The Ghost of You di StarFighter (/viewuser.php?uid=120959)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I can feel no pain. In the ice or in the sun it's all the same... ***
Capitolo 2: *** And even though it’s different now, you’re still here somehow… ***
Capitolo 3: *** I feel my heart is aching, though it doesn’t beat , it’s breaking... ***
Capitolo 1 *** I can feel no pain. In the ice or in the sun it's all the same... ***
THE
GHOST OF YOU
Capitolo
1: I can feel no pain. In the ice or in the sun it's all the same...
Tre mesi. Tre
lunghi mesi erano passati dal giorno dell’incoronazione della
regina. Tre mesi
di gelo e ghiaccio, che cresceva di ora in ora. Arendelle era in
ginocchio,
piegata dalla forza del gelido vento, che incessante spazzava il
fiordo, e
dalla neve che continuava a cadere imperterrita, coprendo come un
sudario di
morte ogni cosa. Gli abitanti erano rinchiusi nelle casette di legno,
un tempo
colorate ma che ora apparivano tutte uniformemente bianche, e non
osavano
avventurarsi per le strade ghiacciate per paura di fare la stessa fine
della
principessa. Elsa non aveva trovato rimedio a tutto quello. Non era
riuscita a
fermare quella tempesta che aveva creato senza volerlo…non
riusciva a
controllarla, ormai aveva vita propria.
Per
lei, quei tre mesi, erano passati tutti come una lunghissima notte
insonne. Da
quando Anna era morta, a stento si era nutrita e i segni della
stanchezza e del
deperimento erano chiarissimi sul suo volto niveo, ormai scavato ed
ingrigito:
non aveva dormito per più di due ore a notte, ore in cui non
faceva altro che
sognare instancabilmente e in continuazione quella maledetta spada che
mandava
in pezzi la vita di sua sorella.
Quella
notte non fece eccezione e quando si svegliò urlando, nel
buio più totale, si
portò una mano al petto, per evitare che il cuore fuggisse
via impazzito. Ormai
gli incubi la tenevano in pugno, facendole visita ogni notte e ogni
giorno
senza requie, appena chiudeva gli occhi, appesantiti dalla stanchezza e
dalla
privazione di sonno. Era distrutta nello spirito e nel corpo: sapeva
che non
sarebbe sopravvissuta molto ancora e sperava che con la sua morte anche
la
tempesta, che teneva stretto il suo regno in una gelida morsa, si
sarebbe
placata.
Come
c’era da immaginarsi, l’aspetto della sua stanza
rispecchiava perfettamente il
suo tormento interiore: il vento, che aveva scatenato, aveva divelto le
ante
dell’armadio e le tende del suo letto erano a pezzi, sparse
sulle lenzuola
candide, coperte da una coltre di soffice neve. Nell’aria,
alcuni fiocchi
sostavano immobili, come se avessero fermato la loro turbinosa danza,
nel
momento esatto in cui la regina aveva aperto gli occhi. La situazione
era
peggiore delle altre volte: in precedenza aveva fatto volare qualche
oggetto,
aveva gelato il pavimento e le pareti, ma mai aveva avuto la forza di
distruggere qualcosa.
Si
strinse le braccia al petto, cercando un po’ di calore,
cercando quel conforto
che non sarebbe arrivato, dondolandosi nel buio, mentre un lampo
impetuoso
squarciava il cielo, illuminando a giorno la sua stanza.
Scese
tremante dal letto e si avvicinò alla finestra. Lo
spettacolo che le si profilava
davanti non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello dei suoi
incubi, era
peggio: la neve bloccava le uscite delle case, intrappolando gli
abitanti; il
cielo plumbeo incombeva con grosse nuvole nere sulle teste dei suoi
sudditi; gli
alberi delle navi, imprigionate nel fiordo ghiacciato, svettavano su
quella
landa lugubre e desolata, come lapidi di un cimitero, testimoni della
sua
incapacità di controllarsi, mentre un vento furioso faceva
volare via qualsiasi
cosa gli si parasse davanti.
Poggiò
le mani alla finestra e strinse i pugni, fino a far sbiancare le
nocche: cosa
poteva fare? Perché la tempesta non diminuiva
d’intensità con il deteriorarsi
della sua persona? Se avesse avuto l’assoluta certezza che si
sarebbe placata
con la sua morte, avrebbe aperto all’istante quella finestra
e si sarebbe
lanciata nel vuoto. Ma non aveva sicurezza di ciò, solo
dubbi. Poteva solo
stare a guardare il suo regno perire di stenti e freddo, mentre
scompariva
sotto metri di neve bianca, soffice e letale.
Il
cuore le martellava furioso nel petto e sentiva il sangue affluirle
veloce alla
testa. Respirò piano, a grandi boccate per cercare di
calmarsi, per non
peggiorare la situazione, ma fu tutto inutile. Nella stanza, i fiocchi
di neve
sospesi a mezz’aria ricominciarono a volare vorticosamente,
imprigionandola
nella sua piccola bufera personale.
Un
verso disperato le sfuggì dalle labbra, mentre chiudeva gli
occhi, per non
vedere, per far finta che fosse tutto frutto della sua immaginazione,
ma non
funzionò, perché anche ad occhi chiusi riusciva a
vedere la rovina che aveva
abbattuto sul suo popolo, la maledizione che oramai non era
più solo sua ma di
tutta Arendelle.
Si
aggrappò al davanzale, artigliando con le dita il freddo
marmo, che sotto il
suo tocco cominciò a gelare. Respirò ancora,
preda della paura e dell’angoscia.
Qualcosa, fuori dalla finestra attirò la sua attenzione. Dal
cielo buio,
attraverso i cirri cupi, filtravano lampi di luce viola e verdastra.
Trattenne
per un attimo il fiato, per capire cosa fosse quello strano fenomeno e,
quando
arrivò alla conclusione, gli occhi le si riempirono di
lacrime: l’aurora
boreale, riusciva a penetrare la cortina di nuvole, che impediva di
vedere il
cielo trapunto di stelle.
-“Elsa,
il cielo si è svegliato! Dobbiamo giocare.”- una
voce cristallina ruppe il
silenzio della stanza.
Un
brivido freddo le scese lungo la schiena, e gli occhi le si
spalancarono per lo
spavento, quando quella voce le giunse alle orecchie, accompagnata da
una
risata argentina. Si voltò di scatto, pronta a cogliere
qualsiasi movimento in
quella bufera, ma nulla. La neve continuava a cadere e a volteggiare in
spirali
impossibili, precludendo qualsiasi cosa alla sua vista. Stava
impazzendo, non
c’erano altre spiegazioni.
Accecata
dalle lacrime e dalla bufera, cercò a tentoni la colonna del
letto e vi si
aggrappò con tutte le sue forze, facendosi male alle mani,
facendo quasi
entrare le unghie nel legno scolpito.
-“Elsa!”-
di nuovo quella voce che la chiamava. No, non poteva essere, stavolta
l’aveva
sentita chiaramente: era la voce di una bambina.
Un
guizzo di bianco improvviso si mosse nella coda dell’occhio,
al limite del suo
campo visivo, attirando la sua attenzione. Per un momento
sperò di star
sognando, sperò di essere intrappolata in uno dei suoi
incubi e che di li a
poco si sarebbe svegliata. La bufera si placò di colpo,
lasciando cadere
mollemente i fiocchi al suolo.
Aveva
ragione, la voce che aveva sentito era quella di una bambina, ma non di
una
qualsiasi, bensì di Anna. Le stava davanti con i capelli
raccolti in due codini
disordinati e un sorriso enorme e bucherellato, mentre con le mani
dietro la
schiena si dondolava avanti e indietro. Era la Anna che aveva lasciato
chiusa
fuori dalla porta la prima volta, quella con cui aveva condiviso la
stanza e
notti piene di giochi con la neve.
Il
respiro le si mozzò in gola e per un momento, che le parve
infinito, osservò
quella figura evanescente e opaca, che la fissava di rimando con
sguardo
interrogativo.
-“Andiamo
Elsa, lo facciamo un pupazzo di neve?”- le chiese, sempre
sorridendole.
Un
verso di sorpresa, le uscì dalle labbra a quella richiesta.
La bambina
scomparve e il momento successivo un bussare ritmico alla porta la fece
rinvenire dal suo stato di trance. Corse ad aprire ma come
c’era da aspettarsi
non c’era nessuno oltre la soglia. Ma l’eco della
risata cristallina di Anna,
vibrava ancora per i corridoi bui. Uscì fuori e
cominciò a vagare senza meta,
alla disperata ricerca della piccola Anna. Passò davanti
alla sua camera, e si
fermò di colpo. Posò una mano sul legno
intagliato, apprezzandone la precisione
dei disegni e fermandosi su un’incisione scura. La
strofinò con l’indice: era
una tacca che Anna aveva provocato andandoci a sbattere contro con la
sua spada
di legno.
-“Su
Elsa, andiamo!”- la voce di Anna la chiamò e
mentre si voltava vide la
sorellina sparire dietro l’angolo.
-“Dove
mi stai portando, Anna?”- chiese al nulla, mentre scendeva le
scale. Se in quel
momento qualcuno della servitù l’avesse vista in
quello stato, con la treccia
sfatta, con la camicia da notte e i piedi scalzi a correre per i
corridoi,
l’avrebbe di certo ritenuta pazza.
Non
le rispose, ma con una risatina acuta sparì dietro una
porta. Elsa si fermò,
osservando bene dove il fantasma della sorella l’aveva
condotta: la sala del
trono, lo stesso posto dove da piccole giocavano assieme, il posto in
cui una
notte di tanti anni prima l’aveva colpita per sbaglio,
rischiando quasi di
ucciderla. Prese un respiro profondo e poi afferrati i battenti,
spalancò
l’uscio sul buio e il silenzio della sala vuota. Mosse alcuni
passi
nell’oscurità: “Dove sei
Anna?”- sussurrò piano, temendo di essere sentita
dai
pochi abitanti del castello.
-“Elsa!”-
esclamò la bambina, ridacchiando e attirandola al centro
della sala -“Fa la
magia! Fa la magia!”-
Il
respiro le si bloccò in gola a quelle parole ed
indietreggiò di un passo: “No,
Anna. I-io non posso.”- soffiò fuori, guardando la
bambina con gli occhi
spalancati dal terrore: non avrebbe rivissuto gli avvenimenti di quella
maledetta notte.
-“Ti
preeeeego! Non succederà nulla.”- la
supplicò il piccolo fantasma, mettendo il
broncio.
Elsa
si ricompose e quasi le venne da ridere a quella vista: quando erano
piccole,
Anna riusciva sempre a spuntarla, mettendo su
quell’espressione da cucciolo
indifeso, e lei da brava sorella maggiore acconsentiva ad ogni suo
capriccio.
La
piccola dondolava le braccia lungo i fianchi, guardandola con un
sorrisino
furbetto: sapeva che Elsa sarebbe crollata se le avesse fatto la
faccina
triste.
Le
mani della regina si mossero veloci tra loro, formando un piccolo globo
di luce
bianca e soffusa: “Sei pronta?”- le chiese
abbassandosi alla sua altezza.
La
piccola Anna annuì con forza.
Elsa
scagliò in alto la sfera di luce, che esplose, diffondendo
migliaia di
finissimi fiocchi di neve perfetti nell’aria.
Restò a guardarli per un secondo,
prima che le risate di gioia della sorellina attirassero la sua
attenzione.
-“È
stupendo!”- la bambina correva tra i fiocchi, che
volteggiavano lenti fino a
posarsi al suolo, creando uno spesso strato di neve.
Elsa
la vide fermarsi e scomparire per un istante e poi ricomparire al suo
fianco:
“Vieni anche tu.”- la esortò
trascinandola con sé nella sua folle corsa in quel
mare di bianco.
Anna
rideva ed Elsa rideva a sua volta, prima piano, poi sempre
più forte, finché le
loro risa non riempirono l’opprimente silenzio che aleggiava
da troppi mesi su
quelle stanze spoglie e gelide, piene di ricordi mancati.
La
bambina improvvisò un girotondo, poi corse tra la neve, che
continuava
magicamente a cadere, con le braccine alzate, cercando di afferrare i
batuffoli
bianchi. Quando sembrava che ne avesse uno a portata di palmo,
stringeva il
pugno e poi lo riapriva, costatando tristemente di non averlo preso. I
fiocchi
scivolavano attraverso le sue manine evanescenti, continuando la loro
caduta
libera fino al pavimento.
Elsa
la osservò, con il sorriso che pian piano abbandonava le sue
labbra, con la
consapevolezza di quello che aveva davanti: un fantasma. Ma non uno
qualsiasi,
lo spettro di sua sorella, della sua dolce sorellina.
Anna
era morta.
Fu
come se in quel preciso istante avesse metabolizzato quella notizia,
come se il
suo cervello non avesse voluto registrarla. Brividi freddi cominciarono
a
scuotere la sua esile figura, mentre il respiro accelerava e gli occhi
le si
inondavano di lacrime calde e salate.
Si
lasciò cadere in terra, sotto il peso di quella tragedia che
si portava sulle
spalle da tre lunghi mesi: Anna era morta, lei era sola. Era tutta
colpa sua.
Si
prese il viso tra le mani, lasciando scivolare via le lacrime, che
tessevano
tele cristalline sulle sue guance.
-“Elsa?”-
la voce della piccola Anna la richiamò, tremante.
Non
riusciva a risponderle, non ne aveva la forza. Non l’aveva
fatto durante quei
tredici anni in cui lei aveva bussato incessantemente alla sua porta e
non
l’avrebbe fatto nemmeno ora, deludendola per
l’ennesima volta.
-“Elsa”-
un leggero spiffero di vento le scostò i capelli, quando lo
spirito le si
avvicinò –“n-non è colpa
tua.”- proferì con voce lieve.
-“Si,
invece.”- le rispose con la voce rotta
dai singhiozzi, continuando a coprirsi il volto con le mani
-“Tu sei morta, per
colpa mia.”-
-“No.”-
protestò, alzando la voce -“Non sei stata tu ad
alzare quella spada contro di
me.”- la sua voce era cambiata, diventando più
adulta.
Elsa
la spiò attraverso gli spiragli tra le dita: ora aveva
davanti la Anna della
sua incoronazione, la sorella che si era meravigliata quando
l’aveva salutata;
quella che le aveva presentato tutta speranzosa il verme che
l’avrebbe tradita;
la Anna che l’aveva rincorsa su per una montagna innevata
sprezzante del
pericolo; quella che aveva mandato via, colpendola al cuore; quella che
aveva
visto disintegrarsi davanti ai suoi occhi.
Le
mani scivolarono via dal suo viso, andandosi a stringere convulsamente
l’una
all’altra sul suo grembo.
Prese
fiato: “Io ti ho colpita, per colpa mia sei diventata una
statua di ghiaccio. È
a causa mia se di te non rimane nulla, se non una lapide con un nome ed
un
epitaffio.”- le disse tenendo lo sguardo basso, incapace di
incrociare quello
della sorella.
-“Oh
Elsa, di me rimane molto più di quello che
pensi.”- la rassicurò, cercando di
poggiarle una mano sulle spalle. La ritrasse subito, rendendosi conto
di non
poterla toccare.
-“Cosa?”-
le chiese la regina, alzando gli occhi umidi su di lei.
-“Io
sono attorno a te.”- pronunciò quelle parole in un
soffio. Elsa non riusciva a
capire, la sua mente cercava di elaborare il significato di quelle
parole,
senza riuscirci.
-“Il
mio corpo si è dissolto nell’aria, diventando
parte di tutto ciò che ti
circonda.”- le spiegò, intuendo la sua confusione
–“Sono nell’aria che respiri,
nell’acqua che bevi…”- cercò
di sfiorarle una guancia, facendo tremolare le
dita ad un millimetro dalla sua pelle -“sono in ogni goccia
di pioggia che ti
bagna il volto, in ogni fiocco di neve che sprigioni dalle tue
mani.”- le
sorrise mestamente.
Elsa
aprì il palmo della mano e raccolse uno dei fiocchi
ghiacciati che continuavano
a cadere su di loro: lo osservò bene, nella conca della sua
mano, era così
piccolo e fragile, ma pur sempre perfetto, capace di sopravvivere alla
più
violenta delle tormente, un po’ come Anna che era riuscita ad
andare avanti in
tutti quegli anni, nonostante tutto.
-“Riesci
a vedermi? Riesci a scorgere una parte di me in quel piccolo capolavoro
di
ghiaccio?”- le chiese.
Elsa
continuò a fissare il fiocco di neve nella sua mano, mentre
la vista le si
offuscava di nuovo di lacrime: annuì, chiudendo la mano su
quella sua fragile
creazione.
-“Come
farò ora che tu non ci sei più? Cosa
riuscirà a tenermi sotto controllo? Per
tutti questi anni sono riuscita a tenere a bada i miei poteri per paura
di
farti ancora del male, ma ora che tu sei…”-
singhiozzò rumorosamente, non
riuscendo a proferire quella parola ad alta voce- “ niente
potrà fermare tutto
questo. Ho maledetto Arendelle e tutto il suo popolo e non vi
è alcuna
possibilità di scampo.”-
-“Elsa
guardami, per favore.”- le intimò con voce dolce
ma autoritaria –“Tutto questo
non è una maledizione, anche se lo può sembrare.
Ricorda che questo tuo grande
talento è più grande di ogni tua
paura.”-
-“Ma..”-
cercò di protestare.
-“Elsa,
lo so. Io non sono più qui…qui!”- disse
indicando il pavimento –“ Scusa, lo so
è difficile da capire, ma ascolta: sarò sempre
qui”- le disse indicando il suo
cuore -“e qui, nei tuoi ricordi.”- le disse
sfiorandole la testa.
-“Quali
ricordi, Anna? Ne abbiamo così pochi…”-
si lamentò Elsa distogliendo lo
sguardo.
-“Beh,
conserva quei pochi che hai come il più prezioso dei tesori.
E poi te ne
costruirai altri, andrai avanti per la tua strada, io
diventerò solo un ricordo
lontano del tuo passato.”-
Elsa
provò a ribattere ma Anna la interruppe: “Ci
riuscirai, io so che puoi farlo.
Non importa cosa è stato, dovrai guardare solo avanti, non
dovrai più voltarti
indietro. Il futuro ti riserva tanto, Elsa, credimi io lo
so.”-
-“Come
fai a saperlo?”- le chiese scettica.
-“Cose
da fantasmi.”- la liquidò con un gesto della mano
–“Ascolta, devi solo imparare
ad amare il tuo potere, ad amarti per quello che sei.”-
-“Non
potrò mai amare quello che ti ha uccisa.”-
constatò la regina.
-“Elsa,
devi farlo! Impara ad amarlo come amavi me. Perché tu mi
amavi, insomma mi
volevi bene, vero?”-
-“Certo
che si!”- proruppe indignata la regina.
-“Ottimo”-
Anna si alzò –“Io sarò sempre
qui con te Elsa, anche se non riuscirai a
vedermi, quindi cerca di rigare dritto.”- disse in tono
serio, alzando l’indice
come per ammonirla. Poi scoppiò a ridere e Elsa si
beò di quel suono melodioso,
cercando di imprimerlo bene in mente: sapeva che non
l’avrebbe rivista più.
Anna
smise di ridere all’improvviso, tornò seria,
mentre si voltava indietro, a
scrutare qualcosa nel buio: “Devo andare. Mi stanno
aspettando.”
-“Aspetta,
chi?”- Elsa si alzò di scatto, allungò
un braccio per trattenerla, ma le passò
attraverso. Entrambe osservarono il punto in cui la mano della regina
avrebbe
dovuto toccarla.
-“Mamma
e papà.”- disse sorridendo
–“Loro sono fieri di te, a dispetto di quello che
puoi pensare tu.”
Le
lacrime cominciarono a ricadere copiose dai suoi occhi lapislazzuli,
senza che
lei avesse alcun potere per fermarle.
-“Io
non posso farcela da sola. Ti prego, non andare.”- la
supplicò, facendo un
passo verso di lei.
-“Si
ce la farai. Dopotutto, sei sempre stata tu la più forte tra
noi due.”-
Non
riusciva a smettere di singhiozzare come una bambina. Anna le si
avvicinò
piano: “Sorridi Elsa, altrimenti non potrò
andarmene…sapevi che sarebbe
successo.”- le disse con un sorriso triste.
Anna
le afferrò la mano e riuscì inspiegabilmente a
toccarla, per la prima volta.
Elsa spalancò gli occhi e la strinse subito in un abbraccio.
Pian
piano la sorella si staccò, finchè solo le punte
delle loro dita rimasero
intrecciate, poi si allontanò per sempre. Per un attimo, nel
buio della sala,
ad Elsa sembrò di scorgere le sagome diafane dei suoi
genitori che le
sorridevano.
Sorrise
a sua volta, cercando di essere forte, come le aveva detto la sorella.
Poi Anna
le rivolse un ultimo sguardo e scomparì.
In
quel preciso istante le imposte delle finestre si spalancarono con un
rumore
assordante facendo entrare l’aria gelida della notte. Corse
ad affacciarsi e un
soffio freddo le scompigliò giocosamente i capelli.
Si
mantenne alla balaustra e guardò il regno che si estendeva
oltre le mura.
Un
sussurro trasportato dal vento la fece sorridere, mentre la tempesta si
placava
sopra Arendelle: “Lascialo andare, Elsa.”
NdA:
salve gente! Se siete arrivati fino in fondo vi ringrazio di cuore,
perché vuol
dire che, almeno spero, questa “cosa” non vi ha
fatto totalmente schifo XD
Anyway, lo so che devo aggiornare le altre mie due long e me ne esco
con il
primo capitolo di una raccolta di oneshot, ma quando le idee mi premono
in
testa devo farle uscire, altrimenti scoppio ;) spero non mi stiate
maledicendo.
Comunque
l’idea è partita da questa fanart che ho trovato
in giro su Tumblr, ma di cui
purtroppo non ricordo l’autore. Non so se sul fandom
già esiste una storia del
genere, se è così fatemelo sapere e
provvederò ad eliminarla o almeno a
modificarla.
Ancora
grazie e ci si legge alla prossima shot!
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Capitolo 2 *** And even though it’s different now, you’re still here somehow… ***
THE GHOST OF YOU
Capitolo
2: And even though it's different now, you're still here
somehow
I giorni erano
filati via in un batter d’occhio, veloci ed
inafferrabili; l’estate non era tornata e l’autunno
si era arreso all’inverno.
Il tempo non migliorava e il paesaggio circostante era perennemente
innevato,
coperto da un bianco quasi accecante.
C’era
qualcosa di starno nell’aria, lo avvertiva: aveva
sempre l’impressione che mancasse qualcosa, che dovesse
accadere qualche cosa
da un momento all’altro. O forse, era solo lui che era
cambiato, dopo quello
che era successo: si sentiva diverso, più vulnerabile, come
un animale ferito.
Tutto era diverso
ormai, non si poteva tornare indietro,
quello che era andato perso non poteva essere recuperato:
l’aveva perduta per
sempre, era un dato di fatto. Eppure, a volte, aveva come
l’impressione che
fosse ancora lì in qualche modo, da qualche parte, assieme a
lui: diverse volte
nel bosco, aveva sentito i suoi passi incerti sulla neve, che lo
seguivano e
gli era parso che il vento sussurrasse il suo nome.
L’aveva
sognata più di una volta, confondendo la realtà
con
il sogno, illudendosi che lei stesse bene, al sicuro da ogni pericolo;
era
sempre la stessa visione: lei che correva e rideva felice su un prato
fiorito, ed
allungava una mano verso di lui; ma quando cercava di afferrarla, il
sogno
svaniva e lui si ritrovava al buio, con le mani che stringevano
l’aria.
Tre mesi. Erano
passati tre mesi e non riusciva ancora a
capacitarsene, non riusciva a credere che fosse davvero finita
così: lei era
morta, scomparsa davanti ai suoi occhi, frantumata in mille schegge di
ghiaccio.
Già,
il ghiaccio,
quello che aveva sempre amato, ma che ora non riusciva nemmeno a
nominare: gli
ricordava troppo lei.
Anna.
Quando
l’aveva riportata al castello, e le porte avevano
cominciato a chiudersi, aveva tristemente realizzato che, molto
probabilmente,
non l’avrebbe più rivista. Lì si
sarebbero presi cura di lei, l’avrebbero
salvata e avrebbe vissuto una vita lunga e felice con il suo principe,
dimenticandosi
del tempo che aveva trascorso insieme a lui. Con il passare degli anni,
sarebbe
diventato un plebeo qualunque e lei non lo avrebbe più
ricordato.
Era tornato sulle
montagne con Sven, come aveva desiderato
dal primo momento in cui quella furia scatenata era entrata nella sua
vita di
prepotenza. Ma si era chiesto, se davvero lo stare da solo con la sua
renna,
fosse quello che voleva in realtà. Voleva davvero vivere il
resto dei suoi
giorni come un recluso, ora che aveva trovato qualcuno che gli aveva
fatto
provare qualcosa? Davvero le renne erano migliori delle persone? No.
Era questa
la risposta. Da qualche parte, giù sul fiordo, chiusa in una
stanza del
castello, c’era una ragazza che era molto meglio delle renne.
Anna era riuscita a
scalfire la sua dura scorza da
montanaro, aveva aperto una breccia nel suo muro di isolamento e vi
aveva fatto
entrare il mondo. Si era divertito ad ascoltare i suoi discorsi sul
vero amore
e l’aveva presa in giro per l'avventatezza dei suoi
sentimenti.
Ma, quando si era
ritrovato atterrato da Sven, in mezzo alla
neve, con il suo amico che gli dava contro, aveva capito che ci era
caduto
anche lui, nella trappola dell’amore. Aveva capito che
c’era qualcun altro di
cui gli importava là fuori, a parte Sven.
E allora aveva
corso, giù per il fianco scosceso della
montagna, fino allo stremo delle forze e aveva urlato il suo nome con
tutto il
fiato che aveva in gola, cercando di scorgere in quella tempesta
improvvisa la
sua esile figura: ma era stato tutto vano. Non era riuscito a salvarla,
non ci
aveva nemmeno provato: lei gli aveva voltato le spalle, per difendere
la
sorella.
E tutto era finito,
con il clangore di una spada e una vita
che andava in frantumi.
Doveva ammetterlo,
c’era stato un momento durante il loro
viaggio, in cui avrebbe voluto strozzarla, pur di farla smettere di
parlare: il
silenzio non aveva scampo con lei.
Non era mai stata
zitta, nemmeno per cinque minuti, fino a
quel momento, quando il ghiaccio aveva ricoperto interamente il suo
corpo,
cristallizzandolo nel suo estremo atto d’amore. Il fiordo gli
era sembrato
stranamente silenzioso, mentre la regina cercava di trattenere a sè quanti più pezzi poteva del
simulacro
di ghiaccio della sorella. Non aveva mai pensato di poter provare un
dolore
tanto forte, ed invece aveva sentito letteralmente il suo cuore
incrinarsi e
poi spezzarsi in un milione di pezzi.
Il silenzio non era
mai stato tanto assordante, come in quel
momento.
‘Avresti
potuto correre più veloce! ’- continuava a
ripetergli una vocina –‘Forse se l’avessi
raggiunta in tempo, sarebbe ancora qui.’
Ma chi voleva
prendere in giro: un reietto della società non
avrebbe mai potuto salvare la principessa, non avrebbe funzionato.
Per un momento
infinito, lì su quel fiordo ghiacciato, si
era sentito inutile, come quando aveva visto gli occhi dei suoi
genitori
chiudersi pesanti, per il freddo e il dolore, per sempre. Quella volta
il
calore del corpo della madre lo aveva salvato dal gelo, ma ora, cosa
poteva
salvarlo dalla tempesta che imperversava fuori e dentro di
sé?
L’unica
risposta che aveva trovato a quella domanda era
stata: Anna.
Ma lei non
c’era più, il vento si era portato via gli ultimi
frammenti della sua vita, spazzandoli lontano dalla sua vista. Non
sarebbe più
tornata. Quella volta, nemmeno la magia di Granpapà avrebbe
potuto qualcosa contro
quella disgrazia.
Era rimasto fermo,
incapace di fare o dire qualsiasi cosa, a
guardare la regina piangere, mentre stringeva stretta una scheggia di
ghiaccio,
fino a farsi sanguinare le mani.
Aveva sentito
qualcosa di caldo scivolargli lungo il viso e
si era meravigliato quando, con la punta dell’indice, aveva
catturato una
lacrima solitaria. A quella ne erano seguite altre, lente e silenziose:
non
ricordava di aver mai pianto in vita sua, nemmeno per la morte dei suoi
genitori. Ed invece in quell’occasione si era ritrovato con
gli occhi velati di
lacrime, mentre il muso di Sven lo sfiorava, per fargli coraggio.
- “Stupida
ragazzina!” - una voce adirata lo aveva riscosso
dal suo stato d’inerzia, riportandolo alla cruda
realtà dei fatti.
Il principe, quello
che Anna aveva professato di amare,
quello che avrebbe sposato senza esitazione alcuna, quello che prima
l’aveva
lasciata al suo destino ed infine l’aveva uccisa, stava
inveendo contro quello
che rimaneva della principessa: Anna aveva sventato i suoi piani
diabolici
contro la regina, mettendosi in mezzo, mandando in fumo la sua congiura.
Questo non doveva
essergli andato a genio, perché aveva
cominciato ad urlare al vento la sua frustrazione, oltraggiando la
memoria di
Anna con le parole più aspre che avesse mai sentito. Poi
aveva alzato di nuovo
la spada contro Elsa, cercando di attuare comunque i suoi piani, come
se la
morte di Anna non avesse significato nulla, come se quello che era
appena
successo fosse stato solo un piccolo intoppo.
Non
c’aveva visto più per la rabbia: un momento prima
era
fermo sul fiordo e l’istante successivo gli era addosso.
L’aveva spinto via e
poi gli si era avventato contro, prendendolo a pugni, colpendolo
così tante
volte da aver perso il conto. Non si era fermato nemmeno quando le
nocche gli
si erano sbucciate e il sangue aveva cominciato a colargli tra le dita.
Aveva sentito
qualcuno urlargli di fermarsi, ma la voce era
lontana, ovattata, surclassata dal rumore dei colpi che infliggeva al
principe,
ormai privo di sensi, e dai singhiozzi della regina, che vibravano
ancora
nell’aria immota.
Le guardie gli
avevano abbaiato contro di lasciarlo andare,
poi l’avevano tirato via a forza, spingendolo da parte sul
ghiaccio duro,
mentre si caricavano il corpo del traditore e sparivano veloci,
così com’erano
arrivate.
La regina continuava
a rimanere ferma nel punto esatto in
cui era scomparsa la sorella; aveva mandato via tutti, non si era
lasciata
aiutare, non aveva voluto ascoltare le parole confortanti di nessuno.
Per un
secondo aveva pensato di avvicinarsi per sostenerla, per farle sapere
che
capiva il suo dolore, che era anche il suo; però era tornato
sui suoi passi
pensando all’assurdità della cosa: la sua vista le
sarebbe risultata oltremodo
odiosa, in fondo lui avrebbe dovuto salvarla ed invece non
c’era riuscito.
Si era odiato per
quel motivo, aveva continuato a farlo
mentre ritornava sulle montagne e lo faceva ancora adesso, mentre
seduto nella
sua baita giocherellava sovrappensiero con il suo coltellino a
serramanico,
dondolandosi sulla sedia: il suono della lama che appariva e scompariva
con un
sonoro click, il crepitare del fuoco nel camino e il russare
rassicurante di
Sven, gli tenevano compagnia nelle sue notti insonni da
quell’infausto giorno.
La tempesta, che non
si era fermata un istante da quando
Anna era morta, la mancanza di lavoro e la conseguente
inattività, gli
lasciavano troppo tempo per pensare, per indugiare su quei pochi
ricordi che
aveva di lei, per crogiolarsi nel dolore e
nell’autocommiserazione, portandolo
all’esasperazione.
Sapeva che se non
fosse stato per la compagnia del suo
migliore amico, sarebbe di certo impazzito.
Un rumoroso crack,
attirò la sua attenzione, e prima che
potesse accorgersene era a terra, a gambe all’aria. La sedia
aveva ceduto sotto
il suo peso, ma sapeva che non era quello il motivo per cui si era
rotta.
Quando quel giorno di tre mesi prima era tornato su alla baita, aveva
fatto
silenzio per tutto il tragitto e poi una volta dentro aveva dato sfogo
alla sua
rabbia: si era accanito su tutto quello che gli si parava davanti e
l’unica
sedia che possedeva, era diventata il suo ultimo bersaglio.
L’aveva scaraventata
in terra, con tanta violenza da rompere due delle quattro gambe di
legno.
Quando, alla fine di quell’eccesso d’ira, si era
guardato attorno, con il fiato
corto, aveva scorto solo un enorme cumulo di cose rotte e lo sguardo
preoccupato e spaventato di Sven. Nei giorni successivi aveva salvato
il
recuperabile e aveva tentato di aggiustare la sedia alla meglio, ma
chiaramente
con scarsi risultati.
Sbuffò
rumorosamente e, con un verso di frustrazione, lanciò
con un gesto secco il coltellino verso la parete opposta. La lama si
conficcò
per metà nel legno consunto, rimanendo affissa
all’asse.
Si alzò,
spolverandosi i pantaloni, pronto ad uscire nella
tormenta per schiarirsi le idee, ma qualcosa lo fermò.
-“Ehi! Sta
attento! Mi hai colpita.”- una voce lo fece sobbalzare.
Si voltò verso Sven, che si era svegliato con tutto quel
fracasso, cercando una
spiegazione. La renna lo fissò interrogativo, facendo un
verso di diniego, come
per dire ‘non sono stato io’.
E chiaramente non
era stato Sven, perché la voce continuò
imperterrita: “Non ricordavo che fossi così
suscettibile.”- disse con tono
irriverente.
Si voltò
alla ricerca della fonte di quella voce e il
respiro gli si congelò nei polmoni, quando i suoi occhi si
posarono sulla
figura traslucida di Anna. Fece un passo indietro, strofinandosi gli
occhi,
pensando di star sognando ad occhi aperti, ma quando li
riaprì lei era ancora
lì, immobile ed eterea, che lo fissava in modo strano.
-“Sono
diventato completamente pazzo. Ecco, lo sapevo che
sarebbe successo. Ed è tutta colpa tua.”- si
lamentò, puntandole un dito
contro.
Sven
lanciò un verso strano e lui si voltò a
guardarlo: “La
vedi anche tu?”- gli chiese turbato. La renna gli rivolse uno
sguardo come per
dire ‘chiara, come vedo te!’.
-“Allora
qui c’è qualcosa che non quadra.”-
indietreggiò di
un altro passo, intimorito da quella vista sovrannaturale.
-“Ehi!
Fino a prova contraria quella arrabbiata dovrei
essere io. E poi mi aspettavo un’accoglienza più
calorosa, a dirla tutta. Ma
conoscendoti, avrei dovuto prevedere una reazione così
contrariata.”- si
lamentò delusa.
Kristoff la
osservò in silenzio, pensando a qualcosa da
dire, ma le parole sembravano essergli morte in gola.
-“Beh, non
hai nulla da dire? Io torno dall’aldilà e tu mi
fissi inebetito! Bene.”- sbottò seccata.
Era proprio lei, con
la sua parlantina, le trecce e il
resto…non poteva essere.
-“Allora,
ti sono mancata?”- gli chiese Anna facendo qualche
passo nella piccola baita, guardandosi in giro.
Lui continuava a
fare silenzio, incapace di articolare una
frase di senso compiuto.
-“Mmm”-
fece la principessa voltandosi verso di lui –“Dalla
tua faccia direi di si…come stai?”- chiese
corrugando la fronte.
Ah! Questa era
bella, lei chiedeva a lui come stava…tipico
di Anna, preoccuparsi per gli altri prima che per se stessa. Quella
domanda
sembrò riscuoterlo dal suo stato di sbigottimento totale.
-“Anna,
sei morta! Forse dovrei chiedertelo io, non credi?”-
-“Ma non
ci sarebbe nulla da dire…eccomi, mi vedi sto…alla
grande!”- cercò di sorridere, poi tornò
seria –“Ma tu non hai risposto alla mia
domanda.”- gli disse, avvicinandosi di un passo.
‘Male,
anzi malissimo!’- avrebbe voluto dirle, ma non gli
sembrava giusto infierire, data la sua situazione, accollandole anche
il suo
dolore.
-“Bene.
Cioè potrei stare meglio, ma…non mi
lamento.”- fece
spallucce. Vide qualcosa cambiare sul volto opalescente della
principessa, e
abbassò lo sguardo per non incrociare i suoi occhi tristi:
“Io e Sven ce la
caviamo, come abbiamo sempre fatto.”- concluse a voce
più bassa.
-“Bene.”-
rispose Anna, schiarendosi la voce e recuperando
un po’ del suo caratteristico buon umore, cercando di
abbozzare un sorriso
–“Allora, qui non ho nulla da fare, a quanto
vedo.”
Kristoff
alzò la testa di scatto, mentre lei si avvicinava a
Sven sorridendogli.
-“Sai, ero
venuta per…ringraziarti.”- gli disse mentre
continuava a rivolgere la sua attenzione alla renna.
-“A-a
ringraziarmi? Per cosa?”- le chiese incredulo.
-“Per
essere tornato indietro.”- rispose quasi sussurrando,
voltandosi verso di lui con un’espressione seria –“Per
aver cercato di salvarmi, anche se
sapevi che non avrebbe funzionato.”
Incredibile: lo
stava ringraziando per averla lasciata
morire!
-“Non devi
ringraziarmi.”- disse scuotendo il capo-“Io non
ho fatto nulla, non ho nemmeno provato
a
salvarti.”-
-“Oh,
Kristoff. Hai fatto molto più di quanto immagini: mi
hai fatto capire che c’era qualcuno che teneva a me, qualcuno
per cui ero
importante, per cui valevo la pena di rischiare.”- gli
sorrise mestamente- “Ma
forse mi sbagliavo.”- sussurrò fra sé.
Kristoff
la guardò,
incatenando il suo sguardo a quello di Anna, per capire se dicesse
davvero:
aveva l’aria più seria che le avesse mai visto e
nemmeno un accenno di sorriso
sulle labbra ceree.
-“B-bene,
credo proprio d’aver finito qui.”- la principessa
distolse lo sguardo. Kristoff era sicuro che se Anna non fosse stata un
fantasma, se avesse avuto ancora un pizzico di vita e sangue in corpo,
l’avrebbe vista arrossire imbarazzata.
-“Addio.
È stato un piacere viaggiare con te, grazie di
tutto.”- gli disse con tono fermo e distaccato, schiarendosi
la voce.
Non poteva lasciarla
andare via così, doveva dirle qualcosa,
doveva dirle che lei aveva contato davvero per lui, che la sua voglia
di vivere
l’aveva contagiato, cambiandolo inevitabilmente.
-“A-a…”non
riuscì a dire nulla, sembrava che la voce
l’avesse abbandonato definitivamente.
-“Non
c’è bisogno che tu dica niente.”- lo
riprese Anna,
avviandosi verso la porta e spalancandola con un gesto sul buio della
notte-
“Ho capito: ti dispiace, è stato bello conoscerti,
bla bla bla e tanti cari
saluti…ognuno per la sua strada!”- concluse con
tono ironico, accennando un
saluto con la mano.
Perché
non la smetteva di parlare a vanvera? Perché non gli
dava il tempo di racimolare qualche parola per salutarla per bene?
-“Riesci a
stare zitta per un momento?”- la rimproverò
brusco, mentre si avvicinava a lei.
Anna lo
guardò avvicinarsi minaccioso, e fece un passo
indietro, mentre lui sbatteva la porta, richiudendola.
-“E questo
che significa?- gli chiese indicando la mano che
teneva ancora premuta sul legno dell’uscio, per evitare che
lei se ne andasse –“Sai
che ora posso passare attraverso le cose? Non che sia piacevole,
intendiamoci,
ma non mi spaventa di certo una porta chiusa!”-
Lui rimase a
fissarla serio.
-“Scusa
era una battuta stupida.”- disse abbozzando un
sorrisino sghembo.
-“No. TU
sei stupida.”- lei lo guardò interrogativa
–“Quando
ti ho conosciuta pensavo fosse solo una mia impressione, ma ora ne ho
la
conferma: sei un’idiota!”- le disse rosso in viso,
con il fiato corto.
-“Come,
prego?”- fece lei, presa alla sprovvista.
Lui prese un respiro
profondo, cercando di ordinare le sue
idee, lasciando scivolare la mano giù dalla porta.
-“Non
avrei mai pensato di poterlo dire un giorno, ma la
verità è che…mi sei mancata. E non
è vero che sto bene, credo sia la bugia più
grande che abbia mai detto.”- le confessò con voce
tremante –“ Sono all’esatto
opposto dello star bene. Sto malissimo e non riesco ad andare avanti,
non
riesco a capacitarmi del fatto che tu non ci sia più, che
non tornerai, che ti
sia sacrificata inutilmente…”-
-“K-kristoff…io”-
biascicò, colpita dalle sue parole.
-“No,
lasciami finire. Come puoi anche solo pensare che tu
non abbia contato niente per me?”-
Anna era per la
prima volta a corto di parole; lo guardava
con gli occhi spalancati, impressionata
dall’intensità del suo sguardo e del
suo discorso.
-“ Per
quanto possano valere ora le mie parole, sappi che
grazie a te ho scoperto che alcune persone sono migliori delle
renne.”- si
interruppe, sorridendo fra sé, per l’idiozia che
aveva appena detto –“Senza
offesa Sven.”- si voltò verso l’amico,
che stava assistendo in silenzio a tutto
quello scambio di battute.
La renna fece un
cenno col capo per dirgli ‘non
preoccuparti, va avanti!’
Anna sorrise
all’animale e poi riportò la sua attenzione su
Kristoff.
-“Ti sei
fatta strada a forza nella mia vita, con tutta la
tua speranza e la tua cieca fiducia verso il prossimo. Credimi, in meno
di due
giorni mi hai restituito emozioni che non credevo di poter provare,
sentimenti a
cui avevo precluso l’accesso al mio cuore.”- era
arrossito inevitabilmente –“Anna,
non so come spiegartelo, ma con te mi sono sentito utile, parte di
qualcosa.”-
-“Se
può farti sentire meglio sappi che sei stato il mio
primo amico e per me è stato lo stesso: formavamo una bella
squadra io e te.”-
gli disse sorridendogli timidamente.
-“Non era
solo questo. Avevo giurato a me stesso che non mi
sarei affezionato mai più a nessuno. Era facile far finta di
odiare tutti: non
stavo male e il cuore non ne risentiva. Già
troppe volte avevo dovuto…”- cominciò,
ma
Anna sembrò leggergli nel pensiero, perché
continuò per lui.
-“…dire
addio alle persone a cui avevo voluto bene. Non
avrei sopportato di nuovo il dolore di un abbandono.”- era la
stessa cosa che
pensava lei.
Si guardarono per
secondi interi, senza dire nulla.
-“Così
ho tentennato, ho cercato di starti il più lontano
possibile, di non farti entrare nel mio cuore, sarebbe stato tutto
più facile: ma
non ci sono riuscito. Tutti i miei sforzi sono stati vani con te. Ho
realizzato
troppo tardi che eri importante, che eri di più che una
principessa chiassosa
ed incosciente, che non sarei riuscito a starti lontano…che
avevo bisogno di
te.”- concluse avvicinandosi a lei.
-“Wow…n-non
ricordavo fossi così loquace.”-
scherzò,
incapace di reggere quella tensione.
-“Beh
almeno questa è colpa tua, mi hai contagiato.”-
disse
lui, alleggerendo il tono.
-“Direi
che è più un mio merito! Dove la tenevi nascosta
questa tua indole da poeta? Devo dire che mi piace questa nuova parte
di te,
che hai tirato fuori.”-
-“Oh, ma
smettila.”- sbottò lui sorridendo, lusingato da
quelle parole.
Il silenzio scese a
farla da padrone per alcuni secondi,
mentre si studiavano attentamente, con i sorrisi che sparivano pian
piano dalle
loro labbra.
-“Anna io
ti…”- riprese lui, con voce tremante.
Anna fece un passo
avanti, posandogli la mano impalpabile a
pochi millimetri dalle labbra: “Ti prego, non
dirlo.”- lo supplicò, con gli
occhi spalancati per la sorpresa-“ Sarebbe troppo difficile
per me lasciarti
andare.”-
Kristoff avrebbe
dato via volentieri metà della sua vita,
per vedere di nuovo il colore brillante dei suoi occhi, le sue guance
arrossate
dal soffio della vita, le sue spalle che si alzavano ed abbassavano al
ritmo
del respiro che le riempiva i polmoni. Vederla così,
incolore e ferma,
innaturalmente troppo ferma, lo torturava.
-“Ma devo
dirlo, altrimenti potrei dare di matto. Guardami,
sto diventando uno stupido povero pazzo.”- cercò
di sfiorarla, ma si rese
tristemente conto di non poterlo fare.
-“Mi
dispiace.”- sussurrò lei, rendendosi conto del suo
turbamento.
Gli occhi di
Kristoff pizzicavano, incapaci di trattenere
ancora a lungo le lacrime. Da quando in qua era diventato
così sentimentale?
Ah, la risposta era davanti a lui…Anna.
La principessa
alzò una mano, avvicinando il palmo alla sua
guancia, cercando di accarezzarlo, ma come era successo a lui, rimase
delusa
nel costatare che non ci sarebbe riuscita.
Poi provò
a fare qualcosa che avrebbe fatto volentieri da
viva, una cosa che era in cima alle sua lista di cose da fare da quando
aveva
undici anni: baciare un principe. Certo, Kristoff non aveva un titolo e
di un
principe aveva ben poco, ma andava bene così.
Gli si
avvicinò e chiuse gli occhi, pronta per una nuova
delusione.
Kristoff
capì le sue intenzioni e la lasciò fare. In
effetti
anche lui avrebbe voluto baciare quelle labbra instancabili,
perennemente in
movimento, ma temeva di sembrare inopportuno. In fondo, lei non aveva
mai dato
adito ad un interesse del genere.
All’inizio
sentì solo qualcosa di freddo, come un alito di
vento, accarezzargli la bocca, e pensò che quello era il
massimo che potevano concedersi,
dato la situazione irreale.
Poi però
le sentì distintamente, le labbra di Anna, calde e
soffici, premute contro le sue. Aprì gli occhi per la
sorpresa, e la vide, con
gli occhi chiusi, senza la minima distanza tra loro e pallida come un
lenzuolo,
ma solida, quasi avesse ancora un corpo. La strinse a sé,
con l’intenzione di
non lasciarla andare mai più e lei spalancò gli
occhi, unica macchia di colore
su quella pallida apparizione, scostandosi di poco.
-“Credo di
amarti.”- le soffiò lui sulle labbra.
-“Non
devi.”- fu la sua risposta, mentre abbassava lo
sguardo –“Io sono morta: non si può
amare a questo modo qualcuno che non
respira più. Devi andare avanti, Kristoff, so che fa male,
ma devi cercare di
dimenticarmi, far finta che io non sia mai esistita.”-
-“Impossibile.”-
-“I venti
del cambiamento soffiano forti, non danno scampo
ai ripensamenti e ai rimpianti. Dovrai farlo
inevitabilmente.”- sentenziò come
un antico oracolo –“Io non
tornerò.”
Sciolse il loro
abbraccio e la porta si aprì, lasciando
entrare un po’ di neve fresca: “La tempesta si sta
placando, riuscirai a
trovare la tua strada senza di me.”- disse osservando il
cielo buio fuori, su
cui pian piano cominciavano ad apparire le stelle, a lungo coperte da
nuvole
scure.
Si voltò
di nuovo verso di lui e, se avesse avuto ancora un
cuore, le si sarebbe di certo spezzato a quella vista: le lacrime
avevano
straripato, rigandogli il volto, facendolo assomigliare tanto ad un
bambino
impaurito, lasciando ben poco del montanaro scortese e duro che aveva
conosciuto qualche mese prima.
Prima che quella
magia, che si era avverta anche con Elsa,
svanisse, lo strinse di nuovo a sé, per fargli sentire tutto
il suo amore,
cercando di lenire il suo dolore. Lui la tenne stretta, nascondendo il
viso
nell’incavo del suo collo.
-“Mi
mancherai.”- le sussurrò tra le lacrime, mentre un
singhiozzo lo scuoteva.
-“Anche
tu, non sai quanto.”- sentiva la malinconia montarle
dentro, ma i suoi occhi rimanevano innaturalmente asciutti.
Lo lasciò
libero dalla sua presa e mosse un passo verso la
porta: “Promettimi che non chiuderai di nuovo il tuo cuore al
genere umano e
all’amore: chissà forse quella giusta per te
è proprio dietro l’angolo.”- gli
sorrise, mentre lui si asciugava il viso umido
–“Promettimi che andrai avanti…fallo
per me.”- concluse seria.
-“Non dire
sciocchezze, quella giusta è ad un passo da me,
eppure è così lontana che non posso
più raggiungerla.”-
Lei fece per
ribattere, ma lui l’anticipò: “Te lo
prometto:
proverò a diventare un tipo più
sociale.”- rise –“Ma per quanto riguarda
la
storia dell’andare avanti, non posso prometterti molto: la
mente di sicuro ci
riuscirà, il cuore…”- fece una smorfia
–“non credo.”
Anna lo
fissò intensamente, prima di voltarsi verso Sven:
“Tienilo
d’occhio, non lasciare che pianga per me più del
necessario.”
La renna fece un
verso d’assenso e le si avvicinò,
leccandole la guancia.
Poi si
voltò di nuovo verso di lui: “Addio.”-
gli sorrise
triste.
-“Non
tornerai mai più, vero?”- le chiese, trattenendo
il
respiro, temendo la sua risposta.
-“No.”-
confermò –“Ma sarò sempre
qui, in qualche modo.”-
cercò di spiegare.
Kristoff le sorrise,
intuendo il significato delle sue
parole.
-“Arrivederci,
furia scatenata.”- la salutò, prima che
scomparisse in un refolo di vento.
Uscì
dalla porta e Sven lo seguì subito.
Alzò
lo sguardo sulla volta celeste, trapuntata di stelle
che occhieggiavano splendenti, mentre nel suo cuore scendeva una pace
insperata. Anna aveva ragione: ecco la sua tanto agognata
quiete dopo la tempesta.
NdA:
Buonasera! Prima di tutto grazie ad Amberly_1, Anthea1000,
DesertPearl, Stardust97 per aver aggiunto la storia tra le loro
preferite e a giascali,
Lia483 e robylovatic98 per averla annoverata tra le loro seguite.
Quindi passo
a commentare questo chap: allora non mi aspettavo uscisse
così lungo, ma le
cose da dire erano molte e poi il tema dell’addio mi
è molto caro, quindi non
potevo trattarlo con tanta sbrigatività. Poi dovevo dare ad
Anna e Kristoff il
modo giusto di salutarsi per sempre :(
Ricordo
che i personaggi sono OOC, indi per cui risultano
diversi dai caratteri originali.
Spero
tanto che vi sia piaciuto come e più del primo (anche
se non credo), che non vi abbia annoiate o fatte morire per un attacco
iperglicemico e che non vi abbia scaraventate in un baratro di
depressione XD Vi
dico solo che mentre scrivevo ascoltavo Make you feel my love di Adele,
cantata
da Lea Michele, Iris dei Goo Goo Dolls e Thousand Years di Christina
Perri…quindi
se vi sembra tutto troppo triste e depresso è colpa di
queste tre canzoni ;)
In
conclusione vi ringrazio per essere arrivati fin qui e
spero di ricevere vostre considerazioni (mi raccomando siate clementi,
non ci
andate giù troppo pesante!) XD
Ci si legge alla prossima shot *-*
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Capitolo 3 *** I feel my heart is aching, though it doesn’t beat , it’s breaking... ***
THE GHOST OF YOU
Capitolo 3: I feel
my heart is aching, though it doesn’t
beat , it’s breaking
Se
qualcuno gli avesse detto che il suo mirabolante quanto semplice
piano, per impadronirsi del trono di Arendelle, sarebbe andato a finire
così, gli
avrebbe dato poco credito, liquidandolo con un sorriso arrogante e un
gesto
veloce della mano: lui era Hans, della nobile stirpe dei Westerguard,
tredicesimo in linea di successione al trono delle Isole del Sud...lui
poteva
tutto.
Prima
di partire per quel luogo dimenticato da Dio, aveva scommesso con
se stesso che l’avrebbe fatta pagare ai suoi fratelli per
tutti gli anni di
soprusi e derisione: sarebbe tornato a casa da vincente, da re, con una
bellissima regina sottobraccio e un regno in pugno. La sua famiglia si
sarebbe
dovuta inchinare alla sua maestria e il padre avrebbe dovuto
rimangiarsi tutte
le parole con cui lo aveva screditato da quando era nato.
Invece,
con suo grande sconcerto, dopo nemmeno tre giorni dal suo
arrivo nel regno di Arendelle, si era ritrovato incatenato al freddo e
lurido
pavimento delle prigioni del castello. Aveva pianificato ogni sua mossa
e aveva
previsto le contromosse dell’avversario, così da
essere sempre un passo avanti,
come in un’immaginaria partita a scacchi, e aveva condotto il
gioco nel modo
più veloce e pulito possibile. Ma aveva sperato troppo
presto di aver fatto
scacco al re…o alla regina, in questo caso.
Elsa.
Il solo pensiero di quell’algida donna gli mandava una
miriade di
brividi di gelo giù per la schiena. Prima di presenziare
alla cerimonia
dell’incoronazione, aveva cercato informazioni sulla futura
sovrana di quel
piccolo regno, incastrato tra le pieghe dei fiordi, tra il mare e la
terra, ma
nessuno aveva saputo dirgli alcunché: sembrava che quel
popolo stranamente
ospitale, non conoscesse affatto la principessa Elsa. I suoi fratelli
avevano
accennato al fatto che le principesse di Arendelle non fossero uscite
spesso
dal castello, negli ultimi tre lustri, ma mai avrebbe immaginato un
tale stato
di ignoranza generale da parte del popolo: come faceva quella gente ad
accettare di essere governata da qualcuno che non conosceva nemmeno?
Quando
aveva sollevato la questione con alcuni uomini, nel cortile del
palazzo, quelli
lo avevano guardato male, come se avesse appena detto
un’assurdità: “Re Agdar,
che Dio lo abbia in gloria, è stato un grande sovrano. Ha
portato la pace e la
prosperità ad Arendelle, dove suo padre aveva lasciato solo
morte e carestia.
Siamo sicuri che la principessa Elsa eguaglierà i risultati
del padre.”- gli
aveva risposto uno di quei popolani.
Quegli
uomini e quelle donne, si fidavano cecamente di qualcuno che non
avevano mai visto, credevano nelle capacità di qualcuno che
era rimasto chiuso
dietro le porte sprangate del castello, per quasi vent’anni!
Com’era possibile?
Aveva molto presto lasciato perdere la questione, per due motivi: il
primo era
che lui non aveva riposto mai la sua fiducia in qualcuno e nessuno
gliene aveva
mai data, per questo non avrebbe potuto capire gli schemi mentali di
quella
gente; il secondo era stato un ostacolo tra le zampe di Sitron, il suo
cavallo.
Tra
uno svolazzare di taffetà e nastrini di seta, la seconda in
linea
di successione, gli si era letteralmente buttata tra le braccia. La
principessa
Anna, gli era capitata tra le mani come un impiccio e poi si era
dimostrata
essere il suo lasciapassare per le grazie della regina.
Certo
la principessa era accettabilmente carina e così
assurdamente
ingenua e bisognosa di attenzioni che gli avrebbe reso il tutto
più facile, ma
perché non provare anche con la regina? In un modo o
nell’altro avrebbe avuto
il trono. Ma, si era presto reso conto che tutto il suo charm e la sua
galanteria non sarebbero serviti a molto, contro il muro di fredda
indifferenza
della giovane sovrana.
Quella
donna, oh quella bellissima quanto gelida donna, che a stento lo
aveva guardato negli occhi e aveva soppesato con un solo sguardo le sue
intenzioni, lo aveva stregato in tutti i sensi possibili. Lui adorava
le donne
che gli sfuggivano, quelle che volevano fare le preziose e che poi si
rivelavano essere le peggiori meretrici. Aveva sperato a lungo che il
suo
giochetto funzionasse con Elsa, ma lei non era una di quelle che fanno
strisciare gli uomini ai propri piedi, anzi lei sembrava essere
indifferente
agli sguardi e agli apprezzamenti dei gentiluomini presenti. E
ovviamente,
questo aveva alterato i suoi piani. Anzi, a voler essere totalmente
sincero,
glieli aveva facilitati, dando un’accelerata al tutto: nel
giro di un giorno
era passata dall’essere la nuova ed acclamata regina, al
mostro che tutti
temevano e che erano pronti a destituire dal trono.
Nella
sua mente geniale, era fatta: avrebbe sposato quella sciocca di
Anna, così assetata d’amore da bersi tutte le sue
moine e fidarsi ciecamente di
lui, dopo aver tolto di mezzo Elsa, anche se gli dispiaceva molto
sprecare un
corpo e un viso del genere, e sarebbe salito al trono, acclamato dal
popolo per
la sua generosità. Re Hans, il Magnanimo. Già gli
sembrava di vederla la folla
lodante, che inneggiava il suo nome. Avrebbe poi rilegato Anna al
semplice
compito di moglie obbediente, per tenere tutto il potere tra le sue
mani: lei
non avrebbe più avuto voce in capitolo, qualunque fosse
stata la questione. Al
massimo le avrebbe concesso di donargli un erede, ma niente di
più.
E
quando Elsa era fuggita via ed Anna le era corsa dietro, lasciando
lui in carica come reggente di Arendelle durante la loro assenza, gli
era
sembrato tutto quasi troppo semplice…come rubare le
caramelle ad un bambino!
Ma
nel progettare la sua macchinosa congiura, non aveva tenuto conto di
un fattore molto importante, quel qualcosa che aveva fatto capitolare
interi
imperi e che avrebbe fatto fallire anche il suo piano. E come avrebbe
potuto
prevederlo? Era una cosa che gli era stata a lungo negata, anzi forse
non
l’aveva mai avuta. L’amore, quello con la A
maiuscola, quello sincero ed
incondizionato, che scavalcava qualsiasi avversità e che
fronteggiava impavido
anche il giorno estremo del giudizio.
Proprio
quando pensava di essersi sbarazzato per sempre di Anna e di
star per porre fine al suo complotto con l’uccisone di Elsa,
quel sentimento a
lui così estraneo ma a lungo cercato, si era frapposto tra
lui e il
conseguimento del suo piano.
L’amore
di Anna nei confronti di Elsa, aveva salvato quest’ultima da
morte certa. La minore si era parata tra la sua spada e le spalle
tremanti
della regina, sacrificando la sua vita per salvare la sorella. Un
gesto, che
nella sua mente suonava strano, quasi come una follia.
Una
forza misteriosa l’aveva spinto via, dopo che la lama della
sua
spada aveva mandato in frantumi la figura cristallizzata della
principessa,
abbattendolo sul duro ghiaccio del fiordo.
Una
rabbia a lungo sopita, si era impadronito di lui quando aveva
presto intuito che il suo gesto era stato visto da tutti e che quindi
tutti
avevano scoperto le sue vere intenzioni, mandando in fumo i suoi piani
di
conquista.
-“Stupida
ragazzina!”- aveva gridato mentre si rialzava per recuperare
la spada, che era volata via dopo
l’impatto-“Maledetta impicciona! Non potevi
restartene buona a morire nella tua tomba di ghiaccio? Dovevi per forza
intrometterti negli affari dei grandi, eh, sciocca ed ingenua
principessina?!”-aveva
brandito la spada e si era riavvicinato ad Elsa, che sembrava non
essersi
accorta della sua vicinanza, persa com’era nel suo stato di
trance, pronto a
colpire di nuovo-“ Anna sei stata solo una
enorme…”- ma non aveva concluso la
sua protesta, che qualcosa, anzi qualcuno, l’aveva di nuovo
atterrato,
mandandolo di nuovo a sbattere contro il ghiaccio. Era come se una
montagna gli
fosse franata addosso.
Aveva
guardato sorpreso in alto, verso il suo assalitore e…chi
diavolo
era quello?
Non
sapeva chi fosse quel bestione che lo tratteneva al suolo e lo
colpiva, senza la possibilità di potersi difendere, ma
l’unica cosa di cui era
certo,era che non l’avrebbe scampata tanto facilmente se non
avesse fatto
qualcosa. Aveva cercato di contraccambiare i colpi del suo sconosciuto
avversario,
mandandone solo alcuni a segno e poi aveva avuto la peggio e aveva
visto il suo
sangue sporcare il limpido ghiaccio ai suoi piedi, quando un pugno lo
aveva
centrato in pieno volto e aveva sputato via qualche parola offensiva
insieme al
liquido denso e rosso che gli colava dalla bocca.
Alla
fine, anche se non avrebbe voluto, si era arreso alla superiore
forza fisica della bestia che gli si era avventata addosso. In
lontananza aveva
sentito le voci di qualcuno, venirgli in soccorso, ma si erano perse
nella
nebbia buia che gli aveva offuscato i sensi, in seguito ad un altro
colpo ben
assestato.
Così,
al suo risveglio si era ritrovato, sporco e sanguinante, in una
cella buia ed umida, che puzzava di cose a cui non aveva voluto pensare
per non
rischiare di dare di stomaco. Si era alzato ed aveva notato che le mani
erano
legate con pesanti catene al pavimento, proprio come lui aveva fatto
incatenare
la regina. Con passo pesante e le ossa indolenzite, si era avvicinato
alla
piccolissima finestra che lasciava intravedere il fiordo: tutto era
immobile ed
immutato là fuori, anzi sembrava che il ghiaccio fosse
aumentato da quando
aveva perso i sensi. Una voce, anzi più un lamento, si
alzava sopra l’ululato
del vento: la regina piangeva ancora la sorella, lì da
qualche parte, sul mare
ghiacciato.
Con
non poca fatica, si era lasciato cadere a terra e aveva aspettato
la sua punizione.
E
ormai erano tre mesi che l’aspettava. Tre mesi in cui ogni
mattino
aveva aperto gli occhi, temendo che il giorno dopo non avrebbe potuto
farlo.
Tre mesi di silenzio e gelo ininterrotto, intramezzato solo dalle urla
di una
donna nel bel mezzo della notte, che lo facevano svegliare
terrorizzato.
Immense tormente di neve avevano accompagnato la sua prigionia dal
giorno
dell’uccisone della principessa, oscurando la sua finestrella
sul mondo, che
gli precludevano la vista del regno, ormai imprigionato sotto metri e
metri di
bianco.
Quella
notte aveva dormito come un ghiro, sognando di cavalcare Sitron
nei campi ricchi di papaveri della sua terra, finché uno
spiffero gelido non si
era insinuato tra le pieghe degli abiti sozzi e logori che portava dal
giorno
dell’incoronazione, svegliandolo. Strano: era rimasto ad
ascoltare il silenzio,
ma le urla della donna, che ora aveva capito trattarsi della regina,
non
avevano riecheggiato tra le mura di pietra del castello, come ogni
notte. Forse
era morta per il dolore. Peccato, gli sarebbe piaciuto rivedere almeno
un’ultima volta, il suo viso niveo ed incantevole.
Si
tirò su a sedere, sullo spartano giaciglio di legno e
paglia, che
aveva imparato a chiamare letto, strofinandosi le mani sulle gambe
quasi
paralizzate dal freddo, espirando profondamente, lasciando sfuggire uno
sbuffo
di condensa dalla bocca. Si guardò attorno, alla fioca luce
delle lampade ad
olio appese nel corridoio delle prigioni: sulle pareti di pietra della
cella,
si ramificavano ghirigori di ghiaccio, belli alla vista ma letali per
la sua
salute, che ne era certo, se non l’avessero giustiziato,
presto l’avrebbero
ucciso nel sonno.
Sospirò,
pensando alla miseria in cui era andato a finire, per colpa
della sua bramosia di potere e vendetta: “Dannata
vita!”- ringhiò a denti
stretti, tra sé.
-“Hans.”-
un sussurro portato dal vento, gli carezzò
l’orecchio,
facendolo rabbrividire. Si guardò attorno, pronto a scorgere
la Morte in
persona, negli angoli bui della cella, ma non vide nessuno, invece:
“Haaans.”-
la voce di prima lo canzonò dal nulla.
-“Chi
sei? Vieni fuori!”- gridò, facendo sobbalzare le
guardie che
piantonavano la sua porta.
Il
rumore del metallo contro il metallo, lo riscosse dal freddo terrore
che gli aveva fatto perdere la lucidità per alcuni secondi;
una guardia, aveva
sbattuto la base della sua lampada contro le sbarre della sua cella:
“Che
succede qui dentro? Incubi, Vostra Altezza?
“- gli chiese, calcando la
voce su quell’appellativo, con tono irrisorio.
-“L’avete
sentita
quella voce? Quella voce, che chiamava il mio nome?”- chiese
alzandosi dal
pagliericcio su cui riposava e avvicinandosi alla porta della cella.
-“Voce?
Quale voce? Io
non ho sentito niente.”- proclamò con voce calma
una delle due guardie, mentre
l’altra si ondeggiava un dito alla tempia destra, per dire
che il principe era
infine impazzito.
Hans
li fissò torvo e
poi gli diede le spalle: non avrebbe di certo permesso a delle
squallide
guardie reali di prendersi gioco di lui così impunemente:
“Tornate pure al
vostro meritato riposo, zotici.”- sibilò sottovoce.
Si
riaccomodò sul suo
giaciglio e si prese la testa tra le mani tremanti: forse stava davvero
impazzendo come aveva insinuato quella guardia. Forse la solitudine e
il freddo
avevano vinto, dove anni e anni di invisibilità e
ingiustizie avevano fallito.
Il
principe Hans
sarebbe morto infine,da povero pazzo. Che destino crudele era stato il
suo: ignorato,
prevaricato, sbeffeggiato dalla sua stessa famiglia, abbagliato da una
donna
troppo bella e potente e caduto in miseria per colpa di
un’insulsa principessa.
Quanto
ridicolo doveva
sembrare agli occhi delle guardie, che ogni giorno gli portavano i
pasti o che
lo controllavano da mattina a sera?
Quanto
patetico era
risultato ai suoi dodici fratelli, quando la certa lettera della regina
era
giunta nelle Isole del Sud, portando la notizia del suo arresto? Si
meravigliava, del fatto che dopo tre mesi di snervante attesa i suoi
fratelli
non avessero ancora decretato il suo destino. Quanto ci voleva, per
decidere
della sorte di qualcuno di cui non ti interessa? Lui lo sapeva: nulla.
Lui non
si era fermato a riflettere nemmeno un attimo prima di calare la sua
spada
verso Elsa, e quando aveva lasciato Anna, fredda e quasi senza vita
chiusa
nello studio della regina, non aveva avuto nemmeno un ripensamento.
Niente.
Solo la vorace fame di vendetta e riscatto che gli premeva dentro.
Sbuffò,
scontento di
quella situazione: bloccato tra la vita e la morte, in un limbo di gelo
e
ghiaccio.
Si
avvicinò alla
finestrella della cella per controllare le condizioni in cui versava
Arendelle.
Con suo grande stupore, la tempesta si era placata, lasciando dietro di
sé solo
il fantasma di quello che era stato un regno florido e ospitale. Dopo
tre mesi,
riuscì a scorgere le stelle, che stavano cominciando a far
capolino tra le nubi
nere, che andavano dissipandosi pian piano. Un senso di pace aleggiava
tra le
costruzioni imbiancate di Arendelle, lasciando presagire qualcosa di
buono.
Ma
se fuori l’aria profumava
di cambiamenti positivi, di una terra che risorge a nuova vita dopo il
rigido
inverno, dentro quella cella continuava ad esserci il tanfo della morte
incombente, dell’incognita di un futuro forse inesistente, di
rimpianti e sogni
infranti. Aprì la finestrella e si sporse, per quel poco che
gli permettevano
le catene ai polsi, per inspirare profondamente l’aria pulita
di quella notte
calma, illuminata dalla luce di quella luna nuova e dagli spettacolari
bagliori
dell’aurora boreale.
Si
perse ad osservare
quella magica vista.
E
poi di nuovo, quella
voce fastidiosa, che l’aveva chiamato pocanzi, ruppe il
silenzio: “Hans, lo
senti il profumo della libertà? È così
inebriante, vero?”- fu solo un mormorio
soffuso, dolce come una carezza al suo orecchio.
Il
principe si voltò
di scatto verso l’interno della cella, facendo saltare lo
sguardo da un capo
all’altro del piccolo quadrato di mura grigie, con gli occhi
sbarrati e il
respiro mozzato.
Lo
sferragliare di
catene che seguì dopo, gli gelò il sangue nelle
vene, lasciandolo per un attimo
paralizzato, con le spalle rivolte verso la finestra.
-“Respira
profondamente, perché dubito che ne avrai più
occasione.”- una lieve risatina
seguì quelle parole profetiche.
Al
limite del suo
campo visivo, qualcosa richiamò il suo sguardo e dal freddo
muro inanimato, tra
uno svolazzare di vesti bianche, emerse una figura opalescente, che lo
lasciò
senza fiato e apparentemente senza vita, per alcuni secondi.
Il
suo viso era
bianco, più bianco della neve, più bianco della
morte stessa, e il suo vestito
rispecchiava in pieno il pallore cadaverico della sua pelle: il puro e
virginale candore di un abito da sposa. Hans stava per sentirsi male.
-“A-anna?”-
quel nome
sfuggì alle sue labbra in un tono di voce che non
riuscì a riconoscere. Era
stato lui a parlare?
-“Già.”-
fece atona,
quella figura evanescente e spettrale, che aveva le sembianze della
defunta
principessa. Gli si avvicinò, lasciando la minima distanza
tra loro, passando
un dito incorporeo sotto il suo mento.
-“Perché
tremi?”- gli
chiese ad un soffio dalle sue labbra, facendolo
rabbrividire-“Forse, mi temi?”-
continuò inchiodandolo con lo sguardo, mentre un accenno di
sorriso, appariva
sulle sue labbra ceree.
Perché
tremava come
una foglia? Aveva davvero paura come diceva? Anna, sempre ammesso che
fosse lei
e non una proiezione del suo cervello pazzo, non poteva fargli del
male. Lei
era morta.
-“Temerti?
E perché
mai? Non ho avuto paura di te da viva, figuriamoci da
morta.”- disse in tono
sprezzante, cercando di placare il tremore che si era impossessato
delle sue
membra.
-“Allora
se non tremi
per la paura, per cos’altro potresti farlo, vediamo: rabbia,
per la tua misera
sorte? Rimorso, per avermi uccisa, forse?”- lo
incalzò Anna, alitandogli in
viso.
-“Per
il freddo,
forse.”-ironizzò, cercando di trovare un qualcosa
di logico in quello che stava
accadendo.
Il
volto etereo di
Anna si contorse in una smorfia disgustata: “Come
fai?”- gli chiese
allontanandosi di un passo.
-“Come
faccio a fare
cosa?”- rigirò la domanda.
-“Ad
essere
così.”-rispose semplicemente.
-“Così,
come?”- chiese
scocciato.
-“Così
disgustosamente
te.”- sputò fuori, senza la minima traccia di
amichevolezza nella voce.
Hans
rimase a
fissarla, inerme dinanzi allo spettacolo soprannaturale della sua
venuta,
sferzato da quelle parole dure come il ghiaccio che imprigionava il
fiordo.
-“Hans,”-
il suo nome
suonava come una maledizione sulle sue
labbra-“perché?”- cacciò
fuori in un
soffio, con lo sguardo triste.
-“Perché
cosa,
Anna?!”- la sua vista cominciava a disturbarlo più
di quanto volesse
ammetterlo.
Lo
spettro gli fu di
nuovo addosso,in un battito di ciglia: Anna alzò la mano
verso il suo volto,
lasciando che le sue impalpabili dita, scivolassero lente sulla guancia
ispida
del principe, come in un’amorevole carezza. Poi scesero verso
la gola, cercando
di afferrarla: sapeva che non avrebbe potuto nuocergli nelle sue
condizioni. Ma
Hans no: infatti lo vide ingoiare a vuoto e abbassare lo sguardo verso
di lei.
Il principe avvertiva distintamente qualcosa premere contro la pelle
delicata
del collo.
-“Perché
lo hai
fatto?”- Anna gli si avvicinò così
tanto, che ormai le loro labbra distavano
solo pochi millimetri- “Perché mi hai uccisa?
Credevo mi amassi.”-
-“Credevi
male,
allora.”- le rispose brutalmente, cercando di respingerla, ma
la frase venne
fuori senza fiato, troppo per suonare crudele-“ Eri
così stolta, così disperata
d’amore, che è stato un gioco da bambini,
illuderti.”
Saltò
spaventato,
quando la presa sul suo collo, sembrò farsi più
fredda e violenta. Si morse le
labbra, per evitare di urlare.
-“Invece
io ti amavo
davvero.”- la
sua voce un fioco bisbiglio
nel suo orecchio.
Poi
ad un tratto la
sua presa scomparve e la sua figura incorporea, si staccò da
lui. Anna rimase
dinanzi a lui, in tutta la sua gloria ultraterrena. Nemmeno da viva
aveva avuto
tutto quella grazia divina. Si concesse di studiare per un attimo la
sua
figura, coperta da quell’abito candido, ferma in una posa
quasi teatrale.
Lacrime
nere
cominciarono a sgorgarle dagli occhi, rigandole il viso di porcellana,
sporcandole il vestito di disturbanti macchie scure.
-“
Perché?”- gli
chiese di nuovo, semplicemente.
-“Perché
non mi è mai
importato nulla di te, né delle tue stupide chiacchiere,
né del fatto che
avessi bisogno di qualcuno che ti stesse accanto dopo anni di
reclusione. Eri
solo una pedina del mio gioco…una pedina altamente
sacrificabile, aggiungerei.
Se qui c’è qualcuno da rimproverare per la tua
morte, quella sei tu, non certo
io.”- le disse scrollando le spalle.
Anna
lo fissava a
bocca aperta, incredula di fronte a tanto cinismo:
“C-cosa?”
-“Oh
Anna.”- la chiamò
con tono benevolo-“Se tu non fossi stata tanto ingenua da
gettarti tra le mie
braccia e credere ad ogni parola che usciva dalle mie labbra, ora non
saremmo
qui.”- ci pensò su un attimo-“O forse
si, ma non è questo il punto.” Si
allontanò dalla finestrella e, per quanto gli permettesse il
peso delle catene
ai polsi, cominciò a gesticolare verso di lei, per
sottolineare il suo punto di
vista.
-“Il
punto è, che se
sei morta è colpa della tua stupidità. Anna, so
che fa male sentirselo dire ma,
non offenderti, sei davvero un’idiota. Come hai potuto
pensare, che io avrei
potuto scegliere te, scricciolo insignificante, come mia consorte?
Andiamo, è
una follia, il solo pensiero. Io ho bisogno di una donna di classe,
raffinata,
con modi impeccabili e con un cervello che sia un po’
più grande di una noce;
tu sei l’esatto opposto di tutto questo; l’unica
cosa che ti qualificava era il
tuo titolo, nulla di più.”- concluse girandole
attorno.
-“Sei
un mostro!”-
sputò fuori Anna, voltandosi a guardarlo.
-“Disse
lo spettro
inquietante…”- la canzonò lui,
sedendosi sulla sua sudicia branda.
-“Come
puoi continuare
a vivere, con il peso di quello che mi hai fatto?
Tu-mi-hai-uccisa!”- gli urlò
contro. La sua voce rimbalzò violenta sulle
pareti,lasciandolo assordato per
alcuni secondi, facendolo tremare come qualche minuto prima. Hans si
chiese
come mai le guardie non accorressero, con tutto quel fracasso che stava
facendo
quella pazza-“Per colpa tua e della tua sete di potere, non
avrò mai un futuro,
non riceverò mai il mio primo bacio, né
potrò sposare il mio vero amore. Non
potrò stare accanto a mia sorella, come ho sognato di fare
in tutti questi anni
e tutto questo solo a causa tua!”- le lacrime nere avevano
smesso di sporcarle
il viso candido, ma il suo sguardo continuava ad essere colmo di rabbia
e
tristezza. Non pensava che Anna fosse capace di provare tali emozioni.
-“Non
hai nessun
rimorso per questo?Mmh?”- gli chiese infine.
Hans
alzò lo sguardo
su di lei, puntando i suoi occhi giada, cerchiati da ombre scure, nelle
iridi
incolore della principessa.
-“No.”-
fu la sua
risposta laconica.
Anna
rimase spiazzata
di fronte alla sua crudele schiettezza. Se avesse ancora potuto
respirare, era
sicura che il fiato le si sarebbe smorzato in gola, dopo quella
semplice parola
rivelatrice.
-“Ora,
se hai finito,
posso porti io una domanda? Certo che si.”- rispose per
lei-“In nome della
sanità mentale, perché diavolo indossi un abito
da sposa?”- le chiese
prendendola in giro.
Anna
sembrò riflettere
sulla domanda, poi un piccolo sorrisino si fece strada sulle sue
labbra: “Oh,
l’hai notato. Ne sono felice.”- disse, girando su
se stessa-“Sai, era di mia
madre, bello vero? L’avrei indossato alle nostre nozze, nel
caso ce ne fossero
state…ma a quanto pare avevi altro in mente, per
noi.”
-“Noi?!
Ancora non
capisci, non c’è mai stato un
noi…”- la interruppe bruscamente lui,
ridacchiando della sua ostinata buona fede.
Anna
lo ignorò: “In
teoria avrebbero dovuto seppellirmi con questo, ma di me non rimane
nulla,
giusto?”- chiese più a se stessa che a
lui-“ Mi dispiaceva non averlo potuto indossare
in nessuno dei due casi, così ho voluto metterlo comunque,
per venire a farti
visita.”
-“Perché
proprio per
venire da me?”- chiese scettico.
-“Per
smuovere il tuo
animo velenoso: pensavo che se avessi visto quello che mi avevi
precluso, forse
avresti potuto redimerti, provando rimorso per le tue azioni. Ma mi
sbagliavo,
sei e resterai sempre il viscido principe dei vermi.”
-“Sbagli.
Di una cosa
mi sono pentito.”- le disse alzandosi piano a fronteggiarla,
sovrastandola con
la sua altezza-“Di non averti uccisa quando ho avuto la prima
occasione: avrei
dovuto toglierti la vita quando sei tornata dalle montagne, debole ed
indifesa
nelle mie mani. Sarebbe stato uno scherzo spezzarti il collo o
soffocarti con
un cuscino, così avrei avuto la libertà di
uccidere anche tua sorella. Ma sono
stato troppo magnanimo e ho voluto lasciarti ancora qualche minuto di
vita…è
stato un grave errore da parte mia. E me ne rammarico ogni
giorno.”- le
confessò con voce atona.
La
mano di Anna scattò
veloce verso il suo viso, nel vano tentativo di colpirlo. Ma con suo
grande
sconcerto, la mano passò attraverso la pelle del principe,
senza arrecargli
nessun danno. Perché con Elsa e Kristoff le era riuscito e
con lui no?
Hans
si riprese
dall’iniziale turbamento e scoppiò a ridere di
gusto, di fronte all’espressione
smarrita della principessa-“ Avrei dovuto presumerlo sin
dall’inizio, che non
potevi fami del male. I morti non possono nuocere ai viventi. La mia
balia mi
raccontava spesso storie di fantasmi e mi diceva sempre di non temerli,
perché
non possono nulla nel nostro mondo.”-
Il
principe continuava
a ridere,sollevato da quella scoperta, mentre Anna fumava di rabbia
davanti
alla sua inutilità: avrebbe voluto colpirlo così
forte da fargli sputare via
l’anima. Avrebbe tanto voluto fargliela pagare per tutto
quello che aveva fatto
a lei, alla sorella e ad Arendelle.
Ma
non poteva. Non
c’era nessun oggetto che avrebbe potuto lanciargli contro,
per ferirlo anche
solo di striscio, su quel visino a cui tanto teneva.
Però
forse…un’idea le
balenò in mente, mentre Hans continuava a schernirla per la
sua inettitudine.
-“Oh
Anna, mi farai
morir dal ridere.”- si asciugò una lacrima che era
sfuggita al suo controllo.
-“Forse
ti farò morire
e basta, invece.”- sentenziò
melliflua-“Ho ancora un trucco nella manica.”
Hans
la guardò
voltarsi e allungare un braccio verso la porta della cella, poi girarsi
di
nuovo verso di lui con studiata lentezza: il mefistofelico sorrisino
sghembo
che gli scoccò, non gli fece presagire nulla di buono.
-“Sta
a vedere.”- gli
sussurrò, portandosi una mano alla bocca e schiarendosi la
voce con un colpo di
tosse, che fece tremolare tutta la sua figura.
La
mano protesa verso
la porta, si artigliò, mentre l’uscio di legno
cominciava a tremare
violentemente, come se qualcuno vi si fosse aggrappato e lo stesse
scuotendo
con forza.
-“Zotici,
aprite
immediatamente questa porta. È il principe Hans che ve lo
ordina, feccia
immonda. Come osate trattenermi ancora qui? Dovreste lodarmi e baciare
il suolo
dove si poggiano i miei piedi, per quello che ho tentato di fare!
Liberarvi da
quella cagna frigida non era abbastanza per voi, per fare di me il
vostro amato
re? Come fate a inneggiare il suo nome, dopo quello che ha fatto a
questa
terra? Siete solo dei poveri bifolchi ignoranti, pronti a fare
qualsiasi cosa
pur di ricevere un tozzo di pane rancido per riempirvi lo stomaco.
Chissà con
quali promesse vi ha stregati la regina Elsa…chissà
cosa vi ha promesso
quella meretrice. Credete pure alle sue bugie, stupidi caproni in
calore.”-
Anna urlava con tutta la voce che aveva, mentre la porta continuava a
gemere
sotto i suoi colpi invisibili. Non aveva mai usato tali termini in
tutta la sua
vita, anzi ci si aspettava che una principessa non dovesse nemmeno
conoscerle
certe parole, ma a volte aveva sentito Kai urlarle ai garzoni o dette
dal cuoco
mentre sbraitava alle galline che scorrazzavano nell’aia.
Dirle le dava un
sorprendente senso di liberazione.
Hans
la guardava
incredulo, con gli occhi verdi spalancati e la bocca aperta, come se
fosse
pronto a dire qualcosa, ma la voce l’avesse abbandonato di
punto in bianco.
La
porta della cella
si aprì di botto, andando a sbattere contro il muro. Le due
guardie, che
presidiavano la sua prigione, entrarono di corsa, passando ignare
attraverso la
figura cristallina di Anna, che scomparve per una frazione di secondo.
Hans se
li ritrovò addosso, prima che potesse dire una qualsiasi
cosa. Cominciarono a colpirlo
violentemente, mentre lui cercava di farsi scudo con le mani incatenate.
-“Sono
stufo delle
lamentele di Vostra Altezza.”- sbottò uno dei due
uomini, colpendolo in volto,
lacerandogli la pelle dello zigomo sinistro.
-“Questo
è per
Arendelle.”- gli sussurrò Anna, a quanto pareva invisibile agli occhi delle
due guardi.
-“Non
osare mai più
insultare la nostra regina. Tu non hai il diritto di parlare
così di lei!”- gli
urlò contro l’altro, piantandogli un pugno nello
stomaco.
-“Questo
è per Elsa.”-
continuò Anna, contando sulle mani.
Hans
cadde in terra,
tossendo sangue, mantenendosi una mano sul ventre. Le due guardie
smisero di
colpirlo.
-“Quando
ti
giustizieranno, sarà un piacere per noi infilare la tua
testa marcia su una
picca. Lasceremo il tuo corpo ai cani, che banchetteranno con le tue
carni.”- infine,
insieme gli assestarono due violenti calci, facendolo ruzzolare sul
pavimento,
mandandolo a sbattere contro il muro.
-“Questo
era per me!”-
sbottò Anna, mentre le due guardie uscivano, lasciando Hans
inerme, riverso in
terra.
La
principessa gli si
avvicinò, sorridendo tra sé per la sua piccola
vendetta personale:“Questa è
solo una parte del tormento che ti sarà inflitto
d’ora in poi: nel caso
dovessero liberarti, cosa di cui dubito fortemente, concedendoti di
continuare
a vivere, ti tormenterò ogni notte e ogni giorno fino
all’ora della tua morte.
Nel caso contrario, ti aspetto dall’altra parte… e
sappi che non avrai pace,
perché prenderò a calci il tuo reale fondoschiena
da qui all’eternità!”- gli
sussurrò, cercando di toccargli il viso tumefatto.
Hans
cacciò un
lamento, cercando di rannicchiarsi su se stesso.
-“Sai,
ti compatisco
Hans: rinchiuso qui ad attendere un giudizio che non
arriverà. A casa non c’è
nessuno a cui importi di te; infatti i tuoi fratelli hanno deciso che
sarà Elsa
a decidere della tua sorte.”- lo vide sobbalzare
impercettibilmente davanti a
quella novità.
-“Povero
Hans…se solo
qualcuno là fuori ti amasse davvero.”- gli
sussurrò all’orecchio. Il fiato del
principe si smorzò, lasciandolo immobile per alcuni secondi.
Anna
si alzò
voltandosi verso la finestra, a guardare l’alba che stava
nascendo su quel
nuovo giorno. Un timido raggio di Sole penetrò il vetro
opaco, trafiggendo la
figura della principessa, che s’incantò ad
osservare il punto in cui quella
luce calda l’accarezzava, lasciandole una sensazione di
felicità e pace, che
non sperava di poter più provare. Abbassò lo
sguardo su Hans, che tentava di
mettersi a sedere: “Che tu sia maledetta.”-
sibilò a denti stretti.
Anna
lo ignorò
completamente, provando pena per la sua funesta sorte:“Addio.
Spero tu possa
trovare quello che hai sempre desiderato.”- lo
salutò.
E,
mentre i bagliori
del mattino facevano capolino nella buia cella delle prigioni, Anna
svanì nella
luce.
Per
sempre.
THE END
Nda:
heilà gente! Come
sono andate le vacanze? Eh già, sono tornata con
l’ultimo capitolo di questa
mezza cosuccia pazza, che mi è venuta in mente un
po’ di mesi fa. Spero vi sia
piaciuta quest’ultima shot, un po’ più
lunga delle altre devo ammetterlo: non
so perché, ma Anna che fa del male ad Hans mi ispira, forse
è per questo che è
venuto così lunga XD Prima che mi diciate qualsiasi cosa sul
carattere dei personaggi, vi anticipo dicendo che si, sono mooolto
OOC,soprattutto Anna, ma ehi...Hans l'ha uccisa e lei doveva pur avere
la sua vendetta per quello che le ha fatto! Spero vada bene
così, altrimenti fatemelo sapere ;)
Comunque
ringrazio
come sempre chi ha letto, chi ha recensito, chi ha inserito la ff tra
le
seguite/preferite e chi si fermerà a lasciarmi un commentino
anche su quest’ultima
farneticazione ;) Mi raccomando fatevi sentire: i vostri pareri sono
letteralmente linfa vitale per me!
Ci si legge in giro,
baci ^.^
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