The rebellion di SaraJLaw (/viewuser.php?uid=539207)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Capitolo I
Odiavo
le luci al neon, da sempre. Avrei preferito che la stanza fosse
illuminata da una misera candela, la cui fiamma avrebbe almeno
trasmesso calore, piuttosto che da questi apparecchi. Non facevano
che aumentare la freddezza della grande stanza adibita a mensa.
Sedevo al solito tavolo insieme a mia sorella Prim, che giocava
distrattamente col cibo che aveva nel piatto. Per nessuno era stato
facile abituarsi alle rigide regole della nostra nuova casa,
specialmente per i più piccoli. Nel distretto 12 non avevamo
nulla, riuscivamo appena a mettere qualcosa sotto i denti, ma
godevamo di una certa libertà, seppur apparente. Io ero
l'esempio lampante di quella situazione: da quando mio padre era
morto, avevo iniziato a scavalcare la recinzione che delimitava il
distretto per addentrarmi nei boschi e cacciare con arco e frecce.
Una parte delle prede la tenevo per me, Prim e nostra madre, ma la
maggior parte la vendevo o la barattavo al Forno. I Pacificatori
chiudevano un occhio, anche perché erano i primi a fare affari
lì dentro. Dopo l'Edizione della Memoria, pochi di noi sono
riusciti a scappare e a essere salvati dagli hovercraft mandati dal
distretto 13 a seguito dei bombardamenti da parte di Capitol City, e
di tutto ciò che conoscevamo non rimaneva più niente.
Mi capitava spesso di perdermi in quei pensieri, specialmente quando
mangiavo, e il più delle volte finivo per incupirmi più
di quanto non fossi già. Per fortuna avevo mia sorella che
riusciva sempre a strapparmi un sorriso e a farmi comportare in
maniera accettabile davanti alle altre persone. O quasi. Le porte
della mensa si aprirono ed entrarono Johanna Mason, distretto 7, e
Finnick Odair, distretto 4, entrambi vincitori degli Hunger Games e
tributi per l'Edizione della Memoria. Finnick teneva per mano Annie
Cresta, anche lei vincitrice dei Giochi; Johanna aveva la testa
rasata e uno sguardo tormentato e triste. Era stata salvata una
settimana prima da una squadra di soccorso che si era recata a
Capitol City, e di quel gruppo faceva parte anche il mio amico Gale
Hawthorne. Non lo vedevo da un paio di giorni, era sempre impegnato
nel centro di comando e non avevamo modo di stare insieme come quando
eravamo a casa. Mi mancavano le nostre giornate di caccia all'aria
aperta, il nostro rapporto profondo, senza complicazioni. La guerra
aveva cambiato anche quello purtroppo.
“Katniss?
Hai finito?”
La
voce di Prim mi riportò alla realtà e mi affrettai ad
annuire e ad alzarmi. “Sì, andiamo.”
Ci
dirigemmo verso il bancone per posare i vassoi, passando fra i
tavoli. Mentre camminavo, alzai la testa, guardandomi brevemente
intorno, e notai due occhi incredibilmente azzurri che mi fissavano.
Appena i nostri sguardi si incrociarono, il ragazzo tornò a
chinare la testa sul suo piatto, facendo finta di nulla. Si chiamava
Peeta Mellark ed era l'ultimo dei tre figli del fornaio che abitava
nel 12. Aveva la mia età e avevamo frequentato la scuola
insieme, anche se lui stava sempre con i figli dei commercianti e io
con i ragazzi del Giacimento. Non ci eravamo mai parlati, eppure
condividevamo una sorta di legame speciale e segreto: quando mio
padre morì, saremmo morte di fame se Peeta non mi avesse dato,
o meglio lanciato, due pagnotte di pane destinate ai maiali, perché
troppo bruciate per essere vendute. Quel gesto, che inizialmente
credevo di aver soltanto sognato, mi dette speranza e la forza per
rimboccarmi le maniche; avrei voluto ringraziarlo il giorno dopo a
scuola, ma non trovai le parole adatte, come al solito. Da allora lo
sorpresi più volte a guardarmi con discrezione, pronto a
distogliere lo sguardo appena me ne accorgevo. Il fatto che non
avesse perso questa strana abitudine mi rincuorava in un certo senso,
mi dava l'illusione che la vita che avevo a casa non fosse cambiata
del tutto, ma così non era. Non capivo il motivo di tutto
quell'interesse nei miei confronti, ma non mi importava più di
tanto.
“Cosa
ti dice il programma?” domandai a Prim, fermandomi per rifarmi
la treccia.
“Devo
aiutare la mamma in ospedale.” rispose lei, come se fosse la
cosa più bella che una bambina di tredici anni potesse fare.
“Tu?”
“In
teoria l'addestramento, ma credo che rimarrò a gironzolare.”
Prim
incrociò le braccia sul petto e mi guardò in tralice.
“Perché ti ostini a non voler fare quello che ti viene
detto?”
“Non
voglio diventare un soldato, lo sai.” dissi mentre passavo la
mano su una piega inesistente dell'uniforme grigia fornita dal
distretto 13. “Andiamo forza, altrimenti farai tardi
paperella.”
Le
feci il solletico e lei rise sia per quello sia per il nomignolo. Si
girò per contrattaccare, cogliendomi di sorpresa, e feci due
passi indietro per difendermi, finendo per andare a sbattere contro
qualcuno che mi afferrò per le spalle, evitando di farmi
cadere.
“Scusami,
io...” cominciai a dire voltandomi, però mi bloccai
appena riconobbi il ragazzo che continuava a stringermi le braccia.
“Non
ti preoccupare.” disse Peeta sorridendomi, mettendo poi le mani
in tasca.
“Grazie.”
Lui
annuì, ci superò e aprì la porta della mensa per
farci passare. Prim gli regalò uno di quei sorrisi che
potrebbero far sciogliere la neve, e Peeta fece altrettanto,
spostando poi lo sguardo su di me.
“Ci
vediamo Katniss.”
Io
non feci altro che un cenno con la testa per ringraziarlo e mi
incamminai verso la mia stanza, confusa da quel semplice gesto di
pura cortesia e incapace di togliermi dalla mente il suo volto che mi
sorrideva timidamente.
Buonasera!
:)
Sono
tornata con una fanfiction Everlark che spero vi piaccia. Questa
storia è nata da una mia curiosità: se nessuno dei due
fosse stato estratto per gli Hunger Games, se Katniss non fosse stata
il volto della ribellione e Peeta non fosse stato depistato, come
avrebbero potuto conoscersi? E così ho buttato giù
questo primo capitolo dove i nostri piccioncini sono due ragazzi
qualunque, sopravvissuti alla distruzione del distretto 12.
Spero
che sia di vostro gradimento, sarei contenta se me lo faceste sapere,
i vostri giudizi sono importantissimi :)
Alla
prossima ragazzi!
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Capitolo
II
Il
pomeriggio seguente camminavo per i corridoi del distretto 13 quando
una voce familiare mi fece girare di scatto.
“Ancora
allergica al programma Catnip?”
Ero
contenta di vedere Gale ma, ovviamente, non gli diedi soddisfazione.
“Non tutti siamo ligi al dovere come te, soldato Hawthorne.”
Lui
sorrise brevemente e si poggiò con la spalla al muro. Aveva
due anni più di me e naturalmente era molto più alto.
Nel 12 ci scambiavano per fratello e sorella, visto che avevamo la
stessa carnagione olivastra, i capelli scuri e gli occhi grigi; le
nostre madri speravano in un matrimonio in futuro, ma io non volevo
sposarmi, né tanto meno avere figli, soprattutto in quel mondo
pieno di dolore e distruzione. E poi Gale era il mio migliore amico e
non avrei mai potuto pensare a lui in quel senso.
“Che
ci fai qui? Non dovresti andare a salvare qualcuno?”
“Questa
volta no. Ho una sorpresa per te.” Lo guardai con aria
interrogativa e lui mi sorrise di nuovo. “Annie e Finnick si
sposano e la Coin ha dato il permesso di festeggiare. Ci sarà
un banchetto e dato che Plutarch sta organizzando le cose in grande,
ci ha concesso di uscire e cacciare per la cucina.”
Dalla
sua risata intuii di aver assunto un'espressione buffa ma non me ne
preoccupai. Avrei potuto finalmente correre nel bosco e respirare
aria pura. “Quando possiamo andare?”.
“Anche
subito se vuoi.”
Ci
precipitammo nell'armeria dove un altro vincitore degli Hunger Games
e tributo dell'Edizione della Memoria, Beete, ci consegnò
archi e frecce. Non avevo mai visto nulla del genere. Uscimmo e
consegnammo i nostri permessi alle guardie che sorvegliavano la
recinzione; appena ci addentrammo nel verde del bosco, sentii le mie
labbra piegarsi in un sorriso e mi fermai qualche istante per sentire
il calore del sole sul volto. Ero di nuovo viva e per un attimo
riuscii a dimenticare Capitol City, il presidente Snow, la guerra.
Eravamo solo io e la natura che mi circondava.
“Bello
vero?” disse d'un tratto Gale.
“Sì,
mi è mancato tutto questo.”
Sentii
il mio amico schiarirsi la gola e quando riaprii gli occhi, mi
accorsi che mi guardava in modo strano. “Be', abbiamo solo due
ore. Meglio muoverci se non vogliamo farci ritirare i permessi.”
Detto
questo, ci mettemmo al lavoro e riuscimmo a uccidere un bel po' di
selvaggina. Certo, non era molto e probabilmente non sarebbe bastato
per tutti, ma non potevamo lamentarci. Non conoscevamo quel luogo e
avevamo poco tempo. Trascorremmo il resto del pomeriggio insieme e
quando Gale dovette tornare al Comando, io mi diressi in ospedale per
vedere Prim. La trovai vicino all'entrata principale, intenta a
parlare con un ragazzo biondo che mi dava le spalle. Riconobbi subito
Peeta, che si girò appena Prim mi salutò, e rimasi
nuovamente colpita dall'azzurro dei suoi occhi, che mi fissavano
apertamente ma senza arroganza. Una vocina nella mia testa si chiese
se quello fosse uno sguardo riservato solo a me. Mi avvicinai e
sorrisi a mia sorella prima di abbracciarla.
“Ciao
Katniss.” disse Peeta con il suo solito sorriso gentile.
“Ciao.”
Tra
noi scese un silenzio imbarazzato, prontamente rotto da Prim, che ci
congedò in fretta. “Ora devo andare. Ci vediamo a cena.”
Annuii
e prima che potessi rispondere lei era già sparita. Peeta si
incamminò verso gli alloggi e io lo seguii, visto che quella
era l'unica strada per arrivarci. Percorremmo qualche metro senza
parlare, e mi azzardai a guardarlo con la coda dell'occhio: era di
altezza media, la sua carnagione sembrava ancora più chiara
con quelle luci che illuminavano il corridoio, aveva le spalle larghe
e braccia forti, abituate ad alzare i sacchi di farina da mezzo
quintale. Solo allora notai la benda intorno al polso. “Che ti
è successo?”
Alzò
la testa, sorpreso che gli avessi rivolto la parola. Sollevò
il braccio di fronte a sé e gli lanciò un'occhiata
distratta, liquidando il tutto con un'alzata di spalle. “Non è
niente, mi sono scottato prima, mentre cuocevo il pane. È
stata tua sorella a medicarmi.”
“Ah,
mi dispiace.”
“Tranquilla.
Comunque è molto brava, ha la stessa passione di vostra
madre.”
“Sì,
l'ha sempre aiutata quando persone malate o ferite venivano a casa
nostra.”
“E
tu no?”
“Vedere
il sangue non mi piace molto.”
Aggrottò
le sopracciglia e si grattò il mento con aria pensierosa.
“Eppure vai a caccia. Non è un controsenso?”
Perché
non eravamo rimasti a parlare di Prim? Era più facile. “Con
gli animali è diverso. E poi come fai a sapere che so
cacciare?”
Eravamo
giunti agli alloggi e la mia camera era la più vicina, quella
di Peeta era dall'altra parte del corridoio invece. Ovviamente aveva
notato il tono che avevo usato e lo vidi arrossire leggermente. “Mio
padre comprava i tuoi scoiattoli, ricordi? Diceva che li centravi
tutti in un occhio.”
Mentre
parlava percepii un certo orgoglio nella sua voce, come se fosse
fiero di me o contento di ricordarsi quel particolare per far colpo.
Dovevo ammettere che ci era riuscito.
“La
mia stanza è laggiù. Grazie della compagnia Katniss.”
“Figurati.”
Mi
sorrise per l'ennesima volta e si diresse nella direzione che aveva
indicato, mentre nella mia testa aumentavano le domande sul ragazzo
del pane.
Salve
gente!
Come
avete letto, in questo capitolo ho inserito anche Gale e la sua
amicizia con Katniss, perché comunque è un personaggio
importante e non potevo tralasciarlo. Peeta sta cercando piano piano
di far colpo sulla nostra Miss Everdeen e a quanto pare ci sta
riuscendo *-*
Spero
che vi sia piaciuto ciò che la mia povera testa superstressata
è riuscita a mettere insieme tra un libro e l'altro ( T.T )
Se
vi va, ci vediamo alla prossima! :)
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Capitolo
III
A
casa non avevo mai partecipato a delle feste, anche perché non
c'era mai nulla da celebrare. Non avrei mai pensato che qui, nel 13,
nel pieno di una guerra, mi sarei divertita tanto. I due sposi erano
stupendi e felici, tutti gli invitati si congratulavano e auguravano
loro ogni bene. Non conoscevo né Finnick né Annie, ma
non importava, ero comunque contenta che l'amore, almeno per quel
giorno, fosse stato al centro dell'attenzione. Quello era un bel
messaggio da mandare al presidente Snow: per quanto provasse a
distruggerci e dominarci, la nostra vita sarebbe andata avanti e non
avremmo rinunciato a un lieto evento. Mi avvicinai alla bellissima
torta nuziale, piena di decorazioni in glassa con motivi marini, e ne
presi una fetta. Appena l'assaggiai, rimasi sorpresa dalla sua bontà
e realizzai di non aver mai mangiato un dolce in vita mia. Nel
distretto 12 Prim mi chiedeva sempre di passare davanti alla vetrina
del forno per vedere le torte esposte, che purtroppo non avremmo mai
potuto permetterci. Un pensiero mi colpì: il signor Mellark,
sua moglie e i figli più grandi non erano sopravvissuti,
quindi era stato Peeta a preparare quel dolce. Sorrisi senza neanche
accorgermene e lo cercai con lo sguardo; lo individuai tra la folla
ai limiti dell'improvvisata pista da ballo e mi affrettai a
raggiungerlo.
“Ciao
Peeta.”
Lui
si voltò e il suo viso si illuminò quando mi vide, ma
solo per un attimo. “Hey! Ti stai divertendo?”
“Sì,
molto. Non avevo mai partecipato a un matrimonio.
“Già,
nemmeno io.” Guardò i ballerini, rivolgendosi poi di
nuovo a me. “Conosci i passi?”
“Mia
madre me li ha insegnati quando ero piccola.”
“Perfetto!
Posso imparare anch'io?” chiese, porgendomi la mano e
ammiccando.
D'accordo,
era una festa e me la sarei goduta fino in fondo, e poi Peeta era
simpatico. Poggiai la mia mano sulla sua e mi lasciai guidare verso
la pista, dove le altre coppie si stavano preparando. Vidi Prim
battere le mani, come se potesse esplodere di gioia, e tornai a
guardare il mio cavaliere, che aveva un leggero rossore sulle guance
mentre aspettava istruzioni.
“I
passi sono molto semplici, devi più che altro seguire il
ritmo.”
Lui
annuì, e quando la musica partì, notai che non era male
come ballerino; la sua mano destra stringeva dolcemente la mia,
mentre la sinistra era poggiata sul mio fianco e potevo sentirne il
calore rassicurante attraverso la stoffa dell'uniforme. Io e Peeta ci
guardammo negli occhi, il mio cuore cominciò a battere più
velocemente e non riuscivo a capire il motivo. Era come se quel
ragazzo riuscisse ad abbattere il muro dietro al quale mi nascondevo
e proteggevo me stessa.
“Ho
mangiato la torta. È buonissima.”
“Sono
contento che ti sia piaciuta.”
Il
ballo terminò e ci spostammo verso un angolo della stanza e ci
accomodammo su due sedie abbandonate lì. Contemplammo in
silenzio i due sposi che si sorridevano con amore.
“Vorrei
che questo giorno non finisse mai.” gli sentii dire a un certo
punto.
“Perché
ti stai divertendo?”
“Non
solo per questo. Sarebbe bello se fosse sempre così, no? Il
trionfo dell'amore sull'odio. Non so, è come se oggi potesse
succedere di tutto esprimendo un semplice desiderio.”
Aveva
parlato fissando il pavimento, come se provasse vergogna. “Secondo
te basta solo esprimere un desiderio? Chi te lo dice?”
“Nessuno,
però con me finora ha funzionato.”
“Che
intendi?”
Peeta
decise di alzare lo sguardo su di me, l'azzurro e il grigio dei
nostri occhi si legarono subito. “Stamattina, mentre finivo la
torta, speravo di passare un po' di tempo con te e, al di là
di ogni mia più rosea aspettativa, sei stata tu a cercarmi e
hai accettato di ballare.”
Dovetti
deglutire un paio di volte perché la gola era diventata
improvvisamente secca, ma quando aprii la bocca per parlare, non
seppi cosa dire. Le mie capacità respiratorie mi abbandonarono
definitivamente quando Peeta sfiorò con un dito il dorso della
mano che tenevo stretta sulla sedia. Fu come ricevere una scossa che
tuttavia mi impediva di sottrami a quel tocco delicato.
“Katniss,
volevo... Oh, scusate!”
La
voce di mia sorella ci riportò alla realtà, facendoci
letteralmente saltare. Che mi stava succedendo? Da quando mi lasciavo
andare in quel modo?
“Non
preoccuparti, è tutta tua.” disse Peeta con un sorriso.
Mi
alzai e mi allontanai con Prim; mi portò di nuovo sulla pista
e i musicisti iniziarono a suonare. Il nuovo ballo prevedeva molti
salti e giravolte, ma questo non le impedì di parlare. “Che
succede fra te e Peeta Mellark?”
“Niente,
stavamo solo parlando.”
Lei
assunse un'espressione dubbiosa e anche un po' dispiaciuta. “Non
sapevo che fossi con lui, credevo che vi foste limitati a ballare.”
“E
da quando prevedi il futuro?”
“Ti
conosco Katniss. Mi ha sorpreso vederti ballare con lui, soprattutto
perché l'unico ragazzo con cui parli è Gale,
figuriamoci vedervi mentre vi tenevate per mano!”
Mi
bloccai, guardandola infastidita. “Ha fatto tutto lui, io non
c'entro.”
Prim
scoppiò a ridere, incurante dello sguardo truce che le
lanciai. “Guarda che non c'è niente di male! Gli piaci
tantissimo, chiunque lo capirebbe.”
Il
ballo terminò, così come la mia pazienza. Mi allontanai
di corsa fino a raggiungere la mia stanza, nella quale mi chiusi a
chiave. Ero sempre riuscita a stare alla larga da quel genere di
situazione e di certo non avrei cambiato idea a causa di Peeta
Mellark.
Buon
salve a tutti!
Mi
rendo conto che questo capitolo è un pochino più breve
rispetto ai precedenti ma l'ho fatto proprio per concentrare
l'attenzione sui nostri ragazzi che ballano e sui primi, minuscoli,
dubbi di Katniss. Come avete notato, la sua sicurezza sta cominciando
a vacillare, nonostante cerchi di convincersi del contrario.
Ci
vediamo al prossimo capitolo! :)
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Capitolo
IV
“Katniss!”
Continuavo
a camminare come una furia verso la mia stanza, sperando che mi
lasciasse in pace. “Non voglio parlare con te.”
“Dovrai
solo ascoltare, per favore!”. Peeta accelerò il passo,
riuscendo a frapporsi tra me e la porta, bloccandomi così il
passaggio.
“Spostati.”
“No.”
La
sua voce era dura e seria, una voce che non ammetteva repliche. Nel
pronunciare quella semplice sillaba la sua mano scattò sul mio
braccio, stringendolo in una presa ferrea. Subito lo guardai in
faccia, cercando di riempire il mio sguardo con tutta la freddezza di
cui ero capace.
….
Mezz'ora prima....
Nella
mensa c'era il solito ordinato trambusto, dovuto al rumore di piatti,
sedie e voci più o meno pacate. Era passata quasi una
settimana dal giorno del matrimonio e io non avevo più parlato
con Peeta da allora. Più volte lo avevo sorpreso a guardarmi
e io puntualmente giravo il viso dall'altra parte, ignorandolo. Non
mi piaceva la piega che stava iniziando a prendere il nostro
rapporto, non mi andava bene che una persona, praticamente appena
conosciuta, mi rendesse così vulnerabile. Io non ero quel
genere di ragazza, e di certo non lo sarei stata lì,
sottoterra, non quando il fuoco di Capitol City avrebbe potuto
distruggerci da un momento all'altro. Semplicemente ero scivolata in
uno stato di totale indifferenza, sperando che quell'atteggiamento un
po' infantile riuscisse a farlo demordere. Avevo appena terminato la
mia cena e stavo giocando distrattamente con i miei capelli quando
una sedia accanto a me fu occupata senza tante cerimonie. Si trattava
di Marcus, un capitolino della mia età i cui genitori si erano
ribellati al regime ed erano stati accolti nel 13. Sembrava un
ragazzo normalissimo se non fosse stato per i bizzarri tatuaggi
argentati sulle braccia; ci eravamo parlati di sfuggita solo un paio
di volte, visto che io stavo per conto mio e lui in compagnia degli
altri capitolini fuggiti.
“Come
mai quel broncio, piccola?” mi domandò, poggiando i
gomiti sul tavolo.
“Non
ho il broncio Marcus.”
“Di
certo non stai ridendo. Perché non vieni a farti un giro con
me? Scommetto che possiamo trovare un modo per tirarti su.”
continuò lui con un sorriso idiota stampato in faccia.
“Sono
stanca, okay? Perché non torni dai tuoi amici?”
“Con
loro ci sto sempre! Una noia tremenda. Invece tu sei qui, tutta
sola...” disse, interrompendosi per spostarmi una ciocca di
capelli dietro l'orecchio.
Subito
gli scansai la mano e lo fulminai con lo sguardo. “Lasciami in
pace!”
Marcus
scoppiò a ridere e si avvicinò di più a me. “Non
fare la preziosa, ci divertiremo.”
“Allontanati
da lei. Subito.”
Entrambi
alzammo la testa udendo la voce di Peeta e io rimasi colpita dalla
rabbia che fiammeggiava nei suoi occhi. Il capitolino si alzò
in piedi ma era comunque più basso, cosa che tuttavia non
sembrò intimorirlo più di tanto. “Cosa vuoi?”
“Voglio
prenderti a pugni fino a farti sparire quel sorrisetto dalla faccia,
ma potrei cambiare idea se la lasciassi stare.”
Marcus
annuì leggermente e fece un passo indietro, rivolgendosi poi a
me. “Wow Everdeen, di' al tuo ragazzo di darsi una calmata.”
Io
e Peeta rimanemmo per qualche istante a guardarlo allontanarsi e poi
i nostri sguardi si incrociarono.
“Tutto
bene?”
“Sì.
Me la stavo cavando benissimo da sola, comunque.”
“Certo,
come no.”
A
quel suo commento sarcastico balzai in piedi e gli diedi uno
schiaffo, non forte quanto avrei voluto, ma di certo il significato
era chiaro. Restammo tutti e due immobili a fissarci con astio,
sorpresa e rimprovero.
“La
devi smettere Peeta! Basta con questa gentilezza esasperante, con gli
sguardi e tutto il resto. Tu non mi conosci e non hai nessun diritto
di ronzarmi sempre intorno!”
Avevo
parlato a bassa voce ma sentivo lo stesso il volto andare in fiamme.
Lui aprì la bocca per ribattere però non gliene diedi
la possibilità e mi diressi alla porta. Sentii subito i suoi
passi dietro di me. Non che mi aspettassi il contrario.
Continuammo
a guardarci in cagnesco davanti alla porta della mia stanza, la sua
mano mi stringeva ancora il braccio.
“Mi
stai facendo male.” dissi, glaciale. Non era vero ma sapevo che
mi avrebbe lasciata subito.
Peeta
aprì di scatto la mano, liberandomi. Inspirò a fondo,
incrociando le braccia sul petto. “Perché ti dà
tanto fastidio che io sia gentile con te?”
“La
gente non fa mai niente per niente.”
Aggrottò
le sopracciglia, sorpreso. “E pensi che io sia quel tipo di
persona?”
“Io
non ti conosco Peeta! A casa non ci siamo mai rivolti la parola e ora
ti comporti così con me.”
“Non
ti è mai passato per la testa che magari agisco così
perché tengo a te?” chiese lui, facendo un passo verso
di me.
“Te
l'ho già detto, tu non mi conosci. Per quale motivo dovresti
tenere a me?”
Mentre
parlavo si era avvicinato ancora di più, fino a trovarsi a una
spanna da me. Il nostri nasi si sarebbero sfiorati se mi fossi mossa
ma non lo feci, dato che ero troppo impegnata a cercare di
controllare il mio cuore, che sembrava impazzire per quella
vicinanza. Potevo sentire il suo profumo di pulito misto all'odore
del pane che gli era rimasto addosso.
“Forse
ti conosco meglio di quanto pensi. E tu potresti sapere qualcosa in
più su di me, se volessi.”
La
sua voce era bassa, calma e profondamente dolce. Battei più
volte le palpebre per tornare in me e mi passai le mani tra i capelli
per recuperare un minimo di autocontrollo. “Non mi interessa.
Ora se non ti dispiace...”
Peeta
mi guardò ancora e vidi un lampo di dispiacere nel suo
sguardo. Con mia grande sorpresa mi sorrise, tristemente, e si spostò
di lato. “Scusami Katniss, non ti disturberò più.”
Lo
osservai mentre si allontanava, le sue grandi spalle erano
leggermente curve, come se stesse portando un peso, e tutte le mie
convinzioni sembrarono crollare di colpo.
Buonasera!
Dunque,
ho inserito questo nuovo personaggio, Marcus, come espediente per far
“scattare” Peeta. Si è subito lanciato in difesa
di Katniss che, ovviamente, si chiude subito a riccio e addirittura
molla un bel ceffone al nostro ragazzo del pane, quando invece voleva
solo aiutarla. Ma dato che Miss Everdeen è dannatamente
cocciuta, i due finiscono per litigare. Male male. Però avete
letto che alla fine, vedendolo così triste, Katniss si sente
quasi in colpa per averlo trattato così. Si farà
perdonare? Se vorrete, lo saprete nel prossimo capitolo :)
Un
bacione,
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Capitolo
V
L'ora
di riflessione, posta tra la fine dei compiti previsti dal programma
e la cena, era l'unico momento della giornata in cui tutti godevano
di una certa libertà. La maggior parte delle persone passava
quei sessanta minuti chiusa nei propri alloggi per stare in pace con
la propria famiglia, io invece mi diressi subito alla stanza di
Peeta, pronta a scusarmi con lui per come l'avevo trattato la sera
precedente. Quando arrivai davanti alla porta diedi due colpetti con
la mano destra e aspettai. Lui venne ad aprirmi dopo qualche istante,
senza chiedere chi fosse. La prima cosa che notai fu che non
indossava la giacca dell'uniforme ma una semplice canottiera bianca
che metteva in risalto i suoi muscoli tonici, anche se non eccessivi.
Capii di essere arrossita quando Peeta alzò un sopracciglio
con aria interrogativa, restando tuttavia serio in volto.
“Che
ci fai qui?” mi chiese, guardandomi negli occhi.
Infilai
le mani in tasca e mi dondolai su un piede, a disagio. “Possiamo
parlare?”
Lui
sospirò, spostando lo sguardo all'interno della stanza per poi
riportarlo su di me. “D'accordo.”
Si
scansò e mi permise di entrare. Un letto uguale al mio era
addossato contro la parete a sinistra della porta, a destra un mobile
con vari cassettoni e di fronte all'entrata, sempre contro il muro,
un tavolo con due sedie. Nonostante l'arredamento spoglio, quella
camera riusciva a trasmettermi un senso di pace e intimità.
“Accomodati.”
Annuii
sorpresa e mi accomodai su una delle sedie mentre Peeta si sedeva di
fronte a me. Sembrava calmo e rilassato, ma il modo in cui si
stringeva le mani tradiva il suo nervosismo. Così, per non
prolungare ancora di più quel momento imbarazzante, mi decisi
a parlare. “Io... Volevo chiederti scusa per quello che ti ho
detto ieri.”
Lui
si limitò ad alzare le spalle con finta indifferenza. “Era
la verità però.”
Non
voleva facilitarmi le cose, avrei dovuto fare tutto io. D'accordo, me
lo meritavo. “Non avrei dovuto parlarti in quel modo, verità
o meno. Mi hai aiutata in mensa, con Marcus, e ti ho trattato
malissimo invece di ringraziarti. Scusami Peeta, non le pensavo
davvero quelle cose. Cioè, le pensavo ma questo non vuol dire
nulla...” mi bloccai, rendendomi conto di essere pessima.
“Non
sei abituata a chiedere scusa, vero?” domandò Peeta,
l'accenno di un sorriso gli piegava le labbra.
Lo
guardai dritto negli occhi, cercando di comunicargli quello che le
parole non riuscivano a dire. “No infatti.”
Continuammo
a fissarci in silenzio per qualche istante, o qualche minuto, ma non
aveva importanza. Decisi di interrompere quanto meno il contatto
visivo e fu allora che notai dei segni neri che sporgevano da dietro
il mobile. Non sembravano ammaccature. “Quelli cosa sono?”
Peeta
seguì il mio sguardo, scuotendo poi la testa. “Lascia
stare, niente di che.”
“Come
faccio a conoscerti se tu non me lo permetti?” gli chiesi
mentre mi alzavo in piedi, camminando poi verso il mobile.
“Dici
sul serio?” disse lui alle mie spalle.
Mi
voltai e gli feci l'occhiolino. “Ti sembro in vena di scherzi?”
Mormorò
qualcosa che non riuscii a captare e mi raggiunse, spostando poi
quell'affare per permettermi di vedere l'oggetto del mio interesse.
Sgranai gli occhi per la sorpresa. Peeta aveva disegnato sulla parete
un paesaggio, con case, negozi, una recinzione e un bosco che
limitava lo spazio abitato. Era tutto riportato nei minimi
particolari, sembrava una foto. Gli occhi cominciarono a bruciarmi
appena riconobbi il posto.
“Casa
nostra.”
“Sì.”
Entrambi
avevamo parlato con voce spezzata, piena di tristezza e nostalgia. Mi
affrettai ad asciugare la lacrima che stava per scendere lungo la
guancia e mi voltai verso Peeta. “Sei bravissimo. Dove hai
imparato a disegnare così?”
Si
passò una mano tra i capelli, scompigliandoli leggermente,
rendendoli ancora più belli. “Al forno io decoravo le
torte. Quella è stata la mia scuola.”
Tornai
a guardare il muro, lasciando che i miei occhi seguissero le linee
tracciate con tanta precisione. “Peeta è bellissimo,
davvero. Perché lo nascondi?”
Lui
si strinse nelle spalle. “Non lo so. É una cosa privata,
ecco.”
“Però
a me l'hai fatto vedere.”
Il
mio cuore cominciò a battere velocissimo quando la sua mano
strinse la mia con delicatezza e subito ricambiai la stretta, facendo
intrecciare le nostre dita. Non avevo mai tenuto per mano un ragazzo,
neanche Gale, pensavo che fosse un gesto troppo intimo. Invece lì,
in quel momento, mi sembrava l'unica cosa che avesse importanza, come
se lasciarlo significasse perdere per sempre qualcosa di
inestimabile.
“Tu
non sei come gli altri Katniss. Non lo sei mai stata.”
Con
l'altra mano gli spostai un ciuffo ribelle che gli era finito sugli
occhi e ne approfittai per percorrere la linea della mascella con la
punta delle dita. Peeta chiuse gli occhi e piegò la testa per
avere un maggiore contatto con la mia pelle e mi sembrò che il
tempo si fosse fermato. Un suono lontano, a cui mala pena feci caso,
ci avvisò che era l'ora della cena. Entrambi ci guardammo,
sorridendoci timidamente. Era giunto il momento di tornare alla
realtà. Lo aspettai mentre si infilava la giacca dell'uniforme
e poi ci avviammo verso la mensa, senza tenerci per mano, ma
consapevoli della bellezza di quel momento. Una volta arrivati ci
mettemmo in fila per ricevere il nostro vassoio; per tutto il tempo
non dicemmo nulla, ma quel silenzio non ci disturbava. Camminammo
verso i tavoli e vidi Prim che mi aspettava al solito posto. Di
nostra madre neanche l'ombra, ovviamente. Appena mia sorella si
accorse di chi avevo vicino, mi regalò uno dei suoi sorrisi
più smaglianti, di quelli che usava di solito per dirmi che
avevo fatto la cosa giusta. Mi girai verso Peeta e gli indicai il
tavolo con un cenno. “Ti va di mangiare con noi?”
Mi
sorrise anche lui e annuì. “Grazie.”
Ci
sedemmo e cominciammo a mangiare, chiacchierando del più e del
meno, e nel mio cuore speravo che quella fosse la prima di tante
serate trascorse insieme.
Hola
bellissimi!
Eccoci
qua con i nostri Everlark che cominciano a mostrare i loro
sentimenti, specialmente Katniss. Sono troppo dolci e vi assicuro che
nei prossimi capitoli lo saranno ancora di più ;) Mentre
scrivevo il pezzo in cui si tengono per mano stavo rischiando di
morire, perché immaginavo una scena del genere e ovviamente il
mio cuoricino da fangirl ha dato di matto *-*
Alla
prossima ragazzi!!
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Capitolo
VI
Nei
giorni che seguirono, io e Peeta passammo molto tempo insieme,
parlando di ciò che ci piaceva fare nel Distretto 12 o
scambiandoci opinioni sulla nostra nuova residenza sotterranea.
Imparai a conoscere sempre meglio il ragazzo del pane: scoprii che
gli piaceva dormire con la finestra aperta, non metteva mai lo
zucchero nel tè e aveva la curiosa abitudine di fare il doppio
nodo alle scarpe. Quando gli chiesi il motivo, mi disse che da
piccolo faceva delle gare di corse con i suoi fratelli maggiori e lui
cadeva sempre perché inciampava nei lacci sciolti. Ricordare
lo rese triste, quindi passai a un altro argomento appena notai il
cambiamento della sua espressione; quella stessa notte, mentre
cercavo di addormentarmi, pensai a quanto Peeta dovesse sentirsi
solo. Certo, era gentile e socievole e veniva naturale prenderlo in
simpatia, ma tutto ciò non avrebbe mai potuto sopperire alla
mancanza dei genitori e dei fratelli. Constatai inoltre che la
persona con cui trascorreva la maggior parte delle giornate ero
proprio io, e questo mi rendeva felice. Mi ero abituata alla sua
presenza nella mia vita: mangiavamo sempre insieme e ci incontravamo
durante l'ora di riflessione, ora camminando lungo i corridoi del
distretto, ora nella sua stanza. Lui era quello che portava avanti il
discorso, ponendo domande o intervenendo nel momento giusto; io mi
limitavo semplicemente a rispondere e ad ascoltarlo. Quella
situazione tuttavia conobbe una svolta quando venne tirato in ballo
Gale. Ci trovavamo nella stanza di Peeta, io ero seduta al centro del
letto mentre lui occupava una sedia che aveva spostato davanti a me;
stavamo parlando delle mie giornate di caccia e mi fu impossibile
tralasciare la figura del mio amico all'interno del racconto.
“Quindi
voi non siete parenti, giusto?” domandò Peeta,
chinandosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
“No
ma è facile confondersi. Noi del Giacimento ci somigliamo
tutti.”
Lui
annuì con aria assente, guardandosi le mani. “Vi vedevo
sempre insieme davanti al Forno o a scuola.”
Da
dove veniva quel tono triste? “Sì, be', abbiamo dei
caratteri molto simili e...”
“Lo
ami?” mi chiese di punto in bianco.
Sbarrai
gli occhi dalla sorpresa. “Certo che no! È come un
fratello per me!”
Peeta
si strinse nelle spalle e mi guardò, il suo volto non tradiva
emozioni. “Da come ne parli...”
Quella
volta fui io a interromperlo. “Siamo praticamente cresciuti
insieme, non potrei mai pensare a lui in quel modo, sul serio.”
“Guarda
che non ti devi mica giustificare.” disse con un sorrisetto
divertito.
“Non
lo sto facendo infatti, voglio solo che tu capisca.”
Mi
guardò con interesse, inclinando leggermente la testa di lato
e mi sorrise, alzandosi poi dalla sedia per sedersi sul letto,
abbastanza vicino a me. Avevamo mantenuto il contatto visivo per
tutto il tempo. “E perché è così
importante farmelo capire?”
Già,
per quale motivo? Non volevo che fraintendesse la natura del mio
rapporto con Gale perché, nonostante gli anni trascorsi
insieme a cacciare e a condividere il peso delle responsabilità
nei confronti delle nostre famiglie, nel mio cuore lui non ricopriva
un posto tanto importante quanto quello di Peeta. Me ne resi conto
proprio in quel momento, mentre mi perdevo nell'azzurro dei suoi
occhi. Inconsciamente noi avevamo sempre avuto un legame speciale che
valeva più di ogni altra cosa: Peeta mi aveva dato speranza.
“È
grazie a te che ho trovato la forza di non arrendermi”, dissi
arrosendo, “Sai, quando mi hai dato quel pane.”
Lo
vidi aggrottare le sopracciglia al ricordo di quel freddo giorno di
pioggia, durante il quale rischiai di morire. “Ci ripenso
spesso. Non avrei dovuto lanciarti il pane in quel modo.”
“Non
devi rimproverarti. Il gesto è stato comunque bellissimo e non
ti ringrazierò mai abbastanza. Mi ha salvato la vita,
letteralmente.”
Lui
mi accarezzò una guancia, sorridendomi. “Ma erano solo
due pagnotte bruciate.”
Non
potei fare altro che ricambiare il suo sorriso mentre il cuore mi
batteva furiosamente nel petto. “Credimi, sono state più
che sufficienti.”
Peeta
avvicinò lentamente il suo viso al mio e io feci lo stesso fin
quando le nostre bocche si incontrarono. Non avevo mai baciato un
ragazzo prima di allora, quindi non sapevo esattamente cosa
aspettarmi. Ciò che notai subito fu la morbidezza delle sue
labbra che accarezzavano dolcemente le mie e il calore che quel
semplice contatto provocava nel mio corpo. Strinsi le mani intorno al
colletto della sua camicia mentre lui mi avvicinò a sé
cingendomi le spalle; abbi l'impressione, anzi la certezza, di non
essermi mai sentita così in pace, consapevole di essere nel
posto giusto al momento giusto. Peeta interruppe il baciò e
cercò il mio sguardo, che tentavo ostinatamente di spostare
altrove, sentendomi già in imbarazzo per il mio rossore; mi
obbligò a sollevare la testa poggiando una mano sotto il
mento. Mi guardò negli occhi mentre l'altra mano accarezzava
dolcemente la mia schiena; mi baciò di nuovo, rapidamente e
poi mi strinse le mani, accarezzandone il dorso con i pollici. “Hai
reagito bene.”
Sollevai
un sopracciglio con aria interrogativa. “Avrei dovuto
picchiarti forse?”
“Ti
ho baciata, non ero sicuro che lo volessi anche tu. Così ho
rischiato.”
In
quel momento, dopo tanto tempo, risi. Liberai le mani dalla sua presa
e le poggiai sui lati del suo viso. “Sei ancora tutto intero,
quindi direi che la tua idea non mi è dispiaciuta.”
Peeta
sorrise e stavamo per baciarci ancora quando il solito segnale ci
avvisò che era giunta l'ora di cena.
“Odio
quell'affare.” borbottai infastidita dopo essermi alzata dal
letto.
“Già,
non si può mai stare in pace.” disse a sua volta,
prendendomi per mano e avviandosi alla porta. Uscimmo e cominciammo a
camminare per il corridoio, le nostre dita erano meravigliosamente
intrecciate.
“Troveremo
del tempo per noi”, mi sussurrò all'orecchio, “Te
lo prometto.”
Saaaalve!
Lo
so, la scena si svolge sempre prima di cena, sempre nella stanza di
Peeta. Penserete “Vabbè, cambia un po'”. I KNOW.
Ho deciso di lasciare immutati luogo e tempo perché,
riflettendoci bene, nel 13 non ci sono alternative :S Il distretto è
sottoterra, quindi escludiamo eventuali luoghi all'aperto come il
bosco (nel quale, tra l'altro, Katniss va solo con Gale per cacciare)
o il Prato (che nel 13 neanche c'è); non dimentichiamoci del
programma, che può tenere Peeta e Katniss separati per tutto
il giorno, dalla mattina alla sera. Gli unici momenti liberi sono i
pasti e l'ora di riflessione prima della cena, durante la quale
ognuno può effettivamente fare quel che vuole. Perché
non la stanza di Katniss? Be', penso che sia più intrigante
per i due ragazzi trovarsi in una camera singola invece di una in cui
possono comparire Miss Everdeen e Prim da un momento all'altro, no?
Anyway, SI SONO BACIATIIIII!! Che amori *_* Spero che il capitolo vi
sia piaciuto, ci vediamo presto! :)
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
Capitolo
VII
Io
e Gale eravamo nel bosco che circondava il Distretto 13 e stavamo
raccogliendo le prede incappate nelle nostre trappole. Una volta
terminato, ci sedemmo ai margini di una piccola radura mentre
mangiavamo delle more raccolte da alcuni cespugli. Gale era più
silenzioso del solito e si comportava in modo strano: oltre a non
parlare, evitava il mio sguardo e camminava il più distante
possibile da me. Anche in quel momento, seduti sul prato, lo sentivo
distante, come se con la mente fosse da tutt'altra parte. Io provavo
a far finta di niente ma alla fine scoppiai.
“Gale,
per l'amor del cielo!” esclamai con voce piuttosto stridula.
Lui mi guardò distrattamente per poi riportare l'attenzione
alle more che aveva in mano. Quel suo atteggiamento non fece altro
che aumentare la rabbia che sentivo in me. “Smettila!”
“Di
che stai parlando Katniss?” mi chiese, finalmente, con tono
annoiato.
“Fai
finta che io sia invisibile, ecco di cosa!”
Mi
fissò intensamente, annuendo sovrappensiero. “Non ti sto
ignorando.”
“Ah
no? A mala pena mi guardi in faccia e queste sono le prime parole che
mi rivolgi in tutta la giornata.”
Gale
posò a terra le more e si girò completamente verso di
me, sospirando. “Hai ragione però adesso calmati.”
Aprii
la bocca per protestare ma sapevo che sarebbe stato inutile, così
la richiusi. Inspirai a fondo e mi sdraiai sul prato, sostenendomi
con i gomiti e aspettando un minimo di spiegazione da parte del mio
amico.
“Mi
dispiace di essermi comportato così. Hai frainteso, sul
serio.”
Alzai
entrambe le sopracciglia, sorpresa di aver udito quelle parole. Gale
non era un ragazzo che si scusava per qualcosa, anche quando
riconosceva di avere torto. L'orgoglio era un'altra caratteristica
che avevamo in comune. A un tratto lo vidi avvicinarsi leggermente
verso di me e tirarsi poi subito indietro; abbassò lo sguardo
e quando i nostri occhi si incontrarono di nuovo, mi baciò con
irruenza, facendomi quasi male. In quel breve istante in cui le
nostre labbra indugiarono le une sulle altre, non potei fare a meno
di confrontare il suo bacio con quello di Peeta. Il mio amico mi
aveva colto di sorpresa, la sua bocca era rigida contro la mia, come
se volesse prolungare quel contatto e allo stesso tempo imprimere un
marchio invisibile sulla mia pelle, per dire che le mie labbra gli
appartengono. E poi io non volevo baciarlo, non ci avevo mai pensato.
Con Peeta invece era stato diverso: entrambi avevamo voluto quel
bacio, io lo avevo desiderato con tutta me stessa, in lui c'era stata
dolcezza, devozione e rispetto nei miei confronti.
Quando
Gale si scostò da me, poggiai una mano sulla sua spalla per
tenerlo a distanza. Lui mi guardò confuso. “Che hai?”
“Peeta.”
Il
cambiamento della sua espressione fu repentino: dalla confusione
passò alla rabbia. “Mellark? Che significa?”
La
sua reazione non mi piacque affatto. “Penso che tu possa
arrivarci.”
“State
insieme?”
Allargai
le braccia, esasperata. “Non lo so Gale, penso di sì. Mi
piace, okay?”
Rise
con sarcasmo e mi lanciò uno sguardo pieno di risentimento.
“Hai sempre detto che non volevi avere a che fare con certe
cose.”
A
quel punto la tensione divenne insostenibile e mi alzai in piedi,
camminando avanti e indietro per calmarmi, ma con scarsi risultati.
“E allora? È sempre stato così, è vero,
poi ho conosciuto Peeta e qualcosa in me è cambiato. Ho
cercato di non provare nulla per lui ma è stato più
forte di me. Ora che ci penso”, mi bloccai, voltandomi nella
sua direzione, “io non ti devo nessuna giustificazione e di
certo non hai mai avuto qualche assurdo diritto di precedenza perché
tu per me sei solo un amico e sarà sempre così!”
Avevo
urlato quelle parole senza mai prendere fiato, così mi
ritrovai ad ansimare leggermente e capii di avere le guance in
fiamme. Gale mi guardò negli occhi, solo per un attimo e poi
si alzò, raccogliendo le prede e le sue armi. “D'accordo,
la vita è tua e non spetta a me dirti come viverla. Sarà
meglio muoverci o penseranno che siamo fuggiti.”
“Okay.”
Raccolsi
anche io le mie cose e silenziosamente ci avviammo verso la
recinzione, ognuno perso nei suoi pensieri.
Buonasera
a tutti!
Chiedo
umilmente perdono per questo ritardo ma tra università,
problemi della connessione internet e cose varie, non ho potuto
scrivere. I'm sorry! Per quanto riguarda il capitolo, anche questo
qui è piuttosto corto e la motivazione è quella
dell'altra volta, cioè ho preferito essere più
sintetica per concentrare l'attenzione sull'azione, che in questo
caso è costituita dal battibecco tra i due amici. Katniss ha
detto chiaramente a Gale che per lei è solo un amico e che
prova qualcosa per Peeta (Così ci piaci sorella!).
Come
sempre, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate! Le vostre impressioni
sono sempre utilissime :)
Al
prossimo capitolo!
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo VIII ***
Capitolo
VIII
Mi
svegliai di soprassalto nel cuore della notte, la fronte imperlata di
sudore e con il panico che mi opprimeva. Mia madre e Prim erano
abituate ai miei incubi e non ci facevano più caso, sapevano
che consolarmi sarebbe stato inutile, dato che lo stesso identico
sogno si sarebbe sempre ripetuto: in pratica, rivivevo il momento
dell'esplosione che uccise mio padre quando avevo solo undici anni,
un avvenimento che mi portò a diventare la principale, se non
l'unica, fonte di sostentamento in quella casa, visto che Prim era
troppo piccola e mia madre troppo addolorata per reagire alla vista
delle figlie che morivano di fame. Poggiai i piedi a terra e passai
entrambe le mani sul volto per eliminare gli ultimi residui di sonno
dagli occhi. Gli incubi mi tormentavano ogni singola notte e dopo non
riuscivo più ad addormentarmi, come se il terrore e la
tristezza mi rimanessero incollate addosso. In più, la sera
avevo chiuso gli occhi ripensando al bacio di Gale, e allo stesso
tempo pensando a Peeta; la situazione col mio migliore amico era
stata chiarita, o almeno così mi era sembrato, e ciò mi
fece constatare che non vedevo il ragazzo del pane da tre giorni.
Improvvisamente, nel buio di quella stanza, sentii il bisogno di lui,
il desiderio delle sue forti braccia intorno a me. Dormivo vestita,
quindi dovetti solo infilare gli scarponi prima di uscire. I corridoi
erano illuminati da una sola serie di luci al neon e sembravano
deserti, così chiusi delicatamente la porta dietro di me e mi
incamminai velocemente lungo il corridoio, usando il mio passo
felpato da cacciatore per non essere sentita. Appena arrivata a
destinazione, diedi tre colpi alla porta e attesi, guardandomi
nervosamente intorno. Dopo qualche secondo, Peeta venne ad aprire e
rimase sorpreso di vedermi lì, con i vestiti stropicciati e i
capelli sciolti; anche lui non era al meglio, ma a differenza mia
riusciva a dormire profondamente.
“Katniss,
che ci fai qui?” disse con voce impastata, tenendo gli occhi
socchiusi per il fastidio provocato dalle luci.
“Non
riuscivo a dormire. Posso entrare?”
Peeta
annuì e mi sorrise debolmente. “Certo, vieni.”
Si
allontanò per accendere la candela che teneva sul tavolo
mentre io chiudevo la porta alle mie spalle. Il solo trovarmi in
quella stanza mi trasmise un senso di pace al quale non ero ancora
abituata; mi avvicinai a lui, che mi dava ancora le spalle, e avvolsi
le braccia intorno al suo torace, poggiando la guancia sinistra sulla
schiena per sentire il battito del cuore. Questo gesto lo sorprese,
ma solo per un attimo, perché subito passò le mani sui
miei avambracci per poi intrecciare le dita alle mie. Restammo in
quel modo per qualche istante, fin quando Peeta si voltò verso
di me e mise le mani intorno al mio viso, facendo in modo che i
nostri sguardi si incontrassero, e io nel suo non vedevo altro che
amore.
“Come
mai non riuscivi a dormire?”
“Il
solito incubo.” risposi con un filo di voce, continuando a
guardarlo negli occhi. “Ma la verità è che mi
mancavi troppo.”
Lui
sorrise per un attimo e poi si chinò per baciarmi. In quel
momento mi resi conto di quanto avessi desiderato quelle labbra,
quella lingua che sfiorava dolcemente la mia e quelle mani che
riuscivano a trasmettere calore in tutto il mio corpo. Ci separammo
per prendere fiato ma subito riprendemmo da dove ci eravamo
interrotti, spinti da un desiderio che, per quanto mi riguarda, era
del tutto sconosciuto; Peeta cominciò a spingermi verso il
letto, mi ci sdraiai sopra, mentre lui si metteva di fianco a me,
continuando a baciarmi. Accarezzai i suoi capelli, scompigliandoli
ancora di più mentre passava una mano sotto la canottiera,
toccando la pelle nuda del fianco, facendomi rabbrividire e inarcare
verso di lui. Si separò dalle mie labbra per scendere a
baciarmi il collo e io, ormai persa nella sensazioni che provavo,
sollevai i bordi della sua maglia fino alle spalle. Peeta si mise in
ginocchio e la sfilò velocemente e la lanciò in un
punto imprecisato della stanza, presto seguita dagli altri nostri
indumenti. Non avevo mai visto un uomo nudo, né tanto meno lo
ero stata io in presenza di qualcuno che non fosse mia madre, e
questo mi fece arrossire di colpo quando realizzai cosa stavamo per
fare. Il mio ragazzo se ne accorse e cercò il mio sguardo,
sorridendomi dolcemente mentre con una mano mi accarezzava i capelli.
“Tutto
bene?”
Io
annuii, incapace di formulare una frase coerente, visto che riuscivo
solo a pensare al calore del suo corpo premuto contro il mio. Quel
mio atteggiamento gli fece tenerezza perché mi diede un bacio
leggero come l'aria e tornò a guardarmi con quegli occhi
azzurri nei quali adoravo perdermi. “Ti amo, più di ogni
altra cosa al mondo.”
Forse
furono quelle parole o lo sguardo che le accompagnò, ma in
quel preciso istante mi resi conto di amare quel ragazzo che mi aveva
donato il suo cuore tanti anni fa e che, finalmente, era riuscito ad
avermi. Sentii di avere gli occhi pieni di lacrime ma gli sorrisi,
accarezzandogli una guancia.
“Ti
amo anch'io.”
All'inizio
fece male ma subito il dolore divenne un ricordo lontano, sostituito
la una sensazione di completezza che non pensavo avrei mai provato.
Sapevo che quello che stavamo facendo era giusto e che nulla avrebbe
mai potuto rendermi più felice. Più tardi, quando
poggiai la testa contro il suo petto, sentii il suo cuore battere
velocemente, come il mio del resto; Peeta mi diede un bacio sulla
fronte e passò un braccio intorno alle mie spalle,
stringendomi a sé. Sentivo le palpebre chiudersi e mi accorsi
che non volevo allontanarmi da lui neanche per un secondo.
“Peeta?”
“Sì?”
“Posso
restare qui stanotte?”
Percepii
il suo sorriso mentre con la mano libera stringeva la mia e la
portava alle labbra per baciarla.
“Resta
per sempre.”
Fermi
tutti perché qua rischio di sciogliermi come il burro al sole
*-* Vi giuro, mentre scrivevo questo capitolo sono stata presa da un
attacco fangirl estremo, anche perché immaginavo Katniss e
Peeta in una situazione del genere e visto che sono interpretati da
Jen e Josh.... anche la Joshifer shipper che è in me è
partita per la tangente <3 *---* Per quanto riguarda la frase
finale che dice Peeta, inizialmente volevo inserire il famoso
“Sempre”, ma poi ho pensato che comunque “Resta per
sempre” avrebbe reso ugualmente l'idea, e così non avrei
neanche ricopiato il libro. Chiedo umilmente scusa per il mostruoso
ritardo ma ci sono stati dei problemini tecnici XD
Spero
che sia di vostro gradimento, fatemi sapere cosa ne pensate se vi va!
:)
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo IX ***
Capitolo
IX
Non
ricordavo l'ultima volta in cui svegliarmi di mattina non fosse
sinonimo di angoscia e tristezza. In quei sei anni avevo rinunciato
ad aspettarmi il senso di tranquillità che si provava dopo una
notte di sonno profondo, privo di incubi terribili che mi facevano
svegliare continuamente. Quando la mattina aprii gli occhi, un
sorriso spontaneo e rilassato mi piegò le labbra appena
percepii il calore del corpo di Peeta premuto contro il mio, mentre
mi abbracciava da dietro. Mi resi conto di essere arrossita appena il
ricordo della notte passata mi tornò in mente. Lo sentii
muoversi leggermente e posare un bacio delicato sulla mia spalla
nuda, subito seguito da un altro sulla tempia. Mi girai verso di lui
e mi avvicinai ancora di più, per quanto umanamente possibile
fosse.
“Buongiorno.”
sussurrò con dolcezza, aprendo appena gli occhi.
“Buongiorno
a te.” dissi a mia volta, baciando lo spazio tra le sue
sopracciglia.
Peeta
mi accarezzò una guancia e fece unire le nostre labbra, con
urgenza, come se ne avesse un disperato bisogno. E io non ero da
meno. Ricambiai subito e venni nuovamente travolta da quel desiderio
che avevo provato poche ore prima; senza interrompere il bacio, mi
alzai su un gomito e scivolai sopra di lui, coprendo il suo corpo con
il mio. Lo sentii mugolare di piacere per quella mia iniziativa e
immediatamente le sue mani cominciarono ad accarezzarmi la schiena,
scendendo lentamente verso le mie gambe. Un suono giunse dal
corridoio, attutito dalla porta, inconfondibile e a mala pena
sentito: era ora di colazione. Entrambi sospirammo tenendo gli occhi
chiusi, l'una nelle braccia dell'altro, ma stavamo solo rimandando
l'inevitabile e così ci alzammo dal letto e ci preparammo per
dirigerci in mensa. Una volta vestita, cercai di districare i nodi
tra i miei capelli con le dita, ottenendo però scarsi
risultati. Sbuffai rumorosamente e Peeta si avvicinò a me
ridacchiando, mentre abbottonava la giacca dell'uniforme.
“Cosa
ti avranno mai fatto quei poveri capelli?”
Gli
lanciai uno sguardo eloquente, sfoderando il mio solito broncio. “Non
li sopporto.”
Rise
nuovamente e passò una mano tra le ciocche che mi ricadevano
sulle spalle, giocandoci. “A me piacciono molto.”
I
suoi occhi e il sorriso che mi rivolse mi tranquillizzarono subito,
così poggiai la testa sul suo petto e lo strinsi forte a me.
“Voglio restare qui.”
Peeta
poggiò una guancia sulla mia testa e mi strinse a sua volta.
“Anch'io, Katniss. Ma dobbiamo pur mangiare e comunque staremo
insieme a tavola.”
Mi
allontanai leggermente e lo guardai negli occhi. “Avremo una
vita normale?”
Rise
sommessamente e poggiò la fronte contro la mia. “Credimi,
appena la guerra sarà finita, non permetteremo a niente e
nessuno di farci uscire dalla camera da letto contro la nostra
volontà.”
Mi
alzai in punta di piedi e lo baciai velocemente, prendendolo poi per
mano e dirigendomi con lui verso la porta. Le nostre mani non si
separarono mai, neanche quando entrammo in mensa e, ovviamente, sia
mia madre sia Prim se ne accorsero; ci sedemmo vicino a loro e subito
mia sorella si chinò leggermente verso di me, discrezione. “Io
e la mamma ci siamo preoccupate quando non ti abbiamo vista, ma a
quanto pare eri al sicuro.” disse, concludendo la frase con un
sorriso felice. Spostai lo sguardo da lei a Peeta, che intanto stava
parlando con mia madre, e arrossii. Da quando mia sorella parlava
così liberamente di certe cose?
“Sì,
be', non riuscivo a dormire, e...” tentai di rispondere, ma la
mia mente non riuscì a formare un pensiero coerente, tanto era
l'imbarazzo che provavo. Non mi ero mai trovata in una situazione del
genere, era tutto così nuovo per me che non potevo fare altro
che annaspare tra tutte le emozioni e le sensazioni che stavo
provando ultimamente. Alzai nuovamente lo sguardo, incontrai gli
occhi di Peeta e immediatamente mi rilassai. Sorrisi quando inarcò
scherzosamente entrambe le sopracciglia per poi ammiccare. Non
ricordavo di aver mai sorriso tanto in tutta la mia vita. Continuammo
a mangiare in tranquillità, parlando dei nostri programmi per
la giornata e della situazione in superficie: i ribelli si
preparavano a sferrare un attacco diretto a Capitol City, e la
presidente Coin stava mettendo insieme una squadra per entrare nella
città. Quando, guardandomi intorno, scorsi Gale seduto accanto
a Finnick Odair, sua moglie Annie e Johanna Mason, un pensiero mi
colpì: si offrirebbe volontario per la spedizione? Gale, i cui
occhi sono sempre accesi di rabbia e odio verso i nostri tiranni?
Certo che sì. Darebbe la sua vita pur di salvare degli
innocenti? Poco ma sicuro. Mentre mi alzavo per portare il vassoio
sul bancone, riflettei sulla possibilità di perdere il mio
migliore amico. Dopo quel bacio nel bosco, ci eravamo allontanati un
po' ma entrambi sapevamo della nostra reciproca esistenza e sapevamo
che, per qualsiasi evenienza, l'uno ci sarebbe stato per l'altra. Ma
se fosse morto? Ero talmente immersa nei miei pensieri che mi isolai
da tutto il resto e quando alzai lo sguardo, mi accorsi che Peeta mi
stava guardando, aspettando che dicessi qualcosa.
“Scusa,
puoi ripetere?
Lui
aggrottò le sopracciglia. “Dicevo che devo passare nei
magazzini prima di andare in cucina, quindi ci vediamo direttamente
alle sei. Katniss, tutto bene?” mi chiese, prendendomi il mento
tra pollice e indice per guardarmi bene in faccia. “Qualcosa
non va.”
Mi
stupii ancora una volta di quanto riuscisse a capirmi così
facilmente. Avevo sempre pensato che Gale fosse l'unico a farlo ma
Peeta aveva un altro modo di comportarsi, di parlarmi, di guardarmi e
la forza e la consapevolezza del mio amore per lui mi colpì
nuovamente. Presi la sua mano tra le mie e ne baciai il dorso,
continuando a tenere gli occhi incatenati ai suoi. Grigio e azzurro
che si fondevano ancora. “Ti amo, non dimenticarlo mai.”
Mi
sorrise, sorpreso e compiaciuto da quella mia dichiarazione
inaspettata. “Chi l'avrebbe mai detto che una ragazza
perennemente imbronciata potesse essere così dolce.”
disse con tono vagamente divertito. “Ti amo anch'io, Katniss
Everdeen.”
Mi
baciò lì, davanti a tutti, e stranamente non mi
vergognai degli occhi puntati su di noi, tra i quali vi erano
sicuramente anche quelli di Gale. Le mie labbra erano unite a quelle
di Peeta, come lo erano stati i nostri corpi quella notte, e
finalmente mi resi conto di aver trovato il mio posto nel mondo.
Accanto a lui.
Buonasera
gente!!
Lo
so, lo so. Un altro ritardo mostruoso nella pubblicazione, ma tra una
settimana di vacanza in Puglia e il ritorno alla tediosa routine
quotidiana, questo capitolo è stato scritto a più
riprese XD Chiedo umilmente perdono!
Dunque,
come avete visto, i nostri Everlark sono sempre più dolci,
specialmente Katniss. Udite, udite!!!;) Questo capitolo è un
pochino più riflessivo ma dal prossimo ci sarà più
azione, promesso :)
As
usual, a voi i commenti, i consigli, le critiche e chi più ne
ha, più ne metta :P
Al
la prossima!!!!
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo X ***
Capitolo
X
Mi
aveva sempre stupita la facilità con cui la vita potesse
passare dal regalarci una serie di eventi felici al colpirci col più
profondo dispiacere. Gli ultimi giorni, nonostante la guerra, erano
stati i più belli che io avessi mai vissuto, e in cuor mio
speravo che la situazione rimanesse tale per sempre. Ovviamente non
andò in quel modo. Quel giorno avevo deciso di seguire il
programma almeno per una volta, visto che Peeta, mia madre e Prim
erano impegnati con i rispettivi compiti e quindi mi ritrovai in una
stanza asettica, piena di banchi e sedie di metallo, in cui uno degli
ufficiali del distretto ci insegnava le basi della strategia
militare. La lezione era iniziata da poco più di un'ora quando
nei corridoi si alzarono delle voci concitate e confuse; subito ci
precipitammo tutti fuori dall'aula, in parte spinti dalla curiosità
e in parte dalla preoccupazione, e cercammo di carpire quante più
informazioni possibili. Non era facile, la riservatezza era un tratto
comune degli abitanti del Distretto 13, così mi diressi verso
una persona che sapevo essere refrattario alle regole tanto quanto
me: Haymitch Abernathy. Vinse la seconda edizione della memoria degli
Hunger Games e proveniva anche lui dal 12. Per la maggior parte del
tempo era ubriaco ma ultimamente era abbastanza sobrio da poter
affiancare Plutarch Havensbee nel centro di comando. Lo bloccai
stringendogli il braccio e lui si girò con tale impeto che
pensavo stesse per tirarmi un pugno, ma appena si accorse che ero una
ragazza e che avevo i suoi stessi occhi grigi, occhi da Giacimento,
si rilassò leggermente.
“Cosa
vuoi?”mi chiese bruscamente.
“Voglio
sapere che succede.”
“Non
sono affari che ti riguardano.” disse ancora Haymitch,
diventando se possibile ancora più sgarbato.
“E
invece sì, visto che ci vivo qui.” ribattei, per nulla
intimorita dallo sguardo glaciale che mi lanciò.
Inspirò
profondamente, visibilmente irritato, guardandosi poi intorno. Mise
una mano sulla mia spalla e mi trascinò verso una parte più
tranquilla del corridoio.
“Non
ti azzardare a farne parola con qualcuno, hai capito?”
“D'accordo.”
Haymitch
sospirò e incrociò le braccia davanti a sé. “La
Coin aveva dato il permesso alla Squadra 451 di andare a Capitol City
per avere qualche registrazione sul campo vero e proprio. Non
avrebbero dovuto combattere ma ci sono stati degli imprevisti e ora
si stanno muovendo verso il palazzo presidenziale.”
Non
me lo aspettavo. Il 13 aveva un buon numero di hovercraft e parecchi
soldati, ma era comunque un azzardo attaccare di punto in bianco. “Da
quanto la 451 è a Capitol City?”
“Da
quattro giorni ormai.”
Il
mio cuore si fermò. La consapevolezza mi colpì
immediatamente come un pugno nello stomaco, soprattutto perché
mi resi conto solo in quel momento di quanto fossi stata cieca.
“Tra
di loro c'è anche Gale Hawthorne?” domandai con un filo
di voce.
“Sì,
dolcezza. Perché?”
Quell'appellativo
mi avrebbe mandato su tutte le furie ma in quel momento non me ne
importò nulla. Mi incamminai verso la mia stanza, senza
preoccuparmi di lui, e quando chiusi la porta alle mie spalle, mi
sedetti sul bordo del letto, lo sguardo perso nel vuoto. Il mio
cervello però era al lavoro. L'ultima volta in cui avevo visto
Gale era stata proprio quattro giorni prima ma non avevo sospettato
nulla, sapendo che spesso si trovava nel centro di comando. Spesso lo
sorprendevo a guardarmi, c'era tristezza nei suoi occhi così
simili ai miei, e non sapevo che fare se non salutarlo con la mano,
senza che lui ricambiasse mai. Non parlavamo da quel giorno nel
bosco, da quel bacio, ma ero convinta che andasse tutto bene, non mi
ero mai fatta problemi. Eravamo stati entrambi impegnati, anche se
per motivi decisamente diversi, ed era mancata l'occasione per
chiacchierare come facevamo una volta. Gale era a Capitol City in
quel momento, a rischiare la vita. Una parte di me non poteva fare a
meno di pensare che la sua decisione dipendesse un po' anche da come
il nostro rapporto era cambiato e dal fatto che avessi messo in
chiaro che lui per me era solo un amico. E se fosse morto? Se non lo
avessi più visto? Era stato una presenza costante nella mia
vita negli ultimi cinque anni e lì, per la prima volta, mi
resi conto che perderlo per sempre sarebbe stato insopportabile.
Rimasi seduta lì per tutto il giorno, fino all'ora di
riflessione. Alle sei del pomeriggio Peeta entrò nella stanza
e sul suo volto il sollievo nel vedermi fu immediato, ma fu subito
sostituito da un'espressione preoccupata. Si avvicinò e si
inginocchiò di fronte a me e strinse le mie mani tra le sue.
“Non
eri in mensa e mi sono preoccupato. Stai bene?”
“Io...”
cominciai a dire, incerta. “No, non sto bene.”
Per
la prima vota, lontana dalla protezione del mio letto e della notte,
piansi. Peeta mi abbracciò subito e si sedette vicino a me sul
letto per stringermi ancora di più; mi aggrappai alle sue
spalle, come se fossero l'unico appiglio rimasto tra me e l'oscurità.
In quello sfogo non c'era solo la paura di perdere Gale, ma anche
quella per mia madre e mia sorella, la rabbia per il dolore che la
guerra portava, per la distruzione della mia casa, il terrore di
perdere Peeta. Restammo in quel modo per qualche minuto, fino a
quando non mi scansai un po' per asciugarmi il viso con le mani.
Guardai il mio ragazzo, mortificata e studiai il suo volto: era
preoccupato e dispiaciuto, però sorrise ugualmente e mi scansò
una ciocca di capelli dal viso.
“Ho
saputo di Gale.”
Come
poteva saperlo? Magari la notizia si era diffusa velocemente. Non
dissi una parola, mi limitai ad annuire, abbassando lo sguardo.
“Hai
paura per lui vero? Tranquilla, è normale.” disse con
dolcezza, passando un braccio intorno alle mie spalle. “Siete
amici, è giusto che ti preoccupi.”
Non
so cosa mi passò per la testa in quel momento, né
perché sentii il bisogno di dirlo, ma le parole uscirono da
sole. “Gale mi ha baciata.”
Peeta
rimase fermo, immobile come una statua, tranne per le palpebre che
batteva velocemente. Si schiarì la gola e mi guardò
negli occhi. “Quando?”
“Settimane
fa, prima che io venissi da te quella notte.”
Lui
annuì, senza smettere di guardarmi. I suoi occhi brillavano
per le lacrime. “E in tutto questo tempo non ti è mai
venuto in mente di dirmelo?”
Aprii
la bocca per rispondere ma rimasi zitta e immobile quando lui si alzò
e si diresse a grandi passi verso la porta, chiudendola con forza. Il
rumore sembrò rimbombare fino alle pareti del mio cuore e non
riuscii a fare altro che piangere di nuovo.
Oddio
che tristezza T.T
Anche
se di certo non shippo la Everthorne, ammetto che la Katniss triste
per la partenza di Gale un po' mi ha fatto pena. Peeta ha esagerato?
Direi di no u.u Glielo avrebbe avrebbe dovuto dire subito!!! Faranno
pace? Si risolverà tutto? Katniss si dispererà ancora
per Gale? Lo scopriremo nei prossimi capitoli =)
Vi
ringrazio, siete fantastici =)
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo XI ***
Capitolo
XI
Mia
madre e Prim si scambiavano sguardi preoccupati mentre facevamo
colazione, o meglio, loro mangiavano mentre io mi limitavo a
osservarle. Da tre giorni non toccavo cibo e la notte non dormivo
perché gli incubi mi tormentavano di nuovo; da tre giorni ero
tornata a vivere una vita simile a quella di prima con la mamma e mia
sorella; da tre giorni non avevo Peeta al mio fianco e non avevo idea
di cosa fare. Lo vedevo lì, dall'altra parte della mensa,
seduto insieme ai suoi amici del Distretto 12 e mi ignorava. Faceva
male, e anche tanto: era come se il mio cuore fosse stritolato da una
mano invisibile, creando una sensazione di oppressione che mi
impediva di respirare. Dopo la discussione nella mia stanza, non
avevo più versato una lacrima, convinta che potessi andare
avanti da sola. Come avevo sempre fatto, del resto. Ero sicura di
farcela, almeno all'inizio. Eppure la consapevolezza di essere così
vicina a lui e allo stesso tempo così lontana, mi distruggeva;
ormai sapevo cosa si provava ad avere una persona accanto, una
persona che amavo e che mi ricambiava, e capii che mi era impossibile
andare avanti come se niente fosse. E come se non bastasse, Gale era
a Capitol City a rischiare la vita. Era troppo.
“Katniss?”
La
voce di Prim mi riportò alla realtà e subito alzai la
testa per guardarla e quella che vidi sul suo volto era pura
preoccupazione.
“Io
e la mamma andiamo in ospedale, tu cosa devi fare?”
Lessi
distrattamente il programma tatuato sul mio avambraccio e aggrottai
la fronte. “Qualcosa che riguarda la strategia militare, ma
penso che andrò in giro per i corridoi.”
“Se
hai bisogno, sai dove trovarci.” disse mia madre,
accarezzandomi i capelli.
Mi
limitai ad annuire e loro si avviarono verso la porta. Inspirai
profondamente e mi alzai a mia volta, camminando il più
velocemente possibile. Posai il vassoio, sicura che avrei ricevuto un
richiamo per aver sprecato il cibo, ma non mi importava. Mi voltai
per uscire, in un certo senso felice di non aver incrociato Peeta, ma
mi sbagliavo: lo vidi passarmi davanti, guardarmi dritto negli occhi
per una frazione di secondo e voltarsi dall'altra parte, come se non
fossi degna della sua considerazione. Si allontanò insieme ai
suoi amici e io rimasi immobile, incapace di reagire. Senza
rendermene conto, mi incamminai per i corridoi fino ad arrivare nella
mia stanza. Una volta chiusa la porta alle mie spalle mi diressi
verso il letto, urtando con il braccio lo spigolo del mobile che si
trovava lì vicino; subito portai la mano sul punto dolorante,
e anche se una parte di me sapeva che era stato solo un momento di
distrazione, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso della
mia pazienza, della mia rabbia, della mia tristezza. Tirai un calcio
contro il mobile, e poi un altro e un altro ancora, fin quando non
sentii il piede farmi male. Non mi bastava. Cominciai a buttare in
terra tutto ciò che trovavo davanti a me, che fossero il
tavolo, le sedie o i materassi; intanto lacrime bollenti mi rigavano
le guance e io non riuscivo più a trattenere i singhiozzi, le
urla. Peeta aveva ragione a ignorarmi. Peeta aveva sofferto, Gale
aveva sofferto, e la colpa era mia, della mia incapacità di
esserci per qualcuno, per la mia eterna insicurezza che mi ostinavo a
nascondere dietro un muro che pensavo di aver distrutto e che invece
era ancora presente. Avevo fatto in modo che Prim e la mamma non
morissero di fame nel 12, avevo chiesto le tessere per evitare che
nell'urna ci fossero più striscioline con sopra il nome di mia
sorella, ma chi volevo prendere in giro? Non ero onnipotente, non
potevo controllare la sorte. Il fatto che il suo nome non fosse mai
stato estratto era dovuto alla fortuna, non certo a qualche mio
miracolo. Pur cacciando, spesso dovevamo andare a dormire a stomaco
vuoto, avevo permesso che accadesse, avevo permesso che Prim premesse
le mani contro la pancia per colpa dei crampi. Sapevo di essere dura
con me stessa ma non mi importava. Gale era andato in guerra e sapevo
che un po' era anche colpa mia. Peeta faceva bene a starmi lontano, a
ignorarmi. Quando non trovai più nulla su cui riversare la mia
rabbia, mi inginocchiai a terra e continuai a piangere
silenziosamente, finché non ebbi più lacrime. Mi
guardai intorno e mi resi conto che non potevo lasciare la stanza in
quello stato. Nessuno doveva sapere, soprattutto mia sorella. Misi
tutto apposto e uscii dalla stanza con gli occhi che ancora
bruciavano. Passai entrambe le mani sul viso e nell'istante in cui la
mia vista era oscurata, andai a sbattere contro qualcuno.
Dall'imprecazione borbottata senza troppi complimenti, mi resi conto
di trovarmi di fronte a Haymitch. Il suo cipiglio preoccupato si
accentuò ancora di più quando mi riconobbe.
“Che
ci fai tu qui?” mi chiese bruscamente.
“Ero
in giro.” risposi senza abbassare lo sguardo.
Era
come se sapesse qualcosa che mi avrebbe dato fastidio, ma a giudicare
dalla sua espressione, quel qualcosa doveva essere grave. Il mio
cuore cominciò a battere più velocemente.
“Che
succede?”
“Non
sono tenuto a dirtelo, ragazzina.” sbottò lui, passando
di lato per proseguire verso il corridoio.
Gli
corsi dietro e mi piazzai davanti a lui, ben decisa a non farlo
andare via.
“Haymitch.
Ti prego.”
Lui
fissò la punta delle scarpe, poi la parete alla sua destra,
quella alla sua sinistra. Ovunque, pur di non guardare me. Quella fu
un'ulteriore conferma.
“Gale
sta bene? Gli è successo qualcosa?”
Nessuna
risposta.
Gli
afferrai le braccia e lo scossi per incitarlo a parlare.
“Rispondimi!” urlai.
“Sono
morti.” disse lui con un sospiro, chiudendo gli occhi.
“No.
Non è vero.”
La
mia voce era un sussurro impercettibile ma Haymitch mi sentì e
mi guardò dritto negli occhi, confermando quello che aveva
appena detto. Feci dei passi indietro, mi voltai e poi iniziai a
correre verso la stanza dove erano tenuti gli equipaggiamenti
militari. Avevo scoperto quel posto durante uno dei miei giri di
perlustrazione del distretto e sapevo che non ci sarebbe stato
nessuno di guardia, perché la regola diceva che nessuno poteva
toccare quelle attrezzature se non autorizzato. Però a me non
erano mai piaciute le regole.
Accesi
la luce, mi guardai intorno e cominciai a prendere tutto ciò
che ritenevo necessario. Le mani mi tremavano e una vocina nella mia
testa mi urlava che ormai non c'era più nulla da fare e che
era tutto inutile ma la ignorai. Facevo talmente tanto rumore che non
mi accorsi della porta che si apriva, che poi si richiudeva, e dei
passi all'interno della stanza.
“Smettila,
Katniss.”
Mi
voltai di scatto appena riconobbi la voce di Peeta, che era lì
a due metri da me e mi guardava con gli occhi pieni di
preoccupazione. Lo fissai a mia volta, senza sapere cosa dire, ma poi
tornai a sistemare il giubbotto protettivo che avevo appena
indossato, cercando di apparire meno sconvolta di quanto in realtà
fossi.
“Devo
andare laggiù, devo-”
“Tu
non vai da nessuna parte.” mi interruppe lui, avvicinandosi a
me e togliendomi dalle mani la sacca di tela che avevo appena preso
dallo scaffale. “Non sei addestrata e poi non ha senso andare
laggiù, è troppo tardi e lo sai.”
Come
al solito, usai la rabbia per proteggermi dalla verità e gli
diedi una spinta con tutta la forza che avevo.
“E
a te cosa importa, eh? Non fai altro che ignorarmi ma è giusto
così!” urlai, ricominciando a piangere. “Perché
io faccio soffrire tutti quelli che ho intorno. Prima Gale e adesso
tu. Vado a Capitol City, così nes-”
Quella
volta furono le sue labbra a interrompermi. Inizialmente non reagii,
ancora sorpresa dal suo gesto, però lo allontanai spingendolo
di nuovo indietro.
“Che
diavolo fai?” gli dissi con durezza.
“Quello
che avrei dovuto fare tre giorni fa. Mi hai detto di quel bacio e io
me la sono presa, ti ho allontanata da me e non mi sono comportato
bene con te, sopratutto oggi a colazione.” mi rispose lui con
calma, avvicinandosi di nuovo a me e posando le mani suoi miei
fianchi. “Appena sono uscito dalla mensa, mi sono pentito e ti
ho cercata nel corridoio ma tu non c'eri. Stavo per andare via quando
sei uscita dalla tua stanza e ti ho seguita fino a qui. Perdonami.”
Piansi
di nuovo, e non solo per il dolore che provavo per Gale. Piansi
perché, nonostante tutto, Peeta era lì a scusarsi per
qualcosa di cui non aveva colpa, dimostrandomi per l'ennesima volta
quanto mi amava.
“Mi
dispiace per il tuo amico, so quanto eravate legati”, continuò,
“ma comportarsi in questa maniera non lo riporterà in
vita. Finiresti solo col farti uccidere e questo non lo permetterò
mai.”
Inaspettatamente,
le mie labbra si piegarono in un sorriso. Portai le mani sulle sue
guance e lo attirai a me per baciarlo con passione, riconoscenza,
amore.
“Cosa
ho fatto per meritarti?” gli sussurrai appena ci separammo per
riprendere fiato.
Peeta
mi sorrise, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
“Non hai fatto nulla, e ti amo proprio per questo.”
Buon
salve a tutti!!!
Scusate
per questo terribile ritardo ma ho avuto tante cose per la testa e
alla sera non avevo la forza mentale per scrivere XD Dunque, Gale e
tutti gli altri sono morti... BUGIA!!! Anche nel libro i membri della
squadra 451 vengono dati per morti dal governo, quando in realtà
sono vivi e vegeti ;) Peccato che Katniss questo non lo sappia O.O La
nostra fanciulla ha dato un po' di matto, sia per Gale sia per Peeta.
Ma il nostro ragazzo del pane ha fatto ragionare Katniss e tutto tra
loro è sistemato ora. Ora non ci resta che vedere come reagirà
Miss Everdeen quando saprà che Gale è ancora vivo ;)
Un
bacione, vi voglio beneee <3
Sara
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo XII ***
Capitolo XII
Quelli che seguirono furono giorni difficili. Tutti nel Distretto 13 vennero assaliti dalla paura, tutti iniziarono a domandarsi come avrebbero fatto a combattere contro una Capitol City che, visti i recenti avvenimenti, sembrava avere sempre la meglio su di noi. C'era dolore per la perdita della Squadra 451, gli abitanti del 13 si sentivano scoraggiati ma la presidente Coin e Plutarch Heavensbee misero insieme la flotta degli hovercraft per sferrare un attacco decisivo alla capitale, per dimostrare che i ribelli, nonostante tutte le perdite, non si sarebbero arresi. Avrei tanto voluto andare con loro e andare in battaglia, ma mia madre, Prim e Peeta, riuscirono a farmi cambiare idea. Sapevano che non sarei stata lucida, soprattutto dopo la morte del mio migliore amico. Gale. Ogni volta che pensavo a lui sentivo gli occhi riempirsi di lacrime, sapendo che non avrei più visto i suoi grandi occhi grigi, così espressivi, il suo sorriso così difficile da tirar fuori e in generale il suo essere così forte e combattivo. L'unico lato positivo era che avevo di nuovo Peeta al mio fianco, e il nostro amore che mi aiutava a non sprofondare nel dolore. Non più di tanto almeno. Mi dava un appiglio.
Quando la flotta di hovercraft venne messa insieme, vennero organizzati anche dei gruppi di medici e infermieri per soccorrere i feriti e mia sorella venne inclusa, su sua esplicita richiesta. Ovviamente mi opposi ma nostra madre non fece nulla per impedirglielo, dicendo che quella era la sua vocazione e che come tale noi non avremmo dovuto impedirle di aiutare le persone bisognose, ribelli o capitolini che fossero. Inizialmente mi arrabbiai con entrambe, dissi che non volevo rischiare di perdere un'altra persona, ma Prim fu più testarda di me e alla fine dovetti accettare il suo desiderio.
La accompagnai fino al velivolo, e prima di vederla percorrere la scaletta per entrare l'abbracciai. Oltre a Peeta, mia sorella era l'unica persona con la quali mi sono sempre lasciata andare e, mentre la stringevo tra le braccia, ebbi un brutto presentimento. C'era una vocina, nella mia testa, che mi urlava di non lasciarla andare, di costringerla a rimanere lì sotto. Però ignorai quella sensazione e vidi l'hovercraft partire per dirigersi verso quella che sarebbe stata la battaglia finale della guerra contro Capitol City.
Grazie a Haymitch, con il quale avevo abbastanza confidenza, io e Peeta riuscimmo a seguire le varie fasi dello scontro dal Centro di comando. L'attesa era snervante così decisi di uscire da quella stanza che si stava facendo soffocante per fare due passi nel corridoio. Ero nervosa, preoccupata per Prim, mi maledicevo per non averle impedito di andare laggiù, ma mentre pensavo a quelle cose Peeta uscì di corsa dal Centro di comando e mi venne incontro, sorridendo.
“Sono vivi! Gale è vivo, lo hanno individuato tra la folla degli sfollati capitolini, lui e i sopravvissuti si sono infiltrati!”
Non potevo crederci, eppure era ciò che speravo da giorni. Era una notizia falsa? La 451 era stata attaccata ma erano riusciti a sopravvivere, anche se non tutti? Scoppiai a piangere e allo stesso tempo iniziai a ridere, abbracciando Peeta e baciandolo. Gale era vivo! La gioia che provavo venne subito smorzata dal pensiero di mia sorella però, e dalla consapevolezza che ancora non era finita purtroppo.
“Katniss, che succede?” mi chiese Peeta, alzandomi in volto per guardarmi negli occhi.
Scossi la testa, sospirando. “Ho paura per Prim. Avrei dovuto fermarla, se le succedesse qualcosa io-”
“Non dire così, capito?” mi interruppe lui con decisione.
In quel momento sentimmo delle urla provenire dalla stanza e subito tornammo lì dentro per capire il motivo di tanta agitazione: in poche parole, gli hovercraft dei ribelli avevano lanciato delle bombe su una zona dell'anfiteatro cittadino dove decine di bambini erano tenuti all'interno di un recinto, a mo' di scudo. Eravamo collegati via radio con uno dei velivoli, quindi riuscimmo a sentire la detonazione del primo ordigno e le urla disperate dei piccoli e dei loro genitori. Tuttavia non sapevo che quell'atto così feroce facesse parte di una strategia. Non sapevo che uccidere tutti quei bambini era solo una trappola per far avvicinare i medici. E soprattutto non sapevo che uno di quei camici bianchi che presero fuoco con il secondo rilascio di bombe appartenesse alla mia sorellina.
Non capii più nulla. Sentii il mio grido disperato, le braccia di Peeta che mi impedivano di cadere a terra e poi il buio.
Mi risvegliai il giorno dopo, ma quando ricordai tutto mi pentii di aver aperto gli occhi. Volevo fuggire, volevo solo smettere di sentire quel dolore lancinante al petto, un dolore che mi impediva di respirare. Peeta rimase al mio fianco sempre, non mi lasciò mai da sola, anche quando fui dimessa. Incontrai mia madre ma furono dei momenti tristi e pieni di dolore. Il regime di Capitol City era caduto, Snow era stato giustiziato e Panem era una nazione libera. Ma a me non importava.
Due giorni dopo stavo vagando per il distretto, senza una meta. Mi faceva male entrare nel mio alloggio e avevo lasciato Peeta a riposare nel suo. Entrai in un magazzino praticamente vuoto e mi lasciai scivolare a terra, poggiando le spalle contro il muro. Mi accorsi di Gale solo quando lo sentii sedersi accanto a me. Era stato ferito ma evidentemente poteva camminare. Rimanemmo in silenzio per un po', e fu lui il primo a parlare.
“Mi dispiace, avrei dovuto fare qualcosa.”
La mia voce era così bassa e roca quando risposi. “Non è colpa tua, non devi di-”
Mi interruppi di colpo, un pensiero improvviso mi passò per la mente. E dallo sguardo del mio amico ebbi la conferma. Erano sue quelle bombe, era sua quella trappola: attaccare per attirare altri bersagli da eliminare, uccidere il doppio dei nemici puntando sul fatto che i capitolini si sarebbero diretti tutti verso il recinto dei bambini. L'unica cosa che non poteva sapere era che ad aiutare i sopravvissuti sarebbero accorsi anche i medici dei ribelli, compresa Prim. Non era colpa sua, adorava mia sorella, ma la consapevolezza che il mio migliore amico fosse in qualche modo coinvolto con la sua morte mi fece scattare qualcosa dentro, il desiderio di non vederlo mai più.
Mi alzai e tornai in camera correndo e scoppiai a piangere appena Peeta mi abbracciò.
Un incubo senza fine, ecco cos'era la mia vita.
Haymitch Abernathy ci comunicò che saremmo potuti tornare nel Distretto 12, dove lentamente le persone stavano ricostruendo le loro case. Inizialmente mi opposi all'idea ma Peeta mi convinse, dicendo che non mi avrebbe mai lasciata sola. Andammo ad abitare in una delle case vuote del Villaggio dei Vincitori e piano piano, col passare del tempo, il dolore per la morte della mia sorellina divenne più sopportabile, anche se onnipresente.
Una mattina mi svegliai all'alba, come facevo ogni volta per andare a caccia, e camminai fino al bosco, dove guardai il sole sorgere. Per la prima volta dopo tanto tempo sorrisi. I raggi riscaldavano la mia pelle e per un attimo mi concessi di credere che la vita sarebbe andata avanti; avevo Peeta al mio fianco, sapevo che mi amava più di ogni altra cosa al mondo e io amavo lui allo stesso modo. Mi avrebbe consolato nei momenti difficili e mi avrebbe fatto sorridere per ricordarmi che non dobbiamo mai smettere di lottare per noi stessi e le persone a cui teniamo. E nonostante le perdite che noi tutti abbiamo subito, non avremmo mai dimenticato che i nostri cari non ci avrebbero mai lasciato. Sarebbero sempre stati con noi.
Quindi sì, avrei continuato a vivere.
FINE
Ciao a tuttiiii!!!! I'm back!!!!!
Lo so, ancora una volta sono imperdonabile e questa volta il ritardo è a dir poco scandaloso O.O PERDONATEMIIIII. Anyway, oddio è l'ultimo capitolo. Non ci credo. Ogni volta che termino una storia è come se il mio cuore si spezzasse, che tristezza :'( Ho deciso di terminare la narrazione qui perché, visto che Katniss non è partita per la capitale, non c'era molto da raccontare e così mi sono concentrata su come lei abbia vissuto la presa di Capitol City e la morte di Prim all'interno del Distretto 13. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, davvero :)
Potrei scrivere un epilogo...... Non è detto ma io ve la butto lì, si vedrà ;)
Vi voglio beneeeee!!!!!!! Grazie a tutti <3
Sara
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2681991
|