Un giorno, per caso.

di Toki_Doki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Oceano ***
Capitolo 2: *** Mr Darcy ***
Capitolo 3: *** Miss Bennet ***
Capitolo 4: *** Occhi in tempesta ***
Capitolo 5: *** Non mi deluda Miss Bennet ***
Capitolo 6: *** Nessuna eccezione ***
Capitolo 7: *** Io vorrei... Non vorrei... ma se vuoi ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'Oceano ***


Cap 1. L'Oceano L’Oceano.

Erano gli occhi più belli che avessi mai visto. Restai a fissarli per interminabili istanti finché il suo sorriso non attirò la mia attenzione riportandomi sulla terra.
Mi schiarii la voce e distolsi lo sguardo imbarazzata.
“Che piano?”
“Come scusa?” Chiesi non capendo.
“Io scendo al quinto piano, per te quale prenoto?”
“Ah.” Sorrisi appena goffamente. “Anch’io scendo al quinto, grazie.”
Se volevo dire o fare qualcosa, quello era il momento giusto: quell’occasione non sarebbe mai più ricapitata. Mi persi nei miei pensieri cercando qualcosa da dire, anche un semplice ammiro te e il tuo lavoro ma avevo il buio più totale in testa. Perché la mia faccia tosta era scomparsa lasciando posto alla timidezza?
“Che fai, non scendi?” La sua voce mi fece tremare le ossa.
Quella voce che ritrovavo nei miei sogni, quelli che non raccontavo a nessuno per non essere presa in giro; quei sogni in cui ero a Londra con lui.
“Sono un po’ distratta oggi.” Mi giustificai arrossendo.
Ridacchiò bloccandomi il cuore.
Mi maledii per aver tenuto lo sguardo basso perdendomi il suo adorabile viso sorridente. Perché quando lui sorrideva, tutto il suo volto si illuminava e delle tenerissime e affascinanti rughette si formavano sotto i suoi occhi trasmettendoti il sorriso. Quante volte avevo desiderato esserne il motivo! Avevo perso il conto anch’io.
Scesi dall’ascensore e lo ringraziai per aver tenuto le porte aperte.
“È stato un piacere.” Disse distaccato. “Buona giornata.”
“Anche a te.” Sentii improvvisamente gli occhi bruciarmi; una lacrima rigò il mio volto.
Sgranò leggermente gli occhi deglutendo.
“T-tutto bene?” Mi chiese con palese disagio. Mi sentii morire per la pessima figura che stavo facendo.
“Sì, credo.” Risposi ridendo nervosamente mentre col dorso della mano asciugavo le mie lacrime. “Non so cosa mi sia preso!”
Mi fece una carezza sulla spalla, poi mise le mani in tasca. Era rimasto a fissarmi in silenzio con i suoi occhi meravigliosi.
“Non ho mai visto l’Oceano.” Dissi all’improvviso pensando che avevano definito i suoi occhi del colore dell’oceano in tempesta.
Mi guardò spiazzato poi scoppiò a ridere.
“Sei davvero strana.”
“M-mi dispiace, non sono sempre così. Anzi! Non lo sono mai. Mi mandi in tilt.”
Fantastico! Come se non mi fossi resa abbastanza ridicola.
“Non mi piace fare questo’effetto alle persone.”
Mi guardò in un modo che mi mise timore, quel modo che rivedevo spesso in alcuni scatti rubati o durante alcune interviste. Mi sentivo nuda e impacciata: avevo rovinato un momento che sognavo da sempre.
Stavo per scoppiare a piangere ma strinsi i denti e mi costrinsi a darmi un contegno: avevo 24 anni per la miseria!
“Non posso farci niente.” Dissi a fatica. “Buona giornata.” Gli augurai passandogli accanto e dirigendomi verso lo studio fotografico.
Ero stata una cretina; una deficiente ragazzina impacciata che insegue i propri sogni ma non ha le palle di realizzarli.
Avevo incontrato finalmente Benedict Cumberbatch e avevo fatto la figura di una malata di mente. Avevo immaginato quel momento in vari modi; avevo pensato a mille e più frasi da dirgli per esprimergli la mia ammirazione, quasi venerazione in realtà, e invece non avevo detto nulla. Anzi! Le poche cose che avevo pronunciato avevano contribuito a fargli avere di me una brutta impressione.
Presi velocemente un fazzoletto dallo zaino e mi soffiai il naso obbligandomi a smettere di piangere ed insultarmi mentalmente.
“Ehi, scusami!” Mi voltai sorpresa.
“Sì?”
“Sono stato maleducato ed indelicato. Non ho avuto un risveglio dei migliori e me la sto prendendo con chiunque.” Sospirò.
“Non preoccuparti. Devo esserti sembrata una pazza quindi sei giustificato.” Risi appena sperando di aver aggiustato un minimo l’idea che si era fatto di me.
“Nessun motivo può giustificare un comportamento tanto scontroso. Ti chiedo ancora scusa.”
Sorrisi nel pensare che gli inglesi vivevano di pane e scuse.
“Ho già dimenticato tutto.”
“Lo spero.” Il suo sguardo e la sua espressione gli davano un’aria sempre seria e fredda. “Dove vai?”
“Sto seguendo un corso fotografico col Sig. Miron. Mi ha voluto qui oggi per mostrarmi come si lavora ad un servizio fotografico con un personaggio importante e di spicco del mondo dello spettacolo.” Gli scappò un sorriso.
“Ti ha detto chi è o si giocherà la carta dell’effetto sorpresa?”
“È rimasto sul vago dicendomi soltanto che apprezzerò il suo invito e gli sarò riconoscente a vita.” Ridacchiò ancora.
“Ti sei fatta un’idea su chi possa essere?” Feci no con la testa.
In quel momento non riuscivo a pensare a niente, sentivo solo il rumore del cuore rimbombarmi contro il petto.
“Mi ha chiamato solo questa mattina, non ne ho avuto il tempo materiale.” Ridacchiai pensando che, se fosse stato lui, avrei eretto una statua al Signor Miron al centro di Hyde Park.
“Spero per te che non resterai delusa.” Mi guardò con uno sguardo furbetto.
“Non mi importa poi molto chi sarà: ho incontrato te, non può andarmi meglio.” Confessai ingenuamente. Sentivo le guance bruciarmi.
“Grazie.” Affermò serio. “Sto facendo tardi, ti lascio. Buon lavoro.”
Lo salutai con un gesto della mano mentre si allontanava nel corridoio vuoto e assolato.
“Vorrei davvero fossi tu.” Bofonchiai tra me e me quasi fosse una preghiera.
Raggiunsi trafelata lo studio accorgendomi del ritardo che mi si era accumulato, sperando di non essere rimproverata e punita con l’esclusione dal servizio.
Entrai nell’ampia sala già pronta per iniziare il lavoro; rimasi sbalordita dallo sfondo e dagli attrezzi che riempivano la sala. C’erano un sacco di persone che camminavano svelte per sistemare chi una cosa chi un’altra. Era la prima volta che mi ritrovavo sul campo; seguivo i corsi serali di Miron dopo il lavoro ma poi, rimasto sorpreso dalle mie qualità durante un’uscita, si era deciso a chiamarmi quella mattina per mostrarmi come si lavora in modo professionale e per premiare il mio impegno e le mie doti. Ne ero davvero felice e poi, grazie a lui, avevo incontrato anche Ben-
“Monica!” Interruppe il flusso dei miei pensieri chiamandomi.
“Signor Miron.” Gli sorrisi. “Grazie per avermi dato quest’opportunità!”
“Ringraziami quando avremo finito.” Mi fece l’occhiolino e, posandomi una mano sulla schiena, mi fece strada verso il centro del set.
Mi illustrò minuziosamente il programma; il motivo di quel servizio fotografico e lo scopo delle foto.
“Quindi dobbiamo fare degli scatti che accompagneranno l’intervista.”
“Esattamente. Se te la senti, puoi girare il video backstage da allegare alle foto. Con i moderni siti, le riviste amano pubblicare questo genere di cose per invogliare a comprare la rivista.”
Mi illuminai e ne fui orgogliosa.
“Se lei si fida delle mie capacità, accetto volentieri.”
“Di te mi fido, ma è la prima volta che lavori con un attore di questo livello e il tuo sangue freddo verrà messo a dura prova. Se le tue mani tremeranno, il tuo lavoro sarà una merda e totalmente inutile.”
“Ne sono consapevole.”
“Ti presenterò a lui poco prima di iniziare il servizio quindi avrai poco tempo per smaltire la cosa.”
“È solo un attore, non è un dio!” Risi per il suo discorso ridicolo.
Mi guardò sbieco, rimproverandomi con i suoi occhi neri profondi.
“Sono costretto a farti questo discorso per prepararti e non vanificare il tuo lavoro. Sei alle prime armi e non hai mai lavorato in questo campo. Non sopravvalutarti: resti pur sempre un essere umano.”
“Mi scusi, ha perfettamente ragione.”
Mi invitò a lasciare la borsa su un divanetto e mi diede una piccola telecamera; mi spiegò le funzionalità per usarla al meglio e fare un buon lavoro per soddisfare a pieno le richieste del direttore della rivista.
Dopo una decina di minuti, un assistente annunciò a Miron che l’attore era pronto e stava raggiungendo il set. In un attimo la stanza si svuotò e restarono soltanto Miron e l’addetto alle luci.
Il mio cuore accelerò i battiti: iniziavo a rendermi conto di cosa stava per accadere. Ripetei tra me e me le parole di Miron per darmi una calmata. Chiusi gli occhi per qualche secondo, poi li riaprii sentendo il mio insegnante salutare qualcuno.
Quasi mi mancò il respiro: la mia preghiera era stata esaudita.

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Capitolo 2
*** Mr Darcy ***


Cap. 02 Mr Darcy Mr Darcy

Restai a fissarlo senza dire nulla.
Il nostro primo incontro non era stato dei migliori e temevo che potesse influire negativamente sul lavoro che avremmo dovuto svolgere. Avrebbe dovuto passare le sue prossime ore a farsi riprendere incessantemente da una cretina che svalvolava davanti il suo attore pr-
“Lei è Monica.” Sospirò preoccupato il Signor Miron presentandomi a Benedict.
Feci un leggero sorriso e gli tesi la mano sperando vedesse in quel gesto un ti prego ricominciamo da zero perché non ce la posso fare!
Mi strinse la mano con aria impassibile, come ci fosse un manichino davanti a lui. Mi sentivo a disagio e in difficoltà.
Ogni pensiero positivo abbandonò la mia testa e iniziai a desiderare di trovarmi in tutt’altro luogo con tutt’altre persone. Non l’avrei immaginato mai e poi mai!
Non so per quanto tempo ce ne restammo in silenzio prima che Miron prendesse di nuovo la parola:
“Potrà non sembrarti ma è una fotografa talentosa. È la sua prima volta su un set e con un personaggio famoso.” Sorrise. “Poi devi sapere che è tua grandiss-”
“Direi che possa bastare come presentazione!” Quasi urlai interrompendolo.
Mi lanciò un’occhiata divertita mentre vidi con la coda dell’occhio Benedict far vagare lo sguardo nella stanza.
“Neanche Mr Darcy, oh!” Bofonchiai irritata.
“Come scusa?” Mi chiese curioso puntandomi i suoi occhi, ora azzurri, addosso.
“N-niente.” Mi sistemai i capelli dietro l’orecchio facendo finta di nulla.
“Se non vi dispiace, iniziamo col servizio. Vieni Benedict, sistemiamoci.”
Lo accompagnò al centro della stanza sistemandolo con la schiena rivolta verso lo sfondo.
Li raggiunsi subito e, quando il Sig. Miron mi diede l’ok, iniziai a riprendere.
Cominciò a fare dei commenti sulla luce; sullo sfondo che risaltava il colore degli occhi di Benedict ed altri particolari tecnici, alcuni dei quali neanche capivo!
Iniziò con i primi scatti di prova e li osservarono subito al computer per vedere meglio cosa ci fosse da cambiare; a me sembravano tutte foto stupende e mi vergognai anche un po’ nel rispondere che per me erano perfette quando chiesero la mia opinione.
Mi sentivo un po’ una fangirl e per niente una fotografa con giudizi obiettivi. Misà che quel lavoro non faceva proprio per me! Mi demoralizzai un po’.
Il mio cattivo umore e pessimismo svanirono all’istante quando Benedict scoppiò a ridere nel tentare una posa buffa. Sentii il cuore riempirsi di calore. Perché non sorrideva più spesso?
Passò in un’oretta il servizio e, prima di congedarlo, il Signor Miron mostrò ogni singolo scatto a Benedict. Tra le varie foto ne aveva scattata una immortalando la risata, l’unica in realtà, che si era fatto per quella posa buffa. Istintivamente me ne uscii con:
“È la mia preferita.” I loro occhi si fissarono su di me.
“Concordo.” Mi rispose sorridendo e lasciandomi senza fiato. “Vuoi farmi qualche foto anche tu?”
“Ma io... non so. Non sono all’altezza.” Cercai aiuto in Miron.
“Se non provi non puoi saperlo.” Insistette Benedict.
La sua voce avrebbe potuto convincermi a fare qualsiasi cosa.
Miron mi porse la sua Reflex invogliandomi a tentare. In fondo che mi costava? Presi coraggio ed accettai la sfida. Di sicuro il mio adorabile insegnante se la stava godendo!
Benedict si riposizionò con le spalle al telo e aspettò mie istruzioni. Restai a fissarlo per qualche istante cercando di capire in che pose mi sarebbe piaciuto ritrarlo; avevo il vuoto totale, poi mi vennero alcune idee.
Di sicuro avrei dato risalto ai suoi occhi e alle sue labbra. Poi dovevo puntare sui suoi fantastici capelli e le sue mani sensuali. Mi sentii arrossire, soprattutto perché avevo fantasticato non poco su di lui!
Gli spiegai come avrei voluto fotografarlo e si posizionò con una mano fra i capelli e il viso tirato leggermente indietro. Gli chiesi di deglutire sentendomi un po’ depravata visto che mi faceva impazzire solo vedendolo da uno schermo…
“Va bene così, grazie!”
“Sistemagli i capelli! Risalta i suoi ricci!” Mi consigliò Miron. “Un altro paio di scatti, su!”
Lo guardai intimorita: sistemargli io i capelli? NO.
Mi avvicinai timida e alzai leggermente la testa per guardarlo negli occhi: così incuteva davvero timore! Sembrava anche più alto di 1 metro e 83. Ed io non ero poi così bassa col mio metro e 70!
Restò a fissarmi mentre, con non poco imbarazzo, gli sistemavo i capelli realizzando il sogno di una vita. Ridacchiai nel pensarci e mi guardò incuriosito, aggrottando la fronte.
“Te l’ho detto: sono distratta oggi.” La vicinanza al suo viso mi stava mandando in confusione.
“Non è bello scoppiare a ridere in faccia a qualcuno.”
“Perdonami, ma stavo pensando ad una cosa…” Sorrisi imbarazzata.
“Cosa?” Scossi la testa.
“Niente.” Sembrava sempre più curioso.
“Se hai finito di pensare agli affari tuoi, facciamo questi ultimi scatti che avrei da fare.” Mi rimproverò scontroso.
Stava diventando odioso! Chi si credeva di ess- no, ok: gli stavo facendo perdere tempo sul serio.
Mi scusai e finii con le ultime 5, 6 foto.
Non si fermò neanche a guardarle perché era in ritardo per un appuntamento. Ci rimasi male visto c’avevo messo il cuore nel farle.
In compenso Miron mi fece i complimenti e mi disse che avrebbe mandato anche quelle alla rivista specificando che erano state scattate da un’apprendista.
Cercai di fargli cambiare idea ma mi convinse che sarebbe stato un peccato tenerle per me senza dare loro la possibilità, anche se minima, di essere pubblicate.
Lo ringraziai per tutto e mi avviai a casa.
Era stata una giornata intensa e che sarebbe continuata a lavoro.
Mi sentivo stremata e non fisicamente, il che era peggio! Volevo solo tornarmene nell’appartamento che dividevo con altri due ragazzi e starmene in camera a mangiare gelato guardando un film. Invece sarei dovuta passare a casa solo il tempo di indossare la divisa e correre alla caffetteria per il turno pomeridiano: avrei attaccato alle 15.00 e staccato alle 20.00.
Lavoravo lì da ormai 6 mesi; mi ero trasferita a Settembre e, grazie al Cielo, avevo trovato subito lavoro. Non potevo lamentarmi neanche dei miei coinquilini: uno era un ragazzo inglese di 27 anni che lavorava in un’azienda farmaceutica; l’altro era una ragazza italiana di 22 anni, estetista in un negozio poco fuori città.
Poi c’ero io: una ragazza romana di 24 anni che si era trasferita per imparare l’inglese, realizzare il sogno di viversi Londra e magari imparare qualcosa di fotografia durante il poco tempo libero che le restava tra un turno e l’altro.
Mi mancava Roma, la mia famiglia e i miei amici, ma avevo deciso che sarei rimasta almeno un anno per dare una svolta e una ventata d’aria fresca alla mia vita. E, dati gli ultimi eventi, ci stavo decisamente riuscendo!
Rientrata, mangiai qualcosa al volo giusto per poter dire di aver pranzato, e mi collegai ad internet.
Cercavo di farlo il più possibile perché, tramite Facebook, ero rimasta in contatto con mia cugina, che poi era la mia migliore amica e sorella. Controllai subito le notifiche e le scrissi un messaggio per raccontarle del miracolo che era avvenuto quella mattina. Mentre digitavo ogni singola lettera, le mani mi tremavano e sentivo il cuore in tumulto. Non credevo potesse farmi un effetto del genere! La mia parte di romantica sognatrice si stava ancora crogiolando in quel brodo e non mi avrebbe abbandonata presto. Non avrei mai smesso di pensare a quell’episodio un po’ strano e all’immensa fortuna che avevo avuto.
Mi venne anche in mente che forse non avevo ringraziato abbastanza Miron.
Verso le 2 spensi il computer, mi cambiai ed uscii per passare in un negozio di dvd prima di andare a lavoro.
Arrivata al negozio, mi recai direttamente al reparto delle serie televisive. Diedi una rapida occhiata poi andai a cercare Orgoglio e Pregiudizio visto che la copia che avevo era così rovinata che si bloccava a metà film!
Mi avvicinai svelta notando che era l’unica copia e feci per afferrarlo sicura di aver conquistato il bottino, invece mi ritrovai a stringere una mano grande, con la pelle chiara e calda. Alzai subito lo sguardo ed incrociai i suoi occhi: mi ritrovai ancora una volta a navigare in quell’Oceano.
“Ancora tu?”
“Potrei dire la stessa cosa.” Gli risposi con un nodo in gola, determinata a non dargliela vinta.
Fece scorrere il suo sguardo su di me, poi si schiarì la voce.
“Potresti lasciarmi la mano?” Il cuore non voleva saperne di rallentare.
“Se tu mi lasci il dvd.”
“No, l’ho preso prima io!”
“Ci tengo davvero.”
“Anch’io.” Aveva uno sguardo indecifrabile.
“Quello che ho casa si blocca ed è inutilizzabile.” Puntai sulla dolcezza.
“E dovrebbe importarmi?” Chiese seccato.
“Ha ragione.” Lasciai la sua mano. “Lo compri pure lei, Mr Darcy. Tornerò tra qual-”
“È questo che avevi detto sta mattina, vero?” Sembrò illuminarsi. “Mi hai chiamato Mr Darcy anche sul set!”
“Non ricordo!” Feci spallucce. “Se ora vuole scusarmi…” Feci un mezzo inchino e lo lasciai lì, senza aggiungere nulla.
“Il dvd non lo prendi?” Alzò leggermente la voce per farsi sentire.
“L’hai preso prima tu: è tuo.” Gli sorrisi e me ne andai.
Era tutto così strano! Invece di farci amicizia o tentare un approccio più gentile, mi stavo impuntando! Non ero riuscita neanche sta volta a sfruttare l’occasione!
Ero davvero una cretina.
Arrivai a lavoro con 10 minuti di ritardo. Dopo la ramanzina del capo mi misi finalmente a lavoro e riuscii a non pensare più a Benedict e alla mia goffaggine.
Mi piaceva il mio lavoro perché potevo osservare la gente, e poi dalle vetrine del locale c’era una bellissima vista di St Paul’s. Era la cosa che più mi piaceva di Londra, dopo il Globe ovviamente! Quando facevo il turno di mattina, ero solita attraversare il Millennium Bridge e pranzare davanti al Globe. Da lì si godeva di una vista splendida!
Ero follemente innamorata di quella città; della gentilezza e disponibilità degli inglesi, e della lingua stessa. Stavo vivendo un sogno.
Pulii il bancone per l’ennesima volta, poi tornai a guardare fuori notando che stava tramontando il sole.
Mi si bloccò il cuore per un attimo nel vederlo entrare. Stava diventando una persecuzione… una piacevole persecuzione!
Salutò e mi si posizionò davanti; mi sorrise ed ordinò un tea ed alcuni pasticcini, poi si accomodò al tavolo più vicino al bancone.
Feci un bel respiro e gli portai il vassoio.
“Ecco a te.” Mi sforzai di sorridergli nascondendo la confusione che avevo in testa.
“Stai attenta: ti tremano le mani.” Mi fissò serio. Deglutii e tornai al mio posto.
Sperai se ne andasse presto visto che nelle condizioni in cui ero piombata non sarei riuscita a superare quelle ultime due ore di lavoro!
Tra sguardi e sorrisetti ambigui finì la sua consumazione ed andò in cassa a pagare. Prima di lasciare la caffetteria mi chiese:
“A che ora stacchi?” Avevo il cuore a mille.
“A-alle 8.” Riuscii a dire a stento.
Guardò l’orologio, aggrottò la fronte e poi mi mostrò una bustina.
“Posso lasciartela ora?”
“Cos’è?”
Me la passò sorridendo, poi mi salutò ed uscì senza neanche farsi salutare o ringraziare per il contenuto ancora misterioso.
Guardai dentro e vidi che c’era il dvd di Orgoglio e Pregiudizio: l’aveva comprato in un altro negozio apposta per me.
Il capo restò a fissarmi per qualche minuto poi, esasperato, mi diede il permesso di uscire un’ora prima vedendo lo stato di inebetitudine che avevo raggiunto.
Lasciai il locale ancora frastornata: non potevo crederci che stava accadendo proprio a me! Quello era stato decisamente il giorno più bello della mia vita!



N.d.a.:
Buongiorno a tutti!! :)
Ecco il secondo capitolo!! Spero apprezzerete e vi godrete la lettura!!
Grazie in anticipo a chi recensirà ♥

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Capitolo 3
*** Miss Bennet ***


Cap. 03 Miss Bennet

Era passata una settimana da quando avevo incontrato Benedict e non avevo ancora avuto il tempo di guardarmi il dvd.
Avendo la serata libera, decisi di godermi finalmente quel film. Lo inserii nel lettore; mi sistemai sotto al piumone caldo con la mia fedelissima tazzona di Earl Grey, e premetti play.
A neanche metà pellicola, fui interrotta da un sms del Signor Miron che mi chiedeva se stessi meglio e se l’indomani me la fossi sentita di raggiungerlo al suo studio. Aveva una cosa urgente di cui parlarmi e non me la sentii di rimandare.
Accettai quindi quell’invito quasi disperato e continuai a guardare il film.
La mattina successiva arrivai all’appuntamento con una decina di minuti di anticipo sperando di potermela svignare il prima possibile.
Il Signor Miron era un insegnante fantastico, pieno di talento e gentilezza, ma era anche stravagante e delle volte ti tratteneva per ore a parlare del nulla. Per questo dubitavo della serietà di quell’incontro: per lui poteva essere questione di vita o di morte anche scegliere il colore dei calzini.
Presi l’ascensore e, inevitabilmente, ripensai all’incontro con Benedict: era diventata quasi un’ossessione. Persino a lavoro non potevo fare a meno di guardare fuori sperando di scorgerlo; ma niente: non si era più presentato in caffetteria. Ero addirittura andata nel negozio in cui aveva preso la copia di Orgoglio e Pregiudizio che mi aveva regalato, ma niente: era sparito.
Guardai l’orologio sbuffando. Mi diressi a passo svelto nello studio di Miron e bussai alla sua porta notando che la segretaria era assente.
Mi fece entrare e accomodare sulla grande sedia in pelle nera di fronte la sua scrivania. Continuò a firmare alcuni fogli, poi li sistemò nella sua ventiquattrore sbiadita e mi rivolse il suo sguardo.
“Come stai?”
“Un po’ meglio.” Dissi con la voce roca per il mal di gola.
“Torna presto al corso, mi raccomando!” Mi sorrise.
“Venerdì sarò di nuovo presente.” Abbozzai un sorriso.
“Vorrei parlarti di una cosa.” Si fece serio. “È davvero importante e vorrei tu ci pensassi bene prima di darmi una risposta.” Annuii e proseguì: “Quelli della rivista X mi hanno contattato ieri pomeriggio per avere informazioni su di te.” Sgranai gli occhi pensando mi stesse prendendo in giro. “Non pubblicheranno le tue foto nell’intervista di Benedict Cumberbatch, ma hanno voluto le tue credenziali e mi hanno chiesto di farti collaborare al prossimo servizio fotografico. Credo vogliano tenerti d’occhio.”
Avevo il cuore a mille.
“Non so davvero che dire.”
“Te la senti di iniziare un percorso con me?”
“Sotto la sua guida mi sento in mani sicure.” Sorrisi. “Non speravo di avere un’opportunità del genere.”
“Devi considerare i sacrifici che comporterà impegnarsi in tale lavoro. Potresti aver bisogno di lasciare la caffetteria; spostarti di continuo e accontentare i capricci della gente. Pensaci bene.”
Mi spaventò un po’ e mi sentii demoralizzata.
Lo ringraziai per la fiducia che riponeva in me, per i consigli che mi aveva dato e per il tempo che mi aveva lasciato per pensare.
Presi il cellulare e controllai che giorno fosse: 5 Marzo. Mi aveva dato tempo fino al 16, quando sarebbe stato impegnato per un altro servizio con quelli di X.
Avrei dovuto pensare a i pro e i contro; non potevo impegnarmi a metà accettando solo l’incarico del 16 e poi sparire nel nulla. Era stato chiaro su questo e di certo non l’avrei deluso.
Tornata a casa mi rinfilai il pigiama e mi misi al computer. Navigando un po’ in rete trovai degli articoli sugli Oscar e mi venne in mente che Benedict aveva presentato una categoria. Io aspettavo il momento in cui avrebbe presenziato come candidato!
Fu così che mi venne l’illuminazione: probabilmente non era ancora a Londra. Avevo sperato in una sua manifestazione miracolosa e invece era dall’altra parte dell’Oceano.
Da una parte ero contenta che il motivo fosse quello, dall’altra per niente perché avrei continuato ad aspettarlo all’infinito ed invano. Stavo diventando patetica.
Mi ci voleva una vita sociale più attiva… anzi! Mi ci voleva una vita sociale, e magari anche una sentimentale. Non potevo restarmene chiusa nel mio mondo fatto di unicorni e fatine in eterno, decisi quindi di mandare un sms ad un mio compagno del corso fotografico per chiedergli di uscire. Mi rispose: Va benissimo. Io e i miei amici ci vediamo al Finix per le 10. Unisciti a noi ;) A dopo!
Optai per un sonnellino pomeridiano per non crollare la sera dato che non ero abituata a far tardi. Impostai la sveglia alle 17.50 per poi preparare la cena e preparare me all’uscita.
Non ero una che ci metteva ore nel sistemarsi, ma quella sera volevo rendermi il più carina possibile perché volevo fare buona impressione su Matthew e i suoi amici. C’eravamo conosciuti un mese prima al corso di Miron; aveva il tipico aspetto dei ragazzi nerd. Ero rimasta colpita dai suoi occhiali da vista e l’aspetto da perfettino. Si era poi rivelato un pasticcione casinista! Ci stavo bene con lui e finalmente mi ero decisa ad uscirci e a smettere di rifiutare i suoi inviti.
Arrivai puntualissima al locale. Mi guardai intorno per trovare Matt, ma di lui neanche l’ombra. Aspettai una decina di minuti poi gli telefonai: entrò la segreteria telefonica. Iniziai a preoccuparmi quando i minuti di ritardo divennero 45.
Camminavo nervosa su e giù per il marciapiede; il buttafuori mi guardava come gli facessi pena. D’un tratto qualcuno alle mie spalle, mi chiese se stessi bene: non stavo per niente bene! Mi voltai con un finto sorriso per evitare di incappare nella compassione di uno sconosciuto.
“Sto” sgranai gli occhi “bene.”
“Non te lo aspettavi, eh?!”
I suoi meravigliosi ricci rossi erano scomparsi. Continuai a guardarlo sbigottita.
“Matt! Ma quando li hai tagliati?” Si era rasato a zero!
“Oggi.” Mi sorrise divertito. “Scusa se ti ho fatto aspettare.”
Scrollai la testa.
“F-figurati. Entriamo?”
La serata passò… passò. Il locale era affollato nonostante fosse mercoledì; la gente spingeva e pogava come fosse ad un concerto Metal; la mia testa stava per esplodere e Matt era mezzo ubriaco.
L’idea che mi ero fatta era davvero sbagliata. Almeno avevo capito che con le prime impressioni non ci sapevo fare!
Guardai stufa l’orologio constatando che era ancora mezzanotte e Matt si era scolato già 3 drink insieme ad un paio di suoi amici fricchettoni. Quando tornò per l’ennesima volta dal bar, mi prese per mano e mi trascinò a ballare; non tentai neanche di opporre resistenza, tanto me la sarei svignata non appena si fosse distratto.
Il mio piano fallì: mi restò appiccicato e con gli occhi addosso per tutto il tempo. Mi sentivo mancare l’aria e le luci mi stavano dando alla testa, così gli dissi all’orecchio che avevo bisogno di uscire un attimo e mi voltai di scatto per scappare da quella gabbia. Mi scontrai con un armadio a cui feci rovesciare il drink sulla camicia bianca. Alzai lo sguardo impaurita sperando si lasciasse intenerire dal mio sguardo di fanciulla spaesata.
“Mi dispiace.” gridai cercando di farmi sentire.
“Tranquilla.” Mi disse all’orecchio abbassandosi.
“Ti prendo dei tovaglioli.”
“Accompagnami al bagno.” Al bagno con uno sconosciuto alto 1 e 90 con due spalle grosse così?!? Ehm…
“Il mio amico mi sta aspettando, non posso.”
Mi poggiò delicatamente la mano sulla spalla ed insistette; mi scansai per farmi lasciare ma non mollò. Poi il suo sguardo fu attratto da qualcosa, o qualcuno, dietro di me e mi lasciò per poi avviarsi ai bagni. Sospirai di sollievo ringraziando mentalmente Matt che era venuto in mio aiuto.
Mi voltai per poterci parlare ma rimasi di stucco: era lui, in carne ed ossa di nuovo davanti ai miei occhi. Deglutii e cercai di lottare contro il mio corpo che voleva accasciarsi a terra.
Si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò un ciao. Il cuore sembrava volermi esplodere. Lo salutai con un gesto della mano, poi si avvicinò di nuovo e mi propose di uscire.
Quando respirai l’aria fredda della sera mi sentii come rinascere.
“Meno male che mi hai ricordato di prendere il giacchetto!” Gli sorrisi.
Si tirò indietro i capelli che gli si erano scompigliati, poi alzò la testa al cielo e rimase in silenzio a guardare le stelle.
Mi avvicinai e mi poggiai anch’io al muretto. Con la mano sfioravo la sua; avevo la testa in panne. Erano giorni che speravo di incontrarlo e ora me lo ritrovavo così vicino!
“Non hai un bell’aspetto.”
Sgranai gli occhi e lo guardai sconcertata.
“Beh, grazie.” Distolsi subito lo sguardo imbarazzatissima.
“Intendevo dire che non sembri star bene.”
“Ho il mal di gola, ma credo che il mio terribile aspetto sia dato dal mal di testa tremendo che mi hanno fatto venire quella musica assordante e quelle luci fastidiose. Mi sentivo in gabbia.” Sospirai rilasciando una nuvoletta nell’aria.
“Non è per te.”
“Decisamente.”
Restammo in silenzio non so per quanto tempo, però non era un silenzio imbarazzante; non mi sentivo neanche in obbligo di dire qualcosa: stavo bene così.
Con la coda dell’occhio lo vidi spostare il suo sguardo su di me.
“Stai meglio ora, ma ti consiglio di non rientrare.”
“Grazie dottore.” Gli sorrisi ma non ricambiò.
Era rimasto per tutto il tempo serio ed imperturbabile. Si scostò dal muretto e mi si posizionò di fronte. Restò a fissarmi per qualche istante.
“Rientriamo?”
“Mi hai appena det-”
“Non voglio lasciarti qui fuori da sola.”
Mi scostai anch’io e mi diressi al locale. Mi seguì in silenzio, poi poco prima di entrare, mi disse:
“Mi sono dimenticato di fumarmi la sigaretta.” Mi voltai ridacchiando. “Mi fai compagnia?” Il mio cuore mancò un battito.
Restammo vicino l’entrata il tempo di quella sigaretta. Lo guardavo come fosse la cosa più bella e rara al mondo. Non mi sarebbe mai passata se avessi continuato ad incontrarlo.
“Quando sei rientrato a Londra?”
Mi guardò per un attimo; espirò il fumo dalle labbra e poi mi rispose:
“La notte scorsa. Li hai seguiti in diretta?” Feci no con la testa.
“Non li ho ancora visti in realtà. Ho lavorato senza sosta per 3 giorni filati.”
Corrucciò la fronte.
“Come mai?”
“La mia collega è malata e devo fare anche i suoi turni.” Sbuffai. “Oggi per fortuna ho avuto il giorno libero perché mi ha sostituita la moglie del proprietario.”
Spense la cicca e la buttò nel posacenere del cestino dei rifiuti.
“È una caffetteria deliziosa.” Mi sorrise. Finalmente aggiungerei!
“Mi piace lavorare lì.” Mi tornò in mente la proposta della rivista X  ma cercai di non pensarci. Dopo qualche istante aggiunsi: “Ah! Grazie davvero per il dvd! Non dovevi.”
“Figurati. Non è stato difficile trovarlo, e poi i sensi di colpa non mi avrebbero lasciato dormire se non avessi avuto il tuo prezioso film.” Mi fece l’occhiolino.
Il cuore non voleva saperne di rallentarmi.
“L’hai vi-” Fui interrotta da Matthew che era uscito a cercarmi.
Mi si buttò praticamente addosso.
“Tu sei…?” Gli chiese puntandogli contro il collo della bottiglia che aveva in mano. “Sei tu, vero?” Benedict lo guardò torvo.
“Io sono io.” Mi rivolse uno sguardo gelido. “Ti lascio nelle mani del tuo ragazzo.”
Si voltò e rientrò dando quasi una spallata ad un ragazzo che stava uscendo.
Mi scrollai quel coglione di Matt da dosso e raggiunsi Benedict dentro; lo cercai tra la folla ma non riuscii a trovarlo. Mi bruciavano gli occhi: avrei voluto picchiare il mio ormai non più amico. Feci un altro giro, anche tra i tavoli, ma niente: era sparito. Mi ricordai poi che al piano superiore c’erano i privè; di sicuro stava là.
Andai a salutare gli amici di Matt ed uscii per andarmene a casa senza neanche salutare quel deficiente: mi aveva rovinato la serata. Digrignai i denti nervosissima.
Uscendo, scorsi Benedict a fumare con un’altra persona; cercai di capire chi fosse ma non lo avevo mai visto prima. Passandogli davanti lo salutai con un timido sorriso ed un gesto della mano, ma mi ignorò e tornò a parlare col suo amico. Mi sentii morire: peggio di così non poteva andare!
Allungai il passo sentendomi gli occhi pieni di lacrime.
“Quanto corri!” Mi voltai e lo vidi al mio fianco. “Dove te ne vai tutta sola?”
“A casa.” Non riuscii a dire nient’altro.
Si mise le mani nelle tasche dei pantaloni e sospirò.
“Non fa proprio per te!” Fece un mezzo sorriso.
“Tu invece sei abituato…”
Feci sì con la testa senza aggiungere altro.
Più che altro continuava a camminarmi accanto; voleva accompagni fino a casa?
“Dove diavolo hai parcheggiato?” Chiese seccato.
“A parte che non ti ho chiesto io di seguirmi, quindi non alterarti, e poi sto andando a prendere un autobus!”
“Sei venuta con i mezzi?” Chiese sorpreso.
“Sì, ma per il ritorno contavo sul mio amico.”
“Hai fatto affidamento sulla persona sbagliata.”
Gli rivolsi il mio sguardo, ma lui fissava davanti a sé. Aveva un portamento davvero elegante; mi faceva impazzire.
“È la prima volta che esco con lui e i suoi amici. Mi ero fatta un’idea completamente sbagliata di lui.” Sbuffai.
“È un errore giudicare qualcuno senza prima conoscerlo, Miss Bennet.”
Mi guardò e mi sentii arrossire. Distolsi subito lo sguardo.
“Q-quella è la mia fermata.” La indicai.
“Sicura di voler prendere un notturno?” Feci spallucce.
“L’alternativa è tornare con quel cogl- cretino.” Mi corressi e ridacchiò.
“Dove abiti?”
“Nella zona di Queensway. Ci vogliono 20 minuti scarsi da qui.” Gli sorrisi.
“Con la mia macchina ce ne mettiamo la metà.” Continuava a far vagare gli occhi sulla strada.
Avevo il cuore in gola.
“Ma no, figurati! Non voglio recarti tanto disturbo.” Iniziai a gesticolare imbarazzata.
Si grattò la nuca e sorrise tra sé e sé.
“Perdonami, non volevo metterti in difficoltà.”
Mi fermai davanti la fermata. C’erano un paio di ragazze che iniziarono a fissarlo. Mi sentivo a disagio. Mi avvicinai per potergli parlare senza esser sentita da quelle due.
“Meglio che torni al locale, non voglio che si rovini anche la tua di serata.”
Con un cenno del capo mi fece capire che voleva che tornassi indietro con lui.
Mi incamminai verso il locale senza proferire parola: ero completamente nel pallone!
Mi guidò verso la sua auto; mi aprì lo sportello e mi fece accomodare: era davvero un gentiluomo!
Arrivammo pochi minuti dopo. Si parcheggiò quasi davanti il palazzo in cui abitavo, poi si slacciò la cintura e si voltò verso di me.
“Buona notte.” Affermò serio.
Una vocina nella mia testa mi urlava di chiedergli di salire a bere qualcosa, ma le mie labbra non ne volevano sapere di muoversi.
“Anche a te.” Dissi con un nodo alla gola. “Grazie del passaggio.” Sorrisi appena e scesi dalla macchina.
Mentre chiudevo lo sportello già mi maledicevo mentalmente per non aver avuto il coraggio di provare ad invitarlo. Non potevo continuare a sperare nella buona sorte: dovevo decidermi ad agire in modo concreto. Bussai al finestrino e lo aprì.
“Se passi in caffetteria ti offro un tea per sdebitarmi.” Gli sorrisi incerta.
“Vedremo.” Non si degnò neanche di sorridere come gesto di cortesia. Mi ero demoralizzata.
Mi salutò con un gesto della mano e ripartì lasciandomi sola nel bel mezzo della strada a fissare il vuoto, con in testa mille pensieri.
Mi buttai a peso morto sul letto ed iniziai ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se davvero fosse venuto per quel tea.
Almeno la fantasia nessuno poteva togliermela!




N.d.a.
Salve a tutti!! Spero vi sia piaciuto :3 Voi avreste invitato Ben a salire? E' una tentazione a cui non si può rinunciare, eh?! ;)
Alla prossima!!

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Capitolo 4
*** Occhi in tempesta ***


Cap. 04
Occhi in tempesta

Era venerdì e, come promesso, sarei tornata al corso del Signor Miron. Sarebbe iniziato alle 5pm, ma decisi di andare un po’ prima per parlare con lui.
Avevo in testa mille dubbi e paure e non riuscivo a capire quale fosse la scelta migliore da prendere. Nonostante fossero passati soltanto due giorni da quella proposta, non avevo fatto altro che pensarci e ammalarmi il cervello per trovare subito una risposta da dare. Non c’era alcuna fretta ma, conoscendomi, sapevo bene che non sarei riuscita a decidere se qualcuno non mi avesse aiutato. Per le decisioni importanti ero sempre titubante; contavo sulla grande passione per la fotografia ma non mi aiutava neanche quella. Avevo bisogno di qualcuno con esperienza nel campo, che ascoltasse le mie innumerevoli pippe mentali e che mi guidasse verso la direzione giusta.
Uscita dalla caffetteria, mi fermai in una tavola calda vicino lo studio per mettere qualcosa sotto i denti e ripassare mentalmente le domande che mi ero preparata in quei giorni.
Erano stati due giorni di inferno: Matt mi aveva riempito di sms per scusarsi ed insultarsi per aver perso l’occasione di farsi piacere, mentre alternavo i miei dubbi esistenziali sulla proposta di X a quelli su Benedict. Quell’uomo mi aveva incasinato la vita senza neanche saperlo! Stavo sempre peggio ed erano passate soltanto 48 misere ore da quando l’avevo visto l’ultima volta. Che poi aveva confermato il soprannome che gli avevo affibbiato: Mr Darcy. Mi si bloccò il cuore nel ricordare che lui aveva chiamato me Miss Bennet.
Sospirai lasciando il tavolo e recandomi nello studio di Miron.
Controllai l’orologio: 15.02. Era troppo presto, ma decisi comunque di entrare: c’avrei parlato e poi mi sarei fatta un giro da quelle parti prima dell’inizio del corso.
La segretaria mi diede l’ok e mi avvicinai alla porta chiusa del suo studio. Presi un bel respiro e feci per bussare ma aprirono. Il ragazzo che uscì fece un sorriso e si dileguò.
Mi accomodai sulla sedia, che stava diventando fin troppo familiare, ed aspettai che Miron si voltasse: stava cercando un libro negli scaffali dietro la sua scrivania. Forse non si era neanche reso conto della mia presenza; mi schiarii la voce ma non riuscii ad attirare la sua attenzione come volevo.
“Buongiorno signor Miron!” Affermai allegra.
Si voltò con un libro aperto in mano, si aggiustò gli occhiali sul naso e tese le labbra in un sorriso.
“Ciao Monica.” Si sedette e poggiò il libro accanto al computer.
“Mi scusi se sono venuta senza preavviso ma avrei bisogno di parlarle.”
Si tolse gli occhiali e si massaggiò le tempie restando con gli occhi chiusi.
“Dimmi pure.”
“Non riesco a prendere una decisione. So che sono passati soltanto due giorni, ma la mia testa sta andando ancora di più in paranoia! Cosa devo fare per capire qual è la scelta giusta?” Aprì un cassetto della scrivania e tirò fuori una moneta. Sospirai incredula.
Restò a guardarmi serio per qualche istante e alla fine non riuscii a trattenermi.
“La prego, il trucco della monetina no!” Mi guardò seccato. “Lo conosco e vorrei evitarlo.”
“Non vuoi neanche tentare?”
Feci no con la testa chiedendomi come facesse a non sentirsi un minimo imbarazzato per quell’ideona che gli era venuta.
“Sarà la mia ultima spiaggia.” Sorrisi appena.
“Quali sono i dubbi che ti affliggono?”
“Ho paura di non farcela. Di non sopravvivere in quel campo. La concorrenza è spietata, gli artisti sono strani… Non so se mi piacerebbe percorrere quella strada. Non è il tipo di fotografia a cui aspiravo.”
“Ma?”
“Ma potrebbe aprirmi le porte per altre esperienze. Arricchirebbe il mio bagaglio personale e sarebbe un ottimo modo per farsi conoscere.”
“Beh, sì, ma stai sbagliando metodo di giudizio.” Lo guardai confusa. “Non pensare ai pro e i contro, pensa a cosa ti renderebbe felice. Immagina come potresti essere e dove potresti stare tra qualche anno grazie al lavoro che ti hanno proposto e cerca di capire se è ciò che vuoi. Hai tutte le potenzialità per cavartela in quel campo, e ci sono io ad aiutarti.” Mi sorrise paterno. “Ti piace il lavoro in caffetteria?”
“Sì, lo adoro. Mi hanno accolta come una di famiglia dandomi l’opportunità di imparare e migliorarmi, non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche da quello linguistico. Sono stati davvero pazienti. Devo loro tutto, anche la voglia di restare a Londra.”
“Quanto intendi fermarti qui?” Bella domanda!
“Ero partita con l’intenzione di restare 6 mesi, ma poi mi hanno proposto un contratto annuale dopo i primi 3 mesi ed ho deciso di accettare trovandomi bene. Sapere di avere un lavoro fisso mi fa dormire serena la notte. Non voglio tornarmene a casa con la coda tra le gambe e riniziare la mia vita schifosissima.”
“Quando avevo 21 anni, la mia insegnante di filosofia al College mi propose di partecipare ad un convegno come suo assistente. Accettai volentieri e ne sono felice perché mi fece capire che non era ciò che volevo diventare; non volevo essere un insegnante noioso e monotono ma volevo vivere e divertirmi. Mi sono avvicinato alla fotografia a 30 anni e, mi chiedo ancora come, sono diventato insegnante di quel campo. È assurdo no?” Gli brillavano gli occhi. “Ora ho 48 anni e sono fiero del mio lavoro, ma se non avessi avuto il coraggio di mollare il College non avrei fatto questa vita che tanto amo. Ho girato il mondo; scattato solo Dio sa quante foto e vissuto appieno questi 26 anni. Ho deciso di stabilirmi definitivamente in quest’università non solo perché è un posto di prestigio, ma anche perché ho bisogno di metter radici; voglio un posto da poter chiamare casa.” Sorrise malinconico. “Pondera bene le tue scelte, ma non con la testa.”
Dovevo buttarmi o no? Il suo discorso mi era servito ad acquisire più coraggio ma mi si stringeva il cuore se pensavo di dover lasciare la caffetteria.
“Terrò a mente ciò che mi ha detto e ne farò tesoro.” Gli sorrisi davvero grata.
“Devo chiedertelo!” Il suo viso assunse un’espressione divertita. “Che effetto ti ha fatto lavorare con Benedict Cumberbatch?” Mi si bloccò il cuore.
“Beh, ecco… sono stata davvero felice di averlo incontrato.” Non mi sembrava il caso di narrare le mie vicende comico-drammatiche. “Lei sa quanto io lo ammiri come uomo e come attore.” Gli sorrisi debolmente, in visibile imbarazzo.
“Spero per te che avrai modo di vederlo ancora.”
“Perché mi guarda in quel modo?” Alzò le spalle.
“Mi stuzzica l’idea di saperti in balia di quell’uomo.” Sgranai gli occhi e mi sentii bruciare le guance.
“Cosa?!?” Distolsi lo sguardo. “Non sono in balia di nessuno.”
“Era una situazione ipotetica.” Tossì appena. “Ti ha segnato quell’incontro, vero?”
“Sono una donna, non una ragazzina che incontra la sua boyband preferita!”
Feci la sostenuta, o almeno ci provai. Non potevo ammettere che da quando l’avevo visto la prima volta i miei pensieri ruotavano unicamente intorno a lui: era patetico!
“Dalla scena muta che hai fatto direi che non sei una ragazzina: non hai urlato né ti sei strappata i capelli.” Rise. Che c’era di divertente? “Gli sei piaciuta.” Mi spiazzò.
“Cosa?!”
“Il giorno successivo è tornato per vedere gli scatti che gli avevi fatto. Voleva chiederlo a te ma non c’eri.”
“Perché non me l’ha detto subito?”
“Non volevo farti credere in chissà cosa.”
“E perché ora me lo sta dicendo?” Inarcai un sopracciglio.
“Perché non sei una fangirl, come dite voi giovani.” Mi sorrise.
“Gli sono piaciute le mie foto...” Bofonchiai tra me e me come per assicurarmi che fosse vero.
“Ne ha voluto una copia.” Mi sentivo felice.
“Di me…” mi schiarii la voce “…ha chiesto niente?”
Continuavo a far vagare lo sguardo da una parte all’altra della stanza preparandomi alla batosta che stava per arrivarmi.
“Sei davvero tenera.” Lo guardai e mi sorrise. “Mi ricordi mia figlia.”
“Ha una figlia?” Annuì.
“Si chiama Anne, ha 18 anni.” Sorrise dolcemente. “Comunque mi ha chiesto il tuo nome, che non ricordava, e la tua età. Quando gli ho detto che hai 24 anni è rimasto perplesso: ti credeva più giovane.” Sorrisi istintivamente.
“Ne sono lusingata.”
“Sei arrossita.” Aveva un sorrisetto troppo divertito per i miei gusti. “Mi dispiace dover interrompere qui il nostro colloquio, ma ho una riunione tra mezz’ora.” Mi sorrise garbatamente.
“Non le ruberò altro tempo.” Mi alzai e gli tesi la mano. “Grazie di cuore per tutto.” Mi strinse la mano con vigore.
“È sempre un piacere aiutarti.”
“Ci vediamo più tardi.”
Lasciai la stanza con le sue parole che rimbombavano nella mia testa; tutto ciò che mi aveva detto si agitava confuso e i pensieri si mescolavano. Mi stava venendo un cerchio alla testa! Controllai l’ora e decisi di fare un giro nella City e poi andare a prendere un tea in caffetteria.
Entrai e subito Christian spalancò gli occhi e mi fece cenno di raggiungerlo al bancone.
“Non potevi venire 10 minuti prima?” Chiese quasi urlando.
“Cos’è successo?” Sembrava non stare più nella pelle. Si guardò intorno sorridendo, poi mi consigliò di sedermi.
“Dimmi che c’è!”
“Ti porto il tea e te lo dico!” Ridacchiò stupidamente.
Lasciai correre ed andai a sedermi. Poco dopo mi portò il solito e si sedette con me.
“Dovresti tornare al lavoro.” Lo rimproverai.
“È venuto a cercarti un ragazzo.” Sbuffai.
“Ti prego: dimmi che non era Matthew!”
“Non era quel tipo.” Sorrideva come un ebete. “Non volevo crederci quando l’ho visto!”
Iniziavo a perdere la pazienza. Lo guardai storto ma rimase in silenzio.
“Dimmelo e basta!”
“Benedi-”
“No!” Urlai sporgendomi verso di lui; quasi rovesciai la tazza con il tea. “Mi stai prendendo in giro?” Avevo il cuore che stava per esplodermi.
Fece no con la testa e si mise a braccia conserte.
“Se ne è andato neanche 5 minuti fa.” Mi morsi il labbro dal nervoso.
“Ti ha lasciato detto qualcosa?”
“Mi ha chiesto quando avrebbe potuto trovarti e gli ho dato i tuoi turni.”
“Grazie! Grazie mille!”
“Come l’hai conosciuto?” Mi chiese inarcando un sopracciglio.
“Ti ricordi il servizio fotografico per la rivista X a cui il Signor Miron mi ha fatto partecipare?” Fece sì con la testa. “Il soggetto delle foto era lui.” Sorrisi.
“Perché non me l’hai detto?” Si arrabbiò.
“Non lo so! Non volevo farmi coinvolgere troppo da quell’episodio. E non volevo risultare patetica.”
“Hai realizzato uno dei tuoi sogni, per la miseria! Credevo di essere il tuo migliore amico!” Mi stava facendo sentire in colpa. “Mi hai sempre parlato di tutto!” Incrociò le braccia al petto.
Non ritenevo nessuno amico per non starci troppo male una volta lasciata Londra, ma con lui era diverso: di lui mi ero già affezionata al punto da ritenerlo fondamentale nella mia vita.
Mi scusai e gli raccontai cos’era successo quel giorno e, alla fine, anche degli altri incontri.
“Non nascondermi più niente, intesi? Devi pur parlarne con qualcuno e vorrei che fossi io!” Mi guardò dolce.
“Mi dispiace! Da ora in poi saprai ogni minima cosa di me.”
Gli feci l’occhiolino, finii di bere e lo costrinsi a tornarsene al bancone per adempiere ai suoi doveri.
Prima di andarmene lo ringraziai ancora e mi rassicurò dicendo che secondo lui sarebbe tornato.
Era venuto per quel tea ripensai abbattendomi. Proprio il giorno che avevo fatto mattina doveva andare a beccare? Sbuffai nervosamente scalciando un sassolino.
Mi diressi verso l’ascensore con le più nere vibrazioni che si possano emanare.
Non sarebbe mai tornato; non aveva alcun motivo di stare ai miei comodi, soprattutto per la vita che faceva. Il Signor Cumberbatch che deve far quadrare gli impegni per incontrare una cameriera senza né arte né parte. Mi salirono le lacrime agli occhi.
Premetti il tasto 8 per raggiungere l’aula in cui Miron teneva il corso, che poi era la stessa in cui teneva le lezioni. Lavorava in quella prestigiosa università da soli due anni ma godeva della stima e dell’ammirazione dell’intero corpo docenti.
Le porte stavano per chiudersi quando qualcuno si fiondò dentro: aveva il respiro corto; mi lasciò disarmata e senza parole.
“Tutto bene?” Mi obbligai a dire, fissando Benedict che cercava di riprendersi.
“Sì, più o meno.” Fissò i suoi occhi nei miei.
“Come mai qui?”
“Ho fatto un salto” pensai automaticamente alla sua foto degli Oscar e a quelle ritoccate dai fan. Scoppiai a ridergli in faccia mentre aggiungeva qualcosa che non sentii.
“S-scusami.”
Vederlo così serio e distinto e poi pensare a quella foto… Non riuscivo a smettere di ridere. Cercai di guardarlo dandomi un contegno visto che si era fatto serio.
Distolse lo sguardo e prenotò il piano terra; mi sentii morire. Dovevo dire qualcosa per rimediare all’offesa che gli avevo recato ma non sapevo neanch’io cosa!
“Non volevo offenderti.” Voltò appena il viso ma si rigirò subito. Deglutii a fatica. “Mi dispiace.” Quasi sussurrai.
“Perché ti sei messa a ridere?”
“Ho ripensato ad una cosa buffa…” Fissavo il pavimento.
“Non è la prima volta che mi scoppi a ridere in faccia. Non mi piace.”
Che stupida ero stata! Mi maledii per essere stata così sciocca ed infantile.
“È qualcosa che mi riguarda che ti ha fatto scoppiare in una risata così accorata?”
Feci sì con la testa e mi morsi il labbro sperando non volesse sapere cosa.
“Illuminami.” Lo guardai per un attimo: sembrava più calmo.
“Ripensavo ad una tua foto.” Corrucciò la fronte. “Agli Oscar. Dietro gli U2.”
“E quindi?”
“E quindi?!? Ma l’hai vista? Hai un’espressione impagabile!” Risi. “Poi devi vedere tutte le foto in cui ti hanno photoshoppato! Ho passato un pomeriggio intero a guardarle!”
Non aveva cambiato minimamente espressione.
“L’ho rivista.” Fece una breve pausa. “Ed hai ragione.” Fece una mezza risata e tornò a guardarmi, col viso luminoso questa volta.
Il cuore saltò un battito.
“Mi piace vederti sorridere.” Confessai senza pensarci mentre le porte dell’ascensore si aprivano al 5° piano per far salire delle persone, tra le quali c’erano dei miei compagni di corso e Matthew.
Ci spostammo di lato per farli entrare. Gli davo le spalle; chiusi gli occhi per un attimo sentendomi le gambe tremare.
Mi si avvicinò Matt, facendosi largo e scusandosi, e mi salutò con un abbraccio e un bacio sulla guancia che non ricambiai: ero ancora arrabbiata.
Lo guardai torva mentre continuava a sorridermi come un cucciolo stolto di una qualche razza aliena. Distolsi lo sguardo per fare la sostenuta, anche se mi veniva da ridere per la sua faccia buffa, ed incrociai le braccia al petto. Mi accarezzò dolcemente il viso e riportò i miei occhi nei suoi: stava cercando il perdono ed era sinceramente dispiaciuto.
“Me la dai una seconda possibilità?” Quasi mi implorò. “Ci tengo davvero.”
“Potevi pensarci prima.” Mi arrivò il suo alito tra i capelli procurandomi un brivido.
Mi voltai il tanto che bastava per guardare gli occhi meravigliosi di Benedict e restammo, sia io che Matt, a fissarlo sorpresi.
Voltò leggermente il viso contro la parete e alzò le mani in segno di scusa; per farlo quasi sfiorò la mia schiena. Il cuore mancò un battito.
Quando tornai con lo sguardo davanti a me, Matt mi fissava interrogativo ma io ne sapevo quanto lui! Mi si avvicinò e fece per sussurrarmi qualcosa all’orecchio; le sue labbra quasi mi sfioravano quando Benedict posò una mano sul mio fianco e mi tirò delicatamente a sé privandomi della domanda del mio quasi di nuovo amico. Stavo per entrare in iperventilazione nel sentire il suo corpo contro la mia schiena.
“Dobbiamo scendere.” Si giustificò indicando con un cenno del capo le porte aperte sul piano 8. Dobbiamo?! pensai scettica.
“Non tornavi giù tu?” Lo guardai con un sopracciglio inarcato.
Fece no con la testa e mi spinse per farmi uscire prima che l’ascensore si chiudesse di nuovo. Matt mi cinse le spalle con il braccio e mi portò praticamente via, probabilmente per chiedermi ciò che voleva sapere.
“State insieme?” Chiese quasi in un sussurro.
Mi si bloccò il cuore; elaborare una risposta non fu mai così difficile. Non perché non la conoscevo, anzi! Un no si fa presto a dirlo, ma la domanda in sé mi aveva mandato in crisi perché avevo sempre immaginato come potesse essere starci insieme ed ora, che qualcuno potesse sospettare che fosse così, mi sembrava una specie di miracolo; come se Babbo Natale avesse sceso il camino di casa e mangiato i biscotti davanti i miei occhi. Insomma, era un miracolo no?!
Ridacchiai nervosamente, giusto per cercare di fargli capire che era ridicolo, poi scrollai la testa.
“No! Ti pare?”
Diede un’occhiata dietro di noi e, come una cretina, lo feci anch’io non resistendo alla curiosità di vedere cosa facesse e alla voglia di guardarlo camminare.
Stava con le mani nelle tasche dei pantaloni; la giacca aperta mostrava una camicia bianca che gli stava a pennello; i capelli gli si muovevano, come se danzassero al passo del suo andamento: era uno spettacolo della natura ed il mio cervello stava di nuovo in panne.
Non appena alzò gli occhi incontrando i miei, mi voltai per riguardare dove mettevo i piedi. Avevo il cuore in gola e quel sadico di Matt se la stava ridendo alla grande. Gli diedi una gomitata per farlo smettere, ma servì solo a sentire i suoi addominali di marmo. Sgranai gli occhi sorpresa.
“S-sei muscoloso!” Esclamai alzando leggermente la voce senza volerlo.
Si fermò all’improvviso, ed io con lui. Si aprì la giacca, alzò la maglietta e mi mostrò il suo fisico scolpito.
“Prendetevi una stanza.” Ci rimproverò Benedict mentre passava fra noi. “Non a tutti piace uno spettacolo del genere.”
L’unico spettacolo qui eri tu, brutto cretino! gli avrei voluto gridare contro, ma mi morsi la lingua per non peggiorare la mia situazione e non accrescere l’imbarazzo che stavo provando.
“Allora vieni a casa mia sta sera.” Mi rivolse un ghigno divertito, anche se non mi era chiaro se stesse scherzando o no.
Nel dubbio declinai l’offerta ridendo e facendo una mezza battuta, poi mi chiese:
“Ma da quant’è che Mr Simpatia ti conosce?”
“Non criticarlo, non sai niente di lui.”
“E tu sì invece?” Mi rattristai davanti l’evidenza. “Scusa.” Sospirò. “Cercherò di non dire più cose stupide.” Mi sorrise e contraccambiai sincera.
“Ed io cercherò di perdonarti per la bella serata che mi hai fatto passare Mercoledì!”
Si grattò la testa mortificato; gesto che mi convinse a dargli una seconda possibilità: in fondo tutti la meritano.
“C’è un film che vorrei andare a vedere.” Buttai lì fermandomi prima di entrare nella stanza. “Saremo due, tre amici. Se vuoi unirti a noi ci organizziamo.”
Gli si illuminarono gli occhi; mi fece piacere ma non ero convinta di fare la cosa giusta. Pregai la mia coscienza di diventare più sveglia e prendermi a pugni se sentiva puzza di bruciato. O magari dovevo svegliare il mio cuore. Mi chiedevo sempre più spesso perché facevo sempre affidamento alla parte razionale di me e non quella passionale o sentimentale; insomma la parte irrazionale se viene ferita o anche solo scalfita, si tiene tutte le cicatrici. Ok, mi ero risposta da sola: non volevo star male, non più.
Non dovevano esserci più Luca a farmi male; ad approfittare di me per poi lasciarmi non riuscendo a tenermi testa. Codardo di un Luca! Pensare a lui mi faceva odiare all’istante l’intero genere maschile.
Borbottai tra me e me una sequela di imprecazioni contro quel dannato Luca mentre mi sedevo e sistemavo la borsa sullo schienale, poi una risata mi riportò sulla terra e subito feci vagare lo sguardo fino alla porta aperta per guardare in corridoio. Purtroppo da dove ero non riuscii a scorgerlo.
Un foglietto appallottolato raggiunse il mio banco. Ero all’asilo per caso? Lo aprii senza sapere se fossi più divertita o più curiosa.
Il tuo amato sta flirtando con tutte le ragazze del corso e tu te ne stai lì seduta?
Guardai automaticamente quel cretino di Matt e gli imbruttii. Aggiunsi di seguito la mia risposta: Chissenefrega!!!!!  Glielo lanciai sperando raggiungesse il suo banco vicino la porta. Da lì, effettivamente, poteva davvero vedere cosa succedeva. Mi guardai intorno notando che c’eravamo seduti in 5 ed io ero l’unica donna. Mi accigliai ma mi sentivo anche tremendamente arrabbiata. Un rumore attirò la mia attenzione. Spiegai il foglio e cercai la risposta alla risposta: Con la scusa di sapere quando inizia la lezione, esci e fatti spazio! Non fare l’ameba incazzata e tira su quella testa! Tira fuori le unghie, tigre!
Doveva sicuramente lavorare sui discorsi di incitamento, ma almeno servì a scuotermi. Tirai indietro la sedia e, dopo aver disegnato un cuoricino sul foglietto, mi alzai; lasciai a Matt la mia profonda risposta zen e raggiunsi quelle tro- ragazze fuori. Se ne stavano tutte intorno a lui e al Signor Miron che sembrava rosso di vergogna, ma probabilmente aveva solo caldo.
Mi schiarii la voce per attirare l’attenzione e parlai:
“Scusi, ma quando iniziamo? Siamo in ritardo già di 10 minuti.”
“Il corso non si terrà. Almeno non in modo convenzionale.” Sospirò. “Il mio amico c’ha fatto visita e come vedi c’è un po’ di scompiglio.” Incrociai le braccia al petto.
“Quindi?” Inarcai un sopracciglio e rivolsi un’occhiata fugace al disturbatore.
“Entriamo in aula e tartassiamo Benedict di domande.” Civettò Marica, se ricordavo bene il nome, e subito si voltò per non perdersi neanche un istante dell’occasione che si era presentata.
Se era lì era merito mio! Mi lamentai mentalmente convinta che fosse lì per me. Volevo fosse un’esclusiva… ero una ragazzina egoista e capricciosa. Non era il mio giocattolo, né la mia lecca- lecca. Ok, esempio sbagliato! Mi sentii arrossire. Ma perché la mia mente vagava in così poco tempo?! Mi maledii per poi accorgermi che stavano entrando.
Benedict e Miron fecero passare prima le ragazze e restarono a guardare me, fissa immobile su quelle due mattonelle lisce di marmo. Deglutii e abbassai lo sguardo.
“Se ti sembra una perdita di tempo puoi tornare a casa.” Mi provocò Benedict con gli occhi in tempesta.
Mi rivolsi al Signor Miron: “Possiamo porgere le domande che vogliamo?”  Annuì.
Feci un sorrisetto sghembo al mio sogno proibito e raggiunsi il mio posto che ora sembrava troppo vicino alla cattedra.
Allungai le gambe incrociandole e mi misi a braccia conserte ad osservarli parlottare alla cattedra.
Dopo aver attirato l’attenzione di tutti con un colpo di tosse e aver riportato il silenzio in aula, Benedict fece una breve presentazione- nome, età, professione- e lasciò subito spazio alle nostre domande.
Decisero di fare per alzata di mano; a me sarebbe sembrato più logico seguire l’ordine dei banchi, ma contenti loro contenti tutti.
La prima a parlare fu Marica che gli chiese subito se era fidanzato. Alzai la mano per protesta e, di sicuro, Miron lo intuì perché mi diede la parola sbuffando.
“Possiamo evitare argomenti futili e pensare solo al lato professionale?” Di vederlo evasivo e scoglionato per le domande impertinenti non mi andava.
Ovviamente si alzò subito un borbottio di lamenti e di insulti parafrasati.
Benedict mi fissò con un leggero sorriso e l’unica cosa a cui pensavo era la sensazione che mi era presa alla bocca dello stomaco.
“Non parlo della mia vita privata ma visto che la risposta è no, posso darvela tranquillamente.”
Sapevo che era stato fidanzato per 10 anni e che poi si erano lasciati per lavoro. Viversi Ben per 10 lunghi anni… Avevo le farfalle nello stomaco solo a pensarci.
Le domande seguenti non furono poi così migliori: gusto di gelato preferito; film preferito; musica e dolce preferito.
Stufa, alzai la mano cercando di risollevare le sorti del Q&A.
Miron, come avesse avuto l’apparizione di un angelo, mi diede subito la parola; nel frattempo Benedict si grattava la fronte e faceva vagare lo sguardo dalle sue scarpe a quelle del ragazzo seduto di fronte a lui.
“Com’è stato lavorare con Tom Hiddleston? Ti piacerebbe poter recitare di nuovo con lui, magari a teatro?”
Avevo avuto la fortuna di ottenere i biglietti per Coriolanus: l’esperienza più bella e sconvolgente della mia vita. Il prossimo passo era vedere lui a teatro.
“È un attore eccezionale e un ragazzo brillante. Siamo ottimi amici e spero ricapiteranno occasioni future.” Sorrise appena. Miracolo! “Il teatro resta sempre la più grande passione di entrambi. Chissà, magari un giorno…” Mi fece l’occhiolino; tesi le labbra in un sorriso e distolsi lo sguardo sentendomi avvampare.
Dopo aver esaurito le domande- alcuni ne fecero più di una- una ragazza propose speranzosa di fare qualche foto a Mr Darcy che, ovviamente, non si tirò indietro ma si rese disponibile. Alzai di nuovo la mano per prendere parola e Ben, vedendomi, trattenne una risata.
“Dicci tutto.” Affermò divertito. Non me lo sarei mai aspettato!
“Andiamo nel giardino sul retro? Gli alberi sono in fiore e potrebbe essere carino… sì insomma… Sempre chiusi in gabbia questi attori!” Lo sguardo dell’insegnante si accese.
“Sta sera c’è luna piena, quindi il giardino sarà piacevolmente illuminato.” Sorrise e con lui Ben: mi tolse il fiato. “Prendete le vostre cose e spostiamoci fuori.”
Batté le mani per metterci fretta.
Raccolsi le mie cose e raggiunsi Matt che mi stava aspettando in corridoio. Si complimentò per l’idea che avevo avuto e per essere uscita prima della lezione a farmi valere.
Scegliemmo l’albero con i fiori più belli e meglio illuminato.
“Ecco come faremo: avrete un paio di minuti per pensare a come volete fare la foto. Potete farne una a testa visto che siete 12 e non abbiamo tutta la notte.” Ridacchiò.
A turno indicò una persona, le fece fare lo scatto e poi chiamò l’altra.
Aspettavo impaziente il mio turno visto che avevo in mente cosa fare e avevo il timore che a qualcun altro potesse venire la stessa idea.
Finalmente toccò a me.
Mi avvicinai con l’agitazione che aumentava.
“Potresti poggiarti con la spalla destra al ciliegio?” Mi accontentò. “Metti le mani in tasca, per favore.” Lo fece. “Guarderesti la luna?” Gliela indicai; alzò gli occhi e ne rimase sbalordito: era grande e proprio sopra di lui.
Scattai al volo per cogliere quell’espressione di meraviglioso stupore. Tornò subito a guardarmi, con gli occhi ancora leggermente sgranati.
“Posso vederla?” Agli altri non l’aveva chiesto.
Mi avvicinai di nuovo a lui; si abbassò leggermente per poterla veder meglio. Evidentemente non era soddisfatto ed afferrò la mano con cui tenevo la fotocamera per sistemarla come più gli piaceva. Avevo il cuore che mi martellava nel petto.
“Posso?” Mi chiese garbatamente.
La mia Reflex non la lasciavo in mano a nessuno, ma per quelle mani avrei fatto un’eccezione. Mi assicurai che la tenesse ben salda, poi abbassai la mano. Se la portò vicina al viso; fece lo zoom ed iniziò a studiarsela, dettaglio dopo dettaglio.
Il Signor Miron prese a tamburellare il piede sull’erba umida; le ultime ragazze in fila cominciarono a schiarirsi la voce per avere il loro turno.
“Credo che debba ridarmi la macchinetta e cont-” Posò i suoi occhi nei miei e tutto finì: il brusio; il vento freddo; il tamburellare di Miron… Non c’era più nessuno, più niente se non quell’oceano in tempesta nei suoi occhi accesi.
Mi sorrise teneramente: Benedict Cumberbatch mi aveva sorriso teneramente. Mr Darcy aveva…
“Tieni.” Nel prenderla sfiorai le sue dita fredde.
“Dovresti metterti dei guanti.” Perché me ne uscivo sempre con qualcosa di tremendamente stupido?
“Dovrebbero regalarmene un paio allora.”
“Non ci credo che tu non ne abbia! Vivi a Londra: fa sempre freddo!”
“Per te che non ci sei nata e cresciuta.” Affermò beffardo. Misi una mano in vita e lo guardai storto.
“Scusate?!” Si innervosì Miron. “Potreste continuare in un altro momento?”
Lo guardammo entrambi: io scocciata per averci interrotto e lui… lui anche. Ne rimasi stupida quando, guardandolo con la coda degli occhi, avevo trovato la sua espressione seccata.
Mi schiarii la voce e tornai nel gruppo di chi aveva già scattato le foto. Inutile dire che fui assalita: vollero vedere subito quello scatto miracoloso che aveva sciolto il ghiaccio. Restarono a fissarlo per un po’ ma ne ero ridicolmente gelosa.
Ripresa la macchinetta, lo guardai anch’io visto che non avevo avuto modo di farlo minuziosamente. Ero riuscita ad immortalare lui e il suo viso stupito; il ciliegio dai fiori rosa e la luna piena. Non per vantarmi ma era stupenda, forse la foto più bella che avessi mai fatto. Sorrisi felice: sarebbe stato il mio tesoro. Appena spensi la macchinetta, Matt mi si avvicinò con quel sorriso che mi aveva colpito dal primo giorno in cui lo vidi. Sorrisi di rimando pensando che una seconda possibilità se la meritava.
“Ho una cosa per te.” Disse piano. Mi porse la sua digitale: c’era un video.
“Ci hai ripresi?” Chiesi sorpresa. Fece sì con la testa e mi invitò a guardarlo subito. “È venuto davvero bene.” Mi complimentai con le mani che tremavano. “Mi piace vederci insieme.”
“A quale donna non piacerebbe vedersi insieme a lui?” Sorrisi imbarazzata.
“Hai ragione.” Sospirai.
“Dovresti invitare lui al cinema, non me.” Scoppiai a ridere sentendomi lo sguardo di tutti addosso.
“Non essere ridicolo! Non uscirebbe mai con una come me!”
“Perché non ci provi?”
“Per non fare la figura della ragazzina speranzosa, ingenua e stupida!”
“Giusto, meglio che lasci perdere.”
Si riprese la fotocamera e si avvicinò al professor Miron che aveva richiamato l’attenzione del gruppo. Sospirai facendo lo stesso.
Ci ringraziò per il lavoro svolto, poi ci chiese gentilmente di fargli avere le foto scattate per pubblicarle sul giornale dell’università.
Una gli chiese se potevamo pubblicarle sui social network- sennò come avrebbe saputo il mondo che aveva incontrato Benedict?- e il diretto interessato, dopo una smorfia, diede il consenso per non privare una piccola bionda del suo momento di gloria.
Il gruppo ringraziò Benedict per la disponibilità e lo invitarono a tornare di nuovo se ne avesse avuto piacere. Ci salutò e restò a chiacchierare con Miron.
Iniziammo ad andarcene ma io volevo aspettare fino all’ultimo: come facevo a tornarmene a casa sapendo che lui era ancora lì? Ok, stavo facendo i capricci. Non appena me ne resi conto, raccolsi la mia borsa e feci per andarmene.
“Miss Bennet” mi bloccò la sua voce profonda “mi concede un minuto?”
Mi voltai dopo aver preso un respiro profondo e li raggiunsi. Il signor Miron mi sorrise e ci salutò lasciandoci soli.
Non riuscivo a guardarlo negli occhi: ero troppo agitata e avrebbe solo peggiorato la situazione!
“Non chiamarmi Miss Bennet, per favore. Sono lusingata, ma non sono come lei.”
“Neanch’io sono come Mr Darcy, ma tu continui a pensare che lo sia.”
“Non puoi saperlo.” Lo guardai.
“Te lo leggo negli occhi. Ogni volta che sono distaccato; che sono freddo o sto sulla difensiva, tu lo pensi ed io lo capisco.” Il mio cuore cominciò a battere frenetico. “E capisco anche quanto ti piace.” Avvampai e distolsi lo sguardo.
Non dissi nulla perché non riuscivo neanche a pensare: uccideva le mie facoltà mentali. Poi, così vicino, potevo sentire il suo profumo dolce che riempiva l’aria.
“Devo andare.” Tornai a guardarlo. “Buona serata.” Non sorrise come avrei voluto. Non finiva mai bene.
“Anche a te.” Si voltò per andarsene. “I-io…” Non si girò nemmeno; evidentemente non mi aveva sentito.
Non avevo il coraggio di dirgli che mi piaceva da morire; che aveva ragione su tutto e che avrei voluto… scrollai la testa per non pensarci. Sentivo gli occhi bruciarmi. Con la coda tra le gambe mi avviai alla fermata dell’autobus. Passai la serata a maledirmi per aver perso l’ennesima occasione. Mi convinsi, alla fine, che forse non era destino e che non potevo chiedere tanta fortuna dalla vita.


N.d.a.
Ecco il nuovo capitolo :D
Vorrei ringraziare chi ha messo tra le preferite e le seguite questo racconto :) Grazie di cuore!! Spero di non deludervi.
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Non mi deluda Miss Bennet ***


Capitolo 05 Non mi deluda Miss Bennet
Non mi deluda Miss Bennet
 
“Due anni?!?”
“Non gridare!”
“Non ci credo che non sei stato con nessuna donna per tutto questo tempo!” Ridacchiai imbarazzata.
“Ho detto che non ho una fidanzata da due anni. Non ho parlato di sesso.” Ammiccò malizioso.
Avevo 24 anni ma restavo comunque una ragazzina ingenua. Alzai le mani in segno di resa e rise finché non fu richiamato, da un colpo di tosse, all'attenzione di una cliente che probabilmente aveva sentito tutto. Mi sentii arrossire e mi dileguai con la scusa di pulire un tavolo appena liberato da un gruppetto di mocciosi irritanti e maleducati.
Quella mattina non c'era molta gente, persino i turisti sembravano svaniti nel nulla. Sbuffai annoiata: preferivo di gran lunga quando c'era più movimento.
E' libero?” Mi chiese una voce alle mie spalle. Un brivido percorse la mia schiena fin sulla nuca. Deglutii prima di voltarmi a rispondere a Benedict.
“Prego.”  Lo invitai a sistemarsi con un gesto.
Mi sorrise lievemente; si sedette e sistemò quello che sembrava una sceneggiatura, sul tavolino insieme a delle chiavi.
Estrassi il blocchetto e la penna dalla tasca del grembiule e gli sorrisi aspettando l'ordinazione. Erano passati interminabili secondi, forse un paio di minuti, ed era ancora immerso in una profonda e minuziosa lettura del menu. Iniziai a muovere nervosamente la gamba destra: era un mio tic. Alzai gli occhi al cielo mordendomi il labbro intimandomi, con un monologo interiore, di calmarmi perché non c'era niente di cui essere nervosa. Il mio cervello avrebbe dovuto collaborare di più visto che le spalle tese iniziavano a formicolarmi.
“Credo che prenderò” si interruppe osservando ancora quelle due semplicissime pagine “un pudding alle noci.” Iniziai a scrivere per poi bloccarmi a pudd.
“Non c'è nel menu.” Affermai disorientata e incrociando i suoi occhi. Il suo viso era divertito. Il cuore mancò un battito.
“Volevo verificare la tua soglia di attenzione.” Chiuse il menu e me lo porse. “Un tea alla vaniglia, grazie.” Lo afferrai ancora incredula.
Feci un piccolo cenno con il capo e scappai a preparargli l'ordinazione.
I miei pensieri, la mia coscienza... tutto taceva: nella mia testa ormai risuonava solo la sua voce. Una leggera gomitata mi riportò all'attenzione facendomi notare che avevo riempito troppo la teiera. Sbuffai sonoramente e ringraziai il mio amico.
“Rinfrescami la memoria: da quant'è che non lo vedi?” Mi sussurrò Chris attento a non farsi sentire.
Immersi la bustina e sistemai tutto sul vassoio. Lanciai un'occhiata veloce al calendario: Venerdì 11 Aprile 2014.
“Un mese.”
“Ouch!” Gli imbruttii: non avevo bisogno di qualcuno che infierisse. “Ci penso io?” Allungò le mani verso di me per prendere il vassoio, ma feci no con la testa e mi diressi al suo tavolo.
Era stato un mese intenso: avevo iniziato ad uscire con Matt una settimana dopo che Ben era- che Benedict era venuto al corso di fotografia; uscivamo sempre più spesso e mi piaceva sempre di più. Sorrisi nel pensare alle sue battute idiote. La sua faccia buffa mi faceva rilassare.
Mentre poggiavo la tazza, la teiera e il piccolo bricco in ceramica con il latte, Benedict era impegnato e completamente assorto a leggere la sceneggiatura. Allungai l'occhio per cercare di capire cosa fosse. Ero già emozionata all'idea di poterlo rivedere presto in un nuovo film! Il mio cuore iniziò ad accelerare quando notai un nome che risaltò ai miei occhi: William Shakespeare. Intenta a fissare la copertina di quel quaderno ad anelli, non mi ero accorta che lui era intento a fissare me. Arrossii di colpo e mi scusai.
“La curiosità è donna.” Biascicò riprendendo a leggere.
La curiosità è fan, ma non avevo intenzione di umiliarmi. Girai sui tacchi e raggiunsi il bancone borbottando qualcosa che neanche ricordo.
Servii altri clienti aiutando Chris che mi guardava preoccupato.
Quando quelle poche persone uscirono dal negozio lasciandoci di nuovo con le mani in mano, mi sentii stringere il fianco per poi finire contro un altro. Guardai confusa Chris che mi si avvicinò all'orecchio, quasi lo sfiorò con le labbra.
“Scommetti?” Mi scansai per guardarlo dubbiosa. “Che il tuo amichetto è geloso.” Mi spiegò. Deglutii a fatica mentre portavo lo sguardo su Benedict, che aveva gli occhi fissi su di noi.
“Non faccio queste cose.” Gli imbruttii. “E non dovresti provocarlo. Non che abbia la presunzione di pensare che sia davvero geloso, o che gli freghi qualcosa di me, ma preferirei evitare certi giochetti.” Gli diedi un pizzicotto sul fianco, gli sorrisi e andai a pulire un tavolo.
Per fortuna che non volevo ricorrere a quei mezzucci! Sorrisi tra me e me mentre asciugavo le macchie di cappuccino dalla superficie del tavolino. Quando ebbi finito, trovai una sorpresa molto poco gradita: il suo tavolo era vuoto. Sentii una stretta al cuore e mi pentii all'istante di essermi comportata da idiota! Anche se non era certo per quel piccolo dialogo con Chris che lui se ne era andato! Sbuffai e lasciai il vassoio sul bancone chiedendo al mio amico di occuparsene lui mentre andavo a prendere una boccata d'aria.
“Ti farai prendere una crisi nervosa!” Mi sgridò. “Guarda come ti tremano le mani!” Sbuffò e continuò. “ Dai, vai a prendere un po' d'aria.” Mi sorrise.
“Grazie.” Lo abbracciai ed uscii.
Anche se eravamo già ad Aprile, l'aria era ancora fredda e mi ritrovai a stringermi le braccia al petto per coprirmi il più possibile. Sospirai e alzai gli occhi al cielo: era di un azzurro intenso e le nuvole grandi e bianche. La rarità di quel cielo così sereno su Londra, te lo faceva apprezzare ancora di più. Avrei voluto fare una passeggiata a Hyde Park ma ero di turno per un'altra ora. A pranzo! mi dissi sorridendo.
“Ciao!” Sussultai e mi voltai di scatto con due occhi così sgranati che probabilmente stavano per cadermi.
“C-ciao.”
“Sei in pausa?” Perché la sua voce era più calda di quello che ricordavo? Eppure l'avevo sentita neanche 10 minuti prima.
“Una boccata d'aria al volo.” Mi sorrise mentre gettava la cicca.
“A che ora stacchi?” Voleva farmi morire?
“Tra un'ora.”
“Hai programmi?” Uscire con lui senza che lo sapesse valeva?
Stavo per dir di no quando mi ricordai l'appuntamento con Matt.
“Sì.” Mi scrutò curioso. “Devo uscire con un amico.” Un po' più di amico ormai, ma dettagli. Gettò un'occhiata nella caffetteria. Probabilmente pensava a Chris.
“A presto.” Fece un sorriso tirato e palesemente finto.
Grandi doti recitative, complimenti! Borbottai tra me e me, ma fu un secondo: si voltò e con il viso scuro mi si avvicinò.
“Come scusa?” Mi morsi la lingua maledicendomi perché dicevo sempre qualcosa di troppo o sbagliato.
Fanculo a me! Scossi la testa in senso di diniego sperando non volesse approfondire la cosa. Continuava a scrutarmi e studiarmi con quei suoi occhi accesi.
“Era buono il tea?” Ormai ero andata. Mi imbarazzai un po' per aver detto qualcosa di così stupido e che non c'entrava assolutamente niente in quel momento. Ma che potevo dire? "Dimmi quello che ti passa per la testa, brutto idiota!!!"? No di certo!
Iniziò a ridere: si lasciò andare ed iniziò a ridere. Il cuore mi martellava nel petto fino a farmi male.  Si coprì la bocca, quelle meravigliose labbra, con il dorso della mano e cercò di darsi un tono.
“Molto buono.” Mi si avvicinò appena. “Mi piace l'odore della vaniglia.”
Mi guardò... malizioso?! Era una mia fantasia? Ma perché avrebbe dov- Mi bloccai intuendo: il mio bagnoschiuma era alla vaniglia. Usavo sempre e solo quello.

Sentii le guance andarmi a fuoco e si infiammò anche qualcos'altro, a dirla tutta.  Gli diedi un pugno sulla spalla. Sgranai gli occhi: gli avevo dato... il pensiero mi morì nella testa.
“Accetterebbe di cenare con me, signorina Bennet?” Stavo boccheggiando, peggio di un pesce. E i suoi dannatissimi occhi fissi nei miei non aiutavano!
“Q-quando?” Facoltà mentali, a me!
“Sta sera.” Stavo per annuire ma pensai a Matt.
“Ho un impegno.” Affermai poco convinta e molto pentita.
“Disdicilo.” Ghigno soddisfatto. Brutto arrogante!
“Non è carino.” La mia voce flebile gli stava, probabilmente, facendo già cantare vittoria.
“Il ragazzo dell'appuntamento?” Altro sorriso beffardo e un centimetro in meno che ci separava.
“Non posso disdire...” Mh, sempre meno convinta. Non mollare Mony!!!  Si fece improvvisamente serio.
“Neanche per me?” Mi guardò intensamente. Chi si credeva di essere? Benedict Cumberbatch, ecco chi era, ed io stavo facendo la sostenuta con BENEDICT CUMBERBATCH! Un'idiota patentata, ecco cos'ero io!
“Non posso.” Fu solo un sussurro. Pregai che il cuore non sollevasse la maglia: ormai batteva così forte che stava per uscirmi dal petto.
“Accetta.” Un altro breve passo verso di me. Il suo profumo mi arrivava chiaro e distinto. Chiusi gli occhi per un attimo, poi tornai a guardarlo dritto negli occhi. Oh, Matt! Mi morsi il labbro.
“Domani.” Provai a rilanciare l'offerta. Potevo pretendere che stesse ai miei comodi?
“Disdici l'appuntamento ed esci con me.” Mi portai una mano sul petto, seriamente preoccupata del dolore che provavo.
“D-domani.” Ritentai meno convinta.
“Non sarò la tua seconda scelta.” Sospirò. “Esci con me sta sera.” Scandì ogni singola parola, con tono basso e solenne. Ma che dovevo fare? Stavo per collassare, cazzo!
“Non saresti la seconda scelta.” Affermai ritrovando un po' di sicurezza. “Ho fissato quest'appuntamento due giorni fa. Non posso rimandarlo.”
Sorrise appena, forse deluso. “Buona serata, Miss Bennet.” Fece un lieve inchino e si voltò per andarsene ma gli afferrai il braccio, più muscoloso di quanto pensassi.
“Domani?” Stavo quasi implorando. Per la miseria, che vergogna!
“Ho anch'io i miei impegni.” Sorriso beffardo e uscita di scena in grande stile.
Iniziarono ad uscire le lacrime che non mi ero neanche resa conto di aver accumulato ai bordi degli occhi.
“Sono una cogliona!!!” Gridai in italiano, nel bel mezzo del marciapiede, con la gente che mi fissava.
Rientrai asciugandomi gli occhi e mi scusai con Chris per la lunga assenza. Mi perdonò soltanto perché aveva visto dalla vetrina che stavo parlando con Benedict.
Finimmo il turno insieme e andammo a mangiare dei panini a Hyde Park come avevo pensato. Mi sfogai con lui che non fece altro che ripetermi che ero stata una povera idiota. Iniziai a ridere e piangere contemporaneamente mandandolo in crisi, visto che non sapeva come farmi smettere. All'improvviso mi arrivò un sms e cercai di calmarmi per riuscire a vedere lo schermo. Mi asciugai per bene gli occhi, mi soffiai il naso e rovistai nella borsa alla ricerca del telefono che continuava la sua canzone.
Un messaggio da un numero che non avevo in rubrica. Guardai confusa Chris che mi spinse a leggerlo subito: era più curioso di me.
Sta sera, alle 8. Dimmi di sì.
Sussultai.
“S-secondo te è... lui?”
“Certo che è lui.” Mi sorrise.
Iniziò a vibrare e suonare di nuovo il cellulare.
La aspetterò al ristorante Paradise, alle 8. Non mi deluda Miss Bennet.



N.d.a.
Buongiorno a tutti!!! Ho pubblicato con un po' di ritardo perché è stata una settimana più che piena!! Spero l'attesa sia ripagata in pieno ;)
Alla prossima e buona lettura ♥

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Capitolo 6
*** Nessuna eccezione ***


Capitolo 06 Nessuna eccezione. Nessuna eccezione

Ero in ritardo, troppo in ritardo! Ero rimasta fino alle 3 al parco con Chris e non mi ero resa conto del tempo. Mi sbrigai a raggiungere l'appartamento per cambiarmi ed incontrare Matt. Mi vestii al volo dopo una rapida doccia ed uscii per giungere al più presto sul luogo dell'appuntamento. Arrivai affannata e accaldata per la corsa che avevo fatto dalla fermata dell'autobus, all'entrata della National Gallery. Ero davvero entusiasta di passare così quel venerdì pomeriggio.
Cercai con lo sguardo Matt e lo scorsi davanti le scale laterali a destra, che guardava l'orologio e poi la piazza. Ed ecco di nuovo i sensi di colpa. Mi rendevo perfettamente conto che non erano solo per il ritardo. Fino all'ultimo ero indecisa sull'accettare o meno la cena di Benedict, ma non me la sentivo di tradire così la fiducia del mio più che amico. Non lo meritava dopo averla riconquistata con fatica. Si comportava in modo esemplare con me, anche se a volte faceva il cretino con battute da ragazzino. Sorrisi nel ripensarle. Mi avvicinai piano piano e gli tappai gli occhi.
“Chi è?” Chiesi in falsetto facendolo ridere.
“La mia bella Monica?!” Tolsi le mani con il cuore in tumulto mentre i girava e mi lasciava un leggero bacio sulle labbra.
Una semplice domanda mi sorse spontanea: mi riteneva la sua ragazza? Non mi aveva chiesto di mettermi con lui. Insomma, le coccole che ci scambiavamo non facevano automaticamente di me la sua ragazza, giusto? Giusto? Quel pensiero mi spaventò, forse più del dovuto.
“Iniziamo il giro?”
“Non vedo l'ora.” Mi prese la mano. Ops! “Non sapevo ti piacesse venire qui.”
“Da quando sono a Londra, ci torno come minimo una volta al mese e mi dedico ad un'area alla volta. Mi sembra sempre di vedere qualcosa di nuovo o un nuovo particolare in un quadro. Sta quasi diventando il mio posto preferito.” Mi guardava con gli occhi luminosi e un gran sorriso. Era sempre solare e pieno di vita. Non come Benedict... Pensare a lui mi diede un brivido. Non potevo non accettare il suo invito. Perché ero così cocciuta da non volergliela dare vinta? Mi ero impuntata di dimostrargli che non cadono tutti ai suoi piedi e che- La mano di Matt si strinse di più sulla mia ed attirò la mia attenzione.
“Sei pensierosa. Tutto bene?” Non avevo pronunciato più una parola e mi ero persa nel mio mondo.
“Sono un po' stanca, niente di che.”
“Per fortuna che almeno il corso di Miron è sospeso!” Aveva sospeso le lezioni fino alla fine di Aprile perché aveva avuto dei problemi in famiglia. Mi dispiaceva per lui e speravo che si risolvesse tutto.
“Mi dispiace per lui. Spero stia bene.” Mi sorrise premuroso.
“Non preoccuparti, Mony.” Mi fece l'occhiolino e mi diede un bacio a stampo.
Ok, uscivamo da un mese e sempre più frequentemente. A volte passavamo un'intera giornata insieme. A volte ce ne stavamo chiusi in casa a guardare un film e a farci le coccole- non quel genere di coccole- ma quei semplici baci li sentivo diversi; lui era diverso. Sembrava più... dolce. Oddio! Si stava prendendo una bella cotta per me probabilmente. Mi lasciai distrarre dalle opere appese alle pareti e non pensai più a nulla.
Visitammo anche l'ultima ala, poi mi trascinò a sedermi su una panchina di Trafalgar Square. Mi mise un braccio intorno alla spalla e mi strinse a lui. Perché mi sentivo così a disagio nonostante succedesse di continuo?
“Dove ti va di cenare oggi?” Al Paradise pensai istintivamente e mi si formò un nodo in gola. Dovevo andarci; volevo andarci; volevo vederlo. Guardai l'ora e, per fortuna erano ancora le 7.10 e avrei fatto in tempo a raggiungerlo.
“P-pensavo...” Cosa? Se gli avessi detto di voler cenare a casa da sola, avrei fatto una pessima figura! “Ho detto a Chris che avrei cenato con lui.” Rimase sorpreso.
“Non immaginavi che il mio invito includesse la cena?” Certo che lo immaginavo, visto che era sempre così.
“E' il mio unico amico ed ha bisogno di me.” Abbassai gli occhi sulle scarpe.
“Non devo esserne geloso, vero?” Geloso? Oh cielo! Aveva delle aspettative che avrei deluso.
“No.” Iniziavo ad avere paura. Per quanto Matt mi piacesse, non avevo mai pensato di mettermi con lui. Non prima di un paio di mesi almeno! La mia vita era un casino; non sapevo neanche quando sarei rientrata a Roma e cosa mi avrebbe portato l'aver accettato di lavorare per la rivista X. Non potevo avere un ragazzo, qualcuno da sostenere e da amare e-
“Tutto bene?” Mi chiese allarmato. Non mi ero resa conto di essere entrata in iperventilazione.
“Scusa.” Mi strinse la mano e si alzò.
“Ti accompagno a casa.” Lo ringraziai e mi lasciai guidare fino all'appartamento.
Come una deficiente, mi venne spontaneo invitarlo a salire. Per fortuna non accettò facendomi notare che avrei fatto aspettare troppo Chris per la cena. Ero una merda. Una merda liquida. Me lo ripetevo mentre tiravo su la lampo laterale del vestito rosso che avevo scelto. Indossai anche le scarpe e passai al trucco; un trucco leggero, una spazzolata ai capelli ed ero pronta. E terribilmente in ansia.
Presi un taxi per arrivare con meno ritardo possibile visto che erano passate le 8 da un pezzo. Sperai con tutta me stessa che non se ne fosse già andato. Lasciai la mancia al tassista e mi avvicinai all'entrata. Presi un bel respiro e feci per aprire la porta, ma qualcuno mi anticipò dall'interno. Mi ritrovai davanti lui che mi guardò sbalordito, come fossi un'apparizione o una visione nel deserto. Il mio cuore ormai era abituato a fare capriole, salti mortali, wrestling. Come faceva a dimenarsi e a dare così tanto fastidio?
“Salve.” Salve? Davvero? Cervello mio, già mi abbandoni?
“Salve.” Mi sorrise dolcemente. Ora anche le gambe avevano deciso di darmi il ben servito iniziando a tremare.
Si scansò di lato e, continuando a tenere la porta aperta, mi fece entrare. Il locale era davvero carino, anche se le foto che avevo trovato su Google non gli rendevano giustizia. Si avvicinò al caposala e gli disse qualcosa; sembrava lievemente in imbarazzo. Forse se ne era appena andato con chissà quale scusa e ora voleva di nuovo il tavolo. Mi sentii in colpa e all'improvviso un'immagine si impossessò della mia mente: lui, da solo al tavolo, ad aspettarmi senza sapere se fossi andata; a rimandare indietro il cameriere per non ordinare perché non c'ero ancora. Chissà come si era sentito in quei 40 minuti. Lo guardai dispiaciuta mentre mi faceva strada al tavolo; per fortuna era di spalle- e che spalle!- e non poté notarlo. Come non poté notare il sospiro che mi scappò mentre guardavo la sua schiena. Mi scansò la sedia e mi fece accomodare.
La candela al centro del tavolo era consumata e la cera stava ancora colando. Sentii una stretta allo stomaco.
“Per fortuna non hanno subito occupato il nostro tavolo.” Nostro? Mi mancò il respiro per un attimo.
Sorrisi appena in completo imbarazzo. Non potevo comportarmi così tutta la sera: era la mia occasione cavolo! Ci si avvicinò un cameriere chiaramente spazientito che chiese a Benedict se finalmente era pronto per poter ordinare.
“E' stata colpa mia! Sono arrivata in ritardo.” Lo giustificai alle velate accuse del cameriere, che rimase un attimo sulle sue e poi tirò fuori il palmare.
Presi velocemente il menu e con una rapida occhiata decisi che prendere ma feci parlare prima lui.
“Prendiamo l'antipasto, ti va?” Mi chiese sorridente ed annuì. “Due antipasti, una bottiglia di vino e una d'acqua liscia.”
Il cameriere gli consigliò qualche vino e si fidò del suo giudizio facendo decidere lui. Ordinammo anche la seconda portata e il cameriere ci lasciò soli.
Iniziai a stritolare la tovaglia che scendeva e si posava quasi sulle mie gambe.
“Come è andato il lavoro?” Chiese ridacchiando.
“Bene. Non c'era molta gente oggi. Mi sono persino annoiata.”
“Devo tornare più spesso allora.” Sembrava divertito.
Dopo qualche istante di silenzio mi feci coraggio.
“Posso chiederti una cosa?”
“Tecnicamente l'hai già fatto!” Pignolo!
“Altre due?” Rimase spiazzato e un po' deluso. Di sicuro si aspettava che gli chiedessi un'altra domanda rispondendomi che anche quella l'avevo tecnicamente già fatta. Fregato!
“Mi sorprendi, lo sai?” Sorrisi, col cuore che iniziava già a dare di matto. Il cameriere- da dove era sbucato?- ci lasciò le bevande ed il cestino del pane e si defilò.
“Chiedi pure: ti sei meritata la mia risposta.” Mi schiarii la voce.
“Cosa leggevi in caffetteria? E' per un nuovo film?”
Fece no con la testa. “Una serie, per BBC Two.”
Rimasi felicemente sorpresa.
“Aaah! Riccardo III!” Forse ero stata troppo entusiasta. “Ti hanno già dato la sceneggiatura? ” Mi illuminai. “Quando inizierete a girare se dovrà andare in onda nel 2015?” Mi guardò divertito.
“Sei sempre ben informata, eh?!” Cioccata! Iniziai a giocare con i capelli... oh no! Poteva pensare fosse una mossa di seduzione! Seducente io?! Quasi scoppiai a ridere. Mi schiarii la voce e cercai di salvarmi.
“Mi piaci.” Si fece serio. “Intendevo dal punto di vista lavorativo. Sei un eccellente attore.” Per l'amor del cielo: TACI! Mi rimproverai in un altro monologo interiore.
Poggiò il gomito sul tavolo e il mento sulla mano: mi stava studiando come fossi una cavia da laboratorio o una scimmia allo zoo? Iniziai a sentirmi a disagio e ad innervosirmi. Come facevo a voler passare del tempo con lui se mi sentivo così?
“M-mi metti a disagio se mi guardi in quel modo...”
“Che modo?” Come se non lo sapesse!
“Curioso. Come fossi una scimmietta allo zoo.” Oddio, non potevo essermi paragonata ad una scimmia! Non con Benedict! Immaginai di sbattere con violenza la fronte contro lo spigolo del tavolo.
“Mi dispiace, scusami.” Se lo diceva con quel tono e con quel sorriso strafottente, di certo non potevo credere che fosse dispiaciuto sul serio!
Prese una fetta di formaggio e la mangiò. Un attimo: fermi tutti! Abbassai gli occhi e trovai il piatto con l'antipasto, poi guardai il suo con già qualcosa in meno. Da dove diamine erano usciti fuori? Ce li aveva portati un ninja?
“Eri troppo impegnata a guardarmi.” Mi sentii avvampare.
“Che?!” Ma come diavolo...?!?!?
“Non ti sei accorta di quando ce li ha portati perché eri persa nei miei occhi.” Oh Cielo!
Presi la forchetta e iniziai a mangiare senza dire nulla e senza azzardarmi a guardarlo, poi non resistetti e lo fissai mentre si puliva il lato della bocca con il tovagliolo. Aveva l'aria scocciata: grandioso! Sbuffai appena.
“Scusami, ma non puoi pretendere che io non reagisca in quel modo dopo essermi sent-” Mi interruppe.
“Lo so.” Posò lo sguardo nel mio; sembrava dispiaciuto sul serio. Pregai con tutte le mie forze che non accadesse più nulle di imbarazzante.
Arrivò il cameriere a portar via i piatti e riempì i nostri bicchieri di vino. A me il vino non piaceva. Perfetto. Inutile dire che il mio cervello aveva iniziato a formulare mille discorsi su come evitare di ubriacarsi o di bere qualcosa che non riuscivo neanche ad assaggiare. Poi mi insinuò altri dubbi: se avesse pensato che fossi una ragazzina perché non apprezzavo un buon vino? Beh, a quel punto erano problemi suoi visto che la maturità di cer-
“Se non vuoi, non berlo.” Innanzitutto un grazie per aver interrotto il flusso assurdo dei miei pensieri, e poi... perché mi capiva sempre? Era frustrante!
“Il vino non mi piace.”
“Vogliamo ordinare altro oltre la bottiglia d'acqua?” Perché ero così stupida da sentirmi ridicola a bere aranciata?
“L'acqua va benissimo.” Sorriso tirato e occhi in giro per il locale: ero pessima.
A dimostrazione che andava bene, ne presi un sorso e lanciai una maledizione al cameriere che era tornato con il primo. L'ho già detto che lo stavo odiando? Prima che se ne andasse, gli ordinò una lattina di aranciata. Sgranai leggermente gli occhi. Leggeva nel pensiero? Aveva acquisito poteri extrasensoriali? Quando incontrò la mia espressione sorpresa, si imbarazzò. Benedict si imbarazzò.
“Perché quella faccia?” Chiesi divertita. I ruoli si stavano invertendo! Scrollò la testa e distolse lo sguardo. Poggiai il gomito sul tavolo e il mento sulla mano, imitando ciò che aveva fatto lui, ed iniziai a guardarlo incuriosita. Sospirò e decise di rispondere alla mia domanda:
“Ti ho visto bere una lattina di aranciata una volta; me ne sono ricordato e te ne ho ordinata una.” Mi si bloccò il cuore e il respiro.
“Non c'è nulla di male ad avere una memoria di ferro.” O forse ciò che lo imbarazzava era quando o come mi avesse visto. Anche perché ricordo ogni dettaglio delle poche volte in cui ci eravamo incontrati e l'aranciata non compariva. Ora, avevo due opzioni: chiedere o lasciar correre.
“Hai deciso se accettare il lavoro alla rivista X?” Se ne uscì dal nulla spiazzandomi. Per tenermi occupata, aprii la lattina appena portata e me ne versai un bicchiere. Quasi lo bevvi tutto d'un fiato.
“Che ne sai di quel lavoro?”
“Ho i miei informatori.” Il Signor Miron, ovvio! Alzai gli occhi al cielo sbuffando.
“E' inquietante lo sai?” Lo guardai di sottecchi: stava sorridendo divertito.
Passammo il resto della serata parlando della redazione di quella rivista; delle foto che avevo già fatto per tre servizi e del fatto che forse sarei partita 15 giorni in Agosto per occuparmi di un servizio sulle principali capitali Europee.
Durante quell'ora e mezza mi aprii totalmente, su tutto: la mia famiglia; la mia città natale; i miei amici; la mia ex scuola superiore; il mio primo lavoro da barista e i miei amori. Ecco, quell'argomento lo evitai con cura rispondendo in modo vago e cioè: sono stata con uno per un anno, poi ha fatto lo stronzo e tanti saluti.
Mi chiese, a quel punto, come andassero qui le cose da quel punto di vista. Scattai subito sulla difensiva e risposi semplicemente che non lo sapevo neanch'io. Una risposta che avrebbe potuto interpretare come voleva, ed era proprio quello il mio scopo.
Dopo il dolce lasciammo il ristorante esasperati dalle occhiatacce del cameriere che evidentemente non veda l'ora che le ultime coppie sbolognassero. Ultime coppie? Mi prese un colpo solo a pensarci.
“Ti accompagno a casa.” Perché mi suonò come una domanda? Feci solo sì con la testa ed aspettai che si dirigesse alla macchina. Camminavamo da 5 minuti buoni ma della sua auto non c'era traccia. Mi guardò sorridendo e rispose ai miei dubbi, che di certo lesse sul mio viso.
“Non ci vuole molto a piedi. Ci facciamo una passeggiata.” Tanto i tacchi 12 ce li avevo io! Però ero contenta della mia scelta perché con quelle scarpe eravamo spalla a spalla e mi faceva sentire più sicura non doverlo guardare dal basso. Mi sorrise e piegò il braccio per permettermi di appoggiarmi a lui; un semplice gesto che mi mandò in tilt. Poggiai la mano delicatamente, cercando di non stritolarlo visto che avevo voglia di stringerlo forte per paura che fosse un sogno o che scappasse da un momento all'altro.
Passeggiammo in silenzio fino a casa mia; ogni tanto aveva alzato la testa per guardare le stelle, io invece ero concentrata sul battito irregolare del mio cuore. Arrivati al portone, presi le chiavi ed iniziarono i dubbi: invitarlo a salire o non invitarlo?
“Grazie per la bella serata.” Lui ringraziava me?
“Grazie a te.” Mi morsi un labbro e distolsi lo sguardo. “Grazie anche per avermi aspettata.” Mi afferrò il mento e riportò i miei occhi nei suoi.
“Grazie per aver scelto me.” Si avvicinò e mi lasciò un bacio... sulla fronte! Non che non mi provocò un turbamento sentire le sue labbra e il suo profumo, ma quelle labbra avrei voluto sentirle sulle mie.
“Buona notte Benedict.” Sussurrai.
“Buona notte.” Aprii il portone e mi voltai a sorridergli; fece lo stesso e si allontanò. Ma volevo davvero che si allontanasse? No: Avrei voluto abbracciarlo da dietro per non incontrare i suoi occhi che mi avrebbero tolto ogni coraggio, e avrei voluto invitarlo in casa. Ma non ero così, non al primo appuntamento.
Nessuna eccezione. Nessuna. Neanche per Benedict Cumberbatch. Neanche per il mio sogno proibito.




N.d.a.
Eccomi col nuovo capitolo!! Scusate se vi ho fatto aspettare più del dovuto ma sono stata impegnata con la storia che sto scrivendo a 4 mani con mia cugina e che vorremmo tentare di far pubblicare :3
Avrei voluto mettere questo capitolo il 19 Luglio (per ovvi motivi :P) ma non ce l'ho fatta visto che non ero a casa >.<
Godetevi la lettura e grazie a chi recensirà e leggerà ♥

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Capitolo 7
*** Io vorrei... Non vorrei... ma se vuoi ***


Capitolo 07
Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi...


Aprii la porta e lo feci accomodare sul divano mentre prendevo un cartone di succo di frutta alla pesca dal frigorifero.
Ne presi due bicchieri e li posai sul tavolino davanti il divano. Rimase a guardarmi perplesso, poi dopo un mio sbuffo sonoro, si decise a parlare.
“E' andata così male ieri sera?” Sgranò gli occhi, come avesse avuto una rivelazione. “Non dirmi che non ci sei andata?!?”
“Alla fine ci sono andata.” Chris si mise a braccia conserte, segno che dovevo iniziare il racconto minuzioso della serata. “Sono arrivata con 40 minuti di ritardo. Se ne stava andando.”
“Almeno ha capito che c'è qualcuno che non gli cade ai piedi.” Ridacchiò. “Si è comportato bene?” Feci sì con la testa. “Hai dormito sta notte? Stai uno schifo!”
“Non ho chiuso occhio. Meno male che ho riposo.” Sospirai sollevata.
“Il motivo è che non eri sola...?” Chiese cauto.
Lo fulminai.
“Ero sola! Non l'ho invitato a salire, nonostante volessi... eccome se volessi!” Misi la testa tra le mani.
“Te la tieni troppo stretta!” Lo guardai stizzita.
“Ma come ti permetti?! Non voglio sentirti dire queste stronzate!” Sorrise divertito.
“Te l'ho detto apposta, scema! Lo so come la pensi.” Gli imbruttii e bevvi il succo.
“Mi vuoi fornire i dettagli o vuoi farmi morire di curiosità?” Chiese inarcando un sopracciglio.
Sbuffai e gli raccontai tutto: come si era comportato; cosa aveva detto e fatto; come mi guardava; come lo guardavo- meglio sorvolare- e gli parlavo. Gli dissi persino dell'aranciata, come fosse stato il punto clou della cena. Mi sorpresi che si sorprese così tanto.
Restammo tutto il pomeriggio a scherzare sul mio matrimonio con Benedict e su come sarebbero stati i nostri figli. Chris sapeva sempre come tirarmi su di morale! Lo convinsi anche a restare a cena nonostante non volesse disturbare i miei coinquilini. Non capivo perché non riusciva ad andarci d'accordo; in fondo li aveva visti solo un paio di volte e non li conosceva per niente. Chris era un tipo che restava sulle sue se non aveva subito un'impressione positiva di qualcuno, ma così mi sembrava esagerato. Bah!
Mentre mettevamo a cuocere le patate, mi squillò il telefono ed entrai in iperventilazione; restai immobile a fissare il tavolo su cui l'avevo lasciato.
Il mio amico mi guardava sconcertato, con un'espressione buffa che mi avrebbe fatto ridere se non fossi stata tanto impegnata a ricordarmi come si respirasse!
“E' la suoneria che ho impostato per Benedict.” Le mani mi tremavano.
“Spero per te che sia un sms!” Feci sì con la testa.
La suoneria finì ed io non avevo ancora avuto il coraggio di leggere il messaggio. Mi ci volle un buffetto sulla guancia di Chris ed il suo sorriso smagliante a convincermi a farlo.
Mi sentivo ridicola, impacciata, goffa, stupida! La mia testa aveva preso ad insultarmi per essere rimasta una ragazzina che viveva nel mondo delle fiabe. E, in effetti, forse una favola la stavo iniziando a vivere. Sbloccai il BlackBerry e aprii il messaggio.
    Salve! Domani parto per gli Stati Uniti. Non tornerò a Londra prima di un paio di mesi. In realtà non so perché te lo stia dicendo, ma è stato naturale pensarti mentre preparavo la valigia e, istintivamente, ho voluto avvertirti. Passa delle belle giornate ed ogni tanto pensami.
Ed ogni tanto pensami? Ma che...?! Strabuzzai gli occhi e rilessi il testo altre tre volte, poi passai il telefono a Chris come per accertarmi che quelle parole esistessero sul serio. La sua reazione fu 'leggermente' diversa dalla mia: scoppiò a ridere. Io non sapevo più che pensare e lui si divertiva! Gli diedi un pugno sulla spalla dopo essermi riappropriata del mio adorato Blerry- ebbene sì: aveva un nome- e smise, finalmente, di ridere.
“Mi dispiace Mon! Non so che dirti!” Trattenne un'altra risata. “E' un sms strano... se così si può definire. Davvero: non so che pensare.” Si fece serio e puntò i suoi occhi verdi nei miei. “Rispondigli.”
“E cosa dovrei scrivergli?” Mi grattai la fronte nervosamente. “Due mesi...” Bofonchiai come in trance.
Si avvicinò e mi abbracciò forte: mi sentii più tranquilla in un istante. Sospirai sul suo petto e, dopo qualche istante, sciolsi l'abbraccio.
“Devo rispondergli.” Mi accarezzò una guancia e mi lasciò scrivere il testo:
    Salve! Anche se è scontato, ti auguro buon viaggio e buon divertimento... o buon lavoro! Sono contenta che me l'abbia detto, così non passerò i prossimi mesi a chiedermi "perché non si fa vivo? Cos'ho fatto di male?" ;) Buona giornata e ancora buon viaggio.
Lo feci leggere a Chris, che approvò, e poi lo inviai.
“Mi ha chiesto di pensare a lui.”
“Te ne esci dal nulla? Potevi far riferimento a quella parte nel messaggio, no?”
“NO, NO e poi NO! L'ha scritto solo per provocarmi e prendermi in giro.”
“Se lo dici tu!”
“Non è che lo dico io, è che è così! Ti pare che abbia bisogno di dire ad una giovane fanciulla di pensarlo? Non capisce che non farei comunque altro, soprattutto dopo la cena di ieri?” Sparai tutto d'un fiato.
Fece un sorriso dispiaciuto e tornò ai fornelli per controllare le patate.
“Perché ha pensato a me mentre preparava la valigia? Che poi sarà più di una visto che starà via...” Mi incupii. “...due mesi...” Guardai implorante il mio amico, come se lui potesse farci qualcosa. Sbuffò e mi fece una ramanzina.
“Dovevi immaginare in che guaio ti stavi cacciando! Sei una sua fan, cazzo! Ti mandava ai matti anche prima di conoscerlo! Dovevi evitare di farti trascinare in questa situazione che non sapresti definire neanche tu. Hai deciso di vederlo nonostante immaginassi, perché non ci credo alla tua totale ingenuità, che avresti sofferto e saresti impazzita non capendo le intenzioni di Benedict.” Pronunciò il suo nome imitando la mia voce, ma con un po' di rabbia. “Dovevi uscire con Matt. E' con lui che dovresti stare! Ti fa sentire bene, no?” Mi spiazzò.
Chris era il primo a dirmi che dovevo buttarmi perché la vita è una sola ed ora sembrava rimangiarsi ogni singola parola di incitamento che mi aveva rivolto.
“Perché mi parli così? Sei stato proprio tu a dirmi che dovevo sfruttare l'occasione, o sbaglio? Non eri tu quello che mi incoraggiava ad agire per non pentirmi in futuro di aver buttato un'occasione del genere?” Lo rimproverai lasciandolo basito.
“Sì, è vero, ma non avrei dovuto buttarti fra le sue braccia!”
“Non sei stato tu a spingermi a farlo, ma il mio cuore e il mio istinto!” Che frase smielata!
Portò le mani sui miei fianchi e mi avvicinò leggermente a sé.
“Scusami.” Sbuffò alzando la testa al cielo. “E' solo che non voglio vederti star male.”
“Lo so, ma andrà bene. E' inutile dirti che non mi sono illusa, o che non mi sono creata delle aspettative, ma non ho mai pensato ad un lieto fine. Né ad un inizio. Ho solo voluto vivere una serata che potessi ricordare col sorriso.”
Mi scese una lacrima che mi asciugò svelto col pollice.
“Uscirai con Matt?” Sorrisi.
“Credevi avrei aspettato Benedict?” Risi. “Lo vorrei; lo vorrei davvero, ma non posso. Non posso credere in niente; non posso aspettare qualcosa che non ci sarà. Andrò avanti senza pensarci.” Sorrisi amaramente trattenendo le lacrime. Mi diede un bacio sul naso e cercò di consolarmi.
Cenammo una mezz'oretta più tardi, poi guardammo un film mentre mi strafogavo di gelato. Per colpa di Ben sarei anche ingrassata!
A più di metà film mi arrivò un sms; il tempo di allungare la mano sul tavolinetto che ne seguì un altro.
Il primo era di Matt:

Ciao Mony! Lunedì ti va di andare a teatro? Sono riuscito a trovare i biglietti per King Lear e so che ami Shakespeare. Lo spettacolo inizia alle 7.30 e, se non ricordo male, hai il turno di mattina. Fammi sapere! Un bacio.
Il secondo di Benedict:
Sono un egoista pieno di sé, ma se non te lo dico impazzisco: aspettami. Aspetta il mio ritorno. Voglio vederti di nuovo; voglio conoscerti e voglio farmi conoscere.





N.d.a.
Ciao a tutti!! Come sempre grazie a chi legge e recensisce :) Ho sempre da fare per un altro racconto, quindi ho pubblicato un pochino in ritardo anche questo cap. Spero vi piaccia e non vi deluda ;)
Ah!! Il titolo riprende una canzone di Lucio Battisti. Ascoltatela se non la conoscete ;)
Alla prossima :3

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo
Epilogo




Cercavo disperatamente la mia maglietta preferita da abbinare ai nuovi shorts che avevo comprato durante la mia vacanza-lavoro a Roma. Il mio armadio era ormai un campo di battaglia quando ricordai di averla lasciata a casa del mio ragazzo. Sorrisi nel pensare a lui in quei termini.
Gli inviai un sms per scusarmi del ritardo e scelsi una nuova maglia.
Non ero mai stata brava nel fare le scelte giuste: sbagliavo nella scelta delle Barbie a 5 anni; dello zaino per le scuole medie; dei vestiti del primo giorno di liceo; del ragazzo a cui concedermi la prima volta; delle amiche di cui fidarmi.
L'unica cosa giusta che avessi mai fatto era stato aspettare Benedict. Due mesi lontani eppure mi riempiva di messaggi appena poteva e mi rincuorava dicendo che mancava sempre meno al nostro incontro. Quando tornò a Londra, si precipitò praticamente a casa mia e cominciammo a frequentarci: cene fuori, serate a teatro, premiere dei film a cui lo invitavano, serate di gala...No, ok. Basta raccontare la favola della buona notte.
Le cose erano andate così: avevo scelto lui; avevo scelto di aspettarlo perché mi sarei pentita a vita chiedendomi come sarebbero andate le cose se c'avessi provato, quindi avevo deciso di non uscire più con Matt, se non da amici, spiegandogli cosa mi stava succedendo. Era stato comprensivo ed aveva apprezzato la mia sincerità.
Per le prime due settimane, io e Benedict eravamo rimasti davvero in contatto: mi scriveva sms semplici, per sapere come stavo e che facevo, nulla di più. Le settimane divvennero tre e i messaggi sempre più radi; ero io che mi facevo sentire e lui a malapena rispondeva. Quarta settimana e il silenzio assoluto. Rinunciai a chiamarlo e a farmi viva perché lui si stava godendo quei giorni mentre io piangevo disperata per l'illusione che mi ero creata.

Chris e Matt mi rimasero vicini finché non partii in Agosto per il servizio sulle capitali europee per la rivista X. Tre settimane a girare l'Europa e una settimana a Roma, poi ero tornata a Londra. Era stata un’esperienza che mi aveva aperto gli occhi e insegnato che i sogni si realizzano, anche se a volte solo per metà, e che non bisogna mai smettere di inseguirli e lottare per realizzarli.
Era passato un anno e mezzo dall’ultimo sms di Benedict ed ormai ero andata avanti con la mia vita.
La suoneria del cellulare mi destò dai miei pensieri: Sempre la solita! Ti perdono solo perché ti amo ;) Non vedo l’ora di vederti!
Sorrisi e mi avviai in caffetteria, dove avevamo appuntamento. Dalla vetrata potei vederlo seduto al tavolo, con i capelli in disordine come sempre e la camicia a quadri che gli avevo regalato per il compleanno. Entrai con un gran sorriso e lo salutai con un bacio a fior di labbra.
“Hai già ordinato?” Fece sì con la testa.
“Ti ho preso il solito.” Mi fece l’occhiolino mentre mi sedevo.
“Grazie! Ah! Ho lasciato da te la maglietta dei Mars!” mi lagnai.
“Dopo passiamo e la prendiamo…Perché non resti da me?”
“Chris!” Sbuffai. “Te l’ho detto che non posso passare da te ogni notte! Casa mia è un’altra. E pago pure l’affitto!”
“Trasferisciti da me allora.” Mi si bloccò il respiro.
Stavamo insieme da 7 mesi. Non sapevo neanch’io come fosse successo, ma alla fine c’eravamo trovati così vicino da renderci conto che la nostra non era solo un’amicizia, né un affetto fraterno: era amore.
“Vedremo.” Feci la sostenuta per mascherare la paura che stava nascendo in me. Inclinò la testa e mi fece gli occhioni dolci.
“Stai sempre da me; passiamo i nostri giorni liberi insieme; a volte lavoriamo insieme… Il prossimo passo è la convivenza, no?” Mi grattai la fronte. “A casa mia hai lasciato: uno spazzolino, un pigiama, le pantofole ed un cuscino. Un cuscino, ti rendi conto?” Ridacchiai imbarazzata, ma proseguì: “Proviamoci.” Mi guardò serio. “Risparmieresti i soldi dell’affitto e staresti più vicina alla caffetteria.” Sorrisi.
“Il contratto d’affitto mi scade il mese prossimo.” Gli occhi gli si illuminarono. “Se fai il bravo non lo rinnovo.” Fece un gran sorriso e si sporse a baciarmi.
“Ti amo.”
“Ti amo anch’io” gli dissi mentre pensavo che quella era stata la decisione migliore che avessi mai preso.





N.d.a.

Ed eccoci arrivati alla conclusione della mia ff. Fino all'ultimo istante sono stata indecisa sul da farsi, ma purtroppo non ho il tempo né la testa per dedicarmi ad una long finction. Spero di tornare presto con una nuova storia, magari nella sezione originali :) Prima di allora, vi saluto e vi auguro tutto il meglio ♥
Buone vacanze e grazie per aver letto e recensito!! Spero di non aver deluso nessuno con questo epilogo :3

Baci a tutti e spero di ritrovarvi presto ;)

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