Hey, Catnip di Hey Catnip (/viewuser.php?uid=635906)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una lettera dimenticata ***
Capitolo 2: *** Potremmo andare a caccia, se ti va. ***
Capitolo 3: *** Profumo di giacinti selvatici ***
Capitolo 4: *** Chiaro di luna e canto di cicale ***
Capitolo 5: *** Fango, acqua e sole ***
Capitolo 6: *** Passi pesanti e occhi tormentati ***
Capitolo 7: *** Vero. ***
Capitolo 8: *** Vecchie fotografie, ricordi indelebili ***
Capitolo 9: *** Addio, Capitol City. ***
Capitolo 10: *** Profumo di mare ***
Capitolo 11: *** Arrivederci ***
Capitolo 1 *** Una lettera dimenticata ***
È notte quando atterriamo sul prato del Villaggio
dei Vincitori. Metà delle case, compresa la mia e
quella di Haymitch, hanno delle luci alle finestre. Quella di
Peeta no. Qualcuno ha acceso un fuoco nella mia cucina. Mi
siedo sulla sedia a dondolo lì davanti, stringendo
la lettera di mia madre.
— Be’, ci vediamo domani — dice Haymitch.
Mentre il tintinnio della sua borsa piena di bottiglie
di liquore si smorza in lontananza, bisbiglio: — Ne
dubito—
Sono incapace di spostarmi dalla sedia. Il resto della casa sembra
freddo e vuoto e buio. Mi copro il corpo con un vecchio scialle e
guardo le fiamme. Immagino di aver dormito, perché, ancor
prima di rendermene conto, è mattina, e Sae la Zozza sta
sbatacchiando qualcosa davanti alla stufa. Mi prepara delle uova e del
pane tostato e si siede lì finché non li ho
finiti. Non parliamo granché.
Dopo colazione, Sae la Zozza
lava i piatti e se ne va, ma torna all’ora di cena per farmi
mangiare ancora. Non so se agisca solo da buona vicina o se sia sul
libro paga del governo, ma continua a presentarsi due volte al giorno.
Lei cucina, io mangio.
Cerco di immaginare la mia prossima mossa. Non c’è
più niente che mi impedisca di togliermi la vita, ormai. Ma
è come se aspettassi qualcosa. Di tanto in tanto, il
telefono squilla, e continua a squillare per un bel po’, ma
io non rispondo. Haymitch non passa mai a trovarmi. Forse ha cambiato
idea e se ne è andato, anche se sospetto che sia
semplicemente ubriaco. Non viene nessuno, a parte Sae la Zozza.
— Si sente la primavera nell’aria, oggi. Dovresti
uscire — dice Sae — Andare a caccia.
Non ho mai messo piede fuori di casa. E nemmeno fuori dalla cucina,
tranne che per raggiungere il piccolo bagno a qualche passo
di distanza. Porto gli stessi vestiti che avevo quando lasciai Capitol
City. Me ne sto semplicemente seduta accanto al fuoco. A fissare le
lettere ancora chiuse che si accumulano sulla mensola del caminetto.
— Non ho un arco. — Cerca nell’ingresso
— ribatte. Una volta uscita Sae la Zozza, valuto la
possibilità di un viaggio sino all’ingresso. E la
escludo. Ma parecchie ore dopo, ci vado lo stesso, aggirandomi
silenziosa e senza scarpe per non risvegliare i fantasmi. Entro nello
studio dove presi il tè con il presidente Snow e trovo uno
scatolone che contiene la giacca da caccia di mio padre, il nostro
libro delle piante, la foto del matrimonio dei miei genitori, la
spillatrice che mi inviò Haymitch e il medaglione che Peeta
mi regalò nell’arena dell’orologio. I
due archi e la faretra di frecce che Gale salvò la notte
delle bombe incendiarie giacciono sulla scrivania. Indosso la giacca da
caccia senza toccare il resto.
Mi addormento sul divano
dell’elegante salotto. Segue un terribile incubo nel quale
sono sdraiata in una fossa profonda e tutti i morti che conosco per
nome sfilano uno a uno lì davanti per gettarmi sopra una
palata di cenere. È un sogno piuttosto lungo, tenuto conto
del numero delle persone, e più mi ricoprono, più
fatico a respirare. Cerco di gridare per implorarli di smettere, ma la
cenere mi riempie il naso e la bocca e non riesco a produrre alcun
suono. E intanto la pala continua a raschiare, ancora e ancora
… All’odore della cenere se ne unisce un altro,
nauseante, intenso: sangue e rose.
Mi sveglio con un sobbalzo. La pallida luce del mattino filtra dai
bordi delle persiane. Il grattare della pala cessa, ma
l’odore continua a riempirmi le narici. Ancora mezza
sprofondata nell’incubo, corro nell’ingresso, apro
la porta e mi riempio i polmoni dell’aria leggera e fresca
della primavera. Dopo un po’ rientro in casa, ma
quell’odore persiste ancora. E allora capisco. Tremante per
la debolezza e l’ansia, corro su per le scale. Il mio piede
urta l’ultimo gradino e cado sul pavimento. Mi costringo a
rialzarmi ed entro nella mia stanza. È lì. La
rosa bianca tra i fiori secchi, nel vaso. È fragile e
raggrinzita, ma conserva l’innaturale perfezione coltivata
nella serra di Snow. Afferro il vaso, scendo incespicando fino in
cucina e getto il suo contenuto tra le braci. Quando i fiori cominciano
a bruciare, una vampata bluastra avvolge la rosa e la divora. Il fuoco
batte le rose, ancora una volta. Tanto per non sbagliare, frantumo
anche il vaso sul pavimento. Tornata di sopra, spalanco le finestre
della stanza da letto per pulirla da ciò che resta del
fetore di Snow. Ma lui persiste, è ovunque, sui miei vestiti
e nei
miei pori. Mi spoglio, e scaglie di pelle grandi come carte da gioco
restano attaccate agli indumenti. Evitando lo specchio entro nella
doccia e mi strofino via le rose dai capelli, dal corpo, dalla bocca.
Con la pelle che pizzica e si è fatta rosa acceso frugo
nell'armadio alla ricerca di
qualcosa di pulito da mettermi. Mi ci vuole mezz’ora per
districare i capelli. Sae la Zozza apre la porta d’ingresso.
Mentre lei prepara la colazione io butto nel fuoco i vestiti che mi
sono tolta.
Da sopra il piatto di uova le chiedo: —
Dov’è andato Gale?
— Distretto 2. Ha un gran bel lavoro, là. Ogni
tanto lo vedo in TV — risponde.
Scavo dentro di me, cercando rabbia, odio, rancore. Trovo soltanto
sollievo. E nostalgia.
— Credi che tornerà?
—
— Gale? No, a meno che qualcuno non gli dia un motivo per
farlo. — risponde Sae, guardandomi attentamente.
— Oggi vado a caccia — dico, desiderosa di cambiare
argomento.
— Be’, in effetti un po’ di selvaggina
fresca non mi dispiacerebbe — commenta.
Mi armo di arco e frecce e vado fuori, con l’intenzione di
uscire dal 12 attraverso il Prato. Vicino alla piazza, ci sono gruppi
di persone che indossano mascherina e guanti e hanno carri trainati da
cavalli. Esaminano minuziosamente ciò che
quest’inverno giaceva sotto la neve. Raccolgono resti. Un
carretto è fermo davanti alla casa del
sindaco. Riconosco Thom, l’ex compagno di squadra di
Gale, che si è fermato un momento per asciugarsi il sudore
dal viso con uno straccio. Ricordo di averlo visto nel 13, ma
dev’essere tornato. Il suo saluto mi dà il
coraggio di chiedere: —Hanno trovato qualcuno, là
dentro?
— Tutta la famiglia. E le due persone che lavoravano per loro
— mi dice Thom.
Madge. Tranquilla e gentile e coraggiosa. La ragazza che mi
regalò la spilla da cui ho preso il nome. È un
boccone amaro. Mi chiedo se stanotte si unirà ai personaggi
che popolano i miei incubi gettandomi palate di cenere in bocca.
— Credevo che magari... visto che lui era il
sindaco…
— Non penso che essere sindaco del 12 lo abbia favorito
— dice Thom.
Annuisco e continuo per la mia strada, ben attenta a non guardare nel
fondo del carro. Da un capo all’altro della città
e del Giacimento la scena si ripete. La mietitura dei morti.
Più mi avvicino alle rovine della mia vecchia casa
più la strada
comincia a brulicare di carri. Il Prato non c’è
più, o quantomeno è cambiato radicalmente. Vi
hanno scavato una buca profonda che adesso stanno rivestendo di ossa,
una fossa comune per la mia gente. Sopraffatta dal dolore non riesco
ad andare oltre, mi volto e inizio a correre verso casa, ma la nausea e
le vertigini sono tali che Thom deve darmi un passaggio con il
carro dei morti. Entro in casa e mi acciambello sul divano del salotto,
dove
resto a guardare i granelli di polvere che volteggiano nei fiochi raggi
di luce pomeridiana.
Giro la testa di scatto quando sento soffiare, ma mi ci vuole un
po’ per credere che sia proprio lui.
Com’è riuscito ad arrivare fin qui? Osservo i
segni degli artigli di un qualche animale selvatico, la zampa
posteriore leggermente sollevata da terra, le ossa sporgenti del muso.
È venuto a piedi, allora, si è fatto tutta la
strada dal 13. Forse lo hanno sbattuto fuori, o forse non è
riuscito a rimanere là senza di lei, così
è venuto a cercarla.
— Hai fatto un viaggio inutile. Lei non è qui
— gli dico.
Ranuncolo soffia ancora. — Non è qui. Puoi
soffiare quanto ti pare. Non troverai Prim. — Si rianima,
sentendo quel nome. Alza le orecchie appiattite. Si mette a miagolare,
speranzoso. — Vattene! — Schiva il cuscino che gli
lancio contro. — Va’ via! Qui non
c’è più niente per te! —
Comincio a tremare, furibonda verso di lui. — Lei non
tornerà! Non tornerà mai più qui!
— Afferro un altro cuscino e mi alzo in piedi per avere una
mira migliore. Senza alcun preavviso, le lacrime cominciano a scorrermi
lungo le guance. — È morta. — Stringo
forte le braccia intorno alla vita per attenuare il dolore. Mi lascio
cadere sui talloni, cullando il cuscino e piangendo. —
È morta, stupido gatto.
È morta. — Un nuovo suono, che in parte
è urlo e in parte è canto, mi esce da dentro per
dare voce alla mia disperazione. Anche Ranuncolo si mette a gemere.
Qualunque cosa io faccia, lui non se ne andrà. Mi gira
intorno, appena fuori tiro, mentre ondate su ondate di singhiozzi
straziano il mio corpo. Poi perdo i sensi. Ma lui deve aver capito.
Deve essersi reso conto che l’impensabile è
accaduto e che sopravvivere richiederà azioni in precedenza
inconcepibili. Perché ore dopo, quando rinvengo nel mio
letto, lui è lì, alla luce della luna.
Rannicchiato al mio fianco, con gli occhi gialli ben vigili,che mi
protegge dalla notte.
La mattina dopo rimane stoicamente seduto mentre gli pulisco le ferite,
ma
estrargli la spina dalla zampa lo fa esplodere in una serie di quei
famosi miagolii da gattino svenevole. Finiamo per piangere di
nuovo tutti e due, solo che stavolta ci consoliamo a vicenda.
È per questo che apro la lettera, quella che Haymitch mi ha
consegnato da parte di mia madre, chiamo quel numero di telefono e
verso qualche lacrima anche con lei.
Riaggancio il telefono e mi volto per andare in cucina, ma la
mia attenzione cade su un’altra lettera poggiata accanto
alla mia bisaccia da caccia. Non l’avevo notata prima, deve
averla portata Sae mentre dormivo. No, la data risale a mesi prima,
poco dopo il mio rientro al distretto 12. Riconosco subito la grafia
ordinata e spigolosa in cui è scritto il mio nome sulla
busta. Gale. In un attimo infinite immagini mi attraversano la mente:
uno sperone di roccia che domina la valle, coperto da un cespuglio di
more, il loro gusto delicato, il cielo azzurro, il profumo dei boschi,
il volto di Gale, il sapore dei suoi baci, il suo profumo
così familiare, le sue carezze, quegli occhi grigi e
profondi, quelle dita agili e forti, le giornate passate a cacciare,
parlare, ridere… vivere. Con mani tremanti apro la busta e
inizio a leggere.
Catnip,
era da molto che desideravo scriverti
questa lettera
ma ogni
volta che provavo a buttare giù qualche riga mi ritrovavo a
fissare un foglio vuoto.
Ed ora eccomi qui ad affidare ad una
lettera le parole che non sono riuscito a dirti
l’ultima volta che ci siamo visti,
quando eri distrutta dal
dolore per la morte di Prim... morte che potrei aver causato io
stesso.
So che non potrai mai perdonarmi, che
nella tua mente io e la
perdita di Prim saremo per sempre legati in modo indissolubile.
Mi
tormento ogni giorno per quello che è successo, per il
dolore che ti ho causato e… per non averti più
nella mia vita.
Hai lasciato un vuoto incolmabile che
cerco di riempire
lavorando senza sosta e facendo ricerche e indagini con Beetee
per
capire di chi fosse quella bomba e
credimi quando ti dico che non
avrò pace finché non lo avrò scoperto.
È questo che mi
fa andare avanti, giorno dopo giorno.
Una parte di me continua a sperare che
tu possa perdonarmi,
ma sappiamo entrambi che tu non sei troppo brava a farlo.
Ti lascio il mio numero, nel caso
avessi voglia di sentire un
vecchio amico.
Ti amerò per sempre.
Rileggo
la lettera più volte, le guance rigate da lacrime che tenevo
dentro dal giorno in cui lo lasciai andare via senza dirgli nulla.
Crollo in ginocchio, la lettera ancora stretta tra le mani e continuo a
piangere, finchè non ricordo le parole di Sae. —
Un motivo per tornare…— sussurro tra me e me.
Scatto in piedi e afferro il telefono, compongo il numero e aspetto,
aggrappandomi alla cornetta e trattenendo il respiro. Al terzo squillo
risponde.
— Pronto? —
Se non ne conoscessi ogni sfumatura mi sarebbe impossibile riconoscere
Gale in quella voce triste e vuota, così diversa dal suono
caldo e rassicurante a cui ero abituata. Apro e chiudo la bocca
più volte, il cuore che batte e il respiro irregolare.
— Pronto? Chi è? — Provo a dire
qualcosa, ma le parole non riescono a superare la barriera delle mie
labbra e così riaggancio.
Sento la porta dell’ingresso aprirsi e vedo entrare Sae.
— Non avevi detto che saresti andata a caccia?
— mi chiede mentre prepara la colazione.
— Io…andrò domani, credo—
alzo lo sguardo e vedo che mi sta osservando attentamente.
— Tutto bene, ragazza? —
— Si, sono solo stanca, non ho dormito bene
stanotte — le dico fingendo uno sbadiglio. —
Faresti bene a riposare un po’, allora. Tornerò
per pranzo—
Mi trascino di nuovo in salotto e passo il resto della giornata a
guardare le fiamme che danzano nel caminetto, mangio il pranzo e la
cena di Sae e poi mi addormento accucciata sul divano con Ranuncolo
accanto a me. Passano alcuni giorni ma nulla riesce a smuovermi da
lì,
finchè una notte mi sveglio di soprassalto con la
sensazione di essere osservata. Cerco di ricordare il sogno che stavo
facendo: passeggiavo nei boschi con l’arco in spalla,
circondata dal silenzio e dalla pace che solo quei posti sanno darmi,
alla ricerca di qualcosa da cacciare. Più mi
inoltravo nella natura, più la sensazione che qualcuno fosse
li a guardarmi aumentava, ma non c’era nessuno. Poi ecco
spuntare degli occhi grigi tra le foglie,
tendevo l’arco
ma scomparivano prima che riuscissi a
scoccare la freccia. E così ancora e ancora, occhi grigi che
mi scrutavano e scomparivano non appena incrociavano il mio sguardo.
Scuota la testa per mandare via l’immagine di quegli occhi
dalla mia mente e mi alzo per avvicinarmi alla finestra. La luce
dell’alba inizia a illuminare il Distretto tingendo il cielo
blu con striature rosa chiaro. Vado in bagno, faccio una doccia, lego i
capelli nella solita treccia e mi vesto: è ora di andare a
caccia.
Percorro quasi di corsa la strada fino al Prato, lo attraverso e
penetro nei boschi dal mio solito posto.
È il tipo di giornata preferito dalla vecchia Katniss.
L’inizio della primavera. I boschi che si svegliano dopo il
lungo inverno. Penso di andare al lago, ma sono così debole
che riesco appena ad arrivare al punto in cui io e Gale ci
incontravamo. Mi siedo sulla roccia dove Cressida ci filmò,
ma è troppo grande senza il suo corpo accanto a me. A
più riprese, chiudo gli occhi e conto fino a dieci, credendo
che quando li riaprirò, lui si sarà
materializzato senza rumore, come spesso faceva. Devo ricordare a me
stessa che Gale è nel 2, ha un gran bel lavoro, e
probabilmente sta baciando un altro paio di labbra. Chiudo gli occhi
un’ultima volta e quando li riapro lui è li, a tre
metri da me, e mi osserva con un’espressione allo stesso
tempo triste, timorosa, malinconica e divertita.
— Ehy, Catnip — dice con voce tremante.
— Gale — dico con un sussurro appena udibile
— sei tornato —
— Era da un po’ che pensavo di farlo, ma
c’era qualcosa che me lo impediva. Poi, quando ho ricevuto la
tua telefonata…—
— Tu...come fai a sapere che ero io? Non ho detto
nulla— lo interrompo, ritrovando la voce.
— Catnip, nel silenzio dei boschi ho imparato a conoscere
anche il tuo respiro — risponde lui, con un sorriso amaro
sulle labbra — Ci ho messo un secondo a capire che si
trattava di te —
— Perché... perché non sei venuto
subito? —
Gale resta in silenzio per qualche secondo.
— Paura. Avevo paura di rivedere nei tuoi occhi
l’odio e il disprezzo che ci ho visto quando ci siamo
salutati, a Capitol City. Poi ho pensato che se mi avevi chiamato
forse c’era una speranza, seppur minima, che tu volessi
parlarmi, vedermi e...—
— Si, è così. Io…—
come al solito le parole mi muoiono dentro e me ne sto in silenzio,
con il volto nascosto tra le mani.
— Katniss…?— Gale si avvicina, mi prende
le mani e si siede davanti a me, il volto a mezzo metro dal mio, e
così mi costringo ad alzare la testa e guardarlo negli
occhi, quegli occhi grigi che così spesso hanno tormentato i
miei sogni negli ultimi giorni. Ma c’è qualcosa di
diverso in loro, sono circondati da occhiaie marcate e la scintilla che
li illuminava si è spenta lasciando il posto al
dolore.
— Mi dispiace — dico con un filo di voce. Gale mi
guarda con aria interrogativa, ma resta in silenzio ad ascoltarmi.
— Ero distrutta, arrabbiata, dilaniata dal dolore e ho
riversato tutto questo su di te, dandoti una colpa che non hai,
dimenticando gli errori e i crimini che io stessa ho commesso,
dimenticando che tu, più di ogni altro, ti sei preso cura
della mia famiglia quando io non potevo farlo, ho cancellato
tutto quello che abbiamo condiviso, quello che eravamo l’uno
per l’altra. Non potrò mai dimenticare quello che
è successo, né che i responsabili potrebbero
essere stati i ribelli, ma non posso continuare a incolpare te
— dico tutto d'un fiato, la voce roca.
— Katniss…—
— Non è stata colpa tua, Gale. Scusa se ci ho
messo così tanto a capirlo —
Gale mi guarda per qualche istante, poi si schiarisce la voce.
— Ti.. ti avevo scritto
che non avrei trovato pace finchè non avessi scoperto la
verità, ricordi? — dice porgendomi una lettera
— Me l'’ha mandata Beetee due giorni dopo che mi
hai
chiamato —
Le mani mi tremano così tanto che quasi non riesco ad aprire
la busta.
Gale,
ho provato a chiamarti più volte, ma non
eri mai in casa.
Non volevo darti questa notizia tramite una lettera,
ma è troppo importante per aspettare ancora.
Sono arrivati i risultati della perizia, te ne allego una copia.
Beete
Prendo il secondo
foglio e inizio a leggerlo. I miei occhi scorrono avidamente parole
incomprensibili e termini tecnici alla ricerca della risposta che
aspetto da mesi. Alla fine la trovo e la rileggo più volte
prima di alzare gli occhi sul volto di Gale, rigato da lacrime
silenziose.
Ciao
a tutti!
Come avrete notato questo primo capitolo riprende parte del libro, ho
pensato fosse il modo migliore per assicurare una certa
continuità con l'originale.
Spero vi sia piaciuto
e aspetto i vostri commenti! A presto con il prossimo capitolo
:D
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Capitolo 2 *** Potremmo andare a caccia, se ti va. ***
— Non era tua?
—
— No
— la sua voce è
un sussurro appena udibile.
— Ma le
bombe a scoppio ritardato
erano..—
— Una mia idea,
si — conclude lui
— Ero distrutto, mi sentivo un mostro, responsabile
della morte di bambini innocenti… e di Prim. Ma non potevo
arrendermi così, dovevo scoprire la verità, per
me, per te e per lei. Ho incontrato Beetee e insieme abbiamo iniziato a
fare ricerche ma avevamo poco o niente su cui lavorare, quindi siamo
tornati a Capitol City e ne abbiamo parlato con la Paylor che ci ha
promesso il suo aiuto. Dopo qualche giorno ci
ha inviato dei
filmati in cui si vedeva lo scoppio di quelle bombe da diverse
angolazioni. Li abbiamo esaminati tutti decine di volte,
c’è voluto quasi un mese, ma alla fine abbiamo
scoperto che il meccanismo di innesco era diverso da quello progettato
da me e Beetee. Questo, però, non bastava a dimostrare che
quelle bombe non fossero le nostre. Poi un giorno siamo stati
convocati dalla Paylor, era riuscita a farci ottenere i permessi
necessari per esaminare frammenti di bombe esplose e non.
Così abbiamo continuato le nostre ricerche, giorno e notte,
e alla fine, come hai letto, Beetee ha scoperto che i materiali di cui
erano fatte quelle bombe non erano quelli usati da noi, neanche
esistevano nei laboratori del 13. Non era la nostra bomba... non era la
mia bomba
— risponde Gale con voce tremante.
Me ne sto lì immobile a guardare il suo volte rigato dalle
lacrime e a piangere a mia volta, incapace di dire anche solo un
parola. L’unica cosa che riesco a fare è
stringergli le mani e piangere ancora più forte.
— Scusa,Gale, scusa…—
— Non scusarti Catnip, non devi —
Rimaniamo lì a lungo, nel nostro posto segreto, come
facevamo sempre e
per un attimo sembra che nulla sia cambiato e che noi siamo ancora quei
ragazzini disperati che si incontrarono anni fa nel bosco. Ma sappiamo
entrambi che non è così.
—Cosa faremo adesso, Gale? — gli chiedo, la voce
ancora roca per le lacrime versate.
Gale resta in silenzio, lo sguardo perso tra gli alberi, poi si volta
verso di me e accennando un sorriso triste mi dice — Potremmo
andare a caccia, se ti va —
Ed è quel sorriso un po’ triste e malinconico, ma
carico di ricordi di giorni felici, a smuovermi, a risvegliarmi dal
torpore in cui ero rimasta bloccata. A darmi la speranza che
forse c’è ancora qualcosa che si può
salvare.
Annuisco e ricambio il sorriso; sento i muscoli delle guance rilassarsi
come non facevano da tempo.
— Andiamo, allora — dice alzandosi con la sua
solita agilità.
Afferro la sua mano tesa e mi ritrovo al suo fianco a guardare i suoi
grandi occhi grigi, nei quali sembra essersi riaccesa quella scintilla
che solo stamattina era spenta.
Ecco
il secondo capitolo! Lo so, è molto breve, ma
vediamolo come un capitolo di "transizione".
Scusate se ci ho messo
così tanto tempo a pubblicarlo, ma, non avendo
ricevuto recensioni, mi sono un pò scoraggiata!
Poi per fortuna sono
arrivate...poche si, ma buone! Spero vi piaccia!
Catnip
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Capitolo 3 *** Profumo di giacinti selvatici ***
—Tre
tacchini, sette
conigli e quattro scoiattoli, bel bottino — dice
Gale mentre percorriamo la strada dal bosco al mercato.
—
Non male —
gli rispondo — Sae sarà felice, da giorni si
lamentava perchè non cacciavo più —
aggiungo.
Il
sole è da
poco tramontato e le striature rosa e arancio cedono il posto ad un
azzurro cupo che sfuma verso il blu; si vedono le prime stelle e
nell’aria si avverte un delicato profumo di fiori. Io e Gale
camminiamo fianco a fianco, lentamente, in silenzio, osservando con
attenzione e un pizzico di malinconia ciò che ci circonda:
un distretto distrutto che cerca di rinascere dalle proprie ceneri.
Come una fenice.
In una decina
di minuti arriviamo al Mercato, un enorme capannone di legno che ha
ormai sostituito il Forno nelle attività di commercio e
baratto e ci dirigiamo subito da Sae, intenta a preparare la sua
solita zuppa.
— Ciao Sae —
le dico.
— Finalmente hai messo
piede fuori di casa! Spero che tu abbia avuto il buon senso di portarmi
un po’ di selvaggina. Sai, anche se non
è più vietato sono ancora in pochi a spingersi
oltre il Prato — mi dice col suo solito tono
dandomi le spalle mentre affetta cipolle.
— Tranquilla, ho delle cose per te. Non puoi neanche
immaginare
cosa sono riuscita a trovare — dico guardando di sottecchi
Gale.
— Sentiamo, cosa avresti colpito stavolta con le tue frecce?
Un unicor- — Sae si gira e resta a bocca aperta, il coltello
in una mano, la cipolla che stava affettando nell’altra
— Si, proprio un unicorno. Bello grosso, non trovi?
— la canzono io.
— Gale! Ragazzo mio, sei tornato! — dice Sae
felice avvicinandosi a Gale per salutarlo — Ma guardati, eri
un ragazzino quando sei andato via e ora sei un uomo fatto! Quando sei
arrivato? Non hai
intenzione di ripartire, vero? Lo avevo detto a quella lì
—
mi indica con il coltello — che non aspettavi altro che un
segno da parte sua per tornare a casa. Che gioia rivederti e rivedervi
insieme come ai vecchi tempi. — conclude Sae con le lacrime
agli occhi.
Sae che si commuove, questa si che è una
novità. Si sarà intenerita con
l’età. No, è più probabile
che le lacrime siano dovute alle cipolle che stava affettando.
— Grazie Sae, anche io sono felice di essere di
nuovo qui — le dice Gale, guardando verso di me —
Allora, quella zuppa è pronta? Siamo affamati
— aggiunge, sedendosi su uno degli sgabelli vicino al bancone.
Prendo posto accanto
a lui e addento un pezzo di pane portatoci da Sae insieme alla zuppa.
Dopo aver finito di mangiare restiamo lì per un
pò a scambiare qualche parola con quel che resta dei vecchi
frequentatori
del Forno, come facevamo prima che la nostra vita ci venisse strappata
via. È tutto così strano e, paradossalmente,
anche normale, come se il tempo qui si fosse fermato e questo fosse
ancora il vecchio Forno, con Sae e la sua zuppa, Ripper e i suoi
liquori, l’uomo delle capre e la vecchia Rooba che
aspetta la nostra selvaggina sbuffando impaziente con le mani sui
fianchi. Queste immagini, vividamente impresse nella mia mente, si
sovrappongono con quelle che mi circondano e per un attimo il passato e
il presente si fondono in unica realtà.
— Catnip? — la voce di Gale mi distoglie dai quei
pensieri — Vuoi andare via? — aggiunge vedendo la
strana espressione che sicuramente si sarà fatta largo sul
mio volto.
— Si. Sono esausta — dopo settimane di letargo un
pomeriggio di caccia e una passeggiata al Mercato mi hanno praticamente
distrutta.
— Noi andiamo, a domani. Vieni — mi sussurra Gale
guidandomi all’esterno. Una delicata e fresca brezza
primaverile ci accarezza la pelle; un brivido
leggero mi percorre da capo a piedi e non passa inosservato a Gale che
si sfila la giacca e me la poggia sulle spalle. Ci incamminiamo verso
il Villaggio accompagnati dal vociare delle persone che
passeggiano nel Distretto
e dall’intenso profumo di fiori appena sbocciati.
— Giacinti selvatici. Amo il loro profumo, mi ricorda di
quando ero bambina e andavo nei boschi con mio padre
— dico respirando profondamente e
riempiendomi le narici di quella fragranza pungente che si diffonde
nell’aria. Gale si volta verso di me con
un’espressione indecifrabile sul viso.
— Aspettami qui, torno subito — e si allontana
veloce, per poi ritornare dopo alcuni minuti con le braccia piene di
fiori lilla dal lungo stelo.
— Per te — dice, porgendomeli con un sorriso.
Un piccolo gesto che mi scalda il cuore.
— G-grazie — lo
guardo ricambiando il suo sorriso e continuiamo il nostro cammino.
Arrivati a casa poso gli archi
nell’armadio nell’ingresso e dopo aver sistemato i
fiori in un vaso sul caminetto mi rivolgo a Gale — Vado a
farmi una doccia, se vuoi farla anche tu c’è un
altro bagno accanto alla vecchia stanza di mia madre. Le asciugamani
sono nel mobile bianco vicino allo specchio —
— D'accordo — ribatte Gale poggiando un grande
borsone nero su una delle sedie della cucina —
Grazie —
Quando scendo al piano di sotto dopo essermi lavata e vestita, Gale
è accovacciato davanti al camino intento ad attizzare il
fuoco, mentre dalla cucina si sente il fischio del bollitore
dell’acqua.
— Ci pensi tu al tè?
—
— Certo — vado in cucina e torno poco dopo con due
tazze fumanti che poggio sul tavolino davanti al divano dove
è seduto Gale. Passiamo la serata a parlare e scherzare e
ridere, ridere come non facevo da tempo. Non mi ero resa conto di
quanto mi fosse mancato avere qualcuno accanto che si prende cura di
te e ti fa stare bene anche semplicemente stando in silenzio.
Il profumo dei giacinti mi solletica le narici e scioglie il nodo che
mi si era formato in gola impedendomi di pronunciare la
domanda che mi ossessiona da ore.
— Resterai, vero? — gli chiedo senza
preoccuparmi di nascondere una nota di speranza nella mia voce.
— Dipende da te Catnip, lo sai — ribatte Gale,
girandosi verso di me.
— Non andartene —
Gale mi scruta a lungo con i suoi profondi occhi grigi.
— Non vado da nessuna parte, resterò qui
— mi risponde, ripetendo le parole che gli dissi una volta e
regalandomi lo stesso sorriso di quel ragazzino quattordicenne che
anni fa mi accusò di volergli rubare le prede. Sorriso a
cui rispondo senza indugiare.
— Forse è meglio che vada prima che si faccia
troppo tardi. Tom si è offerto di ospitarmi se avessi
deciso di tornare per un po’ e sarebbe scortese
presentar...—
— Se vuoi…— lo interrompo esitante
— se vuoi puoi stare da me. Insomma... ho una casa
enorme, vuota e triste — concludo a testa bassa
accompagnando le mie parole con gesti stanchi e imbarazzati.
— Grazie Catnip, ma non voglio che tu ti senta in dovere di
ospitarmi solo perché… —
— No, davvero — lo interrompo alzando la testa per
guardarlo negli occhi — ho bisogno che in questa casa torni
la vita, la luce, la felicità…mi sono chiusa nel
buio e nel dolore, ma devo ricominciare vivere per lei — Mi fermo un attimo per
riprendere fiato poi ancora un volta lascio che il profumo di quei
fiori aiuti le parole a trovare il modo
di abbandonare la mia bocca.
— Resta con
me, Gale
—
Silenzio. L'unico suono
è lo scoppiettio del fuoco nel camino e lo stormire degli
alberi, agitati dal vento.
Poi un sospiro.
— Si, Catnip, resterò —
L’effetto di queste tre semplice parole è
immediato.
Resterà
con me. Non sarò più
sola.
Eccomi qui con il nuovo
capitolo!
Era già pronto da giorni, ma, una volta caricato, ho
iniziato a modificarlo per l'ennesima volta... perdonatemi
Che ne pensate?
Recensioni sempre ben accette =)
A presto con il
prossimo capitolo!
Catnip
|
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Capitolo 4 *** Chiaro di luna e canto di cicale ***
È strano come
l’effetto di quattro parole, quattro semplici parole, sia
così devastante.
"Solo perché le ha dette lei, Gale"
dice una vocina nella mia testa e so che è
così.
Non è la frase in sé ma chi l’ha
pronunciata ad avere un’importanza particolare.
E questo qualcuno è Katniss.
La ragazzina che ho accusato di volermi rubare le prede.
La compagna di caccia che mi copriva le spalle.
L’amica a cui affidare i miei pensieri e schiudere la mia
anima.
La ragazza di cui mi sono
innamorato e che mi è stata portata via ma che
forse sta tornando da me.
Non è la stessa di un
tempo ma in fondo anche io sono cambiato.
Come potremmo non esserlo dopo tutto quello che è
successo in questi due anni?
Eppure quando la guardo negli occhi, quegli occhi grigi e
tormentati, riesco ancora a vedere la mia Catnip.
È proprio lì nascosta dietro il dolore e la paura
ma non è persa per sempre.
Abbasso lo sguardo su di lei che dorme profondamente con la testa
poggiata sulle mie gambe,
i capelli scuri che le incorniciano il viso, le lunghe ciglia nere,
le labbra carnose, curvate appena in un sorriso.
— Ehi — le sussurro piano accarezzandole i
lunghi capelli.
Katniss apre gli occhi e si volta verso di me lo sguardo per un attimo
velato da incredulità
— Ehi… Che ore sono? — mi chiede con
voce assonnata stropicciandosi gli occhi.
— È quasi l’una. Ti
porto a letto —
La sollevo senza sforzo e mi incammino verso
la sua stanza.
— Grazie — dice lei
un attimo prima di scivolare nuovamente nel sonno.
— Ecco qui — le
rimboccando le coperte e spengo la luce.
— Buonanotte Catnip —
Vengo svegliata bruscamente da urlo
agghiacciante che mi gela il sangue nelle vene. È
la voce di Gale.
Mi ci
vuole qualche secondo per rendermi che non sto sognando, che non
sono nell’Arena dei 75esimi Hunger Games, attaccata dalle
Ghiandaie Chiacchierone.
Le diventano sempre più
strazianti.
— Gale!
— mi precipito nella sua camera. Gale
è a letto, rigido, i pugni serrati.
— Svegliati,
svegliati! — lo supplico tenendogli il viso tra le
mani — Gale, svegliati!
— e finalmente si sveglia, lo sguardo
impaurito e disorientato.
— Katniss…— dice con un filo di voce
— Sono qui — cerco di rassicurarlo
accarezzandogli il volto sudato.
— Era solo un incubo va tutto bene ora…
—
Sembra così poco convincente detto da una persona che ogni
notte è tormentata da sogni orribili.
Gale chiude gli occhi e inspira profondamente poi si alza, si sfila la
maglietta e la lancia su una sedia.
Rimango qualche minuto a fissare il suo fisico atletico,
l’addome piatto e ben definito, le braccia scolpite e forti,
i muscoli che guizzano ad ogni movimento.
Nella penombra della stanza rischiarata solo dalla luce
della luna che entra dalla finestra aperta riesco a distinguere una ad
una tutte le orribili cicatrici che gli deturpano la schiena altrimenti
perfetta e poi…
Mi alzo di scatto e gli prendo il braccio osservare una macchia scura
grande quanto un pugno di cui non ricordavo l’esistenza.
Un brivido mi percorre da capo a piedi. È una ghiandaia
imitatrice come quella della mia spilla ma trafitta al collo da una
freccia, marchiata a fuoco sulla sua pelle liscia e olivastra.
— Gale…cos’è
questo? — gli chiedo con voce tremante
temendo la risposta.
Gale chiude gli occhi per nascondere il dolore che si era fatto strada
dentro di loro ma che non mi è passato inosservato
— Nulla — dice con voce incerta
allontanandosi per prendere una maglia pulita dal borsone.
— Gale — lo incalzo senza riuscire a
staccare gli occhi da quell’orribile macchia sul suo braccio.
Gale si infila una maglia dello stesso colore dei suoi occhi
e si avvicina a me, mi guarda per un attimo e poi mi
abbraccia poggiandomi il mento sulla testa.
— Non è nulla. Torniamo a dormire
—
Per tutta risposta mi stringo a lui, la testa poggiata sul suo petto e
inspiro profondamente il suo profumo così familiare e
rassicurante.
Restiamo così per qualche minuto finchè non alzo
la testa per guardarlo dritto negli occhi.
— Ti va se dormo qui?
—
La mia domanda lo coglie di sorpresa e forse lo fa anche arrossire un
po’, ma c'è troppa poca luce per dirlo con
sicurezza.
Il pensiero di Gale che arrossisce mi fa sorridere: è una
cosa che non ti aspetteresti da uno come lui.
— D’accordo —
— Scusa se ti ho svegliata — mi dice imbarazzato.
— Non devi scusarti, capita sempre anche a me…
è da molto che li hai? —
— Anni ormai —
si passa una mano sugli
occhi e poi continua — Inizialmente erano quasi sempre su
mio padre o sui miei fratelli estratti alla Mietitura. Sono peggiorati
quando sei entrata nell’Arena, quando mi hai detto che Snow
voleva fartela pagare, poi con la seconda Arena, la certezza di non
vederti
più, il distretto in fiamme, le urla di chi non sono
riuscito a salvare, la guerra, la paura di perdere tutto…
Questi sono i più ricorrenti — conclude
stringendo le labbra in una linea dura.
— Non sogni mai..te stesso? — Gale mi guarda con
aria
interrogativa, la fronte solcata da una riga sottile, facendomi pentire
subito per la stupidità della mia domanda
— Ho paura per ciò che è successo o
potrebbe accadere alle persone che amo, non a me stesso —
dice scuotendo le spalle.
La sua risposta mi lascia senza parole e mi fa anche vergognare un
po’, dato che a parte quelli su Prim, Rue, mio padre e
qualche altra morte terribile, la maggior parte dei miei incubi ha me
come protagonista.
Egoista anche quando sogno.
— Ehi, non pensarci più, ok?
— mi sussurra Gale, accarezzandomi una guancia.
— Buonanotte, Catnip —
— Buonanotte — gli faccio eco
io.
Dopo il respiro di
Gale si fa più lento e profondo.
Alzo gli occhi su di lui. Sembra così sereno mentre dorme,
ma
ora so che non è così.
Gale, forte e coraggioso, che non ha paura di nulla, è
tormentato da terribili incubi proprio come me.
Mi rendo conto solo ora di quanto in questi due anni mi sia concentrata
quasi esclusivamente su me stessa: i miei incubi, i miei sentimenti, le
mie paure, i miei drammi…certo ne ho passate di brutte, ma
non sono stata l’unica.
Anche Gale ha perso un padre in quell’esplosione.
Anche lui ha dovuto sfamare, a soli 14 anni, una famiglia di ben 5
persone.
Anche lui ha dovuto attraversare momenti orribili.
E io cosa ho fatto per aiutarlo? Nulla. Anzi, ho rincarato la dose, mi
sono allontanata da lui chiudendogli la porta in faccia, giocando con
i suoi sentimenti, correndo da lui a Peeta e viceversa, accusandolo
ingiustamente della morte di Prim.
Eppure lui è sempre rimasto al mio fianco, soffrendo in
silenzio, senza farmi alcun genere di pressione.
Perché mi rendo conto del male che faccio agli altri sempre
dopo averlo fatto?
Forse non è troppo tardi per recuperare... in fin dei conti
lui è ancora qui con me.
Allungo un braccio per cercare la sua mano.
Pian piano sento il mio corpo rilassarsi mentre cedo al sonno cullata
dal canto delle cicale e dal battito del suo
cuore.
Perdono,
perdono, perdono.
Avevo detto che
avrei pubblicato sabato lo so, ma
non-ho-idea-di-come-sia-successo,
ho cancellato il
capitolo che avevo
già scritto e avrei dovuto solo revisionare e pubblicare.
Dato che non mi
convinceva particolarmente, ho interpretato quanto
successo come un segno del destino
e
così ho dovuto
inventare un nuovo capitolo, che, come avrete notato, è
incentrato su Gale e si apre proprio con le sue riflessioni
(non sono
una amante dei cambi di pov, ma una sbirciatina nella mente del nostro
figaccione ci voleva)
e con delle
parole che rieccheggiano quelle di
Katniss, per sottolineare quanto questi due capoccioni siano simili.
Poi
c'è Katniss che finalmente si sta rendendo conto che al
mondo non esiste solo lei e si sta decidendo ad aprirsi alla persona
che la conosce più di chiunque altro.
Non so quando
riuscirò a pubblicare un nuovo capitolo dato
che mi aspetta una settimana di fuoco :/
Spero vi
piaccia, se avete suggerimenti, critiche, consigli...ben
vengano!
Catnip
|
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Capitolo 5 *** Fango, acqua e sole ***
Quando mi sveglio la luce del sole filtra dalla finestra rischiarando
la stanza e rendendo inutili i miei tentativi di riaddormentarmi. Dopotutto
ho dormito molto poco stanotte.
Alzo la testa e non riesco a
evitare di sorridere quando vedo Gale che dorme profondamente
nonostante un impertinente raggio di sole che gli illumina il viso e
riempie di riflessi i suoi capelli scuri.
Resto a guardarlo a
lungo, un’ora forse, riflettendo su come sia cambiata la mia
vita in un solo giorno.
Ieri mattina ero ancora rinchiusa
in quel terribile stato di apatia, indifferente alla mia stessa vita, e
ora sono qui, tra le sue braccia. Braccia forti
che mi hanno sostenuta nei momenti più difficili ma che
troppo spesso ho rifiutato, credendo che non potessero
riuscire a comprendere fino in fondo ciò che stessi
passando. E invece lo avrebbero fatto meglio di chiunque altro
se solo gliene avessi dato la possibilità, perché
nessuno mi conosce come Gale. Nessuno può dare voce ai miei
silenzi meglio di lui. Come vorrei averlo capito prima... di
certo avrei risparmiato un bel po’ di dolore a entrambi.
Ripenso a tutti i momenti che
abbiamo condiviso in questi anni e mille immagini mi scorrono davanti
agli occhi: i pomeriggi di caccia, quelli al lago a pescare,
le sere al Forno, io che gli insegno a nuotare, lui a piazzare
trappole, io che gli regalo uno dei miei preziosi archi,
dimostrandogli così la mia fiducia, lui che mi
porta in braccio fino a casa, quando mi torsi un ginocchio, e tante
altre…
Che coppia eravamo, uniti dalla
necessità e dalla responsabilità di sfamare le
nostre famiglie ma soprattutto dalla nostra amicizia.
Un'amicizia vera, indistruttibile, di quelle che il tempo non
può scalfire ma solo rendere più forte. Nonostante tutto
quello che è successo dalla Mietitura ad oggi, noi siamo
ancora qui a farci forza l’un l’altro.
Insieme a lui sta tornando
la mia voglia di vivere, di dare un senso a tutto quello che ho perso.
A tutti quelli che ho perso.
Un leggero movimento del braccio
che mi circonda la vita mi dice che Gale si è svegliato e
infatti quando alzo lo sguardo verso di lui vedo i suoi occhi
assonnati e ancora semichiusi che mi osservano.
—
Buongiorno — dice cercando inutilmente di soffocare
uno sbadiglio — Sei sveglia da molto? —
—
Un po’ —
—
Avresti potuto svegliarmi —
—
È ancora presto e stanotte non hai dormito molto, quindi ho
preferito lasciarti riposare ancora un po' —
—
Già, è stata una nottataccia — dice
stiracchiandosi.
Un
velo di tristezza scende sul suo viso quindi decido di cambiare
argomento. Parlare di incubi notturni appena svegli non è
certo il modo migliore per iniziare una giornata.
—
Andiamo a fare colazione, mi brontola lo stomaco
— mi alzo e mi avvio verso la porta.
Mi
giro verso Gale e vedendo che è ancora a letto prendo un
cuscino e glielo lancio colpendolo dritto in faccia.
—
Alzati, ho fame! —
Gale
inizia a ridere ma non accenna ad alzarsi. La mia prossima arma
è una pantofola.
—
Alzati o ti becchi questa sul naso. Sai che ho un’ottima
mira — gli dico cercando inutilmente di assumere un tono
minaccioso.
—
D’accordo, mi alzo — Gale solleva le mani in segno
di resa e scalcia via le lenzuola.
Dopo
aver fatto colazione decidiamo di andare a caccia. Gale sistema le
trappole mentre io raccolgo more e erbe, dopodiché ci
inoltriamo nel folto dei boschi, muovendoci come sempre in perfetta
sincronia. Quando ci riteniamo soddisfatti da ciò che siamo
riusciti a cacciare andiamo al lago.
È
davvero una bella giornata, il sole è forte e caldo e
l’aria piacevole e leggera, perciò dopo aver
sistemato le reti per pescare ci stendiamo sull’erba per
bearci del calore del sole e del rilassante cinguettio degli uccelli.
Lo
sguardo mi cade sulla vecchia casa vicina alla sponda del lago, quella
in cui venivo con mio padre da bambina e giocavo alla donna di casa, la
stessa casa in cui Gale confessò di
amarmi.
Chissà se lo ricorda,
penso distrattamente. A giudicare
dalla sua espressione malinconica, direi di si.
—
È bello qui — mi dice, incrociando le mani dietro
la testa e chiudendo gli occhi.
—
Ci venivo sempre con mio padre, era il nostro posto speciale
— dico — Ero felice qui
— aggiungo a mezza voce, lo sguardo perso nel vuoto.
Gale
apre gli occhi e mi osserva,
come se stesse cercando di leggermi dentro, cosa che riesce a fare
senza alcuna difficoltà.
Un
po’ in imbarazzo mi alzo e mi avvicino al lago;
l’acqua è tiepida e limpida e fa venire voglia di
tuffarsi. Perché no, poi? Raccolgo
l’acqua con le mani e, avvicinandomi a Gale nel modo
più silenzioso possibile, gliela lancio in faccia.
Gale
apre gli occhi sorpreso e, dopo avermi rivolto un'occhiata truce,
scatta in piedi e in un attimo copre la poca distanza che ci separa, ma
scivola sul terreno fangoso atterrando con un tonfo sordo in una
pozzanghera melmosa. La sua espressione corrucciata e disgustata mi
strppa una risata così forte che mi piego in
due, le mani poggiate sulle ginocchia. Ed è a quel
punto che Gale mi tira per un braccio e mi ritrovo stesa prima sopra,
poi sotto di lui, che mi blocca sedendosi a cavalcioni sulla mia
pancia. Mi guarda cercando di mantenere un’espressione seria,
ma con scarsi risultati.
—
Signorina Everdeen, ridere di chi è in difficoltà
è una cosa spregevole e non può restare impunita.
A meno che, naturalmente, lei non voglia scusarsi —
—
Mai — dico determinata, ma la mia espressione cambia non
appena vedo Gale prendere un’enorme
quantità di fango con le mani e alzarla proprio sopra il mio
viso.
—
È la sua ultima parola? —
—
Si — rispondo in tono di sfida, sperando che non faccia
ciò sembra voglia fare.
E
invece lo fa. Giro la testa da una parte all’altra, ma questo
non impedisce alle mani di Gale di riempirmi il viso di fango
tiepido e viscido.
—
Basta, basta, mi arrendo —
—
D’accordo — risponde Gale soddisfatto, alzandosi e
avvicinandosi al lago per sciacquarsi le mani.
Ne
approfitto per abbassarmi a raccogliere del fango.
—
Gale? — dico, fingendo un tono confuso per attirare
la sua attenzione.
Non
appena si volta verso di me si ritrova il viso coperto di fango. Prima
che possa rendersi conto di ciò che è successo
scappo via, ma inspiegabilmente me lo ritrovo davanti. Dannate le sue
gambe lunghe. Sono braccata. L’unica via di fuga
è il lago; senza pensarci due volte mi tuffo, lasciando che
l’acqua tiepida lavi via tutto il fango e lo sporco. Quando
riemergo, vedo Gale che scuote la testa ridendo, le mani sui fianchi.
—
Dai, tuffati —
Lo
vedo esitare qualche istante prima di togliersi le scarpe e lanciarsi
in acqua per raggiungermi.
Passiamo
gran parte della mattina a nuotare, giocare e spruzzarci, divertendoci
come non facevamo da tempo, spensierati come dovrebbero essere tutti i
ragazzi della nostra età. Usciamo
dall’acqua e dopo esserci tolti la maglia e i pantaloni per
farli asciugare ci stendiamo su un enorme masso caldo.
Mentre
mi sciolgo la treccia noto di nuovo la bruciatura sulla parte interna
dell’avambraccio di Gale. Lui intercetta il mio sguardo e
sospira.
—
Pacificatori. Quando mi catturarono a Capitol City. Volevano sapere
dove fossi e quali fossero i tuoi piani, se c’era qualcun
altro ad aiutarti o agissi da sola. Ogni volta che non rispondevo a una
delle loro domande partiva una scarica elettrica
sempre più forte. Quando si sono resi conto che non
avrei rivelato nulla hanno deciso di “premiare la mia
fedeltà alla Ghiandaia Imitatrice” marchiandomela
a fuoco sulla pelle, trafitta al collo da una freccia come buon
auspicio per la tua morte —
Orrore.
Disgusto. Rabbia.
Le
lacrime iniziano a bruciarmi gli occhi al pensiero di ciò
che ha dovuto sopportare a causa mia.
Gale
sembra leggermi nel pensiero e con una mano mi solleva il mento,
costringendomi a guardarlo negli occhi. Occhi grigi e tormentati, colmi
di dolore.
—
Non è colpa tua, non pensarlo neanche per un secondo. Nulla
può cambiare ciò che è successo, lo
sai meglio di me, quindi l’unica cosa che possiamo fare
è mettere da parte i momenti brutti e ricordare solo quelli
belli, quelli che ci hanno reso felici — esita qualche
secondo, poi mi stringe ddelicatamente tra le sue braccia.
—
Puoi farcela, possiamo farcela — mi sussurra tra i
capelli.
—
Insieme? — mi sento chiedergli.
—
Insieme — ripete lui, stringendomi più
forte — Ora andiamo a casa —
Ci
rivestiamo, raccogliamo tutto ciò che abbiamo ricavato da
caccia e pesca e, archi in spalla, ci incamminiamo in silenzio. Quando
arriviamo al Prato, Gale mi guarda con un mezzo sorriso e un
sopracciglio alzato.
—
L’ultimo che arriva alla recinzione, cucina e lava i piatti
per una settimana —
—
Ci sto —
—
Pronti…VIA! —
Inizio
a correre ma Gale è molto più veloce e quando
copro i 100 mt che mi separavano dalla recinzione lui è
già li, appoggiato a un albero con aria soddisfatta.
—
Ops…hai perso —
dice, fingendosi dispiaciuto —
Allora, cosa
mangiamo stasera? — mi prende in giro.
—
Anemone nemorosa* — rispondo, inclinando la testa di
lato e sorridendo nel modo più dolce che mi riesce.
Gale
scoppia in una risata fragorosa
—
Vorresti avvelenarmi, Catnip? —
—
Potrei farlo, non provocarmi —
Dopo
essermi lavata e aver indossato abiti puliti mi dirigo in cucina per
preparare la cena.
Sono
così concentrata che non mi accorgo di Gale
finchè non me lo ritrovo davanti, un’espressione
divertita sul volto, i capelli ancora bagnati dopo la doccia.
—
Sparisci — sbraito prima che possa prendermi in giro di
nuovo, così gira le spalle sbuffando e va in salone ad
accendere il camino.
Finalmente
la cena - se così si può definirla - è
pronta e iniziamo a mangiare.
—
Beh, mi aspettavo di peggio e invece oltre a essere commestibile ha
anche sapore. Cibo saporito. Non me lo sarei mai aspettato da
te. — dice Gale ingoiando l'ultimo boccone.
—
Mai sottovalutarmi, Hawthorne — lo rimbecco io compiaciuta
alzandomi per sparecchiare. Gale ride e mi toglie i piatti
sporchi di mano.
—
Ci penso io — dice prima di scomparire in cucina.
—
Insieme facciamo
prima — gli dico infilandomi i guanti.
—
D’accordo — sorride e si sposta per farmi spazio
accanto a lui davanti al lavello.
—
Ecco qui — dice Gale. Chiude le ante della credenza e si
dirige in salone.
Rimaniamo
seduti sul divano a guardare le fiamme in silenzio, finchè
Gale non si schiarisce la gola e con voce incerta mi fa una domanda che
mai mi sarei aspettata di sentire da lui.
—
Hai avuto notizie di Peeta? —
Sbatto
le palpebre più volte concentrandomi sul fuoco che danza
nel camino.
—
Katniss? — mi incalza Gale
Sospiro
e bevo un lungo sorso di tè.
—
L’ultima volta che l’ho visto è stata
mentre i Pacificatori mi portavano via dopo che avevo ucciso la Coin
— chiudo gli occhi rabbrividendo al ricordo di quei momenti.
Quando
li riapro mi rendo conto dallo sguardo di Gale che sono necessarie
altre spiegazioni. Devo essere sincera, dirgli tutto. In fin dei conti
lui lo è stato con me, mi ha detto tutto sulla bruciatura
anche se il ricordo era doloroso. Così bevo un
altro sorso di tè e continuo.
—
Mi ha impedito di prendere il Morso della Notte e…e mi ha
detto che finalmente avrei avuto anche io ciò che meritavo
—
Sento
Gale deglutire e poi stringermi la mano.
—
Non era lui, Katniss. Il vero Peeta non lo avrebbe mai fatto —
—
Il vero Peeta non esiste più, Capitol City ha ucciso anche
lui — dico amaramente.
—
No. Il vero Peeta c’era e lottava per tornare, ma nei momenti
di agitazione, paura, caos, la sua…versione cattiva aveva la
meglio. Non colpevolizzarlo per qualcosa che non poteva controllare
—
Sono
sorpresa dalla veemenza con cui Gale difende Peeta visto tutto quello
che c’è stato tra noi.
—
Vero
o meno ormai non importa, appartiene al passato —
Gale
emette un lungo sospiro.
—
Non puoi sperare in un futuro sereno se non regoli i conti col passato
— mi dice, prendendo le tazze vuote per portarle in cucina.
Resto qualche minuto a riflettere su quanto ha appena detto, poi lo
raggiungo.
Sono
circa le 23 quando saliamo le scale per andare a dormire.
Arrivati
davanti alla porta della mia stanza Gale mi bacia una guancia e si
volta, ma prima che riesca ad allontanarsi gli afferro la mano e lo
invito a seguirmi nella mia camera. Mi
addormento serena sapendo che stanotte non ci saranno incubi, ma solo
le sue braccia a tenermi al sicuro.
*L'anemone nemorosa,
anche chiamata anemone dei boschi,
è una piccola pianta dai fiori bianchi che fiorisce
da febbraio ad aprile; è diffusa in Nordamerica e se
ingerita è mortale. Scelta tra le altre piante velonose,
oltre che per il luogo e il periodo di fioritura, anche per il fatto
che appartiene alla famiglia delle Ranunculaceae, pianta da cui prende
il nome il gatto tanto odiato da Katniss.
Salve a tutti!
Allora...questo capitolo come avrete notato è diverso dagli
altri, e forse sono andata anche un pò OOC
(ma come dirlo,
in realtà? La simpaticona della Collins non ci ha mai
fornito una versione "spensierata" dei personaggi,
e io ho cercato
di renderla al meglio restando il più possibile fedele ai
loro tratti basilari)
ma ci voleva
proprio un episodio più allegro e privo di quell'angoscia
che caratterizza la trilogia
( ma,
d'altronde, tratta di guerra e distruzione, come potrebbe essere
allegra e gioiosa?!).
I due
capoccioni sono sempre più vicini, stanno rimettendo insieme
i cocci del rapporto che Hunger Games e guerra hanno quasi distrutto.
In questo
capitolo è spuntato fuori anche il caro, vecchio Peeta, che
come avete letto nell'ultimo incontro con Katniss era nella sua
versione "folle".
Che altro dire,
spero vi piaccia!
Grazie
a tutti per le recensioni, in particolare FedeFranci96, Cry_Stal17,
ElyAlien14, foreverahero00, ViolaS098 e katniss_jackson,
che mi seguono e recensiscono
sempre <3
Catnip
|
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Capitolo 6 *** Passi pesanti e occhi tormentati ***
È passato quasi un mese
da quando Gale è tornato al 12.
Insieme a lui a poco a poco sono tornata alla vita, ho imparato ad
apprezzarne il valore e a gioire di nuovo delle piccole cose.
Non credevo fosse possibile dopo tutto quello che è
successo, dopo tutto ciò che ho perso, ma come ha detto
Gale devo impacchettare tutti i momenti brutti e metterli da parte,
ricordando solo quelli in cui ero felice.
È così che riesce a tranquillizzarmi quando mi
sveglio di notte terrorizzata dagli incubi; mi stringe forte e con la
sua voce calda e rassicurante mi parla delle nostre giornate nei
boschi, di Prim, dei suoi fratelli. Scaccia il dolore con la gioia.
Ed è così che decido di scrivere un libro in cui
riportare tutto ciò che non si può affidare alla
sola memoria: ogni pagina sarà dedicata a una persona, a
quei particolari che devono rimanere per sempre con noi.
Lady che lecca la guancia di Prim.
La contagiosa risata di mio padre.
Gli occhi verde-mare di Finnick.
Il sorriso enigmatico di Cinna.
Rue in equilibrio sulle punte dei piedi, le braccia un po’
allargate, come un uccello sul punto di prendere il volo.
La dolcezza di Mags.
Il riflesso del sole sui capelli dorati di Madge.
Non ci fermiamo più. Ogni pagina è sigillata
dalle nostre lacrime e dalla promessa di continuare a vivere proprio
per
dare un valore alla loro morte.
Col tempo le aggiunte si riducono. Un vecchio ricordo che ritorna. Una
primula tardiva conservata tra le pagine. Curiosi brandelli di
felicità, come la foto del figlio appena nato di Finnick e
Annie.
— Potremmo aggiungere una foto della persona a cui la pagina
è dedicata, sarebbe più... — osserva
Gale, sfogliando con delicatezza le pagine colme di attimi di
felicità perduta.
— Indelebile — concludo io sospirando.
— Non sarà facile ma cercherò di
procurarmele —
— Magari… — Gale si interrompe,
un’espressione combattuta sul viso — Magari se non
le trovi potresti chiedere a Peeta di fare
degli schizzi. So che disegna molto bene —
Lo guardo ma non rispondo. Non capisco perché si ostini a
sollevare l’argomento Peeta. Non ho idea di dove possa
essere e sinceramente, non credo di volerlo sapere. Non se il Peeta
che conoscevo è scomparso per sempre.
Gale interrompe i miei pensieri porgendomi l’arco e la giacca
di mio padre.
— Forza, andiamo —
Metto l’arco e la faretra in spalla ed esco sul patio, ma
Gale resta dentro.
— Gale? Non vieni? —
— Si, va avanti tu, devo fare una telefonata. Ti raggiungo al
solito posto —
— Come vuoi — gli lancio un ultimo sguardo
interrogativo e poi mi incammino nel Distretto.
È tutto diverso. Le miniere sono state chiuse ma in
compenso si ara la terra mescolandola alle ceneri e si coltivano
piante commestibili, si costruiscono nuove case, più solide
e sicure. Dove prima c’era il Forno, è in
costruzione una fabbrica dove produrremo farmaci. È cambiato
tutto, e in meglio.
Penso a Gale: anche lui è cambiato molto soprattutto dalla
fine della guerra ad ora. È sempre il ragazzo leale,
protettivo e attento che è stato la mia ancora per anni, ma
ora è meno schivo e chiuso, ancora più
sensibile di quanto già non fosse.
Il fuoco che brucia nei suoi occhi non è più
alimentato da odio e rabbia ma da gioia e passione, dalla voglia di
vivere ogni momento al massimo. Ed è un fuoco contagioso.
Gale mi raggiunge e iniziamo a cacciare, tornando a casa solo quando ci
riteniamo soddisfatti da ciò che abbiamo preso. Mi rendo
conto subito di quanto lui sia agitato: non hai il suo solito passo
felpato, gli tremano le mani mentre piazza le trappole, a cena resta a
lungo sovrappensiero, scuotendo all'improvviso la testa, come per
scacciar via pensieri che non dovrebbero essere lì.
Più volte provo a chiedergli se stia bene, e lui si limita
ad annuire, così non insisto e mi comporto il più
normalmente possibile.
Durante la notte è ancora più nervoso: si gira e
rigira nel letto, va in cucina, torna su, si agita. Quando alla fine si
addormenta, cade in un sonno popolato da incubi.
Per fortuna stavolta riesco subito a svegliarlo, appena sente il suono
della mia voce apre gli occhi e mi guarda, dolore e paura fusi sul suo
bel viso.
— Ti va di parlarne? — gli chiedo, preoccupata.
Gale scuote la testa e deglutisce, si passa una mano sugli occhi e
sospira.
— Non andartene mai, Catnip — dice
all’improvviso.
— Cosa ti fa pensare che lo farei? —
Gale scrolla le spalle e sorride tristemente.
— Non lo so. Buonanotte, Catnip —
— Buonanotte, Gale — gli faccio eco, e mentre lo
osservo addormentarsi capisco cosa ha sognato di così
orribile. Perdere me.
Quando mi sveglio, Gale è già in cucina che
armeggia con la colazione.
— Già in piedi? — gli chiedo, aiutandolo
con le tazze.
— Si —
— Taciturno stamattina — dico, alzando un
sopracciglio.
— Un po’. Mi passi il caffè? —
risponde lui facendomi capire che il discorso è chiuso.
Finiamo la colazione in silenzio interrotti solo dal tintinnio delle
tazze contro i piattini o del cucchiaino che Gale fa più
volte cadere a terra.
— Devo uscire un attimo a fare un servizio,
tornerò tra una mezz’ora credo — mi
dice con lo sguardo basso mentre riordiniamo la cucina.
— D’accordo, ti aspetto al solito posto —
— Forse è meglio se mi aspetti qui —
— Va bene. Tutto ok, Gale? —
— Si — dice e cerca di rassicurarmi sorridendo, ma
i suoi occhi sono tristi e..impauriti?
Non faccio in tempo a fargli un’altra domanda che ha
già preso la giacca ed è andato via.
Per quanto cerchi di non pensare al comportamento di Gale in questi
ultimi due giorni, la mia mente va sempre lì.
Perché è così nervoso e tormentato? Ho
detto o fatto qualcosa di sbagliato? Glielo chiederò non
appena rientrerà e che lo voglia o meno dovrà
darmi delle risposte.
Mentre lo aspetto faccio una doccia, sistemo i capelli, e cerco di
riordinare un po’ casa, ma ben presto rinuncio e mi abbandono
sul
divano, il libro di memorie sulle ginocchia. Ho appena iniziato a
sfogliarlo quando la porta di ingresso si apre.
— Finalmente sei tornato, credevo ti fossi perso —
dico ironicamente, posando il libro e alzandomi ma non ricevo alcuna
risposta, solo il rumore di passi nel corridoio.
Non è Gale, lui è silenzioso come un gatto.
Questi, invece, sono passi pesanti e irregolari, come di una persona
che zoppica.
— Ciao, Katniss —
È Peeta.
Resto immobile accanto alla finestra, lo sguardo fisso
sull’albero di ciliegio nel cortile.
Dopo quella che mi sembra un’eternità, mi giro.
Peeta è fermo sotto l’arco della porta del salone
e mi fissa intensamente. Ha un bell'aspetto. È
più robusto, come lo era prima dei giochi, e le cicatrici da
ustioni quasi non si vedono più, ma nei suoi occhi mi sembra
di scorgere ancora qualche residuo di quell’espressione
confusa e tormentata.
Improvvisamente ho paura di restare sola con lui. E se avesse un altro
episodio e mi attaccasse? Non riuscirei a difendermi. Che ci fa qui,
comunque?
Poi vedo Gale spuntare dietro di lui e capisco tutto.
L’ansia, gli incubi, il nervosismo che lo tiene in pugno da
ieri, la paura di perdermi. Allora perché lo ha fatto venire
fin qui?
Mi ritornano in mente le parole che mi disse la sera dopo il suo
ritorno:
“Non puoi sperare in un futuro sereno se non regoli
i conti col passato”
Ecco perché. Sa che non potrò andare avanti
finché non avrò messo a posto le cose con Peeta.
È buffo, lo sa lui, ma non io. Io stavo benissimo
così. O forse no? Forse ho davvero bisogno di chiarire con
Peeta per poter guardare serenamente al futuro? Non lo so. Ma Gale si,
a quanto pare. Quanto deve essergli costato portarlo qui? Tanto,
tantissimo. Ma Gale ha sempre messo il mio bene davanti al suo. Avrebbe
potuto lasciare le cose come stavano, costruirci una vita, andare
avanti, ma ha preferito che io avessi un confronto con Peeta.
“Non andartene mai, Catnip”
Mi rendo conto che sono rimasta zitta e immobile da quando è
comparso Peeta che, infatti, mi osserva accigliato.
— Ciao — mi costringo a dire, la voce roca. Mi
schiarisco la gola.
— Vi lascio soli — dice Gale, poi leggendo la
paura nei miei occhi aggiunge — Sono in cucina, se hai..se
avete bisogno —
socchiude la porta e scompare.
— Tranquilla, non ti farò del male— dice
Peeta sorridendo — Sono ancora in cura col dottor Aurelius,
gli episodi sono
quasi scomparsi ma abbiamo pensato che fosse opportuno prendere un
calmante prima di incontrarti. Sai, per precauzione —
aggiunge, imbarazzato.
Il fatto che sia sotto farmaci mi aiuta a rilassarmi ma non riesce a
sciogliermi la lingua. Come sempre, è Peeta a parlare.
— Sarei voluto tornare prima, ma dato quello che è
successo l’ultima volta il dottor Aurelius ha preferito che
non lo facessi. Ti trovo bene — sorride calorosamente,
abbattendo un’altra piccola parte del muro che ho alzato per
difendermi da lui.
— Gale è qui da molto? —
— Un mese, più o meno — ci
siamo, penso.
— E vive qui? —
— Si —
— Sei felice? —
— È un interrogatorio, Peeta? — chiedo
nervosamente, pentendomi subito del tono che ho usato. Faccio un
respiro
profondo e mi costringo a restare calma.
— Sto bene. Sto rimettendo insieme i pezzi. Ci
vorrà tempo e fatica, ma devo farlo. Tu? —
Peeta scrolla le spalle e con un’espressione che mi stringe
il cuore dice — Te l’ho detto, sono rimasto a
Capitol City per curarmi. C’era Johanna, anche lei
è in cura, e ogni tanto Annie passava a trovarci col
bambino. Somiglia a Finnick, ma è dolce come la madre
— aggiunge sorridendo dolcemente.
Parliamo per un po’; Peeta mi aggiorna su Johanna, Annie,
Beetee, Plutarch e gli altri, mi chiede come vanno gli incubi e come
faccio ad affrontarli.
Quando rispondo con un evasivo — Li controllo, in un modo o
nell’altro — lui fa un verso a metà tra
un sospiro e una risata amara.
— Gale? — davanti al mio silenzio, continua
— Avrei voluto essere io a proteggerti dagli incubi, come
facevo durante il Tour. Vorrei ancora essere io. Tu lo vuoi, Katniss?
—
La sua domanda, così diretta e improvvisa, mi spiazza al
punto che non mi rendo conto di cosa stia succedendo finché
non sento le labbra di Peeta premute sulle mie.
Venti minuti. Venti lunghissimi
minuti che sono lì dentro. Cosa mi è saltato in
mente?
Ho fatto tanto per
riconquistare la fiducia e l’affetto di
Katniss e ora rischio di perderla di nuovo. Ma è mai stata
del tutto mia, in fondo? No. E non lo sarà. Non
finchè c’è il fantasma di Peeta che
aleggia su di noi. So di aver fatto la cosa giusta facendolo venire
qui.
Katniss deve essere
libera di scegliere colui di cui ha davvero
bisogno, colui che ama, e non avrebbe mai potuto farlo con sicurezza
senza aver avuto un confronto anche con Peeta.
E io non avrei potuto
vivere nel costante dubbio di essere solo una seconda scelta, un
ripiego.
Se scegliesse
lui… sarei distrutto, ma non posso dire di non
essere preparato, li ho visti insieme per due anni e so che sotto la
finzione i sentimenti c’erano.
E ci sono ancora.
Ciò che
voglio è che lei sia felice. Se lo
è lei lo sono anche io. Perchè la amo.
Guardo
fuori dalla
finestra verso i boschi. L'unico posto in cui
eravamo liberi di essere noi stessi.
Quelli con Katniss sono stati i momenti più belli della mia
vita; quasi tutti i miei ricordi felici sono legati a lei e sono certo
che per lei sia lo stesso.
Non può averli dimenticati. Non può aver
dimenticato quello che eravamo.
Indivisibili. Ecco la parola giusta. L'uno la forza dell'altra, sempre
insieme, spalla contro spalla. Non c'era segreto che tenesse tra noi.
Nessuno può capirmi come lei e nessuno può
leggere i suoi pensieri come me.
Poi sono arrivati gli Hunger Games. È arrivato Peeta.
Con la sua immensa bontà e il suo amore imperituro me l'ha
portata via, prendendo il mio posto accanto a lei.
Certo, io non ho lottato come avrei dovuto, ma ero arrabbiato con lei,
con me, con loro. Loro che la manipolavano come un burattino
appropriandosi della sua vita e strappandogliela via.
Ma Catnip c'è ancora, e lotterò per
riportarla alla luce.
Ho appena finito di bere la terza tazza di caffè quando la
porta della cucina si apre ed entra Katniss.
Appena vedo l’espressione del suo viso, il luccichio nei suoi
occhi, le guance arrossate, mi manca il respiro e la tazza mi
scivola di mano, frantumandosi
in mille pezzi. |
Eccomi qui con la mia
ultima fatica =D
Lo so, vi
ho fatto aspettare un bel po'...scusate!
Siamo al
punto cruciale
della storia...come finirà? Vedrete nel prossimo capitolo
(che non sarà l'ultimo, tranquilli)!
Aspetto i
vostri commenti!
Bacio,
Catnip
|
|
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Capitolo 7 *** Vero. ***
|
Una fredda giornata di
gennaio.
I singhiozzi sommessi
delle famiglie dei defunti.
Un ragazzo, poco
più che un bambino,
cinge le spalle della
madre con un braccio
una medaglia al valore
stretta nella mano libera.
Il suo volto è
una maschera impenetrabile
ma riesco a leggere il
dolore nei suoi occhi grigi.
Grigi come i miei. Grigi
come il cielo sopra di noi.
Un viale
fangoso, un vecchio melo.
La pioggia gelida penetra nelle ossa.
Nell'aria si sente profumo di pane fresco.
Un ragazzino biondo mi scruta curioso
nascosto dietro la schiena della madre che urla.
Rumori, grida, un colpo. Uno zigomo tumefatto e
arrossato,
il tintinnio del campanello, due calde pagnotte di pane.
Una limpida notte
d'inverno. Il sole sta per sorgere.
Un ragazzo e una ragazza
parlano vicino a una
recinzione.
Silenzio. Il fruscio
delle foglie. La luce rosea
dell'alba.
Un bacio inaspettato.
Profumo di arance. Dolce
oblio.
Una grotta umida. Lo scroscio di un torrente.
Profumo di pini, odore di sangue.
Paura della notte. Paura della morte.
Un bacio.
Labbra che bruciano. Sopravvivenza.
Una piccola casa sul
lago. Lo scoppiettio del fuoco.
Il profumo di cuoio
bagnato, di mele, di inverno.
Un sussurro: ti amo.
Anfiteatro cittadino. Gli
applausi e le urla.
Pietre preziose e fiamme. Profumo di rose.
Una confessione: è venuta qui insieme a me.
|
Immagini di ricordi lontani si
susseguono nella mia mente nitide e veloci ma scompaiono nel momento
in cui sento le labbra di Peeta lasciare le mie.
Indietreggio di un passo,
poggiandomi con le mani al davanzale della
finestra, la testa che mi gira.
Peeta mi osserva attentamente, la
testa leggermente inclinata verso
destra, un’espressione confusa che svanisce presto lasciando
il posto a una triste rassegnazione.
— L’ho sempre
saputo — dice scuotendo
leggermente la testa e voltandosi verso il camino — Sempre.
Dalla prima volta che vi ho visti insieme. Dopo i Giochi una parte
di me ha cominciato a credere che non fosse così. Poi ho
scoperto la verità ed è stato terribile, ma ho
continuato a sperare che le cose sarebbero cambiate un giorno. Eravamo
sempre più vicini ma sentivo che una parte di te
mi era
ancora inaccessibile... perchè legata a lui — Peeta sospira, fissa le fiamme che
danzano nel camino poi continua a parlare.
— Gliel’ho anche detto,
sai? Eravamo accampati nel negozio di Tigris, tutti dormivano, tranne
me e lui che vegliava su di te per paura che potessi farti del male
—
Ricordo quella notte e quella
discussione ma resto in silenzio ad
ascoltare Peeta.
— Quando glielo dissi non
mi ha creduto. Mi rispose che non
era vero, che tu non avevi mai baciato lui come avevi baciato me
— Peeta accenna un sorriso, lo sguardo ancora fisso sul fuoco.
— Quello che non ebbi il
coraggio di dirgli fu che tu non avevi mai guardato me come guardavi
lui, che quando c'era lui con te nei tuoi occhi si accendeva una
scintilla e che i tuoi sorrisi più belli erano per lui. Ed
è ancora così — Peeta si gira verso di
me, sospira e si avvicina.
— L’ho sempre
saputo Katniss, e anche tu
— dice accarezzandomi dolcemente una guancia.
Resto in silenzio a guardare quegli
occhi azzurri che sono stati la mia
ancora di salvezza in momenti terribili, alla ricerca di parole che non
verranno mai fuori. Ma poi ricordo di essermi ripromessa di cogliere
sempre l'occasione di dire e dimostrare ciò che provo,
quindi mi faccio coraggio e parlo.
— Peeta...sai cosa provo
per te. Abbiamo condiviso
un'esperienza terribile, l'abbiamo affrontata insieme, come una sola
persona. In quei momenti, ma anche dopo, mi sei sempre stato accanto
dandomi forza e aiutandomi a combattere ciò che da sola non
riuscivo neanche ad affrontare
— deglutisco e faccio un passo verso di lui
— Eri
l'unico che potesse capirmi a fondo, o meglio, l'unico a cui ne davo la
possibilità. Sei stato il mio porto sicuro, la mia ancora,
il mio sostegno, e non potrò mai dimenticarlo. Quando ti
hanno portato via... ero distrutta, non passava giorno senza che io non
pensassi a te, a ciò che ti stavano facendo —
Peeta emette un piccolo sbuffo di
incredulità.
— Credimi, Peeta. Sei
stato, sei e sarai una delle persone
più importanti per me. Sempre —
Peeta mi guarda intensamente e per
un attimo ho paura che possa avere
uno dei suoi episodi. Ma quando parla nei suoi occhi non c'è
traccia dei pozzi neri che vi ho scorto l'ultima volta e la sua voce
è dolce e tranquilla.
— Tu lo ami. Vero o
falso? — chiede, sospirando.
Abbasso lo sguardo per un momento,
poi deglutisco e mi schiarisco la
voce per lasciar uscire quell'unica, ormai innegabile parola.
— Vero —
Da cinque minuti sono qui
nell'ingresso a fissare il legno scuro della
porta della cucina dove Gale mi aspetta. Non so come comportarmi, cosa
dirgli. Coraggio, mi dico. Faccio un
respiro
profondo e apro la porta.
Gale è in piedi davanti
alla finestra, lo sguardo perso
oltre l'orizzonte, una tazza tra le mani. Non appena mi vede la tazza
gli cade a terra e si frantuma in mille pezzi. Evitando i cocci e il
caffè che copre di nero il pavimento bianco mi avvicino a
lui sorridendo.
Mi rendo
conto troppo tardi di come in questa situazione lui possa
fraintendere il perchè del mio sorriso. E infatti lo fa.
Vedo il dolore invadere i suoi
occhi, la mascella serrata, il petto
animato da un respiro irregolare. Gale si volta e si incammina verso la
porta della cucina che dà sul cortile.
— Aspetta —
esclamo prendendogli una mano — Aspetta! —
Gale si ferma, sospira e poi si
gira verso di me.
— Aspettare cosa,
Katniss? Non c’è
bisogno che tu dica altro. Non voglio giri di parole per rendere il
boccone meno amaro. Sapevo che sarebbe finita così sapevo
c,he avresti scelto lui. L'ho capito tempo fa — dice Gale
tristemente.
— Credo che stavolta tu
non abbia capito proprio niente
—
Faccio un altro passo verso di lui
per annullare la distanza che ci
separa e lo bacio.
Nell’istante in cui le
nostre labbra si sfiorano una miriade
di emozioni esplode dentro di me. Un fuoco caldo e avvolgente si
accende nel mio petto, si fa strada lentamente nel mio corpo,
riempiendo ogni piccola parte del mio essere col suo calore e la sua
luce e non si spegne nemmeno quando le nostre bocche si separano. Gale
mi guarda, le sopracciglia leggermente aggrottate.
— Io? — con un
filo di voce.
— Tu — dico,
annuendo.
— Io? — ripete.
— Tu. Sei sempre stato tu
— sorrido.
— Perché?
— chiede ancora.
La domanda è
così strana pronunciata da Gale, un
ragazzo solitamente forte e sicuro di sé, ma in questo
momento fragile e in cerca di rassicurazioni. E io conosco
già la risposta. La conosco da quella sera in cui lui era
steso sul tavolo della mia cucina e temevo che morisse. O forse anche
da prima, ma ero troppo presa da altro per capirlo. Deglutisco e gli
prendo il viso tra le mani.
— Gale... tu sei mio, io
sono tua. Qualsiasi altra cosa
è impensabile —
Stavolta è lui a baciare
me, e il fuoco divampa di nuovo
unendosi al suo e bruciando in un’unica fiamma
così calda e piacevole da cancellare ogni paura, ogni
cicatrice, da annullare ogni turbamento o pensiero. Sento le sue
braccia stringermi forte, le sue mani accarezzarmi delicatamente la
schiena, i capelli, il viso, vedo i suoi occhi scrutare nel profondo
dei miei alla ricerca di qualcosa che gli assicuri che ciò
che sta succedendo è reale. Ricambio il suo sguardo e lascio
che quelle parole che da tempo vagavano dentro di me si facciano strada
verso l'esterno.
— Ti amo — gli
sussurro.
— Lo so —
risponde lui, con un sorriso beffardo,
ripetendo le mie parole di un anno prima e strappandomi una risata.
— Ti amo anche io, Catnip
—
Eccomi qui!
Sono tremendamente in ritardo, lo so, ma sono stata impegnatissima,
e poi questo capitolo è così *non trova la parola
adatta* che mi ci è voluto un
po' (dalle 18 circa ad ora) per scriverlo e poi sistemarlo.
Vi spiego perchè. Naturalmente, sapevo già cosa
avrei dovuto scrivere,
ma non avevo la più pallida di idea di come articolare il
tutto.
E poi, la soluzione: flashback.
Ricordi di Katniss su Gale e Peeta: la prima volta che si sono visti,
il primo bacio, la scoperta del loro amore per lei.
Il discorso tra Katniss e Peeta e poi quello tra lei e Gale.
E, finalmente, il nostro finale Everthorne è arrivato!
Spero vi piaccia *.*
Ringrazio le fedelissime che mi seguono sempre e le cui recensioni non
mancano mai,
i nuovi arrivati (sperando che ci siano)
e anche coloro che leggono in silenzio, tenendo per sé il
loro parere. Al prossimo capitolo!
Love,
Catnip
|
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Capitolo 8 *** Vecchie fotografie, ricordi indelebili ***
Quando
mi sveglio il sole è già alto nel cielo. Gale mi
accarezza
delicatamente i capelli e quando si accorge che sono sveglia mi sorride.
—
Buongiorno, Catnip —
—
‘Giorno — rispondo, tentando inutilmente di
soffocare uno sbadiglio.
—
Niente incubi stanotte — dice, accennando un sorriso.
—
No — confermo. — Forse avevi ragione, dovevo
chiudere i conti in
sospeso per poter andare avanti serenamente — aggiungo, dopo
qualche
secondo di silenzio. — Grazie, Gale. —
—
Per cosa? — mi chiede, confuso.
—
Per quello che hai fatto —
—
Dovevo farlo — dice lui scrollando le spalle. Gale mi
osserva per
alcuni istanti, le sue dita che mi accarezzano una guancia, poi si
avvicina e mi bacia — Vado a preparare la colazione
—
Rispondo
con un suono a metà tra un si e uno sbadiglio che riesce a
strappargli un sorriso.
—
Non riaddormentarti! — dice scomparendo oltre la porta.
Dopo
qualche altro sbadiglio mi costringo ad alzarmi e a raggiungere
Gale in cucina, incoraggiata dall’odore di caffè e
di pane tostato.
Quando arrivo di sotto sento Gale parlare con qualcuno.
—
Haymitch — dico rivolta alla schiena dell’uomo
seduto al grande
tavolo della cucina per poi avvicinarmi e sedermi di fronte a lui. Da
quando siamo tornati al 12 ho visto Haymitch solo un paio di volte
dato che si è chiuso in casa rifiutandosi di ricevere
visite. È più
magro e trascurato rispetto al nostro ultimo incontro; i capelli
ingrigiti gli incorniciano il volto scarno e pallido, persino gli occhi
un tempo sempe guardinghi hanno perso la loro vecchia
vitalità.
—
Come stai? — chiedo, afferrando una fetta di pane.
—
Me la cavo. A quanto vedo tu te la stai passando bene, dolcezza
— Decido di
ignorare il suo solito
tono cantilenante e ironico.
—
Come mai qui? Credevo non volessi più avere a che fare con
il genere
umano — dico imitando il suo tono e procurandomi
un’occhiataccia da
Gale.
—
Si, era il mio piano, ma qualcun altro non era d’accordo
—
ribatte acidamente, spalmando una fetta di pane con burro e marmellata.
— Comunque, sono qui per parlarvi di una cosa e farvi
ragionare prima
che facciate dei pasticci e buttiate tutto all’aria
—.
Faccio
per parlare ma Haymitch mi blocca alzando una mano e dopo un
lungo sorso di caffè abbondantemente corretto continua il
suo discorso
— Mi hanno chiamato da Capitol City, la- —
—
Da quando hai il telefono? — lo interrompo, curiosa.
—
Da quando mi hanno costretto a ripararlo. Dicevo, la Paylor mi ha
chiamato e chiamerà anche voi. Abbiamo diritto a
un’indennità di guerra
per il lavoro svolto durante la rivoluzione; è una bella
cifra, la
vostra è più cospicua naturalmente dato che vi
siete esposti in prima
linea, ma non posso certo lamentar- —
—
Non voglio i loro soldi — lo interrompo, prima che possa dire
altro.
—
Mi hai tolto le parole di bocca — dice Gale, lo sguardo fisso
su Haymitch che ci osserva a sua volta.
—
Ma quanto siete carini — dice nel suo solito tono
sprezzante — “Non vogliamo i
loro soldi!” E come pensate di vivere? Cacciando?
Fatemi il piacere —
—
Lo abbiamo fatto per anni — ribatto, infervorandomi.
—
Le cose sono diverse ora e qualche coniglio non vi basterà
per
sopravvivere. Vi servono soldi, quindi o accettate quelli che vi
spettano o vi trovate un lavoro. O entrambe le cose, se siete in vena
—
—
Io ce l’ho un lavoro — dice Gale, nervoso.
—
Ah si? Non mi sembra tu stia lavorando ora, o che tu abbia lavorato
negli ultimi due mesi. E qui hai poco da fare, comunque. Ciò
di cui ti
occupi è nel 2 — dice Haymitch, continuando a
correggere il suo caffè.
La
sua ultima frase mi colpisce come uno schiaffo in pieno volto: se
vuole continuare a lavorare, Gale dovrà tornare nel 2.
Lontano da me.
Haymitch sembra notare l’effetto delle sue parole su di me e
quando
parla di nuovo il suo tono è più calmo e gentile.
—
Ascoltatemi. Quei soldi non vi restituiranno ciò che avete
perso,
non sconfiggeranno i vostri demoni né cureranno le vostre
cicatrici più
profonde, ma potranno garantirvi una vita più serena e
tranquilla e
credo sia proprio ciò di cui avete bisogno dopo tutto quello
che avete
passato. Non c’è nulla di male
nell’accettarli, vi spettano di diritto
— Haymitch svuota la tazza e si alza per andarsene; prima di
lasciare
la cucina si gira verso di noi e dice — Pensateci —
per poi uscire
sbattendo la porta dietro di sé.
—
Cosa ne pensi? — chiede Gale dopo alcuni minuti di silenzio.
—
Io…non lo so— dico e ignorando il suo sguardo
interrogativo lascio
la cucina. Sento Gale chiamarmi ma prima che possa raggiungermi sono
già uscita di casa, arco in spalla, e mi dirigo verso i
boschi. Cammino
senza prestare attenzione a dove vado ma i miei piedi si muovono
automaticamente verso il solito sperone di roccia.
Le parole di
Haymitch mi rimbombano nella testa; cosa dovrei fare adesso? Accettare
i loro soldi è disgustoso quasi quanto accettare quelli per
la vittoria
agli Hunger Games, ma non accettarli vuol dire una sola cosa: Gale
dovrà tornare nel distretto 2. Haymitch ha ragione: la sola
selvaggina
non basterà, sono i soldi quelli che servono; ora che la
nazione sta
rinascendo e il benessere a poco a poco si diffonde, gli abitanti del
distretto potranno permettersi di comprare del buon cibo senza problemi
e io e Gale non avremo più possibilità di
barattare la nostra
selvaggina. Sento la rabbia salire e la tempia sinistra pulsare con
forza, così chiudo gli occhi e mi costringo a respirare
profondamente
finché, poco a poco, mi calmo. Quando li riapro Gale
è a tre metri da
me, poggiato al tronco di un albero, le braccia conserte, e mi osserva
attentamente. È inquietante come riesca a muoversi senza
fare alcun
rumore. Si siede accanto a me, lo sguardo fisso
sull’orizzonte. Resto
in silenzio per qualche minuto concentrandomi su un lungo filo
d’erba
che annodo e sciolgo ritmicamente.
—
Tornerai nel 2, vero? — chiedo all’improvviso con
voce gracchiante.
—
Cosa te lo fa pensare? — ribatte Gale, tranquillo.
—
Hai un lavoro lì. Qui non hai possibilità,
Haymitch ha ragione —
Con
mia grande sorpresa, Gale inizia a ridere.
—
Cosa c’è di così divertente?
È la verità, hai mollato tutto per
tornare qui, il tuo lavoro, la tua nuova vita. E…
— sbotto irritata, ma
Gale mi interrompe.
—
La mia nuova vita?
Mi limitavo a sopravvivere, al massimo. Per vivere
ho bisogno di questi boschi, del luogo in cui sono cresciuto. Ho
bisogno di te
— L’intensità e la
dolcezza con cui pronuncia quest’ultima frase mi colpisce
dritto al
cuore. Non te le aspetti certe cose da Gale.
—
E poi Haymitch non sa sempre tutto. Non ho bisogno di tornare nel 2 per
lavorare, posso farlo anche qui — continua lui.
—
E come? Qui al 12 non sanno nulla di armi e roba simile —
rispondo
chiudendo gli occhi e rabbrividendo leggermente al pensiero di fucili e
bombe.
—
Ho chiuso con quella roba. Mi occupo di altro ora —
—
Altro? Io credevo che era quello che volessi fare, sembrava ti
piacesse quando eravamo al 13 — anche se ci provo non riesco
a
nascondere il disappunto nella mia voce.
—
Più che piacermi mi faceva sentire utile, mi teneva
impegnato, ma
ora la situazione è diversa e non voglio più
avere a che fare con
guerra e distruzione — risponde Gale piatto.
La
sua risposta mi fa rendere conto ancora una volta di quanto sia
cambiato dopo la guerra e di come io me la sia presa con lui quando
vedevo le armi che progettava, dimenticando però il motivo
per cui lo faceva.
— Di cosa ti occupi allora? —
—
Progetto edifici. Case, per lo più. È una cosa
che mi è sempre
piaciuta, sin da bambino e quando ne ho parlato con Beetee mi ha messo
in contatto con un suo amico che si occupa proprio di questo,
così ho
iniziato a studiare e lavorare con lui partecipando anche a diversi
progetti. È un lavoro che mi piace, vedere una casa venir su
dal nulla
e sapere che l’hai progettata tu dà molta
soddisfazione. E si guadagna
piuttosto bene, il che non guasta affatto —
— Non è necessario
che torni al 2, posso lavorare
tranquillamente da casa e recarmi lì quando necessario; e
poi anche qui
c’è molto da fare — aggiunge facendo
spallucce.
—
Quindi non te ne andrai? — chiedo ancora.
—
No, Katniss. Non me ne andrò — risponde Gale,
divertito ed esasperato allo stesso tempo.
Sento
i muscoli del viso rilassarsi e un po' d'angoscia svanire
—
Cosa hai deciso di fare con la questione
dell’indennità? —
—
Sai che non voglio quei soldi, ma a quanto pare la Paylor non
è
disposta ad accettare un no come risposta. Ha chiamato poco dopo che
sei scappata via e ha detto che quei soldi spettano di diritto ad ogni
soldato che abbia combattuto o si sia distinto per meriti particolari,
come Haymitch o Plutarch. Penso che non abbiamo altra scelta se non
quella di accettare — dice Gale, sospirando.
—
D’accordo — rispondo con voce roca. —
Torniamo a casa, così ne parliamo con Haymitch —
dico, alzandomi e tendendogli la mano.
—
Dici che ci lascerà entrare? — chiede Gale,
ridendo.
—
Buttiamo giù la porta o entriamo dalla finestra, Hawthorne
—
—
Se lo dice lei, Everdeen! —
In
meno di dieci minuti siamo davanti alla porta di Haymitch.
—
Secondo te dopo quante bussate verrà ad aprire? —
chiede Gale,
osservandomi mentre prendo pugni la porta. Al quarto
colpo, si apre.
—
Avrei detto otto o nove, che delusione Haymitch! —
dice Gale.
—
Peeta — dico sorpresa. Non mi aspettavo di trovarlo
lì, ma in fin
dei conti qui gli restiamo solo io e Haymitch e dato quello che
è
successo ieri penso che ci vorrà del tempo per riallacciare
i rapporti
con lui. Peeta guarda me, poi Gale, poi i suoi occhi indugiano
per qualche secondo sulle nostre dita
intrecciate.
—
Ciao — dice tranquillo. — Entrate, Haymitch
è in cucina —
Entro
seguita da Gale e subito vengo avvolta da un delizioso profumo di pane
appena sfornato. Peeta mi guarda e acenna un sorriso imbarazzato.
—
Ne ho preparato anche per voi. E ho aggiunto anche quelle focaccine al
formaggio che ti piacciono tanto —
—
Non dovevi Peeta, grazie —
—
Lo faccio con piacere. Andiamo, prima che si riaddormenti —
dice incamminandosi verso la cucina.
Haymitch
è seduto al tavolo, l’immancabile bottiglia di
liquore accanto a lui.
—
Oh, ecco Mr Orgoglio e Miss Integrità —
—
Falla finita Haymitch — rispondo tagliente.
—
Allora, avete fatto i vostri conticini e preso una decisione?
—
—
Si...accetteremo i soldi dell’indennità
— dice Gale.
—
Bene, siete più intelligenti di quanto mi aspett- —
—
Haymitch — lo ammonisce Peeta.
—
Cosa vuoi? Era un complimento — dice Haymitch allargando le
braccia e versando un po’ di liquore dal bicchiere.
—
In questo caso, entro questa settimana dovremo andare a Capitol City
—
—
Cosa? —
—
Hai sentito bene, dolcezza. Non ci vorrà molto, il tempo di
mettere qualche firma e saremo di ritorno —
Tornare
a Capitol City, camminare in quelle strade, rivivere quei
momenti è l’ultima cosa che desidero, solo
l’idea mi dà i brividi. Mi
irrigidisco e abbasso lo sguardo concentrandomi su una macchia di
caffè sul pavimento. Come al solito a Gale basta uno sguardo
per
capire ciò che sto pensando; mi scosta una ciocca di capelli
dal viso e
sussurra — Se non vuoi andarci posso pensarci io —
Alzo
lo sguardo su di lui e leggo la preoccupazione nei suoi occhi
nonostante cerchi di nasconderla con un piccolo sorriso rassicurante.
Sarà difficile anche per lui tornare
lì, non posso lasciarlo da solo.
—
No, va bene — dico con voce incerta.
—
Perfetto. Vado a chiamare la Paylor, allora
— Haymitch batte le mani ed esce
dalla cucina lasciando me, Gale e Peeta da soli.
Imbarazzante. È
ovviamente Peeta a rompere il silenzio.
—
Cosa ne pensate di questa storia dell’indennità?
—
—
Non siamo d’accordo, ma la Paylor mi ha fatto capire
chiaramente che non abbiamo scelta — dice Gale, accettando la
tazza di caffè che Peeta gli sta offrendo.
—
Si, è stata molto categorica — dice Peeta,
passandosi una mano nei capelli.
—È
come essere pagati per aver vinto gli Hunger Games — dico con
tono secco, sedendomi e prendendo una tazza di tè.
—
Non è la stessa cosa Katniss, lo sai — ribatte
Peeta.
—
Ah no? Quindi tu non hai avuto problemi ad accettare? Non ti fa sentire
sporco prendere i loro soldi? —
—
No, Katniss. Ogni soldato che ha preso parte a una guerra di queste
dimensioni riceve un’indennità, soprattutto se ha
subito dei danni o
delle perdite. E noi rientriamo in questa categoria, direi —
Sto
per ribattere quando Haymitch ritorna.
—
Partiamo domani mattina alle 8 —
—
D’accordo. A domani, allora — dice Gale, e si
incammina verso l’ingresso tenendomi per mano, felice di
stroncare sul nascere una possibile discussione tra me e Peeta.
—
Aspettate! — dice Peeta, porgendomi un pacchetto di carta
voluminoso e
caldo. Il profumo di pane mi invade nuovamente le narici e mi fa
pentire per il modo in cui mi sono rivolta a lui poco fa.
—
Grazie, Peeta — .
—
Non c’è di che, mi fa piacere. A domani —
—
Ciao — dico, seguendo Gale all’esterno.
—Stavo
pensando che al ritorno da Capitol City potrei passare al 2 e
parlare con Klaus per la questione del lavoro — dice Gale
mentre
attraversiamo il Villaggio dei Vincitori diretti verso casa.
—
Klaus? —
—
È l’amico di Beetee con cui ho lavorato in questi
mesi. Gli spiegherò
che non ho intenzione di tornare al 2 ma che voglio continuare a
lavorare con lui —
—
Mi sembra una buona idea — dico sorridendo incoraggiante.
—Già.
Poi… — Gale fa una breve pausa e mi guarda,
indeciso se proseguire o meno.
—
Poi? — lo incalzo io.
—
Se ti va potremmo fermarci un po’ al 4 —
Mi
blocco sull’uscio della porta. Distretto 4, mia madre.
—
Non so se ne ho voglia —
—
Katniss, è tua madre, non la vedi da mesi! —
—
Da quando mi ha abbandonata qui, vorrai dire — sibilo.
—
Vederla ti farà bene, ne sono certo — mi dice
Gale, circondandomi con
le braccia e poggiandomi il mento sulla testa. Come sempre, quando mi
abbraccia tutta la mia insicurezza svanisce.
—
Se lo dici tu — brontolo contrariata, ma tra me e me penso
che come per la
questione di rivedere Peeta anche stavolta avrà ragione.
— La chiamo,
allora —
Gale
annuisce e scompare in cucina per preparare il pranzo.
—
A domani, mamma — riaggancio il telefono e raggiungo Gale in
cucina.
—
Allora? — mi chiede, riempiendomi il piatto di coscette di
coniglio
al basilico. In un cestino
di legno al centro del
tavolo ha disposto
con cura le focaccine al formaggio e alcune fette del pane di Peeta.
—
Non vede l’ora di vederci e spera che ci fermeremo per
qualche giorno
— dico prendendo una fetta di pane per intingerla nella
densa crema di
basilico del coniglio.
—
Non è una cattiva idea, sai. Potremmo andare al mare, dicono
che sia
bellissimo. Poi c’è Annie, sono sicuro che sarebbe
molto felice di
vederti — dice Gale, mangiando una focaccina. —
Queste focaccine sono
buonissime, ricordami di dirlo a Peeta, domani —
—
Mm-mh —
Nel
pomeriggio saliamo in camera per preparare le valigie, o meglio io
me sto stesa sul letto limitandomi a dire si o no ai vestiti che poi
Gale piega con cura e mette in borsa.
—
Ecco fatto, è tutto pronto. Grazie per l’aiuto,
senza te non avrei
saputo come fare — ironizza Gale chiudendo
l’ultimo dei due borsoni.
—
Fare valigie non è il mio forte, avrei buttato tutto dentro
alla
rinfusa — dico, stiracchiandomi. All’improvviso mi
viene in mente una
cosa e mi alzo dal letto con un balzo.
—
Katniss? —
—
Devo prendere una cosa, torno subito — dico, ed esco dalla
mia stanza
per andare in quella che era di mia madre, dove inizio ad aprire
cassetti e rovistare nell’armadio.
—
Eccolo! — esclamo dopo aver trovato ciò che
cercavo in una scatola verde riposta nel terzo cassetto del
comò.
—
L’album di nozze dei miei genitori, per mia madre —
spiego a Gale
quando ritorno in camera. — Ho aggiunto qualche foto mia e
di…Prim —
continuo, scrollando le spalle.
—
È un pensiero bellissimo —
—
Ho pensato che potrebbe aiutarla a sentirsi meno sola, ora che
è al 4 —
—
Posso vederlo? —
Mi
siedo sul letto con l’album sulle
ginocchia e faccio cenno a Gale di sedersi accanto a me. Passiamo
l’ora
successiva a sfogliare le pagine leggermente ingiallite, colme di
ricordi e momenti felici.
—
Somigli tantissimo a tuo padre. In questa siete uguali.
—indica una foto di mio padre intento a scoccare una freccia,
lo
sguardo concentrato e fisso sulla preda. —Tranne per la
treccia,
ovviamente — aggiunge poi con un sorriso che si trasforma in
una
risata quando vede una mia foto di quando avevo 5 o 6 anni.
—
Perché ridi? — chiedo, sulla difensiva.
—
Così piccola e già quell’espressione
imbronciata! —
—
Avevo litigato con mia madre, non voleva che giocassi con
l’arco che
papà aveva costruito per me —
La
foto nella pagina successiva mi provoca una dolorosa stretta allo
stomaco. È una foto di Prim, aveva un anno o poco
più, i capelli biondi
che incorniciano il viso roseo in cui brillano due grandi occhi azzurri.
—
È bellissima — dice Gale in un sussurro.
—
Si…lo era — rispondo, lottando contro un doloroso
nodo alla gola.
—
E tu eri una sorella molto orgogliosa — dice Gale passando
in fretta
ad un’altra foto che ritrae me seduta davanti al camino, le
braccia
spalancate verso una sorridente Prim che muove i primi passi sulle
gambette paffute. Una
lacrima scivola lungo la mia guancia e cade sulla foto.
—
Mi manca così tanto — dico a mezza voce.
Sento
il braccio di Gale circondarmi le spalle e tirarmi a sé.
—
Lo so — Una lacrima
tiepida mi bagna la
fronte e alzando lo sguardo mi rendo conto che anche Gale sta
piangendo, ma quando incrocia i miei occhi sorride debolmente.
—
Le volevo bene come ad una sorella —
—
Anche lei te ne voleva molto, ti adorava. Per un periodo ho
anche pensato che avesse una cotta per te — confesso,
sorridendo al
ricordo.
Continuiamo
a sfogliare l’album, sorridendo tra le lacrime ad ogni foto
di Prim, finché non arriviamo all’ultima pagina,
dove c’è un’unica foto
al centro che risale a pochi mesi prima della morte di mio padre: lui e
mia madre seduti nell’erba, io stesa a pancia in
giù tra di loro e Prim
che mi intreccia fiori nei capelli.
—
È ora di cena — dico. Avvolgo l’album in
una sciarpa di seta grigio
perla disegnata da Cinna e lo ripongo delicatamente in una delle
valigie, poi mi reco in cucina, seguita da Gale.
Dopo
cena non ci fermiamo a chiacchierare in salotto come al solito ma
facciamo una doccia veloce e poi andiamo dritti in camera.
—
Sarà una giornata pesante, domani — dice Gale,
tamponandosi i capelli con un asciugamano.
—
Si…— rispondo io, già a letto,
girandomi su un fianco nella sua direzione.
Gale
si stende accanto a me e mi sistema una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
—
Sicura di farcela? — chiede, fissando i suoi occhi nei miei
alla ricerca di una risposta alla sua domanda.
Annuisco,
stringendomi a lui per scacciare via la sensazione di angoscia che mi
attanaglia lo stomaco.
—
Andrà tutto bene, ci sarò io con te —
—
Lo so —
Alzo
la testa per baciarlo e poi torno a rannicchiarmi tra le sue
braccia, lottando contro l'ansia per ciò che mi attende la
mattina
successiva finchè non cado in un sonno profondo, cullata dal
respiro
di Gale tra i miei capelli.
Eeeee...sono tornata!
Avevate perso le speranze,
scommetto, dato che è passato più di un mese
da quando ho pubblicato
l'ultimo capitolo.
Purtroppo , tra tesi ed
esami ho pochissimo tempo libero a disposizione
e, soprattutto, la mia
fantasia sembra essere partita per l'Isola che non c'è,
il che è
tragico, quando si ha una storia da scrivere :/
E infatti questo capitolo,
a mio parere, non è un granchè,
ma forse dopo quello
precedente in cui "ho fatto il botto" ci voleva qualcosa di
più tranquillo.
Non preoccupatevi, questa
calma apparente durerà massimo un altro capitolo,
poi si tornerà
all'azione (Everthorne, ovviamente)!
Spero di non avervi deluso
con 'sto capitolaccio
e vi chiedo ancora scusa
per l'immenso ritardo con cui ho pubblicato.
Grazie alle mie fedelissime LauGelso, ElyAlien14, foreverahero00,
katniss_jackson, kaly23, FedeFrancy96, Cry_stal17, e ViolaS098, le
cui recensioni non mancano mai <3
A
presto!
Catnip
|
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Capitolo 9 *** Addio, Capitol City. ***
— Pronta?
— chiede Gale prendendo le valigie.
— Ho scelta? —
Peeta e Haymitch ci aspettano nel vialetto.
— Alla buonora — brontola Haymitchincamminandosi
con passo malfermo verso l’uscita del Villaggio.
— Buongiorno anche a te, Haymitch — gli dico.
— È colpa mia — dice Peeta —
Gli ho impedito di correggere il caffè. L'alcool lo sta
distruggendo, deve smetterla con quella roba —
— Ci aspetta una giornataccia allora — bisbiglio
sospirando al pensiero di un Haymitch in astinenza.
Raggiungiamo il Prato, l’unico luogo adatto per far atterrare
l’hovercraft, e quando questo arriva saliamo e prendiamo
posto io e Gale da una parte, Peeta e Haymitch di fronte a noi.
Trascorriamo la prima mezz’ora in totale silenzio, poi Gale
rompe il ghiaccio e inizia a parlare del più e del meno con
Peeta che ignora con disinvoltura le occhiate truci di Haymitch. Li
ascolto chiacchierare per un po’ e inizio a pensare che
potrebbero anche diventare amici un giorno e l’idea di una
vita in cui sia Gale che Peeta sono al mio fianco mi fa automaticamente
sorridere. Chiudo gli occhi e appoggio la testa sulla spalla di Gale
che mi prende una mano tra le sue; l’ultima cosa che ricordo
prima di addormentarmi sono le sue labbra che mi sfiorano la fronte con
un bacio leggero.
— Katniss…siamo arrivati — Gale mi
accarezza il viso e mi aiuta a slacciare la cintura di sicurezza.
— Hai fretta? — gli chiedo, osservandolo mentre si
affretta a prendere le valigie.
— Prima sbrighiamo la faccenda, prima ce ne andiamo
— dice lui scrollando le spalle.
Mi alzo, faccio un respiro profondo e lo seguo giù per la
scaletta dell’hovercraft. La Paylor e una decina di soldati
sono il nostro comitato di accoglienza.
— Benvenuti — dice lei a voce alta per sovrastare
il forte vento dovuto alla notevole altezza dell’edifico su
cui siamo atterrati — Sono lieta di avervi qui. Se volete
seguirmi— aggiunge per poi incamminarsi verso
l’interno preceduta da due soldati; gli altri si schierano
in cerchio intorno a noi coprendoci da tutti i lati e riportandomi
indietro ai tempi della rivolta. Cosa che non mi piace affatto.
Entriamo in un’ampia sala dalle pareti e pavimento in legno,
la attraversiamo dirigendoci verso uno dei due ascensori e scendiamo al
settimo piano.
— Ho fatto preparare degli alloggi per voi — dice
la Paylor consegnandoci delle chiavi elettroniche; dato che sono tre,
deduco che si sia già sparsa la voce di me e Gale, o forse
pensano che io e Peeta siamo ancora insieme.
— Vi aspetto alle 11 al Quartier Generale, terzo piano. La
scorta resterà qui nel caso decideste di andare in
città.
— È necessario che ci scortino? —
chiedo, turbata.
— È indispensabile. Sei ancora una
celebrità da queste parti Miss Everdeen, e non tutti gli
abitanti di Capitol City sono tuoi sostenitori. Con permesso
— la Paylor ci saluta con un cenno della testa e rientra
nell’ascensore seguita dalle sue due guardie personali. Non
appena le porte dell’ascensore si chiudono, Haymitch sguscia
via alla ricerca di qualcosa da bere.
— Haymitch! — lo chiama Peeta —
Ci vediamo dopo, piano terra alle 10:30— ci dice, seguendolo.
— Chi dei due si arrenderà prima? —
scherza Gale.
— Nessuno. Haymitch è testardo e totalmente
assuefatto all’alcool, ma Peeta è ostinato, se si
mette in testa qualcosa farà di tutto per ottenerlo
— gli rispondo.
— Vieni, usciamo un po’ — dice Gale.
— Non ho intenzione di andarmene in giro per la
città sotto scorta —
— Ma no, non in città. C’è un
piccolo terrazzo con una vista stupenda. Vieni! — insiste,
tendendomi la mano.
— D’accordo — afferro la sa
mano e lo seguo in un lungo corridoio che porta in un enorme
salone dalle pareti bianche, tavoli e mobili in cristallo e legno
chiaro e grandi divani rossi. La parete di fronte è tutta in
vetro e dà sul terrazzo di cui parlava Gale.
— Come facevi a sapere di questo terrazzo? —
— Ho vissuto in questo edificio per circa un mese e
tutti gli appartamenti sono uguali — dice Gale
facendo scorrere la vetrata e spostandosi per lasciarmi uscire. Il
terrazzo è molto spazioso, arredato con divanetti, un grande
tavolo e addirittura un angolo cottura e un giardino pensile con piante
strane e fiori di mille colori diversi. Gale aveva ragione, la vista
è splendida: i palazzi e le case colorate tipiche della zona
residenziale brillano sotto i raggi del sole del mattino, e i primi
suoni della città che si sveglia arrivano così
ovattati che sembra di stare in una bolla. Istintivamente, allungo un
braccio oltre il parapetto in marmo e resto immobile per qualche
secondo, in attesa.
— Il terrazzo del Centro di Addestramento era circondato da
un campo di forza, probabilmente per impedire ai Tributi di lanciarsi
nel vuoto —
Abbasso lo sguardo per osservare le strade in marmo ancora
semideserte.
— Sembra così diversa da quando l’ho
vista per la prima volta. La sera prima dei miei primi Hunger Games le
strade erano piene di gente vestita in modo ridicolo che festeggiava e
faceva il conto alla rovescia per l’inizio dei Giochi.
Gioivano al pensiero della nostra morte imminente, facendo scommesse su
chi sarebbe durato di più e chi sarebbe morto per primo. Ora
è tutto così tranquillo
e…normale. —
Gale mi prende la mano, lo sguardo fisso
sull’orizzonte.
— È tutto diverso ora, e presto la vita
migliorerà anche nei distretti. Tutti potranno permettersi
una casa decente e confortevole, buon cibo e un lavoro degno di questo
nome. Nessuno soffrirà più la fame o
rischierà di morire per un semplice raffreddore —
dice con un tono a metà tra il triste e lo speranzoso
— Spero solo che con tutto questo non arrivi anche
la moda capitolina, cioè…ti immagini Sae con un
vestito di piume turchesi? — aggiunge poi per sdrammatizzare.
— E una parrucca fucsia, magari? — suggerisco,
ridendo per l’immagine di Sae conciata come uno strano
uccello colorato.
— Beh, sarebbe uno spettacolo da non perdere —
— Io me lo perderei volentieri, ma tu fai pure! Torniamo
dentro, sta aumentando il vento e ho fame—
Rientrati in salone, Gale si siede sul divano a guardare la tv mentre
io vago per le stanze alla ricerca della cucina.
— In fondo al corridoio, a destra — mi giunge la
voce divertita di Gale.
Anche la cucina come il salone è molto spaziosa e ben
arredata con mobili chiari, piena di elettrodomestici di cui non
conosco la funzione. Dopo aver frugato nel frigo e praticamente in ogni
mobile torno in salone con una confezione di morbide ciambelle, una di
piccoli panini dolci farciti con creme varie, delle trecce croccanti
ricoperte di zucchero, una bottiglia di latte e due tazze.
— Spuntino leggero — dice Gale alla vista del
vassoio colmo di cibo.
— Almeno affronteremo l’incontro a stomaco pieno
—
— Sarebbe meglio un caffè corretto alla Haymitch,
allora —
— Un alcolista mi basta, accontentati del cibo —
gli dico con un mezzo sorriso, passandogli la tazza piena di latte. Due
ciambelle, tre panini e una treccia dopo posso ritenermi soddisfatta.
— Andiamo? Sono quasi le 10:30—
Annuisco e lo seguo verso l’ascensore che in pochi secondi ci
porta al piano terra dove rimaniamo ad aspettare Haymitch e Peeta.
— Bene, siete già qui — dice Haymitch
burbero, uscendo da un altro ascensore — Possiamo andare,
guidateci — aggiunge, rivolto alla scorta che ci fa
accomodare in una grande auto blu.
In venti minuti arriviamo al Quartier Generale, un imponente palazzo in
splendente marmo bianco; subito veniamo scortati all’interno
e avanziamo in silenzio verso la Sala Riunioni che si trova al quinto
piano. Giunti al piano, il comandante della nostra scorta si avvicina
al soldato di guardia all’esterno di un grande porta nera.
— Soldato Knott, riferisca alla Presidente Paylor che Katniss
Everdeen, Gale Hawthorne, Peeta Mellark e Haymitch Abernathy sono in
attesa di essere convocati —
— Agli ordini, Comandante Leto —
Il soldato digita qualcosa su un grosso orologio da polso e dopo
qualche secondo le porte della Sala si spalancano.
— Da questa parte —dice il Comandante Leto,
precedendoci in un largo corridoio; da poco lontano giungono delle voci
tra cui quella di una donna che mi risulta stranamente familiare, ma
per quanto mi sforzi non riesco ad associarla ad un volto ben preciso.
Più avanziamo, più le voci si fanno alte e
finalmente ci troviamo di fronte al rumoroso gruppetto, anche se a
creare confusione è in realtà una ragazza
mingherlina, con capelli castani che le arrivano alle spalle dai
muscoli ben definiti.
— Johanna? — esclama Peeta, sorpreso.
— Peeta! Finalmente qualcuno che non abbia il cervello delle
dimensioni di una mosca! Che fine hai fatto? È da un
po’ che non ti fai sentire — dice lei con tono
risentito, allontanandosi dalla sua scorta.
— Sono tornato al 12, avevo…avevo delle cose da
fare — risponde Peeta, in evidente imbarazzo.
Solo allora Johanna sembra accorgersi di noi. Mi guarda con un misto di
incredulità e disprezzo; forse sperava che mi fossi lasciata
morire.
— Bene bene, la Ghiandaia è tornata a volare
— dice con il suo solito tono — Sono felice di
vederti, Katniss — aggiunge e sembra davvero
sincera.
— Anche io, Johanna. Ti trovo bene — ed
è effettivamente così: ha
un’aria molto più sana rispetto
all’ultima volta che l’ho vista.
— Beh, sai, la medicina fa miracoli…poi con
qualche aiutino tutto è più semplice —
dice lanciandomi uno sguardo intenditore di cui però non
capisco il motivo.
— Ma guarda, c’è anche il
cugino Gale! Sempre più bello tu, eh? — lo guarda
in un modo che non riesco a decifrare e che mi infastidisce un po'.
Gale si limita a
farle un cenno con la testa e a ricambiare il suo sguardo. Cosa
c'è che mi sfugge?
— Possiamo andare adesso? Potrete chiacchiere dopo, davanti a
tè e biscotti — sbraita Haymitch, dandoci spallate
per farsi spazio e scomparendo oltre la porta della Sala.
— Astinenza da alcool, non beve da ieri sera. Ho buttato
tutto — spiega Peeta a Johanna.
— Non bastava il suo caratteraccio, ora anche le crisi
d’astinenza? Lascialo in pace, Peeta — dice lei
burbera.
— Lascia che si uccida, vorrai dire —
— Uccidersi? Quello lo hanno fatto gli Hunger Games prima
ancora che tu nascessi. Poi lo hanno fatto a me, a Finnick, a te
—
L’effetto delle sue parole è immediato: cala un
gelido silenzio, vedo Peeta irrigidirsi… e inizio a tremare.
— Cosa vuoi fare, aggredirmi? Vai, fallo — lo
provoca Johanna.
Peeta serra le mascelle e stringe i pugni tenendo le braccia lungo il
corpo, cercando di controllarsi.
— Peeta — dico con voce tremante — Peeta,
andiamo — ma sembra non sentirmi. Cerco di farmi avanti ma
Gale mi trattiene e sibila tra i denti — Non azzardarti.
Ricorda che era stato programmato per ucciderti —
— Posso calmarlo — gli rispondo — Peeta,
per favore — ma continua a ignorarmi e fa un passo verso
Johanna.
Gale sta per farsi avanti quando una voce dolce si fa largo nel
corridoio.
— Peeta? —
Una ragazza minuta dai lunghi capelli castani entra lentamente nella
stanza; Peeta si gira verso di lei e qualcosa nella sua espressione
sembra cambiare —Va tutto bene, calmati — gli dice.
— Vuoi che chiami il dott Aurelius? — aggiunge,
accarezzandogli un braccio per rassicurarlo.
— No, non è necessario, sto bene. Grazie Annie
— le sorride incerto — E scusami,
Johanna… a volte, quando sono sotto pressione, mi
è ancora difficile controllarmi —
Johanna annuisce e sta per rispondere ma la voce irritata di Haymitch
la interrompe — Dobbiamo aspettarvi ancora? —
— Andiamo, Katniss — dice Gale, facendosi strada
tra gli altri.
Entriamo in una sala spaziosa e luminosa, con al centro un grande
tavolo rotondo. La Paylor ci invita a prendere posto e quando siamo
tutti seduti dice —Bene, possiamo iniziare —
— Cavolo, non finiva più! — esclama
Johanna mentre usciamo dalla sala riunioni — Ma almeno
tornerò a casa con le tasche piene. Cosa pensate di fare,
ora? Vi fermerete qualche giorno qui? —
— No, partiamo dopo pranzo per il distretto 4, passeremo
qualche giorno da mia madre — dico.
— Davvero? Katniss, ma è fantastico!
Così potrai conoscere Lyr*! Peeta, perché non ti
fermi da noi per qualche giorno? Potremmo passare un po’ di
tempo tutti insieme— dice Annie, felice.
— Io..non saprei — dice Peeta, lanciandomi uno
sguardo veloce. Per tutta risposta, mi limito a scrollare le spalle.
— Un po’ d’aria di mare mi
farà bene, tutto sommato —conclude.
— State organizzando una vacanza senza di me? Che peccato,
resterò da solo — dice Haymitch ironico, uscendo
dalla sala insieme alla Paylor.
— Oh no, Haymitch, tu verrai con noi — dice Peeta.
Haymitch lo guarda furibondo. —Ragazzino, io non ver-
—
— Falla finita, Haymitch. Non ti lascio solo a casa a
ingozzarti di alcool fino a svenire — aggiunge Peeta,
tagliente —Andiamo a pranzo? — dice rivolto agli
altri, che annuiscono e si incamminano verso l’uscita.
— Katniss, Gale, non venite? — chiede Annie.
— Io non posso, ho una questione da sistemare prima di
ripartire — dice Gale. Una questione da sistemare? Di cosa si
tratterà?
— Katniss? — la voce di Annie mi riporta alla
realtà.
— Io.. — l’idea di un pranzo sola con
Annie, Johanna, Peeta e Haymitch in astinenza non mi alletta affatto,
ma restare sola in quel palazzo mi attira ancora meno —
d’accordo —
— Non credo di farcela a tornare qui, ci vediamo direttamente
in stazione, ok? — mi dice Gale.
— Va bene —rispondo, perplessa.
— Tranquilla, non farò tardi. A dopo —mi
saluta con un bacio e scompare oltre la porta.
— Beh, andiamo allora — dice Annie con un largo
sorriso.
— Katniss! Sono qui! — seguo la voce di Gale e lo
vedo sporgersi dal finestrino della terza carrozza; salgo sul treno e
lo raggiungo, seguita dagli altri. Prendiamo posto in un salottino
privato e Gale mi cede la sua poltrona accanto al finestrino, sa che
amo guardare i paesaggi che scorrono trasformandosi di distretto in
distretto.
— Come è andato il pranzo? — mi chiede
Gale.
— Non male, stranamente — dico — Il tuo
appuntamento invece? —
— Bene, manca solo un’ultima cosa — dice,
stiracchiandosi. Di fronte al mio sguardo interrogativo, mi prende la
mano e aggiunge —Ti spiegherò ogni cosa appena
tutto sarà confermato, promesso —
Lo guardo imbronciata per qualche istante.
— Va bene, aspetterò — sbuffo.
Il treno fischia e inizia a muoversi; una voce femminile ci comunica le
varie fermate con i rispettivi orari di arrivo, poi ci augura buon
viaggio. Appoggio la testa sulla spalla di Gale e osservo le case di
Capitol City sfrecciarmi di lato e scomparire. Una volta per tutte,
spero.
*Lyr:
da Lir
(o Ler o Llyr) dio del mare
nella
mitologia irlandese.
Il suo nome significa appunto "Mare": perfetto
per il figlio di Finnick e Annie, no?
Buonasera
a tutti!
Dopo
ben due anni (oddio!) sono tornata!
Vi
chiedo infinitamente scusa per questa lunghissima assenza ma tra ultimi
esami, tesi, laurea, lavoro e problemi vari il tempo è
volato...
Spero
di riuscire a farmi perdonare con gli ultimi capitoli di questa storia!
Come
avrete notato, è un capitolo abbastanza lungo e in apparenza
privo di accadimenti importanti..ma cosa nasconderanno Johanna e Gale?
E come mai Annie ha tutta questa influenza su Peeta?
Se
volete scoprirlo non vi resta che aspettare il prossimo capitolo che,
vi prometto, arriverà a breve!
Catnip
Ps:
Spero vi piaccia l'immagine di apertura che ho creato e aggiunto ad
ogni capitolo!
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Capitolo 10 *** Profumo di mare ***
Sono circa le 17 quando
il treno inizia a rallentare. Il mio cuore, al contrario, batte sempre
più velocemente. Dopo mesi rivedrò mia madre. Mia
madre, che ancora una volta mi ha abbandonata quando avevo
più bisogno di lei, che ancora una volta ha smesso di
prendersi cura di me, che ancora una volta mi ha lasciata sola ad
affrontare il dolore più grande della mia vita.
Più e più volte nel corso di questi mesi mi sono
chiesta se avrei mai avuto la forza di perdonare di nuovo la sua
debolezza, ma non sono mai riuscita a darmi una risposta. Spero che
rivedendola la troverò.
—
Katniss, dobbiamo scendere — Gale mi distoglie dai
miei pensieri; mi alzo e ci incamminiamo lungo il corridoio fino alla
porta. Mi fermo sul primo scalino ed esito qualche secondo meditando di
rientrare nel vagone e tornare a casa.
—
Andrà tutto bene — Gale allunga
una mano per aiutarmi a scendere. Faccio un respiro profondo e scendo
gli ultimi due gradini.
Quando tutti ci
hanno raggiunti usciamo dalla stazione e aspettiamo delle strane auto,
più alte e grandi del normale e dalla forma allungata.
— Sono delle navette — mi spiega Annie
— ci porteranno fino a casa. Sono sicura che ti
piacerà, è proprio sulla spiaggia —
Dopo una decina
di minuti arriviamo a destinazione; Annie aveva ragione, la casa
è davvero bella: è una piccola villetta bianca
con gli infissi azzurri e una grande terrazza che affaccia direttamente
sul mare, collegata alla strada da un vialetto di pietre bianche e
azzurre che formano disegni lungo il percorso.
—
Venite — Annie si incammina per il vialetto e apre
un porta azzurra decorata con una corda da cui penzolano conchiglie di
varie dimensioni. Appena entro in casa vengo avvolta da una forte luce
e da un profumo fresco e leggero; l’arredamento bianco,
azzurro e blu è semplice ma accogliente, sulle pareti chiare
si aprono grandi finestre incorniciate da legno azzurro: sembrano dei
veri e propri quadri.
—
Katniss, vieni a vedere la terrazza —
Poggio la sacca
a terra e seguo Annie in soggiorno, una stanza ampia luminosa con una
finestra che occupa tutta la parete e dà sulla terrazza.
— Wow
— rimango senza parole dalla bellezza del panorama:
l’azzurro del mare sfuma lentamente fino a fondersi con
quello più tenue del cielo, il sole del pomeriggio si
riflette sull’acqua mandando bagliori ovunque. Il profumo di
mare mi solletica le narici e il rumore delle onde mi dà un
immediato senso di calma. Nell’angolo in fondo a destra
c’è una sedia a dondolo che si muove ritmicamente
sotto la spinta della persona che la occupa; essendo in controluce non
riesco a distinguerne il volto, ma mi è in qualche modo
familiare. È mia madre.
—
È ansiosa di vederti, va da lei. Vado a controllare Lyr,
dovrebbe essersi svegliato —
Esito qualche
istante prima di muovermi incerta verso mia madre. Respira, Katniss.
Respira.
Ed eccola qui,
davanti a me: capelli biondi che brillano al sole, grandi occhi
azzurri, pelle dorata.
—
Mamma —
Mia madre si
volta e finalmente dopo mesi i nostri occhi si incontrano di nuovo.
—
Katniss — dice in un sussurro, voltandosi verso di
me; si alza lentamente e fa un passo nella mia direzione ma poi si
blocca, come se fosse in attesa del mio consenso.
La speranza
mista a tristezza che vedo nei suoi occhi smuove qualcosa dentro di me.
Faccio un passo e la abbraccio. —
Mamma…— per quanto tempo ho desiderato
che le sue braccia minute mi stringessero per darmi conforto? Tanto,
così tanto che quasi non mi sembra vero che stia accadendo.
Mi prende il
viso tra le mani e lo osserva con attenzione, analizzandone ogni
centimetro.
— Ti
trovo bene —
Non posso dire
lo stesso di lei: sembra più vecchia di almeno 10 anni,
quindi mi limito ad accennare un sorriso.
— Sono
così felice di vederti —
Avresti
potuto
farlo, mamma. Avresti potuto tornare a casa.
—
Anche io. Vivi qui, ora? —
— Si,
ho assistito Annie durante la gravidanza e l’ho aiutata
nei primi mesi con Lyr. Ci siamo aiutate a vicenda, in
realtà—
E
chi
c’era ad aiutare me, mamma?
—
Avrei dovuto trasferirmi dopo la nascita del bambino, ma alla fine ho
deciso di restare qui. Ha ancora bisogno di me —
—
Anche io avevo bisogno di te, mamma. Anche io ho bisogno di te. E
invece mi hai lasciata sola —
— Tu
non sei sola, Katniss. Accanto a te hai qualcuno che ti ama
più della sua stessa vita. È lui
l’unica persona che può darti ciò di
cui hai davvero bisogno — dice, guardando alle mie spalle.
Seguo il suo
sguardo e vedo Gale in soggiorno che gioca con il piccolo Lyr.
Mi giro e
abbasso la testa cercando di nascondere il rossore che pian piano sta
colorando le mie guance. La mamma mi prende delicatamente il mento e mi
solleva il viso.
—
Sapevo che sarebbe accaduto, lo sapevamo tutti. Avevate solo bisogno di
ritrovarvi e sono così felice che sia successo —
mi sorride con calore — Lo sarebbe anche lei —
aggiunge, con gli occhi lucidi.
— Lo
so — non riesco a dire altro, un nodo alla gola impedisce
alle parole di uscire.
Degli strani
versetti interrompono il silenzio. Annie si avvicina con Lyr tra le
braccia.
— Lui
è Lyr. Vuoi prenderlo? — senza
aspettare la mia risposta me lo porge delicatamente.
—
Questa è Katniss, un’amica del tuo papà
— dice con dolcezza, accarezzandogli i riccioli
color bronzo.
—
Annie, davvero…— dico,
cercando di rimetterlo tra le sue braccia. Una manina si stringe
intorno ai miei capelli e tira delicatamente. Abbasso lo sguardo e
quasi mi sembra di tornare indietro nel tempo, al giorno in cui per la
prima volta mi specchiai negli occhi verde mare di Finnick Odair.
Una lacrima
scivola lentamente sul mio viso e cade sulla guancia paffuta di Lyr che
strizza gli occhi e fa una buffa risatina.
—
È bellissimo, Annie —
Pian piano la
paura di tenere tra le braccia un esserino così piccolo e
indifeso se ne va e mi ritrovo seduta sulla sedia a dondolare
dolcemente. Restiamo così per un po’,
finché la leggera brezza marina diventa troppo insistente
per il piccolo Lyr.
—
È meglio rientrare, ora — dice mia madre.
Alzo lo sguardo
e vedo Gale poggiato alla ringhiera che mi guarda con dolcezza. Gli
sorrido imbarazzata e mi alzo per affidare Lyr alle braccia della madre.
—
Venite, vi faccio vedere la vostra stanza — Annie ci guida
all’interno, su per una piccola scala fino ad un pianerottolo
su cui si affacciano quattro porte azzurre.
—
Quello è il bagno — dice Annie indicando
la prima porta sulla sinistra — Quella affianco
è la camera di Haymitch e Peeta, poi
c’è quella di Johanna. Qui a destra
c’è la vostra, ha il bagno privato —
— E
voi dove dormite? —
—
Giù ci sono altre due stanze —
—
È una casa davvero grande —
—
Beh… Finnick desiderava una famiglia numerosa
— risponde Annie con un filo di voce e un
sorriso malinconico.
E invece non ha
potuto neanche conoscere il suo primo e unico figlio. Per salvare me.
Per colpa mia.
— Vado
ad aiutare tua madre con la cena, vi aspettiamo giù,
fate con comodo —
Gale apre la
porta e si fa di lato per
lasciarmi passare. La nostra stanza è spaziosa, fresca e
luminosa; di fronte al letto una grande finestra ad arco si apre su
un balconcino che affaccia sul mare.
Mi affaccio al
balcone e inspiro profondamente. I colori
tenui della casa, l’odore di mare, il suono delle onde, la
luce calda del sole…qui tutto sa di pace e
tranquillità.
—
Tutto bene? — Gale mi abbraccia da dietro e mi poggia il
mento sulla testa.
—
Si…è stata meno dura di quanto pensassi. Ma non
credo si sia resa conto del male che mi ha fatto trasferendosi qui
—
—
Credo lo sappia ma abbia troppa paura di ammetterlo —
Restiamo
così per un po’, abbracciati a guardare il mare,
finché la voce irritata di Johanna risuona per le scale.
— Ehi,
voi due! Vi muovete? —
Butto indietro
la testa e la poggio sul petto di Gale, alzo gli occhi al cielo e
sbuffo sonoramente.
Gale ride, mi
dà
un bacio sulla guancia e mi prende la mano.
—
Andiamo, prima che venga a prenderci per i capelli —
Scendiamo al
piano di sotto e raggiungiamo gli altri in terrazza dove un grande
tavolo è stato preparato per la cena e tutto è
stato decorato con candele bianche e conchiglie, creando
un’atmosfera quasi magica. La cena, a base di pesce e piatti
tipici del distretto, è deliziosa e la serata scorre
piacevole, nessuna frecciatina, discussione o crisi: sembriamo un
gruppo di vecchi amici che si ritrova dopo tanto tempo a parlare del
più e del meno. In fin dei conti è quello che
siamo, peccato che il nostro primo incontro - fatta eccezione di quello
mio e di Gale - sia avvenuto a causa degli Hunger Games.
Dopo aver
aiutato a sparecchiare mi siedo su uno dei divanetti in vimini bianco
della terrazza e vengo quasi subito raggiunta da Peeta che tiene in
braccio Lyr.
— A
quanto pare adora i tuoi capelli — dice quando la manina
paffuta di Lyr si stringe intorno ad una ciocca e me la tira. Libero i
capelli dalla stretta di Lyr che passa all’attacco delle mie
dita.
—
È impressionante quanto somigli a Finnick. È una
sua miniatura —
—
Già… appena l’ho visto ho ripensato a
quando ho conosciuto Finnick. È stato come un pugno allo
stomaco —
—
Anche per me —
— Non
credevo che Annie avrebbe retto dopo… dopo la sua morte.
Credevo sarebbe crollata definitivamente —
— Non
poteva, non con un bimbo in arrivo. È stato lui a salvarla,
a
spingerla ad andare avanti, a farle capire che c’è
sempre qualcosa per cui valga la pena vivere —
—
Siete diventati molto amici —
— Si,
abbiamo passato molto tempo insieme durante la terapia con il dottor
Aurelius, ci siamo aiutati a vicenda —
Lyr fa un
piccolo sbadiglio e si stiracchia tra le braccia di Peeta.
—
È ora di dormire per il piccolino. Lo porto da Annie
—
Mi guardo
intorno alla ricerca di Gale ma sembra essere scomparso
finché non lo individuo nella penombra di una piccola scala
che dal terrazzo porta in spiaggia. È insieme a qualcuno;
dalla corporatura e dal modo in cui gesticola sembra Johanna. Mi
avvicino piano, cercando di non fare rumore e li sento discutere
animatamente.
—
… e sai che ho ragione. Quando ci siamo incontrati eri
distrutto, un rottame. Non avevi più voglia di vivere. E
tutto questo a causa sua. Ti sono stata vicina ogni momento, ti ho
aiutato a uscirne, e come mi hai ripagata? Scomparendo da un giorno
all’altro, senza una spiegazione. Credevo ci fosse qualcosa
tra noi, Gale, ma a quanto pare mi sbagliavo. Sai già come
andrà a finire, ma stavolta non sarò al tuo
fianco ad aiutarti a rimettere insieme i pezzi —
Johanna fa per
allontanarsi ma Gale la prende per un braccio e la ferma. Lei si dimena
ma lui riesce a bloccarla contro la staccionata e le si avvicina.
Troppo, per i miei gusti. Sento il cuore battere
all’impazzata, così forte che potrebbe
schizzarmi via dal petto da un momento all’altro.
—
Johanna ASCOLTA —
— No!
E non venire a piangere da me quando tornerà da Peeta
— Johanna si libera dalla sua presa e si allontana
scomparendo nel buio.
Gale sospira e
si passa una mano tra i capelli, poi poggia entrambe le mani sul
muretto della scala e alza la testa, accorgendosi di me.
—
Katniss… — sale i gradini a due a due fermandosi
su uno degli ultimi per essere alla mia stessa altezza.
— Cosa
c’è stato tra di voi? — chiedo con una
voce così fredda che a stento riconosco.
—
Nulla di ciò che pensi —
— Non
si direbbe dal modo in cui ti parlava. Sembravate molto in confidenza
—
— Lo
siamo, o meglio lo eravamo — Gale sospira e si passa entrambe
le mani tra i capelli.
—
Ascolta Katniss. Per lavoro ho passato circa un mese al Distretto 7.
Quando l’ho incontrata ero a pezzi e completamente solo. Mi
è stata vicina in uno dei momenti peggiori della mia vita,
mi ha aiutato a restare a galla e ha evitato che cadessi in una spirale
autodistruttiva e mi dessi all’alcool. È stata una
buona amica, tutto qui —
— Cosa
voleva, allora? —
Gale esita
qualche istante.
—
Quando ti ho visto giocare con Lyr e Peeta io… non lo so, ho
avuto paura e mi sono allontanato per calmarmi. Johanna mi ha seguito e
il resto penso che tu l’abbia sentito —
—
Credi che tornerei con Peeta? Che voglia un futuro con lui? Dopo tutto
quello che abbiamo passato, dopo quello che ci siamo detti…
come puoi pensare una cosa del genere? —
— Non
lo penso, Katniss. È stato solo un attimo di paura, non
perché dubiti di te e di quello che provi, ma
perché a volte ancora mi sembra impossibile che tu abbia
scelto me e non lui —
—
Gale… — annullo la distanza che ci separa e lo
stringo forte — Non sono mai stata così sicura di
qualcosa in vita mia. Ogni giorno che passa mi rendo conto di aver
fatto la scelta giusta e mai tornerei sui miei passi. Siamo una cosa
sola, Gale. Lo siamo sempre stati e lo saremo sempre —
Gale mi prende
il viso tra le mani e mi bacia. È un bacio così
intenso, così diverso da tutti quelli che ho dato finora che
quando le sue labbra lasciano le mie le cerco ancora e ancora.
Passano parecchi
minuti prima di staccarci definitivamente. Restiamo abbracciati a
lungo,
senza parlare, poi torniamo dagli altri. Mia madre è sulla
sedia a dondolo e cerca di far addormentare Lyr mentre Annie e Peeta
chiacchierano seduti sul divano; Haymitch si è addormentato
sull’altra sedia a dondolo e Johanna se ne sta in
disparte seduta sul muretto della terrazza. Lascio la mano di Gale e mi
avvicino a lei.
— Mi
chiedevo quando saresti venuta a parlarmi — dice lei,
sprezzante.
Vado dritta al
punto, sono stanca e non ho voglia di fare giri di parole.
— Ho
scelto lui, Johanna. Non cambierò idea, non
tornerò indietro. So ciò che voglio, ed
è lui —
— Lo
spero. Non merita di soffrire ancora per te. E non lo merita neanche
Peeta —
— Non
succederà. Buonanotte —
—
Buonanotte —
Raggiungo Gale,
salutiamo gli altri e saliamo in camera nostra. Mentre lui fa la doccia
esco in balcone e ripenso alla giornata appena trascorsa: Capitol City,
mia madre, Lyr, Gale e Johanna. Ripenso alle sue parole, alla
convinzione che prima o poi abbandonerò Gale per buttarmi
tra le braccia di Peeta e che io sia ancora la ragazzina di qualche
tempo fa che non sa quello che vuole.
— Ci
voleva proprio — Gale mi distoglie dai miei pensieri. Mi giro
a guardarlo e ancora una volta resto colpita da quanto sia bello:
l’asciugamano stretta intorno ai fianchi, i muscoli ben
definiti, i lineamenti perfetti, i capelli bagnati e spettinati. Gli do
un bacio veloce e mi chiudo in bagno per fare la doccia.
Quando finisco,
Gale è già a letto; mi stendo accanto a lui, gli
poggio la testa sul petto e lui mi circonda le spalle con un
braccio, stringendomi a se. Sento i muscoli rilassarsi, la tensione e
l'ansia per questa giornata svanire lasciando il posto alla
tranquillità. Solo Gale ha quest'effetto su di me. Solo con
lui sono davvero me stessa. Solo tra le sue braccia mi sento a casa.
— Ti
amo —
sussurro un attimo prima di addormentarmi.
Buonasera ragazzuole!
Eccomi qui con il nuovo capitolo della mia storia, ormai siamo quasi
alla fine!
Vi avevo assicurato che avrei pubblicato presto, lo so, ma ho
frequentato un corso di formazione
che mi ha tenuta bloccata in aula 8h al giorno mettendomi totalmente
k.o.!
Adesso, approfittando degli orari morti a lavoro, credo che
riuscirò a pubblicare con maggiore frequenza.
Ringrazio le fedelissime che, anche a distanza di 2 anni, sono tornate
a seguire la storia e do il benvenuto alle nuove arrivate!
Spero che il capitolo vi piaccia, aspetto con ansia le vostre
recensioni!
Un bacio,
Catnip
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Capitolo 11 *** Arrivederci ***
LOGO
La
prima cosa che vedo quando apro gli occhi è il volto di Gale
che dorme
profondamente.
Un raggio di sole entra dalla finestra e gli illumina il viso;
una linea sottile gli compare tra le sopracciglia e
l’espressione fino ad ora
tranquilla lascia il posto ad un broncio che mi fa sorridere. Il grido
rauco di
un gabbiano riecheggia nella stanza e lo sveglia; Gale apre gli occhi
per poi
socchiuderli l’attimo dopo infastidito dalla luce.
— Ben
svegliato —
—
Giorno — biascica con uno sbadiglio. —
Perché ridi? —
—
La tua faccia. Hai un’espressione buffa —
Per
tutta risposta si imbroncia ancora di più, sfila il cuscino
da sotto la testa e
me lo lancia in faccia, soffocando così le mie risate. Gli
do un bacio veloce e mi alzo per prepararmi.
Tiro fuori dalla valigia
il
costume verde foresta che Gale ha comprato il giorno prima di partire e
resto
qualche minuto a passarmi e ripassarmi il tessuto morbido e liscio tra
le mani,
analizzando ognuna delle minuscole foglioline che ne decorano gli orli.
—
Se non ti va possiamo andare a fare una passeggiata in centro o restare
qui —
come sempre Gale riesce ad interpretare i miei pensieri con un solo
sguardo.
—
No, va bene — entro in bagno e indosso il costume e un
vestitino bianco che
arriva a metà coscia. Quando torno in camera Gale ha
già rifatto il letto.
—
Ti dona il bianco — mi fa l’occhiolino e scompare
oltre la porta del bagno.
Raggiungiamo
gli altri in terrazza dove il grande tavolo è pieno di
bevande, brioches,
biscotti e panini dolci preparati da Annie e la mamma con
l’aiuto, ne sono sicura,
delle mani esperte di Peeta. Facciamo
colazione tutti insieme, aiutiamo a sparecchiare e lavare le stoviglie
e poi ci
dirigiamo in spiaggia. Il ricordo di quella dell’ Arena
dell’edizione della
memoria si fa subito largo dentro di me e istintivamente mi blocco e mi
guardo
intorno alla ricerca dell’isolotto con la cornucopia e
dell’albero del fulmine.
—
È tutto ok, Katniss — Gale mi stringe la mano e mi
guida verso la spiaggia. I
miei piedi affondano nella sabbia bianca, morbida e tiepida; un vento
leggero
agita il mare formando piccole onde che si infrangono pigre sulla
battigia.
Tolgo il vestito e insieme a
Gale
mi
avvicino alla riva. L’acqua è fresca e piacevole,
non calda; il cielo è azzurro
intenso, non rosa; il sole illumina tutto con la sua luce calda e
dorata, non
bianca e innaturale. Questa non è
l’Arena, Katniss.
Faccio
un bel respiro e mi tuffo. Piccoli pesciolini colorati mi passano
davanti agli
occhi per niente impauriti dalla mia presenza. Faccio qualche
bracciata, poi
mi giro e vedo Gale impalato con l’acqua alla vita.
—
Dai, tuffati! O hai dimenticato come si fa? —
Gale
stringe gli occhi con aria di sfida e si tuffa in modo quasi perfetto;
nuota
sott’acqua fino a raggiungermi, poi mi afferra per le
caviglie e mi tira giù.
—
Gale! — riesco a dire prima di ritrovarmi
sott’acqua faccia a faccia con lui
che ride cacciando mille bollicine dalla bocca; gli tiro un pugno sul
braccio
ma, essendo in acqua, è debolissimo nonostante abbia cercato
di metterci tutta
la forza possibile. Gale ride ancora di più e torna in
superficie.
Dopo
un lungo bagno raggiungiamo gli altri; Peeta e Annie giocano con Lyr
sul
bagnasciuga, Johanna è rannicchiata sotto
l’ombrellone e mia madre si bea al
sole con lo sguardo fisso sull’orizzonte. Di Haymitch nessuna
traccia, invece.
Decidiamo di fare una
passeggiata; la spiaggia è semideserta, fatta eccezione per
alcuni bambini che
giocano a riva osservati a distanza dalle madri, gruppetti di ragazzi,
e un
paio di anziani pescatori che cuciono le reti da pesca.
— Sembra
di essere in un altro mondo —
—
Beh, ogni Distretto in effetti è un mondo a sè
stante
— risponde Gale.
—
Si ma qui è tutto così tranquillo, pacifico...
antico. Come se il tempo si
fosse fermato —
Dopo
un’ora abbondante torniamo dagli altri che sono tutti a mare
ad eccezione di
mia madre che presumo sia tornata a casa.
—
Katniss, Gale, venite — Annie ci invita a raggiungerli in
acqua. Nonostante
abbia appena un anno, Lyr è perfettamente a suo agio: resta
senza problemi a
galla e nuota da Annie a Peeta e a Johanna con facilità.
D’altronde è il figlio
di Finnick Odair.
Restiamo in acqua a giocare con lui e chiacchierare con gli
altri finché la voce di mia madre riecheggia tra i gridolini
di Lyr per
chiamarci a pranzo. Anche oggi mamma si è data da fare ai
fornelli, cucinando
pietanze ottime tipiche dei nostri distretti che vengono apprezzate da
tutti.
Addirittura Haymitch mugugna un complimento.
Dopo
pranzo andiamo tutti a
riposare; io e Gale al letto preferiamo una grande amaca messa in un
angolo del
balconcino della nostra stanza. Il suo dondolio, il rumore delle onde,
il
profumo del mare misto a quello di Gale, la leggera brezza marina mi
infondono
un profondo senso di calma; resto a guardare l’orizzonte per
un po’, poi sento
le palpebre farsi pesanti e pian piano mi addormento.
Nel
pomeriggio, dopo uno spuntino a base di frutta fresca e gelato, andiamo
a fare
un giro nel distretto. Quando siamo venuti qui durante il Tour della
vittoria
abbiamo visto solo la stazione e il municipio, quindi non potevo
immaginare
quanto fosse carino il centro: piccole villette bianche con fiori
colorati sul
davanzale delle finestre si affacciano su stradine in pietra
intervallate da
botteghe che vendono prodotti tipici, abiti leggeri e colorati, enormi
cappelli
di paglia, delicati sandali decorati con conchiglie o pietre colorate.
Sedute
su panchine in pietra scolpite nella mura di casa, delle vecchiette dal
viso
dolce ci osservano incuriosite e ci chiedono da dove veniamo; una di
loro corre
in casa e torna poco dopo con un cesto di foglie intrecciate colmo di
frutti
che per la forma ricordano le pere ma sono molto più piccoli
e di un verde più
intenso.
—
Sono dei fichi. Provateli — dice la vecchietta.
Ne
prendo uno e do una morso sulla parte più tondeggiante:
è morbido e dolcissimo,
una vera delizia, così buono che ne mangio altri 4. Ci
fermiamo a chiacchierare
per un po’ con loro che ci raccontano storie antiche e
leggende tramandate di
generazione in generazione; il Distretto 4 ha una cultura e tradizioni
molto
affascinanti e mantiene ancora intatto quello che queste signore hanno
definito
“spirito dei tempi andati”. Dopo un po’
le salutiamo per proseguire con la
nostra passeggiata, ma non ci lasciano andar via prima di aver riempito
un enorme
cesto con tantissimi fichi. Continuiamo ad esplorare le stradine del
Distretto
fermandoci di tanto in tanto per acquistare qualcosa, poi torniamo a
casa.
Gale
raggiunge Peeta e Haymitch che sono in terrazza con Lyr mentre io mi
unisco
alla mamma, Annie e Johanna per preparare la cena; non che dia un
valido aiuto
dato che sono incapace di realizzare anche un piatto semplice. Quando
tutto è
pronto ci riuniamo in terrazza; la cena è ottima e la serata
trascorre
tranquilla, siamo tutti più rilassati compreso Haymitch che,
con mia grande
sorpresa, sta reagendo meglio del previsto alla disintossicazione.
All’improvviso
mi sento sollevare; apro gli occhi e mi rendo conto che Gale mi sta
portando in
braccio su per la scala. Devo essermi addormentata sul dondolo. Mi
poggia
delicatamente sul letto e mi sfiora la fronte con un bacio.
—
Sogni d’oro, Catnip —
—
Mh-mmh —
Le
giornate successive passano veloci e quando arriva il momento della
partenza
provo sentimenti contrastanti: da una parte non vedo l’ora di
tornare nei miei
boschi, alla mia vita, dall’altra mi dispiace lasciare questo
posto incantevole
e questa stramba famigliola che si è venuta a creare.
—
Tutto pronto — Gale
chiude il borsone e
se lo carica in spalla. Do un ultimo sguardo a quella che in questi
giorni è
stata la nostra camera e lo seguo giù per le scale. Annie e
Johanna sono in
cucina con Lyr, mentre Peeta è in piedi davanti a una delle
grandi finestre del
soggiorno. Noto che non ci sono valigie. Peeta intercetta il mio
sguardo e
accenna un sorriso quasi imbarazzato.
—
Inizio a salutare gli altri — Gale mi guarda in modo
eloquente e va in cucina.
—
Abbiamo pensato di restare qui qualche altro giorno. Sembra che questo
posto mi
aiuti a rilassarmi; anche Haymitch mi sembra molto più
tranquillo nonostante
non beva da giorni e riesce anche a dormire di notte, adesso.
Sarà l’aria di
mare — dice tutto d’un fiato.
La
notizia mi spiazza, ma cerco di apparire felice per i loro
miglioramenti.
—
Ok. Dov’è Haymitch? —
—
In spiaggia. Fa lunghe passeggiate ogni giorno, credo lo aiutino a
distrarsi
dal pensiero dell’alcool —
Annuisco.
—
Ci vediamo al 12,
allora —
—
Si. Buon viaggio —
Mi
dirigo in cucina per salutare le ragazze.
—
Grazie di tutto
Annie, siamo stati
benissimo—
—
È stato
un piacere, davvero. Tornate quando
volete — dice sciogliendosi dall’abbraccio.
—
Johanna —
—
Katniss —
Gale
rientra in cucina dalla terrazza.
—
Tua mamma è fuori, ti aspetto qui —
Deglutisco
e esco in esco inn terrazza. È arrivato il momento del
saluto più doloroso.
—
Mamma— come tutte le mattine e buona parte del primo
pomeriggio, mia madre è sulla
solita sedia con lo sguardo perso sull’orizzonte. Mi faccio
coraggio e le
chiedo ciò che mi frulla in testa da un po’.
—
Tornerai al 12, prima o poi? —
La
mamma mi guarda per qualche secondo, poi torna a fissare il cielo.
—
Forse… ho bisogno di restare qui ancora per un po’
—
—
Perché? —
—
Guarda — mi tira verso di lei e indica un punto impreciso.
Resto
ferma a guardare mare e cielo che si fondono, in attesa di una
spiegazione. Poi
capisco. Il cielo del 12è di un celeste chiaro, spesso
grigio, qui invece no,
è azzurro intenso. Come gli occhi di Prim. Si gira a
guardarmi e accarezzandomi
la mano dice — Non sono ancora pronta, ma tornerò
un giorno, te lo prometto —
Accenno
un sorriso.
— Ciao mamma — la abbraccio forte e mi allontano
velocemente.
Quando arriviamo al 12il sole è quasi tramontato.
— Ed eccoci qua — dice Gale entrando in casa
— Porto
la borsa su, poi prepariamo la cena —
— D’accordo —
Si avvia su per le scale.
— Gale — si ferma a metà scalinata e si
volta —
Si? —
— Grazie. Mi ha fatto bene vederla. Avevi
ragione anche stavolta —
— Come sempre — sorride ironicamente e scompare
su per le scale.
Faccio un rapido giro del piano terra poi mi
guardo intorno e ritrovo tutte le cose della mia
quotidianità: l’arco e la
faretra con le frecce, la bisaccia da caccia, la giacca di mio padre,
il libro
dei ricordi e persino Ranuncolo, acciambellato sul divano. Gli do una
grattatina dietro le orecchie e ricevo in cambio fusa e miagolii.
— Questa
è la mia casa —
Et
voilà, eccomi con un altro capitolo!
Forse privo di avvenimenti particolarmente importanti
fatta eccezione
per la decisione di Peeta di restare ancora al 4 (sarà
davvero per l’aria di
mare?)
e
per la sempre maggiore consapevolezza di Katniss riguardo se stessa e
i suoi affetti, ma in sostanza come il precedente è un
capitolo di transizione.
Nel
prossimo capitolo (che ho già iniziato a scrivere e
pubblicherò nei prossimi giorni, appena rientro a casa) ci
sarà un salto temporale
di circa un anno, per smuovere le acque e arrivare alla conclusione di
questa
storia. Aspetto con ansia le vostre recensioni, love
Catnip
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