Came back to me.

di Graffitisuimuri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** capitolo 3. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.
 
Guardavo insistentemente la valigia che giaceva aperta sul letto. Nella mano destra una spazzola, nella sinistra l’ennesimo jeans. E’ incredibile quanta roba si possa accumulare in un solo anno. Sorprendente, invece, che avessi rinunciato a un viaggio in una sperduta località del Brasile insieme a mia madre solo per tornare a Miami. Io che da quella città ero letteralmente fuggita, nella quale non avrei mai più voluto mettere piede. Avevo perfino giurato a me stessa che nessuna supplica o preghiera mi avrebbe smosso da questa mia decisione. Invece, eccomi i qui, nel tentativo di ficcare nella valigia oltre che ai vestiti anche i sentimenti.
Questo a dimostrazione del fatto che mai nella mia vita sarei riuscita dire di no a qualcuno.
Eppure c’era un ottimo motivo se decidevo di tornare dove tutto aveva avuto inizio: il Sonic Boom chiudeva. Mio padre aveva deciso che portare avanti l’attività era troppo dispendioso sia di denaro che di energie. Voleva andare in pensione, diceva di sentirsi troppo vecchio per tenere aperto in negozio. All' inizio avevo protesto, quel posto faceva parte della mia infanzia.  E, soprattutto, era li che io e Austin avevamo cominciato a comporre, a dare vita ai suoi primi successi. Quel posto era l’unica cosa che continuava a legarmi in qualche modo a lui. Anche se me ne ero andata, anche se adesso stavo con un altro.
Infatti non avrei affrontato il viaggio da sola, Gareth sarebbe venuto con me e la cosa mi infondeva una tranquillità che altrimenti non avrei avuto.
L’avevo incontrato in un piccolo e anonimo bar di New York i primi mesi che abitavo li. Avevo sentito dire che li si suonava buona musica ed ero alla disperata ricerca di un posto dove rilassarmi, sedermi ad un tavolino e comporre. Non avevo ancora superato del tutto la nostalgia di casa e la cosa mi rendeva più malinconica del solito.
Gareth faceva parte di una delle band che suonavano quella sera, era il cantante ed in più suonava la chitarra. La sua band- i Nooses* -  aveva appena finito di suonare “Heros” di David Bowie. Mi ricordo di aver pensato che la voce del cantante era proprio bella e che i musicisti avevano suonato bene, non come il gruppo che li aveva preceduti che avevano fatto una pessima cover di “Michelle” dei The Beatles, che tra l’altro era una delle mie canzoni preferite. Era stato straziante.
Lui mi si era avvicinato portando con se l’odore dello smog e delle sigarette, così diverso da quello di Austin che profumava sempre crema solare e aria di mare. Aveva alzato un dito in direzione del cameriere << due gin tonic >> aveva detto mentre si sedeva sulla sedia di fronte a me. Avevo alzato lo sguardo dal quaderno, incerta se voltarmi o meno a controllare se stesse guardando me o qualcun’altra alle mie spalle. Opzione che ritenevo più probabile.
Quando il barista però mi porse l’acqua tonica e il gin mi resi conto che ero proprio io l’oggetto delle sue attenzioni. Mi sorrise costringendomi a sorridere a mia volta. << Allora, che ci fa una bella ragazza come te in un posto come questo? >> mi chiese. Inarcai  il sopracciglio assottigliando lo sguardo. Che voleva questo tizio dannatamente bello da me? Per caso ci stava provando?.
<< Mmh io non bevo. Grazie comunque >> avevo prontamente eluso la sua domanda. Forse così mi avrebbe lasciato stare. Invece rimase seduto, fissandomi con quello sguardo furbetto che mi faceva intuire che non avrebbe mollato la presa tanto facilmente e la cosa strana che anche io non volevo che se ne andasse.
<< Okay, non bevi, ma scommetto quello che vuoi che componi >> scoccò un occhiata al mio quaderno che tenevo aperto su una pagina bianca. << Si, effettivamente compongo >> o meglio componevo, da quando ero arrivata a New York non riuscivo più a scrivere una singola parola o nota,ogni cosa che scrivevo mi ricordava Miami che di conseguenza mi ricordava Austin. Uno stress infinito.
<< Allora che ne dici di esibirti? Io alla chitarra e tu canti. Abbiamo bisogno di gente nuova qui >> improvvisamente non sapevo che cosa rispondere, l’unica persona con la quale avessi mai cantato era Austin. Mi resi conto poi che Austin però li non c’era, che non ci sarebbe mai stato, era uscito dalla mia vita. E cosa c’era di male ad accettare l’invito di uno sconosciuto chitarrista bello e, probabilmente, molto talentuoso? Niente, appunto.
Così mi ero alzata dalla mia postazione, ingurgitato il gin tonic, diretta sul piccolo placo sul lato opposto del locale. Gareth si era seduto su un piccolo sgabello ed io ero in piedi di fianco a lui, scese il silenzio. Gli sguardi di tutti nel locale erano su di noi, su di me che probabilmente con quel vestito a fiori e i sandali dovevo avere l’aria di una appena uscita da un raduno hippie.
Le dita di Gareth scivolarono agili sulle corde, stava suonando “Samebody to love” dei Queen. Presi  cantarla, prima piano, timidamente, poi sempre con più grinta. Non avevo paura, le occhiate della gente non mi intimorivano. Anzi, ero felice che mi osservassero.
A fine brano uno scroscio di applausi ci investì facendomi sentire viva come non mi sentivo da tanto tempo. Fui anche così spavalda da lasciare il mio numero a  Gareth che mi chiamò la sera dopo, e la sera dopo ancora, fino a farmi diventare un habitué del locale. Cantavamo insieme quasi sempre e poi scorrazzavamo per le strade di New York fino all’alba.
Mi aveva baciato per la prima volta a Capodanno, sotto i fuochi d’artificio a Time Square.
Ora, sapevo che ritornare sarebbe stato sbagliato – dopo tutto mi ero appena costruita una nuova vita nella Grande Mela con una persona che mi voleva davvero bene e con tanti nuovi fantastici amici -  avrei perso quella serenità che tanto a fatica mi ero guadagnata anche se solo lo avessi l’avessi rincontrato, anche solo per caso, in metropolitana. Ma – allo stesso tempo - volevo andare.  Mi dicevo che impacchettare gli strumenti e cedere le chiavi al nuovo proprietario del negozio mi avrebbe aiutato a tagliare finalmente i ponti col mio passato.
In fondo Gareth sarebbe stato con me, mi sarebbe stato vicino anche quando  miei amici mi avrebbero guardato con la delusione negli occhi proprio come quando ero partita.
 
Il campanello del mio appartamento suonò ridestandomi improvvisamente da quel mare di pensieri che mi aveva investito. Abbandonai la spazzola e il jeans  all’interno della valigia ed andai ad aprire.  A saltarmi al collo la mia coinquilina Lea, nonché una delle migliori musiciste di violoncello che io avessi mai ascoltato.
<< Non te ne puoi andare Ally! Non puoi lasciarmi sola tutta l’estate! >> singhiozzò col viso nascosto nella mia spalla. Le accarezzai dolcemente i lunghi capelli neri << non piangere Lea, sarà solo per un mese! Poi tornerò alla MUNY** appena in tempo per cominciare il semestre >>  ebbene si, era alla MUNY che mi ero rifugiata, avevo inviato un secondo video in cui suonavo – era stata un impresa registrarlo senza che ne Trish,Daz e Austin se ne accorgessero -  e loro mi avevano nuovamente accetta. Avevo taciuto tutto fino all’ultimo giorno, quando ormai avevo comprato il biglietto aereo.
Eppure, nonostante  tutto, mi erano venuti tutti a salutare all’aereo porto, tutti tranne Austin che, invece, non si era nemmeno premurato di lasciarmi un biglietto di “ cordiali saluti”. Ancora oggi mi chiedevo cosa si aspettasse da me, lui aveva il suo tour mondiale, la sua casa discografica e la sua ragazza. Cosa avrei dovuto fare io? Aspettare che lui prendesse una decisione da brava stupida?.
<< Bugiardaaaaaa! Rimarrai a Miami insieme a quell’Austin lasciandomi sola! >>. nonostante Austin ormai fosse famoso in quasi tutto il globo in Lea si ostinava a chiamarlo “quell’Austin”, non gli stava particolarmente simpatico – la solidarietà femminile prima di tutto! – ma riteneva che io e Austin fossimo destinati a stare insieme. Le piaceva Gareth, credeva che io l’amassi,però diceva che quando parlavo di lui qualcosa nei miei occhi mutava. Come se fossi più felice anche solo ricordandolo.
<< Tz, figurati, lui non ci sarà nemmeno. Avrà un tour ho qualcosa di simile >> almeno speravo che fosse così. << Oh avanti Ally, te lo leggo negli occhi che ardi dal desiderio di rivederlo >>. Sbuffai, tornando ad occuparmi della mia valigia.
Questo era il suo più grande pregio/difetto, sapeva leggere le persone. Anche quelle più complesse. E,ammettiamolo, non è che io fossi così tanto difficile da interpretare.
Lea venne vicino a me, alzò un braccio per carezzarmi i capelli e io mi abbandonai alle sue coccole lasciandomi sfuggire un sospiro amareggiato.
<< Non lo so Lea, non so nemmeno cosa voglio >> ammisi sedendomi sul letto, lei si sedette al mio fianco poggiando la sua testa sulla mia spalla << vedrai che ce la farai >> mi rassicurò << e se quell’Austin prova solo a toccarti vengo fino in Florida a prenderlo a calci >> non potei fare a meno di ridere quando nella mia mente si formò l’immagine della piccola Lea cosi minuta che inseguiva Austin imprecando in cinese.
<< Tu però cerca di vedere il lato positivo. Sarai a Miami con Gareth! Forse è la volta buona che concludete … >> quelle parole mi fecero arrossire. Era vero, in quasi otto mesi di relazione non eravamo mai andati oltre. Ero ancora vergine, e nonostante lui mi avesse fatto capire di volere qualcosa di  più io avevo volutamente ignorato i suoi segnali. Non mi sentivo ancora pronta, ecco tutto.
Afferrai un cuscino e glielo sabbatei in faccia <<  e smettila! >>.
Come potete notare non era la prima volta che affrontavamo l’argomento.
Ridemmo di gusto, stese sul letto, per non so quanto tempo. Poi smettemmo anche di ridere, ci voltammo a guardarci come facevamo ogni volta quando c’era qualcosa di non detto o di non fatto ad aleggiare nell’aria e nessuna delle due si sentiva di affrontare l’argomento.
<< Spero davvero che questo viaggio ti aiuti a schiariti le idee >> disse, alla fine, rompendo il silenzio. Sospirai << lo spero anche io >>.
 
 
Gareth sonnecchiava tranquillamente con la testa appoggiata nell’incavo della mia spalla. Aveva dormito tutto il viaggio, stanco morto com’era probabilmente per colpa delle prove della band. Era stato un bene che si fosse addormentato; non amava particolarmente l’altezza, gli dava la nausea, e probabilmente se fosse stato sveglio avrebbe passato tutto il tempo nel bagno dell’aereo.
Io, invece, durante tutte e tre ore e venti minuti di viaggio, non ero riuscita chiudere occhio – nonostante anche io fossi molto stanca. Il punto era che ero troppo nervosa, sapevo che ad aspettarmi ci sarebbero stati Trish, Daz – non volevo e ne contavo sulla presenza di Austin, figuratevi – e, naturalmente, mio padre. Speravo solo che Trish non avesse organizzato le cose a modo suo, con tanto di banda e striscioni colorati***. Sarebbe stato molto imbarazzante.
<< Signori e signore vi avvisiamo che stiamo per atterrare all’ aereo porto di Miami. Vi prego di allacciarvi le cinture >>. Scossi Gareth con delicatezza << amore >> gli sussurrai all’orecchio << stiamo per atterrare >>.  Le sue palpebre fibrillarono, poi lentamente aprì gli occhi. Ogni volta mi stupivo di quanto potessero essere verdi e brillanti, nonostante fossero, in quel momento, velati dal sonno.
Si mosse a disagio sulla sedia allacciandosi frettolosamente la cintura << potevi svegliarmi una volta atterrati >> strinse convulsivamente i braccioli << lo sai che questa è la parte che odio di più è l’atterraggio >>. Si, al contrario di ogni acrofobico  lui era più terrorizzato dall’atterraggio che dalla partenza. Diceva che si sentiva come precipitare in picchiata senza alcun controllo.
Feci roteare gli occhi << fifone >> borbottai a mezza voce.
 
Nonostante Gareth avesse ripetuto costantemente durante tutta la fase dell’arrivo sulla pista << adesso moriamo >>  riuscimmo a giungere sulla terra illesi.
Dopo poco eravamo all’imbarco, lì ci avrebbero raggiunto gli altri. Irrequieta camminavo avanti e indietro controllando ogni due passi l’orologio. Dove accidenti si erano cacciati?.
<< Dovresti smetterla di fare così sai? >> la mano di Gareth si poggiò sulla mia spalla bloccando quell’andirivieni. Mi attirò sulle sue ginocchia – lui si era seduto per riprendersi dopo l’evento traumatico dell’atterraggio – e mi fisso con quei grandi smeraldi che aveva al posto degli occhi << consumerai il pavimento a forza di fare su e giù >> ironizzo passando le lunghe dita fra i miei capelli. Sospirai << e che sono nervosa. E’ più di un anno che non li vedo, e se fossero ancora arrabbiati con me? Se non volessero essere più miei amici? >> mi sentivo una bambina sulle ginocchia del proprio papà che piangeva perché gli amichetti l’avevano esclusa. Anche se in questo caso, ero stata io a escludere loro.
Aggrottò la fonte << beh >> cominciò << anche se così fosse cosa importa? Tu hai me, Lea e gli altri ragazzi del gruppo. Noi ti vogliamo bene. Sono loro a perderci non tu >> incollò le labbra sulle mie << una splendida cantautrice, generosa e piena di talento che bacia da Dio. Ecco cosa si perderebbero >> risi sulle sue labbra << scemo >>.
<< Oh, ma guarda. Pare che tu non abbia perso tempo eh Ally? >>.
Mi irrigidii.
Merda.

 
 
 
 
 
 
* I cappi al collo.
**  Ho preso spunto dall’episodio in cui Ally sarebbe dovuta partire per New York per frequentare, appunto, la MUNY. Solo che rinuncia perché preferisce restare con i suoi amici.
*** Riferimento all’episodio in cui Trish organizza il licenziamento di Dallas.



Angolo Autrice.
Salve! Sono piccola98 ed è la prima volta che scrivo in questa sezione. Mi è venuta in mente l'idea per questa fan fiction mentre guardavo una puntata della seria ( precisamente quella in cui i due si rendono conoto di amarsi ) e mi sono chiesta come sarebbe andata avanti la storia se Ally - stanca di aspettare una decisione di Austin - partisse per New York e tornasse a Miami solo un anno dopo.
Premetto che sono un autrice molto pigra e che spesso per postare ci metto un po'. Cercherò comunque di non essere troppo saltuaria nell'aggiornamento.
In ogni caso spero che il capitolo vi piaccia.
baci.
piccola98
    

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.
 
<< Allora, come va? >>.
Niente.
<< C’è un sole magnifico oggi non trovi?>>.
Ancora nulla.
<< Hemm, voi per caso una tazza di caffè? >> .
Questo era il mio patetico tentativo di intavolare una discussione con il ragazzo per il quale meno di un anno prima avrei fatto di tutto. Austin mi guardava con lo stesso sguardo che mi aveva rivolto all’aeroporto qualche ora prima: puro e semplice astio.  Contando che poi non mi aveva parlato per tutto il tragitto fino a casa, tranne per rivolgermi quella frase intrisa di ironia appena mi aveva vista – ma dico io, poteva mai beccarmi in un momento peggiore?. Dio doveva proprio avercela con me.
Eravamo soli nella cucina di casa mia, immersi nel più completo silenzio. Mio padre era al Sonic Boom ad impacchettare gli ultimi strumenti, Daz e Trish erano sul divano del salotto a guardare la puntata pomeridiana di Beautiful scambiandosi tenere effusioni – si, si erano messi insieme. Piccolo dettaglio che avevano deciso di nascondermi. Gareth, intelligentemente, si era rifugiato nella mia stanza con la scusa di mettere a posto le valigie.
Cosa credevano di fare lasciandoci soli in cucina? Perché, accidenti lo avevano portato con loro?. E, soprattutto, perché Gareth non scendeva da quella cazzo di stanza?.
<< Beh, a me il caffè va. Ne faccio un paio di tazze >>  aprì la dispensa alla ricerca delle cialde. Non le trovai, evidentemente mio padre aveva smesso di comprarle poco dopo la mia partenza. A lui il caffè non piaceva.
Mi voltai nuovamente, mi stava ancora fissando senza dire una parola con quegli occhi castani che mi avevano fatto innamorare, quegli stessi occhi che, un tempo, mi avevano guardato con tanta dolcezza e che adesso erano freddi e duri.
Sentivo un tremendo bisogno di piangere.
<< Allora, stai con quel Gareth adesso? >>. Annuii.
<< da quanto tempo? >>.
<< Quasi otto mesi >>.
Scese di nuovo il silenzio.
<< E sei felice con lui? >> . Che razza di domanda era?.
<< Certo che sono felice >>.
Strinse le labbra.
<< Bene. Sono contento per te >>.
<< Ok >> .
Ennesimo silenzio imbarazzante.
 
La porta si aprì con un leggero cigolio. Ci girammo di scatto per edere Gareth che faceva il suo ingresso nella stanza. Spostò lo sguardo da Austin a me e viceversa.
<< hemm >> mugolò <<  se stavate discutendo io posso anche andare >> di sottecchi mi lanciò un occhiata che voleva dire: “ tutto bene?”. Risposi stringendo le labbra. << No, non ti pr->> e mentre provavo a tirarmi fuori dalla situazione spinosa che si era andata creando Austin si mise in mezzo << veramente io e Allyson stavamo parlando. Non è che potresti lasciarci in pace? >> cosa era questo? Un attacco di gelosia tardiva?.
Lo fulminai con lo sguardo, ricevendo un occhiataccia a mia volta.
<< Io e Austin abbiamo finito di parlare. per quanto mi riguarda puoi anche entrare >>.
<< Non abbiamo finito un bel niente Allyson! >>  un brivido mi scosse. Austin non aveva mai urlato con me, neanche una volta. Adesso quella figura fremente a pugni chiusi che mi fissava con, non dico odio, ma qualcosa di molto simile ad esso negli occhi non assomigliava nemmeno vagamente al ragazzo che avevo conosciuto anni prima. Era un estraneo e la cosa mi confondeva e spaventava.
Mi morsi il labbro inferiore e trattenni a stento le lacrime cercando di trovare le parole adatte per rispondergli.
<< Hey amico, datti una calmata >> Gareth fece un passo in avanti frapponendosi tra me e quello sconosciuto che aveva le sembianze di Austin.
<< Non chiamarmi amico e non dirmi di stare calmo! >>.
<< Austin! >> gracchiai, trattenendo a stento i singhiozzi. I suoi occhi si poggiano su di me, mi fissarono un istante mentre venivano attraversati da un emozione alla quale non sapevo dare nome.
<< Io … al diavolo! Me ne vado! >> a passo veloce attraversò la cucina e uscì.
A quel punto scoppiai in lacrime.
 
 
Austin’s point of view.
 
Fuori il sole era quasi calato e il celo era tinto di una meravigliosa tonalità rosso-arancio.
Quanto tempo eravamo rimasti soli in quella cucina a fissarci?.
Ally non era cambiata poi così tanto dall’ ultima volta che l’avevo vista – un anno prima, nella sala dove prima componevamo. Il giorno in cui aveva deciso di dirmi che partiva.
 
<< Ecco fatto! Adesso anche l’ultima melodia è finita! >> avevamo appena finito di mettere a punto una nuova melodia per una nuova canzone che avrei cantato nel mio primo tour negli Stati Uniti. Ero all’apice della gioia, finalmente il mio sogno si stava avverando e io non vedevo l’ora di vederlo realizzato.
In più, le cose tra me e lei andavano più che bene.  Certo, c’era ancora la questione Kira da chiarire del tutto, ma sembrava che Ally fosse disposta ad aspettare un altro po’.  Il tempo di guadagnarmi la fiducia del signor Star così da poter lasciare Kira senza troppe ritorsioni.
<< Hey Ally, ci sei? >> la scossi per un braccio cerando di farla tornare alla realtà. Da un paio di giorni era strana, taciturna. Da quando la conoscevo era sempre stato un  tipo riservato e tranquillo ma quel mutismo non era affatto normale. Non con me almeno.
<< Oh, si certo … scusa Austin, pensavo >>. Aggrottai le sopracciglia << si può sapere che hai? Sei più strana del solito >>. Lei sospirò scuotendo la testa a destra e a sinistra.
<< Austin, devo dirti una cosa … ascoltami bene >> piantò il suo sguardo nel mio.  Aveva una strana espressione, come se avesse paura di dirmi qualcosa.
<< Io domani parto, vado via, a New York. La MUNY mi ha accettato e …. >> rimasi di sasso, letteralmente spiazzato da quella rivelazione. << E noi!? >> chiesi in un impeto di ira << che cosa ne sarà di noi? >>.
Si mordicchiò il labbro inferiore << quale noi Austin? Tu stai con Kira >>.  Aprì la bocca per ribattere ma non trovai niente da dirle.
<< Non puoi farmi questo Ally! Non adesso che sto realizzando il mio sogno e ho bisogno di te più che mai >>. Un lampo di ira le attraversò le iridi nocciola. << E i miei di sogni eh Austin!? Non pensi mai che io desideri qualcos’altro oltre che farti da paroliere!? Sei un egoista >>.
Scattai in piedi << Ah, sarei io l’egoista!? Sei tu che te ne stai andando Ally! >>. Sbattè il palmo sul pianoforte << credi che per me sia facile vivere qui Austin? Credi che sia facile vedere te e Kira Star spalmati l’uno sull’altro mentre io me ne sto in disparte aspettando che tu prenda una maledetta decisione!. Sono stanca, stanca di tutto questo.  Non ho scelta >>. Si era alzata in piedi e mi fronteggiava con lo sguardo, uno sguardo disperato. Ero  stato io a ridurla così.
La presi per le spalle e la spinsi contro il muro facendo aderire il suo corpo col mio.
<< Hai scelta >> le sussurrai a pochi centimetri dalle sue labbra << c’è sempre una scelta >>. Sentì il suo palmo contro il mio petto come per respingermi  << ti prego Austin, non rendere le cose più complicate di quello che già sono. Domani Trish mi accompagnerà all’aeroporto e me ne andrò >>. Mi allontanai di qualche passo << Trish sa che te ne vai?  >> annuii << anche Daz lo sa >>. Alzai il sopracciglio << quindi ero l’unico a non sapere di tutta questa storia? >>.  Ally voltò lo sguardo << te l’avrei detto … >> bisbigliò. Le presi il mento e la costrinsi a guardarmi << e quando? Domani mattina? Quando non ti avrei trovato in sala prove? >>. Serrò le labbra << Austin … >>. La lasciai andare.
<< Non aggiungere altro, ho capito. Buon viaggio Ally >> detto questo uscii dalla stanza.
 
Non andai a salutarla ne il giorno dopo all’aeroporto ne provai a cercarla nei mesi seguenti. Ero troppo arrabbiato e orgoglioso per parlarle. Quando la rabbia fu scemata accarezzai l’idea di poterla chiamare, anche solo per sentire la sua voce. Ma non lo feci, a fermarmi questa volta la paura.  La paura che lei fosse ancora arrabbiata con me, che avesse qualcun altro. Ed avevo ragione.
Presentarmi all’aeroporto senza preavviso non era stata poi una cosi brillante idea.
Chiusi la porta di casa alle mie spalle e mi andai a stravaccare sul divano di pelle del salotto. Nel silenzio della casa – ormai vivevo da solo da circa sei mesi – mi resi conto che c’era qualcuno, oltre me.
Afferrai uno dei ninnoli costosi che mia mamma aveva comprato per arredare la casa – mi pare fosse un vaso – e salì le scale nel più completo silenzio. 
Lo scricchiolio del parquet proveniva dalla mia camera. Alzai il vaso sopra la testa e mi fiondai nella stanza. << Aaaaaaah! >> mi bloccai di colpo << e tu che accidenti ci fai qui? >> Kira Star era seduta sul imponente letto matrimoniale e mi guardava con un mezzo sorriso sulle labbra. << Ciao Austin, sono contenta di rivederti anche io >>. Poggiai l’oggetto che avrei dovuto usare come arma sul cassettone di fianco alla porta << avresti potuto anche avvertirmi che saresti venuta. Stavo per colpirti! >> scrollò le spalle << e come avrei potuto fare scusa? Hai lasciato il cellulare qua >> mi lanciò il telefono che afferrai al volo infilandomelo in tasca << e in più non volevo disturbare il tuo magico incontro Ally.  Come è andata? >> crollai sul letto di fianco a lei senza dire una parola. << oh, non è andata tanto bene eh? >> si accoccolò al mio fianco premendo il suo naso contro il mio collo << dai raccontami. Che è successo? >>.
Nell’ultimo anno io e Kira ci eravamo avvicinati molto, logico visto che mi aveva seguito durante tutto il tour. Anche se la nostra relazione era terminata l’affetto che ci legava l’uno all’altro non era per niente scomparso. C’era un qualcosa che ci legava, quel qualcosa che mi aveva impedito di sprofondare nella depressione più nera dopo la partenza di Ally. Le dovevo molto.
<< E’-è venuta con il suo ragazzo … >> biascicai mentre stringevo il suo esile corpo contro il mio. Mi carezzò i capelli scendendo fino alla guancia << oh Austin >> mi strinse più forte << andrà tutto bene vedrai, tornerà da te >>. Scossi la testa << no, non lo farà Kira >> mi voltai verso di lei << non lo farà >> gemetti. Mi voltai nella sua direzione e premetti le mie labbra sulle sue  e non dovetti aspettare molto  per scatenare la reazione delle sue. << Hai me >> sospirò << hai me, adesso >>. Feci scendere le dita lungo le lunghe gambe affusolate fasciate da uno stretto pantalone bianco << Kira … >> sussurrai. Gemette sulle mie labbra mentre cercava di sbottonare la camicia che portavo in dosso. Arrivai alla zip dei pantaloni e gliela abbassai, poi li feci scendere con delicatezza. Continuammo a spogliarci fino a quando non ci ritrovammo completamente nudi e ansanti l’uno sul l’altro << Avevamo detto che non sarebbe più successo Austin >>  ansimò lei a pochi centimetri dalle mie labbra. Affondai il viso tra i sui capelli << è l’ultima volta, lo giuro Kira. Ti prego … >> la stavo letteralmente supplicando.  Cedette, tornando a baciarmi.
Così successe. 








Angolo autrice.
Salve a tutti gente!  Ecco al secondo capitolo di  " Come back to me " .
Come avete notato gli animi  sono un po' tesi e in più Austin e Kira hanno un rapporto che va ben oltre l'amicizia. Vi prego, non mi linciate ma questo capitolo era necessario. Non poteva essere subito tutto rosa e fiori no?.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia.
baci.
piccola98. 

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Capitolo 3
*** capitolo 3. ***


Capitolo 3.
 
Allungai il braccio dall’altra parte del letto e tastai alla ricerca del corpo di Kira ma lo trovai vuoto. Aprì lentamente gli occhi, facendoli gradualmente abituare alla luce del sole che filtrava dalle finestre di fronte al letto.
Osservai il lato vuoto di fianco al mio e sospirai. Era successo, di nuovo, questo si che era un casino.
Non era la prima volta che io e Kira finivamo a letto insieme. Ogni volta ci ripromettevamo che sarebbe stata l’ultima e ogni volta ci ricadevamo. Non sapevamo bene perché accadesse, perché entrambi ci costringessimo a farci del male.
Accadde per la prima volta un mese dopo la partenza di Ally. Eravamo appena tornati da un party post concerto e dire che eravamo sbronzi è un eufemismo bello e buono. Eravamo completamente andati. Kira si reggeva a me e io a lei.
Tornammo al bus barcollando e per poco non cademmo entrambi a faccia in giù. Ci stravaccammo su uno dei letti cercando di riprendere il controllo.  Speranze vane, visto che dopo poco meno di cinque secondi Kira era sopra di me e mi stava baciando. Non ricordo molto di quella notte, so solo che il mattino dopo mi ritrovai nudo nel mio letto con Kira in lacrime di fianco a me. Si era aggrappata al mio petto e aveva singhiozzato: << non deve accadere mai più, mai più! >> ma come ho già detto quella non fu l’unica volta.  
Sapevo che facendo così  non facevo altro che alimentare le sue speranze che un giorno io potessi innamorarmi di lei. Ma, d’altro canto, anche io per un periodo ci avevo creduto. Avevo creduto che il suo amore potesse bastare per me e per lei. Pensavo che dandole la possibilità di aiutarmi a rimarginare le ferite che mi aveva procurato Ally, forse, sarei riuscito a dimenticarmi di lei una volta per tutte.
Sospirai, alzandomi a sedere.
Ero uno stronzo, non potevo continuare a prendermi gioco dei suoi sentimenti in questo modo.
Raccattai dal pavimento i boxer, i pantaloni che lasciai sbottonati e scesi al piano di sotto.
Kira era in cucina alle prese con i fornelli; in dosso aveva la mia camicia bianca, quella che avevo indossato la sera prima quando ero andata a prendere Ally all’aeroporto, che le copriva a stento il sedere. La sua non era una provocazione, ma un semplice atto di ingenuità. Kira non si rendeva conto di quanto effettivamente fosse bella e degli effetti che aveva sugli uomini. I lunghi capelli corvini che le ricadevano a boccoli lungo tutta la schiena, le labbra piene, carnose, la linea sinuosa dei fianchi, le gambe snelle ,il sedere sodo. Tutti particolari che rendevano Kira una donna assolutamente desiderabile. Ed io ero un uomo, non ero mica fatto di ferro, certe cose le percepivo. Non avrei dovuto  sentirmi in colpa nei confronti di Allyson. Perché era così che mi sentivo: in colpa.
 
Ma figurati se lei non va a letto con quel tipo.
 
Il pensiero mi travolse come un ondata, soffocandomi. Dopotutto stavano insieme da otto mesi, c’erano ragazze che la davano anche prima, perché lei sarebbe dovuta essere diversa?.
 
Perché lei è Ally idiota! La stessa Allyson che si imbarazza per una carezza un po’ più spinta. Non può essere davvero andata a letto con quell’idiota che conosce solo da otto mesi!.
 
In realtà non sapevo esattamente quanto la vecchia e Ally e la nuova Ally avessero in comune. Perché, per quanto all’apparenza potesse essere rimasta la stessa , non avevo idea degli effetti che una permanenza a New York avessero avuto su di lei. Magari era diventata una di quelle ragazze che stanno in giro tutta la notte.
Abbozzai un sorriso. No, Ally non era  proprio il tipo.
 
<< Austin, finalmente sei in piedi! >> Kira si allungò verso di me cingendomi il collo con le braccia. Le sue labbra trovarono le mie stampandomi un lungo e lento bacio.
 Ed ecco che il rituale post-sesso poteva avere inizio: frittelle,baci, e tante promesse che poi sarebbero state infrante.
<< Che cucini? >> chiesi conoscendo già la risposta. << Frittelle! >> rispose brandendo il mestolo facendo schizzare la pastella ovunque. Ridacchiai, avvicinandomi al suo viso per raccogliere uno schizzo di impasto sul suo naso. << Mmh … buono >> esordì,dopo aver leccato l’impasto dall’indice << vedo che finalmente hai imparato come si fanno le frittelle >>. Mi beccai una cucchiaiata sulla spalla << Austin Monica Moon cosa avresti da dire contro le mie frittelle eh? >>  risi per quello scambio di battute. << Niente, niente >> .
Misi la mia colazione in un piatto di ceramica e vi affondai la forchetta. Kira si sedette di fronte a me e per un po’ mangiammo in silenzio. << Austin … >> mi richiamò poco dopo interrompendo il silenzio, sapevo cosa stava per dirmi. <<  Adesso che facciamo? >> ecco, appunto. Poggiai la forchetta e la guardai in viso << la solita cosa che facciamo. Dimenticare ed andare avanti >>. Lessi l’immensa delusione nei suoi occhi nocciola, la sentii sospirare << dimenticare … okay come vuoi.  Scusa Austin ma devo andare. A dopo >>.  Così dopo essersi cambiata, inforcò l’uscio e usci sbattendo la porta.
 
Ally’s pov.
 
Mi risvegliai il mattino dopo contro il massiccio petto di Gareth, le sue braccia intorno alla mia vita e la sua fronte letteralmente incollata alla mia.
Ieri, quando avevo auto una crisi di pianto nel bel mezzo della cucina, mi aveva stretto se e mi aveva gentilmente guidato nella mia stanza. Che adesso poi era la nostra stanza.
Mi scostai leggermente da lui e per un po’ lo osservai. Gareth era proprio un bel ragazzo, i lunghi ricci castani gli ricadevano dolcemente sulla fronte, le labbra piene rossissime in contrasto con la carnagione chiara, la linea del naso perfetta e quel piccolo accenno di barba che lo faceva sembrare più grande.  Le spalle grandi, le braccia ben scolpite, il  torace ampio e le mani affusolate rese leggermente callose dai tanti anni di chitarra. Quante volte quelle braccia mi avevano accolto? Quante volte quei grandi occhi verdi, adesso nascosti dalle palpebre chiuse, mi avevano guardato con dolcezza?. Non aveva esitato nemmeno un attimo a consolarmi ieri, nonostante stessi piangendo disperata per un altro ragazzo. Era decisamente il miglior fidanzato che mi potesse capitare.
Mi sporsi leggermente in avanti baciandolo a fior di labbra. Le sue  palpebre fibrillarono e dopo poco aprì gli occhi. << Mmh, buongiorno anche a te >> le sue labbra trovarono le mie nuovamente, con uno slancio mi portò sopra di lui. Ci baciammo per un tempo indeterminato, fino a quando il mio sguardo non intercettò la sveglia digitale sul mio comodino.
<< Mezzogiorno e mezza! Gesù, ma quanto abbiamo dormito? >>  Gareth mi guardò ridacchiando << quanto hai dormito vorrai dire. Stanotte non hai smesso un attimo di lamentarti nel sonno >> arrossii di botto. << Oh Signore, che cosa ho detto? >> sfoderò uno dei suoi sorrisi maliziosi e disse: << Che sono in ragazzo più sexy e focoso che tu abbia mai incontrato e che fino e adesso ti sei trattenuta dallo stuprarmi >>. Gli diedi un colpetto sulla spalla << cretino! Dai, davvero, che cosa ho detto? >>. Mi preparai mentalmente al peggio; nel sonno dicevo tante di quelle stronzate che non avevo idea di cosa aspettarmi.
<< Mmh effettivamente non è che abbia capito molto di ciò che blateravi stanotte. Erano frasi sconnesse ho capito solo “scusami” giusto perché è la parola che hai ripetuto più di tutte >> credo che il mio colorito avesse sfiorato tutte le tonalità di rosso esistenti fino poi a giungere al bianco cadavere. “Imbarazzante” era la parola giusta per descrivere la situazione. E prima che potessi dire qualsiasi cosa – si, ma cosa? -  Gareth mi depositò un bacio sul naso per poi farmi scendere delicatamente da sopra di lui. << Ora, però vado a farmi una doccia >> mi informò abbassandosi per frugare nella sua valigia e  tirarne fuori un asciugamano << a dopo >>  mi fece l’ occhiolino e uscì dalla stanza.
Non sapevo esattamente con chi o con cosa mi stessi scusando nei mie sogni. Durante l’ultimo anno avevo accumulato un bel po’ di scuse da rendere. In primis a mio padre che avevo lasciato solo, Trish e Dez ai quali avevo nascosto tutto, ad Austin che avevo abbandonato e a Gareth che si trovava coinvolto in tutta questa storia perché io ero troppo vigliacca per fare i conti col mio passato da sola. Insomma, avevo una lista davvero lunga.
Sospirai mentre mi alzavo in piedi e mi andavo ad infilare nel bagno annesso alla mia stanza. Una doccia calda, ecco cosa mi serviva.
Invece di rischiararmi i pensieri mi sembrava che il vapore della doccia mi fosse entrato nel cervello annebbiandomelo ancora di più il che mi avvicinava in modo inesorabile all'esaurimento nervoso. New York mi mancava da morire.
E mentre mi angosciavo contando i giorni che mi separavano dall'inizio di un nuovo semestre, e quindi da un altro anno lontano da Miami, la porta della stanza si aprì lasciandomi la visione di un Gareth gocciolante con un solo asciugamano striminzito a coprire le sue grazie. Ed io non ero da meno, stretta in un asciugamano che mi copriva di poco le cosce.
Colsi un lampo di desiderio nei suoi occhi ed io dovevo avere pressoché la stessa espressione. In un lampo mi ritrovai inchiodata al muro, le sue mani ovunque – quante mani aveva?. Dieci? Cento? Mille? – le mie mani tra suoi capelli ricci. Aveva le labbra tremendamente bollenti e gemetti quando le sue mani mi strinsero i seni con veemenza, desiderio, venerazione. Scese sul mio collo e sfregò il naso su di esso.  << Ally >>  farfugliò quando i nostri bacini si toccarono con più forza quasi a volersi fondere. E, giuro, in quel momento, qualsiasi cosa avesse fatto io sarei stata completamente alla sua mercé.    




Angolo autrice:
Salve genete! Sono tornata con un nuovo capitolo che beh non e meglio del precedente e che insomma ci fa capire che la piccola Ally innocente non è poi così innocente e che per Gareth qualcosa sotto,sotto prova. Non linciatemi, vi prego. le cose andranno meglio. Giuro.
Per il " felici e contenti" i vorrà un po', mi piace allungare il brodo, e adoro il dramma quindi sara una storia ricca di suspance. Lo so, sono pessima.
Ringrazio comunque chi segue la mia fan fiction e chi la recensice.
Grazie, grazie,grazie!.
piccola98.

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