Between the Hungry di writinglove (/viewuser.php?uid=648617)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quotidianità ***
Capitolo 2: *** Tra sangue e caos ***
Capitolo 3: *** Quasi morti ***
Capitolo 4: *** Sottosopra ***
Capitolo 5: *** Gelo ***
Capitolo 6: *** In viaggio verso il sole ***
Capitolo 7: *** Il tunnel dell'orrore ***
Capitolo 8: *** Numero nove ***
Capitolo 9: *** La fine e l'inizio ***
Capitolo 10: *** Vermont ***
Capitolo 11: *** Incubi voraci ***
Capitolo 12: *** Britt ***
Capitolo 13: *** La spedizione ***
Capitolo 14: *** Regole e realtà ***
Capitolo 15: *** L'inchino della fine ***
Capitolo 16: *** Sprazzi di vita ***
Capitolo 17: *** Alessandra Monroe ***
Capitolo 18: *** L'Eroe silenzioso ***
Capitolo 19: *** Il Buio ***
Capitolo 20: *** Sopravvissuti ***
Capitolo 1 *** Quotidianità ***
Quotidianità
«Non
so come
ripetertelo Santana,ma in questo posto siete in troppi. Mia nipote si
è appena
diplomata e presto verrà a lavorare qui. Ho
te,Mandy,Josh,Simon,e presto verrà
lei. Mi dispiace davvero,ma non ho mai avuto intenzione di assumere
tutto
questo personale e tu sei l’ultima arrivata. Capisci quello
che sto cercando di
dirti?»
Guardai
Carl
dritto negli occhi,con l’odio che aveva trasformato il mio
viso in una maschera
terrificante. Che maledetto vecchiaccio
figlio di puttana! pensai furiosa. Non poteva liberarsi di
me,non in quel
modo,non poteva farlo! I clienti mi adoravano,soprattutto i ragazzi che
venivano in quel posto per lanciarmi occhiate degne del più
rozzo e disgustoso
maniaco. Diciamo che ero una sorta di “attrazione”
per i clienti di sesso
maschile,ma diciamo pure che il mio interesse per le loro battutine o
per i loro
sguardi affamati (e non del cibo scritto sul menù) era pari
a zero. Facevo il
mio lavoro,era quel che avevo sempre fatto,più o meno.
Certo, la Lima’s House
non era altro che una bettola malconcia piena di alcolizzati privi di
patente e
minorenni sregolati che approfittavano dei bagni per fumare un
po’ di erba,ma
il posto mi era sempre stato più che bene,così
come anche la misera paga. Se
solo i miei genitori avessero avuto qualche soldo in più da
parte,o se solo
fossi stata così in gamba da ottenere una borsa di
studio,avrei potuto
frequentare una bella università nel Kentucky o
giù di lì.
«Ho
lavorato
qui per sette schifosissimi mesi!Ho servito a quei dementi la tua merda
di cibo
e tu mi cacci via così?!»
Carl
socchiuse leggermente gli occhi,furioso, e il suo viso pieni di rughe
si colorò
di rosso. Era arrabbiato,ma sapevo che non avrebbe cambiato idea in
alcun
modo,per cui…
«Sei
una maledetta
impertinente,ragazzina!Come osi rivolgerti a me con quel tono?La tua
famiglia
stava morendo di fame quando sei venuta qui disperata in cerca di un
lavoro,ed
io ti ho dato di che mangiare. Dovresti portarmi rispetto!»
esclamò il vecchio
ancora rosso in viso.
«Fottiti!»
sputai tra i denti.
Girai
i
tacchi e uscii dall’ufficio nera di rabbia. Mandy mi
lanciò un’occhiata
incuriosita e capii che presto sarebbe corsa a chiedere spiegazioni,ma
non
avevo alcuna voglia di parlare. Mi tolsi alla svelta
quell’orrido grembiule
sporco di olio e lo lanciai con disprezzo dietro il bancone.
«Ehi,ragazzina!Sparisci
da questo posto e non farti più vedere,mi hai
sentito?» urlò il
vecchio,affacciandosi dal suo sudicio ufficio «sei solo una
sporca mocciosa che
prima o poi riceverà una bella lezione dalla vita!»
Tutti
gli
sguardi erano su di me,sia quelli dei clienti che quelli del personale.
Mandy
abbandonò rapidamente il suo vassoio sul bancone e fece per
raggiungermi,ma
qualcosa glielo impedì.
«Tu,si
dico
a te!Non azzardarti ad andare da lei,hai capito?!»
sbraitò Carl,guardandola
furioso.
Lanciai
un’ultima occhiata alla ragazza dai capelli rossi,e lei mi
rispose con un’altra
sinceramente dispiaciuta,ma non si mosse di un millimetro. Stralunai
gli
occhi,borbottai un “al diavolo”, e uscì
alla velocità della luce da quel posto
la cui puzza di fritto mi aveva stordita per la bellezza di interi mesi.
*
Quel
maledetto bastardo aveva mandato tutto a puttane!Come sarei tornata dai
miei a
quell’ora,sapendo che sarei dovuta essere in
tutt’altro luogo?Cos’avrei detto a
loro,che soltanto da poco avevano ritrovato un minimo di
stabilità economica?Un
anno prima mio padre era stato licenziato da una fabbrica di carta,e da
lì la
situazione era diventata abbastanza pericolosa. Avevamo rischiato di
perdere la
casa,poi però quel vecchiaccio di Carl aveva deciso di
assumermi,ed io,che
avevo rinunciato già da un pezzo ad i miei sogni
universitari,avevo cercato di
aiutare come meglio potevo. Anche mio fratello,più piccolo
di qualche anno,aveva
trovato un lavoretto part time,ma per l’appunto era part
time, e quindi ben
poco retribuito. Sì,beh,la mia vita potrà
sembrarvi uno schifo,ma non la odiavo
pur non avendola mai amata particolarmente. In quel disastro
c’era pur sempre
qualcosa di bello.
«Così
quello
stronzo ti ha licenziata,eh?» mi chiese Josh con un assurdo
sorrisetto sulle
labbra.
«Sì!Proprio
per questo non dovresti sorridere in quel modo…»
Il
ragazzo
dai capelli neri come l’ebano e gli occhi blu mi sorrise di
nuovo e mi venne
voglia di prenderlo a schiaffi. Diamine,però,se era bello.
L’avevo conosciuto durante
l’ultimo anno a scuola. Lui era il belloccio col fisico
palestrato e le
innumerevoli vittorie di basket che aveva regalato al liceo,ed io ero
la
cheerleader popolare che girava per i corridoi con indosso uno
striminzito
gonnellino e l’aria da “non fissarmi troppo a lungo
altrimenti sono botte”. Una
storia banale potreste dire : la bella cheerleader che sta con il
campione
della scuola,ma la verità era che non importava lo sport,la
popolarità,o le uniformi
indossate dall’ “elite” ; non era mai
importato. Io lo amavo e lui amava
me,indipendentemente da tutto e da tutti,dal resto del mondo.
«Scusa,è
solo che sono contento di non dovermi più preoccupare di
tutti quei
cinquantenni che ti divoravano con gli occhi» disse quasi
entusiasta.
Eppure
non
m’infastidiva il fatto che fosse (in parte) felice del mio
licenziamento,anzi.
Era bello che qualcuno pensasse in quel modo a me,che qualcuno fosse
geloso,che
qualcuno tenesse fino all’inverosimile alla mia persona.
«Già,»
cominciai sorridendo «avresti dovuto vedere la faccia di quei
disgraziati
quando Carl ha urlato di andarmene»
Josh
rise.
«Ci
credo!»
Mi diede
un piccolo e delicato bacio sulle labbra,lì,sotto il
sole cocente che ci faceva compagnia e teneva caldi i nostri
corpi,dandoci un
inevitabile sollievo. L’erba era di un verde chiaro,quasi
misto al giallo,ma
era morbida ed accogliente. Feci un tiro di Camel ed aspirai senza
indugi,con
naturalezza e piacere. Josh mi guardava serio,con i suoi occhi intensi
e
luminosi per via dei raggi caldi,e sembrava volesse dire qualcosa come
“ti amo”
o “sei la mia vita” ; sì,aveva il
classico sguardo del babbeo stracotto di
qualcuno,ma io l’amavo,l’amavo anche per quello.
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Capitolo 2 *** Tra sangue e caos ***
Between
the Hungry
Tra sangue e caos
Aprii gli
occhi a fatica,con il sole ancora tiepido di metà mattina
che filtrava dalle
tende socchiuse. Avvertii il lenzuolo avvolto sulla pelle nuda e mi
girai verso
lui,che dormiva con quell’aria di pace e serenità
sul volto. C’era un clima
così calmo e piacevole,era come se il mondo intero ci avesse
escluso per un
momento da quella folle corsa,come se il tempo ci avesse concesso una
pausa.
Accarezzai i capelli neri ed arruffati di Josh e lui aprì
appena appena gli
occhi. Mi guardò,sorrise,e riaffondò la testa nel
cuscino.
«Che
ore
sono?» biascicò contro la federa.
Gettai
un’occhiata alla sveglia sul comodino.
«Le 9
: 30. Sarebbe ora di alzarsi».
Josh si
lasciò scappare un lamento.
Facemmo
colazione con del caffè,qualche toast e delle uova
strapazzate,poi lui si fece
una doccia,si preparò e scappò
nell’officina dello zio. Io mi buttai a peso
morto sul letto,ancora stanca,priva di forze,priva di cose da fare. Non
avevo
più un lavoro e ,di conseguenza, più nulla che mi
tenesse occupata. Mandy mi
aveva fatto un paio di chiamate il pomeriggio precedente,ma non avevo
risposto
e dopo un po’ si era stancata di tentare. L’avrei
fatto anch’io : avrei smesso
anch’io di chiamare perché in fondo avrei saputo
di non aver proprio nulla di
cui scusarmi. Se avessi avuto l’occasione di tenermi stretto
quello
schifosissimo impiego,non l’avrei di sicuro sprecata e a
Mandy serviva,così
come era servito anche a me. Ci avevo pensato a lungo quella
notte,prima di
riuscire a prendere sonno : di cosa nella mia vita sarei andata
fiera?Cos’era
mio?Quali erano le certezze di cui non avrei mai dubitato?Era un
argomento
piuttosto impegnativo,e forse proprio per quel motivo avevo impiegato
così
tanto ad addormentarmi. Ma era lecito chiederselo,no?Ero stata appena
licenziata e mi ritrovavo senza nulla…senza obbiettivi,senza
sogni,senza niente
da fare se non oziare su un divano mangiando patatine e guardando la
tv. Non
era quella la vita che volevo ; cavolo,io ero Santana Lopez!La regina
del
McKinley,ex capitano delle cheerios,ex studentessa non proprio
modello,ma temuta
ed invidiata da tutti. Era quella la fine che una tipa tosta come me
meritava?Uno squallido impiego poi perso piuttosto in fretta,una vita
monotona
e un senso di insoddisfazione che metteva il magone?No,non ci stavo!
Forse il
licenziamento era stato un segno,un indizio che mi avrebbe condotta a
qualcosa
o a qualcuno che avrebbe fatto parte del mio destino. Così
avevo preso una
decisione : presto avrei lasciato Lima,magari anche l’Ohio.
Sarei andata in
posti come New York o Los Angeles e avrei tentato la fortuna,anche se
chissà
con quali soldi. Insomma,ero una brava cantante,una ballerina
accettabile,e una
bella ragazza. Avrei potuto provare a recitare,mi sembrava una gran
bella idea.
Avrei portato Josh con me,ci saremmo ambientati e avremmo vissuto come
una
vera e propria coppia di innamorati. Non potevo continuare a restare
lì,in
quella merda di situazione,impassibile,aspettando che un nuovo e
disgustoso
lavoro mi cadesse dal cielo,e continuare la mia vita in quel modo.
Avevo diciannove
anni,porca miseria! Diciannove anni ed una vita noiosa come quella di
un
vecchio di settanta. Mi ci sentivo un po’ come una vecchia,un
po’ ….un po’
morta,spenta,inattiva. Non era quello che volevo e sapevo che non era
quello
che volevano i miei genitori per me. Ce l’avrei fatta,certo
che ce l’avrei
fatta!Sarei andata a New York e avrei intrapreso una professione che
potesse
esser chiamata tale ; avrei ricominciato a vivere e avrei continuato ad
avere al
mio fianco una delle persone più importanti della mia vita :
Josh.
*
«Sto
tornando. Che c’è?» chiesi scocciata a
mia madre,continuando a tenere gli occhi
fissi sulla strada.
«Tuo
fratello,ecco che c’è!» urlò
lei esasperata.
«Cos’è
successo?»
Ero
allarmata. La voce di mia madre mi allarmava,così come la
sua chiamata. Lei non era una tipa particolarmente tecnologica,se si
escludeva l’uso del suo
amato televisore. Se poteva evitare di adoperare un aggeggio come il
cellulare,l’avrebbe fatto.
«Mi
hanno
chiamata dalla scuola,si è lussato una spalla giocando a
basket!»
«Merda»
borbottai.
«Puoi
andare
a prenderlo e portarlo in ospedale?Io vi raggiungo
lì» .
«Certo,nessun
problema».
Riagganciai
e frenai di colpo effettuando poi una delle mie inversioni ad U un
po’ folli. Lucas non riusciva a tenersi
fuori dai guai,non c’era mai riuscito. A sette anni si era
spaccato un incisivo
giocando a calcio,a nove si era rotto un dito litigando con un altro
ragazzino
più grande di lui,ad undici si era procurato un taglio sulla
mano da tre punti
cercando di rompere un pezzo di vetro con un pugno,poi a quindici si
era
slogato una caviglia,e infine quello. Un ragazzino molto fortunato,mi
dissi tra me e me. Il vero problema era che non riusciva a stare
fermo,non riusciva a
riposare come ero stata costretta a fare io in quei giorni,non riusciva
a stare
chiuso in casa. Dire che fosse iperattivo sarebbe stato minimizzare.
Nel giro di
cinque minuti raggiunsi il Lima Hospital,ma c’era qualcosa di
strano : era
pieno di macchine. Non avevo mai visto quel parcheggio così
colmo prima
di allora ; era come se la metà degli abitanti di
Lima si fosse recata lì per una
qualche urgenza. Allucinante,era a dir poco allucinante. Continuavo a
girare in
cerca di un parcheggio con mio fratello che dolorante si lamentava al
mio
fianco,ma di posto non ce n’era neppure volendolo. Girai a
vuoto a lungo,avevo
fretta,cominciavo ad entrare nel panico.
«Dio,come
fa
male!» esclamò singhiozzando Lucas.
«Sta’
tranquillo,» lo rassicurai «presto ti sistemeranno
la spalla».
«Sbrigati,maledizione…è
dolorosissimo!»
Gli occhi
impazzivano alla ricerca di uno spiazzo vuoto,ma sembrava impossibile
trovarlo.
Dopo qualche altro minuto,e un ultimo sofferente lamento di mio
fratello,decisi
di lasciare la macchina dove capitasse. Quanto ci sarebbe voluto per
sistemare
una lussazione?Non potevo continuare a girare a vuoto. Lasciai
l’auto dietro ad
una BMW dall’aspetto lussuoso e curato,e scesi alla svelta.
«Muoviamoci!»
Camminavamo
quasi correndo,inseguiti da una sorta di agitazione inspiegabile,di
ansia,di
paura. Tutte quelle macchine,i lamenti di mio
fratello…c’era un’atmosfera
tetra,strana. D’un tratto i miei pensieri corsero a mia madre
; chissà se era
riuscita a trovare un parcheggio,chissà se era
già là. Avevo impiegato più
tempo per cercare una piazza vuota,che per andare a riprendere mio
fratello da
scuola e portarlo in ospedale. Forse era dentro che ci aspettava
ansiosa,chiedendosi dove fossimo finiti.
Aprii la
porta dell’edificio con mio fratello al seguito che piangeva
tenendosi una mano
sulla spalla sinistra.
«Resisti,adesso
chiamo un dottore» dissi,cercando di tranquillizzarlo.
Era
fatta,ormai mancava poco e la situazione si sarebbe risolta.
Accompagnai Lucas
in sala d’attesa e mi accorsi che era piena di gente. Forse
c’erano quaranta
persone,forse anche cinquanta ; non c’era spazio per sedere e
probabilmente
neppure per respirare. Che diavolo stava succedendo?! Si sentiva solo
il suono
del tossire,di pianti disperati,urla,lamenti,cose che facevano
accapponare la
pelle. La visione era molto peggio : alcune persone erano sedute sul
pavimento,con il busto poggiato al muro,la pelle diafana e velata da
gocce di
sudore,le occhiaie marcate e la bocca aperta,come se stessero cercando
disperatamente di respirare.
«Mi ha
morso!» urlava una signora pallida,agitandosi verso un altro
gruppetto di
persone «Il mio vicino mi ha morso!»
Sbarrai gli
occhi. Non capivo il senso delle sue parole,non capivo il senso di quel
“mi ha
morso”.
«Santana,dove
sono i dottori?Perché c’è tutta questa
gente qui?» mi chiese mio fratello,con
un filo di voce rauca e disperata,che aveva perso improvvisamente il
colorito.
Avrei voluto
rispondergli qualcosa di sensato,ma non sapevo cosa dire,non sapevo
darmi
spiegazioni. Avevo solo un gran brutto presentimento,uno di quelli che
ti
esplodono dentro e che spingono le gambe a muoversi veloci,velocissime
per
aiutarti a sopravvivere.
«Non
lo so».
Tutto quel
groviglio di gente mi inquietava,mi metteva una gran paura e non potevo
fare a
meno di gettare una qualche occhiata disperata ai bambini che
stringevano le
mani dei propri genitori moribondi a terra,o agli anziani che
stringevano un
pezzo di stoffa insanguinata attorno ad un braccio o ad una gamba.
C’era però
una cosa che tutti avevano in comune : delle ferite. Presi in
mano il
cellulare e composi il numero di mia madre.
«E’
tutto
ok?Sto arrivando. Come sta Lucas?»
«No!»
esclamai immediatamente «Torna a casa,mi hai
capita?!»
«Santana,che
succede?» domandò con la voce preoccupata come non
l’avevo mai ascoltata.
«Non
venire
qui!E’ pieno di gente,pieno come non puoi nemmeno immaginare.
Ci penso io,ok?Torna
a casa e aspettaci lì».
«Non
se ne
parla!» rispose lei alterata.
Respirai a
fondo,ma la mia mano stringeva il telefono così forte che
avrebbe potuto
romperlo. Volsi lo sguardo a Lucas che con gli occhi pieni di lacrime
mi guardava
sofferente,preoccupato,pieno di paura.
«Non
ti
azzardare a venire!» urlai con rabbia,sopraffacendo in parte
i lamenti rumorosi
che assediavano la sala «Non devi venire!Hai sentito?Non devi
venire» ripetei
furiosa, scandendo bene le parole.
Seguirono
alcuni secondi di silenzio,e allora mi preoccupai ancora di
più.
«Va
bene»
rispose la donna arresa «vi aspetto a casa».
Era rimasta
senza parole. Avevo alzato la voce in modo esagerato,ma la rabbia mi
era esplosa
in gola,incontrollabile e devastante. Forse non era rabbia,forse
era…forse era
disperazione,paura. Lucas piangeva appoggiato al muro del corridoio
adiacente
alla sala d’attesa,ed i suoi occhi mi chiedevano aiuto ;
stava soffrendo.
«Si
puoi
sapere dove cazzo sono i dottori?!Si può sapere che diavolo
succede?!» strillai
con quanta più forza avessi.
Le persone
meno malandate e sofferenti si voltarono verso di me,e la cosa strana
fu che mi
compatirono con lo sguardo. Loro compativano me,quando sarebbe dovuto
essere il
contrario. Una donna con le lacrime agli occhi,ma priva di ferite,mi si
avvicinò con l’aria afflitta ed una mano sul petto.
«Io e
mio marito siamo qui da due ore» mi disse,aspettandosi che
facessi la domanda
giusta.
«Che
cosa è
successo?» la mia voce tremava,era debole,così
come le mie gambe.
«Eddy
è stato aggredito a lavoro.» rispose piangendo e
portandosi le mani sui capelli
biondi ed arruffati «lo ha morso un uomo!Gli ha staccato
parte del polpaccio e
nessuno ci assiste!Sta morendo…mio marito sta morendo e
nessuno ci assiste!»
urlò tra i singhiozzi e la disperazione.
Dio,mi
sentivo male. Mi sentii girare la testa e mancare le forze. Ero
impietrita.
«L-l-lo
ha
m-morso?»
Mi fece
cenno di sì con la testa.
«Tutti
qui
sono stati morsi,ed ora hanno la febbre. Mio marito dice che non sono
dei veri
uomini,ma che sono una specie di mostri e che hanno cercato di
divorarlo. Lui
ha provato a difendersi,ma sarebbe morto se non fosse intervenuto un
suo
collega. Dice che gli ha sparato un paio di colpi di pistola sulla
schiena,ma
quella cosa non moriva,così ha iniziato a prenderlo a pugni
sul cranio e l’ha
allontanata da Eddy».
Scossi la
testa scioccata «n-non è po-possibile».
«Perché
dovrei mentire?» mi chiese lei piangendo,con la voce acuta ed
interrotta dai
singhiozzi «Presto morirà!Presto
morirà!» urlò gettandosi con le
ginocchia a
terra, impazzendo dal dolore.
Spostai gli
occhi dalla donna ; quello era l’unico movimento che ero in
grado di fare.
Sentivo i pianti,le urla,tutto creava un gran frastuono,un caos nocivo
che
faceva tremare le gambe,che trasformava le ossa in gelatina. Il cuore
mi
scoppiava nel petto,le tempie mi pulsavano,mi faceva male lo stomaco.
Ma fu un
attimo prima che il vero disastro avvenisse,un piccolissimo e terribile
attimo.
«E’
morto!O
mio Dio!Qualcuno mi aiuti!Qualcuno mi aiuti!»
gridò una voce femminile alla mia
sinistra,accanto il muro.
Mi voltai di
scatto verso Lucas,che continuava a piangere forse più per
la paura che per il
dolore,e gli ordinai severamente di non muoversi di lì. Poi
trovai la forza,non
so come,di avvicinarmi a quella voce la cui fonte era coperta da un
gruppo di
persone. I piedi neppure volevano muoversi,così come le
gambe. Sudavo,sudavo
freddo e pensavo al mio cuore dai battiti impazziti. Con cautela mi
feci avanti
e trovai uno spazietto in cui infilarmi per dare un’occhiata.
C’era una donna
dai capelli rossi che piangeva sul corpo di un signore che
era privo di vita. Il petto dell’uomo non si muoveva,la pelle
era morta,spenta
e gli occhi erano chiusi.
«Aiutatemi!»
gridò ancora la ragazza,scuotendo il cadavere inerme
«Qualcuno faccia qualcosa!»
Soltanto
dopo che la rossa si voltò in cerca di uno sguardo
rassicurante,disposto ad
assecondare la sua follia,mi accorsi di chi si trattasse : era Mandy.
In quel
momento il mio cuore si strinse e le lacrime cominciarono ad
uscire,come se
avessero avuto bisogno,dopo tanto,di tornare ad avere vita propria.
Provai a
gridare il nome della ragazza una volta,poi una seconda,ma la voce
risuonava
sorda e priva di consistenza. Quando decisi di avvicinarmi per
parlarle,vidi
qualcosa che mi raggelò il sangue nelle vene,qualcosa di
mostruoso,di disumano.
L’uomo aprì gli occhi vitrei,sembrò
scrutare il sorriso umido della figlia,poi
le afferrò un braccio e si portò la carne alla
bocca. Affondò i denti e ne staccò
una grossa porzione con la stessa facilità con quale si
taglia il burro. Le
urla si levarono,il sangue cominciò ad uscire a fiotti,e in
breve l’uomo fu
sopra la ragazza e continuò a divorare il
braccio,indisturbato. Cercai di
respirare più e più volte,ma l’ossigeno
pareva essersi rarefatto e il mio
cervello era andato in tilt. Ero ferma,immobile,ed osservavo il mostro
divorare
quella che forse era stata la mia unica amica da dopo il diploma. Non
la
fissavo perché volessi fissarla,ma perché non ero
in grado di spostare lo
sguardo,di muovermi,e quindi ero in trappola. Non sentivo nemmeno i
rumori ; forse c’erano urla,la gente correva,scappava,pur
sapendo in fondo che
non esisteva fuga. Io fissavo quel che restava di Mandy,ma intanto la
situazione
degenerava.
«Dobbiamo
andarcene!Andiamocene Santana!» gridava mio fratello
disperato,scuotendomi per
un braccio.
Ma io non
riuscivo a muovermi,non potevo muovermi.
«Dall’ingresso
stanno arrivando altre di quelle cose!Ti prego!Andiamocene!»
La sua paura fu
l’unica cosa che riuscì a sbloccarmi. Lo
guardai per qualche secondo,mentre tornavo a prendere coscienza del
resto del
mondo,battei le palpebre un paio di volte e feci a stento qualche
passo,trascinata per il braccio. Mentre percorrevamo il corridoio mi
voltai
indietro una sola volta,e quella bastò. C’erano
delle sagome in fondo che
camminavano trascinandosi,e i loro lamenti annientavano la poca
lucidità che mi
era rimasta. Erano forse in cinque,o di più,non avevo
neppure la capacità di
contarli ; erano lenti,con parti di carne mancanti,gli occhi vitrei e
la pelle
dello stesso colore del marcio,ma cosa più importante :
erano affamati,erano
davvero affamati.
Salve a
tutti!
Vi chiedo
scusa se non mi sono presentata nello scorso capitolo,ma ho pensato che
forse sarebbe stato meglio farlo in questo (è stupido,lo
so). Sono "writinglove" e ho finalmente deciso dopo tempo di dar vita
ad un qualcosa che potesse essere frutto di una folle ispirazione.
'Beetween the Hungry" nasce da una mia grande passione per le serie
televise,in particolare quelle di The Walking Dead e Glee,e quella
invece per la scrittura. Dunque,con questo mix un po' azzardato, mi
presento a tutti voi lettori assieme alla viva speranza che questo
piccolo lavoro di una piccola persona possa essere di vostro gradimento.
Dopo
questo palloso discorso (è vero,sono pesante) vi dico solo
un'ultima cosa : al prossimo capitolo! (spero)
|
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Capitolo 3 *** Quasi morti ***
Between the hungry
Quasi morti
«Corri!»
gridai,voltandomi verso Lucas.
Varcammo la
porta dell’ospedale con una velocità
impressionante. Mi ci ero buttata addosso
per la fretta e mi faceva male la parte destra del busto. Mi guardai
indietro,Lucas cominciava a rallentare,gli faceva male il braccio.
Aveva il
viso umido di lacrime,l’espressione contratta ed ansimava.
L’adrenalina
scorreva veloce,alimentava i corpi di energia,ma in ugual modo li
danneggiava
con lo stesso ritmo della nostra folle corsa. Lo percepivo
distintamente in
ogni fibra del mio corpo,quell’istinto,quello che al momento
giusto mi avrebbe
trasformata in un’assassina di assassini,quello che avrebbe
scatenato la bestia
assopita all’interno di ogni sopravvissuto. Mi faceva male lo
stomaco e non
sentivo le gambe. Continuavo a rivedere la carne di Mandy divorata in
quel modo
brutale,sconcertante. Era pazzesco,ma non avevo tempo per cercare una
spiegazione. Dovevamo andarcene di lì,ed andarcene alla
svelta.
«Accelera
il
passo!»
Mi voltai
per controllare quanto indietro fosse Lucas,e lo vidi fermo,in
ginocchio,con
una mano sulla spalla dolorante e senza fiato. Merda. Si era fermato.
«Lucas,devi
alzarti!»
«Fa
male!»
urlò lui di rimando,strofinandosi il dorso della mano sul
viso.
«Andiamo!»
Mi avvicinai
e lo aiutai ad alzarsi da terra,poi la corsa continuò.
Vedevamo la Volksvagen
grigia in lontananza,ma sembrava che la distanza continuasse ad
aumentare
anziché diminuire. Lucas cominciava a
rallentare,così come ero costretta a fare
io per trascinarlo con me.
«O mio
Dio!No!» gridò qualcuno poco distante da
lì.
«Continua
a
correre verso la macchina e non fermarti,torno subito!»
Cambiai
improvvisamente direzione e mi infilai
tra due vetture scure e polverose all’inseguimento di quelle
grida che non si affievolivano neppure un po'. Fui veloce,strisciai
lungo le
automobili di fianco fino a che non mi ritrovai di fronte ad uno
spettacolo di
cui avrei preferito fare a meno. Le urla erano cessate,ora si udivano
solo
lamenti,versi animali e mostruosi,il rumore della carne che si staccava
di
netto dalle ossa. La donna era a terra e di nuovo la scena di poco
prima si
ripeteva. Lui,o forse lei,le divorava il petto. Le interiora erano
sull’asfalto,viscide e piene di sangue.
«Cristo!»
Altre
urla,più numerose,più disperate,smorzate ancora
più velocemente di quelle
precedenti. Quel parcheggio era ormai la terra che ospitava la
strage,il
massacro. Mi veniva da vomitare e tossii un paio di volte in preda ai
conati.
Respirai a fondo,chiusi gli occhi e tornai a correre rapida tra le
automobili
nel parcheggio. Vidi la Volksvagen,vidi mio fratello e avrei potuto
giurare che
stava tremando. La colonna sonora dell’inizio della fine
erano le grida
angoscianti delle povere vittime.
«Stai
bene?»
Lucas non
rispondeva.
«Stai
bene?!» ripetei ancora una volta,preoccupata.
I suoi occhi
erano pieni di terrore,poi alzò il braccio destro e
puntò l’indice esattamente
dietro di me. Mi voltai. Erano almeno in dieci. Infilai la chiave nella
serratura,ma questa non girò,era come bloccata. La tolsi e
riprovai di
nuovo,ma il problema si ripeté.
«Santana!»
urlò mio fratello in preda al panico.
«Dios,por
favor!»
La chiave
non ruotava,era vincolata nella serratura. Mi girai e per un istante mi
fermai
ad osservare quei corpi che si avvicinavano lentamente,emettendo versi
terribili,come
se per una qualche correttezza,che però non
possedevano,fossero stati costretti
ad avvisare del loro arrivo. Li contai alla svelta ; erano undici,ma ne
potevo
vedere altri poco distanti dal loro gruppo. Avevano la pelle
bianca,tendente al
verdastro,ed un aspetto terrificante. Gli indumenti che indossavano
erano
sporchi di sangue,così come i loro volti,così
come la carne che gli penzolava
dalle braccia o quella mancante sul viso. Che esseri erano mai
quelli?Da quale
inferno erano saltati fuori? Lucas mi guardò con gli occhi
sbarrati come a dire
: “ed ora cosa facciamo?”. Mi guardai attorno,i
lamenti si facevano più forti e
la mia disperazione aumentava. Stavamo per morire,io e Lucas stavamo
per
morire. Le nostri brevi vite avrebbero visto probabilmente la peggiore
delle
fini su quella terra : saremmo stati dilaniati. Mi portai una mano sul
viso,guardai all’interno dell’auto attraverso il
finestrino,e poi decisi. Non
avevo tempo per pensare,non avevo tempo da sprecare e non avevo
nient’altro in
mente. Loro si avvicinavano,sempre più numerosi,le persone
scappavano tra le
grida e il panico regnava.
«Stai
indietro!» ordinai a Lucas.
Presi un
minimo di rincorsa : quella poca che non mi permetteva di finire tra le
braccia
dei morti,e diedi un calcio al finestrino. Non si ruppe.
«Ci
uccideranno!» strillò mio fratello.
Niente
rincorsa,tirai un calcio con tutta la forza che avevo,con tutta la
rabbia e la
paura che avvertivo nelle vene. Il vetro si frantumò in
tanti piccoli pezzi.
Strisciai dentro e aprì lo sportello a Lucas che si
buttò sul sedile
alla svelta. Infilai la chiave,accesi il motore,e quando il primo morto
tocco
il cofano con una delle sue sudice mani,io schizzai via come un razzo.
*
Nelle strade
regnava il caos. Il tragitto dall’ospedale a casa fu
probabilmente il più lungo
di tutta la mia vita. Le persone urlavano in strada,correvano inseguite
da
quegli schifosi mostri,o caricavano le macchine pronte a fuggire. I
morti
attaccavano le vetture e circondavano le case sempre più
numerosi. Le strade di
Lima erano intasate,tutti fuggivano,ma loro erano dovunque.
«Stai
bene?»
chiesi a mio fratello che ansimava sonoramente e aveva la fronte velata
dal
sudore.
Non rispose
immediatamente ; forse era impegnato ad osservare i morti che avevano
circondato
una delle macchine che avevamo di fronte o ad ascoltare i clacson
impazziti.
«Certo,»
rispose con la voce che tremava «ho soltanto una spalla
lussata e ho appena
assistito a dei mostri divorare delle persone vive. No,sul
serio,è tutto ok».
Il suo
sarcasmo era quasi confortante,ma neppure quello serviva a
sdrammatizzare la
situazione. La verità era che ero troppo sconvolta per
provare a rassicurarlo di
fronte all’evidente inferno che si stava scatenando. Ancora
non avevo preso
completamente coscienza dei fatti,forse ci sarebbero volute ore. Ero
concentrata sulla situazione alquanto complicata : noi due bloccati in
una
macchina con un finestrino rotto,in una città piena di morti
che per qualche
assurdo motivo si erano rialzati ed avevano cominciato a divorare la
gente.
«Merda»
borbottai quando una di quelle cose si girò al suono del
clacson.
Prima
uno,poi due,poi tre si voltarono verso la nostra automobile. Restarono
qualche
secondo fermi,poi le loro maledette gambe molli cominciarono a muoversi
con
l’evidente intenzione di aggredirci. La coppia dietro di noi
uscì rapidamente
dalla vettura e cominciò a correre,forse in previsione della
brutta fine che
avrebbero fatto se fossero rimasti lì dentro. Per noi era
ancora più pericoloso
: con quel maledettissimo finestrino rotto alla mia sinistra,eravamo
dei
bersagli decisamente facili da divorare. Ma che cosa dovevo fare?Che
cosa
potevo fare in quella situazione a dir poco surreale?Avevo lo stomaco
sottosopra,la testa che mi scoppiava,e il cuore che aveva preso ormai
da tempo
un ritmo inverosimile. Sentivo ancora l’adrenalina nelle
vene,così come
probabilmente la sentiva Lucas. I due giovani che avevano optato per la
fuga a
piedi furono rapidamente braccati dalle creature e divorati di fronte
ai miei
occhi e a quelli di mio fratello.
«Aiuto!»
fu
l’ultimo grido acuto della ragazza,prima che uno di loro le
mordesse il collo e
l’atterrasse così come era successo al ragazzo.
«Non
guardare» sussurrai a mio fratello,deglutendo a fatica.
Di nuovo i
clacson a far compagnia alle urla,e allora si scatenò il
disastro. Tre morti si
avvicinarono allo sportello di Lucas e cominciarono a colpire il vetro
goffamente,posando il viso sfigurato sulla superficie opaca del
finestrino.
«Santana!»
gridò Lucas,scattando verso di me.
Bloccati. La
morte ci inseguiva ancora e la mia speranza non faceva altro che
vacillare. Mi
tremava ogni singolo muscolo,la vista si era improvvisamente offuscata
e l’adrenalina
era aumentata così come la velocità con la quale
il sangue mi pulsava nelle
vene. Stavamo per morire,era giunto il momento. Uno di quei mostri
aggirò la
macchina e si avvicinò dalla mia parte ; gli altri
continuavano a colpire lo
sportello destro,con quella loro sorta di ringhio,di verso che faceva
venire la
pelle d’oca.
«Ti
voglio
bene Lucas» dissi,stringendo la sua testa al mio petto.
Era la fine.
Quelle sarebbero state le mie ultime parole,le uniche di cui non mi
sarei mai
pentita. Chiusi gli occhi,i lamenti si avvicinavano,rimbombavano nella
testa,assorbivano ogni pensiero a sé e lo
inglobavano,annullandolo del tutto.
Quando già immaginavo il contatto dei denti sulla mia pelle
o le unghie a
graffiarla,sentii il rumore sordo di più colpi susseguirsi.
Sette,forse otto
colpi,ma non erano di una pistola. Niente più lamenti
vicini,per un istante
avvertii il silenzio e non fui mai grata come in quel momento di quella
fugace
illusione piena di pace.
«Andiamo!Uscite
dalla macchina» esclamò qualcuno.
Aprii gli
occhi leggermente,pronta a richiuderli se fosse stato necessario.
C’era un
ragazzo con una mazza da baseball insanguinata in mano,gli occhi
sgranati e la
bocca aperta per prendere quanto più fiato i suoi polmoni
fossero in grado di
accogliere. Si era piazzato esattamente di fronte alla vettura e ci
guardava
aspettandosi una qualche reazione che il nostro shock non ci permetteva
di
compiere. Lo scrutai meglio,mi era familiare. Era robusto,con spalle
larghe,bicipiti
sviluppati e degli strani capelli neri con un taglio da moicano. Il
resto non
riuscivo ad individuarlo con nitidezza,ma quello fu sufficiente per
permettermi
di riconoscerlo.
«Noah
Puckerman?» domandai a bocca aperta.
Il ragazzo
scosse la testa scocciato e stralunò gli occhi
«vogliamo andare o aspettiamo
che un’orda di quei mostri ci divori tutti?Faremo dopo le
presentazioni!»
Lucas mi
guardò meravigliato e poi aprì lo
sportello. I morti erano a terra,con il
cranio fracassato,e finalmente privi di vita. Ce n’erano
altri poco più in là e
le urla non accennavano a smettere.
«Seguitemi!»
ordinò sicuro il ragazzo.
Ero confusa.
«Dove?Devo
riuscire a tornare a casa…mia madre sarà
preoccupatissima».
Lui mi
guardò e scosse la testa.
«Non
se ne
parla!Vi faranno a pezzi prima di arrivare. Abito qui vicino,ma
dobbiamo
sbrigarci!»
Lo guardai
sconvolta. Dovevo raggiungere mia madre!Dovevo farlo!
«Nostra
madre è sola in casa,potrebbe essere in pericolo!»
esclamò mio fratello.
Lucas aveva
ragione. Dio,l’improvviso pensiero di quelle cose che
cercavano di entrare,di
divorarla…
«Dobbiamo
tornare a casa!»
La
preoccupazione
mi stava corrodendo ogni cellula del corpo,ogni singola emozione era
come un acido corrosivo
e letale. Il ragazzo impugnò saldamente la mazza in mano e
colpi alla testa uno
di quei morti che si era avvicinato. Era una scena disgustosa,il sangue
era
schizzato fin sulla mia maglietta e il cranio era stato fracassato.
«Buona
fortuna allora!» esclamò il tipo,cominciando ad
incamminarsi.
Guardai
Lucas disperata,alla ricerca di un suggerimento sul suo viso,ma
l’unica cosa
che riuscii a notare fu la sua paura.
«Aspetta!»
strillai al ragazzo che si era allontanato fin troppo velocemente.
Lui si
girò
e mi guardò con fare interrogativo.
«Veniamo
con
te!»
«Santana!»
esclamò sorpreso Lucas.
«Abbiamo
bisogno di lui.» sussurrai un po’ troppo ad alta
voce «Ha ragione : da soli non
riusciremo mai a raggiungere casa».
«Seguitemi,veloci!»
Corremmo
fin dove si era fermato e poi proseguimmo per un
centinaio di metri fino alla sua abitazione. Lo spettacolo era
pazzesco : sembrava un film,uno di quelli con gli effetti speciali e
tutto il
resto. Non riuscivo ad alzare la testa,continuavo a fissare i miei
piedi,a
fissare l’asfalto o l’erba,forse perché
sapevo che non avrei retto ancora a
lungo se avessi continuato ad assistere a quelle scene mostruose.
Salve
gente!Come va?
Dovete
scusarmi per il ritardo nella pubblicazione,ma ultimamente il tempo
sembra passare un po' troppo in fretta e a malapena mi lascia modo di
respirare. Comunque,bando alle ciance... la
situazione che abbiamo visto nello scorso capitolo si è
evoluta e la povera Santana ha rischiato diverse volte di finire tra i
denti di quegli schifosissimi zombie,ma...sorpresa delle sorprese :
Noah Puckerman la salva da una morte inevitabile. Ci credete se vi dico
che è solo l'inizio e che presto coinvolgerò
personaggi a noi molto familiari?
Beh,con la
speranza che questo capitolo via sia piaciuto,mi auguro che continuiate
a seguire la storia.
P.S. Se ne
avete voglia,fatemi sapere come vi è parsa la storia
finora...sono curiosa di leggere i vostri pareri! :)
|
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Capitolo 4 *** Sottosopra ***
Between the hungry
Sottosopra
«Noah
Puckerman» affermai,dando un’occhiata rapida alla
donna che ci teneva un fucile
puntato addosso.
«Santana
Lopez» rispose lui,con un sorrisetto canzonatorio.
Lucas
fissava la signora dall’aspetto sciatto che continuava a
squadrarci
sospettosamente. Doveva essere la madre del ragazzo,e sembrava pronta a
ficcare
ad entrambi una pallottola nel cervello.
«Puoi
abbassare il fucile,mamma» disse il ragazzo,facendo un cenno
con la mano.
La donna
obbedì.
«Sono
normali?» chiese la signora Puckerman continuando ad
osservarci.
Io e Lucas
annuimmo istintivamente.
«Sì
mamma,tranquilla. Stavano per essere fatti a pezzi da quelle cose e li
ho
portati con me».
Un brivido
mi scosse a quel pensiero. Eravamo stati fortunati,ma le urla di coloro
che
venivano divorati erano ancora assordanti,e mi ricordarono di dover
mostrare
gratitudine al ragazzo che avevamo di fronte.
«Grazie»
risposi,cercando di non sembrare troppo forzata «se non fossi
intervenuto a
quest’ora probabilmente starebbero masticando la nostra
carne».
Dio,quant’era
stato strano pronunciare quella frase. Un brivido mi scosse di nuovo.
«Figurati»
disse lui,posando a terra la mazza piena di sangue scuro e denso
«è stato il
minimo che potessi fare. Lì fuori è un inferno ;
non capisco cosa diavolo
stia succedendo. Ho visto il primo di quei cosi mentre ero a casa di un
mio
amico. In lontananza sembrava solo un vecchio ubriaco,ma
poi…» si guardò
attorno,scuotendo la testa «poi si è avvicinato e
lo ha divorato davanti ai
miei occhi. Ho provato ad ucciderlo,» continuò
come se stesse cercando di giustificarsi
a se stesso «ma i calci ed i pugni lo lasciavano illeso.
Quando gli ho sfondato
il cranio con un rastrello,era troppo tardi. Andrew era morto,ma non
del
tutto».
I suoi occhi
vagavano in cerca di un appiglio sicuro,di qualcosa di bello su cui
soffermarsi,e
continuavano a girare stanchi,lucidi e pieni di sofferenza.
Deglutii
rumorosamente e sentii l’improvviso bisogno di sedermi. Mi
buttai sul divano in
pelle rattoppato qua e là,e mi portai le mani sulla fronte.
Dannazione,rivedevo
ancora Mandy fatta a brandelli,divorata in una pozza di sangue,con
l’osso del
braccio ripulito,privato dei muscoli,di ogni cosa. Il respiro
cominciò a
bloccarmisi in gola,sudavo freddo,mi girava la testa. Mi veniva da
vomitare,ed un conato mi sovrastò. Mi alzai di scatto dalla
superficie morbida
e mi portai una mano alla bocca.
«Ti
porto in
bagno» disse Noah,afferrandomi tempestivamente per un braccio.
Raggiunsi la
stanza dalle piastrelle bianche e la muffa sul soffitto,poi il ragazzo
sollevò
la tavolozza del water e rigettai anche l’anima.
«Lo
so,»
cominciò Noah guardandomi con compassione
«è sconvolgente e dopo tutto quello
schifo hai lo stomaco sottosopra».
Mi sedetti
sul pavimento e mi passai il dorso della mano sulla bocca. Sentivo
freddo,così tanto freddo che sembrava che le mie ossa si
sarebbero frantumate da un momento all'altro,congelate. Quando
appoggiai la nuca alle piastrelle,la nausea
tornò a farsi sentire e fui costretta ad alzarmi di nuovo
per raggiungere il
water. Noah mi spostò i capelli dal viso ed
osservò senza il benché minimo
disgusto la scena.
«San»
mi
chiamò Lucas con le lacrime agli occhi sulla soglia del
bagno «stai bene?»
Mi feci
forza e mi sollevai da terra. Ero debole,e avevo i muscoli che
tremavano come
gelatina,per non parlare del pallore che mi faceva assomigliare ad uno
di quei
malati nella sala d’attesa dell’ospedale. Mi
avvicinai al mio fratellino e gli
accarezzai una guancia per rassicurarlo. Lui stringeva i denti e
continuava a
tenere la mano destra sulla spalla lussata. Stava soffrendo ; le sue
emozioni
erano così palesi,eppure sapevo che cercava di non
piangere,pur non
riuscendoci,e che cercava di restare forte per me,perché se
ne sentiva in
dovere.
«Troveremo
un modo per sistemare la spalla. Ti fa tanto male?»
Annuì
e si
morse il labbro superiore in una smorfia di dolore.
«Cos’ha
fatto?» chiese Noah preoccupato,dando un’occhiata
ansiosa al braccio smorto e
penzolante.
«Ha
una
spalla lussata. Eravamo in ospedale per farla risistemare,quando
è scoppiato il
casino».
Lucas
strinse di nuovo i denti.
«Posso
rimettergliela a posto,lo so fare» affermò sicuro
il ragazzo dall’insolita
cresta.
Lo guardai
sorpresa,e dentro di me sentii la gratitudine verso di lui aumentare.
«Puoi?Sei
sicuro?»
«L’ho
già
fatto in passato ad Andr…» si bloccò e
prese un grosso respiro «ad un mio
amico. Posso farlo,sul serio,ma farà parecchio
male».
Guardai
Lucas e lui mi fece cenno di sì con la testa.
Lo seguimmo
fino in cucina,poi ripulì il tavolo da alcune cianfrusaglie
che vi erano
sopra,e disse a mio fratello di allungarsi lì.
«Metti
questo in bocca» ordinò,passandogli un coltello
dal manico di legno preso da un cassetto.
Lucas mi
guardò un’ultima volta,e poi
obbedì,stringendo tra i denti l'impugnatura dell'oggetto.
Era spaventato a morte e le lacrime
ricadevano fin sopra la superficie sulla quale si era adagiato.
«Pronto?»
chiese Noah,afferrandogli il polso sinistro.
L’altro
strizzò forte gli occhi,si lasciò scappare
qualche lamento ed io corsi a
stringergli la mano del braccio illeso.
«Vado»
avvisò il ragazzo.
Alzò
il
bracciò prima lentamente,ignorando i
“no,no,no” di mio fratello,e poi,senza
indugi,lo tirò a sé con forza. Lucas
urlò qualche imprecazione,forse una
bestemmia,e poi si sentì un TAC.
«Fatto!»
esclamò Noah mollandogli il polso.
Tolsi il
pezzo di legno dalla bocca di mio fratello e lui si morse forte il
labbro,asciugandosi le lacrime che gli bagnavano le guance.
«Cos’è
che
hai detto prima?» chiesi con un’espressione dura.
«Niente!»
disse toccandosi la spalla «Non ho detto niente!»
continuò a giustificarsi
irritato.
Puckerman
ridacchiò.
«Vado
a
prenderti una sciarpa e del ghiaccio. Avrai bisogno di una
fasciatura».
Annuimmo
entrambi.
«Grazie
di
nuovo» gli dissi,sforzandomi di sorridere appena.
Lui si
limitò a piegare leggermente gli angoli della bocca e a fare
un cenno con la
testa,poi corse di sopra per prendere l’occorrente.
Lucas mi
guardò ancora dolorante e mi cinse le spalle con il braccio
buono «San,una
volta fatta la fasciatura dovremmo tornare dalla mamma».
Annuii
«Sì,hai ragione,ma penso che avremmo bisogno di un
piano».
«Quale
piano?» chiese Noah di ritorno.
Lo guardai
seria,e quello bastò a farmi capire. Lui fece
un’espressione arresa,ma nei suoi
occhi non c’era un reale disappunto. L’avrebbe
fatto anche lui,ne ero certa. In
quel disastro che ancora non aveva nome,il pensiero di chiunque sarebbe
stato
quello di raggiungere i propri cari. Forse era per quello che le
persone in
strada morivano,così come i loro tentativi e le loro
speranze,ma la mia no,non
sarebbe morta,così come non saremmo morti noi tre. Era
giunto il momento di
mettere da parte paura e confusione,di ritrovare la lucidità
in quell’abisso
colmo di veleno,e di lottare per qualcosa
chiamata sopravvivenza.
*
«Siete
pronti?» chiese Noah,accendendo il motore del fuoristrada.
Guardai
prima lui,poi Lucas,ed annuii decisa.
Sapevo che
era rischioso avventurarsi lì fuori,anzi,forse era un vero e
proprio
suicidio,ma dovevamo farlo. Io e Noah avevamo ideato una sorta di
piano,anche
se probabilmente era carente delle strategie necessarie per restare
vivi. Era
più che altro una follia,una di quelle che fai
perché non hai altra scelta.
Ottocento metri,forse qualcosa di più,ed io e Lucas ci
saremmo ritrovati di
nuovo a casa. Noah aveva portato con sé il fucile e tre
coltelli che speravo
non sarebbe stato necessario usare.
«Prendete»
disse passandomi le due armi dalla lama appuntita «non so se
riusciremo ad
arrivare fino in fondo alla strada,per cui teneteli belli stretti e
ricordate
di conficcarli nel cranio ; credo sia l’unico modo per
ucciderli».
«Ehi,»
dissi
sfiorandogli un braccio ed incrociando il suo sguardo tenace e
concentrato «non
devi farlo per forza. Stai rischiando la vita,lo sai?»
Lui sorrise
e rispose «queste sono cose che capitano solo nei
videogiochi,tanto vale
approfittarne,no?»
Cercava di
nascondersi dietro quella leggera ironia,ma i suoi occhi erano in
contrasto con
il resto del viso. Aveva visto il suo migliore amico morire,ed aveva
assistito
proprio come me a delle scene inverosimili . Non era felice e
probabilmente
nemmeno abbastanza pronto a quello che avremmo incontrato là
fuori.
La macchina
uscì dal garage. Strinsi forte il manico del coltello e
chiusi del tutto il
finestrino.
Non sarei in
grado di descrivere esattamente il caos fuori di lì,e forse
neppure me ne
rendevo del tutto conto. Le strade erano invase : ce n’erano
dappertutto.
Sangue sull’asfalto e cadaveri circondati da quelle cose che
li divoravano,cibandosene disgustosamente e tornando a scatenare in me
quel senso di nausea che
in fondo non mi aveva mai abbandonata. Le case,come quella di
Puckerman,erano circondate. Loro colpivano goffamente le
porte,ringhiando,agitandosi in
quella fame che li logorava e li rendeva peggio delle bestie. Lucas mi
strinse
la mano dal sedile posteriore e Noah mi guardò preoccupato.
«Dammi
il
coltello» disse deciso.
Lo guardai
perplessa «che vuoi fare?»
«Quel
gruppetto sfonderà la porta,se non li fermo»
affermò,indicando la sua
abitazione «mia madre è lì dentro e
senza fucile».
Presi un
grande respiro e lo assecondai. Lo avrei fatto anch’io.
Noah si
richiuse lo sportello alle sue spalle e raggiunse velocemente
l’entrata della villetta. Quelle cose smisero improvvisamente
di colpire la superficie in legno e
si voltarono verso di lui. Erano in cinque,orribili esattamente come
tutte le
altre che erano in strada. Notai che tremava,che tentennò
per un istante,forse
ingannato dal fatto che quei mostri un tempo erano stati i cittadini
del suo
stesso paese,o che indossavano abiti umani,pur non comportandosi come
tali.
Questione di pochi secondi e si ritrovò circondato,allora
sentii la presa di
Lucas farsi decisamente più forte.
«Maledizione»
biascicai con gli occhi puntati sulla scena.
Mollai la
mano di mio fratello e lui mi toccò una spalla
«San,che cavolo hai intenzione
di fare?»
«Non
lo
vedi?Lo uccideranno!Devo andare ad aiutarlo».
Noah diede
un calcio aprendosi un’uscita dal mucchio e
indietreggiò,ma alle sue spalle ne
arrivavano altri,e lui non lo immaginava,concentrato com’era
a liberarsi di
quelli di fronte a sé. Afferrai d’istinto il
fucile poggiato sul sedile del
guidatore e mi chiesi perché diavolo non si fosse portato
con sé quello,anziché
un coltello da cucina. Ricordai all’improvviso che
c’era un problema : non
sapevo sparare. Mi agitai sul sedile chiedendomi cosa diavolo potessi
fare. Ero impaurita,scioccata,sì,ma decisa ad aiutare il
ragazzo che ci aveva salvato
la vita.
«Passami
il
coltello» ordinai.
«No!»
esclamò Lucas isterico.
«Ti ho
detto
di passarmi il coltello!»
«No!Non
voglio che tu muoia!» rispose lui,urlando.
Mi girai di
scatto e lo guardai seria,cercando di cancellare ogni debolezza dai
miei occhi. Continuavano ad essere lucidi,ed era inevitabile. Lucas
resse il
mio sguardo per qualche secondo,poi,arreso,mi passò il
coltello. Uscii dalla
macchina ; ogni secondo era di vitale importanza. Noah ne aveva uccisi
due,ma
gli altri tre continuavano ad avvicinarsi e lui
indietreggiava,inconsapevole
che stava per finire in una trappola mortale. Cominciai a correre verso
di
lui,e quando mi vide sgranò di colpo gli occhi.
«Sta’
attento!» lo avvertii «dietro di te ne stanno
arrivando altri!»
Si
girò e si
immobilizzò,improvvisamente nel panico. Quando fui
abbastanza vicina,rallentai.
Volevo intervenire,ma non sapevo se sarei stata in grado. Avrei potuto
peggiorare la situazione,anziché migliorarla.
L’adrenalina mi scorreva nelle
vene,mi faceva sentire pronta,ma pronta per cosa? Quella sostanza nel
corpo di
un uomo non era probabilmente all’altezza di aiutare in una
situazione del
genere. Il respiro mi si mozzava in gola,il cuore batteva forte,le
gambe si
muovevano senza che io ne avessi consapevolezza. Una di quelle cose si
voltò
verso di me e cominciò ad avvicinarsi,allontanandosi da
Puckerman. No,forse non
ero pronta,forse non lo sarei mai stata. Potevo uccidere? Ne avrei
avuto il
coraggio? La risposta era semplice : uccidi o verrai ucciso.
«Mandalo
a
terra e colpiscilo!» mi gridò Noah,mentre
conficcava il coltello nel cranio di
una di quelle cose.
Non sapevo
farlo!Maledizione,io non sapevo uccidere. Panico,solo panico e troppo
poco
ossigeno che mi annebbiava la vista,che rendeva tutto come in un sogno
:
sfumato e indefinito. La creatura era vicina,dovevo agire. Strinsi i
denti e
d’impulso aumentai la presa sul coltello. Uccidere o essere
uccisa. Uccidere o
essere uccisa,mi ripetei come fosse stato un mantra. Presi un minimo di
rincorsa e spinsi a terra il morto con un calcio esplosivo. Erano
più deboli di
quanto avessi mai immaginato. Non avevano lo stesso equilibrio di un
umano,né
la stessa forza o la stessa velocità,ma in gruppo sarebbero
stati letali. Misi
un piede sul petto dell’essere disgustoso che si agitava ed
alzava,per quanto
gli era possibile,la testa. Mi guardava con quegli occhi velati e
quell’espressione inumana,e qualcosa in quella mi spinse ad
agire com’era
giusto fare. Mi piegai su di lui senza togliere il piede,presi il
coltello con
due mani,e lo conficcai nella fronte. Il sangue mi schizzò
addosso,ma la
creatura era morta,morta una seconda volta. Osservai con disgusto la
scena,e
tolsi il coltello dal cranio dell’essere. Mi tremava ogni
singola parte del
corpo,e mi costrinsi a respirare a fondo.
«Torniamo
in
macchina!» ordinò Noah,raggiungendomi ed
afferrandomi per un braccio. Gettai
un’occhiata al vialetto dell’abitazione e notai i
cadaveri inermi a terra. Ce l’avevamo fatta.
Rientrammo
nella vettura ed avvertii lo sguardo di Lucas addosso. Forse si
chiedeva dove
avessi trovato il coraggio di uccidere,come avessi fatto a non farmi
sopraffare
dalla paura o dal panico,o forse si chiedeva com’era stato
infilare la punta
del coltello nel cervello di un morto. Forse tutto ciò.
«Sei
stata
brava» disse Puckerman,premendo sull’acceleratore
«per un attimo ho temuto che
ti saresti fatta uccidere».
Lo guardai
di sbieco «non posso ancora permettermelo».
Le strade
erano un disastro. I morti camminavano indisturbati alla ricerca di
prede,o di
cadaveri già a terra,pronti per essere divorati. Ce
n’erano a decine,molti di
più delle poche persone che si intravedevano qua e
là,nel vano tentativo di
restare vivi. Mi chiedevo come avremmo fatto a passare,se quelle
creature
creavano una sorta di blocco in mezzo alla strada,ma evidentemente
Puckerman
aveva qualcosa in mente.
«Tenetevi»
avvisò,affondando il piede nell’acceleratore.
Il
fuoristrada acquistò velocità in un attimo,e
cominciammo a mettere sotto quelle
cose una alla volta. Lucas sussultò quando la prima
finì sul nostro parabrezza,e
tornò a stringermi la mano.
«Crepate,luridi
bastardi!» esclamò Noah,schiacciando ancora di
più il pedale.
Forse
avevamo fatto trecento metri,eravamo quasi vicini.
All’improvvisò sentii la
speranza riaffiorare,e capii di averne davvero bisogno. Mettemmo sotto
tre o
quattro morti,e allora il parabrezza si crepò. Noah
imprecò,ma non rallentò
nemmeno per un istante.
«Dovreste
dare un’occhiata qui dietro…» disse
Lucas con un filo di voce.
«Che
c’è?»
Mi voltai e
li vidi. Cazzo. Ci stavano seguendo! Erano attratti dalla macchina in
movimento. Si allontanavano dalle abitazioni che avevano assediato e si
mettevano sulla scia di cadaveri che la vettura lasciava. Per un
istante pensai
che si fossero arrabbiati,poi abbandonai quella stupida idea e pensai
che
eravamo fottuti.
«Stanno
seguendo la macchina!»
«Cristo…»
biascicò Noah allarmato,gettando un’occhiata allo
specchietto retrovisore.
«Che
facciamo?»
«Ci
siamo
quasi. Una voltai entrati in casa saremo al sicuro».
Annuii,pur
non essendone troppo convinta.
Cominciavo a
vedere in lontananza la villetta e notai che davanti alla porta non
c’era
neppure un morto. Strano,forse sarebbe stato più facile di
quanto avessimo
pensato. Parcheggiammo di fronte al vialetto in pietra e poi scendemmo.
Stringevo ancora saldamente il coltello dall’impugnatura
insanguinata,così come
faceva Noah mentre sottobraccio teneva il fucile. Ci guardammo attorno
: solo
creature dappertutto,niente più grida,niente più
persone impegnate in delle
folli fughe. Sul marciapiede dall’altra parte della strada
c’erano quattro di
quelle cose che divoravano quel che rimaneva di Cris Armstrong : un
ragazzo con
la quale avevo trascorso gran parte della mia infanzia costruendo
castelli di
carte e organizzando gare con le nostre macchinine. Mi venne un groppo
in gola
che non riuscii a mandare giù. Mi avviai verso la porta e
poi bussai un paio di
volte con il pugno della mano.
«Mamma,apri.
Siamo tornati».
Aspettai
qualche secondo,e poi bussai di nuovo.
«Apri,por
favor!»
Silenzio.
Nessuna risposta.
Bussai forte
prima con la mano,poi cominciai a tirare calci con la punta del
piede,ma di
nuovo nessuno aprì. Mi voltai verso Lucas e mi accorsi che
era tornato ad esser
pallido come in ospedale ; aveva gli occhi lucidi e la fronte corrugata.
«Spostati»
mi ordinò Puckerman.
Prese la
rincorsa ed andò addosso alla porta con la parte destra del
corpo,ma
inutilmente. Strinse i denti,forse per il dolore,e tornò a
fare lo stesso.
Guardai indietro e li vidi,così come li vedevo anche
davanti,avvicinarsi
lentamente e numerosi. Dopo qualche altro tentativo e qualche gemito di
dolore
goffamente soffocato,Noah riuscì a sfondare la porta.
«Svelti,entrate».
Guardai in
cucina,in bagno,nella sala da pranzo con Lucas al mio fianco.
«Mamma!»
strillai.
Lei non
c’era. Salii le scale velocissimamente,con il respiro che mi
si bloccava in
gola e il cuore che non avrebbe perso presto quel ritmo folle.
«Mamma!»
la
chiamai di nuovo.
Doveva
rispondere,doveva!Immaginavo che sarebbe sbucata dalla sua camera o
dalla
nostra e che ci avrebbe riabbracciati con le lacrime agli occhi per la
felicità
di rivederci. Immaginavo tante cose,ma il semplice immaginarle non era
abbastanza. Non c’era. Lei non c’era,non era
lì.
«No,no,no,no…»
dissi disperata,scuotendo forte la testa.
Lei non
c’era,e quella era l’unica consapevolezza in grado
di
risvegliarmi del tutto da quell’incubo mostruoso. Sentii le
gambe cedere,la
vista annebbiarsi di nuovo,e la testa girare e girare e
girare… e poi
BUM…nero,tutto nero.
Salve
gente!Credevate che vi avessi abbandonata?Ebbene no,non esattamente. Mi
prostro umilmente dinanzi alle vostre figure,vi bacio (virtualmente) i
piedi, e vi chiedo scusa fino a che la mia bocca non sarà
più in grado di articolare una singola parola.
Davvero,scherzi a parte...sono incasinata da morire in questo periodo e
ho trascurato un po' EFP e la fan fiction. Sperando che mi abbiate
perdonata ( ho le mani congiunte come in preghiera in questo momento) ,
vi faccio una domanda : che ne pensate? La storia si
è sviluppata piuttosto velocemente dall'ultimo capitolo e mi
viene spontaneo chiedervi se state apprezzando i capitoli,oppure
c'è qualcosa che non vi va giù. Sono ben accetti
consigli,pareri,qualsiasi tipo di affermazione costruttiva che possa
aiutarmi a portare avanti questa storia nel migliore dei modi...
Beh,detto
questo, mi resta solo da dirvi un'ultima cosa : alla prossima!
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Capitolo 5 *** Gelo ***
Between the hungry
Gelo.
«Santana!»
urlò una voce familiare «Santana!»
Sentii delle
mani fredde sul viso e mi costrinsi ad aprire gli occhi,pur sapendo che
sarebbe
stato meglio tenerli chiusi. Era stato un sogno,ne ero certa. Era stato
solo
uno stupido sogno dovuto ad una terribile ingozzata della sera prima.
Lo era
per forza,perché cose del genere non potevano di certo
accadere. Chinato su di
me c’era Lucas con una fasciatura improvvisata al braccio,poi
piegai
leggermente la testa e vidi Noah Puckerman con una t-shirt grigia piena
di
macchie rosse e scure che sembravano più simili al fango che
a del sangue. No.
No. No.
«Vi
prego,ditemi che ho solo sognato. Ho sognato,non è
così?»
Lucas scosse
la testa sconsolato e mi offrì una mano per sollevarmi da
terra.
«Tutto
quel
che ricordi purtroppo è vero» disse Noah,mentre
mollavo la presa di mio
fratello e mi mettevo a sedere.
No. Mi
guardai intorno confusa,disorientata,colma solo di disperazione,di un
dolore
inspiegabile che mi faceva a pezzi ogni singolo organo vitale.
Disgusto,amarezza,sofferenza ; poi sentii il salato delle lacrime sulle
mie
labbra e mi accorsi che stavo piangendo.
«No»
mi
limitai a dire,scuotendo la testa per rafforzare quell’unica
e fondamentale
parola.
Cercai di
alzarmi dal pavimento un paio di volte,ma continuavo a ricadere a terra
priva
di forze e del sostegno degli arti.
«Devi
stare
calma,ok?Non facciamoci prendere dal panico. Sei svenuta,sei senza
forze e sei
sotto shock. Tieni,bevi questo» disse porgendomi un bicchiere
d’acqua «c’è
dello zucchero,ti aiuterà».
Scossi la
testa «dov’è la mamma?»
Lucas mi
guardò per un istante e poi spostò gli occhi dal
mio viso,come se per qualche ragione ne fosse stato
intimorito.
«Dov’è
la
mamma?» chiesi di nuovo,dando un tono più duro
alla voce tremolante.
Noah
tornò a
mettermi il bicchiere davanti il viso. Lo presi e lo gettai via con
violenza.
Il vetro si ruppe in mille pezzi qualche metro più in
là.
«Ma
che
cazzo fai?!» urlò il ragazzo furioso.
Tornai a
guardare Lucas e vidi che piangeva,passandosi le dita sugli zigomi
umidi.
«Non
c’è,dico bene?Non è qui»
affermai continuando ad osservare la disperazione sul
viso di mio fratello.
«No»
rispose
lui,passandosi una mano tra i capelli neri «non
c’è».
Tornai a
tremare l’istante successivo alle sue parole. Sentivo di
nuovo la testa girare
e sentii il bisogno di tornare a stendermi sul pavimento. Non era
possibile.
No,non era possibile. Avevo voglia di urlare,di gridare,di imprecare
ferocemente,di maledire Dio,il mondo,ogni essere vivente. Mia madre non
c’era.
Mia madre era uscita là fuori ; lei era morta. Mi portai le
mani sul
viso,cercando di asciugare le milioni di lacrime silenziose che mi
solleticavano le guance e che poi deviavano il loro percorso e finivano
per
bagnarmi i capelli. Non riuscivo a parlare e a stento respiravo. Mia
madre era
morta,era morta perché era uscita a
cercarci,perché non mi aveva ascoltata. Mi
alzai di scatto,sentendo una nuova forza che proveniva da una dalle
emozioni
più potenti. Irradiava ogni muscolo,ogni cellula,annebbiava
ogni cosa.
«Dove
stai
andando?»
Scesi le
scale di corsa,ignorando i giramenti di testa. Andai in cucina,aprii il
cassetto delle posate e presi due coltelli usati per tagliare la carne.
Cercai di uscire,ma Noah mi bloccò il passaggio.
«Nemmeno
per
idea. Non andrai là fuori».
Mi mossi a
destra,ma
lui mi spinse via.
«Togliti»
sputai fredda.
Non rispose
e non si mosse di un solo centimetro.
«Levati
di
fronte a me o ti giuro che…»
«Che
mi
giuri,eh?» mi interruppe furioso «Che cosa mi
giuri?Che mi ucciderai e che
uscirai a farti ammazzare e lascerai tuo fratello senza
l’unica persona che gli
è rimasta della sua famiglia?» mi
guardò serio per qualche secondo «Se è
quello
che vuoi,va’ pure».
Strinsi i
denti per la rabbia. Maledizione,aveva ragione. Gettai
un’occhiata a Lucas che
se ne stava singhiozzando dietro Noah,e capii che forse era meglio
posare i
coltelli e tornare a pensare.
«C’è
un’ultima cosa che devo fare e avrò bisogno del
tuo aiuto…» dissi al ragazzo
che mi guardava con l’espressione contratta.
«Cosa?»
chiese lui inarcando le sopracciglia.
«Devo
raggiungere la casa del mio ragazzo. E’ a pochi passi da
qui,possiamo farcela».
Lui scosse
la testa e si portò una mano sulla fronte «non
credo sia una buona idea. Hai
appena saputo che tua mad…» si bloccò
di colpo e si morse un labbro.
Non gli
diedi nemmeno modo di riformulare la frase o di pensare,che
già ero di fronte
alla porta,pronta a spostare il divano da questa. Rabbia.
C’era ancora troppa
rabbia dentro di me,e sapevo che era un nemico ancor più
pericoloso dei mostri
che ci aspettavano lì fuori.
3 GIORNI
DOPO…
Come si fa a
perdere tutto in poco
meno di un’ora?Come si fa?Solo la morte avrebbe reso
possibile una simile cosa. Era questo quel che ci era successo?Eravamo
forse morti?
Aveva
già
fatto buio da almeno un’ora. Cosa importava?Neppure quella
notte avrei
dormito,neppure quella notte avrei concesso ai miei occhi il lusso di
chiudersi
per farmi sprofondare in incubi tremendi. Stanchezza,avvertivo solo una
profonda stanchezza,ma il mio intero corpo,la mente,e forse anche il
cuore,erano
come sotto una potente anestesia. Era quello l’effetto di uno
shock?Forse sì,o
forse mi ero rintanata in una sorta di dimensione parallela munita da
delle
grosse e spesse mura. Le mie emozioni sbattevano contro queste,si
infrangevano
inutilmente contro quell’impenetrabile strato di mattoni, ed
io non reclamavo
perché non volevo ammetterle più dentro di me.
Non sapevo per quanto
avrebbe retto quel gioco contorto o
quell’insensibilità,ma speravo il più a
lungo possibile. Lanciai un’occhiata verso Noah che se ne
stava sul pavimento
del salotto con lo sguardo perso nel nulla,poi una alla donna che
beveva un
bicchiere di latte gironzolando nervosamente avanti e indietro,e poi
dedicai un
pensiero a Lucas che invece dormiva al piano di sopra. Era
l’unico che riusciva
a dormire,e in fondo provavo invidia. Io avevo lo spessore del mio
muro,e lui
aveva il sonno : l’unica dimensione nella quale era riuscito
a trovare pace.
Ero seduta a terra anch’io,buttata a peso morto contro la
parete bianca della
stanza,con in mano una collana che continuavo ad arrotolare e srotolare
attorno
alle dita. Nella penombra che una piccola abat-jour creava,immaginavo
la S incisa
sul pezzo d’argento a forma di cuore che non avevo mai
mollato da allora.
Sì,l’avevo
trovato. Sospirai allontanando con il semplice fiato quel
brutto
pensiero. Il muro non sarebbe crollato lo stesso,ma forse era meglio
non
metterlo a dura prova.
«Non
potremo
restare per sempre qui» affermò Noah,posando
finalmente gli occhi sul mio viso.
Scossi la
testa. Non avevo voglia di parlare.
«Mi
hai
sentito?Sto parlando con te»
Lo guardai
«sì,ti ho sentito» risposi fredda.
Lui si
alzò
da terra faticosamente «vado a prendere qualcosa da
bere».
Tornò
poco
dopo con due bicchieri di pepsi in mano,e si avvicinò per
porgermi il mio.
«Tieni»
disse cordiale.
Alzai la
testa,osservai il vetro colmo del liquido scuro,e poi lo afferrai.
Bevvi
tutto d’uno sorso. Avevo sete da un bel po',ma non
avevo avuto voglia di alzarmi o di sprecare fiato per chiedere un sorso
d’acqua. Posai il bicchiere a terra,Noah posò il
suo e si sedette al mio
fianco. Stralunai gli occhi.
«C’è
silenzio là fuori…» sussurrò
osservando la porta bloccata dal divano e il
tavolino.
Non volevo
parlare,eppure le parole mi vennero fuori lo stesso «sono
morti tutti,ecco
perché c’è silenzio».
La mia voce
era parsa strana persino alle mie orecchie. Sembrava avesse parlato
qualcun
altro,non io di certo.
Noah
guardò
il mio viso cercandovi chissà cosa,e poi puntò di
nuovo gli occhi a terra,come
aveva fatto per quasi tutta la giornata. Smisi di srotolare la collana
e la
strinsi saldamente nella mano.
«Senti,»
cominciò serio il ragazzo «lo so,ok?E’
successo tutto così in fretta ed è stato
come vivere in un incubo terrificante. E’..E’
pazzesco e inverosimile…ma non
possiamo lasciarci andare,non possiamo».
Lo guardai
svogliatamente,e tornai ad arrotolare la collana attorno
all’indice. Lui
sospirò arreso.
«Mi
dispiace
Santana,mi dispiace davvero. Conoscevo Josh come quasi tutti a
Lim…»
«Non
parlare
di lui» lo interruppi severa.
Un altro
sospiro riempì la stanza ; forse il mio,o forse il suo,poi
il ragazzo si alzò e
tornò a sedere dov’era stato sino a poco prima.
Sentivo il suo sguardo addosso
mentre mi infilavo tra le labbra l’ultima sigaretta,e potevo
quasi ascoltare la
voce dei suoi rumorosi pensieri. Mi odiava?Mi compativa?Cosa diavolo
provava?Buttai fuori il fumo un poco alla volta,senza fretta,e poi le
mie
labbra riaccolsero di nuovo la Camel che probabilmente sarebbe stata
l’ultima
della mia vita.
«Cosa
ne
sarà di noi?» chiese Puckerman con lo sguardo
triste alla ricerca dei miei
occhi.
Feci un
altro tiro di sigaretta e smisi di ignorare il suo viso.
L’osservai per una
decina di secondi senza proferire parola e lui fece una smorfia di
rassegnazione.
«Non
lo so.»
la mia voce parve ravvivare il viso del ragazzo «Potremmo
morire domani,come
tra un mese,come tra dieci anni,ma ci aspetta la stessa identica
fine».
Lui
tossì un
paio di volte e si strinse le ginocchia al petto.
«Perché
pensi che non potremmo farcela?» mi chiese serio.
Inspirai il
fumo,poi le mie labbra si schiusero e riempirono la stanza di quella
lieve
coltre piena di astratti ghirigori bianchi.
«Perché
questo non è più il nostro mondo.»
risposi guardandolo dritto negli occhi,come
se per qualche assurda ragione avessi avuto voglia di ferirlo «Non
c’è più niente di quel che
c’è stato fino
a tre giorni fa. Niente. Persone,vite…tutto portato via.
Sai,» iniziai poi con
un mezzo sorriso amaro e innaturale «non ho mai creduto a
quella storia del paradiso
e dell’inferno,ma ora…beh,credo che
l’inferno si sia appena trasferito su questa terra».
Lui non
rispose più,abbassò la testa e chiuse gli occhi
inutilmente. Avevo come
l’impressione che avesse avuto voglia di scordare le mie
parole,eppure ero
certa che quelle vorticavano nervosamente nella sua testa,esattamente
come
succedeva a me.
Osservai di
nuovo il ciondolo,come facevo ormai da giorni,ed i respiri caldi si
mischiarono
al freddo dei ricordi. Maledizione,il muro stava crollando.
Quei lamenti
insistenti fuori dalla porta di quella che fino a poco prima io e Lucas
chiamavamo “casa”,il rumore delle mani insanguinate
che colpivano la superficie
per entrare…poi,non so come,eravamo usciti in strada da una
finestra sul
retro,ingannando quei disgustosi esseri che stupidamente erano rimasti
a
picchiare la porta pretendendoci,pretendendo la nostra carne. Noah
aveva
imbracciato il fucile saldamente,e noi avevamo impugnato i nostri
coltelli.
«Perché
non
hai usato il fucile,prima?» avevo chiesto,sforzandomi di
aprire la bocca per
parlare.
«Credo
siano
attratti dal rumore.» aveva risposto lui,osservando
l’arma che teneva tra le
mani «Quando ero in strada ho visto quelle cose avvicinarsi
alle macchine che
suonavano il clacson. E poi avvicinarsi alle persone che
urlavano,ignorando del
tutto quelle che invece correvano in silenzio nelle proprie case. Non
sono
sicuro,voglio dire…di cosa si può essere sicuri
in una situazione come questa?»
Avevo
semplicemente annuito e poi aumentato il passo,continuando a tenere
d’occhio
mio fratello. La villetta di Josh era sempre stata lì,ed i
miei occhi avevano
acquisito uno strano luccichio quando l’avevo vista. Corremmo
tutti e tre,e il
mio respiro si era fatto improvvisamente più corto. Avevo
avuto una tale
paura,che i muscoli ancora tremano a quel ricordo. Poi,come se qualche
disgraziata divinità avesse voluto distruggere
l’ultimo briciolo di speranza e
di tenacia che avevo dentro,l’avevo
visto. L’avevo visto,ma non nel modo in cui
avrei voluto. Riconobbi i vestiti : la stessa t-shirt bianca di quella
mattina,le
stesse Air Max nere,lo stesso paio di jeans strappati sulle ginocchia.
Neppure
il tempo di mettere piede in quella maledetta casa,che i miei occhi
erano
rimasti folgorati da quella scena. Il mondo mi era crollato addosso.
Era in
mezzo alla strada che camminava assieme ad altre due creature,e si
avvicinava
con il loro stesso passo,con la loro stessa andatura,emettendo i loro
stessi
lamenti.
«Sbrigati!»
mi aveva urlato Noah,già di fronte alla porta con Lucas
affianco. Poi,seguito
il mio sguardo pieno di disgusto e di orrore,mi aveva urlato
qualcos’altro che
non ero riuscita a capire. Pietrificata,senza neppure le lacrime agli
occhi.
Immobile come una statua,come un pezzo di vetro pronto a schiantarsi a
terra in
mille e minuscoli pezzi. I muscoli fermi e rigidi,le labbra tese in una
smorfia
inespressiva,gli occhi pieni di dolore,e la testa che avrebbe voluto
muoversi
come durante una crisi epilettica,ma che invece non poteva. La
consistenza di quell’immagine andava lentamente
vanificandosi,così come la mia
intera vita. Forse era anche meno consistente di un sogno,ma dolorosa
come
mille coltellate al cuore. Si avvicinava,così come si
avvicinavano gli altri
che lentamente ed inconsapevolmente cominciavano a mettermi in trappola.
«No»
avevo
poi sussurrato tra me e me,con chissà quale forza.
Il mio
sguardo non trovava deviazione,non trovava nient’altro che
fosse più importante
della cosa che continuavo a fissare con l’inutile speranza
che il cervello si
fosse sbagliato. Era lui ; nessuno sbaglio,era lui. Gli occhi,infine,
colsero
il dettaglio che fece crollare l’assurdità del
dubbio che continuava ad insinuarsi
: la collana con il ciondolo di un cuore a metà con la mia
iniziale sopra. Poi
Noah mi si era parato davanti ed aveva sparato cinque colpi,uno nella
testa di
Josh,gli altri due ai mostri accanto a lui,e gli ultimi si erano
conficcati
inutilmente al petto dei primi.
«Sali
in
macchina!» aveva ordinato con la voce piena di panico.
Il gruppetto
di cose davanti alla mia porta e le altre sparse qua e là
avevano sentito il
rumore degli spari e si erano avvicinate con quella loro
andatura goffa e lenta.
Ricordo di aver chiuso gli occhi per un istante,che le mie gambe si
erano
mosse senza che io me ne fossi resa conto,e che mi ero piegata sul
cadavere di
Josh,osservando il buco che aveva nel cranio.
«Santana!»
mi aveva richiamata Puckerman,tirandomi via per un braccio.
Mi ero
opposta alla sua forza,avevo strappato la collana dal collo bianco e
massacrato
di Josh,e poi ero stata trascinata,quasi trasportata,perché
le mie gambe avevano
decisamente smesso di essere funzionanti.
Mi portai
entrambe le mani sul viso,avvertendo il bagnato
sulla pelle e sui polpastrelli. Avevo ancora la catenina arrotolata
attorno
all’indice,e il ciondolo mi toccava uno zigomo delicatamente.
Mossi lentamente
la mano su e giù,lasciandomi sfiorare dal contatto freddo
del metallo. Quella
era la carezza fredda di Josh. La mia pelle desiderava spasmodicamente
il
calore della sua mano sul viso,ma non riceveva altro che gelo. Era
questo che
riempiva il mio petto : gelo,soltanto misero gelo.
Ed
eccomi di nuovo tra voi con un nuovo capitolo!Beh,il primo pensiero che
mi passa per la testa nel leggerlo è : povera Santana.
Immaginatevi di trovarvi nei suoi panni ; avete perso quasi tutto :
famiglia,amore,un'intera vita...non vi resta che attaccarvi a quei
piccoli ricordi che riaccendono assieme al dolore la gioia nell'averli
vissuti. Ho deciso di creare questo capitolo perché mi
sembrava giusto esporvi al lato emotivo di questa povera ragazza che
è nel bel mezzo di una castrofe apocalittica. Un capitolo un
po' statico,lo so,ma credetemi se vi dico che per le vicende
movimentate c'è tutto il tempo di questo mondo!Non siamo
mica rincorsi da un gruppo di zombie,no?
Comunque,per
quanto riguarda le future comparse di personaggi che ci riguarderanno
in modo moolto,ma molto diretto,vi rassicuro immediatamente : a breve
ce li ritroveremo sbattuti in faccia con storie ed ambientazioni a dir
poco inverosimili. Pazienza,serve solo un po' di pazienza!Nel frattempo
incrociamo le dita per la povera San che è stata appena
catapultata nella più inquetante trama che un fumettista
avesse mai potuto creare. Detto questo,ricorre sempre e solo un'unica
domanda : che ve ne pare?Insomma gente,fatemi sapere qual è
stato il vostro pensiero nell'aver concluso di leggere questo
capitolo...fatemi sapere quali sono le vostre idee in merito,ditemi che
cosa vi è piaciuto e che cosa non avete mandato
giù...ogni cosa!Non aspetto altro che i vostri pareri,sul
serio!
Carissimi,alla
prossima con un viaggio : "il viaggio"!
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Capitolo 6 *** In viaggio verso il sole ***
Between the hungry
In viaggio
verso il sole .
Viaggiavamo
ormai da ore e la notte cominciava a calare. Eravamo circondati da un
paesaggio
a dir poco inverosimile e non c’era un’anima che
avessimo incontrato in quello
schifo di strada. La maggior parte delle macchine erano state
abbandonate nella
corsia principale e per alcuni tratti eravamo stati costretti a
viaggiare in
quella opposta,sempre veloci,con la paura di chi stava fuggendo da
qualcosa o
da qualcuno. Noah mi aveva convinta,o meglio,aveva insistito talmente
tanto che
non avevo avuto neppure la forza per opporre resistenza. Forse era
stata la
cosa giusta. Restare lì,bloccati in una casa con qualche
mobile e una sottile
porta a dividerci da quelle cose,sarebbe stato pericoloso. Non avevamo
più
nulla,nessun motivo,neppure una persona che ci tenesse ancora legati a
quel
posto,e la cosa faceva male,ma male da morire.Faceva male il semplice
pensiero che poco
distante da quell’abitazione si trovasse il quartiere nel
quale ero
cresciuta,la casa per la quale ero finita a lavorare in una
misera
bettola o le persone che
conoscevo da una vita e che ogni mattina mi salutavano amichevoli
raccontandomi
i loro problemi o ogni tipo di novità…la mia
vecchia scuola,il bar dei Ross
dove facevamo colazione io e Josh,la chiesa nella quale si recavano
ogni
domenica mia madre e mio padre,il supermarket poco distante da
lì nel quale
Lucas faceva la spesa in cambio di qualche soldo da mia
madre…tutto morto,tutto
ridotto in misera polvere. Era questa la cosa che faceva più
male : la
consapevolezza che tutto quel che avevamo vissuto fino a quel
momento,che la
nostra realtà,che le nostre intere vite erano ormai
distrutte,distrutte da
qualcosa di inimmaginabile. Avevo così tanta rabbia
dentro,che la tentazione di
fermare la corsa di Noah,ed andare in strada a caccia di quelle
cose,era stata
tanta e a stento ero riuscita a controllarla. Ero anche
schifata,disgustata ed
attanagliata da un senso di nausea che da giorni non andava via. Ero
stanca,eppure non mi riusciva di chiudere gli occhi per più
di qualche ora. Mi
ero osservata allo specchietto della macchina e non avevo visto altro
che due
occhi scuri ed arrossati e delle grosse occhiaie bluastre a marcare la
pelle
con prepotenza. Non facevo una doccia da due giorni ormai,e mi sentivo
sudicia
in quei vestiti sudati che non avevo avuto voglia di cambiare prima
della
partenza. Sì,ero disgustosa come non lo ero mai stata nella
mia vita,ma quando
in testa non hai altro che l’immagine del tuo ragazzo che
vaga in cerca di
carne umana,quella della tua migliore amica divorata da suo padre,o
immagini
quella dei tuoi genitori che circondati ed impotenti crollano sotto la
debole
forza di quelle cose,lavarti e cambiarti è
l’ultimo dei tuoi problemi. Forse se
l’avessi fatto,se mi fossi ripulita dallo schifo che avevo
addosso,sarei
tornata a sentirmi “umana”,ma ultimamente mi
sfuggiva parecchio il concetto di
umanità. Così me ne stavo buttata addosso allo
sportello dell’auto con il
finestrino abbassato,il mio disgusto,la mia rabbia,e
l’immancabile senso di
nausea. Non parlavo,tenevo gli occhi chiusi e continuavo ad immaginare
che
tutto quello non fosse altro che un sogno.
«Lucas
sta
dormendo» mi disse Noah,lanciando un’occhiata allo
specchietto retrovisore.
Annuii
debolmente.
La cosa che
mi infastidiva di più era il fatto che la mia preoccupazione
non riusciva a
prendere il sopravvento sulla rabbia. Me ne stavo lì,a
covare rancore per il
mondo,quando mio fratello non apriva bocca da almeno un giorno e non
faceva
altro che dormire. A volte avevo il sospetto che fingesse di dormire
per non
essere costretto a parlarci. Non potevo fare a meno di sentire
riecheggiare
dentro di me la frase :” che razza di sorella
sei?”. Probabilmente non avevo
abbastanza forza per tutti e due…probabilmente ero
così debole che a malapena
avevo la forza necessaria per continuare a vivere
quell’assurdo incubo senza
prendere il fucile e spararmi un colpo alla testa.
«Quando
si
sveglia dovresti parlargli».
Lanciai
un’occhiataccia al ragazzo «per dirgli cosa?Eh?Caro
fratellino siamo in viaggio
da ore verso una cazzo di città e non si sa se domani saremo
ancora vivi perché
le persone sono diventate dei mostri affamati di carne umana?»
Noah mi
guardò e scosse la testa pieno di disappunto. Era chiaro
quanto io e lui
avessimo reagito diversamente alla cosa. Lui pareva farsi forza,in
qualche
modo,per andare avanti e trovare la speranza che non gli permettesse di
abbandonarsi a se stesso. Io,invece,non vedevo alcuna speranza,alcun
domani…niente di niente,se non la miseria e lo schifo nel
quale eravamo.
Invidiavo quella sua forza,ma non potevo fare a meno di pensare che
quel
briciolo di speranza che gli era rimasta fosse legata al fatto che in
quel
mondo non avesse perso tutto. Sua madre era seduta dietro,appisolata
anche
lei,con il fucile stretto tra le gambe.
«Dovresti
dargli il buon esempio,Sant…»
«Cazzo!»
strillai furiosa,interrompendolo «Non dirmi cosa devo
fare,ok?Non ti
azzardare!Apri gli occhi Puckerman!Cristo santo,che cosa pensi che
succederà,eh?E’ tutto finito!E’ tutto
finito!Come pensi che riusciremo a
sopravvivere,come?!»
Noah mi
guardò con gli occhi sgranati e l’espressione dura
e la bocca serrata,poi si riprese
dal suo stupore e cominciò ad ignorare la
strada,fulminandomi con lo sguardo.
«’Fanculo!»
sbottai,spostando lo sguardo dal suo viso.
La macchina
si fermò di colpo. Guardai la strada,ma era pulita,non
c’erano gli affamati e
neppure macchine a bloccare il passaggio,e allora perché si
era fermato?
«Scendi»
disse
serio il ragazzo.
Lo guardai
piena di stupore «cosa?!»
«Scendi»
ripeté lui con una calma da far gelare il sangue nelle vene.
Non sapevo
cosa dire…ero spiazzata,senza parole. Scossi la testa.
«Ti ho
detto
di scendere da questa cazzo di macchina!» urlò
pieno di rabbia,con il viso che
era diventato una maschera terrificante «Vuoi farti
ammazzare?!E allora
scendi!»
Ero del
tutto basita ed impaurita da quella sua reazione improvvisa.
«Non
ho
detto che voglio farmi ammazzare!» strillai di rimando.
Lui
continuò
a guardarmi nero in viso,con le labbra serrate e gli occhi lucidi a
tradirlo
appena.
«Se
non
credi che possiamo sopravvivere,se non credi che in quella fottutissima
città
possa trovare il mio amico ancora vivo,se non credi che questa
situazione
possa risolversi,scendi!» si avvicinò al mio viso
con fare minaccioso,ma fu
facile capire che la sua rabbia stava decrescendo lentamente
«Vuoi andare a
fare la stronza in mezzo a quelle cose,eh?!Vuoi andare ad ammazzarle
tutte?E’
questo che vuoi?Prendi quel cazzo di fucile e vai allora,nessuno ti
costringe a
restare qui a perdere tempo con noi,ma non ti permetterò di
mettere in pericolo
gli altri perché tu hai deciso che la tua vita sia
già finita».
Dio…ero
di
nuovo senza parole. Scossi la testa. Come facevano male quelle
maledette
parole,mi stavano distruggendo dentro,e la prova di quel dolore interno
furono
le lacrime che in un attimo cominciarono ad inumidirmi il viso.
«Sei
incazzata con il mondo,sei incazzata con te stessa perché
tua madre è andata a
cercarti in quel casino,sei incazzata con quelle cose perché
ti hanno portato
via la persona che amavi,sei incazzata con Dio,ma no…non
permetterti di sfogare
la tua rabbia su di me e su quel che sto cercando di fare!Ok?Vi ho
salvato il
culo in quella strada,e pretendo almeno un minimo di rispetto. Soltanto
perché
non mi piango addosso e non me ne sto con il fucile puntato alla
tempia,non
vuol dire che debba essere aggredito da te!Sto reagendo,sto cercando di
sopravvivere e di far sopravvivere voi altri,ed è
esattamente quello che
dovresti fare tu. Abbiamo perso tutti qualcosa,tutti!Pensi che io sia
felice,eh?!Pensi che lo sia?Sono stato al fresco per quasi un anno,e
quando
torno mi ritrovo in una situazione inimmaginabile…mi ritrovo
il mio
migliore amico divorato sotto gli occhi e l’intera
città che nel giro di un’ora
impazzisce. Non è difficile solo per te!Non sei
l’unica al mondo a soffrire e
ad avere perso le persone che amavi,perciò non fare la
stronza!»
Noah mi
guardava pieno di rabbia,ma nascondeva però una grande
fragilità. Era sul punto
di piangere,lo vedevo,eppure non lo avrebbe permesso.
Io,invece,scuotevo la
testa tra i singhiozzi e cercavo inutilmente di evitare il suo sguardo.
Sapevo
che aveva ragione,ma l’ammetterlo a me stessa faceva troppo
male. Tremavo,mi
sentivo male. Non capivo se fossero i singhiozzi a scuotermi in quel
modo,oppure i brividi di freddo che percepivo in tutto il corpo. La
nausea
che avevo provato per giorni interi era aumentata improvvisamente,e
sentivo di
stare per vomitare. Mi passai le mani sul viso ad asciugarmi le
lacrime,con il
respiro che diventava sempre più affannoso. Mi portai una
mano sul petto ed
avvertii il battito del mio cuore impazzito,poi cominciai a sudare
freddo,e a
provare un senso di…un panico incredibile,una paura che mi
immobilizzava così
come immobilizzava il petto che mi faceva male nel momento in cui
respiravo.
«Stai
bene?!» chiese Puckerman preoccupato «Dio,sei
sbiancata Santana».
Scossi la
testa. Le lacrime scendevano veloci,ed io ansimavo senza avere la
minima
capacità di parlare. Spalancai la bocca e nonostante quel
maledetto dolore al
petto,mi costrinsi a respirare. Il cuore batteva velocissimo,e per un
attimo
pensai che sarebbe esploso. Mi sembrava di stare per soffocare,di stare
per morire…tutto
era offuscato e avevo paura perché il mio corpo continuava a
tremare e ad
avvertire freddo,senza che io potessi fare niente. Cercai di
deglutire,ma la
saliva non scendeva giù. Stavo morendo…stavo
morendo soffocata.
Noah scese
velocemente dalla macchina,così come fece sua madre e
corsero entrambi ad
aprirmi lo sportello.
«Cos’hai
San?» mi chiese mio fratello,che doveva essersi svegliato
dopo tutte quelle
grida.
Noah aveva
la fronte corrugata,e mi toccò con il dorso della mano una
guancia.
«Credo
sia
un attacco di panico» affermò il ragazzo
continuando ad osservarmi pieno di
apprensione «respira Santana,calmati. E’ tutto
ok,stringimi la mano».
Afferrai la
sua mano,ma non avevo la forza per stringerla bene. Stavo
morendo…non c’era
dubbio,stavo morendo. Sentivo le pulsazioni esplodermi in gola,e
ansimavo,perché sentivo che l’aria non era
abbastanza…no…soffocavo.
«Guardami»
mi disse Noah,chinato,poco distante dal mio viso
«shhh…è tutto ok,è tutto ok.
Chiudi gli occhi e immagina il posto più bello che ti vieni
in mente. Ci sei?»
domandò poco dopo.
Annuii senza
osservarlo. Era una radura meravigliosa,con l’erba di un
verde incantevole e
tanti piccoli fiorellini rosa che spuntavano qua e là,dando
un tocco di colore
a quella perfezione. Davanti a me c’era una cascata rumorosa
con dell’acqua
limpidissima e apparentemente fresca,invitante,che ricadeva delicata in
un
laghetto da cui si intravedeva il fondo. C’era il sole,un
gran sole a baciare
la mia pelle e ad illuminare quello spettacolo di natura.
«Tu
sei lì,e
tieni per mano Josh. State camminando,tu gli sorridi e lui ti sussurra
che ti
ama».
Lo vidi
nitidamente nella mia testa. Quei capelli scuri un po’
disordinati,la sua bocca
che mi sfiora l’orecchio e il suo fiato sul collo mentre mi
dice quelle parole
sincere e piene d’amore. Poi io rido,gli rispondo che lo
amo,e le nostre labbra
si toccano.
Presi un
grosso respiro,con gli occhi ancora chiusi e le ciglia fradice,e sentii
che
tutto quel dolore stava passando. Avevo smesso di tremare,non sudavo
più,ma
sentivo ancora freddo. Il petto faceva ancora male,ma non come prima.
«Come
ti
senti?» mi chiese il ragazzo che ancora mi stringeva la mano.
Aprii gli
occhi «sta passando» risposi con un filo di voce.
Singhiozzai,mi
stropicciai gli occhi,e poi tornai a respirare normalmente. Era finito.
Lucas
mi toccò una spalla da dietro,io mi voltai e gli sorrisi.
Noah mi osservò
un’ultima volta,poi tornò in macchina e lo stesso
fece sua madre. Era buio,e
quell’oscurità non faceva altro che accentuare
la stanchezza che avvertivo in ogni fibra del corpo. Era
come se il mio
petto fosse stato svuotato e la debolezza si fosse mischiata al
sollievo.
Sentivo che avrei anche potuto dormire,che forse quella notte ci sarei
riuscita.
«Fermiamoci
qui» disse Puckerman «domani mattina proseguiremo.
Dovremmo raggiungere New
York per mezzo giorno».
Mi sforzai
di annuire.
«Tutto
passato?» chiese il ragazzo voltandosi verso di me.
«Sì»
risposi
piano.
«Mi
dispiace
di averti urlato in quel modo…sono stato un pezzo di
merda».
Io sorrisi
«lo
sei stato,ma avevi ragione».
Anche lui
sorrise «resterò io di guarda stanotte, tu cerca
di dormire».
«Grazie».
Il ragazzo
afferrò il fucile,aprì lo sportello ed
uscì. Io
gli lanciai un’ultima occhiata,ringraziandolo di nuovo
mentalmente,poi sfiorai
il ciondolo della collana che indossavo ed appoggiai la testa allo
sportello.
Chiusi gli occhi,feci un ultimo e profondo respiro,e mi ritrovai di
nuovo in
quella radura. Le mie labbra toccavano le sue,lui teneva le mani
attorno alla
mia vita,e il sole non smetteva di brillare. Avevo bisogno del
sole,avevo
bisogno che i raggi mi sfiorassero come facevano quelli candidamente,e
invece c’era il buio.
Forse presto avrei ritrovato il mio sole,forse New York mi avrebbe
riservato un
po’ del calore che credevo non avrei mai più
conosciuto. Da quel momento in poi avrei tenuto bene a mente quel
singolo pensiero. Forse quel viaggio ci avrebbe regalato qualcosa...la
vita non poteva solo privare e mai concedere,no?
Ti prego
sole,baciami.
Ed
eccoci alla fine di un altro capitolo. Ma quanto è difficile
sopravvivere in un mondo infestato da zombie?Non si parla solo di una
difficoltà di tipo pratico,ma anche delle problematiche che
la persona (in questo caso Santana) si porta poi con sè. La
nostra povera Santana si è ritrovata a lottare con uno dei
più pericolosi mali : il panico. Beh,questo è
soltanto l'inizio del viaggio che i nostri protagonisti hanno
intrapreso,ma ancora molto dovrà succedere...
Per
gli amanti del Brittana mi sento in dovere di suggerire una cosa :
leggente attentamente la parte finale del capitolo. A buon intenditor
poche parole...
Alla prossima
gente!Scrivetemi le vostre impressioni nelle recensioni,vi aspetto
lì ed ovviamente nel prossimo capitolo ...a presto!
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Capitolo 7 *** Il tunnel dell'orrore ***
Between
the hungry
Il tunnel
dell'orrore .
Correvo
veloce,nonostante di tanto in tanto avvertissi le gambe cedere. Sentivo
l’aria
spostarmi i capelli e colpirmi il viso delicatamente. Il sangue pompava
veloce
nelle vene,mentre invano mi guardavo attorno,nervosamente,cercando una
via di
uscita. Era New York quella? Il cielo tetro,nascosto sotto uno strato
di nuvole
spesso e angosciante,si rispecchiava sulle vie di quella
città immensa,che
aveva un qualcosa di spettrale e profondamente scoraggiante. Ero sola.
Il vento
trasportava pezzi di carta che svolazzavano qua e là,simili
a degli uccelli
goffi ed incapaci. Camminavo tra le strade grigie e
malconce,infilandomi tra le
macchine abbandonate in strada. Mi inseguivano e non avevo neppure una
misera
arma con me,niente…ero sola e abbandonata ad un unico
destino. Niente voci,né il
suono dello scorrere delle macchine o quello del traffico che una
città come
quella avrebbe dovuto avere. L’unico rumore che mi inseguiva
rompendo quel silenzio
che sapeva di morte,era quello degli affamati. D’un tratto
smisi di correre e
mi fermai davanti un grattacielo,pronta a voltarmi per rendermi conto
di quanti
ne avessi dietro. Mi girai e fermai l’impulso di chiudere gli
occhi. Ce n’erano
a decine. Ero pronta per tornare a correre,perché fuggire
era l’unica cosa che
potessi fare,ma qualcosa mi bloccò. Sentii un peso violento
sullo stomaco e una
scarica di pugni mi si scatenò sul petto,fermandomi per
qualche secondo il
respiro. In prima fila scorsi delle ciocche rosse su un viso
irriconoscibile : bianco cadaverico,con un pezzo di zigomo mancante. Ma
era lei :
era Mandy. La osservavo con gli occhi sgranati per il terrore,come se
il mio
cervello avesse già deciso che sarei morta per mano sua. Si
avvicinava,ed io
pietrificata continuavo ad osservarla,con la speranza che quella
ragazza
simpatica e solare,che avevo conosciuto durante il primo giorno di
lavoro,sarebbe tornata in sé. Ma lei mi guardava non come
un’amica avrebbe dovuto
fare,no…lei mi guardava e vedeva davanti a sé una
sola cosa : cibo.
Mi svegliai
di soprassalto col fiatone,immersa in un bagno di lacrime. Mi guardai
attorno e
grazie al cielo capii di trovarmi nell’abitacolo del
fuoristrada. Me ne stavo
buttata a peso morto sul sedile,e quando provai a staccare la schiena
da
lì,avvertii un dolore alla spalla e uno altrettanto
fastidioso al collo.
Dio,sarebbe stato meglio dormire sull’asfalto…quel
sonno malsano mi aveva resa
una specie di catorcio. Mi girai per dare un’occhiata dietro
: Lucas dormiva profondamente
con la testa appoggiata alla spalla della signora Puckerman. Sorrisi e
poi,ancora stordita dal sonno e turbata da quello schifosissimo
sogno,aprii lo
sportello dell’auto e uscii fuori. Mi stiracchiai e lasciai
andare i ricordi di quella realtà distorta in uno
sbadiglio. Il sole spezzava
l’oscurità della notte e si levava lento nel
cielo. Forse erano le sei,forse
le sei e qualcosa.
«Buongiorno»
mi disse Noah con un sorriso dal tettuccio della vettura.
Se ne stava
seduto con le gambe incrociate ed il fucile poco distante da lui,sulla
superficie metallica nera.
«Dio,hai
un
aspetto terribile!» esclamai osservando le occhiaie bluastre
sul suo viso.
«Oh,ti
ringrazio…anche tu sembri una rosa questa mattina»
rispose ridacchiando.
Scossi la testa
sorridendo.
«Tra
massimo
una mezz’ora ripartiremo,» mi informò il
ragazzo «così finalmente potrò
chiudere un po’ gli occhi».
Annuii. Non
doveva essere stato piacevole passare un’intera notte
sveglio,con un
fucile tra le mani,e il sonno come nemico. Da lì fino a New
York avrei guidato
io,era scontato.
«Ne
hai
vista qualcuna di quelle cose?» chiesi,issandomi sul cofano
della vettura per
raggiungerlo.
«Tre o
quattro,ma erano soli…li ho fatti fuori con il
coltello».
Mi sedetti
al suo fianco e notai qualche cadavere al lato della strada. Noah mi
guardò,con
ancora un briciolo di apprensione sul viso,ed io continuai a guardare
il
sole,cercando di ignorare i suoi occhi che continuavano a ricordarmi
quel che
era successo il giorno prima.
«Come
facevi
a sapere che era un attacco di panico,ieri?» ruppi il
silenzio.
Sentii il
suo sospiro,e così mi voltai. Aveva lo sguardo basso,e
sembrava essersi
rattristato. Poi gettò gli occhi verso il bosco che si
diradava ai lati della
strada,e tornò di nuovo ad osservare la vettura sotto di
sé.
«Quando
passi un anno dentro,impari tante cose che non vorresti
imparare…» si limitò a dire con un
mezzo sorriso amaro.
Ricordai
cos’aveva detto la sera prima,quando mi aveva urlato contro ;
aveva detto di
essere stato in prigione,e soltanto allora mi tornava in mente quel
fatto.
«Perché
ci
sei finito?» domandai,improvvisamente curiosa.
Lui mi
guardò e scosse la testa,come se avesse voluto cancellare
qualche brutto
ricordo.
«Furto
d’auto» rispose,toccandosi la nuca rasata
«e anche perché sono un
coglione…»
Dedussi dal
suo tono di voce che non doveva essere stata una bella esperienza. Il
buon
senso mi imponeva di chiudere la bocca,ma la curiosità
prendeva il sopravvento.
Parlare mi distraeva,ed era proprio quello di cui avevo
bisogno.
«Hai…hai
avuto degli attacchi di panico lì dentro?»
Noah scosse
la testa «non io,il mio compagno di cella. Era un
incubo.» disse ormai perso
nei ricordi pieni di immagini «Ogni notte si svegliava
all’improvviso e
cominciava ad urlare di volere che sua madre lo
perdonasse…ne soffriva ed era
un miracolo se riuscivo a chiudere gli occhi per più di tre
ore».
«Cos’aveva
fatto?»
I suoi occhi
divennero ancora più bui.
«Aveva
picchiato sua madre fino a mandarla in coma».
Rabbrividii
e poi tornò il silenzio. Eravamo soltanto io,Noah,ed i
nostri pensieri.
Qualcosa all’orizzonte destò la mia attenzione.
«Lì
giù»
dissi a Puckerman indicando l’affamato con un dito.
Noah
annuì,si sfilò il coltello dalla cintura dei
jeans e fece per saltare giù dalla
macchina.
«Fermo!»
esclamai afferrandolo per un lembo della maglia «Ci penso
io».
Lui mi
guardò interdetto,sorpreso,con la fronte aggrottata e
solcata da qualche ruga
«sicura?»
Annuii
decisa.
Presi il
coltello e scesi dalla macchina con un balzo. Avevo le ossa
doloranti…ero tutta
dolorante. Sentivo ancora una debolezza indescrivibile,ma sapevo che
era
necessario avere sangue freddo ed avere quanta più
esperienza nell’affrontare
quelle cose,per cui era giusto che lo uccidessi io. Mi incamminai
piano,aspettando quasi che si avvicinasse. Era orrendo come tutti gli
altri. Impugnai il coltello saldamente e feci qualche altro passo in
avanti. Lo tenevo
d’occhio come una tigre pronta a saltare addosso alla sua
preda. Era mio,era
tutto mio. I muscoli del braccio destro si irrigidivano e poi tornavano
a rilassarsi
in maniera quasi ritmica. Era inquietante da dire,ma morivo dalla
voglia di
ammazzarlo.
«Figlio
di
puttana» bofonchiai tra me e me.
Lo stavo
aspettando,ero pronta. I versi di quel mostro erano sempre
più rumorosi e
vicini.
«Avvicinati,andiamo..»
Feci un
altro passo avanti e gli afferrai un lembo della camicia logora
all’altezza del
petto,lo guardai dritto in quegli occhi morti,e piantai il coltello nel
cranio
con quanta più forza avessi. Gli schizzi di quel sangue
denso e disgustoso mi
finirono sul viso e sulla mano. L’affamato cadde a terra
privo di vita,e con
tutte e due le mani tirai fuori la punta metallica dal suo cervello. Mi
voltai
a guardare Noah e lui mi fece un gran sorriso,mostrandomi il pollice
alzato.
*
C'eravamo
quasi,New York era vicina. Guidavo da ormai quattro ore buone,ed avevo
fatto
solamente due soste dall’inizio del viaggio. La prima era
stata per
un’esigenza "fisiologica",la seconda per riposare un
po’ la testa e riempire lo
stomaco con del pane e burro di arachidi. Noah dormiva
profondamente,come tutti
gli altri,e le uniche cose a riempire l’abitacolo di quella
grossa e imponente
macchina erano i miei pensieri ed il silenzio. Non avevamo incontrato
morti
durante il tragitto,né avevamo avuto problemi con la
strada,ma l’angoscia,la
mia angoscia,era forte e vivida come un pugno dritto in pieno viso. Il
silenzio
e la macchina,che faceva il suo lavoro quasi automaticamente,avevano
dato uno
spazio ampio ed indesiderato ai miei pensieri. Fluttuavano
liberi,intrecciandosi,mischiandosi in astratti ed oscuri disegni,e
rendevano
l’aria irrespirabile. Cosa ne sarebbe stato di noi?Era giusto
andare in una
città grande come New York?Perché Noah aveva
deciso di rischiare tutto per
andare da un suo amico?Cos’erano quelle cose?Sarebbero
arrivati dei soccorsi a
staccarci dalla melma scura e appiccicosa nella quale eravamo
impantanati?Pensavo ad ogni singola domanda ; la formulavo,la
riformulavo,allontanavo le parole e le affiancavo nuovamente dando loro
un
altro senso,ma quella era l’unica cosa che potessi fare. Mi
concentravo sulle
domande perché non avevo risposte,e quella grossa mancanza
era colmata dal
vorticare delle mille parole assieme ad altrettanti punti
interrogativi. Era
strano,ma per la prima volta da quando quell’incubo era
iniziato,sentivo un
briciolo di forza tornarmi indietro,come un boomerang lanciato
goffamente.
Tornai a guardare la strada,pur non avendo spostando gli occhi per un
secondo
dall’asfalto,e mi balenò un ultimo pensiero in
mente : New York = meta.
«Siamo
vicini» avvisai Noah in un sussurro.
Lui mi
guardò ancora stordito,con gli occhi socchiusi per il
sonno,e poi annuì.
«Come
ci
muoveremo in una città come quella?E’
grande,dispersiva…non stiamo parlando di
Lima e dei suoi quarantamila abitanti. Penso che New York
sarà un bel casino»
affermai,voltandomi verso di lui.
Forse avevo
parlato un po’ troppo in fretta,perché mi pareva
che a malapena avesse capito
quel che avevo detto. Era troppo frastornato per rispondermi,e uno
sbadiglio
gli sfuggì improvvisamente. Si stropicciò gli
occhi come un bambino fa appena sveglio,poi sbatté
qualche volta le palpebre e rimase a guardarmi. Stavo
aspettando una risposta.
«Ce la
caveremo,tranquilla. Sarà impossibile muoverci con la
macchina,e il casino in
strada ci rallenterebbe. Ci muoveremo a piedi ; saremo veloci e
silenziosi».
Chissà
perché quel suo discorso,intriso di una speranza quasi
forzata,mi aveva tirato
fuori un grosso sospiro. Troppa incertezza. Sguazzavamo nel dubbio e
nella
forza innaturale che un pizzico di speranza ci concedeva,ma per me non
era
sufficiente. Continuai a guardare la strada perché sapevo
che se mi fossi
concessa la libertà di parlare,sarei finita con lo scatenare
un’altra lite.
Nell’ultimo
tratto di strada Puckerman aveva deciso di darmi il
cambio,perché si era detto
che insonnolito com’era non sarebbe stato di alcun aiuto tra
le strade della
grande mela. Guidare avrebbe forzato la sua concentrazione e si sarebbe
ripreso
da quella sorta di trance che lo teneva stretto in una morsa a dir poco
asfissiante. Io
non avevo opposto resistenza : avevo fermato la macchina,avevo
abbandonato il
posto del guidatore,e mi ero seduta alla sua destra. Avrei impiegato
quegli
ultimi minuti ad osservare il cielo oscurarsi sopra le nostre teste,ed
avrei
recitato silenziosamente una qualche preghiera,pur sapendo che nessun
Dio ci
avrebbe mai aiutati. Il problema dell’avvicinarsi ad una
città grande e caotica
come New York,era che avevamo abbandonato definitivamente i boschi che
ci avevano
accompagnato dolcemente sino a poco prima,e avevamo cominciato a vedere
all’orizzonte
una fila infinita di macchine ferme. Come immaginavo,la strada era
impraticabile.
«Che
si fa?»
domandai a Noah,che aveva rallentato sino quasi a fermarsi.
Il suo viso
era contratto ed i suoi occhi studiavano quel che gli si trovava
davanti. La
fronte corrugata non si rilassò nemmeno per un
istante,nemmeno quando i miei
occhi si soffermarono per lunghi secondi sulle pieghe di pelle che
rendevano il
suo viso simile ad un pezzo di carta accartocciato e poi riaperto.
«Non
ne ho
idea» rispose debolmente,con gli occhi sgranati.
«Potremmo
abbandonare la macchina qui e proseguire a piedi,ma sarebbe da
incoscienti.
Oppure potremmo proseguire nell’altra corsia fino a che la
strada ce lo
permetta».
«No,»
disse
scuotendo la testa «non lasceremo la macchina qui. Non se ne
parla. Saranno più
di dieci chilometri e impiegheremmo troppo tempo camminando.
E’ troppo
rischioso e mia madre non ce la farebbe».
«Parla
per
te!» rispose la donna tempestivamente,sentitasi offesa.
Io e Noah
sorridemmo.
«Fino
a che
possiamo,procederemo nell’altra corsia,»
continuò subito dopo «poi ci penso io.
Cominciate a scaldarvi i muscoli delle gambe,ci aspetta un bel
casino».
Sentii una
vampata di agitazione scatenarmisi nel petto ed agitarmi lo stomaco in
un vortice
pieno di preoccupazione. Respirai profondamente,chiusi gli occhi,e
cercai di
azzittire le domande in merito a quel “ci penso io”.
*
«Vedi
a che
serve saper rubare una macchina,mamma?» disse il ragazzo con
un mezzo
sorriso,sfregando di nuovo i fili elettrici tra di loro.
«Ma
guarda
tu che delinquente di un figlio che mi è toccato!»
rispose la donna con tono
ironico,osservando il figlio all’opera.
«Un
delinquente che sa essere utile» ribatté il
ragazzo,facendole teatralmente
l’occhiolino.
Avevamo
proseguito per qualche altro chilometro nell’altra corsia
senza avere
problemi,poi,però,eravamo rimasti bloccati in un ingorgo che
chiudeva
completamente la strada. Eravamo scesi,ci eravamo messi sulle spalle i
tre
zaini colmi di beni primari,ed avevamo impugnato le nostre armi.
Avevamo
abbandonato la macchina,ma non era nostra intenzione raggiungere la
città con
la sola forza delle nostre gambe. Avevamo seguito la fila della corsia
di ritorno
(l’unica che poteva esser definita praticabile),sino a che
non avevamo trovato
una fine a quel susseguirsi di vetture polverose,sul quale metallo si
rispecchiavano i nostri riflessi luminosi. Durante quella corsa
angosciante e
silenziosa avevamo incontrato ben cinque mostri che gironzolavano in
strada in
cerca di cibo,per non parlare di tutti quelli che erano rimasti
bloccati nelle
auto,tenuti a freno solamente da delle cinture di sicurezza. Stupidi. Non avevano la
capacità di
movimento necessaria per liberarsi e se ne stavano sui
sedili,lamentandosi,agitando le braccia cadaveriche,con quel pezzo di
stoffa
nera che li teneva lontani da noi. Giunti in capo alla fila,dopo aver
percorso diverse
centinaia di metri,Noah aveva adocchiato una bmw nera e luccicante,che
pareva
esser perfetta per noi. Lo sportello dalla parte del guidatore era
spalancato e
quindi non era stato necessario neppure spaccare il finestrino.
«Non
è il
mio genere,ma andrà più che bene»
affermò Noah con un sorrisetto soddisfatto
non appena partì il motore.
«Sta’
zitto,che sennò ti do un ceffone!» lo
rimproverò la madre, con una finta
occhiataccia e gli angoli della bocca piegati
all’insù.
Era bello
sapere che in quella brutta situazione c’era ancora un motivo
per ridere o
sorridere,ma non c’era tempo da perdere. Salimmo tutti in
macchina,Puckerman al
posto del guidatore ed io al suo fianco,come sempre. Non era facile
guidare in
quel disastro : perdevamo tempo a superare vetture lasciate in mezzo
alla
strada,e di tanto in tanto gli affamati spuntavano dal nulla e noi li
osservavamo attraverso il vetro scuro dell’automobile. Non
erano un pericolo
finché la macchina era in movimento,ed era quello il vero
problema : evitare che si
fermasse. Percorremmo
un altro chilometro,poi un altro,poi un altro ancora. Per un bel tratto
di
strada avemmo vita semplice,e dentro di me pregavo che quel sollievo
non
svanisse e non fosse rimpiazzato di nuovo dalla paura o dal panico.
«Tutto
ok,Lucas?» chiesi a mio fratello,voltandomi verso di lui.
Aveva ancora
la fasciatura improvvisata a sorreggergli il braccio,ma il dolore
andava
diminuendo con il passare del tempo. La fronte era velata dal sudore
che
quell’aria umida e calda creava con facilità. Gli
occhi verde scuro erano seri
e leggermente socchiusi,i capelli corti e ricci incorniciavano quel
viso
dall’espressione rigida,quasi severa. Restai per un attimo a
guardarlo : Dio,in
quel modo sembrava un uomo,non un ragazzo. Lui ricambiò il
mio sguardo,accennò
un debole sorriso e sospirò.
«Tutto
ok»
disse con voce ferma.
Analizzai
per un istante la sua espressione,i piccoli movimenti del volto,e
decisi che
forse non stava mentendo. Era tutto ok,per quanto potesse
esserlo…
«Ci
siamo
quasi,ma c’è un problema»
avvisò Noah,costringendomi a voltarmi davanti.
Guardai
dritto di fronte a me. Sì,c’era un problema.
Dall’Holland Tunnel traboccava un
groviglio di macchine che non ci avrebbe permesso di proseguire. Chiusi
gli
occhi ed inspirai ; quell’immagine aveva aumentato
consistentemente l’angoscia
che avevo provato per l’ultima parte del viaggio.
«Che
si fa?»
Puckerman
storse la bocca e mi guardò. Aveva in mente qualcosa,ma
dalla sua espressione
dedussi che non dovesse essere la cosa più sicura del mondo.
«Andiamo
a
dare un’occhiata io e te,a piedi. Lasciamo l’auto
qui e vediamo se è possibile
fare la stessa cosa di prima. Ci stai?» mi chiese
deciso,guardandomi negli
occhi.
Avevo forse
scelta?
Scesi dalla
vettura con il coltello in mano e la stessa cosa fece Noah ; lasciammo
il
fucile a sua madre. Ci incamminammo nel tunnel,ed immediatamente
avvertii il
panico salire dallo stomaco fino ad espandersi alle gambe,le braccia,le
mani,e
poi salire su fino a prendere il possesso dell’elemento
più importante : la
testa. Tremavo un po'. Io e Puckerman camminammo per qualche metro
sull’asfalto
buio,toccando con il busto le macchine per la quale ci trovavamo
lì,in quel
momento. Le luci della galleria erano spente e l’unico
bagliore che entrava era
quello all'inizio e alla fine di quella lunga costruzione di cemento.
«Se
sono nei
dintorni dovre…»
«Shhh!»
mi
azzittì Noah,portandosi un dito sulla bocca.
Tenevo il
coltello saldamente,il braccio teso e pronto ad ogni tipo di scatto
rapido ed
improvviso,e l’immancabile adrenalina a farmi compagnia. Sangue freddo,mi ripetei cercando di
scorgere nel buio che si
faceva a mano a mano sempre più fitto. Sentivo il respiro
affannoso di Noah
davanti a me e intravedevo le sue spalle e la sua nuca che erano
illuminate dal
debole riflesso della luce del giorno. Era pericoloso ; non riuscivo a
togliermi quella parola dalla testa. Pericoloso. Pericoloso.
Pericoloso.
«Cazzo!»
sbottò Noah,sussultando.
Un lamento
si scatenò da sotto una delle vetture affianco alla quale
era Puckerman. Il mio
cuore aveva preso a battere con la stessa velocità dello
sbattere delle ali di
un uccellino,e il respiro si era fatto corto,se non quasi inesistente.
«Questo
stronzo se ne stava in silenzio e mi ha afferrato la
caviglia».
I lamenti si
levavano e riempivano quel silenzio che misto al buio creava
un’atmosfera a dir
poco lugubre. Strinsi la presa sul coltello e mi chinai affianco alla
vettura.
«Ci
pensi
tu?» chiese Noah,osservando le braccia che si agitavano
innaturalmente.
«Sì!»
Riempii i
polmoni d’aria,e lasciai che i muscoli già tesi
del braccio, entrassero in
funzione. Aspettavano solo quello ; erano rapidi e pronti ad eseguire
un gesto
che stranamente sentivo già familiare. La converse sul petto
dell’affamato,poi
un altro respiro,un altro ancora,trattenni il fiato ed infilai il
coltello in
un occhio del mostro.
«Gli
ho
preso un occhio…che schifo!»
Ci fu di
nuovo silenzio.
«Se
pensi
che quell’occhio gli sarebbe servito per guardarci e farci a
pezzi,forse
proveresti un senso di soddisfazione maggiore,mmh?» disse
sarcastico in un sussurro.
«Fa
ugualmente schifo!»
Qualche
altro metro e la vista divenne un senso decisamente inutile in quel
buio pesto.
La cosa mi spaventava davvero. E se c’erano dei mostri che
non avrebbero
emesso alcun lamento?Saremmo potuti essere sbranati da un momento
all’altro. Continuavamo
a camminare,ignorando la nostra paura,ignorando la voce della
sopravvivenza che
ci ordinava di tornare indietro,e mano a mano ci addentravamo sempre di
più in
quel tunnel infinito. Eravamo alla ricerca della macchina
all’inizio della
fila,ma se la fila non fosse finita lì,ma chilometri
più avanti?Un altro
pensiero che si presentava costantemente nella mia testa era quello di
Lucas e
la signora Puckerman soli in quella macchina. E se fossimo stati noi
quelli al
sicuro,e loro quelli in pericolo?No,quella situazione non mi piaceva.
«Troveremo
un altro modo,dai. Torniamo indietro» dissi a Noah un
po’ troppo ad alta voce.
«Forse
è il
caso».
Giusto il
tempo di voltarci e poi...
«Hai
sentito?» chiese Noah in un sussurro.
Persino il
mio respiro si fece meno rumoroso ; mi immobilizzai e tesi le orecchie
ad
ascoltare. Dei lamenti improvvisi e rumorosi si scatenarono
all’unisono,tutti
con lo stesso tono denso e graffiante a riempire le pareti nella quale
eravamo
intrappolati. Socchiusi gli occhi nel tentativo di scorgere nel buio,ma
non
vedevo nulla. Senza che me ne fossi resa conto,ero tornata a sentire il
suono
del mio respiro e quello di Noah.
«Via,via!»
esclamò Puckerman,cominciando a correre.
Seguivamo il
sentiero immaginario che i nostri occhi creavano
nell’oscurità. Il passo era veloce,simile
ad una corsa che si muniva di un unico senso : il tatto. Sfioravo le
macchine
con i palmi delle mani e sentivo la polvere incollarsi sulla mia pelle
sudata.
I versi erano presenti,ma mano a mano sempre più lontani.
Quando la luce tornò
ad illuminarci,sentii i miei polmoni tornare a riempirsi. Non mi ero
accorta
che stessi trattenendo il fiato. Strizzai gli occhi per un
po’ ; la luce solare
mi dava fastidio. Il suono di quelle creature non era cessato e
continuava ad
avvicinarsi,spingendoci a correre di nuovo,in direzione della macchina.
«Dobbiamo
andare via!» urlai a Noah,quando la prima di quelle teste
cadaveriche spuntò
fuori dal tunnel.
Prima
una,poi la seconda,poi la terza,la quinta,la decima,la…persi
il conto. Ce ne
erano a decine e il mio sguardo si perdeva sui loro corpi in
movimento,mentre
il cuore cominciava a battere all’impazzata. Forse era la mia
impressione,ma
per un momento mi sembrò che il loro passo cominciasse ad
aumentare. Forse non
era la mia impressione e le loro gambe avevano preso ad accelerare
perché
finalmente avevano trovato qualcosa per cui valesse la pena camminare :
cibo.
Quando Noah aprì lo sportello e
s’infilò dentro la macchina,io ancora stavo
addosso al metallo freddo della bmw ad osservare la scena. Non era la
prima
volta che mi fermavo nella speranza che il tempo si fermasse ; era come
se la
mia mente ed ogni fibra del mio corpo avesse il bisogno di accertarsi
che la
vista non si stesse sbagliando. Non sarebbero scomparsi
improvvisamente,eppure
continuavo a guardarli,restando meravigliata ad ogni loro movimento del
fatto
che quell’incubo fosse reale.
«Muoviti,entra!»
mi gridò Puckerman.
Mi distolsi
da quella sorta di trance e filai dentro la vettura,spostando gli occhi
da
quella massa goffa e mostruosa che si faceva sempre più
vicina.
«Rigiriamo
ed andiamo via» suggerii al ragazzo con la voce piena di
panico.
Lui scosse
la testa «non c’è spazio per fare
manovra. Siamo circondati».
Quando
osservai attraverso i vetri scuri,capii che aveva ragione. Noah fece
retromarcia velocemente e guadagnammo una decina di metri,che piano
piano
venivano strappati dal nostro possesso. Eravamo in trappola.
«Continua
la
retromarcia!» urlò mio fratello.
Il viso
preoccupato di Puckerman si fece ancora più serio e rigido.
L’auto indietreggio
di un paio di metri,e poi il suo piede affondò
sull’acceleratore. Il tonfo dei
corpi sotto alla vettura mi fecero sussultare di volta in volta e allo
stesso
tempo tirare un sospiro di sollievo. Ma erano troppi e nel momento in
cui la
macchina cercò di farsi spazio sull’asfalto,quelli
cominciarono a picchiare sui
finestrini e sul cofano,assordendoci con i loro lamenti soffocanti. Il
viso
sfigurato di una creatura si incollò al vetro scuro alla mia
destra,e così
fecero altri tre che mi scrutavano con quel loro sguardo famelico.
Forse erano
venti,forse di più o anche di meno. L’unica cosa
che ero in grado di vedere era
la nostra fine che si presentava imminente,picchiando su una bmw rubata.
«Romperanno
i vetri!» gridai con il cuore in gola.
Mi voltai
verso Noah e notai qualcosa di diverso nel suo viso : si era arreso.
Non aveva
più quel pizzico di determinazione che non l’aveva
mai abbandonato dal momento
del nostro incontro,né il barlume di speranza misto alla
tristezza che aveva
accompagnato da sempre il suo sguardo. Scuoteva semplicemente la
testa,con il
piede fermo sul pedale,e stringeva i denti come se qualcuno stesse
attuando una
tortura interiore su di lui. Mi voltai verso Lucas e strinsi la sua
mano
tremolante nella mia che non trovava la forza per avvolgerla a dovere.
Accarezzai il dorso di questa con il pollice,e sussurrai un
«andrà tutto
bene»,pur sapendo che fosse una bugia.
«Stiamo
per
morire,non è così?» mi chiese mio
fratello mentre una lacrima scendeva giù.
Scossi la
testa. Come potevo mentire,se il parabrezza della vettura si frantumava
lentamente sotto i colpi di quei mostri?Come potevo mentirgli se a poco
meno di
un metro una creatura urlava la sua fame pretendendoci?Volevo che la
sua
speranza non sarebbe morta con lui,e che lui non sarebbe morto privo di
speranza. Eravamo sopravvissuti tre giorni,giorni in cui avevamo pianto
e
convissuto con la nostra sofferenza che aveva avuto il sapore delle
lacrime.
Giorni che non erano bastati a colmare quella che sarebbe dovuta essere
una
vita intera,giorni che non potevano cancellare il rimpianto del
vissuto.
L’amaro sulla lingua assieme al salato,la mente persa nei
ricordi e nelle
immagini fatte di fantasia che alimentavano le ferite nel petto. Ma
tutto
quello,tutto quello non poteva finire così miseramente.
Saremmo stati i tanti
fatti a pezzi da quell’incubo,ma non saremmo stati fatti a
pezzi senza aver
desiderato di continuare a vivere. Io volevo continuare a vivere,anche
se mi
ero ripetuta che non c’era più vita che valesse la
pena di respirare. Avevo ancora
bisogno di lottare per un qualcosa,avevo bisogno di vedere mio fratello
tornare
a sorridere.
«Ehi,basta
piangere.» sussurrai sul viso bagnato e contratto di Lucas
«Me lo fai un
sorriso,mmh?»
Mio fratello
mi guardò sorpreso «ma come..»
«Shh»
lo
interruppi «fammi solo un sorriso,per favore».
Quando
quelle labbra scure si schiusero a forza,le mie lacrime cominciarono a
scendere
ininterrottamente. Mi voltai prima che Lucas potesse vedere
un’altra lacrima
gocciare a terra,e prima che la mia espressione si perdesse nel dolore
che
provavo in quel momento.
«Mamma,il
fucile» disse Noah,continuando a guardare i pugni che si
infrangevano contro il
vetro.
«Che
vuoi
fare?» chiese la donna con un filo di voce.
Noah
sospirò,ma
nemmeno il suo sospiro colmo di disperazione sarebbe stato in grado di
sovrastare i lamenti dei mostri lì fuori.
«E’
arrivato
il momento» disse semplicemente,con una finta calma.
Sgranai gli
occhi. Avevo capito.
«Non
se ne
parla!» esclamai immediatamente.
Un altro
pugno aumentò la crepa sul vetro.
Noah si
girò
e mi guardò con le lacrime agli occhi «non
sarò divorato mentre sono ancora
vivo!Non gli permetterò di torturarmi lentamente!Non lo
farò!»
Un’altra
lacrima mi colò lungo lo zigomo,fino a carezzarmi la
mascella. Che cosa potevo
fare?
«No…»
biascicai disperata.
Qualcosa
distolse all’improvviso il mio sguardo dagli occhi di
Puckerman. Un rumore : il
rumore di uno sportello aprirsi.
«Ferma!»
strillò Lucas con la voce così piena di panico da
non sembrare nemmeno la sua.
«Mamma!»
gridò Noah con gli occhi talmente sgranati,da assomigliare a
due biglie di
vetro dalla forma perfettamente rotonda.
La donna era
già fuori,sull’asfalto,sovrastata da quelle decine
di esseri che la divoravano
e le facevano esplodere le più terribili urla dalla gola.
«No!No!No!Mamma!»
strillò Puckerman in lacrime,disperato,colpendo il volante
ripetutamente.
Ero
scioccata. Era successo tutto così velocemente,che nemmeno
sembrava reale. Era
tutto così assurdo,che persino i più terribili
incubi fatti in vita
mia,sembravano l’immagine del più dolce paradiso.
La donna si era sacrificata
per noi. Continuavo a ripetermelo,eppure non riuscivo a metabolizzare
l’accaduto o a smuovermi da quella paralisi che presto mi
avrebbe potuta
portare alla morte.
«Dobbiamo
uscire dalla macchina e andarcene!»
Noah non si
muoveva.
«Dobbiamo
andarcene!» urlai di nuovo,scuotendolo per un braccio.
«No…»
biascicò lui.
«Vuoi
che
tua madre si sia sacrificata per niente?!Vuoi che abbia rinunciato alla
sua
vita per vederti morire straziato?!»
Scosse
un’ultima volta la testa,tra le lacrime,poi aprì
lo sportello ed io lo
seguì,così come lo seguì Lucas che non
proferiva più parola. Gli affamati erano
tutti sul cadavere della signora Puckerman e di fronte a noi tornava ad
esserci
quel tunnel scuro,questa volta vuoto.
Io e
Lucas,che impugnava il fucile,correvamo per immergerci
nell’oscurità,ma Noah
camminava con lo sguardo vuoto.
«Tieni»
disse mio fratello porgendo l’arma al ragazzo.
Lui la
prese
silenziosamente,ed in un attimo fummo inglobati da quelle mura
claustrofobiche
e chissà quanto infinitamente lunghe. Mentre il buio mi si
appiccicava sulla pelle con prepotenza,una domanda si fece spazio nella
mia mente,acquisendo una priorità assoluta. La domanda era :
fin dove possiamo spingerci per proteggere le persone che amiamo? Posi
una mano sulla spalla di Lucas,e lui mi circondò con un
braccio. La mia risposta
era : lontano,molto lontano. Avrei fatto di tutto per proteggerlo,avrei
fatto di tutto per proteggere quella che ormai era la mia nuova famiglia.
Salve gente!Ed
eccoci qui con un nuovo ed intenso capitolo. Comincio innanzitutto
ringraziandovi,ringraziando tutti coloro che hanno deciso di seguire la
storia e di recensirla. Davvero,la vostra fiducia in me è
una cosa che mi rende particolarmente entusiasta e felice. Poi,passo a
commentare brevemente questo capitolo che probabilmente è il
più lungo che abbia mai pubblicato sino ad ora.
Si sa che prima
che il sole sorga,il cielo è avvolto
dall'oscurità. Il
tunnel dell'orrore , è la nostra
oscurità. Quando per i nostri tre protagonisti le cose
sembrano mettersi per il meglio,si scatena una catastrofe. La povera
signora Puckerman ha dato la sua vita per salvare suo figlio e i
fratelli Lopez,e questo le fa onore. Povera...
Comunque vi
avviso : il prossimo capitolo sarà davvero,ma davvero lungo
ed impegnativo. Mi si è fuso il cervello nello scriverlo,ed
è "quel
capitolo". Non so se avete capito cosa intendo...beh,spero
di si.
Dunque,con la
speranza che abbiate gradito questa mia piccola creazione,vi aspetto
nelle recensioni per rispondere a delle vostre eventuali domande,o per
leggere semplicemente i vostri pareri. Ditemi tutto,non aspetto
altro!
Alla prossima,gente!E quella
"prossima"
sarà ricca di novità...
|
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Capitolo 8 *** Numero nove ***
BETWEEN THE HUNGRY
Numero nove .
«Ehi…come
va?» chiesi al ragazzo che camminava a passo svelto,con lo
sguardo dritto di
fronte a sé.
L’oscurità
ci accompagnava ormai da lunghi ed interminabili minuti. In
quell’aria afosa e
irrespirabile,il senso di essere intrappolati in una lunga e stretta
gabbia di
cemento non faceva altro che crescere. Forse avevamo percorso poco
più di un paio
di chilometri,e seppur non fosse molto che i nostri piedi si muovessero
su
quell’asfalto buio,sentivo già che la vista
cominciava ad abituarsi
all’invisibilità delle cose che si mostravano
solamente grazie al tatto. Lucas
ed io ci tenevamo mano nella mano. Era un modo per non perderci,ma
anche un
modo per rassicurarci con il semplice contatto. Noah invece camminava
solitario. Dal rumore dei passi forse distava qualche metro da noi,e
avrei giurato che stesse piangendo dal suono strozzato dei suoi respiri.
«Noah,»
lo
chiamai con la vaga speranza che si sarebbe fermato «come
va?» ripetei.
Il rumore
dei passi non cessò neppure un istante,né
ricevetti alcuna risposta.
Strinsi la
presa sulla mano di Lucas ed aumentai il passo per raggiungere il
ragazzo che ci
stava di fronte. Quando mi ritrovai al suo fianco,con la sua stessa
andatura,gli poggiai una mano sulla spalla.
«Vuoi
rispondermi?!» sbottai alterata.
Finalmente
si fermò.
Non potevamo
guardarci negli occhi,né studiare le nostre espressioni a
vicenda. Il buio
annullava anche la capacità di intuire gli stati
d’animo altrui. Avevo bisogno
di capire se quegli occhi verdi fossero freddi e decisi,oppure pieni di
lacrime
e socchiusi da un’incontenibile tristezza. Ce ne restammo
lì,fermi,per una
decina di secondi,ad assaporare l’odore dell’aria
densa e carica di
un’elettricità che sapeva di morte. Feci un grosso
respiro,qualche passo verso
quella figura di cui non vedevo neppure la sagoma,e poi chiusi gli
occhi.
Sentivo il dolore di Noah mischiarsi col mio ; lo sentivo riempirmi il
cuore e
venire pompato nelle vene come fosse stato il veleno micidiale del
morso di un
serpente. Quel dolore mordeva,divorava,e il suono del mio respiro si
faceva
mano a mano più sonoro. Quando riaprii gli occhi mi accorsi
che stavo ansimando,e
mi portai una mano sulla fronte ad asciugare una goccia di sudore.
«Tua
madre è
stata la donna più coraggiosa che io abbia mai
conosciuto.» sussurrai mentre
una lacrima percorreva lenta il mio viso «Ci ha
salvati…ha salvato tutti noi.
So quanto fa male,lo so bene…ma per andare avanti devi
lasciare che le emozioni
ti scivolino addosso. Devi…devi ignorare quel dolore,devi
cancellare la sua
immagine,dimenticare il suono della sua voce,perché se non
lo fai…allora il
dolore e la rabbia ti renderanno suo schiavo e ti distruggeranno senza
che tu
nemmeno te ne accorga.» altre lacrime a mischiarsi al
sudore sul viso,ed un vago ricordo
che lentamente si faceva spazio nella mia mente «Sei forte
Noah,e questo lo
sai,ma adesso devi concentrarti sull’uscita di questo tunnel.
Avrai tempo per
piangere tua madre,ma ora…ora dobbiamo uscire di qui,ad ogni
costo».
La mano di
Lucas si strinse meglio attorno alla mia,come se silenziosamente avesse
voluto
elogiarmi per le mie parole o avesse voluto dimostrare il suo rispetto
verso la
mia persona. In un attimo sentii solo i singhiozzi di Noah,e mi
concentrai su
questi. Forse avrebbe voluto rispondermi,magari ringraziarmi,ma tutto
quel che
riusciva a fare in quel momento era piangere,lasciare che quelle
emozioni e
quel brutto ricordo scivolassero via con quelle lacrime piene di
sofferenza. Lo
capivo…Dio,se lo capivo. In tre giorni pareva avessimo
vissuto un’altra vita,e
lentamente ogni punto di forza alla quale da sempre ci eravamo
aggrappati,ci
abbandonava per lasciarci soli a noi stessi. Rivolevo anch’io
mia madre,la
rivolevo con ogni parte del mio corpo,così come rivolevo mio
padre e
Josh. Rivolevo i sorrisi della prima,gli abbracci del
secondo,e i baci del
terzo. Li rivolevo con me perché era giusto che ci
fossero,perché l’unica ingiustizia
in quel nuovo mondo era quella finta vita mostruosa che ci strappava
lentamente
ogni briciola di umanità. Li rivolevo perché non
ero mai stata pronta per
dirgli addio,perché non era stato giusto il modo in cui se
ne erano andati e il
modo in cui mi avevano lasciata. Li rivolevo per proteggerli e li
rivolevo per
lasciarmi rassicurare dai loro gesti semplici nei momenti in cui avrei
voluto
smettere di lottare e abbandonarmi alla follia di quella nuova vita. Li
rivolevo,li rivolevo ad ogni costo,eppure sapevo che non
c’era più spazio per
loro in quel disastro. Le loro figure buone e dolci,la loro essenza
pura e
ormai vana,sarebbe stata inadeguata in quel feroce sogno dai versi
graffianti,simili a quei gemiti che si erano stampati nella mia mente.
Li
rivolevo con me così tanto…
Quando Lucas
mi strattonò a sé,e tornai ad ascoltare e a
camminare,capii che il momento
delle emozioni era appena terminato. Noah aveva ricominciato a
camminare,e così
anche noi. Dovevo lasciarmi alle spalle immagini e ricordi e , senza
neppure
rendermene conto , era quel che stavo facendo. Ad ogni passo,un ricordo
vivace ed
asfissiante scivolava dietro le mie spalle senza neppure reclamare. Era
giusto
così. Non mi restava altro che camminare,camminare e
stringere più forte la mano
di mio fratello.
*
Non era
facile restare concentrati quando attorno a te non
c’è altro che l’incertezza
del buio o quando qualunque rumore ti fa sussultare e ti ferma un
respiro in
gola. I minuti passavano veloci,incontrollati e furiosi nel silenzio.
Quanto
ancora avevamo da percorrere?Quanto altro tempo saremmo rimasti
bloccati in
quel tunnel angosciante?Sentivo la tensione scorrermi nelle vene,ed i
nervi che
fino ad allora erano stati saldi,cedere lentamente per la stanchezza.
Non
sapevo quanto altro tempo avrei resistito,ma sentivo il momento della
mia resa
sempre più vicino.
«San,»
mi
chiamò mio fratello con un filo di voce «possiamo
fermarci?»
Istintivamente
i miei piedi smisero di muoversi .
«Noah?»
«Solo
un
paio di minuti» rispose lui con apparente distacco.
Aveva la
voce ferma,quasi gelida. Sembrava quella di un soldato alla quale era
stata
affidata una missione di vitale importanza e che non aveva alcuna
intenzione di
farsi trascinare al fallimento da distrazioni varie. Era
concentrato,concentrato nel modo in cui sarei dovuta essere
anch’io.
«D’accordo.
Lucas,sediamoci a terra».
L’asfalto
freddo sembrò nei primi secondi darmi una sensazione simile
al sollievo. Se
quel buio non avesse potuto nascondere dei
pericoli,l’atmosfera sarebbe potuta
essere piacevolmente rilassante. Avrei chiuso gli occhi,inspirato
profondamente,immaginando di non essere intrappolata
all’interno di delle
mura,e mi sarei concentrata sul calore che andava svanendo grazie al
cemento
che mi rinfrescava la pelle. Mi passai una mano sulla fronte ed
avvertii
qualche goccia di sudore spandersi sui miei polpastrelli. Sudavo sia
per il
caldo asfissiante,sia per tutta l’agitazione che quella
situazione aveva creato.
Stavo per chiudere gli occhi,ero tentata…ma poi una luce
fioca attirò la mia
attenzione. Da dietro la fiamma intravedevo i lineamenti di
Noah…ero
confusa…era un accendino?Teneva in mano un accendino?
Scattai da
terra in una frazione di secondo,a denti stretti. Corsi verso la fonte
della
fiamma,e mi fermai a poche centimetri da quel debole calore.
«Avevi
un
accendino con te e hai deciso di usarlo solo ora?!» sbottai
alterata.
I suoi occhi
arrossati si socchiusero.
«Pensi
che
se l’avessi acceso prima,il gas avrebbe retto per
l’intero tunnel?» rispose lui
duro,con le sopracciglia aggrottate e il viso contratto.
«Avresti
almeno potuto dirlo,no?»
«Non
necessariamente» controbatté lui secco.
Scossi la
testa contrariata e bofonchiai un “stronzo”. Mi
rendevo conto che avesse appena
perso sua madre,che fosse arrabbiato,triste,disperato e che magari non
avesse
avuto tutti i torti sul fatto dell’accendino,ma il suo
comportamento cominciava
a darmi sui nervi.
Lui si
voltò,mi diede le spalle e si allontanò diretto
verso chissà dove.
«Dove
vai?»
chiesi all’oscurità.
«Cerco
una
macchina,fareste meglio a seguirmi».
Storsi la
bocca per il disappunto,poi tirai su mio fratello con una mano,e sempre
stringendola,ci rincamminammo dietro quel bagliore fioco che si
allontanava
velocemente.
«Ma
non
potrebbe rallentare?» mi chiese mio fratello.
Scossi
semplicemente la testa. Lucas sapeva quanto fossi in disaccordo con il
modo
di fare
che Noah aveva adottato,e sapeva anche il motivo del mio silenzio. Era
meglio
seguirlo senza fare troppe domande o rimbeccargli aspetti del suo
comportamento. Quando avemmo percorso qualche centinaia di
metri,finalmente la
luce si fermò.
«Trovato
qualcosa?» chiesi,nella speranza di
una risposta positiva.
Noah non
rispose. Si sentì il rumore di uno scatto,e poi un cigolio.
La fiamma illuminò
lo sportello aperto di una vettura abbandonata,e Noah si
voltò a guardarmi.
«Forse
sì.
Vieni a darmi una mano,provo a far funzionare questa vecchia
Mercedes».
Obbedii
all’istante.
«Tieni
la
fiamma sotto il volante» mi disse,tirando fuori il coltello
dalla cinta dei
pantaloni.
Afferrai
l’accendino ed eseguii i suoi ordini. Forse era arrivato il
momento di uscire
da quell’inferno…
«Abbassalo
un pochino» mi suggerì.
Porsi
la fiamma più in basso di una decina di
centimetri.
«Perfetto»
disse,osservando i fili fuoriusciti dal cuore della vettura.
Pochi
secondi ed il rumore del motore ruppe il silenzio che si era creato.
Subito una
risata mi esplose dalla gola ed un sorriso illuminò il viso
di Noah.
«Sì!»
esclamò felice mio fratello.
«E
bravo
Puckermann!» mi complimentai,ancora sorridendo.
Il ragazzo
si sedette sul sedile del guidatore,e poi disse «Tutti a
bordo!Vediamo di
uscire da questo schifo di tunnel...non so voi,ma io mi sono stancato
di questo
buio!»
Senza
farcelo ripetere due volte,io e Lucas salimmo in macchina. Noah accese
i
fari,schiacciò sul pedale dell’acceleratore,e
finalmente quell’oscurità venne
spezzata. Non avremmo impiegato molto ad uscire da quel tunnel con la
macchina.
Ce l’avremmo fatta. New York ci stava aspettando.
*
Quando vidi
un cerchio di luce all’orizzonte lasciar penetrare qualche
debole raggio
all’interno del tunnel,mi venne da ridere. Vedere un semplice
bagliore naturale
dopo la bellezza di mezz’ora trascorsa
nell’oscurità,mi diede un sollievo mai
provato. Stavamo uscendo,stavamo uscendo! Non riuscivo quasi a
crederci. La
vettura fu inondata in breve da un calore che mi pervase fin
dentro le
ossa,lentamente. Chiusi gli occhi,inspirai l’aria che entrava
dalla fessura del
finestrino,e schiusi le labbra in un sorriso spontaneo e sincero.
Quando
riaprii gli occhi per la fretta di tornare
a vedere,rimasi per un istante accecata. I miei occhi si
erano abituati
alla tenebra e quell’improvviso bagliore mi costrinse,per i
primi secondi, a
socchiuderli controvoglia. Non importava se mi bruciassero gli occhi o
se a
stento fossi in grado di tenerli aperti in due minuscole fessure. Non
importava
nient’altro che non fosse l’uscita da quel tunnel
dell’orrore.
«Siamo
fuori!» esclamò Noah con euforia.
«Ce
l’abbiamo fatta!Qual è il prossimo
passo?»
Finalmente
tornai a vedere nitidamente. Una lacrima mi colò
dall’occhio sinistro,e la
portai via con l’indice. Sentivo una strana sensazione
pervadermi…era forse un
pizzico di felicità?Tentennavo all’ammettere a me
stessa di provare un’emozione
di entusiasmo,ma era così. Gettai lo sguardo fuori dal
finestrino,e mi lasciai
trascinare lontano da quella città che poco prima del caos
avevo sognato di
raggiungere. C’erano dei grandi e grigi palazzi,qualche
grattacielo qua e là
che solleticava l’azzurro terso e cristallino,e insegne di
ogni tipo ad
avvisare degli incredibili negozi di cui il posto aveva vanto. Era la
città dei
sogni,la città dei ricchi,dei figli di papà che
se la spassavano con le loro
paghette abbondanti nei locali più in voga del momento. Era
la città in cui
anche per andare a fare la spesa bisogna sfoggiare vestiti dai grandi
marchi,oppure fingere che un abito mediocre fosse stato pagato tanto
quanto un
affitto di mesi a Lima. Era sì la città della
superficialità,ma anche la città
dello spettacolo,o almeno era questo quel che avevo appreso dai film e
telefilm
che durante le mie serate passate in casa avevo guardato. Eppure,se
andavo
oltre quelle insegne o quei grattacieli che attiravano la mia
attenzione,tutto
quel che riuscivo a vedere erano le strade bloccate da un groviglio di
automobili,l’asfalto chiazzato qua e là da del
sangue scuro e secco,fogli
svolazzanti a terra,vetrine distrutte dalla parte anteriore di una
macchina
schiantatasi dentro il negozio,affamati senza arti che si trascinavano
gemendo
sui marciapiedi segnati di rosso,o altri che giravano nei loro vestiti
ridotti
a brandelli in cerca di cibo nella loro
città. A guardarlo meglio,il cielo non era affatto terso e
cristallino,ma di un
grigio malato,come se un vortice distruttore l’avesse
risucchiato assieme alla
luce che da sempre l’aveva illuminato.
«Raggiungere
la 5th Ave…il mio amico abita in uno di quei palazzi. Non
è molta strada,forse
sono un paio di chilometri da dove siamo ora. Possiamo
farcela» affermò poi,con
sicurezza.
Lo pensavo
anch’io. Potevamo farcela ; non tutto era perduto. Eravamo
partiti un giorno
prima da una città dell’Ohio ed avevamo percorso
la bellezza di
novecentocinquantatre chilometri in macchina,anzi,nelle macchine.
Eravamo
sfuggiti all’orda di affamati che si aggirava per i quartieri
di Lima in cerca
di cibo,eravamo sopravvissuti all’intero viaggio durato
parecchio ore,ed eravamo
scampati ad un’altra orda all’entrata
dell’Holland Tunnel. Certo,era pur vero
che avevamo affrontato tutto ciò non senza incorrere in
pericoli,o senza
perdere persone a noi care,ma ce l’avevamo fatta e percepivo
quello strambo
traguardo come un’assurda pretesa del destino. Non era ancora
il momento per
dirci addio,me lo sentivo. Trovato il ragazzo che cercava Noah,ce ne
saremmo
andati da quella città,che ormai non era altro che
l’esempio della fine del
mondo a noi familiare, e avremmo pensato a dove rifugiarci per
continuare a
sopravvivere.
«Faremmo
meglio a sbrigarci» suggerì mio fratello con la
voce smossa dalla
preoccupazione.
Smisi di
sognare e guardai dritto di fronte a me. Nel bel mezzo della strada
c’era un
incidente. Tre macchine,l’una schiacciata contro
l’altra, bloccavano la strada
e creavano un ingorgo di vetture ferme,abbandonate nella fila. Ma non
era
quello il problema peggiore,no di certo. Decine di affamati si
muovevano con
quel loro equilibrio instabile,all’inseguimento di qualcosa
che quel groviglio
di lamiere non mi permetteva di vedere.
«Cazzo»
sbottai allarmata «e adesso?»
Noah mi
guardò con quello sguardo serio e determinato,che ormai
avevo imparato a
conoscere,e con voce ferma disse un semplice «ci sposteremo a
piedi».
Aprì
lo
sportello lentamente,lo richiuse,prese dalla sua cintura il coltello
sporco
di sangue,ed agganciò saldamente il fucile con un braccio.
Noi lo seguimmo a
ruota,sempre attenti a non fare troppo rumore.
«Sembrano
attratti da qualcosa» sussurrò Puckermann
«ma da qui non riesco a capire cosa.
Forse è una persona o…o un animale. Comunque sono
distratti,cerchiamo strade
alternative e vediamo di raggiungere quel maledetto palazzo».
Io e Lucas
annuimmo.
«Statemi
dietro e non fate rumore».
Annuimmo di
nuovo.
Nel momento
stesso in cui cominciammo ad incamminarci,sentimmo delle grida in
lontanza.
«No!Per
favore!Qualcuno mi aiuti!Aiuto!»
Noah si
voltò a guardarmi,ed io incrociai i suoi occhi per un
istante. Era quella la
distrazione : un ragazzino, la voce di un ragazzino fragile ed indifeso
che
avrà avuto al massimo diciassette anni. Sarebbe potuto
essere mio fratello…mi
si strinse il cuore a quel pensiero.
«Dobbiamo
andare ad aiutarlo» dissi a Puckermann,che ancora mi guardava.
Lui scosse
immediatamente la testa «non se ne parla!Come pensi che ci
riusciremmo?Lo
stanno inseguendo almeno cinquanta affamati!»
Strinsi il
pugno «ma non possiamo lasciarlo morire
così!» obbiettai disperata.
«Preferisci
che ci sia tuo fratello a morire con lui?O me e te?Non possiamo
salvarlo,Santana!Potrebbe essere stato morso o ferito,sarebbe solo
d’intralcio…è la
nostra distrazione!Se possiamo spostarci per qualche minuto senza
doverci
guardare le spalle è solo perché lui sta
fuggendo…lo capisci?»
Lo guardai
con gli occhi pieni di lacrime,spenti,e allo stesso tempo colmi di
angoscia.
Lui se ne stava freddo a guardarmi,impassibile e intoccabile dalle
emozioni,proprio come quel soldato che mi aveva ricordato
all’interno del
tunnel. Liberai la mano dal pugno e guardai a terra,forse per paura del
suo
sguardo o perché non volevo vedere oltre nei suoi occhi.
Quel ragazzo sarebbe
morto…mio fratello avrebbe potuto trovarsi al posto suo,e
sarebbe morto.
«E’
questa
la realtà adesso. Lo so che ti sembrerò
disgustosamente cinico,ma è così che
vanno le cose. Se hai fortuna e non hai paura di
uccidere,sopravvivi,altrimenti…»
Alzai lo
sguardo,ignorando una lacrima «altrimenti vieni fatto a pezzi
e nessuno si
curerà della tua vita».
Lui scosse
la testa,sembrò voler dire qualcosa,forse una
giustificazione,ma poi
semplicemente si voltò e si rincamminò. Era
concentrato sull’obbiettivo,il
soldato aveva un solo ed unico obbiettivo.
Mentre i
nostri passi svelti e silenziosi ci portavano all’interno di
un vicolo,non
potevo fare a meno di continuare a pensare a quel ragazzo.
Perché la vita aveva
deciso di punirlo così?Perché io e Noah non
riuscivamo a trovare accordo nei
nostri modi di fare?Più lo guardavo e più mi
veniva da pensare che qualcosa lo
avesse cambiato. Era attento,pronto a qualunque cosa pur di raggiungere
il suo
scopo,ma una domanda mi sorgeva spontanea : qual era realmente il suo
scopo?Io
non avevo fatto molte domande sul suo amico di New York,né
me ne ero
interessata più di tanto. Mi era bastato andarmene da quella
città ormai
distrutta e piena di ricordi,e la validità del motivo per
cui ci eravamo messi
in viaggio non mi aveva mai preoccupata più di tanto. Era
Noah,era un bravo
ragazzo che avevo avuto modo di conoscere piuttosto bene al
liceo…poi le nostre
strade si erano separate,i nostri futuri si erano allontanati,e per
qualche
strano motivo si erano incrociati di nuovo. Ero sicura che non avesse
avuto una
vita facile dopo il diploma al McKinley ; non ne ero sicura,ne ero
certa.
Sapevo il fatto della prigione,e quella era già una
conoscenza sufficiente a
lasciarmi fare una simile considerazione,ma c’era sicuramente
altro…altro che
nei nostri giorni insieme avrei avuto modo di farmi raccontare.
«Quanto
manca?» chiesi sempre sottovoce.
«Forse
poco
meno di un chilometro,ma non ne sono sicuro…è la
mia prima visita a
New York e non sono molto pratico di queste grandi città
piene di casino».
Aggrottai la
fronte e le mie sopracciglia fecero un balzo «ma non sei
già stato da lui?»
Noah si
girò
improvvisamente preoccupato,e scosse la testa.
«So
che è
brutto sentirselo dire,ma…» sospirai
«sai che potrebbe anche essere…»
«Lo
so»
m’interruppe lui tempestivamente «ma so anche che
è un tipo forte,quindi ci
sono buone probabilità che in questo momento sia barricato
in casa».
Annuii pur
non essendone troppo convinta «devi volergli molto bene se ti
sei fatto tutta
questa strada per venire da lui».
Aspettai una
risposta,ma non ci fu.
«Sì,infatti»
disse secco una decina di secondi dopo.
Quando il
vicolo finì,sbucammo in una delle strade principali. A
tratti c’erano macchine
qua e là,e tutto sommato la strada era abbastanza pulita.
Qualche metro più
avanti,sul marciapiede sul quale stavamo,c’erano tre affamati
che si dirigevano
verso di noi. Nemmeno il tempo di pensare,che io Noah stringemmo
più saldamente
i coltelli e ci lanciammo verso il gruppo. Io colpii il primo con un
calcio al
petto,questo indietreggiò,inciampicò sui suoi
piedi e finì steso a terra. Gli
diedi un calcio alla nuca,poi mi chinai velocemente e gli piantai il
coltello
in testa. Quando mi rialzai,vidi Noah piantare il coltello nella testa
del
terzo,mentre il secondo era già privo di vita
sull’asfalto.
«Dovreste
dare un’occhiata qui intorno…»
suggerì mio fratello con la voce che tremava.
«Che
c’è?»
Dio…quella
era una brutta situazione. Ne stavano sbucando da tutte le parti,e i
loro
lamenti cominciavano lentamente ad assordirmi. Ci stavano circondando,e
ce
n’erano a dozzine.
«Correte!»
esclamò Noah,scattando rapidamente.
Nemmeno il
tempo di farcelo ripetere,che io e Lucas cominciammo a muoverci. Noah
era
davvero veloce,un fulmine,e noi stavamo poco dietro di lui,senza
rischiare di
perderlo di vista. Ad ogni metro che percorrevamo,altri affamati si
destavano
dalle loro postazioni e dal loro falso sonno,e cominciavano ad agitarsi
e ad
incamminarsi sulla nostra scia.
«Cazzo!»
esclamai,ansimando.
Puckermann
si fermò di colpo,e si girò verso di noi,con il
fiatone,la fronte velata di
sudore,e gli occhi sbarrati. Di fronte a noi altre decine di affamati
ci
bloccavano la strada,emettendo quei loro lamenti terrificanti.
«E
adesso?»
chiesi attraversata da un brivido di paura.
Noah si
passò
una mano sulla nuca rasata,indietreggiando a quella massa che si
avvicinava. Si
guardò attorno,disperato,e poi indicò un
ristorante alla nostra destra «lì
dentro!»
«Venite
a
darmi una mano!» ordinò Puckermann.
Poggiò
una
sedia di legno a terra,mise un piede sullo schienale,e con
l’altro diede un
calcio secco verso il basso ad una gamba che si staccò di
netto. Afferrò il
pezzo di legno velocemente e con altrettanta velocità lo
pose tra le maniglie
della porta d’entrata.
«Aiutatemi
a
mettere quel tavolo qui davanti».
Io afferrai un
lato,lui quello opposto e poi lo appoggiammo
davanti la porta in
vetro. Non era sufficiente,lo sapevano entrambi. La parte del
ristorante che
dava sulla strada era fatta interamente in vetro,e gli affamati
l’avrebbero
fatta a pezzi. Avevamo scelto un pessimo posto per fuggire. Dal centro
della
sala principale dell’edificio,puntai gli occhi su quelle
vetrine. Gli affamati
si stavano sparpagliando sulla superficie e cominciavano a
picchiare,lamentandosi vivacemente.
Sbuffai
sonoramente e cominciai a camminare avanti e indietro,con nervosismo.
Mi passai
una mano tra i capelli,staccai una pellicina dal dito medio,e mi
asciugai con
il polso il sudore sulla fronte. Ero agitata,quella situazione non mi
piaceva
affatto.
«Dobbiamo
mettere qualcos’altro qui davanti»
affermò Puckermann,guardandomi attentamente.
Mi voltai ad
osservarlo. Se ne stava accovacciato,con il viso sporco ed imperlato di
sudore,e gli occhi verdi attenti che scrutavano la mia persona. Voleva
che
dicessi qualcosa,che dessi un qualche suggerimento,ma la cosa che mi
veniva più
naturale da fare era osservare quelle mani sporche di sangue picchiare
sulla
vetrata,ed ascoltare i lamenti di quei mostri affamati.
«Non
è il
caso di perdere tempo con la vetrata. Prima o poi la romperanno. Tutti
gli
affamati in zona si stanno radunando su questo cazzo di edificio,e
siamo in
trappola» dissi fredda,come se la cosa non mi avesse
riguardata.
«E
allora
che suggerisci di fare?Restare qui ed aspettare che crepino il vetro
lentamente?»
Scossi la
testa,ma Noah continuò a guardarmi.
«Usciremo
da
una finestra che sia il più lontano possibile da questa
vetrata».
Puckermann
annuii lentamente,come se ci stesse riflettendo su,e poi disse
«ottimo piano,può
funzionare!»
La vetrata
cominciava a cedere. Avevo spostato lo sguardo per pochi secondi,e
quando lo
avevo posato di nuovo sull’ammasso di affamati,erano
notevolmente aumentati.
Sul vetro s’incominciavano ad intravedere le prime crepe,e la
gamba di legno
veniva spostata avanti e indietro,continuamente messa alla prova dalle
spinte
di quei corpi disgustosamente divorati.
«Andiamo
sul
retro alla ricerca della finestra».
Altre
spinte,altri colpi,un’altra crepa. L’agitazione si
faceva mano a mano sempre
più palpabile,mi si appiccicava addosso come melma collosa e
viscida. Corremmo
in cucina,ma nessuna finestra. Poi in un’altra sala da
pranzo,e finalmente la
vedemmo. Era grande,larga,spaziosa e rendeva la stanza luminosa.
C’erano un
paio di affamati che colpivano il vetro,ma li avremmo uccisi senza
troppa
difficoltà. Quando Noah stava per girare la maniglia,un
rumore ci fece bloccare
di colpo. Spari. Ci guardammo tutti e tre con aria interrogativa,tutti
e tre
con le stesse rughe di perplessità sulla fronte.
«Ma
che…»
Altri tre
colpi secchi,precisi,ma questa volta vicini,molto vicini ed una voce
femminile.
Un altro rumore mi fece sussultare : un bussare,qualcuno stava bussando
alla
finestra. Tutti e tre ci voltammo a guardare e restammo immediatamente
a bocca
aperta. Non c’erano più affamati,ma una ragazza
che colpiva violentemente la
superficie in vetro,facendoci segni e gridando qualcosa di
incomprensibile.
«E’
viva!»
fu quello che esclamò mio fratello dopo lunghi secondi di
silenzio e di
sorpresa.
Senza starci
tanto a pensare,mi gettai sulla maniglia che Noah aveva lasciato,ed
aprii la
finestra.
«Era
ora!Ma
che cavolo dovevo fare per farmi aprire?» disse la ragazza
con voce acuta e
movenze quasi teatrali «Forza,venite fuori!Mio fratello
è in una jeep fuori da
questo vicolo…vi aiuteremo!»
Puckermann
ed io ci guardammo per un momento,entrambi preoccupati,e poi
scavalcammo,balzando all'esterno dall'edificio. La finestra dava su un
ulteriore vicolo,e alla
fine di
questo,in lontananza,si vedeva una vettura ferma e si sentiva il rombo
di un
motore. Non appena uscimmo,notammo che le decine di affamati che fino a
poco
prima si erano attaccati come forsennati alla vetrata del ristorante,si
erano
spostati e si stavano avvicinando.
«Merda,ce
li
abbiamo dietro» borbottai tra me e me.
«Sbrigatevi!»
La
ragazza,di cui ancora non conoscevamo il nome,cominciò a
correre per
raggiungere il fratello e noi la seguimmo. Raggiunta la fine del
vicolo,ci
ritrovammo di fronte ad una Wrangler rosso
di dimensioni spropositate.
Lo guardai per una frazione di secondo,e poi salimmo tutti e quattro.
«Dove
siete
diretti?» chiese il ragazzo alla guida.
La sorella
si voltò verso di noi. Era una ragazza dal viso davvero
bello ; la pelle
chiara,limpida e perfetta. Due occhi da cerbiatta intensi e magnetici
,le
sopracciglia scure e delineate,il naso greco con un piercing metallico
ad
anello,ed una bocca carnosa dalla colorazione di un rosato
pallido,molto
delicato. Se l’avessi guardata in un giorno qualsiasi,in una
situazione di
normalità,ne sarei comunque rimasta colpita. La sua immagine
era una di quelle
che ti si stampavano nella testa e che ore dopo l’incontro
continuavano a
ritornarti in mente in momenti disparati,quasi come in un tormento. Era
una mia
coetanea,forse anche più piccola…senza il
piercing o il trucco scuro attorno
agli occhi,avrebbe avuto senz’alcun dubbio
l’aspetto di una ragazzina. I lunghi
capelli scuri e lisci le incorniciavano il viso,ed anche quelli erano
impeccabili.
«Sto
cercando un mio amico che ha un appartamento sulla 5th Ave,ma non sono
di
queste parti e in questo momento non saprei orientarmi molto
bene…» rispose
Noah, torturandosi un labbro.
«Non
preoccuparti,» disse il ragazzo con tono gentile
«io ed Alex siamo di queste
parti. Sappiamo muoverci in queste strade».
La ragazza
sorrise ed annuì,sempre voltata verso di noi.
«Grazie
per
averci aiutati!Ci state dando una grande mano…non potete
nemmeno capire
quanto siate utili in questa situazione!» dissi,accennando un
lieve sorriso sincero.
Neppure mi
rendevo conto di quanta gratitudine provassi verso quelle due figure
sbucate
misteriosamente. Ma non si trattava neppure di
semplice
gratitudine per quel soccorso,era qualcosa che andava
oltre…non c’avrei
giurato,ma vedere dei volti nuovi e vivi dopo quattro giorni in cui i
nostri
occhi avevano scorto solo morte,dava un’emozione
incontenibile e
sorprendentemente piacevole.
«Sì,davvero!E’
bello vedere facce di altri sopravvissuti. Ultimamente non abbiamo
visto altro
che affamati divorare persone o impazzire per la voglia di
masticarci» ammise
Noah con un pizzico di ironia.
«Affamati?»
chiese la ragazza dallo sguardo magnetico.
«Sì,quei
mostri…» spiegò Lucas subito dopo.
Lei
ridacchio un po’ «è un nome fico!Gli affamati…»
ripeté poco dopo,portandosi un dito sulla bocca
«mi piace come li avete
chiamati!Io e Steve non li abbiamo mai nominati…a volte li
chiamavamo "cose" o…o
"mostri",ma penso che da oggi sia ufficiale : quei cosi saranno gli
"affamati"!» affermò in tono compiaciuto,annuendo.
Noah
forzò
un sorriso,ed io sollevai un sopracciglio assieme agli angoli della
bocca. Sapevo
esattamente cosa stava pensando Puckermann in quel momento : ma chi
cavolo è
questa pazza?
«A
proposito
di nomi,» cominciò mio fratello serio
«io sono Lucas,suo fratello» ammise
accennando a me con la testa,e stringendo la mano alla ragazza.
«Piacere
di
conoscervi,io sono Santana» continuai,accennando un debole
sorriso.
«Noah.
Noah
Puckermann».
La ragazza
sfoderò
un bel sorriso luminoso e disse «io sono Alex Monroe e questo
è mio fratello
Steven».
«Il
piacere
è tutto nostro» concluse il fratello,continuando a
tenere gli occhi sulla
strada.
Anche il
ragazzo pareva avere un aspetto discreto,ma la sorella era di gran
lunga più
attraente. Da seduta non avrei potuto esserne certa,ma sembrava un
“ragazzone”.
Era muscoloso e forse sfiorava il metro e novanta,ed i bicipiti in
bella mostra
facevano paura. I lineamenti erano marcati,decisi,per non dire severi.
Gli
occhi erano più grandi e rotondi di quelli della ragazza,ma
della stessa
colorazione. Il naso piccolo e un po’
all’insù,e la bocca sottile e rosea. Il
pizzetto gli conferiva un’aria seriosa e matura,ed i capelli,
fissati sulla
nuca in un codino,lasciavano scoperta la rasatura che altrimenti non si
sarebbe
notata. Avrebbe potuto avere venticinque anni,forse ventisette,ma non
di più.
«Ci
siamo
quasi» avvisò Noah dopo pochi minuti
«dovrebbe essere quello lì
giù».
«D’accordo»
rispose Steven,rallentando «io ed Alex vi accompagneremo sino
a dentro,in caso
avreste problemi di qualche tipo,e poi ci allontaneremo dalla
città».
«Grazie»
dissi assieme a Puckermann.
Quando la
vettura si fermò,scendemmo molto rapidamente e sempre ben
armati. Non mi ero
sbagliata sul conto del ragazzo : era enorme,sembrava un sollevatore di
pesi.
Aveva con sé una pistola,la stessa che impugnava anche la
sorella,ma la cosa che
mi stupì davvero fu il mondo in cui la tipa impugnava
l’arma : la ragazza sapeva
sparare,e c’avrei scommesso che non fosse proprio una
novellina. Due newyorkesi addestrati,pensai,questa sì che è bella.
Non appena
Steven aprì la porta di ingresso e lo seguimmo,subito
balzarono agli occhi i
due affamati che si trascinavano sotto le scale
dell’edificio. Il primo
sembrava essere senza occhi,con la pelle che sembrava ricoperta da una
patina
grigiastra,spenta come la morte. Il secondo invece era una femmina,con
indosso
una gonna che forse era appartenuta ad una donna d’affari,ed
una camicetta
sporca di sangue a ricoprire le braccia marce e rigonfie,dalla pelle
bianca e
maleodorante. Si avvicinavano lamentandosi,ma in un istante Steven li
fermò. Fu
un razzo ; neppure capii se me lo fossi immaginato,o se fosse successo
veramente. Si tirò fuori dall’anfibio nero un
coltello da cacciatore,e nella
stessa frazione di secondo lo piantò dritto
nell’occhio della donna con un
gesto rapidissimo,deciso,e sì,era strano a dirlo,ma quasi
elegante. Al
secondo,ridotto quasi uno scheletro,sfondò il cranio da
sopra,con lo stesso
coltello. Fu come vedere un bambino giocare con delle macchinine o
costruire un
puzzle. Tutto quello era stato un gioco da ragazzi per lui,una vera e
propria
passeggiata,come se l’avesse fatto da sempre.
«Cavolo…sei
veloce» affermò mio fratello.
Il ragazzo
si girò,fece spallucce,e si ripulì il coltello
con un lembo della maglietta.
Subito si incamminò sulle scale,sempre con la stessa
decisione,alla guida del gruppo. Se Noah poco
prima mi era parso un soldato,quello era niente al
confronto…metteva quasi
paura.
«Che
numero?»
«E’
al nono
appartamento. Primo piano».
I nostri
passi si fecero più svelti,ma sempre silenziosi. Poi,senza
neppure rendercene
conto,ci ritrovammo di fronte la porta giusta. Ci guardammo a
vicenda,per un
istante. Noah mi fissò per qualche secondo,e capii subito
che ci fosse qualcosa di
strano nella sua espressione. Non era felice come quando si spera di
rivedere
un amico,non era felice affatto. Aveva stampato in viso una strana
preoccupazione mista all’indecisione ; sudava,ma non credo
per il caldo
soffocante.
«Siamo
ancora in tempo per andarcene,Puckermann» dissi,tenendo gli
occhi fissi sui
suoi.
Sì,c’era
qualcosa di strano.
«Certo,come
no…» rispose lui scuotendo la testa « e
aver fatto tutta questa strada per
niente?No,non se ne parla».
Mise la mano
per bussare,ma poi si fermò. Prese un grosso respiro,si
passò l’avambraccio ad
asciugare il sudore,e infine colpì con poca decisione la
superficie in legno
con sopra scritto 9. Tornammo subito a guardarci a vicenda ;
c’era una tensione
palpabile,e non l’avvertivo solo io. Steve se ne stava
guardingo,fermo con
quella sua aria sospettosa ed attenta,pronto al necessario,Alex
fissava la
porta,mordendosi un labbro,ed ogni tanto sospirava, e mio fratello
invece se
ne stava in silenzio,toccandosi i capelli nervosamente ed ascoltando le
centinaia di pensieri che lo assorbivano di tanto in
tanto,estraniandolo dalla
realtà. C’eravamo tutti,ed eravamo tutti pronti a
scoprire chi si nascondesse
dietro quella porta. Io restavo ferma nella mia convinzione : in tutto
ciò,qualcosa non quadrava.
Si sentirono
prima dei passi,poi il rumore della sicura della porta togliersi,e
poi,infine,con una lentezza quasi straziante,un cigolio.
«Cercate
qualcuno?» chiese una ragazza bionda con voce sommessa.
Rimasi di
sasso,ma il bello doveva ancora venire.
«Jake
Puckermann…s-sono suo fr-fratello Noah»
balbettò l’altro insicuro.
La ragazza
sussultò per lo stupore e si portò una mano alla
bocca,con gli occhi sgranati
che non smettevano di saltare di viso in viso.
«Entrate,lì
fuori è pericoloso. A proposito»
cominciò poi,sforzandosi di sollevare gli
angoli della bocca per mascherare l’imminente tristezza
«mi chiamo
Brittany,Brittany Pierce».
Avrei dovuto
dire qualcosa,forse il mio nome,ma non ero più sicura di
quale fosse. C’era
qualcosa di…di strano in quell’appartamento,ma non
era legato alle mura o alla
situazione,no…era qualcosa di diverso e di incredibilmente
indefinibile. Una
sensazione,un’emozione che oltre alla sorpresa si faceva
spazio al mio
interno,lottando,radicandosi fin dentro le ossa. Guardai quella ragazza
con il
viso stanco ed i capelli arruffati,e lei mi guardò
aspettandosi che
pronunciassi il mio nome. Ma quel nome non era necessario che venisse
pronunciato
; eravamo la stessa cosa : spaventate,confuse e tristi.
«Sono
Santana Lopez,piacere di conoscerti» biascicai,incrociando i
suoi occhi color
cielo.
E
allora,le
nostre mani
si strinsero.
Carissimi
lettori,ed eccoci qui!E' giunto finalmente il momento che tanto avete
aspettato e che avevo promesso. I nostri protagonisti hanno patito le
pene dell'inferno per raggiungere quell'appartamento,e ad aprirgli la
porta è una biondina dall'aria spaventata e sopresa. Diciamo
che in questo capitolo si chiariscono diversi dubbi e si vanno a creare
delle situazioni nuove,che lentamente ci porteranno ad un'evoluzione
della storia. Beh,senza dilungarmi più di tanto,adesso
lascio a voi la parola. Questo capitolo è il vero inizio
della storia ; adesso ha inizio"
BETWEEN THE HUNGRY " . Forza gente,vi aspetto in tanti
nelle recensioni per leggere i vostri pareri e farmi un'idea di quel
che pensate su questa folle fanfiction.
Con la speranza che il capitolo
vi sia piaciuto e che i nuovi personaggi abbiano acceso in voi un
pizzico di curiosità,vi dico : "alla prossima" !
|
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Capitolo 9 *** La fine e l'inizio ***
between
the hungry
La Fine e
l'Inizio .
«Dov’è
mio
fratello?» chiese Noah,ancora una volta,con nervosismo.
La
ragazza bionda si sedé sul divano e fece un
grande respiro «dovrò
spiegarti alcune cose,come ad esempio chi io sia...»
Puckermann
annuì vivacemente «Sì,ad
esempio» rispose con particolare enfasi.
Era
nervoso ed agitato ; glielo leggevo in viso,così come
leggevo un certo disagio su quello dell’altra ragazza. Noah
la stava mettendo
in difficoltà.
«Perché
non
ti siedi?» le domandò gentilmente la bionda.
«Non
ce n’è
bisogno» rispose l’altro secco.
La ragazza
si morse il labbro superiore e si arrotolò una ciocca di
capelli scompigliata
attorno ad un dito. Più la osservavo,e più
continuavo ad osservarla,incuriosita
dalle sue espressioni o da quello che avrebbe detto. Era
alta,più alta di
me ; forse superava il metro e settanta ed aveva un fisico snello e
slanciato. Il
viso ovale era piuttosto attraente e due occhi a mandorla di un
meraviglioso
azzurro intenso regnavano incontrastati. Il naso era lungo e stretto e
le
labbra sottili e di un rosa chiaro. Era una bella ragazza,possedeva
un’aria dolce ed ingenua,come fosse stata una bambina. Se mi
voltavo dall’altra
parte della stanza,notavo Alex,una bellezza totalmente opposta a quella
della bionda che sino a poco prima avevo osservato. Gli occhi di
Brittany erano
privi di trucco,completamente nudi,mentre quelli scuri
dell’altra erano
abbelliti da un insistente nero,che non faceva altro che darle uno
sguardo
ancora più intenso,quasi da pelle d’oca.
«E va
bene.
Come ho già detto mi chiamo Brittany».
«E
questo
già lo so» la interruppe Puckermann.
«Noah!»
lo
rimproverai,lanciandogli un’occhiataccia.
«Sì,beh…sono
un’amica di Jake,la sua coinquilina per
l’esattezza. Quando mi sono iscritta
alla Columbia per diventare una giornalista,ho avuto problemi con una
ragazza
ai dormitori. Diciamo che c’è mancato poco che ci
cacciassero per uno
spettacolo di wrestling che abbiamo fatto nel bel mezzo di una lezione.
Ho
fatto diverse richieste per cambiare stanza ; ne ho fatte talmente
tante che
speravo sarei stata accontentata per esasperazione,ma niente da fare.
Tuo
fratello ed io avevamo dei corsi in comune,ed aveva assistito a tutto.
In breve
diventammo amici : io lo accompagnavo alle sue lezioni e quando lui
poteva mi
accompagnava alle mie. Quando una delle sue coinquiline ha mollato New
York per
tornarsene nel New Jersey,mi ha subito proposto di andare a vivere
assieme al
suo gruppo. L’affitto era caro anche diviso,certo,ma i miei
non avrebbero
rischiato che fossi cacciata da un college della Ivy League per una
pazza nella
mia stessa stanza,così ho accettato. Poco tempo fa mi ha
confessato di aver
scoperto di avere un fratello : stesso padre,ma madre diversa. Ci
è stato male
per un po’,soprattutto perché la madre
gliel’ha tenuto nascosto per tutti
questi anni,ma poi si è deciso a cercarlo ed ha scoperto che
si trovava in
carcere. Non sapeva che aspetto avesse,non era certo
dell’età,ma era deciso a
riallacciare i rapporti e così gli ha spedito una lettera in
prigione. Gli
aveva scritto tutta la sua storia,anche di quando da bambino chiedeva a
sua
madre un fratellino che gli facesse compagnia,e finiva dicendogli che
lo
avrebbe aspettato a New York in questo appartamento,per un incontro. I
giorni
passarono,ma alla sua lettera non ci fu mai risposta,né vide
mai il fratello
che tanto aspettava. Ci era stato male di nuovo,ma poi se
n’era fatto una
ragione ed era andato avanti,dimenticandosi di lui.» la
ragazza fece una pausa
ed inspirò,spostando gli occhi verso il pavimento
«Quando pochi giorni fa è
scoppiata la fine del mondo,io ero a casa con un brutto
raffreddore,sotto le
coperte. Jake si è alzato,mi ha portato un thé
caldo e … e poi è andato a
lezione,senza fare più ritorno».
La ragazza
si portò entrambe le mani sul viso,sconvolta,e rimase in
silenzio,meditando
sulla perdita di cui forse ancora non aveva totale coscienza.
«Ignorarlo
è
stato lo sbaglio più grande che io abbia mai
fatto…» disse Noah singhiozzando e
passandosi le dita sugli occhi rossi «credevo che non avrebbe
mai voluto
conoscere un tale incapace,un carcerato. E poi ero così
arrabbiato con mio
padre,con mia madre…con tutti!Quando a Lima quelle cose sono
iniziate a
sbucare,facendo una strage,mi sono promesso che se proprio sarei dovuto
morire,prima avrei dovuto conoscere il ragazzo della lettera,mio
fratello.
Avrei voluto parlare con lui di quanto stronzo sia stato nostro
padre,o…o di
ragazze carine,e magari saremmo andati a fare un giro in qualche posto
fico di
New York. Ma avevo troppa paura,ero terrorizzato dall’idea di
trovarmi faccia a
faccia con lui,e così ho deciso di lasciar perdere.
C’ho pensato troppo tardi…»
disse sconsolato,passandosi il polso prima su un occhio e poi
sull’altro «e
adesso è tutto finito».
La ragazza
alzò gli occhi,incrociò quelli rossi di Noah,e
poi gli prese una mano e
sussurrò un semplice «mi dispiace».
Tutti
guardavamo quel ragazzo che non faceva altro che scuotere la testa e
camminare
avanti ed indietro,continuando a piangere,o tenendosi la testa tra le
mani. Era
sconvolto e dovevo fare qualcosa. Ancora non riuscivo a credere a tutto
quel
che avevo sentito,non l’avevo ancora metabolizzato. Noah ci
aveva tenuto
all’oscuro di tutto e i miei sospetti erano stati fondati.
Non capivo perché
avessi la pretesa di conoscere quel ragazzo così bene come
credevo : ci eravamo
rivisti tre giorni prima dopo un anno e al liceo non eravamo mai stati
migliori
amici. Continuava a confermarsi un mio pensiero : quei tre giorni erano
stati
un’altra vita,una vita nuova che aveva spazzato come un
uragano tutto quello
che l’aveva preceduta. Noah faceva parte di quella nuova
vita,e per questo
sentivo la necessità di conoscerlo tanto bene quanto
conoscevo mio fratello.
Mi alzai
dalla sedia e lo raggiunsi con passo svelto e deciso,poi gli posai una
mano
sulla spalla,e fermai quel suo movimento irrazionale.
«Puckermann,guardami.»
gli dissi seria «Jake era senz’alcun dubbio un
bravo ragazzo,e tu saresti stato
un bravo fratello. Sei arrivato fin qui nel bel mezzo di una catastrofe
soltanto per lui,e questo dimostra che cuore hai. Mai guardati
attorno» feci
una pausa,aspettando che obbedisse «questa stanza
è piena di persone,di
sopravvissuti come noi che…»
«E’
stato
tutto inutile» biascicò con un filo di voce
«ho perso tutto. Tutto».
Sospirai,cercando
di restare concentrata su di lui,ma quelle parole facevano male anche a
me e
diverse ferite si riaprivano,bruciando vivacemente.
«E’
vero,hai
perso tanto,ma come tutti noi. Hai ancora qualcosa per cui continuare a
respirare. Hai me,hai te stesso,hai la speranza che un giorno questo
mondo
possa tornare come l’abbiamo vissuto sino a poco
fa».
Lui scosse
la testa,mentre un respiro strozzato lo scuoteva «mia madre
è morta a causa di
questo viaggio. E’ soltanto colpa mia. Se fossi rimasto a
Lima,lei…»
«No!»
lo
interruppi «se fossimo rimasti a Lima,a quest’ora
saremmo tutti morti.
Tutti!Hai capito?E non avremmo trovato queste persone. Raggiungere New
York è
stata la cosa giusta da fare,e in fondo lo sai!»
Non rispose
più. Andò in cucina con lo sguardo basso,prese
una bottiglia d’acqua,e poi
sparì in una camera da letto,richiudendosi la porta alle
spalle.
«Non
so se
siamo degli ospiti graditi qui dentro,ma magari…»
esordii verso la ragazza
bionda che mi guardava con gli occhi tristi.
«Restate
quanto ne avete bisogno!» m’interruppe lei
immediatamente «Fate come se foste a
casa vostra. Immagino che avrete fame o sete,che avrete voglia di farvi
una
doccia. Non dev’essere stato un viaggio facile e sarete
sconvolti.
Davvero,mettetevi a vostro agio. Ho passato tre giorni infernali ed
aver
trovato delle persone con cui poter parlare,mi sembra ancora
incredibile».
«Grazie»
risposi con un sorriso dolce.
La ragazza
ci condusse in cucina e preparò quattro toast,con
delle uova
strapazzate. Tutti noi divorammo all’istante quel cibo,senza
preoccuparci delle
buone maniere,e quando avemmo finito,ci preparò delle pizze
prese dal
congelatore. Non mi sembrava vero che il mio stomaco si fosse azzittito
per un
momento. Le nostre provviste erano andate a farsi benedire con la
macchina all’entrata
dell’Holland Tunnel,ma erano fatte principalmente da
scatolame. Mangiare
uova,aveva riattivato il mio appetito nell’immediato,e
riattivato il senso del
gusto che pensavo avesse smesso di esistere per via della sua
inutilità.
«Siete
fortunati» disse la ragazza,osservandoci «prima di
tutto questo casino avevamo
fatto una bella spesa. In quattro si mangia bene» concluse
con una debole
risata.
Risposi a
quel suono dolce con un sorriso fatto a bocca piena,e lei in tutta
risposta
tornò a ridere più vivacemente di prima.
«Sei
una ragazza
molto gentile. Io e mia sorella ti siamo grati per
l’ospitalità,davvero» affermò
Steven,con quel suo tono serio.
«Ma
figurati. Di dove siete?» chiese lei,mettendosi a sedere
affianco a Lucas.
«Io,mio
fratello e Noah veniamo da Lima. Ohio» spiegai subito dopo.
La ragazza
sgranò gli occhi «dall’Ohio?!Ma quanta
strada avete fatto?!»
Annuii,smettendo
di ingurgitare una fetta di pizza «parecchia,direi».
«E
voi?Non
siete tutti un gruppo?» domandò ad Alex e Steven.
«No,no.
Ci
siamo beccati per strada. Io e Steve stavamo andando via e abbiamo
visto un
ammasso di affamati addosso ad un
ristorante,e così ci siamo detti che dovessero esserci dei
sopravvissuti lì
dentro. Gli abbiamo dato una mano,era giusto farlo.» disse
Alex,osservando me e
mio fratello «Noi due siamo newyorkesi,ma in
realtà siamo arrivati fin qui da
città del Messico».
Spalancai la
bocca così tanto,che mi fece male la mandibola. Brittany si
portò una mano
sulla fronte e mimò un “o mio Dio”.
«Messico?»
chiesi sbalordita.
«Sì»
rispose
il fratello «è una storia un tantino complicata,ma
cercherò di farvela breve.
Io e mia sorella eravamo lì in
“vacanza”,diciamo,e saremmo rimasti lì
se nostra
madre non avesse “preteso” la nostra presenza per
parlarci. Così quattro giorni
fa ci siamo messi in viaggio,in auto. Mia sorella ha la fobia degli
aerei»
spiegò calmo,subito dopo «ma mentre eravamo in
viaggio,nelle città stava
scoppiando un putiferio. Nemmeno ricordo quanti incidenti stradali
terrificanti
abbiamo incontrato,o quanti affamati abbiamo visto divorare intere
famiglie,ma la
situazione non faceva altro che motivarci a raggiungere New York il
prima
possibile. Così arriviamo qui,affrontiamo altri duemila
casini,e andiamo
nell’attico dei signori Monroe,ma non
c’è un’anima. Rigiriamo,decisi ad
andarcene il prima possibile da questo schifo di città,e per
la strada vediamo
questo ammasso di affamati schiacciati contro la vetrata di un
edificio,con voi
dentro. E poi…il resto della storia la conoscete».
Ancora a
bocca aperta,mi limitai ad annuire e ritornai a mangiare la mia pizza.
Erano
forse dei supereroi quei due?Incredibile…incredibile.
«E
dove
andrete una volta lasciata New York?» domandò
Brittany.
«Ancora
non
lo sappiamo» rispose Alex «ma cercheremo un posto
il più lontano possibile
dalla città. Più abitanti = più
affamati».
Aveva senso.
«E
voi?Avete
una qualche idea di dove vi sposterete?» chiese poi la
ragazza a me.
Scossi la
testa,di nuovo con la bocca piena «dovremmo rifletterci su,ma
adesso siamo
stremati e…beh,Noah è sconvolto».
Lei
annuii,ma dalla sua espressione intuii che ci fosse altro che volesse
dire o
chiedere.
«E tu
te ne
starai qui,tutta sola?Non è per niente sicuro…il
cibo prima o poi finirà,questo
lo sai,vero?» chiesi sinceramente interessata alla risposta.
Lei
sospirò,chiudendo gli occhi «lo so,lo so. Ho forse
altra scelta?Non ho più
nessuno…»
Mi morsi un
labbro. Quella ragazza mi faceva tanta tenerezza. Scossi un
po’ la testa e poi
dissi «verrai con noi. Ti va?»
I suoi occhi
si illuminarono all'istante «se non è un
problema,mi farebbe davvero piacere».
«Nessun
problema» risposi sorridendo.
Lucas mi
mimò con le labbra il nome di “Noah”,e
il mio improvviso entusiasmo si spense.
Già,dovevamo ancora farlo presente a Puckermann. Alex
sussurrò qualcosa
all’orecchio del fratello,poi i due si alzarono e
cominciarono a parlottare a
bassa voce in un angoletto.
«Dobbiamo
dirlo a Noah,ma sono certa che non ci sarà alcun
problema» aggiunsi,tornando a
sorridere cordiale.
Lei annuii e
ricambiò il sorriso con un altro ancora più
gentile del mio. Nel frattempo la
ragazza dai capelli neri e la pelle diafana si riavvicinò al
tavolo,si morse un
labbro,sempre guardandoci,e poi venne raggiunta dal fratello.
«Possiamo
unirci tutti. Fare un gruppo» affermò secco il
ragazzo «possiamo studiare un
posto dove andare,e stare lì fino a che qualcosa non cambi.
Saremo sei persone
e insieme potremmo sopravvivere,organizzarci,trovare un modo
per riuscire in tutto
questo. Io sono un ex marine, potrei addestrarvi a sparare,a difendervi
da
quelle cose…insomma,in situazioni come queste serve un aiuto
reciproco,non
siete d’accordo?» chiese infine,guardandoci
speranzoso.
Il mio primo
sguardo corse a Lucas,che con lo stupore stampato sul viso,mi guardava
aspettando che rispondessi a quell’invito. Dovevamo
accettare?Era la cosa
giusta da fare?Diedi un altro occhiata ai due fratelli,e mi venne
naturale
rispondermi con un “sì”.
“L’unione fa la forza”,e in quella
situazione,ne
serviva davvero tanta. Pur essendo favorevole a quella proposta,avrei
dovuto parlare con Noah. In un certo senso era lui che gestiva il
nostro
piccolo gruppo,era una sorta di “caposquadra”.
Annuii
pensierosa,con un mezzo sorriso «ci sto. Devo parlarne con
Puckermann,ma credo
sia un’ottima idea. Insieme possiamo farcela»
affermai poi,sicura.
Guardai
Brittany che giocava con una ciocca di capelli,poi mio fratello che
invece mi
osservava pensieroso,poi il ragazzo nerboruto che con le mani
appoggiate al
tavolo ci guardava felice,e infine la ragazza dai capelli scuri che
già
sorrideva radiosa. Mancava Noah,ma sì,eravamo un gruppo.
Avrei imparato presto
a conoscere quelle facce,a svegliarmi con le loro chiacchere o a stare
di
guardia in compagnia di qualcuno di loro. Avevamo bisogno di
sopravvivere,avevamo bisogno di non sentirci soli,in un mondo ormai
pieno di
creature che si cibavano di quella stessa solitudine.
«Allora
è
fatta!» esclamò Steven euforico «Anche
in mezzo agli affamati,riusciremo a
vivere. A vivere,e ad essere vivi».
Un grosso
sorriso mi schiuse le labbra con naturalezza. Ogni
volta che li guardavo,mi sentivo un po’ meno sola,un
po’ meno sofferente.
Perché
l’uomo, per quanto se ne illuda , non è in grado
di restare solo. Non può
camminare da eremita nella nebbia senza rischiare di perdersi.
Semplicemente
non può. Nasciamo soli e moriamo soli , ma nel mezzo?
Lettori ,
eccoci alla fine di un altro capitolo. Allora , che ne
pensate? Come il titolo suggerisce , questo capitolo porta alla fine di
qualcosa , ma anche all'inizio di qualcos'altro. Il viaggio a New York
che Noah aveva intrapreso con la speranza di raggiungere
il fratello mai conosciuto , non si è concluso come
era stato immaginato. In questo caso , la fine
fa riferimento alle speranze del povero Noah che nel giro di poche ore
ha perso le ultime persone che gli erano rimaste al mondo, e
l' inizio invece... beh , secondo
voi?
Niente
va mai come pensiamo o vorremmo , e questo è
un dato di fatto.
Sembra che presto conosceremo meglio i due nuovi personaggi
, e sono certa che sarete felici di sapere che nei prossimi capitoli
avremo uno "scenario" un po' diverso. Basta caos , viaggi
estremi in città pieni di pericolosi affamati o folli fughe
a dir poco impossibili ; la situazione si stabilizzerà , e ,
senza svelarvi troppo , questa farà in modo che la
psicologia e i rapporti interpersonali tra i personaggi si facciano
interessanti (spero). Tenete bene a mente , però , che
durante l'apocalisse non esiste la noia , e non si è mai
realmente lontani dalla morte . Detto questo , non mi
resta che concludere con la solita frase : " alla prossima" ! . Mi
raccomando , recensite recensite e recensite!Non aspetto altro che
leggere le vostre considerazioni.
Un saluto da writinglove.
|
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Capitolo 10 *** Vermont ***
BETWEEN THE HUNGRY
Vermont .
Steven ci
guardò seri. «Vermont»
annunciò poi secco.
Io e Noah ci
guardammo. Lui strizzò gli occhi,giocò con le
pellicine di un dito,poi alzò la
testa e incrociò lo sguardo del ragazzo.
«Quanto
dista?» chiese pensieroso.
«Cinque
ore.
Possiamo trovare un posto in periferia,lontano dalla
città,ma non troppo.
Avremo bisogno di viveri,e per quei viveri serviranno dei
negozi».
Annuii,ripetendo
a me stessa che avesse ragione. Era un tipo piuttosto pratico ed
intelligente
Steven,mi piaceva. Con la sua aria da bravo soldato dedito al dovere e
quel suo
atteggiamento protettivo,mi ispirava quasi un senso di sicurezza. Una
cosa
però era certa : non me lo sarei mai voluto ritrovare contro.
«E
dove
dormiremo,o mangeremo o…o faremo qualsiasi cosa?»
chiese Brittany,torturandosi
le mani.
Steven
inclinò un poco la testa,si avvicinò con il
busto,e rispose «mai sentito
parlare di tende?» .
Storsi la
bocca al suono dell’ultima parola. Tende. Era così
che avrei definito la mia
casa da adesso in poi : con la parola "tenda".
«Lo so
quello che state pensando» intervenne Alex,portandosi una
sigaretta tra le
labbra «tende?Ma saranno scomode,ma farà freddo e
bla bla bla…gente,vi ricordo
che siamo in una situazione davvero pericolosa. Siamo già
fortunati di poter
respirare e non mi sembra il caso di metterci a lagnare per la
questione degli
alloggi. Attrezzeremo un bel campo,contateci. Già immagino
la nostra vita per
le fredde colline del Vermont,tagliando alberi con delle camicie di
flanella ed
un’accetta improvvisata,o uccidendo scoiattoli e litigare per
averne la parte
più gustosa : gli occhi».
Tutti gli
sguardi finirono sulla ragazza. Lei scosse la testa sghignazzando,e si
accese
la sigaretta.
«Ma
che stai
blaterando?» domandò la bionda con un sopracciglio
sollevato.
Alex la
guardò per qualche secondo,si alzò dalla sua
sedia,e disse «sto solo
scherzando,biondina»,mentre una nuvoletta di fumo invadeva il
viso dell’altra
ragazza.
Al pensiero
di quel suo strambo discorso,trattenni a stento l’impulso di
ridere. Quella
ragazza sembrava fuori di testa,ma era buffa nelle sue uscite senza
senso e il
tono della sua voce era così caldo e suadente,che le sarebbe
bastato pronunciare anche
solo una parolaccia,e tutti si sarebbero comunque voltati nella sua
direzione. Sembrava una ribelle non solo per l’aspetto,ma
anche per il suo modo di comportarsi. Una ribelle,una provocatrice,era
così che
nella mia testa l’avevo etichettata da qualche ora.
Brittany
tossi un po’e scacciò la nuvoletta facendo vento
con la mano «avevo capito che
stessi scherzando!» controbatté l’altra
con un accenno di broncio «Ma qui
stiamo parlando di una questione seria,se ancora non ti è
chiaro».
Alex fece un
altro tiro di sigaretta,poi sputacchiò il fumo con calma
dalla bocca e dal
naso,e disse «mi è chiaro». Chiuse gli
occhi,fece un altro tiro e,forse,con
consapevolezza,rispedì il fumo in direzione della bionda,che
sbuffò,agitandosi.
«Posso
chiederti una sigaretta?» le domandai.
Lucas mi
lanciò un’occhiataccia e lei annuì
vivacemente,facendo svolazzare la cenere su e giù per via
del movimento della testa. Si alzò
dalla sedia sulla quale si era riaccomodata,prese svogliatamente uno
zainetto
poggiato sul divano,poi lo lanciò vicino il tavolo,e
tornò a sedersi.
«Prendi
tutte quelle che ti servono» mi disse,facendo un cenno con la
testa allo zaino
di pezza che avevo vicino la gamba.
Lo aprii,e
immediatamente sgranai gli occhi. Dentro c'erano forse trenta
pacchetti da venti di Marlboro rosse,poi c’era una bottiglia
di vodka,una
decina di scatole di munizioni,e due pistole perfettamente identiche.
Afferrai
il pacchetto scartato e mi misi in bocca la sigaretta tirata fuori. La
ragazza
si sporse dalla sedia e,tempestivamente, l’accese.
«Grazie!»
esclamai sorpresa da tutta quella cordialità.
«Beni
primari» bofonchiò lei,ridacchiando.
Steven si
schiarì la voce,ed inspirò profondamente
«siete tutti d’accordo?Andremo in
Vermont?»
«Facciamo
a
votazioni!» esclamò la sorella.
Tempo tre
secondi,e le mani di tutti si sollevarono,senza esitazioni.
«E che
Vermont sia!» annunciò entusiasta il ragazzo.
Una
settimana
dopo…
Un brivido
mi scosse tutta : avevo i piedi scoperti. Diedi un calcio ad un lembo
della
coperta e quell’improvviso freddo fastidioso
sparì. Inspirai a fondo,sempre con
gli occhi chiusi,nel vano tentativo di riaddormentarmi. Un gomito mi
colpì in
pieno viso e mi lamentai,strofinandomi lo zigomo con la mano.
«Oi!»
esclamai,continuando a sfregare il punto dolorante.
Una chioma
bionda spuntò fuori dalla coperta,e due occhietti si
aprirono,mostrando il loro azzurro intenso,ancora assonnati e
socchiusi. La
ragazza si passò una mano sul viso,si strofinò il
naso con il polso,e poi mi
guardò confusa.
«C-che
succe…che succede?» chiese spaesata,con un filo di
voce.
Io risi
«mi
hai dato una gomitata in faccia!» risposi,ancora ridacchiando.
Lei
alzò
entrambe le sopracciglia,sollevò gli angoli della bocca,e
richiuse gli occhi.
«Scusa»
biascicò,rituffandosi sul cuscino.
La guardai
per qualche secondo,sempre con la testa sollevata,poi sorrisi di
nuovo,e mi
stesi a pancia in giù. Un brivido mi percorse la schiena,un
altro le gambe e un
altro le braccia. L’aria del Vermont pizzicava un
po’,soprattutto di prima
mattina.
«Dormi?»
chiesi,dando un colpetto sulla spalla della ragazza.
«Mmmh…»
mugolò lei.
Sbuffai.
Fuori era ancora buio,ma i primi raggi del mattino cominciavano a
rischiarare
il cielo,rendendolo di quel colore stupendo che tanto amavo. Avevo
perso sonno
ormai,e Brittany sembrava non aver voglia di ascoltarmi. Mi
scoprii,scesi dal
materasso,e quando stavo per infilarmi una felpa sopra la
canottiera,qualcuno
tirò giù la zip della tenda. Mi voltai di scatto.
«Ma
che..?»
«Ehi,sceme!»
esclamò Alex con aria pimpante «Mio fratello mi
manda a svegliarvi. Aveva paura
che foste nude,a dirla tutta…e quindi non si fidava ad
andare lui stesso.
Comunque,dice che oggi inizia l’addestramento e che dovremmo
fare le votazioni
per il capogruppo,per cui smettetela di poltrire e venite
fuori».
«Votazioni?»
chiesi confusa.
«Cara,abituati
all’idea che non berrai più
caffè,quindi sveglia!» disse ridacchiando
«Serve
qualcuno che ci guidi,e faremo delle votazioni. Ah,a
proposito!» continuò
poi,con quel suo tono vivace «Vi avviso : mio fratello
è uno stronzo e vi
massacrerà. Spero che nella vostra vita abbiate praticato
almeno un minimo di
sport,altrimenti siete fottute…» poi,con
nonchalance,richiuse la tenda e se ne
andò.
Aveva
parlato così velocemente e di così tante cose,che
continuavo a fissare la porta
della tenda,con una manica della felpa ciondolante,e lo sguardo perso.
Che aveva
detto?Non poteva sparare a raffica a quell’ora del
mattino!Non ero concentrata…
Mi finii di
infilare la felpa,mi misi i soliti pantaloni neri e sporchi di una tuta
raccattata qualche giorno prima,e poi gli stivaletti marroni,ugualmente
raccattati. Mi avvicinai a quel groviglio di coperte,e mi piegai sulle
ginocchia,osservando quella figura nascosta dalla stoffa. Una cosa
però dovevo
ammetterla : Brittany era una piacevole compagna di tenda.
All’inizio si erano
create delle discussioni perché non eravamo riusciti a
trovare un accordo per
la notte. Alex aveva insistito per dormire con suo fratello,e Lucas era
stato
costretto a dormire con Noah,che di certo non avrebbe potuto dormire
con
Brittany. C’erano tre tende abbastanza spaziose,ed un gazebo
con un tavolino,provviste,e
tutto l’occorrente per sopravvivere. Sì : avevamo
svaligiato un negozio di
articoli sportivi. Avevamo piantato le tende in un enorme campo verde
sperduto,lontano dalla civiltà,ma allo stesso tempo
sufficientemente vicino per rifornirci del necessario. Avevamo fatto
diverse spedizioni quella settimana,tutte abbastanza stancanti.
Dovevamo
attrezzarci con tutto l’occorrente,ma recuperarlo non era
stato facile e c’era
stato bisogno che tutte le braccia del gruppo collaborassero.
Comunque,ce
l’avevamo fatta e alla fine di tutte quelle stressanti
operazioni,ci eravamo
gonfiati di un gran senso di soddisfazione,che per un istante ci aveva
resi felici.
«Brittany…»
sussurrai dolcemente,piegata sulla sua figura «odio essere
rompipalle e lo so
che sei stanca,ma devi alzarti. Oggi inizia
“l’addestramento”».
Lei si
rigirò nelle coperte «ammazza quel pazzo,per
favore!» mi supplicò in un
lamento.
Scossi la
testa ridendo.
«Eddai,magari
potrebbe essere divertente. Che senso ha starsene tutto il giorno a
letto?»
«Ha il
senso
del riposo» mi rispose lei,scoprendosi il viso dalla coperta
«conosci questa
strana parola? R i p o s o» ripeté,scandendo
lettera per lettera.
Risi ancora.
Quanto era buffa!
«Fa’
come
vuoi!» esclamai arresa «Io voglio imparare a
sparare».
«Mmmh…»
La guardai
un’ultima volta,e poi uscii dalla tenda. Avevo imparato tre
cose di Brittany in
quella settimana : la prima,era che aveva tatuato un colibrì
poco più sopra
dell’inguine. Me ne ero accorta perché le mutande
lasciavano scoperte un paio
di ali,e allora incuriosita avevo iniziato a fare domande. La
seconda,era che
era una tipa particolarmente goffa. Quando stavamo montando le tende,si
era
data un paio di volte il martello sull’indice,finendo poi per
piagnucolare. La
terza,era che quando aveva sonno,aveva sonno e basta.
Appena
uscita,sentii l’aria pizzicarmi sulla pelle,e mi tirai su il
cappuccio. Misi
una mano nella tasca della tuta,tirai fuori un pacchetto di Marlboro,e
m’infilai una sigaretta tra le labbra. Erano quasi tutti
fuori dalle proprie
tende. Mio fratello si toccava i capelli e sfregava le mani sugli occhi
stanchi,sbadigliando. Alex era già piena di energia e fumava
una sigaretta
saltellando incontrollatamente,e il fratello era nel gazebo,che
disponeva le
armi sul tavolino. C’eravamo tutti,tutti tranne Noah e
Brittany. Mentre la
ragazza era solo molto stanca,per Puckermann la questione era un
tantino
differente. Da dopo il viaggio a New York,il suo atteggiamento era
notevolmente
cambiato : non era più lo stesso. Mangiava il minimo
indispensabile,spesso
regalando le sue razioni a mio fratello e trascorreva la maggior parte
del
tempo chiuso in tenda,oppure con la scusa di una passeggiata,se ne
stava le ore
in giro per quell’immenso campo,tenendoci tutti con il fiato
sospeso. Non aveva
voglia di parlare,di fare niente…era apatico,e mio fratello
mi aveva riferito
che la situazione era,in realtà,più preoccupante
di quanto sembrasse. Non
sapevo più come comportarmi con lui. Avevo provato a
parlargli,ma con la scusa
di essere stanco mi aveva allontanata. Avevo davvero paura che si
sarebbe
abbandonato al dolore e sapevo che,se l’avesse fatto,in
qualche modo ne sarebbe
rimasto ucciso.
«Siamo
solo
noi?» chiese Steven,guardandosi attorno.
«Sì!»
rispose la sorella «La bionda non vuole alzarsi,e
l’altro…beh,lo sai»
concluse,facendo spallucce.
«E va
bene,per oggi passa. Dunque,cominceremo facendo un po’ di
stretching,poi ci
concentreremo su addominali e flessioni».
Storsi la
bocca. Non facevo più attività fisica
da…da quando ero stata una cheerleader al
McKinley. Il ricordo di Sue Sylvester che urlava con il suo
megafono,ancora mi
terrorizzava.
«Non
si
spara,oggi?» chiese mio fratello,stendendo la gamba destra.
Steven
scosse la testa «una cosa alla volta. So quanto sia urgente
imparare a
maneggiare un’arma,ma per oggi credo che dovremmo
concentrarci su una
preparazione un po’ più generica».
Storsi la
bocca,di nuovo.
La mattinata
trascorse poi velocemente. Facemmo la bellezza di cento addominali e
quaranta
flessioni. Mi sentivo la pancia completamente dolorante,e le braccia
prive di
forza,deboli come se non avessero avuto delle ossa a sostenerle. Ma non
era
finita qui. Steven aveva poi preteso che allenassimo anche i muscoli
delle
gambe e così avevamo corso per mezz’ora,senza mai
fermarci,avanti e indietro
per quel campo dalla terra irregolare e distruttiva. Quando sua
sorella,che
si era accesa quattro sigarette durante la corsa,aveva invocato
pietà,quasi strisciando
per terra,il grande “capo” aveva ceduto. Era ora di
pranzare,ma di Noah e
Brittany ancora non vi era traccia.
«San»
mi
chiamò mio fratello,tutto sudato «potresti andare
a dire a Noah che esca a
mangiare?»
Sospirai,guardando
verso il basso «certo» risposi,con dello sconforto
nella voce.
Mi avviai
alla tenda ancora chiusa,e diedi alcuni colpi alla tela. Nessuna
risposta.
«Puckermann,è
ora di pranzo. Perché non esci e non vieni a mangiare con
noi altri?»
«Non
ne ho
voglia» rispose una voce spenta,appena percettibile.
Scossi la
testa «vuoi che ti porti la tua razione?»
Silenzio per
alcuni secondi.
«Dalla
a chi
ha più fame. Prendila tu,se vuoi…»
Sbuffai,stremata.
Non ce la faceva a vederlo e sentirlo in quel modo,era una cosa che mi
distruggeva. Mi aveva salvato la vita,gli volevo bene…ma lui
era rimasto
devastato dalla serie di cose che gli erano accadute. Se non fosse
stato per la
storia di suo fratello,ero sicura che avrebbe digerito senza troppi
problemi la
fine della madre. Era il rimpianto a devastarlo,il rimpianto di aver
avuto
paura e di non esser mai riuscito ad incontrare il ragazzo della
lettera. Era
da capirlo. Se avessi vissuto quello che aveva vissuto lui,forse sarei
stata
anche io male in quel modo. In fin dei conti,però,stavamo
tutti male,bastava
solo non darlo a vedere.
Mi
allontanai dalla tenda e mi avviai alla mia,poi aprii la zip che la
teneva chiusa. Lei era ancora lì,sotto le coperte,nel bel
mezzo di un sonno
profondo.
«Ma
quanto
dormi?!Forza,è ora di mangiare!»
«Mmmh..?»
Sbuffai,ed
entrai. Afferrai saldamente un lembo della coperta e la tirai via in
uno scatto
violento. La ragazza si lamentò,sempre tenendo gli occhi
chiusi.
«Ma ti
svegli?!Nemmeno a dire che sei stata di guardia…Alex si
è fatta tutta la
nottata!»
«E
quindi?Falle un applauso da parte mia» rispose secca.
Le diedi uno
scossone.
«Mettiamola
così : se non esci adesso,la tua razione va a farsi
benedire».
I suoi occhi
si spalancarono all’improvviso e,senza emettere un altro
suono,si alzò dal
materasso e cominciò a frugare nel mucchietto di panni
disposti all’angolo
della tenda. Se ne stava in mutande,con una t-shirt nera a guardarmi
con quella
sua aria da sopravvissuta ad una sbornia epica,chiedendosi
chissà che cosa.
«Ma
non vai
a mangiare?» mi chiese un po’ sorpresa
«Che fai,mi aspetti?».
Io rimasi
interdetta. Non mi ero accorta che fossi rimasta a guardarla come
un’idiota.
Forse avrei dovuto cominciare ad avviarmi al gazebo.
«S-Sì,certo!Volevo
solo assicurarmi che non ti rimettessi sotto le coperte»
risposi un po’
incerta.
Lei mi
guardò e sorrise «sei molto premurosa Santana,ma
non sono una bambina» concluse
facendomi l’occhiolino.
Abbassai
immediatamente gli occhi e bofonchiai un «giusto».
Uscii dalla
tenda senza neppure richiuderla,e m’incamminai verso il
gazebo da cui già
s’intravedevano delle porzioni di riso fumanti,che
aspettavano solo di essere
divorate da degli stomaci affamati. Steven mi fece un sorriso e poi
cominciò ad
ingurgitare il riso.
«Davvero
una
genialata prendere un tavolo e non delle sedie»
affermai,affondando il
cucchiaio in quell’ammasso colloso di cibo.
Alex e Lucas si misero a ridere.
«Sì,beh,diciamo
che non ci avevo pensato…» si
giustificò il ragazzo.
Quando anche
Brittany ci raggiunse,Steven si schiarì la voce e capii da
subito che volesse
dire qualcosa di particolarmente serio.
«Sentite,»
esordì con quel suo tono di voce importante
«più tardi voglio fare delle votazioni per
eleggere un capogruppo. Voi siete favorevoli a quest'idea?Io penso
che debba esserci qualcuno che sia in grado di guidarci e di fare delle
scelte…capite cosa intendo?»
Io e
Brittany ci guardammo a vicenda.
«Dillo
e
basta che vuoi essere capogruppo!» esclamò la
sorella.
«Alex»
la
richiamò lui.
«Per
me va
bene» disse Brittany.
«Anche
per
me» dichiarò Lucas.
«Sì,credo
sia giusto» aggiunsi io.
Steven
annuì
ed accennò un sorriso «bene!Quando sarà
il momento,se sarete nelle tende,vi
verrò a chiamare!»
Mi misi a
sedere sul materasso. Ero stanca,ma sapevo che se avessi provato a
dormire,non
ci sarei comunque riuscita. Brittany mi fece un sorrisetto simpatico,da
seduta
anche lei,e poi sbuffai. La cosa che mi dava più fastidio in
quella tenda e,in
generale,della vita all’accampamento,era l’aver
spesso troppo tempo per
pensare. Quando te ne stavi in silenzio,a girarti i pollici,allora i
ricordi,le
voci,le immagini e tutto quel che portavano con
sé,cominciavano a tormentarti.
«Sei
passata
da Noah?» mi chiese Brittany «Sta sempre
uguale?»
Annuii
rattristata «non c’è verso di farlo
uscire dalla tenda. Deve ancora metabolizzare
il tutto. E' distrutto».
La bionda
annuì e si morse un labbro «volevo davvero tanto
bene a suo fratello. Era una
di quelle persone che sanno farti spuntare il sorriso quando sei
triste,che si
fanno in quattro per te e che ti danno tutto il loro cuore. Mi manca un
sacco...»
affermò scuotendo la testa,con gli occhi lucidi.
«Un
po’ come
il fratello».
«Voi
come vi
siete conosciuti?» mi chiese lei,improvvisamente curiosa.
«Andavamo
allo stesso liceo. Lui un giocatore di football un po’
stronzo,ed io una
cheerleader pettegola e cattiva» risposi,accusando
immediatamente una fitta
piena di malinconia.
Lei sorrise
«tu eri una cheerleader?»
«Assolutamente
sì!» risposi ridacchiando «E non una
delle cheerleader qualsiasi,ma “capo
cheerleader”. Avevo una coach che non riusciresti nemmeno ad
immaginare».
«Perché?»
«Ti
giuro
che è stata la persona più folle che io abbia mai
conosciuto. E’ sempre stata
incredibilmente spietata e rigida con noi,ma tutte sapevamo quanto bene
ci
volesse in realtà. Quando ha saputo che non sarei andata al
college,ha fatto di
tutto per cercare di aiutarmi,ma in quel momento non potevo davvero
allontanarmi da casa».
La ragazza
smise di fissare un punto della tenda,e puntò gli occhi sul
mio viso «niente
college,eh?I miei mi hanno praticamente costretta ad iscrivermi alla
Columbia»
disse con un'ironia un po' amara.
«Ah,sì?»
«Ma
scherzi?!Un newyorkese che non va ad un college di prestigio,che razza
di
newyorkese è?Sarebbe un “colpo basso”
fatto da una ragazzina che avrebbe voglia
di inseguire dei sogni irraggiungibili,che porterebbero ad un
fallimento e ad
una cattiva immagine per l’intera famiglia».
«Wow!»
esclamai esterrefatta «Ragionavano così i
tuoi?»
Si morse un
labbro ed annuii.
«E
quale
sarebbero stati i sogni irraggiungibili di quella ragazzina?»
chiesi curiosa.
Lei
sorrise,ma i suoi occhi divennero improvvisamente tristi
«ballare. Ho sempre
amato la danza. Ho passato la mia intera vita a ballare,credendo un
giorno di
poter fare la ballerina,e poi semplicemente hanno distrutto tutto,come
se
avessero soffiato su un castello di carte».
Abbozzai un
sorriso per cercare di rassicurarla,ma quello che sentivo era solo una
grande
tristezza. Avvertivo la sua stessa tristezza,gliela leggevo negli
occhi. Non
riuscivo a smettere di pensare che eravamo entrambe vittime della vita
; io
perché non avevo avuto la possibilità di
realizzare i miei sogni,e lei perché
invece le erano stati distrutti dalle figure che avrebbero dovuto
incoraggiarla
a seguirli.
«Beh,non
pensarci…i ricordi sono armi pericolose»
affermai,con amarezza.
«Già»
rispose lei,annuendo.
La osservai
per un po’,mentre era sovrappensiero. Sempre con quella sua
aria triste,con
quell’ingenuità che si mischiava
all’azzurro dei suoi occhi,e quelle labbra screpolate e
mangiucchiate per il nervosismo. Aveva un viso
dolce,sì…era bella. Per
un attimo me la immaginai ballare. Vidi nella mia testa quel corpo
slanciato
muoversi,girare,e i lunghi capelli biondi assecondare quegli stessi
movimenti.
Chissà come era graziosa mentre ballava,chissà se
quella sua goffaggine che mi
faceva tanto ridere,svaniva e si abbandonava alle note della melodia
che
avrebbero smosso il suo corpo. Mentre studiavo il profilo del suo collo
chiaro,lei si girò.
«C’è
una
cosa che devo dirti» ammise seria,sguardo nello sguardo.
«Cosa?»
«Sono
contenta di averti come compagna di stanza».
Continuai a
guardarla,non potevo cedere.
«Anch’io.
Sei una ragazza interessante Brittany Pierce,e mi divertirò
a scoprire ogni tua
sfaccettatura».
Lei sorrise
e si morse un labbro,con aria timida «allora buona fortuna
Santana Lopez.
Sarebbe più facile uccidere ogni singolo affamato su questo
pianeta,ma se
proprio ci tieni,provaci…»
Sorrisi ed
annuii «Non solo ci proverò,ma ci
riuscirò!»
Lei scosse
la testa ridendo e poi si stese,avvolgendosi nella
coperta. In quel momento,non so perché,avrei voluto
stringerla o essere
stretta. Ancora mi risuonava l’eccitazione di quella sfida
lanciata
implicitamente,e ancora rivedevo il suo sguardo timido, provocarmi. Mi
stesi
anch’io,nella sua stessa direzione,con la testa di fronte
alla sua nuca e le
gambe quasi a sfiorare le sue. Sorrisi ripensando alle sue parole e
chiusi gli
occhi,rivedendo ancora la sua pelle. Avevo sempre avuto un problema ed
era forse per quello che la coach Sylvester mi aveva sempre adorata :
le sfide erano state da sempre la mia
passione. Buona
fortuna Santana Lopez,riascoltai
nella mia mente. Sì,buona fortuna.
Salve
gente!
Comincio
con il dirvi che ahimé in questi giorni sono particolarmente
impegnata,e che lo sarò probabilmente per un bel periodo.
Questa vita è piena di "casini" e a volte avrei voglia di
vivere perennemente estraniata dal resto del mondo,scrivendo e non
avendo nient'altro da fare. Beh,tralasciando le fantasie,mi viene
spontaneo chiedervi che cosa ve ne pare di questo nuovo capitolo,che
segna l'inizio di un'evoluzione all'interno della storia.
Insomma,questo Vermont vi piace oppure no?
Dai,dai...senza
che mi dilunghi troppo,annoiandovi,aspetto con ansia di leggere i
vostri pareri nelle recensioni!
Alla prossima!E state pronti...
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Capitolo 11 *** Incubi voraci ***
BETWEEN
THE HUNGRY
Incubi voraci .
Mi guardai
attorno per l’ennesima volta. Quelle strade grigie avevano
assorbito lo stesso
colore di quel cielo che,oscuro,inveiva silenziosamente,osservandomi
come un
predatore che aspetta di saltare con un guizzo felino sulla preda.
C’era del
vento,ma era quel tipo divento debole e costante,che freddo ti sferza
il viso e
ti tortura sino a che la tua pelle non grida aiuto. Forse avrebbe
piovuto : l’aria era umida e pungente e le nuvole grigie di
quel groviglio
scomposto,sembravano pronte a scaricare ogni singola goccia di
acqua,come se
avessero avuto la necessità di sfogarsi in un pianto
liberatorio. Non so
perché,ma era quello che avrei voluto fare
anch’io. Sentivo il bisogno di
piangere,ma i miei occhi non versavano lacrima e solo il respiro
tradiva la mia
immagine fredda e insofferente. Quel paesaggio mi era familiare,quelle
strade…quei fogli che simili ad uccelli si levavano di poco
dall’asfalto,per poi
ricadere a terra,incapaci. All’improvviso capii : mi trovavo
a New York. Il
grattacielo imponente all’orizzonte era un chiaro punto di
riferimento,era lo
stesso che avevo visto settimane prima,chiedendomi il motivo per cui il
suo
colore si mischiasse a quello del cielo,quasi avaro di mostrare le sue
reali
sembianze. Dovevo correre? Non c’era neppure un affamato in
giro ; la città era
vuota e silenziosa,ed era strano. Qualcosa di duro e freddo mi
sbatté contro
la caviglia,dandomi fastidio. Infilai la mano nello stivale e
tirai fuori
un coltello. Ecco cos’era. Lo rigirai nella mano
più e più volte e soltanto
dopo diversi secondi mi accorsi che era pieno di sangue fresco e rosso
vivido,come quello di una persona. L’avevo notato sin da
subito : il sangue degli
affamati e quello degli umani era diverso. Quello degli affamati era
quasi
denso,più scuro,con delle tonalità simili al
marrone miste al rosso. Quello
degli umani,beh,era quello degli umani…il sangue che tutti
hanno visto almeno
una volta nella vita,quello liquido e di quel rosso vivo,che se lo
fissi a
lungo colare,dimentichi persino il dolore. Perché il
coltello era pieno di
sangue?Non c’era un’anima attorno a me,eppure
più fissavo quell’oggetto
metallico da cui gocciavano delle chiazze rosse,infrangendosi
sull’asfalto,e
più sentivo accrescermi nel petto una strana sensazione,una
paura che mi irrigidiva
ogni singolo muscolo e che rendeva il mio respiro sempre più
veloce ed
insoddisfacente. Ora era furioso,veloce,l’ossigeno adirato
che mi percorreva e
mi schiaffeggiava insolente,sempre più doloroso. Il dolore
al petto,i muscoli
duri come pietra,gli occhi impazziti,le mani che tremavano,le gambe che
lentamente cedevano sotto il peso inesorabile della sofferenza. Non
capivo. Era
successo qualcosa,o stava per succedere qualcosa?Continuavo a guardare
il
coltello che sussultava nella mano impazzita,che ad ogni balzo mi
sporcava la
pelle di quel sangue. E
più lo
guardavo,più ne ero certa : era umano.
All’improvviso sentii l’ossigeno
fermarsi in gola,e bruciare. Il mio intero corpo tremava,aspettando
qualcosa
per cui tutta quella pena avesse finalmente senso. Dopo secondi in cui
il mio
unico pensiero fu quello di accasciarmi a terra,priva di forze,apparve lui,dalla fine della strada.
«Ciao
amore
mio» disse una voce dolce.
«Josh?»
chiesi con le lacrime agli occhi.
Quell’immagine
era inconfondibile : era proprio lui. Aveva i capelli più
folti dell’ultima
volta che l’avevo visto,ed erano disordinati. Gli occhi
azzurri si socchiusero
delicatamente,con dolcezza,e le labbra rosse si aprirono in un sorriso
grazioso.
«Non
mi
riconosci?» mi domandò ancora sorridendo.
Le mie
labbra si schiusero lentamente,e scossi la testa incredula.
«Posso
abbracciarti?»
In tutta
risposta,spalancò le braccia ed annuì.
Prima ancora
che me ne rendessi conto,le mie gambe cominciarono a muoversi
velocissime. La
voglia di gettarmi tra quelle braccia,aveva preso il sopravvento sui
tremori,e
all’improvviso quello che era iniziato come un
incubo,sembrava aver preso
un’altra strada.
«Mi
manchi
tantissimo» sussurrò una voce,quando due braccia
mi si chiusero attorno,con una
forza dolce.
Le mie lacrime
si attaccavano alla stoffa di quella maglietta bianca,ed il mio viso
non voleva
scostarsi dall’incavo della spalla. Sentivo il suo odore
vivido nelle narici,e
quell’immagine era così reale,così
piena di consistenza,che non riuscivo a
capire se l’avessi raggiunto dovunque ora si trovasse.
«Mi
manchi
tanto anche tu!» esclamai,con voce strozzata.
Quelle
braccia che fino a poco prima mi avevano
stretto,all’improvviso mi allontanarono.
Rimasi perplessa. Josh mi guardò accigliato,con le labbra
tese in una linea inespressiva,e
gli occhi improvvisamente spenti e lucidi.
«E
allora
perché mi hai fatto questo?» chiese pieno di
disappunto,scuotendo appena la
testa.
Spalancai
gli occhi. Cosa? Non capivo. Sentivo solo una fitta allo stomaco al
ricordo del
tono di voce che avevo appena ascoltato. Lui si portò una
mano sul petto e,quando la tolse,apparve un’enorme chiazza
rossa che lentamente si
espandeva,inumidendo la stoffa bianca.
Guardai il
sangue espandersi,a bocca aperta. Un’altra fitta mi strinse
lo stomaco in una
morsa e all’improvviso il respiro mi
mancò,definitivamente. Guardai il coltello
che ancora tenevo nella mano e lo lasciai cadere a terra,sconvolta.
«Perché
mi
hai fatto questo?» chiese ancora una volta Josh,con una mano
sopra la chiazza
di sangue.
Io scossi la
testa,a bocca aperta «no…no» biascicai.
Lui
annuì,poi afferrò i due lembi della maglia,e se
la tolse. Sulla
pelle,esattamente sopra il cuore,c’era incisa una S. Il
sangue sgorgava dalla
lettera tracciata imprecisamente,e quell’intero corpo che
avevo stretto quanto
più avevo potuto,era ricoperto dal rosso che inquinava la
purezza di quella
pelle.
«No»
ripetei,accasciandomi
a terra,inerme.
Mi portai le
mani sul viso,sentendo le lacrime accarezzare con violenza i
polpastrelli,ed
una mano si pose sulla mia spalla.
«Ti
amo lo
stesso» sussurrò quella voce ormai irriconoscibile
«ti amerò per sempre».
Stavo per
rispondergli di perdonarmi,ma qualcosa in quello scenario lugubre
cambiò.
«Santana!Svegliati,è
soltanto un incubo!» mi urlò una voce
familiare,mentre qualcosa mi scuoteva da
una spalla.
«No!»
urlai
di rimando,tra le lacrime «Devo chiedergli di perdonarmi!Devo
farlo!»
Una mano
fredda mi accarezzo la guancia fradicia di lacrime
«è stato solo un sogno. Non
c’è niente che tu debba fare,ok? E’
stato solo un sogno» sussurrò quella
voce,vicina al mio viso.
Mi misi
seduta di scatto e aprii leggermente gli occhi. Sentivo caldo in tutto
il
corpo,ma non era un calore piacevole,era un calore invadente ed
asfissiante,che
soffocava la pelle. Mi portai una mano sul viso e mi accorsi che era
bagnato,completamente bagnato. Stavo ancora piangendo,e mi stropicciai
gli
occhi. Ero confusa e agitata e…ansimavo,scuotendo ancora la
testa.
«Calmati,»
sussurrò ancora quella voce,piena di una dolcezza disarmante
«ci sono io qui.
Va tutto bene» di nuovo quelle dita a toccare
l’umido sulle mie guance bollenti
«va tutto bene Santana. Dimentica qualunque cosa tu abbia
sognato,ora sei al
sicuro».
Spalancai
gli occhi e la vidi. C’era Brittany con me. Aveva i capelli
biondi avvolti da
un capellino nero di lana e mi guardava preoccupata,continuando ad
accarezzarmi
una guancia come avrebbe fatto una madre con il proprio figlio.
Singhiozzai
un’ultima volta,ancora confusa da quel sogno,e poi la
guardai,perdendomi
nell’azzurro di quelle iridi.
«Ehi…»
sussurrai.
«Ehi…»
sussurrò lei,sorridendomi.
Inspirai a
fondo e un brivido mi percorse al contatto di quelle dita fredde sulla
mia
pelle bollente.
«Sei
di
turno,non è vero?» le chiesi con un filo di voce.
Mi
guardò
ancora negli occhi e poi,all’improvviso,spostò le
dita dalla mia guancia,come
se solo allora si fosse resa conto di averle lasciate sul mio viso.
«Sì,sì…ti
ho
sentita lamentarti e allora sono corsa a vedere. C’erano
degli affamati nel tuo
sogno?» mi chiese sempre con quel suo tono impregnato di
preoccupazione.
Spostai lo
sguardo dal suo viso e mi morsi un labbro «una
specie…»
Lei
annuì
lentamente e guardò fuori dalla tenda «devo
tornare fuori. Se mi dici che è
tutto ok,vado,altrimenti resto un altro po’ qui con
te».
Mi guardai
attorno ancora disorientata. La luce di una lampada illuminava
l’interno
della tenda,ma solo in parte. Sul viso di Brittany sostava un angolo di
penombra,che le oscurava in parte uno zigomo e la parte destra del
busto.
«Vengo
con
te» affermai,guardandola «non riuscirei mai a
riaddormentarmi. Faccio la
guardia assieme a te,se non è un problema».
Lei mi
scrutò con attenzione per un momento e poi schiuse le labbra
in un sorriso
radioso.
«Nessun
problema!» esclamò contenta.
Sbattei le
palpebre un paio di volte,forzandole ad aprirsi il più
possibile,e poi mi tolsi
di dosso la coperta nella quale ero avvolta. Brittany corse
all’angolo della
tenda e prese in mano la mia felpa,assieme agli stivaletti.
«Tieni»
disse posandoli di fianco il materasso.
Le sorrisi
in segno di ringraziamento. Mi alzai controvoglia,con i muscoli stanchi
e
tremolanti,sbadigliai e poi mi rivestii. Quando ebbi infilato lo
stivaletto
sinistro,gettai un’occhiata all’entrata della tenda
ed inspirai,sopraffacendo
uno sbadiglio. Mi sentivo la testa ovattata,ero stordita e confusa e
…
ansimante. Avevo ancora caldo in tutto il corpo,ma quando misi il primo
piede
fuori dalla tenda,una ventata d’aria fredda mi
colpì in pieno viso,ed i miei
sensi cominciarono a riattivarsi lentamente,come se mi avessero dato un
paio di
schiaffi sulle guance. Un fuoco smorto illuminava la tenebra della
notte
fiocamente,scoppiettando con irregolarità,in un lamento che
sapeva di …casa.
Brittany si sedé a terra,attorno a quel cerchio il cui
calore andava svanendo,
ed afferrò la coperta che aveva lasciato a terra. Mi
guardò,mentre camminavo
per raggiungerla,facendo attenzione a non inciampare in qualche sasso
nascosto
dai ciuffi d’erba.
«Vieni»
mi
disse,con un sorriso rassicurante, allargando la coperta.
Velocizzai
il mio passo e mi sedetti al suo fianco,a gambe incrociate. Lei mi
avvolse
immediatamente nella coperta,portandosi con una mano il tessuto a
coprirle la
schiena. Per qualche assurda ed umana ragione,quell’incubo mi
sembrò subito più
distante. Cominciai a fissare il fuoco morente,mi concentrai prima sul
mio
respiro,e poi aspettai che il prossimo scoppiettio si facesse vivo.
«Vuoi
parlarne?» chiese la bionda,avvicinandosi con il corpo.
La guardai e
sospirai con pesantezza «forse…non lo
so» sussurrai insicura.
Lei
annuì
con la testa e fece spallucce.
«Conobbi
Josh al liceo.» cominciai con un filo di voce
tremolante,incrociando
immediatamente il suo sguardo « Lui era…beh,era
semplicemente Josh.
Quarterback,popolare,bellissimo. Sai quel tipo di ragazzi che sono una
specie di
mito?Quelli che sembrano perfetti e dietro cui tutti sbavano?»
Lei si
limitò ad annuire.
«Josh
era
uno di quelli. Quando gli rivolsi la parola per la prima volta gli
dissi una
sola e semplice frase : “ vai al diavolo”.
Carino,no? Mi aveva fregato l’ultimo
budino ed erano giorni che non ne mangiavo uno perché la
coach Sylvester ce
l’aveva severamente vietato. Lui,in tutta risposta,mi
guardò,mi fece un
sorrisetto sfacciato,e sfilò via come se niente fosse con il
suo bel budino
alla vaniglia.» feci una pausa,e mi preparai mentalmente al
peggio «Prima per me
le cose erano diverse,molto diverse. Andavo in giro per i corridoi e
scatenavo
l’inferno contro chi mi stava sulle scatole o aveva una media
più alta della
mia,non che ci volesse poi molto».
«Una
bulla!»
affermò lei,con un mezzo sorriso divertito.
«Io
preferivo definirmi stronza e basta» risposi facendo
spallucce «pensavo che la
parola bulla facesse un po’ troppo stereotipo da scuola
superiore. Il mio modo
di salutare le persone era mandandole a quel paese,gridandogli di
fottersi,di
levarsi dai piedi o insultandole. E il mio modo di relazionarmi con le
persone
era
…beh,sì,era…"facendomele"»
ammisi un po’ imbarazzata.
«Oh!»
esclamò Brittany sorpresa e più divertita di
prima «Eri proprio una
ragazzaccia!»
«Sì,»
ridacchiai «lo ero! Quando un’altra cheerleader mi
rubò il ragazzo che avevo
puntato ad una festa,le tirai uno schiaffo davanti a tutta
la scuola. Inutile dire che scoppiò una rissa assurda e che
se rimasi in
quella scuola fu solo grazie alla coach. Comunque,» continuai
con un sorriso
amaro stampato sulle labbra «Josh mi piaceva. Ma non parlo di
piacero nel senso
di … piacere,ma…»
«Volevi
fartelo!» m’interruppe Brittany,togliendomi le
parole di bocca.
«Esattamente!»
affermai ridacchiando «Mi eccitava il fatto che fosse
l’unico a tenermi testa
in quella scuola. Ogni volta,puntualmente,mi rubava l’ultimo
budino o l’ultima
mela,o l’ultima porzione di crocchette di
pollo…insomma,stava diventando un
incubo e sempre puntualmente,me lo ritrovavo di fronte con un
sorrisetto
beffardo stampato sulla faccia. Odioso! Avevo voglia di prenderlo a
pugni o
tirargli addosso il mio frullato alla fragola».
Brittany
rise.
«Un
giorno,finita la penultima partita del campionato di football,gettai a
terra i
miei pon pon e corsi in campo. Gli tolsi il casco,lo strattonai per un
lembo
della maglietta,e lo baciai con rabbia. Lui mi guardò
confuso,tra il divertito
ed il sorpreso,e mi disse : “perché
l’hai fatto?” e io gli risposi : “
perché
spero che così la smetterai di fregarmi
quel fottutissimo budino!”. Da
quel momento cambiò ogni cosa. Capii che Josh non era solo
il ragazzo
dall’immagine perfetta,ma anche il ragazzo che aveva perso il
padre all’età di
otto anni per overdose. Capii che era un ragazzo tanto bello quanto
insicuro,e spesso
tormentato. Capii che era il ragazzo che non parlava più con
la madre da
quando non era nient’altro che un bambino,e che era il
ragazzo con uno zio in
prigione con l’accusa di rapina a mano armata. Aveva una vita
incasinata,come
la mia. Mentre tutti se lo immaginavano a spassarsela con le
più belle ragazze
della scuola,lui in realtà se ne stava chiuso in camera ad
ascoltare i cd di
suo padre,per soffocare i rumori dei singhiozzi» mi
interruppi,e mi asciugai
una lacrima. «mi innamorai di lui quasi subito. Era
diverso,con lui era tutto
diverso. Facemmo l’amore dopo sei mesi che stavamo insieme,e
per me era un vero
record. All’improvviso smisi di fare a botte,di prendere in
giro gli studenti
che non mi andavano a genio,di rispondere solo con le parolacce,e di
incasinarmi
la vita più di quanto non lo fosse già. Sentivo
di non avere più bisogno di
quella serie di cavolate,e infatti era così. Quando io e
Josh ci guardammo per
la prima volta negli occhi,capimmo che non eravamo soltanto il ragazzo
bello e
la cheerleader stronza. Capimmo di essere simili,di essere in grado di
completarci. Era la mia metà» dissi
singhiozzando,e stringendo tra le mie mani
la collana che avevo al collo «ed è per questo che
adesso mi sento
così…maledettamente sola».
Fu allora che
Brittany mi guardò,scuotendo la testa tra delle lacrime
incessanti,e si sforzò
di sorridermi.
«Mi
dispiace
tantissimo» biascicò,smossa dai singhiozzi
«scusa» disse infine,sfregandosi la
coperta sul viso.
«Tranquilla.
Scusami tu. Non volevo intristirti con tutto questo».
Si
scoprì il
viso dalla stoffa e mi buttò le braccia al collo.
«Mi
dispiace
tanto» sussurrò disperata al mio orecchio
«mi dispiace».
Sentivo il
bagnato delle sue lacrime sul profilo del collo. Singhiozzava in preda
ad un
pianto angosciante e liberatorio,molto più intenso del mio.
Di lacrime,io,ne
avevo versate troppe,e quelle che venivano fuori,erano pacate e tanto
dolci
quanto corrosive. Brittany forse si era immedesimata in me,o forse la
mia
storia era stata il pretesto per lasciarsi andare come non aveva mai
fatto
dall’inizio del caos. Forse non piangeva pensando realmente a
me e Josh,ma
pensando a tutto quel che aveva perso. Mi sentii in dovere di
stringerla
forte,così come aveva fatto lei. Ricambiai
l’abbraccio e le sussurrai di stare
tranquilla.
«E’
tutto
uno schifo» biascicò lei con il viso sulla mia
pelle.
Feci in modo
che il mio corpo aderisse al suo il più possibile,ed
improvvisamente avvertii
il suo calore mischiarsi col mio. Provavo tre cose in quel momento :
freddo,per
le lacrime sulle quali il vento soffiava. Dolore,perché i
ricordi mi stavano
divorando dell’interno. E
caldo,perché…perché Brittany mi
riscaldava con il
fuoco che le divampava dentro. Era uno strano mix,eppure
l’unica cosa che mi venne spontanea di fare,fu accarezzarle i
capelli.
Singhiozzò ancora una volta sull’incavo del mio
collo,e allora presi a
sfiorarle dolcemente la schiena,con i polpastrelli. Lei alzò
un poco il viso e
mi diede un piccolo e delicato bacio sulla guancia. Si
allontanò,e mi guardò
per un attimo con quegli occhi arrossati e pieni di lacrime. Era bella
anche in
quel modo,anche quando aveva stampato sul viso l’immagine
della sofferenza.
L’azzurro si mischiò al nero per un istante
interminabile,e quel nero non era
l’oscurità della notte nella quale eravamo
entrambe avvolte. Io non la stavo
guardando,e lei non mi stava guardando. La verità? La
verità era che in
quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo
pieno d’infinito e di
emozioni,noi stavamo leggendo.
Quegli
occhi,quelle lacrime,quel dolore…era tutto
così…vivo e intenso,e reale.
Sentivo di respirare,eppure
scordavo il modo di farlo. Sapevo di poter parlare,eppure non ero in
grado di
aprire bocca. Ero certa che fosse notte,eppure mi bruciavano gli occhi
per la
troppa luce. Prima ancora che potessi capire altro,che
un’ennesima certezza mi
sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo
visto,era
tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante
esagerazione. Ma
c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani
come fosse semplice
fumo,un’unica certezza imprescindibile : in
quell’attimo la mia esistenza aveva
ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Due
anime rese misere
dall’ingordigia della vita,si erano ritrovate faccia a
faccia,occhi negli
occhi. Si erano sfiorate,e allora l’elettricità
aveva scosso ogni fibra di
quelle tristi creature. Poi il rumore della notte le aveva inglobate,ma
il
desiderio di esser vive l’aveva pretese.
Salve
gente!Ed eccoci con questo capitolo
abbastanza importante.
Avete
mai avuto la sensazione,perdendovi in uno sguardo,di aver trovato
qualcuno?Sì,beh,insomma...quella sensazione che vi fa
accelerare il battito all'improvviso e vi ferma il respiro,vi fa girare
la testa e vi cattura a sè con prepotenza? Ecco,è
con questo che finisce il capitolo : un'unica sensazione impressa a
fuoco nell'animo di due persone. Molte cose devono ancora accadere,e
state pronti!Nel frattempo,vi aspetto nelle recensioni per sapere se
questo capitolo,che ho scritto provando davvero una forte emozione,vi
sia piaciuto o meno.
Alla
prossima,gente!Il bello deve ancora venire...
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Capitolo 12 *** Britt ***
BETWEEN THE HUNGRY
Britt .
Quando aprii
gli occhi quella mattina,Brittany era ancora al mio fianco.
Le prime
luci di quel debole sole che penetrava a stento le nubi,mi accarezzava
il
viso,quasi con affetto. Non mi ero accorta di essermi addormentata. Non
avevo
mai pensato potesse essere possibile. Eppure,era successo. La punta
degli
stivali sfiorava quel che rimaneva della legna che la sera prima mi
aveva
regalato il dolce rumore dello scoppiettio. Ero avvolta in una pesante
coperta,con la testa sull’erba e il calore di un braccio
sulla schiena. Dormivo da più di una settimana con
Brittany,eppure quella mattina avvertii
qualcosa di diverso nel contatto tra i nostri corpi stanchi. Mi voltai
lentamente,per non svegliarla,ma il suo braccio finì
bruscamente sul terreno
ricoperto d’erba,e allora lei aprì gli occhi.
«Scusa»
biascicai mortificata «non volevo svegliarti».
Lei,in tutta
risposta,sbadigliò sul mio viso e si stampò sulle
labbra un sorrisetto
compiaciuto.
«Buongiorno»
mi disse,sollevando il busto e strizzando forte gli occhi.
«Buongiorno
a te» risposi,sorridendo dolcemente.
Lei
ricambiò
il sorriso.
Oltre ai
nostri due corpi che si nascondevano goffamente nella coperta,stesi
sull’erba,non c’era nessun altro al di fuori delle
proprie tende. Era ancora
presto e neppure il nostro capogruppo si era alzato con
l’assurda pretesa di
“addestrarci”. Quel giorno Steven avrebbe dovuto
insegnarci a sparare,e a quel
pensiero sentivo una perversa sensazione di entusiasmo pervadermi.
L’aria
era
maledettamente gelida e mi si stampava sulla pelle come una serie di
cazzotti
in pieno viso. Forse aiutava a svegliarci,ma mi sentivo completamente
intirizzita e ancor più frastornata. Io e Brittany ci
eravamo addormentate
forse qualche ora prima,e,in conclusione,quella notte non avevo chiuso
occhio.
Avrei avvertito i postumi di quell’insonnia dovuta
all’incubo,ne ero
certa.
«Andiamo
in
tenda?» chiesi alla ragazza che si stropicciava gli occhi.
Lei mi
guardò e sbadigliò di nuovo. «In teoria
non potrei lasciare la postazione sino
a che qualcun altro non si svegli…» mi rispose
lei,storcendo la bocca.
«Credo
che
tra poco si alzerà Steven. E poi se dovesse venire qualche
affamato,con questo
silenzio lo sentiremmo avvicinarsi. Qui fuori si gela»
affermai,stringendomi
nelle braccia.
«D’accordo»
rispose lei convinta.
Non appena
misi un piede sul materiale verde e inamidato della tenda,mi sentii
immediatamente al riparo da quel freddo fastidioso. Ovviamente era solo
una mia
impressione,perché in quel fragile ammasso di sottile
tela,sorretto da uno
scheletro alquanto instabile,faceva freddo esattamente come fuori.
Eppure,quello
stupido ammasso,era ormai una casa per me. Quando
guardavo quella tenda,dall’esterno,non vedevo una semplice
tenda,ma un
“rifugio” ricoperto dall’illusione della
sicurezza. In quel campo non solo
stavamo cercando di ricostruire una vita,ma anche la speranza di
riuscire a
vivere. Sensazioni,emozioni,desideri,pensieri,angoscia e sofferenza
erano
concentrate in quella distesa verde,che tutto aveva meno che
l’immagine delle
nostre vecchie città.
«Come
ti
senti?» mi chiese Brittany,sedendosi sul materasso e
avvolgendosi nella
coperta.
Guardai a
terra e sospirai «sto bene,credo».
Quando alzai
gli occhi ed incrociai i suoi,notai qualcosa di diverso nel suo viso.
Osservai
bene le labbra pallide per il freddo,le guance chiare e morbide,poi il
naso,gli
occhi che ancora assonnati mi guardavano a loro volta,la fronte,i
capelli…ma
niente. Allora mi allontanai un po’ e la guardai per
intero,mi stampai la sua
figura nella testa,per potervi riflettere senza metterla a disagio.
Forse era
già tardi,perché lei sorrideva
divertita,scuotendo la testa e poi
infilandola sotto
l’ammasso di lana.
«Dai,smettila
di guardarmi e vieni qui» mi ordinò con il viso
nascosto.
Mi avviai
lentamente,non so perché. Poi mi tolsi gli stivaletti e mi
sedetti sul
materasso,con il suo corpo affianco al mio,completamente nascosto,come
quello
di una bambina che non vuol farsi trovare. Presi un lembo della
coperta,lo
sollevai e mi coprii le gambe. Lei si scoprì il viso e
avvicinò le sue alle
mie,lasciando che i nostri calori ci scaldassero reciprocamente. Un
brivido mi
percorse immediatamente.
«Perché
mi
guardavi prima?» mi chiese con un sorrisetto sulle labbra.
Spostai lo
sguardo dal suo viso e sorrisi a mia volta. Perché la
guardavo…perché la
guardavo?
«Io…i-io…non
so,hai qualcosa di diverso questa mattina».
Lei
socchiuse leggermente gli occhi «può
darsi».
Scossi la
testa e sorrisi.
Mi
guardò
così a lungo,che cominciavo quasi a sentirmi a disagio. I
suoi occhi erano così
limpidi,che sentirli sul mio viso mi faceva provare uno strano senso di
timore.
Non volevo che mi guardasse con così tanta insistenza,forse
perché in quel
momento non sarei stata in grado di reggere la potenza di quello
sguardo con il
mio. Lei si avvicinò di più col corpo,e allora un
altro brivido mi percorse con
prepotenza. Era strano,Dio,se era strano…così
strano,che quando spostai i miei
occhi sul suo viso,mi si accorciò il respiro e tremai per un
istante.
«Sono
contenta che ti sia confidata con me» mi sussurrò
troppo vicina.
«Perché
piangevi?» le chiesi,non smettendo di guardarla.
«Perché
ero
triste» si limitò a dire lei,con
sincerità.
Non so
perché,ma in quel momento le accarezzai la guancia con il
dorso della
mano,delicatamente. Sentii la sua pelle morbida e liscia sulla mia,e
lei
sorrise.
«Non
devi
piangere per me. Io posso farcela,sono forte» dissi,con la
voce debole.
Lei si morse
un labbro,spostò gli occhi dal mio viso,e poi li
riportò nei miei.
«Piangevo
per tutto. Essere umani,adesso,non è un
peccato…è un privilegio»
sussurrò lei
in risposta.
Accennai un
mezzo sorriso ed annuii «già».
All’improvviso
la zip della tenda si aprì,e noi sussultammo.
«Dovresti
essere lì fuori» affermò una voce
maschile,severa «che diavolo ci fai
qui,Brittany?»
Steven ci
guardava con un misto di stanchezza e disappunto sul viso. Aveva due
grandi
occhiaie bluastre al di sotto degli occhi,le labbra serrate e
l’aspetto
disordinato. Il pizzetto che aveva dal momento in cui
l’avevamo incontrato per
la prima volta,si confondeva con il resto della barba,e lo invecchiava
di
parecchio.
«Sì,hai
ragione…scusami!Mi sono allontanata dieci minuti fa
perché avevo freddo»
rispose la ragazza,ormai lontana dal mio corpo.
Steven
chiuse gli occhi per un istante e scosse un poco la testa.
«E’
stata
colpa mia» aggiunsi io «questa notte ho avuto gli
incubi e lei si è preoccupata
per me. Mi ha trovata sveglia e mi ha chiesto come stavo,tutto
qui».
Brittany mi
diede un calcio da sotto le coperte.
«D’accordo,ma
la prossima volta che sei di turno sarebbe meglio che non ti
allontanassi» affermò
il ragazzo passandosi una mano sul viso.
«Ok».
«Questa
mattina niente colazione» aggiunse prima di uscire
«il cibo sta finendo e
presto dovremo andare in spedizione. Andremo avanti per qualche altro
giorno,giusto il tempo che impariate ad usare una pistola per
difendervi,e poi
organizzeremo un gruppo».
Richiuse la
tenda alle sue spalle e uscì con uno sbadiglio.
L’idea di una spedizione
cominciava ad agitarmi. Era tranquillo lì,in quel campo
freddo,ma in città non
era lo stesso.
«Perfetto,»
disse Brittany sospirando ed alzandosi di scatto dal letto
«presto saremo tutti
di nuovo là fuori in quella merda».
«E’
necessario» aggiunsi io.
«Lo
è,»
rispose lei,infilandosi le scarpe bruscamente «ma
c’è sempre il rischio che
qualcuno di noi venga ammazzato».
«Avete
capito tutti?» domandò Steven,alzando la pistola
sopra la sua testa ed
agitandola un po’.
Nonostante
il vento freddo al mio risveglio,dalle nuvole si era destato un sole
caldo ed
accogliente che mitigava l’aria,rendendola piacevole. Ci
eravamo allontanati
dal campo di un bel po’,per non rischiare che il rumore degli
spari avvicinasse
gli affamati all’accampamento. Persino Noah,dopo suppliche e
discussioni
varie,aveva deciso di venire con noi. Non sarebbe stato saggio
lasciarlo solo
in quella tenda,né sarebbe stato umano da parte nostra. Era
parte integrante
del gruppo,che lo volesse o no,ed era giunto il momento che si
risvegliasse da
quel dolore che lo teneva stretto in una morsa. Lo guardai per un
istante,mentre
imbracciava il fucile ed osservava Steven muoversi e spiegare ancora
una volta
come si ricaricasse una pistola. Se ne stava immobile,rigido come una
statua,e
gli occhi persi in chissà quale altra dimensione. Forse
rivedeva sua madre
morire,o forse riascoltava le parole di quella lettera che teneva
ancora con
sé. Lucas mi aveva raccontato che ogni notte,prima di
addormentarsi,accendeva
una torcia e puntava la luce su quel pezzo di carta scritto dal
fratello. Jake
aveva allegato una foto alla lettera in cui sorrideva e stringeva un
braccio
attorno alle spalle della madre. Mi aveva raccontato che spesso,a notte
fonda,veniva svegliato dal rumore di alcuni singhiozzi,e che richiudeva
gli
occhi fingendo di dormire. Noah era un tipo orgoglioso e Lucas sapeva
bene che
non gli gradiva affatto mostrarsi debole di fronte ad altri occhi. Era
una
brutta situazione la sua. C’era chi preferiva
reagire,attivandosi in qualche
modo come Steven. C’era chi fingeva di esser felice e
menefreghista come Alex.
C’era chi la notte si svegliava fradicio di lacrime,come me.
E c’era chi invece
veniva così sopraffatto dal dolore,che non aveva nemmeno
più la forza di
parlare o di mangiare,come Puckerman. Avrei voluto fare qualcosa per
tirarlo sù
di morale,qualsiasi cosa. Ma sapevo che per aiutarlo in qualche
modo,avrei
dovuto avere la capacità di leggergli nel pensiero. Non mi
parlava,non parlava
con nessuno. Di tanto in tanto usciva dalla tenda,si guardava
attorno,prendeva
la sua razione di cibo,e poi tornava nel suo piccolo e fragile
rifugio,estraniandosi
da tutto e tutti. Nel mondo normale,in quello in cui la
civiltà esiste ed è
fondamentale,qualcuno l’avrebbe definito
“depresso”. Non era così che volevo
definirlo io,non era la parola giusta. Io lo definivo
“sconfitto”,sconfitto da
tutto,sconfitto dalla vita…per il momento.
«Alex»
la
chiamò il fratello «passa la tua pistola a Lucas.
Proverete uno per volta,così
potrò guardarvi come si deve».
«Ai
tuoi
ordini fratellone!»
Da due aste
di legno,conficcate nella terra,da cui pendeva un filo legato alle due
estremità,con
tre bottiglie di plastica attaccate. Steven,poche ore prima,aveva preso
tutto
il necessario ed era giunto in quel posto per prepararlo al nostro
addestramento. Si impegnava davvero molto,questo bisognava
concederglielo.
Lucas
impugnò l’arma,la scrutò per
bene,l’agitò un po’ per soppesarla,e poi
si
avvicinò un poco ai bersagli. Era preoccupato,potevo
leggerglielo nel viso.
«Tienila
come ti ho fatto vedere prima» suggerì Steven
«così colpirai verso il basso.
Devi impugnarla come si deve per sperare di beccare i
bersagli».
Mio fratello
strizzò appena gli occhi,si asciugò il sudore
sulla fronte e strinse l’arma con
tutte e due le mani,ponendo le braccia perpendicolari al busto.
«Ora
va
bene. Manda indietro il carrello».
Lucas
obbedì.
«Mira
e
spara» disse ancora Steven.
Lucas
guardò
attentamente le bottiglie,socchiuse gli occhi per l’eccessiva
concentrazione,e
poi sparò. Mancato.
«Prova
ancora».
Fece un
grande respiro,ricaricò l’arma,mirò e
sparò di nuovo.
Immediatamente
mi scappò un sorriso e cominciai a battergli le mani,assieme
agli altri. Aveva
preso in pieno la seconda bottiglia.
«Bravo
ragazzo!Hai sparato un bel colpo» lo elogiò
Steven,dandogli una pacca sulla
spalla.
«E’
un
Lopez!» esclamai,ridendo «è bravo in
tutto».
Lui mi
sorrise e si lasciò abbracciare,con una punta di imbarazzo
sul viso.
Riprovò
altre tre volte,di cui due colpi andarono a buon fine,poi fu il turno
di Noah.
«Sei
sicuro
di voler sparare con il fucile?Penso che dovresti provare con la
pistola» gli
disse Steven.
Puckerman
non lo guardò nemmeno in viso. Si allontanò di
una quindicina di metri e
cominciò a fissare,con quella sua espressione dura,la prima
bottiglia. Caricò,imbracciò il fucile a dovere,e
poi sparò. Presa in pieno. Nessuno di noi
parlò. Caricò,imbracciò il
fucile,guardò la seconda bottiglia e sparò. Presa
in
pieno,anche quella. Fece lo stesso e sparò alla terza. Presa
in pieno.
«Wow»
biascicò Brittany stupita,al mio fianco.
La guardai
ed annuii,ma non c’era stupore dentro di me,bensì
preoccupazione.
«Complimenti,amico»
si congratulò Steven,guardandolo con ammirazione
«non sei niente male».
Puckerman
annuì,non rispose,e si sedette a terra,a braccia conserte.
Poi fu il
mio turno. Quando Lucas mi passò la pistola e sentii il suo
peso,uno strano
brivido mi si scatenò dentro. Fu come se qualcuno mi avesse
dato un cazzotto
allo stomaco e poi mi avesse fatto una carezza. Desideravo ardentemente
sparare,ma allo stesso tempo mi tremavano le gambe
nell’impugnare l’arma.
«Non
la stai
impugnando correttamente» disse Steven con aria di
rimprovero,avvicinandosi.
Aggrottai le
sopracciglia e continuai a fissare la pistola. Cosa stavo sbagliando?
«Questa
devi
metterla così» mi suggerì il
ragazzo,spostandomi la mano sinistra sotto l’arma
«devi tenerla saldamente»
continuò,stringendo le sue mani attorno alle mie da
dietro la mia schiena. Potevo vedere i bicipiti tendersi e i muscoli
ingrossarsi. Il suo viso era di fianco al mio,e
il suo respiro soffiava sulla pelle del collo. Era vicino,troppo vicino.
«Ok»
dissi
secca.
Lui si
staccò,ed io fissai i suoi grandi occhi,interdetta.
«Adesso
prova» mi disse,tenendo improvvisamente lo sguardo basso.
Sì,ero
confusa. Era attrazione quella che avevo scorto in quelle iridi?
Caricai
l’arma,tirai
indietro il carrello,mirai e sparai. Sbagliato.
«Riprova»
mi
incitò Steven.
Mi
irrigidii. Tirai indietro il carrello e sparai di nuovo. Sbagliato
anche
quello.
«Avanti,concentrati!»
insisté il ragazzo che continuava ad osservarmi. Tutti mi
osservavano.
Feci un
grande respiro. Tirai indietro il carrello dell’arma,mirai e
sparai. Niente.
«Cazzo!»
sbottai lanciando la pistola a terra.
Brittany si
avvicinò immediatamente,così come Steven
«ehi,è tutto ok. Non fa niente. E’ la
prima volta,farò schifo anch’io» mi
disse la ragazza con una mano sulla spalla.
«Lo
so,lo
so!» risposi dura.
«E
allora
qual è il problema?» mi chiese con quella dolcezza
nella voce.
Non risposi
e mi allontanai.
«Va
tutto
bene?» domandò Steven che mi guardava preoccupato
«Non c’è bisogno di
innervosirsi. Alex c’ha messo mesi solo per imparare a
caricarla».
«'Fanculo»
borbottò la ragazza seduta a terra,mentre fumava.
«Sì,sì…è
tutto ok. Devo solo…devo» inspirai a
fondo,chiudendo gli occhi.
Merda.
«Stai
bene?»
mi chiese lui,mentre ancora tenevo gli occhi chiusi.
Annuii,perché
non sarei stata in grado di parlare. Lo sentivo,di nuovo. Aprii gli
occhi e
cominciai a camminare,allontanandomi.
«Dove
vai?»
Maledizione.
Sentivo il sole soffocarmi la pelle,impedirmi di respirare. Cocente
inveiva
sulla nuca e silenzioso rideva di me. Guardavo fisso per terra e vedevo
i miei
piedi muoversi e all’improvviso incrociarsi,sino a che non
sentii l’erba sulla mia pelle. Mi portai le mani sul viso,poi
le spostai sul petto,ma lo sentivo
comunque. Stavo soffocando,non riuscivo a respirare e il cuore batteva
così
veloce che pensavo sarebbe scappato via,abbandonandomi. Tutto si fece
improvvisamente sfocato,lontano,come se non mi appartenesse.
All’improvviso,ne
fui certa : stavo morendo.
«Che
cos’ha?» chiese mio fratello,mentre ansimavo a
terra «San!»
Vedevo i
loro volti,ma non li vedevo veramente. Erano avvolti dalla luce di quel
sole
che mi stava uccidendo e parevano sfocati come fossero stati le figure
di un
sogno,o angeli immaginari. Vidi Brittany che si mordeva un labbro
preoccupata,osservandomi. Poi c’era Alex al fianco di
Steven,e poi ancora Lucas
che si agitava in preda al panico.
Contrassi il
viso in una smorfia di dolore e chiusi gli occhi. Non respiravo. Non
respiravo
e stavo morendo. Mi girava la testa,mi veniva da vomitare,ma la cosa
peggiore
era l’angoscia che avvertivo dentro. Ero così
debole…così vulnerabile e così
….stavo morendo.
Steven mi
prese da terra e provò a sollevarmi,ma io scossi la testa e
piangendo,gli dissi
di lasciarmi stare. Erano tutti attorno a me,tutti mi guardavano,ma io
non
guardavo loro. Vedevo altro…vedevo niente,ascoltavo soltanto
il battito
impazzito e il respiro che mi si strozzava in gola. Mi portai una mano
sul
petto,faceva male.
«Levatevi!»
esclamò una voce familiare.
Noah si fece
spazio nel cerchiò e ordinò agli altri di
allontanarsi. Era lui. Si mise in
ginocchio e mi guardò attentamente,sempre con
quell’espressione dura. Mi mise
una mano sotto il mento e lo sollevo,sino a che i miei occhi non si
ritrovarono
nei suoi. Erano così vuoti,così
spenti…sentivo quell’angoscia crescere
anziché
diminuire.
«Ascoltami,Santana»
cominciò con un filo di voce dolce e calda,in contrasto con
la sua espressione
«va tutto bene. Va tutto bene. Non c’è
niente di cui aver paura,non c’è niente
che tu debba temere. Sei al sicuro,ci sono io qui con te».
Scossi la
testa e un’altra lacrima scese giù velocissima.
Soffocavo,soffocavo!
«Guardami!»
continuò lui. Obbedii. «Adesso chiudi gli occhi.
Ricordi quel posto
bellissimo?Torna lì e respira. Respira,lentamente. Tu sei
viva,senti la pace…la
senti?»
Annuii.
Ero
lì di
nuovo,ma tutto era diverso. Non c’erano più fiori
e la cascata aveva smesso di
scendere giù,cristallina e piacevolmente rumorosa. I
contorni del lago si
facevano lentamente più indefiniti,fino a scomparire. Quando
sentii un’altra
fitta impadronirsi di me,allora lo vidi. Non era rimasto
nient’altro che un
campo : il campo.
Aprii gli
occhi di scatto e mi portai le mani sul viso. Non era ancora
finita,insisteva a
divorarmi e farmi sua.
«Posso
provare?»
chiese una voce dolce,vicino a Noah.
«Questa
volta è più forte» affermò
il ragazzo,facendo spazio a Brittany.
«Non
è la
prima volta che le succede?»
Noah scosse
la testa.
Brittany si
chinò al mio fianco e mi prese il viso con entrambe le mani.
Non disse nulla,mi
guardò soltanto ed io guardai lei. Quegli occhi,quella
pelle,quelle labbra. Ci
fissammo per un po',poi lei mi sorprese dandomi un bacio sulla fronte.
«Tranquilla»
mi sussurrò,portandomi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio «sta
passando. Passa tutto,prima o poi. Torna
da me,non lasciare che s’impadronisca di te».
La guardai e
la guardai e la guardai e…mi resi conto di esser tornata a
respirare con
regolarità. Singhiozzai ancora e Brittany mi
asciugò le lacrime con il dorso
della mano. Avrei voluto fare una cosa in quel
momento,ma…non potevo. Non
potevo perché…non potevo e basta. Quando mi
rialzai da terra,aiutata da
Puckerman e Brittany,non ero ancora del tutto lucida. Mi sentivo debole
e
inerme,come se mi avessero svuotata di ogni cosa. Era successo di
nuovo,ma
quella volta era stato peggio.
«Grazie»
biascicai,rivolgendomi ad entrambi.
Brittany mi
sorrise triste e Noah si limitò ad annuire. Il sole
splendeva alto nel cielo e
fu in quel momento che capii di aver solo immaginato quel calore
soffocante. Se
ne stava lì,in mezzo a quelle nuvole,quasi a dire
:” esisto ancora”. Sentivo
qualcosa dentro di me,di inverosimile. Lo sentivo,ma non volevo
sentirlo. Era
strano,diverso,potente…si stava presentando,ma non volevo
ascoltare il suo
nome.
«Britt»
sussurrai debolmente.
Lei si
voltò
con un gran sorriso «come mi hai chiamata?»
«Britt»
ripetei,sforzandomi di sorridere.
«Che
c’è?»
mi chiese,sempre sorridendo.
«Niente»
risposi,tenendo gli occhi fissi sul
suo viso.
Mentivo. Se
fossi stata sincera,le avrei detto : “ Sto solo ripetendo il
nome che sento
nella mia testa”.
Britt .
Carissimi,eccoci qui. Con
questo nuovo capitolo spero di aver fatto breccia nel vostro cuore
almeno un po'. La storia si evolve,le vicende si evolvono,il brittana
si evolve...
ATTENZIONE : presto assistere ad un
qualcosa...non specifico cosa,ma lascio alla vostra immaginazione
l'elaborazione di questa frase criptica.
Non abbandonatemi,mi
raccomando!Ogni mia promessa verra' mantenuta.
Allora,che ne pensate?
Sembra che santana sia
sempre piu' affezionata alla nostra cara Brittany. Nel frattempo Steven
va avanti con la sua idea di addestramento,ma la nostra protagonista
viene sopraffatta da un altro attacco di panico. E' chiaro :
l'apocalisse non lascia illeso nessuno. Si riprendera' noah?
Povero...mi fa molta tristezza.
Come al solito lascio a voi
il piacere di esaminare questa mia piccola creazione e di rendenermi
partecipe con i vostri pareri. Carissimi,alla prossima!Preparatevi...
|
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Capitolo 13 *** La spedizione ***
Between the hungry
La
spedizione .
Quella
notte,dopo giorni più o meno sereni,sognai di nuovo. Ma fu
diverso. Camminavo
in un bosco. L’odore della corteccia e del muschio
s’ infilava prepotentemente
nelle mie narici. Gli unici colori che i miei occhi scorgevano erano il
verde
ed il marrone. Le fronde degli alberi coprivano il cielo,ma lasciavano
lo
spazio sufficiente a far sì che la luce risplendesse chiara
e limpida su ogni
cosa,avvolgendola delicatamente. Qualche goccia d’acqua
scivolava giù da alcune
foglie e luccicava a contatto con i raggi solari. Era un paesaggio ed
un
atmosfera così incantevole,che m'infondeva
nell’animo gentilezza,sciogliendo i
muscoli perennemente rigidi e lasciando il respiro tranquillo,senza
intaccare
il suo ritmo lento e sereno. Mi sentivo bene lì in mezzo. La
natura era una
sicurezza,una sorta di ampolla di vetro nella quale ero racchiusa e
protetta da
tutto quel che c’era all’esterno. Non smettevo di
camminare,però. Non potevo
farlo e non sapevo il perché. Come al solito,non
c’era mai troppa certezza in
quelle breve ed intense visioni nelle quali mi perdevo. Erano
belle,erano
brutte,ma troppo spesso ignote. Scavalcai un tronco che
m’intralciava il
cammino ; aveva un forte odore di terra fresca ed era ricoperto dal
muschio.
Poi,osservando i miei piedi,mi accorsi di percorrere un sentiero. Non
c’era
erba sulla quale poggiavano le suole dei miei stivali,ma terra di un
marrone
vivo,tendente al rossastro,ben definito in mezzo a quel verde che lo
accompagnava con delicatezza. Sì,mi sentivo bene. Non avevo
coltelli nelle
scarpe,non c’erano affamati,né visi impressi nella
memoria e divorati dal
tempo. Solo natura,solo l’infinità del verde e la
carezza della luce. Quando
smisi di guardarmi i piedi,mi accorsi che il bosco stava finendo.
Potevo vedere
gli alberi fare spazio a dell’erba verde,ed il sentiero
cessare. C’era un
enorme prato al di fuori di lì ed era proprio la
destinazione di quel sentiero.
Dovevo preoccuparmi? No,non potevo. Accelerai il passo,improvvisamente
curiosa.
Quando sfiorai la corteccia dell’ultimo albero,lo vidi.
Un’enorme distesa verde
si estendeva dinanzi a me,chiara e vivida. Ma i miei occhi furono
catturati da
qualcos’altro : un lago. I raggi del sole sbattevano sul pelo
cristallino
dell’acqua e rimbalzavano regalando dei magnifici bagliori a
decorare l’aria.
Dio,era meraviglioso. Più guardavo quell’enorme
bacino limpido,più avevo voglia
di tuffarmi e fare una nuotata. Dovevo farlo,diamine,dovevo! Cominciai
a
correre e quando giunsi sulla riva,mi chinai ed immersi la mano
nell’acqua. Non
era fredda,ma neppure calda. Era così
bella…riuscivo a vedere il fondo e
sembrava che mi stesse pregando di tuffarmi.
«E va
bene»
dissi,sorridente.
Mi tolsi gli
stivali,poi i calzini e poi feci scivolare giù i pantaloni
di quella tuta logora.
L’aria era meravigliosamente tiepida ; mi ricordava un
po’ la primavera
dell’Ohio. Quando toccò il momento di togliermi la
felpa,una figura mi lasciò
interdetta.
«Brittany?»
chiesi stupita.
Lei sorrise e
si avvicinò alla sponda del lago. Da dove era sbucata?
«Non
dovrebbe essere troppa fredda» disse,accennando
all’acqua.
«Che
ci fai
qui?» chiesi ancora confusa.
Lei mi
guardò e sorrise di nuovo,incurante «pensi che
questo posto sia solo il tuo?Non
fare la prepotente,San» mi rimbeccò,scherzosa.
Socchiusi
appena gli occhi e cominciai a fissarla. Era raggiante. Si avvicinava
con quel
suo passo svelto e leggero,come quello di una bambina felice di
rivedere
qualcuno. Quando mi raggiunse,sorrise di nuovo.
«Sai
che
giorno è oggi?» mi domandò con
quell’aria sbarazzina.
La guardai
accigliata «che giorno è?»
«Lo
scoprirai» rispose,facendo spalluce.
Si tolse le
scarpe e si tirò giù i pantaloni prima ancora che
me ne rendessi conto. Poi mi
guardò,sempre sorridente,e si avvicinò. Era
diversa,ne ero convinta. Mi
concessi per un istante il lusso di guardare le sue gambe chiare e
chilometriche,e allora accade qualcosa che mi costrinse a spostare gli
occhi da
lì.
«Non
fa
freddo» affermò,togliendosi rapidamente il
maglioncino bianco «che aspetti a
spogliarti?»
«D’accordo»
dissi,afferrando i due lembi di stoffa.
I suoi occhi
si fermarono sul mio corpo e all’improvviso sentii le guance
colorarsi. Era
imbarazzo quel che provavo?Perché mai avrei dovuto provare
imbarazzo?
«Hai
un bellissimo
corpo,Santana» affermò,continuando a guardarmi.
Fu
allora,che anch’io la guardai. La pelle era così
chiara,così morbida e
liscia…così invitante. Il reggiseno nero le
avvolgeva delicatamente il seno e
lo sollevava,quasi stesse mostrandomelo. L’addome tonico,dal
colore candido e
delle sottili linee che ne tracciavano la consistenza. Poi
quell’ombellico e
quel piccolo disegno che spuntava da sotto la stoffa delle mutandine in
pizzo…e
quelle gambe,di nuovo. Avrei dovuto dire qualcosa,avrei dovuto farlo,ma
non
volevo. C’era qualcosa di così perfetto in quel
silenzio che sapeva di
curiosità ed eccitazione,e le parole lo avrebbero sporcato.
Brittany si
avvicinò,e allora i miei occhi tornarono sui suoi
seni,inevitabilmente. Guardai
le gambe,e si avvicinò ancora. Guardai il profilo del
collo,e si avvicinò di
nuovo,sino a che non sentii il suo respiro sul mio viso.
«Non
resistermi» sussurrò seducente contro la mia pelle
«lo sai che mi
desideri» aggiunse poco dopo.
Quando
allontanò il viso,la guardai ancora. Bellissima,ma troppo
vicina. Un brivido mi
percorse la schiena velocissimo,e allora mi morsi un labbro. Brittany
avvicinò
le sue labbra alle mie e ,nel momento in cui le toccò,non ci
staccammo più.
*
Corsi al
gazebo e mi sciacquai la faccia nella bacinella piena
d’acqua. Maledizione,era
gelida! Sollevai il viso e soffiai via le gocce che mi ricoprivano le
labbra.
Sbattei un paio di volte gli occhi e poi li richiusi,inspirando.
«Cazzo…cazzo…cazzo!»
borbottai tra me e me,proibendomi severamente di aprire gli occhi
«E’ tutto ok.
E’ tutto ok. Cristo…»
Spalancai gli
occhi di scatto e sospirai. Era stato solo un sogno,un maledettissimo
sogno
come quelli che ormai facevo abitualmente : quelli strani e senza
senso.
No,quello però era diverso. Troppo diverso. Insomma,era
comunque e solo un
sogno,ma allora perché mi sentivo in quel modo?Era paura
quella che provavo,o
confusione?Era eccitazione,o desiderio?Cosa diavolo era?!
Quando
decisi di esser sufficientemente calma e pronta per tornare in
tenda,qualcosa
catturò il mio sguardo.
«Ehi,Lopez»
mi salutò Alex,facendo un cenno con la mano.
Il sole
sorgeva in quel momento ed ero convinta che non ci fosse
nessun’altro
sveglio,oltre a me. Che ci faceva in piedi a quell’ora?
«Ehi!Già
in
piedi?»
Lei fece
spallucce «non sono abituata a dormire molto» si
limitò a dire.
Estrasse un
pacchetto di Marlboro dalla tasca e si accese una sigaretta.
«Ne
vuoi
una?» mi chiese,cordiale.
Scossi la
testa «più tardi,grazie».
«Come
vuoi»
rispose,facendo ancora spallucce.
Si
avvicinò
un po’ e mi guardò. Non aveva affatto una bella
cera. Aveva due occhiaie scure
sotto gli occhi dall’aspetto stanco,il viso pallido ed
imperlato da qualche
goccia di sudore. Si passò una mano sulla fronte e fece un
tiro di sigaretta.
Era cambiata dal momento in cui l’avevamo conosciuta a New
York,e non avrei
saputo dire se il suo fosse stato un cambiamento unicamente
estetico,o…o anche interiore.
Era più trascurata,nonostante i suoi occhi continuassero ad
esser decorati da
quei tratti scuri e decisi di matita. Era sempre affascinante,ma i suoi
capelli
erano quasi sempre in disordine e la sua pelle ultimamente appariva
spesso
diafana e sofferente,così come la sua espressione. Avrei
potuto giurare che ci
fosse qualcosa che non andasse,ma magari mi sbagliavo. Magari soffriva
anche
lei come tutti gli altri,solo che non gradiva darlo a vedere. Non
poteva essere
la ragazza impassibile e menefreghista che sembrava,indossava
certamente una
maschera.
«Senti…»
cominciò poi,improvvisamente seria
«mi dispiace di non averti chiesto come stavi
quando,sì,beh,quando hai avuto
quella “cosa”».
Mi
lasciò
stupita. Quella non me l’aspettavo.
«Oh,ma
no…non preoccuparti. Non ce n’era
bisogno».
Lei sorrise
appena,ma parve triste «so bene cosa sembro. Se mi guardassi
da fuori,mi
definirei una stronza insensibile e menefreghista.
Sì,insomma» continuò
guardando verso il basso «me ne sto lì a fumare
tutto il tempo,a lanciare
frecciatine,ma sappi che mi interessa davvero di questo
gruppo».
Le feci un
sorriso sincero e le misi una mano sulla spalla
«tranquilla,davvero».
La capivo
bene. Un tempo ero stata anch’io come lei,ero stata
anch’io la stronza
impassibile che non riusciva a darsi pace. La guardai per un istante
negli
occhi e quella volta li trovai spenti e vuoti,persi chissà
dove.
Lei
annuì,frenando
l’impulso di sussurrare un grazie e andò
via,dritta in tenda. Forse non mi
sbagliavo.
*
Guardai
ancora una volta quei cinque volti come facevo ormai da lunghi minuti.
Steven guardava
le armi poste sopra il tavolo,le sollevava,le rimetteva a posto e
controllava più
e più volte che fossero cariche. Era un tipo minuzioso.
Alex,invece,si guardava
attorno con lo stesso sguardo perso di quella mattina,fumando la sua
sigaretta.
Lucas appariva visibilmente stanco,forse aveva dormito poco. Dormivamo
tutti
poco quando giungeva il momento. A volte,mentre tenevo gli occhi
chiusi,fingendo
di dormire,li potevo sentire uscire dalla tenda e lamentarsi,camminando
avanti
e indietro sull’erba umida. L’ansia diventava una
sorta di rituale
inevitabile,che ti catturava sino al momento in cui potevi tirare un
sospiro di
sollievo. Non era ancora ora e per questo la sentivo viva dentro di me
; più
viva di qualunque altra cosa. Anche Noah era con noi quel pomeriggio.
Non
parlava,non guardava nessuno con gli occhi,e forse non era nemmeno
così
presente. Brittany,invece, si mangiava le unghie o si mordeva le labbra
sino a
farsi uscire il sangue. Quello era il suo rituale e,nonostante
più volte
l’avessi rimproverata di fermarsi,non c’era stato
verso di impedirle che quella
sua agitazione trovasse sfogo in quel modo. Eravamo tutti agitati,lo
eravamo
sempre. Ormai vedevo le spedizioni come una sorta di prova,come una
sfida. Non
potevamo restare troppo a lungo nella tranquillità,ci
avrebbe nociuto. Ma più
li guardavo,più guardavo i loro volti,e più
sentivo quell’ansia crescere sino a
sfociare nella paura. La tensione era palpabile e quando abbassai lo
sguardo,mi
feci scrocchiare le dita.
«Sarà
come
al solito» disse Steven,passando gli occhi su ognuno di noi
«abbiamo bisogno di
quanto più scatolame è possibile prendere e di
molta acqua. Questa volta sarà
veloce,prenderemo solo cose primarie. Dei vestiti ed altre sciocchezze
di
questo genere ci occuperemo nella prossima spedizione. Visiteremo il
supermarket
della scorsa volta e poi torneremo il più rapidamente
possibile dritti al
campo».
Inspirai a
fondo,osservando il ragazzo che parlava.
«Tutto
chiaro?»
Annuimmo.
Quando
salimmo sul Wrangler rosso e ci lasciammo l’accampamento alle
spalle,provai il
solito senso di malinconia. Era come se ogni volta,con lo sguardo,gli
sussurrasi un addio. Se mi fossi soffermata a lungo a pensarci,avrei
trovato
che fosse una cosa assolutamente patetica. Come si può dire
addio a qualcosa
che non è realmente tuo?A qualcosa a cui non tieni? Forse
era quello il punto :
quel campo era casa mia,che lo volessi o no. Brittany mi
guardò un momento e
scosse la testa sconsolata.
«Non
devi
preoccuparti. Andrà tutto bene,questa volta sarà
facile» le dissi,con una
convinzione che lasciava abbastanza a desiderare.
Lei in tutta
risposta si passò le mani sul visoe,quando le
lasciò ricadere sul sedile,le
presi la mano sinistra. Mi guardò.
«Non
ci
succederà niente,vedrai».
Girò
la
mano,senza rispondere,ed intrecciò le dita alle mie. Il mio
cuore accelerò il battito.
Si
voltò e
mi sorrise «lo spero».
Quando
gettai lo sguardo verso il finestrino,incontrai gli occhi di Lucas. Mi
guardava,guardava
le mani strette l’una all’altra,con
un’espressione indecifrabile e non so
perché,ma d’impulso lasciai le dita di Brittany e
mi riportai la mano sulla
coscia. Lucas continuò a guardarmi,si sforzò di
addolcire il viso,ma l’unica
cosa che riuscivo a leggere su quel volto di un adolescente costretto a
crescere troppo in fretta,era l’angoscia.
Raggiungemmo
la piccola città di Rochester poco dopo. Percorremmo le
strade vuote
rapidamente e poi il fuoristrada si fermò davanti al
supermarket dall’aspetto
non proprio accogliente. Quel piccolo agglomerato di case,fornito solo
del
necessario per sopravvivere e vivere come se fossero stati al di fuori
del
mondo,non doveva essere particolarmente grazioso neppure prima
dell’apocalisse.
Puckerman ed Alex scesero per primi,poi seguirono Steven e poi noi tre.
Non appena
misi un piede sull’asfalto,sentii un brivido freddo
percorrermi rapidamente la
schiena e lo stomaco venire sopraffatto da una tremenda agitazione.
Steven
estrasse un borsone dall’auto e tirò fuori le
armi. Diede il fucile a Noah,la
pistola alla sorella e l’altra a Lucas. Poi
s’infilò un coltello
nell’anfibio,un altro nella cinta dei pantaloni e lo stesso
facemmo io e
Brittany.
«Presto
cercheremo un’armeria dove poter recuperare altre
armi» affermò,guardando me e
la bionda «per adesso facciamoci bastare queste. Tenete gli
occhi aperti,mi
raccomando».
Prendemmo
delle borse vuote ciascuno e,con passo svelto ma silenzioso,entrammo
dalla
vetrina rotta. Quando misi i piedi sui frammenti di vetro,sentii uno
scricchiolio soffocato sotto la suola dello stivale e Brittany si
voltò a
guardarmi. Alzai le spalle ed allargai le braccia e lei mi
guardò con
un’eloquace espressione. Avanzammo lentamente ed una volta
entrati ci guardammo
attorno. Non c’erano rumori strani,era tutto silenzioso,anche
troppo. Steven
camminava in testa al gruppo,con il coltello in mano,scrutando in ogni
direzione.
Poi si girò e mimò un
«dividiamoci».
Io,Brittany
e Noah ci dirigemmo in una direzione e gli altri tre in un'altra.
Finimmo
subito nel reparto delle bevande. Noah prese sei bottiglie
d’acqua e le infilò
nella sacca spaziosa. Io ne presi altre cinque e Brittany prese del
latte.
Poi,sempre camminando velocemente e senza fiatare,finimmo nel reparto
alimentari. Infilai quanti più pacchi di pasta fui in grado
di far entrare
nella sacca,ma dovevo ammettere che cominciava a pesare. Brittany prese
scatolame di ogni tipo e,senza neppure rendercene conto,avevamo finito.
«Forza,usciamo»
sussurrò Noah quel tanto che bastasse a farsi ascoltare.
Avevo il
braccio indolenzito per il peso della sacca e fui costretta a passarla
a quello
sinistro. Era meno forte ed avvertii subito lo sforzo dei muscoli. Era
finita.
Stranamente,era finita. Uscimmo rapidamente dal supermarket e calpestai
di
nuovo i vetri,ma quella volta Brittany non si voltò. Noah
aprì il portabagagli
del Wrangler e posammo le sacche lì dentro.
«Perché
gli
altri non sono già fuori?» chiesi,rivolgendomi a
Puckerman.
Lui mi
guardò e scosse la testa «staranno recuperando
più roba».
Tornò
il
silenzio subito dopo e non so come,ma io e Brittany finimmo per
guardarci a
vicenda. Avevo voglia di sorriderle,ma il momento non era dei migliori.
Proibivo al mio intero corpo il lusso di rilassarsi. I suoi occhi
azzurri
scrutarono attentamente il mio viso e sembrarono dolci. Ricambiai lo
sguardo ;
era il minimo che potessi fare. Indossava una maglietta grigia a manica
corta
con una scollatura a V e dei pantacollant neri. I
capelli,sciolti,ricadevano
morbidi sulle linee chiare del collo. Quel collo
era…bellissimo. Il collo…il
sogno. Spostai gli occhi immediatamente,ma quando lo feci,lei mi
sfiorò la mano
di proposito e allora tornai a guardarla.
«C’è
qualcosa che non quadra» disse Puckerman,camminando
nervosamente avanti e
indietro.
Mi
concentrai a malincuore sulla figura di Noah.
«Pensi
sia
normale che ci stiano mettendo tutto questo tempo?»
Neppure mi
guardò.
«Vado
dentro
a dare un’occhiata. Restate qui» disse,prima di
entrare a passo spedito
nell’edificio.
Allora
l’ansia tornò prepotente ad irrigidirmi e non
potei farei a meno di guardare la
figura di Puckerman varcare la soglia del supermarket. C’era
mio fratello lì
dentro,maledizione! Era lì e percepivo una
sensazione spiacevole.
Sì,qualcosa non quadrava. Ma cosa?
Scossi la
testa preoccupata «non possiamo restare qui. Dobbiamo andare
dentro anche noi».
Brittany mi
guardò e le bastò un secondo per osservare
l’agitazione sul mio viso.
«Va
bene»
rispose,prima di mordersi nuovamente le labbra.
Poi,prima
ancora che le mie gambe cominciassero a muoversi,il rumore di uno sparo
si levò
nell’aria. Secco e deciso,infrangendo ogni cosa. Il cuore
accelerò il battito
rapidamente e allora tutto divenne surreale. Non mi abituavo mai a
quella
sensazione,alla percezione del pericolo e al sapore che avvertivo sulla
lingua.
L’amaro mischiato alla saliva,i muscoli pronti a scattare,la
mente attenta ad
individuare il pericolo.
Corsi sui
vetri e questi scrocchiarono di nuovo sotto il mio peso. Ma non
c’era tempo per
concentrarsi sull’inutilità di quel suono e,quando
entrai,il sangue
affluì veloce alla testa,ed avvertii in ogni centimetro
dell’organismo un
semplice messaggio : “pericolo”.
«Ma
che
cav…»
Quando
percorsi l’entrata e mi ritrovai nell’ingresso
principale,trovai il caos.
Brittany sfoderò immediatamente il coltello,ma io non ero
ancora pronta per
farlo. Tutto roteava nella mia mente così velocemente,che il
cervello ed i muscoli
non avevano il tempo per reagire simultaneamente. L’unica
cosa che capii,fu che
c’erano degli affamati. Forse cinque,forse sei,forse quattro.
Il loro verso,che
per un momento avevo dimenticato,tornò prepotente a
risuonarmi nella testa.
«Togliti
da
lì!» urlò Noah.
Un istante
dopo,Brittany gridò e quel grido mi risvegliò
improvvisamente dalla trance.
Un
affamato,che si trascinava a terra,l’aveva afferrato per la
caviglia. La teneva
stretta tra quelle sue mani scheletriche e si divincolava per morderle
la
carne. Rimasi paralizzata. Forse fu una frazione di secondo,forse un
secondo
intero,ma quell’attimo bastò a farmi tremare sino
all’inverosimile. Scattai
immediatamente verso di lei,che ancora teneva il coltello tra le dita e
spaventata a morte tirava dei calci per farsi lasciare.
«Fa’
qualcosa!» mi urlò Noah,mentre spaccava il cranio
a un altro affamato.
Fu tutto
così rapido…troppo rapido. Strappai il coltello
dalle mani di Brittany e lo
piantai dritto nella fronte dell’affamato nel momento stesso
in cui le sue
mandibole stavano per chiudersi sulla carne della ragazza. Feci forza
per
staccarlo dal cranio disgustoso dell’essere e poi mi rialzai.
Cos’era successo?
Avevo il fiatone.
«Tutto
ok?»
chiesi a Brittany con la voce ridotta ad un sussurro.
Lei mi
guardò,con gli occhi ancora sgranati,ed annuì.
Avrei voluto
tranquillizzarla,ma prima mi concentrai sul resto. Erano tutti
lì. Steven aveva
la maglia sporca di sangue e la fronte velata di sudore. Alex stringeva
ancora
la pistola e il suo viso era ancor più pallido di quella
mattina : aveva lo
stesso colore di un foglio di carta. Lucas ansimava e mi guardava fisso
e Noah
scuoteva la testa. Era finito? Mi guardai attorno ancora una volta.
C’erano tre
cadaveri di affamati,abbandonati sul pavimento e il solo suono dei
nostri
respiri. Cos’era successo?
«Ma
che
cazzo ti è saltato in mente?!» urlò
Steven alla sorella,afferrandola per un
braccio.
La ragazza
abbassò lo sguardo e scosse la testa
«lasciami» biascicò priva di forze.
Il ragazzo
la scosse ancora per il braccio e allora Alex gli diede una spinta.
«Smettila!»
intervenne Noah,fulminandolo con lo sguardo.
Steven
mollò
la presa e si passò le mani sul viso,agitato.
«Che
cazzo
volevi fare,eh?!» urlò furioso.
Alex lo
guardò,ma non aveva neppure la forza di ammonirlo con lo
sguardo. Io ero
confusa. Aveva davvero un pessimo aspetto ; era inguardabile. Le
occhiaie che
avevo notato quella mattina erano notevolmente aumentate. La pelle
pallida,il
viso appariva più scarno ed era velato dal sudore. I capelli
disordinati e la
matita attorno agli occhi sbafata. Abbassò lo sguardo e si
passò il dorso della
mano a strofinare il naso,poi alzò gli occhi al cielo,e il
suo viso sofferente
venne rigato da una lacrima.
«Mi
spiegate
cos’è successo?» chiesi,distraendo
Steven da quel suo sguardo terribile.
«Fatti
i
cazzi tuoi,messicana!» mi urlò la
ragazza,avviandosi poi verso l’uscita.
La guardai
di sbieco e per un istante pensai di prenderla a schiaffi. Ancora non
capivo.
Steven
camminò avanti e indietro,non mi rispose,e poi corse dalla
sorella con quella
sua aria schifata e allo stesso tempo adirata.
«Ehi!»
urlò
Noah,all’altro.
Steven non
rispose e continuò a correre.
«Alex
ha
aperto una porta nel magazzino del negozio e sono venuti fuori gli
affamati» mi
rispose Lucas,ancora con il fiatone «a quanto pare qualcuno
li aveva chiusi lì
dentro e…lei li ha fatti uscire».
Noah si
avviò vero l’uscita,con l’aria
preoccupata.
Annuii.
Guardai mio fratello,guardai gli affamati e guardai Brittany ; solo
allora mi
accorsi che piangeva.
«Vai
dagli
altri» dissi a Lucas «vi raggiungiamo
subito».
Era rimasta
immobile nella sua posizione e guardava fisso il pavimento. Non si
asciugava
neppure le lacrime,paralizzata e scioccata com’era. Aveva
visto la morte in
faccia,ed io avevo visto la sua. Se solo ripensavo a
quell’attimo,se solo
ripensavo a quello che sarebbe potuto succedere,se solo…
«Stavo
per
morire» biascicò tra un crescendo di singhiozzi.
Fu allora
che l’abbracciai. L’abbraccia stretta stretta e
quasi potevo sentire il suono
del suo cuore che se non fosse stato incastrato nel petto,sarebbe
volato via.
Mi staccai un attimo e le accarezzai una guancia,poi le portai via una
lacrima
con il pollice e le accarezzai uno zigomo. Ci guardammo fisse negli
occhi.
Lessi la paura nella sua anima,lessi il terrore nei suoi occhi e il
panico che
ancora scorreva assieme al sangue. Muoveva le labbra screpolate,se le
mordeva.
Le asciugai un’altra lacrima delicatamente,quasi avendo paura
di ferirla. Le
misi un braccio dietro la schiena,poi spostai le mani sulla sua vita e
la
cinsi. Non volevo allontanarmi da lei. Non volevo e non potevo
lasciarla. Io…io…maledizione.
Era così bella e delicata,troppo per quel mondo che ancora
non riusciva a
trasformarla in una creatura senz’anima. Non potevo lasciare
che la sua luce si
spegnesse,non potevo. Sentivo di avere un ruolo in tutto ciò
: dovevo tenerla
in vita. Appoggiai la fronte sulla sua e allora respirammo a vicenda il
calore
dei nostri corpi e sentimmo gli odori fondersi. Il suo fiato sulle mie
labbra,sulla mia pelle. Lei era mia. Lei era mia,ed era così
vera quella
frase,così concreta,che ogni cosa perdeva consistenza mentre
la ripetevo nella
mia mente. Non l’avrei mai lasciata,non potevo
lasciarla,perché lei mi
apparteneva.
«E’
finito
tutto» le sussurrai sul viso,spostandole una ciocca di
capelli.
Scosse la
testa impercettibilmente e un’altra lacrime le percorse una
guancia.
L’asciugai,di nuovo.
«Non
posso
farcela» rispose in un tremolio «morirò
prima ancora di poter dire di aver
vissuto».
Avvertii un
groppo in gola.
«Non
ti
azzardare a dirlo».
Alzò
la
testa e la scosse ancora,questa volta più forte.
«Santana,io…»
replicò lei.
«Shhh…»
l'azzittii portandole un dito sulle labbra «non
parlare» sussurrai dolcemente.
Mi avvicinai
a quel viso e presto la distanza divenne poco meno che nulla.
Lei era mia.
Maledizione,era mia!
«Non
c’è
bisogno che tu dica niente» aggiunsi.
«Grazie»
rispose in un fremito.
Il suo
odore,la sua voce. Un brivido mi attraversò veloce e
furioso,come una scarica
di energia inverosimile e meravigliosa che risvegliava i sensi. A quel
punto,ne
fui certa : volevo quella ragazza. La volevo con tutta me stessa. Le
mie labbra
si avvicinarono alle sue,mentre le tenevo la mano,e le diedi un piccolo
bacio all’angolo
della bocca : delicato e straziante. Il cuore batté
forte,troppo forte,ed
avvertii un calore nel petto.
«Non
morirai mai» respirai sulla sua pelle «mai».
Salve gente! Ed eccoci qui
con un altro capitolo di "Beteween the hungry".
Come avete potuto leggere,i
nostri protagonisti sono alle prese con il problema chiamato :
"sopravvivenza". Ma vogliamo parlare dei sogni di Santana?Secondo voi
sono indicativi di qualcosa? Vi accenno soltanto una cosa : questo
capitolo sarà davvero importante per i futuri scenari della
ff...sto cominciando a lasciare in giro indizi per una situazione che
tra non molto vedrete sbucare fuori.
Abbiate un po' di
pazienza,vi assicuro che non ve ne pentirete. E' una promessa!
Alla prossima
cari lettori,vi aspetto nelle recensioni!
|
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Capitolo 14 *** Regole e realtà ***
BETWEEN THE HUNGRY
Regole e Realtà .
Quella
mattina mi svegliai di soprassalto. Aprii gli occhi
all’improvviso e mi
sollevai di scatto dal materasso. Forse avevo sognato…forse.
Mi stropicciai gli
occhi e respirai profondamente e piano,perché stavo
ansimando. Avevo gli occhi
umidi e il battito veloce come quando…come quando la paura
mi catturava a
sé,prepotente. Quando sospirai sonoramente e mi scoprii
dalla coperta,ricordai
un’immagine : quella di una pistola. Avevo di certo
sognato,ma ero grata di non
ricordare esattamente cosa. Dal tessuto della tenda non filtrava
neppure un
raggio di sole. L’oscurità inglobava ogni
cosa,ogni centimetro di vissuto,ogni
centimetro di quel campo disperso nel Vermont. Decisi di alzarmi,ma lo
feci con
una lentezza indescrivibile. Brittany dormiva al mio fianco serena,e
l’ultima
cosa che avevo in mente di fare era svegliarla.
C’era qualcosa di più,però.
Non volevo che mi vedesse in quel modo,non volevo che per
l’ennesima volta
scorgesse nei miei occhi del dolore. Non sapevo spiegarmi esattamente
il
perché,sapevo solo che non volevo mi leggesse
l’angoscia che mi si agitava dentro. Quella era
un’altra cosa che odiavo del campo : lì dentro
ogni tua
paura,ogni piccola emozione,era alla portata di tutti. Così
come con Noah era
evidente la sofferenza che provava e l’apatia che questa gli
comportava, anche per me erano
evidenti le conseguenze di quel che avevo vissuto. A volte mi sembrava
quasi di
dimenticare tutto quel che era successo,tutto quel che avevo
perso,tutto quel
che avevo maledettamente provato. Capitava raramente,spesso quando ero
in
compagnia di Brittany o mi perdevo nell’osservarla. Allora,in
quei momenti,mi
chiedevo perché diavolo fosse così buona o
perché diavolo l’avrei stretta a me
per sempre. E poi la guardavo ancora,e mi chiedevo perché
fosse così bella e
avessi sempre voglia di farle una carezza dolce e leggera. Poi,quando
mi
distraevo dalla sua figura,quando guardavo mio fratello con i capelli
folti e
disordinati,o osservavo le sue labbra screpolate,o il suo viso ormai
privo di
ingenuità,tutto mi tornava alla mente. Ancora non capivo
cosa mi succedesse nei
momenti in cui il mio cuore entrava in contrasto con il respiro. Sapevo
solo
che all’improvviso ogni cosa,ogni piccola cosa,si allontanava
dal mio sguardo
ed io mi allontanavo dalla vita per un attimo. La parola morte
risuonava
impetuosa,ed io ero costretta ad assecondarla,fragile ed impotente.
Mentre
infilavo le braccia nella felpa nera,sospirai. Guardai
un’ultima volta la
figura di Brittany,ed uscii da lì,entrando
nell’oscurità della notte. Avevo
scordato che Noah fosse di guardia quella sera. Il suo viso era
illuminato dalla
luce del fuoco,ed il suo sguardo perso in esso.
«Ciao»
lo
salutai cordiale,avvicinandomi.
Lui mi
guardò,apparentemente sorpreso,e fece un cenno con la testa
«hai deciso di
darmi il cambio o non riesci a dormire?»
Scossi la
testa «La seconda».
Lui
annuì,come se conoscesse bene quel di cui parlavo.
Mi sedetti
al suo fianco in silenzio e lui non mi guardò,né
si allontanò. Era già un
qualcosa. Mi aspettavo che si sarebbe alzato e sarebbe rientrato in
tenda,e
invece no. Forse aveva voglia di parlare,forse ne aveva bisogno
così come ne
avevo io.
«Come
vanno
le cose Puckerman?Dico sul serio…»
Si
girò
appena,giusto quel che bastava per darmi una veloce occhiata,e poi
sospirò.
«Come
pensi
che vadano?Vivo poco meglio di un barbone con degli sconosciuti ed ogni
giorno
potrei morire,senza neppure sapere per mano di chi o..di
cosa».
Lo guardai
seria. Aveva ragione.
«Non
è di
questo che parlavo» affermai con voce ferma,continuando a
guardarlo in viso.
Lui si
passò
una mano sulle guance dalla barba che con il passare del tempo si
faceva sempre più consistente,e
finalmente spostò i suoi occhi nei miei. Ci fu silenzio per
un istante.
«Non
mi
perdonerò mai,Santana» disse con voce roca,senza
spostare lo sguardo.
Tremai.
«N-non
hai
colpe. Non hai niente di cui rimproverarti,Noah. Tu ci hai salvato la
vita».
La mia voce
si era ridotta ad un debole sussurro. Non spostava lo sguardo.
«Ho
lasciato
che mia madre morisse e ho perduto un fratello senza neppure
conoscerlo. Di
colpe ne ho anche troppe,e tu lo sai».
Scossi la
testa,ma non fui convincente «alcune volte non possiamo
evitare che delle cose
accadano,possiamo solo guardarle accadere. Devi tornare ad
amarti,Puckerman.
Non è facile per nessuno di noi,ma dobbiamo trovare la forza
per evitare di
perdere le ultime cose che ci restano. Quelle poche briciole,i
ricordi,noi
stessi. Non possiamo perderci,non possiamo permettere al vento che ci
spazzi
via. Siamo l’ultima cosa che ci resta al
mondo,Noah» mi tremò la voce «ed anche
se ogni giorno rischiamo la vita,questo non vuol dire che non valga la
pena di
viverla,credendola perduta in partenza».
Noah si
asciugò una lacrima ed annuì. In fondo era
così fragile,così umano e vero.
«A
quanto
pare la cheerleader stronza nasconde un animo profondo» disse
ironico il
ragazzo.
Risi e a
quel punto lo abbracciai.
«Non
scordarti mai che io ci sono per te,capito?»
Mugolò
un
sì,tra le mie braccia.
Eravamo di
nuovo lì,di nuovo a guardare Steven con la pistola in mano
ed il vento tiepido
che ci sferzava il viso. Fissavo quelle tre bottiglie e mi chiedevo se
ce
l’avrei fatta a colpirne almeno una. La mia risposta fu :
probabilmente no. Brittany
era lì,che osservava il ragazzo e di tanto in tanto mi
guardava con la coda
dell’occhio. Io la ignoravo. Era da tutta la mattinata che mi
comportavo in
quel modo con lei,e non sapevo il perché,o meglio,non volevo
saperlo. Sentivo
il suono della verità muoversi contortamente dentro di me,ma
lo soffocavo con
altro. Non volevo guardarla. Non volevo parlarle. Non volevo
più toccarla. I
suoi sguardi mi facevano male perché avrei voluto sorriderle
o sfiorarle il
braccio,ed invece impedivo a me stessa di farlo. Non potevo e basta.
Ogni volta
che mi era vicina,ogni notte,avrei voluto…Dio,no. No e
basta. Sbuffai.
«Cominceremo
da Brittany» annunciò Steven,facendole un cenno
con la testa.
La ragazza
sospirò,si passò le mani sul viso,e raggiunse
Steven con aria preoccupata. Il
ragazzo le diede la pistola e lei la prese tra le mani tentennante. Si
guardò intorno,si
avvicinò ai bersagli e poi caricò
l’arma. Bastava guardarla per capire che non
fosse pratica e non amasse quel genere di cose. Sospirò
ancora,tirò indietro il
carrello dell’arma,la guardò,e poi
fissò una delle bottiglie.
«Ce la
puoi
fare» la incoraggiò Steven.
La ragazza
si concentrò,ci fu silenzio,e poi il colpo partì.
Aveva sbagliato. Scosse la
testa e sbuffò come una ragazzina.
«Senti
Steven,sono negata. E’ inutile che continui a farmi
provare,faccio schifo!»
biascicò affranta,muovendosi agitata sul posto.
Steven le si
avvicinò e le mise una mano sulla spalla. Mi irrigidii e mi
schiarii la voce
rumorosamente. Lucas ed Alex si voltarono verso di me,ma io li ignorai.
«Puoi
farcela» affermò deciso il ragazzo «devi
farcela e ce la farai».
Brittany
annuì poco convinta. Steven si allontanò,ma i i
miei muscoli erano ancora
rigidi. Strinsi il pugno e mi morsi le labbra nervosamente.
«D’accordo»
rispose tornando a guardare i bersagli.
Fece qualche
passo avanti,poi impugnò con più decisione
l’arma e dopo alcuni secondi sparò.
Il rumore ruppe il silenzio assieme alle sue grida di gioia. Centro. Un
gran
sorriso mi si stampò sulla faccia. Stavo per correre ad
abbracciarla,ma qualcuno
mi anticipò,ricordandomi che non avrei comunque dovuto farlo.
«Lo
vedi?»
disse Steven cingendola con le sue braccia muscolose «Ti
avevo detto che ce
l’avresti fatta!Non devi mai dubitare di te stessa».
Brittany
ricambiò l’abbraccio e i due rimasero in quel modo
per qualche secondo. Mi
schiarii la voce di nuovo e i due si staccarono. Cazzo. Le nocche della
mia
mano destra erano sul punto di bucare la pelle e le unghie segnavano
con prepotenza l'interno della mano. Spostai gli occhi dalla nuca della
bionda. Se avessi continuato a guardarla,mi sarei resa conto della
ragione
della mia rabbia. Lei si voltò versò di me e mi
lanciò un’occhiataccia. Rimasi
interdetta un istante. L’aveva fatto apposta?Maledizione!
«Merda»
borbottai tra i denti.
La bionda
sparò
altre due volte,ma centrò il bersaglio soltanto una.
«E’
il tuo
turno» mi avvisò Steven,guardandomi.
Lo fulminai
con lo sguardo e lui parve confuso.
Brittany mi
raggiunse per consegnarmi la pistola,ed io la fissai dritta negli
occhi,con il
viso contratto in una smorfia dura e mesta. Lei rispose al mio sguardo
con uno
che sapeva quasi di sfida. Era come se mi stesse dicendo
:”vediamo che sai fare
tu!”. Fu ovvio : raccolsi la sfida. Quando mi fu a pochi
centimetri di
distanza,le strappai l’arma dalla mano.
«Forza,Santana!»
mi incitò Steven «Anche tu puoi farcela».
Annuii
«Ti
dispiacerebbe mostrarmi di nuovo come si impugna?Credo di averlo
dimenticato».
Quando il
ragazzo si avvicinò,spostando la sua massa muscolosa,sorrisi
interiormente.
Steven mi raggiunse ed aspettò che gli porgessi la pistola.
Scossi la testa.
«Come
devo
mettere le mani?» gli chiesi con quella finta ignoranza.
Dovevo
essere più diretta,così gli sorrisi. Lui
afferrò le mie mani e le posizionò
sull’arma.
«Così…»
disse guardandomi in viso.
«Grazie,Steven»
risposi con un tono di voce basso e seducente.
A quel
punto,mi voltai verso Brittany e le restituii lo sguardo di sfida. Lei
mi
rivolse un’occhiata truce e poi spostò gli occhi
dal mio viso,infastidita o
alterata. Non capivo ancora cosa stesse succedendo tra di noi,ma sapevo
che ero
stata io a dare inizio a tutto quello. Era cominciato tutto dal momento
del suo
risveglio. L’avevo guardata a lungo dormire,sognando e
…desiderando,e
poi,all’improvviso,avevo capito. Avevo capito quanto
sbagliato fosse guardarla
con le palpitazioni ed il respiro corto,o lasciando
l’immaginazione volare
lontano e lontano e … mi ero detta che non potevo farlo. Non
potevo più essere
impulsiva,non in quella situazione,non rischiando tutto di nuovo.
Perché sapevo
per certo che se avessi assecondato i desideri ed accettato le
emozioni,per me
sarebbe iniziata,ma
anche finita.
«Non
c’è di
che» disse il ragazzo,sorridendomi con ancora la confusione
sul viso.
Inspirai
profondamente l’aria tiepida e guardai le bottiglie. Avrei
fatto centro ; ne
ero certa. Tirai indietro il carrello dell’arma e poi la
puntai contro l’ultima
bottiglia. Inspirai di nuovo e chiusi gli occhi per un istante. Basta
pensare,quella bottiglia era mia. Premetti il grilletto e il rumore
della
plastica che veniva attraversata dal proiettile mi fece sussultare.
«Sì!»
esclamai felice «Ce l’ho fatta!»
Con ancora
un sorriso sincero sul viso,corsi verso Steven. Lui allargò
le braccia,felice,e
mi accolse tra le sue. Lo strinsi forte e lui ricambiò con
molta meno forza.
Quando ci staccammo,guardai Brittany. Non era più
arrabbiata,pareva triste.
Aveva gli occhi lucidi e si mangiava le unghie,come era suo solito. E
allora mi
chiesi perché,perché non potessi andare
lì e stringerla forte a me,respirando
sulla sua pelle. La risposta arrivò chiara e tonda non
appena incontrai quelle
iridi celesti affacciarsi dentro l'infinito con curiosità.
No,non
potevo. Spostai lo sguardo.
Quando
rientrai in tenda,Brittany era già lì,ed imprecai
mentalmente. Era seduta sul
materasso e guardava dritto di fronte a sé,con lo sguardo
perso e gli occhi
tristi. Dovevo andarmene di lì ed al più presto.
Mi voltai per tornare fuori,ma
la sua voce mi bloccò.
«Perché?»
si
limitò a chiedermi con la voce dura e ferita.
Rimasi in
silenzio,senza voltarmi per guardarla. Spostai lo sguardo a terra.
Mi tremavano le gambe. Al suono della sua voce,il mio cuore
aveva preso a
battere più veloce.
«Perché
ti
comporti così,Santana?E’ per quello che
è successo al supermarket?E’
per…»
Mi voltai di
scatto «per cosa,Brittany?!» le chiesi con la voce
piena di
rabbia,avvicinandomi lentamente «Per cosa?!Non è
successo niente al
supermarket,niente!Mettitelo bene in testa».
Lei scosse
la testa,mordendosi un labbro,e capii che stava per piangere.
«Non
voglio
niente da te!» le urlai,continuando ad avvicinarmi
«Tu non sei niente per
me!Non conterai mai niente,mi hai capita?»
Avevo i
muscoli rigidi e mi sentivo…arabbiata. Ero così
furiosa,maledizione!Così
furiosa che avrei fatto a pezzi quella tenda. Il cuore mi esplodeva nel
petto e
gli occhi sprizzavano ira. Non volevo niente da lei!Non volevo niente.
Io…io…no!Non potevo,non potevo,non potevo e non
potevo. Lei non era mia,non lo
sarebbe mai stata. In quel momento,mi sarei presa a schiaffi.
L’avevo
ferita,avevo dovuto farlo. Ma la verità era ben altra,era
così lontana da
quella realtà dura e rigida…la verità
era che non potevo permettermi di
guardarla più negli occhi,anche se era già tardi.
Io la volevo,la volevo per
me!Volevo le sue labbra sulle mie,volevo la sua bocca sul mio
corpo,volevo il
suono della sua voce melodiosa sussurrare il mio nome
all’orecchio,volevo le
sue carezze dolci sulla mia pelle diventare bollenti. Io provavo
troppo,io
provavo tanto,ma non potevo niente. Se avessi permesso al mio
corpo di
vivere,anche solo per un istante,se l’avessi letta,sarei
tornata di nuovo in
quell’oscurità chiamata paura. Nella mia testa
risuonò una frase,anzi,una
regola : non innamorarti.
«E
allora
vattene,Santana!» mi urlò in lacrime
«Non c’è alcun motivo per cui tu stia
qui!Vattene!» urlò ancora,portandosi le mani sul
viso.
Se mi fossi
concentrata su qualcos’altro che non fosse stata la
rabbia,forse sarei caduta a terra,priva di forze. Io l’avevo
ferita
e le sue lacrime erano solo colpa mia. Ma doveva odiarmi,doveva
farlo,perché
altrimenti…
Uscii da
quella tenda,tremando. Guardai l’erba sotto i miei piedi,e
cominciò a girare e
girare. Il mio cuore batteva troppo in fretta,ed i miei occhi umidi
avrebbero
voluto liberarsi di tutto quanto,avrebbero voluto lasciarsi
andare,violando
ogni regola. Ma non era permesso violare le regole,non a me. Sarebbe
bastato un
errore,anche piccolo,e allora sarebbe stata morte. Ingoiai ogni
cosa,ogni
emozione,e a quel punto fui sopraffatta soltanto dalla rabbia. Ero
arrabbiata con me stessa. Estrassi il pacchetto di Marlboro dalla tasca
della
tuta e mi accesi una sigaretta. Era l’unica cosa che avrei
potuto fare in quel
momento,l’unico gesto “normale”.
Poi,senza rendermene conto,cominciai a
camminare. I miei piedi si muovevano svelti e nella testa risuonava
quel
“vattene”. Ero stata disgustosa,io…mi
disgustavo,anzi,mi odiavo. Odiavo me stessa,odiavo
i miei sentimenti,odiavo anche lei. Odiavo quel campo,odiavo quella
stupida e
fottutissima tenda,odiavo il fuoco che la sera combatteva
l’oscurità ed odiavo
anche lei. Odiavo gli affamati,odiavo Josh,odiavo mia madre e mio
padre,ed
odiavo anche lei. Ma io odiavo me,soprattutto. Odiavo quel che avevo
dentro,odiavo la paura,l’amore e l’odio. Odiavo
amare,ma amavo odiare. Perché
se odi non ami,ma per me non era così. Ogni cosa era
lì,in bilico su di
un filo,che aspettava solo di esser spinta giù. Ma io non
l’avrei mai posta su
quel filo,no. Non potevo farlo. Non potevo guardarla o
toccarla,perché allora lei sarebbe
stata viva,reale e tangibile. Non doveva
esserlo in alcun modo,altrimenti sarebbe caduta impotente da quel filo.
Eppure
la volevo…mio Dio,se la volevo!Al supermarket avevo
realizzato una cosa,ma
avevo paura di dirla ad alta voce e più semplicemente di
pensarla. E camminavo,camminavo e camminavo. Via da
lì,via da ogni cosa.
«Santana!»
mi chiamò Steven «Dove diavolo vai?»
Non mi girai
e non risposi,semplicemente camminai. Fuggivo dalla
consapevolezza,fuggivo
dall’amore,dritta verso le fauci della notte e della miseria.
«Aspettami!»
gridò il ragazzo.
Gli alberi
immensi della foresta stavano quasi per ingoiarmi,ma nel frattempo
Steven
accelerò il passo e il calpestio dell’erba si fece
più vivace.
«Ehi!»
mi
disse,afferrandomi per un braccio «cos’è
successo?»
Quando mi
voltai,piansi. Non mi ero allontanata granché dal
campo,forse fu per questo che
le mie lacrime cominciarono a scendere.
«Lasciami
andare,ok?» biascicai stremata.
Avevo
infranto la regola.
«Non
posso!»
i suoi occhi brillavano «E’ troppo
pericoloso» si giustificò.
Mi asciugai
le lacrime,ma ben presto ne scesero altre. Avevo sbagliato tutto. Avevo
ferito la mia persona,avevo
ferito me stessa. Stavo per infrangere ogni regola,ma in quel momento
mi pareva inevitabile.
«Lasciami!»
gridai,arrabbiata.
Steven mi
mollò il braccio,mortificato,ed abbassò lo
sguardo. Fu in quel momento che
capii di voler tentare un’ultima cosa.
«Non
posso
lasciarti andare nella foresta,è
pericoloso…» tornò a
spiegarsi,avvicinandosi.
Mi avvicinai
anch’io,lui si chinò su di me,e lo baciai. Lo
baciai come meglio potei. Le sue
mani sulla mia vita,la sua lingua contro la mia,la mia mano sulla sua
nuca.
Quando i baci divennero rapidi e cominciarono a togliermi il respiro e
le sue
mani scesero sino al mio fondoschiena,decisi di sì : decisi
che valesse la pena
provare. Mi staccai da quel bacio,guardai i suoi occhi che brillavano
di
desiderio,e gli slacciai i pantaloni. Li tirai giù e lui
tornò a baciarmi più
appassionatamente di prima. Poi mi afferrò dalla vita,mi
tirò su,ed io lo cinsi
con le gambe. Improvvisamente ci ritrovammo
sull’erba,allungati l' uno sopra
l’altro. Steven mi tirò giù i pantaloni
della tuta,mi tolse
le mutandine,e tornò a baciarmi.
All’improvviso
realizzai : stavo facendo sesso con Steven.
Soffocai un gemito,dovevo farlo. Neppure quello sarebbe dovuto essere
reale,non
lo meritava. Ma quando il ragazzo spinse con decisione,mi
sfuggì. Era successo
: era reale. Quando tutto sarebbe
finito,avrei pianto. Avrei
pianto perché quello era reale,tranne me e lei.
Lo
so,lo so. In questo momento mi state odiando come non avete mai fatto
con nessuno in vita vostra. Vi capisco perfettamente. Il primo motivo
per cui mi odiate è probabilmente perché sono
sparita,ed il secondo perché questo capitolo non
è probabilmente quello che vi aspettavate. Ma lasciatemi
giustificare almeno un po'. Questi giorni sono stata via e non avevo
con me nè il pc,nè una connessione wifi che
sopportasse le mie folli navigazioni in internet. In compenso,ho preso
il portatile di un amico e mi sono messa a lavoro,pensandovi. Per il
resto,so bene che forse sarete delusi e probabilmente avete ragione,ma
vi posso solo dire una cosa : fidatevi. Fatelo,e sono certa che non vi
pentirete di aver seguito questa folle "scrittrice" da
strapazzo.
Come
al solito,quasi niente fila perfettamente liscio. Santana comincia a
rendersi conto dei suoi sentimenti per Brittany,specialmente dopo
l'ultimo accaduto al supermarket. Aver sentito concretamente la
possibilità di perderla,l'ha mandata in confusione e diversi
dubbi le si agitano dentro. Ha paura,paura di innamorsi
perché sa per certo che in un mondo così
pericoloso,potrebbe perderla in un batter d'occhio. Questo è
un capitolo fatto dalla contrapposizione di due parti del personaggio :
la paura e il desiderio d'amare. Santana non è un
robot,è umana e per renderla tale,mi sembrava giusto
scrivere un capitolo come questo,che si avvicinasse il più
possibile al reale. Il tutto si conclude con Santana che,mentre cerca
di fuggire via dall'immagine di Brittany e dalle sue parole,viene
fermata da Steven. Ma quando la regola più importante viene
infranta,Santana decide di mandare tutto al diavolo e di infrangerle
tutte. Steven è la sua ultima possibilità per
essere strappata via dalla paura e della confusione,ma non appena si
rende conto di quel che è successo,avrebbe voglia di
piangere. Ormai,non ha più possibilità,ma nemmeno
regole da infrangere.
Beh,gente,sperando
che il vostro odio sia evaporato un pochino con il passare del tempo e
con il leggere le mie parole,vi lascio ad un'anticipazione. Il prossimo
capitolo,sarà "il capitolo". Ho già
detto troppo,ma voglio proprio farmi perdonare. Continuate a seguirmi
perché prossimamente ne vedremo delle belle e sono certa che
alcuni capitoli verranno apprezzati in particolar modo.
Comunque ancora molto deve succedere,e tenetevi pronti
perché non potete neppure immaginare come si
evolverà la storia. In breve,le cose cambieranno bruscamente
(sotto tutti i punti di vista) ed abbandoneremo la staticità
che mi ha permesso di elaborare alcune cosette...
Allora
vi aspetto nelle recensioni,come al solito,e nel prossimo
capitolo!Fatemi sapere quel che ne pensate e ...fidatevi di me!
Grazie a tutti per aver
letto un altro capitolo di questa follia e per aver scelto di seguire o
recensire. Siete preziosi,davvero.
P.S. Da adesso in
poi,pubblicherò ogni cinque giorni.
P.P.S. Vi aspetto
sabato!Non mancate ;)
|
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Capitolo 15 *** L'inchino della fine ***
between the hungry
L'inchino
della fine .
L’erba
sapeva
ancora dei nostri odori fusi ed accoglieva una sagoma indefinita a
rovinarla,quasi avesse voluto dire qualcosa. Forse perché
era così : avevamo
rovinato ogni cosa,o meglio,io avevo rovinato ogni cosa. La speranza
che il
contatto con un altro corpo mi avrebbe fatto provare quello che le
carezze di
Brittany scatenavano in me,era svanita non appena Steven aveva
osservato la mia
vulnerabilità,accecato dal desiderio. E
all’improvviso mi ero resa conto che
era tardi per fermarlo,così mi ero aggrappata ad
un’ultima e sfocata
speranza,che ormai mi pareva soltanto remota e disperatamente
immaginata.
Osservai ancora l’erba deformata dal peso dei nostri corpi
avvinghiati,e decisi
che fosse giunto il momento di allontanarmi da
lì,perché osservarla non faceva
altro che darmi il volta stomaco. Mi sollevai con le mani,a fatica,ed
inspirai
profondamente : l’aria cominciava a pizzicare. Guardai alle
mie spalle e vidi
quelle tre maledette tende osservarmi,quasi con aria torva. Avevo la
sensazione
che persino gli oggetti si fossero resi conto dello sbaglio che avevo
commesso e
di con quanta facilità fossi in grado di ferire le persone.
Non potevo tornare
lì,non subito. Come avrei fatto con Brittany nella mia
stessa tenda?Non volevo
incontrare il suo viso sofferente,né riascoltare la sua voce
straziata dai
singhiozzi. Non ce l’avrei fatta : sarebbe stato come essere
pugnalata allo
stomaco più e più volte. E per di più
ero stanca, mi sarebbe mancata la forza
necessaria per sostenere il suo sguardo silenzioso. Osservai dritto di
fronte a
me,costringendomi a calmare il respiro inquieto,e non vidi altro che
alberi. La
foresta mi guardava,ma pur essendo stata spettatrice,non mi giudicava.
Se ne
stava lì,calma e premurosa,con il respiro che
aveva lo stesso suono del vento. Prima ancora che me ne
rendessi
conto,cominciai a camminare.
Per lunghi
minuti i miei occhi non fecero altro che fissare il suolo,quasi
incapaci di
sollevarsi,per stanchezza o timore. Guardare dritto di fronte a
me ; ultimamente,mi restava difficile. Avrei quasi giurato che non
fosse colpa
mia,non del tutto,per lo meno. Era colpa di quel mondo. Era colpa di
tutto quel
che c’era dentro ed al di fuori di quel campo,e allo stesso
tempo di nessuno.
Ero certa che se non fosse successo tutto quello,che se non fossimo
stati
costretti a fuggire dalle nostre vite ormai distrutte e terribilmente
divorate,non sarei mai stata così codarda. Eppure sapevo che
nella stessa
codardia,c’era del coraggio. Era per mezzo della paura che
lottavo contro
l’inevitabile desiderio. Dovevo farlo,dovevo oppormi in
qualche modo. Ma non
ricordavo che amare,significasse lottare. Non ricordavo che
amare,significasse
morire.
Forse perché prima non era così.
Ricordavo
com’era stato semplice con Josh. Non semplice,ma naturale.
Accettare quello che
provavo,di fronte alla schiettezza dei miei sentimenti,era stato quasi
un
obbligo,un dovere ed un esigenza. Come avrei potuto voltarmi di fronte
ai suoi
occhi,negando quel che vi avevo scorto?E per la prima volta in tutta la
mia
vita,mi ero sentita vulnerabile,fragile come un fuscello che aspettava
di
spezzarsi sotto il peso incurante di un vagabondo.
Allora,però,non mi ero
curata del fatto che quel fuscello avrebbe potuto spezzarsi con un tale
semplicità ; avevo invece pensato che se ne sarebbe rimasto
lì,sino a che non sarebbe
diventato terra stessa,e poi ancora vita. Il fremito che provavo quando
l’osservavo dalla finestra della mia stanza mentre mi
aspettava sotto casa,il
sussulto che avevo quando mi stringeva la mano,intento a non
lasciarla…i suoi
baci dolci che non mi avrebbero mai stancata…tutto quello mi
faceva sentire
viva come non lo ero mai stata in vita mia. Eppure,forse,non ero pronta
per
essere innamorata,forse non lo ero mai stata. Ero soltanto una
ragazzina che
scappava dalla sua vita rifugiandosi nelle frivolezze,nascosta dietro
una maschera.
Ma la verità era che eravamo due fuggiaschi tremanti di
fatica e sofferenza,e
che insieme avevamo trovato la salvezza,sotto i nostri sguardi
increduli. E
così ero cresciuta,amando ed amandomi. Perché
ogni cosa scoloriva di fronte a
quel che avevo dentro,di fronte a lui. Perdeva sapore,perdeva
interesse,diventava superflua. Così,quando per la prima
volta incontrai gli
sguardi sereni degli altri studenti che avevano smesso di nascondersi o
di
squadrarmi,avevo sorriso interiormente e mi ero ripetuta che
sì : ce l’avevo
fatta.
Respirai
ancora l’odore pacifico della natura,e mi passai una mano tra
i capelli.
Poi,quando guardai di fronte a me,decisi che fosse giunto il momento di
fermarmi. Mi avvicinai ad un grosso albero dal tronco robusto,e mi
sedetti a
terra,appoggiandomi a questo con la schiena. Chiusi gli occhi un
istante.
Sentivo l’umidità penetrarmi fin dentro le ossa,ma
non mi importava. Non
m’importava di niente,di niente se non di lei.
Ma perché?Perché all’improvviso avevo
iniziato a guardarla in quel modo ed a
sognarla in quel modo?Perché proprio lei?Perché
non avrei potuto continuare
quella vita in silenzio,a testa bassa,prestando attenzione a dove
pestassi i
piedi?Ero di nuovo un fuscello,ma nella mia testa non sentivo
nient’altro che
quel CRACK netto e deciso,fermo nel tempo,come un maledetto allarme.
Era
arrivato il momento di chiudere gli occhi per un po’. Ero
stanca,avevo dormito
poco e per di più avevo sprecato le mie ultime energie nella
maniera più…più sbagliata
che conoscessi. Accoccolata all’albero e respirando
l’essenza stessa della
foresta,cullata dai suoi sussurri premurosi,ogni cosa divenne lontana.
Io ero
lontana,protetta in un’ampolla che d’un tratto mi
parve familiare.
«Lopez?»
disse una voce incredula poco distante da me.
Mi costrinsi
ad aprire gli occhi controvoglia.
Quando misi
bene a fuoco quella figura scura,mi accorsi che si trattasse di Alex.
«Che
diavolo
ci fai tu qui?» chiese ancora incredula.
Sbattei un
paio di volte le palpebre,ancora assonnata,e mi schiarii la voce.
«Che
diavolo
ci fai tu!Ero venuta a fare una passeggiata e mi sono
appisolata».
La
ragazza,pallida in viso come lo era ormai da giorni, sembrò
non avere una risposta
già pronta ed abbassò lo sguardo,come fa chi ha
commesso qualcosa ed ha paura
di essere scoperto.
«Cammino
spesso qui» rispose poco decisa,continuando a fissare il
terreno rossastro
sotto i suoi piedi «che tu ci creda o meno,mi
rilassa».
«Già».
Allora si
guardò le unghie e si staccò una
pellicina,improvvisamente nervosa. Qualcosa
non andava. Quella ragazza stava mentendo,lo avvertivo con ogni fibra
del mio
corpo. Sapevo leggere il linguaggio del corpo piuttosto bene,ed Alex
non me la
raccontava giusta. Era solo una sensazione,ma risuonava vivida dentro
di
me,come un messaggio d’allerta.
«Va
tutto
bene,Alex?» chiesi,cercando di sembrare il più
tranquilla possibile per non
destare sospetti.
Lei mi
guardò improvvisamente confusa e preoccupata e si
asciugò le gocce di sudore
sulla fronte «che intendi dire?»
Quel giorno
non faceva caldo. Tutt’altro.
«Intendo
dire se stai bene. Sei piuttosto pallida ultimamente. Sai,se soffri di
insonnia
o…»
«Sto
benissimo!» m’interruppe lei,scuotendo la testa
«Va tutto alla grande,davvero!»
Annuii poco
convinta. La pace che mi aveva rasserenata per quei pochi minuti era
improvvisamente sparita e capii che fosse giunto il momento di tornare
all’accampamento. Una terribile fitta allo stomaco mi tolse
il respiro e fui
costretta a chiudere gli occhi.
«Mi
avvio al
campo…buona passeggiata,allora»
biascicai,portandomi una mano sulla fronte.
Quando
raggiunsi quel silenzioso spazio familiare,mi accorsi che in
pochi erano
fuori dalle proprie tende. Brittany non c’era, e quella
consapevolezza mi
scombussolò ancor di più lo stomaco. Lucas era
fuori,affianco alla sua
tenda,sdraiato sull’erba a leggere un libro e Steven beveva
un bicchiere
d’acqua sotto il gazebo. Steven. Forse stavo per vomitare.
Aumentai velocemente
il passo per evitare che mi fermasse con qualche strana intenzione,ma
all’improvviso la sua voce mi bloccò.
«Santana!»
mi chiamò con aria felice,credendo che non
l’avessi visto.
Neppure mi
voltai. Accelerai ancora il passo,dritta verso le fauci di un altro
pericolo.
Ma cos’altro avrei potuto fare?Guardai la tela verde della
tenda e feci un
grande respiro. Mi tremarono le gambe.
«Ehi,Santana!»
Mi morsi il
labbro e scossi la testa. Non potevo. Dio mio…non potevo.
Nel giro di pochi
istanti,non fui altro che un ammasso di carne ed ossa tremolanti e
deboli come
gelatina. Non potevo farcela,non potevo affrontarla. Non ero pronta.
Non…non
potevo. Scossi di nuovo la testa ed aprii la zip. Non appena respirai
quell’aria,non appena la guardai,tutto quel che avevo
ignorato tornò vivido a
strozzarmi. Chiusi gli occhi,presa a pugni dalle emozioni,e mi
costrinsi a
camminare,incredula di saperlo fare.
Avevo le
lacrime agli occhi,così come lei. La
guardai,dall’altro lato della tenda,e
spostai lo sguardo rapidamente. Lei si alzò,e si
avvicinò. Tremai. Aveva capito
tutto,come non avrebbe potuto? Mi aveva guardata dritta al cuore,per un
istante
che si era fermato nel tempo,mi aveva guardata lì.
Noi piangevamo.
«Era
quello
che volevi?» mi chiese,con la voce che tremava,avvicinandosi
lentamente per
paura o chissà cosa.
Il mio viso
rigato dalle lacrime si contrasse. Mi irrigidii e scossi la testa.
«Perché,Santana?Dimmi
solo il perché e ti lascerò in pace. Ti giuro che
smetterò di guardarti e di
parlar…» .
«Shh!»
singhiozzai,portandomi
un dito alle labbra «Sta’ zitta,per
favore».
Tremai
dentro,di nuovo. E non potevo fare a meno di tremare,perché
quegli occhi mi
bucavano l’anima e quella voce mi pugnalava lo stomaco. Come
avrei fatto a non
guardarla?Come avrei fatto ad ignorare la ragione che mi avrebbe
regalato la
vita senza chiedere niente in cambio? Le sue lacrime,così
simili alle mie,erano
acido su quella pelle d’Angelo. Ma non potevo permettere che
il volto dell’angelo
più puro venisse sfigurato per causa mia. Quanto egoista
sarei potuta essere?
Non sarei stata in grado di mentirle,ma neppure di evitarla. Lo
sapevo,era così
ovvio…il suo viso attraeva i miei occhi a sé con
una tale forza giusta e
naturale,che tutto il resto pareva artificioso e vacuo. Il resto era
vacuo,ma
noi eravamo tutto.
«Non
posso»
sussurrò,specchiandosi nei miei occhi umidi «
dimmelo che non mi vuoi!Dimmelo e
la smetterò. La smetterò di cercarti,di
guardarti,di sfiorarti... mi limiterò a
sussurrarti il buongiorno e la buonanotte,ma dimmelo,per favore!Mi
arrenderò
all’idea che non ci sarà più amore
nella mia vita,mi arrenderò all’idea che
questo mondo ha divorato tutto. Basterebbe che tu me lo dicessi,anche
urlandolo…e
allora tornerei ad esser quel che sono : il niente che cammina,che
sfiora la
terra con i suoi passi,senza lasciare impronte. E non ascolterei
più il mondo
né sentirei delle briciole di vita scorrermi nelle vene.
Dimmelo e sarò quel
che sono!Sarà impossibile ignorare quel che ho dentro,ma
sopporterò ogni
istante il pensiero di non poter avere nulla,di non poter avere
te».
Scossi la
testa,sopraffatta dai singhiozzi «mi dispiace»
biascicai,asciugandomi una
lacrima con il dorso della mano.
«No»
rispose
lei,decisa. Mi prese il mento e lo sollevò
«Santana,dillo. Dillo o morirò».
Le sue
parole penetrarono dentro di me e danneggiarono ogni organo con la
stessa
velocità di un fulmine che si scaglia al suolo. La sua voce
straziante,le sue
lacrime,il suo viso umido di verità…furono un
pugno al petto capace quasi di
fermare il cuore. E si sarebbe fermato se non gli avessi impedito di
farlo,se
l’amore non l’avesse alimentato con una tale forza
da esser in grado di
consumarmi. Le circondai il polso con le mie dita ed allontanai la sua
mano
dalla mia pelle. Non poteva toccarmi,non doveva farlo.
«Non
posso»
risposi con la voce appena udibile,in un tremolio.
In quel
momento,le parole mi esplodevano nel petto. Ero stanca,lo ero davvero.
Ero
stanca di continuare a lottare. Ma più di ogni altra cosa al
mondo la
desideravo,perché era la mia luce,perché era la
mia stella,perché era l’unica
cosa in grado di rendere la mia vita vita.
Voltare lo sguardo ancora,significava morire. Anche guardarla,
forse,significava
morire ; ma in quel momento sapevo che la vita di cui le parlava
sarebbe stata
nelle mie vene e che si sarebbe diffusa come sangue,sino ad arrivare al
cuore.
Poi,forse,sarei morta,ma
per un attimo avrei vissuto. Aveva forse senso
continuare a fingere,continuare a recitare l’ironica commedia
della mia vita?Ero
una pessima attrice e la mia maschera prima o poi sarebbe scivolata via
dal mio
viso così lentamente,da scoprire ogni centimetro di pelle.
Quando sarebbe
giunta agli occhi,le mie lacrime sarebbero state esposte al mondo
intero. E
allora forse avrei urlato,avrei urlato un un’unica frase che
in quel momento
pareva tanto giusta quanto sbagliata : “non sono
più un’attrice!”.
Lei scosse
la testa e mi fece una carezza con una tale fragilità che
sarebbe stata in
grado di uccidermi,se l’avesse voluto. Io singhiozzai,di
nuovo,ed abbassai lo
sguardo. Una fitta allo stomaco mi prese alla sprovvista,e rimasi in
silenzio
chiedendomi il perché.
«Dillo
ed
ogni cosa cambierà. Io ti guardo dentro,Santana. Non puoi
scappare dai tuoi
sentimenti. A dispetto di ogni cosa in questo mondo,tu sei ancora
umana».
Scossi la
testa e mi portai le mani sul viso,disperata. Non potevo continuare a
guardarla,era troppo vicina. Se avessi permesso di nuovo a quelle iridi
color
cielo di penetrarmi,allora ogni mia difesa sarebbe crollata. Dovevo
resistere,dovevo
aggrapparmi con tutte le forze a quel sentimento chiamato paura,oppure
le porte
si sarebbero spalancate e sarei rimasta accecata dalla più
incredibile luce.
Sarei morta e l’avrei trascinata con me nella
tenebra.
«Io…i-io
non…»
Ero stremata.
«Dillo!»
ordinò lei,tremando sulle mie labbra.
Alzai gli
occhi e singhiozzai ancora. Lei mi prese il viso tra le mani e sentii
il suo
respiro sulla mia pelle. Nel momento stesso in cui
l’azzurrò attraversò
l’oscurità che portava il nome di paura,il mio
intero mondo crollò. Crollai
io,come se fossi fatta di creta. Bruciarono le mie mura,come fossero
fatte di
paia.
«Io ti
amo,Brittany» sussurrai,singhiozzando «io ti
amo» ripetei.
Fu allora
che chiusi gli occhi e respirai il suo odore. Lo respirai
così a fondo che
cominciò a girarmi la testa. Improvvisamente capii che
quello stesso odore
sarebbe diventato il mio ossigeno,e che i suoi baci sarebbero diventati
la mia
felicità.
Lei
sorrise,mentre una lacrima le solleticava una guancia e
portò le sue labbra
sulle mie. Era l’amore. Era lei. Mi diede un
piccolo e delicato bacio,come
quello che si danno i bambini che scoprono di saper amare,poi si
allontanò per
guardarmi negli occhi.
«Ti
amo
anch’io,Santana» disse sorridendo.
Le misi una
mano dietro la nuca e con l’altra le accarezzai il braccio
delicatamente. Lei
mi cinse la vita con le braccia e ci baciammo davvero. Quando
le nostre
lingue si toccarono,capii che tutto quel che avevo pensato,che la paura
che
aveva oscurato il mio cuore in quegli istanti,era solo inutile marciume
che non
meritava di scorrere impunito assieme al mio sangue. Ogni cosa aveva
preso
senso nel momento stesso in cui una scarica di energia bianca e pura mi
aveva
attraversata senza preavviso,con la stessa concretezza di un sogno
sfumato.
L’unica cosa che sapevo era che lei era mia e che lo era
sempre stata. Da quel
momento in poi,non l’avrei mai più lasciata andare.
Le sue mani
bollenti mi accarezzarono la schiena,segnandomi la pelle con quel
calore che
sapeva di desiderio,e le mie si infilarono insidiose tra le sue ciocche
di
capelli biondi. Le mie labbra la desideravano,la mia pelle la
desiderava,ogni
parte di me la desiderava. E lei era lì.
«Ti
amo»
sussurrai sulle sue labbra,ancora.
Lei rise
sulle mie. La strinsi a me con forza,mentre le nostre lingue si
cercavano
ansiose di incontrarsi,ed avanzammo verso il soffice materasso nascosto
dalle
coperte. Quando mi resi conto di quello che stava per succedere,le
gambe
cominciarono a tremarmi come fossero state fatte di gelatina. Ma io la
volevo
così tanto...
«Wow»
biascicò lei,ansimante,osservando il desiderio nei miei
occhi.
Eravamo
entrambe senza fiato.
«Già,wow»
ammisi stupita,osservandola a mia volta.
Lei sorrise
e allora le chiesi il permesso di toglierle la maglietta
«posso?» le
domandai,stringendo con la mano sinistra un lembo di quella stoffa
grigia.
Lei rise e
disse «non c’è bisogno che tu mi chieda
il permesso».
Mi prese l'altra
mano e la portò sull'altro lembo di stoffa. La guardai
un’ultima
volta,chiedendole implicitamente il consenso,e poi gliela sfilai. Mi
allontanai
un po’,per osservarla. Il suo seno meraviglioso era racchiuso
da un reggiseno
nero con i pois rosa e quella pelle…Dio mio,quella pelle
quanto era bella ed
invitante. Più la guardavo,e più cresceva in me
il desiderio di farla mia.
Senza rendercene conto,ci ritrovammo su quel vecchio
materasso,desiderandoci
reciprocamente. Lei si muoveva esperta,io desiderosa di imparare.
Passammo
tutta la notte a fare l’amore,e quando il primo raggio di
sole spuntò
all’orizzonte,scoppiammo a ridere. La verità era
che la paura non era
abbastanza forte da impedirmi di amarla. La verità era che
da quel momento in
poi,lei sarebbe stata la mia stessa vita. Ma io
l’amavo,l’amavo così tanto che
quando quella mattina incontrai per la prima volta le sue iridi
celesti,non
potei fare a meno di sussurrarglielo,baciandola instancabilmente.
Si diceva
che le commedie avessero sempre un lieto fine e che tutti
avrebbero applaudito. Io,forse,
avrei pianto. Ma quello che desideravo più di ogni altra
cosa al mondo,era inchinarmi al pubblico e godermi quel momento di
gloria.
Non vi avevo forse detto di
fidarvi di me?Beh,spero che non siate rimasti delusi! "L'inchino della
fine" è probabilmente il capitolo che stavate aspettando
da tanto. Vi mentirei se vi dicessi che l'ho scritto con
facilità. Volevo che tutto fosse perfetto,tutto!Sono stata
giorni a scriverlo,e poi ancora a riscriverlo,a
modificarlo,correggerlo...stavo diventando isterica!Adesso,dire da
parte mia che è perfetto,sarebbe a dir poco
presuntuoso e poco credibile data la mia eccessiva (è un
eufemismo) criticità,però spero vivamente che
nonostante tutto l'abbiate gradito e che non siate rimasti
delusi.
Ok,adesso
lasciatemelo dire : E' TEMPO DI BRITTANA!!!
Com'è
giusto che sia sempre,l'amore
ha vinto sulla paura. Tenetevi pronti perché ho
ancora molto (anche questo è un eufemismo!) da scrivere e
ancora molto dovrà succedere...diverse situazioni si
svilupperanno,ed alcune saranno piacevoli,mentre altre...
Vi
aspetto con ansia nelle recensioni,come al solito,per confrontarci e
discutere della storia...mi raccomando,non mancate!
E
come al solito : al prossimo capitolo! (Ok,mi sto gasando
perché da adesso in poi potrò finalmente lasciar
emergere la mia immaginazione tutta "Brittana")
P.S. Ho scritto
la parte Brittana del capitolo,ascoltando "Say something" di Christina
Aguilera e A Great Big World. Generalmente mi piace scrivere nel
più totale silenzio,ma questa volta ho fatto un'eccezione.
Mi piaceva molto la melodia triste della canzone adattata alla scena
altrettanto triste del capitolo,ed ho pensato che ascoltarla mi avrebbe
aiutata ad entrare ancora di più nel "pezzo"...ok,mi sto
dilungando,ma per farla breve volevo solamente consigliarvi di
accompagnare la lettura con la canzone. Aspetta,adesso che ci penso
avete già letto il capitolo...ok,forse avrei dovuto inserire
questo "consiglio" all'inizio...ops! Vabè, chiudiamola con
un : vi aspetto!
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Capitolo 16 *** Sprazzi di vita ***
BETWEEN THE HUNGRY
Sprazzi di
vita .
Quando
avvertii il rumore dei passi,sussultai. Aprii gli occhi e la vidi.
Sapevo che
sarebbe venuta,eravamo d’accordo,ma non ero mai troppo
rilassata ed i nervi già
tesi di primo pomeriggio,provvedevano a rendermi suscettibile ad ogni
tipo di
rumore.
«Scusi,per
il bagno dove si va?» mi chiese Brittany con quel sorrisetto
che le illuminava
il viso.
Era
raggiante come non l’avevo mai vista,e così lo ero
anch’io. Era trascorsa un’altra
settimana da quella notte,ed in
ogni
istante in cui i respiri nutrivano il mio corpo,non potevo fare a meno
di
ricordarla,sempre vivida come se l’avessi appena vissuta.
«Signorina,credo
che stia sbagliando direzione.» dissi,sorridendo a mia volta
«Per il bagno si
va dall’altra parte».
Me ne stavo
buttata a peso morto contro la corteccia di un albero,a gambe
incrociate sull’umidità
di quella foresta tranquilla. Le fronde di quell’enorme
sequoia si diradavano
abilmente sopra la mia testa,creando un tetto naturale che soltanto a
spizzichi
qua e là lasciavano trapelare i raggi del sole.
«Per
quanto
ancora dovremo comportarci come due quindicenni che si vedono in
segreto?»
Sospirai e
mi sollevai da terra per raggiungerla. Le diedi un piccolo bacio
all’angolo
della bocca e le accarezzai il braccio scoperto.
«Non
è
ancora arrivato il momento,Britt.» ammisi a malincuore
«Lo sai,è successa
quella cosa con Steven e…e non so mio fratello come potrebbe
prenderla».
Lei storse
la bocca e il suo viso si rabbuiò «pensi che
potrebbe essere un problema il
fatto che io sia una ragazza?»
Scossi la
testa «non lo so» affermai,mordendomi un labbro.
Lei
sbuffò e
mi scansò una ciocca di capelli dal viso,poi mi prese per
mano.
«Però
è
buffo,non trovi?» disse,tornando a sorridere.
«Cosa?»
chiesi confusa.
«Che
anche
dopo la fine del mondo ci si debba curare di cose come queste. Voglio
dire…l’umanità è stata
sterminata da quelle “cose” e noi siamo ancora qui
a
preoccuparci di cosa potrebbe pensare la gente di noi due».
Annuii e mi
sforzai di sorridere «lo sai che non è solo per
questo…»
Lei
alzò gli
occhi al cielo e sospirò
«già,c’è Steven».
«E’
solo che
non voglio ferirlo,capisci?E’ stata tutta colpa mia se
è successo quel che è
successo».
Brittany si
irrigidì e smise di parlare. Lo faceva ogni qual volta che
veniva fuori
l’argomento.
«Ehi,»
dissi
ad un soffio dal suo viso,dolcemente «lo sai che è
solo acqua passata. Non
serve che ogni volta torniamo a discuterne,ok?Non
c’è niente da dire».
«D’accordo,»
rispose lei,tornando a guardarmi in viso «ma penso che dovrai
chiarire la
situazione prima o poi…sarà confuso».
«Lo
farò»
risposi,annuendo.
Il vento
fece ballare le fronde della sequoia a suo piacimento e allora un
raggio di
sole illuminò il viso di Brittany. Gli occhi celesti che
ormai sognavo e nel
quale mi perdevo,divennero ancor più chiari e allora mi
scappò un sorriso.
«Che
c’è?»
chiese lei,guardandomi,leggermente accigliata. Sapevo a che pensava.
«E’
che….non
riesco a credere di averti trovata» risposi,osservandola
intensamente.
Lei
sorrise,lusingata
con quel suo finto imbarazzo,ed aumentò la presa tra le
nostre mani.
«Nemmeno
io
riesco a credere di aver trovato te».
Chiusi gli
occhi ed a poggiai le mie labbra sulle sue,morbide e dal sapore di
miele. Le
diedi un piccolissimo bacio,poi mi allontanai lentamente e la guardai
sorridere. Lei mi accarezzò una guancia,con dolcezza,e i
nostri occhi si
specchiarono gli uni negli altri. Azzerammo di nuovo la distanza e
giocammo con le
nostre lingue senza fretta,come se avessimo avuto il bisogno di vivere
a pieno
ogni singolo istante,per paura di perderlo.
«E’
tranquillo qui,mi piace» disse guardandosi intorno.
Annuii
«è un
buon posto per pensare. Sembra che niente sia stato intaccato,che sia
tutto
come prima».
Lei sorrise
«Sì,è vero».
Avevamo
camminato un po’,senza allontanarci troppo,ed avevamo trovato
un tronco sul
quale sederci. Le nostre mani ancora unite,adagiate sul muschio ruvido
che di
tanto in tanto ci solleticava la pelle.
«Che
tipa
eri prima di tutto questo?»
Lei mi
guardò con un’espressione mista tra il divertito
ed il sorpreso «che tipa ero?»
«Sì,»
risposi convinta «com’eri tu e com’era la
tua vita. Voglio sapere tutto di te :
ogni minimo dettaglio».
Lei mi
guardò ancora incuriosita da quella domanda inaspettata,e si
schiarì la voce.
«Ero
un po’
esaurita,a dire il vero».
Risi
«esaurita?»
Lei
annuì
«sempre affaccendata,senza mai un attimo di respiro per
rendermi veramente
conto di come fosse la mia vita. Alle superiori ero piuttosto
invisibile,portavo un paio di occhialoni in celluloide
rossa,l’apparecchio ed
ero…beh,sì,ero molto meno formosa».
Risi ancora
«stai cercando di dire che adesso sei formosa?»
Lei mi diede
una gomitata nelle costole e scoppiò a ridere «non
ho detto questo!Dico solo
che sembravo una tavola da surf,ecco».
«Come
no…» risposi
ironica.
«Ehi,niente
interruzioni!» mi rimproverò con finta
serietà.
Feci segno
di chiudermi la bocca.
«Passai
quattro anni infernali,i peggiori della mia vita. Ogni giorno era una
tortura,ogni mattina quando aprivo gli occhi avevo soltanto voglia di
piangere.
Hai presente quell’angoscia che ti intorpidisce?»
Annuii.
Sapevo bene di cosa stesse parlando.
«Beh,quella
era la mia unica amica. Piuttosto triste,no?» fece una pausa
e
sospirò,improvvisamente presa dai ricordi. «I miei
mi avevano istruita in un
certo modo. Il loro motto era : “Lo studio porta al
successo”. Così tutti i
pomeriggi trascorrevo ore intere sui libri,mentre i miei compagni di
classe si
sballavano fumando marijuana o andando a ballare in discoteca. Ero una
secchiona!Una di quelle che tutti prendevano in giro e che riempivano
di
scherzi sino a portare all’esasperazione».
«Probabilmente
ti avrei presa in giro anch’io se tu fossi stata nella mia
stessa scuola…»
ammisi con amarezza.
Lei mi
sorrise «senz’alcun dubbio. Avevo
un’unica grande passione : la danza. L’ho
sempre amata più di ogni altra cosa,da quando avevo cinque
anni. Nonostante
fossi abbastanza goffa,ero piuttosto brava. Finito il liceo mi ero
illusa che
tutto il mio impegno avrebbe convinto i miei genitori a permettermi di
realizzare
i miei sogni,ma presto mi resi conto che non c’era verso di
cambiarli. Sarà
brutto dirlo dopo averli persi,» ammise con tristezza
«ma ho passato un’intera
vita ad essere oppressa da loro. Obbedivo e basta,senza riuscire a
vivere
realmente. In quattro anni non ho fatto altro che studiare e studiare e
studiare. Non avevo mai baciato nessuno,non ero mai andata ad un ballo
di fine
anno,non avevo mai neppure avuto una vera amica».
«Cavolo»
la
interruppi «è triste…la mia adolescenza
al confronto sembrerebbe la vita di
Lindsay Lohan!»
Brittany
rise «lo immagino.» fece una pausa,e poi
tornò a raccontare «Quando i miei mi
costrinsero a seguire giornalismo alla Columbia,nonostante la
tristezza,iniziò
la mia vera vita. Durante l’estate precedente ero cambiata :
avevo tolto
l’apparecchio,avevo messo su qualche chilo,e avevo tolto
anche gli occhiali».
«In
poche
parole sei diventata una figa!» esclamai,sorridendo.
Brittany
scoppiò in una fragorosa risata. Quel suono melodioso si
unì al cinguettio
degli uccellini,quasi fossero un tutt’uno.
«In
poche
parole sì.» ammise ancora sorridendo
«Stando lontana da casa imparai ad essere
più sciolta,meno impacciata,e tutta quella insicurezza
sparì non appena capii
di essere circondata da delle persone che mi apprezzavano. Non mi
sentii mai libera
come allora,mai. Per l’ennesima volta avevo obbedito ai
miei,ma in un certo
senso diventai autonoma,finalmente».
Le sue
parole risuonavano ancora nella mia mente,quando ebbi voglia di farle
un’altra
domanda. Il desiderio di conoscerla era così forte,che avrei
passato l’intera
giornata a scoprirla e a studiarla,con un solo pensiero nella testa : la amo.
«Così
non
hai avuto una grande vita amorosa,eh?»
Lei mi
guardò e scosse la testa,sorridendo della mia
curiosità.
«Quando
hai
scoperto che…»
«Che
mi
piacciono anche le ragazze?» mi interruppe,togliendomi le
parole di bocca «Non
saprei dirlo con precisione…però
c’è stato un momento in cui ne presi
pienamente coscienza».
Vedendo che
taceva,con lo sguardo basso come fosse imbarazzata e un sorrisetto
timido
stampato sulle labbra,non potei fare a meno di incitarla a parlare
«Racconta!»
Lei scosse
la testa e sempre sorridendo,si portò le mani sul viso.
Vederla in quel modo mi
faceva venire voglia di abbracciarla forte forte o strizzarle
teneramente le
guance. Sembrava un innocente e tenerissimo cucciolo.
«Ti
prego»
la supplicai,congiungendo le mani come in preghiera.
Lei
sbuffò,fingendo di essere contrariata e cedette «e
va bene!»
Risi.
«C’era
questa ragazza che frequentava il mio stesso corso di biologia,si
chiamava Kate
Danko. Aveva delle lunghe gambe chiare e una cascata di capelli neri
che le
incorniciava il viso. Ma quel che mi piaceva di più di
lei,erano i suoi occhi :
di un marrone cioccolato con delle lunghe ciglia nere».
«Gli
occhi,certo…»
Un’altra
gomitata mi colpì alle costole e soffocai una risata.
«Si
era
appena trasferita dal Canada ed era diventata da subito
l’attrazione della
scuola. Sai,i newyorkesi sono abbastanza chiacchieroni. Parlano di ogni
cosa
che non riguardi i fatti loro,e Kate era un’indiscutibile
novità. Passavo le
ore a guardarla. Biologia divenne il mio corso preferito ed ogni volta
che
incrociavo i suoi occhi,mi batteva il cuore all’impazzata. Mi
ero presa una
cotta bella e buona,ma all’inizio credevo fosse soltanto
ammirazione. Pensavo
di desiderare di essere come lei e pensavo che fosse normale che una
persona
così bella avesse un simile effetto su di me.»
fece una pausa e sorrise,come a
voler dire povera illusa «il
bello
venne quando ci ritrovammo per puro caso nella stessa ora di educazione
fisica.
Io,che come un’ebete me ne stavo in disparte a fissarla
mentre giocava a
pallavolo,non riuscii a rivolgere nemmeno una volta la parola. Quando
negli
spogliatoi si cambiò,mi ritrovai a fissarla provando una
strana sensazione che arrivava
dal basso ventre sino alla bocca dello stomaco. Tornai a casa e
cominciai a
fare due più due e alla fine rimasi sconcertata. Nemmeno
immagini quante
paranoie mi sia fatta o quanto abbia sofferto per quella situazione.
Non avevo
nessuno con cui parlarne e sapevo che i miei genitori non
l’avrebbero mai
accettato. Ero…ero a pezzi».
Osservai i
suoi occhi tristi e le ripresi la mano,poi le baciai una guancia.
«Arrivata
al
college conobbi una ragazza. Frequentava buona parte dei miei stessi
corsi e a
dirla tutta era molto amica di Jake. Era di origini italiane ed era
molto,ma
molto bella. Mi chiese di uscire quasi subito,mi
corteggiò,ed io sempre
impacciata e timida non mi spiegavo come una ragazza così
bella desiderasse
uscire con me. Restammo quattro mesi insieme,poi finii per vari motivi.
Fu con
lei che persi la verginità,fu a lei che diedi il mio primo
bacio. Intanto i
miei genitori si chiedevano per quale diavolo di motivo fossi
così felice ogni
volta che andavo a trovarli. Mi facevano battutine e mia madre mi
faceva
l’interrogatorio ogni volta che la chiamavo. Un giorno,mentre
eravamo a
pranzo,dissi semplicemente :”
ma’,pa’…sto con una ragazza!”.
Mio padre cominciò
a tossire e per poco non si sentì male. Mia madre mi disse
semplicemente di non
azzardarmi più a dire certe cose a tavola perché
rischiavo di farli soffocare
con il cibo.» si fermò e rise,scuotendo la testa
«Da quel momento non ne
riparlammo più ed io fui libera di vivere la mia
vita».
«Wow»
ammisi,sorridendo «certo che sei una tipa
interessante,eh?»
Lei fece
spallucce con disinvoltura.
«Sei
stata
anche con dei ragazzi?»
Brittany mi
guardò ed annuì «Poco dopo Sara ho
incontrato Brian,ma è durata un mesetto
scarso. Non ero realmente innamorata e dopo un po’
l’infatuazione sparì. Non
faceva altro che bere e bestemmiare…Dio,era
disgustoso» ammise facendo una
smorfia «ancora non capisco come abbia fatto a mettermi con
lui. C’era una
differenza abissale tra Sara e Brian».
«Del
tipo?»
chiesi,curiosa.
«Sara
era
una persona fantastica. C’era intesa tra di noi,ci capivamo
con uno sguardo e
poi…» si fermò,con un sorrisetto
malizioso «a letto era tutta un’altra
storia».
Risi
compiaciuta da quella sua affermazione «ah
sì?»
Lei si
avvicinò con il viso,annuendo «senza alcun
dubbio».
«Vieni
qui»
le sussurrai,avvicinandomi a mia volta.
Le nostre
labbra si incontrarono,così come le nostre lingue.
Quel bacio però prese
una piega immediatamente diversa. Non era più tenero come
quello di poco
prima,ma disinibito,sfacciato…eccitante. Brittany
adagiò le sue mani sulla mia
schiena e poi scese,sino ad infilarle nel pantalone della tuta,e poi
ancora
nelle mutandine. A quel punto avvertii il desiderio impellente di
possederla in
quel modo,e le mie mani si
insinuarono nella sua
maglietta. Le accarezzai la pelle vellutata,i fianchi,ma non era
abbastanza.
Salii sino ad incontrare i suoi seni e allora strinsi tra le mie mani
le coppe
del reggiseno. Lei gemette sulle mie labbra. La baciai con
più passione di
prima,avvertendo quel desiderio che mi scaldava come un fuoco perenne
ed avvolgente
al basso ventre,e allora lei strinse il tessuto della mia maglietta tra
le
dita,e lo sollevò. Gettò come fosse uno straccio
quell’inutile pezzo di
stoffa e prese a baciarmi il collo. Baciò la mia pelle,la
morse,la succhiò,poi
mi slacciò il reggiseno e scese ancora.
«Britt…»
biascicai,posseduta dal piacere e dall’eccitazione.
Lei non
rispose. Si limitò a scendere tracciando la mia pelle con la
lingua.
«Sei
mia,Santana» disse con voce seducente.
Allora
tremai.
«Sono
tua»
risposi mentre la sua bocca si faceva a mano a mano sempre
più audace.
Divorò
ogni
mio centimetro di pelle. Lo conquistò secondo dopo
secondo,senza paura.
Dapprima il seno,a cui dedicò particolare
attenzione,stuzzicandolo con labbra,denti e lingua. Poi scese ancora
e…ancora e mi calò rapidamente i pantaloni con
un gesto istantaneo e brusco,costringendomi a sollevarmi dal tronco.
Osservò la
mia eccitazione dalla stoffa delle mutandine nere,e baciò il
tessuto mentre
morivo di desiderio.
«Dios
mios»
sussarrai,mordendomi le labbra.
Afferrò
la
stoffa nera tra i denti e,aiutandosi con le mani,scoprì
l’ultima parte di me.
Il fuoco si nascondeva proprio lì,e lei era sia benzina che
acqua.
«Mi
desideri,non è vero?» chiese,come fosse un diavolo
tentatore
venuto dritto dall’inferno per provocarmi.
Annuii,perché
non avrei potuto parlare.
«Voglio
sentire la tua voce».
«S-sì!Ti
desid…ti desidero».
«Bene»
disse
secca.
Non appena
pronunciò quell’unica parola,la sua lingua si
trasformò nel più abile strumento
in grado di regalare piacere. Le infilai le mani tra i capelli biondi
mentre mi
mordevo le labbra incontrollatamente,tra i respiri rapidi ed
insoddisfacenti,e
li spostai dal suo viso. Ma l’eccitazione cresceva assieme al
piacere,ed ogni
parte di me avrebbe voluto urlare quanto diavolo stessi bruciando di
desiderio.
«Oh,merda»
fu l’ultima cosa che riuscii a dire.
Il suono
della natura venne sovrastato da un unico grido liberatorio,che non ero
sicura
fosse mio. Distesi la schiena sopra il tronco,avvertendo la corteccia
ruvida
graffiarmi la pelle,e mi portai le mani sul viso. Brittany percorse la
distanza
tra lo stomaco e il collo con la lingua,rapidamente,e ricongiunse le
sue labbra
con le mie.
«O
mio... Dio»
biascicai,ancora sovrastata da quel piacere intenso che mi aveva
strappato via
ogni traccia di lucidità.
Brittany
rise e disse «te l’avevo detto!Le donne sono le
migliori».
Mi sollevai
appena per guardare quel suo sorrisino sfacciato,e poi ricaddi a peso
morto sul
tronco,ridendo.
Lettori
e lettrici,buonasera (o buongiorno o buon pomeriggio)!
Come
avete potuto notare,questo è un capitolo interamente
dedicato al "Brittana" e mi auguro con tutta me stessa che vi sia
piaciuto. E' molto semplice,ed è come se le due protagoniste
siano avvolte da un velo protettivo che le isola da tutto quel che
hanno intorno. Era questo il mio scopo : fare una pausa dal mondo
brutale nel quale la vicenda si svolge,e dedicarmi a quest'amore in
piena nascita,molto protettente. Dunque,senza annoiarvi troppo,vi
chiedo come al solito di scrivermi nelle recensioni tutto quel che
pensate,senza alcun timore o freno. Non vi mangio mica,eh!
ATTENZIONE
: dal prossimo capitolo vedremo delle evoluzioni fondamentali per la
storia. Qualcosa di grosso succederà,e spero che voi
continuiate a farmi compagnia sempre presi e incuriositi come mi auguro
che siate.
Beh,allora
non mancate!Ringrazio tutti coloro che hanno deciso di seguire questa
folle storia e coloro che decideranno di seguirla. Un grazie speciale
va alle meravigliose persone che mi hanno supportata sino ad oggi
recensendo,e spingendomi di capitolo in capitolo nel cercare di
migliorare,sempre con passione.
Alla prossima!Vi aspetto...
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Capitolo 17 *** Alessandra Monroe ***
capitolo
BETWEEN
THE HUNGRY
Alessandra
Monroe
Camminavamo
nella foresta mano nella
mano. I nostri pensieri vagabondavano in un silenzio composto solo
dal cinguettio degli uccellini e dal rumore delle fronde degli alberi
smosse dal vento. Era arrivato il momento di tornare al campo e a
malincuore camminavamo,con la mente ancora ferma in una fotografia
che sapeva di felicità nascosta. Io e Brittany avevamo fatto
l'amore,di nuovo. La terra umida del nostro piccolo nido sapeva
ancora dei nostri odori fusi,delle nostre labbra congiunte,e dei
nostri sospiri fugaci. Ogni volta che la sfioravo,ogni volta che
toccavo quelle labbra morbide o assaporavo la sua pelle,sentivo nel
petto tutto l'amore che provavo. Non c'era niente di più
giusto in
quel mondo che non ci meritava.
Le
accarezzai il dorso della mano con
il pollice,lei mi guardò e sorrise.
«Sono
felice»
disse,continuando a guardarmi con quell'aria estasiata.
Smisi
di camminare e le baciai una guancia,poi lei mi attirò a
sé con delicatezza,e poggiò le sue labbra sulle
mie.
«Ti
amo. Sei tutto quello che ho,adesso».
Mi
spostò una ciocca di capelli ed i nostri occhi si
incontrarono «ti
amo»
rispose lei,accarezzandomi una guancia «e
sei tutto quello che ho».
Ci
baciammo a lungo,sebbene fossero ore ormai che eravamo lontane dal
campo. Gli altri cominciavano sicuramente a preoccuparsi della nostra
assenza,così ricominciammo a camminare a passo svelto. Il
tetto
naturale sopra le nostre teste finì,e i nostri occhi si
spostarono
sulle tende poste in quell'immenso prato verde.
«I
nostri bisogni durano ore»
disse lei,ridendo.
Risi
anch'io «colpa
di quello schifo di cibo».
Mentre
ancora scrutavo il nostro piccolo accampamento,mi accorsi di una cosa
: il wrangler non era più lì. Controllai
più e più volte,sotto lo
sguardo confuso di Brittany,e poi conclusi che non ve n'era traccia.
Sentii il cuore balzarmi in gola e poi,in uno scatto improvviso,le
mie gambe cominciarono a muoversi rapidissime,in preda ad una paura
tremenda ed improvvisa. Brittany corse con me,senza fare domande,e
prima ancora che potessi realizzare qualsiasi altra cosa,ci
ritrovammo di fronte il gazebo,dove tutti erano radunati. Non proprio
tutti.
«Merda!Non
ci posso credere...non ci credo!» urlò Steven
disperato agitandosi
davanti il tavolino,con le mani sul viso.
Il
ragazzo neppure si era reso conto della nostra presenza,anzi,a dire
il vero non se n'era reso conto nessuno. Tutti guardavano Steven
aspettandosi qualcosa,ma non vedevano altro che la rabbia e il panico
che lo facevano muovere convulsamente,soffocato dalla preoccupazione.
Io e Brittany ci guardammo in faccia,con la stessa espressione
confusa e il respiro affannato,e ci avvicinammo di più al
gruppo.
«Siete
qui!» esclamò Steven,sorpreso.
«Dov'è
il Wrangler?»
Il
ragazzo scosse la testa e battè forte la mano sul tavolo,in
un impeto d'ira.
Le pistole sobbalzarono.
«Mia
sorella...» disse,facendosi scrocchiare le dita e stringendo
il
pugno con forza.
Guardai
quei volti di nuovo. C'erano Lucas,Noah e Steven. Soltanto tre...
«Alex?»
domandai accigliata.
Steven
annuì con forza e si passò di nuovo una mano sul
viso «mi ha
fregato le chiavi!» urlò,colpendo di nuovo il
tavolino.
Lucas
si allontanò dal ragazzo e si avvicinò a me. Gli
presi la mano.
«Che
gli hai detto,eh?!» urlò
Noah,furioso,avvicinandosi minacciosamente
all'altro «scommetto che l'hai sfinita con quella storia del
supermarket e adesso è piena di sensi di colpa» si
avvicinò
ancora. Era nero in
viso,ed i suoi occhi erano iniettati di sangue. «Se tutta
questa
storia è colpa tua,io..»
Steven
scosse la testa,disperato «tu non capisci!Non sai di cosa
stai
parlando».
La
rabbia sul viso di Noah si spense improvvisamente e guardò
il
ragazzo confuso «che intendi dire?»
Steven
si allontanò dal tavolo e cominciò a camminare
avanti e
indietro,torturandosi le mani. «Voi non sapete chi sia
Alex,nemmeno
immaginate...» si interruppe e continuò a scuotere
la testa,come un
folle «non capite..non sapete niente»
blaterò tra sé e sé.
Aumentai
la presa sulla mano di Lucas.
«Cosa?!Cos'è
che non sappiamo,Steven?!» gridò Noah,furioso.
Il
ragazzo smise di camminare,si voltò e ci guardò.
Sul suo viso c'era
dolore,disperazione,preoccupazione,paura,panico...ma fu quando mi
concentrai sui suoi occhi pieni di lacrime che avvertii quelle sue
stesse emozioni assalirmi in un mix devastante.
«Alex
è un'ex tossicodipendente. Mia sorella è un'ex
drogata e adesso è
andata in cerca della sua dose» disse con un filo di voce.
ALEX
Mi sentivo male.
Ogni singolo muscolo del mio corpo tremava. Non riuscivo a tenere le
mani sul volante e di tanto la macchina mi scappava a destra o a
sinistra,senza che lo volessi. Mi asciugai il sudore sulla fronte e
tornai a concentrarmi sulla strada. Non riuscivo neppure a
respirare,non riuscivo a stare ferma,ma ogni volta che mi
muovevo,avvertivo una fitta allo stomaco e ricominciavo a battere i
denti per il freddo. Non sapevo dove stessi andando,non sapevo...non
ero abbastanza concentrata. La strada pareva muoversi davanti i miei
occhi,ed io non riuscivo a tenere la macchina dritta,senza che
sbandassi. Un affamato apparve in lontananza,vicino ad una di quelle
villette colorate,che stonavano in mezzo al grigio nelle quali erano
immerse. Battei i denti di nuovo e feci un respiro profondo. Guardai
il volante e le mie mani. Il tremore era aumentato. Mi sentivo male.
Perché ero lì? Scossi la testa quando quella
domanda mi folgorò.
Qualsiasi cosa sarebbe andata
bene,qualsiasi!Antidepressivi,Ecstasy,Ketamina,Cocaina...qualunque
cosa. Poi,mentre osservavo quell'affamato divenire sempre
più vicino
e allo stesso tempo più sfocato,ricordai.
Tutto era cominciato quando ancora
guardavo il mondo con gli occhi ingenui
di una ragazzina. Mio padre mi ripeteva sempre che New York
era
pericolosa. Peccato che non fosse mai presente nel momento
in cui
avevo bisogno di sentire quelle parole. Era un famoso avvocato,il
più
famoso divorzista di tutta New York e,come tale,si ritrovava spesso a
viaggiare ed era totalmente assorto dal lavoro. Mia madre,invece,aveva
ereditato una fortuna dal suo precedente divorzio durato solo
pochi mesi quando ancora era una donna dalla bellezza vivida e
naturale,e non faceva altro che spendere e spendere,e ancora
spendere,per vivere nella più completa agiatezza. Andava dal
chirurgo,organizzava viaggi alle Spa con le sue amiche sposate con
importanti imprenditori,e poi partecipava a
brunch,feste,inaugurazioni...a tutto,meno che alla mia vita. Spesso
usciva di casa ed io neppure sapevo il motivo,non che mi
interessasse in fondo. Dall'età di quattordici anni avevo
imparato a
cavarmela da sola. Mio fratello si era arruolato come marine non
appena aveva compiuto vent'anni,insoddisfatto della vita al college,e
così ero rimasta sola. Sola in un attico enorme,sola con la
mia
solitudine ed un senso incolmabile di vuoto. Non appena iniziai il
liceo,molte cose cambiarono piuttosto rapidamente. Mi resi conto di
aver messo piede in un mondo completamente diverso da quello che
conoscevo. Il liceo,infatti,era un mondo a sé stante,un
universo
parallelo tanto allettante,quanto pericoloso. Imparai che cose come
la popolarità,la moda ed i ragazzi erano di primaria
importanza.
Imparai che per sopravvivere,bisognava annullare la
personalità e
cedere all'omologazione. Imparai che il tuo cognome era un marchio,un
timbro,un biglietto di entrata. Ogni cosa era sbagliata,me ne rendevo
conto,ma ben presto l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio e
lentamente le cose mi sfuggirono di mano,mentre ero ancora convinta di
avere il
pieno controllo della mia vita. Quando conobbi Carly,che mi
salutò
per la prima volta complimentandosi per il mio modo di
vestire,credetti che da quel momento in poi non sarei più
rimasta sola. Nel
mio attico c'era posto anche per lei e la sua gente,ed il mio cuore
aveva immediato bisogno di essere curato.
Cominciammo ad
uscire. I ragazzi più ricchi e popolari della
città ci invitavano a
delle feste favolose. In una di quelle conobbi Ryan. Era il figlio di
un petroliere,ed aveva i capelli ricci e di un biondo cenere che
portava ribelli,ad incorniciare il viso su cui spiccavano due grandi
occhi verdi. Quella sera Carly mi ripeté più
volte che Ryan mi
aveva puntato e che non potevo farmelo scappare. Era l'ennesimo
biglietto di entrata in quella società
malsana,così,quando lui mi
guardò con quei suoi occhioni intensi e mi sorrise,fui
costretta a
sorridere a mia volta. Parlammo della scuola,parlammo dello
sport,delle feste,dei nostri genitori e poi bevemmo. Bevvi una bud,e
tre shot di tequila. La vista divenne improvvisamente offuscata,i
rumori distanti,ed i suoi baci insistenti. Mi trascinò in
una camera
al piano di sopra,e poi lo facemmo. Persi la verginità a
quattordici
anni,con la confusione che mescolava i miei pensieri incoerenti,e
l'alcool che scorreva impetuoso nelle mie vene. Quando tornai a casa
alle quattro del mattino e guardai il cellulare,mi accorsi di non
aver ricevuto neppure una chiamata. Mia madre non era nel suo
letto,mio padre era in viaggio chissà dove e con chi,ed il
mio
letto era freddo,gelido come il mio cuore. Mi obbligai a non
piangere,mi costrinsi a vedere il lato positivo delle cose,ma il
groppo che avevo in gola non aveva intenzione di lasciarmi
respirare e mi riaddormentai nella più completa
solitudine,cercando
di ricordare degli sprazzi di quella serata. Brian neppure mi
guardò
quando tornammo a scuola il lunedì successivo,e non aveva
intenzione
di farlo. Io lo osservavo di sottecchi,mentre scherzava con i suoi
amici,ed avvertivo un peso opprimente al petto. Cosa gli sarebbe
costato salutarmi,o scambiare due chiacchere come fossimo buoni
amici?Me lo chiesi spesso,ma smisi non appena capii che non valesse
la pena concentrarmi su una cosa così inutile. Capii che era
così
che funzionavano le cose. Carly mi disse che comunque fosse andata,mi
ero portata a letto un invidiabile bocconcino,uno dei ragazzi
più
desiderabili di tutto l'istituto. Fui costretta ad arrendermi a
quell'idea e,soltanto un mese dopo,mi ritrovai ad un'ennesima
festa,con diversi occhi puntati addosso e sorrisi rivolti con una
malizia disarmante. Quella sera bevvi più del solito. Mio
padre mi
aveva chiamata qualche ora prima e mi aveva detto che non sarebbe
tornato per il fine settimana perché era troppo impegnato
con un
caso di divorzio che valeva milioni di dollari. Mandai giù
diversi
shot di vodka alla pesca,poi qualche Manhattan ed altri cocktail di
cui non ricordai neppure il nome. Mi voltai dal bancone del bar,e
vidi Alan Harryson che mi fissava con due piccoli occhi arrossati.
Era così fatto,che a stento riusciva a reggersi in piedi.
Lui mi
raggiunse,con quell'aspetto disorientato,e dopo qualche chiacchera
malriuscita me ne andai via sulla sua limousine,per continuare la
festa nella sua villa da ultra milionario. Quando tornai a casa alle
nove del mattino,dopo aver vomitato anche l'anima in quel lussuoso
water,mia madre era in piedi.
«Ciao» mi
disse,sorridente «dove sei stata?»
Io la guardai con
un'espressione fredda e le risposi «ho dormito da
un'amica».
Lei continuò a
guardarmi,persa chissà in quale futile pensiero,e mi rispose
semplicemente «hai un aspetto terribile. Perché
non vai a farti una
doccia e non prendi un paio di aspirine?»
Neppure le risposi.
Corsi un camera mia e mi chiusi dentro,aspettando che Carly mi
chiamasse per programmare la nostra prossima serata.
Poi,però,le cose
degenerarono.
Le feste divennero
sempre più frequenti al crescere della nostra
popolarità e l'alcol
divenne senz'alcun dubbio il mio migliore amico. Cominciavano a non
bastarmi le sbronze in compagnia di qualche ragazzo e senza che me ne
rendessi conto,il sesso divenne l'unico sfogo che avessi. Ma a
nessuno importava di come usassi il tempo libero,a nessuno
interessava quanto bevessi o a che ora tornassi. L'importante era
avere un bell'aspetto,conversare come una donna matura con le amiche
della mamma,e sorridere fingendo di stare bene. Con mio padre
sorridevo sempre. Ogni volta che raccontava com'era andato il suo
ultimo divorzio,io sorridevo e mi complimentavo. E quando si chiudeva
nel suo ufficio per parlare al telefono o usciva di casa avvisando di
avere un importante impegno da sbrigare,correvo nel suo ufficio e
bevevo whisky fino a che non mi girava la testa. Sapevo che era
sbagliato,lo sapevo,ma faceva male. Faceva male respirare,sorridere o
parlare. Faceva male baciare un ragazzo che neppure ricordava il mio
nome,faceva male la mattina dopo quando mi svegliavo in qualche casa
sconosciuta,con la testa che mi lampava. Ma a nessuno importava chi
fosse realmente Alessandra Monroe o quale fosse la sua vita. A nessuno
importava cosa provasse o cosa pensasse. Alex era una ragazza
popolare,la figlia di Nathan Monroe,il più famoso e ricco
avvocato
divorzista.
Una sera,mentre
tenevo tra le mani una bottiglia fredda di champagne ed osservavo gli
altri ragazzi ballare,Carly mi presentò Troy. Era all'ultimo
anno e
quando passava per i corridoi della scuola,tutti,ma proprio tutti,lo
salutavano. Carly mi disse che quella sera Troy ci avrebbe fatte
divertire. Io pensai che avremmo fatto sesso con lui,e invece la
serata volse diversamente. Mentre bevevo lo champagne
direttamente dalla bottiglia,Troy tirò fuori una busta con
delle
pasticche.
«Che roba
è?»
chiesi improvvisamente allarmata,sforzandomi di mettere a fuoco la
sua immagine.
Carly mi sorrise e
mi disse di stare tranquilla e che quella sera ce la saremmo spassata
come non mai.
«Ecstasy» rispose
il ragazzo tirando fuori dalla busta tre pasticche
«è roba
buona,credimi. Ne hai mai provata una?»
Scossi la
testa,guardandolo confusa.
«Sono ottime per
godersi la serata. Sono innocue,credimi. Ti sgombrano la mente e ti
sballano di brutto» mi rassicurò lui con
tranquillità,come se
stesse spiegando gli ingredienti di una torta.
Poi capii : Troy era
un pusher. Lo guardai un'ultima
volta,guardai Carly che mi incitava con lo sguardo,e ingoiai la
pasticca con lo champagne,senza pensarci più.
Lentamente,senza
rendermene conto,quel mondo malsano inglobò la mia vita a
sé.
Divenne parte costituente,fondamentale ed insostituibile. Sesso,droga
e alcol. Sesso,droga e alcol. E poi ancora : sesso,droga e alcol.
Una mattina,quando
tornai a casa dopo aver passato la notte a fumare marijuana,fatta di
ecstasy e su di giri per l'alcol,mi madre mi bloccò sulla
soglia
d'entrata.
«Dove sei stata?»
mi chiese,accigliata.
Mi passai le mani
sul viso dall'aspetto cadaverico,e mi sforzai di ignorare la nausea
che mi metteva in subbuglio lo stomaco.
«Da Carly» risposi
fredda.
Lei esaminò il mio
viso con apparente cura,ed indurì l'espressione
«non mi piace come
ti comporti ultimamente,Alessandra».
La guardai
sconvolta. Era mia madre o una sosia?
«Hai rovinato la
festa di bentornato che avevo organizzato per Lydia».
Poi ricordai,con un
sorriso amaro ed ebbi la risposta alla mia domanda.
Io,Carly,Tracy,Troy e Wren avevamo preso tutte le bottiglie di
champagne e ce l'eravamo svignata,lasciando la festa priva
dell'elemento più importante.
«Non succederà
più» risposi secca.
Lei mi sorrise,con
quell'aria da svampita,ed io salii in camera mia.
Le cose,ogni
cosa,continuava imperterrita a portare dolore nella mia vita. La
solitudine non spariva né con le amicizie,né con
il sesso. Mio
fratello,il mio migliore amico,non c'era e nulla,ma proprio nulla
riusciva a colmare il vuoto nel mio petto. Così,una
mattina,prima di
andare a scuola,con un'ansia crescente che si impadroniva del mio
corpo,decisi.
Troy mi guardò
ancora una volta,prima di sganciare la busta che teneva in mano.
«Sta' tranquillo!»
tentai di rassicurarlo «lo sai che non esagererò.
Quante volte devo
ripetertelo?»
Lui continuò ad
osservarmi,accigliato,ed alzò gli occhi al cielo
«non mi piace che
tu usi questa roba. Conosco delle persone che sono finite male. Che
ne dici se ti do quelle pasticche che hai provato al Webster?Sono
ottime. Oppure ho anche quel...»
«Ma che cazzo!»
esclamai stufa «La smetti di comportarti come se fossi il mio
ragazzo?Ho i soldi. Dammi quella roba e facciamola finita».
Lui sbuffò
«Alex...»
«No».
Mi porse la busta
arancione controvoglia,e quando feci per prenderla,lui
continuò a
fare resistenza.
«Troy!» esclamai
alterata «Molla questa cazzo di busta!»
Sbuffò di nuovo e
poi obbedì.
Presi la busta,la
infilai alla svelta nello zaino,e ne presi un'altra.
«Ecco i tuoi soldi»
dissi secca,lanciandogliela addosso.
Mi voltai e
rincominciai a camminare.
«Alex!» mi
chiamò
lui.
Non mi voltai.
«Fa' attenzione!»
Quando
tornai a casa,mi accorsi che era vuota,di nuovo. Salii in camera mia
e mi sedetti sul letto,con la busta tra le mani. Non potevo finire di
complicarmi la vita in quel modo,eppure,allo stesso tempo, sapevo che
sarebbe diventata ancora più semplice. Non provare
niente,non
sentire alcuna emozione,se non l'euforia che la droga o l'alcol mi
davano,limitava la mia vita,ed in fondo era quello che volevo. Non
ero altro che un involucro triste e vuoto,privo di sentimenti,con un
cuore gelido e un petto scavato. Quando stavo per mettere via la
busta,il telefono squillò. Lessi il nome sul display,con la
speranza
che fosse mio padre,ed invece vidi il nome di Sam Bukley. Il mondo mi
crollò addosso,per l'ennesima volta. A scuola si era diffusa
la voce
che fossi una facile e,in men che non si dica,i ragazzi cominciarono
a provarci spudoratamente con me,in ogni situazione,soltanto per
portarmi a letto. Sam era uno di quelli,e non era mio padre. Con
l'amaro in bocca spensi il display del cellulare e mi portai le mani
sul viso. Sam non era mio padre. Mia madre non c'era,mio fratello
nemmeno. Fu nella solitudine che mi aveva accompagnata sino ad
allora,come una morsa soffocante e un peso opprimente sul petto,che
sniffai la mia prima striscia di cocaina. I granelli di polvere
guizzarono rapidi come un fulmine su per la narice,e,nel momento
stesso in cui mi resi conto di esser semplice carne priva di vita ed
animata solo dalla disperazione,piansi.
Scossi
la testa per scacciare via quegli stupidi ricordi. Non importava chi
ero o quale fosse la mia storia. In quel momento,avevo un solo
pensiero nella testa : devo
trovarla. Fermai il wrangler di fronte ad
una di quelle villette e le mie mani tremolanti spensero il motore.
Mi guardai allo specchietto e non vidi altro che un viso pallido e
bianco come il latte,la pelle al di sotto degli occhi livida ed
incavata,e numerose gocce di sudore sulla fronte. Battei i denti.
Dovevo trovarla. Aprii lo sportello a fatica,e sentii i muscoli delle
braccia cedere,privi di forze. Richiusi lo sportello e mi guardai
intorno. Avevo la sensazione che sarebbe finita male. Avvertivo quel
velo di oscuro avvolgermi,come se fosse stato un avviso sussurrato
nel silenzio della morte. Chiusi gli occhi e respirai a pieni
polmoni. Tremai di nuovo. Dovevo trovarla. Quando li riaprii,il cuore
mi balzò nel petto.
«Sono
morta...» biascicai,con le parole che mi si strozzarono in
gola.
Dalla
fine della strada,stavano arrivando. Decine di teste ricoperte da una
pelle grigiastra e marcia,apparvero all'orizzonte,accompagnate
dall'indistinguibile suono della fine. Avrei dovuto smetterla di
complicarmi la vita. Avrei dovuto finirla,eppure niente risultava
più
astratto nella mia mente. Sarei morta per la seconda volta,per mano
dello stesso assassino. Per la seconda volta,sarei morta da sola.
«O mio Dio».
Ed
eccoci qui,di nuovo. Vi chiedo davvero scusa per il ritardo,ma i
temporali estivi sono micidiali e mi hanno mandato il modem K.O. Spero
davvero di non avervi deluso,ma mi
sembrava necessario un capitolo che spiegasse la storia di Alex,che
è
probabilmente il personaggio più misterioso della
fanfiction. Era giusto
darle spessore,ed era giusto farvi leggere un pezzetto di lei. Forse
è stato azzardato,forse no. E' un personaggio a cui tengo
particolarmente e capirete in futuro il perché. Adesso
diverse cose
si spiegano,come il suo aspetto particolarmente preoccupante che
aveva notato Santana,i suoi atteggiamenti,ma anche la storia del
supermarket che verrà ripresa nel prossimo capitolo. Beh,che
dirvi?Il prossimo capitolo sarà molto molto intenso e
particolarmente impegnativo. State pronti,perchè
succederà qualcosa
di importante (è un eufemismo) per lo svolgimento della
storia.
Con
la speranza che abbiate gradito questo mio ultimo lavoro,vi aspetto
nelle recensioni,come sempre. Vi ringrazio per il vostro supporto
costante e per la carica che mi date.
Alla
prossima!
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Capitolo 18 *** L'Eroe silenzioso ***
BETWEEN
THE HUNGRY
L'Eroe
silenzioso .
Non
avevo mai pensato che una ragazza come Alex potesse portare sulle
spalle una storia con un simile peso. Steven,con l'aria ancora
palesemente sconvolta,cominciò a raccontare ed ogni singolo
sguardo
era rivolto verso di lui,attento,mentre ascoltavamo le sue parole.
«New
York era una città pericolosa.»
iniziò,con la voce triste e
malinconica «Non come adesso,ma ugualmente pericolosa. Mio
padre era
un famoso avvocato divorzista e mia madre una donna che per tutta la
vita ha finto di non vedere i problemi della nostra
famiglia.» fece
una pausa,amareggiato. «Crescemmo nel lusso. Frequentammo
entrambi
delle scuole private,ed i nostri genitori avevano già
stabilito il
nostro futuro dal momento in cui eravamo stati messi al
mondo.»
Brittany annuì rattristata come se sapesse di cosa stava
parlando.
«Finito il liceo,i miei decisero di iscrivermi alla Brown.
Rimasi in silenzio per tre anni. Se avessi resistito un ultimo
anno,mi sarei laureato. Ma quello non era il mio ambiente,non era il
mio sogno,e così un giorno tornai a casa e dissi ai miei che
la mia
vita al college finiva lì. Alex mi stringeva la mano mentre
raccontavo quale fosse il mio vero sogno,e dopo poco i miei smisero
di guardarmi in faccia. Avevo quasi ventun'anni,e potevo scegliere da
solo il mio futuro. Mi arruolai nei Marines pochi mesi dopo,nonostante
la disapprovazione dei miei genitori,e da lì
cominciò la mia
vera vita. Era quello che avevo sempre desiderato,era l'ambiente che
amavo ed era giusto per me. Fui egoista,adesso lo so,perché
trascurai un dettaglio : Alex. Il nostro rapporto è sempre
stato
molto affiatato : eravamo fratelli e migliori amici. Era l'unica
persona al mondo con cui fossi mai riuscito ad aprirmi completamente.
Le raccontavo ogni pensiero,ogni emozione,ogni piccolo dettaglio
della mia vita,ma quando me ne andai per cominciare
l'addestramento,lei restò sola. Ogni volta che la
chiamavo,non
faceva altro che ripetermi che per lei le cose andavano alla grande.
Mi raccontava di come si fosse inserita bene in un ambiente come il
liceo,o di come fossero fantastici i suoi amici,o dei ragazzi per cui
aveva una cotta. Tutte bugie. Quando tornai a casa il Natale di due
anni dopo,scoprii tutta la verità. Quel giorno Alex era
strana,ed io
pensai che fosse un po' su di giri per via dello champagne che la
mamma aveva messo a tavola. Ai miei occhi appariva come un'estranea.
Aveva perso diversi chili,ed il suo viso era pallido ed ossuto. Le
chiesi se fosse tutto ok e lei mi rispose di sì,sorridendo.
A quel
punto capii che c'era qualcosa che non andava,qualcosa di sbagliato.
Mia sorella è sempre stato un libro aperto per me,e dalla
sua
espressione mi insospettii. Mentre parlava al telefono,corsi in
camera sua e cominciai a frugare tra i vestiti nell'armadio,in ogni
mobile,sotto il letto,però non trovai nulla. Quando ero sul
punto di
andarmene,adocchiai la sua borsa appoggiata sulla scrivania.
Cominciai a frugare anche lì dentro e,in una tasca
interna,trovai
una busta piena di cocaina. Mi mancò il fiato. Mi sentivo
male. Mia
sorella,la persona più importante della mia vita,si drogava.
Tornai
in cucina con la busta in mano,mentre ancora parlava al telefono,e
tirai un calcio alla sedia. Ero furioso. Potreste pensare che fossi
furioso per lo sbaglio che stava commettendo,ma in verità lo
ero
perché lei mi aveva tenuto allo scuro di tutto. Io ero il
suo
confidente,il suo migliore amico,e lei mi aveva ingannato. Alex si
voltò a guardare la sedia che era stata sbalzata in aria,e
poi mi
guardò,confusa. Quando mi osservò meglio,si
accorse che stringevo
tra le mani la bustina. Le cadde il telefono di mano e
sgranò gli
occhi,sconvolta. Non si aspettava che qualcuno l'avrebbe scoperta. I
miei ancora si chiedevano che cosa stesse
succedendo,così,senza aver
detto ancora una parola,lanciai la busta sul tavolo. Sapete cosa
disse mia madre?Le disse : “scommetto che non è
tua,vero cara?”.
Mi
presi una pausa dal servizio per starle vicino,e la convinsi ad
andare in un centro di riabilitazione. Ci stette per sei
mesi,perdendo la scuola ed ogni amicizia che aveva avuto sino ad
allora. Aveva solo sedici anni,maledizione!Non potevo pensarci,non
potevo soffermarmi su quel dettaglio,perché mi sarei sentito
male.
Quando uscì,le cose sembrarono essersi sistemate. Io tornai
al mio
lavoro e lei ricominciò la sua vita da zero,lontana da ogni
tentazione. Quando si diplomò,i miei cercarono di spedirla
alla
Cornell,ma lei,come me,non voleva andare al college,così
fece un
patto con loro. Se le avessero concesso un anno sabbatico,con un bel
viaggio in Messico,lei si sarebbe iscritta l'anno successivo. I miei
accettarono. Partì per il Messico con Meredith,una ragazza
di
Brooklyn che spese tutti i suoi risparmi per quel
viaggio,anziché
per andare al college. Alex mi disse che era una brava ragazza e che
non dovevo preoccuparmi,perché erano passati anni da
quell'accaduto
e che adesso stava bene. Mi lasciai convincere. Pochi mesi dopo,Alex
mi chiamò. Mi chiese se avessi quarantamila dollari da
prestarle e
mi disse che me li avrebbe restituiti. Capii che si era cacciata
un'altra
volta nei guai e mollai tutto per andare a prenderla. Lei e Meredith
si erano incasinate con dei trafficanti di droga del posto,e avevano
bisogno di soldi. Sapevo che sarebbe successo,prima o poi. Avevo
sempre avuto dentro quella brutta sensazione,ma mi ero costretto ad
ignorarla. Diedi i soldi
a quei tizi e trascinai Alex via da lì. Meredith non ebbe
intenzione
di seguirci. Chiamai mio padre e gli dissi che Alex ci era ricaduta
di nuovo,ed eravamo d'accordo per rispedirla in rehab. Poco dopo mia
madre mi
chiamò e mi disse che non fosse necessario,che Alex sarebbe
tornata
a casa e si sarebbe iscritta alla Cornell,come lei aveva deciso.
Rimanevo sempre sconvolto per il menefreghismo dei miei,ma quella
volta era troppo. Era giunto il momento di mettere le cose in
chiaro,e di sbattere in faccia a mia madre lo stato cadaverico di mia
sorella. Possibile che non si accorgesse di quanto fosse grave la
situazione?Possibile che non si rendesse conto di che razza di madre
era?Possibile che non capisse che mia sorella,a soli sedici anni,era
finita in riabilitazione,e che stava per tornarci?Ero stufo. Ero
stufo di quella situazione,ero stufo di vedere mia sorella ridotta
uno straccio dopo aver trascorso mesi ad autodistruggersi,ed ero stufo
di vedere mia madre
sorriderle,evitando di guardarla negli occhi. Volevo raggiungere New
York per farla finita. Io ed Alex ci saremmo staccati da quella
famiglia,e da quel momento in poi mia sorella sarebbe rimasta sotto
il mio controllo,ed avrebbe obbedito alle mie decisioni. Come ben
sapete,durante il viaggio di ritorno accadde quel che accadde. Io
avevo portato con me una pistola,intuendo il tipo di pasticci nei
quali Alex si era cacciata,e lei se l'era procurata sul
posto,preoccupata per la sua incolumità. All'improvviso il
problema
della droga passò in secondo piano. Per le strade
cominciavano a
spuntare quelle cose e cominciarono a fare una strage. Promisi ad
Alex che saremmo riusciti a raggiungere New York e che saremmo
rimasti insieme ad ogni costo. Lei mi guardò negli occhi e
mi disse
che la droga non avrebbe più fatto parte della sua vita. Con
quella
situazione che si stava scatenando,fui costretto a crederle. Mi
sembrava lucida,normale come quella di un tempo. Ma credo che fino ad
oggi abbia continuato a far uso di cocaina,che se la sia procurata da
qualche parte durante il nostro viaggio o che addirittura se la sia
portata dal Messico. Io...io non riesco a credere di non essermi reso
conto di niente» disse disperato,mentre la prima lacrima
prendeva a
rigargli il viso «gli affamati potrebbero averla
già uccisa o
potrebbe essere in pericolo. Potrebbe non essere lucida e ...e...ed
io devo ritrovarla. E' mia sorella».
Guardai
quel ragazzo,con gli occhi pieni di lacrime. Provavo sensi di colpa
per averlo usato e tristezza per la storia che avevo appena
ascoltato. Avevo sempre pensato che la mia vita fosse stata
incasinata,avevo sempre pensato che nella vita delle persone si
celasse sempre un briciolo di sofferenza,ma quando immaginavo quella
di Alex,quando immaginavo la sua sofferenza,quella che credevo
facesse parte di ogni singola vita,non mi sembrava altro che
serenità,al confronto con la sua. Brittany scosse la
testa,asciugandosi le lacrime,e Lucas non mi mollava la mano.
«Sistemeremo
ogni cosa.» disse Noah,deciso. «La ritroveremo. Non
permetterò che
nessuno muoia».
Fu
in quel momento che capii che il vecchio Puckerman era tornato e ci
avrebbe prestato un po' della sua forza.
«Alex
è tutta la mia vita» disse Steven,tra i singhiozzi
«è l'unica
cosa che conta,per me».
Mentre
guardavo il ragazzo,asciugarsi le lacrime,disperato,capii fino in
fondo le sue parole. Mi voltai verso Lucas e gli accarezzai un
braccio,poi verso Brittany,che strinsi tra le mie braccia con
affetto.
«Amico,la
ritroveremo» affermò Noah con convinzione
«dovesse essere l'ultima
cosa che faccio».
Infilai
stivale,e
Infilai il coltello nello stivale e mi costrinsi a
respirare. Era pericoloso e
non riuscivo a togliermi quel pensiero dalla testa. Alex aveva
preso una delle pistole,così eravamo parecchio a corto di
armi. Noah
impugnava il fucile,pronto ad incamminarsi,e Steven stringeva tra le
mani l'unica pistola,con lo sguardo fermo e deciso di chi ha
intenzione di portare a termine la sua missione. Ci saremmo
incamminati a piedi,tra i pericoli di quella piccola cittadina,alla
ricerca di quella ragazza persa in chissà quanta
disperazione.
Nonostante cercassi di soffocarla,non riuscivo ad evitare che una
sensazione negativa si appropriasse della mia mente. Mi chiedevo come
avremmo fatto a ritrovarla in quella vecchia città in piena
distruzione,con gli affamati che vagabondavano per le strade,alla
ricerca di cibo. Non eravamo abbastanza armati ed ero convinta che la
sola speranza non ci avrebbe salvati da una morte certa. Alex sarebbe
potuta essere già morta,ed avrebbe potuto vagare per le
strade,minacciandoci con le sue grida di fame. Scossi la testa per
eliminare quel pensiero. Dovevo essere pronta. Dovevamo esserlo
tutti.
«Sarà
diretta verso il centro abitato» disse Steven,guardandoci
«è
l'unico posto dove possa trovare della droga. Sarà costretta
a
guardare nelle abitazioni e probabilmente sarà
più pericoloso di
quanto pensiate» fece una pausa «non siete
costretti a seguirmi.
Non lo è nessuno di voi. Non voglio che la vostra vita venga
messa a
repentaglio per colpa dei miei errori. Se non deciderete di
seguirmi,vi capirò» concluse guardandoci serio.
Scossi
la testa «non devi neppure dirlo. Non siamo forse un
gruppo?»
Steven
annuì «Grazie» rispose lui,spostando lo
sguardo sulla pistola.
«Santana
ha ragione. Io ci sto» disse Brittany.
«Non
mi rimangio le promesse. Quando do la mia parola,resta
quella».
«Ci
sto anch'io».
Nel
silenzio composto da numerosi pensieri,ci incamminammo. Attraversammo
il campo che si estendeva per un paio di chilometri,forse anche di
più,e poi ci ritrovammo sulla strada. Nell'osservare
l'asfalto,mi
pentii di non aver chiesto a Lucas e Brittany di restare
all'accampamento. Sapevo che la mia paura sarebbe rimasta costante
all'interno della mia persona,era inevitabile. Allo stesso
tempo,però,sapevo di non poter permettere che succedesse
qualcosa a
nessuno di loro. Come per Steven,sua sorella era la sua vita,per me
loro erano la mia. Restavamo l'uno vicino all'altro,controllando
persino il rumore dei nostri respiri,camminando a passo svelto e
pronti a sfoderare i nostri coltelli o le nostre pistole. La strada
principale che percorrevamo,circondata dalla natura viva del
bosco,portava dritta a Rochester. Ma dovevamo muoverci. La
città
distava un chilometro e mezzo,ed intanto il tempo volava svelto e
quello della fuga di Alex fino a quel momento aumentava. A
metà
strada tre affamati sbucarono dalla vegetazione e si posero davanti a
noi,bloccandoci la via. Si muovevano lentamente,protendendo le
braccia per afferrarci,e ringhiando la loro fame. Noah posò
il
fucile a terra e sfoderò il coltello dalla cinta dei
pantaloni,e lo
stesso fece Steven. Io avanzai per aiutarli,ma prima ancora che
sfoderassi il coltello dallo stivale,i due avevano trapassato il
cranio degli affamati,lasciandoli accasciati a terra. Steven era una
furia. Aveva colpito il primo affamato con un calcio allo
stomaco,mentre Noah aveva tirato a sé il
secondo,afferrandolo per il
collo. Per un attimo credetti che sarebbe stato morso,invece tenne
ferma la mano attorno alla gola della creatura e poi con un gesto
felino gli piantò il coltello nel cranio. Steven aveva fatto
perdere
l'equilibrio all'affamato, poi,senza neppure usare l'arma dalla lama
appuntita,gli aveva spaccato il cranio con un paio di calci. Una
scena disgustosa. Il terzo affamato aveva stretto le mani attorno il
braccio di Steven,Noah era intervenuto e l'aveva scaraventato a
terra con la forza,e gli aveva piantato il coltello in mezzo agli
occhi. I due si guardarono in faccia,riprendendo fiato,si voltarono
per guardare se stessimo bene,e poi,sempre in silenzio,come se non
fosse successo niente di nuovo o di eccezionale,riprendemmo a
camminare a passo svelto. Con l'avvicinarsi alla
città,aumentò la
mia agitazione. Mi guardavo intorno,sempre allerta,preoccupata che
potessimo finire in una trappola bella e buona dalla quale non
saremmo potuti sfuggire. Guardavo Brittany,che ogni tanto mi
fissava,ed odiavo il fatto che non potessi tenerla per mano. Quella
storia non sarebbe durata ancora molto,ne ero già stufa.
L'avrei
stretta tutte le volte che ne avevo voglia,l'avrei baciata ogni qual
volta che ne avessi sentito il desiderio,l'avrei tenuta per mano
tutte le volte che i nostri occhi si fossero incrociati,spaventati.
Perché di vita ce n'era una sola,e neppure sapevamo quando
sarebbe
terminata o in che modo. Potevamo morire tra solo un quarto d'ora o
cinque minuti. Sarebbero potuti sbucare decine di affamati dalla
città o dalla foresta,o da tutt'e due contemporaneamente,e
allora
sarebbe stata la fine. Immaginavo una di quelle cose aggredirmi alle
spalle,e poi un'altra e un'altra ancora,sino a che il loro peso non
mi avrebbe fatta accasciare a terra. Poi avrebbero cominciato a
divorarmi,mentre con gli occhi osservavo Brittany fare la stessa
fine. Rabbrividii e sentii l'immediato bisogno di rifugiarmi nel suo
abbraccio. Le sfiorai la mano di proposito,e lei mi sorrise.
«Ti
amo» le mimai,per non farmi sentire da Lucas poco distante
«qualunque cosa accada».
Gli
angoli della bocca le si piegarono all'insù,e si morse un
labbro.
Potevo scorgere nei suoi occhi il desiderio di baciarmi,lo stesso
desiderio che avevo anch'io.
Raggiungemmo
la città pochi minuti dopo e mi accorsi soltanto allora che
il passo
di Steven,con il passare del tempo,non faceva altro che aumentare.
Fummo costretti ad accelerare anche noi e,quando vidi il primo edificio
grigiastro affiancare la strada,avvertii un peso sullo stomaco. Noah
si voltò e ci sussurrò di seguirlo. Nel frattempo
le nuvole si
addensavano sopra le nostre teste,sempre più grigie,sempre
più
cariche d'acqua. Steven si guardava
intorno,attento,agitato...preoccupato. Abbandonammo la strada che
avevamo percorso sino ad allora e ne prendemmo
un'altra,secondaria,sulla sinistra. Il cuore mi batteva rapido nel
petto e controllavo
dove mettessi i piedi,per evitare di fare rumore. Poi,verso la fine
della strada,li sentimmo. Sbucarono dall'incrocio guardandoci con
quegli occhi vitrei ed accelerarono il passo,aumentando allo stesso
tempo l'intensità dei loro versi. Ne spuntarono cinque,poi
sette,otto,dieci,dodici. Mi voltai e ne vidi altri nella
direzione opposta. Quella era una delle trappole di cui parlavo.
Eravamo
circondati. Eravamo in cinque e loro il triplo. Il mio respiro
divenne corto,il cuore mi esplodeva nel petto,la paura mi divorava e
mi ovattava la testa,come fosse un velo trasparente dal quale
filtravo ogni cosa. Lo scatto all'indietro del carrello di una
pistola mi fece sussultare. Guardai Brittany. Guardai Lucas. Poi
ancora Brittany,poi ancora Lucas. Che cosa dovevamo fare?Come
potevamo uscire da quella situazione?
Noah
e Steven indietreggiarono per guadagnare terreno,ma allo stesso tempo
dall'altro lato della strada ne stavano arrivando altri. Quando vidi
spuntare altre teste da dietro l'angolo,il mio corpo
cominciò a
tremare. Presi la mano di Brittany e la strinsi forte tra le mie
dita. Non volevo lasciarla.
«Cazzo»
borbottò Noah,con il viso contratto in una smorfia dura ed i
muscoli
rigidi come il legno.
Steven
cominciò a sparare alle nostre spalle. Colpì tre
affamati alla
nuca,che caddero a terra,poi continuò a sparare. Noah
impugnò il
fucile saldamente,nonostante gli tremassero le mani,e sparò
a due
affamati,mancandoli alla testa. Avevo paura. In quell'esatto
istante,sapevo che saremmo morti tutti. Sfoderai il coltello dallo
stivale e Brittany fece lo stesso,Lucas ce l'aveva già in
mano. Se
volevamo sopravvivere,dovevamo lottare. In quel momento li guardai,e
fui pronta a farlo.
«Ci
penso io qui dietro!» avvisò Steven,rivolto a Noah
«tu mira a
quelli davanti».
Così
fecero. Il rumore dei colpi sparati,uno dietro l'altro,misto a quello
dei versi,era assordante. Sentivo il frastuono entrarmi nelle
orecchie ed esplodermi nelle tempie. Impugnai il coltello in mano
e,quando il primo affamato mise le mani su Noah,che era intento a
sparare agli altri,lo afferrai dalla maglia logora e lo scaraventai a
terra con uno sgambetto. Gli conficcai il coltello nella fronte con un
gesto pieno di rabbia e mi rialzai. Noah mi ringraziò con
uno
sguardo piuttosto distratto,mentre era intento a mirare alla testa
gli affamati che continuavano ad avvicinarsi. Continuavano ad
arrivare,uno dopo l'altro,attratti dal rumore. Quella strada era
diventato l'inferno sulla terra. Era l'inferno per ognuno di noi.
Brittany e Lucas stavano aiutando Steven a ripulire l'inizio della
strada,quella alle nostre spalle,in modo che potessimo fuggire da
lì
ed allontanarci da quel putiferio. Noah ed io badavamo a quelli
davanti,ma quando il fucile finì le cartucce,ci rendemmo
conto
entrambi che non c'era abbastanza tempo per ricaricare.
«Steven!»
gridò Noah,nel panico.
Tirò
fuori il coltello dalla cinta dei pantaloni e si preparò a
fronteggiare il gruppo. Non potevamo farcela,in due non era
possibile. Steven accorse da noi e guardò dritto di fronte a
sé,con
gli occhi sgranati.
«Sono
troppi. Sto finendo le munizioni. Dobbiamo andarcene,ora!»
Steven
cominciò a sparare,mentre noi altri indietreggiavamo a mano
a mano
che Brittany e Lucas liberavano la strada alle nostre spalle.
Camminavamo troppo lentamente,però,e quell'orda ci avrebbe
inglobati
da un momento all'altro. Scossi la testa,sconvolta. Mi voltai verso
Brittany,che mi guardava a distanza di qualche metro,e notai la
disperazione sul suo viso. Non poteva finire in quel modo,non era
giusto. Le nostre vite,ogni nostro pensiero,ogni nostro
desiderio,ogni nostra emozione o paura...non potevamo morire
lì,come
tante vittime sacrificali,dilaniati da quei mostri. Tutto quello che
avevamo vissuto,tutto quello che avevamo passato,le nostre storie. La
mia storia,quella di Brittany,quella di mio fratello,quella di
Alex,quella di Steven...nessuno avrebbe ricordato le nostre
vite,nessuno avrebbe ricordato i nostri volti o chi eravamo stati.
Tutto sarebbe finito lì,in quella strada grigia,sotto una
coltre di
nuvole minacciose,tra grida di disperazione e speranza che moriva.
Gli occhi azzurri di Brittany mi fissavano,penetrando la paura che si
mischiava nell'aria. Accolsi quello sguardo nel cuore,e pensai che
sarebbe stato l'ultimo che avrei mai visto.
«Ti
amo» le mimai,ancora una volta,con un sorriso triste.
Avevo
voglia di piangere,e forse presto l'avrei fatto. Ma non ero ancora
pronta a lasciar scivolare la vita dalle mie mani,non era giunto il
momento. Contai gli affamati che avevamo davanti : ne erano rimasti
otto.
«Affrontiamoli!»
gridai agli altri.
Continuammo
ad indietreggiare.
«Ho
finito le munizioni!» esclamò Steven,disperato.
Quando
ero convinta che sarebbe finita,Noah si gettò nella mischia.
Aveva
il fucile sorretto in orizzontale in una mano e il coltello
nell'altra. Io e Steven ci guardammo in faccia,sconvolti. Noah
impugnò il fucile per la canna,come con una mazza da
baseball. Due
affamati lo accerchiarono e Steven corse in suo soccorso. Noah
colpì
la testa di uno dei due con il fucile talmente forte,da frantumargli
il cranio. Steven gli tolse di dosso l'altro essere e gli
piantò il
coltello nella nuca. Poi corse da un altro,gli chiuse entrambe le
mani attorno al collo e lo sollevò come fosse fatto di gomma
piuma.
Lo scaraventò a terra con una rabbia mostruosa,e gli
spaccò la
testa con una piedata. Quando però le cose sembravano
mettersi per
il meglio,davanti ai nostri occhi increduli e sconvolti,Noah venne
preso alle spalle da un affamato. Fu preso di sorpresa e cadde a terra,
perdendo
l'equilibrio.
«Noah!»
gridai con il cuore in gola,pronta ad accorrere in suo aiuto.
Lui
mise il fucile in orizzontale e spinse via l'affamato,per poi
colpirlo. Lo gettò a terra e lo massacrò di colpi
con la base
dell'arma,fino a fracassargli la testa. Mi guardò,mi fece un
gesto d'assenso,e tornò nella mischia. Dietro di noi,non ne
arrivavano più. Giusto qualcuno di rado che Brittany e
Lucas,collaborando,riuscivano ad eliminare. L'asfalto era pieno di
cadaveri e camminarvici sopra,diventava quasi impossibile.
Poi,un
urlo mi fermò il cuore. Era glaciale,pieno di sofferenza.
«Cristo!»
Steven
era a terra,a carponi,con una mano sopra il braccio. Sull'asfalto si
trascinava un affamato,avvicinandosi pericolosamente al ragazzo. Noah
si voltò verso di lui e spaccò il cranio
dell'affamato con il
fucile.
«Cos'è
successo?» chiese Puckerman,con il viso pieno di gocce di
sudore.
Steven,ancora
a terra,scosse la testa «mi ha morso!»
esclamò,mentre
il sangue sgorgava incontrollatamente dalla ferita.
«Non
mi sono accorto di niente. E' sbucato all'improvviso e si è
attaccato al mio braccio. Dio...mi ha staccato il muscolo!»
gridò,portandosi una mano tra i denti,per il dolore.
Noah
lo guardò ancora incredulo e lo sollevò da terra
«fammi vedere»
disse.
Steven
si scoprì la ferita e potei vedere anch'io,nitidamente,come
fosse
stato dilaniato. Il sangue gli aveva macchiato tutta la maglietta e
scendeva,copiosamente,sino ad intingere anche i pantaloni verde
militare.
«Aspetta»
disse Noah. Si strappo un pezzo di stoffa dalla maglietta e glielo
diede «legaglielo intorno e tieni premuta la mano».
«D'accordo»
rispose Steven,stringendo i denti,bianco in viso.
Non
c'era più neppure un affamato in quella strada e Brittany e
Lucas si
avvicinarono agli altri due,assieme a me.
«Cos'è
successo?» chiese Lucas sconvolto.
«Mi
ha morso!» rispose Steven.
«Amico,che
cosa hai intenzione di fare?» chiese Noah all'altro. Lui lo
guardò
confuso. «Torniamo al campo o cerchiamo Alex?»
Steven
strinse identi,di nuovo «Alex» biascicò.
Ci
rincamminammo tutti e cinque,ma più lentamente. Raggiungemmo
la fine
della strada e svoltammo l'angolo,questa volta senza problemi. Steven
continuava a piangere per il dolore ed il pezzo di stoffa,che teneva
avvolto attorno alla ferita,era intinto di sangue e gocciava a
terra,lasciando una scia sull'asfalto.
«Sei
stato bravo» dissi a mio fratello,quando tornò al
mio fianco
assieme a Brittany.
Lui
scosse la testa «ti ricordi all'ospedale,quando si
è scatenato
tutto?» mi disse.
Annuii.
«Il
padre della tua amica» affermò semplicemente,con
quell'aria
preoccupata.
Impiegai
qualche secondo per rendermi conto di cosa stesse cercando di dirmi.
Mandy. Suo padre. Era morto e poi era diventato...
«Sì,mi
ricordo».
Ci
capimmo con uno sguardo. Ricordavo bene quell'immagine ferma nel
tempo. Quel corpo che si era sollevato ed aveva divorato la propria
figlia. Come dimenticarlo?Avevo il ricordo di Mandy impresso nel
cuore. Rivedevo la sua immagine ogni qual volta che un affamato
compariva e rivivevo lo stesso stupore e terrore al ricordo di suo
padre.
«Dovremmo
informarlo?» mi chiese lui.
Ci
pensai qualche secondo e scossi la testa «sarebbe una
distrazione
adesso,Lucas. Non sappiamo cosa succederà. Steven ha
riportato una
ferita grave,ma potrebbe sopravvivere».
Mi
sembrava la cosa più giusta. Non eravamo certi di niente,ed
una tale
notizia,avrebbe potuto creare ancor più caos di quello nel
quale
sguazzavamo.
Lui
si limitò ad annuire,ancora pensieroso.
Camminammo
per qualche altro minuto e ci ritrovammo di fronte a delle villette a
schiera dall'aspetto grazioso. Come fosse stato un fulmine a ciel
sereno,lo vidi.
«Il
Wrangler!» esclamai con un guizzo al cuore.
Tutti
portarono lo sguardo sul fuoristrada rosso in lontananza. Steven,con
espressione dolorante,cominciò a correre in direzione della
macchina
e noi lo seguimmo. Il ragazzo aprì lo sportello dell'auto,ma
all'interno non vi era nessuno. Lo richiuse,si guardò
intorno,e poi
si asciugò il sudore sulla fronte. Cominciava ad esser
pallido,ed il
suo viso era velato da qualche goccia di sudore. Per alcuni versi,mi
ricordava un po' quello di Alex nei giorni precedenti.
«Non
può essere lontana» affermò
Noah,osservando l'espressione delusa
del ragazzo.
Restammo
per qualche istante in silenzio,domandandoci cosa fare.
«Zitti!»
intimò Brittany,concentrata «Lo sentite?»
Avrei
potuto ascoltare il battito del mio cuore in quel
silenzio,invece,prestando attenzione,avrei giurato di riuscire ad
udire i versi degli affamati. Era un suono
distorto,lontano,addirittura metallico...sembrava quasi
immaginario,ma c'era.
«Dev'essere
lei!» esclamai «Forse la stanno seguendo».
Steven
annuì «i versi sembrano provenire da in fondo alla
strada!»
In
men che non si dica,cominciammo a correre,alimentati da un briciolo
di speranza nel petto. Noah ricaricò il fucile e si mise in
testa al
gruppo assieme a Steven. Facemmo cento metri,forse,e poi vedemmo il
gruppo di affamati addossati alla porta del garage dell'ennesima
villetta. Colpivano la superficie di metallo goffamente,emettendo
quel suono soffocato e spaventoso con tutta la loro forza.
«Alex
è lì dentro!» esclamò
Steven,con un filo di voce sofferente.
Non
appena aprì bocca,alcuni degli affamati si voltarono. Forse
erano
una ventina e,uno per volta,si girarono incuriositi dal suono che
avevano udito.
«Merda»
bofonchiò Noah,allarmato.
Gli
affamati cominciarono ad avvicinarsi e noi ad indietreggiare. Erano
in troppi,ed avevamo una sola arma a disposizione. La situazione si
ripeteva,di nuovo.
«Ho
un'idea!» disse Brittany «Corriamo fino al
Wrangler,tu sali sul
tettuccio della macchina e li fai fuori uno per uno da lontano.
Saremo abbastanza distanti e potremo allontanarci con
facilità. Si
può fare?»
Noah
la guardò,ci pensò su un istante,ed
annuì.
Di
corsa,tornammo a fare lo stesso tragitto di prima,al contrario. Ci
separavano almeno settanta metri da loro,e Noah salì sul
tettuccio
del Wrangler,alla svelta. Prese un grande respiro,impugnò il
fucile
a dovere,e sparò il primo colpo che mancò del
tutto l'affamato.
Sparò ancora,e ancora,e ancora,fino a che non persi il conto
dei
proiettili che erano partiti dall'arma. Uno per uno,gli affamati
caddero a terra,inermi. Ne rimasero soltanto tre,ormai abbastanza
vicini,e Noah li fece fuori con una facilità disarmante,allo
stesso
modo degli altri.
«Andiamo
a prenderla» disse Puckerman,pronto a tornare di fronte alla
villetta «dobbiamo muoverci. Il rumore ne attirerà
altri. A breve
potremmo ritrovarci circondati da tutti gli affamati di questa
cittadina».
Steven
si portò una mano sul viso cadaverico,si asciugò
il sudore e tossì
con fatica. Le gocce sul viso gli colavano dalla fronte,sino agli
occhi,e poi ancora dal naso,sulla bocca. La sua situazione si stava
aggravando,e ormai il pezzo di stoffa che teneva legato attorno alla
ferita,non era altro che pregno di sangue sino a risultare pesante
per via del liquido assorbito,e completamente inutile.
«Andiamo»
disse stringendo i denti,in una smorfia di dolore.
Soffrivo
nel vederlo in quel modo. Il pensiero che mi aveva instillato
Lucas,non faceva altro che ritornarmi in mente e tormentarmi. Non
volevo pensare ad una sua possibile morte,ma se fosse successo? Non
poteva morire. Non poteva e basta. Era il più forte
lì,il più
coraggioso,il capo gruppo,e se la sarebbe cavata. Se la sarebbe
cavata per forza. Quando un ricordo che tenevo da giorni lontano
dalla mente riaffiorò,scossi la testa per scacciarlo via.
Non era il
momento per cedere ai sensi di colpa.
Ripercorremmo
i metri che ci separavano dalla villetta,e quando ci dirigemmo verso
la porta del garage,questa si aprì,lentamente,quasi con
timore.
«Vi
chiedo scusa» biascicò Alex,in lacrime,con le
parole che le si
strozzavano in gola.
La
ragazza era irriconoscibile. Il suo viso non aveva un semplice
colorito pallido,sintomo di malessere,ma bensì grigiastro.
Le
occhiaie sotto il suo viso non erano più bluastre,ma scure e
ben
definite,come dopo aver preso un pugno in un occhio. I suoi capelli
erano sporchi ed incollati,i suoi occhi gonfi e stanchi,le sue labbra
violacee e screpolate,ed il suo viso era avvolto da un fitto velo di
sudore. Le lacrime che le rigavano il viso si mischiavano alla
sostanza che il suo malessere produceva,e il risultato dell'insieme
di quei particolari,era un aspetto
malsano,sofferente...irriconoscibile.
«Alex!»
urlò il fratello con un bagliore negli occhi.
La
ragazza batté i denti,cercando di tenere a bada il tremolio
nelle
mani,e si avvicinò al fratello,inizialmente timorosa
«ti prego,non
essere arrabbiato. Ho sbagliato,lo so» disse con un filo di
voce
spezzata dai singhiozzi.
Quando
poi guardò meglio il ragazzo,sgranò gli occhi e
si portò una mano
sulla bocca « che ti è successo?» gli
chiese basita.
Steven
scosse la testa e si sforzò di sorridere. Teneva ancora la
mano
sulla spalla,su quella fasciatura che ormai serviva solo per
nascondere agli occhi la gravità della sua situazione.
«Mi
ha morso un affamato,ma non è niente. Sta' tranquilla.
Ricuciremo la
ferita al campo,prenderò qualche antibiotico e
sarò nuovo come
prima».
«O
mio Dio...fammi vedere!»
«No!»
esclamò il ragazzo deciso,scuotendo la testa
«adesso torniamo al
campo. Abbiamo fatto parecchio rumore per ammazzare quei
bastardi».
Alex
annuì,sconvolta.
Il
ritorno fu alquanto traumatico. Gli affamati non furono un
problema,ma Alex e Steven sì. Entrambi stavano soffrendo,chi
per un
motivo,chi per un altro. Durante il tragitto,Alex cominciò a
rimettere e dentro la macchina si era diffuso l'odore acre e
familiare del vomito. Steven invece,continuava a stare sempre peggio
e tutti noi cominciavamo a preoccuparci sul serio. Il suo viso
diventava sempre più pallido ed i suoi occhi sempre
più stanchi. La
ferita continuava a perdere sangue incessantemente,e la sua fronte
scottava come un tizzone ardente. Quando raggiungemmo il campo,tirai
un inutile sospiro di sollievo. La prima fase era terminata,adesso
iniziava la seconda.
Noah
trasportò Steven,che cominciava a perdere i sensi,nel
gazebo,e lo
adagiò sul tavolo. Lo costrinse ad ingoiare degli
antibiotici con
dell'acqua,e poi chiese la cassetta del pronto soccorso. Quando
levò
la benda,lo sentii imprecare a bassa voce. Io e Brittany ci
avvicinammo per guardare la ferita,ed Alex ci
seguì,barcollante.
«Steven...»
mormorò la ragazza,scioccata,continuando a piangere. Si
portò una
mano alla bocca,ricominciò a vomitare.
Buona
parte del muscolo del braccio era stato mangiato,e s'intravedeva il
bianco dell'osso. Non riuscii a fissarla troppo a lungo. Persino dopo
aver spaccato crani a dei morti viventi,la vista di una simile
cosa,mi metteva sottosopra lo stomaco.
«Datemi
un accendino» ordinò Noah,con voce ferma.
Teneva
in una mano un ago,e nell'altra del filo. Mi misi una mano in tasca e
diedi l'oggetto a Noah,rapidamente. Il ragazzo passò la
punta
dell'ago sulla fiamma,per sterilizzarla,e poi infilò il
filo. Guardò
con attenzione la ferita,e cominciò a ricucirla,con le mani
che gli
tremavano.
«Ce
la farà?» chiese Alex,guardando Noah.
Il
ragazzo non rispose,continuò a ricucire.
Steven
stava sempre più male. Tossiva,si agitava,mentre le lacrime
gli
rigavano il viso. Quando gli toccai la fronte,fui costretta a
togliere la mano all'istante per l'eccessivo calore.
«Portatemi
una benda bagnata di acqua fredda!» ordinai.
Poco
dopo Brittany tornò,stringendo tra le mani una sua maglietta
fradicia. L'adagiai sulla fronte sudata del ragazzo,e premetti la mia
mano contro questa. Poi,non so perché,gli strinsi la mano.
Glielo
dovevo. Era qualcosa che sentivo di dover fare,e quando il mio
sguardo incrociò quello di Brittany,lei annuì,in
un gesto
d'assenso.
«Steven,mi
dispiace» disse Alex,sopraffatta da dei violenti singhiozzi
«perdonami,ti prego. E' soltanto colpa mia...è
tutta colpa mia. Ti
prego,resta con me. Sei tutto quel che mi è rimasto. Sei
tutto quel
che ho!»
In
quel momento il ragazzo aprì gli occhi,a fatica,e la
guardò
«non...n-non potr...ei mai avercela c-con te. S-sei la mia
sorel...sorellina,ricordi?» biascicò a fatica,con
un sorriso
spento.
Avvertii
una fitta al petto. Non potevo fare a meno di immaginare quella
situazione riversata su di me e Lucas. E se l'avessi perso?E se lui
avesse perso me?
Alex
sorrise,mentre un fiume di lacrime le inondò il viso
«ti prego...»
lo supplicò disperata,accarezzandogli le guance
«devi restare con
me. Sei l'unica persona che ho,sei l'unica persona che abbia mai
avuto».
Steven
la guardò negli occhi e sussurrò,stanco
«sarò sempre con te.
S-stare..staremo in...insiem-me ad ogni c-costo. Come...come
pr...omesso».
Alex
gli baciò la fronte ed adagiò la sua su quella
della
ragazzo,bagnandogli la pelle con le sue lacrime. Steven chiuse gli
occhi,e quando Noah finì di ricucire la ferita,era
già tardi.
Adagiai le dita sul collo del ragazzo,ma non c'era battito. Steven
era morto.
«No!»
urlò Alex,accasciandosi a terra,sulle ginocchia
«No!Steven...Steven!Ti prego...torna da me!Non puoi
lasciarmi!L'avevi promesso!L'avevi promesso...»
sussurrò,con le
mani sul viso.
Restammo
in silenzio. Guardavamo tutti il suo viso,tutti,tranne Alex. La
nostra tristezza,divenne un tutt'uno straripante,che colmava il
nostro petto. Non riuscivo a crederci. Non poteva essere vero. Non
doveva! Non era giusto...non era...no!Scossi la testa,e pochi secondi
dopo sentii esplodere il nodo in gola in un pianto liberatorio.
Mollai la mano del ragazzo,che ancora stringevo,e mi allontanai da
lì. Non riuscivo a respirare,non riuscivo a guardarlo. Feci
qualche
passo,con le gambe che mi tremavano,e poi sentii il calpestio
dell'erba alle mie spalle. Mi voltai,era Brittany che mi veniva
incontro,asciugandosi le lacrime.
«Ehi»
disse con la voce triste e debole.
Scossi
la testa di nuovo e allora lei corse ad abbracciarmi. Mi strinse
forte tra le sue braccia,ma potevo avvertire che persino la sua forza
fosse triste e stanca,debole come la mia. Appoggiai il viso sulla sua
spalla,e continuai a piangere,ascoltando solo il rumore del suo
respiro e quello dei miei singhiozzi.
«Non
doveva finire così» biascicai contro la sua
maglietta.
Lei
mi accarezzò la schiena e mi baciò la fronte
«lo so,Santana. Lo
so».
«Non
è giusto...non» un altro singhiozzo mi
assalì,bruscamente.
Lei
mi cinse con ancora più forza «Non,non
è giusto» disse con la
voce improvvisamente ferma «Non è giusto
più niente ormai. E'
successo,è successo e basta. Con chi vuoi prendertela?A chi
vuoi
attribuire la colpa?Steven era un guerriero,ha resistito sino
all'ultimo soltanto per fare un sorriso alla sorella. Dobbiamo
ricordarlo così,com'è giusto che sia».
Le
sue parole mi tranquillizzarono,e la frequenza dei miei singhiozzi
diminuì «non gli ho mai chiesto scusa per averlo
coinvolto nei miei
problemi. Non ci siamo mai chiariti,io avrei...»
Brittany
si staccò e si allontanò giusto quel poco che
bastasse per fermare
i suoi occhi nei miei,con intensità «tu
cosa?» mi chiese seria,ad
un soffio dal mio viso «Non azzardarti a farlo,Santana. Non
azzardarti a provare colpa per qualcosa di cui non sei tu la
responsabile. Questo mondo è bastardo. Le cose sono andate
come sono
andate. Steven era un ragazzo intelligente ; sono sicura che senza
che tu gli avessi detto niente,lui aveva già capito
tutto».
Riflettei
un attimo ed annuii. Brittany mi asciugò la lacrime con il
dorso
della sua mano,e mi baciò la guancia,dolcemente,come una
madre
premurosa.
«Ti
amo» mi sussurrò,tornando a stringermi
«adesso più che mai».
«Ti
amo anch'io».
Nel momento stesso in cui
avevo visto uno di noi morire,mentre un nodo alla gola mi
soffocava,mi ero resa conto di quanto fosse breve la vita,e di come
potesse essere spezzata con facilità. La paura di perdere
gli unici
affetti che avevo era forte,mostruosa,ma la voglia di amare ancora
più forte. Non avrei permesso neppure per un singolo istante
al mio
corpo di ignorare l'amore. Amore fraterno o amore tra anime
complementari. Ogni singolo istante era fondamentale. Per ogni
singolo istante della mia vita,avrei amato l'Amore.
So
che forse molti di voi hanno odiato il personaggio di Steven,come
biasimarvi?Dopo il capitolo nel quale è andato a letto con
Santana,la cosa mi sembra più che legittima. Forse l'ho
odiato anch'io,e vi chiedere come sia possibile odiare un personaggio
che io stessa ho creato. Eppure,dopo questo capitolo,spero che come me
siate tornati a provare stima verso di lui. Steven era l'eroe
silenzioso della vita,un ragazzo che ha avuto il coraggio di lottare
per i suoi sogni e che ha amato e si è sacrificato fino alla
fine per la sorella. La forza,nel mondo di "Between the hungry", non
è sufficiente,non basta per sopravvivere. Ed è di
questo che il gruppo si rende conto : che ogni cosa è vana
di fronte all'imperturbabile uragano del mondo,ogni cosa,tranne
l'amore. L'amore fa
morire e vivere,l'amore ci rende viventi nel momento stesso in cui i
nostri occhi si chiudono stanchi,per sempre. Steven è morto
da vivo,è morto da eroe. Chiudo questo capitolo
con la speranza che,nonostante la terribile fine,l'abbiate gradito.
Ancora molto dovrà succedere e vi aspetto come al solito
nelle recensioni per discutere assieme di quest'altro mio piccolo
lavoro. Alla prossima,gente!Mi
auguro che anche voi siate o sarete gli eroi silenziosi della vita...
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Capitolo 19 *** Il Buio ***
BETWEEN
THE HUNGRY
Il Buio .
Brittany
mi teneva
ancora per mano,ma nessuno ci guardava. Ogni singolo sguardo era
concentrato su quel corpo,disteso sopra il tavolo,con le braccia a
penzoloni ormai prive della vita che un tempo le aveva animate. Il
cadavere pallido aveva gli occhi chiusi ed aveva perso l'immagine
della vitalità così improvvisamente,da incutere
timore. Steven era
morto. Non riuscivo ancora a crederci,non riuscivo...non riuscivo
ancora a metabolizzare la cosa. Quando i miei occhi finivano su quel
volto senza vita,una sensazione che si agitava dalla bocca dello
stomaco,mi costringeva a spostarli. Ma non potevo ignorare quel che
era successo,non potevo continuare a starmene in silenzio,assorbendo
un po' di forza da quella stretta di mano ed ascoltando i singhiozzi
incessanti di Alex. Da quando il ragazzo aveva chiuso gli occhi per
sempre,lei si era persa in un pianto disperato,distrutta dal dolore.
Non riuscivo neppure ad immaginare che cosa avrei fatto io,se avessi
perso Lucas. Osservando quell'amore fraterno esser stato spazzato via
così improvvisamente,non riuscivo a fare a meno di provare
un'angoscia che si estendeva lentamente,divorandomi dall'interno.
Forse avevamo sottovalutato la situazione,forse per via della
serenità che avevamo provato negli ultimi giorni al campo,ci
eravamo
illusi di essere al sicuro. Ma il campo non era la città,non
era il
mondo,non era la realtà. Era una tana fatta di illusione
mista a
speranza,ormai diventata semplice disperazione mista ad
incredulità.
Ne avevamo perso uno. Dopo solo quattro settimane,ne avevamo perso
uno. Quanti ancora ne avremmo persi?E,soprattutto,quali?
Noah guardò
Alex,un'ultima volta,e si incamminò per sollevarla da terra.
La
ragazza,che aveva lo stesso colorito del fratello disteso sul
tavolo,afferrò la mano del ragazzo con la sua tremolante.
«G-grazie...»
biascicò,con un filo di voce singhiozzante.
Noah accennò un
debole sorriso e non le lasciò la mano.
Alex tremava ancora.
Forse per il fratello,forse per la droga. Riuscivo a leggerle,su quel
viso irriconoscibile,il desiderio smanioso di stringere tra le mani
quella sostanza e,allo stesso tempo, di stringere tra le braccia il
fratello.
Batté forte i
denti,tirando su col naso,e poi disse «ho freddo».
Noah annuì
«vado a
prenderti una coperta».
La ragazza si sedé
a terra,incapace di stare in piedi con le sue sole forze. Era
così
sconvolta...guardandola avrei potuto immedesimarmi in lei,ed era per
questo che evitavo di farlo.
Scossi la testa
«tutto questo mi sta uccidendo».
Brittany mi guardò
con apprensione e sospirò «vorrei fare qualcosa
per lei» rispose,accennando alla ragazza.
Ci guardammo negli
occhi per qualche secondo e capimmo che fosse giunto il momento di
avvicinarci a lei,per cercare di alleviare la sua sofferenza. Ma come
potevamo sperare di farlo?Come si può alleviare la
sofferenza di
qualcuno che ha perso tutto il suo mondo?Sapevo già che
saremmo
state sconfitte in partenza,ma,con l'ultimo briciolo di forza che ci
era rimasta,decidemmo di provarci comunque.
«Alex,io...»
cominciai esitante. Lei alzò lo sguardo a fatica e,quando i
miei
occhi incontrarono i suoi,sentii di stare per soffocare. Non riuscivo
a parlare e spostai lo sguardo,intimorita.
«Ci dispiace
tantissimo» continuò Brittany,vedendo la mia
difficoltà. «So che
non possiamo capire quanto tu stia soffrendo in questo momento,ma
sappi che ti siamo vicine. Steven era il migliore qui in mezzo,era il
nostro leader...abbiamo perso tutti una persona speciale».
Alex continuò a
guardarla,sbattendo le palpebre,come se non avesse capito neppure una
parola. Chiuse un istante gli occhi,li spostò sul mio viso e
lo
fissò,poi annuì debolmente.
«Lo sentite anche
voi?» chiese con quel filo di voce rauca.
La guardai confusa
«cosa?»
Lei continuò a
guardarmi con quei suoi occhi gonfi. Non piangeva più,ma
anziché
sentirmi rassicurata,la mia ansia crebbe e sentii dei brividi
percorrermi le braccia.
«Il freddo»
disse
secca «uno per uno sentiremo freddo. Uno per uno...prima o
poi»
continuò a blaterare.
Spostai di scatto lo sguardo
dal suo viso ed afferrai la mano di Brittany. Alex mi
faceva paura,sembrava...impazzita.
«Britt,»
dissi
agitata «non ce la faccio» affermai con il cuore
che batteva
all'impazzata.
Lei mi guardò ed
annuì,intuendo il mio stato d'animo. Aumentò la
presa tra le nostre
mani,e mi portò via da lì. Sapevo che sarebbe
tornato,se non mi
fossi allontanata da quell'atmosfera carica di follia e sofferenza.
Sarebbe tornato ad impossessarsi della mia mente e del mio
corpo,immobilizzandomi con prepotenza sul posto. Il battito impazzito
era uno dei sintomi che avevo imparato a riconoscere,poi seguiva il
respiro corto ed affannoso,poi il panico,poi...
«Santana» mi
disse
Brittany,osservandomi con intensità «devi stare
tranquilla».
Inspirai a fondo.
«Non puoi
permetterlo» continuò,seria
«andrà tutto bene. Vedrai».
Mi concentrai sul
suono delle sue parole che aleggiavano ancora nell'aria,e poi sui
suoi occhi. Respirai a pieni polmoni e poi buttai fuori l'aria in uno
sbuffo rumoroso. Ce l'avrei fatta,adesso lo sapevo.
«Va'
meglio?» mi
chiese Brittany.
Anuii.
Nel frattempo Noah
era tornato con la coperta ed aveva avvolto Alex,che continuava a
giacere a terra,priva di forza. I suoi occhi non versavano
più
lacrime,esausti,ma lei continuava a blaterare tra sé e
sé,completamente sconvolta.
«Ehi,» le
disse
Noah dolcemente,afferrandole il mento. Lui non ne aveva paura.
«supererai anche questo. E te lo dice uno che ne ha passate
tante».
Alex la guardò,con
quel suo sguardo perso e disorientato e gli disse con un filo di voce
«l'aveva promesso».
Noah gli scostò i
capelli dal viso «lo so. Le persone promettono sempre quel
che non
possono mantenere».
In breve tempo
tornammo tutti attorno al corpo di Steven. Era il nostro modo di
onorarlo. Un modo strano,ma comunque un modo. I pensieri di ogni
singola persona vorticavano pericolosamente nell'aria,librandosi come
farfalle dalle nostre menti. Che cosa dovevamo fare?Non poteva
lasciarlo su quel tavolo come una bestia uccisa dal suo macellaio.
«Dovremmo
seppellirlo» esordii,spezzando il silenzio «non
possiamo lasciarlo
marcire qui sopra. Dovremmo farlo...»
Noah,ancora affianco
ad Alex,mi guardò ed annuì «hai
ragione».
«Che senso
avrebbe?» disse Alex,fredda «E' morto!»
Nessuno di noi le
rispose e tornò il silenzio. Eravamo tutti troppo sconvolti.
Nessuno
si sarebbe aspettato una morte così improvvisa,meno che mai
quella
di Steven : il più forte tra di noi. Era qualcosa che aveva
congelato,in una frazione di secondo ferma nel tempo,i nostri cuori
senza preavviso. Sarebbe potuto accadere a chiunque,ed il pensiero
del mio corpo immobile su quel tavolo,era ormai un tormento
incessante che straziava un'illusione di pace. Non volevo perdere
nessuno,ma se fosse successo?Chi mi avrebbe dato la forza necessaria
per continuare a vivere senza cercare di porre fine alle mie
pene?Continuavo a chiedermi che senso avesse una vita così.
Continuavo a chiedermi se quella situazione sarebbe mai cambiata,se
una mattina ci saremmo risvegliati ognuno nel proprio
letto,ricordando l'incubo che ci aveva tormentati nella notte.
Avremmo ricordato visi sconosciuti,avremmo ricordato gli affetti
persi,l'amore provato e ormai astratto come solo in un sogno
può
essere,e la lotta per la sopravvivenza. Poi ci saremmo alzati dal
letto,avremmo sbadigliato spalancando la bocca e ci saremmo guardati
allo specchio ripetendoci che era stato solo un brutto sogno. E
allora tutto sarebbe ricominciato dall'istante in cui era stato
interrotto. Ci saremmo persi a vicenda,ma avremmo mantenuto il
ricordo fino alla fine,perché un sogno così
vivido non può essere
dimenticato.
Osservavo ancora quel
corpo,persa nei pensieri,quando notai qualcosa che mi
pietrificò
all'istante. Il sangue mi pulsò rapido ed incessante come un
acido
che corrodeva le vene,e smisi per un istante di respirare. No,non era
possibile!
«Ma che
diavolo...»
Le dita di Steven si
strinsero in un pugno,sotto i nostri occhi increduli.
«Steven!»
esclamò
Alex con gli occhi sgranati «Steven!»
ripeté sollevandosi da terra
ed avvicinandosi al corpo del fratello.
«Alex,no!»
esclamò
Lucas,correndo verso di lei.
Gli occhi del
ragazzo si aprirono,ma erano vitrei e pieni di sangue. Steven si
sollevò con il busto dal tavolo ed agitò le
braccia,poi il suo
verso ci attraversò in un istante,folgorandoci
improvvisamente. Alex
stava per stringere la mano di Steven,presa dalla
felicità,quando
Lucas la spinse via e sparò al ragazzo un colpo di pistola
dritto
alla nuca. Gli schizzi di sangue macchiarono il suo viso e lui
strinse ancora di più la pistola,impassibile.
«Che cosa hai
fatto?!» urlò Alex a terra,tra le lacrime.
Noah corse da
lei,ancora scioccato,e le strinse la mano,bloccandola per tenerla
ferma.
«Hai ammazzato mio
fratello!» gridò furiosa,agitandosi tra le braccia
di Noah «Era
tornato per me!»
Lucas scosse la
testa. Non si era neppure tolto gli schizzi di sangue dalla faccia.
Guardava il buco nella fronte di Steven,con quell'espressione fredda
e distante. Per un attimo,mi parve di avere di fronte un'altra
persona.
«Quello non era
Steven!» urlò lui,avvicinandosi alla ragazza
«Quello era un
affamato!»
A bocca aperta,mi
sforzai di mettere insieme delle lettere esistenti
«Lucas»
biascicai nel vano tentativo di richiamarlo.
«No!»
rispose
lui,fulminandomi con lo sguardo «Te l'avevo detto Santana!Te
l'avevo
detto!Avremmo dovuto avvisarli. Sapevamo che sarebbe
successo!»
Tutti gli sguardi
furono su di me,persino quello di Brittany. Io,ormai,ero senza
parole. Il cuore mi esplodeva nel petto,impazzito,ed i miei occhi
vagavano sui visi altrui,in cerca di un'emozione che non sembrasse
ostile.
«Se ancora non
l'aveste capito,il morso porta alla morte!Non c'è scampo. Il
morso
ci trasforma!»
L'unica cosa che
ricordai,dopo quell'ultimo grido esasperato,fu il silenzio. Era un
silenzio inconsistente,spazzato via da parole non dette,pregno di
preoccupazione,rabbia e disperazione. Mio fratello aveva ragione :
avremmo dovuto dirlo. Quando me ne resi conto,capii che fosse troppo
tardi.
*
Il rumore della pala,conficcarsi
nel terreno,risuonava nitido nella mia testa. Era
costante,ritmico,ed era l'unica cosa su cui riuscissi a concentrarmi.
Noah scavava ininterrottamente da qualche decina di minuti,sotto il
sole che calava lentamente dietro le montagne,scaricando la sua
rabbia sul terreno. Aveva il respiro affannoso ed il viso imperlato di
sudore,sporco di terra così come la sua maglietta. Ancora un
ultimo
sforzo e la buca sarebbe terminata per ospitare il corpo morto di
Steven. Eravamo tutti lì,tutti,tranne Lucas. Ancora sporco
di sangue
e nero in viso,si era rifugiato nella sua tenda,alla ricerca del
silenzio,forse per pensare. Dovevo andare a parlargli. Erano ormai
minuti che mi imponevo di farlo,ma quando facevo qualche passo per
allontanarmi da lì,il mio corpo si paralizzava,impedendomi
di
camminare oltre. Avevo paura di lui. In quel momento avevo solo
paura. Avevo paura di affrontarlo,avevo paura di guardare Alex o di
ascoltarne le parole che farneticava stremata,fumando la sua
sigaretta. Avevo paura della morte,avevo paura anche di Brittany e di
osservare il suo viso marcato da un'espressione delusa che mi
limitavo ad immaginare. Eppure lei era lì,a meno di un metro
dal mio
corpo,con lo sguardo fisso sul mio viso. Non mi voltavo. Sarebbe
stato un colpo troppo duro.
«Santana» mi
chiamò lei «guardami».
Mi morsi il labbro
inferiore.
«Guardami!»
insisté lei.
Mi voltai. Aveva gli
occhi lucidi e le linee del suo viso erano morbide,al contrario di
come l'avevo immaginate. Continuava a fissarmi con apprensione,e
tirai un sospiro di sollievo quando dopo aver analizzato il suo
viso,fui convinta di non scorgere tracce di delusione. La mia paura
svanì,improvvisamente.
«Non puoi
tormentarti in questo modo» mi disse,avvicinando le sue dita
al mio
braccio «non ce la faccio a vederti in questo stato. Devi
smetterla».
Sospirai
rumorosamente ed abbassai lo sguardo. Le sue dita si adagiarono sulla
mia pelle,delicatamente,e un brivido mi percorse la schiena. Sentii
il bisogno di tornare a guardarla.
«A Lucas
passerà,vedrai. E' solo molto stressato e spaventato come
tutti noi.
Aveva bisogno di sfogarsi,ma sei sua sorella e non può
avercela con te
; non dopo tutto questo».
Scossi la testa
«aveva ragione,Brittany. Avrei dovuto avvisare Steven di
quello a
cui stava andando incontro,e invece...»
«E che cosa sarebbe
cambiato?» m'interruppe lei «Eravamo tutti
preoccupati per Alex e
le cose sarebbero andate così come sono andate
ora» fece una
pausa e le sue dita sfiorarono la mia pelle lentamente «Pensi
che
non lo sapesse?Pensi che non sapesse che stava morendo?Aveva capito
che sarebbe successo dal momento in cui l'affamato gli aveva messo i
denti sulla carne. Lo sapeva,ma aveva bisogno di vedere sua sorella
un'ultima volta e di saperla al sicuro».
La guardai ed annuii
«forse hai ragione. E' quello che avrei fatto anch'io con
Lucas».
Lucas...quando
pronunciai quel nome,fu come ricevere un pugno allo stomaco.
«Nessuno ce l'ha
con te» continuò lei «ti stai perdendo
in delle paranoie inutili».
«Dovrei andare a
parlare con Lucas» annunciai,torturandomi le mani
«ma ho paura di
quello che potrebbe dirmi».
Lei mi accarezzò
una guancia con il dorso della mano e disse «ci sono io qui
con
te,non devi avere paura di niente».
In quel momento,mi
sentii fortunata. Nonostante tutto,sapevo di esserlo. Avevo trovato
una persona speciale come Brittany,una persona che riusciva a
leggermi dentro con un semplice sguardo,e che era in grado pronunciare
sempre le
parole giuste. Era la mia ancora di salvezza,era l'enorme cerotto
sulla ferita impressa nel cuore,ed era la mano che stringendo la
mia,riusciva a strapparmi via dall'oscurità. Seppure avessi
perso
tutto,allo stesso tempo avevo trovato qualcuno. Avevo trovato lei.
Pensai ad Alex,ed immaginai di nuovo di trovarmi al suo posto. Aveva
perso l'unica cosa che gli era rimasta,l'unico affetto che l'aveva
tenuta ancorata alla sua vita,e che l'aveva rassicurata nei momenti
di disperazione. Lei aveva perso il suo cerotto,ed il suo corpo stava
morendo dissanguato per la ferita al cuore. Una fitta mi prese
improvvisa,come l'ennesimo pugno allo stomaco. Guardai la ragazza che
sedeva a terra ed osservava Noah scavare,e mi sentii male. Non
conoscevo quella
ragazza bene così come conoscevo gli altri. Era sempre
rimasta
avvolta da un velo oscuro fatto di mistero. Si celava dietro quel
velo,nascondendo il suo corpo pieno di cicatrici. In quel momento,mi
sentivo lei. In quel momento,mi pareva di conoscerla abbastanza bene
da poter piangere per lei,immaginando ogni sua singola
pena,immaginando la debolezza che la teneva bloccata a terra,incapace
di reagire a qualsiasi stimolo esterno. Alex non era me,ma in quel
momento io ero Alex. Fu un momento brevissimo,uno sprazzo di tempo
infinito,che mi restò dentro,indelebile.
Quando mi voltai di
nuovo verso Brittany,mi sentii pronta. Lei annuii,come se mi avesse
letta nel pensiero,tolse la mano dal mio viso,ed i miei piedi
cominciarono a muoversi. Tenni lo sguardo basso sino a che non mi
ritrovai di fronte quella tenda. La zip era serrata sino a
giù,segno
che non fosse propenso a vedere nessuno. Voleva stare solo ed io lo
capivo,ma ciò non cambiava la situazione.
Con il cuore che mi
martellava nel petto,presi un grosso respiro
«Lucas» sussurrai con
la voce che pareva il frutto di un sottofondo appena udibile
«sono
io. Posso entrare?»
Silenzio e nessuna
risposta.
«Ti prego,ho
bisogno di parlarti».
Dopo alcuni
secondi,la zip cominciò ad aprirsi lentamente. La testa
riccioluta
di mio fratello sbucò dopo poco,ed i suoi occhi incrociarono
i miei.
Erano stanchi,vuoti...così tristi che avrei avuto voglia di
scoppiare a piangere. Che razza di sorella ero?Perché non
riuscivo a
proteggerlo da tutto quello?
«Che cosa
vuoi?»
mi chiese brusco,mettendo il primo piede fuori dalla tenda.
Sentii il sangue
pulsarmi alle tempie e fui costretta ad inspirare profondamente
«voglio chiederti scusa».
Il suo sguardo si
ammorbidì un po' «per cosa?»
«Avevi
ragione»
ammisi,sforzandomi di respirare a pieni polmoni «avevi
ragione su
ogni cosa. Sapevamo entrambi che sarebbe successo e non ti ho
ascoltato. Sono stata una stupida a pensare che le cose si sarebbero
risolte» feci una pausa. Tremavo. «ma dovevo
sperarci. Dovevo
farlo,anche se voleva dire ignorare la verità,voltandogli le
spalle».
I suoi occhi si
intristirono,ma il suo viso era ancora rigido e contratto. Sentii di
dover continuare.
«Io...io non lo so
se moriremo tutti. Non so più quel che è giusto e
quel che è
sbagliato. Non riesco ancora a credere che Steven sia morto e non
riesco a...a credere a quello che tu sei stato costretto a fare. Non
era questa la vita che speravo tu avessi,Lucas» annunciai
seria,con
la voce che mano a mano si riduceva ad un sussurro smorzato
«non
voglio che tu debba vivere tutto questo,ma allo stesso tempo non so
come fare. Sin dal primo istante,mi sono promessa che ti avrei
protetto a costo della mia stessa vita. Ma come posso proteggere
te,se neppure ho la forza per proteggere me stessa? Non voglio
mentirti,non voglio più dirti che le cose andranno
bene,perché so
che non è così. Potresti morire,potrei morire
io,potremmo morire
entrambi o tutti quanti. Potresti restare solo,un giorno,ed io non
sarò al tuo fianco a stringerti la mano o a mentirti con
poca
convinzione. Ma anche se so tutto questo,anche se so che il bene che
ti voglio non sarà sufficiente a proteggerti da questo
mondo,sappi
che sarà l'unica cosa che potrò mai offrirti. E'
tutto quel che mi
resta da darti,è l'unica verità che potrei mai
dirti in mezzo a
tante menzogne. E non voglio pensare di poterti perderti senza dirti
quanto bene ti voglio,perché non basterebbe una vita per
perdonarmi.
Sei parte di me,Lucas,ed io ti voglio bene».
L'ultimo briciolo di
rabbia che avevo intravisto nei suoi occhi,sparì. Era
tornato il mio
fratellino,era tornata la persona che avevo sempre avuto accanto. Una
lacrima gli rigò la guancia,e allora corse a stringermi tra
le sue
braccia.
«Ti voglio bene
anch'io» sussurrò lui,affiancando il suo viso al
mio.
In quell'esatto
istante,un altro peso si tolse dal mio cuore e ritornai lentamente a
respirare. Lucas mi teneva stretta nel suo abbraccio e mi resi conto
di quanto fosse cresciuto dalla nostra partenza da Lima. Presto
sarebbe stato un uomo e,probabilmente, ancor prima di quanto avrei
immaginato.
*
Quando la pala si
conficcò nel terreno per l'ultima volta,su di noi
calò un inesorabile silenzio. Era lì,che
aleggiava come
fosse una foglia che svolazzava mossa dalla furia del vento,e si
schiantava come una scheggia impazzita sui nostri visi. La buca era
terminata. Steven era pronto per essere sepolto. La notte si
apprestava a calare. Noi eravamo in silenzio. Mi sembravano quelle le
cose fondamentali su cui concentrarmi,ripetendomi di tenerle bene a
mente,ma vagavo da tutt'altra parte,vittima di nuovo di un'ansia
responsabile dei miei respiri corti. Sarebbe successo di nuovo. La
paura della morte si agitava nel mio petto,ed ero sicura che avrebbe
fatto scatenare un'altra di quelle maledette crisi respiratorie. Ne
ero terrorizzata e mi sembrava di inspirare un ossigeno malsano
e devastante che lentamente mi avrebbe messa K.O.
Noah,sporco di terra
dalla testa ai piedi e pieno di sudore,si voltò verso Lucas
«aiutami
a prendere il corpo» disse con un filo di voce stanca.
I due afferrarono
Steven dai polsi e dalle caviglie e,dopo averlo fatto dondolare un
istante sopra la fossa,lo lasciarono andare in un tonfo angosciante.
Noah,senza proferire
altra parola,riprese in mano la pala e si preparò a
ricoprire il
tutto con la terra già smossa,ma mio fratello lo
fermò «ci penso
io».
Si guardarono in
viso l'uno con l'altro,Puckerman si asciugò una goccia di
sudore ed
annuì.
Fu allora che Alex
si alzò da terra,smettendo di blaterare follie,e si
avviò a passo
svelto verso la sua tenda. Teneva lo sguardo fisso a terra. Sembrava
che qualcosa spingesse il suo corpo verso il basso,come se la forza
di gravità fosse improvvisamente aumentata e la stesse
trascinando
lentamente sul suolo,privandola di forze. C'era un'altra forza che
agiva su quel corpo : il dolore. La chioma nera e disordinata le
copriva il viso e,per un attimo,mi chiesi se stesse
piangendo o se avesse ancora la forza per farlo. Sapevo che non
sarebbe sparita quell'agonia che la sovrastava così
violentemente.
Lo sapevo perché l'avevo affrontata,o meglio,l'avevo
lasciata
distruggermi. Quando avevo visto Josh in quel modo,quando Noah aveva
ucciso quell'estraneo che non aveva più neppure gli stessi
occhi del
ragazzo che avevo amato,ero rimasta in uno stato d' incoscienza per un
po'.
Tutto quel che mi era intorno,non mi era intorno. Tutto quel che
ascoltavo,non l'ascoltavo veramente. E i miei respiri erano frutto di
un inutile abitudine che non stava di certo a significare che fossi
viva. Io non ero viva,in quei momenti,e neppure volevo esserlo. Avevo
il mio muro a proteggermi,sorretto a difendermi da tutto quel che mi
circondava,da tutto quel che si abbatteva sulla mia fragile figura.
Era durato per un po',giusto il tempo di lasciare la mia mente vuota
e il mio cuore morto. Poi,all'improvviso,il primo battito mi aveva
scosso l'anima,ed ero stata costretta a sopravvivere soltanto per
Lucas. Ma Alex non pareva avere una difesa,non pareva avere un muro.
Forse era la sua temporanea follia,ma ero convinta che non fosse
sufficiente. Quella follia era il frutto del dolore e,pensandoci
meglio,voleva dire che non era riuscita ad isolarlo e a buttarlo
fuori. Conclusione : niente muro.
La ragazza sparì
rapidamente dalla mia visuale e da quella degli altri. Guardai Lucas
continuare a buttare terra sul cadavere,Noah asciugarsi il viso con
un lembo di quella maglietta logora,e Brittany osservare la stessa
scena. Pensai a qualcosa,però. Che cosa avrei fatto se non
avessi
avuto un muro e neppure mio fratello,all'inizio?Se non avessi avuto
più alcun motivo per vivere? La risposta mi
attraversò veloce come
una scarica elettrica. Sgranai gli occhi. Mio Dio. Mi sarei uccisa.
Mi sarei uccisa.
«Lucas,dove hai
lasciato la pistola?»
Lucas mi guardò
interdetto «è nella mia tenda...»
Mi portai una mano
alla bocca con gli occhi sbarrati «Alex.»
Noah sembrò
pensieroso qualche altro secondo,poi cominciò a correre con
il
panico impresso sul viso. Lucas lasciò cadere la pala dalle
sue
mani,e lo seguì. Sarei rimasta immobile,forse. Ero stanca
persino di
correre,ma l'idea che Alex potessi essere io,continuava a torturarmi.
Dovevo fare qualcosa. Strinsi la mano di Brittany e seguii gli
altri,con le gambe svelte e mosse da una strana e potente forza.
Noah correva agile
giù da quella collina,e quando mise il primo piede in
prossimità
del campo,Lucas lo raggiunse. Scendemmo anche noi due,ma nel
frattempo gli altri avevano quasi raggiunto la tenda di Alex. Fui
pronta a tirare un sospiro di sollievo,ma una strana sensazione me lo
impedii. Quando Puckerman entrò,riuscii solo a sentire un
«Alex!»
Si era uccisa?
La nostra corsa si
fece rapidissima,nonostante mi mancasse l'aria. Quando il telo verde
si parò davanti le nostre gambe,ci fermammo di
scatto,rischiando
quasi di cadere.
«No!» sentii
urlare la ragazza dalla voce irriconoscibile.
Entrammo e la
vedemmo. Stringeva la pistola nella mano destra tremolante e la
teneva puntata alla tempia con il dito fermo sul grilletto. L'arma le
aderiva sulla pelle,quasi come le stesse imprimendo addosso la sua
forma. Alex stava piangendo. Aveva ancora la forza per farlo,e forse
aveva anche la forza sufficiente a fare altro. Il suo viso non era
altro che una spaventosa maschera di dolore. La matita nera si
mischiava alle lacrime e le colava sugli zigomi,macchiando
sgraziatamente quella pelle bianca e cadaverica che la facevano
assomigliare ad un clown mostruoso. Tremava e piangeva. Strizzava
forte gli occhi e scuoteva la testa. I capelli scuri incollati alle
guance che si muovevano impercettibilmente ad ogni scatto della
testa.
«Alex,lascia quella
pistola a terra» le sussurrai,avvicinandomi. Brittany si
irrigidii e
mi mollò la mano.
La ragazza strinse
l'impugnatura dell'arma e scosse la testa «sono
già morta»
disse con un filo di voce roca,singhiozzando «sono
già morta»
ripeté,come se stesse prendendo coscienza di ciò.
Noah si avvicinò.
Lei strizzò gli occhi e le puntò la pistola
contro. Mi irrigidii.
«vai via!» gli urlò.
Noah fece un altro
passo,questa volta più lentamente. Aveva ancora l'arma
puntata
contro.
«Non mi farai del
male,lo so» disse con un tono di voce calmo e controllato.
«So
anche che cosa provi,Alex...»
«No!»
gridò lei.
La pistola le tremò nella mano. «Nessuno di voi lo
sa!Nessuno!»
«E invece
sì»
rispose Noah,tranquillo «la sensazione che tutto il dolore ti
ingoi,che ti privi di ogni cosa,che ti lasci senza battito e senza
respiro...il senso di colpa che ti distrugge da dentro,come mille
coltellate al cuore...l'idea che la tua vita sia ormai finita e che
tu non abbia più niente per cui vivere».
La ragazza fu scossa
violentemente da un altro singhiozzo e tornò a puntarsi la
pistola
alla tempia,strizzando di nuovo gli occhi in una smorfia di dolore.
«So quello che
provi,Alex» continuò Noah «Ti mentirei
se ti dicessi che passerà.
Ma io non voglio essere un bugiardo,voglio solo evitare che tu faccia
qualcosa di maledettamente stupido di cui non
potresti più
pentirti» fece una pausa. La ragazza continuava a guardarlo
con gli
occhi gonfi. «Vedi tutto nero,Alex. Vedi solo
l'oscurità,ma dopo
esserci passato anch'io,posso solo dirti che non sarà buio
per
sempre. Qualche spiraglio di luce,qualche misero bagliore
filtrerà
dalla nebbia nera sino ad accarezzarti il viso. Non sarà un
calore
violento,né chissà quanto piacevole. Lo
avvertirai appena sulla
pelle e sospirerai,ma posso dirti che sarà sufficiente
affinché tu
abbia la forza per continuare ad affrontare il buio,giorno dopo
giorno. Avrai quel ricordo impresso nella mente,e sarà
l'unica cosa
a contare».
Ero senza fiato.
Alex sembrò sforzarsi di respirare,mentre affogava tra le
lacrime e
resisteva ai violenti singhiozzi. Scosse ancora una volta la testa,e
fissò Noah.
«Bellissimo
discorso» biascicò «ma non voglio
nè il buio,né un fottuto
spiraglio di luce».
Strinse
l'impugnatura della pistola e Noah la guardò confuso e
sorpreso. Non
era quello che si aspettava.
«No!»
gridò il
ragazzo.
Mentre il cuore mi
esplodeva nel petto,e le lacrime cominciavano a scivolare lente sul
mio viso,chiusi gli occhi. Il rumore di uno sparo vibrò
nell'aria.
Brittany urlò. Non potevo guardare. Quando il rumore di un
pianto
disperato si levò in quell'atmosfera mesta e
sofferente,riaprii le
palpebre lentamente.
«Alex»
sussurrai
tra me e me,con le lacrime agli occhi.
Era ancora lì in
piedi,era ancora viva. Lasciò scivolare la pistola dalle sue
dita e
quella cadde a terra in un rumore sordo.
«Dio» disse
Brittany,asciugandosi le lacrime.
La ragazza
singhiozzò e tremò un'ultima volta,poi
stramazzò a terra sfinita.
Il proiettile aveva perforato il tessuto della tenda in alto,quasi
sopra la sua testa. La luce entrava da quella piccola
fessura,accarezzando la chioma scura della ragazza. E' un
segno,pensai. Poi però,ricordai che non esistevano
più né segni e né
sogni.
«Alex!»
urlò
Noah,con un mezzo sorriso sul viso. Gli corse in contro e le strinse
la mano. La ragazza aprì gli occhi a fatica,lo
guardò,e per un
attimo mi sembrò di sentirla sussurrare
«grazie».
Richiuse gli occhi
ed un'ultima lacrima le scivolò lungo la guancia,in un
percorso
infinitamente breve,quanto infinitamente pregno di dolore.
Non si era uccisa.
Era l'unica cosa a cui riuscissi a pensare. Non si era uccisa. Non
avevamo perso un altro dei nostri,anche se avevamo rischiato sino
all'ultimo secondo. D'impulso strinsi Brittany tra le mie braccia,e
mi ripetei che era finita.
«Hai fatto la cosa
giusta» sussurrò Noah,sul viso della ragazza
ancora a terra.
Ero pronta a
stendermi sul materasso,con gli occhi rivolti verso l'alto e a fare
il resoconto di tutto quel che era successo in poche ore,stringendo
tra le mie dita quelle di Brittany. Ero pronta a tirare quel
maledetto sospiro di sollievo. Ma quando i singhiozzi cessarono,e
credemmo di tornare a sprofondare in un silenzio solenne,la colonna
sonora della fine sovrastò ogni cosa. Era un turbine
impazzito che
non aveva coscienza e né scopo. Le mie gambe stanche si
mossero sino
all'entrata della tenda. Sporsi la testa fuori,e rimasi paralizzata.
«C'è
un'orda di
affamati!»
No,non era
affatto
finita.
Salve gente!Prima di iniziare
un qualsiasi tipo di 'discorso',mi sento in dovere di ringraziarvi.
Grazie per aver letto,grazie per aver scelto di seguire,grazie per aver
recensito e per avermi fatta credere ancor di più in questa
storia che era iniziata come un esperimento o un percorso privo di meta.
Come
avete potuto notare,la morte di Steven sta avendo delle dure
conseguenze su tutto il gruppo ed in particolare su Alex.
Sinceramente,al posto della ragazza ed in una simile situazione,non so
se avrei avuto il coraggio di premere il grilletto o di abbandonare la
pistola. Specialmente nei momenti di dolore,abbiamo tutti bisogno di
tenerci aggrappati a qualcuno. Forse questo avvenimento
segnerà una coesione ancora maggiore all'interno del
gruppo,o forse agirà in modo contrario. Che altro dire? Vi
aspetto nelle recensioni per leggere le vostre opinioni o chiarire
degli eventuali dubbi.
AVVISO :
c'è una cosa che devo comunicarvi,e lo faccio davvero a
malincuore. Sarò assente per un po' dal sito e non so dirvi
con precisione quando avverrà la prossima pubblicazione.
Spesso vorrei vivere in una piacevole storia di quelle che immagini,che
vedi nei film,o che leggi. Ma la vita non è una storia,e
sono costretta a prendermi una pausa per via di un periodo un po'
'particolare' che non mi da il tempo neppure di ricordare quale sia il
mio nome. Vi chiedo scusa,davvero. Non ho affatto intenzione di
abbandonarvi,nè di lasciare la fanfiction incompleta. Spero
di tornare presto con un nuovo capitolo in grado di farvi emozionare e
scritto con più energia degli altri.
Tornerò,ve lo
assicuro,nel frattempo mi sembra giusto lasciarvi con un : "alla
prossima!"
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Capitolo 20 *** Sopravvissuti ***
BETWEEN
THE HUNGRY
Sopravvissuti
.
Sapevo due cose in quel
momento,sapevo due cose che forse non erano sufficienti a farmi
sentire umana,a farmi sentire viva : correvo,e correvo per
sopravvivere. I piedi si accavallavano,di tanto in tanto,e sentivo
l'equilibrio mancarmi e la terra divenire sempre più vicina
al mio
volto. Quando mi sembrava di desiderare di giacere a terra,una mano
spuntava dall'oscurità tetra di quella notte malsana e mi
afferrava
con una forza fragile che sapeva di Amore. Persino nella corsa per la
sopravvivenza,persino nella corsa che non aveva senso,non aveva
meta,non aveva uno scopo sinceramente concreto,lei
era lì.
Lei era lì sempre,pronta ad afferrarmi quando le mani
viscide della
morte sembravano avermi già afferrata saldamente. Come fai a
non
amare la figura onnisciente al tuo fianco?Come fai a non amare
l'unico Dio in un universo senza fine e senza pietà?Lei era
il mio
Dio. L'unico essere che avrebbe mai potuto giudicare la mia esistenza
a testa alta,senza rimorsi,perché cosciente di meritare la
mia
approvazione a qualunque destino avesse deciso di assegnarmi. Ma non
esisteva destino se non quello di quell'infinita corsa tra la fitta
natura illuminata dalla luna.
«Non
smettere di correre!»
urlò Noah ad Alex.
Correva
pure lei. Correva pure la ragazza che aveva appena perso il suo
ultimo mondo,l'ultimo centimetro di terra che le era rimasto sotto i
piedi,pronta a gettarsi nel baratro senza guardarsi attorno. La
stimavo per quel motivo,ma stimavo ancor di più Noah
che,come
Brittany avrebbe fatto con me,era pronto ad afferrarla e tirarla a
sé
quando avrebbe inciampato.
Alex
non rispose. Saltò un sottile tronco che si trovò
prima sotto i
suoi piedi,poi sotto i miei,ed ansimante mantenne il suo passo
svelto,tenendosi al fianco di Noah.
«Per
quanto ancora dovremo correre?»
chiese Lucas,con le parole che gli si fermavano in gola per la poca
aria che aveva in corpo.
«Raggiungeremo
la strada!»
Lentamente,la
natura che mi era parsa sfocata per tutto il tragitto,si
allontanò
dalla mia vista e apparve un fascio di asfalto baciato dalla candida
luce di una luna eterna. Quando misi il primo piede su quel grigio
scolorito,il mio corpo sentì la necessità di
fermare la sua
corsa. Non finisci mai di stupirti di
quanto l'istinto di sopravvivenza dell'uomo riesca a condizionare
ogni fibra della tua persona. Sentivo la necessità di
correre,di
scappare via e lontano,ma sapevo che non c'era più un posto
in quel
mondo pronto ad accogliermi e proteggermi.
«Stai
bene?»
mi voltai verso Brittany.
Aveva
i capelli biondi scompigliati,come quelli di un bambino il cui padre
ha sfregato la mano sulla nuca. Le guance arrossate,la pelle madida
di sudore che rifletteva i raggi di quell'enorme luna piena. Forse
delle persone,mesi prima,o vite prima,avrebbero potuto trovare quella
figura
trasandata e decisamente poco attraente. Ma ora,in quell'esatto
momento,io sapevo con certezza che lei era bella,bellissima e
meravigliosa. I suoi occhi erano sempre dell'azzurro vivace che mi
faceva guizzare il cuore,le sue labbra sempre gonfie e desiderose
di essere amate,ed i suoi lineamenti belli come quelli di un angelo.
Chi se ne fregava se era sudata,forse sporca,e sicuramente in
disordine. In un mondo in cui non c'era più bellezza che gli
occhi
riuscivano a cogliere,ti accorgervi ed apprezzavi ogni
singolo barlume di questa,indipendemente da tutto il resto.
Mi
fece un cenno stanco con la testa e mi regalò un tiepido
sorriso
sghembo.
«Che
si fa adesso?»
chiese mio fratello,asciugandosi il sudore della fronte con un lembo
della camicia a quadri.
Noah
si girò e ci guardò uno per uno,accigliato.
«Dobbiamo
trovare un posto per la notte. Siamo completamente senza
provviste,senza acqua,senza niente»
scosse la testa,nervoso «Porca
puttana!»
inspirò a fondo «Ma tu
guarda che schifo!»
Mi
schiarii la voce «cerchiamo di restare calmi,ok?Ci serve
subito un
posto dove stare,un posto qualsiasi...momentaneo. Alex non è
ancora
completamente lucida e siamo tutti troppo stanchi per avventurarci
chissà dove».
«Che
proponi di fare,Santana?»
Sbuffai
«non ci resta altro da fare che trovare riparo in una casa in
città.
Domani mattina ci alzeremo presto,faremo scorte di tutto il
necessario,e ripartiremo per sistemarci come abbiamo fatto in
passato».
La
fronte di Noah si distese dopo pochi secondi,ed i suoi occhi verdi
persero parte della durezza che avevano assunto.
«Santana
ha ragione» disse Brittany.
Lucas scosse la testa «in
città?Di notte?E' troppo rischioso. Non abbiamo armi per
difenderci,se non una pistola con pochissime pallottole. Sarebbe come
pregare di farsi ammazzare. Abbiamo già visto cosa succede
se si
finisce in quel casino pieno di morti viventi...».
Forse
aveva ragione. Forse quell'uomo dal viso giovane e i tratti del volto
simili ai miei,aveva più ragione di me. Non sapevo cosa
dire.
Nessuno sapeva cosa fare.
«Voglio
bere» disse Alex con un filo di voce. «Ho
sete»
Noah
la guardò triste «non abbiamo acqua,Alex»
«Lo
so» rispose lei,le corde vocali che si sforzavano di far
uscire un
suono comprensibile all'udito «ma ho sete».
Poi,restammo
in silenzio. Era come se fossimo in attesa di qualcosa,forse della
fine,forse di una soluzione che apparisse accettabile e priva di
rischi. Impossibile non correre rischi. Impossibile sperare di non
morire. Tirai fuori dalla tasca un pacchetto di Marlboro,e mi sentii
quasi colpevole di aver interrotto la mia fragile immobilità
con
quel gesto. La sigaretta scivolò tra le mie labbra e la
debole
fiamma dell'accendino l'accese. Inspirai a fondo il fumo. Chiusi gli
occhi e assaporai il sapore del tabacco mischiarsi al nulla sulla mia
lingua. Forse la nicotina avrebbe placato la mia agitazione,forse
l'avrebbe fatta sembrare più umana e più vera.
Alex si voltò verso
di me e guardò il bagliore rosso che spiccava
nell'oscurità.
Riestrassi il pacchetto dalla tasca e le porsi una sigaretta,poi
gliela accesi. Lei annuì debolmente,mostrandomi una leggera
gratitudine.
«Che
si fa?» chiese Brittany,rompendo il silenzio fatto di gesti
appena
accennati.
La
guardai : era accigliata.
«Niente
città. Ci rifugeremo nel bosco,uno di noi starà
di guardia,e appena
sorgerà il sole ripartiremo».
Non
mi sentii in grado di contestare le parole di Puckerman. Per qualche
assurdo motivo,sentivo che quel che aveva detto era giusto e
sensato,anche se non del tutto.
«Ripartiremo
con cosa?Siamo sprovvisti di tutto. Non abbiamo una macchina,non
abbiamo cibo,non abbiamo acqu...»
Noah
indurì l'espressione «e allora che cosa pensi che
dovremmo fare?»
la interruppe severo «ce ne restiamo sul ciglio della strada
a
disperarci per la situazione,aspettando che qualche affamato sbuchi
dal nulla,o ci nascondiamo nel bosco,ignorando la fame e la
sete,sperando che domani mattina ci cada una soluzione dal
cielo?»
Brittany
non rispose. Si morse il labbro inferiore,alzò gli occhi al
cielo,ed
implicitamente lasciò a Puckerman la
responsabilità di decidere per
la sua vita e per quella delle altre persone.
«Forza,cerchiamo
un riparo per la notte».
I
nostri piedi ripartirono e la cicca di sigaretta cadde
sull'asfalto,abbandonata alla desolazione e alla solitudine. L'ultimo
gesto di umanità che si perdeva nel nulla. Non
c'era niente di più
simbolico di quello.
Quando
dopo un'altra mezz'ora di cammino vedemmo l'entrata di una piccola
grotta,evanescente nella penombra, i nostri occhi si illuminarono.
Sembrava il posto ideale dove trascorrere la notte. Come se una
qualche entità ci avesse regalato l'ultimo miracolo prima di
sparire
nel nulla della tenebra.
«Sistemiamoci
qui» disse Noah,scrutando attentamente l'entrata di quel
piccolo
insieme roccioso «per questa notte va bene. All'alba
ripartiremo».
«Va
bene».
«Chi
resta di guardia?»
Ci
guardammo l'uno con l'altro,gli occhi stanchi che si sforzavano di
mettere a fuoco gli inutili dettagli dei visi smorti. Nessuno di noi
avrebbe voluto rimanere un'altra notte sveglio. Nessuno di noi aveva
la forza sufficiente o una lucidità tale da vantare la
giusta
concentrazione e determinazione per sentirsi responsabile delle vite
altrui. Eravamo stremati. Soltanto poche ore prima ci eravamo
imbattuti in una città piena di voraci creature alla ricerca
di vite
da spegnere,e ce l'eravamo vista brutta. Avevamo perso un compagno,un
capo gruppo,un fratello ed un amico. Era tutto troppo per una sola
giornata,o per una singola vita. Eppure di nuovo l'istinto di
sopravvivenza aveva la meglio. Niente pena per i volti stanchi,niente
comprensione,niente superficiali convinzioni in grado di sovrapporsi
a necessità più grandi. Qualcuno,seppur
stanco,doveva restare di
guardia.
«Resto
io» affermò,dopo un lungo silenzio mio,fratello.
La
sua voce mi prese di sorpresa.
Scossi
la testa «non se ne parla. Resto io».
Brittany
mi sfiorò un braccio e mi guardò preoccupata
«no,Santana».
Aveva
paura per me. Tutti avevano paura. La morte di Steven era stato
l'avvenimento che aveva risvegliato i più terribili incubi.
Era come
se quel che era successo,ci avesse ridestato da una pace
leggera,onirica ed irreale,costringendoci ad aprire gli occhi,assieme
ad un urlo straziante di paura.
«Britt»
la richiamai con voce dolce «devo farlo».
I
suoi occhi s'inumidirono all'istante.
«Devo»
ripetei.
Ci
guardammo per qualche secondo,perdendoci nell'infinità di un
singolo
sguardo,e ci capimmo come solo noi potevamo fare. Senza che avesse
aperto bocca,sapevo che si era arresa all'idea che dovessi farlo. Ed
ero altrettanto certa che senza che io avessi aperto bocca,lei avesse
capito il perché avessi deciso che fosse una mia
responsabilità.
«Sono
in grado di farlo» ribattè Lucas,distogliendomi da
quelle iridi
azzurre.
«Non
mi importa se sei in grado. Tu non ci starai di guardia questa
notte,lo farò io».
«Sei
a pezzi» insistè mio fratello «stai
crollando e ti si legge in
faccia. Sono sicuro che ho più energie di tutti in questo
momento e
devi lasciarmelo fare».
Sì,era
vero,stavo crollando. Non avevo più forze,non avevo
più niente. Ero
soltanto un misero involucro svuotato di ogni briciolo di
umanità,che
agiva soltanto per il dovere di farlo. Ma non l'avrei lasciato
lì
fuori,da solo,con una pistola quasi scarica nella mano,e la
stanchezza pronta a giocargli qualche brutto scherzo.
«Ho
detto di no,e la questione si chiude qui. Fai come ti dico e vattene
a dormire. Tra poche ore sarà l'alba» ordinai
dura,con voce
autorevole.
Lucas
mi guardò l'ultima volta in viso,fulminandomi con lo
sguardo,mi
lanciò la pistola che teneva in mano,e nell'esatto istante
in cui i
miei riflessi agivano per afferrare l'oggetto al volo,lui si
voltò e
venne inghiottito nell'oscurità della grotta. Mio fratello
non era
più il ragazzino dolce con cui mangiavo popcorn il
mercoledì
sera,stesa sul divano. Lo sapevo,ma non riuscivo ancora a farmene una
ragione. Quanto in fretta può cambiare una
persona,condizionata da
fattori esterni di importanza vitale?Troppo. All'improvviso capii che
forse anche io,esattamente come lui,ero stata modellata da
quell'insipido universo. Tutti,esattamente come la creta,non erano
altro che un'inverosimile sostanza in attesa di assumere la forma che
ci sarebbe stata assegnata dal tempo.
«Sta'
attenta» si raccomandò una voce dolce alle mie
spalle.
Mi
voltai verso di lei e mi sforzai di tirare fuori il più
rassicurante
dei sorrisi.
Osservavo
la luna da ore. Quell'enorme figura sferica luminosa attirava il mio
sguardo a sé come se fosse dotata di uno strano potere. A
volte,nelle notte in cui il cielo era limpido e non faceva il
prepotente,decidendo di nascondere le sue stelle,io e Josh ci
sedevamo sotto il portico di casa e restavamo minuti interminabili ad
osservare le nobili creature dell'universo. Parlavamo di ogni
cosa,sotto il chiarore innocente della luna. Parlavamo delle nostre
vite,dei nostri desideri,dei sogni,delle speranze infrante e dei
dispiaceri ingoiati assieme all'amaro delle lacrime. Eravamo
noi,spogli di un'apparenza forzata,nudi come le nostre anime che
esposte si guardavano a vicenda,amandosi in ogni sfumatura. E
adesso,qui,la luna era la stessa,ed io lo sapevo. Immutabile e
meravigliosa come fosse un'immagine creata dal disperato desiderio di
pace,lei guardava un'altra persona,un'anima un po' persa e ferita che
ricordava se stessa,chiedendosi cosa fosse reale e cosa fosse
implicito sogno. Amavo la luna,ma forse lei non amava più
me. Forse
non amava più nessuno di noi. E il freddo sbatteva sulla mia
pelle
senza chieder scusa,senza piegarsi al mio cospetto,deciso a divorare
il respiro troppo calmo che spariva in una nebbiolina chiara,nuotando
nell'insensibilità dell'aria. La pistola impugnata
debolmente dalla
mia mano,scossa a volte dal tremolio impercettibile di un corpo che
avrebbe desiderato spegnersi per i pochi istanti indispensabile a
dimenticare. Chissà cosa c'avrebbe riservato il
domani,quando il sole
sarebbe sorto ed avrebbe sconfitto le tenebre come ormai era solito
fare. C'era un'alta probabilità di morire,ma
chissà perché la cosa
non mi sconvolgeva più di tanto. La morte che fino a qualche
ora
prima era apparsa sotto forma di parola ricorrente nei
pensieri,continuava ad aleggiare sopra le nostre teste,come in attesa
del momento in cui il destino ci avrebbe riservato una triste fine.
Con
una lentezza straziante,mentre lottavo disperatamente contro il
sonno,contro il freddo,contro la fame e contro la sete,il cielo si
colorò di arancione dietro le montagne,e i raggi di sole che
sussurravano un buongiorno silenzioso,colpirono il mio viso delicati
ed irraggiungibili.
Dovevo
andare a svegliare gli altri. Entrai nella grotta e li vidi.
Puckerman dormiva con la schiena adagiata alla parete rocciosa
e
la testa china sopra il busto,priva di forze. Lucas era sdraiato a
terra,con la testa adagiata sull'avambraccio sinistro. Brittany se ne
stava buttata a pancia in su,a bocca aperta,in una posizione che se
non avessi saputo che stava dormendo,mi avrebbe paralizzata dalla
paura. Alex...Alex non dormiva. Era affianco a Noah,nella stessa
posizione del ragazzo,ma i suoi occhi erano ridotti a due fessure
arrossate e stanche e tra le labbra teneva una sigaretta. La guardai
per qualche secondo,poi,presa da uno strano istinto,mi misi seduta al
suo fianco.
«Immagino
che tu non abbia dormito...» le dissi a bassa voce,non ancora
pronta
a svegliare il resto del gruppo.
Lei
continuò a fissare l'entrata della grotta ed
inspirò una boccata di
fumo «immagini bene» rispose con la voce roca ed
irriconoscibile.
Rimasi
in silenzio,contemplando con lo sguardo la stessa immagine che i suoi
occhi scrutavano : la natura illuminata dalla luce che acquistava
forza con il passare del tempo.
«Sai,»
iniziò con un tono di voce che mi mise i brividi
«continuo ad
immaginare che lui ci raggiungerà» fece una pausa
ed aspirò un
altro tiro di sigaretta «lo vedo entrare,con la luce che gli
illumina il viso e gli fa sembrare i capelli più chiari.
D'estate
col sole gli si schiarivano sempre i capelli,diventavano di un
castano chiaro bellissimo. Da piccolo aveva un taglio a caschetto
davvero osceno» continuò,aprendo la bocca in un
grande sorriso triste
«mio padre lo prendeva sempre in giro,ma mia madre continuava
a dire
al barbiere di fargli quel taglio. Pure allora era una testa di cazzo
quella donna» sorrise ancora «a me faceva tagliare
i capelli ogni
volta che superavano la lunghezza delle spalle. Diceva sempre che
altrimenti erano in disordine e che sembravo uno di quei cani randagi
che si aggiravano per la strada. Stronza. Se li vedesse ora
chissà
che faccia farebbe».
Diversi
centimetri di cenere caddero sul suo ginocchio sinistro e una lacrima
le scivolò sulla guancia così lentamente,che mi
sembrò le stesse
straziando la pelle. Mi faceva tenerezza. Il suo dolore era
così
reale e tangibile,che creava attorno alla sua figura una sorta di
aura mistica,un'ampolla che anziché proteggerla,avrebbe
finito per
distruggerla. Che cosa potevo fare per aiutarla?Cosa avrebbe potuto
aiutarla?Non c'erano distrazioni,se non situazioni catastrofiche in
cui saremmo stati costretti a fuggire o saremmo semplicemente morti.
Certo
era,però,che niente era uguagliabile al dolore,ed io lo
sapevo bene.
«Ci
sono passata Alex,» affermai con la voce ridotta ad un
ennesimo
sussurro «so bene cosa si prova a perdere una delle persone
più
importanti della tua vita».
Lei
annuì debolmente e si asciugò una lacrima
«non riesco nemmeno a
respirare. Voglio morire. Voglio solo morire».
La
guardai fare l'ultimo tiro di sigaretta,e sentii immediatamente una
fitta al petto e l'inspiegabile desiderio di piangere al suo fianco.
Il dolore,a volte,è contagioso.
«Non
vuoi morire,Alex. Se l'avessi voluto veramente,a quest'ora non
saresti dentro questa grotta».
Allora,la
contemplazione del nulla finì,ed i suoi occhi scuri si
fissarono sul
mio viso intensi e penetranti come pochi.
«Sai
perché non l'ho fatto?» chiese poco dopo.
«No.
Perchè?»
Volevo
saperlo per davvero.
La
ragazza chiuse gli occhi per qualche secondo,e quando li
riaprì
un'altra lacrima scese lenta e dolorosa «avevo pensato che
sarebbe
stato facile. A New York si sentivano di continuo le notizie di
persone disperate che avevano deciso di togliersi la vita. Una
ragazza nella mia scuola l'aveva fatto. Il padre e la madre avevano
divorziato e sua sorella era morta pochi anni prima per un incidente
stradale. Quando la notizia apparve al telegiornale,mentre mangiavo
un panino e bevevo una bottiglia di gin,rimasi sconvolta. Il
giornalista disse che si era tagliata le vene e che aveva sofferto,da
dopo la morte della sorella,di depressione ed anoressia. Quando senti
questo tipo di cose,non pensi che possano mai toccarti
veramente...capisci cosa intendo dire?»
Annuii,seppur
debolmente.
«Ti
sembrano così tragiche,così distanti e
disperate...e tu ti senti
estraniato da qualunque cosa non ti riguardi. Pensi che le persone
muoiono tutti i giorni,pensi che gli incidenti accadono,pensi che le
malattie esistano,ma che tu per qualche assurda ragione ne sia
immune. La verità è che non siamo immortali,non
siamo destinati a
vivere in eterno e nessuno ci assicura di essere al riparo dal
male»
fece una pausa e sospirò «pensavo che sarebbe
stato facile. Pensavo
che avrei fatto una lieve pressione sul grilletto e me ne sarei
andata all'altro mondo,e invece ho scoperto che non è
così. Ci
vuole più coraggio a morire che a vivere. Per vivere basta
respirare,basta trascinarsi anche a fatica su di un pavimento,basta
fingere di sorridere anche se muori dentro e ti senti gli organi
divorati giorno dopo un giorno da un mostro che è senza
nome. Per
morire,invece,devi sentirti pronta. Devi essere capace di buttarti in
una voragine senza fine,pensando che non avrai né un
passato,né un
presente e né un domani. E non basterà
più sorridere,non basterà
più respirare,non basterà più
trascinarsi,perché non potrai più
cullarti neppure nel dolore. Mi sono buttata tutta la vita in cose
che pensavo sarebbero state più grandi di me,ripetendomi che
ero
stata coraggiosa. Questa volta,invece,ho preferito essere codarda e
continuare a strisciare come un verme,già marcia
dentro».
Silenzio.
Alex
si stropicciò gli occhi cerchiati da delle grandi occhiaie e
sfilò
l'ultima sigaretta dal pacchetto da venti di Marlboro. Nessuna di noi
due osava rompere quel silenzio. Se non ci fosse stata quell'assurda
regola,stampata come a caratteri cubitali su di enorme cartello
immaginario,forse avrei pianto. Giusto quel poco che mi avrebbe
permesso di tirare fuori tutte le parole che avevo assorbito pochi
minuti prima. Come una spugna,era gonfia di un dolore che non mi
apparteneva,ma che per qualche ragione aveva un sapore familiare.
«Finirà
mai?» chiese all'improvviso,costringendomi a ridestarmi da
quella
specie di trance.
La
guardai «che cosa?»
«Il
dolore che ti frantuma le viscere».
Chiusi
gli occhi «no,non finirà mai. Sarà una
componente della tua
persona e il tempo non cancellerà niente :
renderà solo l'inferno un
abitudine senza uguali».
Ce
ne stavamo seduti in cerchio,con il sole ormai alto nel cielo che
trapelava dalle fitte foglie degli alberi e raggiungeva buona parte
della grotta,come per invitarci ad uscire. Saremmo dovuti partire
già
da un pezzo,e invece le nostre facce stanche erano ancora
lì,in
attesa di un ordine o una soluzione che non riusciva a venire fuori.
Avevo sete e avevo fame. Non bevevo da più di dodici
ore,ormai,ed
avevo la gola secca e le labbra che mi supplicavano di essere
bagnate. Deglutivo a fatica la saliva e mi inumidivo la bocca con
questa. Lo stomaco brontolava,si contraeva,e la stanchezza governava
ogni mio singolo muscolo. Senza che me ne accorgessi,di tanto in
tanto,mi si chiudevano gli occhi e mi cedeva la testa che si adagiava
col mento sul busto. Allora Brittany mi dava un colpetto sulla
spalla,guardandomi preoccupata,mi ripeteva che non sarei dovuta
restare di guardia,ed io guizzavo come un'anguilla con gli occhi
completamente sbarrati. Non era piacevole sentirsi fuori uso,non in
grado neppure di camminare. Ero sporca e puzzavo di sudore,di terra e
di morto. Un odore simile a quello di un cadavere che si appresta a
putrefarsi,esattamente identico a quello degli altri,che fingevamo
distrattamente di ignorare. Un animale sarebbe stato in condizioni
migliori delle nostre,se ne esistevano ancora...
«Abbiamo
bisogno di acqua,Noah» disse Brittany rompendo quel velo di
inafferabile silenzio «non possiamo incamminarci senza cose
primarie
come cibo e acqua,o senza armi».
Noah
si accigliò «non possiamo neppure avventurarci in
città in queste
condizioni e con una pistola quasi scarica. Guardaci,Brittany : pensi
che saremmo in grado di affrontare una dozzina di affamati quando a
stento potremmo reggerci in piedi?»
Non
c'era soluzione,non esisteva una scappatoia che non comprendesse dei
rischi. Per questo,da ore,ce ne stavamo lì un po' per
svogliatezza e
un po' per le inconcludenti decisioni del gruppo. Forse,se ci fosse
stato Steven...
«Dobbiamo
andare in città,non c'è altra scelta»
annunciai,sforzandomi di
guardare il viso distrutto di Noah «ci serve
dell'acqua».
Forse
era la sete a parlare,o forse la disperazione. Volevo solamente
uscire da quella grotta e bere un'immensa sorsata di acqua fresca.
Non chiedevo altro : acqua.
Puckerman
mi guardò serio e poi si alzò di scatto da
terra,lasciandomi
perplessa per un istante.
«Dove
diavolo vai?» chiese Lucas,anticipandomi.
«Prenderò
dell'acqua e del cibo in scatola e tornerò il più
velocemente
possibile qui. Se ci riesco,ruberò una macchina e poi ci
rimetteremo
in viaggio» annunciò serio.
Scossi
la testa «spero che tu stia scherzando!Vuoi farti
uccidere,Puckerman?»
Lui
inspirò e si passò una mano sulla nuca ormai
piena di capelli
castani «Mi muoverò veloce,posso
farcela».
Mi
sollevai da terra,e Lucas si alzò con me
«no» risposi a brutto
muso.
«Vengo
con te» disse mio fratello.
Sgrani
gli occhi e il mio sguardo corse sul suo viso.
«San,possiamo
farcela» mi disse lui con una voce quasi disperata,che
supplicava la
mia approvazione «so usare bene la pisto...»
«Ma
che vi siete messi in mente?!Siete impazziti?!» sbottai
furiosa «Vi
uccideranno!Vi uccideranno ed io sarò costretta a restare
qui a
piangere per voi,soffrendo come un cane!Nessuno va' in
città,ok?Nessuno si muove da qui o giuro su Dio che,se
uscite da
questa grotta,io mi farò ammazzare con voi!»
Brittany
mi sfiorò il braccio con la mano
«San,calmati...» sussurrò dolce
«va' tutto bene».
«No!»
urlai «Non va bene un cazzo!Non bevo e non mangio da
un'eternità,sono stanca e sporca e mio fratello mi sta
pregando di
andare a farsi uccidere. Ma state scherzando?!Tu non vai da nessuna
parte!Non ti muovi da qui,hai capito?!Non ti muovi da qui!»
Lucas
mi guardò serio e scosse la testa con disapprovazione
«ma perché
fai così?» mi chiese con la fronte aggrottata e la
voce che
sembrava quella di un uomo adulto.
«Perché
non voglio perderti!» riuscii a dire prima che i singhiozzi
mi
scuotessero il petto.
Passarono
alcuni minuti prima che Noah ricominciò a parlare
«E' arrivato il
momento di partire. Ci incammineremo lungo la strada,diretti dalla
parte opposta della città e spereremo di trovare qualche
casa
durante il tragitto».
L'aveva
fatto per me,lo sapevo. Noah aveva deciso così soltanto per
me.
Sapeva che se fosse andato,mio fratello avrebbe insisto per seguirlo
e che io non li avrei mai e poi mai lasciati andare. Da una parte lo
ringraziavo,dall'altra la mia gola supplicava di ingoiare qualcosa di
fresco.
Con
ancora le lacrime agli occhi e il sapore salato sulla
lingua,ricominciai a camminare assieme agli altri. Percorremmo il
bosco e raggiungemmo la strada principale,poi,sotto il sole che
picchiava sopra le nostre teste,ci incamminammo lentamente verso una
meta sconosciuta,passo dopo passo sul ciglio della strada. Col
passare del tempo la vista mi si sfocava sempre di più ed i
piedi si muovevano a zig zag. La stanchezza giocava brutti scherzi e,in
quell'esatto istante,mi sembrava di camminare in un cocente
deserto senza fine. Acqua. Acqua. Acqua. Non riuscivo a far altro che
pensare a dell'acqua. Era il mio pensiero primario,che come fosse
pieno di un'assurda mania di protagonismo,occupava la mia intera
mente. Non mi curavo più neppure di Brittany,che era
costretta a
rallentare il suo passo per restarmi al fianco. Ogni tanto mi
parlava,per non far calare la mia attenzione,ma la sua voce era come
un inutile ronzio nella mia testa e non afferravo con esattezza le
sue parole.
«Dobbiamo
fermarci!» riuscii a sentirle dire «Credo che
Santana non ce la
faccia più».
Scossi
la testa ed ingoiai della saliva inesistente «sto..sto
bene!»
biascicai esausta.
Brittany
mi fermò per un braccio «No,non stai bene. Siediti
un po' o
rischierai di svenire. Non hai dormito questa notte e non hai un
briciolo di forze...sei pallida,San».
Non
risposi e mi lasciai andare a terra,con le gambe che mi cedevano per
il tremolio nei muscoli «ce la faccio,sto bene».
Brittany
non badò alle mie parole e si sedé al mio fianco.
Mi accarezzo una
guancia lentamente e mi prese il viso tra le mani «ti amo,ma
non
fare la testa calda» sussurrò sulla mia pelle.
Sorrisi
«la mia testa non è calda,ma bollente»
Lei
ridacchiò amaramente «lo so amore,lo so».
Restai
seduta una decina di minuti,con lo sguardo fisso sul viso di
Brittany. Non riuscivo a guardare altro. Lei era il mio faro.
All'improvviso,però,sentii qualcosa : un rumore. Credevo che
fosse
un allucinazione causata dalla stanchezza e dalla sete e,invece,quando
la vidi in lontananza,scattai in piedi come un felino.
«Cazzo!»
urlò Noah,sbalordito «è una
macchina!»
Non
l'avevo immaginato!Quel suono era il rumore del motore di una
macchina. Era reale. Una macchina.
«O
mio Dio» biascicò Brittany.
«Dobbiamo
fermarla!»
La
vettura schizzava svelta come un fulmine sulla strada completamente
vuota. Quando si trovò a qualche centinaio di metri di
distanza da
noi,iniziammo ad agitare le braccia,a saltare e a gridare.Eravamo
disperati ed avevamo bisogno di aiuto. Se quella persona
possedeva o era in grado di procurarsi una macchina,di sicuro aveva
scorte di acqua e di cibo e un riparo sicuro dove stare. Dio,mi
sembrava un miracolo.
«Aiutateci!»
gridai con l'ultimo filo di voce che avevo,agitando le braccia
assieme agli altri.
La
macchina ci aveva quasi raggiunti ormai,ma non si apprestava a
fermarsi. Non capivo,e all'improvviso smisi di urlare e di saltare.
Perché non rallentava?
«Ma
che succede?» chiese mio fratello.
«Brutta
testa di cazzo» bofonchiò Alex.
Guardavo
ancora il fuoristrada nero avvicinarsi veloce,pronto a schizzare
via,quando all'improvviso Noah si gettò in mezzo alla strada.
«Puckerman!»
gridai terrorizzata assieme agli altri.
Cinquanta
metri. Trenta metri. Venti metri. Non potevo guardare.
«Noah!»
Lo
stridio dei freni sforzarsi sino all'inverosimile e l'odore della
gomma bruciata,mi costrinsero ad aprire gli occhi. Noah era
immobile,tutt'intero,e il muso della macchina distava qualche decina
di centimetri dalle sue ginocchia. Mi vennero i brividi.
«Puckerman,stai
bene?» gridò Lucas.
Noah
non rispose,continuava a fissare dritto di fronte a
sé,attraverso il
vetro scuro che nascondeva un altro raro essere umano. Quando Lucas
camminò per raggiungerlo,noi altre lo seguimmo,curiose.
Affiancammo
Noah e,pochi secondi dopo,lo sportello dell'auto si spalancò
con
violenza.
«Ma
ti ha dato di volta il cervello?!» urlò una
ragazza,con un grosso
fucile in mano «Cosa sei,un pazzo?!»
continuò furiosa.
La
canna del fucile si sollevo e la ragazza mirò alla testa di
Puckerman. Eravamo tutti allibiti. Ma che stava succedendo?Prima
ancora che potessi trovare una risposta,la portiera dalla parte del
passeggero si spalancò improvvisamente. C'era qualcun altro
dentro
la macchina.
«Quinn,andiamo...»
la richiamò un uomo dai capelli lunghi e biondi,con un forte
accento inglese «non cominciare a dare di matto!»
disse il tipo,con
un'aria decisamente canzonatoria.
La
ragazza stralunò gli occhi e lo guardò
«e va bene» rispose
arresa,abbassando il fucile «voi chi diavolo siete?»
Fissai
un'ultima volta i due tizi e poi,come se fossi stata troppo esausta
per giungere ad un'altra conclusione,decisi che ci avrebbero salvato
la vita.
«Siamo
un gruppo di sopravvissuti...» disse Noah,rompendo il
silenzio che
si era creato.
«Cavolo!»
rispose la ragazza,sgranando gli occhi con finta sorpresa
«Credevo
che foste un branco di cervi che attraversava la strada!»
Allora,mi
scappò un sorriso. Eravamo salvi. Per il momento,eravamo
salvi e non
riuscivo a pensare ad altro.
E rieccomi qui!Pensavate che vi avrei lasciati
immaginare il resto della storia?Ebbene no! Si riparte,e si parte alla
grande. Innanzitutto mi scuso con voi per questa pausa che ha
inevitabilmente segnato la mia assenza dal sito.
Spero,però,che siate contenti di riavermi di nuovo qui tra
voi e,soprattutto,che questo capitolo vi sia piaciuto. Gente,abbiamo
due nuovi ingressi nella storia,ed uno dei due personaggi possiamo dire
di conoscerlo come le nostre tasche...ovvio
è,però,che la Quinn che conosceremo nei prossimi
capitoli è molto diversa da quella di Glee. La Quinn di
'Between the Hungry' è una Quinn che viene da un passato
difficile e vive in un presente ancora più difficile ; se
facciamo due più due,possiamo dire di conoscerne il
risultato. Al suo fianco troviamo un altro personaggio che in questo
capitolo resta nell'ombra,ma che conosceremo molto molto presto. Che
altro dirvi,se non le solite cose? Fatemi sapere tutto quel che
pensate,senza avere timore!Sono sempre curiosa di leggere i vostri
pareri e di sapere se avete gradito o meno il capitolo.
Alla prossima!Ci becchiamo nelle recensioni.
P.S. Ho
deciso di interrompere la pausa,ma dovrete perdonarmi se non
pubblicherò i capitoli a breve distanza l'uno dall'altro.
Purtroppo per via di impegni ed un accavallarsi di situazioni,sono
rimasta un po' indietro con la storia e devo rimettermi a lavorarci un
po' su. Fatto sta che non mi dimenticherò certo di voi,e che
ci ritroveremo in un prossimo capitolo.
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