ALIVE

di alessiacroce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28+EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



 

Trailer ufficiale: http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ


Capitolo 1


“Harry! Harry!” Cercai in tutti i modi di tenere la testa fuori dall’acqua agitando braccia e gambe.
“Harry!” L’acqua era gelida, le gambe mi facevano male. Tutto il corpo era un fremito.
Urlai di nuovo il suo nome, ma non giunse risposta. Le onde si stavano facendo più alte, sbattendo contro gli attracchi del porto. Riuscivo a distinguere poche cose, era tutto così buio.
Non ce la facevo più. Sprofondai sott’acqua ma riemersi subito. Dovevo resistere. Dovevo salvarlo.
“Harry!” urlai per l’ennesima volta, con voce spezzata.
A qualche metro di distanza da me intravidi una figura. Caccia la testa sott’acqua e nuotai con foga fino a quel punto. Lo scorgevo cercare di rimanere a galla, invano.
Mi riempii i polmoni d’aria e cominciai ad avvicinarmi sempre di più.
Lo vidi non resistere più e scomparire sott’acqua. Urlai disperata e mi fiondai verso di lui. Presi il respiro e m’immersi.
L’acqua gelata mi costringeva a socchiudere gli occhi. I capelli oscillavano attorno al mio viso, impedendomi ancora di più la vista. Distinsi una figura nera a pochi metri da me andare a fondo. Sbattei le  gambe più forte che potei per raggiungerla. Il fiato mi stava finendo, il cuore mi faceva male per lo sforzo e lo stomaco era contratto, dove fare in fretta.
Sentii il contatto con il suo corpo, lo afferrai per un braccio, portandolo a me. Lo cinsi per la vita e cominciai a scalciare per risalire in superficie. Ce l’avevo quasi fatta, dovevo resistere.
Riemersi con la testa e presi di nuovo fiato, ma Harry era pesante, non ci riuscivo. Mi chiesi se sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto. Tutto questo sicuramente non sarebbe mai successo. Adesso non starei per morire. Adesso lui non starebbe per morire.
Il peso di Harry mi avrebbe portato a fondo, ma non volevo lasciarlo.
“Questa è la fine” pensai, finché due braccia possenti afferrarono sia me che Harry.
 
***
 
-QUANDO TUTTO INIZIÒ
 
“Ehi, tieni. Riguarda il ballo di fine anno scolastico. Qui ci sono tutte le informazioni che devi sapere. Ah, è obbligatorio venire in coppia. Puoi portare anche una tua amica, non necessariamente un ragazzo, basta che siate in due.”
 
“Oh ok, grazie.”
 
“Figurati” disse il ragazzo, andandosene.
Fissai il piccolo volantino che mi aveva consegnato. Sarebbe stato domani. Posai il volantino sul tavolo e presi una delle mie patatine fritte. Fissai le moltitudini di ragazzi affrettarsi verso i loro amici con i vassoi del pranzo. Si respirava aria di allegria mista a confusione, tipica degli ultimi giorni di scuola.
 
“Less! Ehi, Less!”
 
Sentii una voce famigliare chiamarmi alle spalle. Mi girai e un sorriso si formò sul mio viso.
 
“Ciao, Lucy” la salutai, allegra.
 
Lei si sedette davanti a me e posò con un tonfo il vassoio, facendo spandere un po’ del suo succo d’arancia.
Sogghignai, guardandola imprecare contro il bicchiere, pulendo, poi, con un tovagliolo il tavolo. Si spostò i lunghi capelli ricci e castani dal viso, sistemandoli dietro le orecchie. Prese una foglia di insalata dal suo vassoio e, mangiucchiandola, fissò il volantino vicino al mio braccio.
 
“Uh, a me non l’hanno consegnato…” disse, pensierosa, rigirandolo tra le mani.
Alzò i grandi occhi scuri, che scintillavano di una luce strana.
 
“Pensi di andarci?” aggiunse, sorridendo.
 
“Mmh, non saprei con chi andarci. Bisogna essere in coppia, tu vai con Matt, Allie con Louis e Sylvie con Zayn. Io non ho nessuno.”
 
Lei mi fissò con aria comprensiva, un po’ dispiaciuta. Ritornai a concentrarmi sulle mie patatine. Già, non avevo nessuno. Il ballo più importante dell’anno e io non avevo nessuno che mi ci accompagnasse. Era da quasi un anno che non avevo più avuto una relazione seria con un ragazzo.
Riaffiorarono i ricordi.
Rividi le passeggiate fatte per la città con James, i suoi baci, le sue carezze, il suo tocco, il suono della sua risata.
Poi si fece spazio nella mia mente il ricordo di quella sera terribile.
Quella sera in cui, lui ubriaco, mi picchiò. Non so perché lo fece, forse era solo causa dell’alcool in eccesso nel suo corpo. Mi picchiò ed abusò del mio corpo, lasciandomi, poi, scioccata e disperata, con il cuore spezzato. Da allora avevo sempre avuto paura di ogni ragazzo mi si avvicinasse. Rivedevo in ogni essere dell’altro sesso James. Ragazzi normali, belli, sorridenti e allegri che avrebbero potuto trasformarsi in mostri.
Quando passò quella notte James cercò di ritornare da me. Mi diceva che era ubriaco, non voleva farmi del male, era incosciente. Ma io non lo ascoltavo, non volevo credergli. Tenni tutto per me, nessuno sa di quell’accaduto, nemmeno le mie migliori amiche. Nessuno era a coscienza di ciò che avevo subito, nessuno sapeva della mia sofferenza. Pian piano, con il passare del tempo, dimenticai l’accaduto, ma solo in parte. Ogni volta che un ragazzo mi si avvicinava il pensiero di James balenava nella mia mente, costringendomi a evitare ogni contatto.
 
“Less” sussurrò all’improvviso Lucy, riportandomi alla realtà.
 
Alzai lo sguardo verso di lei. Stava fissando un punto dietro di me. Mi girai per vedere cosa stesse guardando con insistenza. Appena mi voltai il mio sguardò incrociò i suoi occhi verdi. Mi stava fissando. Appena vide che lo stavo fissando a mia volta mi mostrò un sorriso sfacciato. Era a qualche metro di distanza da noi. Incominciò a camminare verso il nostro tavolo. Andai nel panico. Lucy mormorò un paio di scuse e si alzò dal suo posto, dirigendosi verso una panchina un po’ più in là e lasciandomi sola.
Lui si sedette dove era seduta pochi secondi prima la mia amica. Spostò i suoi ricci di lato sulla fronte e cominciò a fissarmi insistentemente. Ero incapace di distogliere il mio sguardo dal suo. Era bellissimo. Capelli ricci castani, occhi verde smeraldo e un bel corpo, slanciato e snello. Sapevo chi era o, meglio, sapevo della sua non molto buona reputazione. Era probabilmente uno dei ragazzi più affascinanti della scuola, ma era conosciuto per la sua misteriosità e il fatto che fosse piuttosto… pericoloso. Avevo spesso sentito parlare delle innumerevoli risse sul suo conto, finite spesso non bene. Non sapevo per certo se tutto questo fosse vero, ma qualcosa mi faceva pensare che non fossero tutte bugie. Incomincia a tremare, ricordandomi ciò che fino a pochi minuti fa mi aveva tormentata. L’immagine di James riapparve nella mia mente. Strinsi le mani attorno alle mie posate, facendo diventare le mie nocche bianche. Lui non sembrò notare il mio disagio e la mia paura nei suoi confronti.
 
“Quindi non vai al ballo perché non hai un accompagnatore” affermò deciso.
 
Capii solo allora che aveva ascoltato tutta la conversazione tra me e Lucy. Mi irrigidii, stringendo ancora di più le mie posate.
 
“Ci verrai con me” sussurrò, sorridendo, con voce roca.
 
Spalancai gli occhi, sussultando, quando appoggiò una mano sulla mia coscia.
Spostai il mio ginocchio, togliendo la mano dai miei jeans.
 
“Si, tu ci verrai con me” ripete, con voce più decisa. “Che tu lo voglia o no.”
 
Mi fissò con sguardo tranquillo, quasi di sfida. Mi accorsi allora di dover ancora emettere un fiato.
 
“C-cosa?” mormorai, con voce impastata.
 
“Tu verrai con me e con nessun altro. Ti voglio. Preparati per domani. Ti verrò a prendere alle 21 in punto. Vedi di non farti attendere.”
 
Prese una patatina dal mio piatto e se l’appoggiò sulla lingua, chiudendo gli occhi e assaporandone il sapore.
 
“E ricordati di mettere un vestitino sexy. Il più sexy che hai, Less” disse, infine, passandosi la lingua sulle labbra per leccare i piccoli granellini di sale rimasti sul labbro inferiore.
 
“Ah, io sono Harry, ma penso tu lo sappia già.”
 
Poi si alzò e, facendomi l’occhiolino, se ne andò.
Rimasi stordita a guardarlo allontanarsi.
Due domande mi bombardavano la mente: come faceva a sapere il mio nome? Ma soprattutto, come faceva a sapere dove abitavo?

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***




Trailer ufficiale:
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Capitolo 2
 


Mi svegliai con la testa pesante e l’aria assonnata. Guardai la sveglia, erano le 9:15 di sabato mattina. Mi alzai dal letto, mi misi le ciabatte e una felpa, poi andai in bagno. Aprii il rubinetto, affondai le mani nell’acqua fredda e mi bagnai il viso. Delle piccole goccioline schizzarono sulla superficie lucente dello specchio. Presi l’asciugamano e pulii velocemente lo specchio, poi uscii dal bagno e mi diressi in cucina. Spalancai la porta, sbadigliando. Cacciai un urlo.
 
“Ciao, tesoro” la sua voce roca inondò la stanza.
 
Indietreggiai contro la porta e lo guardai con occhi sbarrati. Da quanto era in casa mia?
 
“C-cosa?” balbettai, schiacciandomi contro il legno duro della porta.
 
Harry restò appoggiato dov’era, affianco al frigo. Mi sorrise sfacciatamente, poi si mosse verso di me.
 
“C-come fai ad essere qui dentro?” rantolai, di nuovo. “Da dove sei entrato?”
 
Lui si avvicinò lentamente a me, fino a che il suo viso sfiorò il mio. Premette tutto il suo corpo sul mio e io gemetti. Passò le lunghe dita lungo i lineamenti del mio volto, delicatamente.
 
“Non importa da dove sono entrato” sussurrò, poggiando le sue labbra sul mio orecchio. Un brivido mi scosse. Misi una mano sul suo petto e lo allontanai. Harry si ritrasse e una profonda risata risali dalla sua gola. Lo guardai in un misto di paura e rabbia. Lui si passò una mano tra i ricci e continuò a fissarmi, spogliandomi, praticamente, con lo sguardo. Solo allora mi resi conto di star indossando solo un paio di mutande e una felpa, con sotto la canottiera. Cercai di coprirmi con le braccia, rannicchiandomi contro la porta.
 
“Mi piace il tuo corpo” affermò lui, trattenendo un’altra risata.
 
Lasciai Harry e i suoi pensieri pervertiti in cucina e corsi in camera per indossare, almeno, un paio di pantaloncini. Ritornai giù in cucina, mi sedetti su una sedia con una tazza di thè e un paio di biscotti e cominciai a fare colazione. Cercai di ignorarlo il più possibile, fingendomi disinteressata alla sua presenza dietro di me. Harry prese i miei lunghi capelli castani tra le mani e cominciò ad avvolgerli in una treccia. Presi, tremante, la mia tazza di thè e l’appoggiai sulle mie labbra. Presi un sorso caldo, mentre lui concludeva il suo lavoro.
 
“Perché sei venuto?” chiesi, con voce esile.
 
Harry sembrò nemmeno avermi sentito e continuò a giocherellare con i miei capelli. Stavo per ripetere la domanda quando lui, finalmente, parlò.
 
“Lo sai, non mi sono dimenticato del nostro accordo” sussurrò, sfiorando la pelle sensibile del mio collo con le labbra. Tremai sotto il suo tocco. “Volevo essere sicuro che te ne ricordassi anche tu.”
 
Deglutii rumorosamente e appoggiai la tazza sul tavolo, pesantemente. Lui mi baciò il collo con tocco più deciso e cominciò lentamente a succhiare.
 
“N-no, fermo” gemetti io, scostandolo.
 
Lui si passò la lingua sui denti e mi ricordò il gesto tipico di ogni vampiro, nei film, dopo aver aggredito la propria vittima. Un fremito percorse, nuovamente, il mio corpo.
 
“Allora, stasera vengo a prenderti. Mi raccomando, fatti trovare pronta. Odio aspettare le ragazze. Quindi, fai la brava.”
 
Lo guardai fisso, con aria infastidita. Come si permetteva di rivolgersi a me con quel tono?! Mi alzai dalla sedia e portai la tazza nel lavandino, aprendo l’acqua. Sentii il suo respiro caldo sul mio collo. Mi voltai per affrontarlo, ma Harry mi prese il viso tra le mani e premette pesantemente le sue labbra sulle mie. Cercai di girare la testa di lato, ma la sua presa me lo impediva. Lo afferrai per le spalle e lo spinsi indietro.
 
“Mmh, sei una piuttosto difficile, direi” sogghignò, lui.
 
Si avviò, poi, verso la porta d’entrata con passo lento, quasi svogliato. Afferrò la maniglia e aprì la porta. Prima di uscire mi fece l’occhiolino e mimò un bacio.
 
“Ci vediamo stasera allora, Less” aggiunse, poi, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Lo fissai, dalla finestra, allontanarsi sul vialetto di casa mia ed entrare nella sua macchina nera, per poi partire a forte velocità. Mi lasciai cadere sul tessuto morbido del mio divano. Chiusi gli occhi mentre avvolsi con le braccia le mie gambe. Rimasi per qualche minuto così, in silenzio. Sentii il ticchettio dell’orologio scandire il passare veloce del tempo. Un raggio di sole si fece spazio tra la massa consistente delle nuvole e mi illuminò il volto, passando attraverso le tende della grande finestra davanti a me.
Riaprii lentamente gli occhi.
Cavolo, in che guaio mi ero cacciata.

Spazio autrice.

Ciao a tutti, questo è il secondo capitolo della mia ff, spero vi sia piaciuto il primo.
Ho davvero apprezzato le vostre recensioni e i vostri commenti su twitter.
Niente, che dire, vi ringrazio tutti.
Se avete bisogno di qualcosa su twitter sono @aspettamiharry :)
Buona lettura!
Baci, Alessia x

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




Trailer ufficiale:
 http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ

Capitolo 3
 


Fissai la mia figura seminuda riflessa sullo specchio di camera mia. Indossavo solo la biancheria intima. Presi l’ennesimo vestito dall’armadio e lo sventolai davanti allo specchio. Cavolo, non sapevo cosa mettermi. Tutti i vestiti sembravano insignificanti, tutti uguali, tutti di colore scuro. Mancava poco all’appuntamento e io dovevo ancora trovare un abito da indossare. Il cellulare squillò, all’improvviso, facendomi sobbalzare. Sullo schermo la scritta “Lucy” lampeggiò freneticamente.
 
 
“Ehi, Lu” risposi, appoggiando il telefono all’orecchio.
 
 
“Ciao, Lee!” urlacchiò lei, dall’altro capo. “Senti, mi dispiace per ieri, per averti lasciata sola con… ehm… Harry.”
 
 
Rimasi ad ascoltarla parlare velocemente, in silenzio.
 
 
“Il punto è che mi sembrava fosse interessato a te… non volevo essere di troppo” aggiunse, questa volta con voce flebile.
 
 
“Ah-an, e con questo che vorresti dire?” dissi, rigirando il vestito che avevo in mano, per poi gettarlo per terra, mancando, miseramente, il letto.
 
 
“Niente, ecco, volevo solo scusarmi. Comuuunque…” ecco, lo sapevo.
 
 
“Com’è andata con Harry? Cosa ti ha detto? Che è successo?” strillò Lucy, disintegrandomi i timpani.
 
 
“Mmh, niente, cioè…” la mia amica attese, in silenzio. “Mi ha invitato al ballo” dissi tutto d’un fiato.
 
 
“E tu ci andrai?!”
 
 
“Senti, Lu, potresti abbassare il tono della voce? Diventerò sorda se andiamo avanti così”
 
 
“Ah, scusa” sussurrò lei, ridendo.
 
 
“Comunque si, ci vado. Con lui.”
 
 
“Ommioddio! Sul serio?!” esclamò a quella risposta.
 
 
“Si, ascolta, ora devo andare a prepararmi, tra poco Harry è qui, quindi ci vediamo stasera, ciao”
 
 
“Ciao, Lee!” mi salutò, lei.
 
 
Lasciai cadere il cellulare sulla sedia della mia scrivania e provai un altro abito. Mmh, non male.
Sentii sbattere la porta d’entrata e una voce familiare mi chiamò.
 
 
“Tesorooo?” mamma posò le chiavi sul tavolo in cucina e cominciò a salire le scale, saltellando ad ogni gradino e cantando una canzone a me sconosciuta. Sembrava di buon umore, cosa rara in questi ultimi tempi, dato il suo lavoro stressante che le portava via la maggior parte del tempo.
 
Aprì lentamente la porta della mia stanza e la sua testa bionda fece capolino. Due occhi verdi mi scrutarono curiosi.
 
 
“Che combini, Lessy?” disse, con un po’ troppa esultazione.
 
 
“Ehm, mi preparo” risposi, continuando a fissare il vestito che avevo appena indossato e che sembrava starmi, incredibilmente ad ogni mia aspettativa, bene.
 
 
“Per cosa?” continuò mia madre, insistente.
 
 
“Questa sera c’è il ballo scolastico…”
 
 
“Uh, e con chi ci vai?” mi interruppe lei.
 
 
“Ecco… uhm… un mio amico” risposi, con tono poco convincente.
 
 
“E come si chiama questo tuo “amico” continuò a indagare.
 
 
“Ehm, senti mamma, adesso devo proprio prepararmi, ne riparliamo dopo” sussurrai, con tono più deciso.
 
 
“Okay-okay, ti lascio in pace allora” poi si allontanò con le braccia alzate, in segno di scuse. Chiuse la porta dietro di sé e il silenzio mi riavvolse.
 
 
Rivolsi un’altra occhiata al mio riflesso sullo specchio. In effetti, quell’abito beige mi stava proprio bene. Era corto, ma non troppo, e lasciava scoperte le mie spalle candide. Non volevo seguire i consiglio di Harry, probabilmente lui avrebbe voluto vedermi mezza nuda. Volevo qualcosa di raffinato, ma anche non troppo serio. Quel vestito sembrava essere l’ideale.
Guardai l’orologio: 20:45 in punto. Indossai, velocemente, un paio di tacchi neri, misi un leggero tocco di eyeliner sugli occhi e un po’ di fard. Passai un velo di rossetto delicato sulle labbra e raccolsi i lunghi capelli castani in una coda alta. Mi guardai allo specchio. Perché lo stavo facendo? Perché mi stavo preparando così attentamente per un ballo a cui avrei preferito non andare? Forse perché lui me lo imponeva. Era questa la vera risposta. Avevo paura di come avrebbe potuto reagire ad un mio rifiuto.
Presi il cellulare, lo misi nella borsa e diedi un’ultima furtiva occhiata al mio riflesso. Proprio non male.
 
 
“Lee!” la voce stridula di mia madre echeggiò nella casa.
 
 
“Si, mà?”
 
 
“Vieni, tesoro! Penso sia arrivato il tuo “accompagnatore” emise una risata cristallina.
 
 
Oddio. Era giunto il momento.
Scesi lentamente le scale e mille pensieri affollarono la mia mente alla vista di Harry seduto sul divano in salotto.
 
 
“Ehi, dolcezza” esclamò lui, appena mi vide.
 
 
“Ciao” dissi, con un filo di voce.
 
 
Mia madre spostò freneticamente lo sguardo vivace da me a Harry e viceversa, con un sorriso idiota stampato in volto.
 
 
“Caro, ehm, Harry Styles avevi detto, giusto? Io non mi sono ancora presentata, chiamami pure Daisy, sono la mamma di Less, ma penso tu questo l’abbia intuito”
 
 
Harry si alzò dal suo posto e strinse entusiasta la mano di mia madre. Lei ridacchiò. Sembrava una ragazzina, oddio.
 
 
“Mmh, abbiamo finito con le presentazioni?” mi intromisi, con voce imbarazzata.
 
 
“Certo Lee, vai e divertiti, tesoro” disse lei, dandomi una leggera spinta. Arrossii leggermente, poi Harry contornò le mie spalle con il suo braccio e ci avviammo verso la porta.
 
 
“È stato un piacere, uhm, Daisy!” esclamò, lui.
 
 
“Figurati, giovanotto! Piacere tutto mio!”
 
 
La porta si chiuse alle nostre spalle. Finalmente quel momento imbarazzante era passato. Ci incamminando verso l’auto di Harry, che ci aspettava poco più in là del mio vialetto.
 
 
“Tua madre è davvero simpatica”
 
 
“Mmh, io direi più imbarazzante
 
 
Rise e mi fece salire in macchina, poi si accomodò affianco a me, sfiorando con le mani il volante. Non mise in moto subito. Mi guardò a lungo, con gli occhi che brillavano di un verde intenso. Fece scivolare la mano lungo l’interno della coscia, partendo dal ginocchio.
 
 
“Sei bellissima, stasera” sussurrò, con voce provocante, continuando ad accarezzare la pelle appena sotto l’orlo del vestito, sempre più su.
 
 
“A-andiamo” dissi, bloccandolo, prima che potesse salire ulteriormente. Lui trattenne una risata e mise in moto.


 

Spazio autrice.

Ciao a tutti, ecco, come promesso, il terzo capitolo!
Less si è preparata per il ballo e ora, lei e Harry, si stanno dirigendo verso il luogo prefissato.
Come pensate andrà la festa? Per saperlo dovete continuare a leggere, ehehe.
Comunque, grazie a tutti per i vostri commenti su twitter e le vostre recensioni, vi amo, veramente aw.
Su twitter, se avete bisogno di qualcosa, sono @aspettamiharry :)
Buona lettura!

-un bacio x

Alessia.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




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Capitolo 4
 


Tutto il viaggio in macchina fu caratterizzato da un assoluto silenzio, interrotto solamente dalla sottile voce della cantante alla radio. Harry guidò tenendo gli occhi sempre fissi sulla strada, con un sorriso sereno dipinto sul volto. Io, furtivamente, lo osservai. Il suo viso era illuminato dalla fioca luce del crepuscolo e dai fari insistenti delle altre macchine nella corsia opposta. Amavo le serate di Giugno. Il sole tramontava solo dopo le 21 e il cielo rimaneva colorato di una tonalità miele scuro anche dopo il tramonto, fino a che il buio della notte sopraggiungeva. Durante queste sere uscivo spesso con i miei amici, andavamo a passeggiare per le vie affollate di Liverpool, compravamo una granita rinfrescante o un gelato e poi, spesso, ci stendavamo in mezzo ad uno dei tanti parchi della città e rimanevamo a fissare il cielo, finchè si riempiva di stelle. Erano notti magiche, quelle.
 
Arrivammo davanti alla scuola alle 21:25 precise. Il parcheggio era già affollato di auto di tutti i tipi. Scesi dalla macchina e mi diressi velocemente verso l’entrata dell’edificio, senza voltarmi indietro.
 
 
“Ehi, Less! Dove pensi di andare?”
 
 
Continuai a camminare con passo deciso, ignorando la sua domanda e afferrai la maniglia della porta d’ingresso, ma una presa mi fermò. Harry mi fece voltare, facendo sfiorare il suo viso con il mio.
 
 
“Dove credi di andare così in fretta?” sussurrò, con voce profonda.
 
 
Mi attirò ancora di più verso sè e mi diede dei piccoli morsetti all’estremità dell’orecchio destro. M’irrigidii e lo allontanai. Lui sembrò quasi essere divertito dal mio comportamento diffidente. Mi rivolse il suo solito sorriso sfacciato, abbassò la maniglia e mi fece segno di entrare. Feci il mio trionfale ingresso nella palestra della scuola, dove si teneva la festa, inciampando sul lungo tappeto rosso e quasi cadendo di faccia davanti a tutti. Harry mi afferrò per la vita, ridendo, e mi avvolse le spalle con il suo braccio possente. Sussurrai un “grazie” imbarazzata. Volevo sprofondare all’istante. Se non ci fosse stato lui, probabilmente, avrei fatto un’altra delle mie tipiche figure di merda. Continuò a guidarmi tra la folla, finchè giungemmo davanti ad un gruppo di ragazzi, più o meno dell’età di Harry. Tutti lo salutarono con rispetto, tranne un biondino, che gli mollò un pugno leggero, ma deciso, sulla spalla. Dovevano essere grandi amici.
 
 
“Ehi, Haz!” esclamò il biondino, sorridendo allegro.
 
 
“Ciao, Niall”
 
 
“Come va, amico?”
 
 
“Bene. Tu, invece?”
 
 
“Non c’è male. Sai, solite cose… in questo periodo sono stato molto impegnato. Ormai l’anno scolastico è finito e mia madre ha voluto che mi impegnassi per, almeno, non avere debiti. Tu lo sai come sono fatto io… non amo molto studiare, quindi è stata dura” ridacchiò Niall, poi sembrò notare all’improvviso la mia presenza nel gruppo.
 
 
“E lei chi è, eh Haz?” domandò, con un’ombra di curiosità e vivacità negli occhi.
 
 
Harry mi diede un leggero buffetto sul naso e io lo guardai con aria infastidita. Odiavo essere trattata come una bambina. Avevo solo due anni in meno di lui.
 
 
“Lei è Less. Less Morgan. Stasera è con me” rispose, sorridendomi. Solo allora notai le piccole fossette che gli abbellivano il sorriso. Era, sicuramente, uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto. Sembrava un’angelo dall’aria innocente, ma sapevo che molti segreti si nascondevano dietro quell’apparenza.
 
 
“Less?” la sua voce roca mi riportò alla realtà.
 
 
“Mi stavi ammirando, eh?” aggiunse poi, con aria sfacciata, facendo un mezzo sorriso.
 
 
“Mmh, direi proprio di no” mentii, con tono poco convincente.
 
 
“Io, invece, direi di si” s’intromise Niall.
 
 
Il biondo mi guardò con aria di sfida, mentre Harry mi rivolse un sorriso compiaciuto. Cavolo, non sapevo proprio mentire, a quanto pare. Mi avevano colta in flagrante.
 
 
“E tu, Nialler, con chi sei venuto?” la voce profonda del mio accompagnatore spezzò il silenzio imbarazzante di quel momento.
 
 
“Sono con Anne, ora è a fare la gallina con le sue amichette, ma tra poco vado a recuperarla” rise, Niall.
 
 
“Fai bene. È stato un piacere parlare con te, adesso, però, io e Less andiamo un po’ a ballare, ci sentiamo dopo”
 
 
Niall fece un cenno col capo per salutare l’amico, rivolgendosi a me con un occhiolino.
Un attimo dopo mi ritrovai in pista, con Harry che mi si strusciava, letteralmente, addosso. Rimasi immobile, mentre attorno a noi decine di ragazzi e ragazze si esibivano in balli sfrenati. Le luci mi abbagliarono all’improvviso e illuminarono il viso di Harry, davanti al mio. L’aria era pesante e alleggiava dappertutto un leggero odore di alcool. Ma era un ballo scolastico o cosa? Probabilmente non c’era la sorveglianza.
 
 
“E dai, Less” sussurrò Harry, con tono infastidito, mentre continuava a ballare in modo provocante intorno a me. Decisi di seguirlo, non mi rimaneva altra scelta. Mi mossi, prima goffamente, poi cominciai a lasciarmi andare al ritmo trascinate della musica. Lui mi rivolse un sorriso soddisfatto quando mi vide cominciare a ballare affianco a lui. Il dj era davvero bravo, scelse le canzoni più adatte e le remixò professionalmente. Il pubblicò sembrò apprezzare, la pista si riempì sempre di più, costringendomi a stare, praticamente, in braccio a Harry. Lui mi avvolse la vita con le braccia e mi attirò ancora più verso di sé, facendomi, quasi, scivolare. Mi aggrappai al suo collo con le braccia per non cadere. Stavo per toglierle, ma lui scosse la testa e sussurrò “lasciale lì, stiamo ballando.”
Feci come mi disse e mantenni la mia posizione. Mi strinse ancora più contro il suo corpo e io appoggiai la testa sul suo petto. Lui si chinò su di me e cominciò a baciarmi il collo, prima sfiorandolo appena con le labbra carnose poi, appoggiandole più pesantemente, cominciò a succhiare in modo deciso un punto appena sopra la mia clavicola. Un brivido percorse tutto il mio corpo. Cercai di respingerlo, ma non ci riuscii. Lui continuò con più insistenza. Gemetti quando cominciò a farmi male. Lui sembrò non accorgersene e non si fermò.
 
 
“Harry, ti prego” mugolai, ancora.
 
 
Questa volta mi ascoltò. Si staccò dal mio collo e fissò ciò che ora era comparso sulla mia pelle. Un’evidente macchia viola si trovava appena sopra la clavicola. La toccò delicatamente e io gemetti appena sentii le sue dita sfiorare il punto dolente.
 
 
“Finalmente ci sono riuscito” esclamò soddisfatto, riferendosi al succhiotto che ora segnava il mio collo.
 
 
“Perché l’hai fatto?” sussurrai, con voce spezzata.
 
 
Lui alzò le spalle e mi baciò sulle labbra. Lo allontanai. Mi fissò in silenzio, mentre il dj cambiava canzone, mettendo il tormentone del momento, seguito da una moltitudine di esulti da parte del pubblico.
 
 
“Ora sei mia, no? Io ti voglio e quando voglio una cosa riesco sempre ad ottenerla”
 
 
Tremai a quelle parole e abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo. Lui mi sfiorò la guancia con le dita affusolate, scendendo verso il collo, ma io mi ritrassi. Lo spinsi via con forza e non riuscii a trattenere una lacrima. Harry mi guardò con aria interrogativa e si avvicinò di nuovo, stringendomi il polso.
 
 
“Io… Less, perché piangi? Non volevo spaventarti” il suo sguardo si fece più scuro e io tremai ancora di più. Mi spinse delicatamente contro il muro e mi prese il viso tra le mani, accarezzando i lineamenti morbidi del mio viso. Le lacrime cominciarono a scendere pesantemente. La vista si fece annebbiata e riuscii a distinguere solo una massa unita di colori muoversi in mezzo alla grande palestra. La musica ad alto volume mi riempì le orecchie, insidiandosi nella mia testa. Fasci fosforescenti di luce illuminavano la stanza, rendendo ancora più confusi i miei occhi. Un pensiero mi balenò nella mente: dov’era Lucy? Dov’erano i miei amici? Avevo bisogno di loro.
 
 
“Less, io non volevo” sussurrò Harry.
 
 
Chiusi gli occhi affaticati. Sentii le sue labbra sfiorami le palpebre, lasciandoci dei piccoli baci delicati. Riaprii gli occhi e li vidi riflettersi, lacrimanti, in quelli verde smeraldo di lui.
Voltai la testa di lato e, con una mano, strinsi la sua maglietta bianca per allontanarmi. Harry mi cinse per la vita e mi riportò alla mia posizione iniziale. Cacciai un urlo soffocato quando afferrò, violentemente, entrambi i miei polsi.
 
 
 
“Lasciala stare!”
 
 
Sentii una voce famigliare provenire alle spalle di Harry. Lucy ci raggiunse, spingendo di lato il corpo che mi stava opprimendo e prendendomi sotto braccio. Io, spaventata, mi strinsi accanto a lei. Tempismo perfetto.
 
 
“Mi spieghi che le volevi fare?!”
 
 
Harry guardò la mia amica con sguardo rabbioso. Socchiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli spettinati. I suoi muscoli si irrigidirono.
Lucy continuò a fissarlo, disprezzante. Lui rimase in silenzio, poi un’espressione stravolta comparve sul suo viso, modificandone i lineamenti. Si girò, senza emettere un fiato, e si incamminò velocemente verso l’uscita, facendosi spazio tra ragazzi ubriachi e ragazze che si esibivano in balletti penosi.  Spalancò la porta dell’edificio e scomparve nel buio della notte.


 

Spazio autrice.

Ciao a tutti, grazie ancora per le recesioni e i vostri commenti :)
Si, lo so che lo scrivo ogni volta, ma non posso non ringraziarvi, ci tengo veramente molto.
Comunque, passando al capitolo, spero che finora la storia vi abbia incuriosito lol
Less si trova ad affronatare il ballo scolastico in compagnia di Harry, cosa che non avrebbe assolutamente voluto.
Harry sembra essere troppo insistente con lei, sembra essere possessivo.
Less ha paura, sappiamo cos'ha subito tempo fa, è naturale che sia spaventata.
Cosa farà Less? Lascerà perdere la reazione di Harry e si godrà il resto del ballo con Lucy?
Lo saprete nel prossimo capitolo ehehe
Ciao e grazie ancora a tutti :)

un bacio x

-Alessia

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***




Trailer ufficiale:
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Capitolo 5
 


Lucy mi abbracciò e io rimasi immobile. Non mi mossi nemmeno per ricambiare il suo abbraccio.
Rimasi semplicemente a fissare il punto dove poco prima Harry se n’era andato.
Continuava ad esserci un certo movimento in pista, anche se la maggior parte della gente si era ritirata, stanca e sudata. I divani erano, ora, pieni di ragazzi che bevevano avidamente dalle loro lattine di birra e si intravedevo, in mano a qualche ragazzo sbronzo, delle bottiglie vuote di vodka. Si, era ovvio che non ci fossero i controlli. Il dj che aveva aperto la festa aveva lasciato il posto ad un altro dj, un ragazzo biondo con degli occhiali scuri che gli coprivano metà volto. Mi parve di averlo già visto da qualche parte.
Sentii il tocco lieve delle dita di Lucy sfiorarmi i lineamenti del viso, per asciugarmi le poche lacrime rimaste. Mi sussurrò qualcosa che non riuscii a capire, dato il volume alto della musica che risuonava dalle casse. Allontanai delicatamente la mia amica, che mi fissò con sguardo interrogativo.
 
 
“Lee, che succede?” mi chiese, sovrastando il chiasso circostante.
 
 
Non risposi e feci un passo esitante in direzione della porta dell’edificio, lasciata semiaperta da Harry.
Lucy mi prese la mano ma io mi ritrassi. Mi diressi verso l’uscita con difficoltà, lasciando la mia amica confusa e senza parole. Ovunque c’era gente che ostruiva il passaggio, impegnata a ballare miseramente, non andando a ritmo con la canzone. Alcuni erano seduti a terra e ridevano, completamente ubriachi. Per fortuna che doveva essere un ballo scolastico.
 
Uscii dall’edificio e una folata di vento freddo mi avvolse. Strofinai le mani lungo le braccia. Nonostante fossero i primi giorni di giugno la sera la temperatura scendeva vorticosamente.
Cercai con lo sguardo la macchina di Harry e la vidi parcheggiata nello stesso punto in cui l’aveva lasciata. Allora non se n’era andato.
Mi avvicinai all’auto ma la trovai vuota. Doveva essere nei paraggi.
Camminai imprecando sulla ghiaia, i tacchi che affondavano sempre di più nel terriccio. Riuscii a raggiungere il cancello ed uscii. La luce fioca dei lampioni illuminava la strada, il rumore delle macchine in lontananza spezzava il silenzio inquietate, confortandomi.
Una figura alta e dai lineamenti famigliari si stava dirigendo verso il porto. Corsi verso di lui.
Mi domandai perché lo stavo facendo. Ero forse impazzita? Un attimo prima avrei dato qualunque cosa per allontanarmi da lui e, ora, lo stavo rincorrendo, con i piedi doloranti nei tacchi e il vento freddo che mi solleticava fastidiosamente braccia e gambe.
Era stato quello sguardo.
Lo sguardo sconvolto che era apparso sul suo viso, prima di lasciare la festa.
Mi aveva colpito quell’espressione che mi aveva rivolto, mai vista sul suo volto.
Mi fermai dopo pochi metri per togliermi le scarpe. Lo raggiunsi a piedi nudi, correndo sull’asfalto ruvido, ancora caldo per via dei raggi del sole che avevano battuto insistentemente su di esso per tutto il giorno.
Non so se fosse stata una buona idea ma, almeno, a piedi scalzi, correvo più velocemente.
Harry si girò.
Incrociò le braccia davanti al petto.
Mi fermai a pochi metri da lui, ansimante per la corsa, massaggiandomi i talloni sbucciati.
 
 
“Cosa vuoi?” disse, con tono duro.
 
 
Rimasi a fissarlo. Mi stava guardando con sguardo insensibile, senza tralasciare nessuna emozione. I suoi occhi erano vitrei.
Sentii le lacrime minacciare di uscire. Deglutii cercando si scacciarle.
Vedendo che non emettevo un fiato, ripete la domanda, questa volta con voce più morbida. Fece un passo in avanti, verso di me, e mi prese le spalle con le mani.
Abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
Stavo per parlare quando lui mi precedette.
 
 
“Mi dispiace, Less” sussurrò Harry.
 
 
Alzai nuovamente lo sguardo verso di lui. Una lacrima scivolò, tracciando una linea bagnata lungo la mia guancia, e si fermò all’angolo della mia bocca. Harry si chinò su di me e baciò delicatamente quel punto. Mi avvicinai di più al suo corpo, sentendone il calore unirsi al mio, e avvolsi le braccia attorno alla sua vita. Lui mi strinse e posò la testa nell’incavo tra la mascella e il collo. Il mio respiro accelerò, seguito dal battito del cuore.
Rimanemmo in questa posizione per qualche minuto, poi io mi staccai.
 
“Harry”
 
 
Lui mi guardò. Sembrava dispiaciuto del fatto che mi fossi allontanata.
 
 
“I-io non ti conosco bene” sussurrai.
 
 
Harry rimase in silenzio, poi mi prese per mano e si diresse verso il porto, con me al seguito.
Si sedette sul marciapiede lungo il mare, continuando a stringere la mia mano. Mi sistemai accanto a lui.
 
 
“Tu ti devi fidare di me” affermò, con tono deciso.
 
 
Dondolai i piedi nudi, sfiorando la superficie dell’acqua.
 
 
“Ti conosco da due giorni, Harry” dissi con un filo di voce. “Non posso fidarmi subito di te”
 
 
Abbasso lo sguardò verso il mare, restando in silenzio. I suoi occhi sembrarono contemplare l’acqua blu scuro, che non lasciava trasparire nulla sotto di essa.
 
 
“Ci sono tante cose che non so di te. Non so nemmeno dove abiti, come si chiamano i tuoi genitori, se hai fratelli o sorelle…” lasciai la frase in sospeso.
 
 
“Abito a due isolati dalla scuola, lungo la London Road. Mia madre si chiama Claire. Ho una sorella, Sarah”
 
Rimasi a fissarlo, lui si girò e incrociò il suo sguardo con il mio.
 
 
“E tuo padre?” esitai qualche secondo, prima di porgli la mia domanda.
 
 
Distolse i suoi occhi dai miei e giocherellò con le mie dita. Si passò la mano libera tra i capelli. Rimasi in attesa, osservandolo. Irrigidì la mascella, poi parlò.
 
 
“L-lui… lui non c’è più” sussurrò, con voce spezzata.
Un singhiozzo lo scosse. Mi feci più vicina a lui e sfiorai con le labbra la sua guancia, lasciandole sulla sua pelle, esitanti. Appoggiai la testa sulla sua spalla.
 
 
“Scusa, Harry… Io non volevo”
 
 
“Non fa niente, Less” mormorò.
 
 
Rimanemmo in silenzio a fissare le onde infrangersi sotto di noi. Piccoli spruzzi solleticavano la pelle delle mie gambe, provocandomi piccoli brividi.
 
 
“Ti basta, ora? Ho risposto alle tue domande” Harry riprese a parlare.
 
“Ecco, si, ma non è questo il punto. Molti ti considerano… pericoloso” esitai sull’ultima parola.
 
 
Harry lasciò la mia mano e io mi pentii immediatamente di aver fatto quell’affermazione.
Aspettai in silenzio una sua risposta che, però, non giunse.
Guardò l’orologio e si alzò in piedi.
 
 
“È ora di andare, Less” disse, aiutandomi a sollevarmi da terra.
 
 
“Ti accompagno io a casa” aggiunse, dopo pochi istanti.
 
 
Raggiungemmo la sua macchina in silenzio e uguale fu tutto il viaggio. Nessuno dei due osava parlare.
Arrivati davanti al vialetto di casa mia sussurrai un “grazie” e lo baciai.
Mi diressi verso la porta, mentre lui rimaneva a fissarmi in macchina.
 
 
“Buonanotte, Less” disse, abbassando il finestrino.
 
 
“Notte” risposi, chiudendomi la porta alle spalle.
 
 
Dopo pochi secondi il cellulare vibrò. Avevo un nuovo messaggio da un numero sconosciuto. Lo aprii.
 
 
Ah, salvati il mio numero, tesoro. Buonanotte. H. x
 
 
Come faceva ad avere il mio numero? Come faceva ad avere così tante informazioni su di me?
Andai in bagno, mi spogliai e mi feci una doccia calda. Poi presi l’accappatoio e andai in camera a cambiarmi. Mentre indossavo il pigiama riguardai il succhiotto che Harry mi aveva lasciato quella sera. Mi aveva fatto male e, nonostante avessi tentato di fermarlo, lui aveva continuato senza curarsi di me.
Mia madre bussò alla porta.
Coprii velocemente quel segno con i capelli e le dissi di entrare.
 
 
“Com’è andato il ballo, amore?” squittì mia madre.
 
 
“Bene” mentii.
 
 
Lei sembrò aspettare, curiosa, che aggiungessi qualcos’altro, ma non lo feci. Le intimai di uscire, era mezzanotte passata da un pezzo e io avevo solo voglia di distendermi sul letto e sprofondare in un sonno senza sogni.
Riguardai velocemente la macchia viola sul mio collo, prima di coprimi con le coperte.
Forse era vero.
Forse Harry era veramente un tipo pericoloso.
Non potevo fidarmi di lui.


 

Spazio autrice.

Ciao a tutti, mi scuso per il ritardo, avevo promesso di pubblicare questo capitolo ancora mercoledì ma non ho avuto tempo, sapete com'è... sono stata molto impegnata in questa settimana, l'anno scolastico ormai si sta per concludere e i prof hanno deciso di riempirci di verifiche proprio adesso. Ieri, per dire, ho avuto la verifica di matematica e diritto lol ma vabbè.
Spero che i precedenti quattro capitolo vi siano piaciuti,
Ecco a voi il quinto :)
Buona lettura!

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***




Trailer ufficiale:
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Capitolo 6
 


Un piccolo spiraglio di luce entrò nella mia stanza, proiettando strane ombre sul soffitto.
Aprii lentamente gli occhi, infastidita da quel raggio improvviso.
Girai la testa verso la sveglia: era appena passata l’una di notte.
Mi sollevai dal cuscino e notai la mia porta aperta, dove un’inquietante figura maschile mi stava osservando.
Per poco non cacciai un urlo, ma una voce familiare mi blocco.
 
 
“Shh” mi intimò la voce “Lee, sono io”
 
 
Saltai giù dal letto e mi fiondai verso di lui, saltandogli in braccio.
 
 
“Liam!” lo strinsi forte, in un misto tra felicità e commozione.
 
 
“Ehi, sorellina” sussurrò lui, ridendo. Era bello risentire la sua voce.
 
 
Liam è il mio fratellastro. Mia madre, dopo poco avermi avuta, divorziò da mio padre. Per un periodo vivemmo da sole, io e lei, arrangiandoci alla meglio con il suo solo misero stipendio. Circa cinque anni fa incontrò un uomo, divorziato pure lui, con un figlio, Liam appunto, di soli tre anni più grande di me.
Mia madre, da allora, sembrò quasi un’altra donna, sorrideva ed era più disponibile a dialogare con me, cosa che era praticamente inusata nel periodo ‘pre-incontro’. Sembrava che quell’uomo l’avesse cambiata in qualche modo.
Due anni dopo si sposarono. Liam e suo padre vennero a vivere da noi, date le grandi dimensioni e lo spazio a sufficienza che possedeva la mia casa.
Io e Liam diventammo inseparabili, cosa che può sembrare strana dato che, solitamente, il rapporto fratellastro-sorellastra non è certo dei migliori. Per noi, però, era diverso.
Io avevo 13 anni e lui 16 quando i nostri genitori si conobbero. Quel ragazzo moro, dal sorriso perfetto, era subito entrato a far parte della mia vita, migliorandola. Avevo accettato con felicità la notizia del matrimonio.
Io ho adottato il cognome di mia madre, Morgan, mentre Liam ha mantenuto quello del padre, Payne.
 
 
“Fai silenzio, è notte fonda” disse Liam, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi più belli.
 
 
“Mi sei mancato” mormorai io.
 
 
“Anche tu, Lessy”
 
 
Sorrisi a sentirmi chiamare in quel modo.
Liam ha l’abitudine di chiamarmi con vari soprannomi e nomignoli, come ad esempio “Lessy”, “Sissi”, “Lex” e molti altri, inventati direttamente da lui.
Ci sedemmo sul letto, uno di fronte all’altro, a gambe incrociate.
Era da tanto che non vedevo mio fratello, era da tanto che non sentivo la sua voce.
Mi era mancato veramente.
Era partito per l’America sei mesi fa, aveva vinto una borsa di studio e si era trasferito in un campus per un breve corso di studi. Il mio patrigno aveva deciso di partire con lui, per motivi di lavoro, lasciando me e mamma da sole.
Era stata dura lasciarli andare con la consapevolezza che mi sarebbero mancati, soprattutto Liam.
Ma adesso, a distanza di metà anno, erano ritornati.
 
 
“Allora, come va principessa?” sussurrò lui.
 
 
“Niente di nuovo, tutto bene. Mamma, come al solito, ha fatto morire tutte le piante e i fiori nei vasi. Senza te e papà, per sei mesi, mamma ha praticamente sterminato il giardino. Diciamo che non ha proprio il pollice verde”
 
 
Liam soffocò una forte risata.
Mi piaceva vederlo ridere, era bellissimo.
 
 
“E tu, fratellino, com’è andata in America?” chiesi, a mia volta.
 
 
“Benissimo, Lee. L’America è fantastica, il tempo è molto meglio di quello inglese e la gente è cordiale e amichevole! Los Angeles, poi, è magnifica” rispose, quasi con occhi sognanti.
 
 
“E i tuoi compagni di campus? Ti sei fatto degli amici?”
 
 
“Certo! Mi sono trovato davvero bene. Il primo giorno di corsi avevo già fatto conoscenza con tre ragazzi simpaticissimi, Paul, Rian e Craig! Le lezioni mi piacevano molto e non erano difficili. Ho conosciuto tanta gente nuova” sfoggiò un sorriso a trentadue denti.
 
 
“Sono felice che ti sia divertito” gli dissi, sincera.
 
 
“Tu e mamma, però, mi siete mancate tantissimo” mormorò lui.
 
 
“Anche tu e papà a noi” risposi, poi lo abbracciai forte, quasi non lo volessi più lasciar andare.
 
 
La porta era ancora semiaperta e una luce fioca, proveniente dal salotto al piano terra, inondava la stanza.
Sentii la voce esile di mia madre parlare con il mio patrigno. Traspariva un tono commosso ed emozionato, tipico del carattere sensibile di mia madre.
Mi staccai dall’abbraccio di Liam e lui si alzò dal letto.
 
 
“Ti lascio dormire ora” disse, con un filo di voce.
 
 
Guardai nuovamente la sveglia. Segnava l’1:45.
Lo guardai dirigersi verso la porta, salutandomi con la mano.
Stavo per risistemarmi sotto le coperte, quando Liam si bloccò.
Riuscii a intravedere la sua faccia allegra incupirsi attraverso la luce debole.
Si mosse verso di me, io mi limitai a guardarlo interrogativa.
Si chinò alla mia altezza e solo allora notai che stava fissando un punto preciso, appena sopra la mia clavicola, alla base del collo.
Coprii invano con i capelli quella zona.
Lui li spostò di lato e sfiorò la mia pelle segnata. M’irrigidii.
 
 
“Cos’è questo?” tuonò “Chi te l’ha fatto?”
 
 
Continuò a toccare quel punto e si ritrasse quando io gemetti.
 
“Chi è stato il cazzone che ti ha rovinato in questo modo?” ripete, a voce più alta.
 
 
“C-che intendi?” domandai, facendo finta di non sapere di cosa parlasse. Ma lo sapevo benissimo.
 
 
“Less, non fare la stupida. Il succhiotto sul tuo collo. Chi te l’ha fatto?”
 
 
“N-nessuno” mormorai, spaventata dal suo tono duro.
 
 
Liam battè un pugno sullo schienale del letto. Respirò profondamente per qualche secondo, poi riprese a parlare.
 
“Less, sei andata al ballo, no?”
 
 
Annuii, aspettando che continuasse.
 
 
“Hai il ragazzo, quindi? Non penso che tu ci sia andata con una tua amica” aggiunse, inchiodando il suo sguardo al mio.
 
Attese, paziente, la mia risposta.
Cosa gli importava chi mi avesse fatto quel succhiotto? Non erano affari suoi.
Si risedette sul letto e sospirò. Io rimasi muta, nonostante lui aspettasse che io parlassi. Non volevo raccontargli di Harry. Non volevo raccontargli cosa fosse successo al ballo. Volevo solo che non facesse altre domande e mi sorridesse di nuovo, lasciando perdere la questione.
Lo guardai in silenzio, pregando tra me e me che quello che desideravo si avverasse.
 
“So tutto, Less. Riguardo James”
 
Le sue parole improvvise mi colpirono come proiettili nello stomaco.
Sbarrai gli occhi e strinsi forte la fodera del mio cuscino.
Mille pensieri affollarono la mia mente.
Cominciai a tremare. Come faceva a saperlo? Io non l’avevo detto a nessuno. Dove l’aveva sentito? James era andato a dirlo in giro? Non avrebbe avuto senso, però, si sarebbe solo rovinato la reputazione e avrebbe passato guai.
All’improvviso la stanza sembrò essere più grande, più buia. Liam abbassò la testa, evidentemente in colpa. Il cuore sembrò potermi esplodere in petto da un momento all’altro.
 
“Come fai a saperlo?” emisi, in un fiato.
 
Liam irrigidì la mascella e prese a giocherellare con il tessuto delle coperte. Era a disagio. L’agitazione riempiva la stanza, mi sentii soffocare.
Alzò lo sguardo ed incontrò i miei occhi spaventati.
 
“Ho letto il tuo diario” mormorò.
 
Lacrime di rabbia cominciarono a scorrermi sul viso.
Perché l’aveva fatto? Non me lo sarei mai aspettato da lui.
Avevo sfogato tutti i miei sentimenti nel diario perché non riuscivo a tenermi tutto dentro, ma non volevo parlarne con nessuno. Era troppo dura da affrontare.
E adesso lui lo sapeva.
Mi sentivo come se fossi stata spogliata di tutti i miei vestiti senza pietà, ero stata scoperta.
 
“C-cosa?!” questa volta toccava a me essere arrabbiata.
 
“Lessy, io non volevo… veramente. Il tuo diario era aperto sul comodino, delle parole hanno catturato la mia attenzione… ed ecco, ho letto tutto. Scusa, non era mia vera intenzione. Perdonami, ti prego” il suo tono di scuse era sincero, sembrava veramente dispiaciuto, ma non m’importava. Non avrebbe dovuto farlo.
Mi presi la testa tra le mani. Liam accarezzò i miei capelli, delicatamente. Non volevo che lo sapesse, volevo che nessuno fosse a conoscenza di tutto questo, soprattutto lui.
 
“Hai voglia di parlarne?” sussurrò.
 
“No” risposi, tra le lacrime. “Voglio solo andare a dormire”
 
Annuì, senza obbiettare. Mi diede un bacio leggero sulla guancia e si alzò, restando in piedi davanti a me.
 
“Ok, allora io vado. Mi dispiace ancora, Less. Se hai voglia di parlarne io sono qui. Non puoi affrontare tutto questo da sola, ricordatelo. Buonanotte”
 
Lo seguii con lo sguardo uscire dalla stanza a testa bassa. Chiuse lentamente la porta dietro di sé.
Affondai la testa nel cuscino e chiuso gli occhi, stanca.
Era tardi, molto tardi.
Cercai di addormentarmi ma la mia testa era piena di pensieri, confusi tra di loro come una grande tavolozza di colori, misti uno sull’altro.
Presi l’mp3 e le cuffiette.
Quella era l’unica soluzione, per ora.
La musica fu sparata nelle mie orecchie, facendomi dimenticare tutto.


 

Spazio autrice.

Hey, buona sera a tutti. Ok, mi scuso per l'ennesimo ritardo, ma in questa settimana ho avuto parecchio da studiare, oggi ho sostenuto il mio primo esame ecdl d'informatica e sono uscita con il 94%!
Comunque, ecco a voi il sesto capitolo :)
Scusate se è scritto leggermente peggio degli altri cinque o è un po' corto ma, come vi ho già detto, ho avuto poco tempo.
Grazie per le vostre bellissime recensioni e gli stupendi commenti su twitter, lo apprezzo davvero molto.

Ora vi lascio alla lettura, spero che questo capitolo vi piaccia come gli altri cinque:)
Se avete domande su twitter sono @aspettamiharry


un bacio x


-Alessia

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***




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Capitolo 7
 


DRIN-DRIIIN!
Mi svegliai di soprassalto, fissando il cellulare che suonava insistentemente sul comodino affianco al mio letto. Cavolo, erano solo le 7:25 di domenica mattina. Chi diavolo era a disturbarmi? Afferrai, svogliatamente, il telefono.
Allie.
 
“Pronto?” rantolai, sbadigliando.
 
“Ciao, Lee!” squillò la voce della mia amica dall’altro capo.
 
“Ehi, Allie. Come mai mi chiami a quest’ora indecente della domenica mattina?!”
 
“Oh, scusa. Credevo di non disturbarti…”
 
Sospirai. Tipico.
 
“Vabbè, fa niente. Ora, dimmi ciò per cui mi hai chiamata”
 
“Ah, giusto. Com’è andato ieri il ballo? Lucy mi ha detto che ci andavi con Harry… Mi ha raccontato di come vi siete “conosciuti”, sai, venerdì in pausa pranzo” esclamò.
 
Mi lasciai cadere sul letto, appoggiando il telefono, in bilico, tra la spalla e l’orecchio.
Non avevo proprio voglia di parlarne, volevo solo andarmene a dormire e lasciar perdere tutto.
 
“Less?” risuonò la voce della mia amica.
 
“Si, scusa. Ecco, io adesso non avrei molta voglia di parlarne. Sai, sono solo le 7:33 di mattina e l’unica cosa che vorrei ora sarebbe ritornare a dove tu mi avevi interrotta” dissi, piuttosto sgarbatamente.
 
Allie sembrò non curarsene e ridacchiò.
 
“Ok dai, hai ragione. Facciamo così, che ne dici se questo pomeriggio io, te, Lucy e Sylvie ci troviamo al “Blue Nights” per un frullato e ne parliamo tutte insieme?” propose, allegra.
 
L’idea non mi dispiaceva. Era da parecchio tempo che io le amiche non ci trovavamo per fare un giro tutte assieme in città. Eravamo state tutte e quattro impegnate in questo ultimo periodo… l’anno scolastico si stava per concludere e dovevamo dare il meglio per passare con, almeno, la sufficienza in tutte le materie.
 
“Ok, ci sto. A che ora?” domandai, cambiando posizione sul letto, girandomi a pancia in giù.
 
“Direi per le 16:30. Ti va bene?”
 
“Certo, Allie. Avverti tu le altre?”
 
“Si, si. Ci penso io. A dopo allora”
 
“Ok, ciao” posai il cellulare sul comodino, sollevata, e mi riavvolsi tra le coperte. Avrei potuto stare così per tutta la mattina, senza fare assolutamente niente. Non avevo compiti, ne cose da studiare, mancavano solo due giorni alla fine della scuola.
Un raggio di sole s’infiltrò attraverso le tende pesanti, illuminando la stanza. Chiusi gli occhi e mi lasciai accarezzare il viso dal tocco delicato della luce. Sentii mio fratello spalancare la finestra in camera sua.
Immaginai che si fosse svegliato sentendomi parlare al telefono. Restai ferma tra le lenzuola per un tempo indefinito, poi allontanai le coperte, sedendomi a gambe incrociate sul materasso.
Decisi a malavoglia di alzarmi dalla mia posizione oziosa e di dirigermi in bagno. Mi feci una doccia veloce, poi mi vestii senza nemmeno guardare ciò che indossavo. Raccolsi i capelli con un mollettone e mi diressi in cucina.
Un invitante profumo di pane tostato e bacon mi assalì mentre scendevo le scale con occhi socchiusi.
Entrai nella stanza e mi sedetti al mio solito posto laterale, a destra del tavolo, affianco alla tovaglietta apparecchiata di Liam.
Lui stava scaldando delle fette morbide di pane fresco sul tostapane malfunzionante, che emetteva sibili e sbuffi. Se non portavano a far riparare quel “robo” sarebbe finito per esploderci in faccia.
Liam mi salutò, alzando lo sguardo vivace ma allo stesso tempo stanco. Mamma e papà erano già usciti per la loro corsa mattutina.
 
“Ehi” mi accolse, con la sua voce roca mattutina.
 
I capelli castani, di una tonalità leggermente più scura della mia, erano bagnati e piccole gocce, risiedenti sulle punte, brillavano colpite dai raggi tenui del sole.
Presi un asciugamano e strofinai vigorosamente il panno sulla sua testa. Lui si mise a ridere.
 
“Che fai, Lee?” emise, con voce interrotta dalle risate.
 
“Ti sto asciugando i capelli, scemo!” risi anch’io.
 
Mi prese l’asciugamano dalle mani e lo gettò vicino al lavandino. Protestai, rivolgendogli una smorfia.
Lui, in cambio, mi diede un piatto contenente un toast spalmato di marmellata e con del bacon a parte. Ringraziai e mi risiedetti al mio posto, versandomi del succo d’arancia in un bicchiere.
Sbranai in pochi secondi il toast e mangiai con gusto i pezzetti di bacon che Liam aveva sistemato ordinatamente sul piatto.
Lui intanto mi guardava sorridendo, dando piccoli morsi al suo panino.
Afferrai il bicchiere di succo e cominciai a bere a piccoli sorsi.
 
“Allora…” esordì mio fratello “Che programmi hai per oggi?”
 
Sapevo che aveva sentito la conversazione tra me e Allie.
 
“Mah, mi trovo con le mie amiche per una chiacchierata” risposi, tranquilla.
 
Liam annuì e si sedette affianco a me, posando la testa sul gomito e guardandomi.
Continuai a sorseggiare il mio succo, guardandolo di sottecchi.
 
“Ne vuoi parlare ora? Intendo riguardo ieri sera…” lasciò la frase in sospeso.
 
Sussultai alle sue parole improvvise e la bevanda mi andò di traverso, costringendomi a tossire rumorosamente. Liam mi diede dei piccoli colpi sulla schiena. Mi fermai con le lacrime agli occhi.
 
“Stai bene?” mi chiese lui, ma nel suo tono avvertii una leggera sfumatura ironica.
 
“Si” sibilai, fulminandolo con lo sguardò.
 
Mi guardò con occhi divertiti, poi ritornò serio.
 
“Allora?”
 
“Allora cosa?”
 
“Lessy” sospirò.
 
“Sai già abbastanza. Hai letto il mio diario, no? Quindi sai anche più di quello che avrei potuto dirti”
 
Le mie parole attraversarono Liam come lame affilate, zittendolo.
Abbassò lo sguardo, evidentemente in colpa.
I suoi lineamenti si corrugarono in un’espressione triste.
Odiavo vederlo così.
Avvolsi, come potei, le sue spalle robuste e appoggiai la testa contro la sua.
 
“Liam, io non intendevo…” sussurrai, ma lui mi interruppe.
 
“No, è stata colpa mia” affermò “Non dovevo. E’ una situazione delicata. Non dovevo intromettermi. Se non vuoi parlare lo accetto, ti capisco”.
 
Lo guardai in silenzio, poi presi la mia decisione.
 
“Lo sai che sei una delle persone con cui mi confido di più. Sei il mio fratellastro, ma è come se fossimo geneticamente fratelli. Sei una delle poche persone, forse l’unica, con cui sento di poter essere veramente me stessa. Tu mi fai sentire accettata in qualsiasi situazione, cerchi sempre di starmi vicino, in un modo o nell’altro, fisicamente o mentalmente. I sei mesi che hai passato in America sono stati duri da affrontare. Senza te la casa sembrava vuota, nonostante con me ci fosse mamma… Si, hai sbagliato a leggere il mio diario e a intrometterti in cose che non avrei voluto che tu sapessi, ma sono disposta a perdonarti, a capirti. Per questo ho deciso che mi sento pronta per parlarne con te, per raccontarti meglio come sono andate le cose…” finii il mio piccolo discorso e attesi.
Liam si staccò da me e mi accarezzò i capelli. Un sorriso commosso si disegnò sul suo volto.
 
“Ti voglio bene” mormorò.
 
“Anche io. Tanto” lo abbracciai di nuovo, chiudendo gli occhi.
 
Restammo così, uno nelle braccia dell’altro, per qualche minuto, poi mi ritrassi e cominciai a parlare.
Gli raccontai di James, di come lo amassi, di come mi fossi fidata di lui.
Di come ci fossimo conosciuti, di tutti i pomeriggi passati insieme, tra mille carezze e baci, delle nostre chiacchierate a notte fonda solo per sapere come andava.
Gli raccontai della festa di quella sera, di come ci fossimo divertiti.
Di quando vidi James, ubriaco, uscire dalla casa dove si teneva il party e dirigersi verso la piscina, nel retro del giardino.
Gli raccontai di quando lo rincorsi, urlandogli di fermarsi, mentre lo guardavo spogliarsi dei vestiti.
Di quando lo afferrai per il braccio prima che si buttasse nell’acqua gelida della piscina.
Gli raccontai di quello sguardo.
Gli occhi di James sfigurati dall’ira sui miei.
Rividi tutto in un flash, come un fulmine in mezzo al temporale.
Lui che mi sbatteva violentemente contro il muro.
Io senza forze dall’impatto.
Lui che mi spogliava, mi tirava schiaffi sul viso.
Io che cercavo di liberarmi, piangendo.
Le mie urla che nessuno udì.
 
Liam rimase ad ascoltare, con occhi sbarrati.
Le parole fluivano fuori dalla mia bocca senza fermarsi, senza ripensamenti.
La mia voce era tremante ma, allo stesso tempo, decisa a raccontare tutto, una volta per tutte.
Stavo svuotando il sacco.
Mi stavo liberando di tutto ciò che mi aveva oppresso per mesi.
Avevo tenuto i ricordi chiusi in un angolino della mia mente, sperando di dimenticare, di eliminarli.
Ma loro c’erano.
Erano sempre stati lì, nell’attesa di uscire.
Finii il mio racconto e rimasi in silenzio.
Non riuscii a descrivere l’espressione dipinta sul volto del mio amato fratello.
Era un misto di rabbia, paura, disperazione.
Era sconvolto.
 
“Cazzo Less. Mi dispiace” riuscì a dire.
 
Annuii, restando muta.
 
“Dov’è James ora? Che fine ha fatto?” domando, poco dopo. Sembrò essersi leggermente ripreso.
 
“I-io non lo so” mormorai.
 
“Se lo trovo, Dio, se lo trovo quel figlio di puttana…” la frase rimase in sospeso, lasciando poco spazio all’immaginazione.
 
Abbassai lo sguardo, fissandomi le mani.
Lui me le prese e le rigirò tra le sue.
 
“L’hai più rivisto?” mi chiese, con voce più tenue.
 
Esitai qualche secondo, prima di rispondere. Alzai lo sguardo.
 
“Si, il giorno dopo l’accaduto. Era venuto per scusarsi… ma io lo respinsi”
 
“Cosa ti disse?”
 
“Che gli dispiaceva, che non era sua intenzione… che era ubriaco, l’alcool aveva preso il sopravvento”
 
Liam sospirò, distogliendo lo sguardò dal mio. Sembrò non sapere che altro dire. Scosse la testa.
 
“Cosa pensi di fare?” mormorò.
 
“In che senso?” chiesi io.
 
“Riguardo James. Come pensi di affrontare la cosa?”
 
“Io l’ho già affrontata. Ho deciso di dimenticare”
 
“Quindi hai deciso di lasciar perdere? Quel coglione ti ha praticamente stuprata e tu decidi di dimenticare?!” notai la rabbia nel suo sguardo.
 
“E cosa dovrei fare, secondo te?! Dai, dimmelo!” urlai all’improvviso, con le lacrime agli occhi, facendolo ritrarre.
 
“Scusa” sussurrai, accorgendomi di averlo turbato.
 
“No, vabbè… ho sbagliato io. Dovevo parlarti più cautamente. È difficile ciò che hai passato. È semplicemente orribile” rispose, sinceramente dispiaciuto.
 
Non seppi cosa dire. Rimasi semplicemente a fissare il vuoto davanti a me.
Liam si alzò dal suo posto, affianco al mio, e si diresse fuori dalla stanza.
Ne ritornò dopo pochi secondi, con il casco della moto.
 
“Vado a farmi un giro, Lessy. Ho bisogno di prendere una boccata d’aria” disse, spalancando la porta d’entrata.
 
“Ok, a dopo” mormorai.
 
La porta si richiuse e il silenzio tornò a dominare.

 

Spazio autrice.

Salve gente, ecco a voi il settimo capitolo!
Questo capitolo è un po' più lungo degli altri, quindi spero non vi siate annoiate a leggerlo e spero che vi sia piaciuto come gli altri:)
Niente da dire, qui abbiamo Less e Liam che parlano, lei che finalmente decide di svuotare il sacco, di confidarsi con lui.
Non c'è molta azione ovviamente ma vi anticipo già che nel prossimo capitolo ce ne sarà eheheh.
Comunque buona lettura.

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***




Trailer ufficiale:
 http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ

Capitolo 8
 


Passai la mattinata distesa sul divano a guardare Mtv, pensando alla discussione che era avvenuta quella mattina tra me e Liam.
Mia madre e il mio patrigno, Patrick, ritornarono dalla loro corsa abitudinale verso mezzogiorno e mezzo.
Li salutai, poi mi affrettai ad apparecchiare la tavola, aspettando che mia madre si mettesse ai fornelli. Se c’è una cosa che non so fare è cucinare, sono negata. Rischio di creare un incendio in cucina cercando di preparare un piatto di pasta. Mi ricordai di quando io e Liam volemmo provare a fare la pizza. Prendemmo tutti gli ingredienti per fare la base, sporcando tutta la cucina. Lui mi insegnò come fare roteare la pasta per la pizza su un dito, incitandomi a provare. Quando cercai di imitarlo l’impasto mi scivolò e finì per attaccarsi al vetro della finestra. Ci mettemmo quasi un’ora per rimuovere almeno la maggior parte dei rimasugli dalla superficie.
Risi a quel pensiero, mentre finivo di posare i piatti sul tavolo.
 
“Dov’è Liam?” mi domandò Patrick, mentre tagliava i pomodori per metterli nell’insalata.
 
“Uhm, aveva detto di voler fare un giro in moto per prendere una boccata d’aria” risposi, incerta.
 
Lui mi guardò dubitante per qualche secondo, poi alzò le spalle e ritornò a fare quello che stava facendo.
Uscii dalla cucina, dirigendomi in camera a grandi passi.
Appena entrai nella stanza notai il cellulare vibrare sul letto.
Lo afferrai.
Un messaggio.
Lo aprii, incerta su chi potesse essere il mittente.
 
Dì a mamma e papà che non ritorno per pranzo. Liam x
 
Digitai veloce la mia risposta, chiedendogli il perché ma non mi arrivò nessun’altro messaggio.
Indecisa se chiamarlo o no, sentii la voce di mia madre urlare che il pranzo era pronto.
Sospirai, posando il cellulare vicino al cuscino, poi raggiunsi la cucina.
 
“Liam ha detto che non ritorna per pranzo…” dissi, appena feci il mio ingresso nella stanza.
 
“Perché?” domando mamma.
 
Alzai le spalle in risposta.
Mangiammo ascoltando i racconti di Patrick sull’America, sul viaggio, sulle persone che aveva conosciuto lì.
Mia madre ascoltò interessata tutto il racconto, incitandolo a continuare.
Io mi limitai ad alzare gli occhi, sospirando con finta aria annoiata.
Finito di mangiare aiutai mamma a lavare i piatti, dopo di che andai a prepararmi per uscire con le mie amiche. Indossai una semplice t-shirt nera e un paio di shorts, lasciai i capelli lisci sulle spalle e mi truccai con un filo di eyeliner e il mascara.
Si fecero presto le 16:15.
 
“Dove vai, Lee?” sentii mia madre dietro di me.
 
“Esco con Lucy, Allie e Sylvie” risposi semplicemente.
 
“Ah, divertiti allora. A che ora torni?”
 
“Ora di cena. Come al solito”
 
Mi avviai verso l’uscita con mamma al seguito. Mi guardò per qualche secondo con sguardo perplesso, io incrociai le braccia, aspettando che parlasse.
 
“Se vedi Liam, digli di fare uno squillo… magari” aggiunse, con una sfumatura si preoccupazione.
 
Annuii e la salutai, poi mi incamminai verso il Blue Nights, il bar dove ci eravamo date appuntamento, poco distante da casa mia.
Le mie vans consumate calpestavano l’asfalto rovente, spostando dei piccoli sassolini lungo il mio tragitto. Giocai a calcarne uno, mantenendone il controllo per il maggior tempo possibile.
Misi una mano davanti agli occhi, proteggendoli dalla luce forte del sole. In lontananza riuscii a intravedere il bar e una ragazza dai capelli castano chiaro mesciati seduta ad un tavolo, da sola.
Sylvie.
Accelerai il passo per raggiungerla, spostando i capelli di lato, accaldata.
 
“Sylvie!”
 
“Less!”
 
L’abbracciai e la baciai su entrambe le guance, poi ci sedemmo al tavolino dove, poco prima, si era sistemata lei e aspettammo le altre.
Dopo pochi minuti due ragazze more si sedettero davanti a noi.
Salutai Lucy e Allie allegramente e loro fecero lo stesso.
Chiamammo la cameriera e ordinammo quattro frullati alla fragola con panna e scaglie di cioccolato.
Era sempre stata nostra abitudine trovarci a quel bar e ordinare i nostri quattro frullati da quando avevamo 12 anni. Ci piaceva sederci ad un tavolo isolato, parlare consumando le nostre bevande e, infine, fare una passeggiata per i negozi oppure andare al parco e sdraiarci sotto un albero, all’ombra.
La cameriera, una ragazza minuta con una lunga coda bionda, portò i nostri frullati, distribuendoceli.
Poi se ne andò, seria.
 
“Allooora…” esordì Allie, guardandomi maliziosamente.
 
Tutte e tre mi fissarono contemporaneamente, incitandomi a parlare.
Presi un sorso dal mio bicchiere e le fissai a mia volta.
 
“Cosa volete che vi dica?” dissi, rigirandomi tra le dita la cannuccia rosa.
 
“Com’è andato il ballo con Harry? Raccontaci tutto, sorella” esclamò Sylvie, con tono di voce forse troppo alto, dato che le persone che ci stavano attorno, all’improvviso, avevano tutte posato lo sguardo su di me e sulle mie amiche.
Lucy mi guardò seria e mi fece cenno di raccontare.
Diedi un altro sorso al frullato e cominciai.
 
“Ok, allora… Harry è venuto a prendermi alle 21, come immagino già sappiate mi ha praticamente costretta ad andarci con lui. Siamo arrivati a scuola e be’… diciamo che è stato tutto piuttosto movimentato” conclusi.
 
Toccai il punto in cui Harry mi aveva lasciato il succhiotto e mi assicurai di averlo coperto bene con i capelli.
Lucy abbassò lo sguardo.
Sapevo che voleva che raccontassi il “resto”.
 
“Cosa intendi per movimentato?” mi chiese Sylvie, sempre più incuriosita.
 
“Be’, ecco…” lasciai la frase in sospeso.
 
Sospirai e spostai i capelli dal collo, mostrando la visibile macchia viola.
 
“Ommioddio, Less” mormorarono insieme Allie e Sylvie.
 
“Te l’ha fatto lui?” domando la prima.
 
“Già” sussurrai.
 
Decisi di raccontare tutto quello che era successo, dalle prepotenze di Harry all’intervento di Lucy, dall’uscita del riccio dalla palestra dove si teneva la festa al mio inseguimento, dalla nostra conversazione al porto al mio ritorno a casa.
Le mie amiche pendevano dalle mie labbra, sospirando e sussultando.
Finito il resoconto della serata incrociai le braccia davanti al petto e aspettai le loro reazioni.
 
“Secondo me non dovresti frequentarlo” affermò Lucy.
 
“Invece, secondo me, dovresti. Ok, sarà anche un tipo pericoloso o cose così… ma è misterioso. I ragazzi misteriosi sono interessanti, sono attraenti” s’intromise Allie, allungando la pronuncia dell’ultima parola da lei detta.
Discutemmo per una buona mezz’ora sulla situazione, finchè la suoneria del mio cellulare ci interruppe.
Lessi il nome sullo schermo e sentii un tuffo al cuore.
Harry.
Le mie amiche sbirciarono per vedere chi potesse essere e, appena notarono il nome lampeggiante, mi fecero segno di mettere in vivavoce.
 
“P-pronto?” risposi, con voce esitante.
 
“Ciao, bellezza” echeggiò la voce roca di lui dall’altro capo. Le mie amiche, entusiaste, si avvicinarono di più, cercando di ascoltare meglio.
 
“Ehi, Harry” dissi, cercando di moderare l’agitazione.
 
“Ascolta, tra 10 minuti gioco una partita al campo di calcio, due isolati dopo casa tua. Ti va di venire a vedermi?”
 
Mi stupii del fatto che me lo avesse chiesto e non imposto.
Guardai le mie amiche, dubitante. Loro annnuirono con vigore, alzando i pollici in segno di acconsentimento.
 
“Ehm, ok. Perché no?! Sono con delle mie amiche, però”
 
“Perfetto, porta anche loro allora. A dopo, piccola”
 
Chiusi la telefonata e guardai fisso le mie amiche che si erano già alzate dal tavolo e avevano afferrato le loro borse sottobraccio.
 
“Che aspetti? Andiamo!” mi incitò Allie.
 
Sospirai e lasciai il mio posto, non dopo aver preso un ultimo sorso del mio frullato, avviandomi dietro di loro.
Arrivammo al parco giusto in tempo all’inizio della partita.
Harry mi corse in contro. Indossava una maglietta a maniche corte bianca, che risaltava le braccia muscolose e abbronzate, e dei pantaloncini blu.
Si avvicinò a me, mi cinse per la vita e mi baciò, infilando, impertinente, la lingua tra le mie labbra. Lo respinsi e lo guardai infastidita. Lui mi rivolse un sorriso presuntuoso, dopo avermi fatto l’occhiolino, e raggiunse i suoi compagni di squadra.
Le mie amiche osservarono la scena a bocca aperta, commentando tra loro.
Mi sedetti affianco a loro, in prossimità del campo, per avere una buona visuale della partita. L’arbitro diede il fischio d’inizio.
Osservai Harry sfrecciare lungo il campo, passare la palla ai suoi amici, scartare gli avversari.
La sua espressione era seria e concentrata ma, ogni tanto, si distraeva e mi guardava, rivolgendomi un sorriso.
Allie, Sylvie e Lucy continuarono a commentare il fisico di ogni ragazzo presente nel campo, senza esclusione di Harry.
 
“Ha proprio un bel fisico” commentò Lucy.
 
“Già, guarda che bicipiti, deve fare palestra” aggiunse Allie.
 
“Ma le avete viste le gambe?!” s’intromise Sylvie.
 
Io ridacchiai imbarazzata, mentre le mie amiche continuarono a fare apprezzamenti su Harry.
Improvvisamente un urlo proveniente da non molto lontano distolse la nostra concentrazione dal campo.
Due ragazzi, uno moro e l’altro biondo, si stavano picchiando infondo alla strada che porta al parco. Il biondo sembrava essere in difficoltà, mentre il moro continuava a colpirlo senza pietà.
Rimasi, per un primo tempo, scioccata, poi mi alzai di scatto, lasciando le mie amiche sbigottite, sedute dov’erano.
Mi avvicinai di più al luogo della scena.
Quella voce che supplicava aiuto mi pareva di averla già sentita. Anzi, ne ero sicura.
Lucy mi gridò di fermarmi ma io continuai ad avanzare.
A pochi passi dai due litiganti mi bloccai.
Il ragazzo biondo, la cui faccia ormai era sfigurata dai lividi, mi guardò per un attimo.
I suoi occhi azzurri erano velati di lacrime e imploranti.
Mi coprii la bocca con le mani.
James.
Il ragazzo moro, di spalle, ora lo stava prendendo a pugni sullo stomaco, costringendo James ad accasciarsi a terra.
Non sapevo cosa fare.
Rimasi a guardare scioccata la scena.
Osservai il moro sferrare calci a James.
Il ragazzo che avevo amato.
Il ragazzo che mi aveva distrutto.
La partita si era bloccata e ora i ragazzi che vi partecipavano stavano accorrendo sul luogo.
La mia attenzione rimase sul moro.
Non poteva essere vero.
Non poteva essere veramente lui.
Cacciai un urlo.
Il ragazzo si voltò, smettendo di scatenare la sua ira su James.
Mi guardò negli occhi, sconvolto.
Liam.


 

Spazio autrice.

Buon pomeriggio, gente.
Ecco a voi l'ottavo capitolo di Alive, come promesso c:
Dopo il settimo capitolo, caratterizzato da una pausa, senza azione, ora le cose si sconvolgono di nuovo!
Chi se lo sarebbe aspettato che Liam avesse reagito così al racconto di Less, andando a cercare James per poi picchiarlo?
Sembrava un ragazzo saggio, gentile... con la testa sulle spalle.
Gelosia? Istinto fraterno?
Cosa farà Less, data la situazione?
Continuate a leggere la mia ff e scoprirete cosa succederà nel prossimo capitolo c:
Spero di avervi intrattenuto.
 un bacio x

-Alessia

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***




Trailer ufficiale:
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Capitolo 9
 


L’espressione che gli si dipinse in volto fu indescrivibile.
Un misto tra rabbia, odio e disperazione.
Il suo volto, sfigurato dall’ira, era rivolto verso di me.
Le sue nocche sanguinavano.
Non riuscii a capire se era il suo sangue o quello di James.
Liam lasciò perdere la sua vittima, stesa a terra sanguinante.
Fece un passo verso di me, ma io mi ritrassi.
Le lacrime cominciarono a scorrermi in viso, calde e pesanti.
Le mie amiche mi tenevano sottobraccio da dietro, sussurrando degli “oddio” e dei “non ci posso credere”.
 
“Che succede?!” urlò Harry, raggiungendoci. Spalancò i grandi occhi verdi, vedendo la scena.
 
“Merda” imprecò poco dopo, osservando prima James, poi Liam.
 
Si diresse con dei suoi amici al seguito verso il biondo, cercando di sollevarlo dall’asfalto ruvido. James mugolò dolorante, lacrime bagnarono il suo viso sporco, lasciando piccole striature sulle sue guance.
Mi avvicinai a lui, Harry mi ordinò di allontanarmi, ma io lo respinsi e mi chinai. Eravamo in un posto isolato, verso la fine della via che portava al parco dove poco prima si stava tenendo la partita, quindi, con un po’ di fortuna, nessuno sarebbe passato di lì e non ci avrebbero notato.
 
“James” sussurrai.
 
Lui mi guardò con occhi socchiusi e gonfi. Vederlo così, nonostante quello che lui mi abbia fatto, mi fece ricordare che siamo tutti esseri fragili, come castelli di sabbia sulla spiaggia. Anche chi cerca di nascondersi dietro una faccia da duro in realtà è vulnerabile e insicuro. James ne era la dimostrazione. Era solo un ragazzo come gli altri.
Gli accarezzai la fronte, passando la mano tra i suoi capelli spettinati e ispidi.
 
“Stai lontana da quel figlio di puttana” ringhiò Liam, all’improvviso.
Mi voltai verso di lui e mi sollevai lentamente da terra, ritrovandomi a pochi centimetri da lui.
I miei occhi inferociti, ridotti a due fessure lo fissarono, lui respirò affannosamente.
Non lo avevo mai visto così.
Sembrava solo un’animale.
Un animale feroce.
Gli tirai uno schiaffo.
Lui si massaggiò la guancia, un lampo di stupore gli attraverso lo sguardo.
 
“Ma che cazzo fai?!” sibilò, le sue parole erano taglienti come lame.
 
Harry si mise tra di noi, separandoci, prima che gli tirassi un’altra sberla.
 
“Cosa vuoi tu?!” lo fronteggiò Liam, con sguardo di fuoco.
 
“Stai calmo, amico. Ok?” rispose Harry, guardandolo fisso.
 
Mio fratello abbassò lo sguardo e lo spinse via, poi si rivolse nuovamente a me.
 
“Ho fatto quello che dovevo fare” affermò, con voce decisa.
 
James, intanto, era riuscito a rialzarsi e ora era sostenuto da due amici di Harry. Non osava guardare Liam in faccia e fissava il marciapiede sottostante in silenzio.
 
“No, Liam. Tu hai sbagliato” dissi, con disprezzo e una punta di amarezza. “Cosa hai risolto ora? L’hai picchiato a sangue, quasi ammazzato. Questo però non cambia il passato!” gridai, in preda alla rabbia.
 
James alzò lo sguardo interrogativo su di me, poi capì.
 
“Less” mormorò.
 
Mi avvicinai a lui, aspettando che continuasse.
 
“Lo sai, io ero ubriaco, quella sera… I-io non volevo, te l’ho detto” cominciò a singhiozzare “Non volevo! T-tuo fratello mi ha quasi ucciso, tu non mi rivolgi più la parola, tutto questo a causa di una cazzata che ho fatto sotto l’effetto dell’alcool!”
 
“Non hai fatto una semplice cazzata! Hai quasi stuprato mia sorella! Ma ti rendi conto, coglione?!” reagì Liam, alzando un pugno sopra la testa con l’intenzione di colpire James.
Io lo guardai severa, facendogli cenno di stare calmo.
 
“Lascia stare James, hai ripetuto questa scusa anche troppe volte” sussurrai.
 
Harry posò lo sguardo da me a Liam, dal biondo alle mie amiche, per poi riportarlo a me.
Allie, Lucy e Sylvie rimasero in silenzio, ascoltando la conversazione, evidentemente sconvolte.
 
“Basta urlare, ci sentiranno e finiremo tutti nei guai. Portiamo questo ragazzo a medicarsi, muovetevi” s’intromise, all’improvviso, un compagno di Harry.
 
Afferrarono James, lo portarono con difficoltà nello stanzino medico, dietro il campo da calcio e gli tamponarono le ferite.
Per fortuna non aveva nulla di rotto, anche se c’era andato molto vicino.
Liam salì sul motorino e mise in moto, senza dire una parola.
 
“Liam!” lo chiamai.
 
Lui si girò verso di me, fermandosi. Credevo che mi avrebbe ignorata e che se ne sarebbe andato via subito.
Corsi da lui e lo raggiunsi con il fiatone.
Mi appoggiai al manubrio del veicolo e lo guardai intensamente, prima di parlare.
 
“Che ti succede?” chiesi.
 
“A te che succede, semmai” replicò lui, ma nel suo tono non c’era rabbia.
 
“Io non vado in giro a picchiare a morte le persone” risposi secca.
 
Lui mi scansò e fece rombare il motore. Poi partì a tutta velocità, sgommando sull’asfalto.
 
“Ehi, aspetta! Liam!” provai a chiamarlo, urlando.
 
Lui non si girò nemmeno. Lo guardai scomparire alla prima curva, chino sulla moto.
 
“Lee” la voce roca di Harry spezzò il silenzio pesante lasciato da Liam.
 
“Harry” sospirai, girandomi.
 
Sul suo viso si formò un’espressione di compassione che non avrei mai creduto di vedere sul suo viso dai lineamenti duri.
 
“Piccola, va tutto bene?” mi domandò, con voce tenue.
 
D’impulso lo abbracciai di slancio, nascondendo il viso tra il collo e la clavicola.
Lui strofinò le grandi mani lungo la mia schiena, avvolgendomi tra le sue braccia.
Mi lasciò andare e si sedette su una panchina poco distante da me, facendomi segno di accomodarmi sulle sue ginocchia.
Mi sistemai dove mi aveva indicato, rivolta verso di lui e con le gambe avvolsi il suo bacino. Lui mi sorrise compiaciuto.
Non avevo paura di lui.
Non per ora.
Mi cinse la vita e mi strinse a sé, strofinando il viso sul mio petto.
Gli misi le braccia al collo e lo lasciai fare.
 
“Vuoi raccontarmi cos’è successo di preciso oggi?” mi chiese all’improvviso, accarezzando l’orlo della mia maglietta.
 
Rimasi in silenzio, colta alla sprovvista dalla sua domanda.
 
“Ok, facciamo così” aggiunse Harry, vedendo che restavo muta “Io ti faccio delle domande, tu rispondi”
 
“Ok” riuscii a sussurrare.
 
Lui attese qualche attimo, che mi sembrò un’eternità, poi cominciò.
 
“Chi è il biondo che è stato picchiato oggi? James, giusto? Come fai a conoscerlo?” chiese, scrutandomi attentamente con i suoi grandi occhi verde smeraldo.
 
“È il mio ex” risposi, sollevando lo sguardo al cielo per evitare d mantenere il contatto visivo con lui.
 
Harry annuii, assorbendo l’informazione
 
“Quello moro, invece? È tuo fratello? Mi è sembrato di sentire così”
 
Feci segno di si, continuando ad osservare le nuvole sopra di noi.
 
“Perché l’ha fatto?” domandò, nuovamente.
 
“Cosa?” mormorai, fingendo di non aver capito.
 
“Intendo Liam. Cos’è che l’ha spinto a picchiare in quel modo James?”
 
Esitai.
Non volevo dirglielo. Poi probabilmente lo avrebbe saputo mezzo mondo.
 
“Liam ha accennato al fatto che avesse abusato di te. È vera questa storia?” mi chiese Harry, diretto.
 
Sentii le lacrime sopraggiungere agli angoli degli occhi.
 
“Allora, Less?!” mi scosse lui all’improvviso, prendendomi per le spalle.
 
La rabbia mi assalì all’improvviso.
 
“Si, ok?! Era una sera ad una festa come tante, lui era ubriaco e ha perso la ragione. Mi ha spinto da parte, mi ha spogliata e ha fatto quel che ha fatto, fine. Non mi ha propriamente stuprata, ma quasi. Non so cosa l’abbia spinto a fermarsi prima di rovinarmi l’esistenza per sempre, non lo so! Lo amavo più di ogni altra cosa, gli avevo donato il mio cuore ma lui se n’era fregato, sotto effetto di alcool o no! Sei soddisfatto ora?!” non riuscii a aggiungere altro.
 
La rabbia mi ribolliva nel sangue e sentivo le guance bollenti.
Harry sembrò per la prima volta sorpreso nel vedermi così fuori di me.
 
“Ok, tranquilla. Ora è passato tutto, Less” disse, strofinando di nuovo le mani lungo la mia schiena. Era tornato al suo sottile tono iniziale.
 
“Ci sono io qua con te”
 
Mi chinai e lo baciai. Era la prima volta che lo baciavo di mia intenzione. Lui mi strinse più forte, ricambiando, con passione, il bacio.
Mi staccai dalle sue labbra carnose e morbide e scesi dalle sue ginocchia, rimettendomi in piedi.
 
“Dove vai, Lee?” chiese lui, amaricato dal fatto che mi fossi allontanata.
 
“Vado a vedere come sta James” risposi, voltandomi. Percepii ancora il sapore di Harry sulle mie labbra.
 
“Non sei arrabbiata con lui?”
 
Mi fermai, girandomi verso di lui, ancora seduto a gambe divaricate sulla panchina.
 
“Ho imparato a perdonare le persone. Nonostante tutto il male che mi abbiano fatto” risposi, incrociando il suo sguardo attento.
Lui scosse la testa.
 
“È dura perdonare le persone. È una parola grossa. Soprattutto dopo quello che è successo con James” sussurrò “Sei sicura?”
 
Annuii, mantenendo il mio sguardo sul suo.
 
“Vuoi che ti accompagni?” mi chiese, alzandosi dal suo posto.
 
“No, grazie Harry. Penso che andrò da sola”
 
Lui si lasciò cadere dove era seduto pochi secondi prima.
 
“Sei una ragazza forte” affermò.
 
Gli rivolsi un sorriso stanco ma sincero.
 
“Ti aspetto qui” aggiunse e sul suo volto comparve un mezzo sorriso.
 
Lo lasciai e mi diressi verso lo stanzino medico dietro il campo.
Entrai, socchiudendo pian piano la porta. L’odore di disinfettante e garze mi avvolse, pizzicandomi il naso.
James era sdraiato su un lettino, a lato della stanza. Le mie amiche e i compagni di Harry erano riuniti attorno a lui, parlottando tra loro. Appena entrai si voltarono verso di me, zittendosi.
 
“Che succede?” domandai, scrutandoli uno ad uno.
 
Nessuno rispose.
Sospirai.
 
“Vorrei rimanere un attimo sola con…” feci un cenno con la testa rivolta a James.
 
Tutti annuirono, affrettandosi a lasciare la stanza e sussurrando cose che non riuscii a capire.
Rimasi dov’ero, fissando la sagoma distesa sul letto.
Lui voltò lentamente la testa verso di me.
 
“Less” rantolò.
 
Rimasi in silenzio, immobile.
 
“Less, ti prego” pianse.
 
Mi avvicinai a lui, esitante.
Lacrime cominciarono a bagnare il suo cuscino, accompagnate da rumorosi singhiozzi.
Sembrava un bambino.
“Shh” sussurrai “James, va tutto bene”
 
Lui continuò a piangere, scosso dai brividi.
 
“Ehi, su smettila” mormorai, con tono dolce e cauto.
 
Lui mi ascoltò e si calmò, prendendomi una mano.
 
“Stai bene? Ti fa male qualcosa?” chiesi, fissandolo preoccupata.
 
“Solo qualche livido” rispose, con voce sommessa.
 
Il viso gli era stato pulito, ma alcuni evidenti lividi segnavano la sua fronte, la mascella e il naso, appena sotto l’occhio sinistro.
Accarezzai quelle ferite, facendo attenzione a non provocargli fastidio.
 
“Less, mi dispiace. I-io non so in che altro modo dirtelo”
 
Gli misi l’indice sulle labbra, zittendolo.
 
“Hai sbagliato, è vero. Non puoi immaginare che male tu mi abbia fatto quella sera. Come mi abbia fatto soffrire negli ultimi mesi questo pensiero, che mi tormentava notte e giorno. Ma, nonostante tutto, ho deciso di perdonarti. Voglio darti un’altra possibilità”
 
“Grazie, oh grazie Lessy” esclamò tra le lacrime, con voce stridula.
 
“Però hai perso la mia fiducia, lo sai. Non potrò mai più avere i rapporti che prima avevo instaurato con te” dissi, con voce amara.
 
James annuì, ascoltando attentamente le mie parole.
 
“Se solo potessi tornare indietro, Less, se solo potessi… non lo avrei mai fatto”
 
Scossi la testa, chiudendo gli occhi.
 
“Lo so, ma ormai ciò che è fatto è fatto”
 
Lui si sollevò dal letto e si mise seduto davanti a me. Si allungò e mi baciò.
Io continuai a rimanere ad occhi chiusi e, appena sentii il tocco delicato delle sue labbra sulle mie, trasalii, ma non lo respinsi.
La sensazione della sua bocca sulla mia fece riaffiorare in me mille ricordi.
Lo strinsi tra le braccia, passando la mano tra i suoi capelli.
Piangemmo entrambi, l’uno tra le braccia dell’altro, per un tempo indefinito.
Il bussare della porta mi fece staccare da lui. Mi asciugai velocemente il viso e James fece lo stesso.
Harry entrò e rivolse uno sguardo non molto amichevole al biondo.
Io lo aiutai a scendere dal letto, ora, almeno, riusciva a reggersi in piedi.
 
“Tutto apposto?” domandò Harry, con voce più roca del solito.
 
Annuii con vigore, poi accompagnai James all’uscita.
 
“Ti accompagno io a casa, se vuoi” gli sussurrai.
 
“No, fa lo stesso. Ce la faccio” rispose lui, incamminandosi verso il vialetto del parco.
 
Quando raggiunse la strada si voltò nuovamente verso me e Harry, ancora fermi affianco all’infermeria.
Un debole sorriso comparve sul suo volto rovinato mentre mi salutò da distante.
Lo salutai a mia volta con un cenno della mano, guardandolo incamminarsi verso il suo motorino nero, poco distante dal luogo della rissa.
Pensai a cosa avrebbero detto i suoi genitori vedendolo ridotto così. Probabilmente lui avrebbe risposto di essere caduto dalla moto mentre ritornava a casa.
Il sole stava calando, gettando riflessi rossastri tutto intorno a noi. La strada stava cominciando ad affollarsi di macchine, la maggior parte delle quali guidata da uomini che parlavano animatamente al telefono o che stavano rientrando a casa dal lavoro.
Un leggero profumino di carne affumicata e pane alleggiò nell’aria.
Rimanemmo solo io ed Harry.

 

Spazio autrice.

 

buon pomeriggio a tutte! Ok, sono un pochino in ritardo ma in questo periodo sono stata piuttosto impegnata ehehe
ecco qui l'attesissimo nono capitolo!
ho notato che l'ottavo è piaciuto particolarmente ed è stato il preferito di molti di voi, mi fa piacere c:
grazie a tutti per le vostre recensioni e commenti, come sempre
spero che questo capitolo vi piaccia come gli altri e ditemi che ne pensate c:
se avete bisogno su twitter sono @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***




Trailer ufficiale:
 http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ

Capitolo 10
 


“Come ti senti?” mi chiese Harry, mentre passeggiavamo lungo il parco, senza meta.
 
Mi girai a guardarlo. Sembrò veramente interessato a come mi sentivo. Non mi aveva posto una di quelle domande che ti senti in obbligo di fare, ad esempio quando stai mangiando qualcosa e ti senti in dovere di chiedere alla persona che ti sta vicino se ne vuole un pezzo. Il suo tono aveva una sfumatura di preoccupazione. La fronte era corrugata in un’espressione un po’ buffa, gli occhi erano socchiusi e le sopracciglia erano inarcate. Mi venne da ridere e soffocai in un grugnito la risata.
Harry se ne accorse.
 
“Be’, vedo che stai meglio” disse, spostando la testa da un lato.
 
Non sapevo se stavo un po’ meglio. Voglio dire, dopo tutto quello che era capitato neanche un’ora prima mi sentivo tutto tranne, probabilmente, bene. Vedere mio fratello picchiare in quel modo James, fissare i suoi occhi venati di rabbia, percepire l’ira dentro il suo tono mi aveva sconvolto, e non poco. Liam era sempre stato un ragazzo calmo, non di certo uno di quelli che vanno in giro a cercare rissa. Mi chiesi cosa fosse cambiato in lui. Perché si fosse comportato in quel modo. Forse era a causa dei sei mesi passati in America? Cos’era successo?
 
“Ehi, Less? Ci sei?” Harry mi sventolò una mano davanti agli occhi e io scossi la testa per risvegliarmi dai miei pensieri.
 
“S-si, ci sono” risposi, un po’ incerta.
 
Lui alzò le spalle, un ghigno divertito sulle labbra.
Mi chiesi che ore fossero.
 
“Sono ormai le otto di sera. Vuoi che ti accompagni a casa?” esclamò Harry all’improvviso, come se avesse potuto leggermi nel pensiero.
 
Annuii e svoltammo insieme per uscire dal parco. Per arrivare a casa mia ci sarebbero voluti una decina di minuti. Per il primo isolato rimanemmo in silenzio, poi Harry parlò.
 
“Cosa pensi di fare ora?” si rivolse a me.
 
“Cosa intendi?” domandai, continuando a guardare la strada davanti a noi.
 
“Intendo con Liam. Cosa pensi succederà quando arriverai a casa? Lo affronterai?”
 
“Suppongo di si” mormorai.
 
La risposta sembrò non essergli sufficiente, così continuò.
 
“Cosa gli dirai?”
 
Alzai le spalle. Cosa gli avrei detto quando l’avessi incontrato? Ne avremo parlato?
 
“E’ un ‘non so’ oppure sai già che dirgli e non vuoi rendermi partecipe?”
 
“E’ più un ‘non so’”
 
“Hai le idee chiare, insomma”
 
“Senti, hai visto ciò che è appena successo no? Bene, io sono ancora sconvolta. Mio fratello ha quasi ucciso di botte il mio ex” non aggiunsi altro.
 
Lui rimase in silenzio finchè non giungemmo davanti a casa mia.
 
“Ciao Less” mi salutò, baciandomi.
 
Mise una mano sotto la mia maglietta e le lunghe dita calde mi accarezzarono le schiena, lasciandoci una scia di pelle d’oca. Spostò la testa di lato e strofinò il naso lungo il mio collo. Io rimasi immobile. Appoggiò le labbra sulla mia pelle, le socchiuse e con la lingua disegno piccoli cerchi umidi appena sotto la mia mascella. Quel gesto mi fece rabbrividire, ricordandomi la prima serata insieme. Harry si staccò dal mio collo e mi rivolse un piccolo ghigno provocante. Lo ignorai e lo salutai con un ‘ciao’ sussurrato.
Rientrai in casa. Mamma era al lavoro, oggi aveva il turno serale, mentre Patrick se ne stava disteso sul divano a guardare dello sport in tv. Appena mi chiusi la porta alle spalle lui si girò e mi guardò con aria stupita.
 
“Credevo che tu e Liam non ritornaste per cena” affermò, stiracchiandosi.
 
Lo guardai interrogativa, poi capii.
 
“Liam non è tornato?”
 
“No, non si è fatto nemmeno sentire” disse lui, con tranquillità.
 
“Ah, quindi non sei nemmeno un po’ preoccupato?” chiesi, infastidita.
 
Lui alzò le spalle.
 
“Ha 21 anni, Less. È grande abbastanza per fare quello che vuole”
 
“Allora se lui fosse in giro a, non so, drogarsi o andare a puttane a te non importerebbe niente?”
 
Patrick mi fissò, confuso.
 
“Che succede, Lee?” mi domandò, scrutando i miei occhi arrabbiati.
 
“Niente. Lascia perdere” risposi secca, poi mi voltai e mi diressi verso la cucina per farmi un panino.
 
Presi il contenitore delle olive. Possibile che Patrick se ne fregasse così di suo figlio? Non si faceva vedere per tutto il giorno e l’unica cosa che riusciva a dire è ‘Ha 21 anni, Less. È grande abbastanza per fare quello che vuole’?
Sbattei il contenitore sul tavolo, arrabbiata. Mi scivolò dalle mani e cadde a terra, rompendosi. Le olive bagnate si sparsero per tutta la cucina. Patrick corse nella stanza, preoccupato.
 
“Cos’hai combinato, Less?! Guarda che disastro! Ma che ti prende?!” sbraitò lui, con le mani tra i capelli.
 
Io indietreggiai impaurata e calpestai un pezzo di vetro del contenitore. Il sangue cominciò a fluire e io lo guardai per qualche secondo, stranita, poi scoppiai a piangere.
 
“Ehi, aspetta. Possiamo pulire tutto, dai, vieni qui” disse Patrick, evidentemente in colpa.
 
“Ti sei fatta male? Fammi vedere” si avvicinò a me, facendo attenzione ai pezzi di vetro sparsi sul pavimento.
 
Tirai sul col naso e lo scostai, prendendomi un fazzoletto da appoggiare alla pianta del piede, dove la ferita si era formata. Non seppi nemmeno perché piansi. Mi sentii soltanto una bambina. Una bambina indifesa.
Patrick mi fece sedere su una sedia e pulì tutto, senza spiccare una parola. Probabilmente pensò che ero strana. Un ragazza di 18 anni che piange per una piccola ferita. Ma, forse, non era per la ferita che piangevo.
 
“Stai bene, ora?” mi domandò Patrick, passandosi una mano sulla fronte sudata.
 
Annuii, toccando il punto in cui il vetro era penetrato nelle pelle. Bruciava ancora, ma ora faceva meno male. Lui rimase a fissarmi per qualche secondo, poi scosse la testa e ritornò in soggiorno. Non avevo più fame. Gettai il panino, non ancora concluso, nel cestino della spazzatura, poi mi diressi in camera, facendo attenzione a camminare lentamente per non far riaprire la ferita.
Mi sedetti sul letto a gambe incrociate e afferrai il cellulare. Zero messaggi. Zero chiamate. Lo lanciai nel cassetto vicino a me, arrabbiata. A cosa serviva avere un cellulare se nessuno mi cagava? Nemmeno le mie amiche?
Mi chiesi cosa avessero pensato Allie, Lucy e Sylvie dopo l’accaduto. Loro non ne sapevano niente, probabilmente erano rimaste sconvolte. Al momento l’idea di incontrarle il giorno dopo a scuola mi spaventava terribilmente e mi faceva salire un senso di nausea.
Passai la serata a contemplare il soffitto, immersa nei miei pensieri e non mi accorsi nemmeno che ormai si era fatto tardi. Il cellulare, nel cassetto, vibrò e partì la suoneria. James. Decisi di non rispondergli, forse era la cosa migliore da fare, evitarlo per qualche giorno. Spensi il cellulare e guardai il grande orologio appeso alla parete, davanti a me. Segnava le 23:45. Liam non era ancora tornato. Non era da lui non farsi sentire per tutto il giorno. Riaccesi velocemente il cellulare con la sensazione sgradevole di un brutto presentimento. Digitai veloce il suo numero e attesi. Non raggiungibile.
Senza pensare afferrai un paio di scarpe da ginnastica, il cellulare e le chiavi di casa. Non potevo uscire dalla porta d’uscita principale, vicino al soggiorno dove si trovava Patrick. Mi avrebbe fermato se mi avesse visto uscire a quell’ora senza preavviso. Optai per l’uscita sul retro.
Con passo felpato raggiunsi il giardino, aprii il cancelletto che dava sui campi, dietro casa nostra. Presi la bicicletta e pedalai tra le piantagioni, raggiungendo la strada, poco più in là.
Il vento mi scombinò i capelli, gettandoli davanti al viso. Sentii, sopra di me, il rombo di un tuono. Oh, perfetto. Ci mancava solo il solito temporale di inizio Giugno. Continuai a pedalare, accelerando lungo una strada in discesa. Mi chiesi dove avevo intenzione di andare. Non sapevo nemmeno da dove cominciare a cercare Liam. Ero un caso perso. Decisi di dirigermi verso il centro città. Magari l’avrei trovato a casa di qualche suo amico o, non so, in qualche parco o locale.
Nel giro di una decina di minuti arrivai davanti a casa di Mike, uno dei suoi migliori amici ai tempi del liceo. Lasciai la bici vicino al portico e mi avviai verso la porta d’entrata. Bussai qualche colpo deciso, poi attesi. Aprì lui.
 
“Ehi, Less” esclamò allegro, vedendomi.
 
“Ciao, Mike” lo salutai, guardandolo dal basso verso l’alto. Era cresciuto tantissimo in altezza.
 
Lui mi sorrise, aspettando che aggiungessi qualcosa. Aspettai qualche secondo, poi parlai.
 
“Ehm, io sarei qui per… chiederti se Liam è insieme a te, al momento” dissi, facendo un cenno col capo verso l’interno della casa.
 
“Ah, no. Mi dispiace ma è da un bel po’ che non ci sentiamo. Mi aveva detto che sarebbe tornato dall’America più o meno in questi giorni, ma la nostra ultima conversazione risale a circa un mese fa” rispose. Nel suo tono c’era una nota di amarezza.
 
“Oh” fu l’unica cosa che riuscii a sussurrare.
 
“Già. Sai se gli è successo qualcosa? Intendo dire, lo vedo cambiato…” aggiunse Mike, dubitante.
 
Scrollai le spalle. Non lo sapevo. Era successo qualcosa, si, ma non lo sapevo. Erano nati troppi segreti tra me e Liam. Quando io andavo ancora in prima superiore e lui in quarta al liceo parlavamo di tutto. Era l’unica persona con cui non avevo cose da nascondere, semplicemente lui raccontava tutto ciò che gli accadeva a me e io facevo lo stesso con lui. Mi mancavano da morire quei tempi.
Mike restò in silenzio, con gli occhi fissi sul tappeto sotto i suoi piedi, indeciso sul da farsi.
 
“Ehm, ok, allora io vado” mormorai, salutandolo con un cenno della mano.
 
Lui sembrò voler dire qualcosa, ma si trattenne. Mi salutò semplicemente con un ‘ciao’.
 
“Ah, mi dispiace di averti disturbato a quest’ora” aggiunsi, prima di lasciare il vialetto di casa sua con la bicicletta.
 
“Figurati, ci sentiamo” rispose lui, sorridendo. Dopo di che scomparve dietro la porta.
 
Salii sulla sella umida della bici, poi mi diressi verso la prossima tappa.
Raggiunsi il parco accanto alla mia vecchia scuola delle medie. Lo percorsi interamente, scrutandone ogni angolo. Quel parco era il luogo in cui avevamo passato la maggior parte dei pomeriggi io e mio fratello. Ci sedevamo in un posto isolato e rimanevamo a guardare i bambini giocare, parlando ogni tanto del più e del meno. A volte tutta la famiglia si riuniva qui per un pic-nic all’aria aperta. In questo parco avevo vissuto la mia infanzia e parte della mia adolescenza. Rividi, come in un film, vari ricordi confusi. Pezzi di vita che avevo vissuto in quel luogo. Mi salirono le lacrime agli occhi, ma le ricacciai dentro.
Il parco era vuoto, come volevasi dimostrare. D’altronde, chi va al parco a mezzanotte passata? Forse qualche ubriaco o dei ragazzi in cerca di intimità.
Liam non si trovava nemmeno qui.
Andai al bar da lui frequentato quasi ogni giorno quando era all’ultimo anno di liceo, chiesi informazioni se lo avessero visto ma loro, come Mike, non ne avevano saputo più niente da un bel po’ di tempo. Girai a vuoto tra le vie illuminate della città, sperando di intravedere la sua moto rossa e bianca parcheggiata da qualche parte. Nulla. Cominciai a perdere le speranze. Forse Patrick aveva ragione. Insomma, ormai era grande abbastanza per farsi la sua vita, senza avere me, mamma o papà al seguito. Eppure avevo sempre quella sensazione di nausea, dovuta ad un brutto presentimento. Pedalai lentamente lungo una via che non avevo mai notato prima. In fondo alla strada si intravedeva un locale a luci rosse. Continuai ad avanzare, passandoci davanti.
Mi bloccai all’improvviso. Una moto rossa e bianca era parcheggiata vicino all’entrata del locale. Era la sua, ne ero certa. Mi si formò un nodo alla gola. Che ci faceva lì Liam? Scesi, senza esitare, dalla bicicletta e mi avvicinai all’entrata dell’edificio.
Dall’interno provenivano luci sfuocate, risate e un vago odore di fumo.
Rimasi immobile davanti all’entrata finchè la porta si spalancò e ne uscirono quattro ragazzi. Si fermarono, sorpresi. Un ghigno comparve all’improvviso sulle loro labbra. Io indietreggiai, spaventata.
 
“S-scusate” mormorai, spostandomi per lasciargli passare.
 
“Fa niente, bellezza. Che ci fai qui a quest’ora?” parlò uno dei ragazzi, alto e moro.
 
Rimasi impietrita a quelle parole. Il suo tono era divertito. Non mi parve avessero buone intenzioni.
 
“Uhm, niente. Ora me ne vado” risposi, voltandomi.
 
Una mano mi afferrò da dietro facendomi girare. Ora ero a qualche centimetro dalla faccia di quel ragazzo.
 
“Non così in fretta. Resta un po’ a farci compagnia, tesoro” il suo alito sapeva di alcool.
 
Cercai di ritrarmi, schifata, ma la sua presa era decisa e sicuramente lui era più forte di me.
Mi afferrò per la vita e schiacciò il suo corpo contro il mio, togliendomi il fiato. Avvicinò le labbra al lobo del mio orecchio destro e mi diede dei piccoli morsi. Mi dimenai per cercare di liberarmi ma non ci riuscii.
 
“Ehi, Mark. Lasciacene anche un po’ a noi” esclamò un ragazzo scuro rivolgendosi al moro. Gli altri due annuirono, ridendo sfacciati.
 
“Lasciami andare” piagnucolai.
 
“Prima un po’ ci divertiamo, che dici?” rispose Mark, le labbra contorte in un ghignò contro la mia pelle.
 
Rabbrividii a quelle parole.
 
“Lasciami!” urlai all’improvviso.
 
Lui allentò la presa, sorpreso, e io ne approfittai, tirandogli un calcio sulla caviglia. Cominciò a formarsi un livido scuro in quel punto.
Mark mi lasciò e io mi allontanai immediatamente, guardandolo spaventata. Toccò la ferita lasciata dalla mia scarpa, poi alzò gli occhi inferociti su di me.
 
“Puttana” sputò.
 
“Non te la caverai così facilmente, stronzetta” sibilò un suo amico.
 
Cominciai a correre verso la bicicletta, ma loro furono più veloci. Nel giro di qualche attimo mi accerchiarono. Tutti e quattro mi guardarono con una luce strana negli occhi. La paura si impossessò del mio corpo.
 
“Lasciatemi stare” piansi, con voce spezzata.
 
Loro si fecero più vicini. Mark, dietro di me, mi tirò per i capelli, rovesciandomi la testa all’indietro. Tirai un urlo di dolore. Mi accarezzò il collo, infilando le mani sotto la mia maglietta leggera e sfiorando il pizzo del reggiseno. Cercai di divincolarmi, ma la sua stretta sui miei capelli non demorse. Passò la mano sul mio reggiseno e mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Un ragazzo rosso, davanti a me, sollevò l’orlo della mia maglietta, lasciandomi scoperto il petto. La pelle sulla nuca cominciò a farmi veramente male. Tirai un calcio a vuoto davanti a me per allontanare il rosso, ma non ebbe effetto. Lui continuò, cercando di slacciarmi il reggiseno.
Urlai il nome di Liam. Non mi rimaneva altro.
 
“Chi vuoi che ti senta, dolcezza?” sussurrò Mark, posando le labbra sul mio orecchio.
 
Ma si sbagliò.
Certo, Liam non mi sentii, ma quell’urlo attirò l’attenzione di qualcun altro.
 
“Ehi, voi!” disse una voce famigliare vicino a noi.
 
“Lasciala andare, cretino” esclamò Louis, raggiungendoci.
 
Mark mi lasciò i capelli, girandosi per affrontare chi aveva appena parlato.
 
“Che cazzo vuoi?” disse, rivolgendosi a Louis.
 
In quell’istante sopraggiunse anche Zayn. Corsi accanto ai miei due amici, non che fidanzati di Allie e Sylvie.
 
“Che volevi farle, eh?!” disse, in tono arrabbiato, Louis.
 
I quattro ragazzi si guardarono tra di loro, riflettendo se fosse il caso di creare una rissa o semplicemente evitare tutto questo e andarsene. Mark si girò, con gli altri tre al seguito. Per fortuna scelsero la seconda opzione.
 
“Andiamocene. La troietta ha i suoi amichetti a salvarle il culo” sentii il moro dire ai suoi amici.
 
Louis fece per rincorrerli ma Zayn lo fermò.
 
“Lascia stare, amico. Non ne vale la pena” sussurrò a Louis.
 
Il ragazzo sospirò, dopo di che mi fissò intensamente.
 
“Grazie” mormorai, le lacrime che mi scivolarono ancora lungo il viso.
 
“Più che altro che ci fai qua a quest’ora? Passavamo di qua per andare in piazza e abbiamo sentito te urlare” esclamò Louis.
 
Non seppi cosa rispondere. Rimasi semplicemente a fissare le mie vans rovinate.
 
“Devi sempre cacciarti nei guai tu, vero?” affermò Zayn, ma nel suo tono non c’era niente di duro.
 
“Dai su, Less. Se vuoi ti accompagniamo noi a casa” sussurrò Louis, avvolgendomi con un braccio le spalle tremanti.
 
“I-io ero qui per cercare Liam” mormorai.
 
“Liam? È qui?” chiese, confuso, Zayn. Effettivamente non era il posto che Liam avrebbe frequentato.
 
Indicai la moto di mio fratello parcheggiata accanto all’entrata.
 
“Ah” esclamarono in coro entrambi i ragazzi.
 
Aspettarono che aggiungessi qualcosa, ma non lo feci. Li fissai, completamente muta.
 
“Vuoi che andiamo a cercarlo, vero?” sospirò Zayn.
 
Annuii, non molto sicura, però, della mia decisione.
 
“Andiamo, allora” disse Louis, dirigendosi verso l’entrata.


 

Spazio Autrice.

buongiorno gente, ecco il decimo capitolo!
mi scuso per aver risposto solo adesso ai vostri messaggi e recensioni ma, come sempre, sono stata piuttosto impegnata.
giugno è stato un mese 'pieno' ma ora sono più libera ed ho più tempo per dedicarmi alla mia storia.
grazie come sempre per le recensioni, le letture e i commenti, lo apprezzo davvero molto.
molti di voi mi hanno detto che l'episodio del bacio di Less e James li ha un po' sconvolti, eh, Less è un po' confusa, ma presto metterà le idee apposto.
anyway, spero che questo nuovo capitolo vi piaccia e che continuate a seguire la mia ff per vedere che succederà nel prossimo capitolo c:
ora mi ritiro, se avete bisogno su twitter sono @aspettamiharry o cercatemi pure qua.

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***




Trailer ufficiale:
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Capitolo 11
 


“Cosa vi posso portare, ragazzi?” ci chiese, all’entrata, una cameriera dai capelli lunghi, biondi e cotonati. La matita nera che le contornava i grandi occhi verdi era leggermente sbavata ai lati.
 
“Uhm, niente grazie” rispose Zayn, velocemente.
 
La ragazza alzò le spalle e si voltò, dirigendosi verso un tavolo poco più in là dove stavano seduti tre uomini sulla quarantina.
Il locale era avvolto in una strana nebbia bianca e nell’aria alleggiava odore di alcool e fumo, rendendola pesante. Tossii, sventolandomi una mano davanti al viso.
Louis mi guardò, dubitante, ma io gli feci cenno di voler continuare a cercare.
Il locale era composto da una sola stanza enorme, il cui centro era occupato da un piccolo palco con un palo nel mezzo dove si esibivano due ragazze svestite, accerchiate da una massa di ragazzi e uomini incitanti. Rivolsi uno sguardo schifato alle due spogliarelliste, una rossa e l’altra mora, con qualche colpo di sole lungo il ciuffo che gli ricadeva sulla fronte. Si esibivano in balli sfrenati, strofinandosi contro il palo e ammiccando.
Un piccolo balcone da bar era stato allestito in fondo al locale ed era gestito da un ragazzo carino, moro e alto, sulla ventina.
Qua e là erano sistemati dei divanetti di pelle nera, qualche tavolo e delle sedie rovinate.
 
“Ehi, stammi vicina” mi sussurrò Louis, prendendomi per mano.
 
Io annuii, un po’ infastidita. Non ero una bambina.
Ritrassi la mano e accelerai il passo, perlustrando la stanza. Zayn e Louis mi seguirono, senza obbiettare.
Niente Liam. Nemmeno l’ombra.
Eppure, dalla finestra affianco a me riuscii ancora ad intravedere la moto bianca e rossa.
Non se n’era andato, ma allora dove si era cacciato?
Cominciai a preoccuparmi seriamente. Magari avevo sbagliato, non era la sua moto. Forse qualcun’altro ha la sua stessa moto ed è venuto a passare la serata qua, insomma, d’altronde non è il posto che avrebbe frequentato volentieri Liam. Si, forse mi ero sbagliata.
 
“Ehi, Less! Quello non è Liam?” sentii la voce di Zayn chiamarmi da dietro.
 
Mi girai verso di lui e guardai il punto che stava indicando. Una porta che prima non avevo notato era semiaperta e Liam vi era appoggiato, ridendo e parlando con due ragazze bellissime.
Mi fiondai in quel punto, attraversando a spintoni la folla ubriaca e rumorosa in mezzo alla stanza. Ma appena riuscii a raggiungere la porta questa era stata richiusa e di Liam e le sue ‘amichette’ non c’era più traccia.
 
“Dove sono finiti?!” urlai, per sovrastare in rumore, in direzione di Louis e Zayn, a qualche passo da me.
 
Entrambi alzarono le spalle, non sapendo cosa rispondere.
Sfiorai la maniglia fredda della porta davanti a me.
L’abbassai cautamente.
 
“Dove vuoi andare?!” mi domandò Louis.
 
Lo ignorai ed attraversai l’uscio, il buio mi avvolse.
Zayn accese la torcia del suo cellulare e avanzammo nella penombra. Una lunga scala si stagliò davanti a noi.
Salimmo i gradini attentamente, finchè giungemmo dinnanzi ad un’altra porta di legno. Avvertii la voce di Liam dietro essa. Afferrai la maniglia, incerta.
 
“Sei sicura di voler entrare là dentro?” mi fermò Zayn.
 
“Non mi resta altra scelta” mormorai, poi spalancai la porta.
 
La risata cristallina di una delle ragazze sedute in braccio a Liam mi riempì le orecchie.
Lui se ne stava tranquillamente sdraiato sul piccolo divano posizionato al centro della stanza, le due ragazze attorno a lui, una accomodata sulle sue gambe, l’altra era in piedi, affianco al divanetto, e gli accarezzava maliziosamente il viso.
Liam aveva gli occhi chiusi e si portava alla bocca, ogni tanto, una canna, ormai finita.
Poco distante da loro un tavolino era stato riempito da bottiglie semivuote di vodka, drink e alcolici di vario tipo.
Le due ragazze, sentendo la porta spalancarsi, si girarono verso di me, stupite. Liam non reagì e rimase fermo nella sua posizione.
Mi portai una mano alla bocca.
Feci un passo in avanti, entrando completamente nella stanza.
 
“E voi chi sareste?” sputò una delle due ragazze, quella accovacciata sopra mio fratello.
 
Si spostò i corti ma sbarazzini capelli neri dagli occhi.
 
“Che succede, Linda?” mormorò Liam, con voce impastata, rivolgendosi alla ragazza che aveva appena parlato.
 
Riaprì lentamente gli occhi e voltò la testa nella mia direzione. Appena mi vide spalancò gli occhi, liberandosi in fretta della canna ancora accesa. Si alzò di scatto, spostando Linda dalle sue ginocchia.
“Less” disse, interrogativo.
 
“Liam” parlai, io.
 
“Che ci fai qui?” mi chiese, sollevandosi debolmente dal divano.
 
Avanzò verso di me con passo traballante.
 
“Che ci fai tu qui, semmai” cercai di mantenere la calma.
 
Liam scoppiò in una fragorosa risata. Era ubriaco. E fatto.
Le due ragazze si avvicinarono a loro volta, appoggiandosi alla schiena di mio fratello.
 
“Senti bella, perché non ci lasci in pace e te ne vai?” esclamò la seconda ragazza, dai ricci capelli biondi e i grandi occhi blu cielo.
 
“Si, e magari lasciaci qui i tuoi amichetti. Ci divertiremo tutti insieme” aggiunse Linda, posando lo sguardo ammiccante su Zayn e Louis.
 
Le due ragazze risero, rivolgendosi un’occhiata di intesa e Liam si unii a loro.
Louis e Zayn rimasero ammutoliti all’affermazione della mora.
Un senso di rabbia mi percorse l’intero corpo, facendomi irrigidire tutti i muscoli.
Come si permetteva di parlare così a me e ai miei amici?
Mi avvicinai lentamente a Linda, la bocca e gli occhi delineati in un’espressione divertita.
Senza pensarci due volte le tirai uno schiaffo.
Tutti si zittirono, la ragazza compresa.
I capelli neri le ricaddero sul viso abbassato. Riuscii appena a intravedere i suoi occhi scuri semichiusi. La tensione si percepiva forte nell’aria.
 
“Troietta” sibilò, dopo di che si lanciò contro di me.
 
Scivolai a terra, schiacciata dal corpo caldo della ragazza. Sentii un dolore lancinante al capo, proprio dove poco tempo prima Mark aveva stretto in un pugno una grande ciocca dei miei capelli.
 
“Come cazzo ti permetti, stronza” sputò Linda, colpendomi in volto con un pugno.
 
“Ehi, ferme!” urlò Louis, cercando di dividerci.
 
“Togliti di mezzo, idiota”
 
Un altro pugno mi colpii in pieno viso.
 
Zayn e Louis sollevarono a peso Linda, che continuò a divincolarsi per aggredirmi ancora.
 
“Lasciatemi! La concio io per le feste quella puttana!” ruggì la ragazza.
 
Il suo voltò era deformato in un’espressione d’ira, gli occhi erano spalancati e le sopracciglia inarcate, quasi ad unirsi nel centro. La bocca era corrugata e il rossetto scuro sbavato lungo la guancia destra.
Liam mi si avvicinò, accovacciandosi al mio fianco.
 
“Less, ehi Less” sussurrò.
 
Il suo tono sembrò preoccupato, mi accarezzò il viso, aiutandomi ad alzarmi.
I miei due amici tenevano entrambi per le braccia Linda che, ancora fremente di rabbia, cercava di liberarsi. L’altra ragazza, invece, rimase ferma ad osservare la scena con aria tranquilla. Sembrò abituata a situazioni come questa.
 
“Stai bene?” mi domandò Liam.
 
“Si, ma non grazie a te” sibilai, dopo di che mi scostai da lui e raggiunsi l’uscita.
 
Louis e Zayn lasciarono Linda, dopo averla calmata, e mi si affiancarono.
Spalancai la porta da dove poco prima ero entrata e, senza rivolgere un ultimo sguardo alla stanza, me ne andai.
Percorsi frettolosamente gli scalini che portavano al piano terra del locale, attraversai nuovamente la folla confusa e riemersi nel parcheggio dell’edificio.
Inforcai la mia bicicletta e pedalai velocemente via da quel posto.
                                                          
“Less, aspetta ti prego!” sentii la voce di Liam chiamarmi.
 
Non mi voltai indietro e continuai a pedalare con sempre più foga lungo la via, verso la piazza.
 
“Ti devo dire una cosa!” aggiunse, con voce sempre più lontana “Io…”
 
Non riuscii a capire il resto della frase, ma tanto che mi importava? Svoltai la strada, lasciandomi tutto alle spalle.

 
 

Spazio autrice.


ehilààà.
ecco a voi l'undicesimo capitolo yay
grazie mille, come sempre per le recensioni e i commenti, ve se ama c:
niente da dire, spero che questo capitolo vi piaccia
devo ammettere che è stata un po' dura scriverlo, non so esattamente il perchè, spesso non riuscivo a trovare le parole adatte ma spero comunque che vi soddisfi
se avete domande su twitter sono @aspettamiharry, oppure potete contattarmi direttamente qua c:
buona lettura

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***




Trailer ufficiale:
 http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ

Capitolo 12
 


Lasciai la bicicletta nel retro del giardino, entrai di soppiatto dalla porta laterale e salii le scale a passi felpati. Patrick era ancora steso sul divano in soggiorno e sembrava essersi addormentato. Alla tv una giovane donna dai capelli cotonati stile anni 70’ illustrava le previsioni del tempo per i prossimi giorni. Socchiusi la porta di camera mia ed entrai, gettando accanto al letto le scarpe. Mi sdraiai, sprofondando la faccia stanca nel cuscino. Nel giro di pochi attimi mi addormentai.
 
***
 
DRIN-DRIIIN!!!
Trillò la sveglia sul comodino.
Imprecai, spegnendola.
Alzai la testa dal cuscino e mi guardai allo specchio di lato. Un ammasso di capelli contornava il mio viso addormentato, il trucco mi aveva macchiato le guance e pure il cuscino. Ero ancora vestita come ieri sera.
Cavolo, dovevo essere proprio crollata appena tornata a casa.
Mi alzai e infilai i piedi indolenziti nelle pantofole. Mi diressi in bagno, passandomi un mano per districare i capelli secchi come la paglia. Mi lavai il viso con del sapone e dell’acqua calda per togliere il trucco, dopo di che raggiunsi la cucina.
 
“Buongiorno, principessa” mi accolse Patrick, sorridendomi.
 
“’Giorno”
 
“Dormito bene?” mi chiese, servendomi la colazione.
 
“Come un ghiro” risposi, addentando il mio toast appena cotto.
 
“Liam?” chiesi, guardandomi attorno.
 
Mmh, forse dopo quello che era successo la scorsa sera era meglio neanche chiederlo.
 
“È già uscito”
 
“Come? Di già?!” dissi, strabuzzando gli occhi.
 
Patrick scrollò le spalle, non aggiungendo altro.
 
Bevvi un sorso di thè caldo e mi alzai dalla sedia, affrettandomi ad uscire.
 
“Less, ma non hai nemmeno finito il tuo toast!” mi chiamò Patrick, vedendomi lasciare la stanza.
 
“Non ho molta fame, finiscilo pure te” risposi, senza voltarmi.
 
“Ma lo sai che la colazione è un pasto importante nella giornata, ai giorni d’oggi voi adolescenti fate tutti così e poi vi lamentate che…” lo sentii ribattere, come sempre.
 
La solita ramanzina sull’importanza dell’assumere zuccheri e calorie la mattina per affrontare bene ed in forma la settimana. Si si, come no.
 
Corsi in camera, mi lavai velocemente i denti, mi truccai e pettinai frettolosamente, indossai l’uniforme scolastica. Ultimi due giorni, poi sarebbe finita. Poi ci sarebbero stati tre mesi di intenso rilassamento, senza fare niente.
Afferrai la cartella semivuota e il cellulare, salutai Patrick all’ingresso e spalancai la porta, uscendo. Infilai le cuffiette nelle orecchie e mi diressi verso scuola, la mente affollata da pensieri. Chissà perché Liam era uscito così presto questa mattina. Dove doveva andare? E poi cosa voleva dirmi ieri sera? Avevo capito solo metà della frase. Forse sarebbe stato meglio se mi fossi fermata e lo avessi ascoltato. Si stava comportando in modo strano e questo non mi piaceva per niente. Era cambiato visibilmente, chissà perché. Era successo qualcosa in America che non voleva dirmi? Dovevo preoccuparmi? Visti i suoi atteggiamenti, pensai, forse sarebbe stato il caso.
Cambiai canzone, scegliendo gli Artic Monkeys.
 
“Ehi, Lee!” sentii un voce chiamarmi da dietro.
 
Mi scostai una cuffietta dall’orecchio e mi voltai. Sylvie mi corse in contro.
 
“Ciao, Syl” la salutai appena mi raggiunse.
 
“Come va, ragazza? Ti vedo un po’ giù”
 
“Macchè, sono solo un po’ stanca” cercai di deviare l’argomento.
 
La mia amica sollevò le spalle.
 
“Comunque hai sentito di Jennifer Harminghs? Dicono che sia incinta!” esclamò con voce stridula.
 
“Davvero?” chiesi, fingendomi interessata.
 
“Si, e dicono che il padre sia Logan! Hai presente quel ragazzo che vediamo ogni giorno a pausa pranzo? Quello carino, con gli occhi chiari e i capelli mossi e piuttosto lunghi”
 
Annuii, spegnendo la musica.
 
“Be’, non dici niente?! Insomma, Jennifer e Logan! Ci credi?!” aggiunse, con il solito entusiasmo.
 
“Si, be’, chi se lo sarebbe mai immaginato. Non sapevo nemmeno che si frequentassero”
 
“Appunto!” affermò Sylvie.
 
Raggiungemmo l’entrata della scuola, già gremita di studenti.
 
“Ragazzeee!”
 
Lucy e Allie ci raggiunsero euforiche.
 
“Ultimi due giorni!” esultò Lucy
 
“E poi relax!” si aggiunse Allie.
 
Sorrisi vedendole così allegre. Be’, come si poteva non capirle? Tutti avevamo voglia d’estate e lo spirito festoso aveva contagiato ognuno nella scuola.
Ci dirigemmo verso l’entrata dell’edificio, tra la massa scomposta e allegra degli studenti attorno a noi.
 
“Allora, voi come la passerete l’estate?” chiese all’improvviso Allie.
 
“Io ho in mente di fare una settimana a Londra, poi magari due al mare e forse una di campeggio nei boschi qui vicino. Ehi, perché non ci organizziamo così venite anche voi? Sapete, una settimana di campeggio con zio Eddie e mio padre non è proprio il massimo, fidatevi. Ma se ci siete anche voi…” affermò Lucy, guardando ognuna di noi con occhi speranzosi.
 
“Be’, sarebbe un’idea carina” rise Sylvie.
 
“E tu Less? Devi ancora dire qualcosa? Ehi, Less?!”
 
“Mmh, ehm si, sarebbe fantastico” dissi, con poca convinzione.
 
L’idea di una settimana in campeggio mi interessava veramente, ma non avevo un gran voglia di parlarne adesso.
 
“Ci dici che ti succede?” si fermò a metà scale Allie, incrociando le braccia.
 
Il resto delle mie amiche fece lo stesso.
Le guardai confusa, non sapendo cosa dire.
 
“Esatto, Lee. Spiegaci una volta per tutte perché in questo periodo sei così strana” aggiunse Lucy.
 
“N-non mi succede davvero niente” risposi, balbettando, fingendo disinteresse.
 
“No, tu non ce la racconti giusta. Senti, noi siamo le tue migliori amiche, o sbaglio? Di noi ti puoi fidare, lo sai, noi ti ascoltiamo. Se c’è qualcosa che non va noi siamo qui per te” ribatté Lucy.
 
Esitai qualche secondo, prima di parlare nuovamente.
 
“Riguarda mio fratello. È strano in questi giorni. Prima picchia James, poi scappa via per un giorno intero e infine…” non riuscii a finire la frase, gli occhi mi si riempirono di lacrime.
 
“Lessy, ehi, tranquilla” mi si avvicinò Sylvie “ssh, calmati”
 
Mi porse un fazzoletto, accarezzandomi la schiena. Lucy e Allie mi fissarono, preoccupate.
Presi un respiro profondo per bloccare i singhiozzi.
 
“I-ieri sera ho trovato Liam ad un locale a luci rosse” conclusi.
 
Le mie amiche spalancarono contemporaneamente gli occhi, sbigottite.
 
“E…?” mi incitò a continuare Allie.
 
“Era in compagnia di due ragazze che non parevano avere buone intenzioni, sapete che intendo… ed era completamente fatto” aggiunsi, abbassando gli occhi.
 
Allie, Sylvie e Lucy rimasero a fissarmi in silenzio.
 
“Gli sono andata in contro per affrontarlo, ma lui era ubriaco marcio. Le due ragazze hanno cercato di allontanarmi da lui ma io non ho demorso, anzi, mi sono fatta avanti. Una delle due mi ha spinto per terra e ha cominciato a colpirmi. Liam, però, l’ha fermata. Io sono scappata via, lui ha tentato di fermarmi, dicendo di dovermi dire una cosa, ma io me ne sono andata senza volerlo ascoltare”
 
Attesi qualche attimo, per studiare la reazione sconvolta delle mie amiche.
 
“È tutto?” mi domandò con un sussurro Lucy.
 
“Con me c’erano anche Louis e Zayn” aggiunsi.
 
Allie e Sylvie spalancarono ancora di più gli occhi alle mie parole.
 
“Prima di entrare nel locale sono stata aggredita da una banda di ragazzi. Avevano cercato di avvicinarmi ma io non volevo. Louis e Zayn mi sono venuti in soccorso, allontanandoli, dopo di che mi hanno aiutato a cercare Liam” spiegai.
 
“Ommioddio, Less. Non so cosa dire” esclamò Sylvie.
 
“Non è stata proprio una serata tranquilla per te, amica” sussurrò Allie.
 
Annuii, fissandomi le scarpe.
 
“Non me lo sarei mai aspettata da tuo fratello, voglio dire…” disse Lucy “Insomma, Liam non è tipo da queste cose”
 
“E stamattina l’hai visto?” mi chiese Allie.
 
“No, è uscito prima di me. Non so per quale motivo o dove andasse… sono preoccupata”
 
Sentimmo il suono della campanella della prima ora e, senza dire una parola, ci affrettammo a raggiungere l’aula di inglese.
 
“Buongiorno, signorine. Fate pure con comodo la prossima volta” ci accolse con disappunto Miss McDounny appena entrammo in classe.
 
“Ci scusi” rispondemmo noi in coro, raggiungendo i nostri posti in aula.


 

Spazio Autrice.

Buongiorno a tutti! Mi scuso già per non aver risposto ai messaggi che mi avete inviato, ma adesso rimedierò a tutti, e mi scuso per essere mancata per due settimane ma la scorsa settimana ho avuto varie commissioni da svolgere e sono riuscita solo ora a pubblicare il mio dodicesimo capitolo!
Anyway, spero vi piaccia e vi soddisfi.
In questo capitolo non c'è molta azione ma, dopo quello che è successo negli ultimi giorni alla povera Less, mi sembra più che ragionevole.
Ma non rilassatevi molto, perchè vi anticipo già che nel prossimo capitolo ci sarà un colpo di scena, e per niente piacevole.
Vabbe, io vi lascio c:
Se avete bisogno su twitter sono @aspettamiharry oppure potete semplicemente scrivermi qua.

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***




Trailer ufficiale:
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Capitolo 13
 


“Less, ehi Less” sentii bisbigliare Allie dietro di me.
 
Mi girai, controllando che Miss McDounny non ci notasse.
 
“Dimmi”
 
Allie, in risposta, mi passò un bigliettino con sguardo complice.
Mi voltai nuovamente e, senza farmi vedere, lo aprii.
 
Ho grandi novità. Mi è appena arrivato un messaggio da Louis, a quanto pare ci sarà una mega festa a casa di Jessica Hutcher, siamo tutte invitate! Sai, lei ci sa fare con le feste, sarà magnifico, poi saranno quasi tutti più grandi di almeno due anni rispetto a noi, ci sarà da divertirsi. Penso venga anche Harry, ma non ne sono sicura. Chiediglielo, magari andate insieme dato che c’è grande affiatamento tra di voi (eheheh).
Ah, comunque, qual è la risposta alla settima domanda? Non riesco proprio a capire perché l’autore ha deciso di raccontare la vicenda da due punti di vista, prima in prima persona, poi in terza. Cavolo cambia? La vicenda è sempre la stessa.”
 
Sospirai, ridendo, mentre finivo di leggere il messaggio della mia amica.
Cercai da qualche parte un pezzo di carta straccia per rispondere, ma non trovai niente. Non potevo certo strapparlo dal libro, conoscendo Miss MicDounny, sarebbe andata su tutte le furie.
 
“Lu, non è che hai un pezzo di carta?” chiesi a Lucy, non che mia compagna di banco.
 
Lei sfogliò svogliatamente il suo libro, da cui fuoriuscì un piccolo foglio rosa inutilizzato.
 
“Può andare bene?” mi chiese, porgendomelo.
 
Annuii, ringraziandola, dopo di che scrissi la mia risposta.
 
Una festa a casa di Jessica? Wow, sembra interessante. Ma innanzitutto devi dirmi il giorno e l’ora, sennò come faccio a dirti se posso? Scema. Comunque, mmh ok, sentirò Harry ma tanto penso abbia già ricevuto l’invito, fidati. Lucy e Sylvie lo sanno già? Magari ci andiamo tutte assieme con i ragazzi, sarebbe un’idea carina, anche perché alla festa avranno tutti minimo vent’anni e mi sentirei fuori luogo da sola. Be’, ti so dire.
Riguardo la faccenda dell’autore, sceglie di raccontare la vicenda prima in prima e poi in terza persona per farci notare che una persona spesso racconta un accaduto secondo la sua visione dei fatti mentre, se a raccontare è una persona esterna, ovvero il testo è raccontato in terza persona, abbiamo una chiara e veritiera versione dell’accaduto perché la persona che racconta non ha fini particolari nel raccontarci la storia, lo fa solo per farci sapere cos’è successo, niente di più. Infatti, se noti, la vicenda cambia leggermente sotto l’aspetto dei due punti di vista.”
 
Passai furtivamente il biglietto ad Allie, dopo di che impugnai la mia penna e continuai a svolgere il compito affidato dalla professoressa.
Non feci nemmeno in tempo a rispondere alla risposta successiva che una gomitata da parte di Lucy mi fece tracciare un segno scuro lungo tutta la pagina con la penna.
 
“Dio, Lucy! Guarda che mi hai fatto fare” sbuffai, prendendo il bianchetto per eliminare quel disastro.
 
“Oddio, scusa Less!” sussurrò lei, con occhi dispiaciuti “ti volevo solo dire che ho letto il bigliettino che hai mandato a Allie. Allora, anche tu ci vai?” mi chiese, tirandomi un’altra leggera gomitata su un fianco.
 
“Dove?” domandai, continuando a rimediare al guaio combinato dalla mia amica.
 
“Alla festa, scema!”
 
“Signorina Kimberly, vorrebbe cortesemente spiegare di cosa sta parlando con la signorina Morgan?” tuonò la McDounny, incrociando le braccia e fissandoci con sguardo seccato.
 
“Uhm, preferirei non parlarne prof, non è nulla di importante, non si preoccupi” rispose Lucy, sostenendo lo sguardo di Miss McDounny.
 
“La prossima volta che vi becco a disturbare parlando delle vostre cavolate non la passerete così liscia” concluse quest’ultima, voltandosi e ritornando a spiegare il ruolo che aveva ogni personaggio nel racconto.
 
“Allora?” sussurrò Lucy poco dopo “Ci vieni si o no?”
 
“Si, penso di si” risposi, continuando a fissare il mio libro.
 
“Perfetto” disse lei, sogghignando.
 
***
 
“Ciao, principessa”
 
Mi voltai di scatto, lasciando cadere il mio panino sul piatto. Dietro di me Harry mi guardò con un piccolo sorriso sinistro.
 
“Ehm, ehi Harry” risposi, ingoiando velocemente il boccone di pane che stavo masticando.
 
“Posso sedermi?” domandò, ma non feci nemmeno in tempo a rispondere che lui si era già accomodato tra me e Sylvie.
 
Le mie amiche lo guardarono in silenzio, continuando a sbocconcellare il loro pranzo.
 
“Come va, ragazze?” chiese il riccio, fissandole una ad una.
 
“Bene e tu, Harry, come te la passi?” chiese Lucy, afferrando saldamente il suo bicchiere di succo.
 
“Non male” rispose lui, alzando le spalle.
 
Ripresi a mangiare il mio panino.
Sentivo lo sguardo pressante di Harry su di me ma feci finta di nulla.
Quando finii il mio pranzo, Harry si avvicinò al mio orecchio.
 
“Ti devo parlare. Andiamo via da qui” sussurrò, stando attento a non farsi sentire dalle mie amiche che, nel frattempo, ci guardavano incuriosite.
 
“Mmh, ok” risposi, bevendo un sorso di acqua minerale.
 
“Ragazze, io ed Harry ci allontaniamo un attimo. Potete controllarmi la borsa? La lascio a voi”
 
Loro annuirono, vogliose di sapere che stava succedendo.
Io ed Harry ci allontanammo, raggiungendo un angolo isolato della scuola.
 
“Allora?” gli chiesi, impaziente.
 
“Volevo solo sapere come stavi. È da un po’ che non ci vediamo e sai, l’ultima volta eri un po’…”
 
“Sto bene, Harry. Se era solo questo che volevi chiedermi allora possiamo ritornare?” risposi, avviandomi verso il tavolo dove le mie amiche mi stavano aspettando.
 
“No, aspetta. James non ti ha più dato fastidio? Hai risolto qualcosa con Liam? Dimmelo” mi bloccò lui, afferrandomi per un braccio.
 
Mi voltai di scatto, liberandomi.
 
“Va tutto bene, davvero. James non si è più fatto sentire” mentii, pensando alle numerose chiamate negli ultimi giorni a suo nome “e di Liam preferisco non parlarne”
 
“È successo qualcosa?” mi chiese “Raccontami”
 
“Lascia stare, Harry. Non sei mio padre, non devi sempre sapere tutto quello che faccio o dico” risposi, dopo di che mi allontanai da lui, lasciandolo immobile e confuso.
 
Raggiunsi le mie amiche, camminando a passo svelto. Mi lasciai cadere sulla sedia, senza un parola.
 
“Che ti ha detto?” esordì Allie.
 
“Niente, lasciate perdere”
 
“Sicura?” ribatte Lucy.
 
“Sicura”
 
Sentii la campanella di fine pausa pranzo suonare, mi alzai dal mio posto, raccolsi la mia borsa e mi diressi verso l’entrata dell’edificio.
Mi voltai ma le mie amiche non erano dietro di me. Erano rimaste al tavolo e ora parlavano animatamente.
Sospirai e le raggiunsi.
Appena mi affiancai a loro si zittirono tutte nel medesimo istante.
 
“Di cosa stavate parlando?” chiesi, a braccia incrociate.
 
Le mie amiche si guardarono una ad una, agitate.
 
“Ehm, niente. Stavamo…” rispose Sylvie.
 
“Stavamo parlando della festa. Di come ci vestiremo, con chi andremo, cose così” finì la frase Lucy, sorridendo.
 
Le scrutai una ad una, dopo di che alzai le spalle.
 
“Vabbè, non venite? È suonata già da un pezzo” dissi.
 
Loro si alzarono, sparecchiando le loro cose. Aspettai che finissero, poi ci dirigemmo a braccetto dentro l’edificio.
Ci sistemammo ai nostri posti in aula, per fortuna il professore doveva ancora arrivare.
 
“Buongiorno, ragazzi. Oggi ho un lavoretto da farvi fare in coppia” esordì Mr Anderson, facendo il suo ingresso in classe.
 
“Dio, non siamo bambini dell’asilo” replicò a voce troppo alta Allie, provocando una risata generale nella classe.
 
“Signorina Rivers! Se lei si ritiene più matura per i lavori che vi assegno allora si può pure accomodare fuori dalla porta” ribatte Mr Anderson, avvicinandosi al banco della mia amica.
 
“Mi scusi” sibilò lei, seccata.
 
“Bene, se nessun’altro ha da dire la propria opinione, ora procederei pure con lo spiegare in cosa consiste il lavoro che vi affiderò oggi” disse Mr Anderson, dirigendosi verso la cattedra.
 
All’improvviso bussarono alla porta ed una donna di mezz’età entrò.
 
“Chi di voi è Less Morgan?” domandò, guardandosi intorno.
 
Alzai la mano.
 
“Hai una telefonata in segreteria” disse la donna, fissandomi.
 
Mi alzai, confusa. Chi poteva chiamarmi a quell’ora, mentre avevo lezione? Ma soprattutto, perché? Era successo qualcosa?
La donna mi accompagnò seria fuori dall’aula, fino agli uffici della segreteria.
 
“Tieni, è in linea” mi sussurrò, porgendomi un telefono.
 
Lo afferrai, dubitante.
 
“Ehm, pronto?” mormorai all’apparecchio.
 
Dall’altra parte mi giunse la voce di una donna spezzata dai singhiozzi.
 
“Less”
 
“Mamma? Che succede, mamma?!” risposi, stringendo sempre più il telefono.
 
Aspettai che mia madre, dall’altro capo, si calmasse.
 
“Riguarda Liam” pianse mia madre.
 
Un brivido mi percosse lungo la schiena.
 
“Che gli è successo?! Mamma, ti prego, parla!”
 
“L-lui è morto”
 
Il telefono mi cadde di mano e si schiantò sul pavimento con un tonfo.
La vista mi divenne confusa, tutto era sbiadito, sembrava di essere avvolti nella nebbia.
Afferrai la mensola vicino a me, sorreggendomi.
Le ultime parole pronunciate da mia madre mi rimbombarono nella mente ripetutamente.
 
“Ehi! Signorina, si sente male?!” sentii la voce della donna che poco prima mi aveva accompagnato nell’ufficio.
 
“I-io…” riuscii a mormorare, dopo di che tutto divenne buio.

 

Spazio Autrice.

Buongiorno a tuttiii. Mi scuso per il ritardo, ogni volta ci metto più del dovuto.. eh vabbè, perdonatemi c:
allooora, tutti aspettavano impazienti il colpo di scena... bene, penso che ci siate rimasti un po' male.
eh lo so, la perdita di Liam è un colpo grosso, anche perchè tutti vi aspettavate che lui dicesse a Less che l'amava... be', non posso anticiparvi niente, ma la vostra teoria non è ancora data per fasulla ehehe
ok, spero vi piaccia
grazie mille per le recensioni come sempre c:

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***




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Capitolo 14
 


Stropicciai gli occhi, guardandomi intorno. La luce fioca del sole filtrava tra le tende, illuminando la stanza. Camera mia.
Mi sollevai, spostando le coperte. Dio, avevo solo fatto un brutto sogno, bruttissimo. Ero a scuola e all’improvviso una segretaria mi aveva convocato, dicendomi di avere una chiamata in attesa. Avevo risposto e mia madre in singhiozzi mi aveva detto che Liam era morto. Sospirai, scendendo dal letto ma notai all’improvviso mia madre china ai piedi del materasso, con la testa tra le mani. Impallidii all’instante. Che ci faceva messa così mamma? Solo allora mi accorsi di indossare ancora l’uniforme scolastica. Le lacrime sgorgarono, fitte. Non era stato tutto un sogno.
Balzai in piedi e mi affiancai a mia madre.
 
“Mamma! Mamma, che è successo?!” urlai, scuotendola.
 
Lei sembrò svegliarsi e alzò il viso verso di me. Gli occhi erano rossi e gonfi, contornati da pesanti occhiaie scure, le labbra screpolate si mossero appena in un singhiozzo. Sembrò essere invecchiata di una decina di anni. La guardai tra le lacrime. La vista mi si offuscò.
 
“Mamma, ti prego, parla! Dov’è Liam?! Non è morto, l-lui…” la voce mi morì dentro.
 
Lei continuava a guardarmi, piangendo. Mi accarezzò i capelli, avvicinandomi a sé.
Io mi alzai velocemente e corsi fuori dalla stanza. Feci per scendere le scale quando notai un ammasso di gente in soggiorno. Patrick sedeva con la testa tra le mani sul divano e affianco stavano due poliziotti, uno con un taccuino in mano, l’atro con una mano sulla spalla del mio patrigno. All’entrata un gruppo di uomini in uniforme parlottava tra loro, un uomo in giacca e cravatta, invece, parlava animatamente al telefono.
Era tutto vero. Lui se n’era andato, per sempre.
Le gambe cominciarono a tremarmi e, incapace di sostenermi, caddi con un tonfo all’inizio degli scalini. Tutti si girarono contemporaneamente, Patrick compreso.
 
“Less” sussurrò.
 
Lo guardai con occhi velati, la vista si fece annebbiata.
 
“Andatevene tutti fuori, ora!” ordinò il mio patrigno, alzandosi dal divano.
 
I poliziotti provarono a ribattere ma lui li zittì e li fece uscire.
Poi, lentamente, salì le scale, faticando ad ogni gradino.
Io rimasi immobile dov’ero, le lacrime che continuavano a scorrermi lungo il viso.
Patrick si sedette affianco a me, senza dire una parola. Affondai il viso nel suo petto e mi sfogai.
 
***
 
“Secondo la dinamica dell’accaduto, vostro figlio sarebbe uscito molto presto questa mattina, più o meno verso le 7 in punto, senza dire che intenzioni aveva. Alle 13:45 circa è stato trovato il suo corpo nei pressi di St. Florence Avenue, deceduto più o meno un’ora prima, secondo l’autopsia, a causa di un overdose di medicinali. È stata confermata l’ipotesi di suicidio. Ora, secondo voi, vostro figlio avrebbe avuto motivo per suicidarsi? Si era comportato in modo strano nell’ultimo periodo? Avete notato qualcosa di diverso in lui?” appuntò un uomo in uniforme sul suo taccuino.
 
Mia madre e Patrick si guardarono, gli occhi ormai vitrei.
 
“I-io non ho notato niente di strano in lui… era un po’ cambiato, forse era diventato più riservato da quando era tornato dall’America” riuscii a rispondere mia madre.
 
“È stato in America?” chiese l’uomo, scrivendo velocemente ciò che aveva appena sentito.
 
“Si, con me. Abbiamo passato sei mesi in America, lui aveva frequentato un college” mormorò Patrick.
 
“Capisco, e avete notato un cambiamento evidente in vostro figlio dopo il ritorno?” investigò di nuovo l’uomo.
 
“Niente di rilevante” rispose mia madre.
 
“Bene, se questo è tutto, vi faremo sapere al più presto il resoconto completo dell’autopsia. Mi dispiace molto per vostro figlio. Accadono spesso cose del genere, non potete nemmeno immaginare a quanti casi di suicidio sono andato incontro in solo quest’anno. Le persone, a volte, decidono di farla finita, così, senza un motivo preciso. Sono stufi di tutto e…”
 
“I-io ho da dire qualcosa” lo interruppi, entrando in cucina, dove erano sistemati i miei genitori, uno affianco all’altro, e l’investigatore, davanti a loro.
 
Mi fissarono tutti e tre con occhi sorpresi.
L’uomo mi invitò a continuare.
 
“Liam era cambiato molto dopo il suo ritorno dall’America. Voi, probabilmente non l’avete notato, ma io si. Era diventato più scorbutico, più distaccato, più silenzioso e riservato. Non era più il solito Liam che io conoscevo, si era trasformato in uno sconosciuto per me. Tutto iniziò quando…” e raccontai di quando mio fratello picchiò James, della sua fuga in moto, di quando in cui non era ritornato a casa per tutto il giorno, della sera in cui l’avevo visto in quel locale a luci rosse, ubriaco e fatto.
 
Mamma e papà mi ascoltarono con occhi sbarrati, sussultando ad alcuni particolari del mio racconto. L’investigatore, invece, prendeva appunti freneticamente.
Finito il racconto crollai su una sedia a poca distanza da me, singhiozzando. Mia madre mi portò un bicchiere d’acqua e me lo porse con mani tremanti. Bevvi un sorso, dopo di che lo poggiai sul tavolo.
 
“Voi non sapevate niente di tutto quello che ha appena raccontato vostra figlia?” chiese l’uomo, rivolgendosi a mamma e a Patrick.
 
Loro scossero la testa, abbassando gli occhi.
 
“Detto questo, vi assicuriamo che ci faremo sentire al più presto per novità. Condoglianze ancora, arrivederci” ci salutò l’investigatore, stringendo la mano a tutti e tre.
 
Poi se ne andò, lasciandoci soli.
Mamma e Patrick non alzarono lo sguardo e con un lieve cenno del capo salutarono l’uomo.
Mi alzai da dove pochi attimi prima ero sprofondata e mi diressi fuori dalla stanza.
 
“Less, dove stai andando?” sentii la voce di mia madre chiamarmi.
 
“Via da qui” risposi, senza voltarmi.
 
Spalancai la porta ed uscii, correndo sul vialetto di casa.
Sentii mamma e papà chiamarmi, urlarmi di ritornare indietro, ma li ignorai.
Corsi senza metà lungo la strada che portava al porto.
Corsi tra le lacrime, con la vista offuscata e un urlo straziante dentro di me. Le gambe stanche dolevano dalla fatica ma si ostinavano a correre, sempre più veloce. Non avevo un obbiettivo preciso, volevo solo andarmene da tutto, ma sapevo di non potere. Avrei solo peggiorato le cose facendo come Liam, lasciandomi tutto alle spalle e uccidendomi. Era solo un’idea stupida ma, forse, anche la più sensata. Era troppo da affrontare per me, sentivo che non ce l’avrei mai potuta fare, non sarei mai riuscita a superare tutto questo. Corsi con ancora più foga. Mrs Maxwell, l’insegnante di educazione fisica, sarebbe stata fiera della gambe, se solo mi avesse visto sfrecciare in quel modo.
Gli occhi continuarono a riempirsi di lacrime. Ormai ero sola, intorno a me non c’era nessuno. Mi diressi verso il portico che porta al vecchio capanno in riva all’oceano. Era una vecchia casa in legno appartenente a qualche pescatore ormai deceduto. Da anni nessuno più ci si avvicinava.
Cercai di asciugarmi le lacrime con il dorso della mano, tutto davanti a me era come avvolto nella nebbia. All’improvviso le gambe cedettero e inciampai, rovinando a terra tra i cespugli e gli arbusti secchi. Rimasi sdraiata lì, singhiozzando. Sentii un forte bruciore sul gomito e lungo la coscia. La caviglia mi faceva malissimo, non riuscivo a muoverla. Mi sentii così impotente. Non riuscivo nemmeno ad alzarmi. Come avrei fatto a ritornare a casa? Sarei stata a marcire su quell’umido terreno. I singhiozzi aumentarono di quantità e intensità. Avrei voluto solo addormentarmi e non svegliarmi mai più.
 
“Ehi, chi è là?” sentii una voce familiare domandare poco distante da me.
 
Proveniva dal capanno.
Sentii dei passi avvicinarsi, chiusi gli occhi e rimasi immobile, ad aspettare.
 
“Less?” avvertii la sua presenza affianco a me, il suono della sua voce roca.
 
Mi sfiorò la guancia con le dita morbide e lunghe, io rimasi con gli occhi chiusi sotto il suo tocco.
Percepii il terreno allontanarsi sotto di me e le sue grandi braccia possenti prendermi e stringermi al petto.
Quando aprii gli occhi mi ritrovai dentro il capanno, accomodata sopra un vecchio divano di pelle scura. Harry sedeva davanti a me, a braccia incrociate. Mi guardò con sguardo cupo e una ruga interrogativa si formò sulla sua fronte.
“Che ci facevi lì, sdraiata sul terreno e sanguinante?” mi chiese, fissandomi con i suoi grandi occhi smeraldo.
 
Dove prima le ferite aperte mi bruciavano ora erano state avvolte della fasce bianche. Feci per alzarmi ma ricaddi sul divano, lanciando un urlo. Un dolore lancinante mi prese la caviglia. Harry si alzò e si accovacciò su di me.
 
“Penso che tu te la sia leggermente slogata” affermò, toccandomi appena “ma niente di grave, nel giro di qualche giorno non ti farà più male”
 
“Grazie, Harry” mormorai.
 
Lui si voltò verso di me, un piccolo sorriso quasi impercepibile si formò sul suo viso.
 
“Mi racconti che è successo ora, dolcezza?” mi domandò, con tono affievolito.
 
“I-io… Liam, lui… ero disperata… è morto, si è suicidato… io non sapevo che fare… sono scappata e…” sussurrai, con voce spezzata, senza riuscire a costruire una frase di senso compiuto.
 
Harry spalancò lentamente gli occhi.
 
“Come sarebbe dire ‘morto’?”
 
“S-si è suicidato questa mattina” risposi e gli occhi, ormai ridotti a due fessure arrosate, si riempirono nuovamente di lacrime calde.
 
Harry rimase muto, mi prese le mani e se le portò al viso.
Le baciò delicatamente e poi le ripose sulle mie cosce.
 
“Mi dispiace molto, Less. Vuoi parlarne?” mi chiese dolcemente.
 
“E-era così strano, dovevo accorgermene. È stata tutta colpa mia” dissi, tra i singhiozzi che ricominciavano.
 
“Ehi, non è colpa tua se ha fatto quel che ha fatto” rispose lui, avvicinandosi a me.
 
Si sedette sul pavimento polveroso, avvolse le mie gambe tra le braccia e appoggiò il mento sulle mie ginocchia, fissandomi dal basso.
Passai le dita tra i suoi capelli, afferrai saldamente i suoi riccioli e poi li lasciai ricadere lungo la sua fronte.
Rimanemmo così per un tempo che mi parve infinito.
Dopo di che, Harry si alzò, aprii un piccola mensola dall’altra parte della stanza e ne tirò fuori una confezione di pane all’olio, la schiuse e prese una fetta, porgendomela. La mangiai anche se non avevo molta fame. Lui si sedette affianco a me sul divano con una fetta in mano.
 
“Non sapevo che questo capanno fosse arredato” mormorai, guardandomi attorno.
 
“Ti dirò un segreto” rispose Harry “io ci vengo sempre qui. Sono stato io a sistemare tutti i mobili, il divano e a mettere un po’ in ordine. È un po’ la mia seconda casa, se vuoi, può diventare anche la tua”
 
Lo baciai, prendendogli il viso tra le mani, e sentii le sue labbra vellutate curvarsi in un sorriso al contatto con le mie.
 
“Ti amo” sussurrò Harry.

 

Spazio Autrice.

Ciao a tutti, allora in molte sono rimaste sconvolte dalla morte di Liam, come ho visto dalle recensioni e dai messaggi.
eh già, è stata proprio una brutta sorpresa...
comunque ecco qui il quattordicesimo capitolo gente c:
per dire, è uno dei miei preferiti tra tutti quelli che ho scritto, boh mi piace, soprattutto l'ultima parte.
Spero piaccia anche a voi
grazie mille come sempre per le recensioni e i complimenti, ve se ama.
se avete bisogno potete contattarmi qui o su twitter, sono @aspettamiharry c:

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***




Trailer ufficiale:
 http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ

Capitolo 15
 


Mi svegliai con le labbra secche e increspate. Ci passai la lingua, bagnandole un po’, dopo di che mi guardai intorno, ignara di dove fossi. Mi sollevai leggermente ma un braccio muscoloso mi tenne fissa in quella posizione. Sentii il respiro regolare di Harry sulla mia nuca. All’improvviso ricordai dov’ero e perché.
Ormai si era fatto giorno, la sera prima avevo cenato con Harry nel capanno e non ero ritornata a casa, poi ci eravamo addormentati abbracciati sul divano.
Tentai nuovamente di spostarmi ma il riccio mi tenne ancora più stretta a sé. Gli presi la mano e giocherellai con le sue dita.
 
“Harry” sussurrai, accarezzandogli le nocche ruvide.
 
Lui non si mosse e la regolarità del suo respiro non cambiò.
Sollevai di qualche centimetro il braccio possente che mi teneva incatenata a lui e scivolai via, cadendo con un tonfo sul pavimento polveroso.
Solo allora compresi di avere la caviglia ancora dolorante.
Sentii un gemito e vidi la testa di Harry sbucare da sopra il divano.
Sbadigliò assonnato e si strofinò gli occhi socchiusi.
 
“Less, che ci fai distesa per terra?” mi chiese con tono divertito.
 
“Aiutami, sono caduta” mormorai, imbarazzata.
 
Lui si mise seduto e, senza alcuno sforzo, mi sollevò e mi fece sedere accanto a lui.
 
“Ti fa ancora male?” domandò, fissandomi la caviglia gonfia.
 
“Abbastanza” ammisi, preoccupata.
 
Lui mi guardò con sguardo protettivo e mi dette un bacio in fronte.
 
“Preparo la colazione, poi tu ritorni a casa e ti fai vedere da un medico” affermò, dirigendosi verso il frigo.
 
“No, non voglio tornare a casa” piagnucolai, con voce infantile.
 
Harry rise tra sé e sistemò sul tavolo due tazze e due fette di pane con del prosciutto. Scaldò il thè sul fornello e lo verso nelle tazze. Dopo di che mi porse un panino e una tazza, sistemandosi accanto a me. Consumammo la nostra colazione in silenzio.
 
“Devi andare a casa, lo sai. I tuoi saranno molto preoccupati” disse, appena finì di mangiare la sua colazione.
 
Andò al lavello e cominciò a sciacquare la tazza e le stoviglie risiedenti lì ancora da ieri sera.
 
“L’unico luogo in cui non voglio andare ora è casa mia” mormorai, scuotendo il thè nella tazzina.
 
“Ti capisco, ma pensa a come si staranno sentendo i tuoi genitori in questo momento. Non sei l’unica a stare male” mi rispose, voltandosi a guardarmi.
 
Annuii, portandomi indecisa la tazza alla bocca.
 
Quando Harry ebbe finito di lavare il resto dei piatti sporchi mi aiutò ad alzarmi e ci dirigemmo fuori dal capanno.
Lui mi sollevò, prendendomi in braccio.
 
“Che intenzioni hai?” chiesi, sorpresa.
 
Lui abbassò il viso angelico su di me, con sguardo di sfida.
 
“Non lo vedi?” sussurrò, dopo di che si mise a camminare velocemente verso il porto.
 
Tutte le persone accanto a noi si girarono stupite e sorrisero alla vista di me e Harry, lui che mi teneva in braccio, sicuro e protettivo.
Arrivammo ad un parcheggio e il riccio si diresse verso la sua auto.
 
“Eccoci qui, dolcezza” disse, lasciandomi andare.
 
Mi aprì la portiera e io arrancai all’interno della vettura, sistemandomi sul sedile.
Si sedette al posto del conducente e mise in moto.
Nel giro di pochi minuti ci trovammo davanti a casa mia.
Zoppicai lungo il vialetto d’ingresso, sostenuta da Harry, e suonai il citofono.
Mia madre aprì la porta.
Gli occhi contornati dalle rughe si spalancarono.
 
“Oh Less, sei tu!” esclamò buttandomi le braccia al collo.
 
Io inciampai all’indietro e Harry mi afferrò prima che cadessi di schiena sulla ghiaia.
 
“Che ti è successo?” chiese mia madre, notando la caviglia gonfia ed il mio andare insicuro.
 
“È caduta e penso che si sia slogata una caviglia. Sarebbe meglio farla visitare da un medico” rispose prontamente Harry.
 
“È meglio che entriate entrambi” sussurrò mamma.
 
Ci fece accomodare sul sofà e si sedette sulla poltrona, davanti a noi.
 
“Perché sei sparita, Lee? Io e Patrick eravamo in pensiero, credevamo che ti…” e non finì la frase, prima di scoppiare in singhiozzi.
 
“Mamma, calmati” mormorai, allungandomi ad accarezzarle la spalla “ero con Harry… sono scappata di casa, dirigendomi al porto. Stavo correndo e all’improvviso sono caduta. Harry mi ha trovata e mi ha soccorsa”
 
Mia madre guardò con sguardo di gratitudine il mio soccorritore.
 
“Grazie, Harry” sussurrò.
 
Lui, di risposta, foggiò un leggero sorriso.
 
 
***
 
Harry si fermò a mangiare da noi, sotto pressante richiesta di mia madre.
Il pranzo passò normalmente, nonostante ora, al posto di Liam, ci fosse Harry.
Patrick parlò animatamente con lui, nonostante si leggesse ancora in volto un’espressione triste e sconvolta.
Parlarono del più e del meno, di come si trovasse Harry ad affrontare l’ultimo anno di liceo, delle materie che preferiva, di ciò che avrebbe voluto fare appena si fosse trovato fuori, nel mondo del lavoro.
Harry parlava, tra un boccone e l’altro, incerto. Teneva buone maniere a tavola ma, nonostante questo, sembrava non essere completamente a proprio agio, notai benissimo che non era abituato a situazioni del genere.
Appena finito di pranzare i miei mi concessero di salire in camera con Harry. Non mi avevano mai permesso di portare un ragazzo di sopra, senza la loro presenza. Probabilmente si fidavano del riccio.
Lo accompagnai in camera, sorreggendomi sulle stampelle che i miei genitori mi avevano procurato, e lo feci sedere sul mio letto, chiusi la porta e mi accomodai davanti a lui, al bordo del materasso.
 
“Vieni più vicino, Lee” mi incitò Harry “così rischi di cadere”
 
Mi feci più vicina a lui, incerta.
Ci guardammo per qualche attimo, all’improvviso io abbassai lo sguardò, non riuscendo più a sostenere il suo, sicuro e deciso.
Lui mi prese il mento e rialzò il mio viso, avvicinandolo al suo.
Increspò le labbra e mi baciò delicatamente.
Mi sorrise.
Era un sorriso non sfacciato e disinvolto, come quelli iniziali, ma era sincero e sereno.
Per la prima volta mi resi conto della bellezza che avevo davanti. Una bellezza naturale e vera, di quelle rare, di quelle che sono capaci di farsi notare in mezzo ad una folla, di quelle che ti fanno voltare e rimanere a bocca aperta. Per la prima volta sentii, in qualche modo, di essere fortunata.
Affondò il viso tra i miei capelli, sfiorò il mio collo con le labbra piene e morbide e lasciò una piccola scia di baci brevi e leggeri.
Brividi di piacere percorsero la mia schiena.
Avvolsi il suo collo con le braccia e lo avvicinai ancora più a me, premendo il corpo contro il suo. Divaricai le gambe e mi sedetti sopra le sue, dopo di che le serrai intorno alla sua vita, facendo attenzione a non sforzare la caviglia dolorante.
Lui mi accarezzò la schiena sotto la maglietta, le dita lunghe e affusolate disegnarono cerchi lungo il loro percorso.
Poggiai le labbra lungo i lineamenti della mascella, lo baciai fino a scendere alla cavità della scapola.
Strofinai il naso in quel punto, poi cominciai a lasciare piccoli morsi lungo la pelle del collo.
Harry emise un sospiro di piacere e io continuai più decisa.
Feci per abbassarmi al petto ma lui mi fermò.
 
“Guarda che non mi devi dimostrare niente, sai?” esclamò, divertito.
 
“Volevo solo… mi sembrava che, insomma, ti facesse piacere” risposi, arrossendo sempre più.
 
Lui soffocò una risata e si chinò a baciarmi.
 
“Ovvio che mi fa piacere, ma non devi sentirti costretta solo per farmi divertire” sussurrò, dopo di che si alzò con un sorriso e mi lasciò seduta, con il viso prevalente al porpora, in mezzo al letto.
 
Si diresse verso la finestra che dava sul vialetto di casa e guardò fuori con sguardo pensieroso.
Rimasi a fissarlo per un tempo indeterminato in silenzio.
 
“Secondo te, cosa ha spinto tuo fratello a fare quello che ha fatto?” mi chiese, alla fine.
 
Rimasi muta, non sapendo che rispondere.
Lui si voltò verso di me, fissandomi con un’espressione strana in volto.
 
“S-se lo sapessi magari avrei agito” risposi, con voce sommessa “gliel’avrei impedito”
 
“E se non si fosse suicidato? Se fosse stato ucciso?”
 
A quelle parole rabbrividii.
 
“No, è impossibile” affermai, non molto sicura, però “e poi l’autopsia l’ha dimostrato. Si è suicidato, overdose di medicinali”
 
Lui si voltò nuovamente verso la finestra, dandomi le spalle.
Restò qualche minuto così.
Infine si girò e avanzò verso la porta.
 
“Devo andare, Less. Ci vediamo” mi salutò.
 
Lo sentii scendere le scale, salutare i miei genitori e infine chiudersi la porta di casa alle spalle.
Arrancai velocemente verso la finestra, mi affacciai e lo vidi camminare lentamente lungo il vialetto.
All’improvviso si girò nella mia direzione e mi fissò, abbassando di nuovo lo sguardo dopo pochi attimi.
Stava piangendo.
 

Spazio Autrice.

Ecco qui, in ritardo di due settimane, il quindicesimo capitolo!
chiedo umilmente perdono per il mio ritardo ma ho passato una settimana al mare e non mi sono potuta collegare.
risponderò a tutti i vostri messaggi oggi, non vi preoccupate.
btw spero che questo capitolo vi piaccia e che continuiate a seguire la mia ff come avete fatto fino ad ora.
grazie mille a tutti per le recensioni e i commenti, soprattutto per le 1500 letture al primo capitolo, ve se ama.
ok, mi dileguo
se avete bisogno su twitter sono @aspettamiharry oppure potete tranquillamente contattarmi qui.

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***




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Capitolo 16
 


Ebbi la tentazione di fermarlo e chiedergli che stesse succedendo, ma non lo feci.
Chiusi le tende della finestra e arrancai verso il letto. Proprio in quel momento qualcuno bussò.
Sentii la voce di mia madre chiamarmi da dietro la porta.
 
“Entra” dissi.
 
Mamma socchiuse la porta e si affacciò.
 
“Tutto bene, tesoro?” mi chiese, corrugando la fronte.
 
“Tutto bene” ripetei le sue stesse parole.
 
Si avvicinò al letto e fissò la mia caviglia gonfia. Era leggermente migliorata rispetto a prima.
 
“Ti fa ancora male?” mi domandò, come se nel giro di qualche ora la caviglia dolorante potesse guarirsi da sola.
 
“Secondo te?” ribattei, alzando gli occhi al cielo.
 
Lei annuii pensierosa, voltandosi.
 
“Sta per arrivare il medico, sarà qui nel giro di pochi minuti”
 
Dopo di che si chiuse la porta alle spalle, accennando un debole sorriso.
Restai stesa a fissare il soffitto, le braccia incrociate dietro la nuca.
Ripensai alle parole di Harry. Al suo sguardo sofferente mentre stava percorrendo il vialetto di casa.
Sapeva qualcosa?
Perché aveva affermato che sarebbe stato possibile che qualcuno avesse ucciso mio fratello o lo avesse spinto a suicidarsi di proposito?
Dovevo assolutamente parlargli, chiarire questo argomento. Non potevo fare finta di niente, era ovvio che c’era qualcosa sotto.
Qualcosa di grosso.
Presi in mano il cellulare, cercai il numero di Harry in rubrica e feci partire la chiamata.
 
“Il numero da lei chiamato al momento può essere occupato o non raggiungibile. Richiami più tardi o lasci un messaggio dopo il bip…”
 
Spensi la chiamata.
Magari stava chiamando qualcuno o era giù al porto, là c’era sempre poco campo.
Avrei riprovato più tardi.
 
“È permesso?”
 
Mi girai di scatto verso la porta.
Gli occhi sorridenti e rassicuranti del dottore mi guardarono da dietro l’uscio.
 
“Entri pure, dottore” lo feci accomodare.
 
Lui mi si avvicinò lentamente e si sedette accanto a me.
 
“Sono giorni difficili questi, eh Less?” mi chiese, anche se più di una domanda sembrava un’affermazione.
 
“Già” mormorai, abbassando lo sguardo.
 
Sentii il suo sguardo comprensivo su di me.
Mi strofinò una mano sulla schiena.
 
“So che è difficile, Less. Col tempo vedrai che passerà… il tempo risana le ferite, no? So che sei una ragazza forte. È una brutta perdita, quello che è successo è terribile, ma lui ti vorrebbe felice”
 
“Felice?!” scoppiai, all’improvviso “per cosa dovrei essere FELICE?! Mio fratello ieri si è suicidato e io dovrei far finta di niente, sorridere ed essere felice?!”
 
“I-io non intendevo…” replicò il medico.
 
“No, lei intendeva proprio questo! No, non sono forte, ok?! Ho appena perso una delle persone più importanti nella mia vita e dovrei fregarmene solo perché Liam mi vorrebbe felice?! MA CHE NE SA LEI?! Come si fa ad essere felici dopo quello che è successo?! L’unica cosa che voglio fare è piangere fino a consumarmi, non me ne frega un cazzo del resto!” urlai, tra le lacrime.
 
“Less, calmati!” intervenne all’improvviso Patrick, spalancando la porta della mia stanza “Che succede qui?”
 
“Niente” risposi, asciugandomi velocemente le guance bagnate.
 
“È un brutto periodo, si stava solo sfogando” aggiunse il dottore, con tono tranquillo “dai, Lee, guardiamo come sta la tua caviglia”
 
Dopo di che mi sorrise, come se non fosse successo nulla.
Lo guardai diffidente.
Mi toccò la caviglia, scrutandola con occhi attenti per qualche secondo. Mia madre e Patrick se ne stavano appoggiati allo stipite della porta, guardando il lavoro del medico.
 
“Direi che non è niente di preoccupante, una leggere slogatura. Prendi gli antibiotici che adesso ti prescriverò e tienila al riposo, non serve fare i raggi, non c’è niente di rotto. Nel giro di pochi giorni sarai come nuova” affermò, alla fine.
 
“Grazie dottore” miagolò mia madre.
 
“Si figuri” disse lui, sorridendo “stammi bene, Less”
 
Dopo di che mi rivolse uno sguardo strano, si girò e si avviò fuori dalla stanza.
I miei lo accompagnarono giù, mentre io fissavo la ricetta dei medicinali che avevo in mano.
Tutti nomi di cui non sapevo il significato e non mi interessava scoprirlo. Basta che funzionino.
 
“Less, ci sono le tue amiche giù in salotto. Sono appena arrivate. Le faccio salire?” si riaffacciò nella mia camera mamma.
 
“Si, falle pure salire” risposi, rigirandomi il foglietto tra le dita.
 
Allie, Lucy e Sylvie entrarono come furie nella stanza con occhi lucidi.
 
“Oh, Less” esclamarono in coro, prima di abbracciarmi una ad una.
 
Io rimasi immobile, non sapendo come comportarmi.
 
“Ci dispiace così tanto per quello che è successo” esordì Lucy “oggi non eri a scuola e ci siamo preoccupate, poi girava voce che… si, insomma… tuo fratello si fosse suicidato”
 
“È una cosa bruttissima” sussurrò Allie.
 
“Noi, siamo qui per te, se hai bisogno… siamo solo passate a vedere come stavi ed a farti un po’ di compagnia” concluse Sylvie.
 
Ammiccai un debole sorriso.
 
“Mi fa piacere che siate venute” mormorai.
 
***
 
“Ragazze, scusate se vi disturbo, ma vi posso portare qualcosa? Non so, dei biscotti, del thè” mia madre entrò cautamente nella stanza.
 
Le mie amiche fecero segno di non voler niente così mia madre ritorno in cucina.
 
“Quindi tu credi che tuo fratello sia stato assassinato?!” esclamò, con voce stizzita, Allie, dopo aver ascoltato il mio racconto su ciò che era successo negli ultimi due giorni.
 
“Shh, parla a bassa voce” rimproverai la mia amica “non ho detto che sono convinta, dico solo che c’è una possibilità. Harry sa qualcosa e quando mi ha chiesto se secondo me Liam poteva non essersi ucciso ma che qualcuno lo avesse assassinato sembrava nascondere qualcos’altro sotto quelle parole. Io voglio sapere cosa”
 
Le mie amiche mi fissarono con occhi spalancati.
Probabilmente erano rimaste sconcertate dalla mia idea di pensiero.
Non era da escludere niente.
 
“Ma hanno accertato che si è trattato di un caso di suicidio” replicò Sylvie.
 
Riflettei per qualche secondo prima di rispondere.
 
“Nulla è veramente accertato. L’hanno visto mentre si uccideva? Non penso proprio. Pensateci un attimo” mormorai “quanto è facile sparare ad una persona, eliminare le proprie impronte sulla pistola e poi mettergliela in mano, inscenando così un finto suicidio”
 
“Ma qui non si tratta di una sparatoria, qui si tratta di farmaci. Sai, molti si suicidano così, avvelenandosi. È più probabile quindi che sia stata una sua decisione farla finita” affermò Lucy, che fino ad allora non aveva emesso parola.
 
Mi presi la testa tra le mani.
Gli occhi mi si inumidirono.
 
“I-io non trovo ragione per cui Liam abbia voluto uccidersi” singhiozzai “certo, si comportava in modo strano ma…”
 
Non riuscii a concludere la frase, non sapendo che altro aggiungere per giustificare la mia ipotesi.
 
“Ehi, Less, ci siamo noi qui con te”
 
Le mie amiche mi avvolsero in un abbraccio di gruppo.
Sapevo di poter contare su di loro.
Sapevo che, qualunque cosa fosse successa, loro sarebbero rimaste.
 
“Questo brutto periodo lo passeremo assieme, non ti lasceremo da sola” sussurrò Lucy, accarezzandomi i capelli.
 
“Grazie” mormorai, stringendomi a loro.
 
Tutte e tre sorrisero, prendendomi le mani.
Le guardai, pensierosa.
Dovevo prendere una decisione.
Indagare meglio o lasciar perdere.
Lasciare perdere sarebbe significato ignorare le parole di Harry, il suo pianto, ignorare i sospetti che stavano accrescendo, sempre più, dentro di me.
No, non era concepibile.
 
“Sentite, ragazze” esordii “non ci riesco. Non riesco ad ignorare tutto questo. Io credo che ci sia qualcosa sotto. Qualcosa che forse nemmeno riusciamo ad immaginare. Le parole di Harry mi hanno sconvolto ma, in parte, anche fatto riflettere. Io voglio andare a fondo in questa storia, voglio saperne di più. Liam era mio fratello e, se veramente gli fosse successo qualcosa, voglio scoprirlo, fargli giustizia. Probabilmente ora nemmeno mi crederete, ma io non mi arrendo. Questo è solo l’inizio. Devo scoprire quello che gli è successo”
 
Presi un lungo respiro, dopo aver detto quello che pensavo.
Con o senza loro io avrei cominciato a cercare, a indagare meglio su questa faccenda.
 
“No, non devi scoprire che gli è successo” affermò decisa Sylvie.
 
Dobbiamo scoprirlo tutte insieme” aggiunse Allie.
 
“Siamo con te, Less” concluse Lucy.
 
Le guardai sorridendo.
 
“È finito il tempo di piangere, adesso è ora di agire”


 

Spazio Autrice.

Ciao a tutti c:
allora, ecco qui il sedicesimo capitolo.
in questo capitolo non c'è molta azione, è per lo più riflessivo, un momento di pausa per far prendere un po' di fiato alla nostra povera Less.
Sarò breve ahahah
allora, grazie mille ( come ripeto ogni santa volta ) a tutti quelli che stanno seguendo la mia storia, la mettono tra le preferite o la recensiscono, siete davvero in tanti, mi fa piacere.
Spero che questo capitolo vi soddisfi e vi spinga ad andare avanti con la lettura, come avete finora fatto.
detto questo, mi dileguo
se avete bisogno potete contattarmi qui o su twitter (@aspettamiharry)

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***




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Capitolo 17


Mi alzai coprendomi gli occhi dalla luce del sole che filtrava delicata tra le tende.
Mi sistemai sul un lato per scorgere la sveglia sul mio comodino.
Segnava le 8:45.
Ricacciai la testa sotto le coperte e rimasi immobile, con gli occhi chiusi, aspettando che il tempo passasse.
Era strano come, nel giro di poco tempo, le cose potessero cambiare. Un giorno uscivi spensierata con i tuoi amici, sembrava che tutto andasse per il verso giusto, che la vita, una volta tanto, ti sorridesse. Poi si stravolge tutto, come se fino ad allora Dio ti avesse solo illuso, preso in giro. Succede all’improvviso, qualcosa di inaspettato, che cambia le carte in gioco.
Allora, quello che prima ti sembrava essere meraviglioso appassisce e ciò che era considerato inutile e senza importanza prende una luce nuova.
È come se fossimo burattini nelle mani di un burattinaio, crediamo di poter decidere come le cose devono andare ma ci sbagliamo.
Basta un attimo per farci crollare, le fila che ci tengono sospesi si rompono e noi cadiamo a terra.
Sentii schiudersi, all’improvviso, la porta di camera mia.
Rimasi immobile, fingendo di dormire.
 
“Less” avvertii il tono cauto di mia madre mentre si avvicinava.
 
Tenni chiusi gli occhi.
 
La sentii chinarsi su di me, scrutandomi dall’alto.
 
“So che non stai dormendo” affermò, in un sussurro.
 
Rimasi ferma nella mia posizione, cercando di mantenere regolare il mio respiro.
 
“Ti vedo mentre corrughi gli occhi. Sei sveglia” aggiunse, passandomi una mano sulla fronte.
 
Sospirai e finalmente aprii gli occhi.
 
“Come va tesoro?” mi chiese, accennando un sorriso stanco che, ormai, appariva spesso sul suo viso, come se cercasse inutilmente di convincersi che tutto si sarebbe sistemato facilmente.
 
Mi stiracchiai, stropicciandomi gli occhi.
 
“Come vuoi che vada?” mormorai, con voce rauca.
 
Lei annuii, passandomi ancora la mano sul viso.
 
“Capisco come ti senti, Lee, ma non puoi stare tutta la mattina rintanata sotto le coperte”
 
“Mamma” a quelle parole mi scappò una piccola risata “sono solo le 9 di mattina e poi la scuola è finita ieri, ricordi? In questo momento ho tutto il diritto di restarmene distesa qui”
 
Lei sorrise nuovamente, accennando le sottili rughe attorno agli occhi arrossati. Dopo di che si girò e si diresse verso la porta.
 
“Quando vuoi scendi, la colazione è già pronta”
 
Mi girai supina e rimasi qualche attimo a contemplare il soffitto, prima di alzarmi e spalancare le finestre.
Accesi il cellulare e sfoglia con non attenzione i messaggi che avevo salvati, finchè lo sguardo mi balenò su uno firmato -H.
Lo aprii e lessi le poche righe digitate.
 
Ehi, Lessy
Mi dispiace di essermene andato in quel modo da casa tua l’ultima volta che ci siamo visti e di aver fatto tutta quella scenata sul fatto che Liam non si fosse suicidato ma si fosse trattato di omicidio. Dimentica tutto. Ero sconvolto, come tutti, dopo quello che è successo, non ci stavo con la testa.
Spero tu possa capire, -H.”
 
Rilessi più volte il messaggio, cercando di capire meglio ciò che volesse dirmi. Nonostante le sue parole sentivo che c’era qualcosa che non andava come se, in realtà, quel che aveva scritto era solo una falsa giustificazione per ciò che era successo.
Composi il suo numero e attesi.
 
“Pronto?” rispose la sua voce roca dall’altro capo.
 
“Ehi, Harry” dissi, con voce incerta.
 
“Less”
 
“Ho letto il messaggio, ti volevo solo dire che ho bisogno di parlarti”
 
Attesi una sua risposta ma sentii solo il suo respiro frequente attraverso il ricevitore.
 
“Dimmi quando vuoi che ci incontriamo” aggiunsi “Harry, ho veramente bisogno di parlare con te, ti prego. È riguardo tutta questa situazione, sono confusa. Ho riflettuto bene sulle parole che mi avevi detto quel giorno e…”
 
Mi bloccai, non trovando le parole giuste per continuare.
 
“E penso che tu in un certo senso abbi ragione. Forse non si è trattato di un semplice suicidio” conclusi, dopo qualche attimo.
 
Sentii la linea interrompersi e un TUU-TUU frequente sostituire il suono regolare del respiro di Harry.
Imprecai tra me e me, ricomponendo il numero.
Dava linea occupata.
Che stava succedendo?!
Gettai il cellulare sul letto e mi diressi in cucina per fare colazione, lì trovai mamma e Patrick seduti al tavolo a consumare il pasto.
 
“Ehi” li salutai, pettinandomi i capelli con le dita.
 
“Buongiorno, Less” rispose Patrick, sorridendomi.
 
Mi accomodai al mio solito posto e mangiai il mio toast in silenzio.
 
“Hai impegni per oggi?” mi chiese mia madre, sorseggiando il suo thè.
 
Riflettei un momento, prima di rispondere.
 
“Pensavo di andare a fare una visita a casa di un mio… amico” affermai, infine.
 
“Amico?” aggiunse lei, scrutandomi da dietro la grande tazza bianca.
 
“Harry” sussurrai, arrossendo leggermente.
 
“Ah, capisco” disse lei, in tono del tutto tranquillo.
 
Annuii, alzandomi per andarmene ma Patrick mi afferrò per un braccio e mi bloccò.
 
“Less, aspetta”
 
Lo guardai con aria interrogativa, poi capì quello che stava per annunciarmi, data la sua espressione appena comparsa in volto.
 
“Come probabilmente già sai, tra pochi giorni ci sarà il funerale di… tuo fratello” indugiò sulle ultime due parole “abbiamo pensato di organizzarlo nei prossimi due giorni. Sarà dopodomani”
 
Lo guardai, soffermandomi sul suo sguardo. Aveva un non so che di strano, di diverso. Il viso era corrugato in un’espressione che non sapevo tradurre. Il suo tono e la sua bocca cercavano in tutti i modi di coprire ciò che gli occhi volevano dire. Il suo sguardo era vuoto e le pupille dilatate e vacue.
Le labbra tremavano sotto lo sforzo di mostrare un uomo forte e non un debole essere umano.
Presi entrambe le sue mani tra le mie e le strinsi forte.
Dopo di che gli rivolsi un piccolo sorriso e mi voltai, uscendo dalla stanza.
Andai in bagno, mi feci una doccia veloce e mi cambiai frettolosamente.
Presi la borsa ed uscii di casa.
Recuperai la bicicletta in fondo al cortile e provai a ricordare l’indirizzo di casa che Harry mi aveva detto la sera del ballo. La sua casa si trovava lungo la London Road, avrei potuto passare in rassegna tutte le case fino a trovare quella marchiata “Styles”.
Raggiunsi la via, accaldata, e rallentai per scorgere i nomi dei vari risiedenti nelle molte case che si affacciavano sulla strada.
Dopo una ventina di edifici sentii la speranza placarsi dentro di me pian piano.
 
“Cerchi qualcuno, dolcezza?” sentii una voce alle mie spalle.
 
Mi girai all’improvviso, riconoscendo il biondo con cui Harry aveva parlato tanto amichevolmente al ballo.
 
“Ehm… Niall, giusto?” chiesi, cercando di apparire tranquilla.
 
Il ragazzo si avvicinò, fissandomi sorridendo.
 
“Esatto, e tu sei la ragazza di Haz se non sbaglio, bellezza”
 
“No, non sono la sua ragazza. Ero al ballo con lui” ribattei “niente di più”
 
Cercai di convincere di più me stessa che lui.
Niall mi fissò, era evidente che non mi credeva.
 
“Se stai cercando Harry, è la casa rossa in fondo, la scorgi da qua” sospirò, indicandomi una piccola villetta rossa a fine via.
 
“Grazie” accennai un sorriso, rimontando sulla bicicletta.
 
“È stato un piacere” rispose il biondo, ammiccando.
 
Procedetti, pedalando più veloce possibile.
In un batter d’occhio mi trovai davanti all’abitazione.
Rimasi a fissare oltre la staccionata il piccolo giardino curato che attornava la casa di un rosso acceso. Se ne vedevano poche di case come quella, era particolare, bella.
Fissai le finestre semiaperte sulla facciata davanti dell’edificio, segno che c’era qualcuno in casa.
Premetti il campanello ed attesi.
La porta si schiuse, rivelando i ricci di Harry, seguiti dai suoi curiosi occhi verdi.
 
“Ehi, Harry” lo salutai, alzando la mano.
 
Lui mi guardò fissò per qualche secondo, prima di spalancare totalmente la porta.
 
“Less” mormorò, restando fermo all’ingresso.
 
Dopo di che rientrò in casa per qualche attimo e sentii la serratura del cancelletto scattare.
Aprii il cancelletto appena per farci passare la bicicletta e il mio corpo sottile.
Notai con la coda dell’occhio che l’unico nome scritto sulla cassetta delle lettere appena fuori dall’ingresso era “Harry Styles”.
Sistemai la bici nel portico e mi avvicinai a Harry.
 
“Perché sulla cassetta della posta c’è scritto solo il tuo nome?” gli domandai, con sguardo confuso.
 
“Perché cosa dovrebbe esserci scritto, scusa?” chiese a sua volta lui, con tono tra il sarcastico e l’annoiato.
 
“Be’, non so, ad esempio i nomi degli altri membri della famiglia che abitano qui” affermai, guardandolo dritto negli occhi.
 
Lui emise una piccola risata provocatoria.
 
“E chi ti dice che qui ci viva qualcun altro, oltre me?” si esaminò una piccola crosta secca lungo il palmo.
 
“E tua madre? Tua sorella?” indagai, sempre più confusa.
 
“Vivono da un’altra parte, Less” affermò con tono tranquillo.
 
Spalancai gli occhi, corrugando le labbra.
 
“Vivi da solo in una casa così grande?!”
 
“Che problema c’è?” si rivolse a me con tono che cominciava a farsi leggermente infastidito.
 
“Voglio dire, te la sei comprata tu? Con i tuoi soldi?!” ribattei, guardandomi attorno.
 
Nemmeno la mia famiglia si sarebbe potuta permettere una casa del genere.
 
“Si, col lavoro” rispose lui, osservandomi.
 
“Lavoro?” ripetei.
 
“Cos’è, un interrogatorio di terzo grado?! Si, con il lavoro”
 
“Che lavoro offrirebbe così tanti soldi ad un ventenne per permettergli di comprarsi una casa di questo calibro?” chiesi, di nuovo.
 
Sembrava farsi sempre più infastidito ma mantenne la pazienza e mi inchiodò con lo sguardo.
 
“Un lavoro che mi ha permesso quello che ora ho. E adesso vorresti entrare o preferisci restare nel portico tutta la giornata ad osservare il giardino?” deviò il discorso.
 
Lo guardai con sguardo infastidito, dopo di che mi feci spazio ed entrai.


 

Spazio Autrice.

Buona sera people, ecco il capitolo 17!

allora, mi scuso per l'ennesima volta per il ritardo, perdonatemi ma con l'inizio della scuola ho avuto da studiare e mille altre complicazioni.
btw sono riuscita a pubblicare il tanto atteso capitolo, eccolo qui, spero vi piaccia.
è un capitolo tranquillo, niente azione, ma nei prossimi le cose cominceranno a farsi interessanti.
ammetto che fino ad ora questo capitolo è quello di cui vado più fiera, anche se ci ho messo molto per scriverlo sento di aver fatto un buon lavoro, poi sta a voi leggere e giudicare.
vabbe, mi dileguo, spero vi piaccia e grazie come sempre ai lettori e a tutti i recensori
twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***




Trailer ufficiale:
 http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ

Capitolo 18


Mi fece accomodare nel soggiorno mentre preparava un tazza di thè per entrambi.
Mi guardai attorno.
Nonostante la casa fosse abitata da un solo individuo, per giunta un ragazzo, era tenuta veramente bene.
Sembrava appena uscita da un catalogo di arredamento. I mobili erano in ordine e di legno di ciliegio lucente. Il divano bianco sul quale ero seduta era di pelle morbida e pulita, sembrava nuovo o quasi mai utilizzato. Un tappeto a decori asiatici era stato sistemato al centro della grande stanza. Qua e là si trovavano oggetti di provenienza ignota, strani ma interessanti. A parte una tv attaccata ad una parete, la stanza non disponeva di altro.
 
“Allora, che ci fai qui?” sentii la voce del riccio dall’altra stanza.
 
Mi guardai le mani, non sapendo bene come esordire l’argomento.
 
“Bè, dovresti saperlo” pensai a come formulare la prossima frase.
 
“Se non me lo dici non posso capire” replicò Harry, anche se dal tono che la sua voce aveva assunto si capì benissimo che sapeva di cosa stavamo parlando.
 
“E dai, sto parlando di quello che mi avevi detto quando sei venuto a casa mia” esclamai, “riguardo Liam”
 
“Ti avevo detto di dimenticare tutto” tuonò Harry, raggiungendomi nella stanza con un due tazze in mano.
 
“Harry, non mi prendere in giro” lo guardai, inchiodando il mio sguardo con il suo, “quello che mi hai detto non è semplicemente una cazzata”
 
“Si che lo è! Ti ho già detto che non ci stavo con la testa in quel momento!” si agitò, facendo spandere del thè sul tappeto.
 
Lo sentii sussurrare qualcosa, di sicuro non parole carine.
 
“Aspetta, vado a cercare uno straccio per pulire” gli dissi, alzandomi.
 
Lui posò le tazzine e mi fulminò con lo sguardo.
 
“Faccio anche da solo, grazie” sibilò, stringendo i denti.
 
Lo sguardo che mi rivolse fu uno dei più terribili che avessi mai visto.
Era di puro disprezzo.
Rimasi in piedi nel punto dove il liquido aveva macchiato il tessuto con gli occhi vuoti.
Nessuno mi aveva mai guardato in quel modo.
Sembrava che volesse solo che me ne andai.
Sembrava che mi odiasse.
Era uno sguardo pieno di fastidio, le sopracciglia inarcate quasi ad unirsi, gli occhi ridotti a due strette fessure, le pupille dilatate.
Una lacrima scese lungo il mio viso, me l’asciugai frettolosamente.
Sentii Harry aprire i cassetti, alla ricerca di qualcosa per pulire il disastro.
Mi girai verso la porta d’uscita e, prima che lui ritornasse in soggiorno, corsi fuori dall’edificio.
Montai sopra la bici e mi trascinai verso la strada.
Avvertii la voce del ragazzo chiamarmi all’interno dell’abitazione, misi in moto le gambe e pedalai lungo la strada.
L’avrei lasciato in pace, se era questo che voleva.
Non sapevo dove sarei andata, di sicuro non a casa. Per quanto riguarda i miei genitori, loro credevano che sarei rimasta almeno fino al pomeriggio da Harry. Se fossi ritornata a casa dopo neanche un’ora essere partita mi avrebbero sommerso di domande e questa era l’ultima cosa che volevo al momento.
All’improvviso mi venne in mente il capanno al porto.
Probabilmente sarebbe stato il secondo posto, dopo casa mia, dove il riccio mi avrebbe cercato se solo avesse avuto voglia di vedermi, ma che m’importava?
Arrivai nel giro di una decina di minuti sul luogo.
Nascosi la bicicletta dietro ad una piccola siepe ai lati dell’edificio e mi diressi verso la porta d’entrata.
Mi appoggiai alla maniglia e provai ad abbassarla ma era chiusa a chiave.
 
“Merda” imprecai a bassa voce, guardandomi attorno.
 
C’erano due possibilità: o la chiave era nascosta qui da qualche parte o ce l’aveva Harry.
Cominciai a cercare, pregando con tutta me stessa che si trovasse rintanata dietro qualche vaso o cespuglio.
Cercai per un buon quarto d’ora ma le ricerche furono vane. La chiave non c’era.
 
“Fottiti” ringhiai più a Harry che alla porta chiusa.
 
Le tirai un forte calcio, scaricando la rabbia.
All’improvviso qualcosa cadde dall’alto provocando un rumore metallico al contatto con il pavimento.
Abbassai lo sguardo.
La chiave! L’avevo trovata!
Era nascosta in una fessura nella parte superiore della porta.
Mi chinai ad afferrarla e la girai nella serratura.
Con un piccolo scatto la maniglia si abbassò ed entrai nel capanno.
Chiusi lentamente la porta alle mie spalle e posai la borsa che avevo con me sul tavolo.
Bene, sola soletta nel covo del riccio.
Mi accomodai sul divano dove mi ero addormentata abbracciata ad Harry l’ultima volta che ero stata qui.
Presi il telecomando incastrato tra i cuscino del sofà e accesi la tv.
Girai un po’ di canali finchè non decisi di lasciare su Mtv Music e ascoltare un po’ di canzoni.
 
***
 
Mi stiracchiai, sbadigliando.
Cavolo, avevo fame e dovevo pure andare in bagno.
Mi misi seduta, guardandomi attorno confusa.
Riconobbi l’interno del capanno, alla tv stavano dando la top 10 del momento.
Mi alzai, sistemandomi la maglietta stropicciata sulla quale avevo dormito.
Raggiunsi la borsa ed afferrai il cellulare.
Era mezzogiorno da poco passato.
Avevo dormito per quasi due ore.
Mi diressi verso le mensole e gli scaffali per cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
Trovai una confezione di pane tagliato a fette e nel frigo mezzo vuoto del burro e dell’uva.
Mi accomodai al tavolo e spalmai il burro sopra due fette di pane mentre sbocconcellavo l’uva.
Data la fame nel giro di una decina di minuti finii di mangiare tutto e bevvi un bicchiere di acqua.
Rimisi tutto in ordine e pulii il tavolo dalle briciole.
Harry non si doveva accorgere che ero stata qui.
Ora dovevo assolutamente andare in bagno, il problema era, però, dove si trovasse.
Magari neanche era stato allestito un bagno in questo capanno, cosa più che probabile.
Aprii la porta che dalla cucina dava alle altre stanze.
Nonostante non sembrasse, l’edificio era più spazioso di quanto sembrasse, quasi come una casa normale.
Dopo essere entrata in un paio di stanze vuote, trovai finalmente ciò che cercavo.
 Uscii dal bagno poco dopo, feci per ritornare in cucina, finchè non notai all’improvviso una stanza che prima non avevo visto, la porta era diversa dalle altre, non in legno ma in metallo.
Con un’espressione stranita in volto mi diressi verso la porta e la osservai per qualche secondo, prima di provare ad aprirla.
Era chiusa anche questa come la porta d’entrata del capanno.
Perché costruirla in metallo e poi chiuderla?
Cosa si nascondeva dietro quella porta?
Mi guardai attorno alla ricerca di qualche indizio per scoprire dove, stavolta, fosse nascosta la chiave.
Mi alzai in punta di piedi e tastai la parte superiore della porta ma non era stata messa lì.
Alzai il tappeto ai piedi dell’entrata, nulla.
Mi recai nelle altre stanze e le ispezionai una ad una senza risultati.
Mi arresi e ritornai in cucina, sedendomi sul divano.
Mi presi la testa tra le mani, pensierosa.
Che cosa nascondeva Harry dietro quella porta? Cosa voleva proteggere agli occhi indiscreti tanto da fare fissare una porta di metallo all’entrata e chiuderla a chiave.
Qualcosa di grosso, probabilmente.
Il comportamento del riccio si era fatto strano negli ultimi giorni e questo mi portò a pensare a Liam.
Se c’era qualcosa sotto, dovevo scoprire assolutamente di che si trattava, soprattutto se riguardava in qualche modo mio fratello.
Mi alzai di nuovo e mi misi a camminare per la stanza, fissando il soffitto.
Dovevo trovare un modo per entrare là dentro.
All’improvviso mi vennero in mente le finestre attorno al capanno.
Magari una dava proprio sulla stanza misteriosa, se fossi riuscita ad aprirla in qualche modo sarei potuta entrare.
Uscii dall’edificio e lo percorsi attorno, calcolando il lato sul quale si sarebbe dovuta trovare la stanza.
Fissai la parete di mattoni rovinati davanti a me.
Niente finestre.
Niente aperture.
Ero al punto di prima.
Sospirai, rientrando nel capanno.
Mi appoggiai al tavolo, con le mani in tasca. Sfiorai qualcosa di freddo e duro.
La chiave del capanno.
Me la rigirai tra le mani pensierosa, quasi a giocarci.
All’improvviso mi bloccai.
Scrutai meglio la chiave, marchiata dal nome di una ditta di serrature.
Era la stessa ditta di cui avevo letto il nome distrattamente sulla superficie chiara della porta di metallo. Inizialmente non ci avevo fatto caso ma il nome era lo stesso.
Ripercorsi il corridoio che portava alla stanza misteriosa, afferrai sicura la chiave e la portai alla serratura.
La girai cautamente.
Un scatto.
La porta si schiuse lentamente.
La spalancai, lasciando filtrare la debole luce proveniente da una finestra lungo il corridoio.
Rimasi impietrita ad osservare ciò che la stanza conteneva.
Non potevo credere ai miei occhi.

 

Spazio Autrice.

eccomi qui con un altro ennesimo capitolo
penso che il finale vi abbia stuzzicato parecchio, almeno spero ahahah
che dire, le cose stanno prendendo una piega diversa dal previsto
chissà cosa nasconde Harry in quella stanza misteriosa tanto da lasciare sconcertata in quel modo Less
che dire, lo scoprirete nel diciannovesimo capitolo se continuate a leggere!
comunque mi sento orgogliosa di me stessa dato che ho scritto questo capitolo con la febbre a 38 e il raffreddore *si inchina mentre il pubblico la applaudisce e si prepara a riceve i fiori* no ok ahahaha
comunque spero che non ci siamo errori perchè stavo parecchio male come potete capire
come avrete visto ho modificato la grafica di ogni capitolo della ff e ingrandito la dimensione del testo come sotto vostra richiesta c:
ok, in conclusione ringrazio tutti quelli che la stannon leggendo, seguendo e recensendo, ve se ama
se avete bisogno cercatemi qui o su twitter (@aspettamiharry)

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***





Trailer ufficiale:
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Capitolo 19

 

Rimasi immobile all’ingresso della stanza, le braccia cadenti lungo i fianchi, gli occhi spalancati e le labbra increspate e semichiuse.
Feci un passo in avanti dentro la camera, l’oscurità mi avvolse. Girai su me stessa, tastando la parete dietro di me alla ricerca di un qualche interruttore. Posai il dito su un piccolo pomello freddo, lo premetti e la stanza si illuminò. Forse sarebbe stato meglio nemmeno accenderla la luce. Ora ero sicura di ciò che avevo davanti.
Mi feci spazio tra gli scatoloni mezzi aperti, alcuni sigillati, e i sacchetti neri socchiusi rivolti sul pavimento che lasciavano intravedere ciò che contenevano. Ne sollevai uno semivuoto e lo aprii completamente. Dall’interno si sollevò una polvere scura. Tossii, agitando la mano davanti al viso per scacciarla.
Attentamente guardai all’interno della sacca e ne tastai il fondo. Era polveroso e pieno di piccoli bozzoli, leggeri e compatti. Ne presi una manciata e li portai allo scoperto.
Erano grandi poco meno la metà del mio palmo, verde pallido, a tratti scuro.
Non ci voleva un genio per scoprire di che si trattasse.
Erba.
La misi al suo posto velocemente e strofinai le mani lungo il tessuto dei jeans sulle mie cosce.
Mi avvicinai cautamente agli scatoloni non sigillati e, con un po’ di pressione, sollevai le due ante superiori di cartone.
Sistemati con cura, giacevano all’interno piccole partite di droga ed erba, sistemate in piccoli pacchi rettangolari. Ne presi uno e me lo rigirai tra le mani. Ogni scatolone doveva esserne pieno. Camminai lungo la stanza, osservando l’ammassamento di contenitori e sacchetti che giaceva in modo disordinato sul pavimento. Dovevo ancora aprire le scatole sigillate. Mi guardai attorno, alla ricerca di qualcosa di appuntito per scalfirle o per strappare il nastro adesivo nero che le teneva chiuse.
Andai velocemente in cucina e cercai tra i ripiani delle posate. Afferrai un coltello di dimensioni notevoli dal manico di legno e ritornai nella camera.
Mi sedetti ai piedi degli scatoloni e cominciai a sgualcire il materiale. Il nastro adesivo cedette con un forte strappo.
Schiusi il contenitore con attenzione e fissai l’interno.
Coltelli di tutte le dimensioni avvolti in materiali sintetici, pistole, piccoli fucili, pugnali, tirapugni e molte altre armi che avevo visto solo nei film.
Sfiorai la lama fredda di un coltello da sopra il materiale che lo ricopriva.
Erano di Harry tutte queste armi, tutte queste sostanze stupefacenti, tutti questi scatoloni e sacchetti? Perché ce li aveva? Era entrato nel giro dei contrabbandieri?
Ecco spiegata la fonte dei suoi guadagni, della sua bellissima casa.
Lavorava sporco, commerciava droga, era un criminale.
Chissà quante altre cose faceva, date tutte quelle armi nascoste in quella stanza.
Cavolo, l’avevo sempre saputo che nascondeva qualcosa.
Era un brutto elemento, forse dovevo allontanarmi da lui, prima che fosse troppo tardi.
Prima di non poterne uscire più.
Richiusi a malo modo gli scatoloni, avrebbe capito che qualcuno ci aveva messo le mani, ma non potevo fare più di tanto.
Dovevo andarmene via da quel posto immediatamente.
Feci per alzarmi da terra quando sentii chiaramente il rumore di qualcuno entrare nel capanno.
Mi misi in piedi frettolosamente, cercando di non fare rumore, uscii dalla stanza lasciando il disordine dietro di me e chiusi cautamente la porta alle mie spalle.
Sentii dei passi avvicinarsi al corridoio.
Dovevo allontanarmi da quella stanza il più possibile prima che qualcuno, chiunque fosse, mi vedesse.
All’improvviso sentii la voce rauca di Harry.
Era al telefono.
 
“No, quelle partite devono essere consegnate entro domani, niente scuse” lo sentii sussurrare al ricevitore.
 
Seguì una breve pausa.
 
“Non me ne frega se forse finirai nei guai, la droga deve arrivargli entro domani sera. Stanne sicuro che se non viene consegnata finirai di certo nei casini, senza il forse. Siamo intesi?” il suo tonò si alzò leggermente, segno che era visibilmente infastidito.
 
Allora era vero.
Era nei traffici e, a quanto pareva, aveva anche una posizione importante.
Il panico mi prese all’improvviso, come una morsa attorno al collo.
Il respiro mi si bloccò in gola.
Dovevo nascondermi o andarmene subito.
Fissai la porta del bagno a pochi passi da me, semichiusa. Sgattaiolai in quella direzione, e mi ci appoggiai contro, cercando di socchiuderla quel tanto che bastava per farmi passare all’interno.
Nell’intento sbattei il gomito contro lo stipite di legno, ormai consumato, della porta. Il colpo produsse un rumore secco che si echeggiò in tutto l’edificio.
Rimasi impalata ascoltando il silenzio sceso all’improvviso attorno a me.
Il respiro mi si mozzò ancora una volta.
 
“C’è qualcuno?” piombò la voce possente di Harry.
 
“Cazzo” imprecai a sottovoce tra me e me.
 
Valutai velocemente le opzioni che avevo.
  1. Fare finta di niente e raggiungere Harry in cucina, dicendo che ero venuta qui per stare un po’ da sola.
  2. Nascondermi nel bagno, sperando che in qualche modo non mi notasse.
Sembravano entrambe stupide.
Harry si sarebbe insospettito in entrambi in casi, ma se mi fossi nascosta magari non mi avrebbe trovato o non sarebbe nemmeno venuto a cercarmi, pensando che quel rumore fosse dovuto ad un topo o a qualche altra creatura che si aggirava all’interno dell’abitazione rovinata.
Sentii i passi di Harry dirigersi verso il corridoio.
Optai per la seconda scelta ed entrai furtiva nel bagno.
Cercai un posto dove nascondermi. Notai la piccola tenda da doccia gettata sul pavimento. Non era dei migliori ma se mi ci fossi sdraiata sotto, nascosta accanto alla parete magari nemmeno mi avrebbe vista.
Mi ci avvolsi all’interno e rimasi immobile, come una massa disordinata di panni sporchi.
Sentii la porta spalancarsi lentamente e, attraverso il tessuto grezzo della tenda, intravidi l’ombra del ragazzo.
Chiusi gli occhi spaventata e trattenni il respiro come se potesse sentirmi anche solo emettere fiato.
Lo intravidi fermarsi al centro della strada, immobile, attento.
La testa era alta, la mandibola contratta, gli occhi ridotti a due fessure, pronti a captare ogni piccolo movimento. Sembrava un predatore intento a scovare la sua preda, fermo e deciso, le articolazioni tese e pronte per il salto che avrebbe imprigionato la sua vittima, come un leone, cauto ma pericoloso. Okay, forse stavo esagerando. Dovevo solo rimanere impassibile e calma, nascosta sotto il tessuto, lui se ne sarebbe andato appena avesse capito che non c’era niente, anzi, nessuno da cercare. In realtà c’era eccome, ero io. Dire di mantenere la calma era una cosa ma metterlo in pratica era tutta un’altra faccenda.
All’improvviso la sua testa si voltò di scatto nella mia direzione.
Spaventata, sussultai piano ma abbastanza da farmi notare.
 
“Bene, mi ha beccato. Perfetto” sussurrai, tra me e me.
 
Harry si mosse verso di me.
Si fermò accanto al telo, abbassò la testa fino a qualche centimetro dal tessuto, gli occhi verde smeraldo si erano fatti più cupi.
Chiusi gli occhi e aspettai.
Chissà se il predatore avrebbe avuto pietà della sua preda. Mmh, improbabile.
All’improvviso la risata profonda di Harry echeggiò nella stanza. Socchiusi un occhio. Ero spoglia della mia copertura, il ragazzo era a pochi passi da me con il telo tra le mani, il capo all’indietro nell’azione di ridere.
Aprii entrambi gli occhi e mi misi lentamente seduta a fissarlo in silenzio.
Quando finì di ridere mi guardò con gli occhi umidi dalle risate e le guance rosse. Mentre prima il suo viso trasmetteva paura e inquietudine ora, semplicemente, faceva ricordare a quello di un bambino.
Mi sistemai la maglietta impolverata. Harry doveva dare una leggera pulita a questo posto.
 
“Alzati” mi ordinò il riccio, con sguardo che si fece man mano più serio.
 
Mi appoggiai con la schiena al muro e, lentamente, mi sforzai per sollevarmi dal pavimento.
 
“Ciao, Harry” sussurrai con voce infantile, non sapendo come reagire.
 
Lui mi fissò con sguardo investigatore, incrociando le braccia al petto.
 
“Che ci fai qui, Lee?” chiese, dopo pochi attimi di pausa.
 
Almeno un ‘ciao’ poteva sprecarlo.
Mi passai le mani sui jeans, fingendomi impegnata a rimuovere anche i minimi granelli di sporcizia sui pantaloni, mentre pensavo ad una giusta scusa.
 
“Volevo stare un po’ sola. Questo posto mi pareva l’ideale” mormorai, con voce impastata, alla fine.
 
“Come hai trovato la chiave? E perché te ne stavi nascosta qua sotto?” tuonò Harry, facendo un cenno col capo verso la tenda da doccia.
 
“Uhm, bè, la chiave l’ho trovata così per caso, insomma, l’ho cercata per entrare e… l’ho trovata” spiegai, come se non lo avesse già capito da sé “ed ero nascosta lì sotto perché… non so, avevo paura che magari vedendomi qui dentro ti saresti arrabbiato”
 
Harry mi guardò per qualche attimo, prima di scoppiare a ridere di nuovo davanti alla mia goffaggine.
 
“Te l’ho detto, Less, questo capanno è il nostro posto” disse lui, in tono sicuro e rilassato.
 
Annuii, non sapendo cosa aggiungere.
Il riccio posò la tenda in un angolo della stanza e mi condusse in soggiorno.
Detti un’ultima fugace occhiata alla porta di metallo in fondo al corridoio. Avrei dovuto affrontare questo argomento con Harry, si sarebbe incazzato di brutto ma non potevo semplicemente far finta di niente. Dovevo andare a fondo in questa brutta faccenda.
Mi gettai letteralmente sul divano aspettando che il ragazzo mi raggiungesse. Si sedette affianco a me, avvolgendomi con le braccia e appoggiando le labbra sulle mie. Ci baciammo come se non fosse successo assolutamente niente. Entrambi volevamo ignorare il fatto che si fossero formati tanti segreti tra di noi, troppi. Facevamo finta di essere ciechi, di non vedere ciò che ci aveva accerchiato, ciò che ci stava imprigionando e soffocando sempre più. Il buio pian piano ci stava dividendo e noi non reagivamo, forse perché non in grado, forse perché incapaci di muoverci, forse, invece, perché impotenti di prendere una nostra decisione. Volevamo solo lasciarci alle spalle tutto, vivere la vita al momento perché poi sarebbe stato troppo tardi per comportarsi come se tutto non si fosse ribaltato. Eravamo in trappola.
Mi staccai bruscamente dalle sue labbra, lui mi fissò con espressione stranita in volto, io abbassai lo sguardo.
 
“Che succede, Lee?” mi chiese, prendendomi dolcemente il mento con le dita.
 
Non riuscivo a dirgli cosa mi turbava veramente, cosa avevo appena scoperto, cosa avevo visto in quella stanza, ma sapevo di doverlo fare.
Non potevo ignorare la cosa un minuto di più. Era, semplicemente, troppo per me. Un peso che mi bloccava all’altezza della gola, che, pian piano, mi avrebbe soffocata del tutto.
Presi un respiro e aprii la bocca per parlare.
 
“Harry, i-io so cosa nascondi in quella stanza…” esordii, passandomi una mano tra i capelli.
 
Non osai alzare gli occhi per guardarlo.
 
“Quale stanza?” domandò con tono di voce differente dal precedente, facendo finta di non capire di cosa stessi parlando.
 
Si era allontanato da me, sedendosi a gambe e braccia conserte, aspettando che concludessi ciò che avevo appena iniziato.
 
“La stanza con la porta di metallo, Harry. Quella in fondo al corridoio” spiegai, con tono calmo ma deciso.
 
Ormai era fatta.
Il riccio si portò le mani al viso e rimase in silenzio per qualche minuto che a me sembrò un’eternità. Infine alzò lo sguardo.
 
“Ci sono tante cose che non sai, Less” mi disse, con voce più roca del solito.
 
Lo fissai, aspettando che aggiungesse altro, ma non lo fece.
 
“Raccontamele, Harry. Voglio ascoltarti, voglio sapere” mormorai, insicura della mia affermazione.
 
Veramente volevo sapere cose che, probabilmente, mi avrebbe solo ferito? Veramente volevo scoprire quanta più verità ero in grado di farmi dire sugli ultimi avvenimenti accaduti in quei giorni?
Non lo sapevo.
L’unica cosa di cui ero certa era che ormai ero stufa di menzogne, di segreti.
Era arrivata l’ora della verità, bella o brutta che fosse.
Harry sembrò rifletterci per qualche attimo, prima di alzare nuovamente lo sguardo su di me e cominciare a raccontare.

 

Spazio Autrice.

Buonasera people, scusate l'immenso ritardo di ben due settimane (record) ma con la scuola sono stata parecchio impegnata, ogni giorno avevo una verifica o interrogazione, ma si può? Domani, per dire ho inglese e dopodomani francese. Auguratemi buona fortuna.
Bene, tralasciando ciò, ecco a voi l'attesissimo capitolo 19!
Non immaginavo che questa ff avrebbe avuto il successo che ha avuto, voglio dire, il primo capitolo ha superato le 2000 letture aw vi amo
Ringrazio, come sempre, chi recensisce e chi segue la mia ff, mi rendete immensamente felice.
Detto ciò spero che vi piaccia questo nuovo capitolo
su twitter sono: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***





Trailer ufficiale: http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ


Capitolo 20


Sai, da quando mio padre se ne andò, capii che nella vita solo chi gioca sporco se la cava. Mio padre era sempre stato un buon uomo, uno di quelli che le domeniche mattina le passa in chiesa, uno di quelli che ogni giorno mi accoglieva al ritorno a scuola con il sorriso, uno di quelli che mi chiedevano un ‘come stai?’ anche se, probabilmente, sapeva che non avrebbe ricevuto risposta. Era amato da tutti nel paese dove prima vivevo con i miei; era una piccola cittadina dove ognuno si conosceva, quando scendevi per strada era gremita di persone e non facevi altro che salutare a destra e a sinistra. Ma in quel piccolo paese, come in ogni, le cose non andavano sempre bene. Qualche volta, al telegiornale della sera, sentivi che quel giorno c’era stata una rapina al negozio di gioielleria in piazza, o che dei ragazzi avevano praticato atti vandalici vicino alla stazione, ma niente di che, come immagini. Mio padre passava molto tempo con i poliziotti del luogo, gli piaceva immaginarsi coinvolto nella faccenda o, semplicemente, fare giustizia. Ritornava a casa la sera orgoglioso, raccontava che avevano bloccato i ragazzi vandali e arrestato i ladri inesperti. Gli occhi gli luccicavano, sentiva di aver fatto del bene. Forse, però, la sua gentilezza, bontà, ma soprattutto, il suo senso di giustizia, lo tradirono. Il 14 Novembre di 5 anni fa giunse una chiamata nel pomeriggio, papà era stato ucciso. Avevano trovato il corpo senza vita dietro una vecchia residenza in centro paese. Tre colpi al cuore.
Avevo poco più di 15 anni allora, rimasi sconvolto. Affrontai un periodo bruttissimo, forse il più difficile di tutta la mia vita. In paese ero conosciuto come “il figlio dell’assassinato”, le persone che mi incontravano per strada mi fermavano e mi sussurravano frasi piene di pietà, quasi mi facevano schifo, mi sentivo trattato come una vittima, quando, in realtà, lo era stato mio padre.
Cominciai ad isolarmi, ad allontanarmi da tutti, avevo paura delle persone. Cominciò a nascere in me la voglia di andarmene di casa, scappare dai continui pianti di mia madre, dalle continue liti con mia sorella che finivano sempre con insulti e pianti da parte sua. Non riuscivo a comprendere, però, chi avesse voluto uccidere mio padre e fare questo alla mia famiglia. Tutti lo adoravano o, almeno, così credevo. Dopo aver saltato metà anno scolastico, ricominciai a frequentare la scuola. Là tutti mi guardavano strano, chi con sguardo dispiaciuto, altri con sguardo, quasi, di scherno.
Un giorno come tanti, me ne stavo isolato a mangiare in mensa. I ragazzi che prima credevo miei amici si erano allontanati, ero solo. Mentre consumavo il mio pranzo sentii delle grida dietro di me, chiamavano il mio nome.
‘Ehi, Styles! Com’è avere un solo uomo in famiglia? Ah no, ora siete tutte donne!’
Una risata risalì in tutta la sala.
In quel momento compresi che, per sopravvivere, bisognava farsi valere.
Mi alzai, gli andai incontro e lo sistemai.
Fu la prima rissa in tutta la mia vita, lo conciai male, tanto che dovette andare urgentemente all’ospedale. Mi espulsero dalla scuola. Per un breve periodo frequentai i corsi serali in una scuola diversa poi, a 18 anni, me ne andai di casa senza avviso e mi trasferii qui. Mia madre, colta alla sprovvista, venne a cercarmi, allora risiedevo in un piccolo appartamento, ospite di un mio amico conosciuto alla scuola serale. Le dissi che avrei vissuto lì e mi sarei arrangiato. Non volevo passare un giorno in più in quella sporca cittadina e, ora che finalmente ero maggiorenne, potevo fare quello che volevo. Lei capì. Cominciai a frequentare la scuola qui a Liverpool, quella che frequenti pure tu. Tutto passò normale fino a che non scoprii una cosa. Il mio amico, non che coinquilino, era nei traffici.
‘Amico, se mi aiuti nel giro di un annetto ce ne andiamo da questa baracca. Al mio capo serve un altro assistente, una mano forte, ti dico che sei l’ideale. Quanti soldi ci faremo solo Dio lo sa’
Decisi che, infondo, mi ero stufato di fare il bravo ragazzo. Tanto non si ottiene nulla, solo delusioni e fregature. Decisi che era tempo di cambiare.
I primi giorni era tutto strano, nuovo. Sentivo, dentro di me, che quello che stavo facendo era sbagliato, ma chi, in realtà, era a coscienza di cos’era giusto e cosa no? I giorni passavano e io mi abituavo sempre più ad essere in quel giro. Conobbi tanta gente nuova, pochi di buono, si, ma infondo lo ero pure io. I soldi nelle mie tasche aumentarono sempre più, nessuno sapeva, al di fuori del mio compagno e delle persone per cui lavoravo, quello che stavo facendo. Nessuno, probabilmente, lo poteva immaginare. A scuola ero considerato una sottospecie di bullo, un ragazzo tosto, certo, ma non uno spacciatore. Acquistai sempre più importanza nei giri grazie alle mie abilità di contrattazione. Mi arricchii sempre di più e questo mi convinse che, forse, per una volta in vita mia, avevo fatto la scelta giusta. Passò un anno e, come predetto dal mio amico, ci dividemmo e ognuno, con i propri soldi accumulati, si comprò una bella residenza. Finalmente ero felice o, almeno, pensavo di esserlo. Ogni tanto, in mente, mi apparivano immagini di mio padre, piccoli momenti passati con lui, della mia infanzia e preadolescenza. Riflettei su ciò che mi avrebbe detto se solo avesse saputo ciò che stavo facendo. Mi avrebbe disprezzato, riuscivo persino a sentire le parole che mi avrebbe detto, tutte di rimprovero, la voce colma di dispiacere. L’avrei fatto vergognare, quasi tradito. Ma, infondo, lui non c’era più, la vita era mia, potevo farne quello che volevo.
Ed eccoci qui, una bella casa, amici e soldi. Non penso di essere diventato ciò che volevo da piccolo ma, almeno in parte, sono felice.”
 
Rimasi tutto il tempo ad ascoltare il suo racconto, senza dire una parola. Mentre Harry raccontava teneva le mani appoggiate alle ginocchia, seduto affianco a me, e le muoveva ogni tanto, per gesticolare. Guardava fisso davanti a sé, mai una volta si girò a guardarmi negli occhi.
Quando finì rimase in silenzio, appoggiando i gomiti sulle cosce e passandosi le dita tra i capelli.
Aspettava che dicessi qualcosa anche se non sapevo come affrontare la cosa.
 
“Insomma… un bel casino” mi uscì di bocca all’improvviso.
 
Probabilmente era solo un pensiero detto ad alta voce. Lui rimase con la testa tra le mani, alzò leggermente le spalle in segno di consenso.
Riflettei bene sulle sue ultime parole dette. Forse qualcosa ce lo avevo da dire.
 
“Non penso che tu sia felice. Nemmeno in parte” affermai, con voce decisa, sorprendendomi di me stessa.
 
Lui, finalmente, alzò lo sguardo e restò a fissarmi per qualche secondo.
Infine pianse.
Pianse come piangono i bambini, innocenti e non consapevoli che le persone li fissano, stranite.
Pianse come si piange alla notizia di una tragedia, non importa dove sei e con chi, le lacrime non si possono trattenere.
Pianse come piange una ragazza sulla spalla dell’amica.
Pianse come se in quella stanza fosse presente solo lui.
Pianse come se nessuno potesse vederlo o sentirlo.
Pianse lacrime sincere, calde e pesanti.
Era un pianto vero, sofferente e nato all’improvviso.
Lo guardai sfogarsi, senza parlare, volevo lasciare che le sue emozioni trasparissero oltre quegli occhi prima di un verde acceso, ora ormai spenti.
 
“Non hanno mai scoperto chi uccise mio padre” aggiunse, con voce spezzata e sottile.
 
Ero abituata a sentire la sua voce dal timbro roco, sentirla con questo accento, quasi infantile, mi sorprese.
Aspettai che fosse lui ad aggiungere altro.
Si calmò pian piano, io rimasi immobile, non lo sfiorai nemmeno per consolarlo, lasciai semplicemente che fosse se stesso.
 
“No, non sono felice, lo so. Forse sto solamente cercando di convincere me stesso che in realtà lo sono, ma non sono mai stato bravo a mentire. Voglio solo fare giustizia a mio padre, lui vorrebbe che io… che fossi come lui. In verità, guardami, sono l’opposto. Mi faccio schifo da solo” continuò.
 
“Harry, non dire così. Se vuoi scoprire chi ha fatto questo a tuo padre, io ci sono. Io ti aiuterò. Puoi contare su di me” gli dissi, avvicinandomi poco a poco verso di lui.
 
Lui mi guardò, gli occhi velati di lacrime. Una gli scivolò lungo la guancia e lui se l’asciugò velocemente.
 
“D-davvero?” sussurrò.
 
Mi fece tenerezza. Sembrava essere diventato di nuovo bambino, l’Harry che, forse, era una volta, prima di cambiare. Dentro di lui, infondo, il piccolo ragazzino che era una volta era rimasto inchiodato ad una parte di sé.
 
“Si” affermai, decisa, accennando un piccolo sorriso.
 
Lui ricambiò e due piccole fossette si formarono sul suo viso.
D’impulso le accarezzai, per poi baciarlo sulle labbra.
Lui mi cinse la vita dolcemente e mi spostò i capelli di lato, mentre muoveva le labbra sulle mie.
Per la prima volta nella vita sentii di provare qualcosa di sincero per una persona, qualcosa di vero che mi legava a lui, qualcosa più forte di me.
L’avrei aiutato, gli sarei stata vicino.
Volevo solo che fosse veramente felice e smettesse di illudere se stesso.
Mi staccai lentamente dalle sue labbra e gli strinsi le mani.
Lui se le portò al viso, baciando le mie nocche morbide.
 
“Penso che, per cominciare a scoprire qualcosa di più sull’assassinio, dobbiamo indagare di più sul conto di tuo padre” mormorai, riportando l’atmosfera più seria di pochi minuti prima.
 
“Si, d’altronde non sapevo tutto di mio padre. Credevo che fosse adorato e rispettato da tutti ma, evidentemente, mi sbagliavo”
 
Annuii, leggermente, alzandomi dal divano.
 
“Dove hai intenzione di andare, Lee?” mi chiese Harry, scrutandomi dal basso.
 
“Vuoi o no cominciare a scoprire qualcosa di più su tuo padre?” gli domandai, appoggiando le mani lungo i fianchi e guardandolo con occhi spronanti.
 
Lui mi rivolse un piccolo sorriso e si alzò a sua volta.
 
“Direi di si. È ora di scoprire cosa successe a mio padre. È ora di sapere la verità”
 
Sorrisi a mia volta ed uscimmo dall’edificio insieme.

 

Spazio Autrice.

Salve gente, ecco qui il ventesimo capitolo *rullo di tamburi*
premetto che sembrerà più corto rispetto agli altri ma, principalmente, per il fatto che 3/4 del capitolo tratta il racconto di Harry.
Spero, inoltre, che non ci siano errori di alcun genere e, in caso ci fossero, avvisatemi pure.
scusate se sono poco presente su efp in questo periodo ma lo studio mi prende molto quest'anno e concentrarsi sulla scrittura della storia è davvero difficile.
Che dire, mi fanno sempre piacere i vostri commenti, messaggi e recensioni che mi inviate, mi rendono fiera.
Questo capitolo non è dinamico, d'altronde è più riflessivo, viene raccontata, finalmente, la vera storia del nostro riccio.
Spero che continuiate a seguire la mia ff in numerosi, mi rende felice notare come le letture aumentano velocemente da capitolo a capitolo.
Btw mi dileguo, spero che abbiate guardato il trailer realizzato dalla mia cara amica Martina e che vi sia piaciuto.
Twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***





Trailer ufficiale:
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Capitolo 21


“Innanzitutto credo che sarebbe bene iniziare a cercare dalla casa dove abitavo prima dei 18 anni, non so, magari troviamo qualche documento o qualche resoconto di alcune faccende riguardanti la questura” propose Harry, camminando con le mani nelle tasche di una felpa verde militare che non gli avevo mai visto addosso. Procedeva mettendo un piede davanti all’altro con ritmo frettoloso e costante, faticavo a stare dietro alle sue lunghe gambe.
 
“Mmh”, riflettei qualche attimo “e tua madre, tua sorella? Se ti vedono ritornare all’improvviso, dopo essertene andato via, rovistando, per giunta, nelle cartelle e negli affari di tuo padre con me, cosa diranno?”
 
“Niente” rispose lui, rivolgendo il suo sguardo verso di me e sorridendo in modo sinistro.
 
“Cos’hai in mente?” ricambiai lo sguardo, socchiudendo gli occhi.
 
Harry guardò avanti a sé, spostò da un lato il ciuffo di riccioli ricadente sulla fronte e giocherellò per un po’ con i sassolini che incontrava sul suo cammino, calciandoli in avanti e cercando di trascinarli il più lontano possibile.
Dopo una manciata di minuti, finalmente, si degnò di rispondermi.
 
“Be’, vedi, alle tre di notte non penso che mia madre e mia sorella siano tanto sveglie da vederci intrufolare nel vecchio studio di mio padre, nel giardino sul retro”
 
Se fossi stata impegnata a bere una bibita probabilmente avrei sputato tutto ciò che avevo in bocca all’istante, un po’ come si vede nei film.
 
“Cosa?! Vorresti entrare in piena notte, come se fossimo dei ladri di professione?” esclamai ad alta voce, tanto che le persone per strada si girarono a guardarci incuriosite.
 
“Shh, scema. Urlalo ancora più forte la prossima volta, mi raccomando” mormorò lui, posandomi l’indice sulle labbra.
 
Scostai il suo dito, cercando di riprendere la calma.
 
“Hai veramente intenzione di farlo?” riprovai, riducendo la mia voce ad un sussurro.
 
“Perché no? Direi anche stasera. Domani hai il funerale di Liam e sabato c’è la festa a casa di Jessica… Sempre che tu ci vada” rispose lui, soffermandosi sul mio sguardo.
 
Cavolo, la festa di Jessica. Me ne ero completamente dimenticata. Con tutto quello che era successo, però, era ovvio che mi fosse passato di mente e, a dirla tutta, non è che me ne importasse molto. Non ero di sicuro in vena di feste, soprattutto di quelle organizzate da Jess che si concludevano sempre alle 4 della mattina con metà gente ubriaca e la location del party ridotta ad uno schifo. No, avrei saltato questa volta, grazie.
 
“Penso proprio di non andarci, Harry. Direi che non è il momento adatto per feste di quel genere”
 
“Capisco. Pensavo di partecipare e se, magari ti andava, potevamo andare insieme… per passare una serata interessante, diversa da quella dell’ultima volta, al ballo” affermò lui, con una lieve nota di incertezza.
 
Sorrisi tra me e me. Mi voleva. Voleva che passassimo una serata assieme.
 
“Ci penserò” risposi, giusto per alimentare la sua speranza e funzionò.
 
Vidi i suoi occhi illuminarsi mentre accennava un piccolo sorriso, quasi imbarazzato.
Era così bello quando sorrideva. Gli si formavano quelle due bellissime fossette che apparivano solo quando rideva o quando, appunto, mostrava quel tipo di sorriso, sincero e cauto. Mi chiesi perché, prima che ci conoscessimo meglio, non avessi mai notato la sua bellezza, demoniaca, cattiva, ma allo stesso tempo così innocente e pacata. L’avevo sempre visto, sotto la luce di come la gente lo descriveva, come un bullo, un ragazzo violento e maleducato, da evitare il più possibile. Mi ero sempre soffermata su questa idea che mi era stata immessa dai miei coetanei e non avevo mai fatto caso che, come tutti, aveva punti deboli anche lui. Mi pentii di non averlo conosciuto prima, di averlo giudicato in modo sbagliato per così tanto tempo senza la curiosità di, magari, parlargli una volta, constatare se, effettivamente, era veramente il ‘badboy’ etichettato da tutti.
Mi avvicinai al suo viso e lo baciai, mordicchiandogli il labbro inferiore.
Lui sorrise sotto il mio bacio, accarezzandomi la schiena.
 
“E ora cosa facciamo, quindi?” gli chiesi, continuando a camminare affianco a lui e prendendogli la mano.
 
“Direi che, innanzitutto, tu ritorni a casa e ti riposi un po’. Io ho un po’ di questioni da svolgere” rispose lui, in modo deciso.
 
Sentii un tuffo al cuore. Quali questioni? Riguardavano i traffici di droga? Anche di peggio, forse?
Lo guardai, preoccupata e, senza accorgermene, strinsi più forte la sua mano. Lui si girò di scatto, guardando prima le nostre dita intrecciate per poi alzare lo sguardo sul mio viso. Probabilmente notò la mia espressione agitata e la scintilla di paura che mi illuminava gli occhi perché strinse a sua volta la mia mano, come per rassicurarmi.
 
“Lee, stai tranquilla. Andrà tutto bene” sussurrò.
 
 
***
 
 
Mi svegliai all’improvviso sentendo un rumore all’esterno provenire dalla finestra di camera mia.
Guardai la sveglia, segnava le 2:15 della mattina. Tre colpi decisi, era arrivato. Mi infilai una felpa nera e afferrai un paio di shorts. Scesi di fretta le scale, facendo attenzione a non fare il minimo rumore, mi infilai le scarpe da ginnastica che avevo lasciato accuratamente di fianco alla porta d’entrata qualche ora prima e uscii nella notte.
Lui mi stava aspettando in piedi, appoggiato ad uno dei due stipiti portanti del cancello. Gli sorrisi, salutandolo. Lui mi rivolse un cenno con il capo, guardandomi serio.
Camminammo per un lungo tratto, in silenzio, solo noi due e il buio della notte.
La strada era deserta, in lontananza si sentiva il rumore attutito delle macchine che sfrecciavano lungo la tangenziale e, dalla parte opposta, il frangersi delle onde al porto. Era una bella atmosfera, sotto il cielo dai tratti ormai estivi di quella notte.
 
“Dove stiamo andando di preciso?” me ne uscii io, all’improvviso.
 
Lui mise una mano in tasca e prese una sigaretta, la accese e se la portò alla bocca.
Lo guardai.
 
“Fumi?” gli chiesi, con tono leggermente sorpreso.
 
Che domanda stupida.
 
“Indovina” rispose semplicemente lui, “tu?”
 
Scossi la testa, fissando il fumo uscire dalla sua bocca per poi dissolversi leggero nell’aria.
Harry alzava lo sguardo verso il cielo sereno e costellato, aspirava intento il fumo, dopo di che lo rilasciava formando piccoli anelli o, semplicemente, schiudendo la bocca e lasciando che fluisse all’esterno. Sembrava lo rilassasse.
 
“Da quanto fumi?” domandai, continuando ad osservarlo.
 
Lui aspirò un altro tiro prima di rispondermi.
 
“Più o meno da quando ho iniziato a trafficare” disse, senza tanti giri di parole.
 
“Non hai ancora risposto alla mia precedente domanda” gli feci notare.
 
“Stiamo andando alla stazione. Da lì prenderemo un treno che ci porterà praticamente sotto casa”
 
Annuii, continuando a camminare.
Quando arrivammo alla stazione si erano ormai fatte quasi le tre. Mi sorpresi di vedere alcune persone ad aspettare il treno, probabilmente lavoratori o uomini senza fissa dimora.
Passati 5 minuti un fischio acuto annunciò che il treno stava arrivando. Presi il biglietto e salii con Harry, ci sistemammo in uno degli ultimi vagoni. Mi sedetti affianco al suo posto e lui mi avvolse con un braccio e chiuse gli occhi.
Dopo una ventina di minuti si svegliò, come se avesse un allarme interno che lo avvisava appena fosse giunto il momento di agire, e mi fece cenno di alzarmi, eravamo arrivati.
Le gambe erano indolenzite e addormentate e quando scesi dal binario quasi cedettero, facendomi inciampare. Harry rise tra sé e sé.
 
“Ma cosa ridi, idiota? Potevo farmi male” lo sgridai, ridendo allo stesso momento, però, pure io.
 
Mi condusse lungo una piccola via, in mezzo a delle abitazioni un po’ trasandate e vecchie. Alle finestre erano appesi dei panni bagnati che rilasciavano cadere, ogni tanto, delle piccole gocce d’acqua.
Dopo nemmeno una decina di minuti ci trovammo davanti ad una casa di dimensioni medie, pitturata di un color salmone ormai sbiadito. Il giardino era piccolo ma dal bel aspetto, l’edificio, nel complesso, faceva una buona impressione.
Lo guardai e lui annuii.
 
“Ci siamo” sussurrò, dopo di che fece un sorriso e si avviò verso il cancello principale.
 
“Ho ancora le chiavi” aggiunse, mentre ne infilava una nella serratura che scattò all’istante, spalancando l’entrata.
 
Ci dirigemmo all’interno, lui mi prese la mano e mi condusse attraverso il buio.
Vedevo poco, il retro dell’abitazione non era illuminato ma sapevo che lì si trovava il capanno e, finchè Harry mi teneva la mano, io mi sentivo al sicuro, mi fidavo.
 
“Eccoci qua” mormorò dopo poco, quando giungemmo davanti ad una casetta composta da assi di legno e che emanava un odore di vernice fresca.
Lasciò la mia mano e si mise a spingere il chiavistello che bloccava l’entrata. Un colpo secco e metallico confermò che aveva appena ceduto. Lentamente Harry spalancò la porta. Un odore di polvere si sollevò nell’aria, facendomi tossire. Sentii premere l’interruttore e la luce si accese. Il ragazzo se ne stava appoggiato al muro, osservando a braccia incrociate ciò che aveva davanti. Scatoloni, fogli, libri, una scrivania, delle sedie, un vecchio computer sporco, delle penne gettate per terra, degli scaffali dove erano sistemati altri libri e cartelle con documenti archiviati.
 
“È proprio come me lo ricordavo, uguale a quando me ne sono andato. Qui non c’è più entrato nessuno” affermò, con un tono di malinconia e amarezza nella voce.
 
Si avvicinò alla scrivania e restò a fissare i fogli e i quaderni pieni di scritte e appunti. Sfiorò la carta rovinata e ingiallita, fece correre le dita lungo il tratto di penna.
 
“La scrittura di mio padre. Sono i suoi vecchi appunti, il diario su cui scriveva per tenere i conti, per ricordarsi le cose, per gli appuntamenti o gli eventi. Era come una piccola agenda e se lo portava sempre dietro”
 
Rimasi in silenzio, aspettando che aggiungesse altro ma lui non lo fece.
Restò con lo sguardo puntato su di una scritta, una frase sola in mezzo ad una pagina vuota.
 
22 Novembre: giornata con la famiglia. Campeggio nella foresta di Saint Denis e accompagnamento al parco divertimenti accanto, sotto richiesta di Harry. Sarà una sorpresa, lui non lo sa ancora, ha sempre desiderato andarci e penso che ora sia arrivato il momento di premiarlo.
 
“Quell’uscita non fu mai fatta” disse Harry e una lacrima gli scivolò lungo la guancia.



 

Spazio Autrice.

Buon pomeriggio genteee
dopo un mese senza aggiornare, o quasi, sono ritornata *applausi*
è stato un mese intenso, tra studio e il ragazzo (da poco ehehe) non ho quasi mai trovato il tempo di continuare a scrivere la ff
mi dispiace di avervi fatto aspettare, davvero, ma ecco qui il capitolo 21
spero vi piaccia come vi sono piaciuti i precedenti
continuate a commentare e a lasciare recensioni, mi fa davvero piacere
alla prossima
twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***





Trailer ufficiale:
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Capitolo 22
 


Restai a guardarlo piangere per una manciata di minuti, appoggiai una mano sulla sua spalla e lo accarezzai lentamente finchè non si calmò.
Tirò su con il naso e si passò l’estremità della maglia sul viso.
 
“Giuro che riuscirò a trovare chi ha fatto questo a mio padre, gli farò giustizia” affermò, con voce, però, traballante e insicura.
 
“No, Harry. Ce la faremo assieme” lo fissai, decisa.
 
Lui ricambiò il mio sguardo e mi baciò dolcemente sulla fronte.
 
“Sai essere forte, quando vuoi, Less Morgan” sorrise, spostandomi i capelli che mi ricadevano in modo disordinato lungo il viso e sulle spalle.
 
“Più di te, Harold Edward Styles” risposi, ammiccando in segno di sfida.
 
Harry soffocò una risata, scuotendo il capo.
Dopo di che, sfogliò velocemente il quaderno degli appunti del padre fissando le pagine ingiallite scorrere sotto i suoi occhi.
 
“Trovato qualcosa?” gli chiesi, quando posò nuovamente il diario sul tavolo.
 
Mi fece cenno di no e mi incitò a perlustrare la stanza. Avevamo solo quattro ore prima che la madre di Harry si alzasse di buon ora per la sua passeggiata mattutina, come mi aveva raccontato poco prima il ragazzo.
Dopo un’ora passata a cercare presunti indizi o fatti che ci riportassero a quel fatale 14 Novembre di 5 anni fa, eravamo ancora a mani vuote. Pensai che, forse, tutto il lavoro che stavamo facendo era solo una cazzata, era inutile, non avremo trovato niente. C’erano solo fogli scritti malamente con appuntati numeri di telefono di qualche poliziotto o questore, pensieri e citazioni di scrittori famosi, visite dal dentista o uscite con la famiglia. Niente di apparentemente rilevante.
 
“Hai scoperto qualcosa, Lee?” mi chiese Harry, mettendosi a sedere sul pavimento e passandosi il viso con un panno sporco.
 
Scossi il capo e mi sedetti davanti a lui, togliendogli il tessuto dalle mani e usandolo a mia volta.
 
“Dici che è stupido?” mi domandò, all’improvviso.
 
“Cosa?”
 
“Continuare a cercare sapendo che non c’è niente da trovare”
 
Lo fissai, un’onda di tristezza e sconforto gli passò attraverso il volto.
 
“No, Harry, no” risposi, prendendo le sue mani tra le mie, “sarebbe stupido arrendersi senza avere una buona ragione per farlo”
 
Il riccio abbassò lo sguardo sulle nostre dita intrecciate e le strinse più forte con un piccolo scatto. Inutile dire che, infondo, lo capivo. Aveva perso una persona cara, poteva cercare di farle giustizia quanto voleva ma ciò non includeva riaverla indietro. Quando la morte divide due persone non c’è niente che può sovrastarla tranne, forse, la morte stessa. Questo sempre se si è credenti e se si è convinti che ci sia un’altra vita al di fuori di quella terrena, perché, sennò, non varrebbe la pena. Se ci fosse, però, un Dio sopra le nostre teste perché tutte queste disgrazie avvengono? Perché non può semplicemente impartirci le sue lezioni di vita con piccoli fatti quotidiani come donare ad un’associazione contro il cancro o fare volontariato, aiutare una persona in difficoltà, andare in chiesa ogni domenica, invece di farci soffrire fino al punto di odiare la gente che ci sta intorno, noi stessi e lo stesso valore della vita? Fin da piccola, anche se non avevo ancora presente cosa significasse la parola ‘dolore’, mi ero sempre posta queste domande. Mamma rispondeva che dovevamo tutti credere in Dio, che dovevamo comportarci bene perché la vita era solo un periodo di prova prima dello stadio ultraterreno. La morte in sé era l’inizio della vera vita. Come sapesse tutte queste cose non l’ho mai capito ma io mi fidavo di lei e quindi facevo come mi diceva. Chissà se ha sempre avuto ragione o se, magari, nessuno in realtà sa cosa ci attende dopo la morte. Poco importa.
 
“Sono già quasi le cinque del mattino” mormorò Harry, riportandomi alla realtà.
 
Afferrai il cellulare e constatai che aveva ragione.
 
“Quindi, che si fa?” chiesi, aiutandolo ad alzarsi.
 
“Direi che continuiamo a cercare”
 
Annuii e cominciai a spostare qualche scatola, canticchiando la canzone Skinny Love di Birdy tra me e me.
Sollevai un piccolo scatolone che, nonostante le dimensioni, pesava più degli altri e urtai contro un’anta di legno.
 
“Ahia” mormorai, toccandomi il gomito con il quale avevo battuto.
 
Un piccolo livido violaceo si stava formando. Sbuffai, fissando la causa della mia botta. Un piccolo armadietto di legno si era spalancato a contatto con la mia spinta. Restai a fissare il contenuto.
 
“Harry” lo chiamai, “penso di aver finalmente trovato qualcosa”
 
Mi raggiunse nel giro di pochi attimi.
Gli mostrai ciò che avevo appena scoperto. Il mobiletto conteneva parecchie armi sistemate in sacchetti di nylon e documenti contenenti foto di apparenti criminali.
 
“Cos’è tutta sta roba?” chiese il ragazzo, mentre spostava cautamente i vari sacchetti e fogli dal fondo.
 
Lo aiutai, svuotando pian piano l’armadietto.
 
“Merda” si bloccò Harry, all’improvviso.
 
Prese tra le mani un piccolo contenitore dove era racchiusa una leggera polvere bianca.
 
“Ci metterei la mano sul fuoco che questa è droga” affermò, rigirando il barattolo tra le mani.
 
Spalancai gli occhi. Il padre di Harry con della droga in casa? Lui che aveva sempre combattuto per la giustizia? Impensabile.
Gli presi dalle mani la nostra nuova scoperta e la osservai attentamente in ogni lato. Intravidi attraverso il vetro una scritta quasi illeggibile sul coperchio scuro. Aprii il barattolo con attenzione.
 
“Cosa diavolo stai facendo?” intervenne il riccio, cercando di bloccarmi.
 
“Fermo!” urlai, non moderando il tono di voce.
 
Ci impietrimmo entrambi. Che stupida ero stata, che stupida.
Una luce si accese da una finestra al piano superiore della casa. Harry, con uno scatto degno di nota, premette l’interruttore e la luce nel capanno si spense.
La finestra si schiuse e una voce femminile ne uscì.
 
“C’è qualcuno?” chiese la donna.
 
“Mamma” sentii sussurrare con un gemito il ragazzo.
 
Mi mossi per cercarlo nel buio ma urtai contro un fascicolo aperto sul pavimento ed inciampai, rovinando a terra. Imprecai, rimanendo immobile. Sentii Harry mormorare non poche parolacce.
 
“C’è qualcuno, ripeto?” la signora Styles richiamò l’attenzione.
 
Una voce maschile sopraggiunse.
 
“Che succede, tesoro?” parlò un uomo.
 
“Penso ci sia qualcuno nel capanno, Ted, ho paura”
 
“È meglio scendere a controllare, ora vado” disse Ted.
 
La finestra si chiuse.
 
“Less, porca puttana! Che cavolo combini? Dobbiamo andarcene, e subito!” sibilò Harry, raggiungendomi.
 
I suoi occhi scintillavano, fendendo il buio. Mi prese per mano e uscimmo dal capanno.
Mi condusse dietro ad un cespuglio costellato di piccoli fiori estivi e mi face cenno di abbassarmi.
“Cosa stiamo facendo?” gli chiesi, stando attenta a non farmi sentire da nessun altro fuorché lui.
 
Mi intimò a fare silenzio e si accovacciò di fianco a me. Dopo pochi secondi la porta d’ingresso della casa si spalancò e ne uscì un uomo con una piccola torcia dalla luce potente. Presunsi fosse Ted.
 
“Chi è questo qui? Ted? Mia madre ha un altro marito?” mormorò, tenendo lo sguardo puntato sull’uomo.
 
Ted si diresse verso il capanno sul retro. Cambiai posizione, trovandone una più comoda.
 
“Cavolo” mi accorsi, all’improvviso, “penso mi sia caduto il flacone con la polvere bianca quando sono scivolata”
 
Harry mi fissò per qualche attimo, prima di portarsi entrambe le mani al viso.
 
“Spera solo che non lo trovi Ted”
 
 
***
 
 
 
Non so quanto passò prima che ci muovessimo dal nostro nascondiglio ma, quando ripresi conoscenza, ero premuta contro Harry, intento ancora a fissare verso il capanno.
 
“Cos’è successo?” chiesi, stirandomi fiaccamente.
 
 
“È da più di mezzora che è là quell’uomo, mi spieghi cosa diavolo sta facendo?” rispose Harry, spazientito.
 
Guardai l’ora, segnava le 5:30 del mattino.
 
“Vado a vedere, provo ad avvicinarmi” sussurrò il riccio, alzandosi cautamente.
 
Ebbi l’impulso di bloccarlo ma non lo feci.
 
“Fai attenzione” dissi solo.
 
Rimasi dov’ero, guardando il ragazzo fare slalom tra gli alberi silenziosamente. Lo vidi nascondersi dietro una parete della piccola casetta in legno e restare ad aspettare, cercando di intravedere all’interno attraverso una fessura.
Dietro di lui un passo.
Dietro di lui un’ombra.
Gridai e lui si girò. Ted era di fronte a lui, un coltello in mano e un’aria più che minacciosa.
Harry indietreggiò fino a toccare con la schiena la parete del capanno.
 
“Vieni fuori di lì, fanciulla” sentii chiamare.
 
Uscii allo scoperto, senza avere altra scelta e mi affiancai ad Harry che prese la mia piccola mano tra le sue, grandi e calde.
 
“Bene, bene. Che bella coppietta abbiamo qui. Avevate deciso di passare la nottata nel mio capanno, vedo” parlò Ted.
 
Noi rimanemmo in silenzio mentre l’uomo rigirava tra le dita il piccolo coltello da tavola, quasi a giocarci.
 
“Oh, tranquilli, non vi farò niente” riprese Ted, poi fissò intensamente Harry, socchiudendo gli occhi.
 
“Ehi, ma io ti conosco. Tu sei il figlio di mia moglie. Quello avuto con l’ex marito morto”
 
Il ragazzo annuii, aspettando un’altra affermazione.
 
“Harry, se non sbaglio” concluse.
 
“Si, sono io. Mi scuso se abbiamo disturbato, volevo solo tornare a prendere alcune cose che avevo dimenticato qui” disse il riccio, gesticolando e mantenendo un’aria calma.
 
“Alle 5 di mattina? Con questa bella ragazza? Incappucciato peggio di uno scassinatore?” l’uomo lo squadrò, con un sorriso di beffa.
 
Avvertii la mano di Harry farsi sudata. Lui riuscì solo ad annuire, con aria agitata.
 
“Va bene, spero tu abbia preso le tue cose” ci spinse Ted verso l’interno del giardino “e ora sparite”
 
Feci per prendere per un braccio Harry e dirigermi verso il cancello per uscire quando sentii un forte colpo alle mie spalle. Mi girai spaventata, il ragazzo mi strattonò.
 
“Corri, prendi tutto ciò che riesci, tutto il contenuto dell’armadietto, fa presto!” mi incitò, mentre teneva a terra Ted che era stato appena colpito al torace con un’asse di legno presa dal riccio e che si dimenava debole.
 
Senza pensare, corsi all’interno del capanno, presi tra le mani tutti i fogli e fascicoli che avevo accumulato sul pavimento quando avevo svuotato il mobiletto. Li piegai alla rinfusa e li sistemai nelle mie tasche, infine presi il flacone con la presunta droga e lo misi tra i fogli.
Uscii dalla casetta di legno e, con Harry al seguito, scappai verso la strada.

 

Spazio Autrice.


holaaa. Eccomi qui con un nuovo capitolo lla vigilia di natale! Come se qualcuno passasse la vigilia a leggere la mia ff ahahah be se non avete niente da fare, perchè no?
vabbe, tralasciando, scusate il mio immenso ritardo ma avevo il capitolo già pronto da tre settimane però, tra la scuola e una cosa e l'altra, alla fine sono riuscita a pubbliarlo solo ora.
Siamo a quasi tre mila letture al primo capitolo e la media delle recensioni al capitolo è di 11 recensioni *si scioglie*
davvero grazie, mi rendete felicissima aw.
btw spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, come sempre, fatemi sapere che ne pensate
twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***




Trailer ufficiale: http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ

Capitolo 23

 

Corremmo finché la casa si ridusse ad un puntino nero in lontananza, appena illuminato dalla fioca luce, tendente ormai all’estivo, dell’alba. Ci fermammo entrambi, mi ripiegai con le mani appoggiate alle ginocchia e cercai di riprendere fiato. Sentii il respiro pesante di Harry affievolirsi man mano che i minuti passavano. Alzai lo sguardo quando finalmente mi ripresi. Il riccio era seduto sull’asfalto e guardava il cielo. Sembrava assorto, gli occhi che brillavano riflettendo la luce rossastra, ancora debole, delle prime ore del mattino. Tirò su col naso e se lo strofinò con il palmo della mano, dopo di che si passò la lingua sulle labbra appena umide.
Mi sedetti affianco a lui. Rimanemmo in silenzio, interrotto appena dal rumore dei sassolini che lanciavo, così, giusto per non rimanere ferma con le mani in mano, verso il mezzo della strada. Nonostante avessi passato metà notte fuori con Harry non sentivo, neppure minimamente, i sintomi della stanchezza.
 
“Questo è il tipo di atmosfera che mi piace” disse, all’improvviso, il ragazzo.
 
Mi guardai attorno, scrutando le case che per metà erano illuminate, per metà nel buio più totale. Le finestre erano tutte serrate e i giardini silenziosi ed immobili. Non era male. Eravamo solo noi due. Io e lui.
Accennai un piccolo sorriso, anche se Harry stava ancora fissando sopra la sua testa un punto non preciso.
 
“Non ho mai guardato l’alba con qualcuno. Qui fuori, seduta ai margini della strada, a guardare semplicemente il cielo” affermai, incrociando le gambe.
 
“C’è sempre una prima volta, Less Morgan” rispose lui, le dita che sfioravano l’asfalto come se fossero presenti dei tasti di piano invisibili.
 
“Prevedo che ce ne saranno molte di prime volte con te, Harold Edward Styles. Probabilmente la maggior parte delle occasioni mi metterai nei guai” ribattei, fissandolo.
 
Un sorriso apparve sulle sue labbra mentre, dopo un’infinità, distoglieva gli occhi dal cielo per posarli su di me.
Si avvicinò e mi sfiorò la fronte con un bacio per poi ritornare alla sua posizione iniziale.
 
“Sei strana, sai?” esclamò all’improvviso.
 
Risi.
 
“Senti chi parla, dovresti proprio vederti a volte” controbattei, con sguardo di sfida.
 
Rimase qualche attimo in silenzio, come avvolto in una riflessione profonda. Socchiuse gli occhi per poi riaprirli velocemente.
 
“Forse è per questo che andiamo d’accordo. Siamo diversi ma insieme ci completiamo, due disastri che formano una meraviglia” sussurrò, alla fine.
 
Lo guardai, le parole che aveva appena mormorato mi rimbombarono in testa provocandomi una sensazione di vuoto riempito all’improvviso nello stomaco, come quando si è sulle montagne russe, dopo una salita c’è sempre una discesa ripida che ti fa sentire come se volassi.
Gli strinsi una mano e non dissi niente.
Magari aveva ragione, era veramente così.
Quando ormai incominciammo a scorgere il sole, limpido e caldo, Harry si alzò con uno sbuffo, tendendomi una mano. L’afferrai e mi sollevai da terra.
Senza dire una parola ci incamminammo mano nella mano, avvolti nella nebbia fresca e silenziosa di inizio giugno.
 
***
 
“Buongiorno, dormigliona!”
 
Socchiusi lentamente gli occhi, stiracchiandomi. Dov’ero? Mi sollevai dal cuscino e notai, con sollievo, di trovarmi nella mia camera. Seduta su un lato del letto, Lucy mi guardava, sorridente.
 
“Che ore sono?” le chiesi, d’impulso.
 
“Quasi mezzogiorno” rise, scompigliandomi i capelli, già disordinati.
 
Ricordai, come in un flash improvviso, la nottata fuori con Harry, il ritorno a casa quando ormai il sole era già sorto.
Sollevai le coperte. Avevo ancora addosso gli indumenti che avevo usato per uscire. Se la mia amica li avesse notati di sicuro avrebbe cominciato a farmi mille domande, com’era suo solito.
Riflettei velocemente.
 
“Ehm, Lu, potresti portarmi un bicchiere di succo, per favore?” la guardai con occhi compassionevoli.
 
Lei mi sorrise e si avviò fuori dalla camera.
Gettai via le lenzuola, in fretta e furia mi svestii e mi infilai a malo modo il pigiama, giusto in tempo per il ritorno di Lucy.
La ringraziai e bevetti qualche sorso dal bicchiere.
 
“Allora come va, tesoro?” mi chiese, mentre si guardava intorno.
 
“Mmh, come sempre direi, tu?”
 
La ragazza non parve nemmeno ascoltarmi, intenta a fissare qualcosa su un lato della stanza, proprio dove avevo posato poco prima gli indumenti usati.
Non erano quelli, però, ad attirare la sua attenzione, piuttosto dei fogli sparsi lì vicino che subito riconobbi.
Erano gli appunti del padre di Harry, i fascicoli con alcune informazioni sui criminali più ricercati di allora.
Si alzò, prima che potessi fermarla, e si diresse verso i documenti, raccogliendoli.
 
“Wow” esclamò, esaminandoli. “Cos’è tutta sta roba?”
 
“Ehm, niente. Dammi qua” mi avvicinai, cercando di strapparle dalle mani la sua nuova scoperta.
 
Lei mi dette le spalle, mentre leggeva ad alta voce ciò che era scritto.
 
“Hahaha, guarda il nome di questo” urlacchiò, all’improvviso.
 
Mi passò il foglio che aveva in mano, sventolandomelo prima davanti al viso.
Rimasi a fissarlo.
Alexander Algan Jenkins.
Sotto il nome era impressa un’immagine dell’uomo.
Corrispondeva a Ted.
Sentii il bisogno di sedermi, così mi appoggiai al letto, continuando a leggere.
 
Il soggetto è accusato di possesso di droga e armi, violenza su minori, aggressione e tentato omicidio-suicidio. Si richiedono provvedimenti. È considerato un individuo particolarmente pericoloso. Si richiede la detenzione.”
 
“Lee, cosa c’è?” interruppe la mia lettura Lucy, fissandomi preoccupata.
 
Dovevo avere una brutta cera e, probabilmente, ero impallidita ancora di più negli ultimi istanti.
Piegai il documento, fino a ridurlo ad un piccolo quadrato grande quanto il palmo della mia mano e lo riposi in tasca.
 
“N-niente” mormorai, alzandomi di scatto.
 
Dovevo avvisare Harry di ciò che avevo appena scoperto, subito.
 
“Devo fare delle cose, è meglio se ci troviamo un’altra volta, okay? Mi ha fatto piacere vederti” mormorai frettolosamente, con voce impastata.
 
Lucy stava per ribattere ma non fece in tempo, si ritrovò fuori dalla porta.
Lo so, era stato un gesto scortese e non corretto, soprattutto con una ragazza carina come lei, ma avevo le mie buone ragioni, avrebbe capito.
Afferrai il cellulare e cercai nella rubrica il nome di Harry. Attesi, ascoltando il tu-tu persistente che emetteva il telefono. Finalmente, dopo qualche altro squillo, la voce strascicata e roca di Harry sopraggiunge dal capo opposto.
 
“Lessy” sussurrò al ricevitore.
 
“Harry” risposi “ho delle novità per te”
 
Lo avvertii sbadigliare e restare in silenzio, come per invogliarmi a continuare.
 
“Ho trovato un documento particolare tra i fogli riguardanti l’identikit di alcuni criminali”
 
“Incontriamoci tra mezz’ora, vengo a prenderti sotto casa” mi interruppe lui.
 
La linea cadde, la conversazione era finita.
Mi lavai e mi vestii velocemente, mi truccai e mi raccolsi in una coda i capelli scuri.
Dopo 30 minuti precisi una macchina scura si fermò davanti a casa mia.
Salutai i miei, mi sarei fermata qualche minuto a parlare con loro ma non avevo tempo.
Raggiunsi l’automobile e mi ci infilai dentro.
Harry partì di scatto.
Mi portò al capanno al porto, come immaginavo. Entrammo nell’edificio e ci sistemammo sul divano vicini.
 
“Allora, dimmi quello che mi devi dire”
 
Tirai fuori dalle tasche dei jeans consumati il foglio ripiegato e glielo porsi. Lui lo strinse tra le mani e lo fissò a lungo, aggrottando la fronte. Spalancò gli occhi dopo qualche attimo. Imprecò a bassa voce, la carta che tremava sotto il tocco insicuro delle sue mani.
 
“Cosa facciamo?” gli domandai, dopo qualche minuto.
 
“Cavolo, Lee, non lo so. Capisci? L’uomo che ora sta con mia madre è un criminale. Era ricercato dalla polizia e da mio padre. Potrebbe benissimo essere stato lui a farlo fuori, per quanto ne sappiamo” esclamò con rabbia.
 
Si passò le dita tra i capelli aggrovigliati, imprecando di nuovo.
Si prese il viso tra le mani e lo sentii respirare profondamente attraverso di esse.
Rimasi immobile, aspettando che aggiungesse qualcosa.
Dopo un tempo che mi parve un’infinità, alzò nuovamente lo sguardo verso di me. Le iridi dei suoi occhi erano dilatate e il verde acceso era stato quasi completamente offuscato dal nero.
 
“Siamo in un fottutissimo casino. Dobbiamo fare qualcosa, forse siamo vicini a scoprire ciò che è accaduto a mio padre e, probabilmente, cos’è successo realmente a tuo fratello. Dobbiamo darci una mossa”
 
“E cosa vorresti fare?” gli chiesi, incrociando le braccia.
 
Lui parve pensarci, sfregando le mani sui pantaloni neri attillati che indossava.
 
“Vedrai” disse soltanto.

 

Spazio Autrice.

Saaalve.
eccomi di nuovo qui dopo quasi un mese, madonna, scusatemi.
sono stata un bel po' presa eh.
allora, piccolo riassunto della mia vita privata anche se non ve ne fregherà niente: mi sono mollata con il moroso, il ragazzo per cui l'estate scorsa sbavavo ci prova con me (e mi fa piacere, molto piacere), in una settimana, attenti tutti, sono riuscita a beccare due 4, matematica ed economia, una multa per dimenticato abbonamento sul bus (che poi ho annullato) e una nota non meritata sul registro, bellaaa. Ho la media totale dei voti comunque dell'8 spaccato.
Però, in compenso, ho incontrato in discoteca Leonardo Decarli e Mattia Cesari che erano a Verona e mi sono fatta una bellissima foto con loro, aw.
non mi pare di aver altro da raccontare ahahha.
vi lascio al capitolo, spero vi piaccia
twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***




Trailer ufficiale: http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ


Capitolo 24


Arrivò il giorno del funerale, che era stato spostato di un paio di giorni sotto richiesta dei miei genitori. Ero, anzi, eravamo ancora molto scossi per la situazione e avevamo deciso di rimandare l’evento. La sera dopo ci sarebbe stata pure la festa a casa di Jessica Hutcher. Non sapevo ancora se ci sarei andata ma sia Harry che le mie amiche la trovavano una buona scusa per distrarmi e stare in compagnia.
Non potevo passare il resto dei miei giorni chiusa in camera sul letto a marcire, mangiando schifezze per poi sentirmi male e vomitarle. Stava diventando una situazione insopportabile.
L’ultima volta che avevo parlato con Harry, ovvero il giorno prima, il ragazzo aveva lasciato il discorso incompleto sulle sue intenzioni da mettere in atto riguardo Ted o, come meglio dire, Alexander Algan Jenkins. Mi aveva lasciata confusa con un “vedrai”, prima di riportarmi a casa e andarsene per chissà che luogo.
Non avevo voluto approfondire l’argomento; preferivo prendermi un paio di giorni di pausa e distrarmi da tutto ciò che riguardasse la faccenda. Sapevo che avremo dovuto agire il prima possibile ma non eravamo semplici macchine da battaglia, mai stanche, e, soprattutto, non avevamo un piano ben architettato e sicuro.
Sospirai mentre mi sistemavo ben stretto attorno al petto un vestitino nero di pizzo che mi era stato regalato ancora l’anno prima in vista di non so quale occasione importante. Probabilmente non l’avrei più indossato dopo il funerale, avrebbe portato con sé un segno indelebile della giornata. Avvertii una mano bussare alla porta ed emisi un verso in segno di consenso.
Mia madre si affacciò alla porta, scivolando lentamente all’interno della stanza.
Quando mi vide, vestita e truccata completamente di nero, con un paio di scarpe lucide con tacchetto scuro, emise un gemito e si portò la mano alla bocca. Mi fissai attraverso l’immagine riflessa sullo specchio e attesi qualche attimo prima di voltarmi verso di lei.
Stava in piedi in mezzo alla stanza avvolta in un vestito smanicato nero e un copri-spalle trasparente.
 
“Cosa c’è, mamma?” le chiesi, fissandola.
 
“N-niente, tesoro” rispose lei, asciugandosi cautamente gli occhi per non sbavare il trucco leggero sulle palpebre. “Quel vestito, l’ultima volta che l’hai indossato, era in occasione della partenza di Liam per l’America”
 
La fissai.
Sentii una fitta al petto, forte come un pugno in pieno stomaco, insopportabile come una ferita appena aperta.
Come un flash mi apparve tutto davanti agli occhi.
Liam che sorride mentre entra in macchina verso l’aeroporto.
Liam che mi abbraccia, strofinando le grandi mani lungo la mia schiena.
Il suo profumo fresco e allo stesso tempo dolce che metteva sempre per eventi importanti o per uscire con qualche ragazza.
L’ultimo saluto prima di salire sull’aereo che l’avrebbe portato per 6 mesi distante da casa sua, da me.
Io che mi commuovo mentre fisso il mezzo sollevarsi dalla pista per dirigersi verso il cielo pieno di nuvole bianche e compatte.
Senza accorgermene, mi ritrovai tra le braccia di mia madre, in lacrime. Lei sussurrava qualcosa che non riuscivo a capire, scossa dai troppi singhiozzi. Avrei dato di tutto per ritornare ad allora, per poterlo abbracciare un’ultima volta.
Dopo qualche minuto mi ripresi, mi soffiai il naso e tolsi il trucco sbavato.
Poco dopo uscii di casa con mia padre e Patrick al seguito. Salimmo in macchina e ci dirigemmo in chiesa. Nei giorni precedenti avevo preparato un discorso da fare quando mi sarei ritrovata a dover parlare davanti a tutti di Liam. Aprii il foglio su cui era scritto e lo rigirai tra le dita, accartocciandone i lati.
Quando arrivammo, il luogo era già gremito di persone, alcune neppure mai viste in vita mia. Persi il conto di quanti fecero le condoglianze alla mia famiglia e mi abbracciarono. Mi sentivo assente, come se dovessi recitare una parte all’interno di un film. La situazione sembrava surreale ma, in realtà, quella era la vita vera.
In mezzo alla sala risiedeva la tomba contente il corpo di mio fratello e, vicino ad essa, una foto grande quanto me stessa di Liam. Soffrii al pensiero che racchiuso in quella cassa di legno ci fosse mio fratello, il ragazzo sempre sorridente e iper-protettivo che aveva reso migliori le mie giornate. Ed ora, eccolo lì, senza vita, a giacere tra quattro ante scure e lucide. Sentii che mi veniva da vomitare, così mi allontanai.
Dopo che ebbe parlato il sacerdote, ci fu il discorso di mio padre che commosse buona parte dei presenti. Quando ebbe finito chiamarono il mio nome. Mi alzai lentamente, quasi con fatica, nel silenzio più assoluto. Raggiunsi la postazione con il microfono, aprii il foglio con il discorso già pronto e lo fissai.
Lo accartocciai e lo rimisi in tasca.
Alzai gli occhi verso il pubblico, ammutolito e attento.
Mi schiarii la voce e cominciai a parlare.
 
“Liam era, probabilmente, la persona che più mi era stata accanto, soprattutto nei momenti più difficili, in quelle situazioni in cui non serve parlare perché ci si capisce anche solo con uno sguardo. Non era mio fratello di sangue ma il legame che avevamo, ci si poteva giurare, era una fratellanza pura e forte. Lo consideravo spesso come un esempio da seguire ma, soprattutto, un ragazzo di cui ci si poteva fidare. Non era come un buon amico o il proprio partner, era semplicemente di più. Era quel tipo di persona con cui ti piace passare le giornate di pioggia, nella semi-ombra di una stanza, avvolti tra le coperte; era quel tipo di persona che ti ascolta per ore senza interromperti, che ti dà una spalla su cui piangere o, in diverse occasioni, su cui ridere. Mi ha insegnato così tanto e, se non fosse per lui, ora non sarei la ragazza che sono. Riusciva a donarti il sorriso tra le lacrime, come l’arcobaleno dopo la pioggia, come la parte buona di un pasto lasciata per ultima per poter essere gustata meglio. Era incredibile con che forza affrontava giorno dopo giorno, come se non ci fossero cose che venivano per nuocere ma solo per rendere più interessante la vita, viveva attimo per attimo. Assaporava la vita, lui sì che ci riusciva. In qualche modo, con l’entusiasmo che emanava attorno a sé, rendeva la visione della realtà più colorata e allegra. Era semplicemente diverso da tutti, lo si notava. La gente si lamentava e lui la ascoltava. La gente piangeva e lui sorrideva, cercando di contagiare tutti intorno a lui. La gente viveva assente e affaticata, lui coglieva la bellezza del vivere anche nelle piccole cose. Forse Liam aveva appreso cose che noi non riuscivamo a capire. Magari cercava di trasmetterle anche a noi ma no, non ci riusciva. Eravamo tutti troppo impegnati a dare un peso ad ogni singola cosa e vicenda che ci accadeva. Lui ascoltava noi ma non veniva ricambiato. Liam per noi c’era sempre, in qualsiasi occasione, ma nessuno si era mai fermato a chiedergli come stava. Probabilmente la maggior parte di noi dava per scontato che se la passasse bene perché, ehi, stiamo parlando di Liam Payne, il ragazzo più solare dell’intera città. Ma dietro un sorriso o una risata c’è nascosto qualcos’altro? È questo il nostro difetto e la principale differenza tra noi e Liam: non riusciamo a vedere attraverso i piccoli gesti o le semplici vicende quotidiane.
Ognuno ha dei problemi, inutile negarlo. Ognuno ha bisogno di essere ascoltato e capito una volta tanto. Forse dovremo imparare a vedere al di fuori del nostro io e ad apprezzare ciò che ci viene offerto dalla vita, soprattutto un ragazzo come lui che questo l’aveva appreso già da un pezzo.”
 
Conclusi il mio breve discorso e rivolsi un ultimo sguardo verso la sala, prima di lasciare il mio posto e dirigermi verso l’uscita dell’edificio. I presenti mi fissavano, un’aria di stupore e consapevolezza sul viso. Molti dei quali stavano piangendo. Quando mi incamminai veloce verso l’uscita fui accompagnata da uno scroscio di applausi. Notai le mie amiche e Harry ai lati dell’altare guardarmi con sguardo impotente e angoscioso.

 

Spazio Autrice.

Salve people.
Allora, premetto che questo capitolo per scelta mia è molto breve, dato che ho preferito fosse un capitolo di pausa riguardante il funerale del povero Liam. L'azione riprenderà nei prossimi capitoli.
Mi scusa per l'enorme ritardo ma, sul serio, questa scuola mi strema.
Spero comunque che il capitolo vi soddisfi anche se breve e statico.
grazie come sempre a chi segue la mia ff e la recensisce, ve se ama.
twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


 
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Capitolo 25
 
 

*La sera del giorno dopo*
 
“Sei sicura di volerci andare, tesoro?” mi domandò mia madre per l’ennesima volta mentre, in intimo, mettevo sottosopra l’armadio. 
 
“Si, mamma” ripetei, sbuffando “Non posso restare il resto dei miei giorni chiusa tra quattro mura, me l’hai detto tu. Non preoccuparti”
 
Afferrai da una gruccia una gonna color pastello e un top nero mentre la porta della stanza si chiuse alle mie spalle.
Presi il cellulare e feci partire Ghost di Hasley.
Quella canzone aveva un profondo significato per me. È come se, racchiuse in quelle parole, ci fosse un misto di pensieri e descrizioni riguardanti principalmente Harry e Liam.
Percepivo quasi un messaggio segreto che la cantante aveva tenuto in serbo per me.
Guardai l’ora nel quadrante della sveglia e capii che dovevo sbrigarmi. Nel giro di poco tempo Harry si sarebbe presentato sotto casa mia.
Indossai i vestiti scelti, mi stesi sul viso un filo di trucco.
Decisi di lasciare i lunghi capelli scuri ricadere lisci sulle spalle.
Mi distesi sul letto, incurante del fatto che avrei stropicciato la gonna, e fissai il soffitto.
Mi ritrovai a pensare sotto le note di Nuvole Bianche di Ludovico Einaudi.
La mente ripercorse i ricordi alla memoria di Liam e arrivò fino alle scoperte sul conto del finto Ted, nuovo marito della signora Styles.
Chissà se quest’ultima si fosse mai chiesta quale mistero si nascondesse dietro la morte del suo amato ex marito.
Chissà se aveva passato notti insonni a riflettere, tra una lacrima e l’altra, tra un battito di cuore e un altro, più prolungato.
Avvertii il suono stridulo del campanello di casa. Harry era arrivato. Mi alzai, presi il cellulare, lo misi in una borsa e mi diressi verso l’ingresso.
Feci per aprire la porta quando mi accorsi di non indossare le scarpe. Imprecai tra me e me, lasciai cadere la borsa sul pavimento e ritornai al piano di sopra. Dopo pochi minuti mi presentai davanti a Harry con un paio di stivaletti allacciati alla rinfusa.
 
“Ce ne hai messo di tempo, piccola” sussurrò, stampandomi un bacio in fronte.
 
Sorrisi imbarazzata, salutai mia madre e mi diressi verso l’auto del riccio, direzione casa di Jessica Hutcher.
 
***
 
“Ehi Harry, Less” ci accolse Jessica, spalancando la porta di casa per farci accomodare.
 
Era presente già molta gente, la maggior parte della nostra scuola ma anche molti sconosciuti, sembranti avere qualche anno più di me, coetanei forse di Harry.
Numerose persone vennero a farmi le condoglianze per la perdita di Liam; io reagii mostrando un sorriso che voleva dimostrarsi sicuro, anche se dispiaciuto, e annuendo, ringraziando.
La serata pian piano passò, tra un drink e l’altro, tra una canzone e la successiva.
Forse avevo esagerato con l’alcool ma mi reggevo ancora in piedi e, sicuramente, ero cosciente a differenza di buona metà dei presenti.
Mi fermai a parlare con un gruppo di ragazze del mio stesso corso di lingue, tenendo tra le mani un altro drink.
Era il caso che smettessi di bere, ma mi faceva stare bene.
Mi sentivo leggera e libera, come se le preoccupazioni se ne fossero andate, lasciando il vuoto, colmato da un senso di spensieratezza e voglia di divertimento.
Dopo una decina di minuti mi guardai attorno, socchiudendo gli occhi a causa della pesantezza delle palpebre dovuta alle luci forti diffuse a scatti nel luogo o, forse, per la stanchezza.
Cercai tra le numerose teste quella riccia e scompigliata di Harry, non vedendola.
Cominciai a dirigermi verso la folla di gente ammassata sulla pista da ballo, barcollando ad ogni passo. Sentii una mano afferrarmi da dietro e mi girai di scatto, aspettandomi di trovare il volto sorridente del riccio.
A fissarmi invece era il suo amico biondo, Niall Horan se ricordo bene.
 
“Ehi, bellezza” sussurrò il ragazzo, schiudendo appena le labbra.
 
“Niall” risposi, scrutandolo con sguardo diffidente
 
“Cerchi qualcuno?” mi chiese, guardandosi attorno, “forse Harry?”
 
“Si, cerco proprio lui”
 
Il biondo mi fissò per qualche attimo, prima di indicarmi la porta dalla quale ero entrata qualche ora prima.
 
“Penso sia uscito, dolcezza. Vuoi che ti accompagni a cercarlo?”
 
Senza nemmeno aspettare che gli rispondessi, mi prese sotto braccio e mi trascinò verso l’atrio per uscire. Il venticello tiepido di metà giugno mi accolse, accarezzandomi le spalle scoperte. Fuori era scesa la notte, ormai, e il cielo era stellato più che mai. La luce fredda dei lampioni si rifletteva sui vetri delle macchine parcheggiate nella proprietà degli Hutcher, proiettando strane ombre attorno a noi. D’istinto strinsi più forte il braccio di Niall, scrutando ogni cosa immobile ma, allo stesso tempo, con sembianze dinamiche presenti nel giardino.
 
“Dove mi stai portando?” domandai, fissando gli occhi azzurrini del mio accompagnatore, qualche spanna più alto di me.
 
“Nel retro. Poco fa l’ho visto dirigersi là dietro” rispose, mantenendo uno sguardo attento a capo ritto.
 
Camminammo uno affianco all’altro finchè non ci trovammo nella parte posteriore dell’abitazione. Non c’era nessuno, neanche un’ombra che potesse ricordarmi il riccio, nemmeno un suono, un minimo rumore.
 
“Sei sicuro fosse lui?”
 
“Sicurissimo, tanto quanto so di chiamarmi Niall James Horan”
 
All’improvviso un mormorio interruppe il silenzio.
Ci immobilizzammo, rimanendo in ascolto.
Un altro mormorio.
Avvertii Niall rabbrividire affianco a me. Ora non sembrava più il ragazzo sicuro e spavaldo di pochi secondi prima.
 
“Cos’è stato?” ansimò, stringendo il mio braccio.
 
“Non lo so” risposi, ricambiando la stretta.
 
Un fruscio veloce risuonò, come se qualcuno si stesse avvicinando lentamente a noi. Sentii il biondo imprecare.
 
“È meglio se ce ne andiamo” mormorò, girandosi di scatto verso il vialetto che avevamo percorso poco fa.
 
Feci per seguirlo quando qualcosa catturò la mia attenzione.
 
“Aspetta un attimo” risposi, allontanandomi dal braccio del ragazzo.
 
Dietro una piantagione di garofani intravidi un piccolo movimento, una mossa fugace. Non era un gatto, né un topo o un qualsiasi animale. Era un umano.
Corsi verso quel punto, all’improvviso la paura era scomparsa. Qualcuno stava chiedendo aiuto, mormorando senza forze. Restai senza fiato quando vidi ciò che mi aspettava.
Harry era disteso tra i fiori, la maglietta strappata, una guancia lacerata, le labbra gonfie e sanguinolente. A schiacciarlo contro il terreno era una parete di legno appartenente allo sgabuzzino mal ridotto a qualche passo dal riccio.
Sussultai, un urlo silenzioso uscii dalla mia bocca semi spalancata.
 
“Che succ-” Niall mi raggiunse, bloccandosi ad osservare la scena, “Oh mio dio, dobbiamo portalo dentro subito”
 
Lo sollevammo insieme, stando attenti a non fargli del male o a toccare qualche ferita aperta.
Incrociai i suoi occhi verdi, spenti dietro le palpebre violacee. Non si era trattato di un incidente.
 
***
 
“Styles, ha delle visite” disse in tono freddo l‘infermiera, appena entrammo in camera dietro di lei.
 
Harry giaceva sul letto d’ospedale. Il suo volto rovinato era illuminato da una luce pallida che si rifletteva in tutta la stanza. Non era una camera molto grande ed era per lo più vuota. Su di un lato era sistemato il letto dove giaceva il riccio con accanto dei flebo, nella parete comunicante con l’esterno si ereggeva un piccolo armadio affiancato da una sedia di legno leggermente traballante.
 
“Ehi” mormorai con tono dolce, avvicinandomi alla sagoma che giaceva sotto un velo di coperte.
 
La testa coperta di ricci del ragazzo si girò lentamente. Finalmente incontrai i suoi occhi.
 
“Less” sussurrò, tossendo per schiarirsi la voce.
 
Mi feci più vicina e gli accarezzai la fronte tiepida, spostando i capelli perennemente in disordine.
 
“Stai meglio?”
 
Harry annuì, deglutendo rumorosamente.
 
“Cos’è successo?”
 
Si stropicciò gli occhi, tenendoli chiusi, nascosti dalle grandi dita.
 
“Mi hanno sorpreso” gemette.
 
“Chi?” esclamai, forse un po’ troppo forte.
 
“Signorina, i suoi 10 minuti sono passati. Ora è meglio che lasci il paziente riposare” si spalancò la porta e l’infermiera di poco fa entrò, accostandosi all’entrata e invitandomi ad uscire.
 
“Chi, Harry? Chi?”
 
“Signorina, la prego di andarsene” la donna mi prese per un braccio, accompagnandomi fuori dalla stanza.
 
Avvertii Harry mormorare qualcosa mentre la porta dietro di me si chiudeva ma non riuscii a capire.


Spazio Autrice.

Hello people, eccomi ancora qui a distanza di un mese, uff. Sono veramente troppo impegnata, non vedo l'ora che la scuola finisca così potrò dedicarmi alla fine della mia ff (non manca molto)
btw spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.
ringrazio tutti per le recensioni e i commenti, non che le letture, siete l'amore.
vi lascio, alla prossima
twitter: @aspettamiharry

Un bacio x

-Alessia

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***





Trailer ufficiale:
 http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ


Capitolo 26
 


Dopo una settimana e mezza dimisero Harry dall’ospedale.
Quando mi giunse la notizia presi la bicicletta e mi avviai verso casa sua. Il vento caldo mi sfiorava viso e collo, passando attraverso ai capelli che avevo lasciato, sbagliando, sciolti. L’afa mi costringeva a rallentare a tratti stringendomi nella sua morsa. Dopo una decina di minuti mi trovai di fronte all’abitazione.
Suonai il campanello più volte, aspettando la risposta del riccio.
 
“Oh, eddai” mormorai, dopo aver aspettato fuori dal cancello per una buona manciata di minuti.
 
Appoggiai la bici a lato della strada e mi arrampicai sulla cancellata, scavalcandola con un abile balzo. Mi sistemai la maglietta, un po’ troppo corta, sul petto e mi avvicinai alla porta d’entrata.
 
“Harry? Harry!” provai a richiamare l’attenzione del ragazzo.
 
La casa sembrava essere vuota.
Sbuffai e mi accasciai sedendomi contro la porta. Scivolai all’indietro quando quest’ultima si aprì sotto il mio peso. Mi guardai intorno, alzandomi lentamente. Sussurrai un’altra volta il nome del riccio nella speranza di una risposta. Nulla.
Entrai.
L’aria condizionata mi avvolse, segno che c’era qualcuno nell’edificio. Mi mossi a passi lenti e attenti lungo il salotto all’entrata.
 
“BAAAAH” un urlo risuonò nell’abitazione.
 
Sussultai, urlando e coprendomi il viso con le mani.
Avvertii delle braccia robuste afferrarmi da dietro, avvolgendomi in un caldo abbraccio.
Un fiato caldo si posò sul mio collo. Rimasi con gli occhi chiusi.
 
“Ehi, piccola” mormorò la sua voce roca.
 
Le sue labbra carnose mi sfiorarono la clavicola.
 
“Fottiti, Styles!” mi ribellai, all’improvviso.
 
Lo fissai con sguardo adirato, incrociando le braccia al petto.
Scoppiammo entrambi a ridere.
 
“Devi sempre farmi prendere certi infarti?” chiesi, ricomponendomi. “Stai meglio?”
 
Lui si accomodò sul divano in salotto, accarezzando il posto vicino per farmi segno di sedermi. Obbedii.
 
“Si, direi di si. Fisicamente, è passato tutto, o quasi. Ho qualche leggera fitta fastidiosa ogni tanto e qualche livido violaceo, ma nient’altro”
 
Lo fissai mentre mi illustrava le numerose parti doloranti. Incrociai il suo sguardo quando lo sollevò.
Restammo in silenzio entrambi, una domanda risuonava nell’aria.
 
“Chi è stato a farti questo?” misi fine all’attesa.
 
Sospirò, passandosi la mano sulla fronte e appoggiando poi i gomiti sulle cosce. Scrutò un punto impreciso davanti a sé con occhi quasi spenti. Prese fiato e si voltò verso il mio viso.
 
“Penso mi vogliano morto. Come mio padre. Come tuo fratello”
 
Una stretta mi prese il cuore e il respirò mi si fermò in gola. Gli occhi cominciarono a bruciare da tanto tempo erano spalancati in attesa di una spiegazione. Battei con fatica le palpebre per inumidirli.
 
“Che vorresti dire?” rantolai con voce impastata.
 
“Quello che ho detto, Less. Mi vogliono morto, semplice”
 
“Non sparare cazzate”
 
“Ma ti senti? È la verità, fattene una ragione. Ci sono tante cose che non sai”
 
“Forse perché nessuno si è mai degnato di spiegarmele? Mio fratello è morto e io non so neppure se si sia trattato di suicidio o omicidio premeditato. Ma cosa sono io? Una bambola con cui tutti possono giocare? Ho anche io dei sentimenti, merito di sapere come meriterebbe chiunque altro in questo caso!”
 
“Non è così semplice”
 
Mi alzai in piedi, presa dalla rabbia.
 
“Cosa non è così semplice? Non puoi tenerti tutti i segreti per te, non è un fottutissimo gioco! Si tratta della vita di alcune persone, non siamo qui per giocare a Indovina Chi!”
 
“Lo so, Lee! Cosa credi, che non me ne renda conto? Ci sono dentro completamente!” urlò, schiantandomi addosso i suoi occhi vitrei. “E ora siediti”
 
Mi calmai e ripresi fiato, gettandomi nuovamente sul divano.
 
“Ti prego, Harry” mormorai con voce rotta.
 
Sentii il respiro pesante del ragazzo affievolirsi.
 
“Mi sono scavato la fossa da solo. Riguarda tutto il giro di droga di cui faccio parte. Ma non è solo commercio di stupefacenti, è anche contrabbando di armi, crimini come rapine o scassi. Ogni cosa è collegata. Stiamo parlando di gente senza scrupoli che non si fa molti problemi sul togliere la vita alle persone. Gente per cui la stessa vita è incentrata sul business”
 
“E cosa avrebbe a che fare la morte di mio fratello con tutto ciò?” domandai, ascoltando attenta.
 
“Dai, Less. Non far finta di non sapere. Liam era nel giro della droga fino al midollo. Non trafficava ma comprava, e molto. Da quanto ho scoperto, era uno dei maggiori clienti. Poi qualcosa cambiò. Probabilmente tuo fratello capì che ciò che stava facendo era sbagliato, dannoso. Se avesse continuato ad assumere sostanze nel giro di poco si sarebbe rovinato completamente. Metteva a repentaglio la sua stessa vita. Penso abbia deciso di smetterla con tutto, di chiudere con la droga. Non è questo che complicò ulteriormente le cose. Fu il fatto che decise di voler denunciare l’organizzazione di traffici. Sarebbe andato tutto a farsi fottere se tuo fratello ci fosse riuscito. Bisognava eliminare l’ostacolo e così fu fatto. Liam non si è suicidato con dei farmaci, è stato drogato e poi avvelenato. Non ero a coscienza di tutto questo, Less. Lo seppi da un mio collega, grande amico da quando pure io sono nei traffici. Appena ne fui a conoscenza decisi che avrei smesso e mollato tutto. Riferì la mia decisione ad uno dei massimi vertici dell’organizzazione. Che stupido. Davvero avrei creduto che bastasse un ‘ciao ciao’ per mettere fine a tutto? No, per nulla. Mi dissero che me l’avrebbero fatta pagare, non si lascia così una compagnia che ti ha aiutato per tutta l’adolescenza e ti ha dato tutto ciò che avevi. “Ti toglieremo ciò che ti è più caro, Styles” righiarono quegli stronzi, prima che lasciassi l’edificio. Ho mollato tutto, non ci sono più dentro, capisci? Ma volevano farmela pagare e l’hanno fatto. Hanno cercato di togliermi la vita. Se non fosse stato per te e Niall a quest’ora forse non sarei qui a parlarti”
 
Osservai i movimenti delle sue mani mentre spiegava senza accorgermi che, già da tempo, le lacrime mi rigavano il viso, scivolando lungo il collo.
Alzai lo sguardo socchiudendo gli occhi. Tutto attorno a me si presentava sfuocato dalle lacrime che mi inondavano le guance.
 
“Lessy” sussurrò il ragazzo, passando le dita sulla mia pelle. “Mi dispiace, non sai nemmeno quanto”
 
Rimasi immobile continuando il mio pianto silenzioso.
 
“Ti prego, dì qualcosa” mormorò straziato Harry.
 
“L-l’hanno ucciso, veramente” schiusi le labbra per parlare. “Io li ammazzo, li ammazzo! Non la faranno franca”
 
“Ehi, calmati ora. Si risolverà tutto”
 
“Vogliono farti fuori, capisci? Come fai a dire che si risolverà tutto? Dobbiamo andare dalla polizia”
 
“Tu non vai da nessuna parte” si impose il riccio. “Non voglio mettere in mezzo anche te…”
 
“Svegliati, ci sono già in mezzo! Dobbiamo porre un punto finale a questa situazione. Dire la verità a tutti”
 
“Non correre. Dobbiamo agire cautamente. Non saprei che dire alla polizia in modo da evitare un mio coinvolgimento. Non so nemmeno i nomi che dovrei fornire agli sbirri”
 
“Come sarebbe a dire?!” alzai ancor di più la voce.
 
“Smettila di urlare! Mantieni la calma. Per evitare rintracciamenti e tradimenti da parte di membri della compagnia, ognuno dispone di nomi in codice che non rivelano la sua vera identità. Io non so nulla delle persone con cui lavoro. Solo il capo di tutto, il boss, e i vertici sanno nome, cognome, indirizzo e altre informazioni basilari dei ‘dipendenti’”
 
Imprecai. Dovevamo trovare una soluzione, la vita di Harry era tutt’ora ad alto rischio.
Mi lasciai avvolgere nuovamente tra braccia del riccio e restammo così per un tempo che mi sembrò infinito.
 
***
 
La sera del giorno stesso uscii per una camminata, giusto per rinfrescarmi le idee e rilassarmi.
Andai giù al porto e mi sedetti in un posticino appartato in riva al mare. Lasciai che l’acqua fredda mi avvolgesse le caviglie mentre con le dita riproducevo disegni indefiniti sulla sabbia scura e umida.
Presi il cellulare e le cuffiette e feci partire la musica ad alto volume.
Questo mi impedì di avvertire i passi di qualcuno che, cautamente, si avvicinava a me da dietro.
 
***
 
Aprii gli occhi, passandomi le dita fra i capelli. Avevo un mal di testa incredibile, tanto da oscurarmi la vista. Quando tutto si fece più nitido mi guardai attorno. Il sangue mi si gelò nelle vene. Attorno a me il niente. Una stanza quadrata e piccola, composta da quattro mura grigie.
Mi alzai, preda della paura. Dove mi trovavo?
Cominciai a tastare ogni punto nelle pareti, nella speranza di trovarci nascosta una porta o un qualche spiraglio. Niente.
Urlai, cominciando a piangere.
Dopo pochi minuti la voce mi morì in gola.
Toccai le tasche dei pantaloni alla ricerca del mio cellulare. Non c’era. Al suo posto trovai un bigliettino giallo. Lo aprì.
 
Benvenuta, principessa. È ora di chiudere una volta per tutte i giochi”
 
“Oh mio dio” sussurrai, ricominciando a piangere.
 
Battei i pugni contro i muri, singhiozzando e chiedendo aiuto. Nessuno mi sentiva, ero sola. Non c’era via d’uscita.
Mi accasciai sul pavimento, sfinita. Rivolsi lo sguardo verso il soffitto.
Eccola, una botola.
Mi trovavo sottoterra. 


 

Spazio Autrice.


Bonjour! Eccomi qui. Ultimamente ho aggiornato una volta al mese a causa dei vari impegni ma ora finalmente è estate e c'è più tempo libero.
Vi avverto, mancano solo un paio di capitoli alla fine della storia, eh si.
La pubblicherò anche su wattpad, penso.
btw, spero che, come i precedenti, anche questo capitolo sia di vostro gradimento.
Ringrazio tutti coloro che recensiscono la storia o semplicemente la leggono, davvero grazie.
alla prossima.
twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***





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Capitolo 27



Un nodo mi si formò in gola.
Questa volta è la decisiva, è finita, pensai.
Mi alzai nuovamente in piedi e cercai altri riferimenti che avrebbero potuto migliorare la situazione, aiutandomi. Incredibile quanto fosse spoglia quella cavità. Escluse la botola e la piccola lampadina attaccata al soffitto che illuminava debolmente il luogo, non era presente altro.
Sepolta e senza via d’uscita. La testa cominciò a girarmi vorticosamente e persi i sensi per qualche secondo, cadendo a terra.
Non so quanto tempo passò dal momento in cui mi resi conto di essere definitivamente in trappola. Forse minuti. Forse ore. Forse giorni. La sete e la fame cominciarono presto a farsi sentire, oltre al bisogno di liberare la mia vescica.
All’improvviso mi sopraggiunse un rumore metallico proveniente dall’alto. Una luce chiara, bianca e accecante inondò la mia prigione, costringendo i miei occhi, ormai abituati alla modesta luce prodotta dalla lampadina, a socchiudersi. Arretrai verso un angolo della stanza, aspettando. Sentii il rumore delle foglie mosse dal vento e il suono squillante degli uccellini che volavano da un ramo all’altro. Sopra di me la libertà.
Capii che avevo passato tutta la notte imprigionata, oltre, probabilmente, parte della mattinata.
Una scala di legno scese dalla botola aperta, toccando un punto del pavimento poco lontano da me.
 
“Sali, veloce” avvertii una voce ordinare.
 
Tremante e con poche forze in corpo, obbedii.
Gradino dopo gradino arrivai alla fine e mi gettai sull’erba verde al di fuori della botola.
 
“Su, alzati ragazza. Non abbiamo tempo da perdere”
 
“Cos-” non feci in tempo a replicare che mi aveva già sollevato di peso.
 
Dovevo ancora scrutare il suo volto ma, la voce e il fisico, da quel che potevo vedere, erano famigliari.
In breve tempo mi ritrovai spinta all’interno di un’altra stanza.
La prima cosa che notai fu il ragazzo riccio al centro, legato a una sedia e imbavagliato. Due uomini di massa muscolare notevole erano alle sue spalle con sguardo serio e minaccioso.
In men che non si dica mi ritrovai nella stessa situazione di Harry, solo non bloccata con dello scotch alla bocca.
Liberarono le labbra anche al ragazzo che cominciò a insultarli.
 
“Cosa volete da lei?! Volete uccidermi?! Cazzo, fatelo! Ma lasciate stare lei!” furono le prime parole che pronunciò.
 
Gli uomini presenti risero, compreso il signore che prima mi aveva liberato per portarmi qui. Spalancai gli occhi appena lo riconobbi.
Era Ted, ovvero Alexander Algan Jenkins, nuovo marito della signora Styles, non che ricercato per svariati anni.
Lui parve accorgersi della mia reazione alla vista del suo volto famigliare.
Si avvicinò a me e mi sfiorò la guancia con le dita.
 
“Lasciala stare!” cercò di ribellarsi Harry.
 
“Cos’è quello sguardo spaurito e sorpreso allo stesso tempo, cerbiattino? Ti ricordi forse di me?” mi domandò, con tono beffante.
 
“Lurido stronzo. Tu hai ucciso il padre biologico di Harry. Tu hai ammazzato mio fratello. Tu vuoi farla finita con noi due ora. Sporco assassino!” urlai, dimenandomi sulla sedia.
 
Una delle due “guardie” di Harry mi dette uno schiaffo, tenendomi ferma.
 
“Non toccarla!” gridò Harry, ma l’altro omaccione lo tenne calmo.
 
La guancia mi andava a fuoco dalla sberla ricevuta. Gli occhi cominciarono a lacrimare.
 
“Ebbene si, miei cari. Ragazza, sei perspicace. Sono stato io, ecco a voi il responsabile di tutto. Proprio io. Prima che partiate con gli insulti o le minacce di morte, lasciatemi spiegare. Partiamo dall’inizio di tutto, ma proprio di tutto. Un ragazzo, emarginato dalla società, decide che la vita non ha un senso preciso, meglio farla finita. Prima che sia troppo tardi, viene salvato da un giovane uomo, con un passato come il suo. Questo individuo gli promette fama e soldi, un futuro felice, il contrario del suo presente. È un compito facile, gli disse, devi solo gestire le consegne. Lavoro facile e veloce, soldi facili e veloci. Forse ciò che lo convinse di lui fu la consapevolezza che lo capisse. Sapeva ciò che aveva passato il povero adolescente, poteva aiutarlo. Lo aveva salvato una volta, perché non farsi salvare ancora? Al ragazzo piaceva il nuovo lavoro. Sapeva dei pericoli che poteva correre ma, wow, i soldi arrivavano veramente a palate. Nel giro di poco entrò completamente nei traffici. Era sempre più legato all’uomo che lo aveva salvato, quasi fosse un fratello per lui, data la non molta differenza d’età. Gli anni passarono e il ragazzo divenne adulto. Le cose andavano splendidamente. Sembrava andasse tutto come voleva lui. Un brutto giorno, però, si ritrovò nuovamente solo. Il suo salvatore era stato ucciso e lui non era riuscito a impedirlo. Ucciso da chi? Semplice, per mano della polizia. Eh si, in casi di urgenza, gli sbirri la pistola la tirano fuori velocemente. L’ormai uomo si promise che avrebbe vendicato il suo amico, una volta per tutte. Così, nel giro di qualche mese, arrivò a un nome. Ryan James Styles. Non un poliziotto, ma bensì un aiutante, diciamo, del corpo poliziesco. Eh già, il padre del signorino Harry. Era stato lui la mano che pose fine alla vita del mio salvatore. In breve tempo posi io fine alla sua. No Harry, stai calmo, lasciami continuare. Dopo qualche anno ancora, il figlio maschio degli Styles se ne andò di casa, dico bene? Un uomo se ne va, uno appare alla porta. Conobbi la signora Styles, ottima donna. In breve ci sposammo. Non finii mai tra i sospettati della misteriosa morte di Ryan, uomo conosciuto e rinomato nel suo paese. Passiamo a un’altra storia che vi riguarda. Il nostro Liam. Payne decide di entrare nel mondo della droga, non si sa il vero motivo. Cliente importante dell’organizzazione di traffici, che finisce in mano mia dopo qualche mese di distanza dall’uccisione di Styles. Va tutto a gonfie vele, il nome di Liam rimbomba tra documenti e telefonate, quanta droga affluiva tra le nostre mani e quelle di quel giovane ragazzo. All’improvviso le cose cambiano. Liam si ribella, decide di lasciare per sempre il mondo della droga. Conferma, persino, la sua idea di denunciarci tutti. Oh no, signorino Payne, quale cattiveria. Dopo pochi giorni esce la cronaca ai notiziari della morte improvvisa del ventiduenne. Suicidio causato da overdose di medicinali. Che strano caso. Ce ne siamo semplicemente sbarazzati. Ora, una nuova minaccia. Harry Styles, non che figlio naturale di Ryan. Quasi non ci credevo quando mi annunciarono il tuo nome appena entrasti nella nostra organizzazione. Non sei molto diverso da tuo padre, vero? Gli ostacoli vanno eliminati, mi dispiace. Non c’è due senza tre, o sbaglio?”
 
Io e Harry restammo muti, sconvolti entrambi dal discorso appena finito.
Sarebbe stata questa la nostra fine? Davvero?
La paura mi avvolse nella sua morsa quando vidi Alexander avvicinarsi a me, un sorriso malizioso stampato in faccia.
 
“E ora, Styles, ti toglieremo ciò che ti è più caro. La ragazza”
 
Harry urlò qualcosa ma l’uomo che gli stava alle spalle gli mise una mano sopra la bocca.
 
“Voglio che tu veda mentre muore tutto ciò che ti era rimasto. L’unica persona che non ti aveva ancora lasciato solo”
 
Prese da un taschino una pistola argentata e me la punto alla tempia.
 
“Mi dispiace piccola. Alla fine non è colpa tua” rise.
 
Un colpo partì.
Chiusi gli occhi in attesa della fine. Immaginai il dolore lancinante e improvviso. Il proiettile che avrebbe messo fine alla mia vita, bloccandomi il battito del cuore.
Nulla.
Ero già morta? Probabile.
Aprii gli occhi, lentamente.
 
“Scappa Less, scappa!”
 
D’improvviso fui afferrata dalle mani grandi e ruvide di Harry e mi ritrovai a correre fuori dalla stanza. Era riuscito a colpire con una gomitata forte il petto della guardia, smorzandogli il respiro e facendogli perdere i sensi. Ancora legato alla sedia era piombato addosso ad Alexander, pronto a sparare. Un colpo era partito verso l’omaccione che mi teneva ferma poco prima, colpendolo alla gamba. La sedia si era rotta addosso al corpo imponente dell’aggressore. In men che non si dica mi aveva liberato e trascinato fuori da quella trappola mortale.
Sembrava tutto calcolato ma non penso proprio lo fosse. Incredibile.
Avvertimmo entrambi i passi pesanti di Alexander dietro di noi.
 
“Più veloce! Corri!”
 
Riuscimmo a raggiungere il porto, che si rivelò non molto distante dal punto in cui eravamo stati tenuti in ostaggio.
Corremmo lungo il portico, a strapiombo del mare.
Un altro sparo nel giro di poco risuonò nell’aria.
La mano di Harry mi lasciò.
Mi girai a bocca spalancata, un urlo silenzioso si liberò dal mio corpo.
Gli occhi aperti innaturalmente di Harry mi fissarono. Il tempo si bloccò improvvisamente. Non avvertivo più niente.
Il corpo del riccio cadde impietrito in acqua.
Senza pensarci due volte mi fiondai nel punto in cui era scomparso il ragazzo, tra le onde e gli spruzzi gelidi.
 
***
 
“Harry! Harry!” Cercai in tutti i modi di tenere la testa fuori dall’acqua agitando braccia e gambe.
 
“Harry!” L’acqua era gelida, le gambe mi facevano male. Tutto il corpo era un fremito.
 
Urlai di nuovo il suo nome, ma non giunse risposta. Le onde si stavano facendo più alte, sbattendo contro gli attracchi del porto. Riuscivo a distinguere poche cose, era tutto così buio.
Non ce la facevo più. Sprofondai sott’acqua ma riemersi subito. Dovevo resistere. Dovevo salvarlo.
 
“Harry!” urlai per l’ennesima volta, con voce spezzata.
 
A qualche metro di distanza da me intravidi una figura. Caccia la testa sott’acqua e nuotai con foga fino a quel punto. Lo scorgevo cercare di rimanere a galla, invano.
Mi riempii i polmoni d’aria e cominciai ad avvicinarmi sempre di più.
Lo vidi non resistere più e scomparire sott’acqua. Urlai disperata e mi fiondai verso di lui. Presi il respiro e m’immersi.
L’acqua gelata mi costringeva a socchiudere gli occhi. I capelli oscillavano attorno al mio viso, impedendomi ancora di più la vista. Distinsi una figura nera a pochi metri da me andare a fondo. Sbattei le gambe più forte che potei per raggiungerla. Il fiato mi stava finendo, il cuore mi faceva male per lo sforzo e lo stomaco era contratto, dovevo fare in fretta.
Sentii il contatto con il suo corpo, lo afferrai per un braccio, portandolo a me. Lo cinsi per la vita e cominciai a scalciare per risalire in superficie. Ce l’avevo quasi fatta, dovevo resistere.
Riemersi con la testa e presi di nuovo fiato, ma Harry era pesante, non ci riuscivo. Mi chiesi se sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto. Tutto questo sicuramente non sarebbe mai successo. Adesso non starei per morire. Adesso lui non starebbe per morire.
Il peso di Harry mi avrebbe portato a fondo, ma non volevo lasciarlo.
 
“Questa è la fine” pensai, finché due braccia possenti afferrarono sia me che Harry.


 

Spazio Autrice.

tadann, eccomi qui.
questo, vi avverto, sarà il penultimo capitolo della storia.
come potete notare (chi ha seguito la storia fin dall'inizio), l'ultima parte è identica alla prima parte del primo capitolo della ff, chiamasi anticipazione.
vi vedo un bel po' inattivi in questo periodo, sarà perchè pure io lo sono date le vacanze estive e i vari svaghi.
fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo.
twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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Capitolo 28
*** Capitolo 28+EPILOGO ***





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Capitolo 28


Un flash, come un fulmine nel pieno di un temporale estivo.
Mille rumori attutiti.
Grida, sirene, voci sconosciute sempre più vicine.
Lampeggianti, luci soffuse, ombre affianco a me.
Poi, il nulla.
 
***
 
Apro gli occhi, lentamente, come se ormai fossero incollati alle pupille.
La luce che inonda la stanza mi costringe a stringerli, riducendoli a spiragli. Pian piano la vista si abitua all’atmosfera luminosa del luogo così li spalanco sempre più. Mi strofino una mano sulla fronte. All’improvviso noto vari tubi che percorrono le lenzuola fino a collegarsi al mio corpo, una maschera respiratoria è posata sulla mia bocca. D’istinto mi alzo velocemente seduta sul letto. Mi trovo in un ospedale, ma come ci sono finita?
Tolgo cautamente la maschera respiratoria e chiamo aiuto. Nel giro di pochi secondi un’infermiera si presenta nella mia stanza.
 
“Dio sia lodato, si è risvegliata!” urla la donna verso il corridoio.
 
Non riesco a capire.
Improvvisamente vedo mamma e Patrick entrare nella camera. Mamma piange e si getta affianco a me, Patrick si avvicina e mi accarezza i capelli, all’orlo delle lacrime.
 
“C-che è successo?” riesco a chiedere, restando immobile sotto le carezze di mia madre e del mio patrigno.
 
Mamma sembra non aver sentito, così provo a ripeterlo, inutilmente.
Dopo alcuni minuti sento la voce di Patrick dire: “eri caduta in coma, Less. Un coma profondo di ben 5 mesi. Non si sapeva se ti saresti mai risvegliata”
 
Coma?!
All’improvviso tutti mi ritornò alla mente.
La prigionia, il ricatto, gli spari, la fuga, un altro sparo, Harry in acqua, io in acqua, due braccia che ci salvano all’ultimo.
Una fitta mi percorre l’intero torace. Harry.
 
“Dov’è Harry? Dov’è?!” esclamo, con voce stridula che lascia trasparire note di panico.
 
Mamma e Patrick tacciono.
 
“Ditemi dov’è, vi prego. Sta bene? Rispondetemi!” comincio a piangere, in preda ai brividi.
 
Silenzio.
 
Mi alzo, divincolandomi dalla stretta dei due adulti e corro verso il corridoio, fuori da quella stanza troppo luminosa per me.
Sento voci che chiamano il mio nome ma non mi fermo. Entro in ogni stanza, fuggendo subito dopo se non vedo la testa del riccio all’interno.
Una morsa mi tiene intrappolato lo stomaco, nella mia testa rimbombano solo due parole, è morto.
Ed eccolo, quando ormai sono affaticata dalla mia continua corsa, lo trovo.
Entro nella stanza, meno illuminata della mia. Mi avvicino lentamente al letto e lo fisso. È così pallido. Capisco che, in quel momento, le uniche cose che lo tengono in vita sono le macchine a lui collegate. Capisco che questa volta non c’è nulla da fare. Non si sveglierà. Mi lascio cadere ai piedi del letto, in silenzio.
Resto semplicemente così, gli occhi pieni di lacrime che, pian piano, mi ricoprono il volto e offuscano la vista, cadendo sulle mie gambe come sassi.
Resto così, a fissare la chioma riccioluta che tanto avevo amato, scombinata e senza più volume.
Resto così.
Sola.
 
***
 
Due mesi dopo
 
“Mamma, il telefono suona!” urlo dalla mia stanza.
 
Non ho voglia di andare a rispondere ma so già cosa mi dirà mia madre.
 
“Amore, rispondi tu che io sto lavando la verdura e ho le mani tutte bagnate!”
 
Sbuffo e mi alzo dal letto, camminando velocemente prima che il telefono smetta di squillare.
 
“Pronto?” soffio all’apparecchio con tono spento.
 
“Buongiorno. Parlo con la famiglia Morgan?”
 
“Si, dica pure”
 
“Volevamo avvisarvi riguardo la situazione di un nostro paziente, Harry Styles”
 
Una fitta mi stringe il cuore improvvisamente.
 
“P-parli”
 
“Siamo lieti di comunicarle che il paziente ha subito dei miglioramenti, abbiamo notato dei progressi significativi. Crediamo ci sia un’alta possibilità che possa risvegliarsi. Un miracolo. Sembrava fosse un caso di coma irrevers-“
 
Non riesco a capire altro, il telefono cade ai miei piedi mentre mi sfogo in un pianto liberatorio.
 
Patrick e mamma mi accompagnano all’ospedale e, nel giro di una decina di minuti dalla chiusura della telefonata, mi trovo di fronte alla porta che conduce alla stanza di Harry.
Una dozzina di medici sono presenti nella camera quando entro, con il fiatone. Mi guardano straniti, poi capiscono, sistemano le ultime cose, affinché i macchinari collegati al riccio funzionino al meglio, ed escono dalla stanza.
Mi avvicino lentamente al letto dove riposa la sagoma del ragazzo. Il silenzio ci circonda, le finestre spesse attutiscono le voci al di fuori dell’edificio, provenienti dalla strada.
 
“Ehi” sussurro, come se Harry potesse rispondermi.
 
Mi abbasso ai bordi del letto, inginocchiandomi ai suoi piedi. Resto zitta, come se anche solo il rumore del mio respiro potesse disturbarlo.
Prendo la mano del ragazzo tra le mie, sudate e calde. Capto un movimento. Le dita si sono leggermente mosse, come per ricambiare la mia stretta. Una fitta di gioia mi riempie il petto, inondando in poco tempo tutto il mio corpo. Con la punta delle dita percorro i lineamenti delle sue mani, correndo tra una vena in rilievo e l’altra, delineando ogni suo particolare.
Lo fisso, con gli occhi inumiditi e il respiro trattenuto. Scruto ogni sua caratteristica, ogni piccolezza, ogni sciocchezza mai notata prima. È bello, in ognuna delle sue imperfezioni. È bello come un temporale estivo, improvviso e impetuoso, di quella bellezza cattiva e spaventosa, ma allo stesso tempo così pura. È bello e basta.
Mi alzo e mi chino sul suo viso, accarezzandogli le guance morbide e tiepide. Tocco le sue labbra, semiaperte e ormai ruvide. Lo bacio, semplicemente.
 
“Anche io ti amo, Harry” mormoro, infine.
 
Ce n’è voluto di tempo per rispondere al suo primo Ti amo, al quale ero rimasta zitta, quasi spiazzata.
Ma ora eccomi qui. Ti amo Harold Edward Styles.
 
All’improvviso una luce accecante illumina tutta la stanza, costringendomi a chiudere gli occhi, coprendoli con le mani, spaventata.
Quando quel lampo inaspettato sembra essersi placato apro gli occhi. Resto sconvolta da ciò che vedo davanti a me.
Una sagoma luminescente alleggia nell’aria, per poi posare i piedi a terra.
 
“Liam” sussurro, con voce spezzata.
 
È a qualche passo da me, in piedi, un sorriso stampato sulle labbra. Resto impietrita a guardarlo, l’uomo che aveva influito di più nel corso della mia vita, il fratello che avevo perso per mano di assassini crudeli e senza ritegno.
Comincio a piangere, l’unica cosa che riesco a fare in quel preciso istante.
Liam si avvicina, sfiorandomi i capelli. I singhiozzi mi percuotono come scosse, mentre sorreggo il suo sguardo sereno.
Si allontana da me, raggiungendo il letto del riccio. Gli accarezza la fronte, spostando i riccioli ridotti, ormai, a onde mosse e scomposte.
 
“Sono sempre vicino a te, Lessy. Sempre il tuo Liam. Non ti abbandonerò mai” dice infine, svanendo gradualmente, sotto il mio sguardo implorante.
 
La luce di poco prima mi acceca nuovamente, confondendomi.
 
“Less. Ehi, Less” avverto una voce chiamarmi.
 
Scuoto la testa. Mi risveglio seduta sul pavimento freddo della camera, con la testa appoggiata a bordo letto.
Alzo lo sguardo.
Harry mi fissa, un sorriso stanco sulle labbra, gli occhi vitrei e socchiusi.
 
“Oddio”
 
Mi alzo di scatto, mettendomi le mani davanti alla bocca.
 
“Harry!” urlo.
 
Si è risvegliato. Sta bene. È vivo.
 
Nel giro di pochi secondi accorrono un paio di infermiere, sorprese e gioiose.
Non riesco a descrivere ciò che provo in questo momento, mi sento come un attimo prima di affrontare la discesa più ripida sulle montagne russe, il mondo svanisce attorno a me, tutti i rumori diventano un eco lontano.
Piango di gioia, per la seconda volta nel giro di poche ore.
 
 
EPILOGO
 
Dopo una settimana dimisero Harry dall’ospedale. Lo tennero dentro per dei semplici accertamenti sulle sue condizioni fisiche. Non posso descrivere l’ansia che mi assalì quella settimana. Un’ansia positiva e piena di speranza.
Venni a sapere che, colui che aveva salvato da una morte certa nelle acque dell’oceano me e il riccio, era un cinquantenne che lavorava nella zona e che, allertato dagli spari, si era recato al porto. Se non fosse stato per quell’uomo e il suo tempismo perfetto non sarei qui a raccontarvi questa storia né Harry si sarebbe ricostruito una vita come aiutante della polizia antidroga. Ha ancora un esame da superare prima di conseguire il ruolo di parte completa nel comando. Sono così fiera di lui.
Alexander Algan Jenkins venne arrestato e accusato di duplice omicidio, oltre a spaccio di droga e sequestro di persone. Finì in cella, seguito da tutta la sua compagnia di traffici.
Nonostante inizialmente mi sembrasse solo un sogno, sono tuttora convinta di aver visto Liam quel giorno, quando Harry, dopo un coma durato più di 7 mesi, si risvegliò.
Sono sicura che sia opera sua, un miracolo. Lui ci guarda da lassù, il mio fratellone. Ne sono certa.
Mi manca da morire ma mi sento protetta dalla sua presenza.
Ora un altro uomo ha preso il suo posto principale nella mia vita. Voglio costruirmi un futuro con Harry, non voglio più rischiare di perderlo. Lo desidero al mio fianco sempre, per sempre.
La sera in cui lo dimisero dall’ospedale andai a casa sua. Quella notte la passammo a fare l’amore. Due innamorati, che si cercano, si sfiorano, si toccano, si vogliono. Si appartengono. L’amore come nessuno l’aveva mai fatto prima d’ora.


Spazio Autrice.

TADAAAN. Siamo giunti al termine di questa ff.
Non ci credo ancora che, dopo più di un anno, io sia riuscita a concluere finalmente questa storia, la mia prima su efp.
Anche se negli ultimi capitoli non vi siete fatti sentire più di tanto, spero che abbiate continuato a seguire questa ff.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno supportato, hanno letto e recensito Alive, grazie davvero.
Siete stati voi a incitarmi ad andare avanti con la scrittura.
Non credo di pubblicare altre ff qui su efp.
Penso di trasferire Alive su wattpad, appena avrò un po' più di tempo mi iscriverò.
Detto questo, spero che il mio modo di scrivere e la mia ff in sè vi sia piaciuta.
Alla prossima.
twitter: @aspettamiharry

un bacio x

-Alessia

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