La Cacciatrice

di Lilith9312
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pagine misteriose ***
Capitolo 2: *** Avvertimenti ***
Capitolo 3: *** Lo sconosciuto ***
Capitolo 4: *** Incontro di fuoco ***
Capitolo 5: *** Nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Pagine misteriose ***


“Marie, hai preso su tutto vero?”
“Sì, mamma.”
Ecco, questo era il rituale di ogni domenica pomeriggio. E come ogni domenica pomeriggio Marie era sempre in preda al solito attacco di panico. Era passato più di un anno da quando, per motivi di studio, era andata a vivere a Foursbury. Di certo il paese non era così lontano, e tornava a casa almeno ogni due settimane per stare con i suoi. Però ogni volta che doveva lasciare casa e ripartire provava quel senso nostalgico che fa un po’ male al cuore.
Una domenica come tante in fondo. Così diversa all’apparenza.
“Dai allora, sali in auto, che va a finire che perdi ancora il treno.”
“Mamma, cazzo, è successa solo una volta, e poi mica mi devi aspettare in stazione, tu puoi anche tornare a casa.” Marie odiava quando la madre stessa le metteva ansia. Si era sempre detta che a volte era così nei suoi confronti perché sotto sotto non aveva proprio il piacere che la figlia fosse via di casa. Però mettere ansia se già sei in uno stato emotivo alterato non aiuta: è come urlare contro a qualcuno che sta risolvendo un problema.
“Carico io questo”. Stephanie, la sorella di Marie era comparsa sulla porta, prendendo una borsa. Aveva cinque anni in meno di Marie, ma non si vedevano, in quanto le due erano alte uguali. Era anche più magra  e slanciata della sorella, aveva un fisico invidiabile, e lo sapeva. Si riconosceva a vista d’occhio in ogni caso che erano sorelle, come la gente aveva sempre fatto notare. Avevano gli stessi occhi, verde-nocciola cangiante, e il stesso colore di capelli cioccolato. Marie aveva però i capelli lunghi e mossi, e il volto in generale più ovale, con gli zigomi più evidenti. Stephanie portava un taglio corto, a caschetto, liscio, e un volto tondeggiante che stava da Dio con il resto del suo corpo.
“Stai attenta, c’è la mia vita dentro lì”
“Ma…è il pc!”
“Appunto”
Marie studiava alla scuola d’arte, o all’Accademia come piaceva chiamarla lei, anche se l’indirizzo che aveva scelto di seguire trattava di tutto tranne l’arte. Ma in fondo si poteva definire anche un videogioco qualcosa di artistico. Eh sì, perché Marie questo faceva: modellava e creava videogiochi. Non c’era quindi da spiegare il perché tenesse così tanto al computer. Il semestre era quasi finito e gli esami si stavano avvicinando, metà delle cose che gli servivano per superarli erano dentro quella borsa.
“Dai Marie, muoviti, saluta tuo padre”
Il padre di Marie era un uomo strano, che non centrava niente con la donna ordinaria che era la madre. Adorava l’esoterismo, e aveva letto un sacco di libri sulla magia, sull’occulto e sui fenomeni paranormali. Fin da quando era piccola lui le raccontava di queste storie, usando personaggi strani, e inserendoli in avventure del tutto pazzesche. Non c’era da stupirsi se Marie aveva sviluppato una grandissima immaginazione, cosa che sicuramente aveva fatto bene alla sua vena creativa.
“Ciao papà, ci vediamo tra due settimane”. Marie stringeva e baciava il padre che era rimasto sulla soglia ad osservare la scena. Lui non lo ammetteva, ma sentiva la mancanza della presenza della figlia in casa, e si commuoveva ogni volta che lei doveva ripartire.
“Mi raccomando, chiama appena arrivi, ok?” Anche quelle parole facevano parte del solito rituale.
“Certo papà”.
“Madonna Santa, Marie, muoviti a salire!” La madre ormai era già seduta in macchina e urlava dal finestrino aperto.
Senza aggiungere altro Marie si voltò, e salì in auto.
Doveva ogni volta farsi accompagnare alla stazione per prendere il treno. Il problema era che abitavano abbastanza lontani dalla città, il che allo stesso tempo era sempre stato motivo di vanto e svantaggio.
Sì, anche quel viaggio, seppur abbastanza breve, faceva parte del rituale: la madre che guidava urlando ogni tanto cose a caso, la sorella minore seduta nei sedili dietro con le cuffiette e la musica sempre troppo alta, e lei al posto del passeggero, che teneva la sua borsa tra le mani, guardando fuori dal finestrino il paesaggio correre.
Le dispiaceva sempre lasciare quel posto, perché era casa sua. Sì, a Foursbury aveva nuovi amici, aveva una nuova casa, aveva una nuova vita, una vita completamente sua. Ma niente era casa come la sua famiglia, e se ne era resa conto presto.
La madre aspettava sempre che Marie fosse partita in treno prima di tornare a casa dalla stazione, e la salutava dal binario, a volte rincorrendo il treno stesso con grande imbarazzo della figlia. Ma era un gesto di affetto e amore, e Marie lo sapeva e ne era grata.
“Marie mi raccomando stai attenta e chiama appena arrivi, ok?”
“Certo mamma!” Quella domenica pomeriggio era riuscita a trovare finalmente un posto a sedere nel vagone della seconda classe. Di norma non riusciva a prendere mai posto, ed era costretta a farsi tutto il viaggio in piedi o sedendosi in giro per il treno in modo un po’ barbonesco.
Ma quel giorno le era andata veramente bene ed era riuscita a sedersi, anche accanto al finestrino. Così se ne stava lì, sorridendo alla madre e alla sorella da dietro quel finestrino rovinato e sporco.
“Oppure manda un messaggio a tua sorella!”
“Mamma, ha capito, tranquilla!”
Stephanie cercava di tenere per il braccio la madre che si stava dimenando nel marciapiede. E il treno partì, e Marie potè vedere la madre ancora inseguirla salutandola per un po’, e poi fermarsi. Erano scene che facevano ridere chiunque, ma non lei, perché le facevano fin da subito provare nostalgia di casa. E non era ancora arrivata a Foursbury.
Era sicuramente meglio se si fosse distratta ascoltando musica e leggendo qualche libro. Aveva l’abitudine di prendere in prestito un libro dalla libreria del padre ogni volta che tornava a casa. E così aveva fatto anche quel fine settimana.
Tirò fuori il libro: “Il piccolo popolo” di un autore che non aveva mai sentito. Solo nella libreria di suo padre potevi trovare certi romanzi. Solo in quella libreria trovavi i testi più strani da leggere.
Marie guardò un attimo la copertina. C’erano disegnati vari folletti, alcuni gnomi, qualche fata, ma non erano disegni di bambini, bensì erano realistici, fatti proprio bene.
“Libro tipico di papà”
Iniziò a sfogliarlo. Era interessante, parlava di come creature come quelle del bosco potevano essere veramente esistite e potevano esistere tutt’ora. E c’erano varie tesi esposte a convalidare la cosa. Era sicuramente un ottima distrazione, quel libro.
Marie aveva preso dal padre la passione per l’occulto, per i misteri di tutti i giorni. A Marie piacevano le cose strane, e le sembrava impossibile che tutte quelle leggende, miti, storie fossero solo inchiostro su fogli bianchi. Doveva esserci un fondo di verità. Dovevano essere vere. Di certo no, non era leggendo quel libro che si sarebbe convinta dell’esistenza delle fate, ma era sempre alla ricerca di qualcosa di più di quello che tutti vedevano. Sì, Marie aveva preso dal padre l’essere strana.
“Scusi è libero?”
Una voce profonda e maschile l’aveva interrotta nella lettura. Marie alzò lo sguardo, trovandosi di fronte un uomo sulla quarantina, che spingeva un trolley.
“Sì sì, è libero” disse Marie cominciando a spostare le sue cose che aveva messo temporaneamente sul sedile reclamato dal signore per comodità.
“Grazie”
Marie stava già per rispondere un “ma si figuri”, quando spostando il libro fece cadere qualcosa, che fece un bel tonfo per terra. Guardò subito che era uscito dal libro del padre, prima non aveva di certo notato che c’era qualcosa tra le pagine, non ci aveva fatto caso, e adesso spostandolo era scivolato fuori.
Un blocco di pagine, pinzate tra loro e ingiallite dal tempo giaceva sul pavimento.
Marie le guardò un attimo perplessa prima di prenderle in mano, ma notando che la faccia del signore era perplessa quanto la sua, rimediò subito alla cosa raccogliendole.
Erano scritte a mano, in una scrittura quasi incomprensibile. Marie le teneva quasi nascoste mentre le sfogliava, come se ci fosse scritto sopra chissà quale segreto. Sembravano quasi un elenco di regole, per chissà cosa, con tanto di numerini e passaggi segnati. Più avanti alcuni fogli contenevano dei disegni strani, che sembravano usciti da qualche libro su rituali e magia.
Rimase lì a guardare quelle pagine così strane, per poi infilarle di nuovo nel libro.
Un messaggio fece suonare il cellulare, che Marie prese subito in mano.
“Mia madre mi ha chiesto che voglio fare da grande”
Era Jade, la sua compagna di corso e pure amica. Entrambe venivano da posti diversi, ma erano giunte alla stessa città per studiare. E avevano anche la casa vicina, così spesso si trovavano anche fuori da scuola, e si erano legate fin da subito.
“Rispondile come faccio sempre io”
“E cioè?”
“Voglio…cacciare demoni”
Marie ridacchiava spedendo quel messaggio, mentre la sua città era ormai un punto lontano fuori dal finestrino.

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Capitolo 2
*** Avvertimenti ***


“Ma ti è sembrato il caso?”
“Veramente…non capisco quale sia il problema.”
Haron si muoveva lentamente per la stanza fissando Marie con aria di circospezione. Il ragazzo dai capelli biondi e gli occhi scuri guardava la sua amica cercando di capire se stesse mentendo. I due si erano conosciuti circa un anno prima, frequentando l’Accademia. Haron era l’attuale ragazzo di Jade, il che aveva portato l’amicizia tra i tre a rafforzarsi ancora di più. Marie si era sempre chiesta come potessero i due stare assieme: Jade era un po’ come lei, giocosa, incasinata, con la passione per il disegno e per i videogiochi. Haron era un tipo molto più chiuso, serio, superbo a volte nei modi di fare, e che di arte non gliene fregava nulla.
“Sul serio non riesci a capire che potevi evitare di spedire quel messaggio a Jade, per non farla preoccupare?”
Marie aveva l’aria perplessa.
“Beh…veramente, era uno scherzo, lo sai anche tu, io scherzo spesso così…”
Haron adesso si era fermato nel centro della stanza, le braccia incrociate davanti sul petto, il tono serio.
“Jade si preoccupa sempre quando dici così, capisci? Crede che…” il ragazzo chiuse gli occhi tirando un sospiro. “Crede che tu voglia veramente fare quello che dici”
Marie scoppiò in una risata.
“Ma Haron…adesso, con tutta la buona volontà del mondo, la vedo molto dura per me cacciare veramente dei demoni!” La ragazza non poteva credere che la sua amica pensasse che fosse seria in quel messaggio.
Haron non cambiò espressione. “In ogni caso, te lo dico anche io: queste sono cose su cui non si scherza.”
Marie era senza parole.
“E te lo chiedo per favore, non tirare con Jade in ballo angeli, demoni e cose di quel tipo, intesi? Non voglio dover stare al telefono un altro pomeriggio cercando di calmarla e convincendola che tu scherzassi.”
“Come in realtà stavo facendo!” Marie era stupita della reazione dell’amica: se si fosse sentita turbata poteva anche dirglielo direttamente, non andare a riferire tutto a Haron per poi farle da messaggero. Poteva dirglielo subito, con un altro messaggio. E poi…veramente si era preoccupata per una cosa del genere? Come poteva credere che fosse seria?
“Tranquillo Haron, messaggio ricevuto. Parlerò anche io con Jade e le dirò che non c’è da preoccuparsi, che stavo solo scherzando, ok?” Marie aveva assunto un tono calmo.
“Molto bene, ti ringrazio Marie.” Sul volto del ragazzo era apparso il primo sorriso quella sera. “Ora vado, che è ora di cena, ci vediamo domani all’Accademia…An, un’ultima cosa: resta valido il mio consiglio di prima, non scherzare con queste cose.” Il ragazzo era ormai giunto alla porta e si era voltato indietro con fare severo. “Non sai mai cosa si potrebbe nascondere dietro e cosa potresti scatenare. Meglio evitare.”
Marie adesso aveva un’espressione più rilassata e sorrideva anche lei. “Certo Haron, promesso. Ci vediamo domani!” Detto questo Haron chiuse la porta dietro di sé e Marie rimase per un attimo a fissarla prima di tornare a fare le sue cose.
Veramente la credevano così stupida? Dire certe cose senza soppesare le proprie parole? Dio mio, era tutto uno scherzo, serviva per ridere un po’, di sicuro non doveva scatenare tutto questo!
Rimase lì immobile per alcuni secondi, poi qualcosa le balenò in testa. Si diresse subito in camera sua, e iniziò a frugare sul letto dove aveva depositato tutte le sue borse dal viaggio. Ed eccolo lì, quel libro che conteneva quelle cose strane.
In casa quella sera non c’era nessuno. Di norma alla domenica sera le sue due coinquiline erano sempre lì, ma si vede che avevano preso degli impegni per quella serata e sarebbero rientrate più tardi. Divideva l’appartamento per risparmiare. Dopotutto i suoi facevano già troppi sacrifici per mantenerla lì e pagarle l’Accademia, che aveva dei costi abbastanza elevati.
Aprì il libro. Sì, le pagine che le erano cadute in treno erano ancora lì, dove le aveva lasciate. Le sfilò delicatamente, osservandole e sfogliandole più da vicino.
In effetti c’erano dei simboli strani e delle scritte che sembravano quasi un elenco di cose da fare, degli appunti a lato, e il tutto rigorosamente scritto a mano. Alcune parole riusciva a capirle, altre invece erano cancellate, forse dal tempo stesso.
Doveva mettersi con calma a decifrarle, ne sarebbe valsa la pena. Marie aveva una specie di attrazione verso il mistero e il soprannaturale. Non aveva niente da fare quella sera, adesso sapeva come impiegare il suo tempo!

“Exsurgat Deus et dissipentur inimici ejus: et fugiant qui oderunt eum a facie ejus.”

Questa era la frase che colpiva nella prima pagina. Marie non sapeva nulla di quella lingua, ma non ci voleva chissà quale intuizione per capire che quello era latino.
Aprì la borsa che conteneva il suo computer, lo mise sulla scrivania e lo accese. Sicuramente una ricerca in Internet l’avrebbe aiutata non poco.
Digitò così quelle parole nella barra di ricerca, e si entusiasmò a vedere i risultati.

“Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano; e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano.” Questo era il significato di quella frase. Tratta da “Esorcismo contro Satana e gli Angeli Ribelli”.
Sì, il suo istinto non l’aveva tradita: quella sarebbe stata una serata molto interessante.

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Capitolo 3
*** Lo sconosciuto ***


“Ma insomma, non vuoi stare più attenta?”
Un lampo, un flash. Marie era lì, sul ciglio della strada. Davanti a lei l’autista incazzato che era appena sceso dal mezzo e la stava insultando.
“Questa è una corriera, non una macchina qualsiasi. Questa ti fa malissimo se ti viene addosso, lo capisci?”
Marie guardava l’uomo con aria perplessa. Era come se si fosse appena svegliata, e la sua mente stava connettendo solo in quel momento gli ultimi fatti avvenuti. Era come se fosse stata sotto l’effetto di un incantesimo e si fosse sciolto solo in quel momento. Insomma, non che lei avesse mai sperimentato una situazione del genere, ma pensava non fosse molto diversa in fondo.
“Ci vogliamo svegliare? La prossima volta ti potresti fare male!”
Eh sì, in effetti l’autista sembrava parecchio alterato.
“Sì, mi scusi, errore mio. La ringrazio per l’avvertimento.” Le parole di Marie dovevano sembrare molto decise, oppure doveva veramente sembrare agli occhi dell’uomo una pazza psicopatica, perché questo la guardò, fece tre passi indietro senza voltarsi, e salì di nuovo sul mezzo.
Marie abbassò lo sguardo. Aveva rischiato grosso. Dove aveva la testa in quel momento?
An già, stava ripensando a quei fogli, a quelle scritte. Nella sua mente aveva i ricordi di ogni cosa letta su internet, di ogni frutto maturato da quelle ricerche di una notte. Ma doveva sapere di più, doveva scoprire di più. Era sempre stata curiosa, e quegli scritti erano come una calamita adesso per lei.
“Cazzo, Marie, per caso hai sonno?” Era la voce di Jade, che nel frattempo l’aveva raggiunta e la stava spingendo da dietro verso l’Accademia.
“Sì, molto. Sono andata a letto tardi..”
“E come mai?” Dietro quella domanda così innocua era palese che si nascondesse una domanda più grande e diretta.
“Ma niente, ho chattato fino a tardi…”mentì Marie, ricordando le raccomandazioni che le aveva fatto la sera prima Haron “Jade, per quella cosa di ieri…io non..”
“Tranquilla Marie, Haron mi ha detto tutto. Sono stupida io che mi metto apprensione da sola.”
“Sì ma, Jade, adesso…come puoi pensare che così di punto in bianco io mi metta a cacciare demoni?” Marie aveva assunto un tono allegro “Voglio dire, non è come dire “vado a raccogliere le fragole nel bosco”, santo cielo!”
“Eh ma che ne so io! Tu puoi tutto, Marie!” Adesso anche Jade sorrideva, dando dei pugni scherzosi sulla spalla dell’amica.
“Magari fosse vero, adesso sarei a casa a dormire se sapessi come sdoppiarmi” Marie alzò gli occhi al cielo. La porta dell’Accademia dinanzi a loro era enorme rispetto le loro persone. Sapeva di solenne.
“Un giorno forse lo sapremo fare!” disse Jade, mentre apriva la porta e la teneva aperta per lasciare passare Marie.
“Forse sì, un giorno.”
Le due entrarono dentro la scuola, una struttura tanto antica all’esterno, quanto moderna e nuova all’interno. All’ingresso c’erano monitor che facevano vedere tutte le lezioni di quella giornata e relative aule, mentre a destra una tv grandissima faceva vedere gli avvisi e le variazioni di orari della settimana. In effetti anche solo la manuntenzione di quegli strumenti, era un motivo valido per pagare una retta così elevata.
Si ricordò la prima volta che ci entrò, in Accademia, quando dovette fare il test d’entrata, perché nonostante il prezzo, l’accesso non era garantito a tutti e anzi, solamente pochi passavano.
Per quello lei, ma anche le altre ragazze sue amiche, la chiamavano “l’Accademia”, per darle un nome regale e importante.
Si ricordò di quando quel giorno aveva incontrato il direttore: il test consisteva in un colloquio con lui, e lui e solo lui avrebbe deciso se potevi o meno frequentare quella scuola. Quando era entrata nel suo ufficio, il direttore l’aveva squadrata bene, dalla testa ai piedi. Marie ricordava ancora il terrore di quel giorno.
“Crede nella famiglia?”
“Scusi?” Marie era rimasta sconcertata da quella domanda.
“Chi frequenta questa Accademia, ovvero i suoi probabili futuri colleghi, diventeranno per lei una specie di famiglia, di cui potrà fare parte se passerà questo colloquio…quindi, rinnovo la domanda, crede nella famiglia?”
Marie ricordò che aveva assunto sicuramente uno sguardo perplesso. “Sì, ci credo”
“Molto bene, e crede nell’amore?” Marie dovette sgranare di molto gli occhi perché il direttore aggiunse “Lotterebbe per quello in cui crede e ama senza anche dover ottenere qualcosa in cambio?”
“Sì, credo di sì”
Il direttore rise. “No, non esiste “credo di sì”. Qui o si è certi, o quella è la porta signorina.”
“Sì, ci credo nell’amore”
“Molto bene…non ammettiamo persone che non abbiano voglia di lavorare e di accrescere le proprie conoscenze...lei è ambiziosa?”
Marie ci pensò un po’ prima di rispondere. Lei aveva un sacco di sogni nel cassetto, e frequentare quella scuola era come realizzare un sogno di tutta una vita. Era l’unica in classe sua che aveva scelto un ambito come quello, di arte unita all’informatica. Era l’unica che si entusiasmava vedendo delle opere digitali e che voleva con tutta sé stessa realizzare anche lei simili applicazioni.
“Sì, molto.” Ma non si fermò a quello “Lo sono, dato che per frequentare questa scuola sarò costretta ad allontanarmi da casa mia, dalla mia di famiglia, perché è una cosa in cui credo e che voglio fare con tutta me stessa. Sono ambiziosa, e voglio raggiungere ciò che mi sono prefissata, e se posso averne l’occasione, lotterò per farlo”
Le sue parole dovettero sembrare dette con una precisione e una determinazione quasi apocalittica, perché il direttore sorrise in maniera cordiale, come non aveva fatto fino a quel momento, la osservò ancora per qualche istante e poi aprì le braccia. “Bene, signorina, in questo caso è la benvenuta”
Ed era così in fondo che era iniziata la sua avventura all’Accademia, e ormai le persone al suo interno erano diventate veramente la sua famiglia, e si trovava benissimo come mai in vita sua. Si sentiva quasi a casa, e quando stava dentro quelle quattro mura non temeva nulla, e sentiva che aveva tutto il sostegno di cui aveva bisogno. E il rendimento scolastico naturalmente si vedeva.
Era felice, dopotutto: stava facendo quello che voleva, nel posto che voleva. Significava già molto per lei.
“Marie, vieni ho chiamato l’ascensore!”
“Arrivo!” Era rimasta ancora imbambolata davanti il monitor che trasmetteva adesso un cambiamento di orario di una lezione, mentre l’amica aveva già fatto i pochi scalini che conducevano all’ascensore.
“Eccolo!” annunciò Jade sentendo i rumori provenire dal vano dell’ascensore. In effetti la porta si aprì quasi subito davanti le due ragazze. Marie stava già per entrare quando si accorse che non era vuoto, ma che al suo interno c’era un ragazzo, con il cappuccio della felpa tirato sulla testa, come a nascondersi.
Passò di fianco alle due ragazze senza dire nulla. Nel muoversi però urtò la spalla di Marie che si girò, giusto il tempo per guardarlo in volto. Aveva gli occhi di un color nocciola, forse più chiari di quello che sembravano così nascosti nell’ombra dei capelli, e dei lineamenti molto pronunciati. Sembrava carino.
Anche lui si voltò a guardare Marie, ma fu solo un istante, e i due si scambiarono un’occhiata veloce.
Marie rimase lì ad osservare il ragazzo che si allontanava nel corridoio.
“Marie, dai cazzo! Sali!” Jade la chiamava da dentro l’ascensore ormai, aspettando l’amica per premere il bottone del quarto piano.
Marie si voltò di scatto e raggiunse l’amica.
“Va bene il colpo di fulmine, ma insomma, diamoci comunque una mossa che siamo in ritardo per la lezione…lo sai che il professore ci tiene alla puntualità”
Marie sentiva le parole di Jade in modo distante, mentre continuava a pensare a quel ragazzo.
“No non è colpo di fulmine, Jade, solo che…è strano”
“Cosa è strano?”
“Quel ragazzo, il suo sguardo, il suo atteggiamento, la felpa tirata su in quel modo, quasi per nascondersi e poi…l’hai mai visto tu a scuola? Qui conosciamo tutti e tutti ci conoscono, e io non lui proprio non lo conosco!”
“Marie…hai dormito veramente troppo poco! Senti che discorsi fai! Mica ci deve essere per forza qualche complotto dietro ogni cosa eh!”
Marie abbassò lo sguardo pensierosa. “Sì, forse hai ragione.”
Ma nella sua mente riviveva quei momenti, cercava di darsi delle spiegazioni, ripensava a quegli occhi e a quel ragazzo così strano, mentre la porta dell’ascensore si apriva al quarto piano.

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Capitolo 4
*** Incontro di fuoco ***


Si raccontavano strane storie su quel posto. Marie era sempre rimasta affascinata quando qualcuno le raccontava di qualche episodio riguardante il Nexus Pub, o di qualcosa successo al suo interno o alla gente che lo frequentava. E poi lei e le sue compagne avevano iniziato ad usarlo come ritrovo serale, dato che era vicino alla casa di tutte, e che non ci impiegavano più di dieci minuti a piedi a raggiungerlo.
Anche quella sera si erano messe d’accordo per trovarsi lì. Marie era arrivata per prima al locale, e come avevano prefissato, avrebbe aspettato le amiche al solito tavolino in fondo nell’angolo.
Non c’era molta gente quella sera, e il pub aveva un atmosfera particolarmente cupa, con quelle luci soffuse alle pareti di pietra e i tavoli in legno di mogano.
“Ma salve Marie! Cosa ti posso portare?” Jona sbucò all’improvviso davanti a Marie, un vassoio in un mano e un canovaccio nell’altra, aveva una camicia a quadri azzurra che sembrava messa apposta per far risaltare il colore dei suoi occhi. Jona lavorava lì da poco più di due mesi, motivo per il quale la ragazza andava spesso in quel locale a trovarlo. I due erano amici ancora prima che Marie andasse a vivere a Foursbury: Avevano fatto la stessa scuola elementare, poi Jona si era trasferito lì, mentre Marie era rimasta nella sua città. Ma avevano iniziato a sentirsi di nuovo quando la ragazza era stata accettata all’Accademia.
“Jona! Che bene che stai oggi!” Marie non stava scherzando, Jona era un ragazzo veramente carino, con quegli occhi azzurri e quei capelli così chiari. Aveva i classici lineamenti da ragazzo attraente. E non aveva la ragazza, cosa di cui Marie si chiedeva spesso il perché.
In realtà Jona aveva dimostrato simpatia per Katy, l’altra sua amica. Katy e Marie si erano conosciute il primo giorno di scuola: entrambe erano spaesate all’interno dell’enorme aula e si erano avvicinate, proprio così, per supporto, per non essere sole in quel mondo nuovo. Ma poi da questo era nata una bellissima amicizia e ormai erano le compagne di idiozie, e rallegravano qualsiasi momento un po’ smorto.
“Hai visto? Solo perché sapevo che saresti passata a trovarmi” Jona aveva un sorriso splendente, non c’era proprio niente da dire. “Stai aspettando le tue amiche?”
“Sì, esatto, ma come al solito io sono la prima. Hai da fare adesso?”
“No, non c’è molta clientela, posso sedermi qui con te!”
“Allora accomodati” Marie fece un enorme sorriso e si sistemò meglio sul divanetto. “Che mi racconti di bello?”
Jona rimase un attimo in silenzio alzando gli occhi in alto con fare pensieroso. “Dunque…beh, a quanto pare il capo mi darà un aumento di stipendio: dice che sono bravo nel mio lavoro.”
“Ma è una cosa stupenda!” lo interruppe Marie allegra. “Se prendi un po’ di soldi in più puoi anche cominciare ad arrangiarti su tante cose, le uscite, comprare quello che vuoi, ti gestisci da solo… insomma, è bellissimo ed è meglio per te!”
“Sì, e posso anche offrirti qualche volta da bere!” scherzò Jona.
Marie rise dando uno schiaffetto leggero al ragazzo “Cosa stai dicendo, sciocco! No, sul serio, sono un sacco felice per te! Spero anche io finita l’Accademia di riuscire a trovare subito qualcosina, così tanto per iniziare…”
“Marie! Scusami! Lo sai che la puntualità non è il mio forte!” Jade entrò nel locale, nominando il nome della ragazza ad alta voce, e facendo voltare le poche persone presenti all’interno ad osservare la scena. “Oh non volevo disturbarvi, sia chiaro!” disse guardando prima l’amica e poi il ragazzo, e spostando lo sguardo prima su uno e poi sull’altro.
“Tranquilla, io devo tornare a lavare le stoviglie adesso, anche se mi tratterrei a parlottare ancora, lo ammetto!” Jona si alzò prendendo il vassoio e il canovaccio di nuovo in mano con un sorriso smagliante, per poi dirigersi verso il bancone.
“Marie, è carino lui!” Jade aveva preso posto accanto a Marie sul divanetto e le si era avvicinata all’orecchio per sussurrarle quelle cose.
“Jade, Jona è solo un amico, non ti preoccupare, dico davvero. E poi chi vuoi che verrebbe dietro a…”
“A una come me, che non vuole nessuno, perché io sono fredda, non so dare affetto, eccetera eccetera…” la interruppe Jade imitandola nella voce e gesticolando qui e lì con le mani “…giusto?”
“Beh, non era quello che volevo dire adesso ma…”
“Eccovi! Subito non vi avevo viste! C’è il paravento davanti…aspetta, da quando c’è un paravento qui?”
Katy era arrivata. Adesso c’erano tutte.
“Ma che ne so…” Marie, dopo aver salutato l’amica appena giunta, si era alzata in piedi ed era andata a spiare oltre il paravento. In effetti, non ci aveva fatto caso prima, ma non si ricordava di aver mai visto un paravento in quel punto. Era nuovo forse? Diresse lo sguardo verso Jona, come per avere una conferma, ma il ragazzo era occupato a servire dei clienti. Dietro di lei Jade e Katy erano già immerse nei loro discorsi e non le badavano più di tanto. Guardò un’altra volta il paravento, e questa volta lo scostò appena. Trattenne il fiato.
C’era un ragazzo seduto a quel tavolino, girato verso di lei, e indossava una felpa che lei aveva già visto, ne era sicura. Aveva le braccia incrociate sul tavolo, e i capelli coprivano buona parte del suo volto. Sembrò che avesse notato Marie, perché alzo il viso indietro, scoprendo gli occhi e il viso. Eh sì, era proprio lo stesso ragazzo dell’ascensore, adesso era del tutto evidente e non ci potevano essere dubbi. E stava guardando Marie.
Marie ritrasse lo sguardo e fece due passi indietro dal paravento.
“Marie, l’abbiamo finita di osservare la gente a…”. “Caso” voleva dire Katy dietro di lei, ma non fece in tempo, perché la sua voce fu coperta dal suono delle sirene dei vigili del fuoco che passavano per strada.
“Dovete uscire immediatamente, l’edificio qui accanto sta andando a fuoco!” Un tale era entrato di corsa, il suo volto sudato nascondeva un espressione di terrore. Aveva abiti da lavoro ed era visivamente in preda al panico. “Forza, uscite, non è sicuro qui” diceva facendo cenni con le mani e girandosi intorno come per farsi ascoltare da tutti.
“Merda!” le due amiche si alzarono di colpo e seguirono il consiglio dell’uomo, e si diressero verso l’uscita. Marie stava facendo lo stesso, quando passò di fianco al tavolo dove era seduto ancora il ragazzo, che, come se non avesse sentito nulla, stava sorseggiando qualcosa che aveva ordinato.
“Dobbiamo uscire!” gli urlò contro Marie. Di risposta il ragazzo la guardò negli occhi: era uno sguardo gelante, di quelli che pietrificano come pochi. Si alzò senza dire nulla, e poi corse verso l’uscita.
Marie rimase immobile un secondo. Poi qualcosa nella sua mente scattò, e lo seguì. Appena fuori dal locale fu subito invasa dal fumo e dal colore arancione delle fiamme. Si guardò attorno, le sue amiche erano appena oltre la siepe e guardavano il vecchio palazzo con espressioni sconvolte. Marie si guardò un attimo in giro prima di individuare il ragazzo, che stava correndo verso l’edificio in balia del fuoco. Che cosa stava facendo? Era pazzo?
Non ci pensò due volte, e lo seguì ancora. Il ragazzo passò sotto un portico, ignorando le transenne, ma nessuno si accorse della sua presenza dato il caos che si era scatenato lì fuori. Marie lo seguì correndo, in silenzio. In che genere di casino si stava andando a cacciare? Eppure la curiosità era tanta…
Arrivò ad una specie di giardino pensile. O almeno era quello che credeva. Era tutto buio, e i dettagli che riusciva a vedere era solo grazie alle fiamme che rischiaravano l’ambiente come fossero vicini ad un falò. In effetti non era così sicuro stare lì, mentre alcune piante intorno stavano già andando a fuoco. Marie sentiva le voci dei vigili del fuoco provenire dall’esterno.
Il ragazzo era lì, al centro di quel posto, a braccia aperte davanti ad un albero più grande di altri che stava bruciando.
Marie gli arrivò vicino, da dietro, voleva trascinarlo via da lì, era pericoloso, ma appena si avvicinò si accorse che c’era qualcosa che non quadrava. In effetti quello non era un albero, e no, non stava bruciando, cioè sì, bruciava, ma non si consumava, era come emettesse lui stesso fuoco.
“Avanti, credi forse di farmi paura?” la voce del ragazzo era ferma, costante. “Credi veramente che mi lascerò intimidire?”
Gli ultimi dubbi rimasti a Marie sul fatto se fosse o meno un albero quella cosa furono spazzati via quando lo vide muoversi e sentì nella sua testa risuonare delle parole, come se fosse lui a dirle.
“Tu no…lei sì.” la voce era cavernosa, grottesca, e suonava minacciosa.
Il ragazzo si voltò appena, giusto per vedere Marie dietro di sé. “Che cazzo ci fai tu qui, vattene, non è posto per te!” i suoi occhi sembravano brillare di arancio.
“Non bastava uno, ben due Cacciatori… buono a sapersi.”
“Cosa?” Il ragazzo fece un espressione sorpresa. Quella cosa strana che bruciava approfittò della sua distrazione per cercare di colpirlo, ma lui se ne accorse in tempo, e la evitò rotolando di fianco e tirandosi subito in piedi. Marie era sconvolta da così tanta agilità.
Il ragazzo prese dalla cintura due oggetti che si aprirono a semicerchio, diventando delle armi che Marie non aveva mai visto, ma che sembravano comunque molto pericolose. Ne impugnò una per mano.
“Ora ci divertiamo!” e lo disse con tono beffardo. Poi scattò in avanti, colpendo quelle che sembravano le braccia di quella cosa in fiamme, e facendole cadere per terra. La cosa indietreggiò. Il ragazzo fece una mezza piroetta come per caricare il colpo, per poi scattare velocemente su di essa con il braccio destro conficcando l’arma fino al suo interno, e tranciandola a metà.
“Pa…gherai”. Questa fu l’ultima cosa che sentì Marie prima che quella cosa urlasse di dolore nella sua mente, per poi lasciare il posto al silenzio. No, non c’era silenzio, sentiva le voci dei vigili del fuoco sempre più vicine.
“Andiamo!”. Il ragazzo le era apparso di fianco e la stava strattonando via per il braccio, verso l’uscita.
“Cos…cos’era quello?” Marie non riusciva a trovare le parole.
“Un demone.” disse il ragazzo tranquillamente sorridendo .
Marie cominciava a sentire il passo pesante, il calore in quel posto stava aumentando e la sua testa cominciava a pulsare in modo incredibile.
“Io…”ma non riuscì a completare la frase, perché sentì le sue forze venire meno. E svenne così. In mezzo a quell’inferno, sentì il freddo del ghiaino sulle mani e sul volto, e la vibrazione dei passi degli uomini diventare più forte a mano a mano che si avvicinavano a lei. E delle parole risuonavano nella sua mente.
“Ci incontreremo ancora.”

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Capitolo 5
*** Nuovo inizio ***


Marie andava in cerca delle sue cose per casa: mancava pochissimo e non era ancora pronta. Il padre aveva già preparato l’auto, e aspettava solo che la figlia finisse con la valigia per caricarla nel bagagliaio.
“Papà, dove sono le scarpe?”
“Fuori, sullo stendino. Le ho messe io così prendevano un po’ d’aria.”
Marie uscì di casa. Era un pomeriggio nuvoloso, ma non troppo, e tirava un po’ di vento. Casa sua era immersa completamente nel verde del bosco che la circondava. E fu proprio in quel verde che la ragazza la notò: una figura, bianca, senza volto, se ne stava immobile poco distante da lei, nascosta parzialmente da una pianta. Marie la guardò incuriosita per qualche istante senza capire cosa fosse. L’ombra chiara dovette accorgersi della ragazza perché, anche se non aveva occhi né volto, sembrò guardarla, e cominciò ad avanzare verso di lei. Marie fece qualche passo indietro spaventata fino a calpestare qualcosa.
“Papà, lo vedi anche tu? Cos’è quello?”
Il padre aveva appoggiato le mani sulle spalle della figlia, e guardava nella direzione della figura.
“Io no, ma è normale. Non tutti le vedono. E’ un’ombra, Marie. Non darle attenzione, e lei non ti farà nulla. Devi ignorarla.” La sua voce aveva un qualcosa di rassicurante, e Marie fece come aveva detto il padre. Non pensò all’ombra. Non pensò a nulla. La figura volse la testa e cambiò completamente direzione, tornandosene da dietro la pianta da cui era sbucata. “Ce ne sono tante in giro?”
“Oh, sì, Marie. Il mondo ne è pieno. Ci sono ombre bianche, come quella che hai appena visto, che sono le più facili da gestire, e poi ci sono le ombre nere, che sono violente, e possono essere molto pericolose. Ma queste sono cose che imparerai…”
“Come? Come faccio ad imparare?”
“Te lo insegneranno, quando sarà il momento. Tu non ti preoccupare, e attendi.” Marie ascoltava le parole del padre con molta attenzione, anche se non era convinta di aver compreso fino in fondo.

Di colpo un tuono, e un fulmine squarciò il cielo grigio sopra di loro. Eh sì, stava arrivando un bellissimo temporale.
Marie aprì gli occhi: il soffitto sopra di sé era bianco, quasi brillava. Dalla grande finestra alla sua destra arrivava il rumore della pioggia, e ogni tanto si poteva sentire il rombo di un tuono in lontananza. Si trovava distesa su quello che sembrava un letto di ospedale. Alzò appena la mano destra, notando che aveva il bracciale identificativo di soccorso. Come era finita in ospedale? Poco prima era là, in quel giardino, quella cosa le aveva parlato, e il ragazzo….quel ragazzo, che fine aveva fatto?
“Non si preoccupi, penso a tutto io. Lei mi faccia avere i documenti, e poi al resto penso io. Prendo io in custodia la ragazza.” Un uomo entrò nella stanza, e Marie l’aveva riconosciuto dalla voce ancora, sebbene non ci avesse parlato che una volta in fondo.
“Direttore…io…”
“Ecco, deve solo fare una firma qui. Magari ci fossero più persone come lei, Signor Key. Non conosco molti come lei pronti ad assumersi tutte le responsabilità per la salute dei propri studenti.” Un’infermiera piuttosto vecchia era entrata nella stanza. “Marie è fortunata”, disse guardando verso la ragazza che non stava capendo niente o quasi.
“Perfetto, la ringrazio!” Il Direttore aveva già firmato e riconsegnato la penna all’infermiera. Poi aspettò che questa fosse uscita per voltarsi verso Marie. “Riesce a camminare, no?”
“Io…sì…” Marie era sempre più confusa.
“Molto bene, allora andiamo. Andrè ci aspetta già in auto.” Il Signor Key fece un sorriso cordiale, poi si alzò in piedi e prese la ragazza sotto braccio per aiutarla. Marie non disse nulla, ma mille pensieri si stavano formando nella sua testa, uno dietro l’altro.
“Ecco, salga.” Il Direttore le aveva aperto la portiera dei sedili posteriori di una BMW nera, una gran bella macchina. Il posto del passeggero era occupato, da un ragazzo…
“Tu?” Marie era visivamente sconvolta. Il ragazzo non si voltò nemmeno, e guardò Marie tramite lo specchietto. I suoi occhi brillavano adesso che non erano nascosti da capelli o da cappucci di felpe.
“Lui è Andrè.” Il Direttore nel frattempo aveva preso posto al volante. “E’ grazie a lui se adesso non è ancora su un letto di ospedale. Ha insistito tanto per lei…quindi ne sei proprio sicuro?” disse rivolgendo la domanda ad Andrè. “Sicurissimo.”
“Lo sai che in condizioni particolari chiunque riesce a vedere e ad interagire con Loro. Inoltre sono degli ottimi burloni…potrebbero averti preso in giro.”
Tramite lo specchietto Marie vide Andrè fare un sorriso ambizioso.
“Ne dubito...quel demone era sorpreso almeno quanto me della presenza di un altro Cacciatore. Non può aver mentito nelle condizioni in cui si trovava.”
“Tutto è possibile, ricordatelo. Tuttavia lo ammetto…è alquanto strano. Come è strana un’affermazione del genere…non ha senso, non ha i segni, non…”
“Magari sono stati cancellati. O sono stati nascosti, mimetizzati. Oppure…”
“Io sono qui…”disse con una voce flebile e timida Marie, come per ricordare la sua presenza.
Il Direttore sorrise guardando Marie negli occhi. L’uomo, sulla cinquantina d’anni, sembrava una persona completamente diversa da quella che aveva conosciuto Marie al colloquio: tolta qualsiasi etichetta formale, quello che si presentava adesso davanti a lei era un uomo spigliato, di certo colto, e con quel fascino che solo alcuni uomini di quell’età potevano avere. Estrasse una sigaretta dal taschino della camicia e se la portò alla bocca. Aprì il finestrino, accese la sigaretta e cominciò a fumare.
“Quindi, sembra proprio che abbiamo un’altra Cacciatrice qui con noi. Il destino a volte mi sorprende in maniera…strana. In te, me lo ricordo, avevo visto sicuramente moltissimo potenziale, ma non così particolare. Mi hai sorpreso Marie, lo ammetto. Ne puoi andare fiera.” Fa una piccola pausa aspirando dalla sigaretta “Marie, bel nome…ti dispiace se ti dò del tu?”
“No, ma…io non ci sto capendo più nulla.” Marie si sentiva spaesata e imprigionata in quell’auto, e sicuramente il suo primo istinto sarebbe stato di fuga.
“Capirai tutto, te lo garantisco” Il Direttore aveva un’aria soddisfatta. “Ma prima dobbiamo accertare la tua appartenenza o no ai Cacciatori. Poi, qualsiasi spiegazione sarà un tuo diritto.”
Fece un altro tiro dalla sigaretta che teneva tra le dita della mano sinistra, per poi gettare il mozzicone fuori dal finestrino. Andrè, al suo fianco, guardava fuori dal finestrino sostenendosi il mento con il braccio.
“Ci siamo”
Davanti a loro le mura dell’Accademia si protraevano verso il cielo, e Marie lo capì subito: da quel momento, tutto sarebbe cambiato.

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