Renny

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Agosto 2012 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Agosto 1990 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: 1 Febbraio 1991 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: Agosto 2012 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Agosto 2012 ***


 
Capitolo 1
 
 
 
 
Agosto 2012
 
“Ti giuro, Cassie, se non sapessi che sei tu, mi chiederei come hai potuto fare un errore così grossolano. Ma è mai possibile che tu ti sia fidata sulla parola di quel che ti ha detto Justine? Eppure dovresti saperlo che è un asso nel raccontare frottole!” sbottò Serena Ingleton, A.D di Vanity Fair Los Angeles e, attualmente, capo molto incazzato.

“Hai tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiata, Serena, ma sembrava così sincera!” si lagnò la sua segretaria, mettendo lacrime nel suo tono di voce.

Insensibile e sorda alle sue lagnanze, Rena si sistemò distrattamente l'auricolare bluetooth nell'orecchio e, impostata la curva con precisione millimetrica, dichiarò: “Cassandra, il guaio è fatto. Justine arriverà con un giorno di ritardo per il photoshoot, e noi dovremo pagare la penale al fotografo. Punto. Non ci sono altre opzioni. A meno che tu non mi trovi una fotomodella nel giro di tredici ore e, nel contempo, riesci a imbastire una causa contro l'Agenzia per cui lavora la nostra simpatica Justine.”

“Farò il possibile. Scusa. Scusa” asserì con un sospiro Cassandra, chiudendo la comunicazione.

Esasperata, Rena si strappò l'auricolare dall'orecchio per gettarlo sul sedile a lato, dove si trovava la sua borsetta e, nell'impostare l'ennesima curva sulla Placerita Canyon Road, sbottò in un'imprecazione.

Era stata paziente, carina, gentile, si era morsa la lingua più volte di quante volesse ammettere ma no, Cassie non aveva ancora imparato la lezione.

Era ormai tempo che Cassandra Brown, sua cara e incompetente cuginetta, si trovasse un'altra occupazione.

Aveva già speso fin troppo tempo e pazienza, con lei. Voleva bene a sua zia Molly e zio Richard, ma a tutto c'era un limite. Non era il suo mestiere, punto.

La strada  prese a scendere maggiormente.

Ben presto, Rena avrebbe raggiunto il Golden Oak Ranch per la sua consueta visita al maneggio, dove si trovava la sua Wind of Fire.

Quella deviazione dell'ultimo momento l'aveva fatta ritardare non poco dalla sua consueta visita al bel morello che si era comprata da poco ma, per lavoro, sarebbe stata disposta ad andare anche in capo al mondo.

Specialmente sulla sua Dodge Viper SRT-10 blu mare a righe bianche.

Le sue amiche l'avevano spesso presa in giro per quella muscle car più adatta a un uomo ma lei, sorda ad ogni commento, se l'era tenuta e l'aveva usata con gran godimento.

Nick non era l'unico con una passione sfrenata per le auto sportive.

Pensare a lui la fece sorridere.

Era diventato un vero cucciolo, nelle mani di Hannah, e il solo vederlo con lei – al quinto mese di gravidanza – le faceva tenerezza.

Era pieno di premure, attento a non farle mancare nulla e, nonostante le proteste vibranti della moglie, lui era perennemente al suo pieno servizio.

Neppure la presenza di due membri della servitù – Amélie e Leonard, deviati dalla villa di Santa Monica a quella di Malibù – era bastato a tranquillizzare Nick.

A Hannah doveva pensarci lui.

“Sei davvero cambiato, amico mio... ed io ne sono felicissima” sorrise tra sé Rena, imboccando la curva e scalando marcia.

Il motore rombò sotto di lei facendola vibrare tutta di eccitazione e, divertita, si chiese se Nick avrebbe accettato di fare una gara a due tra la sua Viper e la Lambo dell’amico.

Era certa che si sarebbe rifiutato. Nicky era un cavaliere fin nel midollo.

Ridacchiando, disse tra sé: “Forse dovrei puntare su Hannah. Chissà che lei non lo...”

Una macchia scura quanto improvvisa entrò nel suo campo visivo, sbucando dalla boscaglia alla sua destra e sorprendendola fin quasi a portarla a strillare.

Subito, Rena pigiò il pedale del freno e la frizione per non far spegnere il motore ma, quando si rese conto di cosa le fosse piombato innanzi, fece tanto d'occhi e sterzò con violenza per non investire nulla.

Ma le famigliole di cervi non dovevano starsene tranquille nei boschi?!

 
§§§

Perché le faceva male tutto?

E, soprattutto, perché le sembrava di essere dalla parte sbagliata dell'auto?

Riaprendo a fatica gli occhi, Rena si tastò velocemente il corpo – beh, le mani funzionavano, era già un buon segno – per sincerarsi che tutto fosse al suo posto.

Quando però si ritrovò a fissare l'airbag esploso e il parabrezza in frantumi da una prospettiva completamente errata, capì di essere a testa in giù.

Sul tettuccio della sua Viper. In fondo alla scarpata che costeggiava la strada.

“Oh, merda...” gracchiò Rena prima di avvertire una voce, in lontananza, provenire dall'alto.

Cercando di muoversi il meno possibile – non era certa che la macchina avesse raggiunto il fondo del burrone, perciò, meglio non darle idee strane – Serena prese un gran respiro ed esclamò: “Ehi! C'è nessuno?!”

“Sta bene?!”

La voce giunse da lontano, ma chiara e forte e Rena, vagamente tranquillizzata, replicò: “Sono intera!”

“Arriveranno presto i pompieri! Non si muova!” le ingiunse la voce femminile in risposta, dall'alto della Placerita Road.

“E dove pensa possa andare?” brontolò a bassa voce lei, urlando subito dopo: “Starò buona! E grazie!”

“Dovrebbero essere i cervi, a ringraziarla. Se non avesse sterzato, li avrebbe centrati in pieno” la informò la donna, con sincero apprezzamento.

“E’ l'unica consolazione che ho, al momento” sospirò Rena, mettendosi buona per poi controllare con lo sguardo quello che la circondava.

Da quel che poteva capire, doveva aver ruzzolato giù dalla scarpata per schivare la famiglia di cervi e, nel farlo, si era procurata diverse sbucciature qua e là e un trauma lieve alla cassa toracica, in corrispondenza delle cinture di sicurezza.

L'airbag aveva fatto il suo lavoro, salvandole la pelle, ma dubitava che l'auto si sarebbe potuta aggiustare dopo un volo simile.

Allungando una mano per sfiorare il cruscotto di pelle, sospirò nel dire: “Sei stata una brava auto. Mi mancherai.”

Il suono delle sirene dei pompieri le risollevò un poco lo spirito e, nel giro di pochi minuti, si ritrovò a fissare verso l'alto nel tentativo di capire cosa stessero facendo.

Naturalmente, dalla sua posizione, non riusciva a vedere granché.

Udì un frusciare di fogliame, le raccomandazioni di diversi uomini, la risposta scherzosa di uno di loro e, infine, una voce vicina quanto rassicurante.

“Tutto bene, lì dentro?”

“Non credo di avere nulla di rotto, ma ho preferito non muovermi per sicurezza” specificò lei intravedendo, oltre quel che rimaneva della portiera, le gambe di un pompiere.

“Ha fatto bene, signorina. Ora vedo se riesco ad aprire la portiera per tirarla fuori da lì. Sembra che abbia retto bene il colpo, e non sia rimasta molto danneggiata” le spiegò l'uomo, piegandosi su un ginocchio per fare forza sul metallo.

“Come sta la mia Viper?” domandò Rena, impedendosi di sentirsi sciocca.

Lei ci teneva, alla sua auto, e non gliene fregava niente se il pompiere l'avrebbe presa per pazza!

“Temo abbia esalato il suo ultimo sibilo. I semiassi sono andati, da quel che vedo, i cerchi in lega sono da buttare, almeno su questo lato, il telaio sembra piegato all'altezza del semiasse posteriore, e c'è un buco grande quanto una pallina da tennis nella coppa dell'olio. Per ora non vedo altro” le spiegò con dovizia di particolari il pompiere, grugnendo per la fatica mentre cercava di forzare il portello.

“Oh” sospirò Rena, prima di sobbalzare leggermente quando la portiera venne divelta di colpo.

“E brava Viper! Nonostante tutto, sei robusta” ridacchiò soddisfatto il pompiere, piegandosi ulteriormente per mettere dentro anche la testa.

Subito, Rena intravide una bruna chioma di capelli ondulati, carnagione bronzea e, infine, due ridenti occhi verdi come le giade più belle.

“Il telaio ha dimostrato di essere eccellente. La portiera si è aperta abbastanza facilmente, nonostante il ruzzolone” le spiegò lui, strisciando dentro l'auto per controllare come fosse messa Rena.

“Ringrazierò la Dogde” mormorò a quel punto lei, scrutandolo nel suo avvicinarsi lento e metodico.

L'uomo le sorrise cordiale e armeggiò per liberarla dalla cintura – rimasta incastrata durante il volo – finché, con un secco strattone, non fece saltare il gancio.

Rena si ritrovò a crollare di colpo verso il pompiere che, lesto, la bloccò prima che cadesse verso il cruscotto e si facesse male.

“Grazie” mormorò la donna, tenendosi ben salda a quegli avambracci forti e muscolari.

“Di nulla, signorina” replicò lui, aiutandola a uscire poco alla volta.

“La prossima volta comprerò un Escalade ... almeno sarà più facile uscirne, casomai dovesse ricapitarmi di incontrare dei cervi nel punto sbagliato della strada” brontolò Rena, facendo sorridere il pompiere che, con tutta calma, la portò fuori dall'auto senza ulteriori traumi.

Tenendola per i fianchi, l’uomo la rimise in piedi sull'erba secca e le foglie smosse e, solo in quel momento, Rena si accorse di aver perso le scarpe durante la carambola.

E il pompiere era tremendamente alto, dinanzi a lei.

Il suo metro e sessantacinque scarsi l'avevano immancabilmente fatta sentire piccola in un mondo di persone sempre più alte e, lavorando nella moda, questa sensazione era peggiorata nel corso degli anni.

Si era dedicata anima e corpo al lavoro anche per sopperire a questa sua perenne sensazione di disagio e, con il passare degli anni, molte delle sue paure erano scemate.

I colleghi la rispettavano per quel che era, non per il suo nome altisonante e, soprattutto, le battute sulla sua altezza non erano più una costante come nei primi anni di praticantato.

Ora, era solo Serena Ingleton. Non era più MicroRena.

Davanti a quel Marcantonio tutto d'un pezzo, ricoperto dalla tenuta da pompiere e con quel sorrisetto soddisfatto, però, Serena tornò a sentirsi piccola e smarrita.

Ma che le prendeva?

“Visto? Ce l'abbiamo fatta...” iniziò col dire il pompiere, sistemandole con gesti gentili la massa di capelli che le era finita sul viso.

“... Serena?”

La donna spalancò gli occhi di colpo, al pari del pompiere che ancora le stava tenendo le mani tra i capelli e che, rilasciando lentamente le braccia nello scostarsi da lei, la fissò senza parole per un attimo prima di esibirsi in un sorrisone.

“Non è possibile! Sei Renny Ingleton, vero?” ridacchiò l'uomo, poggiando le mani sui fianchi per guardarla con ironico apprezzamento.

C'era solo una persona che si era mai permessa di chiamarla così... e di certo non si sarebbe mai aspettata che, un giorno, lui potesse salvarla.

Ma perché, tra tanti, proprio lui?, si lagnò tra sé Rena, fissando accigliata il volto da schiaffi di Beaurigard Shaw, il suo incubo liceale per eccellenza.

 



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N.d.A: Come promesso, ho iniziato la storia di Serena e del suo bello.
Qui di seguito posterò le loro foto e, ben presto, capirete il perchè della presenza dei loro alter-ego a 16 anni. :)
Per ora, vi ringrazio se vorrete proseguire questa nuova avventura con me e, eventualmente, commentarla.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Agosto 1990 ***


2.
 
 
 
Agosto 1990.
 
Consapevolmente, poteva anche comprendere le intenzioni di suo padre ma, pur avendo una mentalità aperta e una buona dose di coraggio, quando si ritrovò a fissare la scalinata che portava all'ingresso della scuola, tremò.

La Santa Monica High School non era male, come complesso.

Suddiviso in 'case', era un ampio complesso in stile moderno dalle bianche pareti, un giardino ben tenuto sull'ingresso e una marea di ali in cui perdersi, finire vittima di qualche bullo, o peggio, massacrata da una comitiva di ragazze.

Devi convivere con i tuoi coetanei al di fuori dell'ambiente protetto della scuola privata. Non puoi sempre fare affidamento sul tuo nome, figliola, ma devi imparare a cavartela con le tue sole forze.

A parole, tutto bellissimo ma, nella sostanza, ce l'avrebbe fatta?

E poi, perché? Perché doveva affrontare quella prova?

Cos’aveva fatto per meritarsi una simile condanna?

Serena deglutì a fatica, il sentore metallico dell'apparecchio ai denti che le scivolò fastidioso in gola e, fattasi forza, mise il primo piede sulla scalinata che conduceva alle porte a vetri dell'istituto.

Intorno a lei, una masnada informe di studenti le passò accanto lanciandole solo brevi occhiate.

Era probabile che loro avessero fatto parte di quella scuola fin dagli albori, quando ancora il mondo non appariva così immenso e senza confini, e maledettamente spaventoso.

Erano cresciuti assieme, avevano creato dei gruppi, degli autentici clan all'interno del plesso scolastico e lei, nuova  arrivata – ricca – e, per giunta, bassa di statura e con l'apparecchio dentale, sarebbe stata massacrata.

Non si faceva illusioni.

Se nella scuola privata certi comportamenti non erano ammessi – anche se venivano puntualmente evase le regole in modi subdoli – nella scuola pubblica il bullismo era all'ordine del giorno.

Certo, i Direttori d'Istituto ce la potevano anche mettere tutta per arginare il problema  ma, a parte inserire dei metal detector all'entrata e delle guardie armate all'interno, dubitava che le cose sarebbero cambiate.

Potrei anche finire con l'odiarti, papà, pensò tra Serena Elizabeth Ingleton, erede del magnate delle acciaierie Ingleton Inc., Barthemius Oliver Ingleton.

Figlia unica e unica depositaria della fortuna del padre, sposato con la popolare avvocatessa Grace Serena Brown, Rena aveva passato i suoi primi quindici anni di vita acciambellata nella quieta sicurezza del suo mondo dorato.

Amata e coccolata da servitù, tata e genitori, aveva studiato in eleganti istituti privati fino all'anno precedente quando, di punto in bianco, suo padre aveva deciso di lanciarla nel circo della vita, e nel peggiore dei modi.

Grace aveva in un primo momento storto il naso, ma alla fine era venuta a più miti consigli, accettando la decisione del marito.

Decisione che aveva spinto Rena – come la chiamavano coloro che le volevano bene – a ribellarsi, forse per la prima volta, alle decisioni genitoriali.

Aveva strepitato, si era infuriata, aveva tenuto il broncio, ma nulla era valso.

Lei sarebbe andata alla scuola pubblica e nulla di quanto avrebbe fatto, o detto, avrebbe cambiato lo stato delle cose.

Ed ora si trovava lì, agnello sacrificale dinanzi al ceppo su cui le avrebbero tagliato la testa, e lei non sapeva come salvarsi da quel massacro inutile.

Entrò controvoglia, sospingendo i piedi sul linoleum fino all'ufficio della segreteria, dove trovò ad attenderla un bancone dell'accettazione, tre donne impegnate a scribacchiare e diverse poltroncine lungo i muri.

Cartelli che inneggiavano allo studio e alle attività extrascolastiche, sostenute dalla scuola, capeggiavano contro le pareti intonacate di bianco e giallo paglierino.

Lunghi neon appesi sopra la sua testa si intervallavano a pale da soffitto, già debitamente accese per spezzare l'afa di quel giorno di agosto, in cui la sua vita spensierata sarebbe terminata per divenire inferno.

Salutò cordiale e timida una delle segretarie, che la fissò interrogativa prima di domandarle cosa volesse.

Dopo averle spiegato chi fosse, si vide consegnare un cartoncino marrone ov’erano riportate le materie che avrebbe avuto quella settimana, assieme a una pianta dell'istituto e agli orari dei vari corsi extrascolastici.

Ciò fatto, la donna reclinò il capo su quello che stava facendo prima della sua entrata, lasciando Rena sola con se stessa e la sua paura.

Non potendo fare altro, uscì per immettersi nuovamente nel flusso umano del corridoio principale, lasciandosi trasportare pigramente dalla corrente fino a raggiungere la rampa delle scale.

Lì, rimase accanto al mancorrente, salendo con calma e appiattendosi il più possibile per non essere di ingombro a nessuno.

Tutto inutile.

Le spallate si sprecarono, così come gli 'ehi, togliti!' oppure i 'scansati, nanetta!', tutti corredati da occhiate curiose, risolini e sguardi beffardi.

Sarò morta prima di sera, si disse la ragazza, scuotendo mesta il capo di mossi e morbidi capelli bruni dai riflessi ramati, quel giorno trattenuti soltanto da un cerchietto di raso nero.

Per quel primo giorno di scuola aveva preferito indossare qualcosa di anonimo, perciò aveva puntato su dei jeans, una maglietta alla marinara e scarpette da tennis ai piedi.

Sperava, in quel modo, di non attirare troppo l'attenzione, ma si rese conto fin da subito che il suo abbigliamento così normale non le avrebbe risparmiato battute.

Da quel poco che vide, le ragazze preferivano abbigliarsi in maniera molto più appariscente – e disinibita – e, quelle che invece erano vestite come lei, venivano caldamente evitate.

Nerd? Probabile.

Rena sospirò ancora, avviandosi speranzosa verso il laboratorio di chimica, sua prima ora di lezione e, quando entrò, si ritrovò a fissare dei lunghi banchi neri, scaffalature metalliche piene di ogni genere di attrezzatura e...

Sì, i suoi occhi non si erano affatto sbagliati.

Seduta nella fila di fondo, letteralmente avviluppata al braccio di un ragazzo bruno dall'aspetto atletico e affascinante, stava la creatura più bella che lei avesse mai visto.

Le sue labbra di rosa stavano cercando di attirare l’attenzione dell’apparente recalcitrante belloccio, alternando sorrisi ironici a più sottili smorfie maliziose.

L'arrivo  di un loro compagno di studi la fece diventare subito l'oggetto di occhiate derisorie, che lei avrebbe preferito evitare caldamente.

L'urto violento con il nuovo arrivato le fece cadere tutto ciò che aveva in mano, portando i due ragazzi in fondo alla classe a curiosare nella sua direzione.

Il colpevole dell'agguato alle spalle si limitò a fissarla seccato.

“Che cavolo ci facevi, ferma sulla porta?”

“Scusa” mormorò lei, raccogliendo in fretta le sue cose e avvampando al tempo stesso in viso.

Il ragazzo grugnì un mezzo insulto prima di esclamare: “Ehi, Beau, ciao! Yvette! Sempre bellissima!”

“Ciao, Roy” dissero in coro i due, con voci ugualmente belle e armoniose.

Rena si sentì malissimo all'idea di doversi sedere sotto i loro sguardi curiosi ma, non potendo fare altro, scelse il banco più lontano da loro e vi si accomodò, piegando il capo il più possibile per non dare ulteriormente nell’occhio.

Man mano che gli studenti entrarono nella classe, gli sguardi si moltiplicarono, così come i risolini e le battutine di spirito di Roy, che raccontò a tutti dell'allieva imbranata a cui erano caduti i libri.

Prima ancora che la prima campanella fosse suonata, la stavano già guardando tutti con aria divertita e ironica malignità.

Rena pregò che l'insegnante giungesse a salvarla il prima possibile, perché l'avere come compagna di banco una ragazza con il suo medesimo grado di popolarità non l'aiutava molto.

Quando infine un uomo azzimato e gracile entrò nell'aula, il cicaleggio calò un poco.

Nel poggiare la sua borsa sulla scrivania, l’uomo esordì dicendo: “Bene, ragazzi. Da oggi siete al liceo, perciò molti vostri atteggiamenti non verranno più accettati, così come molti comportamenti indulgenti non saranno più tenuti dal nostro corpo docente. Dovrete imparare la disciplina, l'ordine ed il rispetto per l'autorità.”

Sono in caserma, o a scuola?, pensò tra sé Rena, non credendo neppure per un momento che una simile linea di condotta potesse essere tenuta in piedi.

Nessuno degli studenti dietro di lei si sentì minimamente minacciato dalle parole intense dell'insegnante e, anche durante la lezione, non ci fu il tanto sperato cambiamento agognato dal professore.

Semplicemente, ognuno faceva quel che voleva.

Rena e la sua compagna di banco, che scoprì chiamarsi Maurinne Schmit, si limitarono ad ascoltare la lezione senza badare ai chiacchiericci vari alle loro spalle.

Meno si fosse resa visibile, meglio era.

Con un leggero moto di speranza, scoprì che Maurinne aveva quasi le sue stesse lezioni perciò, al suono della campanella, si levò dal banco con un sorriso che sapeva di coraggio e determinazione.

Questo, però, venne subito spazzato via dalla bella in fondo all'aula che, come un generale in corteo, le scansò per uscire prima di loro, facendo cadere tutti i libri ad entrambe.

E due, pensò accigliata Rena, raccogliendo nuovamente la sua roba prima di sentire il risolino sommesso della bellezza bionda, ferma sul ciglio della porta ed intenta ad osservarla con interesse.

“Tu devi essere nuova per forza. Non ti ho mai vista prima, qui intorno” asserì la ragazza, fissandola con i suoi opachi occhi azzurri.

Rena si limitò ad annuire, non arrischiandosi ad aprire bocca.

La bionda, non contenta, si avvicinò con andatura fluida e sinuosa, le mise un dito sotto il mento per sollevarle il viso e la scruto con curiosità.

Il giovane bruno al suo fianco la osservò a sua volta incuriosito, accennando un mezzo sorriso.

“Oh, ma guarda! Che scocciatura! L'apparecchio ai denti! Ti da fastidio, cara?” ironizzò la bionda, lasciandola andare.

Maurinne defilò alla svelta, lasciandola sola con la coppia di esseri perfetti e bellissimi.

Tutta la sua speranza di aver trovato un’alleata al primo giorno scemò in un nulla di fatto, mandandola nel panico.

Deglutendo a fatica, Rena annuì alla sua domanda e la bionda – Yvette –, accentuando il suo sorriso denigratorio, lanciò un'occhiata al brunetto al suo fianco.

“Non possiamo aiutarla?”

Il ragazzo si accigliò immediatamente e, scuotendo il capo, replicò: “Yvette, smettila. Non ho intenzione di finire nell'ufficio della Direzione il primo giorno di scuola.”

“Come sei noioso, Beau! Non vuoi proprio aiutare ...” bloccandosi, la bionda si volse verso Rena e le domandò caustica: “Come ti chiami, sgorbietto?”

“Serena... Serena Elizabeth Iglenton” recitò a fatica lei, ricordandosi troppo tardi che nominare il suo cognome avrebbe potuto richiamare solo guai.

Accigliandosi immediatamente, Yvette la scrutò con attenzione per alcuni istanti prima di assottigliare le iridi azzurro opaco e celiare: “Oh, ma guarda! Ecco chi mi ricordavi. Sei la figlia di quel riccone dell'acciaio, vero? Eri con lui sul molo di Santa Monica, quando hanno inaugurato quella nuova nave!”

Oh, cavoli, è vero!, esalò tra sé Rena, cominciando a tremare leggermente.

La bionda allora rise sarcastica e, allungata che ebbe una mano, arricciò attorno a un dito una ciocca delle lunghe chiome bruno ramate di Rena.

“E cosa diavolo ci fa una riccona come te, in una scuola pubblica? Cos'hai combinato, per fare incazzare tanto papino?”

“Lui non è...” iniziò col dire lei, subito azzittita dall'occhiata venefica di Yvette.

“Non ti ho dato il permesso di rispondere!” sibilò la bionda, incenerendola con lo sguardo.

“Andiamo, Yvy. Faremo tardi” la richiamò Beau, lanciando un'occhiata disperata a Serena, che tremò visibilmente.

Quei chiari occhi di giada parvero metterla in guardia e lei, in fretta, si murò la bocca.

“Visto che sei così ricca, non ti offenderai se chiederò a te di foraggiarmi casomai mi servisse qualcosa. Tra compagni di scuola ci si aiuta, no?” ironizzò Yvette, spingendola lontana da sé con una certa acredine.

Beau attese un attimo per assicurarsi che la compagna di classe fosse lontana e, a bassa voce, intimò a Serena: “Stalle alla larga, se non vuoi cacciarti nei guai.”

Ciò detto, se ne andò a grandi passi e alla ragazza non rimase altro che prendere la sua roba, uscire mogia dall'aula e recarsi alla prossima lezione.

Evitarla? Se avesse potuto, l'avrebbe fatto più che volentieri.

Ma, visto com'era andata, dubitava ci sarebbe riuscita.

 
§§§

Era distrutta, senza forze, piena di lividi interni dovuti al dolore provato ad ogni nuova umiliazione.
Il Fato doveva essersi divertito molto, con lei, affiancandole Yvette ad ogni lezione.

Neppure la presenza dell'aitante Beau era riuscita a distogliere da lei l'attenzione della bella bionda e, per tutto il giorno, Rena aveva dovuto subire le sue vessazioni più o meno marcate.

Il fatto che lo facesse sempre nei momenti migliori, in cui non poteva essere vista dai professori, le fece capire quanto fosse brava in quel gioco perverso.

Quando infine uscì da scuola, percorrendo mogia le scale, Rena quasi andò a sbattere contro una figura a lei famigliare e che, in quel momento, le restituì in un colpo solo tutta la gioia persa in poche ore.

Aprendosi in un sorriso estasiato, fissò con occhi lieti il viso a lei caro di Nickolas Van Berger, suo coetaneo e amico d'infanzia che, in divisa scolastica e con un gran sorrisone, le aprì le braccia per stringerla a sé.

Rena non si fece pregare.

Lo abbracciò con così tanta foga che Nick emise un singulto strozzato prima di scoppiare a ridere e, nel baciarle la chioma bruna, le avvolse le spalle con un braccio e la condusse via dalla scuola.

Gli studenti li fissarono dubbiosi e vagamente divertiti, ma Nickolas non vi fece alcun caso e Rena, troppo demoralizzata per pensare alle conseguenze, si aggrappò a lui come ad un'ancora di salvezza.

Quando infine raggiunsero la berlina scura con cui l'autista della famiglia Van Berger aveva accompagnato Nick, Serena vi salì con naturalezza, dimostrando una volta di più quanto fosse abituata agli agi e la bella vita.

L'amico la seguì e le si sedette al fianco, dicendo: “Possiamo andare, Leonard.”

“Subito, signorino” assentì l'uomo, mettendo in moto.

Più di uno studente fissò accigliato la loro partenza in grande stile, ma ancora una volta Rena non vi badò.

Che guardassero pure, a lei non interessava.

“Devo dedurre che il primo giorno di scuola pubblica è stato un inferno” motteggiò bonariamente Nick, sorridendole.

Lei lasciò scivolare il capo sulle sue gambe e subito il ragazzo le carezzò i capelli, muovendo gentilmente la mano su quella massa morbida e profumata.

“Così brutta, Rena?” mormorò allora Nick, sinceramente dispiaciuto.

La ragazza annuì, singhiozzò e infine pianse, coccolata in silenzio dalla presenza sicura e forte dell'amico che, senza più chiederle nulla, si limitò a lasciarla sfogare.

Fermatisi in prossimità di una gelateria dopo un lungo girovagare, Nickolas offrì un gelato all'amica.

Sedutisi poi all'ombra delle palme, su una panchina in ferro battuto, lei gli raccontò tutto; le vessazioni, l'orribile bionda, l'avvertimento del ragazzo bruno. Tutto.

“Non riesco a capire tuo padre, onestamente. Stavolta mi ha lasciato interdetto” ammise controvoglia Nickolas.

Lui stimava da anni Barthemius Ingleton ma, in quell'occasione, le sue manovre gli risultavano oscure.

“Dillo a me! In questo momento, lo odio con tutta me stessa!” sibilò Rena, affondando il cucchiaio nella massa morbida della crema alle nocciole che aveva preso assieme a una buona dose di panna montata.

Sorridendole indulgente, l'amico replicò: “Non odieresti tuo padre neppure sotto tortura.”

“Non credo. Ora come ora, non ne sarei proprio sicura” replicò lei, acida.

“Se vuoi, provo a parlarci io” le propose lui, benevolo.

“E' inutile. Ho usato tutte le tattiche che conosco, e non hanno funzionato. E' stato irremovibile” brontolò Rena, ingollando l'ennesimo cucchiaino di gelato.

“Allora lo dirò a mio padre e...”

Interrompendolo sul nascere, lei scosse il capo e, con un sospiro, mormorò: “Non voglio che litighino per me. Andrea e mio padre sono grandi amici e non voglio che, per causa mia, abbiano dei dissapori. Quando mio padre prende una decisione è quella, e nessuno è in grado di fargli cambiare idea. Neanche mamma che, tra l'altro, è d'accordo con lui.”

Nickolas sbuffò, attirò a sé l'amica per darle tutto il suo appoggio morale e, accigliato, commentò: “Non li capisco proprio, gli adulti.”

“Bran come sta, a proposito? Il braccio è andato a posto?” si informò a quel punto Rena, preferendo cambiare argomento.

Nick annuì, sempre mantenendosi accigliato.

“Se solo mamma lo lasciasse in pace, guarirebbe anche prima. Come può pretendere che sia sano come un pesce due giorni dopo aver tolto il gesso? Lo ha tenuto per un mese! Gli serve qualche tempo per recuperare le forze. L'ha detto anche il fisioterapista!”

“Forse lo sta solo incoraggiando. Sai che tua madre è una tipa di polso” tentennò l’amica, non sapendo bene che dire.

Non si era mai trovata a suo agio con Isabel Van Berger, ma non voleva incrinare la patina perfetta che Nick e Bran aveva steso sull'immagine della loro madre, confidando loro i suoi dubbi.

Anche se, a sentir parlare l'amico, sembrava che quell'amore incondizionato e cieco stesse svanendo, almeno da parte di Nickolas.

“Ha dieci anni, ci sta benissimo che possa piangere quando gli fa male!” sbottò il ragazzo prima di calmarsi, prendere un gran respiro e aggiungere: “Ma io non devo prendermela con te, perché non c'entri. Vuoi andare a casa, ora, o preferisci venire a cena da noi?”

“Vado a casa. Voglio che papà veda come mi ha ridotta” sentenziò Rena, alzandosi dalla panchina con aria volitiva.

Nick la imitò e, tenendola per mano, la accompagnò all'auto e sorrise a Leonard, che stava finendo la sua cialda al cioccolato e pistacchio.

“Finisci pure con calma. Noi, intanto, ci sediamo in auto.”

“Avrà vita breve, questo è sicuro” ridacchiò l'autista, indicando il gelato.

Il ragazzo ammiccò divertito, annuendo complice e, nell'aprire la portiera all'amica, mormorò: “Te la caverai, Rena. Tranquilla. E hai me su cui contare.”

“Se non ci fossi tu, mi sarei già data alla fuga” mugugnò la ragazza, accomodandosi con aria stanca e accigliata sul morbido sedile di pelle.

Non avrebbe mai resistito fino al diploma se ogni giorno, per quel numero mostruoso di anni, fosse stato così.

Non era così forte, no davvero.

 
 
 
 
_______________________
N.d.A: Per un po’ rimarremo nel passato di Rena, per comprendere dov’è nato il dissapore tra lei e Beau. Spero di avervi incuriositi almeno un po’.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.
 
 
 
 
D'accordo, i professori erano okay.

D'accordo, pure la palestra era okay.

D'accordo, anche il direttore d'istituto era okay.

Suo padre aveva scelto bene, non c’era alcun dubbio, ma…

Ma che non si aspettassero da lei che approvasse il modo in cui la trattavano!

Yvette, ovviamente, non aveva perso tempo e, nel giro di una settimana, tutta la scuola aveva scoperto chi fosse Rena e, soprattutto, quanti soldi avesse sul suo conto fiduciario.

In pochi giorni si era attirata le invidie della quasi totalità degli studenti della scuola e, quel che era peggio, era diventata il bersaglio principale dei bulletti.

I nerd, segretamente, avevano ringraziato la loro buona stella per quel temporaneo ‘cessate il fuoco’.

Era arrivata in fondo alla prima settimana di scuola solo a stento e, quando aveva finalmente potuto chiudere dietro di sé l'incubo lezioni almeno per un giorno, si era dedicata al suo sport preferito: l'equitazione.

In groppa al suo lipizzano dal manto bianco come il latte, si sentiva potente, fiera, indomita, nulla le faceva paura e, soprattutto, era tra i suoi simili.

O almeno così aveva pensato fino a quella domenica di fine agosto, quando si era recata al ranch che ospitava il suo cavallo.

Chiesto uno strappo a Jay, l'autista di casa Ingleton, Rena si recò al ranch dove dimorava la sua Stardust e lì, dopo averla strigliata e sellata, iniziò a percorrere il percorso a ostacoli.

Sulla pista, incrociò quasi subito la sua amica d'infanzia Tiffany Jensen che, nel vederla in sella, le sorrise svenevole prima di gelarla con una battuta al vetriolo.

“Ed io che pensavo che la tua famiglia avesse perso tutti i suoi soldi, per spedirti alla scuola pubblica. Allora l'avete ancora, la grana!”

Quella frase, esclamata con affettazione e, sì, impregnata di acida ironia, la ferì.

Rena si limitò a fare finta di nulla, sorridendole con altrettanta affettazione prima di iniziare il percorso a ostacoli, che lei e Stardust oltrepassarono senza problemi, indipendentemente dal suo malumore improvviso.

Se aveva sperato che almeno Tiffany si sarebbe schierata dalla sua parte, dandole l'appoggio di una vera amica, si ritrovò invece a dover sopportare la sua aria di superiorità, il suo velato disprezzo.

Quando infine giunsero anche le altre ragazze del Country Club, andò anche peggio.

Si divertirono un mondo a prenderla in giro, prevedendo per lei un futuro roseo assieme a uno scaricatore di porto o a un avanzo di galera.

A nulla valsero le sue spiegazioni, né sottolineare quanto i professori fossero comunque validi e preparati.

Per loro contava solo una cosa; non era una scuola d'élite, perciò lei ne sarebbe rimasta come insozzata, e non meritava più di essere loro amica.

Con un broncio che toccava terra e l'umore pessimo, Rena infine tornò all’auto per rientrare a casa, e niente di quanto le disse Jay per rasserenarla valse allo scopo.

Era tutta colpa di suo padre, e lei si sarebbe fatta sentire.

Quando raggiunsero la villa nei pressi di Monarch Beach, la ragazza ringraziò Jay e, con un diavolo per capello, si infilò di volata in casa, la borsa da equitazione stretta nella mano.

Attraversò senza neppure guardarlo l'ampio salone d'ingresso, ignorando bellamente il bel rosone sul pavimento, o il lampadario a goccia che pendeva dal soffitto ad arco.

Era solita guardarli ogni volta, perché aveva sempre apprezzato quei bellissimi capolavori d'arte, creati dalle abili mani di quotati artigiani italiani.

Il marmo color crema, lucido come uno specchio, si abbinava stupendamente con i disegni geometri in pietra dura color cioccolato.

Le luci del lampadario poi, una volta acceso, donava vita a quella meravigliosa distesa marmorea, creando ombreggiature nei cristalli visibili nella pietra.

Quel giorno, però, quell’opera d’arte non la impressionò minimamente e, senza attendere oltre, imboccò una delle due scale ad arco che conducevano al piano superiore.

Non appena mise piede sul primo gradino – ricoperto da un elegante tappeto turco – ed ebbe afferrato il mancorrente in legno scuro, si fermò di botto.

Lassù, immobile sul ballatoio del primo piano, c'era suo padre, apparentemente ignaro del pericolo che stava per raggiungerlo come uno tsunami.

I suoi occhi smeraldini corsero agli enormi vasi Ming accostati alle scale e, per un attimo, Rena desiderò avere abbastanza forza per potergliene scagliare addosso almeno uno.

Era così furiosa!

Non potendo farlo, però, continuò con rinnovato vigore la sua salita e, con un fiero cipiglio, piantò le mani sui fianchi non appena giunse dinanzi al padre.

Lì, sprizzando rabbia da tutti i pori, esclamò: “Ho bisogno di parlare con te, papà!”

Del tutto impreparato al suo tono di voce così secco e gelido, Barthemius annuì e le indicò di seguirlo nel suo studio, chiedendole poi da sopra una spalla: “Qualcosa non è andato bene, al maneggio?”

“Qualcosa?! Sarà meglio se ne parliamo al chiuso, altrimenti la servitù scapperà a gambe levate dalla paura che potrei instillare loro” brontolò Rena, pronta a fronteggiare un drago, se fosse stato necessario.

L'uomo non si fece spaventare minimamente dal suo cipiglio battagliero e, dopo averle aperto la porta in legno scuro per farla entrare nel suo sancta santorum, la pregò di accomodarsi su una delle poltrone Luigi XV.

“Cos'è successo di così tremendo, tesoro?”

“Farei prima a dirti cosa non è successo!” sbottò lei, picchiando i piccoli pugni sulle cosce, ancora abbracciate dai pantaloni da equitazione.

“Da quando mi hai mandata alla scuola pubblica, tutti mi evitano, oppure mi odiano! E' un vero inferno, e oggi è andata anche peggio. Pensavo che le mie amiche mi avrebbero capita, spalleggiata... invece sono state crudeli e insensibili!”

Barthemius poggiò gli avambracci sulla scrivania lucidata a specchio e intrecciò le dita tra loro, annuendo silenziosamente.

Desiderando mettere a parole tutto il suo dolore e la sua rabbia, la giovane proseguì dicendo: “Mi hanno praticamente isolata... IO! Ma ti rendi conto di quello che ha voluto dire, per me, la tua scelta insensata di mandarmi alla scuola pubblica?!”

L'uomo percepì senza alcuno sforzo il risentimento della figlia, la sua fiera cocciutaggine e, per un istante, volle piegarsi accanto a lei per stringerla in un abbraccio consolatorio.

Ma alla fine resistette e, scuotendo mestamente il capo, replicò serafico: “Questo ti dimostra che non erano veramente tue amiche, ma stavano con te solo per vivere di luce riflessa. Cosa che, vorrei sottolineare, ti è stata ripetuta fino allo sfinimento per anni. Ora che il tuo cambio di ambiente le ha smascherate, le vedi per quello che sono. Delle sciocche e petulanti ragazzine ricche che non sanno stare al mondo.”

“Perché, pensi che andare alla Santa Monica High possa fare di me una persona migliore di loro? Ma fammi il piacere! Là dentro andrà ancora bene se non mi accoltelleranno per rubarmi il Pateck, la settimana prossima! Oppure, potrebbero decidere di prendermi in ostaggio e usarmi per chiederti un riscatto, per quello che ne so!” protestò vibratamente Rena, sollevandosi di scatto per affrontarlo a viso aperto.

“Ora non esagerare, a leannan, non farla più grossa di quel che non è. E' un istituto scolastico, non un covo della malavita” replicò con calma l'uomo.

“Non chiamarmi ‘tesoro’ come se stessimo parlando del prossimo vernissage di Natale!” sbottò Rena, lanciando lampi dagli occhi smeraldini.

“Mi hai deliberatamente messa in un pasticcio tremendo, perciò pretendo che ora me ne tiri fuori!”

“No” disse lapidario Barthemius, rimanendo impassibile di fronte alla sua rabbia furiosa.

Rena strabuzzò gli occhi, incredula di fronte al rifiuto semplice e netto del padre e, tremando da capo a piedi per lo sconcerto, esalò scioccata: “Come puoi dirmi... di no? Così!?”

“Capirai, a suo tempo, che non si può ottenere tutto con i soldi, o con il nostro buon nome. Le cose bisogna guadagnarsele con il sudore della fronte, ed è ora che impari anche tu, visto che fino ad ora hai solo...”

Interrompendo la sua filippica quando si accorse delle lacrime copiose della figlia, Barthemius provò nuovamente il pressante desiderio di avvolgerla tra le sue braccia per proteggerla.

Ma ancora non lo fece.

Per troppo tempo erano stati protettivi e magnanimi con lei, e questi erano i risultati.

Per quanto gli spiacesse ammetterlo, Rena era stata viziata all'inverosimile, e quel lato del suo carattere andava corretto prima che fosse troppo tardi.

Non faceva fatica a comprendere quanti e quali fossero stati i loro errori, come genitori, ma l’unico modo per salvarla dal diventare una noiosa snob, era forzare un po’ la mano.

A costo di inimicarsi per un po’ la figlia.

Cercando di apparire imperturbabile, l'uomo terminò di dire: “Il mondo non è tutto rose e fiori, Rena, ed è giusto che lo impari anche tu.”

“Ti odio...” sussurrò lei, tergendosi il viso con il dorso di una mano.

Incespicò nei piedi fino ad essere costretta a reggersi alla scrivania ma, imperterrita, ripeté ad alta voce: “Ti odio!”

Barthemius accettò in silenzio quello sfogo e, quando la vide correre fuori dal suo studio, sospirò pesantemente e si lasciò andare contro lo schienale della sua poltrona di pelle.

La porta venne sbattuta con violenza e i passi frettolosi della figlia rimbombarono sul ballatoio finché lei non raggiunse le sue stanze, dove scomparve in un rimbombo di legno e rimpianto.

A quel punto l'uomo si afflosciò come se le energie gli fossero state risucchiate via e, passandosi una mano sul viso, sospirò pesantemente, stremato.

“E' davvero necessario metterla alla prova a questo modo?” mormorò sulla porta Grace, avvicinandosi al marito con passo tranquillo, il volto enigmatico e serio.

Gli occhi verde scuro di Barthemius si mossero per raggiungere quelli chiari, color turchese, della moglie che, chiusasi la porta alle spalle, lo avvicinò con sguardo teso e preoccupato.

Sospirando, l'uomo allungò una mano verso di lei perché si avvicinasse e Grace, sorridendogli appena, afferrò quelle dita forti e sicure, ora tremanti.

“Non è chiederle troppo, Bart?”

“Sappiamo entrambi che Rena è viziata, e ha bisogno di essere scrollata un po'. E' anche colpa nostra se fa troppo affidamento sul suo buon nome, e ben poco sulle sue reali capacità. E credimi, sto pagando con gli interessi la mia decisione di metterla di fronte alla vita reale” replicò l'uomo, attirandola sulle sue gambe.

Grace lo lasciò fare e, con tocco delicato, gli passò una mano tra la folta capigliatura sale e pepe.

“Ha solo quindici anni” mormorò la donna, poggiando la fronte contro quella del marito in un gesto che sapeva di cameratismo e di grande amore.

“Lo so. E mi fa star male il vederla così abbattuta, ma preferisco che mi odi per un po', piuttosto che saperla viziata e snob come certe sue amiche… o come Cassie” ribatté il magnate, accostando a sé il viso della moglie per un breve sfiorarsi di labbra.

Grace sorrise esasperata nel sentir nominare la nipote, la figlia di suo fratello.

Sì, neppure lei avrebbe voluto vedere Rena ridotta a quel modo, sommersa di regali e di vizi e intrattabile quanto un orso al suo risveglio primaverile.

“Hai scelto un modo molto cruento per farglielo capire, però” gli fece notare lei, sorridendogli mestamente.

“E' nostra figlia. Ti pare che avrebbe capito, con le buone? Sai benissimo quante volte ho tentato di farle notare quanto, le sue cosiddette amiche, fossero vacue e sciocche, e non ha minimamente funzionato” ironizzò Barthemius, sorridendole di rimando.

“Vero” assentì lapidaria Grace. “Ma non mi piace lo stesso vederla piangere.”

“Neppure a me, credimi. Ma le servirà” asserì per contro l'uomo, abbracciandola strettamente per alcuni attimi.

Lo squillo del telefono interruppe quel breve interludio ed il magnate, con un sospiro, si scusò con la moglie e accettò la chiamata.

Quando Grace comprese che erano faccende di lavoro, lo lasciò stare e uscì silenziosamente dallo studio, dirigendosi verso la stanza della figlia, in fondo al ballatoio.

Lì, bussò un paio di volte prima di entrare e, non appena si ritrovò nel bianco universo di Rena, la madre si morse dubbiosa il labbro inferiore.

La camera da letto della figlia era delicata, molto femminile, ricolma di pizzi, tendaggi delicati, pareti in legno e mattoni interamente bianchi.

Anche il letto in ferro battuto era un'enorme distesa lattiginosa, con miriadi di cuscini ricamati in fantasia dell'avorio e del crema.

E là sopra, unica nota di colore nella stanza, era distesa Rena, in lacrime e apparentemente inconsolabile.

Grace le si avvicinò silenziosa e si accomodò sul bordo del morbido letto, sfiorandole poi la schiena con lente carezze che la fecero irrigidire subito.

Scostando il viso dal pelouche in cui era affondata con disperazione assoluta, la giovane fissò con il volto rosso  e distrutto quello triste della madre e, gatton gattoni, la raggiunse per avvolgerle la vita con le braccia.

Il capo poggiato sulle sue gambe, Rena scoppiò in un nuovo accesso di pianto, esclamando: “E' cattivo con me! Ed io non gli ho fatto nulla!”

Grace si limitò a carezzarle la chioma morbida e ondulata, combattuta su quanto dire e a chi dare il proprio appoggio.

Per un attimo odiò il marito: non avrebbe dovuto metterla così apertamente contro la sua unica figlia!

Ma coscientemente sapeva bene quanto Barthemius avesse ragione.

Quello scoppio d'ira infantile era un chiaro sintomo di quanto Rena fosse viziata e di quanto loro, in quanto genitori, fossero responsabili di un tale comportamento.

L'aver perso i due fratelli più grandi di Serena, al quarto mese di gravidanza, era stato uno shock non indifferente, per loro.

Quando Grace aveva finalmente portato a termine la gestazione, il loro amore si era riversato su quella bambina dei miracoli come una piena inarrestabile.

Ogni vizio le era stato concesso, nulla era stato lasciato al caso ma, nel corso degli anni, quella ricerca sfrenata di dar voce alle fantasie della figlia l'aveva resa petulante e facile ai capricci.

Solo l'amicizia con Nickolas Van Berger l'aveva salvata dal diventare una bambina sciocca e irragionevole e, di questo, i coniugi Ingleton non avrebbero mai ringraziato abbastanza il giovane.

Più serio e posato rispetto ai ragazzini della sua età, Nickolas aveva da sempre dimostrato una maturità superiore alla media, oltre a un profondo istinto protettivo nei confronti del fratello minore e di Rena stessa.

Si era sempre preso cura di loro con attenzione, senza mai risparmiarsi.

Grace lo aveva sempre ritenuto un ragazzo un po' cupo, forse troppo meditabondo e chiuso in se stesso ma, con suo fratello Brandon e la loro Rena, Nick si era sempre dimostrato gentile e amorevole.

Non sapeva se questo suo atteggiamento così maturo dipendesse dalla sua situazione famigliare – non si era mai voluta intrufolare troppo, in quell'argomento – ma, di sicuro, Nickolas covava qualcosa in quel suo cuore generoso.

Isabel le era sempre parsa troppo dura con quei ragazzi e, durante i pranzi o le cene in loro compagnia, aveva sempre cercato di smorzare i rimbrotti della donna rivolti ai due figli.

Brandon in particolare l'aveva sempre preoccupata.

Era troppo sensibile, troppo sottomesso alla madre per non risentire del suo carattere duro ma, da semplice amica di famiglia, Grace non si era mai voluta intromettere.

Andrea, forse a causa delle sue frequenti assenze per lavoro, pareva non accorgersi di questo problema, ma era evidente quanto Nickolas invece l'avesse notato, ergendosi a difensore del fratello minore.

Grace non era sicura che fosse giusto, per nessuno dei due, ma non era compito suo educarli... per quanto le spiacesse vederli soffrire.

Ora aveva ben altre gatte da pelare, e avevano un nome scritto bello grosso nella sua mente: Serena.

Asciugandole le lacrime con un fazzoletto, la madre la obbligò a risollevarsi per poterla guardare in viso e, seria e concentrata, le disse: “Non devi pensare che tuo padre ce l'abbia con te. Sta solo facendo il tuo bene.”

“E come? Mandandomi in quel covo di delinquenti?! Al club di equitazione già mi prendono tutte in giro! Figurarsi quando andrò alla Scuola di Danza Classica. Mi butteranno fuori a calci nel sedere!” sbottò irritata Rena, fissandola con riprovazione e, sì, cocciutaggine.

Sospirando leggermente, Grace replicò: “I professori del Santa Monica High sono allo stesso livello delle scuole private in cui avremmo potuto mandarti, quindi non vedo dove sia il problema. Tuo padre non ti avrebbe mandato in un istituto meno che meritevole, dovresti saperlo.”

“Ma non lo vedi?!” esclamò Rena, sbracciandosi con aria sconcertata. “Mi odiano! E andrà ancora bene se, la settimana prossima, non mi uccideranno per rubarmi i soldi! Come fai a non capire?!”

La donna fremette dentro di sé, ben sapendo quanto le paure di Rena non fossero del tutto infondate, ma si trattenne dal darle ragione e si limitò a dire: “Tuo padre non ha mai commesso un errore. Dagli un po' di credito.”

Rena fu sconvolta dalle parole della madre.

La fissò con i profondi occhi verde smeraldo come se non la riconoscesse o, peggio, come se lei l'avesse tradita nel profondo e, senza dire nulla, si levò da letto e raggiunse la sua scrivania.

Lì, aprì uno dei libri di scuola e, mogia, mormorò: “Devo studiare. Puoi andartene, per favore?”

Grace non replicò a quel tono e, in silenzio, uscì dal piccolo universo della figlia avvertendo un macigno enorme ben premuto sul suo cuore.

Era chiaro quanto, al momento, Rena si sentisse tradita da entrambi i genitori ma, non potendo fare nulla per lei, si costrinse a lasciarla sola perché rimuginasse su quanto appena detto.

Non c'era altro che potesse fare per la figlia, solo confidare che fosse abbastanza forte per comprendere la lezione che il padre voleva impartirle.

Non appena fu fuori, trovò ad attenderla Martha, la balia che, fin da piccola, aveva seguito la loro Rena e, sorridendole mesta, osservò con il cuore colmo di speranza il vassoio trattenuto dalle mani della donna.

“La torta alle fragole le piacerà di sicuro” mormorò Grace, approvando.

“Confidavo in questo, per farle passare il broncio” assentì la balia, sorridendo comprensiva a Grace. “E’ molto irritata, vero?”

“Come un aspide, oserei dire” cercò di ironizzare la donna, pur non riuscendovi completamente.

Martha ridacchiò ugualmente e, nel battere affettuosamente una mano sul braccio della sua datrice di lavoro, asserì: “So trattarla anche quando morde. E mi creda, Grace, capisco bene perché la stiate mettendo alla prova a questo modo. Rena non deve diventare come quella peste di Cassandra.”

“Dio non voglia!” esalò Grace, stringendo la mano della balia ancora appoggiata al suo braccio. “Ma è solo colpa nostra se ora si comporta così, ed è lei a doverne pagare il prezzo più alto.”

“A giudicare come state voi due, non credo che lei e Barthemius stiate pagando un prezzo inferiore. E’ solo diverso.”

Sorrise gentilmente a Grace e, confortante, aggiunse: “Cercherò di rabbonirla un po’, se mi riesce. In fondo, è anche un po’ colpa mia. L’abbiamo viziata tutti, questa piccola perla.”

“Grazie, Martha. Davvero.”

“Vogliamo tutti il meglio per lei, Grace. Glielo assicuro. E ora vada! Ha bisogno di riposare un po’ anche lei! Ha certe occhiaie!” la rabberciò bonariamente Martha, facendo ridere la donna.

Grace le sorrise nell’allontanarsi verso le proprie stanze ma, quando vi entrò, seppe già che non sarebbe riuscita a riposare.

Non fintanto che quella situazione di tensione fosse perdurata in casa.



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N.d.A.: diciamo che, per ora, Rena è tra l'incudine ed il martello. E non è mai un buon affare.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


1

4.

 

 

 

 

Non sapeva ancora esattamente come, ma era riuscita a sopravvivere al primo mese di scuola.

Nonostante ci avesse rimesso una buona quantità di articoli scolastici quali squadre, pennarelli e stilografiche, poteva ritenersi soddisfatta.

Era ancora tutta intera, non le avevano fatto che qualche scherzo di bassa lega e, a parte il non rivolgerle quasi mai la parola, non era successo altro.

Certo, in sala mensa era perennemente da sola, relegata in un tavolino d'angolo nei pressi delle porte della cucina, da cui uscivano esalazioni di ogni tipo.

I suoi abiti odoravano spesso di fritto o di altri aromi ben poco eleganti ma se, per salvarsi la pelle, bastava puzzare un po’, avrebbe accettato lo scotto senza fiatare.

Stava imparando alla svelta cosa volesse dire ‘vivere al di là della barricata’.

Nickolas aveva iniziato a passare da scuola ogni volta che i loro orari collimavano e, in barba all'etichetta del suo Istituto, giungeva da lei sempre in maniche di camicia e jeans schiariti.

Rena sapeva bene il perché di quel comportamento.

Voleva metterla a suo agio, e rendere meno palese la differenza esistente tra lei e i ragazzi del Santa Monica High.

Il più delle volte, non si presentava neppure più con Leonard, lasciando che l’autista li attendesse all’angolo della strada successiva, così da non dare nell’occhio.

Certo, ormai sapevano tutti che lei era l'ereditiera delle fortune della famiglia Ingleton, degli Ingleton di Aberdeen, Scozia.

C'era addirittura chi le aveva spiattellato in faccia il suo albero genealogico – dimostrando un'attenzione per i particolari che Rena non si sarebbe mai aspettata – e lei non aveva potuto che annuire mestamente.

Sì, lei era la figlia unica di Barthemius Ingleton, figlio dei conti Warringhton di Aberdeen, Mitchum e Samantha Ingleton. Ma che ci poteva fare?

Non aveva scelto lei di nascere figlia di uno dei più potenti imprenditori dell'acciaio americani, né di essere la figliola adorata di Grace Ingleton Brown, la miglior penalista di tutta la West Coast.

Le rinfacciavano colpe su cui lei non aveva avuto nessuna voce in capitolo.

E i membri del Club di Danza erano forse i peggiori, se mai poteva esistere qualcosa di peggio.

Lì, il problema si era presentato simile, pur se per i motivi opposti.

Le avevano rinfacciato, sì, di essere figlia di Barthemius e Grace, ma anche di essere la vergogna della famiglia per essere stata obbligata a frequentare una scuola pubblica.

Persino la sua insegnante aveva storpiato il naso, alla notizia, e Rena aveva tentato in ogni modo di far notare che non lei, ma i genitori, avevano deciso per una tale presa di posizione.

Come al Club di Equitazione, anche a danza l'avevano isolata e derisa e, per quanto lei si fosse sforzata di rimanere in contatto con le sue vecchie amiche, quelle l'avevano bellamente ignorata, ridendole alle spalle.

Scorno degli scorni, l'avevano tolta dal balletto che avrebbero messo in scena per Natale alla festa di fine corso, adducendo come scusa la sua preparazione carente.

Come se non si fosse allenata allo stesso modo delle altre! Come se il suo impegno fosse calato da quando frequentava la S.M.H.!

Detestava quella situazione, detestava le sue false amiche, detestava i genitori e, più di tutto, detestava la scuola.

Era solo colpa di quella maledetta, se lei era stata isolata da tutti!

E, ancora una volta, se ne lamentò con Nickolas.

Lui, gentilmente, la ascoltò per tutto il tempo mentre, passeggiando tranquillamente lungo la Ocean Front, si allontanavano dall'istituto scolastico.

Quel giorno di settembre inoltrato era così bello, che l'idea di girare in auto le aveva dato un immenso fastidio.

Pregando Leonard di tornare a casa, Nickolas gli aveva promesso di rientrare per cena e, assieme a Rena, si erano incamminati per passeggiare un po' assieme.

Alla peggio, se si fossero stancati troppo, si sarebbero fermati alla V.B. 2000, la società del padre, e si sarebbero fatti accompagnare a casa da lui.

Fermatasi su una panchina che costeggiava la palestra all'aperto nella zona di Santa Monica Beach, Rena si lasciò cadere sul sedile di cemento e sospirò affranta, esalando: “E' mai possibile che io debba essere trattata come un'appestata?”

“Si vede che frequenti persone con un quoziente intellettivo davvero basso” replicò lui, sorridendole divertito. “Io, infatti, trovo tu sia una compagnia davvero interessante. Ma si sa, ho un'intelligenza superiore alla media.”

Lo disse con tono tronfio, sfregandosi le unghie sulla camicia firmata con fare molto strafottente e Rena, nonostante tutto, scoppiò a ridere.

Non poteva tenere il broncio, quando si trovava in compagnia con Nickolas. Lui la faceva ridere, sempre e comunque.

Era un vero peccato che non si fosse mai innamorata dell'amico d'infanzia. Tutto sarebbe stato più semplice.

E invece no, lei lo vedeva solo come un amico e, a quanto pareva, anche Nick la vedeva con occhi amichevoli e basta.

Checché ne pensasse il bel mondo, loro non si amavano come ragazzo e ragazza, ma come fratello e sorella.

E, nonostante tutto, a lei piaceva.

Aveva sempre voluto un fratellino o una sorellina, ma sapeva bene che sua madre non poteva averne, perciò aveva riversato questo suo desiderio su Nick, che si era ben guardato dal disilluderla.

Voleva bene anche al piccolo Bran, ma con lui il rapporto era meno intenso, meno profondo.

Con Nickolas, bastava uno sguardo per capirsi e lui, da bravo fratello maggiore quale voleva essere, anche se erano coetanei, aveva sempre una parola buona per lei, o una spalla da offrirle e su cui piangere.

Ultimamente, aveva quasi consumato quella spalla, ma a lui pareva non dare fastidio.

“Non fare lo sbruffone con me, Nick, se non vuoi che...” iniziò col dire Rena, bloccandosi a metà della frase quando vide avvicinarsi un ragazzo in bicicletta.

Un ragazzo che lei conosceva molto bene.

Azzittendosi e diventando paonazza in viso, Rena si fece piccola piccola mentre Nick, sorpreso da quella reazione, studiò con attenzione l'avvicinarsi del ragazzo.

Questi bloccò la mountain bike con uno stridore di gomme e, poggiata la bicicletta contro la vicina staccionata in metallo, ne scese con un balzo elegante e fissò con aria di sfida di Nick.

Passandosi una mano tra il ciuffo di capelli castani perennemente in disordine, il ragazzo sorrise, portando Nickolas a muoversi.

Lui si alzò dalla panchina per diretta conseguenza e, accigliato, domandò: “Hai bisogno di noi?”

“Di Serena, per la verità” dichiarò il giovane, facendo sobbalzare la ragazza al solo sentirsi nominare.

Neanche sapeva che conoscesse il suo nome!

Lei rialzò a fatica lo sguardo per puntarlo nei chiari occhi di giada di Beau che, accentuando il suo sorriso da sbruffone, estrasse da una tasca dei pantaloni un temperamatite e glielo allungò.

Sorpresa, e più che mai confusa, Rena aprì istintivamente la mano perché lui glielo lasciasse cadere sopra, ma Beau fece di più.

Trattenne quella mano, richiudendo le esili dita di Rena attorno al temperamatite e, strizzandole l'occhio, asserì: “Fossi in te, starei più attenta. Lo avevi lasciato sotto il banco, ma lì spariscono alla svelta.”

“Eh? Oh? Grazie!” esalò lei, avvampando in viso prima di reclinare il capo e borbottare nuovamente: “Grazie davvero.”

“Di nulla. Almeno quello lo hai salvato” scrollò le spalle lui, lanciando poi un'occhiata in direzione di Nick, che ancora li stava osservando con aria cupa. “Ehi, amico! Mica è colpa mia se Serena viene a scuola con della roba così bella! C'è gente che non si fa tanti scrupoli!”

Nickolas non parve soddisfatto dalla risposta.

“Basterebbe semplicemente che le persone si ricordassero di una cosa molto semplice; la proprietà privata.”

Irridendolo con lo sguardo, Beau ribatté: “Può funzionare a casa tua, ma non in una scuola pubblica, amico. E' per questo che io, l'astuccio, lo tengo ben chiuso. Così come lo zaino.”

Rena, che aveva ascoltato quel battibecco senza riuscire ad aprire bocca, si rese conto di un particolare non da poco.

Beau aveva ragione.

Lei, così abituata al suo mondo, non aveva fatto caso a una cosa così banale come chiudere un astuccio, o tenere lo zaino a portata di vista. Non ci aveva proprio pensato.

Sospirando sconsolata, mormorò: “Mi sa che hai ragione. Non ci ho proprio prestato attenzione.”

“Rena...” sussurrò spiacente Nick, guardandola con affetto.

Ma lei non vi badò.

Lanciò un'occhiata grata a Beau e gli sorrise tremula.

“Ti ringrazio per avermelo riportato. Starò più attenta, d'ora innanzi. E grazie anche per esserti arrischiato a parlarmi.”

Lui scrollò le spalle, come se non se ne curasse, ma le rammentò seriamente: “Ricordati di mantenere un profilo basso. Yvette ce l'ha ancora con te, e nessuno è capace di tenerla a bada, quando è infuriata.”

“Neppure tu?” si arrischiò a dire Rena, arrossendo subito dopo.

Beau allora scoppiò a ridere e scosse il capo con aria a dir poco esasperata.

“Oh, no, piccola! Quella non la ferma neppure Godzilla! Meno che meno io!”

“Ma tu e lei non...” tentennò Rena, non sapendo quanto dire, o dove spingersi.

“Le piacerebbe!” sentenziò con aspra ironia Beau, prima di fissare nuovamente Nick con aperta curiosità.

I suoi occhi di giada navigarono sul fisico slanciato dell'amico di Serena, sui suoi abiti firmati pur se semplici, sul suo orologio da diecimila dollari e, alla fine, sogghignò.

“Certo che te lo sei scelto di razza, il fidanzato.”

La ragazza avvampò in viso a quel commento davvero poco elegante, ma Nick non fece una piega e, sorridendo gradevolmente, replicò con calma alla sua affermazione. “Sono solo un amico di Rena, ma un amico che potrebbe spaccarti la faccia con un pugno, se solo pensasse che vuoi darle fastidio.”

“Oh-oh!” ridacchiò Beau, levando le mani in segno di resa. “Ehi, amico, calma! Non voglio farle nulla! Anche se... beh, di sicuro la tua amica è carina quanto basta per...”

Nickolas non lo lasciò finire e, presolo per il collo, lo sbatté contro la recinzione sotto gli occhi sgomenti di Rena, che si tappò la bocca per non urlare.

Beau accusò il colpo ma, soprattutto, si stupì della reazione repentina quanto furiosa dell'amico di Serena, che lui aveva reputato solo un innocuo ragazzino viziato.

Evidentemente, era qualcosa di molto diverso.

Nick lo fissò con gli scuri occhi blu mare che sprizzavano scintille e, rabbioso, gli ringhiò in faccia: “Non permetterti mai più di dire mezza parola su Rena o, quant'è vero Iddio, ti riduco in poltiglia.”

“Nick, ti prego, fermati... va tutto bene” mormorò per contro lei, cercando di strattonarlo ad un braccio, ma senza alcun successo.

Era evidente dalla stretta che gli stava martoriando il collo quanto, quel Nick, fosse più forte di quanto non si fosse immaginato.

Tornando serio, Beau allora mormorò: “Ho capito. Puoi mollarmi.”

Nickolas si scostò di colpo, lasciandolo andare pur senza permettere a Rena di avvicinarsi al compagno di classe.

“Rena non merita la tua ironia di bassa lega.”

“E' evidente” assentì Beau, massaggiandosi il collo tumefatto. “Volevo solo prenderti un po' in giro, ma ho fatto una cazzata. Scusa.”

“Quando si tratta di una mia cara amica, non so stare agli scherzi” precisò Nick, infilando le mani in tasca per non essere invogliato a gonfiarlo di botte.

Dentro di sé, ne aveva ancora una gran voglia.

Rena mosse un passo per raggiungere Beau e sincerarsi sulle sue condizioni, ma Nick la guardò malissimo e lei, pur controvoglia, non si mosse.

Il compagno di scuola, però, se ne rese conto e, sorridendo a mezzo, le disse: “Tranquilla, ha fatto una gran scena, ma non ha stretto molto... anche se poteva. Ho capito l'antifona, amico. Niente più battute sceme su Serena, quando ci sei tu.”

Anche se non ci sono io” precisò Nick, cercando con tutto se stesso di non sogghignare.

Non gli andava di mostrare a quel tipo quanto, i suoi modi di fare così schietti e irriverenti, gli piacessero.

Era un’autentica novità, per lui, avere a che fare con una persona simile, e non gli dispiaceva affatto.

“Ehi, amico... posso giurare per me, ma non per tutta la scuola!” gli ritorse contro Beau, aprendosi in un ghigno ancora maggiore.

Nickolas non ce la fece più.

Ridacchiò e, annuendo, allungò una mano verso Beau in segno di pace.

“Mi sta bene. Tu, però, vedi di non darle fastidio.”

“Se mi fa copiare ancora durante il compito di chimica, ben venga!”

Nel dirlo, strizzò l'occhio a Rena, che avvampò in viso, confusa.

“Ma... in che senso? Io non...” tentennò lei, prima di rammentare che, quella mattina in particolare, Beau si era seduto al suo fianco.

Yvette, quel giorno, non si era presentata a scuola per motivi a lei sconosciuti.

“Oh... quella volta...”

“Già” ammiccò lui, stringendo la mano di Nick con forza. “Mi hai salvato il culo, con quel test a sorpresa. Magari non te lo dovevo dire che avevo copiato, ma non so stare zitto.”

“Non fa niente” mormorò lei, accennando un sorriso.

Nick squadrò l’amica con attenzione, ma la mossa di Beau lo distolse dal suo studio approfondito.

Con una manovra degna di un equilibrista, balzò sulla bicicletta con un movimento fluido e, sorridendo a entrambi, esclamò: “Sarà meglio che vada, prima che qualcuno mi veda qui a parlare con voi. Non voglio mica passare dei casini, lunedì! Ciao, bello! Ciao, Renny!”

Con un colpo di pedale si allontanò agilmente e Rena, sbattendo le palpebre confusa, esalò: “Renny?”

“Chi diavolo è quel tipo?” borbottò Nick, fissandola vagamente dubbioso.

“Si... si chiama Beaurigard Shaw, ed è in classe con me in quasi tutti i corsi” mormorò lei, gli occhi fissi sul punto in cui era svanito il ragazzo.

“Rena...” la richiamò Nick, sogghignando leggermente. “... non è che ti piace quel tipo? Stai facendo una faccia...”

“Cosa?! Eh? No! NO!” esclamò lei, scuotendo febbrilmente le mani mentre il viso le si imporporava completamente.

Non del tutto convinto, Nickolas poggiò le mani sui fianchi e la squadrò con maggiore attenzione, notando il suo profondo imbarazzo ed i suoi occhi lucenti.

Accentuando il sogghigno, lui replicò: “A me pare il contrario. Certo, è carino... ma sei sicura che...”

Rena lo azzittì immediatamente, tappandogli la bocca con le mani. “Non dire scemenze, Nickolas Van Berger. A me non piace Beau. E' chiaro?”

“Chiarissimo, … Renny.”

Lei sgranò gli occhi, si fece cerea in viso prima di avvampare e, con uno strillo disumano, diede uno schiaffo su un braccio all'amico urlandogli di piantarla di prenderla in giro.

Nick non le diede minimamente ascolto e, finché non raggiunsero casa, lui continuò a chiamarla con quello strano nomignolo.

Renny.

§§§

Magari era stato stupido seguirla dopo averla vista uscire da scuola, per l'ennesima volta, con quel tipo biondastro con cui si accompagnava di solito, ma si era stufato di guardarli e basta.

Voleva sapere.

Non che le cose potessero cambiare, una volta conosciuta la verità, ma almeno si era messo il cuore in pace.

Quel tizio non era il suo ragazzo e, dalla reazione di entrambi, quella che gli avevano propinato era la pura verità.

Certo, gli era costato un bel livido intorno al collo, ma tanto non era una novità, per lui.

Se non altro, però, aveva scoperto che l'amichetto di Serena era in grado di difendersi e, eventualmente, di difenderla.

Perché lui non poteva fare nulla di tutto ciò, a scuola.

Se solo fosse intervenuto in sua difesa, non solo l'avrebbero massacrata, ma non sarebbe riuscita a sopravvivere un solo giorno di più, lì dentro.

Era già sufficiente che fosse additata come la riccona nerd del Santa Monica High. Non aveva bisogno che Yvette si infuriasse con lei, perché lui si era preso una cotta per quella elegante ragazzina del ceto ricco di Los Angeles.

Era troppo distante dalla sua vita, troppo perfetta ed elegante per andare bene per uno come lui, però, finché manteneva segreto questo suo interesse, lei poteva ritenersi in salvo.

Se solo si fosse scoperto, Serena avrebbe passato dei guai enormi, perché nessuno scalzava Yvette dalla vetta della più desiderata della scuola, e se lui si fosse fatto vedere in giro con Rena, sarebbero stati guai.

Stava nel gruppo di Yvette solo per tenerla buona, perché non diventasse ancor più acida di quanto già non fosse, ma era una convivenza che ormai gli andava stretta.

Più bello e più bella della scuola.

Sì, alla Middle School li avevano definiti così, ma non ci teneva a ricordarselo, non più di quanto ci tenesse ad avere Yvette sempre incollata addosso.

Invece lei lo aveva preso sul serio, quel maledetto titolo e, una volta passati alla High School, Yvette aveva continuato a tampinarlo senza tregua, ingiuriando tutte coloro che avevano osato avvicinarlo.

Non provava neppure a immaginare cosa avrebbe fatto se fosse stato lui ad avvicinare un'altra ragazza, figurarsi l'Intoccabile Ingleton.

L'avrebbe ammazzata.

Sbattendo la sacca dei libri sulla scrivania, Beau si buttò sul letto a mani conserte dietro la nuca e, chiusi gli occhi, ripensò a lei, a quelle gote chiare e arrossate dall'imbarazzo, a quegli occhi limpidi e brillanti, alle sue labbra a cuore.

Poco importava se il sorriso era sbiadito dall'apparecchio ai denti.

Era bella ugualmente.

Ma, quel che più l'aveva colpito fin dall’inizio, era stata la sua gentilezza.

Per quanto la bistrattassero, lei non aveva mai reagito a nessuno scorno.

Forse l'educazione veniva prima di tutto, nella sua famiglia, ma era indubbio quanto Serena Ingleton fosse una gran signora, e non solo di nome.

Conosceva poche persone che potessero sopportare un tale ostracismo, eppure lei ci riusciva senza problemi, almeno in apparenza.

Era probabile che, con il suo bell'amico di buona famiglia, si sfogasse ampiamente, ma a scuola non mostrava alcun segno di cedimento, nessuna flessione nel suo stile impeccabile.

Forse, se si fosse mostrata inviperita, o avesse fatto domanda in presidenza per un richiamo generale, le cose sarebbero cambiate, o forse sarebbe peggiorato tutto.

Beau non poteva saperlo, visto che era Yvette la mente diabolica dietro quel muro di gomma contro cui Serena sbatteva quotidianamente.

Rigirandosi su un fianco, chiuse gli occhi, si passò una mano sul viso e infine sospirò, prendendo dalla tasca posteriore dei pantaloni l'oggetto più importante che aveva recuperato dal banco di Serena, e che non aveva avuto il coraggio di ridarle.

Inspirando il profumo di rose del fazzoletto della ragazza, Beau sorrise nella penombra della sua stanza ma, quando sentì sbattere la porta di casa, lo mise via.

Non voleva che suo padre lo trovasse con un fazzoletto da donna in mano.

Avrebbe dovuto spiegare fin troppe cose e, soprattutto, non gli avrebbe creduto affatto se anche gli avesse raccontato la verità.

Facendosi coraggio, Beau balzò in piedi per andare a sorbirsi le lagnanze del padre sulle mancanze del suo datore di lavoro.

Aprì la porta della stanza con tutta la sua buona volontà ben raccolta tra le mani, ma colui che gli si presentò dinanzi non fu suo padre.

L'ultima cosa che vide, prima di svenire per il dolore, fu la sagoma di una mazza da baseball.






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N.d.A.: Se vi chiedeste come mai parlo di V.B. 2000, e non 3000, è semplicemente perchè il nome della ditta cambierà soltanto con il nuovo millennio, cioè nel 2000. Tutto qui, non è un errore di battitura.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


951

5.

 

 

 

 

 

Era passata una settimana da quello strano incontro sulla Ocean Front, ma di Beau non si era vista più traccia, a scuola.

Sulle prime, Rena aveva pensato che avesse bigiato per evitare il test di Storia ma, non vedendolo neppure i giorni seguenti, aveva iniziato a preoccuparsi.

Naturalmente, non aveva potuto chiedere a nessuno sulle sue condizioni di salute e, soprattutto, non aveva potuto presentarsi da Yvette per sapere qualcosa da lei.

Era certa che si sarebbe posta troppe domande, e Rena non voleva inimicarsi quella pazza dall'Ego spropositato.

Quel che però avvertì di straforo nei bagni delle ragazze, dopo sette giorni di silenzio, la mandò nel panico.

“Mio padre ne è sicuro. C'è andato lui, a casa di Beau, quando i vicini hanno chiamato per il gran baccano che c'era!” asserì con convinzione una ragazza.

“Ma dai! Figurati se la Mala 18 si è presentata a casa loro per...” cominciò col dire un'altra, subito azzittita dalla prima.

“Non nominare nemmeno il nome di quella banda, per l'amor di Dio! Non si sa mai dove potrebbero essere i parenti di quei tizi!” esalò la gola profonda, con tono terrorizzato. “Comunque è tutto vero. Beau è stato pestato a sangue pare per un debito di suo padre e, quando la polizia è arrivata, era in fin di vita. Lo hanno portato all'Irvine Medical Center ma non ho idea di come stia, né se potranno curarlo. Lo sai che l'assicurazione sanitaria ce l'ha solo sua madre. E chissà per quanto sono coperti!”

“Quello scansafatiche di suo padre… dovrebbero metterlo in galera e buttare via la chiave. Ha solo fatto dei danni, in questi ultimi anni!” assentì la seconda ragazza, davvero offesa.

“Beh, fatto sta che adesso dovrà darsi alla macchia, se non vuole finire nelle mani di quei tipi” brontolò la prima, sciacquandosi le mani prima uscire dal bagno, seguita a ruota dall'amica.

Rena, rimasta in silenzio per tutto il tempo, esalò un sospiro tremulo e scese dalla tazza del water, su cui si era appollaiata per non essere visibile da sotto la porta del bagno.

Era in ospedale. In fin di vita.

Questo spiegava un sacco di cose, anche troppe per i suoi gusti, e nessuna le piaceva.

Assicurandosi che in bagno non ci fosse più nessuno, Serena uscì in tutta fretta e, senza attendere oltre, raggiunse uno dei telefoni pubblici che si trovavano vicino all’ufficio della Direzione.

Senza attendere neppure un attimo, digitò il numero di casa, sperando di non trovare i suoi genitori all’altro capo del telefono.

Attese con impazienza che rispondesse qualcuno e, quando avvertì la voce tranquilla e pacata della domestica, Rena esalò: “Oh, meno male! Martha, ti prego, trova Jay e pregalo di venirmi a prendere, questo pomeriggio.”

“Ma certo, signorina. E’ successo qualcosa? Devo avvertire i suoi genitori?” si preoccupò immediatamente la donna, al loro servizio da quando Serena era nata.

“No, grazie. Risolverò tutto da sola” sentenziò lapidaria lei, preferendo non coinvolgerli.

Non era del tutto sicura che avrebbero approvato l’idea che, con sempre maggiore veemenza, si stava facendo spazio nella sua testolina.

“Stia attenta, mi raccomando, Serena” si premurò di dire Martha.

“Lo farò, Martha, non aver paura. E grazie” mormorò lei, sorridendo teneramente.

Martha era stata un po’ come una seconda madre, per lei, e sapeva che la governante le voleva veramente bene. Più che ovvio che fosse in ansia per lei, soprattutto dopo una telefonata nebulosa come aveva appena fatto.

Ad ogni buon conto, non l’avrebbe tradita e, soprattutto, si sarebbe prodigata per aiutarla.

Dopo aver messo giù la cornetta, sospirò profondamente per riprendere il controllo, e tornò in aula prima del suono della campanella.

Dentro di sé, però, iniziò a pregare.

§§§

“E’ sicura di voler entrare da sola, signorina?” si informò Jay, parcheggiando l’auto in uno dei posti liberi dietro l’ospedale che, con voce rotta dall’ansia, Serena gli aveva mormorato alla sua uscita da scuola.

“Sì, non temere. Ti verrò a chiamare, se avrò bisogno d’aiuto” lo tranquillizzò lei, uscendo dall’automobile dopo aver preso un gran respiro.

Non appena i piedi toccarono terra, Rena si sentì tremare tutta.

Era davvero la prima volta in assoluto che faceva qualcosa alle spalle dei genitori e, soprattutto, che si impicciava di un affare in cui lei non c’entrava affatto.

Ma Beau era stato gentile.

Le aveva riportato quel temperamatite senza alcun valore, e solo perché era suo.

Doveva aiutarlo, anche solo per dimostrargli che aveva apprezzato il suo gesto altruistico.

“Coraggio, muovi il culo” mormorò tra sé Rena, sorridendo a mezzo per quella chiara infrazione alle regole.

Se qualcuna delle sue amiche l’avesse sentita parlare a quel modo, sarebbe inorridita. Tra le ragazze di buona famiglia, non si parlava a quel modo!

“Che si fottano” aggiunse sempre per se stessa, muovendosi più veloce in direzione della porta d’entrata dell’ospedale.

Alcune persone, chi più lentamente, chi più in fretta, la precedevano.

Le veniva bene, dopotutto, fare la ragazzaccia e, forse, era la sua vera natura. Chissà?

Quando però le porte a vetri si aprirono dinanzi a lei, la sua baldanza venne meno, come cancellata da un colpo di spugna e, cupa, avvertì un’onda di terrore attraversarla tutta.

Che ci faceva, lì, da sola e senza i genitori?

E poi, in quanto minorenne, avrebbe potuto comunque fare qualcosa?

Glielo avrebbero permesso, o si sarebbero messi in contatto con i suoi, impedendole di fatto di mettere in atto il suo piano?

Non ne aveva la più pallida idea, ma sperava di incontrare un dottore che la capisse o, quanto meno, che fosse disposto a chiudere un occhio per lei.

Non sapeva come funzionassero quelle cose, si erano sempre occupati di tutto i domestici e i genitori e…

Mordendosi il labbro inferiore per darsi una scrollata, Rena si avviò verso il banco informazioni, ben decisa a portare avanti il suo piano.

Per quanto cominciasse a temere che avesse fin troppe lacune.

Schiarendosi la voce, si sporse sul bancone per meglio scrutare l’inserviente.

“Mi scusi… sto cercando un ragazzo di nome Beaurigard Shaw. Sa dirmi dove si trova? Mi hanno detto che è stato portato qui dopo un pestaggio e…”

“E’ una parente?” le chiese la donna, senza neppure guardarla veramente.

La sua attenzione era tutta presa da un giornaletto scandalistico.

“Sì. Sono la cugina” assentì subito Rena, preferendo non dover dare troppe spiegazioni.

L’inserviente la sbirciò un attimo prima di digitare il nome sul computer che aveva sulla scrivania e, in pochi secondi, le seppe dire a che piano, e in che reparto, si trovasse Beau.

Ringraziatala profusamente, Rena non perse tempo ulteriore e si fiondò agli ascensori per prendere il primo in partenza.

Meglio evitare che alla receptionist sorgessero degli scrupoli di coscienza, tali da spingerla a chiederle un documento.

Mentre camminava a spron battuto, il cuore le martellava così forte nel petto che, ne era certa, se vi fosse stato qualcuno accanto a lei, se ne sarebbe sicuramente accorto.

Era agitatissima, nervosa come un orso appena destato e, più di tutto, era elettrizzata all’idea di fare qualcosa alle spalle dei genitori.

Che le venissero a dire qualcosa, a quel punto! Se l’erano cercata!

Tamburellando a terra un piedino, abbracciato da comode Nike nere, Rena schizzò fuori dall’ascensore non appena questo si aprì.

Oltrepassata che ebbe l’entrata del reparto, cominciò a controllare i numeri delle camere per trovare quella giusta, le mani che, nervose, si stringevano sincopate l’una all’altra.

Evitò di un soffio il carrello di un’infermiera e, sotto il suo sguardo accigliato, arrossì ma proseguì nella sua ricerca.

Doveva trovarlo.

Non appena i suoi occhi registrarono il numero indicatole dall’inserviente, però, si bloccò e, sgomenta, fissò la porta aperta ed il ragazzo steso sul letto.

Il viso era tumefatto, ricoperto in parte dalle fasciature e, sopra le lenzuola, un braccio appariva pesantemente ingessato.

Una flebo gocciolava lenta ed ipnotica, facendo penetrare nel suo corpo stanco una dose generosa di antidolorifico e Rena, nell’entrare in punta di piedi, si sentì venire meno.

Non aveva mai visto nessuno conciato così male.

Il massimo a cui aveva assistito, negli anni, erano state le sue rade cadute da cavallo, o le sbucciature alle ginocchia sue, di Bran o di Nick.

Niente l’aveva preparata a quella visione disturbante.

Solo nei telefilm aveva visto una tale violenza, ma lì non si trovavano sul set di una troupe cinematografica.

Lì, era tutto vero. Tremendamente vero.

Non aveva davvero idea se potesse stare lì, se le visite fossero previste per quell'ora – non aveva controllato – o se, semplicemente, lui volesse ricevere visite.

Ma non voleva uscire da quella stanza.

Beau era stato l'unico ragazzo, l'unica persona, ad averla trattata con un minimo di cortesia e, se poteva aiutarlo, l'avrebbe fatto. Glielo doveva.

Si avvicinò perciò al letto e fu sorpresa di trovarlo sveglio, l'unico occhio libero dai bendaggi che scrutava insonnolito quello che lo circondava.

Quell'iride color giada si sgranò nell'inquadrarla e una voce impastata, fiacca, fuoriuscì dalle sue labbra tumefatte e in via di guarigione.

“Ehi... Renny...” biascicò, cercando di esibirsi in un sorriso sornione.

Non vi riuscì.

Rena allora sorrise per lui e mormorò: “Ehi, Shaw. Ti hanno conciato per le feste, a quanto pare.”

“Qualche... mazzata” assentì il giovane, faticando a parlare.

“Direi che ti hanno usato da pallina da baseball per parecchio tempo.”

Si morse il labbro inferiore, impedendosi di piangere.

Vederlo in quello stato le faceva venire voglia di mandare al diavolo tutto, e mettersi a piagnucolare come una bambina. Chissà quanto male stava sopportando!

“Non lo so. Non ricordo” ammise Beau, sospirando. “Perché... sei qui?”

“Non ti ho visto a scuola, e per puro caso ho saputo che eri finito in ospedale a causa di un pestaggio, così...”

Scrollando le spalle, si interruppe e sospirò.

Non voleva dirgli di aver saputo anche i motivi di quel pestaggio, ma Beau parve capire ugualmente, perché lo vide aggrottare la fronte e chiudere l'occhio, come imbarazzato.

“Sai, pensavo... ti... ti serve qualcosa? Puoi mangiare dei dolci? O preferisci una pizza?” iniziò a borbottare Rena, rigirandosi le mani con nervosismo sempre crescente.

“Perché sei qui?” ripeté lui, tornando ad aprire l'occhio per puntarlo gelido su di lei.

Deglutendo a fatica, la ragazza reclinò colpevole il capo e ammise: “Non giudicarmi un'impicciona, per favore. Ho sentito che potevi avere dei problemi con l'assistenza sanitaria, perché lavora solo tua madre e, beh, insomma... io posso coprire le spese che non vengono coperte dall'assicurazione. Non sarebbe un problema, ma non voglio che pensi che io ti stia facendo la carità, o che...”

“Renny...” la richiamò lui, interrompendo il suo fiume di spiegazioni balbettate.

“Sì?!” esclamò Rena, mettendosi sull'attenti, rigida come un palo del telegrafo.

Beau si esibì in un mezzo sorriso divertito, a quella vista.

“Perché... vorresti farlo?”

“Sei stato gentile con me” ammise lei, sospirando. “So che è un modo schifoso e... beh, spocchioso di dimostrarlo, ma voglio chiarire con te che non lo faccio per vantarmi di quello che ho e...”

Il ragazzo levò il braccio libero dalla flebo e le chiuse la bocca con la mano, mormorando: “Parli sempre così tanto? Non l'avevo notato.”

Lei ridacchiò imbarazzata e, storcendo il naso, borbottò: “A scuola non parlo con nessuno.”

“Già. Vero” ammise Beau, annuendo leggermente.

Subito, una fitta di dolore lo trafisse ovunque e, immobilizzandosi di colpo, sbottò: “Cristo! Penso di non avere un solo muscolo sano.”

Rena annuì, passandosi velocemente una mano sotto gli occhi per nascondere la vista delle lacrime che le erano sfuggite, incaute perle scappate dalla gabbia delle sue palpebre.

“Immagino che tu non abbia mai... visto nessuno... conciato come me” le fece notare lui, indulgente.

La ragazza scosse il capo con veemenza e un'altra lacrima le sfuggì, smascherandola definitivamente.

“Ah, Renny... mi spiace tanto! Non saresti dovuta venire! Il mio mondo non fa per te.”

Il tono di Beau fu eloquente: gli spiaceva per lei.

Di tutte le cose che più aveva temuto, quella era sempre stata la principale.

Mostrare la realtà della sua vita a una fanciulla delicata ed elegante come Serena.

Fin da quando si era scoperto a osservarla con maggiore interesse rispetto alle altre ragazze, Beau si era detto che quel sentimento avrebbe dovuto rimanere segreto.

Non solo per difendere lei dalla scuola, ma anche dal suo mondo, dalla sua vita vissuta in un ambiente che non era adatto alle sue mani delicate, ai suoi occhi gentili.

Vedere gente farsi di crack, o ubriacarsi fino a stordire i propri sensi, non era cosa adatta a Serena, e lui viveva nei pressi di un luogo simile.

Non faceva specie che il suo sogno più grande fosse fare armi e bagagli e sparire da lì ma, per farlo, il titolo di studio era vitale e, prima ancora, avere un'ideale da raggiungere, una meta a cui aggrapparsi.

Perché senza quella rassicurazione, non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte. Senza uno scopo su cui impegnarsi anima e corpo, avrebbe finito con il diventare come il perdigiorno che era suo padre.

E questo non lo voleva.

Ma ora Serena era lì con lui, e vedeva.

Scorgeva con i suoi occhi innocenti la crudeltà della vita al di fuori della gabbia patinata in cui viveva, tastava con mano la ferocia del mondo in cui l'avevano gettata apparentemente senza motivo.

“Non è il tuo mondo, ad averti pestato in faccia una mazza da baseball” replicò piccata Rena, accigliandosi. “Sono dei teppisti senza Dio e senza onore, è ben diverso.”

“Ma io vivo in un ambiente in cui, cose del genere, succedono spesso” le rammentò lui, sospirando tristemente.

Lei sgranò leggermente gli occhi, forse sconvolta da quella notizia e, ancora una volta, Beau si impose di mandarla via, di allontanarla da quel dolore del tutto fuori luogo, nella sua vita limpida e pulita.

“Senti, Renny...”

“Ma perché continui a chiamarmi con quello stupido nome?!” sbottò a quel punto la ragazza, piantando i pugni sui fianchi snelli.

“Non ti chiamerò mai Rena, come fa il tuo amico belloccio.”

Le sorrise divertito, ammirandola in quella posa dittatoriale.

Quel giorno, aveva i capelli color cioccolato stretti in due trecce eleganti, che le scendevano sulle spalle. Adorabile.

E fuori dalla sua portata, di sicuro.

Aggrottando la fronte, lei lo fissò storta, indecisa su cosa dire.

“Se stai cercando di farmi arrabbiare, ci stai riuscendo. Non ti permetto di insultare Nickolas che, tra l'altro, è il mio migliore amico.”

“Oh, ma che bel nome! Bella faccia e bel nome. E come mai non è anche il tuo fidanzatino?” la irrise lui, compiacendosi nel vedere le sue guance nuovamente rosee. Si era preoccupato, vedendola impallidire ad ogni minuto che passava dentro la sua stanza d'ospedale. Ora, stava meglio.

Assottigliando le iridi smeraldine, Rena sibilò: “Nickolas Van Berger non sarà mai il mio fidanzato, perché io e lui siamo come fratello e sorella. Lui mi vuole bene, ed io ne voglio a lui. Perché cavolo dobbiamo per forza essere innamorati?! Solo perché siamo due figli di papà!? O perché stiamo sempre assieme?! E' un'idiozia!”

“Sui figli di papà, concordo... li siete” ammiccò lui, vedendola sbuffare irritata al suo indirizzo. “Quanto all'idiozia, pure. Si vede che non vi amate. Anche un cieco lo noterebbe.”

“Oh. Davvero?” esalò allora Rena, vagamente sorpresa.                       

“Se lui fosse innamorato di te, l'altro giorno mi avrebbe dato un pugno sul naso, non si sarebbe limitato a minacciarmi. E poi ti avrebbe stretta possessivamente a sé, quando io mi sono permesso di avvicinarti come ho fatto” le spiegò lui, sapendo bene che quello che aveva appena descritto corrispondeva a quello che avrebbe fatto lui, se fosse stato al posto di Nickolas.

Storcendo la bocca, Rena replicò dubbiosa: “Non credo che Nick prenderebbe  a pugni qualcuno, anche se fosse innamorato.”

“Allora non hai capito affatto com'è” sentenziò sagace Beau, sorprendendola.

“E tu avresti capito Nick in pochi minuti, e meglio di me che lo conosco da quando era in fasce?” Rena sbottò incredula, scoppiando in una gaia risata.

“Ci sono cose che si capiscono solo tra uomini” motteggiò lui, ammiccando.

“Parli arabo, per me” lo liquidò la ragazza, scrollando una mano con negligenza.

“Comunque... è meglio che tu vada. Tra poco tornerà mia madre, e non è esattamente dell'umore adatto per essere presentata come si deve a...”

Interrompendolo con uno sguardo ferito, Rena mormorò: “Non vuoi che la veda perché pensi possa giudicarla male se non sarà perfettamente vestita, o con i capelli in disordine? Mi credi così superficiale?”

“Serena...” esalò lui, spiacente.

“Potrò andare al Country Club, o a equitazione... o fare danza... o girare con un'auto da ottantamila dollari...” singhiozzò Rena, non sapendo neppure perché si stava giustificando. “... ma non sono stupida! O qualunquista! Capisco che non tutti hanno la mia stessa fortuna, o i soldi di mio padre e...”

Interrompendosi quando la mano di Beau strinse una delle sue, la ragazza si morse il labbro inferiore per non rimettersi a piangere.

“Scusa. L'ho rifatto. Ti ho giudicata senza pensare. Se vuoi, puoi restare e dirle quello che vorresti fare” le propose allora lui, cercando di infonderle sicurezza.

La ragazza annuì, sentendosi tremendamente a disagio.

Avrebbe voluto avere sua madre, lì con lei.

Grace Ingleton Brown sapeva parlare con tutti, e nel modo migliore.

Lei, al momento, stava facendo solo una gran confusione.

“Eccola...ciao, mamma” mormorò Beau, stringendo maggiormente la mano di Rena.

La sentì tremare e, dentro di sé, urlò.

Non desiderava vederla così nervosa, così impaurita dal mondo che la circondava ma, in quel momento, poteva sostenerla solo a quel modo.

Con la sua stretta di mano.

“Oh... non sapevo avessi visite” esalò la donna, bloccandosi sulla porta per un istante prima di sorridere timidamente a Rena, che ricambiò.

“Mamma, lei è Serena Ingleton. Serena, lei è mia madre, Bethany” disse Beau, lanciando occhiate confortanti ad entrambe.

Il nome della ragazza, ovviamente, non passò inosservato e Bethany, sgranando leggermente gli occhi, si avvicinò a mano tesa verso quella di Serena.

“Sei la figlia di...”

“Già. Quella” ammise la ragazza, stringendo con forza la mano della madre di Beau. Si somigliavano. Avevano gli stessi occhi chiari, e la stessa chioma di capelli castani.

“Abbiamo un sacco di corsi insieme” le spiegò il figlio, sorridendole a mezzo.

“Oh. Non immaginavo che... beh, insomma, la SMH è una scuola pubblica, anche se molto buona e...” balbettò Bethany prima di ridacchiare. “Sto facendo solo confusione. E' un piacere conoscerti, Serena.”

“Grazie.”

Più tranquilla, Serena si concesse anche un sorriso pacato.

“Ho saputo che Beau era all'ospedale, così ho pensato di venire a fargli visita.”

“E...” aggiunse il ragazzo, dandole un'altra stretta alla mano.

Arrossendo un poco, Rena aggiunse timorosa: “E volevo sapere se potevo essere d'aiuto. Insomma, non voglio che lei pensi che io desideri fare della beneficenza solo per farmi bella, o... beh...”

La donna, vagamente confusa, fissò il figlio senza capire bene la situazione.  Ammiccando a Rena, lui infine disse: “Serena vuole dire che, se abbiamo bisogno di un finanziamento a fondo perduto per le mie spese mediche, è disposta a sobbarcarsele lei.”

“Come? E perché?” esalò Bethany, sgomenta.

“Suo figlio è stato gentile con me, a scuola. E' stato l'unico. Ed io volevo sdebitarmi. Non la veda come carità, la prego, perché non la è! Ma adesso lui ha bisogno di cure, ed io posso fornirgliele e...”

Interrompendo Rena con un sorriso, Bethany annuì grata.

“Non penso sia carità, Serena. Si vede che questo gesto ti è venuto dal cuore. Ma non devi preoccuparti per Beau. L'assicurazione copre le aggressioni in casa, per cui non avremo alcun problema a pagare l'ospedale, … comunque grazie.”

Il sollievo di Rena fu così palese che Beau si ritrovò a sorriderle divertito.

“Allora... allora, cos’altro posso fare?” mormorò la ragazza, guardando alternativamente i due senza sapere come comportarsi.

“Sei venuta a trovarmi. Per un temperamatite, penso possa bastare, no?” le strizzò l'occhio sano Beau, sempre più divertito dalla sua insicurezza.

Era stata pronta a mettere in campo per lui migliaia di dollari solo perché le aveva riportato quello stupido temperino, ed ora che scopriva che non ce n'era più bisogno, non sapeva che fare.

Veniva da un mondo ben strano, se non conosceva il semplice piacere di una visita di cortesia.

Bethany venne incontro alla ragazza e, offrendole di sedersi, le chiese: “Sei venuta da sola? O devi avvisare i tuoi genitori di venirti a prendere?”

Sgranando gli occhi per lo sgomento, ricordandosi solo in quell'istante di Jay, Rena esalò: “Oh, cielo! Ho dimenticato l'autista!”

Beau scoppiò in una risata di puro piacere, che però ebbe brevissima durata, subito stroncata dalla marea di dolori che, subitanei, si riverberarono nel suo corpo malridotto.

“Scusa!” gracchiò la ragazza, tappandosi la bocca per non dire altro.

Asciugandosi una lacrima di ilarità, il ragazzo replicò: “Non... importa... vai dal tuo autista e avvertilo che non sei stata rapita... è meglio.”

“Vado e torno!”

Esibendosi in un elegante cenno del capo sia a lui che alla donna, corse fuori a spron battuto, lasciando dietro di sé solo il sentore di un fresco profumo di fresia.

Bethany sorrise al figlio e dichiarò: “E' davvero una ragazza beneducata. E molto generosa.”

“Già” annuì Beau, sospirando.

Inquisitoria, la madre fissò il figlio e aggiunse: “Un temperamatite?”

“Lo aveva dimenticato a scuola e, visto che le rubano di tutto...” cercò di spiegarle lui, azzittendosi prima di dire troppo.

Bethany allora gli si avvicinò e, dopo avergli dato un bacio sulla fronte, mormorò: “Sei proprio un bravo ragazzo, Beau. Sono fiera di te.”

“Perché le ho riportato un temperino?” ironizzò il figlio, sentendosi un po' a disagio sotto quello sguardo così orgoglioso.

Lei storse la bocca, come volendolo rimproverare per quel suo inutile sminuirsi ed il ragazzo, per diretta conseguenza, sospirò e distolse lo sguardo.

“Non vederci più di quel che è. Lei e di razza sopraffina... io no.”

“Beau! Come puoi dire questo?!” esalò la donna, sgomentandosi.

“Perché è vero. Lei discende dalla nobiltà inglese, ha un mucchio di soldi ed è un'autentica gentildonna. Io, invece, chi sono?” protestò debolmente Beau, sbuffando.

“Sei un bravo ragazzo, con un gran cuore e ben poca autostima” replicò la donna, carezzandogli il viso. “Non allontanarla da te solo perché pensi di non essere giusto per lei. Se vuole esserti amica, permettiglielo. Non c'è nulla di male, no?”

Se la volessi solo come amica, forse  no, pensò tra sé Beau, preferendo non mettere a parole quei pensieri.

Non voleva angustiare la madre con un desiderio che non poteva concretizzarsi. Aveva già abbastanza problemi così, senza che lui non gliene offrisse altri.

“Papà, dov'è?”

“Quando l'ho lasciato, stava piangendo” sospirò Bethany, sedendosi sul bordo del letto. “Continuava a dire che quei colpi avrebbero dovuto darli a lui, non a te. Che si sente un fallito per averti messo in pericolo con il suo vizio del gioco...insomma, era a pezzi.”

Beau chiuse l'occhio buono e mormorò: “Digli di piantarla. Ci sono ancora, sono più o meno intero e ho la testa dura. Deve farsi aiutare, non piangere.”

“Lo farà. A costo di trascinarlo io stessa da uno psicologo” gli promise la madre, carezzandogli una guancia.

“Allora sono sicuro che ci andrà. Sei Wonder Woman” sorrise Beau. “Una cosa, mamma...”

“Dimmi.”

“Ti voglio bene” disse alla fine il ragazzo, preferendo sorvolare su cosa voleva dire in realtà.

Non voleva chiederle di Rena, di come la trovasse.

Avrebbe voluto dire ammettere un sacco di cose, e lui desiderava tenere il suo interesse per Serena tutto per sé.

“Anch'io te ne voglio” mormorò lei, sorridendogli.

Qualche attimo dopo Rena fu di ritorno, trafelata ma sorridente e, allungando un bicchiere di caffè a Bethany, disse: “Ho pensato potesse gradirlo. E' scuro e con un po' di zucchero.”

Poi, ghignante, estrasse da una tasca una barretta di cioccolato e cereali, aggiungendo: “E per te, un po' di corroborante. Il cioccolato contiene dei flavonoidi che contribuiscono alla produzione della serotonina, che fa bene all'umore. E poi è buono. Ho chiesto al dottore, e ha detto che puoi mangiarlo.”

“Non potevi resistere senza fare niente, vero?” la stuzzicò lui, osservandola mentre scartava la barretta di cioccolato per poi allungargliela.

“No” scosse il capo Rena, sorridendo soddisfatta.

Addentando la barretta, Beau la trovò squisita.

Ma, ancor più squisito, fu il sorriso che lei gli regalò.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


589

6.

 

 

 

 

 

“Buon Halloween” mormorò una voce alle sue spalle, allungandole una piccola scatola arancione a forma zucca.

Rena sorrise automaticamente, riconoscendo quella mano grande e forte che, da sopra la sua testa, le stava passando quell’oggetto dalla forma bizzarra.

Volgendosi di colpo, i lunghi capelli le sfarfallarono disordinati sulle sue spalle.

Sorrise divertita e lieta nel veder comparire dinanzi a sé Beau, al suo primo giorno di scuola dopo il pestaggio.

Era passato più di un mese da quel brutto incidente e, a memoria imperitura di quell’aggressione, il ragazzo aveva tenuto per sé due piccole cicatrici sul sopracciglio destro.

Le iniziali voci sugli autori del suo pestaggio si erano ridimensionate nel giro di pochi giorni e, in eguale tempo, un ricettatore di scarsa importanza, quanto di scarso intelletto, era stato catturato dalla polizia.

La telecamera di sorveglianza di una banca nelle vicinanze era stata determinante, per scovare il colpevole.

I lividi con cui Rena l’aveva visto all’ospedale erano spariti e, grazie al cielo, l’occhio destro non era rimasto danneggiato dai colpi inferti dal delinquente che era entrato in casa.

In quel momento, l’aula era completamente deserta – la maggioranza degli studenti era in mensa, o in giro per i corridoi – e Rena aveva iniziato a ritagliarsi quei brevi istanti di pace per non essere assillata dai bulli.

Continuava a diffidare dell’apparente calma di Yvette, e sopportava in silenzio gli scherzi e le battute.

Era consapevole che, se solo la ragazza avesse deciso di farla ammattire, quelle vessazioni sarebbero state solo bon-bon, al confronto.

“Stai bene!” esclamò Rena, afferrando il regalo per infilarlo lesta in una tasca dello zaino. Chiuso.

Da quando Beau le aveva fatto notare quel particolare, si era premurata di tenere ben serrati astuccio e zaino e, da quel momento, i piccoli furtarelli erano terminati.

In fondo, si era trattato di un accorgimento semplice.

“A quanto pare” assentì lui, scrollando le spalle. “Tu, invece, fai l’eremita.”

“Ho scoperto che questo è il momento migliore della giornata, e proprio perché sono sola.”

Aprì il libro di chimica con fare molto supponente, e sogghignò.

Beau si accigliò leggermente, a quelle parole, e le chiese: “Ti danno ancora fastidio, eh?”

“Piccolezze” minimizzò la ragazza, esibendosi in un sorriso coraggioso.

In realtà, il giovane scorse nei suoi limpidi occhi smeraldini la paura che, quelle sue parole, venissero smentite da qualche scherzo di pessimo gusto e, ancora una volta, Beau desiderò prendere Yvette e malmenarla.

Aveva saputo dai suoi amici – presentatisi in ospedale molti giorni dopo la visita di Rena – di quel che stavano combinando a scuola, e si era sentito impotente di fronte alla loro superficialità.

Se si fosse eretto a suo paladino sarebbe stato un guaio, perché l’avrebbero subissata di scherzi ancor peggiori, ma gli dava fastidio rendersi conto che i suoi compagni non comprendevano le virtù di Rena.

Possibile che nessuno vedesse il suo coraggio, la sua forza di volontà?

Ci voleva grinta per starsene in un ambiente così differente da quello di origine, in mezzo a gente che ti invidiava e ti odiava solo per il buon nome della famiglia di appartenenza.

Sedendosi sul banco, Beau la osservò con un mezzo sorriso a illuminargli il viso.

“E’ interessante come storpi la realtà.”

“Ti ho detto la verità” sottolineò Rena, sfogliando il libro di chimica come se contenesse i segreti del mondo.

Lui piazzò una mano sulle pagine per bloccarla e, occhi negli occhi con la ragazza, sussurrò: “So cos’hanno combinato i miei amici.”

“Oh” esalò lei, deglutendo a fatica nel ritrovarselo così vicino.

Avvertiva senza sforzo il suo profumo di oceano e di dolci al miele e, per un attimo, desiderò carezzargli quella guancia che, solo un mese prima, aveva visto tumefatta.

Allontanandosi entrambi nello stesso momento, forse percependo quanto quella vicinanza fosse potenzialmente pericolosa, i due giovani distolsero lo sguardo l’uno dall’altra, imbarazzati.

I passi frettolosi di alcuni studenti, nel corridoio, spinsero poi Beau ad allontanarsi e, con un balzo, il giovane scivolò via dal banco per andarsi a rifugiare nelle file più distanti dalla cattedra.

Ben lontano dal professore… e da Rena.

Preso un gran respiro, la ragazza poggiò la sua mano sul petto, percependo senza sforzo il cuore impazzito che stava minacciando di farle esplodere la cassa toracica.

Tre loro compagni, seguiti a breve distanza da Yvette, entrarono nell’aula e Rena, tornando al suo libro, cercò di ritrovare la concentrazione persa nell’imprevisto scontro di sguardi con Beau.

Le aveva detto di essere a conoscenza degli scherzi subiti e, a giudicare dal suo sguardo accigliato, la cosa non gli aveva arrecato molta soddisfazione.

O forse se l’era solo sognato? Vedeva quel che non c’era solo perché si trattava di  Beau?

Davvero non lo sapeva.

§§§

Seduta comodamente su un lettino prendisole, dinanzi alla piscina sul retro della villa, Rena stava studiando svogliatamente la lezione per la settimana seguente.

Lo zaino era appoggiato sul selciato color sabbia e, tutt’intorno a lei, giardinieri all’opera stavano potando piante e decorando siepi.

Le luminarie per Natale sarebbero state issate intorno a casa solo a partire da metà novembre e, per due settimane, si sarebbero visti in giro per il giardino coreografi di tutti i tipi, e ogni sorta di archibugio necessario per tale rito annuale.

Se c’era una cosa che, a casa Ingleton, veniva preso in grande considerazione, era il Natale.

E non solo perché i nonni giungevano dall’Inghilterra per festeggiarlo.

La religione, in casa sua, era fortemente sentita, e avvenimenti come Halloween non erano festeggiati neppure di nascosto.

Non una sola zucca si vedeva per casa e, di sicuro, non ne sarebbero comparse entro la fine del giorno.

Nonna Ingleton avrebbe storto il naso tutto il tempo, definendo quella sciocca credenza pagana solo una panzana senza fondamento.

E suo padre, pur a distanza di miglia e miglia – e un oceano a dargli man forte – non se l’era mai sentita di venir meno ai precetti della genitrice.

Forse, anche per questo, il dolcetto che Beau le aveva regalato le stava così a cuore.

Preferiva non pensare a cosa avrebbe detto la nonna,  se avesse saputo che un comune ragazzo le aveva regalato un cioccolatino a forma di zucca.

Di sicuro lo avrebbe rinchiuso nelle segrete di palazzo, spellandolo vivo.

Ridacchiando, estrasse dalla tasca anteriore dello zaino il suo prezioso dolcetto e, solo troppo tardi, si rese conto del sopraggiungere di suo padre, in maniche di camicia e pantaloni cachi.

Quasi strozzandosi con il primo morso di cioccolato, Rena fece tanto d’occhi nel vederlo puntare lo sguardo sul dolce che teneva tra le dita e, lesta, la ragazza lo nascose dietro la schiena.

Vagamente sorpreso da quella reazione spropositata, Barthemius si accomodò su una delle sedie in ferro laccato vicino alla piscina e, sorridendo alla figlia, esordì dicendo: “Sei in punizione, e non puoi mangiare cioccolato? Per questo me lo stavi nascondendo?”

Sulle sue, Rena replicò serafica: “Qui, l’unico che mi ha messo in punizione, sei tu.”

Senza lasciarsi scoraggiare dal suo tono aspro, l’uomo ritentò.

“Nessuno ti ha messo in punizione, Rena. Era una zucca, comunque, quella che stavi addentando?”

“Già” mugugnò lei, mostrandogliela controvoglia.

“E come mai… oh, aspetta. E’ Halloween, giusto?” le domandò lui, con aria vagamente pensierosa.

“Ottima deduzione, Ingegner Ingleton” motteggiò acida Rena, addentando nuovamente il cioccolato.

“Pensi di andare a qualche festa, stasera?” si informò allora Bart, mostrandosi interessato.

“No” sentenziò lapidaria lei, osservando mesta l’ultimo pezzetto di dolce.

Con un sospiro, lo mise in bocca e iniziò a masticare.

Peccato fosse già finito.

“E come mai?”

“Semplice, papà” ringhiò Rena, non appena ebbe finito il cioccolato. “Quelli della scuola non mi hanno invitata perché mi odiano. Quelle del Country Club non mi vogliono perché dicono che sono portatrice di germi mefitici, e le compagne di danza mi hanno ostracizzato ormai da tempo. Ti serve sapere altro?”

Barthemius rimase vagamente spiazzato dalla tirata della figlia.

Aveva subodorato che qualcosa non stesse andando per il verso giusto, ma non aveva osato chiedere per paura di una sua reazione.

A quanto pareva, le sue amiche non si erano dimostrate tali e, a scuola, vigeva il muro di gomma che si era aspettato, ma che aveva sperato avesse iniziato a sgretolarsi.

Forse aveva ragione Grace.

Stava duramente mettendo alla prova la loro unica figlia, e per motivi che probabilmente aveva ingigantito lui.

“Senti, Rena… se ti va, puoi organizzare qualcosa qui a casa” le propose di getto, non sapendo bene come avrebbe preso quella proposta.

“Forse non sai come funzionano certe cose… e dire che dovresti, visto quanti incontri hai organizzato. Oh, ma no, aspetta. E’ mamma a organizzarli” borbottò acida Rena, sdraiandosi sul prendisole con fare irrispettoso. “Bisogna dire le cose per tempo alle persone, magari preparando qualche invito e, soprattutto, serve essere benaccetti tra la gente, cosa che al momento non sono.”

Vistosi sbattuto fuori dalla bolla personale della figlia, a Barthemius non restò altro che giocare l’ultima carta.

Sperando di non vedersela tirare addosso come le altre.

“Ehm… Theodor mi ha chiamato, qualche tempo fa. Mi ha detto di averti vista in ospedale, e si è un po’ preoccupato. Voleva sapere se stavi bene, e io l’ho rassicurato ma…”

Bloccandosi quando vide Rena impallidire visibilmente, le domandò: “C’è qualcosa che non so?”

“Cosa pensi? Che sia andata in ospedale per abortire? Tanto, ora che vado alla scuola pubblica, chissà che mostro di iniquità posso essere diventata!” sbottò la figlia, mettendosi sulla difensiva.

Pur rabbrividendo all’idea della figlia tra le braccia di un coetaneo, e intenta ad avere rapporti intimi profondi, Bart cercò di darsi un contegno.

 Il più tranquillamente possibile, mormorò: “Non penso tu ci sia andata per questo. Ma gli è parso strano vederti nel reparto di ortopedia.”

Vistasi scoperta – Rena non aveva affatto pensato agli amici medici del padre – lei ammise controvoglia: “Sono andata a trovare un… un amico. Era rimasto ferito in un pestaggio, e così…”

“Come?” esalò Bart, più che mai sorpreso da quella confessione.

Rena gli spiegò ogni cosa, del pestaggio di Beau, di come lei si fosse sentita in dovere di andare ad aiutarlo perché lui si era dimostrato gentile nei suoi confronti e, alla fine, borbottò: “Non volevo fare la boriosa ma, visto che non ero sicura se la sua assicurazione copriva i costi dell’ospedale… insomma… io…”

“Rena” mormorò il padre, sorridendole.

“Che c’è? Cos’altro ho fatto di sbagliato?” sbottò lei, accigliata.

Sarà sempre così, tra noi, adesso?, pensò tra sé l’uomo, spiacendosi per l’enorme dirupo che si era aperto tra lui e la figlia.

Gli mancava da impazzire, ma quel che aveva fatto per quel giovane dimostrava che, messa di fronte alla realtà dei fatti, Rena sapeva come cavarsela.

La lezione, in qualche modo, stava sortendo gli effetti voluti, anche se ancora la figlia non se ne rendeva conto.

“Non hai fatto nulla di sbagliato. Volevo solo dirti che sei stata brava. Hai immaginato che potesse essere in difficoltà, e non hai esitato a farti avanti. Dimostra quanto tu sia generosa.”

“E’ facile farlo, con i soldi” replicò scocciata lei.

“Sbaglierò, ma la maggioranza della gente se ne sarebbe infischiata, indipendentemente dai soldi” ribatté il padre, sorridendole. “E’ lui che ti ha regalato il dolcetto?”

Rena a quel punto arrossì copiosamente, confermandogli l’identità della persona che l’aveva spinta a muoversi così lontano dal suo mondo.

Bart sorrise maggiormente.

“E’ stato gentile. Non vorresti invitarlo qui?”

“Stasera? Papà, allora non hai capito. Sarà sicuramente già impegnato. E poi, Beau non potrebbe mai venire qui” sospirò Rena, scuotendo il capo.

“E perché?”

“Papà, lui è tra gli in della scuola, io sono la più out degli out. Fai un po’ tu i conti” brontolò lei, intrecciando le braccia sotto i seni.

“A lui non pare interessare. Ti ha regalato un dolcetto” le fece notare Bart, per nulla intenzionato a demordere.

Sbuffando, Rena si alzò dal lettino, requisì lo zaino da terra e, piccata, ringhiò: “Interessa a me. Non voglio che mi ammazzino perché ci hanno visti assieme. Noi siamo abbastanza intelligenti da saperlo, infatti parliamo solo quando non siamo adocchiati da nessuno. Si vede che non conosci quel mondo.”

Detto ciò, se ne andò con la sua consueta andatura elegante, mentre il suono delle falciatrici e delle cesoie continuò incessante a rimbombare nell’aria.

Crollando contro lo schienale della sedia, Bart borbottò: “Potevo risparmiarmela, l’ultima frase. E dire che dovrei saperlo. Ci sono passato anch’io.”

Non avrebbe mai detto a Rena dei suoi trascorsi nella scuola pubblica – non voleva che capisse quanto conosceva quella realtà – ma a quel punto, pur di riavere indietro la figlia, avrebbe giocato anche quella carta.

Dopotutto, se lei avesse saputo quanto, anche per lui, quel periodo della scuola era stato tremendo e difficile, sarebbe stata più ben disposta a comprendere il suo punto di vista.

Avrebbe capito quanto formativo fosse confrontarsi anche con persone diverse dal mondo a cui erano abituati, e avrebbe apprezzato maggiormente quanto aveva fin dalla nascita.

“Beh, per lo meno vi siete parlati” asserì alle sue spalle Grace, vagamente ironica.

“Grace! Non sapevo fossi a casa!” esclamò il marito, levandosi in piedi di scatto.

“Oh, sono arrivata da circa mezz’ora e ho avuto la fortuna di assistere al vostro meraviglioso alterco” ironizzò la donna, sorridendogli nell’avvicinarsi.

Indossava ancora il tailleur che aveva messo per andare in ufficio.

“Non ho dato il massimo, vero?” sospirò Bart, stringendola a sé.

“Devo dire che non hai brillato per intuizione. Cosa ti è venuto in mente di dirle di invitare qui i suoi amici, adesso? Sono cose che vanno organizzate per tempo!” brontolò bonariamente Grace, carezzandogli il torace.

“Grazie. Sono già stato debitamente ripreso, per questo. Non ci ho proprio pensato. Credevo davvero di farle piacere” si lagnò l’uomo, poggiando la fronte contro quella della moglie.

“Al momento, non le faresti piacere neppure se le mettessi dinanzi ai piedi il più grande diamante del mondo, o il cavallo più dotato dell’universo. E’ in rotta con te e, finché non capirà i tuoi intenti, ce l’avrà a morte con il suo bel papà.”

Grace sorrise benevola e, gentile, gli carezzò i capelli sale e pepe.

“Ma io rivoglio mia figlia!” protestò Bart, accigliandosi.

“Dovevi pensarci prima. Ma, se non erro, anche tu fosti parecchio irritato con tuo padre, quando usò la stessa carta con te. O mi sbaglio?”

“No, non ti sbagli” mugugnò l’uomo, scuotendo il capo. “Ma mia figlia doveva essere proprio come me?”

“Ricordi? Pregi da me, difetti da te. Mi sembrava fosse ormai assodato” ridacchiò Grace, avvolgendogli la vita con un braccio per ricondurre il marito in casa.

“E’ generosa. E comincia a rendersi conto di cosa voglia dire avere un patrimonio come il suo.”

Il tono di Bart esprimeva tutta la fierezza provata, oltre a un minimo di divertimento. “Non avevo idea che si sarebbe spinta a pagare le cure per quel ragazzo.”

“Al momento, Rena è assetata di amicizie, e quel ragazzo le ha mostrato il primo barlume di luce nell’oscuro mondo in cui io e te l’abbiamo abbandonata. Per forza che ci si è gettata anima e corpo” ammise Grace, pur sorridendo.

“Pensi dovrei informarmi su chi è? Oppure…”

Azzittendo il marito prima che si cacciasse nei guai, la moglie disse soltanto: “Abbi fiducia in lei. L’abbiamo mandata lì perché muovesse i suoi primi passi da sola e, nel bene e nel male, deve farlo senza il nostro aiuto. A cosa servirebbe, altrimenti?”

“Giusto. Ma non vorrei che soffrisse troppo” borbottò Bart.

“Tu soffristi la solitudine per tre anni interi, se ben ricordo… non un solo amico dalla tua parte. Rena ne ha già trovato uno, a quanto pare. E’ stata più brava di te.”

“Ma è un ragazzo, e potrebbe…”

“Oh, cielo, Bart! Rena non è sciocca fino a questo punto! Non ci finirà a letto solo perché lui le fa gli occhi dolci!” esalò Grace, sconcertata.

Impallidendo visibilmente, l’uomo scosse il capo con aria sconvolta.

Ti prego, non farmi pensare a mia figlia a letto con un ragazzo. Almeno per i prossimi dieci anni, è un argomento che non voglio nemmeno toccare.”

Ridacchiando, Grace gli diede una pacca scherzosa sul di dietro e, quando finalmente entrarono in casa, lei dichiarò: “Facci l’abitudine fin d’ora, Barthemius. Le ragazze, al giorno d’oggi, non aspettano il matrimonio per avere rapporti sessuali.”

“Grace, non usare quella parola!” sbottò lui prima di bloccarsi a metà di un passo, fissare l’enorme zucca sul tavolino che aveva di fronte e dire: “Ma… e questa?”

“Tua madre non c’è, ed io mi sono stufata di non festeggiare Halloween perché tu hai paura di una sua visita a sorpresa” sorrise maliziosa la moglie, allontanandosi per raggiungere le scale ad arco.

“Io non ho paura!” precisò Bart, raggiungendola in poche, rapide falcate. “So solo come evitare i disastri.”

“Tranquillo… ho chiamato tuo padre, prima di mettere zucche ovunque” sogghignò Grace. “Anch’io so come evitare disastri, sai?”

“Comincio a crederlo” ridacchiò lui, avvolgendola con un braccio per accompagnarla al piano superiore.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


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7.

 

 

 

 

Le festività di Natale si avvicinavano sempre più velocemente, come se qualcuno avesse pigiato il tasto Fast Forward perché giungessero in anticipo.

A scuola, almeno per quanto riguardava lo studio, tutto procedeva per il meglio.

La media di Rena era perfetta, non aveva problemi in nessuna materia e, quando si trattava di sopportare le ore canoniche in palestra, faceva buon viso a cattivo gioco e si preparava psicologicamente a prendere un sacco di pallonate.

Ormai non ci faceva neppure più caso. Anzi, in qualche modo, schivarne il più possibile era diventato, per lei, un punto d'onore.

E, in una strana qual maniera, anche i suoi aguzzini parevano divertirsi in modo diverso, con lei.

I colpi non erano più così cruenti e, più di una volta, Rena aveva scorto qualche risolino di complicità, e non più di scherno.

Uno dei suoi compagni, alla fine di una lezione, le aveva pure battuto il cinque, complimentandosi con lei per i tanti palloni schivati.

Ovviamente, questo leggero abbassamento della tensione aveva voluto dire, per il 'traditore', un'immediata ritorsione da parte dei suoi colleghi.

Ovvero, di Yvette e soci.

Il giorno seguente, il ragazzo si era ritrovato l'armadietto pieno di cavallette – insetto che, evidentemente, lui odiava – e, per tutta la giornata, gli inservienti della scuola avevano dovuto rincorrerle per i corridoi.

A quel punto, Rena si era convinta una volta per tutte che, accettare favori dai suoi compagni più 'teneri', fosse un rischio non solo per lei, ma anche per chi dimostrava di avere compassione nei suoi confronti.

Se con Beau aveva solo avuto qualche dubbio, con l'episodio delle cavallette di Bratt, ne ebbe la conferma.

Quel giorno di metà dicembre, perciò, forte della sua nuova sicurezza – acquisita a suon di pallonate e scherzi – uscì da scuola con un sorriso, a testa alta e senza minimamente badare alla macchia di sugo sulla felpa.

A mensa era stata una sciocca a lasciarsi giocare a quel modo, perciò non poteva che darsi dell'idiota da sola.

Non avrebbe dovuto permettere a Cristabel di avvicinarsi per rispondere a una sua domanda sul compito di scienze.

E da quando, Cristabel, le faceva domande simili!?

Come sempre, trovò Nickolas ad aspettarla e, quando il ragazzo vide la macchia di sugo ed il suo sorriso tonico, sollevò dubbioso un sopracciglio e celiò: “Tanta soddisfazione perché ti sei sbrodolata come una bambina?”

“No, di sicuro no” asserì lei, prendendolo sottobraccio per andarsene.

Già da qualche tempo, avevano preso l'abitudine di fare una passeggiata a piedi fino alla V.B. 2000, dove li attendeva sempre Leonard con l'auto per ricondurli a casa.

Imboccata la via che conduceva alla Ocean Front, Nick replicò: “Allora, perché quella faccia soddisfatta?”

“Non voglio dar loro la soddisfazione di dire che me la sono presa per uno scherzo ben riuscito. Sono stata sciocca a non pensarci, e questo è il risultato. Ben mi sta.”

Non del tutto convinto, l'amico le fece notare un particolare non da poco.

“Lo sai, vero, che non è obbligatorio che tu subisca sempre?”

“Oh, lo so. Ma mi sono fatta furba e, la maggior parte delle volte, riesco a evitare che riescano nei loro intenti. Stavolta, però, ho abbassato la guardia” ironizzò Rena, ghignando.

Nick allora le sorrise benevolo e, dandole un buffetto sul naso, chiosò: “La Rena di qualche mese fa si sarebbe messa a piangere di rabbia, per una macchia simile sulla sua felpa firmata.”

“Dici?” esalò lei, un po' sorpresa.

“Sì. Ti saresti infuriata, avresti urlato e, di sicuro, te la saresti presa con tuo padre” le spiegò Nickolas, infondendo calore nelle sue parole.

“Oh” mormorò Rena, vagamente accigliata. “Non ero proprio così, vero?”

“Decisamente sì. Ma ora sei più forte, te la prendi di meno e, soprattutto, non ti abbatti alla prima difficoltà” le spiegò Nick, avvolgendole le spalle con un braccio per scrollarla leggermente.

“Non ero una pappamolle, prima!”

Rena protestò sentitamente pur sapendo che, in parte, l'amico aveva ragione.

Non faceva fatica a ricordarsi di certi suoi comportamenti, decisamente molto infantili. Ammetterlo era tutt'altra faccenda, però.

“Un po' la eri, ammettiamolo” ridacchiò l'amico, facendo un gran ghigno.

“Oooh, come ti permetti!” esclamò lei, minacciandolo con un pugno.

Nickolas allora scoppiò a ridere e, strizzandole l'occhio, scappò via, subito rincorso dalla ragazza che, trattenendo il suo zaino, iniziò a macinare terreno per raggiungerlo.

L'amico la guardò per un momento da sopra la spalla, poi svicolò nella Ocean Front con uno scarto improvviso, costringendo Rena a cambiare direzione di colpo.

Questo la portò a scivolare sulla sabbia che si trovava sull'asfalto e, in uno svolazzare di capelli, gonna e zaino, la ragazza rischiò di finire lunga riversa sull'assito stradale.

Nick imprecò spaventato, già pronto a recuperarla dopo il capitombolo, ma l'amica non atterrò mai sull'asfalto.

Sorpresa quanto confusa, si ritrovò praticamente sdraiata su un altro corpo umano, corpo che, in quel momento, lanciò un lamento che Rena riconobbe all'istante.

Scostando i capelli arruffati, che formavano un ventaglio scomposto dinanzi al viso, la ragazza fissò a occhi sgranati Beau che, sdraiato a terra sotto di lei, la teneva stretta alla vita con le braccia.

“Beau...” esalò Rena, affrettandosi a scostarsi per non pesargli ulteriormente addosso.

“Eh, già” bofonchiò lui, rimettendosi seduto a fatica.

In ginocchio accanto al compagno di classe mentre Nick, avvicinatosi a loro, pensò a raddrizzare la bicicletta caduta a terra malamente, Rena borbottò: “Ma come hai fatto?”

“Ti ho vista tentare un tuffo carpiato sull'asfalto, e ho pensato di evitartelo” ironizzò Beau, lanciando poi uno sguardo a Nick, che gli stava porgendo una mano per alzarsi.

“Sei stato veloce” commentò impassibile Nickolas, sollevandolo senza sforzi.

“Grazie, amico” ammiccò Beau, spazzolandosi poi i jeans, rovinati a causa del ruzzolone a terra.

Alzatasi a sua volta, Rena fissò spiacente il gomito sbucciato del compagno di scuola e il brutto taglio sanguinante che aveva all'avambraccio, causato sicuramente da un ciottolo.

“Non ne combino una giusta.”

“Non hai badato alla sabbia. Poteva capitare” scrollò le spalle Beau, guardandosi il braccio con espressione accigliata. “Che macello...”

“Vieni. Andiamo a disinfettare quel braccio” sentenziò Nick, indicandogli di seguirlo.

“E dove, scusa?” borbottò Beau, tastando leggermente il gomito.

Il solo farlo gli procurò un dolore indicibile, ma cercò di mascherarlo meglio che poté.

“Laggiù” gli disse semplicemente lui, indicando il palazzo di vetro e cemento della V.B.2000.

“Eh? Te lo scordi! Io non ci entro, là!” sbottò il ragazzo, decisamente disgustato all'idea di mettere piede in un luogo del genere.

Non gli andava di vedere quanti soldi avesse l'amico ricco di Serena. Per niente.

“Ma devi venirci! Dobbiamo mettere a posto quel braccio!” protestò Rena, afferrandolo alla mano sana mentre Nick pensava alla bicicletta e allo zaino del ragazzo.

“Posso farne a meno, Serena. Non è niente di grave” replicò Beau, cercando di fare resistenza senza però rischiare di farla cadere.

“Stai sanguinando come una fontana. Non può non essere grave come dici tu!” sbuffò indispettita Rena, mettendo maggior forza nel trascinarselo dietro.

Lasciandola fare, Beau allora si rivolse a Nick, che li seguiva a poca distanza.

“Ma è sempre stata così testarda?”

“Non immagini quanto. Ma ultimamente è peggiorata” dichiarò serafico Nick, studiando con attenzione quella strana coppia.

Rena pareva più che decisa a curarlo, e niente e nessuno si sarebbe messo tra  lei ed il suo desiderio di portare a termine quel compito.

E pensare che, fino a qualche mese prima, sarebbe svenuta di fronte a tutto quel sangue!

Quando infine raggiunsero l'entrata sul retro della V.B.2000, Rena salutò con un gesto le due guardie sulla porta – che già la conoscevano – mentre Nick, lasciando a loro la bicicletta, disse: “Potete darle un'occhiata voi?”

“Certamente, signorino Nickolas. Avete bisogno di una mano, con quella ferita?” domandò una delle guardie, osservando dubbioso Beau e il suo braccio.

“Ce la caveremo. Grazie” sorrise Nick, entrando in ditta al seguito di Rena e Beau.

Rispetto alla hall dell'entrata principale, quell'ingresso secondario era più modesto ma, agli occhi di un profano come Beau, parve così brillante e tecnologico che i suoi occhi rimasero incatenati a ciò che vide.

Schermi avveniristici erano collegati con le borse mondiali, alle lucide pareti a specchio erano appesi pannelli che riportavano i successi della ditta e, ogni dove, acciaio e vetro si intervallavano con linee sinuose e fuori dagli schemi.

Per Beau fu come entrare in una nave spaziale.

La receptionist del piano salutò Rena con un sorriso, prima di rivolgersi a Nick e dire: “Buongiorno, signorino Nickolas. Posso aiutarvi? Quella ferita sembra avere un bisogno impellente di essere sistemata.”

“Sai se Carver è in ambulatorio?” si informò allora Nick, ignorando il ghigno divertito di Beau.

“Lo troverà sicuramente, signorino” assentì la donna, afferrando la cornetta del telefono. “Lo avviso che state arrivando.”

“Grazie, Prudence. E buon lavoro” mormorò Nickolas, salutandola con un sorriso e un cenno della mano.

“Buona giornata a voi” disse la donna, sorridente e cordiale.

Mentre si avvicinavano ad uno dei mastodontici ascensori, lasciando dietro di loro una scia di goccioline di sangue, Beau ridacchiò spudoratamente all’indirizzo di Nickolas.

Signorino?”

Nick sbuffò, e ammise: “E' una fissa di mia madre, perciò non commentare. Mi da già abbastanza fastidio, figuriamoci se poi tu infierisci.”

Le porte d'acciaio si aprirono e ne uscirono due tecnici di laboratorio in camice bianco che, vedendo i tre giovani, parvero un poco sorpresi.

Nel notare Nick, però, salutarono entrambi con l'onnipresente 'signorino' e, ancora una volta, Beau ghignò.

Una volta saliti, Nickolas pigiò il pulsante per il sesto piano e disse in un borbottio: “Mia madre vuole che tutti dimostrino il massimo rispetto verso di me e verso mio fratello, e questo comprende anche quel pomposo signorino. Inutile dire che lo odio.”

“Non basterebbe dirle che non ti va?” scrollò le spalle Beau.

“Non conosci sua madre” motteggiò Rena mentre Nick ripeteva, con uguale tono piano e atono, la stessa identica frase.

Beau li guardò con il dubbio stampato in faccia a caratteri cubitali, ma non disse più nulla, subodorando problemi anche nel mondo idilliaco del ricco amico di Serena.

Quando finalmente raggiunsero l'ambulatorio, il dottore che si presentò a Beau non fece neppure una piega di fronte alla sua ferita e, con perizia, la sistemò nel giro di pochi minuti.

Nick, nel frattempo, chiamò suo padre in ufficio per avvertirlo della sua presenza e, subito dopo, telefonò a un certo Leonard perché si tenesse pronto con l'automobile.

Automobile?

Dopo aver sistemato l'ultimo gancetto sulla fasciatura, il dottore sorrise appena a Beau e disse: “La ferita andrà a posto nel giro di un paio di settimane. Dovrai andare in un ambulatorio per il cambio della fasciatura, ma non ci saranno problemi. Ti do il numero di telefono di una clinica a qualche isolato da qui. Ti prescriverò anche un antibiotico per evitare eventuali infezioni e un antipiretico, caso mai dovesse venirti un po' di febbre. Ecco qui.”

Afferrando il foglio dalla mano del dottore, Beau ringraziò – vagamente tramortito – e, in silenzio, seguì fuori dall'ambulatorio sia Rena che Nick.

Lì, si concesse di domandare: “Scusa... ma addirittura un dottore? Non bastava un semplice addetto al primo soccorso, qui dentro?”

“Abbiamo un reparto tecnologico che studia prodotti chimici piuttosto pericolosi, quindi necessitiamo della presenza costante di un medico. Dietro le porte a vetri, che hai visto in ambulatorio, ci sono una piccola sala operatoria e una TAC per i primi esami diagnostici” gli spiegò Nick, avvicinandosi nuovamente a uno dei mega-ascensori.

“Cavoli!” esalò l'altro, facendo tanto d'occhi.

Vagamente intimorito, Beau risalì sull'ascensore e, quando si ritrovò al pian terreno da cui erano arrivati, si bloccò di colpo.

Lì ad attenderli, trovarono un uomo imponente, dalle ampie spalle ed un completo gessato tagliato su misura per esaltare l'eleganza della persona che lo indossava.

I tratti del viso, come gli occhi color dell'oceano, parlarono per lui e, senza alcun dubbio, Beau immaginò dovette trattarsi del padre di Nickolas.

Il ragazzo in questione si illuminò in viso nel vederlo e, raggiuntolo in poche, rapide falcate, lo salutò tutto sorridente.

“Ciao, papà. Non c'era bisogno che tu scendessi. Volevo solo farti sapere che ero qui, caso mai qualcuno ti avesse riferito di avermi visto.”

“Un break ogni tanto ci vuole, figliolo” asserì l'uomo con voce tonante, sorridendo al figlio prima di dargli una pacca sulla spalla.

Rena lasciò il fianco di Beau per raggiungere la coppia e l'uomo la abbracciò con calore, dispensandole un bacio sulla fronte prima di carezzarle il viso.

“Rena, tesoro! Sei sempre più bella! Sono mesi che non ti vedo, ma è sempre un piacere immenso!” esclamò l'uomo, dandole un buffetto sul naso.

“So che sei sempre impegnato, Andrea, perciò non mi offendo quando non ti trovo mai, ma è bello vederti. Tutto bene?” sorrise la ragazza, lieta di vederlo.

“Ora che ti vedo, tutto andrà benissimo, cara” asserì Andrea, facendo ridere la ragazza. “Ma mi scuserai se sono curioso, e vi chiedo cos'è successo.”

Nick si volse verso Beau, che era rimasto a qualche passo di distanza e, fattogli segno di avvicinarsi, disse al padre: “Io e Rena stavamo correndo nei pressi della Ocean Front, quando Miss Sbadataggine è scivolata, e Beau le ha evitato di frantumarsi a terra come uno specchio.”

Rena fulminò con lo sguardo l'amico, ma lui non vi badò, limitandosi ad osservare le reazioni del padre e di Beau.

“Oh... molto coraggioso da parte tua” dichiarò Andrea, sorridendo a Beau, che si sentì tremendamente a disagio sotto quello sguardo soddisfatto.

“Non ho fatto niente di che, davvero” replicò timidamente il ragazzo.

“Il tuo braccio dice ben altro” replicò Andrea, afferrandoglielo con gentilezza per controllarlo. “Carver ha fatto un buon lavoro. Molto bene. Ti chiami Beau, dunque?”

“Beaurigard Shaw, signore. Molto piacere” borbottò il giovane, allungando la mano sana nella sua direzione.

“Piacere mio, Beaurigard. Io sono Andrea Jameson Van Berger. Hai un nome di chiare origini francesi. Molto nobili origini, tra l'altro” sorrise Andrea, nel tentativo di metterlo a suo agio.

“Ah... non saprei. Mia madre mi disse di averlo scelto perché era in un romanzo che le piaceva” ammise Beau, sorridendo a mezzo.

Andrea scoppiò in una calda risata e, data una pacca sulla spalla al ragazzo, assentì dicendo: “Ottimo motivo. Ha legato un bel ricordo a qualcuno che ama. Sono sempre le scelte migliori.”

“Penso di sì” esalò il ragazzo, non sapendo esattamente come comportarsi.

Si era aspettato di trovare un uomo dall'aspetto austero e torvo, invece stava parlando con un tipo colloquiale, affabile e dalla gentilezza squisita. E, a quanto pareva, suo figlio pendeva letteralmente dalle sue labbra.

“Ora mi vorrete scusare, ma mi attendono dei clienti che, ahimè, non saranno piacevoli neppure la metà di voi” sospirò Andrea, osservando con caldo rimpianto il figlio.

“Vai pure, papà. Tanto, comunque, dovevamo andare anche noi. Probabilmente, a quest'ora, la madre di Beau si starà chiedendo dove sia finito” dichiarò Nick, scuotendo il capo come per sminuire le preoccupazioni del padre.

“Hai ragione. Ma una di queste volte, potete tornare per mostrare a Beau il reparto tecnologico. Penso che si siano delle cose piuttosto interessanti, da curiosare” asserì Andrea, sorridendo a Beau che, letteralmente, rimase senza parole. “A presto, mia cara. E' sempre un piacere vederti.”

Rena accettò il bacio sulla guancia di Andrea e replicò con uno suo, dichiarando con calore: “Ricordati che, a febbraio, c'è il mio compleanno. Ti voglio lì con me a tagliare la torta.”

“Non mancherò per nulla al mondo” le promise Andrea, prima di defilare verso gli ascensori.

Quando fu svanito oltre le porte d'acciaio, Nick sospirò leggermente e, senza dire nulla, si diresse verso l'esterno della ditta, subito affiancato da Rena, che gli carezzò un braccio con fare consolatorio.

Beau non comprese esattamente i motivi di quell'improvvisa sofferenza, ma era chiaro quanto, a Nick, stesse a cuore il padre.

Non appena furono all'esterno, Beau si guardò intorno alla ricerca della bicicletta e, nel vederla tra le mani delle due guardie, impegnate a studiarla con attenzione, sorrise divertito.

Nickolas si avvicinò ai due, chiedendo con curiosità: “E' sana, o ha bisogno di un medico?”

“Temo di un becchino” ironizzò una delle due guardie. “Il telaio si è piegato e temo che, per raddrizzarlo, si potrebbe spezzare in due.”

Beau storse il naso ma non disse nulla. Fu invece Rena a parlare, e a sorprenderlo per l'ennesima volta.

“Le faremo un funerale vichingo e la sostituiremo, allora” dichiarò senza problemi lei. “Grazie per averle dato un'occhiata.”

“Nessun problema, Miss Ingleton” dissero all'unisono le due guardie.

Lentamente, alle loro spalle, comparve un'Escalade nera che, giunta nelle loro vicinanze, si fermò per farne poi discendere un uomo in tenuta da autista.

Nick gli si rivolse subito con un sorriso e disse: “Leonard, puoi darmi una mano con la bicicletta?”

“Subito, signorino” assentì l'uomo, aprendo il portellone posteriore dell'enorme van.

Beau fu sul punto di bloccarli, ma Rena lo afferrò ad un polso per evitargli qualsiasi manovra.

“Non puoi andare a casa con la bicicletta rotta, perciò ti accompagneremo noi. E, visto che la bici si è guastata perché mi hai salvata da una caduta rovinosa, te la ricomprerò.”

“Ma Serena, davvero, non ce n'è bisogno. Né del passaggio, né della bici nuova” protestò Beau, vagamente nervoso.

Non aveva nessunissima intenzione di far vedere a Rena dove abitava.

Era una casa modesta e pulita, ma non era certo la villa da mille e una notte dove, sicuramente, viveva lei.

“Non essere testardo. Te lo devo” replicò lei, accigliandosi.

“Non se ne parla” bofonchiò il ragazzo, puntando i piedi.

Nick allora si mise in mezzo e disse: “In che zona abiti, Beau?”

“Vicino all'Hotchkiss Park, sulla 3rd Street” gli spiegò Beau, sperando che Rena non conoscesse quella zona.

“Molto bene. Allora, prima accompagniamo Rena a casa, poi penseremo a te” dichiarò Nickolas, scatenando subito le proteste della ragazza.

“Io sto a Malibù. E' più lontana! Non ha senso!” sbottò lei, intrecciando le braccia sotto i seni.

Beau preferì distogliere lo sguardo.

Felpa o non felpa, meglio non soffermarsi troppo su certe zone femminili.

Era già stato un mezzo trauma averla tra le braccia, calda, piccola e morbida e avvinta a sé. Figurarsi se si perdeva in simili spettacoli di perfezione!

“Rena, tu hai lezione di danza o sbaglio, oggi?” ironizzò Nick, strizzandole l'occhio nel salire sull'Escalade.

“Oooh... ma cosa sei? La mia agenda umana?!” borbottò Serena, accomodandosi sul morbido sedile di pelle bianca con uno sbuffo infastidito.

Beau si mise sul lato di Nick, così da essere sicuro di non toccare neppure per errore la ragazza e, al segnale del padrone dell'auto, l'autista mise in moto e partì.

“No, è che ho più memoria di te e, visto che Miss Ophelia è pignola peggio di uno svizzero, quanto a orari, è il caso che ti sbrighi” le ricordò l'amico, sorridendole gentilmente.

“Tanto mi hanno sbattuta fuori dal saggio, quindi...” si lagnò la ragazza, mettendo il broncio.

“E perché mai?”

Nick parve sconcertato e, sì, anche un tantino arrabbiato.

“Ma se sei stata il miglior cigno nero che si sia mai visto, l’anno scorso! Che mai le è venuto in mente?!”

Petulante, Rena mimò le virgolette con le dita e gracchiò in falsetto: “Ci dispiace, Miss Ingleton, ma le sue capacità non sono sufficienti per migliorare ulteriormente, e riteniamo che la parte di Giselle non possa essere interpretata degnamente se non da Clarisse.”

“Clarisse Sheperd? Quella Clarisse Sheperd?” sibilò Nick, facendo tanto d'occhi.

“Già. Miss Grandi-Tette” borbottò Rena, facendo sgranare gli occhi a Beau, che rimase senza parole.

Ridacchiando, Nickolas disse a mo' di spiegazione: “E' una compagna di corso di Rena e, da come avrai capito, è abbastanza dotata. Ma il punto è un altro. Non è dotata solo di seno, ma anche di curve in abbondanza, e ha un Ego pazzesco.”

“Me ne intendo poco ma, in danza classica, non bisognerebbe essere più... esili?” rimuginò Beau, trovandosi in un campo per lui del tutto nuovo.

“Esatto. Bisogna avere il fisico di Rena, per l'appunto” gli spiegò il ragazzo, senza notare il rossore profuso sulle gote dell'amica. “Ma Clarisse ha anche un'altra caratteristica, oltre alle curve. Ha una marea di agganci perché è la figlia del Senatore  Troy Sheperd. Quindi, avrai già capito il problema.”

“Non tanto. Non mi verrai mica a dire che il padre di Serena non è abbastanza importante!?” protestò Beau, assolutamente sconvolto.

Ma che problemi avevano, questi ricchi? Sbattere fuori una come Rena solo perché un'altra aveva più peso a livello politico, ma meno talento?

La ragazza alla fine asserì stancamente: “Non sono i soldi, ma il prestigio. Ed io, studiando alla scuola pubblica, ho adombrato il prestigio del mio nome. Così a danza se la sono tutti un po' presa con me, perché sapere che io vado alla SMH è una macchia sul loro curriculum come scuola, che vanta solo allievi VIP, con alle spalle scuole altrettanto VIP.”

“Che scemenze” si lasciò sfuggire Beau, prima di guardare spiacente Rena.

“Concordo in pieno” aggiunse Nick. “Fossi in te, mollerei quella scuola di perdenti e  ne troverei un'altra. Non ha senso che Giselle sia Clarisse!”

“Allora potrei saltare la lezione, visto come la pensi” ironizzò la ragazza, sorridendogli speranzosa.

“No. Andrai alla lezione e le dirai il fatto suo” sentenziò lapidario Nick, ghignando.

Sbuffando lei replicò piccata: “Stai diventando un despota e tiranno come mio padre. Ancora un po' e mi dirai come vestirmi.”

“Potrei suggerire una...” iniziò col dire Nickolas, subito bloccato da un'occhiataccia dell'amica.

“Non osare aprire bocca!” strillò Serena, avvampando un attimo dopo quando si ricordò della presenza di Beau.

Nick ridacchiò, dando di gomito al ragazzo al suo fianco nel dire con fare complice: “Fa tanto l'elegantina, quando è in pubblico, ma in realtà è una furia scatenata.”

“NICK!” strillò ancora più forte lei, scatenando le risate dei due ragazzi.

Rena tenne il broncio fino a che l'Escalade non si fermò dinanzi ad un enorme cancello in ferro, da cui si intravedeva una villa bianca in stile greco, dagli alti colonnati e le ampie vetrate.

Due piccoli laghetti artificiali si incuneavano in mezzo al viale d'ingresso, punteggiato di palmeti qua e là e Beau, osservando quello spettacolo dalla portiera dell'auto, si sentì venire meno.

Era ancora peggio di quanto avesse immaginato.

Non solo era un palazzo da mille e una notte, ma ci poteva anche aggiungere il Paese delle Meraviglie senza alcun problema.

Rena discese in fretta, afferrando il suo zaino con una mano e, ignorando bellamente Nick, disse rivolta a Beau: “Ancora grazie per avermi salvata.”

“Di nulla” riuscì a dire il ragazzo, ancora spiazzato dalla vista dell'immensa villa di famiglia di Rena.

“Ci vediamo domani!” sorrise lei, salutandolo con una mano prima di dare un pizzicotto a Nick.

“Ahia!” esclamò il ragazzo, vedendosi poi sbattere in faccia la portiera.

Con un mezzo sorriso, Nick esalò: “Che manesca!”

Leonard, alla guida, sorrise divertito ma si astenne dal fare commenti.

“Prossima meta?”

“Andiamo da Pablo. Dobbiamo prendere una bici” dichiarò Nick, prevenendo poi Beau. “Rena ci tiene a fartela avere, perciò la accetterai e dirai grazie. Non ho intenzione di vederla triste solo perché non vuoi accettare il suo regalo.”

“Senti, amico, non c'è bisogno di essere così fiscali. La bici posso prendermela anche da solo. Sono stato io a lanciarla in terra, perciò è colpa mia” protestò ugualmente Beau, sbuffando.

“L'hai fatto per salvare Rena da una brutta caduta, perciò sia io che lei ti siamo debitori.”

Poi, fissandolo con estrema serietà, Nickolas aggiunse: “Inoltre, non penso che un ragazzo qualsiasi avrebbe fatto la stessa cosa che hai fatto tu.”

“Che intendi dire?” si accigliò Beau, guardandolo storto.

“Non voglio psicanalizzarti, ma ti ho guardato. Sono mesi che ti allontani dal tuo percorso per trovarti sempre casualmente su quel tratto di Ocean Front, mentre noi passeggiamo. E' vero, non ti fermi quasi mai e ti limiti a un cenno di saluto, ma passi di lì senza averne reale bisogno. Casa tua è da tutt'altra parte!”

Sempre più accigliato, Beau fu sul punto di replicare alle parole di Nick, ma questi lo prevenne.

“Mi fa piacere che ci sia tu, a scuola, a vegliare su di lei. E posso capire che tu nutra dei sentimenti verso...”

“Che vai dicendo, amico?!” ironizzò Beau, cercando di bloccare in qualche modo le sue insinuazioni.

Nick non si diede per vinto e proseguì dicendo: “Non è un problema, se ti piace Rena.  Mi sembri un bravo ragazzo, perciò non ci vedrei niente di strano se...”

Interrompendolo sul nascere, Beau replicò piccato: “Chi sei, suo padre? Anche quanto, sarebbe una cosa che dovrebbe interessare ai suoi genitori, non a te. E poi, andiamo! Non sono che il figlio di due operai, nulla più. Un universo e più lontano da lei. Ammettendo che mi interessi Serena, ovviamente.”

“Ovviamente” ironizzò Nickolas, scrollando le spalle. “Se ti piacessi io, allora sì che sarebbe un problema.”

Storcendo il naso, il ragazzo esalò: “Ehm... scusa, ma mi piacciono le ragazze.”

“Idiota. Intendevo dire che, se io fossi Rena, allora sarebbe un problema, perché mia madre mi strapperebbe i capelli uno a uno, piuttosto che vedermi con il figlio di un operaio. Ma Bart e Grace non sono così” borbottò Nick in risposta.

“A proposito di tua madre. Come mai tuo padre ha un altro cognome? Mi ha sorpreso.”

“E' semplice. Mio padre non è un Van Berger, ma lo è mia madre” gli spiegò il ragazzo, con tono che rasentava il sardonico. Beau se ne stupì.

Il resto del viaggio si svolse abbastanza serenamente, e i due ragazzi parlarono di argomenti più leggeri quali il baseball e il football.

Nick fu grato al ragazzo per non aver fatto ulteriori domande sulla sua famiglia; non se la sentiva di mettere a parole con nessuno – neppure con Rena – il disagio che il suo cognome altisonante gli procurava.

E, soprattutto, quanto ne procurava al padre.

Non era cieco, e aveva visto il lento degradare del rapporto tra lui e sua madre, e di questo se ne era spiaciuto molto.

Il comportamento dei nonni, poi, era sempre stato inqualificabile, e non dubitava che parte dei problemi venissero da loro.

Voleva bene a suo padre, e non desiderava vederlo soffrire a causa delle mire dei suoi nonni. O di sua madre.

Quando infine raggiunsero un piccolo negozietto di biciclette, Nick ne scese con Beau e, nello stringere la mano all'anziano proprietario, Pablo Estevez, il giovane disse: “Senti, Pablo. C'è una mountain bike che può andar bene per il mio amico, qui?”

“Uh, Nicky,… amico alto, il tuo. Penso proprio che ci vorrà un modello come questo” ridacchiò l'anziano, facendo segno a Beau di seguirlo.

“Coma fai a conoscere questo posto?” gli sussurrò Beau, curioso.

“L'unica restrizione che ho, è sui vestiti... tutto il resto posso comprarlo dove voglio, ed io preferisco i piccoli negozietti. Sono più cordiali e ti trattano come persone, non come Carte di Credito a due zampe” gli spiegò Nick, facendolo scoppiare a ridere.

Non ce la faceva proprio a trovarlo antipatico.

Per quanto si sforzasse, Beau lo trovava un tipo affabile e alla mano e, a quanto pareva, con più problemi familiari di quanto non si sarebbe aspettato da un ragazzino ricco come lui.

Pareva essere pervaso da montagne di pensieri tristi, si intravedevano bene in quegli occhi blu mare, ma era sempre sorridente e spensierato, quando era con Rena.

Era evidente quanto volesse proteggerla dai suoi demoni interiori.

Non aveva faticato molto a comprendere da dove venissero i problemi; il solo sentirlo parlare della madre lo aveva messo in allarme.

A quanto sembrava, suo padre non apparteneva allo stesso ceto sociale della moglie, e questo doveva aver creato diversi problemi nella loro famiglia.

Ma, da quel che Nickolas stesso gli aveva riferito, così non erano i genitori di Serena, a quanto pare più aperti mentalmente.

E lì si fermò.

Non doveva interessargli nulla. Lui non doveva interessarsi a Rena.

Se voleva proteggerla, doveva mostrarsi disinteressato a lei, o Yvette gliel'avrebbe fatta pagare cara, lo sapeva.

“Scelgo questa” borbottò Beau, indicando una bicicletta in tutto simile alla sua.

“Bicicletta robusta. Buon cambio e altrettanto buone ruote” assentì Pablo, guardando alternativamente i due ragazzi. “Paghi tu, Nicky?”

“Sì. Questo ragazzo ha salvato Rena, così gli devo una bici nuova” gli spiegò Nick, sorridendo.

“Oh... ma bravo! Chi fa un favore alla piccola Renita, lo fa anche a me” sorrise Pablo, mostrando qualche buco tra i denti.

“Ci hai portato anche Rena?” esalò Beau, mentre Pablo era impegnato a fare lo scontrino.

“Ricordati una cosa, Beau. Rena potrà anche avere montagne di soldi, ma alla fine dell'opera è solo una brava ragazza” gli spiegò il ragazzo, raggiungendo Pablo alla cassa, dove sborsò duecento dollari in banconote da cinquanta.

Beau preferì non farci caso, rimuginando sulle parole di Van Berger.

Quando infine raggiunsero la sua piccola casetta a due piani, circondata da una staccionata bianca e ben tenuta, Beau scese con la sua bici nuova e si volse per fissare il suo nuovo amico.

“Grazie per non averla portata qui.”

“Ho visto quanto la nostra particolare condizione ti mette a disagio, così ho preferito evitarti un imbarazzo” scrollò le spalle Nick, guardandosi intorno incuriosito. “E' un bel quartiere, e le case sono colorate e spiritose. Non devi vergognartene.”

“E' facile dirlo, per chi ha i soldi” brontolò Beau, avendo ormai capito di poter essere onesto con lui.

Nickolas allora sorrise, e annuì.

“Probabilmente hai ragione. Ma resta il fatto che la sostanza non cambia. Sei un bravo ragazzo, e Rena è una brava ragazza.”

“E tu hai visto troppi film romantici” ironizzò Beau, dirigendosi verso casa.

Sul cancello d'ingresso, si volse a mezzo per salutarlo e, più seriamente, aggiunse: “Ma è bello sentirtelo dire.”

“A presto... amico” sorrise Nickolas, risalendo sulla Escalade che, con un paio di manovre, uscì dal piccolo quartiere per dirigersi nuovamente verso Santa Monica.

“Un bravo ragazzo...” mormorò Beau, scuotendo il capo, incredulo.

Se veramente fosse bastato solo quello!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


8

8.

 

 

 

 

Non si accorse della presenza del padre, accucciato sulla veranda, se non quando sentì un fruscio di chiodi, e il seguente picchiare di un martello.

Appoggiata la bici nuova contro il muro di casa, Beau risalì i cinque scalini in legno che conducevano alla veranda d’entrata e lì, seduto a terra e nascosto dalla balaustra lignea, trovò suo padre Colton.

Era impegnato a sistemare un'asse che si era staccata dal pavimento e, a quanto pareva, non era né sbronzo né fatto.

Appariva un po' pallido ma pienamente lucido e, nel martellare con precisione sui chiodi, infilandoli tutti al primo colpo, denotò la sua grande abilità manuale.

Abilità che i vizi e la depressione non avevano cancellato, nel corso degli anni.

“Papà... che fai?” si informò Beau, sedendosi sull'ultimo gradino della scala per scrutarlo con interesse.

“Ehi, ragazzo!”

Colton si fermò subito, adocchiandolo un attimo prima di accigliarsi nel fissare il suo braccio fasciato e i jeans sdruciti.

“Ahhh... ops” esalò il ragazzo, coprendosi le fasciature con una mano. “Non preoccuparti. Non ho fatto a pugni, né mi hanno pestato. E' stato per salvare una ragazza.”

“Come?” sbottò l'uomo, interrompendo del tutto il suo lavoro per fissarlo con maggiore attenzione.

“Una mia compagna di classe. Stava per cadere a terra, e io mi sono buttato per pararle il colpo.”

Scrollò le spalle, sminuendo il suo gesto con un ghigno divertito.

“A quanto pare, ha pensato a curarti” notò con un certo divertimento l'uomo, afferrandogli gentilmente il braccio fasciato. “Ti fa male?”

“Non più di tanto... e, per la verità, non è stata neppure lei a curarmi, ma il tizio dell'Escalade che mi ha accompagnato qui” gli spiegò Beau, desiderando essere sincero con il padre.

Visto che era lucido, desiderava il suo parere, avere un rapporto più o meno normale con lui. Gli mancava parlare con suo padre, perché ricordava ancora bene quando la depressione non era che una parola, per loro.

La perdita di un lavoro troppo amato, da cui era stato allontanato nel peggiore dei modi, l’aveva portata nella loro vita per troppo tempo, ma ora sperava che tutto fosse finito.

“Mi chiedevo di chi potesse essere, in effetti ma, visto che stavi parlando con un tuo coetaneo, ho preferito non ficcare il naso. E' un bel macchinone, il suo” commentò cauto Colton, studiando il viso del figlio.

Il pestaggio non aveva lasciato strascichi, se non per due piccole cicatrici sull'arcata sopraciliare, ma già quelle bastavano a ricordargli, ogni giorno, di non toccare più un goccio di alcol, o di non darsi mai più ad altri vizi non meno pericolosi.

Aveva rischiato di perderlo a causa della sua debolezza, lui che non gli aveva mai rimproverato nulla, nonostante non si fosse comportato da padre, con Beau, negli ultimi tre anni.

Non c'era stato nei momenti di reale bisogno, si era sfogato con lui quando si era sentito perso e vuoto e, peggio ancora, aveva attirato dei malviventi in casa solo perché lui non era stato abbastanza uomo da affrontarli.

Bethany era stata una santa a non cacciarlo fuori di casa, dopo quel che aveva combinato, e anche Beau.

Fosse stata un'altra persona, non gli avrebbe neppure più rivolto la parola, invece lui era lì, fiducioso, a cercare di tenere aperto un rapporto con il proprio padre.

“Il biondino con cui parlavo è Nickolas Van Berger... sai, la V.B. 2000, quella che fa tutti quegli aggeggi super high-tech?” gli spiegò il ragazzo, attirandosi un ginocchio al petto per stringerlo a sé.

Lo faceva sempre, quando era insicuro, ed il padre lo notò subito. Chissà quanto tempo sarebbe passato, ancora, perché lui si sentisse libero di parlargli?

Non lo sapeva, ma avrebbe pazientato anche in eterno, per Beau. Era il minimo.

Colton sgranò leggermente gli occhi, più che sorpreso.

“E come hai fatto a conoscerlo? Dubito frequenti la scuola pubblica.”

“Lui no, ma la sua migliore amica sì, ed è per l'appunto la ragazza che ho salvato da una caduta” disse Beau, scrollando le spalle. “Quando hanno visto come mi ero conciato, Nickolas ha insistito perché mi curasse il dottore che hanno in ditta. Sai, eravamo nelle vicinanze, e così...”

“E' stato gentile” ammise l'uomo, ancor più sorpreso di prima.

“Dovresti vedere com'è dentro, quel posto. Sembra di entrare nella navicella del Capitano Kirk!”

Rilassandosi un poco, Beau iniziò a spiegargli ciò che aveva visto quel giorno e, poco alla volta, il suo viso si rilassò.

“Il suo dottore mi ha sistemato a dovere e mi ha prescritto dei medicinali per il dolore. E' stato davvero in gamba. Poi ho conosciuto il grande capo.”

“Il padre del ragazzo?”

“Già” assenti Beau. “Mi aspettavo un tipo affettato quanto azzimato, invece mi si è presentato davanti un omone gentile ed elegante, che si è subito interessato della mia salute prima di congratularsi con me per quello che avevo fatto per Serena.”

“La ragazza” ipotizzò Colton, sorridendogli fiero.

“Esatto. E' una Ingleton... e non ti devo neanche spiegare chi è, giusto?”

Di fronte allo sconcerto dell'uomo, il figlio ridacchiò.

Non faceva fatica ad immaginare il perché della sua sorpresa. Che ci faceva la figlia di un miliardario in una scuola pubblica?

“Morale della favola, mi hanno accompagnato a casa perché la bicicletta, durante il mio salvataggio, ha fatto una brutta fine e, per sdebitarsi, me ne hanno presa una nuova” terminò di dire lui, indicando oltre la balaustra in legno bianco.

Colton si alzò in piedi per sbirciare oltre il parapetto e, sorpreso, mormorò: “E' uguale all'altra, o sbaglio?”

“Nickolas mi ha fatto scegliere, ed io ho preferito prenderla identica” ammise Beau.

“Hai detto Nickolas. La ragazza non era con voi?”

“L'abbiamo riportata a casa, prima. Non volevo che... beh...”

Tentennando, sbuffò sonoramente e si sdraiò sulla veranda, intrecciando le mani dietro la nuca.

“Non volevo che vedesse casa mia. Non me la sono sentita. Anche perché, lei vive in un palazzo gigantesco.”

“Pensi avrebbe riso di te?” mormorò l'uomo.

“No. Lei non lo farebbe mai. Anche Nickolas è stato chiaro. Serena non è così” scosse il capo Beau. “Sono stato io ad aver avuto paura.”

Colton venne colto da un improvviso dubbio e, sedendosi su una delle sedie della veranda, domandò al figlio: “E' la ragazza che è venuta a trovarti all'ospedale? Me l'ha detto Beth.”

“Ah... te l'ha detto?” gracchiò lui, arrossendo leggermente. “Beh... sì. E' lei. Era terrorizzata all'idea che non avessimo i soldi per pagare la mia degenza, così si è precipitata lì per sapere se avevo bisogno di qualcosa.”

“Come mai tanta preoccupazione?” si informò allora l'uomo, sinceramente confuso.

Distogliendo lo sguardo dal padre, Beau sussurrò: “Per uno stupido temperamatite.”

Colton strabuzzò gli occhi e, alla fine, il figlio fu costretto a raccontargli ogni cosa; delle vessazioni all'amica, del comportamento insensato di molti studenti, dell'isolamento forzato in cui la facevano vivere.

“Non riescono a capire quanto è buona e gentile. Si basano solo sui pregiudizi che hanno nei confronti dei ragazzi ricchi, infischiandosene del fatto che lei non è così. Si è sperticata in scuse, pregandomi di non vederlo come un gesto spocchioso. Voleva solo sdebitarsi con me... e unicamente perché ero stato gentile con lei.”

Beau sorrise tra sé nel chiudere gli occhi, e ripensò al giorno in cui aveva visto Rena piombare nella sua stanza d'ospedale.

“L'hai presa molto a cuore” gli fece notare con gentilezza il padre.

“E' una brava ragazza” disse lui, ripetendo le parole di Nickolas.

Sì, tolta la patina di ricchezza che la faceva brillare d'oro e di diamanti, Rena era una brava ragazza.

“E quel Nickolas? E' il suo fidanzato?”

“A detta di entrambi, no. E, a onor del vero, Nick non la guarda da innamorato, e neppure lei lo guarda con occhi a cuoricino” commentò Beau, facendo ridacchiare il padre. “Anche lui è un bravo ragazzo.”

“Ma ti senti inferiore a loro, vero?” motteggiò amaramente Colton.

Rimettendosi seduto con agilità, il ragazzo replicò con veemenza: “Papà, non è affatto colpa tua! E' un problema mio, me l'ha detto anche Nickolas. I genitori di Serena non sono tipi che guardano al portafoglio, se capisci che intendo. Mi sto facendo dei problemi per conto mio. E poi, non è neppure detto che a lei io interessi, al di fuori dell'amicizia che stiamo condividendo. Quindi, mi sto fasciando la testa prima di essermela rotta, e forse per nulla.”

“Ciò non toglie che, se mi fossi comportato con maggiore consapevolezza, tua madre non si dovrebbe rompere la schiena con due lavori” sospirò l'uomo, scuotendo il capo. “E tu non ti vergogneresti a portare a casa i tuoi amici.”

“Nick pensa che la casa sia carina” scrollò le spalle Beau, cercando di metterci tutto il suo buonumore, in quelle parole.

A Colton sfuggì un risolino di scherno, ma il ragazzo insisté.

“Papà, la casa non ha niente che non vada. E' pulita, in ordine, con i serramenti che funzionano, ridipinta di fresco... non sfigura, davvero.”

“Allora perché non la inviti qui a studiare?” lo mise alla prova l'uomo, studiandolo con attenzione in viso.

“Lo farò. Così ti ricrederai” sentenziò Beau, pur sentendosi un idiota anche mentre proferiva quella promessa.

“Vedremo, ragazzo. Vedremo” dichiarò Colton, rialzandosi per rimettersi al lavoro.

A lui non restò altro che entrare in casa e chiedersi come risolvere quel problema in cui, tra l'altro, si era ficcato con le sue stesse mani.

§§§

Un biglietto.

Beau le aveva lasciato un biglietto sul banco.

Era passato dinanzi a lei senza guardarla, si era appoggiato al suo banco come per sorreggersi e, tra i suoi quaderni, aveva lasciato un biglietto.

Non le aveva detto nulla, non le aveva lanciato un'occhiata d'intesa. Niente.

Solo quel biglietto.

Ed ora, sola nell'aula in attesa del ritorno dei suoi compagni dalla mensa, non aveva il coraggio di aprirlo per leggerlo.

Trattenerlo tra le dita tremanti, però, non sarebbe servito a nulla, e presupponeva che all'interno vi fosse una domanda alla quale, prima o poi, avrebbe dovuto dare una risposta.

“E aprilo...” mugugnò tra sé, afferrando saldamente i lembi del foglietto.

Strizzando gli occhi, lo aprì di getto e, dopo qualche altro attimo di panico, lo sbirciò attraverso le lunghe ciglia brune.

Un attimo dopo, sbarrò gli occhi ed esalò: “Tutto … qui?”

Vieni a studiare a casa mia, oggi?

D'accordo, per un attimo aveva pensato a tutt'altra cosa ma, pensandoci con maggiore obiettività, aveva realmente pensato che Beau volesse invitarla fuori? Lei?

E dire che si credeva più sveglia di così.

In nessun universo conosciuto, un ragazzo bello e benvoluto da tutti come lui avrebbe invitato la sfigata in per eccellenza del SMH.

Sciocca lei a crederlo.

D'altra parte, era una sorta di invito anche quello, perché prevedeva casa sua.

Casa che si era ben guardato dal farle vedere giusto due giorni prima, quando solo Nickolas era stato ammesso nel suo universo personale.

Forse era un modo per chiederle scusa? Poteva essere.

Ugualmente, le andava di vederlo al di fuori della scuola.

Sorridendo, ricopiò sulla propria agenda il suo indirizzo.

Quando lo vide entrare in classe, seguito a ruota da un paio di altri studenti, si limitò ad annuire una volta sola quando lui scrutò dalla sua parte, sperando che capisse.

A giudicare dal sorriso che scaturì sul suo volto, dovette aver compreso e, per tutto il resto della giornata, Rena semplicemente non ragionò più.

Era agitata, nervosa, insicura, non sapeva che pensare o cosa vederci, in quell'invito. Semplicemente, Beau poteva aver bisogno di lei in qualche materia di studio o, forse, voleva parlare di qualcosa a cui, al momento, non riusciva a pensare.

Magari voleva sapere quando poteva andare a vedere i laboratori della V.B. 2000! Da bravo maschio, forse aveva in mente soltanto l'invito di Andrea.

Al solo pensiero, Rena si sentì veramente abbattuta.

Dopotutto, quella era la prima volta che un ragazzo la invitava. Tolto ovviamente Nick, ma lui era come un fratello, perciò non contava.

Che doveva pensare, quindi?!

§§§

“E così, ti ha invitata a casa sua” celiò Nickolas, guadagnandosi per diretta conseguenza uno scappellotto da Rena.

“E' inutile che metti tanta enfasi in quel che dici. Ha solo bisogno per studiare, tutto qui” precisò lei, piccata quanto imbarazzata.

“Oh, sì, certo. Lo studio. Non ci avevo pensato.”

Nick sghignazzò, spudorato quanto divertito, sgusciando via prima che lei potesse colpirlo di nuovo.

“Sei un idiota, lo sai?” bofonchiò la ragazza, bloccandosi a metà di un passo quando vide giungere Beau sulla Ocean Front, a cavallo della sua nuova bicicletta.

“Ehi, ciao!” esclamò lui, bloccandosi con una frenata ad arte.

I due giovani risposero all'unisono, salutandolo con eguali sorrisi e Rena, stringendo con una mano la cinghia del suo zaino, gli chiese: “A che ora posso venire, oggi?”

“Anche subito. Dammi il tempo di arrivare a casa per aprire la porta” ridacchiò lui, prima di notare il sorrisino di Nick ed il suo sguardo divertito. “L'invito è aperto anche a te, sai, bello?”

“No, grazie. Devo andare a lezione di scherma” declinò con gentilezza Nick, scuotendo una mano.

“Scherma?” ironizzò Beau, ridendo spudoratamente.

Accigliandosi, Nickolas replicò torvo: “Non fiatare. Ci sono costretto. Ma non appena avrò diciotto anni, comprerò un surf e imparerò ad andarci. Nessuno potrà vietarmelo, visto che sarò maggiorenne.”

“Chiamami quando lo farai, così ti darò qualche lezione” disse allora Beau, sorridendogli simpaticamente.

Il giovane Van Berger sgranò leggermente gli occhi, chiaramente invidioso, e borbottò: “In questo momento ti sto odiando, sappilo.”

“Perché studierò con Serena?” ridacchiò Beau, dando una pacca sulla spalla alla ragazza.

“Perché puoi fare surf” sbottò Nick, sorridendo poi all'amica prima di aggiungere: “Senza nulla togliere, Rena.”

“Ovviamente” celiò lei, facendo la sostenuta.

L'auto di Serena giunse proprio in quel momento, come da sua richiesta e Jay, nel parcheggiare, discese dalla berlina e li salutò calorosamente.

“Eccomi qui, Miss Ingleton. Dove la porto?”

Rena lanciò uno sguardo alla bicicletta di Beau, studiò con attenzione l'ampiezza del bagagliaio e, infine, domandò: “Tolta la ruota anteriore, può stare nel baule?”

Jay ci pensò su un attimo, vagliando la lunghezza del telaio e, con un sorriso, assentì. “Nessun problema, signorina.”

“Anche tu?” sussurrò Beau, rivolto alla ragazza.

“E' una fissa di Jay. Non vuole usare il mio nome” bofonchiò lei, facendo sorridere divertito l'autista, che scrollò le spalle come per scusarsi.

“Comunque, guarda che posso andare a casa con...”

Rena lo frizzò con un'occhiataccia e Beau, levate le mani in segno di resa, consegnò la bicicletta all'autista che, con competenza, tolse la ruota anteriore prima di caricare il tutto nel baule della berlina.

Nick allora li salutò con un cenno della mano e un sorriso e, da solo, si avviò per raggiungere il palazzo dove si trovava la ditta dei genitori.

Rimasti soli, Rena sorrise a Beau e disse: “Prego, sali.”

“Fichissima. E' una Mercedes Benz E350cdi W212?” disse Beau, rivolgendosi all'autista.

“Esattamente” assentì l'uomo, mentre i due giovani salivano sui sedili posteriori.

“Con il motore V6 da 231 cavalli, vero?” chiese ancora il giovane, con occhi illuminati dalla curiosità.

Jay allora rise sommessamente e annuì.

“Sei esperto. Ti piacciono le auto?”

“Solo quelle potenti. E questa la è” sorrise Beau, accarezzando la pelle morbida dei sedili. “Mi immagino soltanto cosa voglia dire tenerli puliti.”

“C'è da lavorare un po', e solo con prodotti delicatissimi” ammise Jay. “In che direzione?”

Beau diede l'indirizzo e l'autista, senza nessun problema, si infilò nel traffico facendo ruggire il motore della Mercedes.

“E' uno sballo, quest'auto” ridacchiò Beau, guardandosi intorno con espressione estasiata.

Rena sorrise deliziata nel vederlo così eccitato e fu tentata di dire a Jay di allungare il tragitto, ma la curiosità che provava all'idea di vedere casa sua era troppa, perciò desistette.

Anche se si sentì una perfetta egoista.

Avrebbe però potuto portare Beau a fare un giro un'altra volta, nessuno lo vietava.

Ammesso e non concesso che lui volesse rivederla ancora, fuori dalla scuola.

Mentre Jay e Beau discorrevano di auto, con una competenza ben lontana da quella che aveva lei, Rena si guardò intorno con curiosità.

Le case erano graziose, come piccole pietre preziose incastonate in semplici montature.

Certo, non sfarzose come la sua villa, ma... perfette nella loro modestia.

I bei prati erano curati, le facciate colorate con toni accesi e, ogni dove, si potevano vedere bambini intenti a giocare tra loro.

C'era allegria, forse un po' di confusione, ma c'era vita.

Non il perbenismo altisonante che si sarebbe potuto trovare in una qualsiasi delle case dei suoi conoscenti.

Non la spocchiosa esposizione della ricchezza accumulata negli anni.

Non l'assoluta mancanza di vivacità ed espressività.

Qui si poteva ridere sguaiatamente, senza temere che qualcuno potesse rimproverarti per la tua mancanza di eleganza.

Qui si poteva correre, senza alcuno a riprenderti per la tua mancanza di grazia.

Qui nessuno ti guardava dall'alto al basso, valutando ogni centimetro di te prima di riderne, o provare invidia.

Quando l'auto si fermò di fronte a una bianca staccionata, oltre cui si trovava una casetta a due piani interamente ricoperta di assi di legno color giallo paglierino, sorrise.

Era davvero carina.

Uscì senza attendere Jay e, correndo alla staccionata, la guardò meglio, sorridendo maggiormente quando vide una statua lignea non interamente ultimata, posta accanto alla porta del garage.

Beau fu lesto a raggiungerla e, vagamente imbarazzato, disse: “Scusa. Evidentemente, mio padre si è messo a intagliarla senza però riporla. C'è un po' di segatura in terra e...”

“E' splendida” esalò lei, interrompendolo a metà della frase.

Rivolgendosi a Jay, Rena poi disse: “Puoi tornare questa sera verso le sette?”

“Non ci sono problemi. A dopo, Miss Ingleton. Beau.”

“Alla prossima, Jay!” esclamò il ragazzo, salutandolo tutto sorridente.

L'autista si allontanò con un sorriso divertito in viso e Rena, senza attendere oltre, oltrepassò il cancelletto d'ingresso e si diresse senza ulteriori indugi in direzione della statua appena abbozzata.

Fu a quel punto che Colton uscì dalla rimessa, armato di aspirapolvere e, vedendo i due ragazzi nel cortile, arrossì leggermente e si guardò intorno, spiacente per il caos che regnava tutt’intorno.

“Oh... siete... già arrivati? Speravo di riuscire a riordinare prima del vostro arrivo. Scusate.”

“Oh, non si deve scusare, Mr Shaw” replicò sorridente Rena, allungando una mano con allegria. “Io sono Serena Ingleton. Tanto piacere.”

L'uomo si affrettò a poggiare l'aspirapolvere a terra,  passarsi la mano destra sui pantaloni e infine offrirla a Serena, asserendo: “Il piacere è tutto io. Io sono Colton.”

“Stavo ammirando la sua opera, prima, e non posso che farle i miei complimenti” esalò eccitata Rena, avvicinandosi alla statua di Madonna appena accennata nel legno. “Lavora solo con gli scalpelli, o è uno di quegli artisti alternativi che usano anche la motosega?”

Colton scoppiò a ridere e, avvicinatosi egli stesso alla statua, la accarezzò pensieroso, mormorando: “Sono ben lungi dall'essere un artista. E no, niente motosega, sul legno. Solo olio di gomito.”

Rena lanciò un'occhiata divertita all'amico, che se ne stava in silenzio dietro di loro e,  scrollando appena le spalle, lei celiò: “Non mi avevi detto che tuo padre è così modesto.”

Beau, mani in tasca e l'aria di non sapere che fare, affiancò Rena e lanciò un'occhiata curiosa alla statua del padre.

Aveva sempre ritenuto fossero belle opere ma, da profano, non aveva mai saputo tributare loro un valore.

Non aveva idea se Serena stesse dicendo la verità, o si fosse soltanto sentita in dovere di fare un complimento a suo padre ma, a giudicare da come studiava quel ciocco di legno intagliato, non pareva scherzare.

Massaggiandosi il mento con aria pensosa, la ragazza infine disse: “Non sono un'intenditrice, perché sono più ferrata sulla pittura, ma secondo me è un pezzo di gran pregio. Dovrei parlarne con Nick. E' lui l'esperto di statue.”

“Nick?” ironizzò Beau, senza riuscire a fermarsi. “Lo prenderò in giro a vita.”

“Oh, arrivi tardi. L'ho già fatto io” ridacchiò Serena, tornando ad osservare Colton, che la stava studiando con occhi confusi. “Non vorrei dire una sciocchezza ma, se non erro, entro la fine di Gennaio ci sarà una mostra a Santa Monica per gli artisti emergenti, di qualsiasi genere di arte. Perché non partecipa? Sono sicura che farebbe affari d'oro.”

I due Shaw rimasero basiti di fronte alla sua proposta e Rena, di fronte alle loro facce sconcertate, scoppiò a ridere.

“Avete espressioni identiche! Giuro, non sto scherzando!”

Afferrando la mano di Rena per trascinarla dentro casa, Beau borbottò: “Beh, la tua l'hai detta. Ora, sarà il caso se entriamo per studiare. Ho davvero bisogno di te, per Storia.”

“Va bene” esalò lei, ridacchiando. “A presto, Mr Shaw!”

“A presto” mormorò Colton, scrutando ancora un istante la ragazza prima di tornare a fissare la sua opera incompiuta.

Dopo aver preso la breve scala ed essere giunti in veranda, Beau scostò la zanzariera e aprì la porta di casa con aria vagamente preoccupata.

“Benvenuta in casa mia. Scusa se non è molto grande, o se...”

Rena non lo ascoltò neppure e, interrompendolo con un gridolino eccitato, lo oltrepassò per andare a curiosare il muro opposto all'entrata, dove si trovava una foto dei Rolling Stones.

Sorridente e divertita, la ragazza osservò il gruppo rock e i coniugi Shaw accanto a loro, immortalati dopo un concerto nel Maine.

Sorpreso dalla reazione della ragazza, Beau la raggiunse e le domandò: “Beh? Non hai mai visto una foto degli Stones?”

“Certo che sì. Ma sono sorpresa di scoprire che anche i tuoi genitori fossero là, quel giorno. I miei ne hanno una simile, nella loro camera da letto” ridacchiò Rena, sorprendendolo non poco.

“Ah” gracchiò il ragazzo, non vedendoceli proprio, i coniugi Ingleton, ad un concerto rock.

Serena sorrise teneramente e, nell'accomodarsi al tavolo del cucinotto, poggiò lo zaino a terra e disse: “Beau... guarda che i miei genitori sono persone esattamente come tuo padre e tua madre. E la tua casa è perfetta, anche se non ha la metratura della mia. Capisco benissimo la differenza, e non mi preoccupa... se non preoccupa te.”

Dandosi dell'idiota per aver dubitato di lei, Beau la raggiunse al tavolo e, dopo aver estratto dalla sacca il suo libro di Storia, le sorrise.

“Per merenda avremo la torta di more. Spero ti piaccia.”

“La adoro” sorrise la ragazza, aprendo il proprio libro.

Lui la studiò ancora un attimo, creatura così bizzarra in quel luogo tanto modesto e, sorridendole grato, mormorò: “Grazie per quello che hai detto a mio padre. Gli fa bene per l'autostima.”

“Lo pensavo veramente. E mi informerò su quella mostra di strada. Credo davvero che possa vendere le sue opere. Se ne ha altre, le guarderei volentieri, più tardi” replicò lei, con sincerità.

“Te le mostrerò” assentì Beau, il cuore colmo di gratitudine.

Era davvero una brava ragazza, proprio come gli aveva detto Nick.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


9

9.

 

 

 

 

 

Natale era passato abbastanza tranquillo e, per quelle festività, Rena aveva sotterrato l'ascia di guerra per non dover litigare perennemente con il padre.

Aveva ricevuto come sempre regali stupendi ma, per la prima volta in vita sua, li aveva trovati esagerati.

Si era sentita quasi in colpa all'idea di aver ricevuto praticamente un guardaroba nuovo, e Nick aveva peggiorato la situazione regalandole una prima edizione firmata di Peter Pan, che lei adorava.

Aveva preferito non pensare a quanti soldi avesse speso, perché la sola idea l'aveva fatta sentire frivola e, sì, spocchiosa.

Per festeggiare Capodanno, la sua famiglia si era poi recata al ricevimento indetto dai Van Berger nella loro villa di Santa Monica e lì, assieme agli altri invitati, aveva ammirato affascinata i fuochi d'artificio.

Ma, per tutto il tempo, lei aveva pensato a Beau e a come avrebbe festeggiato l'arrivo del nuovo anno.

Dopo quella prima visita imbarazzata a casa sua, Rena era andata là per aiutarlo in Storia altre due volte, prima della verifica pre-natalizia.

Si erano divertiti, studiando il programma per la verifica e alternandolo a break gastronomici, offerti dalle sapienti mani di Bethany.

In un caso, Rena aveva addirittura chiesto la ricetta di un biscotto che lei aveva particolarmente apprezzato.

L'ultimo giorno di scuola, Beau le aveva poi regalato un paio di guanti in lana color smeraldo, mentre lei gli aveva consegnato, in un pacchetto dorato e dal fiocco blu, un nuovo campanello per la sua bici.

Nel vederle addosso quei particolari guanti, la notte di Capodanno – mentre osservavano i fuochi nel giardino – Nick gliene aveva chiesto la provenienza, e lei era arrossita.

Il ragazzo allora le aveva sorriso, le aveva stretto la mano e non aveva più fatto domande sui misteriosi guanti.

Rena gliene era stata grata.

Ora, con un depliant tra le mani e un sorriso allegro sul viso, la ragazza entrò in classe per prima – come sempre – e attese che Beau facesse la sua comparsa.

Aveva dovuto mandare giù un rospo non indifferente per chiedere lumi al padre circa il concorso per artisti emergenti, ma alla fine aveva ottenuto quanto desiderato.

Suo padre, forse sorpreso da quell'apparente calo delle ostilità, le aveva risposto con dovizia di particolari, aveva telefonato a un paio di amici per avere conferme e, il giorno seguente, le aveva consegnato il prezioso depliant.

Non le restava che darlo a Beau, perché suo padre potesse leggerlo.

Quando infine lo vide entrare, di ritorno dalle vacanze di Natale, lei fece finta di niente e allungò il depliant sul banco prima di mostrarsi tremendamente impegnata a cercare qualcosa nello zaino.

Subito sorpreso, Beau afferrò al volo cosa la ragazza stesse tentando di fare e, con noncuranza, prese l'opuscolo per poi infilarselo in una tasca.

Rena sorrise soddisfatta.

§§§

“Papà...” mormorò Beau, affacciandosi sul garage di casa. “Posso entrare, o sei impegnato?”

“Entra pure, figliolo” asserì l'uomo, togliendosi la maschera da saldatore per poi spegnere il cannello che teneva in mano.

Riposta la pistola sull'apposito archetto, l'uomo fissò il figlio ed il suo volto divertito e, sollevato un sopracciglio in attesa, dichiarò: “Sembri un gatto che ha mangiato un canarino.”
“Quasi” ridacchiò lui, allungandogli l'opuscolo di Rena.

Vagamente confuso, Colton lo afferrò per curiosare con lo sguardo la carta colorata e liscia ma, quando capì di cosa si trattava, sgranò gli occhi e lo fissò sconcertato.

“E questo da dove salta fuori?!”

“E' la manifestazione di cui ti parlava Rena. E, dentro, c'è un messaggio per te” gli spiegò il ragazzo, accentuando il suo sorriso.

Apertolo con mani leggermente tremanti, l'uomo lesse avidamente le parole vergate dalla grafia elegante di Rena e, lentamente, sorrise.

 

Spero sinceramente lei desideri partecipare,

perché io verrò al molo di Santa Monica solo

per vedere le sue opere. A costo di venire con

la mia bicicletta, ma ci sarò. Lei faccia altrettanto.

 

“Credo che tu non possa rifiutare” ironizzò Beau, infilandosi le mani in tasca.

“Ottiene sempre quello che vuole?” chiese divertito l'uomo, mettendo in tasca l'opuscolo.

“Non lo so. Ma sicuramente ci prova” scrollò le spalle il ragazzo. 

“Beh, non posso certo deludere una ragazza così gentile, ti pare?” asserì allora Colton, sorridendogli vagamente imbarazzato.

“Credo proprio di no” annuì il figlio, sorridendogli orgoglioso.

§§§

“Non vedo perché io non possa venire con te, Rena, visto che non è la prima volta che vado a una mostra di giovani artisti” replicò ad un certo punto Barthemius, fissando la figlia con espressione confusa.

Arrossendo suo malgrado, la figlia borbottò: “E' una mostra piuttosto informale... e poi, non so, magari ti annoieresti a morte.”

L'uomo si indicò con ironia e replicò: “Credi che cardigan, pantaloni in velluto e mocassini siano troppo? Mi metterò jeans, polo e scarpe da ginnastica, se preferisci.”

Grace osservò la diatriba tra marito e figlia con un sorrisino allegro stampato sul viso e, mentre Jay attendeva paziente sulla porta, Rena protestò ancora.

“Non dico che non vada bene l'abbigliamento, ma penso che...”

Interrompendola con un gesto della mano, Bart replicò lapidario: “Ti ho dato una mano, ed ora pretendo di capire per chi o per cosa, se permetti.”

“E va bene! Ma poi non lamentarti con me se quel che vedremo non sarà di tuo gusto” sbottò a quel punto la ragazza, dirigendosi a grandi passi verso l'autista, che la lasciò passare con un sorrisino comprensivo stampato in viso.

Barthemius sospirò esasperato e, nel prendere sottobraccio la moglie, borbottò: “Mai fidarsi delle donne. Ti danno l'impressione di essersi calmate, quando in realtà non è affatto vero.”

“E lo scopri solo ora, caro? E dire che sei un genio della finanza! Ti facevo più scaltro!” 

Grace rise di gusto di fronte al cipiglio del marito e, uscita che fu con lui nel cortile antistante la villa, salirono sulla Mercedes assieme alla figlia.

Rena se ne stava sul sedile anteriore, le braccia intrecciate e l'aria scocciata, come se la presenza dei genitori le stesse guastando la giornata.

Grace, però, era stata irremovibile, quel giorno.

Quando aveva saputo che sua figlia si sarebbe recata a quella mostra, lei aveva deciso che non l'avrebbe lasciata andare da sola.

Anche perché aveva idea che, finalmente, avrebbe scoperto l'identità della persona che le aveva regalato i guanti che, da quel Capodanno in avanti, Rena non aveva più voluto smettere di usare.

Raggiunto che ebbero il molo di Santa Monica, dove una marea di stand erano stati montati in caso di maltempo per proteggere le opere, la famiglia Ingleton scese dall'auto e congedò Jay dandogli la giornata libera.

Lì, Rena indicò loro dove imboccare la Ocean Front e, quando si ritrovarono nel flusso continuo di pedoni e curiosi che stavano avvicinandosi alla mostra, iniziò ad agitarsi.

Non aveva avuto nessuna intenzione di andare a quella manifestazione con i genitori perché, per quanto pensasse tutto il bene possibile di loro, aveva iniziato a temere che potessero essere come gli altri.

Erano passati mesi da quando, alle lezioni di equitazione o di danza, la sua rabbia e frustrazione si erano incanalate contro il padre.

In principio, il suo desiderio di mandarla alla scuola pubblica l'aveva ferita.

Aveva visto quella scelta come una sorta di punizione nei suoi confronti, come uno spregio e, immediatamente, le sue amiche le avevano fatto pesare quella condizione di inferiorità.

Ne aveva sofferto, si era trincerata dietro un silenzio offeso e cocciuto ma, col passare del tempo, aveva iniziato a comprendere l'ipocrisia di tutta quella situazione.

Non solo le sue amiche non si erano dimostrate tali, lasciandola sola nel momento del bisogno e non comprendendo la sua situazione, ma si era anche trovata a dover sopportare le loro prese in giro gratuite.

Era stata ostracizzata dal mondo che, fino al giorno precedente, l'aveva portata in palmo di mano solo perché figlia di Barthemius Ingleton, oltre che studentessa modello di una delle più prestigiose scuole private della West Coast.

Una volta messo piede alla SMH, tutto era cambiato.

Solo Nickolas le era rimasto al fianco, apprezzando i suoi sforzi di trovare un nuovo equilibrio in quella situazione del tutto inaspettata.

E poi era arrivato Beau, con i suoi modi schivi e al tempo stesso divertenti, con il suo sorriso candido e ammaliante, con la sua parlantina sciolta e i modi gentili.

Certo, abituarsi alla vita nella nuova scuola era stato snervante, ancora in tanti la odiavano, ma sapere di avere Beau al suo fianco la confortava.

Ovviamente, la loro amicizia stava progredendo in gran segreto, per evitare che Yvette o qualcun altro, a scuola, potesse decidere di stroncarla sul nascere, ma le andava bene anche così.

Anzi, in qualche modo era più divertente.

Lasciare, perciò, che i suoi genitori si infiltrassero a forza in quel suo nuovo, piccolo universo, fatto di gesti semplici e sinceri, non più dettato dai sordidi interessi del mondo da cui proveniva lei, la infastidì.

Non poteva però obbligarli a restare a casa e, soprattutto, non se la sentiva di proseguire oltre con il muro contro muro con il padre.

Aveva compreso i motivi che l'avevano spinto ad agire.

Stava diventando né più né meno come le ragazze che, un tempo, lei aveva ammirato tanto ma che, in quel momento, trovava solo effimere come lo scorrere del tempo.

Si era resa conto della sua fortuna, dei privilegi che le erano spettati fin dalla nascita, del modo a volte sciocco in cui aveva sperperato i suoi soldi, e tutto grazie a quel balzo nel mondo vero.

Un mondo che, nonostante le difficoltà che stava tutt'ora incontrando, le piaceva.

Non si sarebbe mai sognata di fermarsi a chiacchierare per i corridoi con gli insegnanti, nel collegio privato in cui era andata fino ai quattordici anni, né avrebbe mai seguito una lezione masticando una gomma.

Non indossare più la rigida divisa della scuola le tornava bene, perché aveva imparato quanto comodo fosse camminare con le scarpette da ginnastica, al posto delle scarpe lucide e di cuoio.

Quando infine riuscirono a imboccare il molo, ingombro di gente e di chiacchiere spensierate, Rena sorrise e lasciò perdere tutto tranne la gioia di trovarsi lì, quel giorno.

Avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco e, se i suoi genitori si fossero comportati in maniera spocchiosa, li avrebbe ripresi.

Non voleva fare brutta figura con Beau dopo che, per settimane, si era premurata di dirgli che la sua famiglia non era come le altre.

Sbirciando ogni tanto i genitori, che osservavano interessati le opere in esposizione, sorrise deliziata quando finalmente inquadrò le statue di Colton e, con un sorriso spontaneo, levò una mano per salutarlo.

L'uomo la vide non appena avvertì il suono trillante della sua voce e, sorridendole spontaneo, le andò incontro per stringerle la mano.

Rena gli sorrise tutta orgogliosa prima di volgere lo sguardo verso i genitori – che l'avevano seguita incuriositi – e dire: “Papà, mamma, lui è Colton Shaw. E' il padre di un mio compagno di classe.”

Colton parve un po' imbarazzato all'idea di ritrovarsi davanti al magnate dell'acciaio e alla più famosa avvocatessa di Los Angeles, ma la coppia fu lesta a toglierlo da tale impaccio.

Bart fu il primo a muoversi e, stretta con forza la mano dell'uomo, dichiarò: “E' un piacere conoscerla. Le ha fatte tutte lei, queste opere?”

“Non le definirei opere, ma sì, le ho fatte io” assentì Colton, sorridendo a Rena.

“Il solito modesto” chiosò la ragazza, dandogli un'amichevole pacca sul braccio.

Grace sorrise di fronte al tono cameratesco della figlia nei confronti dell’uomo, che sembrava pendere dalle labbra di Rena ma, quando vide un alto giovanotto comparire da dietro il tendone, si ritrovò a ridacchiare.

Rena, come per magia, arrossì copiosamente ma, nel vedere il ragazzo in difficoltà con una statua piuttosto ingombrante, fu veloce ad aiutarlo, perdendo di vista il suo imbarazzo.

“Ehi, ciao! Appena in tempo!” esclamò il giovane, vedendola corrergli incontro. “Stava per cadermi.”

“Se facevi cadere questa fata, ti avrei spaccato la testa, poco ma sicuro” brontolò la ragazza, afferrando la statua dal basso, per stabilizzarla.

Bart e Grace osservarono interessati l'intera scena, meravigliandosi un poco nel vedere la figlia compiere lavori manuali senza alcun problema e, quando finalmente la statua fu posizionata sul piedistallo, applaudirono.

Rena scoppiò a ridere e, con una serie di inchini scherzosi, esclamò: “Grazie, grazie, è solo classe innata.”

Beau, però, non rise affatto e, rosso in viso per l'imbarazzo, tirò leggermente la felpa di Serena e sussurrò: “Scusa ma... sono i tuoi genitori?”

“Già... a quanto pare” ironizzò lei, afferrandolo ad una mano perché lo seguisse. “Lui è Beaurigard Shaw, il ragazzo di cui vi ho accennato prima.”

“Accennato? Che avresti accennato, scusa?!” gracchiò lui, impallidendo visibilmente.

Serafica, la ragazza replicò: “Ho solo detto che sei suo figlio, e mio compagno di classe.”

Ciò detto, indicò Colton, che stava facendo di tutto per non scoppiare a ridere.

Grace sorrise comprensiva di fronte all'imbarazzo di Beau e, allungando una mano nella sua direzione, disse: “E' un vero piacere conoscere un compagno di classe di Rena. E devo dire che hai un nome davvero bello.”

“Lo ha conosciuto anche Andrea, e anche a lui è piaciuto” dichiarò la ragazza, tutta soddisfatta.

“Non mi pare giusto che Andrea lo abbia conosciuto prima di me” brontolò Bart, allungandosi per stringere a sua volta la mano del ragazzo. “E' un piacere, Beaurigard.”

“Beau, per favore. Nessuno usa mai il mio nome per intero” mormorò lui, ancora piuttosto imbarazzato.

I due adulti annuirono e Rena, rivolgendosi a Colton, domandò: “Ha già venduto qualcosa?”

“Per la verità, sì. Ed è passato anche un critico d'arte, che si è premurato di farmi notare che stavo vendendo i pezzi a tariffe troppo basse” ridacchiò l'uomo, passandosi una mano sulla nuca.

“Gliel’avevo detto, infatti.”

Rena sorrise tronfia a quel commento, prima di spiegare tutto ai genitori.

“Avevo fatto un po' di foto, che poi ho passato a Nick, e lui mi ha detto subito che avevano del potenziale, e potevano essere vendute ad un certo prezzo.”

“Quel ragazzo è una miniera di sorprese” commentò divertito Bart, scrutando con attenzione una piccola dea della giustizia in radica di legno di noce, con i piatti della bilancia finemente lavorati. “Sapevo del suo interesse per l'arte, ma non pensavo che se ne intendesse tanto.”

“C'è un motivo se lo chiamo Fidia.

Rena ghignò al solo pensarci.

“Fossi in lui, te la farei pagare cara” celiò il padre, sfiorando il legno della statuina prima di esalare: “Accidenti, sembra seta.”

“Fammi vedere” si interessò subito Grace, avvicinandosi.

Serena, tutta soddisfatta, lanciò un'occhiata a Beau, che appariva ancora un po' stordito e, avvicinatasi a lui, sussurrò: “Allora... sono così tremendi come temevi?”

“No. Sono … wow!” esalò lui, sorridendole di rimando.

“Tua madre non c'è? Volevo salutarla” si informò a quel punto Rena, guardandosi intorno prima di notarla in mezzo alla folla e in pronto avvicinamento. “Oh, eccola! Mrs Shaw. Buongiorno!”

“Serena, che bello vederti!” le sorrise la donna, abbracciandola con affetto non appena l’ebbe raggiunta.

“Meno male che è arrivata. Vorrei presentarle i miei genitori. Mamma...” dichiarò la ragazza, volgendosi verso la coppia. “Oh... la compri?”

Bethany e Beau scrutarono incuriositi la donna che, con occhi affascinati, stava studiando da ogni angolazione la dea della giustizia.

Annuendo con fervore, Grace dichiarò: “Questa viene a casa con me, e finirà nel mio studio. Si abbinerà alla perfezione con la mia scrivania.”

“In effetti. E' in radica anche quella” ammise Rena, sorridendo tutta contenta.

Bethany osservò orgogliosa il marito che, sorpreso da quella richiesta, si affrettò a confezionare la statuetta, gli occhi che brillavano di soddisfazione malcelata.

“Ti accontenti di poco, tesoro” la prese bonariamente in giro Bart. “Io penso che opterò per quella.”

Nell'indicargliela, l'uomo vide la moglie accigliarsi immediatamente e, con cipiglio, puntare le mani sui fianchi.

“Beh, non so se mi va che tu metta quella Venere nel tuo studio. E' un po' troppo bella. Non è che poi ti distrai e fai dei macelli, dopo?” brontolò Grace, facendo ridacchiare Colton e Bethany.

Beau, semplicemente, pareva strabiliato. E sì, affascinato dai modi così affabili e complici della coppia.

Si era sempre immaginato, pur non volendolo, che i genitori di Rena fossero, sì, educati e cortesi, ma un po' freddini.

Invece erano una coppia affiatata, divertente e che non lesinava sorrisi e battute.

“Non puoi davvero essere gelosa di una statua!”

Barthemius rise di gusto, avvolgendole la vita con un braccio per scrollarla scherzosamente.

“Mi farò fare un Adone, giusto per par condicio” replicò allora Grace, sorridendo sorniona a Colton.

“Beh, questa poi!” sbottò a quel punto il marito, non sapendo più che dire.

Grace gli sorrise dolcemente, ma a Colton disse: “Vada per la Venere, ma vorrei davvero che facesse una statua maschile per me. A lei la scelta. Un Achille, un Ettore, un Ercole... quello che secondo lei può andare bene per un salottino da the.”

L'uomo parve piuttosto sorpreso da quella richiesta, ma annuì e Grace, volgendosi finalmente verso la figlia, sorrise alla donna al suo fianco e disse: “Lei deve essere la madre di Beau. Molto piacere, sono Grace.”

“Il piacere è mio. Mi chiamo Bethany.”

Lasciando che i loro genitori si conoscessero meglio, Beau attirò Rena dietro il box per mostrarle una statua in particolare che non avevano ancora esposto.

“Questa l'ho tenuta qui per te. Non volevamo che qualcuno la vedesse prima di te.”

Non appena Rena puntò lo sguardo sul primo piano del suo volto, scolpito con sapiente maestria in un ciocco di legno nodoso e dalle striature bellissime, rimase senza parole.

Le lacrime le affollarono gli occhi smeraldini e, quasi senza accorgersene, si gettò addosso a Beau per abbracciarlo, mormorando contro il suo torace: “Oddio, grazie! E' bellissima!”

Sorpreso da quella reazione e, soprattutto, dal ritrovarsela tra le braccia, minuta e delicata come un fiore, e altrettanto profumata, Beau non seppe che fare.

Desiderava da tempo averla così vicina, ma non aveva mai neppure pensato di tentare un approccio con lei, anche solo scherzoso.

Ed ora era lì, stretta a lui e con le lacrime agli occhi per la gioia, ed il suo cuore rischiava di esplodergli nel petto.

Restituì l'abbraccio con timore, quasi spaventato all’idea di spezzarla e, debolmente, le baciò i soffici capelli.

“Ehi, va tutto bene. Papà si sentiva ispirato, così l'ha fatta” mormorò lui, scostandola da sé per asciugarle le lacrime con il pollice.

“La voglio, assolutamente” singhiozzò lei, avvolgendo il piccolo busto tra le braccia prima di tornare nel box.

Beau la seguì più lentamente, e solo dopo essersi passato una mano sul torace dove, fino a qualche attimo prima, era stata poggiata Rena.

Non appena la ragazza fece la sua comparsa nello stand, corse subito da Colton e lo abbracciò con foga esclamando: “Grazie, è bellissima!”

L'uomo fu sorpreso dalla sua reazione ma, quando le vide in mano il piccolo busto, comprese cosa fosse successo e le sorrise.

“Sono lieto che ti piaccia.”

“Oh, la adoro! E' stupenda!” esclamò lei, stringendolo in un altro abbraccio prima di mostrare eccitata il busto ai suoi genitori. “Non è meraviglioso?”

“Se la smetti di saltare, sarà più facile capire cos’è” ridacchiò il padre, lieto di vederla così raggiante.

Rena gli fece una pernacchia ma si fermò e, nel consegnare il busto nelle mani della madre, sorrise nuovamente a Colton e Bethany.

Grace accarezzò la sericea consistenza del legno, le splendide venature, color bruno scuro utilizzato per colorarlo e, annuendo, asserì: “Non potrebbe essere più somigliante, e penso proprio che compreremo anche questa.”

“Temo non sia in vendita” replicò Colton, sorprendendo tutti. “E' il mio regalo per Serena, ecco tutto.”

“Un regalo... per me? E perché?” esalò la ragazza, sgranando gli occhi per la sorpresa.

L'uomo la fissò con gratitudine e le disse sinceramente: “Hai creduto in me e nelle mie sculture quando ancora non mi conoscevi, e mi hai dato l'opportunità di mettermi in gioco. Se sono qui, lo devo a te.”

“Le ho solo consegnato un depliant” replicò con candore lei, pur apprezzando tantissimo le sue parole.

“Hai fatto molto di più” ribatté Colton, dandole una pacca gentile sulla spalla.

§§§

Prima di imboccare le scale per raggiungere il piano superiore, Bart bloccò un istante la figlia e, senza darle il tempo di scostarsi, la avvolse in caloroso abbraccio.

“Nessun padre potrebbe essere più orgoglioso di me, ora.”

“Papà” esalò Rena, sentendolo tremare contro di sé.

“Hai fatto una cosa stupenda, per quell'uomo, ed io sono lieto che tu l'abbia fatto” le disse ancora lui, dandole un bacio sulla fronte prima di scostarsi da lei e ammirarla con orgoglio.

Rena allora gli sorrise e, vagamente imbarazzata, ammise: “Credo di aver capito perché mi hai mandata alla scuola pubblica. E scusami se ci ho messo tanto a capire.”

“Era tuo diritto detestarmi. Io odiai mio padre per molto più tempo, quando lo fece a me, ma la lezione mi servì, alla fine. Tu hai compreso molto prima di me, cara” le sorrise l'uomo.

Un po' sorpresa da quell'ammissione, Rena mormorò: “Non sapevo che il nonno...”

“Lo fece. E rimediai parecchie botte, in quel periodo” ridacchiò Bart, perso nei suoi ricordi.

“Mr Shaw ha avuto dei problemi, a suo tempo, ed ora è molto scoraggiato. Ma quando ho visto le sue statue, ho pensato che avrebbe potuto riacquistare fiducia in se stesso, se solo qualcuno avesse apprezzato quanto me i suoi lavori. Anche per questo ho chiesto a Nick. Volevo essere certa di non sbagliarmi” gli spiegò Rena, giocherellando con gli alamari della sua giacca. “Ho apprezzato molto che voi abbiate acquistato quelle statue.”

“L'abbiamo fatto perché sono belle. E ho anche intenzione di sottoporle all'attenzione di un gallerista di mia conoscenza. Penso che Colton meriti più attenzione di quanta non ne abbia ora. Ha un dono, nelle sue mani” asserì con convinzione Bart, sorridendole. “Sono lieto che tu abbia compreso ciò che volevo insegnarti, anche se ho usato un metodo un po' barbaro per farlo.”

“Non devo dare per scontato le cose solo perché ho i soldi per ottenere ciò che voglio, e poi è giusto essere generosi, ma senza farlo pesare e, soprattutto, solo se le persone desiderano essere aiutate. Non bisogna mai prevaricare il prossimo, anche se si pensa di essere nel giusto” dichiarò Rena, ammiccando.

“Come inizio non è male. C'è altro che voglio che tu impari, ma verrà col tempo” assentì Barthemius, soddisfatto.

“Nessuna anticipazione?” chiese allora lei.

“Temo di no.”

“Aspetterò di arrivarci, allora” asserì la ragazza, scrollando le spalle.

“Beau mi è parso un bravo ragazzo. Mi fa piacere che tu abbia una spalla come lui, a scuola” le disse a quel punto lui, facendola arrossire.

“Ah, beh, sì. Beau è forte” ammise lei. “Ora sarà meglio se metto al suo posto il regalo di Colton. Ciao, papà! E grazie ancora per tutto!”

Sorridendo nel vederla correre su per le scale come se avesse i lupi alle calcagna, Bart esalò: “Eh, mi sa tanto che dovrò abituarmi all'idea.”

“Quale idea, caro?” domandò alle sue spalle Grace, di ritorno dalla cucina.

“Che a nostra figlia possa piacere un ragazzino” mormorò vagamente ansioso l'uomo, avvolgendole la vita con un braccio.

“Beau è molto carino, inoltre mi piace come la guarda. E'... protettivo” assentì la donna, confermando le paure del marito.

“O sono trasparente, o anche tu hai visto quel che ho visto io” si lagnò Bart.

“Tesoro, è normale che Rena cominci a interessarsi ai ragazzi. Già mi è parso strano che, fino ad ora, non sia mai successo nulla con Nick” ironizzò Grace, dandogli un pizzicotto sul fianco.

“Quei due sono come fratelli. Mi sarei sorpreso del contrario. Ma con Beau...è diversa. Le brillano gli occhi” ammise Bart, passandosi una mano sul viso. “Non voglio pensarci.”

Grace scoppiò a ridere e, nell'accompagnare suo marito al piano superiore, ripensò alla figlia e a come avesse abbracciato Colton. Con spontaneità, con affetto sincero, grata per quanto aveva ricevuto.

Era così che la voleva; libera di esprimere se stessa, sempre e comunque.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: 1 Febbraio 1991 ***


10

10.

 

 

 

1 Febbraio 1991

 

Erano arrivati in aeroporto con un po' di anticipo, ma poco contava.

A lei piaceva osservare l'andirivieni di aeromobili lungo le piste del LAX, l'aeroporto internazionale di Los Angeles.

Non la disturbava la frenesia di mezzi e persone, il cacofonico andirivieni di turisti, uomini d'affari o semplici tecnici che girovagavano per gli ampi locali ultramoderni della struttura losangelina.

Inoltre, l'arrivo dei nonni era un evento che andava festeggiato sempre e comunque, perciò le sarebbe stato benissimo attenderli anche sotto una pioggia torrenziale.

Ed era meglio arrivare prima della nonna, se non si voleva incorrere nel suo biasimo, pensò divertita Rena, lanciando occhiate tutt’intorno con aria interessata.

Quello che le guastò un po' l'attesa, però, fu la vista inaspettata di Candice McNeilly.

Amica tra le più fidate di Yvette, Candice aveva una chioma di lunghi capelli scuri, un elegante portamento e occhi di un brillante color cioccolato al latte.

Non l'aveva mai apertamente insultata ma, come per tutto il gruppo di Yvette, l'aveva bellamente ignorata e, a volte, derisa da lontano.

Certo, non erano a scuola, e lei era in compagnia di una ragazzina di circa dieci anni – presumibilmente, la sorella.

Non si aspettava che fosse maleducata con lei di fronte a testimoni oculari, ma vederla le diede ugualmente fastidio.

Ad ogni buon conto, le sue maniere impeccabili ebbero la meglio e, scusandosi con i genitori, che sedevano accanto a lei lungo il lounge dell’aeroporto, si avvicinò alla ragazza per salutarla.

Non poteva far finta di non averla vista, soprattutto visto che anche Candice si era accorta della sua presenza. Non era capace di mentire fino a quel punto.

Sfoderando il suo sorriso migliore e una buona dose di pazienza, Rena fece  perciò buon viso a cattivo gioco ed esordì dicendo: “Ciao, Candice.”

“Ingleton” mormorò telegrafica la ragazza.

La bambina al suo fianco tirò la blusa di Candice in cerca della sua attenzione e, osservando dubbiosa la sorella maggiore e la nuova arrivata, chiese: “Chi è?”

“Una mia compagna di classe” borbottò la ragazza, lanciando un'occhiata torva in direzione di Rena.

Lei non vi fece caso e, allungando una mano verso la bimba, sorrise educatamente.

“Ciao. Io sono Serena. Tu come ti chiami?”

“Sono Coleen!” esclamò la ragazzina, stringendo con allegria la sua mano protesa.

“Tanto piacere, Coleen” rispose Rena, cercando di non apparire divertita dal cipiglio di Candice.

Era interessante come, nonostante l’evidente antipatia che provava per lei, fosse però disposta a tacere di fronte alla sorellina.

“Io sto aspettando i nonni che arrivano dalla Scozia, e voi?”

“Papà e mamma. Sono andati a San Francisco a trovare nonna che è stata male” le spiegò Coleen, con naturalezza.

Subito Rena si preoccupò.

Lanciato uno sguardo ansioso a Candice, esalò: “Spero niente di grave.”

La ragazza parve parecchio sorpresa dalla sua reale preoccupazione – in questo, Serena era trasparente come il vetro – e, un po' a disagio, le rispose.

“No, beh... una caviglia rotta. E' ruzzolata in giardino. Se la caverà con poco, e con lei c'è nostra zia.”

“Oh... bene” sospirò sollevata lei, sorridendole.

“Nonni dalla Scozia?” chiese allora Candice, intrecciando le braccia sotto i seni generosi.

Rena aveva sempre invidiato le linee mature delle sue compagne, di certo molto più generose delle sue, che erano appena accennate.

“Tra poco compio gli anni, così vengono per festeggiare con me e la famiglia” le spiegò Rena, sollevando lo sguardo verso gli altoparlanti quando chiamarono a gran voce l'arrivo di un volo da San Francisco.

La speaker, con voce elegante  e perfetta, declamò: “Volo USAir 1493, in arrivo da San Francisco, in fase di atterraggio sulla pista 24L. I passeggeri in partenza per Syracuse sono pregati di avvicinarsi al gate di imbarco.”

“E' il volo di mamma e papà!” esclamò eccitata Coleen, battendo le mani.

Subito, sia Rena che Candice lanciarono uguali sguardi verso l'esterno, illuminato dalle potenti fotoelettriche dell'aeroporto.

Il rombo dei motori si avvertiva appena, grazie alle spesse vetrate, ma non era necessario sentire la loro potenza per percepirne sulla pelle gli effetti.

L'enorme velivolo della US Airlines, un Boeing737 blu e bianco, iniziò la fase di atterraggio e toccò terra regolarmente, spingendosi verso la fine della pista dove, ben presto, sarebbero scesi i passeggeri.

Altri avrebbero preso il loro posto, e tutto si sarebbe ripetuto un'infinità di volte quel giorno, come in quelli successivi, e come era stato nei precedenti.

Quando però il velivolo ebbe raggiunto più o meno la metà della pista, un piccolo Metroliner bianco intersecò a sorpresa, e sgomentando tutti, la sua traiettoria.

Sconvolte, le persone presenti al LAX osservarono a occhi sgranati l'enorme palla di fuoco che si sprigionò un attimo dopo, a seguito della loro collisione sulla pista.

Le urla si dispersero nell'aria come profumo acre e fastidioso e, in pochi attimi, fu il caos.

Coleen scoppiò in lacrime mentre Candice la abbracciava con forza, impedendole di vedere oltre quell'incendio immane.

Serena non fu meno terrorizzata di loro. Lanciò un'occhiata dietro di lei, scorgendo l'arrivo frettoloso dei genitori al suo fianco mentre il suo corpo, tremante, non sembrava propenso a calmarsi.

“Mamma... mamma...” singhiozzò spaventata Coleen, invano consolata dalla sorella maggiore.

Mentre i soccorsi si riversavano sulla pista, con un gran dispiegamento di uomini e mezzi, la speaker cercò invano di sovrastare il caos di quei momenti, scontrandosi contro un muro di paura e follia.

Le persone correvano, urlavano, cercavano un'inutile via di fuga – le fiamme non avrebbero mai raggiunto l'aeroporto – e nessuno guardava in faccia a chi si trovava di fronte.

Barthemius fu lesto a mettersi a difesa delle tre ragazze mentre Grace, avvolgendo le spalle della figlia, le domandò ansiosa: “Conosci queste ragazze?”

“Lei è una mia compagna di classe, e questa è la sua sorellina” mormorò Rena, carezzando la schiena di Candice per consolarla. “I loro genitori erano sul Boeing che è atterrato ora e...”

Senza lasciarla finire, Barthemius afferrò il suo cellulare e chiamò in fretta Jay perché tenesse pronta l'auto.

Con tono perentorio e gentile al tempo stesso, poi, si rivolse alla figlia e alle ragazze. “Sono sicuro che staranno bene, ma è inutile che voi rimaniate in mezzo a questa confusione. Portale a casa, mentre noi attendiamo notizie. Vi faremo sapere.”

Candice fissò senza parole l'uomo prima di volgere lo sguardo verso Rena che, annuendo, prese per mano entrambe con determinazione.

“Andiamo. Mio padre ha ragione. Con tutta questa confusione, Coleen rischierebbe di farsi male e basta.”

“Come si chiamano i vostri genitori, cara?” domandò a quel punto Grace, gentile come sempre e altrettanto pratica.

Balbettando per la paura e la confusione provata in quel momento, Candice mormorò: “Walter... e Megan McNeilly.”

“Molto bene. Ci occuperemo noi della faccenda. Voi pensate solo a stare tranquille” dichiarò a quel punto la donna, carezzando il viso di Candice e il capo di Coleen. “Vai, Rena. Vai!”

Comprendendo bene quanto fosse basilare impedire a Coleen di scorgere oltre quel mostruoso incidente, Rena trascinò quasi di peso Candice, che teneva allacciata a sé  il corpo tremante della sorella.

Anche Rena stava tremando, ma non poteva lasciarsi andare al panico, se voleva essere d’aiuto ai genitori.

Impiegarono poco per uscire – molta gente era già scappata – e, quando finalmente ebbero raggiunto Jay, Rena esclamò: “Andiamo a casa, presto!”

In lacrime, Coleen era stretta tra le braccia di Candice che, ancora stordita da tutta quella situazione paradossale, osservò senza parole la sua compagna di sedile.

“Meno vede, meglio è” sussurrò Rena, dandole una pacca su un braccio.

La ragazza annuì, continuando ad accarezzare il capo della sorellina.

Tutt'intorno, le luci di Los Angeles annullavano il buio della sera.

L'orologio a cristalli liquidi dell'auto segnava le diciotto e trentasette.

Era passata solo mezz'ora da quell'orrore, eppure a Rena sembrava fosse passata un'eternità.

Non parlarono per l'intero viaggio fino alla casa di Serena e, quando Jay fermò l'auto dinanzi alla villa, la padrona di casa non disse niente e le invitò semplicemente a seguirle.

Con calma, aiutò Candice e Coleen a scendere dall'auto e, quando incrociò Martha sull'entrata della villa, mormorò: “Puoi portare del the e dei pasticcini in camera mia?”

“Ma certo, cara” assentì la donna, fissandola con espressione preoccupata.

Candice si guardò intorno strabiliata, intimorita suo malgrado da quell'ambiente così opulento e bellissimo.

I marmi chiari erano contrastati da tocchi più scuri, color cioccolato, e l'ampio lampadario a goccia che pendeva sulle scalinate, brillava dei colori dell'arcobaleno.

Percorsero in silenzio una delle due scalinate ad arco e, una volta raggiunto il ballatoio in parquet color ciliegio, Rena mormorò: “A destra.”

Candice annuì, non arrischiandosi a parlare. Rena fu del suo stesso avviso.

Aperta una porta, la ragazza fece entrare le due ospiti nella sua stanza, che comprendeva anche un piccolo salottino per gli invitati, oltre al suo pianoforte a coda Schimmel.

“Prego, accomodatevi sul divano” disse a mezza voce Rena, non sapendo bene come comportarsi.

Avrebbe voluto strillare, agitarsi, saltare per il nervosismo, ma in quel momento doveva pensare alle sue inaspettate ospiti.

“E' camera tua?” chiese Coleen, asciugandosi le lacrime per curiosare tutt'attorno a sé.

“Già” assentì lei, infilandosi le mani in tasca.

Non sapeva se fosse stata una mossa sensata portarle proprio lì, nel suo sancta santorum, ma farle accomodare in uno dei salottini le era sembrato freddo e impersonale.

Con un mezzo sorriso, Rena aggiunse: “Se vuoi giocare con i miei pupazzi, intanto che arrivano notizie, puoi farlo.”

“Posso, Candy?” mugugnò la bambina, scrutando dubbiosa la sorella.

“Se Serena dice di sì...” dichiarò dubbiosa la maggiore, scrutando con aria confusa la padrona di casa.

Sorridendo alla bambina, Rena le indicò la zona notte, dove si trovavano il suo letto, lo scrittoio e la toeletta.

“Vai pure, non farti scrupoli.”

La bambina allora si levò dal morbido sofà bianco latte e si avvicinò al letto, dove iniziò a giocherellare con un enorme coniglio di pezza.

Rimaste sole, Rena si accomodò su una delle poltrone, intrecciando nervosamente le mani per impedirsi di mostrare alla compagna di classe la sua ansia.

Candice, per contro, mormorò secca: “Non pensare che questo cambi le cose. Io sono ancora amica di Yvette.”

“Non ho aperto bocca” precisò Serena, accigliandosi leggermente. “Questo non c'entra con la scuola, o Yvette, o con qualsiasi altra cosa voi pensiate di me. Era un momento di difficoltà, e volevo che tua sorella non rimanesse traumatizzata. Punto.”

“Bene” borbottò torva Candice, agitandosi nervosamente sul divano.

Martha scelse quel momento per portar loro the e pasticcini e, con tono molto gentile, disse: “Jay mi ha detto cos'è successo. Sono sicura che vostri genitori si salveranno. Non preoccupatevi, e scaldatevi un po'. Ho fatto anche un po' di cioccolata.”

Coleen fu più che lieta di sorseggiare della buona cioccolata calda e, tornando sul divano con il grande coniglio di pezza, ringraziò Martha e prese la sua tazza.

La donna le carezzò gentilmente il capo.

“Mi ricordi tanto Rena da piccola. Anche lei adorava quel pupazzo. Non c'era verso di farla mangiare senza di esso.”

La ragazza arrossì non poco a quel ricordo, ed esalò: “Ti prego, non dire altro. Ci sono una marea di cose di cui non vado particolarmente fiera, della mia infanzia.”

Martha le sorrise generosamente e replicò: “Solo perché eri fissata con il voler salvare tutti i gattini del quartiere, non vuol dire che tu sia stata tremenda, da bambina.”

Ciò detto, le salutò e tornò in cucina con il suo vassoio.

“Salvavi i gattini?” le chiese Coleen, tutta sorridente e con un baffo di cioccolata in viso.

“Già. Ero la dannazione di mio padre e mia madre. Tutti quelli che vedevo, li portavo a casa... e visto che la casa è grande...” mormorò Rena, facendo spallucce.

“Questa non è una casa. E' un castello!” ridacchiò Coleen.

“Ah... beh, diciamo che è una casa con tante stanze, tutte un po' troppo grosse” replicò Rena, guardandosi intorno con aria critica. “Specialmente quando le devi pulire.”

Candice allora la fissò scettica e lei, indicando una porticina in particolare, ghignò.

“Là dentro c'è il mio aspirapolvere, oltre al necessario per spolverare. Martha e mamma sono state lapidarie, su questo. Hanno voluto che imparassi, e così è stato. Ovviamente, mia nonna non ne sa nulla, o avrebbe fatto saltare la testa a qualcuno.”

“Una Ingleton che fa le pulizie?” la irrise leggermente Candice, mentre Coleen era impegnata a scegliere il pasticcino più bello di tutto il vassoio, apparentemente ignara della battaglia tra le due ragazze.

“Solo in camera mia. Anche perché, lo ammetto, accanto al mio pianoforte ci vado solo io” ammise Rena, osservando con amore il suo piano nero lucido.

Accigliandosi subito dopo, mimò l’atto di sistemarsi un monocolo dinanzi all’occhio destro e, con una voce vagamente stridente, motteggiò: “Serena cara, come mai quest’angolo non è pulito? La servitù non lavora bene, in casa vostra? Dovrò farlo notare a tua madre. Se fosse successo a casa mia, avrei già licenziato la cameriera.”

Candice non poté trattenersi dal ridacchiare e Coleen, scoppiando una risata più allegra, esclamò: “Chi è?”

“Mia nonna” ammise Serena con un sorrisone bonario. “E’ buona, ma è decisamente vecchio stampo e molto, molto viziata.”

“La nostra fa le torte più buone del mondo, e non ci dice mai di no” replicò la bambina, poggiando la tazza di cioccolata, ormai vuota. “Anche la tua fa così?”

“Più o meno. E’ mio nonno, quello di manica larga” asserì la padrona di casa.

Coleen annuì e, nel guardarsi intorno, sorrise spontaneamente prima di esplodere in un entusiastico “Che bello!”

Indicando una foto in particolare, circondata da un sacco di gagliardetti colorati e piccole coppe, esalò subito dopo: “Ma... è il cavallo delle favole!”

“Si chiama Stardust, ed è il mio lipizzano bianco. Ci faccio qualche gara ma, soprattutto, mi diverto a galoppare con lui sui sentieri della zona del ranch dove lo tengo. Lui ama andarsi a intrufolare dappertutto” le spiegò Rena, sorridendo nel guardare la foto del suo cavallo. “Ti piacerebbe conoscerlo?”

“Potrei?” ansò strabiliata la bambina.

“Se a Candice sta bene, uno di questi giorni puoi venirci con me, quando andrò a trovarlo” le propose, sfidando con lo sguardo la compagna di classe.

Sbuffando, la ragazza annuì e Coleen esplose in uno strillo di gioia, subito seguito dalla scelta di un pasticcino.

Rimessasi in piedi, andò a curiosare le foto del cavallo e Candice, accigliata, sibilò a bassa voce: “Non puoi usare lei per cercare di addolcire me!”

“Ho visto come ha guardato il cavallo. Ne è affascinata. Perché non dovrei permetterle di vederlo?” replicò serafica Rena.

“Perché, anche quanto, lei non potrebbe mai averlo, un cavallo. Pensi sia piacevole venire coccolati in tutto questo ben di Dio, sapendo che poi dovrai tornare alla tua semplice casa da operaio?” protestò inviperita Candice.

Ancora il solito, vecchio problema. Ma che avevano, contro le loro case?

Cercando di apparire il più convincente possibile, Rena mormorò in risposta: “Se anche le dovesse piacere, e volesse imparare, potrei parlarne con il mio istruttore. Se non lo sai, nel club dove vado io esistono corsi a costi accessibili, e più di una ragazza ‘proletaria’...” e nel dirlo, mimò le virgolette. “... si è iscritta per imparare a cavalcare.”

Candice si trincerò dietro un silenzio offeso e così la padrona di casa, sospirando, aggiunse più gentilmente: “Non voglio che tu diventi mia amica perché voglio aiutare tua sorella, Candice. Sto solo dicendoti quello che so, perché ho visto che Coleen pare interessata. E’ solo un piccolo aiuto, casomai le interessasse, e l'aiuto si da gratuitamente, senza compenso.”

“Cosa sei? Madre Teresa?” ironizzò Candice, ma con minore acredine che in precedenza.

“No, e mi sono stancata che voi tutti pensiate che io vi guardo dall'alto al basso, o che consideri la SMH una punizione nei miei confronti” sbottò Rena, perdendo di colpo la pazienza. “Non vi ho fatto nulla, mi sono semplicemente iscritta a scuola, studio, faccio il mio dovere e non chiedo favori a nessuno. Mi vuoi incolpare perché sono cresciuta in una famiglia benestante, e tu no? Non ti sembra una scusa bella e buona per avercela con qualcuno? Non ho chiesto io i miei soldi, né questa casa. Non chiedo altro che di poter terminare i miei studi, punto. Trovi sia spocchioso?”

“No” mormorò mogia Candice, ammettendolo controvoglia.

“E allora perché Yvette ce l'ha tanto con me? Che le ho fatto? Mi odia solo perché sono una Ingleton?” le domandò a quel punto Rena, sbottando del tutto.

Passandosi una mano tra i capelli, Candice trascinò fuori a fatica una risposta.

“I genitori di Yvette erano piuttosto ricchi, fino a qualche anno fa. Lei si è sempre vantata di questo, quando andavamo alle elementari. Suo padre, però, giocò troppo forte in borsa e perse quasi tutto, e ora non è che un impiegato nell'impresa che un tempo era sua. La cosa non le è mai andata giù e, quando sei arrivata tu...”

“L'ha presa sul personale” sospirò Rena, massaggiandosi le guance per il nervosismo. “Non mi bastano le mie cosiddette amiche, che mi hanno chiuso la porta in faccia non appena hanno saputo che sarei andata alla SMH. No, mi ci voleva anche lei, che pensa io voglia rubarle chissà quale notorietà perché sono più ricca di quanto lo era lei. Io voglio solo studiare!”

“Ti hanno... snobbata?” esalò Candice, più che mai sorpresa.

“Non ne hai idea. E, se verrete al ranch, te ne accorgerai da sola” borbottò torva Rena.

Lo squillo del telefono in camera interruppe quella conversazione, facendole sobbalzare per l’ansia e la paura.

In fretta, Serena si fiondò per rispondere.

“Ciao, cara. Abbiamo notizie fresche. I genitori delle ragazze stanno bene. Hanno solo qualche bruciatura, per cui sono stati mandati al Kindred Hospital, ma non è niente di serio. Noi ci trasferiremo al Long Beach Airoport, dove hanno dirottato il volo dei nonni. Tu accompagna pure le tue ospiti all'ospedale con Jay” le disse la madre, allegramente.

“Va bene. E grazie” assentì Rena, mettendo giù la cornetta. “Stanno bene. Solo qualche graffio e bruciatura. Ora li stanno portando al Kindred, ma non sono in pericolo di vita.”

Candice e Coleen si abbracciarono con eguali espressioni di sollievo e Rena, sorridendo loro, aggiunse: “Vi accompagno là, così potrete incontrarli.”

Gli sguardi delle due ragazze si incrociarono e Candice, con un vero sorriso, sussurrò: “Grazie.”

“Di nulla” mormorò l'altra, annuendo.

§§§

Se per Candice e Coleen tutto si era risolto nel migliore dei modi, per trentaquattro passeggeri del Boeing737 e per tutte le persone presenti sul Metroliner, non ci fu nulla da fare.

E, purtroppo, sul Metroliner in partenza della SkyWest, si trovavano gli zii di una loro compagna di scuola.

Il giorno seguente allo schianto, i fiori e le candele iniziarono ad accumularsi spontanei in prossimità dell'armadietto della ragazza che, tra pianti e ringraziamenti, strinse le mani a tutti.

Anche Rena si presentò con un mazzo di fiori e, quando fu il suo turno per cercare BettySue Swords, la trovò in compagnia di Yvette e congrega.

Nonostante tutto, si avvicinò per consegnarle il suo piccolo omaggio floreale.

“Le mie più sentite condoglianze, Betty. Ero all'aeroporto, quando è successo, e so che i soccorsi sono stati immediati. Mi spiace non ce l'abbiano fatta.”

La ragazza prese i fiori senza dire niente, ma Yvette non resistette e disse ironicamente: “E cosa ci facevi, lì? Dovevi controllare il tuo Piper privato?”

Rena non ci vide più.

Puntò le mani sui fianchi e, acida, replicò: “No, cara. Anche quanto, ho un Falcon. E non ero lì a lucidarlo, ma ad aspettare i miei nonni, che stavano arrivando in aereo. Esattamente come facevano tutte le altre persone lì in aeroporto. Aspettavo! E ho visto morire della gente in un incendio spaventoso. Non mi sembra ci sia nulla su cui ironizzare.”

Yvette divenne paonazza in viso e fece per rispondere ma Betty, sorprendendo tutte le presenti, abbracciò Rena e la ringraziò con voce straziata dal pianto.

“Grazie davvero, Serena. Grazie.”

Serena annuì e, senza dire più nulla, si allontanò da loro ma, dentro di sé, pianse.

Non era davvero possibile che esistessero persone così grette da utilizzare qualsiasi scusa, anche la più becera, per darle addosso.

Ma evidentemente Yvette era l'eccezione che confermava la regola.

Una lacrima le sfuggì, incontrollata e ribelle e, subito dopo, un'altra la seguì.

Non voleva piangere, non doveva. Non a scuola, dove tutti avrebbero potuto vederla, sentirla... sbeffeggiarla.

Si passò nervosamente le mani sul viso, ma le lacrime non ne vollero sapere di smettere.

Già sul punto di imprecare per la propria stupidità, una mano la afferrò all'improvviso, attirandola verso le scale che conducevano nel seminterrato.

Fece per urlare di paura e sconcerto, ma una seconda mano la azzittì preventivamente e, quando la porta alle loro spalle si chiuse, lei si ritrovò al buio, stretta contro il torace di un ragazzo e impossibilitata a muoversi.

“Ssst, non urlare, sono io. Beau” le sussurrò il ragazzo all'orecchio, facendosi subito riconoscere.

Le lacrime si bloccarono all'istante e Rena, poggiando le mani contro il suo torace, abbracciato da un morbido maglione a coste, esalò: “Ma che combini?! Mi hai fatto venire un infarto!”

Lui emise un risolino, lasciandola leggermente andare e, conciliante, le disse: “Stavo tornando di sopra dopo aver portato nei magazzini un po' di roba... sai, un favore di qua, un favore di là...”

Serena annuì, ridacchiando, e lui proseguì.

“Morale, stavo per uscire quanto ti ho vista in lacrime, e così ti ho trascinata via prima che ti potesse vedere qualcuno.”

“Grazie” sospirò lei, poggiando la fronte contro il suo torace.

Beau cercò di mascherare la propria ansia con una risatina e, ironico, esclamò: “Ehi! Non ti avrei mai permesso di gironzolare per la scuola come una fontana rotta!”

Rena non disse niente e, complice l'oscurità che li circondava, si lasciò andare contro di lui, abbracciandolo.

Il ragazzo trattenne il respiro per un istante, troppo turbato per fare qualsiasi cosa.

Era così piccola, contro di lui, così delicata ed esile! Eppure sapeva benissimo quanto fosse anche forte, e coraggiosa. Non doveva ingannarsi.

A dispetto dell'aspetto cesellato e perfetto, in lei c'era una guerriera.

Avvolgendola delicatamente con le braccia, la cullò contro di sé.

“Perché piangevi, poi?”

“Indovina” ironizzò Rena, mugugnando contro il suo petto.

Le piaceva il suo profumo e, soprattutto, il calore che sprigionava. Si sentiva al sicuro, protetta, esattamente come succedeva con Nick.

Anche se era diverso trovarsi tra le braccia di Beau. Decisamente diverso.

Con lui, le sensazioni erano amplificate, portate a livelli estremi. Era tutto più vivo, assieme a lui.

Beau si irrigidì al suono di quell'unica parola e, torvo, mormorò: “Yvette?”

Rena annuì, raccontandogli dell'incidente per cui aveva perso le staffe.

Era tipico di lei! Non una volta che Yvette riuscisse a tenere la bocca chiusa.

E dire che, a un certo punto, aveva anche provato qualcosa, per lei. Doveva essere stato davvero fuso, in quel momento.

Sospirando, Beau accentuò l'abbraccio e le disse: “Non devi mai mollare, quando sei a scuola e, soprattutto, non piangere. Ti distruggerebbero, se ti vedessero le persone giuste.”

“Forse, se avessi fatto l'accademia militare, non sarebbe stata così dura” ironizzò la ragazza, iniziando a scostarsi da lui, pur se a malincuore.

“Saresti stata affascinante, in mimetica” ridacchiò Beau, lasciando che lei si allontanasse, ma senza spezzare del tutto il contatto con Rena.

“Tu dici?” rise sommessamente la ragazza, non sapendo bene come interpretare quella frase.

Lui non le rispose subito e, afferrato il suo viso con le grandi mani, lo sollevò e disse sommessamente: “Saresti sempre affascinante, indipendentemente dall'abito.”

Ciò detto, le diede un bacio sulla fronte e si allontanò, decidendo di troncare alla svelta la vicinanza tra di loro.

Un solo attimo di più e non avrebbe resistito all’istinto insopprimibile di baciarla.

Non solo sulla fronte.

Rena, sconvolta da quel bacio tenero e gentile, fissò senza muoversi l'uscita frettolosa di Beau e, di nuovo sola, immersa nel buio, crollò in ginocchio senza più avere la forza di muoversi.

Non era stato come essere baciata da Nick. Niente affatto!

Quindi, cosa doveva pensare? Cosa?!

 

 

 

 

______________________________

N.d.A: L’incidente citato all’inizio del racconto, così come il decorrere degli eventi ed il conteggio dei deceduti, è reale.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


10

 

11.

 

 

 

 

Seduta sulla staccionata che affiancava la Ocean Front, lo sguardo perso nel vuoto e l'aria turbata, Rena ammise: “Non ho potuto muovermi per cinque minuti buoni.”

“E lui ti ha dato solo un bacio sulla fronte... però!” esalò Nick, sorridendole generosamente.

“Non è il caso di fare dell'ironia!” bofonchiò lei, raggelandolo con un'occhiata degna della miglior Grace Ingleton Brown durante un’arringa al Foro.

“E' il caso eccome!” replicò lui, dandole una pacca sul braccio. “Rena, non ti rendi conto che la stai facendo più grande di quello che è? Non ti ha chiesto di sposarlo, né ha voluto da te un figlio e due cani. Ti ha dato un bacio, molto probabilmente per confortarti perché eri triste. Cosa, tra l'altro, che mi fa molto indispettire. Il fatto che fossi triste, non il bacio.”

“La fai facile, tu. Non sei stato tu l'oggetto di quel bacio!” gli sbatté in faccia la ragazza, rossa in viso per la vergogna.

Nick scoppiò a ridere, passandosi una mano tra i capelli biondo castani.

“E meno male! Avrei vomitato, se Beau mi avesse dato un bacio!”

“Non ti racconterò più niente, se i risultati sono questi. Dovresti spalleggiarmi, non prendermi in giro!” brontolò allora l'amica, mettendo il broncio.

“Vuoi che lo sfidi a duello?” le chiese per contro lui, tornando a sorriderle gentilmente.

“No” sospirò Rena, scendendo con un balzo dalla staccionata non appena vide avvicinarsi Candice, accompagnata dalla sorella. “E ti prego di non parlarne in loro presenza.”

“Come se mi fossi mai permesso di dire ad altri le tue confidenze” bofonchiò lui, infilando le mani in tasca con aria accigliata.

Rena gli fece la lingua, dopodiché si avviò per andare incontro a Coleen, che la abbracciò con la foga autentica e dolce dei bambini.

Più contenuta, Candice la salutò brevemente ma, quando vide avvicinarsi Nickolas, perse del tutto di vista Serena e si lasciò annegare nello sguardo oceanico del nuovo arrivato.

Divertita da quell'apparente colpo di fulmine – ben comprensibile, vista la bellezza sopraffina di Nick – Rena disse con naturalezza: “Lui è un mio amico. Si chiama Nickolas. Nick, loro sono Candice e Coleen.”

“Molto piacere” asserì lui, stringendo le mani a entrambe.

“Vai a cavallo anche tu?” si informò Coleen, sorridendogli stregata.

Nick le avvolse le spalle con un braccio per accompagnarla all'auto di Rena, sempre sorridendole.

“Ma certo. E oggi vi accompagnerò a fare una passeggiata in giro per le colline di Los Angeles.”

“Ci sarai anche tu?” esalò la bambina prima di strillare eccitata e saltare come una molla.

Candice sorrise nel vedere la sorella così allegra e Rena, nell'aprire la portiera, le sussurrò: “I vostri genitori come stanno?”

“Bene, grazie” assentì Candice, salendo sul sedile posteriore con Rena e Coleen.

Nick prese posto sul sedile anteriore.

“Mia madre mi ha detto di dirvi che, se avete bisogno di un avvocato, lei è disponibilissima a intervenire. Il suo studio segue anche cause pro-bono, quindi non vi dovete preoccupare della parcella.”

Poi, con ironia, aggiunse: “Inoltre, le piace fare lo squalo quando sa di poter vincere.”

Candice sorrise imbarazzata, annuendo, e Nick sorrise nello specchietto retrovisore a beneficio della ragazza.

“Grace Ingleton Brown avrebbe dovuto chiamarsi Shark. Grace è un nome troppo dolce.”

“A casa è dolce. Nel Foro... molto meno.”

Rena ridacchiò al solo pensiero di sua madre in un’aula di tribunale.

“Ci penserai? Se preferisci, lei ti può dare dei nomi di avvocati altrettanto validi. Come vuoi.”

“Perché lo fai?” le domandò a quel punto Candice, mentre Coleen era impegnata a chiacchierare con Nick.

Rena si limitò a sorridere.

“Offro solo un'opportunità. Tutto qui. Se tu conoscessi una gelateria dove fanno un buon gelato, e io non la conoscessi, non me lo diresti?”

La ragazza la fissò stralunata, strabuzzando gli occhi di fronte a quell'esempio e Serena, divertita, aggiunse: “Io, al momento, posso dirti il nome di un avvocato, ma se preferisci ti do quello di una gelateria. Ne conosco di strepitose.”

Scoppiando a ridere sommessamente, Candice assentì e, allungandole la mano, disse: “Grazie dell'offerta. La riferirò ai miei genitori, poi ti farò sapere.”

“Prego. E la gelateria è ...”

Nick la precedette e disse: “Carlo's Ice Cream.”

“Giusto” annuì Rena, sorridendo complice all'amico.

§§§

Il Flintridge Riding Club poteva vantare non solo un'ampia scelta di campi di equitazione, capannoni per il dressage e piste in outdoor rigorosamente controllate dagli addetti interni, ma anche su un Club di prima scelta.

L'ampia struttura in stile messicano, che si stagliava sull'entrata con grossolano vanto, era fiancheggiata da ampli parcheggi, un parco che si estendeva a perdita d'occhio e gazebo immersi nel verde e arredati con gusto tex-mex.

Quando Jay fermò l'auto in un posto libero, Rena si premurò di dire: “Lo so che sembra spocchioso, e in effetti lo è, ma noi siamo qui per andare a cavallo. Fregatevene, se sentirete certe oche starnazzare un po' troppo.”

Candice e Coleen sorrisero divertite e Nick, nello scendere dall'auto, dichiarò ironico: “Alle oche penserò io.”

“Non avevo dubbi. Ti ho voluto qui anche per questo” ironizzò Rena, afferrando dal bagagliaio la sua borsa da equitazione.  “Jay, serviti pure al Club e fai mettere tutto sul mio conto. Ho idea che ne avremo per un po', oggi.”

“D'accordo. Fate pure con comodo” assentì l'autista, sorridendole divertito.

Lei gli strizzò l'occhio dopodiché, a passo di carica, si diresse con il suo piccolo gruppo verso gli spogliatoi.

Lì si separarono da Nick, che le salutò con un sorrisino e, quando Rena entrò assieme a Candice e Coleen, ebbe il primo assaggio dell'atmosfera che avrebbero respirato quel giorno.

Samantha Kenwood, non appena la inquadrò nel suo spettro visivo, le sorrise ironica e non perse tempo in convenevoli.

“Oh, ma che cara! Adesso porti anche il popolino, con te?”

Rena la squadrò con espressione serafica, replicando con altrettanta alterigia: “Di' a tuo padre di stare attento a dove mette i soldi, altrimenti finirete molto più che col sedere a terra, la prossima volta. Quanto ha perso, Gerald? Ottocentomila dollari, un milione? Non ricordo più. E dire che ho guardato la borsa neppure un'ora fa.”

Samantha sibilò un insulto a denti stretti e, afferrato il suo caschetto, uscì dallo spogliatoio con passo offeso e glorioso, seguita dalla risatina di Rena.

Scrollando le spalle, borbottò: “Non sa proprio stare agli scherzi.”

Candice, che aveva seguito senza parole quello scambio di battute al vetriolo, fissò Serena con aria vagamente confusa e allibita assieme.

“Ma... hanno perso veramente una cifra del genere?”

“Purtroppo per loro, sì. E ha giocato altre volte, con azioni ad alto rischio. Considera che, in un anno, il capitale della sua azienda è stato divorato per il trenta percento dalle spese dissennate del suo Amministratore Delegato, alias il padre di Samantha, la ragazza di prima” ironizzò caustica Rena, aprendo il suo armadietto per passare un paio di divise alle due ragazze. “Dovrebbero andarvi bene ma, per eventuali rappezzi, aspetteremo oggi, dopo averle usate.”

“Ci hai preso delle divise?” esalò Coleen, osservando ammirata il completo che teneva in mano.

“Fa parte dell'abbigliamento standard che ci danno ogni anno. Posso richiedere le taglie che voglio, e visto che io non distruggo completi ogni dieci minuti, ne ho un numero piuttosto ingente, nel mio bonus annuale. E con quello che pago per venire, dovrebbero farmele in oro” brontolò Rena, indossando il proprio completo.

“Non voglio neppure chiederti qual è la retta” ridacchiò Candice, spogliandosi.

“Varia in base a quel che vuoi. Puoi anche non iscriverti al Country Club, e fare solo i corsi. Ma di quello parleremo col direttore. Prima, voglio vedere Coleen su un cavallo” sorrise Rena, strizzando l'occhio alla bambina, che sorrise divertita nell'infilarsi gli stivali neri di cuoio.

“Io penso che vi guarderò dalla staccionata. Non ho proprio intenzione di salire su un animale pensante” ridacchiò Candice, vagamente a disagio.

“Salirai con Nick, se hai paura ad andare da sola. Lui ha un Andaluso nero abbastanza forte per portare tre persone, quindi...”

Scrollando le spalle, Rena finì di allacciarsi la camicetta e, nel contempo, sbirciò le reazioni della compagna di classe.

Candice arrossì fino alla radice dei capelli, a quell'eventualità e Serena, sorridendole maliziosa, sussurrò: “E' carino, eh?”

La ragazza preferì non rispondere e, insieme alla sorella e alla loro ospite, uscirono per raggiungere le stalle.

Lì trovarono Nick, già impegnato a sellare il suo Black Night e, quando lui le vide arrivare, sorrise loro con gran piacere.

“Le divise vi stanno molto bene. Rena, ho pensato che per Coleen potesse andare bene Sugar. Ho detto a Rob di sellarlo.”

“Ottima scelta. Quella puledra è dolce come il suo nome” assentì Rena, vedendo giungere dal fondo della stalla Robert, nella mano la cavezza della bella Sugar.

“Serena, buongiorno. E buongiorno a voi, signorine” disse lo stalliere, sorridendo loro. “Chi è la fortunata che salirà su Sugar?”

“Io!” esclamò Coleen, avvicinandosi al cavallo con sicurezza.

Subito, la puledra dal manto bruno abbassò il capo per annusarla e Coleen, istintivamente, le carezzò il muso e il collo, mormorandole parole gentili all'orecchio.

Robert allora le allungò una carota, che la bambina offrì subito alla cavalla, più che felice del regalo a sorpresa.

“Sei davvero bellissima, Sugar. Sarà troppo forte passeggiare con te.”

“Nickolas mi ha detto che è la prima volta, per te” si informò Robert, vedendola annuire. “Un paio di consigli. Sugar è buona e gentile, ma le piacciono i conigli. Se andate a fare una passeggiata nei sentieri, tieni d'occhio il sottobosco. Le piace rincorrerli.”

“Va bene” assentì la bambina.

Lo stalliere allora la aiutò a salire, facendo leva con le mani perché inforcasse la sella nel modo giusto.

Una volta sulla schiena dell'elegante puledra, Coleen sorrise estasiata e Rena, rivolgendosi a Candice, mormorò: “Sbaglierò, ma sembrano intendersi già.”

“Io sarei già morta di paura” esalò la ragazza, osservando fiera la sorellina.

Rena ridacchiò e, nel vedersi consegnare Stardust da un altro stalliere, disse: “Nick, puoi accompagnare tu Candice?”

“Nessun problema. Black Night si gonfierà come un tacchino farcito all'idea di essere cavalcato da una donna, tanto per cambiare” ironizzò Nickolas, portando fuori dal box il suo andaluso.

Andaluso che, nel sentirlo parlare a quel modo, sbuffò e gli diede una spintarella contro la spalla, facendo scoppiare a ridere il ragazzo.

Insieme uscirono nel cortile in terra battuta, da cui si potevano raggiungere i vari campi di addestramento e le passeggiate nei boschi adiacenti.

Da lì, si diressero al passo verso uno dei sentieri.

Coleen teneva con sicurezza le redini, parlando bassa voce a Sugar per fare amicizia con lei e Rena, al suo fianco, le spiegò come stare sulla sella all'americana e come comportarsi per far girare o meno il cavallo.

Dietro di loro, e con Candice seduta innanzi a lui sull'ampia sella, Nick mormorò: “Tua sorella ha un'ottima postura. Le viene naturale.”

“Non me ne intendo, ma pare che ci sappia fare” assentì Candice.

“Con Rena come insegnante, nel giro di un paio di mesi potrebbe già affrontare i primi ostacoli” dichiarò convinto il ragazzo, scartando un poco l'andaluso perché si avviasse verso il bosco.

Di ritorno da una passeggiata, il gruppo incontrò un paio di ragazze dalle cavalcature eleganti e gli abiti firmati e, bloccando i loro lipizzani neri, sbarrarono di fatto loro la strada.

Un po' irritata, Rena bofonchiò: “Davvero divertente, Peggy. Ma ora ti pregherei di toglierti di mezzo.”

“Da quando in qua è permesso portare plebaglia nel nostro Club?” sibilò l'altra, fissandoli con asprezza.

“Forse dimentichi che ci sono anche i corsi per i non iscritti al Club, tesoro” replicò Serena, accigliandosi non poco. Le mani, strette attorno alle redini, fremettero.

“Poco importa. Non mi va di cavalcare nelle loro vicinanze” sentenziò Peggy, levando piccata il mento.

La sua compagna di passeggiata, dietro di lei, scosse il capo per l'esasperazione e lanciò a Rena un'occhiata spiacente.

Fu Nick, però, a intervenire con tono sprezzante.

“Non ti conviene parlare con tono così altezzoso, Peggy, visto che tuo padre è un arricchito senza scrupoli, che preferisce vendere il proprio nome, e non dico cos'altro, pur di ottenere appalti. Inoltre, se proprio vogliamo essere precisi, siamo entrambi plebei, io e te. Qui, l'unica di nobile lignaggio è Rena, viso che è una viscontessa. Quindi, piantala di darti delle arie e togliti di lì.”

Peggy divenne paonazza in viso e fece per ribattere ma la sua amica, Melanie Rochner, le diede una spintarella con il cavallo per bloccarne l’arringa.

“E piantala! Vuoi andare?!”

“Tuo padre è solo un ruffiano. Si è sposato con una donna ricca solo per avere dei soldi!” gli sputò in faccia Peggy, indicandolo con mano tremante.

Nickolas allora divenne gelido in viso e, con tono pacato quanto furente, replicò: “Di' solo un'altra parola malevola su di lui, e giuro che ti farò cacciare fuori da qui a calci nel sedere. Conosco abbastanza cose sgradevoli su tuo padre per farlo sbattere in galera. Non tentarmi.”

La furia di Peggy si trasformò in panico puro e, impallidendo di fronte alle minacce di Nick, si dileguò in fretta dal sentiero per allontanarsi da loro e da quel potenziale pericolo.

Ridacchiando, Rena lanciò un sorriso deliziato all'indirizzo dell'amico che, scrollando le spalle, celiò: “Se l'è cercata. Che posso farci?”

“Ma... sono sempre così acide?” esalò Candice, vagamente sconvolta.

“In questi circoli? Quasi sempre. Melanie, la ragazza che era con lei, per esempio, non è una cattiva ragazza. Ma diciamo che si possono contare sulle dita di una mano” le spiegò Nick, riprendendo la passeggiata.

Gli alberi spogli li avvolsero e tappeti di foglie rosse e marroni si accompagnarono a cespugli di ginestre in attesa di fiorire a piccoli sempreverdi spinosi e dalle forme tondeggianti.

Il silenzio si impadronì ben presto di quei luoghi e, mentre Rena proseguiva nella sua lezione a Coleen, Candice domandò a Nick: “Che intendeva dire, quella tipa, prima? Se posso chiedere, ovviamente.”

Ridacchiando, il ragazzo assentì senza problemi.

“Oh, non è un segreto per nessuno, credimi. Mio padre è figlio di due operai. Mia madre, invece, discende da una lunga e fiorente dinastia europea dedita al commercio. Dei borghesi piuttosto ricchi e importanti, di origine olandese. Si conobbero all'università e beh... nacqui io, insieme a un sacco di altre cose.”

“Quindi, il tuo cognome...”

“E' di mia madre. I suoi genitori insistettero perché portassimo il loro buon nome. Come se quello di mio padre non lo fosse” rispose con asprezza il giovane, scostando con una mano un ramo basso.

Avvertendo dal suo tono di voce quanto fosse spinosa la faccenda, Candice preferì svicolare e, curiosa, gli domandò: “Ma è vero che Serena è una viscontessa?”

“Secondo la legge inglese, sì. Non che a suo padre, o a lei, interessi particolarmente” le spiegò lui, scrollando le spalle. “A Rena non frega niente, come avrai notato.”

“Già... inizio a capire qualcosa, in effetti” ammise Candice, reclinando il viso.

Nick sorrise, soddisfatto che, in qualche modo, Rena avesse trovato un'altra alleata, oltre a Beau.

L’idea di mostrare il suo mondo ad una compagna di scuola, dopotutto, non era stata una cattiva pensata anche se, sulle prime, lui era stato riluttante a darle ragione.

Evidentemente, Candice non era solo una bella ragazza con dei pregiudizi, ma era una bella ragazza con un cervello che ragionava in fretta.

Buon per Rena.

“Non credere che non soffra, quando si sente etichettare a quel modo da coloro che lei aveva sempre pensato essere sue amiche. Davanti a noi sorride e fa finta di niente, ma dentro ne è rattristata” le spiegò ancora Nick, osservando l'amica sistemare una redine a Coleen.

Poteva solo immaginare cosa stesse pensando in quel momento.

“Questo cambiamento di ambiente l'ha resa più forte, e le ha fatto capire chi veramente l'avesse a cuore e chi no, ma non è certo facile. Specialmente per una ragazza come lei, che è generosa per natura.”

“Pensavo che... sì, insomma, non ho mai pensato bene di lei. Più che altro perché ero istigata  a pensar male” ammise controvoglia Candice. “Ma ora capisco che è stata tutta una scemenza.”

“Non credere che nelle scuole private sia diverso. C'è altrettanta cattiveria, solo più elegante e raffinata. Tutto qui” la rincuorò Nick. “Non hai idea di quante volte mi abbiano sbattuto in faccia frasi come quelle che Peggy mi ha rinfacciato prima. Ma io so dove sta la verità, perciò posso rispondere a tono.”

“La verità?” ripeté sorpresa Candice.

Nickolas annuì, mormorando: “Come so che Rena è generosa di cuore, e non solo perché ha le possibilità economiche per poterlo essere, così so che mio padre non ha sposato mia madre per arricchirsi, ma per vero amore. Gli altri possono pensare quel che vogliono. Io so cosa si cela oltre la menzogna.”

Candice si ritrovò a ridacchiare.

“Ed io che pensavo che la vostra fosse una bella vita.”

“Ha solo problemi diversi. Basta godersela, come immagino facciate tu e tua sorella” scrollò le spalle Nick, levando una mano per salutare Coleen quando si volse verso di loro. “Sei bravissima, piccola. Una vera campionessa!”

Coleen rise felice e Rena, nel fissare la coppia dietro di loro, fu lieta di vedere Candice più serena di quanto non fosse stata quando erano salite in auto.

Evidentemente, Nick le aveva parlato di qualcosa che le aveva chiarito le idee; avrebbe dovuto ringraziarlo.

§§§

“Ehi, Ingleton! Vedo che oggi hai disertato gli ostacoli per fare una scampagnata” ironizzò un uomo in tenuta da cavallerizzo, seduto comodamente su una delle staccionate dei campi di allenamento.

“Buongiorno, Mr Weiss. Oggi avevo ospiti, per questo non sono passata” gli spiegò lei, sorridendo al suo maestro di equitazione.

L'uomo annuì, osservando il terzetto a cavallo.

 Quando i suoi occhi però si posarono su Coleen, lui domandò: “Dove ha studiato la tua amichetta? La trovo molto elegante, su Sugar. Voglio il nome del suo insegnante. Devo fargli i complimenti.”

Rena sorrise con sufficienza e, dopo essersi passata le unghie sul gilet, le scrutò smorfiosa e asserì: “Grazie, Mr Weiss. Lo so, sono ben meritati.”

Il gruppetto scoppiò a ridere e Rudolph Weiss, facendo tanto d'occhi, esalò: “Le hai insegnato tu? E quando?”

“Oggi” dichiarò Rena, strizzando l'occhio a Coleen, che sorrise.

“Beh, se è in sella solo da oggi, la voglio per me” sentenziò l'uomo, scendendo al volo dalla staccionata per scrutarla a cavallo da ogni angolazione. “Sì, mi serve. E' mia, ora. E scordati di passarle i tuoi difetti.”

“Ma... Rudolph!” esclamò Rena, avvampando.

Scrollando le spalle, l'insegnante borbottò: “Ehi, andiamo. Quel che è giusto è giusto. Lo sai che continui a tenere le spalle troppo alte, durante il salto. Dovrei metterti dei pesi legati al collo, forse.”

La ragazza sbuffò mentre i suoi amici ridevano sommessamente ma Weiss, del tutto preso da Coleen, sorrise alla bambina e le domandò con occhi sognanti: “Vuoi iscriverti, vero?”

“Candy...” mormorò allora lei, correndo con lo sguardo alla sorella, speranzosa e sognante non meno del maestro di equitazione.

“Quanto sarebbe la retta, per i non iscritti al Club?” si informò la ragazza, combattuta tra l’eventualità di favorire la sorella e quella di cacciarsi nei guai coi genitori.

Che le avrebbero detto, se il costo si fosse rivelato troppo elevato?

“Allora, visto che lei è ancora sotto i dodici anni, giusto?...” si informò l'uomo, vedendoli annuire. “... direi che dovremmo essere su trecento dollari per dieci lezioni. Ma oserei dire che, dopo tre o quattro, potrei già passarla al corso successivo. Se sta in sella così già adesso... ah, farò di te una campionessa, questo è sicuro!”

Coleen arrossì di piacere e Candice, facendo mentalmente due conti, asserì: “Non credo dovrebbero esserci dei grossi problemi. Chiederò ai miei genitori, ma...”

“Anticipo io la retta, intanto” intervenne Rena, sorridendo all'insegnante. “Non è che puoi già farle fare una lezioncina?”

“Sei stanca, tesoro?” si informò allora l'uomo.

“No. Sugar mi piace, e io piaccio a lei” scosse il capo Coleen.

“Mooolto bene. Vieni con me in questo recinto. Cominceremo con il trotto leggero. Al passo, ho visto che ci sai già andare con grazia” la indirizzò Weiss, tutto sorridente.

“Io vado a firmare un paio di carte. Voi rimanete pure a guardarla.”

Rena si allontanò dopo aver sorriso a Candice e Nick.

La ragazza fece per protestare ma Nickolas le sfiorò il braccio con una mano, sussurrandole: “Lasciala fare.”

Lei allora annuì e, assieme al ragazzo, rimasero a guardare Coleen alle prese con la lezione.

Fu a sorpresa che Melanie li raggiunse accanto al recinto.

Arrampicatasi fino a sedersi sulla staccionata, sorrise ai due giovani al suo fianco e, allungata una mano, disse: “Ciao. Io sono Melanie. Scusa per la scenata di prima. A Peggy andrebbe murata la bocca. E' così scema, a volte!”

Candice sorrise, presentandosi e, nel tornare a osservare la sorella, disse: “Non ci ho fatto caso, tranquilla.”

“E il nostro prode Nickolas Van Berger le ha risposto a tono” ironizzò con dolcezza Melanie, sorridendo al giovane.

Scrollando le spalle, lui replicò serafico: “Che ci posso fare se Peggy ha il quoziente intellettivo di un'anguilla, e il suo stesso viscidume?”

Le due ragazze scoppiarono a ridere per quel commento, trovandolo più che pertinente.

“E' tua sorella?” chiese Melanie, riuscendo in qualche modo a smettere di ridere.

“Sì” assentì Candice.

“E’ molto portata. E Rudolph sembra già infervorato” ridacchiò Mel, strizzando l’occhio a Nick, che annuì.

“Ne farà una campionessa, a costo di non dormire la notte” assentì Nickolas. “Quando vede del talento, ci si butta anima e corpo.”

“E’ così brava?” esalò Candice, davvero senza parole.

“Eccome” annuirono sia Mel che Nick.

Tornando a passi lunghi e soddisfatti, Rena si unì al gruppo dopo aver salutato Melanie e, annuendo all’indirizzo di cavallerizza e maestro, sentenziò: “La prossima gara la vincerà lei. Sicuro.”

“Ne sono convinta anch’io” si dichiarò d’accordo Melanie che, con un sorriso confortante, si rivolse poi a Candice. “Aiuterò io Rena e Nick a tenere a bada le più riottose, qui al Club. Non le daranno fastidio, Candice.”

“Grazie” mormorò la ragazza, sorpresa quanto grata.

“Ci sono anche persone con un cervello funzionante, qui dentro” ironizzò l’altra, scrollando le spalle.

Allungati un paio di fogli alla sua nuova amica, Rena gliene spiegò il contenuto.

“Qui ci sono i documenti che devono firmare i tuoi genitori, visto che Coleen è minorenne. Qui c’è la ricevuta di pagamento e, qui, la documentazione necessaria per i corsi. Ma potrai portare tutto alla prossima lezione.”

“Grazie.” Presi i fogli, Candice ci tenne però a dire: “Naturalmente, ti pagherò per l’anticipo che hai dato.”

“Va bene” assentì Rena, lanciando poi un’occhiata orgogliosa in direzione di amazzone e cavaliere.

Annuendo soddisfatta, Rena scrutò Coleen e Sugar e, dentro di sé, si convinse che quelle due avrebbero fatto molta strada, assieme.

E sarebbe stata una strada vincente.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


12

12.

 

 

 

 

La primavera era giunta con i suoi colori, i suoi profumi, le giornate splendenti e un nuovo desiderio di passare lunghe ore all’aperto, ad ammirare la natura crescere e prosperare.

A scuola, le cose erano un po’ migliorate.

Da quando Rena aveva sotterrato l’ascia di guerra con Candice, i dispetti erano un po’ calati e, anche se Yvette ancora la trattava come un paria, non era più così difficoltoso studiare alla SMH.

Coleen, come tutti loro avevano ipotizzato, si era dimostrata una cavallerizza degna di tale nome e, dopo quella prima lezione al Club, ne erano seguite molte altre.

I suoi genitori si erano premurati di telefonarle per ringraziarla, non solo per l’offerta riguardante l’avvocato, ma anche per le lezioni di equitazione.

Rena non aveva rifiutato i soldi che Candice le aveva portato dopo qualche giorno, sapendo bene quanto fosse importante, per le persone, l’onore e la dignità.

Però aveva gioito, quando la ragazza le aveva detto che avrebbero accettato l’offerta di sua madre per la difesa d’ufficio in tribunale.

Con Beau, inoltre, tutto andava alla grande.

Si vedevano spesso e volentieri il pomeriggio per studiare, oppure passavano ore e ore a chiacchierare in angoli appartati, o nei parchi giochi che sorgevano lungo la Ocean Front.

Rena non poteva negare che stare con il ragazzo fosse piacevole, ma non aveva ancora ben chiaro in mente cosa provasse per lui.

Era innegabilmente bello, solo un cieco non l’avrebbe notato, ed era maledettamente gentile e cortese con lei, addirittura protettivo fino all’eccesso.

Le sorrideva sempre, aveva una battuta pronta per ogni argomento, e non smetteva mai di dirle quanto le fosse grato per suo padre.

Dal giorno della mostra all’aperto, Colton aveva ricevuto diverse richieste da privati e, dopo aver consegnato una statua di Ercole in tenuta da combattimento per l’ufficio di Grace, si era ritrovato subissato di ordini.

Bethany e Beau erano rimasti strabiliati dalla progressiva rinascita dell’uomo e, a distanza di più di due mesi da quell’evento, potevano dichiararsi abbastanza certi che non avrebbe avuto ricadute.

Seduto all’interno di uno dei tubi di cemento utilizzati dagli skaters per le loro evoluzioni, Beau mormorò a Rena: “Candice mi ha detto che l’insegnante di Coleen l’ha iscritta alla prossima gara. Non è un po’ presto?”

“Se la vedessi a cavallo, non me lo chiederesti” ironizzò lei, ammiccando.

Intrecciando le dita dietro la nuca, Beau si appoggiò alla superficie fredda di cemento e sospirò.

“Vorrei davvero che tu potessi camminare assieme a me e Candy, a scuola. Trovo assurdo dover continuare a nascondermi come un ladro.”

“Abbiamo stabilito che, finché Yvette ce l’ha così tanto con me, non possiamo fare altrimenti, non te lo ricordi?” gli rammentò lei, pur trovandosi pienamente d’accordo con il ragazzo.

Per quanto le piacesse tutta quella segretezza, che creava inevitabilmente una buona dose di intimità, trovava davvero sciocco non poter salutare Candice né tantomeno Beau, a scuola.

“Dovresti spingere Yvette a trasferirsi in un’altra scuola” le propose Beau, strizzandole l’occhio. “Non puoi chiedere a tuo padre di forzare la mano al direttore?”

Sgranando gli occhi per la sorpresa e il divertimento, lei esalò: “Ma… Beau! Vorresti davvero che usassi la mia influenza per farla sbattere fuori? Allora sì che avrebbero ragione di odiarmi!”

“Giusto, sarebbe da stronzi, e tu non la sei di sicuro” assentì di malavoglia lui.

“Meno male che lo pensi” sospirò di sollievo Rena, facendolo ridere.

“Figuriamoci se penso che sei un tipo del genere. Tutt’altro!” ironizzò Beau, dandole un colpetto con la spalla.

Un refolo di vento umido e freddo penetrò nel tubo e, subito dopo, il rombo lontano di un tuono li avvisò dell’approssimarsi di un temporale proveniente dall’oceano. Mettendo fuori la testa, Rena fissò preoccupata l’oscurarsi del cielo all’orizzonte e, rivolgendosi a Beau, mormorò: “Si sta avvicinando un temporale. Ti conviene andare a casa, prima che si scateni un diluvio.”

“E tu? Non ho visto Jay, in giro” si informò lui, restio a lasciarla da sola.

“Mi fermo alla V.B. 2000. Stasera vado con Andrea perché ceno a casa loro” gli spiegò Rena, sbucando dal tubo assieme a Beau.

Spazzolandosi i pantaloni prima di afferrare la sua bicicletta, lui allora le disse ironico: “Cos’è, una cenetta tra innamorati?”

“Dovrei spaccarti la testa per averlo anche solo pensato” ridacchiò lei, dandogli un colpetto sul braccio. “Cenerò con tutta la famiglia Van Berger, e i miei si uniranno al gruppo più tardi. Ora sono a Sacramento per affari.”

“Hanno una vita ben indaffarata” chiosò Beau, ripensando ai genitori di Rena.

Gli erano piaciuti, e li aveva trovati davvero delle brave persone. Non faceva specie che avessero una figlia così speciale.

“Abbastanza” ammise lei, rabbrividendo quando un altro tuono rombò nel cielo, lampeggiando minaccioso.

“Paura dei temporali?” le domandò lui, avvicinandosi di un passo.

Serena fu costretta a levare lo sguardo per scrutarlo in viso e, quando si ritrovò ad affondare in quelle chiare profondità, avvertì un imbarazzante rossore avvolgerle il viso.

Non ci poteva fare niente. Quando Beau si avvicinava troppo, lei andava in tilt.

Lui le sorrise sornione, come avendo compreso alla perfezione il suo problema e, piegatosi un poco su di lei, le sfiorò la fronte con un bacio, mormorando: “A domani, allora.”

Rena riuscì unicamente ad annuire ed il ragazzo, con un risolino soddisfatto, inforcò la bicicletta e si allontanò, lasciandola sola nel parco giochi.

Yvette, nascosta dietro alla struttura di una delle altalene, si allontanò soddisfatta, avendo visto più che a sufficienza.

Avrebbe tolto ben presto quel sorriso sognante dal viso acqua e sapone di Serena Ingleton. Molto presto.

§§§

“… e a quel punto interverrai tu, Candice” terminò di dire Yvette, sorridendo malignamente all’amica, che si ritrovò addosso le occhiate divertite di tutte le presenti.

“Ma sei sicura che sia davvero il caso?” mormorò l’altra, dubbiosa.

Stavolta stava veramente esagerando ma, a parte mettersi dichiaratamente contro di lei e contro tutta la scuola, non avrebbe saputo cos’altro fare per fermarla.

Rubarle i vestiti durante l’ora di ginnastica, quando Serena si trovava sotto la doccia.

Le pareva davvero uno scherzo esagerato, e non solo di pessimo gusto.

Beau, giungendo in quel momento dal corridoio, si preoccupò immediatamente nel vedere quel capannello di ragazze, capitanate da Yvette.

“Ehi, ragazze! State progettando un piano per impadronirvi del mondo?”

Tutte risero, lanciandogli occhiate deliziate – non esisteva ragazza, a scuola, che non gli facesse gli occhi dolci – ma fu Yvette a parlare.

“Abbiamo pensato di fare uno scherzo alla Ingleton. Vuoi partecipare?”

“Di che genere, scusa?” si informò lui, cercando di non lasciar trapelare la sua ansia. Cos’aveva in mente? Perché pareva così soddisfatta?

“Vogliamo rubare gli abiti della riccona mentre fa la doccia. Così non saprà come fare per uscire dagli spogliatoi e, casualmente, uno dei ragazzi entrerà per fotografarla. Sarà epico!” ridacchiò la ragazza, subito seguita a ruota dalle altre.

L’unica a non ridere – assieme all’amico – fu Candice, che scrutò disperata Beau in cerca di aiuto.

La prima cosa a cui pensò il ragazzo fu di colpire Yvette con un pugno, la seconda fu di darsi una calmata.

Non serviva a nulla farsi sbattere fuori dalla scuola con la nomea del violento o, peggio, finire in riformatorio per aver picchiato una ragazza.

Se voleva veramente dare una mano a Rena, proteggerla, doveva pensare alla svelta a un modo per evitare quel disastro immane.

“Pensaci bene, Yvy. Ci sareste solo voi ragazze, negli spogliatoi. Capiranno subito chi è stato, visto che sanno tutti che ce l’hai a morte con lei. Far entrare un ragazzo negli spogliatoi, poi, sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso. Stavolta non la passeresti liscia. I professori non ci passerebbero di certo sopra” replicò serafico Beau, faticando non poco a urlarle contro tutta la sua rabbia.

“Nessuno avrebbe il coraggio di denunciarmi al direttore!” sbottò Yvette, inferocita dal suo apparente diniego.

“E ti baseresti soltanto su una mera congettura? Il gruppo dei nerd non vede l’ora che tu commetta un errore, così da poterti sputtanare dal direttore. Io opterei per un’altra cosa, se mi permetti” le ritorse contro lui, vedendola accigliarsi non poco.

“Che cos’hai in mente?” sibilò lei, fissandolo con i suoi occhi chiari.

“Gomma da masticare nei capelli. Andiamo, non hai mai notato quante arie si da? La vanità è donna, dovresti saperlo, e qual è la parte migliore di cui si può vantare lei? I capelli. Li porta lunghissimi, e sempre agghindati come una principessina. Ne rimarrà distrutta!” le spiegò lui, sogghignando soddisfatto.

Sperò soltanto che gli credesse.

Le altre ragazze furono d’aiuto, perché trovarono quel piano molto più divertente e, di sicuro, meno pericoloso per la loro media in condotta.

Anche Candice rafforzò la proposta di Beau dandogli man forte e, nel contempo, sperando con tutta se stessa che Yvette si convincesse a cambiare idea.

“E come pensi di piazzargliela nei capelli, scusa? Gliela lanceresti addosso?” borbottò la ragazza, non ancora del tutto convinta.

Beau, a quel punto, sfoderò un sorriso strafottente e pregò di essere abbastanza convincente nella sua interpretazione.

“Scusa, ma non vedi la mia faccia? Pensi davvero che non mi farebbe avvicinare? Scommetto quello che vuoi che, se mi mostrassi per un momento gentile con la tipa, le potrei fare qualsiasi cosa.”

“Chi mi dice che lo farai? Che non stai solo cercando di proteggerla?” gli ritorse contro Yvette, raggelandolo.

Possibile che sappia? Che ci abbia visto?, pensò lui terrorizzato, notando anche il profondo turbamento di Candice.

Pensava di essere stato abbastanza in gamba, di aver evitato tutti i posti in cui avrebbero potuto trovare qualcuno in grado di smascherarli.

Ugualmente, mantenne un contegno stoico e replicò: “Vaneggi. Sarò così bravo che dovrai applaudire la mia interpretazione.”

“Su, dai, lascialo fare!” esclamarono le ragazze, scrutando Yvette speranzose.

Beau rimase impassibile pur fremendo dentro di sé e, quando finalmente Yvette accettò la sua proposta, si sentì morire.

Rena l’avrebbe odiato, ma la sua reputazione sarebbe stata salva.

Nessuno l’avrebbe presa in giro per uno scherzo atroce e distruttivo quale avrebbe potuto essere quello dello spogliatoio.

E, di sicuro, avrebbe potuto continuare a frequentare la scuola senza avere nella mente la visione di se stessa, immortalata a tradimento da un idiota.

Sperava soltanto di riuscire a mettere in pratica quello che si era ripromesso di fare, perché altrimenti nessuno avrebbe più fermato Yvette.

Ancora troppe persone, a scuola, le davano retta, e se anche si fosse messo apertamente contro di lei, non sarebbe servito a nulla.

Era lei a comandare, a scuola, non lui. Lo sapeva fin troppo bene.

Se si fosse messo dalla parte di Serena, lo scherzo dello spogliatoio sarebbe stato un bon bon, in confronto a quello che avrebbe potuto fare Yvette.

§§§

Più tardi, durante la pausa pranzo, con gli studenti che si riversavano nei corridoi e il caos portato alle stelle, Beau incrociò lo sguardo di Rena, ferma accanto ad una bacheca, e le sorrise.

Lei accennò appena una risposta, e lui desiderò sprofondare, scavarsi una fossa e morire.

Ma non poteva. La scelta dei capelli gli era parsa la più ovvia.

Avrebbero potuto ricrescere dopo quel maledetto trattamento, ma sarebbe stato uno scherzo abbastanza umiliante da soddisfare la sete di sangue di Yvette.

Accettando di interporsi tra lei e Rena, però, stava decretando la fine della loro amicizia.

Ma, per difenderla dalle angherie di Yvette, avrebbe sopportato ben di più.

Con passo deciso, si mosse quindi verso di lei e, dopo aver oltrepassato la fiumana di studenti in movimento, si fermò ad un passo da Rena e, senza alcun preavviso, si chinò per baciarla.

Sapeva di doverle dire addio, perciò preferì strapparle quel bacio, piuttosto che parlarle.

Assaporò le sue labbra mielate, la loro morbida pienezza, il tocco delicato e timido della punta della sua lingua e, morendo dentro, le infilò una mano tra i capelli.

La gomma da masticare si appiccicò immediatamente alla massa fluente delle sue morbide chiome e, quando lui si scostò per l’ultima volta da Rena, desiderò piangere.

Lei gli apparve stordita, frastornata, con gli occhi smeraldini colmi di stelle. Esattamente come avrebbe desiderato, se le cose fossero state maledettamente diverse.

Quando però le risate degli studenti si riversarono come pioggia su di loro, Rena si riprese, iniziò a comprendere cosa fosse successo e, portandosi le mani ai capelli, lo fissò al colmo dell’ira.

E con le iridi di smeraldo velate di lacrime e di dolore profondo.

Beau non disse nulla, si infilò semplicemente le mani in tasca mentre lei cercava di balbettare qualcosa.

Le risate aumentarono, le prime lacrime corsero sulle sue gote pallide e, tra il caos generale, Serena fuggì.

“Addio” mormorò Beau, reclinando il capo.

“Avrei preferito tu evitassi quel bacio, ma alla fine è andata bene anche così. Anzi, lo shock è stato doppio. Non pensavo l’avresti fatto” dichiarò dietro di lui Yvette, avvolgendogli la vita con un braccio.

Beau si scostò, disgustato dal suo tocco e, piano, asserì: “Doveva essere un gesto forte, no?”

“E lo è stato!” assentì Yvette, ridacchiando.

Ancora, il ragazzo desiderò ucciderla, ma si trattenne per ovvi motivi.

Voleva finire il liceo senza macchie sul suo curriculum e, soprattutto, non voleva dare ulteriori scuse a Yvette per avercela con Rena. Forse, a quel punto, avrebbe smesso di darle fastidio.

O almeno così sperava.

§§§

Pareva inconsolabile ma, quel che era peggio, Grace non riusciva a comprendere chi fosse stato a compiere un gesto così meschino come appiccicarle della gomma da masticare tra i capelli.

Era un comportamento crudele da tenere con una ragazza, e ammetteva senza remore che non se lo sarebbe davvero aspettato.

Pensava che le cose stessero migliorando. Rena non si lamentava più da mesi, e il suo sorriso era diventato più ampio, più felice.

Non aveva davvero idea che avrebbe potuto succedere una cosa simile.

Quando l’aveva vista piombare a casa in lacrime, e durante l’orario di scuola, si era subito domandata cosa fosse successo e, non appena aveva scoperto la verità, l’aveva stretta al petto per consolarla.

Dopo aver fatto intervenire la loro parrucchiera personale, per aggiustare il taglio in modo tale da eliminare ogni residuo di gomma, Grace si era chiusa in camera con la figlia e, da quel momento, non erano più uscite.

Barthemius era stato avvisato da Martha e, immediatamente, aveva lasciato l’azienda per tornare a casa, ma Rena non si era voluta neppure presentare alla porta della sua stanza.

Ora, suo padre se ne stava rintanato nello studio, attendendo impaziente di poter abbracciare a sua volta la figlia.

Non accettava che la facessero soffrire a quel modo e, quant’era vero Iddio, questa volta sarebbe intervenuto con tutto il peso del suo nome!

Un bussare quieto alla porta dello studio lo fece sobbalzare e, a sorpresa, Martha entrò e gli disse: “Ci sono due amici di Serena alla porta. Vorrebbero parlarle, Mr Ingleton.”

“Arrivo subito” assentì l’uomo, balzando dallo scranno in fretta e furia.

Con la speranza che fossero giunti lì per dirgli chi fosse il colpevole di tale misfatto, Barthemius giunse nel salottino degli ospiti a passo lesto e, non appena vide Candice e Beau, si tranquillizzò.

“Ragazzi, buon pomeriggio. Ebbene?” esordì l’uomo, cercando di darsi una calmata. Farsi vedere con un diavolo per capello non avrebbe messo a proprio agio nessuno, e i due giovani sembravano già debitamente nervosi.

“Come sta, Rena?” domandò Candice, le mani intrecciate in grembo.

“Non bene” ammise Bart, lanciando un’occhiata significativa a entrambi.

Beau appariva addirittura distrutto.

Candice sospirò, e a quel punto il ragazzo al suo fianco levò lo sguardo per incrociare quello di Barthemius.

Dopo essersi alzato in piedi, mormorò: “E’ colpa mia. E’ successo per causa mia.”

L’uomo si oscurò immediatamente in viso, già pronto a prendere per il collo Beau ma Candice, balzando in piedi, lo afferrò ad un braccio e aggiunse: “Non aveva altra scelta!”

“Spiegatevi in fretta, prima che perda la pazienza” sibilò Bart, reclinando il braccio, ma solo a fatica.

Le lacrime negli occhi chiari, Beau cercò in qualche modo di spiegarsi, ma dovette presto intervenire Candice, perché le parole gli morirono in gola, soffocate dai suoi singhiozzi strazianti.

Barthemius ascoltò con attenzione tutta la storia, si accigliò diverse volte ma, quando scrutò nuovamente il volto del ragazzo e della sua amica, vi lesse solo la verità.

Sospirando, l’uomo crollò su una delle poltrone in broccato italiano e mormorò: “Non pensavo si potesse arrivare a tanto.”

“E’ stata la prima cosa che mi è venuta in mente. Se avessi avuto più tempo, avrei potuto fare diversamente… evitare che…” balbettò incoerentemente Beau, scoppiando in lacrime.

Coprendosi il viso, cercò di soffocare i singhiozzi colmi di colpa e rimpianto e, uno dopo l’altro, i pezzi del suo cuore sprofondarono nell’abisso.

Candice gli massaggiò la schiena con colpetti comprensivi, sapendo bene come potesse sentirsi in quel momento.

“Yvette non si sarebbe fermata dinanzi a niente, pur di farla pagare in qualche modo a Rena. Beau non poteva fare diversamente. Se non avesse accontentato la sua sete di vendetta, sarebbe andata molto peggio.”

“Posso immaginare che, difenderla apertamente, avrebbe scatenato ancor di più la sua ira” assentì suo malgrado Barthemius.

Candice annuì.

“Yvette ha troppo seguito, a scuola, e se io o Beau fossimo intervenuti apertamente, Rena avrebbe subito conseguenze molto peggiori. Mi spiace solo che, per evitarle un danno peggiore, si sia dovuti arrivare a tanto.”

L’uomo annuì e, allungando una mano per passarla tra i capelli di Beau, mormorò: “Non piangere, Beau. Ho capito cosa volevi fare.”

“Ha dei capelli così belli, ed io… io…” singhiozzò lui, scuotendo il capo nervosamente.

“Come hai giustamente immaginato, i capelli ricrescono, perciò il danno si sarebbe presto annullato. Non potevi fare in altro modo, a quanto pare, ed io ti ringrazio per aver pensato di risparmiarle una pena ben peggiore, oltre a un’umiliazione che non avrebbe mai potuto superare” replicò l’uomo, conciliante.

“Non le dica niente, però” si premurò di dirgli a quel punto Beau, sorprendendo sia Bart che Candice.

“Ma… perché portare una colpa che non è tua?” esalò l’uomo, confuso.

Sospirando, il ragazzo ammise controvoglia: “E’ possibile che questo sfoggio d’ira da parte di Yvette sia dipeso da un mio errore. Vede, io e Serena siamo diventati amici e, spesso e volentieri, ci siamo fermati fuori dalla scuola per chiacchierare. Ho sempre pensato di essere stato abbastanza abile da scegliere posti in cui Yvette o altre sue amiche non potessero vederci, ma evidentemente mi sbagliavo. Se Serena penserà che io l’abbia ingannata fino ad ora, non si avvicinerà più a me, e Yvette si calmerà.”

“Ma non potrete più parlarvi” gli fece notare Barthemius, spiacente.

Reclinando il viso, Beau si passò una mano tra i capelli, mormorando: “Preferisco saperla lontana e al sicuro, che in pericolo a causa dell’amicizia che ci lega. Non so cosa potrebbe escogitare la prossima volta, Yvette, pur di allontanarla da me. E non è detto che potrei intervenire per tempo.”

“Beau…” esalò Candice, mordendosi il labbro inferiore per il dispiacere.

Bart sospirò pesantemente, apprezzando il coraggio del ragazzo e l’assoluta validità delle sue argomentazioni ma, ugualmente, disse: “Se Rena sapesse, sono sicuro che sarebbe lieta di trovare un altro modo per mantenere la sua amicizia con te.”

“La ritiri dalla scuola” replicò a quel punto Beau, facendo sobbalzare l’uomo per la sorpresa. “Non voglio sapere perché l’abbia mandata alla SMH, ma penso che il suo esperimento sia andato troppo oltre. Non potrei sopportare di vederla subire ancora le angherie di Yvette, e a quel punto non saprei più come proteggerla.”

“Ne parlerò con lei, va bene?” dichiarò allora l’uomo, sorridendogli comprensivo.

Beau annuì, ritenendosi soddisfatto e, nel rialzarsi assieme a Candice, disse: “Scusi ancora per quel che è successo.”

“Avete fatto quello che avete potuto, per proteggerla ed esserle amici. Non c’è nulla da scusare” ribadì Bart, accompagnandoli alla porta con sguardo mesto.

Fu molto tempo dopo quella visita a sorpresa che Barthemius vide comparire sua moglie.

Appariva stanca e oppressa, e una rabbia focosa le illuminava gli occhi.

Scelse quel momento per raccontarle la verità e, alla fine di quell’illuminante discorso, dichiarò: “La ritirerò dalla scuola. Non ha senso che rischi qualcosa di peggio.”

“Non ci pensare neppure, papà” replicò sulla porta Rena, sorprendendo entrambi i genitori.

La corta chioma bruna della ragazza le cingeva il viso con ciocche scalate e tagliate alla perfezione, conferendole un’aria sbarazzina e alla moda.

Nessuno, ignaro di quel che era successo, avrebbe detto che quello era stato un taglio d’emergenza.

“Rena, tesoro…” esalò Bart, levandosi in piedi per abbracciarla.

La ragazza si lasciò stringere dalle braccia forti del padre ma, perentoria, asserì: “Non voglio dargliela vinta, a nessuno di loro. Sono stata una sciocca a credere alle favole, mentre avrei dovuto semplicemente capire che il mondo non è fatto di fiocchi rosa e belle parole. Ma ho imparato, e sarò un’avversaria che Yvette imparerà presto a temere.”

“Cara, non credi che sarebbe meglio evitare di creare una guerra intestina alla scuola?” le consigliò Grace, conciliante.

Con occhi che sprizzavano scintille, lei scosse il capo, cocciuta.

“Non mi si mette i piedi in testa, questo è poco ma sicuro.”

Ciò detto, si alzò in punta di piedi per baciare le guance del padre e, in silenzio, si diresse verso la cucina, lasciando che il suo dolore le facesse da mantello e da corazza difensiva.

Non avrebbe perdonato, e nessuno le avrebbe mai più messo i piedi in testa.

E, soprattutto, nessun altro le avrebbe spezzato il cuore come solo Beaurigard Shaw era stato in grado di fare.

§§§

In piedi di fronte all’entrata della scuola, Rena osservò risoluta le porte di vetro prima di sobbalzare per la sorpresa quando, una dopo l’altra, sette ragazze si disposero a ventaglio attorno a lei.

Tutte e sette con i capelli tagliati alla paggetto, o ancor più corti.

E, in testa al gruppetto appena formatosi, Candice si fece avanti con la sua nuova pettinatura scalata e dai riflessi ramati, dichiarando: “Ora dovrà vedersela con tutte noi. Non ti lasceremo sola.”

“Yvette l’ha giocata davvero sporca, e anche Beau” assentì un’altra, annuendo con foga.

“Non ce la facevo più a tacere e così, quando mi ha chiamata Candice per dirci la sua idea, ho accettato subito.”

Anche le altre ragazze annuirono e Rena, sorridendo loro, dichiarò: “Deve solo provarci, a fare qualcosa a una di noi. Si ritroverà a fare i conti con la nostra rabbia.”

Come un gruppo coeso, si indirizzarono perciò all’interno dell’istituto e, simili ad un rompighiaccio, oltrepassarono lo sbarramento umano creato dagli studenti, senza che nessuno trovasse il coraggio di aprire bocca.

Sulle scale che conducevano al primo piano, il gruppo di Yvette le irrise con lo sguardo, ma Rena non si diede per vinta.

Percorse a due a due i gradini e, dopo essersi bloccata dinanzi a lei con nero cipiglio, le intimò rabbiosa: “Tocca una soltanto di noi, e vedrai cosa è in grado di inventarsi una riccona come me.”

Yvette fece per parlare, ma le ragazze in compagnia di Rena avanzarono all’unisono, costringendo il suo gruppo a indietreggiare.

A quel punto alcuni ragazzi ridacchiarono, e a lei non restò altro che battere in ritirata, almeno per il momento.

Più che mai soddisfatta, Rena strinse le braccia sotto i seni e, con aria di sfida, frizzò Beau sul posto, a poco meno di una decina di metri dal suo nuovo gruppo.

Senza dire una parola, si mossero verso di lui e, altezzose e col mento sollevato, lo ignorarono bellamente.

Solo Rena, però, percepì il proprio cuore frantumarsi in mille piccoli pezzettini sanguinanti e, nel chiudersi la porta dell’aula alle spalle, esso perse completamente ogni desiderio di battere.

Ma ormai aveva imparato anche quella lezione.

Dopotutto, era una brava allieva.

 

 

 

 

__________________________________

n.d.a.: e con questo capitolo si conclude il periodo passato assieme a Beau e Serena quando erano ragazzi. Dal prossimo capitolo, torneremo ai giorni nostri.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13: Agosto 2012 ***


13

 

13.

 

 

 

 

Agosto 2012.

 

Il cipiglio di Rena si fece più manifesto di secondo in secondo, passato e futuro che si confondevano dinanzi ai suoi occhi in un orrendo incubo a occhi aperti.

Beau, imperturbabile come lo ricordava, non le fece caso e, rivolgendosi ai suoi colleghi sul ciglio della strada, levò un braccio ed esclamò: “Tutto bene, qui! La signorina è illesa. Ora risaliamo!”

“Faccio da sola” brontolò lei, voltandosi per prendere la via dell'erta che conduceva su Placerita Road.

“Sei senza scarpe, il terreno è accidentato e potresti farti male, Serena. Non fare la sciocca” replicò con tutta calma Beau, afferrandola gentilmente ad un polso per bloccarla.

“Piuttosto, rimango qui a morire, ma non accetterò mai il tuo aiuto.”

Lei gli ringhiò in faccia, frustandolo con i suoi occhi verde smeraldo, che mandarono fiamme e scintille. E un lontano dolore mai sopito del tutto.

Sinceramente sorpreso e, sì, suo malgrado dispiaciuto che ricordasse i loro trascorsi con tanto livore, l'uomo esalò: “Non puoi davvero avercela con me dopo così tanti anni! Starai scherzando, spero?!”

A Rena saltarono i nervi.

Si gettò contro Beau a pugni levati e, picchiando con tutta la forza che aveva contro quel petto deplorevolmente duro, esclamò: “Come puoi dire questo! Erano i miei capelli, razza di idiota! E tu me li hai rovinati! Io mi fidavo ciecamente di te, cretino!

Dei fischi divertiti attirarono la loro attenzione e Rena, bloccandosi immediatamente, si volse a mezzo e ringhiò furibonda: “Ce n'è anche per voi, se non la piantate! Io e il vostro collega abbiamo un conto in...”

Strillando di sorpresa prima che potesse terminare i suoi insulti, Rena si sentì caricare su una spalla come un sacco di patate e nulla di quanto fece, o disse, impedì a Beau di arrampicarsi con lei lungo la scarpata.

Impedendosi di piangere per non dargli anche quella soddisfazione, si chiuse in un mutismo offeso e, quando finalmente lui la mise giù, si rifiutò ferocemente di guardarlo.

L’uomo, in compenso, richiamò all'ordine i suoi uomini, azzittendoli senza tanti complimenti e rispedendoli in fretta alla base.

Il tono scherzoso era sparito, sostituito da un autoritario cipiglio che sorprese un poco la donna, abituata a ben altro, da Beau.

Quando il camion dei pompieri si fu allontanato, lui tornò da Rena e, rivolgendosi direttamente al paramedico che le stava curando le abrasioni alle ginocchia, domandò: “Come sta?”

“Le ferite sono lievi, ma la porteremo al Providence Holy Cross Medical Center per accertamenti. Non possiamo escludere a priori interessamenti a organi interni o al cervello, visto l’incidente in cui è stata coinvolta” lo informò il paramedico, applicando una compressa di garza sul ginocchio.

“Molto bene. Verrò con voi” dichiarò Beau, gelando con uno sguardo di giada qualsiasi protesta di Rena.

Lei avrebbe di gran lunga preferito che se ne fosse andato assieme ai suoi colleghi ma, di fronte a una simile presa di posizione, non riuscì ad aprire bocca.

Ai paramedici non causò alcun problema e, dopo aver caricato la donna sulla barella, salirono in ambulanza e iniziarono la discesa lunga e piena di curve in direzione di Los Angeles.

Afferrato il cellulare da una delle tasche interne alla giacca ignifuga, Beau digitò un numero breve e, con un mezzo sorriso, esclamò: “Ehi, Warren! Ciao! Hai un carro libero? Ci sarebbe da recuperare una Viper spettacolare da una scarpata su Placerita Road, al miglio 154. Sì, portati dietro anche Butch, non si sa mai!”

Rena lo fissò accigliata ma non disse nulla e Beau, continuando nella sua chiacchierata, rise sommessamente per poi aggiungere: “Vedi se puoi salvarla. Io le ho dato solo un'occhiatina e mi è parsa messa male, ma la sua proprietaria ci tiene molto e... beh, vedi un po' se riesci a fare la tua solita magia.”

Detto ciò, mise giù e sorrise a mezzo a Rena, che lo stava fissando con aria guardinga e niente affatto tranquilla.

Era evidente quanto la donna poco si fidasse di lui, e Beau in qualche modo ci rimase male.

Sperava davvero che, dopo tanti anni, quella faccenda fosse definitivamente archiviata e che, nonostante tutto, loro potessero parlarsi come due persone civili.

A quanto pareva, però, Rena non era per nulla di quell’avviso.

Incurante della presenza del paramedico, Beau si allungò per avvolgerle una mano con la propria e, sorridendole contrito, mormorò: “Giuro che mi dispiace tantissimo per quella volta, Serena. Cos'altro posso dirti, per convincerti?”

Scivolando via di scatto dalla sua stretta, lei distolse lo sguardo dal pompiere e replicò scocciata: “Non sei stato tu ad aver avuto quella gomma da masticare nei capelli, a dover correre dal parrucchiere per salvare il salvabile, a dover tornare a scuola sotto gli occhi derisori di tutti. Mi bastava ampiamente l’essere trattata a pesci in faccia da metà della scuola, senza dover anche sopportare quello scherzo umiliante!”

Il paramedico ebbe la decenza di non dire nulla, ma fissò con espressione colpevole Beau che, sospirando, reclinò penitente il capo. “Avevo quindici anni, ed ero un idiota.”

E cercavo di salvarti, dopotutto!, aggiunse poi tra sé, cominciando a irritarsi.

Aveva masticato amaro per anni, e solo per darle l’opportunità di diventare forte e coraggiosa a spese sue  e della loro amicizia, cui lui aveva tenuto più del suo stesso cuore.

Ed ora tutte quelle energie – ottenute anche grazie ai suoi silenzi – lei gliele scaricava addosso?

No, c’era qualcosa che non quadrava nell’equilibrio cosmico.

“E' per quello che hai continuato a tormentarmi con la tua cinica indifferenza fino al diploma?” gli replicò gelida lei, tornando a fissarlo con sguardo adamantino.

Beau preferì non aprire bocca.

Al momento, Serena Ingleton, la sua capoclasse per tre anni, la più brava studentessa del suo corso e la figlia del magnate dell'acciaieria sempre prodiga di gentilezze, era furiosa come una biscia.

Meglio non dire nulla, almeno per un po'.

Dopotutto, se anche le avesse detto la verità in quel momento, non gli avrebbe mai creduto.

§§§

Il lettinoo al pronto soccorso in cui l'avevano sistemata era un po' scomodo, ma era nulla in confronto alla scomodità di non poter insultare Beau, che stava parlando con i dottori fin da quando avevano messo piede in ospedale.

Non riusciva a capire bene perché, ma si era preso sulle spalle l'onere di farle da portavoce, quando lei era abbastanza in sé per farlo anche da sola.

I dottori si erano messi quasi subito a parlare con lui della sua situazione medica e, sempre a lui, si erano rivolti dopo ogni responso.

Mancava solo la TAC, poi avrebbero potuto dimetterla e, finalmente, lei si sarebbe liberata della scomoda presenza di Beaurigard Shaw.

L'aveva detestato per parecchio tempo, dopo quel maledetto fattaccio.

Per anni, aveva dovuto sopportare lo scorno di aver visto qualcosa di più in quello che, poi, si era rivelato essere solo uno scherzo molto ben congegnato.

Oh, sì, lei ci era cascata come una pera.

L’amicizia, il suo essere così gentile con lei, l’averle fatto credere che lui, il più bello, il più osannato tra i ragazzi della scuola, avesse scelto la sfigata di turno.

Tutto studiato a tavolino con quella maledetta di Yvette.

Se non altro, dopo quel doloroso tonfo col sedere sul pavimento della vita, si era rialzata più forte e combattiva di prima e, per lo meno, si era fatta delle amiche che erano perdurate negli anni.

E dire che, per un certo periodo, le era anche piaciuto!

Beau era stato bravissimo a farla sentire un’idiota, a ridurle il cuore in pezzi e a farla diffidare di tutto e di tutti.

Chissà quante risate si erano fatti, lui e Yvette, alla fine di quel meraviglioso gioco!

Se non fosse stato che, a quel punto, il suo desiderio di arrivare in fondo al liceo era stato più forte della paura di affrontare la gang di Yvette, avrebbe rinunciato.

E i suoi genitori glielo avrebbero anche concesso.

Ma non avrebbe più avuto il coraggio di guardarsi allo specchio.

Era ormai cambiata, il liceo l’aveva cambiata, le avversità e la realtà dei fatti, l’avevano plasmata, e grazie a questo aveva proseguito negli studi al SMH.

Alla fine del liceo aveva potuto guardare a testa alta tutti quanti, figli di papà compresi, ma il colpo lo aveva preso, e bello forte.

Nei circoli che aveva visitato dopo l'università – e all’estero, durante il suo tirocinio –  non si era mai pentita di dire di aver studiato in un liceo pubblico.

E, in più occasioni, aveva sottolineato  con gli zii quanto la cugina Cassandra avrebbe avuto bisogno, a suo tempo, di una simile esperienza.

Trovarsi lì con la sua nemesi, però, la fece tornare a quel periodo orribile, in cui si era sentita brutta, bassa, ridicola e sola.

E le riportò alla mente la stupida cotta adolescenziale che aveva avuto per lui.

Vederlo così cambiato, così attento e pronto, così professionale nella sua divisa da pompiere, non faceva che peggiorare la situazione.

Le rammentava con dolorosa ironia tutte le cose che aveva visto in Beau, e che poi si erano rivelate una tremenda bugia.

Voleva andarsene alla svelta, prima di fare un'altra figuraccia tremenda.

Prima che quei ricordi risvegliassero antichi e ingannatori sentimenti.

Quando arrivò l'ennesimo dottore con l'ennesima radiografia, Serena sbuffò quindi infastidita e Beau, volgendosi immediatamente verso di lei, si scusò col dottore per raggiungerla.

“Hai dolore da qualche parte?”

Ancora quel tono accorato, quegli occhi turbati e attenti assieme.

Avrebbe voluto dargli uno schiaffo in faccia solo per evitare che la guardasse ancora, ma sapeva che era un gesto infantile.

Ma quanto le sarebbe piaciuto!

“No, Beau. Ma sono stufa marcia di essere trattata come se stessi morendo” brontolò lei, fissandolo accigliata mentre il dottore si avvicinava con gli esiti della TAC.

“Non sta morendo, questo è sicuro, Miss Ingleton, e la TAC è negativa. E' stata davvero fortunata. Le preparo subito le carte per le dimissioni, così potrà uscire” la informò il dottore, sorridendole.

“Benissimo. Grazie infinite” sospirò di sollievo Rena, scrutando la schiena del dottore nell'allontanarsi.

Non ne voleva sapere di guardare Beau, per quanto sentisse premere i suoi occhi su di lei.

“Ho chiamato tua madre. Sta venendo qui direttamente dal Tribunale. Dovrebbe arrivare a momenti, ormai” la informò a quel punto lui, sorprendendola non poco.

“Cosa? E come diavolo hai... sì, insomma... come facevi a sapere che lei...” balbettò incoerentemente Rena, fissandolo stranita.

Lui le sorrise dolcemente, facendole sorgere un profuso quanto imbarazzante rossore in viso e, con una scrollata di spalle, dichiarò: “Come potevo dimenticarmi di Grace Ingleton Brown, lo Squalo di Los Angeles? La sua arringa nel caso Van Berger è stata eccezionale. Strepitosa, oserei dire.”

“Eri... presente?” esalò lei, sempre più confusa. E rintronata dal suo sguardo.

Ma cos’aveva, negli occhi? Magneti?

“Era un'udienza pubblica” si limitò a dire lui, come se nulla fosse, preferendo di gran lunga non dirle quanto l’avesse cercata, in quegli anni, senza mai avere il coraggio di parlarle. “Pare che Nickolas abbia messo la testa a posto. Sua moglie sembra una che sa il fatto suo.”

“Hannah è una donna in gamba, ed è perfetta per Nick” brontolò Rena, restia a parlare dei suoi migliori amici proprio con lui.

“Per sopravvivere a quel branco di caimani, che i benpensanti chiamano giornalisti, deve per forza essere in gamba” ghignò lui, facendola sorridere suo malgrado.

Non ce la fece proprio. Sorrise.

E Beau se ne accorse, portandolo ad allungare una mano per scostarle un ricciolo ribelle dalla fronte.

“Dovresti sorridere di più... se non ricordo male, a scuola avevi un bellissimo sorriso, proprio come quello di adesso.”

“Portavo l'apparecchio, idiota” sbuffò Rena, scansando la sua mano con uno schiaffetto.

“Non ricordo un simile difetto, su di te” dichiarò lui, facendosi pensoso.

Si grattò il mento, come se stesse effettivamente ripensando a quel periodo e Serena, preferendo evitare che ricordasse quanto fosse poco carina, lo schiaffeggiò ad un braccio.

“Lo ricordo benissimo io. Non c'è bisogno che ti spremi il cervello.”

Beau fece per replicare al riguardo, ma l'arrivo di Grace li interruppe.

La donna si mosse lesta tra i vari letti del pronto soccorso per raggiungere la figlia e, abbracciatala con forza, mormorò contro di lei: “Oh, tesoro! Sono così felice di saperti sana e salva!”

“Sto benissimo, davvero... non preoccuparti. I pompieri mi hanno tirata fuori, e i dottori hanno detto che sto bene. Possiamo andare a casa” la rassicurò lei, dandole affettuose pacche sulle spalle.

Grace allora si scostò per osservare Beau e, sorprendendo la figlia, strinse in un abbraccio anche lui.

“Grazie davvero, Beaurigard. Sono davvero contenta che ci fossi tu, lì con lei.”

Rena strabuzzò gli occhi, sconvolta – che lui le avesse detto al telefono chi era? E poi, perché abbracciarlo come se fosse il figliol prodigo?

Il giovane, nello scostarsi dall'avvocato, le disse a mo' di spiegazione: “Tua madre mi ha difeso un paio di anni fa, per un caso di abuso di potere. Ci siamo incontrati lì, dopo tanti anni.”

“Oh, ma…” tentennò lei, non sapendo bene cosa dire.

Sapeva che i cachet di sua madre erano piuttosto elevati, e non credeva possibile che Beau, essendo un pompiere, potesse permettersi di pagarla, ma preferì non dire nulla.

Le avevano insegnato a non far notare simili sottigliezze, per non offendere la gente.

Anche se, con Beau, era a credito di carinerie.

Grace sorrise al giovane pompiere, come rammentando quel processo in particolare e, annuendo all’uomo, asserì: “Mi ricordo eccome di quel gran… quella carogna di Gregory Llwellyn.”

Beau sogghignò a quel cambio repentino di vocabolo e Rena, curiosa, domandò alla madre che cosa fosse successo.

“E’ semplice, cara. Beaurigard e i suoi colleghi salvarono la vita a quell’idiota, durante un incendio scoppiato nella sua villa… e lui intimò loro i danni per aver rovinato le sue opere d’arte con l’acqua degli idranti. Ovviamente, cercò di corrompere il procuratore distrettuale, che chiamò in giudizio l’intera caserma” le spiegò la madre, sbuffando infastidita al ricordo. “Sai benissimo che, di fronte a casi simili, il mio studio legale lavora pro bono, perciò presi in mano la causa e la vinsi, ovviamente.”

“Non avevo dubbi” dichiarò la figlia, sorridendole fiera.

Beau si esibì in un sorriso sincero quanto grato, che illuminò il suo volto abbronzato e aitante e, allungando una mano in direzione di Grace, asserì: “Ancora grazie. Se non avessimo vinto quella causa, saremmo finiti nei guai tutti quanti.”

“Detesto i bulli. Di ogni genere e sorta” chiosò l’avvocato, sorridendogli generosamente.

A quella frase, Rena sogghignò all’indirizzo di Beau, ma lui non vi fece alcun caso e la donna, per qualche motivo, ne rimase delusa.

Non era giusto che sua madre non sapesse. Anche se ormai era passata una marea d’acqua sotto i ponti, quello sgarbo le pesava ancora tantissimo.

L’ospedale, però, non le pareva il luogo più adatto per parlarne e, quando finalmente poté uscire, non vide l’ora di rimanere sola con sua madre per farle sapere ogni cosa. Non sapeva bene neppure lei perché, quel giorno di tanti anni fa, non aveva ammesso neppure con sua madre chi le avesse fatto quello sgarbo, ma le sembrava sciocco mentire anche quella volta.

Avrebbe saputo.

Forse, quel sorriso così cordiale se lo sarebbe risparmiato per qualcuno maggiormente meritevole, la prossima volta.

Non appena individuò la BMW Serie 5 della madre, Rena vi si fermò accanto e Grace, rivolgendosi a Beau, domandò: “Hai bisogno di uno strappo in caserma?”

“Prenderò un taxi, non si disturbi, Mrs Ingleton.”

Poi, rivoltosi a Rena, disse: “Ti chiamo in ufficio per dirti della Viper.”

Vagamente sorpresa, lei strabuzzò gli occhi e, con tono seccato, sbottò: “E come cavolo fai a sapere dove lavoro, scusa?”

Lui le sorrise con fare divertito e, nell’allontanarsi dalla coppia di donne, le salutò con un cenno della mano.

A mezza voce, poi, asserì: “Ho sempre saputo cosa facevi o dov’eri, Renny.”

Stringendo le mani a pugno, Rena fu sul punto di seguirlo per dirgliene quattro ma Grace la bloccò ad un braccio, dicendole sommessamente: “Fossi in te, salirei in auto prima di fare una figuraccia.”

“Che intendi dire?!” sbottò lei, pur seguendo il suo consiglio. Di malavoglia.

Depositato il soprabito sul sedile posteriore, Grace si mise al volante e osservò con aria di rimprovero la figlia che, con un diavolo per capello, si stava allacciando la cintura di sicurezza.

Dopo essersi immessa nel traffico cittadino, la madre dichiarò: “Non capisco perché tu ti sia comportata in modo così burbero con Beau. ”

“Tu non sai veramente chi è quel tipo! E’ lui che mi ha fatto quell’oscenità con la gomma da masticare, al liceo! E’ lui che mi ha snobbata fino al diploma, quando io ero stata così gentile con lui e la sua famiglia! Lui, che credevo mio amico!” sbraitò Rena, fuori di sé dalla rabbia.

Una lacrima ribelle le sfuggì e lei, stizzita, la asciugò con il dorso della mano.

“Non hai idea di come mi sia sentita, quando mi ha tirata fuori dall’auto! E’ stato come se il tempo si fosse annullato, e lui fosse tornato per tormentarmi!”

“Non ti ha mai tormentata” precisò Grace, sorprendendola.

“Come puoi dirlo? Tu non sai niente di lui. A parte quella volta al molo di Santa Monica, non vi siete più visti, quando lui era un ragazzo!” borbottò incredula Rena, sul chi vive.

“Ti sbagli” replicò la madre, sgomentandola non poco.

“In che senso?” esalò a quel punto Rena, fissandola con occhi sgranati, la mente persa in un caos di punti di domanda giganteschi.

“Il giorno dell’increscioso incidente della gomma, Beau si presentò a casa nostra assieme a Candice, ed insieme spiegarono a tuo padre ciò che era accaduto. Si prese personalmente la colpa per la sorte dei tuoi capelli. Candice fu chiara sull’accaduto, e spiegò a Bart come quella vostra compagna, Yvette, avesse cospirato contro di te.”

Il tono di Grace era serio, quasi accusatorio, quando raccontò alla figlia la verità sul suo passato.

Scrutandone per un attimo il viso accigliato e furente, la donna trovò Rena davvero tenerissima.

Era ovvio quanto quel giovane l’avesse turbata a suo tempo, e quanto la turbasse tutt’ora.

Non era solo uno sciocco ricordo di gioventù, ma molto di più.

“Ebbene? Ti disse anche perché si comportò a quel modo? E perché continuò ad essermi indifferente per il resto del liceo?” volle sapere Rena, restia a crederle.

“Lo fece per evitarti uno sgarbo ben più grosso. Alcune tue compagne volevano rubarti gli abiti durante la lezione di ginnastica, mentre un ragazzo munito di macchina fotografica avrebbe dovuto irrompere nello spogliatoio per documentare la tua nudità. Il che sarebbe stato molto peggio, a mio parere. Beau ideò quella scappatoia su due piedi, così da non darle ulteriori motivi per inventarsi altre oscenità simili.”

Sorridendo nello svoltare dopo una lunga sosta al semaforo, proseguì dicendo: “Scoppiò in lacrime, scusandosi per non aver trovato un modo migliore per salvarti dalle grinfie di Yvette, ma Bart lo tranquillizzò. Fu allora che Beau chiese a tuo padre di farti cambiare scuola, così da liberarti per sempre dalla presenza di quella ragazza.”

Sinceramente sconvolta, Rena gracchiò incredula: “Non… non ci credo.”

“Dubiti della mia parola, tesoro?” ironizzò la madre. “Non mentiva affatto, e neppure Candice. Ci pregò di non dirti nulla perché preferiva ce l’avessi con lui, piuttosto che con certe ragazze del vostro corso. Per questo si allontanò da te, per questo non provò più ad avvicinarsi a te, per questo ti ignorò per tutta la durata del liceo. Ti stava difendendo dagli altri studenti.”

“E… e se avesse fatto come Candice? Lei passò dalla mia parte! Lei… lei stette con me!” balbettò la figlia, ancora incredula. Era finita in un universo parallelo, forse? O era finita in come durante l’incidente, e quello era un incubo dovuto allo shock?

“Un modo come un altro per sopravvivere… per far sopravvivere entrambi. Se lui fosse tornato da te, avresti avuto la forza per ribattere alle cattiverie di Yvette? O ti saresti limitata a rilassarti nel suo abbraccio?”

La madre sospirò leggermente. Lei pure.

“Pensaci bene, prima di rispondere.”

Rena restò in silenzio, soppesando le parole della madre, cercando nei meandri dei suoi ricordi la figura di Beau per associarla al racconto appena ascoltato.

Rivide i suoi brevi sguardi, le volte in cui, apparentemente, le loro strade si incrociarono nei corridoi, gli istanti in cui la sua sola presenza bastò a mandarla in agitazione.

Lui c’era stato. Sempre. E lei non se n’era mai accorta, troppo infuriata e delusa per rendersene conto.

Tutte quelle arrabbiature, quei pianti, quelle giornate passate a lagnarsi… tutto per nulla?!

“Quando Beau seppe che sarei stata io a difenderli in quella causa, mi ricordò chi fosse, e mi fece un mucchio di domande su di te. Volle sapere come tu stessi, se eri sposata, come andava il lavoro. Si dimostrò veramente interessato a conoscere tutto di te” la informò Grace, scivolando abile nel traffico di Los Angeles.

“Basta” singhiozzò a quel punto Rena, tappandosi le orecchie per non sentire altro.

La persona di cui stava parlando sua madre non era il Beaurigard Shaw che lei aveva conosciuto… creduto di conoscere al liceo.

La persona di cui stava parlando sua madre non c’era, nella sua mente.

La persona di cui stava parlando sua madre era il Beau che lei aveva sperato di poter amare per sempre, ma che non si era mai presentato alla sua porta.

Semplicemente, quel Beau non era mai esistito.

Almeno, non fino a quel momento.

“Avremmo dovuto parlare prima, temo” mormorò soltanto Grace, impendendosi di dire altro.

Era evidente quanto, quella promessa, avesse pesato sul cuore della figlia.

Se solo avessero saputo quanto Serena aveva tenuto a Beau, avrebbe parlato molto tempo prima.

Sperava solo che quell’incontro potesse almeno mettere la parola ‘fine’ su quella triste vicenda.

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N.d.A: Ed eccoci finalmente tornati al presente. Cosa vi aspettate che faccia, Rena, ora che sa tutta la verità? E Beau?

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


14

14.

 

 

 

 

Non sapeva esattamente come sentirsi, dopo aver rivisto Rena a distanza di così tanti anni.

Ricordava ancora chiaramente quando l’aveva rivista a scuola, il giorno seguente a quello sventurato scherzo, quando lui aveva desiderato chiederle perdono per ogni cosa.

Lei, però, si era presentata forte, inattaccabile, gelida come l'inverno stesso, e lui non aveva trovato la forza di spezzare quella corazza, e solo per riaverla accanto a sé.

Aveva compreso subito quanto le sarebbe servita in futuro.

Grazie a quello scudo, aveva infine trovato il coraggio di sfidare apertamente Yvette, schiaffeggiandola verbalmente dinanzi a tutta la scuola.

Non faticava a rammentare quei mesi, quegli anni di aspre parole, di guerriglie silenziose e colme di sotterfugi, il tutto commesso alle spalle ignare di professori e  direttore.

Yvette non era mai stata avara di inventiva, negli anni, ma Rena, forte del suo nuovo gruppo, le aveva saputo tener testa in ogni frangente.

E lui, silenzioso spettatore di quella guerra, non era più stato preso in causa da nessuna delle due ragazze.

Da una parte, si era ritrovato spesso a ringraziare il cielo per essersi liberato di Yvette, ma dall'altra aveva pianto in silenzio per aver perso, forse per sempre, la sua Renny.

Quello scorno insopportabile, quel tradimento improvviso da parte sua – pur se fatto unicamente per salvarla dal peggio – l’aveva rese più forte, in grado di tener testa alla sua nemesi.

Ma l'aveva per sempre allontanata da lui.

Quegli anni di liceo erano stati orribili.

Restare in disparte, osservandola da lontano ed in silenzio, era stata un'autentica prova di resistenza. Ma l’aveva affrontata con coraggio, conscio che questo l’avrebbe resa inattaccabile.

Così come aveva affrontato stoico il fuoco incrociato dei pugni di Nick che, dopo quel becero scherzo, erano stati la naturale conseguenza.

Il giovane Van Berger, però, non aveva impiegato molto a comprendere che qualcosa non andava.

Dopo avergli chiesto la verità, dietro la minaccia dell’ennesimo pugno, aveva infine ceduto al desiderio di essere onesto almeno con l'amico.

Non volendo mentire – Nickolas gli era sempre piaciuto, fin dal loro primo incontro – gli aveva raccontato ogni cosa ed il ragazzo, basito, gli aveva chiesto perdono per il suo pestaggio.

La sua richiesta di fare da paciere gli aveva fatto piacere, ma l’aveva rifiutata.

Le sicurezze di Serena sarebbero scemate di colpo, se avesse saputo ogni cosa, perché lei avrebbe avuto la certezza di averlo come suo protettore, e non avrebbe più avuto la forza di affrontare Yvette.

Di farcela da sola, con le sue sole forze.

Aveva preferito saperla lontana, piuttosto che sprovvista di difese.

Candice, inoltre, era sempre stata a conoscenza della verità, e questo gli era bastato per andare avanti.

Rena aveva raccolto attorno a sé tutti i difensori che voleva, a scuola. Lui aveva potuto mettersi in disparte. Solo.

Nick aveva impiegato mesi interi per accettare le sue decisioni, ma alla fine aveva ceduto e, dopo la sua partenza per l’università, di lui Beau aveva saputo soltanto ciò che avevano scritto i giornali negli anni.

Da Candice, aveva saputo della partenza di Serena per frequentare Yale; questo avrebbe messo  l’intero continente tra sé ed il ragazzo che tanto l’aveva fatta soffrire.

Lui, invece, aveva deciso di rimanere in zona, spinto dal desiderio di non sovraccaricare di debiti la sua famiglia.

Con i suoi voti, più che buoni, era infine riuscito ad entrare all'UCLA, dove aveva conseguito il Master in Arte Musicale dopo quattro anni di intensi studi.

Suo padre era stato chiaro fin dall'inizio; lui avrebbe dovuto studiare ciò che gli piaceva.

E lui aveva sempre adorato la musica.

Sorridendo mestamente nell'osservare il suo pianoforte verticale, poggiato contro una parete del suo piccolo loft in Orange County, l'uomo si lasciò andare ai ricordi di quegli anni.

Si era sempre impegnato anima e corpo, dividendosi tra le aule universitarie ed i suoi lavori saltuari, trovati per pagarsi gli studi.

Aveva passato anni a lavorare la notte, nei bar del centro, per tentare di trovare potenziali contatti ed entrare nel mondo della discografia e, nel contempo, pagare i debiti scolastici.

Era stato solo per puro caso che aveva deciso di sostenere anche gli esami per entrare in Accademia, al fine di diventare un pompiere di professione.

Un incendio nello studentato dell'UCLA aveva costretto i pompieri a intervenire e Beau, nel dare una mano alle persone che si trovavano in quel momento all'università, era rimasto colpito dal loro intrepido coraggio.

A studi ultimati, si era così iscritto all'Accademia e, dopo aver superato brillantemente gli esami, era entrato nel Corpo.

“E ci sono ancora” mormorò tra sé Beau, levandosi dal suo divanetto adibito a pensatoio per raggiungere il pianoforte della Yamaha.

Sollevato il nero coperchio della tastiera, iniziò a suonare un brano dei Rolling Stones e, chiusi gli occhi,  lasciò che le vibrazioni della musica gli calmassero i nervi.

Forse era stato sciocco, o presuntuoso, accennare al fatto quanto, per anni, lui avesse seguito la carriera di Rena.

Ma non se l'era sentita di mentire ancora. Era stufo marcio di mentire.

Il Fato l'aveva rimessa sulla sua strada, e adesso più nessuno l’avrebbe fermato. Nessuna Yvette minacciava la sicurezza di Serena.

Già... Yvette.

Sorrise tristemente nel pensare a lei.

Non aveva idea se Serena sapesse o meno che fine aveva fatto la sua nemesi, ma lui lo sapeva eccome.

Cambiando brano, Beau si lanciò su un evergreen degli U2 e, dopo aver iniziato a suonare Sunday, Bloody Sunday, tornò col pensiero a Yvette.

 Le sue compagnie non proprio eccelse l’avevano ben presto portata nel giro della droga ed una mattina, dopo aver spento un incendio in una casa di periferia, lui l’aveva trovata lì, con ancora il laccio emostatico al braccio.

Le sostanze chimiche presenti nella casa avevano dato il via all'incendio, soffocando quasi subito le persone presenti nell'abitazione.

Quel locale era stato adibito a laboratorio finché, uno dei fornelli per la fabbricazione del crack, non aveva mandato in malora tutto quanto.

“Che stupida” mormorò lui, pigiando i tasti con maggiore forza.

Non ricordava di aver versato neppure una lacrima per la ragazza, ma solo di aver provato un immenso, detestabile senso di rabbia.

Dagli U2, Beau passò a un più classico Chopin quando, all'improvviso, il telefono lo prese alla sprovvista, facendolo sobbalzare.

Afferrato il cordless, si levò dal sedile per raggiungere gli scalini che fiancheggiavano la sua libreria bianco latte e, sedutosi su un gradino, disse a mezza voce: “Sì, pronto?”

“Ehi, Beau. Sono Warren.”

Sorridendo spontaneamente nell'udire la voce dell'amico meccanico, l'uomo si appoggiò alla libreria – ricolma di ogni genere di romanzo giallo, poliziesco e thriller – e domandò: “Ebbene? Che verdetto mi proponi?”

“Ci sarà da spendere un sacco di soldi ma, se la tua amica è così legata a questa Viper in particolare, posso aggiustarla. Non è proprio da buttare via. E' tosta, la ragazza” ironizzò il meccanico, facendo sorridere Beau.

“Molto bene. Fammi avere un preventivo via e-mail, così potrò girarlo alla signorina in questione” dichiarò lui, accavallando le caviglie.

O meglio ancora, l'avrebbe portato di persona in ufficio, così avrebbe finalmente visto Serena in azione.

Ora che l'aveva rivista, nessuno l'avrebbe tenuto lontano da lei. Neppure un ipotetico fidanzato.

§§§

Era stato solo per difenderla.

Per evitare che Yvette la distruggesse.

Una bugia a fin di bene, l'aveva definita sua madre. Un modo per darle la forza di crearsi uno scudo proprio, e non usare Beau come scudo.

Già, peccato che quella bugia l'avesse quasi uccisa.

Ed ora lui si ripresentava nella sua esistenza di colpo, come una folata di vento improvvisa e pronta a scompigliarle i capelli.

O la vita.

Cosa doveva fare, a quel punto? Chiedergli scusa per averlo odiato per quasi vent'anni? Esigere spiegazioni anche da lui? Buttarsi tra le sue braccia?

Neanche sapeva se era sposato! O se aveva una donna nella sua vita!

Esplodendo in un'imprecazione furiosa, Rena iniziò a passeggiare nel suo loft in centro città, camminando a piedi scalzi sul morbido tappeto zebrato piazzato di fronte al quadro di sua nonna.

Era spocchioso, dalla cornice dorata pesante almeno trenta chili, ma non se l'era sentita di dirle di no, quando gliel'aveva regalato per l'inaugurazione di casa sua.

Appena sotto il quadro, più piccolo e modesto, c'era un mobile in legno scuro, anch'esso dono dei nonni, e apparteneva alla sua famiglia da secoli.

Lei lo aveva sempre usato per tenervi dentro le bambole, da piccola.

Quel giorno lo fissò stizzita e, aperto uno degli stipetti, ne estrasse ciò che vi teneva dentro, ossia una buona scorta di vini di classe, tutti riposti ad una temperatura ideale nel frigorifero che vi aveva fatto installare.

Dopo aver soppesato la scelta, prese per sé un Cabernet Syrah del 2003, delle campagne francesi, e lo portò con sé fino alla consolle in acciaio brunito della cucina open space.

Lì, afferrò il cavatappi e stappò la bottiglia, versando un po’ di vino in un calice basso e panciuto.

Incantata, ne ammirò il colore rosso rubino, ne assaporò il profumo corposo, fruttato e, dopo aver piluccato nel frigorifero, estrasse un pezzo di pecorino toscano, che spezzettò e addentò soddisfatta.

Lentamente, lasciò che il sapore lievemente piccante del formaggio le riscaldasse la gola dopodiché, centellinato un poco il vino, lo sorseggiò e godette della sensazione di contrasto che le esplose in bocca.

Sospirando deliziata, chiuse gli occhi e lasciò che quelle calde sensazioni la inebriassero, facendole dimenticare per un istante la rabbia provata nell'aver saputo la verità dopo così tanti anni.

Nessuno aveva pensato che, forse, avrebbe preferito sapere?!

Sbuffando infastidita, Rena riaprì gli occhi, prese con sé il formaggio e il bicchiere di vino e andò ad accomodarsi sull'ampio divano color ghiaccio, poggiando il tutto sul basso tavolino in legno scuro che le stava innanzi.

Afferrato il cordless, digitò il numero di telefono di Candice e, scocciata, attese che le rispondesse.

Quando udì la sua voce cristallina e familiare, Rena sorrise automaticamente.

Le spiaceva che fosse lontana migliaia di miglia da lei, ma sapeva che Candy stava facendo un lavoro egregio, in Cile.

“Ehi, bellezza, ciao!” trillò Candice, tutta giuliva.

“Come sta la mia entomologa preferita?” replicò Serena, sbocconcellando un altro pezzo di pecorino.

“Benissimo, direi. Abbiamo finalmente capito chi ha combinato il casino di cui ti parlavo l'altro giorno. Il villaggio ci sta osannando come dèi, al momento” ridacchiò Candice, e Rena sentì delle risatine in sottofondo. Probabilmente, suoi colleghi.

“Ebbene? Era un fungo, la fattura di uno stregone, un alieno? Cosa?!” esalò la donna, più che mai curiosa.

“Un citomegalovirus” dichiarò Candice, orgogliosa.

Rena rimase in silenzio per alcuni attimi prima di borbottare: “Ehm... un cito-che?”

L'amica esplose in una gaia risata e si spiegò meglio. “Hai avuto la varicella?”

“Sì, come quasi tutti, credo” assentì l'altra, chiedendosi cosa c’entrasse.

“Bene. La varicella è un tipo di citomegalovirus. Questo, però, era un pochetto più antipatico da scovare, per questo ci abbiamo messo tanto a trovarlo. All'NIH ci hanno chiesto se volevamo rimanere qui in vacanza” ironizzò Candice.

Dottoressa di stanza al National Institutes of Health, Candice era spesso in viaggio per risolvere emergenze mediche in giro per il paese e, spesso, veniva contattata anche da Stati esteri, quando le cose si complicavano troppo.

Questo, era uno dei casi.

“L'importante è che l'abbiate scoperto. La cura è già pronta?” si informò a quel punto Rena, sorridendo.

“La stanno sintetizzando proprio ora nei laboratori di due ospedali militari di La Paz. Sarà pronta entro domani e, nel frattempo, noi terremo sotto controllo l'epidemia” le spiegò l’amica, prima di uscirsene con un tono da cospiratore.

“Ora, per quanto mi faccia piacere sentirti, posso sapere perché mi hai chiamata?”

“Cos'è? Hai un radar capta-domande?” brontolò l'amica, sbuffando contrariata.

Era sempre così, con Candice. Mai una volta che riuscisse a fregarla.

“Ti conosco da vent'anni, bella, quindi so riconoscere i tuoi toni di voce. Nick o Hannah hanno qualcosa che non va? I gemelli non stanno bene?” si informò allora l'entomologa, facendosi subito seria.

“Oh, no. La gravidanza procede bene, e Nick e Hannah sono felici come bimbi piccoli la sera di Natale” si affrettò a dire Rena, smentendo le sue paure.

“Bene. Tolto questo, mi viene da chiederti dei tuoi. Grace e Barthemius sono okay?”

“Neppure loro c'entrano, o meglio, solo in parte. Come c'entri tu, del resto” ammise Rena, sorprendendo non poco l'amica.

“Sono a diverse migliaia di miglia, rinchiusa in una stanza asettica, con alambicchi e  microscopi tutt’intorno. Che ho mai fatto?” esalò Candice, facendo ridere i suoi colleghi e Rena.

Asciugandosi una lacrima d'ilarità, la donna attese di essersi calmata un attimo per poter dire più o meno seriamente: “Ho incontrato Beau.”

Candice si azzittì di colpo e Serena, un attimo dopo, aggiunse: “Sapevi che è diventato un pompiere?”

“Perché hai avuto bisogno di un pompiere?” le domandò per contro l’amica, fattasi subito sospettosa.

Rena allora le raccontò dell'incidente – ricevendo in cambio critiche sulla sua guida spericolata – e, alla fine, mormorò: “Mamma mi ha detto della bugia. Di tutto.  Perché non me l'avete mai detto? Perché ho dovuto credere per tanti anni che lui mi avesse mentito su ogni cosa?”

“Ce lo chiese Beau. Disse a tuo padre di ritirarti da scuola, per evitare che Yvette potesse decidere di infierire comunque su di te anche dopo quell'incidente. Anche per questo, quando ti vide, rimase senza parole. Pensava non saresti più venuta.”

“Ma avrei preferito sapere!” sbottò Rena, accigliandosi.

“Tesoro, pensi davvero che, in un altro frangente, ti avrei mentito come ho fatto? Avresti dovuto vedere Beau. Le sue lacrime! Neppure tuo padre riuscì a smuoverlo. Lui voleva che tu lo odiassi. Sapeva che, a quel modo, avresti trovato la forza sufficiente per affrontare qualsiasi cosa. Certo, non pensava avresti affrontato addirittura Yvette ma, per come sono andate le cose, ha avuto pienamente ragione, ti pare?” le ritorse contro l'altra, sospirando dolorosamente.

Attese un attimo, poi aggiunse: “E’ da lì che ho capito che era innamorato di te. Così non me la sentii di negargli questo favore e, con il passare degli anni, non ho più pensato che potesse interessarti. Non vi siete più visti né parlati, da allora e, tra il tuo lavoro e il mio, sempre impegnate chissà dove… insomma, non ci ho mai veramente più pensato.”

Amaramente, Rena ammise quel che non aveva avuto il coraggio di dire alla madre, preferendo non pensare a ciò che Candice aveva ipotizzato.

Era semplicemente impossibile  che Beau, all’epoca, l’avesse amata. Non una come lei.

Poteva credere che l’avesse fatto per amicizia. Ma per amore? No. Non lo riteneva possibile.

Lei, sì che si era così testardamente innamorata di lui. E solo per questo, aveva sofferto tanto.

“Immaginava che, essendo stata tradita dal ragazzo che mi piaceva, ne sarei uscita o totalmente distrutta, e allora avrei accettato il trasferimento da scuola, oppure avrei creato un'armatura così forte da essere indistruttibile.”

“Non avevo idea che ti piacesse, all'epoca!” esalò sorpresa l'amica, sgranando sorpresa gli occhi.

“Non avrei sofferto tanto, se non mi fosse piaciuto così tanto” le fece notare Serena, sorridendo mestamente. “Candy, io l'amavo. Come può farlo una ragazzina di quindici anni, te lo concedo, ma le cose stavano così.”

“Scusa, tesoro. Non lo sapevo. Probabilmente avrei parlato, se l’avessi saputo” sussurrò allora Candice, sinceramente spiacente. “Cosa pensi di fare, ora?”

“Beh, innanzitutto, domani parto per Londra. Tua sorella sarà in gara per gli ostacoli dal quattro all'otto di agosto, ed io voglio esserci. Scommetto che faranno sfracelli, lei e il suo Black Thunderbird” le ricordò l'amica.

“Oh, cavoli, è vero! Tifa per lei anche da parte mia... io non riuscirò davvero ad esserci” si lagnò Candice, sbuffando sonoramente.

“Credi che Coleen non lo sappia? Comunque, le darò un bacio da parte tua” ridacchiò Rena, sorseggiando quel che rimaneva del vino.

“E con Beau, come la mettiamo?”

“Lo risentirò per via della mia Viper e poi... vedremo. Neppure so se è sposato, quindi...”

“Non è né sposato, né tantomeno fidanzato. Ha avuto qualche storiella qua e là, nel corso degli anni, ma mai niente di serio. E' single da almeno quattro anni” le spiegò l’amica, simile a un reporter d'assalto.

Sgranando leggermente gli occhi, Rena esalò: “Ma cosa sei? Un'agente CIA sotto copertura?”

L'amica rise allegramente e smentì subito i suoi sospetti.

“Siamo tornati più o meno in contatto da alcuni anni. Per qualche tempo ci siamo persi di vista anche noi. Sai, l’università e i tirocini nei laboratori,… ma poi ci siamo incontrati un giorno, per caso, e siamo tornati a frequentarci. Non ci sentiamo spesso, visto i lavori che facciamo ma, più o meno, so cosa fa e dov’è. Sai che è anche un compositore di musica classica e pop?”

“Eh?” gracchiò Rena, sempre più sconvolta.

Musica? Davvero non l'avrebbe mai detto anche se, a ben pensarci, nella sua stanza…

Si bloccò in fretta, preferendo non annegare nei ricordi dolceamari di quella bellissima primavera passata assieme all’amico e, tornando in sé, badò unicamente all’amica.

“Chiamalo, Rena. Parlaci. Sono sicura che potrebbe piacerti anche il Beau adulto” la spronò l'entomologa, incoraggiante.

“Vedrò...” mormorò lei, salutandola prima di riattaccare.

Poggiato il cordless sul divano, scrutò il biglietto aereo sul tavolino, pensò alla prenotazione dell'albergo e, per un istante, fu tentata di disdire tutto.

Coleen, però, contava sulla sua presenza, e non era giusto mollare tutto solo perché il suo primo amore – e il primo ragazzo che le aveva spezzato il cuore – era ricomparso nella sua vita come un uragano.

Sarebbe partita e, con Beau, avrebbe parlato al suo rientro da Londra.

§§§

Probabilmente avrebbe dovuto chiamare, prima di presentarsi dinanzi alle porte del palazzo della sede locale di Vanity Fair – di cui Rena era l’Amministratore Delegato.

Nove su dieci, l’avrebbe trovata impegnata in qualche riunione, oppure all’opera con servizi fotografici, modelle strepitose e fotografi fuori di sé per un capello nel punto sbagliato dell’inquadratura.

Ad ogni buon conto, avrebbe aspettato.

Era bravo, in questo.

Era il suo giorno libero, non aveva altri impegni, e il preventivo per la Viper aveva deciso di lasciarglielo di persona.

Così avrebbe anche scoperto qualcosa di più sulla sua vita privata.

Se avesse avuto un uomo, la sua foto si sarebbe trovata sicuramente nel suo ufficio, e lui avrebbe compreso al volo contro chi doveva lottare.

Perché, alla fine, era quello il suo scopo.

Aveva pagato fin troppo, a suo tempo. Era giunto il momento di lottare per lei, ma a viso aperto, a carte scoperte.

Perché era più che sicuro che, se la Rena ragazzina, tanto dolce e generosa, l’aveva fatto innamorare, la Rena adulta l’avrebbe fatto sicuramente impazzire d’amore.

Fermo innanzi al bancone in marmo grigio della reception, Beau attese che la receptionist controllasse le sue credenziali, giusto per essere certi che non fosse un criminale.

Quanto tutto fu appurato, chiese di Serena ma, non appena gli dissero della sua mancata presenza in loco, le sue speranze si infransero contro la cruda realtà.

Non c’era.

“Tornerà in giornata? Devo solo consegnarle un paio di documenti. Nulla che richieda molto tempo” ritentò allora Beau, storcendo appena il naso.

La receptionist parve sinceramente dispiaciuta, quando ammise: “Miss Ingleton mancherà per tutta la settimana. Si è recata a Londra per le Olimpiadi.”

“Londra? Le Olimpiadi?” esalò l’uomo, sgranando un poco gli occhi, sinceramente sorpreso.

“Se preferisce, può consegnare i documenti alla sua segretaria” gli propose allora la donna, sorridendo spiacente.

“Farò così, grazie. A che piano devo recarmi?” mormorò in risposta Beau, non potendo fare altro, al momento.

“Quattordicesimo piano. Ufficio in fondo al corridoio, non può sbagliare” asserì la donna, consegnandogli un pass per non avere difficoltà con la sicurezza.

Lui la ringraziò con un sorriso e, oltrepassando il via vai di persone nell’enorme atrio del palazzo, raggiunse infine gli ascensori.

Lì, pigiò il tasto di risalita e, mentalmente, si chiese se uno degli atleti americani in lizza per una medaglia fosse per caso stato nominato accanto al nome di Serena.

Perché, diversamente, non riusciva a capire cosa ci fosse andata a fare, là, in un periodo di intenso lavoro come Agosto, quando le riviste come la sua uscivano con sfracelli di foto su personaggi famosi e non.

Contro un atleta, avrebbe avuto un compito davvero arduo, ma non si fasciò la testa prima di rompersela.

Prima, doveva scoprire qualcosa di più, poi avrebbe agito di conseguenza per conquistarla.

Non appena fu al piano desiderato, divorò letteralmente il corridoio che lo divideva dall’ufficio di Rena e, dopo aver bussato, entrò in un’ampia stanza elegantemente ammobiliata, dove si trovava una donna impegnata al telefono.

La sua scrivania, ingombra di fogli e cartelle, sembrava essere stata appena bombardata e, sorpreso, Beau si chiese come Rena potesse sopportare un simile caos. Non era mai stata una ragazza disordinata, e gli sembrava strano che fosse peggiorata, maturando.

Non appena la donna si liberò, sorrise gradevolmente e disse: “Sabine mi ha avvisato del suo arrivo, Mr Shaw. Purtroppo mia cugina non c’è, ma può lasciare a me quel che aveva da darle.”

“Cugina?” ripeté vagamente sorpreso Beau, avvicinandosi.

I piedi affondarono nella morbida moquette color panna e la donna, levandosi in piedi per allungare una mano oltre la scrivania, disse: “Cassandra Brown, molto piacere.”

“Brown? Oh, allora suo padre è fratello di Grace” sorrise spontaneamente Beau, stringendole la mano.

“Conosce mia zia?” esalò la donna, vagamente sorpresa.

“Abbastanza” disse vago l’uomo, preferendo non scendere nei dettagli.

Per quanto si assomigliassero vagamente, e Cassandra vantasse forme piene e morbide che Rena non aveva, la donna non gli fece né caldo né freddo.

Come per tutte le altre. Ogni volta.

Conoscere Rena era stato, di per sé, un’autentica castrazione fisica, per lui.

Nessun’altra donna, da quel bacio rubato in mezzo a quel maledetto corridoio della scuola, aveva saputo infiammarlo come lei aveva fatto inconsapevolmente.

Certo, aveva avuto le sue storie, aveva tentato di cancellarla dalla sua mente, ma nessuna era riuscita in quell’intento.

Alla fine, ci aveva semplicemente rinunciato.

Poi era arrivata Candice.

Un semplice incontro al distributore di benzina, alcuni anni prima, lo aveva fatto ripiombare nell’incubo e lui, senza poterne fare a meno, le aveva chiesto di Rena, del suo lavoro, di ogni cosa.

Si era crogiolato nella piacevole sensazione data dal saperla una donna affermata, stimata per il suo lavoro e, per un po’ di tempo, questo aveva chetato la sua fame.

L’incontro con Grace in tribunale, era stata la classica goccia che faceva traboccare il vaso.

Sapeva bene che, se non l’avesse rivista in quella scarpata, sarebbe passato davvero poco tempo ancora, prima di convincersi a chiedere a Candice il numero di Renny.

Era stufo di aspettare, di sognare a occhi aperti, di guardarla solo e unicamente da lontano, come un angelo intoccabile e troppo distante da lui.

“Curioso che Rena non mi abbia mai parlato di lei. Di solito, mi parla sempre dei begli uomini di sua conoscenza” chiosò Cassandra, appoggiandosi alla scrivania per studiarlo con maggiore attenzione.

Beau non si scompose, abituato da tempo a quegli sguardi attenti, alla luce maliziosa che scaturiva anche dagli occhi di Cassandra e, per l’ennesima volta, desiderò mandare al diavolo qualcuno.

D’accordo, forse lui aveva dato una buona mano, fissandosi con la cura del corpo, e le sue ampie spalle, così come il fisico asciutto e prestante, ne erano una chiara dimostrazione.

Ma non potevano davvero tutte trattarlo come se fosse un quarto di manzo da acquistare dal macellaio!

Era qualcosa di più di un pezzo di carne da divorare con lo sguardo… e qualcos’altro.

Passandosi  una mano tra le onde castano scure, Beau replicò serafico: “Sono anni che non ci vediamo, in effetti.”

“E anni che Rena non si prende una pausa, a dire la verità” aggiunse Cassandra, sorridendo ironica. “Tutta casa e lavoro.”

“Non ne sarà molto felice il suo fidanzato” buttò lì l’uomo, sperando che la segretaria non cogliesse il suo interesse.

Ma Cassandra era troppo presa dal mettere in mostra la sua mercanzia, per poter badare allo scintillio di giada negli occhi di Beau.

“Rena? Con un uomo? Sono due specie inconciliabili. Ha ottenuto un PhD in Management, una laurea in Scienze Sociali e una in Architettura, ma non chiedetele di passare del tempo con un uomo, perché non saprà come fare. L’altro sesso non fa parte della sua vita, questo è sicuro.”

Beau trovò sconcertante il tono sfacciatamente derisorio della cugina e, per un attimo, desiderò rinfacciarle quanto  invece, Serena, avesse dimostrato amore e dedizione per lo studio.

Solo la buona educazione lo trattenne dal risponderle a tono e, serafico, l’uomo celiò: “Evidentemente, non c’era buona mercanzia sul mercato.”

“Come se Nick Van Berger non fosse stato buono per lei!” sbottò Cassandra, inalberandosi non poco. Gelosa? Molto probabile.

Infilando le mani in tasca, Beau sorrise a mezzo e disse con ironia: “Su Nickolas ci avevo fatto un mezzo pensierino io, da giovane.”

La donna rimase basita per mezzo secondo prima di notare la sua aria derisoria e, scoppiando in una risatina querula, esalò: “Oh, se conosce anche Nick, allora può ben capirmi. Se l’è lasciato sfuggire, ed ora lui non è più sul mercato per colpa di quell’arrivista della sua segretaria. Come abbia potuto accalappiarlo, solo lei lo sa! E’ così… insipida!”

D’accordo. Cassandra era dichiaratamente gelosa di tutte le donne che non fossero lei. Ma come faceva, Renny, a sopportarla?

“Non ho avuto il piacere di conoscere Hannah Fielding, quindi non saprei come risponderle” rimase sul vago Beau, desiderando scappare a gambe levate da quell’ufficio.

Cassandra però non si lasciò scoraggiare e, con fare molto intimo, gli poggiò una mano sul braccio, esalando: “Oh, posso dirle io com’è! Una sciacquetta che si è ingraziata lo scapolo d’oro di Los Angeles. Deve averlo incastrato in qualche modo, per averlo costretto a sposarsi con lei! Ne sono sicura!”

Beau si limitò ad un sorriso spento e, nel consegnare i preventivi a Cassandra, si scostò educatamente da lei.

“Ora mi vorrà scusare, Miss Brown, ma devo proprio andare. Ho un appuntamento a cui non posso mancare, perciò mi vedo costretto a lasciarla.”

“La capisco. Gli impegni di lavoro, a volte, sono così gravosi!” sospirò la donna, atteggiandosi a stacanovista pura, cosa di cui lui dubitò fortemente. La sua scrivania caotica parlava per lei.

“Grazie per la chiacchierata, e buona giornata” si affrettò a dire Beau, sperando ardentemente che lei non sbirciasse all’interno della carpetta che le aveva lasciato. Non desiderava che avesse il suo numero di cellulare.

“Torni a trovarci, Mr Shaw” si raccomandò allora Cassandra, salutandolo tutta sorridente.

“Non mancherò” le promise lui, uscendo tutto sorridente.

Ma, sicuramente, solo quando ci sarà Rena, aggiunse poi tra sé, ripercorrendo a grandi passi il corridoio diretto verso gli ascensori.

Non aveva nessunissima intenzione di trovarsi un’altra volta in quell’ufficio, da solo con Cassandra Brown. Dubitava che, una seconda visita, si sarebbe svolta in modo così pacato.

E, soprattutto, che lei gli avrebbe permesso di tenere addosso tutti i vestiti.

Forse, avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di farsi accompagnare da qualcuno, giusto per avere una via di fuga utile in caso di un attacco di estrogeni su due gambe.

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


15

15.

 

 

 

 

Londra era in subbuglio, cosmopolita più che mai, colorata, disponibile, un fiore estivo in pieno sboccio.

Ad ogni angolo di strada si poteva gustare un cacofonico rimescolio di linguaggi diversi, fossero essi semplici turisti, o tifosi delle rispettive nazionali impegnate, in quei giorni, nei Giochi Olimpici.

Le sculture create dagli artisti più famosi erano in mostra dinanzi alle strutture dei Giochi, o in giro per la città, mentre il London Eye controllava dall’alto ogni cosa, come un attento guardiano.

Era difficile muoversi in quei giorni, e prendere la Metro era stato il sistema migliore per evitare ore e ore, immersa nel traffico cittadino, seduta sul sedile posteriore di un taxi.

Non le dispiaceva prenderla, inoltre, non essendo lì per lavoro, non doveva far altro che prestare attenzione alla gara di Coleen, nient'altro.

Quel viaggio non era solo liberatorio, ma anche proficuo.

Avrebbe sfruttato quel tempo lontano da Los Angeles per chiarirsi un po' le idee e, nel frattempo, avrebbe visto la sua vecchia amica.

Coleen si era dimostrata eccezionale fin dalla sua prima gara, all'età di dieci anni e, da quel momento in poi, non aveva fatto altro che collezionare trofei.

Ricordava ancora quando l'aveva accompagnata per la prima volta al club di equitazione; alcune sue ‘amiche’ si erano comportate in modo indegno, con lei.

Le piaceva rammentare quanto avessero fumato di rabbia nel vederla vincere a ogni concorso, e quanto i loro successivi tentativi di fare amicizia con Coleen fossero finiti in un buco nell'acqua.

L’amica non era mai stata sciocca e, nel crescere, non era che migliorata.

Giunta alla fine del liceo, aveva ottenuto una borsa di studio e, caparbia, si era lanciata nel mondo della veterinaria e delle gare di equitazione.

In breve tempo, era divenuta una delle collaboratrici più strette del miglior addestratore di cavalli negli States e, anche supervisionata da lui, aveva ripreso a gareggiare e a vincere.

Il matrimonio che ne era seguito, era stato solo la naturale conseguenza del loro affiatamento.

Aveva sempre ritenuto che sposarsi presto fosse un rischio – all'epoca, Coleen aveva avuto solo venticinque anni – ma, da quel poco che aveva visto in quegli anni, si era dovuta ricredere alla svelta.

Lei e suo marito Matthew andavano d'amore e d'accordo, avevano un sacco di interessi in comune, e gestivano una società fiorente e ben avviata.

Serena non sapeva se la coppia desiderasse o meno dei figli – non era mai entrata in argomento, le volte che si erano visti – ma, almeno per il momento, non sembravano interessati.

I cavalli e l'equitazione riempivano completamente le loro giornate.

Così come lei era pienamente presa dal suo lavoro.

Già. Lavoro che lei adorava...ma che la vedeva sempre sola, alla fine dell'opera.

Scese dalla Metro con ancora il pensiero focalizzato su quegli ultimi giorni e, quando si ritrovò dinanzi all'entrata VIP di Greenwich Park, sospirò sollevata.

Dopo aver mostrato il pass, entrò con passo lesto e si avviò lungo un percorso tracciato da nastro colorato, e che costeggiava la Queen's House e l'immensa struttura adiacente.

Il fiume di gente era impressionante.

Non che la cosa la stupisse, comunque.

L'equitazione era uno degli sport più nobili in assoluto e, in un paese come l'Inghilterra, non potevano mancare gli estimatori.

Complice la bella giornata, le foglie degli alberi e l'erba dei prati risplendevano smeraldini.

Una brezza leggera solleticava le chiome robuste dei carpini, delle querce e degli alti abeti portando con sé, oltre all'odore dei cavalli e delle persone, anche il più gradevole aroma dei fiori di campo.

Non che gli addetti ai lavori potessero godersi quel genere di cose. Erano impegnati in tutt’altro.

Operosi volontari guidavano gli spettatori verso le loro postazioni, site intorno al campo del salto a ostacoli e Rena, nell'accomodarsi al proprio posto, sistemò la sua borsetta sulle cosce e sorrise.

Coleen sarebbe stata una delle prime ad uscire, e lei non vedeva l'ora di vederla all'opera.

Certo, battere gli inglesi, e a casa loro, sarebbe stata una battaglia dura a vincersi, ma il solo fatto di vederla partecipare, la rendeva orgogliosa.

Sapeva che l'amica avrebbe impiegato ogni stilla di energia per vincere, non si sarebbe risparmiata.

Salutando con un cenno coloro che giunsero a sedersi accanto a lei, Rena quasi imprecò quando sentì arrivare una mail sul suo iPhone.

Stizzita, lo estrasse dalla borsetta per cercare di capire chi la stesse disturbando e, tra sé, si premurò di spegnerlo una volta terminata la lettura.

Cassandra, neanche a dirlo.

Aprendo il documento con gesti nervosi della mano, Rena aggrottò furiosamente la fronte quando si trovò scritto a caratteri cubitali:

 

XKE' NN MI HAI DETTO DI CONOSCERE 1 UOMO COSI' BELLO?

POTEVI PRESENTARMELO! C SAREI USCITA SUBITO!

 

Preferendo non sapere a chi si stesse riferendo, Rena quasi sobbalzò di sorpresa quando il telefonino le tremò tra le mani, indice dell'arrivo di un altro messaggio.

Sbuffando, aprì anche la seconda e-mail, scritta sicuramente meglio.

 

Tralasciando la tua totale ignoranza in materia di

solidarietà femminile, cugina, tengo a precisare che il

tipo che si è presentato qui ieri, per portarti i preventivi

per la tua Viper, è un fico da sturbo, e sono davvero

offesa che tu non mi abbia mai detto di conoscere un

tipo del genere. Se anche tu non sei interessata a fartelo,

cosa che mi fa dubitare della tua sanità mentale, potevi

almeno passarmelo, no? Non mi vuoi neppure un po' di

bene? Non pensi alla tua cuginetta, sempre all'ombra

della grande Serena Ingleton? Abbi pietà di me, almeno

per una volta. Voglio quell'uomo!                           Cass

 

Rena prese un gran respiro, spense il cellulare e mandò mentalmente al diavolo la sua cuginetta, sempre più decisa a silurarla.

Questa era davvero la goccia che faceva traboccare il vaso!

Come si permetteva di mettere gli occhi su Beau!? Perché ovviamente doveva trattarsi di lui, non aveva alcun dubbio in merito.

Irritata come una vipera, desiderò spezzare il collo sinuoso della sua voluttuosa cugina e, al tempo stesso, desiderò con tutta se stessa conoscere le reazioni di Beau alla sua vista.

Non si poteva dire che Cassandra non fosse una bella donna e, a differenza di lei, che era rimasta esile e minuta, la cugina era morbida nelle forme e dal carattere decisamente intraprendente.

Peccato che non usasse tutto il suo charme – che solitamente destinava solo agli uomini – anche sul lavoro. Sarebbe stata un genio.

Un prurito fastidioso le salì alle mani all'idea di Beau, solo nell'ufficio con Cassandra.

Certo, lei non poteva vantare nessun diritto su di lui e, per l'amor di dio, non era una di quelle donne che saltavano al collo delle altre, però...

Le pareva dannatamente ingiusto non essersi ancora chiarita con lui, non aver ancora accennato a quell'increscioso incidente di tanti anni prima.

E se Cassandra l'avesse irretito con...

Il suono delle sirene d'inizio gara la strappò a quelle tristi meditazioni e, con rinnovata attenzione, Rena tornò a pensare a Coleen e alla sua gara.

Non c'era spazio per Beau, in quel momento.

§§§

Sorseggiando una bibita fresca in uno dei chioschi che sorgevano un po' ovunque, nei pressi dei luoghi deputati alle gare olimpiche, Rena sorrise a una soddisfatta Coleen che, trangugiata una Coca-Cola, esalò: “Oh, mamma, che tensione! Non la ricordavo così! E dire che sono stata anche a Pechino... ma non rammentavo un'ansia simile!”

Matthew tornò da loro con tre hot-dog e, nel consegnarne uno a Rena, sorrise alla moglie.

“Solo perché hai la memoria corta, Leen. Io ricordo benissimo la tua isteria pre e post-gara.”

Rena ridacchiò quando Coleen gli fece la linguaccia, ma Matt non vi badò.

Addentò il suo hot-dog e, dopo averlo deglutito, domandò all'amica: “Quanto conti di fermarti, Serena?”

“Pensavo di vedere le finali e la cerimonia di chiusura. Ho i biglietti prenotati da mesi!” sorrise lei, mordicchiando il suo panino. La salsa barbecue era squisita!

“Bene, allora ti avrò tutta per me per un bel po' di giorni” sogghignò soddisfatta l'amazzone, gustandosi il suo hot-dog ricoperto da una montagna di cipolle.

Sorridendo generosamente, Rena assentì.

“Tua sorella ti saluta, e si scusa con te per non aver potuto partecipare.”

“Oh, quando Candy è in viaggio con l'NIH, non mi stupisco se, per settimane intere, non si fa sentire” scrollò le spalle la donna, ridacchiando. “Non dobbiamo temere esplosioni di Ebola in Cile, o il ritorno del vaiolo, vero?”

“Niente di tutto questo. Hanno isolato il ceppo di un citomegalovirus che stava combinando guai e, da quel che mi ha detto lei, ormai dovrebbero avere i vaccini già pronti” le spiegò l'amica, sorridendo orgogliosa.

“E brava sorellona. Quindi, non è stata colpa dei suoi amati insetti, giusto?”

“Pare proprio di no. Sembra fosse un problema legato alla contaminazione delle acque del luogo.”

“Candice ci sa fare, nel suo lavoro” assentì soddisfatto Matthew, sorseggiando un po' di Budweiser direttamente dalla bottiglietta scura.

“E' mia sorella, …che ti aspettavi?” ironizzò sua moglie, dandogli di gomito.

Matthew le sorrise amorevole e Rena si ritrovò a pensare a Nick e Hannah, fieri genitori in attesa dell'arrivo dei loro gemellini.

Prima di partire per Londra, aveva chiamato anche Nickolas per avvertirlo del suo viaggio e, non potendo farne a meno, gli aveva accennato anche di Beau.

L’aveva sorpresa e, sì, un po' ferita scoprirlo a conoscenza del segreto mantenuto così strettamente dalla sua famiglia e, con tono un po' piccato, gli aveva chiesto spiegazioni in merito.

Nick era stato lapidario.

Aveva promesso di non dire una parola. Per Nick era sufficiente, come impegno, ma lo aveva confortato sapere che Beau stava bene.

“Come sta Hannah?” si informò Coleen, strappandola alle sue divagazioni mentali.

“Oh, sta bene. Stavo proprio pensando a lei” sorrise Rena, sorseggiando la sua acqua minerale. “Nick la coccola e la tratta come una regina. Penso di non averlo mai visto così felice, prima d'ora.”

“Sono una coppia stupenda. Spero solo che, dopo tutto questo gran correre per le Olimpiadi, io riesca a trovare un po' di tempo per conoscerla meglio. Mi è parsa una donna molto in gamba” asserì Coleen, sorridendo.

“E la è, se è per questo. Sono sicura che diventerete grandi amiche” annuì sicura Serena.

Era impossibile non diventare amiche di Hannah, poco ma sicuro.

§§§

Il contatto che gli avevano portato sembrava buono, non il solito buco nell'acqua che, negli anni, gli era capitato di ritrovarsi dinanzi.

Il fatto stesso che il marchio fosse uno dei nomi più importanti dell'ambiente, faceva ben sperare.

La Dream Music era un colosso del settore, e quello che sapeva di loro era soltanto positivo.

Il capostipite di quell'eclettica società musicale aveva interessi molteplici, che andavano dal teatro d’avanguardia al rock classico, passando per l’heavy metal e il musical.

Molti dei nuovi volti comparsi nell'universo musicale, avevano ricevuto il benestare dalla Dream Music, e lui non poteva che essere lieto che una ditta così altisonante lo avesse chiamato per un colloquio.

L'incontro si sarebbe svolto in una sala registrazioni del centro, e Beau trovò la cosa non solo piacevole, ma anche divertente.

Era di certo preferibile al solito, scialbo incontro in un anonimo ufficio, con un anonimo impiegatuccio che non conosceva la differenza tra un diesis e un bemolle.

Non appena raggiunse il palazzo indicatogli nella e-mail, vi entrò senza attendere oltre e, quando si ritrovò innanzi al bancone della reception, chiese dove si trovassero le sale prove della Dream Music.

La ragazza al centralino gli sorrise cordiale, asserendo con allegria: “Oh, tu devi essere l’appuntamento di Sy. La trovi di là, prima porta a sinistra. Vai pure!”

Rallegrato da tanta energia, Beau si incamminò a passo spedito e, dopo aver bussato alla porta indicatagli, entrò e venne subito investito dal chiacchiericcio allegro di due donne e un quartetto di ragazzi dall'aspetto punk.

La più alta tra le due donne, afroamericana e con una cascata di treccioline che le sfioravano il fondo schiena, si volse immediatamente e puntò i suoi occhi scuri sul viso tranquillo di Beau.

Subito, un sorriso le accese il volto elegante.

Scusatasi con i suoi interlocutori, si avvicinò al suo ospite con una mano allungata verso di lui e un caldo benvenuto evidente nei caldi occhi scuri.

“Benvenuto! Tu devi essere Beaurigard. Io sono Sylvia J. Barrett, ma puoi chiamarmi Sy.”

Lui strinse quella mano affusolata ma dotata di forza e, sorridendole, replicò: “Chiamami pure Beau. Tanto piacere, Sy.”

Sorridendo maggiormente, lei lo prese sottobraccio e lo accompagnò verso una porticina interamente ricoperta di adesivi di mille band diverse.

Professionale, e solo un pizzico maliziosa, gli disse: “Meglio parlare di affari qui dentro. Tra poco, quei ragazzi partiranno con il loro rock duro, e non si potrà minimamente parlare... sarebbe inutile.”

Ciò detto, si volse verso la sua collaboratrice ed esclamò: “Dany, pensaci tu a loro! Io devo fare un colloquio!”

“Sììì, a chi vuoi raccontarla?!” la prese in giro la collega, strizzandole l'occhio.

Sy scoppiò a ridere di gusto nell'aprire la porta del suo studiolo e, nel farvi entrare Beau, disse: “Non farci caso. Siamo sempre così.”

“Preferisco ridere, di gran lunga” la tranquillizzò Beau, accomodandosi a un cenno della donna.

“Molto bene, allora andremo d'accordo” assentì la donna, sedendosi sulla sua poltrona prima di aprire la cartella che conteneva gli spartiti scritti da Beau.

Dopo avervi dato un'ultima occhiata, dichiarò: “Sono anni che mi capitano delle opere pop tra le mani, una più scadente dell'altra, ma questa ha grinta da vendere. Mi ha appassionata fin dal primo rigo, ed è stato così fino all'ultimo. Mi stupisco che nessuno ti abbia ingaggiato, finora.”

“Forse, ho delle idee troppo anticonvenzionali” scrollò le spalle Beau, già pregustando la vittoria.

Sy annuì, chiudendo la carpetta per poi intrecciare le mani, poggiarvi il mento e fissare il suo interlocutore.

“Parliamoci chiaro, Beau. I musical pop sono in ascesa, ultimamente, ma vanno per la maggiore opere classiche come Grease o Footloose. Perché pensi che la tua opera possa avere successo?”

“Perché parla di giovani, e ai giovani. Ho utilizzato la loro gestualità, il loro gergo, la loro forza per scrivere quest'opera, perciò penso possa essere compresa al volo da tutti loro. Inoltre, credo che possa appassionare anche gli adulti. Li spingerebbe a comprendere meglio i propri figli” si spiegò Beau, mettendo l'anima e il cuore nel suo dire.

Credeva in quello scritto, fin nel midollo.

“Un musical con una morale, quindi. Non mi dispiace. Ho notato che è anche ironica, in più punti” assentì pensierosa Sy, continuando a fissarlo con quei curiosi occhi scuri. Parevano raggi X.

“Visto che si sviluppa su cinque atti, ho pensato che alleggerire l'atmosfera in alcuni punti, fosse necessario. Specie considerando che c'è anche un decesso, nell'atto terzo” assentì lui, tranquillo.

Sylvia annuì a quell'accenno, e replicò: “Non ti sembra un rischio far morire uno dei personaggi principali dell'opera, e a metà del percorso?”

“Deve colpire al cuore dello spettatore, deve coinvolgerlo... e sì, sconvolgerlo. Non penso sia sbagliato” dichiarò con vigore Beau, ben deciso a non transigere su quel punto.

Aveva impiegato settimane per impostare quel brano musicale in particolare, per non parlare delle battute dei suoi personaggi. Si poteva dire che l’intera struttura del musical si basava su quella scena in particolare.

Aveva avuto la nausea per giorni, dopo aver eliminato il suo protagonista maschile, ma non si poteva evitare.

“Lo credo anch'io” assentì a sorpresa Sy, sorridendogli.

Beau emise un sospiro di sollievo ed esalò: “Volevi mettere alla prova le mie coronarie?”

“Un po', forse” ammise lei, ridacchiando. “Ho già sottoposto l'idea a mio padre, e lui è d'accordo con me. Abbiamo bisogno di carne fresca, nel reparto Teatro d’Avanguardia, perciò penso proprio che, se a te sta bene lavorare con noi, noi vorremmo lavorare con te.”

“Non me lo devi neppure chiedere. La Dream Music è nei miei sogni da sempre” sorrise deliziato Beau.

“Allora, dovrò spezzare le braccia a chi ci ha messo tanto per portarmi sulla scrivania il tuo scritto, poco ma sicuro” brontolò a quel punto Sylvia, prima di sorridergli.“Per la stesura del contratto, se hai tempo, vorrei parlarne già ora.”

“Ho la giornata libera” ghignò lui, soddisfatto.

“Molto bene.”

Estratto un plico di fogli bianco latte da un cassetto, li porse a Beau con aria ora del tutto professionale.

“So che i nostri avversari amano le scritture in piccolo e i codicilli, ma io le detesto, perciò osserveremo punto per punto il contratto e discuteremo su quello che, eventualmente, ti va di correggere e/o cambiare. Per quanto mi sarà possibile, ti accontenterò. La tua opera mi interessa troppo, e mio padre mi ha dato carta bianca.”

Beau non sperava in niente di meglio.

E, per le quattro ore successive, non fece altro che discorrere di politiche aziendali, ricavi, introiti, percentuali e diritti di recesso.

Volle sottolineare il suo interesse ad essere presente alle audizioni, cosa di cui Sy si dichiarò entusiasta e, nei limiti del possibile, fece sottoscrivere che lo tenessero informato sulle prove di ballo.

Non se ne intendeva molto, ma desiderava vedere con i suoi occhi l'opera crescere e venire alla luce.

Quando alla fine uscì all'esterno, dopo essersi accordati per incontrarsi il giorno seguente con il loro direttore d'orchestra, Beau sorrideva come se gli avessero appena regalato il mondo.

Non poteva crederci.

Aveva appena firmato un contratto per la sua opera e...

E i suoi occhi si sgranarono di sorpresa quando, da un'elegante Lexus grigia, vide scendere la persona più improbabile che si sarebbe mai aspettato di incontrare.

In maniche di camicia e pantaloni grigio ghiaccio dal taglio perfetto, Nickolas Van Berger fissò a sua volta l'uomo fermo a pochi passi da lui e, con un mezzo sorriso, esalò: “Beh... quant'è piccolo il mondo, mi verrebbe da dire. Beau, giusto? Riconoscerei ovunque, quegli occhi da gatto.”

“Van Berger” disse lui, ghignando divertito.

Nick gli sorrise e allungò una mano per stringere quella protesa di Beau, asserendo: “Rena mi ha parlato di te, giusto un paio di sere fa. Curioso come, dopo anni di lontananza, tu compaia di nuovo nelle nostre vite.”

Sorpreso, lui mormorò: “E perché te ne ha parlato?”

“Mi ha detto che l'hai salvata da un brutto incidente... e … che sa tutto” lo mise al corrente Nickolas, notando subito il suo sgomento.

“E... e chi gliel'ha detto?” gracchiò Beau, ora incredulo.

Avrebbe preferito di gran lunga parlargliene in prima persona.

“Grace, da quel poco che ho capito. Candice gliel'ha confermato, ed io pure” scrollò le spalle Nick, prima di scrutare il palazzo da cui Beau era uscito. “Come mai sei venuto qui?”

“Affari” disse sbrigativo lui, scrutando intensamente l’imprenditore. “Che cosa ti ha detto, di preciso?”

Il magnate ridacchiò di fronte al suo malcelato interesse e, dandogli una pacca sulla spalla, gli propose un patto.

“Io devo entrare a recuperare un'amica, ma dopo possiamo parlarne finché vogliamo. Ti va?”

“Andata. Ti aspetto qui” assentì Beau, infilando le mani in tasca per non essere costretto a scrollare Nickolas per estorcergli una risposta.

Non era proprio il caso.

Nick allora lo salutò di corsa, uscendo dal palazzo pochi minuti dopo... e in compagnia di Sylvia.

I tre si guardarono per alcuni istanti, scambiandosi occhiate dubbiose, ma alla fine fu Sy ad aprire bocca.

“E' una mia impressione o vi conoscete, voi due?”

“Lunga storia, ma sì. Ci conosciamo” assentì Nick, lanciando un sorriso ironico a Beau, che lo restituì ghignando.

La donna allora batté le mani allegramente ed esclamò: “Oh, bene! Visto che è amico tuo, sono doppiamente felice di averlo scritturato!”

“Scritturato?” ripeté sorpreso Nickolas, fissando con il dubbio stampato in faccia il viso sorridente di Beau.

“Te lo spiegherà lui mentre mi accompagni da Hannah” dichiarò sbrigativa Sylvia, sospingendo entrambi gli uomini verso la Lexus. “Voglio vedere la mia amica grossa come un pallone, e voi non mi farete perdere altro tempo. Sono due mesi che manco da Los Angeles, e ho bisogno di vedere Hannah!”

I due uomini risero sommessamente e Nick, nell'indicare a Beau di salire sul sedile anteriore, chiosò: “Sicuro di voler lavorare con Sy? Hai capito a chi ti sei dato in mano?”

“Comincio ad avere qualche dubbio, in effetti” ironizzò l’uomo, allacciandosi le cinture di sicurezza.

Sy, sul sedile posteriore, brontolò un insulto all'indirizzo dell'autista che, messo in moto, rise sommessamente e replicò: “Sylvia, dovresti saperlo che ti amo.”

“Evita le smancerie, belloccio, e riservale alla tua mogliettina. A me interessa che tu faccia andare questo splendore al massimo consentito.”

“Peserà anche quaranta chili coi vestiti, ma è una furia umana in gonnella” ironizzò Nick, immettendosi nel flusso cittadino.

“Sono alta come tua moglie, Nicky. Se pesassi veramente quaranta chili, sarei anoressica” precisò con un risolino Sy, afferrando la sua borsetta per estrarne un sacchetto di caramelle. “Gelatina di frutta?”

I due uomini rifiutarono gentilmente e Nick, pur impegnato nella guida, riuscì a trovare il tempo per scrutare il profilo di Beau e il suo aspetto in generale.

Per quanto non fosse un esperto in materia, ammetteva che la sua faccia non aveva nulla da invidiare a certi fotomodelli di grido ed il suo aspetto, in quel momento piuttosto curato, accentuava l'effetto.

Lo ricordava un bel ragazzo ma, crescendo, l'aspetto era migliorato, si era affinato.

Lì si bloccò, preferendo non dilungarsi nelle occhiatine e, tra sé, si chiese cosa avesse provato Rena nel ritrovarsi davanti un simile Marcantonio, specialmente dopo l'incidente.

La sua vista doveva averla scioccata, sotto molti punti di vista.

“Sai come mai Serena è andata a Londra?” si informò ad un certo punto Beau, strappandolo ai suoi pensieri.

“Coleen partecipa alle Olimpiadi nel salto a ostacoli con il suo stallone nero” lo mise al corrente Nick, sorprendendolo.

“La piccola Leen... alle Olimpiadi? Oddio, sono davvero rimasto indietro!” ridacchiò Beau, passandosi una mano tra la folta criniera castano scura.

“L'ultima volta che ho visto Candice e Leen è stato... santo cielo, otto mesi fa! Non me ne avevano accennato! Dovrò sgridare tutt’e due!”

“Al momento è impossibile, almeno con Candice... si trova in Cile” ironizzò Nickolas. “Coleen è a Londra, invece, come ti dicevo prima. Piuttosto scomode da raggiungere.”

“Aspetterò. Io so aspettare, se ne vale la pena” dichiarò Beau, sfregandosi le mani impaziente.

“L'ho notato” dichiarò sibillino l'amico, lanciandogli un'occhiata di straforo.

“Non replicherò alla battuta, sappilo” ci tenne a dire Beau, serafico.

“Falla soffrire, e ti ammazzo” disse allora Nickolas, tornando serio.

“Al momento non ho fatto nulla ma sappi una cosa, Van Berger. Impicciati dei miei affari, e sarò io ad ammazzare te” gli ritorse contro l'altro, calmissimo.

Sy, che aveva seguito quello scambio di battute senza capire mezza frase, si sporse in mezzo a loro e chiese: “Scusate, ma siete sicuri di essere amici?”

“Certo” risposero in coro i due, come se nulla fosse.

“Ah, okay. L'importante è che lo sappiate voi” scrollò le spalle Sylvia, tornando a sedersi meglio sul sedile posteriore, un punto interrogativo ben stampigliato in faccia.


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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


16

16.

 

 

 

 

 

Chiama Warren per dirgli quale preventivo ti interessa.

D'accordo, non si era aspettata una lettera d'amore, o un invito a cena in un ristorante di lusso, al suo rientro da Londra, ma quel messaggio così scarno l’aveva lasciata basita per giorni.

Una piccola fiammella di speranza era rimasta comunque accesa, quando aveva girato il biglietto da visita dell'officina di Warren, e vi aveva trovato scritto il numero di cellulare di Beau e la sua e-mail.

Insomma... in fondo in fondo, qualcosa gliene importava.

Ma a lei, importava riallacciare i rapporti con lui?

Il punto, alla fine dei giochi, era questo.

Ed erano dieci giorni che si arrovellava il cervello alla ricerca di quella maledetta risposta.

Sedendosi sulla sua poltrona in morbida pelle bianca, Serena la volse verso la vetrata che dava sulla strada e, da lì, scrutò i palazzi vicini e il traffico interminabile di quell'ora.

Il profumo di fresia dei fiori freschi che aveva nell'ufficio le solleticò le nari, così come l'aroma speziato del suo pranzo, un piatto indiano che si era fatta consegnare direttamente in ditta.

Afferrate le bacchette – in ceramica nera, acquistate a Macao – sbocconcellò il buon pollo al curry e si portò alla bocca anche qualche brandello agrodolce di peperone.

Persa nei suoi pensieri, tornò a Beau.

Le note del Concerto per Violoncello in Si Minore di Dvořák  si librarono forti e vibranti, per l'enorme stanza rettangolare, quasi scevra di mobilio ed interamente ricoperta di fotografie di testate giornalistiche.

La scrivania, ultramoderna e dalle linee semplici, era in vetro temprato mentre la poltrona, creata da un designer italiano, era sagomata direttamente sulle linee del suo corpo e modellata con morbidi cuscini in memory.

Non v'era null'altro nel suo ufficio, a parte due enormi ficus benjamin e un piccolo mobile bianco, in cui teneva un minimo di cancelleria.

Il suo mondo era il computer che aveva sulla scrivania, un Mac di ultima generazione con una memoria RAM spaventosa, che aveva fatto arricciare il naso di più di un tecnico informatico.

Era solo un gradino sotto a J.A.R.V.I.S., il fantascientifico programma senziente di Tony Stark, ma a Rena poteva bastare.

Per il momento.

Un altro pezzo di pollo, e la donna ripensò a quando le forti braccia di Beau l'avevano estratta dall'auto; sicure, calde, protettive.

Si era sentita piccola e indifesa, dinanzi a lui.

Tutti i ricordi di quel maledetto giorno di scuola, in cui il suo mondo era crollato dolorosamente, si erano affastellati nella sua mente, mandandola in tilt.

Ora che conosceva la verità, però, di quell'evento restava solo quel bacio, quasi come il suo epitaffio di addio, a ben pensare.

Si era voluto scusare, baciandola? O dirle qualcosa di più?

Davvero non lo sapeva.

Lappandosi le labbra, assaporò il sapore piccante del curry e, se non fosse stato per lo squillo del telefono, avrebbe passato il resto della giornata a rimuginare su quel ricordo in particolare.

Acceso il vivavoce sul suo telefono multifunzione, Rena mormorò: “Sì, Katia, dimmi pure.”

“Suo zio Edward chiede di poter parlare con lei, Miss Ingleton” la informò la sua nuova segretaria, seria e professionale come Cassie non era mai stata.

Ah, arrivano i rimbrotti, pensò tra sé la donna, accettando la chiamata.

“Zio, ciao, come stai?” disse Rena, pacifica, sorseggiando un po' di Evian dalla bottiglietta.

“Rena, posso sapere perché hai licenziato Cassie? Sono giorni che è in lacrime” borbottò l'uomo, passando subito alle vie di fatto.

“E me lo chiedi anche? Tua figlia è stata così onesta da spiegarti quello che c'è scritto sulla lettera di licenziamento?” replicò serafica lei, terminando di mangiare il pollo.

Lui attese un attimo prima di rispondere.

“Ma... stai mangiando?”

“Pausa pranzo veloce” spiegò succinta Rena. “Allora? Te l'ha mostrata? E' stata sincera? O ha solo detto che io sono un mostro?”

Silenzio.

Sorridendo divertita, nonostante tutto, la donna allora disse: “Zio Edward, tua figlia è un'irresponsabile, ha causato un sacco di problemi a tutti, non ha fatto nulla per risolverli, e tratta i miei sottoposti come se fossero zerbini. C'è una legge non scritta, qui dentro, e tutti devono rispettarla. Le persone si trattano bene, non a pesci in faccia come ha fatto lei qui dentro.”

“E' pur sempre una Brown, e i Brown...”

Interrompendolo sul nascere, ora vagamente irritata dal tono querulo dello zio, Rena ribadì seccamente: “Non mi interessa se è la figlia di Obama! Anche loro sono educate con i dipendenti della Casa Bianca, cosa credi? Michelle le farebbe a fettine, se fossero anche solo un minimo maleducate, cosa credi?! Cassie si è fatta bella della sua parentela con me e della gentilezza che le ho dimostrato, quando l'ho assunta come mia segretaria personale! Non ha fatto nulla per meritarsi lo stipendio, limitandosi a mettermi in imbarazzo più volte di quante io voglia ammettere con te.”

“Mi ha detto che l'hai cacciata a causa di un uomo” buttò lì Edward, neppure troppo convinto.

“Oh, santo cielo!” esplose lei, perdendo la battaglia contro la buona educazione. Senza più remore o scrupoli di coscienza, esclamò: “Non sono io che vengo in ufficio vestita con abiti stretch per mostrare le tette o il culo! Non sono io che guardo lascivamente i modelli che vengono qui per i photoshoot! Non sono io che metto gli occhi addosso a vecchi amici di scuola! Quindi chiariamo un punto; lei è stata cacciata per i motivi scritti nella lettera, non uno di più, non uno di meno. Non ti sta bene? E' così lo stesso. Fammi causa, se vuoi, ma non troverai nessun avvocato disposto a difenderla, credimi. Non sono falsa, zio, e dovresti saperlo. Sono giusta, è ben diverso.”

Lo sfogo terminò con un sospiro lungo e vagamente tremulo, ed Edward non riuscì a dire altro se non uno stentato ‘beh, vedrò di calmarla’, senza minimamente dichiararsi solidale con la nipote.

Certo, lui era il padre di Cassie, ma Rena sperò davvero fino all'ultimo che zio Eddie la capisse veramente.

Quando udì il clic della comunicazione interrotta, la donna si passò una mano sul viso, stremata.

Certe discussioni la uccidevano.

Solo quando vide entrare Katia, preannunciata da un breve tamburellare di nocche contro la porta, Rena si concesse di riaprire gli occhi, che aveva chiuso ermeticamente per lasciare il mondo fuori.

Tra le mani, la giovane assistente portava un vassoio in argento, su cui era poggiata una tazza da tè in porcellana boema e un samovar fumante, da cui proveniva un delicato profumo di melograno.

Senza dire nulla, Katia lo appoggiò sulla scrivania e, dopo aver mosso lentamente il filtro del samovar, versò il liquido color sangue formatosi per infusione.

“Il prossimo impegno è tra circa venti minuti. Preferisce che dica a Janice Grey di venire più tardi? Potrebbe passare prima dal fotografo, e poi da lei.”

Serena sorrise spontaneamente e, nell'osservare la tisana al melograno galleggiare scura e brillante nella tazza a fantasie fiorate, scosse il capo e replicò: “Mi calmerò subito, non temere. Sapevo già che sarebbe successo. Prima ancora di dare il benservito a Cassandra.”

Katia non disse nulla, limitandosi ad annuire e, quando la sua titolare sorseggiò l'aromatica bevanda, le sorrise.

“E' perfetta, grazie” mormorò Rena, sospirando più tranquilla.

“Se ha bisogno d'altro, non deve che chiamarmi” si premurò di dire Katia, allontanandosi con il vassoio tra le mani.

“Katia...” la richiamò Serena, quando la sua segretaria era già sulla porta. “Grazie della gentilezza.”

“Nessun problema, Miss Ingleton” scosse il capo la giovane, sminuendo il suo gesto.

“Serena. Preferisco tu mi chiami per nome” le ricordò lei, ammiccando.

“Vedrò di abituarmi” asserì allora la segretaria, uscendo in un fruscio di stoffe e ticchettare di tacchi alti.

Quando fu nuovamente sola, Rena si concesse ancora qualche secondo per sorseggiare la buona bevanda aromatica e, con rinnovato vigore, riprese il lavoro.

Che suo zio si scornasse pure con la figlia. Lei non aveva fatto nulla di male.

§§§

Incontrare Nickolas dopo tanti anni e scoprire che, non solo conosceva Sylvia, ma che la donna era anche una carissima amica di sua moglie Hannah, aveva sorpreso non poco Beau.

Era proprio vero che il mondo era piccolo, a ben guardare.

La villa sul mare di Nick, poi, era davvero meravigliosa, così come sua moglie.

Sorpresa di conoscere un vecchio amico di Rena e Nickolas, lo era stata ancora di più quando era venuta a sapere dei suoi trascorsi con la loro comune conoscente.

Aveva riso deliziata nello scoprire dello scherzo della gomma ma, soprattutto, aveva elogiato Beau per il suo coraggio e la decisione di rinunciare all’amicizia di Rena, pur di difenderla.

Beau l’aveva trovata semplicemente adorabile.

Così come il suo cane.

Chiamato Stark in onore del Tony Stark dei fumetti Marvel – e del più famoso personaggio cinematrografico – quel golden retriever l’aveva stupito subito per l'amore incondizionato che provava per la padrona.

Tutte le volte che Hannah si era mossa per il salotto, Stark le si era subito affiancato.

Un vero quadretto adorabile.

Probabilmente, se suo padre fosse stato ancora vivo, avrebbe voluto creare una statua di loro due.

Il ricordare suo padre lo riportò immancabilmente al giorno dell'incidente, che glielo aveva strappato per sempre.

Sospirando, si lasciò andare sul suo divano pensatoio e, senza realmente vederli, scrutò il suo vecchio giradischi, la chitarra appesa al treppiede e la miriade di spartiti accumulati in un angolo della stanza.

Era successo solo pochi anni prima, in un freddo mattino di gennaio, quando anche Los Angeles batte i denti per il gelo.

Si era svegliato presto per il suo consueto giro sulla spiaggia, alla ricerca di qualche tronco portato dalle onde, o di radici consunte e ritorte, ma aveva trovato solo un ubriaco al volante.

Poco era contato che lui si trovasse sulle strisce pedonali.

Poco era contata la solerzia con cui alcuni automobilisti solerti si erano precipitati per aiutarlo, chiamando polizia e ambulanza per i primi soccorsi.

Poco era contato l'intervento chirurgico messo in atto per salvargli la vita.

Il suo cuore aveva ceduto dopo sei ore di tentativi disperati, quanto infruttuosi, di salvargli la vita.

Quando il dottore si era presentato loro con la triste notizia, Beau non aveva potuto far altro che ringraziarlo per l'impegno e abbracciare la madre.

Il colpevole aveva finito con l'essere trovato, ricercato grazie alle testimonianze dei testimoni e l'utilizzo delle telecamere di sicurezza.

Ma questo non aveva riportato loro indietro Colton.

Sua madre si era trasferita quasi subito in un appartamentino poco distante dal suo loft, angosciata alla sola idea di abitare ancora nella casa in cui aveva vissuto con suo marito fino a quel momento.

Cosa disgustosa quanto assurda, il valore delle opere in legno di suo padre era salita alle stelle, alla sua morte e, grazie alla vendita dei suoi ultimi lavori, Beth era riuscita a estinguere i debiti studenteschi di Beau.

Il ticchettio di alcune gocce di pioggia lo strappò a quei ricordi e, nell'osservare la piccola statua a forma di arpa che il padre aveva creato per lui, si sentì ritorcere dal dolore.

“Sy ti sarebbe piaciuta, papà. E' una gran donna, e apprezza il mio lavoro” mormorò nella solitudine del suo piccolo loft, mentre la pioggia aumentava d'intensità.

Lo scroscio si fece via via più forte, più violento e Beau, non desiderando altro che lasciarsi andare alla malinconia, afferrò la sua chitarra e strimpellò qualche accordo.

L'uomo che aveva costruito quel piccolo loft, dalle linee sobrie e pulite, aveva pensato anche a insonorizzare i muri, essendo stato a sua volta un forte appassionato di musica.

All'atto dell'acquisto, Beau aveva trovato quel particolare davvero interessante, vista soprattutto la sua abitudine di scrivere – e suonare – a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Subito, le mani intonarono le dolci e strazianti melodie di Per Elisa e, chiusi gli occhi, si lasciò cullare da quelle tristi note graffianti.

Quando ricordava suo padre non voleva brindare in suo onore, o rammentare aneddoti allegri. Non ne aveva bisogno.

Desiderava solo crogiolarsi un poco nella dolce tristezza, per poi alzarsi e abbandonare il suo salotto-studio per non pensarci più.

I suoi amici gli avevano sempre detto che il suo metodo di tirarsi fuori dai problemi era davvero strano, ma a Beau piaceva così.

Deprimersi un po' gli faceva apprezzare maggiormente ciò che aveva, o che poteva conquistare.

Un fulmine, uno squarcio bianco e rosso nel cielo e, subito dopo, un rombo cupo, violento.

I vetri tremarono per la forza di quell'onda d'urto e Beau, nel bloccare la sua esecuzione, sorrise appena.

Rivedere Rena gli aveva fatto lo stesso effetto.

Un autentico fulmine a ciel sereno.

Si era ovviamente preoccupato nel sapere della presenza di una donna nell'auto ruzzolata nella scarpata ma, quando i suoi occhi erano affondati in quelli smeraldini di lei, tutto si era annullato.

Il panico era salito alle stelle al pensiero di quali rischi aveva corso e, solo a stento, era riuscito a trovare la forza di fare dell'ironia, con lei.

All'ospedale, però, tutta la sua baldanza era scemata e, ad ogni nuovo esame negativo, il suo cuore era tornato a battere con maggiore forza e vigore.

Vedere Grace lo aveva aiutato ulteriormente.

Ed ora se ne stava lì, in attesa che lei facesse la sua mossa, qualunque essa fosse.

Le aveva lasciato i documenti di Warren, e anche una scappatoia con cui mettersi in contatto con lui ma, dopo diedi giorni di infruttuosa attesa, nulla era accaduto.

Aveva anche parlato con Candice, venendo a sapere qualcosa di più sulla sua chiacchierata con Rena e sul segreto svelato.

Candice si era scusata per aver spifferato tutto, ma lui non se l'era presa con l'amica, ringraziandola unicamente per aver preso le sue parti.

Rialzatosi dal divano, poggiò la chitarra sul suo treppiede e, nell’osservare la libreria, sorrise nello sfiorare con lo sguardo una cornice in legno.

Al suo interno, si trovava una piccola foto. Era l'unica vera fotografia che avesse mai avuto di Rena.

La ritraeva il giorno del diploma, con la tunica della SMH, il tocco in mano assieme alla pergamena che attestava il suo successo su tutta la linea.

Successo che lui, nel corso degli anni, aveva seguito come meglio aveva potuto, e che lo aveva riempito di orgoglio infinito.

Anche quando si era recata all’estero per lavorare in Europa. Non l’aveva mai persa del tutto di vista.

Aveva tentato in tutti i modi, Dio gli era testimone, ma non era riuscito a togliersela dalla testa.

C'erano state altre donne, storie più o meno importanti, ma nessuna era stata in grado di seppellire per sempre nel suo cuore il ricordo di Serena.

Quell'amicizia fragile, preziosa, quell'affetto tramutatosi in infatuazione, quella determinazione a volerla vedere forte, felice e indipendente... anche senza di lui, se necessario.

Né gli anni di università, passati tra mille esami e notti insonni per racimolare i soldi per mantenersi negli studi, né il suo impegno nei pompieri, l'avevano distolto dal pensare a Rena.

I giornali avevano iniziato a parlare di lei già un anno dopo la sua uscita in grande stile da Yale, dipingendola come una manager di gran classe, e con un eccellente fiuto per gli affari.

Le maggiori testate giornalistiche l’avevano cercata con fervore, promettendo di sganciarle assegni milionari, ma lei aveva sempre nicchiato, puntando su ditte estere, che l’avevano tenuta lontana da L.A. per anni.

Non che Beau si aspettasse altro, da lei.

Rena era sempre stata una con le idee chiare.

L'arrivo a Vanity Fair non era stato che il coronamento di una carriera rapida, quanto brillante.

Beau aveva scoperto  del suo rientro su suolo americano per puro caso, impegnato com'era con l'accademia per diventare Vigile del Fuoco professionista.

Uno dei suoi compagni gli aveva mostrato una rivista patinata, dov’era ritratta Serena e il proprietario della testata giornalistica, sorridenti entrambi mentre si stringevano la mano.

Per lui era stato come veder sorgere il sole.

Quei brillanti occhi verde smeraldo, quelle fluenti cascate color cioccolato, quel viso dall'incarnato eburneo e perfetto... ogni cosa, in lei, era rimasta come un tempo,  migliorata soltanto dalla maturità dei trent'anni.

Non se l’era presa quando l'amico aveva decantato la sua bellezza; come dargli torto? Era apparsa effettivamente uno splendore.

Il fatto che vivessero in due mondi così lontani, e conducessero due vite così diverse, non gli aveva impedito di essere felice per lei.

Era stato con quello spirito che, pochi  giorni dopo, si era diretto alla sede di Vanity Fair per congratularsi con lei, ben deciso ad appianare ogni disguido creatosi con Rena a causa di quel maledetto incidente.

Ma il suo desiderio era scemato quando, di fronte al palazzo, aveva visto giungere furgoncini ricolmi di vasi di fiori enormi, e regali di ogni genere per la nuova direttrice del giornale.

Il suo mazzo di gerbere gli era parso così insulso, così inutile, che i suoi piedi si erano voltati prima ancora che la mente avesse concepito il pensiero di allontanarsi.

Sarebbe stato sciocco presentarsi così, di punto in bianco, dopo tanti anni di silenzio.

No, prima avrebbe dovuto dimostrare a se stesso di valere qualcosa e, solo in seguito, avrebbe potuto parlare da pari a pari con Serena.

Lei aveva coronato il suo sogno, si era data da fare e aveva ottenuto ciò che voleva.

Così avrebbe dovuto fare anche lui.

Ed ora la sua occasione era giunta, poteva finalmente vedere la luce della sua opera teatrale, del suo tributo alle persone che più aveva amato.

Non aveva idea se Serena sarebbe mai andata a vedere il suo spettacolo, ma sperava davvero che l'avrebbe fatto.

Prima di tutto, però, doveva dare un taglio a quello stallo ormai inutile, che perdurava da fin troppo tempo.

Non era più un ragazzino, gli studi ed il lavoro precario non erano più un impedimento al coronamento dei suoi desideri.

Avrebbe parlato una volta per tutte con Serena, e avrebbe ristabilito con lei un rapporto, che si era spezzato contro la sua volontà.

Nel raggiungere la cucina, perso in quei mille ricordi agrodolci, quasi non ruzzolò su uno dei tappeti quando il telefono squillò all’improvviso, prendendolo alla sprovvista.

Affrettandosi ad afferrarlo, accettò la chiamata con un sorriso ed esclamò: “Ehi, W! Come va? Mi dai buone notizie?”

“Ciao, bello! Ottime, direi. La Viper è pronta, perciò se vuoi dire alla tua bella che può venire a ritirarla, io gliela terrò in caldo in officina” lo mise al corrente l’amico, investendolo con la sua profonda e forte voce baritonale.

Beau si esibì in un sorrisone e, dopo aver ringraziato l’amico, telefonò all’ufficio di Rena per darle la bella notizia.

Il suono di una voce sconosciuta lo sorprese – dov’era finita l’assatanata cugina di Serena? – ma ciò non distolse l’uomo dal suo compito.

Tranquillo, disse: “Sono Beaurigard Shaw, un amico di Serena. Non voglio disturbare, se è impegnata. Può dirle soltanto che la sua Viper è pronta?”

“Sarò lieta di riferire, Mr Shaw. Grazie per aver chiamato” mormorò la voce all’altro capo, cordiale.

“E’ stato un piacere, Miss…”

“Katia Swansson, la nuova segretaria di Miss Ingleton” chiarì la giovane, con tono vagamente divertito.

Oh” assentì enfatico Beau, facendola ridacchiare. “Beh, buon lavoro, Miss Swansson.”

“A lei, Mr Shaw. A presto” disse la donna, chiudendo la chiamata.

Beau si sfregò le mani, soddisfatto.

Rena non sarebbe stata l’unica a recarsi all’officina, poco ma sicuro.

________________________

N.d.A.: come pensate andrà questo fantomatico incontro in officina? :)

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


17

17.

 

 

 

 

 

La Viper, miracolo dei miracoli, era salva.

Come lei, del resto.

In qualche modo, Warren Brisbane, amico di vecchia data di Beau, e meccanico dalle mani fatate, era riuscito a riportarla in vita e, quel giorno, avrebbe potuto riaverla.

Beau aveva lasciato un messaggio alla sua nuova segretaria – Katia Swansson, dea del computer e ottima stenografa – e lei, scocciata e drammaticamente in imbarazzo, aveva preso l’appunto tra le mani come se fosse stata derubata di qualcosa.

Avrebbe voluto parlarci lei, chiedere, sapere.

E una stupida, maledetta riunione gliel’aveva impedito.

Presentarsi alla stazione dei pompieri più vicina sarebbe stato oltremodo imbarazzante e, in tutta onestà, neppure aveva idea di dove fosse distaccato.

Quando perciò si presentò in officina per ritirare la Viper, non si aspettò di certo di trovarvi anche Beau, impegnato in una fitta conversazione con quello che le parve il capoofficina.

Si bloccò immediatamente, colta da un panico improvviso e, se non fosse stato per l’occhio attento del meccanico che stava parlando con Beau, se la sarebbe data a gambe levate.

Entrambi gli uomini la salutarono, e a Rena non restò altro che avvicinarsi a loro, sperando di non scivolare come una pera cotta su una qualche macchia d’olio.

Forse, avrebbe dovuto indossare qualcosa di più comodo di un paio di Jimmy Choo dal tacco maledettamente alto, quel giorno, ma era corsa fuori dall’ufficio senza passare da casa e…

Dandosi dell’idiota per quelle paure immotivate, si diede mentalmente una scrollata e, avanzando sicura di sé – almeno in apparenza – nel suo tailleur rosso fuoco, esordì con un sorriso e un buon pomeriggio per entrambi gli uomini.

Il capoofficina le sorrise gradevolmente, concedendosi una rapida occhiata di apprezzamento prima di dirle: “Miss Ingleton, tanto piacere di conoscerla. Io sono Warren Brisbane. Che ne dice se andiamo a dare un’occhiata alla sua Viper, per vedere se ne è soddisfatta?”

Lanciata un’occhiata distratta a Beau, che si mise dietro di loro per seguirli verso l’interno dell’officina, Rena disse allegramente: “La sua segretaria è stata così gentile da mandarmi una foto, dopo che Mr Shaw ha avvisato in ufficio della fine dei lavori. Da quel poco che ho visto, è tornata perfetta.”

“Dal vivo, è meglio” gongolò orgoglioso l’uomo, sollevando un telo da un’auto in fondo all’officina.

Rena si illuminò tutta alla vista della sua Viper rimessa a nuovo e, sfiorando il cofano con dita esitanti, esalò commossa: “Questo tono di blu… è ancor più bella di prima. E gli interni? Dio, guardi qui! Lei un genio!”

Detto ciò, mandò alle ortiche tutto e lo abbracciò, incurante della tuta sporca di grasso e della presenza di Beau in officina.

Con le lacrime agli occhi, Rena dichiarò a un imbarazzato meccanico: “Lei mi ha resa la donna più felice del mondo, Warren!”

“Oh, beh… ecco… è la prima volta che vedo una donna così felice per un lavoro effettuato sulla sua macchina” ridacchiò Warren, grattandosi nervosamente una guancia.

Ridacchiando, lei si scostò per sorridergli compiaciuta.

Un attimo dopo, però, avvampò in viso e pensò di morire.

Warren lanciò le chiavi dell’auto a Beau e li salutò con un cenno della mano, lasciandoli soli.

Deglutendo a fatica, Rena tentò di apparire tranquilla nonostante tutto e, sorridendo stentatamente al vecchio amico, mormorò: “Pare che ti dovrò qualcosa per la consulenza. Senza il tuo amico, non avrei riavuto lei.”

Beau scrollò le spalle con noncuranza, gli occhi fissi nei suoi come a cercarvi qualcosa che Rena non comprese. O non volle comprendere.

Allungò una mano per riprendersi le chiavi, ma Beau allontanò la propria, impedendoglielo.

Allora lei si accigliò e, vagamente piccata, disse: “Insomma! Posso riaverle?”

“Con Van Berger eri tutta un sorriso, quando lui ti veniva a prendere all’uscita della scuola con il suo autista privato” la accusò ironico lui, infilandosi le chiavi in tasca. “Strano che non vi siate sposati, a suo tempo. Che c’è? Saltava troppo la cavallina, e a te non piaceva l’idea?”

Rena non ce la fece proprio a resistere.

Gli mollò un ceffone e, furente, sibilò: “Non osare parlar male di chi non conosci! Nick è sempre stato un amico, per me! Siete voi che avete sempre travisato tutto!”

E lì si bloccò, sconvolta e attonita assieme.

Anche lei aveva sempre travisato tutto, su di lui. Ogni volta.

Non aveva mai compreso i suoi reali intenti, l’aveva sempre odiato senza indagare troppo quando, invece, avrebbe dovuto ringraziarlo per averla difesa così a lungo, anche se nell’ombra.

E anche adesso, a distanza di anni, lui la prendeva in castagna, come aveva sempre fatto nei lunghi mesi della loro bella amicizia. Lui la prendeva bonariamente in giro, e lei si inalberava subito, non accorgendosi dello scherzo.

Che non fosse cambiato nulla, per Beau, nell’intimo del suo cuore?

Che anche lui avesse tenuto così tanto a lei da non dimenticare neppure un attimo di quel periodo passato assieme?

Difficile crederlo, però…

Levò lo sguardo a curiosare i suoi occhi, indecisa se chiedergli scusa o meno per lo schiaffo.

Beau, però, non diede adito di aver sentito nulla e, immobile, continuò a guardarla.

Rena allora sospirò e, reclinando il capo, gli domandò mortificata: “Perché, Beau? Perché?”

“Eri sola, spaurita, e tutti ti odiavano perché avevi una barca di soldi” ironizzò lui, scrollando incurante le spalle. “Non vedevano quanto eri coraggiosa, bella, generosa. Non volevano vedere. Ma schierarsi apertamente dalla tua parte avrebbe voluto dire la fine per entrambi. Io ero il figlio del popolo per eccellenza, lì dentro, tu la secchiona figlia di papà. Non avrebbe mai funzionato. Un conto era Candice. Lei era una ragazza, esattamente come te. Poteva schierarsi liberamente. Io dovetti farmi da parte, per evitarti guai.”

“Avresti potuto dirmelo” singhiozzò lei, sobbalzando leggermente quando Beau le sfiorò il viso con un dito.

Le stava sorridendo tristemente e, quando parlò, a Rena si spezzò il cuore.

“Cosa avrei dovuto dirti? Che mi ero preso una cotta pazzesca per te? Che amavo il modo in cui cercavi di piacere agli altri? Che avrei voluto abbracciarti ogni volta che ti vedevo piangere, da sola, dietro la palestra? Era impossibile, Renny. Ti avrebbero odiata ancora di più, perché saresti apparsa come la buona samaritana che prova pietà per il figlio di un operaio. Ed io non volevo che ti odiassero più di quanto già non facevano” le sussurrò lui, sfiorandole ora il viso con l’intera mano per raccogliere una sua lacrima.

Stava piangendo?

“Avrei voluto… sapere. Capire. Almeno dopo la scuola, avresti potuto…” balbettò lei, cercando di smettere di piangere. Invano.

“Cosa, Renny? Mi sono pagato parte degli studi con i lavori che facevo la notte, nei piano bar, mentre tu eri a Yale. Ho una laurea in una branca di studi praticamente senza sbocchi, al contrario di te. Sono un pompiere, non un magnate della finanza come …”

Tappandogli la bocca con la mano, Rena borbottò inviperita: “Non osare nominare Nick ancora una volta, o ti do un calcio nelle palle.”

Beau allora scoppiò a ridere e, levando le mani in segno di resa, esalò: “Ti prego, no, risparmiami. Non offenderò più il tuo amico per punzecchiarti. Ma il fatto rimane. Tu sei stata all’estero per anni, ed io ero impegnato con l’Accademia. Se anche te l’avessi detto, a quel tempo, cosa sarebbe cambiato?”

“Una marea di cose!” esplose Rena, afferrandolo per il collo della camicia che indossava. “Cose come questa, per esempio!”

Alzandosi in punta di piedi, poggiò una mano sul suo collo per attirarlo a sé e, mettendo in quel gesto tutta la frustrazione accumulata in tanti anni di bugie, lo baciò.

Completamente in balia della donna, Beau inciampò nei suoi stessi piedi e crollò di schiena sul pavimento in cemento, tirandosi dietro anche Serena, che scoppiò a ridere, gaia e leggera come una piuma.

“Oh, santo cielo!” esalò sconvolto l’uomo, ridendo divertito assieme a lei. “Stai bene?”

“Benissimo” sospirò Rena, intrecciando le braccia sul suo torace, lui che la  osservava con una certa ironia, mista a desiderio.

“Hai intenzione di rimanere lì ancora per molto?” le domandò a quel punto lui, avvolgendole la vita con le braccia.

“Mi toglierò solo se prometti che non mi racconterai più balle” gli propose Rena, tornando seria.

Beau la imitò e, con tono sommesso, asserì: “Se mi avessi lasciato finire di parlare, ti avrei detto che allora non me la sentivo di avvicinarti, perché non mi reputavo alla tua altezza. Non ero riuscito a raggiungere i miei scopi, mi sentivo un fallito e…”

“Non lo sei” precisò lei, puntandogli un dito sul naso.

“Fammi finire” ridacchiò allora lui. “Nel corso degli anni, tu hai messo tutta te stessa nel tuo lavoro, per affermarti, per essere te stessa, non la figlia di Barthemius Ingleton, e ci sei riuscita. Volevo compiere la stessa cosa prima di rivederti, anche se il Fato ha cospirato per affrettare i tempi.”

“Ed io non posso che ringraziarlo. Sono praticamente diciotto anni che non ti vedo, sai?” ironizzò Rena, sorridendogli. “Quindi, mi stai dicendo che… vorresti provare? Che ora te la senti?”

“Con te proverei di tutto… ma solo se lo vuoi veramente.”

“Devo risponderti stando stesa sopra di te?” ironizzò lei, scostando finalmente lo sguardo dai chiari occhi di Beau per scrutare in fondo all’officina, dove alcuni meccanici li stavano guardando cercando di non ridere.

Lui ne seguì lo sguardo e, non appena si rese conto di avere un pubblico, si alzò in fretta tirandosi dietro anche la donna che, stretta nel suo abbraccio, ridacchiò divertita.

Con una smorfia, decretò lapidario: “Meglio se ne parliamo altrove.”

“So io dove portarti.”

Ciò detto, infilò la mano nella tasca dei pantaloni dell’uomo per recuperare le sue chiavi e, facendogliele tintinnare dinanzi al viso, aggiunse: “Vieni?”

Le risatine dei meccanici di Warren lo infastidirono a tal punto che Beau, senza farselo ripetere, salì sulla Viper e disse: “Andiamo. Ma attenta ai cervi.”

Rena ridacchiò e, nel mettere in moto, asserì: “Ho un pompiere, con me. Che problema avrei, se anche ne trovassi uno?”

“Evitiamo, per favore” brontolò lui prima di afferrarla ad un polso, attirarla a sé e darle un bacio forte, pieno di passione. “Ora va meglio.”

“Sì, meglio.”

§§§

 Il Rusty Surf Ranch, a quell’ora, era caotico e pieno di ragazzi in tenuta da spiaggia, ragazze in bikini e bambini che scorrazzavano avanti e indietro, con i gelati in mano.

Beau trovò quel luogo un po’ strano, come scelta, ma Rena entrò spigliata nonostante la mise elegante e salutò con un sorriso il barista, che allungò una mano per darle il cinque.

Lui restò basito.

Accomodandosi ad un tavolo vicino ad un vecchio juke-box degli anni sessanta, che era il vanto del locale, Serena sorrise ad un dubbioso Beau, dicendogli: “Ci vengo da anni. Forse non lo sai, ma Nick ha preso lezioni di surf da Will, il capo della baracca, ed io venivo qui per accompagnarlo e assistere.”

“Nickolas Van Berger… surfista?” esalò Beau, ridendo sommessamente.

“Si vede che non leggi le riviste di moda” ironizzò Rena, ordinando un paio di sode ad una delle cameriere.

“Non ti facevo una da Surf Ranch, sai? Pensavo ti piacessero di più i bar con la musica soffusa, o il portiere all’entrata” ghignò lui, guadagnandosi per diretta conseguenza un’occhiataccia da parte di Rena.

“Se lo pensi veramente, esci e non voltarti più indietro”

Serena lo minacciò neppure troppo scherzosamente. La terrorizzava l’idea che lui pensasse questo di lei.

“Renny, la pianti? Non vedi che scherzo?” la rassicurò l’uomo, allungando una mano per darle un buffetto sulla guancia. “E dire che pensavo avessi fatto il callo alle mie frecciatine, all’epoca. Non ti è rimasto proprio niente?”

“Smettila, per favore. In questo momento non sono dell’umore adatto e no, ero una frana nel riconoscere i tuoi scherzi e, a quanto pare, la sono ancora” sbuffò allora Rena, pur sorridendo.

“D’accordo, siamo seri per due minuti” assentì a quel punto Beau.

La cameriera consegnò loro un paio di sode e strizzò l’occhio a Serena, che le sorrise complice prima di annuire all’uomo dinanzi a lei.

Non ci credeva ancora.

Aveva baciato Beau in mezzo a un’officina, facendolo cadere a terra e ritrovandosi sopra di lui similmente a una coperta.

Se aveva voluto rendersi ridicola, ci era riuscita alla grande.

Sperava soltanto che ora lui non pensasse fosse diventata un’emerita idiota, negli anni.

Intrecciando le mani sul tavolo, proprio accanto al bicchiere di soda ghiacciata, Beau si schiarì la voce e le disse: “Per quanto io abbia apprezzato l’assalto all’arma bianca a cui sono stato sottoposto, vorrei chiarire un particolare. Non sono il tipo di uomo che si porta a letto le donne così come se niente fosse.”

“Okay… sono lieta di saperlo. Tendenzialmente, neppure io mi porto a letto la prima donna che incontro” sorrise sorniona Rena, facendolo ghignare.

“Non ne dubitavo. Anche se, assieme ad Hannah Fielding, davanti a quel tribunale, formavate una bellissima coppia” celiò Beau, stando al gioco.

Sospirando con enfasi, Rena scrollò una mano dinanzi al volto ed emise un mugolio di pura frustrazione.

“Mi ha sconvolto a morte sapere che Nick la voleva sposare. Ed io che pensavo di poterla tenere tutta per me!”

Beau ridacchiò e Serena, sentendosi maggiormente rilassata dopo quello scambio di battute volutamente leggero, mormorò: “Grazie. Ora sono più tranquilla.”

“Avevo notato che eri vagamente agitata…” ammise lui, scrollando le spalle. “… anche se capisco perché tu ci sia rimasta male,… per Hannah, intendo. Gran donna. L’ho conosciuta l’altro giorno, ed è davvero una bomba. E’ sicuramente l’ideale, per Nick.”

Più che mai sorpresa, Rena perse di vista il motivo per cui si erano recati in quel bar e, curiosa, gli domandò: “E come mai tu hai conosciuto Hannah?”

“Ho visto per puro caso Nick, mentre uscivo dallo studio musicale della Dream Music, e così…” iniziò a spiegarle lui, prima di vederla sobbalzare per lo stupore.

“Dream Music? Lavori per Sy?”

“Okay, il mondo è davvero piccolo” ironizzò a quel punto lui, annuendo.

Aprendosi in un largo sorriso, Rena fece per parlare, ma il cellulare di Beau iniziò a trillare fastidioso, interrompendola sul nascere.

Lui afferrò l’iPhone fissandolo con rabbia malcelata ma, quando vide chi lo stesse chiamando, si chetò immediatamente e accettò la chiamata.

“Dimmi, Ron. Che succede?”

“Abbiamo bisogno di braccia. E’ scoppiato un incendio nei pressi del LAX, e stanno mobilitando tutte le autopompe della zona prima che raggiunga gli hangar e la pista, ma la cosa sta assumendo pian piano i contorni del disastro. Presto allerteranno anche la nostra sezione, perciò abbiamo bisogno di tutti gli uomini abili” gli spiegò il suo superiore, con tono concitato e pratico.

“D’accordo, arrivo. In venti minuti sarò lì” assentì serio Beau, chiudendo la comunicazione.

Ciò fatto, fissò spiacente Rena, rammaricato di doverla abbandonare quando invece avrebbe voluto parlare con lei, e anche per parecchio tempo.

“E’ successo un mezzo disastro nei pressi del LAX. Devo andare. Ma parleremo di noi venerdì sera a cena, va bene?”

“Eh? Cosa? Oh… sì, d’accordo” assentì lei, vagamente stordita da quella svolta improvvisa degli eventi.

Lui si levò in piedi e, dopo essersi allungato sopra il tavolino, le divorò la bocca con un bacio così focoso da lasciarla del tutto priva di forze.

Quando si scostò, Rena scivolò un poco sulla sedia, rossa in viso e con gli occhi che brillavano lucenti.

Beau le sorrise soddisfatto e, poco prima di fuggire via di corsa, le disse: “Mandami il tuo indirizzo di casa via e-mail!”

La donna non poté che annuire.

Osservandolo muta mentre correva via come un supereroe dei fumetti, forse alla ricerca di una cabina telefonica per trasformarsi in Superman, esalò un sospiro trasognato.

Nel tornare al tavolo, la cameriera che li aveva serviti le diede una pacca consolatoria sulla spalla, asserendo: “Sospirerei allo stesso modo, per uno come lui.”

“Come faccio a darti torto?” mugugnò Rena, cominciando a collegare ciò che gli aveva detto Beau prima di quel bacio mozzafiato.

Guaio nei pressi del LAX. E guai che potessero interessare a un pompiere, solitamente, avevano a che fare con incendi e cose pericolose.

Fu a quel punto che si rese finalmente conto di cosa stava per incontrare Beau e, colta dal panico, impallidì.

Portandosi una mano alla bocca per reprimere un singulto strozzato, Rena afferrò una banconota dal portafoglio e, dopo aver pagato le due sode, si catapultò fuori dal locale nella speranza di vedere Beau da qualche parte.

Nulla. Era già andato. Probabilmente, aveva preso un autobus o, forse, aveva chiamato un taxi.

In ogni modo, non era da nessuna parte.

E lei non aveva neppure avuto la buona creanza di augurargli buona fortuna.

Davvero un genio.

§§§

Starsene attaccata alla radio, nella speranza che dessero notizie dell’incendio, la snervò.

Erano passate diverse ore da quando Beau l’aveva lasciata in quel locale senza più darle notizie di sé e, dalle scarne informazioni pervenute alla radio di zona, l’incendio stava ancora imperversando.

Forse, semplicemente, non aveva avuto il tempo di telefonarle. O forse era rimasto ferito.

Oppure…

Imponendosi di darsi una calmata, Rena accese lo stereo in filodiffusione che aveva nel suo loft, e afferrò il cordless per chiamare sua madre.

Non se la sentiva di disturbare Nick, visto che Hannah occupava quasi tutti i suoi pensieri, in quel periodo, ma aveva bisogno di parlare con qualcuno.

Attese perciò che la madre rispondesse al cellulare e, quando udì la sua voce calda e rassicurante, sospirò di sollievo.

“Ciao, tesoro. Come mai a casa di sabato pomeriggio?” le domandò Grace, con tono allegro.

“Ho rivisto Beau” mormorò allora Rena, sorprendendola un poco.

“Oh… bene. E come mai stai chiamando me, invece di parlare con lui? E’ successo qualcosa?” si informò cautamente la donna.

“E’ in pericolo” singhiozzò per diretta conseguenza la figlia, cedendo all’ansia di schianto.

Una lacrima le sfuggì rabbiosa e Rena, cancellandola con un gesto furioso della mano, aggiunse: “Si trova nei pressi di quel maledetto incendio del LAX… e non so più niente di lui!”

“Oh, tesoro!” sospirò Grace, comprendendo al volo le paure della figlia.

Evidentemente, quel che aveva solo ipotizzato esserci tra Serena e il giovane Shaw, si era rivelato essere un sentimento davvero profondo e duraturo.

Vista soprattutto la reazione attuale della figlia.

“Stavamo parlando… poi è arrivata una chiamata… e lui… lui è andato via di corsa, e…” balbettò incoerentemente Rena prima di esplodere in un gridolino di stizza. “Dio! Detesto comportarmi come una sciocca lamentosa, eppure non posso farne a meno! E neppure abbiamo una relazione! Ci siamo solo baciati una volta e… beh, no, tre, se contiamo…”

Bloccandola prima che potesse dire troppo, Grace le disse lesta: “Tesoro, calmati e ascoltami un attimo. Primo, so benissimo che non sei una sciocca lamentosa, ma è chiaro quanto tu possa essere in ansia per lui, visto dove si trova. Secondo, se, come mi dici, vi siete baciati e la cosa ti ha lasciata così stordita, mi pare di capire che avete intenzione di rivedervi, e anche questo può cospirare a renderti nervosa. Ma lascia che ti dica una cosa. Beau ha ricevuto una marea di encomi, nei pochi anni in cui ha prestato servizio come Vigile del Fuoco, e sa come stare in mezzo ad un incendio. Mentre lo seguivo per quel caso in tribunale, ho avuto modo di parlare con un sacco di persone che lui ha personalmente salvato, oltre ad aver avuto accesso a tutta la documentazione dei casi da lui seguiti. E’ un bravo pompiere, non un pazzo scriteriato che si butta nella mischia per fare il gradasso. Starà attento, a maggior ragione perché sa che ci sei tu che lo aspetti.”

“E se questo lo distraesse, invece?” gracchiò Rena, odiandosi nel sentire la propria voce così querula e debole.

Lei non era affatto così!

“Rena, prendi un bel respiro e pensa. Pensa solo a una cosa; se non fosse una persona in gamba, non lo lascerebbero fare questo lavoro. Non prendono incompetenti, nel corpo dei pompieri. Sai che devono tenere degli esami, neppure troppo semplici, e che i corsi di addestramento sono tutto tranne che lievi. E’ preparato e coscienzioso, devi pensare solo a questo”

La voce di Grace era così sicura, così quieta, che Serena se ne sentì subito confortata.

“A quanto pare, lo conosci più di me” sospirò afflitta Rena, reclinando il viso.

“Avrei voluto dirti tutta la verità molto tempo prima e, in tutta onestà, durante quel caso di abuso di potere, non pensai mai di chiedere a Beau se potevo mettere le cose a posto” si spiacque la madre.

La figlia, nonostante tutto, sorrise. Sua madre era uno squalo del Foro, e non faceva specie che non avesse pensato a quel particolare, durante un caso del genere.

“Non è colpa tua, mamma. E’ stato tutto un gran macello, quel guaio. Ma ora non vorrei mi fosse negata anche questa possibilità. Quello che sento per Beau, tutte le volte che mi sta vicino, non l’ho mai provato per nessuno. Ad un certo punto, avevo anche sperato di poterlo provare per Nick, che io ho sempre amato, ma fin troppo presto ho scoperto di volergli bene come a un fratello.”

Prese un bel respiro, e aggiunse: “Sai che, durante la gita post-diploma nei fiordi norvegesi, ci siamo baciati?”

“Me lo raccontò Nick, una volta. Volle scusarsi con me per averlo fatto. Era così contrito, poverino!” ridacchiò Grace, a quel ricordo.

“Mi piacque, ma solo per un istante. L’attimo seguente pensai che fosse sciocco e qualche giorno dopo, nel riparlarne, ne ridemmo così tanto che mi vennero quasi le lacrime agli occhi. Nick non avrebbe potuto essere l’Unico neanche volendo. E’ davvero come un fratello maggiore, per me” sorrise Rena, rammentando quei bei momenti passati in crociera col migliore amico.

“Mi sono sempre sentita tranquilla, sapendoti con Nick, perché sapevo che ti voleva bene e che ti avrebbe protetta. Ma penso che la stessa cosa si possa dire di Beau. Tuo padre ne rimase molto colpito, Rena, e sai quanto è difficile sorprendere tuo padre” le disse Grace, sinceramente.

“Sì, lo so. Prima o poi, dovrò farmi raccontare per benino cosa successe, quella sera” si premurò di dire Serena. “Grazie, mamma. Ora sono un po’ meno nervosa.”

“Di nulla, cara. E fammi sapere di lui non appena hai notizie” le disse la madre, chiudendo la comunicazione qualche attimo dopo.

Rimasta sola con le arie di Mozart a riempire i quattro angoli del suo loft, mentre la sera iniziava a tingere il cielo coi suoi colori caldi e scuri, il suo pensiero tornò a Beau.

Era bravo, era capace, era un professionista… ma avrebbe tanto voluto chiuderlo in una bolla di vetro, protetto e al sicuro.

Molto infantile, ma al momento non se la sentiva di comportarsi diversamente.

Forse, in seguito, si sarebbe fatta meno problemi, ma così a botta fresca era difficile, per non dire impossibile.

Si alzò mentre le casse dello stereo trasmettevano le note di Eine kleine nachtmusik.

Aprì il frigorifero per estrarre una bottiglietta di Perrier e, dopo averla stappata, ne sorseggiò un poco ma, proprio nel mezzo di quell’operazione, il cellulare squillò.

Colta completamente di sorpresa, a Rena andò di traverso l’acqua, una parte cospicua finì sulla camicetta e, nel tentare di raggiungere il divano – dove si trovava l’iPhone – inciampò nel tappeto e ruzzolò sui cuscini prima di scivolare a terra.

Ricoperta di cuscini e di riviste, le gambe riverse sul tavolino e il cellulare in mano, la donna riuscì infine ad accettare la chiamata e, stravolta, esalò: “Pronto!”

“Ehm… Renny, che succede?” domandò Beau, vagamente confuso.

“Beau! Sei tu! Stai bene?!” esclamò lei, risollevandosi di colpo e mandando nuovamente all’aria tutto ciò che la circondava.

Il centrino sul tavolino scivolò a terra, tirandosi dietro il contenitore delle caramelle, che rotolò chiassoso sul parquet facendo cadere il suo contenuto sotto il divano.

Quel trambusto colse di sorpresa l’uomo che, sempre più preoccupato, le domandò: “Io sono okay, ma tu? Cos’era quel rumore?”

“Ah… caramelle” borbottò lei, afferrando irritata il cesto di metallo che aveva contenuto i suoi preziosi bon-bon alla frutta.

Beau rimase in silenzio per alcuni attimi, tramortito da quell’uscita del tutto inaspettata. Fu sul punto di domandarle qualcosa, ma poi rinunciò.

“No, preferisco non chiedere. Comunque, volevo solo dirti che qui abbiamo sistemato più o meno la cosa. Sai, sono andato via un po’ di corsa e non ti avevo spiegato granché, quindi…”

Interrompendolo, lei replicò: “Mi interessa solo che stai bene. Nient’altro.”

“D’accordo.” Poi, dopo un attimo, aggiunse: “E’ Mozart?”

“Centrato in pieno” assentì lei.

“Ora penso che andrò a farmi una doccia. Sembro uno spazzacamino, al momento” ridacchiò a quel punto Beau, con tono allegro.

Rena si limitò a sorridere e, lasciandosi scivolare contro quello che rimaneva del divano, assentì. “Vai pure. Mi basta sapere che stai bene.”

“Avrò una settimana piuttosto piena, ma prometto che per venerdì nulla mi impedirà di portarti fuori a cena. Cascasse il mondo, noi usciremo” le promise lui, con tono lapidario.

“Ci credo” annuì la donna.

“Non permetterò più a nessuno di mettersi in mezzo a noi due.”

“Ed io ti darò una mano. Voglio sapere chi sei diventato, Beaurigard Shaw e, soprattutto, voglio sapere cosa stai combinando con Sy” dichiarò allora Rena.

Lui ridacchiò divertito e le disse: “Te lo spiegherò venerdì sera.”

“Venerdì, allora” accettò la donna, mormorando un attimo dopo: “Posso disturbarti ogni tanto, però?”

“Anche ogni ora” si premurò di dire lui.

Un attimo dopo, alcune risatine giunsero all’orecchio di Rena che, dubbiosa, gli domandò: “Ci sono i tuoi colleghi, nelle vicinanze?”

“E’ l’autista che sta ridacchiando” le spiegò Beau con tono allegro.

“Oh, allora, prima di avventurarmi su sentieri sconci, ti lascio con un bacio.”

Ciò detto, stampò la bocca sul cellulare e lui scoppiò a ridere.

Fu con il suono di quella risata nelle orecchie che Rena si convinse che Beau stava bene e, con un saluto di commiato, lo lasciò andare.

Quando l’uomo chiuse a sua volta la chiamata, sospirò e lasciò che il paramedico finisse di sistemargli il braccio ferito da un ferro arroventato.

Non aveva voluto preoccupare Rena, raccontandogli di quella ferita, soprattutto dopo averla sentita così ansiosa, al telefono.

In fondo, non era nulla di così preoccupante da essere menzionato.

Quando il paramedico ebbe finito con la medicazione, gli disse: “Dovrà passare al pronto soccorso, domani, per cambiare le bende, e far controllare il decorso di guarigione della ferita.”

“Non sono nuovo a queste cose, non si preoccupi. So cosa fare” assentì il pompiere, sorridendo divertito al giovane.

Lui annuì e si avvicinò ad altri feriti mentre il capo di Beau, aiutato il collega ad alzarsi dal muricciolo su cui si era accomodato, gli domandò: “Chi è la tipa con cui hai parlato in maniera così sdolcinata?”

“Quella che mi insultava giusto un po’ di tempo fa, in quel dirupo” gli spiegò lui, ghignando.

“Oh! La tipa della Viper? A quanto pare, ha cambiato bandiera” ironizzò Ron, poggiando le mani sui fianchi.

“Siamo vecchi amici di scuola.”

Alzandosi in piedi per poi stiracchiarsi, aggiunse: “Sarà il caso che mi faccia sul serio una doccia. Puzzo come una ciminiera.”

Tutti puzziamo come ciminiere” precisò il suo capo, sghignazzando. “Comunque, vedi di stare attento. Cosa ce ne faremmo di un pianista senza una mano?”

“Non avrei dovuto dirti che suono” sottolineò Beau, ghignante.

“Ehi, ragazzo… mica ho dimenticato come hai reso felice mia figlia, con quel piccolo concerto che le hai dedicato per i suoi quattordici anni. Stravede per te fin dalla prima volta che è venuta in caserma. Non potevi farle regalo più bello” brontolò Ron, dandogli una pacca sulla spalla.

“L’ho fatto con piacere. Becky è adorabile” si limitò a dire lui, con sincerità.

“La tua trattativa è poi andata in porto? Non te l’ho più chiesto” si informò a quel punto l’uomo, accompagnando il collega a una delle autocisterne.

Tutt’intorno, gli ultimi focolai si stavano ormai esaurendo e il puzzo di bruciato si era sostituito a quello del fuoco divampato in un magazzino di stoccaggio di pallet.

Le varie compagnie si stavano ritirando, così come la polizia e le ambulanze.

Laddove vi era stato il caos e la paura, ora regnava quella calma che si forma solo dopo i grandi eventi.

Salito che fu sul posto del passeggero, Beau annuì e disse: “E’ andato tutto bene. Nei primi giorni della settimana prossima cominceranno le audizioni per i vari personaggi della commedia, e sabato prossimo arriverà dall’Europa un direttore d’orchestra di fama mondiale.”

“Spero che ci inviterai alla Prima. Anche se non ne capisco molto di teatro, mi farà comunque piacere vedere la tua opera” si raccomandò Ron, sorridendogli nel mettere in moto il mezzo, che prese vita con un rombo cupo e forte.

“Ho già messo in conto i vostri biglietti, non ti preoccupare. Inoltre, la mia è un’opera adatta ad un pubblico di ragazzi, perciò non ha nulla di astruso da raccontare. Volevo che fosse per tutti, non solo per un pubblico elitario” gli spiegò Beau, appoggiandosi allo schienale del sedile con aria stanca.

“Molto bene. Allora, scommetto che vorrà vederla anche Becky” ridacchiò l’uomo, rendendosi conto dopo alcuni attimi che Beau era crollato dal sonno. “Ehhh, brutta cosa le bruciature. Ti sfiancano più di una giornata intera di lavoro. E visto che c’è anche quella, oggi…”

Senza più dire nulla, si diresse verso la caserma. L’avrebbe svegliato solo al loro arrivo.

In fondo, se la meritava un po’ di calma, specialmente dopo i rischi che si era preso.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


18

18.

 

 

 

 

Aveva un appuntamento con Beau.

Le sembrava una cosa assurda doversi preoccupare per un evento del genere, visto che non era la prima volta che usciva con un uomo.

Già, peccato che di questo ti importi eccome, le sussurrò la sua coscienza, mandandola nel pallone.

Azzittendola con un'imprecazione, Rena si spazzolò forse per la centesima volta i capelli ondulati e folti, rilasciati sulle spalle in una cascata fluente e color cioccolato.

Era pronta da almeno mezz'ora, ma si era cambiata le scarpe non meno di cinquanta volte, indecisa se puntare su un'eleganza sobria, o su una scarpa più sexy ma decisamente scomoda.

Alla fine aveva optato per un paio di Jimmy Choo nere, con un sottile tacco in metallo, che si abbinava alla perfezione col suo tubino nero senza spalle e il foulard in seta argentata che le sfiorava il collo.

Non amava portare gioielli.

In questo, la nonna l'aveva sempre trovata una gran delusione, e l'aveva accusata ogni volta di essere una nipote degenere, a non indossare le parure di famiglia.

Sorrise, ricordandosi di un evento mondano a cui aveva partecipato indossando soltanto due brillantini ai lobi, oltre a un braccialetto al polso… con un pendaglio di Michey Mouse.

Sua nonna era quasi morta di vergogna, mentre suo nonno l'aveva segretamente lodata per non essersi comportata da esibizionista.

I suoi genitori non le avevano mai detto come vestirsi, o cosa indossare, l’avevano sempre lasciata libera di scegliere, e questo aveva condizionato molto le sue preferenze stilistiche.

Aveva compreso quasi subito che la sua non eccezionale altezza le avrebbe sempre precluso certi tipi di abiti.

Così aveva fatto di necessità virtù, e si era creata un guardaroba che facesse risaltare solo i suoi pregi.

Confrontarsi ogni giorno con modelle altissime e sempre eleganti le aveva dato, paradossalmente, la spinta giusta per non cedere di fronte a chi aveva tentato di sminuirla.

Ora che doveva uscire con Beau, però, tutte quelle certezze finirono con lo sfuggirle di mano, lasciandola sola con il suo panico più puro.

Il trillo del campanello, poi, le fece venire un colpo e, sobbalzando con la spazzola in mano, si affrettò a lasciarla nel lavandino per correre ad aprire la porta del suo loft.

Quando finalmente poté incrociare lo sguardo con i caldi e chiari occhi di giada di Beau, Rena sospirò debolmente prima di riuscire a dire: “Ciao. Sei puntuale.”

Lui le sorrise, si chinò per darle un bacio sulle labbra e, morbido come velluto, le sussurrò sulla pelle: “Non vedevo l'ora di vederti.”

Il ricordo di come gli si fosse gettata tra le braccia, nel bel mezzo dell'officina, la fece arrossire e, nell'attirarlo all'interno del loft, asserì: “Se fossi venuto prima, mi avresti trovata nell'armadio per scegliere la scarpa ideale.”

L'uomo ridacchiò, lanciando un'occhiata interessata ai piedi di Rena

 Annuendo, dichiarò divertito: “Sono molto belle, anche se continuo a non capire come facciate a non cadere. Sembrano molto instabili, a vedersi.”

“Ci si fa l'abitudine” scrollò le spalle lei, sorridendo come una sciocca quando lui le mostrò un mazzo di rose bianche, che aveva tenuto nascosto dietro la schiena fino a quel momento.

“Ho pensato fosse scortese presentarsi a casa di una donna senza neppure un regalino” le spiegò lui, osservandola rapito.

Non si era aspettato che, vederla dopo quel bacio rubato, potesse sconvolgerlo ancor di più, eppure era successo.

Il semplice tubino nero che indossava faceva risaltare la sua pelle chiara, mettendo in evidenza il suo fisico delicato e sottile.

Senza parlare, la osservò armeggiare attorno alla consolle della cucina, alla ricerca di un vaso per i fiori, e lui poté godersi indisturbato la vista del loft.

Era di gran classe, ampio, con oggetti d'arte che spiccavano un po' ovunque.

Il tutto era mescolato sapientemente con orpelli di minor pregio ma che, sicuramente, avevano un significato profondo per la padrona di casa.

Un'enorme bocca di fuoco in metallo bulinato faceva da cornice al camino, che si trovava dinanzi a una coppia di divani chiari, color ghiaccio.

Ma quando raggiunse con lo sguardo un quadro antico, sorrise divertito e fece tanto d’occhi.

Era anacronistico, in un ambiente così moderno, e l'enorme cornice pareva sul punto di far crollare la parete, tanto appariva pesante.

Avvicinandosi al quadro, Beau osservò con attenzione il ritratto di donna, ne studiò le linee e, quando percepì la presenza di Rena al suo fianco, le domandò: “Come mai quest'affare si trova qui?”

Scoppiando a ridere, lei replicò alla sua domanda dicendo: “E' il ritratto di mia nonna, quando si sposò. Volle donarmelo a tutti i costi, ed io non me la sentii di rifiutarlo. Così è qui, memento di ciò che non vorrò mai essere.”

“Una donna che indossa una gorgiera?” ironizzò Beau, sorridendole.

Lei scosse il capo, mormorando: “Una donna troppo piena di sé. E' sempre stata una brava nonna, ma troppo legata ai vecchi dettami del passato. Impiegò anni per perdonare a mio padre l'onta di aver sposato mia madre, che non ha una goccia di sangue blu nel sangue.”

“Ma i Brown sono un'ottima famiglia, con origini più che dignitose” ci tenne a precisare Beau, vagamente sorpreso.

“Sono sempre stati nuovi ricchi, per lei. L'ha pensata così per un sacco di anni” scrollò le spalle Serena, osservando pensosa il ritratto della nonna. “Per quanto il bisnonno di mia madre si sia dato da fare per creare un patrimonio per la sua famiglia, che i suoi eredi hanno gestito più che bene, fino ad ora, per nonna erano solo degli arricchiti, e perciò non all'altezza del figlio. Nonno non riuscì mai a farle cambiare idea. Lei accettò mia madre solo quando nacqui io. Voleva una femmina, e così...”

“Oh, non una di quelle fissate con il primogenito maschio?” si interessò lui, trovando affascinante sentirla parlare della sua famiglia.

“Nonna mi disse che aveva penato fin troppo con due figli maschi, per volere anche un nipote dello stesso sesso. Quando nacqui io, disse a mia madre che, per essere solo una Brown, aveva fatto un buon lavoro.”

Lo disse con ironia, ma lui percepì in parte il rancore che doveva aver provato una volta messa a conoscenza di quella verità.

“Era una nonna un po' singolare” ammise l'uomo, sorridendole comprensivo.

“Morirono pochi anni dopo il mio diploma. Uno dopo l'altro. Il dottore disse che la morte di uno aveva innescato quella dell'altro. Non volevano stare soli” mormorò lei, sorridendo appena.

“E' comprensibile” ammise Beau, annuendo nell’osservarla comprensivo.

Lei gli restituì uno sguardo pieno di dolore.

“Mi è spiaciuto sapere di tuo padre, Beau. Lessi la notizia sul giornale, e piansi tutto il giorno. Serbavo così bei ricordi di lui!” gli confidò Rena, afferrando la mano dell'uomo per stringerla con forza.

“Grazie. Anche lui ti voleva bene” mormorò lui, chinandosi per baciarla.

Serena si lasciò andare a quel tocco caldo e morbido e, con un sospiro, si accostò a lui perché la abbracciasse.

Subito, Beau la attrasse a sé con forza accentuando il bacio, che divenne famelico, privo di inibizioni, voglioso.

Fu solo a stento che lui trovò la forza per scostarsi e, leggermente ansante, asserì: “Sarà meglio se andiamo a cena, altrimenti potrei venir meno ai miei buoni propositi di essere cavaliere con te.”

“Non fosse che ci tengo a mangiare da Nobu, rimarrei qui con te” dichiarò lei, afferrandolo alla mano per trascinarlo verso la porta. “Perciò, prima di essere io a dimenticare le buone maniere, andiamo a mangiare.”

“Sarà meglio” ridacchiò lui, avvolgendole la vita  con un braccio per condurla fuori.

§§§

Malibù era illuminata a giorno, sull'orizzonte, e le sue luci si gettavano sull’oceano calmo e scuro.

Dalla terrazza all'aperto del Nobu Restaurant, si poteva godere la splendida visione della baia, del molo in lontananza e del riflesso della luna sull’infinito specchio d’acqua che si estendeva all’orizzonte.

Rade onde leggere si infrangevano sulla battigia, pochi metri sotto di loro.

Rilassati sui comodi divani della terrazza - dove si trovavano altri tavoli simili al loro - la coppia era in attesa dei piatti di sushi appena ordinati.

Profumo di pachouli si confondeva con quello della terra umida del pendio limitrofo, che degradava verso la spiaggia in un’erta dolce e ricoperta di vegetazione.

Enormi piante di pacific madrona si allungavano verso l'oceano, stendendo i loro rami quasi fossero le braccia di un amante, in trepida attesa del ritorno dell'amato.

La brezza marina era calda, umida, ricca di salsedine e Rena, nel sorridere a Beau, gli domandò: “Che santi hai invocato per riuscire a prenotare qui? So che di solito ci vuole un'eternità.”

“Non ci crederai, ma ho salvato da un brutto guaio uno dei titolari del locale e, da quando è successo, è sempre prodigo di attenzioni, caso mai ne avessi bisogno” le sorrise lui, rammentando quando, assieme ai suoi colleghi, aveva salvato da un incendio in villa il proprietario del Nobu Restaurant.

Non era stata una passeggiata, e di quell'incidente portava ancora i segni su una spalla, retaggio di una trave che aveva ceduto nel momento sbagliato, fratturandogli l'articolazione.

Quella volta era andata bene, dannatamente bene.

Più che interessata, Rena gli chiese: “Come mai hai scelto di diventare pompiere?”

“E' stata la mia seconda scelta, in effetti. In realtà, sono un compositore” ammise Beau, abbozzando un sorrisino.

Lei sorrise, annuendo a quell’accenno. “Candice mi ha accennato qualcosa, ma vorrei saperne di più. Ricordo una chitarra, nella tua stanza.”

L’uomo assentì, rammentando la prima volta che vi aveva portato Serena.

Si era sentito nervoso come un bambino piccolo di fronte a Babbo Natale. Ansioso di fare bella figura e, nel contempo, desideroso di realizzare i propri sogni.

“Devi sapere che covavo da sempre il desiderio di comporre, di studiare musica.”

“Avrei sempre voluto chiederti di suonarmi qualcosa, ma ero troppo timida per farlo” ammise Rena, arrossendo suo malgrado.

“Beh, dopo il bel regalino che ti feci, non ebbi più granché voglia di uscire a divertirmi con gli amici. E l'unica amica che volevo al mio fianco me l'ero giocata, per cui mi buttai anima e corpo nella musica” asserì Beau, scrollando le spalle con aria sconsolata.

Serena sospirò, mormorando per contro: “Ti ho odiato per un bel po' di tempo ma, alla fine, cercai di dimenticarti per passare oltre. Non potevo continuare a rimuginare su quanto mi avessi fatta soffrire, visto che eri... beh... insomma...”

“Il primo ragazzo che ti fosse mai piaciuto?” la aiutò lui, sorridendole malizioso prima di depositarle un bacio sulla guancia.

“Lo sai già... perché vuoi sottolinearlo con quel tono derisorio?” esalò lei, trattenendosi a stento dall'attirarlo a sé. Come avrebbe resistito tutta la sera, se già un suo casto bacio la riduceva così?

“Solo per soddisfazione personale. E' bello sapere che, all'epoca, mi ricambiavi pienamente” replicò lui, con sconcertante sincerità.

“Beau” mormorò lei, sgranando gli occhi per la sorpresa.

Lui le sorrise timido, si servì un po' di Sauvignon e, centellinandolo, asserì pensieroso: “Non ti ho raccontato una panzana, l'altro giorno. Ero davvero innamorato di te. In effetti, non mi ci è voluto tanto per perdere la testa. Eri bella, forte, coraggiosa, generosa, gentile... chi non avrebbe voluto una ragazza così? Ma sei capitata nel momento, e nel posto, peggiore possibile, e l'unico modo per proteggerti da chi ti voleva fare del male, è stato mentirti. E allontanarti. In seguito, le nostre strade si divisero, io studiai qui a Los Angeles, mentre tu andasti a Yale. Ci incamminammo su sentieri differenti... immagino anche in campo sentimentale.”

All'assenso imbarazzato di Rena, lui le sorrise.

“Nessuna era te, il mio problema principale è sempre stato questo. Ma, più ti vedevo crescere nel tuo ambiente, diventare sempre più importante e famosa, affermata, più mi convincevo che non potevo riavvicinarmi a te senza essermelo meritato.”

“Ma Beau... io non avrei mai...” tentennò lei, subito azzittita da un cenno dell'uomo.

“Lo dovevo anche a me stesso. C'era una cosa che desideravo ottenere con tutte le mie forze, e se ti avessi rivisto prima di riuscirci, mi sarei sentito completo solo a metà. Il Fato ha voluto che ci ritrovassimo in un momento di svolta, per me, e mi ha fatto piacere salvarti da quel dirupo, ma difficilmente avrei avuto il coraggio di tornare a frequentarti, se non avessi ottenuto ciò che volevo” cercò di spiegarsi Beau, sperando che lei non lo fraintendesse.

Rena, come al solito, lo sorprese.

Sorridendo comprensiva, asserì: “Cassie mi ha sempre accusata di non interessarmi agli uomini, perché volevo sempre e solo lavorare. In parte è vero. Volevo emergere indipendentemente dal mio nome, volevo solo essere Serena, non la figlia di Bart Ingleton e Grace Brown. Non avrei permesso a nessuno di ostacolarmi, neppure a un uomo. Neppure a te. Perciò ti capisco, e apprezzo che tu volessi portare a termine il tuo sogno. Ma ora?”

“Ora, che cosa?” si interessò lui.

“Che ci facciamo qui?”

“Innanzitutto, desideravo scoprire se il bacio con cui mi hai mandato al tappeto volesse dire qualcosa di più di un atto di passione improvvisa” ironizzò lui, vedendola avvampare per diretta conseguenza. “Inoltre, diciotto anni sono tanti, le persone cambiano e, sebbene io sia piuttosto sicuro che tu, o meglio, il bello che vedevo in te, sia ancora lì, voglio riscoprirti, vedere chi sei diventata.”

Rena apprezzò tantissimo le sue parole e annuì lieta, ritrovandosi ad essere pienamente d'accordo con lui.

Che Beau avesse rappresentato per lei un enorme punto di domanda, nel corso degli anni, era innegabile.

Il loro rapporto era stato troncato di netto nel momento peggiore, quando lei aveva iniziato a provare sentimenti veramente profondi per quel dolce ragazzo che le aveva rubato il cuore.

Per anni si era chiesta dove avesse sbagliato, come avesse fatto ad ingannarsi a quel modo, dandosi colpe o infliggendone a seconda dei momenti.

Non lo aveva mai dimenticato, e questo aveva condizionato tutti i suoi rapporti con gli uomini.

Era in qualche modo soddisfacente sapere che, anche per lui, le cose non erano state differenti. Che il suo ricordo l'avesse perseguitato nel corso degli anni.

Ma aveva anche ragione su un altro punto.

Erano adulti, non più dei ragazzini.

Le cose non si potevano più risolvere con una stretta di mano e un abbraccio, c'erano dei sentimenti piuttosto dirompenti a rendere difficile una simile soluzione.

Dovevano conoscersi nuovamente, non lasciarsi andare ai dolci ricordi di un tempo. Quelli, appartenevano al passato. Il loro futuro era tutto da costruire, possibilmente assieme, ma quello solo il tempo lo avrebbe deciso.

Serena a quel punto allungò una mano e disse: “Serena Ingleton, tanto piacere.”

Beau ridacchiò nel replicare alla stretta e mormorò: “Beaurigard Shaw, piacere mio.”

§§§

Le Jimmy Choo in una mano e l'altra stretta in quella di Beau, Rena stava passeggiando tranquilla lungo la spiaggia di Malibù.

La brezza sfiorava leggera le sue gote rosee, ed il sentore fresco della sabbia sotto i suoi piedi era piacevole quanto corroborante.

Si era divertita a parlare con Beau dei loro trascorsi scolastici, aveva sorriso orgogliosa nel sapere quanti lavori avesse svolto per pagarsi parte degli studi – saldati grazie alle opere di suo padre.

Allo stesso tempo, aveva tremato al pensiero dei rischi corsi negli anni, dopo la decisione di entrare nei Vigili del Fuoco.

Saperlo impegnato in un mestiere così pericoloso, stava già iniziando a lasciare delle bruciature nel suo animo, il che la diceva lunga su quanto fosse in grado di reggere la situazione.

Non avrebbe resistito molto prima di decidere di metterlo sotto una campana di vetro, a sua esclusiva disposizione, e solo per tenerlo al sicuro.

Semplicemente, non ce la faceva.

L'aria che respirava lui doveva essere la sua, e la irritava da morire che altre donne avessero stretto quella mano così forte... per non dire – o pensare – altro di molto più intimo.

In barba a tutti i suoi buoni propositi, non riusciva a discernere tra il Beau ragazzo e il Beau adulto. Come aveva desiderato il primo, così voleva il secondo.

Ma doveva trattenersi, imporsi di comprendere le sue giuste reticenze.

Dopotutto, le rispettive esperienze avevano plasmato i loro caratteri e...

Beau si chinò per darle un bacio sulla tempia, annullando di fatto qualsiasi suo pensiero logico – no, qualsiasi suo pensiero, punto – e, sussurrandole sulle guancia, disse sommessamente: “E' stata una serata davvero bellissima, ed è tutto merito tuo.”

“Mi dai dei meriti che non ho. Anche tu sei stato un ottimo compagno di serata” replicò lei, sforzandosi di mettere insieme una frase di senso compiuto.

Era stato così difficile parlargli anche da ragazzina, o lo stravolgimento emotivo che provava era del tutto nuovo?

Un nuovo bacio, e una carezza sul viso.

Rena pensò di impazzire.

Era così tremendamente dolce, così cavalleresco! Perché non gettava alle ortiche il buon senso per portarsela a letto? Lei non avrebbe certo detto di no!

Ma Beau, in quel caso, la deluse.

La avvolse in un abbraccio caloroso, cullandola contro di sé come se fosse stata la creatura più rara e preziosa del mondo ma, fin troppo presto, si scostò da lei per dirle: “Sarà meglio rientrare. Domani dobbiamo lavorare entrambi.”

“Sei sicuro?” mormorò lei, le mani strette sui baveri della sua giacca.

L'uomo si limitò ad annuire e, senza dire altro, la accompagnò all'auto.

Serena aveva insistito perché raggiungessero il ristorante sulla sua Viper e, cosa che aveva sorpreso Beau, aveva preteso che fosse lui  a guidare.

L'idea di rimettere mano su quel bolide lo eccitò subito ma, con altrettanta rapidità, si diede una calmata.

Era già difficile non pensare ai mille e più modi in cui avrebbe voluto sfruttare quell'auto, e soprattutto i suoi sedili reclinabili.

Eccitarsi al pensiero della guida spettacolare che offriva la Viper, lo avrebbe mandato al tappeto.

Voleva contenersi ad ogni costo, pur se il suo desiderio era così forte da farlo tremare.

Ma non voleva che con Rena accadesse tutto così in fretta, non desiderava apparirle il classico approfittatore della situazione.

Voleva donarle belle giornate assieme, passeggiate al chiaro di luna, gite in montagna... insomma, un corteggiamento vero e proprio.

Portare a termine i suoi piani, però, stava diventando sempre più difficile.

§§§

Lo schianto del fulmine non lo disturbò. Era sveglio e vigile, pur se erano le due del mattino passate da un pezzo.

Riportare a casa Rena, darle il bacio della buonanotte e limitarsi a stringerla a sé in un dolce abbraccio, era stato un vero inferno.

Ritrovarsi lì nel letto, a rigirarsi insonne tra le lenzuola, era peggio ancora.

Perché voleva trovarsi da tutt'altra parte e, soprattutto, assieme ad una persona in particolare.

Il trillo del cellulare lo sorprese.

Chi diavolo poteva mandargli un messaggio a quell'ora antelucana?

Allungando una mano per raggiungere l'iPhone sul comodino, lo afferrò senza particolare interesse e aprì l'sms, sgranando leggermente gli occhi quando si ritrovò a fissare la comunicazione di Sylvia.

 

X domani, ops, oggi, prove preliminari alle 11. Post di

1 ora xkè il Maestro arriva da Bruxelles. Sy ^_^

 

“Ma non dorme mai?” esalò sconvolto Beau, rimettendo al suo posto il cellulare.

Sapeva che Sy aveva una vita notturna piuttosto piena, ma che lavorasse fino a quell'ora gli pareva esagerato.

Dopotutto, però, era la migliore nel suo campo.

Sorrise spontaneamente all'idea di incontrare François Lafitte, uno dei più grandi direttori d'orchestra del momento e, da quel che Sy gli aveva detto, un genio dal punto di vista teatrale.

Sperava davvero che la musica per il suo spettacolo cogliesse il suo plauso. Ne aveva bisogno.

L'improvviso dling dlong del suo campanello lo colse del tutto impreparato e, mentre il temporale estivo continuava a sfogarsi all'esterno, Beau si catapultò al videocitofono per capire cosa stesse succedendo.

Chi poteva cercarlo a quell'ora? A parte Sy, ovviamente.

Accesa la telecamera, i sui occhi si sgranarono per la sorpresa e lo sgomento quando la figura in bianco e nero di Rena si materializzò dinanzi a lui.

“Ma che ci fai, qui?” gracchiò l'uomo, aprendole subito il cancello d'ingresso.

Lei non rispose, si limitò a oltrepassare l'entrata, sparendo così dalla sua vista.

Sbuffando confuso, Beau si allontanò dal videocitofono per aprire la porta e, piazzatosi dinanzi alla porta dell'ascensore, attese.

Quando lei fece capolino, gocciolante e con addosso uno chemisier ormai fradicio, l'uomo fece tanto d'occhi ed esalò a bassa voce: “Ma... gli ombrelli sono dispersi, in casa tua, per caso?”

“Non è il momento, credimi” brontolò lei, sgusciando al suo fianco per puntare diritta verso il suo appartamento.

A Beau non restò che seguirla e, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, si affrettò a portarle un accappatoio.

“Di là c'è il bagno. Mettiti questo, mentre io ti preparo qualcosa di caldo con cui scaldarti. Saremo anche ad agosto, ma la pioggia notturna è pur sempre fredda.”

“L'ho notato” assentì lei, lanciando un'occhiata incuriosita a quell'angolo di casa.

 Da quel punto in particolare, poteva vedere la moderna cucina open space, un tavolo rotondo, l'enorme TV a led da 40'', un divano ad angolo e una collezione di plettri in una bacheca trasparente.

Dietro a quello che sembrava essere un ripostiglio, intravide una chitarra e un vecchio grammofono, ma poco altro.

La cosa la incuriosì non poco, ma il suo primo pensiero corse agli abiti.

Voleva asciugarsi almeno un po’, prima di curiosare oltre.

Quando Rena mise piede in bagno, si stupì nel trovarlo più ampio di quanto si fosse aspettata, visto che il loft era stato ottenuto nel sottotetto di un condominio.

Il parquet era anche in quella stanza, illuminata soffusamente da led incastonati nel mobilio, ricercato quanto minimalista.

L'ampia doccia aveva porte trasparenti – perfettamente pulite – e piccole mattonelle color cioccolato si inframmezzavano altre più chiare, color dell’oro brunito.

Rena apprezzò pienamente la scelta  ma, quando si volse verso il lavandino, gli specchi che ricoprivano quasi tutta la parete le mostrarono com'era conciata.

Sembrava un pulcino bagnato.

Normale che Beau l'avesse guardata con occhi stralunati.

Affrettandosi a togliersi gli abiti bagnati per indossare l'accappatoio, che lui le aveva gentilmente portato, sorrise nel mettere i piedi nelle pantofole di Beau, enormi per i suoi piedini.

Lentamente, riapparve in salotto.

Lui aveva appena poggiato sul tavolo una tazza fumante di quello che, dal profumo, le parve essere tè e, avvicinatasi trascinando i piedi, mormorò: “Te le ho rubate.”

“Hai fatto bene” assentì lui, scostandole una sedia in legno perché si accomodasse.

Rena prese tra le mani la tazza calda, apprezzando quel tepore confortante e, nel sorseggiare la bevanda ambrata, sospirò deliziata.

All'esterno, il temporale sembrava non volerne sapere di smetterla, e la pioggia tamburellava feroce contro i vetri del lucernario, sopra le loro teste.

Il silenzio si protrasse, accompagnato soltanto dai rumori del temporale e Rena, quando infine appoggiò la tazza ormai vuota, fissò gli occhi sul volto dubbioso di Beau e dichiarò: “Voglio rimanere qui, stanotte.”

L'uomo si irrigidì immediatamente e, conciliante, le disse: “Non ci sono problemi. Posso dormire sul...”

“No, non mi sono spiegata. Voglio rimanere qui... con te” precisò lei, afferrandogli la mano che stava sul tavolo.

Lui allora la sorprese e, piegatosi in avanti, poggiò la fronte sul tavolo e gracchiò: “Cristo santo, Rena, ma pensi che io sia un eunuco?!”

“Affatto! Ma credo tu ti stia facendo degli scrupoli per nulla. Non siamo dei bambini, e so esattamente cosa voglio, adesso” protestò la donna, stringendo quelle dita fredde e tremanti.

“Pensi che io non lo voglia quanto te?!” esplose Beau, sollevando il viso per lanciarle un’occhiata d'acciaio.

Un fulmine squarciò il cielo, dando forza alle sue parole e Rena, rabbrividendo leggermente, deglutì.

Aveva davvero il coraggio di portare a termine quanto si era ripromessa?

Scoprire dove abitasse Beau era stato relativamente facile. Più o meno.

Si era presa la briga di chiamare il comando dei Vigili del Fuoco della sua zona, e aveva chiesto dove prestasse servizio l’amico. Ci era voluto un po' per convincerli delle sue buone intenzioni, ma alla fine ce l'aveva fatta.

Far breccia nelle difese dei colleghi di Beau era stato più semplice.

Complice la sua sfuriata nel dirupo, tutti si ricordavano di lei, perciò non le era occorso molto per scoprire quale fosse il suo indirizzo.

Non dubitava che, sul lavoro, lo avrebbero preso per i fondelli per un bel po', ma in quel momento non le interessava nulla.

Ora, lo voleva e basta.

Il punto era un altro. Non era propriamente facile come aveva creduto, prima di uscire di casa, buttarsi a braccia aperte nel letto di un uomo.

Specie se quell’uomo aveva degli scrupoli da cavaliere.

Ma erano passati diciotto anni, di acqua sotto i ponti ne era passata fin troppa, il suo cuore aveva sanguinato per troppo tempo pensando che lui l'avesse solo presa in giro, ed ora voleva il suo riscatto.

Non le importava delle conseguenze, né se lui fosse cambiato così tanto da non essere più il Beau che aveva conosciuto un tempo.

In quel momento, voleva la sua rivincita su un destino beffardo.

E Beau sarebbe stato l'artefice di quella rivincita.

Doveva solo convincersi di essere abbastanza forte per sopportarne le conseguenze, questo ormai lo sapeva.

Ma lo era? Era forte abbastanza come aveva pensato fino a pochi minuti prima?

“E' così difficile credere che ti voglio?” mormorò allora lei, levandosi in piedi per porsi dinanzi a lui.

Beau le lasciò la mano con cui lei lo stringeva e, avvolta la sua vita con le braccia, poggiò la guancia sul suo ventre, chiudendo ermeticamente gli occhi.

Con veemenza, poi, sussurrò: “Se il tuo desiderio è pari al mio, ci credo eccome. Ma non sarebbe giusto per te!”

“Perché io sono un fragile fiorellino delicato, che deve essere trattato come un pezzo di cristallo, altrimenti si spezza?” lo rabberciò bonariamente lei, accarezzandogli i capelli con entrambe le mani.

Quelle onde castane erano così morbide! Avrebbe voluto passare ore ad accarezzarle!

“No... coscientemente, so che sei forte. Ma volevo offrirti un corteggiamento come Dio comanda... non... questo” borbottò lui, strizzando ancor più gli occhi, la sua forza di volontà che andava scemando.

“Se non erro, sono io che ho fatto irruzione in casa tua, non il contrario” ridacchiò allora lei, scostandosi per inginocchiarsi dinanzi all'uomo al centro dei suoi pensieri. “Beau, guardami.”

Lui levò il capo, scrutò quei brillanti occhi smeraldini pieni di certezze e, sorridendo a mezzo, le domandò: “Non avresti preferito ricevere dozzine di mazzi di rose, impegnarti in estenuanti gite nei posti più belli, e assaggiare le prelibatezze più sopraffine, prima di avvivare a questo?”

“Non me ne faccio nulla dello sfarzo che mi offri” precisò lei, pur apprezzando il pensiero. “Primo, so più o meno quanto guadagna un pompiere, perciò sarebbe davvero assurdo da parte mia pretenderlo.”

Beau fece per protestare, ma lei lo azzittì.

“Non cominciare con la manfrina dei soldi, per favore. Parlo seriamente. Non mi aspetto da te gioielli di Tiffany ogni volta che ci vediamo, o un biglietto per Parigi ad ogni week-end in cui usciamo assieme. Non è per questo che mi interessa avere una relazione con te.”

“Ora mi preoccupi” cercò di ironizzare lui, ammiccando.

Lei si accigliò appena e replicò: “Non sognarti fruste e bustini di pelle nera, perché non amo il genere.”

“Pericolo scampato, allora” ridacchiò Beau, carezzandole la chioma umida con movimenti lenti e delicati.

Rena cercò di ignorarle le sue dita lievi, per rimanere concentrata su quello che voleva dire.

“Secondo, di uomini che mi hanno offerto simili piaceri ne ho già incontrati, ma non mi hanno dato quello che veramente volevo. Tu ci sei riuscito soltanto guardandomi. Mi infiammi dentro, Beau, non lo capisci? E' questo che cerco, non il regalo da ventimila dollari. Voglio il rapimento, il fuoco, la follia.”

“Beh, piombare qui alle due di notte, sotto un temporale, è stato folle di sicuro” precisò lui, vedendola storcere il naso. “Poi mi spiegherai come hai fatto a sapere dove abito, vero?”

“Te lo faranno capire i tuoi colleghi” ironizzò lei, facendolo sobbalzare per la sorpresa. “Non distrarmi, comunque!”

“D'accordo” assentì allora lui, bloccando le mani sulle sue spalle.

“Rivoglio indietro quello che ho perso, Beau. Voglio la mia rivincita sul destino. So che è sciocco, so che sfruttarti a questo modo è ingiusto... ma rivoglio il mio Beau, almeno per una notte!” si rianimò Rena, afferrandolo ai fianchi.

Lui le sorrise teneramente e, preso il suo viso tra le mani, la baciò con tenerezza sulle labbra.

“Puoi usarmi finché vuoi, tesoro, se sei convinta che questo possa metterti in pace con il tuo passato. Ma sei certa che, domani, non te ne pentirai?”

“Sicura al cento percento” assentì lei, sorridendogli.

“Portarmi a letto una donna, prima ancora di cominciare una relazione con lei, non è esattamente ortodosso ma, visto quello che ci è stato rubato in passato... penso di volere anch'io la mia rivincita” ammise lui, alzandosi in piedi per poi prenderla in braccio.

Lei ridacchiò, avvolgendogli il collo con le braccia e, nel vederlo dirigersi verso l’unica porta rimasta chiusa fino a quel momento, gli domandò: “Dove mi porti?”

“Non userò di certo il tavolo della cucina, per averti, e neppure il divano” le spiegò lui, lanciando un’occhiata al sofà che stava dinanzi alla televisione.

Rena fece per parlare ma, quando intravide nella stanza accanto un pianoforte verticale, scese dalle sue braccia e lo raggiunse in pochi, rapidi balzelli.

Divertito, Beau la seguì, e fu a quel punto che l’imbarazzo scese su di lui.

Gli occhi attenti di Serena, dopo aver sfiorato deliziati il bel pianoforte, girovagarono nel suo angolo dedicato alla composizione e, immediatamente, colsero un particolare non da poco.

Non l’enorme quantità di spartiti musicali, o di dischi in vinile raccolti in tante piccole rastrelliere.

No, un oggetto apparentemente insignificante, ma che per entrambi contava moltissimo.

La foto del diploma di Rena era dinanzi agli occhi della protagonista che, volgendosi a mezzo, sorrise a Beau, mormorando: “Non pensavo l'avessi.”

“Te l'ho detto. Eri la mia croce e delizia” ridacchiò lui, scrollando le spalle.

“Oh... è qui che componi?” gli domandò poi, osservando quel secondo divano, ricolmo di spartiti, e la matita ormai consunta che riposava su uno di essi.

“Già. Scusa il disordine” assentì Beau, ridacchiando. “Sempre certa di volerlo?”

“Più che certa, Beau” annuì la donna, volgendosi a mezzo per raggiungere il pianoforte e ticchettare i tasti con le dita.

Sorridendo, sussurrò: “Mi viene in mente quella scena con Julia Roberts che, in Pretty Woman, trova Richard Gere al pianoforte e lui la fa sedere per poi...”

Beau la avvolse da dietro, strappandole letteralmente il respiro e, nel deporle un bacio sull'incavo del collo, replicò roco: “Scordatelo. Non farò mai l'amore con te su questo pianoforte. E' scomodo, non è un piano a coda, perciò non ci sono superfici su cui stenderti e, cosa più orrenda di tutte, non userei mai Milady per una cosa simile.”

Ridacchiando, Rena si volse a mezzo nel suo abbraccio ed esalò: “Hai dato un nome al tuo pianoforte?”

“Anche la chitarra ha un nome” precisò lui, ammiccando. “Ma hai davvero voglia di parlare di questo, ora?”

“No.”

A Beau non servì sentire altro.

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


19.
 
 
 
 
La stanza di Beau rispecchiava la sua vita da scapolo incallito.

Non c’erano vasi di fiori, tende di pizzo o lavori all’uncinetto ad abbellire credenze e ripiani.

Ma era calda, accogliente e ordinata e Rena, nello scorgere le travi a vista, i colori tenui con cui l’aveva arredata, la cura con cui aveva disposto ogni pezzo, sorrise.

Poteva anche essere una stanza scevra di fotografie o orpelli, ma era bella. E, soprattutto, conteneva la cosa più importante di tutte.

Beau.

Lui la depositò sul letto con delicatezza, sistemò per bene il copriletto in fondo ai piedi e, lento ma deciso, la fece distendere sulle lenzuola, che ancora trattenevano il suo calore.

Il temporale crebbe di intensità, ma Rena non vi badò.

Le uniche cose che avvertiva erano le calde mani di Beau sul collo, i capelli, il viso.

La stava facendo andare a fuoco, e ancora non aveva scoperto un solo centimetro del suo corpo.

Si dimenò a disagio sotto di lui, ma Beau la tranquillizzò con un bacio, mormorandole: “Non avere fretta. Abbiamo parecchie ore dinanzi a noi, e un sacco di tempo da recuperare.”

Lei allora sorrise, e allungò le mani per sfiorargli il torace attraverso il cotone leggero della maglietta, che aderiva alla perfezione a quel corpo tonico e muscoloso.

Era sempre stato bello, fin da ragazzo, ma la maturità aveva dato nuovo lustro sia al viso, che a tutto il resto.

E tenere le mani lontane da quel ben di Dio era davvero difficile, ma Beau sembrava intenzionato a guidare i giochi, almeno per il momento.

Le scostò delicatamente le mani, baciando un dito alla volta, con lentezza esasperante e Rena, suo malgrado, ansimò.

Il sorriso di lui fu subitaneo, impertinente esattamente come lo ricordava da ragazzo. Pieno di sé e sicuro fino allo sfinimento.

Ma maledettamente sexy.

La tortura continuò, proseguendo sul collo, fino a raggiungere il contorno del viso e degli occhi.

Rena stava letteralmente andando a fuoco.

Inarcandosi verso di lui, ansimò nuovamente e Beau, desiderando ampliare il suo campo di gioco, slacciò l’accappatoio e le scoprì le spalle, dove depositò altri baci, inframmezzati a leggere carezze.

Il respiro di Serena si fece febbricitante, e mantenere il controllo sul proprio corpo divenne quasi impossibile.

Ma la tortura proseguì.

Un centimetro alla volta, Beau discese sulle clavicole, leccandole con la punta della lingua per poi soffiarvi sopra aria calda.

La reazione di lei fu elettrizzante.

Rena mugolò in preda al desiderio e, nuovamente, tentò di afferrarlo per attirarlo a sé, ma nuovamente lui si fece negare.

Con un risolino, Beau le liberò un seno e, ammaliato da quella perfezione color pesca, depose un bacio sul capezzolo prima di iniziare a stuzzicarlo.

Serena, a quel punto, perse del tutto la sua battaglia e… iniziò a fare le fusa. Letteralmente.

Più i baci di Beau si facevano profondi, al pari delle sue carezze, più lei perdeva il contatto con il mondo esterno, divenendo pura energia, energia catapultata a tutta velocità verso un’unica direzione.

Non seppe dire quando lui si liberò degli abiti – era troppo impegnata a non impazzire, per rendersi conto di cose simili – ma, all’improvviso, si ritrovarono pelle contro pelle.

E lei era letteralmente incendiata dal suo tocco divorante.

La sua erezione premette contro il fianco ma lui ancora non la penetrò, preferendo continuare l’esplorazione del suo corpo con le mani e la bocca.

A quel punto, però, Rena ripartì all’attacco e iniziò a conoscere quel corpo deplorevolmente attraente e forte, stavolta senza trovare freni al suo desiderio.

Tracciò con le unghie le sue scapole, il contorno dei suoi muscoli ben evidenti e graffiò coi denti la sua spalla, mentre Beau digrignava per trattenersi ancora, e ancora.

“Ti prego…” ansò ad un certo punto lei, non sapendo bene cosa desiderare.

Quella tortura era deliziosa, ma voleva di più.

Lui la accontentò.

Puntellandosi sui gomiti, le allargò le gambe e la penetrò con un’unica spinta, affondando pienamente in lei.

Entrambi sospirarono di stupore e soddisfazione, ma erano solo agli inizi.

C’era molto di più ad attenderli e, durante il corso della notte, lo sperimentarono direttamente sulla pelle.

Fu così che Rena scoprì le molteplici ferite, vecchie  e più recenti, che il corpo di Beau aveva collezionato.

Sull’ultima, quella che aveva portato con sé dal LAX, lei vi depositò un bacio, cui ne seguirono molti, molti altri.

Fu solo tempo dopo, quando il temporale aveva smesso di accanirsi sulla Città degli Angeli, che Rena crollò sfinita sul letto, il corpo madido di sudore ma maledettamente appagato.

Beau, al suo fianco, era prono e con le braccia e le gambe ben allargate sul letto, il petto che si alzava e abbassava ritmicamente quanto in fretta.

Sorridendo soddisfatta – l’idea di averlo sfiancato la divertiva – allungò una mano per sfiorare le sue natiche morbide e arrotondate e, sorridendo lasciva, mugolò: “Poseresti nudo per uno dei miei fotografi? Venderei copie a palate.”

Scoppiando in una grassa risata di gola, soffocata dalle lenzuola in cui era parzialmente immerso, Beau replicò serafico: “Se vuoi… ma non è che dopo ti incazzeresti a morte, sapendo altre donne impegnate a guardarmi lascivamente?”

Rena soppesò quella domanda, e ripensò alla reazione di sua cugina Cassie di fronte a Beau.

Avrebbe potuto decidere di ucciderla a mani nude, se l’avesse sorpresa a scrutare con sguardo meno che professionale il corpo tonico di Beau.

E, da lei, non poteva certo aspettarsi un simile contegno.

No, meglio evitare di commettere un omicidio.

Ben decisa, allora, la donna replicò: “No, meglio di no. Non voglio più. Dimentica l’offerta.”

“L’avevo sospettato” ridacchiò lui, sollevandosi in ginocchio. “Ho bisogno di una doccia. Sono a pezzi.”

“Se mi ci porti, ti lavo la schiena” gli propose lei, ammiccante.

“So che me ne pentirò, ma mi va l’idea di dividere la doccia con te. L’ho fatta fare ampia appositamente per eventualità come queste” ghignò lui, levandosi da letto prima di venire colpito da una cuscinata.

“E quante donne ci hai portato?!” sbottò Serena, seguendolo a ruota e dimenticandosi completamente della sua precedente richiesta.

“Non te lo dirò mai, così come io non ti chiederò mai con quanti uomini hai fatto sesso prima di me” precisò lui, stampandole un bacio sulla spalla nell’aprire la porta del bagno che dava sulla camera da letto.

“Antipatico. Era solo per curiosità” brontolò lei, apprezzando fin troppo la vista di Beau mentre si piegava per aprire uno stipetto, ed estrarne due asciugamani ampi e profumati.

Doveva smetterla di guardarlo come un’assatanata.

Già, bel proposito. Se le avessero spiegato come, sarebbe stata ben felice di metterlo in pratica.

Peccato non ci fosse nessun Grillo Parlante, nei paraggi.

Lui la fissò scettico da sopra una spalla e, dopo aver aperto l’acqua nella doccia, replicò: “Voi donne siete tutte uguali. Entrate in competizione per le cose più assurde, perciò non ti dirò mai né il numero, né tanto meno i nomi.”

“Mi basta che tu non sia mai andato a letto con Yvette” si lasciò sfuggire lei, tappandosi la bocca un attimo dopo averlo detto.

Pentita, reclinò il viso.

Era proprio l’ultima persona a cui avrebbe voluto pensare in quel momento, specie dopo le ore bellissime passate con Beau, ma era stato più forte di lei.

Forse, la sua memoria l’avrebbe angustiata per tutta la vita, anche se sperava ardentemente di no.

Beau allora le risollevò il viso, premendo un dito sotto il suo mento e, comprensivo, le baciò il naso.

“Tesoro, vuoi proprio pensare a lei in un momento del genere?”

“Scusa” mormorò allora Rena, accennando un sorriso.

Lui la attirò a sé, assaporando la carezza dei piccoli seni di lei contro il torace e, baciandole i capelli, asserì: “Non sono mai andato a letto con lei, tranquilla. Né l’avrei mai fatto. Non è mai stata il mio tipo, in effetti. E, per tranquillizzarti una volta per tutte, a parte mia madre, nessuna donna è mai stata qui dentro, perciò sarai la prima a usufruire della mia doccia. Del letto hai già usufruito, quindi quello non conta più.”

Rena sorrise soddisfatta e, annuendo al suo uomo, lo attirò a sé per un bacio.

“Ho avuto solo due uomini, e uno non è durato neppure abbastanza per andarci a letto assieme. Perciò…”

“Spero che la tua prima volta, per lo meno, sia stata epica” ironizzò allora lui, trascinandola sotto il getto della doccia calda.

Lei apprezzò quella carezza dolce sui muscoli indolenziti e, annuendo, disse: “Steve è stato un bravo amante e un bravo amico, ma ci siamo accorti fin troppo presto che non potevamo essere più di questo. Amici, per l’appunto. Ora, che io sappia, lavora in un ufficio a Hong Kong, per un qualche genere di società di intermediazione bancaria… ed è sposato e con un bambino in arrivo.”

“Buon per lui che è lontano” ghignò Beau, afferrando la spugna ed il sapone liquido. “Ebbene? Chi comincia per primo?”

“Io” dichiarò Rena, sorridendo maliziosa.

Uscirono dalla doccia molto tempo dopo.

 
§§§
 
Quando la sveglia trillò, Beau balzò a sedere nel letto quasi gli avessero fatto esplodere un petardo in testa.

Tutto il mondo girava, era stanco morto e non aveva le idee molto chiare.

Quando però intravide un corpo meravigliosamente femminile al suo fianco, i ricordi della notte appena trascorsa riapparvero in tutto il loro splendore.

Un lento sorriso si fece strada sul suo viso un po’ sbattuto e, nell’accarezzare quella marea morbida e color cioccolato che erano i capelli di Rena, rammentò con piacere i momenti passati assieme.

Come aveva sempre sospettato, Serena era una donna focosa, piena di grazia di fascino ma, soprattutto, instancabile.

Si era un po’ sorpreso nello scoprire quanto fosse aperta e disinibita, ma questo lo aveva solo reso più audace.

Ed ora ne pagava lo scotto.

Era certo di avere un bel po’ di graffi sulla schiena, e il bruciore sordo che avvertiva ne era un indicatore chiave, ma poco gli importava.

Si era goduto ogni più piccola ferita, e le portava con orgoglio.

Con un mugolio e un lento contorcersi, pari a quello di un gattino al risveglio, Rena si dimenò e si stiracchiò, sollevando i pugni per poi passarseli sul viso come avrebbe fatto un bambino.

Quella visione lo intenerì moltissimo.

“Buongiorno” mormorò lui, chinandosi a baciarla sul naso.

Lei spalancò i suoi occhi smeraldini, vagamente frastornata ma, quando si vide nuda nel suo letto, coperta solo in minima parte dalle lenzuola accartocciate, la sua confusione mutò in piacere e Rena sorrise.

“Ciao” sussurrò lei, allungando le braccia per avvolgergli il collo.

Caricandolo del suo dolce peso, Rena lo fece sdraiare sotto di sé e, nel baciargli il mento, aggiunse: “Sono stata benissimo, sai?”

“Ne sono lieto” assentì lui, muovendo le mani sul suo corpo minuto e perfetto di dea.

Lei allora ridacchiò e, nel sistemarsi meglio sopra il suo torace, mormorò: “A quanto pare, stai benissimo anche tu. O mi sbaglio?”

“Non ti sbagli” ghignò l’uomo, muovendosi con lentezza esasperante per poi penetrare in lei con una lenta spinta.

Rena mugolò piacevolmente e, nel fare l’amore con lui alla luce del giorno, non poté che gioirne.

Quella notte era stata splendida, sotto ogni punto di vista, ma fare l’amore con lui a mente fredda, passata la rabbia che l’aveva spinta fuori di casa, era ancora più bello.

Lo fecero lentamente, lasciandosi cullare dal lento risvegliarsi del mondo intorno a loro e, quando raggiunsero il culmine, si lasciarono andare ad un sospiro di pura estasi.

Crollando nuovamente sopra di lui, Rena sussurrò: “Dio, possiamo farlo tutti i giorni, da qui alla fine del mondo?”

“Come vuoi. Mi rendo disponibile” ridacchiò Beau, scostandosi da lei per poi deporle un bacio sul naso. “Aspettami qui.”

“Ora come ora, non avrei la forza per andare neppure in bagno” precisò la donna, sorridendo sorniona nell’appropriarsi di tutto il letto.

Beau la guardò, disinibita e sexy tra le sue lenzuola sfatte, nuda e interamente asservita al suo sguardo e, con un sorriso, le disse: “Ti farò mia prigioniera. Sarai la mia schiava del sesso, e nessuno ti vedrà mai più.”

“Okay” assentì lei, scoppiando a ridere.

Beau rise con Rena e, nell’uscire dalla camera da letto, le strizzò un occhio prima di dirigersi verso la cucina per raffazzonare l’equivalente di una colazione decente.

Se avesse saputo che sarebbe piombata a casa sua, quella notte, avrebbe anche preso qualcosa in pasticceria, ma ormai era andata.

Doveva accontentarsi di quel che c’era e, di sicuro, non si sarebbe vestito per scendere dabbasso a cercare qualcosa di aperto.

Voleva Rena nel suo letto finché avesse potuto.

Dopo aver preparato una caraffa di caffè, mise a scaldare alcuni waffle, a cui aggiunse marmellata di ribes, miele e sciroppo d’acero, dopodiché sistemò tutto su un vassoio e tornò in camera.

Lì, Serena si levò a sedere e lo guardò stralunata per alcuni attimi prima di esalare: “Oh, ma… ti avrei dato una mano!”

“Volevo portarti la colazione a letto, tutto qua” precisò lui, dandole un bacio per poi consegnarle il vassoio e rinfilarsi sotto le lenzuola con lei.

“Grazie” mormorò commossa la donna, osservando il tutto per poi sorridergli grata.

“Spero ti piacciano i waffle. Non ho altro in casa, al momento” si premurò di dire Beau, tagliandogliene un pezzo con forchetta e coltello.

“Hai fatto anche troppo” mormorò lei, lasciandosi imboccare.

Non appena la dolcezza dei waffle e della marmellata le inondò la bocca, Rena si lasciò sfuggire una lacrima e Beau, preoccupandosi immediatamente, esalò: “Renny, che succede?”

“Niente. Sono solo felice” lo rassicurò lei, tergendosi in fretta la lacrima. “E’ buono.”

Beau non si convinse del tutto ma non le domandò più nulla e, con calma, la imboccò e si lasciò imboccare, condividendo con lei quei teneri momenti di pace.

Fin troppo presto, però, dovettero abbandonare quella dolce alcova e Rena, nell’indossare i suoi abiti spiegazzati ma asciutti, sospirò e disse: “Dovrò tornare a casa a cambiarmi, prima di andare in ufficio. Sono inguardabile.”

“Io dissentirei, ma non vorrei prendermi una borsettata in testa” ridacchiò l’uomo nel darle un bacio sulla guancia.

“Mai sindacare su ciò che dice una donna, circa il suo abbigliamento. E’ rischioso” assentì con convinzione Rena, avvolgendogli la vita per poi appoggiare il capo contro il suo torace. “Ah, Beau… sono stata benissimo!”

“Anch’io… questo è poco ma sicuro” dichiarò lui, replicando all’abbraccio.

“Mi piacerebbe venire con te da Sy, ma oggi davvero non posso” si lagnò a quel punto lei, scostandosi a malincuore dall’amante.

“Preferirei non venissi, in effetti. Vorrei fosse una sorpresa” ci tenne a dire lui, vagamente imbarazzato.

“Oh… e perché?” si informò allora Serena, più che mai curiosa.

Serio in viso, Beau le prese il viso tra le mani e, nel deporle un bacio sulla fronte, asserì: “La commedia è dedicata a te. Per questo, vorrei fosse una sorpresa.”

Sgranando lentamente gli occhi, un copioso rossore a imporporarle le gote, Rena esalò sconvolta: “Mi hai dedicato… una commedia?”

“Sei stata tu la mia musa ispiratrice, per essere precisi” le sorrise lui.

Ora sembrava il ragazzino premuroso e amorevole che l’aveva rincuorata a scuola, il giorno in cui aveva pianto a causa di un dissapore con Yvette.

Tutto dolcezza e buone maniere.

Mordendosi il labbro inferiore, non sapendo bene come comportarsi, la donna gli gettò le braccia al collo e, commossa, esclamò: “E’ il gesto più bello che tu potessi fare!”

“Sono lieto che l’idea ti piaccia. Il più è vedere se verrà bene” ridacchiò lui, piegandosi in avanti per permetterle di poggiare i piedi in terra.

“Sarà comunque bella, perché l’hai scritta tu” lo rassicurò Rena, stampandogli un bacio sulla bocca prima di scostarsi.

Apparentemente sicura di sé, lei lo ringraziò per la bellissima notte trascorsa assieme e, con la promessa di rivedersi al suo loft quella sera stessa, Serena se ne andò per raggiungere la sua auto.

Una volta entrata nella Viper, però, esplose a piangere sommessamente, non riuscendo più a contenere le emozioni provate alla notizia che, prima ancora di rincontrarsi, Beau aveva pensato a lei.

E pensato a lei così intensamente da scrivere un’opera intera dedicata al suo ricordo.

Quale altra donna avrebbe potuto vantare un simile onore?

Ben poche, credeva.

 
§§§
 
“Cosa… avresti fatto, scusa?” gracchiò incredulo Nick, strabuzzando gli occhi.

Intento a scartabellare una marea di scartoffie, consegnategli dal suo segretario personale temporaneo – Hannah lo aveva scelto personalmente – Nickolas si era bloccato di colpo non appena Rena aveva aperto bocca.

Ridacchiando all’altro capo del telefono, le caviglie poggiate sul bordo della scrivania, mentre piedi dondolavano allegramente all’esterno, lei aggiunse: “Non fare il puritano! Sei proprio l’ultima persona che può parlare così!”

“Rena, ascolta, il fatto che io abbia collezionato molte donne, nella mia vita da scapolo, non vuol dire che il mio sia un esempio da seguire” precisò l’amico, tossicchiando imbarazzato.

“E infatti io non mi sono fatta tutta la caserma di pompieri dove lavora Beau. Mi sono fatta solo Beau” sottolineò Rena, sempre più divertita dall’imbarazzo dell’amico di vecchia data.

Era divertente, per una volta, essere quella ad avere una notizia succosa da raccontare.

“Dio, ti prego! Usa un’altra terminologia, oppure gli spaccherò la faccia al nostro prossimo incontro” esalò sconvolto Nick, massaggiandosi nervosamente una guancia.

Un tic nervoso gli era comparso all’improvviso, facendola vibrare.

Non aveva nessun diritto di pensare cose del genere, ma… diamine, Rena era sempre stata la sua sorellina!

Sapeva che aveva avuto le sue storie, le sue esperienze, ma preferiva non pensarci.

E quella era in assoluto la prima volta che Rena si prendeva la briga di raccontargli le sue scappatelle sentimentali, e lui non sapeva davvero come sentirsi.

Il solo provare a figurarsi l’immagine nella testa, gli fece sorgere un principio di emicrania.

“Tu non farai niente di tutto questo, Nickolas Van Berger. Beau è il mio uomo, e la sua faccia mi piace per come è. Non voglio che gli cambi i connotati, e solo perché io ti ho detto che ci sono andata e letto assieme” sbottò subito lei, accigliandosi.

“Rena, ascolta… ma perché cavolo me l’hai detto?”

“Beh… perché se lo dicessi a mio padre, lui cambierebbe i connotati a Beau per il solo fatto di avermi toccata, ma se lo dico a te, ho la segreta speranza che tu sarai un tantino più maturo di così, e capirai la situazione” ironizzò Serena, divertendosi un mondo.

“Potevi parlarne con Hannah, così avreste spettegolato su quanto ce l’ha… no, aspetta, che sto facendo? Io non devo parlare di cose simili! Che mi stai facendo dire, Rena?!” ringhiò disperato Nickolas, facendola scoppiare a ridere.

“Non ho indagato così attentamente, Nick, quindi non ti so dire se è sopra o sotto la media, …ma a me è piaciuto” mormorò lei, maliziosa.

“Okay, basta. Lo so che me la stai facendo pagare per tutti gli anni in cui ho saltato la cavallina, ma abbi pietà di me. Per noi uomini non è così facile parlare di sesso con le amiche!”

“Lo so… per voi è solo facile farlo” sottolineò lei, immaginandosi l’amico diventare paonazzo in viso.

“Ora chiuderò la chiamata e tu telefonerai a Hannah, se vuoi sparlare di questa cosa. Considerami esonerato da questo compito” sentenziò lapidario Nick.

Un attimo dopo, però, le domandò: “E’ stato gentile con te?”

Sorridendo calorosamente di fronte a tanta preoccupazione manifesta, Rena mormorò: “Nick, non temere. Non potrebbe esistere persona più premurosa di Beau, a parte te. E lui è stato gentilissimo… oltre che bravissimo.”

“Stai tornando su argomenti pericolosi. Chiama Hannah” la liquidò lui, ma non prima di averle lanciato un bacio.

Rena sorrise e, come consigliatole, chiamò Hannah. E sparlò, sparlò alla grande.

 
§§§
 
Non sapeva esattamente cosa aspettarsi, dopo quella mattinata passata a parlare con il direttore d’orchestra e alcuni dei ballerini, scelti per impersonare i personaggi principali della sua commedia.

François gli era parso un’ottima persona, oltre che un genio della musica, e lui gli era parso particolarmente entusiasta di mettere in scena quella storia così brillante e innovativa.

Si era dichiarato stanco di interpretare soltanto vecchie arie tragiche, e il pensiero di portare in vita quella nuova opera, lo elettrizzava.

Beau sperava soltanto che le sue non fossero solo parole a vuoto, e che lo pensasse realmente.

Desiderava più di se stesso che la sua creazione vedesse la luce nel migliore dei modi ma, soprattutto, voleva che i sentimenti che aveva ricamato all’interno dell’opera scaturissero con forza.

Non voleva che venissero edulcorati, ma che esplodessero sul palco come supernove.

Dopo aver passato parte del primo pomeriggio a teatro, poté però uscirne soddisfatto.

Quanto aveva visto lo soddisfaceva pienamente, ed era sicuro che le prossime prove sarebbero andate anche meglio.

C’erano alcuni punti da chiarire, qualcosa da scremare su più atti, ma lui e François se la intendevano alla grande.

Sarebbe andato tutto bene.

Quando si infilò nella sua caserma, con ancora in mente le ultime parole scambiate con Sy, quasi morì di spavento quando si ritrovò davanti il suo capo, tutto ghignante e divertito.

Portandosi una mano al cuore per essere certo non stesse uscendo dal petto, Beau lo fissò malamente per poi dirgli aspro: “Ehi! Ma che ti è venuto in mente? Fai gli agguati alle spalle?”

“Com’è andata la serata?” ghignò l’altro, per nulla preoccupato dal rimbrotto appena ricevuto.

“Perché?” gracchiò lui, sconcertato.

“Forse perché è la prima volta che mi capita che una donna mi tenga al telefono, quarantacinque minuti, con il solo intento di avere il tuo indirizzo?” ironizzò il capo, scrollando le spalle.

“Rena… ha parlato con te?” esalò Beau, sempre più sconvolto.

Okay, era fritto. Non gliel’avrebbero mai fatta passare liscia.

“Eh, già” assentì il collega e superiore, tutto ghignante.

Sospirando esasperato, già pronto a subire un terzo grado, Beau si sorprese non poco quando udì la voce del suo capo mutare radicalmente.

Serio in volto, l’uomo si limitò a dire: “Non gliel’avrei mai dato, se lei non mi avesse detto che è la figlia di Grace Brown. Mi ha persino dato il suo numero di previdenza sociale, perché controllassi che diceva sul serio.”

“E’ matta” sorrise suo malgrado Beau, passandosi una mano tra i capelli.

“E’ una tipetta in gamba, più che altro. E insistente all’inverosimile” ridacchiò l’altro, strizzandogli l’occhio. “I tuoi colleghi non sanno nulla, così ho evitato che potessero nascere inutili battute di spirito, ma sappi una cosa. Non ti farò mai più da sensale, è chiaro?”

“Chiarissimo, capo” assentì lui, sorridendo.

Il suo superiore allora gli diede una pacca sulla spalla e, divertito, lo spinse verso il retro – dove si trovavano i mezzi – e disse: “Vai, presto. Ci sono un paio di autopompe da lavare.”

“E’ stata una nottata memorabile” gli disse allora Beau, sgusciando nel retro.

“Lo spero per te, ragazzo. Lo spero per te” commentò tra sé Ron, andandosene nel suo ufficio.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


20.
 
 
 
 
Concentrarsi a sufficienza per seguire le audizioni dei ballerini fu davvero dura, specialmente in considerazione del fatto che aveva appena toccato il cielo con un dito.

Rena era stata da lui tutta la notte, aveva desiderato fare l'amore con lui con la stessa intensità con cui Beau stesso l'aveva voluta tutta per sé, ed ora fantasticava ad occhi aperti sulla sua donna.

E questo si ripeteva da ormai una settimana.

Sy cercò di fare finta di nulla, sorridendo sorniona ogni qualvolta lo vide un po' stralunato ma, durante la pausa pranzo, non resistette.

Seduta a gambe intrecciate in un angolo del palco, un panino in una mano e una bottiglia d'acqua appoggiata accanto a lei, ghignò all'indirizzo di Beau – che l'aveva imitata – e celiò: “Qualcuno, stanotte, ha fatto baldoria. Hai gli occhi che brillano come fari antinebbia.”

Ridendo sommessamente nell'annuire, lui ammise: “Ho passato una bella nottata, in effetti.”

“E posso dedurre che sia una fatina mora di nome Serena, a farti galleggiare a mezzo metro da terra?” ironizzò ancora la donna, sorseggiando un po' d'acqua.

“Voi donne parlate troppo, per i miei gusti... ma sì, è lei” assentì lui, scrollando le spalle.

“Oh, non devi farci caso, Beau” scosse una mano Sy, indifferente. “Noi donne siamo fatte per sparlare un sacco. Non ci avrebbero dotate di così tanti neuroni in più rispetto a voi, altrimenti.”

Lui la fissò scettico, ma non replicò.

Incontenibile, Sylvia aggiunse divertita: “Da come parla di te, verrebbe quasi voglia di fare un giro in giostra, ma io non sono come Berry. Lei che potrebbe sedare il marito per mezza giornata, e chiedere a te un giretto di prova!”

Vagamente sconcertato – aveva sentito parlare di Berenike, l'investigatrice amica di Hannah e socie –  Beau fissò Sy come sperando che si rimangiasse le parole, ma lei non lo fece.

Evidentemente, quel particolare su di lei doveva essergli sfuggito.

Andava anche detto che, mentre Serena era impegnata a parlargli delle sue nuove amiche, lui era dedito a tutt'altra attività... su di lei.

Notando la seria confusione comparsa sul viso dell'amico, Sy sorrise comprensiva e ammise: “In realtà, non lo farebbe neppure lei. Ama troppo suo marito e suo figlio, ma sicuramente ti scioccherebbe a morte, proponendotelo in modi molto più diretti e sexy, rispetto a quello che ho detto io. Non ha molti peli sulla lingua, la nostra amica spia.”

“Mi ritengo avvisato... e all'occorrenza mi nasconderò dietro Renny, non si sa mai” asserì Beau, annuendo con fervore.

Vagamente incuriosita, la donna diede un morso al suo panino e, dopo averlo ingollato con soddisfazione, domandò a Beau: “Com'è che la chiami Renny?”

“Semplice. Rena è un nomignolo che ha inventato Nick. Io ho creato il mio per lei, tutto qui” scrollò le spalle lui, pacato.

“Oooh... geloso fino a questo punto?” ironizzò Sy, sorridendo maliziosa.

“E' storia vecchia” minimizzò l'uomo, ghignando.

“Sarà anche storia vecchia, ma mi incuriosisce. Anche perché, immagino che la tua Amy, altro non sia che Rena, vero?” ipotizzò la donna, indicando una delle ballerine più giovani che, in quel momento di pausa, si stava allungando sul pavimento di legno.

La giovane bruna gli ricordava molto Serena da ragazza e, per un attimo, le due immagini di presente e passato si confusero dinanzi ai suoi occhi.

Anche Rena aveva seguito dei corsi di danza e, pur non avendola mai vista su un palco, ne aveva sempre intuito la leggiadria e l'eleganza dal suo incedere unico, rispetto alle altre ragazze.

Vedere quella ballerina muoversi sul palco per riscaldarsi i muscoli, gli fece uno strano effetto.

“Voi donne siete troppo intuitive” mormorò Beau, levandosi in piedi senza dire altro.

In pochi passi, raggiunse la ballerina che interpretava Amy, la protagonista del suo musical.

Sy sorrise sorniona nel vederli parlare a, annuendo tra sé, si disse che quella commedia sarebbe andata alla grande.

Megan Grant, l'interprete di Amy, ascoltò con molto interesse ciò che Beau le disse e, quando ripresero le prove assieme ai ballerini da scritturare per le danze collettive, il risultato fu eccellente.

Ora, dinanzi a lui, iniziava a scorgere il suo amore adolescenziale, la sua Renny.

 
§§§

Mangiucchiando un salatino in attesa che portassero il pranzo al loro tavolo, Rena osservò con interesse misto a curiosità la figura perfettamente abbigliata del padre.

Quel giorno, indossava un gessato chiaro su camicia scura, che richiamava ad arte i suoi occhi blu oceano.

Il suo invito a pranzo l'aveva un po' sorpresa – sapeva quanto fosse difficile, per lui, uscire dall'ufficio durante la settimana – ma aveva accettato di buon grado di vederlo.

Le era sempre piaciuto stare in sua compagnia. O meglio, quasi sempre.

Con un sorriso birichino, ripensò al primo anno di liceo e al muro contro muro che aveva messo in pista con lui, e solo per mero puntiglio.

Alla fine, quell'esperienza formativa le era servita per diventare più forte... e per conoscere Beau.

Pur se si erano separati in modo così brusco, lui le era entrato nel cuore in modo definitivo, e il loro incontro di poche settimane prima non aveva che riportato a galla quei sentimenti, ora amplificati a dismisura.

Quando l'insalata mista giunse per entrambi, Bart si tolse l'auricolare dall'orecchio e, cosa molto insolita per lui, spense il cellulare.

Vagamente sorpresa, Rena se ne chiese i motivi.

Non era strano, per lei, dover continuamente interrompersi per lasciargli il tempo di rispondere a qualche telefona, perciò... perché quel giorno era diverso dagli altri? Cosa stava succedendo?

“Molto bene...eccoci qui” le sorrise lui, afferrando la forchetta. “Allora, il lavoro come procede? So che Katia è un'ottima assistente.”

“Ebbene sì, anche se lo zio non è ancora convinto che io abbia scelto degnamente la sostituta di sua figlia. Crede che Katia non reggerà, facendomi così capire di aver sbagliato” asserì lei, inforchettando un pezzo di formaggio.

Bart ridacchiò e ammise: “Edward non è mai stato una persona elastica. Non capisco come possa essere il fratello di tua madre. Sono così diversi!”

“Come il giorno e la notte... e sono felice che la mamma sia il giorno” assentì la figlia, sorridendo. “Non avrei mai sopportato una mamma pedante e noiosa... un Edward al femminile sarebbe stato orribile!”

“E io non l'avrei sposato, cara, tranquillizzati” le fece notare il padre, ammiccando comicamente.

“Oh, giusto. So che hai buon gusto, in fatto di donne” annuì Rena, sorridendogli.

“Ovvio. Ho una moglie splendida e una figlia meravigliosa. Da questo si capiscono un sacco di cose” assentì l'uomo, compiaciuto di se stesso.

“Ora stai gongolando in maniera esagerata, papà” notò lei, ridacchiando.

“Me lo posso permettere. Tutti ti guardano con desiderio, e poi guardano me in preda a una gelosia nera. Chissà cosa pensano!” ridacchiò Bart, strizzandole l'occhio.

“Pensano che Bart Ingleton sta pranzando con sua figlia. Non credo che, qui dentro, ci sia qualcuno che non ci conosce” replicò serafica la figlia, pur sorridendo all'idea che suo padre avesse notato le occhiate di alcuni uomini presenti in sala.

Lei aveva preferito non degnare nessuno di loro di mezza occhiata, giusto per non illudere la platea maschile, ma evidentemente la cosa non era sfuggita al padre.

“Alcuni di loro sono rampolli dell'alta società … ancora scapoli” sottolineò lui, divertito.

“Oh, ti prego! Non inizierai a dirmi che devo trovarmi un marito per portare avanti il nome degli Ingleton, spero?!” esalò lei, sgranando gli occhi. Era sbalordita.

“Per la verità, speravo che tu mi presentassi ufficialmente l'uomo con cui ti vedi ora” precisò a quel punto Bart, scoccandole un’occhiata curiosa e divertita al tempo stesso.

Serena rimase di sasso.

“Ah. Mamma ha spifferato tutto, vero?” brontolò a quel punto, accigliandosi.

E lei che sperava di evitare tutta la trafila del 'papà, ti presento il mio ragazzo'.

“Pensi davvero che riuscirebbe a tenere segreta una cosa simile? Stiamo parlando di Grace che, come avvocato è uno squalo, ma come mamma è uguale a tutte le altre” le fece notare il padre, sorridendo con affetto nel pensare alla moglie. “Era eccitata all'idea che tu ti vedessi con un uomo, visto che l'evento è quasi biblico, e così non è riuscita a non dirmelo.”

“Ora esageri” replicò piccata Rena, pur sapendo che era verissimo.

Lei e gli uomini avevano sempre avuto dei rapporti molto difficili.

Ma che ci poteva fare se, inconsciamente, il suo cuore aveva atteso il ritorno di Beau nella sua vita, e si era pure dimenticato di dirglielo, così da tranquillizzarla?

Ad un certo punto, aveva anche pensato di non essere interessata agli uomini, ma aveva scoperto fin troppo presto di non propendere neppure per il genere femminile.

No, testa e cuore si erano coalizzati contro di lei per impedirle di impegnarsi con qualcuno, e tutto perché volevano solo una persona; Beau.

“Ammettiamolo, Rena... l'uomo a cui sei sempre stata più legata era Nick e, ad un certo punto, tutti noi avevamo pensato che vi sareste messi insieme, ma questo non è successo. E gli unici due uomini che io ho conosciuto, non erano proprio alla tua altezza” ribatté puntiglioso il padre, pur sorridendo gentilmente al suo indirizzo.

Sbuffando, Rena iniziò a giocherellare con l'insalata mista e, contrariata, mugugnò: “Non so cosa farci se mi sono arenata alla mia prima cotta adolescenziale.”

“Evidentemente, era più di una cotta se, appena vi siete incontrati in età adulta, non hai più pensato che a lui” asserì Bart, scrollando leggermente le spalle.

“Dovrò dire alla mamma di murarsi la bocca” borbottò la figlia, avvampando in viso.

“Rena, tesoro, io voglio solo che tu sia felice e mi sembra che, da quando tu e Beau vi siete rivisti, le cose vanno alla grande, per te” le disse a quel punto il padre, conciliante.

Lei annuì, preferendo non esprimere a parole ciò che sentiva. In effetti, le parole del padre erano veritiere.

Nulla le sembrava più bello di quelle ultime settimane. Ormai, era passato un mese da quando lei e Beau si erano ritrovati, eppure le pareva una vita intera.

Erano già cinque notti che si fermava da lui, e ogni volta era una scoperta nuova, uno scivolare in un abisso di delizie e piaceri.

Beau era premuroso con lei, generoso fin quasi all'inverosimile, e le sue mani sapevano operare magie sul suo corpo, incendiandola fino all'ultimo centimetro di pelle.

Il solo pensarci la portò ad arrossire e il padre, avvedendosene, esalò: “Ah, deduco che tu abbia toccato argomenti mentali piuttosto imbarazzanti, visto quanto sei arrossita. Preferisco non conoscerli, grazie.”

“Papà!” gracchiò lei, passandosi le mani sul viso, ormai paonazza.

Ridendo sommessamente, Bart continuò a mangiare tranquillamente e, dopo alcuni attimi, le disse per contro: “Pensi che non sappia cosa combinate? Preferisco non rimuginare su cose simili. Sai, sei mia figlia dopotutto. Ma il fatto che tu arrossisca di piacere è un buon segno, e mi porta a pensare che Beau sia gentile con te... in tutto.”

“Okay, ora penso che me ne andrò” ridacchiò lei, inforchettando una dose generosa di insalata, che masticò nervosamente.

Bart preferì non dire nulla in merito e, per qualche minuto, rimasero in perfetto silenzio.

Fu Rena a spezzarlo, mormorando: “E' l'uomo migliore che mi potesse capitare. Certo, siamo ancora all'inizio e tutto il resto ma... so che non cambierò idea, su di lui.”

“Lo ami?”

“Mi crederesti se ti dico che non ho mai smesso di amarlo da quando ero ragazzina, nonostante tutto quello che è successo?” ironizzò tristemente lei, sbuffando.

“Io mi ricordo di un ragazzo distrutto dal dolore per ciò che ti aveva fatto, ben deciso a mantenere il segreto su tutto – sacrificando così anche la vostra amicizia – solo per proteggere te. Non faticai molto a capire che ti amava, pur se in quel momento ero più che altro preoccupato per te” le raccontò lui, sorridendole. “Vi siete trovati nel momento sbagliato, ma ciò che avete costruito in quei pochi mesi era così importante che ha resistito al tempo che passava, diventando solo più forte. Il fatto che, rincontrandovi, nulla sia cambiato se non in meglio, dimostra la fondatezza dei vostri sentimenti.”

“Già” assentì Rena, sorridendo.

“Grace mi ha detto che è un pompiere. Un mestiere piuttosto pericoloso. Tu come ti senti all'idea che rischi la vita ogni volta che esce dalla caserma?” le domandò a quel punto Bart, curioso.

Ridacchiando imbarazzata, Rena ammise: “Quando ci siamo rivisti, il giorno in cui ho ritirato la Viper, abbiamo parlato per un po' ma, all'improvviso, una chiamata lo ha portato a finire nel bel mezzo dell'incendio che c'è stato nei pressi del LAX.”

“Oh... è stato un bel caos, lo ricordo” assentì l'uomo, serio in viso.

“Sono stata in ansia per tutto il tempo. Pensavo di morire, per la verità, e solo quando mi ha chiamata per rassicurarmi, ho tirato un sospiro di sollievo” gli spiegò lei, sorridendo. “In seguito, ho scoperto che si era ferito ad un braccio e che, per non spaventarmi, non me l'aveva detto. Perciò sì, sono in ansia tutte le volte che lo so in giro su quell'autopompa, ma è il suo lavoro e lo svolge bene. Non lo obbligherei mai a lasciarlo.”

“E' giusto. Non bisogna mai imporsi, su cose come queste. Devi confidare in lui e nelle sue capacità” assentì orgoglioso Bart, dandole una stretta affettuosa alla mano.

“Sta anche mettendo in scena una sua opera, sai?” si sentì in dovere di dire Rena, pur sapendone molto poco.

Più che sorpreso, Bart esalò: “Un'opera? E' uno scrittore?”

“Un compositore di musica e uno scrittore” specificò Rena, sentendosi spudoratamente orgogliosa del suo uomo.

La sola idea la eccitò. Il suo uomo.

Ancora trovava strana tutta quella situazione.

Si era così concentrata sulla storia di Nick, sul suo innamorarsi progressivo di Hannah, sul loro matrimonio e la gravidanza, che quasi non si era resa conto del tempo che passava.

L'aver incontrato Beau l'aveva riportata con i piedi per terra, ed ora desiderava solo vivere il suo momento, il suo amore per lui.

“Sarà interessante vedere qualche suo lavoro, allora. Sai di cosa tratta?” si interessò Bart.

“Ha detto che voleva fosse una sorpresa e, di per sé, la cosa mi intriga molto. Lavora per la compagnia di Sylvia” gli spiegò lei, sorridendo tronfia.

“Il che depone a suo favore. La Dream Music è un'ottima azienda” assentì compiaciuto l'uomo. “La faccenda rimane, però. Vorrei lo invitassi a cena da noi, una di queste sere. Mi piacerebbe parlare un po' con lui.”

“Non è un po' prematuro?” bofonchiò Rena, accigliandosi.

“Non voglio chiedergli se intende chiedere la tua mano, cara. Voglio parlare con una persona che non vedo da vent'anni” precisò il padre, scoppiando a ridere sommessamente. “Ne ho avuto a sufficienza dei miei genitori, per poter anche solo pensare di far pesare a te la stessa solfa che ho passato io, o che ha passato tuo zio Andrew.”

“Dov'è ora, per la cronaca?” si informò divertita Rena, pensando al suo zio viaggiatore.

“Credo sia in Cina, per un servizio fotografico sulle risaie. Non chiedermi il posto, perché è quasi impronunciabile” le disse il padre, sorridendo divertito.

“Ricordo ancora che, al suo primo viaggio, nonna diede così in escandescenze che i suoi urli oltrepassarono l'oceano per arrivare fino a casa nostra” ironizzò Rena, sorseggiando del buon vino bianco, profumato e fresco.

“Li hai sentiti perché eravamo in videoconferenza con lei” sottolineò Bart, serafico.

“Oh... già. Videochiamata orribile, quella” assentì pacata Rena, scoppiando a ridere con il padre un attimo dopo.

 
§§§
 
Le dita scivolavano precise sulle corde di metallo, facendo scaturire dalla cassa di risonanza della chitarra le arie di un'opera di Mozart.

Rena non riusciva a ricordare quale, tanto era concentrata sull'osservare Beau suonare.

Sdraiata prona sul suo divano mentre lui era seduto a terra, appoggiato contro il mobile del grammofono, i due si stavano godendo un dopocena rilassato e pacifico.

La giornata era stata pesante per entrambi; terminarla con cucina cinese e un po' di musica, era parsa la scelta ideale.

Beau passò a Johnny Cash e Serena, sorridendogli, si girò su un fianco e mormorò: “Vuoi addolcire l'atmosfera?”

“Ci provo” sorrise lui, concentrato sui movimenti delle mani sulla chitarra.

“Mio padre vorrebbe che ti invitassi a cena alla villa” buttò lì la donna, chiedendosi come avrebbe reagito a quella domanda improvvisa.

L'uomo perse immediatamente una nota e, nel poggiare il palmo sulle corde per azzittirne il suono, levò il capo e la scrutò dubbioso. No, terrorizzato.

Scoppiando subito a ridere per la sua ovvia reazione, Rena si mise a sedere con un agile movimento di gambe e braccia e, messasi comoda, aggiunse: “Sarà una cena informale, non preoccuparti. E non vuole sfidarti a duello perché ti sei portato a letto sua figlia.”

Ora cereo in viso, Beau gracchiò sconvolto: “Cioè, no... aspetta... tu gli hai parlato di questo?!”

Sghignazzando, lei scosse il capo.

“In verità, a spifferare tutto è stata mamma,... ma non è che mio padre non ci arrivi. Lo sa cosa facciamo.”

“Non stiamo sul serio parlando di questo, vero?” si lagnò Beau, passandosi una mano tra i capelli, vagamente sconvolto. “Oddio, tuo padre mi ammazzerà appena metterò piede in casa!”

“Non essere così pessimista! Ti ho detto che è solo una cena informale. Vogliono solo parlare con te dopo tanti anni” sottolineò Rena, sempre più divertita. “Se vuoi, possiamo invitare anche tua madre. Anzi, mi farebbe piacere rivederla.”

“Cosa?! E far diventare questa fantomatica cena qualcosa di molto poco informale? No, mia cara. Verrò da solo, e pregherò che tuo padre non mi castri con un falcetto” brontolò Beau, levandosi in piedi per andarsi a preparare una tisana.

Serena lo seguì subito dopo, camminando a piedi scalzi sul parquet e, raggiuntolo al piano cucina, gli avvolse la vita e appoggiò il capo contro la sua ampia schiena.

“Non devi essere spaventato, Beau. Nessuno vuole che tu mi porti a cena assieme all'anello di fidanzamento” lo rassicurò lei, sorridendo di fronte alle sue paure.

Beau però la sorprese e, volgendosi per abbracciarla, la strinse così forte che quasi le mancò il fiato.

Con veemenza, poi, asserì: “Rena, non capisci che invece lo vorrei eccome?! Ma mi ripeto che è presto, che dobbiamo ancora conoscere di noi stessi un sacco di cose, che non devo farmi trasportare dagli eventi. Ci penso ogni minuto, e mi insulto ogni volta che mi fermo di fronte ad una gioielleria!”

“Beau...” esalò lei, levando il capo per fissarlo con sorpresa e sgomento.

Lui la baciò con calore e disperazione assieme e, sulle sue labbra, mormorò roco: “Non voglio perderti mai più, per nessun motivo. Smuoverei mari e monti per averti, ma è presto, maledettamente presto. Voglio darti tutto quello che, per vent'anni, non ho potuto offrirti, e non accelererò i tempi solo perché non posso fare a meno di pensarti con l'abito bianco, e il mio anello al dito.”

“Oh, Beau” sussurrò la donna, stringendosi a lui con un dolce sorriso sulle labbra. “Hai solo una vaga idea di quanto sia bellissimo ciò che mi hai detto?”

“No, Renny, non è bello, è egoista e basta!” sbottò lui, scostandosi dalla donna per non dover essere costretto ad affrontare il suo sguardo sognante.

“Beh, allora sei l'egoista più affascinante che conosco” replicò lei, piantando le mani sui fianchi. “Insomma, Beau, ma che problema c'è?”

“Voglio che tu abbia qualcosa di mio, di mio e basta. Momenti passati assieme, una vacanza indimenticabile, qualche gioiello... la mia commedia...” borbottò lui, cocciuto.

“Tutte cose che mi hai già detto, e che io apprezzo moltissimo. Ma onestamente, posso farne a meno. Ho già quello che voglio, e sei tu” sottolineò Rena. “Anche se la commedia mi intriga molto, lo ammetto.”

Beau tornò a volgere lo sguardo verso di lei e, testardo come un mulo, replicò: “Tu meriti tutto quello che ti ho detto e, finché non te l'avrò dato, non mi reputerò degno di te.”

Sbuffando, Rena preferì lasciar perdere – quando ci si metteva, Beau sapeva essere estremamente testardo, proprio com'era da ragazzo – e, nel tornare ad abbracciarlo, disse soltanto: “Sabato andremo a cena dai miei genitori...  e tu potrai regalarmi qualcosa di carino che indosserò quella sera, va bene?”

“D'accordo” assentì lui, un poco più tranquillo.



 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


21.
 
 
 
 
D'accordo. Cosa si può acquistare a una ragazza che ha già tutto?

Beau cominciò a sudare freddo quando, in compagnia di sua madre Bethany, fece il suo ingresso in una delle gioiellerie del centro di Los Angeles.

Si era intestardito così tanto con l'idea di dover regalare qualcosa a Rena che, alla fine, la sua mente era quasi collassata per l'eccesso di input.

Come prima cosa, aveva chiamato Candice, chiedendole consiglio sulla comune amica.

Quando da lei aveva ricevuto solo risatine e tanti “la farai felice in ogni caso”, si era visto costretto a liquidarla con un laconico ciao.

Non contento, aveva chiesto a Sy – dopotutto, la conosceva anche lei – ma, come con Candice, si era ritrovato a fare i conti con una montagna di risatine divertite e innumerevoli “Rena è una donna semplice. Andrà bene tutto.”

Alla fine, scontento e più confuso che mai, si era rivolto a Nick.

Chiedere ad un altro uomo era davvero l'ultima spiaggia ma, se c'era una persona al mondo che conosceva Serena, era proprio lui.

Nickolas, però, l'aveva liquidato con un laconico “non basti tu?”.

Quella risposta l'aveva lasciato allibito e, dopo averlo ringraziato stentatamente, si era infine affidato alle mani sapienti della madre.

Bethany era stata felice di apprendere che lui e Rena erano finalmente tornati nelle rispettive grazie e, ancor più contenta, quando Beau le aveva rivelato i suoi sentimenti per lei, e viceversa.

Con un sorriso lieto e tanta voglia di rendersi utile, aveva trascinato il figlio in centro ed ora, dinanzi a quella miriade di gioielli di ogni genere e forma, lui si trovava spiazzato.

Una gentile commessa di poco più giovane di Beau si fece avanti e, sorridendo alla coppia, domandò loro: “Posso esservi d'aiuto?”

“Cercavamo qualcosa che potesse andar bene per la fidanzata di mio figlio” esordì Bethany, con un gran sorrisone stampato in viso.

“Mamma... non è ancora la mia fidanzata” bofonchiò Beau, accigliandosi.

“Oh, per l'amor di Dio. Sei più vecchio di Noè, su queste cose! Voi giovani non vi dovreste perdere in simili quisquilie” brontolò la madre per diretta conseguenza, facendo sorridere con indulgenza la commessa.

“E' bello sapere che ci sono ancora uomini che badano a cose simili” lo difese gentilmente la ragazza, ammiccando a Beau, che la ringraziò con un sorriso.

“Non lo metto in dubbio, mia cara, ma il mio ragazzo ha bisogno di un po' di aiuto, in questo caso, se non vuole perdere la ragazza più bella che gli sia mai capitata” ironizzò Bethany, dando una pacca sul braccio al figlio.

Morirò prima della fine della giornata, di questo passo, pensò tra sé Beau, chiedendosi quanto ancora sarebbe andata avanti sua madre, nel dipingerlo come un fesso.

Imperturbabile, la commessa chiese loro: “Preferite qualcosa di informale come una spilla, o avevate intenzione di puntare più su un anello, un braccialetto o una collana?”

Non sapendo esattamente su dove puntare lo sguardo, Beau le domandò per tutta risposta: “Lei cosa preferirebbe, come regalo? Sottolineando che lo vedranno anche i genitori.”

Sorridendo divertita di fronte all'evidente panico dell'uomo, la commessa li indirizzò verso una vetrinetta in particolare, dove si trovavano delle collane eleganti quanto discrete.

“Direi che, se vuole fare bella figura senza dare strane idee ai genitori, queste sono molto graziose, senza però essere pretenziose” spiegò loro la commessa, indicando una serie di creazioni dai tagli moderni e femminili.

Incurante del prezzo, e soprattutto dei monili mostratigli dalla commessa, Beau adocchiò immediatamente una collana di diamanti e smeraldi di Cartier e, indicatala alla ragazza, le chiese di poterla vedere.

“Ma non voleva qualcosa di più … cauto?” ironizzò gentilmente la giovane.

Lui, per contro, scrollò le spalle e replicò: “Al diavolo. Voglio che sia un regalo spettacolare.”

“Come vuole” assentì l’altra, notando di straforo il sorriso lieto della madre del suo cliente.

Dopo aver appoggiato il collier su un tavolino, accese una abat-jour per meglio mostrargli l'effetto della sottile fila di diamanti che componeva la collana.

Sfiorando quei tondi diamantati, uniti gli uni agli altri fino a terminare in un fiore in boccio, da cui pendeva un unico, tondo smeraldo, Beau assentì e disse pensoso: “E' lo stesso colore dei suoi occhi. Non può che essere
sua.”

“Sei sicuro, Beau? E' certamente un bell'oggetto, ma costa non poco” lo mise in guardia Bethany.

Estratto il portafoglio, porse la carta di credito alla commessa e replicò: “Niente è abbastanza, per Serena.”

§§§
 

Il nervosismo, su di lui, assunse proporzioni bibliche. E dire che era abituato a situazioni ben più pericolose di questa.

Almeno in apparenza.

Quando si presentò di fronte alla porta del loft di Rena, letteralmente tremava dalla testa ai piedi.

Non vedeva i coniugi Ingleton da una vita e, pur sapendo che erano brave persone, entrare in casa loro come attuale ragazzo della loro unica figlia, era tutt'altra cosa.

La sua ansia raggiunse livelli fuori guardia, quando infine Rena aprì la porta, presentandosi a lui con un semplice abito nero, lungo fino alle caviglie, e dall'elegante scollo a V.

Non portava gioielli, in quel momento, e Beau ne fu lieto.

Un sorriso generoso ed un bacio lo accolsero e, nell'entrare nel vasto ambiente ove abitava Serena, lui si guardò in giro con curiosità.

A parte una volta, in cui era stato troppo impegnato a baciarla, non era più stato nel suo loft, e quella seconda incursione fu davvero interessante.

L'altissima libreria, che si innalzava accanto all'eccentrico camino, era colma di tomi di tutti i generi, dai classici della letteratura a più leggeri romanzi rosa contemporanei.

Nella stanza adiacente all'ampio ingresso, che si intravedeva appena, Beau scorse il contorno di un bellissimo pianoforte a coda e, mentre Rena si avvicinava alla consolle della cucina, lui si incamminò per curiosare.

Sorridendo, la padrona di casa preparò un paio di cocktail e disse: “Scommetto che quello Stainway piangerà di gioia, se lo suonerai un po'.”

Ridacchiando, Beau si accomodò sullo sgabello e, sfiorando alcuni tasti, replicò: “Sei un'ottima pianista, che io sappia. Non credo di poter suonare meglio di me.”

“Dimentichi che ti ho sentito suonare. Mi sei di molto superiore” precisò Rena, raggiungendolo con due bicchieri tra le mani.

Consegnato un bicchiere di champagne a Beau, lei si appoggiò al pianoforte e, dolcemente, gli chiese: “Suoneresti per me?”

“Tutto quello che vuoi” assentì l'uomo, intonando Moonlight Sonata di Beethoven.

Serena rimase in assoluto silenzio durante tutta l'interpretazione di Beau e, con occhi colmi di lacrime
orgogliose, lo osservò mettere tutto se stesso in quel pezzo struggente e pieno di pathos.

Ne ammirò le mani muoversi leggiadre sulla tastiera, la sua gestualità, il modo in cui tutto il suo corpo partecipava alla creazione di quel brano e, quando infine anche l'ultima nota svaporò nell'aria, applaudì.

Beau le sorrise imbarazzato ma, quando lei si chinò per baciarlo con trasporto, perse di vista qualsiasi altra cosa e la prese in braccio per stringerla a sé.

Il bacio si prolungò, diventando più profondo e dolce ma, quando le mani dell'uomo corsero al suo collo nudo, rammentò cosa dovessero fare quella sera... ed il regalo che la attendeva.

Scostandosi da lei, la rimise in piedi con gentilezza e, scavando nella tasca della giacca dello smoking che indossava, le disse roco: “Questo è per te.”

“Oddio! Mi hai presa sul serio?” esalò la donna, sgranando gli occhi quando vide comparire una scatola di velluto piatta e larga, con il logo Cartier stampigliato in oro.

Cos'aveva mai combinato?

Ignorando lo sguardo sgomento di Rena, che lo fissava senza parole, Beau aprì la scatola per mostrarle il collier in diamanti e smeraldi e, più che emozionato, mormorò: “Ho pensato che questa dovesse essere tua ad ogni costo.”

“Oh, Beau...” sussurrò lei, sfiorando esitante la fila di diamanti e l'enorme, rotondo smeraldo che pendeva dalla collana. “Non avresti dovuto.”

“Te l'ho detto. Ti darò tutto quello che meriti, niente di meno” le sorrise lui, sollevando speranzoso la collana.

Lei gli sorrise tremante, pur sentendosi morire al pensiero di quanto avesse pagato quell’opera d’arte – e solo per farle dono di quello splendido gioiello – e, nel voltargli le spalle, asserì: “Nessuna donna potrebbe desiderare di più.”

Beau le allacciò la collana al collo e, carezzandole la pelle calda e nuda, sussurrò: “Nessun uomo potrebbe desiderare di più.”

“Perché hai me?” ironizzò lei, sfiorando la collana con delicatezza.

“Sì” assentì semplicemente l'uomo, dandole un bacio sulla guancia. “Vogliamo andare?”

“Pronto a entrare nella tana del lupo?” lo prese in giro Rena, avvolgendolo in un caldo abbraccio.

“Ci sarai tu a difendermi, no?” ritorse lui, ammiccando.

“Ti difenderò fino alla morte, tranquillo” assentì lei, prendendolo sottobraccio prima di aggiungere: “Ti ho detto che sei uno schianto con questo smoking? Fai molto 007.”

“Grazie” ridacchiò lui, accarezzandole con lo sguardo la chioma bruna, quella sera raccolta in uno chignon, che le lasciava libere spalle e collo. “Tu, invece, sei semplicemente perfetta. Da divorare un pezzo alla volta, ma mi conterrò.”

“Troppo gentile” mormorò lei, serafica. “Ma potrai divorarmi più tardi, quando torneremo qui, ti va?”

“Non vedo l'ora” assentì lui, deponendole un bacio sulla tempia che sapeva di mille promesse.

Rena non vide l'ora di tornare dalla serata con i suoi e, pur sentendosi in colpa per averlo anche solo pensato, non poté esimersi dal crogiolarsi in quel pensiero per tutto il viaggio in direzione della villa dei genitori.

§§§

I suoi ricordi della villa degli Ingleton non si erano sbiaditi, ma ritrovarsi a camminare lungo l'atrio marmoreo illuminato a giorno, e seguendo i genitori di Rena verso la sala da pranzo, lo mise comunque in agitazione.

Bart e Grace erano stati cortesissimi con lui, non appena si erano presentati all'ingresso, armati di sorrisi e strette di mano.

Grace lo aveva addirittura abbracciato.

Rena, ora allacciata al suo braccio, non smetteva di sorridere e Beau, quando finalmente mise piede nella piccola saletta preparata per quella serata così speciale, riuscì a tirare un sospiro di sollievo.

Non si trovava dinanzi a uno di quei tavoli chilometrici, con posate d'argento e piatti del sedicesimo secolo ad attenderli.

Il tavolo era normalissimo, rettangolare, con una tovaglia di batista bianca, piatti di porcellana dalle rifiniture dorate e calici semplici quanto eleganti.

Si poteva denotare una certa ricchezza, ma di sicuro non era ostentata.

Bart lo fece accomodare al piano bar presente nella saletta, decorata con pannellature in legno e carta da parati color crema.

Messosi al posto di un ipotetico barman, gli chiese cosa desiderasse da bere e, nel medesimo istante, Grace e Rena si dileguarono dalla stanza, lasciandoli soli.

Pur se vagamente in ansia, Beau ostentò sicurezza e per sé prese uno scotch con ghiaccio, che il padrone di casa gli servì con mano abile ed esperta.

Per sé, Bart scelse del whisky scozzese invecchiato sedici anni e, dopo essersi accomodato su uno degli alti sgabelli accanto a Beau, centellinò la sua bevanda e mormorò: “Ho apprezzato molto tu abbia accettato questo invito a cena, Beaurigard.”

“Beau, per favore. Nessuno usa mai il mio nome per esteso” replicò con un sorriso l’uomo, osservando Ingleton.

Annuendo, il magnate lo scrutò a sua volta con aria curiosa e, al tempo stesso, tentò di dimenticare che, l’uomo che gli stava di fronte, era andato a letto con sua figlia.

Aver a che fare con quel genere di cose non gli garbava proprio, ma Rena era la loro pupilla, e non avrebbe mai permesso che lei proseguisse una relazione con un uomo meno che meritevole.

Ricordava solo cose onorevoli di Beau, ma le persone potevano cambiare molto, nel corso degli anni.

E lui era più che intenzionato a scoprire chi fosse diventato il ragazzino che aveva pianto dinanzi a lui, quella notte di tanti anni prima.

Rammentava fin troppo bene tutto il suo dolore, la decisione presa per il futuro di Rena, la sua strenua testardaggine nel voler tenere all’oscuro di tutto la sua migliore amica.

E, come Bart aveva compreso quasi subito, la ragazza di cui si era innamorato.

“C’è qualcosa che le rode dentro. Si vede benissimo” ironizzò Beau, sorseggiando il suo scotch. “Può essere spudorato finché vuole, Mr Ingleton. Ho le spalle robuste, e le signore non ci sono.”

Bartolomew se ne uscì con una secca risata e, poggiato che ebbe il suo bicchiere panciuto sulla superficie marmorea del piano bar, ammise: “Ci sono troppe cose che ricordo di te da ragazzo, e che non riesco a dimenticare. Ma so bene che ora sei un uomo adulto, e non devo guardarti con gli stessi occhi di un tempo.”

“Cosa vuole sapere?” gli domandò allora Beau.

“Innanzitutto, voglio ringraziarti per averla tirata fuori da quella scarpata. Quando ho saputo dell’incidente, sono quasi morto d’infarto” iniziò col dire Bart, sospirando leggermente. “Quando Grace mi disse che l’avevi salvata tu, ne rimasi sorpreso. Non avrei mai immaginato che le nostre strade si sarebbero nuovamente intrecciate.”

“Ed è un bene o un male?” volle sapere il giovane, scrutando Ingleton con interesse.

Non era ostile, ma neppure apertamente favorevole, e Beau immaginava dove potesse trovarsi il problema.

“Rena ti ha sempre voluto bene, questo è innegabile. Ed è anche grazie a te, se si è fortificata nello spirito e ha imparato a guardare il mondo con occhi diversi, quindi dovrei esserti grato di ciò che successe anni fa. Nel corso degli anni, mia figlia non ha avuto molte esperienze con gli uomini. A questo punto, mi viene da dire per colpa tua.” Nel dirlo, sorrise ironico. “Capirai quanto io sia preoccupato per lei. Rivedere l’amore della sua adolescenza, scoprire che può riprendere da dove tutto si era interrotto… non vorrei che vedesse più di quel che c’è.”

“E’ per questo che mi sono ostinato a farle capire che, prima di tutto, voglio che la nostra relazione sia come tutte le altre. Non voglio affrettare nulla, e desidero darle tutto ciò che qualsiasi altra donna potrebbe volere da una relazione seria… e duratura” dichiarò seriamente Beau, terminando di bere lo scotch. “Voglio essere onesto con lei, Mr Ingleton…”

“Chiamami Bart, ragazzo… non c’è bisogno di essere così formali” gli sorrise il magnate, dandogli una pacca sulla spalla.

Annuendo, Beau proseguì dicendo: “Io amo Serena, e desidero darle tutto ciò che è in mio potere donarle. Ma non voglio che, per il mio egoistico desiderio di averla tutta per me… e subito, lei venga privata di quelle piccole cose che rendono bello l’essere fidanzati. Mi impegnerò a renderla felice e, nel tempo che ci prenderemo per stare assieme, colmeremo le lacune che si sono create in questi vent’anni di separazione. Personalmente, ho ritrovato in Serena le stesse qualità che mi avevano fatto capitolare da ragazzo, oltre a una grinta e una determinazione tutte nuove, ma che apprezzo molto. Io ve la porterei via anche ora, ma è giusto che lei conosca me per quello che sono ora.”

Bart assentì più volte, le mani strette in grembo e l’aria pensierosa e, quando il giovane ebbe terminato di parlare, disse sommessamente: “Parli del tuo mestiere, immagino.”

“So che si preoccupa, quando esco in missione, ma è ciò che sono e, a meno di grandi cambiamenti nella mia vita, ho intenzione di continuare. Mi piace essere un vigile del fuoco e, anche se il mio progetto come commediografo andrà in porto, vorrei comunque proseguire, foss’anche come volontario, e non più come dipendente del Corpo” assentì Beau, serio in viso.

“Tutto ciò ti fa onore, e capisco cosa intendi dire. Se Rena accettasse questa parte di te, dovrebbe fare i conti con parecchie notti insonni,… o vederti ferito” mormorò pensieroso Bart.

“Voglio darle tutto il tempo per pensarci. Non sono io quello che rischia di più, ma lei. La vita di Rena, per quanto convulsa, non è pericolosa. La mia sì, e lei deve accettare che lo sia, o non potremo mai avere un futuro. So già che, se me lo chiedesse, io rinuncerei anche subito, ma so altrettanto bene che il Corpo mi mancherebbe, e questo creerebbe delle tensioni tra di noi. Tensioni che porterebbero a una futura rottura” ammise il giovane, torturandosi le mani nervose.

Bart gliele bloccò con una delle sue e, sorridendogli comprensivo, asserì: “Rena non te lo chiederebbe mai. Ha imparato sulla pelle cosa vuol dire obbligare qualcuno ad essere quello che non è, e questo non te lo chiederà mai. Ma hai ragione a volerle concedere del tempo, perché deve capire cosa vuole, e quanto può accettare.”
Beau sorrise, lieto che l’uomo avesse capito e, quando udì la porta del salottino aprirsi, rise sommessamente nel veder comparire Rena e Grace impegnate a portare i vassoi con gli antipasti.

Ghignando, Serena li invitò ad accomodarsi e, quando si fu seduta al suo fianco, gli sussurrò: “Non volevo che pensassi che la casa brulica di servitù. Sappiamo benissimo servirci da soli.”

Lui si limitò a sorriderle e, dopo averle dato una stretta gentile alla mano sotto la tovaglia, si servì.

Dopotutto, Bart non lo avrebbe ucciso.

§§§
 
La cena era stata ottima e, dopo aver mangiato anche l’ottimo dessert, una torta di cioccolato e panna fresca, Beau si sentiva pronto a esplodere.

Grace e Bart erano stati degli ospiti eccezionali, e Rena non aveva dovuto faticare neppure un po’ per mettere a suo agio l’uomo della sua vita.

Beau aveva riso delle battute di Bartolomew, aveva discusso con Grace dei suoi ultimi impegni nel Foro e, con Rena, aveva scherzato su quanto sarebbe stata dura riportarla a casa, dopo quella mangiata incredibile.

Accomodati su un elegante divano di uno dei salottini al pianterreno, le finestre che si aprivano sul giardino illuminato da faretti al neon, il quartetto si stava gustando un po’ di musica da camera, quando un cellulare squillò.

Avvedendosi che era il suo, Beau si affrettò a prenderlo dalla tasca dello smoking e, scusandosi con i suoi ospiti, accettò la chiamata.

Subito, il suo sorriso svanì e, al suo posto, una maschera di orrore si dipinse su ogni centimetro visibile del suo volto, ora cereo.

Rena si insospettì subito e gli strinse la mano libera, mano che venne accettata e stretta a sua volta.

Il giovane annuì più volte, sbuffò indispettito e alla fine, salutato l’interlocutore, chiuse la chiamata.

Spiacente, il suo sguardo corse al viso preoccupato di Rena e, dolente, ammise: “Devo andare, Renny. Mi hanno chiamato dalla centrale. Hanno combinato un autentico casino nella zona di Bel Air… pensano ad un festino andato a finire molto male, e la Fire Station 71 è la più vicina. Guarda caso, però, sono solo in due, stasera, perciò…”

“Vai. E stai attento” assentì subito Rena, stampandogli un bacio sulle labbra prima di sospingerlo via.

Annuendo, Beau si alzò in piedi e, fissando spiacente i coniugi Ingleton, mormorò: “Mi spiace davvero tanto dover interrompere così la serata, ma…”

“Non preoccuparti, ragazzo, e bada soltanto a non farti male” lo rassicurò Grace, levandosi in piedi per abbracciarlo.

Bart si limitò ad una pacca sulla spalla e Beau, con un ultimo sguardo a Rena, si dileguò, correndo a perdifiato per raggiungere la sua Camaro rosso fuoco.

Rimasta immobile sul divano, Serena si afflosciò contro i cuscini solo quando fu sicura che Beau fosse ben lontano e, sfiorandosi la collana con dita distratte, sospirò e chiuse gli occhi.

Grace si sedette subito al suo fianco e, gentilmente, le domandò: “Te l’ha regalata lui?”

La figlia annuì, mormorando senza forze: “Quell’idiota avrà speso una fortuna per questa collana… non capisce che a me non interessa che lui mi ricopra di regali. Io voglio lui!”

Battendole una mano sul braccio, la madre ammirò la bella collana di Cartier e replicò: “Non devi denigrare il suo dono, tesoro. Sono sicura che era perfettamente consapevole del valore economico del suo dono e, se ha deciso di regalartelo, vuol dire che si sentiva di farlo.”

“Sì, ma… insomma, lo so benissimo che i pompieri non navigano nell’oro, e questa collana non può essere costata meno di tremila dollari!” sbottò Rena, inviperita.

A quel punto intervenne Bart che, conciliante, asserì: “Vuole solo il meglio, per te. Non mi sembra una cosa brutta.”

“Oh, per l’amor del cielo!” sibilò la giovane, levandosi dal divano con aria inviperita. “Non mi verrete mica a dire che sperate che Beau mi ricopra di gioielli o di pellicce?! Io non lo voglio!”

“E non ti turba guadagnare più di lui?” le fece notare il padre, serafico.

“Cosa vuoi che mi interessi?! Dove non arriva lui posso benissimo…”

Bloccandosi a metà della frase, le braccia di Rena – che fino a quel momento si erano mosse frenetiche – crollarono lungo i fianchi e, spiacente, mormorò: “L’ho rifatto, eh?”

“Cosa, cara?” le domandò la madre, imperturbabile.

“Pensare di colmare le lacune con il mio denaro… non pensando all’orgoglio e all’amor proprio delle altre persone” brontolò Serena, tornando a sedersi. “E’ ovvio che Beau desideri dimostrarmi che può mettere il mondo ai miei piedi, anche se io non lo desidero. Vuole che io capisca che è in grado di rendermi felice, qualsiasi cosa io desideri.”

“Con il tempo e l’abitudine a condividere esperienze in comune, questa smania passerà, ma per il momento concedigli di essere cavaliere nei tuoi confronti, cara” la rassicurò Grace, sorridendole. “E’ difficile, per un uomo, essere nella posizione in cui è Beau adesso. Molti potrebbero vederlo come un arrivista, un cacciatore di dote, o peggio. Dimostrare a noi e a se stesso che è in grado di prendersi cura di te in ogni cosa, serve anche a scacciare le insicurezze, i dubbi che potrebbero sorgergli nel sentire eventuali chiacchiere su te e lui.”

“Hannah me ne aveva parlato, ma io avevo liquidato i suoi dubbi con una risata. Invece mi accorgo che non è affatto facile” mormorò abbattuta Rena, appoggiando il capo contro la spalla della madre. “Inoltre, saperlo in pericolo ogni volta che varca la soglia di casa, è tremendo.”

“Ma è ciò che vuole fare” le fece notare Bart.

“Lo so. Devo solo trovare il modo di accettarlo perché, che gli piaccia o meno, lo voglio, e nessuno mi terrà lontana da lui, neppure il Corpo dei Vigili del Fuoco” sbottò lei, mordendosi il labbro inferiore. “Solo… stasera vorrei rimanere un altro po’ qui, a crogiolarmi nell’autocommiserazione con voi.”

Bart a quel punto scoppiò a ridere e, raggiunta la figlia sul divano, la attirò a sé e disse: “Puoi piangerti addosso finché vuoi, cara.” Poi, scrutando meglio la collana, asserì: “E’ molto bella, comunque.”

“Sì, ha buon gusto” annuì orgogliosa Rena, stringendosi al padre con forza. “Io lo amo, papà. Dici che è troppo presto?”

“Non esiste il tempo, in questi casi. Ma Beau ha ragione nel volertelo concedere, anche a fronte di eventi come quello di stasera. Devi scoprire se sei in grado di sopportarlo o meno” le spiegò Bart, dandole un bacio sulla tempia.

Lei annuì e, lasciandosi scivolare nel calore dell’abbraccio del padre, pensò a Beau e pregò per lui.

§§§
 
Ron si scusò con lui almeno mille volte, nelle successive tre ore dopo il suo arrivo e Beau, alla fine, lo minacciò di legarlo ad una manichetta per poi lanciarlo nell’oceano.

Questo bloccò il suo capo da ulteriori esternazioni e, quando finalmente ebbero scritto la parola fine
sull’incendio che aveva devastato ben tre ville nella contea di Bel Air, si concessero il lusso di bere un po’ d’acqua.

I volti anneriti dal fumo e le braccia distrutte dalla fatica, i vari pompieri intervenuti sul rogo si sedettero sui marciapiedi liberi da macerie e calcinacci e, ciascuno con la propria bottiglia, diedero sollievo alle gole riarse.

L’alba era ormai prossima e, alle loro spalle, le colline di Los Angeles stavano già tingendosi di rosso e giallo.

Bianchi cirri si intervallavano a più corposi cumulonembi, che entro sera avrebbero quasi sicuramente scaricato sulla città losangelina una buona dose di pioggia.

Tutt’intorno, l’odore rancido e secco del fuoco spento e delle piante riarse ammorbava l’aria, ma Beau non vi badò, e così pure i suoi colleghi.

Erano aromi che erano abituati a sentire ogni qualvolta uscivano con le autopompe e, almeno per quella volta, non avevano dovuto contare delle vittime.

Era andata bene e, se non fosse stato per un muro decisamente inopportuno, tutto si era risolto per il meglio.

Certo, l’autopompa schiacciata sotto il peso di quella parete alta non meno di dieci metri – e crollata come un castello di carte sotto la spinta dell’incendio – sarebbe costata migliaia di dollari al Corpo, ma nessuno era rimasto ferito.

L’importante era quello.

Passandosi una mano spellata e irritata tra i capelli – i guanti, a volte, erano un danno peggiore del fuoco – Beau mormorò esausto: “Non vedo l'ora di buttarmi a letto e dormire per dodici ore di fila. Ma che gli dice la testa, a quei pazzi?”

“Di sicuro, usare dei razzi in casa non è stata un'idea geniale” assentì pacifico Ron, sbadigliando sonoramente.
“Aaah, ormai i miei cinquant'anni cominciano a farsi sentire. Ho bisogno di un bel massaggio e di una doccia di due ore.”

“Beh, a casa troverai Stephanie già pronta a manipolarti” ridacchiò Beau, dandogli un colpetto con la spalla.

“Più che altro, mi darà una botta in testa col mattarello, quando vedrà il mio sopracciglio” ironizzò l'altro, ghignando nell'indicarsi la pesante fasciatura che copriva metà testa.

“In effetti, entrare senza casco non è stato un grande affare” ammise il collega, scrollando le spalle.

“Che ci vuoi fare... la troppa foga” minimizzò il capo.

“Memoria a groviera, vorrai dire” sottolineò per contro Beau, guadagnandosi un'occhiataccia dal suo superiore.

“Vai a casa dalla tua bella, cocco di mamma, prima che io ti rivolti sulle ginocchia e ti sculacci” borbottò Ron, scrollando una mano come per scansarla.

“Non credo proprio che Serena sia a casa mia, al momento” replicò candidamente il giovane, levandosi a fatica in piedi. “Deve iniziare a lavorare tra un paio d'ore, quindi sarà nel suo bel lettino a dormire.”

“Ma come? Non le hai dato le tue chiavi di casa?”

“Ron, ci frequentiamo solo da qualche settimana,... che pretendi? Non voglio forzare la mano” borbottò Beau, grattandosi la guancia punteggiata di barba.

Il suo capo lo fissò dubbioso ma non disse nulla. Era chiaro quanto, quella frase, gli paresse una scusa bella e buona.

Accigliato, il giovane lo salutò prima di passare in rassegna i suoi compagni, con cui parlò per alcuni minuti prima di dirigersi spossato alla Camaro e infilarsi dentro dentro a fatica.

Il viaggio di ritorno fu pesante, le palpebre rischiarono più volte di cadere come macigni sui suoi occhi stanchi, ma alla fine riuscì a rimettere piede nel suo stabile.

Lì, alla portineria, il guardiano lo salutò con un cenno e gli disse: “Ehi, Beau. Non so se ho fatto bene, ma ho dato le chiavi alla tua ragazza. Si è presentata qui intorno alle dieci, chiedendomi se poteva salire, e così...”

“Serena è qui?” esalò sconcertato Beau, sgranando gli occhi.

L'uomo annuì, sorridendo divertito dalla sua sorpresa e, ammiccando, asserì: “Era davvero carina, con quell'abito lungo. Non dirmi che l'hai mollata nel bel mezzo di una festa.”

“Qualcosa del genere” mugugnò lui, ancora stordito dalla notizia. “Ah... Carl, grazie. Ti devo un favore.”

“Di nulla. E buon riposo” disse l'uomo, tornando a sedersi comodamente sulla sua poltroncina.

Salendo con l'ascensore, Beau si chiese perché Rena fosse venuta lì e, soprattutto, perché fosse ancora nel suo appartamento.

Quando finalmente raggiunse la porta, aprì con le chiavi e si infilò dentro il più silenziosamente possibile, casomai lei stesse ancora dormendo.

Quello che lo sorprese, e lo commosse all'inverosimile, fu trovarla seduta sul divano del soggiorno, le gambe raccolte sui cuscini e le eleganti scarpe col tacco a spillo ordinatamente sistemata a fianco del sofà.

Appoggiata ad una marea di cuscini, le chiome rilasciate mollemente tutt'attorno al volto assopito, dormiva placida e tranquilla come Aurora ne La Bella addormentata nel bosco.

Quella visione paradisiaca lo fece crollare.

Cosa gli aveva detto la testa?

Lui non era l'uomo adatto a Serena. Lei non poteva ridursi a dormire su un divano ad attenderlo, travolta da mille dubbi sulla sua salute.

Nessuno più di lui avrebbe potuto essere maggiormente egoista.

Rena era una donna da portare in palmo di mano, da adorare, da far vivere negli agi e nella bellezza, non da portare nel suo universo fatto di pericoli, di fiamme divoranti e di fuliggine.

Spiacente, desiderò non aver mai intrapreso quello sciocco sogno di rivolerla accanto a sé e per sempre e, dentro di sé, si diede dell'idiota mille e mille volte.

Quando poi si risvegliò, come consapevole della sua presenza, un singulto strozzato gli sfuggì dalle labbra.

Subito, Rena si stiracchiò come un gatto, gli sorrise sonnacchiosa e, dopo essersi levata dal divano con grazia innata, balzellò verso di lui per abbracciarlo.

Beau però si fece indietro e, pur sentendosi morire dentro nello scorgere il dispiacere nascere sul suo viso d'angelo, si impose di non cedere.

Sorridendole a mezzo, si indicò mormorando roco: “Sono sporco da capo a piedi. Non vorrei mai rovinarti il tuo bel vestito.”

“Oh” mugugnò lei, cercando di ritrovare in fretta il sorriso. “Beh, fatti una doccia, allora. Io ti aspetterò qui.”

“Perché sei venuta, Renny?” gli domandò lui, non sapendo bene come sentirsi. Al momento, si stava odiando e basta.

Sbattendo le palpebre con aria vagamente sorpresa, la donna impiegò qualche attimo per parlare ma, alla fine, riuscì a dire: “Beh, innanzitutto, volevo accertarmi di come stessi. Secondariamente, sapere com'era andato il salvataggio.”

“Tra un paio d'ore non devi andare in ufficio?” le domandò per contro lui, ignorando la sua richiesta.

Sempre più confusa, Rena lo seguì a piedi nudi fino in bagno, dove lui si denudò a fatica, mostrando ecchimosi in più parti del corpo.

Quella vista fece male alla donna che, accigliandosi leggermente, sperò che Beau non la guardasse proprio in quel momento.

Vederlo in quello stato la faceva soffrire, ma doveva imporsi di passare oltre, di non pensarci, altrimenti non ce l'avrebbe mai fatta ad accettare tutto questo per il resto della sua vita.

Perché ormai ne era sicura: voleva Beau, indipendentemente da tutto e da tutti.

Anche se in quel momento lui sembrava distante come la luna dal sole.

Quando tutti gli indumenti furono caduti a terra, Serena fece per raccoglierli e gettarli nel cesto dei panni sporchi, ma lui la bloccò sul nascere, esclamando: “No! Lasciale lì!”

Frenando la mano a pochi centimetri dai panni ricoperti di fuliggine, e altri materiali indefiniti, Rena lo fissò dubbiosa e vagamente accigliata e, rialzatasi impettita, mormorò gelida: “Forse non sai che ho due mani
anch'io.”

Sbuffando, Beau si infilò sotto il getto bollente della doccia e mugugnò stancamente: “So benissimo che hai due mani, ma su quei vestiti c'è di tutto, e potresti sporcarti.”

“Oooh!” sbuffò a quel punto lei, mettendo mano alla zip dell'abito.

Senza dare il tempo all'uomo di capire cos'avesse in mente, si denudò e afferrò saldamente la sua maglia sporca, passandosela sul corpo niveo.

Beau la fissò sbalordito e senza parole e lei, ora soddisfatta e sporca da capo a piedi, aprì lo sportello trasparente della doccia e lo scansò dicendo: “Bene. Ora sono inzaccherata anch'io, e merito una doccia.”

Lui non seppe che dire.

Si limitò a fissarla mentre, per nulla preoccupata di avere addosso ogni sorta di polvere appiccicosa e non
meglio identificata, afferrava la spugna per insaponare entrambi.

Senza dire niente, Serena si preoccupò di massaggiargli la schiena, indugiando con delicatezza nei punti in cui la pelle si era ormai tinta di un sinistro color violaceo e, complice l'acqua scrosciante, pianse in silenzio.

Nessuno dei due parlò per l'intera durata di quell'interludio umido e imbarazzato ma, quando uscirono per recuperare accappatoio e asciugamani, Beau la strinse al petto e le baciò il capo con veemenza.

Rena rimase immobile nel suo abbraccio, in tutto simile ad una marionetta senza fili e lui, ben consapevole di averla ferita con i suoi modi rudi, mormorò tra i suoi capelli fradici: “Scusami, amore, scusami... è solo che... che io...”

“Non importa, Beau. E' tutto nuovo, per entrambi. Dobbiamo solo abituarci” replicò lei, ammorbidendosi nel suo abbraccio.

Lentamente, Rena si volse per guardarlo in viso, lui sconvolto e, sì, terrorizzato e, sorridendogli teneramente, gli sfiorò il viso con la mano per poi aggiungere: “Non sono un oggetto di cristallo, Beau, ficcatelo in testa. Non devi pensare che, solo perché appartengo a una famiglia altolocata, io non capisca, o non possa capire, il mondo in cui vivi tu. Ci eravamo già passati, ricordi? Già una volta avevi voluto escludermi dal tuo mondo, perché pensavi non l'avrei accettato. Lasciami entrare, lasciami vivere come te.”

“Dio, Renny... ma non ti rendi conto che io non voglio che tu affronti simili brutture?” ansò sconvolto lui, abbracciandola nuovamente, con foga.

Lei lo lasciò fare, comprendendo quanto fosse confuso e spaventato, quanto desiderasse proteggerla da un ambiente che lui reputava non adatto a una ragazza del suo stampo.

Avrebbe tanto voluto urlargli in faccia quanto si sbagliava, ma quello non era il momento, non era il modo.

Doveva affrontare il problema alla radice, e con un approccio diverso.

Doveva dimostrargli coi fatti, e non con le parole, che intendeva accettare tutto di lui, fuliggine compresa.

“Ora devi solo pensare a riposarti, okay?” gli propose Serena, accompagnandolo docilmente alla camera da letto.
“Come mi hai fatto notare tu poco fa, tra poco dovrò andare in ufficio, perciò non potrò prepararti la colazione, ma ci organizzeremo in qualche modo, nel prossimo futuro. Per ora, pensa soltanto a una cosa. Io ti amo, ti ho aspettato senza saperlo per vent'anni e, adesso che ti ho accalappiato, dovrai uccidermi per liberarti di me.”

Lui le sorrise poco convinto ma annuì e Rena, per il momento si accontentò.

Sapeva quanto poteva essere straordinariamente testardo, Beau, quando ci si metteva.

Fin da giovane si era comportato così, ed ora aveva acquisito solo un'aura di cocciutaggine più spessa, tutto qui.

Ma il giovane che aveva amato, era divenuto l'uomo che ora le faceva battere forte il cuore, impedendole di
concepire un futuro senza di lui.

Che fossero passati venti minuti o vent'anni, a lei non interessava. Il suo amore per lui non si era minimamente spento e, anzi, cresceva di ora in ora sempre di più, sempre più forte.

Quell'uomo sarebbe stato suo, anche se Beau pareva non averlo ancora capito.


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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


22.
 
 
 
 
 
“Vedi qual è il problema? A me non interessa un accidente il fatto che lui torni a casa sporco di grasso, o di qualche altro genere di materiale non ben identificato, eppure lui si crea dei castelli in aria degni di Buckingham Palace!”

Dopo il piccolo incidente della doccia, gli eventi erano progrediti tra alti e bassi ma, almeno agli occhi di Rena, qualcosa si era incrinato nell'animo di Beau.

Ogni volta che lui era costretto a mostrarsi a lei nelle sue vesti di pompiere, qualcosa scattava nei suoi occhi, e la sua voce diveniva piana, fredda, quasi infastidita.

Lei allora cercava di chetarlo con dolci parole, con battute di spirito o, addirittura, litigandoci, ma la sostanza non cambiava di una virgola.

Tutto andava bene finché era lui a inserirsi nel tessuto sociale di Rena.

Era felice e orgoglioso di portarla a cena fuori, di offrirle la possibilità di visitare mostre d'arte o concerti di artisti famosi ma, ogni volta che lei tentava di sfiorare il suo mondo, lui si ritraeva come le corna di una lumaca.

E quello stato di cose, ormai, le dava sui nervi.

Accarezzando il capo di Cam, placidamente addormentato nel suo lettino, mentre Dom succhiava il latte dal suo seno, Hannah sorrise gentilmente a Rena e replicò: “E' sicuramente un uomo molto testardo, poco ma sicuro, ma è indubbio quanto ti ami.”

“Lo so” sospirò esasperata Serena, lanciando un'occhiata colma di affetto al piccolo Dominic. “Coscientemente, ne sono più che sicura e, visto che ormai non ci siamo scannati dopo quasi quattro mesi che stiamo assieme, posso dire che non lo ucciderò nel sonno per l'esasperazione. Ma so che manca qualcosa.”

Hannah ridacchiò a quel commento, ben sapendo quanto Rena fosse divenuta, negli anni, una donna molto scrupolosa nello scegliersi gli uomini.

Primo motivo per cui, a parte un paio di goffi tentativi, prima di Beau non era mai riuscita a far durare nessuna relazione per più di una settimana.

Gli standard cui aveva sempre sottoposto l'altro sesso, erano stati così alti che nessuno era mai riuscito a sostenerli.

Anche se, come Hannah pensava, era più probabile che lei non ne fosse mai stata veramente innamorata. O interessata.

Il suo cuore aveva cinto con le braccia i propri sentimenti per Beau, e li aveva protetti in tutti quegli anni, nella speranza di poterli liberare solo per chi l'aveva fatto sentire così amato.

E così era successo, ma adesso Serena doveva affrontare anche la parte più dura dell'amore: la convivenza con esso.

E non sempre, le cose andavano lisce come l'olio.

“Dagli ancora un po' di tempo, Rena. Sono convinta che, quando si sarà rasserenato un po', capirà che puoi benissimo capire anche il suo mondo, non soltanto lui. In fondo, non è preso solo dal suo lavoro, ma anche dalla commedia” cercò di rasserenarla l'amica, sorridendole.

“Già... altra grana non indifferente. Anche lì, è muto come una tomba” brontolò lei, levandosi in piedi per raggiungere la portafinestra che dava sul giardino.

All'esterno, Stark e Khaleesi stavano giocano allegramente assieme ad Irish, mentre Phill, Bran e Nick erano impegnati a sistemare alcuni vetri della nuova serra del padrone di casa.

Apparivano tutti affiatati, in gran forma... una vera famiglia. L'unico a mancare era Beau, esattamente come era capitato per il parto di Hannah.

Dopo una chiamata d'emergenza, si era dovuto immergere in miglia di condutture fognarie solo per andare a recuperare una coppia di fratellini scapestrati.

Quando infine l'aveva chiamata, le era parso distrutto.

Naturalmente, sul giornale erano apparsi elogi per il Corpo dei Vigili del Fuoco, e Beau era stato premiato con un encomio direttamente dal sindaco di Los Angeles, ma tutto questo non le era parso aver contato nulla, per lui.

Rena stentava a capirlo, a volte, e questo la feriva.

Voleva con tutta se stessa far parte integrante della sua vita... in ogni sua parte. Ma, finché restava isolata da quel mondo, non poteva ritenersi soddisfatta.

Fu a quel punto che comprese cosa fare.

Sorridendo, si scostò dalla finestra per tornare dalla sua amica e, ghignando soddisfatta, dichiarò: “Farò il corso per diventare un volontario dei pompieri.”

“Cosa?!” esalò Hannah, facendo tanto d'occhi per poi scrutarla con estrema attenzione. E preoccupazione.

“Oh, dai! Smettila di guardarmi a quel modo. Lo so anch'io che sono piccola e magra, ma posso farcela, se voglio. Niente mi ha mai fermato, e di sicuro non la mia altezza” brontolò Serena, accigliandosi.

“Non lo metto in dubbio, ma non pensi che forse prima dovresti parlarne con Beau?” la mise in guardia l'amica, scrutandola pensierosa.

“Se glielo dicessi, non me lo permetterebbe mai. Lui crede che io sia una bambolina di porcellana, troppo delicata anche solo per afferrare un secchio d'acqua” si lagnò lei, facendo le boccacce.

Hannah ridacchiò nel vederla gesticolare a quel modo – sembrava una bambina capricciosa – e, dolcemente, le disse: “Si è portati a proteggerti, lo so, ma non puoi fargliene una colpa.”

“Non gliene faccio una colpa. Più o meno” mugugnò lei, mordendosi pensosa il labbro inferiore. “Vorrei solo che mi desse più credito, che mi permettesse di vivere anche nel suo mondo, non solo nel mio.”

“Deve diventare il vostro mondo, non il tuo o il suo” sottolineò Hannah, comprensiva.

“Per te e Nick è stato più facile... lavorate nello stesso mondo. Ma io non riesco a penetrare in quello di Beau, pur se vorrei” sospirò Rena, crollando a sedere su una sedia di vimini, ricoperta di cuscini lattiginosi.

“Perché non ne parli con il suo capo? Magari ti potrebbe dare qualche dritta” le suggerì allora Hannah, spostando Dom sull'altro seno.

“Ci proverò” assentì Serena, speranzosa.
§§§
 
Curioso che Rena non rispondesse né al cellulare, né sul telefono di casa.

Anche chiamare in ufficio non era servito a molto, perché Katia gli aveva assicurato che, per tutto il giorno, Serena non si sarebbe fatta viva, a Vanity Fair.

Cosa davvero insolita, per lei.

Ugualmente, non poteva baloccarsi nel tentativo di trovarla.

Doveva andare a fare il suo turno in caserma e, verso sera, raggiungere il teatro per assistere alle prove generali.

Quella sarebbe stata la prima volta in assoluto, in cui avrebbero inscenato la commedia dall'inizio alla fine e, al solo pensiero, si sentiva galvanizzato.

Vederla nascere, crescere, prendere vigore e divenire un'opera completa dinanzi ai suoi occhi, era stato emozionante e corroborante.

La sola idea che, presto, avrebbe potuto mostrarla a Serena in tutto il suo splendore lo rendeva felice, e gli ridava un po' di fiducia per il futuro.

Sapeva di averla un po' trascurata, soprattutto quando il Corpo esigeva la sua presenza così spesso, ma sperava di redimersi con la commedia.

Quando parcheggiò l'auto di fronte alla Fire Station 71, un basso stabile in mattoni rossi, squadrato e dalle linee minimali, rimase parecchio perplesso.

Là, dinanzi alle porte a scorrimento dei garage, se ne stava un'autopompa nuova di zecca, dotata di tutte le ultime innovazioni tecnologiche e lucida come uno specchio.

Che fossero arrivati i fondi per sostituire quella distrutta alcuni mesi prima a Bel Air?

Smontato che fu dalla Camaro, si diresse dubbioso verso l'entrata e, accanto all'autopompa, trovò a sorpresa Ron.

Tutto sorridente, il suo capo esclamò: “Che te ne pare?”

“Beh, è uno spettacolo. Hanno aperto i fondi tutti di colpo, per caso?” ridacchiò Beau, ammirando senza parole quel capolavoro di tecnologia su ruote.

“Più o meno” mormorò una voce dietro di loro, sorprendendo non poco quest’ultimo.

L'uomo si volse, già subodorando guai ma, quando vide Rena con addosso una semplice T-shirt bianca e pantaloni ignifughi, imprecò.

Incurante della sua reazione non proprio idilliaca, la donna non si diede per vinta e si avvicinò a loro dicendo: “Ron mi ha detto che eravate deficitari di un'autopompa, così ho pensato che questa poteva donarvela la Ingleton Inc. Ne ho parlato a mio padre, e lui non ha avuto alcun problema a finanziarvi. Inoltre, ho pensato che avreste potuto avere bisogno di un po' di attrezzature nuove, e così...”

Ignorandola bellamente, lui la scansò per avanzare bellicoso verso la caserma e, quando si ritrovò di fronte ad enormi scatoloni ricolmi di ogni ben di Dio, esplose.

Questo era troppo.

Si volse con un diavolo per capello per affrontare il suo capo e Rena, che lo stavano guardando dubbiosi dall'arco della porta.

Senza riuscire a trattenere la propria rabbia e, sì, il proprio sconforto, le urlò addosso: “Non ho mai voluto i tuoi soldi, maledizione! Perché diavolo ti è saltato in mente di fare una cosa simile?!”

Pur accusando il colpo, Serena decise di non cedere e replicò con voce appena tremante: “Lo so che non vuoi i miei soldi, ma queste cose vi servivano, e allora...”

Interrompendola prima che potesse terminare di parlare, Beau la indicò con un dito tremante, fuori di sé dalla furia, e ringhiò: “E perché sei vestita come una recluta? Cosa significa?!”

Ron a quel punto avvolse le spalle di Rena con un braccio e, glaciale, rispose per la donna.

“Ha chiesto di poter partecipare ai corsi che teniamo per i volontari, e io ho accettato, perché?”

Il tono di sfida del suo capo fece imbestialire Beau che, sempre più furioso, replicò ringhiando: “Perché? Perché la mia ragazza non deve mettersi volontariamente in situazioni di pericolo, è chiaro?!”

“Che cosa?!” sbottò a quel punto Rena, perdendo a sua volta la pazienza. “Vuoi davvero dirmi cosa devo fare o non fare?!”

“Renny, io...” tentennò lui, bloccandosi di colpo per fissarla spiacente.

Ormai fuori di sé, lei avanzò a passo di carica e, puntando un dito contro il suo torace, sibilò furente: “Stammi bene a sentire, razza di testone senza speranza. Io posso usare i miei soldi come voglio, e se voglio aiutarti, tu devi accettare, perché non c'è niente di male! Se voglio partecipare a un corso dei Vigili del Fuoco, non puoi dirmi che non posso farlo, perché allora vuol dire che non mi consideri alla tua altezza, e non parlo di sicuro di metratura!”

Ogni parola venne sottolineata da una spinta finché, completamente sbilanciato, Beau finì con il crollare sugli scatoloni, finendo gambe all'aria.

Soddisfatta, Serena terminò il suo monologo praticamente urlando.

“Sei tu che ti crei dei problemi perché ho più soldi di te, non il contrario! A me non frega niente! NIENTE! E neppure ai miei genitori. A loro piaci così come sei, esattamente come a me! A me piace tutto, sporcizia compresa! Cosa cazzo me ne può fregare se le tue magliette si sporcano di fuliggine, ogni tanto? NULLA! L'importante è che tu torni da me, che mi ami!”

Completamente ammutolito da quella confessione a tutto spiano, Beau la fissò al colmo dell'infelicità e, già sul punto di spiegarsi, di calmarla, scorse l'unica cosa che non avrebbe mai voluto vedere.

Le sue lacrime.

Quelle misero fine a qualsiasi sua arringa e Rena, ormai svuotata di ogni forza, mormorò stancamente: “Finché non avrai capito queste cose, non tentare neppure di parlare con me, perché giuro che ti ammazzerò.”

Ciò detto, si volse per uscire e, con un mesto sorriso, salutò Ron prima di dileguarsi.

Rimasto solo con il suo sottoposto, Ronald piantò le mani sui fianchi per fissare Beau in malo modo e, furioso, ringhiò: “Spero tu sia soddisfatto del tuo modo di agire, ragazzo, perché a me non sei piaciuto proprio.”

Rialzatosi a fatica, il giovane sospirò afflitto e mormorò spiacente: “Non volevo ferirla ma...desideravo soltanto...”

“Ragazzo, tenerla lontana da qui non è servito a nulla. Pensavi davvero che allontanarla da metà della tua vita, servisse a mantenerla al sicuro? Quella ragazza ti ama, e sta facendo di tutto per fartelo capire, mentre tu ti soffermi solo sulla superficie. Ha un sacco di soldi. E allora? Sicuramente, non avrete problemi con le bollette. Ne ha più di te? Chi se ne frega. Sii un po' più maturo di così, Beau, per favore, o dovrò ricredermi sulla tua intelligenza” brontolò Ron, simile a una pentola a pressione.

“Pensi davvero che farla saltare giù dalla torre sia la cosa giusta da fare?” sbottò allora Beau, inviperito.

“Se lo vuole fare, perché no? Cristo, non è l'unica donna che ha fatto, o farà mai, il corso da volontario! Ti scoccia solo perché è la tua donna, a farlo! Capisco che tu voglia proteggerla, e altre scemenze simili, ma lei ha coraggio da vendere, è tosta e, soprattutto, non le interessa di sporcarsi le mani, indipendentemente dal fatto che sia una Ingleton. Sii orgoglioso di lei, non farglielo pesare come stai facendo.”

“Sono un idiota” mormorò Beau, reclinando abbattuto il viso. “Ho fatto solo un gran casino.”

“Questo è assodato... ma almeno hai capito perché?” dichiarò Ron, ghignando.

“Ho fatto quello che mi ero ripromesso di non fare. Ho messo il suo nome dinanzi a tutto, dimenticandomi ciò che avevo imparato quando andavamo a scuola assieme. Che lei, innanzitutto, è una ragazza buona e generosa, e non le interessano le differenze sociali. Sono io che mi sono posto il problema, non lei” assentì il giovane, passandosi una mano sul viso tirato e serio.

“Oh, bene. Allora un po' di cervello ti è rimasto, dentro quella bella testolina. E ora vedi di usarlo, e scusati. Striscia come un verme, se serve, ma riconquistala, perché un'altra così non la trovi di sicuro” brontolò a quel punto Ron, cacciandolo dalla caserma.

“Ovvio che non ne troverei un'altra. Renny è unica” sorrise a mezza bocca Beau, correndo fuori.

L'unico problema, ora, era capire dove fosse andata.

E come fare per scusarsi.

Problemi non da poco, in effetti.

§§§
 
A questo punto, c’era un solo posto dove poteva essere andata.

A meno che non fosse partita per l’Europa, tutti coloro che la conoscevano gli avevano detto di non averla vista, ergo, o gli avevano mentito, o era da Nick, l’unico che non aveva interpellato.

Il punto era un altro. Non era del tutto sicuro che i padroni di casa lo avrebbero lasciato entrare.

Quando inchiodò la Camaro, di fronte ai cancelli in metallo della villa di Malibù di Nickolas Van Berger, Beau non era certo al cento percento che gli avrebbero permesso di parlare con Rena.

Ma non poteva lasciare nulla di intentato.

Con un gran respiro, scese dall'auto e suonò, sperando ardentemente che rispondesse uno dei membri della servitù, così da evitargli di...

“Chi è?” esordì Nickolas Van Berger.

Ecco, appunto. Come volevasi dimostrare.

“Sono Beau. C'è Rena?” gli domandò lui, cercando di non apparire ansioso, cosa che in effetti era.

Il padrone di casa non rispose e l'uomo, per un attimo, temette che lo avrebbero lasciato lì fuori a vegetare inutilmente fino alla fine dei suoi giorni.

Fu perciò piuttosto sorpreso quando vide il cancelletto d'ingresso aprirsi, e uscirne la famiglia Van Berger al gran completo.
Nickolas e Hannah apparivano ugualmente accigliati, e i bambini tra le loro braccia non aiutavano a renderli meno pericolosi di quanto non gli sembrassero in quel momento.

Erano furiosi, e giustamente intenzionati a proteggere la loro amica del cuore. Probabilmente, se fossero stati muniti di cani da guardia, glieli avrebbero lanciati contro, anche se immaginava che Stark avrebbe potuto morderlo ugualmente, se avesse saputo che aveva fatto piangere Serena.

“Cos'altro vuoi?” dichiarò furente Nickolas, carezzando la schiena di Cam come per evitare di prenderlo a pugni. Buon segno, o almeno così sperava.

“Volevo scusarmi con lei, chiarire” gli spiegò semplicemente Beau, scrollando leggermente le spalle.

“Ora non è proprio dell'umore adatto” replicò Hannah, baciando delicatamente il capo biondo di Dom. Certamente, lo stava usando a sua volta come monito a non perdere le staffe.

“Ma devo dirle una cosa molto importante” insisté lui, pronto anche ad inginocchiarsi di fronte a loro, pur di entrare.

“E cosa, sentiamo?!” sbottò Nick, adombrandosi minacciosamente in viso.

Ponderando bene le parole, Beau asserì seriamente: “L'amo, e sono stato un idiota a farla piangere. Sono stato spocchioso quando non avrei dovuto, e supponente senza averne motivo. Voglio scusarmi con lei, e chiederle se posso rimediare in qualche modo, perché non ha senso vivere se non posso stare con Serena. E me ne sbatto se è più ricca di me. Non mi importa... non più. Perché nulla vale, se lei è triste.”

Sospirando, Nickolas si scostò per farlo passare ma, perentorio, disse: “Sia chiaro che, se la fai piangere di nuovo, non solo ti riempirò di pugni fino ad ammazzarti, ma farò mangiare i tuoi resti a Stark. Hai capito?!”

“Limpido” assentì Beau, fissandolo con rinnovato rispetto.

“E’ a bordo piscina” lo informò allora Hannah, indicandogli di correre da lei.

Lui non si fece pregare.

Oltrepassò il cancello di volata e, sempre di corsa, aggirò l'enorme villa di mattoni rossi per raggiungere la piscina scoperta sul retro.

Lì si fermò, osservando con il cuore a pezzi la figura ripiegata di Rena che, lentamente e con mosse costanti, accarezzava la schiena di Stark, seduto accanto a lei sulle piastrelle ruvide.

Era ancora vestita da pompiere ma la sua treccia era scomparsa, e ora i capelli le fluttuavano liberi sulle spalle, attorno al viso triste e pallido.

Ed era stato lui a ridurla così.

Ancora si diede dello stupido e, con passo più controllato, si avvicinò a lei, attirando immediatamente l'attenzione di Stark, che lo osservò dubbioso, indeciso se ringhiargli contro o meno.

Rena lo accarezzò tra le orecchie, sussurrandogli: “Va tutto bene, Stark.”

Il golden retriever allora tornò ad appoggiare la testona sulle sue gambe, e la donna si volse verso di lui per sorridergli mesta, mormorando: “Ehi, ciao.”

“Ciao” gorgogliò lui, indeciso sul da farsi. “Posso sedermi?”

“Se Nick ti ha fatto entrare, e mi pare tu sia illeso, penso di sì.”

Ancora gli sorrise, ma quell'apparente allegria non raggiunse mai i suoi splendidi occhi smeraldini.

“Volevo scusarmi con te per quello che ho detto. Ho perso la testa, e non era davvero il caso” mormorò Beau, iniziando ad accarezzare a sua volta il cane.

“Sono stata io la sciocca. Sapevo come la pensavi... ho esagerato” scrollò le spalle lei, apparentemente noncurante.

“E invece no. Sono io ad aver esagerato. Ho sempre voluto che tu non mi dessi niente, perché mi ero intestardito a non voler apparire un approfittatore, uno che ti voleva con sé solo per i soldi. Non volevo che fossero un ostacolo tra noi, ma sono stato io stesso a farli diventare un ostacolo” replicò con determinazione lui, sorprendendola un poco. “Ho dato per scontato che tu non avresti mai potuto apprezzare il mio stile di vita, così non ti ho mai resa partecipe più di tanto, cercando di tenerti sempre ai margini, perché quello non era il tuo mondo.”

“Beau…” mormorò lei, allungando una mano per carezzargli il viso.

Lui la afferrò, baciandola con forza e passione, e aggiunse: “Non avevo capito di sbagliare, di tagliarti fuori per dei motivi assurdi. Ero terrorizzato all'idea che, se tu avessi visto troppo di me, saresti scappata via a gambe levate. Ma tu non sei così... sei la ragazza che si sporca di grasso per aiutarmi a cambiare le gomme, o che abbraccia il suo meccanico perché le ha riparato l'auto dei sogni. Tu non sei come le altre.”

“Se potrò migliorare la tua vita con i miei soldi, ben venga, saranno ben spesi. Ma non lo farò mai per cambiare il tuo mondo, o te, perché mi piacciono entrambi esattamente così come sono” dichiarò Rena, sorridendogli tremula, speranzosa.

“L'autopompa è bellissima. Grazie” disse allora lui, baciandola con tenerezza.

Lei scoppiò a ridere e, scostando gentilmente Stark, si gettò tra le sue braccia per stringerlo forte a sé.

La sua foga fu tale che Beau finì lungo riverso sul pavimento, con lei sopra a stringerlo come una piovra.

Baciandole il viso più e più volte, Beau rise con lei finché, a un certo punto, si bloccò e le chiese: “Ora, dando per scontato che so come sei fatta, e perciò so altrettanto bene che non puoi essere felice di vedermi a quel modo, … cos'hai in tasca che mi punzecchia il fianco?”

Rialzandosi in fretta, ma restando fermamente a cavalcioni di Beau, lei sorrise maliziosa e dichiarò: “Ti ho esattamente dove volevo. In mio potere.”

“Ben lieto di esserci, visto il casino che ho fatto. Ma perché?” sorrise a mezzo l'uomo, fissandola curioso.

La donna allora estrasse una scatoletta dalla tasca dei pantaloni ignifughi e, sorridendogli con dolcezza, mormorò: “Prima della mia sfuriata, volevo darti un regalo da parte di mio padre, ma tra una cosa e l’altra mi è passato di mente. Sono dei gemelli con lo stemma gentilizio della famiglia Ingleton. Mi ha detto che te li meritavi, per come sai rendermi felice.”

Beau sgranò gli occhi lentamente, assaporando poco alla volta il senso di quelle parole, e ciò che comportavano per lui, …per loro.

Un lento sorriso si fece strada sul suo viso e, presa dalle mani di Rena la scatoletta di velluto che teneva come una reliquia, la aprì e guardò senza parole i due gemelli in oro filigranato.

Lo stemma raffigurava un leone rampante e contornato d’edera e Serena, sorridendo con le lacrime agli occhi, mormorò: “Tutti gli uomini della famiglia Ingleton li hanno.”

Tremò, scosso dall'emozione dirompente che lo stava sconquassando come un maroso senza fine e, con quel briciolo di forze che trovò in corpo, esalò: “Non avrebbe potuto farmi onore più grande. E spero proprio di meritarmeli. Ad ogni modo, lavorerò ogni giorno per raggiungere questo traguardo.”

“Ci stai riuscendo alla grande, per conto mio” ridacchiò lei, prendendogli il viso per baciarlo. “Li accetterai, dunque?”

“Non potrei mai rifiutarli” assentì lui, baciandole la punta del naso.

Rena allora esplose in un grido di giubilo e lo strinse con forza mentre Stark, abbaiando allegro, saltellò loro intorno prima di mettersi a leccare entrambi, lieto di essere stato testimone della loro felicità.

Dalla veranda, non visti, Nick sorrise alla moglie e disse: “Direi che non devo più preoccuparmi, ormai.”

“Penso di no. Rena ha trovato l'uomo giusto per lei” assentì Hannah, sorridendo nel vedere Beau rialzarsi assieme alla sua donna e prenderla in braccio, felice e spensierato.

“Un'autopompa, però?” ironizzò lui, ammiccando alla compagna.

Con una scrollata di spalle, Hannah celiò: “E' sempre stata esagerata, coi regali.”

Un attimo dopo, entrambi si volsero verso la piscina, assistendo alla caduta rovinosa nell'acqua dei due amanti.

Serafico, Nick passò Cam a Hannah e chiosò: “Anche nell'esternare la sua gioia, è esagerata. Vado a ripescarli. Dopotutto, è novembre inoltrato.”

“Sarà meglio” ridacchiò lei, tornando in casa coi gemelli.

Era il caso di raccattare un po’ di salviette. Sarebbero sicuramente servite.




 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


rena

23.

 

 

 

 

 

 

La sera della Prima.

Per tutta la notte non aveva chiuso occhio e, con il corpo di Serena stretto al suo, aveva passato l'intera nottata a carezzarle i capelli e la pelle nuda.

Era la Vigilia di Natale, nessun giorno sarebbe stato migliore per l'inaugurazione del suo spettacolo, nessuno di loro sarebbe mai stato più pronto, ma era comunque in ansia.

Non era del tutto certo che la sua commedia sarebbe stata apprezzata.

Dopotutto, si trattava di un'opera prima di un autore emergente, del tutto sconosciuto ai più, e che portava in scena una storia di adolescenti.

Un vero e proprio salto nel vuoto.

Eppure, i pochi giornalisti ammessi alle prove generali di alcuni giorni prima, erano parsi entusiasti del lavoro.

Questo deponeva a suo favore, ma sarebbe stato il pubblico a decidere.

E Serena.

A lui, in fin dei conti, interessava solo il suo parere.

Quando l'alba fece capolino oltre le colline di Los Angeles, e il sole iniziò a penetrare dagli immensi lucernari del loft di Rena, dove avevano dormito quella notte, Beau le diede un bacio e si alzò da letto.

In silenzio, si recò in bagno per una breve e corroborante doccia e, dopo essersi assicurato che tutti i regali si trovassero nella calza appesa al camino, iniziò a preparare la colazione per entrambi.

Fu l'aroma esotico del caffè a svegliare la donna che, stiracchiandosi come un gatto nell'immenso letto a tre piazze, si sorprese nel ritrovarsi da sola.

Incuriosita dai rumori provenienti dabbasso, si levò in piedi per affacciarsi alla balaustra e, sorridendo, mormorò sonnacchiosa: “Ehi... buongiorno.”

“Buongiorno a te, Renny. Buona Vigilia di Natale” le sorrise lui, levando il capo a guardarla.

Era piacevolmente rosea, con i capelli ancora in disordine dopo il lungo sonno e scandalosamente nuda. Quel particolare gli piacque molto.

Sorridendo maliziosa nel notare come la stesse guardando, Rena si allontanò un attimo dopo per raggiungere la sua lunga vestaglia di raso nero e, dopo averla indossata assieme alle pantofole, scese dabbasso.

Lì, raggiunse la cucina con agili balzelli e, levatasi in punta di piedi, attirò verso di sé il suo uomo e gli stampò un bacio con lo schiocco sulla guancia rasata.

“Sei mattiniero. Ansia da prestazione, per caso?” gli domandò poi lei, sorridendogli nell'abbracciarlo.

“Centrato in pieno. Non ho chiuso occhio” ghignò lui, dandole un bacio sui capelli.

“Sono sicura che andrà benissimo” ciangottò Serena, saltando sul posto prima di scostarsi per accennare qualche passo di danza.

Beau la seguì ammirato con lo sguardo mentre, con leggiadria, la padrona di casa andava spostandosi verso l'enorme albero decorato, sistemato accanto alla libreria.

Raggiuntolo, fece tintinnare con un dito alcune delle campanelle appese ai rami dopodiché, simile a una bambina dispettosa, corse alle calze e afferrò la sua, stringendosela al petto con amore.

A quel punto l'uomo scoppiò a ridere e lei, esponendo gloriosa la sua piccola lingua, lo ignorò bellamente e si buttò a gambe intrecciate sul divano per aprire i suoi regali.

Adorava vederla così beata e limpida come una stella, e sapeva che in buona parte dipendeva dal tacito accordo che avevano raggiunto dopo il loro disastroso litigio.

Contrariamente a quanto aveva temuto, farla avvicinare alla sua realtà non era stato così tremendo e, anzi, si era divertito a vederla sorreggere pesanti manichette come a indossare le ingombranti giacche ignifughe.

Aveva tremato nel vederla lanciarsi dalla torre ma lei, imperterrita, l'aveva fatto senza alcuna paura e, solo dopo essere atterrata sul materasso, gli aveva confidato di avere fatto parapendio, ai tempi del college.

Questo l'aveva un po' sorpreso e Serena, tra un risolino e un sorriso ai pompieri che si complimentavano con lei, gli aveva raccontato i suoi trascorsi folli all'epoca di Yale.

Scoprire che si era data a tutti i tipi di sport estremi, compresi il free style con gli sci e le immersioni in apnea, lo aveva portato a chiedersi i motivi di tali scelte.

La donna, con un candore quasi sconvolgente, si era limitata a dire di essere sempre stata assetata di adrenalina ma che, stando con lui, ora ne aveva fin che voleva.

Naturalmente, essendo poco abituata a quel genere di impiego delle forze, si era più volte sbucciata le mani o indolenzita le braccia fino a renderle quasi inabili, ma Serena aveva sopportato il tutto con stoicismo.

Anzi, la co-redattrice le aveva proposto di fare un intero servizio sul suo corso di volontariato, così da stimolare le persone a fare lo stesso.

Ron si era divertito non poco ad avere fotografi e modelle in giro per la caserma e, a onor del vero, anche il Corpo aveva apprezzato la pubblicità.

Certo, Rena non avrebbe mai potuto portare fuori da un incendio un uomo adulto e svenuto, ma sapere come comportarsi durante un simile evento, era un fattore positivo.

E, nonostante la paura iniziale, ora gli faceva piacere che sapesse.

Ma, soprattutto, che apprezzasse ciò che lui amava fare.

Probabilmente, se tutto fosse andato come sperava, e il suo nome fosse levitato verso l'alto assieme alla fama del suo primo musical, avrebbe dovuto diventare a sua volta un volontario, ma poteva andare bene lo stesso.

Non avrebbe mai abbandonato del tutto il Corpo, ma avrebbe ridimensionato i suoi impegni.

Dopotutto, Serena aveva imparato quella lezione molti anni addietro.

Era giunto ormai il momento anche per lui di imparare a vivere in entrambi i mondi, e senza provare alcun disagio.

Raggiunta Rena al divano con un vassoio colmo di frittelle dolci, marmellata e spremute, poggiò il tutto sul tavolino dopodiché afferrò la sua calza e propose: “Le apriamo?”

“Sì” assentì lei, scavando con la mano nella sua, che era enorme e rosso fuoco.

Beau ridacchiò nel vederla così eccitata e, più modestamente, scandagliò nella sua, color verde e oro, ma delle esatte dimensioni di quella della donna al suo fianco.

Eccitata e ridente, Serena estrasse il primo pacchettino – un cubetto ricoperto di carta dorata – e lo scartò febbrilmente.

Lanciando uno strillo eccitato, aprì la scatoletta con le insegne del Corpo dei Vigili del Fuoco e ne estrasse una spilla, che la designava come Volontario e Benefattore Onorario del Fire District 71.

“Wow... è bellissima! C'è anche il mio nome sopra! Dove la posso mettere? Dove la posso mettere?” si agitò Serena, guardandosi intorno febbrilmente e facendo scoppiare a ridere di gusto Beau.

“Calmati, scimmietta, o ti esploderà la testa per la troppa agitazione. Perché, molto semplicemente, non la metti assieme alle altre spille che hai in camera, visto che le collezioni?” le propose l'uomo, sorridendole calorosamente.

Era rimasto più che mai sorpreso, alla sua prima visita nella stanza, nello scoprire un'autentica bacheca dedicata esclusivamente alle spille commemorative.

Ne aveva centinaia, di ogni genere e forma e, dopo un attento esame, Beau ne aveva scoperte alcune provenienti dai posti più impensati, come il Laos o la Cambogia.

“Oh, sì, giusto, hai ragione” assentì lei, annuendo con foga.

“Non ti facevo così nervosa, la mattina della Vigilia” ridacchiò l'uomo, dandole un buffetto affettuoso sul naso.

“Io? Sempre. Avresti dovuto vedermi al mio ultimo anno a Yale. Penso di aver esasperato così tanto la mia compagna di stanza, da averla praticamente sentita intonare un canto di gioia mentale, al pensiero di avermi tra i piedi solo per alcuni mesi ancora e basta” sghignazzò Serena, spallucciando.

“Non credo sia possibile. Sei adorabile” replicò lui, scettico.

“Con te... mai detto di essere così brava anche con le componenti del mio stesso sesso” ammiccò lei, atteggiandosi a birichina.

“Avrei proprio voluto vederti!” esclamò Beau, allungandosi per darle un bacio.

Lei lo accettò con piacere prima di dirgli: “Comincia a scartare i tuoi, dai.”

“Agli ordini” assentì allora lui, dandosi da fare con il primo che, a quanto pareva, veniva dai coniugi Ingleton.

Apertolo con somma curiosità, vi trovò all'interno un libretto dall'aspetto decisamente antico e che, a una seconda occhiata, Beau scoprì essere appartenuto niente meno che a Mozart.

Era un suo memoriale, in cui descriveva le proprie opere e come fosse giunto a scriverle.

L'uomo lo sfogliò con reverenziale timore, prima di riporlo delicatamente sul tavolo e mormorare commosso: “Per la miseria... non oso neppure immaginare quanto abbiamo sgobbato per trovare un simile oggetto.”

“Sanno quanto ci tieni, e volevano che il primo regalo  di Natale da parte loro, fosse speciale” gli sorrise lei, afferrando il secondo pacchetto. Era di Bethany.

All'interno del pacco sottile e oblungo, Serena trovò uno schizzo a carboncino del suo ritratto e, in calce, la firma di Colton, il padre di Beau.

Stringendoselo al petto con un singhiozzo strozzato, Rena esalò commossa: “Oddio! Non sapevo mi avesse fatto un ritratto!”

“Operava sempre sui bozzetti tracciati a carboncino, prima di scalpellare il legno. Diceva che visionava meglio l'opera, così” le spiegò Beau, sorridendole.

“E' stupendo” sussurrò lei, serrando gli occhi per non piangere. “Lo metterò in ufficio, così potrò vederlo tutti i giorni.”

“Ne sarebbe felice” mormorò l'uomo, reclinando il capo.

Serena abbandonò la sua calza e si avvicinò per stringerlo in un caloroso abbraccio. Assieme si raccontarono aneddoti della loro adolescenza, di come Colton fosse passato da momenti di sconforto totale alla redenzione completa.

Questo riportò il sorriso sul volto di Beau che, con rinnovata gioia, pensò a terminare di aprire i regali assieme a Rena.

Sperava soltanto che, il regalo che aveva pensato per lei – non presente nella calza – le risultasse gradito.

Per quello, però, c'era ancora tempo.

§§§

Il teatro era gremito, non un solo posto risultava vuoto e Beau, seduto in prima fila, era più che in ansia, stava letteralmente fibrillando.

Accanto a lui, Rena gli stringeva la mano con l'orgoglio dipinto a chiare lettere sul viso.

Sull'altro lato, sua madre Bethany si guardava attorno soddisfatta e vagamente agitata, spesso sostenuta dai sorrisi di Grace, che le sedeva vicino e le dava coraggio.

Barthemius sedeva al fianco della figlia, invece, serio e vagamente curioso e, di quando in quando, si scostava dal sedile in velluto per sorridere a Beau.

L'intera prima fila era stata invasa dai suoi amici, tra cui Beau poté scorgere Nick e Hannah, Sylvia e suo padre, Ron con la famiglia e alcuni dei suoi commilitoni più intimi.

Poco oltre, sapeva esserci anche Berenike e Tod, che gli erano stati presentati quella sera ed erano grandi amici di Hannah e Phill, il compagno di Brandon.

Candice e Coleen, con il marito, erano accanto a Grace e, poco più in là, sapeva esserci Andrea e i coniugi Petrovitz, i genitori di Hannah.

Chi vi fosse dietro di loro, Beau non lo sapeva con precisione, ma il brusio curioso alle sue spalle era sempre più alto e, quando finalmente le luci calarono, lui ebbe l'impressione di perdere il controllo.

Subito, Serena si portò la sua mano alle labbra e la baciò, sussurrando subito dopo: “Andrà bene, ne sono sicura.”

Lui annuì e, quando vide la prima ballerina comparire sulla scena, che ricreava un'idilliaca magione, sorrise.

Con il passare dei minuti, le musiche si diffusero con sempre maggiore potenza all'interno del teatro, intervallate e spesso accompagnate dalle danze dei ballerini e dai loro brani recitati ad arte.

Per tutto il tempo, le dita di Beau rimasero intrecciate a quelle di Rena che, quasi subito, si strinsero con forza sulle sue e, quando finalmente il primo atto si chiuse e l'applauso giunse furioso, lei mormorò sconvolta: “Sono... io.”

“Te l'ho detto che doveva essere una sorpresa” replicò lui, mentre il sipario veniva calato e le luci venivano riaccese sulla platea.

Portandosi una mano alla bocca per soffocare un singulto strozzato, Serena lo fissò con occhi colmi d'amore e di lacrime orgogliose e, senza più forze, esalò: “Non … non pensavo mi vedessi così... non ero così... ne sono sicura.”

“Così forte e caparbia, intendi? Così bella e generosa? Così gentile e premurosa? Io direi proprio di sì, invece” replicò Beau, deponendole un casto bacio sulla fronte.

Serena fece per ribattere, ma Sylvia si avvicinò a loro e, afferrato l'uomo ad un braccio, gli disse concitata: “Vieni! I giornalisti vogliono scambiare due parole con te, tra un atto e l'altro!”

Lui annuì ma, a sorpresa, afferrò Rena e la fece alzare, dicendo: “Non senza la mia musa.”

Lei scoppiò a ridere e lo seguì e Bart, sorridendo d entrambi nel vederli allontanarsi, dichiarò soddisfatto: “Quel ragazzo ha stoffa da vendere, non c'è dubbio.”

§§§

La commedia non solo aveva ricevuto applausi entusiastici, ma era stata letteralmente subissata di complimenti.

La standing ovation era durata ben venticinque minuti, minuti in cui l'intero corpo di ballo era rimasto sul palco in adorazione del pubblico festante.

Beau era salito assieme a loro e al direttore d'orchestra e, accompagnati da due enormi mazzi di rose, li avevano consegnati ai due primi ballerini, che si erano inchinati al pubblico osannante.

Ci era voluto parecchio tempo prima che il teatro si svuotasse e, quando finalmente avevano raggiunto lo Sheraton per i festeggiamenti, era quasi mezzanotte.

L'intero corpo di ballo appariva euforico, più che sicuro di essersi guadagnato un posto in teatro per i prossimi sei mesi.

Beau osservava tutti con un sorriso estasiato sulle labbra e, complici gli invitati alla festa, passò le prime due ore a stringere mani, ricevere encomi e rilasciare interviste.

Serena rimase sempre in disparte durante tutto il tempo, compiaciuta e tutta presa ad ammirare l'uomo che amava ricevere il riconoscimento dovuto.

Al suo fianco, ad alternarsi nel tenerle compagnia in attesa del ritorno di Beau, passarono in rassegna i genitori ed i suoi amici più cari finché, alla fine, non comparve anche Ron.

Lei salutò il pompiere e la sua famiglia con un sorriso e un abbraccio e, nel tornare ad osservare Beau, in quel momento impegnato con i suoi inviati di Vanity Fair, mormorò soddisfatta: “Penso proprio che la critica non potrà dire nulla di sconveniente, su di lui. E' stato uno spettacolo perfetto.”

“Di sicuro, è uno dei pochi che ho capito” sghignazzò Ron, facendo ridere Serena. “Il ragazzo, comunque, ha talento da vendere, e cercherò di convincerlo a mollare un po' la presa dai Vigili del Fuoco. E' evidente anche a me che non me ne intendo, che il suo futuro è questo. Quando c'è stoffa da vendere, la vedo.”

“A Beau piace fare il pompiere, però” replicò Rena, dubbiosa.

“Potrà fare il volontario, se vorrà, ma penso debba dedicarsi a tempo pieno a questo. Ce lo vedo a creare altre cento di queste commedie” dichiarò Ron, annuendo con veemenza.

La figlia si dichiarò d'accordo col padre e, con sguardo adorante, punto gli occhi su Beau e asserì: “Sono sicura che diventerà più famoso di James Cameron. E poi è tanto più bello!”

Rena e gli altri scoppiarono a ridere e, annuendo convinta, assentì pienamente. “Hai perfettamente ragione, Becky.”

Lei la guardò con aria dubbiosa e, storcendo un po' la bocca, disse: “So che sta con te, adesso ma, quando sarò grande, sposerà me. Spero tu non l'abbia troppo a male.”

“Ho sempre saputo che Beau ha buon gusto... perciò no, non ci rimarrò male” dichiarò Serena con perfetto aplomb, ma ridendo di gusto dentro di sé di fronte alla sfrontatezza adolescenziale di quella bambina undicenne.

“Bene. Ho sempre apprezzato le donne di classe” sentenziò Becky, facendo arrossire la madre e ridere il padre e Serena.

Beau scelse quel momento per tornare da Serena e, nel darle un bacio leggero sulle labbra, si volse poi per ringraziare Ron e sua moglie per la loro presenza.

Da ultima lasciò Becky, che abbracciò e a cui dispensò un bacetto sulla fronte, prima di prenderla da parte per scambiare due parole.

Vagamente sorpresa, Serena fece spallucce e celiò: “Chissà cosa starà tramando?”

Dallo sguardo serio di Becky, e quello morigerato di Beau, Rena dovette ipotizzare fosse qualcosa di tutt'altro che sciocco e, quando vide la bambina annuire solennemente, si chiese cosa si fossero detti.

A quel punto, l'uomo le diede un rapido abbraccio, e si allontanò per raggiungere il palco dove si trovava un microfono.

Dopo avervi picchiettato sopra per attirare l'attenzione di tutti, esordì dicendo: “Innanzitutto, voglio augurare Buon Natale a tutti, visto che sono quasi le tre del mattino, e ci siamo ormai entrati di diritto.”

I presenti applaudirono e Bethany, raggiunto Beau sul palco, gli sorrise e lo abbracciò con calore.

Lui ricambiò con affetto e, all'orecchio, le sussurrò: “L'hai trovato?”

“Sì, è qui” assentì lei, allungando una mano senza farsi notare dai presenti.

Il figlio la ringraziò con un caloroso sorriso e, nel riprendere la parola, disse: “Ora vorrei ringraziare la persona che ha ispirato tutto questo e che, senza il suo prezioso intervento, non mi avrebbe mai dato la forza per portare a termine Sogni d'estate, la mia prima commedia musicale.”

Rena perse un battito e, quando vide Beau scendere dal palco per raggiungerla, ebbe l'impressione di perdere il contatto con la realtà.

L'uomo le sorrise e, nel prenderle la mano – ora gelida – la accompagnò sul palco che lui aveva appena abbandonato, per aggiungere: “Molti di voi la conoscono già ma, per chi non lo sapesse, lei è Serena Ingleton, la direttrice di Vanity Fair Los Angeles e, tra le altre cose, musa ispiratrice della mia opera prima.”

Serena divenne paonazza in viso, quando un applauso sentito si levò tra i presenti e Beau, ringalluzzito da quella reazione, la fece voltare completamente verso di sé e disse commosso: “Niente di tutto questo sarebbe nato, se io non ti avessi conosciuta. Il mio mondo ha preso vita, quando sei comparsa nella mia vita e, quando il Fato mi ha costretto a separarmi da te, ho mantenuto nel mio cuore tutto l'amore che tu avevi saputo generare, risparmiandolo per il momento in cui ti avrei rivista.”

La donna prese un gran respiro, non sapendo bene che dire, ma Beau la anticipò, aggiungendo: “So benissimo che questo nostro nuovo incontro è avvenuto pochi mesi fa, e che ci sono tante cose che ancora voglio scoprire di te, e che voglio farti scoprire di me, ma... desidero che il tempo passato assieme duri per sempre.”

A quel punto, Serena si portò una mano al cuore, indecisa se svenire subito o abbracciarlo con foga.

Optando per rimanere in silenzio, avvertì solo parzialmente i sospiri deliziati dei presenti e, gli occhi negli occhi con l'uomo della sua vita, lo osservò inginocchiarsi ed estrarre dalla tasca una scatoletta di velluto blu.

Quando la aprì, le donne in sala esalarono un immediato sospiro di deliquio e Beau, conscio solo di Serena e del suo amore per lei, aprì la scatoletta e mormorò: “E' l'anello appartenuto a mia nonna paterna. Lo portò con sé, quando fuggì da Praga assieme alla sua famiglia, poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. E' un cimelio di famiglia che conserviamo da anni, e vorrei donarlo a te, con la promessa di amarti ogni giorno di più e di non permettere a niente e nessuno, neppure al Fato stesso, di dividerci nuovamente.”

Un singhiozzo scivolò fuori dalle labbra tremanti di Serena, quando Beau aggiunse: “Vuoi diventare mia moglie, Renny?”

Lei annuì e, allungata una mano per carezzare il suo viso, asserì con tono commosso: “Non potrei mai sposare nessun altro, visto che ti ho voluto dal primo istante in cui ti ho visto.”

Un coro di risate si levò tra i presenti e, quando Beau le infilò l'anello in stile liberty al dito, gli applausi li avvolsero come un abbraccio collettivo, abbraccio in cui loro si crogiolarono, grati e felici.

Ammirando l'anello d'oro, in cui splendeva un unico zaffiro tondo e levigato, Serena abbracciò con forza Beau e sussurrò contro il suo petto: “Ora non avrai più scuse! Sarai mio!”

“L'idea è quella” ridacchiò lui, baciandola con ardore prima di essere raggiunti dalla famiglia e dagli amici per le congratulazioni.

Mai, nella sua vita, Natale fu più bello.

§§§

Seduto al bancone del piano bar, mentre Serena era impegnata a mostrare a tutti il suo anello, e a ricevere i complimenti di tutte le donne presenti, Beau la ammirò pacato e felice, finalmente in pace con se stesso.

Aveva ottenuto tutto ciò che voleva, la donna della sua vita aveva detto sì alla sua richiesta e la commedia prometteva di diventare un colossal teatrale.

Se solo suo padre avesse potuto vederlo, sarebbe stato orgoglioso di lui.

Sollevò il bicchiere di champagne verso l'alto e, in un muto saluto, lo ringraziò per tutto.

Quando terminò di bere il liquido frizzante e ambrato, si ritrovò a fronteggiare Nick che, sedutosi al suo fianco, osservò l'amica e chiosò: “A quanto pare, ha capitolato.”

“Era tempo” asserì pacato Beau, poggiando i gomiti sul bancone in marmo nero.

Nickolas lo imitò e, annuendo, dichiarò: “Sono lieto sia tu. Almeno, so che sei alla sua altezza. Mi aveva terrorizzato a morte, alcuni anni fa, quando era uscita per un po' con un tizio di San Francisco. Lo detestavo.”

“Felice di rientrare nelle tue grazie, allora” ironizzò Beau.

“Ho sempre visto qualcosa di speciale, in te, e mi piaceva come trattavi Rena. Quel che facesti per lei mi dimostrò una volta di più quanto fossi giusto per lei, e sono stato contento che vi siate ritrovati” gli spiegò Nick, estremamente serio in viso.

“Ci è voluto un po', ma è arrivato anche il nostro tempo” sorrise Beau.

“Ti capisco. Quando conobbi Hannah, non avevo idea che sarebbe diventata una parte così importante della mia vita, ma ringrazio ogni giorno l'intuizione che ebbe mia madre, anche se poi si è macchiata di crimini così orrendi” sospirò Nick, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.

“Immagino non sia facile da mandare giù. Deve essere stato un bel colpo, per te e la tua famiglia.”

Il giovane magnate annuì e Beau, nel dargli una pacca sul braccio, asserì: “Hannah è splendida, e così i vostri bambini. E credo che Phill sia un ottimo ragazzo, e Brandon mi pare felice, con lui. Direi che, nonostante tutto, è andata bene.”

“Vorrei che fosse così anche per mio padre ma, già il vederlo assieme ai gemelli, mi rincuora” mormorò Nick, ritrovando in parte il sorriso.

“Sono sicuro che troverà la serenità. Io non dispererei. Come hai ben visto, il tempo non è un impedimento” ironizzò Beau, ammiccando al suo indirizzo.

“Già” assentì Nick.

Nel tornare ad osservare Serena, che colse un momento di pausa tra una domanda e l'altra per lanciare loro un sorriso e un bacio, Beau domandò a Nickolas: “E' vero che hai preso lezioni di surf?”

“Eccome, e oso dire di essere piuttosto bravo. Perché?” si informò il magnate, ghignante.

“Se trovi un buco nella tua agenda, vorrei sfidarti” gli propose Beau, lanciandogli un'occhiata maliziosa.

“Uhm... io ho qualcosa di meglio. Ho un'isola accanto alla Nuova Zelanda, ed è il paradiso dei surfisti. Che ne dici di andarci con Rena, Hannah e i bambini, non appena incastreremo i rispettivi impegni?” ribatté per contro Nick, sorprendendolo.

“Hai... un'isola?” gracchiò l'uomo, fissando l'amico senza parole.

“Hai idea di dove ti sei infilato, amico?” ridacchiò divertito Nickolas.

“Aaah, più o meno. Okay, ho digerito il fatto che hai un'isola. Spero ci sia anche una casa... o faremo campeggio?” mugugnò Beau, grattandosi il capo.

“C'è una villa, tranquillo, e vorrei davvero che voi due ci veniste” insisté il magnate, tornando serio.

“Contaci, amico. Sarà un piacere” assentì Beau, stringendogli la mano.

“Benvenuto in famiglia, allora” dichiarò Nickolas, mettendo in quella stretta tutto l'affetto che provava per Rena e che, col tempo, avrebbe riversato anche su Beau.

Sì, Natale migliore non c'era mai stato.

 

 

_______________________

N.d.A.: ormai siamo alla fine… pensieri? Osservazioni?

 

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Capitolo 24
*** Epilogo ***


epi

Epilogo.

 

 

 

 

 

 

Il salice piangente brillava smeraldino alla luce di quell’alba di giugno, e l’aria salmastra del mare si incuneava tra le lapidi, come il bacio leggero di una madre al proprio bambino.

Accoccolato sull’erba tagliata di fresco, un vecchio album poggiato sulle ginocchia e un tenue sorriso sul viso sbarbato, Beau osservava la fotografia in bianco e nero del padre.

“Scommetto che avresti pianto, sai?”

Il cinguettio di un’allodola lo distrasse per un momento, portandolo a osservare l’uccellino ciangottante, appollaiato su un ramo vicino.

Quest’ultimo lo squadrò con estrema serietà, prima di involarsi verso un albero a poca distanza da dove si trovava Beau.

Sorridendo nel tornare a scrutare l’album, l’uomo lo aprì con fare reverenziale.

All’interno, ritagli di giornale, più o meno vecchi, si intervallavano a fotografie di diversi anni prima, ma che ritraevano tutte la stessa persona. Serena.

La collezione era iniziata dopo la terribile separazione avvenuta tra i due ragazzi.

Beau aveva raccolto, mese dopo mese, gli articoli scritti da Rena sul giornale della scuola e, bellissima e splendente, una copia della foto del giorno del diploma si trovava anche in quella raccolta.

In seguito, per diversi anni, la raccolta era rimasta ferma, orfana della sua protagonista che, a Yale, si era rivelata troppo lontana per essere alla sua portata.

Quando, però, Serena aveva iniziato a scrivere i suoi primi pezzi per alcune testate giornalistiche on-line, la collezione era ripresa con rinnovato vigore.

Il suo ritorno a Los Angeles l’aveva solo rimpolpata.

La sua entrata ai vertici di Vanity Fair aveva reso felice Colton, che più volte aveva spronato Beau a tentare di riallacciare i rapporti con la vecchia amica.

Gli spiaceva che il padre non fosse riuscito a vederla come era adesso e, soprattutto, nelle vesti di sua moglie.

“Ti sarebbe piaciuta” mormorò, continuando a sfogliare l’album fino a raggiungere i fatti più recenti.

Quando vide un trafiletto dedicato all’incidente automobilistico di Rena, sorrise.

Quell’apparente dramma li aveva riavvicinati, e ora stava per coronare il sogno di tutta una vita.

Levatosi in piedi, si strinse al petto l’album e, osservando mesto la tomba del padre, asserì con veemenza: “La renderò felice, papà. Sarai orgoglioso di me.”

“Lo è sempre stato” asserì una voce alle sue spalle.

Volgendosi sorpreso, Beau sorrise nel vedere la madre, in piedi a pochi passi da lui e, scrollando appena le spalle, dichiarò: “Beh, lo spero.”

“Io ne sono sicura” annuì la donna, allungando una mano verso di lui. “Andiamo? Anche se sei lo sposo, un po’ di tempo per prepararti lo impiegherai anche tu.”

“Andiamo pure” assentì lui, accettando la stretta di mano della madre.

L’allodola, in lontananza, ciangottò e Beau, nell’osservarla, sorrise. Gli ricordava tanto una delle statue di suo padre.

§§§

Il pizzo color crema dell’abito risaltava sulla sua pelle eburnea e, nel passare una mano sullo scollo a V dell’abito, sorrise deliziata.

Sotto i seni appena accennati, una trina di brillanti sottolineava il suo fisico slanciato. Le spalline diamantate dell’abito, erano intrecciate a formare dei fiori, in tutto simili al pizzo dell’abito lungo e leggermente scampanato.

Al collo, un collier a bouquet di fiori, in oro bianco e giallo, accompagnava il pesante bracciale che portava al polso destro, unici due ornamenti che aveva scelto per quell’occasione.

Ai capelli, rilasciati sulle spalle in una sapiente acconciatura volutamente selvaggia, due rose color rosa antico si abbinavano splendidamente al resto dell’ambiente.

La magnifica villa degli Ingleton era stata interamente ammantata di rose, di ogni genere e forma, e nel mezzo del giardino un enorme gazebo bianco – anch’esso colmo di fiori – attendeva la coppia.

Sedie bianche erano state sistemate sui due lati del tappeto niveo steso sull’erba e, attorno a quell’improvvisata chiesa all’aperto, gigantesche giare contenevano giacinti bianchi e rosa.

Già molti invitati erano ormai arrivati alla villa e, nel giardino, il via vai delle persone in abiti eleganti ormai non si contava più.

Serena, dopo aver infilato le scarpe a sandalo – bordate da piccole rose bianche su tutta la loro lunghezza – si sentì un po’ meno bassa e un po’ più sicura di sé. Sorridendo alla madre, mormorò: “Se inciamperò sul tappeto, ucciderò il primo che ride.”

“Ti è concesso” asserì Grace, sorridendole orgogliosa.

Lei allora rise nervosamente e, compiuta una mezza piroetta, esalò: “Dio, mamma, ci pensi? Sto per sposare Beau!”

“Questo mi hanno detto… a meno che lo sposo che sono passata a trovare prima, non sia misteriosamente cambiato” dichiarò la madre, ammiccando comicamente.

“Come stava?”

“Nervoso. E davvero affascinante” sintetizzò la donna, facendosi comicamente aria con una mano, scatenando così le risate della damigella e delle matrone d’onore.

Hannah, Berenike, Sylvia, Candice e Coleen erano splendide nei loro abiti di chiffon azzurro.

I corpetti di brillanti erano intrecciati a una leggera stola di seta diafana; davano l’idea di essere delle stupende dee greche in attesa del primo eroe di passaggio.

Serena sorrise alla sola idea.

Battendo le mani come una bambina, esclamò: “Oooh, non vedo l’ora di vederlo!”

“Dovrai pazientare ancora un po’. La sposa deve farsi attendere” sottolineò Hannah, strizzandole complice l’occhio.

“Sono vent’anni che l’aspetto. Sarei anche un po’ stanca” brontolò per contro Serena, pur sorridendo birichina.

“Oh… la ragazza ha fretta di diventare la signora Shaw! Questo mi fa pensare che il ragazzo in questione ci sappia fare!” ironizzò Berenike, scatenando le risate chiassose di tutte e l’imbarazzo di Rena.

Grace si unì alla risata e, nel depositare un bacio sulla guancia alla figlia, le mormorò all’orecchio: “Sparlate pure mentre non ci sono. Io vado a controllare a che punto sono gli uomini.”

“A dopo, mamma” le sorrise lei, salutandola con un cenno allegro della mano.

Mancava ancora poco e, sì, sarebbe stata Mrs Shaw. Semplicemente, non vedeva l’ora.

§§§

La brezza scivolava tra gli alti palmeti, le piante secolari, i glicini e le imponenti siepi di ligustro che cingevano la vasta proprietà degli Ingleton, profumando l’aria e rendendola piacevole sulla pelle.

Beau, in piedi accanto al pastore, si guardava attorno vagamente ansioso, lo sguardo che spaziava sulla miriade di invitati e sull’autentica troupe messa in piedi per le fotografie e il filmino del matrimonio.

Serena aveva assoldato degli autentici professionisti, non c’erano dubbi.

Nick, al suo fianco, gli diede di gomito e mormorò: “Sicuro di reggere? Ti vedo un po’ pallido.”

“Ho come l’impressione che la wedding planner voglia sgozzarmi. Quando le ho detto che non mi sarei tagliato i capelli, e neppure messo il gel, mi ha guardato malissimo” replicò ghignante Beau, passandosi una mano tra le chiome castane.

“Lascia stare. Quella è una perfezionista” scrollò le spalle Nick, nel suo smoking nero dai baveri in seta color antracite.

Il futuro sposo, sistemandosi la giacca color ghiaccio, come il resto dell’abito, e bordata in seta di un tono più scura, lanciò un’occhiata speranzosa alla madre, che gli sorrise fiera.

Brandon, accanto al fratello assieme a Phillip, Ron e Andrea, sorrise a Beau e gli strizzò l’occhio dicendogli: “Nick fa tanto il furbo, qui, ma a suo tempo era più pallido di te, credimi.”

“Grazie per la dritta, Bran. Questo mi rincuora” ridacchiò a quel punto l’uomo, lanciando un’occhiata divertita all’amico, che fulminò per diretta conseguenza il fratello minore.

“E’ inutile che mi guardi così, Nicky. E’ verissimo che, quando hai sposato Hannah, eri pallido come una palla di neve” sghignazzò Brandon, ricevendo subito dopo una gomitata da parte di Phill.

“Vorrei vedere te, al suo posto” replicò conciliante Phillip sorridendo a Nickolas, che lo ringraziò con un sorriso.

“Visto che le nostre care ragazze hanno la fortuna di aver sposato, o di stare per sposare, uomini così innamorati di loro, mi sembra opportuna un po’ di sana ansia da evento” intervenne a quel punto Andrea, saggio e sorridente come sempre.

“Sante parole. Quando sposai la mia cara mogliettina, non riuscivo a stare fermo” assentì Ron, più che d’accordo con il magnate.

L’attacco della Primavera di Vivaldi interruppe qualsiasi loro discussione e Beau, lanciato che ebbe uno sguardo verso il fondo del lungo tappeto bianco che conduceva fino al gazebo, perse un battito.

Laggiù, illuminata dal sole e circondata da mille rose sullo sfondo, vide Serena in tutta la sua bellezza ed eleganza.

L’abito di pizzo color crema le donava particolarmente, rendendo evidente il suo corpo esile e da ballerina.

La sua chioma fluente era stata lasciata volutamente sulle spalle, a raccogliere le carezze della brezza, e riluceva del colore del cioccolato e del bronzo.

Ma quello che Beau maggiormente notò fu il suo sorriso, che eclissava la bellezza dell’abito, della scenografia, dei presenti… di tutto.

Quel sorriso gli diceva di non aver sbagliato, di averla resa veramente felice, di aver fatto il primo passo verso una vita insieme, che li avrebbe ripagati di tanti anni di separazione.

Ascoltò ben poco la musica, sapientemente eseguita dall’orchestra alle spalle del gazebo, poiché il suo mondo iniziava e finiva con Serena, accompagnata da suo padre e preceduta dalle damigelle.

Quando Barthemius sostenne la mano di Rena, poggiandola in quella protesa di Beau, lo sguardo dei due uomini si sfiorò in una muta promessa.

Per quanto semplice potesse apparire quel gesto, entrambi sapevano quanto c’era in gioco; la felicità della donna che loro amavano come la vita stessa.

Nel momento in cui i due giovani furono finalmente insieme, si volsero entrambi verso il pastore che, sorridendo, annunciò ai presenti di potersi accomodare per dare inizio alla cerimonia.

Uno stormo di colombe, non previsto quanto a sorpresa, scelse quel momento per levarsi al gran completo dagli alberi vicini e Serena, nell’osservarle ammaliata, mormorò: “Davvero bellissime.”

“Come te, del resto” replicò Beau, stringendole con forza la mano che teneva ancora avvinta nella sua.

Lei gli sorrise, soddisfatta ed emozionata e, nel tornare ad osservare l’officiante, si disse che tanto tempo passato a stare separati era infine valso il risultato finale.

Erano insieme. Per sempre.

§§§

Non ricordava molto delle ultime ore, complice soprattutto tutto lo champagne che aveva bevuto.

Di una cosa, però, era sicura.

La fede di brillanti in oro bianco di Cartier che brillava al suo anulare sinistro, era il simbolo primo del suo successo.

Trovarsi nuda e soddisfatta nel letto assieme a suo marito, il secondo.

Beau, prono sul letto e con il capo poggiato sul cuscino di piume, dormiva profondamente, la mano sinistra ben in vista e su cui spiccava la vera in semplice oro bianco scelta per lui.

A mascherarne la perfezione c’era solo il lenzuolo, che Rena mantenne al suo posto per concentrarsi unicamente sul suo viso addormentato e bellissimo.

Lo sciabordio dell’acqua si avvertiva appena, sullo yacht messo a loro disposizione da papà, e il capitano Sheperd era un autentico asso, nel guidarlo.

Sarebbero giunti a Ensenada, in Messico, entro poche ore - Serena ne era sicura - e lì avrebbero iniziato a godersi la loro meritata luna di miele.

Poco per volta, si sarebbero spinti verso Acapulco e, se il mare e il loro desiderio li avesse spinti più avanti, avrebbero proseguito fino a Capo Horn.

Nulla poteva fermarli, nulla ostacolava più il loro amore, perché ora erano un’unica entità, un’unica persona.

Presto, troppo presto, i loro impegni sarebbero tornati a bussare alla loro porta, ma per il momento potevano dimenticarseli.

Vanity Fair sarebbe andato avanti da solo, per alcune settimane, e la commedia di Beau ce l’avrebbe fatta a sopravvivere senza di lui, almeno per quanto riguardava le tante repliche richieste a Los Angeles.

Quando questa avesse debuttato in altre città, lui avrebbe dovuto inevitabilmente seguirla, almeno per un po’, ma Serena era preparata a questo.

Non la spaventava l’ignoto, perché ormai aveva imparato a combattere e lottare per ciò che desiderava con tutto il cuore.

“A cosa pensi, amore?” mormorò Beau, sorprendendola.

Chinandosi a dargli un bacio, lei replicò: “Solo al nostro futuro assieme.”

“E’ per questo che siamo qui, no?” ironizzò lui, ammirandola in tutta la sua nudità.

“Sì” assentì la donna, sospingendolo per farlo sdraiare supino e porsi sopra di lui, dominante.

Beau glielo lasciò fare e, nel carezzarle i fianchi snelli, le domandò: “Rimpianti?”

“Nessuno. E anzi, passerò il resto dei miei giorni a recuperare ogni singolo giorno che ho passato senza di te” dichiarò lei, allungandosi per baciarlo sulle labbra.

“Mi trovi perfettamente d’accordo, Mrs Shaw” ridacchiò l’uomo, lasciandola fare.

Serena sorrise, saggiò sulle labbra il suo nuovo cognome e, nel liberare il marito dall’impedimento del lenzuolo di seta, disse: “Ho voglia di te, Mr Shaw.”

“Mi avrai per tutta la vita, ogni volta che vorrai” mormorò lui, ora serio in viso.

“Risposta esatta” sorrise lei, deponendo un bacio sul collo del marito.

Dagli oblò, il sole fece capolino, ma nessuno dei due vi badò.

Ci sarebbe stato tempo per osservare l’alba sull’oceano, ma non era quello il giorno.

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N.d.A. : e con questo capitolo, si chiude la storia di Rena e Beau. Se vorrete continuare a seguirmi nelle loro vite, ogni tanto aggiornerò "Honey's World", poichè pare che in poche siano desiderose di abbandonare questo mondo, e questo mi rende assai contenta, perchè significa che quello che ho scritto vi ha fatte affezionare ai miei personaggi.

Ringrazio chiunque abbia letto, commentato, riso, si sia emozionato, arrabbiato o abbia, comunque, provato sentimenti diversi leggendo questa storia. I grazie continueranno all'infinito.

Come prossima avventura, tornerò al genere Soprannaturale, e posterò uno spin-off della Trilogia della Luna, che trovate tra le mie tante storie. Si intitolerà "Avventura al Chiaro di Luna". Per chi avesse seguito le vicende di Brianna e Duncan, dico solo che questa storia si svolge sette anni dopo gli eventi di "All'ombra dell'Eclissi", e la protagonista sarà Cecily, Capoclan del branco di Cornovaglia.

Per chi non si fosse avventurato nel mio mondo fatto di licantropi e magia, e fosse interessato a scoprirlo, consiglio la lettura di "Figli della Luna", primo capitolo della serie. 

Con questa notizia puramente tecnica chiudo questa nota, e ancora vi ringrazio per avermi seguita. Spero vorrete farmi ancora compagnia! 

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