Cerca nel cuore

di LunaMoony92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Certe notti ***
Capitolo 2: *** L'odore del sesso ***
Capitolo 3: *** La porta dei sogni ***
Capitolo 4: *** Non è tempo per noi ***
Capitolo 5: *** La verità è una scelta ***
Capitolo 6: *** Un colpo all'anima ***
Capitolo 7: *** Ti sento ***
Capitolo 8: *** Il giorno di dolore che uno ha ***



Capitolo 1
*** Certe notti ***


Certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei.
Certe notti la strada non conta e quello che conta è sentire che vai.


Non ne poteva più di stare chiuso in casa a crogiolarsi nel dolore. Doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa per riuscire a non pensare, per liberare la sua mente da quel pensiero fisso.
Si, una bella sbronza era quello che ci voleva. Prese le chiavi della nuova auto incantata di suo padre e partì, senza avere una meta ben precisa. Lasciava la scelta al fato, si sarebbe accontentato.
L’importante era andare via da quella casa in cui ogni cosa gli ricordava Fred.



Certe notti fai un po' di cagnara che sentano che non cambierai più.


Si era ritrovato a volare sopra Hogsmeade senza nemmeno rendersene conto.  Sperava in una bevuta solitaria ai Tre Manici di Scopa, ma si sbagliava. Dopo aver parcheggiato, gli si parò davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere. Era Angelina, l’ex di Fred.
Da un po’ di tempo aveva preso a tampinarlo, se la ritrovava in ogni posto in cui andava. Anche lei stava male per la morte di Fred, certo, ma George non la voleva intorno. Con lei era sempre un “Fred.. no, scusa George” “Ah, ti ricordi quella volta in cui Fred…” e a lui faceva troppo male ricordare, troppo male anche solo sentire il nome di suo fratello.
La voce di Angelina lo riscosse dai suoi pensieri. “Ehi, ciao Fr... George” Ecco, l’aveva fatto di nuovo. George represse a fatica la rabbia e la salutò con un cenno. “Stai entrando anche tu?” Nessuna risposta. “Beviamo qualcosa?” George cercò di immaginare per un secondo cosa lo avrebbe aspettato se avesse detto di si. No, decisamente quella sera non avrebbe retto. Non sapendo bene cosa fare, la lasciò lì in attesa e, senza dire niente, si avviò verso la Testa di Porco.
Decisamente quello era un posto  in cui Angelina non si sarebbe mai sognata di entrare. Gli dispiaceva per quello che aveva fatto, ma davvero, non avrebbe sopportato una serata con lei.
La sua famiglia, fra mille sofferenze, stava andando avanti. Lui no. Non avrebbe mai  potuto, non  senza il suo Fred. Da quando era morto, anche George aveva smesso di vivere. Sopravviveva. E, nonostante tutti cercassero di tirargli su il morale e di aiutarlo, beh, nessuno di loro era Fred.
Entrò nel pub. Era ancora più lugubre di quella volta in cui c’era stato con Harry, Hermione, Ron, Fred e gli altri per la riunione indetta per fondare l’ES. Erano passati 4 anni da quel giorno.
Sospirò ricordando il suo ultimo anno a Hogwarts. Lui e Fred avevano si erano dati da fare, l’avevano fatta pagare a quel rospo rosa della Umbridge. Aberforth lo salutò con un cenno e gli servì un bicchiere di Fire Wiskey. Ormai poteva considerare George un cliente abituale: sapeva che aveva bisogno di qualcosa di forte.
Dopo tre o quattro bicchieri, George iniziò a sentire una piacevole sensazione di vuoto pervaderlo completamente. Era questo che cercava, il vuoto: non avere nessun pensiero, nessun problema per la testa. Sentì un rumore, era la porta. Qualcuno lo stava guardando scuotendo la testa. Era Lee Jordan, suo grande amico ai tempi di Hogwarts e attuale aiutante nel negozio di scherzi.
George non aveva quasi mai voglia di andarci. Tutto, lì più che in ogni altro luogo, gli ricordava cosa aveva perso.
Lo salutò e lo invitò a sedersi con lui. Lee era passato a trovarlo alla Tana ma non l’aveva trovato, così aveva immaginato una delle tante fughe di George. Aveva provato in ogni modo ad aiutarlo, a stargli vicino. Ma se questi erano i risultati...
“Ehi Lee, perché quel muso lungo? Vuoi da bere?” Lee accettò, ma non disse nulla. “Dai amico, non guardami così! Sto bene! Guarda, ho una sorpresa per te.” disse George ed estrasse dalla tasca un pacchetto di quelle che, a prima vista, sembravano Api Frizzole. “Cos’è? Vogliamo fare concorrenza a Mielandia adesso?” cercò di scherzare Lee.
“Divertente Lee, no questa è la mia nuova invenzione. Anzi, diciamo che Hermione mi ha dato una mano.”  Lee lo guardò torvo. “Ok, più di una mano. Diciamo che io ho messo solo la manodopera. E’ una cosa che le serviva per il Ministero. Prova a mangiarne una, dai!”
Lee sapeva che non c’era da fidarsi ma accettò, vendendo negli occhi di George un lampo di vita che mancava ormai da troppo tempo.  Non appena la caramella ebbe toccato la sua lingua, sentì una strana sensazione di pizzicore. “Ma cosa cavolo…” fu l’unica cosa che riuscì a dire. “Dimmi una bugia adesso” disse George. Lee era spiazzato, ma se questo poteva fare stare meglio George… “Beh.. Io amo la Umbridge, era la mia insegnante preferita. Ah, e odio il Quiddich, mi fa proprio schifo!” George scoppiò a ridere. Per un momento, Lee credette di avere di nuovo accanto a sé il vecchio George, sempre sorridente e pronto a fare scherzi. Non ebbe nemmeno il tempo di realizzare quello che stava succedendo che si ritrovò la faccia piena di brufoli. George rideva, vedendo la faccia sconvolta del suo amico, ormai piena di bubboni che formavano la scritta "BUGIARDO". Ma fu un momento. Subito il sorriso di George si spense e con un gesto della bacchetta fece tornare a posto il viso di Lee. “Beh, Lee, ci vediamo lunedì al negozio, io vado. Stammi bene” disse George. “Ciao Georgie…”
Prima di uscire, George pagò ad Aberforth un’altra bottiglia di Fire Wiskey e, bevendo, uscì.
 


Certe notti c'hai qualche ferita che qualche tua amica disinfetterà.
Non si può restare soli, certe notti qui, che chi s'accontenta gode, così così.


Da quando era morto Fred, George non era riuscito a creare nessun nuovo prodotto per il negozio. Tutte le idee migliori le aveva sempre avute Fred e poi, anche se avesse voluto, non sarebbe stato lo stesso senza di lui. Un giorno, mentre era sdraiato sul suo letto alla Tana, sentì bussare alla porta. Non rispose, non voleva vedere nessuno. Ma la porta si era già aperta e Hermione lo stava guardando, in attesa di un cenno. “Beh, ormai sei dentro” fu l’unica cosa che ottenne. Ma Hermione non si lasciò scoraggiare. “Ehi George… Mi servirebbe il tuo aiuto.”
George, che fino a quel momento non l’aveva nemmeno guardata, si voltò sorpreso: “Tu hai bisogno di me?” Cos’è, una nuova trovata di mia madre per tenermi impegnato?” sbuffò. Hermione vacillò un attimo, ma da buona Grifondoro qual era, prese il coraggio a due mani e disse: “Senti George, io sono venuta da te perché mi serve una mano per una missione per conto del Ministero. Credevo di poter contare sul tuo aiuto, ma a quanto pare… Vorrà dire che ne farò a meno. Non sono venuta qui perché mi fai pena.” E così dicendo girò i tacchi per andare via.
“Aspetta! Scusami… Beh, dimmi. Vedrò cosa posso fare.” disse George cercando di riprendersi dalla brutta figura appena fatta.
Hermione, in effetti, era l’unica che non si era mostrata diversa da prima nei suoi confronti. Non lo trattava con riguardo e non cercava di consolarlo come facevano tutti gli altri. E George di questo le era grato. Almeno lei non lo faceva sentire un caso pietoso.
“Hai detto che ti serviva aiuto per una missione per conto del Ministero, di cosa si tratta?” disse George, vedendo, con sua grande sorpresa, che Hermione era tornata indietro. “Ovviamente non ti posso raccontare i dettagli, ma sospettiamo che ci siano degli infiltrati al Ministero e sto cercando un modo “discreto” per scovarli.”
Era nata così la loro strana “collaborazione”. Hermione, che aveva passato tutto il suo anno da Prefetto a rimproverare i gemelli per i loro scherzi e per la vendita dei “Tiri Vispi”, adesso si trovava coinvolta nella creazione di un nuovo prodotto. Certo, era tutto a fin di bene. Il tempo passato insieme a lavorare faceva bene a George, lo teneva impegnato, aveva meno tempo per stare male.
 

 
George vagava senza meta con la bottiglia in mano, ormai quasi vuota. Doveva tornare a casa, cominciava a fare freddo. Di lì a poco avrebbe nevicato. Decise di smaterializzarsi, ma, quando ricomparve, davanti a sé non vide la Tana, ma il quartiere di una periferia babbana in cui era stato soltanto un'altra volta. 
Hermione sentì un rumore nel vialetto di casa sua. Scostò la tendina per vedere a cosa fosse dovuto e rimase spiazzata da ciò che vide. George giaceva bocconi su un’aiuola, con la faccia sprofondata nella neve. Di corsa prese il cappotto e uscì fuori. “George, George, mi senti?” Niente, nessuna reazione. Hermione pensò al peggio. “George, allora, svegliati!” ormai urlava. “Che c’è? Chi sei?” disse lui con la bocca impastata dall’alcool. “Ma sei scemo?? Mi hai fatta morire di paura!” Vedendo che il ragazzo non collaborava, Hermione lo fece levitare fino dentro casa. Se fosse rimasto un altro po’ fuori avrebbe rischiato l’assideramento. “Mi spieghi cosa ci facevi mezzo svenuto nel vialetto di casa mia?” chiese Hermione, sull’orlo di una crisi di nervi. Ma George si era già addormentato sul divano su cui l’aveva fatto appoggiare.
Esasperata, Hermione lo sistemò un po’ meglio. Mandò un gufo alla Tana, sicuramente erano preoccupati, e tornò dal suo insolito ospite.
Si sedette sul bordo del divano per guardarlo meglio. Aveva bevuto, di questo ne era certa. E anche tanto. Perché doveva ridursi sempre così? Hermione non aveva mai mostrato di provare pena nei suoi confronti. Aveva capito che in quel modo lui si sarebbe sentito peggio. Allora aveva deciso di trattarlo come sempre, nessun gesto di cortesia diverso dal solito, nessuna emozione lasciata trasparire. Era sempre stata molto brava a nascondere le sue emozioni. Ma anche lei stava male. Molto male. Ogni giorno pensava a tutte le persone che era morte durante la guerra, al dolore di chi era rimasto. Ron e Harry dovevano ancora finire l’addestramento da Auror ed erano all’estero da mesi, lei aveva preso a lavorare al Ministero e si sentiva terribilmente sola.
Vendendo George in quelle condizioni, non poté fare a meno di intenerirsi. Lui stava dormendo, sicuramente non si sarebbe accorto che lei lo stava accarezzando piano, né tanto meno avrebbe notato le lacrime che le rigavano il volto.
Passarono delle ore. Hermione si era addormentata sulla poltrona leggendo un libro, con una mano teneva quella di George.
George aprì piano gli occhi. Dove si trovava?  Provò ad alzarsi, ma una forte fitta alla testa lo fece desistere. Aveva preso davvero una bella sbornia. Poi la vide. Che ci faceva lì, Hermione? Anzi no, cosa ci faceva lui a casa di Hermione? Era stato lì soltanto una volta, quando le aveva dovuto consegnare l’ordine delle Caramelle della Verità, aveva riconosciuto quel luogo guardando fuori dalla finestra. E, soprattutto, come mai era nel suo letto? Ricordò vagamente se stesso a Hogsmeade che si smaterializzava e il freddo della neve sulla faccia. Poi, il vuoto.
Hermione si svegliò. “Ehi…” disse piano. “Come ti senti?” “Beh, ho i postumi di una sbornia, se ti dicessi bene, mentirei”. George provò ad alzarsi, ma il senso di nausea lo colse all’improvviso, così ci rinunciò. “Aspettami qui, vado a prenderti qualcosa” disse Hermione uscendo. Tornò poco dopo con un bicchiere fumante. “Cos’è? Non è che mi vuoi avvelenare, Granger?” “E’ una pozione di mia invenzione. Bevila tutta, su!” George la bevve un po’ titubante. “Che schifo! Sembra fango!” “Cosa ti aspettavi? Succo di zucca? E poi dopo tutto lo schifo che hai bevuto stanotte, cosa vuoi che sia!” disse Hermione con tono di rimprovero. George la guardò. Perché lo stava aiutando?  
“Non so perché mi trovo qui.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire, come per giustificarsi. “Dormi adesso, non ci pensare”. Era una fortuna che ci fosse Hermione piuttosto che sua madre lì. Lei non aveva fatto domande, non l’aveva rimproverato. L’aveva solo aiutato. E con questo pensiero sprofondò in un sonno senza sogni.
 



Era ormai mattina. Hermione era in cucina a preparare la colazione per sé e per il suo ospite. Aveva ricevuto un gufo da Molly che la ringraziava e la invitava a pranzo. Sentì dei rumori provenire dal piano di sopra, George si era svegliato. Poco dopo lo vide spuntare in cucina, la faccia stravolta. “Buongiorno George” disse con un tono di voce volutamente alto. “Granger, ma cosa urli? Mi scoppia la testa!” “Così impari a sbronzarti come una spugna e spuntare in piena notte mezzo morto a casa mia!” “Scusami per il disturbo, vado via subito!” risposte stizzito George. “No, fermati, dove vai? Ti ho preparato la colazione! E’ solo che mi hai fatta preoccupare stanotte.”  Mangiarono in silenzio, nessuno dei due sapeva bene cosa dire. Fu Hermione la prima a parlare: “Tua madre sa che sei qui. Ci ha invitati a pranzo.” George trasalì: “Hai detto a mia madre che mi hai trovato sbronzo nel vialetto?” “Non sono una stupida, le ho detto che siamo usciti e abbiamo fatto tardi, così ti ho chiesto di rimanere a dormire qui per non farti guidare. A proposito, spero che l’auto di tuo padre se la sia passata meglio di te stanotte…”
“Per le mutande di Merlino! L’auto!”
Hermione rideva di gusto, l’aveva fatto apposta. "Stai tranquillo, Lee l’ha riportata qui mezz’ora fa."
“Da quando sei diventata così spiritosa, eh, Granger? “
“Da quando ho a che fare con un ubriacone screanzato come te!” disse divertita.
Rise anche George. Per quanto tutta quella situazione potesse sembrare surreale, era felice di essere piombato per sbaglio a casa della Granger.
 

 
Certe notti, se sei fortunato, bussi alla porta di chi è come te.
Quelle notti da farci l'amore fin quando fa male fin quando ce n'è.


Erano passati sei mesi da quella notte. Si era creata una strana complicità tra Hermione e George. Tutti alla Tana l’avevano notato e l’avevano attribuita a quella famosa serata in cui Hermione e  George erano "usciti” insieme. Forse era stato proprio a causa della necessità di mentire su quella serata che si erano avvicinati. O forse non  era solo questo.
Hermione aveva visto George toccare il fondo quella sera ed era decisa più che mai ad aiutarlo. L’indifferenza non bastava più, bisognava cambiare strategia. E così era nata la loro strana amicizia.
Si facevano bene a vicenda. Lui la aiutava con le Caramelle della Verità, lei lo aiutava a non crollare.
Non era raro che la sera George passasse da casa di Hermione con un fagotto di cibo preparato da Molly (che era felice dell’effetto che Hermione faceva al suo Georgie) e rimanesse a cena da lei. Ormai si potevano definire amici.

 
George stava chiudendo il negozio. Era il 2 Maggio, una data che non avrebbe mai dimenticato. Perso nei suoi pensieri, si incamminò verso la strada del cimitero. Ci andava tutte le settimane, rimaneva un po’ a parlare con il fratello di ciò che gli succedeva, del negozio. Era un rito a cui non sapeva rinunciare.
Erano passati due anni e lui ci stava male come il primo giorno.
Si smaterializzò alla Tana, ma non trovò nessuno, solo un biglietto in cui c’era scritto che erano dovuti correre a Villa Conchiglia, stava per nascere la figlia di Bill e Fleur. Era felice per il fratello, certo, ma non se la sentiva di raggiungerli.
Si smaterializzò  nella stessa periferia babbana in cui era capitato per sbaglio, o per uno scherzo del destino, sei mesi fa. Bussò incerto alla porta. Hermione, in pigiama e con il mascara che le colava per tutto il viso gli si presentò davanti. Scossa dai singhiozzi, non riuscì a dire niente. Lui, senza pensarci, la abbracciò. E iniziò a piangere anche lui. Rimasero sulla porta abbracciati a piangere per un tempo che sembrò infinito. Senza parlare, entrarono in casa.
Si erano accoccolati sul divano. Lui l’aveva guardata a lungo, perso nei sui pensieri. E poi George capì. Capì che non era stato un caso se quella notte si era smaterializzato proprio lì: Hermione l’aveva aiutato a risalire da quel baratro in cui era sprofondato, lei era riuscita dove tutti gli altri avevano fallito. Perché, nonostante lui stesse ancora male, adesso aveva un motivo per andare avanti, aveva lei. Hermione si sentì osservata e si decise a parlare. “Scusami George, io non dovevo. Anche tu stai male e non è giusto. Cosa penserai adesso…”
Non poté continuare a parlare perché le labbra di George si erano posate sopra le sue. “Shhh, va bene, va bene così. E’ giusto così” disse lui. E lei si abbandonò a quel bacio.
Perché erano uguali, in fondo. Tutti e due stavano male, condividevano un dolore che solo insieme potevano lenire. E, adesso che entrambi l’avevano capito, vedeva una speranza per il futuro.
Quella notte fecero l’amore. Piangendo, donandosi completamente l'uno all’altra, fidandosi, svelando una parte di loro che nessun altro avrebbe conosciuto mai.



Quelle notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere, mai.

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Capitolo 2
*** L'odore del sesso ***


3 Maggio 2000, 2 anni dalla morte di Fred.
 
 
Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose, si fa un po’ meno presto a convincersi che sia così.
 
Era già mattina da un pezzo in quella periferia babbana. Le strade erano piene di gente che rincasava, segnale che l’ora di pranzo era ormai vicina, ma in quella villetta al numero 7 di Dickens Close*, tutto taceva.
George si svegliò. Accanto a lui, Hermione stava ancora dormendo, coperta soltanto da un lenzuolo leggero.
Gli ci volle un minuto buono per realizzare cosa era successo la notte precedente: lui e Hermione avevano fatto l’amore. Se anni prima qualcuno gli avesse detto che sarebbe successo, sicuramente l’avrebbe preso per matto. In effetti, stentava a crederci anche adesso che fosse successo davvero.
Certo, negli ultimi mesi lui ed Hermione si erano avvicinati molto. Erano diventati amici, si vedevano spesso durante la settimana ma non erano mai andati oltre un abbraccio o un bacio sulla guancia per salutarsi. Inoltre, Hermione aveva da sempre frequentato la Tana, quindi poteva considerarla quasi una specie di “sorella”.
Era successo tutto all’improvviso. Si erano trovati a baciarsi per la prima volta su quel divano e, l’attimo dopo, erano già persi l’uno nelle braccia dell’altro.
Ma lui non se ne pentiva.
Per la prima volta dopo due anni, si sentiva bene. Chissà però se Hermione era dello stesso avviso.
E se Hermione l’avesse fatto solo per compassione? Oppure perché era solo era stufa di tutto quel dolore e le serviva un “diversivo” per scrollarlo via?
La paura che una di queste opzioni potesse rivelarsi vera, colpì George con la violenza di uno schiaffo e la bolla di benessere dentro cui si era svegliato, scoppiò all’istante.
Come si era potuto illudere che la sua vita avesse ripreso ad andare per il verso giusto?
Poteva una  sola notte cambiare le cose?
Si avvicinò ancora di più ad Hermione, per osservarla meglio. Negli ultimi anni era davvero cambiata. La “Prefetto Perfetto” che era stata a scuola  aveva lasciato il posto ad una vera donna, nonostante la sua giovane età. Era meno ligia alle regole adesso, le Caramelle della Verità ne erano una prova, e anche meno “rigida”. 
Una cosa però aveva colpito di più George: Hermione aveva imparato a fare le battute. E facevano anche ridere! George sorrise. Adesso era lei quella che faceva le battute.
“Saranno stati gli anni passati insieme a me e Fred che stanno dando i frutti” pensò.
Il solo ricordo di Fred lo fece piombare di nuovo nella tristezza.
Tutti continuavano a ripetergli che il tempo avrebbe guarito le sue ferite, che col tempo sarebbe stato meglio, ma non era successo. Continuava a stare male per la morte del fratello, si sentiva colpevole, si sentiva soprattutto solo.
Solo negli ultimi mesi aveva iniziato a  convincersi che forse era davvero così. Ma il tempo, da solo, non poteva funzionare, George aveva bisogno di qualcos’altro per stare bene. Aveva bisogno di Hermione. Ma lei aveva bisogno di lui?
 

Io non so se è proprio amore: faccio ancora confusione. So che sei la più brava a non andarsene via.
 
Mentre era immerso in questi pensieri, George vide Hermione muoversi nel sonno. Con i capelli arruffati e il viso arrossato era davvero bella pensò. Lentamente  allungò il braccio verso di lui e lo strinse forte. George sussultò. Era come se Hermione volesse fargli capire che voleva davvero che lui fosse lì.
Chissà cosa stava sognando. Sembrava serena.
Si, George aveva davvero bisogno di lei. Ma questo lo spaventava tremendamente.
Pensandoci bene, non sapeva cosa provasse realmente nei suoi confronti.
Era amore? Solo affetto? Amicizia? Bisogno?
Non riusciva a capirlo, aveva un’enorme confusione in testa. L’unica cosa di cui era certo era che, comunque sarebbero andate le cose, lei non l’avrebbe fatto sprofondare di nuovo in quel baratro. Lei non sarebbe andata via, perché Hermione era così. Hermione c’era sempre stata. Anche quando lui non se ne rendeva conto, lei era li, pronta a prendergli la mano che lui si ostinava a non porgere a nessuno. E non era stato un caso quindi che quella notte di sei mese fa, fosse stata proprio lei a esserci per salvarlo.
 
 

E ci siamo mischiati la pelle le anime le ossa...
Tu che dentro sei perfetta mentre io mi vado stretto.
 
Si, lei era davvero perfetta. Non avrebbe mai creduto di dirlo un giorno, ma si, era quello l’aggettivo giusto per descriverla. Nessun’ altra era riuscita a farlo stare bene in quei due maledettissimi anni. Nessuna. Solo lei aveva trovato il modo giusto per stargli vicino, per farlo tornare piano piano a ridere, per farlo tornare ad essere se stesso, almeno in parte. 
Si, lei era perfetta. Era lui il problema.
Il “nuovo George” gli andava proprio stretto. Triste, malinconico, irritabile, noioso. Spesso si ritrovava a pensare che, se Fred avesse potuto, vedendolo in quel modo, l’avrebbe preso volentieri a calci. Ma non poteva farci niente. Non riusciva a sfuggire a quel nuovo se stesso che prepotentemente l’aveva cambiato. In realtà, non sapeva più nemmeno chi fosse davvero.
 
 
 

Hermione aprì gli occhi e lo vide. Era già sveglio, lo sguardo perso a contemplare il paesaggio fuori dalla finestra mentre con una mano le accarezzava distratto la schiena. George si sentì osservato. “Buongiorno” le disse imbarazzato. Hermione sorrise. Chissà cosa stava pensando. Conoscendolo, o per meglio dire, conoscendo la nuova versione di George, stava sicuramente già andando in paranoia. Il vecchio George l’avrebbe sicuramente svegliata con un sorriso, una battuta. Il vecchio George forse non sarebbe mai finito a letto con lei, pensò. Si rabbuiò.
Lui sembrò accorgersene e, incerto, iniziò: “Hermione, io non so cosa…” Ma lei lo bloccò, poggiando le sue esili dita sulla sua bocca.
“Shh! Non devi dire niente. Sono felice. Davvero.”
E, così dicendo, gli si avvicinò e poggiò la sua testa sulla sua spalla.
 
 
George rimase spiazzato da quelle parole. Per tutto il tempo che l’aveva osservata dormire, si era ripetuto come un mantra che non doveva illudersi, che erano solo amici.
Aveva imparato a sue spese che quando le cose sembrano andare per il verso giusto, c’è da avere paura perché presto sarebbe andato tutto a rotoli. Aveva imparato che la felicità è solo un’illusione, la vita è un’altra cosa.
E invece lei l’aveva sorpreso, aveva, ancora una volta, riacceso in lui una speranza.
Lentamente le passò il braccio attorno alle spalle cingendola e si avvicinò ai suoi capelli.
“Hai un buon profumo” le disse semplicemente prima di avvicinarsi e baciarla.
 
 
 
 
Non va più via l'odore del sesso che hai addosso. Si attacca qui, all'amore che posso, che io posso. Ti dico solo: non va più via davvero, non va più via nemmeno se... Non va più via..
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
* Dickens Close, Hartley, Regno Unito, trovato così, per caso, su Google Maps. L’ho scelto perché non è molto lontano da Londra, dove sia George che Hermione lavorano.

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Capitolo 3
*** La porta dei sogni ***


Era già passata l’ora di pranzo quando George ed Hermione si decisero a lasciare il letto. Hermione era andata in bagno e George stava cercando di aprire la finestra che si era incastrata.
Ci era appena riuscito quando, all’improvviso, un piccolo gufo approfittando del varco appena apertosi, entrò nella stanza. Non  riuscì a fermarsi in tempo e andò a sbattere dritto contro Hermione che stava rientrando in quel momento.
“Errol! Sei sempre il solito rimbambito!” disse George, divertito dall’espressione turbata di Hermione. Il gufo svolazzò barcollando ancora un po’ e poi, finalmente, riuscì ad atterrare esausto sul comodino. Hermione gli si avvicinò e prese la lettera che il gufo teneva legata ad una zampa. “E’ di tua madre.” disse a George.
A queste parole, il ragazzo cambiò espressione. Sua nipote era nata e lui era sparito senza dare a spiegazioni a nessuno. Molly era sicuramente furiosa. Deglutì rumorosamente.
Hermione non notò la cosa e tranquilla aprì la lettera.
 
“Cara Hermione, ho una bella notizia! La figlia di Bill e Fleur è appena nata! L’hanno chiamata Victoire, in onore di questo giorno. Sono immensamente felice!! Spero verrai presto a trovarci a Villa Conchiglia per vederla. Con effetto, Molly.
Ps: Se vedi quello scellerato di George, trascinalo qui con te.”
 
“Ma la lettera porta la data di ieri! Errol si sarà perso come al solito… Ma, aspetta un momento!” disse Hermione che aveva capito tutto.
“Brutto disgraziato! Sapevi che stava nascendo tua nipote e sei scappato?  E, soprattutto, non mi hai detto niente!!”
George era rimasto paralizzato. Non sapeva che dire. Non sapeva se avere più paura di sua madre o di Hermione.
“Beh… Si, lo sapevo. Ma non mi andava di andarci ieri e stamattina mi sono dimenticato di dirtelo.”
Hermione ricordò le condizioni in cui George aveva bussato alla sua porta. Decise che non era il caso rimproverarlo.
“Va beh, ormai è inutile discuterne, preparati che si parte. E non osare cercare scuse perché TU. VIENI. CON. ME”. disse Hermione calcando l’ultima frase.
Era incredibile quanto in quei momenti Hermione somigliasse a Molly. George si mise a ridere e iniziò a prepararsi. Dopo essersi vestito, si era avvicinato alla finestra per chiuderla prima di partire, ma ecco entrare un altro gufo. Questo era più piccolo e sembrava sovreccitato, tanto che lo travolse in pieno. George, che era caduto per terra, si alzò imprecando.
“Abbiamo due gufi, uno peggio dell’altro! Leotordo, stai calmo!” disse al gufetto che continuava a saltellare e a sbattere le ali.
“Ce l’hai fatta, sei arrivato, fermati un…” Ma le parole gli morirono in gola.
Hermione, sentendo tutto il trambusto, si affacciò di nuovo nella stanza e sgranò gli occhi.
“E’ una strillettera quella, vero?”
George non riuscì neanche a parlare, ma il terrore nei suoi occhi era abbastanza chiaro.
“Beh, aprila che aspetti, prima che lo faccia da sola!” quasi urlò la ragazza preoccupata.
George aprì la busta e…
 
“GEORGE WEASLEY! COME TI SEI PERMESSO A MANCARE ALLA NASCITA DELLA TUA PRIMA NIPOTE? SONO DISGUSTATA DAL TUO COMPORTAMENTO! NON HAI GIUSTIFICAZIONI! RAGGIUNGICI IMMEDIATAMENTE A VILLA CONCHIGLIA O SARANNO GUAI!”
La lettera, con un ultimo sibilo, si accartocciò e, infine, bruciò davanti agli occhi di George.
“Fortuna che la mia casa è protetta, sennò tutto il vicinato penserebbe che sono impazzita”  lo prese in giro Hermione.
George ancora non parlava.
Le urla della madre dovevano averlo completamente rimbambito pensò Hermione.
Cercando di scuoterlo, gli disse: “Io direi di muoverci, che dici? Mandò un gufo…  Il MIO gufo a Molly e la avverto che stiamo arrivando. Tu predisponi la Passaporta e togliti quest’aria sconvolta dalla faccia!”
George finì di prepararsi. Iniziava ad avere fame, così pensò di farsi un panino, ma venne intercettato da Hermione che prima che lui aprisse il frigo lo bloccò e gli ordinò di partire. Non voleva che Molly se la prendesse con lei. Era stata colpa di Errol che era arrivato con un giorno di ritardo e di George che non le aveva detto niente.
Hermione stimava molto Molly e le voleva molto bene. Era come una seconda mamma per lei.
Il pensiero di quello che era successo la notte prima si fece strada nei suoi pensieri e la fece arrossire di colpo, cosa di cui George si accorse.
“Non diremo niente a mamma, tranquilla. E nemmeno agli altri.” le disse.
“E’ che mi sento un po’ in imbarazzo dopo quello che è successo.” disse un po’ incerta Hermione. Non voleva urtare i suoi sentimenti.
“Cioè, mi piaciuto, sia chiaro. Ma non facciamone parola con nessuno per adesso, ok?”
George le sorrise. Ecco tornata la solita Hermione, timida e riservata.
“Sta tranquilla. Non so nemmeno cosa significhi. Non c’è motivo di allarmare nessuno. Adesso andiamo, prima che mia madre ci riempia la casa di gufi!”
Si avvicinarono al portafiori che George aveva predisposto come passaporta e, dopo averlo toccato con un dito, questo si illuminò di una luce azzurra e li trasportò a Villa Conchiglia.
 
 
 
 
L’atterraggio, come al solito, fu un po’ caotico. George si ritrovò disteso su Hermione che cercava di spostarlo senza successo. A osservare la scena, una Molly Weasley furente, con le mani sui fianchi in posizione d’attacco.
“DOVE DIAVOLO ERI?? VUOI FARMI VENIRE UN COLPO? E’ QUESTO QUELLO CHE VUOI?” urlò la donna.
George era riuscito a stento ad alzarsi, ma se ne pentì subito. Infatti, adesso si trovava proprio di fronte a sua madre che non perse tempo per prenderlo per l’orecchio (quello che gli era rimasto) e trascinarlo via. Molly si bloccò un attimo, la sua espressione omicida era sfumata.
“Ciao Hermione cara. Scusami per la scena. Mi dispiace che Errol sia arrivato così in ritardo.”
E con il suo solito sorriso bonario la invitò a seguirli.
Hermione osservava divertita la scena. George Weasley, ormai 22enne, non osava proferire parola tenuto per un orecchio dalla madre. Quando Molly Weasley era furente, il silenzio era l’unica possibilità per uscirne vivi.
Molly lasciò l’orecchio a George e lo spinse dentro una stanza che sembrava la riproduzione fedele di una casetta delle bambole. Ogni cosa era rosa: pelouche, pareti, tappeti, tendine. Hermione, che non aveva mai amato il rosa (dopo il regime della Umbridge ancora meno), represse il brivido che quella vista le provocò e cercò di concentrarsi sulle persone nella stanza. Su una sedia a dondolo (rosa, accidenti) c’era Fleur, che cullava un fagottino (rosa, ovviamente). Vedendoli entrare disse: “Oh, ragassi, che bello vedervi. Avicinatevi a conoscere Victoire”.
George si avvicinò per primo. Fleur gli porse la bambina, che appena fu in braccio allo zio, aprì gli occhi e gli regalò un timido sorriso.
“Ehi, piccolina. Io sono lo zio George, scusami per il ritardo.”
George la guardava estasiato. Era la bambina più bella che avesse mai visto. Fece un cenno ad Hermione per avvicinarsi e gliela porse. Hermione, a discapito di tutto quel rosa, dovette ricredersi. La bambina era bellissima. Pelle chiarissima, con una spruzzatina di lentiggini sul naso, capelli biondo chiaro e un sorriso made in Weasley che lasciava senza fiato.
“Ciao piccola, io sono Hermione. Un’amica di zio George, zia Ginny e zio Ron…”
La malinconia la colse. Era da un po’ che non vedeva Ron e Harry. Chissà se sarebbero tornati per vedere la bimba.
Quasi avesse ascoltato i suoi pensieri, la signora Weasley le disse: “Hermione cara, non ti ho detto che Ron e Harry arriveranno stasera! Mi hanno detto di dirti di aspettarli qui.”
Hermione era felicissima! Dopo più di otto mesi avrebbe rivisto i suoi migliori amici. Si sentivano spesso via gufo, ma ultimamente tra gli impegni di lei al ministero e i loro esami, la corrispondenza si era molto allentata.
La signora Weasley riprese: “Se scendi giù troverai Ginny, non vedeva l’ora di vederti! Io devo scambiare due chiacchere con mio figlio il fuggitivo, qui.”
Hermione, sentendo aria di tempesta, lasciò la bambina in braccio a Fleur e insieme uscirono dalla stanza.
“Allora, vorresti spiegarmi?”
“Beh mamma, sai che giorno era ieri, no?”
La madre annuì debolmente.
“Beh, volevo venire, lo giuro, ma ero appena stato al cimitero e non ce l’ho fatta. Avevo bisogno di stare da solo. Mi dispiace.” disse a testa bassa.
La signora Weasley perse ogni proposito di essere severa e si sciolse.
“Oh, George, lo so, lo so, scusami. Ero in ansia per te, non sapevo dove fossi! Volevo che fossi qui con noi, volevo fossimo tutti insieme...”
La madre si avvicinò e lo abbracciò forte, scossa dai singhiozzi.
“E’ un bene che Hermione ti abbia trovato” aggiunse poi.
George mentalmente ringraziò Merlino che la madre non gli avesse chiesto dove si erano incontrati. Probabilmente per lei sarebbe stato uno shock sapere che Hermione, che lei vedeva come una bambina oltre che come una figlia, aveva passato la notte con lui e in  un modo poco casto.
“Scendiamo giù, così saluti gli altri.” disse la signora Weasley tra le lacrime.
Scesero in cucina dove c’era riunita tutta la famiglia. Charlie era tornato dalla Romania quella mattina e stava discutendo con il padre. Bill era vicino alla moglie e guardava con occhi sognanti la figlia. Percy era al Ministero, come al solito e, infine, sul divano, intenta a tempestare di domande Hermione, c’era Ginny. Appena George entrò nella stanza, tutti si fermarono. Il primo a parlare fu Bill.
“Georgie, sei arrivato finalmente! Piaciuta la strillettera di mamma eh?” disse sorridendo.
George gli si avvicinò e lo abbracciò dicendogli: “Congratulazioni Fratello, ottimo lavoro! E’ davvero stupenda.”
Adesso che erano tutti insieme potevano festeggiare. Il pomeriggio passò così, tutti erano felici per la nascita di Victoire e se la contendevano per tenerla in braccio. Hermione fu sequestrata da Ginny che era in ansia per l’imminente arrivo di Harry, con cui finalmente da due anni faceva coppia fissa.
Bill si avvicinò a George con Victoire in braccio.
“Non credi che sia l’ora per voi due di recuperare il tempo perso?” gli disse e gli passò la figlia sorridendo.
George si era da subito innamorato della nipotina. E come non avrebbe potuto? Come se non bastasse, era anche veela per un ottavo, accidenti! La bambina lo guardava curiosa. George la prese a cullare. Passando di braccia in braccia, non l’avevano ancora fatta dormire.
 
 
 
E mi attacco alle stelle che altrimenti si cade…
E mi sa che sei quella che fa luce pian piano, chissà come ci vedi e chissà come ridi di quello che siamo.
 
 
 
Quella bambina era stata una benedizione per la sua famiglia. Erano ancora in fase di ripresa dalla guerra. Suo padre, grazie a Merlino, si era visto riconosciuti i meriti per il lavoro di una vita e il nuovo ministro, Shacklebolt, l’aveva promosso a capo della divisione “Relazioni con i Babbani”. Charlie viveva ancora in Romania, Percy era diventato il braccio destro del Ministro e non era cambiato per niente, sempre a parlare di lavoro. Apparentemente, le cose andavano meglio per tutti, ma tutti soffrivano molto per la perdita di Fred e queste occasioni di festa ricordavano a tutti cosa avevano perso con la guerra.
Preso da questi pensieri, George si rabbuiò.
“Victoire avrebbe adorato Fred.” pensò. 
La bambina, che non accennava a voler prendere sonno, continuava a guardarlo. George si avvicinò con il naso  per toccare il suo e lei emise un risolino.
“Chissà come ci vedi con i tuoi occhi eh, piccola. Dobbiamo sembrare parecchio strani. Tutte queste teste rosse.” George sorrideva.
“Chissà come te la ridi a vederci tutti imbambolati che ti guardiamo eh? Grazie per essere nata, Victoire.” 
La bambina piano piano chiuse gli occhi e si addormentò serena.
 
 
 
 
Harry e Ron arrivano a Villa Conchiglia quando il sole era già tramontato e così iniziò la festa. Hermione aveva l’aria stravolta. Il pomeriggio con Ginny l’aveva distrutta. George la osservava. Erano seduti agli estremi del tavolo, come se mettere fisicamente della distanza tra loro fosse la garanzia per non essere scoperti.
Sentendosi osservata, Hermione lo guardò e gli sorrise. Era felice quella sera. Finalmente aveva rivisto i suoi migliori amici e si sentiva a casa. Harry e Ron le stavano raccontando del loro addestramento, delle missioni e per un attimo le sembrò che il tempo non fosse passato.
Ginny, nel pomeriggio passato insieme, le aveva strappato la promessa di una uscita a Diagon Alley per la settimana prossima e le aveva anche fatto qualche domanda un po’ “scomoda”.
 
 
 
“Herm… C’è qualcosa che non so?”
“Per.. perché dici questo?” disse Hermione imbarazzata.
L’amica aveva un sesto senso nello scoprire i suoi segreti o forse Hermione non era brava a nasconderli .
“Bah, così. E’ da un’ora che parlo soltanto io. Oltre che del lavoro al Ministero non mi hai raccontato praticamente nulla. Non esci con nessuno per ora?”
Hermione, che stava mangiando un’ape frizzola, si era strozzata e tossiva nervosa.
“No, ma cosa dici! Sono molto impegnata col lavoro e….”
“Si, si, certo come no.” disse Ginny mentre pettinava i lunghi capelli rossi.
Hermione la guardò con uno sguardo supplichevole che voleva dire: “Ti prego, non fare domande!” Ginny sbuffò. “Va bene, faccio finta di crederti. Sono troppo in ansia per stasera per indagare oltre, ma sappi che non mi sfuggi!”
Hermione riprese a respirare. Per stavolta l’aveva scampata.
Anche volendo, non avrebbe saputo cosa dire.
“Come sai, io e tuo fratello siamo amici. Ieri sera però, mentre tutti voi festeggiavate la nascita di Victoire, noi siamo finiti a letto. Non ho idea di quello che significhi, ma mi va bene perché sono felice.”
Decisamente Merlino l’aveva salvata da una situazione impossibile.
 
 
E mi attacco alle stelle tiro, un po’ a indovinare.
Mi predìco un presente in cui non c'è niente se non respirare.
E se proprio sei quella [stella], fatti almeno guardare. Non sai quanto ci manchi, non tornano i conti a doverti trovare.



 
 
La festa era stata un successo. Molly, come sempre, si era superata in cucina. Tutti erano sazi e felici di poter stare insieme, senza più la guerra e la minaccia di Voldemort.
George si era allontanato per accendere i “Fuochi Forsennati Weasley”. Era il suo regalo per la piccola Victoire. Con la partenza improvvisa, non aveva avuto tempo per comprarle nulla, ma si era salvato ricordando di avere lasciato qualche tempo addietro nella cantina di Villa Conchiglia un baule con i Fuochi che Bill avrebbe poi dovuto mandare in Irlanda. Tutti uscirono nel giardino per vedere lo spettacolo. In un attimo il cielo si riempì di luci: draghi, folletti e fontane di luci riempivano il cielo. Il segreto dei “Fuochi Forsennati Weasley” era che usando su di loro un “Evanesco”, quelli raddoppiavano, triplicavano, sembravano non finire più. Tutti erano estasiati da quello spettacolo, tranne George.
Rivedere i fuochi gli riportò alla mente la loro fuga da Hogwarts ai tempi della Umbridge. Erano passati alla storia quel giorno, lui e Fred.
Mentre tutti si divertivano con i fuochi, George decise di  fare una passeggiata sulla vicina spiaggia. Aveva bisogno di stare un po’ da solo. Si sedette sulla riva, era una bella serata. Il cielo era pieno di stelle e lui si mise ad osservarle. Chissà su quale di quelle stelle stava Fred…
“Fratellino, tiro ad indovinare o mi aiuti tu?” disse piano.
Quella giornata sarebbe stata perfetta, se solo ci fosse stato anche Fred. La notte passata, George aveva creduto di essere pronto a ricominciare, vedeva un futuro con Hermione davanti a sé. Ma adesso, ripensandoci, l’unica cosa che gli sembrava possibile era continuare a sopravviversi. Rimase a scrutare il cielo cercando la stella giusta per un po’.
“Si, ho deciso che è quella la tua stella, Fred. E’ la più luminosa.” disse con un sorriso amaro sulle labbra.
La vita senza Fred non aveva senso. Nessuno finiva più le sue frasi, nessuno era sempre con lui pronto a scherzare, nessuno era Fred.
“Però Fred, se è davvero quella la tua stella, come faccio a saperlo?”
In quel momento, la stella brillò più forte e poi iniziò la sua discesa.
 
 
La porta dei sogni , la porta dei sogni , la porta dei sogni chiudila tu.
 
Aveva perso la cognizione del tempo steso su quella spiaggia. Potevano essere passate delle ore o soltanto pochi minuti, a lui non importava. Dopo aver visto quella stella cadere, la stella di Fred, era rimasto a contemplare il cielo, come aspettandosi che il suo desiderio potesse avverarsi.
“Niente può riportare indietro i morti” Silente l’aveva detto spesso, ma George aveva visto in quella stella una speranza e ci si era aggrappato con tutto se stesso.
Che sciocco che era stato. Le stelle sono solo stelle, non possono esaudire i desideri, non possono cambiare le cose.
Sospirò e, incassando l’ennesima delusione, si alzò per andare a raggiungere gli altri.
Era di spalle, così che non aveva potuto notare che al posto di quella stella, un viso uguale al suo lo scrutava preoccupato dall’alto.
 
 
 
 
 
“George, dove sei stato? Sei tutto bagnato! Vieni qui che ti asciugo!”
Hermione era rimasta da sola in cucina, stava sistemando i piatti che Molly aveva lavato, probabilmente aveva notato la sua assenza e aveva voluto aspettarlo.
Appena la vide, George provò un insensata voglia di scappare via di nuovo.
Hermione era l’unica che riusciva a capirlo, l’unica che non invadeva i suoi spazi e rispettava i suoi silenzi. Con lei si sentiva libero di essere se stesso e questo gli faceva paura. Lei lo faceva sentire vulnerabile.
“No, grazie faccio da solo.” le disse soltanto, prima di uscire di nuovo.
Hermione sospirò e salì nella camera che avrebbe dovuto condividere con Ginny. Non c’era più motivo che lei rimanesse ancora lì.
Aprì piano la porta per non svegliarla ma notò subito che l’amica non era da sola.
“Ops, scusate! Non volevo disturbarvi!” disse balbettando.
“Tranquilla Herm, non te l’avevo detto, è anche la tua stanza. Dimmi pure.” le disse Ginny con disinvoltura. Harry doveva essere morto di vergogna da qualche parte sotto le coperte.
“Beh, volevo solo avvertirti che torno a casa mia, non mi sono portata niente, quindi vado.
E.. George… E’ tornato. Buonanotte, scusate ancora.”
Hermione chiuse la porta senza nemmeno aspettare la risposta. Era imbarazzatissima. Aveva appena interrotto i suoi due migliori amici mentre.. Beh, avete capito.
Scese di corsa le scale, desiderosa di lasciare il prima possibile quella casa, ma andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.
Ancora rossa in viso, disse: “Ron, scusami. Non ti ho visto. Perdonami.”
Il ragazzo le sorrise.
“Tranquilla Hermione, non mi hai fatto niente. Hai visto Harry per caso?”
Hermione diventò paonazza ripensando alla brutta di figura fatta poco fa.
“No, ehm, cioè si. E’ con Ginny, stavano.. parlando si, parlando. Meglio non disturbarli, non si vedono da così tanto tempo.” disse incerta, sperando che l’amico non facesse più domande.
“Hermione cosa c’è? Sembri strana, è successo qualcosa?”
“No, no tutto bene. Torno a casa, domani devo andare a lavoro e non mi sono portata niente, così..” mentì. Poi, per cambiare argomento, disse: “Voi quanto rimanete?”
“Partiamo domani mattina. Siamo riusciti ad ottenere solo un giorno di permesso.”
La ragazza si rabbuiò, chissà quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che potesse rivedere i suoi migliori amici.
“Beh, allora buon viaggio.” gli disse e i due si abbracciarono.
“E’ stato bello rivederti Hermione. E’ strano non stare più tutti e tre insieme…”
“Anche per me è stato bello. Mi mancherete tanto, Ron.”
I due si sciolsero dall’abbraccio con gli occhi lucidi. Avevano condiviso sette anni della loro vita, erano stati sempre insieme, lei, Ron ed Harry e adesso vivere distanti era difficile per tutti e tre. Forse non si sarebbero mai abituati.
“Hermione?” la richiamò Ron.
La ragazza che stava scendendo le scale, si fermò. “Si?”
“Sono contento per te e George comunque.” disse Ron con una strana espressione sul viso.
Hermione sgranò gli occhi. Di solito Ron non notava mai niente, sembrava vivere in un mondo tutto suo, ignorando cioè che accadeva attorno a lui. I mesi lontano da casa e soprattutto la guerra, però, lo avevano cambiato. Era molto maturato ed era diventato più attento e sensibile.
Durante la giornata, aveva notato come si guardavano lei e George e la confidenza che c’era tra loro, ma, soprattutto, aveva assistito a tutta la scena che si era svolta prima in cucina.
Ron, infatti, stava scendendo le scale per prendersi un ultimo pezzo di torta prima di andare a dormire ma aveva sentito delle voci, così si era nascosto.
Hermione, cercando di suonare convincente, disse: “Ma non c’è niente Ron, non so di cosa tu stia parlando!” Era nervosa e si stava torturando le mani.
Ron le sorrise.
“Herm, non devi giustificarti con me. Sono felice, davvero. Solo, stagli vicino, ti prego.”
Detto questo, Ron sparì su per le scale.
Ancora sotto shock, Hermione girò su se stessa e si materializzò a casa sua.

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Capitolo 4
*** Non è tempo per noi ***


 
George era tornato sulla spiaggia. Perché aveva trattato Hermione in quel modo? Dopotutto, lei aveva sempre cercato di aiutarlo, no?
No, quella storia era sbagliata per almeno dieci motivi diversi. Uno tra questi, era suo fratello Ron.
Era stato innamorato per anni di Hermione senza mai avere il coraggio di dichiararsi, George lo sapeva bene; lui e Fred non perdevano occasione per prenderlo in giro.
Ma da quando era partito per il corso di Auror non si erano più visti e George non sapeva se suo fratello la volesse ancora. E lui ci era anche andato a letto!
“Sarà stata la disperazione di quel momento” pensò.
Scosse la testa. “No, tu lo volevi già da prima! Tu la volevi!”
Si prese la testa mani e iniziò a singhiozzare. Non sapeva più che fare.
Si alzò di scatto e imprecò contro il cielo. Urlò con tutta l’aria che aveva in corpo, cercando di buttare fuori tutto quel dolore che provava e che lo lacerava dentro.
Respirando a fatica, riprese il filo dei suoi pensieri.
“No, è stata solo una volta. Non posso fare questo a mio fratello. Ne ho già perso uno, non voglio perderne un altro. Devo dirlo ad Hermione.”
Girò su se stesso e si smaterializzò nello stesso vialetto in cui era finito molti mesi prima. Vide la luce del soggiorno accesa, così prese coraggio e bussò.
Hermione non si aspettava che George sarebbe tornato da lei quella sera. Era in cucina, con quello che rimaneva di una barretta di cioccolata tra le mani. Stava contemplando l’ultimo quadratino rimasto, quando sentì bussare.
Entusiasta, si precipitò ad aprire si gettò al petto di George.
“Sei qui!”
Lui la guardava serio, le braccia lungo i fianchi.
“No, Herm, vado subito via. Volevo solo dirti una cosa.”
George era freddo e distaccato, ma Hermione colse una nota tremante nelle sue parole. Cercò il suo sguardo, ma lui gli sfuggiva, ostinandosi a guardarsi le mani che teneva giunte, come a trattenersi.
“Dimmi, ti ascolto.” disse rassegnata la ragazza.
“Beh. Volevo dirti… Ron…”
“Ha parlato anche con te?”’ disse lei, non riuscendosi a trattenere.
George finalmente la guardò, sul suo volto si era aperto un sorriso radioso. Forse Ron le aveva dato la sua benedizione e, se così fosse stato, George non aveva più scuse. Cosa avrebbe detto ad Hermione per allontanarla?
Certo era che non sarebbe mai riuscito a dirle la verità. “Ho paura di aprirti il mio cuore, non voglio più soffrire, un'altra delusione mi ucciderebbe.” No, decisamente non gliel’avrebbe detto.
Decise di ricorrere ad una scusa standard che tante volte aveva usato ai tempi di Hogwarts con le ragazzine appiccicose che doveva mollare.
“No, non ci ho parlato, volevo solo dirti che parte domani. Comunque, non è questo il punto.”
Hermione si rabbuiò.
“Beh, la cosa tra noi due non può funzionare. Siamo troppo diversi, io ho troppi casini e non voglio che tu debba sempre pensare di tirarmici fuori. Tu meriti di meglio, Hermione e io adesso non posso offrirti niente. Ciao Herm.”
Hermione aprì la bocca pronta a ribattere ma George era già svanito. Chiuse la porta e si buttò a piangere sul divano. Perché George le diceva quella cose? Perché adesso la trattava così?
In quei mesi in cui avevano stretto amicizia e soprattutto nella notte passata insieme, lei lo aveva sentito vicino come nessun altro mai. Aveva pensato che per loro potesse esserci un futuro, che avrebbero potuto superare il dolore insieme. Evidentemente si sbagliava. Forse per George era stata solo il passatempo di una notte, un tentativo di sanare il suo dolore che però non aveva funzionato. Forse non era cambiato per niente dai tempi della scuola, quando cambiava ragazza ogni settimana.
Continuò a piangere tutta la notte, fino a quando non si addormentò stremata.


Se un bel giorno passi di qua, lasciati amare e poi scordati svelta di me. Che quel giorno è già buono per amare qualchedun altro, qualche altro.
 
 
  
George si era materializzato nell’appartamento sopra al negozio. Il disordine regnava sovrano, ogni superficie orizzontale e anche verticale era coperta da vestiti, sacchetti e piatti sporchi. George guardò quello spettacolo impassibile e, dopo aver spostato un cumulo di vestiti sporchi che giacevano sul letto, ci si buttò su.
Cosa aveva fatto? Aveva allontanato l’unica persona che era riuscita a farlo stare meglio in quei mesi di merda. Aveva trattato Hermione come una delle tante ragazze che aveva avuto, ma Hermione non era una delle tante, non lo sarebbe mai stata.
Però era meglio così, era la cosa giusta da fare. Non poteva permettere che lei stesse male per colpa sua. Anche lei aveva sofferto tanto a causa della guerra e adesso meritava qualcuno che si prendesse cura di lei e che la facesse ridere. “Decisamente” - pensò George -  “quel qualcuno non posso essere io.”
Prese la bottiglia che nascondeva sotto al letto e iniziò a bere quel nettare che aveva il potere di far sparire tutti i suoi problemi, almeno per un po’, almeno finché non si fosse svegliato.
 
 
 
 
Si risvegliò con un mal di testa da record. Nessuna pozione di Hermione lo aspettava stavolta.
“Il solito caffè andrà bene.” Penso cercando di convincersi che fosse davvero così, che la ragazza non gli mancasse. Lentamente scese dal letto e, barcollando, raggiunse la cucina.
Mentre stava riempendo la caffettiera, suonò il campanello.
“No! Basta Lee! Basta!! Adesso scendo, apri tu!” urlò.
“George aprì subito questa porta!” si sentì rispondere da qualcuno che decisamente non era Lee.
La voce di Hermione. Cosa ci faceva lei li??
Suo malgrado, dovette andare ad aprirle, prima che si risvegliasse tutto il palazzo.
“Cosa urli di prima mattina?” le disse con la voce ancora impastata dall’alcool.
“Ma lo vedi? Hai bevuto, vero? Perché? Perché di nuovo?”
George la guardava, non riusciva a dire niente. Non si sarebbe mai aspettato di rivederla dopo quello che le aveva detto.
“Perché mi hai detto quelle cose ieri sera?” disse allora lei.
Hermione non avrebbe mai pensato di cercare George dopo quello che lui le aveva detto la sera prima, ma sentiva che c’ era qualcosa sotto, che George le aveva mentito e lei doveva sapere perché.
Ormai George era l’unico che le era rimasto. Con Harry e Ron lontani, Ginny che giocava nella squadra Holyhead Harpies e non c’era quasi mai a causa degli allenamenti, aveva solo lui. E non voleva perderlo.
“Allora? Mi rispondi? continuò.
“Hermione, vai via. Quello che dovevo dirti, te l’ho detto ieri sera. E’ stata solo una notte, una sola notte. Scordati di me, trovati il ragazzo che meriti.”
Ogni parola a George era costata cara, ma si sforzò di rimanere il più possibile impassibile.
“Tutte balle, dimmi la verità! Non sono stupida, so che c’è qualcosa sotto!” gli rispose lei, tra le lacrime.
“Non è tempo per noi Hermione” le sussurrò lui prima di chiuderle la porta in faccia.




Non è tempo per noi e forse non lo sarà mai.

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Capitolo 5
*** La verità è una scelta ***


SBAM.
Il rumore della porta chiusa.
Il singhiozzo di Hermione dall’altra parte.
Il “Pop” della sua smaterializzazione.
L’urlo di George.
 
 
La porta.
Il singhiozzo.
Hermione.
Il vuoto.
 
 
Cosa aveva fatto?
 
 
Continuava a urlare George, come a voler allontanare via da sé con quell’urlo tutto il dolore che sentiva, come a volersi liberare anche di se stesso.
Urlava George, sentendo che era l’unica cosa che poteva fare, stanco di tenersi tutto dentro.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
Un altro urlo, sempre più forte, sempre più straziante,  colmo di rabbia e di sofferenza.
Tremava.
L’appartamento era ridotto ad un campo di guerra. Ogni oggetto che prima aveva avuto una posizione verticale, si trovava adesso a terra, spezzato, distrutto, divelto.
Lampade, portafoto, piatti e persino i quadri, erano sparpagliati a terra, distrutti dalla furia di George.
Provò ad urlare ancora una volta, ma non uscì fuori nessun suono.
Anche il suo corpo si era stancato di lui, si rifiutava di collaborare.
Un pugno contro il muro.
E poi un altro e un altro ancora.
Epilogo già visto, storia già vissuta.
Solo contro tutto, solo contro se stesso, come dopo la morte di Fred.
Esausto, si prese la testa tra le mani. La fronte sudata, gli occhi sgranati, le mani tremanti, espressione di chi è sceso all’inferno ed è ritornato.
Poi si voltò e finalmente trovò quello che cercava. Per fortuna la sua furia l’aveva risparmiata.
Prese la bottiglia di Whiskey Incendiario che era rotolata sotto la poltrona e si abbandonò all’oblio che solo lei poteva regalargli.
Chiuse gli occhi e il mondo cessò di esistere.
 
 
 
 
Si risvegliò che era pomeriggio. Il solito mal di testa che lo accompagnava dopo ogni sbronza, lo salutava ormai come avrebbe fatto un amico con cui ci si vede spesso.
Tentò di alzarsi, ma inciampò in tutto il ciarpame che aveva sbattuto a terra quella mattina.
Sul tavolo c’era un biglietto, era di Lee. Doveva essere entrato a prendere le chiavi del negozio.
“Apro io. Quando ti riprendi fammi un fischio che ti gonfio. Lee”
George accennò un sorriso. Lee cercava di fare del suo meglio per stargli vicino, ma non gli avrebbe raccontato cosa era successo. Probabilmente non l’avrebbe mai raccontato a nessuno.
L’alcool gli aveva annebbiato un po’ i ricordi ed era quello che aveva ardentemente desiderato, ma adesso aveva bisogno di trovare una via d’uscita più “radicale.”
Un gufo picchiettò alla finestra. Era Errol. Aprì e subito il vecchio gufo di famiglia andò a sbattere contro la pila di mondezza che si era creata vicino al divano.
George tirò via la lettera dalla zampa del gufo e lesse. Era di Ginny.
“Non so cosa ti sia successo ieri, non voglio saperlo. Voglio solo dirti che Charlie parte stasera. Se vuoi venirlo a salutare, ci trovi a Villa Conchiglia.”
George sbuffò. Non aveva voglia di vedere nessuno, non dopo la mattinata che aveva passato.
Ma poi gli venne un’idea. Si, sarebbe andato, quella era la sua occasione per scappare via, per ricominciare. Lee se la sarebbe cavata anche da solo. Dopotutto, lo faceva già da un po’.
Raccolse da terra qualche maglietta, un paio di scarpe e qualche pantalone, li richiuse in una valigia che teneva sotto al letto e si smaterializzò, dimenticandosi persino di chiudere la porta.
 
 
 
 
 
 
L’aria della spiaggia vicino Villa Conchiglia gli riempì i polmoni e gli fece riacquistare un po’ di lucidità.
Non si era lavato.
Sua madre avrebbe subito capito che aveva bevuto di nuovo ed era certo che il suo caro mal di testa non avrebbe apprezzato le sue urla. Non sapendo bene che fare, getto la valigia sulla spiaggia e si tuffò in acqua.
L’acqua era gelida, ma George parve non accorgersene a primo impatto. Piano piano il suo corpo si svegliò dall’intorpidimento che l’alcool aveva provocato e iniziò a bramare calore. I brividi lo scuotevano da capo a piedi ma lui si ostinava a rimanere in acqua, cercando di risvegliarsi del tutto, cercando di capire cosa avrebbe detto una volta in casa.
Una mano bianca e piccola lo trascinò via dai suoi pensieri.
“Ma che cavolo fai?” una Ginny fradicia e arrabbiatissima lo guardava con gli occhi ridotti a due fessure.
“Faceva un bagno” tentò George, cercando di risultare simpatico, cosa che, ovviamente, non funzionò.
“Se era un tentativo di lavarti via l’odore dell’alcool, devo annunciarti che hai fallito, fratellino. Vieni qui che ti sciugo, dai” e, rassegnata, iniziò ad asciugarlo facendo uscire un getto di aria calda dalla sua bacchetta.
Era incredibile come Ginny passasse dall’arrabbiatura all’apprensione in meno di 10 secondi. Dopotutto, però, era la figlia di Molly Weasley. I geni avevano fatto bene il proprio lavoro, niente da ridire.
Dopo averlo asciugato e aver fatto lo stesso con se stessa, disse:
“Cosa è successo stavolta?”
“Niente Ginny, tranquilla. Sto bene” Era così abituato a quella bugia, che ormai nemmeno ci pensava, le parole arrivavano alle sue labbra da sole.
Ginny gli voleva molto bene. Voleva bene a tutti i suoi fratelli ma da sempre aveva avuto un rapporto speciale con i gemelli, che, insieme a Bill, erano i suoi fratelli preferiti.
Il silenzio di George le faceva male, avrebbe voluto aiutarlo. Dopo la morte di Fred, con George era così: un passo avanti e poi due indietro. Quando le sembrava di essere riuscita a scalfire il muro che George aveva eretto attorno a sé, lui la allontanava di nuovo.
“Ok…” disse soltanto. Lo guardò, vedendo nei suoi occhi quella tristezza che da quel maledetto 2 Maggio non  l’aveva più abbandonato e decise di proseguire il suo discorso.
“Non dirò niente a mamma, però voglio che tu sia sincero con me d’ora in poi. Ho cercato di starti vicino in questo periodo in tutti i modi, ma quando mi illudo che ci sto riuscendo, tu continui ad allontanarmi. Ti voglio bene, lo sai?”
George non riuscì a dire niente, sorpreso dalla schiettezza della sorella. Si limitò ad abbracciarla forte, sperando che quell’abbraccio sarebbe riuscito a trasmetterle quello che non riusciva a dirle a parole. Avrebbe cercato di includere di nuovo Ginny nella sua vita. Dopotutto, era la sua sorellina, non poteva vivere senza di lei.
“Entriamo dai, Charlie sta per partire.” disse Ginny, ma si interruppe, notando un particolare che le era sfuggito.
“Perché hai una valigia?”
George decise di inaugurare il ritrovato rapporto con la sorella rendendola partecipe dell’idea che l’aveva colto al suo risveglio.
“Beh… Voglio partire con lui.”
Ginny aprì più volte la bocca e la richiuse, senza riuscire a dire niente. Poi disse soltanto:
“Ok… Scrivimi però.” E lo abbracciò forte.
Ginny era sempre una sorpresa. Era davvero incredibile la forza che aveva. Aveva affrontato un anno terribile ad Hogwarts quando Harry, Ron e Hermione erano alla ricerca degli Horcrux, con i Carrow al potere. Poi la guerra, la perdita di Fred, il lutto e il conseguente allontanamento di George. E ancora, la partenza di Harry, quell’amore a distanza che la logorava e adesso anche questo.
Ma non aveva pianto. No, lei era forte. L’aveva abbracciato, lo voleva appoggiare perché sapeva che nessun altro l’avrebbe fatto, forse Bill. Magari in una lettera, George, prima o poi, le avrebbe spiegato perché l’aveva fatto.
Si sciolsero dall’abbraccio ed entrarono in casa insieme. Nel salotto della villetta, tutti i Wesley chiacchieravano animatamente. Molly, come al solito, era agitatissima.
“Stamattina tuo fratello Ron e Harry, adesso tu! Ma che premura hai? Mica i tuoi draghi scappano!” Stava dicendo a Charlie, mentre gli sistemava il colletto della giacca.
“Mamma te l’ho detto! Holly è in ferie, devo tornare subito!”
George si schiarì la voce per annunciare la sua presenza.
“Oh Georgie, sei arrivato!”
 Molly gli corse in contro e lo abbracciò alla sua solita maniera.
Poi lo annusò e disse: “Ma cos’è questa puzza?”
George non aveva pensato a nessuna scusa, così si limitò a rimanere in silenzio. Arthur, desideroso di evitare nuove scenate, sviò il discorso.
“Allora Charlie, a che ora è prevista la passaporta?”
“Alle 17. Mancano solo 10 minuti, sarà meglio che inizi con i saluti.”
George non sapeva bene come dirlo, allora decise di farlo e basta.
“Posso venire con te, Charlie? In Romania intendo.”
Il chiacchiericcio della stanza cessò di colpo. Tutti guardavano George, spostando di tanto in tanto lo sguardo da Molly a Charlie.
La prima a parlare, ovviamente, fu proprio Molly.
“COME, SCUSA? Cosa ci devi andare a fare tu in Romania?”
Il sensore da mamma iperprotettiva era in allarme, allarme rosso! Due figli lontani erano già un duro colpo per lei, adesso anche il suo Georgie?
George aveva previsto questa reazione, ma non era pronto ad affrontarla.
“Beh… E’ da tanto che non ci vado e ho pensato che Charlie poteva aver bisogno di una mano.”
Pessima scusa, ma l’unica che l’alcool che ancora aveva in corpo misto alla paura gli permetteva di formulare.
In suo aiuto, intervenne Bill.
“Mamma ma che male c’è? Al negozio resta Lee, giusto George?”
“Si, si… Per lui non è un problema.” disse George, rivolgendo uno sguardo pieno di gratitudine al fratello.
Charlie ancora non aveva parlato, aspettava un qualche cenno dalla madre. Non avrebbe mai voluto andarle contro a dieci minuti dalla sua partenza.
Si intromise anche Arthur.
“Molly cara, non credo sia un’ idea malvagia. Georgie ha bisogno di prendere un po’ di aria… Vedrai, gli farà bene.”
“Ma sarà lontano da me! Non solo Ron e Charlie, anche lui! E Bill che vive qui… “
Come era prevedibile, le lacrime affiorarono agli occhi di Molly.
George guardava implorante Ginny che passò un bracciò sulle spalle della madre e la strinse a sé.
“Ma ci sono io mamma! E anche Percy quando si ricorda di tornare a casa da lavoro!”
“Charlie, allora?”
George era impaziente. Mancavano solo pochi minuti alla partenza della passaporta.
“Ma certo fratello, ti pare!”
 E gli batté una mano sulla spalla.
“Bene! Allora è deciso!” disse Arthur. “E’ meglio che ci salutiamo in fretta. Mancano solo 5 minuti.”
Tutti i Weasley si salutarono, con la promessa di tante lettere e di vedersi presto. George lasciò per ultimi Bill e Ginny.
“Bill ti devo un favore.” disse.
Bill lo guardò serio.
“Sono tuo fratello, l’unica cosa che mi devi è tornare ad essere anche tu il mio fratellino di sempre.” e lo abbracciò. Infine fu il turno di Ginny.
“Ricordati che mi hai promesso delle lettere.. “ disse lei.
“Certo sorellina, ogni promessa è debito!”
La lampada ad olio iniziò a  lampeggiare con la consueta luce azzurrina, Charlie e George la toccarono e iniziarono a vorticare, in direzione della Romania.
 
 
 
 
 
 
 
La casa di Charlie era molto simile alla capanna di Hagrid, un po’ più grande certo, ma ugualmente piena di strane gabbie, piante  e libri sugli animali.
“Me l’ha mandato Hagrid quello” disse infatti Charlie, indicando la foto di uno schiopodo sparacoda poggiata sul camino che George stava guardando.
“L’avevo immaginato” disse sorridendo.
Era contento della sua decisione. Partire, lasciare tutto e tutti alle spalle. Solo lui, Charlie e i draghi.
Si ricordò però di dover scrivere una lettera a Lee. Nella fretta della partenza, aveva dimenticato di avvertirlo.
“Hai un gufo Charlie?”
“Cos’è scrivi già alla ragazza che ti manca?”
“Pessima battuta fratello.”
L’umore di George che era un po’ migliorato, scese di nuovo ai minimi storici.
Resosene conto, Charlie uscì per andare a richiamare il suo gufo e lasciarlo un po’ da solo.
Dopo aver inviato la lettera, Charlie e George si avviarono al recinto dei cuccioli di drago.
C’erano i figli di Norberta, l’ex drago di Hagrid, dei “piccoli” petardi cinesi, e un grugnocorto particolarmente scontroso.
“Non sono bellissimi?” gli disse Charlie mentre gli dava da mangiare.
“Se non fossi sicuro che sei mio fratello, penserei forse mamma abbia avuto un flirt con Hagrid ai tempi di Hogwarts” gli rispose e si misero a ridere.
Si, decisamente era stata una buona idea seguire Charlie. Insieme a Bill e Ginny era di sicuro il suo fratello preferito, dopo Fred, ovviamente. Non era mai andato molto d’accordo con Percy e Ron invece, uno troppo serio, l’altro non sapeva mai stare agli scherzi.
Da quando Charlie era partito per la Romania si erano un po’ persi, ma quando si rincontravano era sempre una festa, come se non fosse mai andato via.
“Grazie Charlie per avermi voluto con te.”  gli disse poi, riemergendo da questi pensieri.
“Figurati fratello, sono contento di avere un po’ di compagnia.”
“E io che pensavo preferissi i draghi!”
 Era facile scherzare con Charlie, gli ricordava molto Fred…
 
 
 
 
 
 
 
Le giornate passavano veloci tra i boschi della Romania. George scoprì che i draghi non erano affatto male come pensava, i cuccioli erano addirittura simpatici. Tranne il grugnocorto, certo.
Cercava di rimanere occupato il più possibile, per allontanare i pensieri che ogni tanto  si insinuavano serpeggianti nella sua mente.
Hermione. Le urla. I singhiozzi. La porta che sbatte.
Erano passate già due settimane, quando arrivò un gufo.
“E’ mamma!” annunciò Charlie. “Ci ha mandato dei biscotti, ne vuoi?”  disse porgendogli l’involto.
“Ah, questa è di Ginny, è per te!”
Ginny! Cavolo! Le aveva promesso che le avrebbe scritto.
Aprì la lettera un po’ spaventato e lesse.


“Come immaginavo, non mi hai scritto, così l’ho fatto io. Sei sempre il solito. Come stai tra i draghi? Ti manco almeno un po’? E’ passato Lee ieri, ha detto che ha saputo che andavi via e gli lasciavi il negozio da gestire solo dopo la tua partenza. C’è qualcosa che desideri dirmi, per caso? E in questo qualcosa, sempre per caso, c’entra Hermione? L’ho vista la scorsa settimana, era distrutta ma non mi ha detto perché. So solo che quando le ho detto che eri partito con Charlie, è scappata via in lacrime. Spero solo che tu non c’entri niente e sia stato solo un caso. Esigo una risposta.
Con amore (perché se non fosse per amore che lo faccio, ti lascerei in balia di te stesso), Ginny.”


Giorni interi spesi a cercare di dimenticare sfumati in un attimo.
Ginny l’aveva riportato alla realtà. Non poteva scappare per sempre dai suoi pensieri. Forse era arrivato il momento di riordinarli.
“Cos’ ha detto Ginny? E’ tornato Harry?” chiese Charlie.
“No, voleva solo avvertirmi che Lee ha l’influenza e chiude per una settimana il negozio” mentì George.
“Ok, io esco… Sai, con Holly. Ti dispiace, George?”
“Ma che dici! Divertiti fratello, che aspetti ad andare? Io rispondo a mamma e a Ginny prima che ci mandino una strillettera!”
Charlie uscì. Si sentiva un po’ in colpa a lasciare il fratello da solo, proprio adesso che lo vedeva più sereno. Holly però aveva insistito tanto e così aveva dovuto cedere.
George scrisse una risposta standard a Molly (Stiamo bene, mangiamo abbastanza, i draghi non ci hanno ucciso e Charlie non si è ancora fidanzato e no, ancora non torno) e poi si dedicò alla lettera di Ginny. Aveva deciso che l’avrebbe utilizzata come occasione per riflettere. Non poteva più rimandare.
Intinse la piuma nell’inchiostro e iniziò a scrivere:


“Cara Ginny,
lo so, sono sempre il solito, hai ragione. Mi dispiace non averti scritto prima ma sono stato impegnato.”


Cancellò subito quella prima riga. In fondo, le aveva promesso sincerità. Le sue bugie non facevano bene a nessuno.
 
 
 La verità è una scelta.
 
 
 Prese un altro foglio e ricominciò.
 
“Cara Ginny,
mi dispiace non averti scritto subito come promesso, ma ho cercato di mantenere la mente più impegnata che potevo per evitare di pensare alle cose da cui sono fuggito via. Si, perché, come avrai immaginato, io stavo fuggendo. Non proprio da qualcuno… Ok, forse si, ma soprattutto da me.
Io.. Io no ce la facevo più a rimanere li, mi sentivo oppresso, perennemente nervoso e triste. Ho pensato che qui sarei stato meglio, lontano da tutto per un po’. Charlie è sempre stato buono con me, mi ricorda tanto Fred, cerca sempre di farmi ridere...
Però non è tutto qui. Scappavo anche da qualcuno e credo che a te posso dirlo.”
 
 
George si fermò un attimo. Il momento della verità era vicino e si sarebbe trovato faccia a faccia con le sue azioni, con i suoi errori e con il dolore che per tutto quel tempo aveva cercato di chiudere in un angolo lontano della sua mente.
Respirò a fondo e continuò.
 
 
“E’ successo qualcosa con Hermione. Come sai, ultimamente ci eravamo avvicinati. Eravamo diventati amici e ci vedevamo spesso. Poi, il giorno che è nata Victoire, che era anche il giorno dell’anniversario di tu sai cosa…”
 
Si dovette fermare di nuovo. Ogni parola gli costava una fatica enorme, ogni parola era la prova che tutto era successo e che adesso era anche finito.
 
 
“Beh sono andato da Hermione, ero distrutto. Anche lei stava parecchio male e siamo finiti a letto.
Non sapevo cosa significava, ma lei mi era stata vicina come nessun altro era riuscito e io ho sperato che significasse qualcosa, che fosse un segno che magari sarei potuto essere di nuovo felice.
Eravamo d’accordo sul non dire niente a nessuno. Poi, quando siamo venuti a Villa Conchiglia, sono andato sulla spiaggia da solo, mentre voi festeggiavate. C’ho pensato…”
 
  
Senza accorgersene, aveva iniziato a piangere. Silenziose lacrime scendevano dagli occhi di George, si facevano strada sulle sue guance e terminavano il loro percorso sulla pergamena.
 
 
 
E’ dura non essere al sicuro e vedere sempre un po’ più piccolo il futuro.
E sai che fine fanno gli innocenti.


 
Si fece forza e continuò.
 
“Dicevo, ci ho pensato. E ho capito che non poteva funzionare. Non le posso offrire niente, capisci?
Se guardo avanti, non vedo niente, nessun futuro. Vedo solo me e il vuoto che mi circonda e non è questo che voglio per lei. Ho pensato a Fred. Ho visto anche una stella cadente e per un attimo mi sono illuso che fosse lui. Capisci? Capisci come sono ridotto? Non riesco a rassegnarmi per la sua perdita, vivo male. Non sono la persona adatta a lei.
Così ho deciso di mentirle. Volevo usare la scusa di Ron, ma avevano già parlato e mi è sembrato di capire che per lui non era un problema.
Così le ho rifilato la scusa del “siamo troppo diversi, non può funzionare” ma, evidentemente, non deve aver abboccato perché la mattina dopo è venuta nel mio appartamento a chiedermi spiegazioni e io le ho detto di andare via, di lasciarmi in pace.
Le ho detto l’unica cosa che sapevo l’avrebbe fatta andare via. Le ho detto che è stata solo una notte….”
 
 
George batté forte i pugni sul tavolo. Rivivere quei momenti aveva riacceso quella rabbia che si era sforzato di contenere in quelle settimane. Ce l’aveva col mondo, che era così ingiusto, con Hermione che era tornata da lui quella mattina, ma soprattutto con se stesso, che l’aveva mandata via con una bugia.
 
 
La verità è una scelta la verità è un'impresa


 
“E poi sono venuto a Villa Conchiglia e il resto lo sai già. Questo è tutto. So già quello che mi dirai.
Ti dirò, hai ragione. E se mi chiedi perché l’ho fatto. Beh, a te posso dirlo e forse è ora che lo ammetta anche a me stesso: ho paura, Ginny.
Si, io, George Weasley, ho una paura folle di stare male. E so che così starò male lo stesso, ma non credo che dirle la verità sarebbe la cosa giusta.
Se come hai detto, sta male anche lei, le passerà. Si dimenticherà di me e andrà avanti. E’ per questo che l’ho fatto. L’ho allontanata perché ci tengo a lei e non voglio che soffra per me.
Credo sia tutto. Non farne parola con nessuno.
Ti voglio bene.
George.”
 
 
 
Chiuse con cura la lettera e per assicurarsi che non avrebbe avuto ripensamenti, la legò subito alla zampa del gufo e lo lasciò volare via. Sarebbe passato qualche giorno prima di avere una risposta da Ginny.
Aprì la credenza e trovò soltanto una bottiglia di idromele.
“Andrà bene.” disse tra sé e sé.
“Qualunque cosa è meglio di questo schifo di realtà.
 
 

Ogni tanto non ci pensi vuoi soltanto andare avanti e schivare tutti gli incidenti.
La verità è una scelta, la verità è un'impresa.
 
 
 

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Capitolo 6
*** Un colpo all'anima ***


SBAM.
Il rumore della porta chiusa.
Il pugno al muro dall’altra parte.
Il “Pop” della sua smaterializzazione.
I suoi singhiozzi.
 
 
La porta.
Il pugno.
George.
Il vuoto.
 
 
Perché l’aveva fatto?
 
Hermione si era materializzata a casa sua. Scossa dai singhiozzi, non aveva nemmeno notato di essersi “spaccata”. Un rivolo di sangue rosso le scendeva giù sulla guancia.
Non sapeva cosa pensare. Le parole di George le continuavano a vorticare in testa.
“Non è tempo per noi Hermione” le aveva detto, prima di chiuderle la porta in faccia. E poi, prima di smaterializzarsi, l’aveva sentito bene il pugno che George aveva dato al muro. Cosa voleva dire?
Da quando avevano preso a passare del tempo insieme, Hermione aveva scoperto con sua sorpresa di essersi affezionata molto a George. Dopo la notte passata insieme poi, aveva capito che non poteva stare senza di lui. Ma era stato quella notte a Villa Conchiglia, quando lui era scappato via, che lei aveva capito di amarlo.
Si era sentiva vuota, persa, sola.
George aveva riempito quel vuoto che la guerra aveva lasciato in lei, quel vuoto alimentato dalla lontananza di Harry , Ron e dei suoi genitori. Hermione aveva bisogno di George e aveva creduto che anche per lui fosse lo stesso, ma le sue parole, a cui si era rifiutata di  credere in un primo momento, facevano capolino nella sua mente: “La cosa tra noi due non può funzionare. Siamo troppo diversi, io ho troppi casini e non voglio che tu debba sempre pensare di tirarmici fuori. Tu meriti di meglio, Hermione e io adesso non posso offrirti niente.”
Una gocciolina di sangue le cadde sulla mano. Si avvicinò allo specchio e vide il taglio irregolare che le circondava l’orecchio sinistro.
L’orecchio.
George.
Sospirò e fece cadere sulla ferita quattro gocce di essenza di dittamo. In un attimo la pelle aveva già iniziato a riformarsi. Peccato che il dittamo non funzionasse anche con i cuori spezzati.
Aveva visto gente morire durante la guerra. Aveva visto famiglie distrutte, aveva rischiato la vita più volte di quanto potesse ricordare, ma si era illusa di aver superato tutto, di non poter vivere niente di peggio di quello che aveva già passato. E allora perché adesso si sentiva così, come se il mondo le fosse crollato addosso? Perché si sentiva impotente, capace soltanto di piangere? Forse perché la vita le aveva fatto passare di tutto, ma non era mai stata innamorata prima d’ora.
Scese in cucina, decisa a cercare di alleviare le sue sofferenze.
George probabilmente avrebbe scelto l’alcool, lei aveva qualcosa di meglio. Aprì lo sportello sotto al lavandino e lesse: Pozione SonnoSenzaSogni. Girò il tappo e la vuotò in un sorso. Per un po’ sarebbe riuscita a spegnere la sua mente.
 
 
 
 
Aveva dormito un giorno e mezzo da quello che diceva il giornale che aveva trovato sotto la porta.
Dovevano essere le 7 passate, era ancora in tempo per andare a lavoro.
Svogliatamente si trascinò in cucina, dove una pila di lettere, un gufetto di sua conoscenza e un barbagianni del Ministero la attendevano impazienti.
Si avvicinò al barbagianni per staccare la lettera che teneva ancora legata alla sua zampa. Era mancata due giorni dal lavoro senza avvisare, sicuramente non erano buone notizie.
“Gent.ma Signorina Granger,
a seguito della sua assenza ingiustificata dal posto di lavoro per n° 2 giorni consecutivi, la preghiamo di recarsi il prima possibile presso l’ufficio del Ministro della Magia, Kingsley Shacklebolt”


Ecco, come aveva immaginato.
Leotordo, il gufetto di Ron, saltellava nel portafrutta, picchiettando ogni tanto una mela.
“Ehi tu, calmati! Adesso leggo anche la tua lettera!” disse Hermione.
Era di Ron.
“Cara Hermione,
come va? Ti ho vista un po’ scossa l’altra sera a Villa Conchiglia. Spero di non averti fatta arrabbiare dicendoti quelle cose. Sono cresciuto, sai. Ho capito che provi qualcosa per mio fratello e che non posso importi di amarmi. Poi ho conosciuto una ragazza qui al corso. Si chiama Annie, è molto simpatica, vorrei che la conoscessi. Volevo dirti solo che ti voglio bene, come prima e come sempre e che non voglio perderti.
PS: Se mio fratello ti tratta male, fammi un fischio. Sono quasi un auror adesso, gliela farò vedere io.
Con affetto, Ron.”


Ron.
Negli anni scorsi era riuscito a farla piangere soltanto di nervosismo, per una battuta sbagliata o per la sua gelosia ingiustificata. Si, era cresciuto  davvero. Adesso l’aveva fatta piangere dall’emozione.
George.
Aver dormito per tutto quel tempo le era servito a fermare il dolore, ma adesso, dopo aver letto di lui nella lettera di Ron, era tornato, più forte di prima.
Continuò a leggere la posta. C’era una lettera dei suoi genitori, una di Harry, una di Kingsley che le diceva di andare a lavoro normalmente e una di Ginny, che le comunicava, senza possibilità di replica, che sabato sarebbero uscite insieme.
 
 
 
 
Il pensiero di George non l’aveva abbandonata mai durante la settimana. Aveva cercato di metterlo a  tacere fiondandosi a capofitto nel lavoro, ma l’unico momento in cui riusciva a disfarsene era la notte, quando prendeva la sua dose di pozione.
Il mattino era sempre il momento peggiore. Il volto di George, il volto sconvolto di quella notte che si era smaterializzato nel suo vialetto o l’espressione dura di quella mattina che l’aveva cacciata dal suo appartamento, la aspettavano per darle il buongiorno, non appena l’effetto della pozione svaniva.
E poi c’era il suo orecchio. L’essenza di dittamo aveva fatto ricrescere la pelle dove si era lacerata, ma era rimasta una piccola cicatrice e a Hermione sembrava fosse lì per fare di tutto per ricordarle George.
E poi arrivò il sabato.
Non doveva andare a lavoro e decise di prendere una dosa più consistente di pozione, che le garantisse un po’ di pace in più.
Il rumore fuori dalla porta la fece risvegliare dallo stato catatonico in cui era caduta. Qualcuno stava bussando così forte da rischiare di buttare giù la porta. Si stropicciò gli occhi e capì subito chi era che stava per buttare giù la porta.
Ginny. Se l’era completamente dimenticato.
“Chi è?” disse con voce tremante.
“Sono io, Ginny! Ti decidi ad aprirmi si o no?”
“Eccomi! Che impazienza!”
“Ma dico? Ti pare corretto lasciarmi fuori dalla porta?” disse Ginny scherzando e si avvicinò per salutare l’amica. Notò subito gli occhi rossi di Hermione, ma non disse nulla.
“Scusami, mi sono svegliata tardi stamattina. Corro a sistemarmi e partiamo.”
“Ok… Ma sbrigati!”
Hermione salì nella sua camera e si sedette sul letto a fissare il vuoto.
Ginny, la sua unica amica. Forse a lei l’avrebbe potuto dire, lei l’avrebbe capita.
Però Ginny era anche la sorella di George. E se glielo avesse detto? No, meglio non dire nulla. Se la stava cavando, no? No, decisamente no, però non voleva dare a George la soddisfazione di sapere che le aveva spezzato il cuore, così, dopo essersi cambiata, indossò il suo sorriso finto migliore e raggiunse l’amica.
“Dove andiamo?” chiese, fingendosi entusiasta, non convincendo né Ginny né se stessa.
“Che ne dici di Diagon Alley? Devo fare un salto da Madama Mc Clan e poi devo lasciare questo pacchetto al negozio…”
Hermione le avrebbe voluto urlare di no. Diagon Alley, proprio dove si trovava il negozio di George. Pessima, pessima idea. Ma come avrebbe giustificato il suo rifiuto? Dopotutto, George non era quasi mai in negozio, perché avrebbe dovuto esserci proprio oggi?
“Ok, andiamo allora.”
Le due amiche uscirono dalla casa di Hermione, raggiunsero un cespuglio alto in giardino e si smaterializzarono.
Entrarono al Paiolo Magico, salutarono Tom, il barista, e uscirono dal retro dove il familiare muro di mattoni le attendeva.
Diagon Alley era tornata allo splendore che l’aveva sempre contraddistinta. Tutti i negozi che erano stati chiusi o distrutti durante la guerra, adesso erano pieni di gente impegnate nelle compere e si respirava la familiare aria dei tempi di Hogwarts, quando andavano a comprare l’occorrente per la scuola.
“E’ bello vederla così, vero?” disse Ginny.
“Si, è proprio bello.”
“Forza Herm, andiamo a fare shopping!”
Passarono la mattinata nel negozio di Madama Mc Clane, con una Ginny desiderosa di trovare il vestito perfetto per lei e per Hermione per il battesimo di Victoire.
“Sono la zia! Devo essere perfetta. E anche tu sei la zia, si può dire!”
Hermione arrossì violentemente. Che lei sapesse già?
“Per.. Perché?” balbettò
“Come perché? Sei mia sorella, no?”
Hermione fece un sospirò di sollievo e, sorridendo, entrò nel camerino per provare l’ennesimo vestito che Ginny aveva scelto per lei.
 
 
 
Tutte queste luci , tutte queste voci , tutti questi amici, tu dove sei!?
 
 
 
Dopo aver finalmente lasciato il negozio di abbigliamento, erano uscite per andare a mangiare qualcosa. Per strada avevano incontrato Hanna Abbot, una Tassorosso che adesso stava con Neville e si erano fermate a chiacchierare. Poi, alla tavola calda, avevano incontrato Katie Bell insieme ad Angelina. Entrambe aveva intrapreso la carriera nel Quiddich, come Ginny del resto ed erano finite a pranzare allo stesso tavolo. Tutto andava bene, fino a quando Angelina chiese: “E George? E’ un po’ che non lo vedo al negozio.”
Ad Hermione andò di traverso il boccone e riuscì ad uscire in cortile con la scusa di prendere un po’ d’aria.
“E’ un po’ che non lo vedo al negozio” aveva detto Angelina.
Che fine aveva fatto? Dal cortile della tavola calda, poteva vedere l’ingresso del negozio di scherzi. Era aperto. Sicuramente c’era Lee…
A distrarla dai suoi pensieri, fu Ginny che era uscita a vedere come stava.
“Tutto ok, Herm?”
“Si, si tutto ok. Sto bene.”
“Ok, allora che ne dici di salutare le ragazze, così passo al negozio e andiamo a casa? Ho detto a mamma che saremmo tornare nel pomeriggio.”
Salutarono le ragazze e si avviarono verso il negozio. Per strada, Hermione continuava a guardarsi attorno, come se George potesse spuntare all’improvviso da qualunque angolo della strada.
Come aveva immaginato, ad accoglierle fu Lee Jordan.
“Ehi Ginny! Grazie per essere passata! Non so come avrei fatto, quello scemo di tuo fratello mi ha lasciato nei guai, stavo finendo le scorte di caramelle Mollelingua!”
Quindi era vero, George non c’era. Ma dov’era?
“Figurati Lee, se hai bisogno, mandaci un gufo.”
Salutarono e uscirono.
Ginny notò che Hermione era decisamente strana da quando l’aveva salutata a casa sua.
Aveva aspettato che fosse lei a dirle qualcosa, ma l’amica si era limitata a parlarle del lavoro e delle lettere di Ron ed Harry, così decise di agire.
“Herm, cos’hai? Sei strana oggi…”
“Nulla, te l’ho già detto.”
Poi, mordendosi le labbra, Hermione prese coraggio e fece la domanda che la assillava: “Come mai Lee ha detto che George l’ha lasciato nei guai?”
La domanda di Hermione incuriosì Ginny. Certo, i due erano amici, ma il modo in cui gliel’aveva posta aveva un non so che di sospetto.
“E’ partito, non te l’ha detto?”
Hermione non rispose.
“E’ andato da Charlie per un po’. E’ partito il giorno dopo della festa a Villa Conchiglia.” finì Ginny.
La faccia di Hermione era una maschera. Si sforzava di trattenere le lacrime e di non lasciar trasparire nessuna emozione, ma era tutto inutile.  Dai suoi occhi traspariva chiaramente la voglia di piangere che aveva e il tremolio delle sue mani certo non la aiutava.
Ogni particella del suo corpo avrebbe voluto chiedere tutto a Ginny, se lei sapesse il perché fosse andato via, se gli aveva detto qualcosa.
Era andato via. Era scappato via da lei.
Un leggero singhiozzo le sfuggì. Provò a mascherarlo con un colpo di tosse ma quello non sfuggì a Ginny, che ormai iniziava a capire.
“Herm, cosa c’è? disse.
“Scusami, mi sono ricordata di dover scrivere una relazione per Kingsley, devo scappare. Mi dispiace Ginny.” disse Hermione e si smaterializzò.
La rossa rimase li, davanti al negozio, con le mani piene di pacchetti e un obiettivo: scoprire cosa aveva combinato suo fratello. Perché era sicura, qualcosa aveva fatto. Anche se Hermione era scappata via, lei l’aveva vista, stava piangendo.




Tutto questo tempo
pieno di frammenti
e di qualche incontro
e tu non ci sei…

 


Si era materializzata a casa, o almeno così credeva.
No, quella non era casa sua, era l’appartamento di George. Se era uno scherzo del destino, pensò, beh, che senso dell’umorismo di merda aveva.
A terra c’era di tutto: maglioni, riviste, bicchieri rotti, quadri. Sembrava fosse passato un uragano, forse erano stati i ladri. Dopotutto George mancava da quanto, una settimana? Avrebbero avuto tutto il tempo per svaligiare l’appartamento. Cosa doveva fare? Avvertire Ginny o Molly? E poi, perché? Non aveva nessun obbligo nei confronti di George.
Lui era scappato via, era in Bulgaria. Aveva messo tra loro un paio di stati di distanza, giusto per stare sicuro che lei non lo cercasse.
Stava cercando di districarsi in quella giungla di rifiuti quando vide una lettera abbandonata sul tavolo. “Sono partito con mio fratello, scusa se  non te l’ho detto prima. Il negozio è nelle tue mani, le chiavi sai dove sono.
Ps: Non fare caso al casino in casa, non sono stati i ladri.”


Un problema in meno, pensò Hermione. La scoperta della lettera inviata a Lee l’aveva fatta infuriare ancora di più. Era lei l’unica a non sapere che George era partito. Un rumore alle sue spalle la fece trasalire.
Era Lee.
“Scusa se ti ho fatta spaventare. Ho sentito un rumore e sono venuto a controllare. Tutto ok?”
Hermione non si aspettava di essere vista lì, non sapeva cosa dire. Non era mai stata brava a inventare scuse.
“Si, tutto ok. Cercavo, cercavo un libro. Si, l’avevo prestato a George qualche mese fa e mi serviva. Ma non lo trovo, così… Vado. Ciao Lee.”
Girò su se stessa e tornò a casa.
Un libro. Un libri prestato a George. Era la scusa meno plausibile che avesse mai inventato. Ma non le importava.
Era distrutta. Il dolore che si era sforzata di tenere lontano, adesso la pervadeva completamente e nessuna pozione l’avrebbe fatta stare meglio.
Non era il dolore del rifiuto, no. E nemmeno l’orgoglio ferito.
Stava male perché aveva bisogno di lui, stava male perché la persona che l’aveva ferita era anche l’unica che l’avrebbe potuta fare stare bene.




Tutto questo posto , forse troppo visto deve avere un guasto: tu non ci sei.


 
 
 
Hermione ormai viveva quasi al Ministero. Passava ogni momento libero lì, a lavorare.
Tornava a casa solo per cambiarsi, leggere la posta e fare una doccia.
Si sentiva male in casa sua. Il divano, quel divano su cui aveva passato tanti momenti con lui. Il letto, quel letto dove avevano passato la notte insieme. La cucina, dove spesso avevano mangiato insieme.
Ogni stanza, ogni oggetto le ricordava lui, era lì, pronto a sottolineare che lui non era lì.  
Erano passate due settimane da quel pomeriggio passato con Ginny. L’amica l’aveva cercata più volte, per sapere come stava. Lei aveva risposto sempre allo stesso modo. “Sto bene, stai tranquilla. Ci vediamo presto.”
Ma quel “presto” non era ancora arrivato.
Era una mattina di Giugno. Il cielo era azzurro e si sentiva l’aria estiva che stava arrivando. Era sabato, gli uffici erano chiusi, ma come sempre lei stava andando a lavorare.
Stava per smaterializzarsi, quando una mano la strinse forte al braccio e si ritrovò nel mezzo di una materializzazione congiunta insieme a Ginny.


Dopo le settimane passate a leggere le lettere di Hermione, in cui lei sosteneva di stare bene e ogni lettera sul foglio sembrava che volesse gridare il contrario, Ginny aveva deciso di agire.
Erano arrivate a Villa Conchiglia.
“Ginny, ma che cavolo! Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Mi ringrazierai dopo. Ora vieni con me.”
“Ma hai sentito quello che ho detto?”
Hermione era nervosa. Non avrebbe retto ad un interrogatorio di Ginny. E poi perché erano a Villa Conchiglia?
Entrarono nella Villa. Ad accoglierle arrivò  Fleur, con in braccio la piccola Victorie. Era diventata ancora più bella dalla prima volta che l’aveva vista. I capelli biondissimi le incorniciavano il viso e somigliava sempre di più alla madre. Alla vista della bambina, Hermione dimenticò la sua arrabbiatura e si avvicinò.
“Ciao Fleur. Ciao piccola. Ma sei diventata bellissima!”
“Ciao Hermione! Prondila, dai!” disse Fleur, che sparì poco dopo in cucina.
“Allora, perché mi hai portata qui?” disse Hermione a Ginny, mentre giocava con la bambina.
“Perché hai bisogno di una pausa.”
“Una pausa? E da cosa?”
“Da te stessa.” disse seria la rossa.
Hermione strabuzzò gli occhi.
“Ma cosa dici??”
“Hermione, ti conosco. Hai continuato a scrivermi che stavi bene per due settimane. La stessa lettera per due settimane. Ho parlato con Kingsley, dice che lavori anche 18 ore al giorno, che praticamente vivi al Ministero. Io non pretendo di sapere cosa ti succede, ma sono tua amica e non ti permetterò di distruggerti. Se non vuoi parlare con me, stai un po’ con Victorie. Io vado ad aiutare Fleur.”


Hermione non riuscì a dire niente. I suoi occhi si riempirono di lacrime, che prontamente ricacciò indietro quando si accorse che anche Victorie era prossima al pianto.
“Eh no piccola, nessuna di noi due piangerà oggi!” le disse e iniziò a farle il solletico.
Era incredibile come un bambino potesse cambiare l’umore.
Hermione, dopo settimane, si sentiva serena e spensierata. Victorie era una bambina dolcissima. L’aveva addormentata leggendole una fiaba babbana e l’aveva posata nella sua culla.
Aveva fatto un respiro  profondo e aveva raggiunto le due ragazze.
“Victoire dorme.” disse a Fleur.
“Oh, grassie per averla messa a letto!” disse Fleur e uscì dalla stanza.
Hermione si sedette sul divano.
“Grazie Ginny.” disse poi.
“Tu l’avresti fatto per me. Siamo sorelle, ti ricordi?” le disse la rossa sorridendo.
Le lacrime che Hermione aveva trattenuto, tornarono su con una tale velocità da lasciare spiazzata persino lei. Ginny le si avvicinò e, senza dire nulla, la abbracciò.
“Io.. scusa, volevo dirtelo. Ma poi George… Oh, scusa Ginny, sono patetica.” continuava a ripetere Hermione tra i singhiozzi.
L’amica la teneva stretta e le accarezzava i capelli.
“Shh, stai tranquilla. Io sono qui. So tutto. Andrà tutto bene.”
 
 

Quante volte sei mancato, quante volte mancherei. Un colpo al cerchio ed un colpo all'anima.
 

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Capitolo 7
*** Ti sento ***


Il tempo sembra scorrere diversamente quando stai male. I minuti passano lenti, scanditi dal ritmo dei tuoi pensieri e dal fluire del tuo dolore.
Alcune giornate sono peggio di altre. Ti svegli e fino a quando non ti addormenti di nuovo, riesci a pensare soltanto a quello. Il tuo dolore è lì, non ti abbandona. Diventa quasi una compagnia, dopo un po’. Senza ti sentiresti strano, incompleto, non saresti più tu o almeno quello che sei diventato.
George si sentiva così ogni giorno dal giorno in cui Fred era morto.
Nel periodo passato con Hermione, aveva sentito più leggero il peso della sua tristezza. Qualche volta aveva persino creduto di poter essere di nuovo felice come prima. Erano attimi.
Lei rideva e lui rideva di riflesso. Lei prendeva il pane e gli sfiorava la mano. Erano attimi.
Poi tutto tornava come prima. Il dolore tornava a schiacciarlo  e lui ricadeva impotente sotto quel peso.
Poi era arrivata quella sera, quella sera in cui i ricordi erano troppi e il dolore troppo grande per poterlo sopportare. Era andato da lei, l’unica da cui si sentiva capito e l’aveva vista piangere.
Avevano fatto l’amore e per una notte, una sola notte, aveva creduto che quella sensazione di benessere sarebbe potuta durare per sempre.
L’aveva creduto. Si era illuso. Forse aveva illuso anche lei.
E poi era scappato, incapace di reagire, spaventato e distrutto.


Niente nella sua vita era andato come aveva immaginato da piccolo.
Con Fred passavano ore a fantasticare sul futuro e a fare progetti. Erano riusciti a realizzare il loro sogno di aprire il negozio di scherzi e era andato piuttosto bene. Poi c’era stata la guerra, ma loro avevano continuato a fantasticare sull’apertura di un nuovo punto vendita ad Hogsmeade, su nuovi prodotti, su un futuro insomma. Un futuro che a Fred era stato negato e che con lui era stato poco gentile, un futuro che lui continuava a vedere nero e vuoto.
La lontananza da casa gli faceva bene e si sentiva un po’ egoista per questo. Stare insieme a Charlie, in mezzo al nulla con la sola compagnia dei draghi lo faceva stare meglio.
Charlie era molto simile a Fred: simpatico, la battuta sempre pronta e una buona dose di strafottenza che George non poteva che apprezzare.
Era facile stare con lui, ma non era Fred. Nessuno sarebbe stato più Fred e questa era una cosa che doveva iniziare ad accettare.
Ginny si era presa una settimana per rispondere alla sua lettera di confessioni.
Non l’aveva rimproverato, né giudicato. Aveva capito e gli aveva detto che gli voleva bene.
Lei, la più piccola della casa, era la più saggia di tutti i fratelli. Forse era quella che di amore ne sapeva di più, avendolo aspettato a lungo e avendo rischiato più volte di perderlo.
Ma per George, era amore quello? Non lo sapeva.
Di certo sapeva che quando aveva letto della reazione di Hermione, si era sentito morire.
Ginny gli aveva raccontato tutto e solo dopo averlo saputo, si era reso conto del peso delle sue azioni.
Aveva creduto di poter avere una chance  con Hermione e l’aveva fatto credere anche lei. Poi era sparito e così le aveva lasciato una cicatrice sul cuore, che non faceva altro che ricordarle il suo dolore.
Era quello l’amore? George non era mai stato innamorato, non poteva saperlo. Forse Ginny aveva la risposta, ma non gli andava di chiederlo.
Charlie entrò in cucina, la maglia bruciata e i capelli fumanti.
“Quel grugnocorto è proprio un monellaccio!” disse ridendo al fratello.
“Charlie, continuo a pensare che tu sia seriamente figlio di Hagrid” rispose George, accennando un sorriso.
“E’ arrivata posta stamattina, è di mamma. La leggi tu mentre vado a cambiarmi?”
“Ok…”
George aprì la lettera e lesse:


“Amori di mamma, come state? La prossima settimana ci sarà il battesimo di Victorie e vorrei tanto che voi veniste. Fatemi sapere al più presto. Accetto solo un si come risposta.
Un bacio, mamma.
PS: Mangiate abbastanza? George, come stai? Charlie, ti sei trovato una ragazza?”


George sorrise. Aveva poche certezze nella vita e una di quelle era che sua madre non sarebbe mai cambiata.
“Allora, cosa dice la mamma?” disse Charlie rientrando in cucina.
“Vuole sapere se ti sei fidanzato.”
“Ma non mi dire! Strano, non me lo chiede praticamente mai!” rispose ridendo Charlie. “Niente accenni alle terribili conseguenze di una vita in mezzo ai draghi?”
“No, stavolta deve averlo dimenticato . Comunque ci ha scritto che la settimana prossima c’è il battesimo di Victorie e ha detto che aspetta la conferma della nostra presenza.”
“Sei pronto a tornare?” disse Charlie serio.
George sospirò e annuì.
“Allora mando un gufo ad Holly e le chiedo se può badare ai draghi per qualche giorno.” disse uscendo dalla stanza.
“Sono pronto a tornare?” si chiese George. Non aveva una risposta.
 
 
 
 
Charlie e George erano riusciti ad organizzare una passaporta solo per il giorno prima del battesimo.
Molly era molto agitata dal loro ritardo, ma grata che riuscissero comunque a venire entrambi.
Quando apparirono nel cortile della Tana, gli corse incontro, abbracciandoli come solo lei sapeva fare, prima a turno e poi tutti e due insieme.
“Sei così sciupato Georgie! E tu, Charlie, non hai portato nessuna con te?”
“Ti ho portato George, mamma!” le rispose ridendo e scansando uno scappellotto di pochi centimetri.
“Metterai mai la testa posto?”
“Mai, mamma! Sei tu l’unica donna della mia vita!” le rispose da lontano, mandandole un bacio volante.
Molly rise e scosse la testa. Poi  si voltò verso George.
“Come stai, amore di mamma?”
“Sto bene. E’ bello vivere con Charlie. Neanche i draghi sono male.” disse George. Era sincero, dopotutto.
“Sono molto felice che tu sia qui.”
Entrarono nella cucina della Tana, dove trovarono Percy intento a leggere il Profeta e Ginny a piegare dei vestiti.
“Sei tornato!” disse la ragazza quando lo vide e corse ad abbracciarlo.
“Sarei tornato anche io, se te ne sei accorta sorellina.” disse Charlie, sorridendo.
“Speravo tanto che tornassi George, mi sei mancato.”
“Anche tu, Ginny. Anche tu.” le rispose George lisciandole i capelli con una mano.
Avrebbero parlato, prima o poi, ma non adesso.
“Vado al negozio a vedere come se la cava Lee, ci vediamo stasera, ok?”
“Va bene, lo dico io a mamma.” rispose la sorella, che lo salutò con un bacio sulla guancia.
 
 
 
 
Diagon Alley era gremita di gente, come sempre. Da lontano poteva vedere la gente che faceva la fila nel negozio di scherzi. Si guardò attorno per un attimo e iniziò a camminare in direzione del negozio.
Quando Lee lo vide, non riuscì a trattenersi.
“Oh, chi si vede! Ti sei degnato a tornare, finalmente!”
“Sono felice di vederti anche io, Lee.” gli rispose lui, accennando un sorriso.
“Sei tornato per restare o hai intenzione di lasciarmi nella merda un’altra volta?”
“Non lo so ancora. Salgo un attimo nell’appartamento a prendere una cosa e poi torno ad aiutarti.”
“Lo spero per te.” fu la risposta di Lee.
Tornare nel suo appartamento lo fece sentire strano. Tutto era rimasto esattamente come l’aveva lasciato il giorno in cui era partito, come se in quella casa fosse passato un tornado particolarmente violento.
In quell’appartamento, aveva visto per l’ultima volta Hermione. Lì, dietro quella porta, l’aveva sentita singhiozzare e poi sparire e insieme a lei era sparito un pezzo del suo cuore.
Ripensava a quello che le aveva detto, anzi sussurrato: non è tempo per noi.
Chissà se lei aveva sentito.
Lo pensava ancora, non era tempo per loro due e forse quel tempo non sarebbe mai arrivato.
Lui era soltanto il fantasma del ragazzo che un tempo era stato, lei meritava qualcuno tutto intero.
Fece una doccia e scese al negozio, come aveva promesso. Il pomeriggio passò velocemente e così arrivò l’orario di chiusura. Stava per chiudere, ma Lee lo bloccò sulla porta.
“Ci sono milioni di documenti da firmare, di ordini da convalidare e, soprattutto, di spiegazioni da dare. Come cazzo ti è saltato in mente di lasciarmi qui da solo?” Lee era scoppiato.
“Mi fido di te, non sei contento?”
Lee scosse la testa.
“Non ti permetterò di farlo di nuovo. E’ stato un mese tremendo. Se non fosse stato per Ginny, avrei chiuso tutto e buonanotte. Non farlo mai più, mi hai sentito?”
George non rispose, Lee alzò il tono di voce.
“MAI. PIU’. INTESI?”
“Ok, Lee. Ho capito. Grazie di tutto e scusami. Hai la settimana libera.”
“E’ il minimo” rispose Lee, più rilassato.
“Chiudo io, rimango a sistemare i casini in cui ti ho lasciato.”
“Questo è lo spirito giusto, amico!” gli urlò Lee mentre usciva.
Passò due ore chiuso in magazzino a firmare una pila di documenti che gli sembrò infinita. Quando aveva finito, erano già le otto.
Non appena fu fuori dal negozio, si ricordò all’improvviso di una cosa.
“Cavolo! Il regalo per Victoire!”
Aprì di nuovo la porta e andò a prendere un pelouche gigante a forma di puffola pigmea.
“Questo dovrebbe piacerle, ma forse non basta.”
Uscì e iniziò a risalire la stradina, con la mega puffola pigmea sulle spalle. Le poche persone che erano rimaste nella strada non si  davano nemmeno la briga di nascondere le loro espressioni sconvolte.
“E’ per mia nipote!” urlò George ad un vecchio mago che mormorava qualcosa come: “Questi giovani, non sanno più cosa inventarsi.”
Tutti i negozi erano ormai chiusi, tranne Madama Mc Clan. Si avvicinò un attimo alla vetrina, per guardare un abito da cerimonia da uomo. Aveva appena deciso di non averne bisogno, quando una voce familiare lo fece trasalire. Si scostò per nascondersi in un angolo e la vide.
Hermione stava uscendo dal negozio con in mano due enormi buste.
“E anche questa è fatta! Sarà meglio che corra da Ginny o potrebbe uccidermi!” stava dicendo a se stessa.
Girò sul posto e sparì.
Era bella.
Era sempre stata bella, ma vederla all’improvviso, dopo più di un mese, per George era stata quasi un’apparizione.
Cosa si era lasciato sfuggire? Perché l’aveva fatto?
Rimpicciolì il mega pelouche che teneva sulle spalle e si smaterializzò.
Aveva promesso alla madre di tornare per cena, ma dopo aver visto Hermione, aveva il vago sospetto che sarebbe rimasta anche lei alla Tana.
Scrisse un breve messaggio a Ginny e inviò suo gufo ad Ottery St. Catchpole. Ginny avrebbe capito.
 
 
 
Io ti sento passarmi nella schiena. La vita non è in rima per quello che ne so.


 
 
Vedere Hermione l’aveva sconvolto. Aveva sentito un brivido percorrergli la schiena e invaderlo per tutto il corpo.
Era quello l’amore? Ancora una volta, George non ne aveva idea. Forse era davvero il caso di chiederlo a Ginny.
Continuava a fare su e giù nel suo appartamento.
Perché era tornato?  Per sua madre, per Victorie. Solo per loro?
Forse, segretamente, nutriva la speranza di vederla alla cerimonia, di poterla guardare da lontano. Si, da lontano, perché era certo che dopo il loro addio non avrebbe avuto il coraggio di avvicinarla, né che lei gli avrebbe più parlato.
Quello che c’era tra loro, qualunque cosa fosse, George l’aveva fatto morire prima che nascesse cacciandola da casa sua.
Con un calcio, spedì un cumolo di cocci dall’altra parte della stanza.
“Demolire tutto non farà cambiare le cose” pensò e si guardò intorno, come si aspettasse di vederla spuntare sulla porta.
Ma stanza non c’era nessuno, solo lui e il disastro che aveva creato.
Si tolse la camicia e iniziò a sistemare la cucina.
Dopo qualche ora di lavoro, le scuse per non pensare erano finite. Era riuscito a tenere la mente occupata rimettendo in ordine l’appartamento, ma adesso avrebbe dovuto mettere ordine dentro se stesso.
 
 
 
Io ti sento, lo stomaco si chiude, il resto se la ride appena ridi tu.
 
 
 
“Era proprio bella. Forse un po’ più magra, ma bella.”
Ripensare a lei, gli fece provare una stretta allo stomaco. Il sorriso che aveva accennato parlando di Ginny, le aveva illuminato il viso.
Più pensava a lei, più George sentiva di volerla vedere, di volersi scusare con lei.
“Andrò da lei, si. Le dirò che ho sbagliato, che sono solo uno stupido. Chissà se mi perdonerà mai…”
Il momento dell’ottimismo fu subito rimpiazzato da quello del pessimismo cosmico.
“No,  non mi perdonerà mai. E poi, io non la merito. Lei merita qualcuno che la ami e che le stia accanto, non uno come me.”
Un incontro di qualche secondo, era riuscito a fare crollare quell’aura di finto benessere che George aveva faticosamente costruito attorno a sé nel periodo passato in Romania. Quell’incontro aveva rimesso in discussione ogni cosa.
 
 
 
Qui con la vita non si può mai dire, arrivi quando sembri andata via.
Ti sento e parlo di profumo, t'infili in un pensiero e non lo molli mai.
Io ti sento, al punto che disturbi.
 
Proprio quando aveva creduto di poter andare avanti, lasciandosi Hermione alle spalle, si era reso conto di quanto questo fosse impossibile.
Aveva continuato a pensare a lei tutta la notte. “Chissà come sta” “Chissà cosa pensa”.
Nella sua mente, le immagini degli attimi passati con lei scorrevano senza sosta, lasciandosi dietro tristezza e un senso di vuoto.
Gli sembravano lontani, ormai irraggiungibili quei giorni passati a studiare gli effetti delle Caramelle della Verità, i pranzi a casa di lei, il loro primo bacio e quella notte passata insieme.
George scosse la testa, come se quel gesto potesse bastare per liberare la sua mente da tutti quei ricordi.
Erano oramai le tre di notte e non riusciva a prendere sonno.
“Ci vorrebbe proprio la pozione di Hermione” disse sorridendo amaramente.
“Mi toccherà fare a modo mio”
Attraversò il corridoio e raggiunse la cucina. La bottiglia di Fire Whisky sarebbe stata la sua pozione per dimenticare.
 



Io ti sento e sotto la mia buccia che cosa mi farai?
 
Dopo aver preso la bottiglia, George era uscito fuori nel piccolo balcone. Da lì poteva ammirare Diagon Alley in tutta la sua lunghezza. Quella strada, così piena di vita, la notte era silenziosa e piena di luci. Gli unici rumori provenivano dai Tre Manici di Scopa, qualcuno stava festeggiando una festa inesistente, cercando soltanto un nuovo alibi per ubriacarsi.
George alzò gli occhi al cielo. Era una notte limpida, il cielo era pieno di stelle. Bevve un sorso abbondante di liquore e si appoggiò alla finestra, continuando a guardare le stelle.
Forse la colpa era proprio nelle stelle, quelle stesse stelle che la notte di più di un mese fa si era trovato a guardare, cercando Fred. Era stato sotto quelle stelle che aveva deciso di non meritare Hermione e di lasciarla libera. Ma le stelle stavano zitte, si facevano guardare. Brillavano lontane e irraggiungibili, colpevoli soltanto della loro bellezza.
“Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua
Gli aveva detto una sera Hermione, mentre George stava andando via. George si era voltato a guardarla.
“Cosa hai detto?”
“E’ una frase di un libro babbano che mi regalarono i miei quando ero piccola. E’ molto bello. Dovresti leggerlo, prima o poi.”
“Forse lo farò.” aveva risposto George.
Lei aveva preso la sua copia del libro e gliel’aveva dato.
George non l’aveva mai aperto.
Ripensando a quel giorno, George tornò nel salotto. Il libro era ancora lì, nella libreria, dove l’aveva poggiato mesi prima.
“Ma tu guarda cosa sto facendo!” disse a nessuno, prendendo il libro.
“Ma tu guarda come mi hai ridotto, Hermione.”
 

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Capitolo 8
*** Il giorno di dolore che uno ha ***


Il giorno del battesimo era arrivato.
Il giardino di Villa Conchiglia era stata riccamente addobbato con cespugli farfallini, palloncini e fenici di ghiaccio. Un enorme tendone era stato montato proprio vicino alla spiaggia, le sedie dorate sistemate in bell’ordine attorno ai tavolini rotondi apparecchiati a festa.
Tutto era pronto per la festa, mancava solo…
 
 
 
George alzò la testa dal cuscino, ma se ne pentì subito. Per qualche strano motivo, l’appartamento aveva iniziato a vorticare incessantemente e lui si era trovato al centro del vortice, incapace di fermarlo.
Cercò di aprire gli occhi, ma il vortice accelerò bruscamente, costringendolo a chiuderli di nuovo.
“Poco male, dormirò un altro po’.”
Stava per riuscire a fermare quel casino che imperversava nella sua testa, quando un rumore lo fece trasalire.
“GEORGE!! TI AVVERTO, SE NON APRI SUBITO QUESTA PORTA, LA BUTTO GIU’ DAVVERO!”
La voce stridula e imperiosa di Ginny gli fece sgranare gli occhi.
Era il giorno del battesimo, se n’era dimenticato.
“ARRIVO! SONO QUASI PRONTO!” Le urlò, senza aprirle la porta, fiondandosi direttamente sotto la doccia.
“SPERO PER TE SIA COSI’!” urlò di nuovo la rossa e si smaterializzò.
 
 
 
 
Erano le 07:00 ed Hermione era già in piedi. In realtà, aveva passato l’intera notte insonne; aveva continuato a pensare se George si sarebbe presentato alla cerimonia oppure no.
Ginny le aveva detto che era tornato solo la sera precedente insieme a Charlie, ma aveva aggiunto: “Con lui non si può mai dire.”
Eh già, con George era tutto un’incognita.
Hermione sospirò e guardò il vestito che Ginny aveva scelto per lei attaccato all’armadio. Un po’ troppo appariscente per i suoi gusti. Lo prese e andò a fare una doccia. Avrebbe avuto tutto il tempo per prepararsi, prima che Ginny passasse a prenderla, suo malgrado.
“Lo faccio solo per i Weasley” continuava a ripetersi mentalmente, cercando di spazzare via la voglia che aveva di rimanere a casa.
 
 
 
La signora Weasley fece un sospirò di sollievo quando vide una chioma rossa avvicinarsi al tendone.
“Ginny, l’hai trovato?”
“Si mamma, stai  tranquilla. Ha detto che arriva. Possiamo entrare.”
“Sia ringraziato Merlino!” disse la donna e, avvicinandosi a Fleur e all’officiante, li invitò a entrare nel tendone.
Era una bella giornata di giugno ma una fresca brezza soffiava dal mare, facendo alzare di tanto in tanto la sabbia.
Mentre Ginny fissava l’orizzonte, sentì il POP della smaterializzazione.
“Sei arrivato finalmente!!” disse la ragazza a denti stretti.
“Adesso entra, faremo i conti più tardi!” e, così dicendo, lo prese per un braccio e lo trascinò nel tendone.
“Quando ti ci metti, sei peggio della mamma” cercò di sdrammatizzare George, ma fu una pessima mossa, considerata l’occhiata di fuoco che Ginny gli riservò.
Il tendone era gremito di gente. Tantissime teste rosse riempivano la sala, anche se una considerevole parte era riempita dai biondissimi parenti francesi di Fleur.
George scrutava con attenzione ogni angolo della sala. Stava cercando qualcuno.
Stava cercando lei.
La sua ricerca però fu interrotta dall’arrivo di Charlie.
“Dove sei stato, fratellino? La mamma stava quasi per svenire!”
“Ho fatto tardi al negozio, non sarei mai mancato, lo sai.” rispose George, continuando a guardare a destra e a sinistra.
“Meglio per te che sei arrivato, anche Fleur stava dando di matto!” aggiunse Bill, passandogli accanto con Victoire in braccio.
Tutti presero posto e la cerimonia cominciò.
Come madrina di Victoire, era stata scelta Ginny ed era al settimo cielo con la bimba tra le braccia.
L’applauso finale fu pieno di gioia ma anche di tristezza.
Tutti i Wesley erano felici, certo, ma dentro  di loro sapevano che perché la loro felicità fosse completa, mancava lui, Fred.
George, dopo aver dato il suo regalo alla piccola ed averla coccolata un po’, era riuscito a scappare dal centro della festa per rimanere un po’ in disparte.
Stava pensando a Fred.
Chissà che regalo gli avrebbe scelto. Sicuramente qualcosa di più originale di una mega puffola pelouche.
Si avvicinò al bancone del buffet e finalmente la vide.
Era bellissima.
Hermione aveva i capelli sciolti, lisci e fluenti che le ricadevano sulle spalle. Erano cresciuti parecchio dall’ultima volta che l’aveva vista. Aveva un vestito blu notte, corto al ginocchio che la avvolgeva alla perfezione.
Sembrava in imbarazzo.
Dov’era stata per tutto quel tempo? Come aveva fatto a non notarla? Chissà se lei l’aveva visto e aveva cercato di evitarlo di proposito.
La ragazza stava parlando con Ginny e teneva tra le mani un biglietto.
Poi vide le ragazze abbracciarsi. Chissà cosa si erano dette.
Poi Ginny si voltò verso di lui e, subito dopo, lo fece anche Hermione.
Fu un attimo che durò un’eternità.
I loro occhi si incatenarono, incapaci di sfuggirsi, le loro bocche si aprirono per la sorpresa. Il biglietto che Hermione teneva in mano cadde a terra e quella fu la scusa che mise fine a quella tortura.
Era stato come ricevere uno schiantesimo in pieno petto.
Quello sguardo, impaurito, incredulo, l’aveva messo a nudo, l’aveva fatto sentire trasparente.
George non sapeva che fare. Ginny continuava a guardarlo, aspettando una qualche reazione, Hermione si era allontanata da lei e aveva preso a parlare con Percy.
Dopo qualche secondo, George si ritrovò fuori dal tendone, trascinato dalla sorella.
“Che cosa pensi di fare? Le parlerai o scapperai di nuovo?” Il tono di Ginny era serio, ma non di rimprovero.
“Io… Io.. Non lo so. Io, credo che… Scusami Ginny, devo fare una cosa. Torno stasera, te lo prometto.” George si avvicinò per darle un bacio sulla guancia e si smaterializzò.
 
 
 
Il cimitero era quasi deserto. C’erano soltanto due streghe anziane e il vecchio guardiano.
Quando lo incrociò, George lo salutò chiamandolo per nome. Le sue visite al cimitero erano così frequenti che ormai lo conosceva bene.
Adesso, però, era passato più di un mese dalla sua ultima visita e aveva deciso che non poteva più aspettare: aveva bisogno di parlare con lui.
Percorse la fila di lapidi che lo separavano dal fratello e, quando arrivò a destinazione, si sedette sul ceppo di legno che lasciava lì ogni volta.
“Ciao Freddie…” disse piano.
Un vento fresco si stava alzando, muoveva le fronde degli alberi e i ciuffi d’erba, sembrava volesse scompigliargli i capelli.
“Ti starai chiedendo perché sono qui mentre tutti festeggiano Victorie… Beh, lo sai già perché. Tu lo sai sempre.”
Una lacrima scese silenziosa sulla guancia di George; lui sembrò non accorgersene neanche.
 
 
 
Quando tiri in mezzo Dio, o il destino o chissà che, che nessuno te lo spiega perché sia successo a te.
 
 
 
Le anziane streghe gli passarono accanto, si fermarono un attimo a leggere l’epigrafe sulla tomba e, in un rispettoso silenzio, una di quelle poggiò la sua mano nodosa sulla spalla di George. Il ragazzo stava singhiozzando, la testa tra le mani.
“Fatti forza, caro ragazzo.” sussurrò l’altra strega e sempre in silenzio, andarono via.
 
 
“Perché tu Fred? Perché??!”
George continuava a chiedersi e a chiedere: nessuno avrebbe potuto dare una risposta.
George ci aveva provato, aveva incolpato il destino, i Mangiamorte, Voldemort, un’entità superiore e soprattutto se stesso, ma una risposta non l’aveva trovata. E anche se l’avesse avuta, probabilmente non sarebbe servita a niente.
Il vuoto che la perdita di suo fratello gli aveva lasciato non si sarebbe certo colmato, una risposta non l’avrebbe riportato indietro.
Si passò una mano sugli occhi e riprese.
“Fred, sto uno schifo. Ho appena visto Hermione e… Merlino se fa male. Senza te è la vita è impossibile. Io, io… Io non so più che fare, sbaglio tutto.
Ho provato ad andare via, a mandarla via, ma niente. Appena l’ho vista ieri sono andato in paranoia e prima, ci siamo guardati per un attimo e, non lo so cos’è successo. Fred, ho bisogno di te, cazzo!”
Stava quasi urlando, il cimitero adesso era deserto, ad eccezione del vecchio custode che lo scrutava con compassione.
 
 
 
Quando tira un po' di vento che ci si rialza un po'  e la vita è un po' più forte del tuo dirle "grazie no"
Quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà, sopra il giorno di dolore che uno ha.



 
Le lacrime sembravano svuotarlo e riempirlo allo stesso tempo di dolore e sofferenza.
Era un ciclo ininterrotto, un flusso costante di distruzione.
Quanto avrebbe voluto che il fratello potesse davvero sentirlo, dargli un segno almeno.
Da quando lui non c’era più, la vita non era più degna di essere vissuta, lui provava solo a sopravvivere, per i suoi cari, non di certo per se stesso. Fosse stato per lui, si sarebbe volentieri lasciato andare, in balia di quel vortice di malessere e di annullamento, solo per non sentire più niente.
Non sentire niente era la perfezione a cui per molto tempo aveva aspirato.
Gli unici momenti in un cui aveva sentito di poter invertire la rotta e risalire dal baratro in cui stava scendendo erano stati quelli passati con Hermione. Insieme a lei, aveva sentito di potercela fare, aveva sentito, dopo tanto tempo, qualcosa di diverso dal solito senso di vuoto e disperazione.
E allora perché l’aveva allontanata?
Probabilmente lei era l’unica occasione che aveva per stare meglio e lui l’aveva cacciata via, perché aveva avuto paura.
La ruota aveva iniziato a girare nel verso giusto quando quella sera si era smaterializzato nel suo vialetto e forse lui non aveva colto appieno la portata che quell’evento aveva avuto nella sua vita, anzi si era ostinato a bloccarla quella ruota, a fermarla del tutto.
La vita gli aveva dato un’altra occasione, un nuovo motivo per andare avanti e lui, invece di ringraziarla, l’aveva rifiutata in malo modo.
“Fred, cosa devo fare con Hermione? Ti prego, aiutami tu.” ripeteva come una nenia, sperando che, in qualsiasi posto si trovasse adesso il fratello, riuscisse a sentirlo.
 
 
 
Quando indietro non si torna, quando l'hai capito che, che la vita non è giusta come la vorresti te.
Quando farsi una ragione vorrà dire vivere, te l'han detto tutti quanti che per loro è facile.
 
 
 
Ma Fred non poteva sentirlo, per quanto George era sicuro che lui avrebbe voluto. Suo fratello non sarebbe mai voluto andare via, se questo fosse dipeso da una sua decisione. Purtroppo però non  aveva potuto scegliere, qualcun altro l’aveva fatto per lui, privandolo della possibilità di un futuro, privando George della sua metà.
Erano passati ormai due anni, due anni in cui era successo di tutto, molte cose erano cambiate, ma quello che continuava a rimanere costante era la consapevolezza di questa mancanza.
La gente continuava a dirglielo: “Passerà, devi andare avanti.”
E’ sempre facile dirlo, quando non si è direttamente  coinvolti. E’ sempre facile per gli altri, ma mai per te.
A volte ti sembra che la vita si sia incaponita con te, che ci provi gusto a farti stare male, ma a pensarci bene, che cos’è la vita se non il riflesso di ciò che siamo?
Forse è la nostra ostinazione a non voler andare avanti e a chiuderci a riccio nel nostro dolore che ci fa vedere la vita come una vecchia megera che se la prende con i più deboli. Forse è così, forse no.
George non lo sapeva, forse nessuno l’avrebbe saputo mai.
“Allora Fred, cosa faccio? Vado a parlarle o no?”
George alzò lo sguardo in alto per scrutare il cielo. Una leggera brezza lo avvolse, gelandogli le ossa.
“Credo che dovrei dirle la verità, ma non so se mai lo farò. Grazie Fred. Ti voglio bene.”
George girò su se stesso e tornò alla festa.
Molly gli corse subito incontro.
“Dove sei stato Georgie? Ti ho cercato dappertutto!” era molto preoccupata.
George decise che era inutile mentire.
“Sono stato da Fred, mamma. Dovevo chiedergli una cosa…”
Gli occhi di Molly si riempirono di lacrime, si avvicinò e abbracciò forte George.
“Grazie per essere tornato, amore mio.” gli sussurrò nell’orecchio buono e George si abbandonò a quel contatto, sentendosi forse un po’ meno solo.
 
 
 
POV HERMIONE
 


Hermione aveva visto arrivare George in giardino ed era corsa subito a nascondersi. Vederlo l’aveva destabilizzata e aveva deciso che avrebbe evitato qualsiasi contatto per tutta la cerimonia, con la  complicità di Ginny che aveva promesso di aiutarla.
La cerimonia era stata molto bella, Bill e Fleur erano radiosi e anche Ginny, madrina della bimba, era al settimo cielo. Hermione aveva preso posto davanti ad una colonna del tendone, certa che sarebbe stata ben nascosta. Ginny continuava a ragguagliarla sulla posizione di George, così che lei potesse spostarsi senza essere notata.
Appena iniziata la festa, un piccolo barbagianni era planato all’interno del tendone e si era posato sulla sedia vicino a lei. Aveva legata alla zampetta una lettera, era di Harry.
 
“Cara Hermione,
come stai? Spero tutto ok e che il battesimo sia andato bene. Scrivo a te, perché so che Ginny sarà molto impegnata. Volevo dirvi che tornerò a fine mese per un esame, però Ron non potrà venire. Mi mancate molto e vorrei tanto essere lì con voi.
Un bacio, Harry.”
 
 
Hermione chiuse la lettera e, con un gesto della mano, richiamò l’attenzione dell’amica.
“Cos’è successo? Mio fratello in vista?” disse la ragazza.
“No, leggi qui !”
Hermione, che aveva passato l’intera mattinata tesa come la corda di un violino, finalmente adesso era più rilassata e sorrideva.
Ginny lesse velocemente la lettera e si gettò al collo dell’amica.
“E’ bellissimo! Non posso crederci!”
Hermione era davvero contenta, sia per l’amica che per se stessa. Aveva proprio bisogno di parlare con Harry.
Poi notò Ginny voltarsi verso il centro della sala e irrigidirsi. Di riflesso, si voltò anche lei e lo vide.
Lo sguardo che aveva evitato per tutta la giornata adesso era fisso su di lei, un misto tra lo stupore e lo sgomento.
Era rimasta bloccata, forse aveva addirittura spalancato la bocca per la sorpresa di vederselo di fronte. Poi, grazie a Merlino, la lettera di Harry le cadde dalle mani e si dovette chinare a raccoglierla, riuscendo a sfuggirgli.
Ginny era andata via, probabilmente da George e lei aveva preso a parlare con Percy, giusto per fare qualcosa.
L’imbarazzo che aveva provato nel nascondersi durante la giornata era niente in confronto a quello che aveva sentito pochi attimi prima.
George l’aveva vista.
Non sapeva come sentirsi. Agitata? Spaventata? Arrabbiata? Nel dubbio, decise di non scegliere e si lasciò travolgere dal vortice delle sue emozioni.
Non sapeva cosa sarebbe successo, ma era decisa a non nascondersi più.
 
 

Quando il cuore senza un pezzo il suo ritmo prenderà, quando l'aria che fa il giro i tuoi polmoni beccherà.

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