Don't let me fall down.

di Valentina_1D_98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei. ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno. ***


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Capitolo Uno. 
< Caroline, Caroline. Devi ascoltarmi ora. >

L’agente Roger prese il mio viso, tremante e arrossato dalle lacrime, delicatamente tra le mani.

< E’ tutto finito adesso, non hai più nulla per cui preoccuparti, piccola. > aggiunse.

Riuscii ad aprire gli occhi solo quando sentii la sirena accesa della macchina della polizia, segno che lui se ne stava andando via, per sempre.
Stava lasciando una bambina tra le braccia di un agente della polizia, sfuggendo al suo ruolo da padre.
Lo guardai attraverso il finestrino.
I nostri sguardi si incrociarono per un momento prima che l’auto se ne andasse, ma quel piccolo istante bastò a farmi capire quanto odio c’era in lui, e che non si sarebbe arreso. Sarebbe tornato un giorno, probabilmente.
Avevo quattro anni quel 24 Novembre 2001, solo quattro anni. Ma quegli occhi me li ricordo ancora, come fosse successo ieri.
 
Quindici anni dopo …

< Avanti Caroline, muoviti o faremo tardi! >

< Arrivo mamma, solo due minuti! >

Mi girai un’ultima volta a dare un’occhiata alla mia camera - non l’avrei rivista per molto tempo. Poi mi chiusi la porta alle spalle e trascinai al piano di sotto l’ultima valigia.
La caricai nel bagagliaio e montai in macchina.

< Sei sicura di aver preso tutto? >

< Certamente! > risposi, allacciando la cintura.

Mia madre mi sorrise fiera e, dopo avermi lasciato due minuti per realizzare cosa stava per accadere, mise in moto l’auto e partimmo.
M’infilai le cuffie nelle orecchie e presi a guardare la strada che correva veloce, gli alberi che si trasformavano man mano in una striscia verde, finché il sonno mi indusse a chiudere gli occhi, e da quel momento solo nero.

Quando mi svegliai eravamo appena arrivate a destinazione.
Una distesa verde venne percorsa velocemente dai miei occhi curiosi, che si fermarono all’entrata possente, ma solo perché questa non lasciava intravedere null’altro.
Mi lasciai sfuggire un sospiro di sorpresa e, ancora con la bocca spalancata, mi girai verso mia madre.
Scoppiai a ridere alla vista della sua espressione e lei, improvvisamente, mi abbracciò.

< Mi mancherai Carol. >

< Grazie di tutto, senza di te non sarei arrivata fin qui. > dissi, ricambiando il caloroso abbraccio.

< Io l’ho visto, l’ho visto negli occhi di quella bambina che piangeva, quella notte. >

< Cosa? >

< Tutto questo … La tua forza, la tua determinazione e la tua buona volontà. Una bambina di quattro anni che non si è arresa all’aver perso tutto quanto. >

Mi sfuggì una lacrima al pensiero di quel passato che pensavo aver sepolto, ma che era riemerso dopo anni, da un semplice riferimento.
E’ proprio vero che dal passato non si scappa mai.
Cercai di non dargli peso, ero abbastanza forte da lasciar perdere.
Mia madre mi accompagnò fin nella hall della Stanford University e una donna sulla sessantina ci venne incontro.
Mi colpirono i suoi capelli rigorosamente bianchi e gli occhi azzurri in risalto.
Vestiva di un abito rosso, lungo e composto.

< Buongiorno, tu devi essere la signorina Caroline Manson. Benvenuta alla Stanford University. > disse cordialmente, stringendomi la mano.

Ricambiai quella stretta formale alla quale non ero abituata, mostrando un sorriso.

< Io sono la preside, la signora Montgomery e ti accompagnerò nella tua stanza. A breve ti verrà consegnato anche il tuo piano di studi, gli orari delle pause, la mappa della scuola e l’elenco dei vari corsi extrascolastici ai quali puoi iscriverti. >

Sorrisi a mia madre in segno di saluto, mentre mi allontanavo con la signora Montgomery.
Lei rimase a fissarmi mentre andavo via, finché le porte dell’ascensore non si chiusero, rompendo ogni possibile contatto visivo con la donna che si era presa cura di me per la maggior parte della mia vita.

La Stanford University, vista dal vivo, faceva un certo effetto.
Dai volantini sembrava solo serietà.
In realtà era un mix di eleganza, compostezza, maturità e un altro milione di cose che ti facevano capire che, arrivata a quel punto, dovevi fare una scelta: impegnarti al massimo, raggiungendo così quei buoni risultati necessari ad aprirti le porte del mondo, o accartocciare una vita passata a studiare, e fare canestro nel cestino.

< Numero 248, la tua camera. Spero ti troverai bene Carol, ma a giudicare della tua documentazione che c’è stata inviata dovresti trovarti veramente bene. >

Salutai educatamente la preside e, con la tessera che mi era stata da lei appena assegnata, aprii la porta di quella camera che rappresentava simbolicamente quel futuro tanto atteso, il raggiungimento della prima della miriade delle tappe che mi ero prefissata per il mio futuro.


 

My Space

Buoooooooonasera. <3
Eccomi tornata con una nuova FanFiction, finalmente. 
Era da tanto che scrivevo solamente One Shot e mi mancava scrivere storie lunghe (che, tra l'altro, mi erano state molto richieste), quindi eccomi qui. 

Parto subito facendovi notare la caratteristica penso principale di questa nuova storia. 
Viaggia come in due tempi, il passato e il presente
Questo rimarrà fino alla fine.

Come potete vedere non è lunghissimo come capitolo, ma non preoccupatevi, non saranno tutti così. 

AGGIORNERO' OGNI LUNEDI', OVVIAMENTE SOLO SE TROVERO' ABBASTANZA RECENSIONI. 
 
Un po' di domandine ine ineee
1) Vi piace il banner? 
2) E' di vostro gradimento questo viaggiare in contemporaneo del passato e del futuro di Caroline?

Se avete consigli sono prontissima a prenderne atto e farne tesoro. 
Mi sto dilungando troppo forse, quindi penso che chiuderò qui :')

Un bacio a tutte, Vale xx

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due. ***


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Capitolo Due.

Quella stanza era enorme.
Tre pareti erano colorate di un bordeaux intenso, mentre una – quella che mi si presentava direttamente davanti – era rigorosamente bianca.
Qui c’era addossato un letto di una piazza e mezza. Le lenzuola dello stesso colore bordeaux delle pareti, le federe dei cuscini bianchi con lo stemma rappresentativo della Stanford University.
Sopra al letto una finestra dagli infissi bordeaux dava sul grande giardino.
Una scrivania in legno bianco era addossata alla parete di destra, sovrastata da diverse mensole del medesimo colore.
Sulla parete di sinistra c’era un enorme armadio – anch'esso in legno bianco, con varie rifiniture che gli davano un tocco di indiscutibile eleganza.
Mi feci sfuggire un wow stupefatto mentre mi guardavo intorno.
Non pensavo che le camere di un college potessero essere più belle e confortevoli della mia.


Passai il pomeriggio a sistemare i vestiti nell'armadio, i libri sulle mensole e le varie foto sul comodino e sulla scrivania.
Sembrava tutto così tranquillo in quel college, che per un momento pensai che sarei riuscita finalmente a leggere il libro che ormai da un po’ di tempo mi tiravo dietro.
Ma, proprio quando mi sistemai con la schiena alla spalliera del letto e le gambe incrociate, qualcuno bussò alla porta.
Sbuffando rumorosamente lasciai il libro sulle lenzuola pulite e mi avvicinai alla porta.

< Buonasera, questo è il suo piano di studi e questo il codice del suo armadietto. Buon proseguimento signorina Manson. >

Ero lì soltanto da poche ore e già conoscevano il mio cognome, senza bisogno di alcuna presentazione.
Era tutto quasi inquietante.
Richiusi la porta e, con lo sguardo perso sul foglio che mi era appena stato consegnato, mi distesi sul letto a pancia in giù e in quella stessa posizione, poco dopo, mi addormentai.


La terra iniziò a sgretolarsi sotto ai miei piedi, costringendomi a correre, sempre più veloce. O almeno così pensavo.
In realtà più spingevo le gambe, più queste erano pesanti e si rifiutavano di andare avanti.
“E’ tutta colpa tua!”
Una voce continuava a ripetermelo ininterrottamente, formando un eco assordante.
Cercai di tapparmi le orecchie, scossi la testa per sfuggirle, ma nulla da fare. Era lì, onnipresente.
Finché, d’un tratto, i miei piedi arrivarono a toccare il nulla, il vuoto era sotto di me e io stavo crollando.
Mi svegliai improvvisamente col respiro pesante, affannato.
I sudori mi colavano dalle tempie, percorrendo il mio viso e andando a finire nell'incavo del mio collo.
La mia fronte era bollente e le mie guance rosse.
Non potevo continuare così.
Lo stesso incubo che mi perseguitava ormai da anni, stava per avere la meglio sulla mia consapevolezza di non essere colpevole.
Ma ero io abbastanza forte da non farmi calpestare da quelle parole, “E’ tutta colpa tua!”?
Ero, io, in grado di sopravvivere?
Consapevole del fatto che non sarei riuscita ad addormentarmi, iniziai a prepararmi per quel primo giorno di scuola che mi terrorizzava assai.
Mi precipitai in bagno – si, c’era anche il bagno in camera -, ancora scossa dal sogno, per una doccia fredda.
La facevo sempre, mi aiutava a scacciare via i pensieri negativi.
Ancora avvolta nel mio accappatoio azzurro mi avviai verso l’armadio.
Optai per un paio di jeans stretti e chiari e una maglia nera e abbastanza larga.
Legai i capelli ancora umidi in una treccia morbida sulla mia spalla destra e passai al make-up, semplice e veloce.
Un po’ di fondotinta e il mascara in modo da mettere in risalto i miei occhi verdi sarebbero bastati.
Proprio mentre stavo per uscire dalla camera, sentii il cellulare vibrare nella tasca dei miei jeans.

Da: Nancy
Buon primo giorno di scuola. xx

Un sorriso fece capolino sul mio volto, distrutto dalla notte appena trascorsa e dall'ansia di quello che mi sarebbe capitato.

A: Nancy
Grazie mamma. xx

Risposi velocemente prima di ricacciare il cellulare nello stesso posto dal quale lo avevo precedentemente preso.

Uscii dal dormitorio insieme a svariati ragazzi, mattinieri come me, che mi guardarono dalla testa ai piedi per un po’, incuriositi.
Cercai di non dare troppo peso a tutti quegli sguardi, ma le mie guance mi tradirono, prendendo il classico colorito rossastro.
Continuai per la mia strada con i libri stretti al petto, attraversando quel giardino che pareva non finire mai.
Quando finalmente arrivai all'istituto vero e proprio tirai un sospiro di sollievo.
C’erano ancora pochi ragazzi, tutti troppo impegnati a fumare per accorgersi della mia presenza – e andava bene.

< Ragazzi, questa è la vostra nuova compagna, Caroline Manson. Viene dal Minnesota e per lei è il primo anno qui alla Stanford. Mi raccomando ragazzi, datele un buono benvenuto. >

Mi sentivo a disagio, veramente a disagio con tutti quegli occhi puntati addosso.
La signorina Green prese a spiegarci il programma del nuovo anno, specificando quanto sarebbe stato difficile e impegnativo.
L’unica cosa che riuscii a fare era annuire, mentre mi guardavo intorno.
Tra le facce degli studenti in quell'aula non ne riuscii a riconoscere nemmeno una di quelle che avevo visto fuori.
Questi non avevano l’aria dei fumatori.
Questi erano tutti composti, a guardarli bene nessuno stravaccato come eravamo invece un po’ tutti nella mia vecchia scuola in Minnesota.
Qualcosa mi diceva che non ci sarei affatto andata d’accordo.

Quando la campanella suonò, tutti gli studenti si riversarono nei corridoi, che presero subito le sembianze di una sorta di strada trafficata all'ora di punta.
Mi affrettai ad arrivare al mio armadietto per prendere i libri dell’ora successiva. Arrivando presto in classe, la professoressa non si sarebbe di certo ricordata che quella nuova ero io – di solito il “nuovo arrivato” entra sempre in ritardo; così avrei scampato quell'imbarazzante presentazione, in piedi, davanti a tutta la classe.
Ma come potevo pensare che sarebbe tutto filato liscio?
Proprio mentre mi girai per raggiungere la nuova classe, qualcosa – o meglio, qualcuno – urtò la mia spalla, talmente forte da farmi cadere a terra insieme ai libri che tenevo fra le mani.
“Oh, ora l’aiuterà ad alzarsi, si innamoreranno all'istante e vivranno per sempre felici e contenti.”
No.
Questo non era un film, e io non ero una di quelle ragazze belle e perfette di cui un ragazzo si innamora a prima vista.
Un ragazzo alto e moro mi guardò ridendo, seguito a catena dai suoi amici.

< Attenta a dove cammini, novellina! >

Tutti coloro presenti nei corridoi avevano assistito impassibili alla scena. Tutti tranne una.

< Dai alzati >

Una ragazza si piegò sulle ginocchia di fianco a me e mi aiutò a recuperare i libri da terra.
Aveva dei lunghi capelli neri che le arrivavano fino all'altezza dell’ombelico, piegandosi in morbidi boccoli naturali verso la fine.
La cosa che mi colpì subito furono i suoi occhi color ghiaccio che risaltavano così tanto in contrasto con i capelli scuri – solo dopo mi accorsi che era completamente struccata, nemmeno un filo di mascara aveva.

< G - grazie … >

Riuscii a dire dopo quel gesto.
Era stata carina ad aiutarmi, ma non era per nulla gentile, anzi.

< Stai alla larga da Zayn, o almeno cerca di farlo, mi raccomando. Ti porterà solo guai. Stai più attenta nei corridoi, di tipi come lui ne è pieno. > mi ammonì, come se mi stesse leggendo le istruzioni per non diventare in poco tempo lo zimbello della scuola, mentre ci dirigevamo insieme verso la classe di letteratura.

< Sono Emma, comunque. Emma Roger. > disse, girandosi improvvisamente nella mia direzione.

< Caroline … >

< Manson. Caroline Manson, lo so. > disse sorridendo.

Più la guardavo, più mi convincevo che avevo davanti forse la ragazza più bella che io avessi mai visto.
Poi tornai bruscamente alla realtà, concentrandomi su ciò che aveva appena detto.
Come poteva conoscermi?

< Come lo sai? >

< Come si vede che sei nuova … > sussurrò, come se fosse un pensiero detto ad alta voce, scuotendo la testa con un sorrisetto stampato in faccia < Qui alla Stanford le voci girano. C’è veramente poco da fidarsi, una sciocchezza detta alla tua compagna di banco in un momento di noia diventerà, nel giro di due minuti, argomento di irrefrenabile gossip. Ora è tardi però, non vorrai fare tardi alla lezione di letteratura? >

La seguii perplessa, infinitamente perplessa, mentre cercavo di assorbire quell'infinità di cose che mi erano state dette nel giro di poco più di due minuti.
Ci sedemmo vicine, ma nessuna delle due riuscì a seguire la lezione.
 
< Sul serio questa pensa che alla seconda ora del primo giorno di scuola noi siamo in grado di ascoltare tutte le cazzate che le stanno sfuggendo di bocca? Ah, povera illusa. > sussurrò Emma, avvicinandosi a me, dopo circa venti minuti che la Allen parlava a ruota, senza una minima sosta.

< Signorina Roger, l’aula punizioni è già a nostra disposizione. Vuole andare ad inaugurarla? > chiese retoricamente la professoressa, con quel po’ di autorità che bastò ad irritare Emma.

< No, poveretti. Lasciamo che almeno i professori di quell'aula si rilassino, dato che è solo il primo giorno di scuola. Lei è davvero convinta che in questa classe ci sia qualcuno che abbia ascoltato tutto ciò che è uscito dalla sua bocca? No perché, se lo pensa veramente, anche lo sportello help è già a nostra disposizione, se vuole andare ad inaugurarlo. >

La professoressa Allen spalancò occhi e bocca imbestialita, mentre la classe scoppiava in una fragorosa risata.

< Fate silenzio voi! O vi spedisco uno per uno dalla preside!  >

Ad essere sincera, fantasticando sulla Stanford, ho sempre pensato ci fossero persone per bene, tutti con la passione dello studio, perché venendo qui devi avercela per forza. Non mi sarei nemmeno mai immaginata scene del genere, non mi sarei nemmeno mai immaginata persone come Emma, che, in un modo o nell'altro, servivano per sdrammatizzare quel genere di situazione.


La giornata passò, come la settimana successiva, e scoprii di avere quasi tutti i corsi insieme ad Emma - la cosa mi tranquillizzava.
Insomma, almeno conoscevo qualcuno.
Quando andammo in mensa mi sedetti al tavolo insieme a lei e i suoi amici – tutti tipi del terzo e quarto anno.
Parlavano di una festa, loro. Sarebbe stata quella sera da quanto avevo capito, ma non mi interessai all'argomento, anzi, mi estraniai proprio dal discorso, dato che non avevo intenzione di mettere piede in casa di questa Lara Matthew , data l’assenza dei suoi genitori, totalmente all'oscuro di quello che sarebbe accaduto, probabilmente.
Non volevo mettermi in mezzo a nessun tipo di casino, convinta di passare la serata a leggere, sdraiata sul mio letto.
Fin quando Emma non mi interpellò.

< Allora Carol, tu cosa farai stasera? >

< Penso che rimarrò a casa, sai, adoro leggere … > dissi con nonchalance addentando il polpettone nel mio vassoio.

Tutto il gruppetto si girò a guardarmi come se avessi appena annunciato l’arrivo degli extraterrestri sulla terra.
Cosa c’era di così strano a passare una serata a leggere?
Sentii le guance avvampare e tingersi di un rosso fuoco.

< Stai scherzando? > mi chiese un ragazzo, seduto due posti dopo Emma.

< Io veramente … >

< Tu niente. > mi interruppe Emma < Tu stasera vieni con noi. Ti passo a prendere per le otto. >

< Non ne sono del tutto sicura …  >

< Dai, infondo non è nulla di devastante. Solo una festa a casa di Lara Matthew. > esordì Clara, un’altra compagna di Emma.

< Non sarà male Carol, vedrai! > aggiunse Emma, già eccitata per la serata che si avvicinava, minuto dopo minuto.

Mi guardai intorno.
Tutti in quel tavolo mi guardavano interrogativi, cercando una risposta nei miei occhi – possibilmente un’approvazione, magari.
Feci roteare gli occhi e mi lasciai condizionare dalle loro suppliche.

< E va bene, verrò. >

Si diedero tutti il cinque, come se per loro fosse un obiettivo raggiunto.
E così mi ritrovai costretta ad andare ad una festa, con sole otto ore di preavviso e senza un vestito adatto.

 

My Space 

Buoooonasera xx
Scusatemi immensamente per il ritardo nell'aggiornare, ma tra il concerto e la connessione internet che ha avuto problemi non ce l'ho fatta. 

Volevo ringraziare tutte le ragazze che hanno recensito il primo capitolo, sul serio, siete fantastiche :')

 

In questo capitolo diciamo che la storia inizia a prendere vita. 

Ecco l'entrata in scena di Zayn, tipico bulletto del college. Vista così potrebbe sembrare una cosa monotona e poco originale, ma già dal prossimo capitolo il mistero prenderà il sopravvento. (( Genere mistero per qualcosa, o no? ))
Ecco che entra in scena anche Emma, questa nuova ragazza che sembra aver legato da subito con Caroline. Andando avanti assumerà un ruolo mooooolto importante, ma non voglio anticipare nulla :)
Cosa ne pensate del capitolo in sè?
Vi piace?
Fatemi sapere tutto in una recesione xx


ANYWAYYYY
Tanti auguri al nostro Ash, che oggi compie vent'anni ed è felice di aver ricevuto un mini carrellino per la spesa come regalo (?)


Per le ragazze che non hanno avuto la possibilità di venire al concerto, ho deciso di registrare la maggior parte di questo (io sono andata a Milano il 28) e di caricare i video sul mio canale YouTube. Qui c'è la prima parte, giovedì saranno online anche gli altri due video, in fase di editing ((
https://www.youtube.com/watch?v=daMZPFCRN58))

Proprio stamattina ho aperto il mio nuovo account Twitter, dove sono sempre disponibile, quindi se volete seguitemi --------> 
https://twitter.com/Happy20bdayAsh


Penso di essermi dilungata pure troppo, omeodeo. 
Spero il capitolo vi sia piaciuto, al prossimo lunedì ((sul serio stavolta))
Un bacio, Vale xxx.



 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre. ***


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Capitolo Tre.

Alle otto in punto Emma si presentò davanti alla porta della mia camera, fasciata in un abito nero che metteva in risalto le sue forme perfette.
I capelli legati in una lunga coda di cavallo.
Per non parlare del trucco mozzafiato.
Era … bellissima.

< Wow Emma! Stai … Stai benissimo! >

< Grazie! > rispose soddisfatta, facendo un giro su se stessa. < Cosa metti? Dai, fammi vedere! >

< Io, ehm … Non lo so. Non ho nulla di minimamente paragonabile a questo favoloso vestito, niente che possa andare bene per una serata. > dissi, sedendomi bruscamente sul letto.

< Fammi dare un’occhiata. >

Perlustrò il mio armadio per qualche secondo, prima di parlare di nuovo.

< Tu hai bisogno di shopping, ma non abbiamo tempo ora. Vieni da me, penso di avere qualcosa che ti calzerà a pennello. > disse, scrutando il mio fisico esile.

Il suo armadio era pieno di roba, vestiti e scarpe di tutti i tipi.
Optò per un vestito a fascia color pesca corto fino a metà coscia, con delle scarpe modestamente alte abbinate.

< Io dovrei indossare quei trampoli? > chiesi retoricamente guardando le scarpe.

Conoscevo già la risposta.

< Certo che si, inizia a metterli da ora, così prima di andare via ti ci sarai già abituata! > disse, senza dar troppo peso alla preoccupazione onnipresente nel mio sguardo.

Mi sedetti davanti al suo specchio, mi avrebbe truccata  e acconciata lei.
Scelsi dei colori abbastanza naturali, non volevo essere al centro dell’attenzione – come probabilmente sarebbe stata lei, con quel trucco marcato sugli occhi.
Mascara, una linea di eye-liner e blush rosato erano sufficienti. Anzi, era anche già troppo rispetto a quello che mettevo solitamente io.
Emma, aiutandosi con una piastra professionale, trasformò i miei capelli in boccoli voluminosi, che si posarono graziosamente sulle mie spalle nude.
Uno spruzzo di profumo e la sua opera era terminata.

< Fatti ammirare, Caroline Manson. >

Feci un giro su me stessa lottando per stare in piedi, ma tornai al punto di partenza sana e salva – grazie a Dio.

< Un’ultima cosa … >

Si allontanò, frugando nervosamente nel suo armadio.
Ne venne fuori con due maschere, una scura  per lei, e una più chiara … per me.

< E con questa? > chiesi agitata.

< Oh, che sbadata. Sarà una festa in maschera. L’idea era quella di coprire i volti in modo da non essere condizionati. Così tutti balleranno e parleranno con tutti. Non ti avevo detto nulla vero? >

Sembrava delusa, delusa di se stessa, e io ero terrorizzata all’idea di non vedere il volto di nessuno.
Misi la maschera e mi guardai riflessa nello specchio lungo di Emma.

< Ecco, siamo pronte per andare, la casa di Lara Matthew ci aspetta bellezza. >
 

La casa di Lara Matthew si vedeva fin dalla strada, da quanto era illuminata.
David, uno degli amici di Emma, svoltò in una stradina ciottolosa e ci lasciò davanti all'entrata.

< Vi raggiungo dentro. > disse, prima di andare a cercare parcheggio.

La musica era talmente forte da diffondersi anche fuori ma, data la posizione isolata e in prossimità del mare della casa, non avrebbe disturbato nessuno.
Più ci avvicinavamo, più il rumore diventava forte.

< Ti vedo nervosa … > disse Emma fermandosi di colpo.

Osservò per qualche secondo il disagio nei miei occhi rivolti alla porta ancora chiusa.

< Un po’ … > risposi in un sospiro. < Ma passerà, devo solo abituarmi. > aggiunsi, forzando un sorriso che sembrò convincerla.

Emma mi rivolse uno sguardo di incoraggiamento e scollai le spalle, cercando di levarmi di torno quella strana ansia che avvolgeva il mio corpo da capo a piedi.
La musica iniziò a rimbombarmi nel petto non appena aprimmo la porta.
Seguivo Emma, che si muoveva a ritmo di musica – un insieme assordante di suoni metallici.
Appena arrivammo nella stanza centrale, quella da cui proveniva maggiormente il casino, mi accorsi dell’effettivo numero di persone presenti a quella festa:  eravamo circa una settantina di persone, di cui sessantanove sconosciuti. Fantastico.
La maggior parte dei presenti barcollava già da una parte all'altra della stanza con un bicchiere verde tra le mani.
Altri invece ballavano e basta, riservandosi quello stato di incoscienza per la tarda serata.

< Dai Carol! Scatenati! > urlò Emma per farsi sentire, alzando le mani al cielo a ritmo di musica.

Ci volle veramente poco a perderla di vista – e per far aumentare drasticamente il mio livello di ansia.
“Mantieni la calma Carol, andrà tutto bene, è solo una stupida festa infondo.” mi ripetei mentalmente, cercando di convincere me stessa.
Mi avvicinai al banco bar – la penisola della cucina, ricoperta fittamente da ogni tipo di bevanda alcolica immaginabile.
Prima o poi Emma avrebbe avuto sete, giusto?
Presi posto su uno degli sgabelli ed iniziai a guardarmi intorno.
Cominciai a poco a poco a smaltire l’ansia, accorgendomi del fatto che ognuno, nonostante lo scopo che le maschere avevano, stava con i propri amici, e considerando che non avevo amici là dentro, potevo stare tranquilla.
Ma quell'improvvisa consapevolezza si neutralizzò letteralmente nell'attimo esatto in cui sentii una mano calda e morbida sulla mia spalla.
Qualsiasi altra ragazza ne sarebbe stata felice, io invece mi pietrificai, incapace di muovermi, mentre questa mano scivolava lungo il mio braccio e un petto tonico aderì alla mia schiena dritta e tesa.
Roteai lentamente sullo sgabello, impreparata allo scontro con quel paio di occhi azzurri – l’unica cosa che fui in grado di vedere dalla maschera.  

< Ehi bellezza.> mi osservò per qualche secondo, mentre io ancora non riuscivo a muovermi < Io sono Stefan, piacere. > si presentò, alzando moderatamente la voce in modo da farsi sentire.

Aveva un sorriso mozzafiato, devo ammetterlo. Ma quella maschera mi inquietava, tutte quelle maschere lo facevano e mi ritrovai ancora più bloccata di prima.
Mi limitai a sorridere e a stringermi timidamente nelle spalle.

< Oddio! Questa la devo ballare! > disse, ascoltando la canzone appena partita.

Questa sua reazione mi fece sorridere.
Sorrisi un po’ meno, però, quando mi ritrovai al centro della stanza, praticamente obbligata a ballare.
Avevo gli occhi di tutti puntati addosso.
La musica e le luci non mi fecero capire nulla, mi intontirono, mi sentivo assente, come se stessi guardando quella scena da fuori.
Chiunque avrebbe pensato che fossi ubriaca o fatta di qualcosa di veramente pesante, dato che i miei occhi vagavano ovunque, senza una meta. Ma non era così, e questo era preoccupante.
Poi di colpo, nel casino che c’era in quella stanza, mi sentii prendere da dietro. Mi lasciai trasportare, incapace di fare nulla.
Più ci allontanavamo, più la musica si abbassava, più l’assenza di luci stroboscopiche diminuiva e più io iniziavo a riprendermi.
Mi agitai quando mi accorsi di non essere più nella casa di Lara Matthew, ma in un posto buio, dove le uniche luci che c'erano provenivano dall'abitazione.
Mi girai e vidi il suo volto.
Duro, spigoloso, impassibile.
Iniziai a dimenarmi.

< Lasciami! Lasciami subito! >

Non se lo fece ripetere due volte e mi lasciò.
Caddi a terra e mi fermai, alla vista di quel mare calmo, all'odore che emanava, all'aria fresca che arrivava.
Lui si sedette insieme a me, su quel pezzo di costa.

< Ti ho vista in difficoltà là dentro …  >

< Questo non ha senso, perché mi hai portata via? >

< Avevo voglia di stare da solo con te. > mi disse diretto, girandosi improvvisamente nella mia direzione.

I suoi occhi si inchiodarono nei miei, lasciandomi senza fiato.
Si avvicinò vertiginosamente al mio volto e con il pollice mi accarezzò il mento.
Dovevo scostarmi, dovevo andarmene, non dovevo permettergli di fare nulla, ma i comandi mandati dal mio cervello si bloccavano a metà strada e non arrivavamo mai a destinazione.
Un brivido mi percorse la schiena quando le sue labbra si posarono sul mio collo ed iniziarono a succhiare.
Ero in panico.
Cercai di allontanarlo da me, spingendolo con le braccia.

< Non fare così, piccola … > sussurrò al mio orecchio, mordicchiandomi il lobo.

Un gemito attraversò la mia gola e spalancai gli occhi a quel suono così naturale.
Lui ridacchio, evidentemente divertito dalla mia reazione.
Si allontanò dal mio viso e, lentamente, si tolse la maschera.
Non poteva essere lui, no.

< Sono Zayn. > sorrise, per poi avvicinare le mani al mio viso.

Non riuscii a dire nulla.
Tolse anche la mia maschera.
Quando i suoi occhi riuscirono a perlustrare tutto il mio volto sgranò gli occhi. Un sospiro sorpreso uscì dalle sue labbra.

< Io … Io ti conosco … > disse sconvolto, mentre retrocedeva frettolosamente.

< Carol, Carol dove sei?! > sentii la voce di Emma.

Zayn si scostò immediatamente da me, mentre mi sistemavo i capelli, cercando di coprire al meglio il segno che mi aveva sicuramente lasciato sul collo.
Mi girai verso di lui per dirgli di andarsene, ma non ce ne fu alcun bisogno. Non c’era più.

< Carol! > urlò Emma non appena entrai nel suo campo visivo < Cosa stai facendo? > si avvicinò.

< Niente … La musica, tutto quel casino. Avevo solo bisogno di stare un po’ da sola … > cercai di essere convincente.

< Dai vieni dentro, fa un freddo cane qua fuori! >

In effetti aveva ragione.
Era notte fonda e l’arietta che prima sembrava la cosa più bella del mondo stava iniziando a congelarmi, nonostante il battito accelerato del mio cuore e le mie guance rosse e bollenti.
La seguii dentro, girandomi un’ultima volta.
No, non c’era. Lui non c’era più.
Quando ritornammo nella stanza centrale, Lara stava iniziando il suo discorso ringraziando tutti per essere venuti, assicurandosi che tutti si fossero divertiti, per finire poi con un brindisi generale all'inizio del nuovo anno scolastico.
Mi accorsi di Zayn, dall'altra parte della stanza, mentre le sue parole, “Io ti conosco”, mi rimbombavano in testa ripetutamente.
Mi guardò di sfuggita, ma poi continuò a guardarsi intorno e a festeggiare, come se nulla fosse appena successo.
Ma andava bene così.


My Spaceeee


Eccomi, stavolta puntuale yeeeeee.
Per prima cosa volevo ringraziare tutte le dolcissime ragazze che hanno lasciato un parere a questa storia, buono o cattivo che esso sia stato, quindi grazie infinite!
Grazie anche alle lettrici silenziose *VI VEDO* 

Come potete vedere c'è un nuovo banner. 
Ringrazio Amante Dei Muffin che si è offerta per farmelo <3

Passiamo alla storia. 
Com'è?
Finalmente questa festa tanto attesa, ed ecco il mistero che da questo capitolo sarà praticamente onnipresente. 
"Io ti conosco"
Cosa vorranno dire quelle parole?
Vi siete già fatte un'idea?
Ditemi tutto in una recensione, mi piacerebbe sentire tutti i vostri pareri, anche magari quelli di qualche nuova ragazza :))

Vi lascio, al prossimo lunedì! 
Un bacio, Vale xx

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro. ***


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Capitolo Quattro.

< Cosa hai fatto?! >

Emma chiuse di colpo il mio armadietto, provocando un rumore talmente forte da attirare l’attenzione di tutti i presenti intorno a noi – per quanto fosse ancora presto, le sentinelle della Stanford erano già pronte con le orecchie in allerta per dar vita a nuovi gossip.
I miei occhi vagarono sul suo volto, che si increspava in un’espressione arrabbiata quanto triste e preoccupata.
Inizialmente sgranai gli occhi, inconsapevole di quello che stesse dicendo. Ripercorsi mentalmente tutti gli episodi di quell'ultima settimana a scuola, e il mio cuore venne pervaso dal senso di colpa - anche se, effettivamente, colpe non ne avevo - quando capii a cosa si  riferiva.

< Emma, era una festa in maschera. Io … come potevo sapere che fosse lui? >

< E quando hai scoperto chi era, eh? Cosa hai fatto? > sembrava amareggiata.

< Sei arrivata tu e … lui se n’è andato. > risposi, abbassando lo sguardo.

Emma fece una risatina nervosa, quasi isterica, poi si portò le mani nei capelli e mi guardò per qualche secondo, prima di parlare di nuovo.

< Cosa non hai capito della frase “Devi stare alla larga da lui.” , Carol? Ti porterà solo guai! >

< Scusa, la prossima volta starò più attenta … >

Ma in realtà era molto ambigua la cosa e io continuavo a non capire.
Ci dirigemmo insieme verso il campo da corsa per la lezione di ginnastica e, quando arrivammo, gli spogliatoi erano già pieni.
Tutte le ragazze mi guardavano come fossi un extraterrestre, come se avessi appena commesso un omicidio.
Ma come potevano sapere ciò che era accaduto quel sabato sera, loro?
Perché, anche se non riuscivo a capirne il motivo, quell'episodio era l’unico per cui avrei dovuto subire quella che per me era una delle peggiori condanne, ovvero gli occhi della gente puntati addosso.
Cercai di lasciar perdere, per quanto questo fosse possibile, e mi cambiai in fetta, in modo da uscire al più presto da quel posto che stava cominciando a diventare opprimente.
Infilai le cuffiette nelle orecchie e iniziai la corsa di riscaldamento.
La musica aveva questo strano potere di rilassarmi ed era un ottimo modo per riuscire a distrarmi, per riuscire a trasportare altrove la mia mente, nella quale troppi pensieri iniziavano ormai ad accantonarsi.
Notai con mia grande sorpresa che Zayn era nel mio stesso corso e ciò mi mise un’ansia vagamente paragonabile a quella che lo scorso sabato sera aveva avvolto il mio corpo da capo a piedi.
Mi guardò in lontananza per qualche secondo – sembrava sorpreso anche lui di vedermi. Poi riprese a correre, nella direzione della pista opposta alla mia.
Lasciai perdere anche io e mi concentrai sugli esercizi.
Essendo ancora nelle prime settimane di quell'anno scolastico appena cominciato, alla Stanford c’era un’aspettativa di sei o sette new entry ogni tre giorni e anche quel lunedì mattina ci ritrovammo ad accogliere un nuovo ragazzo.
Il professor Morrison attirò la nostra attenzione con un soffio di fischietto, bloccando lo svolgimento degli esercizi da lui assegnati – e per fortuna, dato che ero arrivata a quarantadue delle settanta flessioni, ed ero esausta.

< Ragazzi, come ogni anno siamo lieti di accogliere un numero quasi impensabile di nuovi ragazzi e ragazze che provengono da tutto il nord America, che decidono di intraprendere, come avete fatto voi, un percorso qui alla Stanford University. E così sono felice di presentarvi Nick Davis. Viene dal Canada e sarà lieto di condividere con voi questo nuovo anno. >

Una gran parte delle ragazze del corso – tutte – avevano già puntato lo sguardo sul nuovo arrivato.
Io rimasi sulle mie, senza comprendere il motivo del loro comportamento infantile e alquanto ridicolo.
Notai casualmente lo sguardo di Zayn. Lo stava fulminando, guardando con disprezzo, poi si voltò verso di me e i miei occhi cambiarono istantaneamente meta.
Perché lo guardavo?
Non mi importava nulla di lui. Lui portava solo guai.
 

< Carino il ragazzo nuovo, eh? > esordì Isabel, una ragazza del mio corso, mentre, saltellando per infilarsi i pantaloni, si avvicinava a me.

< Si, carino … > risposi senza dar troppa importanza alla conversazione, mentre mi infilavo una scarpa.

< Oh, avanti Caroline! Sembra non te ne importi nulla … >

Perspicace Isabel, perspicace.

< Ho … Semplicemente altro a cui pensare, un pochetto più importante di questo Nick. > dichiarai fermamente con uno dei miei sorrisi più finti stampato in faccia.

Prima che Isabel potesse continuare mi infilai lo zaino in spalla e lasciai lo spogliatoio, diretta nei corridoi.
 

Nick – il nuovo - era già accerchiato da ragazze che pendevano dalle sue labbra e si scioglievano davanti al suo sorriso, mentre faceva tutto il carino.
Mi gustai quella disgustosa scena dal mio armadietto, dando modo alla risata che avevo bloccata in gola di uscire, silenziosa.
Lo sguardo di Nick si posò sul mio – a quanto pare mi aveva sentita.
Ancora con un sorriso beffardo stampato in volto lo fissai per qualche secondo, poi mi girai per prendere i libri dal mio armadietto.
Quando il mio sguardo, dopo poco più di un minuto, tornò su Nick, lui era nettamente più vicino a me, ma tra di noi la strada non era libera: Zayn passò, urtando violentemente il ragazzo.
A giudicare dall’espressione del nuovo, il moro doveva avergli lanciato uno sguardo a dir poco trucido, talmente tanto da indurlo a tornare da dove era venuto – il suo armadietto.
Zayn se ne andò tra un vocio che si fece sempre più fitto.
Non capivo il significato di tutto questo così, mentre avanzava dalla parte opposta alla mia guardandomi con la coda dell’occhio, rimasi a fissarlo inespressiva per qualche secondo.
Tutte le ragazze si accerchiarono intorno a Nick, e mentre il suo sguardo puntava ancora verso di me, chiusi l’armadietto e me ne andai.
 

La giornata mi passò letteralmente davanti, mentre tutto ciò a cui pensavo erano le parole di Zayn, “Io ti conosco”, e l’accaduto nei corridoi.
Ero talmente sovrappensiero da non accorgermi che la Lawrence ci aveva fissato un compito di trigonometria per la settimana successiva e che Emma la stava insultando pesantemente da almeno un quarto d’ora.

< Carol, ci sei? >

Si fermò di colpo.
Era così evidente che non avevo ascoltato nemmeno una parola di tutto quello che aveva detto fin’ora?

< Si certo. > mi svegliai da quel momentaneo stato di trance < Ho fame anche io! >

Ma Carol, cosa stai dicendo?

< Si dai, andiamo in mensa che è meglio! > disse Emma cominciando a ridere.
 

Passai il pomeriggio immersa nei compiti.
Pensavo sarei riuscita a distrarmi, dato che, a parte tutto, io ero qui per studiare, non per capire la mentalità dei ragazzi.
Ma nonostante fossi piena di studio arretrato, questo non bastò, nulla da fare.
Guardavo il libro di letteratura, vedevo lo sguardo di Zayn.
Provavo a ripetere trigonometria, sentivo rimbombarmi nelle orecchie quelle parole, “Io ti conosco”, che mi stavano tartassando il cervello oramai.
Ma non riuscivo a capirne il perché.
Di solito le ragazze pensano al ragazzo del quale sono innamorate o attratte.
Tra me e Zayn non c’era nulla di tutto ciò, né amore né attrazione, eppure governava i miei pensieri, condizionando il mio tempo, impedendomi di fare qualsiasi cosa.
Dovevo riuscire a capire il suo comportamento nei miei confronti, dovevo riuscire a darmi una spiegazione. Lui doveva darmela, e giurai a me stessa che, prima o poi, l’avrei ricevuta.

__________________________________________________________________________________________________________________________________

My Spaceee

Eh buongiorno! 
Scusate, ma ieri sera ho avuto problemi in famiglia e non ho potuto aggiornare.
In ogni caso eccoci qui al quarto capitolo, aw. 
Non sapete quanto sono contenta di sapere che vi piaccia, e voglio ringraziare tutte le ragazze che ogni volta perdono dieci minuti per leggere ciò che scrivo e lasciare un parere e quelle che hanno aggiunto la storia nelle preferite / seguite. 
Farei tutti i vostri nomi, ma allora questo spazio autrice sarebbe infinito :')

Questo è un capitolo "di passaggio".
Non succede nulla di particolare, a parte l'arrivo di questo Nick, ma mi serviva come attacco al prossimo. 
Lasciatemi i vostri pareri, belli e brutti, in una piccola recensione, che fa sempre piacere <3

VI AVVISO CHE SICCOME DOPODOMANI PARTIRO' PER IL MARE SARO' ASSENTE PER UN PO' ((SICURAMENTE FINO ALL'INIZIO DI AGOSTO)).
PERCIO' INIZIO A SCUSARMI GIA' DA ORA PER IL RITARDO DEL FUTURO CAPITOLO!

chissà se potrete mai perdonarmi çç
 
Un bacione a tutte, Vale xx

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque. ***


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Capitolo Cinque.


Erano ormai un paio di giorni che ricevevo squilli da un numero sconosciuto.
Inizialmente ne rimasi indifferente, pensando che fosse il solito scherzo telefonico vecchio come la segretaria della Stanford – insomma, i bambocci ci sono anche al college.
Ma quando i pochi secondi dello squillare del telefono cominciarono ad essere fastidiosi e fin troppo frequenti, iniziai a farmi prendere dal panico, così spensi il cellulare.


Quella mattina, per qualche strana ragione che mi trattenne a letto fino alle otto e mezza,  arrivai tardi nei corridoi.
Corsi al mio armadietto e ne estrassi il libro di letteratura, poi senza curarmi della gente che mi guardava, iniziai a correre verso il piano superiore, dove si trovava la mia aula.
Girai l’angolo e mi scontrai contro un petto tonico.

< Ehi bellezza, dove corri? >

Alzai lo sguardo e fissai per qualche secondo quegli occhi blu intenso che mi squadrarono con un ghigno.
Senza dire una parola cercai di superare il suo corpo, ma si spostò anche lui, impedendomi di passare.

< Guarda che non ti mangio … Sono Nick. > disse, passandosi una mano tra i capelli.

Era proprio un canadese.

< So chi sei. Ora fammi passare o farò tardi alla lezione di letteratura. > dissi, guardando oltre la sua spalla.

< Dai, vuoi dirmi almeno come ti chiami? >

< Caroline, mi chiamo Caroline Manson. >

< Posso farti un complimento? > mi mise le mani sui fianchi, accorciando la distanza tra di noi.

Non risposi.

< Hai degli occhi bellissimi. >

Mi fissò intensamente, imbarazzandomi.
Le mie guancie si fecero color rosso pomodoro.
Stavo per dire qualcosa, ma un tonfo mi fermò.
Qualcuno aveva appena colpito Nick in piena faccia.

< Ma che cazzo fai? > disse lui mentre si piegava, avvolgendosi il viso con le mani.

Lì per lì rimasi immobile, ma quando mi girai e incontrai il suo sguardo, il sangue mi si gelò nelle vene.
Mi guardò di sfuggita, per qualche millesimo di secondo, poi si avventò su Nick.

< Ti avevo avvertito una volta, pensi di essere furbo, amico? >

Iniziò a prenderlo a pugni.
Intorno a noi si accerchiò tutto lo studentato.
Tra le ragazze che urlavano e i ragazzi che facevano il tifo, non arrivando a capire la gravità della situazione, non sapevo cosa fare.
Era come se fossi chiusa in una bolla.
Sentivo i rumori, vedevo tutto ciò che succedeva intorno a me, ma mi sentivo estranea alla situazione, come se la stessi guardando da fuori.
Ritornai mentalmente a quindici anni prima, a quei ricordi troppo nitidi considerando il tempo passato.


< Brad! > urlò mia madre < Non farlo! >

Me ne stavo dietro allo stipite della porta, seduta a terra, con le mani sulle orecchie.
Sentivo il rumore della forza di mio padre contro la figura piccola e debole di mia madre, accasciata a terra.
Sentivo il suo dolore trapassarmi violentemente.
Sentivo le sue lacrime scivolarmi addosso.


< Taci, sporca puttana! >

Ed un altro schiaffo andava a creare l’ennesimo livido sul viso di mia madre.
Non potevo guardare, e seguii l’istinto.
Mi avventai su mio padre.


< Papà, non farle male! Papà! >

Con uno spintone, quell’uomo, mi scaraventò contro l’angolo del tavolo, e da lì buio.


Seguii l’istinto, ignorando completamente quello che, di routine, succedeva dopo.
Mi avventai su Zayn.
Le mie dita esili si avvolsero intorno al suo braccio in tensione, alzato per aria e chiuso in un forte pugno, la cui meta avrebbe trasformato quella che poteva sembrare una piccola rissa, in una questione seria, in cui uno dei due si sarebbe fatto veramente male, e questo uno non sarebbe stato Zayn.

< Zayn, non farlo! > urlai.

Doveva arrivare lo spintone?
Dovevo preoccuparmi di un altro possibile trauma cranico?
No, nulla di tutto ciò.
Sentii il muscolo del suo braccio rilassarsi.
Nel corridoio calò un silenzio di tomba, mentre tutti guardavano allibiti la scena.
Zayn guardò la mia mano, poi spostò lo sguardo su di me.
Vidi di nuovo i suoi occhi - di nuovo da vicino, intendo.
Non ci vidi la morte dentro, non c’era cattiveria. Solo tante lacrime, delle quali solo io mi accorsi, perché solo io l’avevo guardato negli occhi.
Lo lasciai e, dopo aver rivolto un’ultima volta lo sguardo a Nick, se ne andò.
La gente nei corridoi si disperse, mentre io mi piegai sulle ginocchia per controllare le condizioni del ragazzo a terra.
Non sapevo bene cosa dire.
Non avevo mai aiutato nessuno durante il “post botte”.
Il mio aiuto era sempre iniziato con l’urlare a mio padre di fermarsi, ed era sempre finito con l’essere scaraventata da qualche parte nella stanza.
Cosa bisognava dire in questi casi?

< Stai bene? >

< Non penso proprio. > rispose, tirando su col naso e passandosi l’indice su labbro < Deve avermelo spaccato. >

< Mmmmh.>

Mi allontanai per riporre i libri nell’armadietto, poi tornai da lui, che intanto si era messo in piedi.

< Vieni con me. > gli dissi.

Avvolsi il mio braccio intorno alla sua vita, in modo da aiutarlo a camminare, e lo scortai fino in infermeria.
Non ci fu tanta gente a guardarci sconvolta, dato che la maggior parte degli studenti era ormai entrata nelle rispettive classi.
Lo aiutai a stendersi sul lettino e tirai la tendina.
Un grugnito di dolore uscì dalla sua bocca non appena poggiò la testa alla superficie morbida del cuscino.
Lo ignorai e mi misi a cercare del cotone e del disinfettante.
Ero abituata alla mia scuola in Minnesota, dove o te li portavi da casa o morivi agonizzante con una grave infezione in corso – dato che lì nemmeno le condizioni igieniche erano delle migliori.
Qui invece era tutto riposto in ordine nell’armadietto grigio addossato al muro, rigorosamente lustrato.

< Ti brucerà un po’, cerca di resistere. >

Inzuppai un pezzetto di cotone nel disinfettante e glielo passai sul taglietto che aveva sul sopracciglio.
Lo sentii ispirare profondamente e, d’istinto, cercai di fare piano.

< Raccontami qualcosa di te, Caroline Manson. >

< Non prenderla come un’occasione per flirtare, Nick Davis. Sto solo cercando di aiutarti, dato che è colpa mia se sei ridotto così. >

Lo guardai per qualche secondo, prima di cominciare a disinfettare il suo labbro spaccato.
Mi rivolse un ghigno e un sorrisetto spontaneo parve sul mio viso.

< Che rapporto hai con quell'animale? > mi disse d’un tratto, rompendo quel silenzio che stava per diventare opprimente.

< Quale animale? >

< Zayn. >

< Ah. In realtà … >

< Ahi! >

< Scusa. Dicevo … In realtà non lo conosco, però … Ma cosa te ne frega? >

< Mi interessi. > mi prese una ciocca di capelli e cominciò a giocherellarci, passandosela tra le dita.

< Come scusa? > lo guardai sconvolta.

< Mi hai colpito dall’inizio. >

< Inizio vuol dire due giorni fa? > mi ripresi la mia ciocca di capelli.

< Non c’entra il tempo. >

Non sapevo cosa dire, così continuai a medicare il suo labbro.
Come poteva essere così diretto?
Conosceva appena il mio nome!

< Come mi vedi? >

< Cosa? >

No, avevo capito in realtà. Però dovevo prendere tempo in modo da riuscire a formulare una frase adatta.

< So che hai capito. >

< Ti vedo come il ragazzo nuovo che si approfitta di una povera ragazza che cerca di medicargli il labbro. >

Gli scappò una risata, e io sorrisi.
Rimase a guardarmi negli occhi per qualche secondo, poi alzai lo sguardo, e nel suo ci vidi un ghigno divertito, uno di quelli che sta a significare qualcosa tipo “Vediamo chi resiste di più”.
Però la situazione andava degradando, quando il suo sguardo si fece serio.
Persi per un attimo il controllo, incapace di dare ai miei occhi un’altra meta.

< Carol, quella è la mia guancia. > disse, scoppiando nuovamente a ridere.

Diventai rossa come non mai, e ripresi a concentrarmi sul suo labbro superiore.

< E tu invece? >

Mi guardò interrogativo, così continuai.

< Tu invece come mi vedi? >

“Oddio Carol, e questa sfacciataggine da dove ti viene?”
Infondo cosa c’era di male a rimanere al gioco? Non era nulla di cattivo.

< Come un mistero. >

Non dissi nulla.

< Questo essere come irraggiungibile, questo tuo carattere molto riservato, questo Zayn che ti difende come fossi la sua ragazza. Tutto questo ti rende un mistero. >

< Che strano complimento … Il più strano che io abbia mai ricevuto. >

< No, ti sbagli Carol. Non è un complimento, è una  minaccia. >

< Che cosa significa? >

< I misteri vanno svelati. >

< Potrei deluderti. > risposi a tono.

< Oppure sorprendermi. >

Solo ora mi accorsi di quanto eravamo vicini effettivamente, delle sfumature più chiare nei suoi occhi, e dei suoi capelli scompigliati che lo rendevano così … Canadese.
Mi accarezzò la guancia col pollice, stavo per cascare nella sua trappola.

< Penso di aver finito con il tuo labbro … > dissi alzandomi per buttare via il cotone usato.

< Sei un’infermiera perfetta, la migliore che abbia mai medicato il mio labbro. > si alzò dal lettino e mi venne incontro.

< Quante volte è stato medicato il tuo labbro? >

< Questa è stata la prima volta, in realtà. >

Appoggiò le mani al muro dietro di me, intrappolandomi nella gabbia umana che aveva appena formato col suo corpo.

< Penso sia ora di andare in classe, Nick Davis. >

< Come vuoi, Caroline Manson. >

Quando raggiunsi Emma in mensa, era nel bel mezzo di un affiatato discorso con Abigail, una ragazza del gruppo cheerleader – si trattava sicuramente di qualche nuovo gossip.
Presi posto al loro tavolo con il vassoio riempito solo da una barretta ai cereali – non avevo particolarmente fame -, ma non appena entrai nel loro campo visivo mi resi conto che quel gossip riguardava me e l’accaduto di quella mattina.

< Tu! > dissero in coro, con l’indice puntato contro di me. < I dettagli > aggiunse Emma.

< Io veramente … >

< Caroline Manson >

Una voce squillante e autoritaria sovrastò il caos della mensa, scavalcò tutte le voci,  inchiodandosi nei miei timpani, mentre il silenzio cominciava, passo dopo passo, a calare.
< In presidenza. > aggiunse secca la vice preside, girando i tacchi e andando via. 

 


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Ed eccomi qui. 
Mi preparo a ricevere pomodori, mestoli, scarpe, rinoceronti in faccia.
PERDONATEMI, VI PREGO. 
Sono tornata ieri sera dalle vacanze e non ho perso tempo, ho cercato di aggiornare il prima possibile

Eccoci arrivati al quinto capitolo.
Cosa ne pensate?
Il comportamento di Zayn? Quello di Nick? E il boom finale?
Come vedete abbiamo un FlashBack, di nuovo quel passaggio passato/presente che c'era anche all'inzio della storia.
Avete un piccolo spezzone dell'oscuro passati di Caroline, come pensate si sia sentita ad affrontare un episodio del genere? 
Per chiunque potrebbe essere niente di ché, ma in una situazione come la sua è ben più difficile.
Cosa pensate succederà ora?
Fatemi sapere se vi piace in una piccola recensione <3.

Un bacio e al prossimo capitolo, Vale xx

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei. ***


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Capitolo Sei. 

 
Non capivo la situazione.
Non capivo che avevo fatto per meritarmi di andare in presidenza.
Non capivo che problemi c’erano.
Non capivo perché la vicepreside, quando mi aveva richiamata, era sembrata così … arrabbiata.
Capii un po’ di più quando, entrando nell’ufficio di presidenza, seduto alla sedia di fianco a quella dove mi sarei dovuta sedere io, vidi Zayn.

< Si accomodi pure, signorina Manson. > la Montgomery si rivolse a me con un tono troppo calmo – e questo mi mise assai ansia.

Mi sedetti.
Guardai Zayn, che teneva la testa bassa, per qualche secondo; poi rivolsi il mio sguardo alla preside.

< Posso sapere il motivo per il quale sono stata invitata nel suo ufficio, preside? > chiesi, cercando di sembrare calma.

< Questo istituto è attrezzato di telecamere che riprendono quasi ogni zona, ogni corridoio, ogni classe. I punti morti sono veramente pochi, quasi inesistenti, e quello dove stamani è accaduto ciò che è accaduto non era un punto morto. > fece una pausa e osservò i nostri volti. < Siete stati fortunati che non c’era alcun professore nei dintorni, altrimenti sareste stati spediti direttamente nel mio ufficio. Invece solo per caso mi è passata sottocchio questa registrazione. >

La Montgomery girò il computer sulla scrivania dalla nostra parte, clicco play e fece partire il video che raffigurava la scena vista dall’alto dalle telecamere.
Anche Zayn guardò.

< Avete qualcosa da dire? >

Questa volta lo sguardo lo abbassai io.

< E’ colpa mia. >

Il suono morbido della sua voce mi fece partire un brivido, che percorse la mia schiena, fino a dissolversi.

< Ho avuto una reazione esagerata, lo ammetto. Ma non vedo il motivo di punire anche lei, dato che lo sbaglio è stato il  mio. > aggiunse.

< Signor Malik, non faccia il gentiluomo. Verrete puniti entrambi, dato che entrambi avete partecipato a ciò che è successo. >

< Scusi, non per mancarle di rispetto, ma Nick? A lui nessuna punizione? > intervenni, alterandomi lievemente.

< Non penso se lo meriti. Il labbro spaccato e il taglio che si ritrova sul sopracciglio, beh, penso che siano abbastanza. >

< E quale sarebbe la nostra punizione, preside? >

< Oggi pomeriggio, dopo la fine dell’ultima lezione, vi recherete dalle bidelle. Loro sapranno cosa fare, o meglio, cosa farvi fare. >

Uscimmo dall'ufficio della preside insieme.
Pochi centimetri di distanza.
Non volò una mosca.
Non una parola, non uno sguardo. Nulla.
 

L’ultima lezione della giornata terminò e mi recai, come mi era stato imposto, dalle bidelle.
Zayn non c’era ancora, ma non avrei fatto nulla senza che ci fosse anche lui. La punizione era di entrambi, no?
Ci volle poco prima di intravedere il suo passo sbilenco e quel ciuffo moro all'insù avvicinarsi alla porta trasparente della segreteria.

< Ehi … > mi disse in un sussurro, quasi non volesse farsi sentire.

Non risposi.
Una bidella bassa e grassottella si avvicinò a noi.

< Dovete essere Zayn e Caroline voi, giusto? >

< Giusto. > dicemmo all'unisono.

Mi girai involontariamente verso di lui, che fece la stessa cosa, ma non appena mi accorsi che ci stavamo fissando feci cambiare meta ai miei occhi, nonostante loro amassero l’incontro con i suoi.
La bidella non si curò di quello che era appena successo – per lei era nulla, per me era uno dei momenti più imbarazzanti, e c’era il colore rosso fuoco delle mie guance a dimostrarlo – e ci lanciò, letteralmente, due tute arancioni.
Si allontanò un attimo, per poi tornare con due bastoni neri, con una punta d’acciaio all'estremità finale.

< Il giardino d’entrata e quello sul retro, tutto vostro. >

Sgranai gli occhi e spalancai la bocca. Non poteva essere possibile.
Quindi io, Caroline Manson, dovevo passare un pomeriggio a pulire il giardino per una cosa nella quale non c’entravo, insieme a Zayn Malik?
No, la permanenza nel campus iniziava a farsi tragica.
 

Iniziai a tirare su le cartine dalla parte opposta di Zayn.
Il mio sacco era quasi del tutto pieno, ed ero ancora all'inizio.
Lo stranissimo caldo di quella giornata di ottobre non aiutava affatto.
Goccioline di sudore iniziarono a calarmi dalle tempie, risplendendo perlate alla luce di quel sole così fastidioso e mai odiato tanto prima d’ora.
Mi accorsi che, ogni tanto, Zayn mi rivolgeva il suo sguardo, ridacchiava anche, specialmente quando si accorgeva che ero alle prese con qualche busta di patatine che non aveva intenzione di entrare nel sacco, o quando il vento non era a mio favore e mi costringeva di rincorrere la carta di  un pacchetto di cracker per tutto il giardino.
Era fastidioso che lui non doveva sforzarsi nemmeno tanto, mentre io mi stavo solo umiliando, quando l’unico a meritarsi quella punizione, in fin dei conti, era lui.
Me l’aveva fatta grossa stavolta, e l’odio che provavo per lui adesso era indecifrabile.
Ed eccola, l’ennesima risatina, la cosiddetta “goccia che ha fatto traboccare il vaso”.
Mi sedetti sul muretto, mi passai una mano sulla fronte e lo fulminai.

< Mi spieghi cos'hai da ridere? > alzai la voce, per far si che mi riuscisse a sentire.

Ero abbastanza seccata ma, a giudicare dallo sguardo beffardo che mi lanciò, non se n’era accorto.

< No, non hai capito. Mi stai veramente dando fastidio. >

Mi alzai dal muretto.
Buttò a terra il bastone e incrociò le braccia al petto, senza dire una parola ma continuando a guardarmi.

< Senti … > respirai profondamente, la rabbia che cercava di prendere il controllo del mio corpo mi avrebbe portata ad una nuova punizione, e magari di nuovo con lui. < Non so cosa tu abbia contro di me. Sono in questo giardino per colpa tua. Sto raccogliendo cartine che sembrano prendermi per il culo per colpa tua. Per colpa della tua rabbia incondizionata e priva di una base logica che ti ha portato a prendere a pugni quel ragazzo. Ora ti prego, illuminami. Cosa hai contro di me? >

Ad ogni parola mi avvicinavo, sempre di più, passo dopo passo, fino ad arrivare sotto al suo naso.
Solo lì mi accorsi di quanto effettivamente era alto, in confronto a me …
Lo fissai negli occhi, costretta a rimanere col naso all'insù, mentre il respiro pesante rilasciato dalla rabbia si scontrava contro di lui, impassibile.

< Tu sei speciale. >

Si girò e tornò al lavoro.
Ed io rimasi lì, immobile, col naso ancora all'insù.
Quando il respiro iniziò a regolarizzarsi posai di nuovo lo sguardo su di lui, nettamente più lontano da me.
 

< Caroline Manson, abbiamo finito. >

In realtà aveva fatto tutto lui. Aveva finito anche la mia parte, dato il mio stato di trance.
Magari aveva potuto pensare che l’avessi fatto apposta a rimanere ferma in quell'esatto punto, in piedi, senza muovermi, per più di quaranta minuti.
La verità era che quelle parole mi bloccarono, mi bloccarono da dentro.
Le avevo già sentite, mi erano già state dette.
 

Quando finalmente arrivai alla mia camera nel campus, l’unica cosa di cui avevo veramente bisogno era una doccia. Non solo perché ero sudata, ma avevo bisogno di rilassarmi un attimo, di far spazio nella mia mente e fermare tutto per un momento – anche più di uno solo.

< Eccoti finalmente! >

Emma mi venne incontro – ciò che speravo di evitare.

< Mi hanno detto della tua punizione, immagino sia stata una giornata pesante, ma io ho bisogno di sapere. >  sottolineò le parole “ho bisogno”.

< Emma, ti prometto che ti racconterò tutto ciò che vuoi, ma … Ma non ora, ti prego. >

Guardò l’ora – erano le cinque passate del pomeriggio – poi rivolse di nuovo la sua attenzione su di me.

< Stasera sono qui con la pizza e le mie orecchie saranno grate di ascoltarti. >

Accettai.
Infondo non mi era andata affatto male, avevo tutto il tempo di cui avevo bisogno.



Emma arrivò con la pizza nell'esatto momento in cui il mio stomaco iniziò a lamentarsi. Adoravo il tempismo di quella ragazza.
Dopo aver mangiato la vidi irrequieta e mi scappò una risatina.
Come promesso le raccontai tutto per filo e per segno, ma con un compromesso: non avrebbe dovuto dire nulla a nessuno. Precisai di non voler dare informazioni per incalzare una nuova ondata di gossip.
Quando dopo una lunga mezz'ora – forse un po’ di più – finii di parlare, Emma rimase in silenzio per qualche secondo, come se stesse pensando, come se avesse bisogno di riflettere su ciò che le avevo appena detto, per creare un filo logico che fosse in grado di collegare tutti quegli eventi.

< Quindi vuoi dirmi che Nick Davis ha cercato di baciarti e tu hai rifiutato? Sei pazza? >

Aveva praticamente annullato tutto, soffermandosi sull'unico episodio che sarebbe stato un succulente argomento per le bocche di qualcosa come tremila studenti.
Sembrava voler deviare l’argomento Zayn.
Io le parlavo di quanto strano era il suo comportamento nei miei confronti e lei annullava le mie parole, incitandomi a provarci col canadese.
Il suo discorso finì con : < Ti organizzo un appuntamento con Nick, e ti assicuro che lascerai perdere Zayn. >
Stava per uscire dalla porta quando mi ammonì per la millesima volta.

< Ehi, ricordati che ti porterà solo guai quel ragazzo. >

Dopo che Emma se ne andò rimasi nel silenzio della mia camera a pensare. Era l’orario X, la sera, quando la testa si riempie di pensieri disordinati e tu ti ritrovi da sola, ad affrontarli.
Pensai a Nancy.
Era un po’ oramai che non la sentivo, così recuperai il telefono dal fondo della borsa e tenni premuto il tasto per accenderlo.
Quell’aggeggio cominciò a vibrare irrefrenabilmente, costringendomi ad aspettare la fine dell’arrivo di tutte quelle notifiche che, alla fine, notai erano tutte chiamate perse, tutte dal Numero Sconosciuto.
L’icona della posta attirò la mia attenzione.

“Non rispondi eh, brutta stronzetta? Ti troverò.”

Rabbrividii.
Solo in quel momento capii la gravità di ciò che stava succedendo.
Un sospiro varcò le mie labbra, rompendo il silenzio nella camera.
Rimasi a guardare quella scritta, a rileggere quel messaggio per qualche minuto, per realizzare ciò che stava accadendo, per capire che quello non era un film o un brutto sogno, ma la realtà.
Provai a ragionare, a cercare di dare un volto a quel “Numero Sconosciuto”.
Ripensai alla mia permanenza in Minnesota.
Lì, in realtà, mi volevano tutti bene. Essendo una piccola cittadina, la nostra, eravamo tutti molto legati e disponibili.
Di episodi che mi avrebbero portato a farmi odiare fino a tal punto non me ne erano mai accaduti.
Pensai agli studenti della Stanford, anche se non aveva senso.
Questo “Numero Sconosciuto” doveva trovarmi.
Gli studenti della Stanford potevano sapere dove io fossi in qualsiasi momento e senza nemmeno faticare.
Cercai di mettere da parte il panico, che oramai mi aveva invasa, e di ragionare bene.
Chi poteva odiarmi fino a tal punto?
 

 
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Eccomi qui con un nuovo e misterioso capitolo <3

Scusate immensamente il ritardo, ma ho avuto problemi con la connessione e il mio computer, come alcune di voi sanno, è stato per ben tre giorni dal tecnico, quindi non ho proprio avuto la possibilità di postare. 

Che ve ne pare?
Non ci sono flashback e cose del genere, stavolta, ma abbiamo una frase... una frase che blocca totalmente la nostra Caroline.
"Tu sei speciale."
Cosa pensate che significhi? Potrebbe, secondo voi, avere riferimenti col passato di Carol? 

Come altro problema, ora, abbiamo anche questo strano e continuo squillare del telefono della ragazza, che termina con un messaggio. 
Avete già idea di chi sia il mittente?
Cosa fareste se foste in Caroline?

Questa storia mi sta prendendo assolutamente tantissimo e, se vi fa piacere saperlo, io sono già al nono capitolo aaaaaah. 
Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto.
Un bacio, Vale xx
 

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