Quando i ricordi diventano ossessioni

di Sweetpeace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In una giornata nuvolosa ***
Capitolo 2: *** Lacrime di sangue ***
Capitolo 3: *** I rimorsi che divorano da dentro ***
Capitolo 4: *** Gocce di dolore ***
Capitolo 5: *** Ricordi ***
Capitolo 6: *** Colpe ***
Capitolo 7: *** Una croce incisa nella carne ***
Capitolo 8: *** La ragazza dai lunghi capelli scuri ***



Capitolo 1
*** In una giornata nuvolosa ***


Scusate se non ho più pubblicato, questa storia è nata originariamente due  settimane fa, grazie mille a tutti coloro che leggeranno. Spero che recensirete in molti, ma non vi obbligo. Ora vi lascio alla ff, buona lettura :). *se ne va schivando pomodoro*
Sweet.

Si preannunciava una giornata normale alla Natsshouse, la giornata era nuvolosa, ma l'allegria e le risate delle persone che stavano insieme all'interno del negozio, la rendevano particolarmente solare. Le ragazze erano andate ad aiutare al negozio e, dopo aver finito, si erano concesse un po' di riposo e tranquillità per chiaccherare serenamente, da quando non erano più le leggendarie guerriere Pretty Cure, la ruotine era quella. Insomma, una giornata come le altre, o almeno così si era presentata, fino a quel momento. Il rumore di un vaso che si frantumava rovinosamente al suolo. Un urlo, una voce che conoscevano bene.
-Ragazze! Per favore, aiutatemi!- la voce di una Komachi spaventata allarmò tutti i presenti, Nozomi e Kurumi smisero di litigare per un pasticcino al cioccolato, Urara e Shiro fermarono la loro discussione sui provini della ragazza, Rin, Kokoda e Karen smisero di sistemare i gioielli sugli scaffali e Natsu si ridestò dalla lettura dell'ultimo romanzo scritto proprio dalla ragazza che aveva appena chiesto aiuto.
Un altra richiesta di aiuto fece alzare di scatto tutti e correre frettolosamente nel retro del negozio, dove videro qualcosa che probabilmente, anzi, sicuramente, non si sarebbero mai aspettati: un ragazzo che indossava un cappello con la visiera e un cappuccio in testa stringeva con un braccio il collo di Komachi, mentre con l'altra mano teneva un coltello all'altezza del ventre della ragazza. Lei provava a dimenarsi invano, quel ragazzo era molto più forte di lei. Un forte strattone e la ragazza dovette calmarsi, la salda presa del braccio sul suo collo si stava facendo più stretta.
-Non osate avvicinarvi, o questa bella ragazza si ritroverà un coltello conficcato nello stomaco e prima che la possano aiutare morirà per dissanguamento...- detto questo fece pressione con la punta del coltello sul ventre della ragazza. Gli occhi di Komachi si ridussero a fessure e si paralizzò non appena sentì la punta fredda dell'acciaio dell'arma  perforarle i vestiti e toccarle la pelle. Impallidì. 
Il ragazzo approfittò del momento di puro terrore che stava pervadendo il corpo della ragazza e la tirò a se con forza, indietreggiando fino a una FD nera e aprendo il baule. Anche volendo prendere la targa, sarebbe stato impossibile, era falsa, si vedeva, erano stati usati caratteri iragana. Erano caratteri che non potevano essere usati per le targhe d'auto, vietati dalla legge, prova lampante del fatto che la targa fosse falsa.
-No! Non farlo!- gridò la ragazza dai capelli verdi, ma prima che chiunque potesse fermarlo, il ragazzo col cappello sbatté senza pietà il corpo di Komachi nel portabagagli, sbattendolo con forza e chiudendo a chiave, poi, con un riflesso felino, salì in macchina e mise in moto, partendo 
velocemente e lasciandosi dietro 8 ragazzi rimasti attoniti dalla scena a cui avevano appena assistito. Le urla terrorizzate di Komachi che ancora riecheggiavano nell'aria circostante.
-Ragazzi, io chiamo il 911, questa è una cosa seria- disse una Karen che stava mandando al diavolo il suo solito sangue freddo, non si era mai trovata in una situazione del genere e davvero non sapeva come comportarsi, la ex cure della tranquillità era la sua migliore amica e ora si trovava in pericolo, cosa doveva fare? Stava iniziando a sudare freddo, un brivido le percorse la schiena, e se le avesse fatto qualcosa? Violenti tremiti cominciarono a scuoterle il corpo, gli occhi si spalancarono al solo pensiero che le autorità avrebbero potuto trovare il corpo della sua migliore amica in una pozza di sangue. Aveva paura, non riusciva più  pensare in modo razionale, se le fosse successo qualcosa non sarebbe mai riuscita a perdonarselo. Non poteva pensarci, non doveva pensarci, in quel modo avrebbe solo peggiorato la situazione, come se non fosse già stata abbastanza critica.
-Ragazze, dobbiamo mantenere la calma e provare a ragionare a mente lucida- intervenne a quel punto Kurumi, ridestandola dai suoi terrorizzati pensieri. Le mise una mano sulla spalla, chiudendo gli occhi, quasi le avesse letto la mente e avesse capito cosa provava. Sospirò.
-Dobbiamo sforzarci di mantenere la calma...-
-Ma come facciamo a mantenere la calma?! Komachi é appena stata rapita per chissà quale strano motivo e tu ci dici che dobbiamo stare calme?! Dobbiamo intervenire!- Nozomi era entrata nel panico, era scoppiata in lacrime tra le braccia del suo professore di giapponese, Kokoda provò a calmarla, ma senza successo, così optò per abbracciarla, anche lui aveva bisogno di un sostegno... Uarara piangeva aggrappata alla maglia di Shiro, superfluo dire che consolarla era inutile, ma lui continuava a parlarle per provarci e ad accarezzarle la testa, ma anche se si rifiutava di ammetterlo, la sua voce tremante non mentiva, era spaventato a morte per quello che sarebbe potuto succedere da quel momento in poi a Komachi. Rin stringeva i pugni così forte da far sbiancare le nocche, così forte da conficcarsi le unghie nella carne, strizzava gli occhi e serrava i denti fino a farsi male, non doveva piangere, lei era forte, non poteva scoppiare in lacrime, tuttavia esse pizzicavano gli angoli degli occhi per uscire, bruciavano. Non si era mai sentita così inutile. Ad un tratto fece un profondo respiro per provare a calmarsi.
-Come abbiamo fatto a non intervenire?-chiese. Chiaramente di lì a poco sarebbe scoppiata, ma non l'avrebbe data vinta così facilmente alle sue emozioni, doveva trattenersi,  se non fosse stata forte lei che lo era  sempre stata, chi ci sarebbe riuscito?
Tutti si voltarono verso di lei, sbigottiti, anche se in effetti era un ragionamento logico, erano in 8, potevano provare a fare qualcosa...
-Se l'avessimo fatto... Komachi sarebbe probabilmente già morta, è lui a condurre il gioco, non avremmo potuto fare niente nemmeno volendo...- stavolta era stato Natsu a parlare, era rimasto muto fino a quel momento. Sospirò. La sua solita voce calma e pacata? Al diavolo. No, questa volta era agitato, preoccupato, si sentiva dal tono di voce, anche se aveva provato a non farlo notare, non ci era riuscito. D'altronde Komachi era stata la prima di cui si era voluto fidare davvero, con il tempo, quella ragazza così timida aveva smontato le sue difese e aveva fatto breccia nel suo cuore. La sua prima vera amica, forse anche qualcosa di più. Anche quello di Natsu era un ragionamento logico, Komachi sarebbe stata accoltellata se avessero provato ad avvicinarsi...
Maledizione, perché doveva essere tutto così dannatamente difficile?
-Sì, pronto, 911?  Vorrei denunciare un rapimento, la ragazza si chiama Komachi Akimoto, ha occhi e capelli verdi...- Karen si stava occupando della denuncia, con la voce tremante, sul punto delle lacrime, ma se ne stava occupando. Il passo  più difficile sarebbe stato informare la famiglia, e soprattutto Madoka, le due sorelle erano così legate... Quella testa calda si sarebbe messa nei guai per aiutare Komachi, e questa era una cosa certa, ma che non doveva assolutamente succedere...
-Ci penso io...- Nozomi si era  calmata, si fa per dire, e si era offerta volontaria per chiamare la famiglia. Anche se ancora tremava e si poteva intuire che quello che doveva riferire non era una buona notizia, tra tutte le scelte che avevano, lei era sicuramente la più indicata in quel momento, logicamente dopo Karen, ma lei era impegnata con il 911. Prese il cellulare con mano tremante e compose il numero, un semplice gesto quotidiano che però pareva essere terribilmente difficile calato in un contesto come quello. Dopo vari tentativi riuscì a digitare correttamente il numero e portare il telefono all'orecchio.
-Pronto Madoka...? Sono Nozomi, devo... Devo dirti una cosa molto importante...- e mentre pronunciava quelle parole una lacrima silenziosa rigò il suo viso. 

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Capitolo 2
*** Lacrime di sangue ***


-No... Non può essere successo... Non alla mia sorellina...- Madoka era rimasta paralizzata nel venire a conoscenza del rapimento di Komachi, la solita luce allegra e spensierata che regnava nel suo sguardo sembrava essersi spenta, anzi, sembrava non essere mai esistita. Tremava come non aveva mai fatto in vita sua, fremeva dalla voglia di saltare in sella alla sua moto e correre a cercarla, ma era come se fosse trattenuta da una forza invisibile che nemmeno lei riusciva a spiegarsi, voleva andare, ma i suoi piedi non erano disposti a staccarsi dal pavimento della cucina. Il telefono ancora premuto sull'orecchio con forza.

-Ti prego Nozomi, dimmi che stai scherzando...- la voce spezzata, un groppo in gola che non voleva saperne di lasciarla tranquilla, si sentiva in colpa, ma non sapeva nemmeno lei perché, era come se fosse stata responsabile di quel fatto anche se non era nemmeno stata presente. Sentì dei singhiozzi dall'altra parte del telefono, Nozomi aveva ripreso a piangere, anche se era stata ben attenta a non farsi sentire, almeno non troppo.

-Non sai... Non sai quanto lo vorrei anch'io...- riuscì a dire tra un singhiozzo e l'altro. Un colpo al cuore, sperava da quando le era stato detto tutto che fosse uno scherzo, ci aveva sperato con tutta sé stessa, ma, a quanto pareva, non era bastato. Crollò a terra, concedendosi un piccolo singhiozzo.

Chissà come stava ora la sua sorellina...



Non sapeva dove si trovava, si era svegliata con le mani e i piedi legati. Probabilmente era svenuta quando quell'uomo l'aveva violentemente sbattuta nel portabagagli dell'auto. Si guardò i polsi, erano graffiati, la corda era troppo stretta, faceva male, ciò che la spaventò di più fu, però, la catena avvolta sopra la corda e inchiodata al muro, non poteva muoversi. Provò ad aprire la bocca per gridare, magari facendosi sentire da qualcuno che avrebbe potuto aiutarla, ma le si gelò il sangue nelle vene non appena si accorse che aveva la bocca chiusa con del nastro isolante; provò a muovere le labbra, ma l'adesivo del nastro gliele strappava, procurandole dei piccoli tagli e pungendole la lingua con il sapore ferroso del sangue.

Aveva paura come mai in vita sua, il terrore la paralizzava, il respiro si faceva irregolare e il battito cardiaco aumentava di minuto in minuto. Non sapeva come comportarsi, nemmeno quando era una Pretty Cure aveva mai provato qualcosa del genere. Si guardò intorno, non sapeva dove si trovava, era in una stanza molto piccola, poco ma sicuro. Così stesa, sul pavimento, aveva freddo, molto freddo. Provò ad alzarsi, mettendosi seduta, si guardò intorno e la vide, una porta di lamiera, interna rispetto alle pareti, il che voleva dire, se tanto le dava tanto, che le pareti dovevano essere spesse circa un paio di metri. Non sarebbe riuscita a scappare, non sarebbe riuscita a difendersi, sarebbe stata in balia di quell'uomo.

Nel bel mezzo di tutti i suoi pensieri, il rumore secco della serratura che scattava la ridestò. Fu presa di nuovo dal panico. Un uomo, alto, con occhi e capelli scuri, fece capolino dalla porta e si avvicinò pericolosamente a lei. La bocca tirata in un ghigno malvagio.

-Ciao Komachi, come ti trovi nella tu nuova stanza?- la ragazza strizzò gli occhi non appena quel ragazzo avvicinò una mano al suo volto.

-Non  devi avere paura di me, in questo momento mi servi viva- detto questo con una falsa voce innocente, prese l'angolo del nastro adesivo tra il pollice e l'indice e lo strappò con forza. Komachi sentì qualcosa di denso e caldo percorrere l'angolo della bocca; la reazione del ragazzo non si fece attendere, con il dorso della mano, coperta da un guanto, raggiunse la bocca della ex Pretty Cure della tranquillità e ce lo sfregò sopra, rivelando a Komachi che quella sostanza che aveva sentito scendere lungo il viso era sangue, probabilmente provocato dallo strappo del nastro isolante. Il ragazzo si lasciò andare in una risata compiaciuta. Gli piaceva procurarle dolore. Doveva soffrire.

Le prese il viso  tra le mani e si avvicinò pericolosamente alla sua bocca. Voleva baciarla. Con tutta la forza che aveva in corpo, Komachi alzò le gambe e le spinse con forza sul petto del ragazzo, per farlo indietreggiare. Lo spinse contro la parete, ansimando. Lui alzò lo sguardo verso di lei, un'espressione infuriata dipinta sul viso. Si alzò e le si avvicinò nuovamente, poi, senza alcun preavviso, le diede un pugno, poi un calcio e un altro ancora. Solo quando fu sicuro che stesse sanguinando e che non ce la facesse più se ne andò.

Komachi cominciò a piangere sentendo il sangue sgorgarle dalla gamba e percorrerle il polpaccio, sporcandole la gonna. Sentì la guancia gonfiarsi, le botte cominciare a diventare lividi, sentì anche che aveva preso a sanguinare dalla fronte, doveva avere un taglio sopra il sopracciglio destro. Poi ripensò che quel mostro voleva baciarla, e sorrise, aveva agito d'istinto, ma ne era fiera, lei voleva baciare solo una persona, e quella persona era Natsu. Le lacrime che le rigavano il viso per il dolore, ora erano causate dalla nostalgia, voleva tornare dalla sua famiglia, dalle sue amiche, da Natsu. Quanto avrebbe voluto poter essere alla Nattshouse, seduta tranquillamente a parlare del più e del meno, quanto avrebbe voluto poter essere in compagnia di sua sorella e dei suoi genitori... Sua sorella. Sua sorella Madoka. Avrebbe fatto qualunque cosa per lei, aveva paura che si sarebbe messa nei guai. Aveva come uno strano presentimento, sua sorella avrebbe fatto qualche cavolata, di solito non si sbagliava su queste cose. Chissà come stava, sperava vivamente che non le succedesse nulla, quel ragazzo le ricordava qualcuno, ma non sapeva chi. Non voleva che anche sua sorella si trovasse in una situazione del genere.

Chiuse gli occhi, facendo un respiro profondo e tentando di calmarsi. Cercò di ammorbidire la presa della corda sui polsi, muovendoli leggermente, ma non ci riuscì, i graffi bruciavano troppo. Avvicinò le gambe a se e si lasciò andare nuovamente in un pianto, uno sfogo disperato. Almeno non aveva la bocca chiusa...



Angolino non meritato dell'autrice:

Scusate lo spaventoso ritardo!!! *si inginocchia* spero che vi piaccia, se avete voglia vi sarei grata se recensiste, ma non vi obbligo, alla prossima.
Sweet.

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Capitolo 3
*** I rimorsi che divorano da dentro ***


Alla Natsshouse ormai regnava il caos, il negozio era stato chiuso, le auto della polizia con le sirene ancora accese erano parcheggiate davanti ad esso, le autorità che ancora interrogavano i testimoni. L'aria si stava facendo pesante, l'odore di chiuso invadeva le narici delle persone all'interno del negozio. Natsu si guardò intorno per un momento, pensando che se non avesse permesso a Komachi di andare sul retro, quella mattina, non sarebbe stata rapita. Si sentiva tremendamente in colpa per ciò che le era successo, voleva tornare indietro nel tempo e dirle che al vaso ci avrebbe pensato lui dopo. Ogni volta che pensava alla scrittrice sentiva il cuore stringersi in una morsa, avrebbero potuto farle del male, e lui non ci sarebbe stato. Non avrebbe potuto prendere le sue difese, non questa volta. 
Una mano lo ridestò dai suoi pensieri e, girandosi, gli si parò davanti una poliziotta con uno sguardo fiducioso, quasi provasse a incoraggiarlo, ma senza successo.
-Signor Natsu, dovrei farle qualche domanda riguardo alla sua amica, la signorina Komachi Akimoto- di nuovo una fitta al cuore, una morsa dolorosa che non voleva dargli tregua.
-Sì... Mi dica pure...- 
-Lei mi può confermare che stamattina la signorina Komachi era venuta ad aiutarla al negozio con le sue amiche, vero?-  Natsu annuì silenziosamente, sapendo cosa a breve gli avrebbero chiesto.
-E mi può anche confermare che lei non aveva una relazione con la ragazza, vero?- 
-Certamente, io e lei eravamo solo amici- 
La poliziotta annuì, prendendo appunti, poi si girò, probabilmente per fare qualche altro interrogatorio.
-Sicuro di non avere una relazione con la tua dolce Komachi?- Natsu sbuffò, il suo migliore amico non riusciva a smentirsi nemmeno in una situazione come quella, si girò guardandolo in modo truce, sembrava allegro, ma in cuor suo non lo era, stava male anche lui a vedere il suo migliore amico che soffriva, e poi, ovviamente, era preoccupato per Komachi. 
-Senti Natsu, so che ti stai praticamente uccidendo a forza di rimorsi, ma devi piantarla. Anche se continui ad addossarti la colpa, non puoi aiutarla, in questo momento devi essere paziente e aspettare che le autorità facciano il loro dovere. Sappi che se hai bisogno di sfogarti con qualcuno, io ci sono, credo che ti farà bene parlarne- detto questo, come era arrivato, se ne andò, Natsu ne rimase colpito, durante il discorso Kokoda era rimasto serio. Non gli aveva mai parlato così, non aveva mai usato quel tono con lui. Strano, solitamente quello serio era lui, anche se in questo momento non lo sembrava affatto. Poi guardò nella direzione delle ragazze, erano ancora shoccate, Karen si era appena lasciata cadere di peso su una sedia, lasciandosi alle spalle la sua aurea di rispettabilità e facendo spazio a una certa, se si poteva così definire, volgarità. La blu non si sarebbe mai sognata di farsi vedere così in pubblico, ma quella situazione l'aveva stremata. Rin era dietro di lei, con le braccia incrociate e lo sguardo perso davanti a lei, poi mise una mano sulla spalla di Karen e tentò di sorriderle. Nozomi e la piccola Urara erano abbracciate, la bionda che ancora non aveva smesso di farsi solcare il viso dalle lacrime. Kurumi seduta su una delle sedie del negozio con le mani premute sulle tempie e i gomiti poggiati sulle ginocchia. Insomma, non era una bella scena a cui assistere, non era mai bello vedere i propri amici soffrire, come non era bello osservare inermi un malvivente sequestrare la propria migliore amica, o meglio, la ragazza di cui si è innamorati. Natsu si stava distruggendo con i sensi di colpa, si sentiva logorare da dentro, impossibile negare che quella faccenda era cominciata tutta per colpa sua, o almeno così  credeva lui. 

Madoka era entrata nella stanza della sorella minore, si era guardata un po' in giro, come a voler fingere che Komachi fosse ancora lì. Si sedette sul letto e ne accarezzò le coperte. Sentì gli occhi farsi lucidi. Andò verso la scrivania, facendo scorrere le dita sul libri della sorella e sui suoi manoscritti, aprì i cassetti, come a voler controllare che ci fosse ancora tutto. Vide delle penne, quaderni degli appunti, qualche portafortuna, altri libri. E il suo diario. Lo stesso diario con il quale si confidava praticamente ogni sera, sul quale appuntava le ispirazione per i suoi manoscritti, al quale raccontava delle sue amicizie e delle sue avventure scolastiche, sul quale aveva a scritto il nome del primo ragazzo che amava davvero. Era strano a dirsi, ma a volte era perfino gelosa di quel diario, le sembrava che la sua sorellina preferisse raccontare i suoi segreti a lui piuttosto che a lei, anche se sapeva bene cosa c'era scritto. Komachi le aveva sempre raccontato tutto, le aveva chiesto consigli, a volte le aveva perfino permesso di leggerlo. Sorrise. Stava pensando a cose assurde, era davvero preoccupata. Un flusso di pensieri ed emozioni le stavano pervadendo il corpo, stare in quella stanza le faceva ricordare la sua sorellina, le faceva pensare che probabilmente se quella mattina non le avesse permesso di uscire, tutto  ciò non sarebbe successo. Da quando Nozomi l'aveva chiamata si sentiva strana, quel maledetto groppo in gola non la lasciava in pace nemmeno dopo il tempo che aveva passato a masticare pasticche per il mal di testa e bere thé caldo. Effettivamente ora si sentiva insonnolita, "sarà l'effetto delle pasticche" si ripeté tra sé e sé, intanto le sue dita scorrevano sulle mensole e la libreria della sorella come fossero dotate di vita propria. Quella stanza la rilassava in un modo totalmente diverso da come faceva di solito. Lì regnava una pace che solo sua sorella riusciva ad infondere, un odore di menta e vaniglia regnava sovrano pervadendo le narici di chiunque entrasse, ammortizzandone i sensi e rilassando i muscoli. Era come entrare in un luogo semi-mistico. Le parete bianche con quella linea geometrica verde chiaro distendevano i nervi, calmavano, la grande finestra scorrevole a parete faceva entrare aria fresca e le tende chiare contribuivano a rendere quella stanza un luogo praticamente perfetto per riuscire a rilassarsi. Madoka tornò a sedersi sul letto, poggiando poi la schiena sul materasso e chiudendo gli occhi. Voleva tranquillizzarsi, ma riaprì di scatto gli occhi, infatti appena li aveva chiusi aveva visto Komachi e si era vista costretta ad alzarsi bruscamente dal letto della sorella, anche se era ancora seduta. Strinse la coperta tra le mani, doveva ammetterlo, si sentiva davvero in colpa. Scese in cucina e si preparò una camomilla, decise poi di metterci una o due gocce di sonnifero, giusto per riuscire a dormire un po'. Poi si diresse verso la stanza e si arrotolò in una coperta di lana abbastanza pesante. Si addormentò pensando a sua sorella, sperando che stesse bene e che non le avessero fatto niente.

Karen non ce la faceva più, sentiva che di lì a poco sarebbe scoppiata nel vero senso della parola. Le persone che le stavano intorno l'avevano già vista crollare sulla sedia, in modo scomposto, ma quello non era ancora niente . La testa le batteva come se un picchio si stesse divertendo a martellarle le tempie con un piccolo ma potente becco. Aveva un'estrema necessità di pace. Prese una bottiglietta d'acqua dalla borsa e ne bevve qualche sorso, giusto per bagnarsi la bocca. Le sembrò di dover vomitare, ora che aveva bevuto si sentiva ancora peggio. Era come se la gola le si fosse chiusa e non accettasse di ingerire nulla. Non doveva succedere, non a Komachi. Aveva sempre pensato che quel genere di cose non sarebbero mai successe, né a lei, né alle persone a lei care, eppure... "Pensi sempre che certe cose succedano solo agli altri" si ripeté mentalmente, chiuse gli occhi, quasi a volerli riposare l, anche se solo momentaneamente. Le si dipinse in volto qualcosa di simile ad un sorriso nostalgico, poi si alzò e si diresse in cucina, subito seguita da Kurumi, ciò che però non sapevano era che, a modo loro, le due ragazze avevano pensato alle stesse cose.
-Vorrei preparare del thé , giusto per pensare razionalmente anche solo per un attimo, forse ci sono dei dettagli che possono essere importanti anche se a prima vista possono sembrare banalità...-
-Posso aiutarti?- in tutta risposta la ragazza annuì, dirigendosi verso il bollitore e versandovi dell'acqua.
-Certo che questa storia ha dell'incredibile...- riprese a quel punto Kurumi. L'amica rispose con un semplice "sì", seguito da un attimo di silenzio nel quale le due amiche si abbracciarono. La viola sentì la spalla bagnarsi, poi dei singhiozzi sommessi la fecero guardare  verso Karen. Stava piangendo.
-Non doveva succedere, non a Komachi, né a nessun altro di voi...- Kurumi si limitò a stringere l'abbraccio.
-Sì, hai ragione...- mormorò, silenziosamente. 
-Non doveva succedere...-

Angolino (non meritato) dell'autrice:

Innanzitutto scusate il ritardo nel postare il capitolo. Poi voglio ringraziare moltissimo:
-Kissenlove, grazie mille Love.
-Lunetta 12, grazie davvero Lunetta.
-Didi styles, grazie, grazie e grazie ancora.
Detto questo ringrazio anche chi leggerà o recensirà questa schifezza che io oso definire capitolo.
Alla prossima.
Sweet-chan.

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Capitolo 4
*** Gocce di dolore ***


Finalmente la gamba aveva smesso di sanguinare. Si era arrangiata come aveva potuto, aveva premuto con forza la stoffa della  gonna sul taglio ed era stata ben attenta a tamponare la ferita affinché questa non sanguinasse più. Faceva male. Ma era meglio di niente. Poggiò la testa contro il muro, chiudendo gli occhi e sospirando, "chissà come stanno le ragazze..." Si chiese. Ma il suo pensiero andava in particolare a due persone: Madoka, sua sorella, e Natsu... Il ragazzo che amava. In quel momento si vide costretta a spostare il bacino dal muro, ci premeva troppo contro, e i lividi non la risparmiavano di certo. Era passato molto tempo dall'ultima visita del suo rapitore, anche se non sapeva bene quanto. In quel momento poteva permettersi di provare a tranquillizzarsi. Tirò un sospiro di sollievo, almeno quel mostro non le aveva fatto troppo male, anche perché, essendo lei una fanatica di gialli, sapeva bene cosa poteva accaderle. Ripensò per qualche secondo al suo viso, le era tremendamente familiare, ma proprio non ricordava chi poteva essere, era sicura di conoscerlo, di averlo conosciuto, ma doveva essere accaduto molto tempo prima... Quegli occhi scuri... Li aveva già visti, ne era più che certa, ma dove?

*Flashback*
-Ciao Komachi! Che sta facendo il mio topo di biblioteca preferito?- 
-Mmh? Oh, ciao! Stavo andando a cercare la mia sorellona, l'hai vista?- una bambina di circa sette anni dai capelli verdi e gli occhi che ricordavano due smeraldi corse incontro ad un adolescente che si era inginocchiato per arrivare alla sua altezza. Sorrise. 
-Veramente volevo chiedere proprio a te se era in casa... Che duo, è?- la bambina si mise a ridere timidamente, quando gli occhi del ragazzo guardarono alle sue spalle. Non fece in tempo a girarsi che due mani le presero la vita e la sollevarono da terra.
-Komachi! Mi stavi cercando?- Madoka le sorrideva e, mentre la posava nuovamente a terra, le indicava il tavolo sul quale era poggiato un piatto di dolcetti di riso. Gli occhi della bambina si illuminarono, quindi corse subito verso di essi, per poi girarsi verso la sorella, come a chiedere il permesso di poterli mangiare. Ancora sorridente, Madoka annuì. Quindi la piccola Komachi prese un dolcetto tra le mani e lo addentò.
-Ti piacciono?- chiese poi.
-Sì, li ha fatti la mia sorellona, quindi non possono non piacermi!- affermò la bimba, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. I due adolescenti scoppiarono a ridere all'unisono, facendo arrossire la piccola, che assunse un'aria dapprima sconcertata, poi sempre più dubbiosa.
-Che ho detto di male?- chiese con un impeto di coraggio improvviso.
-Nulla Komachi, tua sorella ride perché è felice, come me- disse il ragazzo guardando la più grande delle sorelle Akimoto.
-Aaahh!!! Ora ho capito!!- sorrise la piccola, poi abbassò lo sguardo, fissandosi le punte dei piedi.
-Madoka... Posso chiederti una cosa?-
-Certo dimmi sorellina!-
-Ti va di leggere la mia storia?- chiese poi, rossa in viso.
-Certo! Dai, se vuoi lo leggo ora, poi però devo uscire, quindi ti lascio con mamma, va bene?- gli occhi della piccola si illuminarono, quindi sorrise ingenuamente e rispose di sì.
*fine flashback*

Perché le tornava in mente lui in quel momento? 
Il suo ricordo fu interrotto dallo schiocco della serratura. Era tornato.

Madoka si svegliò di soprassalto con un orribile presentimento, ma subito dopo le immagini di un bel ragazzo le si focalizzarono in mente. Madoka si ricordò di lui, non sapeva perché, ma quel bellissimo ragazzo le tornava in mente proprio in quel momento. Però era impossibile che fosse stato lui, era totalmente impossibile. Con lui aveva trascorso dei momenti meravigliosi, anche in compagnia di Komachi, poi, però, se ne era andato. E con lui se ne era andata la loro magia. L'aveva lasciata per assecondare i suoi genitori e proseguire gli studi in Inghilterra. E la lontananza non aveva tardato a farsi sentire, mettendo la parola fine alla loro storia. Ma loro non volevano. Sì, lei lo amava ancora, amava ancora il suo sorriso, amava ancora i suoi occhi scuri, amava ancora quel viso dolce e ingenuo, quei suoi capelli scuri e spettinati, quel suo andare pazzo per l'avventura, proprio come lei. Semplicemente lei lo amava. Non aveva mai smesso, nemmeno dopo la loro rottura forzata. Ne aveva passate troppe con lui, troppe prime volte: era con lui la prima volta che era salita su una moto, era con lui quando aveva dato il suo primo bacio, era con lui quando aveva varcato per la prima volta la soglia del liceo, così come anche dell'università. Lui era sempre stato al suo fianco. "Perché ti devo pensare proprio in un momento come questo?" Si chiese prendendo in mano il cellulare e facendo scorrere le foto. Eccolo lì, bello come sempre, mentre la abbracciava sorridendo, lei che gli schioccava un dolce bacio sulla guancia mentre, col braccio teso, scattava la foto a quei due giovani visi leggermente arrossati dalla situazione. Quanto le mancava. Doveva ammetterlo, era da egoisti pensare al proprio dolore in un momento come quello, ma non poteva farne a meno. Si portava appresso quel fardello da quando aveva 15 anni, ora ne aveva 22, erano sette anni che soffriva in silenzio, fingendo che andasse tutto bene, fingendo di essere felice. E invece, a volte, crollava. Scoppiava in lacrime in camera sua, affondando la testa nel cuscino, oppure si rinchiudeva in qualche aula isolata dell'università, oppure, ancora, quando sentiva di dover far fuoriuscire tutto il suo dolore, scappava via con una scusa e si nascondeva in qualche luogo isolato, per sfogarsi da sola. E il suo luogo preferito era quella collina. Quella stessa collina dove lo aveva visto la prima volta, dove il loro amore era nato, cresciuto e sbocciato. Tutto in quella città le ricordava lui. Tutti i vicoli, i parchi, le vie. La scuola, con tutte le sue aule, la palestra, il campo sportivo. Il teatro nel quale avevano recitato "Romeo e Giulietta". Che batticuore le era venuto quando aveva sfiorato le sue labbra, il rossore le era salito alle gote quando lo aveva sentito sorridere sotto quel tocco. Aveva capito a 13 anni di essersi innamorata di lui, aveva indugiato per due anni prima di dirglielo, e quando pensava di aver raggiunto la felicità, qualcuno gliel'aveva strappata di mano e gliel'aveva portato via. Da quel momento, aveva passato un periodo terribile, si era rinchiusa nella sua stanza, aveva rischiato l'anoressia, si era lasciata logorare dal dolore. Poi aveva trovato la sua piccola ancora di salvezza, sua sorella. Vederla sorridere le aveva ridato un po' di felicità, mai avrebbe voluto che soffrisse come aveva sofferto lei, mai lo avrebbe permesso. Eppure ora la sua sorellina stava soffrendo. Madoka si era giurata che non lo avrebbe mai permesso, ma non ci era riuscita. Doveva aiutarla. Si alzò dal letto e scese velocemente fino all'ingresso, si infilò gli stivali e fece per uscire, ma lo squillo del telefono la bloccò.
-Pronto?-
-Ciao Madoka- sentì il cuore cederle, era così simile alla voce di quel ragazzo.
-K-Kaito...?- chiese, incredula.
-Non vuoi parlare con tua sorella?- 

Komachi lo aveva sentito entrare e avvicinarsi. Le aveva accarezzato i capelli e il viso. Poi era passato alla spalla e si voleva avvicinare al seno. La ragazza non era più riuscita a ragionare e aveva usato come meglio poteva le sue ballerine, tirandogli un calcio maldestro, a causa del fatto che i piedi erano legati. Lo aveva colpito e lui si era allontanato.
-Komachi, Komachi... Devi smetterla di ribellarti, oppure finirai per farti male, molto male- detto questo aveva afferrato un coltellino svizzero e aveva cominciato a farlo scorrere sul collo della ragazza, fino a fare tanta pressione da procurarle dei tagli. Il sangue aveva cominciato sgorgare dalle ferite e a sporcarle la pelle, prima candida, poi purpurea. Stava soffrendo. Di nuovo. Poi lui si allontanò. Prese in mano il cellulare e compose un numero, solo dopo a Komachi fu chiaro chi stava chiamando.
-Ciao Madoka- la ragazza sgranò gli occhi. Quel mostro aveva chiamato sua sorella per farla soffrire, non doveva, non poteva farlo.
-Non vuoi parlare con tua sorella?- le lanciò uno sguardo derisorio mentre lei faceva affiorare le lacrime agli occhi, uno sguardo disperato mentre tentava di dire qualcosa sotto lo strato di nastro isolante. Quell'uomo si stava divertendo, sì, si divertiva a farle cadere addosso tante piccole gocce di dolore, e mentre esse cadevano, l' abbassarsi moderato ma continuo della temperatura segnalava l'arrivare della sera.


Angolino (non meritato) dell'autrice:

Rieccomi con un nuovo (come io oso definirlo) capitolo. Ringrazio tutte quelle sante persone che hanno letto i  capitoli precedenti e hanno anche avuto il coraggio di leggere questo. Grazie mille. Allora allora allora, ringraziamenti speciali a:
-Kissenlove (ciao Love! Grazie per avermi sopportata anche in questo capitolo)
-Lunetta 12 (sempre gentile con me!)
-Didi Styles (grazie degli incoraggiamenti!)
-CureAri (grazie mille anche a te!)
Ora che ho ringraziato queste povere martiri che hanno recensito fino ad ora, ringrazio anche tutti quelli che leggeranno e/o recensiranno. Spero che il capitolo (schifezza assoluta) vi sia piaciuto. 
Alla prossima!
Sweet.

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Capitolo 5
*** Ricordi ***


-C-che stai dicendo?- Madoka era sconvolta, non riusciva a credere che Kaito, il suo Kaito, avesse rapito sua sorella.
-Ti ho solo chiesto se vuoi parlare con tua sorella, in caso contrario... Penso proprio che mi divertirò ancora un po' con lei- perse un battito, non poteva credere a quello che aveva appena sentito. Crollò a terra in ginocchio, una mano a coprirsi la bocca, gli occhi sgranati. Si sentiva svenire, violenti giramenti di testa la obbligarono a poggiare la schiena contro lo stipite della porta.
-Fammi parlare con lei, ti prego!- non si era nemmeno resa conto del tono supplichevole con cui lo aveva detto. Sentì una risata dall'altro capo del telefono.
-Dammi solo un secondo- la ragazza avvertiva che quel mostro si stava divertendo, sorrideva dall'altro capo del telefono.
-Madoka!- la sua voce, disperata, ma allo stesso tempo felice di poter parlare con lei.
-Komachi! Ti prego, dimmi che stai bene!- aveva gli occhi lucidi, sentire sua sorella l'aveva resa felice, almeno adesso sapeva che era ancora viva.
-Madoka, non fare pazzie, non venir...-
-Komachi? Komachi?!- 
-Credo che abbiate parlato abbastanza, ora ti saluto, mi farò sentire presto. Ciao, Madoka- la voce fredda e sadica. Aveva paura per sua sorella.
-Aspetta, ti prego! Non farle del male!- prima che potesse proferire altra parola, il suono cupo dello squillo del telefono la zittì. 
Non poteva essere vero, Kaito non avrebbe mai fatto una cosa del genere a Komachi, erano sempre andati così d'accordo. Che gli era preso? Perché lo aveva fatto? Che motivo aveva di rapirla o di farle del male? E poi, il suo carattere era così diverso da come si era comportato l'uomo al telefono, era sempre stato gentile e disponibile, e poi il suo Kaito odiava la violenza. 
Si tirò su e si diresse di corsa verso la sua moto. Doveva andare da loro e avvertirli. Avvertirli che Komachi era viva, che potevano ancora fare qualcosa per aiutarla. Corse fino a fuori dal cancello di casa e saltò in sella alla sua moto così velocemente che rischiò di scivolare ed avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con l'asfalto. 
Mise in moto con foga e accelerò come non aveva mai fatto in vita sua, stringendo con forza il manubrio, come a voler allentare la tensione accumulatasi in quelle ore. Come a voler cancellare la voce di Kaito e le sue parole dalla sua mente. Il vento le sferzava il viso, spettinandole i capelli, si accorse solo in quel momento che nella fretta si era completamente dimenticata dell'esistenza del casco. Ignorò totalmente la violenza con cui il vento le impediva di respirare normalmente e accelerò ancora di più. Attraversò quegli stessi vicoletti che aveva percorso tante volte insieme a Komachi per accompagnarla dalle sue amiche e dai suoi amici, chissà come mai ogni volta che nominava Natsu arrossiva, gonfiava le guance e le ricordava gli stessi dolcetti di riso che lei tanto amava fare. Era innamorata, ovviamente. Probabilmente lo sapeva tutta la città a parte i due diretti interessati. Tutti sapevano dei sentimenti che provavano l'uno dell'altra, ma loro sembravano sempre non farci caso, e, a volte, negavano addirittura. Almeno questo era quello che faceva sua sorella. 
Chissà come stava lui in quel momento... Probabilmente sotto la sua corazza protettiva si sentiva morire... Proprio come era stata lei quando le avevano portato via il suo Kaito. 
Il suo flusso di pensieri fu interrotto dall'insegna della Natsshouse che le si parò davanti fin troppo velocemente, come aveva fatto ad arrivare lì così in fretta? Non importava, ora doveva andare da loro e parlare. Doveva vuotare il sacco, dire tutto di Kaito e delle telefonata, del fatto che aveva sentito la voce di Komachi e che lei era ancora viva. Potevano fare qualcosa. Troppo impegnata a pensare a come introdurre il discorso, non si accorse che dalla terrazza del negozio qualcuno la stava osservando, per poi precipitarsi giù per le scale e andarle incontro.

Urara se n'era andata dal negozio da mezz'ora circa, camminava senza una metà precisa, solo per pensare, solo per stare sola. Komachi. Lei che era sempre stata così buona e gentile con tutti, perché avevano dovuto prendere proprio lei? Non che lo augurasse a qualcun'altra delle sue amiche, ma Komachi... Lei non aveva abbastanza carattere per potersi difendere... Era troppo altruista e generosa. Non si sarebbe mai neanche lontanamente immaginata di poter fare del male a qualcuno per difendersi. 
Succedeva una volta su mille che venisse rapito qualcuno che ti stava a cuore, lo aveva letto da qualche parte... Allora perché? Perché proprio a una delle sue migliori amiche? Shiro aveva proprio ragione: non bisogna mai perdere di vista le persone e le cose a te care, sono loro a svanire più facilmente. Non osava nemmeno immaginare cosa poteva farle quel verme. Perché lui era un verme. Prendere una ragazza indifesa come lei era da vermi, se fosse stato un vero uomo non lo avrebbe fatto. Sentiva ribollire il sangue nelle vene se pensava a quel ragazzo, non capiva il senso di un'azione del genere.
Senza sapere bene come, si ritrovò scendere le scale mobili della metropolitana e ad aspettarla. La banchina era deserta, ma lo sguardo le cadde nuovamente sulle scale. Non si era mai accorta della monotonia con la quale scendevano e risalivano nella stazione. Di solito erano brulicanti di vita, gente che correva, saliva, scendeva, parlava con gli amici o al cellulare, ma ora no. Sembrava che il mondo si fosse rinchiuso in qualche angolo buio e disperso. Forse se lo stava immaginando? Era solo una sua impressione? Forse.
Distrutta, si sentiva come se fossero giorni che non dormiva, quella faccenda l'aveva spossata a tal punto da non riuscire nemmeno più a distinguere le esatte parole dell'altoparlante. La voce metallica era così dannatamente fastidiosa, le era venuto anche il mal di testa. 
Una volta aveva preso la metropolitana con Komachi.

*Flashback*
Erano uscite un'ora primaria scuola, lei e Komachi. Avevano deciso di andare a prendere un gelato per combattere il caldo infernale che quella primavera si era insidiato nella loro città. Quindi erano andate verso la metro, chiacchierando del più e del meno. Ricordava bene come era felice Komachi quel giorno, Natsu aveva letto il suo nuovo manoscritto, ma non era stato affatto duro con lei, anzi, era stato gentile e comprensivo nel spiegarle dove c'erano errori, strano a dirsi per uno come lui. 
-Qui c'è aria di Komachi innamorata!- aveva gridato lei, attirando si addosso gli sguardi divertiti delle persone che si riversavano in strada. Lei era arrossita e aveva gesticolato qualcosa di incomprensibile balbettando cose del tipo "Ma no! Che vai a pensare!?", oppure "Non dire sciocchezze!", oppure ancora "Non è affatto vero!". O almeno questo era quello che aveva capito lei. 
Scendendo le scale mobili aveva continuato a punzecchiarla, facendola arrossire per ogni sciocchezza, le aveva perfino detto che Natsu era dietro di lei. Si era irrigidita e si era girata piano, vedendo che dietro di lei no  c'era proprio nessuno, solo a quel punto aveva tirato un sospiro di sollievo. Poi erano scoppiate a ridere all'unisono, salendo sul veicolo.
-Oh no!- disse Urara tastando lo zaino nuovo, di un giallo limone così acceso da far invidia ai suoi capelli. 
-Che succede?- chiese Komachi vedendola così preoccupata.
-Ho dimenticato a scuola il copione per il provino!- Komachi sussultò. Il provino era tra un paio d'ore, potevano farcela. La prese per mano e scesero alla prima fermata, andando al binario opposto per tornare verso la scuola. Corsero come due matte, chiamando le altre per chiedere un piccolo aiuto. 
Quando Urara ebbe nuovamente il copione in mano, sorrise di sollievo, mentre Komachi la guardava a metà tra il divertito e il felice. Poi erano tornare di nuovo verso la metro e si erano dirette verso il luogo del provino. 
Appena uscita dalla stanza, la giovane attrice aveva visto Komachi seduta ad aspettarla con due gelati in mano e gli zaini ai piedi, quanto era stata felice in quel momento!
*fine flashback*

"Ce l'avevo fatta, quella volta" penso Urara con un sorriso malinconico. La gentilezza di Komachi aveva il potere di spiazzarla sempre. 
Mentre questi pensieri le affollavano la mente, una giovane ragazzo era appena sceso da un aereo, con un sorriso stampato sul viso e uno sguardo felice posato su una fotografia a colori, dove c'erano lui e una ragazza giapponese con dei bellissimi occhi verdi. 
"Finalmente sono tornato"

Angolino (non meritato) dell'autrice ritardataria:

*Si nasconde dietro ad un vassoio* lo so, non uccidetemi, sono dannatamente in ritardo, perdonatemi. Se vorrete recensire o anche solo leggere sto schifo, fate pure, a vostro rischio e pericolo. Grazie a tutti e alla prossima, spero presto,
Sweet.

Ps: Lo so, il capitolo è un po' corto, ma è una specie di ponte con i prossimi, quindi vi prego di sopportare.

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Capitolo 6
*** Colpe ***


-Komachi sta... bene?- 
Senza parole. Ecco come si sentiva la giovane atleta in quel momento. 
A bocca asciutta. Le sembrava di avere la gola così secca da sentire dolore anche se solo provava ad aprire bocca. 
Piena di gioia. Voleva saltare da un lato all'altro della Nattshouse gridando che la scrittrice era viva e che potevano ancora aiutarla.
Logorata. Perché sapeva che anche se era viva, bastava un attimo di follia di quel bastardo perché venisse imposto un punto prematuro alla sua vita.
Dovevano fare qualcosa, in quell'ultimo mese la giovane scrittrice l'aveva capita come nemmeno la sua migliore amica, Nozomi, aveva saputo fare. Si era sentita legata più che mai alla ragazza alla quale non avrebbe mai pensato di poter dare la sua amicizia, aveva persino provato a darle qualche spunto per il suo libro. Non ne era uscita proprio in una bella figura, anzi, avevano riso tanto insieme per come a volte lei sbagliasse a mettere l'accento invece dell'apostrofo, o cose così. Sottigliezze, alle quali però Komachi dava peso. Aveva un'ossessiva attenzione per quei maledetti dettagli e questo faceva scoppiare a ridere la giovane Natsuki. Sì, avevano riso tanto per delle stupidaggini.
Anche la giovane dai capelli verdi aveva provato ad aiutarla con gli allenamenti... Insomma, le loro figuracce si erano alternate.
Ora, però, aveva altri pensieri per la testa. Voleva andare con Madoka a cercare Komachi, non le importava di nient'altro. Voleva salvarla.
E si sentiva anche una stupida, perché sapeva benissimo che non era lei la vittima in quel momento, certamente, tutti avevano preso molto male il rapimento di Komachi, ma due persone in particolare stavano soffrendo più di chiunque altro. Karen, la presidentessa del consiglio studentesco, la migliore amica della responsabile della biblioteca scolastica, la fredda e razionale ragazza con la quale lei si era scontrata così tante volte da creare un rapporto di amore-odio. E poi, beh... Natsu. Lo stesso Natsu per cui lei si era presa una cotta all'inizio, lo stesso ragazzo tanto carino con quegli occhi scuri e i capelli biondi che aveva fatto girare la testa un po' a tutte all'inizio, ma che era riuscito a smentire il suo aspetto angelico con quel suo carattere distaccato e malfidente. Tutte si erano rese conto di non essersi innamorate nel giro di qualche giorno, ma Komachi no. Komachi era rimasta fulminata dal giovane principe. E il giovane principe pian piano si era innamorato di Komachi.
E pensare che l'avevano presa in giro tante volte quando arrossiva in sua presenza... Ah! Maledetti rimorsi! Non era il momento giusto per pensarci, ora dovevano agire.
-Che intendiamo fare?- disse con un impeto di coraggio che non pensava di avere.
-Aspettare che la polizia svolga le dovute indagini- lo sguardo di tutti i presenti si catapultò su Natsu. Era seduto sul solito divanetto color crema con un libro in mano. 
-Non credevo che proprio tu avresti detto una cosa del genere- disse il giovane postino con una punta di disgusto nella voce.
-Shiro... Non dire così!- proruppe Urara aggrappandosi al braccio del ragazzo e guardandolo con gli occhi arrossati e gonfi. Aveva da poco finito di piangere la piccola attrice.
-Non litighiamo! Non capite che è proprio ciò che vuole?! Quel bastardo vuole metterci gli uni contro gli altri!- Madoka sbatte violentemente le mani sul bancone e, con altrettanta violenza, scoppiò in lacrime. Invano la giovane Yumehara tentava di consolarla, accarezzandole la schiena e facendola poggiare al suo petto per avere almeno un piccolo sfogo, mentre anche lei lottava nuovamente contro le lacrime.
-Madoka ha ragione maledizione! Dobbiamo stare calmi-
-Zitto Kokoda!- detto questo, Natsu sbatté il libro sul tavolo, facendolo tremare, e si alzò andando verso l'appendiabiti. Da lì prese un cappotto beige e uscì, in balia del freddo che si era impadronito della terra giapponese in quei giorni.
Ecco di nuovo che quella sensazione di impotenza si faceva strada nel cuore di Rin. Non era riuscita a trattenerlo, e ora vedeva gli sguardi dei suoi amici, indecisi sul da farsi. Un misto tra l'attonito, lo scioccato, lo spaventato e il sorpreso.
Era nuovamente impotente, non poteva fare niente.
Inutile, si sentiva inutile.

Perché? Perché maledizione?! Non doveva succedere a lei, non doveva succedere punto a basta. 
Camminava senza una meta, tenendosi la mani in tasca, cercando di non congelarsi, anche se con quel cappotto così leggero, l'impresa era ardua. Si strinse ancora di più in quel maledetto cappotto, quel maledetto cappotto che aveva un significato così speciale per lui, un regalo di Komachi, per il suo compleanno...

*Flashback*

Un ragazzo biondo e dalla pelle abbronzata si aggirava un po' spaesato per le corsie del supermercato, indeciso su cosa infilare nel carrello, dato che, come da copione in quegli ultimi giorni, aveva dimenticato la lista della spesa sul bancone della cucina, uscendo con la testa fra le nuvole.
"Ricapitoliamo, mancano le uova... Il latte... Komachi..." Le guance si colorarono di rosso, costringendolo a nascondersi con il viso rivolto verso i prodotti per non farsi vedere.
"Ma che mi prende?!" Si chiese, sbattendosi un pugno in fronte. Non poteva andare avanti così... Aveva già perso abbastanza della sua dignità il giorno prima, cadendo dalle scale mentre le ragazze lo guardavano ridendo, per non parlare di quei due imbecilli che si ritrovava come amici. Però... Un piccolo vantaggio in quella caduta c'era stato: Komachi si era alzata in un attimo per aiutarlo, chiedendogli se andava tutto bene e accompagnandolo in camera con dei cerotti per rimediare al taglietto che si era fatto per colpa di una maledetta scheggia. Poi, però, si era ricreduto, dato che aveva dovuto averla così vicina per farsi mettere un cerotto che poteva benissimo mettersi da solo. Ma no, lei aveva insistito, e lui non aveva saputo dirle di no. Morale della favola: era diventato viola, aveva cercato in tutti i modi di evitare quegli occhi verdi tanto belli e aveva finito per fare un'altra brutta figura. Perfetto.
Prese un pacchetto di dolci di riso e li buttò con malagrazia nel carrello, dirigendosi poi verso la cassa. Non lo avesse mai fatto.
Davanti a lui, all'entrata del supermercato, c'era la paladina della tranquillità, che lo salutava con un sorriso e gli andava incontro più raggiante che mai.
-Hei Natsu! Avevi dimenticato il biglietto alla Nattshouse e... Beh... Ho pensato di portartelo- disse la giovane con le guance leggermente imporporate, mentre un sorriso nasceva spontaneo sul volto del ragazzo.
-Grazie mille Komachi- disse poi, prendendo il biglietto dalla mano della ragazza, sfiorandola. Era solo una sua impressione o la ragazza aveva stentato a lasciarlo? 
-Ti... Ti andrebbe di aiutarmi con la spesa?- gli occhi della ragazza si illuminarono, dopodiché annuì felice.
Pochi attimo dopo i due si erano incamminati verso il negozio parlando del più e del meno, di certo Natsu non si aspettava ciò che stava per accadere.
Le luci all'interno della Nattshouse erano tutte spente è le finestre tutte chiuse, come se fuori non fosse stato abbastanza buio.
-Ma che diavolo...? Komachi?- il ragazzo si voltò, cercando di afferrare la figura esile della guerriera nel buio, ma senza successo, quindi a tastoni provò a cercare l'interruttore della luce. Sentì una risatina sommessa.
-Kokoda? Non è divertente, esci dai- involontariamente urtò contro qualcosa, o meglio, contro qualcuno. 
Mentre cadeva, anche nel trambusto, sentiva che qualcuno si aggrappava a lui. Komachi. Maledizione.
Fortunatamente il divano attutì la caduta. In pochi secondi le luci si accesero, rivelando la guerriera sul divano e il giovane principe sopra di lei. La frase "auguri Natsu" si bloccò, trasformandosi poi in una risata generale.
-Natsu! Tirati su!- riuscì a spiccicare Karen tra le risate. 
La situazione era abbastanza imbarazzante, ma non bastava, ci si dovevano mettere anche i ragazzi a cantare "tanti auguri". 
La paladina della tranquillità rise portandosi le mani alla bocca,  arrossendo e tirandosi su a sedere subito dopo il principe.
-Natsu! Auguri!- trillò poi Kurumi uscendo dalla cucina con una torta e dei dolci di riso.
Il volto del ragazzo si illuminò per un solo e fugace attimo, credeva che i suoi migliori amici si fossero dimenticati del suo compleanno! Come aveva potuto anche solo pensare ad una cosa del genere? I suoi amici non erano così. 
In pochi secondi fu sommerso di auguri e regali vari, tra i quali spiccava quello di Komachi: il cappotto beige con un bigliettino che lo fece arrossire.

*Fine flashback*

Pigiò la mano in tasca e ne estrasse un bigliettino spiegazzato e dagli angoli leggermente rovinati.

"Tanti auguri Natsu! Spero che il tempo trascorso finora sulla terra insieme a noi ti sia piaciuto. In ogni caso sappi che io mi sono molto affezionata a te e che per ogni genere di cosa ti possa servire io ci sono, non esitare a chiedere. 
Un ultima cosa... Ultimamente mi sembri un po' strano, ti va di parlarne? Io ci sono.
Ti voglio bene e ancora tanti auguri.
Con affetto, Komachi. :)"

Guardò ancora una volta il biglietto e lo rimise in tasca, sentendo una lacrima rigargli il viso, "È sempre stata così buona e disponibile... Pronta a proteggere il mondo con le suo sole forze, ma ora che era lei a dover essere protetta... Nessuno c'era, nemmeno io..." Pensò sentendo una fitta allo stomaco, dopodiché riprese a camminare, senza sapere dove andare, soltanto per stare solo, solo con le sue colpe.



Angolino della ritardataria:
*si inginocchia* perdonatemi! Imploro pietà! So che il mio ritardo è da far sclerare anche la più paziente delle persone... Ma vi chiedo scuuuusaaaaa!!!
*fa finta di nulla*
Allora? Che ne pensate dell'ultima schifezza che ho scritto? Se avete voglia recensite... Ma tranquilli, non vi obbligo, d'altronde non mi recensirei nemmeno io hahaha.
Alla prossima (sperando presto) ari amici e amiche!
Sweet-chan <3


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Capitolo 7
*** Una croce incisa nella carne ***


Una ragazza dai lunghi capelli scuri camminava per le tranquille vie di Osaka, parlando al cellulare, quando qualcosa interruppe la conversazione che stava intrattenendo con la sua migliore amica. Un urlo.

Nozomi senti una stretta al cuore, avete presente quando la paura vi attanaglia lo stomaco e avete l'impressione che stia succedendo qualcosa di brutto a qualcuno che amate? Ecco, Nozomi si sentiva esattamente così. Aveva forti conati di vomito. Stava male. In quel momento stava succedendo qualcosa a Komachi, ne era sicura, e stava passando da "È successo qualcosa di brutto" a "È successo qualcosa di orribile". 
Ed effettivamente era così, solo che, mentre lei poteva solo sentirsi impotente, Komachi si stava difendendo con le unghie e con i denti, nel vero senso della parola.
La ragazza dagli strambi capelli color fucsia si strinse le braccia intorno alla vita, tremando, con la bocca aperta e gli occhi sgranati, arrossati, lucidi e brucianti. Poi scosse leggermente la testa, cercando di pensare positivo. D'altronde, poteva ancora rivelarsi tutto uno scherzo, no? Magari erano incappati in una nuova serie tv e in quel momento Komachi era placidamente seduta in un camerino a bere thé e pensare alla faccia che i suoi amici avrebbero fatto quando lo avrebbero scoperto, preparandosi mentalmente a tutti gli insulti affettuosi che avrebbe ricevuto quando l'avrebbero vista scendere dalla FD nera che l'aveva portata via. 
Sì, poteva ancora rivelarsi essere così, magari anche la polizia era a conoscenza del fatto, per questo non si era ancora mossa per aiutare Komachi... Ma se non lo fosse stato? Allora perché le forze dell'ordine non si stavano muovendo? Probabilmente staccando cercando una pista, ma c'erano davvero pochissimi elementi sui quali poter lavorare, in fondo, loro, cosa avevano visto davvero? Un uomo col viso coperto, con un coltello e una FD nera. Sì, era davvero troppo poco su cui poter lavorare. 
Persa nei suoi pensieri, la paladina non aveva sentito Kokoda che la chiamava, e, quando le aveva posato una mano sulla spalla, aveva sussultato.
-Nozomi... Tirati su, forza. Dobbiamo essere ottimisti- disse con un mezzo e finto sorriso. Lei lo guardò, perdendosi nei suoi bellissimi occhi blu. Così blu da far invidia sia al cielo che al mare, quindi si lascio cullare da loro e si rilassò un po'. 
-Forse hai ragione...- disse, appoggiandosi al suo petto.
-Non forse signorina Yumehara, sicuramente, ho sicuramente ragione- stavolta il sorriso che aveva sul volto era vero, non una maschera di forza, vero e forte. Come ci riusciva? Sarebbe sempre stato un mistero per lei, quel ragazzo. 
-Vuoi un bicchier d'acqua?- le propose poi, più serio. Lei annuì semplicemente, ad occhi chiusi. 
Erano sicuramente incappati in una serie tv. Sì, doveva crederci.

Komachi urlò. Urlò mentre sentiva il sangue bagnarle la spalla, mentre si contorceva inutilmente sotto la lama del coltello che le squarciava la carne. Piangeva, di dolore, certo, ma soprattutto di paura, terrore puro che le attanagliava il petto e le impediva di respirare quel poco di ossigeno che le rimaneva sotto il dominio di quel dannato coltello. 
D'un tratto quella tortura cessò. E a quel punto la ragazza si concedette il dovuto respiro, chiudendo gli occhi con forza, come se si volesse costringere a svegliarsi da un incubo. Si morse le labbra con forza, immaginando che fossero una cintura, quelle che ti dicono di mordere forte per aiutarti a sopportare il dolore, ma non pianse, non voleva farla vinta a quel bastardo. Lo stava odiando in modo inversamente proporzionale a quanto gli aveva voluto bene quando  giocavano insieme, la aiutava con le sue favole, mangiavano i dolci di riso di Madoka e le preparavano delle piccole sorprese, come ad esempio il cartellone con scritto quanto le volevano bene, tappezzato di foto che campeggiava sopra il letto della motociclista. Insomma, diciamo che se fosse rimasta chiusa in una stanza con lui e avesse avuto con sé una pistola, avrebbe messo da parte tutti i suoi sani principi e gli avrebbe sparato. "Komachi, che vai a pensare? Non sei una violenta tu!" Si ripeté mentalmente. 
Si costrinse ad aprire gli occhi quando la mano dell'uomo si andò a posizionare a mo' di pugno sotto il suo mento e il pollice le accarezzava dolcemente lo zigomo, un po' come avrebbe fatto un ragazzo appena prima di baciare la fidanzata, ma lui non lo fece, anzi, con uno scatto fulmineo le diede un ceffone, per poi mettersi a ridere soddisfatto e, finalmente, andarsene. 
Solo in quel momento le calde lacrime della ragazza cominciarono a rigarle il viso. Si guardò la spalla, aveva un'elaborata (per quanto fosse possibile con un coltello) croce incisa nella carne. Era disgustosa, e, se fosse sopravvissuta, e aveva seri dubbi, le avrebbe ricordato per sempre la terribile situazione in cui si era trovata.

Madoka si svegliò di soprassalto. Aveva sognato Komachi, le sue urla, il suo dolore e Kaito che le faceva del male, sadico come non mai, compiaciuto nel provocarle tutto quel male. Quando si era addormentata? E chi l'aveva portata al piano superiore della Nattshouse, dove si trovavano le camere?
Si mise una mano sulla fronte e decise di scendere in cucina a prendere un bicchiere d'acqua, ma ci ripensò, sentendo i poliziotti che interrogavano le ragazze. Voleva rimandare il più a lungo possibile quel momento, come se tutto quello che era successo fosse solo un incubo, un terribile incubo che so era creato in quella stanza e lì si era consumato. Come se Komachi fosse di sotto a chiacchierare con le sue amiche e lei si fosse soltanto immaginata tutto, un interrogatorio da parte della polizia avrebbe reso tutto terribilmente reale. 
Notò che poteva bere anche senza dover scendere, qualcuno aveva posato una bottiglietta d'acqua sul comodino. Com'è che non l'aveva notata? La prese e bevve avidamente, poi sentì dei passi rimbombare sulle scale, finché un poliziotto entrò nella stanza con la fatidica frase:
-Signorina Akimoto, mi dispiace molto per sua sorella, posso farle qualche domanda?-
La ragazza abbassò la testa e sospirò, acconsentendo poi a bassa voce.


Angolino della ritardataria:
Eheheh eh... Non uccidetemi, vi scongiuro *si inginocchia* avevo detto che avrei aggiornato presto, almeno speravo, ma me ne sono completamente dimenticata... Ho avuto un sacco di cosa da fare con la scuola, anche se ovviamente un ritardo così è a die poco ingiustificabile :( scusatemi tanto. Non so se sto solo peggiorando la situazione, ma il capitolo era pronto da inizio febbraio :c 
Se volete insultarmi, accetto tutto hahaha perdonate la vostra ritardataria -ormai non più- preferita. 
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se secondo me è orrendo. 
Bacioni, la vostra.
Sweet-chan <3

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Capitolo 8
*** La ragazza dai lunghi capelli scuri ***


Una poliziotta aveva accolto la ragazza dai lunghi capelli scuri alla centrale, si chiamava Akemi, Akemi Nagamizu. 
-Quindi mi sta dicendo che stava parlando al cellulare, quando ha sentito un urlo- chiese la poliziotta, scettica. Credeva fosse la tipica bravata da adolescente, giusto per far parlare di sé.
-Non mi parli così, le giuro che è la verità- disse la giovane, preoccupata dal tono della poliziotta.
-E mi dica, sa darmi qualche ulteriore dettaglio?- continuò la poliziotta, ignorando la domanda.
-Dunque... Era una ragazza ad urlare, chiedeva aiuto, e sembrava che ci fosse qualcuno con lei, e rideva... Poi sono scappata, non sono riuscita a capire da dove veniva quell'urlo, sembrava quasi che venisse da sottoterra, che squarciasse l'asfalto e si facesse strada lungo la via. Mi spiace, ma non so dirle altro...- Akemi chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi su qualche dettaglio e ripercorrendo la scena, quando qualcosa scattò nella sua mente.
-C'era una FD nera parcheggiata sul retro di un magazzino, ci sono passata davanti quando sono corsa via per venire qua- gli occhi della poliziotta si accesero di interesse, una FD nera, come quella del caso Akimoto.
-Non ricordi altro?- la ragazzina scosse la testa.
-Mi sono precipitata qui perché so della ragazza che hanno rapito, alla tv hanno detto che l'avevano portata via su quel modello d'auto e ho pensato che poteva essere utile saperlo- fece una piccola pausa, la poliziotta la guardò intensamente.
-Ne sei sicura?-
-No, c'era qualcos'altro, ne sono sicura, nella targa della macchina, i caratteri... I caratteri... Sì! Erano caratteri iragana! Era una targa falsa!- trillò Akemi.
-Guardi troppi polizieschi, lo sai?- la ragazza annuì colpevole, sorridendo timidamente.
-Sei stata brava Akemi, ora, però, avrei bisogno di una deposizione, te la senti?- la ragazzina annuì.
-Posso chiederle un favore?- la poliziotta la guardò curiosa, facendole un cenno col capo.
-Vorrei che informaste la famiglia della ragazza di mantenere la speranza, di non mollare. Lei è ancora viva- la poliziotta fu sorpresa dalla richiesta, quindi sorrise dolcemente.
-Sei molto altruista- constatò, poi si alzò per prendere i documenti da far compilare ad Akemi. 

-Quindi la signorina Komachi è uscita di casa stamattina e, dopo la scuola, è venuta qui al negozio in compagnia delle sue amiche per aiutare il proprietario?- chiese il poliziotto a Madoka. Lei annuì soltanto.
-Questo è ciò che mi ha scritto prima di venire qui- sospirò, ora era tutto dannatamente reale. Lui la guardò, sembrava pensieroso, come se una nube scura aleggiasse sopra la sua testa facendoci piovere sopra qualcosa, forse ricordi, forse opinioni, o possibili piste sul caso. Questo la motociclista non lo sapeva. 
-Vuole leggere il messaggio che mi ha mandato?- chiese poi, cercando di togliersi di dosso quello sguardo inquisitorio.
-Volentieri- annuì il poliziotto, prendendo in mano il telefono della ragazza.
"Ciao Madoka :) ti volevo dire che vado alla Nattshouse con le ragazze, quindi farò più tardi del solito. Ci vediamo a casa."
Il poliziotto porse il telefono a Madoka, sorridendole.fece per alzarsi e lasciarla sola, quando un trillo meccanico si fece strada dalla tasca della divisa dell'agente. Egli rispose al telefono, serio, poi riattacco velocemente.
-Signorina, un'ultima cosa- fece lui, attirando l'attenzione della ragazza.
-Mi è appena arrivata una comunicazione dalla centrale, una testimone afferma di aver visto l'auto sulla quale sua sorella è stata portata via- tralasciò la parte dell'urlo, non voleva metterla in allarme, era già troppo preoccupata. Gli occhi della ragazza si riempirono di sorpresa, si alzò di scatto e prese il poliziotto per la camicia, senza però strattonarlo.
-Dice davvero?- chiese con gli occhi pieni di lacrime. Il poliziotto sgranò gli occhi, poi annuì, facendola sedere e chiedendole se aveva bisogno di qualcosa. Lei scosse la testa.
-Di mia sorella non si sa nulla?- chiese lei sotto shock, vide il poliziotto scuotere la testa. Si mise le mani tra i capelli e pianse, pianse come non aveva mai fatto prima. Non aveva la minima idea su cosa fosse accaduto a sua sorella, per conto suo poteva essere morta nel bagagliaio dell'auto. 

"Dove diavolo sarà il mio bagaglio? Dannazione, ho fretta" un giovane dai capelli scuri guardava il suo orologio da polso, evidentemente impaziente. Sembrava quasi che volesse mollare lì il suo bagaglio e correre fuori per fare chissà che cosa, a chiunque sarebbe sembrato un pazzo, ma a lui, alla fine, non importava neanche. Era lontano da quella terra così meravigliosa da tanto, troppo tempo. E lo voleva recuperare tutto, eccome se lo voleva. Finalmente la valigia nera tanto attesa fece capolino sul nastro trasportatore. La prese per la maniglia sbuffando, quando il grande televisore che aleggiava alle sue spalle trasmise qualcosa che gli fece accapponare la pelle.
"E ora passiamo al caso Akimoto".
Un tuffo al cuore. Akimoto. Madoka faceva Akimoto di cognome. No, era impossibile. Chissà quante persone avevano Akimoto come cognome in Giappone. Non poteva riguardare lei, era totalmente impossibile. Andiamo, quante possibilità c'erano? Una su un milione, se non di meno.
"Come tutti sappiamo, la quindicenne Komachi Akimoto è stata rapita davanti ad una piccola gioielleria in mattinata, portata via su una FD nera. Dell'adolescente non ci sono tuttora tracce, ma le forze dell'ordine stanno interrogando testimoni e familiari. Ecco a voi la nostra inviata".
Komachi. Il suo topo di biblioteca preferito. Dio. Chi poteva farle una cosa del genere? Doveva correre subito da Madoka, poteva scommettere l'anima che si stava struggendo di sensi di colpa... E poi, beh, dovevano dirsi molte cose. Prese nuovamente in mano la foto della bella giapponese e si precipitò fuori dall'aeroporto andando a sbattere contro un paio di persone, lasciandosi alle spalle i loro insulti. Doveva andare da Madoka, e doveva andarci adesso.


Angolino immeritato di una sadica a caso:
Ok, so che non è il massimo e mi scuso tantissimo, è moooltooo corto e, soprattutto, moooltooo stupido. A mia discolpa posso dire che è un altro ponte con i prossimi capitoli, perché, come si è capito, il famigerato ragazzo fai capelli castani è tornato in Giappone!!! :D 
Ringrazio chi legge e recensisce, come sempre e spero di non avervi delusi con questo (stupido e cortissimo) capitolo. Scusate ancora :(
Alla prossima (speriamo presto, eviterei volentieri i pomodori in faccia),
Vostra (non)affezionata,
Sweet-chan. <3

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