infastidita, Lexie ritornò nella sala dove tutti i presenti si erano posizionati davanti al palcoscenico allestito per l'evento. Sebastian Blackett, con un bicchiere di champagne in mano, concludeva il suo discorso con un sorriso radioso: «In questi ultimi due anni, la società sta riscontrando un grande successo e non posso negare che, come avrete già sentito in giro, sto pensando di espanderla maggiormente». Un applauso di tutti gli invitati si levò in aria.
«Vorrei dire la mia: ma chi se ne frega?» borbottò Lexie a Justin, leggermente distratta dall'immagine di Erick che sorrideva accanto un gruppo di persone. Aveva passato un’intera settimana in punizione, ma non si era accorta minimamente di come quell’uomo assomigliasse al giovane ragazzo per cui aveva avuto la sua prima cotta. “Il secondo uomo più bello” sorrise riportando alla memoria quel giorno lontano. “E chi è il primo?” aveva domandato lui, stupito e con un sorriso sulle labbra. Ora lo trovava affascinante e seducente, ma nulla di più e nulla di meno.
«E vorrei che fosse proprio mia figlia Angey Blackett ad occuparsi dell'intero progetto».
“Cosa? Quando? Perché?” Si domandò Lexie sovrappensiero.
«Tua padre ti ha nominata responsabile del suo ultimo progetto tecnologico» sussurrò Justin al suo fianco, scuotendo leggermente la testa in segno di disapprovazione per il comportamento distratto della ragazza.
Lexie rimase senza parole, senza fiato dopo aver realizzato la situazione in cui suo padre l'aveva condotta. «Responsabile di un progetto? Ma stiamo scherzando?» Non si capacitava del perché di quel gesto e tantomeno riusciva a capire il strano comportamento di suo padre: sembrava un'altra persona, un altro Sebastian Blackett, totalmente e completamente differente da quello che lei era abituata a vedere.
«Non credi di doverlo raggiungere al palco?» chiese Matthew, comparendo alle sue spalle e spaventandola.
«E’ solo un trucco» bofonchiò in risposta Lexie e, con il broncio, si avviò con camminata fiera e il sorriso spavaldo verso suo padre. Nessuno conosceva la vera identità di Sebastian e Lexie era sicura del fatto che lui avesse preso la decisione di affidarle quel progetto solo per mostrarsi bello agli occhi dei suoi invitati. “E’ solo per questo …” continuava a pensare Lexie, baciando le guance del padre e ringraziandolo.
«Un giorno, spero, capirai tutto quanto» sussurrò Sebastian talmente piano che, per un attimo, le sembrò di esserselo immaginata. “Che cosa significa?” pensò lei, con quella muta domanda negli occhi.
“Non devi farti ingannare, ti usa adesso e ti userà sempre per mostrarsi bello davanti gli occhi degli altri. Fidati di me e vedrai che andrà tutto bene, andrà tutto secondo i piani”. Le parole pronunciate da lui, per la milionesima volta, ripresero ad occupare tutti i pensieri di Lexie. “Lui ti vuole solo usare, non ti vuole bene…” altre parole, altre frasi che riecheggiavano nella sua testa e la ferivano nel profondo.
«Stephen» si giro spaventata urtando il cameriere.
«M-mi scusi signorina, non era m-mia intenzione» balbettò il ragazzo dispiaciuto, osservando il danno fatto al vestito macchiato dallo champagne. «Signorina Lexie, davvero non so come sia potuto accadere».
«Non è successo nulla di grave, ma ora il tuo compito è quello di andare da mio padre e comunicargli che non sarò più presente per il resto della serata in quanto non ho un abito da ricambio» sorrise compiaciuta, avviandosi verso la scala che conduceva al secondo piano, verso la sua camera.

«Oddio, Justin sei il migliore! Non sai quanto mi sono mancati questi momenti perfetti».
Erano circa dieci minuti che Matthew si trovava appoggiato alla parete accanto la stanza di Lexie, con le mani stretti in pugno e il viso contatto dalla smorfia di disgusto. “Che cosa stanno facendo quei due?” continuava a chiedersi lui, mentre altre mille domande gli sorgevano nella mente.
«Più forte, ecco bravo, leggermente più giù» continuò Lexie cominciando a ridere.
"Che cosa fa?" Matthew stava cercando di contenere la sua rabbia, aveva le unghie conficcate nella pelle e i denti strette intorno le labbra: desiderava entrare dentro quella stanza e distruggere tutto, qualsiasi cosa gli capitasse sotto mano.
Non si capacitava del perché e in quale modo, ma si era affezionato a Lexie nel pochissimo tempo che aveva trascorso accanto a lei; durante tutte le ore dei corsi, le punizioni che la preside le assegnava e lui doveva accertarsi che rispettasse. L'aveva osservata più volte, soffermandosi sempre di più sulle sue curve; l'aveva studiata mentre sorrideva e suonava il pianoforte, mentre si dedicava a risolvere i problemi che i professori le affidavano come compito di punizione per non aver svolto quelli per casa. L'aveva anche sorpresa più volte assorta nei suoi pensieri e assente per il mondo che la circondava. In poche parole, con pochi gesti quasi del tutto insignificanti e privi di una congettura, lo stava rendendo suo schiavo: la desiderava come un bambino vuole un giocatolo nuovo, ma lui era sicuro che, una volta ottenuto il suo premio, dopo pochi giorni si sarebbe già stufato.
«Justin, cazzo! In questo modo mi distruggi!» si lamentò lei a voce alta.
Matthew, ormai fuori di sé, bussò alla porta e, senza aspettare il consenso di aprirla, la spalancò rimanendo senza parole per la scena che gli si presentò davanti gli occhi.
«White! Ma che piacere, ti vuoi unire?» chiese Lexie divertita e alquanto ubriaca, portandosi alle labbra una bottiglia di vino bianco e rilassandosi sulla sedia.
Le mura della stanza erano dipinte di un rosa pallido quasi del tutto sbiadito, il pavimento invece era ricoperto da un morbido tappeto bianco che, soltanto osservandolo, si aveva la sensazione di camminare sulle nuvole. Due puff a forma di cuori si trovavano al centro della stanza e un letto ad una pizza e mezzo era posizionato accanto la finestra che mostrava il giardino con la piscina interna.
Lexie era seduta sopra una poltrona e dietro di lei c’era Justin, che le massaggiava la schiena come se fosse il suo personale massaggiatore.
«Signorina Lexie, quanto volte le devo ripetere che la festa non è finita e che suo padre la può richiamare in qualsiasi momento?» fece Justin leggermente preoccupato. «Inoltre, perchè non avete chiuso la porta? Siete mezza nuda! Il pudore lo avete dimenticato a casa?» aggiunse, prendendo il lenzuolo piegato e posato sul letto e coprendola come si fa con una bambina.
«Justin, se non smetti di darmi del lei, giuro che ti licenzio!» Bevve un altro sorso dalla bottiglia e sorrise furba. «poi, Sebastian non accetterebbe mai che sua figlia si presenti con un vestito macchiato alla sua festa più importante» indicò la stoffa del vestito buttato a terra. «Non ho freddo, perché mi copri?» Un altro singhiozzo le sfuggi dalle labbra mente si alzava cautamente e si posava accanto il letto. «Che hai Math? Ti sei per caso imbambolato?» disse lei dopo qualche istante, come se si fosse ricordata della sua presenza solo dopo aver udito il rumore dello spostamento di uno dei puff. Lexie non indossava più il vestito della serata, ma soltanto una t-shirt bianca che le copriva a malapena il fondoschiena e metteva in bella mostra le autoreggenti nere insieme alle scarpe con il tacco.
«Signorina, che ne dice di togliersi anche i tacchi?»
«E perché? Credi che io sia ubriaca?» chiese a Justin portandosi una mano vicino il mento e sorridendo furba, cominciando poi ad avvicinarsi a Matthew.
«Buona, buona! Lontano da me!» Matthew si portò le mani davanti come per fermarla, cosa che Lexie fece bloccandosi in mezzo la stanza. «Vestiti, per favore. Sono pur sempre un maschio in pieno sviluppo ormonale. Non posso vederti in questo stato!»
«E perché no?» fece lei leccandosi le labbra in modo seducente. «Hai paura che questa situazione diventi imbarazzante?» Lexie annullò del tutto le distanze fra lei e il ragazzo, poi gli accarezzò il viso con le punta delle dita.
Matthew rimase immobile e, sì, anche imbarazzato dalla situazione che pian piano si stava creando. “Questa è fuori di testa” si ripeteva Matthew nella testa per distogliere i pensieri poco casti dalle gambe di Lexie.
«Tieni, sciogliti un pochino, e tu, Justin, riprendi a farmi il massaggio» disse lei, passandogli la bottiglia di vino, e si rimise seduta sopra la poltrona.
«Massaggio?» fece Mathew stupito e leggermente confuso. «Quei versi…» guardò prima dietro di sé e poi li indicò entrambi. «Oddio!» Si buttò sopra il letto e portò la bottiglia alle labbra, bevendo un po' di quel liquido dolciastro. “Quei versi erano dovuti solo per il massaggio...”
Matthew, rilassato e accoccolato nei morbidi cuscini del letto, si soffermò ad osservare il soffitto ricoperto da piccole stelle. Piano, vagando con gli occhi per la stanza, si perse nel disegno dipinto sulla parete: non era ben visibile in quanto era tracciato soltanto in modo leggero, ma se si prestava particolare attenzione c'era la possibilità di poter osservare dei lunghi capelli, un dolce sorriso, degli occhi pieni di felicità accompagnati da un viso di una bambina: Lexie. Il viso di Lexie era disegnato su tutta la parete e sembrava davvero felice, contenta di quel momento vissuto.
A distrarre la concentrazione di Matthew fu un cellulare che prese a suonare. «Scusatemi» disse Justin, portandosi l'apparecchio vicino l'orecchio per ascoltare gli ordini che gli venivano imposti. «Si, immediatamente!» rispose dopo qualche secondo, senza protestare o chiedere maggiori informazioni.
«Signorina Lexie, Sebastian ha richiesto la mia presenza accanto a lui. Desidera che le chiami qualcuno intanto?»
Lexie gli riservò un'occhiata delusa e poi spostò gli occhi su Matthew. «No, stai tranquillo. Vai pure».
Una volta rimasta sola con Matthew, si sdraiò accanto a lui e prese tra le mani la seconda bottiglia di vino.
«Bimba, non credi di aver bevuto già troppo?» le tolse la bottiglia dalle mani e la posò a terra. «Dovresti dormire un po’» raccolse il lenzuolo da terra e la copri quanto più possibile.
«Sei strano».
«Cosa? Perché?» chiese lui, bloccandosi accanto alla porta, osservandola attentamente e alquanto confuso. Lexie, con la vista appannata a causa dell'alcool presente nelle vene, si alzò e riprese la bottiglia, sedendosi questa volta a terra in un angolo della stanza.
«Lasciami bere, tanto nessuno mi cercherà più» evitò di rispondere alla domanda posta da lui e, seria in volto, si portò alle labbra la bottiglia bevendo per l’ennesima volta.
«Perché continui a dire questo?»
«E' semplice: perché è la pura e cruda verità» il tono di Lexie era quasi del tutto indifferente per la particolare situazione della sua famiglia, eppure non riusciva a mostrarsi forte e determinata come invece accadeva nella sua giornata quotidiana; a causa dell'alcool, era esposta al pericolo e non aveva modo di proteggersi dal mondo esterno, quello che lei cercava di affrontare con la Lexie forte e determinata. «Hai visto mia madre? Non mi ha degnato neanche di uno sguardo nonostante mi fossi resa bella per lei. E mio padre?» un sorriso di disgusto dipinse il suo volto. «Lui ha finto di essere un altro uomo per tutta la serata. Desiderava farsi bello agli occhi degli altri e a quanto sembra ci è riuscito tirandomi in ballo. Lexie qua, Lexie là, Lexie è brava in quello è da lodare; Lexie, fa’ quello è da punire» fece lei assumendo il tono più duro e autoritario, quasi a voler copiare la voce del padre. «Ma Lexie vuole solo un abbraccio. Lexie non vuole i soldi, non vuole i vestiti costosi e le macchine veloci, lei vuole solo un abbraccio sincero e una spalla su cui poter piangere» cominciò a piangere come una bambina. «Lexie non vuole tutto questo, lei vuole solo un'amica». Con uno scatto di ira, prese la bottiglia tra le mani e la scagliò contro il muro, frantumandola in mille vetri.
Il vino bianco con lente strisce si disperdeva per tutto il pavimento, bagnandole i piedi scalzi. «Voglio solo che lui ritorni da me» sussurrò sotto voce per poi abbracciarsi le ginocchia e distendersi a terra, mentre il liquido bianco raggiungeva il suo viso segnato dal dolore.
Matthew non disse nulla; neanche una singola sillaba era uscita dalle sue labbra, così come non aveva accennato al bacio rubato o alla situazione imbarazzante in cui si era cacciato senza rendersi conto. Prese soltanto il lenzuolo e lo buttò a terra asciugando il liquido ormai sparso ovunque. Dopo ciò, si mise seduto accanto a lei e la alzò, posandola sulle sue gambe, cullandola come si fa con un bambina.
«Perché sono sempre io quella che rimane sola?» un'altro singhiozzo le scappò dalle labbra, mentre Matthew, scosso dal vederla ridotta in quello stato e senza nessuna protezione, cominciò ad accarezzare dolcemente i capelli biondi.
«Perché tutti si allontanano da me e mi lasciano sola? Perché non posso essere come tutti gli altri?» fece una pausa e cercò di darsi un contegno, senza però ottenere il risultato voluto: «C'era lui, lui che mi capiva, lui che mi amava». Altre lacrime le riempirono gli occhi, altre lacrime scendevano lungo il suo viso e le bagnavano le guance. «Ma poi, come sempre, anche lui mi ha lasciata. Tutti se ne vanno e come sempre sono io quella che rimane ferita, delusa e abbandonata» strinse con forza la camicia di lui intorno alle dita e riprese a piangere più forte, senza freni, senza nessuna paura di essere giudicata. «Sono sicura che prima o poi anche J.J. mi abbandonerà, come le Bunnies e come te. Anche tu, prima o poi, mi dovrai abbandonare e mi lascerai sola».
Matthew si irrigidì nell’udire quelle parole e non poté fare nulla se non rimanere in silenzio e ascoltarle; quella ragazza lo affascinava e pian piano stava cominciando a capire del perché avesse deciso di crearsi una barriera attorno a se, del perché avesse deciso di nascondere il lato dolce e gentile del suo carattere.
«J.J. mi sopporta e continua a restare al mio fianco nonostante tutto. Continua a sostenermi anche se io sono solo una ragazzina viziata e bella solo in apparenza, come dicono tutti» un sorriso amaro le si disegnò in volto dopo che la cascata di lacrime era terminata. «Non sono un’amica perfetta e mi domando ancora oggi come fa a sopportarmi».
«Perché lui è il tuo migliore amico e ti vuole bene. Non ti sopporta, ma ti sta accanto e ti aiuta nei momenti di bisogno. Lui non ti abbandonerà come invece ha fatto lui» accennò Matthew alla persona sconosciuta menzionata da lei in precedenza. «E poi, io non vado da nessuna parte, almeno per questo anno; inoltre ho già il posto assicurato accanto a tuo padre, ci potremo vedere quando vorrai» le diede un leggero buffetto sulla guancia e sorrise sincero. «Dai, mettiamoci sul letto che in questo modo prenderai il raffreddore»
«No! Voglio restare qui, così» disse imbarazzata, mentre le sue guance si tingevano di un leggere rossore. «Non lasciarmi sola, ti prego, almeno per oggi. Dopo puoi anche dimenticare questa spiacevole serata. Solo per oggi, per favore» si accoccolò contro il petto di Matthew e respirò a pieni polmoni il profumo di lui: qualcosa di fresco come la menta mischiata al dolce profumo della sua pelle. Appoggiata contro il suo petto, aveva la possibilità di annusare attentamente il collo del ragazzo, il quale con movimenti lenti si stava alzando e la posava sul letto, sotto le coperte.
«Riposati ora, resterò al tuo fianco. Promesso»
Lexie, ancora incoraggiata dall’alcool, si sporse verso di lui e gli baciò la guancia, poi disse: «Non deludermi più».
«Non lo farò, ma ora dormi» Le sussurrò Matthew dopo che la baciò sui capelli e sorrise.
“Angey…” A causa di tutto quel trambusto e i cambiamenti d’umore di Lexie, non aveva avuto modo di osservare la sua gamba e scoprire la verità sulla sua identità, ma si promise che il giorno dopo, appena sveglio, avrebbe verificato tutto con i suoi occhi.

Angolo della piccola Autrice 

Buonasera a tutte voi :3
Sapete che sono tanto contenta? Cioè, non mi aspettavo che questa storia avesse un successo del genere... xD
Allora, prima di partire con i ringraziamenti vorrei dire alcune cosette;
prima: Dal prossimo capitolo si entrerà nel vivo della storia e alcune carte verranno scoperte.. e vi anticipo già che la prima ad essere scoperta sarà la carta di Lexie e del suo strano comportamento...
secondo: Ho pensato di scrivere un capitolo a parte a rating rosso... Se avete letto attentamente, all'inizio del capitolo Lexie sognava qualcosa, dove Matthew faceva il suo "ruolo" e mi chiedevo, se nel caso lo pubblicassi quanti di voi sarebbero disposti a leggere :3
terzo e ultimo punto: Ringrazio tuttiiiiii voi... Quando leggo le vostre recensioni mi si illuminano gli occhietti *.* davvero, ma davvero 
Comunque sia, spero di ricevere vostre notizie :3 Fatemi sapere che cosa ne pensate :3
Ultimissima cosa... Visto il nuovo banner?? Che cosa ne pensate? :3

Un bacione
Krystal

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Capitolo 6
*** Finalmente a casa ***


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[Capitolo betato da: Malika]

 

                                                                                                               
 6. Finalmente a casa.

 

      Il primo mattino arrivò in fretta come i raggi solari che si infrangevano nella camera da letto di Lexie.
Lei continuava a dormire sopra Matthew, ignara dell’effetto che aveva su di lui in quell’istante: la notte le aveva fatto sognare qualcosa di indesiderato e, muovendosi nel sonno, la maglietta si era arrotolata fin sopra l’ombelico. La vista che si presentava a Matthew, invece, era una delle più piacevoli, ma anche una delle più pericolose per il suo stato ancora semicosciente.
Il tempo per lui si era fermato non appena i suoi occhi avevano trovato Lexie addormentata sopra il suo petto nudo. Dormire attaccati a lei per tutta la notte gli aveva fatto salire il calore corporeo e quindi, con i primi raggi solari, si era tolto la maglietta, ma facendo ciò percepiva maggiormente la pelle di Lexie, cosa che non permise al suo “amico” dei piani bassi a rimanere tranquillo.
Con gli occhi puntati sulle gambe di Lexie, continuava a giocare con le sue ciocche di capelli. Sorrideva ogni qualvolta percepiva i movimenti del corpo di lei e si chiedeva che cosa potesse sognare visto che più e più volte aveva pronunciato il suo nome.
«Matthew …» L’ennesimo sospiro insieme al suo nome, uscì dalle labbra di Lexie.
“Cosa stai sognando eh, bimba?” si domandò lui, spostando la mano sopra la morbida pelle di lei. Il contatto, nonostante fosse quasi nullo, lo fece rabbrividire, come se una folata di vento lo avesse accolto fra le sue braccia; cosa che avveniva ogni qualvolta la toccava.
La serata per lui era passata in fretta in compagnia di Lexie e, nonostante avesse bevuto qualche bicchiere di champagne di troppo, ricordava ogni minimo particolare, partendo dalla sua entrata fino a finire in camera mentre lei si addormentava tra le sue braccia.
Vederla in un angolo, in quello stato, indifesa e vulnerabile, gli fece provare un’emozione sconosciuta, diversa dall'odio e dal ripudio; un sentimento che pensava non avrebbe mai provato nei confronti di Lexie Blackett, verso la ragazza che lui pensava che fosse.
"Non giudicare mai il libro da una copertina" gli diceva spesso suo padre quando si metteva a giudicare le persone che non conosceva. E per la milionesima volta suo padre aveva ragione. Lexie non era come veniva descritta dagli altri e tantomeno come si presentava davanti gli occhi di estranei. Lei era diversa, speciale, vera solo con chi amava e, per questa volta, anche con lui, ma solo perché aveva esagerato con l'alcool e, si sa, l'alcool ti tira fuori tutta la verità, anche quella più nascosta.
A primo impatto, quando lei era entrata nella sala con quell’abito affascinante e con il comportamento degno di una principessa, per qualche minuto gli aveva fatto credere che fosse un'altra persona, anche perché in nulla assomigliava alla vecchia Lexie.
Non era stato l'unico ad accorgersi di quel cambiamento radicale: anche quel professore, Erick King, aveva notato qualcosa, però non era sorpreso quanto lui, più che altro era affascinato e felice per lei.
“Che cosa nasconde quel professore?”
Diversi mugolii uscirono dalle rosee labbra di Lexie e quando lui spostò gli occhi su quelli di lei trovò un paio di occhi azzurri che lo fissavano incuriositi e stupiti.
«Che diavolo ci fai nel mio letto?» fu la prima cosa che uscì dalle labbra della ragazza per nulla scossa di trovarlo lì.
«Stessa cosa che fai anche tu».
«Ah, va bene» fece lei. Senza farsi ulteriori problemi, si alzò in piedi sul letto e cominciò a stiracchiarsi i muscoli, lasciando a Matthew poca immaginazione davanti a quello che si trovava. «Se hai finito di contemplarmi, che ne dici di smammare dal mio letto?» aggiunse con un sorriso beffardo guardandolo dritto negli occhi.
«Lasciami pensare» disse Matthew con un sorriso, spostando gli occhi su tutto il suo corpo: gambe, reggicalze, le mutandine di pizzo bianco, il fondoschiena, il seno nascosto dalla maglietta e infine, il viso di un angelo appena svegliato. «Direi proprio di no».
Lexie, con movimenti lenti e sculettando, si avvicinò a lui e disse: «Qualsiasi cosa io abbia detto o fatto ieri sera, ero soggiogata dall'alcool e, si sa, con quello nelle vene non si combina mai nulla di buono».
«Sì, forse hai ragione» fu l'immediata risposta di Matthew. Anche lui si alzò in piedi sul letto raggiungendo cosi l'altezza della ragazza.
Lexie prima di tutto gli riservò un'occhiata storta, ma poi si soffermò troppi secondi sul petto nudo di Matthew: i muscoli leggermente in evidenza gli conferivano un aspetto da ragazzo vissuto e non da uno che passava la maggior parte della sua vita in una palestra davanti gli attrezzi. «Cosa vuoi dire?» chiese lei per pensare a qualcos'altro, cominciando a preoccuparsi di quello che avrebbe potuto spifferare mentre era fuori di sé.
«E chi lo sa?» fece lui con un’alzata di spalle avvicinandosi ulteriormente al viso di Lexie. «Sarà un piccolo segreto tra me e Lexie ubriaca» le accarezzò i capelli disordinati. «E poi, una domanda, cosa hai sognato di tanto interessante? Sembravi in preda ad un orgasmo per tipo...» si fermò e fece finta di contare.
«Due o tre volte».
«Cosa? Che?» scossa dalle parole di lui, Lexie prese a indietreggiare finché non si trovò a barcollare e cadere fuori dal letto. «Ch-che» cominciò a balbettare cercando di aggrapparsi alla prima cosa che la potesse salvare dalla caduta certa.
«Auch!» cominciò a lamentarsi lei, senza però provare alcun dolore fisico poiché Matthew l'aveva presa in tempo per il braccio facendola cadere sopra di sé.
«Che ti prende adesso?» chiese lui.
Il sorriso dalle labbra di Matthew scomparve non appena i suoi occhi incontrarono le labbra di lei, seducenti e provocanti, che gli riportarono alla memoria diversi sogni fatti su di esse. Sì, perché l'aveva incominciata a sognare dal giorno in cui aveva cominciato a sospettare che fosse lei la ragazza rossa delle moto, la piccola Angey che l'aveva catturato con quel sorriso spontaneo e gli occhi di chi conosce il dolore e la sofferenza; lei che lo aveva rapito e fatto sognare.
Lexie fece la stessa cosa: posò lo sguardo sulle labbra di Matthew ed arrossì. Sembrava che le sue guance andassero a fuoco per quanto erano accaldate: sognarlo per tutta la notte l'aveva scombussolata a tal punto da confondere la realtà con la finzione.
«Signorina Lexie, è permesso?» La voce di Justin dall’altro lato della porta riportò alla realtà i due ragazzi, che si erano immersi nei loro pensieri osservandosi a vicenda le labbra.
«Si, entra pure» fece Lexie mentre un sorriso accattivante si dipingeva sulle sue labbra.
«Ma che diavolo…» Matthew non fece in tempo a finire la sua frase che Lexie aveva ribaltato la situazione, facendosi trovare dagli occhi di Justin sotto il corpo del suo compagno di college.
«Justin, aiutami, questo non vuole lasciarmi!» prese a lamentarsi come se fosse davvero in pericolo, come se Matthew la stesse costringendo a fare qualcosa.
Justin, trasformandosi in guardia del corpo di lei, si avvicinò immediatamente al ragazzo e con una sola mossa lo scaraventò a terra. Lexie, da brava attrice, saltò tra le braccia di lui e disse: «Grazie al cielo che sei arrivato in tempo, non sapevo che cosa fare!»
«Lexie, ma che diavolo stai dicendo? Non ti stavo facendo un bel nulla, sei forse impazzita?» si difese Matthew, sbalordito da quell’improvviso cambiamento di comportamento.
«La prego di uscire immediatamente da questa stanza» fece Justin con voce fredda e con gli occhi ridotti a due fessure, cosa che Matthew notò immediatamente e non si fece ripetere la stessa frase per due volte: si alzò in silenzio e si avviò verso la porta. «Questa la pagherai cara!» mimò guardando Lexie che gli sorrideva furba e faceva ‘ciao’ con la mano.
«State bene?» chiese Justin, una volta che Matthew era uscito dalla stanza. «Sì, benissimo» l'immediata risposta di lei lo sorprese tanto che gli fu impossibile non domandare: «Bugia eh?»
Lexie sorrise, prese la vestaglia nascosta sotto il cuscino e si avviò verso il suo bagno personale; «Solo una piccola» disse prima di entrare nel bagno e farsi una lunga doccia.

«Perché hai inventato quella stronzata?» chiese Matthew a Lexie non appena lei mise piede fuori dalla sala, bloccandole l’uscita verso l’esterno.
Lexie rimase immobile e con un sorriso cordiale sulle labbra disse: «E’ stato solo un piccolo assaggio di quello che ti potrà accadere se riprovi a baciarmi» pronunciò accuratamente tutte le parole, schiudendo le labbra con tale seduzione da farlo incantare per qualche secondo.
«Era solo per quello?» fece stupito lui, rendendosi conto solo in quel istante dell’abbigliamento che portava la ragazza: un vestito nero lungo fino le ginocchia, semplice, ma che indossato da lei, con le sue curve, sembra qualcosa di meraviglioso. Aveva anche un paio di tacchi alti del medesimo colore e dei fiori freschi nelle mani.
«Dove vai?»
«Non sono affari che ti riguardano. Ho detto a mio padre che hai dei problemi al college e che dovresti tornare oggi stesso. Il jet partirà fra tre ore, ci vediamo al college» e, dicendo ciò, con camminata regale si avviò verso l’uscita, nonostante fuori cominciasse a far freddo, lei non si preoccupò minimamente di coprirsi con una giacca.
«Lexie, aspetta…» seguì il profilo della ragazza che attraversava la porta e solo in quell’istante, per pochi secondi, spostò gli occhi sulle sue gambe nude, per nulla segnate da qualche ferita o cicatrice.
"Non è lei" fece mentalmente mentre si poggiava contro la parete e scivolava fino a terra. “Non è lei, com’è possibile? Eppure tutto portava a lei” continuava a pensare Matthew, deluso e ancora convinto che la piccola Angey fosse Lexie. "Lexie non è Angey, non sono la stessa persona" l'ennesimo pensiero che gli fece provare un vuoto all'altezza dello stomaco.
Lexie invece, con un sorriso radioso salì nella limousine dove Justin l’attendeva con la portiera aperta. «La porto da suo fratello?»
«Sì, grazie» e quella fu l’unica cosa che disse fino alla fine del viaggio, durato non più di mezz’ora.
Una volta arrivata a destinazione, Lexie scese dall’auto e mandò via Justin: desiderava restare sola.
Il cimitero, le trasmetteva sempre una brutta sensazione: la pelle d’oca era inevitabile quando passava accanto a tutte quelle tombe, quando si soffermava a leggere e si metteva a riflettere sui più giovani che se n’erano andati troppo presto. Non impiegò troppo tempo ad arrivare alla lapide che le interessava.
“Stephen Evans, (1978-2010), riposa in pace” scritto con lettere delicate sopra la lapide: una frase come un’altra, eppure ogni volta che si soffermava ad osservare quelle lettere, le sembrava che non ci fosse scritto nulla, che non era la tomba del suo amato fratello.
Dopo la sua morte, aveva trascorso a piangere diversi giorni sopra la sua lapide, aveva dormito per diverse ore sopra le panchine solo per restare vicino a lui, con la vana speranza che fosse solo un brutto scherzo, che da un momento all’altro lui sarebbe uscito da quel nascondiglio e l’avrebbe abbracciata. Non desiderava tanto, non chiedeva nulla di impossibile, eppure l’unica persona che la poteva proteggere se n’era andata e l’aveva lasciata sola, indifesa contro il mondo che lei aveva sempre reputato crudele.
Posò i fiori sopra la lapide e si inginocchiò davanti a lui, davanti al suo fratello defunto. Stephen era l’unica persona che la capiva, l’unica che la proteggeva.
“Non fare la capricciosa, lo sai che io ci sarò sempre per te” le diceva spesso per confortarla, quando il padre le assegnava compiti difficili e lei doveva assolverli. Quante volte l’aveva protetta dagli schiaffi e dai compiti? Le aveva insegnato a vivere, le aveva insegnato tutto quello che c’era da sapere per divertirsi e poi se n’era andato. Lui che era unica persona che Lexie voleva al suo fianco.
Il cielo prese ad oscurarsi e le nuvole grigie a coprire il sole, mentre una leggera brezza alzava i capelli di Lexie. Un brivido le attraversò la schiena e, leggermente in soggezione, si girò a osservare il panorama. Non c’era nessuno, eppure lei si sentiva strana, come se fosse spiata.
«Ora sono anche paranoica» sbuffò tra sé e sé. Estrasse il cellulare dalla borsetta e digitò il numero di Justin che dopo qualche minuto comparì nella sua visuale.
«Portami direttamente all’aeroporto, voglio andare a casa mia»

Era passata una settimana da quando Matthew era tornato al college per colpa di Lexie, mentre lei si era fatta vedere solo dopo quattro giorni.
Diverse volte si erano incontrati per i corridoi, ma nessuno dei due aveva proferito parola, come se non esistessero uno per l’altro. Matthew ogni tanto si soffermava a osservarla di nascosto, sperando di trovare qualche particolare che la collegasse ad Angey, che non vedeva dalla caduta.
Lexie invece cercava di ignorarlo del tutto, occupando la sua mente con tutti i compiti possibili, tanto che alcuni dei professori si erano sorpresi da quel piccolo cambiamento.
Era sabato e come ogni settimana tutti gli studenti avevano la possibilità di uscire, ma Matthew si trovava nella stanza di J.J. ad organizzare la loro serata.
«Ray e Stephen hanno deciso di passare il fine settimana a casa, quindi se ti sta bene puoi stare da me, ma dovrai accontentarti di un divano» fece J.J. riordinando un po’ la stanza.
«Andata, io porto i giochi per x-box e tu vai a prendere qualcosa al McDonald’s» fece Matthew entusiasta, contento di non dover passare il fine settimana in camera sua. La Rutherford lo aveva punito privandolo dell'uscita di quella settimana in quanto aveva saltato la lezione obbligatoria di matematica e alla quale doveva partecipare insieme a Lexie. Nessuno dei due però si era presentato a quella lezione e quindi tutti e due avevano avuto la stessa punizione.
"Chissà come se la passa lei" si domandò lui.
Uscirono insieme dalla stanza di J.J. e ognuno svolse il proprio compito.
Si stavano rintanando nella stanza quando una voce cristallina distrasse i pensieri di Matthew, che continuava a camminare affianco a J.J. senza soffermarsi troppo su quello che gli stava dicendo. «Jack?»
«Oddio, non ci credo!» esclamò immediatamente J.J., riconoscendo la ragazza e andandole incontro per abbracciarla stretta a se. «Cominciavo a perdere le speranze che tornassi. Come sono andate le ultime riprese? Stai diventando famosa?»
La ragazza arrossì lievemente, abbassando il capo e annuendo. «Quando sei tornata?»
«Proprio ora; stavo cercando Lexie per farmi dare la chiave della stanza visto che la mia non va più bene»
«Sì, ha cambiato la serratura quando ha trovato spiacevoli ospiti nel suo letto» spiegò lui ridendo e guardando male Matthew.
«Non avevo dubbi. Sai per caso dov'è?» si portò la mano fra i capelli neri e portò all’indietro la frangetta che le ricadeva sugli occhi.
«Dovrebbe essere qui da qualche parte, è in punizione e non può uscire» si intromise Matthew con un sorriso.
«Grazie, Jack, per quanto riguarda le lezioni se ancora ti interessano, io sono disposta ad aiutarti» un sorriso le si disegno in volto e non appena J.J. fece: «Ma certo, lo sai che senza di te non posso fare nulla», le si illuminarono anche gli occhi castani.
«Ora vado, ci vediamo domani alle lezioni» e dicendo ciò, scomparì dalla visuale di entrambi i ragazzi. Matthew, un po’ deluso dal fatto di non essere stato minimamente considerato da quella ragazza, riprese a seguire J.J. con i pensieri rivolti verso Angey e la sua improvvisa scomparsa.
Erano tre notti consecutive che la sera scappava dal college e l’andava a cercare vicino alle corsie per le gare clandestine, peccato che nemmeno una volta aveva incrociato il suo sguardo. Era come se fosse scomparsa, cancellata del tutto.
«Ti sei incantato? Non hai detto nulla da quando abbiamo messo piede in camera» fece J.J. osservando Matthew che si era fermato a fissare la televisione, senza però guardare davvero quello che il telegiornale stava trasmettendo.
«Eh? No, stavo solo pensando a quella ragazza, non l'avevo mai vista eppure, sembra così...»
«Famigliare» finì J.J. la frase per lui. «Amy Cambell è la sorella gemella di Alyx. Sì, la stessa Alyx che ti sei portato a letto nella stanza di Lexie» continuò lui, incominciando a ridere come un bambino. «Ricordo come se fosse ieri, Lexie era incazzata nera, si è fatta cambiare pure il letto, non solo il materasso!»
«Io non c'entro nulla! E' Alyx quella che mi ha portato nella stanza di Lexie, io ho solo, diciamo, approfondito quello che lei aveva iniziato» sorrise, scacciando dalla mente la piccola Angey.
«Alyx è fatta cosi; quello che vuole lo prende e poi pensa alle conseguenze; solo con la sorella è estremamente protettiva, anche troppo».
«E le Bunnies? Anche lei, Amy, ne fa parte?»
«Le Bunnies sono nate cinque anni fa, quando Alyx - se noti è sempre lei quella che ha delle idee per così dire, geniali - ha fondato questo gruppo. Inizialmente ne facevano parte solo lei e la sorella, ma pian piano si era allargato, tipo una quindici di ragazze facevano parte di questo gruppo. Ora non conosco il motivo o che storia si nasconde dietro» fece J.J. posandosi sopra il divano e portandosi alle labbra il panino da lui ordinato.
«Ma quando Sophie Deneuve, al secondo anno, è entrata a far parte di questo gruppo, è stata nominata il leader e successivamente, dopo neanche tre settimane, questo gruppo si è ridotto solo a loro tre. Sophie, Alyx e Amy, le tre dive diciamo» sorrise a quel ricordo lontano e prosegui: «Le gemelle erano già famose, anche per il fatto che fanno parte del mondo del cinema da quando avevano otto anni, e Sophie pure, conosciuta per la sua serietà e volontà che mette nel realizzare i suoi sogni».
«E Lexie come ci è finita in mezzo?»
«Diciamo che a lei era stato proposto il posto fin dalla fondazione, per quanto ne so io. Lei però aveva rifiutato, diceva di non volersi far notare» un sorriso tirato gli si disegnò in volto.
«Sicuro che stiamo parlando della stessa ragazza?»
«Purtroppo si, Lexie è cambiata alla fine del secondo anno» aggiunse quasi sotto voce per poi esclamare: «Credo che abbiamo parlato abbastanza amico, forza, chi perde paga pegno!»
«Preparati a soccombere allora» fu l’immediata risposta di Matthew, già pronto per vincere e chiedere più dettagli riguardanti la vita privata di Lexie.

Erano circa dieci minuti che qualcuno bussava alla porta senza mai stancarsi.
«J.J. alza quel culo e va a vedere chi è, immediatamente, mi sono rotto le palle di sentire questo rumore!» urlò Matthew, portandosi un cuscino sopra la testa e rigirandosi per la millesima volta sul divano scomodo.
«Chi cazzo è che rompe le palle a quest’ora?» sbuffò J.J., mentre si alzava piano e indossava a rallentatore la prima maglietta che gli capitò a tiro .
«Apri la porta e lo scoprirai» rispose Matthew alla domanda di lui.
Sbadigliando, J.J. si portò verso la porta e la spalancò, trovandosi davanti un’immagine che avrebbe voluto evitare: Lexie, vestita solamente da una maglia lunga che le arrivava fino le ginocchia, stava tremando e piangeva in silenzio, cercando di contenersi per non svegliare i ragazzi delle camere vicine.
«Oddio, Lexie, che cosa ti prende? Che cosa è successo?» chiese immediatamente lui, preoccupato a vederla a quell'ora della notte.
«L'ho visto, è qui» fu l’unica cosa che uscì dalle labbra di Lexie, prima di buttarsi fra le braccia del ragazzo e riprendere a piangere, sfogando tutto il suo malessere e la sua paura.
Tremava tra le braccia di J.J., piangeva disperata e diceva parole disconnesse, senza senso per Matthew che si affacciò dalla sala per guardare e capire che cosa stesse succedendo.
J.J. non parlava, sembrava solo scosso dalle parole di Lexie. Dopo diversi minuti, forse cinque o più, sembrò finalmente riprendere il controllo di sé e, assimilando la notizia, la prese in braccio e la trasportò nella sua stanza, sul suo letto.
Con delicatezza la fece sdraiare, senza mai smettere di accarezzarle i capelli. «Sistemeremo tutto, andrà tutto bene. Stai tranquilla. Non piangere e non cadere» sussurrava lui all’orecchio di Lexie.
Matthew invece rimase immobile, quasi paralizzato a osservare quella scena a lui tanto famigliare. Solo che questa volta non c’era l’alcool a cui dare la colpa e a cancellare i ricordi una volta sobri.
«Non cadere, ti prego» sentiva ripetere a J.J. mentre le stava accanto e cercava di calmarla. «Non farlo di nuovo, non cadere».
“Che cosa significa tutto questo?” si chiese Matthew, un po’ dispiaciuto per non poter aiutare in nessun modo e un po’ per non conoscere abbastanza Lexie da poter capire che cosa le stesse succedendo.
«Io l'ho visto e guardava me, guardava me e sorrideva» altre lacrime e altri singhiozzi presero il sopravvento su di lei, sul suo animo ormai distrutto. «E' tornato» aggiunse, stringendo J.J. tra le braccia e nascondendo la testa sul petto del ragazzo, bagnandogli la maglietta.
«Sono qui e ti giuro che non ti accadrà nulla» fece lui convinto, stringendola a sua volta e alleviando almeno un po’ di quel dolore che la sua migliore amica provava in quel momento.
«E' tornato per me...» di nuovo stessa frase, di nuovo altre lacrime che prendevano il sopravento e scendevano dagli occhi. Aveva paura e stava tremando come una bambina.
Non era Lexie che Matthew aveva visto quella stessa mattina. Non era la stessa ragazza: quella che lui conosceva era forte, determinata e non piangeva neanche con la cruda verità sputata in faccia; quella che gli era davanti era una bambina spaventata a morte da qualcosa, da un incubo, un mostro del passato. «Chi è tornato?» chiese a voce bassa, preoccupato per lo stato in cui si trovava lei. Non l'aveva mai vista ridotta così, neanche quando si era ubriacata e si era aperta con lui. Aveva pianto quella sera, si era sfogata e confessato le sue paure, ma ora, vederla in quello stato lo rendeva irrequieto, spaventato che le fosse accaduto qualcosa di grave.
«Il suo incubo peggiore, quello che l'ha portata a diventare colei che è oggi» fu la risposta che diede J.J. alla domanda di Matthew.

Angolo della piccola Autrice 

Sono di nuovo in ritardo U.U ma questa volta ho una scusa più che valida U.U Sto lavorando e non ho più tempo per nulla.. neanche per me xD
Cmq sia, sorpassando questa piccola parentesi..  Che mi dite di questo nuovo capitolo?
Perché Lexie stava piangendo cosi disperatamente? Voi lo avete capito? Diciamo che dopo questo capitolo si entra davvero in scena.. xD 

E come sempre.. ringrazio tutti voi.. tuttttttiiii.. anche i lettori silenziosi che giorno dopo giorno aumentano sempre di più :)
Spero di ricevere le vostre notizie con qualche recensione U.U


Un bacione
Krystal

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Capitolo 7
*** 7 – Sogno o realtà? ***


 

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[Capitolo betato da: Malika]

 

Angolo della piccola Autrice
Buongiorno a tutti. Dopo mesi e mesi di assenza, torno a postare il nuovo capitolo ma prima voglio fare un piccolo riassunto di tutti i capitoli scritti fino ad'ora.
Capitolo uno: Inizia nuovo anno e dopo una lunga vacanza, Lexie torna alle lezioni carica come non mai. Non perde occasione a fare le battute ai professori e non si preoccupa minimamente di essere convocata nell'ufficio della preside già il primo giorno.
La preside cerca di farle capire che questo è il suo ultimo anno e deve cercare di rigare driitta ma nonostante tutto Lexie continua a fare di testa sua.
Scende la notte e prende vita la gara delle moto che viene organizzata quasi tutte le sere. Al centro dell'attenzione è una ragazza rossa che torna a gareggiare ma scopre di avere un rivale che non si farà battere tanto facilmente.
Capitolo due: Nonostante vari sforzi, la ragazza rossa perde la gara e non appena ha la possibilità scappa per non essere riconosciuta da Matthew. 
Lexie, tornata al college la notte tarda e senza chiavi, si rifugia nella camera di J.J. e successivamente torna alle lezione visto che zia Kate la chiama nel suo ufficio e le assegna una nuova punizione.
All'ora del pranzo Lexie e J.J. si avviano alla mensa. Una matricola offende J.J. e Lexie per vendetta le brucia una ciocca di capelli e sul più bello viene interrotta da Sophie, il capo delle Bunnies e successivamente si unisce a loro anche Alyx che spiega il motivo dell'assenza della sorella.
Capitolo tre: Matthew, stanco dopo la corsa e la notte appena trascorsa, ritorna al campus dove incontra Alyx che gli propone di salire in camera sua e della sua conquilina che momentaneamente è fuori a divertirsi. 
La mattina presto, Lexie cerca di entrare nella sua stanza, ma trovandola chiusa si arrampica dalla finestra. Sorpresa e allo stesso tempo sconvolta, sta per cadere ma per fortuna riesce ad aggraparsi all'albero e si salva. 
Rimprovera Alyx e caccia via Matthew, delusa dal suo atteggiamento. 
Il nastro del tempo  si riavvolge e torna alla gara, dove la rossa cade e si ferisce alla gamba. Matthew la soccorre, ma non appena nascondono la moto visto che è troppo dannegiata e non può camminare, la rossa, in cambio del suo nome chiede di essere accompagnata ad una festa in discoteca.
Si urbiaca e chiede di essere accompagnata alla fermata di taxi. Mentre aspettano, si mettono a parlare del passato e del perché lei odia gli ospedali. Parla del suo fratello e poi piange. Quando Matthew cerca di fare qualcosa lei si rifiuta e se ne va.
Il giorno successivo, zia Kate chiama Lexie e Matthew nel suo ufficio dove li attende una chiamata da parte del padre di Lexie.
Capitolo quattro: Il tempo passa in fretta, cosi sono al giorno della partenza. Lexie è in punizione dal professor Erick che le chiede di suonare il piano per verificare se le voci del campus siano veri o meno. Finito di suonare, Lexie chiede cosa ne pensa e da li Erick comincia a parlarle e le chiede perché si nasconde dietro ad una maschera ma non ottiene le risposte che Matthew li interrompe per chiedere quando si parte.
Il viaggio è lungo, ma viene fatto in silenzio e quando arrivano a destinazione Lexie si chiede nel camerino del Jet di suo padre e aspetta di arrivare a Chicago dove la attende Justin e una Bugatti bianca. 
Matthew rimane stupito quando Lexie parla con Justin e del fatto che quella macchina sia solo un modo di chiedere scusa da parte di sua madre. Non riesce a comprendere il mondo che la circonda e il motivo per il quale scappa e non torno a casa per tutta la notte.
Il girno successivo, la festa è iniziata ma di Lexie nessuna traccia e quando finalmente si presenta riesce ad attirare tutta attenzione su di sé. Spiega il motivo del ritardo e apre le danze con il padre e di seguito con Matthew che si dimostra geloso nei suoi confronti quando un ragazzo parla di lei.
Durante il ballo Lexie scopre alcune carte e di quello che la riguarda ma finisce troppo in fretta visto che il padre li interrompe per presentarle Erick, il professore di musica.
Capitolo cinque: Inizia con Erick e Lexie e che parlano del passato e del perché si conoscono. Scherzano e ballano insieme ma poi vengono interroti dal padre di lei.
Matthew cerca di salvarla e le chiede di parlare fuori dove le propone di fare una gara con la macchina, ma Lexie rifiuta e per ringraziarlo gli lascia le chiavi della sua macchina e se ne va in camera, grata alla cameriera per averle rovinato il vestito.
Successivamente, Matthew entra in camera di Lexie, dove la trova ubriaca e mezza nuda. Iniziano a parlare e con l'alcool nelle vene, Lexie si confida con lui e inizia a piangere come una bambina finché non si calma e si addormenta con lui nel suo letto.
Capitolo sei: Lexie si sveglia in compagnia di Matthew mezzo nudo, ma cerca di contenersi e non far trappelare i suoi dubbi sulla notte appena trascorsa, e per vendicarsi di lui visto che non le vuole rivelare nulla, inventa una bugia per Justin che lo caccia fuori dalla sua stanza.
In seguito, Matthew la ferma e le chiede spiegazioni e prima che Lexie vada via, la osserva e nota che non ha nessuna ferita sulla gamba e ciò lo porta a pensare che non sia lei Angioletto delle moto.
Intanto Lexie decide di andare a trovare suo fratello al cimitero, di parlare con lui e capire cosa sta succedendo, però, dopo qualche minuto si sente osservata e, spaventata se ne va.
Passano settimane, Lexie non rivolge nessuna parola a Matthew, che di nascosto la osserva e cerca di capire il suo comportamente. Stringe amicizia con J.J. e decide di passare con lui il fine settimana visto che di nuovo è in punizione. La sera, qualcuno bussa alla porta e quando J.J. apre, vede Lexie che piange disperata e parla di qualcuno che è tornato e vuole farle del male.
Ora, potete continuare con la lettura :) 

 Krystal

 7. Sogno o realtà? 

 

 

      "Tre anni prima"

 
              Era il sesto giorno consecutivo che la pioggia batteva contro le finestre delle aule senza alcun miglioramento del clima. Quel giorno le lezioni di matematica avanzata erano state spostate nella seconda aula al terzo piano ed era per quel motivo che Lexie aveva fatto ritardo.
Il professore era girato di spalle e stava scrivendo alla lavagna una formula matematica che durante la lezione avrebbe spiegato. Trevor Price, il professore più giovane del tutto il college, aveva gli occhi castani, sopracciglia leggermente folte, la mascella squadrata e le labbra fine, che sapevano mostrare dei sorrisi seducenti in grado di conquistare i cuori delle studentesse.
Aveva il suo metodo di insegnamento: prima ti faceva scrivere il necessario e solo poi chiariva i concetti estranei.«Ed è con questa formula che riusciamo a calcolare la probabilità di successo di un progetto che stiamo realizzando» annunciò, girandosi appena in tempo per vedere Lexie che si intrufolava nella classe. «Ma sicuramente non è questo il modo corretto di presentarsi in una classe, non è forse cosi signorina Blackett?» chiese lui scrutandola attentamente.
«Mi perdoni per il ritardo, professor Price, non ero a conoscenza di questo spostamento» si giustificò lei con voce delicata richiamando l’attenzione dei ragazzi. Indossava un semplice vestito bianco, lungo fino alle ginocchia, che le ricadeva morbido sui fianchi, ma era proprio quella semplicità a renderla bellissima agli occhi degli altri.
«Si accomodi pure, ma spero che questo sia il suo primo e l’ultimo ritardo. Riprendiamo la lezione ora; chi vuole avere l’onore di riassumere la precedente lezione?»
La ragazza, seppur imbarazzata e con la testa china, trovò un posto libero nell'ultima fila, tirò fuori il quaderno di matematica e cominciò a copiare gli appunti dalla lavagna.
«Biondina, ma che diavolo mi combini? Fare ritardo ad una lezione non è da te» le sussurra qualcuno all'orecchio tirandole ingiù la spallina del vestito e, facendola sobbalzare sulla sedia per lo spavento.
«Jack! Ti chiedo gentilmente di non farmi più questi inutili scherzi. Mi hai spaventata oltretutto» fece lei, spostandosi con la sedia per non essere infastidita dal suo amico.
«Lo so biondina, faccio sempre quest’effetto» se ne uscì fuori con un sorriso sornione, annullando la distanza imposta dalla ragazza. I capelli di Jack, seppur corti, continuavano a essere perennemente in disordine e gli occhi verdi contornati da un paio di ciglia lunghe avevano il perenne potere di farla sentire in colpa nonostante non avesse mai commesso nulla.
«Jack, non distrarmi per favore» fece lei, composta e sempre ben educata.
«Blackett e Jackson se non smettete immediatamente sarò più che felice di farvi fare una visita mattutina alla preside Rutherford!» annunciò il professor Price con occhiata che non ammetteva repliche.
«Prima fai ritardo alla lezione e poi ti fai rimproverare dal professore? Eh no, non si fa cosi, non puoi diventare una bambina cattiva già al secondo anno» continuò Jack senza prestare benché minima attenzione alla lavagna o ai suoi alcuni compagni che osservavano divertiti quel battibecco.
«Per favore, smettila Jack! Non riesco a seguire la lezione se continui a parlarmi in questo modo» sussurrò lei abbassando la testa per nascondere gli occhi e sempre in silenzio, raccolse il suo materiale dal banco e si alzò in piedi. «Dove credi di andare?» fece Jack afferrandole la treccia che le raccoglieva tutti i capelli e la fece cadere tra le sue braccia.
La ragazza seduta davanti a loro due si girò arrabbiata e fece il segno di stare in silenzio e aggiunse scorbutica: «Oppure ve ne andate!»
Lexie fece di si con la testa e guardò Jack che sorrideva divertito e le sussurrava sottovoce: «Oggi siamo un po’ scontrose? Hai il ciclo?» si girò e guardò il calendario dietro le sue spalle. «Eppure è troppo presto, non dovrebbe essere la settimana prossima?» la sistemò meglio sulle sue ginocchia e continuò a sussurrare: «Sono pronto a giocarmi i miei gioielli di famiglia ma sono sicuro che tu eri ben consapevole che la lezione si sarebbe svolta qui. Perché hai fatto ritardo?» chiese guardandola dritta negli occhi.
Lexie arrossì lievemente distogliendo lo sguardo da lui per accertarsi che il professore non li stesse guardando e poi disse: «Una delle gemelle, Alyx, mi ha bloccato nel bagno perché ho rifiutato il suo invito ad entrare nel gruppo e, quando finalmente sono uscita, si è divertita a buttarmi addosso delle uova con la farina» confessò abbassando la testa e nascondendo gli occhi ormai prossimi alle lacrime.
«Quella ragazza non smetterà mai finché tu non reagirai. Alyx è conosciuta per avere un forte carattere e non si lascia di certo influenzare dagli altri. Se non metti un limite, lei continuerà finché non uscirai da qui» prese la mano e le baciò il dorso, un gesto che aveva il potere di tranquillizzarla ma anche di farla arrossire come un pomodoro.«Credo che tu sia l’unica ragazza che arrossisce per un bacio sulla mano. Quando riuscirai a rispondere per le rime? Quando perderai il vizio di piangere? Uscita da questo inferno sarai una vecchia zitella con un corpo da stupro» fece lui, sempre a bassa voce per non essere di nuovo rimproverato dal professore.
«Smettila, voglio solo seguire questa lezione. Non chiedo nient'altro» disse Lexie, liberandosi delle braccia di Jack che la tenevano stretta a lui.
«Diventerò calvo il giorno in cui dirai le parolacce e scoprirai cosa voglia dire orgasmo. Quando capirai che questo mondo è pieno di schifezze e non ci sarà sempre Stephen a prendersi cura di te».
«Basta!» la voce di Lexie si alzò di un ottava e attirò di nuovo tutto l'attenzione su di se solo che questa volta lei scappò dalla porta senza voltarsi e dare spiegazioni al professore.
 
«Ti giuro che avevo perso quasi tutte le speranze di trovarti» annuncia una voce femminile dietro le spalle di Lexie. 
La pioggia continuava a battere contro i vetri mentre gli occhi di Lexie erano fissi davanti a sé, sul nulla. Dopo essere scappata dalla lezione di matematica avanzata, era andata a rifugiarsi sul tetto, il suo posto preferito: si era seduta sopra la panchina, riparata dalla pioggia, e continuava a pensare e guardare il vuoto.
«Amy» pronuncia Lexie il nome della ragazza che continuava a starle alle spalle.
«Indovinato». I capelli neri, tagliati fino alle orecchie, gli occhi azzurri e un timido sorriso ornava il volto della ragazza. «Sono qui a chiederti per la milionesima volta scusa. Alyx sta esagerando e non ha nessuna intenzione di smettere. Giuro che ho provato a dissuaderla dal tormentarmi ma lei continua ad ignorarmi» sussurrò, imbarazzata per il comportamento della sorella ribella.
«Non è colpa tua, tranquilla».
«Lexie? Che cosa ti succede?»
«Sono davvero cosi debole come gli altri mi descrivono?» Un singhiozzo silenzioso le scappa dalle labbra, inducendola a portarsi la mano davanti alla bocca. «Non voglio essere come gli altri mi descrivono. Non voglio essere debole» un altro singhiozzo «Non voglio» e senza riuscire a fermarsi prese a piangere come una bambina.
Gli occhi, pian piano, diventarono rossi e le guance bagnate. Non c'era più nessuna traccia di una ragazza serena e tranquilla, ora quella che si presentava davanti gli occhi di Amy era una ragazzina disperata. «Lexie, calmati, nessuno ha mai detto che sei debole. Tu sei intelligente e se vuoi puoi ottenere tutto quello che desideri grazie alla tua testolina intelligente» disse Amy, accarezzandole le spalle cercando invano di farla tranquillizzare. 
«Sono debole» sussurrò di nuovo Lexie, guardando il vuoto davanti a sé.
 

Nei giorni successivi..


La luna splendeva alta nel cielo, senza alcuna traccia delle nuvole che per giorni avevano nascosto il  tanto agognato sole, ma delle stelle non c’era alcuna traccia. Il cuore del college era avvolto dalle tenebre e non c'era anima viva che girasse per quelle aule ormai vuote e fredde, tranne che una persona. Lei stava percorrendo il corridoio per la terza volta in punta dei piedi, alla disperata ricerca del suo braccialetto; lo aveva perso quella stessa mattina ed era sicura che fosse da qualche parte in un angolo, nel lungo corridoio che separava la sua stanza e l’aula di economia, l’unica lezione che aveva avuto quella mattina.
«Dove sei finito?» chiese lei esasperata e stanca di cercarlo, ma non avrebbe mai smesso. Era un prezioso regalo che lei custodiva con massima cura e ancora non riusciva a spiegarsi come lo avesse perso. Riprese a camminare silenziosamente, con il cellulare in mano per fare un po’ di luce nella sua disperata ricerca.
Un leggero ticchettio si fece sentire sul vetro dell’edificio, cosa che la spaventò, ma poi, dopo alcuni respiri riuscì a calmarsi, pensando che fosse soltanto un uccellino che batteva il becco contro una delle tante finestre del college. Dopo qualche istante il rumore cessò e la ragazza si tranquillizzò maggiormente, ma quando un altro suono simile al spostamento della sedia si propagò per l’aule, lei si spaventò talmente tanto che senza rendersi conto andò a  rannicchiarsi in un angolo nascosto.
“C’è qualcuno al quarto piano. Vieni a prendermi per favore. Ho paura.” E prima che se ne accorgesse aveva già spedito il messaggio alla sua migliore amica.
Tremava contro la parete, spaventata e incapace di fare qualsiasi movimento, continuava a restare immobile in quel angolo nascosto dalla luce.
L’ennesimo rumore, una porta che si apriva e si chiudeva, la fece sobbalzare dallo spavento.
«Lo so che sei qui piccola peste. Ti ho vista entrare» disse una voce maschile in lontananza, ma nascosta talmente tanto dal buio che la ragazza non poté identificare né la persona né la distanza che li separava.
«Perché non esci alla scoperto?» chiese sempre la stessa persona. «Non mi piace giocare e poi, non ho tempo da perdere piccola peste» aggiunse lui spostandosi nel buio. «Quando ti ho visto la prima volta non immaginavo che fossi cosi bella, anche se dovevo aspettarmelo. Nonostante la tua bellezza mi sei sembrata subito un uccellino smarrito. Suppongo che non ti accorgi nemmeno di quello che ti succede intorno o almeno è quello che fai vedere: sempre cosi composta, mai un capello fuori posto e mai una parola cattiva contro quelli che ti fanno i dispetti».
«Alyx» sussurrò la ragazza, con le guance ormai bagnate.
«Ad esempio la gemella cattiva. Dio, amo il carattere di quella ragazza, nessuno riesce a domarla e nessuno le mette i piedi in testa. Tu sei la sua preferita credo, ama torturarti» una risata malefica si diffuse per tutto il corridoio. «Quella ragazza sarà la tua rovina se non la fermerai» disse la voce, avvicinandosi sempre di più, sempre più vicina a lei.
«Che cosa vuoi da me?» chiese la ragazza, spaventata da quella situazione quasi irreale. Perché quell’uomo la cercava e soprattutto che cosa voleva da lei?

«Non voglio niente da te se è quello che ti stai chiedendo» rispose l’uomo alla domanda muta di lei. «Mi sto solo guadagnando da vivere».
 

Ritorno al presente
 

Era l’undicesimo singhiozzo che usciva dalle labbra di Lexie. J.J. li aveva contati, uno per uno, cosi come le frasi che lei ripeteva ormai da un'ora. Sempre le stesse: "non farmi del male", "non è colpa mia", “lasciami andare”, mentre le lacrime continuavano a bagnarle le guance e il cuscino su cui si era addormentata.
Erano le cinque del mattino quando J.J., distrutto e stanco, si alzò in piedi e si vestì in silenzio, facendo meno rumore possibile perché svegliarla avrebbe significava rendere reale il suo incubo. «Questa volta ci sarò io al tuo fianco» sussurrò lui vicino il viso di Lexie, segnato dal dolore che provava in quell’incubo che continuava a rincorrerla. Un incubo che l’aveva cambiata per sempre. «Risolveremo tutto, anche questa cosa, biondina mia» aggiunse, baciandole la fronte come un genitore preoccupato per la figlia.
Con passi silenziosi raggiunse il divano dove dormiva Matthew. Lo osservò per qualche istante ricordando il giorno in cui lo aveva aiutato con la punizione di zia Kate: «Ti serve una mano con quei numeri?» gli aveva chiesto Matthew con un sorriso, per poi risolvere le equazioni.
La preside Rutherford era una donna con un grande cuore, ma anche furba come una volpe; non sceglieva mai una punizione a caso, conosceva tutti i suoi studenti cosi come i loro punti deboli. Jack Jackson era entrato in quel college perché i suoi genitori lo avevano minacciato: “Scegli: college con la possibilità di avere i soldi oppure la tua strada, ma senza un conto corrente” aveva detto sua padre quando lui si era rifiutato di andare a studiare fuori casa.
«Dove stai andando?» chiese Matthew, svegliandolo dal suo sogno ad occhi aperti.
«A verificare una cosa importante» fu la risposta di J.J. mentre prendeva il telefono dal mobile e si avviava verso la porta, ma prima di uscire disse: «Non lasciarla sola, per nessun motivo. Di te si fida anche se è difficile da credere visto il suo comportamento; non deluderla e non svegliarla». Chiuse la porta e negò ogni possibilità a Matthew di chiedere spiegazioni per quanto accaduto quella notte.
«Non farlo. Ti supplico» incominciò lei ad urlare e dimenarsi nel letto. Sembrava cosi impaurita che Matthew non riuscì a trattenersi dall’avvicinarsi. Si distese accanto a lei e l'abbracciò stretto a sé, accarezzandole le guance bagnate.
«Non voglio. No! Lasciami andare, non ti ho fatto nulla!» Altre lacrime cominciarono a scendere dagli occhi chiusi di Lexie, altri singhiozzi presero il possesso del suo corpo come se fosse sveglio e stesse semplicemente piangendo.
«Bimba, mi stai spaventando così» sussurrò lui, impaurito da quella situazione cosi irreale. Non conosceva il motivo di tanta sofferenza e ancora meno comprendeva le parole di J.J.; perché non svegliarla e far cessare quell’incubo che stava vivendo? Perché doveva lasciarla combattere per qualcosa a lui sconosciuto? «Shh, ci sono io qui con te, nessuno ti farà del male, mai più. Promesso Angioletto» cercò di calmarla, cullandola come spesso faceva con Rihanna, la sua piccola sorellina.
Dopo svariati minuti i singhiozzi cessarono e Matthew poté finalmente tranquillizzarsi, o almeno era quello che appariva agli occhi degli altri.
Rapito dal profumo di Lexie prese a osservarla, ammaliato da tutta quella bellezza; rara, quasi unica nel suo genere. I capelli biondi erano stati raccolti in una coda e successivamente legati in una treccia. Era stato J.J. a fargliela, mentre cercava di tranquillizzarla e farle sapere che lui era lì, al suo fianco e che niente e nessuno gli avrebbe mai fatto del male. Non più almeno.
Mosso da un desiderio nascosto prese ad accarezzarle la pelle, candida e morbida sotto il suo tocco che gli fece desiderare di avere più contatto. Di conoscerla meglio, di poter annusare i suoi capelli come lo stava facendo in quel momento.
Non la conosceva. Non conosceva nulla della ragazza che gli dormiva accanto eppure, per una strana ragione, in quel letto, accanto a lei, si sentiva bene. Come se fosse nel posto giusto e non accanto ad un’estranea che gli metteva soltanto i bastoni fra le ruote.
Prima del college la conosceva soltanto attraverso le foto appese al muro nell'ufficio di Sebastian Blackett. Diverse volte era rimasto ammaliato da quella bellezza, ma mai si era permesso di chiedere chi fosse e perché non l'avesse vista in giro.
Quando il padre di Lexie gli propose di diventare il suo braccio destro, sentì premere sulle spalle un enorme peso e nonostante ambisse a quel posto, rifiutò. Non intendeva rinchiudere la propria vita a soli diciannove anni in un ufficio, quindi decise semplicemente di finire la scuola e successivamente iscriversi in un college che lo avrebbe istruito a diventare qualcuno, qualcuno di importante che gli avrebbe permesso di mantenere la sua famiglia senza che nessuno dovesse compiere dei sacrifici.
L'inizio del college avrebbe segnato un nuovo inizio, una nuova vita dove avrebbe continuato con lo studio e nello stesso tempo con il lavoro: controllare le carte e verificare se ci fossero degli imbrogli negli affari di Blackett. Inizialmente era indeciso quale strada intraprendere, finché Sebastian ebbe la brillante idea di iscriverlo nello stesso college della figlia, "così la puoi anche controllare" aveva scherzato lui, mentre gli lasciava in mano la copia dei fogli già compilati e spediti alla George Washington University.
"Finalmente la potrò conoscere" era stato il primo pensiero di Matthew mentre entrava in quell'aula di letteratura.
«Ci mancava solo un altro coglione. Sarà uno di quelli intelligenti o solo l'ennesimo figlio di papà?» Aveva chiesto lei, incurante che il professore e la preside fossero solo a pochi metri di distanza e sentirla parlare in quel modo, la delusione prese il sopravvento su Matthew tanto da ignorarla per giorni e nonostante avesse cercato di ottenere una risposta a quel comportamento cosi fuori luogo, fallì miseramente più di una volta.
«Non lasciarmi da sola. Ho paura» sussurrò Lexie contro la pelle di Matthew provocandogli un brivido e risvegliandolo dai suoi pensieri riguardanti il passato.
«Che cosa stai sognando e cos'è che ti perseguita? La ragazza che non teme nulla è spaventata da un incubo?» chiese lui preoccupato, continuando ad accarezzarle la pelle e contro ogni logica e realtà immerse il naso fra i capelli della ragazza e inspirò a lungo.
L'odore della candida pelle di Lexie lo riportò a Chicago, alla notte che l'aveva avuta fra le sua braccia mentre piangeva disperata. Fu proprio quella sera che realizzò di non conoscerla minimamente; non era la ragazzina viziata che nascondeva il suo segreto al padre. Lei era molto di più. Indossava una maschera e mai si era mostrata per quello che era. Quindi, l'unica domanda che gli sorgeva spontanea era: chi era Lexie Blackett? Una ragazzina viziata? Qualcuno con il forte desiderio di farsi accettare dai propri genitori? No, non era nemmeno quello. Lei non desiderava l'amore dei suoi genitori, non le interessavano i soldi che aveva sul suo conto corrente e tanto meno i regali come le macchine costose da accettare come perdono. La ragazza che gli dormiva accanto era un'altra persona, una ragazza che amava il pericolo e che senza dubbio non aveva problemi a farsi del male o farlo a qualcuno per proteggere chi a lei caro.
 
Sbadigliando, Matthew si spostò dalla sua posizione turbando il sonno di Lexie in quanto disse: «Non farlo, non andartene e non lasciarmi sola» supplicò lei esercitando su di lui un terribile fascino nonostante fosse semplicemente addormentata. Prese ad accarezzarle il viso, le braccia, le spalle per poi scendere fino a toccarle le mani; cosi delicate che ignorare quella piccola cicatrice sopra il polso era pressoché impossibile.
Una ferita che con il tempo si era cicatrizzata tanto da rendersi invisibile agli occhi, ma non al tatto delle dita e non appena Matthew realizzò a cosa fosse dovuta, sgranò gli occhi e si sollevò di scatto. «Ma che diavolo» tracciò con le dita quella piccola ferita ormai "vecchia".
«Non tutti sono perfetti Matthew e io sono solo uno scherzo della natura» disse Lexie con gli occhi chiusi,  ritraendo la mano con la piccola cicatrice che fino a quel istante era in contatto con quella di Matthew.
«Che cosa stai dicendo?» fece confuso Matthew e ormai stanco di tutti quei segreti di cui conosceva solo l'inizio e mai la fine.
«Solo la verità» rispose a quel punto Lexie con un sorriso finto per poi guardarsi intorno confusa: «Dov'è J.J.?»
«Ha detto di avere delle questioni da risolvere»
«Lo ucciderò, stanne tranquillo. Dov'è il mio vestito?» domandò, portandosi la coperta fin sopra le spalle, ma vedendo l'espressione confusa di Matthew aggiunse sarcastica: «Vestito Matthew, ieri avevo un vestito. Sai cos'è vero?» con movimenti lenti e provocanti, fece cadere il lenzuolo e andò ad alzarsi, mostrandosi nuda se non per l’intimo di pizzo.
«Ah» fu l’unica cosa che disse Matthew, ammagliato dalla vista che gli veniva offerta dalla diretta interessata.
«Chiudi la bocca che mi sembri un poppante alle prime armi, non hai mai visto il corpo nudo di una ragazza?» scherzò lei, beffarda e con un sorriso compiaciuto.
«Lexie, per quanto io possa detestarti, non credo che il mio amico dei piani bassi pensi la stessa cosa del tuo corpo,» lei, sorpresa da quelle parole, spostò gli occhi sui pantaloni del ragazzo e vide un leggero rigonfiamento. «Poppante!» sussurrò la ragazza vicino il viso di lui, per poi spostarsi accanto l'armadio e indossare un paio di pantaloni del suo amico.
«Dove l'avrà messa?» scavò nell'ultimo cassetto delle magliette e prese la sua maglietta, lasciata settimane addietro quando ci aveva dormito da lui. «E questa da dove salta fuori?» chiede a se stessa ammirando incantata la camicia bianca appesa contro un'anta della porta.
«Ti piacciono le camicie?» chiese Matthew osservandola divertito «No, amico, io le amo!» esclamò lei prima di far comparire un sorriso a trentadue denti sulle sue labbra e indossarla.
Matthew continuò ad osservarla con un sorriso, soffermandosi sulle sue curve finché non fu rimproverato dalla diretta interessata: «La smetti di mangiarmi con gli occhi?»
«Certo che sei una ragazzina complicata e rompipalle. Che cosa credi eh?» fece lui, leggermente offeso da quella affermazione, ma nonostante quello non riusciva a staccare gli occhi dal suo corpo ormai nascosto da strati di vestiti.
«E se questa ragazzina provasse a sedurti?» sussurro lei a un millimetro dalle sue labbra, provocandolo.
«Vuoi giocare?» domandò Matthew, pronto ad accettare quella sfida, eccitato dal gioco che Lexie gli aveva appena proposto.
«Solo un pochino, sempre se non vuoi tirarti indietro». Lentamente e sensuale si spogliò della camicia, lasciandola cadere ai suoi piedi. «Sono anche brava con certi giochetti» disse allusiva, accendendo lo stereo e facendo partire una canzone in sottofondo.
«Di certo non sarò io a tirarmi indietro» annunciò Matthew, allungando le mani e posandole sui fianchi della ragazza che gli stava di fronte.
Inizialmente rimasero entrambi fermi, a osservare gli occhi uno dell'altra, affascinati e incantati finché lei non prese a muovere i fianchi e sorridere dolcemente.
«Come ti sei procurata quel taglio al polso?»
«Non ci arrivi da solo? Non serve un genio per capirlo». Portò le mani all'altezza dell'addome di Matthew per poi accarezzarlo con movimenti lenti e circolari.
«E perché di quel gesto tanto stupido?» le sussurrò all'orecchio, provocandole diversi brividi lungo tutto il corpo.
«Cose da ragazze, non credo tu possa capire» gli si avvicinò ulteriormente per baciargli il collo. Matthew rabbrividì al contatto con le labbra di lei ma cercò di controllarsi senza farsi scappare dalle labbra un gemito di piacere visto che il collo e l'orecchio destro è da sempre stato il suo punto debole.
Un sorriso radioso si disegnò sul volto di lei, mentre una dolce melodia si diffondeva in tutta la stanza. «Conosco questa melodia, di chi è?» chiese Matthew, lasciandosi cullare da quelle note.
«Non la puoi conoscere, è mia e non so nemmeno perché J.J. mi abbia registrata». Si spostò di qualche passo e portò le mani ai lembi della maglietta, «Vuoi continuare a parlare oppure vuoi giocare?» e dicendo ciò, sfilò l'indumento e lo buttò dietro di se.
Il tempo sembrò fermarsi mentre Lexie e Matthew, ormai persi nel respiro l’uno dell'altra, si scagliavano addosso per frenare quel impulso di avere le labbra dell'altro.
«Ancora» sussurrò Lexie contro la pelle di Matthew, impegnato a lasciarle un'umida scia di baci lungo il collo. «Continua» aggiunse non appena lui si fermò, incerto se proseguire quella lenta e meravigliosa tortura o fermarsi del tutto. Ma il desiderio ebbe la meglio, così, prese a baciarle lentamente la spalla per poi arrivare al seno, sorretto dal reggiseno. 
«Questo non serve più» sussurrò Matthew all'orecchio di lei, togliendole l'indumento e osservandola rapito. «Sei bellissima con questo colore». Le sorrise, accarezzandole le guance che si tingevano di un rosso intenso.
Lexie rimase in silenzio, ammaliata dal profumo intenso e buono che lui continuava ad emanare e dalle sue mani che si muovevano esperte sul corpo, per non parlare delle labbra: non avrebbe mai pensato che potessero essere cosi dolci e allo stesso tempo invitanti da farla fremere dalla voglia di continuare.
Le mani delicate e vogliose di Matthew andarono ad accarezzarle i seni liberi e le labbra, seducenti, cercavano quelle di lei per dar inizio ad un nuovo turbine di emozioni.
«Aah...» fece Matthew non appena Lexie scese a baciarlo sul collo, mordendolo e succhiandogli la pelle. Un sorriso le si disegnò in volto, sussurrando vicino il suo orecchio: «Ho appena scoperto il tuo punto debole» per poi baciarlo seducente.
Matthew non disse nulla, la prese soltanto in braccio e la adagiò sul letto, distendendosi sopra il suo corpo. Un sospiro di eccitazione uscì dalle labbra della ragazza non appena lui le fu sopra. «L’amico dei piani bassi non sa trattenersi» fece Lexie allusiva, sorridendo con le guance rosse.
«Non davanti un corpo del genere». Altri baci appassionati, altri gemiti di piacere uscirono dalle labbra di Lexie e di Matthew. «Ancora» sussurrò il ragazzo, preso dal momento e eccitato davanti il corpo della diciannovenne. «Sei il sogno proibito di diversi ragazzi».
«E il tuo?»
«Decisamente» prese a baciarle il collo, scendendo lungo la spalla e sorridendo come un bambino, prese ad assaggiarle il seno.
«Matthew no…» miagolò lei per poi gemere sotto i suoi tocchi.
«Ma che diavolo state combinando voi due?» domanda J.J., comparendo davanti a loro come se fosse un mago.
«Ma che cazzo?» chiese Matthew svegliandosi soprassalto, cosa che fece anche la piccola Lexie con gli occhi rossi e gonfi per la nottata passata a piangere.
«Svegliatevi! Non potete poltrire lì fino all'infinito» annunciò J.J. come se non fosse accaduto nulla.
I diretti interessati si guardarono a vicenda, ancora mezzi addormentati e confusi, ma quando i loro occhi si incontrarono, arrossirono entrambi come se fossero due adolescenti in calore alle prime armi che si svegliano nello stesso letto.
«Sono le quattro passate! Avete saltato le lezioni e la zia Kate vi ha convocati nel suo ufficio per la nuova punizione, ha detto anche che questa volta sarà esemplare e vi farà passare la voglia di saltare altre lezioni» comunicò l'amico guardando i due ragazzi che si osservavano a vicenda, rapiti dallo sguardo di uno dell'altro.
«Io non ho nessunissima intenzione di uscire da qui. Anzi, facciamo che non esco mai più da qui» annunciò Lexie, riportandosi le coperte fin sopra la testa per poi buttarsi nel letto. «Ora uscite dalla mia stanza e non rompetemi i coglioni» sbuffò Lexie, nascosta dalle coperte.
«Biondina, mettiamo in chiaro una cosa: la stanza è del sottoscritto quindi vedi di moderare i termini. Seconda cosa, dov'è finita la tua finezza e la voce da angioletto?» Tirò via le coperte e la scoprì del tutto.
«Tira giù il vestito che se no questo qui» indicò Matthew con la mano «si eccita troppo alla vista delle tue mutandine» e prese a ridere mentre Matthew diventava rosso e Lexie si affrettava a coprirsi. 
«Certo, perché tu no?» fu la domanda di Matthew a far ridere a crepapelle la piccola Lexie che si dimenava nel letto. «Forza J.J. sputa il rospo!»
«Traditrice!»
«Ti sei andato da solo a cacciare in questo guaio!» fu la risposta di Lexie mentre cercava di inventare qualche  storia immaginaria.
«Prima che questa qui se ne inventa una storia di sana pianta, te lo dico io!» si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò qualcosa di incomprensibile alle orecchie di Lexie.
«Tu invece non puoi rimanere qui dentro ed è il punto uno, il secondo punto è che le gemelle stanno arrivando e io non voglio avere niente a che fare con quella vipera di Alyx!» si sfogò J.J. guardando Lexie negli occhi.
«Chiedi a Matthew, lui è bravo a trattenerla» fece allusiva e cercò di riprendere la coperta che J.J. aveva buttato in fondo alla stanza. «Non voglio andare lì fuori, ho paura...» fece lei con voce tenera e gli occhi a cuoricino nel vano tentativo di convincere il suo migliore amico a lasciarla in pace.
«Anche io ho paura, ti tengo compagnia» fece Matthew sorridendo per poi abbracciarla e ributtarsi sul letto.
«Matthew! Non pensarci nemmeno e non allungare le mani!» ribadì J.J. guardandolo truce.
«Se riesci a persuaderlo a lasciarci in pace, mi lascio coccolare» fece Lexie con un sorriso rivolto a Matthew. «E in più non ti sfotterò per il rigonfiamento nei piani bassi. Promesso!» le scappò un sorriso malizioso.
Il suono del campanello distrasse i pensieri dei tre ragazzi mentre J.J. sbuffava e incrociava letteralmente le dita sperando che non fosse Alyx ad attenderlo fuori. Odiava quella ragazza e non comprendeva ancora il motivo di tanta amicizia con Lexie.
«Muovi quel culo, testa di cazzo! Non sono qui per te quindi apri questa dannata porta, Jackson!» la voce di Alyx riecheggiò per tutto il corridoio, facendo affacciare alcuni ragazzi degli altri dormitori. Nonostante il linguaggio scurrile, la ragazza era famosa per essere una delle Bunnies, ma la cosa che J.J. non riusciva a comprendere era come riuscisse ad essere attraente agli occhi degli altri maschi.
«Abbassa la voce mezza femmina! Qui è il mio territorio e vedi di…!» non fece in tempo a finire la frase ed aprire la porta, che Alyx lo prese per l'orecchio e lo trascinò fino al letto dove Lexie era ancora abbracciata a Matthew. Sembravano cosi intimi, quasi come se fossero fidanzati e innamorati uno dell'altro cosa che non passò inosservata agli occhi di Alyx. «E voi che diavolo state facendo?»
«Alyx chiudi il becco e lascia l'orecchio di J.J. prima che glielo stacchi» bofonchiò Lexie per poi alzarsi e sedersi accanto a Matthew, che era rimasto in silenzio fino a quel momento: «Mi sento peggio di quando sono ubriaco marcio. Posso avere qualche spiegazione adesso?»
«Ancora non te l'ha detto?» fece Alyx sorpresa da tutta quella indifferenza verso quel ragazzo dagli occhi meravigliosi. «In poche parole, Amy al secondo anno stava per essere violentata, ma Lexie e questo brutto finocchio» indicò il ragazzo accanto a se e poi riprese: «l'hanno salvata e hanno testimoniato, diciamo non il vero. Quel depravato è andato in prigione ma ora, non so per quale motivo è uscito. Quindi penso che la qui presente ragazza abbia paura di uscire per questo motivo» spiegò la rossa, lasciando in pace l'orecchio di J.J. e buttandosi addosso a Matthew senza preoccuparsi minimamente di Lexie che stava al suo fianco.
«Alyx alza il culo dal letto e chiudi la bocca. Chi t'ha detto che potevi parlare di questa cosa?» chiese Lexie severa, riservandogli un occhiataccia.
«Siamo permalose oggi?»
«Alyx stai zitta per una buona volta! La Ruthford vi ha richiamato e se non siete da lei entro dieci minuti sarete immediatamente espulsi. Ha già preparato le carte» annunciò Amy entrando nella stanza. A piccoli passi si avvicinò a Lexie e la abbracciò stretta a sé, quasi fossero state separate per diversi anni.
«Pensare che io sono la sorella e non mi ha mai abbracciato in quel modo!» sbuffò Alyx, mettendo il broncio.
«Risolveremo tutto anche questa volta» sussurrò Amy all’orecchio di Lexie.
 
 
Le stelle popolavano il cielo, manifestando la loro bellezza agli occhi di chi si fermava a contemplarlo.
La moto di Matthew emetteva il medesimo rumore, la potenza del motore e l'abilità del guidatore era la soluzione perfetta per essere un campione e quella sera, per la quarta volta consecutiva, lui sarebbe stato il vincitore, e lo sarebbe stato fino alla fine o almeno era quello che lui continuava a credere.
«L'Angioletto con le corna che fine ha fatto? L'ultima volta l'ho vista in tua compagnia fuori città» fece Scott, avvicinandosi ulteriormente alla moto di Matthew.
Scott era sempre stato un ragazzo sveglio: non correva per la paura di morire, ma questo non significava che non guadagnava dalle scommesse che venivano fatte. Affermava spesso che il colore dei suoi capelli, verde fosforescente, attirava l'attenzione e la simpatia, di conseguenza soldi per le scommesse. «Sono giorni che non la vedo, l'incidente con la moto le deve essere costato un occhio della testa» continuò lui, l'unico che non sarebbe mai passato inosservato nel cuore della notte.
«Costato? Non sei stato tu a dirmi che vinceva spesso prima del mio arrivo? Che cosa ne fa di tutto quel denaro?» chiese a quel punto Matthew, curioso e sorpreso dall’affermazione di Scott. Non né poteva più di tutti quei segreti; sempre all'oscuro di tutti quelli che lo circondano.
«Ecco io-io» balbettò Scott, diventando rosso in viso e incapace di pensare ad una sicura via di fuga che gli avrebbe concesso la libertà senza rivelare i segreti dell'Angioletto.
«Quando imparerai a tirarti fuori dai guai in cui ti cacci?» chiese una voce femminile conosciuta ad entrambi; un suono delicato che era in grado di conquistare chiunque lo udisse.
«Avevo detto io: se parli del diavolo questo poi compare» esclamò Scott sbuffando, scocciato ma al contempo felice di essere stato salvato dalla domanda di Matthew.
Angey si guardò intorno, osservando il panorama che la circondava, spaventata da qualcosa che si nascondeva nel buio, qualcosa di invisibile. Il vento che tirava per le vie oscure si innalzava e con esso anche i capelli rossi di Angey.
«Matthew» sussurrò lei, arricciando le labbra e sorridendo seducente. «Quanto tempo» si morse il labbro inferiore mostrando una ragazza seducente e sicura di sé.
Matthew rimase senza parole davanti a lei, soprattutto per il suo abbigliamento che consisteva in un paio di pantaloni neri, attillati e strappati in diversi punti, accompagnati da un bianco e un giubbetto che a malapena le arrivava all'ombelico, ai piedi invece, calzava dei tacchi che rendeva la sua figura più alta e slanciata. I capelli rossi erano raccolti in una treccia e le labbra, seducenti e provocanti, erano dipinte con il rossetto rosso.
«Dove sei stata in tutti questi giorni?» chiese Matthew, ancora ammaliato dal potere che Angey riusciva a scaturire.
«In giro» fece lei vaga con un alzata di spalle. Spense il motore del suo veicolo e scese silenziosamente. Da una busta tirò fuori delle converse e sorridendo le indossò, nascondendo i tacchi in una borsa.
«Questa è la quota per la partecipazione, sempre la stessa no?» gli mise nelle mani un rotolo di soldi e sorrise.
«Si, ma da dove arriva questa meraviglia?» chiese Scott stupito, riferendosi alla moto bianca parcheggiata dietro di lei. Angey si guardò intorno e poi di nuovo osservò il panorama che la circondava. L'ennesima domanda di Scott non ebbe nessuna risposta se non un'alzata di spalle.
«Chi ti sta seguendo?» fu Matthew ad attirare l'attenzione di Angey che lo guardò smarrita. «Continui a guardarti intorno. Hai paura di qualcosa?»
«Non ho paura. Scott, questa busta dovrebbe essere ricapitolata ad Amelia. Te ne puoi occupare tu, per favore?» gli passò una busta bianca e sorrise dolce, consapevole che lui avrebbe accettato.
«Non ci pensare minimamente! Questo mese non hai mai partecipato a nessuna gara» disse lui non appena esaminò il contenuto di quella busta e fece per restituirla. «Conosci Amelia e sono sicuro che anche lei è informata delle tue corse. Lei non li accetterà mai e poi mai».
Angey fece roteare gli occhi e sbuffò scocciata:  «Perché dovete sempre protestare e fare tutte queste storie? Dille di controllare la targa che trova scritta su una delle banconote in fondo alla busta» e annunciando ciò si rimise seduta in sella alla moto e andò a posizionarsi sulla linea di partenza che alla fine avrebbe stabilito il vincitore di quella sera.
 
L’alba arrivò in fretta così come la sua prima sconfitta.
Matthew White aveva perso quella sera, ma non aveva nulla da ridire quella mattinata. Voleva soltanto entrare nella sua stanza e chiudere gli occhi prima che la sveglia cominciasse a suonare e la sua punizione iniziasse.
Aveva quasi raggiunto la sua stanza quando una voce a lui conosciuta lo distrasse dai suoi pensieri. Lexie era seduta in un angolo, nascosta agli occhi indiscreti e piangeva in silenzio, o almeno era quello che cercava di fare.
Matthew rimase lì impalato per almeno una ventina di minuti, in silenzio, ad ascoltare il pianto della ragazza che continuava ad essere un mistero per lui. Non la comprendeva, ma cercava di conoscerla meglio con ogni nuova occasione che gli si presentasse.
«Si, buongiorno. Vorrei parlare con Sebastian Blackett. Gli dica che sono sua figlia, Angel Blackett» disse Lexie sottovoce, quasi avesse paura di farsi sentire. «Padre, sì sono io» un piccolo singhiozzo le scappò dalle labbra. «No, non è nulla, ma volevo chiederti se potevo iniziare quel progetto che mi hai assegnato. Non voglio più restare chiusa qui dentro» diede voce ai suoi pensieri.
«Cosa? No!» fece Matthew uscendo allo scoperto dal suo nascondiglio, ma quando posò gli occhi sulla ragazza che gli stava di fronte, rimase sconvolto.

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