And then, we must go on...

di Liy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trusting ***
Capitolo 2: *** To break like time ***
Capitolo 3: *** Uncovered ***
Capitolo 4: *** Beyond ***
Capitolo 5: *** Chocolate Cake ***
Capitolo 6: *** The Truth in a Nightmare ***



Capitolo 1
*** Trusting ***


Premessa: Questa Raccolta di One-shot sarà incentrata sul Pairing AreRina (AllenxLenalee), ma compariranno anche gli altri personaggi a volte sebbene non avranno molto rilievo nella trama.

Ho messo "Spolier!" negli avvertimenti perchè questa raccolta parte proprio dal finale della 167esima Notte, anche se (per ora) verranno fatte solo delle allusioni riguardo la trama dei capitoli più recenti.

Il rating dell'intera raccolta è Arancione perchè nei prossimi capitoli diventerà più alto, quindi ho voluto inserirlo sin da subito così.

Ultima cosa: questa raccolta sarà composta da cinque one-shot sicure (3 sono già belle che fatte, o quasi) e forse da una sesta, però per questa non vi assicuro nulla.

Ora vi lascio alla lettura! E recensite!

Trusting

 

Si rigirò nel sonno, agitata, finché non cadde dal divanetto.

“Ouch…”

Si rialzò pian piano, cercando di non fare rumore, ma ormai la frittata era fatta.

Un’ombra si mosse nel buio e si accese improvvisamente una luce, illuminando il volto del compagno che le stava accanto.

“Lenalee… sei caduta?”

La debole fiamma della candela faceva risplendere in modo particolare quei capelli bianchi e, anche sotto quella luce fioca, Lenalee non potè non ripete ciò che aveva pensato prima. Ha qualcosa di diverso.

“Scusa, Allen-kun… ti ho svegliato.”

Il ragazzo le sorrise, porgendole la mano. “Non importa, tanto non dormivo.”

La aiutò ad alzarsi, facendola sedere accanto a sé.

“Perché non dormivi?”

Lo chiese a bruciapelo. Sapeva che non le avrebbe detto la verità, che avrebbe inventato qualche scusa che a lui pareva abbastanza credibile.

“Stavo pensando…” iniziò, diventando improvvisamente serio, “… cioè, questo posto è enorme! Chissà come saranno le nostre stanze nuove!”

Abbozzò un sorriso, falso come le parole che aveva appena detto e si appoggiò allo schienale del divanetto, guardando in alto. Non l’ho convinta.

“Allen-kun, se non vuoi dirmelo non importa, però… voglio solo che tu risponda sinceramente a questa domanda: stai bene?”

Il ragazzo sembrò pensarci un po’, senza guardarla.

“Si…”

“Allen-kun… guardami negli occhi mentre rispondi. Stai veramente bene?”

Si voltò verso di lei, deglutendo. Non era mai stato bravo a mentire mentre guardava una persona negli occhi, gli si leggeva in volto che era falso.

“Allen-kun…”

“Io…”

Abbassò lo sguardo, incapace di sorreggere il peso di quegli occhi tanto preoccupati ed interrogativi di lei.

“Cos’è successo, Allen-kun?”

L’apprensione nella sua voce era quasi palpabile.

“Lenalee…”

Le sorrise, sperando che quel gesto avrebbe dissipato i suoi dubbi, in qualche modo. Non voglio. Non voglio dover rispondere a questa domanda. Almeno, non ora…

Il ticchettio della pioggia all’esterno delle spesse mura diventava sempre più debole; finalmente quel diluvio era giunto al termine.

“Allen-kun, perché non vuoi parlarmi? Lo sai che a me…”

“Lenalee, io a te direi tutto. Non è per una questione di fiducia che non voglio risponderti, non lo faccio semplicemente perché non sopporterei che i tuoi atteggiamenti nei miei confronti cambiassero.”

Di nuovo quell’espressione, quasi di triste rassegnazione.

Lenalee lo conosceva da abbastanza tempo per capire che qualcosa non andava, che qualcosa doveva averlo cambiato. Però, se lui non parlava non poteva in qualche modo aiutarlo.

“Dai, torna sotto le coperte…”

Allen la coprì, proprio come aveva fatto qualche ora prima. Era sempre stato un Gentleman nei suoi confronti; con Lavi scherzava e ogni tanto avevano pure litigato, con Kanda si azzuffava sempre… ma con lei, soprattutto dopo l’incontro con Road nella città del Riavvolgimento, si era sempre comportato come un vero signore. La sorreggeva nei momenti di difficoltà, le dava qualcosa in cui credere quando sembravano perse tutte le speranze e rischiava la vita per salvarla. Era sempre stata “coccolata” da quasi tutti i membri dell’Ordine perché era cresciuta lì, perché aveva perso i genitori e perché era l’unica ragazza in un mare di uomini, ma lui con la sua gentilezza la spaesava. Era talmente buono e dolce che sembrava finto.

“Allen-kun, non posso aiutarti in qualche modo?”

Il ragazzo le sorrise ancora, coricandosi meglio al suo fianco.

“No, Lenalee. Non puoi.”

Si voltò verso le finestre, per osservare meglio la pioggia che cessava di battere contro i vetri, dando così le spalle alla compagna. Sperava di addormentarsi, per poi aprire gli occhi al mattino e scoprire che tutto ciò che gli era stato rivelato dal suo maestro fosse solo un sogno, un brutto scherzo giocato dalla sua mente stanca. Non volevo che finisse così…

“Lenalee… non hai mai desiderato, anche solo per un momento, fuggire da ciò che sei?”

Le dava ancora le spalle, ma lei potè immaginare l’espressione del ragazzo in quel momento.

“L’ho desiderato di continuo, per degli anni interi.”

Gli si avvicinò, posando la testa sulla sua schiena, chiudendo gli occhi per ascoltare meglio il suo respiro leggermente affannato.

“Quando mi hanno separato da mio fratello ho anche tentato il suicidio, per questo mi avevano legata al letto…”

“Il suicidio?” Si voltò di scattò, il volto pieno di sorpresa. “Tu hai fatto una cosa simile, Lenalee?”

Non riusciva a collegare Lenalee, la ragazza che avrebbe rischiato la vita per i compagni, a quella parola così sconveniente.

“Piuttosto che vivere quella vita a cui mi avevano costretta decisi di tentare il gesto estremo che, a quanto puoi vedere, è fallito….” Sorrise, ironicamente, il volto avvolto nella penombra. E’ la prima persona a cui rivelo questa cosa…

“Lenalee… io non lo sapevo… scusa, non volevo farti tornare certi ricordi…” Si scusò in fretta Allen, come suo solito, lo sguardo palesemente dispiaciuto e sconvolto. “Scusa…”

La ragazza sorrise ancora, lo sguardo perso nel vuoto.

“Ciò che è fatto è fatto. Non devi scusati per una cosa simile, sono io che ho voluto dirtelo.”

Allen la fissò per un attimo, il volto ora serio.

“Grazie.”

Appoggiò la testa sul divano, gli occhi chiusi nel tentativo vano di addormentarsi. Ho dei compagni che mi voglio bene. Andrà tutto per il verso giusto.

“Allen-kun…” lo preso per mano, accomodandosi meglio al suo fianco. “Qualsiasi cosa sia accaduto, sappi che resterò al tuo fianco.”

“Grazie, Lenalee…”

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Capitolo 2
*** To break like time ***


To break like time

 

Fuori nevicava.

Avrebbe tanto voluto uscire Lenalee, ma la febbre la teneva inchiodata al letto. … E mio fratello…

Vedeva i fiocchi cangianti scivolare lentamente dal cielo grigio dalla finestra della sua camera.

Era una cosa tanto bella e deprimente al tempo stesso. Sono stanca di stare a letto…

Riappoggiò la testa al cuscino e si voltò verso il muro, per non veder più il panorama innevato che aveva tanto desiderato.

“Uffa…”

Spostò con non curanza una ciocca di capelli dal volto. Avevano ricominciato a ricrescere i suoi –come aveva detto Komui- bellissimi capelli, però qualche volta, come in quel momento, si accorgeva di non essere più abituata alla loro lunghezza.

Qualcuno bussò alla porta, facendola sobbalzare.

“Lenalee?”

Era Allen. Probabilmente era venuto a portarle il pranzo.

“Entra pure.”

La maniglia si abbassò ed il ragazzo entrò nella stanza, sorreggendo un piatto fumante.

“Il pranzo.” Disse, sedendosi su di una sedia.

Di mala voglia lei accettò il cibo. Erano giorni che mangiava solo minestrine insipide, avrebbe tanto desiderato qualcosa di più sostanzioso.

“Non c’è la remota possibilità che tu mi abbia portato qualcos’altro?”

Allen scosse la testa, il sorriso sulle labbra un po’ viola dal freddo.

“Il signor Komui ha espressamente detto di no. Solo cibi sani.”

Mise una mano nella divisa, estraendo un piccolo fagotto avvolto in un tovagliolo. “… Ma io non sono il signor Komui, quindi…”

Lenalee allungò le mani verso di lui, speranzosa. La Torta!

“Non far cadere nemmeno una briciola, sennò dovrò iniziare a nascondermi da tuo fratello.”

“Grazie Allen-kun! Stavo morendo di fame!”

Mangiò di fretta il dolce, col sorriso stampato in volto.

Non vedeva l’ora che quella stupida malattia se ne andasse, era stanca di estrarre informazioni sui compagni ascoltando solo i resoconti –scarni- di Allen.

“Che giorno è oggi?” domandò soprappensiero Lenalee, ingoiando l’ultimo cucchiaio di minestra.

“Lunedì.” Rispose prontamente il ragazzo, prendendole il piatto vuoto dalle mani e poggiandolo su di una scrivania lì accanto.

“No, hai frainteso, intendevo…”

“E’ il 15 di Dicembre.”

Sorrise Allen, un po’ malinconicamente, fissandosi la punta delle scarpe.

“Quindi fra dieci giorni è il tuo compleanno!”

“Sì… e no.”

Lenalee si sdraiò, tirando le coperte fin sopra le spalle. Aveva freddo.

“In che senso?”

Il ragazzo alzò il volto di scatto, gli occhi fissi in quelli appena visibili della compagna fra le pesanti coperte.

“E’ l’anniversario della morte di Mana.” Si levò dalla sedia, iniziando a tirare le tende; Lenalee aveva bisogno di riposo.

“… Quindi, preferirei non festeggiare nulla.”

Lo disse con tono pacato, quasi distante. Sapeva benissimo che la mente della ragazza aveva da tempo iniziato a preparare idee per un evento simile, ma proprio non gli andava di far festa in un giorno che da anni faceva riaffiorare in lui solo brutti ricordi.

“Oh, mi dispiace! Scusa mi ero dimenticata…” Si mise di scatto a sedere, i capelli che le arrivavano appena sotto le spalle.

“Non importa…” Le si avvicinò e, come ogni giorno da ormai una settimana, le rimboccò le coperte. “Ora dormi…”

Sorrise Lenalee, le gote imporporate un po’ per la malattia e un po’ per il disagio di trovarsi a pochi centimetri dal volto del ragazzo.

“Allen-kun…”

“Si?”

“Resteresti qui con me oggi?”

Allen spalancò gli occhi alla domanda tanto insolita.

Non aveva mai visto Lenalee tanto “indifesa” come in quel momento.

“Lenalee, non stai bene per caso?”

Le posò una mano sulla fronte, per sentire la temperatura della ragazza, ma quel gesto non fece altro che farla ulteriormente avvampare.

“Scotti.” Esordì infine il ragazzo, sedendosi sul letto accanto a lei.

“Vuoi che vada a chiamare la Capo Infermiera?”

Le passò una mano fra i capelli, facendola scivolare fino alla guancia destra e soffermandosi su di essa.

“Scotti pure qui…”

La fissò negli occhi per una manciata di secondi.

Erano rossi e gonfi, ma avevano sempre quella luce nascosta che tanto li distingueva dagli altri.

Avvicinò il proprio volto a quello di Lenalee, gli occhi semichiusi.

“Aspetta Allen-kun…”

Gli premette la mancina sul petto, allontanandolo un po’.

Il ragazzo rimase un po’ stupito, poi, quando capì di aver commesso un errore, abbassò il capo per nascondere il viso arrossato dall’imbarazzo.

“Scusa Lenalee, non so che mi è preso…”

Un dito pallido si posò sulle sue labbra, ammutolendolo.

“Ti ho fermato perché… insomma, ti ammaleresti anche tu…”

Allen spalancò gli occhi e soffocò una risata.

“Oh, Lenalee…”

Le prese il volto fra le mani, premendo le labbra contro quelle della ragazza.

Lenalee ricambiò subito il bacio, felice. Una lacrima di gioia le scivolò lungo il volto, cadendo silenziosa sulle coperte.

“Adesso ti ammalerai pure tu.”

Esordì la ragazza, mentre prendeva fiato.

“Non m’importa. Vuol dire che potrò starti vicino senza preoccuparmi che tu stia male a causa mia.”

La baciò ancora, soffermandosi a lungo su quelle labbra pallide.

Un orologio lontano iniziò a rintoccare lo scorrere del tempo, spezzando la candida quiete che avvolgeva l’Ordine.

Allen si scostò lentamente da Lenalee, sorridendole.

“Devo andare ora…”

Le lasciò un lieve bacio sulla guancia, allontanandosi verso la porta.

Il silenzio piombò prepotente nella stanza, mentre l’orologio lontano continuava a suonare.

 

 
Ringraziamenti:

Allora, per prima cosa rigrazio di cuore Edward ed Irene Adler che hanno recensito. Grazie mille!

Edward: mi impegnerò perchè la sesta non esca uno schifo! Promesso! é_é/

Irene Adler: le mie fic saranno sempre e solo delle AreRina xD Pultroppo (o forse no?) non riesco a scrivere con degli altri pairing...

Ringrazio, già che ci sono, tutti gli utenti del mio forummino caro che hanno commentato la prima one-shot della raccolta, sperando che commentino anche questa seconda! xD

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Capitolo 3
*** Uncovered ***


Premessa:

Questa One-shot sarà abbastanza Spoilerosa (mooooolto).

Vi ricordo, tanto per scrupolo, che tutte le One-Shot che ho pubblicato e che pubblicherò in questa raccolta andranno in ordine cronologico.

Ok, vi lascio alla lettura :P





Uncovered

 

Un vento fresco gli scompigliò i capelli e il sorriso comparve sulle sue labbra.

Aveva sempre adorato il paesaggio in primavera, tutto si riempiva di vita e di colori.

“Allen! Guarda che se ti perdi non vengo a cercarti!”

“Arrivo!”

L’inglese raggiunse di corsa i compagni, affiancandoli.

Avevano appena terminato una missione, non troppo complicata, ma che li aveva parecchio stancato.

Finalmente, dopo molto tempo passato ad aiutare i ragazzi della scientifica a sistemare la nuova sede dell’Ordine, erano tornati attivi.

“Si può sapere che stavi guardando?”

“Nulla di particolare, Lavi.”

Il rossino alla sua destra sbuffò, portandosi le mani dietro alla nuca.

“Lenalee… quando passa il treno?”

La ragazza alzò lo sguardo da terra, un’espressione perplessa dipinta in volto.

“Eh?”

Lavi sbuffò ancora, facendo roteare gli occhi.

“Negli ultimi mesi siete diventati un po’ troppo distratti voi due, eh?”

Le gote della compagna s’imporporarono un po’, e le sue mani corsero a stropicciare il merletto della gonna. Era nervosa.

“E’ che… stavo pensando…”

“L’avevo capito… comunque, quando passa il treno?”

“Domani mattina.”

Il giovane bookman si fermò di colpo, gli occhi spalancati.

“EH?! E noi che facciamo nel frattempo? Aspettiamo per tutta la notte in stazione?”

Lenalee sorrise, portando una mano sulle labbra.

“No! Mio fratello ha già prenotato tre stanze in un hotel non poco lontano da qui.”

Si voltò verso Allen, ridendo e facendo l’occhiolino. “… Ora andiamo.”

Presero una stradina acciottolata che portava al paese vicino a quello in cui avevano appena terminato –velocemente- la missione.

“E’ quello.” Esordì Lenalee infine, indicando una struttura che comparve di fronte ai loro occhi. Era nella periferia del paese; avrebbero raggiunto la stazione in fretta il mattino successivo.

“Non mi sembra un edificio molto stabile…” disse Lavi, camminando accanto ai compagni.

“Sarà solo l’impressione che da all’esterno.” Rispose subito Allen, facendo un passo davanti a loro ed aprendo la porta, invitandoli ad entrare.

La ragazza sorrise a quel gesto tanto gentile del compagno. Uno come lui non si smentisce mai…

Vennero subito indirizzati verso le loro stanze, non appena il gestore dell’hotel vide le Rose Cross sulle loro divise un po’ imbrattate di sangue.

Lenalee al primo piano, da sola, mentre i due compagni al terzo.

“E’ chiaro che Komui non si fida di noi, eh, Allen?”

Il rosso diede una pacca sulla schiena al ragazzo, il sorriso stampato in volto.

“Di che avrà paura poi? Che saltiamo addosso a sua sorella?”

Scoppiò a ridere, infilando la chiave nella toppa della porta e girandola.

“Inizio davvero a pensarla come Yuu… quello è malato sul serio!”

Lavi entrò nella sua stanza, sporgendo la testa nel corridoio quel tanto che bastava per vedere il compagno inglese litigare con la serratura.

“E la sai l’ultima? A quanto pare Komui sospetta che Lenalee abbia un fidanzato, roba da matti! Chi sarebbe così stupido da tentare una cosa simile?”

Ad Allen scivolò la chiave di mano, che cadde pesantemente a terra.

Rimase impalato, la mano sulla maniglia e gli occhi sbarrati.

“Che c’è Allen? Non riesci ad aprirla?”

Gli si avvicinò, raccogliendo la chiave e girandola senza problemi nella toppa.

“Ecco.”

Il ragazzo entrò di corsa nella stanza, facendo sbattere rumorosamente la porta e senza degnare Lavi di un saluto. Così Komui si è accorto…

Si lasciò andare sul letto, osservando il soffitto un po’ crepato dal tempo. Forse Lavi aveva ragione, questo posto non sembra poi molto stabile…

Avrebbe tanto voluto sprofondare in quelle lenzuola candide, Allen. Il pensiero di dover tornare all’Ordine gli procurava una forte stretta allo stomaco e migliaia di pensieri si affollavano nella sua testa.

Sopportare il peso di quegli sguardi accusatori o scappare, lasciandosi tutto alle spalle?

Sbuffò, chiudendo stancamente gli occhi. Non sono mai fuggito di fronte a nulla…

Tolse gli stivali con noncuranza, gettandoli sotto il letto. … però non sopporto questa situazione.

Piegò la divisa, abbandonandola ai piedi del letto, pronta per esser indossata una volta arrivato il mattino.

“Cosa devo fare, Mana?”

Non aveva mai smesso di volergli bene, nonostante ora sapesse chi fosse veramente. Ogni tanto, però, si sorprendeva a chiedersi se fosse stata la stessa cosa per il suo padre adottivo, se quel “ti voglio bene, Allen” era veramente riferito a lui e non a ciò che portava dentro di sé.

Non aveva mai avuto molte persone attorno a lui, a causa dei suoi capelli, della sua mano e di Quella cicatrice, ma quell’improvvisa rivelazione lo aveva allontanato dai suoi compagni. Gli unici che gli erano rimasti accanto erano Lenalee e Lavi. … E Link, anche se lui mi sta addosso per secondi fini.

Un sorriso apparve sulle sue labbra, un po’ tirato.

“Almeno questa volta non mi ha seguito in missione.”

Erano mesi ormai che aveva sempre quel “due punti” –come lo chiamava Lavi- con il fiato sul collo, per sorvegliarlo. Sorvegliarlo inutilmente, a suo pare, perché tutto ciò che potevano fare era solo aspettare, aspettare che un giorno lui si sarebbe svegliato con le mani sporche del sangue delle persone che amava. Non c’era modo di poter prevenire questo suo cambiamento, il maestro era stato chiaro su questo punto. Il maestro…

Si raggomitolò nelle coperte.

Era definitivamente calata la notte su quella landa desolata e iniziava ad aver po’ freddo.

TOC TOC

Si voltò di scatto verso la porta, avvolta nella semi-oscurità.

“Chi è?”

Nessuna risposta.

Forse era solo qualcuno che si era divertito a fargli uno scherzo. Forse era Lavi…

Si alzò dal letto lo stesso. Ormai la sonno se n’era andata.

Girò lentamente la chiave nella toppa, stropicciandosi gli occhi.

La porta si spalancò e la vista di Allen venne offuscata da una chioma di capelli neri come la pece.

“Lenalee!?”

“Sh… sennò Lavi si sveglia!”

Il ragazzo la prese per mano, chiudendo la porta alle loro spalle cercando di non far rumore.

“Il Signor Komui sospetta che tu abbia un fidanzato…”

Lo disse senza tante cerimonie, facendola accomodare sul suo letto.

“Se ci scopre io sono finito!”

Lenalee sorrise, nascondendo il volto dietro una manica della sua camicia da notte. Com’è carino quando fa così!

“Non verrà a sapere mai nulla. Ci basterà solo essere cauti.”

Allen sbuffò, sedendosi accanto a lei con il volto stretto fra le mani. Che pasticcio!

“Ehi, Allen-kun.”

Gli sfiorò il collo, per attirare la sua attenzione.

“Ultimamente sei molto triste… è ancora a causa di Quello?”

Il ragazzo la fissò per qualche secondo, poi scosse la testa, nascondendo nuovamente il volto fra le mani.

Soffriva, e Lenalee lo sapeva bene. Avrebbe tanto voluto aiutarlo, ma semplicemente non poteva, era totalmente impotente in quella storia.

“Allen-kun…”

Lo abbracciò stretto, cercando di trasmettergli tutti i sentimenti che aveva provato per lui negli ultimi mesi, nelle ultime settimane e quelli che stava provando persino in quel momento.

“Io e i tuoi compagni ti amiamo Allen-kun, e nessun Noah, buono, cattivo o che sia ti porterà mai via da noi.”

Avrebbe tanto voluto sprofondare in quelle lenzuola candide, Allen. Le persone che lui amava. Sarebbero state quelle le prime persone a soffrire per il suo cambiamento. Le avrebbe uccise tutte, dalla prima all’ultima, senza fare eccezioni.

Avrebbe tanto voluto sprofondare in quelle lenzuola candide, Allen, cancellare le parole che gli aveva appena detto Lenalee e riavvolgere il tempo a quando era ancora bambino, a quando ancora seguiva Mana lungo le strade buie e innevate di Londra. Avrebbe tanto voluto tapparsi le orecchie per non sentire il rumore del suo cuore andare a pezzi alle parole di Lenalee. Lei era la persona più importante per lui, la persona che sapeva di amare con tutto sé stesso, con il suo cuore e non con quello di un Altro. Sarebbe stata lei la prima, lo sapeva, a perire per mano sua. No, non per mano mia…

“Non farebbe male ad una mosca…” disse il ragazzo, fissando Lenalee con gli un po’ lucidi.

“Lo dicevano sempre le amanti del maestro quando lui mi urlava in faccia di smetterla di fare il bambino e di decidermi a distruggere gli akuma.”

La ragazza lo fissò per un attimo, gli occhi colmi di apprensione.

“Andrà tutto bene, ne sono sicura…”

Appoggiò la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi e concentrandosi sul battito del suo cuore.

“… Vedrai che tutto si risolverà nel migliore dei modi.”

Era stata avvertita, da suo fratello e dal Segretario Leverrier, sulle condizioni di Allen ma aveva deciso che non le importava, che gli sarebbe rimasta accanto lo stesso.

Non avrebbe mai abbandonato nessun compagno, soprattutto se in difficoltà.

“Lenalee…”

Le diede un leggero bacio sulle labbra, portando le mani ai fianchi della ragazza.

“… grazie.”

Lei sorrise, baciandolo a sua volta e sbottonandogli delicatamente la camicia.

Allen la fece sdraiare sul materasso, sotto di sé, mentre intento appoggiava le labbra sul collo liscio della ragazza, lasciando dei lievi baci.

“Allen…”

Alzò la testa, sentendosi chiamare.

“Lavi è nella stanza qui accanto…”

Allen le sorrise, tornando a baciarla sulle labbra e dissipando i suoi dubbi.

Sì, che importava?

Lavi dormiva, non si sarebbe accorto di nulla, infondo. E poi…

Quella notte aveva portato con sé un forte vento freddo, probabilmente il rosso nella stanza accanto giaceva addormentato sotto delle spesse coperte. … Sì, di cosa mi preoccupo?

L’indomani sarebbero tornati all’Ordine e come prima cosa sarebbe andata dritta da suo fratello, spiegandogli che non aveva un fidanzato, che era solo la sua immaginazione. … Però Allen…

Per quanto ancora avrebbero continuato a mentire? Io…

“O h  m i o  D i o . . .”

Allen si fermò di colpo, voltandosi verso la porta.

“O h  m i o  D i o . . .”

Lavi. Era lì, davanti alla porta, la bocca spalancata e l’arma anti-akuma evocata fra le mani.

“Lavi!!!”

Lenalee afferrò velocemente le coperte, coprendo sé stessa e il ragazzo sopra di lei.

“V o i  d u e . . .”

L’inglese, rosso in volto, afferrò il cuscino, lanciandolo in direzione del compagno.

“P e n s a v o  c h e  q u a l c h e  a k u m a . . .”

“Lavi! Esci subito!”

Il rosso uscì di corsa, chiudendo la porta alle sue spalle.

Allen si alzò dal letto, rivestendosi in fretta.

“E adesso?”

 

Il mattino successivo arrivarono in stazione di buon ora, le valigie alla mano e tutti alquanto imbarazzati.

“Riguardo a ieri…” iniziò il giovane bookman, spettinandosi un po’ i capelli con la mano, “io…”

“Tu non ha visto nulla.”

Lenalee terminò la frase per lui, continuando a fissare il terreno e stropicciando il merletto della gonna.

Non era rossa in volto, era bordeaux.

“Da quanto…?”

Allen fulminò il compagno con lo sguardo, anche lui palesemente imbarazzato.

“Ok, scusa… Non sono affari miei.”

“Esatto.”

Lenalee abbassò il capo, fissando i ricami sulla gonna.

Continuava a stropicciarla, nervosa.

“Lenalee…”

Una mano inguantata strinse la sua, come a calmarla.

Alzò gli occhi verso il volto sorridente –ed imbarazzato- di Allen, fissandolo negli occhi.

“Calma…”

Un fischio acuto raggiunse le loro orecchie, annunciando l’arrivo del treno.

“Si torna a casa.”

 

 

Ringraziamenti:

Prima di tutto, ringrazio Christal che ha fatto da BetaReader a questa One-shot. Grazie mille, cara.

Poi, ringrazio coloro che hanno recensito (una sola persona sul EFP, ma sul forum hanno risposto molti più utenti). Grazie mille! Spero commentitate pure questa.

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Capitolo 4
*** Beyond ***


Premessa: Prima di tutto, scusate la lunga attesa :P

Ho avuto proprio un blocco dello scrittore perfido,: mi faceva scrivere due righe e poi mi bloccava. Però alla fine sono giunta alla conclusione anche di questa one-shot, evvai!

Ok, vi lascio alla lettura della fanfic anche questa volta! Buona lettura! :P



Beyond

 

Fissò la sua immagine allo specchio ancora per qualche minuto, cercando di non prestare attenzione all’ombra – sempre più definita – alle sue spalle. Il pentacolo, come il resto della cicatrice che solcava il suo volto, da qualche giorno sembrava svanire, sempre più. Vide una luce nei suoi occhi, mentre posava lo sguardo sulla figura che lo sovrastava sogghignando, circondandolo con quella che pareva oscurità ormai incombente. Le labbra gli si incresparono in un sorriso, estraneo al suo volto da ragazzo bonario qual era.

“Allen-kun, io vado prima che mio fratello si svegli…”

Il ragazzo si voltò di scatto, un sorriso sincero in volto, non come quello di qualche attimo prima.

Lenalee inclinò la testa di lato, spalancando gli occhi.

“Cos’è quel sorriso?”

Allen non rispose, si limitò ad alzare le spalle e finire di abbottonare la camicia.

“E’ da qualche giorno che sei più strano del solito… è successo per caso qualcosa?” Osservò attentamente il ragazzo davanti a lei, cercando di intravedere il volto coperto in parte dai capelli. “… E’ a causa del Quattordicesimo?”

Nessuna risposta.

“Allen-kun…”

Si alzò dal letto, trascinando con sé la coperta ben avvolta attorno al corpo.

“Allen-kun, ti prego, parla…”

Posò una mano tra i capelli del ragazzo, scompigliandoli un po’, e fu in quel momento che notò che c’era qualcosa di diverso dal solito.

“I-I tuoi capelli…”

“Anche loro, eh…?”

Si alzò dalla sedia, iniziando a raccogliere i vestiti di Lenalee, ancora sul pavimento dalla sera precedente.

“Anche loro? Di cosa stai parlando, Allen-kun?” La presa sulle coperte si fece più salda e nervosa. Quelle situazioni, tutti quei segreti li aveva sempre trovati snervanti.

“La cicatrice e il pentacolo stanno svanendo… a quanto pare la maledizione di Mana sta scomparendo.”

Si voltò verso di lei, porgendole educatamente i vestiti, un sorriso tirato e totalmente falso sulle labbra.

“Stanno svanendo…? E questo non ti preoccupa minimamente?”

Allen finì di vestirsi, indossando la giacca e coprendosi il capo.

“Guarda il lato positivo… non verrò più chiamato vecchietto o additato dalla gente a causa della cicatrice.”

Abbassò la maniglia, voltandosi a fissare la ragazza, ancora avvolta nelle coperte, dietro di lui.

“Ehm, Lenalee credo che dovresti proprio vestirti, prima che ti veda il signor Komui…” aprì leggermente la porta, mettendo un piede fuori dalla stanza, “… E poi oggi dobbiamo andare in missione, non dirmi che te lo sei dimenticata.”

La ragazza sobbalzò, portando una mano alla bocca. L’avevo totalmente scordato…

“Ti aspetto in Caffetteria, ok?”

Allen le sorrise, prima di incamminarsi lungo il corridoio. Per un attimo le era parso che fosse tornato il ragazzo di sempre, quello con le labbra sempre pronte a sorridere in ogni occasione, quello con lo sguardo deciso e fiducioso anche se sapeva di aver poche probabilità di vittoria; l’Allen che era sempre stato, fino a qualche mese prima… Poi, una rivelazione scomoda aveva infranto un po’ la serenità dell’Ordine e quella del ragazzo stesso. Darsi per vinto non era nel suo carattere ma, ultimamente, nei suoi occhi Lenalee aveva percepito un senso di sconforto che, a poco a poco, si era trasformato in rassegnazione.

L’orologio lontano della nuova sede dell’Ordine iniziò a rintoccare le cinque e mezza. Perché si erano svegliati così presto? Fuori c’era ancora buio…

Si vestì di fretta, passandosi una mano fra i capelli di tanto in tanto per tenerli il più in ordine possibile. Raccolse le scarpe finite sotto il letto e si avviò lungo i corridoi, giù per le scale, fino a raggiungere la caffetteria, ancora vuota visto l’orario.

“Lenalee-chan!” una voce, seguita da una mano alzata attirarono la sua attenzione. Miranda.

“Miranda! Vai in missione anche tu oggi?” le si avvicinò, sorriso genuino sulle labbra.

“Sì, porta numero trentanove… Spagna, credo…”

Il sorriso della ragazza, se possibile, si allargò ulteriormente mentre si sedeva accanto alla donna a tavola.

“Allora vieni con noi, me ed Allen! A Jaèn, giusto?”

Miranda si pulì la bocca con un tovagliolo, scuotendo la testa in segno di assenso rincuorata dal fatto che non avrebbe dovuto portare a termine una missione da sola.

“Posso farti una domanda un po’ privata, Lenalee-chan?”

La giovane spalancò gli occhi, chinando la testa di lato.

“Sì…?”

Miranda sorrise, portandosi la mano vicino alle labbra e sussurrando poche parole concise che solo Lenalee sarebbe stata in grado di capire. Le gote della ragazza si tinsero di un rosso accesso, mentre con lo sguardo si guardava attorno, come ad accertarsi che nessuno le stesse ascoltando.

“Miranda, come fai a saperlo!?”

“Sono maldestra, non stupida Lenalee-chan!” le si allargò un ghignò sulle labbra, mentre si riavvicinava paurosamente alla ragazza. “Allora? Tu e Allen avete già…?”

“Miranda!” Il rossore sulle gote di Lenalee aumentò, mentre le mani della ragazza correvano a stropicciare l’orlo della gonna. “Sì, ok!?” Abbassò il capo, nel tentativo di nascondere il volto.

“Uh-uh! Allora vuol dire che in missione non vi starò fra i piedi, promesso!”

Con un ultima risata soffocata la donna congedò Lenalee, dirigendosi verso l’entrata dell’Arca in compagnia di due finder.

“Cavolo…”

La ragazza inghiottì l’ultimo boccone di you tiao, alzandosi da tavola e andando incontro ad Allen, che l’attendeva con la schiena poggiata al muro fuori dalla caffetteria.

“Mangiato bene?” chiese, sorridendo e sfiorandole la mano.

“Certo!”

Davanti alla porta dell’Arca li attendevano Komui, Miranda e i due finder che borbottavano a bassa voce, passandosi dei fascicoli piuttosto grandi fra le mani. “… Ok, è tutto chiaro?” sentirono chiedere il Supervisore.

“Sì… Ah! Allen, Lenalee!”

Komui volse prontamente il capo all’indietro non appena udì il nome della sorella, come un bestia alle ricerca della sua preda.

“Lenaleeeeeee!”

Grandi lacrimosi si fecero strada sul suo viso, mentre con un ultimo abbraccio salutava la sorella, avvertendola di essere cauta, di tornare tutta intera e soprattutto di non sposarsi senza il suo permesso.

“… Non preoccuparti, il giorno in cui deciderò di sposarmi sarai il primo a saperlo!”

Allen, già per metà nell’Arca ma con l’orecchio concentrato sulla voce della ragazza tossì violentemente, invitando i presenti ad interrompere gli in convenevoli. “Andiamo?” Nascose prontamente le gote arrossate sotto il cappuccio e si avviò definitivamente oltre la porta che, in pochi secondi, avrebbe potuto portarli in qualsiasi luogo.

“Allen-kun?”

“Sì?”

“Nulla.”

Il ragazzo la fissò un attimo, sempre procedendo a passo spedito verso la porta, e con un’ultima squadrata da capo a piedi si arrese. Non riusciva proprio ad immaginare cosa le passasse per la testa in quel momento.

“Lenalee.”

“Sì?”

“La porta è questa. Dove stavi andando?”

Allen la afferrò prontamente per un braccio, tirandola nella direzione esatta.

“Sei piuttosto distratta o sbaglio?” le sussurrò in un orecchio, la voce quasi impercettibile.

Se lei era distratta, lui era cambiato. Cambiato in un modo terribile e sconosciuto.

“Arrivati!”

Miranda si portò in testa al gruppo, mano sul volto per proteggere gli occhi dal sole forte, e osservò con circospezione la città. La grande cattedrale sbucava dai tetti delle case imponente, dominatrice assoluta del panorama. Gli ulivi in lontananza si scorgevano a malapena in mezzo a quel fitto agglomerato di edifici, tutti rigogliosamente bianchi cangianti con i tetti rosso fuoco. Sembrava quasi –se non fosse stato per il colore dei tetti-di stare ancora nell’Arca.

“Bene, da dove iniziamo?” domandò Allen, rivolto ad uno dei Finders.

“Stando a quanto raccolto degli altri ricercatori di questa zona, la cattedrale risulta inaccessibile da circa un mese.”

“E perché?” chiese Lenalee, squadrando l’immensa struttura a pochi isolati da loro.

“Sembra che non appena qualcuno tenti di avvicinarsi, questa prenda vita.”

“Vita?” sbuffò Allen, soffocando una risata all’idea di una cattedrale che si muoveva per conto suo in una città.

“Gli abitanti del luogo –e i finders che hanno raccolto informazioni- hanno raccontato che, solo al mettere piede sul sagrato, si possano udire le trombe romane suonare.”

Miranda puntò un dito in alto, verso uno degli spuntoni dell’immenso edificio.

“Questa città era un avamposto difensivo romano. A quanto pare, un’innocence qui attorno sta reagendo, cercando di proteggere dagli estranei il cuore della città.” Terminò Miranda, sbalordendo sia esorcisti che finders, “Ho solo letto il fascicolo!”, li rassicuro, preoccupata per le loro espressioni vacue.

“Chiunque si sia avvicinato al portone d’entrata della cattedrale”, continuò uno dei finders, quello meglio piazzato, “si è ritrovato solo contro un esercito armato fino ai denti.”

Allen annuì, portando una mano dietro il capo, “Ok, sembra quasi la stessa situazione della tua città natale, vero Miranda?”

La donna sorrise, per metà contenta della somiglianza e per metà un po’ preoccupata perché ancora ricordava cosa era successo la notte che, finalmente, era riuscita ad attivare la sua innocence.

“Sì. Credo sia proprio questo il motivo per cui il signor Komui mi ha fatta venire con voi due!”

Lenalee sorrise, rassicurata. Avevano affrontato tante situazioni difficili, ma in tre contro un fenomeno che sapeva tanto di dejà-vu rendeva tutto più semplice del previsto. “Bene, vogliamo andare allora?”

 


Una nube di fumo li travolse, oscurando loro la vista.

“Attente!”

Il Crown Clown le avvolse, stringendole in un abbraccio rassicurante.

Qualcosa esplose, mandando Allen riverso a terra, lontano da Lenalee e Miranda. Non accennava a volersi alzare e una larga chiazza di sangue si faceva strada sotto di lui.

“Allen-kun!”

La giovane scattò in piedi, attorno a lei solo immagini confuse e tinte di rosso, la rabbia spiccava su volti che non ricordava d’aver mai visto. Sentì Miranda urlare qualcosa dietro di lei, ma non capì una sola parola di quello che pareva un avvertimento.

“Allen-kun!”

Qualcosa la colpì ad un fianco, sbalzandola verso il corpo inerte del ragazzo.

Alzò una mano che, in quel momento notò, era sporca di sangue. Si toccò la testa e la ritrasse che era ancora più rossa. Le si annebbiò la vista e cadde pesantemente al suolo, battendo la testa.

 

Lenalee si alzò di scatto, il sudore freddo che le imperlava il volto.

Strinse la mancina sulla coperta, e cercò di respirare in modo regolare. Aveva il fiatone, come se avesse corso per ore.

Si voltò di scatto alla sua destra, sorpresa e felice di trovar lì accanto la solita chioma candida. Sorrise un po’, portandosi una mano al petto ed espirando, con gli occhi chiusi.

“Allen-kun…”

Scosse la spalla del ragazzo, piano ma con decisione.

“Allen-kun, svegliati…”

Il ragazzo al suo fianco si mosse, bisbigliando qualche parola incomprensibile. Alzò la testa lentamente, osservando con sdegno la fioca luce che filtrava fra le tende della finestra davanti al letto.

“Che ore sono?”

“Non lo so, però il sole è già sorto.”

“Questo lo vedo…”

Si fece strada fra le coperte, trascinandosi di malavoglia verso il bagno.

Lenalee rimase ferma, ad ascoltare il rumore dell’acqua che scorreva dal lavandino. Andava di rado a passare la notte da lui, a causa di suo fratello, ma ogni volta era costretta a quel risveglio. E le piaceva. Adorava vedere Allen con il volto corrucciato di chi ha dormito beatamente e non ha la minima intenzione di alzarsi. Adorava vederlo scappare in bagno per lavarsi i denti, per non fare una brutta impressione. Adorava osservarlo mentre si vestiva, mentre litigava con i bottoni della giacca e imprecava sul fatto che avrebbe detto a Jhonny di mettere più cerniere nelle prossime divise.

Quando uscì dal bagno, lo vide sedersi dinnanzi allo specchio, osservare la sua immagine riflessa dubbioso, e poi la spaventò il sorriso tirato che vide comparire sulle sue labbra.

“Allen-kun, io vado prima che mio fratello si svegli…”

Ed ecco che quel sorriso spaventoso era scomparso. Ora era di nuovo Allen.

“Cos’è quel sorriso?” Scherzò, inclinando la testa di lato.

Lo vide alzare le spalle e finire di abbottonare la camicia, ed ebbe un tuffo al cuore.

Quella situazione lei l’aveva già vissuta.

La ricordava perfettamente.

Il suo sguardo corse subito ai capelli e alla cicatrice di Allen.

Il cuore smise di battere.

I capelli stavano diventando castani.

E la cicatrice stava svanendo.

Come nel suo sogno.

“Che c’è Lenalee? Qualcosa non va?”

“I-I tuoi capelli…”

Allen sbuffò.

“Anche loro, eh…?”

Aveva immaginato anche quella risposta. Ma non disse nulla, rimase ferma, immobile nel letto.

Il ragazzo le porse i vestiti, avviandosi verso l’uscita della camera.

“Ehm, Lenalee credo che dovresti proprio vestirti, prima che ti veda il signor Komui…” aprì leggermente la porta, mettendo un piede fuori dalla stanza, “… E poi oggi dobbiamo andare in missione, non dirmi che te lo sei dimenticata.”

No. Questa volta non se ne era dimenticata. Sapeva esattamente che Allen le avrebbe detto quelle parole.

“No, mi ricordavo… A Jaèn, vero?”

“Esatto.”

Lo vide sorridere ancora, da sotto il cappuccio abbassato.

“Ti aspetto in Caffetteria, ok?”

Lo avrebbe lasciato andare in circostanze normali, ma quelle non lo erano proprio. Aveva sempre avuto sogni strani negli ultimi mesi, ma mai così vividi e veritieri. Iniziava a spaventarsi, seriamente.

Allungò una mano verso di lui, silenziosa, le lacrime agli occhi.

“Allen-kun…”

Quando la vide, Allen tornò in camera di corsa, sbattendo la porta e precipitandosi sul letto.

“Cosa c’è Lenalee? Ho sbagliato qualcosa? Vuoi che rimanga qui mentre ti vesti? Vuoi che venga in Caffetteria assieme a te…?” La abbracciò stretta, accarezzandole i capelli scompigliati dal sonno.

Lei si mise a singhiozzare sulla sua spalla. Non aveva sognato tutto lo svolgimento di quella giornata, ma ciò che aveva visto le era bastato. Le era bastato per decidersi a rimandare quella missione. Per decidere che avrebbe convinto il fratello a mandarli fra qualche giorno, quando anche Lavi e Kanda sarebbero tornati dall’Home e avrebbero potuto aiutarli.

“No. Voglio solo che oggi nessuno andasse in missione. Non a Jaèn, almeno.”

Lo sentì tremare.

“Un altro incubo?”

Lui aveva paura di quei suoi sogni. L’ultimo che aveva fatto non era stato di suo gradimento, visto che dopo pochi giorni si era ritrovato senza un braccio, con un buco nel cuore e lontano dagli amici, che lo avevano creduto morto per quasi una settimana.

Lenalee si limitò a scuotere la testa in segno si assenso. Non voleva spingersi oltre, in altre spiegazioni. Con lui quella sarebbe bastata, e sapeva che avrebbe capito.

Si sentì stringere ancora più forte, e si abbandonò in quell’abbraccio, chiudendo gli occhi e ripiombando nel sonno. Alle scuse per evitare la missione avrebbero pensato dopo.

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Capitolo 5
*** Chocolate Cake ***


Premessa: Prima di tutto, un grazie enorme come una casa a Kaho_chan, che recensisce sempre! Grazie mille! <3
Ed ecco qui la one-shot più attesa da certa gente (qualcuno sa a chi mi riferisco). Buona lettura, e ricordate di recensire!




Chocolate Cake

 

Finì con la schiena al muro, le mani aggrappate alle spalle del ragazzo.

“Allen-kun…”

Ed ecco che anche l’ultimo indumento che indossava l’abbandonò, finendo a terra, assieme a tutti gli altri.

“Sh…” Allen posò le labbra sul collo pallido della ragazza, baciandolo. “Non dobbiamo farci sentire…”

Bisbigliò, la voce appena udibile.

Erano stanchi di fare le cose di nascosto, ma non potevano farne a meno.

Però dovevano ammettere che, in un certo senso, tentare la sorte li divertiva.

“E se mio fratello…?”

Ansimò, inarcando un po’ la schiena e sbattendo violentemente la testa contro il muro. “Ahi!”

“Ops, scusami…” la tirò verso di sé, baciandola laddove si era fatta male. “Così va meglio?”

Nonostante quel ripostiglio fosse buio, Allen potè notare un lieve rossore diffondersi sulle gote altrimenti pallide della ragazza. La sua ragazza. Suonavano così strane quelle parole, anche per loro due.

Lenalee lo baciò, trascinando a terra assieme a lei.

Uno spiraglio di luce inondò il viso della ragazza, costringendola ad interrompere per un attimo quel contatto. Veniva dalla fessura sotto la porta.

“Allen-kun… hai chiuso la porta a chiave, vero?”

Il ragazzo si puntellò sui gomiti, osservando la ragazza sotto di sé.

“No.”

“In che senso no?”

“No, non l’ho chiusa…”

Lenalee fece per alzarsi, ma venne subito bloccata da Allen.

“Eddai, tanto qui non viene mai nessuno… l’Ordine è grande, non verranno mai a cercarci in un posto simile…”

Le scostò un ciuffo di capelli dalla fronte, posandovi un leggero bacio. “Su, stai tranquilla…”

Lei sorrise, abbracciandolo, baciandolo.

Era tutto così maledettamente strano e bello allo stesso tempo.

Da anni ormai si celavano negli angoli più remoti dell’Ordine durante quei loro momenti.

Facevano sempre tutto di nascosto. Anche se una persona era a conoscenza della loro relazione –Lavi li aveva beccati una notte mentre erano in missione- avevano mantenuto bene il segreto. Erano stati cauti. Avevano cercato in ogni modo di non farsi cogliere in fallo. Una volta avevano persino finto di litigare per non far insospettire il Supervisore.

Tap Tap

“Mh?”

Lenalee si voltò di scatto verso la porta. Aveva sentito un rumore.

“Che cosa c’è Lenalee?”

Si scostò da lei per l’ennesima volta, con il volto un po’ imbronciato.

“Se non ti va oggi puoi dirlo pure…”

Lei lo guardò sorpresa, soffocando una risata.

“Ma che dici, sciocco?” gli passò una mano fra i capelli, scompigliandoli ulteriormente. “E’ che… avevo sentito un rumore.”

“Un rumore? Che rumore?”

Lenalee sembrò pensarci un po’, la fronte leggermente corrucciata. “Un rumore di passi, ecco.”

Questa volta fu il turno di Allen di soffocare una risata. “Sei fissata…Ti ho detto che non ci verranno a cercare qui, stai tranquilla!”

Le toccò lievemente il collo e un brivido le corse lungo la schiena. “E adesso basta interruzioni…”

Riprese a baciarla, tornando sopra di lei.

Nel frattempo il rumore di passi si era fatto sempre più forte e sempre più vicino, ma i due ragazzi erano troppo impegnati per accorgersene in quel momento.

La porta si spalancò all’improvviso, ed un uomo fece capolino sulla soglia.

“Lenalee! Sei qui? Il tuo fratellone ti ha preparato la torta al cioccolato che ti piace tanto!”

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Capitolo 6
*** The Truth in a Nightmare ***


Premessa (perché non ci saranno le note dell'autore a fine pagina): Grazie a tutti quelli che hanno seguito e recensito questa fanfiction. Mi scuso per l'enorme attesa, ma spero che questa ultima One-Shot sia di vostro gradimento. Se farete domande nelle recensioni, vi risponderò nel prossimo capitolo di "Underwater Moon" (la prossima in linea da completare e aggiornare).
Dedica (questa volta c'è): ad Edward, che voleva un finale con almeno un morto; a Noriko che voleva che, per una buona volta, non morisse nessuno.




The Truth in a Nightmare

 

Si voltò di scatto.

Aveva sentito un rumore alle sue spalle.

Nulla.

Dietro di lei c’era solo buio.

Nii-san…?” La voce che era un sussurro, le lacrime lungo le gote e le gambe che minacciavano di cedere da un momento all’altro.

Nii-san!?”

Non le rispose nessuno, come prima.

Allen-kun?”

Mosse qualche passo in avanti, le mani strette al petto.

Era sola.

Lavi?”

Inciampò e cadde a terra, portando le mani in avanti per frenare la caduta.

Dove siete finiti…?”

Doveva trattarsi di un incubo, di un brutto scherzo della sua fervida immaginazione.

Era tutto buio, tranne quella luce davanti ai suoi occhi che tentava –invano- di raggiungere. La vedeva proprio davanti a sé ma, nonostante questo, pareva sempre irraggiungibile.

Allen-kun…”

Si rialzò a fatica, l’abito che ondeggiava come sospinto da un vento inesistente.

Qualche passo, calmo e controllato, e li vide.

Vide ancora quella scena che tanto l’aveva spaventata tempo addietro.

Erano tutti morti.

Tutti a terra, con un rivolo di sangue che correva dalle loro labbra e gli occhi chiusi. Potevano parere addormentati, se non fosse stato per quel sangue. No… Basta!

Si prese la testa fra le mani, piangendo ininterrottamente. No… Allen-kun!

 

---

 

Spalancò gli occhi, ritrovandosi distesa sulla schiena ad osservare un cielo pieno di nuvole plumbee.

Cercò di issarsi sulle braccia, ma quelle non le risposero; era svuotata di ogni singola energia.

Si girò su un lato, osservando il sangue a terra. Il mio sangue…

Cercò di tamponare la ferita al fianco con le mani, mentre la vista le si annebbiava ancora. Cosa…?

Un boato lontano attirò la sua attenzione, facendola rinsavire per qualche momento.

Allen-kun…”

Si trascinò a fatica fino al corpo che giaceva accanto a lei.

Allen-kun?”

Lo scosse, fino a che non poté vederlo in volto.

Lavi.

Lavi… Lavi, stai bene?”

Sembrava addormentato, ma la pozza di sangue a terra tradiva quell’immagine di pace dipinta sul suo volto.

Lavi! Lavi, no!”

Lo scosse ancora, la vista totalmente appannata dalle lacrime.

No… No…”

Qualche ciuffo sporco di sangue le ricadde sulla fronte, sospinto dal vento freddo che cercava di spostare le pesanti nuvole cariche di pioggia. Perché…?

Erano stati inviati in missione qualche giorno prima. Una missione semplice, che non avrebbe dovuto avere molte complicazioni, il massimo che avrebbero trovato sarebbe stato qualche akuma di livello tre. Eppure, era tutto andato per il verso sbagliato.

No…”

Picchiò un pugno senza forza a terra e poggiò il capo sulla spalla del compagno, mentre le lacrime le pulivano il volto sporco di polvere e sangue. Tutto questo è… è dannatamente sbagliato…

Un altro pugno.

Un’altra lacrima.

Ed un’ultima immagine stampata nella mente.

Allen-kun…

Lontano, oltre le immense chiome di quegli alberi, un altro boato.

Lenalee alzò il capo, trattenendo a stento le altre lacrime che minacciavano di tornare a rigarle il volto, si puntellò sui gomiti, riuscendo infine a sedersi. La colse subito un capogiro e la sua mano corse all’istante al fianco, alla ferita ancora aperta.

Doveva trovare Allen.

(Doveva fermarlo.)

Si alzò a fatica, strappando la manica della divisa e avvolgendola attorno al fianco ferito e sanguinante.

Allen-kun…”

Aveva freddo. Forse perché era inverno inoltrato. Ma la sua divisa era molto imbottita.

Alle…”

Una fitta la attraversò da parte a parte, smorzandole il respiro e facendola barcollare.

Quanto avrebbe desiderato poter cancellare gli ultimi attimi di quella dannata missione che a nulla di buono aveva portato, se non la perdita di molti compagni.

A suo fratello sarebbe venuto un colpo al cuore vedendo quei capelli –appena ricresciuti- già da tagliare, tanto erano impregnati di sangue. Ma nemmeno quel pensiero la fece sorridere. Non poteva sbuffare e fare la faccia offesa, in attesa di scuse, aspettando che tornasse la tranquillità che c’era prima di quella battaglia. Era impossibile.

Aveva visto con i propri occhi contro cosa si erano apprestati a combattere –e a perdere- ed aveva capito che lei sarebbe morta, piuttosto che combattere contro di lui. Non ne avrebbe avuta la forza. Non poteva permettersi di mancare ai suoi doveri di esorcista, ma non poteva nemmeno provare a ferirlo, era troppo importante per lei. Non avrebbe mai ucciso Allen, piuttosto sarebbe morta lei.

Si appoggiò al tronco di un albero e respirò a fondo. Cosa avrebbe fatto allora? Non era meglio forse scappare e lasciarsi tutto alle spalle?

Se non poteva ucciderlo, e qualcuno le aveva impedito di amarlo, cosa poteva fare lei se non stare in disparte a guardare ed attendere la propria morte? Che morte stupida sarebbe stata la sua. Sarebbe rimasta ferma, attendendo il colpo di grazia e, probabilmente, non avrebbe neppure pianto perché sapeva che, almeno, non lo avrebbe più visto compiere omicidi per i quali si sarebbe dannato a vita.

Scusami, Nii-san.”

Sì, quello a cui avrebbe fatto più male sarebbe sarebbe stato suo fratello Komui. Lui teneva a lei e, anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente, ad Allen. Sperava davvero che la sua sorellina tanto adorata avesse trovato qualcuno da amare oltre a lui, qualcuno con cui compiere il tanto odiato grande passo dalla quale l'aveva sempre tenuta lontana.

Qualcuno le sfrecciò davanti e interruppe i suoi pensieri. Una scia di capelli corvini, seguiti a ruota da una katana, le ridiedero la speranza. Forse qualcuno poteva fermare veramente Allen. Però...

Kanda!”, urlò, sperando che lui la sentisse tant'era preso dalla sua piccola battaglia, “Non ucciderlo!”

Ci fu qualcosa nello sguardo che le rivolse che la fece trasalire. Non aveva intenzione di fermarsi. Ma nel contempo era consapevole del fatto che non ce ne fosse bisogno. Sapeva che sarebbe morto, come gli altri.

Si rivoltò burbero verso l'avversario invisibile agli occhi di Lenalee, perché semplicemente lei non vedeva nessun nemico da dover abbattere. La sua mente aveva escluso quell'immagine che le provocata tanto dolore. (Era ancora Allen.)

Non potevano esserci dubbi. Non doveva avere dubbi.

Se avesse perso anche la fiducia, e la speranza, cosa poteva rimanere di lei se non un involucro vuoto, pronto ad accasciarsi al suolo al minimo soffio di vento?

Doveva sperare. Sperare e credere che tutto fosse uno stupido incubo. Uno dei tanti che l'avevano tormentata. Uno dei tanti che, al risveglio, l'avevano fatta piangere. Uno dei tanti che aveva predetto la morte dei suoi compagni e amici.

Sentì un rumore, uno schiocco ed un urlo basso.

(Non doveva sentire. Non voleva sentire.)

Chiuse gli occhi e premette le mani sulle orecchie. Lacrime silenziose iniziarono a rigarle di nuovo il viso, mentre si sorreggeva a stento con la schiena contro il tronco di quell'albero.

Lo sentiva avvicinarsi. Percepiva il suo respiro tanto conosciuto quanto estraneo in quel momento che avanzava nella sua direzione. Sembrava calmo. Sorrideva, Lenalee lo sapeva ma, all'improvviso, la ragazza colse un qualcosa che prima non aveva notato.

Iniziò a piovere, lentamente, e quasi subito la leggera pioggia cedette il passo ad una più copiosa, una che impiegò pochi secondi ad impregnare i suoi vestiti d'acqua.

Inspirò a fondo Lenalee, mentre un singhiozzo le causava un dolore lancinante nel petto. Sentì quel sorriso farsi più vicino e si lasciò scivolare al suolo. Affondò le mani nella terra bagnata e tenne la testa bassa, lasciando libero sfogo alle proprie lacrime, che le annebbiarono la vista.

Se magari non avesse visto in volto il suo assassino, il dolore della morte sarebbe stato un po' soffocato. Forse avrebbe potuto persino accettarla. Sarebbe morta con il capo chino, con la vergogna di chi non ha saputo lottare. L'unica che rimpianse in quel momento fu che, inconsapevolmente, sapeva che non avrebbe incontrato Dio. Non avrebbe potuto sfogarsi, dirgli di com'era stato ingiusto con gli esorcisti, con l'umanità intera. Si sarebbe semplicemente annullata. Avrebbe smesso di esistere. Negli annali della storia sarebbe stata solo una delle tante macchie d'inchiostro che il Quattordicesimo aveva versato. Sarebbe stata nulla più che un nome scritto su un foglio qualunque. Quindi, a questo punto, avrebbe fatto differenza se fosse morta lottando, in piedi, con lo sguardo fiero e la croce degli esorcisti che svettava sul petto? Sicuramente no...

Un paio di stivali si fermarono a pochi centimetri da lei. Li vide bene. Esitavano, come trattenuti da qualcosa di più potente. Per un attimo Lenalee provò l'impulso di alzare il volto, cercare quegli occhi non più grigi e trovare una scintilla del suo Allen che la fissava colma di tristezza. La ragione però le disse di star ferma, di aspettare; non doveva avere fretta di morire. Per sua sfortuna, se così la si poteva chiamare, l'impulso vinse sulla ragione e si costrinse ad alzare lo sguardo. Percorse con gli occhi gonfi di pianto ogni parte della figura che aveva davanti e sobbalzò alla vista del sangue nero che colava dalla gamba destra.

Una goccia salata le si posò sulle labbra, ma non era sua. Alzò gli occhi di scatto e quasi se ne pentì quando si accorse che quello che aveva dinnanzi era un semplice uomo, nulla di più. Allen se ne stava lì, di fronte a lei, con il sorriso di chi ha vinto sulle labbra, e la disperazione di chi ha perso la cosa che le era più cara negli occhi dorati, colmi di lacrime come quelli di colei che lo fissava.

Normalmente, in una situazione come quella, Lenalee si sarebbe coperta il volto con le mani, singhiozzato il suo nome e si sarebbe lasciata cullare dalle sue braccia che, ne aveva avuto prova più volte, non mancavano mai di avvolgerla stretta in quelle occasioni. Era sempre stato lì con lei, pronto a proteggerla e rassicurarla, a difenderla dalle battute acide di Lavi, ed ora il mondo pareva essersi ribaltato. Lui era lì. Ma per ucciderla, perché quel gesto avrebbe lacerato definitivamente la sua anima. E un'anima come la sua, che dalla vita aveva sempre ricevuto notevoli colpi, non avrebbe retto ad un ulteriore dolore, ad un ulteriore taglio profondo. Non avrebbe retto alla perdita di una persona a lui cara.

Era dunque quello il destino di una persona che aveva sempre dato tutto se' stesso per il prossimo?

(Che mondo crudele.)

Poi, mentre il vento aveva iniziato a soffiare tra le chiome degli alberi e ad aumentare la forza della pioggia, Allen si mise in ginocchio davanti a Lenalee. Per un attimo un barlume di speranza la sfiorò, facendole credere che quella mano che allungava verso di lei fosse per aiutarla ad alzarsi, o stesse per asciugarle le lacrime e dire di non piangere, che non ce n'era bisogno, che se la sarebbero cavata come sempre. Quando, però, sentì quella mano stranamente calda stringersi attorno al suo collo, soffocò un singhiozzo e sentì un brivido lungo la schiena. La ferita al fianco iniziò a pulsare, più forte di prima. Le gambe si mossero in uno spasmo mentre le dita stringevano, bloccandole il respiro e le lacrime in gola. Tutto il suo corpo la stava spronando a difendersi, a lottare. Eppure lei aveva deciso di non pensare più, di abbandonarsi a quella sensazione fredda che la stava accogliendo, estranea e per nulla attesa. Chiedeva solo di poter morire prima di vedere ulteriori stragi compiute da lui. Voleva troppo forse?

Quella mano strinse ancora di più, strappandole un gemito di dolore che non fece altro che far allargare, maligno, quel sorriso sulle labbra ora fredde del ragazzo. Lui si alzò piano, trascinandola con se'. Era diventato alto. I piedi non toccavano più a terra. Si sentiva sospesa come nel vuoto. Le braccia le caddero inermi lungo i fianchi. Non avrebbe lottato, non poteva farlo.

Aveva desiderato non guardarlo negli occhi, perché sapeva che non avrebbe fatto altro che provocarle un dolore immenso, ma ora voleva morire in quella maniera. Voleva morire soffocata, mentre sprofondava nel suo sguardo triste, nei suoi occhi gonfi di pianto. Avrebbe conservato quell'immagine inquietante di lui per sempre, anche se una volta smesso di respirare avrebbe smesso anche di esistere.

Cercò di fissare gli occhi di lui, muovendosi con le poche energie che le rimanevano. All'improvviso quell'oro acceso incontrò il suo sguardo e l'espressione di puro orrore che vi lesse la spiazzò. Allen non voleva ucciderla. Era costretto a farlo e ad assistere, perché il Quattordicesimo voleva ridere della sua disfatta, voleva godersi il momento in cui avrebbe dominato sul Distruttore del Tempo. Il momento in cui avrebbe disfatto anche l'ultimo nodo che lo teneva legato alla propria coscienza.

Allen volse altrove lo sguardo, nascondendo gli occhi sotto la frangia ormai castana, ma le lacrime e il ghigno mefistofelico in volto erano ancora visibili. Anche troppo. Voleva sentirlo parlare ora. Voleva auto infliggersi un'altra tortura.

Allen-kun...”

Nel sentire la sua stessa voce così debole, così piena di dolore, si spaventò e smise di piangere. Quante volte quelle lacrime erano scese sulle sue gote senza alcun motivo? Ed ora, ora che avevano un motivo più che valido per tornare a bagnarle il viso, erano scomparse. Forse le aveva finite. Aveva pianto troppo in precedenza, ed ora non era più in grado di piangere.

A... Al...”

Accadde tutto rapidamente. Sentì la presa sul collo farsi più forte, il vento aumentare e vide il ragazzo allontanarsi da lei di scatto. Poi un dolore al capo e alla schiena la percorsero senza alcun preavviso, e nel momento in cui si sentì scivolare contro il tronco di un albero capì che non era stato lui ad allontanarsi, ma lei ad esser scagliata lontano con violenza. Cadde su un fianco e iniziò a sputare sangue, una mano sulla bocca e una sulla ferita al fianco.

Perché non aveva stretto di più? Perché non le aveva spezzato il collo e messo fine alle sue sofferenze? Era forse questo che voleva il Quattordicesimo, sentire l'animo di Allen sbriciolarsi poco a poco mentre la uccideva lentamente?

Un piede le premette sul viso, schiacciandola nel fango. Una mano la sollevò e sentì un dolore forte allo stomaco. Cadeva, eppure non toccava mai il suolo. Rimaneva sospesa a mezz'aria, colpita da quei pugni carichi d'odio e di pazzia, di tristezza e d'orrore, e non riusciva a cadere a terra. La pioggia le scorreva sul viso, cancellando i rivoli di sangue e colpendola con ferocia.

Perché Allen non le parlava? Perché si limitava a sorridere, piangere e colpirla? Le andava bene sentire anche solo un “muori” sussurrato a mezza voce, una risata che probabilmente non era nemmeno sua, ma voleva sentirlo.

La colpì in pieno viso e la lasciò cadere. Non atterrò sul terreno però, sotto di lei c'era qualcosa di più morbido, per quanto fosse rigido e freddo. Si scostò quel tanto che bastava per guardare e inorridì davanti a quegli occhi vacue e spenti. Soffocò un urlò, si scostò di fretta e si mise le mani sugli occhi. Non ancora. Non ancora, ti prego...

Era tutto un brutto incubo. Doveva essere tutto un brutto incubo, perché se non era così...

Mo...”, sussurrò, mentre le parole le uscivano a fatica dalle labbra serrate, “Mostro! Sei un mostro!”

Non guardò il volto di Allen. Sapeva che il sorriso aleggiava ancora sulle sue labbra e che quegli occhi compassionevoli l'avrebbero tradita. Sapeva che Allen voleva essere ucciso, proprio come lei ed entrambi non avevano controllo del proprio corpo. Erano schiavi di ciò che avevano dentro di loro, e nulla li avrebbe smossi da quella situazione. Il loro destino era stato tessuto tempo addietro, ancora prima che si conoscessero, e a poco si sarebbe compiuto. Lei sarebbe morta, e per mano sua.

Non era rimasto nessuno, solo loro due, del gruppo di sei esorcisti che erano partiti verso quella missione non troppo complicata. Di tutti loro, ne sarebbe tornato solo uno alla Home, e si sarebbe recato là probabilmente per continuare la sua opera di sterminio. Se solo fosse riuscita a contattare suo fratello per avvisarlo, magari avrebbe evitato un'ulteriore strage.

Perché...?”, bisbigliò, stringendo le mani al petto, “Perché fai tutto ciò?! Non avevi rinnegato il Conte, non lo avevi tradito?! Dovresti stare dalla nostra parte, maledizione!”

Il ghignò sul volto angelico di Allen si allargò, e nell'aria si diffuse il suono della sua risata. “Io...” Un passo verso di lei. “... non sto...” Ancora uno, più pesante del precedente. “... dalla parte...” Si chinò, afferrandole i capelli con la mano destra. “... di nessuno!” La sollevò, e la buttò a terra, lasciandola cadere a pochi passi dal corpo del compagno.

 

---

 

Lenalee ricordava bene ogni momento della sua vita – fatta eccezione del periodo precedente alla sua entrata nell'Ordine Oscuro. Ricordava i volti di tutte che persone che avevano varcato quell'immenso portone, felici per ave raggiunto la loro meta e spaventate per quello che poteva accader loro da quel momento. Però, ricordava anche tutti coloro che erano usciti e mai più rientrati.

Ricordava il volto di Kanda, il giorno in cui lo incontrò. Lo aveva scambiato per una ragazza a causa di quei capelli così lunghi e quei tratti teneri da bambino, sebbene fosse burbero sin d'allora.

Ricordava Lavi, a sedici anni, accanto al vecchio panda che risaliva il torrente sotterraneo dell'Ordine su di una barca. Lo aveva salvato dalla furia omicida di Kanda e subito aveva capito che quello non era un ragazzo come gli altri. Era abituata ad esser circondata da cose “strane”, ma che un ragazzo dovesse non provare sentimenti lo trovava contro natura. Però non si era mai lamentata, ne' mai avrebbe espresso ad alta voce quel pensiero. Infondo aveva trovato sia il vecchio che il rosso ben disposti nei loro confronti. Non era il caso di stressarli con i suoi pensieri.

Ricordava, quel giorno nella sala di controllo, la scalata impossibile di Allen lungo la rupe della sede dell'Ordine. Si era preoccupata – poteva benissimo essere un akuma – ma dentro di se' aveva anche riso. Kanda, ancora una volta, si era lanciato all'attacco e lei, come era sua consuetudine da anni, lo aveva fermato, impedendogli di uccidere il presunto compagno. Aveva accompagnato il nuovo arrivato per la sede, gli aveva mostrato ogni stanza – tranne quelle di suo fratello. Alla notizia che lui fosse un quindicenne si era rallegrata. Finalmente non sarebbe più stata la 'piccola e indifesa Lenalee'. C'era finalmente qualcuno più piccolo di lei. Avrebbe potuto essere una sorella per lui, in qualche modo. Aveva scoperto presto, però, che quell'espressione dolce sul viso del ragazzo nascondeva un carattere forte e fu in quel momento che capì che non poteva essere nulla di più che se' stessa con lui, che era ancora lei la più piccola e la più indifesa. Lui aveva degli ideali più forti dei suoi per cui combattere. E quella maledizione... era una cosa che, per quanto si fosse sforzata, lei non poteva comprendere.

Si era affezionata subito a tutti loro. Erano diventati pezzi nuovi per il suo puzzle e li aveva stretti al petto, terrorizzata al pensiero di perderli e gelosa che qualcun altro potesse pretenderli.

 

 

 

Poi era tutto cambiato.

 

 

 

Quell'amicizia iniziale era scomparsa, sostituita da un legame più forte. Per Lenalee quei ragazzi non erano più amici, compagni o semplici conoscenti: erano la sua famiglia.

Si era promessa che avrebbe combattuto per loro e per suo fratello ma più lei tentava e più falliva.

Vedeva tutti allontanarsi, creare una voragine insuperabile fra loro e lei. Loro crescevano, cambiavano e si evolvevano. Lei era bloccata. Bloccata, senza innocence e forza di camminare. Odiava quella situazione. Tutti si preoccupavano più del solito e lei non poteva fare nulla per rassicurarli oltre dire un semplice 'sto bene', ma quella debolezza non poteva nasconderla. Le gambe le tremavano di continuo e, se si sforzava di camminare, si stancava velocemente.

Lungo tutta la strada attraverso l'Arca si era sentita debole e spaventata. Voleva aiutare i compagni, la sua famiglia, a combattere. Voleva tornare indietro assieme ad Allen per salvare Kanda e Crowley. Voleva poter saltare da quelle macerie e afferrare Lavi e Chaoji prima che cadessero. Voleva poter aiutare Allen a cancellare il download o, almeno, non esser d'intralcio a Cross mentre rallentava il trasferimento dell'uovo.

 

 

 

E poi erano tornati a casa.

 

 

 

Aveva sperato Lenalee. 'Tutto sarebbe tornato come prima'.

E invece l'Ordine, all'improvviso si era ritrovato sotto attacco.

Era successo tutto di mattina presto, qualcuno ancora dormiva. I combattimenti si erano prolungati a lungo e lei, senza innocence, non aveva potuto far altro che stare ad aspettare assieme a Lavi e le infermiere che accudivano Crowley. Alla fine però, aveva potuto combattere. Aveva rischiato la sua vita pur di tornare sul campo di battaglia. Suo fratello era in pericolo. Allen era in pericolo. E anche tutto l'Ordine. Non poteva rimanere ferma ad aspettare in una stanza buia. Si era precipitata da Hebraska, accompagnata da Leverrier, e aveva recuperato l'innocence, lottato contro il livello quattro, assieme ad Allen.

 

 

 

E l'home era cambiata. Si erano trasferiti in un altro posto.

 

 

 

Aveva dovuto abbandonare il luogo in cui era cresciuta. Il luogo in cui aveva rincontrato suo fratello, dove aveva conosciuto i suoi amici, la sua famiglia. Il luogo in cui però aveva perso molte persone a lei importanti. Aveva pensato allora che si sarebbe rifatta una vita una volta arrivata all'home nuova. Avrebbe provato a ricominciare da capo, con i suoi amici ancora in vita, mettendo da parte, ma non dimenticando, coloro che erano morti.

Purtroppo, però, qualcuno aveva stravolto i suoi piani. Tutto era cominciato per il peggio. Allen era stato portato via da dei funzionari della Sede Centrale e, una volta tornato, era cambiato, era diverso. Lei aveva chiesto se stesse bene e lui aveva risposto di sì, che non aveva nulla. Aveva subito intuito che quelle sue parole erano false; le aveva dette solo per tranquillizzarla perché era sicuro che lei non lo avrebbe accettato o, nel peggiore dei casi, si sarebbe preoccupata fino all'inverosimile. E Lenalee gli avrebbe creduto, come aveva sempre fatto d'altronde, se non fosse stato per quel sorriso tirato che aveva in volto. Era un ragazzo spontaneo, per lui mentire bene non era semplice e, quando tentava di farlo, ci riusciva con scarsi risultati. E, malgrado il suo tentativo di non dirle nulla, Lenalee era venuta a sapere cosa tanto lo preoccupava. Lvellie aveva svelato loro tutto il giorno dopo. Aveva radunato i Generali e gli esorcisti e, assieme a Komui, li aveva informati del fato del ragazzo e del fatto che, nonostante tutto, avrebbe continuato a svolgere i suoi doveri da esorcista.

E Allen aveva chiesto di esser ucciso nel caso il Quattordicesimo si fosse svegliato e attaccato l'Ordine.

Lenalee avrebbe voluto urlare, picchiare i pugni a terra, piangere e chiedere perché, però rimase ferma dov'era, con gli occhi spalancati e le braccia lungo i fianchi, incredula che parole tanto amare potessero uscire da una bocca tanto candida.

 

---

 

Non aveva mai visto Allen giocare a carte e la cosa non la entusiasmava poi molto. Non lo aveva mai visto barare per accaparrarsi soldi o, semplicemente, perché il suo ego non avrebbe sopportato una sconfitta. Però, in quel momento, Lenalee era sicura che avrebbe preferito vedere il suo “Lato Oscuro” - come lo aveva chiamato Lavi – piuttosto che quel ghigno sul suo volto.

Lo vedeva davanti a sé, lo sguardo indeciso.

Sai”, esordì la voce di Allen, con una nota di disprezzo, “sono proprio indeciso in questo momento: ucciderti qui e subito, o divertirmi ancora un po' con te?”

Si chinò verso di lei, la mantella dell'Ordine volteggiante nell'aria gelida, e le prese il viso fra il pollice e l'indice, alzandolo e squadrandolo, quel ghigno ancora sulle labbra candide. “Lui”, ed indicò sé stesso, “ti ama così tanto. Mi chiedo cosa diavolo abbia mai visto in te.” E con uno strattone la fece cadere all'indietro, inciampare nel corpo del compagno ed abbandonarsi al suolo, le braccia aperte e le lacrime lungo le gote arrossate dal freddo.

Gli occhi piangevano ancora. Era una cosa così strana e straziante.

Voleva essere ucciso. Lui voleva morire. E insieme a lei, probabilmente.

Eppure, quella volta nell'arca, superata la porta della stanza in cui Jasdebi aveva teso loro un'imboscata, quella volta che lei, Lenalee, aveva pianto e scalciato per tornare indietro a salvare Crowley, lui non aveva desiderato la morte. Desiderava vivere, più di ogni altra cosa, e salvare i suoi compagni. Voleva tornare all'home assieme a tutti e festeggiare con Komui e gli altri.

« I'm not giving up either.

I'm struggling and struggling to

protect everybody, no matter what. »

Però, ora si era dato per vinto.

Possibile che le parole di un solo uomo possano cambiare così radicalmente un'esistenza?

Un uomo morto, come se non bastasse.

(Loro lo credevano morto.)

Allen non era stato più sé stesso da quando Cross gli aveva rivelato che Mana era il fratello del Quattordicesimo, e lui ne era l'ospite. Aveva mascherato quella tristezza, quel senso di oppressione, giorno dopo giorno con sorrisi che parevano veri e quella voce ferma e sicura che, in realtà, nell'animo era in bilico sulla punta di un coltello.

Allen-kun...”, iniziò Lenalee, voltando la testa verso gli alberi per non vedere ne il corpo del compagno ne gli occhi di Allen, “... lui, voleva vivere! Voleva distruggere il Conte perché altra gente non soffrisse come lui e Mana!”

Il Quattordicesimo smise di ridere, e si fece serio in volto.

 

 

---

 

Quando Komui aveva aperto quella porta aveva strillato e la torta al cioccolato gli era scivolata dalle mani.

Lenalee era rimasta immobile, spaventata. Allen, dal canto suo, aveva assunto in volto varie sfumature di rosso che crescevano d'intensità più il dito dell'uomo davanti a loro lo indicava, colpevole.

Tu!”

Il ragazzo aveva spalancato gli occhi. “Io...?”

Tu... e la mia Lenalee!”

La bocca dell'uomo, spalancata in un urlo ormai sordo, aveva toccato terra e il dito che li puntava aveva iniziato a tremare.

Voi due...!”

Lenalee a quel punto aveva urlato e sbattuto il fratello fuori, chiudendo la porta. Si era vestita ed aveva aiutato Allen a fare lo stesso. Erano poi usciti, per trovarsi di fronte un Supervisore della Sezione Scientifica ancora sconvolto e pietrificato, la bocca sempre spalancata e il dito accusatore puntato verso il vuoto, tremante. Lo avevano aiutato ad alzarsi e ad andare nel suo ufficio con la promessa di spiegare tutto, ma l'uomo era rimasto ancora immobile con il volto contratto in un urlo silenzioso. Avevano deciso di ignorarlo ma, nell'istante in cui Lenalee disse “Andiamo, Allen-kun”, Komui era scattato verso la sorella, bloccandola per un braccio.

Non l'aveva guardata in volto. Sembrava imbarazzato.

Lenalee, perché mi fai questo?”, aveva puntato il dito nuovamente verso Allen, con le lacrime agli occhi e il naso che gocciolava.

La ragazza si era voltata e, dopo uno sbuffo e un sussurro che solo il compagno accanto a lei aveva udito – che palle -, rispose al fratello. “Io non ti sto facendo nulla, Nii-san. Sono libera di stare con chi voglio, o sbaglio?”

Komui era scoppiato in lacrime. Aveva imprecato, scalciato, ma non aveva smosso la sorella dalla decisione che aveva preso.

Era in quel momento che aveva iniziato a pianificare la sua vendetta contro Allen Walker.

 

 

 

Lavi non aveva resistito a lungo. Da mesi si teneva quel segreto che non aveva avuto il coraggio di svelare nemmeno al suo vecchio Panda.

(Le minacce di Lenalee lo spaventavano.)

Ormai che Komui sapeva tutto, si era lasciato andare, sbandierando ai quattro venti il fatto che avesse visto Allen e Lenalee assieme mesi addietro. Questo non aveva fatto altro che aumentare la rabbia omicida che cresceva nel Supervisore ogni giorno. Gli avevano mentito e, per giunta, per dei mesi interi.

Alcuni ragazzi della scientifica avevano appeso un calendario, vicino alle loro scrivanie, che segnava il conto alla rovescia della fine di Komui. Erano sicuri che, una volta che Lenalee fosse venuta a conoscenza del nuovo Komurin, non avrebbe risparmiato il fratello. Loro, però, erano stati costretti a tener chiusa la bocca.

(Le minacce del Capo funzionavano sempre.)

E Allen non era quasi mai in sede. Komui continuava a spedirlo in diverse missioni, una dopo l'altra, senza lasciargli il tempo di poggiare la valigia da viaggio nell'atrio e dire “sono tornato”. Ad ogni sua partenza, stranamente, coincideva ogni ritorno di Lenalee, anche lei messa agli stremi.

Kanda si era lamentato, e più di una volta. Questo continuo spedire i due compagni in missione, e sempre separati, non lasciava molto lavoro ad altri esorcisti e lui iniziava ad annoiarsi, anche con la meditazione Zen.

Lavi, invece, se la spassava, anche se continuava a ricevere rimproveri dal vecchio Bookman.

 

 

 

Verso la metà di Ottobre, era accaduto l'inevitabile: Komurin, all'alba, aveva distrutto la camera di Allen con il ragazzo ancora all'interno. Il boato provocato aveva svegliato diversi esorcisti e finders, e alcuni scienziati erano rinsaviti dal loro stato di coma apparente, scioccati.

Lavi era stato il primo a raggiungere la stanza ormai distrutta dell'amico. Aveva fatto in tempo a vederlo fuggire, ancora in pigiama, con al seguito il nuovo Komurin.

Fermo, Polipo!”, aveva urlato in continuazione il Supervisore, lanciando diversi razzi verso Allen.

Non sono un polipoooo!”

Lavi aveva tentato di fermare il robot, ma non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Gli attacchi verso il suo Komurin avevano aumentato la rabbia di Komui.

Vai, Komurin! Uccidi il polipo!”

Allen aveva saltato una ringhiera, atterrando tranquillamente al piano sottostante. “Signor Komui, la prego, mi lasci spiegare!”, aveva urlato, fermo in mezzo al corridoio, osservando l'uomo in groppa alla gigantesca macchina che aveva costruito. “La prego...”

Komui aveva riso, maleficamente, abbassando il capo. Quando l'aveva rialzato, Allen gli aveva letto in volto le sue intenzioni: non lo avrebbe lasciato andare, non così facilmente, almeno.

Che spiegazioni vuoi dare, eh?”, aveva sibilato l'uomo, il volto che era il ritratto della pazzia, “Chiunque osi toccare la mia adorata Lenalee non merita un processo. Devi pagare per ciò che hai fatto.”

Tecnicamente io non l'ho solo...”

Zittoooo!”, il dito dell'uomo (ormai totalmente fuori di senno) si era allungato ad una velocità spaventosa verso un grosso pulsante rosso, cosa che aveva provocato le urla di Reever.

Stupido Supervisore boccoloso, vuole ucciderci tutti?!”

Komui era scoppiato a ridere, mentre osservava intento la luce che il robot emanava. “Se questa è l'unica soluzione, s..!” Non aveva fatto in tempo a finire la frase che Komurin era esploso, e lui si era sentito precipitare, sempre più veloce, verso il pavimento mezzo distrutto dell'ordine. Nella sua visuale erano entrati un paio di stivali rossi, aveva sentito un gran male alla testa e poi era diventato tutto bianco.

 

 

 

Allen si era svegliato nella sua stanza, la testa dolorante ed una gamba fasciata. Si era guardato attorno confuso, cercando di muovere il meno possibile il collo – anche quello era fasciato. Aveva alzato una mano e se l'era passata fra i capelli scompigliati, con fare assonnato.

Cosa...?”

Aveva sentito qualcosa muoversi alla sua sinistra e subito aveva scorto, fra quelle lenzuola candide, la chioma scura di Lenalee. Aveva sorriso, l'espressione più calma e rasserenata ora. Dormiva, il capo fra le braccia appoggiate al bordo del suo letto.

Lenalee...”

La ragazza aveva un cerotto sulla mano pallida, una benda su di un occhio e diversi taglietti in volto, ma a lui appariva sempre e comunque bellissima e insostituibile. Avrebbe dato la sua vita per potersi svegliare sempre col pensiero che lei stesse bene, per poi voltarsi e vederla dormire beata al suo fianco.

La amava, e non poteva far nulla per cambiare quel fatto.

Le aveva baciato i capelli e si era alzato piano, cercando di non svegliarla, andando dritto verso l'armadio per cambiarsi. Era stato in quel momento che si era accorto del vassoio di mitarashi dango sulla sua scrivania stracolma di fogli.

Lo conosceva bene, lei.

Aveva sorriso ancora, un sorriso dolce ed indirizzato al caldo corpo che ancora dormiva poggiato al suo letto.

Grazie, Lenalee”, aveva sussurrato, tornando da lei. L'aveva stretta in un debole abbraccio e l'aveva sentita gemere di dolore. Era ferita più gravemente di quanto pensasse.

Scusa. Scusa perché non potrò proteggerti per sempre, non da me, almeno.”

 

 

 

---

 

A quel nome, il Quattordicesimo, non seppe più cosa dire. Mana... lo ricordava, e bene. Sia per le sue memorie che per quelle di Allen. Entrambi i carichi d'emozioni che scaturivano dall'udire quel nome erano immensi e dolorosi. Allen aveva voglia di piangere, picchiare i pugni a terra e successivamente rialzarsi, esclamare di star bene ed esser convinto più che mai nel continuare la sua lotta contro il Conte; il Quattordicesimo provava rabbia, sete di vendetta.

Mana non è affar tuo”, esclamò la voce aspra e rotta dai singhiozzi di un Allen che ancora pareva posseduto.

Mana è morto a causa mia...”

Che voce strana, che tono piagnucoloso.

Mio fratello...”

Dalle gote del ragazzo erano cadute altre lacrime, che andarono immediatamente a mischiarsi con la pioggia.

Ho ucciso io mio padre, l'unica persona che mi aveva accettato.”

Lenalee aveva visto le ginocchia di Allen tremare, minacciare di cedere, ma lui era rimasto fermo dov'era. Aveva mantenuto la sua posizione di superiorità nei suoi confronti.

Se il Lord l'ha ucciso, è tutta colpa mia.”

Avrebbe potuto alzarsi ed andare a consolarlo, ma non lo fece. Allen l'avrebbe lasciata fare, si sarebbe aggrappato a lei o avrebbe cancellato le sue lacrime, fingendo di star bene; ma il Quattordicesimo l'avrebbe quasi sicuramente uccisa per essersi intromessa in affari che non la riguardavano.

Io volevo bene a Mana, Lenalee. Nessuno oltre a lui m'aveva mai accettato.”

E Lenalee seppe che era Allen quello che stava parlando in quel momento. La voce era la sua. Le parole erano sue. Il Quattordicesimo c'era, ma era Allen quello che stava parlando e piangendo.

Allen-kun...”, allungò la mano verso di lui e vide gli occhi colmi di lacrime spalancarsi, dilatarsi e spegnersi. Se solo ne avesse avuto le forze, si sarebbe alzata e lo avrebbe stretto attorno al collo, sussurrandogli che era tutto apposto, di non piangere, che sarebbero tornati a casa immediatamente ed avrebbero dimenticato tutte quelle brutte storie. Avrebbe appoggiato il capo sulla sua spalla ed avrebbe pianto assieme a lui, felice perché era tornato sé stesso e triste per lui, per quello che aveva sempre subito. “Allen-kun...”

Lenalee...”, Allen mosse un passo verso di lei, la mano tesa come ad incontrare quella sporca di sangue e fango di lei, e si inginocchiò a terra con un gemito di dolore. “Lenalee!”, prese la mano tesa della ragazza fra le sue a la strinse, portandosela al petto ed abbassando il capo verso di lei. “Lenalee, io...”, iniziò lui, gli occhi già lucidi e la voce incrinata da quel muto pianto. Strinse più forte le mani al petto e chiuse gli occhi sperando che, una volta riaperti, tutto quello che era appena accaduto sarebbe scomparso, lasciando il posto a qualcosa di meno sgradevole e doloroso.

Allen-kun”, lo chiamò Lenalee, alzandosi appena per raggiungere la sua spalla e posarvi sopra il capo, “Allen-kun, va tutto bene.” Era lui. Era sicuramente tornato in sé.

Il ragazzo spalancò gli occhi, incredulo, e strinse Lenalee forte, fra le sue braccia. “No che non va tutto bene. Io...”

Tu non ne hai colpa, Allen-kun...”

Il rumore della pioggia improvvisamente sembrò farsi più forte. Il ticchettio delle gocce che si infrangevano al suolo era sempre più ritmato. Il vento si era calmato ma, fra un singhiozzo e l'altro, le foglie degli alberi non smettevano di muoversi.

Allen non aveva la ben che minima idea di come comportarsi.

Lui aveva colpa, eccome. E lo sapeva.

Lenalee...”

Sentì il corpo della ragazza rilassarsi fra le sue braccia e, solo qualche attimo dopo, si accorse che era svenuta. Le passò una mano fra i capelli bagnati e sporchi e attese.

Rimase semplicemente in attesa che le parole di scusa che voleva sussurrarle uscissero dalle sue labbra.

... da quando sono entrato nella tua vita non ho fatto altro che causarti problemi. A te. A tutti. Scusa.”

Spostò il capo quel che bastava per vederla in volto: sembrava stesse dormendo beatamente. Aveva tante – troppe – ferite su tutto il corpo. Ed era stato lui.

Lenalee aveva detto che lui non ne aveva colpa, ma aveva torto. Se non riusciva ad impedire che il Quattordicesimo prendesse il possesso di lui la colpa era sua, di nessun altro. Se aveva fatto tutto quello a Lenalee era colpa sua. Se, in uno di quegli attimi di lucidità, non era stato in grado di fermarsi dall'uccidere coloro che amava, la colpa era sua. Se l'unica cosa che era riuscito a fare era stato piangere, la colpa era sempre e solo sua.

Aveva promesso ai suoi compagni che avrebbe fermato lui stesso il Quattordicesimo, e non aveva mantenuto la promessa. Il Noah era lì, che ancora premeva per uscire, per terminare la sua opera.

Afferrò saldamente il proprio braccio sinistro e levò il Crown Clown sopra di lui.

Allen!”

Il ragazzo si voltò spaventato, incontrando gli occhi spaventati di un Lavi che reggeva Kanda per un braccio, ancora incosciente e sanguinante, però vivo.

Lavi... BaKanda”, sibilò, abbassando appena il braccio.

Non farlo.”

Allen sorrise, inclinando il capo di lato e socchiudendo li occhi.

Schiuse appena le labbra, quel tanto che bastava a sussurrare.

Saluta tutti per me, Lavi.”

E calò la spada.

 

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