La Promessa di Shinichi di Melanyholland (/viewuser.php?uid=1195)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Feelings ***
Capitolo 2: *** Secret Code ***
Capitolo 3: *** Kidnapping ***
Capitolo 4: *** Face to face ***
Capitolo 5: *** Hurt ***
Capitolo 6: *** Sad Rain ***
Capitolo 7: *** Date ***
Capitolo 8: *** Sunrise of Wishes ***
Capitolo 9: *** Reflection in the Mirror ***
Capitolo 10: *** Clues, Deductions, Suspicions ***
Capitolo 11: *** Two Different Investigations ***
Capitolo 12: *** White Angel & Black Devils ***
Capitolo 13: *** Tropical Land ***
Capitolo 14: *** Fight, blood and...tears ***
Capitolo 15: *** Kiss Kiss ***
Capitolo 16: *** Lonely ***
Capitolo 17: *** Double Identity ***
Capitolo 18: *** Show Must Begin ***
Capitolo 19: *** East & West ***
Capitolo 20: *** Revelations ***
Capitolo 21: *** Fear & Fearlessness ***
Capitolo 22: *** Against The Shadows ***
Capitolo 23: *** In The Dark ***
Capitolo 24: *** Fight for the Light ***
Capitolo 25: *** Choice ***
Capitolo 26: *** Wind Of Change ***
Capitolo 27: *** Cards On The Table ***
Capitolo 28: *** Cards On the Table (2) ***
Capitolo 29: *** Epilogue ***
Capitolo 1 *** Feelings ***
Nuova pagina 1
1. Feelings
"E’ lui il colpevole!"
la voce di Kogoro echeggiò nella stanza e, fra lo
stupore generale, il signor Asaba cadde sconfitto in ginocchio con la testa fra
le mani: "Sì, sono stato io detective... esattamente nel modo che ha spiegato...
ma Kyoko era... un essere spregevole!! Non ho rimpianti per averla uccisa, erano
anni che mi ricattava con foto compromettenti... non sarebbe mai finita!". La
polizia accompagnò il colpevole fuori dal casolare, con un grosso sbadiglio
Kogoro si alzò dalla poltrona e ricevette da tutti congratulazioni per aver
risolto il caso. Solamente una ragazza bruna lo ignorava e si aggirava invece
per la stanza preoccupata: stava cercando un bambino, scomparso da più di
mezz’ora: "Conan! Dove sei? Insomma! CONAN!"
"Eccomi Ran!" il piccolo sbucò fuori da dietro la
poltrona, attraversando la folla che vi si era radunata intorno "Ero andato a..."
"Non scomparire più in quel modo!" lo interruppe
"Lo sai che poi sto in pensiero! Che peste!"
Il piccolo annuì energicamente, e anche se
sembrava piuttosto infastidito, la sua espressione cambiò radicalmente quando la
ragazza lo prese in braccio, tenendogli la testa premuta sul suo collo: "Vieni,
è meglio che non ti sforzi: hai preso una brutta storta giocando a calcio,
stamattina" Conan mormorò un sì trasognante e lei gli accarezzò la testa. Come
si sentiva bene. Stare stretto a Ran in quel modo, poter sentire il profumo
fresco e dolce dei suoi capelli, il suo cuore che batteva lento e regolare, il
suo respiro calmo... Conan arrossì, si strinse a lei ancora di più e Ran
sorrise: "Conan! Che dolce! Ma allora mi vuoi bene!" stava per rispondere
qualcosa ma si bloccò: rivelarle ciò che provava realmente era una cosa che
desiderava da un secolo. Ma adesso, com’era ridotto, non avrebbe potuto farlo...
molto spesso si era ritrovato a rimpiangere i giorni in cui era adulto, in cui
aveva l’occasione di parlarle apertamente... e in quei momenti la sua testa si
riempiva di immagini, in cui lui, Shinichi, le diceva tutto quel giorno al
Tropical Land, sull’Otto Volante, prima che lei gli stringesse la mano... in cui
prima di lasciarla sola e di andarsene la baciava dolcemente sulle labbra e le
sussurrava all’orecchio di non preoccuparsi, perché lui le sarebbe stato sempre
vicino, in un modo o nell’altro, e non avrebbe permesso a nessuno di farle del
male... e allora un singhiozzo gli scuoteva il petto, e sentiva sul suo cuore lo
sgradevole peso del rimpianto...
"Ran! Conan! Andate a casa con un taxi, io vado a
festeggiare un’altra delle mie grandi vittorie!!"
Kogoro era euforico per aver risolto l’ennesimo
caso senza alcuna fatica, non badò minimamente ai rimproveri della figlia sulla
sua salute e si diresse trotterellando verso l’auto. Quando il taxi arrivò,
Conan accettò a malincuore di doversi staccare dalla ragazza: in quella
situazione era persino riuscito a non lanciare maledizioni all’uomo che si
prendeva sempre il merito al suo posto.
Ran guardava assorta fuori dal finestrino
appannato della vettura, mentre persone e cose sfrecciavano veloci sotto i suoi
occhi: il sole stava tramontando e il cielo si era dipinto di sfumature calde,
striato di nuvole. Vedere il tramonto la faceva sempre sentire triste, sapeva
perché, ma preferiva far finta di niente, in fondo era meglio non affrontare
certi pensieri, era stanca di provare dolore, solitudine. "Qualcosa non va, Ran
neechan?"
La voce di Conan la fece sobbalzare, si voltò e
guardò il bambino negli occhi azzurri: non sarebbe stato giusto rivelare le sue
frustrazioni al piccolo, aveva solo sette anni..
"Niente, perché?" cercò di sorridere, e vide che
lui la ricambiava:
"Non so, il tuo riflesso...mi sei sembrata un po’
triste." Lo era. Conan sapeva di non sbagliarsi, e purtroppo ne conosceva anche
la ragione: proprio mentre il sole calava, in quel giorno di molti mesi prima,
Shinichi l’aveva esortata ad andare avanti e si era allontanato per quello che
sarebbe stato il peggior errore della sua vita; non era la prima volta che
vedeva nei suoi occhi quello sguardo.
"Beh, ecco... pensavo a papà. Ho paura che possa
alzare un po’ il gomito e.. ricordi quanto ci siamo spaventati quando credevamo
che il dottore gli avesse dato solo sei mesi di vita?"
"Sì, ma a quanto pare lo shock non ha infierito
sullo zio!" Ran rise, per fortuna Conan non si era accorto di nulla e andava
bene così. Aveva notato quanto fosse sveglio e temeva che avesse intuito
qualcosa, ma avrebbe tanto voluto confidare a qualcuno ciò che sentiva. Da un
po’ di tempo aveva cominciato a fare strani pensieri, pensieri che la
spaventavano, perché andavano contro tutto ciò che aveva sempre creduto.
O contro tutto ciò che Shinichi ha sempre
rappresentato per me.
La verità di quell’affermazione le fece star male,
ma si insinuò nella sua mente incontrollabile, la trafisse come una freccia: i
sentimenti contrastanti che le attanagliavano il cuore l’avrebbero presto
costretta in lacrime, ma non voleva, non lì, non in quel momento, non con gli
occhietti di Conan puntati su di lei... perché Conan la stava fissando e
sembrava intuire, sembrava
capire...
No, era solo la sua immaginazione. Quel bambino
era piuttosto sveglio, questo sì, sapeva un sacco di cose strane in effetti, ma
non avrebbe mai potuto conoscere ciò che le succedeva, perché con lui non aveva
mai parlato di quanto dolore provasse per la scomparsa di Shinichi. Conan non
poteva neanche lontanamente comprendere..
"C.. Conan..." era sempre più difficile sorridere
"Che vuoi per cena?"
"Non so... per me va bene tutto... fai tu" Conan
si strinse nelle spalle, era sereno, calmo e tuttavia imperscrutabile come al
solito, ma questo le bastò a far sparire tutti i sospetti.
"Uhm... vorrà dire che farò delle polpette...
l’ultima volta ti erano piaciute tanto, non è vero?"
"Sì! Tra l’altro potrò mangiare anche la parte
dello zio, tanto al ritorno sarà così alticcio che crollerà sul divano!" Conan
sfoggiò un sorriso a trentadue denti che rassicurò ulteriormente la ragazza, e
per il resto del viaggio Ran riuscì a non pensare ai suoi problemi, distratta
dalla cena. Il suo scopo era stato raggiunto e Conan ne fu felice, vederla così
sofferente lo faceva veramente star male. Si era accorto che era sul punto di
piangere, e lo confortò il fatto che Ran non potesse guardare se stessa mentre
gli parlava: il suo sorriso era così maledettamente lontano da esprimere
contentezza o qualsiasi altro sentimento positivo: era decisamente una smorfia
vuota e anonima. Certo, vederla di nuovo serena lo tranquillizzò, ma si accorse
suo malgrado di essere la fonte del suo dolore e allo stesso tempo la sua cura.
Anzi, più precisamente, "Shinichi" era la causa del suo male e "Conan" che la
faceva sentire bene. Possibile che adesso riusciva a farla felice solo
attraverso il suo alter - ego infantile? Probabilmente avrebbe fatto meglio a
telefonarle quella sera, a parlarle e a cercare di farsi confidare le sue ansie.
Perché stavolta i suoi occhi esprimevano un dolore diverso da quello che da mesi
e mesi le aveva letto nello sguardo, era quasi... paura... disperazione... Che
le fosse successo qualcosa di cui non era a conoscenza? Strinse così forte i
bordi del sedile che le nocche divennero bianche: se qualcuno aveva fatto del
male alla sua Ran, gliel’avrebbe fatta pagare cara. Prima di tutto bisognava
scoprire quello che succedeva, era decisamente il caso di telefonarle quella
sera, dopo cena magari; temeva però che se avesse toccato un tasto dolente, di
cui non conosceva la gravità, avrebbe fatto del male a Ran più di quanto si
aspettasse. Risuonarono nella sua mente le parole di Sherlock Holmes:
"l’emotività è nemica della chiarezza del ragionamento". Non capì mai quel
concetto meglio di quel momento.
Il taxi si fermò davanti ad un edificio a più
piani con dei grossi ideogrammi bianchi sui vetri delle finestre. Ran scese,
pagò l’autista e prese nuovamente in braccio Conan. Lui arrossì, ma non mostrò
nessuno dei sentimenti di pace e felicità che aveva provato solo poco tempo
prima, nella stessa situazione.
Conan era sdraiato al buio, sul suo futon, lo
sguardo fisso sullo schermo del cellulare illuminato; intorno a lui tutto
taceva, e poteva sentire lo scrosciare dell’acqua in cucina, segno che Ran stava
lavando i piatti. Come aveva previsto, Kogoro era tornato pochi minuti prima
barcollante, cantando a squarciagola una canzone di Yoko Okino per poi crollare
sul divano durante un acuto. Probabilmente in quel momento era lì che russava, e
fu contento di non dover per quella sera passare ore d’inferno cercando invano
di prendere sonno. Non aveva voglia di dormire però: rifletteva su quale fosse
la cosa giusta da fare con Ran, se era meglio ignorare ciò che aveva letto nel
suo sguardo, perché in fondo poteva anche essersi sbagliato, o chiamarla e
parlarle. Era strano che fosse così preoccupato, ma la verità è che aveva un
brutto presentimento, e il suo istinto finora non l'aveva mai ingannato. Sentiva
come se qualcosa di terribile stesse per accadere, e se non avesse agito subito,
sarebbe stato troppo tardi... non ne aveva fin troppi di rimpianti? Spinse il
tasto centrale del cellulare, selezionò il numero di casa Mouri ed esitò: se
avesse peggiorato la situazione? Non poteva sopportare di vederla di nuovo in
lacrime per colpa sua. O forse
forse non è di lei che mi preoccupo
Sobbalzò: era vero, in realtà non voleva
ammetterlo nemmeno con se stesso, poiché un vero detective deve essere forte,
non lasciarsi trasportare da sciocchi sentimentalismi. A volte nascondere a
tutti ciò che provava lo portava a nasconderlo anche a lui stesso, come in
questo caso: aveva paura. Non che a Ran fosse successo qualcosa, ma che potesse
decidere qualcosa. Pensava con timore ai giorni in cui lei si sarebbe stancata
di aspettarlo in eterno, in cui avrebbe smesso di sospirare invocando il suo
nome, in cui avrebbe cominciato a guardarsi intorno scoprendo che moltissimi
ragazzi erano disposti ad uscire con lei
e chi non lo farebbe? È così bella
sorrise per un attimo, un sorriso pieno di
malinconia. Temeva quel giorno, nel quale avrebbe visto gli occhi di lei
illuminarsi parlando di un ragazzo che non era lui. Così, quando la vedeva
triste e sofferente per la lontananza di Shinichi, lui
Oddio mi odio per questo non dovrei se le
voglio bene davvero no
Strinse i denti e scagliò lontano il cellulare.
Sapeva quello che aveva provato, lì, in quel taxi, accorgendo si che era sul
punto di piangere, ma non voleva affrontarlo. Si sentiva così sporco, provava
quasi disgusto per sé, e nonostante ciò non poteva farne a meno... perché era il
pensiero di lei che l’aspettava ad esortarlo ad andare avanti, a non arrendersi
pur sapendo di andare contro un’Organizzazione pericolosamente potente, era Ran,
la sua Ran, a dargli la forza per lottare per quanto la situazione si
presentasse insostenibile. Quel pomeriggio, certo, aveva provato dolore a
vederla in quello stato per colpa sua, era vero, ma un’altra sensazione si era
unita a quel dispiacere...
era stato un attimo, così rapido che riusciva
ancora a mentire a se stesso, a fingere che non ci fosse mai stata... ma l’aveva
percepita... e lo faceva star male.
Tirò le coperte fin sul mento e si voltò su un
fianco, raggomitolandosi: era sicuro che prima non facesse così freddo. Avrebbe
fatto meglio a mettersi a dormire, per quel momento non voleva pensare più a
tutte quelle angosciose sensazioni: e poi rimandare era l’unica soluzione che
era riuscito a pensare. Udì i passi di Ran per il corridoio e la sentì aprire la
porta: un fascio di luce si proiettò sul suo futon, ma Conan rimase immobile
nella sua posizione, fingendo un sonno profondo: l’ultima cosa che gli mancava
era essere trattato come un moccioso e quindi rimproverato per essere ancora
sveglio ad un’ora assurda come le dieci di sera. Aspettò che la ragazza
richiudesse la porta e se ne andasse, ma non accadde: lei gli si avvicinò
cercando di non far rumore, e si sedette piano piano accanto a lui. Conan sentì
che gli posava delicatamente la mano sulla testa, accarezzandogli i capelli. Non
voleva andare a letto; se fosse rimasta da sola, nel buio, avrebbe ricominciato
a pensare quelle cose, e aveva paura. Sperava che il bambino fosse ancora
sveglio, parlare con lui l’avrebbe distratta un po’. Forse però non era con
Conan che voleva parlare, forse stava di nuovo ingannando se stessa. Il fatto è
che lui gli somigliava così tanto... era addirittura arrivata a pensare che
fossero la stessa persona, per sentirsi meno sola, meno abbandonata... credere
che lui non l’avesse mai lasciata l’aveva confortata; ma era stata una speranza
vana, un’illusione resa evidente dai fatti di qualche tempo prima. Quella sera,
aveva pregato che il telefono squillasse, che fosse lui... Shinichi... perché
aveva tanto bisogno di parlargli, di sentire la sua voce, che le faceva sempre
battere forte il cuore, da quando era lontano. Ma Shinichi non aveva chiamato,
forse era stato impegnato, forse
non aveva nessuna voglia di parlare con me
La mano sulla testa del piccolo si bloccò, Ran
restò immobile, lo sguardo fisso nel vuoto. No, non poteva essere.. non lui....
inoltre, quella sera di qualche tempo fa, in quel lussuoso ristorante...
Shinichi era sul punto di confidarle qualcosa, qualcosa di importante, che
sembrava imbarazzarlo molto. Non che credesse al suggerimento della cameriera,
la quale aveva detto che intendeva ¢
chiedere la sua mano¢
però... la sicurezza e la fermezza del suo
carattere erano scomparse, esitava, balbettava, arrossiva...
Ran si era sentita serena e felice, credeva di
potersi finalmente lasciare alle spalle la nostalgia, la tristezza... e invece
lui l’aveva ancora delusa. Era di nuovo scomparso, aveva ancora anteposto il suo
lavoro a lei...
Diede uno sguardo al piccolo Conan... che tenero,
non si era nemmeno tolto gli occhiali, prima di andare a letto... glieli sfilò
con delicatezza, cercando di non svegliarlo, e a quanto pare ci riuscì, perché
il bambino non fece una piega: restò col viso affondato nel cuscino, respirando
a ritmo regolare. Era meglio se lo lasciava in pace, l’ultima cosa che voleva
era svegliarlo..
In effetti Conan si era addormentato veramente: il
caso della morte di Kyoko era stato sfiancante, e sentire la mano della ragazza
che lo accarezzava, il tepore che aveva ritrovato sotto le coperte calde,
l’aveva rilassato, fino a farlo assopire.
La notte era buia e silenziosa, senza luna. Un
uomo se ne stava sotto l’agenzia di Kogoro, avvolto in un pesante cappotto di
feltro, con una sigaretta in bocca e un accendino in mano. Ci fu una scintilla,
poi si accese una piccola luce. La bocca dell’uomo
sbuffò fumo e poi si dischiuse in un ghigno tutt’altro che rassicurante.
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Capitolo 2 *** Secret Code ***
2. Secret Code
Era una bella mattinata di sole. Ran e Conan,
assonnati, si preparavano per andare a scuola, mentre Kogoro era ancora
sprofondato nel sonno, a smaltire la sbornia della sera prima. Ran si guardò
allo specchio, diede un’ultima aggiustatina alla cravatta della divisa
scolastica e si diresse verso l’ingresso per infilarsi le scarpe da ginnastica.
Conan l’aspettava, annoiato: possibile che le donne ci mettessero sempre tutto
quel tempo per prepararsi? Lei lo prese per mano e fecero per uscire, quando il
bambino attirò la sua attenzione: "Guarda Ran neechan! Ci sono due lettere nella
cassetta postale!" "Mah, saranno sicuramente di qualche cliente di papà; è
diventato davvero famoso. Le prenderemo dopo la..." Ran ebbe un sussulto e restò
senza fiato; estrasse entrambe le lettere e lesse il contenuto della prima,
anche se questo non sembrò tranquillizzarla, anzi, la agitò ancora di più. La
infilò in fretta nella sua borsa e porse la seconda a Conan, cercando di
sorridere e di non far tremare la voce: "Tieni, è da parte dei tuoi genitori..."
il bambino assunse un’aria innocente e la prese, ma aveva capito che qualcosa
non andava. Era strano che i suoi genitori gli scrivessero, se avessero voluto
parlargli l’avrebbero fatto tramite il professor Agasa; inoltre la grandezza, la
forma e la carta di entrambe le lettere arano le stesse, e le linee di
timbratura sul francobollo non continuavano sulla busta, segno che non erano
state spedite, ma introdotte dal mittente direttamente nella cassetta.
Considerando che il giorno prima, quando erano tornati dal casolare, la cassetta
era vuota, vi erano state messe durante la notte; per un attimo pensò di
chiedere a Kogoro se rientrando a casa le avesse viste, ma si rese subito conto
che, ubriaco com’era, non poteva comunque averle notate. Conan assunse
sospirando la sua tipica espressione fra l’irritato e il rassegnato, poi alzò la
testa verso Ran: la reazione che aveva avuto era alquanto sospetta. Chissà cosa
aveva letto...
"Scusa Ran neechan, chi è che ti ha scritto? Dai.,
dimmelo, chi è?" il viso della ragazza si rabbuiò improvvisamente, per un attimo
sembrò sul punto di piangere, un attimo tanto fugace che in seguito Conan
avrebbe stentato a giurare che fosse successo veramente. Lei sorrise, lo stesso
sorriso del giorno prima in taxi: "E’ di Sonoko..." rispose, senza guardarlo
negli occhi " lo sai no che lo scorso week - end è andata nella villa in
montagna dei suoi genitori... dev’essere il solito ritardo postale. Ma ora
sbrighiamoci ad andare, o faremo tardi!" lo prese per mano e lo trascinò
correndo per tutto il tragitto, con la gonna a pieghe azzurra che ondeggiando
mostrava a Conan più di quanto dovesse vedere. Quando si divisero, il piccolo
detective notò chiaramente la sua mano tremare mentre si alzava per fargli un
ultimo cenno di saluto, capì che decisamente qualcosa non andava e fissò la sua
lettera, che teneva stretta nel pugno ancora sigillata. Non restava che aprirla,
per saperne di più sulla faccenda... "Conan!! Sei arrivato finalmente! Che fai?"
Ayumi gli afferrò subito il braccio, mentre Genta e Mitsuhiko si sistemarono
davanti a lui: "Che hai lì? È una lettera minatoria? La richiesta di un
riscatto?" chiese ansioso quest’ultimo. Ci mancavano solo quel branco di
mocciosi per coronare quella splendida giornata. "No stupido! È una lettera dei
miei genitori." Il bambino non fece nulla per nascondere la delusione, avvertì
gli amici che la campanella stava per suonare con voce fioca e i tre si
avviarono verso l’edificio scolastico. Conan fece per raggiungerli ma una mano
gli calò pesantemente sulla spalla: "Ciao Kudo. Ti vedo preoccupato, successo
qualcosa?" Ai Haibara si sistemò indietro i capelli biondi, fissandolo col suo
sguardo di ghiaccio, senza il minimo segno di curiosità o di qualsiasi altra
emozione. Lui guardò la lettera spiegazzata che teneva in mano, e lei lo imitò:
"Me l’hanno spedita stamattina; beh, non proprio, credo piuttosto che l’abbiano
infilata nella nostra cassetta. E.." assunse un’aria grave: "ne hanno mandata
una anche a Ran." Ai continuò a fissarlo indifferente, ma quando parlò ancora
sembrò un po’ afflitta: "Ah.. adesso ho capito perché sei così giù..." Conan se
ne accorse e la guardò, e lei riprese con voce atona: "Aprila, che aspetti?"
Lui fece per strappare la busta ma di nuovo si
sentì afferrare per il braccio: "Insomma Conan! Vieni in classe, o la maestra si
arrabbierà!" Ayumi gli puntò gli occhi addosso supplichevole, lanciando però
un’occhiataccia ad Ai, e tutti insieme si avviarono.
In classe, la maestra assegnò loro delle addizioni
e si sedette alla cattedra, tirando fuori dalla borsa una pila di fogli e
squadrandoli con attenzione; Conan ne approfittò per strappare la busta e
leggerne il contenuto. Rimase interdetto, quasi sbalordito, posò la lettera sul
banco e si grattò la testa, scompigliandosi i capelli bruni, dopodiché inarcò le
sopracciglia tenendosi la fronte con la mano, il gomito poggiato sul tavolo. Ai,
seduta vicino a lui, riconobbe subito il tipico atteggiamento che assumeva
quando era concentrato per risolvere un rompicapo. Inconsapevolmente, non poteva
fare a meno di stare lì a fissarlo, guardarlo mentre aggrottava la fronte, si
mordeva il labbro inferiore o sorrideva divertito per schernire se stesso di
aver pensato qualcosa di stupido. Ai rise abbastanza forte da farsi sentire da
Conan, ma non dal resto della classe; lui si voltò, visibilmente irritato: "Che
hai da ridere?" le sussurrò, con gli occhi ridotti a fessure.
"E’ un codice, non è così?" vedendolo stupito, Ai
sorrise di nuovo e lo interruppe mentre stava per parlare: "Che c’è? Credi di
essere l’unico capace di fare deduzioni? Non dirmi che c’è anche bisogno che ti
dica come ho fatto signor Grande Detective!" Lo guardava con aria di sfida, e
Conan sbuffò con aria indispettita distogliendo lo sguardo da quello di lei:
"No che non c’è bisogno, antipatica! Comunque hai
indovinato: è una cosa stranissima..." le porse il foglio, lei lo tenne stretto
tra le mani e lo scrutò attentamente: c’era disegnata una specie di griglia,
fatta di quadrati, e all’interno di ogni spazio le cifre 1 e 2, insieme o
separate. Stavolta toccò a lei rimanere interdetta, anche se la forma di quella
griglia le sembrava familiare... "E ne hanno data una uguale anche alla tua
ragazza?" Chiese in un sussurro.
"Ma no stupida! Penso che il mittente sia lo
stesso, ma sono sicuro che le ha scritto qualcosa di diverso. Ran sembrava
così... così sconvolta..." la sua voce assunse un tono preoccupato, Ai sembrò di
nuovo meno indifferente, diede un’altra occhiata al foglio, poi sospirò:
"Sai Kudo, credo di aver già visto una cosa del
genere prima..." Conan sobbalzò, era ansioso di risolvere il codice, ma le
parole di Ai sortirono un effetto diverso di quello che gli davano di solito,
quando qualcun altro le pronunciava: lei era stata un membro
dell’Organizzazione, e se avesse visto quella griglia mentre lavorava per gli
Uomini in Nero? Forse Ran stavolta era davvero in pericolo...
Sentì un tonfo al cuore, si alzò di scatto e si
avvicinò ad Ai, troneggiando su di lei:
"Dove!? Dimmi dove l’hai visto!! Allora?" La voce
era isterica, gli occhi determinati si fissavano nei suoi e Ai, aggredita alla
sprovvista, balbettò inquieta: "Io...non lo so...non ricordo..." Sbuffando
arrabbiato Conan le strappò la lettera dalle mani e si precipitò fuori dalla
classe, ignorando le grida infuriate dell’insegnante. Non riusciva a pensare ad
altro che a Ran, sperava intensamente che non fosse troppo tardi, che fosse
ancora a scuola.. immaginò Ran che gli lanciava l’ultimo saluto con la mano, la
vide voltarsi, il suo sguardo pieno di paura mentre due uomini vestiti di nero
la aggredivano, ordinandole di non urlare, vide le sue lacrime, mentre Loro la...
Provò una fitta dolorosa al petto, quell’immagine
si stampò nitida nella sua mente e lo fece star male, quasi si accasciò lì per
strada, stringendo forte in pugno la camicia all’altezza del cuore.
Ancora una volta è tutta colpa mia lei soffre
solo a causa mia e in più io...
Scosse la testa cercando di buttare fuori quei
pensieri, non era il momento di lasciarsi andare al rimorso. Se si sbrigava,
poteva non essere troppo tardi, magari avevano intenzione di fermarla dopo la
scuola.. peccato che suonasse così maledettamente come un’illusione.
Ti prego fa che stia bene per favore
Corse più veloce che poté, anche se solo dopo un
breve tratto era scosso da respiri affannosi, sentiva dolore al fianco e le vene
che pulsavano alla testa.
Per favore lei è troppo importante non può
essere non lo accetto io piuttosto ma lei no non
Raggiunse la scuola superiore Teitan, fece per
entrare quando si sentì sollevare di peso, le gambe che continuarono a muoversi
disperate per qualche secondo, incredule di essere state bloccate a un passo dal
traguardo. La bidella, un donnone nerboruto, gli chiese che cosa ci facesse lì.
"Mi lasci andare..! Ran.. devo andare subito da
Ran..!"
La donna si sciolse in un sorriso materno, gli
accarezzò la testa con la mano libera, piena di anelli:
"Oh caro... senti la mancanza della tua sorellina?
Ho indovinato?"
"No!! Mi lasci la prego, devo vederla ora!"
Possibile che dovessero capitare tutte a lui? Per l’ennesima volta rimpianse il
suo aspetto adulto, il peso sul cuore si fece più greve, ma la bidella non
voleva ascoltarlo, scosse la testa e lo lasciò andare fuori dalla scuola:
"Potrai vederla alla fine delle lezioni piccolo
caro... ma non provare a rientrare, o dovrò chiamare i tuoi genitori... hai
capito?" gli diede le spalle e si allontanò, restando purtroppo nell’ingresso
dell’edificio. Conan rimase solo e impotente, le braccia che cadevano inermi
lungo i fianchi, gocce di sudore che gli calavano dalla fronte. Rifletté per
qualche istante, ancora ansimando per la corsa, poi tirò fuori dalla tasca il
cellulare, compose il numero e stette ad aspettare, il farfallino del suo
vestito accostato alla bocca:
"Sì pronto? Scuola media superiore Teitan"
"Buongiorno, sono Kogoro Mouri, il padre di Ran
Mouri, una vostra studentessa del secondo anno, sezione B. Ho bisogno di
parlarle con molta urgenza: potete rintracciarla?" Nonostante il fiatone e
l’ansia, si sforzò di mantenere un tono pacato.
"Certamente, attenda in linea" i minuti che
passarono gli parvero ore. Brividi freddi gli percorrevano la schiena, sentiva
un nodo in gola, lo stomaco stretto in una morsa.
Ti prego fammi sentire la sua voce per favore
fa che sia tutto a posto per favore fa
"Pronto?"
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Capitolo 3 *** Kidnapping ***
3. Kidnapping
Conan provò una fitta dolorosa al cuore,
l’espressione tesa del suo volto si trasformò di colpo in qualcosa di peggiore,
sentì che l’intero ambiente circostante gli crollava addosso e lui era lì,
completamente inerme a quel dolore spaventoso che l’aveva travolto nel giro di
pochi secondi. Quella che aveva risposto non era la voce che sentiva quasi ogni
giorno da quando era piccolo, era fredda, distaccata e indifferente...
"...Signor Mouri? Mi scusi, ma ci risulta che sua
figlia non è venuta a lezione stamattina. Non ne era al corrente? Pronto? È
ancora lì?" le ginocchia gli cedettero, cercò di parlare ma la voce gli morì in
gola. Così Ran non era mai arrivata a scuola... poteva essere chissà dove, e
l’unico indizio che aveva era quel codice ancora incomprensibile. Attaccò il
telefono senza rispondere ai richiami della segretaria e fissò la lettera che
teneva in pugno, ormai così stropicciata e intrisa di sudore da sembrare carta
straccia; distese il foglio per terra, passandoci sopra la mano per togliere le
venature che deformavano il disegno, e la griglia riapparve, costellata dei suoi
1 e 2 che parevano beffarsi di lui, così misteriosi e insensati. Niente. Non
sapeva proprio come decifrarlo, in classe aveva già tentato invano tutto quello
che gli era venuto in mente, in più era agitato e ragionare in quello stato non
era facile, non con le immagini spaventose che vedeva pensando al peggio; e più
i minuti passavano più si innervosiva, auto danneggiandosi. Sapeva che prima o
poi ci sarebbe arrivato, in fondo se il colpevole
Quel bastardo rivoltante gliela farò pagare
tocca la mia Ran con un dito e rimpiangerai tutto sì io non permetterò che
distrugga la sua vita lo giuro a costo di distruggere la sua
gli aveva mandato quel messaggio Conan doveva per
forza essere in grado di decifrarlo, o non avrebbe avuto senso il suo
comportamento. In effetti, è come se il colpevole volesse essere trovato da lui.
Aprì gli occhi, guardandosi intorno nella fitta
oscurità che incombeva su di lei cercò di muovere un braccio ma si accorse di
essere totalmente bloccata. Silenzio. Buio. Riusciva a sentire il suo stesso
respiro, mentre in alto, da un punto indefinito, proveniva una luce fioca, quasi
trasparente. Sola. Sì, era certa di esserlo, almeno ora. Non avrebbe sopportato
di averlo ancora vicino, sentire l’odore forte del tabacco, le sue mani che le
stringevano il braccio, il suo alito caldo e disgustoso sul collo, mentre le
sussurrava di non gridare, perché non voleva ucciderla, era indispensabile per
il suo piano. Aveva avuto paura di essere torturata, sottoposta ad atroci
umiliazioni e picchiata... paura di diventare un altro nome anonimo sui
giornali, un’altra ragazza compatita per un secondo da tutti e poi dimenticata.
Sì, aveva provato terrore autentico, si era sentita perduta e aveva lasciato che
la legasse senza opporre resistenza, sentendo il freddo metallo della canna
della pistola sulla tempia, la gelida morsa che gli stringeva il cuore. Poi lui
aveva versato un liquido su un fazzoletto e di nuovo si era avvicinato a lei
tanto da fargli sentire l’odore acre del fiato, aveva riso senza alcuna allegria
e le aveva detto di non preoccuparsi perché il suo fidanzato l’avrebbe salvata,
e infine gli aveva premuto il fazzoletto sulla bocca.
Shinichi...
Una lacrima silenziosa le rigò la guancia.
Shinichi non verrà. Lui non c’è mai quando ho
bisogno non è mai con me quando sono in pericolo e nemmeno quando sono triste...in
pratica per me lui non esiste più... da molto tempo...ormai...
Chiuse gli occhi: ma perché si era svegliata?
Perché non le aveva dato un sedativo più forte? Sarebbe stato meglio rimanere
nell’incoscienza che restare sola in quel buio in balìa dei pensieri che temeva
da tanto, e che ora si facevano più vividi nella sua mente, distruggendo nel suo
cuore l’immagine del suo amico d’infanzia, di quella persona che era così
importante per lei... che lo era... o forse che lo era stata...
Conan fece scorrere lo sguardo sul foglio,
concentrandosi, il suo cervello lavorava a ritmo spedito valutando ogni
possibilità, ogni via di uscita... Ai aveva detto di averlo già visto, e in
effetti anche a lui sembrava familiare. Solo che lo percepiva come una cosa
lontanissima, dimenticata... strinse i denti e inarcò le sopracciglia,
sforzandosi così intensamente di ricordare che le vene sulle tempie divennero
visibili. Allora, aveva subito accostato alle parole della ragazza l’immagine
dell’Organizzazione, l’aveva fatto istintivamente, con lo stesso procedimento
mentale che spesso fanno fare gli psicologi ai pazienti; però può darsi che non
fosse in quel contesto che Ai avesse visto quella griglia numerata, la cui forma
sembrava dannatamente conosciuta anche a lui, ma in un altro.. perché oltre ad
essere stata un membro dell’Organizzazione, Ai era stata soprattutto ed era
tuttora
una scienziata
Conan sorrise trionfante, guardò il foglio, sempre
meno incomprensibile, sempre più straordinariamente scontato... adesso riusciva
a leggere il messaggio, sapeva dove si trovava Ran e non aveva intenzione di
perdere altro tempo. Scattò in piedi e riprese a correre, ignorando le dolorose
proteste delle sue gambe. Il posto non era lontano, in un quarto d’ora avrebbe
dovuto esserci, mantenendo quella velocità; mentre avanzava rapidamente, sentì
suonare il cellulare e vide sullo schermo che Ai lo stava chiamando: di sicuro
anche lei aveva ormai capito di che cosa si trattava, in fondo doveva averla
vista un mucchio di volte quella tabella, lavorando in laboratorio. In effetti
anche nel suo libro di chimica di secondo superiore ce n’era una, che sciocco a
non capirlo subito! In fondo però erano diversi mesi che non sfogliava un tomo
del genere...
La griglia era la tavola periodica degli elementi,
e i numeri 1 e 2 in ogni quadrato stavano ad indicare una lettera del simbolo
dell’elemento corrispondente a quel posto. Ad esempio, nel secondo quadrato a
sinistra, da sopra, dove ci sarebbe dovuto essere il simbolo del litio Li, c’era
il numero 1; Conan avrebbe dovuto cioè prendere in considerazione la prima
lettera del simbolo, la "L"; nel quadrato subito sotto c’era invece il numero 2,
così dal simbolo del sodio Na il piccolo detective ottenne la lettera "a". Alla
fine, il messaggio così ottenuto era il seguente: "La tua ragazza è con me.
Vieni solo al vecchio stabile della centrale elettrica."
Conan diede un’occhiata allo schermo del cellulare
e poi rifiutò la chiamata: era inutile sprecare il fiato per parlare con Ai,
dato che aveva già risolto il codice. Ora doveva pensare solo a raggiungere lo
stabile, prima che fosse troppo tardi
Arrivo Ran non preoccuparti ci sono io non
permetterò a nessuno di farti del male arrivo subito perché ti sono e ti sarò
sempre vicino nonostante tutto aspettami non temere
Continuò a correre nonostante il dolore ai muscoli
e al fianco fosse ormai lancinante, anche se sapeva cosa sarebbe accaduto
continuando a sforzarsi in quel modo, poiché era un male che aveva provato tante
volte allenandosi duramente in vista dei campionati di calcio: di lì a poco
avrebbe avuto un crampo e pensare di doversi fermare lo spaventava più del
dolore in sé. In più il giorno prima aveva preso quella maledetta storta e la
caviglia cominciava di nuovo a fare male. Ripensò alla sera precedente, quando
Ran l’aveva preso in braccio per non farlo affaticare, ricordò i sentimenti che
aveva provato, quanto era stato bene, e gli sembrò di risentire la sua mano che
gli accarezzava i capelli con dolcezza, facendolo addormentare... strinse i
denti e aumentò la velocità, il dolore si fece insopportabile ma resistette,
finché comparve all’orizzonte la sagoma di un edificio diroccato, che si faceva
sempre più grande man mano che si avvicinava. Conan si fermò a pochi metri di
distanza dallo stabile, il volto in fiamme per lo sforzo, le mani poggiate sulle
ginocchia semi piegate: sentiva il sangue che pulsava nella testa, ansimava e
tossiva, respirando con difficoltà, esausto, le sue gambe mandavano fitte
dolorose ad ogni minimo movimento.
Non posso fermarmi qui non è il momento di
lasciarsi andare devo muovermi e devo farlo per lei
Strascicando i piedi si avviò verso l’edificio,
deciso a non arrendersi e a fare di tutto per riportare Ran a casa sana e salva.
Ormai in disuso da anni, lo stabile si presentava
vecchio e fatiscente, e la porta quasi crollò addosso a Conan quando l’aprì per
entrare. Legata alla maniglia vide una vecchia catena arrugginita e spezzata,
tuttavia notò pochissima polvere, segno che qualcuno era entrato lì da poco.
Avanzò cautamente, inoltrandosi nel buio, era certo che fosse una trappola, ma
non poteva sapere quanti erano i nemici che avrebbe dovuto affrontare, né cosa
avevano in mente e, soprattutto, dove esattamente fosse nascosta Ran. Non volle
accendere la luce del suo orologio per non diventare un bersaglio troppo facile
da individuare e così non riuscì a focalizzare niente, incespicò frequentemente
nei calcinacci e nei pezzi di vetro e legno sparsi sul pavimento aspettando che
i suoi occhi si abituassero all’oscurità. Intanto rifletté sul fatto che era
andato lì senza avere uno straccio di piano, distratto dai suoi sentimenti, e
che adesso si trovava allo sbaraglio e con pochissime possibilità di cavarsela
in caso di un agguato. Per di più c’erano ancora molti interrogativi a cui non
aveva dato risposta, per esempio cosa ci fosse scritto sulla lettera di Ran; era
quasi sicuro che chiunque l’avesse rapita non l’aveva catturata per strada,
rischiando di essere visto, bensì l’aveva spinta ad andare in un posto isolato.
Questa ipotesi spiegava il ruolo della missiva e anche lo strano comportamento
della ragazza; quello che proprio non capiva però era cosa ci fosse scritto per
farla obbedire in quel modo. Chi mai poteva essere colui che aveva tanto potere
su di lei? Di chi si fidava a tal punto da andare di nascosto in un posto
deserto perché glielo aveva chiesto? Sussultò: in un istante tutto divenne
chiaro e fu in quel momento che la rabbia cominciò a crescere dentro di lui:
chiunque fosse stato, l’avrebbe pagata cara!
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Capitolo 4 *** Face to face ***
4. Face to Face
Ran fece per avviarsi verso scuola, quando Conan
attirò la sua attenzione: "Guarda Ran neechan! Ci sono due lettere nella
cassetta postale!" la ragazza si voltò e vide che aveva ragione: le due buste
erano state infilate alla meno peggio nella cassetta, e notò che sul retro di
quella più in vista c’era una scritta piuttosto evidente: "Mah, saranno
sicuramente di qualche cliente di papà; è diventato davvero famoso. Le
prenderemo dopo la..." sobbalzò: la lettera di cui aveva notato la scritta non
era indirizzata all’agenzia investigativa di Kogoro, ma a lei... e il mittente
era.... era Shinichi! Sentì il cuore che cominciava a battere forte mentre lo
stomaco si contraeva in modo piacevole. Ma allora tutti i suoi timori erano
infondati, lui aveva ancora voglia di parlarle... sperò intensamente che la
lettera la avvertisse del suo ritorno imminente e si affrettò ad aprire la
cassetta, ansiosa di scoprire le nuove porte che quel messaggio le avrebbe
aperto, fiduciosa che se davvero lui stava per tornare tutti i pensieri che la
spaventavano sarebbero scomparsi come neve al sole. Estrasse la lettera dalla
busta e lesse trattenendo il respiro:
Ciao Ran. Stavolta sono davvero nei guai.
Dei criminali ce l’hanno con me perché ho smascherato i loschi traffici della
loro banda. Non posso farmi vedere in giro perché temo che mi uccidano, ma ho
bisogno di parlare con te. Sei l’unica di cui possa fidarmi e in questo momento
vorrei davvero che tu mi stessi vicino. Ti prego, vieni al vecchio stabile della
centrale elettrica da sola, e non dire niente a nessuno. Conto su di te.
Shinichi.
Rimase immobile, guardando quelle parole con un
misto di timore, costernazione ma anche emozione: se avesse fatto come le aveva
detto, avrebbe potuto rivederlo. Certo, avrebbe voluto incontrarlo in una
situazione migliore, e il pensiero che fosse in pericolo le metteva addosso
preoccupazione e tristezza... ma Shinichi le aveva confidato che era l’unica
persona di cui si potesse fidare, le aveva detto chiaramente quanto fosse
importante per lui averla accanto e quelle parole le scaldarono il cuore, la
fecero sentire di nuovo meno sola.
Se fosse stata lucida, Ran avrebbe sicuramente
trovato strano che la calligrafia del suo amico fosse cambiata così tanto in
quel lasso di tempo, e che lui fosse così codardo da nascondersi invece di
reagire con coraggio alle avversità, come faceva sempre, ma non lo era.
Attendeva da così tanto il momento di riabbracciarlo, di potergli rivelare tutte
le sue ansie così da ricevere da lui parole di conforto e, guardandolo negli
occhi, avrebbe potuto lasciarsi alle spalle tutte le insicurezze e le paure,
avrebbe affrontato qualsiasi cosa sapendo che era con lei, e che non se ne
sarebbe più andato via. Quella lettera era la prova che per Shinichi lei era la
persona più cara e importante che aveva e illudersi che fosse stato davvero lui
a scriverla era l’unico modo per sanare le ferite del suo cuore. La mise in
fretta nella borsa, decisa a raggiungere subito lo stabile, non poteva aspettare
che le lezioni terminassero; poi lesse il dorso della seconda: era una lettera
per Conan, da parte del signore e della signora Edogawa. Mentre gliela porgeva
si sforzò di apparire tranquilla e sorrise, non voleva che si insospettisse e
ancora una volta si ritrovò a pensare a quanto fosse astuto per la sua età e a
quanto decisamente somigliasse a Shinichi... "Tieni, è da parte dei tuoi
genitori..." l’aria innocente che vide in Conan la rassicurò sul fatto che non
si fosse accorto di nulla, ma alla sua domanda seguente ebbe di nuovo un
sussulto pensando a Shinichi, che in quel momento se ne stava solo in un vecchio
stabile buio non sapendo cosa fare e lanciando occhiate ansiose alla porta,
sperando che lei entrasse, per averla accanto, per poterla rivedere. Sentì le
lacrime riaffiorare ma le bloccò subito, evitò volontariamente di guardarlo
negli occhi e mentì al piccolo Conan, senza esitare. Mentì, perché era stato
Shinichi a chiederglielo.
Conan continuò ad avanzare, restando cauto
nonostante la rabbia che aveva dentro; il suo respiro era tornato normale, ma le
gambe e soprattutto la caviglia continuavano a lanciare fitte poco rassicuranti.
Era da un po’ che camminava a tentoni in quell’edificio e ancora non era
successo niente, non c’erano stati agguati, né qualsiasi altra cosa... rifletté
sulla possibilità di chiamare ad alta voce Ran, ma tutto sommato gli sembrava
ancora troppo rischioso, come anche accendere la torcia da polso. Mentre ancora
pensava al da farsi udì una voce e, pur non riconoscendola, gli sembrò
familiare: "Sei arrivato, bene. Ciò significa che hai decifrato il codice e che
sei corso a salvare la tua ragazza, il che conferma le mie supposizioni." Conan
si guardò intorno senza individuare il suo interlocutore, a causa dell’eco
prodotta dallo stabile vuoto: "Chi sei? Dov’è Ran?" lo aggredì, urlando verso il
vuoto:
"Al tempo. La ragazza sta bene, almeno per ora.
L’ho messa a nanna. Quello che mi interessa sei tu, non lei. Lei era solo un
mezzo per arrivare a te." Rispose la stessa voce sprezzante, che al contrario di
quella di Conan era calma e sbiadita.
"Perché? Cosa vuoi da me? Chi sei? Abbi almeno il
coraggio di farti vedere maledetto!"
"Va bene, se è questo che vuoi... ti accontento
subito." A queste parole, un uomo spuntò fuori da dietro una colonna: era una
figura sinistra, con i capelli neri che cadevano sciattamente davanti agli occhi
cerchiati, dallo sguardo spietato. Il volto spigoloso era reso ancora più
inquietante dalle ombre che l’avvolgevano. Ormai abituato all’oscurità, Conan
poté riconoscere il criminale: era un giornalista senza scrupoli che aveva già
avuto modo di incontrare quando aveva risolto un caso in un cottage, durante una
gita in montagna con Ran, Sonoko e una loro insegnante delle elementari.
"Ciao. E bello rivederci, non trovi?" disse con
voce falsamente gentile.
"Tu sei... Atsushi Mori, non è così?" gridò, e
senza attendere risposta aggiunse, aggressivo: "Non mi sei piaciuto fin dal
primo momento, ma non avrei mai creduto che fossi una persona così crudele
da..."
"Da fare cosa?" lo interruppe "In realtà io non ho
colpe. In tutta sincerità, credo che dovresti avercela solo con te stesso. È
stato a causa tua che quella povera ragazza è venuta qui..."
"Non è vero! Sei stato tu a scrivere quella
lettera, a firmarla con il... con un falso nome"
Conan avanzò di qualche passo, trattenendosi a
stento dal colpire l’uomo con tutta la forza che aveva.
"Solo colpa tua" riprese Mori, come se non lo
avesse sentito "Io non avrei mai potuto riuscirci se tu non l’avessi ingannata e
delusa per tutto questo tempo, se fossi stato onesto con lei. Io ho solo
sfruttato a mio vantaggio le ferite che tu le hai provocato." Conan rimase senza
parole, trattenne il respiro con gli occhi spalancati e increduli, fissando il
ghigno spietato che si era formato sulla bocca del suo interlocutore alla sua
reazione.
No non è possibile non può saperlo non può
averlo capito è assurdo ma le sue parole e tutto che è successo per colpa mia
forse è vero ha ragione Ran era disperata e io l’ho lasciata andare continuando
a fingere che nulla fosse continuando a sperare che lei mi aspettasse fino al
mio ritorno ma i suoi sentimenti non me ne sono mai curato la tristezza nei suoi
occhi avrei dovuto capirlo e fermarla e chiamarla ieri così avrebbe capito che
era una trappola ma io no ho preferito proteggere me stesso e adesso è troppo
tardi e LUI SA...
Una perla di sudore gli attraversò il viso, aprì
la bocca per ribattere e subito la richiuse, poi si accorse dell’evidenza del
suo comportamento e cercò di ricomporsi, infilando le mani in tasca e
guardandolo con un’espressione interrogativa, che l’occhio allenato del
giornalista interpretò all’istante rispondendo, quasi gli leggesse nel pensiero:
"Non è stato difficile capirlo: è da un po’ che
osservavo i movimenti del detective Kogoro Mouri. Volevo uno scoop su di lui,
dato che è diventato la nuova celebrità dell’investigazione privata. Ma col
passare del tempo ho notato che in un modo o nell’altro eri sempre tu a
risolvere i casi, con qualche suggerimento mirato e con interventi diretti. Devo
ammettere che sei molto bravo a manovrare i ragionamenti di quell’uomo facendoli
sembrare i suoi, le prime volte non ci avevo fatto caso. Osservandoti sempre
però me ne sono accorto, e mi sono chiesto come facesse un moccioso delle
elementari ad essere così sveglio. Finché una mattina, seduto alla mia
scrivania, mi è capitato sotto mano un vecchio articolo di uno studente
detective scomparso dalla circolazione" Il suo sorriso si allargò ancora di più
mentre Conan, stringendo i denti, lo fissava con occhi fiammeggianti attraverso
le lenti degli occhiali:
"Sì, hai capito, era un articolo su Shinichi Kudo,
scomparso più o meno da quando Mouri è diventato famoso. Non ci voleva un genio
per fare due più due ed ottenere te: tu sei Kudo, non è così?" i suoi piccoli
occhi neri lo scrutarono da capo a piedi, quasi a volerlo penetrare con lo
sguardo, aspettandosi una qualsiasi reazione rivelatrice che non venne: Conan
non avrebbe scoperto così le sue carte, riacquistò il sangue freddo che gli era
congeniale e divenne imperscrutabile, una figura altera senza ombra di un
qualsiasi sentimento. Restarono in silenzio, ognuno osservando l’altro, un fioco
raggio di luce si stanziava in mezzo a loro, illuminando il frammento di un
vetro. Conan sorrise ingenuamente, assumendo il ruolo che ormai era abituato ad
interpretare alla perfezione, e rispose con voce acuta, limpida e leggera:
"Scusi signore ma non so di cosa stia parlando! Io sono un bambino e mi chiamo
Conan! Adesso mi dica dove ha messo la mia sorellina, o chiamerò aiuto!"
"Davvero? Non credo che un bambino possa aver
risolto il mio codice!"
"Oh, vuole dire quello strano disegno pieno di
numeri? L’ho dato ad un mio amico, lui fa tanti esperimenti, sa? Mi ha detto
cos’era, mi ha dato un libro e io ho fatto come mi aveva spiegato. Sono stato
bravo a risolvere il suo gioco vero? Adesso mi dica dov’è la mia sorellina!" era
furioso, avrebbe voluto calciargli addosso il calcinaccio più pesante che poteva
trovare, fargli male davvero, cancellargli quel disgustoso sorriso dalla faccia.
Ma doveva continuare a fingere finché non gli avesse detto dov’era Ran,
persuaderlo di essersi sbagliato. Aspettò che lui desse qualche segno di
ripensamento, di delusione magari, ma quello continuò tranquillamente:
"Certo, sei solo un bambino... che peccato... non
credo che un moccioso di sette anni sia in grado di salvare una ragazza... è
inutile che ti dica dov’è, non saresti capace di aiutarla. Mi dispiace sul serio
però, è così carina..."
"Lei aveva detto che era salva!!" Conan si
dimenticò del suo piano, la paura cresceva dentro di lui e di nuovo nei suoi
occhi si poteva leggere chiaramente ciò che provava
"Io avevo anche detto
² Per Ora²
; ma se nessuno va in suo soccorso credo proprio che perderà la vita in un
tragico incidente. Solo Shinichi Kudo sarebbe in grado di salvarla, ma purtroppo
non è qui... perciò è inutile che ti dica dove si trova, non lo direi mai a un
bamboccio... e io che le avevo anche detto che sarebbe venuto, chissà come si
sente in questo momento..." Parlò scandendo le parole quasi volesse trafiggerlo
e fece una lunga pausa per assaporare il suo tormento interiore, passandosi la
lingua sul labbro inferiore. Sapeva che era solo questione di secondi, che lui
avrebbe ceduto per salvare la vita alla sua ragazza... lo vide stringere forte i
pugni, sentì il suo sguardo colpirlo forte, anche se la cosa gli era del tutto
indifferente. Stava per vincere... avrebbe confessato... stava per diventare
celebre anche lui. Dopo anni passati a raccontare le vite straordinarie di altre
persone stava per diventare lui stesso ricco e famoso. Gli avrebbero conferito
un premio, sì, il più prestigioso; era lo scoop della sua vita, quello che
aspettava da anni scrivendo per quello stupido giornale... doveva solo far
parlare quello sciocco ragazzino...
Conan restò immobile, sembrò che il mondo gli
fosse crollato addosso in un istante. Non sapeva cosa fare...
Devo dirglielo non posso permettere che lei sia
uccisa per colpa mia no non posso ma se dovesse scriverlo l’Organizzazione mi
cercherebbe e non avrei via di uscita mi farebbero fuori senza pensarci ma Ran
non deve morire non posso permetterlo io ho sbagliato lei non ha mai fatto
niente non merita questo l’ho fatta soffrire e si aspetta che l’aiuti e io non
la deluderò non mi importa se mi costerà la vita che scriva ciò che vuole ma lei
non la sfiorerà io la proteggerò la salverò
Chinò il capo sconfitto, tremante di collera, e
alla fine cedette con voce fioca, provando paura, rabbia e rassegnazione
contemporaneamente, con un peso sul cuore e alla bocca dello stomaco,
pronunciando le parole con lunghe pause, quasi a voler raccogliere le forze per
buttarle fuori:
"E va bene... hai vinto.... sono io... io sono
Shinichi Kudo"
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Capitolo 5 *** Hurt ***
5. Hurt
Il cielo si stava facendo celeste pallido, una
nuvola coprì il sole e i fiochi raggi che trapelavano attraverso le finestre nel
vecchio edificio divennero quasi trasparenti; si udiva solo il flebile sibilare
del vento e i lontani rumori del traffico cittadino. Un momento dopo aver
pronunciato le parole più dolorose della sua vita Conan sentì crescere dentro di
sé la paura e il pentimento, pensò alle conseguenze del suo gesto e un brivido
gelido gli percorse la schiena. Davanti a lui, Atsushi Mori scoppiò in una
risata rauca, lo guardò vittorioso schernendolo con i suoi piccoli occhi neri e
si passò per l’ennesima volta la lingua sul labbro inferiore:
"Moolto bene mio caro detective. Sono davvero
fiero di te. Adesso..."
"Adesso devi dirmi dov’è Ran!!" lo interruppe
fulminandolo con lo sguardo.
"Certo, lo farò, ma dimmi: come hai fatto a
rimpicciolire? Sai, i lettori vorranno saperlo quando..."
"Devi stare ai patti e io non ti dirò una parola
di più finché Ran..."
La risata del giornalista si fece più fragorosa,
Conan si abbassò quasi inconsciamente cercando qualcosa sulla sua scarpa, ma una
fitta dolorosa lo bloccò a metà strada: si rese conto con orrore che se avesse
calciato qualcosa aumentando molto la potenza del tiro avrebbe potuto farsi male
sul serio, la caviglia non avrebbe resistito e probabilmente sarebbe stato
costretto a terra da uno strappo.
Digrignò i denti e fissò con odio Mori, che
riprese in tono leggero, ironico:
"Purtroppo per te, non sei nella posizione di
dettare le regole, devi stare al mio gioco, Shinichi Kudo. Ma ti consiglio di
fare meno storie e di rivelarmi quello che voglio sapere docilmente, perché sai,
più tempo noi sprechiamo qui a litigare, meno possibilità avrà quella ragazza di
salvarsi. E noi non vogliamo che si faccia male, non è vero?" Conan era davvero
furioso. Quell’uomo si stava divertendo a prenderlo in giro, ad umiliarlo, il
suo orgoglio stava subendo ferite profonde, per la prima volta desiderò davvero
che morisse, che soffrisse soprattutto. Purtroppo
Certo il mio orgoglio è a questo che sto
pensando mi brucia essere trattato così ma a Ran non penso lei è lì che mi
aspetta sì ha bisogno di me sta male e l’unica cosa a cui io penso è il mio
stupido orgoglio starò al suo gioco meschino gli dirò quello che vuole e poi in
un modo o nell’altro rimedierò ma dopo che lei sarà in salvo è solo questo che
deve importarmi ora
fu costretto a piegarsi alle sue regole e
abbassando la testa esordì con voce flebile:
"Una pozione. Ho preso uno strano composto e sono
diventato così"
"Capisco... e dove l’hai presa questa pozione? Chi
l’ha inventata?"
Conan pensò ad Ai, il suo cuore ebbe un tonfo: per
tutto il tempo non aveva fatto altro che considerare le conseguenze del suo
gesto in prima persona, non gli era passato per la testa nemmeno per un minuto
che stava mettendo nei guai anche lei. Con l’uscita dell’articolo
l’Organizzazione avrebbe ripreso a cercare anche Ai...
So che l’Organizzazione possiede una mia foto
di quand’ero bambina. Non ci metterebbero nulla a rintracciarmi se sapessero....
le parole pronunciate dalla ragazza il giorno del
loro primo incontro risuonarono nella sua testa e Conan ora si sentì davvero
male.
è stata colpa mia se sua sorella è morta Ai le
ho tolto l’unica persona che contasse per lei e ora le tolgo anche la libertà la
vita non posso lei conta su di me e io l’ho tradita senza nemmeno pensarci ma
Ran non posso abbandonarla forse capirà ma io riuscirò a risolvere tutto dovesse
costarmi la vita non le porterò via nient’altro
Strinse i pugni e alzò la testa incontrando lo
sguardo inquisitore di Mori:
"Qualche problema detective?"
"Beh, sì in realtà..." Conan sorrise senza
allegria "Ti credevo più intelligente."
"Come?" Il disgustoso ghigno del giornalista si
incrinò: "Che vuoi dire?"
Volontariamente il piccolo detective aspettò un
po’ prima di rispondere, assaporando la perplessità del suo interlocutore: "Se
sapessi rispondere a quelle domande, credi che sarei ancora così?"
"Hai ragione... uh, la cassetta è finita..." con
lieve stupore di Conan Mori estrasse dall’impermeabile un piccolo registratore
tascabile: "Uhm, credo che possa bastare allora..."
"Bene, allora dimmi..."
"Dov’è Ran per caso? Sei noiosamente
ripetitivo piccolo.. comunque è all’ultimo piano di questo stabile, attento, le
scale sono pericolanti. Sbrigati però, il punto a cui l’ho assicurata è ridotto
davvero male, ed è sospeso nel vuoto, può crollare da un momento all’altro..."
Conan accese la torcia da polso e gli diede le spalle per correre , ma esitò un
momento e si voltò: "Porterai la cassetta ai giornali, non è così?"
"Sì, penso proprio di sì" rispose Mori tranquillo,
estraendo dalla tasca un pacchetto di sigarette.
"Ti rendi conto che la storia che vuoi raccontare
è assurda? Pensi che saranno disposti a crederti nonostante tu non abbia prove
materiali, ma solo la tua parola e quella di un bambino?"
Il giornalista strinse una sigaretta fra le labbra
e avvicinò l’accendino alla bocca:
"Quello che dici è vero, ma piccolo..." sbuffò una
zaffata di fumo: "è questo il bello degli scandali. Nessuno cerca mai prove
concrete, tutti sono troppo occupati a stupirsi e a scandalizzarsi, e badano
solo all’apparenza." Conan cominciò a correre, ignorando le dolorose proteste
della caviglia: adesso doveva pensare solo a Ran. Raggiunta la rampa di scale si
costrinse a rallentare, consapevole che avrebbe potuto farle crollare da un
momento all’altro, tanto erano decadenti e messe male. Doveva raggiungerla alla
svelta, fare presto, prima che fosse troppo tardi. A metà della salita il piede
destro si poggiò su uno scalino che non resse il suo peso e crollò, facendogli
sprofondare la gamba nel vuoto: sentì la pelle lacerarsi e al dolore della
caviglia sì unì quello della ferita, pulsante e sanguinante.
Cercò di issarsi di nuovo in piedi facendosi forza
sul ginocchio della gamba sinistra e sulle braccia, ma con scarso successo. Il
dolore si fece insopportabile, una lacrima involontaria si formò sulle sue
ciglia mentre il volto avvampava per lo sforzo
Oh no non posso fermarmi adesso non a un passo
dal traguardo Ran mi aspetta non voglio altri rimpianti non li sopporterei
voglio solo riportarla a casa devo farcela ora o mai più
Ran riemerse da quello stato di torpore e semi
incoscienza che il sedativo le aveva procurato al suo risveglio: aveva sentito
un rumore. Ancora una volta cercò di issarsi a sedere dimenticando di avere
gambe e braccia legate strette e la delusione unita al dolore dei muscoli
intorpiditi la fece gemere. Una ciocca di capelli bruni le ricadeva sull’occhio
destro, che scrutava l’oscurità alla ricerca di qualche segnale di un eventuale
ospite. Ma c’era davvero stato quel rumore o se lo era immaginato? Si concentrò
sull’ambiente circostante cercando di percepire anche il più piccolo suono: sì,
sentiva qualcosa, era un sussurro, c’era qualcuno lì con lei, forse Shinichi era
venuta a salvarla. Le sue labbra si dischiusero in un sorriso, malinconico,
infelice.
È il vento stupida solo il vento
Il suo viso si rabbuiò, era davvero inutile
continuare ad illudersi, in fondo era proprio a causa della sua ingenuità che si
era cacciata in quella situazione. Solo per colpa di
Shinichi
una sua illusione. Sarebbe stato meglio
rassegnarsi e aspettare di morire di fame o di chissà cos’altro, invece di
continuare a farsi del male. O magari cercare di liberarsi da sola...
Cominciò a dimenarsi, dando strattoni alla corda
con tutta la forza che aveva, ma invece di sentire le funi allentarsi, ebbe la
sensazione che qualcosa sotto il suo corpo stesse cedendo...
I sussurri continuavano, alcuni le sembravano
acuti, altri più gravi, rauchi...
la sua voce
Sì, ne era certa, perché da quel momento in poi
avrebbe sicuramente riconosciuto quello sgradevole timbro di voce ovunque. Era
il suo sequestratore che parlava, non l’effetto del vento sui muri dello
stabile. Il problema era con chi stesse discutendo: un complice forse? La paura
crebbe di nuovo dentro di sé, forse stavano decidendo che cosa fare di lei... la
voce più acuta sembrava arrabbiata, chissà, forse erano in collera perché il
loro piano era andato a monte... l’uomo le aveva detto che Shinichi l’avrebbe
salvata, ma lei sapeva che non sarebbe venuto, forse era questo che li
infastidiva.
Poveri illusi se credevano che Shinichi avrebbe
lasciato il suo importantissimo caso per venire a salvare me io non sono mai
stata al primo posto nei suoi pensieri forse avrebbero fatto meglio a togliergli
uno dei suoi stupidi libri di Conan Doyle allora sì che sarebbe venuto
le scappò una risatina isterica, dentro di sé il
suo cuore parve lacerarsi e sanguinare e di nuovo una lacrima le rigò la
guancia. Adesso sembrava che avessero smesso di parlare, sentì dei passi
concitati venire verso di lei, sempre più vicini, salire le stesse scale che
aveva percorso con una pistola puntata alla schiena
Viene ad uccidermi
Spaventata dai suoi stessi pensieri cominciò a
dimenarsi furiosamente, sentì scricchiolii sempre più forti e frequenti finché
qualcosa si staccò toccando terra dopo qualche secondo con un tonfo. Ran gridò
sentendosi cadere, mentre le funi non più assicurate alla trave le scivolarono
dal corpo. Con prontezza di riflessi si aggrappò con la mano alla prima cosa che
trovò sentendo un dolore lancinante ai muscoli del braccio risvegliati dal
torpore così all’improvviso e si ritrovò sospesa in aria
Non ce la faccio mi fa male non resisto il mio
braccio fa male
Ran urlò invocando aiuto, mentre sentiva le forze
venirle meno.
Conan udì un tonfo e poi il grido disperato di una
ragazza.
Ran
Non aveva più tempo non poteva restare lì
incastrato a quello scalino, non con Ran che urlava invocando aiuto. Raccolse
tutte le forze e si issò, liberando in modo rapido ma non indolore la gamba: la
ferita strusciò sulle pareti spaccate e appuntite dello scalino diventando più
profonda, ma nonostante questo Conan riprese a correre stando attento a non
mettere i piedi in fallo. Il dolore era insopportabile, la gamba pulsava e se
non fosse stato per l’adrenalina che aveva in corpo forse sarebbe svenuto, tanto
sangue stava perdendo. Faticosamente arrivò al secondo piano dell’edificio, alzò
gli occhi e la vide, aggrappata ad un soppalco mentre una trave era sul
pavimento sotto di lei, insieme a delle corde attorcigliate. Per arrivare in
alto dove si trovava però doveva salire un’altra scalinata, più piccola ma non
meno lunga, che portava vicino al tetto, esattamente dove lei era stata legata.
"Resisti Ran arrivo! Non mollare!"
La ragazza sobbalzò, quella voce acuta, non era di
un rapitore, perché non l’aveva riconosciuta subito? "Conan kun!!" il braccio
tremava violentemente per lo sforzo, non ce la faceva, sarebbe caduta di lì a
pochi secondi, sentiva i passi del bambino sulle scale...
Conan corse ignorando il dolore alla gamba, sempre
più vicino al traguardo, sperando che lei avesse la forza di resistere solo
ancora un po’, ecco, era vicino, c’era quasi, solo qualche secondo...
Ran chiuse gli occhi stringendo i denti, basta,
era finita, il suo corpo non avrebbe resistito oltre, cominciò ad allentare la
presa...
Conan raggiunse il soppalco, poteva vedere la mano
della ragazza aggrappata, si lanciò verso di lei ma la sua destra cedette e si
ritrovò a terra, la vista che cominciava ad annebbiarsi...
Ran gemette disperata e mollò la presa, si sentì
cadere finché forte come una morsa qualcosa le strinse il polso: aprì gli occhi
e vide il volto pallido del suo ²
fratellino² , grondante di sudore, che
con un occhio chiuso e l’altro semi aperto la guardava, cercando di sorridere
nonostante l’evidente malessere: "Coraggio Ran neechan, non ce la faccio da
solo, cerca di aggrapparti con l’altra mano"
le disse con un fil di voce, sforzandosi
ansimante. Seguì il suo consiglio e si ritrovò retta a Conan e al soppalco;
grazie alla forza sviluppata durante gli allenamenti di Karate riuscì con fatica
ad issarsi e quando finalmente fu in salvo sentì la morsa che gli stringeva il
polso allentarsi. Si voltò e notò con orrore la scia di sangue che il bambino si
era lasciato dietro, fino al punto dove ora era sdraiato, esausto: "Oh piccolo
Conan kun!!" gli si avvicinò e lo strinse a sé, appoggiandogli delicatamente la
testa nell’incavo del braccio e tamponando con il suo fazzoletto la ferita
profonda che si era aperta sulla gracile gamba: "Cosa ti è successo? Come sapevi
che ero... quell’uomo ti ha picchiato?"
Ran lo fissava preoccupata, gli occhi chiusi del
bambino si aprirono lentamente guardandola:
"Ran... perché stai così male?" fu come se
qualcosa la colpisse violentemente al cuore, i pensieri che si era tenuta dentro
per così tanto tempo divennero pesi insostenibili e scoppiò in singhiozzi e
lacrime senza neanche cercare di trattenersi:
"C... Conan io... non ce la faccio più! Avrei
voluto essere più forte ma... Shinichi... lui per me è sempre stato così
importante, fin da quando eravamo piccoli lui non mi ha mai lasciato sola...
aveva i suoi casi, questo sì, ma nonostante tutto era sempre lì quando avevo
bisogno di lui...sempre pronto a consolarmi a modo suo se ero triste, a farmi
sorridere, a salvarmi la vita se ero in pericolo... pensavo... credevo davvero
che lui fosse l’unica persona in grado di farmi stare davvero bene, che
riuscisse a farmi felice..." si coprì gli occhi con la mano, e non vide lo
sguardo carico di dolore del bambino mentre sussurrava con un fil di voce:
"P..pensavi....e invece adesso..?"
"Adesso mi rendo conto che lui è l’unico che
riesce a farmi piangere e soffrire! Io...io lo odio..." La sua voce si fece più
dura, anche se rotta dal pianto, Conan abbassò lo sguardo: "Lo odio perché per
lui sono insignificante, perché non valgo più di uno stupido caso... mia madre
me l’aveva detto di lasciarlo perdere, ma io no, gli ho dato fiducia, ho creduto
in lui, pensato che non sarebbe mai diventato così cinico e insensibile...
invece lui ha tradito tutte le mie speranze, mi ha abbandonato... e io sono
stanca di soffrire, stanca di sperare ogni mattina di alzarmi e di incontrarlo
per la strada, che mi urla contro perché siamo in ritardo e io non l’ho
svegliato..." Sorrise malinconica, le lacrime le avevano bagnato il viso
arrossato a tal punto che i capelli le si appiccicavano sulle guance:
"Sono davvero stanca, Conan kun. Avevo paura ad
ammetterlo, paura di far crollare l’immagine che avevo sempre avuto di lui...ma
ormai... non ho più la forza di andare avanti così. Vorrei solo cercare di
dimenticarlo... di smettere di amarlo così tanto... perché in fondo credo di
aver amato solo l’illusione che avevo di Shinichi, non il suo vero io...perché
non ho più voglia di vivere nell’attesa che lui si ricordi che esisto." Si
strofinò gli occhi cercando di fermare le lacrime e quando tolse il dorso
bagnato della mano notò che Conan aveva abbassato la testa, mostrandole solo i
capelli scompigliati: "Scusami Conan kun, non volevo addossarti tutti i miei
pensieri. Tu sei venuto a salvarmi, non mi hai abbandonato come quello...grazie"
lo baciò sulla testa, lui rimase immobile, poi riuscì a sussurrare quasi senza
fiato: "Ran io..." Lei lo guardò attentamente, c’era qualcosa che brillava sulla
sua guancia:
"Conan ma tu stai piangendo! Scusa piccolo, la tua
gamba... deve fare davvero male. E io che perdo tempo con le mie stupide
chiacchiere. Ti porto subito da un dottore!" si alzò con lui fra le braccia,
lacrime silenziose continuarono a scendere dagli occhi di Conan, che le si
teneva ben stretto quasi avesse timore di perderla. Un timore irrazionale,
perché era ormai troppo tardi.
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Capitolo 6 *** Sad Rain ***
6. Sad Rain
Le prime ombre della sera erano scese silenziose,
il cielo si era colorato di sfumature nerastre, le stelle non erano visibili
perché le nuvole si erano addensate lasciando cadere la pioggia. Si era alzata
una brezza fredda, che scuoteva le fronde degli alberi appesantendo le foglie di
umidità, mentre all’orizzonte gli ultimi deboli raggi luminosi testimoniavano
dietro le colline la morte del sole. I vetri alle finestre dell’agenzia
investigativa tremavano ad ogni folata con brevi rumori secchi, simili a colpi
di tosse. Conan era seduto sulla sedia della scrivania, la fronte aggrottata,
gli occhi seri e freddi rivolti ad un punto imprecisato dell’orizzonte scuro
davanti a sé, le braccia conserte; poteva sentire la voce di Ran, ancora
tremante e scossa dai singhiozzi, seppure si fosse chiusa in camera con la sua
confidente, venuta per darle conforto.
E per consigliarle di lasciarmi perdere
Un gemito sommesso gli fece chiudere gli occhi per
un istante, un gesto inconscio, protettivo, che si fa spesso per sfuggire alla
realtà delle cose, e che gli fece dimenticare per un breve momento che il dolore
non era all’esterno, ma dentro di lui. Li riaprì vedendo la sua immagine
riflessa nel vetro, l’immagine di un bambino con il volto segnato da troppe
sofferenze per la sua apparente età, negli occhi nemmeno il remoto brillio
dell’innocenza e della spensieratezza. Non ricordava di essersi mai visto così
adulto da molto tempo. Chinò il capo per non guardarsi, per non affrontare
quella realtà che il vetro rifletteva, vide la fasciatura sulla gamba destra,
sul pavimento le varie lattine vuote di birra, che mandavano un odore aspro e
forte. Sentiva un vuoto dentro, un dolore insostenibile che non riusciva a
trattenere ma che non sapeva come sfogare, doveva pensare a come risolvere la
situazione, la sua testa era oppressa da mille problemi, vedeva buio, solo buio,
senza la minima illuminazione. Avrebbe voluto solo dormire e niente altro, solo
abbandonarsi al sonno, per far sparire tutte le angosce e le ansie, per non
dover stare così male. Per la prima volta nella sua vita era inerme davanti alla
disgrazia che incombeva su di lui, incapace di fare qualcosa.
Fare qualcosa reagire ma come? Probabilmente
ormai non c’è più niente da fare Mori sarà già andato alla redazione e domani
mattina uscirà il giornale e domani pomeriggio Ran capirà di essere stata
ingannata e mi odierà e domani sera io e Ai saremo già morti
Chiuse di nuovo gli occhi per riaprirli subito
dopo. Ran aveva denunciato il rapimento alla polizia ma il giornalista non si
era fatto vedere in faccia da lei, nascondendole il volto. D’altra parte lui non
poteva dire nulla, non prima di aver recuperato la cassetta, o si sarebbe
scoperto il suo segreto comunque. Aveva pensato di raggiungere la redazione del
giornale per cui lavorava quel pomeriggio, ma la ragazza gli era stata
appiccicata per tutto il tempo, dal dottore e anche a casa e con quella gamba
ferita non poteva sperare di sgattaiolare via come faceva sempre. Non aveva
detto nulla ad Ai per non farla preoccupare e aveva fatto giurare al professor
Agasa, con cui si era confidato per telefono, di non parlarne con lei. Aveva
bisogno di sfogarsi con qualcuno e il suo ex vicino di casa gli era sembrato il
più adatto. Pessima idea. Si era dimenticato delle conseguenze che spesso
avevano i suoi colloqui col professore, in particolare delle soluzioni che la
sua mente di scienziato riteneva giuste tanto da metterle in atto senza il suo
consenso. Davvero un grosso errore. Adesso non solo doveva pensare ai suoi mille
problemi, ma anche a trattare con la soffocante volontà di tiragli su il morale
di quello che si definiva il suo ²
migliore amico² :
"Dai Kudo non mi sembra una situazione così
irrisolvibile" esordì in tono leggero Heiji Hattori, piegando il giornale che
aveva in grembo e fissando la nuca del piccolo detective, chissà perché
intenzionato a non guardarlo in faccia.
"Fai presto a parlare tu, Hattori" Grugnì, senza
smettere di dargli le spalle.
"Beh, intanto credevi che la notizia sarebbe
uscita nell’edizione serale, invece qui io non leggo niente su di te. Perché non
smetti di piangerti addosso e non cerchiamo di capire cosa significa?"
"Io non mi sto piangendo addosso!!"
Lo aggredì Conan, finalmente voltandosi con tutta la sedia girevole: ma perché
cavolo il professore aveva chiamato proprio lui per aiutarlo? E soprattutto
perché diavolo stava sorridendo come un idiota in un momento come quello?
"Oh, finalmente! Quell’aria mogia da complessato
non ti si addiceva proprio, sai? Ora che ti è tornata di nuovo la grinta, che
sei di nuovo in te, possiamo riflettere con calma sulla faccenda" Concluse
Heiji, per nulla turbato dalla sua reazione. Conan lo guardò perplesso per
qualche secondo, poi mormorò: "Abbassiamo la voce o Ran e Kazuha ci sentiranno.
Questi muri sono fatti di carta..."
"Sei tu che hai urlato amico" rispose Heiji
stringendosi nelle spalle e aggiunse: "Allora? Hai pensato a qualcosa?" Conan si
aggiustò gli occhiali fissando un punto imprecisato del pavimento:
"Non so proprio cosa pensare. Come hai detto tu
ero convinto che la notizia uscisse sul giornale di questa sera. Non riesco
proprio a capire perché non ci sia. È davvero strano."
"Forse non ha trovato nessuno disposto a
credergli. L’avranno preso tutti per un pazzo." Heiji cominciò a giocherellare
con il cappello da baseball, facendolo ruotare sul dito teso della mano destra.
Conan fissò il movimento del berretto come ipnotizzato per un po’, riflettendo,
poi proseguì:
"Uhm, magari, ma sarebbe troppo bello. Penso
invece che voglia andarci con cautela, saperne di più prima di comunicare la
notizia in giro, proprio per non rischiare una cosa del genere. Sì, credo
proprio che voglia informarsi bene su tutto, prima..."
"Rispondere alle famose cinque w del bravo
giornalista, vuoi dire?" Chiese ironico Heiji fermando il berretto e
indossandolo alla rovescia.
"Se vogliamo proprio banalizzare..." rispose Conan
alzando gli occhi al cielo. Era convinto che la sua ipotesi fosse esatta. Per
quanto quel farabutto ne dicesse sugli scandali, chiunque con un minimo di
intelligenza deciderebbe di conoscere la vicenda nei particolari prima di
sbandierare ai quattro venti che un diciassettenne era regredito all’età
infantile. Probabilmente stava indagando sulle cause, sull’inventore della
pozione... insomma cercava tutte le informazioni che lui era stato abbastanza
furbo da nascondergli. Naturalmente quell’uomo non poteva nemmeno immaginare il
pericolo in cui si stava cacciando, ma la sua incolumità non turbava minimamente
il piccolo detective. Il problema, ben più grave, era un altro...
"Però se hai ragione, e se questo tizio è bravo
nel suo lavoro, allora fra non molto potrebbe..."
"...Venire a contatto con l’Organizzazione degli
Uomini in Nero." Conan concluse per lui la frase e continuò: "Sì, ci ho pensato
anch’io. Se succederà, quelli lo uccideranno e gli ruberanno la cassetta. E così
saremmo a punto da capo, se non peggio." Conan ostentava freddezza e sicurezza,
ma Heiji percepì chiaramente la nota di incertezza e preoccupazione nella sua
voce. Era da molto ormai che lavoravano insieme e aveva imparato a conoscerlo, a
superare il muro che lui si costruiva sempre davanti a tutti, mostrandosi forte
per quanto disperata fosse la situazione. Semplicemente, Kudo non voleva farsi
vedere debole con nessuno, ma al contrario reputava vulnerabili tutte le persone
intorno a sé; così faceva qualsiasi cosa per proteggerle, era pronto anche a
caricarsi da solo ogni responsabilità, ogni problema, per lasciare serene le
persone a cui teneva. Disposto perfino a soffrire, per far stare bene gli altri.
Era questo che lo rendeva ai suoi occhi così speciale, e che non lo faceva
smettere di essere suo amico nonostante Kudo lo trattasse sempre in modo
distaccato, quasi come se fosse infastidito dalla sua presenza. Quella sera
stessa, arrivando all’agenzia, non aveva visto il solito lampo di determinazione
e coraggio nei suoi occhi ma solo buio, disperazione, qualcosa di veramente
terribile a cui non sapeva dar nome. Sembrava come se la sua vita fosse finita.
Heiji era rimasto allibito e avrebbe voluto saperne qualcosa di più, ma Conan si
era accorto che lo stava fissando ed era probabilmente per questo che aveva
deciso di dargli le spalle e di volgere lo sguardo ovunque in quello studio
tranne che a lui. Il dottor Agasa gli aveva solo raccontato del rapimento di Ran
e della confessione forzata a cui Conan era stato costretto, ma Heiji era sicuro
che fosse successo qualcos’altro, qualcosa di orribile che Kudo non era riuscito
a confidare a nessuno. Qualcosa che doveva farlo stare davvero male...
"Kudo, sei sicuro che sia tutto okay?" si
arrischiò a chiedere, guardandolo negli occhi azzurri che erano rivolti ad un
orologio appeso al muro:
"No che non è tutto okay, stupido! Hai sentito
quello che ho detto? Se l’Organizzazione..."
"Io non mi riferivo a quello" lo interruppe, con
un tono serio e calmo e mantenendo gli occhi puntati su di lui. Conan sussultò,
perché sapeva che se Hattori assumeva quell’atteggiamento significava che era
preoccupato sul serio e che quindi non avrebbe fatto cadere facilmente il
discorso; però lui non aveva intenzione di dirgli nulla, sentiva il suo cuore
lacerarsi ogni volta che ci pensava e non aveva la forza di parlarne, di
affrontare la situazione. Occupare la mente con altre questioni e fingere di
dimenticare tutto era l’unico modo per non provare dolore. Anche se era solo una
fioca illusione, perché la sofferenza c’era, ristagnava dentro di lui, e faceva
davvero male, per quanto non volesse pensarci. Spostò lo sguardo sul suo
ginocchio sinistro e si strinse nelle spalle, sperando che fingere fosse ormai
un’arte che sapeva padroneggiare: "Non capisco di che parli." Disse in tono
leggero, incrociando le braccia.
"Io credo di sì invece"
"Ah sì? E chi te lo dice?" rispose in tono di
sfida Conan, odiandolo.
Ma che cavolo vuole? Perché non pensa agli
affari suoi invece di rompere le scatole a me prendesse la sua fidanzata e se ne
tornasse a Osaka per quel che me ne importa può non farsi vedere mai più sì
giusto non gli dirò una parola stupido odioso bamboccio del Kansai sempre con
quel sorriso idiota sulla faccia ma cosa vuole da me non sono affari suoi no
"Il tuo linguaggio non verbale, tanto per dirne
una. Non mi guardi negli occhi da quando sono arrivato.."
"Non ho l’abitudine di fissare negli occhi gli
altri ragazzi, Hattori." Grugnì Conan.
"... in compenso prima li serravi di scatto e li
riaprivi, quasi fossi spaventato da qualcosa. Ho visto il tuo riflesso sul
vetro..." riprese Heiji, fingendo di non averlo sentito: "Infine, rispondendo
alla mia domanda hai incrociato le braccia. È un chiaro simbolo di chiusura,
come se ti volessi proteggere non aprendoti con me... in parole povere stavi
mentendo." Concluse, non riuscendo a trattenere un sorrisetto beffardo. Conan
stavolta lo guardò dritto negli occhi, con tanta rabbia che l’amico riuscì a
percepirla: "Non rifilarmi queste stronzate!" gli urlò contro, e
stavolta il sorriso di Heiji si incrinò:
"Non ho intenzione di restare qui a..."
La porta dello studio di aprì, Kogoro aveva
un’espressione raggiante e stringeva in mano un gruzzolo di banconote
fruscianti: "Indovinate un po’? Ho vinto al video poker! La mia abilità a quanto
pare non si limita al campo dell’investigazione! Che ne dite di fare una bella
cenetta a base di carne stasera?" esordì, ad alta voce. Heiji, che si era
voltato a guardare l’uomo, posò di nuovo lo sguardo sul suo amico e vide che era
tornato calmo e pensieroso, come se nulla fosse successo. Rimase a fissarlo per
un momento con benevolenza, poi si rivolse a Kogoro: "Non avevi detto che uscivi
per comprare qualcosa, visto che io e Kazuha ci fermiamo a dormire qui?"
"E infatti vi ho assicurato una cena coi fiocchi."
Concluse l’uomo trotterellando verso la camera della figlia. Conan evitò
accuratamente di restare di nuovo solo con il detective dell’ovest e seguì lo
"zio" zoppicando.
Ran era seduta sul suo letto, le ginocchia piegate
e i piedi scalzi sul copriletto soffice, abbracciava il cuscino con aria triste.
I suoi occhi erano arrossati e sulle ciglia si erano formate piccole gocce di
lacrime. Kazuha era seduta accanto a lei, sul bordo del letto, le gambe
accavallate e i piedi appoggiati al pavimento, e giocherellava con una ciocca di
capelli visibilmente a disagio. Ogni tanto lanciava occhiate tristi a Ran, ma
non sapeva cosa dire per tirarla su di morale. Dopo qualche minuto di quel
silenzio così pesante finalmente Kazuha si fece forza e ruppe l’atmosfera:
"Coraggio Ran chan. In fondo è andato tutto bene,
e tu sei sana e salva..."
Ran annuì, ma sembrava assente, quasi non la
stesse ascoltando. Kazuha se ne avvide e riprese:
"Non è da te buttarti giù in questo modo per una
cosa del genere. So che c’è qualcos’altro che ti turba. Ti prego...." posò
delicatamente una mano sulla sua, Ran si voltò e si ritrovarono vicinissime:
"...dimmi cos’altro è successo. Non posso vederti
così..." Ran vide che i suoi occhi erano sinceramente preoccupati, pieni di
tristezza, e sentì che non poteva nasconderle niente; e poi, voleva davvero il
parere della sua amica del Kansai poiché era certa che l’avrebbe capita, infatti
lei viveva un rapporto con Heiji molto simile al suo con Shinichi.
Anche se non è stata mai abbandonata da lui
Di nuovo si sentì sul punto di piangere e le
scappò un singhiozzo. Kazuha le cinse le spalle con il braccio e la accarezzò
con dolcezza, sorridendole rassicurante quando lei la guardò. Così Ran raccolse
tutte le sue forze e cominciò a spiegarle tutto, dei pensieri che aveva
cominciato a fare, delle sue illusioni, di come pensava di essersi sbagliata sul
conto del suo amico d’infanzia, di quanto dolorosa era stata la sua decisione di
darci un taglio con tutto. Kazuha la ascoltò con molta attenzione, aspettando
paziente ogni volta che lei si fermava per asciugarsi le lacrime e per
singhiozzare, continuando a massaggiarle la spalla. Quando ebbe finito, rimase
per un po’ in silenzio a riflettere prima di parlare:
"Sai, Ran chan, c’è una cosa che non riesco a
capire. Tu hai preso quella decisione per smettere di soffrire, giusto?" Ran
annuì strofinandosi l’occhio con il pugno, Kazuha continuò:
"Però a me sembra che questa decisione ti faccia
soffrire il doppio di prima." Ran rimase colpita da quella considerazione,
poggiò il cuscino sul letto e cominciò a sprimacciarlo con delicatezza, pensando
alle parole dell’amica. Dopo qualche secondo mormorò:
"Sì, lo so. Ma...io non..."
"Secondo me dovresti fare un passo indietro,
pensarci su e..." sospirò "parlare delle tue paure con Kudo." Ran sussultò
guardandola, Kazuha riprese:
"Capisco che tu sia stanca di aspettarlo in
eterno, che lui non dovrebbe metterti al secondo posto dopo i suoi casi, perché
fa male. Anche a me succede, pensa che una volta Heiji mi ha invitata al
ristorante e io ero davvero al settimo cielo...e invece lui non si è presentato.
Lo chiamo un’ora dopo e scopro che è qui a Tokyo, a risolvere un caso, e alle
mie proteste cade dalle nuvole... mi sono sentita ferita, io aspettavo con ansia
quel momento e lui se ne era addirittura dimenticato. Però riflettendoci con
calma ho capito che Heiji è fatto così, e che non posso cambiarlo, ma accettarlo
così com’è..." parlava con un tono trasognante, Ran borbottò un po’ infastidita:
"Però Hattori non è mai andato via di casa e c’è
sempre quando hai bisogno di lui...invece..."
"Non offenderti, non volevo parlare di me. Quello
che intendevo dire è che se Kudo è simile a Heiji quanto mi hai detto, non credo
si renda conto che con il suo comportamento ti fa del male. E’ per questo che
credo sia meglio parlarne con lui, prima di prendere simili decisioni..."
Ran scosse la testa tristemente: "E’ proprio
questo il punto, Kazuha chan. Io sono stanca di parlare con una voce anche se si
tratta solo di una chiacchierata, figuriamoci di una cosa seria come questa.
Vorrei poterlo guardare negli occhi, stare con lui, come una volta..." un altro
singhiozzo " E non discutere con una cornetta del telefono. È chiedere troppo?"
ricominciò a piangere, il petto scosso da respiri affannosi, Kazuha la
abbracciò, cercando di calmare il suo tremito accarezzandole la testa fino alla
nuca, su e giù: "Su, su...non piangere Ran chan...fatti forza, ho un’idea..."
disse con voce dolce, Ran si asciugò le lacrime e smise di inzupparle la
spallina del giacchetto jeans:
"Chiama Kudo e digli di tornare qui." Ran non poté
nascondere la delusione:
"Kazuha chan... il problema è che non lascerebbe
mai il suo importantissimo caso per..."
"Non deve lasciarlo... digli che vuoi parlargli a
quattr’occhi, fagli capire che è davvero importante per te che venga...anche
solo per un pomeriggio, o un’ora...e poi è libero di tornare... ma dov’è che
sta?" Chiese Kazuha perplessa, e leggendo il suo stesso stato d’animo nell’amica
alzò le spalle e riprese: "Poi potrà tornare al suo caso. Se lui accetta e viene
potrai parlargli come vuoi tu, anche se in fondo solo il fatto che ha
abbandonato tutto perché tu hai bisogno di lui mi sembra che risolva la
questione.." le sorrise con affetto, ma Ran non ricambiò, volse lo sguardo al
pavimento:
"E se invece non viene capirò che avevo ragione e
resterò sulla mia decisione" aggiunse in tono amaro, anche se adesso nel cuore
sentiva un barlume di speranza che prima non c’era.
Kazuha le aveva dato davvero un buon consiglio,
sapeva di poter contare sul suo aiuto e adesso si sentiva più sollevata. Sorrise
di rimando alla sua amica del Kansai, che smise di cingerla e si sedette di
nuovo da piedi al letto, aggiustandosi la gonna con le mani. Data l’atmosfera
decisamente più leggera, Kazuha la guardò ammiccando. "Io penso che verrà, in
fondo lui è ancora il tuo amato Shinichi no?" Ran arrossì. In effetti aveva
ragione, non si può smettere di voler bene ad una persona a comando, e lei
desiderava tanto essersi sbagliata, poter parlare con Shinichi dei suoi
problemi. Sorrise di rimando a Kazuha, riconoscente del consiglio che le aveva
appena dato, poi continuò più confortata:
"Il mio amato Shinichi? ma fammi il favore!
Chi potrebbe mai innamorarsi di quel fissato per le indagini?" gridò, ridendo.
"Uhm, fammi pensare.. tu Ran chan?"
"Ma neanche per sogno! Non è vero!" le lanciò
addosso il cuscino e Kazuha glielo restituì colpendola in piena faccia. Ran lo
tirò di nuovo con forza, Kazuha lo schivò e quello finì dritto addosso a Kogoro,
appena entrato nella camera, con uno sfarfallio di piume: "Insomma voi due!"
Gridò l’uomo togliendosi una piuma dai baffi. Le
ragazze risero e sulla soglia Conan osservò allibito Ran, senza sapere cosa
pensare ma decisamente più riscaldato nel cuore.
Atushi Mori entrò in un bar molto piccolo,
completamente al buio se si escludevano le luci rosse e blu soffuse, attraversò
un paio di tavoli, dove degli uomini si stavano scolando i loro drink come
fossero acqua fresca e si sedette al bancone. Chiamò a gran voce il barman e
quello gli si avvicinò irritato per aver dovuto interrompere una conversazione
con una bionda mozzafiato:
"Che ti porto, Mori?" chiese, lo sguardo fisso
sulle gambe della donna mentre le accavallava.
"Stasera devo festeggiare. Portami un cocktail
molto pesante, o del Whisky, fai tu." Disse con voce raggiante, un sorrisetto
beffardo stampato sulla faccia.
"Come mai?" chiese il barman mentre gli preparava
il suo drink. Mori scosse la testa:
"Non posso dirti nulla, ma è uno scoop
sensazionale. Lascerà tutti senza fiato..."
"Vuoi rovinare la vita a qualcun atro?" domandò
con tono ironico poggiando il bicchiere di vetro
sul bancone, sempre voltato da un’altra parte.
"Oh no, la vita a quel moccioso gliel’ha già
rovinata qualcun altro. Io voglio solo che la gente lo sappia, così lui tornerà
famoso, anzi, lo sarà ancora di più." Gli scappò una risata roca e bevve tutto
d’un fiato il suo Whisky. Lì vicino, la bionda mozzafiato voltò leggermente il
capo verso di loro:
"Ma di chi parli?" Il barman non sembrava affatto
curioso, cominciò ad aggiustarsi il collo della camicia lanciando occhiate
fugaci alla sua destra: "Non posso rivelarti nulla..." gli ricordò Mori,
chiedendogli un altro drink. La donna aprì la sua borsetta nera, sfilò una
sigaretta da un pacchetto e la mise fra le labbra, poi si alzò, le gambe sinuose
scoperte dalla minigonna di pelle, il seno prorompente visibile attraverso la
scollatura del vestito nero. Prese posto accanto al giornalista, si prese la
sigaretta fra le dita, smaltate di rosso e lo scrutò attentamente: "Scusi, ha da
accendere?"
Chiese con voce sensuale, dall’accento straniero.
Mori la guardò un paio di volte da capo a piedi, molto colpito, con una strana
espressione sulla faccia: "Sicuro, bellezza." Rispose, tirando fuori dalla tasca
un accendino d’argento e accendendole la sigaretta mentre lei gliela porgeva. La
donna la portò alle labbra e Mori si ritrovò a pensare a quanto fossero sexy
quelle labbra, quei seni, quel fondoschiena...
"Ti offro da bere, se mi dici il tuo nome." La
bionda sorrise, divertita:
"Uhm...vediamo...puoi chiamarmi Christy. E il tuo
invece?"
"Atsushi Mori. Dovresti aver sentito parlare di
me, sai, sono un famoso giornalista..." Allungò le mani verso i suoi fianchi ma
lei si ritrasse: "No, non mi sembra." Parlò con voce fredda stavolta e Mori
chiese altri due drink, sicuro di trovarla più disponibile dopo qualche
bicchiere.
"Ma lo diventerò fra non molto, mia cara. Ho in
serbo un grande scoop..." aggiunse con un tono che doveva sembrargli molto
accattivante.
"Ah sì? E di che si tratta?" lei era tornata
sensuale e si era sporta verso di lui, mostrandogli bene la scollatura. Mori
smise di guardarla in faccia e sorrise: "Scusa bellezza, non posso dirtelo."
"Sicuro bello? Io sono così curiosa... Farei di
tutto per sapere di chi parlavi prima." gli poggiò una mano sulla gamba,
marcando particolarmente la voce su quel ²
Tutto² , lui bevve il suo secondo
bicchiere di Whisky pensando che quella era forse la giornata migliore della sua
vita.
"Non so se posso sbottonarmi, capisci..."
Lei ritrasse la mano: "Oh, allora credo che
nemmeno io potrò sbottonarmi con te..." fece per alzarsi ma lui le bloccò il
polso: "Calma, bella, te lo dico... parlavo di... di Hyde degli Spirits. Ho una
notizia su di lui..." Il volto della donna si fece scuro, borbottò infastidita:
"Non mi piace che cerchino di fregarmi. So che non è il giocatore di calcio,
perché lui è tutt’oggi molto famoso, e tu parlavi di uno che doveva tornare ad
esserlo. Ci vediamo, lasciami il polso..." L’uomo la strinse ancora di più:
"Hey, stavo scherzando. Te lo dico in un orecchio, se prometti che terrai la
bocca chiusa." La donna annuì e gli si avvicinò, lui approfittò dell’occasione
per annusare il suo collo e i suoi lunghi capelli chiari, poi le sussurrò il
nome e lei sorrise, un luccichio interessato negli occhi.
"Non puoi immaginare il segreto di quel ragazzino"
aggiunse Mori. Lei si sedette e ordinò altri drink al barman, che era ora di
pessimo umore, e stette a guardare mentre il giornalista se li scolava,
aggrottando le sopracciglia in un’espressione ansiosa e soddisfatta allo stesso
tempo.
"Era tutto de-li-zio-so" commentò Kogoro scandendo
le parole e stiracchiandosi, mentre uscivano dal ristorante; la pioggia era
cessata e portava l’ombrello appoggiato all’incavo del braccio. Ran lo seguiva
tenendo sulle spalle Conan, i capelli bruni sciolti che ondeggiavano ad ogni
folata di vento, così come il lungo cappotto di camoscio e la gonna lunga fin
sopra le ginocchia, di un rosa tenue. Conan teneva la testa sulla sua spalla,
sollevato per la spensieratezza e l’allegria con cui la ragazza aveva passato la
serata; era confuso, certo, ma per una volta non riuscire a capire qualcosa non
lo disturbava minimamente, anzi, gli faceva sperare che le parole di Ran allo
stabile fossero state dettate da uno sconforto momentaneo, un esaurimento
nervoso di poco conto. Anche se gli avevano dato da pensare a quanto le stesse
facendo del male... il suo viso si rabbuiò, poi scorse accanto a sé la figura di
Kazuha e le sorrise istintivamente, riconoscente per quello che aveva fatto. Lei
lo guardò confusa per un secondo e poi ricambiò il sorriso scompigliandogli i
capelli con la mano, ricominciando a parlare con Ran dell’ultima puntata di una
fiction rosa che vedevano entrambe. Hattori osservò tutto questo, ultimo in
fila, seccato per essere l’unico- al pari di quell’idiota di Kogoro- a non
sapere nulla sulla faccenda. Si parò davanti a Ran con un balzo e chiese con
falsa gentilezza:
"Sarai stanca, Mouri, di portarti quel piccoletto
sulle spalle. L’hai fatto per tutto il pomeriggio, no? Se vuoi posso pensarci
io, non c’è problema." Disse tendendo le braccia, ignorando le occhiatacce
ostili lanciategli da Conan. Ran sorrise:
"Oh, non è così pesante, però... te ne sarei
grata. A te non dispiace, vero?" Voltò la testa per quanto poteva verso il
bambino, che cambiò velocemente espressione con non poco divertimento di Heiji e
balbettò: "Veramente io..."
"No, il piccolo Conan kun è felice di non farti
stancare..." Gli sorrise con malignità e se lo caricò sulle spalle, lasciando
che Ran e Kazuha facessero un po’ di passi avanti prima di riprendere a sua
volta a camminare. Conan sbuffò, stringendo volontariamente con molta forza le
spalle dell’amico, di nuovo lui non ci badò e riprese a interrogarlo: "Visto che
la situazione mi sembra più leggera e tu più rassicurato che ne dici di dirmi
cos’è accaduto, Kudo?"
"Non ho intenzione di dirti quello che è successo,
perciò smettila di insistere Hattori!" Rispose stizzito, chiudendo gli occhi a
fessura.
"Quando fai così sembri proprio un bambino, Kudo.
Sai che se volessi potrei saperlo da Kazuha."
"Allora perché non rompi le scatole a lei?"
Domandò Conan, ancora più arrabbiato.
"Perché siamo amici, e voglio che ti confidi con
me." Il suo tono si fece serio, Conan rimase interdetto per un secondo, pensando
che forse era stato ingiusto con il detective dell’ovest. In fondo lui gli era
stato sempre vicino, l’aveva aiutato ogni volta che ne aveva avuto bisogno,
molto spesso mettendo a rischio la sua vita e... la sua reputazione. Conan
sorrise ricordando la recita di Ran e la festa di Halloween di qualche mese
prima. Heiji era un ragazzo su cui poter contare e la sua amicizia, seppure alle
volte soffocante e a dir poco fastidiosa, gli era davvero utile. Pensò un po’ in
colpa che non era una bella cosa che lo sfruttasse solo quando gli serviva e non
lo reputasse per niente quando succedevano certe cose. E poi parlare con Kazuha
era stato un toccasana per Ran, chissà se sarebbe successo anche a lui
confidando al suo amico le sue preoccupazioni...
"Il fatto è che è difficile per me parlarne con
chiunque; non l’ho detto nemmeno al professor Agasa, a cui di solito confido
tutto..." le risate allegre delle ragazze davanti a loro soffocarono il sospiro
di Conan, sul punto di raccontare tutto al suo amico. Volse lo sguardo alla sua
sinistra per cercare le parole: "Quando eravamo allo stabile, dopo che l’ho
salvata, Ran... " Conan sobbalzò, il cuore cominciò a battergli forte,
quell’uomo laggiù era...sì non poteva sbagliarsi era
"Atsushi Mori!!" Gridò, un lampo di odio e
determinazione negli occhi:
"Vuoi dire che quello laggiù è il nostro uomo?"
Chiese Heiji, anche lui con la stessa luce negli occhi: "Allora seguiamolo, non
si è accorto di noi." Conan conosceva l’impulsività del detective dell’ovest e
in passato gli aveva creato non pochi problemi e fastidi.... questa volta però
non cercò di dissuaderlo dall’agire subito e mormorò con sicurezza: "Andiamo,
che aspetti?" si allontanarono e sparirono nel buio, mentre le due ragazze e
Kogoro continuavano tranquillamente a camminare, senza essersi accorti di nulla.
Si tennero a una distanza di sicurezza, lontani
dalle luci dei lampioni, ignari del fatto che se anche fossero stati meno cauti
l’uomo non avrebbe potuto accorgersi di loro, tanto era ubriaco; lo seguirono
per un po’, Conan insistette per essere lasciato andare dato che il dolore alla
gamba non era così insopportabile, e alla fine Heiji cedette e lo accontentò.
Dopo circa mezz’ora arrivarono davanti ad un palazzo di sette piani e videro il
giornalista prendere dalla tasca un mazzo di chiavi e infilarne a fatica una
nella toppa del portone, che richiuse dietro di sé una volta entrato.
Heiji schioccò le dita imprecando: "E adesso come
facciamo ad entrare?"
"Non preoccuparti, avviciniamoci" esclamò Conan,
gli occhi fissi sull’edificio e un sorriso soddisfatto sulla faccia. Avendo
notato la sicurezza nella sua voce Heiji non protestò e insieme si ritrovarono
davanti al portone. Conan alzò la testa verso i vari pulsanti dei citofoni,
cercando di leggere i nomi sulle targhette: "Hattori, suona al terzo pulsante da
sopra, io non posso." Ordinò
con tranquillità, il ragazzo lesse la targhetta e
si voltò verso di lui perplesso: "Scusa, ma perché dovremmo citofonare al
signore e alla signora Takenata?" Conan non batté ciglio e Heiji capì che come
al solito non aveva intenzione di rispondere, così si strinse nelle spalle e
fece come gli aveva detto. Dopo qualche minuto si sentì la voce assonnata e
infastidita di una donna: "Ma chi è?"
"Mi scusi signora, sono rimasto chiuso fuori e mia
mamma si arrabbia se scopre che sono ancora in giro a quest’ora... potrebbe
aprirmi per piacere?" Conan aveva parlato con la vocetta più infantile che gli
riusciva e la signora Takenata, evidentemente troppo stanca per andare a fondo
della questione e rassicurata dal fatto che a parlare fosse stato un bambino,
non fece obiezioni e aprì il portone. I due entrarono nel palazzo e videro
davanti a loro le porte chiuse di un ascensore e accanto una rampa di scale di
marmo; Heiji diede una rapida occhiata alle targhette vicino alle porte del
piano terra e scosse la testa, Conan nel frattempo si avvicinò alle scale, le
esaminò e poi si sistemò davanti all’ascensore, aggrottò la fronte e si tenne il
mento fra il pollice e l’indice, riflettendo:
"Non ha preso le scale, per terra fuori è ancora
bagnato e avremmo trovato delle impronte... ce ne sono due qui invece, davanti
alla cabina dell’ascensore, perciò è salito con questa..."
"Allora sarà semplicissimo capire a che piano si
trova il suo appartamento... essendo stato lui l’ultimo ad utilizzarla, non ci
resta che salire le scale fino al piano in cui le porte dell’ascensore saranno
aperte..." Concluse per lui Heiji. Sorrisero raggianti e iniziarono
l’operazione. Al quarto, come previsto, trovarono l’ascensore e vicino ad una
porta la targhetta con su scritto il nome del giornalista.
"Bene, che cosa facciamo adesso, Kudo?" Sussurrò
Heiji in trepida attesa, rimanendo esterrefatto alle parole seguenti dell’amico:
"Assolutamente niente. Andiamocene." Rispose calmo a voce bassa e fece per
avviarsi verso la scalinata, quando fu preso per la collottola della camicia e
sollevato di peso, ritrovandosi faccia a faccia con l’espressione infastidita e
delusa del detective dell’ovest:
"Ma come sarebbe a dire? Dopo tutto questo casino,
dopo essere arrivati fin qui vorresti lasciar perdere tutto e andartene?"
"Nooo, certo che no Hattori, io direi di buttare
giù la porta, aggredirlo legandolo e imbavagliandolo e costringerlo a dirci
dov’è la cassetta con torture disumane..." rispose sarcastico Conan, Heiji non
poté evitare di sorridere anche se non aveva cambiato opinione: "Non intendevo
questo, però..."
"Non c’è niente da fare per ora." Spiegò paziente
Conan: "Vorrei più di te far finire tutto alla svelta, ma quel Mori è un tipo
tosto, bisogna muoversi con cautela. Propongo di tornare a casa e di venire di
nuovo qui domani mattina presto, aspettare che lui esca ed entrare in casa per
cercare la cassetta. Sono sicuro che l’avrà nascosta da qualche parte, non può
portarsela sempre dietro, rischierebbe di perderla o chissà che altro, ed è
troppo preziosa per lui." fece una smorfia amara: "Di certo starà ancora
indagando sulla faccenda, non è certo facile risalire
all’Organizzazione...perciò uno di noi due lo pedinerà e l’altro verrà qui in
casa a cercare il nastro. Adesso perché non mi lasci andare?"
Concluse irritato Conan, Heiji sorrise divertito:
"Scusa piccolo Conan kun..." lo liberò ignorando le sue occhiatacce ed insieme
si allontanarono dall’edificio. Mentre si dirigevano verso l’agenzia Conan sentì
in tasca il cellulare che vibrava, lo prese ed esaminò la schermata:
"Ma guarda, Ran mi ha mandato un messaggio..." lo
lesse un paio di volte, sentì di nuovo un brutto peso sullo stomaco, un brutto
presentimento che gli fece aggrottare la fronte e socchiudere gli occhi:
"Qualche problema, Kudo?" chiese Heiji preoccupato, notando la sua espressione:
"Ran vuole che la chiami subito... dice che è
importante".
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Capitolo 7 *** Date ***
7. Date
"Allora, che cosa è successo di così
importante?" Chiese Conan, tenendo con una mano la cornetta del telefono
e con l’altra il farfallino, sforzandosi di avere una voce tranquilla e un po’
seccata. Dall’altra parte sentì Ran fare un respiro profondo, come se si stesse
preparando ad iniziare un discorso lungo e difficile, poi il suo tono serio: "Ho
bisogno di parlarti, Shinichi."
"Sono qui, dimmi tutto." Rispose calmo lui, abbassando lo sguardo mentre una
goccia di sudore freddo gli scendeva dalla fronte. Era teso, davvero molto, ma
non voleva che lei lo capisse "No...non in questo modo...vedi io..." un altro
respiro profondo "Vorrei incontrarti. Voglio parlarti di persona, non attraverso
il telefono."
Stavolta toccò a Conan lasciarsi andare ad un sospiro: "Ran, te l’ho detto, non
posso tornare adesso...sto seguendo un caso..."
"Ne ho davvero bisogno, Shinichi." lo interruppe con un tono triste e sincero
che lo zittì all’istante:
"Non ti chiedo di abbandonare il tuo caso, so quanto ci tieni ad essere un
detective...vorrei solo che tu tornassi per un pomeriggio, magari, o se è troppo
anche solo per un paio d’ore..."
"Ran, cerca di capire..." riprese Conan con la sua voce da adulto, molto a
disagio. Sa il cielo quanto avrebbe voluto ritornare normale subito, parlarle
senza quello stupido aggeggio, poter stare insieme a lei senza fingere e mentire
in continuazione. Purtroppo era una cosa che non dipendeva da lui...
"Non posso mollare tutto così, di punto in bianco, anche se solo per poco
tempo...io.."
"Però non ti sei fatto problemi a mollare me, di punto in bianco!" stavolta
nella voce di Ran c’erano rabbia e risentimento, sentimenti che lo trafissero da
parte a parte, dolorosamente, lasciandolo profondamente scosso.
Dannazione Ran come faccio a farti capire che non è stata colpa mia che darei
anche l’anima pur di tornare indietro nel tempo mi odio per quello che faccio ti
prego non odiarmi anche tu
"R...Ran...mi dispiace, ma quel giorno di tanto tempo fa, quando ho deciso di
seguire questo caso, ti giuro che non avrei mai creduto di impiegarci così
tanto..." Nessuna bugia, aveva parlato sinceramente questa volta, e pur sentendo
dall’altra parte del telefono lo sbuffo incredulo della ragazza continuò:
"Vorrei davvero poter tornare, ma non posso proprio..."
"Shinichi, io devo parlarti al più presto...per me è davvero indispensabile.
Vieni domani, ti prego."
La voce inflessibile che aveva mantenuto s’incrinò nell’ultima parola, che suonò
davvero come una supplica e non solamente come un modo di dire. Conan ne fu
colpito, sembrava che per lei fosse una questione di vita o di morte. Che
volesse parlargli riguardo a quello che aveva confidato al suo _fratellino_ allo
stabile? Però sembrava che Kazuha fosse riuscita a tranquillizzarla quella
sera... perché era di nuovo così triste? Che fosse davvero solo a causa sua che
soffrisse?
"Okay...verrò, se è davvero così importante. Ma domani, Ran...è un po’ troppo
presto. Mettiti nei miei panni, non posso andarmene all’improvviso..."
"Stai mentendo!" Ran era di nuovo in collera, Conan sentì un’altra fitta al
petto: "Non mi sembra che ci siano stati tutti questi problemi, mesi fa, quando
sei tornato per il caso del diplomatico. Anzi, ricordo benissimo che hai detto
di essere stato avvisato da Conan e di aver preso immediatamente il treno per
venire qui. Certo, se si tratta delle tue stupide indagini sei sempre scattante
e pronto a farti in quattro per tornare...quando invece si tratta di me..." le
scappò un singhiozzo e il piccolo detective capì che stava facendo di tutto per
non piangere. Il suo viso si rabbuiò, cosa mai doveva fare? Se per l’ennesima
volta si fosse rifiutato di tornare come voleva lei probabilmente l’avrebbe
persa per sempre. Non voglio più vivere nell’attesa che lui si ricordi che
esisto.
Le parole che Ran gli aveva detto fra le lacrime risuonarono vivide nella sua
mente, sentì quasi come se il suo cuore bruciasse. Tuttavia, non poteva nemmeno
assicurarle di incontrarla l’indomani, poiché non dipendeva da lui e illuderla
sarebbe stato troppo crudele. Immaginò Ran che l’aspettava per ore invano, vide
le sue lacrime, il suo dolore, lo stesso che aveva visto al tavolo di quel
lussuoso ristorante quando qualche tempo prima l’aveva delusa, ancora una volta.
"Shinichi..." la sua voce lo destò da quei pensieri, credette quasi di sentire
le lacrime scenderle sulle guance mentre pronunciava il suo nome. Non voleva che
piangesse, non poteva permetterlo, non avrebbe sopportato di essere di nuovo
causa del suo pianto...non di nuovo...
"Va bene Ran. Come vuoi tu. Se per te è davvero così importante che io lo
faccia, domani tornerò a casa. Te lo prometto." si pentì di queste parole un
istante dopo averle pronunciate, ma la reazione della ragazza gli scaldò il
cuore e gli fece dimenticare per un attimo l’impossibilità di quella promessa:
"Oh Shinichi! Io...Ti ringrazio tanto. Avevo davvero paura che... beh, non
importa, adesso. Ne parleremo domani. Facciamo alle dieci davanti alla fontana
del parco?" la voce era squillante, riconoscente e piena di gioia. Lei era
rassicurata, Conan spaventato:
"Ehm...è già sera tardi Ran, vorrei andare a letto se non è chiedere troppo e
sai bene quanto mi piace dormire fino a tardi, domani poi che è Domenica..." si
aspettò un’altra dura reazione della ragazza, che non venne. Niente in quel
momento poteva guastare la sua felicità:
"Certo che lo so! Ogni mattina per farti alzare dal letto per andare a scuola ti
dovevo citofonare un centinaio di volte!" scherzò lei: "Va bene dormiglione,
facciamo allora alle sei di domani sera. Per te è okay?" Conan spostò lo sguardo
di lato, stringendo i denti a disagio: "Sì sì...come no..." balbettò inquieto,
stringendo la cornetta tanto forte che la mano sudava.
"Allora siamo d’accordo. E non ritardare come tuo solito Shinichi, o sarà peggio
per te!" Ran stava scherzando ma non poteva sapere il tuffo al cuore che quelle
parole avevano provocato nel suo interlocutore: "N...non tarderò, tranquilla. Ci
vediamo domani..."
"A domani, ciao!" sentì il suono del ricevitore agganciato e lo fece a sua
volta. Rimasto solo con se stesso si rese conto della stupidaggine che aveva
appena fatto e cominciò a sbattere piano la testa sulla porta a vetri della
cabina telefonica. Era stato uno stupido, aveva fatto a Ran una promessa che
molto probabilmente non avrebbe potuto mantenere. Molto probabilmente....
Uscì dalla cabina telefonica e una zaffata di aria gelida gli sferzò la faccia,
mentre si avviava verso la panchina dove Heiji si era seduto ad aspettare,
visibilmente annoiato. Quando si accorse del suo ritorno il ragazzo si
stiracchiò e lo guardò fisso con aria interrogativa. Purtroppo Conan non era
disposto a perdere tempo a spiegarsi: "Hattori, torna all’agenzia da solo, io
devo fare una cosa"
"Come dici scusa?" Heiji si alzò dalla panchina, gli si avvicinò piegandosi
sulle ginocchia in modo da essere alla sua stessa altezza e lo guardò dritto in
faccia: "Dopo avermi fatto aspettare mezz’ora qui al freddo, dopo avermi
assicurato che mi avresti spiegato tutto finita la telefonata, vorresti che me
ne andassi? Non ci penso nemmeno." Concluse con semplicità. Conan gli lanciò
un’occhiata fra l’irritato e l’annoiato: "Mi dispiace." Sembrava tutto tranne
che rammaricato: "Ma devo proprio fare questa cosa. Dì a Ran che abbiamo
incontrato il professor Agasa, che dormirò a casa sua perché ha inventato un
nuovo videogioco e voglio provarlo. Ci vediamo domani mattina..." si voltò per
andarsene ma di nuovo il ragazzo lo afferrò per la collottola: "Io non dico
niente a nessuno se tu non ti spieghi subito, Conan kun. Parla, forza, piccolo,
dov’è che vai?" Lo scrollò, Conan lesse sul suo viso un’espressione che lo
preoccupò: se Heiji perdeva la pazienza era probabile che si _dimenticasse_ che
lui in realtà era un diciassettenne come lui. Quando Heiji aveva quello sguardo
da pazzo, non c’era da stare tranquilli...sebbene fosse un bravo ragazzo e un
buon amico, uno dei migliori che si possa desiderare, era meglio non calcare
troppo la mano...sarebbe stato capace di combinargli chissà quali casini, per
vendicarsi, e in quel periodo ne aveva fin troppi a cui pensare. Sospirò
rassegnato ma anche infastidito dall’essere costretto a fare qualcosa che non
voleva; due volte in un giorno, un bel record. Il suo orgoglio ne stava uscendo
gravemente segnato, accidenti. "Non ho mentito, vado davvero dal professore per
passare la notte lì. Ho bisogno di parlare con Ai"
"Ma Ai non è quella ragazzina bionda, che ha inventato..."
"Sì, proprio lei. Devo parlarle proprio riguardo a quello."
"Come mai?" Conan gli lanciò un’occhiata in tralice, si costrinse a raccontare
la sua telefonata all’insistente detective dell’ovest, consapevole che non
l’avrebbe lasciato andare finché non avesse saputo tutto quanto. Lui lo
ascoltava annuendo, aggrottando le ciglia meditabondo.
"Ho capito. Certo che anche tu...chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Dovevi proprio prometterle una cosa del genere?" Chiese con aria di rimprovero.
"Ma che cavolo avrei dovuto fare me lo spieghi? Mi stava scoppiando a piangere
lì..." Sbuffò Conan sempre più irritato. Heiji se ne accorse e preferì
smetterla. La stima e l’amicizia di Shinichi Kudo erano molto importanti per
lui, e non voleva rischiare di perderle. Era il miglior detective che avesse mai
conosciuto, aveva sempre tenuto da conto tutti i consigli e le frasi a effetto
con cui ogni tanto Kudo esordiva, con uno stile unico al mondo, che l’aveva
sempre affascinato. Ogni tanto, inconsciamente, assumeva nei suoi confronti un
atteggiamento protettivo, quasi da fratello maggiore, seppur consapevole della
grande forza sia morale che fisica del suo migliore amico. Lo lasciò andare e
stette a guardarlo mentre si aggiustava il collo della camicia e della giacca
che lui gli aveva sgualcito, poi si alzò: "Beh, una soluzione si troverà...in un
modo o nell’altro tu riesci sempre a cavartela, per quanto la situazione sembri
disastrosa. E poi ci sarò anch’io con te..." Conan gli lanciò un’occhiata
stupita e incredula, Heiji sfoggiò un sorriso a trentadue denti: "E noi due
insieme siamo imbattibili, i migliori detective del mondo." Il bambino fece una
risatina di rassegnazione, mentre una goccia gli scendeva dalla testa alla nuca,
cominciò a camminare verso la casa del professore ma, a metà strada, Heiji lo
chiamò e lo fece voltare: "Dicevo sul serio prima..." ribadì, stavolta con
l’espressione grave che gli vedeva sempre mentre ragionavano insieme su un caso:
"Sono sicuro che riuscirai a trovare una via di uscita. Hai risolto questioni
ben peggiori di questa in passato, perciò non abbatterti. Ce la farai." Conan
gli sorrise di rimando e si incamminò verso la casa del suo ex vicino,
zoppicando, provando a mente il discorso che avrebbe dovuto fare alla bella
Sherry.
"Allora ha accettato!? Ma è stupendo!!" esultò
solidale Kazuha, vedendo l’espressione raggiante sul viso della sua amica: "Già,
avevi proprio ragione, ho fatto bene a dargli un’altra possibilità. Certo, ho
dovuto insistere un pochino, ma appena ha capito quanto era importante per me ha
subito acconsentito a venire." Ran stava in piedi davanti allo specchio della
sua camera, teneva in una mano una camicetta celeste ancora appesa alla gruccia
e nell’altra un maglioncino a collo alto ma senza maniche, di un verde prato.
Non aveva smesso di sorridere da quando aveva finito di parlare al telefono:
"Quale ti piace di più?" Chiese a Kazuha, che se ne stava seduta sul letto con
le gambe accavallate: "Ran chan, lasciatelo dire...hai il gusto dell’orrido."
Rispose chiudendo gli occhi a fessura, Ran la guardò per un attimo perplessa,
poi aggrottò la fronte: "Cosa vuoi dire?"
"Beh, tu e Kudo non vi vedete da un sacco e tu vorresti andare all’appuntamento
vestita come tutti i giorni? Ma andiamo!" Si alzò e si avvicinò all’armadio,
scostando Ran quasi con sgarbo e cominciando a rovistare fra i suoi abiti; alla
proprietaria non piacque molto quel suo gesto ma non disse nulla, troppo felice
quella sera per arrabbiarsi con chiunque, e si limitò a mugugnare. Alla fine
Kazuha riemerse dall’armadio in cui aveva infilato la testa un po’ spettinata e
tirò fuori una minigonna a pieghe rosa, corredata di una cinta nera: "Uhm,
questo va bene per sotto, ma per sopra dovrò prestarti qualcosa io..." disse
meditabonda, infilando tra le mani di Ran l’indumento. Aprì il suo borsone e
cominciò a svuotarlo buttando tutto per terra, di fronte ad un’incredula Ran
rimasta senza parole: sembrava che lei non esistesse più, non la considerava
proprio, quasi come se la ragazza stesse scegliendo i vestiti per la sua
bambola. Dopo un po’ le sfuggì un gridolino di soddisfazione e le mostrò un top
nero con una giacchetta di seta trasparente dello stesso colore a maniche
lunghe, da indossare sopra: "Ecco, metti questi, ti trucchi un po’ e..." osservò
i lunghi capelli bruni e sciolti della ragazza e ne prese una ciocca fra le
dita: "Sì, direi che domani mattina come prima cosa ti faccio la piastra, hai i
capelli un po’ gonfi...e le scarpe..."
"Kazuha chan, ti vuoi calmare?" Sbottò infine Ran. Lei la guardò come se di
colpo l’avesse svegliata da un sogno ad occhi aperti, con aria interrogativa,
poi arrossì: "Scusami tanto, Ran chan, mi sono lasciata prendere la mano.
Comunque, hai degli stivaletti neri con il tacco?"
Le guance di Ran divennero di fuoco, abbassò lo sguardo: "Ecco io...non so...non
è il mio stile. Quel top poi è così scollato...se Shinichi me vedesse preparata
in quel modo per lui potrebbe mettersi in testa strane idee...potrebbe credere
di..."
"Di piacerti?" Terminò sorridendo la frase per lei: "E non è così, Ran chan?"
"No! È solo un amico...un mio caro amico!" le gridò contro, ma si accorse che
Kazuha non credeva ad una sola parola di quello che diceva e, infastidita,
decise di vendicarsi: "Piuttosto, per chi l’hai comprato tu quel top, non è che
volevi indossarlo per il tuo amato Hattori?" insinuò con aria maliziosa e
stavolta toccò a Kazuha essere imbarazzata: "N..No!! Ma che dici? L’ho visto in
vetrina e mi piaceva...figurati se io compro una cosa del genere per quel
bamboccio! Sai che lo considero un po’ il mio fratello minore...è inutile che
fai quella faccia, dico sul serio!!" strizzò gli occhi, poi entrambe rimasero in
silenzio riflettendo: "A proposito, dove sarà finito Heiji?" Chiese Kazuha
perplessa. Ran si strinse nelle spalle con aria preoccupata: "Boh...ci siamo
voltate e non c’era più...teneva sulle spalle anche Conan, chissà dove l’avrà
portato...povero piccolo, ha avuto una giornata difficile, e la sua gamba..."
Chinò la testa, Kazuha sospirò: "Perché non chiedi a tuo padre di uscire a
cercarli? È un abile detective, no? Li troverebbe subito." Ran assunse
un’espressione rassegnata: "Oh, credo che nemmeno una bomba atomica lo
schioderebbe dal divano...stasera c’è uno special su Yoko Okino alla
televisione..." sentirono fischi, schiocchi di baci e grida di approvazione che
venivano dal salotto, probabilmente lanciate dall’uomo allo schermo del
televisore e sospirarono insieme. Ran si sedette sul letto: "Beh, poco male...di
solito Conan kun scompare e va via tutto solo a qualsiasi ora...almeno stasera
c’è Hattori con lui. Certo che è strano..." Ran aggrottò la fronte meditabonda:
"il suo comportamento mi è sempre sembrato fin troppo...bizzarro per un bambino
delle elementari. Prendi oggi, ad esempio...è venuto a salvarmi allo stabile
ma...come sapeva che ero lì? La scuola ha chiamato dicendo che è scappato via di
corsa dalla classe...come se lui...in qualche modo sapesse che ero in
pericolo..."
"Ma dai Ran chan, come avrebbe potuto? È solo un bambino...anche se, a pensarci
bene, hai ragione. Non riesco a capire nemmeno io come ha fatto a sapere dove ti
trovavi, ma perché non glielo chiedi?" disse infine, battendosi il pugno sul
palmo della mano.
"L’ho fatto" rispose Ran: "Lui ha detto che aveva marinato la scuola e che era
andato lì a giocare, quando all’improvviso mi ha sentita urlare...e che non ha
visto nessun rapitore. Però io sono sicura che..." socchiuse gli occhi, poi notò
l’espressione interrogativa e un po’ a disagio di Kazuha e sorrise: "No, nulla
di importante. Devo essermi sbagliata, ero sotto shock..." la ragazza del Kansai
stava per ribattere qualcosa quando udirono suonare alla porta: "Dev’essere
Heiji, ora gliene dico quattro." borbottò Kazuha avviandosi verso la porta, Ran
rise divertita, poi ricominciò a pensare a quella mattina. Non era stata la sua
immaginazione, aveva sentito chiaramente una voce acuta, quella di Conan,
parlare con il rapitore. Inoltre c’erano stati quei passi sulle scale, e tutto
era successo prima che lei urlasse, ne era sicura perché ricordava di aver
pensato che era il complice del rapitore che stava salendo, di essersi
spaventata e quindi di aver gridato. Non era salito nessun altro oltre al
bambino, quindi i passi non potevano essere stati che i suoi... la storia di
Conan non reggeva, per quanto si sforzasse di dargli un senso. Perciò il bambino
Ha mentito
Sobbalzò: perché mai avrebbe dovuto farlo? Qual era la vera ragione per cui si
trovava lì? Decise che si sarebbe fatta dire la verità da lui ad ogni costo,
restia a pensare che il caro Conan kun potesse dirle delle bugie solo per il
gusto di farlo. Seguì il percorso effettuato da Kazuha qualche secondo prima e
vide all’entrata solo Heiji Hattori: "Dov’è Conan?" gli chiese preoccupata;
Heiji abbassò lo sguardo, ancora un po’ seccato dalle lamentele che Kazuha gli
aveva appena propinato e cominciò a raccontare la storia suggeritagli da
Shinichi nel parco.
"Scusa Kudo, non credo di aver capito bene:" Ai si
voltò con la sedia girevole della scrivania dando le spalle allo schermo del
computer su cui stava lavorando e lanciando a Conan un’occhiata gelida. Il
professor Agasa assisteva alla scena sulla soglia della porta, lisciandosi i
baffi bianchi: ancora non aveva capito bene perché il piccolo detective si fosse
presentato a casa sua così all’improvviso e a sera inoltrata. Conan si infilò le
mani nelle tasche dei pantaloncini: "Vorrei che tu preparassi un antidoto per
domani pomeriggio, prima delle sei. Oh, non importa se sarà temporaneo..."
aggiunse in fretta quando si accorse che la ragazza apriva la bocca per
ribattere qualcosa: "Mi serve solo per qualche ora...ti prego, fammi questo
favore, è importante..." La guardò negli occhi attraverso le lenti degli
occhiali e per un po’ rimasero a fissarsi, poi lei si voltò di nuovo verso il
computer e cominciò a battere velocemente le dita sulla tastiera; Conan era in
attesa, i pugni stretti nelle tasche. Dopo qualche minuto Ai smise di scrivere
ed esordì con voce tranquilla: "Non mi hai ancora detto come è andata oggi...sai,
ho avuto l’impressione che non volessi parlarmi." Conan assunse un’aria
innocente, distolse lo sguardo dalla sua schiena e lo fece vagare per la stanza,
cercando di apparire disinvolto: " No, cosa te lo fa pensare?" Ai riprese a
scrivere: "Ad esempio il fatto che hai rifiutato tutte le mie chiamate" rispose
con semplicità ma il suo tono etereo tradì una punta di risentimento.
Conan rimase interdetto: che l’avesse offesa? Subito sorrise e scosse la testa:
Ai non era come tutte le altre ragazze, non se la prendeva per sciocchezze del
genere, non badava a simili inezie. Sì, doveva certamente aver frainteso il tono
della sua voce, lei non era così futile... assunse di nuovo l’aria acqua e
sapone: "L’ho fatto perché ero con Ran, capisci, non potevo parlarti...ora
dimmi, ce la fai a farmi questo favore?" Era ansioso di sentire la sua risposta,
ma a quanto pare la piccola scienziata si divertiva un mondo a tenerlo sulle
spine, chissà se per ripicca o per qualche altro strano motivo:
"Sei sicuro di avermi detto tutto riguardo a oggi pomeriggio? Proprio tutto
quanto?" Conan sobbalzò, il suo tono di voce non era carico di curiosità, era
piuttosto simile a quello che suo padre Yusaku assumeva quando voleva
rimproverarlo per qualcosa.
Consapevolezza...Lei sa...!!
Si voltò infuriato lanciando un’occhiata torva al professore che sorrise
agitato, mettendo le mani aperte all’altezza delle spalle, come per proteggersi:
"Shinichi, io non le ho detto nulla, giuro..."
"Non sta mentendo, Kudo...passavo casualmente accanto al salotto mentre parlava
al telefono con te. Non è stato per niente carino nascondermi di aver avuto
un’intervista sulla nostra piccola avventura, se mi concedi il gioco di parole.
Oh, non preoccuparti comunque, sono abituata ad essere tradita e tenuta
all’oscuro di tutto..." Aveva parlato freddamente, tenendo gli occhi sullo
schermo del pc, ma Conan notò che le sue mani tremavano leggermente. Chinò la
testa, si sentì di nuovo in colpa, sapeva a cosa si riferiva Ai con quelle sue
ultime parole, una cosa di cui si sentiva colpevole quasi quanto coloro che
l’avevano fatto...non le aveva detto nulla proprio per proteggerla dalla
frustrazione che poteva provare, o almeno così aveva creduto, per avere la
coscienza a posto. La verità era invece
Che non volevo affrontare di nuovo il suo sguardo pieno di dolore vederla
piangere come quella sera di tanto tempo sentire le sue lacrime e l’ho ingannata
non avrei dovuto l’unica cosa che so fare è mentire agli altri e a me stesso
Conan si avvicinò alla scrivania: "Haibara io...mi dispiace. Avrei dovuto
dirtelo hai ragione...però...non temere, risolverò tutto io. Non preoccuparti di
nulla...solo... " Il suo tono di voce era sinceramente dispiaciuto, ma Ai non ne
fu addolcita: "...Solo di preparare il tuo stupido antidoto, no? In fondo è per
questo che sono qui...non c’è molta differenza fra quando lavoravo per
l’Organizzazione e adesso...l’unico motivo per cui la gente mi sta intorno è
sfruttarmi per preparare pozioni. Pazienza, ormai ci sono abituata..." Stavolta
sembrava veramente risentita e arrabbiata, la sua solita espressione neutra e
imparziale non riuscì a nascondere i suoi sentimenti. Conan fece per rispondere
qualcosa ma si bloccò, abbassando la testa in modo che i suoi occhi non fossero
visibili e si voltò per andarsene ma, giunto sulla soglia, il professore gli
fece cenno di guardarsi alle spalle con aria triste e lui si voltò, vedendo che
Ai aveva abbandonato la sua posizione perfettamente eretta per prendersi la
testa fra le mani, con i gomiti poggiati alla scrivania. Sembrava davvero
esausta, quasi disperata. Conan le si accostò e le posò delicatamente una mano
sulla spalla, lei si voltò e si ritrovarono vicinissimi, le frange dei capelli
che si sfioravano...Ai distolse lo sguardo, Conan credette di aver visto un
rossore sulle sue guance: "Ai, scusami, scusami tanto. Capisco come ti senti ma
io non volevo ferirti, e per quanto banali possano sembrare queste scuse non so
cos’altro dire. Non voglio sfruttarti, il fatto è che era davvero indispensabile
per me che tu mi facessi quel favore." La voce gli tremò: "Ma pazienza. Troverò
un altro modo per risolvere il mio problema. Tu non pensarci più..." tornò sui
suoi passi ma stavolta fu lei a bloccarlo quando ormai era arrivato sulla
soglia:
"E’ per quella ragazza, giusto? Ran Mouri... sì, dev’essere per lei..." la sua
voce era malinconica, ma quando parlò di nuovo ridivenne neutra, indifferente:
"Senti, posso provare a prepararti un antidoto per domani, ma non so se andrà
tutto bene; dalle analisi ho visto che l’antidoto, seppure temporaneo, da
assuefazione. Tuttavia ho paura che se te ne somministro una quantità troppo
elevata il tuo corpo...non resisterebbe....potresti fare una brutta fine Kudo,
dico sul serio. Sei disposto a rischiare?" Si voltò con la sedia e puntò gli
occhi freddi nei suoi, determinati e senza il minimo segno di indecisione: Conan
annuì. Se lo era aspettato, naturalmente, ma per un attimo aveva sperato che
rinunciasse...
"Allora vedo che posso fare. Mi metto subito al lavoro, fuori tutti e due..."
concluse, chiudendo il programma su cui stava lavorando e aprendone un altro.
Conan sorrise riconoscente alla sua schiena, le lanciò un ultimo_grazie_ e si
avviò verso il salotto accompagnato dal dottor Agasa, per quella sera desideroso
solo di un cuscino soffice e di una bella coperta calda.
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Capitolo 8 *** Sunrise of Wishes ***
8. Sunrise of Wishes
Un sole pallido sorse a fatica in quella umida e
fredda domenica mattina, i deboli raggi di luce erano inghiottiti da una nebbia
densa e esanime. Nell’ombra silenziosa della sua stanza, Ran Mouri dormiva
profondamente, il viso sereno affondato nel cuscino asciutto, la forma deliziosa
del suo corpo scolpita nella coperta. Niente lacrime sulle sue ciglia, o
gonfiore sui suoi occhi...solo rossore sulle guance e un sorriso...
"No ho detto che non mi va!!" Piagnucolò una
bambinetta con grandi occhi blu, i pugnetti stretti davanti al viso. Il
ragazzino che gli stava davanti sbuffò indispettito, guardandola con gli
occhietti a fessura: "Uffa!! Avevi detto che volevi giocare con me no? Allora
forza, tu sei una rapinatrice e io un grande detective...tu scappi, io ti prendo
e...."
"No! Non voglio!!" ribadì lei con la sua vocetta, sul punto di piangere: "Chiamo
mamma, se fai il prepotente con me, ecco!" Stavolta il piccolo sembrò davvero
impaurito, istintivamente si toccò la testa e guardò la bambina ancora
indispettito ma decisamente più convinto a capitolare:
"Va bene, non c’è bisogno di chiamare nessuno...quanto sei noiosa. Che vuoi
fare?" Lei gli sorrise asciugandosi le lacrime dagli occhioni, indicò raggiante
le due altalene ora libere che erano nel parco, un po’ lontane dalla loro
posizione sotto una grande quercia. Alle loro spalle, due donne erano sedute su
una panchina, chiacchierando animatamente: una di loro rise passandosi una mano
fra i lunghi capelli mossi. Il bambino si strinse nelle spalle: "Okay, vado a
chiedere a mamma se possiamo...tu intanto vai ad occuparle." lei annuì e si
avviò sgambettando verso la piazzola delle altalene, la gonna del vestitino
mossa dal tiepido vento d’estate. Il piccolo raggiunse la panchina, attirò
l’attenzione delle due donne e parlò, segnando con il dito il punto dove la
bambina si stava avvicinando con vivace foga. La bella signora con i capelli
mossi gli sorrise e gli accarezzò la testa con affetto, annuendo, anche l’altra
donna con gli occhiali non parve avere nulla in contrario e le due ripresero
tranquillamente la conversazione interrotta. Il bambino seguì i passi della
piccola che l’aveva preceduto, lo sguardo basso e un po’ seccato, anche se
quella alternativa non gli sembrava poi così male, in fin dei conti. Quando
arrivò alla piazzola vide che c’erano un gruppo di bambini abbastanza grossi e
robusti, forse delle medie, che guardavano minacciosi dall’alto in basso la
bambinetta che gli stava davanti con lo sguardo impaurito: "Che succede qui?"
chiese, la voce più matura che poteva sfoderare, tutti spostarono gli sguardi su
di lui, compresa la bambina, che sembrava rincuorata:
"Te lo dico subito moccioso" rispose sprezzante il più grosso: "Questo posto è
nostro, e questa stupida ha detto che vuole giocare qui..." "Non sono stupida!!"
lo interruppe lei, la voce stridula di chi si sta trattenendo dal piangere. Il
bambino aggrottò le ciglia arrabbiato: "Non è stupida...tu forse, sei più grande
di noi e non sai ancora che il parco è di tutti!" lo studente delle medie gli si
avvicinò minaccioso, torreggiando su di lui: "Ora ti faccio vedere io chi è lo
stupido..." gli mollò un gancio destro in piena faccia e il bambino cadde a
terra, il naso sanguinante: "No!! Mam..." la piccola cercò di gridare, ma un
altro del gruppo gli tappò la bocca: i suoi occhi saettarono spaventati verso la
panchina, ma le due donne continuavano a parlare concitatamente, ed erano troppo
lontane per accorgersi di quello che succedeva. Il ragazzino si rialzò,
tamponandosi il naso e sforzandosi di non piangere, mantenendo il suo sguardo
determinato che si spostò sulla sua amichetta e gli fece crescere la rabbia:
"Che c’è? È la tua fidanzatina? Che carini!!" lo prese in giro con tono di
scherno, poi si avvicinò alla bambina e la prese in braccio, tenendogli la mano
premuta sulla bocca e bagnandosela così con le sue lacrime: "Però...hai scelto
bene piccolo...e se le dessi un bacetto io? Non ti dispiace vero?" lei chiuse
gli occhi disperata e il bambino si scagliò con violenza contro il prepotente,
che non era preparato ad una reazione così brusca e si beccò una testata in
pieno stomaco, così forte che dovette premerci le mani cadendo in ginocchio.
Lasciò andare la bambina che si riparò dietro la schiena del suo amico,
chiudendo gli occhi aggrappata alla sua spalla. Il cerchio degli altri ragazzi
si strinse attorno a loro. La bambina gemette, singhiozzando rumorosamente e
tremando, il piccolo le lanciò un’occhiata rassicurante: "Non aver paura Ran" le
sussurrò in tono amabile: "Non gli permetterò di farti del male. Ti proteggo io,
non temere..." lei ricambiò lo sguardo riconoscente, asciugandosi le lacrime e
smettendo di tremare: "Grazie Shinichi...sei il mio amichetto del cuore..." gli
rivelò, lui sorrise e guardò di nuovo il gruppo di teppisti...
Ran aprì gli occhi, sbadigliò e si guardò attorno,
riconobbe la sua camera, con tutte le sue cose; si rigirò e vide Kazuha che
dormiva profondamente accanto a lei, la bocca aperta e i capelli sciolti
spettinati che le coprivano metà della faccia. Non aveva idea di che ore
fossero, ma al momento non le importava: voleva crogiolarsi nel sogno appena
fatto, anche se in realtà non era stato un vero e proprio sogno, bensì un
ricordo della sua infanzia...la prima volta in cui Shinichi aveva dichiarato di
volerla proteggere, la prima volta che da bambino presuntuoso e un po’ arrogante
si era trasformato in un amico su cui poter contare, una specie di angelo
custode tutto per lei. Quella volta se l’erano vista veramente brutta, ma
Shinichi già allora non aveva esitato a salvarla, sforzandosi di non piangere
per sembrare forte e poter rincuorare lei. Certo, il coraggio non gli sarebbe
bastato a vincere tutti quei teppisti, e lei era sicura che l’avrebbero ridotto
davvero male se Eri Kisaki non fosse intervenuta prontamente, guardando torva e
minacciosa i ragazzini delle medie e facendoli fuggire a gambe levate, compreso
il più grosso, che ancora si teneva lo stomaco. Tuttavia lei gli era stata
davvero riconoscente, si era sentita protetta, al sicuro. Ran assunse
un’espressione contrariata ma allo stesso tempo divertita: Shinichi aveva
approfittato subito del suo debito di riconoscenza costringendola a
sottomettersi al gioco della rapinatrice e del detective. Naturalmente quando
Eri l’aveva sorpreso a legare i polsi di sua figlia con una corda per saltare
Shinichi si era ritrovato con un bozzo in più sulla testa e le lacrime agli
occhi. Ran soffocò una risatina, attenta a non svegliare la sua temporanea
compagna di stanza...nonostante tutto erano bei ricordi, davvero preziosi. Come
aveva potuto pensare di buttare tutto quanto all’aria senza dargli nemmeno
un’ultima possibilità? Il suo rapporto con Shinichi era fin troppo importante
per lei...forse il nodo fondamentale intorno a cui girava tutta la sua vita, e
forse era stata ingiusta nel giudicarlo. Lanciò un’altra occhiata a Kazuha:
aveva ragione, doveva capire che investigare era fondamentale per lui, e per
quanto facesse non poteva fargli cambiare il suo modo di essere, doveva
accettarlo così com’era, se gli voleva bene davvero...le sue guance avvamparono,
strizzò gli occhi sorridendo
e oggi pomeriggio lo rivedrò oh Shinichi dopo tanto tempo non vedo l’ora di
nuovo soli noi due potergli parlare guardandolo negli occhi e raccontargli le
mie ansie e sentirlo mentre mi dà della stupida e mi prende in giro ma non
importa perché poi dirà qualcosa lo so qualcosa che mi colpirà e mi riscalderà e
mi farà felice sì succederà lo fa sempre lui è fatto così
Si coprì il viso con le coperte, sorridendo ancora fra sé e sé, ansiosa di
leggere sull’orologio le ore 18, quando finalmente avrebbe potuto riabbracciare
Shinichi, passare con lui una serata stupenda e sentirsi di nuovo protetta, al
sicuro vicino a lui. Ogni volta che ci pensava sentiva un tuffo al cuore ed era
costretta a rigirarsi fra le lenzuola, per scaricare l’eccitazione,
trattenendosi da lanciare grida esultanti; tutto quel movimento infastidì la
povera Kazuha, la quale cercava disperatamente di dormire, dato che erano solo
le prime luci dell’alba, e la quale continuava a grugnire raggomitolandosi sotto
le coperte. Ran se ne accorse e dispiaciuta si alzò, decidendo di lasciarle
tutto il letto, quasi per ripagarla del grandissimo favore che le aveva fatto
dandole quel consiglio la sera precedente. Si tolse il pigiama, si infilò una
maglietta candida e un paio di pantaloncini color crema, uscì dalla camera e si
diresse in cucina per prepararsi la colazione. Mise sul fuoco un pentolino
d’acqua e mentre aspettava che bollisse prese a sfogliare una vecchia rivista;
ad un tratto sentì sbadigliare e alzò lo sguardo perplessa: strano che qualcun
altro fosse già sveglio, che prima avesse disturbato la sua amica a tal punto
che l’aveva destata dal sonno? Si preparò psicologicamente a farle le sue scuse
ma, con gran stupore della ragazza, non fu Kazuha ad attraversare furente la
soglia della porta, bensì il suo amico d’infanzia, Heiji Hattori. Anche quest’ultimo
sembrò sorpreso di vederla lì:
"Ehm...Buongiorno..." esordì un po’ impacciato, la voce ancora impastata dal
sonno; lei gli sorrise:
"Buongiorno Hattori kun....come mai già alzato?" domandò in tono leggero,
alzandosi per spegnere il fornello e aggiungere all’acqua una bustina di tè.
Heiji la osservò per un istante, poi rispose: "Non riuscivo a dormire...credo
che andrò a fare una passeggiata, tanto per schiarirmi le idee..." mentì, felice
che lei non lo stesse guardando. Non poteva certo dirle che lui e Kudo dovevano
appostarsi davanti alla casa del giornalista aspettando che lui uscisse...
"E tu invece?"
Ran arrossì, indecisa se dirgli o meno il vero motivo per cui si era alzata dal
letto: in fondo Heiji e Shinichi erano amici, e non poteva rischiare che lui
andasse a riferirgli che era così ansiosa di uscirci insieme da perdere
completamente il sonno: "Beh...ecco... Stessa cosa, più o meno...vuoi un po’ di
tè?" Si voltò verso di lui con il pentolino in mano, sorridendogli cortese, ma
Heiji rifiutò: non poteva perdere troppo tempo, o Conan l’avrebbe ucciso...aveva
pensato di prendere qualcosa e mangiarlo per strada, non era preparato a
trovarsi davanti un’altra persona; ringraziò il cielo che almeno non era Kazuha,
la quale di sicuro avrebbe insistito in modo opprimente per andare insieme a
lui, costringendolo ad un’estenuante discussione di almeno mezz’ora. Sorrise
divertito e si avviò verso la porta, purtroppo però Ran era decisa a continuare
quella conversazione, a causa di un pensiero che aveva in mente da quando Heiji
aveva varcato la soglia della cucina: "Dài, non fare complimenti, ne ho fatto
troppo....che fretta c’è? È così presto! Siediti!" indicò con lo sguardo una
sedia davanti a sé e ogni discussione fu inutile. Heiji obbedì e si fece versare
una tazza, pensando divertito e con una punta di panico al momento in cui
avrebbe dovuto spiegare a Kudo che era arrivato tardi all’appuntamento per
prendere il tè insieme a Ran. Non riusciva ad intuire quale delle due cose
l’avrebbe fatto arrabbiare di più, se il ritardo o il fatto che avesse passato
il tempo con la sua ragazza....i suoi pensieri furono interrotti dalla voce di
Ran: "Sai, Hattori, questa è la prima volta che noi due abbiamo la possibilità
di parlare da soli...di solito ogni volta che vieni a trovarci stai tutto il
tempo con Conan..." Heiji annuì sorseggiando il tè, stavolta riflettendo su
quanto dovesse sembrare grottesco agli occhi degli altri il fatto che lui
passasse la maggior parte della giornata con un bambino di sette anni. Ran
continuò: "Oh, non ti biasimo, Conan kun è molto intelligente e sa essere
davvero adorabile...e poi non ha atteggiamenti infantili, con lui posso parlare
di qualsiasi cosa, e non mi tempesta di domande come fanno di solito i bambini.
Anzi, qualche volta è lui che mi spiega le cose...Conan sembra...è...così...adulto..."
disse meditabonda, Heiji trasalì e rispose in fretta: "I...Io non sono
d’accordo...ad esempio ieri, non puoi capire quanti capricci ha fatto per non
essere tenuto sulle spalle, continuava a dire che ce la faceva da solo...credo
che sia solo una tua impressione...sì, è di sicuro così, Conan kun è il
ragazzino più infantile che io abbia mai conosciuto!" Ran lo guardò per un
attimo, sbattendo le ciglia incredula: "Sul serio?" Heiji annuì energicamente.
Adesso poteva dire a Kudo di aver perso tempo per sviare i sospetti di Ran, il
che gli assicurava parzialmente l’incolumità dalle sue ire. La ragazza portò la
tazza alle labbra e bevve un sorso, poi riprese: "Dicevo...è la prima volta che
parliamo a quattr’occhi, perciò ti dispiace se ti faccio qualche domanda..."
deglutì rumorosamente "...su Shinichi?" evitò accuratamente di guardarlo negli
occhi e abbassò la testa, desiderosa che lui non si accorgesse del suo rossore.
Heiji diede un’occhiata all’orologio e disse in fretta: "Sicuro, chiedimi quello
che vuoi." Sfortunatamente Ran aveva bisogno di più tempo per pesare le parole
da dire e non aveva alcuna voglia di chiudere velocemente la conversazione:
"Ecco...tu dici sempre che avete risolto insieme molti casi...e... insomma..."si
schiarì la gola "Lui...Shinichi intendo...ti parla mai di me?" bevve un altro
sorso di tè affinché non sembrasse troppo strano che tenesse gli occhi bassi e
la testa china, Heiji ripensò a quando Conan si era aperto con lui in quella
stanza d’ospedale e anche in quell’albergo, riflettendo se dovesse dirlo o no.
Erano confidenze e non era sicuro che Kudo volesse che Ran le apprendesse; aveva
impiegato molto a conquistarsi la fiducia del detective dell’est, solo dopo
molto tempo avevano cominciato a parlare anche di cose personali e non
esclusivamente di lavoro...non voleva buttare all’aria tutti gli sforzi che
aveva fatto per diventare il suo migliore amico. Tuttavia se avesse risposto
negativamente la cosa avrebbe potuto ferirla, e non voleva che Ran se la
prendesse con Kudo per una sua bugia...si accorse di quanto quella situazione lo
mettesse a disagio, poi lanciò uno sguardo a Ran e si accorse che stava fissando
il tè nella tazza da quasi un minuto ormai. La situazione era reciproca, dunque.
Finalmente si decise a rompere il ghiaccio:
"Sì, mi ha parlato di te..."
"Davvero?" Ran alzò lo sguardo su di lui, le brillavano gli occhi: "E...e cosa
ti ha detto?" chiese ansiosa, sorridendogli; Heiji si portò la tazza alle labbra
per temporeggiare: certo che Kudo aveva proprio scelto bene, lei era davvero
carina...anche se non quanto un’altra ragazza che conosceva bene e che
probabilmente adesso era nel mondo dei sogni. Quasi senza accorgersene cominciò
a pensare alla sua amica d’infanzia, a quanto fosse cambiata rispetto alla
ragazzina petulante con cui giocava da bambino...era cresciuta e diventata
veramente una bella ragazza. Heiji ricordò quando qualche mese prima lei aveva
rischiato di morire, ricordò il suo viso rigato dalle lacrime mentre lo pregava
di lasciarla andare, di salvarsi almeno lui...la rivide più tardi, mentre
dormiva serena per lo scampato pericolo, il viso arrossato ed estremamente
dolce...era bellissima. "Hattori kun, qualcosa non va?" domandò Ran preoccupata
dal suo silenzio, sporgendosi verso di lui: "Sei tutto rosso..." Heiji si
svegliò bruscamente da quel sogno ad occhi aperti e scosse la testa come a voler
cacciare fuori quei pensieri così imbarazzanti: "Eh, no, niente...dicevamo,
Kudo...sì..." Si ricompose e la momentanea preoccupazione di Ran si trasformò di
nuovo in emozione: pendeva letteralmente dalle sue labbra.
"Beh...ecco...lui mi ha parlato benissimo di te...Sai credo che sia davvero..."
deglutì "...molto affezionato a te." Ran sorrise raggiante: "Da cosa lo capisci?
Che ti dice?"
"Scusa Mouri ma, sai com’è, Kudo si è confidato con me e non so se vorrebbe che
io ti dicessi tutto." Ammise sinceramente, sperando nella sua comprensione. Ran
sorrise e annuì, era d’accordo con Heiji, tuttavia non poté nascondere la
delusione: avrebbe tanto voluto sapere cosa provava per lei Shinichi: "Oh, ti
capisco..." sospirò "La sua amicizia deve essere molto importante per te...come
per tutti quelli che lo conoscono bene, del resto. Shinichi ha sempre avuto uno
strano magnetismo, all’inizio può sembrare solo un ragazzino pieno di sé e un
presuntuoso saccente..." rise "Eppure se si impara a vedere dietro quella sua
maschera, si scopre una persona stupenda, pronta ad aiutare e proteggere i suoi
cari e diventa impossibile non voler stare con lui. E’ intelligente e anche
molto maturo, quando vuole...le sue parole sono capaci di colpirti nel profondo,
quasi di commuoverti a volte e i suoi occhi, sempre così determinati, mai un
segno di incertezza...mi infondono sicurezza. Sì, Shinichi è decisamente una
persona fuori dal comune." Arrossì, tenendo la testa china, Heiji sorrise
colpito dalla verità di quel discorso: erano le stesse impressioni che aveva
avuto lui di Kudo. Ran si alzò e mise la tazza nel lavandino, facendo scorrere
l’acqua e guardandola traboccare dal recipiente di ceramica come ipnotizzata.
Heiji si alzò a sua volta e posò la tazza vicino a quella della ragazza, poi si
avviò verso la porta.
"Però sappi che gli manchi davvero molto" aggiunse in tono serio. Ran si voltò
verso di lui e di nuovo i suoi occhi azzurri brillavano: "Ci sta male per non
esserti accanto, credimi." Concluse e senza voltarsi uscì dalla cucina. Ran lo
seguì con lo sguardo finché non sparì, chiuse l’acqua e si sedette, coprendosi
con le mani il viso bollente: così non era l’unica a soffrire, Shinichi stesso
stava male per la sua lontananza, voleva averla vicino, pensava a lei...forse
anche lui provava i suoi stessi sentimenti. Il suo cuore si riempì di felicità
come mai da quando era partito e guardando l’orologio pensò annoiata che quelle
che la separavano dall’appuntamento sarebbero state le ore più lunghe della sua
vita.
"Sveglia Shinichi!! Sono già le sei!" la voce del
professore svegliò il piccolo detective, che se ne stava rifugiato sotto le
coperte per sfuggire alla luce insistente proveniente dalla finestra. Conan lo
guardò con gli occhi a fessura per un secondo, poi si voltò dall’altra parte con
un grugnito. Il dottor Agasa cominciò a scuotere il suo corpicino: "Forza! Devi
lavorare non ricordi?" un altro mugolio scocciato e nessun’altra reazione. Lo
scienziato sbuffò esasperato e tornò in camera sua, Conan emise un sospiro di
sollievo: non aveva alcuna voglia di alzarsi, se l’avesse fatto, avrebbe dovuto
di nuovo affrontare la realtà, pensare a tutti i suoi problemi e cercare di
risolverli. Insomma, tutte quelle cose dalle quali il nulla del suo sonno senza
sogni l’aveva liberato. Cominciò a pensare a Ran, che probabilmente se ne stava
beata nel suo letto a dormire, senza l’ombra di alcuna preoccupazione e sorrise:
era stato per merito suo che ora lei stava bene, solo grazie alle sue parole il
cuscino non si era inzuppato di lacrime quella notte, e lei si era addormentata
serena, libera da ogni tristezza. Si sentiva sollevato, perché le parole di lei
allo stabile l’avevano trafitto da parte a parte, gli avevano fatto dubitare di
se stesso, si era domandato se davvero era la persona corretta che credeva o
solo, come aveva detto Ran, un cinico presuntuoso, se tutte le qualità che
ostentava fossero solo apparenza...perché crudele lo era stato, e gli bruciava
ancora dentro, ogni volta che l’aveva guardata disperarsi per la sua lontananza,
che l’aveva vista in lacrime, si era dispiaciuto, certo, ma soprattutto Mi
sono sentito sollevato felice sì felice perché se lei si comportava così allora
voleva dire che era ancora disposta ad aspettarmi il fatto che lei soffrisse mi
assicurava che pensava a me e che i suoi sentimenti non erano cambiati e per
quanto cercassi di nasconderlo io sì mi sentivo bene godevo nel vederla piangere
e allora mi chiedo se avesse ragione se io sono davvero una persona senza cuore
un mostro sì perché è così che mi sento un mostro
Chiuse gli occhi, aver affrontato quei pensieri che da tanto celava perfino a se
stesso l’avevano scombussolato, si sentiva di nuovo male, il dolce torpore che
il sonno gli aveva dato era scomparso. Si chiese che cosa sarebbe successo se
non si fosse presentato all’appuntamento...la delusione l’avrebbe distrutta
dentro, nel profondo del suo cuore e del suo animo, tutto a causa di una
promessa che lui le aveva fatto per non dover affrontare il suo pianto, per
colpa di una promessa che difficilmente avrebbe potuto mantenere. Se non si
fosse presentato all’appuntamento, la serenità di cui ora godeva Ran sarebbe
stata un’effimera illusione, la breve parentesi che le avrebbe reso ancora più
dolorosa la dura realtà. L’aveva ingannata, per sentirsi meglio, e se l’antidoto
non avesse funzionato...l’avrebbe distrutta e lei l’avrebbe odiato davvero, al
di là di semplici sfoghi momentanei. Era stato un errore e adesso non poteva più
tornare indietro, anche se una soluzione c’era, semplice per lui ma estremamente
pericolosa per due persone a cui era molto affezionato e che aveva giurato a se
stesso di proteggere; un pensiero che passò fulmineo nella sua mente, e dal
quale fu spaventato. Perché era davvero allettante, sì, e per nulla faticoso...doveva
solo aspettare lì fermo e buono e tutto si sarebbe risolto...
"SHINICHI!!" la voce del professore lo fece trasalire, si accorse che stava
quasi per scivolare di nuovo nel sonno e con estremo sollievo capì che i suoi
pensieri erano stati dettati da quello stato di dormiveglia in cui la mente è
fuori dalla realtà. Doveva alzarsi, ora, subito, e lottare affinché il suo
segreto rimanesse tale... non poteva nascondersi in eterno e da un momento
all’altro il suo collega sarebbe arrivato per la prima fase del piano, così si
mise seduto con un grosso sbadiglio e si strofinò gli occhi cercando di
abituarli alla luminosità. C’era silenzio, a parte il cinguettio degli uccelli e
i brontolii sommessi che venivano dalla camera del professore. Inforcò gli
occhiali e indossò le pantofole, dirigendosi verso il bagno per un non tanto
salutare ma di sicuro efficace spruzzo d’acqua gelida in faccia; nel farlo passò
accanto alla porta del laboratorio e notò un ciuffo di capelli biondi che
spuntava dallo schienale della sedia, davanti al computer. Si avvicinò alla
scrivania e vide Ai Haibara, le braccia incrociate sulla scrivania e la testa
poggiata sopra, di lato, i capelli che si dipanavano disordinatamente su un
blocco di fogli pieni di calcoli e cancellature: dormiva profondamente, e anche
se il suo volto non era sereno ma profondamente segnato dalla stanchezza, aveva
un aspetto adorabile. Conan guardò lo schermo del computer ancora acceso e vide
altre centinaia di calcoli, poi si voltò di nuovo verso di lei sentendosi un po’
in colpa: doveva essere rimasta sveglia tutta la notte per studiare le dosi
giuste del suo antidoto, che lui le aveva chiesto con tanta insistenza e
urgenza. Uscì in fretta dalla stanza e comparve di nuovo con in mano una coperta
di lana, la stessa sotto cui si era steso lui sul divano; gliela posò
delicatamente sulle spalle per non svegliarla, e con suo gran sollievo lei emise
solo un gemito sommesso. Le sorrise benevolo, sperando che le sue parole della
sera prima fossero state dettate solo dalla rabbia: non aveva mai pensato di
sfruttarla, né di tradirla, non voleva trattarla come aveva fatto
l’Organizzazione e le sue accuse l’avevano davvero colpito, facendogli male.
L’unica cosa che voleva era risparmiarle altre sofferenze solo per colpa sua,
lasciarla vivere serenamente, come tutte le altre ragazze... Non si era ancora
perdonato il fatto di non essere riuscito a salvare sua sorella Akemi, di averla
lasciata sola al mondo, di averle strappato l’unica persona a cui volesse bene.
Le accarezzò piano la schiena mentre il suo viso si rabbuiava, poi si diresse
verso il bagno, chiudendo la porta dello studio per non disturbare il suo sonno.
Si sciacquò la faccia e si vestì, tornando in salone, dove il dottor Agasa lo
aspettava facendo zapping sul televisore: "Vedo che ti sei deciso finalmente...che
roba! Prima mi raccomanda di svegliarmi presto per farlo alzare e poi..."
borbottò con voce aspra, Conan guardò il viso paffuto del professore contratto
per la stizza e lo trovò più buffo del solito: "Dai, non mettermi il broncio
adesso...è arrivato Hattori?" chiese guardandosi intorno. "No, a quanto pare la
pigrizia è una caratteristica essenziale per diventare uno studente
detective..." Brontolò, gli occhi fissi sul televisore. Stavolta toccò a Conan
sbuffare impaziente: "Cosa!? Sono già le sei e mezza! Non posso aspettarlo
ancora!" si lamentò, sul viso del professore comparve un sorrisetto: "Che
idiota...beh, digli che sono andato avanti quando si presenta, e che se non mi
trova davanti al condominio vuol dire che Mori è uscito e l’ho seguito!" disse
in tono perentorio e uscì di casa sbattendo la porta.
Quell’uomo non aveva la più
pallida idea del guaio in cui si stava ficcando; lei invece lo sapeva
perfettamente. Si passò il rossetto sulle labbra e quelle divennero rosse
lucenti. Sicuro, si stava scavando la fossa con le proprie mani ed era così
impegnato a montarsi la testa da dimenticare che già in passato, tutti quelli
che si erano avvicinati troppo alla verità erano scomparsi misteriosamente. Se
ne sarebbe occupata lei, nei confronti di quell’uomo provava solo disgusto,
ribrezzo... fin dal primo momento che l’aveva sentito vantarsi tronfio del suo
grande scoop al bar. Povero Cool Guy, sempre ossessionato da mille problemi, ci
mancava solo quel giornalista a ficcare il naso nei suoi affari, nel suo
segreto...di sicuro avrebbe incontrato anche lui, impegnato a fare di tutto per
recuperare il nastro senza far del male a nessuno. Eh sì, Povero Cool Guy,
sempre fissato con la giustizia e la lealtà, così ingenuo da non capire che ogni
guerra ha le sue vittime, e se non si vuole soccombere bisogna agire senza
indugi appena se ne ha l’occasione. Era una lezione che avrebbe imparato quel
pomeriggio, lei lo sapeva. Quel nastro...era sicura che Angel sarebbe stata
felicissima di ascoltarlo, si sarebbe sentita meglio. Il suo angioletto non
doveva soffrire a quel modo, meritava almeno la possibilità di sentirsi meglio.
A qualcuno spettava dargliela. Prima quell’uomo avrebbe fatto una brutta fine,
comunque, si era comportato davvero male. Almeno avesse cercato di rovinare la
vita di Sherry, allora forse gli avrebbe risparmiato la vita... Quella
traditrice non meritava alcuna pietà e appena Cool Guy le avesse voltato le
spalle, cosa che sarebbe successa prima o poi, le avrebbe fatto scontare tutto.
Prese il cellulare e compose un numero, poggiando la cornetta sull’orecchio, da
cui pendevano due vistosi orecchini d’oro. Sorrise, si prospettava una giornata
interessante.
Mori aprì un barattolo di aspirine e ne mise in
bocca una, ci pensò su e ne aggiunse altre due. Maledetti postumi della sbornia,
aveva un mal di testa terribile e una tale nausea che si sentiva lo stomaco
ridotto ad uno straccio sporco appena strizzato. Si guardò allo specchio: il
volto era pallidissimo, e le occhiaie scure risaltavano più del solito; aveva i
capelli unti e appiccicati alla faccia, lo sguardo malaticcio. Scosse la testa e
si voltò, notando sul tavolo dove la sera prima aveva appoggiato le chiavi una
scatola di fiammiferi abbastanza grande; l’aprì e vide un indirizzo scritto con
un rossetto molto acceso. Improvvisamente ricordò l’incontro con quella bella
bionda, che l’aveva abbordato in modo fin troppo evidente per poi mandarlo in
bianco, ma che gli aveva lasciato un recapito dove incontrarla. Si sforzò
intensamente di penetrare la nebbia mentale che la sbornia gli aveva procurato:
se non sbagliava, lei lo aveva spinto a raccontarle tutta la faccenda
imbottendolo di Whisky, un po’ come voleva fare lui per ben altri motivi...poi
gli aveva rivelato che...sì gli parve di ricordare che lei aveva affermato di
sapere come era stato possibile che Kudo fosse regredito all’età di sette anni.
L’aveva detto con sicurezza, e aveva aggiunto che gli avrebbe fatto incontrare
gli artefici della pozione quella mattina, alle dieci, all’indirizzo scritto
sulla scatola di fiammiferi. Non aveva nessuna garanzia che avesse detto la
verità, però era disposto a seguire qualsiasi pista pur di raggiungere il suo
scopo, come ogni professionista avrebbe fatto. Certo era stato fortunato, il
telefono era squillato più volte svegliandolo di soprassalto, se non fosse
accaduto probabilmente avrebbe dormito fino a mezzogiorno, quella mattina. Una
coincidenza favorevole e davvero strana, visto e considerato che avevano
attaccato subito appena alzata la cornetta... Si strinse nelle spalle, aveva
cose più importanti a cui pensare e doveva riprendersi il più possibile prima
del suo appuntamento. Se la bionda non aveva mentito per quella sera sarebbe
diventato il giornalista più famoso del mondo, il suo articolo avrebbe
impressionato e sconvolto il pubblico e avrebbe di sicuro vinto il premio
Pulitzer. Aveva appena cominciato ad immaginare le parole che avrebbe detto al
suo discorso quando un nuovo conato lo costrinse in bagno, mentre, molti piani
sotto di lui, un bambino con gli occhiali si era diretto dietro l’aiuola, con
determinazione e rabbia negli occhi.
Note dell’autrice: Ciao a tutti!
Innanzitutto vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto la mia fanfic fino
a questo punto (complimenti, avete davvero un bel grado di sopportazione - _ -")
e soprattutto Wilwarind, Elly-chan e Irma che hanno commentato...thanks, really!!
^///^ Adesso però voglio chiarire alcuni punti, che potranno esser sembrati
ostici a coloro che non hanno letto alcuni numeri del manga (e ci credo, se la
Kabuki continua così...*sigh* ;__;):
- La scena che Heiji ricorda durante la sua conversazione con Ran, quella che
riguarda Kazuha, è successa realmente nel vol28, "The Mermaid Disappeared"; in
breve, Kazuha precipita in un dirupo e Heiji la afferra per la mano, tenendosi
aggrappato a sua volta ad un ramo. Quando la ragazza si accorge che il ramo sta
per spezzarsi per il troppo peso incita il suo amico d’infanzia a lasciarla per
salvarsi almeno lui. Beh, non c’è bisogno che vi dica se lui la ascolta o no
immagino...^^
- Conan/ Shinichi parla a Heiji di cose personali solo in due occasioni, almeno
per quanto ne so: la prima volta nel vol26, la seconda nel settimo film, "Crossroads
in the Ancient Capital". Per il resto si limita strettamente al professionale.
(a Shin-kun piace fare il duro!!)
- La bella bionda americana che Mori incontra al bar nel chap 6 e che si vede
anche qui è un membro dell’Organizzazione degli uomini in nero. Il suo nome in
codice è Vermouth. Non dico altro, altrimenti faccio troppo spoiler (decisamente
troppo), ma questo era indispensabile al senso della storia.
Questo è tutto. Spero di non avervi annoiato ("troppo tardi!!" ndTutti). Se
avete domande, dubbi, critiche (spero non insulti! Aiuto!) basta dirlo, sarò
felice di rispondervi
....
Oddio...detto così fa molto "Guida Turistica"... - -
"comunque...
See you soon
-Mel |
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Capitolo 9 *** Reflection in the Mirror ***
Nuova pagina 1
9. Reflection in the Mirror
Il sole era alto in cielo, la
gelida nebbia del primo mattino andava dissolvendosi. Le strade ormai
pullulavano di automobili, si udivano i rombi dei motori e qualche clacson
occasionale; sui marciapiedi la gente avanzava in varie direzioni, con buste,
borse e valigiette, seduti ai tavolini dei bar i ragazzi si godevano il loro
unico giorno di riposo prima di tornare dietro le grigie mura degli edifici
scolastici. Un ragazzo e un bambino erano seduti proprio ad uno di questi
tavoli, confusi tra la folla e il chiacchiericcio, ma al contrario degli altri
non sorridevano spensierati, né parlavano fra di loro: osservavano attenti il
condominio che si trovava dall’altra parte della strada. Heiji fece un grosso
sbadiglio e si lasciò andare scompostamente sulla sedia: "Cavolo, sono già le
nove...se avessi saputo che sarebbe andata così non mi sarei mai alzato
all’alba..." Borbottò, visibilmente annoiato. Conan gli lanciò un’occhiata in
tralice, infastidito: "Tu eh? Ti faccio presente che sei arrivato
all’appuntamento con mezz’ora di ritardo!". Heiji sbuffò, indeciso se
ricordargli o no che erano lì per lui e dirgli che avrebbe dovuto ringraziarlo
per il suo aiuto, poi decise che per irritarlo c’era un metodo molto più
divertente e meno meschino: "Io mi sono alzato in tempo, non è stata colpa mia,
ti ho già detto che ho dovuto sviare i sospetti di Ran. Dovresti essermi grato,
piccolo Conan kun!" gli sorrise maligno e gli arruffò i capelli, Conan scacciò
con rabbia la sua mano dalla testa: "Oh già, e ci hai messo mezz’ora a
convincerla? Ma fammi il favore!! Secondo me è successo qualcos’altro che non
vuoi che io sappia. Te l’ho letto in faccia quando sei arrivato..." bisbigliò,
scrutandolo da capo a piedi. Heiji non smise di sorridere: gli aveva tenuto
nascosto la faccenda della conversazione con Ran preoccupato per la sua
reazione, ma tutto sommato infastidirlo era sempre stato uno dei suoi passatempi
preferiti; cogliere i punti deboli del signor Perfettini e prenderlo in giro era
divertente, perfino i genitori di Kudo erano contenti di stuzzicarlo, ogni
tanto. Perché lui dunque doveva essere da meno? Spostò lo sguardo sull’edificio
e rispose con noncuranza: "Hai colto nel segno Kudo, ancora una volta però non è
stata colpa mia, ma della tua ragazza." Conan sobbalzò, si sporse verso di lui
per quanto la sua statura glielo permettesse e domandò incuriosito: "Che vuoi
dire? Che è successo?" Nella sua voce Heiji colse una punta quasi impercettibile
di gelosia. "No niente...come mai Mori ci mette tanto?" Chiese distrattamente, e
come previsto Conan si accalorò: "Non lo so, ma cosa intendevi? Perché Ran ti ha
fatto perdere tempo? Che avete fatto?" lo guardò dritto in faccia ma lui non
fece una piega: si limitò a scrollare le spalle. Conan sbuffò contrariato: da
quanto aveva capito per gli standard femminili Heiji Hattori era considerato un
bel ragazzo, e il fatto che avesse passato il tempo con Ran non lo rendeva
affatto felice. Gli tornò in mente lo sguardo che la ragazza gli aveva lanciato
la prima volta che l’avevano visto, mentre indagava sul caso del diplomatico...era
lo stesso che spesso aveva rivolto a lui quando esponeva le sue deduzioni. Sentì
qualcosa di simile alla rabbia crescergli in corpo, a cui non sapeva dare nome:
"Smettila di fare l’idiota e dimmi cos’è successo, Hattori!" disse a voce un po’
più alta, stavolta il detective dell’ovest percepì chiaramente la gelosia; era
riuscito nel suo intento, ma prima di piantarla voleva divertirsi ancora un po’:
"Okay...ha insistito perché prendessi il tè con lei. Soddisfatto?" Conan sentì
in cuor suo una punta di risentimento verso Ran.
Ah è così prima piange
disperata perché io non ci sono e poi prende tranquillamente il tè con un altro?
Le donne non si accontentano mai che ci troveranno poi in questo coso secondo me
non ha il minimo fascino e non è neanche questa gran bellezza se proprio
vogliamo essere sinceri il tè ma si può essere più volubili e ha anche insistito
che roba non posso crederci...
Fortunatamente era troppo
innamorato di lei per arrivare a odiarla; non avrebbe avuto scrupoli però con il
ragazzo che gli stava davanti gongolante: "TU HAI PRESO TRANQUILLAMENTE IL TE’
INSIEME A RAN MENTRE LA MIA VITA E’ SULL’ORLO DELLA CATASTROFE?" Gridò
infuriato, portando istintivamente la mano destra verso il polso sinistro; quasi
tutti i ragazzi seduti intorno a loro si voltarono, una cameriera graziosa con
lunghi capelli neri si avvicinò e chiese con un sorriso di circostanza: "Va
tutto bene qui? Hai litigato con tuo fratello, piccolo?" Conan sbuffò e incrociò
le braccia: "Non è mio fratello, non sono imparentato con quello là, per
fortuna..." bofonchiò, lei lo guardò perplessa e poi spostò lo sguardo su Heiji,
che scosse la testa con un’aria da *lasci perdere è un bambino* . La cameriera
rimase immobile per un attimo, poi annuì e si allontanò. Heiji guardò Conan e
notando il suo aspetto truce decise che era meglio smetterla prima che gli
saltasse addosso desideroso del suo sangue. Gli sorrise benevolo: "Calmati
Kudo...Se Mouri mi ha fermato è stato solo perché voleva parlassimo di te."
Disse con voce calma, il piccolo detective lo guardò e quando parlò di nuovo i
sentimenti di rabbia e gelosia erano scomparsi completamente, lasciando il posto
a semplice curiosità: "Sul serio? E...cosa vi siete detti?" domandò, sentendosi
un po’ in colpa per aver pensato male di Ran. Heiji si rimise composto: "Voleva
sapere se tu parli mai di lei mentre siamo insieme." Conan arrossì di colpo e lo
tempestò di domande su cosa esattamente le avesse risposto; il fatto che Ran
avesse chiesto di lui gli dava una strana sensazione, era...emozione, sì,
sicuramente, ma c’era anche dell’altro...qualcosa che gli aveva fatto battere
forte il cuore e contrarre lo stomaco in modo piacevole...sorrise pensando che
se qualche anno prima gli avessero detto che avrebbe provato una cosa simile per
la sua amica d’infanzia, la bambina con cui era cresciuto, che da piccola non
faceva altro che stargli appiccicata tutto il giorno assillandolo per giocare
con lei e poi piangeva battendo i piedi ogni volta che lui proponeva una partita
a calcio o il gioco guardie e ladri (tuttora non riusciva a capire dove fosse il
problema, sarebbe potuto essere molto divertente) , probabilmente gli sarebbe
scoppiato a ridere in faccia. Adesso invece, era lì che sudava freddo desideroso
di sapere subito cosa si erano detti, incurante del fatto che il suo
atteggiamento insistente era davvero infantile e che Hattori sembrava essere
davvero divertito da tutto ciò; aveva come l’impressione che Heiji stesse
giocando con lui fin dall’inizio, che l’equivoco iniziale non fosse stato del
tutto casuale e che il detective del Kansai avesse manovrato ogni cosa
per ammazzare la noia per la quale prima si era lamentato. La cosa non gli
piaceva affatto, e benché adesso avesse affari più importanti di cui occuparsi,
promise a se stesso di fargliela pagare cara in un futuro prossimo... Heiji,
ignaro dei pensieri alquanto ostili che il bambino di fronte a lui stava creando
nella sua testolina, sorrise tranquillo: "Le ho detto di sì, ma non ho
specificato niente. Non sapevo se tu volevi o no che le rivelassi tutto e ho
preferito tenere la bocca chiusa, e per non metterti nei guai con lei le ho
confessato che non me la sentivo di parlargliene." Affermò con semplicità,
tenendo lo sguardo fisso sul condominio. Conan rimase colpito e si ritrovò a
riflettere sul perché tutti pensassero che si confidava con Hattori, poi dovette
ammettere suo malgrado che in effetti era quello che faceva, nonostante lui
fosse così molesto, alle volte. Si accorse che si fidava di Heiji Hattori,
semplicemente, perché era una persona su cui poter contare e un amico
eccezionale. Si rese conto inoltre che era sempre pronto a sentire i suoi
problemi, ma allo stesso tempo non gli confidava mai i suoi e non gli chiedeva
mai aiuto per niente, quasi non volesse sovraccaricarlo con le proprie
frustrazioni. Era l’unico dei suoi amici che non si era mai veramente aperto con
lui, perfino Ai Haibara, per quanto i suoi atteggiamenti fossero freddi e
indifferenti, una volta aveva chiesto il suo sostegno. Eppure non poteva essere
il ragazzo più felice della terra...infatti non solo l’indifferenza ma anche
l’allegria può essere una maschera....Aprì la bocca per dirgli qualcosa ma Heiji
fu più veloce e gli chiese: "Tu però non mi hai ancora detto perché ieri eri
così triste..." ancora non lo guardava. Conan sussultò e abbassò lo sguardo, poi
sorrise malinconico e rispose con voce flebile: "Ecco...è difficile da
spiegare...Ran, ieri mattina...dopo che l’ho salvata...cioè dopo che Conan l’ha
salvata....ha detto fra le lacrime di odiarmi. Di odiarmi come Shinichi
intendo..." Rise, per nulla divertito: "E’ buffo, sai, perché ha sostenuto di
essere stata abbandonata da me...e dire che io la vedo tutti i santi giorni fino
alla nausea..." Heiji si voltò verso di lui, percependo il suo dolore e sussurrò
cercando di risollevarlo: "Però mi sembra che dopo la conversazione con Kazuha
le cose siano migliorate...e lei vuole vederti, no? Dai, magari è stato solo uno
sfogo lì per lì, niente di serio..." Conan si strinse nelle spalle: "Può darsi...ma
la cosa che mi fa stare male non è questo...è che..." sospirò "Mi ha fatto
riflettere. Su come sono io...mi ha definito un insensibile, una persona
terribile. E io mi chiedo se non abbia ragione..." Heiji gli diede un colpetto
sulla testa: "Ma piantala...ecco, quando fai così diventi proprio odioso...Non
dire scemenze..." sibilò con gli occhi a fessura di nuovo voltati verso
l’edificio. Stettero in silenzio per qualche minuto, mentre attorno a loro il
chiacchiericcio continuava. Conan si lasciò andare sullo schienale della sedia,
speranzoso sul fatto che dire tutte le cose che lo opprimevano potesse farlo
sentire un po’ meglio. Solo un pochino, non chiedeva altro: "Io ero felice che
lei soffrisse, Hattori." Disse scandendo le parole, lui si voltò e guardandolo
in faccia notò un’espressione che non gli aveva mai visto prima, inquietante,
quasi sinistra...che lo fece sussultare. Conan si accorse della sua reazione e
sorrise, poi si voltò verso il condominio, senza fare una piega nemmeno quando
lui parlò: "Cosa vuoi dire?" Conan scosse lentamente la testa, Heiji stava per
ribattere qualcosa quando il piccolo detective si alzò in piedi: "Eccolo, sta
uscendo..." disse, riacquistando determinazione e freddezza. Lasciarono i soldi
dei due caffè che avevano finito di bere un’ora prima e si avviarono, uno
seguendo il giornalista e l’altro attraversando la strada verso l’edificio.
La luce che penetrava dalle
grandi finestre dell’agenzia investigativa illuminava sicura tutti i mobili e
gli oggetti, riflessa occasionalmente dai pochi specchi dalla casa; davanti ad
uno di essi stava seduta Ran, le gambe accavallate e le braccia conserte, mentre
i lunghi capelli bruni erano tirati su disordinatamente e tenuti da qualche
forcina colorata. Guardò rassegnata la sua stessa immagine e sospirò, chinando
leggermente il capo, intanto qualche ciocca si liberava dall’opprimente giogo e
si riversava sul suo volto e sulla schiena. Dietro di lei comparve Kazuha con i
capelli raccolti nella sua solita coda di cavallo, il volto sudato e raggiante:
teneva in mano un oggetto oblungo, di metallo, formato da due parti che si
aprivano manualmente e da un lungo filo nero, inghiottito dalla presa di
corrente vicino al lavandino: "Ecco, un po’ di pazienza e avrai dei capelli
magnifici, Ran chan!" esordì, lei sospirò incredula, chiedendosi come aveva
fatto a permetterle di conciarla in quel modo
Sono la sua Barbie...mi ha
scelto il vestitino e le scarpette e adesso mi pettina poi mi manda
all’appuntamento con Ken...
Soffocò una risata e scrollando
il capo altre ciocche sfuggirono alle forcine; Kazuha la guardò perplessa,
aggrottando le sopracciglia, poi si strinse nelle spalle e prese fra le mani un
ciuffo di capelli bruni, lo fece sparire fra le due parti della piastra e lo
riscoprì caldo e morbido. Dopo aver ripetuto un paio di volte quest’azione, lo
lasciò e ricominciò con un altro: "Senti un po’, Ran chan... ti sei alzata molto
presto stamattina, vero?" Chiese dopo qualche minuto. La ragazza assentì,
guardando l’amica del Kansai attraverso lo specchio: "Beh, allora...sai mica
dove è andato Heiji?" domandò con falsa disinvoltura, ma Ran sentì la sua mano
stringere più forte i propri capelli e capì che doveva essere a disagio: "Oh,
sì...ha detto di voler fare una passeggiata per schiarirsi le idee, se non
sbaglio...per cui dovrebbe essere di ritorno a momenti." concluse in tono
incoraggiante, tuttavia l’attenzione di Kazuha si era focalizzata su un altro
punto: "Ha detto..." sussurrò lentamente, stringendo ancora di più sia la
piastra che i capelli: "...perciò ci hai parlato..." Ran sentì un brivido
percorrerle la schiena e una strana sensazione di freddo alle sue spalle: "Sì...ecco...stamattina
si è svegliato molto presto anche lui e così abbiamo fatto colazione insieme e
allora..." balbettò sorridendo, Kazuha lasciò andare i suoi capelli e la guardò
dall’alto in basso, attraverso lo specchio: "Così hai fatto colazione con
Heiji...dev’essere stato bello, voi due soli..." sibilò, guardandola torva. Ran
si voltò agitata: "Ma no! Cosa dici? Hai frainteso...ho fatto troppo tè e così
l’ho invitato a berlo insieme.." si accorse del suo errore madornale solo quando
aveva finito di parlare. Kazuha lasciò andare la piastra con violenza e quella
sbatté sulla superficie di marmo: "Ah, l’hai invitato a berlo insieme..!
Non ti basta solo Kudo, è così?" gridò, lei si alzò in piedi e furono alla
stessa altezza: "Ti sbagli, siccome Hattori è amico di Shinichi volevo che lui
mi dicesse una cosa. Non ho minimamente pensato a...e se avessi saputo che ti
dava fastidio..." Cercò di dire ma Kazuha la interruppe: "Certo, come potevi
immaginarlo? È una cosa così poco ovvia..." il suo tono risentito e di accusa
colpirono profondamente Ran: in effetti avrebbe dovuto saperlo, ma non aveva
avuto assolutamente cattive intenzioni...non le era passato per la mente che la
potesse far infuriare in quel modo e lei non aveva il diritto di accusarla così.
Aprì la bocca per ribattere quando Kogoro entrò nel bagno, protestando per le
loro urla e guardandole entrambe infastidito; sembrava essersi alzato da poco: i
capelli erano scompigliati, piccoli peli ispidi spuntavano sul mento e sulle
mascelle, la camicia era stropicciata e non del tutto infilata nei pantaloni. Il
suo sguardo si soffermò sulla figlia e vedendola combinata in quel modo balbettò
perplesso: "Che diavolo...Ran, ma che ti sei fatta in testa...cosa state..."
Prima che riuscisse a terminare la frase Kazuha lo superò e disse a voce alta e
senza guardare in faccia nessuno: "Oh, indovini, Mouri san...sua figlia si stava
facendo bella perché stasera ha un appuntamento galante con Kudo kun!" rivelò
acida e scomparve nel corridoio. Kogoro guardò truce Ran, che arrossì di colpo e
chinò la testa: "Che cosa!?" la investì: "Hai un appuntamento con quel ragazzino
che si atteggia sempre a detective..? Ma non era andato via dalle scatole per
sempre? E per di più ti sei conciata...in quel modo...per lui..." sembrava non
riuscire a credere alle sue stesse parole, Ran si vergognò come mai nella sua
vita, non riuscendo a pronunciare una sola parola mentre il rossore le si
arrampicava dal collo fino alle guance: "Levati subito quella roba dai capelli e
quella minigonna..." guardò allibito le gambe nude della sua bambina, poi alzò
lo sguardo verso la sua pancia altrettanto scoperta: "...e quella maglietta
oscena." Ordinò in tono perentorio, Ran annuì senza alzare la testa, tenendo i
pugni stretti e congiunti davanti alle gambe, sentendosi tremendamente stupida
ad essersi conciata in quel modo e provando un moto di odio verso Kazuha, che
probabilmente era dietro l’angolo a ridere beata per il suo scherzetto. Kogoro
era diventato paonazzo e la scrutava con occhi inquisitori: "Tu prova ad uscire
in quel modo ed io ti segrego in camera finché sarò vivo! Quel ragazzo...non mi
è mai stato particolarmente simpatico e adesso meno che mai...non mi fido di
lui, se ti vede vestita così potrebbe cercare di..." la voce gli morì in gola e
scosse la testa; Ran diventò ancora più scarlatta quando capì cosa intendeva il
padre e alzò un poco la testa "Ma papà!!" gridò con voce acuta. Lui la guardò
con gli occhi fiammeggianti e lei si affrettò a chinare di nuovo il capo:
"Niente ma!!" urlò, credendo che si riferisse a quello che aveva detto prima:
"Tu stasera non vai da nessuna parte, così la prossima volta ci penserai due
volte a scegliere i vestiti da metterti." Concluse e fece per avviarsi
all’uscita, ma Ran lo bloccò per un braccio: "No papà! Ti prego, devo andare, è
importante...devo vedere Shinichi! Vado vestita come vuoi tu e non metterò più
questa roba, lo prometto, ma per favore non farmi questo!" lo fissò implorante,
Kogoro guardò il luccichio dei suoi occhi e per un attimo l’espressione severa
vacillò, ma si ricompose quasi subito: "No, ho detto. Lo faccio per il tuo bene.
Non vorrei ritrovarti con un...sei tu una bambina ancora, Santo Cielo!"
la voce gli tremò, poi aggiunse fermo: "La questione è chiusa." con un tono che
non lasciava speranze, Ran lo superò con uno strattone e si chiuse a chiave
nella sua stanza: "Ti odio! Tu non capisci..." gridò con voce rotta e il padre
capì che stava piangendo: "Tanto esco lo stesso!! Stasera sarai così ubriaco che
non te ne renderai nemmeno conto! Ci scommetto...non mi sorprende che la mamma
ti abbia lasciato, sei un mostro!" urlò, piangendo disperata e sentendosi in
colpa per quelle parole subito dopo averle pronunciate. Kogoro sospirò, sentendo
un grave peso sul cuore e avviandosi lentamente verso la scrivania del suo
ufficio: ogni suo singhiozzo era un colpo secco e doloroso per lui. A
sconvolgerlo non erano state le parole in sé, ma l’odio con cui la figlia le
aveva pronunciate: possibile che quella fosse la stessa voce che la sera gli
dava la buonanotte, o che anni prima lo pregava di prenderla sulle spalle?
Possibile che a parlare fossero state le stesse labbra che occasionalmente gli
schioccavano un bacio sulla guancia o sulla fronte? Possibile che quella
ragazza abbigliata in quel modo fosse la stessa bambina che, abbracciando
l’orsacchiotto, piangeva disperata per aver fatto un brutto sogno e si
accoccolava fra le sue braccia finché non si riaddormentava? Si sedette alla
scrivania e si lasciò andare stancamente sulla sedia; guardò le lattine vuote di
birra che erano sparse qua e là per lo studio, chiedendosi se avesse ragione e
se tutto sommato non fosse stato granché come padre; in fondo era Ran che si
occupava di lui e non il contrario, preparandogli i pasti, pulendo la casa e
facendogli mille raccomandazioni quando usciva, di non bere, di non giocare
d’azzardo, di non fumare...sospirò, domandandosi se fosse stato meglio affidare
subito la bambina ad Eri, quando se ne era andata...e se non fosse troppo tardi
rimediare. Guardò il telefono sulla scrivania e si lasciò andare ad un nuovo
sospiro, mentre nel silenzio della casa udiva il singhiozzare disperato di sua
figlia.
Aprì gli occhi e, con la vista
ancora un po’ appannata, si guardò intorno sbadigliando: la stanza era
completamente inondata di luce, davanti a lei scorrevano le immagini di un buffo
Screen - Saver creato dal professore e alle sue spalle sentiva strani tintinnii
e qualche occasionale esplosione: era stata proprio una di quelle a svegliarla.
Sospirò rassegnata, si rimise in posizione eretta e sentì un fastidioso dolore
che gli percorse la schiena fino al collo, mentre non poche ossa scricchiolarono
in modo preoccupante. Pensò irritata che probabilmente avrebbe avuto quei dolori
tutto il giorno e l’idea non le piaceva affatto; tutta colpa di Kudo e della sua
fidanzata...Ai si stiracchiò e solo quando le scivolò dalle spalle si accorse
della coperta di lana; la prese in mano e la ripiegò con un gesto quasi
meccanico, prendendo nota a mente di ringraziare il professore per averla
coperta, poi diede un colpetto al mouse e il documento word riapparve,
procurandogli una fitta alla testa al primo sguardo: eccolo, l’odioso antidoto
per il quale era stata sveglia fino a notte inoltrata, incurante della
stanchezza e dell’emicrania galoppante; eccolo, il motivo per il quale Kudo era
andato a trovarla la sera prima, il motivo per il quale ancora la voleva accanto
e non l’aveva cacciata via e abbandonata a se stessa. Ora lei gliel’avrebbe
preparato, lui l’avrebbe preso e sarebbe corso fra le braccia di Ran Mouri, e
insieme avrebbero passato una serata indimenticabile...loro due....Diede
l’ordine di stampa e stette ad aspettare che tutte le pagine fossero pronte; in
quel mentre il professor Agasa entrò nella stanza, reggendo con una presina
imbottita un bricco di caffè e una piccola tazzina di ceramica lucida: aveva i
capelli scompigliati, i baffi e il camice intrisi di fuliggine scura: "Oh, Ai,
ti sei svegliata!" esordì in tono paterno: "Come stai stamattina?" la bambina si
voltò stancamente verso di lui, guardandolo con i suoi occhi ibernali: "Bene,
grazie...solo un po’ indolenzita..." scrollò le spalle e si girò appena in tempo
per afferrare il foglio che la stampante aveva appena sputato. Il professore le
si avvicinò: "Ti ho preparato il caffè, mi raccomando, bevilo adesso che è
ancora caldo...avrai sentito freddo stanotte, hai dormito qui..." aggiunse in
tono preoccupato, Ai sorrise gelida, annuendo e lanciando occhiate alla coperta
ripiegata e al dottore; lui se ne avvide e chiese meditabondo: "Hey, ma quella
non è la coperta che avevo dato a Shinichi per la notte?" Ai si voltò in fretta
verso di lui lasciando che il foglio che aveva in mano si stropicciasse: "Cosa?
Vuole dire che non è stato lei a..." si interruppe e riassunse la sua aria
indifferente, il professore la guardò interrogativamente ma lei si limitò a
scuotere la testa, continuando a fissare la stampante: "Potrebbe lasciarmi il
laboratorio, professore? Appena ho finito qui vorrei iniziare a lavorare
concretamente." Disse in tono etereo, l’uomo annuì, lasciò il bricco e la
tazzina sulla scrivania e uscì dalla stanza. Ai rimase immobile a osservare i
fogli scritti e freschi di stampa che si accumulavano davanti a lei; così non
era stato il professore a coprirla ma Kudo stesso, prima di uscire...percepì uno
strano calore all’altezza del petto e prima di rendersene conto sentì la stessa
sensazione sulle guance; fuori il vento scuoteva le fronde degli alberi e udiva
lo stormire delle foglie, così acquietante e naturale...non come l’artificiosa
sostanza che aveva creato e che aveva sconvolto l’equilibrio più sacro che
esiste: il tempo. Con il suo composto era riuscita ad ingannarlo e distruggerlo,
a dare una falsa illusione dello scorrere degli anni, privando se stessa e tutti
coloro che l’avevano preso di una vita vera, e donandogli in cambio quella
scadente imitazione dell’esistenza, in cui non a lungo si può perdere la
coscienza di sé, è vero, eppure accade: l’aveva osservato e percepito in quel
ragazzo, che pian piano stava diventando sempre più Conan e sempre meno
Shinichi...realizzare l’antidoto per quel crimine, facile a dirsi...estremamente
complicato nella realtà; perché le conseguenze di quel composto erano molto più
di quello che si poteva vedere, e le ferite che aveva provocato non sarebbero
guarite così facilmente...non era in grado di realizzare un vero antidoto al
composto perché in effetti era impossibile...non arrivati a questo punto. E
quando finalmente Shinichi Kudo sarebbe tornato se stesso, se ne sarebbe accorto
anche lui, a malincuore sì, e all’inizio non sarebbe riuscito ad accettarlo
forse, ma prima o poi l’avrebbe capito. E ne avrebbe sofferto. Sospirò e prese
gli ultimi fogli sputati dalla stampante, riempì la tazzina di caffè nero e si
avviò verso la porta della stanza, a passi lenti e strascicati.
Conan si diresse verso il
portone dell’edificio, chiedendosi cosa poteva escogitare per farsi aprire;
importunare un’altra coppia di sposini forse? Non era una buona idea, era
mattina e non più oppresse dal sonno le persone (in particolare le donne, penso
fra sé con un sorrisetto) diventano piuttosto curiose e invadenti riguardo a
certe cose. Fortunatamente riuscì ad evitare di spremersi le meningi: una
signora piuttosto bella, alta e slanciata, che indossava un paio di jeans sotto
un cappotto cremisi aprì il portone e lasciò passare due bambini, all’incirca
della stessa età apparente di Conan. Quest’ultimo sorrise, lanciò un educato
buon giorno al trio e si avviò verso l’ascensore. Mentre saliva, sbuffò seccato
e un tantino irritato: perché diavolo doveva essere lui a perquisire la casa del
giornalista? Sarebbe stato più giusto che lo facesse Hattori, mentre lui avrebbe
pedinato l’uomo. In fondo era il suo caso! Perché doveva sorbirsi il
compito più noioso?! Aggrottò la fronte ripensando alle parole del detective
dell’ovest: ‘No, Kudo, è meglio che sia io a seguirlo; lui non mi conosce e
quindi ci sono meno probabilità che si accorga di essere osservato.’ Sbuffò
indispettito; si riteneva un detective abbastanza bravo da riuscire a pedinare
una persona senza farsi scoprire. Quel genere di cose erano l’ABC
dell’investigazione! Si voltò verso lo specchio dell’ascensore e attraverso la
superficie leggermente sporca e piena di impronte riconobbe la sua immagine
riflessa; dopo quella sera al Tropical Land, guardarsi allo specchio gli faceva
sempre uno strano effetto, sentiva come un brivido lungo la schiena e un
capogiro. Sbatté le palpebre, riconobbe i suoi occhi azzurri, resi lievemente
più grandi dalle lenti degli occhiali, i suoi capelli bruni, le ciocche della
frangia che non volevano mai stare in ordine e finivano sempre per aria, per
quanto li pettinasse... tutto di quel riflesso apparteneva a lui, eppure
nell’insieme l’immagine riflessa non gli apparteneva. Era quasi un paradosso.
Aggrottò la fronte corrucciato: da quanto tempo era che non vedeva più il suo
vero aspetto? Il ricordo di se stesso stava lentamente sfumando nella sua mente,
tutto della sua vita adulta si stava allontanando dalle sue percezioni. Ora come
ora gli sarebbe sembrato stranissimo alzarsi la mattina e non sentire il profumo
della colazione preparata da Ran, una cosa assurda risolvere un caso e non
addormentare Kogoro per spiegarlo con la sua voce, una cosa impensabile andare a
scuola senza essere circondato da persone in uno stato di completa ammirazione
mentre risolveva senza problemi una divisione a TRE cifre...sì, tutto questo
faceva parte della sua vita, mentre le altre cose erano così...lontane, quasi
come se fossero state frutto di un sogno. Non riusciva a pensare di dover
frequentare nel tempo libero altri se non Ayumi, Genta e Mitsuhiko, non riusciva
a credere di dover stare più di qualche ora lontano dalla sua Ran neechan... e
il pensiero di tutto questo lo spaventava. Lui non era Conan Edogawa, per
quanto adesso fosse costretto a recitare quella parte...lui era Shinichi Kudo,
il liceale detective, non una specie di bambino prodigio troppo intelligente per
la sua età. Eppure adesso quella vita gli sembrava più familiare, essere
chiamato Conan kun era gli pareva una cosa normale - e più giusta, pensò con
orrore - e perfino i suoi atteggiamenti non erano più forzati come prima, ormai
infatti comportarsi da bambino gli veniva naturale. Tutto questo gli faceva
paura, si chiese spaventato cosa sarebbe successo se fosse rimasto in quello
stato ancora per molto, se davvero avesse cominciato a dimenticare il suo vero
io...
Ran mi ha definito una
persona terribile ma prima ha detto che anche se avevo i miei casi avevo sempre
tempo per lei quando ero a casa e se fossi cambiato davvero oltre che
nell’aspetto se mi sono veramente trasformato senza accorgermene non è così
assurdo tutti crescono giorno dopo giorno ma se ne accorgono solo molto tempo
dopo riguardando vecchie fotografie e se io non fossi più io in fondo fingo di
non esserlo da così tanto tempo se mi fossi trasformato più di quanto riesce a
riflettere lo specchio se veramente Shinichi Kudo non esiste più se per me è
arrivato solo adesso il momento di vedere quella vecchia fotografia mentre Ran
l’ha già vista e ha capito ha capito che sono diverso dalla persona con cui è
cresciuta dalla persona a cui voleva bene mi sono trasformato in qualcuno che
non fa altro che ingannare e mentire e fingere e io non voglio essere così...
Le porte dell’ascensore si
aprirono e Conan fu riscosso di colpo da quel fluire di pensieri angosciosi;
uscì lentamente dalla cabina e si ritrovò allo stesso piano che aveva visitato
la sera prima con il suo collega del Kansai, solo che adesso l’ambiente era ben
illuminato dai caldi raggi del sole e tutto sembrava meno tetro e triste. Si
avvicinò alla porta di legno di frassino scuro che aveva visto la sera prima,
guardando la serratura. Chiusa, naturalmente. Era preparato ad una cosa del
genere, fortunatamente sapeva come entrare nell’appartamento anche senza dover
buttare giù la porta; sorrise, chiuse gli occhi e cominciò a ricordare.
Aveva dodici anni, era appena
tornato a casa dopo una partita a calcio con i suoi compagni di classe. Era
molto soddisfatto del modo in cui aveva giocato e ancora sorrideva pensando al
fantastico gol da fuori area che era riuscito a segnare e alla sua spettacolare
rovesciata. Andò in cucina e trovò suo padre Yusaku, vestito di tutto punto, con
giacca, camicia e pantaloni; una cosa stranissima, dato che quando era immerso
nella stesura di un libro appariva piuttosto trasandato e non badava molto
all’abbigliamento. Quando si accorse di lui lo salutò con un sorriso: "Ciao
papà" rispose lui non ricambiandolo: "Come mai sei vestito in quel modo? Devi
uscire?" domandò curioso, il padre gli lanciò uno sguardo divertito con falsa
aria di sufficienza: "Io sono uscito, Shinichi. Non diventerai mai un
detective se non riesci nemmeno a dedurre queste semplici cose." Recitò
guardandolo dall’alto in basso con un sorrisetto. Lui sbuffò indispettito e
chiuse gli occhi a fessura, Yusaku sorrise maligno. "Comunque, sono andato alla
centrale. Avevo bisogno di alcune informazioni per scrivere il mio libro..." il
ragazzino alzò la testa, un luccichio interessato e avido nei suoi occhi: "Che
genere di informazioni, papà? Riguardo qualche omicidio?" la sua stizza aveva
completamente lasciato il posto alla curiosità; Yusaku scosse la testa: "No, non
esattamente...ma in una parte della mia storia il poliziotto una sera torna a
casa e scopre che il criminale che cerca si è introdotto nel suo appartamento...e
sai come ha fatto?" Chiese sempre sorridendo, Shinichi aggrottò la fronte:
"Uhm...forse è entrato dalla finestra, oppure ha buttato giù la porta..." seppe
che la risposta era sbagliata ancora prima di finire. Suo padre aveva scrollato
il capo. "No, certo che no...è difficile salire fino alla finestra di un
appartamento in pieno giorno...e se avesse buttato giù la porta chiunque fosse
passato al suo stesso pianerottolo se ne sarebbe accorto..." fece una lunga
pausa, tenendolo sulle spine nel modo quasi sadico che conoscono solo gli
scrittori; Shinichi lo guardò scocciato ma non disse nulla: voleva sapere cosa
gli frullava in testa e, se fosse stato maleducato, probabilmente per ripicca
lui non glielo avrebbe rivelato: "Ha aperto la porta...come hai fatto a non
arrivarci?" un altro sbuffo stizzito di suo figlio: "e come avrebbe fatto, senza
le chiavi?" chiese in tono di sfida, Yusaku sorrise ed estrasse un fil di
ferro: "Con questo" rispose allegro "Vedi Shinichi, il meccanismo di una
serratura da poco non è nient’altro che un bilanciere*..." fece oscillare la
mano: "Se vuoi rovesciare una sedia a dondolo, non devi fare altro che
afferrarla per le slitte e rovesciarla. Un gioco da ragazzi. Ed è esattamente
quello che devi fare con una serratura: sollevi il meccanismo di blocco e fai
scattare lo scrocco alla svelta, prima che si blocchi di nuovo." Si rimise il
fil di ferro in tasca: "Tutto chiaro?" lui annuì sicuro, il padre soddisfatto
gli arruffò i capelli con la mano. Conan aprì gli occhi e il suo sorriso
rimembrante si trasformò in un ghigno. Estrasse dalla tasca un fil di ferro,
molto simile a quello che suo padre gli aveva mostrato in un pomeriggio di
primavera e cominciò ad armeggiare sulla serratura, tenendo a mente le parole di
Yusaku. Era la prima volta che ci provava e in molte occasioni fece cilecca:
trovava il meccanismo di ritegno, ma poi il fil di ferro scivolava giù e il
meccanismo scattava prima che riuscisse a fare qualcosa. Si asciugò il sudore
dalla fronte, chiedendosi come poteva grondare a quel modo se era immobile lì
davanti da mezz’ora e rincuorato dal fatto che non fosse per niente portato a
fare lo scassinatore. Più di una volta aveva sentito passi sulle scale o
l’ascensore che si muoveva e aveva dovuto lasciar perdere tutto e assumere
un’aria innocente. Nell’ultimo caso era certo che se non fosse stato interrotto
avrebbe potuto riuscirci e quel pensiero lo innervosiva, facendo sì che tutto
diventasse ancora più difficoltoso e facendogli sfuggire lo scrocco altre
quattro volte prima che potesse farlo scattare.
Papà non aveva detto che era
così difficile un gioco da ragazzi eh? Ma per favore a sentir lui persino un
imbecille ci riuscirebbe è proprio vero che gli scrittori riescono a farti
credere qualunque cosa presentandotela in un certo modo...
L’ennesima volta riuscì a
trattenere il meccanismo di ritegno e sentì che faceva resistenza. Pregò
mentalmente che non fosse un altro buco nell’acqua e cercò di far scattare lo
scrocco, stringendo i denti mentre una goccia di sudore gli colava dalla fronte.
Esercitò una leggera pressione sul fil di ferro. Nella sua mente si figurò il
bilanciere, la lingua metallica che pian piano si ritirava...ancora un pochino...e
sentì che il filo si stava piegando. Strinse ancora più forte i denti e le sue
preghiere mentali divennero disperate, continuò nonostante il cedimento della
sua arma, spinse forte e...la porta si aprì con un cigolio. Conan sorrise
trionfante e quasi cominciò a fare salti di gioia. Il volto era arrossato ma
esultante, alzò i pugni al cielo: "Sì sì sì!! Beccati questa papà!" si trattenne
dall’urlare e entrò giulivo nella casa del giornalista. Sentì subito una zaffata
d’aria viziata e stantia, che lo fece smettere di sorridere all’istante; pensò
con disgusto che forse nessuno aveva detto a Mori che la mattina si aprono le
finestre per cambiare l’aria, e che non sapeva nemmeno cosa fosse l’ordine.
L’ingresso si apriva su un salotto piccolo, con un tavolo al centro sopra il
quale stavano un mucchio di scartoffie e di lattine di birra. Un televisore
impolverato si trovava su un mobiletto davanti ad una poltrona di pelle nera.
Chiuse la porta dietro di sé e avanzò con una mano premuta sul naso e sulla
bocca: c’erano altre tre stanze, una cucina stretta, con un lavandino stracolmo
di stoviglie da lavare e con roba da mangiare sparsa qua e là, tra cui una
confezione di pesce surgelato che stava scongelandosi sul tavolo. Un bagno, in
cui riconobbe disgustato un odore di vomito, con lo specchio pieno di impronte e
macchie di dentifricio, mentre il lavandino qui era pieno di capelli neri. Una
camera, con un letto disfatto, il cuscino pieno anch’esso di capelli e vari
oggetti buttati alla rinfusa, tra cui i vestiti che indossava il giorno prima,
quando Conan l’aveva incontrato allo stabile.
Se non altro vive da solo
non avrei sopportato che un essere del genere avesse anche una famiglia eh sì
sei solo come un cane e l’unica cosa che hai è il lavoro ci credo che ti sei
impuntato così su di me e per di più hai problemi di stomaco e perdi i capelli
vecchio mio...
Ridacchiò, guardandosi intorno
indeciso su dove cominciare la sua indagine. Mori avrebbe potuto nascondere il
nastro ovunque, e dovette ammettere che l’idea di frugare fra le sue cose non
gli piaceva per niente, per quanto volesse essere professionale. Si prese il
mento fra l’indice e il pollice e cominciò a riflettere, consapevole di essere
completamente all’oscuro riguardo al tempo che aveva per agire: Mori sarebbe
potuto rincasare in qualsiasi momento e, sebbene Heiji lo avrebbe avvertito in
anticipo, si sarebbe sicuramente accorto che la serratura era stata forzata.
Vediamo un po’ se io fossi
un giornalista fallito e avessi in mano lo scoop più grande della mia vita DOVE
lo nasconderei? Sotto qualche asse smossa del pavimento?
Cominciò a dare colpetti
leggeri con il tallone della gamba sana al parquet della camera da letto; il
bagno e la cucina avevano piastrelle di ceramica e l’avrebbe notato subito anche
solo a occhio se qualcuna fosse stata smossa. Continuò quello strano tip - tap
per tutta la stanza, poi si inginocchiò e fece la stessa cosa con il pugno,
infilandosi sotto il letto; ne riemerse spettinato e deluso, con gli occhi
ridotti a fessura.
No certo che no tu non sei
così banale hai inventato un modo MIGLIORE per salvaguardare i tuoi interessi...
Sospirò, la ricerca sarebbe
andata per le lunghe, a quanto pareva. Lanciò qualche maledizione sia al
giornalista che al suo collega, che si stava godendo tutta l’azione e aveva
riservato a lui quel lavoro tedioso, invece. Si diresse verso il salone
visibilmente irritato, passò accanto al televisore e vide che poggiava su un
videoregistratore, con accanto varie cassette; lesse i titoli e non rimase per
niente stupito dal genere dei film preferiti da Mori.
È dura non essere sposati eh
vecchio mio? Anche i mostri bastardi hanno i propri bisogni da quel punto di
vista...
Ridacchiò di nuovo, lanciò un
occhiata alla poltrona di pelle e preferì non avvicinarvisi troppo; d’altronde
il nastro non poteva certo essere nascosto lì e aveva paura di quello che poteva
trovarci al suo posto. Si diresse invece verso il tavolo carico di scartoffie,
guardando con rassegnazione la pila di fogli e pensando che se fosse stato
sotterrato lì in mezzo non avrebbe avuto la minima speranza di trovarlo se non
prima di molte ore, e dopo una ricerca minuziosa.
Un nascondiglio ideale certo
ma tu non ci hai pensato vero? Uno che non trova un modo migliore che rapire una
povera ragazza innocente per scrivere un articolo non è in grado di escogitare
una cosa del genere...
Conan lisciò con l’indice la
superficie di un foglio stropicciato; a parte tutto quello che poteva pensare
personalmente su Mori, l’ipotesi di trovare il nastro là era del tutto errata:
c’erano almeno due dita di polvere su quelle carte, segno che non erano state
smosse di recente. Solo sul bordo vicino ad una sedia sembravano pulite, ma a
controllare quel punto ci avrebbe messo cinque minuti. Rifletté tuttavia con
orrore sull’ipotesi di poter trovare qualche ‘ospite’ indesiderato se avesse
scavato troppo a fondo. Si diresse verso il bordo del tavolo, si mise in
ginocchio sulla sedia in modo da essere alto quasi come un adulto seduto e il
suo sguardo cadde sui fogli sottostanti, quando il suo cuore ebbe un tonfo;
rimase a bocca aperta e quasi gemette, mentre le pupille si dilatarono per lo
stupore. Sentiva il suo stesso battito cardiaco rimbombargli nella testa. Quello
che aveva visto era
Non può essere...
Fuori, il clacson di
un’automobile ruppe il fluire silenzioso dei suoi pensieri.
Note
dell'autrice: uhm... questo è stato un capitolo ESTREMAMENTE
difficile, sotto molti punti di vista; ho avuto un calo d'ispirazione
precipitoso, e in effetti avrete notato che il ritmo è piuttosto lento...
comunque, spero davvero che vi sia piaciuto, anche se, onestamente, non è un
capitolo che metterei fra "i più riusciti" purtroppo -_-" *sigh* ; _ ; (della
serie: critichiamoci da soli così possiamo dire a chi lo fa a sua volta: "Beh,
io te l'avevo detto!") Comunque, inettitudine a parte...(w i paroloni) c'è una
cosa che ci tengo a sottolineare: avete presente il punto in cui Yusaku spiega
al figlio come scassinare una porta? Beh, io non sono una scassinatrice, e non
avevo proprio idea di come si facesse. Ho pensato di chiederlo al papà di una
mia amica che fa il carabiniere, ma avevo un po' paura della sua reazione,
sinceramente.. .chissà poi che ti andava a pensare, quello lì...così ho cercato
un libro che ne parlasse e ho trovato la descrizione completa in "Misery", di
Stephen King. Chi lo ha letto, o lo leggerà in futuro, troverà sicuramente delle
analogie, come ad esempio il paragone con la sedia a dondolo.
Chiarito questo punto, voglio
ringraziare tutti quelli che hanno commentato il chap 8...mi ha fatto davvero
piacere, anche perché è uno dei miei preferiti in assoluto fra quelli che ho
scritto...*THANKS!!* :***
Allora,
Mokichan, non vedi l'ora che Ran e
Shinichi s'incontrino, eh? Beh, quel momento (se mai arriverà, non sottovalutare
la mia perfidia! : pppp) dovrà aspettare ancora un po', è ancora mattina e, se
ben ricordi, loro hanno appuntamento alle sei. Comunque, ripeto, non sono le
capacità di scienziata di Ai a doverti preoccupare, quanto il fatto che, ancora
una volta, la richiesta di Conan ha scatenato nel suo animo un conflitto
d'interessi. Non dico altro, leggi fra le righe e trai le tue conclusioni.
Grazie ancora per il commento! Sei stata dolcissima, spero di risentirti. ^^ Un
bacione anche a te.
Elly-chan, addirittura tre recensioni in tutto! Non sai quanto mi
hanno fatto piacere, sei un angelo! ^///^ La fiducia che riponi in me mi ha
commossa...a meno che io non abbia frainteso...senti, ma quando hai detto 'non
ho dubbi' intendevi sul fatto che non sarebbero stati all'altezza o il
contrario?! O __ ò ...............beh, comunque, grazissime per tutto, è
ufficiale, io ti adoro!! ( oggi Mel è in vena di fare la ruffiana...e
considerando che parla di se stessa in terza persona, è probabile che al mare
abbia preso un'insolazione...) Scherzi a parte, ti sono davvero riconoscente, mi
aiuta molto sapere che ci sono lettrici come te! E scrittrici, ho saputo da Wil...
a proposito, perché non metti le tue fic qui? Ti prometto che se le posti sarò
la prima a commentarle!!(ti ho già scritto qualcosa di là, a dire il vero..) Se
hai problemi a metterle, puoi contattarmi...anch'io non ci riuscivo all'inizio,
infatti ho iniziato a scrivere questa storia in autunno e l'ho pubblicata solo
sui primi di giugno, mi sembra...e io sono un'imbranata totale, - _ -" perciò,
se ci sono riuscita io, CHIUNQUE può farcela! Capito!? Non farti problemi a
chiedermi quello che vuoi (nei limiti del ragionevole, naturalmente ^^"). Ci
sentiamo, un bacio.
Ti ringrazio del complimento,
Mareviola, sei davvero gentile; sono
contenta che la mia fic ti piaccia. Quest'altro capitolo come ti sembra? Carino?
Passabile? Fammi sapere!
Infine, un grazie a
Irma per le e-mail che mi manda. Lo
apprezzo molto molto molto molto. Mi piace l'idea di poter contare sul tuo
sostegno. Thank you girl!
Beh, direi che ho parlato fin
troppo. Ancora un po' e le risposte ai commenti saranno più lunghe del capitolo.
A presto con il cap.10!!
Bye
-Melany
|
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Capitolo 10 *** Clues, Deductions, Suspicions ***
10. Clues, Deductions, Suspicions
Ran Mouri era seduta per terra,
le piante dei piedi poggiate sul pavimento, il viso nascosto fra le braccia
incrociate sulle ginocchia unite, la schiena contro la porta della camera chiusa
a chiave. I lunghi capelli scuri le ricadevano disordinatamente sulle spalle
simili ad una cascata di caffè, coprendo buona parte degli avambracci e del suo
candido profilo. Singhiozzava sommessamente, il suo cuore era straziato da
tormenti diversi, quasi in conflitto fra loro. Era arrabbiata, triste, in preda
ai rimorsi ma anche una vittima, in effetti; tutte le cose che le stavano
intorno e che le erano sembrate così belle al suo risveglio ora erano cupe e
smorte. Ma perché proprio non riusciva ad essere felice? Perché doveva sempre
piangere, soffrire, per quale motivo? Il suo petto venne scosso da un singhiozzo
violento e improvviso, scosse lentamente la testa sentendo i battiti del suo
cuore accelerare. Si sentiva davvero male, una brutta sensazione interna, come
se il suo corpo non riuscisse più a tollerare la presenza del suo spirito...
Shinichi
Quel pensiero...l’immagine del
suo amico d’infanzia si fece largo nella sua mente, vide il suo sguardo
determinato, il sorriso che per anni l’aveva rincuorata, e per un attimo smise
di singhiozzare, anche se le lacrime scendevano involontarie a rigarle le guance
arrossate.
Shinichi...lui era sempre
con me anche quando succedeva da piccola...
Sorrise nostalgica,
asciugandosi le lacrime con le dita. Il suo sguardo si posò sulla grande
finestra della sua stanza, dove un piccolo merlo saltellava allegramente sul suo
davanzale: era davvero carino, con gli occhietti neri e vispi che si guardavano
prudentemente intorno e quelle zampette gracili. Ran rimase a guardarlo per un
po’, chinando il capo di lato e posando l’orecchio sulle braccia invece del suo
viso, riprendendo pian piano il suo respiro regolare.
Si quand’ero piccola e papà
e mamma litigavano urlavano si dicevano un sacco di cattiverie pensando che io
non sentissi o non capissi ma io sentivo e capivo e soffrivo e non gli ho mai
detto niente tutte quelle sere passate cercando di addormentarmi con la testa
sotto il cuscino per non sentirli mentre si insultavano e le lacrime e fingere
davanti a loro e fingere davanti ai compagni di classe dicendo a tutti quanto i
miei genitori si volessero bene non sopportando che non fosse la verità perché a
sei anni non puoi pensare che non tutte le coppie vadano d’accordo perché a sei
anni una delle poche cose che hai imparato e in cui credi è che una volta
sposati si vive felici e contenti per sempre a sei anni hai il diritto di
credere in questo e non è giusto tornare a casa e vedere che per l’ennesima
volta i tuoi genitori evitano di guardarsi negli occhi e dormono in camere
separate...
I suoi occhi blu cielo
cominciarono di nuovo a luccicare. I suoi genitori si erano separati quando era
piccola, e ricordava ancora tutto quello che aveva provato, quanto ci era stata
male...e anche chi l’aveva aiutata.
Shinichi...non avevo detto
niente a nessuno mi ero sempre tenuta tutto dentro perché mi vergognavo troppo e
non volevo ammetterlo eppure lui è riuscito a capirmi come sempre ha capito
tutto e quel giorno a scuola senza che gli dicessi niente mi è venuto vicino e
mi ha sorriso...
Sì, aveva sfoggiato un sorriso
ingenuo, da bambino, che però già infondeva sicurezza e serenità. Il piccolo
Shinichi aveva estratto dalla tasca dei calzoncini un pupazzetto a forma di orso
e aveva detto con voce squillante: "Ecco, Ran, adesso non hai niente di cui
preoccuparti. Qualsiasi cosa succeda, lui sarà sempre con te, e io anche. Così
saremo in tre. Se stiamo insieme, nessuno di noi resterà mai solo, ma avrà
l’altro. Ogni volta che ti senti abbandonata stai con me, e se io non ci sono
stai con Teddy. Nessuno di noi due ti lascerà mai, perciò smettila di essere
triste!" Le aveva infilato l’orsetto fra le mani guardandola negli occhi, finché
lei non aveva ricambiato il sorriso annuendo con decisione. E adesso, la stessa
Ran, ma di undici anni più grande, sorrise di rimando a quel ricordo. Come
sempre era stato lui a rincuorarla, a capire ciò che provava senza che ci fosse
bisogno che lei glielo rivelasse. Shinichi aveva mantenuto la parola e gli era
stato vicino, tenendole la mano mentre Eri confidava abbattuta a Yukiko di voler
mollare ogni cosa una volta per tutte, consolandola la sera dopo che suo padre
le aveva comunicato la brutta notizia. Di nuovo si ritrovò a pensare a quanto
fosse stata sciocca a voler buttare all’aria tutto senza nemmeno dargli un’altra
occasione, anche considerando che lui aveva fatto tantissime cose per lei, ma al
contrario lei non aveva fatto quasi nulla per lui. Conosceva il carattere del
suo amico d’infanzia, sapeva che se anche avesse avuto un problema grandissimo,
qualcosa che lo faceva veramente soffrire, non gliel’avrebbe mai confidato, per
non farla star male per lui. Infatti in tantissimi anni che erano amici non
ricordava di averlo mai visto piangere, o anche solo triste. Le venivano in
mente mille situazioni in cui Shinichi l’aveva consolata, ma neppure una in cui
i ruoli fossero stati all’inverso...
E se anche stavolta fosse
così? Se Shinichi non è lontano per risolvere un caso complicato ma perché è in
qualche brutto guaio? Qualcosa di cui non mi vuole parlare ma che lo fa stare
male?
La sua fronte si corrugò: non
era un’ipotesi così assurda. Dando sempre la caccia ai criminali, era logico che
prima o poi si imbattesse in qualcosa più grande di lui. Cominciò a riflettere
preoccupata, gli occhi bassi fissi sul pavimento: tutto era cominciato quel
pomeriggio al Tropical Land...erano andati su qualche attrazione, poi c’era
stato quell’omicidio sull’otto volante e lui l’aveva risolto brillantemente. Era
davvero improbabile che fosse quella la causa dei suoi guai, la colpevole era
una ragazzina col cuore infranto, non costituiva alcun pericolo, e poi era
ancora in prigione. Dopo la soluzione del caso stavano tornando a casa, ma lui
si era allontanato...tutto qui. O forse no...c’era qualcos’altro, qualcosa che
non riusciva a focalizzare, qualcosa che aveva attirato l’attenzione di
Shinichi...qualcosa...o qualcuno....
Ma certo! Due uomini! Uno
basso e tarchiato e l’altro alto, con lunghi capelli biondi...erano entrambi
vestiti di nero...
Sobbalzò: ricordò gli occhi
spietati del più alto, uno sguardo di ghiaccio e carico d’odio verso il mondo:
lo sguardo di chi è abituato a uccidere. Improvvisamente ebbe paura, tanto che
gli venne la pelle d’oca mentre un brivido gelido le percorreva la schiena e si
esauriva in un sussulto. Di nuovo aveva l’impressione che il suo cuore
insistesse per saltar fuori dal petto. E se Shinichi si fosse messo nei guai con
quelli? Se avesse ficcato il naso nei loro affari e ora fosse costretto a
nascondersi da loro per non essere ucciso?
Nascondersi?
Scosse la testa. Era
improbabile che si stesse nascondendo, visto che solo pochi mesi prima era
apparso tronfio davanti ad una folla numerosa di studenti e adulti, alla sua
recita. Dubitava che potesse essere così stupido da farsi vedere da tutta quella
gente con uomini del genere alle calcagna...sarebbe stato imprudente, illogico,
qualcosa che la mente razionale e calcolatrice di Shinichi Kudo non avrebbe mai
potuto concepire. Sicuramente stava divagando, rise di se stessa immaginandosi
la faccia che avrebbe fatto il suo amico d’infanzia se gli avesse raccontato i
suoi sospetti. Probabilmente l’avrebbe derisa dicendo che come detective non
valeva un fico secco... anche se, a dire il vero, tutta quella faccenda le
lasciava addosso una strana sensazione: Shinichi non si faceva vedere da mesi.
Poi era ricomparso tutt’a un tratto, giusto in tempo per disilluderla dalla
convinzione che lui e Conan fossero la stessa persona. Infine era sparito di
nuovo, all’improvviso com’era arrivato.
E Conan kun...
Sì, Conan...ecco un altro punto
in questione. La somiglianza fra lui e Shinichi era...terrificante. Ogni
volta che ci pensava quasi rabbrividiva. Conan era un bambino normale, per certi
versi: andava alle elementari, aveva il suo gruppo di amichetti con cui usciva
nei week-end per andare al parco giochi, durante i pasti si sbrodolava
puntualmente e lei era costretta a togliergli i chicchi di riso bianco dalla
faccia...un normale, regolare, stereotipato bambino di sette anni. Nulla da
eccepire.
A parte forse quel suo
interesse quasi maniacale per il lavoro di suo padre: per quanto Kogoro lo
sgridasse o picchiasse Conan continuava imperterrito a mettere il naso nei casi
che gli si presentavano. E questo poteva essere contestabile ad un vero bambino
delle elementari...tuttavia, sembrava che attualmente il giallo fosse di moda
fra i ragazzini: Conan e i suoi amici avevano formato un gruppo di giovani
detective, tutti insieme, ed era improbabile che Ayumi, Genta e Mitsuhiko
fossero altri tre adulti rimpiccioliti.
Rimpiccioliti...è a questo
che mi sono ridotta? A pensare che qualcuno possa regredire invece di crescere?
Sono diventata matta?
Eppure...quando qualche volta
aveva lanciato a Conan un’occhiata in tralice senza che lui se ne accorgesse,
aveva colto un’espressione che mai avrebbe potuto vedere sul viso di Ayumi o di
qualsiasi altro bambino, giovane detective o no. Era...seria, fin troppo,
corrucciata ma allo stesso tempo fredda e indifferente, come se fosse
concentrato su qualcosa di davvero importante, profondo, vitale...e
allora in quei momenti la figura che si trovava davanti non era più quella del
piccolo Conan kun con i chicchi di riso sul mento...era una figura altera e
imperscrutabile, avvolta da un alone di mistero...una figura capace di metterla
a disagio. Tutte le volte che succedeva lei restava lì a fissarlo incredula,
finché il bambino accorgendosene si voltava verso di lei, sfoggiando un sorriso
sereno e innocente, liberando gli occhi da quell’ombra scura e chiamandola con
l’appellativo dolce e affettuoso di *Ran neechan* con la sua vocetta acuta e
calda, donandole tepore e calma, facendole dimenticare tutti i suoi pensieri e
costringendola a ricambiare il sorriso con tenerezza. Conan tornava ad essere
Conan kun e la questione era chiusa. Chi mai avrebbe potuto sospettare oltre di
quel tesorino? D’altra parte...
Conan allo stabile mi ha
mentito di questo sono sicura non so perché ma è così e adesso è sparito e non
ho più potuto chiederglielo però l’ha fatto e stavolta non posso davvero
tapparmi gli occhi devo andare a fondo della questione una volta per tutte
Il merlo volò via dal davanzale
della finestra con un fragoroso sbatter d’ali e qualche penna in meno. Ran lo
guardò allontanarsi finché non divenne una sagoma nera inghiottita dal celeste
dell’orizzonte, sbadigliando. Dopo tutto quel pensare, erano solo due i punti
che aveva ben chiari in testa: uno, Conan stava nascondendo qualcosa. Due,
Shinichi si stava nascondendo da qualcuno.
Forse di quest’ultimo punto non
era molto sicura, sperava di essersi sbagliata, ma aveva provato una
brutta sensazione a quel pensiero, davvero brutta. E lo stesso Shinichi non
sosteneva forse che il ragionamento era importante, ma a volte bisognava dare
retta anche all’istinto? Comunque, con quest’ultimo avrebbe parlato quella sera.
Con Conan, avrebbe dovuto parlare prima, magari sarebbe stato meglio che dopo
facesse una capatina a casa del dottor Agasa.
Stava ancora riflettendo su
questo quando udì una bussata indecisa e timida alla porta. I suoi pensieri si
erano spostati tanto su Shinichi che quasi si era dimenticata della difficile
situazione che si era creata attorno a lei. "Chi è?" Chiese rivolgendosi alle
sue spalle.
"S...Sono io, Ran chan...posso
entrare? Ho bisogno...di dirti...una cosa..." Ran riconobbe nella voce esitante
dietro la porta lo strano accento del Kansai. Le tornò in un solo istante la
rabbia verso Kazuha, anche se sembrava leggermente più affievolita, una cosa
ormai appartenente al passato... "Che devi dirmi?" sbottò, sentendosi subito in
colpa per essere stata tanto brusca. Ci fu un attimo di silenzio e seppure
attraverso la porta, Ran percepì il disagio della ragazza: "Ehm...ecco...io...volevo
chiederti scusa." Un sospiro attutito da legno "Ho...combinato un casino." Ran
si alzò lentamente, le ossa delle gambe che scricchiolarono con i muscoli
indolenziti; Kazuha si era resa conto di quello che aveva fatto ed era venuta a
scusarsi...sembrò quasi che il suo cuore si stesse svuotando della collera che
fino ad ora l’aveva riempito, tornando ad essere leggero. Non aveva senso
continuare a tenerle il broncio, in fondo era una delle sue migliori amiche, era
stata lei a convincerla a non buttare tutto all’aria con Shinichi, le doveva
qualcosa di davvero grande. Ran aprì la bocca per dirle che andava tutto bene,
che non faceva niente e che ora avrebbe aperto la porta, ma Kazuha la
precedette: "Scusami, scusami tanto, Ran chan...è che quella storia con Heiji...so
che a te non interessa, che ti piace Kudo, ma io non ho saputo resistere. Mi
dispiace, mi sono lasciata prendere dalla gelosia senza motivo, ti ho messo nei
guai con tuo padre...non volevo, ma ero arrabbiata e..." La porta della camera
si aprì con un lamentoso cigolio; Ran guardò negli occhi verdi la ragazza del
Kansai, sorridendo: "È tutto a posto, Kazuha chan" disse dolcemente: "Non fa
niente, so che non volevi...e forse anch’io avrei reagito in quel modo se tu
avessi passato del tempo sola con Shinichi."
"Ma...ma io...tuo padre..."
balbettò incerta Kazuha, il cuore colmo di sensi di colpa: non avrebbe mai
immaginato che Kogoro Mouri potesse reagire in quel modo brusco, le sembrava un
uomo così mite, indifferente a certe cose...e non l’aveva mai sentito dare
ordini alla figlia. Prima era infuriata con Ran, certo, ma sentendo la reazione
del padre si era subito sentita male per quello che aveva causato, e per tutto
quel tempo non aveva fatto altro che provare a mente le scuse da presentarle,
stando immobile davanti alla porta per almeno dieci minuti prima di decidersi a
bussare. Adesso, continuava a fissare a disagio le ginocchia di Ran evitando
accuratamente il suo sguardo. Quest’ultima le posò delicatamente una mano sulla
spalla: "Oh, non preoccuparti per papà; l’avrebbe scoperto comunque, in un modo
o nell’altro, e..." Kazuha alzò la testa: "Se vuoi ci parlo io! So essere molto
convincente, non sai quante volte sono riuscita a farmi dare il permesso da mio
padre anche se lui all’inizio era contrario!" Ran scosse la testa, sempre
sorridendo rassicurante: "Ci penso io, Kazuha chan. Solo, vorrei parlargli da
sola...potresti..?" Senza che ci fosse bisogno che terminasse la frase, la
ragazza del Kansai annuì e si diresse verso l’ingresso: "Vorrà dire che andrò a
vedere qualche negozio qui intorno, magari, se sono fortunata, incrocio Heiji
che torna a casa!" La salutò con un cenno della mano; Ran stette ad aspettare
finché non sentì la porta d’ingresso chiudersi, poi si posò una mano sul petto e
cominciò a fare dei lunghi e profondi respiri. Ora veniva la parte più
difficile, perché era lei che doveva fare le sue scuse a qualcun altro; suo
padre le aveva proibito di uscire con Shinichi, e questo continuava a sembrarle
ingiusto, tuttavia niente poteva giustificare le cattiverie che gli aveva
riversato contro. In fondo capiva che l’aveva fatto con buone intenzioni, perché
era protettivo nei suoi confronti, e non per uno schiribizzo del momento. Non
poteva più permettersi di odiare un genitore perché le proibiva qualcosa, non
era più una bambina!
Una bambina...La mia
bambina....
Sussultò, quelle ultime parole
erano apparse nella sua mente senza che potesse fermarle, ripetute con una voce
maschile, che non le apparteneva. Quello che era successo undici anni prima, la
separazione dei suoi genitori...non era stato solo Shinichi a darle conforto, ma
anche...
Anche papà sì mi ricordo era
venuto a prendermi a scuola ed era così triste però mi ha sorriso e mi ha
portato a prendere il gelato e poi dopo mi ha abbracciato e mi ha detto che mi
voleva bene e che sarebbe stato sempre così e che non gli importava se avessi
scelto di stare con la mamma perché lui sarebbe sempre stato il mio papà e per
me e la mia felicità avrebbe fatto qualsiasi cosa che ero la sua bambina e
qualsiasi cosa accadesse si sarebbe preso cura di me per sempre...
Sentì che gli occhi le si
riempivano di lacrime...come aveva potuto essere così fredda e spietata nei
confronti di suo padre? Sì, aveva dei difetti, forse non avrebbe mai vinto il
premio per il genitore più responsabile del mondo, aveva i suoi vizi e tutto il
resto...ma nonostante tutto le voleva davvero bene, e lei l’aveva ferito solo
perché per una volta nella sua vita si era permesso di darle un ordine. Cominciò
a correre verso lo studio, dove trovò Kogoro appollaiato sulla sedia, in mano il
quotidiano della sera prima (probabilmente lo stesso che aveva comprato Heiji) e
un’espressione abbattuta sulla faccia. Si fermò a pochi centimetri da lui e
rimase a guardarlo, schiudendo le labbra per parlare ma non riuscendo a
proferire nessuna parola, a disagio come non lo era mai stata in vita sua
davanti a suo padre. Lui alzò lo sguardo, si accorse di lei e tentò di
mascherare il suo stato d’animo sussurrando in modo distaccato: "Cosa vuoi?" con
il tono più freddo che gli riusciva. Ran continuò a boccheggiare senza riuscire
a rispondere, adesso che la stava guardando le sembrava ancora più complicato
parlare, intanto le lacrime che erano affiorate sotto i suoi occhi cominciavano
ad appannarle la vista. "Papà io volevo..." una lacrima le rigò il viso, suo
padre la guardò per un attimo, l’espressione severa vacillò di nuovo ma stavolta
nascose il volto dietro il quotidiano ed evitò che Ran se ne accorgesse. "Io..."
"È inutile che vieni qui a
piangere...non esci." La interruppe, la sua voce fredda tradiva incertezza e
malinconia. Ran alzò gli occhi luccicanti di lacrime: "Papà, vuoi un po’ di
gelato?" Kogoro riemerse da dietro il giornale con un’espressione incredula,
dimenticandosi di sembrare severo: "Come hai detto?" Guardava fisso negli occhi
la figlia, e anche se ancora piangeva silenziosamente, lei riuscì a fargli un
sorriso, dolce e carico di tepore come una giornata di mezza estate: "È stato
così l’ultima volta che tu mi hai dovuto dire una cosa difficile. Adesso che
tocca a me, volevo fare lo stesso..." Kogoro restò a guardarla per un po’, in
silenzio, poi si nascose di nuovo dietro il giornale. Ran non avrebbe potuto
giurarlo, ma le sembrava di aver visto gli occhi del padre luccicare allo stesso
modo dei suoi. Poi lui parlò, e la sua falsa freddezza divenne evidente per
chiunque: "Un gelato. No, non va bene. Io sono un ubriacone, l’hai detto tu...un
bicchiere di Whisky, forse..." era risentito, e ferito. Ran percepì
chiaramente questi due sentimenti e di nuovo si sentì in colpa. "Papà, io...non
volevo dire quelle cose, giuro, ero arrabbiata..."
"Ma è la verità, no? Perché ti
scusi allora? Finalmente hai trovato il coraggio per dirmi quel che pensi
veramente di me, e ti scusi?" stavolta Ran scoppiò in singhiozzi, si coprì il
viso con le mani: "No, non dire così...non è così..." cercò di dire, ma fra le
lacrime uscirono solo balbettii confusi, Kogoro riprese: "Se la pensi così, Ran,
forse è meglio che vai a vivere da tua madre...so che non avrebbe nulla in
contrario, e a questo punto, neanch’io." Concluse, posò il giornale, si alzò e
superò la figlia singhiozzante senza una parola. I suoi occhi guizzarono per un
attimo verso di lei, solo un momento fugace, ma per il resto evitò di guardarla.
Si infilò la giacca e si avviò verso l’uscita, ma ad un tratto sentì che
qualcuno gli si aggrappava alla schiena, piangente. Ran posò il viso fra le
scapole del padre, continuando a singhiozzare disperata, lui rimase immobile, le
braccia lungo i fianchi, la testa china. "No papà! Non dire così ti prego...io
voglio bene alla mamma, ma voglio vivere con te! Perché non importa se hai dei
difetti, o come passi le tue giornate, nei momenti più brutti riesci ad essere
un padre formidabile, il migliore!" Kogoro si voltò verso di lei, Ran lo guardò
con gli occhi lucidi di lacrime e continuò: "Quel giorno, avrebbe potuto
crollarmi il mondo addosso da un momento all’altro, ma tu sei riuscito a farmi
sentire meglio, a dirmi l’inevitabile senza ferirmi. E in fondo conta quello che
sei e non quello che fai, sei d’accordo?" Di nuovo riuscì a sorridergli,
l’espressione severa si sciolse definitivamente e anche gli occhi di suo padre
ora luccicavano: "Figliuola..." disse in un sussurro e l’abbracciò stretta, Ran
smise di piangere pian piano lasciandosi confortare dal tepore del suo
abbraccio, che le dava un senso di protezione e sicurezza. Rimasero stretti per
un po’, lei con gli occhi chiusi e lui che le accarezzava dolcemente la testa in
modo paterno, proprio come in quel tiepido pomeriggio d’Aprile di undici anni
prima.
Conan Edogawa si voltò di
scatto verso la finestra, allarmato dallo strepitare improvviso di un clacson;
restò immobile per qualche minuto, il piccolo torace che si alzava e si
abbassava velocemente, ascoltando i rumori del traffico e fissando il vuoto
davanti a sé, riflettendo su quello che aveva appena trovato e soprattutto su
cosa poteva significare. Riabbassò lo sguardo, infastidito da uno squarcio
luminoso che adesso vedeva dovunque guardasse, a causa del contrasto fra la luce
della finestra e la semi oscurità della stanza: quello che aveva attirato la sua
attenzione era una cartelletta di cartone, di un giallo sporco, da cui
fuoriuscivano fogli scritti fittamente, ritagli di giornale e fotografie. Sul
davanti della cartella Mori aveva attaccato una targhetta con su scritto, in
inchiostro nero, il suo vero nome: Kudo Shinichi. Probabilmente si
trattava di tutte le informazioni che aveva raccolto su di lui e, data la
consistenza, doveva essere da molto tempo che era sulle sue tracce. Aprì la
cartelletta, il primo documento che trovò era un ritaglio di giornale, una prima
pagina su cui spiccava una sua fotografia, in cui sorrideva orgoglioso e un po’
ammiccante; riguardava un caso di cui si ricordava molto bene, l’omicidio che
aveva risolto al Tropical Land, l’ultima vittoria prima della catastrofe. Sentì
una dolorosa stretta al cuore e una strana sensazione alla bocca dello stomaco,
ricordando quel giorno, l’appuntamento con Ran, la serenità e il benessere che
aveva provato ignaro che di lì a poco la sua vita sarebbe stata segnata per
sempre. Scosse la testa: l’ultima cosa da fare adesso era crogiolarsi nel
rimpianto. Sopra la sua foto in bianco e nero lesse il titolo a caratteri
cubitali: "Lo studente detective colpisce ancora. Un altro criminale
arrestato grazie al geniale Kudo Shinichi." L’articolo conteneva un
riassunto abbastanza dettagliato del caso e della sua risoluzione, con numerosi
riferimenti alla giovane età del detective e un commento dell’autore, secondo
cui si trovava al Luna Park con quella che era certamente una delle sue
ammiratrici. Conan ridacchiò, pensando divertito a quello che avrebbe fatto Ran
se avesse letto quell’articolo: probabilmente avrebbe rintracciato il
giornalista in questione e gliel’avrebbe fatto ingoiare. Voltò pagina con ancora
stampato un sorrisetto: stavolta era il ritaglio di una rivista femminile, di
quelle che si trovano nelle sale d’aspetto dei parrucchieri; invece della foto
c’era la sagoma nera del suo profilo, una cosa alla Hitchcock, con un punto
interrogativo gigantesco. Il titolo: "Missing! Kudo Shinichi scomparso.
Centinaia di studentesse in crisi." L’articolo aveva decisamente un tono
melodrammatico, l’autrice pensava con sconforto alle ragazze insoddisfatte della
sua sostituzione con Kogoro Mouri, di altrettanta intelligenza ma non bellezza,
(Conan rise di nuovo, stavolta abbastanza sguaiatamente, lanciando uno sguardo
orgoglioso alla foto della pagina precedente) e incitava lo studente detective a
farsi vivo, per non far soffrire ulteriormente le sue fan. Conan si asciugò una
lacrima con il dito indice, tutto rosso in faccia e guardò la pagina accanto:
era sempre un articolo sulla sua scomparsa, tuttavia con tinte piuttosto forti:
il giornalista, che scoprì essere lo stesso Mori, ipotizzava la sua implicazione
in un caso pericoloso e numerose volte comunicava la sua convinzione che fosse
rimasto ucciso. Pronosticava addirittura che di lì a poco si sarebbe trovato il
suo cadavere nascosto da qualche parte, probabilmente sepolto per nascondere le
tracce. Il sorriso di Conan scomparve lasciando spazio ad un’espressione
irritata quando lesse le ultime righe, in cui Mori affermava che c’era da
aspettarselo, in fondo Kudo non era altro che un ragazzino inesperto che credeva
di essere un detective, un bamboccio viziato che a forza di ficcare il naso
nelle faccende della polizia era incappato in qualcosa più grande di lui. Con
una smorfia di disappunto e uno sbuffo Conan voltò pagina e trovò l’ennesimo
articolo di giornale, sempre scritto da Mori, ma che stranamente non riguardava
né lui né la sua scomparsa: conteneva una sintesi di un caso di omicidio
avvenuto in una baita di montagna, la vittima era un maestro di musica ucciso da
una collega. Conan sapeva di che si trattava: quella volta, impossibilitato ad
usare Kogoro o Sonoko per risolvere il caso, aveva chiamato Ran con il cellulare
a forma di orecchino e l’aveva convinta a spiegare come si erano svolti i fatti
mentre glieli suggeriva. Infatti il titolo era: "Studentessa risolve un
caso di omicidio. La figlia del famoso detective Kogoro Mouri sembra essere
all’altezza del padre. Fortunatamente per lui Mori non aveva detto nulla
di offensivo nei confronti di Ran nell’articolo, tuttavia, scritto a penna in
fondo, Conan trovò quest’appunto: Chiamato Kudo per avere suggerimenti, può
essere?
Il piccolo detective aggrottò
la fronte e assunse un’aria meditabonda: ma se Mori credeva che fosse morto,
perché adesso ipotizzava che avesse parlato con Ran? Cosa poteva avergli fatto
cambiare idea? Ripensò intensamente a quello che era accaduto alla baita...ammesso
che non sbagliasse, ad un tratto il discorso era caduto su di lui...sì, non si
sbagliava, Ran l’aveva nominato alla professoressa Yonehara, Mori era comparso
all’improvviso sostenendo la sua ipotesi che fosse morto, ma poi
Ran l’ha contraddetto gli ha
urlato che sono vivo io ho cercato di zittirla ma non ho fatto in tempo di certo
Mori ha recepito il messaggio e ha pensato che lei ne potesse sapere più di lui
dato che è una mia amica ma non essendo sicuro nell’articolo non ha scritto
nulla tuttavia se ho capito il tipo deve aver cominciato a seguire Ran
Capì subito che la sua
deduzione era esatta infatti, alla pagina dopo, invece del solito ritaglio trovò
una fotografia che lo fece sussultare: ritraeva lui, Ran e Kogoro, in un
pomeriggio di poco tempo prima; Kogoro camminava un po’ curvo, le mani in tasca
e lo sguardo annoiato, con una sigaretta in bocca, accesa da poco; Ran era
sorridente e bellissima come al solito, i lunghi capelli scompigliati da vento,
con una mano reggeva tre buste con su scritti i nomi di un negozio
d’abbigliamento, con l’altra stringeva delicatamente la mano del bambino che le
stava accanto, che sfoggiava lo stesso sguardo annoiato di Kogoro. Sorrise con
rassegnazione, ricordava bene quel giorno: Ran li aveva costretti a svegliarsi
prestissimo per accompagnarla ad una svendita di vestiti; naturalmente loro
avevano cercato in tutti i modo di sottrarvisi ma, quando Ran Mouri si mette in
testa che devi fare qualcosa per lei, stai pur certo che troverà il modo di
costringerti ad accontentarla, con le buone o con le cattive. Ricordava
vagamente la sua mano stretta a pugno che colpiva il muro lasciando delle crepe
nell’intonaco...
Notò che Mori aveva cerchiato
di rosso il viso di Ran...
Certo oh come ti ho capito
hai iniziato a sorvegliare Ran perché credevi che in qualche modo ti avrebbe
condotto a me d’altronde è la figlia di Kogoro male che vada avresti avuto
parecchi spunti per un articolo su di lui e così facendo sei arrivato ad uno
scoop che mai avresti immaginato perché lei ti ha condotto subito a me anche se
tu non te n’eri accorto e così mi hai mentito allo stabile mi hai nascosto il
fatto di esserti messo sulle tracce di Ran beh ti è convenuto visto che adesso
che lo so mi viene ancora di più la voglia di spaccarti quel brutto muso
Voltò pagina in un modo così
brusco che il foglio quasi si strappò :c’era un’altra fotografia, che
probabilmente il giornalista aveva trafugato dall’archivio del liceo superiore
Teitan, che ritraeva la sua classe del primo anno. In mezzo alla marea di
ragazzi e ragazze vestiti di azzurro sparpagliati sul prato due, uno accanto
all’altra, spiccavano particolarmente, cerchiati di rosso: una era sempre Ran,
lo sguardo limpido e un sorriso radioso che avrebbe fatto innamorare chiunque,
la gonna a pieghe che le sfiorava le cosce come una lieve carezza; l’altro era
lui stesso, nella sua forma adulta, che sorrideva beato alla macchina
fotografica senza atteggiarsi in alcun modo, un normale, anonimo adolescente di
sedici anni. Conan rimase per un po’ a fissare la fotografia, facendo scorrere
un dito sul profilo di Ran: Mori aveva notato il grande legame che c’era fra
loro due, aveva sfruttato la sua ingenuità, l’affetto che lei provava nei suoi
confronti, e l’aveva fatto cinicamente e spietatamente, senza il minimo
rimpianto, con un ghigno soddisfatto stampato sulla faccia. Mori aveva visto il
suo viso sconvolto dalla paura, i suoi occhi pieni di lacrime, eppure non aveva
avuto un attimo di esitazione, nemmeno il suo tremito disperato aveva scalfito
la dura corteccia del suo cuore. L’aveva legata a quella trave, consapevole di
quanto fosse pericoloso, noncurante del fatto che sarebbe anche potuta morire, e
aveva solo diciassette anni. L’aveva fatto, e probabilmente ancora adesso si
crogiolava nel ricordo della sua astuzia, del modo in cui era riuscito a
sfruttare i sentimenti di una ragazza solo per scrivere qualcosa di interessante
su un pezzo di carta. Probabilmente ancora adesso sorrideva soddisfatto
mostrando i denti simili a lapidi ingiallite...un ghigno di semplice perfidia.
Conan aggrottò la fronte, lo sguardo fisso su un punto imprecisato del tavolo
davanti a lui. Sapeva che uno dei requisiti essenziali per essere un bravo
detective era riuscire ad immedesimarsi nei criminali a cui si dava la caccia,
essere in grado di penetrare la loro mente in modo da riuscire quasi a prevedere
le loro mosse. Dovette ammettere che su questo frangente aveva ancora molto da
imparare, infatti, per quanto si sforzasse, non riusciva a capire cosa avesse
spinto Mori a diventare una persona così orribile. Conan non aveva mai creduto
che esistessero persone assolutamente buone e persone assolutamente
cattive per definizione. Il mondo non era una fiaba o un racconto scadente,
non era bianco e nero. Una persona non nasceva assassino, o ladro, o terrorista,
ci diventava.
Ma perché? Come può un uomo
farsi scudo con il corpo di una bambina pur di non essere preso dalla polizia?
Come può una persona entrare in metropolitana deciso a far fuori un mucchio di
gente con una bomba? Perché perché perché?
Gli psichiatri più geniali di
questo mondo potevano anche scrivere fiumi d’inchiostro, cercando di spiegare i
motivi di certe azioni: forse la persona in questione aveva subito
maltrattamenti e molestie da piccolo, forse viveva una difficile situazione e
non aveva trovato altro sfogo se non togliere la vita a qualcuno e rovinarla a
quelli che vogliono bene a quel qualcuno. Sì perché c’è anche da contare
l’effetto eco di certe azioni. Gli psichiatri possono anche parlare e parlare...ma
la verità è che nessuno ne sa nulla. Nessuno, forse nemmeno coloro che queste
azioni le compiono. Momentanea infermità mentale? Conan scosse la testa
chiudendo gli occhi: personalmente non aveva mai creduto a questa storia. Forse
meno della metà delle persone che la invocavano nei tribunali ci è davvero
passata, gli altri lo fanno per evitare pene troppo grandi. Si uccide
consapevolmente nella maggior parte dei casi ed è questa la cosa terribile.
Forse essi stessi un giorno della loro vita se ne renderanno conto. E allora
cercheranno di convincersi che la bugia sulla momentanea infermità mentale sia
la verità, cercheranno di discolparsi nascondendosi dietro questa scusa...cercheranno,
e forse qualcuno di loro ci riuscirà. Gli altri probabilmente moriranno. Non
nello stesso modo delle loro vittime, ma succederà. Saranno morti dentro.
Conan voltò pagina con un
sapore amaro in bocca, sempre una foto di gruppo, ma stavolta risalente alle
elementari. Lui se ne stava tutto sorridente in mezzo ad un gruppo di bambinetti
altrettanto sorridenti, mentre Ran era più lontana, seduta sull’erba, e Conan
notò con lieve sorpresa che portava i capelli corti. Se l’era quasi dimenticato,
abituato a vedere la lunga cascata di capelli scuri che le incorniciavano il
volto. In fondo era comprensibile, aveva cominciato a farseli crescere
dall’ultimo anno delle elementari e non li aveva più tagliati, a quanto ne
sapeva. Trovò che era molto carina già a sei anni, e che chiunque l’avesse
guardata bene avrebbe capito subito che crescendo sarebbe diventata una
bellissima ragazza. Sorrise, poi fece scorrere lo sguardo sui suoi ex compagni
di classe: ricordava i nomi di tutti, ad eccezione di una bambina con lunghe
treccine nere sulla destra. A quanto ricordava, aveva cambiato scuola dopo il
primo anno. Doveva essere qualcosa tipo Akie, o Akiko... Scosse di nuovo la
testa, scacciando quei pensieri e rimproverandosi mentalmente per essersi
distratto. Stavolta solo intorno alla sua testa Mori aveva tracciato un circolo,
tirando poi una freccia che aveva dipinto di rosso la faccia e una parte del
corpo di due suoi ex amici. Sotto, dove avrebbe dovuto esserci il prato verde,
il giornalista aveva incollato il ritaglio di una foto del suo aspetto attuale,
e probabilmente a quel punto aveva fatto due più due. Il collegamento non era
difficile: Shinichi Kudo scompare, Kogoro Mouri diventa un geniale
investigatore, mentre a casa sua si aggira un bambino assolutamente identico
a Kudo quando aveva la stessa età. Se si aggiunge il legame fra lo studente
detective e la figlia di Mouri, e i suggerimenti del piccolo Conan sul luogo del
delitto...l’addizione è semplice anche per un ebete. Probabilmente all’inizio
Mori aveva avuto delle esitazioni, magari aveva cominciato a chiedere in giro,
ad ospedali, cliniche, uffici dell’anagrafe se avevano mai sentito parlare di un
bambino di nome Conan Edogawa e non avendo risultati positivi aveva dovuto
ammettere alla fine che la questione era una sola: Shinichi Kudo aveva sfidato
ogni legge della natura ed era regredito invece di crescere. Conan chiuse con un
tonfo la cartelletta e scese dalla sedia, mentre sulle ginocchia si erano
formati degli strani cerchi rossi. Sbuffò scocciato pensando che non aveva
ancora trovato il nastro e che probabilmente avrebbe dovuto cercare e cercare
fino alla nausea, di nuovo ebbe un moto di avversione verso Hattori che si stava
godendo la parte migliore. Poteva evitare la fatica e concludere che se l’era
portata con sé, ma non aveva cercato proprio dappertutto e quindi non ne poteva
avere la certezza matematica. Socchiuse gli occhi e sbuffò di nuovo, come se
continuare a farlo potesse in qualche modo facilitargli il compito. Fece per
dirigersi in camera da letto per rovistare nei cassetti e al pensiero di dover
mettere le mani fra la sua biancheria represse un conato di vomito, poi ad un
tratto uno strano oggetto attirò la sua attenzione; si avvicinò con passo
strascicato e lo prese in mano: era una scatola di fiammiferi piuttosto grande,
nera lucida, di un locale non lontano da lì. Sopra c’era la pubblicità del bar e
l’indirizzo con numero di telefono. Il tavolo su cui l’aveva trovata non era
lontano dall’ingresso, quindi ipotizzò che Mori l’avesse buttata lì con
noncuranza appena rientrato. Era un locale notturno, quindi probabilmente ce
l’aveva lasciata una sera.
E proprio ieri sera sei
rientrato tardi e ho notato che avevi un’andatura piuttosto barcollante quindi è
successo ieri sera vero?
Sì, la sua ipotesi venne
confermata quando aprì la scatola: i fiammiferi erano tutti lì, e dato che Mori
era un fumatore accanito, era difficile credere che se fosse rimasta lì per
giorni e giorni non fosse capitata un’occasione in cui, non trovando l’accendino
o vedendo che era scarico, il giornalista ne avesse usato uno per accendersi una
sigaretta. Sulla scatola Conan vide un indirizzo, scritto con un rossetto di un
vermiglio piuttosto evidente, di un posto che conosceva molto bene. Sicuramente
Mori era uscito per dirigersi lì, probabilmente per incontrarsi con la donna che
aveva usato quel rossetto per scrivere l’indirizzo. Conan non sapeva perché, ma
guardando quelle parole scritte con un’elegante calligrafia un brivido gelido
gli percorreva la schiena. Chiuse la scatola e se la infilò in tasca. Adesso era
sicuro al 90% che Mori avesse portato via il nastro; ipotizzò che quella donna
fosse la redattrice di un qualche importante giornale e gli avesse chiesto di
sentire la cassetta prima di pubblicare l’articolo. Tuttavia, c’era qualcosa che
strideva in quell’ipotesi, qualcosa che lo metteva a disagio. Era strano che
Mori non avesse cercato di scoprire le cause della sua trasformazione, prima di
gridarla ai quattro venti...
Bah forse era solo ansioso
forse l’ho sopravvalutato forse è meno intelligente di quanto sembra forse si è
stufato di indagare e ha inventato di sana pianta una storia che giustificasse
la situazione i giornalisti spesso lo fanno
Tanti forse e poca sostanza,
non andava bene. Sherlock Holmes ne sarebbe stato disgustato. Decise di svolgere
una piccola indagine per scoprire chi fosse quella donna; non ci sarebbe voluto
molto, doveva solo andare in quel locale e chiedere al proprietario e al barista
se l’avevano notati. Aveva un brutto presentimento, gli sembrava vitale
scoprire l’aspetto di quella donna. Si diresse verso l’uscita, ma prima tirò
fuori il cellulare e compose un numero con l’indice destro.
Heiji Hattori sbadigliò,
calcandosi il berretto da baseball sulla fronte, un po’ per coprire gli occhi
infastiditi dal sole, un po’ per rendersi meno riconoscibile a chiunque avesse
posato distrattamente lo sguardo su di lui. L’uomo che stava pedinando si era
fermato almeno cinque volte da quando era uscito, senza combinare niente di
strano o sospetto, e lui era stufo di seguirlo a piedi per le vie affollate di
Tokyo. Era peggio che accompagnare Kazuha a fare shopping, dannazione! Se almeno
avesse preso una macchina lui avrebbe potuto saltare su un taxi, pronunciare
concitatamente la frase standard da film poliziesco "Insegua quella macchina!" e
far rilassare le sue estremità comodamente seduto sui sedili posteriori. Invece
no, passeggiava beato fermandosi ogni minuto a prendersi un caffè, a comprare un
pacchetto di sigarette...Heiji sbuffò: offrendosi di pedinare Mori credeva di
essersi aggiudicato la parte migliore del caso, ma si era sbagliato di grosso.
Il suo supponente migliore amico l’aveva raggirato alla grande, probabilmente a
quest’ora aveva già trovato il nastro ed era tornato felice e beato a dormire,
rifacendosi della levataccia di quella mattina. Tutto sommato, poteva cedere
alle sue proteste ed evitare di fare di tutto per convincerlo che il pedinamento
era compito suo, dato che il giornalista avrebbe avuto più difficoltà a
riconoscerlo e quindi ad accorgersi di lui. Infilò le mani in tasca e sentì il
bordo freddo del cellulare: come se non bastasse Kazuha l’aveva tartassato di
telefonate ansiose chiedendogli dov’era, quando sarebbe tornato a casa...Heiji
sorrise pensando che Kudo probabilmente era costretto a subire quegli
interrogatori e a rispondere ogni volta che telefonava a Ran con la sua voce
adulta. Doveva essere straziante per lui, essere costretto a mentire ogni giorno
alla persona a cui teneva di più al mondo, eppure non dava segni di cedimento,
non si buttava mai giù. L’ammirava molto per questo. Kudo non era solo grande
come detective; era grande anche come persona. Sentì il cellulare vibrare ed
emise un gemito sommesso di sconforto. Guardò Mori che camminava tranquillamente
davanti a lui e accostò il telefono al viso:
"Pronto?" disse scocciato, la
voce inghiottita dai rumori della folla non rischiava di essere udita dal
giornalista, che camminava ad una decina di passi di distanza.
"Heiji!! Insomma!! Ti decidi a
tornare all’agenzia del padre di Ran? Dove diavolo sei?!" Heiji sospirò: la voce
tanto familiare della sua amica d’infanzia era insistente e concitata. Perché
non smetteva una buona volta di assillarlo?
"Uffa Kazuha! Ti ho già detto
che non posso. Sto, ehm...facendo una commissione per mio padre. Me l’ha chiesto
ieri, quando ha saputo che venivo a Tokyo" rispose con voce monotona. Si sentiva
un po’ in colpa per averle mentito, senza contare che i loro genitori erano
amici e quindi c’erano buone probabilità che in un futuro prossimo scoprisse che
non c’era stata alcuna commissione. Rabbrividì: far arrabbiare Kazuha era molto,
molto, molto pericoloso.
"Ancora!? Ma se Ran mi ha detto
che sei uscito all’alba questa mattina! Quanto ti ci vuole?" domandò quasi
urlando. Heiji socchiuse gli occhi in un’espressione seccata, una parte della
sua mente continuava a pensare all’analogia con la situazione del suo migliore
amico; cavoli, se avesse dovuto anche lui sopportare le assillanti e fuori luogo
richieste di Kazuha per quasi un anno, probabilmente sarebbe arrivato ad
odiarla. "Allora?" ripeté insistente la ragazza. Heiji sorrise. No,
probabilmente non sarebbe mai successo.
"A proposito di Ran, perché
invece di chiamarmi ogni due minuti non passi del tempo con lei, è tua amica,
no? Ti pare bello ignorarla così per telefonare ad uno che vedi tutti i santi
giorni?" Domandò in tono di rimprovero, esultando mentalmente quando scoprì che
il suo tentativo di cambiare discorso era andato a buon fine.
"Oh, se è per questo è lei che
sta ignorando me." La sua voce tradì una punta quasi impercettibile di
risentimento.
"Che vuoi dire?" chiese,
davanti a lui Mori aveva gettato per terra un mozzicone di sigaretta ancora
fumante e non si era preso la briga di spegnerlo.
"Beh, c’è stato un po’ di...ehm...scompiglio
qui all’agenzia, in parte anche per colpa mia. Capisco che prima non volesse
parlarmi, poi però abbiamo fatto pace, insomma..." si gettò a capofitto nel
racconto di tutto quello che era accaduto. Heiji sbadigliò, tuttavia trovò
rilassante quella situazione: adesso non doveva fare altro che assentire ogni
tanto, lasciando la mente libera di concentrarsi su Mori. Aveva un’andatura
strascicata, non sembrava affatto in buona salute; più volte l’aveva sorpreso a
premersi la mano sulla bocca, come a voler reprimere un conato di vomito. I
capelli erano unti, incollati l’uno all’altro, e quando si era voltato di
profilo per attraversare la strada, Heiji aveva notato anche che era molto
pallido. Ogni tanto si passava una mano fra i capelli, sporcandoseli ancora di
più, strizzando gli occhi: quasi sicuramente doveva avere un’emicrania da
record. Postumi di una sbornia? Sì, decisamente.
"Così torno all’agenzia, la
trovo che posa una tazza di caffè sulla scrivania davanti a Mouri san, lui la
guarda e le sorride gentilmente, infine acconsente a farla uscire a patto che si
vesta in modo...beh, lui l’ha definito decente. Credendo che sia tutto a
posto le chiedo dove possiamo passare la mattinata, lei dice al Luna Park."
Heiji alzò gli occhi al cielo:
"Kazuha, taglia corto, più sto al telefono con te, più impiegherò a fare quella
commissione."
Uno sbuffo scocciato dall’altra
parte: "Okay, okay...beh, in parole povere ha detto che prima di andare al...mi
pare l’abbia chiamato Tropical Land, doveva passare a prendere il piccolo Conan
dal professore. Mi sono offerta di accompagnarla, ma lei ha rifiutato,
insistendo per andarci da sola, e ha aggiunto che potevo precederla la parco di
divertimenti insieme a Sonoko, una sua amica che sarà qui fra poco..." Heiji
trasalì: Ran era andata a prendere Conan dal professore, e aveva insistito per
andarci da sola. La cosa non gli piaceva per niente.
"Non ti ha detto per quale
motivo doveva andarlo a prendere senza di te?" Chiese, sperando di aver bene
nascosto l’ansia e di aver parlato in tono noncurante. Kazuha quasi gridò:
"No!! È per questo che sono
convinta che stia cercando di ignorarmi. Speravo che tu tornassi prima di questa
Sonoko perché mi sentirei assolutamente a disagio a rimanere da sola con lei.
L’ho vista sì e no una volta di sfuggita!" Si lamentò, stizzita, cercando un po’
di comprensione nel suo amico d’infanzia. Peccato che lui non stesse badando
affatto a quelle inezie da femminuccia, era concentrato su un altro punto.
Primo: cosa avrebbe pensato la ragazza di Kudo quando non avesse trovato il
bambino a casa del dottor Agasa; secondo, perché diavolo voleva vederlo da sola;
terzo: che cavolo poteva fare lui per migliorare la situazione.
"Ohi, Heiji, ci sei? Pronto?"
domandò esitante la ragazza al di là della cornetta. Lui sobbalzò.
"Oh, sì, devo andare Kazuha,
tornerò il prima possibile, ma smettila di chiamarmi, d’accordo? Divertiti con
questa Sonoko..."
"Come? Ma hai sentito quello
che ho det.." Heiji interruppe la chiamata e si infilò di nuovo il cellulare in
tasca. Il comportamento di Mouri era strano; eppure, dalla conversazione avuta
quella mattina, non sembrava che avesse dei sospetti sull’identità di Conan. A
meno che non fosse un’attrice perfetta, Heiji era quasi sicuro che non nutrisse
alcun dubbio sul fatto che il bambino con cui abitava era un normale studente
delle elementari. Certo, ne erano passate di ore da quell’insolita colazione, e
a quanto ne diceva Kazuha Ran aveva avuto molto tempo per riflettere con calma
sulla faccenda. Senza contare il commento che aveva fatto la sua amica
d’infanzia la sera prima, dopo che gli aveva riversato addosso mille lamentele
per essere sparito senza dire niente mentre tornavano a casa dal ristorante:
rivolta verso Ran, aveva sussurrato: "A quanto pare Ran chan, dovrai aspettare
un po’ per parlargli." Lì per lì non aveva dato peso alle sue parole, dato il
mal di testa che Kazuha gli aveva causato con la sua voce stridula e la leggera
stizza per il modo in cui l’aveva trattato Kudo. Adesso però capiva la gravità
di quelle parole, e aveva un brutto presentimento, davvero brutto. Mori si
sedette alla fermata dell’autobus, si infilò un’altra sigaretta in bocca e la
accese. Heiji pensò divertito che forse di lì a poco avrebbe potuto pronunciare
la famosa frase standard per i tassisti. D’un tratto, percepì di nuovo il
vibrare del cellulare, sbuffò con aria contrariata e strizzò gli occhi:
"Insomma basta! Mi hai proprio
rotto le scatole!! Non me ne frega niente dei tuoi stupidi problemi, ho di
meglio da fare che farti da balia tutta la vita!! Stai con quella Sonoko o con
chiunque altro ma smettila di assillarmi! Sono occupato!" Si aspettò che Kazuha
cominciasse ad urlare infuriata, ma con sua immensa sorpresa, non accadde. La
voce al di là della cornetta sembrava molto turbata:
"Oh, beh, io non credevo...sei
stato tu a...insomma, con quella storia del migliore amico eccetera...certo non
è per niente onesto piantarmi in asso così, a questo punto" aggiunse alla fine
con una punta di risentimento. Heiji sussultò sbiancando.
"Kudo? Ciao, ehm..." Non aveva
mai gridato contro Kudo in quel modo, doveva essere quello che aveva turbato
maggiormente il detective dell’est. Senza contare che si rese conto di quanto
equivoche fossero le sue parole...si rimproverò mentalmente di non aver letto il
nome sul display prima di rispondere, tuttavia non riuscì a non vedere il lato
comico della faccenda e ridacchiò, avendo la vaga impressione che attraverso la
cornetta Kudo gli lanciasse un’occhiataccia:
"Non prendertela, non mi
riferivo a te, ma a quella rompiscatole di Kazuha. Mi ha chiamato almeno un
milione di volte stamattina...giuro, non era rivolto a te, mi piace aiutarti"
concluse, udì uno dei caratteristici sbuffi lievemente ironici del detective
dell’est, poi gli domandò con la sua voce infantile e atona:
"Beh, equivoci a parte, come
sta andando il pedinamento?"
"Ti dirò, mi sto annoiando a
morte e non ce la faccio più a camminare. Meno male che finalmente Mori si è
deciso ad aspettare l’autobus. Fra l’altro, se continua a fumare in quel modo,
credo che morirà di cancro ai polmoni prima di riuscire a trovare le risposte
necessarie a scrivere il suo articolo." Sorrise diabolico, lanciando un’occhiata
all’uomo, seduto su una panchina di plastica arancione.
"E a te invece come è andata?"
chiese, appoggiando la schiena alla vetrina di un negozio di scarpe.
"Il nastro non è da nessuna
parte, in compenso però ho trovato una traccia." Disse con voce fredda e
profonda, un tono che un vero bambino non avrebbe mai potuto eguagliare. Heiji
sorrise e aggrottò la fronte in un’aria attenta e concentrata, pronto ad
ascoltare quello che Kudo aveva scoperto: "Dimmi tutto." Sussurrò, e gli sembrò
che dall’altro capo del telefono l’amico sorridesse;
"Hattori, sei all’incrocio con
via Beika, non è così?" chiese ironico, Heiji rimase interdetto per un secondo,
poi domandò a sua volta:
"Okay, come fai a saperlo?"
"Non è stato difficile. Ho
trovato una scatola di fiammiferi con su scritto un indirizzo, e ho immaginato
che fosse il luogo dove Mori si sta dirigendo. È un posto che conosco molto
bene, e contando che è passata quasi un’ora da quando ve ne siete andati, e che
l’unico autobus che ci va direttamente ha la fermata più vicina proprio a
quell’incrocio..."
"Va bene, va bene, ho
afferrato..." lo interruppe Heiji, alzando gli occhi al cielo.
"Hai capito anche perché
sta andando lì?" lanciò un’occhiata a Mori, che se ne stava seduto
scompostamente, un ghigno di impazienza sul volto pallido.
"Per quello ho formulato due
ipotesi" continuò la voce da bambino meno infantile del mondo
"Di certo deve incontrarsi con
una donna. L’indirizzo è scritto con il rossetto..."
"Oohh..." commentò Heiji
ironico, Conan lo ignorò.
"Può darsi che sia la
redattrice di un qualche giornale, a cui ha intenzione di proporre l’articolo...oppure...nel
peggiore dei casi..."
"Un membro
dell’Organizzazione?" chiese il detective dell’ovest, dando voce al timore
represso del suo interlocutore. Conan sospirò: "Esatto. Ho deciso di andare a
fondo della questione, perciò credo che farò una visitina al locale che
distribuisce queste scatole di fiammiferi, nel caso li abbiano notati."
Concluse, Heiji si aggiustò di nuovo il berretto da baseball:
"Ma, Kudo, se sai già dove sta
andando, non serve più che io lo segua, no?" Domandò scocciato, gli occhi
ridotti a fessure.
"No, immagino di no" rispose la
voce in tono noncurante. "Ma è meglio che lo tieni d’occhio lo stesso. Per
sicurezza...a meno che certo tu non voglia tornare di corsa dalla tua
fidanzata..." insinuò, Heiji arrossì, ma subito sussultò, ricordandosi di una
cosa:
"Non è la mia fidanzata...comunque
poco fa, quando mi ha chiamato, mi ha riferito che Ran sta venendo a prenderti
dal professor Agasa..."
"Che cosa?!?" La sua voce aveva
perso tutta la freddezza di poco prima.
"Sì, e pare che abbia insistito
per non farsi accompagnare da Kazuha. Credi che possa aver scoperto la tua
identità?" Domandò, Conan quasi lo aggredì: "No!..Beh, credo di no..." si fece
esitante, poi riuscì a riprendere il controllo di sé: "Beh, non importa, adesso
non posso certo mollare tutto e andare a casa del professore. Spero solo che sia
in grado di inventare una scusa plausibile per la mia assenza. È tutto nelle sue
mani. Tu intanto continua a seguire Mori, io vado al locale; in questo momento
mi sembra più urgente impedire al resto del mondo di scoprire la verità. Ci
risentiamo..." fece per attaccare, Heiji lo bloccò alzando un po’ la voce:
"Aspetta, non mi hai ancora detto dove sta andando Mori."
"Al Tropical Land."
Note
dell'Autrice: bene, ecco concluso un altro capitolo... lo so, il
ritmo è un po' lento, ma vi prometto che ci sarà un po' più di azione nei
prossimi capitoli; don't worry! ^^ Il piccolo grande detective dovrà superare
numerosi ostacoli da qui in poi, dopotutto è pur sempre il protagonista di un
anime/ manga poliziesco ^ _ ~ invece voi che ne pensate di questo chap?
Piaciuto? Datemi il vostro parere, mi fa davvero piacere ricevere recensioni,
anche se avete qualcosa da obiettare! Penso sinceramente che si possa sempre
migliorare, una volta che si capiscono i propri errori...beh, naturalmente non
posso negare di preferire i complimenti alle critiche (e chi potrebbe?) però...diciamo
che accetto entrambi. Comunque, ringrazio tutti i miei lettori e passo a
rispondere agli ultimi commenti che ho ricevuto:
mareviola:
sono contenta che il capitolo nove ti sia
piaciuto...io non ne ero molto soddisfatta, come avevo già detto in precedenza.
Come avrai visto, anche la prima parte del decimo è piuttosto riflessiva...(non
era per farti un dispetto, giuro! ^^") ma spero comunque di non averti annoiata.
Mi chiedi di Ai...(brava! bis! Se c'è una cosa che adoro è quando mi si fanno
domande su detective Conan...*smack*) allora, direi che come l'hai messa tu è un
po' semplificata...nel manga Ai è un personaggio enigmatico, con un carattere
pieno di sfaccettature: è quasi sempre fredda e distaccata, eppure alle volte si
scioglie, sfoggiando un senso dell'umorismo che potremmo definire 'diabolico'
^^"...ti faccio un esempio: nella sua prima apparizione, quando rivela a Conan
la sua identità, gli dice di aver ucciso il professor Agasa per impedirgli di
preparare i congegni che lo aiutano a risolvere i casi, e Conan scopre che si
stava prendendo gioco di lui solo dopo essere corso fino a casa dello scienziato
e averlo trovato vivo e vegeto! E non sarà l'unica volta...hai capito cosa
intendo con 'diabolico'? Comunque, tornando alla tua domanda, nel manga 'sembra'
che le piaccia Conan, da come si comporta con lui (dicendogli frasi tipo: "ho 18
anni, quindi sono giusta per te") ma non c'è niente di sicuro (infatti conclude
con uno "scherzavo") e quindi è difficile da stabilire con certezza...diciamo
che ognuno può interpretarlo come preferisce...nella mia fic, effettivamente, Ai
è attratta da lui e un po' in astio con Ran...ma non perché ne sia innamorata.
Uhm...è un po' difficile da spiegare adesso...ma ho intenzione di far trasparire
il mio punto di vista sulla questione in uno degli ultimi capitoli, quando la
situazione sarà meno 'incasinata'...così potrai sentire il mio parere dalla
mente della stessa Ai. Capisco che sarai un po' delusa, ma devi avere un pochino
di pazienza, okay? Se dopo quel capitolo avrai ancora qualche dubbio, basta che
tu me lo dica! Sono sempre disponibile a rispondere a questo genere di domande.
Per il resto, spero di aver reso bene l'idea di come Ai è nel manga e
nell'anime, ho fatto il possibile! Anche se lei è uno dei personaggi più
misteriosi di Gosho Aoyama, a mio parere. Grazie ancora per la recensione, mi ha
fatto piacere risentirti...un bacio.
Elly-chan:
meno male che il "non ho dubbi" era in quel senso...mi sarei sentita un po'
abbattuta, altrimenti! ^^" Di nuovo grazie per la tua recensione, una mia fan,
addirittura!! ^//^ Sei carinissima, ma così mi fai montare la testa! Mi spiace
che non riesci a mettere le tue fic qui, é __ è comunque sei pur sempre su un
sito, e l'importante è avere l'occasione di farle leggere!! ^ _~ ti è piaciuto
il capitolo 10? Fammi sapere!! Baci.
Ora qualche precisazione: avrete capito che i
riferimenti all'ultimo caso di Shinichi prima della trasformazione erano tratti
dal vol.1...quando Ran ricorda del momento in cui è apparso tronfio davanti a
migliaia di studenti invece è durante la sua recita, nel vol.26; il caso del
cottage in cui Ran ha risolto il caso sotto suggerimento di Shinichi era nel vol.15
giapponese, ma è stato pubblicato dalla Comic Art in Italia nel vol.22. (prima
di chiudere definitivamente le pubblicazioni, i loro volumetti erano decisamente
più bassi di quelli nipponici - _ -").
Dovrebbe essere tutto...
Bye
-Mel
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Capitolo 11 *** Two Different Investigations ***
11. Two Different Investigations
"Al pari di tutte le altre arti, la Scienza della Deduzione e dell’Analisi si può acquisire unicamente attraverso lunghi e pazienti studi.[...] Incontrando un suo simile il lettore impari con una sola occhiata, a dedurre la storia ed il commercio o la professione che svolge.[...] Dalla manica della sua giacca, dai suoi stivali, dalle ginocchia dei pantaloni, dalle callosità del pollice e dell’indice, dalla sua espressione, dai polsini della camicia, da ciascuna di queste cose traspare chiaramente il mestiere che quella persona svolge. E che, da tutte queste cose insieme, un investigatore competente non possa risalire a un quadro d’insieme, è pressoché inconcepibile".
Sherlock Holmes
(Arthur Conan Doyle)
Conan spinse la pesante porta scura e si ritrovò in un piccolo ambiente polveroso e immerso nell’ombra. Pochissima luce trapelava dai vetri smerigliati delle finestre, mentre davanti a lui decine di sedie e sgabelli erano capovolti rispettivamente sui tavoli e sul lungo bancone. Nell’aria viziata c’era un odore di alcool stantio. I rumori del traffico esterno erano piuttosto attenuati e nel locale deserto c’era un silenzio irreale, che venne interrotto dalla voce burbera di un uomo:
"Siamo chiusi! Torna stasera alle nove!" Conan si diresse verso il punto da cui proveniva la voce, facendo lo slalom fra i tavoli. Poco dopo vide un uomo alto, sulla quarantina, capelli brizzolati, con due baffi a spazzolino, che stava lucidando il bancone con uno straccio. La manica sporca era in netto contrasto con il costoso orologio che sfoggiava al polso. Si voltò verso Conan e sobbalzò, guardandolo con gli occhi spalancati; fu così che lui notò che aveva un’espressione stanca e due occhiaie scure: "Ma tu...vattene subito, non è questo il posto per un moccioso come te!" Gli gridò, riprendendosi dalla sorpresa di trovarsi davanti un bambino e scacciandolo con la mano, quasi fosse una mosca fastidiosa. Conan osservò il palmo della sua mano, dopodiché sorrise in modo innocente.
"Mi scusi signore, avrei bisogno di chiederle una cosa: lei è il proprietario di questo posto, vero? E lo gestisce servendo spesso anche i clienti...perciò era qui al bancone anche ieri sera, non è così?" domandò con la sua vocetta infantile. L’uomo lo fissò con gli occhi sbarrati: "E tu come fai a saperlo?" Il sorriso di Conan si allargò ancora di più. Se avesse avuto il suo corpo adulto, avrebbe risposto: "Non è stato difficile. Il locale è molto piccolo, quindi è probabile che sia gestito da poche persone. Lei sfoggia un orologio costosissimo, e questo mi fa pensare che i maggiori profitti vadano a lei, e che quindi sia il proprietario, tuttavia sta pulendo il bancone. Non è la prima volta che lo fa: le sue mani sono troppo rovinate per aver lavorato una volta sola...quindi ne deduco che, per risparmiare, ogni tanto si cimenti in prima persona nel lavoro di barman. Infine, le borse sotto gli occhi e la sua faccia stanca mi fanno dedurre che abbia fatto le ore piccole stanotte." Sì, probabilmente Shinichi Kudo, famoso studente-detective, avrebbe risposto in quel modo. Ma Conan Edogawa, scolaro delle elementari, non poteva fare altrettanto purtroppo e adottò la tecnica di sempre: ignorare la domanda ponendone un’altra:
"Allora è come ho detto io signore? Era qui ieri sera?" L’uomo rimase a fissarlo per un po’, infine ricominciò a lucidare il bancone.
"Non sono affari tuoi, nanerottolo. Tornatene a casa dalla mamma." Brontolò, Conan si infilò le mani in tasca.
"È questo il problema, signore. Mia mamma mi ha affidato allo zio Atsushi per un po’, perché doveva lavorare. Ma oggi devo tornare a casa e lui doveva accompagnarmi alla stazione per prendere il treno per Kyoto. Ma lo zio è scomparso! Ieri sera ha detto che veniva qui a bere un bicchiere e non è più tornato..." sfoggiò l’espressione più dolce e preoccupata che gli riusciva, anche se dato il soggetto, gli era davvero difficile sembrare in pensiero. L’uomo alzò gli occhi e chiese piano, meditabondo: "Atsushi...Mori?" Conan annuì e quello ridacchiò:
"Non mi stupisce che si sia dimenticato di te, marmocchio. Ieri sera era già su di giri, poi si è fatto fuori tutto quel Whisky!" Conan sorrise raggiante.
"Allora era qui? Sa dirmi se ha parlato con qualcuno?" Chiese con foga, l’uomo lo guardò in tralice diffidente, così si affrettò ad aggiungere con una vocetta infantile: "Beh, ecco, magari è andato a casa di qualche amico, posso rintracciarlo lì..." Ci fu quasi un minuto intero di silenzio. Conan sentiva il suo cuore battere forte: era vicino al traguardo, ma doveva andarci cauto. Non poteva permettere che lo cacciasse senza prima avergli dato informazioni utili sulla misteriosa interlocutrice di Mori. Aveva un brutto presentimento...e il fatto che Mori stesse andando al Tropical Land, e che lo stesso stesse facendo Ran, come gli aveva riferito Heiji poco prima, non gli piaceva affatto. Era improbabile che il giornalista avesse intenzione di rapirla di nuovo, quindi era disposto a credere che fosse una coincidenza. Tuttavia, si sentiva inquieto, come se stesse per succedere qualcosa di grave...e gli sembrava che scoprire l’identità della donna fosse di vitale importanza, utile a scongiurare quell’imminente pericolo. Alzò lo sguardo verso l’uomo, lui lo scrutava con i suoi occhi color nocciola, senza dire una parola. Finalmente, dopo averlo fatto sudare freddo, rispose: "Ha parlato con una donna, ma non sono usciti insieme...lei se n’è andata molto prima. Quindi non posso aiutarti. Ora sparisci." Conan fece un passo avanti.
"Aspetti, non può dirmi che tipo era? Descrivermela, magari? Per Favoooooree!!" aggiunse, guardandolo con due occhioni da cerbiatto e disgustandosi di se stesso.
A mali estremi estremi rimedi spero solo che nessuno venga mai a sapere che mi sono reso ridicolo in questo modo Heiji non me la farebbe passare liscia sarebbe capace di prendermi in giro per il resto dei miei giorni…
L’uomo sembrava infastidito, probabilmente era troppo stanco per mettersi a discutere e non vedeva l’ora di togliersi di torno quella cimice, così disse, sperando vivamente che il bambino, soddisfatto, lo lasciasse in pace.
"Una donna bionda, capelli lunghi, molto attraente e abbastanza giovane, con uno strano accento...forse americano...era vestita tutta di nero. Se non sbaglio, ha detto a Mori di chiamarsi Christy. Non so nient’altro, perciò, o ti levi di torno o ti butto fuori a calci nel sedere." Conan sentì a stento le ultime parole; mentre l’uomo parlava aveva sentito un tuffo al cuore, cominciando ad impallidire con gli occhi sbarrati.
Bionda attraente accento americano vestita di nero di nome Christy oh mio dio non può essere no non è possibile eppure sì Christy ovvero Chris sì è questo il suo vero nome Chris Vineyard è un membro dell’Organizzazione ma allora ha parlato con Mori e gli ha dato appuntamento lui era ubriaco e si è lasciato sfuggire qualcosa su di me oh mio dio allora lei…
Il barista stava per ripetere le sue minacce ma fu inutile. Conan si voltò di scatto e corse fuori dal locale, più veloce che poté, ignorando le fitte dolorose che mandava la sua gamba, dove probabilmente di lì a poco si sarebbe riaperta la ferita, cominciando di nuovo a sanguinare.
Quando il professor Hiroshi Agasa aprì la porta di casa sua quella mattina, non immaginava nemmeno lontanamente chi si sarebbe trovato davanti. La figlia del detective Kogoro Mouri era in piedi davanti a lui, i lunghi capelli bruni che come al solito le cadevano disordinatamente sulle spalle del giacchetto jeans, gli occhi di un blu intenso che lo guardavano dietro la frangetta. Le mani erano congiunte davanti alla minigonna, strette a pugno, un gesto timido e grazioso allo stesso tempo. "Buongiorno professor Agasa." Gli sorrise cordiale, lui la ricambio.
"Ciao, piccola Ran. Come mai qui?" si sporse in avanti.
"Sono venuta a prendere il piccolo Conan, dobbiamo andare insieme al Luna Park. È qui, vero?" Chiese, Il professor Agasa notò che il collo del golf blu che indossava stava diventando esageratamente stretto:
"Ehm...Conan...ah sì, ha passato la notte qui..." balbettò, Ran gli lanciò uno strano sguardo.
"Posso entrare?" domandò, e al suo cenno di assenso avanzò e si chiuse la porta alle spalle, guardandosi attorno.
"Beh, Conan era qui proprio un momento fa, ma è uscito a fare una commissione per me..." Spiegò sorridendo a disagio. Ran gli lanciò di nuovo quella strana occhiata: "Ah, capisco...beh, allora aspetto. Non c’è fretta." Si sedette sul divano e cominciò a sfogliare una rivista femminile, chiedendosi vagamente sorpresa cosa ci facesse un settimanale del genere a casa di uno scienziato scapolo. Il dottor Agasa si passò un dito nel collo del golf, sudando:
"Vuoi qualcosa da bere? Tè, caffè, succo di frutta..?" Lei gli sorrise e disse dolcemente:
"Magari un po’ di caffè, la ringrazio, professore." Tornò alla sua rivista, mentre il suo interlocutore si allontanava e spariva dietro una porta di legno. Ran sbadigliò, leggiucchiando un articolo sui Two-Mix in concerto e sul loro presunto rapporto sentimentale. Le parole scorrevano sotto i suoi occhi, mentre dentro di sé sperava che Conan tornasse al più presto per poter scoprire cosa le stava nascondendo, cosa l’aveva spinto a mentirle e soprattutto perché il giorno prima si trovava in quello stabile e cosa lui e quel delinquente si erano detti. Il piccolo Conan kun, così innocente, così tenero...cosa celava nel suo cuore? Qual era la spiegazione per la trasformazione che aveva notato in lui guardandolo quando lui non se ne rendeva conto? Girò pagina, trovò un cruciverba ancora pulito e cominciò a lavorarci su per non dover pensare a quelle cose. Era sicura che Conan le avrebbe spiegato tutto quanto, e che la verità sarebbe stata plausibile e innocente. Si fidava di Conan, sapeva che lui non le avrebbe mai mentito di proposito per cattiveria, ma che probabilmente stava vivendo un brutto momento. Di certo le avrebbe confidato tutto, e lei lo avrebbe aiutato, da brava sorella maggiore. Sorrise tristemente, povero piccolo, doveva essere difficile per lui vivere lontano dai genitori, in fondo aveva solo sette anni...
"Ti dispiace smettere?" chiese una gelida voce femminile dietro di lei. Ran si voltò di scatto e si trovò davanti una bambina, di all’incirca l’età di Conan, con un caschetto di capelli biondo cenere, due occhi azzurri freddi come il ghiaccio, che indossava un camice bianco sopra una felpa rosso bordeaux dolcevita e un paio di pantaloncini beige. Ran sbatté più volte le palpebre: era la bambina più strana che avesse mai visto. Niente di lei faceva pensare ad una studentessa delle elementari ad eccezione dell’altezza. Il suo aspetto era tremendamente...adulto
"Tu sei..?" domandò con voce flebile, sforzandosi per trovare il nome nella sua testa. Aveva già visto quella bambina giocare insieme a Conan e ai suoi amici, ma in quel momento non riusciva a focalizzarla.
"Ai Haibara." rispose la bambina, senza aspettare che lei ricordasse. "Quella rivista è mia. Vorrei che smettessi di fare il cruciverba, è quasi l’unico motivo che mi ha spinto a comprarla." Parlò con voce molto fredda, Ran si sentì rabbrividire; e lei che pensava fosse Conan il bambino meno infantile del mondo!
"S-scusa" balbettò, sentendosi per la prima volta a disagio davanti ad una persona di una decina d’anni più piccola. Ai si strinse nelle spalle e andò verso il tavolo del salotto, dove era poggiata una piccola ampolla polverosa. La prese con delicatezza fra le dita e fece per andarsene.
"Aspetta!" Si bloccò al richiamo di Ran: "Tu sei un’amica di Conan kun, vero?" Chiese, Ai la guardò diritta negli occhi e di nuovo la ragazza sentì un brivido:
"Più o meno." Rispose in tono etereo.
"Hai passato la notte qui anche tu?" Le sorrise, Ai non ricambiò e sottolineò: "Io abito qui."
Ran stette per un attimo a bocca aperta, guardando la piccola figura altera che le stava davanti. La bambina la stava fissando con i suoi occhi gelidi e di nuovo Ran notò quanto fosse strana. Quanti anni poteva avere, sette, otto, nove? Eppure, nulla di lei faceva pensare all’età infantile; era distaccata, imperscrutabile, seria e misteriosa; però, dalla sua espressione non molto dissimile da quella di una statua di ghiaccio, trapelava un certo fascino, un certo ascendente, che la mettevano a disagio. Di solito quando vedeva una bambina di quell’età Ran provava subito tenerezza e una specie di affetto materno. Guardando Ai sentiva una strana sensazione all’altezza del petto, la metteva in soggezione.
Credevo che Conan fosse un bambino davvero strano ma a quanto pare non può competere con questa bambina chissà chi è ha detto di abitare qui forse allora è
"Sei una parente del professor Agasa?" le domandò, dando voce ai suoi pensieri e sorridendole seppur consapevole del fatto che lei non l’avrebbe ricambiata. Ai scrollò le spalle mantenendo come previsto la sua espressione seria e aggiunse:
"E tu sei Ran Mouri." La ragazza ebbe un lieve sussulto di sorpresa, il suo sorriso scomparve mentre sbatteva le palpebre velocemente, ma subito ritornò "Oh, immagino che te l’abbia detto Conan. Sei stata molto carina a ricordarlo, non sei una smemorata come me!" Ran strizzò gli occhi e rise, sperando di riuscire a strapparle anche solo un mezzo sorriso, ma quando riaprì gli occhi vide che Ai la stava fissando con i suoi occhi freddi e, sebbene non fosse pronta a giurarlo, anche con un atteggiamento di superiorità che la fece sentire un po’ stupida.
Cavoli ma cos’ha questa bambina è decisamente strana e poi il modo in cui mi guarda e parla non so proprio perché si comporti così in fondo ha solo sette anni ma dove l’ha pescata il professor Agasa?
Ai infilò una mano in tasca: "Se sei venuta a prendere Conan hai fatto un viaggio a vuoto. Non è qui." Spiegò atona, Ran annuì: "Lo so, è andato a fare una commissione, me l’ha già detto il professore. Ma tornerà a momenti, no?" aveva parlato con naturalezza, ma quando la vide scuotere la testa assunse un’espressione perplessa, e per la prima volta le sembrò che Ai sorridesse, ma non era gioia o divertimento. Era quasi come...se si stesse prendendo gioco di lei:
"No, non tornerà Mouri. Non presto, comunque. E anche se passerà un po’ di tempo con te, forse proprio oggi, se ne andrà di nuovo. Sarà così per molto, molto tempo...io lo so." Ancora la stava guardando con quel sorriso di scherno e Ran si sentì allo stesso tempo confusa e irritata.
Cosa vuole dire e perché mi guarda in quel modo è così strana sembra quasi che mi stia prendendo in giro ma no come può essere non ha nemmeno dieci anni e io ne ho diciassette non potrebbe mai eppure mi chiama per cognome con quell’aria e poi quelle frasi enigmatiche e quel tono di voce come se sapesse qualcosa che io non so come se mi stesse sfidando a chiederle spiegazioni o stesse cercando di farmi capire qualcosa che sappia cosa è successo a Conan in fondo è una sua amica ma poi perché mai Conan dovrebbe andarsene?
"È successo qualcosa a Conan kun???" Si alzò di scatto dal divano e la fissò preoccupata, Ai scosse la testa con un atteggiamento che le sembrò quasi di commiserazione, ma subito dopo questa constatazione Ran si chiese se stesse diventando paranoica: "No, non è successo niente a Conan kun. Purtroppo per te comunque non sarà qui a momenti." Le voltò le spalle e di nuovo Ran la richiamò: "Aspetta! Ma il professore ha detto che..."
"Il professore non lo sa." La interruppe Ai senza voltarsi: "Conan gli ha detto che sarebbe andato a fare quella commissione, ma a me ha confidato che ne voleva approfittare per andare a giocare in un certo luogo segreto che conosce solo lui. Per te sarà impossibile rintracciarlo quindi." Si avviò a passi felpati verso una stanza con la porta accostata e vi sparì dentro. Ran rimase lì a fissare la porta di legno chiusa, sentendo i passi della bambina sulle scale che portavano al laboratorio, finché non sentì la voce squillante del professore e un gustoso aroma di caffè.
"Ran! Il caffè è pronto!" Le sorrise e posò il vassoio sul tavolino davanti al divano, Ran annuì, si sedette e cominciò a sorseggiare, poggiando con attenzione le labbra sulla tazzina e soffiando lievemente sulla superficie scura e bollente. Così Conan era praticamente irraggiungibile...dalla sua esperienza personale Ran aveva imparato che quel bambino sgattaiolava via piuttosto di frequente, senza dire mai dove andava, perciò il fatto che fosse sparito senza avvertire il professore era più che credibile. Se poi aggiungeva a questo la convinzione che stesse nascondendo qualcosa...tutto quadrava. Probabilmente Conan era andato a fare qualcosa che c’entrava con il suo segreto.
Cavoli se continuo così potrò aiutare anch’io l’ispettore Megure e diventare una studentessa-detective
Sorrise, in passato era già stata chiamata in quel modo, quando aveva risolto il caso al cottage montano. A dir la verità era stato Shinichi a risolverlo e a chiederle di rivelare le sue deduzioni al posto suo, ma nessuno lo sapeva, così un giornalista, un uomo viscido e antipatico, aveva addirittura scritto un articolo su di lei. Ricordando il volto di quel giornalista Ran sussultò, la tazzina tintinnò sul piattino di ceramica mentre quasi si gettava il caffè bollente addosso. Non sapeva il perché, ma quel ricordo le faceva venire una brutta sensazione alla bocca dello stomaco...
"C’è qualcosa che non va, piccola Ran?" Udì la voce calda e premurosa del professor Agasa, alzò gli occhi e si ritrovò davanti il suo faccione paffuto, che la guardava preoccupato attraverso le tonde lenti degli occhiali;
"No, niente professore..." sorrise "È solo che...chi è quella bambina che abita qui? Una sua parente?" domandò, cercando di distogliere i propri pensieri da quell’uomo, anche se ancora ignorava il perché pensare a lui le provocasse quasi la nausea. Il dottor Agasa lanciò uno sguardo alla porta dietro la quale era scomparsa Ai, poi rispose, un po’ impacciato: "Sì, cioè, no..." Ran lo guardò perplessa: "Voglio dire...è la figlia di un mio caro amico, e siccome loro hanno da fare, mi hanno chiesto se posso occuparmi di lei per un po’." Si accorse troppo tardi che quella storia era fin troppo simile a quella che aveva inventato per giustificare la comparsa di Conan, infatti Ran commentò proprio come temeva: "Caspita, sembra che tutti i suoi amici le chiedano di stare appresso ai loro figli..." Agasa scoppiò in una sonora risata forzata:
"Beh, è vero...ma sai com’è, sanno che vivo qui tutto solo e che mi fa piacere avere un po’ di compagnia..." Ran annuì sorridendo, finì di bere il suo caffè e si alzò: "È stato un piacere professore. Ora devo andare."
"Non resti ad aspettare Conan?" Ran scosse la testa: "No, non importa...gli dica comunque che sono passata. Se vuole, appena torna, potete raggiungerci al Tropical Land...potreste portare anche la piccola Ai." Rispose gentilmente, il dottor Agasa assentì e la salutò con voce squillante. Poco dopo, Ran si ritrovò nella fresca aria di una domenica mattina, i capelli lunghi scompigliati dal vento. Chissà se Sonoko era già arrivata all’agenzia, e se lei e Kazuha stavano andando al luna park...magari avrebbe fatto meglio a chiamarle, per fissare un luogo d’incontro. Avrebbe dovuto aspettare per parlare con Conan, ma fra qualche ora avrebbe salutato le sue amiche e avrebbe incontrato Shinichi...quel pensiero bastò a farle battere forte il cuore e accelerare l’andatura. Se davvero Shinichi stava passando un guaio serio, lei lo avrebbe costretto a confidarsi con lei. Voleva aiutarlo, qualsiasi cosa fosse, perché avrebbe preferito affrontare qualsiasi pericolo insieme a lui, piuttosto che essere sana e salva senza di lui. Era stanca di sentirsi sempre sola...
Immersa nei suoi pensieri, Ran non si rese conto che due persone stavano camminando sul suo stesso marciapiede, ma nella direzione opposta, e inevitabilmente finì contro una di loro. Data la sua veloce andatura e la stazza dell’uomo in cui si era scontrata, cadde seduta per terra con un tonfo. Chiuse gli occhi, massaggiandosi il fondoschiena con una smorfia di dolore sulla faccia.
"Ehi, guarda dove metti i piedi ragazzina!" brontolò uno dei due, con una voce burbera e tagliente, così fredda che la fece rabbrividire. Ran aprì gli occhi e alzò lo sguardo, intenzionata a scusarsi con l’uomo che aveva travolto, sebbene questo non fosse stato per niente gentile con lei. Ma quando lo guardò, la voce le morì in gola e il sangue si gelò nelle vene.
Note dell’Autrice: Ciao a tutti!! Ho concluso un altro capitolo...è piuttosto corto, ma importante dal punto di vista degli avvenimenti. Tra l’altro ho avuto problemi col pc nuovo e quindi non ho potuto usare Frontpage per l’html...ho dovuto fare tutto a mano!! +__+ Sono sfinita!! Non so nemmeno come verrà fuori, se ho ricordato tutti i corsivi ecc. Speriamo bene! Comunque ho fatto del mio meglio sia nella stesura del capitolo che nell’aggiungere i tag, perciò, come direbbe -anzi canterebbe- Robbie Williams: No Regrets! Ma passiamo a rispondere come al solito a quegli angeli che hanno commentato il capitolo 10:
Fredyck: un nuovo arrivato!! Mi fa piacere che trovi bella la mia fanfic ^__^. Da quanto ho capito ti piacciono i gialli, e dato che è la prima volta che mi cimento in questo genere -anche se lo adoro- puoi immaginare cosa ho provato leggendo la tua recensione...*Thanks*!! ^//^ Come ti è sembrata la deduzione di Conan all’inizio di questo capitolo? Verosimile? Fammi sapere cosa ne pensi, mi raccomando!!
Elly-chan: grazie! Sei veramente una persona dolcissima!! ^//^ Ehm...ma sei proprio sicura che IO sia così esperta? O __ O Cioè, io direi più che me la cavo...e poi, tu non sei certo una principiante, no? ^ __ -
mareviola ne sono felice!^^ Le descrizioni sono importanti, essenziali, a dir la verità, e mi fa piacere riuscire a non annoiarti. Comunque non dovrò tirare troppo la corda, questo chap ha pochissima descrizione e molti più dialoghi, come avrai visto! ^__^ Spero ti sia piaciuto tanto quanto gli altri. Oh, non ringraziarmi per i chiarimenti, è stato divertente! Chiedimi pure tutto quello che vuoi su Detective Conan, non farti problemi! E grazie ancora per il sostegno!
Akane Tendoo: anche tu una nuova arrivata!! ^^ Ti ringrazio tantissimo per la recensione, sei stata molto gentile...giuro, sono rimasta in estasi!! ^//^ Grazie anche per i complimenti sullo stile...riguardo ai pensieri dei personaggi, non c’è punteggiatura perché uso la tecnica del flusso di coscienza; avrai notato che non bado nemmeno alle ripetizioni delle congiunzioni o delle altre parti del discorso...in fondo mentre rifletti non fai delle pause, il pensiero è continuo...per questo evito di mettere punti, virgole ecc. Comunque capisco che può essere fastidioso e poi non voglio fare la figura di quella cocciuta chiusa ai suggerimenti, perciò diciamo che, almeno quando un pensiero è importante e bisogna soffermarcisi un po’ di più, mi ‘concederò’ i puntini di sospensione! Ti va bene? ^ _ - Riguardo alla tua domanda...(cavoli, qui sarà un tantino complesso...un respiro profondo...via!) partiamo dal presupposto che né Shinichi & Ran né Heiji & Kazuha sono ufficialmente ‘una coppia’...sì, si piacciono e tutto il resto, ma non si sono mai messi insieme. (Mooolto differente da Akane e Ranma, che oltre a piacersi sono fidanzati!) Le due situazioni sono simili, ma presentano una differenza essenziale: Shinichi sa con certezza quanto Ran gli voglia bene, poiché può approfittare dei panni di Conan per chiederle tranquillamente cosa provi per lui; a Heiji questa possibilità è negata. Comunque, è normale che nessuno di loro ammetta in pubblico di essere innamorato del partner, visto che tecnicamente sono solo amici d’infanzia! Tuttavia il loro comportamento rende palese i loro sentimenti, perciò alla fin fine si rendono conto che negare l’evidenza è inutile...e questo succede soprattutto se la situazione non è delle più distese...tipo nel cap.9, quando Heiji rivela a Conan di aver perso tempo per colpa ‘della sua ragazza’. A quel punto lui è troppo preda della gelosia e della curiosità di scoprire cosa abbiano fatto per pensare a negare una cosa che sa essere ovvia, nonostante tutto. Immagina un po’ cosa faresti tu nella stessa situazione! ^^" invece, nel cap.6, quando Kazuha e Ran fanno a cuscinate nella camera da letto di quest’ultima, Ran non si fa scrupoli a negare tutto!! Ehm...non so se ho reso l’idea...spero che tu abbia capito cosa intendo. Se hai ancora bisogno di qualche chiarimento dimmelo, okay? Cercherò di fare il possibile! È che a forza di non andare a scuola ho perso l’abitudine di spiegare i concetti in modo chiaro e preciso...uno degli insignificanti svantaggi delle vacanze! ^^
Credo che sia tutto...ah, la citazione di Sherlock Holmes l’ho presa da "Uno Studio in Rosso"; è l’articolo che Watson legge e definisce ridicolo, ancora ignaro che l’autore è proprio il suo coinquilino! (Una delle tante figuracce del dottore ^^")
Al prossimo chap...
bye
-Melany
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Capitolo 12 *** White Angel & Black Devils ***
Nuova pagina 1
12.White Angel & Black Devils
Ran restò a bocca
aperta, le pupille dilatate per lo shock che erano fisse sui due uomini davanti
a lei. Sapeva che il suo stato d’animo era palese, che avrebbe dovuto
mascherarlo in qualche modo, ma al momento non ne era in grado. Chi la stava
guardando erano i due uomini che aveva incontrato al Tropical Land insieme a
Shinichi, coloro che quest’ultimo aveva deciso di seguire prima di scomparire
dalla circolazione. Gli occhi dell’uomo tarchiato erano coperti da un paio di
occhiali da sole, ma Ran poteva vedere benissimo quelli dell’altro, sebbene i
lunghi capelli biondi gli cadessero disordinatamente sul volto: e il suo sguardo
era carico di disprezzo, spietato, lo sguardo di un assassino, proprio come
ricordava. La stava fissando arcigno, trasmettendole tutto il suo odio,
facendole paura.
Shinichi
Lì, per terra,
era incapace quasi di muoversi, di parlare, consapevole che loro potevano vedere
quanto era spaventata
aiutami
Consapevole che
stava commettendo un grosso errore, che era inerme davanti a due assassini. Il
cuore le rimbombava nelle orecchie, le guance avevano perso il colorito roseo di
poco prima. Il più alto tolse la mano dalla tasca, lei chiuse gli occhi e
strinse i denti...
Addio Shinichi
“Levati di mezzo,
ragazzina!” le gridò contro il biondo, alzando la mano che aveva tolto dalla
tasca con fare aggressivo. Ran aprì gli occhi e fu come svegliata da un sogno -
o un incubo - , cercò di nascondere il tremito e si alzò a fatica: “Sc...scusate”
mormorò con un fil di voce, l’uomo con lo sguardo spietato le diede uno
strattone per passare, e lei quasi finì di nuovo a terra, stavolta in mezzo alla
strada e non al marciapiede. Li vide allontanarsi, massaggiandosi il braccio
dove l’aveva colpita, scossa e indecisa sul da farsi: secondo il suo
ragionamento, quelle erano le persone che con molta probabilità erano legate
alla *fuga* di Shinichi. Certo, poteva aver frainteso tutto, forse quegli uomini
non avevano niente a che fare con il suo amico d’infanzia, per quanto sospetti;
magari non erano nemmeno degli assassini, aveva preso un abbaglio. Lei non era
una detective, non era mai riuscita a risolvere nessun caso, finché Shinichi o
suo padre non esponevano la soluzione, tutto ciò che accadeva le sembrava
complicato e incomprensibile. Dunque perché adesso avrebbe dovuto aver ragione?
Perché perdere tempo con quei due estranei, che probabilmente avevano
dimenticato già da tempo il loro incontro al luna park? Le due figure vestite di
nero si stavano allontanando svelte, diventando sempre più piccole. Ma sì, di
sicuro non aveva capito nulla, sarebbe stato meglio raggiungere subito Sonoko e
Kazuha e non pensarci più. Quei due non c’entravano niente con Shinichi, questa
era la verità.
Oppure quella
che io voglio sia la verità
Sussultò,
smettendo di massaggiarsi il braccio dove si stava formando una chiazza rossa,
gli occhi fissi sulle schiene degli uomini, il cuore che non aveva smesso di
sfondarle il petto. Che fosse tutta una scusa? Forse voleva davvero
autoconvincersi che quei due fossero innocenti per non doverli inseguire? Sì,
proprio così, e nello stesso momento in cui lo ammise con se stessa si sentì
avvampare dalla vergogna. Come poteva essere così egoista? Solo un minuto fa
aveva dichiarato di essere pronta a sacrificarsi pur di aiutare il suo amico
d’infanzia, e adesso che ne aveva veramente l’occasione fuggiva con la coda fra
le gambe? Aveva paura, era vero, e avrebbe tanto voluto raggiungere le sue
amiche e non pensare più a quei due, stare al sicuro. Tuttavia, non
poteva farlo. Quante volte Shinichi aveva rischiato la sua vita per lei? E lui
si era mai tirato indietro? L’aveva mai abbandonata a se stessa fuggendo via?
Cavoli, persino Conan, che aveva sette anni, era più coraggioso di lei! Anche il
bambino l’aveva salvata più volte, a Osaka si era beccato perfino una pugnalata
al suo posto!
Giusto e
adesso tocca a me
Strinse forte i
pugni: non si sarebbe comportata come una vigliacca, avrebbe seguito quei due
uomini per scoprire se avevano a che fare con Shinichi, non gli avrebbe voltato
le spalle. Adesso o mai più... cominciò a correre per riprendere il vantaggio
che i due uomini avevano su di lei; quando ormai erano distanti solo qualche
passo si fermò e ricominciò a camminare normalmente, il respiro un po’ più
affannoso. Nelle orecchie le rimbombava il battito del suo stesso cuore, mentre
la sua mente continuava a tentarla a fare dietro front e a fuggire il più
lontano possibile, sentiva lo stomaco contratto in modo doloroso, la paura che
martoriava e consumava ogni fibra del suo essere. Come avrebbe voluto che
Shinichi fosse al suo fianco...
I due camminavano
con passo svelto e sicuro, lanciando occhiate in cagnesco a chiunque si
azzardasse a guardarli negli occhi: e non erano in molti, visto che quasi tutti
i passanti si voltavano in ogni direzione pur di ignorarli. Non avevano un
aspetto raccomandabile, e la gente *perbene* di solito evita di mischiarsi a
questo genere di persone. Ran li osservava attenta qualche passo più indietro,
il volto arrossato e contratto per la tensione, i pugni così stretti che le
nocche erano bianche. La tentazione di andarsene era sempre più forte, ma non
l’avrebbe fatto. Non prima di scoprire se quei due avevano fatto del male a
Shinichi.
Ma perché in
fondo anche se fosse cosa potrei fare io se nemmeno Shinichi è riuscito a
catturarli oh mio Dio a che serve è inutile poi magari nemmeno c’entrano niente
sto facendo la figura della stupida e se anche fossero colpevoli non avrei
possibilità perché rischiare perché
Scosse la testa
con vigore. Non poteva lasciar perdere tutto, proprio no. Doveva piantarla di
fare la codarda. Nel peggiore dei casi avrebbe avvertito la polizia, in tasca
aveva il suo cellulare. Nel migliore, nessuno avrebbe mai scoperto che aveva
pedinato senza motivo due estranei che camminavano per strada, a meno che non
fosse stata lei a raccontarglielo. E in ogni caso ci avrebbe riso sopra lei
stessa. Cercò di rassicurarsi, anche se la paura continuava a ristagnare dentro
di lei la ignorò. Camminarono così per qualche tempo, Ran faceva dei respiri
profondi mentre gocce di sudore gelido le imperlavano la fronte, e quasi riuscì
a convincersi di essere calma, nonostante il nodo allo stomaco e la tachicardia.
Sì, a man a mano che procedevano, si sentiva sempre meno esitante e più sicura
di sé, quasi tranquilla. I due svoltarono in una stradina laterale stretta e
poco frequentata, Ran lanciò un’occhiata ansiosa alle sue spalle rimpiangendo
amaramente i marciapiedi affollati; adesso sarebbe stato molto più difficile non
farsi notare.
E più facile
per loro uccidermi
Deglutì
rumorosamente mentre una goccia di sudore le attraversava il viso, ma per il
resto ignorò quel pensiero. Non doveva lasciarsi scoraggiare, doveva andare fino
in fondo...doveva farlo per Shinichi. Davanti a lei uno dei due uomini, il
biondo, si arrestò un attimo, poi svoltò in un vicolo cieco insieme all’altro.
Ran non li imitò, ma si fermò accanto al muro per non farsi vedere, il viso
contratto per la tensione, le mani sempre strette a pugno. Sbirciò dall’altra
parte e li vide aprire una vecchia porta scalcinata, che sembrava l’entrata
secondaria di un locale, e sparire dietro di essa. Si avvicinò cautamente, con
passi lenti e misurati, cercando di non far rumore, e arrivata vicino alla
porta tese l’orecchio sperando di poter sentire cosa dicevano. In cuor suo
sperava che non fosse niente di preoccupante...
“Bene, siamo
arrivati, adesso possiamo riposarci un po’ mentre aspettiamo il proprietario.”
Disse una voce bassa e tonante, che Ran associò all’uomo con gli occhiali da
sole. Non era tagliente e gelida come quella del più alto, che invece udì subito
dopo: “Avrà una bella sorpresa il bastardo, non avrebbe dovuto cercare di
fregarci con quei soldi falsi.” Ghignò, Ran si sentì sprofondare: adesso era
sicura che quei due non fossero esattamente gente onesta e a modo. La voce
tagliente, affievolita dal legno della porta che li separava, riprese,
divertita:
“Peccato però
doverlo ammazzare subito. Sarebbe stato molto più divertente farlo guardare
quando ci occuperemo di sua moglie.” I due risero crudelmente, Ran avvertì un
tremito incontrollabile alle gambe, e riusciva a stento a sostenere il suo
stesso peso. Stavano parlando di un omicidio, e lo facevano con un divertimento
perverso e diabolico; era spaventata ma incapace di andarsene, vittima di una
curiosità masochista che sapeva le sarebbe costata cara...
“Comunque, non
vedo l’ora di vederlo strisciare ai miei piedi, mentre mi implora di
risparmiargli la vita...sarà...magnifico” concluse la voce fredda con un
tono di profondo godimento. Ran ora voleva più di ogni altra cosa correre via da
lì, mettere chilometri fra lei e quei due assassini, ma le sue gambe non le
obbedivano più, sembravano incapaci di fare qualsiasi cosa che non fosse
tremare. Strinse i denti, non aveva ancora raggiunto lo scopo per cui li aveva
seguiti, e in fondo se non si erano accorti di lei fino a quel momento, perché
avrebbero dovuto in seguito...
“A proposito Gin,
che cosa voleva Vermouth quando ti ha telefonato?” Domandò con voce noncurante
il più basso, Ran, per quanto tesa e spaventata, non poté fare a meno di
sorprendersi nel sentire i nomi dei due alcolici. Probabilmente erano nomi in
codice, e la cosa la turbava ancora di più: i criminali qualsiasi di solito non
usano certi espedienti, perciò si trattava di professionisti. E questo Vermouth
doveva essere un terzo complice...
L’uomo chiamato
Gin sbuffò: “Niente di importante...a quanto pare un povero idiota si è messo a
ficcare il naso nei nostri affari...ma ha detto che se ne occuperà lei di
persona. E sai che mani d’oro ha, quella donna...” rise, le gambe della ragazza
cedettero, scivolò lentamente a terra...Ran si sentì morire...che stessero
parlando di...
Se continui a
ficcare il naso nel lavoro della polizia prima o poi finirai nei guai!!
le parole che lei
stessa aveva pronunciato davanti al suo amico d’infanzia mentre tornavano da
scuola, quel giorno di tanto tempo prima, risuonarono nitide nella sua mente, si
sentì sprofondare in una voragine di disperazione...quando gliel’aveva detto era
preoccupata, ma quel sentimento non era nemmeno paragonabile all’ansia che ora
le attanagliava l’anima. Shinichi, il suo Shinichi, si era scontrato con
qualcosa molto più grande di lui, qualcosa che l’aveva allontanato da lei, che
gli aveva fatto del male e lei
Io non facevo
altro che comportarmi da egoista mi lamentavo e lo accusavo e gli dicevo di
tornare senza sapere come doveva sentirsi a quelle mie parole lui solo e lontano
vive nel pericolo e io non so fare altro che piagnucolare e pensare a me stessa
e stasera lui tornerà e correrà dei rischi solo a causa mia perché gliel’ho
chiesto io e adesso lui torna solo per me e io che l’avevo definito cinico e
egoista povero il mio Shinichi
“Ma credo che
sarai felice di sapere, Vodka...” riprese la voce, fredda e divertita “...che
avremo un ottimo diversivo per passare il tempo in attesa di quel bastardo.” Ran
sentì il sangue congelarsi nelle vene, per un attimo che gli parve un’ora il
cuore smise di battere, mentre tutto il corpo era scosso da un tremito
irrefrenabile.
“Apri la porta,
Vodka. Troverai una graziosa ospite ad aspettarti...”
La piccola figura
altera prese ad armeggiare con un lungo strumento di vetro lucido, lanciò
un’occhiata al foglio fittamente scritto che si trovava al lato della scrivania
e aggiunse con un misurino un po’ di polvere giallognola; agitò la fiala,
fissando con sguardo attento e concentrato la reazione del composto. Intorno a
lei regnava il caos: fiale e ampolle sporche erano sparsi dappertutto, c’erano
macchie qua e là di diversi liquidi multicolore, che disegnavano curiosi
arcobaleni sul professionale tavolo di ceramica bianco. Perfino i fogli su cui
era descritta la formula erano sporchi, ma la piccola scienziata non ci faceva
neppure caso, tanto era immersa nel suo lavoro minuzioso e attento. Un piccolo
errore e avrebbe anche potuto dire addio alla sua cavia umana... sì, era così
che se lo figurava mentalmente ogni volta che doveva preparargli un antidoto
temporaneo, solo un'insulsa, utile, precaria cavia...tutto questo la divertiva
un po’ e le permetteva di raggiungere la freddezza necessaria a preparare il
composto. Perché se avesse pensato a lui come Conan Edogawa, alias Shinichi
Kudo, il giovane detective che aveva permesso agli Uomini in Nero di uccidere
sua sorella, che l’aveva definita un’assassina e un mostro, lo stesso che tempo
dopo le aveva permesso di abbracciarlo in lacrime e di sfogarsi, che le aveva
messo i suoi occhiali per non farla riconoscere dall’Organizzazione quando erano
sulle loro tracce, che l’aveva fatta fuggire a costo di essere scoperto quando
Gin l’aveva trovata e aveva tentato di ucciderla, che l’aveva coperta con il suo
giubbetto portandola sulle spalle...se avesse pensato a lui in quel senso,
troppi sarebbero stati i sentimenti nel suo animo, e troppo contrastanti, e
qualche volta si era ritrovata a chiedersi quali avrebbero trionfato sugli
altri. Perché quella volta, con la testa appoggiata alla spalla di lui, nella
semi incoscienza che le ferite le avevano provocato un lampo di un sentimento
strano si era affacciato al suo cuore, sentendo il calore del suo corpo, il suo
profumo forte e deciso...si era sentita...protetta e al sicuro, come mai nella
sua vita. Aveva capito una cosa, che non avrebbe mai ammesso né con se stessa né
con chiunque altro, che avrebbe accantonato sempre come una specie di delirio
momentaneo date le sue condizioni. No, non poteva abbandonarsi davvero a quel
pensiero, perché la porta che desiderava aprire sarebbe stata sbarrata per
sempre per lei. E in quel momento aveva faccende importanti di cui preoccuparsi,
che richiedevano tutta la sua lucidità e freddezza...non doveva essere debole, e
quella cosa l’avrebbe distrutta.
Così loro due
diventavano la scienziata e la cavia da laboratorio, come lei voleva fosse, e
come di sicuro lo voleva anche lui. Niente di ciò che avrebbe potuto dire o fare
avrebbe cambiato le cose... Aggiunse qualche goccia di sodio cromoglicato,
sbirciò di nuovo i suoi appunti e mescolò il tutto con un po’ di fosfato
monosodico, dopodiché prese una goccia del composto così ottenuto e la premette
sul vetrino del microscopio, osservandola attentamente attraverso la lente dello
strumento. Ironia della sorte, era proprio lei che con le sue azioni aiutava
quella porta a rimanere sprangata.
“Hai bisogno di
aiuto, Ai kun?” la voce del professor Agasa la deconcentrò e se questo la
irritò, di certo non lo diede a vedere; si voltò lentamente fino a guardarlo con
i suoi occhi freddi, mentre l’anziano uomo le sorrideva con affetto: “Posso fare
qualcosa, se vuoi.” Ai alzò le spalle indifferente e tornò a dargli la schiena,
poi aggiunse:
“Non si
preoccupi, professore. È tutto sotto controllo. Cerchi solo di non comparirmi
alle spalle in quel modo.” come al solito, il suo tono di voce non suggeriva
alcunché. Agasa non smise di sorridere, sebbene lei non lo guardasse più: aveva
accolto con piacere Ai Haibara in casa sua, quando l’aveva trovata svenuta sotto
la pioggia davanti a quella di Shinichi, e non si era pentito della sua scelta
nemmeno un secondo da quando abitava con lui; perfino dopo che lei gli aveva
rivelato la sua vera identità il suo proposito non aveva vacillato, anzi, era
diventato ancora più forte: pensare a tutto quello che lei era stata costretta a
sopportare lo faceva star male, e nei suoi occhi, il professore vedeva lo
sguardo di una persona che era cresciuta troppo in fretta...una persona che
cercava aiuto...ma che mai l’avrebbe ammesso. Essendo circondata continuamente
da criminali assassini Ai aveva imparato a creare una barriera intorno a sé, in
modo che nessuno potesse capire cosa provava realmente. Seppure adesso la
situazione era cambiata, continuava a mantenerla, per abitudine, forse, ma anche
perché c’era tuttora una persona a cui non voleva far conoscere il suo vero io...e
il professor Agasa poteva immaginare di chi si trattasse.
“Qualcosa non va,
professore?” domandò lei in tono incolore, senza voltarsi.
“No, Ai kun, non
preoccuparti...andrà tutto bene, vedrai.” Le scompigliò i capelli biondi con
affetto e uscì dalla stanza. La piccola scienziata rimase interdetta per un
attimo, poi cominciò a fissare il composto che aveva ottenuto e sorrise, lo
stesso sorriso che aveva rivolto a Conan quando gli aveva detto chi era per
strada.
“Sicuro che andrà
tutto bene...” sussurrò fra sé e sé, abbandonando il tono indifferente “bisogna
vedere per chi...”
Era passata quasi
un’ora ormai da quando aveva capito con chi doveva incontrarsi il giornalista, e
ancora era lontanissimo dalla sua meta. Il dolore alla gamba, che peraltro ad un
certo punto aveva cominciato di nuovo a sanguinare, l’aveva costretto a fare una
piccola deviazione al percorso, che gli aveva fatto perdere un sacco di tempo.
Sapeva che ancora non era successo niente, perché altrimenti il suo collega
l’avrebbe avvertito, ma era ugualmente seccato da tutta quella storia, e temeva
di non riuscire a raggiungerli prima che si vedessero. Se lei si era fatta già
dire tutto la sera prima al bar, poteva ben immaginare che non fosse per parlare
che gli aveva dato appuntamento. Una parte del suo essere lo tentava a lasciare
che lei compisse la sua missione, in fondo il mondo non aveva bisogno di quella
carogna schifosa, e lui avrebbe evitato di finire su tutti i giornali. Tuttavia,
gran parte del suo animo, quello che l’aveva spinto a voler diventare un
detective, sapeva che era sbagliato e che, per quanto un uomo potesse essere un
lurido bastardo, la sua vita valeva qualcosa. E poi, doveva comunque
raggiungerli, seguendo Chris Vineyard, alias Vermouth, sarebbe potuto arrivare
alla base dell’Organizzazione...e lì fargliela pagare per quello che gli avevano
fatto. Quell’obiettivo gli faceva salire l’adrenalina in corpo e gli aveva
permesso di raggiungere di corsa l’agenzia, sfrecciare davanti ad un
sonnacchioso Kogoro Mouri, afferrare lo skate-board e rimettersi subito sulla
strada per il Tropical Land, con gran sollievo per la sua gamba, la cui unica
fatica ora era sorreggere il suo peso, e del suo stato d’animo, perché adesso
andava ad una velocità dieci volte maggiore. Così, mentre attraversava
rapidamente i marciapiedi facendo lo slalom fra la folla, la brezza fresca che
gli scompigliava i capelli bruni e gli sferzava piacevolmente il viso, si
ritrovò a pensare che forse quella giornata, iniziata in modo pessimo, si stava
evolvendo in qualcosa di davvero eccitante. Certo, l’idea di affrontare
l’Organizzazione lo spaventava un po’, ma il pensiero di poter smettere di
fingere di essere un moccioso di sette anni, almeno di fronte a Ran, gli
imprimeva un coraggio senza pari. Se avesse potuto rivelarle la sua vera
identità, avrebbe sopportato meglio il suo fardello, e di sicuro l’attesa per
l’antidoto definitivo preparato da Ai sarebbe stata più serena, con la sua amica
d’infanzia al suo fianco. Sorrise, la sua vita stava per avere una svolta, non
doveva fare altro che raggiungere il luna park, trovare Mori e Vermouth,
addormentare entrambi con un dardo narcotizzante del suo orologio, togliere al
primo la cassetta (poiché era sicuro che lei gli avesse detto di portarla con sé
all’appuntamento) e applicare a quest’ultima un trasmettitore, attraverso il
quale avrebbe potuto seguire le sue mosse con gli occhiali. Lei l’avrebbe
condotto al loro covo, e allora lui avrebbe potuto chiamare l’ispettore Megure
con la sua voce adulta e organizzare una retata. Una volta catturati alcuni
membri dell’Organizzazione, sarebbe stato facile farli confessare e scoprire
così chi altri ne faceva parte, e allora sarebbero stati a cavallo...
Questo era a
grandi linee il piano che Conan si figurava nella sua mente da quando era venuto
a conoscenza degli ultimi fatti; era sempre stato un tipo molto sicuro di sé,
perciò era convinto che, se ce l’avesse messa tutta, sarebbe riuscito a
raggiungere il suo obiettivo, questa volta...e all’appuntamento con Ran avrebbe
anche potuto rivelarle finalmente ciò che teneva nascosto da tanto tempo...i
suoi veri sentimenti...
Arrossì
furiosamente, mentre il cuore saltò qualche battito. Tuttavia, riemergendo dal
suo sogno ad occhi aperti, si accorse che con tutta la gente che affollava le
strade della capitale nipponica quella domenica, era costretto a rallentare
spesso per aggirare e superare un sacco di persone, e la cosa lo infastidiva.
Decise così di abbandonare le strade principali a favore di qualche viuzza meno
frequentata, dove avrebbe potuto avanzare con più facilità e rapidità. Era solo
questione di ore, ormai, e il sogno che inseguiva da mesi e mesi sarebbe
diventato realtà. Niente più fingere, niente più bugie, niente più sussulti e
spaventi ogni volta che sentiva parlare di edifici esplosi e di misteriosi
omicidi...niente più Conan Edogawa, solo Shinichi Kudo, se non nell’aspetto,
almeno con le persone che conosceva e a cui era caro...almeno con la sua Ran...
Ran era
paralizzata, le guance avevano perso il bel colorito roseo per lasciar spazio ad
un bianco cadaverico, il corpo era scosso da un tremito che non riusciva a
fermare. Lo stomaco gli si era attorcigliato in maniera sgradevole, un peso
insostenibile gravava nel suo animo mentre sentiva i passi pesanti dell’uomo
chiamato Vodka avvicinarsi alla porta, capì che non aveva via d’uscita, era
spacciata, sarebbe morta...quasi svenne quando la porta si spalancò e lui la
guardò attraverso gli occhiali da sole, mentre un sorrisetto gli si formava
sulle labbra:
“Ma guarda, avevi
ragione...” sentenziò, lei lo guardava allibita, il suo cervello lavorava
furiosamente, doveva alzarsi in piedi, era un grassone, anche se robusto, poteva
atterrarlo con un colpo ben assestato di Karate e fuggire più velocemente
possibile verso la strada affollata, lì sarebbe stata al sicuro. Tentò di
alzarsi ma le gambe tremavano troppo, non sorreggevano il suo peso, così si
sollevò di pochi centimetri e ricadde in ginocchio con un gemito...si sentiva
morire, le lacrime che tratteneva a stento. Vodka tirò fuori la pistola con una
mano e gliela puntò alla testa, mentre con l’altra la prendeva sgarbatamente
per il collo del giacchetto jeans e la spingeva violentemente nella stanza,
chiudendo la porta alle sue spalle, senza smettere di sorridere.
“Sii più garbato,
Vodka, non vedi che è una signorina?” lo ammonì Gin con voce falsamente
gentile. Ran era rimasta semi sdraiata per terra, non osava muoversi, né
guardare in faccia i due uomini...fissava il pavimento sotto di sé, cercando di
acquietare il suo corpo...non voleva che loro si accorgessero di quanto era
spaventata...
Oddio perché
mi sono cacciata in questa situazione oh Shinichi tu cosa faresti al mio posto
aiutami ti prego non so che fare non voglio morire aiutami
“Allora bellezza,
se non sbaglio tu sei la stessa che ci è venuta addosso poco fa, non è così?”
Chiese Gin, guardandola con un sorrisetto. Ran rimase in silenzio, mostrandogli
solo la testa, sapeva che se avesse parlato la sua voce si sarebbe spezzata,
loro avrebbero capito che era terrorizzata...
“Il mio amico qui
ti ha fatto una domanda, ragazzina!” Le urlò il più basso, dandole un colpetto
nel fianco con la punta del piede. Ran si scansò di scatto, lanciando
un’occhiata spaventata all’uomo che le stava vicino con la pistola puntata, gli
occhi luccicanti di lacrime represse...poi annuì.
“Lo sapevo...non
mi dimentico mai un culetto così bello, quando ne vedo uno.” Disse, ed entrambi
esplosero in diaboliche risa di scherno. Ran li ascoltava, e attraverso la paura
sentì che affiorava un altro sentimento...si sentiva
Umiliata è
questo che vogliono fare umiliarmi lo so e io non so che fare non voglio restare
qui oddio cosa farebbero papà e Shinichi come si comporterebbero ho tanta paura
non voglio morire non voglio
Le risate pian
piano si spensero, Ran sentì le gambe della sedia del più alto strusciare per
terra, udì i suoi passi...si stava avvicinando a lei, e la paura sovrastò di
nuovo qualsiasi altro sentimento. Appoggiò le mani sul pavimento, dietro la
schiena, e cominciò a trascinarsi lontano da loro due, indietreggiando
disperata, finché la sua schiena venne a contatto con un freddo muro e dovette
arrestarsi. Non li aveva guardati per tutto quel tempo, ma ora lo vide sporgersi
verso di lei, sentì le sue dita prenderle il mento, costringerla ad alzare la
testa violentemente, fino ad incontrare il suo sguardo, i suoi occhi gelidi e
senza pietà...
“Dimmi bambina,
perché hai deciso di seguirci?” sentì il suo fiato, acre e impregnato di
tabacco, le sue dita ancora serrate attorno al suo viso... “Senti, o impari da
te a rispondere quando ti faccio una domanda, o ci penserò io a insegnartelo...e
non so tu, ma io mi divertirei molto di più nel secondo modo...” di nuovo la sua
risata perfida, mentre Vodka, dietro di lui, lo imitava. Ran annuì di nuovo,
esitante, poi si fece coraggio e cercò di parlare fingendosi il più calma
possibile: “Io...” sentì un nodo in gola e la sua voce, già flebile e acuta, si
spezzò. Lui continuava a fissarla con i suoi occhi senza pietà, aspettandosi una
risposta, e tenendo a mente la sua minaccia di poco prima, Ran deglutì con
fatica e riprese, con un fil di voce:
“Io vi ho...scambiati
per...qualcun altro...” Gin la osservò attentamente, squadrandola da capo a
piedi, la fronte aggrottata, poi ghignò: “Sì, può essere... ormai comunque non
ha più molta importanza...” si sporse ancora di più, ormai il suo volto era a
contatto con la sua spalla, Ran poteva sentire il suo fiato caldo sul collo, la
sua bocca sempre più vicina...capì cosa stava per fare e si irrigidì, cercando
di sottrarvisi con un gesto brusco, ma la sua nuca colpì il muro dietro di lei,
provocando un altro scoppio di risa in entrambi i suoi sequestratori.
“Calma piccola,
non devi avere nulla da temere...” le sussurrò all’orecchio il biondo, prese fra
le mani una ciocca di capelli bruni e la annusò, con gli occhi chiusi: “...hai
davvero un buon profumo...dì un po’...” riprese, sempre in un sussurro. Ran
sentiva che di lì a poco avrebbe perso i sensi, non poteva resistere un minuto
di più in quella situazione, si sentiva distrutta, terrorizzata, incapace di
reagire, come se tutto le fosse crollato addosso...respirava a fatica, il suo
cuore pompava sangue così forte che cominciava a farle male...
Aiuto ho
bisogno di aiuto non ce la faccio
Gin incontrò di
nuovo il suo sguardo, e le chiese a bassa voce, con stampato in faccia un
ghigno perfido di scherno: “Sei vergine?” Ran sussultò, gli occhi sbarrati e
ormai colmi di lacrime, fissando inorridita chi le stava davanti, incapace di
reagire, di pensare, così spaventata che un capogiro e un forte senso di nausea
si stavano impossessando del suo corpo scosso dai tremiti. “Oh, ma certo...sei
così...pura...bella e inviolata...” sibilò famelico. Fu a quel punto che il
terrore divenne insostenibile, la vista le si annebbiò finché non poté più
vedere il volto che le stava davanti, tutto divenne scuro...e svenne.
Note dell'Autrice: cavoli quanto
mi ha fatto schifo scrivere quest'ultimo pezzo!! Povera la mia Ran...capitano
tutte a lei!! ^^" sarà che ultimamente il mio umore non è stato dei migliori e
allora si riflette in ciò che scrivo...chissà! Comunque volevo postare il
dodicesimo capitolo prima che la scuola assorbisse di nuovo tutto il mio tempo
(ho iniziato il 16 ma i primi tre giorni non ho fatto praticamente nulla, per
cui...). Questo perché da adesso in poi mi sarà difficile aggiornare spesso, con
tutti i compiti e le attività pomeridiane da svolgere. Comunque conto su di voi,
siete in molti a leggere e se siete tanto carini da mandare un commento cercherò
di utilizzare un po' del mio tempo libero per continuare la ff. Un aiuto da
parte vostra in questo senso mi farebbe davvero piacere, ragazzi. ^//^ Allora,
come al solito vedo di dire qualcosina a chi mi ha scritto:
Mareviola: ciao!!^^ Grazie
mille...ecco il chap12... non ci sono molti dialoghi, ma spero ugualmente che ti
sia piaciuto; mi dispiacerebbe perdere una lettrice fidata come te! ^^" A
risentirci.
Akane Tendoo: Scusarti?!? O _ O E
di che cosa?? Sono rari i commenti accurati quanto i tuoi, significano che sai
esaminare bene ciò che leggi, ed è una bella qualità...mi ha fatto piacere
riceverlo, dico sul serio! ^//^ Il suggerimento era centrato, io sto cercando di
seguirlo, anche se in questo capitolo i pensieri dovevano mostrare l'angoscia
della protagonista e quindi non ci sono proprio riuscita..^^" in quanto
all'altra cosa, io non penso che esistano domande stupide...si domanda perché si
vuole sapere, e questo è un proposito tutt'altro che sciocco. Esistono invece
risposte stupide, questo sì. (e io ne sono la presidentessa, come avranno capito
tutti ormai - _-") Imperfezioni nella mia fanfic? Ce ne sono a bizzeffe! Ma non
pretenderai che le racconti in giro, no? ^ _ ~ Ti ringrazio dei
complimenti, sta sicura che se continui a sostenermi cercherò di fare sempre del
mio meglio!!^^ Ah, i tuoi sospetti erano fondati?? Immagino di sì, era piuttosto
ovvio (che grande scrittrice di gialli che sono, eh? ^^"). Alla prossima!!
Akemichan: grazie^^, ne sono
felice! Anch'io vorrei poter avere fra le mani i volumi in italiano, pensa che
sono andata a cercare in tutte le fumetterie esistenti nella mia città le
vecchie pubblicazioni della Comic Art, e sono riuscita a racimolare una ventina
di volumetti. Comunque per adesso mi sa che ci tocca accontentarci delle scans
in inglese e dell'anime in tv!! ; _ ; Ti ringrazio ancora per la
recensione, ^//^ spero di risentirti.
Bene, credo che sia tutto per quanto riguarda i commenti. Le citazioni di
questo chap venivano dai vol.19 (Conan che si fa pugnalare al posto di Ran a
Osaka) dal vol.1 (la frase che Ran ricorda di aver detto a Shinichi mentre
tornavano da scuola) e dai vol.18 e 24 per quanto riguarda i ricordi di Ai.
Un grazie a tutti i lettori che dedicano parte della loro giornata a questa
ff, spero non la riteniate sprecata! ^^"
Prossimo Capitolo: (o almeno ciò che ho
intenzione di scrivere) più azione, l'incontro fra Mori e Vermouth, cosa
succederà a Ran + un piccolo spunto per un HeijiKazuha che approfondirò poi (mi
sono accorta di aver trascurato la coppia del Kansai ^^") e naturalmente cosa
farà Conan! ^ _ ~
bye
-Melany
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Capitolo 13 *** Tropical Land ***
13. Tropical Land
Se c’era una cosa che gli era
ben chiara fin da quando aveva mosso i primi passi nel mondo dell’adolescenza,
era quanto fosse gravemente sbagliato andare al luna park in un giorno festivo.
La calca era così fitta che sebbene fosse una giornata abbastanza fresca si era
ritrovato a sudare copiosamente nel giro di pochi minuti. Farsi largo in mezzo a
quell’ondata di persone poi era tutt’altro che semplice, soprattutto se si
doveva tenere d’occhio un tizio comune di mezza età, vestito altrettanto
comunemente, il cui unico elemento non comune era il fatto di essere più basso
del normale. Da quando erano entrati al Tropical Land aveva rischiato di
perderlo almeno una dozzina di volte, o perché un gruppo di studentesse
ciarlanti gli passava davanti, oppure perché rischiava di investire bambini che
gli arrivavano alle ginocchia, o perché qualche strano pupazzo gigante cercava
di rifilargli dei volantini. Un altro po’ di questa vita e giurò a se stesso di
prendere Mori per la collottola, sbatterlo al muro, farsi restituire quel
benedetto nastro a suon di calci nel sedere...e tanti saluti al piano del caro
Kudo, in fondo non era a lui che erano toccate quelle tediose ore di
pedinamento! No, il suo amico e rivale si era divertito a mettere in moto la sua
deduttiva, e dal tono in estasi con cui gli aveva parlato la seconda volta che
gli aveva telefonato, sembrava che la sua fosse stata una giornata meravigliosa.
Senza contare che quella sera stessa avrebbe avuto un incontro indimenticabile
con l’amore della sua vita, mentre probabilmente lui avrebbe dovuto fare
di tutto per placare l’ira della sua amica d’infanzia, di cui ormai rifiutava
tutte le chiamate. E dubitava che lei lo perdonasse tanto facilmente. Una
brutta bestia l’invidia...fortunatamente non l’avrebbe mai spinto a fare ciò che
aveva pensato: Heiji sapeva che questa era una delle rare occasioni in cui Kudo
avrebbe potuto finalmente venire a contatto con l’Organizzazione, dando una
svolta definitiva alla sua situazione, e se c’era una cosa che non si sarebbe
mai permesso era rovinargli la vita, sapendo quante ne aveva già passate.
Inoltre Kudo l’avrebbe ucciso, e quello era un punto da tenere in
considerazione... ridacchiò, superando un altro gruppo di ragazze chiacchierine
e tenendo d’occhio l’uomo con il cappotto di feltro qualche testa avanti a lui.
Ma dove cavolo stava andando? Sentì il telefono vibrare, vide sulla schermata il
nome del suo migliore amico e rispose. “Dove sei?” Lo aggredì una voce concitata
non tanto infantile, senza dargli il tempo di dire nulla:
“Ciao anche a te, Kudo.”
Ribatté sarcastico, scansando con garbo una vecchietta che si era fermata
davanti a lui. Dall’altra parte sentì Conan fare uno strano suono, simile a un
ringhio:
“Non ho tempo da perdere
Hattori, dimmi dove sei!” urlò spaccandogli un timpano. Forse fu perché era
accaldato e stanco, ma Heiji vide per un attimo nella sua mente l’immagine di un
telefono rovente, effetto fumetto Walt Disney... “Qual è la parola magica, Conan
kun?” domandò ironico, un sorriso stampato in faccia.
“Hattori!” ringhiò Conan al di
là della cornetta.
“Su, non è così difficile...”
“Hattori!”
“Forza, o non ne usciamo
più...” Continuò Heiji per nulla intimidito. Così imparava quell’idiota a
propinargli simili incarichi odiosi. Udì uno sbuffò infuriato, e poteva
immaginare l’espressione incollerita e i pensieri non molto carini che il suo
collega stava facendo nei suoi confronti.
“Hattori...” esordì Conan
digrignando i denti “...per favore.” Il suo tono lasciava intendere che erano
ben altre le parole che intendeva dirgli. Heiji sorrise maligno:
“Bravo bambino. Visto che non
era poi tanto difficile?” un altro ringhio al di là della cornetta: “Comunque,
io e Mori stiamo passando davanti alla casa del terrore, e ci stiamo avviando
verso la pista dei go-kart. Muoviti adesso, hai già perso abbastanza tempo!” lo
ammonì, attaccandogli in faccia prima che potesse ribattere. Ridacchiò
soddisfatto, infilandosi il cellulare in tasca e pensando agli epiteti che Kudo
avrebbe voluto lanciargli addosso. Davanti a lui, Mori spintonò una coppia di
fidanzati per farsi strada, noncurante delle loro proteste, e poco dopo anche
Heiji li superò, con molta più gentilezza naturalmente. Vista la richiesta di
Kudo, poteva immaginare che fosse entrato al luna park, e che l’avrebbe
raggiunto in breve tempo. Si sentì sollevato, in due sarebbe stato molto più
divertente, soprattutto per lui, che non avrebbe perso occasione per
punzecchiarlo; Dio solo sa quanto adorava il suo rapporto con Kudo...
“Guarda qui, sono riuscita a
prenderne uno carinissimo!!” Kazuha mostrò a Sonoko il sacchetto di plastica
trasparente, pieno d’acqua, dove sguazzava tranquillo un pesce piccolo, di un
colore che sfumava dal rosso intenso a quello più chiaro. Sonoko lo guardò
ammirata.
“Hai ragione! È proprio bello!
Me lo regali?” Domandò con voce acuta, Kazuha scosse la testa con un sorrisetto
altezzoso e Sonoko le diede un colpetto sulla spalla, infastidita, poi entrambe
scoppiarono a ridere. Fortunatamente, le due ragazze avevano superato in fretta
la fase dei silenzi imbarazzati e delle conversazioni forzate e banali, e per
tutto il tragitto fino al luna park avevano chiacchierato spensieratamente
conoscendosi meglio. Kazuha notò che la ragazza di Tokyo aveva un carattere
molto espansivo, incline al sorriso, e nonostante i suoi continui apprezzamenti
nei confronti di ogni ragazzo più carino della media che incontravano e le sue
frequenti domande riguardo a Heiji, la trovava molto simpatica. La sua
personalità era estremamente diversa da quella di Ran, di certo meno esuberante
e più emotiva, e non riusciva a capire come avessero fatto a diventare grandi
amiche; tuttavia, la questione era per lei di blando interesse.
“Senti un po’, ma dov’è finita
Ran!?” le domandò Sonoko, passandosi una mano nel caschetto di capelli castani
corti. Kazuha si strinse nelle spalle.
“Non ne ho idea, ho provato a
chiamarla al cellulare, la prima volta ha squillato un po’ e poi ha rifiutato la
chiamata, la seconda volta invece era spento fin dall’inizio...” Sonoko la
guardò perplessa per qualche secondo, poi le sue labbra si stirarono in un
sorriso a trentadue denti:
“Chissà, magari Shinichi è
riuscito a venire prima e si stanno sbaciucchiando da qualche parte, e non
vogliono essere disturbati!” Disse con voce squillante e un po’ maliziosa.
Kazuha le sorrise di rimando; Ran doveva aver sbandierato ai quattro venti che
usciva con Kudo, a quanto pareva. Non la biasimava, anche lei avrebbe fatto lo
stesso, se mai Heiji e lei avessero avuto un vero appuntamento, per una
volta...purtroppo, per quanto sperasse intensamente che lui la invitasse da
qualche parte all’arrivo di ogni week-end, restava sempre delusa. Heiji
preferiva passare il tempo libero alla centrale di polizia aspettando che
capitasse qualche caso interessante, e se ciò non avveniva andava ad allenarsi a
kendo, a vedere una partita di baseball alla tv o a leggere qualche stupido
libro di Ellery Queen, che peraltro conosceva già a memoria. Se poi lei gli
proponeva di accompagnarla da qualche parte sbuffava seccato e acconsentiva di
malavoglia. Sembrava non accorgersi di quello che lei provava nei suoi
confronti, eppure un detective dovrebbe saper leggere fra le righe, dannazione!
Infatti, non si sarebbe mai dichiarata apertamente: se lui non la ricambiava,
avrebbe potuto rovinare il loro rapporto per sempre...e lei non voleva perderlo,
a costo di rimanere per sempre la 'sua sorella maggiore'. Tuttavia, quando con
lo scendere delle ombre si ritrovava da sola sul suo letto a pensare, non poteva
fare altro che ricordare quel giorno di qualche tempo prima, quando aveva
rischiato di cadere in quel dirupo e morire. Heiji l’aveva sorretta, sebbene
rischiasse di precipitare a sua volta, e sebbene lei lo avesse esortato a
salvarsi lui non l’aveva fatto, dichiarando che se anche avesse dovuto morire,
non l’avrebbe mai lasciata...così si erano salvati entrambi e lui l’aveva
portata sulle spalle fino al casolare, facendola sentire al sicuro, fino a farla
addormentare...tutte le volte che ci pensava arrossiva e sentiva un barlume di
speranza nascere nel suo cuore... una volta in salvo lo sguardo di Heiji era
colmo di affetto mentre la guardava con i suoi occhi verde - azzurri, il suo
sorriso di una dolcezza mai vista...quello che aveva letto nei suoi
atteggiamenti sembrava...era...amore...
“Che c’è Kazuha!? Cos’è quello
sguardo trasognante? Stai pensando a Heiji eh?” insinuò Sonoko scrutandola in
tralice, lo stesso sorrisetto malizioso che aveva mentre parlava di Ran e
Shinichi. Il viso della ragazza del Kansai avvampò fino a diventare dello stesso
colore del pesciolino nel sacchetto mentre balbettava imbarazzata.
“M-ma no figurati!! Io...io...non
stavo pensando a quel bamboccio!” Sonoko sospirò rassegnata scuotendo la testa:
“Eccola qua, tale e quale a Ran...” Kazuha la fissò ammutolita, non sapendo cosa
dire, ma per sua fortuna l’attenzione della ragazza di Tokyo fu catturata da un
gruppetto di ragazzi che si dirigeva verso la casa del terrore.
“Oh mio Dio hai visto che bel
biondino c’era in mezzo a quei tipi!? Era un figo da paura!!” squittì eccitata:
“Dai, seguiamoli, se entrano
nella casa del terrore potrebbe capitare che io mi spaventi aggrappandomi
accidentalmente al suo braccio!” E detto questo afferrò quello di Kazuha,
cercando di trascinarla verso il gruppo di ragazzi, facendosi largo tra la
folla.
“Ehi credevo che tu stessi con
un certo Makoto!” replicò la ragazza di Osaka, cercando di divincolarsi dalla
stretta.
“Sì infatti.” Rispose Sonoko
guardandola perplessa, come se non capisse il nesso di quell’affermazione con
quanto successo fino a quel momento. Kazuha, che non la conosceva abbastanza da
capire se stesse scherzando, e dovesse mettersi a ridere, o se doveva cominciare
a preoccuparsi, annuì solamente accingendosi a seguirla.
Tutto sommato, aveva un po’
paura ad ammettere che fosse proprio quello il sentimento che aveva letto negli
occhi del suo amico d’infanzia; ci sperava da così tanto tempo che poteva
benissimo aver volontariamente frainteso, e sapeva che se si fosse illusa e poi
fosse venuto fuori che aveva fatto tutto da sola, avrebbe sofferto il doppio. In
fondo, poteva essere benissimo l’affetto che un fratello rivolge alla sua
sorellina...sospirò, l’unica cosa che restava da fare era pregare perché Heiji
si dichiarasse; quel giorno, se mai fosse arrivato, gli avrebbe gettato le
braccia al collo in preda a una felicità senza confini...
“Permesso! Scusate! Permesso!”
Sonoko continuava a trascinarla attraverso la folla, spintonando chiunque si
frapponesse fra lei e il biondo, finché non si scontrarono con un ragazzo alto,
con un berretto da baseball, evidentemente intenzionato a non lasciarle passare.
“Ehi, levati! Dobbiamo...” la
voce della ragazza di Tokyo s’interruppe per lasciar spazio ad un urletto,
Kazuha alzò la testa per capire il motivo della sua reazione e restò a sua volta
senza fiato:
“Heiji!! Che diavolo ci fai
qui!?” Domandò allibita, mentre il ragazzo lo guardava con gli occhi sbarrati,
come se avesse visto un fantasma. Non rispose subito, ma lanciò un’occhiata
furtiva davanti a sé, a quel che pareva alla folla.
“Io...sto facendo quella
commissione...” disse esitante, senza guardarla negli occhi.
“Qui, in un luna park!?!”
ribatté incredula e un tantino accigliata. Che Heiji stesse mentendo era palese,
ora doveva capire se era per mascherare un appuntamento con un’altra ragazza.
Solo al pensiero sentì un soffio doloroso all’altezza del petto...
“Ehm...ora non ho tempo di
spiegarti, ci vediamo dopo...” rispose frettoloso, fece per andarsene, lo
sguardo rivolto al mucchio di teste davanti a lui, la fronte aggrottata, ma
Kazuha lo afferrò per un braccio.
“No!! Non credere di potermi
liquidare in questo modo!! Cos’hai fatto tutta la mattina!? Perché sei venuto al
luna park!?” Si accorse che la sua voce, sebbene tremasse di rabbia, lasciava
trapelare tristezza e abbattimento. Heiji probabilmente se ne avvide perché la
guardò negli occhi esterrefatto, per un lungo attimo, poi fu come se fosse
svegliato bruscamente da un sogno, perché le strattonò il braccio liberandosi
dalla sua presa e ricominciò a camminare fra la folla, un leggero velo di panico
negli occhi: “Non ora Kazuha per favore” ripeté facendosi largo tra la folla, e
se l’avesse guardata si sarebbe accorto che si stava trattenendo a stento dal
piangere. Sonoko osservava entrambi ammutolita: il ragazzo stava per essere
inghiottito di nuovo dalla folla, Kazuha lo fissava con sguardo vuoto, pallida:
Heiji le aveva mentito, aveva inventato la scusa della commissione perché non
voleva averla tra i piedi...e le veniva in mente una sola motivazione per quel
suo comportamento, che la lacerava dentro, dolorosamente. Per anni gli era stata
vicina, sopportando il fatto che non sarebbe mai stata al primo posto fra i suoi
pensieri, perdonandolo ogni volta che le dava buca ad un appuntamento o la
piantava in asso nel bel mezzo di un’uscita per risolvere un caso, aspettandolo
con ansia ogni volta che lui partiva per Tokyo senza di lei...e a lui non era
mai importato niente...anzi...nemmeno ci aveva mai fatto caso... All’improvviso
i suoi occhi si riempirono di un cipiglio frustrato, seguì il suo amico
d’infanzia fra la calca, fermandolo di nuovo e facendolo voltare: “Sei
solo un bastardo!” Gridò infuriata, mollandogli uno schiaffo che fece
rabbrividire tutti intorno a loro. A quel punto non riuscì più a trattenere le
lacrime, si voltò per nasconderle e fuggì via, lasciando Heiji a bocca aperta,
pallido, che la osservava massaggiandosi con gesto meccanico la guancia
arrossata: la sua amica d’infanzia si allontanava fra la folla, correndo a testa
bassa e asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Stava piangendo...e lui,
sebbene consapevole di non aver fatto nulla di male, si sentì scosso e
profondamente colpito. Perché aveva avuto quello scatto isterico!? Che davvero
pensasse che...
“Non crederà che io sia qui per
divertirmi con una ragazza spero!” Lanciò un’occhiata esasperata alla figlia del
capo del gruppo Suzuki, imbronciato. Lei lo guardò per un momento, poi rispose
esitante:
“Ehm...non so...può darsi...”
Heiji sbuffò, mormorando a mezza voce un “Idiota” e fissando con gli occhi
socchiusi la coda di cavallo ciondolante che si stava confondendo tra la folla.
Era infastidito dal fatto che lei gli desse così poca fiducia, ma allo stesso
tempo sentiva uno strano vuoto all’altezza del petto al pensiero che stava
piangendo per lui. Kazuha era sempre stata una ragazza tosta, forte, raramente
l’aveva vista in lacrime...eppure anche solo il sospetto che lui potesse essere
in compagnia di un’altra l’aveva ridotta in quello stato. Per la prima volta
nella sua vita sentì il forte impulso di correrle dietro per mettere bene in
chiaro che mai lui avrebbe fatto qualcosa che potesse minimamente ferirla, e che
esisteva solo una ragazza con la quale sarebbe voluto uscire...una ragazza che
conosceva fin da quando era piccolo...che lo faceva star bene con la sua sola
presenza...che mai avrebbe voluto perdere...Fece dietro-front per raggiungerla
ma sentì qualcuno afferrargli i vestiti un po’ sopra il ginocchio, e quando
abbassò lo sguardo gli venne quasi un infarto; si voltò di scatto verso il luogo
dove l’ultima volta aveva focalizzato il giornalista, scoprendo con orrore che
di lui non c’era traccia.
Conan raggiunse con il suo
skate-board il luogo che gli aveva suggerito Hattori al telefono, anche se ci
impiegò un po’ a causa del mucchio di persone che lo costringevano a mettere al
minimo la velocità del suo mezzo di locomozione. Se la sua gamba non stesse
mandando fitte lancinanti ogni minuto, sarebbe sceso e andato volentieri a
piedi. Individuò il ragazzo fra la folla, il berretto da baseball bianco che
rifletteva la luce del sole, e si accorse con vago stupore che accanto a lui
stava Sonoko, fissandolo come inebetita; con suo enorme sollievo non vedeva Ran
da nessuna parte: avrebbe cominciato a fare storie e sarebbe stato seccante,
senza contare che avrebbero perso tempo. Tuttavia, guardando l’espressione del
suo collega, un brivido gelido gli percorse la schiena: non sembrava la faccia
di uno che sta tranquillamente tenendo d’occhio un sospettato. Era...afflitto,
triste e leggermente contrariato, gli occhi fissi nella contemplazione di
qualcosa (o qualcuno) davanti a sé. La cosa non gli piaceva per niente,
considerando che mancava all’appello anche Kazuha Toyama, la fidanzata del
suddetto. Ma non aveva alcuna voglia di pensare al peggio...
Ma sì magari sta osservando
Mori e intanto pensa a qualcos’altro mi preoccupo troppo
Ignorando il fatto di aver
sentito nella sua mente la voce della speranza e non della ragione obbiettiva si
diresse verso di lui, cercando di non essere calpestato dalla folla, e non
potendo per ovvi motivi dargli un buffetto sulla spalla per richiamare la sua
attenzione, si aggrappò alla stoffa dei pantaloni sulla gamba. Lui abbassò lo
sguardo e quando incrociò il suo, Conan non poté fare a meno di notare che
l’ombra di panico che era balenata nei suoi occhi verde - azzurri non gli
piaceva per niente. Proprio per niente. E lo stesso valeva per il gesto brusco
che il detective dell’ovest fece subito dopo, voltandosi a guardare la marea di
teste e trasalendo, pallido in faccia sotto l’abbronzatura. Cercando di
mantenere un tono freddo e distaccato nonostante il timore e la rabbia che
stavano crescendo dentro di lui Conan esordì:
“Tu sai dov’è, vero? Non
puoi averlo perso, dico bene?” Heiji evitò accuratamente di guardarlo in
faccia, i suoi occhi continuavano a guizzare soffermandosi speranzosi su ogni
uomo coi capelli neri. Sonoko riconobbe la voce del bambino e abbassò lo sguardo
a sua volta:
“Oh, sei tu...ma come mai Ran
non è con te?” Chiese, Conan la ignorò totalmente, lo sguardo torvo fisso sul
ragazzo del Kansai:
“Dico bene, Hattori!?”
Ringhiò, gli occhi fiammeggianti attraverso le lenti degli occhiali. Heiji si
voltò verso di lui esitante: “Ehm...a dir la verità...al momento non riesco a...vederlo...”
balbettò, e se gli occhi di Conan fossero stati armi l’avrebbero ucciso.
“COME SAREBBE A DIRE???” urlò
infuriato, Heiji trasalì, Sonoko fissò il bambino con un misto di timore e
sbalordimento: da quando in qua quel bambino era così aggressivo e spaventoso!?
E soprattutto di che diavolo stavano parlando!?
“Io l’ho tenuto d’occhio fino a
un momento fa...mi sono distratto solo un attimo...era lì da quelle parti, non
può essere lontano...” si giustificò il detective dell’ovest, indicando la pista
dei go-kart davanti a sé. Conan imprecò ad alta voce, volgendo lo sguardo
seguendo la traiettoria del dito di Heiji. Se avesse avuto il tempo avrebbe
urlato contro di lui fino a diventare afono, probabilmente gli avrebbe calciato
addosso qualcosa aumentando di molto la potenza delle sue scarpe, poi l’avrebbe
ucciso in un modo lento e doloroso...oh sì, l’avrebbe fatto, e con un piacere
piuttosto malsano, se non fosse che ora come ora aveva cose più importanti di
cui occuparsi:
“D’accordo, dividiamoci e
cerchiamolo” sbuffò irritato con un tono perentorio.
“Ma…cercare chi!?” si intromise
ancora una volta Sonoko, squadrandoli entrambi incuriosita. Heiji sospirò,
ancora un po’ scosso da tutto quello che gli era successo negli ultimi cinque
minuti e le si rivolse in tono amabile:
“Suzuki chan, per favore, trova
Kazuha e cerca di consolarla…dille che le spiegherò tutto il prima possibile, ma
che adesso proprio non posso…falle capire che non intendevo offenderla…e cose
così. Conto su di te…okay?” Le rivolse un sorriso che fece aumentare di molto il
battito cardiaco e il rossore sulle gote della ragazza di Tokyo, che annuì in
modo energico e sparì tra la calca. Conan continuava a guardarsi intorno,
ascoltando le parole del ragazzo poté immaginare vagamente qual era stata la
ragione della sua inefficienza, anche se quel pensiero passò come un lampo e
scomparve alla svelta dalla sua testa, concentrata su ben altre questioni:
“Appena lo vedi, chiamami immediatamente.” Concluse, come se non ci fosse
stata nessuna interruzione, e inforcando lo skate-board si allontanò da lui,
zig-zagando fra la folla. Per un bel po’ di minuti continuò a scrutare ogni cosa
o persona intorno a lui, il suo cuore aveva un tonfo ogni volta che vedeva un
uomo sulla quarantina, basso e con i capelli neri, ma si rivelava sempre
un’altra persona: d’altronde erano in Giappone, che cosa si aspettava? Le
frequenti delusioni unite al malumore che quell’imprevisto gli aveva messo
addosso gli cancellarono completamente tutta l’euforia che aveva provato poco
prima. Possibile che niente andasse mai come voleva?
Ecco il difetto dei piani
quasi mai le cose vanno come dovrebbero e uno si ritrova con l’amaro in bocca… a
questo punto meglio andare allo sbaraglio e improvvisare tanto alla fine si
riduce tutto a questo e se poi finisce male puoi consolarti pensando che è
abbastanza normale che sia successo visto che sei andato lì senza uno straccio
di pianificazione e puoi morire serenamente e senza ulcere di sorta…
Notò vagamente che quando era
sotto pressione i suoi ragionamenti non avevano mai molto senso, ma non ci fece
tanto caso. Continuò a maledire mentalmente il detective dell’ovest mentre i
suoi occhi azzurri guizzavano da ogni parte, cercando…cercando…cercando…
Atsushi Mori sarà anche stato
vittima di un’emicrania da record e un senso di nausea a stento sopportabile, ma
non era certo uno stupido. Non gli andava a genio che quella donna gli avesse
dato appuntamento in un posto tanto affollato per poi indirizzarlo nell’unico
luogo deserto, dove di tutta la gente presente e delle attrazioni restava solo
il chiasso. Per fortuna che era stato previdente, e nascosta sotto il cappotto
di feltro c’era la sua calibro 9, carica e perfettamente funzionante. Non che
avesse davvero paura di quella bambola, ma in fondo aveva detto che avrebbe
portato qualcuno con sé, e ora che non era più ubriaco capiva quanto quella
situazione fosse potenzialmente pericolosa. Pazienza…tutto questo faceva parte
del suo mestiere, e lo scoop della sua vita valeva un po’ di rischio, no? Si
appoggiò al muro, accendendosi una sigaretta e fumando avidamente; da qualche
parte risuonarono delle grida…gli ricordarono un servizio che aveva fatto poco
tempo prima, su un incendio in una discoteca…era arrivato sul posto quando
ancora i vigili del fuoco non avevano né domato le fiamme né salvato i ragazzi
chiusi all’interno…poteva udire le loro urla disperate...aveva scritto un pezzo
molto toccante su quella tragedia. Perfino il capo redattore gli aveva fatto i
complimenti. Non tutti i mali dunque vengono per nuocere…sorrise a se stesso,
sbuffando fumo, mentre un venticello fresco gli scompigliò i capelli. Tutto
sommato, incontrarsi lì non era stata una cattiva idea; all’ombra di quella
grossa costruzione non sentiva più il caldo afoso che c’era invece in mezzo alla
calca, e che raddoppiava lo stimolo a piegarsi in avanti e vomitare.
“Salute, mr Mori” Udì una voce
femminile, con un evidente accento americano, e si voltò sorridendo con falsa
gentilezza.
“Ciao a te, bellezza. Sei
sola?” si guardò intorno nervosamente. Il fatto che lei non fosse accompagnata
gli dava uno strano senso di allarme. Si portò la mano sotto il cappotto
cercando di farlo sembrare un gesto casuale, senza smettere di sorriderle:
“Pensavo che dovessi farmi conoscere qualcuno…” La donna che si faceva chiamare
Christy sorrise di rimando, ma non c’era alcuna traccia di gentilezza, falsa o
vera che fosse; era un sorriso che esprimeva allo stesso tempo consapevolezza e
scherno, intaccabile, freddo quanto gli occhi chiari che fissavano Mori con un
luccichio inquietante…quasi perverso…pensò con un brivido il giornalista.
Sì, era così che l’avrebbe descritto su carta…
“Oh, I’m so sorry…” ribatté con
voce mielata “Temo che non andrà come avevamo previsto, my dear silly man.”
Lui strinse la mano attorno
all’impugnatura della pistola che ancora celava sotto il cappotto; non gli
piaceva affatto quello che stava succedendo, come non gli piaceva quella donna.
La sera prima l’aveva trovata attraente, e infatti era molto più bella della
media delle sue coetanee…però…c’era qualcosa in lei, qualcosa di decisamente
sbagliato, che i fumi dell’alcool gli avevano celato al loro primo incontro.
Pensò che la camicetta e la gonna che indossava le si addicevano perfettamente,
avvolgendola di un nero cupo come l’atmosfera che stava creando intorno a loro
sebbene fosse una radiosa giornata di sole.
“Non capisco cosa vuoi dire,
Christy…” disse lentamente, senza smettere di sorridere. L’ultima cosa che
voleva era farsi prendere da crisi nervose: ci voleva mano ferma per estrarre la
pistola e spararle senza sbagliare mira. Lei aprì la borsetta di pelle che le
ciondolava dalla spalla e lui si irrigidì, ma la donna estrasse solamente una
sigaretta senza filtro, tenendola fra indice e medio, delicatamente: “Hai
portato la cassetta, vero?” chiese dolcemente, fissandolo. Mori scoppiò in una
risata forzata, cosa che naturalmente non le sfuggì, anche se lui non poteva
saperlo:
“No, dolcezza, certo che no. È
in un posto sicuro. Ma naturalmente, se non la recupero entro qualche giorno, un
mio collega andrà a prenderla e la porterà in redazione per me. Senza contare
che gli ho raccontato tutto di te bellezza, sa che devo incontrarmi con te…se io
non dovessi tornare, ti rintraccerebbero subito.” Concluse, complimentandosi con
se stesso per quello che aveva appena detto. Lei chiuse gli occhi per un attimo,
sorridendo e sospirando, poi tornò a guardarlo con i suoi occhi freddi: “How
simple you are! So che non c’è nessun collega. So che ce l’hai con te, da quando
sei uscito non hai avuto modo di metterla da nessuna parte.” Per la prima volta
il falso sorriso del giornalista sparì per lasciar spazio a stupore e
incredulità. Il viso della donna si colorò di sincero divertimento:
“So tutto di te, my dear. Non
sei sposato, non hai figli, nessun parente o conoscente a cui verrebbe voglia di
vederti o sentirti nel caso tu non ti facessi più vivo. E poi ti ho tenuto
d’occhio, e non ero l’unica, a dir la verità. Ma per fortuna, più per me che per
te, ho potuto incontrarti da sola.” Alzò lo sguardo: “A
teenager is a teenager, after all, even he’s a genius detective.”
Commentò infine in tono indulgente, più a se stessa che al suo interlocutore,
avvicinandosi di qualche passo alla figura tesa davanti a lei, puntellandosi sui
tacchi delle scarpe nere di Gucci. Mori stringeva così tanto l’impugnatura della
pistola che la mano era appiccicosa di sudore, la sua emicrania aveva raggiunto
livelli stellari. Essendo un giornalista parlava correttamente molte lingue
straniere, e l’inglese non faceva eccezione; perciò, sebbene nervoso, capì che
probabilmente si riferiva a Kudo. Non sapeva perché, ma la notizia che lui
l’avesse perso di vista l’aveva un po’ scosso, più del fatto che lo stesse
pedinando. Era proprio in una brutta situazione se aveva bisogno di sentirsi
protetto da un detective striminzito.
La donna si fermò a pochi
centimetri da lui, ormai era più teso di una corda di violino, e lottava perché
non si spezzasse. Niente crisi di nervi o mosse avventate. Quello l’aveva
stabilito da un pezzo. Lei alzò la mano davanti al suo volto, la sigaretta
ancora poggiata fra le dita tese: “Hai da accendere?” chiese come se niente
fosse, Mori capì che quella era l’occasione che aspettava: “Sempre, per te…”
mormorò, e con la scusa di prendere l’accendino poté armeggiare sotto il
cappotto ed estrarre fulmineo la pistola.
Mentre volgeva in fretta lo
sguardo intorno a sé, scrutando ogni rappresentante maschio di homo sapiens di
mezza età, Conan udì con non poco dispetto una strana voce nella sua testa,
vagamente somigliante a quella del padre, che lo ammonì con tono di rimprovero:
ma tu sei davvero un
detective? Perché qualsiasi idiota saprebbe guardarsi intorno nella speranza che
l’obiettivo si faccia vivo… ci manca solo che ti aspetti che sia lui a
sventolare le mani per farti cenno di seguirlo…usa il cervello maledizione!
Nonostante la stizza che gli
era cresciuta in corpo (unita a una leggera preoccupazione, a dir il vero: ma
era normale che sentisse delle voci?) dovette ammettere che aveva ragione: non
avrebbe cavato un ragno dal buco se non avesse cominciato ad analizzare gli
indizi che aveva; punto primo: l’ultima volta che era stato visto era vicino
alla casa del terrore, e si stava avviando verso la pista dei go-kart. Punto
secondo: Vermouth non lo avrebbe certo fermato in mezzo a tutta quella gente:
probabilmente intendeva trascinarlo in un luogo isolato, ucciderlo e poi
confondersi tra la folla, perché in questo modo sarebbe stato impossibile
risalire a lei. Perciò la domanda che doveva porsi era la seguente: dov’era in
quel luna park, all’incirca intorno alla pista, un luogo dove poter incontrare
qualcuno lontano da occhi indiscreti? Si bloccò di botto, le ruote dello
skate-board stridettero e il davanti della tavola si alzò da terra, senza
naturalmente disarcionare il suo passeggero, che era pronto a quella eventualità
e si tenne in equilibrio allargando le braccia. Un paio di bambine vedendolo si
sciolsero in un “Ooooh” di ammirazione, battendo le mani. Conan sbuffò
rassegnato e si guardò intorno; in tutto lì c’erano due posti che rispondevano
alle sue caratteristiche: uno era una piazzola laterale, in penombra, dove una
volta c’erano le montagne russe ma che ora erano state chiuse per manutenzione.
Un cartello avvertiva che era vietato avvicinarsi. Lo escluse a priori. Non era
un luogo sicuro, se qualche temerario si fosse accostato abbastanza alla
costruzione e avesse dato un’occhiata fra le rotaie avrebbe potuto veder tutta
la scena senza difficoltà…
La seconda possibilità era
dietro una giostra chiamata Flipper. Aveva bisogno di una piattaforma piuttosto
grande, e sullo sfondo c’erano alti pannelli colorati che impedivano la visuale;
siccome era posizionato all’estremità del luna park il retro era deserto, per
raggiungerlo bisognava scavalcare qualche ringhiera e vi si riusciva senza
troppa difficoltà. Conan sorrise trionfante e si diresse a gran velocità verso
l’attrazione, scavalcando la ringhiera mentre l’addetto era occupato a badare
alla gente che si accalcava per i biglietti, e cominciò a camminare nella
penombra che la costruzione formava stagliandosi contro il sole, lo skate-board
sottobraccio. Avanzò con passo felpato, sarebbe stato un guaio se Mori o
Vermouth l’avessero sentito, anche se le grida di quelli che stavano sul Flipper
nascondevano ogni minimo rumore. D’un tratto sentì una voce strascicata e rauca,
e il suo cuore cominciò a battere eccitato, mentre un sorriso soddisfatto gli si
formava sulla faccia, le sopracciglia aggrottate e gli occhi che luccicavano
entusiasti.
“…e io gli ho raccontato tutto
di te, bellezza, sa che devo incontrarmi con te…se io non dovessi tornare, ti
rintraccerebbero subito.” Dal suo tono Mori sembrava molto sicuro di sé, ma
Conan percepì una nota di inquietudine nella sua voce, che lui evidentemente
credeva di aver celato alla perfezione. Era chiaro che, qualsiasi cosa avesse
detto quando lui non era in ascolto, era una bugia. Si avvicinò un po’ di più e
poté scorgere la bassa figura del giornalista, nel suo cappotto di feltro, sotto
il quale nascondeva la mano destra. Poteva immaginare cosa stessero impugnando
le sue dita…
“How simple you are!” esclamò
una voce femminile, in un inglese/americano impeccabile. Conan diresse lo
sguardo verso la voce e scorse Chris Vineyard, alias Vermouth, favolosa e sexy
come sempre nei suoi abiti neri attillati. Gli dava le spalle e guardava Mori, e
da quello che aggiunse dopo, in tono divertito, Conan capì che non solo aveva
fatto seguire il giornalista (o se ne era occupata di persona, chissà) ma doveva
anche aver raccolto dei dati su di lui. Pensò con un brivido che probabilmente
aveva fatto la stessa cosa nei suoi confronti, e perciò lei sapeva tutto della
sua famiglia, dei suoi amici…la cosa non gli piacque affatto.
“…e non ero l’unica, a dir la
verità. Ma per fortuna, più per me che per te, ho potuto incontrarti da sola.”
Ci fu una piccola pausa, durante la quale Conan ebbe il tempo di notare che,
sebbene la cosa non lo sorprese più di tanto dopo la precedente dichiarazione,
nemmeno l’idea che lei sapesse del pedinamento di Heiji gli andava molto a
genio.
“A teenager
is a teenager, after all, even he’s a genius detective.” Commentò ancora
una volta in inglese. Conan capì perfettamente quello che aveva detto (andando a
trovare spesso i genitori a Los Angeles non aveva alcuna difficoltà) e,
nonostante non ne sapesse spiegare il motivo, il tono indulgente e quasi
intenerito con cui aveva parlato lo fece rabbrividire.
La vide avvicinarsi a lui con
qualcosa fra le dita, probabilmente una sigaretta, con un portamento elegante e
tranquillo; Mori invece socchiuse gli occhi, profondamente teso e concentrato, e
Conan ebbe il presentimento che stesse per estrarre la pistola per sparare alla
sua interlocutrice, che continuava a camminare all’apparenza senza essersi
accorta di nulla. Per un attimo fulmineo ponderò la possibilità di lasciarlo
fare, una spietata assassina in meno a questo mondo, non una gran perdita. Ma
purtroppo…
Purtroppo non posso non
sarebbe giusto una vita è sempre una vita non importa a chi appartiene…
Posò delicatamente lo
skate-board per terra, spinse il pulsante sul suo orologio e inquadrò nel mirino
il giornalista, il dito sul secondo pulsante, quello che avrebbe sparato il
dardo narcotizzante.
Udì Vermouth chiedergli
qualcosa che non gli arrivò, Mori le rispose ed estrasse la pistola, come aveva
previsto. Conan era pronto. In quei pochi secondi che l’uomo impiegò a tirar
fuori l’arma lui spinse il pulsante sull’orologio e l’ago anestetico lo colpì
sul collo; Mori sbarrò gli occhi dalla sorpresa e subito rovinò a terra, le
palpebre chiuse e il petto che si alzava e abbassava a ritmo regolare. Conan si
preparò a sparare anche alla donna, ma in quei pochi attimi che aveva impiegato
ad assicurarsi di aver centrato il bersaglio Vermouth aveva estratto una pistola
col silenziatore, che probabilmente impugnava già da dentro la borsetta senza
che né lui né il giornalista ci facessero caso, e la puntò contro di lui.
“Molto carino da parte tua
salvarmi, Cool Guy.” Disse dolcemente, sorridendogli. Conan le sorrise di
rimando, guardandola dritta negli occhi: “Non che ce ne fosse bisogno…dico
bene?” rispose sprezzante. La situazione era piuttosto critica, e lui non
proprio a suo agio, ma pensare a essere spaventato non gli sarebbe servito a
niente per salvarsi, e avrebbe distrutto il suo orgoglio. Perciò, come sempre in
quei casi, accantonò la paura nei reconditi del suo animo e si scoprì ancora una
volta calmo e sicuro di sé.
Vermouth lo osservava con
atteggiamento accondiscendente e benevolo quanto lo poteva essere una che ti sta
puntando una pistola addosso: “Credo che lo ucciderò. Un tipo davvero…repulsive”
commentò, con un’occhiata furtiva all’uomo accoccolato per terra. Conan, tenendo
sempre la mano sull’orologio non più puntato su nessuno, ridacchiò.
“Sono d’accordo. Ma io non l’ho
aiutata per lasciarglielo ammazzare.” replicò con semplicità. Una parte della
sua mente non era concentrata sul discorso, bensì su un modo per uscire da
quella situazione scomoda.
“Lo so bene, Cool Guy. Ma devi
cominciare ad abituarti all’idea di non poter salvare sempre tutti…” le sue
parole erano fredde come il ghiaccio, cariche di una crudeltà che i suoi modi
affettati e la sua voce dolce non riuscirono a mascherare. Non che lei lo
volesse.
“Questo l’ho capito già da
tempo…” mormorò in tono amaro, abbassando lo sguardo mentre nella sua mente si
faceva largo l’immagine di una ragazza coi capelli lunghi, bruni, sanguinante
tra le sue braccia in una fredda serata d’inverno…
Akemi Miyano…
E non solo lei.
Purtroppo.
Alzò lo sguardo, nessuna
traccia di tristezza in quel freddo oceano che erano i suoi occhi. L’ultima cosa
da fare era mostrarle quanto la sua considerazione l’avesse colpito nel
profondo, aprendogli ferite ancora non del tutto rimarginate.
E che probabilmente non si
rimargineranno mai…
“…non ho bisogno di ulteriori
lezioni.” Continuò con voce alta e sicura: “E poi, al momento, credo di dovermi
preoccupare di più di cosa lei farà di me, no?” La guardò altero, riflettendo
alla ricerca di una qualsiasi via d’uscita.
Lei rise in modo leggero:
“Anche…” commentò divertita. Conan notò con la coda dell’occhio un sasso un poco
lontano da lui. Se solo fosse riuscito a spostare un po’ il piede…quante
possibilità aveva che lei si distraesse dandogli modo di colpirla con quello o
con il suo orologio?
“...posso ucciderti da un
momento all’altro, Cool Guy. Lo sai. Non hai scampo, e sai anche questo. Non ti
servirà né tenere la mano sul tuo orologio né lanciare occhiate nervose a quel
grazioso sasso che ti sta vicino, perché io non mi distrarrò, sono una
professionista. E probabilmente ti rendi conto anche di questo, anche se non
vuoi ammetterlo a te stesso. Povero caro…immagino che adesso tu stia
rimpiangendo il fatto di avermi salvata. O comunque di non avermi colpita per
prima…my darling, hai commesso un errore. Su Mori avresti potuto trionfare
facilmente…ma su di me…” sospirò, scuotendo leggermente la testa, gli occhi
ancora fissi su di lui e l’indice smaltato sul grilletto.
“…eh sì, povero Cool Guy…in
questo momento, sei mio…io posso decidere se farti vivere…o morire.” Il
suo tono zuccheroso perse completamente di credibilità nell’ultima parola. Conan
sentì una goccia di sudore colare dalla fronte fino al mento. Era in trappola.
Vermouth aveva ragione…la sua vita dipendeva completamente da lei…
e lei è un’assassina a
sangue freddo…
“Impara, mio giovane
detective…in questo mondo, in cui tu hai deciso di entrare fin da sedicenne, non
puoi permetterti di fare questi errori. Non c’è spazio per la pietà…avresti
dovuto startene buono dietro i cespugli, sperare che Mori mi uccidesse...e una
volta che io gli avessi sparato, colpire me…ma non con quello sciocco aggeggio.
Con qualcosa che mi avrebbe impedito di far del male a te e ai tuoi cari per
sempre…” il suo tono di voce era basso e profondo, lo scrutava attentamente, gli
occhi che brillavano, le sopracciglia inarcate. Conan la osservava in silenzio.
Una brezza fresca scompigliò delicatamente i capelli di entrambi, mentre nuove
grida entusiaste si levarono dalla costruzione accanto a loro.
“Ma adesso è troppo tardi…hai
perso la tua occasione e non ne avrai altre, non potrai più sconfiggermi. Lo
senti, nel tuo animo...? Riesci a percepirlo..? Sì che ci riesci…è quel
rimpianto…quello che, se potessi tornare indietro nel tempo, ti porterebbe ad
uccidermi…non è così, Cool Guy?” domandò in tono dolciastro, sorridendogli.
Conan sorrise a sua volta, sbuffando ironico.
“No, mi dispiace deluderla.”
Replicò tranquillamente. “Se potessi tornare indietro nel tempo, probabilmente
farei la stessa cosa. Se non avessi fermato Mori, lei gli avrebbe sparato…se
avessi colpito lei, sarebbe stato Mori a farla fuori…in definitiva, non penso di
aver commesso errori. È solo che non avevo scelta.” Si strinse nelle spalle,
Vermouth alzò un sopracciglio, continuando a studiarlo con lo sguardo.
“Ma è proprio questo il tuo
errore, non lo capisci?” ribatté in tono indulgente, lo stesso sorriso
falsamente amabile sul viso impeccabile. “Tu credi di dover salvare la vita di
tutti, anche dei tuoi nemici…ma in questo modo non puoi vincere. Se vuoi davvero
combattere contro la nostra Organizzazione, devi imparare che l’omicidio è
sovente l’unica via attraverso la quale puoi raggiungere il tuo obiettivo. La
Morte, Cool Guy, può essere la tua alleata più potente, ma anche la più temibile
fra i tuoi avversari. Sei tu a dover scegliere. Se davvero vuoi proteggere i
tuoi cari, allora…bada bene di fare la scelta giusta.”
“Si sbaglia.” Disse deciso, il
blu dei suoi occhi profondi e bui, come un oceano in tempesta. “La morte non
può essere un’alleata. Forse ci si può servire di lei, ma resta un’arma a
doppio taglio. È pericolosa e fine a se stessa, non può portare a niente di
positivo. Io non cadrò mai nella sua trappola, perché è qualcosa da cui non si
può uscire. No, io posso vincere, anche senza sporcarmi le mani di sangue.
Perché è così, perché deve essere così…io non crederò mai che l’omicidio
possa essere una via d’uscita, la soluzione ai miei problemi. È solo una
scorciatoia per i deboli, una via più breve, ma fatale. La mia scelta…io l’ho
fatta già da tempo.” Concluse serio, fissandola altero e imperscrutabile, un
sorriso carico di sicurezza e decisione, le sopracciglia inarcate. Vermouth
sbatté le palpebre, silenziosamente pensierosa. Poi, i suoi occhi ripresero quel
luccichio inquietante e di nuovo si rivolse a lui, dolcemente.
“Sai che i tuoi ideali ti hanno
condotto alla mia mercé eppure ancora non vuoi abbandonarli. You’re so
interesting, aren’t you?” rise divertita, il suo dito si poggiò più pesantemente
sul grilletto della pistola, mentre i suoi occhi scorrevano sul suo corpicino,
soffermandosi volontariamente sul suo petto, sulla sua testa…
“Comunque, posso ucciderti da
un momento all’altro, Cool Guy. Perciò dimmi: che hai intenzione di fare
adesso?” Gli domandò, uno strano luccichio maligno negli occhi grigio-verdi.
Conan non si era mai sentito tanto perso come in quel momento. Non c’era via
d’uscita, lei aveva visto giusto. L’unica speranza era che Heiji si facesse vivo
da quelle parti, ma era improbabile, visto che lui stesso gli aveva intimato di
andare nella direzione opposta alla sua. Ma perché, perché, non erano andati
insieme?
Io e il mio stupido
orgoglio…me l’hai fatta ancora una volta vecchio mio
Pensò con l’ironia del panico.
Tuttavia, quando parlò, la sua voce era calma, quasi stesse conversando
tranquillamente al tavolino di un bar: “Per il momento mi sto chiedendo…” le
lanciò un’occhiata significativamente acuta “…perché, se io sono in trappola,
non l’ha ancora fatto, ma’am.” Vermouth non sembrò presa in contropiede da
quella risposta, anzi, inarcò un sopracciglio ritoccato con la matita nera e lo
squadrò con aria piuttosto soddisfatta.
“Oh…ma perché se lo faccio, chi
aiuterà il nostro povero angelo?” gli domandò in un tono che sarebbe sembrato
preoccupato addosso a chiunque non avesse negli occhi quel luccichio perfido.
Conan la guardò visibilmente confuso, mentre uno strano soffio gli passò sul
cuore. Perché Vermouth amava chiamare lui e i suoi conoscenti con strani
soprannomi americani, e se per lui aveva scelto quell’irritante ‘Cool Guy’ la
persona che chiamava ‘Angel’ era…
“Che c’entra Ran adesso?” parlò
tutto d’un fiato, allarmato. Lei se ne accorse e il suo sorriso si allargò,
anche se la sua espressione restò fredda come il marmo. “Tu e lei siete una
coppia perfetta, Cool Guy. La nostra piccola adorabile Angel ha seguito le tue
orme…e non le è andata tanto bene, purtroppo. Vedi…” Conan era furibondo,
abbandonò ogni precauzione e si avvicinò di qualche passo a lei, sudando freddo
e scosso da tremiti di collera
“…ha seguito Gin e Vodka fino
ad un clothes shop, al quarto distretto di Beika. Ma loro se ne sono accorti
e…mi ha sempre dato piuttosto fastidio il modo in cui Gin tratta gli ostaggi,
quando si tratta di ragazze carine. Così, se non corri da lei, penso che al
nostro caro angioletto verranno…strappate le ali…” mormorò apprensiva. Conan
guardò nervosamente lei, Mori e poi di nuovo lei, soffermando lo sguardo sulla
pistola.
Devo andarmene Ran amore mio
perché sempre a te e perché sempre a causa mia…
“Come faccio a correre da lei
se mi tiene prigioniero qui?” ringhiò, fissandola con odio furioso. Lei diede in
una risatina dolce, gli occhi chiari puntati su di lui, pieni di un divertimento
perverso e maligno. Nonostante il suo fascino da diva del cinema, in quel
momento Conan non riusciva a vedere nessuna traccia di vera bellezza sul suo
viso.
“Vai pure, Cool Guy. Te l’ho
detto, non voglio veder soffrire Angel. La tengo puntata nel caso tu voglia
farmi qualche scherzetto, ma se vai via tranquillo non la userò. Trust me…I
promise.” A quel punto Conan si voltò di scatto, inforcò il suo skate-board e si
diresse alla massima velocità verso l’uscita del Tropical Land. Non gli
importava di non aver preso il nastro, non gli importava di aver lasciato
Vermouth sapendo di non avere la minima possibilità di rintracciarla di nuovo,
non gli importava di nulla, ora che sapeva che Ran era nelle mani di Gin e
Vodka. Voleva solo salvarla perché
lei è tutto per me e nessuno
cancellerà il suo sorriso aspettami Ran ti salverò anche dovessi rivelare la mia
identità all’organizzazione non gli permetterò di farti del male quei figli di
puttana se la vedranno con me…
L’ultima cosa che udì alle sue
spalle fu un sibilo e il rantolo soffocato di un uomo. Poi poche parole,
dolcemente spietate: “Bye bye, Cool Guy”.
Note dell’Autrice: okay, devo dirlo:
ho ADORATO scrivere questo capitolo. Racchiude in sé molte delle caratteristiche
che io preferisco, forse l’unica cosa che manca è un po’ di romance. Ma per
quello ci sarà spazio in abbondanza molto presto, perciò non è un gran danno, e
il chap resta comunque uno dei più belli che (a mio parere) ho scritto.
Comunque, auto-sviolinate a parte,^^” credo di sapere cosa vi frulla nella testa
in questo momento: “Ma Ran!?!” Ah ah ah *risata perfida* che vi posso
dire?? La tipa è stata la protagonista indiscussa del capitolo 12, quindi è
giusto che si sia fatta da parte in questo chap, no? : ppp Non uccidetemi,
all’inizio era mia intenzione infilarci anche lei, ma dopo qualche riflessione
ho deciso di incentrare il cap.13 su quello che succede al Tropical Land (come
del resto si capisce dal titolo) e pensare a Ran nel successivo. So che per voi
non è il massimo ma…quello che il racconto esige, il racconto ottiene!! (“questa
è fumata” nd. Tutti). Ho anche fatto una piccola modifica: come avrete notato,
ho “americanizzato” un po’ di più Vermouth rispetto alla sua prima apparizione
nel cap.6, e a proposito di questo mi scuso per eventuali errori che posso aver
commesso.^^” Allora, vorrei ringraziare di CUORE coloro che hanno risposto al
mio appello.^^ Senza di voi questo capitolo sarebbe arrivato molto più tardi,
infatti se sono stanca (come accade ormai di frequente - _ -“) e per di più
priva di incentivi non riesco a mettermi davanti alla tastiera e scrivere. *Thanks*
:*** Siete stati gentili oltremisura!! ^//^ Ma passo subito ai ringraziamenti
singoli:
Eneri_Mess: salve!^^ In realtà ti ho già scritto qualcosa fra le
recensioni quando mi sono accorta di averti trascurata, ma per due motivi ho
pensato di riservarti uno spazio anche qui: 1) la risposta fra le recensioni era
decisamente sbrigativa 2) non sono certa che tu le legga visto che mi hai fatto
una domanda simile a quella di un’altra ragazza. Non è un rimprovero, eh!! Non
fraintendermi, solo una considerazione che mi ha portato a ri-risponderti.
Allora: ti ringrazio del commento, riceverne mi fa sempre piacere, anche se
stavolta mi ha preso un po’ alla sprovvista. ^^” grazie delle considerazioni
sullo stile e sul profilo caratteriale dei personaggi…per quanto riguarda i
pensieri, ti rimando al cap.11, in cui ho risposto ad Akane in proposito. Ora mi
viene da ridere: mi hai detto che nel cap.10 Kazuha non ti è piaciuta per come
si era comportata, e anche in questo chap noterai che finisce per incasinare un
po’ la situazione. Rido perché non me ne ero nemmeno accorta, ma alla fine è
sempre a lei che faccio fare la rompiscatole della situazione! ^^” Vabbè, dai,
nel cap.6 invece è piuttosto carina… Oh, non me ne volere se Heiji non ci fa una
gran figura come detective in questo chap: gli ho fatto perdere di vista Mori ai
fini della storia, non per palesare una sua eventuale incapacità, giuro!^^”
Shizuka: Grazie!^^ Uno dei TUOI miti?? Benvenuta nel club!! Io AMO
questo anime/manga!! ^//^ Tra l’altro, ricevere un commento così positivo da
una fan dichiarata di Detective Conan non può che farmi il doppio piacere!! È
vero, non se ne trovano moltissime…- _ -“ ma ho notato che la sezione si sta
pian piano riempiendo...perciò non ci resta che incrociare le dita affinché
continui così!!
Mareviola: ciao vecchia mia!!^^ (“Vecchia?!? Mia!?”nd. Mareviola)
Beh, un po’ di tempo l’ho trovato, hai visto? Come al solito sono contenta che
la mia fanfic ti piaccia, te l’ho detto, la tua perseveranza mi commuove! ; _ ;
*Sniff* Mi dispiace di non aver risposto al tuo interrogativo…nel prossimo
capitolo, giuro!^^ Un bacio, a risentirci.
Akane Tendoo: ciao Akane chan! Felicissima di esserti stata di
aiuto.^__^ Non so quanto tu possa diventare pericolosa quando sei arrabbiata…^^”
Usa pure quando vuoi i miei capitoli come tranquillanti!! A parte gli scherzi,
anche io quando sono di pessimo umore di solito mi dedico alla lettura o alla
scrittura, e devo dire che nella maggior parte dei casi funziona. Allora Chicca,
grazie della recensione: i tuoi commenti mi fanno sempre arrossire.^//^ Hai
ragione, anche la fanfic più bella ha le sue imperfezioni…ma l’abilità sta
proprio nel celarle, no? ^ _ ~ Il ‘tuo Conanuccio’ è padrone incontrastato
della parte principale del chap, contenta?^^ Spero che così non ci rimarrai
troppo male per la mancanza di Ran…porta pazienza, prossimo capitolo. Promesso.
Nel frattempo, mi continuerai sempre a sostenere?? Davvero?? Sei adorabile!!
^//^ *THANKS*. A presto allora, baci.
Ichigocchi: grazie!! Ehm…ecco…beh…te lo dirò, lo giuro. Nel prossimo
chap. Perciò…evita di uccidermi, okay?^^”
Imi: hola! Ti ringrazio dei complimenti, sei stata davvero
gentile!^_^Anche il tuo contributo è stato preziosissimo al fine di scrivere
questo chap. ^//^ Sei la prima che non ha da ridire sui pensieri, il che mi
lascia piacevolmente serena. ^^ ti ho fatto aspettare tanto?? Spero di no, ho
fatto del mio meglio! ^^
Rex: e chi si arrende?? Certo che la finisco!!^^A grandi linee ho già
tutto in testa, devo solo trovare il tempo di scrivere!
Ichigo Shirogane: ecco qua il seguito…ehm…dì un po’, il nick è
simile, e anche il commento, perciò mi è venuto un dubbio: tu e Ichigocchi siete
la stessa persona?? O _ O Sono un po’ perplessa…oh, naturalmente se non è così
scusate!
Bene, questo è tutto. Giuro che
nel prossimo capitolo scriverò la
parte che vi interessa, perciò abbiate solo un altro pochino di pazienza, ¿okay?
^ _ ~ Sarà un chap con azione, suspense, romance...e se ci riesco ci sarà anche
qualche scena vietata a persone facilmente impressionabili. Se ci riesco. Meglio
non sopravvalutare le proprie capacità narrative! ^^”
Come al solito spero che la
storia fin qui vi stia piacendo, e confido nel vostro sostegno anche stavolta
(per quanto ne so non mi hanno ancora buttata fuori da scuola). Di nuovo, vi
PROMETTO che nel prossimo chap avremo Ran fino alla nausea!^^ So don’t worry…
Bye
- Melany
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Capitolo 14 *** Fight, blood and...tears ***
ATTENZIONE:
in questo capitolo è presente la descrizione di una
scena truculenta; niente di così terribile, anzi, niente di più di ciò
che si vede abitualmente nel manga, ovvero sangue, ferite più o meno gravi ecc.
Tuttavia, ho voluto precisarlo in modo che, se siete persone facilmente
impressionabili o se queste cose vi offendono, possiate evitare di leggerle. Mi
scuso inoltre per la frequente presenza di parolacce nella prima parte; a me per
prima non piace la volgarità gratuita, ma trattandosi di criminali ho dovuto
adottare questo stile di scrittura. Ho cercato comunque di non cadere nel
cattivo gusto.
-Melany
14.
Fight, Blood and…Tears
Ran aprì gli occhi, sbattendo
più volte le palpebre per disappannare la vista. In un primo momento la sua
mente intorpidita dal sonno non riuscì a capire perché si sentiva frastornata e
impaurita, né perché fosse adagiata ad un freddo pavimento di ceramica; poi il
ricordo dell’orrore che stava vivendo si fece largo nella sua testa, di nuovo
provò un dolore acutissimo all’altezza del petto e una sensazione di vuoto
incolmabile. Per la seconda volta in due giorni si sentì persa, patetica e
terrorizzata, e si chiese angosciata il motivo per cui tutti da un po’ di tempo
a questa parte ce l’avessero con lei. Senza contare che quell’uomo mostruoso,
quel Gin aveva intenzione di…
No non voglio non potrei
sopportarlo voglio morire sì piuttosto che questo…
Sentì gli occhi che bruciavano
mentre le lacrime cercavano di venir fuori. Non poteva permetterlo. Loro non
dovevano accorgersi che aveva ripreso i sensi, e così rimase sdraiata a terra,
le palpebre chiuse, cercando di non tremare, né di respirare affannosamente a
causa dei battiti accelerati del suo organo vitale. Poteva udire i passi degli
uomini nella stanza, e un altro lamentoso rumore di sottofondo, come se qualcuno
stesse cercando disperatamente di non piangere senza molto successo.
“Allora, ti è passata la voglia
di scherzare amico?” chiese una voce fredda e crudele. L’uomo chiamato Gin di
sicuro, pensò Ran con un brivido.
“Sì…sì…mi dispiace…” balbettò
una voce acuta e piagnucolosa.
“Perché vedi…il tuo scherzetto
con quei soldi falsi…non l’abbiamo trovato molto divertente.” Riprese Gin, Ran
udì altri passi e sentì che il respiro dell’uomo in lacrime si faceva più
affannoso. Lui gli si era avvicinato…
“Sì…avete ragione…vi pagherò lo
giuro…vi darò tutto quello che volete…il doppio, il triplo…ma non fatelo di
nuovo…vi prego…non lo sopporterei…” insisté la voce tremante e disperata, in un
pianto sommesso. Ran capì che doveva trattarsi del proprietario del negozio,
quello di cui avevano parlato in precedenza, e si chiese con orrore cos’era la
cosa che non gli dovevano fare di nuovo. Pregò di non doverlo mai scoprire.
“Eh no…vedi, il tuo giochino ci
ha fatto perdere un bel mucchio di tempo; devi imparare la lezione. Nessuno può
credere di ingannare la nostra organizzazione.” ribatté divertito Gin,
scoppiando in una risata agghiacciante a cui si unì una seconda che, con orrore
di Ran, si trovava piuttosto vicino a lei.
“Lo so ho imparato…ho imparato
davvero…ma vi prego…non di nuovo...non di nuov…” non fece in tempo a finire la
frase che un urlo squarciò il silenzio, Ran fu scossa da un tremito
incontrollabile sentendo quel grido di dolore e sofferenza incalcolabili, unita
a un odore forte e dolciastro. L’odore del sangue.
Fortunatamente nessuno se ne
accorse, probabilmente erano troppo occupati a godersi lo spettacolo…di
qualsiasi cosa si trattasse, era sicura che fosse terribile.
Il pianto dell’uomo aumentò
considerevolmente di volume. Ora non gli importava più di trattenersi, e lei
udiva distintamente i suoi singhiozzi e i suoi gemiti, accompagnati dalle risa
dei due uomini in nero. Il clima intorno a lei era pesantemente raccapricciante.
“Pronto ad un altro giro,
amico?” Gli domandò in tono di scherno la voce vicina a Ran, quella di Vodka,
presumibilmente.
“No per favore…per favore…”
singhiozzò con voce fioca e lamentosa il proprietario. Ran era spaventata,
sapeva che se avesse visto ciò che stava accadendo si sarebbe sentita ancora più
male, tuttavia, fu colta da quella curiosità morbosa e autolesionista tipica
della maggior parte delle persone, molte delle quali poi finiscono per affollare
i cinema all’uscita di film come “The Ring”. Socchiuse leggermente una
palpebra, scorgendo un paio di scarpe nere lucide e il bordo di un lungo
cappotto dello stesso colore, visto da dietro. I due piedi, poco distanti uno
dall’altro, si stagliavano davanti a due aste legnose al centro delle quali
c’erano due gambe robuste, tenute unite e assicurate alla sedia da una spessa
corda. E –con suo gran orrore- il pavimento sottostante era ricoperto da una
pozza di sangue scuro, su cui ancora gocciolavano perle rosse. Aprì entrambi gli
occhi e, sebbene già quella vista l’avesse scossa, le sue pupille si mossero
lentamente verso l’alto, mostrandole un braccio lasciato libero dalle corde,
martoriato da ferite profonde e roventi, da bruciature di sigaretta e zuppo di
sangue, soprattutto sulle dita, dove si era raggrumato. Sì perché lì gli
avevano…
Oh mio dio gli hanno
strappato le unghie
Percepì un senso fortissimo di
nausea e vertigine che la travolsero completamente e si lasciò scappare un
gemito. Le scarpe lucide si voltarono sogghignando: “Oh, ma guarda, la nostra
graziosa ospite si è svegliata…” cominciarono ad avvicinarsi e lei iniziò a
tremare, serrando gli occhi e raggomitolandosi come per cercare protezione e
sicurezza dal calore del suo stesso corpo. Sentì un dolore acuto alla testa e
qualche capello si strappò, mentre Gin la sollevava di peso e lei collaborava
con gambe e braccia, affinché la morsa sui suoi capelli non le facesse più male.
Di nuovo si ritrovò a fissare quegli occhi freddi e spietati: “Allora bambina,
hai dormito bene? O le urla di questo figlio di puttana ti hanno disturbata?”
chiese con falsa premura. Lei non rispose e abbassò lo sguardo, cercando
disperatamente di non far uscir fuori le lacrime.
Non devo piangere non devo
sono già abbastanza patetica così non gli darò questa soddisfazione…mai… tanto
morirò comunque allora a che serve dargli un’altra occasione per ridere di me?
Tornò a guardarlo, la fronte
aggrottata e le sopracciglia inarcate; un’espressione di sfida di cui Shinichi
sarebbe stato orgoglioso…
Shinichi…lui torna questo
pomeriggio…
Improvvisamente un sentimento
diverso da quelli che l’avevano angosciata fino a questo momento si fece spazio
nel suo cuore. Era…speranza…ingenua, desiderata, inutile, forse…ma c’era.
Ed era la miglior sensazione che avrebbe potuto provare, a cui doveva
appigliarsi per resistere e non crollare.
Shinichi…se viene qui e non
mi trova capirà che è successo qualcosa sì e mi verrà a cercare e sì capirà
tutto e mi troverà di certo il mio Shinichi non gli permetterà di farmi soffrire
quando saprà che sono nei guai…
Con suo grande stupore si
ritrovò a sorridere a quegli occhi freddi, che per un secondo la guardarono con
una traccia di confusione e incredulità:
“Ehi, non so cosa ti abbia
preso, ma non preoccuparti. Ora finisco con lui e poi mi occuperò di te,
d’accordo?” insinuò riprendendosi il biondo, con un sorriso lascivo in faccia.
Le lasciò i capelli e lei cadde seduta, cercando di spazzare via la fitta
lancinante che le sue parole e la sua smorfia le avevano provocato. A che ora
sarebbe tornato Shinichi? Era possibile che fosse già in città?
Gin tornò a voltarsi verso
l’uomo piagnucolante, di cui adesso Ran poteva vedere il volto arrossato e zuppo
di lacrime, contratto in una smorfia di dolore e disperazione. Doveva avere
almeno quarant’anni, eppure, vedendolo in quello stato, sembrava un piccolo
bambino indifeso. Guardò Ran con i suoi occhi neri lucidi, bui e desolati come
la notte più oscura, imploranti. Le sue labbra screpolate si mossero lievemente
a pronunciare senza voce una parola: aiutami.
Solo allora Ran smise di
pensare a se stessa e a come salvarsi. Il suo animo si gonfiò di compassione e
sofferenza, unita a un forte senso di colpa per essere stata così egoista.
Nonostante sapesse che lì c’era un uomo che stava patendo le pene dell’inferno
era riuscita solo ad aver paura per sé, e vedendo quello che gli avevano fatto,
poco prima, aveva solo sperato che non lo facessero anche a lei. Improvvisamente
si sentì… sporca.
Come ho potuto essere così
crudele… oh mio Dio è un padre di famiglia e io sto qui a pensare a come
cavarmela mentre lo torturano…e anche se dovessi salvarmi come potrei guardarmi
allo specchio da oggi in poi come? Dopo essere stata tanto spietata…non
posso…devo aiutarlo…voglio aiutarlo…
Raccolse tutto il suo coraggio
e balzò in piedi, fissando torva la schiena del biondo: “Lascialo stare.” Riuscì
a dire, con voce roca. Vodka la guardò con un lieve cipiglio che gli occhiali
scuri non riuscirono a mascherare.
Gin si voltò lentamente verso
di lei: “Come dici?”
“Ho detto di lasciarlo stare.”
Ripeté, schiarendosi la voce. Lui rise, ma i suoi occhi restarono seri e
temibili. Dietro di lei, Vodka scattò in piedi: “Ehi, ragazzina, bada a come
parli!” la ammonì, lei non si voltò a guardarlo, ma aveva la vaga impressione
che avesse tirato fuori la pistola.
“Calmati, Vodka.” Gin si
avvicinò di nuovo a lei, ma stavolta Ran non indietreggiò, né cominciò a
tremare, squadrandolo ostile. Basta fare la patetica frignona, basta aspettare
che il principe azzurro la vada a salvare dagli uomini cattivi, come accadeva
nelle fiabe; basta lacrime, basta gemiti…era giunto il momento di comportarsi
con onore, e forse era meglio morire affrontandoli fiera che lasciarsi
violentare e poi ammazzare mentre ancora stava per terra a cercare di coprirsi
con i suoi vestiti strappati. E forse…
Forse trovandomi papà
Shinichi e tutti gli altri saranno orgogliosi di me…forse Shinichi dirà che sono
stata proprio una coraggiosa detective…
Di nuovo quel bruciore agli
occhi e quel peso alla bocca dello stomaco. Fece un respiro profondo e li
ricacciò via, continuando a fissare con determinazione e rabbia l’uomo che le
stava davanti con quel ghigno, avvicinandosi sempre di più.
“Che c’è, bambola, non vedi
l’ora di spassartela con me? Non te la senti di aspettare che abbia finito? Va
bene, se è questo che vuoi…” tese una mano verso il suo viso e qualcosa dentro
di lei scattò. Con un gesto fulmineo e inaspettato gli assestò una bella
ginocchiata nello stomaco sorridendo raggiante quando lui si inginocchiò con un
tonfo, strizzando gli occhi. La sua felicità durò solo qualche secondo. Dietro
di lei, Vodka la colpì con violenza alla nuca con l’impugnatura della pistola,
vide scintille davanti ai suoi occhi mentre qualcosa di caldo e viscoso le
colava dalla nuca al colletto della maglietta. Si ritrovò a terra, frastornata e
dolorante, mentre una voce concitata chiese:
“Stai bene, Gin?”
“Sì, certo che sto bene…” Ran
notò con piacere che la sua voce era soffocata.
“Ho preferito non sparare…così
se vuoi farle qualcosa tu puoi…” Aggiunse il più robusto con l’aria di chi si
aspetta di sentirsi dire che ha fatto bene. Gin lo ignorò, si avvicinò a lei e
le sferrò un calcio in un fianco, con la punta della scarpa, facendola gemere
di dolore.
“Che pensavi di fare, schifosa
puttana??” e la prese di nuovo per i capelli, cosa che la fece tremare di
dolore, data la ferita che le si era aperta in testa. “Adesso ti faccio vedere
io che succede a…” La porta dietro di loro si spalancò con un tonfo, Gin, Vodka
e Ran non fecero in tempo a dirigere lo sguardo verso di essa per capire cosa
era successo che qualcosa schizzò nell’aria e andò a colpire Vodka in faccia,
infrangendo le scure lenti degli occhiali e facendolo cadere a terra, il naso
sanguinante. Gin lasciò andare Ran ed estrasse la pistola, gli occhi che
guizzavano dalla stanza alla soglia vuota. Una voce echeggiò da un punto
imprecisato all’esterno.
“Ran, va via dall’entrata
principale dietro di te!!!” Era una voce giovane, autoritaria e preoccupata. Una
voce che conosceva bene…
SHINICHI
Gin, con lo sguardo che ancora
vagava alla ricerca del ragazzo, agitò di colpo una mano verso di lei per
afferrarla ma Ran fu più veloce, balzò in piedi e corse velocemente obbedendo a
Shinichi.
Conan aspettò che Ran lasciasse
la stanza, appoggiato al muro vicino alla porta, il modulatore di voce ancora
accostato alla bocca, le scarpe da ginnastica che mandavano scintille, pronte
all’azione, e il mirino dell’orologio alzato. Il momento della resa dei conti.
Scorse Gin con la pistola puntata, che lo cercava; il suo compare era ancora a
terra, a tamponarsi i fiotti di sangue dal naso con la manica.
“Esci fuori bastardo! Chi
diavolo sei?” tuonò Gin.
“Uno contro cui non avreste mai
dovuto mettervi…” rispose la sua voce adulta, determinata e sprezzante. Gin
sparò nella sua direzione, Conan udì i proiettili colpire il muro dietro cui si
era riparato, poi si sporse veloce ma cauto dal suo nascondiglio calciandogli
addosso un pezzo di tegola abbastanza grande da spaccargli la mascella. Gin non
si lasciò cogliere alla sprovvista. Lo schivò, e quello s’infranse contro il
muro dietro di lui, mentre si lanciava verso il luogo dove Conan si nascondeva.
Non era riuscito a vederlo. Non ancora, almeno. Il piccolo detective corse a sua
volta verso l’altro angolo dell’edificio, nascondendosi dietro il mattonato. Gin
varcò la soglia, la pistola ancora in pugno. Dietro di lui fece capolino Vodka,
l’arma pronta in mano e le narici ancora grondanti.
“Ah, davvero? Beh, per ora non
mi sembri tanto temibile, visto che continui a nasconderti come un coniglio.”
Commentò Gin in tono di scherno, ridendo, ma Conan sapeva che era perfettamente
concentrato e attento, e voleva spingerlo a parlare per rivelargli la sua esatta
posizione. Sorrise. Se lo credeva uno stupido, avrebbe pagato caro il fatto di
averlo sottovalutato. Scoccò un’occhiata a Vodka, che si guardava intorno
nervosamente, la pistola puntata. Lui era il bersaglio più facile: sembrava
molto meno acuto del suo compagno, anche se decisamente più forte fisicamente.
Fortunatamente non doveva affrontarlo in un corpo a corpo…
Le scarpe da ginnastica ancora
mandavano scintille. Il piccolo detective aspettò che Gin si voltasse dall’altra
parte e con un gesto veloce e atletico sollevò la gamba e calciò un sasso
piuttosto grande in direzione dell’uomo, avvertendo una leggera fitta al piede.
Gin sentì lo schiocco della scarpa contro il sasso e senza farsi scrupoli si
fece scudo con il corpo di Vodka, che venne colpito di nuovo alla testa,
rovinando a terra con un basso gemito. Gin sorrise diabolicamente, adesso sicuro
del luogo in cui si trovava il suo avversario. Afferrò velocemente la pistola
del suo compare privo di sensi e sanguinante e scattò verso di esso. Conan lo
osservò e subito corse dietro un albero lì vicino, rischiando per un pelo di
essere visto. Gin scoppiò in una profonda risata roca.
“Siamo piuttosto in difficoltà,
a quanto vedo! Mi chiedo perché tu ci tenga tanto a mantenere l’anonimato...”
“Beh, che vuoi che ti dica..?
Ad ognuno i suoi segreti…”
Gin sparò un altro colpo che
colpì la corteccia dell’albero. Conan poteva sentire l’odore della polvere da
sparo e di bruciato dietro di sé. La situazione era piuttosto difficile. Doveva
riuscire a colpire l’uomo senza che lui lo vedesse, e Gin teneva l’arma puntata
nella sua direzione.
“Vorrà dire che vedrò il tuo
aspetto una volta che sarai cadavere…e poi magari me la spasserò con la tua
fidanzatina…”
Conan sentì la rabbia
incendiare ogni centimetro del suo corpo, ma cercò di tenerla a bada. Fargli
perdere il controllo per farlo sbagliare era l’intenzione del suo avversario e
lui non era così sciocco da cascarci. Tenne la mano stretta sull’orologio
spara-anestetico, il dito sul pulsante. Doveva solo aspettare il momento
buono....
Avanti bastardo…distraiti
solo un secondo…solo uno…e ti trascinerò nello stesso abisso in cui mi hai
portato tu…
“Anche se mi sembra di aver già
sentito la tua voce…dì, perché ci tieni tanto a rischiare la pelle contro di
noi?”
Gin parlò in modo spavaldo e
arrogante, e Conan sentì un brivido percorrergli la schiena quando capì che
cominciava a ricordarsi di lui. Non voleva che succedesse…il piano che aveva in
mente era già pieno di rischi senza che l’Organizzazione ricominciasse a seguire
le sue tracce. Forse non era stata una buona idea parlare con la sua vera
voce…ma era l’unico modo per tranquillizzare Ran, che era finita in quell’incubo
a causa sua…e perciò aveva solo un piccolo rimorso.
“Se fossi in te non mi
preoccuperei di questo, ma piuttosto di guardarmi le spalle…”
disse sicuro, sorridendo
soddisfatto quando gli occhi di Gin saettarono per un istante dietro di sé. Non
durò molto. Forse nemmeno un secondo intero…tuttavia Conan era pronto: abbandonò
per un istante il suo rifugio dietro l’albero, lo mirò con il suo orologio e
spinse il fatidico pulsante. L’ago saettò fendendo l’aria e lo colpì sul collo.
Gin cadde in ginocchio, strinse i denti e si portò la mano al collo, estraendo
l’ago con un gesto secco. “Ah, adesso mi ricordo di te…” sibilò, lottando con se
stesso per restare sveglio “…sei quello che ha aiutato quella troia di Sherry a
sfuggirmi…” poi inevitabilmente le palpebre si serrarono e cadde a terra. Conan
rimase per qualche secondo dietro l’albero, ascoltando il suo stesso respiro,
gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Sorrise a se stesso, mentre felicità
e soddisfazione riempivano il suo animo.
Ce l’ho fatta…
Uscì fuori dal suo
nascondiglio, avvicinandosi a lui, e restò a guardarlo per qualche attimo con un
misto di disprezzo e superiorità; l’uomo che gli aveva rovinato la vita, lo
stesso che mesi prima l’aveva tramortito somministrandogli l’APTX e
costringendolo a quella vita di menzogne e finzione, colui che odiava e temeva
con tutto se stesso…era lì, inerme davanti a lui. L’aveva sconfitto. Non gli
restava che chiamare la polizia…e tutto sarebbe finito. Un solo piccolo gesto, e
si sarebbe svegliato da quell’incubo. Per sempre…
“Shinichi!!!” Sussultò
percependo la voce della sua amica d’infanzia; si voltò, la mente che lavorava
furiosamente cercando di prendere una decisione in quei pochi secondo che gli
restavano prima che lei facesse capolino dietro il vicolo.
Mi chiederà spiegazioni ma
cosa devo dirle? La verità?? Anche se catturo questi due sono ben lontano da
sconfiggere l’intera Organizzazione e se la coinvolgo potrebbero ucciderla…e poi
se lei vede tutto questo vorrà chiamare la polizia e se l’Organizzazione scopre
che è stata LEI a mandare in prigione i suoi uomini potrebbe ugualmente
prenderla di mira…no non posso permetterlo…è già stata coinvolta abbastanza ma
allora cosa devo fare????
Vide la sua ombra che si
stagliava contro il suolo; non c’era tempo da perdere: con un gesto fulmineo
portò il farfallino alla bocca e gridò col tono più autoritario possibile.
“Ran, resta dove sei!!!”
L’ombra si bloccò; quando parlò
di nuovo, la sua amica d’infanzia sembrava piuttosto perplessa.
“Sh…Shinichi…cosa..?”
“Non muoverti.” Ripeté,
frugando nella tasca del giacchetto blu ed estraendo un piccolo trasmettitore e
una cimice elettronica; altri due piccoli souvenir che aveva recuperato passando
per l’agenzia investigativa.
“Ma…perché?? E quei due, che
fine hanno fatto??”
“Non posso spiegartelo adesso…”
assicurò entrambi i congegni sotto la suola della scarpa di Gin, tenendoli con
un fazzoletto per evitare di lasciarvi sopra le impronte digitali. “Ma è molto
importante Ran, che tu faccia alcune piccole cose per me.”
La voce di lei ora appariva più
che perplessa…confusa. Evidentemente non sapeva cosa pensare.
“Cosa?”
“Per prima cosa, non devi
chiamare la polizia o nessun altro. Penso a tutto io.” Scoccò un’occhiata
disgustata alla figura di Gin accoccolata per terra e si trattenne a stento da
mollargli un calcio.
“Seconda cosa, è meglio se per
un po’ non vai in giro da sola quando fa buio o nei luoghi isolati. Questo è
importante”.
Ci tenne a sottolineare,
nonostante capisse che questo l’avrebbe messa in allarme. Gin e Vodka l’avevano
vista bene in volto e ormai erano anche a conoscenza del loro legame, dunque, se
per qualche motivo queste informazioni avessero raggiunto orecchie
sbagliate…preferiva che lei fosse attenta.
“Perché…credi che io sia…in
pericolo?” chiese lentamente, la nota di profonda preoccupazione nella voce
perfettamente percepibile. Conan si sforzò di assumere un tono solare e un
pochino ironico; attenta sì, ma non era il caso di metterla in agitazione più
del necessario.
“Ma no, idiota!”
o almeno non in pericolo
immediato…ma non preoccuparti amore mio penso io a difenderti…non gli permetterò
di toccarti di nuovo con le loro luride manacce…
“Comunque la prudenza non è
mai troppa!! È meglio se per un po’ eviti qualsiasi rischio, okay?”
“Sì…” mormorò lei “sì…dici che
potrei dire a papà quello che mi è successo, Shinichi? Magari può aiutarti a
indagare su quei due…ah, hanno nominato una certa Vermouth, credo sia una
complice…se lavorate insieme potreste rintracciarla, e catturarla, e…”
Conan sobbalzò: Ran aveva
capito più di quanto credesse. Ma ora che poteva dirle?
Kogoro…non è una cattiva
idea accennargli qualcosa…magari non tutta la storia ma…sarei più tranquillo se
anche lui fosse all’erta…forse non è un genio ma se c’è di mezzo Ran diventa
proprio in gamba…ed è bravo a usare la pistola…però…se lo coinvolgo…e viene
ucciso…no non potrei mai sopportare l’idea di averle strappato suo
padre…mai…anche se…
Su questo punto avrebbe dovuto
riflettere con calma in un’altra situazione, si disse, nel frattempo doveva
arginare quella furia prorompente che gli stava davanti e che continuava a
parlare incessantemente. Non smise di sfoggiare quel falso tono gioviale e la
interruppe: “No, è meglio di no…me ne sto già occupando io. Adesso è meglio che
torni a casa, che ti fai medicare quella brutta ferita alla testa e che ti
prepari per il nostro appuntamento.” Arrossì, e immaginò che anche lei stesse
facendo lo stesso. “Io devo occuparmi un attimo di quei due e poi
arrivo…d’accordo?”
“Okay…ma perché non posso…?”
Vide la sua ombra avanzare un pochino e di nuovo alzò la voce.
“NO. Dopo, Ran; per favore.”
“Ma…non capisco…” replicò,
nonostante si fosse fermata. Conan udì un basso grugnito proveniente da Gin e il
cuore cominciò a martellare velocemente nel suo petto. Doveva farla andar via…e
alla svelta.
“Ti prego. Dopo. Alle sei.
Adesso torna all’arteria principale, Conan ti aspetta lì.”.
“Conan!?”
“Sì, ti aspetta. Io ti
raggiungo al parco più tardi; te l’ho promesso, ricordi?” insisté lui, pregando
mentalmente che lei gli obbedisse.
Vattene Ran…ti scongiuro…va
via…
“Va bene…ma sei strano,
Shinichi.” La voce continuava a essere perplessa, ma l’ombra si allontanò come
le era stato chiesto. Conan emise un sospiro di sollievo, i nervi che si
distesero. Lanciò un’altra occhiata a Gin e lo vide muoversi nel sonno.
Probabilmente si sarebbe svegliato di lì a pochi minuti…
Accidenti…ormai la polizia
non farà più in tempo…devo andarmene con Ran il prima possibile…
Sbuffò frustrato, avrebbe
voluto vederli dietro le sbarre quella sera stessa, ma ancora una volta lo
svolgersi degli eventi si era preso gioco di lui. Sospirò di nuovo, raccolse lo
skate-board lasciato incustodito e si diresse in fretta verso l’uomo legato alla
sedia, che lo fissò incredulo e sbalordito di trovarsi davanti quel nanerottolo,
e allentò le sue corde.
“Venga fuori di qui…” sussurrò
gentilmente “…l’ospedale è dietro l’angolo…”
“Ma…ma…e quegli uomini?”
domandò con un fil di voce. Conan scosse la testa e gli lanciò una delle sue
migliori occhiate rassicuranti.
“Avranno quello che si
meritano. Lei si preoccupi solo di richiedere la protezione della polizia.”
Suggerì. L’uomo lo squadrò inclinando la testa, un’espressione mista fra
l’incredulo e il sollevato, le lacrime ancora sulle ciglia.
“Ma…tu chi sei?”
Il bambino sorrise, gli occhi
azzurri che brillavano.
“Conan Edogawa…e sono un
detective.”
“U..un detective!?” domandò
l’uomo ancora sbalordito. Il piccolo annuì, lo prese per mano e lo accompagnò
fino all’arteria principale, indicandogli l’ospedale dall’altra parte della
strada. Siccome non avevano fatto nulla alle sue gambe, nonostante fossero
scosse da tremiti incontrollabili, Conan poté evitare di accompagnarlo anche al
pronto soccorso. Lo lasciò alle occhiate curiose della folla, guardandolo mentre
attraversava la strada e prendendo nota a mente di andarlo a interrogare una
volta che non fosse stato più sotto shock. Dentro di sé si sentiva decisamente
seccato a non poter catturare subito Gin e Vodka, comunque rifletté sul fatto
che, anche se Ran non l’avesse interrotto, sarebbe stato improduttivo farli
arrestare dalla polizia, dato che un’Organizzazione potentissima gli copriva le
spalle; risalire alla fonte dei suoi guai era l’unico modo per scrivere davvero
la parola ‘fine’ a tutta quella storia. Una volta svegli, gli Uomini in Nero
sarebbero tornati alla base e lui li avrebbe seguiti grazie al trasmettitore,
sentendo le loro conversazioni attraverso la cimice. Quel pensiero leniva un po’
il sapore amaro che gli era rimasto in bocca…
E forse stavolta potrò
tornare davvero a essere me stesso…
“Conan!?” udì una voce calda e
dolce, la voce più bella che avesse mai sentito in vita sua. Alzò la testa e la
vide, stupenda nonostante i capelli scompigliati e i vestiti stropicciati, che
lo fissava sbalordita con due occhi che avrebbero fatto innamorare chiunque. Le
sorrise ingenuamente:
“Oh, ciao Ran neechan!”
Amore mio fra poco potrò
smettere con le bugie e tu smetterai di piangere…
“Shinichi ha detto…ma tu che ci
fai qui?” gli chiese inarcando le sopracciglia, sorpresa e confusa. Conan prese
con entrambe le mani lo skate-board che aveva sotto braccio, sollevandolo: “Mi
esercitavo.” Ran sbatté le palpebre un paio di volte, poi annuì. Sembrava ancora
un tantino turbata e sconvolta. Conan avrebbe voluto dirle qualcosa per
confortarla e tranquillizzarla una volta per tutte. Cosa doveva fare? Qual era
il metodo che aveva sempre usato con lei quando voleva farle dimenticare le sue
preoccupazioni?
Oh ma sicuro…è così
semplice…
Sorrise a se stesso, poi si
rivolse a lei con voce allegra: “Ho incontrato Shinichi, sai Ran neechan?”
“Sì, me l’ha detto.” Confermò
lei, sfoggiando un sorriso forzato e poco convinto. Lui sospirò internamente.
“E mi ha detto di ripeterti
parola per parola una cosa…”
Ran lo guardò a occhi
sbarrati, incuriosita: “Sarebbe..?” Lui represse con tutte le forze una risata.
“Ha chiesto se per piacere
tornando a casa ti dai un’aggiustata perché non ha alcuna intenzione di farsi
vedere in giro con una strega scema appena scesa dalla scopa…”
“CHE COOOSAAA!!!???” gridò, e
sebbene volesse sembrare a tutti i costi furiosa Conan notò che l’angolo della
sua bocca cercava disperatamente di stirarsi in un sorriso.
“Razza di idiota! Gliela faccio
vedere io a quello stupido, oggi pomeriggio!” disse in un tono che lo fece
rabbrividire.
“Poteva almeno dirmelo in
faccia!!!”
“Ehm…ha detto che sarebbe stato
un atto di autolesionismo…”
Ran sorrise in modo
inquietante: “Non ha tutti i torti, Conan…”
“Eh eh…” si lasciò andare ad
una risatina stridula, un nodo in gola difficile da inghiottire: forse era
meglio se per l’appuntamento si preparava a schivare colpi, perché aveva
l’impressione che Ran, divertita o no, gliel’avrebbe fatta pagare cara
quell’uscita. Comunque gli si scaldò il cuore quando vide che si era rasserenata
e che l’esperienza con quei due bastardi non l’aveva sconvolta più di tanto. Era
una ragazza forte, la sua Ran, e fortunatamente era arrivato prima che avessero
il tempo di farle veramente qualcosa.
Non preoccuparti Ran…gliela
farò pagare anche per te
“Allora andiamo, Ran neechan?”
Lei annuì e lo prese per mano; camminarono in silenzio per un po’, finché Ran
non si arrestò di colpo.
“Conan kun…senti…” esordì con
un profondo respiro. Lui alzò la testa e la guardò, la fronte aggrottata: non
gli piaceva quel tono di voce.
“Perché mi hai mentito?”
Domandò, e lui si sentì sprofondare. Non poteva averlo capito…che l’avesse
guardato mentre combatteva contro Gin e avesse fatto due più due!? Ma allora
perché non l’aveva detto subito?
“Ran…io…” cominciò col cuore in
gola, sudando freddo.
“Come hai fatto a sapere che
ero allo stabile ieri? So che era una bugia quella che mi hai raccontato…”
“Oooh, quella bugia…” mormorò
sentendosi più leggero, mentre il cuore tornava al suo posto. Per fortuna aveva
frainteso. Ora però che poteva dirle..? Qual era una spiegazione verosimile per
il suo comportamento del giorno prima?
“Beh…io…sono stato uno stupido,
e mi vergognavo ad ammetterlo…” abbassò la testa “…in realtà quell’uomo cattivo
aveva mandato una lettera allo studio in cui era scritto che ti avrebbe portato
lì. L’ho vista mentre aspettavo che finissi di prepararti. Era per lo zio…non ho
capito subito bene cosa dicesse perché ancora ho un po’ di difficoltà a leggere
gli ideogrammi. L’ho portata a scuola credendo fosse una richiesta per un caso e
a me piace tanto giocare a fare il detective…ma poi sono riuscito a leggerla e
mi sono spaventato, così sono corso da te.” Immedesimandosi nel ruolo del
bambino impulsivo e ingenuo, Conan rifletté un attimo e poi aggiunse “pensavo
che se ti avessi salvata da solo mi avresti voluto ancora più bene…” La guardò
con due occhioni che avrebbero intenerito chiunque. Infatti Ran arrossì e si
chinò abbracciandolo e tenendolo stretto: “Oh Conan…ma io ti voglio già un sacco
di bene, piccolo mio…” mormorò dolcemente. Anche lui arrossì, e siccome un
adolescente è un adolescente, seppure rimpicciolito, non poté fare a meno di
notare con gioia la pressione che il suo seno esercitava contro il suo petto.
“Lo so…” disse con gli occhi stralunati. Ran si staccò e lo baciò sulla fronte,
aggiustandogli il colletto della camicia in disordine con un sorriso:
“Sai Conan…” rise arrossendo
“Ero convinta che tu mi stessi nascondendo qualcosa. Ma veramente! Non puoi
nemmeno immaginare i ghirigori mentali che mi sono fatta!” esclamò, Conan si
sforzò di ridere con lei, nervoso, mentre una goccia gli calava dalla testa alla
nuca.
“Sì, insomma…per il fatto che
tu sembri sempre più maturo della tua età, che ogni tanto assumi quella strana
espressione assorta…e anche i tuoi atteggiamenti…ho pensato che avessi un peso
che non volevi confidare a nessuno…” lo guardava sempre sorridendo, ma Conan si
accorse dell’ombra dietro i suoi occhi scrutatori.
“Oh, ma davvero? Che cosa
assurda, Ran neechan!! Io non nascondo niente, figurati!” la rassicurò
allegramente, e notò che faceva piuttosto caldo, e il colletto della camicia gli
stava stretto.
“Sicuro?” chiese lei con
dolcezza, aggrottando le sopracciglia pensierosa.
“Sicuro!!” esclamò lui con la
voce più infantile e squillante che gli riusciva.
“Conan, a me puoi dirlo…”
“Non ho niente da dirti, te
l’assicuro!”
E basta! Hai intenzione di
assillarmi fino all’ora dell’appuntamento o che!?
“Ma…allora perché ogni tanto
assumi quell’espressione così triste e apprensiva?” insisté lei.
“Lo faccio quando…quando le
puntate di Masked Yaibar finiscono che lui è in pericolo!! Sto in pensiero e
penso a un modo in cui potrebbe cavarsela.” Si stupì di quanto gli era facile
mentire spudoratamente. Si chiese se si stesse pericolosamente immedesimando
troppo nel ruolo del moccioso delle elementari.
Allora sì che ci sarebbe da
ridere se mi venisse una crisi d’identità…
“Oh.” Commentò Ran, ma sembrava
ancora leggermente perplessa. Conan sfoggiò un sorriso tanto smagliante quanto
ingenuo: “Senti, ma dove sono Sonoko e Kazuha?” domandò al fine di cambiare
discorso. Lei sbarrò gli occhi:
“Oddio è vero! Mi aspettano al
Tropical Land!!” disse agitata. Si portò una mano dietro la nuca, strizzò gli
occhi e quando vide di nuovo il suo palmo era lievemente macchiato di rosso.
Conan guardò a sua volta, il viso contratto dalla preoccupazione.
“Ran, è meglio se vai
all’ambulatorio della famiglia Araide a farti medicare. Penso io ad avvertire le
tue amiche.” Inforcò lo skate-board e, senza darle il tempo di replicare,
sfrecciò per l’ennesima volta fra i marciapiedi affollati.
Kazuha era seduta su una
panchina, le braccia incrociate, e osservava con occhi vacui la gente che rideva
e gridava sulla pista delle auto-scontro. Nonostante la giornata piuttosto
tiepida, si sentiva fredda e svuotata.
Ma soprattutto si sentiva in
colpa.
In colpa per il modo in cui
aveva reagito, per essere scattata in quel modo contro il suo amico d’infanzia,
la persona che mai avrebbe voluto colpire o insultare in quel modo. La gelosia
aveva invaso completamente il suo animo, sapere che lui le aveva mentito
spudoratamente aveva tirato fuori tutte le sensazioni che per anni aveva
represso dentro di sé. Rabbia, tristezza, senso di abbandono…così non era stata
lì a pensare a qualche giustificazione ‘ innocente ’ per quello che aveva fatto,
ma subito l’aveva accusato della cosa di cui lei aveva più paura in assoluto. E
vedendo il fantasma del suo timore più grande incombere, aveva reagito nel
peggiore dei modi…per sentirsi uno schifo subito dopo. Così non aveva pianto
perché credesse veramente che Heiji avesse un appuntamento con un’altra;
l’aveva fatto perché si era sentita una stupida, perché il modo in cui si era
comportata rendeva palese ciò che cercava disperatamente di nascondere fin da
quando aveva iniziato a esistere, a dir la verità. Era arrabbiata con lui, che
l’aveva fatta diventare una ragazzina patetica e piagnucolosa. Furiosa, perché
non l’aveva inseguita subito, come sarebbe successo in ogni film romantico degno
di essere chiamato tale, ma aveva mandato una semi sconosciuta a dirle che era
dispiaciuto e che gli avrebbe spiegato tutto. Bella roba. Dimostrava quanto lei
fosse il centro dei suoi pensieri. Ecco un’altra cosa che le dava fastidio.
Lui era il centro dei suoi, invece. Si chiedeva perché non fosse la stessa
cosa per il suo amico d’infanzia, cercava di pensare a cosa ci fosse di
sbagliato in lei per essere ragionevolmente ignorata da colui che, nei suoi
desideri più reconditi e che mai avrebbe raccontato ad anima viva, doveva
ricoprirla di attenzioni e non poter fare a meno della sua presenza. Si
domandava che cosa di quel bamboccio le piacesse così tanto, e non sapeva darsi
una risposta, eppure il suo cuore continuava a battere per lui. Si sentiva
ferita e umiliata, perché per quanto ci rimuginasse, per quanto lo negasse a se
stessa e a chiunque altro, per quanto volesse in momenti come quello che non
fosse così, a prescindere dal modo in cui la trattava…
Era innamorata.
Del suo stupido, egoista,
infantile, egocentrico amico d’infanzia. Perché?
Perché per lei lui non era né
stupido, né egoista, né infantile, né egocentrico. Nella sua testa, lui era
perfetto. Ma evidentemente, lei non lo era nella sua. E forse la protezione e le
premure che Heiji le aveva riservato quando aveva rischiato di morire erano le
attenzioni che un fratello maggiore avrebbe riservato alla sua sorellina. Tutte
le altre cose che si era figurata erano frutto della sua immaginazione, erano
state speranze in cui amava crogiolarsi in momenti in cui si sentiva
particolarmente malinconica o sola. E non poteva incolpare il suo migliore amico
perché lei si era illusa. Ma in fondo era più facile arrabbiarsi con lui che non
ammettere a se stessa che non ci sarebbe stato niente di più che amicizia fra
loro due. Un’amicizia nata solo perché i loro genitori si conoscevano,
un’amicizia forzata, portata avanti per abitudine più che altro; perché loro non
avevano nulla in comune, a ben pensarci. Se si fossero incontrati al liceo,
sarebbero diventati amici? Probabilmente No. Sarebbero andati avanti col livello
‘ ciao ’, avrebbero scambiato qualche parola ogni tanto, magari, ma nulla più di
questo.
Così, il loro rapporto si
basava su una serie di circostanze indipendenti dalla loro volontà. E un
rapporto così non aveva futuro, non nel modo in cui lei sperava, purtroppo.
Perciò se ne stava lì seduta su
quella panchina, a guardare davanti a sé senza realmente vedere nulla, a
concentrarsi sul fatto di essere furibonda con Heiji Hattori, non perché lui
avesse qualche colpa, ma perché era l’unico con cui poteva prendersela per tutte
le considerazioni che le erano affiorate alla mente. Perché se lui non fosse
stato la persona speciale che era, lei non se ne sarebbe innamorata, e adesso si
starebbe divertendo con l’amica di Ran.
Ran, maledizione anche a lei.
In quel momento si stava probabilmente godendo l’appuntamento con il suo amato
Kudo. Si era lamentata perché lui non la teneva in considerazione, ma le era
bastato versare un po’ di lacrime e lui si era precipitato a casa.
Beh, quando era stata lei
a piangere, il suo amato Heiji aveva mandato un’altra a consolarla. Sebbene
Kudo dovesse macinare chilometri per raggiungere Ran aveva accettato di farlo.
Sebbene Heiji avesse dovuto fare solo qualche passo, non si era mosso di un
millimetro.
Invidia.
Come se non fosse abbastanza,
ora stava provando anche quest’altro sentimento. Dopotutto lei aveva consolato
Ran quando si era sentita sola e trascurata; ma Ran, da parte sua, non era lì a
consolare lei. No, era a divertirsi con il suo amico d’infanzia nel modo in cui
lei non avrebbe potuto mai fare.
Rimpianto.
Per quanto la sua coscienza lo
trovasse meschino, era questo il sentimento che stava riempiendo il suo cuore.
Se non l’avesse esortata a dare a Kudo una seconda possibilità, magari Ran non
sarebbe stata al settimo cielo, ma comunque ora sarebbe al suo fianco, e
avrebbero potuto condividere quel momento. E lei non sarebbe stata invidiosa
della sua situazione.
Collera.
Perché diavolo quell’idiota
frignava quando aveva un ragazzo che la ricambiava e che era pronto a tutto per
lei? Kudo e Heiji saranno stati anche simili come si diceva, ma il primo le
sembrava un ragazzo molto più sensibile e disponibile.
Una leggera brezza la scosse da
quei pensieri, sferzandole il volto accigliato e triste, mentre la coda di
capelli scuri ciondolava da un lato solleticandole il collo. Accanto a lei, il
pesce rosso boccheggiava nell’acqua del sacchetto con occhietti inespressivi,
mentre uno scroscio di risa echeggiò dalla pista davanti a lei. Pensò con ironia
e un a leggera amarezza che gli unici a non divertirsi in quel luna park erano
lei e quell’ esserino affusolato.
“Kazuha...!” sussultò
riconoscendo la voce, ma per il resto non diede cenno di averla sentita.
Continuò a guardare con occhi vuoti le macchinette colorate che si scontravano,
fra le risa dei guidatori.
“Ti ho trovata, finalmente!
Quella Suzuki, là, dice che l’hai cacciata via e che te ne sei andata. Ho temuto
fossi uscita dal luna park…” continuò la voce, facendo una pausa per riprendere
fiato. Sembrava affannata. Restò in silenzio, davanti a lei un’auto rossa colpì
il fianco di un’altra blu, e il bambino che la guidava scoppiò in un pianto
disperato.
“Ehm, Kazuha..!? Mi ascolti?”
domandò la voce esitante. La madre del bambino in lacrime, dal bordo della
pista, lanciava commenti poco carini nei confronti dell’adolescente che guidava
l’auto rossa.
“Senti…” un sospiro “…non
capisco cosa ti sia preso, prima. Non mi sembra di aver fatto niente di male.”
Ora la voce sembrava un pochino risentita. “È vero, forse ti ho mentito riguardo
alla commissione, ma non per quello che pensi. Stavo seguendo un caso e il
mio…ehm…cliente non voleva ne parlassi a anima viva. Tutto qui. Niente intrighi
da soap opera!” aggiunse, quasi orripilata all’idea. Il giro era finito, la
madre abbandonò in fretta il bordo della pista, fece lo slalom fra le
macchinette ferme e prese in braccio il bambino, andandosene furibonda.
“Hai capito, Kazuha? Ehi,
pronto, parlo con te…” capì che si stava avvicinando per toccarla e con un gesto
brusco si spostò più di lato sulla panchina. Non voleva. Se l’avesse toccata,
forse avrebbe cominciato a tremare, o avrebbe dato un qualsiasi altro segno di
scompenso e demoralizzazione. E lui non doveva accorgersi di quanto stava male.
“Ho detto la verità, te lo
giuro!” insisté la voce seccata. Probabilmente pensava che la sua reazione fosse
dovuta all’incredulità. Stupido idiota…perché non la capiva mai?
“Io non ti ho detto una bugia
perché non ti volevo attorno, o dovevo uscire con un’altra, te l’ho già spiegato
il motivo!” continuò imperterrita la stessa voce irritata. “E poi…”
“E poi anche se fosse io non
avrei il diritto di criticare, no!?” continuò Kazuha interrompendolo, il tono
stizzito e isterico: “È questo che volevi dire, vero!!!?? Ma sì, hai ragione,
io non sono la tua ragazza, tu sei libero di vedere chi ti pare, non mi
devi nulla!!! Tanto io ti faccio schifo, no!!?” esclamò con una fitta al petto e
si alzò, decisa ad andarsene. Non l’avrebbe vista piangere di nuovo, non voleva
essere così patetica. Girò i tacchi ancora senza degnarlo di uno sguardo e fece
per andarsene, ma lui l’afferrò per un polso, stringendola forte.
“Non era questo che
intendevo dire, stupida!” gridò, con un tono di voce che non gli aveva
mai sentito rivolgerle. Fu questo, più di tutto, a farla voltare e quando
incrociò il suo sguardo non vide collera nei suoi occhi, bensì determinazione e
risentimento…quasi come se lei lo avesse ferito…
“Ma come diavolo fai solo
a pensare certe idiozie!!” continuò con fervore, lei sussultò abbassando
lo sguardo; si sentiva profondamente a disagio.
“Io…a te non frega niente di
me…” balbettò quasi senza voce, la stretta sul polso si fece più forte.
“EEEH? No, certo che no Kazuha,
è come dici tu!! Non me ne frega nulla di te, non ti posso vedere!! Hai colto
nel segno!! È per questo che me ne sto qui a perdere tempo per cercare di farti
capire che l’ultima cosa che volevo era farti piangere, che non sarei mai
uscito con un’altra ragazza..!! Ma sì, tutto torna!!” affermò cercando con
l’ironia di nascondere quanto le sue insinuazioni l’avessero scosso. La ragazza
sobbalzò sentendo le sue parole, e quando alzò di nuovo gli occhi, vide le sue
guance leggermente imporporate, malgrado la stizza.
“Ma…tu…” cercò di dire,
arrossendo a sua volta “non mi sei corso dietro subito…non ti è importato anche
se io stavo…piangendo…” . Non stava insistendo perché volesse davvero far valere
le sue ragioni, anche se così poteva sembrare. Gli elencava tutti i suoi dubbi
perché sperava che lui riuscisse a dissolverli…avrebbe tanto voluto non averne.
“Allora sei proprio una…” dal
tono di voce si capì che aveva cercato con buoni risultati di re-inghiottire
l’epiteto con cui voleva apostrofarla. “Pronto!! Stavo seguendo un caso!! Non
potevo permettere che il mio miglior…ehm…il mio cliente passasse dei guai seri
solo perché tu eri in preda a crisi isteriche!! Sveglia Kazuha!! Vedi troppe
soap alla tv!!” lei sorrise debolmente, cosa che lo sorprese, facendogli
inarcare le sopracciglia.
“Ma tu volevi…l’avresti fatto
se non fosse stato per il caso, Heiji?” domandò, gli occhi verdi lievemente
lucidi.
“Mi sembra chiaro, idiota!”
borbottò, stavolta fu lui a distogliere lo sguardo. “Senti…” riprese, con voce
più calma e profonda: “Qualsiasi cosa ti sia passata in testa, non volevo
ferirti. Mi è preso un colpo, per il modo in cui hai reagito…non farlo mai più.”
Aggiunse infine, quasi con amarezza. Lei soffocò a stento una risatina e lui la
guardò, inarcando un sopracciglio. “Niente…” rispose lei alla sua domanda
inespressa. “È che…nell’ultima parte mi sei sembrato mio padre…”
“Ah.” Ribatté lui, sbigottito e
leggermente divertito, poi entrambi sorrisero. Adesso ricordava che cosa di lui
l’avesse attratta maggiormente: Heiji riusciva sempre a metterla di buon umore,
malgrado tutto.
“Ehm…a proposito di tuo
padre…non dirgli che ti ho fatta piangere, se no mi ammazza.” Aggiunse
nervosamente, lei lo guardò con un’occhiata maligna.
“Non lo so…dipende da come ti
comporti, Heiji caro…”
“Se non glielo dici, io non gli
faccio parola del nuovo amichetto che ti sei fatta, Kazuha.” Replicò lui con
tono scaltro.
“Ma di chi accidenti parli?”
Kazuha sgranò gli occhi, sorpresa. Heiji indicò la panchina, dove il pesce li
guardava boccheggiando attraverso la pellicola di plastica trasparente. “Non ci
presenti?”
“Non ha ancora un nome, a dir
la verità…” commentò lei, aggrottando la fronte.
“Beh, è un maschio o una
femmina?”
“Non ne ho idea…da che si
vede?” chiese Kazuha, perplessa. Heiji prese il sacchetto in mano e lo sollevò
sopra la sua testa, scrutandolo attentamente.
“Uhm…a quanto pare, non dalla
stessa cosa da cui si vede in noi.” Disse in tono serio, rivolgendole poi un
sorriso malizioso.
“HEIJI!!” Lei arrossì
furiosamente e gli strappò il sacchetto di mano.
“Beh, comunque, che ne dici di
chiamarlo Ellery?” aggiunse infine, speranzoso.
“Vuoi dire come il tuo
scrittore di gialli e detective preferito?” fece lei meditabonda;
“Più o meno…gli scrittori che
si firmavano con questo pseudonimo erano due, Frederic Dannay e Manfred B. Lee,
e Ellery Queen non era propriamente un detective come si poteva definire ad
esempio Sherlock Holmes…il poliziotto in famiglia era il padre che…”
“Okay, okay, se lo chiamo come
vuoi tu prometti di piantarla con questa tiritera?” lo interruppe scocciata,
consapevole che se non l’avesse fermato sarebbe andato avanti anche per ore
declamando vita morte e miracoli degli autori e del personaggio. Lui si accigliò
leggermente seccato, poi annuì.
“Bene, allora benvenuto in
famiglia, Ellery-chan.” Concluse lei con un sorriso.
In quel momento una figura
minuta si materializzò davanti a loro con uno stridere di gomme, alzando un po’
di polvere. Kazuha guardò dall’alto in basso il bambino che viveva all’agenzia
investigativa, lievemente sorpresa, si voltò verso Heiji e notò che lui era
diventato stranamente nervoso. Guardò di nuovo il piccolo, che le sorrideva
innocente:
“Ciao, volevo dirti che Ran
neechan non può venire al luna park, ha avuto un piccolo incidente…” lanciò
un’occhiata significativa a Heiji, che gli rispose con un’altra altrettanto
eloquente; la cosa si svolse in un lampo e lei non ebbe il tempo di chiedersi
cosa volessero dire quei cenni che il bambino continuò con voce squillante: “…ma
nulla di preoccupante, sta benone. Passa un attimo dal dottore e poi torna a
casa per l’appuntamento con Shinichi. Ha detto che voi potete continuare a
divertirvi qui, se vi va, non c’è problema.” Kazuha lo squadrò per un attimo.
“Che le è successo?” chiese
infine. Ci fu di nuovo quello strano, inspiegabile scambio di cenni, poi il
bimbo si strinse nelle spalle.
“Non insistere, Kazuha. Che ne
può sapere lui, è solo un bambino! Parla con Ran, se ci tieni…” s’intromise
Heiji. Lei gli lanciò un’occhiata perplessa, poi annuì: “Allora noi restiamo
qui, Heiji?” domandò fiduciosa.
“Se proprio ci tieni…” commentò
con un tono di sufficienza, ma lei capì che era tutta una finta e sorrise
raggiante.
Un altro scambio di cenni e lui
aggiunse: “Ma prima vai a cercare Suzuki e avverti anche lei che Mouri non può
venire…io accompagno un attimo questo bambino…”
“…in bagno.” Concluse
precipitoso Conan per lui. “Mi scappa da morire…”
Kazuha fissò entrambi per un
attimo, sbattendo le ciglia perplessa, poi assentì e si avviò, mescolandosi tra
la folla, il piccolo, rosso Ellery che sguazzava confuso nelle acque
movimentate. I due stettero a guardarla finché non fu più visibile, poi Heiji
esordì con tono di scusa: “Ehm…Kudo…riguardo a prima…”
“Per quanto ti meriteresti di
restare sulle spine a disagio per un po’, dopo tutte le volte che mi hai preso
in giro, umiliato, trattato come un moccioso e chiamato ‘Kudo’ in pubblico e di
fronte a Ran…” lo interruppe Conan con aria di superiorità “…ti dimostrerò che
sono decisamente più maturo di te e non ti costringerò a chiedermi scusa in
ginocchio, Hattori.” Gli sorrise supponente guardandolo dall’alto in basso. Per
quanto gli fosse possibile, in quelle condizioni.
“So cosa vuol dire trattare con
un’amica d’infanzia furiosa, credimi.” Aggiunse comprensivo. Lui gli sorrise,
riconoscente. Conan confidò nel fatto che quello gli assicurasse per un po’
l’incolumità dalle sue continue punzecchiature e allusioni.
“Come sapevi che avevo litigato
con Kazuha?”
“Oh, andiamo!! Ti si leggeva in
faccia! Non sono mica nato ieri…”
“Beh, più o meno…” rise lui.
Ecco, appunto.
Io e le mie speranze vane…
Conan sospirò rassegnato, non
ricambiando il sorriso.
“Comunque, cosa è successo dopo
che mi hai chiamato per dirmi di sospendere le ricerche?” domandò Heiji serio.
Conan sbuffò e si cimentò in un breve resoconto del suo incontro con Vermouth,
poi della lotta con Gin e Vodka e della liberazione di Ran. Quando terminò, notò
che Heiji lo fissava accigliato, con un’espressione insieme offesa e
indispettita e gli occhi a fessura.
“Beh, che ti prende adesso?”
chiese sorpreso e infastidito a sua volta.
“Sei andato contro
l’Organizzazione da solo?! E senza dirmi niente!?” commentò arrabbiato,
senza smettere di fissarlo in malo modo. “Complimenti Kudo, io vengo fin qui da
Osaka per aiutarti e tu fai tutto per conto tuo…grazie tante! La prossima volta
me ne resto a casa.”
“Io non ti ho chiesto di
venire.” Replicò freddamente, senza battere ciglio.
“E cosa avresti fatto se ti
avessero catturato o qualcosa di peggio?” insinuò.
“Non è successo.” Rispose
Conan, alzando le spalle. Scoccò un’occhiata in tralice al detective dell’ovest
per vedere come avesse reagito alle sue parole e notò che era profondamente
contrariato.
“Già, devi essere stato davvero
fortunato. Nelle tue condizioni, non è difficile avere la meglio su di te in uno
scontro.” Disse Heiji, inarcando le sopracciglia maligno.
“Non è stata una fortuna…Io
so perfettamente badare a me stesso.” Ribatté seccato.
“Con quel corpicino che ti
ritrovi? Ah, non farmi ridere.” Replicò a sua volta il ragazzo del Kansai, con
un tono incredulo di derisione che lo disturbò profondamente. “Perfino un
moccioso di otto anni ti metterebbe ko, Kudo.” Concluse, guardandolo dall’alto
in basso. Conan strinse forte i pugni, fulminandolo con lo sguardo.
“Stai forse cercando di dire
che sono debole, Hattori?” sibilò, scandendo le parole.
“Senza i gadget del
professore…” cominciò, ma qualcosa nello sguardo del suo migliore amico lo
bloccò. C’era di più della rabbia, nei suoi occhi…frustrazione…come se stesse
dando voce a timori che lui stesso aveva considerato nella sua mente. “…saresti
comunque un detective formidabile, Kudo. A parte qualche inconveniente puramente
tecnico…” Non era questo quello che voleva dire, all’inizio. Ma fu felice di
aver cambiato idea quando vide l’espressione sul viso di Conan rilassarsi.
Sospirò, questa volta poteva lasciar correre; non aveva voglia di litigare e poi
così avrebbe ricambiato il favore che il detective dell’est gli aveva fatto poco
prima.
“Solo che…è meglio correre meno
rischi possibili, non ti sembra? E se fossi venuto anch’io con te…”
“Ti saresti goduto un po’
d’azione anche tu, giusto?” terminò per lui la frase Conan, sorridendo con uno
sguardo acuto.
Heiji ricambiò il sorriso
divertito: “Esattamente.” Non ebbe difficoltà ad ammettere.
Conan ghignò “Non preoccuparti,
avremo altre occasioni per divertirci. Ho applicato un trasmettitore a largo
raggio a Gin, e seguendo le sue tracce con i miei occhiali riusciremo a scoprire
l’ubicazione del quartier generale. Haibara una volta mi ha spiegato che i
centri operativi sono molti, e sparsi in tutto il paese, perciò se lo teniamo
d’occhio per un po’…”
“…riusciremo ad avere una mappa
dettagliata dei loro quartier generali.” Finì Heiji, un luccichio avido nei
suoi occhi.
“Già. E quando sarà il momento
di muoversi, avrò bisogno di più aiuti possibili. Naturalmente c’è la polizia,
ma…”
“…ma non sappiamo se ci sono
infiltrati al dipartimento, e non possiamo organizzare una retata col rischio
che qualcuno li avverta. Non solo andrebbe tutto a monte…” sussurrò Heiji, la
fronte aggrottata.
“…quei bastardi potrebbero
anche lasciare una bomba nel luogo del loro ex centro operativo e farci saltare
tutti in aria. E l’ultima cosa che voglio è far morire poliziotti innocenti,
magari con una famiglia a casa che li aspetta.” Concluse il detective dell’est.
Come al solito, entrambi erano
arrivati alle medesime considerazioni e infatti, più che parlare, stavano
riflettendo insieme ad alta voce.
“Cavoli, Kudo, ti sei cacciato
davvero in una gran, brutta faccenda…” sospirò il ragazzo, ficcandosi le mani in
tasca.
“Forse, ma era ora che qualcuno
cercasse di fermarli. E giuro sul mio onore che non gli permetterò di mietere
vittime ancora per molto…la pagheranno cara per tutti i loro delitti…” Heiji si
voltò a guardarlo: aveva un’espressione determinata, furente, guardava un punto
imprecisato davanti a sé, le sopracciglia inarcate. Il detective dell’ovest
sorrise benevolo. “E tu saresti una persona orribile, cinica e egoista?” Chiese
divertito. Conan lo guardò perplesso, non capendo subito a cosa si riferisse,
poi gli venne in mente ciò che gli aveva rivelato al bar quella mattina; il suo
viso si rabbuiò.
“Sì…sono contento che Ran
soffra solo perché la voglio tutta per me. Il che è sia egoista che crudele…”
commentò debolmente, abbassando la testa in modo che lui vedesse solo la massa
di capelli bruni.
“Sei umano, Kudo…” replicò lui
con semplicità. Conan tornò a fissarlo attentamente, sbattendo le palpebre.
Rimasero in silenzio per un po’, e quando Heiji capì che quella spiegazione non
gli bastava del tutto andò avanti:
“Non sei un santo…è normale che
tu voglia vicino la persona che ami…” fece una pausa, aspettandosi che lui
negasse come al solito, ma il suo migliore amico si limitò ad arrossire e
continuò a fissarlo intensamente.
“…e siccome sei un
investigatore è normale che ogni volta che hai la prova che lei ti ricambia ti
senta sollevato… bada, sollevato, non felice… ma ciò non vuol dire che non ti
dispiaccia che lei si disperi. In fondo non è colpa tua se sei costretto a
mentirle, anzi, lo fai per proteggerla…e anche tu soffri per questa situazione,
no? Dev’essere frustrante averla vicina e non poterle parlare come te stesso…se
fossi egoista le avresti rivelato tutto e te ne saresti fregato del rischio che
l’Organizzazione la uccida…” spiegò paziente, con il tono di chi sta dicendo
cose ovvie.
“È vero, ma…”
“Tu sei un bravo ragazzo, e le
vuoi bene davvero. E la prova è il fatto stesso che ti sia fatto questi
problemi. Una persona cinica non avrebbe minimamente pensato che sentirsi
sollevato per le sue lacrime potesse essere sbagliato. Ma tu sì. Dammi retta
Shinichi, non hai niente da rimproverarti.” Concluse sorridendo. Lui sussultò
lievemente quando lo sentì pronunciare il suo nome e lo squadrò per un attimo,
poi distolse lo sguardo. Per qualche istante restarono così, muti e senza
guardarsi, Conan sorrise facendo in modo che lui non se ne accorgesse.
Adesso capisco perché mi
confido con questo qui…magari non è stato del tutto un errore andare a quel club
di Sherlock Holmes…
Quando parlò di nuovo, lo fece
con il solito tono distaccato e di sufficienza:
“Beh, amico, sarà meglio che
vai a cercare la tua fidanzata. Le hai praticamente promesso di restare al luna
park con lei. Tanto, per quanto riguarda l’Organizzazione, oggi non possiamo
fare di più.”
“E la cassetta? Ce l’ha quella
Vermouth, no?” chiese Heiji, aggrottando la fronte perplesso e impensierito.
“Sì, e non possiamo farci
niente.” Disse fermamente. “Ha ucciso Mori e ha tagliato la corda. Non ho idea
di cosa ne abbia fatto del corpo, visto che non l’hanno trovato, ma comunque non
ha molta importanza. E d’altronde, lei era già a conoscenza della mia vera
identità…” sospirò “…quindi il nastro non le servirà a granché.”
“Ma se Vermouth sa che in
realtà sei Shinichi Kudo, allora potrebbe averlo detto anche a Gin, Vodka, e a
chissà chi altri…” realizzò con orrore Heiji.
“Probabile…” cercò di
rispondere in modo freddo, ma la voce gli uscì affievolita e affranta.
“…e infatti ho notato un tizio
vestito di nero che si aggira nei dintorni dell’agenzia di Kogoro.” Un altro
sospiro “Comunque, è da un po’ che ho a che fare con quella, e non è mai
successo niente. E poi…magari è un bluff… ma a me sembra che abbia un debole per
Ran. Oggi mi ha perfino rivelato il luogo dove si trovava…”
“Potrebbe averlo fatto perché
sperava che per salvarla ci avresti rimesso la pelle.” Disse Heiji
soprappensiero, ignorando il fatto che la sua affermazione lo aveva afflitto più
di quanto lo fosse prima. Non che Conan non ci avesse pensato, ma allo stato
attuale delle cose, preferiva essere ottimista.
“Sì…ma se il mio piano con la
trasmittente e la cimice va in porto, non avrà molta importanza…” concluse Conan
con voce grave.
Per una volta sola vorrei
cancellare dal mio vocabolario la parola ‘se’…
“Ma sì, dai, li prenderemo a
calci nel sedere, quei luridi bastardi!” esclamò Heiji con un sorriso, e Conan
capì che, sebbene fosse preoccupato quanto lui, stava cercando di tirargli su il
morale.
“Puoi dirlo forte.” Commentò
sorridendo a sua volta. “Ma ora è meglio che vai, se no Toyama ti uccide…”
“In effetti, è meglio.”
Il ragazzo del Kansai si avviò
seguendo i passi di Kazuha; Conan restò a fissarlo per un po’, poi sorrise
lievemente, mormorando a se stesso: “Grazie, Heiji.”.
Note dell’Autrice: anche
questo capitolo è finito; il risultato non mi soddisfa completamente, ma
siccome ne ho scritte tre versioni, non ho intenzione di rimetterci più mano e
questa era la migliore, direi che mi posso accontentare. La parte più difficile
è stata quella del combattimento fra Gin e Conan: siccome quest’ultimo non può
farsi vedere dal suo avversario, ho dovuto inventare un modo per farli
affrontare senza il faccia a faccia. Questo è il frutto dello spremere delle mie
meningi. ^^” L’ultima parte invece mi piace molto…ma voi cosa ne pensate?? Dite,
dite, mi raccomando!
Ora, vorrei ringraziare tutti i
lettori de “La Promessa di Shinichi” e anche dell’altra mia ff, “A Very
Important Gift”, e in particolare chi ha avuto il buon cuore di lasciare una
piccola recensione; i vostri commenti mi fanno piacere e mi tirano sempre su di
morale, thanks! ^ __ ^ Ho notato che alcune persone hanno prese di posizione
molto ferree riguardo alla coppia ufficiale del manga: io sono molto più
malleabile riguardo a questo argomento: posso leggere tranquillamente sia ff
Shinichi/Ran che Conan/Ai…l’importante è che le coppie non siano veramente
assurde, come ad esempio una Shinichi/Kazuha… (lì darebbe un po’ fastidio anche
a me…) In fondo nel manga ogni personaggio ha la sua ‘dolce metà’ chiaramente
prefissata, e trovo divertente, almeno nelle ff, poter sconvolgere un po’ le
cose…nei limiti, come ho già detto. ^^
Comunque, opinioni personali a
parte, passo ai ringraziamenti singoli, come da routine:
Shizuka: ciaoo!! Grazie del commento; qui un po’ di romance c’è, hai
visto? ^ _ ~ Non molto, ma non preoccuparti: ora che Gin e Vodka sono (per modo
di dire) sistemati posso occuparmi della parte più dolce della storia, quella
che credo la maggior parte aspetti con ansia. Tu continua a seguirmi e io non ti
deluderò!! (o almeno lo spero…^^”)
Akane Tendoo: wow, ti ringrazio!! Spero solo che con ‘calmante’ non
intendi dire che i miei capitoli sono così noiosi che ti fanno addormentare!^^”
Uhm…vita piena, eh? Se vuoi un consiglio, quando vai al liceo, non farti
eleggere MAI rappresentante di classe! Io lo sono da qualche settimana e già ne
ho abbastanza…non bastava la montagna di compiti a casa a tenermi occupata!
Comunque, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, e ti ringrazio
tantissimo anche per avermi avvertito riguardo alle puntate di DC trasmesse da
Italia1…in realtà sapevo già che presto sarebbe arrivato sui nostri schermi il
mitico vol.26, ma ti ringrazio comunque per aver avuto la premura di avvisarmi:
un pensiero davvero carino, Chiaretta-chan!! ^//^ A presto, e non
preoccuparti: non rompi affatto! Scrivimi pure tutto ciò che ti passa per la
testa, senza riserve, i tuoi commenti mi piacciono sempre molto. Oh, a
proposito, grazie anche per la recensione all’altra fanfic!^^
Mareviola: carissima! Non prendertela, non era mia intenzione
offenderti: con ‘vecchia’ intendevo dire che sei la lettrice che mi commenta
costantemente da più tempo di tutti. Nessun riferimento all’estetica, giuro!!^^”
(d’altronde, come potrei??) Oh, il tredicesimo è il tuo chap preferito?? Allora
abbiamo gli stessi gusti! ^__^ Anche a me piace molto…insieme al sesto,
all’ottavo e al decimo, finora. Grazie del commento, ci sentiamo presto.
Lili: grazie!^^ Ecco il seguito…spero di non averti fatto aspettare
troppo e soprattutto che ti piaccia…
Ichigo Shirogane: hai visto che avevo indovinato? Non sono poi così
male come detective se sono riuscita a scoprire la tua doppia identità… ^_^ ci
sentiamo e mi raccomando, non trattare male Ichi! : p
Ginny85: ciao Ginny, grazie mille
per il commento…sei sempre così generosa con i complimenti?? Perché c’è il
rischio che mi monti la testa, se continui così! ^//^ Ti ringrazio tanto
comunque, anche per l’altra recensione...sei incoraggiante e adorabile, sul
serio!! È vero, uso molto spesso riferimenti a fatti ‘veri’ accaduti nel
manga…le informazioni le ho prese navigando un po’ dappertutto in rete, qualche
volta ritrovandomi in siti scadenti in cui mancava una pagina su tre, altre
volte su siti di migliore qualità…comunque, quelli da cui ho preso la maggior
parte sono
www.conan.esmartkid.com , che ha una sezione dedicata alle scans in inglese
molto ben fornita e strutturata, e un altro, il cui indirizzo è, se non sbaglio,
www.vrwarp.com/mangaviewer; di quest’ultimo non sono molto sicura, infatti
ci sono tornata qualche giorno fa dopo un sacco di tempo e non sono riuscita a
visualizzare la pagina, non so se perché ho digitato male l’indirizzo o perché è
proprio inagibile… mi scuso comunque per non averti potuto dare una risposta
più precisa. é _ è Il fatto è che non ci sono molti siti su cui fare
affidamento, per quanto riguarda le scans di questo bellissimo manga; in ogni
caso spero tanto di esserti stata di aiuto…un bacione.
Imi: salve! Che cosa strana che mi dici… O _ O hai inserito il
commento all’incirca un mese dopo che ho postato il capitolo, dunque era da un
bel po’ che stava online…comunque, faccio del mio meglio con gli aggiornamenti,
il fatto è che con prof sadici e impegni vari mi resta poco tempo per mettermi
al computer a scrivere…^^”aggiungici pure l’ispirazione che va e viene… ma non
preoccuparti, finché resteranno lettori (o lettrici ^ _ ~) come te, che sono
così gentili da inserire un piccolo commento, dedicherò ogni istante libero
alla stesura di questa ff! Giuro! Grazie per i complimenti, come vedi la tua
sofferenza è finita: finalmente sai cosa è successo a Ran! Spero di non aver
deluso le tue aspettative…^^” un bacio, a presto.
Ci terrei anche a ringraziare
(anche se non so se li leggeranno mai, comunque):
Wilwarind,
(sì, ma l’ultima mail che ti ho mandato era piuttosto
sbrigativa e superficiale, per questo mi sentivo –e mi sento tutt’ora- in
colpa…grazie del commento ad ogni modo, sai quanto siano importanti per me
soprattutto le tue impressioni!^^)
Elly,
(Bene! Almeno potrò leggere anche belle ff su Conan/Ai…)
Yuki,
(wow! Hai le idee chiare sui tuoi gusti…beh, ho già detto che ho un po’ di
difficoltà a scrivere di Conan e Ai in chiave romantica…leggere volentieri, ma
scrivere è tutt’altra questione. Non so se in futuro lo farò…)
Hoshi
(povera Ai, non denigrarla in questo modo^^” in fondo non è così male… stai
leggendo anche la mia ‘promessa’ eh? Allora, come ti è sembrato quest’ultimo
capitolo? Fammi sapere!)
e
Vichan
(Mi fa piacere! Grazie!) per aver commentato l’altra mia ff di
Detective Conan. Inoltre, un piccolo ringraziamento anche a
Ilaria per
l’e-mail che mi ha spedito.
Ora è veramente tutto; se
riceverò altri commenti sulla ff, “A very…” li unirò a quelli sulla “Promessa di
Shinichi” come ho fatto in questo caso alla fine del
capitolo quindici. Sarà un chap incentrato
principalmente sull’amore, visto che gli ultimi due sono stati prevalentemente
di azione, e ci sarà anche una piccola…beh, chiamiamola sorpresa. ^__^ (ß
sorriso poco affidabile). Ho già tutto in mente…datemi solo il tempo di
scriverlo. Conto su di voi per qualche commentino come al solito, mi raccomando!
Baci
-Melany
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Capitolo 15 *** Kiss Kiss ***
Nuova pagina 1
x
ATTENZIONE:
di nuovo vorrei fare una piccola precisazione: in questo capitolo
è presente più di una (2) scena un po’…diciamo forte; nella prima parte c’è la
descrizione di un qualcosa che potrà sembrare un tantino macabro a persone
facilmente impressionabili, ma conoscendo i miei standard (li conoscete?) potete
immaginare che non è come al solito nulla di terribile. Ci tenevo comunque a
dirlo per correttezza. Nell’altra è accennata l’idea del sesso, ma non c’è
nessuna descrizione approfondita, per cui ritengo che possa essere letta da
chiunque. Mi scuso di nuovo se il linguaggio usato nei dialoghi dei criminali è
un po’ volgare.
-Melanyholland
15.Kiss Kiss
h. 16:55
La giornata si stava pian
piano facendo più fresca, come accadeva spesso dopo che il sole aveva raggiunto
il suo zenit; si era alzato il vento, scuoteva le fronde degli alberi inclinando
i rami più fragili, che ondeggiavano sinuosi trasformando la violenza di
quell’impeto in armoniosa dolcezza in sincronia. Ben presto il freddo pungente
sarebbe sceso insieme alle ombre della sera, soffocando anche il flebile calore
che il sole invernale dava con la sua luce. Gelo. Come quello che trasmetteva
attraverso il suo sguardo. Non che lo volesse, ma non ne poteva fare a meno: i
suoi occhi erano lo specchio del mondo in cui aveva vissuto fino a poco tempo
prima, un mondo glaciale, dove il calore delle emozioni umane le era stato
negato. Freddo come le provette che era abituata a maneggiare, impersonale come
il computer su cui lavorava. Richiamava alla mente quei giorni, in cui era stata
schiava dell’Organizzazione, con un vuoto allo stomaco, un sapore acido in
bocca. La sua infanzia (quella vera) era nebulosa, confusa, aveva rimosso quasi
tutto; aveva visto morire molte persone nella sua vita, spesso nel buio della
notte rivedeva i loro volti pallidi, gli occhi svuotati, i rivoli di sangue
secco che colavano dalle ferite…anche loro erano gelati e privi del calore dei
sentimenti, che gli era stato strappato insieme alla vita…corpi esanimi, che una
volta brillavano di emozioni e che tutt’ a un tratto erano stati privati dello
spirito. In molte di quelle notti, i cadaveri avevano il viso di sua sorella
Akemi; ma non il viso che lei ricordava, sorridente, colorito, gli occhi ricolmi
dell’affetto che riservava solo a lei. Non il viso bello a cui lei pensava
costantemente mentre lavorava per Loro, non il viso dolce e determinato che le
aveva sempre dato forza e fiducia. Nei suoi sogni, il volto di Akemi era
scavato, gli occhi non la guardavano teneramente ma la sua immagine si
rifletteva in quelle pupille vitree e vuote, le sue labbra non erano dischiuse
per sorriderle, ma in una smorfia di dolore e paura. Il suo corpo era gelido e
così rigido che temeva di poterla spezzare, se l’avesse sfiorata. E quando non
riusciva più a trattenersi le lacrime solcavano silenziose le sue guance, e lei
aspettava, aspettava che sua sorella si muovesse per asciugargliele, per
accarezzarle il viso e mormorarle con quella amorevolezza tutta sua che sarebbe
andato tutto bene, che lei le sarebbe stata vicina, nonostante le difficoltà,
nonostante cercassero di dividerle. Ma non succedeva mai. Akemi restava
immobile, fredda come la morte, e lei continuava a specchiarsi in quei pozzi bui
che una volta erano stati i suoi occhi, piangendo fino a consumare le lacrime.
Spesso si era svegliata da
questi incubi con le guance bagnate davvero e il cuore lacerato; solitamente
dopo un brutto sogno si ha almeno il sollievo di scoprire che non è successo
niente, in realtà. A lei quel sollievo era stato negato. Sua sorella, l’unica
persona che avesse al mondo, era morta sul serio. L’unica differenza era che lei
non le era accanto mentre accadeva. No, l’aveva saputo vedendo la prima pagina
del giornale, riconoscendo il suo profilo sotto il lenzuolo bianco con cui la
polizia l’aveva coperta; in quel momento tutto le era crollato addosso, l’unica
certezza che aveva nella vita era l’affetto e il sostegno di sua sorella
maggiore, e le erano stati sottratti all’improvviso, colpendola violentemente e
lasciandola scossa e impaurita. A nulla era servito andare a chiedere
spiegazioni a Gin, rifiutarsi di lavorare ulteriormente per loro. La rabbia che
provava nei loro confronti, seppure ardesse in tutto il suo corpo, non celava il
dolore e il grido d’aiuto del suo cuore, che la stavano consumando lentamente,
dall’interno. Così, aveva imboccato l’unica via di fuga possibile, aveva preso
l’unica cosa che la potesse far smettere di soffrire: l’APTX 4869, il veleno che
aveva inventato per l’Organizzazione, e che ora gli avrebbe impedito di
strapparle la vita come avevano fatto con sua sorella Akemi.
A volte il destino gioca
brutti scherzi. Il composto non la uccise come aveva previsto, ma la fece
regredire all’età di otto anni. Fu a quel punto, che nell’abisso scuro in cui
era sprofondata dopo aver appreso della morte di Akemi, vide un’altra
scappatoia, qualcosa che l’avrebbe impegnata e appagata: sconfiggere
l’Organizzazione, uccidere Gin e Vodka per rendere giustizia a sua sorella
meglio di come avrebbe fatto morendo a sua volta. Ma non poteva farcela da sola,
non contro di Loro. Aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno forte, intelligente,
coraggioso, che fosse a conoscenza dell’esistenza dell’Organizzazione e che
condividesse il suo stesso desiderio di distruggerla. E quel qualcuno, ironia
della sorte, era una persona che le aveva nominato sua sorella stessa, nel loro
ultimo incontro: Shinichi Kudo, il liceale detective di cui lei aveva confermato
il decesso nei file degli Uomini in Nero, ma che sapeva essere in splendida
forma. Così, fuggì dal luogo dove l’avevano rinchiusa e si trascinò sotto la
pioggia battente con la forza della disperazione, cercando di non pensare al
freddo, alla febbre che cominciava ad alzarsi, ai brividi che le percorrevano il
corpo fragile da bambina, finché tutto divenne improvvisamente buio e perdette
i sensi. Si svegliò a casa del professor Agasa, che la accolse come un nonno
amorevole e la curò e poco più tardi conobbe finalmente Conan Edogawa,
l’alter-ego di colui di cui lei aveva bisogno.
Lo stesso Conan Edogawa ora
dormiva profondamente sul divano della casa del professore, russando
leggermente. Si era assopito poco dopo essere tornato, spossato dalle fatiche
che probabilmente aveva sopportato quel giorno e assonnato per essersi alzato
all’alba. Ai stette a guardarlo per un po’, la capsula dell’antidoto stretta
nella mano infilata nella tasca del camice candido: gli aveva tolto gli occhiali
e il suo viso quieto e tranquillo, sebbene ancora conservasse i tratti
infantili, appariva più simile a quello di Shinichi Kudo. La giacca blu e il
farfallino erano gettati sul pavimento di linoleum, la camicia bianca quasi
trasparente era sbottonata sul colletto, e quando il ventre si alzava e
abbassava ritmico scopriva parti piuttosto interessanti. Non l’aveva mai visto
a petto nudo, ma era certa che Kudo, da adulto, avesse un bel fisico; il suo
corpo da bambino prometteva bene, comunque. Si avvicinò, si sedette accanto a
lui e prese ad accarezzargli le guance, con una delicatezza che avrebbe stupito
qualunque osservatore, evitando di chiedersi il motivo di quel gesto. Conan non
batté ciglio, ma sembrò più pacifico di prima. Ai gli spostò una ciocca di
capelli che gli era finita sugli occhi, la sua mano si fermò e avvicinò il suo
viso a quello di lui, sorprendendosi del calore che la sua vicinanza le stava
trasmettendo. Era sempre così, con lui. Le dava sicurezza e pace, insieme a
tanti altri sentimenti…si accorse di arrossire.
Lui emise un grugnito che la
fece sussultare e ritrarre bruscamente: ma lui non si era svegliato. Continuava
a dormire placidamente senza essersi accorto di nulla. Ai si chinò di nuovo,
sentì il suo odore, fresco e frizzante, gli passò una mano fra i capelli e si
avvicinò tanto che le loro labbra si sfiorarono…e fu a quel punto che non le
importò più di essere cauta per non svegliarlo, che la ragione venne meno e
qualcos’altro s’impadronì di lei. Ormoni, avrebbe concluso più tardi, quando la
freddezza e la mente scientifica avrebbero riavuto il sopravvento. Fatto sta che
tolse ogni distanza fra le sue e le labbra di Conan e lo baciò, dolcemente,
lambendo la sua bocca senza violarla, solo accarezzando e assaporando la
morbidezza delle sue labbra, provando qualcosa che nessun altro bacio, seppure
meno casto e infantile, le aveva trasmesso in passato. Si sentì invasa da una
passione forte, da qualcosa che le riempì il cuore e la scosse dentro, come una
dolce, violenta scossa di piacere. Conan…lui arrossì, e per un attimo lei pensò
di avergli donato le stesse sensazioni, trasmesse anche attraverso il torpore
del sonno, e sorrise, un sorriso candido e sincero, per la prima volta da tempo.
Si chinò per ripetere quel gesto, ma le labbra che avrebbe voluto baciare di
nuovo si dischiusero mormorando qualcosa che la trafisse violentemente, che le
fece sparire il sorriso dalla bocca, che la rigettò all’improvviso nella gelida
realtà.
"Ran…"
Nell’incoscienza, l’unica
parola che il suo gesto l’avevano portato a pronunciare. Perché probabilmente
stava sognando lei, e aveva accettato quell’emozione solo perché s’illudeva che
fosse stata quella ragazza a dargliela…lei, l’unico, vero amore della sua vita.
Ai rimase immobile,
vergognandosi di se stessa, rimproverandosi per essere stata tanto ingenua,
mentre uno strano formicolio si faceva sentire fastidiosamente agli angoli degli
occhi. Il calore che Conan le aveva trasmesso era stata un’illusione effimera.
Nessuno le avrebbe più dato tepore, nella sua vita. E avrebbe fatto bene ad
accettarlo, prima che fosse troppo tardi…mai più affezionarsi a qualcuno. Perché
l’amore non è un idillio di bellezza e perfezione. L’amore è violenta
sofferenza, ti prende, ti sfrutta, ti consuma e ti abbandona, lasciandoti vuota
e umiliata, con ferite profonde che non si rimarginano, e continuano a far male
anche a distanza di anni. E Kudo non avrebbe mai condiviso con lei
quell’esperienza, nonostante tutto quello che poteva fare. Non sarebbe servito a
niente invidiare Ran Mouri, né cercare di nuocerle in qualche modo. Anzi,
quello avrebbe allontanato ancora di più Kudo da lei…ed era l’ultima persona che
voleva perdere.
Estrasse dalla tasca la
capsula bianca e rossa, squadrandola nel palmo della mano sospirando, poi una
voce la fece sussultare.
"Oh, Ai kun, sei riuscita a
creare l’antidoto! Complimenti!" le si rivolse il dottor Agasa con un sorriso
radioso e un tono di lode. A quelle parole si udì Conan farfugliare dal divano
"Antidoto..!?" con voce impastata, mentre con un grosso sbadiglio si alzava a
sedere stiracchiandosi. Scoccò un’occhiata al viso di Ai, che fece in modo di
non incrociare il suo sguardo, e poi i suoi occhi si fermarono sulla mano dove
ancora teneva la capsula in bella vista.
"Ehm…sì, ero venuta a
svegliarti apposta." Disse neutra, credendo di dover giustificare la sua
presenza, lì seduta sul divano vicino a lui; ma Conan probabilmente non si era
nemmeno posto il problema:
"Sei grande!! Funzionerà?"
le chiese raggiante, guardandola intensamente in un modo che le riportò alla
mente tutte le sensazioni provate poco prima. Tuttavia dalla sua espressione non
trapelò nulla, come al solito.
"Non ne sono sicura. Ti ho
già spiegato che da assuefazione, ma non ho potuto aumentare di tanto le
quantità per non rischiare di farti morire. Comunque, anche se ho cercato come
ti ho detto di non alzare troppo le dosi è ugualmente una quantità decisamente
superiore all’ultima volta; che funzioni o no non conta molto dal punto di vista
del metabolismo, in entrambi i casi non possiamo sapere quali effetti potrà
avere sul tuo corpo. L’APTX già di per sé è una sfida contro la vita, ma fare in
continuazione su e giù è pura follia. Non solo qualsiasi medico, ma chiunque
con del buon senso ti esorterebbe a rinunciare. È pericoloso, più di
quanto tu possa immaginare." Lo fissò intensamente, un’espressione seria e
composta, mentre il viso di Conan si rabbuiava un po’. Esitò per qualche
secondo, poi annuì.
"È come il gioco della
roulette russa, Kudo." Prese la capsula fra l’indice e il pollice e la alzò al
centro del viso di lui: "Sicuro di voler provare?" chiese, uno strano sorriso
a deformarle le labbra, che avrebbero voluto pronunciare altre parole:
"Sicuro che ne valga la pena?"
"Devo." Fu la semplice
risposta. Sfilò dalle sue dita la compressa e la infilò in bocca, senza un
attimo di esitazione. Una cosa che per lei non avrebbe mai fatto, pensò Ai prima
di scacciare via quelle riflessioni e parlare di nuovo.
"Bene, a questo punto non ci
resta che aspettare che crolli a terra contorcendoti agonizzante."
Conan inarcò le sopracciglia
a disagio e deglutì rumorosamente.
"Dì un po’, ma è proprio
necessario che ogni volta mi trasformi in una stufa umana? Non potresti fare in
modo…non so…che cada semplicemente in un sonno profondo e mi risvegli adulto?"
domandò speranzoso.
"Potrei provarci…" disse
pensierosa, poi gli si rivolse con uno sguardo freddo e un sorriso crudele.
"Ma poi…dove sarebbe il
divertimento?"
"Ha, ha…" replicò ironico,
ignorando il brivido gelido che gli aveva percorso la schiena "Piuttosto, perché
uno di voi due.." lanciò un’occhiata al professor Agasa. "Non va a prendermi
qualcosa da mettermi addosso nel caso mi trasformassi?" Ai non smise di
sorridere con quell’atteggiamento maligno e insieme distaccato.
"Perché?" chiese con falsa
ingenuità.
"Mi pare ovvio…" obbiettò
Conan arrossendo. "…i vestiti che ho adesso si strapperanno e io rimarrò…ehm…"
"Nudo?" concluse Ai, il
dottor Agasa scoppiò in un falso colpo di tosse, chiudendo gli occhi un po’
rosso.
"Ma qui siamo fra persone
adulte, non si scandalizzerà nessuno…" replicò Ai con irritante tranquillità,
poi la sua voce si trasformò in un sussurro lascivo "…o devo pensare che hai
qualcosa di cui vergognarti là in mezzo, Kudo kun?"
"AI!!!!!" strillò Conan
diventando color porpora e strizzando gli occhi. Il professor Agasa, che non
aveva potuto udire quell’ultima parte, guardò incuriosito dall’imbarazzo di lui
al ghigno trionfante di lei, poi si strinse nelle spalle e commentò sbuffando.
"I ragazzi di oggi…"
h. 18:00
Il parco era piuttosto
silenzioso, se si escludeva il rumore del vento che attraversava i rami e le
foglie; l’erba stava già prendendo il suo tipico profumo forte e penetrante,
l’odore di fresco, mentre nel verde si poteva già scorgere qualche gocciolina di
rugiada. Una ragazza era seduta su una panchina, un sorriso radioso a fior di
labbra, i capelli bruni sospinti ogni tanto dalla brezza serale che
incorniciavano il suo viso luminoso, le guance colorate di un rosa lieve e
naturale, gli occhi luccicanti di trepidazione. I pochi passanti che scorsero la
sua figura graziosa e delicata capirono subito che doveva essere una giornata
speciale, per lei, che stava aspettando qualcuno di davvero importante. Non
poterono fare a meno di provare un poco di invidia nell’osservarla, sembrava
davvero felice, anche se…sospesa, in qualche modo, non completamente
rilassata: come se fosse stata delusa tante volte in passato, e avesse paura di
perdersi completamente in quella felicità per scoprire che era stata solo
un’illusione. Sì, c’era qualcosa, dietro quell’apparenza di assoluta felicità,
un’ombra su quel viso seppure così luminoso…un’ombra che avanzava inesorabile e
inghiottiva la luminosità ogni minuto scandito dall’orologio. Invidia, sì…ma
anche un po’ di dispiacere. Quella ragazza sembrava in attesa di qualcosa di più
di una persona: attendeva una risposta, una dimostrazione…di affetto, di
amore magari, o forse solamente di non essere sola.
Aspettava…
Aspettava e ogni attimo che
passava sembrava trafiggerla da parte a parte, dolorosamente. Il sorriso
restava, imperturbabile, così come quel brillio nei suoi bellissimi occhi color
fiordaliso: la luce della speranza, ma soprattutto della fiducia; fiducia nella
persona che stava aspettando, chiunque fosse, fiducia nel trovare finalmente la
risposta alle sue domande, trovare quella pace interiore e quel benessere che
per ora le era negato, e la lasciava in bilico, fra la speranza e la paura di
essere delusa, un’altra volta. L’ombra era potente…la luce fioca e fragile,
anche se sostenuta da un sentimento molto forte. Molta gente si chiese per un
attimo cosa sarebbe successo se fosse stata ferita un’altra volta, se avesse
ricevuto un’altra delusione dalla persona che aspettava con tanto
coinvolgimento…non avrebbe resistito. Già. Ed era un peccato, perché vedere il
buio su quel viso così stupendo sarebbe stata un’ingiustizia…
Tutti coloro che la
osservarono dimenticarono tutto questo una volta tornati a casa; la loro vita
prese di nuovo il sopravvento, con tutti i suoi avvenimenti e il susseguirsi
estenuante di impegni e circostanze. Nessuno andando a letto avrebbe ripensato a
quella ragazza così strana, all’ombra nei suoi occhi…
Nessuno…o quasi.
Una persona non l’avrebbe
dimenticato....
h. 18:40
L’Otto Volante si fermò con
uno stridere delle ruote sulle rotaie di metallo. Un ragazzo alto, dalla pelle
scura e i capelli neri, scese da una delle carrozze e aiutò la ragazza seduta
accanto a lui a fare altrettanto, porgendole una mano che lei accettò di buon
grado, mentre i capelli corvini legati in una coda con un nastro rosso
ondulavano al vento.
"Grazie…" esordì Kazuha,
piacevolmente sorpresa. Heiji alzò le spalle e si diresse verso l’uscita,
guardando indifferente le persone ancora in fila che aspettavano di salire
sull’attrazione.
Per come era cominciata, non
era stata poi una brutta giornata, pensò sorridendo. Abituato ad averla intorno
in continuazione, aveva dimenticato quanto potesse essere gradevole stare in
compagnia della sua amica d’infanzia. Il tempo era praticamente volato, il sole
era quasi già tramontato e a lui pareva essere passata appena un’ora da quando
avevano scherzato vicino alla panchina davanti alle auto-scontro. Guardò con
rammarico lo spicchietto luminoso che gradualmente spariva all’orizzonte e si
accorse con lieve dispiacere di dover mettersi in viaggio al più presto per
tornare a Osaka. Peccato. Gli sarebbe piaciuto restare lì ancora un po’…
"Allora, Heiji, che facciamo
adesso?" chiese allegra la ragazza al suo fianco con un sorriso che lo fece
incespicare goffamente.
"Idiota, non vedi che è
tardi? Dobbiamo andare all’aeroporto e tornare a casa." Ribatté brusco,
sperando che il suo gesto le fosse sfuggito. Evidentemente sì, perché lei gli
rivolse un’occhiata torva.
"Idiota sarai tu…e poi non è
così tardi…" replicò, pur sapendo benissimo che il ragazzo aveva ragione.
"Comunque, usciamo di qui,
passiamo all’agenzia a prendere le borse e poi filiamo diritti all’aeroporto."
"Uffa! Mi stavo divertendo…e
poi volevo sapere com’era andata fra Ran chan e Kudo kun…mi sarebbe piaciuto
rivederlo…" commentò soprappensiero, in un tono che a Heiji non piacque per
niente.
"E perché mai?" domandò
accigliato. Kazuha gli scoccò un’occhiata di apprezzamento, poi sorrise
mordendosi il labbro inferiore.
"Oh, è un ragazzo che non mi
dispiacerebbe conoscere meglio, a esser sincera. Carino, intelligente…"
"…e impegnato. E con
la tua migliore amica. Ricordatelo, Kazuha." Sottolineò il ragazzo del
Kansai, improvvisamente aspro. Il sorriso sul volto della sua amica d’infanzia
si allargò compiaciuto.
"Sì, beh…la capisco. Kudo
kun…Shinichi…" Heiji inarcò un sopracciglio "…è così bello, e affascinante…e
sexy"
"Oh, non la penseresti così
se sapessi com’è ora, mi sa…" commentò con un sarcasmo che lei non afferrò.
"…e poi non vedo come fai a
dirlo…l’hai visto una volta sola, alla recita di Ran, ed era coperto
completamente da quel ridicolo costume da cavaliere col mantello." Obbiettò con
uno sguardo acuto. Adesso aveva capito dove voleva andare a parare, cercava di
farlo ingelosire. Povera illusa, pensare di imbrogliare il Grande Detective
dell’Ovest.
"Me l’ha detto Ran…e
comunque non puoi negare che sia proprio bono…" aggiunse con un tono allusivo.
Heiji sorrise maligno.
"Eh già…ma niente in
confronto alla sua ragazza…non è solo bella e dolce, ha anche stile…cosa che
qualcuna qui non potrebbe mai eguagliare."
"Ma come ti permetti! Io ho
il mio stile, al contrario di te, che fai di tutto per assomigliare a
Kudo!"
"Io non cerco di
assomigliare a lui, cretina! Ci assomigliamo e basta, non so perché." Replicò,
smettendo di camminare e fissandola in malo modo. Lei gli restituì lo stesso
sguardo, mettendosi le mani sui fianchi mentre il povero Ellery veniva
sballottato addosso alla parete plastica.
"Beh, in ogni caso, lo
stesso vale per te! Ran è impegnata con il tuo migliore amico!"
"E anch’io ne capisco il
motivo…carattere a parte, ci sono altre due cose con cui tu non potresti
competere."
Kazuha lo guardò perplessa,
sbattendo le ciglia, poi improvvisamente sbarrò gli occhi, arrossì e lanciò
un’occhiata fugace alla propria maglietta, prima di rivolgergliene un’altra
estremamente velenosa.
"Sei un pervertito!!" gridò
stridula.
"Sono un adolescente."
Replicò lui tranquillamente.
La ragazza di Osaka restò
interdetta per un secondo e nonostante la stizza non poté fare a meno di ridere
sinceramente divertita. Heiji si voltò e riprese a camminare. "Occhio per
occhio…" disse distrattamente, e lei capì immediatamente cosa intendesse; con
una breve corsetta raggiunse di nuovo il suo fianco.
"Allora avevi capito tutto…"
"Naturalmente." Rispose
altezzoso.
"Hai finto per tutto il
tempo?" domandò esitante, e a lui parve che fosse un po’ delusa.
"E tu ammiri davvero così
tanto Kudo?" chiese a sua volta.
"E tu perché lo vuoi
sapere?"
Heiji si accorse che
potevano andare avanti così per ore. Terrorizzato all’idea di dover sopportare
un interrogatorio straziante fino all’aeroporto di Osaka, decise di risponderle
subito. Il problema era: cosa dire che non fosse equivoco, imbarazzante…vero,
gli suggerì la sua mente prima che lui la rimproverasse.
"Mi darebbe un po’
fastidio…"disse a bassa voce, entrambi arrossirono di colpo. Kazuha lo guardò
con gli occhi che brillavano di verde, simili a smeraldi, fermandosi davanti a
lui.
"Dici davvero?" sussurrò
dolcemente. Ora, Heiji vide due possibilità chiare nella sua testa: una era
comportarsi come il suo solito e rovinare tutto con una battuta che l’avrebbe
imbarazzata e irritata. L’altra era…essere serio…
"Sì…io…"
Cavoli, quant’era difficile
essere seri.
Kazuha lo fissava
intensamente, e per un attimo lui si perse in quello sguardo adorabile e
sincero.
"…ehm…"
E Cavoli, quant’era bella.
Raramente era rimasto a guardarla tanto a lungo, e tanto accuratamente. Non
riusciva a trovare nemmeno un difetto: i capelli ondulati che le incorniciavano
il viso chiaro, le guance che bruciavano di porpora, le labbra morbide e
rosee…si ritrovò a riflettere sulle sensazioni che avrebbe provato baciandole,
lambendole, unendo la sua bocca a quella di lei…
"Che vuoi dirmi, Heiji?"
insisté lei con quel tono cauto e mielato, in un sussurro.
E perché non farlo? Al
massimo si sarebbe beccato una sberla…però…se lei non avesse voluto…se l’avesse
ferita, rovinando per sempre il loro rapporto? Non se lo sarebbe mai perdonato…
"Io…non vorrei…che ti
piacesse…un altro…in effetti." Sillabò, a grandi pause, e ogni parola gli costò
cara. Ma che stava dicendo? E perché sembrava che la sua faccia stesse prendendo
fuoco??
"Oh…" Il viso di Kazuha era
dello stesso colore del suo nastro fra i capelli. Per un attimo fissò con
insistenza le sue stesse mani, che pareva stessero stritolandosi a vicenda,
lasciando Heiji sprofondare nell’imbarazzo più completo, poi tornò a guardarlo,
gli occhi intensamente concentrati nei suoi:
"Tra…tranquillo…io
stavo…scherzando, prima. Non mi piace Kudo,davvero…" balbettò, e Heiji, sebbene
sapesse benissimo che il detective dell’est non le interessava, si sentì
rincuorato dal fatto di sentirlo dalle sue labbra; quelle stesse che ora
desiderava più di ogni altra cosa…spesso si era chiesto cosa si provasse
baciando una ragazza, ma per la prima volta si chiese cosa avrebbe provato
baciando Kazuha. Lei, così bella, così speciale…poter approfittare del
suo calore e annegare nel suo profumo e sentire il sapore delle sue labbra e…
"Non potrebbe mai…perché…"
Kazuha deglutì rumorosamente e distolse di nuovo lo sguardo. Heiji fu intenerito
dai suoi modi esitanti, non capitava spesso che lei fosse così schiva;
solitamente era spigliata, esuberante, non si faceva problemi a dire quello che
pensava in faccia. Sebbene quel suo nuovo lato non gli dispiacesse, si chiese
quale mai potesse essere la cosa che l’aveva trasformata in quel modo. E aveva
trasformato lui…da quando in qua si sentiva così a disagio davanti alla tipa che
vedeva tutti i giorni da quando era piccolo? E perché improvvisamente aveva
cominciato a fare certi pensieri??
"…perché…a me…"
Un momento, perché
improvvisamente era diventato così difficile pensare??? E perché lei si stava
avvicinando???? Poteva sentire il suo profumo…glassato, lieve, come una brezza
primaverile…il calore che trasmettevano le sue guance in fiamme…la luminosità
delle sue labbra leggermente umide…Dio, quanto avrebbe voluto baciarla. Sentire
il suo sapore in bocca, la delicata morbidezza con cui le sue labbra avrebbero
sfiorato le proprie, carezzandole, tormentandole piacevolmente…violare la sua
bocca e trascinare le loro lingue in un gioco malizioso e eccitante…
Non si rese nemmeno conto
che le proprie mani si mossero per cingerle la vita; in compenso sentì
distintamente le mani di lei agganciarsi dietro la sua nuca. I lori visi erano
così vicini che poteva sentire il soffice calore del suo respiro.
"Heiji…" un impercettibile
sussurro
"Kazuha…" quasi senza fiato.
Entrambi chiusero gli occhi,
le loro labbra che si avvicinavano ansiose per quel bacio che sentivano stare
per arrivare…
"EHILA’ RAGAZZI!!!" Una voce
squillante li fece sussultare, si accorsero di quanto erano vicini e stretti
l’uno all’altra e subito si scostarono bruscamente, imbarazzati, guardando in
ogni direzione fuorché negli occhi dell’altro.
"Ooops…ho interrotto
qualcosa..?" domandò arguta Sonoko Suzuki, squadrando entrambi rossi in faccia.
"Ma no…che dici?" ribatté
Kazuha continuando a studiare il suolo.
"Non hai interrotto niente…"
insisté Heiji, ma dentro di lui sentì una delusione incalcolabile, unita ad un
astio represso nei confronti di Suzuki. Doveva proprio arrivare in quel
momento?? Non poteva aspettare almeno un paio di minuti??? Da una parte,
però, si sentì sollevato: non aveva rischiato di rovinare la loro amicizia.
Anche se…Kazuha…sembrava altrettanto desiderosa di fare ciò che voleva
lui…pronta ad accettare il suo bacio… e poi cosa stava per dirgli..?
"Siete sicuri?" incalzò lei.
"Certo! Tu piuttosto, come è
andata con quel biondino che avevi adocchiato?" La ragazza del Kansai cambiò
abilmente discorso e stavolta Sonoko sospirò afflitta.
"Non troppo bene…cioè, è
stato gentile, un vero gentiluomo…ma quando gli ho chiesto il suo numero mi è
parso piuttosto a disagio, e se n’è andato accennando ad un impegno…" raccontò
mesta, Heiji ridacchiò dentro di sé. Ben le stava, bravo il biondino. Almeno non
era l’unico ad essere andato in bianco…
"Beh, meglio!!! Almeno
Makoto kun non si arrabbierà!!" Sonoko si era ripresa subito, riacquistando il
tono argentino. Heiji sospirò: chiunque fosse questo Makoto, doveva essere un
santo.
"Beh, Suzuki, noi dobbiamo
andare ora…" afferrò per il polso la sua amica d’infanzia, che al contatto ebbe
un leggero tremito, e si avviarono.
"Oh, ma certo, Hattori kun!"
rispose lei sorridendogli con uno strano sguardo. "Torna presto a trovarci! E
anche tu, Kazuha!"
Uscirono dal luna park,
evitando accuratamente di parlare o di guardarsi negli occhi. Mentre aspettavano
l’autobus, tuttavia, Heiji le scoccò un’occhiata in tralice e sorrise:
decisamente, non era stata una brutta giornata.
h. 19:10
Bussò decisa alla porta di
legno e una voce cupa e tagliente le rispose che poteva entrare. Così fece, i
tacchi alti che risuonavano sul parquet con tonfi secchi; richiuse la porta
dietro di sé e si appoggiò con la schiena al muro, sfilandosi una sigaretta e
tenendola fra le labbra di un rosso vermiglio brillante. Attraverso la semi
oscurità della stanza, poteva riconoscere la figura alta e allampanata del suo
collega, che fissava lo sguardo fuori dalla finestra con aria assorta, soffiando
fumo a sua volta. Non doveva essere stata una giornata proficua, per lui;
interessante, forse, piena di spunti su cui riflettere, ma non proficua. Non
solo non era riuscito a compiere la missione che gli era stata affidata, ma era
stato anche punto nell’orgoglio. E lei sapeva da chi. Era al corrente di ciò che
era accaduto, sebbene lui non gliene avesse fatto parola. Un sorriso sardonico
le deformò le labbra perfette: in parte era stata colpa sua. Ma d’altronde, se
lui non riusciva a tenere a bada un moccioso-detective lei non poteva farci
niente. Non che gli avesse rivelato la loro posizione perché sperava li avrebbe
catturati; anche lei faceva parte dell’Organizzazione, era un’assassina a sangue
freddo, e l’ultima cosa che voleva era passare dalla parte degli sbirri. Era
sicura che il suo collega non si sarebbe fatto arrestare. L’aveva fatto per
osservarlo, per studiare le mosse di quel ‘ragazzo ’ che aveva catturato il suo
interesse fin dal principio: la vita prima era così noiosa, sempre uguale: ti
davano un bersaglio, lo uccidevi, o male che vada piazzavi una bomba, e te ne
tornavi a casa in tempo per vedere il tuo operato al telegiornale. Con lui era
diverso. Amava giocare con lui. Mai conosciuta una persona così: piena di valori
morali e senso di giustizia, pronto a sacrificarsi per i suoi amici… leale fino
alla stupidità. Ogni partita contro di lui la divertiva immensamente, la
stuzzicava in modo quasi perverso. Oggi stesso si era dilettata giocando con
lui, facendogli credere di volerlo uccidere in quel luna park, tentandolo come
il serpente fece con Eva, inutilmente. Perché lui era fin troppo ‘pulito’ per
starla ad ascoltare. E lei lo sapeva, anche se aveva voluto provare. Comunque,
era stata un altro round decisamente piacevole. Era un gioco che non voleva
finisse. Il suo collega l’avrebbe pensata diversamente. L’avrebbe ucciso subito,
se avesse saputo, rovinandole tutto. Lei non voleva. Il gioco sarebbe
continuato...almeno finché non si fosse stufata.
E poi c’era lei…il suo
angelo…pura, sincera e dolce proprio come una creatura celeste…a lei non avrebbe
mai fatto del male. Non avrebbe mai permesso a nessuno di sporcarla, di
strapparle le ali…perché lei era il suo angelo custode, perfetto, inviolabile,
sacro. Era colei che l’avrebbe strappata alle fiamme dell’inferno, quando
sarebbe stato il momento.
E infine c’era l’altra, la
traditrice, l’opportunista. Avrebbe lavato col sangue le sue colpe. Quando
qualcuno sceglieva la sua strada doveva imboccarla fino alla fine, non tirarsi
indietro a metà. Era una sciocca, odiosa, vigliacca voltafaccia. Le avrebbe
scontate tutte. L’avrebbe distrutta con le sue stesse mani.
"Allora bambola, come ti è
andata?" le domandò freddamente, distogliendola dai suoi pensieri.
"Bene, direi. Il ficcanaso è
in viaggio per la terra del non ritorno." Rispose con falsa dolcezza. Si chiese
se fosse troppo crudele stuzzicarlo un po’ dopo una giornata del genere. Sì,
naturalmente. Tanto crudele per lui quanto divertente per lei, almeno.
"Oh, e a voi invece come è
andata? Ho incontrato Vodka, poco fa, e non mi sembrava in splendida forma."
"Fatti i cazzi tuoi."
Replicò bruscamente. Lei sorrise mordendosi il labbro inferiore.
"Andiamo…quanti uomini ci
sono voluti per mettervi ko entrambi? Dovevano essere almeno una decina! E
armati fino ai denti!" continuò con leggerezza, lui si voltò di scatto
fulminandola con uno sguardo che avrebbe terrorizzato chiunque, esclusa la donna
in questione, a cui lo aveva rivolto tanto spesso che stava perdendo di
significato…
"Mi sembra che tu ne sappia
più di quanto dici, Vermouth." Ah, sempre così arguto, il suo Gin.
"Davvero?" replicò, con un
tono ingenuo che sapeva non essere per nulla convincente.
Gin cominciò ad avvicinarsi
a lei, i suoi passi risuonarono più bassi e tonanti dei propri sul pavimento. Le
si piazzò davanti, allungando un braccio e appoggiando la mano sul muro vicino
alla sua testa.
"Davvero." Assicurò
guardandola torva. Lei spense la sigaretta e la fece cadere per terra,
spegnendola con la punta della sua costosissima scarpa di Gucci.
"My darling, non è questione
di sapere, quanto di capire. Se fosse stata una squadra di polizia a farvi
fallire, ora sareste in gattabuia…e in questo periodo non stiamo ricattando
nessun’altra organizzazione. Per cui…" spiegò mielata, sorridendo al suo
ringhio.
"Non devo rendere conto a
te." Replicò lui aspro, ritraendo il braccio.
"Ma ai piani alti sì, e loro
non sono molto contenti. Mi hanno chiesto di giudicare se stai effettivamente
perdendo colpi, Gin…" era vero. Uno dei loro rappresentanti l’aveva convocata
poco prima.
"Non sto perdendo colpi!! E
ho una pista su cui lavorare per trovare quel guastafeste…" esclamò con rabbia
furiosa. Questa era un’informazione interessante che non possedeva. Sarebbe
stato meglio indagare…
"Sicuro? Non è che stai
mentendo per salvarti il culo?" chiese, e a quel punto lui non riuscì più a
trattenere la collera. La strinse per i polsi, forte, appiccicandola al muro. I
loro volti erano a distanza di millimetri. Lei sorrise, eccitata.
"Attenta a quello che dici,
Chris. Me ne frego se vai a braccetto con quelli dei piani alti. Potrei farti
giudicare la mia condotta analizzando quanto sono in forma deturpando il tuo bel
corpo, bellezza." Ringhiò freddamente.
"Non lo farai." Replicò lei
con tranquillità, unendo la sua bocca a quella di lui e trascinandolo in un
bacio violento e furioso, a cui lui rispose con altrettanta ferocia. Quando si
staccarono ansimando, lui lasciò un secondo uno dei suoi polsi per pulirsi la
bocca con la manica.
"Allora mi dici qual è
questa pista, dolcezza?" domandò lei con voce sensuale, gli occhi grigio-verdi
puntati nei suoi.
"Cosa ti fa pensare che
sbattere un po’ le ciglia mi farà parlare? Io non mi fido di te, sei una troia
manipolatrice…" rispose lui, gelido.
"Il fatto che tu sia un
porco bastardo. E mi vuoi, ammettilo…" replicò, alzando la testa per fargli
intravedere il seno attraverso la scollatura del vestito nero. Lui la esplorò
con lo sguardo per quasi un minuto prima di tornare a fissarla negli occhi.
"Posso averti anche senza dire nulla…"
"Forse, ma sarebbe l’ultima
volta, mio caro. Perché poi non potrai essere sicuro di quale sarà il giudizio
che presenterò ai piani alti." Sussurrò lentamente, esaminando la sua reazione.
Gin restò in silenzio per un attimo, evidentemente valutando la situazione.
"Non mi fregheresti mai,
pupa." Ribatté in modo freddo, ma a lei non era sfuggita l’incertezza nella sua
voce. Anni di carriera nel mondo dello spettacolo le avevano insegnato a
riconoscere i bravi attori da quelli infimi. E Gin poteva ingannare un pubblico
di spettatori qualunque se voleva, ma non lei.
"Dimmi della tua pista,
allora." Disse dolcemente, cominciando baciargli il collo e lasciandogli rosse
impronte di labbra.
"Le chiavi per arrivare a
quel bastardo sono due…" cominciò, mentre i baci si facevano sempre più roventi.
"Una è Sherry…credo che loro
due si siano alleati contro di noi…qualche tempo fa, lui l’ha salvata mentre
cercavo di farla fuori."
"Lo so, c’ero anch’io…"
commentò lei, smettendo per un momento il suo sensuale attacco.
"L’altra è la ragazzina di
oggi…mi pare di averla già vista da qualche parte. E sembravano molto legati…"
La sua voce si faceva sempre
più bassa e affannata mentre lei cominciava a strusciarglisi contro, muovendo i
fianchi con lentezza esasperante. Così Gin aveva gia incontrato il suo
angelo…brutta storia. Se si fosse ricordato dove- e prima o poi sarebbe
successo- il suo gioco sarebbe finito. Facile arrivare a Cool Guy una volta che
hai Angel…
"Sì, ma il piano in che
consiste?" si informò, un mormorio bollente. Lui la allontanò da sé bruscamente,
spingendola con violenza sul letto e sdraiandosi su di lei: "Questo lo vedrai a
tempo debito, Chris. Adesso sta’ zitta." Disse, e lei capì che la conversazione
era conclusa. Mentre si lasciava esplorare dalle mani di lui, sorrise
compiaciuta, un po’ per le sue carezze morbose, un po’ al pensiero che, tutto
sommato, questo imprevisto poteva rendere la partita più interessante.
h. 19:20
Heiji e Kazuha bussarono
alla porta dell’ufficio di Kogoro Mouri, e siccome dopo vari tentativi non
ottennero risposta, salirono le scale fino alla casa dell’investigatore. Quest’ultimo
gli aprì alla seconda bussata, scuro in volto, fissandoli con due occhi che li
fecero rabbrividire. Sembrava infuriato e amareggiato allo stesso tempo.
"Ah, siete voi…" borbottò,
dandogli le spalle "Che volete?"
"Ehm…siamo venuti a prendere
le borse…" rispose Kazuha titubante. Era evidente che qualcosa non andava, lì
dentro.
"Allora prendetele e
sparite." Concluse Kogoro, burbero. I due ragazzi si guardarono perplessi, poi
Heiji distolse lo sguardo da quello di lei e lo fissò sulla schiena
dell’investigatore.
"Qualcosa non va, Mouri
san?" si arrischiò a chiedere, cauto.
"Sì, voi stupidi bambocci
che vi divertite a prendere in giro i sentimenti di una ragazza! Andate al
diavolo, tu e quell’altro tuo pari!" gli gridò contro, tagliente, gli occhi neri
che mandavano fiamme come carboni ardenti . Heiji trasalì alla sua reazione, poi
capì di che cosa stesse parlando e lo sgomento lasciò spazio alla
preoccupazione; si voltò verso Kazuha, che sembrava aver anche lei tirato le sue
somme, anche se il detective dell’ovest si rendeva conto che il suo quadro non
era completo quanto il proprio. "Ran è di là, Mouri san? Posso parlarle?" disse
Kazuha, speranzosa, Kogoro guardò per un attimo i suoi occhi verdi afflitti e
crucciati, e sospirò:
"Vai, se ci riesci. Da
quando è tornata non fa che piangere e blaterare cose insensate."
Kazuha annuì e si diresse
velocemente verso la camera della sua amica di Tokyo. I due la seguirono con lo
sguardo, poi Kogoro si rivolse di nuovo a Heiji, cupo.
"Il tuo amico ha chiuso con
mia figlia. Digli che dovunque sia in questo momento ci resti per sempre, perché
se me lo trovo davanti, lo ammazzo. Ci siamo capiti?"
Il ragazzo del Kansai annuì,
ma non lo stava del tutto ascoltando. Rifletteva preoccupato sul motivo per cui
Kudo non si era presentato all’appuntamento con Ran. Non voleva pensare che
l’Organizzazione l’avesse rintracciato e ucciso, non se la sentiva. Nonostante
un vero detective dovesse ragionare con mente fredda e distaccata, non era in
grado di supporre la morte del suo migliore amico. Eppure, se non fosse stato in
pericolo, quale altra ragione l’aveva allontanato dalla persona che gli era più
cara al mondo? Forse…
"Ehm, scusa, Conan è già
tornato a casa?" domandò fiducioso. Kogoro lo squadrò inarcando un sopracciglio,
come se non potesse credere a quello che aveva sentito.
"Prego?"
"Conan…il bambino
occhialuto…è qui?" incalzò.
"So chi è Conan! Ma che
diavolo c’entra adesso?" sbottò, acido. Heiji lo fissò con insistenza, e l’uomo
alla fine cedette.
"No, non c’è. Non lo vedo da
ieri...ma non vedo cosa c’entri ora…"
Heiji sentì le viscere
riempirsi di piombo. Kudo non era tornato a casa…aveva dato buca alla sua
fidanzata e non si era fatto più vedere. Non poteva credere a quello che stava
succedendo. Cercò di scacciare dalla sua mente le immagini truculente che
stavano prendendo forma ed estrasse il cellulare, formando il numero del suo
migliore amico. Kogoro lo osservava torvo interessato e infastidito allo stesso
tempo. Due, tre, quattro squilli…nessuna risposta, il suo cuore cominciò a
perdere qualche battito, la pelle si faceva sempre meno scura.
"Si può sapere che
diavolo..?"
"Mouri san, che genere di
cose ti ha detto Ran quando è tornata?" domandò agitato, Kogoro lo fissò
perplesso, poi rispose accigliato: "Stupidaggini senza senso…che è colpa sua,
che Kudo non sarebbe più tornato a causa sua…ma io le ho detto che non deve
nemmeno azzardarsi a darsi la colpa per quel…"
Il ragazzo del Kansai lo
ignorò e corse a sua volta verso la camera di Ran Mouri: la trovò in lacrime,
fra le braccia di Kazuha, che cercava di calmarla accarezzandole piano la testa.
Ma i balbettii confusi della ragazza di Tokyo non erano quelli che ci si sarebbe
aspettati in una situazione del genere. Come gli aveva riferito suo padre, non
sembrava darsi pace, si sentiva responsabile di qualcosa di orribile. E Heiji si
chiese timoroso se lei sapesse qualcosa di ciò che era accaduto al detective
dell’est. "Mouri kun…" esordì, ma non fece in tempo a dire altro. Sembrò che la
sua voce avesse fatto scattare qualcosa all’interno di Ran, che alzò di colpo la
testa, fissandolo con occhi spaventati e speranzosi, si staccò bruscamente
dall’abbraccio di Kazuha e si stagliò davanti a lui, afferrandogli le braccia
con le mani e stringendolo forte: "Hattori kun..! Tu devi…Shinichi…aiutalo..!"
lo implorò fra i singhiozzi, premendo ancora di più le dita sugli avambracci.
Heiji le restituì uno sguardo altrettanto agitato, mentre Kazuha e Kogoro,
materializzatosi dietro di loro, li fissavano allibiti e confusi.
"Sì, lo aiuterò, ma devi
dirmi cosa è successo!"
"Papà…lui non mi crede…e non
posso chiamare la polizia, Shinichi ha detto di no…io non so che fare!"
continuò Ran, la voce intrisa di pianto, gli occhi vuoti. Heiji afferrò a sua
volta gli avambracci della ragazza, scuotendola con delicatezza ma decisione.
"Ho capito, ma dimmi che è
successo!! Non perdere tempo!!!" incalzò, lei annuì reprimendo un singhiozzo.
Kogoro era impallidito, Kazuha sembrava incapace di proferir parola e guardava a
turno il suo amico d’infanzia e la sua amica.
"Shinichi…lui…prima di
sparire qualche mese fa…lui ha seguito due uomini in nero che…"
"Sì, lo so! Vai avanti!!
Oggi, che è successo?" stavolta fu Ran a rimanere stupita.
"L...lo sai?" balbettò
stupefatta e impressionata.
"Ma sai cosa? Di che
parlate?" intervenne brusco Kogoro, lanciando occhiate velenose a entrambi.
"So tutto…adesso dimmi che
cosa…?"
"Hem, hem."
Tutti e tre si voltarono
sorpresi e scorsero una figura piccola e minuta sulla soglia della stanza, un
berretto da baseball azzurro con una ‘K’ candida calcato sul viso; attraverso le
lenti degli occhiali i suoi occhi passarono in rassegna Heiji e Ran avvinghiati
l’uno all’altra, Kogoro infuriato e confuso vicino a loro, Kazuha seduta sul
letto sbigottita e pallida in volto. Un sopracciglio s’inarcò sul giovane viso,
conferendogli un cipiglio interessato e irritato allo steso tempo. Heiji tirò un
sospiro di sollievo, fissandolo attentamente come se non lo vedesse da anni, poi
trasalì accorgendosi del modo in cui era abbracciato a Ran e subito si ritrasse,
tossicchiando. La ragazza distolse lo sguardo dal bambino e tornò a fissarsi su
Heiji. In tutto non poteva essere passato che qualche secondo, e la vista di
Conan, che aveva rassicurato e rilassato il detective dell’ovest, non aveva
avuto lo stesso effetto sugli altri tre.
"Hattori kun!! Se lo
sai…dimmi che sta succedendo, ti prego! Shinichi…se l’hanno preso…fai
qualcosa!!" continuò in lacrime la ragazza di Tokyo, Heiji si sentì
improvvisamente a disagio e inopportuno.
"No…aspetta…sì, Kudo mi ha
raccontato di quegli uomini in nero del luna park…" scoccò un’occhiata fugace al
bambino e si accorse che lo fissava torvo.
"Allora sai che è colpa loro
se si nasconde!! Che cosa possiamo fare..?" insisté Ran con voce rotta.
"Nascondendo!? Chi, Kudo!?!
Ma no, che ti viene in mente..!" obbiettò con un’agitazione diversa da quella
precedente. Cavoli, le cose si stavano mettendo molto, molto male.
"Ma sì!! Oggi li ho
rivisti…parlavano di un ficcanaso a cui dovevano chiudere la bocca…"
"Chi hai visto tu oggi?"
Kogoro cercò di nuovo di entrare nel discorso, con scarso successo.
"Beh, Mouri kun, non è
carino da parte tua accostare subito il tuo fidanzato alla parola ‘ficcanaso’…"
replicò Heiji in tono leggero.
"Non scherzare!!" lo aggredì
Ran con voce stridula "Fa qualcosa!! Ti prego…"
Il detective dell’ovest
lanciò un’occhiata significativa al bambino, come se sperasse in un qualche
aiuto, ma lui non lo stava nemmeno guardando: fissava il pavimento con aria
afflitta.
"Senti…" cominciò, poggiando
le mani sulle sue spalle e guardandola negli occhi. "Kudo sta bene, te
l’assicuro. Quegli uomini…mi ha raccontato di loro, che avevano attratto la sua
attenzione, ma non c’entrano col fatto che non è qui. Sta risolvendo un caso
all’estero, e fidati, in questo momento è vivo e vegeto."
"Ma…ma prima…sembrava la
pensassi diversamente…" ribatté lei tristemente, quasi senza fiato "Ti
scongiuro, Heiji kun, se sai qualcosa…dimmelo! Non posso vivere col timore
che…Shinichi possa…"
"Sì, se sai qualcosa vuota
il sacco!" incalzò Kogoro, scrutandolo inquisitorio. Heiji notò che in quella
stanza l’aria cominciava a farsi un po’ pesante.
"Non so perché Kudo non si
sia presentato all’appuntamento, ma sono certo che poi ti telefonerà e te lo
dirà lui stesso." Con questo lanciò un’occhiata eloquente a Conan "Ma non è in
pericolo. Non so come ti sia venuto in mente che possa avere a che fare con quei
tipi…che ti faccio notare, potevano stare parlando di chiunque. Perciò
smettila di piangere e disperarti, okay?"
"Ma…prima…tu…" continuò
imperterrita lei.
"Prima credevo che avessi
effettivamente visto succedere qualcosa a Kudo mentre veniva
all’appuntamento. Per questo ti chiedevo con insistenza di oggi. Ma poi ho
realizzato che non era così quando mi hai parlato di quella cosa successa un
sacco di tempo fa." Era quasi tutto vero, aveva omesso solo la presenza
tranquillizzante di Conan per evitare ulteriori, spinose spiegazioni. Ran lo
contemplò insistentemente, il blu dei suoi occhi reso più intenso dalle lacrime,
desiderosa di credergli.
"S…sei sicuro, Hattori kun..?"
chiese implorante.
"Sicuro. So che ci teneva
tanto a vederti, che deve aver avuto un impegno improrogabile e improvviso per
darti buca senza nemmeno uno squillo. Ma questo impegno non è un pericolo
mortale, credimi."
"Come fai a esserne certo?
Come fai a dire che non può venire qui perché si nasconde da qualche pericolo? O
che non è addirittura già…stato…" il resto della frase fu inghiottito da un
singhiozzo e da nuove lacrime.
"Kudo è un osso duro. Non è
il tipo da nascondersi, ed è troppo in gamba per farsi ammazzare. Dovresti
saperlo meglio di me. Se non vuoi fidarti di me, fidati almeno di lui." concluse
Heiji con uno dei suoi migliori sorrisi rassicuranti, indubbiamente non efficaci
quanto quelli del suo rivale, ma utili ugualmente allo scopo. Ran restò
interdetta per un momento, poi sorrise a sua volta, debolmente.
"Fidarmi di lui..? Eh…Dio
come vorrei poterlo fare…. " mormorò, più a se stessa che a chiunque altro, poi
alzò la testa e disse a voce alta e chiara: "Grazie, Hattori kun. Vorrà dire
che…parlerò con Shinichi, sentirò cosa ha da dire. Anche se non capisco perché
dovrei dargliene la possibilità, a questo punto."
"Sono d’accordo. Lascialo
perdere." Disse Kogoro, burbero. Heiji scoccò un’occhiata preoccupata a Conan
prima di intervenire risoluto: "Non è stata colpa sua, ne sono certo…vedrai che
te lo dirà anche lui il prima possibile."
"Lui lo sapeva,
Hattori, non capisci??" esclamò con voce rotta, piena di una rabbia che lo
sorprese "Sapeva quanto fosse importante per me…e me l’aveva promesso!!
Me l’aveva promesso…ma mi ha preso in giro, come al solito! Tanto ormai fa
sempre così, sempre!!! È solamente un…un BUGIARDO!!!" gridò, strizzando gli
occhi per evitare che le lacrime continuassero a uscir fuori.
"Ma…Mouri…"
"Basta così. Tu non c’entri
niente, non devi stare qui a difenderlo." Disse decisa, aprendo gli occhi e
inarcando le sopracciglia. "Sa difendersi da solo…anche se non mi pare sia
ansioso di farlo. Dimentica ciò che ho detto. Sono felice che Shinichi sia
salvo…pensare che gli fosse successo qualcosa mi aveva distrutta. Ora sto…bene.
Sul serio. Ti ringrazio Hattori kun, sei gentile a preoccuparti…ma adesso non
c’è più alcun bisogno di te qui."
"Sentito? Vi ha praticamente
detto di levare le tende!" incalzò Kogoro, mentre Ran si voltava per prendere un
fazzoletto di carta con cui asciugarsi gli occhi. Nessuno delle quattro persone
che la stavano guardando avrebbe potuto credere che stesse davvero bene.
Comunque, nessuno di loro ebbe il coraggio di rivolgerle di nuovo la parola.
Kazuha annuì e si alzò
lentamente, ancora un tantino perplessa dallo spettacolo a cui aveva assistito.
Recuperò da sotto il letto di Ran il suo borsone e se lo mise a tracolla,
mormorando debolmente, mentre usciva dalla stanza.
"Beh, ci vediamo, Ran chan.
Telefonami per farmi sapere di Kudo, okay? Arrivederci, Mouri san."
Ran rispose al saluto
fiocamente, senza voltarsi, Kogoro grugnì una qualche risposta. Heiji si diresse
verso la stanza che la notte prima aveva condiviso con l’investigatore.
"Aspettami, Kazuha, prendo la mia roba e arrivo."
Entrò nella camera,
chiudendo con un gesto secco la chiusura lampo del suo borsone; avrebbe voluto
dire qualcosa al suo migliore amico, qualunque cosa che potesse tirarlo su di
morale. Ma lui non lo raggiunse. Dopotutto, si disse poi, non avrebbe potuto
pronunciare altro che le solite banalità d’incoraggiamento…forse era stato
meglio così.
Lui e Kazuha uscirono
dall’agenzia, e un freddo vento d’inverno gli diede il benvenuto fuori,
scompigliandogli i capelli e sferzandogli la faccia. Entrambi non avevano molta
voglia di parlare. Kazuha guardava in basso, probabilmente riflettendo
sconcertata su quanto era accaduto, Heiji ripensava amareggiato allo
sconforto che doveva provare il suo miglior
amico, e meditava soprattutto sul discorso che avevano affrontato al luna park
sugli Uomini in Nero. La faccenda era molto seria e se non avessero fatto subito
qualcosa, un giorno o l’altro le sensazioni di orrore e angoscia che aveva
provato temendo che Kudo fosse stato ucciso sarebbero state fondate. E il solo
pensiero che lui potesse essere fatto fuori da quei bastardi gli rivoltava lo
stomaco, lo faceva ardere di rabbia e sprofondare nello sconforto.
Sì, alla fine di quella
giornata, una cosa gli era chiara in mente, e di sicuro lo era anche nella testa
del suo collega dell’est: dovevano cominciare a fare concretamente qualcosa,
subito, al più presto, prima che uno di loro morisse…prima che fosse troppo
tardi.
Note dell’Autrice:
uhm…capitolo piuttosto strano questo,
non credete? Una specie di frullato di umorismo e malinconia, di amore e
ostilità, di passato e presente…non avrei MAI creduto che sarebbe uscito fuori
così; giuro che avevo in mente di scrivere un capitolo tranquillo e smielato,
completamente incentrato sul love, ma neanch’io so mai cosa ha in serbo per me
la mia mente folle, dunque…^^" tralasciando volutamente di parlare della
cosa per la quale molti di voi saranno presi da raptus omicidi nei miei
confronti, (aiuto!) ci tengo a spiegare l’atteggiamento di Ran nell’ultima parte
del chap: avrete notato il contrasto fra la più completa disperazione in un
primo momento e la rabbia bruciante in un secondo. Il fatto è che, dopo tutto
ciò che le era successo in quella giornata, è normale che Ran pensasse al
peggio, con paura, timore, dolore, ma non potendone fare a meno. E se la
spiegazione di Heiji da una parte l’ha confortata, dall’altra non ha potuto
evitare che la ferisse, per quanto fosse felice che Shinichi fosse sano e salvo.
Una sorta di conflitto di interesse…non so se riuscite ad afferrarlo. Ad ogni
modo, dedicherò una parte del prossimo capitolo agli stati d’animo di Ran, spero
che ogni perplessità sarà così cancellata. Per il resto credo che sia tutto
okay, spero che la scena Heiji/Kazuha vi sia piaciuta, così come spero che i
convinti fans della coppia Shinichi/Ran non mi uccidano per quel bacio
all’inizio…non ne ho potuto fare a meno, era TROPPO allettante!! ^^" Spero solo
che lei non sia uscita fuori dal personaggio….il mio timore più grande era lì.
Voi comunque cosa ne pensate?? Fatemi sapere!!! Io intanto passo ai
ringraziamenti singoli:
Lili:
non sei assolutamente in ritardo, anzi!! Sei stata la prima a
commentare!! Grazie tantissimo, sono sempre molto felice di sentire che quello
che scrivo piace a qualcuno. Qui c’è un’altra scena dedicata alla coppietta di
Osaka, visto? E chissà che in un futuro prossimo… ^ _ ~ ehm…per quanto riguarda
Shinichi & Ran…beh…se le cose andassero sempre come si sono programmate, non ci
sarebbe più gusto a leggere le storie fino alla fine, non trovi?? Ma vedrai che
riuscirò a farmi perdonare lo "scherzetto". Cioè, lo spero! ^^" Un bacio.
Ginny85: i tuoi commenti continuano a farmi piacere in modo
indescrivibile, lo sai, sì? Non posso fare a meno di sorridere quando li leggo,
grazie tanto tanto!!^//^ Il commento sulla scena di azione mi ha sollevato il
morale, avevo paura che non sarebbe piaciuta senza il buon vecchio faccia a
faccia stile western che si trova ormai in OGNI film d’azione (trovami tu un
film di questo genere in cui il "buono" non affronti il "cattivo" in una
sparatoria - _ -") quindi di nuovo un grazie che viene dal profondo del
cuore!!^//^ La parte dei dialoghi finali piace molto anche a me, anche se io
preferisco il dialogo fra i due boys a quello fra Heiji e Kazuha (adoro il
rapporto di amicizia che c’è fra Conan/Shinichi e Heiji, sono una bella
squadra^^); avrei voluto incentrare questo chap completamente sull’amore, era in
effetti l’idea di base, ma le cose hanno preso una piega imprevista ^^" spero di
non averti deluso. In quanto alla tua posizione sulle coppie, più o meno è la
stessa che ho io…adoro quelle ufficiali del manga, ma non trovo nulla di male a
voler giocare un po’ in campo fanfiction. Spero che i siti che ti ho segnalato
ti siano stati utili e che tu sia riuscita a connetterti al mangaviewer…io non
ci riesco più e non capisco il perché O _ O. Che scuola faccio? Liceo
classico-linguistico, con 35 ore settimanali distribuite in 6 giorni;
praticamente faccio tutte le materie del classico escluso il greco, sostituito
con francese dal primo anno e spagnolo o tedesco, a scelta, dal terzo anno in
poi (io ho scelto spagnolo, naturalmente :p). Progetto "Brocca", lo chiamano, e
ti assicuro che è una vera ammazzata. Ho un sacco di materie e di conseguenza un
sacco di compiti, senza contare interrogazioni e compiti in classe che non
mancano mai, la mattina! È solo Dicembre e mezza classe è già esaurita, in più
lo scorso anno e questo hanno messo trimestre e pentamestre invece dei soliti
due quadrimestri, quindi figurati! Ehm…lo so che questo è MOLTO di più di quello
che volevi sapere, ma se ho la possibilità di sfogarmi non riesco a trattenermi!
Il fatto è che è davvero stancante. Beh, ora è meglio che smetta prima che ti
addormenti sulla tastiera del computer.^^; Un bacione, spero di risentirti Ginny!
Hoshi:
grazie!^^ Sì, è una Shinichi/Ran…spero mi perdonerai la scena
iniziale, ma come ho già detto, era una tentazione trooooppo forte. Inoltre Ai
non è poi così male, non credi?? Cioè, a volte fa un po’ la bastarda, lo
ammetto, ma in fondo in fondo è una brava ragazza. Molto in fondo….moltissimo in
fondo….decisamente in fondo…
Yuki:
sì, Shinichi e Ran sono proprio una bella coppia, concordo, ^//^ e come hai
detto entrambi si amano tanto e non hanno occhi per nessun altro. Infatti io
non ho mai detto che Ai possa avere una possibilità nell’anime/manga, bensì che
è divertente giocare un po’ con le coppie nelle fanfiction. Ma
naturalmente ognuno ha la propria opinione e io accetto e rispetto la tua.
Nessuno può andarti contro se non ti piacciono gli "scambi di coppie", né può
costringerti a leggere ff Conan/Ai. Beh, la mia è una Shinichi/Ran quindi
diciamo che per ora ho la tua "benevolenza" ^__^ Abbi pietà per quel bacio
Yuki-chan…non uccidermi!!! In fondo tu non ammetti che Conan si innamori della
biondina, ma che a lei lui piaccia lo sai no? Per cui…clemenza! Lei non è
nemmeno così cattiva se ci pensi…il motivo per cui non ha avvertito
Shinichi del suo tempo limitato è che stava curando i propri interessi. Chi non
lo farebbe?? Cioè, se il ragazzo che ti piace esce con un’altra….non ti viene da
essere generosa!! O no?
Primechan:
ciao! Grazie mille della recensione e dei complimenti…eh sì,
Shinichi & Ran sono proprio carini insieme!! Io non gli rendo la vita facile,
poverini… ^^" ti assicuro che la cosa pesa a me per prima; un bacio, al prossimo
chap!
Mareviola:
ma figurati! ^^ Non sei in ritardo...io ci metto tanto a postare,
dunque hai tutto il tempo di commentare, tranquilla!! Beh, risolto il problema
vecchiaia e sorvolando la tua passione per le scene violente, (brrr! Fai venire
i brividi!! Va beh che anch’io…pensa che uno degli scrittori che preferisco è
Stephen King!^^") sono come al solito felice che il capitolo ti sia piaciuto.
Conoscerci via e-mail? Per me va bene, nessun problema. Mi piace ricevere posta,
soprattutto da gente che non vedo tutti i giorni a scuola. Spediscimene una
quando vuoi, io cercherò di risponderti sempre il prima possibile, impegni
permettendo. Ciao ciao!
K:
grazie!^ _ ^ Non mi sono accorta di fare descrizioni così approfondite…ce
n’è una anche all’inizio di questo chap, ma mi serviva per introdurre il tema
attorno al quale ho svolto la prima parte…spero perciò che vorrai sorvolare ^^;
e che il capitolo ti piaccia.
Leo:
grazie mille anche a te^^, ecco qui il seguito…eh sì, mi è proprio piaciuto
scrivere la parte in cui Gin e Vodka le prendono, è stata una piccola rivincita
che ho dato a Shinichi per quello che gli hanno fatto nel primo volume. ^__^
Ci
tengo anche a ringraziare:
Anny_Miyu
(sono contentissima che ti sia piaciuta, grazie per la
recensione!)
&
LeoConan (Leo??
Sei tu? O _ O Beh, comunque, ti ringrazio tanto, incoraggiarmi a scrivere altre
ff su quello stile mi è di aiuto più di quanto tu possa immaginare! E sono
contenta che anche a te piaccia la biondina.^^)
per aver commentato l’altra mia ff "A Very…", mi rendete fiera di una fanfic
per cui avevo già una predilezione. Thanks! ^__^
Ultime cose: l’hem hem di Conan mi è uscito molto professoressa Umbridge….(vd
Harry Potter e L’ordine della Fenice) quindi se qualcuno nota la
somiglianza, diciamo che non è del tutto casuale, okay? ^ _ ~ I
riferimenti a fatti passati sono presi dai vol.18, 24 e 26 di Meitantei Conan
pubblicati in Giappone (perché qui in Italia siamo fermi agli antipodi…- -")
Questo è tutto per oggi; al prossimo chap, che prevedo sarà decisamente
complicato perché ho un bel po’ di cose da affrontare…^^; spero di riuscire al
meglio. Intanto, se non vi dispiace, lasciate una recensione, anche piccola, se
vi va; non sapete quanto possono essermi di aiuto, soprattutto considerando che,
grazie a quella magnifica invenzione che è il trimestre, fra poco meno di un
mese mi daranno la pagella (e lì ci sarà decisamente poco da ridere, temo - _
-")
Baci
-Melany
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Capitolo 16 *** Lonely ***
Nuova pagina 1
&
16. Lonely
“Chissà come se
la starà cavando Shinichi….” Mormorò con apprensione il professor Agasa,
guardando fuori dalla finestra con aria preoccupata. Ai scrollò le spalle e
cambiò canale al televisore, sintonizzandosi su un quiz a premi e guardandolo
con aria annoiata.
“…e chissà come
si sente la piccola Ran! Povera ragazza…non credo l’abbia presa bene.” Continuò
con un sospiro l’anziano dottore, scuotendo la testa. Si sedette vicino ad Ai
sul divano, cosa che la fece sobbalzare sul cuscino a causa della mole
considerevole del suo corpo rispetto a quello della bambina. “Senza contare gli
effetti che l’antidoto potrebbe avere sul corpo di Shinichi! È stata
un’imprudenza la sua…ma è così testardo! Io ho provato a convincerlo…e anche
tu…ma quando si tratta di quella ragazza perde la testa! Oh, Ai-kun, è proprio
una brutta situazione, questa.”
“1492.”
Il professor
Agasa la guardò perplesso, sbattendo le palpebre: “Come scusa?”
“La risposta alla
domanda.” Spiegò Ai tranquilla, facendo cenno alla televisione. “La data
convenzionale in cui si fa finire il medioevo. È la scoperta dell’America,
1492.”
L’anziano dottore
la fissò per un attimo con un misto di incredulità e turbamento, cosa che le
increspò leggermente le labbra in un sorriso.
“Sei una strana
bamb…donna…cioè…” sbuffò “sei una strana persona, Ai-kun. Davvero non sei per
niente preoccupata??” le chiese con un leggero tono di rimprovero.
Lei si strinse
nelle spalle. “Kudo sapeva che l’antidoto avrebbe potuto fare cilecca…e credo
che sia abbastanza adulto, almeno mentalmente, per fare le sue scelte.
Noi lo abbiamo avvertito dei rischi, la nostra parte l’abbiamo fatta, il resto è
stata tutta opera sua. In quanto a Mouri…” Il sorriso si fece più ampio mentre
uno strano luccichio brillava nei suoi solitamente freddi occhi “…starà un po’
male, ma lo supererà e forse un giorno riuscirà a perdonarlo; e anche se non
dovesse succedere…fortunatamente non è l’unica ragazza di questo mondo.”
Il suo sorriso si era colorito in modo piuttosto inquietante; Agasa si schiarì
la gola: a volte lei riusciva davvero a metterlo a disagio…nonostante l’aspetto
innocente da bambina delle elementari, Ai sapeva apparire veramente crudele,
se voleva.
“Visto? Avevo
ragione…1492, scoperta dell’America.” Continuò indifferente come se nulla
fosse, mentre dal televisore si udiva lo scroscio degli applausi in onore del
concorrente. Il dottor Agasa si appoggiò allo schienale morbido con un nuovo
sospiro. “Io sono preoccupato lo stesso. Mi sembra ancora di vederlo, quando si
è accorto che l’antidoto non funzionava…”
Poteva capirlo,
anche lei l’aveva ben stampato in mente. Mentre le immagini della tv scorrevano
davanti ai suoi occhi senza che essi le focalizzassero, ricordò con un sorriso
maligno l’ansia e l’agitazione che avevano pervaso il piccolo detective nel
constatare che, dopo più di un’ora dalla somministrazione, l’antidoto non aveva
effetto; lo rivide gironzolare inquieto e scocciato per tutto il salotto del
dottor Agasa, mugugnando imprecazioni fra i denti ogni volta che guardava
l’orologio e scoccandole occhiate torve a cui lei non rispondeva che con sguardi
indifferenti. Le parve persino di poter udire la sua voce quando infine aveva
sbottato infuriato.
“Allora? Perché
diavolo non succede niente??”
“Mah, chissà…”
aveva risposto lei calma, con un’alzata di spalle. A quel punto Conan le si era
piazzato davanti, quasi ringhiando, e lei aveva potuto leggere nei suoi occhi
qualcosa di diverso dalla rabbia che esprimeva il suo corpo: angoscia,
frustrazione.
“Che vuol dire ‘chissà’???
Sei stata tu a farlo no?”
“Sì, ma io te
l’avevo detto che da assuefazione. Probabilmente le dosi erano troppo basse,
perciò il tuo corpo non ha reagito.” Aveva spiegato con voce monotona, come se
stesse leggendo l’elenco telefonico. Naturalmente sapeva che questo lo avrebbe
fatto infuriare ancora di più, ma la cosa non la turbava minimamente. Dopo una
vita passata in mezzo ad assassini spietati, trovava Kudo decisamente innocuo.
“Beh, dammi
un’altra capsula con dosi maggiori allora!!” aveva insistito, lei lo aveva
guardato quasi compassionevole.
“Così sì che
avremo la certezza matematica di spedirti all’altro mondo, Kudo.”
A quel punto lui
aveva sbuffato, lasciandosi cadere pesantemente sul divano. Il professor Agasa
gli si era avvicinato titubante, mormorando frasi di incoraggiamento che Ai
aveva l’impressione lui ascoltasse appena: i suoi occhi blu erano vuoti e senza
vita. Vedendolo così le si era formato uno strano nodo allo stomaco, una
sensazione spiacevole e fastidiosa, che aveva scacciato alla svelta. Lei non
poteva farci niente, in fondo era probabile che gli avesse salvato la vita,
agendo in quel modo. Era rischioso e piuttosto stupido prendere una dose di
veleno –perché antidoto o no era questo che sarebbe finito nelle sue vene,
veleno- solo perché quell’idiota della sua ragazza si era messa a piagnucolare
al telefono. Senza contare il dolore che avrebbe dovuto sopportare…Kudo a volte
sapeva essere davvero uno sciocco. Avrebbe voluto che il detective a cui stava
praticamente affidando la sua vita fosse un tantino più freddo e professionale.
Anche se quella sua passione era uno dei lato che la attraevano maggiormente….
Comunque, aveva
dovuto farlo. Aumentando le dosi come voleva lui sarebbe stata un’autentica
pazzia, e come gli aveva detto tempo addietro, lei non era il tipo da andare in
giro a somministrare composti sperimentali alla gente; se lui non se l’era
ricordato, affari suoi.
Eppure, c’era
quella brutta sensazione all’altezza del petto che non le dava pace, quella
specie di strano peso che gravava sul cuore, e che si era amplificato vedendo lo
sconforto e la disperazione sul viso del piccolo detective…
Sbuffò seccata:
doveva smetterla di farsi tutti quei problemi inutili: obiettivamente, la verità
è che gli aveva salvato la vita; o almeno così sperava. Complessivamente la
capsula conteneva una dose del 1,2% in più rispetto all’ultima volta, il che
rendeva quasi nulle –come poi si era appurato- sia le possibilità di riuscita
che di ulteriori danni al metabolismo. O almeno così sperava….i suoi composti
avevano la brutta abitudine di sfociare in risultati tanto imprevedibili quanto
pericolosi; come aveva spiegato a Kudo, le conseguenze sarebbero potute essere
davvero…disastrose.
“Comunque,
professore, sarebbe meglio fargli alcuni test nei prossimi giorni; come ha detto
lei, la sua è stata una scelta piuttosto avventata, e non sono da sottovalutare
i rischi.” Spense il televisore e si alzò in piedi, passandosi una mano fra i
capelli biondi e dirigendosi verso la camera da letto.
“Sì, meglio
tenerlo sotto controllo.” Acconsentì l’anziano dottore. “Vai a dormire, Ai-kun?
Non vuoi mangiare qualcosa, prima?”
“No non si
preoccupi, non ho fame. Voglio solo andare a dormire, visto che la notte scorsa
non ho potuto.” Disse indifferente, sbadigliando.
“D’accordo. Sogni
d’oro, Ai-kun.”
Entrò in camera e
cominciò a svestirsi per infilarsi il pigiama. Attraverso la semi oscurità della
stanza, nessuno avrebbe potuto scorgere il lieve sorriso che si formava sulle
sue labbra; su una cosa il professore aveva ragione: sarebbe stato…beh,
interessante vedere cosa stava succedendo in quel momento in casa Mouri.
Sperava solo che Kudo non ne uscisse troppo distrutto.
“Sarebbe un
peccato. Abbiamo un bel po’ di cose a cui pensare, Kudo…e non dimenticare la
promessa che hai fatto a me.” Sussurrò fra sé e sé, mentre fuori dalla
finestra si udiva lo stridere di una civetta.
Come aveva
temuto, la casa era desolatamente vuota; per un attimo aveva sperato, aveva
pregato di trovarlo lì, pronto ad accoglierla con un sorriso e a scusarsi
per quello che era successo, una scusa che sarebbe stata più che plausibile, una
giustificazione così innocente e indipendente dalla sua volontà che non avrebbe
potuto fare altro che perdonarlo.
Ma lui non c’era;
la casa che conosceva bene quanto la propria era deserta e impolverata, avvolta
nell’oscurità spezzata solo dalla debole luce di una pallida luna piena. Sospirò
tristemente, accucciandosi per terra con la schiena appoggiata alla libreria,
piena di quei libri gialli che lui adorava tanto: si sentiva completamente
svuotata, un dolore pregnante alla bocca dello stomaco che pareva si stesse
divorando da sé, le lacrime che continuavano a pizzicare agli angoli degli occhi
mentre un nodo premeva in gola, amaro e difficile da inghiottire. Aveva tanta
voglia di piangere…
Oh Shinichi
perché mi hai abbandonato? Cosa c’è di sbagliato in me….perché non mi ami più..?
Singhiozzò,
mentre le lacrime cominciavano a scendere sulle guance, incontenibili quanto il
dolore che premeva dentro di lei, con violenza. Nella casa silenziosa risuonava
il suo pianto sommesso, anche se faceva di tutto per trattenersi. Perché era
successo? Cosa era cambiato in quegli ultimi tempi? Avrebbe tanto voluto
saperlo…sapere cosa aveva fatto per divenire così insignificante…
Perché
Shinichi perché?? Io ti ho aspettato per tutto questo tempo…non ho mai smesso di
pensarti…e a te non è mai importato niente…niente…
“Sei solo
un bastardo!! Non ti amo più, non mi importa niente di te!! Mi hai sentito!? TI
ODIO!!” Gridò, udendo l’eco della sua voce infuriata colpire le pareti.
Aveva pensato che si sarebbe sentita meglio…ma stranamente, quello che aveva
detto le fece provare ancora più male. Pronunciare quelle parole la facevano
sentire non solo come se stesse tradendo lui…ma anche come se stesse rinnegando
se stessa.
Si asciugò la
guancia bagnata col dorso della mano, i suoi occhi si soffermarono sulla
scrivania al centro della libreria. Era lì che si sistemavano ogni volta che
decidevano di studiare insieme per qualche interrogazione. Ricordava
nitidamente, anche se sembrava fossero passati dei secoli, quel giorno di un
anno prima…il giorno in cui avevano parlato…gli aveva creduto, quel giorno, oh
sì. Lui sembrava così sincero…e ancora adesso, nonostante i fatti dimostrassero
il contrario, non riusciva a credere che stesse mentendo….
“Shinichi,
smettila di guardare quei libri!! Li conosci tutti a memoria…e hai presente
quella cosa chiamata BIOLOGIA?? Dovremmo studiarla, visto che domani ci
interrogano!”
“Sì, sì…”
aveva sbuffato lui, con aria annoiata, aprendo svogliatamente il libro di
testo. Lei l’aveva osservato per qualche secondo, poi aveva sospirato:
“Shinichi, non c’è proprio niente di più importante per te che quegli stupidi
casi?”
“Non sono
stupidi.” Aveva replicato, guardandola con gli occhi socchiusi, seccato. “Io
salvo delle vite, carina.”
“Beh, ma farne
il fulcro intorno a cui ruota tutta la tua
vita è un po’ esagerato…che non ci sia nulla di più importante per te è
veramente triste.” Lui aveva sbuffato e la conversazione sembrava finita lì. Ma
poi lui l’aveva guardata, e lei si era persa in quell’oceano che erano i suoi
occhi, perché questa volta…non la stavano guardando come al solito. C’era
qualcosa di più…qualcosa di profondo e indescrivibile…qualcosa che l’aveva fatta
arrossire…e battere forte il cuore…
“C’è qualcosa
di più importante….” Aveva mormorato lui, senza smettere di guardarla in quello
strano modo, arrossendo a sua volta prima di distogliere gli occhi e posarli di
nuovo sul libro.
E in quel
momento, Ran gli aveva creduto.
Gli aveva creduto
perché lui non l’aveva detto, non aveva dichiarato a alta voce che lei fosse la
cosa più importante; perché con le parole si può mentire. Ma gli occhi…quelli
non mentono mai; Shinichi aveva lasciato che lei guardasse dentro di lui…così
lei non aveva dovuto credere che a se stessa.
Io so cosa ho
visto quel giorno…
Sì, lo sapeva;
aveva visto un affetto così grande e incontenibile da non poter essere espresso
a parole; forse era anche per questo che lui aveva taciuto. Niente avrebbe
potuto rendere ciò che aveva scorto nei suoi occhi, quell’amore così intenso e
profondo…
Ma…allora
perché adesso per lui le cose cambiate??
Di nuovo dominò
l’impulso di scoppiare a piangere disperatamente, chinando la testa e chiudendo
gli occhi. Probabilmente si era sbagliata. Forse quello che aveva visto nei suoi
occhi era solo il riflesso dei suoi desideri inconsci…
“R…Ran-neechan..?”
La ragazza
sussultò, sentendo la flebile voce di Conan nell’oscurità; credeva che la casa
fosse deserta. Alzò la testa, ritrovandosi riflessa nei profondi occhi blu del
piccolo, seri e addolorati, scuri come un oceano in tempesta: per un attimo
rimase pietrificata, incapace di dire niente: il modo in cui la stava guardando,
quell’espressione, quegli occhi….i suoi occhi…
Shinichi
No. Era solo
un’illusione. Conan la stava guardando, il suo adorabile piccolo amico,
non lui. Per quanto si somigliassero, non doveva assolutamente trarsi in
inganno. Shinichi non era lì con lei; l’aveva abbandonata a se stessa, aveva
tradito la sua fiducia, ancora una volta. Un tempo avrebbe fatto di tutto per
stare con lei, per non deluderla. Ma evidentemente, il suo migliore amico era
cambiato, come era cambiato il posto che lei aveva nel suo cuore.
Ormai a
Shinichi non importa più se io sto male…
Il nodo in gola
si ingrossò e le sfuggì un singhiozzo, le lacrime ormai fuoriuscivano senza che
potesse fermarle. Si coprì il viso con le mani, asciugandosele e tirando su col
naso, lo stomaco che pulsava, dolorosamente.
“Conan, vorrei
rimanere un po’ da sola, per favore.” Mormorò più bruscamente di quanto volesse,
senza guardarlo. Non poté giurarlo, ma le sembrò di averlo sentito sospirare.
“Ran,
senti….non….non fare così.”
Ran schiuse le
labbra per rispondergli ma quando posò lo sguardo su di lui restò a bocca
aperta: di nuovo, per un attimo fugace, le era sembrato che Conan sparisse, e
che al suo posto ci fosse lui. Sbatté le palpebre e di nuovo vide il suo ‘fratellino’,
che la guardava tristemente, con un’espressione fin troppo adulta per il
suo visetto innocente, adulta ma soprattutto colpevole. Si dice che gli
occhi siano lo specchio dell’anima, e in quel momento quegli occhi blu
riflettevano un tormento e un’angoscia così intensi che Ran ne rimase colpita e
impressionata: nessun bambino di sette anni avrebbe potuto avere
quell’espressione, quel buio interiore, ne era certa. E quelle parole, il tono
con cui le aveva parlato…la voce fioca di qualcuno divorato dai rimorsi, ma che
allo stesso tempo sta cercando di rimediare, disperatamente, in qualche modo.
Conosceva quel tono di voce, caldo e triste…l’aveva già sentito in passato,
tutte le volte che lei e Shinichi avevano litigato…
Ma non può
essere…
“Vedrai che, in
qualche modo, tutto andrà a posto.”
Aveva continuato
lui, sempre con voce tiepida, ma con una sfumatura di incoraggiamento. La stava
ancora fissando, con una certa intensità nello sguardo e improvvisamente, Ran
non poté più trattenersi: lo abbracciò forte e scoppiò in lacrime, i singhiozzi
che risuonavano fra le pareti della stanza. Stringeva a sé quel corpicino così
piccolo in confronto al proprio, così fragile, ma che inspiegabilmente le dava
una sensazione di conforto, di sicurezza. Pianse e pianse, sfogandosi, per la
prima volta senza preoccuparsi di non scaricare le sue frustrazioni sul piccolo,
per la prima volta voleva approfittare della sua vicinanza, del sostegno che
provava aggrappandosi a lui, sentendo il suo calore, il suo profumo
Anch’esso così
simile…
La solida e
rincuorante presenza di Conan, che mai l’aveva lasciata sola. Come se fosse
stato mandato di proposito dal cielo, subito dopo aver perso Shinichi il bambino
era comparso nella sua vita, confortandola e standole accanto nei momenti più
difficili, facendo tutto quello che lui avrebbe fatto, almeno in passato, per
lei, volendole bene. Era grazie a Conan che l’assenza di Shinichi era stata meno
opprimente, grazie a quel piccolo e adorabile compagno che le era rimasto
accanto per tutto il tempo.
Conan era stato
la sua salvezza.
Forse era proprio
per questo che in un momento così difficile e doloroso si era illusa di vedere
Shinichi, inconsciamente, si accorse, avrebbe voluto che fosse il suo amico
d’infanzia a starle vicino allo stesso modo di Conan. Avrebbe voluto che fosse
Shinichi ad abbracciarla, a offrirle il conforto e il calore necessari ad
arginare le sue lacrime, ad accarezzarle delicatamente i capelli per calmarla.
Avrebbe voluto
che fosse Shinichi a pronunciare quelle parole, a cercare di consolarla.
Avrebbe voluto
che fosse Shinichi a guardarla con quegli occhi, così pieni di sofferenza e
disperazione nel vedere le sue lacrime.
Avrei voluto…
Ma non era così.
Ormai da molto tempo Shinichi l’aveva dimenticata, abbandonata a se stessa per
seguire la sua carriera. Aveva sempre temuto che un giorno accadesse. Shinichi
amava fare il detective più di ogni altra cosa al mondo…compresa lei stessa.
Perché si era illusa di poter essere un’eccezione?
Cosa
sceglieresti fra me e il tuo lavoro, Shinichi? Adesso lo so…basta mentire a me
stessa…
Sorrise
amaramente: il tempo in cui si era illusa veramente che lui preferisse lei era
ormai passato...un po’ di paura c’era sempre stata, certo, paura di essere messa
in secondo piano, di essere lasciata sola… ma ogni volta che lui la guardava con
i suoi bellissimi occhi, che le sorrideva…si tramutava in completa fiducia in
lui. Sapeva che Shinichi rivolgeva solo a lei quello sguardo, in cui si potevano
scorgere attraverso il blu un affetto e una dolcezza indescrivibili, limpidi e
chiari come il sole. Quando quel pomeriggio l’aveva guardata in quel modo, come
se lei fosse la cosa più bella della sua vita, Ran non avrebbe potuto che dargli
tutta la sua fiducia, senza timore, perché era impossibile non credere a quello
sguardo così sincero, così ricolmo di qualcosa che non poteva che essere
amore.
Purtroppo adesso
tutto era cambiato; Shinichi non l’avrebbe più guardata in quel modo, ormai.
Probabilmente i suoi sentimenti erano cambiati…e crescendo si era accorto che
lei non era poi così fondamentale nella sua vita, ma qualcosa di cui
avrebbe potuto fare volentieri a meno, finché c’era qualche delitto irrisolto in
giro.
Così l’aveva
lasciata sola al ritorno dal luna park, nonostante fossero nel mezzo di un
appuntamento.
Così era
ripartito subito dopo aver risolto il caso del diplomatico, senza nemmeno
salutarla.
Così l’aveva
abbandonata al tavolo di quel ristorante, nonostante l’avesse aspettato per
quasi un’ora, senza nessuna spiegazione.
Sì…nel momento in
cui avrebbe dovuto stare con lei era scomparso, ma era stato presente e
affidabile durante tutto il tempo necessario per risolvere quegli omicidi.
Dunque non c’era alcun dubbio su quale fosse stata la sua scelta, alla fine.
I fatti lo
confermavano: aveva rotto la promessa che le aveva fatto, mancando
all’appuntamento nonostante avesse capito quanto fosse importante per
lei. Non si era nemmeno disturbato a telefonarle per una qualsiasi
giustificazione…
Strinse ancora
più forte a sé Conan, mentre le lacrime continuavano a scendere. Era davvero
rassicurante poterlo abbracciare…
“Grazie,
Conan….di starmi vicino, almeno tu.” Disse fiocamente con voce arrochita dal
pianto, parole cariche di riconoscenza e di dolore, allo stesso tempo. Il
piccolo mormorò qualcosa e di scatto lei si staccò, scrutandolo con gli occhi
umidi: Conan sorrise al suo sguardo perplesso, il solito, adorabile sorriso da
bambino che le rivolgeva spesso, cosa che la calmò un poco e la spinse a pensare
che probabilmente aveva capito male. Anche se c’era qualcosa di diverso rispetto
alle altre volte in lui, la sua espressione non era poi così convincente,
così infantile…c’era qualcosa che quasi le fece pensare che fosse una maschera
il viso a pochi centimetri dal suo, una falsa apparenza che quella sera
inspiegabilmente sembrava più debole, incrinata e poco credibile.
Sei una
stupida Ran…la verità è che stasera più di ogni altra hai bisogno di credere
nella tua illusione…per questo ti sembra di vedere ciò che vedi e ti è sembrato
di aver sentito quelle parole…stupida idiota…no…il fatto che non voglio credere
che Shinichi possa avermi tradito così non significa che devo trasformare la
realtà a mio piacimento…non è giusto nei miei confronti e nemmeno in quelli del
piccolo Conan…
“Ti voglio bene,
Conan.”
Ancora una volta
le sembrò di vedere uno squarcio sul viso del piccolo, quasi fosse stato
trafitto dolorosamente dalle sue parole. Un’espressione di dolore e sofferenza
mal celato da quel sorriso che restava nonostante tutto ancora poco credibile,
ancora così falso.
“Anch’io,
Ran-neechan.”
Ran gli sorrise e
si asciugò le lacrime col palmo della mano, prima di baciarlo sulla fronte e di
abbracciarlo di nuovo, stringendolo forte, accoccolandosi nel suo calore e
continuando a scacciare dalla mente le parole che le era sembrato di aver
sentito, sicuramente frutto del suo cuore ancora così maledettamente convinto
che Shinichi non avrebbe mai potuto farla soffrire così, non volontariamente.
Quelle parole che fra i singhiozzi doveva aver frainteso, quel tono così caldo e
sincero, carico di affetto e tenerezza.
“Ti amo, Ran.”
Note dell’Autrice:
oooohh….poveri i miei protagonisti!! Riusciranno
ad essere felici prima o poi?? (non siate così sicuri che io lo sappia; fino a
poco tempo fa ero convinta che avrei fatto funzionare l’antidoto, pensate un
po’.) Il capitolo è più corto del solito, ma è arrivato anche prima: dunque le
cose si compensano, no?? ^ _ ~ Mi è piaciuto scriverlo e spero che per voi sia
stato piacevole leggerlo, anche se devo ammettere che è piuttosto triste,
soprattutto nella seconda parte. Per ora è andata così, andando avanti…si
vedrà!! Spero comunque di non aver messo troppo in cattiva luce Ai: il fatto è
che nel chap precedente avevo fatto trapelare il suo lato più dolce, e quindi in
questo ho preferito far vedere… altri aspetti del suo carattere!
Yuki: bene, scampato pericolo!!
Avevo paura di essere linciata da te a causa di quella scena!! ^^;
felicissima che la mia storia continui a piacerti e ti ringrazio tanto
dei commenti che lasci. Mi spiace che proprio non riesco a farti piacere Ai...beh,
direi che con questo capitolo non ho aiutato molto la situazione!!^^ Spero che
ti sia piaciuto comunque.
Lili:
stavolta sei seconda…va meglio? ^__^ Sei gentilissima a dire certe cose…ma
d’altronde non possiamo mica pretendere che tutti lascino un commento appena ho
postato la storia!! Anzi, ringrazio anche solo che lo facciano.^^; spero di aver
risolto tutti i tuoi dubbi con questo capitolo, come vedi una buona parte è
dedicata a Shinichi & Ran. (o a Conan & Ran, dipende dai punti di vista ^^). Per
quanto riguarda Sonoko…non è un personaggio che mi piace particolarmente, quindi
te la lascerei strozzare volentieri!! Vedrai, ci saranno altri spazi anche per
la coppietta di Osaka in questa fanfic…
Mareviola:
sì, anch’io mi sono divertita a scrivere la scena un po’
maliziosa fra Ai e Conan nello scorso capitolo!^__^ Sono contenta che tu abbia
capito i sentimenti di Ran…credevo di non essermi spiegata bene! Ma leggi con
attenzione anche il resto la prossima volta, okay?
Hoshi:
vero! Io non vorrei mai trovarmi in una situazione così (il tuo ragazzo che
scompare chissà dove e non torna nemmeno se glielo chiedi in ginocchio! Ma che
razza di relazione ci puoi costruire??) ma il povero Shinichi purtroppo non può
farci niente! Sono contenta che tu abbia preso piuttosto bene la scena fra Ai e
Conan (sono sincera: ero particolarmente preoccupata delle reazioni tue e di
Yuki ^^;) e spero anche di non fartela odiare ancora di più dopo questo
capitolo. Cosa ne pensi?
Ginny85:
lo so!! ^//^ quella scena piaceva molto anche a me e non vi avrei rinunciato per
nulla al mondo!! Sì, hai centrato il bersaglio, ho scritto quella parte proprio
per far capire di più la personalità della piccola scienziata…almeno da come la
vedo io! Ai mi piace proprio perché è un personaggio complesso e enigmatico: un
momento prima ti viene da dire “Che carina! Ha dato l’antidoto a Shinichi per
farlo stare con Ran!” e un momento dopo “Perché cavolo non gli ha detto che
durava solo 24 ore??” (nd. Vol.26) Insomma, praticamente imprevedibile, ma allo
stesso tempo è proprio questo che le conferisce fascino; ed è allo stesso modo
che voglio renderla nella mia fanfic. Spero di stare facendo un buon lavoro! ^^;
la scena fra Heiji & Kazuha anche mi piaceva, e hai ragione, ammetto di essere
stata un po’ cattiva a interromperli sul più bello! Però non disperare: non è
detto che, in futuro… Grazie mille del 10 e lode, come al solito sei
carinissima!! Mi farai montare la testa!! ^//^ Aspetto con ansia la tua prossima
recensione: voglio sapere cosa ne pensi di questo capitolo, e non trattenerti!
Mi piacciono i commenti lunghi. La scuola…beh, sto perdendo ogni speranza di
imparare lo spagnolo, ma a parte questo…se non sbaglio, dal tuo anno di nascita,
deduco che hai fatto l’anno scorso gli esami di maturità. Io sudo freddo solo a
pensarci!! O _ O Meno male che ancora ho un bel po’ di tempo prima di doverli
affrontare!! (due anni, in effetti.) Un bacio, a risentirci.
Shizuka:
ma ad Ai piace Conan…non ne è innamorata, perché a mio parere è più un
bisogno di protezione che amore (sai com’è, Shinichi è il primo ragazzo che sia
stato gentile con lei, e per di più è pure carino…fai un po’ tu!) ma non credo
che in questa ff abbia molte speranze, visto che è una Shinichi/Ran. Ma chissà,
magari…alla fine questa ff è proprio come i composti della piccola scienziata:
ha risultati imprevedibili anche per me che la scrivo!! Dunque tutto può
succedere…sempre che due certe persone qui non mi uccidino… sì, Vermouth è
piuttosto accattivante. (so cosa vi state chiedendo: c’è qualche personaggio di
DC che non ti piaccia? Risposta: che odi nessuno, un po’ Sonoko…e i bambini,
qualche volta.) e per quanto riguarda il suo attaccamento per Angel…non l’ho
inventato io, è presente anche nel manga, in modo piuttosto equivoco anche lì.
Non si capisce bene cosa esattamente voglia da Ran questa pazza…il mio punto di
vista lo vedrai in seguito in questa ff.
Bene, questo è
tutto per oggi; il chap 17 arriverà il prima possibile, ve lo prometto. Se
intanto volete lasciare un breve commento ve ne sarei davvero riconoscente.
I riferimenti in
questo capitolo sono presi dai volumi uno, dieci e ventisei di Meitantei
Conan (scrivo in giapponese perché mi riferisco ai volumi nipponici). Per
quanto riguarda la promessa che Shinichi ha fatto ad Ai…beh, nessun volume per
quella. Compare da un'altra parte che credo qualcuno di voi dovrebbe
ricordare…(Eh eh eh)
Un grosso
ringraziamento anche a Wilwarind
per il consiglio che mi ha dato riguardo alla ff; ero indecisa su un paio
di questioni e lei mi ha aiutato a fare chiarezza. Thanks, Wil-chan! ^//^
L’opinione di una scrittrice eccezionale come te è un vero tesoro!
Ho davvero finito
adesso.
Un bacio, al
capitolo diciassettesimo!
-Melany
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Capitolo 17 *** Double Identity ***
Nuova pagina 1
17. Double Identity
Conan Edogawa
sospirò, lasciandosi andare contro la parete della stanza, gli occhi chiusi; era
stata una delle sere più terribili della sua vita. Scoprire che l’antidoto non
avrebbe funzionato, osservare le lancette dell’orologio che avanzavano
inesorabili e non poter fare nulla per fermarle, vedere l’ora dell’appuntamento
arrivare e passare, lo sconforto e l’agitazione che crescevano a ritmo col
tempo….ma soprattutto….
Pensare a Ran.
A quello che
avrebbe provato, non vedendolo arrivare…al dolore che le stava provocando,
deludendola per l’ennesima volta, abbandonandola senza poterle dare spiegazioni,
ma solo bugie. Non era di questo che lei lo aveva accusato?? E non aveva
avuto ragione?? Non faceva altro che ingannarla, prenderla in giro ogni giorno
della sua vita. Ran era una ragazza speciale, che non meritava menzogne, ma il
meglio…e lui voleva solo renderla felice, Dio se ci provava. Invece….
Non fa altro
che piangere per colpa mia…
Se non altro lui
aveva la possibilità di starle accanto, sotto le sue mentite spoglie, cosa che a
lei era negata; aveva la fortuna di non essere mai lasciato solo, di poterla
vedere ogni giorno, poter vivere momenti bellissimi insieme…di cui lei non ne
sapeva nemmeno l’esistenza. Perché era il piccolo Conan che aveva con sé, non
Shinichi. Questo la faceva soffrire….Ran stava male perché gli era affezionata,
dunque era solo colpa sua, che stava lì a guardarla sciogliersi in lacrime senza
muovere un muscolo, pur avendo la possibilità di farla stare meglio.
Solo colpa
mia…
Sì, era stato a
causa sua che lei aveva pianto fino a consumare le lacrime quella sera, che si
era disperata. Essere abbracciato da lei non era mai stato tanto
orribile….sentire il suo cuore che batteva forte, il petto scosso da singhiozzi,
un corpo tremante che cercava conforto nella sua vicinanza, e essere consapevole
di avere un fisico da bambino, minuscolo in confronto a quello di lei, non
poterla stringere forte a sé per calmarla…le sue braccia arrivavano con
difficoltà a cingerla completamente. Dunque come poteva mai darle protezione??
No, l’unica cosa
che era stato in grado di fare era abbandonarsi al suo calore così dolorosamente
piacevole, lasciarsi andare nel suo profumo, così maledettamente
confortevole….lasciarsi stringere sapendo che non era veramente se stesso colui
che lei stava abbracciando, la persona da cui lei voleva consolazione, ma un
bambino inesistente, una sua invenzione, che pure riusciva a starle vicino
meglio di quanto facesse Shinichi Kudo. Lentamente, ma inesorabilmente, Ran
stava cominciando ad amare di più Conan che Shinichi. E come non avrebbe
potuto?? Conan era sempre lì, vicino a lei quando ne aveva bisogno, sempre
pronto a farla sentire meglio, a consolarla se piangeva, ma anche a metterla di
buon umore; Shinichi invece non faceva altro che illuderla, ferirla, deluderla,
farla soffrire e disinteressarsi di tutto ciò che la riguardava, tornando da lei
quando gli faceva comodo e andandosene senza curarsi del fatto che lei ci
sarebbe stata male, messa di nuovo davanti alla sicurezza di non vederlo per
mesi, se non di più. Conan diventava sempre più importante e Shinichi sempre
più…sacrificabile, in un certo senso. Poiché Ran non avrebbe aspettato in eterno
una persona che sembrava non curarsi affatto di lei.
Rise, una risata
che non aveva nulla di allegro, che metteva i brividi solo a sentirla: non era
ridicolo essere geloso del proprio alter-ego??
Assurdo…..e
ingiusto….sono sempre io in fondo…e io sono Shinichi non Conan…..
Sì, era
Shinichi….ma per quanto volesse negarlo a se stesso, era anche Conan. Non
avrebbe mai potuto recitare per così tanto tempo un ruolo che non aveva niente
di sé….molte delle qualità di Shinichi risiedevano in Conan, ma d’altra parte
c’erano anche varie differenze fra loro. Era una cosa strana, folle, per
certi versi, e non aveva senso. Ma d’altronde, tutta la sua situazione
non aveva senso, quindi…
Avere vicino
Shinichi è quello che vuole….per adesso almeno….ma se Conan continua a starle
accanto proprio come farebbe lui…verrà il giorno in cui capirà che le qualità
che amava in Shinichi le possiede Conan e dunque…potrebbe innamorarsi di
qualcuno diverso…perché finché il suo fratellino le resta accanto che importa di
Shinichi? Tanto più che adesso lui è cambiato…
Di nuovo quella
risata triste, priva di calore. Cominciare a parlare di se stesso in terza
persona non era un buon segno, ma parlare addirittura come se fossero due terze
persone…era decisamente allarmante.
Comunque, restava
il fatto che Ran si era chiusa in camera da quando erano tornati da casa sua,
rifiutandosi di mangiare e di parlare. Non si erano detti una parola durante il
tragitto, lei si era limitata a sorridergli tristemente e a baciarlo sulla
fronte prima di staccarsi dal suo abbraccio e dirigersi verso la porta. Un bacio
così dolce e carezzevole che gli aveva strappato un brivido…avrebbe tanto voluto
che fosse davvero lui quello che aveva toccato con le sue labbra…invece
lei lo odiava. L’aveva urlato a quelle pareti che li avevano visti crescere
insieme, all’interno delle quali avevano vissuto tantissimi momenti…quel luogo
di cui conservava bellissimi ricordi era diventato custode di un segreto
terribile, che lui, da bravo detective quale era aveva scoperto. E ascoltando
quelle parole cariche di frustrazione e rabbia pronunciate dalla voce della
persona che amava, qualcosa si era spezzato dentro di lui, lasciandolo scosso
e….spaventato.
Sì…aveva vissuto
una vita insieme a lei…diciassette anni che si conoscevano e mai si erano
divisi…Ran era sempre stata vicino a lui, qualsiasi cosa succedesse…il suo
affetto –amore?- era sempre stata una certezza, un qualcosa che era
sicuro avrebbe sempre avuto, nonostante tutto…qualcosa che non era disposto a
perdere. Non aveva mai nemmeno immaginato cosa ne sarebbe stato di lui se un
giorno lei avesse smesso di considerarlo speciale.
Adesso che quella
possibilità stava divenendo sempre più reale non poteva fare a meno di sentirsi
completamente perso.
Vivere sapendo
di non averla…di essere odiato da lei…no non può essere non voglio
perderla…no…Ran ti prego…non farmi questo…
Il problema però
era che lui l’aveva fatto a lei. O almeno era quello che la sua amica d’infanzia
credeva. Dio, avrebbe tanto voluto dirle la verità…lo desiderava così tanto,
vedendo le sue lacrime, poterle urlare a pieni polmoni: “No Ran!! Smettila di
disperarti!! Io sono qui e non ti ho mai abbandonato!!” ma era stato zitto.
In silenzio, perché tutto sommato poteva sopportare di essere odiato da lei, se
questo serviva a salvarle la vita…perché farla uccidere per colpa sua era di
gran lunga peggiore che saperla viva ma non poterle stare vicino….perché
preferiva vederla vivere piuttosto che trascinarla giù con sé, per puro egoismo.
Ma soprattutto perché l’amava.
Tuttavia, come
gli aveva ricordato un amico poco prima, era pur sempre umano: così quella sera
era stato un pessimo attore, davvero; sperava che lei se ne accorgesse, nel
profondo del cuore…che lei vedesse in lui e capisse, così non sarebbe stata
colpa sua, se avesse dovuto spiegarle tutto, no. Così, per quanto il suo
cervello avesse ordinato alle labbra di restare serrate, quelle avevano obbedito
al cuore, pronunciando due parole, così profonde, fatali. Parole che lei aveva
udito, ma a cui non aveva voluto credere. E adesso, chiuso in quel bagno, in
piedi, la schiena contro le piastrelle di ceramica e gli occhi ancora chiusi,
non poteva fare a meno di esserne sollevato: l’Organizzazione, che sembrava così
lontana e astratta in quel momento, dove per lui non esisteva niente e nessuno
all’infuori della sua Ran in lacrime, che l’abbracciava, era tornata in tutta la
sua pericolosa concretezza non appena lei aveva sciolto il suo abbraccio. No,
non poteva coinvolgerla in tutto questo. Era stato troppo già quello che era
accaduto quel giorno…non poteva permettere che succedesse ancora, che lei
dovesse affrontare un’altra volta quei due e i loro pari.
Tutto sommato,
era stato meglio così.
Aprì gli occhi di
scatto, trovandosi davanti quella orribile situazione a cui fino adesso aveva
voluto sfuggire, davanti a cui si era trovato inevitabilmente.
Lo specchio.
Sì, quel
maledetto affare che rifletteva solo l’apparenza, che l’aiutava nel difficile
compito di nascondere la vera realtà. Batté le palpebre, e vide Conan Edogawa,
senza i suoi occhiali, fare lo stesso. Distese un braccio, fino a toccare la
superficie fredda, e le due piccole mani si congiunsero, perfettamente uguali.
Sorrise, inarcando le sopracciglia:
“Ti odio, lo sai,
sì?”
Sussurrò
malevolo, l’altro ghignò di rimando.
“Ma credo di
doverti ringraziare, in un certo senso.” sospirò, ritraendo la mano e voltandosi
per uscire. Prima però rivolse un’ultima occhiata allo specchio, guardando se
stesso da sopra la spalla:
“Non
dimenticarlo, però…un giorno…” chiuse la mano a pugno, lasciando distesi solo
indice e pollice a L e puntando contro di lui: “…un giorno…mi sbarazzerò di te.
Per sempre. Ti do la mia parola.” Chiuse un occhio e fece partire il colpo
inesistente, lasciandosi alle spalle lo specchio e il bagno stesso.
L’abitazione era
immersa nel buio e silenziosa, se si escludeva il russare di Kogoro, che
attutito dalle pareti somigliava più al suono di una radio mal sintonizzata.
Shinichi emise un sospiro rassegnato ed evitò di entrare nella stanza che
divideva con l’investigatore: avrebbe voluto addormentarsi al più presto, così
il nulla dell’incoscienza avrebbe spazzato via il dolore e l’angoscia che stava
provando, ma con il concerto gratuito di Kogoro la cosa era pressoché
impossibile. Forse avrebbe potuto accucciarsi sul divano, cercare di prendere
sonno lì…
Si stava
dirigendo verso il salotto quando si accorse che la porta della stanza di Ran
non era completamente chiusa; stette per un attimo a fissarla, indeciso sul da
farsi…chissà se lei era ancora sveglia. La stanza era avvolta nell’oscurità, e
non sentiva nessun rumore.
Potrei dare
una sbirciata…solo per vedere come sta…
Entrò con cautela
nella camera, togliendosi le pantofole per non far chiasso; con gli occhi ormai
abituati al buio, si avvicinò al letto e riconobbe su di esso il corpo di Ran,
che giaceva addormentata, il respiro lento e regolare; anche se il suo dolce
profilo era illuminato solamente dalla pallida luce della luna che faceva
capolino attraverso le tende, Conan riusciva a vederla perfettamente: i vuoti
prodotti dall’oscurità erano colmati dalla sua memoria. In fondo, quella era la
sua amica d’infanzia, la ragazza che conosceva meglio di chiunque altro, anche
di se stesso, e non solo nell’aspetto… il suo grande amore, l’unica con cui
aveva pensato di poter mai dividere la sua vita, per sempre.
Avrebbe voluto
perdersi nella contemplazione di lei. Restare lì a guardarla dormire per tutta
la notte…era sicuro che non avrebbe mai potuto stancarsi.
Ma il suo occhio
così attento ai particolari, la sua mente allenata alla deduzione non poterono
non accorgersi che non era un sonno pacifico, il suo. I suoi occhi erano gonfi,
ed era sicuro che, se li avesse aperti, sarebbero stati rossi; passando
delicatamente un dito sul cuscino lo scoprì bagnato di quelle che non potevano
che essere lacrime; e quello che indossava non era il pigiama, bensì
l’abbigliamento che le aveva visto all’appuntamento, nascosto dietro
quell’albero. Sospirò silenziosamente, attento a non svegliarla. Le scostò con
dolcezza una ciocca di capelli bruni che le era finita sul viso, accarezzandole
la lunga e bellissima chioma con una tenerezza che avrebbe stupito chiunque.
Ran…quanto ti
amo…ti prego non odiarmi…non lasciarmi solo…
“Sono qui, Ran,
come volevi. Restiamo insieme, ti va?” mormorò, senza smettere di accarezzarla,
lei non batté ciglio, immersa in quel sonno profondo che grazie al cielo le
aveva donato un po’ di tranquillità. Le sorrise dolcemente, issandosi sul letto
e accoccolandosi contro di lei, rubandole un po’ del suo calore, chiudendo gli
occhi e sentendosi benissimo, raggomitolato vicino al suo corpo. Il calore che
lei gli stava donando era così grande che non aveva bisogno di ricorrere alla
coperta.
“Buonanotte,
amore mio.” Sussurrò, aprendo un attimo gli occhi e arrossendo vedendo il suo
viso a pochi centimetri, per poi richiuderli subito. In passato, solo il fatto
di dormirle accanto gli sarebbe costato una notte insonne. Ma adesso…il gelo
interiore che aveva provato sentendo le sue frasi cariche di disprezzo e di
rabbia poteva essere curato solo da un calore altrettanto forte, che poteva
donarle solo lei, con la sua presenza.
In fondo non
stava facendo nulla di male….e poi…una cosa che faceva stare così bene come
poteva essere sbagliata?
Non ci volle
molto perché si addormentasse. La giornata era stata pesante, era stanco sia
fisicamente che moralmente. Coccolato dal suo tepore, dal suo soffice respiro,
dal profumo del suo corpo si addormentò piacevolmente, ed entrambi dimenticarono
i loro problemi, almeno per quella notte.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Stava piangendo.
Non ricordava bene il motivo, ma inspiegabilmente, mentre camminava con alle
spalle un tramonto aranciato, non poteva fare a meno di singhiozzare.
“Ehi, la vuoi
smettere di piangere…” la esortò la voce di qualcuno che non poteva vedere, gli
occhi coperti dal dorso della propria mano che asciugava le sue lacrime.
“…ti conviene
dimenticare tutto al più presto. Queste sono cose che succedono spesso….”
Continuò la voce.
“Ma come
spesso!! Non mi sembra proprio!!” finalmente alzò la testa infuriata e
poté vedere davanti a sé il viso del suo amico d’infanzia, sorridente e
spensierato come lo ricordava. Dunque era con lui….non sapeva perché, ma aveva
come l’impressione che avrebbe dovuto…aspettarselo.
Shinichi era
diventato improvvisamente serio e guardingo. Tuttavia, quando si rivolse di
nuovo a lei, ancora in preda ai singhiozzi, le sorrise e strizzò l’occhio.
“Scusami Ran! Tu
va avanti!!” gridò, cominciando ad allontanarsi, sicuro di sé come al solito.
“Cosa?” replicò
sorpresa.
“Ti raggiungo
subito!!” disse, senza bloccare la sua corsa.
Improvvisamente,
guardandolo allontanarsi, sentì crescere dentro di sé ansia e preoccupazione,
oltre ad un brutto nodo allo stomaco; capì che, in qualche modo, quelle
sensazioni la stavano avvertendo di qualcosa…e guardando l’immagine del suo
amico d’infanzia svanire a poco a poco, un vuoto gelido s’impadronì del suo
corpo, una sensazione di solitudine, di freddo…come se non avesse più avuto la
possibilità di parlargli. Interno a lei era buio. Comprese che stava per essere
abbandonata, per sempre…inspiegabilmente, seppe con sicurezza che Shinichi non
l’avrebbe raggiunta, né subito, né più tardi. Lei era inerme, osservava la scena
incapace di reagire, se non osservando il suo amico d’infanzia allontanarsi
sempre di più da lei, spaventata, di nuovo desiderosa di piangere.
“SHINICHI!!”
gridò finalmente, cercando di corrergli dietro. Ma le gambe erano così pesanti,
non riusciva a muoversi…e Shinichi non l’aveva udita. Era sola, adesso.
“Shinichi!! Per
favore…non andare via…non abbandonarmi!! Ti prego!” stavolta scoppiò davvero in
lacrime, cadendo sulle ginocchia, il viso fra le mani. Perché, perché non si era
fermato?? Perché non gli era corsa dietro, non l’aveva bloccato?
Come aveva potuto
permettergli di lasciarla sola…..come aveva potuto lui lasciarla sola??
“Sei uno stupido,
Shinichi…perché te ne sei andato via da me?”
“Non l’ho fatto.”
Sobbalzò,
ricevendo una risposta alla domanda che non ne richiedeva. I singhiozzi si
placarono un poco, ma non scomparvero del tutto, mentre si tamponava gli occhi
chiusi col dorso della mano.
“Sì che l’hai
fatto…mi hai abbandonata…Come hai potuto, Shinichi?? Io credevo…”
singhiozzò “…credevo davvero che tu mi amassi…ho sbagliato?”
“No.” Rispose
pacato “Io ti amo, Ran. Lo sai bene, te l’ho detto. E sai anche, sebbene per te
adesso sia difficile crederlo, che non ti abbandonerei mai. Per nulla al mondo.
Nemmeno per il mistero più intricato di questo mondo…”
“Ma…ma tu…” aprì
gli occhi e di nuovo sussultò, ritrovandosi davanti non Shinichi, bensì il
piccolo Conan-kun, un’espressione dolce sul visetto e gli occhi azzurri che la
fissavano con uno strano sguardo, che non aveva nulla di infantile.
“Sono sempre
rimasto con te, Ran. È solo che tu non riesci a vedermi. Un giorno lo capirai…”
le sorrise, voltandosi a sua volta per andar via.
“Conan!! Non
andartene anche tu!! Ti prego!” tese un braccio verso il piccolo, che voltò la
testa, lentamente:
“Devo, Ran.
Guarda lassù….” Indicò il cielo avvolto nelle tenebre più fitte, dove volavano
minacciosi un gruppo di corvi neri come il sangue di notte. “…è arrivato il
momento di affrontarli. Non posso più tirarmi indietro…” il sorriso si fece
triste, il suo volto aveva un’espressione spaventata e determinata allo stesso
tempo.
Uno dei corvi
rivolse a lei gli occhietti iniettati di sangue, guardandola minaccioso e
facendole venire un brivido. Le sembrava di conoscerlo…quello sguardo freddo e
crudele…lo sguardo di un assassino. La paura la spinse a parlare:
“NO! È
pericoloso…potresti….”
“Lo so.” Annuì il
piccolo, che non aveva più nulla di un normale bambino. “Ma devo. Non
preoccuparti, Ran…tornerò da te, te l’ho promesso. L’unica cosa…ti prego…” Batté
le palpebre, e di nuovo Shinichi le sorrideva guardandola con i suoi bellissimi
occhi blu, carichi di triste rassegnazione, ma allo stesso tempo custodi di un
ultimo focolaio di speranza, che aveva bisogno di essere ravvivato da lei. “…non
smettere di aspettarmi. Non odiarmi, amore mio.”
Aprì la bocca per
dire qualcosa ma una luce abbagliante squarciò l’oscurità….
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Strizzò gli
occhi, infastidita dalla luce del sole che entrava dalla finestra, e con un
mugolio scocciato si rigirò dall’altra parte, notando distrattamente che la
coperta opponeva una certa resistenza a seguire il suo movimento. Non aveva idea
di che ore fossero, ma dato che la sveglia non aveva ancora suonato confidò nel
fatto che fosse ancora troppo presto per alzarsi e andare a scuola. Non riusciva
a capire il perché, ma si sentiva stranamente inquieta, uno fastidioso peso alla
bocca dello stomaco e un senso di allarme nella testa. Poi, le riaffiorarono
alla mente alcuni tratti del suo sogno, prima in modo confuso, poi sempre più
nitidamente…e all’improvviso si sentì spaventata e a disagio proprio come lo era
stata la sua proiezione nell’incubo.
Ho ricordato
quel giorno al Tropical Land…ma poi tutto è stato diverso e…inquietante….
Rabbrividì,
raggomitolandosi sotto le lenzuola. Era stato solo un brutto incubo…nient’altro.
Ciononostante…sembrava tutto così…e anche il pericolo…la paura…così….reali….
Non essere
stupida Ran…non sei un po’ cresciuta per farti spaventare da un brutto sogno? Ci
manca solo che vai a dormire con papà adesso…
Eppure…
Eppure si sentiva
a disagio. Quei corvi…non capiva cosa mai potessero significare, ma la
spaventavano più di quanto volesse ammettere. E poi c’era l’altra parte…
Shinichi…e
Conan…
Non ricordava
bene cosa fosse accaduto. Sapeva solo che aveva parlato con entrambi, ma non
riusciva a realizzare cosa esattamente si fossero detti. Mentre ancora si
sforzava di penetrare la nebbia mentale, sentì uno strano grugnito accanto a sé
che la fece sobbalzare. Si alzò di scatto a sedere, voltandosi e fu con gran
sorpresa che vide l’oggetto dei suoi pensieri dormire placidamente vicino a lei;
il pigiama che gli stava un po’ largo e i capelli arruffati gli donavano un
aspetto semplicemente adorabile.
Sorrise,
guardandolo dolcemente e posandogli un bacio sulla guancia, lieve come una
carezza. Conan sbuffò e si voltò su un fianco, cosa che la fece ridere: eh sì,
proprio adorabile.
Era riconoscente
al bambino per quello che aveva fatto la sera prima; le era stato di grande
aiuto. Conan aveva questa strana capacità, di tirarle su il morale ogni volta
che era triste…anche se in qualche modo volgeva sempre a favore di Shinichi. Era
come se fosse perennemente dalla sua parte…
“…con te, Ran.
Solo che tu non riesci a vedermi…”
Strizzò gli
occhi, la testa pulsava. Cosa era quel pensiero?? Non riusciva a
contestualizzarlo…
Scrollò le
spalle, si tirò indietro una ciocca di capelli finitale sugli occhi e scese giù
dal letto per andare in bagno, rabbrividendo quando i piedi nudi toccarono il
pavimento freddo. Si sentiva ancora triste e abbattuta, e guardandosi allo
specchio notò che aveva gli occhi arrossati e gonfi. Avrebbe tanto voluto che
Shinichi non avesse infranto la sua promessa, ottenendo lo stesso risultato sul
suo cuore.
“Tornerò
da te, te l’ho promesso…”
La voce di nuovo
invase il suoi pensieri. Ma perché non riusciva a ricordare tutto in una volta??
Chi aveva pronunciato quelle frasi, Shinichi, Conan? E perché? Scrollò le
spalle, scocciata. Non aveva intenzione né di rimuginare tutto il giorno su
quello stupido incubo né di struggersi per quell’idiota a cui non importava
nulla di lei. Avrebbe preparato la colazione, poi sarebbe andata a scuola come
tutti i giorni. Non gli avrebbe permesso di farla soffrire ancora, no. Avrebbe
ignorato quel dolore all’altezza del petto e avrebbe dimenticato lui…
“Non odiarmi,
amore mio.”
“Non so di cosa
parli.” Replicò freddamente alla voce nella testa, cominciando a lavarsi il
viso.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Buongiorno,
Conan-kun!” lo accolse allegramente quando si presentò in salotto per la
colazione. Si era vestito, pettinato e aveva inforcato gli occhiali, ma era
comunque molto tenero, pensò Ran mentre gli sorrideva, porgendogli la scodella
con il riso. Kogoro, che era già a tavola, borbottò a sua volta il suo
buongiorno, accingendosi a consumare il pasto con gli occhi socchiusi; era
sempre di cattivo umore, la mattina presto.
“Dormito bene
tutti e due?” chiese Ran serena, togliendosi il grembiule e sedendosi a sua
volta. Voleva che capissero –credessero- che era tutto a posto, non
dovevano preoccuparsi per lei. Conan arrossì lievemente, il padre annuì, la
bocca occupata dal riso.
“Conan…hai
trovato comodo il mio letto?” disse sorridendo, mentre al piccolo andava di
traverso un boccone ed era costretto a bere un bel po’ di tè caldo per mandarlo
giù. Kogoro spalancò gli occhi e sputò qualche chicco di riso sul tavolo:
“Come sarebbe a
dire?? Ha dormito con te?” e con questo lanciò un’occhiata torva al
bambino, che gliene restituì una piuttosto allarmata prima di mormorare, rosso
in viso: “Uh, ehm… non riuscivo a dormire….ehm…tu russavi e così…”
“Cosa?? Io non
russo, moccioso.” Ribatté, senza smettere di fissarlo in malo modo.
“Dai papà, che
male c’è se per una volta tanto ha dormito con me? È un bambino!” disse, e le
sembrò che Conan rabbrividisse quanto pronunciò le ultime tre parole, a disagio.
Un po’ come era accaduto quando in quella pensione aveva fatto il bagno insieme
a lui…
“Conan-kun, puoi
venire a dormire con me tutte le volte che vuoi.” Gli concesse sorridendo, lui
rispose goffamente al sorriso annuendo, sempre molto rosso. Che dolce…come se
non sapesse che era andato nel suo letto perché era sconvolto nell’averla vista
così triste la sera prima…caro piccolo Conan-kun…di sicuro non voleva lasciarla
sola.
“E siccome sei
stato così carino con me, prima uscendo per comprare il pane ti ho preso una
cosa dal distributore vicino all’alimentari.” Gli disse con un sorriso
dolcissimo, frugandosi nelle tasche e tirando fuori una pallina colorata: “È una
biglia di Masked Yaibar…è il tuo cartone animato preferito, no?”
Conan fissò per
un momento la pallina che aveva in mano, tutto fuorché entusiasta come aveva
creduto di renderlo col regalo, poi sorrise a sua volta. “Grazie mille,
Ran-neechan!” disse contento con la sua vocetta adorabile.
“E tu? Come stai
stamattina?” chiese il padre col solito tono burbero, ma Ran capì che doveva
essere sinceramente impensierito per lei, dopo lo stato in cui era rientrata la
sera prima.
“Tutto okay,
papà. Avrei dovuto aspettarmelo, da quell’idiota…” rispose tranquilla,
controllando efficacemente la voce. “Non è affidabile…l’unica cosa che gli
interessa sono le sue indagini. Almeno non devo preoccuparmi che possa avere
un’amante…chi lo sopporterebbe?” rise con affettazione, Conan la osservò in
tralice, con quegli occhi a cui sapeva non sfuggiva nulla, nemmeno il più
piccolo particolare.
“Ma lascialo
perdere, dammi retta. E poi sei ancora una bambina…avrai tempo per gli uomini
finita l’università, figliola.” Concluse Kogoro, fissandola speranzoso.
“Non credo
proprio, papà.”
“Hmph.”
Il resto della
colazione passò tranquillamente, senza particolari conversazioni. Finito di
mangiare Ran prese per mano Conan e uscirono diretti verso la scuola, come ogni
giorno.
Non devo
lasciarmi andare…non posso permettergli di rovinarmi la vita…anche se…
“R-Ran-neechan..?”
…non posso
credere che mi abbia fatto questo…
“Ran..?”
“Sì?” sussultò,
rispondendo all’appello del bambino con un sorriso stentato. Lui la guardava con
gli occhi azzurri improvvisamente seri e preoccupati. Cavoli…Conan doveva
essersi accorto della sua espressione crucciata; a volte era davvero una
seccatura che non gli sfuggisse proprio nulla.
“……Sicura che
vada tutto okay?” domandò con voce flebile, i suoi occhi non lasciarono mai
quelli di lei, quasi stesse cercando di leggerle dentro.
No
piccolo…niente è okay…Shinichi mi ha lasciata sola…e io non sto per niente
bene…vorrei tanto che fosse con me…
Si rabbuiò un
momento, ma subito riprese a fingere: Conan si era preoccupato abbastanza la
sera prima, doveva smetterla di scaricargli addosso tutti i suoi problemi.
Sperava che almeno la sua esitazione fosse passata inosservata ai suoi occhi
attenti.
“Certo!! Davvero,
avrei dovuto aspettarmelo da Shinichi. Sono io quella che si è illusa…adesso
l’ho capito. Lui è fatto così…un fissato per le indagini!”
“Sì ma…allora…è…è
proprio vero che lo odi?” chiese con una vocetta piccola piccola. Ran inarcò le
sopracciglia, guardandolo perplessa: non era il fatto che lui l’avesse udita a
metterla a disagio, -anche se in fondo al cuore inspiegabilmente avrebbe voluto
che non fosse così- ma piuttosto…la sua domanda…l’aveva messa in crisi. Non
sapeva cosa rispondere esattamente, perché ancora non sapeva lei stessa se
davvero lo odiasse o no.
L’ho detto in
preda alla rabbia…ma…adesso…non so…se ne sarei in grado…
Conan continuava
a fissarla, le sopracciglia inarcate, gli occhi blu che non smettevano di
scrutarla attentamente, nemmeno quando batteva le palpebre.
Odiare
Shinichi…forse potrei anche riuscirci se ci provassi…ma…è davvero questo che
voglio?
Stavolta non
riuscì a fingere, le parole sfuggirono alle sue labbra prima che potesse
fermarle:
“Sinceramente,
Conan, non lo so.”
Vide che lui
stava per dire qualcosa, ma si bloccò quando tre voci chiamarono il suo nome.
Internamente ne fu sollevata suo malgrado: Conan a volte riusciva davvero a
metterla in difficoltà.
Il bambino si
voltò, distogliendo finalmente lo sguardo da lei, e vide Ayumi, Genta e
Mitsuhiko che gli sorridevano e lo attorniavano, come al solito. Ran sorrise al
quartetto:
“Ciao a tutti.
Siete venuti incontro a Conan-kun?”
“Sì!!” rispose
Ayumi con entusiasmo.
“L’altro ieri sei
scappato via da scuola…vogliamo conoscere tutti i dettagli!” aggiunse Mitsuhiko
rivolto all’amico, che sorrise in modo poco naturale.
“Beh, visto che
stai con i tuoi amichetti, io posso andare! Ci vediamo dopo, okay?”
Sventolò la mano
in segno di saluto e si allontanò, inspiegabilmente più tranquilla di non avere
più gli occhi del bambino puntati nei propri.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Conan sbadigliò,
asciugandosi una lacrima che era sfuggita alle sue ciglia e ignorando
completamente il foglio che aveva davanti e su cui i suoi compagni si stavano
concentrando. Aveva altro a cui pensare: a prima vista, Ran sembrava aver
dimenticato l’accaduto e ripreso la sua vita di sempre; ma lui sapeva che non
era così. La conosceva troppo bene per credere alla sua recita, sapeva che stava
ancora male per quello che era successo, ma che cercava in qualche modo di
reagire, sia per se stessa che per gli altri. Ammirava questa sua forza…
Vorrei poter
fare qualcosa per te…
Avrebbe potuto
telefonarle; solo che…non era quello che lei si aspettava da lui. E se avesse
peggiorato la situazione?
“Vorrei
incontrarti. Voglio parlarti di persona, non attraverso il telefono.”
Era quello che
lei gli aveva chiesto. Non si aspettava che abbandonasse il suo caso, non gli
ordinava di tornare per sempre a Tokyo. L’unica cosa che voleva era parlare con
lui…perché non riusciva ad accontentarla nemmeno per una cosa tanto semplice e
banale?? Poteva capirla, se si sentiva ferita e abbandonata. Comunque, doveva
cercare di fare qualcosa al più presto: se da una parte sentire dalle sue labbra
che ancora non sapeva se lo odiasse o no l’aveva sollevato, dall’altro l’aveva
messo in agitazione. Anche solo il fatto che lei stesse considerando questa
possibilità lo faceva star male.
Dunque, si disse,
avrebbe dovuto al più presto farle capire quanto l’adorava. Così forse,
forse lei lo avrebbe perdonato…
Sospirò, cercando di ignorare il nodo che
premeva sul ventre e concentrandosi sul foglio: sottrazioni, divisioni a più
cifre, moltiplicazioni…la lettura gli costò un ennesimo sbadiglio, mentre gli
occhi si riducevano a due fessure.
Si accorse di stare sudando e cominciò a
sventolarsi con un lato del foglio, sbuffando in modo da scompigliarsi la
frangetta: faceva piuttosto caldo, lì dentro; capiva che era inverno, ma con le
finestre chiuse e i termosifoni al massimo sembrava di stare in un forno.
“Maestra, si potrebbe aprire una finestra
per favore?” chiese educatamente, alzando la mano. L’insegnante lo guardò
perplessa, sbattendo un paio di volte le ciglia prima di rispondere:
“Mi dispiace Conan, ma non credo sia una
buona idea. I riscaldamenti sono già bassi, se aprissi una finestra potreste
prendervi un brutto raffreddore.” Gli sorrise e tornò alle sue carte.
Stavolta fu il suo turno di guardarla
confuso.
BASSI!?
Posò prudentemente una mano sul termosifone
più vicino e si accorse con stupore che l’insegnate aveva ragione. Dunque perché
stava letteralmente grondando di sudore? Si asciugò la fronte con la mano,
ancora un po’ perplesso, poi
cominciò a scribacchiare qualche numero sul
foglio qua e là, senza entusiasmo, finché una strana sensazione di freddo lo
colse al lato. Improvvisamente, si sentì a disagio. O meglio…osservato.
Voltò lentamente la testa, cercando di farlo sembrare un gesto casuale, e come
previsto ritrovò la sua immagine riflessa in due profondi occhi azzurri, gelidi
e imperscrutabili, come una superficie di cristallo. Lo guardavano, o meglio, lo
scrutavano, senza neanche un remoto brillio di calore o di qualsiasi
sentimento.
Ai Haibara.
La ‘frequentava ’ ormai da un bel po’, e si
potrebbe pensare che a questo punto dovesse essere abituato ai suoi
atteggiamenti, ai suoi modi. O almeno così avrebbe potuto pensare una persona
che non aveva mai avuto a che fare con Ai Haibara; dubitava che una ragazza come
lei si potesse veramente conoscere; nonostante avesse una certa
esperienza in materia di misteri, lei restava perennemente una domanda a cui non
sapeva dare risposta, una porta verso l’ignoto che avrebbe potuto portarlo
dovunque. Quando si accorgeva che era in procinto di parlargli, subito i
suoi sensi si attivavano, in allerta, pronti ad affrontare qualsiasi cosa. Sì
perché qualsiasi cosa era l’espressione giusta per definire ciò che
sarebbe potuto venir fuori dalla bocca della scienziata. Una minaccia, una
raccomandazione, una dimostrazione di quel suo strano senso dell’umorismo?
Chissà, magari nessuna delle tre. Non comprendere qualcosa l’aveva sempre
infastidito, e lei non faceva eccezione, ma tutto sommato riusciva a sopportarlo
bene. In fondo, per quanto strana, Ai era una persona, e non un caso; e lui era
un detective, non uno psicologo.
Inoltre, a suo modo…era intrigante.
Si accorse di
stare per arrossire e subito si diede uno scossone mentale. La biondina era
attraente, non lo metteva in dubbio, ma decisamente non era il suo tipo. Stare
insieme ad Ai non gli donava tutte le meravigliose sensazioni che gli dava la
compagnia di Ran…spesso lo lasciava totalmente indifferente. Tuttavia, non
poteva davvero paragonare i due rapporti: ciò che lo legava a Ran era un
sentimento profondo, che era nato e cresciuto insieme a loro, evolvendosi man
mano che diventavano adulti; un affetto speciale e particolare che si era
tramutato in amore, del più sincero e leale.
Il legame che
aveva con Ai…era basato sull’enorme debito che ognuno di loro aveva nei
confronti dell’altro,
Sebbene il suo
non sia nemmeno paragonabile al mio…
e allo stesso
tempo sulla necessità l’uno dell’altra. Un gioco di equilibri che si sarebbe
potuto spezzare in qualsiasi momento, di cui entrambi erano a conoscenza, ma che
entrambi fingevano non esistesse.
Perdendosi in
queste considerazioni non si rese conto di essere rimasto a fissarla imbambolato
per più di due minuti. Improvvisamente sussultò e voltò di nuovo la testa,
seccato da quella mancanza causata dalla mente intorpidita dalla noia e dal
sonno, non prima però di essersi accorto dello strano sorriso che aveva
increspato le labbra della biondina, in un misto di scherno e presunzione.
Sbuffò, concentrandosi su quello sciocco compito di matematica e cercando di
ignorare le occhiate e le risatine sotto i baffi della sua compagna di banco,
che gli fecero ardere fastidiosamente le guance dall’imbarazzo.
Di solito non
riusciva a capirla, ma era abbastanza sicuro che questo non gliel’avrebbe
fatto dimenticare presto.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Ai…” Esordì,
avvicinandosi a lei durante la ricreazione. La biondina alzò gli occhi dalla
rivista scientifica che stava leggendo, sorridendo in modo poco rassicurante,
mentre i tre bambini davanti a loro stavano decidendo la divisione in squadre
per la partita di baseball.
“Cosa posso fare
per te, Conan-chan?” rispose con una voce dolce che non le si addiceva
per niente. Conan sbuffò, infastidito dal nomignolo, mentre Ayumi puntava i suoi
occhioni color nocciola su loro due, la fronte aggrottata.
“Devo parlarti.
Da solo.” Sottolineò, a bassa voce, Ai annuì serenamente e si avviò verso
il retro del cortile, mentre Conan lasciava andare l’ennesimo sbuffo scocciato e
la seguiva.
“Conan-kun…la
partita!” gridò Mitsuhiko alle sue spalle. Ayumi continuava a guardarlo,
improvvisamente triste.
“Sì, adesso
arrivo! Iniziate voi!” rispose, lanciando un’occhiata ai tre da sopra la spalla.
Hmph…tanto
faccio sempre l’esterno…ovvero il raccattapalle…ma perché non possiamo giocare a
calcio qualche volta?
Seguì la biondina
finché non furono al riparo dalle innocenti piccole orecchie dei loro compagni
di scuola; una volta lì si infilò le mani in tasca appoggiando la schiena al
muro, mentre lei incrociava le braccia e lo osservava con uno dei suoi soliti
sguardi ambigui.
“Come ti senti?”
Sarebbe potuto
sembrare un tono casuale a chiunque, ma lui naturalmente non era chiunque:
Ai lo stava guardando un po’ troppo attentamente, quasi volesse fargli un
check-up completo con lo sguardo.
“Uff…bene,
perché?” domandò incuriosito, dimentico del discorso che avrebbe voluto fare.
Ai si strinse
nelle spalle. “Così, per fare conversazione.”
Oh certo…Ai
Haibara che vuole fare conversazione…e domani io vado a segnarmi a una scuola di
balletto…
“Avanti, dimmi
perché non dovrei sentirmi bene!” replicò seccato.
“Dimmelo tu. Di
che stai parlando?”
“Adesso non fare
la finta tonta!”
“Va bene…ma solo
se tu smetti di fissarmi imbambolato in classe, Kudo-chan.”
Era riuscita a
farlo arrossire. Di più, sembrava che la sua faccia stesse andando a fuoco. E il
sorrisetto che gli stava rivolgendo era decisamente troppo…dannata…
“Non montarti la
testa.” Sbuffò, distogliendo lo sguardo e sentendola ghignare sommessamente,
cosa tanto sorprendente quanto fastidiosa.
“Sicuro di non
volere la mia foto?”
Sospirò
frustrato, alzando gli occhi al cielo. Non riusciva proprio a vincere contro
l’universo femminile, era sempre stato così.
“Allora? Come è
andata ieri sera con Mouri?” chiese Ai indifferente, ma con una sfumatura
divertita che non gli piacque affatto. Socchiuse gli occhi:
“Non
preoccuparti…dimmi piuttosto, sei riuscita a scoprire cosa è andato storto con
l’antidoto?”
Ai si strinse
nelle spalle, passandosi una mano fra i capelli che, alla luce del sole, avevano
dei riflessi stupendi color dell’oro. “È un farmaco sperimentale…è normale che
spesso non funzioni.”
“Cosa c’entra, io
non sono un esperto, ma credo che se tutti gli scienziati ragionassero così non
si scoprirebbe più nulla.” Borbottò seccato. “Perché non ci riprovi?”
“Non è così
semplice, Kudo. Credi davvero che starei ancora così se sapessi inventare
l’antidoto al veleno? E poi, è troppo pericoloso. Non mi va di somministrarti
qualcosa che potrebbe ucciderti.”
“Non ti sei fatta
molti problemi di questo tipo quando hai inventato quel tuo stupido veleno che
rovina la vita alla gente, mi pare!!” disse infuriato prima di potersi fermare.
Non era tanto quello che stava dicendo a farlo arrabbiare, quanto il modo
in cui lo diceva. Era totalmente fredda davanti a una situazione che per lui era
così difficile…
Ma Ai Haibara
sembrò colpita da queste sue ultime parole. Per un attimo fugace, gli sembrò di
scorgere qualcosa di diverso nei suoi occhi gelidi, un qualcosa che somigliava
innegabilmente a…senso di colpa. Sì, puro e semplice. Insieme ad una
profonda stanchezza, come avesse vissuto quella situazione un milione di volte
nella sua testa. Ma dopo quell’attimo lei tornò quella di sempre, e il suo tono
di voce era distaccato quando parlò:
“Non ho
rimpianti, Kudo. Mi avrebbero uccisa, se non l’avessi fatto. Dammi dell’ipocrita
quanto vuoi, ma non credo che qualcuno potrebbe biasimarmi.” Gli si rivolse, le
sopracciglia inarcate. “Quindi, a meno che tu non voglia minacciarmi di morte a
tua volta, non credo che lo farò.” Una brezza fresca scompigliò i capelli
dell’uno e dell’altra. Conan rise amaramente.
“Beh, non penso
che ne sarei in grado. Dunque non ho alcuna speranza di convincerti, eh?”
Stavolta lei
sorrise, divertita. Lui la guardò perplesso per qualche minuto, prima che
parlasse:
“Non lo so, Kudo.
Dipende.”
“……e da che
cosa?”
“Da te, da me…e
da come andranno le cose con la cimice e la trasmittente che hai attaccato a
Gin.”
“Ho capito…non
vuoi rischiare che Shinichi Kudo si faccia vedere in giro adesso che sai che
l’Organizzazione è da queste parti, non è così?” le chiese retoricamente, con il
suo solito sorriso acuto.
“Sei stato uno
sciocco a liberare Mouri usando la tua voce, Gin non è uno stupido. Farà due più
due prima o poi.” Stavolta sembrava piuttosto preoccupata. Conan si pentì di
averle raccontato la vicenda, ma non ne aveva potuto fare a meno. I congegni per
seguire ventiquattr’ore su ventiquattro gli spostamenti del suo nemico erano a
casa del professor Agasa, e dato che lei abitava lì sarebbe stato impossibile
tenerglielo nascosto. Non voleva che stesse in apprensione: mesi prima le aveva
promesso che avrebbe pensato lui all’Organizzazione, se fosse spuntata fuori.
Tutta la rabbia
verso di lei venne accantonata in qualche meandro recondito del suo animo mentre
le si avvicinava e le posava entrambe le mani sulle spalle. Ai sussultò
lievemente:
“Sta tranquilla.”
Le sussurrò con voce tiepida “Siamo noi a condurre il gioco, per ora; finché lo
spieremo, Gin non potrà certo coglierci di sorpresa e metterci in pericolo.
Vedrai che non appena scoprirò qualcosa di interessante, mi metterò
subito in azione. Fidati di me.” Lei lo squadrò per un attimo, poi annuì. Non
sembrava del tutto calma, ma aveva ripreso il suo atteggiamento indifferente, il
che –almeno credeva- era un miglioramento. Se aveva la forza di indossare quella
posa, non doveva essere così disperata…
“Oh, a
proposito…” disse, mentre si incamminavano di nuovo verso il cortile “…non ho
rimpianti per aver usato la mia voce quando ho salvato Ran. Come non ne ho per
averla usata quando ho salvato te.” Le sorrise, cosa che sembrò colorare
lievemente di rosa le sue guance, intanto che lo fissava a bocca aperta.
“Conan! Ai! Dove
eravate finiti!?” chiese Genta vedendoli tornare, uno strano sorrisetto, mentre
un paio di loro compagni di classe ridacchiavano maliziosi. Conan sospirò
clemente, ma vedendo l’aria afflitta di Ayumi non poté fare a meno di sentirsi
un po’ in colpa. Di che cosa esattamente non ne aveva idea.
“Ayumi-kun…”
esordì a bassa voce, avvicinandosi, in modo che gli altri non sentissero. Lei lo
guardò con gli occhioni lucidi. “C-Conan…Ai-kun è la t-tua…amichetta preferita?”
chiese con un fil di voce, sul punto delle lacrime. Conan sorrise allarmato: “Ma
no cosa dici!! Ai e io siamo solo…ehm…” Ai lo guardò in tralice interessata.
“…compagni di classe. Nient’altro.” Le rispose, gli occhi di lei sembrarono
illuminarsi: “Davvero davvero?”
“Certo.” Il suo
sorrise si fece più ampio, poi gli venne un’idea. “E ho un regalo per te.”
“Oooohh!!
VERAMENTE??” la tristezza della bambina era completamente sparita.
Magari fosse
così facile anche con Ran…
Conan tirò fuori
dalla tasca la biglia di Masked Yaibar, perfettamente lucida e nuova, e gliela
mostrò dal palmo della mano. “È tua, Ayumi. Prendila pure.”
“OOOOHH! È
bellissima!!!” la piccola afferrò la pallina, squadrandola in ogni minimo
particolare, gli occhi che brillavano entusiasti. Conan studiò la sua reazione:
forse era così che avrebbe dovuto reagire anche lui, prese nota a mente.
“GRAZIE,
Conan-kun!!” finita l’analisi del giocattolo l’attenzione della bambina era di
nuovo su di lui. Prima che potesse fermarla, cogliendolo di sorpresa, Ayumi gli
gettò le braccia al collo e lo strinse forte a sé, continuando a gridare i suoi
ringraziamenti. Attraverso i capelli castani della bimba, Conan notò gli sguardi
truci con cui Genta e Mitsuhiko lo stavano fulminando e le occhiate divertite di
Ai Haibara. Udì uno dei bambini che avevano ridacchiato prima chiedere
all’altro: “Ma Conan-kun, quante fidanzate ha?”
“D-Di niente
Ayumi.” Balbettò cercando di sciogliersi dall’abbraccio. Con un po’ di pazienza
ci riuscì, non prima però di aver ricevuto un bacio sulla guancia dalla sua
piccola amica.
“Andiamo a
giocare a baseball!” gridò Ayumi con tono argentino, dirigendosi verso la
piazzola. Genta afferrò la mazza.
“Sì,
giochiamo, Conan-kun.” Sibilò, mettendosi in posizione insieme a Mitsuhiko.
Deglutì
rumorosamente prima di sistemarsi a sua volta.
Mi sa che
dovrò prepararmi a schivare colpi… povero me…
“Auguri, Kudo.”
mormorò Ai con una gioia immotivata, strizzandogli l’occhio mentre Ayumi non
guardava. Lui sbuffò, infilandosi il guantone.
Donne…a volte
sono proprio una maledizione…
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Note dell’Autrice:
e su questa nota di maschilismo si è concluso
anche il capitolo diciassettesimo. Che ve ne pare?? È stato un pochino
complicato scriverlo, ho avuto un calo di ispirazione…forse la mente è
ottenebrata al pensiero dei compiti che sto totalmente ignorando.^^; La prima
parte è piuttosto folle, me ne rendo conto. Non so cosa mi passava per la testa…
O__O Comunque, nel complesso, è stato un chap calmo dal punto di vista degli
avvenimenti, e un pochino più solare del precedente: troppa depressione stomaca,
almeno a me. Nei prossimi capitoli succederanno un bel po’ di cosette…ho un paio
di ideuzze niente male (almeno dal mio punto di vista. ^^;) ; rivedremo quei
signori dell’Organizzazione, e ho in mente di re-infilarci la coppietta di
Osaka…^^ L’unica mia preoccupazione è di commettere qualche errore
nell’intreccio…spero di no!! ^^; Faccio del mio meglio per ricordare tutto,
finora spero che la storia fili.
Beh, ringrazio
come al solito tutti i miei lettori e quegli angeli che hanno commentato, siete
grandi!
Mareviola:
bene! Ma guarda che il mio non era un rimprovero, eh! Ci
mancherebbe!!^^ Grazie per la recensione, la tua costanza è ammirevole!!
Ginny85:
ciao Ginny! Anch’io sto bene, spero di non averti fatto aspettare troppo
l’aggiornamento; come hai visto i miei protagonisti stanno un po’ meglio in
questo capitolo…non tantissimo, certo, ma d’altronde è passata solo una notte!
Per fortuna che nessuno dei due è il tipo che si piange addosso a lungo! ^__^
Come al solito, ti ringrazio tantissimo dei complimenti, quello che avete detto
sia tu sia Sabry e Primechan mi ha colpita: anch’io mentre scrivo mi immedesimo
nei personaggi, descrivo quelle situazioni immaginando di viverle io stessa,
cercando di renderle così il più reali possibile, dunque sono felicissima che vi
arrivino in questo modo. Hai ragione comunque, Conan è stato proprio un amore
nello scorso capitolo! E anche in questo non scherza! ^//^ Ran…beh, è un po’ in
crisi, come hai potuto vedere. Ma non preoccuparti: per quanto voglia tapparsi
le orecchie, le parole di Conan le ha sentite eccome!
APTX4869:
grazie dei complimenti…anch’io rosico un po’ che non ci siano molti episodi
dedicati a Shinichi & Ran, anzi, direi che sono più unici che rari. Oooh!
Davvero pensi che la mia ff potrebbe stare nel manga!? * __ * Ma sei
adorabile!^^ Grazissime!! Il bacio che Ai ha dato a Conan è stata una mia follia
lì per lì, un’idea che mi è venuta sul momento e che ho colto al volo. Per
quanto riguarda un possibile bacio fra Shinichi e Ran…beh, non ti prometto
niente ma…vedrò quello che posso fare!! Okay? ^ _ ~ Una curiosità: ma perché hai
scelto come nick proprio il veleno che ha rovinato la vita a Shinichi??
Yuki:
ciao! Eh sì, povera Ran…ma povero anche Shinichi, non pensi?^^; Dell’antidoto (e
del veleno) se ne riparlerà in seguito, perciò è meglio se per il momento non
strozzi Ai, può sempre servire. ^__^
Hoshi:
davvero ti ho commossa?? Mi spiace di averti messo addosso l’angoscia, anche se
sinceramente un po’ ne sono lusingata. Ho una vaga idea che non ti saresti fatta
tutti gli scrupoli di Conan se Ai avesse chiesto a te se volevi minacciarla di
morte, vero? ^ __ ~
Leo:
grazie!^^ Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che sia arrivato
abbastanza presto.
Sabry1611:
ciao! Ti ringrazio tantissimo per i complimenti
sia sullo stile che sulla storia; le recensioni mi aiutano sempre e mi fa
piacere che tu abbia deciso di scriverne una!^^ Come ho gia detto a Ginny, sono
molto contenta che riusciate ad immedesimarvi nella storia e spero tanto che
continui ad essere sempre così! ^__^ Ancora tante grazie, spero di risentirti!
Primechan:
oohh…anche tu ti sei commossa?? Anche se sembra crudele, devo
dirlo: mi fa davvero piacere riuscire a farvi provare emozioni così forti! Spero
solo che in futuro si tratti di qualcosa di un po’ più allegro.. ^^; ti
ringrazio tantissimo per le lodi, comunque; sei una fan delle coppie
‘classiche’ del manga, eh? Beh, ho l’intenzione di far comparire di nuovo Heiji
e Kazuha nei prossimi capitoli, contenta? ^ __ ~ Glielo devo, dopo il modo
brusco in cui li ho interrotti l’ultima volta. Ma guarda che Conan/Shinichi è
proprio dolce di suo, anche se cerca di fare il duro!#^^# Grazie degli auguri,
ormai il Natale è passato, ma spero comunque che tu l’abbia trascorso
piacevolmente!
Vichan:
ciao Vi! Grazie dei complimenti, sono contenta che tu abbia letto anche questa
ff oltre che la mia one-shot…e che ti siano piaciute entrambe! Anch’io adoro sia
il giallo che Conan. #^^# Ora le acque si sono un po’ calmate dal punto di vista
del poliziesco, ma vedrai che il piccolo detective dovrà presto rimboccarsi le
maniche! Heiji e Kazuha…li rivedremo di sicuro, appena scopro quando, come e
perché ti avverto! No, scherzo, ho un bel piano in mente anche per loro due.
Okay, solite
note: in questo chap c’è un piccolo riferimento al manga, il vol.24, il cui
episodio corrispondente è apparso non molto tempo fa su Italia1. Per chi
l’avesse perso o non lo ricordasse, succede che Ai, tornata momentaneamente
grande, sta per essere uccisa da Gin, quando Conan interviene urlandole un
messaggio con la sua voce adulta, attraverso il simulatore. Capite dunque a cosa
si riferisce il piccolo detective quando si rivolge alla biondina verso la fine
del capitolo…^^ “Masked Yaibar” è il cartone animato preferito di Ayumi, Genta e
Mitsuhiko. Riferimenti a questo personaggio, anche minimi, compaiono piuttosto
frequentemente nel manga, dunque è impossibile ricordarli tutti. Oh, quasi
dimenticavo: anche il vol.1 per quanto riguarda il giorno al Tropical Land.
Questo è tutto
gente. Nel prossimo capitolo
ci saranno meno riflessioni e più azione, o almeno così vorrei.^^”
Ora, se non vi dispiace troppo, mi farebbe piacere che commentaste.
A presto
-Melany
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Capitolo 18 *** Show Must Begin ***
Nuova pagina 1
18. Show Must Begin…
“Sono tornata.”
Annunciò Ai
entrando in casa, prima di poggiare la cartella all’ingresso e dirigersi verso
il divano. Dietro di lei fece capolino Conan, che al contrario filò dritto
davanti alla macchina delle intercettazioni, le sopracciglia inarcate.
“Ciao Ai, e ciao
anche a te, Shinichi.” Disse il professor Agasa, per nulla sorpreso di vederlo
lì: Conan non era stato per nulla felice di apprendere che, dato che la cimice e
la trasmittente erano molto più sofisticati e coprivano un’area maggiore di
quelli che usava di solito, non avrebbe potuto seguire le trasmissioni con i
suoi occhiali. Non poter tenere d’occhio la situazione minuto per minuto era
stato a dir poco frustrante, per lui.
“Novità?” chiese
il giovane detective brusco, senza smettere di fissare il macchinario e cercando
di decifrare invano i tabulati. Ai distolse lo sguardo dalla rivista che aveva
aperto, in ascolto, cosa che fece sorridere l’anziano dottore: anche se non
l’avrebbe mai mostrato, anche lei era ansiosa di conoscere gli sviluppi.
“La trasmittente
segnala che il sospettato MIB1 si trova in un luogo a 60km est da qui. La cimice
non ha ancora dato risultati, per ora.” Lo informò con tono pomposo.
“Il sospettato
MIB1!?” chiese Conan, alzando un sopracciglio con una strana espressione.
“Gin. Non l’avevi
capito?” rispose incredulo il dottore.
“Certo che
l’avevo capito!” replicò Conan esasperato “Quello che volevo sapere è perché
MIB…Oh mio Dio.”
Esclamò infine
scuotendo la testa, cosa che lo infastidì non poco.
“Men In
Black…come il film. Ci calza a pennello…in fondo, sono gli Uomini in
Nero.”
“Grazie, Ai-kun.”
Disse il professore con un sorriso.
Conan sbuffò e
socchiuse gli occhi, mormorando qualcosa che sembrava “Ma guarda con che
buffoni mi tocca lavorare” e il professore lo guardò risentito, un po’ come
quando lo criticava per le sue invenzioni.
“Non ti piace
Shin-chan? L’idea è stata mia.”
Conan rabbrividì,
sbarrando gli occhi: no, non era possibile, quella voce…
Si voltò,
ritrovandosi davanti una donna molto attraente, di trentasette anni, con una
folta chioma rosso scuro e un sorriso dolcissimo sulle labbra, che lo colse di
sorpresa abbracciandolo stretto prima che potesse sottrarvisi.
“MAMMA!?!?”
soffiò, più che pronunciare, dato che lo stava quasi soffocando.
“Ciao piccolo! Ti
sono mancata?” disse, staccandosi e baciandolo sulla guancia, lasciandogli
un’impronta di rossetto cremisi ben visibile. Lui arrossì, pulendosi col dorso
della mano, mentre Ai ghignava un “Che teneri.”
“Che ci fai qui??
E dov’è papà?”
“Serve un motivo
per venire a trovare il mio bambino?” notò che aveva ignorato volutamente la
seconda domanda.
“Hmph.” Si
allontanò da lei con aria seccata, sedendosi sul divano, accanto alla biondina.
“Oh! E questa
bambina chi è?” chiese Yukiko Kudo, rivolgendosi a lui.
“Si chiama Ai. Sa
di me, ma possiamo fidarci.” Si limitò a spiegarle suo figlio. Inspiegabilmente,
la piccola scienziata sorrise quando udì le ultime parole.
“Piacere, Ai-chan.”
Yukiko le strinse la mano con un sorriso “Sarebbe piacevole conoscerci meglio,
piccolina. Ho sempre desiderato una figlia femmina, lo sai?”
“Scusa tanto se
sono nato maschio.” Brontolò Conan leggermente risentito. Lei gli scompigliò i
capelli con affetto prima di rivolgersi di nuovo ad Ai. “Allora che ne dici?
Potremmo uscire qualche volta.”
Ai batté più
volte le palpebre, scrutandola attentamente, poi scrollò le spalle. “Se le va…”
Yukiko annuì,
rivolgendosi di nuovo a suo figlio.
“Agasa mi ha
raccontato tutto, hai un piano, vero Shin-chan? Non mi va che corri rischi
inutili…” disse, una nota di preoccupazione nella voce. Conan la guardò negli
occhi, dello stesso colore dei propri, parlando in tono serio.
“Non
preoccuparti, mamma. Sono preparato.” Si limitò a dire, accennando un sorriso
rassicurante.
“Dunque hai un
piano…di che si tratta?” insisté, lui scosse la testa.
“Meno ne sai,
meglio è, credimi.”
“È un po’ la sua
filosofia di vita, almeno per quanto riguarda chiunque tranne se stesso.”
Commentò Ai, facendo ridere la madre e sbuffare il figlio.
“Ah, Shin-chan…come
sta Ran? Ho saputo del trambusto di ieri sera…” chiese la donna con apprensione.
Conan distolse lo sguardo da quello di lei. “Sai com’è fatta…è una ragazza
forte. Stamattina stava meglio, anche se…non importa. Lasciamo stare.” Aveva
parlato con voce molto fioca, chiudendo gli occhi verso la fine.
“Oooh, povera
cara…vorrà dire che andrò a parlarle, più tardi.”
“Non è una buona
idea.” Rispose Conan in fretta. Se c’era una cosa che aveva imparato nella sua
vita di unico figlio dei Kudo, era questa: Mai lasciare i genitori
incustoditi. Era terrorizzato all’idea di quello che avrebbe potuto
combinare.
“Io credo di sì.”
Replicò Yukiko, inarcando le sopracciglia e buttandosi dietro le spalle la folta
chioma.
“Non puoi
farlo!”
“E chi me lo
impedirà? Tu, moccioso?” sorrise maligna, con un’espressione di superiorità
davvero simile a quella del figlio quando incastrava un colpevole. Una faccia
del tipo: è inutile che insisti, vinco io e tu non puoi
farci niente.
Conan sbuffò,
socchiudendo gli occhi e incrociando le braccia. Tutti e tre i suoi
interlocutori ritennero troppo pericoloso informarlo che in quello stato
sembrava realmente un bambino di sette anni imbronciato.
Ciononostante,
dietro quella smorfia arrabbiata, la sua mente di detective si era attivata: non
riusciva a capire cosa fosse esattamente, ma percepiva che gli fosse
sfuggito qualcosa. Non era la prima volta che succedeva, spesso qualche
particolare che non ricordava l’aveva tormentato, durante le sue indagini: di
frequente si trattava di qualche cosa che magari aveva visto, o sentito o notato
di sfuggita e a cui non aveva dato peso, che però poi si rivelava fondamentale
per la risoluzione del caso. L’aveva sempre infastidito a non finire, quella
sensazione orribile, come di un nodo all’altezza del cervello che non riusciva a
sciogliere; e adesso si sentiva proprio così, senza arrivare a capire cosa fosse
esattamente la cosa che non quadrava.
Spero almeno
che non si tratti di qualcosa che riguarda ieri, contro Gin e Vodka…Uffa perché
non ne vengo a capo?? Pensa, Kudo, PENSA…
Si portò senza
nemmeno accorgersene le dita alle tempie, cominciando a muoverle in circolo,
esortando la mente a lavorare. Tutti e tre lo guardarono sorpresi:
“Qualcosa non va..?
Ti gira la testa?” chiese Yukiko, in ansia come qualunque madre del mondo
sarebbe stata al suo posto; Ai distolse di nuovo lo sguardo dalla rivista.
“Tutto okay,
mamma.” Rispose lui abbassando le mani. “È solo l’attesa…è un po’ snervante.”
“Oohh…hai
ragione! Potrei prepararti una bella tazza di camomilla, che ne dici, tesoro?”
“No, mamma, non
importa…” cercò di replicare, ma Yukiko era già diretta verso la cucina.
“Faccio in un
minuto. Non ti dispiace, vero Agasa? Ai-kun, perché non vieni ad aiutarmi?”
Nessuno ebbe il
tempo di rispondere. A dirla tutta, nessuno ebbe il tempo nemmeno di aprire la
bocca per rispondere, che sua madre era già in cucina. Ai scrollò le
spalle e si alzò.
“Bel tipo tua
madre, Kudo.” commentò prima di sparire a sua volta dietro la porta.
Conan sbuffò,
ricominciando a pensare a quel dannatissimo nodo da sciogliere. Cosa DIAVOLO era
che alla sua mente non stava bene?? Forse aveva a che fare con le informazioni
date dalla trasmittente..? 60km a est della casa del professore…non sembrava
quello. Comunque, meglio saperne di più, ora che quelle due erano fuori dai
piedi.
“Hai controllato
cosa c’è a 60km est da qui?” chiese, sperando di vedere un raggio di luce
nell’ombra.
“Sì, ho pensato
che me l’avresti chiesto. È un albergo, piuttosto lussuoso. Non si è mosso da lì
per tutto il giorno.”
Il che è
abbastanza strano...possibile che non abbia nulla da fare? Poco probabile, visto
il lavoro che fa…
Ma lui aveva
attaccato la trasmittente alla suola della scarpa, dove sarebbe stato più
difficile vederla. Dunque poteva sempre aver cambiato scarpe, quel giorno.
Pregava almeno che, togliendosele, non l’avesse vista.
No...l’avrebbe
distrutta…come l’ultima volta…
Sospirò, di nuovo
massaggiandosi le tempie. Le insidie che si nascondevano dietro quell’impresa
erano molte di più di quelle che aveva visto il giorno prima. Certo, trovare i
quartier generali, organizzare retate…una passeggiata, eh? Peccato che le
persone contro cui si stava mettendo erano un’Organizzazione internazionale di
assassini spietati; e per quanto fosse convinto che una persona che sceglieva la
strada della malavita non potesse essere poi così intelligente, doveva
ammettere suo malgrado che Gin era maledettamente astuto, oh sì; e lo era anche
Vermouth, e chissà quanti altri agenti di quella terribile Organizzazione. Come
aveva detto Heiji, si era cacciato in un gran brutto guaio.
Beh, Sherlock
Holmes era convinto che fosse più facile prevedere le mosse di un criminale che
agisce con metodo e intelligenza piuttosto di uno istintivo e stupido. Ne deduco
che dovrei sentirmi avvantaggiato…
Rise, il
professore lo guardò inarcando un sopracciglio cespuglioso, confuso; lui si
limitò a scuotere la testa in segno di rassicurazione. “E la cimice? Potrei
sentire cosa ha captato?”
“È inutile,
Shinichi. Non ci sono stati discorsi, o…”
“Lo so; ma voglio
ascoltarla lo stesso. Qualsiasi rumore può rivelarsi utile.” Disse in tono
saccente, il dottor Agasa sbuffò, cercando la registrazione.
“Urgh!”
Un dolore
lancinante lo colse all’improvviso all’altezza del cuore; si portò le mani al
petto, stringendo la stoffa della maglietta, mentre il suo corpo domandava
insistente ossigeno che i polmoni, pur lavorando affannosamente, non riuscivano
a immettere. Sentiva scosse di dolore convergere tutte contro il cuore,
violente, mentre la fronte cominciava a sudare freddo, il corpo che tremava
senza che riuscisse a bloccarlo. In pochi secondi, si sentì debolissimo e
malato, un sapore acido in bocca che gli faceva venir voglia di dare di stomaco.
“Shinichi!?!
SHINICHI, CHE TI SUCCEDE??” Il professore gli venne vicino, pallidissimo in
faccia.
Conan aprì la
bocca, cercando di dirgli qualcosa, ma le parole vennero sostituite da un grido
di sofferenza. Dio, si sentiva quasi…come se stesse…bruciando
vivo.
“Shinichi!? AI,
YUKIKO, VENITE PRESTO!”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Ai si chiuse la
porta della cucina alle spalle, mettendosi le mani dietro la schiena e
aspettando richieste da parte della madre di Kudo. Lei prese il pentolino dallo
scolapiatti e lo riempì d’acqua, mettendo il tutto a bollire sul fornello.
“Dove tenete la
camomilla, piccola?”
“Primo sportello
da sinistra, terzo scaffale.” Rispose indifferente. Mentre sistemava le tazze
sul tavolo, notò che Yukiko aveva davvero un bel fisico, e per avere quasi
quarant’anni era davvero molto attraente. Yukiko Kudo era la dimostrazione
vivente che a non tutti serviva il suo composto per restare giovani a lungo. La
osservò attentamente inclinando la testa di lato. “Lei ha lavorato nel cinema?”
chiese, la donna sorrise a trentadue denti, arrossendo.
“Sì! Mi sorprende
che tu te lo ricordi. Ho smesso molti anni fa, quando mi sono sposata e ho avuto
Shin-chan.”
Ai scrollò le
spalle: “Il suo nome da nubile era qualcosa come…Fu…Fuji...”
“Fujimine, sì.”
annuì la donna. “Ma come lo sai?”
La piccola
scienziata abbassò lo sguardo sul pavimento. Ad Akemi piaceva molto vedere i
vecchi film; sosteneva che il cinema era decisamente peggiorato nei tempi
moderni, che tutto si giocava più sull’accaparrarsi gli attori famosi piuttosto
che sulla storia. Spesso erano state in disaccordo su questo punto, e non era
raro che i loro scambi di opinione si…animassero, qualche volta. Ma
quando le avevano divise, si era ritrovata a guardare a sua volta quei film,
nelle sere in cui si sentiva particolarmente sola, immaginando di stare con lei.
Spesso le dava conforto, sapere che probabilmente stavano guardando la stessa
pellicola. Era un po’ come se stessero insieme, e non a miglia di distanza.
Uno dei film
preferiti da sua sorella era proprio uno la cui protagonista era la signora qui
presente. Si intitolava “Amore e Morte a Broadway”, era uno di quei film pieni
di sparatorie, in cui la donna del capo criminale si innamorava del poliziotto
eroico. Alla fine, insieme riuscivano a sgominare la banda di assassini e si
sposavano.
La trama era
piuttosto scontata e decisamente troppo smielata per i suoi gusti. Akemi da
parte sua l’adorava, e frequentemente si era chiesta se le analogie con la loro
situazione c’entrassero qualcosa. Magari sua sorella si sentiva un pochino
rincuorata nel vedere che, aiutata da un poliziotto, la ragazza riusciva a
liberarsi dalla tirannia dell’organizzazione criminale. Non che lo credesse
veramente possibile…ma a volte capiva che doveva essere bello lasciarsi andare
nei sogni.
Come stava
facendo lei, no?
Ironia della
sorte, alla fine era stata lei a credere più di Akemi a quella favola della
buonanotte: e adesso, Kudo era il suo poliziotto eroico, e lei la donna che
cercava di staccarsi dall’organizzazione criminale. L’unico problema era che
dubitava fortemente che potessero vincere e finire sposati.
Anche se, pur
volendolo negare a se stessa…un po’ ancora si illudeva.
“Ho visto un suo
film.” Si limitò a informarla, reprimendo una fitta al cuore al pensiero che
avrebbe potuto chiederle un autografo per sua sorella, se quest’ultima fosse
stata ancora viva. Ne sarebbe stata contentissima.
Yukiko annuì
sorridente, mettendo il filtro nell’acqua ormai bollente.
“Piccola, dove
sono i tuoi genitori?” domandò la donna con noncuranza, riempiendo le tazze.
“Sono morti.”
Rispose cupa. Yukiko la guardò con gli occhi sbarrati, improvvisamente lucidi.
“Mi dispiace,
Ai-kun. Ma avrai qualche parente, no? Un fratello…o una sorella…”
“No. Anche mia
sorella se n’è andata.” Ai sentì un groppo in gola, difficile da inghiottire.
Smise di nuovo di guardarla.
“Oohh, povera
cara. Dev’essere stato difficile per te.” La sentì dire tristemente. “Ma…come è
successo?”
Ai scrollò le
spalle bruscamente. “È pronta la camomilla?” chiese, risoluta a non parlare più
dei fatti propri con una mezza estranea, seppure la madre di Kudo.
“Oh, sì. Mi
dispiace se sono stata inopportuna.” Si scusò, lei annuì.
“…anche se spero
che questa tua difficoltà a parlarne non voglia dire che ti senti in qualche
modo responsabile.”
“COSA?” sbarrò
gli occhi, guardando incredula la donna, che le sorrise gentilmente.
“Lasciamo stare,
andiamo di là.”
“NO, aspetti!
Cosa intendeva dire con..?”
“AI! YUKIKO!
VENITE PRESTO!”
La voce
terrorizzata del dottor Agasa le interruppe. Entrambe le donne, rimpicciolite o
meno, si precipitarono nel salotto, sbarrando gli occhi vedendo lo spettacolo
che gli si presentò davanti: il professore, bianco come un lenzuolo, era chino
vicino al divano, dove Conan giaceva sdraiato, il pugno all’altezza del petto,
gli occhi chiusi e la bocca serrata in una smorfia di dolore. Il viso e il collo
erano in fiamme, sudati. Tremava da capo a piedi.
“Ma cosa..?”
balbettò Yukiko, le mani sulla bocca.
Ai si avvicinò al
divano, apparentemente sempre fredda e risoluta, solo una sfumatura di
preoccupazione nei suoi occhi gelidi, la fronte aggrottata in quella che
sembrava una profonda concentrazione. Se avesse indossato il camice, sarebbe
sembrata davvero un medico che visitava un paziente. Mise due dita sul collo di
Conan.
“Da quant’è che
sta così?” chiese distaccata.
“Pochissimo, vi
ho chiamate subito. Non capisco, stava bene, e ad un tratto, ma che cos’ha?”
disse il professore tutto d’un fiato. Ai annuì.
“Signora, vada in
bagno, nel cassetto dei medicinali dev’esserci una scatola di Valium. Non sono
un medico, ma ho l’impressione che se il cuore continua a battergli in questo
modo potrebbe venirgli un infarto. Professore, vada in laboratorio, mi porti la
scatola blu che sta sul banco. In fretta.” Aggiunse, quando vide che esitavano.
Quando furono scomparsi, guardò l’orologio.
“Esattamente
quattro ore e trentasei minuti dalla comparsa dei primi sintomi.” Lanciò
un’occhiata a Conan, incapace di parlare, ancora ansimante sul divano. Se il
dolore gli aveva lasciato un po’ di spazio per pensare, sapeva quale era la sua
domanda. O la sua speranza…illusione…
“Mi dispiace,
Kudo. Non è come pensi. Ho paura di…di aver commesso un errore terribile.” La
voce divenne fioca nell’ultima parte, ma non sapeva se lui l’avesse udita.
Sembrava l’incarnazione del dolore stesso. Si mosse per asciugargli la fronte,
ma non fece in tempo: Yukiko era tornata con la confezione di Valium.
“Quante..?”
“Dieci gocce.”
Preferì dargli la dose consigliata ai bambini. La donna gliele fece prendere con
delicatezza, mentre il professore tornava con la scatola che gli aveva chiesto.
Conan non smise di agitarsi, gemendo ad una fitta di dolore particolarmente
forte.
“Quanto..?”
“Un quarto
d’ora.”
Ai aprì la
scatola, scorrendo velocemente i fogli, trovando un punto e cominciando a
studiarlo attentamente, la fronte aggrottata. Gli altri due non riuscivano a
credere che riuscisse a rimanere così impassibile. Ma lei sapeva benissimo che
agitarsi non serviva a un bel niente, doveva mantenere una mente fredda, se
voleva ragionare lucidamente.
Continuò a
studiare gli appunti, mentre i gemiti di dolore si attenuavano lentamente, fino
ad esaurirsi.
“Che cosa..?”
chiese Conan con voce flebile, roca, il respiro ancora affannoso, riuscendo ad
aprire gli occhi.
“Ti sei sentito
male, tesoro, ma ora va tutto bene, sta’ tranquillo.” Rispose Yukiko,
asciugandogli il sudore con una salvietta. “Vedo di nuovo i tuoi bellissimi
occhi azzurri, Shin-chan.” Aggiunse con un sorriso.
“Ma, perché mi
sono sentito male? Ai..?” chiese, un fil di voce, voltando leggermente la testa
verso di lei.
“Colpa della
capsula che hai ingerito ieri.”
“Vuol dire
che…sta per fare effetto?” chiese fiducioso.
“No.” Preferì
distruggere subito le sue speranze, evitando di guardarlo negli occhi per non
vedere la sua delusione. “Non ne sono sicura, ma ho una teoria: le dosi non
erano abbastanza per trasformarti, ma il tuo metabolismo ne è stato comunque
danneggiato. A questo punto, c’è una sola soluzione. Procedere con un programma
di disintossicazione, in poche parole: non somministrarti nulla per i prossimi
mesi.”
“Giusto.” Dissero
in coro il professor Agasa e Yukiko. Ai lo guardò e vide i suoi occhi blu
puntati su di lei, anche se le palpebre non erano completamente aperte. Il suo
sguardo era intenso.
“Bene.” Commentò
Conan “Faremo così. Non ho altra scelta, d’altronde.” Riuscì a sorridere,
nonostante il ricordo del dolore appena sopportato fosse ancora vivo nel suo
corpo, sempre rivolto a lei. Poi si voltò verso sua madre: “Vorrei riposare un
po’, se non vi dispiace. Potete lasciarmi solo?”
Il dottor Agasa e
Yukiko annuirono, lasciando la stanza. Ai fece per imitarli, rimasta indietro
per raccogliere le carte, ma la voce di Conan, che aveva ripreso un po’ di
colore, la bloccò:
“C’è un’altra
possibilità, vero?”
Non era una vera
domanda, piuttosto una considerazione in forma interrogativa. La piccola
scienziata lo guardò: sullo stesso volto prima invaso dalla sofferenza, riuscì a
formarsi un’espressione astuta appartenente più a Shinichi che a Conan. Gli
occhi blu brillavano e le labbra le sorridevano ancora, in modo scaltro.
“Cosa te lo fa
pensare?” ribatté in tono indifferente.
“Chiamala
un’intuizione. Avanti, dimmi la verità.”
“D’accordo.” Si
arrese con un sospiro. Capì che sarebbe stato inutile insistere: Kudo era
testardo come un mulo, quando ci si metteva, sapeva che non avrebbe lasciato
correre. Fece comunque un ultimo tentativo:
“Ma ritengo che
sia molto meglio optare per la prima possibilità.”
“Sta a me
decidere della mia vita, Ai. Non mi va di discutere, sono distrutto, perciò
adesso dimmi qual’è l’altra.” Insisté lui, spazientito.
“Va bene.
Procedendo con la prima soluzione…”
“Ancora..! Ho
detto che voglio sentire l’altra!” esclamò esasperato. Ai gli scoccò uno sguardo
temibile che lo zittì all’istante.
“Procedendo con
la prima soluzione, il composto continuerebbe a premere sul tuo metabolismo,
cercando di sfociare in quello che è la sua riuscita, ovvero farti crescere. Ma
le dosi non sono sufficienti e ciò si tramuterebbe quindi in attacchi come
quello di oggi, sempre meno violenti, che si esaurirebbero una volta che il tuo
corpo avesse assorbito completamente la capsula.” Spiegò atona, scoccando
un’occhiata ai fogli.
“Scusa tanto, ma
non avevi previsto che potesse succedere una cosa del genere?” chiese, un po’
brusco.
“L’avevo
previsto. E ti avevo avvertito. Ma tu diventi stupido quando si tratta di quella
ragazzina.” Replicò, ignorando il suo sbuffo risentito e l’occhiataccia che le
aveva riservato sentendola parlare in quel modo di Ran.
“La seconda
soluzione è molto più rischiosa. Si tratterebbe di somministrarti adesso uno
speciale composto, leggermente diverso da quello di ieri, che dia…come posso
fartelo capire…” di nuovo lo sbuffo risentito di lui.
Mi sta
trattando come un deficiente o cosa??
“…un imput
maggiore al composto, permettendo così di sfociare in quello che è il risultato
e finirla una volta per tutte.”
“Cioè tornerei
Shinichi?? Ma è magnifico!!” esclamò lui, entusiasta.
“Aspetta a dirlo.
È pericoloso. Se sbaglio anche solo di poco la composizione della capsula tu
morirai. E io non l’ho mai fatto, non su un essere umano almeno, e non posso
fare tentativi, a meno che non mi porti una decina di persone sacrificabili.
Dunque…” lasciò a lui il compito di immaginarsi il resto. Conan sospirò.
“Beh, non sarebbe
la prima volta che faccio da cavia per composti sperimentali. Anche l’APTX non
era mai stata testata su un essere umano, quando me l’hanno fatta inghiottire.”
Disse, e ad Ai sembrò che, oltre a parlare con lei, stesse in qualche modo
cercando anche di persuadere se stesso.
“Appunto. Non
puoi sempre camminare sul filo del rasoio e sperare che ogni volta fili tutto
liscio. Rinuncia, Kudo.” affermò decisa, ravviandosi i capelli. “Inoltre”
aggiunse “ti ho già detto stamattina che non ho alcuna intenzione di
somministrarti composti pericolosi, soprattutto ora che l’Organizzazione è da
queste parti. Al punto in cui siamo ora, potremmo morire tutti e due in entrambi
i casi, sia che funzionasse o no. Io non voglio che la nostra copertura salti
solo perché devi correre dalla tua ragazza, non ho alcuna intenzione di
sacrificarmi perché non riuscite a tenere a freno gli ormoni.” Il tono era
tagliente, a dispetto della solita neutralità, Conan sembrò accalorarsi.
“Che ne sai tu di
me e di Ran? Come ti permetti di parlarmi così??”
“Io vedo le cose
dalla giusta prospettiva. Tu sei troppo coinvolto emotivamente per capire che,
se continuiamo così, Mouri sarà la causa della nostra rovina. Pensaci.” Replicò
fredda, senza battere ciglio alla sua rabbia.
“Al diavolo! Non
devo giustificare le mie scelte con te. Sei stata tu a chiedere il mio aiuto, se
non ti piacciono i miei metodi sei libera di andartene.” Gridò lui, alzandosi a
sedere e ignorando il capogiro che gli costò. Lei lo fissò impassibile, le
sopracciglia inarcate.
“Ma se resti qui”
riprese “Non azzardarti a dirmi come fare il mio lavoro, e limitati a fare il
tuo. Prepara quella capsula, sta a me decidere se prenderla o meno.”
“No.”
La risposta fu
secca e immediata. Ai lo fissava imperturbabile, solida come un monolito di
pietra, che nonostante i suoi sforzi non era riuscito nemmeno a intaccare.
Conan rimase in
silenzio, sdraiandosi e chiudendo gli occhi. Ai osservò il suo petto alzarsi e
abbassarsi a ritmo col suo respiro, sempre più regolare e calmo. Pensò che si
fosse addormentato e fece per andarsene, ma di nuovo la sua voce interruppe il
silenzio, profonda e pacata nonostante i toni infantili, un lieve sussurro,
appena percettibile.
“Per favore.”
La stava di nuovo
guardando. I suoi occhi blu erano così intensi, così penetranti, puntati nei
propri. Poté vedere molte cose in fondo a quell’oceano, tristezza, disperazione,
dolore, solitudine, speranza. Verso di lei. Verso la sua risposta. Avrebbe
dovuto rifiutare, lo sapeva. Lo avrebbe fatto, almeno così era convinta. Finché
lui non pronunciò quell’altra frase.
“Fallo per me,
Ai.”
Il monolito non
sembrava più così solido, così impenetrabile. Improvvisamente, pensò a tutte le
cose che lui aveva fatto per lei, alle volte che aveva rischiato la sua vita per
salvarla, a quelle in cui l’aveva tirata su di morale, dandole il sostegno che
mai nessuno al mondo le aveva donato dopo la scomparsa di sua sorella. Nella sua
mente molte immagini, lei che piangeva disperata abbracciata a Kudo, lei che,
indossando il giubbetto di lui, veniva portata sulle sue spalle lontano dalle
fiamme, il viso di lui a pochi centimetri dal proprio, mentre le faceva
indossare i suoi occhiali per proteggerla, i suoi occhi, ogni volta che la
rassicurava, il suo sorriso. Shinichi Kudo, che credeva in lei nonostante tutto,
che aveva volutamente dimenticato il suo sporco passato, che l’aveva accolta
nella cerchia dei suoi amici più fidati.
Fu così che,
senza nemmeno rendersene conto, acconsentì. Conan le sorrise in un modo che le
fece scordare l’errore appena commesso, prima di sussurrarle un tenero “grazie”
e chiudere di nuovo gli occhi, intenzionato a riposare.
Ai sospirò, poi
si diresse in laboratorio.. Prima che la sua mente fosse totalmente assorbita da
ragionamenti, calcoli e elementi, si chiese perché Kudo fosse sempre pronto a
fidarsi ciecamente di lei e dei suoi composti, nonostante i loro trascorsi. E
dire che prima di conoscerlo era convinta che un detective dovesse essere
sospettoso per professione.
*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
Sapeva che
perdersi nell’auto-compiacimento spesso portava a fare errori, ma in quel
momento trovava davvero difficile non farlo; insomma, il suo piano era davvero
geniale, perfetto, uno dei migliori che avesse ordito in tutta la sua
carriera. Sorrise, accendendosi una sigaretta: era quasi il momento di agire,
l’adrenalina cominciava già a salire e a far fremere il suo corpo, accendendogli
dentro una fiamma simile a quella scaturita dal suo accendino d’argento. Era
sempre così, prima di un’azione: quella piacevole sensazione allo stomaco, la
prospettiva di poter ancora una volta avere il potere di strappare la
vita a qualcuno, l’eccitazione nel premere il grilletto e riuscire quasi a
sentire la pallottola che perfora la carne, il sapore del sangue in bocca, le
grida della vittima. Ascoltarlo implorare perdono, sapere di essere più potente
di lui, superiore. Uccidere guardando negli occhi era il massimo, oh sì. Vederli
lentamente svuotarsi dello spirito, del terrore, divenire vitrei, spegnersi
completamente. Sapere che l’ultima cosa che permetteva di vedere alle sue
vittime era se stesso, l’arma che gli puntava contro senza pietà, essere certo
che non potessero pensare ad altro che alla paura, alla consapevolezza di stare
per essere uccisi. Adorava il suo lavoro. Soprattutto ora, che si preparava a
schiacciare finalmente quell’insetto fastidioso che aveva osato pensare di
poterlo battere al suo stesso gioco. L’avrebbe fatto soffrire molto, di questo
era certo; non voleva semplicemente ucciderlo, no, quel bastardo meritava di
essere distrutto. Sarebbe stato meraviglioso vederlo implorare il suo
perdono, che naturalmente lui non gli avrebbe concesso. Illudere le sue vittime
era un’altra cosa che amava.
Spense la
sigaretta con la punta della scarpa, estrasse il cellulare e compose il numero;
“Raggiungimi
all’hotel di Beika-centre, Vodka. Dobbiamo parlare.”
Che
lo show avesse inizio…
*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
Conan stava quasi
per assopirsi, entrando in un sogno che sembrava avere a che fare con dei corvi,
quando una voce metallica, roca, lo destò all’improvviso, facendo ricominciare a
battere il cuore che era riuscito a calmare. Si issò subito a sedere, sbarrando
gli occhi in un misto di sorpresa e attenzione, dirigendo lo sguardo verso i
macchinari lasciati incustoditi.
“Raggiungimi
all’hotel di Beika-centre, Vodka. Dobbiamo parlare.”
La voce di Gin,
ne era certo, nonostante fosse modificata dal congegno; aveva appena chiamato il
suo complice, dunque stava probabilmente per prepararsi ad una nuova missione.
Sorrise, inarcando le sopracciglia, in un’espressione che apparteneva in modo
inconfondibile a Shinichi.
Lo sento,
questa è la volta buona che ti arresto, lurido bastardo…non m’importa cosa dovrò
fare, ma ti assicuro che avrò il piacere di vedere quella tua brutta faccia
dietro le sbarre…
Si aggiustò gli
occhiali sul naso, colpendo nervosamente il pavimento col piede, a ritmo. Quanto
ci avrebbe messo Vodka a raggiungere l’albergo? Ridacchiò, uno sfogo della
tensione: tutto sommato era strano che non fosse già lì, era quasi convinto che
fossero cuciti l’uno all’altro per la vita, che mangiassero, dormissero, persino
che andassero in bagno insieme; non li aveva mai visti divisi…
Ci sarà poco
da ridere quando dovrò affrontarli…uffa, ma quanto ci mette?
Sbuffò,
incrociando le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi. Incredibile quanto
il tempo fosse relativo: il giorno prima passava così in fretta che non faceva
in tempo a guardare l’orologio che l’ora era cambiata, quel giorno era
lentissimo.
Aggrottò la
fronte: ancora non riusciva a capire cosa fosse la cosa che gli sfuggiva, e
adesso aveva anche una strana sensazione di allarme all’altezza dello stomaco.
Sentiva di essere nei guai, ma non riusciva davvero a capire il perché: insomma,
come aveva detto ad Ai, erano loro che conducevano il gioco, finché avevano la
possibilità di conoscere ogni mossa del nemico. Dunque perché..? E quel nodo
alla testa, aveva davvero a che fare con Gin e Vodka?? Insomma, dubitava che si
fosse accorto di qualcosa a scoppio ritardato, era passato quasi un giorno
intero, e si supponeva che non fosse tardo.
Accidenti…non
riesco proprio a ricordarlo…aaaargghhh!!
Scosse la testa,
come se sperasse di scrollarsi di dosso quella sensazione. Era certo che gli
sarebbe venuto in mente, ma era davvero spiacevole e fastidioso tenerselo lì, in
lista di attesa. Anche se ora aveva cose più importanti a cui pensare che a
stupide sensazioni astratte: insomma, era un investigatore, pertanto doveva
essere razionale, pensare solo ai fatti. Se avesse dovuto affrontare un altro
scontro con l’Organizzazione doveva essere preparato e in forma; beh, sulla
prima parte ci avrebbe lavorato una volta conosciuti i piani di Gin, sulla
seconda…attualmente aveva qualche problemino.
Cosa sarebbe
successo avesse avuto un attacco simile a quello appena passato in un momento
critico??
Sempre
fortunatissimo…proprio OGGI mi doveva capitare…un ragazzo di diciassette anni,
ma che dico, un bambino di SETTE anni che teme di avere un infarto…se me lo
raccontassero non ci crederei…
Poteva fare della
facile ironia quanto voleva, ma il problema era imminente e reale. La
possibilità non era da escludere, come non poteva contare a priori sul fatto che
Ai riuscisse a studiare la formula giusta; aveva sbagliato già una volta, no? A
quanto ne diceva lei, era una follia sperare in un successo. E non era detto che
riuscisse a fare la capsula prima che dovesse entrare in azione.
Problemi,
problemi, problemi…cominciava ad essere stufo di tutto questo dover pensare a
soluzioni alternative.
Aprì gli occhi,
scoccando un’occhiata al telefono vicino all’ingresso. Quella era una
possibilità, anche se non lo allettava per niente. Lui era Shinichi Kudo, il
geniale studente-detective, colui che era stato nominato dalla stampa ‘L’unico
salvatore della polizia giapponese’, non un pivellino qualunque. Non aveva mai
avuto bisogno di chiederlo, e non aveva alcuna intenzione di farlo adesso,
soprattutto a lui. Poteva farcela da solo, restava in gamba nonostante
l’handicap, sicuro. Una volta, durante una partita di calcio nella sua vecchia
scuola superiore, aveva preso una tremenda storta al piede destro, tanto che
ogni volta che calciava il pallone sentiva fitte dolorosissime articolarsi per
tutta la gamba; e si era tirato indietro? Si era fatto sostituire da un compagno
di squadra? Certo che no, aveva continuato stoicamente, riuscendo perfino a
segnare una rete. L’unica nota stonata c’era stata dopo la partita, quando Ran
si era offerta di medicargli il piede, divenuto incredibilmente gonfio e rosso;
non che gli dispiacesse sentire il tocco delicato delle sue dita mentre gli
spalmava la pomata, il modo lieve e dolce come una carezza con cui gli sistemava
la fasciatura, quasi senza fargli sentire il minimo dolore. Ma cavoli, in quanto
a prediche seccanti, Ran non era seconda a nessuno! Che avesse preso da sua
madre? Probabilmente sì. Riusciva ancora a vedere il suo viso accigliato, e
nonostante tutto ancora molto bello, e a sentire la sua voce mentre lo accusava
di essere, in poche parole, un pallone gonfiato.
“Sei un vero
idiota, Shinichi, guarda qui come ti sei ridotto per una stupida partita di
calcio! Meriteresti di restare così.”
“Non ti ho mai
chiesto di venirmi a medicare.” Aveva sbuffato lui.
“Ma è proprio
questo il punto! Tu non chiedi mai aiuto a nessuno, nemmeno quando ne hai
bisogno, perché sei così pieno di te da credere di potercela fare sempre da
solo, e ad ogni modo di poter fare qualcosa sempre meglio di chiunque altro, non
è così?” aveva incalzato lei, alzando un po’ la voce.
“Certo che posso
farcela da solo! Mi credi un debole??” ricordava di essersi sentito un pochino
risentito e ferito.
“È questo il
problema; chiedere aiuto non significa essere deboli, anzi, è proprio il
contrario! Ci vuole una grande forza interiore per ammettere i propri limiti.”
Le guance di lei si erano colorate di rosa più acceso mentre parlava, e Shinichi
aveva capito che, una volta tanto in quanto a ragionamenti assennati, Ran
l’aveva battuto.
Tuttavia non
l’avrebbe ammesso davanti a lei, no?
“E se uno non ha
limiti?”
Quella domanda
gli era costata una sberla sul già lesionato piede destro.
Socchiuse gli
occhi seccato, anche se non poté evitare che gli angoli della bocca si
stirassero in un sorriso: innamorarsi di una campionessa di karate aveva i suoi
svantaggi, purtroppo.
Come vorrei
tornare a quei tempi, Ran…quando passare del tempo con te non significava
doverti mentire e ingannare…quando ancora non avevi mai sofferto per colpa mia…
Il sorriso si
trasformò in malinconico. Lanciò un’altra occhiata sofferente all’apparecchio
telefonico: non vedeva altra alternativa, per quanto il suo orgoglio continuasse
a urlare di non farlo. Comunque, si disse, almeno lui era un tipo da non
gongolare su questo genere di cose. Su molte altre sì…ma su questo proprio no. E
in fondo gli aveva già detto che l’avrebbe coinvolto, no?
Il fatto era che
non c’era solo l’orgoglio a fermarlo; farlo partecipe significava metterlo nei
guai, e per quanto fosse di gran lunga meno protettivo nei suoi confronti che in
quelli della sua amica d’infanzia, non voleva che qualcuno morisse per colpa
sua, soprattutto un suo amico. Non se lo sarebbe mai perdonato. E non stavano
andando contro un gruppo di criminali sprovveduti, ma contro un’organizzazione
estremamente pericolosa.
Ma lui è un
detective come me...so che non si farebbe problemi a venire qui se glielo
chiedessi, è una delle persone più leali che conosco…ma sono io che ho qualche
problema a chiamarlo…
Sospirò. Un'altra
cosa a cui pensare. Come aveva detto?? Problemi, problemi, problemi…comiciò a
chiedersi se non era lui stesso a farsene troppi. Perché diavolo doveva essere
sempre così protettivo nei confronti di tutti quelli che gli stavano vicino??
“Ci hai messo
troppo tempo.”
La voce metallica
di Gin lo riscosse dai suoi pensieri: tutti il suo corpo si mise in allerta, le
orecchie tese a captare qualsiasi suono, la fronte aggrottata in una profonda
concentrazione, gli occhi seri e attenti.
“Ehm…mi
dispiace.”
Udì uno sbuffo
seccato, poi di nuovo la voce che odiava di più al mondo.
“Stasera siamo
impegnati, Vodka. Hai presente quel complesso di case popolari abbandonate, alla
periferia ovest di Beika?”
“Sì…ci si
arriva con un paio di ore di macchina, se non sbaglio…”
La conosceva
anche Conan; aveva sentito al telegiornale che il progetto per le abitazioni era
stato intrapreso dal comune e poi abbandonato per mancanza di fondi, adoperati
per altre opere più importanti. Le case, non terminate, non erano adatte ad
essere abitate, così erano lasciate lì a deteriorarsi. Il complesso non aveva
buona fama, pareva che molti delinquenti usassero le costruzioni come rifugio,
per scambi illeciti, e cose così. Insomma, non un luogo dove un genitore
porterebbe il figlio, o dove una persona perbene si farebbe vedere.
“Esatto.
Dobbiamo incontrare degli uomini venuti dal sud America per acquistare un carico
di cocaina, alle undici e mezzo di stasera. Per precauzione, come al solito,
saremo lì un po’ prima per controllare che non vogliano rifilarci qualche
fregatura.”
“D’accordo. Ci
conviene, i capi non sono molto contenti di quello che abbiamo fatto ieri.”
Dentro di sé,
Conan rise sguaiatamente, soddisfatto: e così aveva messo nei guai Gin e Vodka.
Ottimo.
“Hmph.
Comunque, devo occuparmi di un altro affare che ho in sospeso. Vedrai che i capi
chiuderanno un occhio sul fallimento di ieri quando l’avrò messo in atto…domani
sera, ci occuperemo di quel bastardo che ci ha ostacolati.”
Conan sussultò:
stavano parlando di lui. Cosa mai aveva in mente Gin? Cosa sarebbe accaduto
l’indomani sera??
“Come?”
“Studieremo
bene il piano domani mattina; per ora concentriamoci sullo scambio di stasera.”
Shinichi Kudo
sorrise attraverso il viso di Conan Edogawa: dubitava che ci sarebbe stato tempo
per loro per tramare ai suoi danni, dopo quella sera; nella sua mente, già si
stava articolando una strategia per mettere finalmente in prigione quei due
bastardi. Anche se gli sarebbe piaciuto scoprire cosa aveva in mente, stabilì
che non era stato un gran danno; in fondo, nel peggiore dei casi, li avrebbe
ascoltati l’indomani, e sarebbe stato pronto a qualsiasi attacco.
“D’accordo,
Gin.”
“Ora togliti
dai piedi, devo occuparmi di una faccenda da solo.”
Il resto della
trasmissione non fu molto significativo; Conan si alzò dal divano, trafugando la
cassetta con la registrazione della conversazione fra i due e infilandola nella
tasca del giubbetto; se Ai Haibara l’avesse ascoltata, di sicuro avrebbe voluto
partecipare alla sua controffensiva, e non aveva alcuna voglia di metterla in
pericolo. In fondo le aveva detto che, se fosse successo qualcosa, ci avrebbe
pensato lui…
E a proposito
di registrazioni…mi domando che fine abbia fatto la cassetta che incriminava
me…chissà come ha intenzione di usarla Vermouth…
Scrollò le
spalle; pensare a problemi che non avevano soluzioni quando molti più immediati
incombevano sulla sua testa, minacciosi, era davvero inutile e stupido. Dunque,
doveva ignorare il senso di disagio che si era formato alla bocca dello stomaco
al pensiero che una sua confessione fosse nelle mani di un’assassina fuori di
testa.
Una cosa gli era
chiara: sarebbe andato anche lui in quel complesso, per affrontare Gin e Vodka;
beh, avrebbe documentato il loro scambio illecito per dare delle prove contro di
loro alla polizia, poi li avrebbe addormentati con un ago anestetico in attesa
delle volanti, che naturalmente sarebbero state già messe in allerta; infatti,
di lì a poco, avrebbe telefonato all’ispettore Megure con la sua voce adulta,
raccomandandogli di avvertire solo alcuni uomini fidati e di sistemarsi nelle
vicinanze del complesso in modo che fossero subito pronti all’azione. Qualche
agente, come Takagi o Chiba, poteva fingersi un malvivente e gironzolare per le
case…
Non è male
come idea…ma quei due sono miei…sarò io ad assicurarli alla giustizia…
Ora doveva
pensare se coinvolgere o no un’altra persona; Heiji Hattori, per l’esattezza. Si
chiese se al professore avrebbe dato fastidio se avesse fatto un’interurbana dal
suo telefono di casa. Ridacchiò: decisamente sì.
Decise di
chiamarlo con il suo cellulare, così avrebbe avuto anche meno possibilità di
farsi sentire da Haibara. Guardò l’orologio: le due e mezza; sarebbe stato
meglio tornare all’agenzia, quel giorno Ran non aveva allenamenti di karate e
sarebbe tornata subito a casa. Afferrò il giubbetto e la cartella e si diresse
verso la porta, gli ingranaggi della sua mente che ancora si muovevano laboriosi
studiando i particolari del piano.
*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
Una moltitudine
chiassosa di studenti si accalcava verso l’uscita della scuola superiore Teitan,
in un’ondata di azzurro che sommergeva il verde dei parti e il grigio dei
marciapiedi. Sonoko e Ran camminavano vicine, la prima parlando incessantemente
con la sua voce acuta, la seconda sorridendo e annuendo ogni tanto, per
gentilezza, senza davvero prestare attenzione ai discorsi della ragazza dai
capelli castani: non aveva molta voglia di ascoltare i gossip del giorno del suo
liceo, a esser sincera. Comunque, sapeva che Sonoko ci sarebbe rimasta male se
l’avesse costretta a tacere, così sopportava paziente il suo sproloquio: in
fondo sapeva essere davvero una buona amica, se ce n’era bisogno, come quando
aveva ceduto il posto del cavaliere nero a Shinichi, alla recita, cercando in
tutti i modi di portarli a interpretare una scena romantica insieme. Inoltre,
anche se non lo dimostrava spesso, Sonoko era davvero una ragazza dolce, sapeva
che teneva molto alla loro amicizia, e le voleva bene. Quella mattina stessa
aveva voluto conoscere i dettagli del suo appuntamento con Shinichi, e quando
aveva scoperto che non si era presentato aveva fatto di tutto per tirarla su di
morale, cominciando a insultare in tutti i modi il suo amico d’infanzia,
ripetendole in sostanza quanto era stato idiota a fare una cosa del genere a lei
e proponendo poi una visita in gelateria subito dopo scuola per affogare i loro
dispiaceri nei dolci.
“Ti capisco
benissimo, Ran.” aveva sospirato. “Sai quante volte Makoto-kun mi ha promesso di
venire a Tokyo per poi disdire pochi giorni prima per andare ad un’ennesima
competizione da qualche parte in Giappone?”
Era riuscita
perfino a farla sorridere quando aveva suggerito di picchiarli entrambi fino a
fagli implorare perdono una volta che si fossero ripresentati lì. Eh sì, Sonoko
Suzuki poteva avere tutti i difetti di questo mondo, ma aveva un gran cuore.
D’altronde, non si diventava la sua migliore amica per niente…
Sonoko chiuse la
bocca di colpo, guardando sorpresa un punto davanti a loro; Ran la fissò
perplessa per un momento, battendo le palpebre, seguendo poi la traiettoria del
suo sguardo e rimanendo a sua volta stupita: fuori dal cancello, in disparte in
un angolo per non farsi travolgere dall’ondata di studenti liceali in uscita,
c’era una donna dai folti capelli rosso scuro, con una bellezza da diva del
cinema, tanto giovanile che, se avesse indossato la divisa scolastica, sarebbe
potuta essere scambiata per una studentessa. Ran spalancò la bocca, in
un’espressione di sincera sorpresa. Di tutte le persone…
“Ran! Ehi, da
questa parte!” le gridò Yukiko facendole cenno con la mano alzata, non appena la
scorse.
Lei accennò un
sorriso cordiale, dirigendosi verso il punto che le era stato indicato. Sonoko
la seguì, ancora perplessa.
“Ma quella non
è..?” domandò incerta.
“Sì, la madre di
Shinichi.” Sospirò, chiedendosi cosa mai potesse volere da lei; non che le
dispiacesse vederla, insomma, casa Kudo era sempre stata un po’ come la propria,
e si era molto affezionata alla madre e al padre di Shinichi, li considerava dei
secondi genitori, in un certo senso. Aveva idea che la cosa fosse reciproca,
infatti Yukiko la trattava sempre con l’amorevolezza e l’affetto di una madre, e
ricordava un discorso che Yusaku le aveva fatto, quando aveva tredici anni, su
come liberarsi dei ragazzi che potevano importunarla, o farle corti troppo
insistenti.
“Basta colpirli
nel punto giusto, se capisci cosa intendo.” Aveva detto serio ma
facendole l’occhiolino, e lei aveva riso.
“Posso farlo
anche con Shinichi?” aveva chiesto, ancora sorridente.
“Devi farlo
soprattutto con Shinichi, Ran.” la risposta l’aveva fatta ridere ancora di
più.
Adesso sorrise al
ricordo: aveva sempre considerato i Kudo una famiglia davvero buffa. Tutti e
tre insieme avrebbero potuto benissimo essere i protagonisti di una sit-com.
Comunque, la
presenza di Yukiko lì non la entusiasmava, non dopo quello che era successo il
giorno prima con suo figlio. Aveva paura che volesse parlare di quello e la cosa
non le piaceva per niente, anche perché, se Shinichi aveva qualcosa da dire al
riguardo, poteva farlo benissimo da sé. Trovava immaturo mandare avanti la
mamma, insomma, non stavano mica alle elementari! Una sensazione di rabbia mista
a odio si formò dentro di lei mentre si avvicinava all’apparenza tranquilla
verso la donna. Gli aveva detto che non voleva parlare con lui attraverso il
telefono e Shinichi le aveva mandato una terza persona a parlare in sua vece; un
pensiero davvero carino da parte sua. Di lì a poco tempo cosa avrebbe dovuto
fare per parlargli? Comunicarlo al suo agente e prendere appuntamento?
Stupido,
idiota, egocentrico pallone gonfiato…chi credi di essere per trattarmi così?
Pensi davvero che starò qui ad aspettarti buona finché non ti ricorderai che
esisto?? Beh, se è così rimarrai amaramente deluso Shinichi…non credere che non
riuscirei a dimenticarti…
perfino a
odiarti…
Il cuore protestò
dolorosamente, ma la sua voce fu soffocata dalla nube di rabbia che ormai
invadeva il suo animo. Non avrebbe mai pensato che Shinichi potesse dimostrarsi
così vigliacco; forse era vero che si era innamorata dell’immagine che aveva di
lui, non del suo vero io. Magari era stato Shinichi stesso a farle credere di
essere migliore, per abbindolarla, in modo che lei cadesse ai suoi piedi proprio
come le ammiratrici che gli scrivevano montagne di lettere.
Anche se,
ricordando i momenti passati insieme a lui, sembrava un’ipotesi davvero poco
credibile. Oh, Shinichi avrebbe dovuto essere candidato all’Oscar, se davvero
aveva finto per tutto il tempo, con lei. Perché mai avrebbe potuto immaginare un
sorriso che le scaldasse il cuore allo stesso modo, due occhi più sinceri e
intensi. No, una parte del suo animo, quello che ancora resisteva alla rabbia,
le disse che non era davvero possibile. Ma era veramente difficile starla ad
ascoltare, dopo tutto quello che le aveva fatto passare il suo amico d’infanzia.
Inoltre quella parte era così irrazionale alle volte, quando le suggeriva che
Shinichi potesse non essersene mai andato, in realtà, quando le faceva vedere
lui dietro l’espressione dolce e infantile del piccolo Conan, quando le faceva
sentire parole che nessuno aveva mai pronunciato.
“Ti amo, Ran.”
E per quanto
strano potesse essere, le ricordò pronunciate con la voce di Shinichi, non di
Conan. Il che era un’altra prova a favore della tesi che era stata tutta
immaginazione. Sì, di quella parte irrazionale e tanto sciocca che ancora la
esortava a non abbandonare le speranze, ad aprire gli occhi e vedere, a
smetterla di pensare male del suo amico d’infanzia. Quella parte così stupida e
insopportabile che adesso la incitava a superare le apparenze, proprio come le
aveva insegnato lui, a vedere l’essenza delle cose e non il modo in cui gli
altri volevano che le apparissero. Shinichi gliel’aveva detto quando erano
andati ad uno spettacolo di magia, alle medie. “Non lasciarti ingannare da
quello che lui vuole farti vedere.” Aveva sussurrato, indicando il prestigiatore
sul palco. “Vai al di là di questo, guarda con gli occhi della mente, e
riuscirai a far saltar fuori tutti i trucchetti. Non è tanto difficile, se ci
provi. L’unico motivo per cui una persona va a uno spettacolo di magia è che
vuole essere ingannato, lasciato a bocca aperta. Si rifiuta di vedere il
trucco per non spezzare la magia. Ma i detective sono diversi, loro non possono
permettersi di lasciarsi trarre in inganno, perché scoprire la verità è loro
dovere. Ragione di vita, se vogliamo essere drastici. È per questo che ho sempre
pensato che i prestigiatori fossero gli antagonisti diretti dei detective: i
primi cercano di nascondere la verità con l’apparenza, i secondi svelano la
verità andando al di là dell’apparenza. Comunque, Ran, il punto è questo: non
lasciarti mai ingannare, guarda tutto con gli occhi della mente, sempre. I sensi
possono essere ingannati, ma c’è qualcosa che può essere abbindolato solo con la
tua complicità. Nemmeno il prestigiatore migliore del mondo potrebbe convincere
quella parte di te, se tu non glielo permettessi come fanno tutti questi tipi.
Questa parte è il tuo cuore. Quello conosce sempre la verità, anche se cerchi di
zittirlo, di convincerlo. Nessuno può ingannare il tuo cuore.”
Questo l’aveva
colpita. Ma i ragionamenti di Shinichi la lasciavano spesso senza fiato, con
l’abitudine di insinuarsi di nuovo nella sua mente nei momenti in cui ne aveva
bisogno. Come questo ad esempio.
Guardare con
gli occhi della mente e ascoltare il cuore…facile a dirsi…ma non altrettanto
metterlo in atto…
Era così assorta
nei suoi pensieri che sussultò quando si accorse di essere arrivata a pochi
centimetri da Yukiko.
“Ciao Ran-chan!”
aveva esclamato con voce squillante la donna, abbracciandola, prima di salutare
un po’ meno calorosamente anche Sonoko. Notò che molti suoi compagni stavano
occhieggiando le forme di Yukiko, facendo poi commenti fra di loro con
sorrisetti stampati in faccia. Idioti. Si chiese se potesse mai esistere o fosse
mai esistito un uomo al quale il cervello non prendesse il volo dopo aver visto
un po’ di curve nei punti giusti.
“Salve! Cosa ci
fai qui?? Non dovresti essere in America con Yusaku?”
Il viso di lei si
imbronciò: “Ran, quando avrai la mia età, capirai che per quanto tu possa amare
un uomo, ci sono dei momenti in cui hai bisogno di mettere miglia di distanza
fra te e lui.” sospirò, Ran sorrise: i litigi fra i genitori di Shinichi erano
frequenti, non quanto quelli dei propri, certo, o tanto drastici, ma abbastanza
per il malcontento di loro figlio. Fortunatamente non erano mai veramente seri.
“Comunque, non
parliamo di me, adesso. Sono venuta per te, Ran.”
Ecco…ci siamo…
Sentì un moto di
sconforto, ma sorrise ugualmente alla donna, annuendo. “Avevamo pensato di
andare in gelateria, se vuole unirsi a noi…” disse Sonoko con un sorriso
educato.
Yukiko accettò di
buon grado, e tutte e tre si avviarono verso il luogo prestabilito. Si sedettero
ad un tavolo, una cameriera piuttosto graziosa prese le loro ordinazioni e,
mentre aspettavano di essere servite, Yukiko esordì:
“Ran, tesoro, ho
saputo quello che è accaduto ieri. Non sai quanto mi dispiace…”
La ragazza alzò
le spalle. Così aveva visto giusto, era di quello che voleva parlare. Purtroppo.
“Non importa.
Ehm…te l’ha detto Shinichi, quello che è successo?”
Perché se
spera che mandando la mamma risolve tutto è una delle rare volte in cui non ha
davvero capito niente…
“No, me l’ha
raccontato il professor Agasa. Sai che è un po’ il suo confidente, no?” disse,
con un mezzo sorriso. Ran annuì calma, ma dentro di lei di nuovo la rabbia
ribolliva.
Ha avuto il
tempo per raccontare tutto al professore ma non per farmi almeno una telefonata
e darmi spiegazioni…grazie tante Shinichi…
Yukiko sospirò:
“Lo so, deve sembrarti un vero idiota in questo momento, ma credimi, non aveva
alcuna intenzione di deluderti, o ferirti. Lui ti vuole bene, lo sai.”
“Sì, ma mi da
anche troppo per scontata!” sbottò, senza riuscire a trattenersi. Sonoko,
accanto a lei, sobbalzò, evitando accuratamente di entrare nel discorso. Ran
guardò negli occhi Yukiko e…cos’era quella luce che aveva visto in fondo ai suoi
occhi? Sembrava…ma no, non aveva senso…
Guarda con gli
occhi della mente…
La luce sparì in
fretta, sostituita da qualcosa più attinente al tema: dispiacere. Ran fu
rilassata da quel ritorno alla normalità, ma purtroppo sapeva bene che Yukiko
Kudo era un’attrice molto in gamba, che avrebbe saputo ingannarla, se voleva. O,
come sosteneva Shinichi, se lei gliel’avesse permesso.
“Cara, ascoltami,
non è mancato all’appuntamento perché voleva…non è stata colpa sua, almeno
questo.” Aggiunse, mordendosi il labbro inferiore. Ran la guardò perplessa:
“In che senso ‘almeno questo ’?”
Yukiko sembrava
refrattaria ad approfondire l’argomento, e anche piuttosto a disagio, come
testimoniava il fatto che avesse cominciato a giocherellare con un tovagliolo,
tenendo gli occhi bassi. Però ancora una volta tutto questo le sembrava…fasullo.
…e ascolta il
tuo cuore…
“Beh, vedi
Ran…Shinichi…sta passando un brutto momento ultimamente. Io sto cominciando a
pensare che avrebbe dovuto dirti tutto fin dall’inizio, ma lui è così cocciuto,
e così protettivo, lo conosci…insomma…se non ha parlato è per il tuo bene, ma
penso che sia tu a dover fare le tue scelte, cioè…”
“Ma di che cosa
stai parlando??” chiese, la fronte aggrottata. Era totalmente confusa. Cos’era
che doveva dirle, Shinichi? Cosa c’entrava col fatto che era protettivo? O che
era mancato all’appuntamento??
“…e credo che
staresti molto meglio se sapessi.” Continuò la donna, ignorando la sua domanda.
“Sapere che
cosa?!?”
La luce negli
occhi di lei era tornata, per un istante fugace, ma fu subito scacciata. Eppure
l’aveva vista, ne era certa. Non voleva lasciarsi ingannare. Attraverso la
confusione, il cuore le lanciò un messaggio chiaro e preciso, che per ora passò
inascoltato, poiché la mente era concentrata nello sforzo di capire le sue
parole. Ma l’avrebbe ricordato in seguito, nitidamente. Perché Shinichi aveva
avuto ragione, naturalmente.
“Ran, cara…ho
qualcosa per te”.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Note dell’Autrice:
ciao a tutti! Capitolo piuttosto arduo, lo so, e
pieno di flash-back, non ho davvero potuto evitarlo.^^” Tutto mi sembrava un
perfetto aggancio per una scena presa dal passato della coppia, prima della
“nascita” di Conan. A volte o lo scrivi o ti penti di non averlo fatto ogni
volta che rileggi il capitolo, perciò, se l’idea iniziale mia era quella di
tagliarne qualcuno (come quello della partita, ad esempio) alla fine ho
rinunciato. Spero che non sia divenuto un chap pesante, e che il linguaggio non
sia troppo ampolloso. Per quanto riguarda la storia, niente di eccezionale, per
ora, lo so, siamo su un ritmo piuttosto lento, ma non vi preoccupate: sto solo
disponendo le pedine sulla scacchiera: la vera partita comincerà fra poco! (non
chiedetemi come mi escono queste cose: la follia della mia mente è
incontrollabile e non ha limiti.- _ -“) Come al solito però, dopo aver faticato
tanto per essere soddisfacente per i miei canoni, (vi assicuro, sono davvero
esigente e pignola) il capitolo deve superare un ulteriore esame, ovvero: è
piaciuto a voi che lo leggete?? Spero proprio di sì, nel frattempo passo a
ringraziare nei particolari coloro che, con la loro grande generosità, hanno
commentato lo scorso chap. Siete fantastici!
Super Gaia:
ciao e grazie per i complimenti! Il tuo innamoramento per la mia
storia non può che farmi moltissimo piacere! #^^# Spero che questo capitolo non
ti deluda e che continui a seguire la mia ff.
Lili: oh
carissima, mi ero per l’appunto chiesta dove fossi finita; ho avuto paura che il
capitolo sedici non ti fosse piaciuto, è un vero sollievo sentire che non è
così!!^^ Non preoccuparti, comunque, non c’è motivo di vergognarsi! Grazie per i
commenti riguardanti entrambi i capitoli, spero che anche quest’ultimo sia
all’altezza delle tue aspettative!
Yuki: ti
ringrazio moltissimo del commento. Ecco il nuovo chap: piaciuto? Spero proprio
di sì, Yuki-chan!^^ Grazie anche degli auguri, buon anno anche a te!
ßseppure
un po’ in ritardo. ^^ ;
Vichan:
ciao! Sono particolarmente contenta del tuo commento. Vuoi sapere il perché? Ho
notato che, se recensisco uno scrittore che aveva precedentemente commentato la
mia ff, quello smette di recensirmi. È una cosa che un po’ mi fa ridere e un po’
mi lascia perplessa: insomma, non mi sembra di aver detto nulla di offensivo nei
miei commenti, anzi! Tu hai screditato questa convenzione. *Thanks*! Beh,
tralasciando i miei vagheggiamenti, grazie dei complimenti, sono felice che la
storia continui a piacerti e spero di non deludere in alcun modo le tue
aspettative e la tua fiducia. Auguri per un bellissimo anno anche a te.
Hoshi:
salve! Ti ringrazio moltissimo per l’ennesima recensione, mi farebbe piacere
sentire la tua opinione anche su quest’ultimo capitolo.
Sabry1611: Sabry, con le tue
recensioni mi fai davvero arrossire! #^^# Non riusciresti nemmeno a immaginare
quanto mi faccia piacere sentire che ti stai appassionando così tanto alla mia
ff, i tuoi apprezzamenti mi scaldano il cuore! È vero, la storia mi prende
davvero molto, anche perché si notano subito le ff scritte tanto per, e
risultano puntualmente scadenti. Io preferisco di gran lunga non postare nulla
che pubblicare qualcosa che non mi soddisfi pienamente, in cui non ci sia
passione, appunto. Il cestino del mio pc conta almeno quattro racconti così! ^^”
Devo confessarti anche che sono la prima, mentre scrivo, a immedesimarmi nei
personaggi; è un modo per renderli il più reali possibili, almeno secondo me.
Sono felice di riuscire a coinvolgerti!^^ Di nuovo grazie del commento, un
bacio, spero di risentirti.
APTX4869:
ciao! Grazie mille della recensione; eh sì, avevi decisamente intuito qualcosa e
penso che questo capitolo ti abbia tolto ogni ragionevole dubbio. Sono contenta
che tu abbia colto l’indizio dello strano caldo di Conan, comunque. In quanto a
quello che ti suggerisce la tua follia…beh, ti confesso che l’idea non mi era
passata nemmeno per l’anticamera del cervello, ma nel momento in cui me l’hai
suggerita mi si è creata in mente una scenetta comica niente male
sull’argomento. (eh eh eh
ßtre secondi di gioia immotivata).
Pazienta ancora un po’ e abbi fiducia in me: non ti prometto niente, ma c’è una
possibilità che il tuo desiderio di vedere Ran e Shinichi insieme si realizzi in
un futuro prossimo…nel frattempo, devo ammettere che hai ragione: niente APTX,
niente Conan; dunque w Ai Haibara e i suoi veleni! Baci e a presto.
Mareviola:
fai poco la spiritosa, tu! Ti sembrano scherzi da fare a una
povera inerme scrittrice in erba? Sei senza cuore!
Ah ah ah,
scherzetto. (non farci caso, stanotte non ho dormito e gli effetti si vedono.)
Grazie della recensione e a presto.
Ginny85:
ciao Ginnuzza! A me Conan e Shinichi piacciono entrambi, sebbene non si direbbe,
dato il modo sadico in cui li tratto! ^^; felice che anche lo scorso capitolo ti
sia piaciuto, la scena con i detective boys l’ho messa di proposito, per
alleggerire un po’ la situazione e i vari drammi psicologici dei personaggi; ho
notato che l’innocenza infantile è un toccasana! La scena con le tre piccole
pesti mi ha divertito molto, e dire che nell’anime non li posso vedere! Anche
perché detective boys = puntata stupida; l’unica che mi è piaciuta è stata
quella in cui Conan veniva ferito. ( e si ritorna al sadismo.- _ -“). Vedrai che
la storia, che ora è in stasi, tornerà in piena attività, e non solo i detective
dovranno darsi da fare! (ma non ti dico altro…) intanto, grazie moltissimo dei
complimenti, spero che non dovrai mai pentirti di aver letto questa fic! Un
bacione, a risentirci!
Lisa Lawer: certo che lo
accetto! ^__^ Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento, sei molto
gentile; beh, le sventure di Shinichi ci sono tutte per colpa mia, lo ammetto,
dunque smettila di picchiare il tuo povero computer innocente, ok? Posto che
questo non è un invito a colpire me, invece…^^ ; sì, Ai è proprio
un bel personaggio, anche perché io ho sempre avuto un debole per i personaggi
che non sono completamente buoni e puri. I santarellini sono prevedibili, invece
da questi pseudo-cattivi non sai mai che aspettarti! Intrigante, no? A
risentirci, spero di non averti fatto penare troppo l’aggiornamento.
Ecco qua. Vediamo
un po’ cosa resta da fare: le scene tratte dal manga vengono sempre dagli stessi
volumi, che ormai saprete a memoria se leggete sempre questa parte. Se non la
leggete non vi interessa, dunque inutile ripetersi. Per quanto riguarda altre
note, ci tengo a precisare una questione: avete presente il discorso di Shinichi
sui prestigiatori? Quando dice che sono i naturali avversari dei detective?? È
una cosa a cui ho pensato una sera in cui mi era particolarmente difficile
addormentarmi. In fondo è vero, i maghi cercano di farti credere qualcosa, i
detective rivelano la verità. Credo che sia per questo motivo che l’altra
‘creatura’ di Gosho Aoyama, il ladro Kaito Kid, che si contrappone a Conan in
vari episodi, sia a sua volta un prestigiatore. (Ce l’avete presente? Quello in
tuba e frac col mantello, rigorosamente bianchi, nell’aspetto praticamente
uguale a Shinichi? Spero di sì.) Da lì tutto il discorso che la mia strana e
buffa mente ha partorito. Vorrei anche ringraziare
Quistis5 per aver commentato l’altra mia
ff su DC, “A Very Important Gift”. Sono molto felice di essere riuscita a
infonderti quelle sensazioni di pace e speranza, e in fondo un po’ te lo dovevo,
dopo il modo in cui ti ho fatto deprimere con l’altra fanfic, “In The
Darkness of Soul”, non pensi?
Per
Laura87...credo che ogni risposta sia superflua, a questo punto, no?
^ _ -
Questo è tutto mi
sembra. Se ho dimenticato qualcosa o (peggio) qualcuno, vedrò di rimediare il
prima possibile. nel frattempo, scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare,
spero di riuscire a fare prima con il prossimo capitolo. Se volete aiutarmi,
sapete come fare, giusto? ^ _ -
A presto
-Melany
|
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Capitolo 19 *** East & West ***
Nuova pagina 1
19. East & West
Kogoro si era
appisolato sulla scrivania dello studio, la testa poggiata di lato e un rivolo
di saliva che gli scendeva all’angolo della bocca; Conan comprese che il fatto
che fosse tornato più tardi del solito sarebbe dunque passato inosservato: la
casa, ad eccezione dell’investigatore dormiente, era completamente vuota.
Nonostante l’assenza di Ran fosse più funzionale ai suoi scopi, non poté fare a
meno di sentirsi un po’ impensierito: sperava solo che fosse stata prudente come
le aveva raccomandato il giorno prima.
Sospirò,
poggiando la cartella a terra e appendendo il giubbetto all’ingresso. Estrasse
il suo cellulare dalla tasca, cercando il numero che voleva in rubrica e
restando a fissarlo per un po’, il pollice sul tasto che confermava la chiamata.
Telefonare o non telefonare..?
Immise un bel po’
d’aria e la buttò fuori. Doveva farlo. Il pericolo era già grande di per
sé, avvantaggiare ulteriormente il suo nemico non era decisamente una buona
idea. Spinse il fatidico pulsante e stette ad aspettare, chiudendo gli occhi con
un’espressione rassegnata; il suo interlocutore gli rispose al quarto squillo:
“Kudo, ciao. È
successo qualcosa?” il suo accento del Kansai era più marcato del solito, come
accadeva sempre quando era preoccupato. Naturale, finora non l’aveva mai
chiamato per motivi non inerenti il lavoro.
“Direi di sì.”
Conan prese un ennesimo un respiro profondo. “La cimice ha captato qualcosa.”
“Cosa??”
Notò che cercava
di tenere la voce il più basso possibile, con il risultato che era quasi roca.
“Non posso
spiegartelo al telefono, e mi pare che nemmeno tu possa parlare liberamente in
questo momento.”
“Già, sto
aspettando Kazuha, può sbucare fuori da un momento all’altro…ma cosa facciamo
allora?”
Conan aprì gli
occhi, aggiustandosi gli occhiali sul naso con espressione seria. Era venuto il
momento di chiederglielo. Stava per coinvolgerlo, per metterlo in pericolo, per
trascinarlo in qualcosa che, in effetti, non aveva nulla a che fare con lui.
Represse una fitta alla bocca dello stomaco.
“Dovresti venire
qui. A Tokyo.”
“Bene. Quando?”
“Oggi, il prima
possibile.”
Il suo silenzio
attonito e pensieroso diceva più di qualsiasi parola, anche considerando che
aveva lasciato ammutolito Heiji Hattori. Conan si appoggiò con la schiena
al muro.
“Se vuoi, il
biglietto aereo te lo pago io. So che dev’essere costoso fare avanti e indietro
da Osaka.” Aggiunse, dall’altro capo del filo Heiji sbuffò. “Non è questo il
problema, Kudo.” borbottò, quasi bruscamente. “È accaduto qualcosa di veramente
serio se mi chiedi di venire lì con tanta urgenza. Sei nei guai, amico?”
Okay, ora era
davvero preoccupato. Nonostante tutto, il piccolo detective si ritrovò a
sorridere internamente: il ragazzo di Osaka era l’unico amico maschio che avesse
mai avuto in vita sua; stava scoprendo che era davvero bello avere qualcuno su
cui contare, una persona leale e fidata che gli stesse vicino. Non avrebbe
potuto allacciare un rapporto simile con nessuno dei ragazzi che conosceva;
aveva sempre fatto a meno di amici, e aveva creduto di non averne mai veramente
bisogno, finché questo tizio non si era presentato all’agenzia chiedendo di lui.
Certo, le prime volte che l’aveva visto non era riuscito a sopportarlo – e a dir
la verità ancora adesso molto spesso aveva una gran voglia di strozzarlo- ma era
rimasto suo malgrado piacevolmente sorpreso dal fatto che lui ci tenesse così
tanto ad avere la sua amicizia. Insomma, anche solo dopo il loro primo
incontro aveva cominciato a chiamarlo ‘il suo caro amico Kudo’, e continuava a
fare di tutto per restare il suo migliore amico, come se lo reputasse in
qualche modo speciale. Era una cosa che l’aveva lasciato perplesso e gratificato
allo stesso tempo.
Inoltre, dopo
aver scoperto il suo segreto, il detective di Osaka non l’aveva rivelato ad
anima viva; insomma, giornali e tabloid avrebbero pagato bene per la sua storia,
avrebbe potuto arricchirsi a scapito di uno che, a conti fatti, era praticamente
un estraneo per lui: l’aveva visto appena due volte in tutta la sua vita, per un
tempo brevissimo. E come se non bastasse la prima volta Shinichi l’aveva
trattato piuttosto male. Chiunque al suo posto avrebbe parlato, ma Heiji aveva
taciuto con tutti, persino con la sua amica d’infanzia, senza guadagnarci nulla.
Sì, avere un
amico del genere era un’esperienza tutta nuova per lui. Era per questo che,
nonostante Heiji fosse davvero irritante e insopportabile alle volte, continuava
a frequentarlo. Anche se, naturalmente, non avrebbe mai detto tutto ciò a lui.
“Kudo..?”
“No, non direi,
tranquillizzati.” Rispose in tono leggero e noncurante “Ma se vieni subito mi
fai un favore. Così possiamo parlarne.”
“D’accordo, passo
da casa a prendere qualcosa e…quanto tempo devo restare?”
“Ehm…non lo so
con sicurezza…ma è stasera che abbiamo da fare, dunque…”
“Fare che
cos…okay, okay, me lo dirai quando sarò lì. I miei non saranno molto contenti,
dovrò saltare scuola. Ma immagino che questo sia più importante di qualche
lezione, giusto? Cercherò di convincerli.”
Aveva parlato in
fretta e senza pause, rispondendo da sé alle sue domande. Conan socchiuse gli
occhi: era sempre Heiji Hattori, in fondo.
“Senti, devo
portare Kazuha?”
Il piccolo
detective rifletté un attimo ponderando la questione: avrebbe dovuto lasciare a
casa da sola Ran tutta la notte, con Kogoro. Il che di solito non era un
problema, ma ‘l’incontro’ con l’Organizzazione che aveva avuto il giorno prima
cambiava le carte in tavola. Per l’incolumità di Toyama, sarebbe stato meglio
che se ne restasse a Osaka, ma si sarebbe sentito più tranquillo se Ran fosse
stata in compagnia di più persone possibili. Buttò fuori un bel po’ d’aria.
“Se è come penso
sarà una nottata un bel po’ movimentata, Hattori. Forse è meglio che lei resti a
casa.”
“Oh.”
Era di nuovo in
apprensione, lo percepiva. Voleva che stesse il più calmo possibile, Heiji
tendeva a prendere decisioni troppo avventate se era preoccupato, e l’ultima
cosa di cui aveva bisogno era che succedesse qualcosa fuori dai suoi piani.
Stavolta, doveva fare in modo che tutto si svolgesse come l’aveva studiato,
perché sapeva che, se avesse commesso anche un solo errore, le persone che stava
coinvolgendo e lui stesso sarebbero potuti morire. Contro l’Organizzazione non
erano ammesse sciocchezze.
“Tanto per
maggior sicurezza.” Aggiunse, sempre fingendo un tono distratto.
“È qualcosa di
veramente grosso, vero Kudo?” commentò cupo Heiji, serio. Conan sbuffò:
ovviamente lui non si era fatto ingannare dai suoi piccoli stratagemmi. In fondo
però ne fu sollevato: era un detective in gamba, doveva smettere di
sottovalutarlo e contare su di lui, dato l’affare in cui lo stava coinvolgendo.
Non avrebbe potuto chiedere un favore del genere a qualcuno in cui non riponeva
la sua massima fiducia, inoltre Heiji se l’era davvero meritata.
Aprì la bocca per
dire qualcosa ma udì dietro di sé una chiave che veniva infilata nella toppa
della porta d’ingresso. Capì che doveva tagliare al più presto la conversazione.
“Ehm, sì, ma ne
parliamo quando sarai qui. Ora devo andare.” Disse in fretta.
La porta si aprì
cigolando, una divisa azzurra fece capolino da dietro il legno di frassino.
“Perché? Che è
successo??” domandò insistente Heiji, in allarme.
“Niente,
tranquillo, solo che…”
“Ciao a tutti,
sono tornata.” Esclamò la ragazza con un sorriso.
“…è tornata.”
Sospirò, gli occhi sbarrati. Ran gli scoccò un’occhiata perplessa, inarcando le
sopracciglia.
“Sei al telefono
con qualcuno, Conan?” domandò, piegandosi sulle ginocchia per essere alla sua
stessa altezza. Prima che potesse rispondere la voce accentata, modificata dalla
cornetta del telefono, lo fece per lui.
“Chi è tornata?
Ohi, Kudo..?”
Sembrò quasi che
il tempo si congelasse. Ran sbarrò gli occhi, guardando sorpresa il piccolo
detective, che era impallidito di colpo, incapace di proferire parole che non
fossero balbettii. La voce con l’accento del Kansai nel frattempo continuava a
martellare, insistente, il suo vero nome.
Prima che potesse
riprendere coscienza di sé e interrompere la telefonata, Ran gli prese il
cellulare dalle mani, senza smettere di fissarlo in uno strano modo.
“Hattori-kun?”
pronunciò, in tono tiepido.
Silenzio
dall’altro capo del filo. Evidentemente, Heiji si era reso conto di ciò che era
successo. Quando parlò di nuovo, la sua voce era salita di qualche ottava.
“Mouri-kun? Ciao, come va? Ehm…stavo giusto chiedendo al moccioso di Kudo…ehm…se
alla fine si era fatto rivedere, cose così.”
“Davvero?” chiese
Ran in tono scettico, i suoi occhi non lasciarono mai quelli di Conan,
ammutolito davanti a lei.
“Non sembrava che
stessi parlando di Shinichi, ma piuttosto con Shinichi.” Commentò,
seria, Conan sentì un groppo in gola, impossibile da inghiottire, che gli
impediva il respiro.
“Cosa..!?! Ma
come ti viene in mente?! Ma dai!!!” ribatté Heiji, in modo davvero poco
convincente. Il piccolo detective era certo che di lì a poco il cuore gli
sarebbe saltato fuori dalla gabbia toracica, tanto picchiava violentemente
contro di essa. Piccole gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte
bianchissima.
“Non prendermi in
giro.” Aveva parlato con una voce gelida e tagliente, che non le aveva mai
sentito prima d’allora e che gli provocò un brivido lungo la schiena.
E così alla
fine è successo…mi ha scoperto…e dalla sua faccia sembra proprio che non l’abbia
presa bene…per niente davvero…per favore Ran, non guardarmi così non lo
sopporto…
“Ran, ecco vedi…”
balbettò con voce incerta, cercando di intromettersi.
La ragazza si
portò un dito alle labbra, facendogli cenno di tacere, poi continuò.
“Dimmi la verità,
Hattori…” chiuse gli occhi un momento, come a voler raccogliere tutta la sua
pazienza, poi parlò, dopo averli aperti lentamente. “Shinichi…è lì con te?”
Sembrò quasi che
l’atmosfera intorno a loro divenisse più leggera di qualche quintale. Il groppo
in gola si sciolse e i polmoni poterono gonfiarsi di nuovo d’aria, il cuore
cominciò pian piano a riprendere il suo battito regolare. Conan represse con
tutte le forze un sospiro di sollievo e un sorriso.
Dall’altra parte,
Heiji sembrò a sua volta più tranquillo. “Beh, ehm…in effetti era qui un momento
fa…ma ora è andato via. Ha detto che aveva da fare.” Conan condivise la sua
decisione di prendere questa strada: continuare a negarlo sarebbe stato inutile
e avrebbe potuto farla avvicinare alla verità. Ran socchiuse gli occhi in
un’espressione davvero infuriata. “Non avrei mai immaginato che potesse essere
così...idiota.” Conan capì che aveva volutamente cambiato l’epiteto con
cui voleva apostrofarlo realmente, forse per non imprecare davanti a un bambino
di sette anni.
“Adesso ho capito
perché Conan lo difende sempre. È lui che gli dice di farlo, vero? Approfitta
della sua innocenza e dell’ammirazione che prova nei suoi confronti. Povero
piccolo. E anche tu Hattori, che gli reggi il gioco, capisco che sei suo amico,
ma…” sospirò, scocciata.
“Non è che gli
reggo il gioco, cioè, un po’ sì, ma devi capire che…sta passando un momento
difficile e gli è impossibile venire da te, adesso. Credimi.”
Ran sbuffò,
scuotendo la testa. “Il suo momento difficile non gli crea problemi a
venire da te, a quanto sembra. Ma immagino che vi siate visti per lavoro,
vero?”
“Ehm…in effetti…”
“Lavoro. Certo,
capisco.”
Conan notò che
gli occhi di lei stavano diventando lievemente lucidi, e la sua espressione era
contratta, innaturale. Dentro di sé, il senso di colpa cominciò a crescere,
premendo sulle pareti del suo animo con intense scariche di dolore; la maschera
che lei aveva indossato quella mattina era caduta, rivelando il suo vero stato
d’animo: Ran aveva l’aria di chi era stata tradita dalla persona più importante
che aveva. Conan tese un braccio, raggiungendo la mano di lei, inerme appoggiata
alla coscia, e vi posò sopra la propria. Ran batté le palpebre, guardandolo
sorpresa, poi gli rivolse quel sorriso così bello e carico di dolcezza che lui
amava tanto, stringendo la sua piccola mano con delicata fermezza e facendola
scomparire del tutto, con triste amarezza di Shinichi.
Si era
dimenticato quanto fossero diventati diversi i loro palmi, cresciuti insieme e
rimasti così a lungo simili.
Si era
dimenticato che non era la propria, la mano che le stava offrendo sostegno.
Si era
dimenticato che Shinichi Kudo non era lì, in quel momento.
“Mouri-kun…”
chiamò Heiji, titubante.
“Va tutto bene,
Hattori-kun, non preoccuparti.” Lo rassicurò lei, la voce più addolcita. Non
aveva ancora smesso di sorridergli, e Conan rispose sorridendo a sua volta,
sollevato del suo cambiamento. Sapeva che lei era ancora arrabbiata e ferita, ma
era contento di vederla più tranquilla. Se non altro, riusciva ancora a farla
stare bene, se voleva.
O almeno è
Conan a riuscirci…
“Devi dire
qualcos’altro a Conan?” chiese Ran in tono discorsivo.
“Ehm, no, ci
stavamo salutando…”
“Bene, allora ti
saluto anch’io. Devo preparare il pranzo per papà e il piccolo e poi devo fare i
compiti. Torna presto a trovarci, mi raccomando, e dì a Kazuha che la chiamerò
presto!”
Spense il
cellulare, rivolgendo uno sguardo pieno di tenerezza e riconoscenza al piccolo
detective, che si sentì arrossire. Dopo qualche minuto passato in silenzio,
durante i quali Ran fissò con aria abbattuta la sua mano stretta su quella del
piccolo, che accarezzava lievemente con le proprie dita, lo lasciò andare e gli
arruffò i capelli con un sorriso più giocoso, ridendo quando lui sbuffò tentando
disperatamente di rimettersi a posto la testa spettinata.
“Che vuoi per
pranzo Conan-kun?” domandò, mentre si alzava in piedi.
Il suo stomaco,
seppure rimpicciolito, sembrava esageratamente grande e infinitamente vuoto. Al
pensiero del cibo brontolò con un gorgoglio maleducato. Conan arrossì, lei lo
guardò clemente.
“Riso al curry?”
propose speranzoso, la pancia approvò con un ennesimo rumorino. Ran considerò la
questione, poi annuì. “Sì, dovrei avere tutti gli ingredienti.”
Si diresse verso
la cucina, allacciandosi il grembiule. Conan si lasciò cadere sul divano,
accendendo la televisione per distrarsi e non pensare ai reclami insistenti del
suo ventre e alla saliva che cominciava ad accumularsi in bocca. Non aveva
davvero avuto il tempo di pensare al cibo, con tutto quello che era successo, e
aveva un gran bisogno di riempirsi lo stomaco. Non metteva niente sotto i denti
da quella mattina a colazione, dato che durante la ricreazione a scuola aveva
volutamente ignorato la merendina e il cartone di latte che gli avevano dato.
Sospirò: aveva ancora un mucchio di cose da fare per quella sera, come avvertire
l’ispettore Megure, parlare con Ai dell’antidoto, informare Heiji, preoccuparsi
di come rispedire sua madre a Los Angeles; non che gli dispiacessero le sue
visite, ma quel giorno era proprio il meno indicato per stare con lei. Comunque,
ci avrebbe pensato una volta rifocillato: il cervello, per quanto grande e
carico di intelligenza e astuzia, era succube in tutto e per tutto dello
stomaco, in quel momento.
Si sintonizzò sul
telegiornale e si mise ad ascoltare le notizie.
Dietro di lui,
Kogoro scivolò giù dalla sedia svegliandosi con un grido di dolorosa sorpresa
emesso dai suoi toni soavi.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Heiji Hattori
spense il cellulare, ancora un po’ scosso da quello che era accaduto: aveva
sempre immaginato Ran Mouri come una ragazza dolce, sensibile, comprensiva.
Nonostante Kudo dicesse spesso seccato che aveva più paura di lei che degli
assassini a cui dava la caccia quando era arrabbiata, non gli aveva mai dato
molto credito: dietro l’espressione imbronciata del piccolo detective infatti si
scorgeva chiaramente un sorriso e uno sguardo carico d’affetto, anche mentre si
lamentava di lei. Ma la voce che aveva sentito al di là della cornetta era
totalmente diversa dal solito tono caldo e gentile della ragazza di Tokyo: era
fredda e tagliente, priva di qualsiasi barlume di tepore, ed era sicuro che non
fosse solo il frutto della modifica metallica del telefono; l’aveva trafitto e
impressionato, sembrava appartenere non a Ran, bensì al fantasma di quella che
era stata una volta. Davvero, ne era rimasto allibito.
Inoltre, le cose
che aveva detto…aveva parlato di Kudo quasi come se lo odiasse; c’era un abisso
fra le maniere che aveva usato riferendosi a lui mentre facevano colazione
insieme e quelle di qualche minuto prima. Incredibile, come il calore dell’amore
più sincero e leale si fosse tramutato in quella specie di gelido odio represso.
Metteva davvero i brividi. Ma c’era qualcos’altro dietro il ghiaccio…qualcosa
che riusciva a identificare con un solo nome:
Dolore.
Era soprattutto
questo ad averlo colpito.
Nelle ultime fasi
della conversazione il tono si era mitigato, ma l’affettazione sarebbe stata
evidente anche al peggior detective in circolazione: Mouri stava fingendo, e
poteva avere molte qualità ma era davvero una pessima attrice.
Sospirò,
infilandosi le mani in tasca: il ruolo che giocava in tutta quella vicenda gli
era più pesante di quanto avesse mai immaginato all’inizio: era lo spettatore
consapevole che assisteva agli equivoci e alle incomprensioni fra due persone
che gli erano care, ma che poteva fare poco e niente per migliorare le cose.
Kudo doveva stare davvero male, perennemente in bilico fra la possibilità di
dirle tutto e porre fine alle sofferenze, trascinandola però nel pericolo di
essere uccisa, e starsene in silenzio vedendola al sicuro fisicamente, ma pian
piano crollare sotto i colpi delle sue continue bugie, lentamente mettendola
contro l’altra parte di se stesso, quella che non poteva mostrarle. Mouri,
dall’altro lato, che continuava ad aspettare il suo ritorno, soffrendo la sua
apparente lontananza, mettendo a dura prova la sua fiducia in lui, una fiamma
che gradualmente si stava spegnendo e che lei non riusciva più a ravvivare,
spossata da tutte le volte in cui era stata ferita e delusa dalla persona che
amava di più al mondo. Credendo forse di non importare molto per lui, che invece
osservava tutto e ne soffriva, quanto e più di lei.
Sì, Heiji
assisteva a tutto questo, incapace di porvi rimedio in qualche modo. Avrebbe
tanto voluto aiutare Kudo, era il suo migliore amico, sapeva che non si meritava
di essere odiato dalla ragazza a cui teneva così tanto. Insomma, se avesse
sentito Kazuha parlare di lui con quel tono di voce, quelle parole...riusciva a
immaginare il dolore che stava provando. Voleva fare qualcosa per Kudo…e per
Mouri, naturalmente. Non si erano mai frequentati molto, ma gli era subito
piaciuta, i suoi modi gentili, il suo carattere. Sì, era decisamente una ragazza
a posto. Anche perché era la persona amata da Kudo, e ciò già diceva tutto.
Scoccò
un’occhiata all’orologio e sbuffò: Kazuha ci stava mettendo davvero troppo; lui
doveva prendere l’aereo e raggiungere Tokyo al più presto, il fatto che il suo
rivale avesse richiesto la sua presenza così urgentemente non lo tranquillizzava
per niente: Kudo non era tipo da chiedere aiuto, sempre orgogliosissimo e
presuntuoso, di solito era il vecchio suo vicino di casa a chiamarlo per
chiedergli di venire in soccorso. Se perfino il signor So-Tutto-Io aveva capito
che aveva bisogno di rinforzi, doveva essere davvero una faccenda seria. Che
avesse trovato il quartier generale dell’Organizzazione e volesse attaccarlo??
Non gli aveva detto molto, anzi, proprio nulla, ed era davvero curioso di sapere
in cosa stava per cacciarsi. Giusto per una preparazione psicologica, niente di
più: non avrebbe certo abbandonato nel momento del bisogno il suo miglior amico!
Era una gran seccatura però dover viaggiare di nuovo: i suoi genitori avrebbero
fatto un mucchio di storie, probabilmente avrebbe dovuto pagarsi da solo il
biglietto. Tutto sommato, avrebbe fatto meglio ad accettare l’offerta di Kudo:
lui era ricco e non ne avrebbe sofferto granché.
“Heiji!” Kazuha
arrivò trafelata accanto a lui, il fiocco bordeaux della divisa scolastica alla
marinara e la gonna a pieghe che ondeggiavano a ritmo col vento. I suoi capelli
erano legati come al solito dietro la testa, con un nastro rosa pastello, e la
coda si intravedeva alle sue spalle cadere con una morbidezza unica. Il viso era
arrossato per la corsa, gli occhi di un verde deciso. Heiji notò tutto questo, e
anche un altro paio di particolari interessanti che gli diedero molte più
risposte di quante ne avrebbero date a una qualsiasi altra persona.
Sorprendente, quanto ancora potessero divertirlo le sue abilità deduttive. Per
il momento però, era meglio tenere le sue deduzioni per sé: Kazuha sembrava già
di cattivo umore.
“Ce l’hai fatta
finalmente! Quanto cavolo ti ci vuole a sistemare un’aula?” esclamò, con tono
seccato.
“Non è stata
colpa mia!” si difese lei, con aria indispettita. “Yuko aveva il turno di
pulizia insieme a me oggi, ma si è defilata dicendo che aveva un impegno! Ho
dovuto fare tutto da sola!” incrociò le braccia con uno sbuffo, le sopracciglia
inarcate; il suo viso imbronciato aveva un fascino unico al mondo, sul serio.
“E poi, se non ti
andava di aspettare, potevi raggiungermi! Se mi avessi aiutato, avremmo finito
prima!”
Heiji sorrise
internamente, dato che sarebbe stato imprudente farlo all’esterno: era proprio
per quello che aveva evitato di andarla a chiamare. Se c’era una cosa che
odiava, era fare le pulizie: il suo turno era stato quattro giorni prima e ne
aveva avuto abbastanza, grazie tante.
“Forse hai
ragione.” Scrollò le spalle, cominciando a camminare verso il cancello
dell’istituto, attraversando il cortile, con Kazuha che fu subito al suo fianco.
Come sempre. Incredibile quanto un gesto tanto semplice e innocente potesse far
sentire così bene.
“Senti, hai
presente la ricerca di storia che c’è da fare per domani?” chiese lei ad un
tratto, lui annuì.
“Beh, ti andrebbe
di farla insieme oggi pomeriggio?” Il tono della sua amica d’infanzia sembrava
speranzoso, cosa che gli fece inspiegabilmente piacere. Tuttavia, sapere di
doverle dare una delusione lo fece subito sentire peggio.
“Mi spiace, ho un
impegno, proprio non posso.”
“Di che si
tratta?” Domandò Kazuha, e anche se non si era voltato, poteva sentire gli occhi
di lei puntati su di sé. Il suo tono di voce aveva una profonda nota di disagio
e una velata tristezza. Comprensibile, visto cosa era accaduto l’ultima volta
che le aveva detto di avere un impegno. Si accorse di doverle di nuovo mentire e
sentì un moto forte di senso di colpa crescere dentro di lui, nonostante non
stesse cercando di nascondere nulla di terribile. Insomma, non stava uscendo con
un’altra o roba simile. Cioè, avrebbe potuto farlo, non stavano insieme, ma
sapeva che per qualche strana ragione sarebbe stata una cosa orribile nei
confronti della sua amica d’infanzia.
All’improvviso,
gli tornò in mente il viso di lei a pochi centimetri dal proprio, il suo profumo
buonissimo, come di mirtilli, il calore della sua pelle, la sensazione del suo
respiro che soffice si posava sulle sue labbra…
Arrossì di colpo,
incespicando nei propri piedi, e si rese conto che non aveva lui stesso molta
voglia di uscire con un’altra. Insomma, stava davvero per succedere ciò che
pensava?? Era così vicina, così dolce…se solo quella strana ragazza non li
avesse interrotti!! Un moto di profondo risentimento si fece strada nel suo
animo, mentre socchiudeva gli occhi innervosito.
“Allora?” insisté
Kazuha, fermandosi davanti a lui. Heiji la guardò dall’alto in basso,
avvantaggiato dalla sua statura superiore, aggrottando la fronte: cosa doveva
dirle adesso? Kudo gli aveva suggerito di non portarla con sé, e se lei avesse
saputo che andava a Tokyo avrebbe insistito per seguirlo. Ma sua madre l’avrebbe
informata di certo, erano molto amiche: dunque tanto valeva raccontarle subito
la verità.
“Devo tornare a
Tokyo. È per lavoro.”
“Cosa?? Quale
lavoro?” chiese lei stupefatta.
Lui sfoggiò uno
dei suoi tipici sorrisi a trentadue denti.
“Devo ritrovare i
genitori di Ellery, me l’ha chiesto ieri sera in aereo.”
“Dai Heiji!”
esclamò lei, alzando gli occhi al cielo.
“È vero! Li hanno
divisi quando era nell’uovo! Devo cercarli, è importante.”
Accelerò il
passo, Kazuha cominciò a sua volta a correre, la gonna a pieghe che ondeggiava a
ritmo con i suoi movimenti, concedendo qualche rapida vista delle sue cosce.
“Non scherzare!
Perché non vuoi dirmelo?”
Heiji sbuffò,
scuotendo la testa. “Kazuha, usa il cervello qualche volta. Se non te lo dico,
vuol dire che non posso.” Ribatté seccato, visto che l’approccio ironico non
aveva funzionato. Sperò di aver infuso nel tono la giusta nota di irritazione e
rabbia, per scoraggiarla a insistere. La sua amica d’infanzia lo guardò
tristemente, solo un pochino scocciata, poi gli fece la domanda che temeva di
più, quel giorno.
“Posso venire con
te?”
Si fermò. Il modo
in cui lo stava guardando, gli occhi verdi e profondi che si fissavano nei suoi,
le labbra dischiuse… si diede uno scossone mentale, riuscendo in tempo a
bloccare il rossore. Ultimamente gli ormoni gli stavano dando più problemi del
solito, si accorse.
“Che vieni a
fare? Vado lì per lavoro, ti annoieresti solamente.”
“Potrei stare con
Ran.” insisté imperterrita.
Heiji sospirò;
non era mai stato un tipo paziente, e cominciava davvero a innervosirsi.
“L’hai vista
ieri, non puoi presentarti ogni giorno a casa sua a mangiare a sbafo. Smettila
di insistere.” Sbottò, riprendendo a camminare. Kazuha sembrava piuttosto
contrariata.
“Ma la cosa non
crea problemi se sei tu a farlo, mi sembra!” gli gridò dietro, in collera, Heiji
si strinse nelle spalle e non si voltò. Non gli piaceva per niente discutere con
Kazuha in quel modo, ma doveva ripetersi che lo stava facendo per il suo bene:
il tono di voce di Kudo era grave, carico di apprensione dietro quella falsa
sfumatura casuale, doveva trattarsi di una cosa seria, oltre gli standard a cui
erano abituati. Senza contare che c’era di mezzo l’Organizzazione…non si sarebbe
mai perdonato se le fosse successo qualcosa per essere stata coinvolta in quella
faccenda; mille volte meglio che se ne restasse a Osaka, a fare quella tanto
noiosa quanto priva di rischi ricerca di storia.
Camminarono in
silenzio per un po’, lui guardandosi intorno, lei fissando il marciapiede. Non
capitava spesso che fossero così a disagio l’uno con l’altra, nonostante
discutessero di frequente. Insomma, erano cresciuti insieme, i litigi erano
sempre stati una realtà costante della loro vita quotidiana, anno dopo anno, che
fosse per chi doveva usare lo scivolo per primo o per chi dovesse decidere il
film da vedere al cinema, o qualsiasi altra cosa. Ma adesso, c’era uno strano
freddo intorno a loro, e Heiji non capiva il perché: dopotutto non era stata una
discussione così violenta, anzi, ne avevano avute di peggiori. Lanciò
un’occhiata alla sua amica d’infanzia, ma poteva scorgere solo la sua chioma di
capelli corvini dalla propria visuale, e non fu in grado di dedurre nulla
riguardo al suo comportamento. Poi lei parlò di nuovo, senza alzare la testa,
con un tono di voce così flebile che se ci fosse stato un colpo di vento avrebbe
portato via le sue parole.
“Perché non mi
vuoi con te, Heiji?”
Rimase
stupefatto: la sua domanda era carica di una tristezza e di un’afflizione che
non le aveva mai sentito, come se fosse stata in qualche modo ferita dal suo
rifiuto, ma nel profondo. Anche questo lo lasciò perplesso: non era la prima
volta che andava a Tokyo senza di lei, e nonostante spesso ci fosse rimasta
male, non aveva mai dato tanto peso alla questione. Cosa c’era di diverso quel
giorno? Cos’era che rendeva così grave la cosa? Sospirò; qualsiasi cosa fosse –e
sperava che non credesse di nuovo che avesse un’altra, altrimenti sarebbe stata
davvero ridicola- ora doveva pensare solo a tranquillizzarla. Odiava
vederla così triste. Lo faceva sentire male dentro, come se qualcosa stesse
marcendo all’interno del suo corpo. La sensazione opposta a quella meravigliosa
che provava ogni volta che la vedeva sorridere.
“Non essere
stupida. Non è così.” borbottò, sentendo le guance in fiamme e guardando nella
direzione opposta a quella in cui si trovava lei. “Ma è meglio se resti qui,
fidati di me.”
“Heiji…”
“Basta con le
domande. Per favore.” Aggiunse, quando si accorse di essere stato troppo brusco.
Ebbe il coraggio di voltarsi verso di lei e si accorse che ora lo stava
guardando, con quei suoi occhi così stupendamente luminosi, di quel verde tenero
e brillante allo stesso tempo.
“Va bene.” Si
arrese Kazuha, annuendo e distogliendo lo sguardo. Purtroppo sembrava ancora
piuttosto crucciata. Cosa poteva dire di più per farla sentire meglio, si chiese
con amarezza.
“E quando torno,
potremmo…ehm…” era possibile che la faccia gli prendesse fuoco dall’interno? Da
quello che stava provando non era da escludere. “…cenare insieme da qualche
parte. Se ti va. Oppure non so…vedere un film…lascerei scegliere a te.” Disse
esitante, distogliendo lo sguardo da quello di lei. Quando parlò di nuovo, il
tono della sua amica d’infanzia aveva ripreso colore.
“Oh magari!
Sarebbe fantastico!!” esclamò, prima di diventare all’improvviso tutta rossa
accorgendosi di quello che aveva detto. Heiji non si lasciò sfuggire l’occasione
per scoccarle uno dei suoi sorrisetti ironici e divertiti.
“C-Cioè, non
intendevo dire che...che sarebbe fantastico uscire con te…”
“Ah. Beh, se dev’essere
un sacrificio possiamo farne a meno, sai.” Ribatté, fingendosi offeso. Il viso
di Kazuha ormai si confondeva col fiocco della sua divisa.
“No! Mi
piacerebbe…ma io prima mi riferivo al film…al fatto che potevo scegliere e..” si
fermò di colpo, quando si accorse che Heiji aveva cominciato a ridacchiare, non
riuscendo più a trattenersi. Capì di essere stata presa in giro da lui. Di
nuovo.
“Sei un idiota!!”
gli gridò contro, colpendolo in testa con la cartella e ignorando il suo lamento
di dolore.
“La sai una
cosa?? Non so se mi va poi così tanto di uscire con te, stupido!!”
Si allontanò,
indispettita, lasciandolo indietro a massaggiarsi il punto in cui l’aveva
colpito, con le lacrime agli occhi.
“Ma dai, stavo
scherzando! Ehi, Kazuha!” La raggiunse quasi subito, sempre tenendosi la nuca
dolorante con la mano,
internamente
sollevato perché la situazione era tornata alla normalità. Non gli piaceva
sentirsi a disagio con lei.
Accanto a lui,
Kazuha Toyama sorrise rincuorata all’orizzonte, le guance rosa acceso, solo un
fioco barlume di tristezza negli occhi.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Conan scostò il
simulatore dalla bocca, interrompendo la telefonata: la polizia era stata
avvertita. L’ispettore Megure e alcuni dei suoi uomini più fidati gli avrebbero
coperto le spalle durante l’operazione, con la massima discrezione. Attraverso
la ragionevole paura che provava, non poteva fare a meno di sentirsi eccitato
all’idea di poter finalmente sbarazzarsi di quei due demoni; quanto aveva atteso
quel momento! Gin e Vodka avrebbero pagato caro l’affronto che gli avevano
fatto, rovinando il suo appuntamento con Ran e somministrandogli quell’orribile
composto. Li avrebbe fatti pentire di essersi messi contro Shinichi Kudo, il
grande studente-detective di Tokyo.
Beh… in quanto
a ‘grande’ si potrebbe avere qualcosa da ridire al momento…comunque…
Sorrise,
infilandosi le mani in tasca e cercando di scorgere tra la folla la faccia
conosciuta del suo corrispondente di Osaka; aveva deciso di andargli incontro
all’aeroporto, non poteva permettere che si presentasse all’agenzia: i Mouri non
dovevano sapere niente della sua visita. Aveva detto a Ran che andava in
biblioteca a cercare un libro da leggere per scuola, pronto a declinare il suo
invito ad accompagnarlo, ma stranamente lei aveva accondisceso subito, senza
nemmeno fargli le solite domande del tipo “Quando torni” e “Con chi vai”; era
una cosa che l’aveva lasciato un po’ perplesso.
Si strinse nelle
spalle, scoccando un’occhiata all’orologio e sbuffando; meno male che gli aveva
detto subito.
Aveva anche
chiamato casa del professor Agasa per chiedere se avessero captato qualcos’altro
di interessante, ma a parte alcuni spostamenti all’apparenza senza importanza di
Gin –aveva cenato in un ristorante e ora si stava muovendo in macchina- rumori
incomprensibili e discorsi senza peso, non sembrava essere accaduto nulla. Non
sapeva decidere se fosse una cosa positiva o meno, ma al momento aveva già
abbastanza da fare senza aggiungere altre rogne, quindi concluse che era meglio
per tutti che Gin se ne stesse un po’ tranquillo. Aveva approfittato della
telefonata anche per informarsi sul composto che stava preparando Ai, ma la
bionda scienziata si era chiusa in laboratorio con la pretesa di non essere
disturbata per nessun motivo, e il professore gli aveva confidato che quando era
così decisa e autoritaria preferiva non contraddirla; lui disse che era perché
sarebbe stato scortese interromperla mentre lavorava, ma le proprie orecchie da
detective gli avevano fatto cogliere nitidamente l’inquietudine nella voce del
suo anziano vicino di casa: probabilmente il professore aveva anche un po’ paura
a mettersi contro di lei.
Sospirò,
cominciando a battere la suola di una delle sue scarpe da tennis a terra,
aspettando. Il prossimo volo da Osaka sarebbe arrivato un’ora più tardi, perciò
sperava davvero che Hattori fosse su quello appena atterrato: faceva freddo e
non aveva alcuna intenzione di restare lì tutto il pomeriggio, senza fare nulla
di costruttivo: come il suo idolo Sherlock Holmes, anche Conan non sopportava di
annoiarsi, aveva bisogno di essere sempre attivo mentalmente e fisicamente.
E a proposito di
cose che gli davano fastidio: quel maledetto nodo alla testa non accennava a
sciogliersi. C’era qualcosa di importante che gli sfuggiva, nella sua testa si
era accesa la luce rossa lampeggiante di emergenza, che lo esortava a risolvere
il suo piccolo mistero personale prima che fosse troppo tardi: il problema era
che proprio non riusciva a realizzare cosa fosse. Aveva rivisto mentalmente
tutto quello che gli era successo in quegli ultimi due giorni, dall’incontro con
quella strega di Vermouth, alla lotta con Gin e Vodka a quello che aveva
ascoltato quella mattina ma niente. Vuoto totale. Non c’era nessun particolare
che aveva trascurato che avrebbe potuto metterlo in pericolo. Dunque quelle cose
non c’entravano, poteva escluderle: ci aveva rimuginato sopra tante di quelle
volte che se quella sensazione era davvero connessa a quegli eventi e lui ancora
non aveva colto il nesso, poteva anche smettere di fare il detective.
Ripartiamo da
zero allora: quando esattamente ho cominciato ad averla??
Quello stesso
giorno, a casa del dottor Agasa; c’era stata quella stupida battuta sul film con
Eddie Murphy, poi…
“Ehi, Kudo!”
Sussultò,
ritrovandosi davanti il detective del Kansai, che lo guardava dall’alto in
basso.
“Quasi non ti
vedevo in mezzo a tutta questa gente, insomma, sei un nanerottolo, potevi
sventolare una bandiera rossa, o metterti in testa uno di quei coni
fosforescenti della stradale…non so…”
Conan lo fulminò
con lo sguardo, per nulla divertito; Heiji d’altro canto sorrideva beato, fiero
di se stesso per essere così spiritoso.
“Andiamo.”
Borbottò il piccolo detective, serio, cominciando a incamminarsi. Il ragazzo di
Osaka lo seguì docile, senza però smettere di sghignazzare fra sé e sé.
Uscirono
dall’aeroporto, e dopo aver camminato per un po’ si trattennero vicino alla
fermata dell’autobus.
“Credevo fossi
venuto a prendermi in limousine” commentò Heiji con tono deluso, ma con la sua
solita aria allegra, mentre aspettavano il mezzo. Conan sbuffò.
È qui da due
minuti e già mi sto pentendo della mia decisione…
“Riuscirai a dire
qualcosa di serio prima o poi?” brontolò, senza guardarlo.
“Qualcosa di
serio.” Lo sentì ribattere.
“Beh, questa è
vecchia come battuta. Puoi fare di meglio.” commentò con un sorrisetto. Tanto
valeva stare al gioco, si disse, in fondo ci sarebbe stato tempo per la
tetraggine quella sera.
“Vero.” Annuì
Heiji con entusiasmo immotivato “Ma ero distratto dall’immagine di te con il
cono in testa. Impagabile!” Ridacchiò, mentre Conan sospirava, poi si fece
meditabondo “Chissà se potrei…”
Heiji gli lanciò
un’occhiata che non gli piacque per niente, Conan si imbronciò immediatamente.
“Qualsiasi cosa
tu stia pensando, scordatelo.” Grugnì, scoprendo i denti; Heiji lo
osservò in silenzio per qualche altro minuto, poi scrollò le spalle e distolse
lo sguardo con uno strano sorriso a fior di labbra.
L’autobus arrivò
qualche tempo dopo, affollatissimo, e i due fecero una bella faticaccia per
riuscire a salire; Conan in particolare, date le sue dimensioni, rischiando di
essere calpestato ben due volte. Comunque, a parte la scomodità e il caldo,
riuscirono ad arrivare in fretta a destinazione, scesero e raggiunsero un locale
piuttosto frequentato vicino al centro di Beika, sedendosi a bere un caffè. Il
chiacchiericcio intorno a loro era fitto, le conversazioni dei vari tavoli si
mischiavano fra loro, confondendo suoni e voci e quindi rendendo impossibile
estrapolare i singoli discorsi. Conan sorrise con aria compiaciuta: era proprio
il posto perfetto per loro. Spostò lo sguardo verso il suo collega, seduto
davanti a lui, e dalla sua espressione capì che le motivazioni per cui l’aveva
portato lì gli erano chiarissime.
“Racconta.” Disse
semplicemente, sostituendo alla faccia allegra un cipiglio sveglio e attento,
quello che gli vedeva sempre mentre investigavano insieme. Sorrideva ancora, ma
i suoi occhi erano seri e astuti, le sopracciglia inarcate in una profonda
concentrazione. Restò con quella posa durante tutta la sua spiegazione, annuendo
ogni tanto quando Conan si fermava a riprendere fiato o a riconsiderare qualche
punto, dando segno di aver capito. Quando completò il suo racconto, il piccolo
detective prese fra le mani la tazzina e bevve un lungo sorso di caffè caldo,
mentre Heiji, davanti a lui, strappava un pezzetto di tovagliolo e cominciava ad
appallottolarlo distrattamente.
“Così stasera
dovremmo andare a catturarli…”
Conan annuì.
“…e tu
probabilmente sarai di nuovo adulto.”
“Se Haibara
riesce a preparare l’antidoto, sì.”
Heiji sospirò,
lasciandosi andare con la schiena contro la sedia e guardando per qualche minuto
le pale del ventilatore sul soffitto, nel loro lento girare. Conan non disse
nulla, lasciandogli il tempo di riflettere su quanto gli aveva appena rivelato;
capiva che non doveva essere facile trovarsi implicati in un affare del genere.
Alla fine, il ragazzo del Kansai inspirò ed espirò profondamente.
“Adesso capisco
perché mi hai consigliato di lasciare Kazuha a casa; sarà pericoloso, vero?”
“Più di quanto
abbiamo mai dovuto affrontare, sì.” confermò pacato, in un mormorio denso di
pesante consapevolezza.
“Ma voglio che
sia chiara una cosa, Heiji.”
Il detective di
Osaka, colpito dalla gravità del tono, incrociò lo sguardo del detective di
Tokyo: i suoi occhi blu erano solenni, carichi di stanchezza e determinazione
allo stesso tempo, si fissavano diritti in quelli di lui senza traccia di
esitazione, sembrava quasi che avesse smesso perfino di battere le palpebre.
“Ti ascolto.”
“Non sei
obbligato a fare quello che ti chiedo. So che è molto di più di quanto avrei il
diritto di esigere da te, e ti giuro che non ti biasimerò se vorrai rifiutare.
Io sono nei guai, io mi sono messo contro l’Organizzazione, tu non
c’entri niente. È ingiusto coinvolgerti in tutto questo, perciò non voglio che
ti senta in obbligo di darmi una mano. Puoi decidere di alzarti e andare via in
questo momento e io non farò nulla per fermarti, né la cosa cambierebbe in alcun
modo il rapporto che c’è tra noi. Pensaci bene, quindi, se accettare o meno,
perché i criminali contro cui dovremmo metterci sono ad un livello molto più
alto rispetto ai nostri soliti standard. Te ne rendi conto anche tu. Potremmo
morire in questa missione, Heiji. Perciò, rifletti bene, e sappi che, qualsiasi
sarà la tua decisione, non cambierà niente.”
Detto questo,
Conan distolse lo sguardo da quello di lui, incrociando le braccia e lasciandosi
andare a sua volta contro lo schienale. Heiji restò in silenzio per un po’, sul
viso un’espressione pensosa e indecifrabile, fissando un punto imprecisato
davanti a sé. Quando finalmente parlò, non più di due minuti dopo, lo fece con
un tono calmo e serio, carico di distratta gravità, che raramente gli aveva
sentito.
“So che non sono
obbligato, Kudo. L’ho sempre saputo. Se vengo qui per darti una mano non è certo
perché ho paura che tu possa non voler più essere mio amico o roba del genere.
Lo faccio perché voglio aiutarti.”
“Va bene, ma
stavolta…”
“Stavolta non c’è
niente di diverso.” Lo interruppe, di nuovo i loro sguardi si incontrarono
“Okay, è pericoloso, potrei morire, ma sono i rischi che ho accettato di correre
nel momento in cui ho voluto fare il detective. Se mi tirassi indietro ogni
volta che il fantasma della morte aleggia sulla mia testa, non avrei nemmeno il
diritto di essere un investigatore, e di certo non ho scelto questo lavoro per
starmene al sicuro. Mi offende sul serio il fatto che tu pensi che possa essere
così vile da…”
“Non è questione
di essere vili” si difese Conan in fretta “quanto…”
“Sì invece.” Lo
interruppe di nuovo “Il mio lavoro è combattere contro il crimine per aiutare le
persone, ed è quello che ho intenzione di fare. Forse io non sono mai stato
negli obiettivi dell’Organizzazione, ma non puoi dire che non ha niente a che
fare con me; ha cominciato a riguardarmi nel momento stesso in cui ne ho
conosciuto l’esistenza. E soprattutto, se credi che lascerei nei guai il mio
migliore amico solo per proteggermi, non hai capito proprio niente di me.”
Abbassò gli occhi
sul suo caffè. Conan restò a guardarlo imbambolato, sconcertato da quella
dimostrazione di assoluta lealtà, ma non del tutto sorpreso: nel fondo del
subconscio si era aspettato quella scenata di indignazione. Ma dopotutto aveva
dovuto dire quelle cose, non aveva avuto altra scelta. Era obbligato a
lasciargli una chance per tirarsene fuori, o non se lo sarebbe mai perdonato.
Sperava che Heiji lo capisse. Trasse un respiro profondo:
“Heiji, non
intendevo offenderti, so che sei un bravo detective, è solo che…” buttò fuori
l’aria, indeciso su come continuare e molto a disagio internamente. Forse aveva
davvero ferito i suoi sentimenti, ed era una cosa che lo lasciava scombussolato
e in colpa.
“…solo che sei un
perfetto idiota che non riflette prima di parlare, sì, lo so.” Suggerì Heiji
serio, Conan annuì prima di realizzare il significato delle sue parole, in netto
contrasto col suo tono e l’atmosfera creata.
“No che non lo
sono!!” replicò quasi urlando, seccato dall’essere stato ingannato da un
trucchetto così stupido e in imbarazzo per essersi sentito tanto in colpa. Heiji
cominciò a ridacchiare malignamente al suo indirizzo, cosa che fece crescere la
sua irritazione a livelli stellari.
“E piantala di
ridere, antipatico!”
Sbuffò,
imbronciato, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo dal volto di lui:
il suo sorrisetto gli dava sui nervi. Purtroppo però non poteva fare nulla per
gli sghignazzamenti che continuava a sentire.
“Idiota” borbottò
contrariato “comincio a pensare di non aver bisogno dell’aiuto di un detective
mancato come te, Hattori.”
“Un minuto fa hai
detto che sono in gamba, Kudo, sii coerente.” Replicò lui in tono leggero,
asciugandosi una lacrima che era sfuggita alle sue ciglia per il troppo ridere.
“Hmph.”
“È in momenti
come questi che rimpiango di non avere con me un registratore.” Considerò Heiji
dopo un po’.
È in momenti
come questi che apprezzo di più la mia vita…
Pensò Conan
ringraziando il cielo; era già abbastanza umiliante senza aver bisogno di una
documentazione per i posteri.
“Beh, che ne dici
di andare a casa del tuo vicino per prepararci a stasera, Kudo?” propose il
ragazzo di Osaka.
Il piccolo
detective annuì, alzandosi e dirigendosi verso la porta senza dar segno di
notare il pezzo di carta che la cameriera aveva lasciato sul loro tavolo.
“Ehi, Kudo, il
conto! Devi pagare la tua metà.”
“Io sono un
bambino.” Replicò Conan, confezionando la sua espressione più innocente e
sorridendo: “Non pretenderai che paghi per me.”
Uscì, senza
dargli il tempo di ribattere, sentendosi un pochino meglio per quella sua
piccola rivincita. Non molto, perché il punteggio delle loro battaglie personali
era ancora a favore di Hattori, ma almeno aveva segnato un gol a fine partita, e
poteva ritenersi soddisfatto. Sorrise nel vedere il viso di Heiji, contratto in
una smorfia seccata, quando ricomparve al suo fianco.
“Questa me la
paghi, Kudo.” sussurrò Heiji ostile, in tono minaccioso.
Conan smise
improvvisamente di sorridere.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Allora hai
capito? Credi di poter venire?”
“Non lo so…”
rispose titubante la voce al telefono. “È che Heiji ha detto di no e io non so
se…”
“Hattori-kun sarà
con Shinichi, no? Sono quasi certa che lui sappia.” Ran sospirò “Kazuha-chan, è
così difficile da credere…vorrei che tu sia con me in quel momento. Chiederei a
Sonoko, ma lei non c’entra niente con questa storia, e se è vero, Hattori sta
ingannando te, e quindi tu hai diritto di sapere quanto me.”
“Forse hai
ragione.” Concluse la ragazza di Osaka, con un sospiro. “Allora quando?”
“Oggi, se non è
un problema; vorrei risolvere la questione al più presto.”
Un silenzio
meditabondo dall’altra parte del filo, poi un sospiro profondo.
“D’accordo,
Ran-chan. Credo di poter convincere i miei. Male che vada, non sarò costretta a
fare quella stupida ricerca.”
“Uh?”
“Lascia stare.”
Tagliò corto la ragazza del Kansai. “Verrò, e faremo questa cosa insieme.”
“Grazie mille,
Kazuha-chan.” E non era un modo di dire: Ran le era veramente riconoscente. Il
colloquio con la madre di Shinichi l’aveva lasciata piena di interrogativi, ed
era ansiosa di far luce su quella faccenda.
Salutò Kazuha e
riappese il ricevitore, fissando attraverso la finestra il cielo che si andava
annuvolando sempre di più; si ravviò i lunghi capelli scuri dietro le spalle con
un gesto distratto e allo stesso tempo elegante, cominciando a sbottonarsi senza
pensarci la giacca azzurra per togliersi la scomoda divisa scolastica e
indossare qualcosa di più comodo. Finalmente era arrivato il momento di scoprire
la verità; giurò a se stessa che da quel giorno in poi non avrebbe permesso più
a nessuno di ingannarla, proprio come le aveva insegnato il suo amico
d’infanzia. Avrebbe chiarito tutto e avrebbe smesso di soffrire e di aspettare,
non l’avrebbe più presa in giro. Perché stavolta si sarebbe fatta spiegare
tutto, non avrebbe accettato bugie da lui.
Si infilò un paio
di jeans chiari e una camicetta candida a righe dello stesso celeste tenero dei
suoi occhi, con sopra un giacchetto rosa pastello, slacciato. Si diede un’ultima
aggiusta allo specchio della sua stanza, scoccando una profonda occhiata al
riflesso della cartella posata sul letto, dietro di lei.
Così Yukiko
pensava che quella fosse la soluzione ai suoi problemi? Non sapeva davvero cosa
pensare al riguardo.
Beh, stiamo a
vedere come andrà a finire, ok?
L’avrebbe visto,
e avrebbe capito, ne era sicura. Perché come diceva sempre Shinichi, “Esiste una
sola verità”.
Ed era giunto il
momento di scoprirla.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Note dell’Autrice:
Eccomi qua, è abbastanza presto? Dato il
considerevole ritardo dell’ultima volta ho fatto di tutto per aggiornare il
prima possibile questo capitolo, e spero di aver raggiunto il mio scopo, alla
faccia di prof sadici che riempiono di compiti, di rappresentanti d’istituto che
convocano comitati studenteschi a uffa, di seminari giuridici alle peggiori ore
del pomeriggio ecc. Spero che la velocità non abbia in alcun modo avuto
conseguenze negative sul capitolo (in fondo non sono stata poi così
veloce) e che vi sia piaciuto. La mia parte preferita è il colloquio fra i due
detective alla caffetteria, adoro quei due ^__^. Ancora molte chiacchiere e
niente azione, ma vi prometto che ce ne sarà in abbondanza nei prossimi
capitoli, quindi è meglio lasciare il tempo di riposarsi ai personaggi. Beh,
come al solito ringrazio tutti i lettori e in particolare chi ha commentato,
siete grandissimi! Passo subito alle risposte singole, e ci rivediamo (si fa per
dire) con chi vuole alla fine, per le solite piccole note:
Vì-chan: ciao! È sempre bello
ritrovarti, sono contenta che sia una cosa su cui possa contare anche per il
futuro. Avevo paura di aver esagerato coi flash-back nello scorso capitolo, ma
tu mi hai tranquillizzata. Thanks! #^^# Per quanto riguarda le tue domande…beh,
non pretenderai che scopra così le mie carte! Leggi e saprai tutto. In fondo,
cosa sarebbe un racconto di detective senza un pizzico di mistero? ^ _ ~
Hoshi:
salve! Sono contenta che ancora una volta il mio capitolo ti sia piaciuto, ma
sono ancora più contenta che tu mi faccia una domanda su Detective Conan: le
adoro! ^//^ Allora: c’è una scenetta molto carina sul manga riguardo alla
questione “età di Ai”, che io ho letto in inglese e che ho salvato in un qualche
floppy (tanto per precisare che non invento storie, ma che le mie conoscenze
sono tutte comprovate da determinati volumi; non riusciresti a immaginare quante
stupidaggini girano in rete sull’argomento, infatti prima di credere a qualunque
cosa leggo su internet io cerco sempre un riscontro reale): la scena si svolge
allo stadio, dove i detective boys sono andati a vedere una partita di calcio.
In effetti, quando Conan chiede alla biondina quale sia la sua vera età, lei
spara una cifra come 84, lasciando perplesso e stupito il piccolo detective.
L’ennesimo caso li distrae dal loro discorso, che riprendono alla fine della
storia, quando Conan si rivolge a lei dicendogli una cosa del tipo: “Dovrò
cominciare a chiamarti nonna, allora?” Ai sorride e gli rivela che stava
scherzando, precisando che in realtà ha 18 anni, e aggiungendo sotto voce
“Proprio l’età giusta per te.” Ti assicuro che la faccia di Conan a quel punto è
tutto un programma. Dunque non penso che possa essere considerata una pedofila,
in fondo ha solo 1 anno più di Shinichi. Soddisfatta della risposta? ^^
Mareviola:
ma dai! Non ti sparerei mai con un mitra, mi è stato insegnato
che è meglio non lasciare troppe tracce quando si fanno questo genere di
lavori.:P Eh eh eh…ti spaventeresti se ti dicessi che mi hanno fatto realmente
questa raccomandazione? Comunque, ancora non si è fatta luce su molte questioni
riguardanti la storia, spero che il capitolo ti sia piaciuto e che continui a
seguirmi. E non rubarmi le battute!
Sabry1611:
ciao! Come al solito le tue recensioni mi fanno salire al settimo
cielo, sei davvero carinissima! #^^# Io,una scrittrice in incognito!? Ma va! Se
continui a farmi complimenti di questo tipo mi monterò la testa! Comunque, le
intenzioni di Yukiko si scopriranno presto, te lo prometto, nel prossimo
capitolo…o magari in quello dopo…o in quello dopo ancora…beh, prima o poi si
saprà tutto. Povera Sabry! Davvero ti ho fatto soffrire così tanto!? Mi dispiace
é _ è io faccio del mio meglio con gli aggiornamenti, davvero, ma so che
l’ultima volta ho impiegato un bel po’ di tempo…il fatto è che con l’indirizzo
che ho preso ho un sacco di materie e di conseguenza un sacco di compiti a casa,
ed è davvero difficile ritagliare spazi di tempo sufficienti alla stesura di un
intero capitolo (ti assicuro che sono piuttosto lenta a scrivere: in un’ora è
già molto se viene fuori una pagina! - _ -“) dunque mi è difficile aggiornare in
fretta. Non ti preoccupare, non mi sono offesa!^^ Figurati! Potrei mai avere un
qualsiasi sentimento negativo nei tuoi confronti dopo tutte le cose carine che
mi hai detto!? E poi, il fatto che sei così ansiosa di leggere il seguito della
mia ff non può che farmi piacere! Spero che questo chap sia arrivato abbastanza
presto, e che lo stesso varrà per il prossimo. Io faccio il possibile! Per
quanto riguarda il discorso delle fanfic, sono ben lontana dal dire di aver
letto tutte quelle presenti su questo sito (a dirla tutta sono ben lontana
dall’affermare anche di averne lette la metà o un quarto) quindi non posso
esprimere un giudizio negativo o positivo globale. Fra quelle che ho letto che
ne sono di carine, un paio che mi sono piaciute particolarmente (tutte opinioni
che ho lasciato nelle recensioni) ma anche numerose che, dal mio punto di vista,
non erano granché. Ma in fondo, la bellezza sta nell’occhio dell’osservatore. Io
non critico uno scrittore solo perché ha scritto qualcosa che non mi piace,
(sarebbe stupido, ma chi cavolo mi crederei di essere!?) ma mi da un po’
fastidio quando si pubblicano storie scritte tanto per, giusto per vedere il
proprio nome in lista. È patetico. E si nota al primo sguardo. Questa è la mia
opinione generale. Beh, mi sa ho esagerato con tutte queste chiacchiere, grazie
ancora per i complimenti, sei davvero gentile, un bacione e a presto!
Yuki: beh,
se ti è piaciuta quella parte, immagino che anche quella finale fra Ran e Kazuha
in questo capitolo ti abbia interessato; non preoccuparti, i non dire verranno
al più presto svelati! ^ _ -
Wilwarind:
tesora!! Ciao!! È bello risentirti dopo tutto questo tempo! ^//^
Spero che tu stia bene, io non mi lamento (ho avuto la febbre la settimana
scorsa, ma adesso è tutto passato). Grazie dei complimenti sulla fanfic, il tuo
sadismo nei confronti del povero Conan è inquietante, ma sono contenta che i
flash-back ti piacciano così tanto! Sai com’è, è l’unico modo per far stare la
coppietta insieme, poveracci!^^; (qui il perfido è lo stesso Gosho, immagino)
ma mi chiedo quand’è che verrai a farmi concorrenza (o meglio a stracciarmi ^^“)
con la tua fanfic!! Lo sai che adoro TB…Comunque, aspetto tue notizie
attraverso e-mail, ma come al solito prenditi pure tutto il tempo che
vuoi…comincio a capire seriamente cosa significhi non avere un minuto
libero! Oh, se hai qualche suggerimento da fare o qualche critica nei confronti
della storia, accomodati pure; sai quanto ci tengo al tuo giudizio. Baci, a
risentirci, Wil-chan!^^
Ginny85:
oh, anche tu ammalata!? Questa febbre sta facendo stragi ultimamente, l’ho avuta
anch’io la settimana scorsa, e in classe facciamo a turno (prof compresi, per
nostra fortuna); spero che adesso sarai ormai guarita. Come sempre, grazie mille
per i complimenti, sei gentilissima; il discorso di Shinichi in effetti l’ho
creato io, dopo aver riflettuto astrattamente sulla questione qualche tempo fa.
Mi si è accesa all’improvviso una lampadina quando ho messo a confronto
prestigiatori e detective (so cosa vorresti chiedermi: “Non hai niente di meglio
da fare?” beh, ti dirò, ci sono giorni in cui penserei anche ai vantaggi dei
lacci per le scarpe pur di non prestare attenzione al libro di testo che attende
di essere letto sulla scrivania), sono felice che il discorso ti sia piaciuto.
Per quanto riguarda i MIB…diciamo che non è a tutti gli effetti un’idea genuina.
Ti spiego: leggo molte ff di Detective Conan in inglese, e lì capisci che gli
Uomini in Nero non possono che essere chiamati “Men in Black”, così, la prima
volta che mi è capitato sotto gli occhi l’appellativo, il mio strano cervello ha
subito fatto un collegamento col film di Eddie Murphy…ed ecco qui la battuta.^^
Ti ringrazio tanto per le lodi, mi fai arrossire! ^//^ Beh, il manga per fortuna
è più solare e spensierato della mia storia, Conan deve pensare solo alla cosa
che gli riesce meglio (risolvere omicidi), Ran sopporta bene la lontananza di
lui ecc. i miei personaggi sono un po’ più complessati. Poveri. Ai…uhm, non
avevo mai pensato ad accoppiarla con qualcuno. Lei è un tipo solitario di
natura. Facciamo così, ci penso e poi ti dico, ok? Un bacione, ciao!
Lili: ti
ringrazio!^//^ Beh, non sono sicura nemmeno io di avere la mente adatta al
giallo, è la prima volta che mi cimento con questo genere, e mi preoccupa la
prospettiva di poter commettere degli errori e delle imprecisioni; ma sai come
si dice: o la va o la spacca! ^__^ Sono contenta che questi capitoli tranquilli
ti piacciano, spero di non deluderti nemmeno quando arriveranno quelli un po’
più movimentati; per quanto riguarda Yukiko…tu continua a seguirmi e scoprirai
tutto, promesso!^ _ ~ Un bacio, a presto.
APTX4869:
ciao! Eh già, povero Conan…poveri tutti i miei personaggi!! Però dai,
alla fine sto dando loro un attimo di respiro con questi capitoli.^^ Grazie
tantissimo dei complimenti, felice che la battuta di Gin e Vodka ti sia piaciuta
e che approvi anche l’entrata in scena di Yukiko. Vedrai che cosa combinerà!
^__^ A risentirci, spero che anche quest’ultimo chap sia stato all’altezza delle
tue aspettative!
Lisa Lawer:
grazie mille! Spero di non averti fatto penare troppo…ho fatto
più veloce che potevo, ma un po’ di giorni (o meglio, settimane ^^;) mi ci
vogliono per aggiornare, capisci. Mi auguro comunque che anche questo capitolo
ti sia piaciuto e che sia valsa la pena di aspettare un po’ per leggerlo. Ciao!
Terabyte:
ciao, mi ha fatto veramente piacere leggere la tua recensione: sei stata
carinissima! Grazie! #^^# Hai ragione, cerco di frullarci dentro un po’ di tutto
in questa storia, azione, umorismo, tristezza ecc. nonostante come genere sul
sito abbia scritto solo “Romantico” (piccola confessione: quando l’ho pubblicata
il giugno scorso non ero riuscita a mettere più di un genere ^^;). Se ti
piacciono Shinichi e Heiji sarai stata contenta dello spazio che ho dedicato
loro in questo capitolo, e a proposito, se nel dialogo che hanno avuto c’è
qualcosa che non ti sta bene sentiti libera di dirmelo! Le critiche costruttive
sono sempre utili. Ai invece non si vede qui…ma rimedierò presto, don’t worry!^
_ ~ Avrà una parte fondamentale nella storia. Oh, mi hai fatto ridere con la
scena dell’elefante in tutù…grazie ancora dei complimenti, spero di risentirti.
Akemichan:
salve!^^ Felice di risentirti, e che la mia ff continui a
piacerti (grazie per i complimenti!). Beh, ci sono scene carine anche fra Ai e
Conan, sebbene non siano romantiche, e credo che ce ne saranno anche in futuro
(a me la biondina piace ^//^), perciò…
Con questo è
tutto; le solite precisazioni: avete presente il modo in cui si veste Ran alla
fine del chap? Jeans, camicia bianca a righe blu e giacchetto rosa!? Sono gli
stessi indumenti che indossa in un’immagine che ho trovato su internet, in cui
giace addormentata sul pavimento con in mano un maglione che sta sferruzzando
per Shinichi. Adoro quell’immagine, lei è davvero carina, così quando ho dovuto
decidere che vestiti farle mettere mi è subito venuta in mente. Per quanto
riguarda i volumi del manga, non mi sembra di averne citati stavolta (ma potrei
anche sbagliarmi; oggi sono piuttosto frastornata). L’idea di andare a parlare
in un locale affollato, in modo da non essere ascoltati da orecchie indiscrete,
posso dire che mi sia stato suggerito da un tizio di nome Sirius Black. ^^
Moltissimi di voi avranno già capito a chi mi riferisco, ma per scrupolo
aggiungo comunque che si tratta di un personaggio di J.K. Rowling, dei romanzi
di Harry Potter. Sirius lo dice ai tre protagonisti nel quinto libro.
Beh, credo di
aver finito, per oggi. Ringrazio ancora tutti i lettori, ma sapete già che la
mia riconoscenza andrà in particolar modo a quegli angeli che commenteranno.
A presto, con il
ventesimo capitolo.
-Melany
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Capitolo 20 *** Revelations ***
20. Revelations
I due detective si fermarono
davanti alla soglia della casa del dottor Agasa; quando Heiji fece per suonare
il campanello, Conan richiamò la sua attenzione tirandogli la stoffa dei
pantaloni un po’ sotto il ginocchio. Il ragazzo si voltò sorpreso verso di lui,
inarcando un sopracciglio in un’espressione interrogativa.
“Ricordati quello che ti ho
detto.” Bisbigliò Conan, serio. “Haibara non deve sapere nulla di stasera. Se
venisse a conoscenza dell’azione che stiamo preparando, vorrebbe parteciparvi, e
non ho alcuna intenzione di portarla con me. Inoltre, potrebbe anche rifiutarsi
di darmi l’antidoto.”
“Sì, ho capito, me l’hai già
detto” borbottò scocciato il detective dell’Ovest.
“Dì che sei qui…”
“…per controllare le mosse di
Gin, pedinandolo. Uffa, quanto sei noioso!” sbuffò Heiji, socchiudendo gli occhi
e suonando il campanello. Conan scrollò le spalle e distolse lo sguardo dal suo
collega; preferiva mettere le cose bene in chiaro: Heiji tendeva a parlare a
sproposito quando c’era da mantenere un segreto, lui l’aveva sperimentato a sue
spese. Tutte le volte che lo chiamava Kudo in pubblico, di fronte a Ran, quello
stesso pomeriggio al telefono…
Il dottor Agasa aprì la porta,
battendo più volte le palpebre quando vide il ragazzo di Osaka sulla soglia,
confuso.
“Ehm…salve” borbottò, scoccando
un’occhiata interrogativa a Conan che quest’ultimo schivò con disinvoltura.
“Ehilà, vecchio, come va?”
esordì Heiji espansivo, in tono confidenziale nonostante si fossero visti
pochissime volte. Conan guardò in faccia il suo vicino di casa e sorrise,
intuendo dalla sua espressione sbalordita e dalle sue guance paonazze quello che
stava pensando: ‘Vecchio?’. Il ragazzo del Kansai gli batté sulla spalla
un paio di volte con la mano con atteggiamento amichevole, poi entrò in casa
poggiando in terra il suo bagaglio. Il professore seguì i suoi movimenti,
sconcertato, poi si rivolse al piccolo detective, che a sua volta aveva varcato
la soglia.
“Shinichi, che cosa sta
succedendo?” chiese, come inebetito.
“Hattori è venuto ad aiutarmi,
deve pedinare Gin. Non posso spiegare ai Mouri la sua presenza qui, perciò mi
chiedevo se potessi ospitarlo tu per oggi.” Spiegò con voce incolore, gli occhi
socchiusi in uno dei suoi tipici cipigli annoiati. Il viso del professor Agasa
stava diventando rosso acceso.
“Non potevi avvertirmi prima?
Chiedermi se potevo?” replicò imbronciato, a bassa voce, forse pensando che
sarebbe stato scortese far sentire una cosa del genere all’ospite in questione.
Conan si limitò a stringersi nelle spalle.
“Ehi, non hai delle patatine
fritte o qualche altro snack?” l’inconfondibile voce con l’accento di Osaka
risuonò dalla cucina verso il salone. Il dottor Agasa sbuffò, guardando torvo il
piccolo detective, che fece in modo un’altra volta di sottrarsi alla sua
occhiata.
“Insomma, cos’è questo
chiasso?”
Conan si voltò sorpreso verso
la porta del laboratorio, dalla quale era emersa Ai Haibara; aveva un’aria molto
più stanca rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, i capelli biondi erano
un po’ spettinati, sopra la maglietta a dolcevita verde scuro e ai calzoncini
candidi aveva indossato il camice bianco. Se non avesse avuto quella luce triste
negli occhi e quell’espressione cupa, sarebbe sembrata davvero adorabile, una
bambina di otto anni con un camice da dottore e i capelli arruffati. Conan si
chiese distrattamente dove avessero trovato una divisa da medico di quella
misura.
“Abbiamo visite.” Borbottò il
professor Agasa, dirigendosi verso il divano con aria indispettita. Ai gli
prestò per qualche secondo la sua attenzione, che si spostò poi inevitabilmente
su Conan.
“È arrivato Heiji Hattori da
Osaka. Si è offerto di pedinare Gin per stasera.” Disse il piccolo detective,
sperando che il suo tono di voce non tradisse la bugia e cercando di non far
vacillare il suo sguardo. Ai gli riservò una profonda occhiata di apprezzamento,
trapassandolo da parte a parte con lo sguardo. Sarà stato che non era abituato a
mentire, ma quei pochi secondi che impiegò lei a formulare l’altra domanda gli
sembrarono eterni.
“Seguiamo già i suoi
spostamenti con la trasmittente. A cosa serve pedinarlo?” domandò freddamente.
Oh oh…
“Beh, la trasmittente ci dice a
quanti chilometri di distanza si trova, non esattamente dove. Non possiamo
sapere cosa fa a meno che, parlando, non lo spieghi lui stesso. È un modo in più
per tenerlo d’occhio. Sapere quello che fa.” Ribadì il concetto,
pregando di aver assunto un tono ragionevole e convincente. Lei lo squadrò di
nuovo con quei suoi occhi freddi, simili a lame di coltello che cercavano di
trafiggerlo, e Conan sentì un brivido percorrergli la schiena.
“Non è rischioso?” chiese lei
lentamente, senza smettere di fissarlo.
“No, Hattori è bravo, e poi
anche se lo vedessero, non lo conoscono!” incalzò lui.
Ai rimase impalata a studiarlo
ancora per qualche minuto, poi chiuse gli occhi e scrollò le spalle.
“Spero che tu sappia quello che
fai, Kudo.” disse lugubre, e prima che lui avesse il tempo di rispondere si
chiuse alle spalle la porta del laboratorio, isolandosi di nuovo dal mondo.
Per Conan fu un grandissimo
sollievo; i muscoli, prima tesissimi, si sciolsero velocemente e il corpo si
lasciò andare seduto. Dentro di sé aveva un po’ paura che Ai avesse fiutato
l’inganno, ma probabilmente la mente di lei era troppo impegnata a pensare
all’antidoto per doversi occupare anche di quella faccenda, era quello il motivo
per cui non aveva insistito tanto. O almeno così sperava.
Smettila di essere sempre
così disfattista…e poi anche se avesse percepito la bugia, non potrebbe mai
arrivare alla verità…
Con questo pensiero si sentì un
po’ meglio; era vero, anche se sospettava qualcosa, Ai non poteva venire a
conoscenza degli avvenimenti di quella sera, dunque erano al sicuro da lei.
Sospirò, togliendosi il giubbetto e appendendolo all’attaccapanni dell’ingresso,
prima di raggiungere gli altri in salotto. Heiji si era appollaiato sulla
poltrona poco distante dalla tv, sgranocchiando salatini, il professore aveva
incrociato le braccia, seduto sul divano con un’espressione imbronciata.
Conan sorrise, poi si accorse
che c’era una persona che mancava all’appello.
“Dov’è mia madre, dottor Agasa?”
domandò incuriosito. Aveva bisogno di parlare con lei, doveva convincerla a
tornarsene in America da suo padre; non si sentiva a suo agio al pensiero che si
trovasse in città quando lui doveva affrontare una missione pericolosa,
preferiva saperla sana e salva a Los Angeles.
Il professore si fece
meditabondo: “Uhm, è uscita subito dopo che tu ci hai mandati via dalla stanza
perché volevi riposare, non ha detto dove andava. Poi non l’ho più vista.”
Spiegò, guardandolo attraverso le tonde lenti degli occhiali.
“Ah.” Un brivido gelido gli
percorse la schiena, accompagnato da un bruttissimo presentimento.
Oh mio Dio…non sarà andata
da Ran…
Si lasciò cadere sul divano, le
gambe molli non lo reggevano più. Sperava che non avesse tenuto fede a quello
che gli aveva detto; la sua vita sentimentale era già abbastanza scombussolata
senza che sua madre andasse a parlare con Ran. E a parte tutte le cose
spaventose che lei avrebbe potuto dire a quest’ultima, che figura ci avrebbe
fatto con la sua amica d’infanzia?? Di un ragazzino idiota che non appena aveva
un problema andava a piangere dalla mammina?
“Ehm, scusate, non dovremmo
organizzarci per stasera?” s’intromise Heiji, la bocca piena di salatini.
Conan sospirò, il suo collega
aveva ragione. Il lavoro prima di tutto.
“Sì, meglio cominciare.”
Approvò, mettendosi seduto composto. “Ma parla a voce bassa, lei non deve
sentire”.
Lei se ne stava con la
schiena appoggiata al muro, in un punto dove loro non avrebbero potuto vederla,
nascosta nell’ombra, ma dal quale poteva sentire benissimo cosa stavano dicendo,
voce bassa o no. Le mani erano infilate nelle tasche del camice, un ginocchio
era piegato in modo da far poggiare la pianta del piede alla parete dietro di
sé.
“Sei uno sciocco, Kudo.”
bisbigliò, il viso solitamente neutrale tirato per l’ansia, la fronte aggrottata
in un’espressione preoccupata. Tirò fuori la mano destra dalla tasca e ne
estrasse una cassetta, che cominciò a rigirarsi fra le mani.
“Sei davvero uno sciocco…”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Non fare tardi, Ran” brontolò
l’investigatore Kogoro Mouri, quando vide sua figlia infilarsi il cappotto da
sopra i fogli del giornale. Lei si voltò verso di lui, sorridendo.
“Non preoccuparti papà, ho
lasciato la cena nel forno.” Lo conosceva bene; scorse sulle gote di suo padre
un lieve rossore prima che, sbuffando, si coprisse di nuovo il volto col
giornale. “È solo una porzione per te, Conan ha telefonato dicendo che resta a
dormire dal professor Agasa stanotte”.
“Dove hai detto che vai?”
chiese Kogoro, senza guardarla.
“Devo andare a prendere
un’amica…” a Ran non capiva bene il motivo per cui preferiva tenersi sul vago,
ma aveva la sensazione che fosse meglio così. Era un po’ assurdo, perché prima o
poi avrebbe dovuto informarlo, visto che Kazuha avrebbe dormito a casa loro, ma
la faceva sentire più tranquilla.
Kogoro riemerse di nuovo da
dietro il giornale, gli occhi neri penetranti mentre la fissava serio, con
un’espressione che lo faceva somigliare a un poliziotto in procinto di
interrogare un sospettato. Strascichi del suo lavoro di gioventù, immaginò sua
figlia. Dopo qualche momento molto gravido, l’investigatore parlò:
“Meglio per te che si tratti di
un’amica” borbottò “Perché se mi ritorni di nuovo in lacrime…”
“Non lo farò.” Lo interruppe
lei, insolitamente brusca e fredda. Kogoro alzò un sopracciglio: lei lo guardava
all’improvviso molto rigida.
“Bene.” Replicò suo padre,
scomparendo di nuovo fra le notizie del giorno.
Ran finì di abbottonarsi il
cappotto, passandosi una mano fra i capelli lunghi per tirarli fuori
dall’indumento che li aveva avvolti e aprì la porta, scomparendo dietro di essa.
Fuori si era alzato un forte
vento gelido, che la fece rabbrividire. Attraversò in fretta le vie di Tokyo, le
guance e il naso che diventavano sempre più arrossati a causa del freddo, i
capelli lunghi scompigliati dal vento che le finivano davanti agli occhi. Fu un
gran sollievo salire sull’autobus, con il calore dei respiri e dei corpi di
tutte le persone che vi viaggiavano, e fu un rammarico altrettanto grande dover
scendere. Per fortuna, Kazuha era già arrivata quando giunse all’aeroporto, e la
aspettava infagottata in un lungo cappotto di camoscio beige e una sciarpa di
lana avvolta intorno al collo. Quando la scorse sorrise, il suo viso altrettanto
congestionato del proprio.
“Ciao, Ran-chan!” esordì,
abbracciandola. “Da quanto tempo, eh?”
Ran rise della battuta, poi la
ringraziò per essere accorsa al suo richiamo.
“Di nulla” rispose lei,
scuotendo la testa e facendo ciondolare la coda di cavallo, trattenuta con un
nastro di un blu particolare . Ran si chiese distrattamente se non sentisse
freddo al collo, con i capelli tirati su anche d’inverno, prima che la voce
della sua amica del Kansai la distraesse di nuovo. “Qui fuori si congela, che ne
dici di andare a prenderci qualcosa di caldo mentre mi dici nei dettagli quello
che è successo?”
Ran approvò entusiasta, in
effetti in quel momento non le sarebbe dispiaciuta una bella cioccolata calda.
Raggiunsero un bar lì vicino, sedendosi ad un tavolo e ordinando ognuna una
bevanda bollente.
“Carino il tuo nastro. Bel
colore.” Commentò Ran, mentre la ragazza di Osaka si stava togliendo il
cappotto, rivelando un maglioncino lilla e una gonna jeans sopra un paio di
stivaletti col tacco. Improvvisamente Kazuha arrossì, prendendo fra le dita il
pezzetto di tessuto che pendeva dal fiocco e accarezzandolo lievemente, con un
sorriso e gli occhi che brillavano di verde.
“Vero. Me l’ha regalata Heiji.”
disse, in un bisbiglio appena percettibile in mezzo al chiacchiericcio dei
presenti nel locale, “Non so perché. Non è il mio compleanno o qualche evento
speciale…stavamo tornando a casa da scuola oggi quando l’ho visto in una
vetrina. Mi è saltato subito agli occhi questo colore particolare, blu tendente
al viola…non sapevo bene come definirlo e all’improvviso lui ha esclamato: ‘a me
sembra color mirtillo’ e senza aggiungere altro, prima che potessi fermarlo, è
entrato in negozio e me l’ha comprata.” Gli suoi occhi erano scintillanti mentre
parlava, sorrideva al ricordo e sembrava accorgersi a malapena della presenza di
Ran davanti a sé.
“Non gli hai chiesto perché
l’ha fatto?” domandò lei, Kazuha quasi sobbalzò udendo la sua voce, strappata
dal suo sogno del passato.
“Sì, ha detto che sembrava
fatto apposta per me. Mi sorrideva, ma non nel suo solito modo da presa in giro,
sembrava…non so…ma poi quando ho insistito per farmi spiegare che cosa intendeva
lui ha sbuffato e ha detto che la mia faccia somiglia a un mirtillo.” Kazuha si
imbronciò, ma Ran vedeva chiaramente dietro quella maschera quanto lei gli fosse
grata per quel regalo, quanto fosse grande l’affetto che provava per lui in quel
momento. Finalmente La ragazza di Osaka si sedette, e mentre la cameriera
poggiava davanti a loro la cioccolata e il tè alla pesca caldi, domandò più
seria: “Ma dimmi, pensi seriamente che Heiji e Kudo-kun ci stiano nascondendo
qualcosa?”
Anche Ran si rabbuiò, soffiando
lievemente sul suo cioccolato.
“Ne sono quasi certa. C’ho
pensato e ripensato, neanch’io volevo crederci. Ma ci sono davvero dei buchi in
tutta questa faccenda e sono risoluta a riempirli stasera. Non so bene come, ma
Yukiko...la madre di Shinichi,” aggiunse, quando vide la sua espressione
smarrita al nome della donna “mi ha assicurato che tutti i miei dubbi sarebbero
stati spazzati via se avessi usato questa.” Prese la borsa e ne estrasse un
oggetto rettangolare, grande più o meno come il palmo della mano, e glielo
porse. Kazuha lo esaminò attentamente.
“Credi davvero che ci aiuterà a
sapere cosa ci stanno nascondendo?”
Ran si strinse nelle spalle.
“Non lo so ma…tentare non costa
niente, no?”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Penso di aver finito.”
Annunciò Ai Haibara, varcando
la soglia del salotto tenendo sul palmo della mano una capsula rossa e bianca.
Conan balzò immediatamente giù dal divano, dirigendosi verso di lei veloce
simile a un cane a cui è stata sventolata sotto il naso una bella bistecca
succulenta. Prima che potesse prendere dalla sua mano aperta la pastiglia, Ai la
chiuse a pugno e se la infilò in tasca.
“Ehi!” protestò Conan,
guardandola ostile.
“Sei certo di volerlo fare?”
domandò lei, ignorando la sua rabbia.
“Oh ti prego, non
ricominciare!” sbuffò il piccolo detective, socchiudendo gli occhi e storcendo
la bocca. “Conosco la cantilena: non è mai stato testato sugli esseri umani,
potresti morire, è rischioso, pensaci bene bla bla bla. Ora posso avere la
capsula?”
“No. Non ancora.”
Per la prima volta nella sua
vita Conan sentì un forte impulso a strangolare una ragazza. Si trattenne,
fissandola torvo a denti stretti. “Che c’è ancora?” ringhiò.
“Voglio che mi dai la tua
parola di detective che non ti farai assolutamente vedere in giro, se ritorni
adulto. Non ho alcuna voglia di rischiare la mia pelle solo perché sei affamato
di gloria e vuoi essere acclamato dalla folla.” Disse freddamente, alludendo
alla sua performance al liceo Teitan, durante la recita. Conan sbuffò.
“Okay, d’accordo, niente show
deduttivi. Qualcos’altro?” chiese scocciato, inarcando un sopracciglio.
“Non rischiare le nostre vite
per nulla, solo questo.”
Estrasse dalla tasca la capsula
e gliela porse, Conan la fissò per un attimo, imbambolato, poi allungò
cautamente la mano per prenderla, quasi meravigliato quando vide che lei gli
permetteva di afferrarla. La osservò sul proprio palmo, piccola e all’apparenza
innocua, ma custode di un grande potere. Proprio come lui.
“Sicura che funzioni, Ai-kun?
Mi sembra che tu ci abbia messo troppo poco tempo.” Disse il professor Agasa,
pacato, rivolgendosi alla biondina. Lei gli rivolse quel suo strano sorriso
privo di calore e annuì. “Ho dovuto solo modificare la formula di ieri, i
componenti erano già tutti pronti, dunque è stato un lavoro molto più breve. Non
posso assicurare che funzioni ma se non importa a Kudo, perché dovrebbe
interessarci? Anche perché…” scoccò un’occhiata crudele al ragazzo in questione,
che rabbrividì suo malgrado quando se ne accorse “…non tutte le cavie da
laboratorio hanno il privilegio di poter scegliere. Sei un topolino bianco
davvero fortunato, Kudo-kun.” Sibilò, ignorando il suo sbuffo e andandosene di
nuovo.
Conan la seguì con lo sguardo,
seccato, poi la sua attenzione si spostò ancora sulla capsula che teneva in
mano.
“Ma davvero rischi di rimanerci
secco?” domandò apprensivo Heiji, osservandolo con la fronte aggrottata. Conan
scrollò le spalle. “Chissà” rispose, prima di infilarsi in bocca la pastiglia e
ingoiarla con un po’ dell’aranciata che era sul tavolino davanti al televisore,
della quale il suo collega aveva usufruito. Si sedette sul divano, sospirando.
Alla bocca dello stomaco si era formata una brutta sensazione, il cuore aveva
cominciato a battergli forte. Non lo avrebbe mai ammesso, ma dentro di sé aveva
davvero molta paura che qualcosa andasse storto. Nonostante avesse accettato di
farlo, non poteva negare di essere spaventato dalle conseguenze che il composto
avrebbe potuto avere su di lui. Insomma, era ancora troppo giovane per morire, e
poi aveva sempre pensato che, se proprio doveva passare a miglior vita, avrebbe
voluto che fosse una fine gloriosa, durante una pericolosa missione. Qualcosa di
eclatante che lo avrebbe fatto ricordare per sempre: magari sacrificarsi
eroicamente per salvare la città dal crimine o roba simile. Di certo non avrebbe
voluto spirare a casa del suo vicino, nel corpo di un bambino di sette anni, per
avvelenamento da droga non meglio identificata. Non era una cosa di cui andare
fieri.
Cercò di calmarsi pensando a
qualcosa di diverso; immaginare quelle sostanze che lentamente gli entravano in
circolo, scorrendo nelle vene e nelle arterie fino al muscolo cardiaco e magari
al cervello non era di aiuto a calmargli l’ansia, che cercava in tutti i modi di
nascondere agli altri due.
“Qui ci sono i vestiti che
avevo preso anche ieri.” Disse il dottor Agasa, porgendogli una camicia candida,
un paio di pantaloni blu scuro e una giacca dello stesso colore, ben ripiegati.
Conan ebbe una fitta di nostalgia nel vedere quegli indumenti, che indossava
spesso quando era Shinichi per le sue indagini. Erano comodi e allo stesso tempo
eleganti; gli conferivano un certo charme, un certo stile. Si voltò verso Heiji
quando si accorse che era da un po’ che se ne stava in silenzio –una cosa
piuttosto strana, dato il soggetto-, e vide che era ancora piuttosto crucciato
per quello che aveva sentito poco prima.
“Oh, andiamo Hattori!” sbottò
“Non avrai mica creduto che i composti di Haibara fossero del tutto sicuri e
sperimentati! Non siamo mica in farmacia!”
Ma dalla sua espressione capì
che doveva averlo pensato. O almeno, aveva voluto illudersi finché non gli
avevano sbattuto in faccia la realtà delle cose. Shinichi aveva notato spesso
questa tendenza di Heiji a non accettare ciò che la mente gli diceva, se non era
completamente di suo gusto. Come quella volta sull’isola della sirena…
“Vedrai che andrà tutto bene.”
Sospirò Conan, chiedendosi perché dovesse rassicurare il detective dell’ovest.
Cavoli, era lui quello che si era appena messo in corpo quella roba, i ruoli
avrebbero dovuto essere invertiti!
“Speriamo” borbottò Heiji,
sedendosi di nuovo e continuando a fissarlo in tralice.
Conan scoccò uno sguardo
all’orologio: le otto e trenta. Fra mezz’ora avrebbero dovuto mettersi in
viaggio; sperava che l’antidoto funzionasse prima di allora. Chiuse gli occhi,
poggiando la testa alla spalliera del divano e cercando di rilassarsi.
Ricominciò quasi senza rendersene conto a rimuginare sulla cosa che lo
assillava, quella specie di brutta sensazione che si teneva dentro: aveva
stabilito già che non si trattava di qualcosa avvenuto il giorno prima, quindi
doveva concentrarsi sugli eventi odierni; come stava ricapitolando
all’aeroporto, era arrivato a casa del professore, c’era stata la disputa su
quegli sciocchi nomi in codice per gli Uomini in Nero, poi era comparsa sua
madre, avevano parlato e…
Una stridula musichetta acuta
lo fece sussultare e sbarrare gli occhi, strappandolo ai suoi pensieri; accanto
a lui Heiji estrasse il cellulare dalla tasca, guardò il display socchiudendo
gli occhi con aria annoiata e poi rispose:
“Sì, ciao mamma. Che c’è? …Sì,
sono arrivato, tutto a posto……no, sono a casa di un amico di Kudo……sì, mamma, lo
farò, sta’ tranquilla……okay, ti chiamerò stasera. Ciao.” Heiji sbuffò,
interrompendo la chiamata e infilandosi di nuovo il telefono in tasca. “Uffa!
Nemmeno avessi più sei anni...” si lamentò, rivolgendosi al suo migliore amico.
Ma Conan non lo ascoltava;
aveva appena realizzato ciò che gli sfuggiva, e il suo volto era inorridito,
diventando bianco come il gesso. Fissava il vuoto, paralizzato, gli occhi blu
sgranati ricolmi di panico, il corpo in tensione, in piedi.
“Oh no…ti prego no…”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
La bionda scienziata estrasse
dal walkman il nastro che aveva trafugato dal giubbetto di Kudo; che stupido
ragazzo. Aveva tolto dai macchinari la cassetta per evitare che lei
l’ascoltasse, ma Ai si era accorta subito che una mancava all’appello, quando
aveva controllato il ricevitore dopo che lui se n’era andato. Questo l’aveva
insospettita. Era evidente che voleva nasconderle qualcosa di grosso, e lei non
poteva permetterlo; doveva scoprire di che si trattava, a tutti i costi. Certo,
se si fosse sbarazzato subito della registrazione lei non avrebbe potuto mai
sentirla, ma Kudo aveva già troppe cose a cui pensare, e con sua enorme fortuna
se l’era dimenticata nella tasca del giacchetto, come aveva potuto capire lei
dal rigonfiamento della stoffa quando prima l’aveva osservato attentamente. A
quel punto era stato un giochetto da ragazzi sottrarre ciò che voleva a un
indumento indifeso appeso ad un attaccapanni.
Kudo stava cercando di
ingannarla, ma il delitto perfetto non esiste, e quindi lei lo aveva scoperto;
divertente, considerando chi era il detective e chi il criminale, fra loro due.
Comunque, aveva ascoltato la
registrazione e i discorsi dei due giovani investigatori in salotto, e a quel
punto il puzzle era completo nella sua mente; sapeva che cosa volevano fare i
suoi ex colleghi di lavoro, ed era a conoscenza dei piani di Kudo; era agitata,
aveva paura che quella sera le cose finissero male. Aveva pensato di rifiutarsi
di dare l’antidoto a Kudo, ma poi aveva rinunciato: sapeva che lui sarebbe
andato in missione a qualsiasi costo, anche senza il suo corpo adulto. Ormai
cominciava a conoscerlo bene, era cocciuto come un mulo e se si metteva in testa
una cosa la portava a compimento, qualsiasi fossero gli ostacoli da superare.
Perciò Ai si era detta che, se proprio doveva andare a rischiare la vita, meglio
che fosse al meglio delle sue possibilità, nel corpo di un diciassettenne e non
di un moccioso delle elementari. Sapeva anche che non avrebbe potuto dissuaderlo
in alcun modo dal compiere quella sciocchezza, e così aveva taciuto; sarebbe
servito solo a fargli capire che lei era a conoscenza di tutto, e secondo il suo
piano ciò non doveva accadere, almeno fino ad un certo momento che ancora doveva
arrivare. Così, sebbene non appena avesse udito la familiare quanto sgradevole
voce di Gin provenire dalle cuffie del walkman si fosse sentita persa e
spaventata, tanto che aveva dovuto sedersi per impedirsi di svenire, ora si era
fatta forza e aveva deciso di reagire. Era giunto il momento di vendicare la
morte di Akemi, fargliela pagare a quel bastardo che le aveva portato via
l’unica persona che le volesse bene al mondo. Smetterla di fare la codarda e
combatterli, ma a modo suo, non come avrebbe fatto Shinichi Kudo, mettendoli in
prigione e basta. Qualche settimana e sarebbero stati di nuovo liberi, mentre
sua sorella era ancora imprigionata in quella oscura bara di legno, sepolta
sotto metri e metri di gelida terra. Era questa che Kudo chiamava giustizia?
Beh, lei la pensava diversamente. Quella notte sarebbe stata la sua rivincita,
avrebbe riservato a Gin lo stesso trattamento che lui aveva dato alla sua Akemi,
l’avrebbe ucciso con le proprie mani, l’avrebbe fatto soffrire e morire. E poi…
Poi non importava.
Forse la polizia l’avrebbe
catturata e messa in carcere, o forse sarebbe stata uccisa da Vodka o da qualche
altro membro dell’Organizzazione; la cosa non la turbava minimamente, il suo
obiettivo era vendicare la morte di sua sorella, quella persona meravigliosa che
quel bastardo aveva osato uccidere senza pietà, solo per un mucchio di sporco
denaro. Il resto non aveva alcuna importanza; la sua vita non valeva un granché,
nessuno avrebbe pianto la sua scomparsa, perché lei non aveva nessuno al mondo.
Kudo…beh, sarebbe stato sollevato di togliersi di torno sia Gin sia lei, che
ormai era solo un peso, senza sporcarsi le mani. Aveva già la sua adorata Ran
Mouri, probabilmente fra qualche anno si sarebbe completamente dimenticato di
averla mai conosciuta; in fondo, lui la disprezzava, per quello che aveva fatto,
per l’Organizzazione a cui era appartenuta…non avrebbe mai potuto vederla sotto
una luce differente che quella di una ex criminale senza scrupoli. Le aveva
urlato in faccia chiaro e tondo quello che pensava di lei, quando si era
presentata a lui: un’assassina senza cuore, che odiava.
Dunque perché continuare a
vivere? Una volta sistemata quella faccenda, non aveva più motivo di restare. E
poi, se avesse saputo che aveva ucciso un uomo, seppure la persona più
disgustosa sulla faccia della terra, un criminale che entrambi detestavano, Kudo
non avrebbe mai voluto riaverla con sé.
E infine, avrebbe potuto
finalmente riabbracciare sua sorella.
Si asciugò le guance con il
pugno, sbuffando: non era il momento di lasciarsi andare. Prese un pezzo di
carta e una biro, scrivendo velocemente, e infilò il foglio in una cartellina
blu che poggiò vicino al computer. Dopodiché estrasse dalla tasca il suo
telefono cellulare: se voleva attuare il suo proposito, doveva sbarazzarsi di
Kudo, e sapeva già come.
Sorrise, ma non come avrebbe
fatto Ai Haibara o Shiho Miyano.
Quello era il sorriso di
Sherry.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Qual è il problema?” chiese
Heiji allarmato, quando vide il suo viso cianotico e udì il suo borbottio. Conan
si voltò verso di lui, ancora completamente paralizzato dallo shock.
“Sono stato un idiota…avrei
dovuto capirlo subito…lei…ma certo, tutto quadra adesso…d’altronde la conosce,
non dev’essere stato difficile…sa recitare, truccarsi…e quelle domande…oh mio
Dio Ran! Ran!!”
Estrasse rapidissimo il
cellulare, componendo il numero. Intorno a lui il mondo pareva essersi bloccato
nel tempo, l’aria gli pesava sulle spalle, gravida di angoscia. Le orecchie non
sentivano minimamente ciò che Heiji e il professor Agasa gli stavano dicendo ma
solo il rimbombo del suo cuore, tutto se stesso era concentrato in quell’ansia,
nell’attesa che ogni segnale acustico di libero faceva crescere e trepidare in
lui, disperatamente. Quando finalmente udì la dolcissima e calda voce di lei al
di là dell’apparecchio, credette di stare per svenire dal sollievo.
“Ran…” pronunciò, con un
sospiro carico di gioia e rassicurazione, un sorriso a fior di labbra.
“Conan? Che succede?” domandò
perplessa la sua amica d’infanzia.
“Oh, niente di importante…” si
affrettò a spiegarle, cercando di riemergere da quello stato di completa
felicità in cui era affondato. Anche perché c’era qualcosa che non quadrava in
quella telefonata, che gli aveva fatto rinascere un senso di inquietudine; i
rumori di sottofondo, brusii non meglio identificabili, il suono ovattato della
sua voce, il tempo che ci aveva messo a rispondere, tutto faceva supporre che si
trovasse in un luogo stretto e affollato. Ovvero, non all’agenzia investigativa,
con Kogoro, bensì probabilmente…
“…Ran? Sei su un autobus??
Perché?” chiese tutto d’un fiato. Lei rimase interdetta per qualche attimo, poi
rispose.
“Sto tornando a casa. Conan, ma
tu come facevi a sapere dove sono?”
“Ehm…ho tirato a indovinare.”
Si giustificò, mentre nella sua mente affiorarono incontrollabili le parole di
Sherlock Holmes: “Io non indovino mai. È deleterio per le facoltà logiche”.
“Ma perché sei uscita? È già
buio, e ricordi che cosa ti ho riferito ieri?”
Un altro breve silenzio al di
là della cornetta. “Certo che mi ricordo, Conan-kun.” Rispose in tono pacato “Ma
dovevo andare a prendere un’amica. Sta’ tranquillo, sto tornando e sono in
compagnia di almeno una ventina di persone; l’autobus si ferma vicinissimo a
casa mia, dunque...”
Conan si sentì un pochino
sollevato; Ran ricordava la sua raccomandazione di non andare in giro da sola di
notte o in luoghi isolati, bene, non poteva permettere che corresse dei rischi,
dopo quello accaduto il giorno prima.
“Con chi sei?” domandò
tuttavia, volendo essere rassicurato anche su quel punto.
“Te l’ho detto, con una mia
amica.” Ribadì lei, appena un pochino scocciata. “Che ti prende Conan? Cosa sono
tutte queste domande?”
“Niente, è solo che…” sospirò
“Hai visto la madre di Shinichi oggi?”
Altro silenzio, più lungo dei
precedenti.
“Sì, oggi pomeriggio. Ma tu
come fai a..?”
“L’ho incontrata anch’io a casa
del professore” tagliò corto lui “Che cosa avete fatto?”
“Conan! Mi sembra di essere ad
un interrogatorio!” protestò lei, senza rabbia, ma in procinto di perdere la
pazienza.
“Abbiamo chiacchierato un po’,
nient’altro! Vuoi dirmi che ti è preso tutto a un tratto?” chiese Ran.
“Che ti ha detto?” insisté lui,
sperando che lei rispondesse, e soprattutto che non dicesse quello che temeva.
“Niente di importante…senti
Conan, devo scendere fra un paio di fermate, quindi è meglio se ci salutiamo. Ti
chiamo stasera a casa del professore per darti la buonanotte, okay, piccolino?”
“No, aspetta…” cercò disperato
di fermarla, ma fu inutile. Con uno scatto la comunicazione fu interrotta, e
Cona rimase immobile a fissare il cellulare, lo sguardo fisso nel vuoto.
Heiji si avvicinò a lui,
piegandosi sulle ginocchia e costringendolo a voltarsi e a dargli retta.
“Kudo, si può sapere che cavolo
ti è preso? Di che stavi blaterando prima, cos’è che avresti dovuto capire?”
“Mia madre.” Mormorò. “La tua
ti ha chiamato poco fa per sapere se eri arrivato sano e salvo, se c’erano stati
problemi…naturale, qualunque genitore è apprensivo con i propri figli, e si
preoccupa spesso anche senza motivo. Soprattutto le madri.”
“In effetti non ce lo vedo mio
padre a chiamarmi per cose del genere.” Borbottò Heiji, gli occhi socchiusi.
“Ma la mia…oggi pomeriggio ho
avuto quasi un infarto, lei era presente, tuttavia non si fa più sentire da ore.
Non è venuta a vedere come stavo, niente. Non se ne è curata minimamente…questo
non è normale.”
“Dove vuoi arrivare?”
“E anche nel momento cruciale,
si è preoccupata sì, come farebbero tutte le mamme del mondo. Ma non come
farebbe la mia.”
No, infatti; ricordava che
quando era piccolo, a cinque anni, si era preso una brutta polmonite ed era
stato malissimo. Yukiko era terrorizzata, pallida in viso e con gli occhi
lucidi, e dopo che il dottore lo aveva visitato aveva passato la notte sdraiata
nel letto con lui, tenendolo abbracciato e stretto al seno per dargli calore e
conforto, cullandolo quando la tosse diveniva violenta e quando si svegliava per
il male, baciandogli la fronte e tergendogli il sudore. Ricordava, una volta
guarito, come il viso di lei si era illuminato di sincera felicità, come le
guance avessero ripreso colore, nonostante il suo aspetto stanco e provato. Come
lo aveva coccolato nei giorni seguenti, al settimo cielo.
Quella era la sua mamma. La
donna che gli voleva bene più di qualunque altra persona al mondo. La vera
Yukiko Kudo. Non la tizia che si era presentata lì quel giorno, che l’aveva
abbandonato sul divano senza fare storie dopo che era quasi morto di fronte ai
suoi occhi, e poi si era del tutto dimenticata di lui nelle ore seguenti.
“Avrei dovuto capirlo…cavoli,
dovrei saper riconoscere subito mia madre!!”
“Vuoi dire che quella non era
Yukiko?” s’intromise il dottor Agasa con tono incredulo, sbalordito.
Conan scosse la testa.
“No. Ha scelto lei perché è una
persona di cui mi fido, e poi non correva il rischio che quella vera si
presentasse qui all’improvviso a rovinarle tutto, visto che è in America. In più
la conosce, la mamma è stata un’attrice famosa e una delle sue migliori amiche,
Sharon, è la madre di lei. Era tutto studiato, anche se non capisco perché fare
tutto questo solo per parlare con noi, non ha senso…io…Urgh!!”
Improvvisamente una vampata di
calore bruciante avvolse il suo corpo, il cuore cominciò a martellare contro la
gabbia toracica, dolorosamente e insistentemente. Il suo corpo domandava
ossigeno, sul punto di soffocare, ma la gola era serrata, e così i polmoni
sgonfi. Le gambe si fecero deboli, non sorreggevano il suo peso e cadde a terra
con un tonfo, stringendosi il petto. Tutto intorno a lui si stava facendo buio,
e le voci allarmate erano sempre più lontane, eco di un altro mondo…
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Yukiko Kudo si sedette al
bancone del bar, accavallando le gambe in una posa sexy e ordinando un Bloody
Mary, bevendolo a piccoli sorsi aggraziati finché un uomo dai lunghi capelli
biondi, all’incirca della sua stessa età, avvolto in un cappotto nero, si
sedette accanto a lei, tenendo una sigaretta fra le labbra. La donna lo guardò
inarcando un sopracciglio.
“Posso fare qualcosa per lei?”
chiese con aria ingenua.
L’uomo sbuffò, storcendo la
bocca disgustato.
“Piantala con i giochetti, non
è il momento” ringhiò. Lei lo guardò sorridendo divertita, poi gli sottrasse con
gesto fluido la sigaretta e la prese fra le proprie labbra, fumandola
soddisfatta.
“Noi stiamo per andare, avevi
detto che volevi venire, no?”
“Of course, my dear.” Confermò,
spostandosi la chioma dietro la spalla con un gesto sensuale.
“Allora togliti quella roba e
seguimi.” Borbottò lui tagliente, alzandosi e dirigendosi verso l’uscita.
Lei sospirò rassegnata,
scuotendo la testa: uomini, tutti animali. Obbedì al suo ordine, ticchettando
sui tacchi e liberando la fulgida chioma bionda dal suo giogo, mentre due lenti
a contatto azzurre sparivano nell’apposito contenitore.
Quella sì che sarebbe stata una
bella serata, si disse con un sorriso sulle labbra perfette.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Kazuha si sedette sul bordo del
letto in camera di Ran, accavallando le gambe, e la osservò armeggiare con lo
stereo sulla scrivania, la testa inclinata da un lato in modo che la coda di
capelli scuri ciondolasse da una parte con grazia.
Finalmente la ragazza di Tokyo
infilò il nastro nell’apposito scomparto e cominciò a mandarlo indietro,
sedendosi accanto alla sua amica, il telecomando dello stereo in mano.
“Ti confesso che un po’ sono
emozionata. Sembra di essere in un film di spionaggio!” commentò Kazuha in tono
leggero, per spezzare la tensione. Ran accennò a un sorriso, voltandosi verso di
lei.
“Già. Yukiko ha detto che
ascoltando questo nastro avrei capito tutto: perché Shinichi se n’è andato,
perché ha spezzato la sua promessa…e che mi sarei potuta sentire meglio o
peggio, sarebbe dipeso solo da me. Ha detto anche che è una cosa di cui lei,
Yusaku e un’altra persona sono già a conoscenza. Ho motivo di credere che questa
persona sia Hattori ed è per questo che ho voluto che fossi presente anche tu.
Lui gli regge sempre il gioco e se a te nemmeno ha detto nulla significa che
entrambi ci nascondono qualcosa. Non so a quanto potrà veramente servire questa
cassetta, ma tentare non costa niente, te l’ho detto. Perciò, ascoltiamola e poi
decideremo cosa pensare, okay?”
“Okay.”
Il nastro si bloccò, segno che
ormai era già andato completamente indietro. Ran posò il dito sul tasto play,
senza schiacciarlo, e guardò negli occhi l’amica, seria. Kazuha annuì solenne.
“Okay…” ripeté a bassa voce
Ran, e avviò la registrazione.
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Note dell’Autrice: okay (basta con
questa parola!! ndTutti), ecco un capitolo dal ritmo veloce. Rivedendolo tutto
dopo averlo scritto ho notato che è un insieme di frammenti, più che un blocco
vero e proprio, però mi piace abbastanza e poi sarebbe stupido cercare di
allungare la brodaglia senza che sia necessario solo per vedere sotto-capitoli
più lunghi, non siete d’accordo? Quindi lasciamo correre. Comunque, estetica a
parte, come vi è sembrato? So che non siamo ancora giunti all’azione con la “a”
maiuscola, ma direi che è lo stesso piuttosto corposo come avvenimenti. Si sono
scoperte un sacco di cose, ma si sono aggiunti altri punti in questione. Sì,
tutto sommato sono abbastanza soddisfatta di come è venuto fuori (non
completamente, lo ammetto, ci sono dei punti che non so perché non mi funzionano
come vorrei, ma d’altronde, si fa quel che si può) e spero tanto che anche a voi
che lo leggete sia piaciuto. Fatemelo sapere, eh! Altre note alla fine, come al
solito, nel frattempo passo a ringraziare tutti coloro che hanno commentato lo
scorso capitolo. Ho già detto che vi ADORO?
Sabry1611: ciao! Beh, tu come sempre mi fai arrossire con tutti i
tuoi complimenti; quando finisco di leggere il tuo commento mi tocca sempre
scendere dal piedistallo e tornare con i piedi per terra!! #^^# Grazie mille,
sei carinissima! Spero di non averti fatto aspettare troppo questo capitolo, ho
scritto più veloce che potevo, giuro! Finalmente si è scoperto cosa aveva in
testa Conan, hai visto? E anche che deve fare Ran…non per niente il chap si
intitola “Rivelazioni”! Ai…vedremo che cosa ha in mente! Comunque spero
che anche questo capitolo ti sia piaciuto, fammi sapere, eh? Un bacio
grandissimo, alla prossima.
Yuki: anche a me dello scorso chap piaceva quella scena…^^beh, molte
cose si sono chiarite, peccato che non si possa ancora dire lo stesso per i
dissapori fra i due protagonisti…ma diamo tempo al tempo, in futuro, chissà…
Terabyte: ciao Tera-chan! Io sono super-felice di risentirti, se è
per questo. ^__^ Stavolta non sono stata altrettanto veloce come con il cap.19,
mi spiace per l’attesa, ma ho fatto del mio meglio! Mi fa molto piacere che non
hai avuto da ridire sul dialogo fra Heiji e Shinichi, spero che in futuro
riuscirò a trattare le situazioni che riguardano loro due altrettanto
efficacemente. Mentre scrivo ho sempre un po’ paura di far uscir fuori dal
personaggio i protagonisti, sai? Grazie tanto tanto dei complimenti, Tera-chan,
sei gentilissima, #^^# spero che le rivelazioni siano state all’altezza delle
tue aspettative e anche di sentirti di nuovo durante i prossimi capitoli. Oh, ti
ringrazio tantissimo anche per aver commentato l’altra mia ff, A Very
Important Gift, sono felice che ti sia piaciuta. Un bacione, a presto!
Akemichan: salve! Eh già, è proprio vero che verrà fuori un bel
casino…io stessa ho quasi paura a mettermi a scrivere ogni volta, se penso a
tutto quello che devo far succedere tenendo conto dell’intreccio, dei tempi
ecc.!! Comunque, grazie mille del commento e delle lodi, spero che la storia
continui a piacerti!^^
Hoshi: ciao! Beh, l’azione ancora non si vede, ma è imminente
all’orizzonte, non preoccuparti! Riguardo ad Ai, credo proprio che li abbia 18
anni, anche non fidandosi di quello che dice lei si può dedurre dal fatto che la
sorella ne aveva una ventina quando è stata uccisa. Comunque, come ti è sembrata
Ai in questo chap? Fammi sapere!
Primechan: grazie!^^ Sei davvero gentile a dirmi queste cose, sono
felice che la storia ti piaccia così tanto, ma non ci allarghiamo troppo: gli
ingredienti ci saranno pure, però che li riesca ad utilizzare bene è tutto un
altro discorso! ^^” Prevedo che non sarà facile, ho un bel po’ di casini in
mente. Si è scoperto cosa ha detto Yukiko a Ran…ti è sembrata una cosa
sufficientemente grande? Spero di aver aggiornato abbastanza presto; ci
risentiamo, alla prossima! Un bacio.
Mareviola: ciao! Di nuovo grazie per il commento (ormai te l’ho detto
così tante volte che non le conto più^^”), sono contenta che il capitolo ti sia
piaciuto e spero che la storia ti coinvolga sempre allo stesso modo. ^__^ Ho
postato il prima possibile, te lo posso assicurare. Mi fa piacere che ti sei
iscritta anche tu al sito, ho dato un’occhiata alla tua ff e ho lasciato un
commento, come credo avrai visto. A presto!
Vichan: ciao carissima! Ho aggiornato presto, che ne pensi? Il fatto
è che mi sta piacendo un sacco scrivere questa storia, perciò la stesura dei
vari capitoli scorre abbastanza velocemente. Contentissima che hai apprezzato
l’incontro di Heiji e Conan, io adoro quei due e il loro rapporto di amicizia,
mi piace dedicargli particolare attenzione durante la ff, e vedrai che ci
saranno di questi momenti anche in futuro (direi che rischiare la vita insieme è
qualcosa che unisce due persone). Ma non preoccuparti, ci saranno anche larghi
spazi dedicati a Heiji e Kazuha che, a quanto ho capito, è la tua coppia
preferita del manga. Riguardo a quello che mi hai chiesto, in effetti mi sono
accorta di essere stata un tantino troppo ellittica e ostica, ma tu ci hai
azzeccato, in parte: Heiji nota sia il suo aspetto trasandato, sia…ehm, la
biancheria che indossa. -///- Ora so che stai pensando che io sia del tutto
folle, ma ti posso assicurare che in un volume del manga, il 35, Gosho stesso
rivela questa strana capacità deduttiva del detective dell’Ovest (anche se
relativa ai costumi, ma credo sia più o meno la stessa, cosa). Comunque, in
questo cap. ho deciso di svelare ciò che Yukiko ha detto a Ran, cosa ti è
sembrato? Oh, sono contenta che ti piacciano i capitoli distensivi, spero che
sarai d’accordo anche sulla mia scelta di lasciare ancora un capitolo
relativamente calmo. Un bacione, a presto!
Ichigo Shirogane: salve Ichi, come va? È da un po’ che non ci si
sente; anch’io mi incasino un bel po’ in questa storia, tranquilla, è del tutto
normale. We Believe dei Good Charlotte non la conosco, non mi pare sia
uscita come singolo e non ho il CD di questo gruppo. Ma se mi capiterà di
ascoltarla, deciderò se usarla per i miei loschi fini (he he he); d’accordo? ^ _
-
Ginny85: Ciao carissima, sono felice di risentirti. Ti dirò, scrivere
i titoli dei capitoli in inglese è un’idea che mi è venuta per caso, mentre
postavo su questo sito; non era assolutamente studiata! Comunque il mio
preferito è White Angel & Black Devils, mi piace proprio un sacco (che
bello farsi i complimenti da sola ^^”). Il rapporto di amicizia fra Heiji e
Conan lo adoro, per questo gli sto dando largo spazio in questa storia: Heiji è
proprio il prototipo di migliore amico che chiunque vorrebbe, a mio parere. Sono
contenta che la scena fra i due ti sia piaciuta^^. Si sono scoperte un bel po’
di cose in questo chap, ma credo che Ai ti preoccuperà molto di più adesso che è
apparsa…dico bene? Tuttavia, non credo che spezzarle il cuore sarebbe una cosa
molto carina nei suoi confronti, dopo tutte quello che ha passato…già è fredda
come un ghiacciolo, se le togli anche la minima illusione che Conan possa
accorgersi di lei…addio! Va bene che in realtà non so cosa possa succedere
esattamente in questa fanfic, molte cose non seguono il piano iniziale e altre
prendono vita lì per lì mentre scrivo, quindi potrei parlarti così e poi fare di
peggio…o magari no…chissà! Non lo so davvero (Che professionista, eh? Dante
Alighieri impallidirebbe di fronte a me (!!)). Eh sì, Ran è proprio adorabile in
quell’immagine, tanto che l’ho messa come sfondo nel desktop; semplicemente
meravigliosa! Un bacio e a presto.
Lili: salve!^.^ È sempre bello ritrovarti, grazie di aver commentato
anche stavolta. Sai, mi fa piacere che la storia ti piaccia, ma aspetta a dire
che con questo genere me la cavo: l’azione deve ancora venire e lì si vedrà
veramente di che cosa sono capace! Anche perché c’è tutto un intreccio di fondo
che mi fa quasi paura quando me lo immagino e penso che dovrò scriverlo. I
“nostri belli” (he he he) non hanno fatto molto in questo capitolo, ma vedrai
che si daranno presto da fare, come le ragazze del resto. Un bacione, spero di
risentirti presto.
APTX4869: ciao! A deciderlo l’ho deciso, il problema è che non riesco
proprio a cominciare. Penso sempre: il prossimo capitolo farò succedere questo e
quest’altro, ma poi mi metto a scrivere e tutti i piani vanno in fumo. Non
perdere la speranza però, ormai è questione di pochissimo e inizierà l’azione
vera e propria, promesso. In quell’immagine Ran è proprio stupenda, non c’è che
dire, sono contenta che l’abbia anche tu e sì, c’è anche un micetto. Beh, penso
che Shinichi avrebbe fatto una faticaccia a trattenersi dal saltarle addosso,
senza contare il tempo che avrebbe impiegato a far rientrare gli occhi nelle
orbite! E poi, naturalmente, una doccia gelata per rientrare in possesso delle
sue facoltà mentali. ^__^ A parte gli scherzi, finalmente si è scoperta la
faccenda con Yukiko; contenta? Ora si vedrà cosa combineranno gli altri
personaggi…baci, al prossimo capitolo.
Ersilia: ciao nuova lettrice!^^ Inizio col ringraziarti moltissimo di
aver commentato la mia storia, sono contenta che ti piaccia; mi hai fatta
arrossire con tutti i tuoi complimenti, sai? Sei gentilissima!#^^# Spero di non
deluderti con i prossimi capitoli. Non preoccuparti, Heiji e Kazuha saranno
molto presenti da adesso in poi, e vedrai che avranno occasione di “esplorare”
quello che è il loro rapporto (ma non ti dico di più; non vorrei farmi spoiler
da sola!^^”). Nonostante la coppia principale della storia sia quella formata
da Shinichi e Ran, anche i ragazzi di Osaka avranno il loro spazio.^^ Beh, spero
di aver aggiornato abbastanza presto, e di risentirti in futuro. Ciao!
Hilary: salve. Hai ragione, non si trovano molte ff italiane dedicate
a Conan ed Ai, e capisco che i/le fans della biondina ne risentano parecchio.
Comunque, in italiano: so che Elly è a favore di questa coppia, quindi dovresti
cercare qualche sua fanfic, e poi ne ho vista qualcuna anche su un sito che ho
appena conosciuto e che mi è stato segnalato da Vichan, Forumcommunity.net. Se
ti interessano in inglese invece la musica cambia: su ff.net ne puoi trovarne
almeno un centinaio su loro due. Per quanto riguarda la mia storia, ti prometto
che ci saranno momenti carini fra Ai e Conan, anche se non in chiave romantica…o
quasi (guarda il capitolo 15 che hai citato: lì ho sforato un po’^ _ ~ ),
sebbene questa sia una Shinichi/Ran. Spero di esserti stata utile, ad ogni modo.
Oh, grazie per la recensione!
Bene, penso che sia tutto. i
riferimenti al manga sono i soliti volumi 26 e 28, e stavolta anche il 35: la
prima e l’unica (credo) apparizione di Sharon Vineyard sulle pagine di Detective
Conan; da lì si evince che Sharon e Yukiko sono molto amiche. Ora, una notizia
spiacevole: non so quando potrò aggiornare il prossimo capitolo, ho un nuovo
corso pomeridiano di francese per un esame che dovrò sostenere a Maggio, la
prossima settimana non starò mai a casa e inoltre giovedì parto per Siena con la
scuola. Scusate quindi se ritarderò un po’ a postare il capitolo 21, farò
comunque sempre del mio meglio per accorciare i tempi, promesso. Intanto voi
potreste aiutarmi lasciando un commentino? Ve ne sarei davvero riconoscente, mi
fa piacere sentire i vostri pareri sulla storia.
Al prossimo capitolo (spero non
tanto tardi)
-Melany
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Capitolo 21 *** Fear & Fearlessness ***
21. Fear & Fearlessness
“Okay…” ripeté a bassa voce
Ran, e avviò la registrazione. All’inizio, si sentì solo il tipico brusio di
sottofondo della pellicola della cassetta, poi cominciarono dei rumori non
meglio identificabili, come di una pesante porta che veniva spinta, e qualche
secondo dopo, una voce aspra, arrochita dal fumo delle sigarette, parlò,
metallica:
“Sei arrivato,bene. Ciò
significa che hai decifrato il codice e sei corso a salvare la tua ragazza, il
che conferma le mie supposizioni”.
“Atsushi Mori! È lui…ne sono
certa! Non dimenticherei mai la sua voce…” proruppe Ran, stupefatta; Kazuha la
guardò altrettanto sbalordita: “Mori..? Non è quel bastardo che ieri ti ha
rapita?”
“Chi sei? Dov’è Ran?”
La voce stavolta era carica di
rabbia e preoccupazione; Ran mise in pausa la registrazione con un gesto quasi
involontario; tutta la sua mente era concentrata su quell’ultima parte.
“Ehi! Ma questo non è quel
bambino!? Conan?” chiese la ragazza del Kansai, perplessa.
Ran annuì. “Dev’essere stata
registrata ieri…te l’ho detto, è stato Conan a venire a salvarmi. Però…” la voce
si affievolì, perdendosi a poco a poco; quello che l’aveva colpita non era stato
sentire il piccolo, quanto il tono che aveva assunto: non era allegro, acuto,
tenero come l’aveva sempre udito, ma serio, profondo. Forse era solo la
preoccupazione che l’aveva ombreggiato in quel modo, eppure le sembrava di
conoscere quel particolare tono di voce, autoritario e freddo, ma allo stesso
tempo carico di energia. L’aveva già sentito, in passato, era inconfondibile.
L’aveva sempre colpita e affascinata quella speciale aura di potere che lui
sapeva sprigionare nei momenti difficili, quell’atteggiamento a cui sarebbe
stato impossibile disobbedire, con cui riusciva a comandare anche decine di
agenti della polizia di almeno una decina di anni più grandi di lui. La sua
trasformazione, da giovane spensierato e allegro a ragazzo calmo, astuto e
riflessivo, un vero generale. Sì, era quella la parte di lui che le piaceva così
tanto, che la lasciava senza fiato e la faceva restare imbambolata a fissarlo;
era come se davanti non avesse più l’amico che conosceva fin dalla tenera età,
ma un ragazzo estraneo, pieno di fascino e di una forza interiore che era quasi
abbagliante, al quale non poteva che affidare la sua vita.
Shinichi…
Ma non era stato lui a parlare,
no? Era stato Conan. Tuttavia, aveva come la sensazione che se quello fosse
stato un video e non un’audiocassetta, avrebbe visto sul suo viso la stessa
espressione determinata, gli stessi occhi blu profondi e penetranti, la stessa
posa autoritaria. Lo pensò e se ne convinse quasi nello stesso momento, senza
nemmeno accorgersene.
“Però scusa, come faceva la
madre di Kudo-kun ad avere questa registrazione? E perché dovrebbe aiutarci a
scoprire cosa ci nascondono lui ed Heiji?” Kazuha interruppe i suoi pensieri, la
fronte aggrottata.
Ran scosse la testa, gli occhi
chiusi.
“Non lo so…ma Yukiko…”
Si ricordò della sensazione che
le aveva trasmesso, della strana luce che aveva visto nei suoi occhi prima che
lei riuscisse a mascherarla con le sue abilità di attrice. Era qualcosa che non
aveva mai scorto negli occhi della madre di Shinichi, nonostante la conoscesse
da anni. Era un brillio sadico, quasi perverso…
Guarda con gli occhi della
mente…e ascolta il tuo cuore…
Ebbe una vertigine, un colpo
improvviso alla pancia, come se si fosse accesa una fiammella; tutto il suo
corpo reagì tendendosi, percorso da una strana emozione, il cuore che batteva
forte. Aveva capito…
“…non era Yukiko.” Terminò, gli
occhi che brillavano.
“Cosa? Ma che stai dicendo?”
Ran si voltò di scatto verso di
lei, facendola sobbalzare.
“È così, Kazuha! Shinichi aveva
ragione, nessuno può ingannarmi se non voglio. Quella non era Yukiko, non
avrebbe mai potuto avere questa cassetta. E poi, mi è sembrata strana fin
dall’inizio…”
“Ma allora chi è stato a
consegnartela? E perché?” insisté la ragazza di Osaka, incredula. Ran aprì la
bocca, poi la richiuse, la luce che aveva negli occhi si affievolì: forse era
riuscita a formulare una geniale deduzione, ma era ancora ben lontana
dall’essere una detective. Con un angolo della mente pensò quasi con invidia che
Shinichi sarebbe di certo riuscito a rispondere in modo esauriente a quegli
interrogativi.
“Non lo so.” Si arrese infine.
“Forse una complice di Mori…ma non ho idea del perché.” Chinò la testa,
abbattuta.
“Magari sperava che ti saresti
messa in contatto con Kudo per parlargliene, e lui avrebbe potuto scoprire dove
si trova. In fondo è lo stesso motivo che l’ha spinto a rapirti.” Ipotizzò
Kazuha, guardando di lato, la fronte aggrottata.
La ragazza di Tokyo alzò la
testa: “Sì, potrebbe essere…”
“Beh, comunque sia, ne sapremo
di più dopo che avremo ascoltato tutto il nastro, no? Forza, fai play.” La
incitò la sua amica, ansiosa di sentire il resto. Ran annuì, premendo sul tasto
del telecomando.
DRIIIINNN!!!
Entrambe le ragazze
sussultarono, voltandosi verso il telefono e impiegando qualche secondo per
realizzare cosa era accaduto. Poi Ran sospirò, bloccando di nuovo la
registrazione, ben consapevole che Kogoro non avrebbe mai risposto.
Kazuha sbuffò, lasciandosi
andare con la schiena sul letto della sua amica, i capelli neri sparsi sul
copriletto nonostante fossero legati nella coda.
“Sì, pronto?” rispose
educatamente.
Silenzio. Poi il rumore del
ricevitore che veniva riagganciato.
Ran fissò la cornetta come
inebetita per qualche secondo, sbuffò e riappese a sua volta.
“Chi era?” si informò Kazuha.
Lei scrollò le spalle.
“Uno che non ha niente da
fare.”
Prese il telecomando dello
stereo in mano, posando il dito sul tasto, ma di nuovo il telefono squillò.
“Uffa! Che scocciatura.”
Borbottò Ran, dirigendosi di nuovo verso l’apparecchio. “Pronto?” stavolta la
voce era meno educata e più brusca.
“Mouri-kun.” Pronunciò una voce
a lei sconosciuta, così fredda che sentì un brivido percorrerle la schiena.
“Chi…chi sei?” rispose, con
voce incerta. La sentì ridere, lievemente, senza allegria.
“Un’amica. Ascoltami bene,
Mouri-kun, perché sto per offrirti qualcosa che aspetti da molto, molto tempo.”
Di nuovo quella strana risata, bassa e gelida. Ran era come inebetita, incapace
di proferir parola; quando finalmente ci riuscì, la voce le uscì debole e
tremula.
“Di che si tratta?”
“Ma è ovvio.” Replicò la voce
“Mi sto riferendo a Kudo. Shinichi Kudo.”
“Sh-Shinichi?” balbettò Ran, il
suo viso si illuminò. Kazuha balzò a sedere, a bocca aperta, fissando la schiena
della sua amica. “Tu sai dov’è?”
“È quello che ho detto. Posso
farti incontrare con lui.” concesse la voce, gelida.
Ran sentiva il cuore batterle
forte: sperava di poterlo rivedere da così tanto tempo, adesso più che mai. Ora
che lui l’aveva ferita, tradita, aveva bisogno di incontrarlo…guardare il suo
viso, dritto in quegli occhi cerulei, e scoprire se davvero lui aveva deciso di
abbandonarla, se davvero per Shinichi non contava più nulla. Se l’aveva
dimenticata, oppure se aveva ancora un posto nel suo cuore, come pregava,
segretamente con tutti e anche con se stessa. La sua parte irrazionale, emotiva,
la esortava a chiedere di più a quella voce sconosciuta che, sebbene tanto
fredda, le stava infondendo calore e speranza. Voleva vedere Shinichi e se lei
poteva farglielo incontrare, al diavolo il fatto che non avesse idea di chi
fosse. Ma l’altra parte, quella più ragionevole e con i piedi per terra, le fece
ricordare tutto quello che aveva passato in quegli ultimi giorni, per colpa
della sua imprudenza. Mori aveva usato lo stesso trucchetto con lei, e farsi
ingannare due volte dal medesimo stratagemma sarebbe stato alquanto stupido. La
proprietaria della voce al di là della cornetta avrebbe potuto essere una
complice del giornalista, o nel peggiore dei casi di quegli orribili e
spaventosi uomini vestiti di nero che aveva incontrato; davvero voleva rischiare
di finire di nuovo nelle loro mani per un’illusione?
No. Lei non era una sciocca,
non poteva e non voleva fidarsi ciecamente di quella voce.
“Chi mi assicura che mi stai
dicendo la verità?” chiese, assumendo un tono neutro e serio. Kazuha batté le
palpebre, confusa, si avvicinò a lei cercando di sentire la conversazione anche
dall’altro capo del filo.
Ci fu un attimo di silenzio.
Probabilmente la donna non si aspettava una simile reazione. Ran si ritrovò a
sorridere soddisfatta: se l’avevano sottovalutata, se ne sarebbero pentiti
presto.
“Uhm…mettiamola così: una sera
fa Kudo ti ha promesso di venire ad un appuntamento con te, al parco, alle sei
del pomeriggio, ma poi non si è fatto vivo.”
Ran spalancò gli occhi,
sorpresa: “Tu c-come..?”
“Te l’ho detto. Conosco Kudo, e
posso fartelo incontrare. So che è difficile fidarsi di me, ma…se davvero ci
tieni ad incontrarlo, credo che sarai anche disposta a correre dei rischi per
lui.” concluse, sicura. Ran restò ammutolita, arrotolando inconsciamente il filo
del telefono con l’indice. Dall’altra parte, la voce aspettò pazientemente.
Kazuha attirò l’attenzione
della sua amica con un buffetto sulla spalla che la fece sobbalzare: Ran si
voltò verso di lei, ancora un pochino perplessa, e la vide sorridere in modo
rassicurante e annuire. Sospirò.
“D’accordo, allora. Dimmi
dov’è.”
Glielo disse. Ran inarcò le
sopracciglia, vedendo i suoi timori prendere forma: era un posto isolato e
pericoloso, e per giunta fuori città. Adesso era convinta che ci fosse qualcosa
di losco sotto, e non era disposta a farsi prendere in giro per l’ennesima
volta.
“Perché Shinichi dovrebbe
trovarsi in un posto del genere?” replicò freddamente.
“Ora devo andare, Mouri-kun.
Fa’ un po’ come credi.”
Prima che potesse ribattere, la
conversazione fu interrotta. Ran fissò per un momento il muro davanti a sé, poi
riagganciò anche lei. Kazuha la guardava ansiosa.
“Allora? Ci andremo??”
La domanda da un milione di
yen. Non voleva finire di nuovo nei guai, e per di più trascinarci anche la sua
amica di Osaka. Tuttavia temeva che, se si fosse lasciata sfuggire
quell’occasione, l’avrebbe rimpianto per molto tempo, domandandosi spesso se
davvero Shinichi si trovava lì, se avrebbe potuto incontrarlo, finalmente,
confessargli i suoi dubbi e le sue paure. In fondo, poteva benissimo essersi
recato in quel postaccio per un lavoro, considerando che con sé c’era anche il
suo amico e collega detective. Inspirò profondamente, lasciando fluire
l’ossigeno nel corpo e nel cervello, chiudendo gli occhi. Ma valeva davvero la
pena di mettersi in pericolo per lui? Per una persona che l’aveva tradita,
ferendo i suoi sentimenti senza nemmeno degnarsi di telefonarle per darle
qualche giustificazione? Per uno a cui sembrava non importare più nulla di lei?
Ma conosceva già la risposta…
Sì…per tutte le giornate
passate insieme a divertirci…per tutte le volte che ho pianto e lui mi ha
consolata…per tutte le parole dolci e incoraggianti che ho ricevuto da lui…per
tutte le occasioni in cui mi ha protetta e salvata…per essermi stato vicino per
sedici anni come nessun altro…ma soprattutto per lui, perché lo amo.
Anche più di quanto amasse se
stessa, si accorse, dato che era disposta a mettersi nei guai per lui. Di certo
però non la sua amica, sebbene averla accanto le avrebbe dato maggiore coraggio.
“Kazuha, potrebbe essere
pericoloso…forse è meglio che tu…”
“Non se ne parla!” la
interruppe lei ad alta voce, quasi indignata. “Heiji è di sicuro lì con Kudo, e
se è successo qualcosa, voglio essere presente anch’io.”
Il tono di voce era
determinato; Ran capì che non avrebbe potuto dissuaderla, qualunque cosa avesse
detto. In fondo poteva capirla, i sentimenti che provava Kazuha per il suo amico
d’infanzia erano gli stessi che provava lei per il proprio.
“Va bene” disse in un sospiro,
dirigendosi verso lo stereo ed estraendo la cassetta.
“Come, non sentiamo il resto?”
chiese la ragazza del Kansai, con una punta di delusione.
“Il posto è a due ore di
macchina, dobbiamo muoverci subito, o correremo il rischio di perderli” replicò,
infilando il nastro non nella custodia, bensì in un walkman che estrasse da un
cassetto dell’armadio. “se mai ci sono stati” aggiunse a bassa voce, più a se
stessa che alla sua amica, la quale ora si era focalizzata su un altro punto.
“Due ore di macchina???”
sgranò gli occhi “Ma…come pensi di arrivarci!?”
Ran sfoggiò un sorriso scaltro,
davvero molto simile a quello del suo amico d’infanzia.
“E dai Kazuha, non avrai mica
pensato che ci saremmo andate da sole!”
“Scusa, e con chi dovremmo
andarci..?”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Heiji guardava distrattamente
fuori dalla finestra, il venticello proveniente dal finestrino semi aperto gli
scompigliava i capelli sulla fronte, mentre gli occhi verde-azzurri si perdevano
nell’oscurità crescente della notte. Sentiva una strana calma dentro di sé, che
sapeva essere solo una inutile copertura per il vero subbuglio che regnava nel
suo animo; c’era preoccupazione in quel turbinio, ansia e sì, doveva ammetterlo,
anche un po’ di paura. In fondo stava per affrontare quella che sarebbe stata
una delle notti più pericolose della sua vita, e non aveva nemmeno vent’anni; di
fronte a Kudo si mostrava tranquillo e allegro, perché sapeva che anche lui
provava i suoi stessi sentimenti, e non voleva aggiungergli altre pressioni. Ne
aveva già troppe caricate sulle spalle. Non aveva rimpianti per aver accettato
la missione, era il suo migliore amico e non l’avrebbe mai lasciato nei guai, e
poi quello era il suo lavoro, se avesse cominciato a fuggire davanti a ogni
minimo indizio di pericolo, avrebbe fatto meglio a lasciar perdere tutto e farsi
assumere in un giardino per l’infanzia. No, era una cosa che doveva fare,
e nonostante la paura sarebbe andato avanti, anche a costo della sua vita.
Sebbene ci fossero ancora così tante cose che avrebbe voluto
fare…inspiegabilmente, ogni volta che ci pensava, invece di vedere nella testa
le immagini di una vittoria ai campionati di kendo, oppure del momento in cui si
sarebbe messo alla guida di un’auto, tutto ciò che riusciva a immaginare era la
sua amica d’infanzia, quel viso così bello, quelle labbra morbide a pochi
centimetri dalle sue, il calore del suo respiro…
Sorrise fra sé; non era poi
così inspiegabile, a dir la verità. Sarebbe riuscito a capire il perché
facilmente, se solo fosse riuscito ad ammetterlo con se stesso. Però per qualche
ragione non era ancora pronto, forse a causa del timore che covava nella
profondità del suo animo, per quella vocina che spesso gli ripeteva la fatidica
domanda, che faceva sbarrare ogni accesso a quel pensiero: E se per lei non
fosse lo stesso?
Sospirò, chiudendo un momento
gli occhi prima di perdersi di nuovo nella contemplazione del buio. Eccolo lì,
stava per affrontare l’Organizzazione e tutto quello a cui riusciva a pensare
era Kazuha. Udì un grugnito sommesso dietro di lui, e gli venne da chiedersi se
per Kudo non fosse lo stesso, se anche lui, nella strana stasi di dormiveglia in
cui era caduto da quando la capsula aveva cominciato a fare effetto, stesse
pensando a Ran. Era probabile che avesse ragione, probabilmente ora stava
rimpiangendo di non averle detto la verità su Conan, su quello che era successo
il giorno prima. Quel pensiero gli fece risvegliare dentro quella specie di
sentimento fraterno che aveva verso di lui, che l’aveva spinto a voler diventare
il suo migliore amico a tutti i costi, a restargli vicino e ad aiutarlo, sempre.
Kudo era una delle persone migliori che avesse mai conosciuto, e gli faceva male
vederlo struggersi così. Per questo quella sera doveva nascondergli le sue vere
sensazioni, mostrarsi tranquillo e spensierato come al solito: Kudo, per quanto
forte, aveva bisogno di una base solida a cui appoggiarsi, non di un’altra
montagna da sostenere. Non doveva mostrarsi bisognoso di rassicurazioni, ma
dargliene indirettamente lui stesso, poiché anche la costruzione più stabile e
resistente può crollare, se il peso da sostenere è troppo.
Così se ne stava seduto in
silenzio, guardando fuori dal finestrino, e non aveva accennato più alla
pericolosità dell’impresa da quando avevano discusso al bar. Accanto a lui, il
vecchio vicino di casa di Kudo era altrettanto silenzioso, la fronte aggrottata
dietro quelle sopracciglia cespugliose, mentre guidava non troppo velocemente
sulla statale. Naturalmente non avrebbe partecipato all’impresa, dopo averli
accompagnati si sarebbe allontanato in tutta fretta e al sicuro avrebbe atteso
che lo richiamassero indietro al momento più opportuno. Heiji doveva ammettere
che l’anziano baffuto aveva una lealtà davvero profonda nei confronti del suo
migliore amico: non solo manteneva il suo segreto, ma aveva partecipato già in
passato a delle imprese del genere, sempre in disparte, certo, ma comunque non
si era mai tirato indietro. Sapeva dell’Organizzazione, di quanto fosse
pericolosa, eppure non batteva ciglio se c’era qualcosa da fare al riguardo,
fornendo macchinari ecc., pur sapendo che la sua complicità, in caso di
fallimento, gli sarebbe costata la vita. Aveva persino accolto in casa sua la
ragazzina bionda di nome Haibara, che era collegata con gli Uomini in Nero!
Inoltre si preoccupava sul serio per Kudo, più volte aveva preso l’iniziativa
chiamandolo ad Osaka per farlo venire in soccorso dell’amico, sapendo che quest’ultimo
era troppo orgoglioso per farlo in prima persona. E poi si vedeva chiaramente
che il detective dell’est si fidava ciecamente di lui, e che provava affetto nei
suoi confronti. -sentimento che peraltro era ricambiato in pieno-; probabilmente
dipendeva dal fatto che si conoscevano fin da quando lui era piccolo. Beh,
realmente piccolo, si corresse con un sorrisetto che gli sfuggì dalle
labbra.
“Che hai da ridere?” borbottò
con voce roca e sonnolenta il fagotto dietro di lui.
Heiji si strinse nelle spalle.
“Come ti senti?”
“Come se avessi fatto
ginnastica per ore senza fermarmi e poi mi fossi ficcato in una vasca di acqua
bollente, ecco come.” Brontolò. “I muscoli mi fanno un male d’inferno.” Aveva
assunto la sua tipica aria seccata, ma Heiji sapeva che in fondo al cuore era
felice di essere di nuovo Shinichi.
“È comprensibile…” s’intromise
il professore con tono pacato. “Crescere tutto in una volta non dev’essere una
bella esperienza, per il corpo.”
Kudo sbuffò, chiudendo gli
occhi e accomodandosi meglio sul sedile posteriore tutto per lui. Heiji lo
osservò più attentamente: vederlo adulto era una cosa bella e strana allo stesso
tempo: era così abituato a riferirsi a un moccioso occhialuto ogni volta che
voleva parlare con Kudo che prima che entrassero in macchina, volendo dirgli di
mettersi dietro per riposarsi, si era guardato attorno alla ricerca di Conan per
qualche secondo prima di realizzare che era accanto a lui, nella sua forma
adulta. Buffo, perché aveva l’impressione che, nonostante fosse esausto,
l’occhio attento di Kudo avesse captato i suoi movimenti e avesse compreso in
pieno i suoi processi mentali, e perciò gli aveva rivolto in risposta una delle
sue solite occhiatacce. Era rassicurante sapere che poteva ritrovare tutti i
tratti del carattere che gli piacevano tanto in tutte le forme del detective
dell’est. Naturalmente era anche logico, visto che si trattava della stessa
persona, ma d’altronde tutta quella situazione in sé non aveva molto del
razionale, dunque…
“Quanto manca?” s’informò Kudo,
stiracchiandosi e massaggiandosi il collo.
“Una mezz’ora…” rispose il
dottore dopo una breve esitazione.
“Bene…senti dottor Agasa, sei
sicuro che Ai..?”
“Quando ce ne siamo andati era
nel suo letto, dormiva profondamente…dev’essersi stancata molto per preparare il
tuo antidoto.”
Kudo annuì, aveva un’aria
preoccupata e stanca, il volto serio tirato per la tensione.
“C’è qualcosa che non va?”
chiese Heiji, accorgendosi del suo stato. Kudo alzò gli occhi e per un momento
si fissarono, occhi blu oceano contro verde acqua, poi sorrise, scuotendo la
testa.
“No, niente. Cerchiamo di
rilassarci, avremo tempo per essere tesi e preoccupati dopo.” Si limitò a dire,
con tono tiepido, appoggiandosi allo schienale.
“Approvo.” Annuì Heiji
ricambiando il sorriso.
Ma sapeva che nessuno dei due
era calmo, che avevano smesso di esserlo veramente da quando avevano conosciuto
per la prima volta quell’assurda macchina omicida che era l’Organizzazione degli
Uomini in Nero. Ogni chilometro che percorrevano si avvicinavano di più al
pericolo, al momento della resa dei conti. No, non potevano stare tranquilli,
non quella sera, lo sapeva bene.
E sicuramente lo sapeva anche
Kudo.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Kogoro Mouri era comunemente
reputato un geniale investigatore, capace di risolvere brillantemente anche i
misteri più intricati. Così, sebbene non conservasse nemmeno un vago ricordo
delle deduzioni che l’avevano reso famoso in tutto il Giappone, lui stesso aveva
cominciato a ritenersi tale. Dunque, per quanto si fidasse ciecamente di sua
figlia, che per diciassette anni non gli aveva mai dato problemi davvero seri,
ma aveva tenuto un comportamento di cui qualunque genitore sarebbe stato
orgoglioso, doveva ammettere che tutta quella faccenda gli era sembrata strana
sin dall’inizio: lei e la sua amica l’avevano praticamente trascinato fuori di
casa, dicendo che Kazuha doveva a tutti i costi raggiungere un posto fuori città
per una commissione che le aveva affidato suo padre e di cui non si era
ricordata che in quel momento. Era lo stesso motivo per il quale era tornata a
Tokyo quel giorno; d’altronde però era piuttosto incredibile che il capo della
polizia di Osaka non avesse uomini a disposizione per una commissione del
genere, e che delegasse così la figlia diciassettenne. Per di più il posto era
fuori mano, e anche vicino ad un complesso di case popolari abbandonate di
cattiva fama. Insomma tutta quella storia non quadrava, e mentre sfrecciava
sulla strada alla guida dell’automobile che sua figlia si era fatta prestare
dalla compagnia Suzuki grazie alla sua amicizia con Sonoko, non poteva fare a
meno di rimuginarci sopra con diffidenza, per quanto non riuscisse sul serio a
non fidarsi di Ran e a trovare una qualsiasi altra motivazione che potesse
spingerla ad andare fuori città in quella fredda notte d’inverno. Sbuffò,
facendosi sorpassare da una macchina nera impaziente diminuendo lievemente la
pressione sull’acceleratore. Nei pochi istanti in cui furono una accanto
all’altra, non poté fare a meno di ammirare la bellezza e il pregio di
quell’automobile, un modello anni ’50 che non credeva venisse più usato, ormai.
Cercò di sbirciare all’interno della macchina per vedere chi la guidasse,
immaginandosi un signore distinto vestito con un impermeabile grigio fumo e un
cappello, magari accompagnato da una signora con capelli vaporosi, pelliccia e
sigaretta in bocca, ma non poté vedere nulla a causa dei vetri oscurati dei
finestrini. Quando l’automobile fu ormai un ricordo –chiunque la guidasse doveva
avere una fretta del diavolo e poco rispetto per i limiti di velocità- Kogoro
lanciò un’occhiata al sedile posteriore attraverso lo specchietto, osservando
Ran e Kazuha stranamente non impegnate nelle solite chiacchiere da ragazzine
bensì silenziose e visibilmente tese. Sospirò: c’era davvero qualcosa che non
quadrava, cosa credevano, di poter ingannare il più grande detective di Tokyo?
Avrebbe dovuto essere ubriaco per non accorgersi di nulla. Cosa che sarebbe
stata possibile, se avessero aspettato a chiamarlo una mezz’oretta. Stufo di
quella situazione, premette tutto in una volta il pedale del freno, facendo
inchiodare la macchina e stridere i pneumatici sull’asfalto. Le ragazze vennero
lievemente sbalzate in avanti, ma la cintura le trattenne impedendogli di farsi
male, ma non di emettere una specie di urletto.
“M-ma papà, cosa..?”
“Allora? Cosa state tramando
voi due?” Domandò volontariamente a voce alta, facendole sobbalzare. Ran stentò
un sorriso, evitando di guardarlo negli occhi, Kazuha rispose prontamente:
“Gliel’abbiamo detto, Mouri-san,
devo…”
“Non rifilarmi simili
sciocchezze, ragazzina” la interruppe brusco, socchiudendo gli occhi, entrambe
sussultarono di nuovo. “So che state architettando qualcosa, e se non mi dite
subito di che si tratta farò un’inversione a U e ce ne torneremo a casa.” Disse
fermo, aspettando la loro reazione. Le due adolescenti si guardarono
pensosamente per un lungo attimo, poi Ran sospirò e chiuse gli occhi.
“Okay papà…”
“No Ran!” esclamò Kazuha
allarmata, ma a un’occhiataccia di Kogoro si zittì subito.
Sua figlia inspirò
profondamente, preparandosi a rivelargli la verità.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Aprì gli occhi, fissandoli in
quelli neri di suo padre. “Devo andare lì per vedere Shinichi.” Disse, con una
strana calma di cui nemmeno lei conosceva l’origine. Kogoro restò ammutolito per
un attimo, poi sbuffò irritato. “Ancora quel ragazzino!! Non ti basta quello che
ti ha fatto?? Ora devi anche andare in un postaccio per…per cosa poi? Per
metterti a piangere di nuovo?! Non se ne parla.” Ordinò perentorio, mentre Ran
poteva vedere la collera ardere nei suoi occhi.
“Papà, ho bisogno di
vederlo…” replicò, senza scomporsi, senza mai interrompere il contatto visivo.
Far vacillare lo sguardo avrebbe significato mostrare debolezza e perdere la
battaglia che stava affrontando.
Chissà se ne vale la pena…
“Devo raggiungere quel posto a
tutti i costi. Volevo andarci con te per sentirmi più sicura, ma se non vuoi
accompagnarmi pazienza, ci andrò ugualmente.”
“Non se ne parla!” proruppe suo
padre infuriato “Io sono tuo padre e…”
“Tu non puoi fermarmi.” Lo
interruppe, sempre ostentando calma e sicurezza. Vide un barlume di confusione
negli occhi di suo padre, che si faceva strada fra la rabbia. Doveva essere
stato per il suo atteggiamento, più che per quello che aveva detto, ma Kogoro
non replicò, continuando a squadrarla con le sopracciglia inarcate, cercando
forse di leggerle dentro qualcosa. Infine, sbuffò: “Vedrai se non posso! Ora ce
ne torniamo subito a casa, vai in camera tua e ci resti fino a domani mattina,
quando andrai a scuola. Quello non è posto per una ragazzina come te. Come
voi.” Rettificò, rivolgendo un’occhiata fugace a Kazuha per poi tornare a
fissarsi su Ran. “E stai certa anche tu che tuo padre verrà informato
dell’accaduto.” Disse, sempre riferendosi alla ragazza del Kansai.
“Dimmi papà, quante volte
Shinichi mi ha aiutata? Quante volte mi ha salvato la vita?”
“Non vedo cosa c’entri…”
“C’entra invece! Pensa a New
York due anni fa, con quel serial killer ad esempio…avrebbe potuto ucciderlo, ma
lui non si è tirato indietro, mi ha portata fuori da quel palazzo abbandonato
senza un attimo di esitazione.”
“Ran…”
“Quell’uomo era armato e
pericoloso e lui aveva sedici anni!! Qualunque altro ragazzo della sua stessa
età mi avrebbe lasciata lì in terra, svenuta, e sarebbe scappato! Ma lui no, e
non solo quella volta. Shinichi mi ha sempre salvata, confortata, aiutata…io gli
devo molto, papà. D’accordo, ultimamente mi sta facendo soffrire…” sentì le
lacrime pizzicarle gli occhi, ma le ricacciò indietro decisa, sbattendo più
volte le palpebre. Ora doveva mantenere il tono calmo e deciso, non doveva
interrompere il contatto visivo, mostrarsi debole. “…ma ciò non cambia quello
che ha fatto per me. E nemmeno ciò che lui significa per me. Stasera lo
incontrerò, con o senza di te. Solo che senza correrò più rischi.”
Concluse, incrociando le
braccia sul petto. Kogoro era rosso in viso, la scrutava con la fronte
aggrottata e lo sguardo truce. Ran sentiva accanto a sé la sua amica trattenere
il fiato, ansiosa della reazione. Alla fine, Kogoro sospirò, chiudendo gli occhi
e interrompendo il contatto, poi li riaprì. “Se è così importante per te…”
“Lo è, papà. Ti prego, ne ho
davvero bisogno.” Si permise di addolcirsi un po’, guardando suo padre ora non
più con la fierezza di un’avversaria ma con la il tenero affetto di una figlia.
Si accorse che anche lui, nonostante volesse dimostrare fermezza, si era un
pochino rilassato.
“…allora d’accordo. Ci
avvicineremo a quel posto, daremo un’occhiata veloce e se non lo troviamo
subito, e con subito intendo immediatamente, ce ne andremo di filato a
casa. E se ti sentirò un’altra volta parlare di quell’idiota ti spedirò da tua
madre.”
“Mi piace stare con mamma.”
Replicò Ran, abbozzando un sorriso. Kogoro sbuffò e rimise in moto.
“Ah, già. Quello a cui non
piaceva ero io…” borbottò fra sé a bassa voce, guardando fisso la strada
attraverso il parabrezza.
Ran sorrise a Kazuha, che la
guardava trionfante, poi si lasciò andare allo schienale del sedile con un
sospiro e gli occhi chiusi. “Grazie, papà, ti voglio bene.” Sussurrò dolcemente,
lui sbuffò, arrossendo.
“Quando ti pare…” brontolò. Ran
sorrise.
Farai meglio ad esserci
Shinichi…o stavolta non so cosa succederà…
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Ci siamo.” Li avvertì il
professor Agasa, rallentando fino a fermarsi. “Quello laggiù è il complesso di
case popolari…”
I due giovani detective si
misero subito all’erta, cercando di scrutare attraverso l’oscurità; la vista
ormai abituata di Shinichi riuscì a scorgere il profilo di alcune case non
troppo in buono stato. Estrasse la sua spilla dei detective boys dalla tasca e
la sintonizzò sulla frequenza delle trasmittenti della polizia, discutendo per
qualche minuto con l’ispettore Megure, i cui agenti in borghese si trovavano già
sul posto. Il piano era cogliere in flagrante i sue Uomini in Nero durante il
loro scambio con in narco-trafficanti per avere un motivo valido per arrestarli.
Naturalmente Shinichi sapeva che si erano macchiati di crimini ben più gravi,
infatti non aveva alcuna intenzione di farli condannare solo per quello: era
unicamente un espediente per trattenerli dietro le sbarre, l’Organizzazione non
era solita infatti lasciare tracce del suo passaggio. Una volta assicurati alla
giustizia, avrebbe trovato il modo di incriminarli per gli altri reati: se
l’Organizzazione fosse intervenuta, avrebbe potuto cercare di catturare altri
membri; se l’avessero abbandonati a loro stessi, avrebbe tentato di far
confessare almeno Vodka, che sembrava decisamente meno sveglio del compagno.
Comunque, per quello c’era tempo. Una cosa per volta, si disse, ben consapevole
che quello non era un romanzo giallo da due soldi, e che le cose non si
sarebbero svolte alla perfezione come pensava. Quella notte sarebbe stata una
delle più lunghe e massacranti della sua vita, ne era sicuro. Dopo aver
interrotto la comunicazione si stiracchiò, sentendo un improvviso dolore
acutissimo al muscolo del polpaccio che lo fece gemere. Subito afferrò la parte
lesa e cominciò a massaggiarla: era un crampo. Ne aveva già avuti un paio da
quando la capsula aveva fatto effetto, senza contare il dolore cronico alle
giunture e il fastidio alle articolazioni. Era anche stanco, sopportare la
sofferenza di una crescita istantanea non era cosa da poco, durante il tragitto
si era perfino appisolato per un po’. Non si sentiva troppo bene, ammise con se
stesso, ma in fin dei conti aveva di nuovo il suo corpo adulto: non riusciva
nemmeno a immaginare cosa sarebbe successo se avesse dovuto affrontare quella
notte nei panni di Conan Edogawa. Per fortuna Ai aveva fatto un buon lavoro,
questa volta.
E a proposito di Ai…è strano
che non si sia minimamente insospettita…spero solo che stia davvero dormendo…
Sospirò, alzando lo sguardo e
ritrovandosi riflesso in due pozze verdi-azzurre, intense e penetranti.
“Andiamo, Kudo?” chiese, con il
suo solito tono, serio e allo stesso tempo tranquillo.
“Tra un momento…” rispose
Shinichi, frugando nel porta-oggetti ed estraendo una pistola non troppo grande,
di un nero opaco, una Ruger.357. Heiji la osservò stupito per un secondo,
lasciandosi andare ad un lungo fischio sommesso.
“Wow! E questa dove l’hai
presa?” esclamò, non senza ammirazione.
“Me l’ha data mio padre. Quando
avevo quattordici anni ho imparato a sparare al poligono di tiro, e qualche
tempo fa, quando ho cominciato la mia carriera di detective, ha ritenuto
opportuno che ne avessi una, per i casi di emergenza.” Gliela lasciò impugnare,
il detective di Osaka la soppesò pensieroso. “Non mi piace usare le armi da
fuoco…” continuò Shinichi pacato “Infliggono ferite piuttosto gravi, anche
quando miri alle braccia o alle gambe, e io sono contro questo genere di
violenza. Colpire così una persona, seppure un criminale, è come mettersi al
loro stesso livello. È disgustoso. Per questo di solito preferisco tramortirli
semplicemente.”
“Sono d’accordo con te” disse
Heiji “Anch’io ho imparato a sparare qualche anno fa, ma non uso mai armi.
Troppo sangue.” Commentò con una smorfia.
“Infatti…ma stasera è una delle
occasioni in cui purtroppo non possiamo fare a meno di prendere precauzioni.”
“Già.” Heiji gli tese l’arma
per restituirgliela, ma Shinichi scosse la testa.
“Guarda che quella è per te.”
Lo informò, il detective di Osaka lo guardò fisso, sbattendo le palpebre, come a
valutare se stesse scherzando. “Ne hai un’altra?”
“No.” Heiji si accigliò, il
detective dell’est sorrise divertito. “Senti, io ho un sacco di frecce al mio
arco: gli aghi narcotizzanti, tanto per dirne una. E la potenza dei calci…”
“Non hai più le tue scarpe
speciali, Kudo” gli ricordò Heiji aspro.
“Quelle erano utili quando
avevo la forza di un bambino. Ora che i miei muscoli sono di nuovo adulti…”
“Veramente non mi sembri per
niente in forma stasera.” Imbeccò, Shinichi socchiuse gli occhi irritato. “Tu
non preoccuparti, Hattori, prendi la pistola e basta.”
“È tua, prendila tu.”
Shinichi sbuffò, lasciandosi
andare contro lo schienale del sedile. “Se non la accetti subito, giuro che ti
addormento e ti lascio qui.” Lo minacciò il detective dell’est, Heiji inarcò un
sopracciglio, irritato e divertito allo stesso tempo.
“Non lo faresti…”
“Mettimi alla prova.”
“E comunque chi ti dice che te
lo lascerei fare?” lo provocò il ragazzo di Osaka, ed entrambi si guardarono
negli occhi con aria di sfida. In quel momento tutti i vecchi sentimenti di
rivalità, che non si erano mai completamente spenti dentro di loro,
riaffiorarono in superficie. Il professor Agasa fece scorrere lo sguardo
dall’uno all’altro, poi sospirò.
“Sentite…” disse con tono
garbato “…credo che adesso abbiate cose più importanti a cui pensare che
litigare per una stupida pistola. Fate le persone serie.” Sia Shinichi che il
suo collega si voltarono verso l’anziano dottore: non sapeva se anche per
Hattori fosse lo stesso, ma all’improvviso il ragazzo di Tokyo si sentì un po’
stupido, oltre al fatto che i suoi diciassette anni gli pesarono sulle spalle
più di prima: erano pur sempre ragazzi liceali. Infinitamente intelligenti,
forse, ma pur sempre studenti delle superiori. Entrambi sospirarono all’unisono.
“Senti Hattori, prendila tu,
per ora. Poi se sarà necessario me la passerai.” Disse deciso, anche se in tono
più colloquiale e meno perentorio. Heiji esitò per un attimo, forse con
l’intenzione di replicare, ma alla fine annuì e se la infilò nella cintura dei
pantaloni, coprendola con il giubbetto jeans. Shinichi lo osservò attentamente:
il ragazzo di Osaka si comportava come al solito, sembrava perfettamente calmo,
eppure…gli sembrava di aver scorto un’ombra, dietro i suoi occhi, mentre
viaggiavano sulla statale. La sua espressione, riflessa nello specchietto,
sembrava…tesa, ansiosa…quasi spaventata, sebbene celata dietro una maschera di
calma statica. Di certo il dover affrontare quella situazione lo sconvolgeva più
di quello che desse a vedere. Sorrise: stimava molto il suo amico, era una
persona a suo parere molto forte, sapeva che, nonostante il timore, non si
sarebbe tirato indietro di fronte al pericolo. La sua lealtà nei propri
confronti era quasi commovente. Ma Heiji non era davvero tranquillo, e lui
poteva vederlo bene. Ci riusciva perché le sensazioni che aveva scorto negli
occhi del detective di Osaka erano le stesse che provava anche lui: erano
entrambi consapevoli che avrebbero potuto non farcela, quella notte, consapevoli
che qualcosa sarebbe potuto andare storto, che i nemici che stavano per
affrontare erano crudeli e senza scrupoli, e si trovavano nel loro elemento:
quel posto malfamato non era molto auspicabile per uno scontro con
l’Organizzazione.
Heiji posò la mano sulla
maniglia per aprire la portiera dell’auto, ma Shinichi lo bloccò, afferrandogli
il braccio con un gesto repentino. Il ragazzo di Osaka lo guardò sbattendo le
palpebre. “Che succede?”
“Ce la faremo, Heiji.” proclamò
semplicemente.
“Come fai a esserne così
sicuro?” replicò lui, con una punta di amarezza malcelata.
“Perché noi siamo i detective
migliori del Giappone, no?” esclamò, riferendosi volontariamente a una frase che
l’altro ribadiva sempre, sorridendo.
“Sicuro.” Disse Heiji,
ricambiando il sorriso. Il detective dell’est annuì a sua volta, ma quando fece
per scendere fu la volta del suo collega di bloccarlo. “Che c’è?” chiese
curioso.
“Ti ricordi che non sono Mouri,
vero?” chiese, con una serietà che a suo parere la domanda non richiedeva.
“Difficile confondervi,
Hattori.” Commentò, squadrandolo da capo a piedi con una smorfia. Heiji non poté
fare a meno di sorridere un pochino della battuta.
“Allora tienilo a mente.”
Gli intimò, prima di aprire la
portiera e scendere dalla macchina. Shinichi rimase interdetto per un momento,
poi sogghignò, seguendo il suo collega di Osaka attraverso le tenebre.
Il momento era ormai giunto.
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Note dell’Autrice:
ciao a
tutti! Per prima cosa voglio scusarmi infinitamente per la lunga attesa:
PERDONO!! ; _ ; Vi assicuro che ho avuto un sacco da fare durante questo
periodo, e quando avevo del tempo libero a casa ero troppo stanca per accendere
il computer e scrivere. Ancora scusate, ho fatto del mio meglio per aggiornare
prima di partire per Praga, questa domenica, così da non dovervi fare attendere
un’altra settimana. Spero che il capitolo sia valsa l’attesa, so che è un po’
stiracchiato ma come vi ho detto ho fatto di tutto per aggiornare prima di
domenica. Allora, che ne pensate? Penso che ormai ci siamo, l’azione è dietro la
prossima porta, cosa che mi spaventa in una maniera che non potete immaginare,
perché non so se sarò all’altezza di scrivere una vicenda del genere. Beh, il
tempo risponderà a questa domanda!!^^ Allora, mie considerazioni sul
capitolo…non so come molti di voi prenderanno lo scherzetto di Ai, ma farle fare
qualcosa di cattivello era stata la mia aspirazione fin dall’inizio della
fanfic…non ho niente contro la biondina, per carità, ma mi piacciono i
personaggi buoni con un lato oscuro proprio per poter sfruttare quest’ultimo!!
Dunque…avrete notato che ho cercato di dare una certa dignità e intelligenza
anche a Kogoro…in fondo, sebbene nel manga è per lo più un personaggio comico di
poco rilievo, in alcuni episodi si è rivalso, e leggendoli sono giunta alla
conclusione che non è del tutto idiota. Forse lo era nei primi volumi, ma penso
che lo stesso Gosho in seguito gli abbia conferito maggiore peso, dal punto di
vista concettuale. Da lì i sospetti e tutto ciò che avete letto. Un altro punto,
le pistole: personalmente non ci capisco nulla di armi e affini, non saprei
riconoscere una calibro 9 da una 38 e nemmeno riesco a immaginarmele,
probabilmente se ne impugnassi una sbaglierei bersaglio di 10 m (dopo
naturalmente aver impiegato una buona mezz’ora a capire come funziona) e mi
slogherei una spalla per il contraccolpo. Dunque, per quelli di voi che sanno
com’è fatta una Ruger.357, vogliate perdonarmi se o non è un’arma che si darebbe
a un diciassettenne o se ne sono perse le tracce dal lontano vecchio west (a
conti fatti, non escluderei la possibilità che possa essere perfino un fucile e
non una pistola ^^”). Se vi consola, so per certo che esiste (o è esistita, ad
ogni modo). Bene, dopo questa piccola dimostrazione di elevata cultura, passo a
ringraziare tutti coloro che hanno commentato lo scorso capitolo, siete
grandissimi, sul serio!!^__^ Come farei senza di voi?? Mi dispiace che avete
dovuto aspettare tanto, dopo la vostra dimostrazione di infinita gentilezza,
spero che non accada più. Io faccio del mio meglio, giuro!!
Akemichan:
Ciao! Grazie dei complimenti, spero che quest’ultimo
capitolo non ti deluda. Sono contenta che ti sia piaciuta la scena del sorriso
di Sherry (ne sono fiera anch’io #^^#)…dici che non è così vendicativa? Boh, non
saprei…se uccidessero l’unica persona che ho al mondo perché lei ha tentato di
proteggermi, un pochino mi incavolerei…non pensi?
Hoshi:
salve! Ti ringrazio della recensione, a quanto pare siamo d’accordo riguardo ad
Ai…più o meno (scoprirai in seguito da cosa è dato il più o meno ^ __ ~)
Ersilia:
ehm…stavolta il tempo non è stato breve e il capitolo non stupendo…vorrai
perdonarmi? Beh, se non altro avrai l’occasione di essere un po’ cattivella
anche con me nel prossimo commento! ^ __ ~ mi auguro comunque che il chap ti
sia piaciuto, e ti ringrazio tantissimo per i complimenti che mi hai fatto, sei
dolcissima! Spero di non doverti far penare troppo il prossimo aggiornamento…e
scusa ancora!!
Terabyte:
ciao Tera-chan! Grazie mille delle lodi, mi fai sempre morire dal ridere quando
leggo i tuoi commenti, davvero! ^___^ Sei fortissima!! Sono contentissima che il
capitolo scorso ti sia piaciuto, e spero di non averti deluso con quest’ultimo.
Heiji stavolta ha mostrato la sua parte più seria, devo dire, Ai non si è vista
più di tanto, ma non preoccuparti, avrà spazi anche lei in futuro…ehm…non sono
sicura che potrei scrivere gialli, forse solo di mistero sì, ma per quanto
riguarda l’azione, non so come me la caverei!^^” Solo il pensiero di quello che
devo scrivere in questa fanfic mi fa paura...chissà che ne verrà fuori! Comunque
mi hanno davvero fatto piacere i tuoi complimenti, sei troppo carina!#^^# Per
quanto riguarda il rapporto qualità/tempo stavolta credo di aver proprio toccato
il fondo…*Sigh* ; __ ; mi spiace. Se non altro non credo di poter andare peggio
di così (“mai dire mai…” nd della mia vocina disfattista). Non so se sono
riuscita anche in questo capitolo a non far risultare OOC i personaggi…mentre lo
scrivevo mi è venuto un dubbio…per esempio nelle scene fra Heiji e Shinichi: so
che sono coraggiosi e nel manga non hanno paura praticamente di niente, ma ho
voluto renderli più umani, fare un’analisi introspettiva: sono pur sempre due
ragazzi di diciassette anni che rischiano la vita contro un’organizzazione
criminale! Tu che ne pensi? Dammi la tua opinione, ok? Spero di risentirti, e
non scusarti del ritardo, sono io quella che deve coprirsi il capo di cenere! Un
bacione Tera-chan!
Ginny85:
ciao! La tachicardia, addirittura? Wow, O __ O non credevo che i miei capitoli
potessero avere questi effetti! Ai ha decisamente sforato, guarda un po’ cosa ti
ha combinato in quest’ultimo capitolo!! Comunque posso dirti che hai afferrato
più o meno il corsi degli eventi, frutto tra l’altro della mia parte
subcosciente a favore di Conan e Ai (eh eh eh…il fatto è che la biondina mi
piace proprio). Spero che ti faccia piacere vedere Cool Guy adulto (w
Vermouth!!^^) e che la scena fra Ran e Kazuha ti sia piaciuta: il nastro era
proprio quello di Mori, come avrai visto. Scusissima se ho perpetrato il tuo
strazio fino ad adesso, ho fatto del mio meglio per l’aggiornamento, ma i prof
sanno essere sadici (mi vogliono aumentare il corso pomeridiano di francese da
due a tre ore! Significherebbe che dopo 9 ore di scuola dovrei tornare a
casa con l’autobus e poi mettermi a fare i compiti!! E quando vivo?? Cose da
pazzi!). Cosa ti sembra del titolo di questo capitolo? All’inizio avevo deciso
per Fear & Courage, ma poi ho voluto fare il gioco di parole che hai
visto. Spero ti sia piaciuto. ^__^ Grazie della recensione, spero di risentirti
presto.
Mokuren82:
ciao! Sono contenta che, nonostante tu non sia
un’appassionata di DC, abbia voluto leggere la mia storia e addirittura
commentarla…grazie mille!! #^^# (o dovrei ringraziare la febbre?) Mi ha fatto
piacere leggere il tuo commento, sei stata veramente gentile, e spero che la mia
storia ti abbia fatto pesare di meno il tempo passato a letto per colpa
dell’influenza!
APTX4869:
salve! Eh sì, l’azione ormai non può più aspettare, a quanto avrai visto. Farò
quel che posso con le dichiarazioni amorose, ma non ti prometto niente: non sono
sicura nemmeno io di quello che devo scrivere, esattamente!! ^^” (mooolto
professionale) ma non perdere la speranza. Ran e Kazuha si sono già
cacciate nei guai, ma perlomeno non sono sole! Mi dispiace per averti fatto
attendere troppo l’aggiornamento, mi auguro che non succeda più (non dipende da
me, purtroppo) Un bacione, a presto!
Shizuka:
oh, chi si risente!^^ Come stai? Sono felice che la mia storia continui a
piacerti e che torni sempre a leggerla e a commentarla, thanks! Sì, ho visto il
film di Conan (ormai si tratta di secoli fa - __ -“), mi è piaciuto, la grafica
e le ombre erano molto ben curate, e anche la storia era bella: l’idea di far
scambiare Sonoko per Ai è stata geniale, e anche la scena in cui Ran e Conan si
gettano dal grattacielo in fiamme…impagabile!^//^ Non l’avevo mai visto e sono
contenta che sia arrivato finalmente in Italia, dopo che ci hanno propinato
almeno una ventina di volte ogni film su Lupen III (non ho niente contro il
ladro, ma ripetere ad oltranza i film ogni anno…) e sui Pokemon (idem)…era ora!
A te è piaciuto?
Sabry1611:
ciao! Grazie mille del commento, mi ha fatto piacere
riceverlo. L’idea del travestimento piaceva molto anche a me, sebbene all’inizio
non fossi sicura se mettercela o no; Ai ti preoccuperà ancora di più dopo questo
capitolo, penso…le sto facendo tirare fuori il suo lato più dark. ^^ Vedrai che
altro combinerà!! La confessione di Shinichi, finché sarà in mano a Ran sarà
sempre un rischio…ma non posso anticiparti niente!! Spero che anche questo
capitolo ti sia piaciuto, e di risentirti presto. Grazie ancora per i
complimenti, sei stata carinissima!^///^
Yuki: ti
ringrazio per l’ennesima volta del commento. ^__^ Sono curiosa di conoscere il
tuo parere su Ai dopo quest’ultimo capitolo...
Mareviola: Eh sì, hai colto nel segno, è
proprio quella la cassetta! Vedrai che cosa succederà anche con quel
nastro...povero Shinichi! Come se non avesse già un sacco di cose a cui pensare!
Spero che il capitolo ti sia piaciuto, grazie della recensione!
Esty85:
ciao! Ti ringrazio del commento, sono contenta che la storia ti piaccia. L’ho
continuata, hai visto? ^ _ ~ Cosa ne pensi?
BPM:
salve! Sono felice che la mia ff sia di tuo gradimento, nonostante tu non abbia
una vera e propria passione per Detective Conan; mi hai fatto arrossire con i
tuoi complimenti, sul serio! #^^# Grazie mille! Diciamo che ho peggiorato la mia
media per quanto riguarda i tempi stavolta, spero che non accada più. Mi
piacerebbe risentirti in futuro, ciao!!
Lili: Ciao!! Beh, anch'io sono in ritardo con l'aggiornamento, quindi
direi che siamo pari. Sono contenta che la storia continui a piacerti, e ti
ringrazio dei complimenti e della fiducia che riponi in me. Thanks^^ Spero di
non deluderti...baci, a presto!
Bene,
direi che è tutto per oggi. Mi auguro di non aver dimenticato nessuno, sarebbe
davvero imperdonabile, dopo quanto vi ho fatto aspettare!! Scusate ancora, mi
appello all’emendamento: “Meglio tardi che mai”… Solite note finali: ho
nominato in questo capitolo solo un numero del manga, il 35: è il seguito del
primo caso di Shinichi, quello che lui aveva risolto sull’aereo. Ricordate? Nel
vol.21. Qui (nel 35, intendo) Shinichi e Ran si trovano a New York con la madre
di lui, e verso la fine incappano in un serial killer che si nasconde in un
vecchio edificio. Ran, a causa della febbre, sviene e Shinichi la porta in
salvo, dissuadendo l’assassino dal proposito di sparargli. Non vi dico di più, è
una storia molto bella, se potete andate a leggerla!^^ Ora ho proprio finito. Mi
auguro di poter aggiornare presto il prossimo capitolo, ma tenete a mente che
domani parto per una gita scolastica di una settimana…
A
presto
-Melany
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Capitolo 22 *** Against The Shadows ***
Nuova pagina 1
*
22. Against the Shadows
Shinichi chiuse
per un momento gli occhi, lasciando che il vento freddo della notte gli
sferzasse il viso accaldato, le ciocche di capelli bruni della frangetta che gli
accarezzavano la fronte, mentre tutto il suo corpo si rilassava per la frescura.
Aprì gli occhi, continuando a camminare silenziosamente, Heiji al suo fianco e,
fortunatamente, alla sua stessa altezza. Dio, come gli era mancato essere
adulto, sentirsi di nuovo forte, senza il bisogno degli strani aggeggi del
professore, poter guardare negli occhi la gente senza farsi venire il
torcicollo, provare di nuovo cosa significava essere davvero se stessi. Era una
sensazione che gli dava coraggio. Avrebbe sicuramente affrontato quella
situazione con tutt’altro umore se avesse dovuto agire con la testa a poco più
di un metro dal terreno: anche considerando che il contraccolpo di un’eventuale
pistola avrebbe potuto farlo volare via. Ridacchiò: forse stava esagerando.
“Beato te che sei
allegro…” mormorò Heiji al suo fianco.
Shinichi gli
scoccò un’occhiata in tralice: “Perché, tu non lo sei?”
“Chi, io?” Heiji
sorrise. “Sempre.”
Si addentrarono
nel complesso di case popolari; lì l’atmosfera era decisamente molto meno
leggera: le abitazioni sembravano abbandonate, ma qua e là si udivano dei rumori
poco rassicuranti, mentre nell’aria c’era un pesante odore di fogna e muffa. I
due cercarono di camminare nelle zone più in ombra, attenti a fare meno rumore
possibile, consci che ragazzi liceali della loro età non sarebbero passati
inosservati, se fossero stati scorti. Passarono accanto al corpo di un uomo
accasciato in malo modo contro una parete, vittima di alcool o di chissà quale
altra sostanza poco raccomandabile. Non sembrava del tutto sveglio, ma nemmeno
addormentato: i suoi occhi erano vacui, ebbero un guizzo quando si posarono su
di loro ma nulla di più. Aveva un grosso rigonfiamento sul labbro inferiore.
Lo superarono
dopo essersi scambiati un’occhiata a metà fra il disgusto e la pietà. Dopo
qualche minuto videro un angolo ben riparato e deserto, accanto ad una delle
case malconce, e vi si rifugiarono, lontani da occhi indiscreti. Shinichi tirò
fuori dalla tasca i familiari occhiali di Conan, spinse il pulsante accanto alla
lente e comparve il radar, con una lucetta lampeggiante. “Ora che siamo così
vicini, possiamo seguire la trasmittente di Gin anche con questi; il professore
mi ha regolato la frequenza giusta.” Spiegò Shinichi in un sussurro, Heiji
annuì. Il detective dell’est seguì la traccia del radar, guidando il suo collega
che era subito dietro di lui, a coprirgli le spalle in caso di pericolo. La
lucetta era ferma in un solo luogo, probabilmente il punto dove Gin e Vodka
aspettavano il loro corrispondente, e loro vi si stavano avvicinando risoluti,
accantonando ogni paura e incertezza. Non era quello che i detective facevano
abitualmente?
“Ci siamo.”
Bisbigliò Shinichi, indicando con un cenno del capo una casupola davanti a loro,
che sembrava un magazzino, con i muri dipinti di un grigio sporco. Entrambi si
scambiarono un ultimo cenno di assenso, poi si diressero verso il loro
obiettivo, mentre dietro di loro una figura con un cappotto lungo fino ai piedi
non staccava gli occhi da loro un istante.
Aggirarono
l’entrata principale, cercando un qualche sbocco secondario per non dare
nell’occhio. Sulla parete posteriore esterna trovarono quello che faceva al caso
loro, una finestrella con il vetro inesistente; con un po’ di fatica e
aiutandosi l’un l’altro riuscirono ad insinuarsi attraverso quell’angusta
entrata, e si ritrovarono a camminare gattoni sulle assi di legno del tetto,
lentamente, attenti a non perdere l’equilibrio e a farle scricchiolare il meno
possibile. Scorsero dall’alto tre figure scure, ma l’intero magazzino era buio
ed era difficile stabilire di chi si trattasse. Shinichi sperò intensamente che
a nessuno dei tre venisse voglia di alzare lo sguardo, si erano arrampicati
piuttosto in alto, questo sì, ma aveva l’impressione che la visuale fosse la
stessa da entrambe le parti: forse non li avrebbero riconosciuti, ma avrebbero
capito che c’era qualcuno. Le ginocchia cominciavano a dolergli, a causa
del forzato contatto con il legno rigido delle assi, e anche le braccia
soffrivano un po’. Non sapeva quanto avrebbe potuto resistere, pregava che tutto
si svolgesse più in fretta possibile…
“È in ritardo.”
Constatò una delle voci, che Shinichi riconobbe come quella di Vodka.
Udì a fatica un
ghigno sommesso. “Forse.” Rispose Gin, e l’intonazione gli fece intuire che
aveva stirato le labbra, cosa che non gli piacque affatto. In effetti, tutta
quella breve conversazione aveva un che di sinistro. La terza figura cominciò ad
allontanarsi dai due uomini, con un ticchettio basso che Shinichi accostò senza
difficoltà a scarpe con il tacco.
“Vermouth”
sibilò, e come se l’avesse udito la donna in questione prese parola.
“I’m boring…credo
che andrò a fare un giretto.” Annunciò con la sua voce melodiosa, continuando la
sua marcia verso la porta.
“Attenta piccola,
potresti perderti la festa.” La avvertì Gin, sempre con quel tono placido e
divertito che a Shinichi metteva i brividi. Sentiva che doveva alzare la
guardia, che qualcosa di brutto stava per accadere. Ma come poteva essere?? Gin
non avrebbe mai potuto immaginare che…
“Oh, di questo
non mi preoccupo. Ho l’impressione che il party si protrarrà…” aprì la porta
“…più del previsto. Bye”
Perché
improvvisamente si sentiva così a disagio? In fondo erano loro stessi che
tenevano le redini del gioco, avevano spiato le loro conversazioni, preparato un
piano, chiamato la polizia…avrebbe dovuto essere calmo. Beh, okay, forse non
così calmo, ma decisamente non tanto agitato. Il fatto era che il modo in
cui stavano parlando i suoi avversari, Gin e Vermouth soprattutto, faceva
suggerire che sapevano più di quello che lui avesse creduto all’inizio. Ma era
una cosa impossibile, no?
Impossibile?
Lo credi veramente??
Ciliegina sulla
torta, ecco di nuovo la voce di suo padre, che lo apostrofava in tono scettico e
quasi canzonatorio. Si trattenne dal sbuffare, cercando di ignorare il moto di
scompenso che quelle parole nella sua mente gli avevano infuso. Avrebbe voluto
rispondere un ‘sì’ deciso, ma purtroppo sapeva che non era poi così impossibile.
E c’erano numerosi altri punti che, adesso che esaminava sotto una nuova luce,
erano piuttosto sospetti. Come per esempio la sua fortuna sfacciata: appena il
giorno dopo che gli aveva applicato la trasmittente, aveva ottenuto informazioni
tali da avere l’occasione di catturarli. Il luogo dell’incontro, certamente più
favorevole agli Uomini in Nero che a lui e al suo compagno, in caso di scontro;
e poi Vermouth, fingendo di essere Yukiko e aggirandosi per la casa del dottor
Agasa aveva capito molte cose, e avrebbe potuto riferirle ai suoi colleghi.
Finora lo aveva escluso perché non aveva captato nessuna conversazione di quel
genere dalla cimice, ma era anche vero che c’erano stati lunghi periodi di
silenzio alternati ai discorsi e poteva essere che…
Gin sapesse
della cimice
Il cuore ebbe un
tuffo, Shinichi sbarrò gli occhi e impallidì di colpo. Non era così assurdo, i
congegni erano sotto la sua scarpa e se se la fosse sfilata la sera, per andare
a letto, avrebbe potuto scorgerla e capire, perché Gin non era uno sciocco. Ma
se così fosse quella sarebbe stata
Una trappola
Si voltò,
cercando lo sguardo del suo collega, pronto a spiegargli tutto, quando un rumore
forte lo costrinse a guardare di nuovo in giù. Gin aveva appena sbarrato la
porta.
“Bene Vodka…è ora
di occuparsi del nostro ospite…”
“È già qui?”
“Oh sì…da un bel
po’, ormai.”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Io qui non vedo
nessuno stupido ragazzino che si crede un detective, Ran” borbottò Kogoro, le
mani in tasca. La ragazza camminava decisa, addentrandosi nell’ombra senza alcun
timore, voltando la testa di qua e di là, cercando di penetrare l’oscurità e di
scorgere il viso tanto conosciuto. Kazuha era accanto a lei e imitava i suoi
gesti, sebbene stesse cercando un altro ragazzo, facendo ciondolare la coda di
cavallo tenuta stretta con il nastro regalatole da Heiji.
Dove ti sei
cacciato Shinichi? Ti prego fa che lo trovi…
Lo stomaco
cominciava di nuovo a contorcersi in modo doloroso, ma lei lo ignorò: doveva
restare lucida e calma. Sebbene la speranza di trovarlo stesse affievolendosi ad
ogni passo sempre di più, non le sarebbe stato di alcun aiuto buttarsi giù:
dannazione alla sua emotività! Perché i suoi sentimenti dovevano essere sempre
così pressanti e scomodi? Avrebbe tanto voluto essere più fredda, di fronte alle
situazioni…
Così forse a
quest’ora l’avrei già dimenticato...anche se…solo immaginare di farlo uscire
dalla mia vita…mi fa stare così male…
Sussultò,
strappata ai suoi pensieri dalla stretta poderosa di una mano intorno al suo
polso: si voltò, incontrando lo sguardo penetrante e scuro di suo padre, il viso
imbronciato in una smorfia di impazienza e irritazione.
“Basta, ti avevo
detto che se non l’avessimo visto subito ce ne saremmo andati. Ti ho permesso
persino di scendere dall’auto…” brontolò, ben sapendo che non era stata una vera
e propria permissione, visto che Ran era sgattaiolata in fretta fuori dalla
macchina non appena aveva accostato “…e qui intorno non c’è traccia di lui. E’
tardi, sono stanco e questo posto non mi piace. Andiamo v…”
“Detective! Non
sapevo partecipasse anche lei a questa missione!” Uno strano uomo, avvolto in un
lungo cappotto blu scuro di feltro e con in testa un capello ben calcato sulla
fronte, si avvicinò a loro dal buio di un vicolo. Kogoro spostò la figlia dietro
la schiena in un una rapida mossa protettiva e quasi inconscia. “Chi è lei? Cosa
vuole?” tuonò.
“Oh, mi scusi!”
L’uomo alzò un po’ il cappello per permettergli di vederlo in faccia, e tutti e
tre spalancarono la bocca: “Detective Takagi!? Che ci fa qui!?” chiese Ran quasi
senza fiato, mentre il cuore ebbe un sussulto: se l’agente era là, e come aveva
detto prima era in corso un’azione di polizia, era probabile che quello che le
aveva riferito la voce al telefono era vero, e cioè…
“Shinichi è con
voi?” domandò con voce spezzata, prima che l’uomo avesse il tempo di rispondere
alle altre domande. Kazuha fece un passo avanti. “E Heiji? Hattori, intendo…”
Takagi le fissò
per qualche momento, sbattendo le palpebre, poi aprì la bocca per rispondere ma
Kogoro lo interruppe.
“Che genere di
missione state attuando?” domandò non senza una punta di preoccupazione.
“Dobbiamo
arrestare dei trafficanti. Ci sarà uno scambio di sostanze stupefacenti stasera,
in questo complesso. Ci sono altri agenti qui intorno travestiti come me.”
spiegò bisbigliando. “Aspettiamo un segnale per agire…se fossi in lei
allontanerei le ragazze da questo posto” suggerì, e dall’intonazione si capiva
perfettamente la sua perplessità all’idea che l’investigatore avesse portato due
diciassettenni in piena notte in un luogo malfamato. Kogoro annuì, cercando di
nuovo di afferrare la figlia per il polso, ma Ran riuscì a divincolarsi e si
avvicinò all’agente di polizia. “La prego, mi risponda…” lo supplicò con gli
occhi lucidi, e Takagi arrossì visibilmente, sebbene il travestimento coprisse
gran parte del volto. “Beh, ecco…io non ne so molto…” disse timidamente “…ma mi
pare di aver capito che…sia stato proprio lui ad avvertire l’ispettore Megure e
ad organizzare questa retata.”
Sembrò che il
cuore smettesse di batterle, il respiro si arrestò. Dunque era vero, la donna
non aveva mentito…Shinichi si trovava là…dopo tanto tempo, aveva la possibilità
di rivederlo, di parlare con lui…sentì che la sua anima si riempiva di un
sentimento che per molto tempo le era stato precluso: la vera speranza.
“Lui dov’è?”
insisté, afferrando per il braccio Takagi. Udiva a malapena i rimproveri di
Kogoro dietro di lei, tutta la sua attenzione era rivolta al giovane uomo che le
stava davanti e che le aveva regalato una così bella sensazione. “Dov’è??”
“Io…io non…”
Il rombo acuto di
uno sparo squarciò il silenzio della notte. Tutti e quattro rimasero immobili,
spaventati e sorpresi da quel rumore improvviso, che il loro cervello riconobbe
solo dopo qualche secondo. La ricetrasmittente di Takagi si attivò, e data la
sua vicinanza Ran poté sentire cosa disse la voce dell’ispettore Megure.
“Attenzione,
qualcuno ha aperto il fuoco sul lato nord del complesso, non abbiamo ancora
capito da che parte provengano gli spari, chi si trova nel settore nord ci
comunichi immediatamente il luogo esatto dello sparo”
“Qui Sato,
settore nord” trasmise il congegno “lo sparo proveniva da una costruzione
abbandonata sulla terza strada, non ho visto nessuno uscire.”
“Ricevuto Sato,
a tutti gli agenti, abbandonare le proprie posizioni e dirigersi verso
l’obiettivo comunicato, ripeto, dirigersi tutti verso l’edificio abbandonato
sulla terza strada…fate attenzione…i trafficanti sono armati e pericolosi.”
“Qui Takagi,
ricevuto” rispose l’agente di polizia, impugnando la pistola. “Devo andare, voi
mettetevi al riparo.”
“No, io vengo con
lei!!” protestò Ran, e al suo fianco Kazuha annuì decisa.
“Niente da fare!
Non è roba per ragazzine come voi!” proruppe Kogoro infuriato, visibilmente in
ansia per la situazione in cui aveva cacciato sua figlia e la sua amica.
Dannazione! Non avrebbe mai dovuto accettare di accompagnarle!! L’agente
approfittò della distrazione di Ran per andare ad obbedire agli ordini senza
portarla con sé. Non aveva alcuna intenzione di mettere in pericolo quella
ragazza così dolce, sebbene ammirasse profondamente il suo coraggio.
“No!! Io-“ un
altro scoppio, e tutti sobbalzarono di nuovo. “devo andare da lui!” gridò Ran,
cominciando a correre verso il luogo che aveva udito dalla trasmittente. Era
minimamente conscia del fatto che dietro di lei Kogoro le urlava di tornare
indietro e Kazuha la seguiva di corsa. Avrebbe dovuto essere prudente, fermarsi
e dare retta a suo padre, le disse la parte razionale della sua mente, ma
l’altra, quella a cui poi dava inevitabilmente ascolto suo malgrado, le ripeteva
un’altra cosa:
è quello che
avrebbe fatto Shinichi per te. Se avesse sentito gli spari, e avesse saputo che
tu eri in pericolo, avrebbe fatto esattamente così.
Giusto. Lei non
si sarebbe tirata indietro, non più. Doveva raggiungere il suo amico d’infanzia,
stare al suo fianco, se lui era in pericolo. Non voleva e non poteva immaginare
che gli fosse accaduto qualcosa, scacciava decisa le immagini truculente che gli
spari avevano suggerito al suo cervello. Accelerò l’andatura, senza timore, e
qualche passo indietro, un accanito fumatore con almeno una trentina di anni più
di lei sulle spalle, cominciò a boccheggiare e a perderla di vista nell’oscurità
sempre più pressante della notte.
Ran macinò in
pochissimo tempo la distanza che la divideva dall’edificio, arrivando alla terza
strada e cercando con occhiate disperate di individuare la costruzione: se aveva
sperato di vedere una folla di agenti di polizia, con giubbotti antiproiettili e
pistole, barricati dietro una fila scomposta di automobili della polizia con le
sirene blu accese, come succedeva nei film, restò amaramente delusa. Il luogo,
sebbene meno tranquillo di come l’aveva visto appena scesa dalla macchina,
conservava tutta la sua lugubre calma: nel buio vedeva strane figure
allontanarsi in fretta da quei vicoli, alcuni spaventati, altri semplicemente
scocciati, ma nel complesso regnava ancora quel pesante silenzio che gelava
l’anima. La ragazza procedette cautamente, il cuore in gola, sentendo
improvvisamente rumorosissimo ogni passo che avanzava. D’un tratto, scorse
finalmente attraverso il buio una fila di uomini appoggiati al muro, con
circospezione, che impugnavano una pistola, pronti a quel che sembrava a
sfondare la porta di un edificio grigio fumo per farvi irruzione. Attenta a non
farsi vedere, decise di osservare la scena da un punto distaccato: se si fossero
accorti di lei, l’avrebbero trascinata via, e voleva vedere se Shinichi si
trovava lì dentro.
Si nascose nel
buio, trattenendo il respiro quando gli uomini sfondarono la porta.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Coraggio, vieni
fuori… non è il caso di farsi pregare.” Gracchiò Gin, estraendo dal cappotto la
pistola. Sapeva che il suo avversario era in quel magazzino, nascosto
nell’ombra, troppo vigliacco per farsi vedere…dannazione, poteva quasi
sentirlo… fiutare l’odore ripugnante della sua presenza. Sorrise
crudelmente: quel povero sciocco aveva pensato di poterlo ingannare, di
tendergli una trappola con quello stupido giocattolino che gli aveva attaccato
sotto la scarpa? L’aveva sottovalutato, decisamente. Ma era stato così
divertente poter sfruttare i mezzi del suo avversario a proprio favore...durante
le conversazioni che gli aveva fatto ascoltare aveva dovuto trattenersi dallo
scoppiare a ridere improvvisamente. Per fortuna era un professionista, sapeva
controllarsi...al contrario del suo collega. Vodka avrebbe potuto rovinare
tutto, se l’avesse avvertito, era stata una mossa saggia nascondergli gran parte
del suo piano. Perché se il bastardo che aveva osato andargli contro l’aveva
sottovalutato, lui non avrebbe commesso lo stesso errore: per essere un dannato
codardo che non aveva nemmeno il coraggio di farsi vedere in faccia, quel
ragazzo era in gamba, oh sì. Altrimenti non avrebbe mai potuto metterlo k.o.
durante il loro ultimo scontro, una cosa che gli bruciava maledettamente ancora
adesso. L’avrebbe pagato caro, quell’affronto: avrebbe implorato il suo perdono
vomitando sangue dalla bocca, il verme schifoso. “Vedrai che farò in fretta…non
ti accorgerai quasi di morire.” Mentì, non che sperasse che uscisse dal suo
nascondiglio. Era più divertente così: chissà come tremava, spaventato,
accorgendosi di essere in trappola come un ratto. Udì un leggero rumore sopra la
testa, ma disgraziatamente fu coperto dalla voce baritonale e nasale di Vodka:
“Ehm…sei certo che…”
“Zitto!” Tuonò, e
il suo collega sussultò, aggiustandosi meccanicamente gli occhiali suo viso, che
continuavano a cadergli a causa della fasciatura che gli copriva il naso,
impedendo alla montatura di sistemarsi a dovere. Aveva sentito qualcosa, sopra
di lui. Lo scricchiolio di un’asse, forse? Alzò la testa, scorgendo nonostante
l’ombra marcata due figure appollaiate sulle assi del tetto. Il sorriso
s’intensificò, scoprendogli i denti. “Ma guarda…abbiamo due bei piccioni lassù…”
Puntò l’arma e
fece fuoco.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Vedrai che farò
in fretta…non ti accorgerai quasi di morire.”
Udì la voce
canzonatoria dell’uomo chiamato Gin sotto di lui e si sentì gelare. Come erano
stati stupidi! Credevano davvero che sarebbe filato tutto liscio, che avevano in
mano loro le redini del gioco? Oh, Kudo aveva ragione: questi criminali erano
decisamente ad un livello più alto di quelli che affrontavano di solito.
Avrebbero dovuto aspettarselo, o come minimo essere più prudenti, valutare tutte
le possibilità prima di agire. Adesso erano in trappola, per di più in una
posizione scomodissima: non potevano fare dietro-front e scappare, e se gli
Uomini in Nero li avessero scorti avrebbero potuto centrarli entrambi con una
pallottola senza troppa difficoltà. L’unica soluzione era…
Sospirò
impercettibilmente, alzando lo sguardo, e si accorse che Kudo lo stava
guardando, con quegli occhi blu così intensi e profondi, sotto le sopracciglia
scure inarcate, cercando di comunicargli un messaggio a cui lui stesso era già
arrivato, sebbene la cosa non gli piacesse per niente. Sapeva benissimo che si
trattava di spietati assassini, ma l’idea di ferire, di far del male
volontariamente…insomma, era ciò contro cui combatteva ogni giorno. Tuttavia,
sapeva che non aveva scelta, se volevano uscire vivi da lì. Era sempre meglio
che aspettare di essere colpiti da loro come bersagli fissi al luna park. E poi
era convinto che Kudo non glielo avrebbe mai chiesto se non fosse stato
assolutamente necessario. Dannazione, doveva mollarla proprio a lui quella
stupida arma??
Si mosse,
spostando il suo peso su una mano sola per estrarre con l’altra la Ruger, e
strinse i denti con un sussulto quando udì sotto di lui l’asse di legno
scricchiolare pericolosamente. Per fortuna, proprio in quel momento, la voce di
Vodka, deformata dalla benda sul naso per la lezione che gli aveva dato Kudo il
giorno prima, disse titubante: “Ehm…sei certo che…”
“Zitto!” tuonò
l’altro assassino, Heiji capì che doveva aver sentito qualcosa, ma sperava che
almeno non avesse compreso da che parte proveniva il rumore. Poi Gin alzò la
testa, e sentì tutte le sue illusioni morire con un gemito agonizzante. La sua
mente era portata a formare immagini davvero strane quando era davvero teso.
“Ma
guarda…abbiamo due bei piccioni lassù…” cantilenò Gin, e lui seppe che se doveva
fare qualcosa, quello era il momento. Nello stesso istante in cui l’uomo alzò la
pistola e premette il grilletto, Heiji fece lo stesso, pregando inconsciamente
di non colpire nessuna parte vitale.
Gli spari,
partiti in un solo tempo, si unirono in un solo assordante rumore. Heiji sentì
che la pallottola lo sfiorava, senza colpirlo, e contemporaneamente vide Gin
reagire come se si fosse scottato, con un balzo all’indietro. Si svolse tutto in
pochissimi secondi. Lanciò un’occhiata a Kudo, lui era riuscito a voltarsi e lo
guardava stringendo i denti.
“Dobbiamo
andarcene subito” mormorò con voce roca, ma sotto di loro Gin aveva di nuovo
puntato la pistola; Heiji teneva ancora in mano la sua, cavolo, gli sembrava
quasi di sentire la canna bollente per lo sparo, l’odore del sangue. Si preparò
a sparare di nuovo, pur sapendo che loro erano più vulnerabili ai colpi rispetto
agli avversari, e che adesso che anche Vodka li aveva individuati e si preparava
a sparare, erano due contro uno, e ci sarebbe voluto un miracolo per sfuggire
entrambi di nuovo alle pallottole.
“Siete morti!”
Gridò Gin, e Heiji seppe che stava per sparare di nuovo. Mirò a sua volta,
cercando di colpire il suo braccio, ma l’oscurità gli impediva di vedere bene
quanto desiderava. Sapeva che entrambe le vite, sue e del suo migliore amico,
dipendevano da lui. Kudo era inerme finché restavano lì, erano troppo lontani
perché l’orologio spara-anestetico funzionasse, dunque la loro sopravvivenza
dipendeva unicamente dalla sua abilità nell’usare l’arma. Tanto bastava per
farsi prendere dal panico, ma fortunatamente riuscì a restare lucido. Proprio
quando stava per sparare, un suono di vetri rotti e un ennesimo scoppio lo
fecero sobbalzare. Gin ruggì rauco, colpito alle spalle, e si voltò verso la
finestrella rotta dietro di sé, il suo ansimare percepibile anche dalla loro
posizione. Anche Vodka, sorpreso, si voltò, e i due ragazzi approfittarono della
situazione per allontanarsi da lì, ripercorrendo in fretta l’asse di legno fino
alla fessura da cui erano entrati. Heiji con un salto fu fuori dal magazzino,
sospirando, dicendo a se stesso con sollievo che non si sarebbe più cacciato là
dentro per nulla al mondo. Si voltò e si accorse con orrore che Kudo non c’era.
Fece per ri-arrampicarsi e tornare indietro: per nulla al mondo, sì, tranne il
suo migliore amico.
“Ma guarda un
po’, cosa abbiamo qui…” lo interruppe una voce, si voltò stupito e si ritrovò
faccia a faccia con la canna di un revolver, puntata contro di lui da un uomo
sulla quarantina, la barba ispida e due occhietti scuri come quelli di una
serpe, completamente vestito di nero. Il naso era arcuato, le labbra erano così
chiare che sembrava quasi non averne, che avesse solo un lungo taglio sotto le
narici, i capelli erano ingrigiti vicino all’attaccatura. Non aveva un aspetto
rassicurante, l’immagine in sé bastava a far venire i brividi: la luce della
luna infondeva alla sua pelle un pallore cadaverico, smorto.
“Magnifico”
borbottò, gli occhi fissi sull’arma.
“Sai, ero
convinto di dover affrontare qualcuno di importante, vista tutta
l’organizzazione di questa serata, e invece…” fece una smorfia, mostrando i
denti ingialliti dal fumo, e lo fissò da capo a piedi “…mi ritrovo con un
moccioso che va ancora a scuola. Se avessi saputo, avrei occupato meglio il mio
tempo. Con qualche bambino, ad esempio.” Il taglio al posto della bocca si stirò
in quello che era il sorriso più mostruoso che avesse mai visto, e al sentire le
ultime parole Heiji ribollì di rabbia, nonostante la tensione.
“Lei mi fa
schifo.” Ringhiò, scatenando nient’altro che una risata divertita dal suo
interlocutore, una risata che gelava il sangue.
“Così dicono
tutti, ma poi, quando cominci…non fanno altro che piagnucolare, e lamentarsi, e
strillare…ed è quello che farai anche tu, molto presto.”
Heiji capì che
aveva bisogno di un piano, sentiva gocce di sudore gelido imperlargli la
fronte. Due volte in pericolo mortale in pochissimi minuti, cavoli, era iniziata
proprio bene. Ripensandoci, più che di un piano, avevano bisogno di un miracolo.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Takagi e Chiba
sfondarono la porta, il volto tirato per la tensione, le pistole in pugno.
Dietro di loro, gli agenti confluirono nell’edificio, le armi pronte all’uso.
L’ispettore Megure era a capo del gruppo, e non appena si furono disposti urlò:
“Polizia! Gettate le armi a terra e…” si bloccò, l’abitazione era vuota e
all’apparenza tranquilla. Fece cenno a due uomini di perlustrare le altre
stanze, senza abbassare la guardia, mentre gli altri aspettavano, pronti
all’azione. Se c’etra una cosa che aveva imparato durante la sua carriera, era
che nulla era mai come sembrava, l’insidia poteva essere dietro ogni angolo,
nascosta nell’ombra, pronta a colpire. Da un momento all’altro avrebbe dovuto
agire. I due poliziotti tornarono scuotendo la testa: “La casa è vuota, signore”
lo informò uno dei due, e Megure aggrottò la fronte perplesso. “Davvero strano.
Se sono scappati, non possono essere andati lontano: squadra B, perlustrate i
dintorni, chiunque abbia l’aria sospetta sia fermato e perquisito. Squadra A,
cercate segni di colluttazione e di colpi di arma da fuoco qua dentro.” la cosa
era piuttosto strana, aveva cercato di mettersi in contato col giovane Kudo
senza riuscirci, e adesso si ritrovavano in quella casa vuota. Possibile che i
colpevoli si fossero dileguati così in fretta? Rifletté un momento: e se il
luogo non fosse stato quello giusto? “Sato, sei certa che gli spari venissero da
qui?” chiese, cercandola con lo sguardo fra gli uomini imbottiti di giubbotti
antiproiettili sotto gli abiti borghesi. Nessuna risposta. Nessun segno di lei,
a dir la verità.
“Sato? Qualcuno
ha visto l’agente Sato?”
Takagi ora si
guardava intorno agitato, gli occhi che guizzavano velocemente da un agente
all’altro. Anche gli altri sembravano perplessi e in ansia. “Credevamo fosse con
noi…questo era il settore assegnato a lei.” balbettò uno dei poliziotti. Ora
Takagi era più che agitato: era nel panico totale. Era impallidito di colpo, e
Megure sapeva che se non avesse fatto subito qualcosa l’agente avrebbe commesso
una qualche sciocchezza. “Takagi, Chiba, andate a cercare la vostra collega. E
state attenti. Squadra A, non c’è più bisogno di controllare la casa, cercheremo
i malviventi in un altro settore.”
Era evidente che
qualcosa non andava. Erano stati ingannati.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Ran era
perplessa. Credeva ci sarebbe stata più azione, colpi di pistola, grida, e
invece…sembrava tutto tranquillo. Sospirò, avvicinandosi ancora di più alla
casa, cercando di scorgere al di là dei vetri malridotti delle finestre il volto
del suo amico d’infanzia, senza molta fortuna. Possibile che fossero arrivati
troppo tardi? Che Shinichi se ne fosse già andato?
Spero solo che
non gli sia accaduto nulla…Shinichi…dove sei?
Rabbrividì,
abbottonandosi il cardigan rosa: ora che le sue speranze erano di nuovo
scomparse non poteva fare a meno di provare di nuovo paura. Gli orrori che aveva
dovuto subire i giorni passati tornarono a farsi strada nella sua mente, il
sapore dello straccio imbevuto del narcotico che Mori le aveva premuto sulla
bocca, il ruvido delle corde che gli segava i polsi, il calore acre del suo
fiato…e poi i due uomini vestiti di nero, gli occhi gelidi e spietati del
biondo, la morsa dolorosa della sua mano sui propri capelli, l’odore dolciastro
del sangue, i gemiti dell’uomo che avevano torturato…non poté fare a meno di
rivivere mentalmente quel passato così terribile e si spaventò, si spaventò
perché aveva seminato suo padre e Kazuha, si spaventò perché era di nuovo sola,
abbandonata a se stessa, si spaventò perché ancora una volta Shinichi non era al
suo fianco. La tentazione di raggiungere i poliziotti e farsi portare in salvo
ora le premeva dentro insistente. Il suo amico d’infanzia non c’era, lei non era
un’eroina, voleva solo tornarsene a casa. Se Shinichi avesse voluto vederla, in
fondo, sarebbe venuto lui a trovarla…
…Ciò significa
che hai decifrato il codice e sei corso a salvare la tua ragazza, il che
conferma le mie supposizioni…
La tua
ragazza…
Strano come certi
pensieri vengano nei momenti più strani. Lei, la ragazza di Conan? Perché il
giornalista aveva apostrofato il bambino in quel modo? Per di più, non aveva
mostrato alcuna delusione nel vederlo arrivare. Insomma, lui si aspettava di
veder venire Shinichi, giusto? Eppure, non aveva battuto ciglio all’arrivo di un
bambino delle elementari, al suo posto. Però, lo stabile era buio, poteva darsi
che Mori avesse semplicemente sentito arrivare qualcuno e avesse creduto che
fosse il suo amico d’infanzia, invece che Conan. Era la spiegazione più logica
che riusciva a trovare. Se non fosse che poi…
Chi sei? Dov’è
Ran?
Non Ran-neechan.
Ran. Quel tono di voce autoritario, carico di energia…conosceva solo una
persona che potesse assumerlo. L’aveva sempre affascinata e colpita, per anni.
Ma sembrava così stupido pensarci…quante volte l’aveva ipotizzato ed era stata
smentita dai fatti? Alla sua recita, non aveva visto chiaramente Conan e
Shinichi nella stessa stanza contemporaneamente? E non era una prova
sufficiente?? Ciò che pensava era assurdo, fantascientifico…
Ti amo, Ran
L’aveva sentito
realmente? O era solo una proiezione dei suoi desideri inconsci?? Quella sera
era così disperata…
Scrollò la testa.
Non era il momento di perdersi in congetture. Era in pericolo, dannazione!! Era
decisamente meglio che si facesse vedere dai poliziotti. Uscì dall’ombra, pronta
a raggiungere il suo porto sicuro. Kogoro si sarebbe davvero infuriato,
stavolta, aveva paura solo a pensarci. Scorse Takagi e aprì la bocca per
chiamarlo, ma una mano guantata di nero le si fermò sulla bocca, mentre un altro
braccio, sottile ma forte, le circondò la vita, trascinandola indietro. Ora
aveva davvero paura, tutto il suo corpo si tese, il cuore che le sfondava il
petto, mentre le sue narici furono inondate da un profumo forte e intenso,
nonostante tutto gradevole.
“My sweet Angel…you
know, it’s dangerous here…[1]” Ran cercò di divincolarsi, ma la stretta era
decisa, sebbene non tanto da farle male veramente. Non poteva vedere chi la
stava trattenendo, e dalla sua bocca potevano uscire solo mugolii senza senso,
ma poteva scorgere con la coda dell’occhio una massa di capelli biondi. Chiunque
fosse, doveva essere straniera: Ran sapeva abbastanza inglese da capire cosa le
stava sussurrando all’orecchio con il suo tono suadente e caldo. Con uno
strattone più forte riuscì a farle mollare la presa, arcuò la schiena pronta a
farle perdere l’equilibrio colpendole le caviglie con i piedi e a scaraventarla
a terra, mossa degna della karateka che era, ma a quanto sembrava anche la sua
assalitrice era in gamba, perché riuscì ad ostacolare la mossa e a bloccarla di
nuovo, contro il muro stavolta, impedendole altre azioni di quel tipo. “Hai una
bella grinta, angioletto...” sussurrò in giapponese stavolta, divertita e per
nulla arrabbiata. Ran non sapeva il perché, ma questa donna aveva qualcosa di
familiare.
“Don’t worry, my dear. I’ll take care of you, I promise…and of
your boyfriend as well, of course.[2]”
Le sussurrò la
strana donna, togliendole la mano dalla bocca per accarezzarle dolcemente i
capelli lunghi. Ran riprese fiato con un paio di respiri profondi, mentre le
parole di lei le facevano breccia nella mente e nel cuore.
“Cosa intende
dire?? Chi è lei? E cosa c’entra Shinichi? È…è stata lei a chiamarmi stasera?””
chiese, cercando con la coda dell’occhio di guardare la sua assalitrice. Chissà
se era la stessa donna che le aveva telefonato…eppure non ricordava l’accento
straniero.
“Mmm…my name’s
Sheila Geller. Sono un’agente di polizia, partecipo all’operazione di stasera,
promossa dal giovane Kudo, per questo sono qui. Un ragazzo in gamba, davvero…”
disse, mollando anche la presa sulla vita. Ran se la massaggiò lievemente,
voltandosi, e finalmente poté vedere in volto la donna; non riuscì a fare a meno
di rimanere profondamente colpita dalla sua bellezza, gli occhi grigio-verdi
intensi, la folta chioma bionda che le ricadeva sulle spalle con una raffinata
eleganza, le labbra fini, ben delineate, rosso fragola. Tuttavia, la palese
ammirazione che stava provando non la fece essere meno cauta: “Come faccio a
crederle?” replicò con voce dura.
Lei sorrise
cordiale; estrasse dalla tasca del suo costoso cappotto nero di cachemire un
distintivo della polizia e glielo mostrò. “Ora sei soddisfatta?”
Ran sbatté le
palpebre, indecisa. In fondo poteva essere falso…
“Se lei è della
polizia, perché mi ha aggredito?”
“Oh, I’m so sorry…”
disse lei, con aria davvero mortificata “Ti ho vista e ti ho bloccata
d’istinto…è pericoloso girare qui intorno per una graziosa liceale come te,
soprattutto mentre è in corso una pericolosa azione di polizia. Ammetto che sono
stata un po’ brusca, e mi dispiace tanto…ti ho fatto male?”
“Oh, no…non si
preoccupi” si affrettò a dire Ran. La donna, che inizialmente l’aveva messa in
soggezione, ora le faceva quasi tenerezza. Sembrava davvero amareggiata per
quello che era successo. Tuttavia, i suoi genitori le avevano insegnato a non
fidarsi delle apparenze, e lei non era ancora disposta a lasciarsi persuadere
completamente.
“Mi scusi…ma come
faceva a sapere che Shinichi è il mio…” si sentì arrossire e abbassò gli occhi.
In effetti, Shinichi non era il suo ragazzo. Insomma, uscivano spesso
insieme –almeno prima- ma…non c’era stato mai nulla di ufficiale. E poi…lui
magari la considerava solo un’amica. Comunque, avevano una qualche specie di
relazione, e se la donna l’aveva chiamato il suo “boyfriend” significava che era
a conoscenza della loro rapporto. Ma come poteva, se non si erano mai viste?
“Oooh…” la sentì
esclamare “…me l’ha detto Sato.”
Ran alzò lo
sguardo. “Lei conosce l’agente Sato?”
“Siamo ottime
amiche!” confermò la donna con un sorriso radioso. “È lei che mi ha indirizzata
a questo distretto. Sai, prima lavoravo in America, avrai notato che sono
straniera. Sato mi ha aiutata ad inserirmi e ad imparare la vostra lingua.”
Ora Ran era
decisamente più tranquilla. Se conosceva Sato, non poteva essere una cattiva
persona. Ricambiò il sorriso, annuendo.
“Ma ora è meglio
che ti porto via di qui, it’s too dangerous for you.” Aggiunse seriamente.
“Sì…dovrei
tornare da mio padre, mi sta cercando qui intorno.” La informò, Sheila annuì,
proponendosi di accompagnarla, e camminarono fianco a fianco per un po’. Ran si
sentiva più tranquilla con la poliziotta al suo fianco, era una guardia del
corpo perfetta. Certo, era amareggiata per non aver trovato Shinichi, dopo tutto
quello che aveva passato, ma in fondo al cuore sperava ancora di poterlo
incontrare, finita l’operazione.
Ti prego
Shinichi…se sei qui vieni da me…ho bisogno di vederti…di vedere lo sguardo dolce
e carico di tepore che rivolgi soltanto a me, di sentire la tua voce calda e
rassicurante…ho bisogno di te…
“Senti…cosa
intendevi dire quando mi hai chiesto se ero la donna che ti aveva chiamata
questa sera? Quale donna?”
Chiese ad un
tratto lei, interrompendo i suoi pensieri e facendola sussultare lievemente. Era
indecisa se raccontarle della telefonata o no, quindi restò in silenzio per un
po’. Stabilito che era un’informazione tutto sommato innocua, si risolse a
rivelarglielo. “Beh, ho ricevuto una telefonata da una donna che mi informava di
questa operazione…ehm, cioè, non proprio: mi ha detto soltanto che avrei potuto
trovare qui Shinichi.”
“Mmm.” L’agente
assunse un’aria meditabonda, arcuando le sopracciglia perfette, ma non chiese
altro sull’argomento. Si addentravano sempre di più nel caseggiato, Ran cominciò
a guardarsi intorno allarmata. Perché pensava che avrebbe potuto trovare suo
padre in quel postaccio? Cominciava a sentirsi di nuovo impaurita.
“Ehm…mi
scusi…dove stiamo andando?”
Lei le sorrise. “Where you want. [3]”
“Ha visto mio
padre da queste parti?” Chiese Ran, più scettica che perplessa, bloccandosi.
La donna non
batté ciglio, né smise di sorridere.
“I said where you want, not where you asked for, my dear Angel.
A promise is a promise, after all.” [4]
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
[1]
Mio dolce angelo…lo sai, è pericoloso qui…
[2]
Non preoccuparti, mia cara. Mi prenderò cura di te, promesso…e
anche del tuo ragazzo, naturalmente
[3]
Dove vuoi.
[4]
Ho detto dove vuoi, non dove mi hai chiesto, mio caro angelo. Una
promessa è una promessa, dopotutto.
Note dell’Autrice:
ciao a tutti!! Di nuovo mille
scuse per l’estremo ritardo, é __ è lo so, ultimamente sono una frana in quanto
a velocità. In parte per colpa della scuola, visto che i prof ci stanno
letteralmente bombardando di compiti in classe e interrogazioni, facendo fondere
le mie fragili meningi, +__+ un po’ per colpa mia, visto che quando sto a casa e
miracolosamente non ho molti compiti da fare mi crogiolo nell’ozio più puro.
Ehi, anche il cervello merita una vacanza ogni tanto, no? Mi dispiace comunque
che a rimetterci sia la stesura della storia, credetemi, piacerebbe anche a me
avere più tempo per scrivere. Ma sapete cosa vi dico? Dopo il 10 giugno, sarò
libera dalla tirannide, e spero di riprendere un ritmo di scrittura abbastanza
decente. ^__^
Allora, lasciando perdere la mia vita stressata e tornando alla
storia…che ne pensate di quest’ultimo capitolo? Ho affrontato il primo momento
di vera azione in questa seconda parte della storia (per chi non se ne è
accorto, ho suddiviso la storia in due parti: la prima si è conclusa con il
capitolo 16, l’altra è ancora in corso…se ben notate, sono praticamente due
piccole avventure riunite in una sola trama, la prima era quella del
giornalista, con tutta l’azione al Tropical Land eccetera, la seconda è questa
contro l’Organizzazione. Sono contorta, eh?) e sinceramente non so davvero come
me la sono cavata. Insomma, mi trovo molto più a mio agio con le scene
tranquille, l’azione vera e propria mi ha sempre spaventata, e adesso che l’ho
affrontata non so se posso dire di esserne uscita illesa. Spero che anche che
non ci siano errori nell’intreccio, se sì fatemelo notare, mi raccomando. Ditemi
cosa ne pensate, anche critiche costruttive, che mi aiutino a migliorare la ff,
se credete. Potete essere diretti, ma non spietati, per piacere: ultimamente,
causa l’essere sotto pressione, sono più fragile del solito. ^^” Allora, avrete
notato che ho tradotto in italiano le frasi pronunciate da Vermouth in inglese.
Ho preferito fare così per permettere di capire anche a chi non è molto ferrato
con la lingua. Certo, mi sono limitata a spiegare le più articolate: credo che
tutti voi sappiate tradurre “My name’s…” no? ^ _ -- Per il resto non credo di
avere nulla da aggiungere (dico credo perché ultimamente, come vi ho già detto,
il mio cervello si prende dopo la scuola lunghi periodi di out of business,
appendendo fuori dalla porta un cartello “fuori servizio”, il che spiega anche
la metafora ^^”). Passo a ringraziare quelle persone meravigliose che mi
commentano, vi amo, vi adoro…siete grandissimi!! #^^#
Sabry1611:
ciao! Grazie mille
dei tuoi continui commenti…sei un angelo! Sono felicissima che lo scorso
capitolo ti sia piaciuto, nonostante non fosse poi così corposo di avvenimenti.
Anche a me piaceva molto la scena fra Ran e Kogoro in macchina...povera Ai, ho
notato che sono in molti ad avercela con lei…e io mi accorgo di non migliorare
la situazione ultimamente!^^” Avevi ragione, niente va mai tutto liscio…Heiji e
Shinichi non danno propriamente il meglio di loro in questo chap, ma sta’
tranquilla, gli darò modo di riscattarsi e “fare gli eroi”…spero che il capitolo
non ti abbia delusa, non sono sicura che sia venuto bene. Fammi sapere, eh? Un
bacione, e scusa per l’attesa!!
Ersilia:
ciao! Ti ringrazio
dei complimenti, sei dolcissima…^//^ dopo tutto il tempo che ti ho fatto
aspettare, spero che il capitolo sia stato di tuo gradimento…mi dispiacerebbe
moltissimo averti deluso! Naturalmente, non farti scrupoli a dirmelo se è così:
farei di tutto per migliorare! Baci, alla prossima.
Yuki:
salve. Ran ha avuto
il suo spazio in questo chap, il prossimo sarà destinato a Kazuha…vedremo cosa
succederà! Non avercela troppo con Ai, in fondo tira acqua al suo mulino…non
molto etico, ciò che ha fatto, lo ammetto, ma è pur sempre un’ex criminale…
S:
m?
Sere:
grazie, spero
continui a piacerti!^^
Hoshi:
Povero Kogoruccio…va
bene che tante volte anch’io ho moti di odio nei suoi confronti, come quando si
vanta delle sue deduzioni e raccoglie i frutti del lavoro del povero Conan, o lo
picchia impunemente…però alla fin fine è un bravo papà per Ran, le vuole bene
davvero. E se si impegna, riesce a sorprendere. Beh, Ran si è cacciata in un
pasticcio, ma in questa ff, non so perché, la maltratto sempre più
spesso…povera…e dire che l’adoro. Pensa se la odiavo!
APTX4869:
ciao! Ho buttato
tutti nella mischia…spero di non aver fatto un disastro! Dimmi cosa ne pensi,
eh? Sono in ansia con questo capitolo, spero che ti sia piaciuto. Kiss!
Ginny85:
salve! Scurissima
per il ritardo, so che ti ho fatto penare di nuovo tanto, ma come ho già
spiegato non è del tutto colpa mia. Sorry! Mi ha fatto molto piacere leggere il
tuo commento, e sono contenta che il far tornare Shinichi adulto ti abbia
entusiasmata, in quanto alla pazzia…benvenuta nel club!^^ sai che non mi ero
quasi accorta di non aver descritto fisicamente Shinichi? All’inizio era voluto,
anche per quello ho descritto la scena dal punto di vista di Heiji, volevo che
restasse il dubbio ancora per un po’, finché il ragazzo di Osaka non ci
ripensava. Io stessa mi immaginavo quella scena con Shinichi sul sedile
posteriore, avvolto nell’ombra e poco visibile. In seguito, mi è passato di
mente… per la tua gioia, ho inserito una breve descrizione all’inizio, e vari
riferimenti durante il chap…ma non è finita qui, promesso! ^ __ ~ far fare
qualcosa di maligno ad Ai era stata la mia aspirazione fin dall’inizio della
storia…così quando mi sono chiesta “Come diavolo ci faccio entrare Ran e Kazuha
nell’azione se quei due non se le porteranno mai appresso..?” mi è venuto in
mente lo scherzetto del telefono. Ran continua a pensare alla cassetta…ricorda
che ce l’ha ancora con lei, eh! Spero di non aver deluso le tue aspettative,
fammi sapere cosa ne pensi del capitolo, ok? Un bacione, spero di poter
aggiornare prima!
Marghe:
ciao! Sono felice
che la mia storia ti piaccia, ti ringrazio tantissimo della recensione e dei
complimenti…spero di risentirti e che la mia ff continui ad essere di tuo gusto.
Ruka88:
salve! Mi fa piacere
che tu abbia deciso di commentare la mia ff, e soprattutto che ti piaccia.
Grazie mille dei complimenti, spero che continui a seguirmi e che quest’ultimo
capitolo non faccia crollare le tue aspettative sulla storia!
Meila:
Ciao! Come ho già
detto, io adoro sia Ran che Ai…quindi non sono contraria né a storie che siano
Shinichi/Ran (d’altronde lo è anche la mia) né a storie Conan/Ai…il ragazzo ha
successo!
Akemichan:
salve! Fa sempre
piacere ricevere commenti da scrittrice di gialli così ferrate e in gamba…ci
tengo molto ad una tua opinione su questo capitolo d’azione, sebbene, più che un
giallo, sia un thriller! Beh, io ho parlato di desiderio di vendetta
infatti… :p Ai tende a sopravvalutarsi in quanto a cattiva….contentissima che tu
sia d’accordo con me su Kogoro. Uhm…la cosa di Praga è sorprendente, magari
siamo perfino partite insieme, chi può dirlo? ^^ Sarebbe davvero tutto da ridere
se ci fossimo parlate o roba del genere. Bella città, vero? L’orologio con i
segni zodiacali mi è piaciuto particolarmente…il cibo faceva schifo, tutte le
sere pasta scotta e carne disgustosa…e poi si sorprendono che uno si rifugia a
pranzo da “Pizza Capri”! Un bacione, spero di risentirti. E complimentosi per la
tua ff, è stupenda!!
Lili:
Grazie! Sono
contenta che lo scorso chap ti sia piaciuto, e che sia riuscita a trasmetterti
quelle sensazioni. Era proprio il mio intento!!^^ Dimmi cosa ne pensi anche di
quest’ultimo, eh! A Praga sono stata bene, mi sono divertita moltissimo, a parte
il cibo, chiaramente. Ma si sa, da nessuna parte si mangia bene come in Italia!
Tra l’altro lì i costi sono veramente bassi, mi sono comprata un paio di
magliette di marca a prezzi incredibili!! (w gli obiettivi culturali). La città
era bella, ma di sera girava brutta gente…andare nei pub sole sarebbe stato un
suicidio, i prof dovevano scortarci, per fortuna che poi se ne stavano in
disparte (ci siamo fatti accompagnare dai più ‘buoni’, mica siamo scemi!)
A presto, un bacio.
Mareviola:
grazie! Ho postato
il prima possibile, spero di non deluderti!
Kiara: ti
ringrazio della recensione e dei complimenti, spero di risentirti! Smack!
Questo è tutto per oggi. Ancora scusate per il ritardo, farò del
mio meglio con il prossimo aggiornamento, promesso! Fatemi sapere le vostre
opinioni su questo chap, ci terrei veramente, perché ho trovato un bel po’ di
difficoltà a districarmi in mezzo al caos che ho creato io stessa. “Chi è causa
del suo mal, pianga se stesso” , praticamente.
ciao
-Melany
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Capitolo 23 *** In The Dark ***
Nuova pagina 1
23. In The Dark
Gin si guardava
intorno attentamente, cercando di penetrare l’oscurità, le mani strette
saldamente sulla pistola: quel maledetto bastardo dunque aveva più di un
complice dalla sua; che sciocco era stato a non aspettarsi un attacco a
sorpresa, avrebbe dovuto guardarsi le spalle. Comunque, non avrebbe lasciato che
un dettaglio così insignificante rovinasse tutto quanto, non importa quante
persone avrebbe dovuto uccidere per riuscirci. Se quel maledetto voleva la
guerra, l’avrebbe avuta, al diavolo il dolore pulsante alla spalla, colpita e
fortunatamente non penetrata dalla pallottola sparata a tradimento. Sentiva il
sangue scivolare, caldo e viscoso, lungo la schiena, e l’adrenalina crescergli
nel corpo, inebriandolo. Quanto amava tutto ciò…
Un fugace
movimento nell’ombra gli suggerì la posizione del suo avversario, e un sorriso
crudele gli increspò le labbra: chiunque fosse il nuovo arrivato non doveva
essere molto furbo: avrebbe fatto meglio a fuggire più lontano che poteva, dopo
aver colpito, e non ad intrufolarsi nel magazzino. Con quella mossa aveva
firmato la sua condanna.
“Vodka, blocca
l’altra uscita.” Ordinò, e l’uomo obbedì immediatamente, allontanandosi. Sapeva
che probabilmente gli altri due se l’erano già svignata, ma era deciso a farla
pagare cara a quel guastafeste. Sentì un rumore sordo: aveva individuato il
punto dove si era nascosto, dietro una catasta di legname marcio, e vi si
avvicinò, lento ma inesorabile, pronto a qualsiasi attacco, la pistola in pugno.
Ormai poteva quasi vedere dietro la barriera lignea, si leccò le labbra, ansioso
di colpire.
“Bene…è la tua
fin-“
Vuota.
Non c’era nessuno
nascosto lì, e nello stesso momento in cui la rabbia divampava nel suo corpo
sentì la fredda canna di una pistola puntata contro la sua testa.
“Non un
movimento, Gin” sibilò, voce fredda e tagliente come una lama di ghiaccio. Il
suo sorriso si fece divertito.
“Ciao, Sherry.”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Shinichi Kudo non
aveva accumulato un così gran numero di casi risolti solo per fortuna, e di
certo non perché qualcun altro addormentandolo faceva tutto il lavoro al suo
posto. Durante la sua brillante carriera aveva imparato che poteva fidarsi
ciecamente del suo intelletto e dei suoi presentimenti, e di certo ora non li
avrebbe ignorati per un dettaglio insignificante quale l’essere in grave
pericolo di morte. Lo sparo che aveva salvato lui e il suo collega non era
frutto di un qualche miracolo divino, né ne era l’artefice qualche poliziotto:
anche ammesso che in qualche modo l’ispettore avesse saputo che erano in
pericolo, la procedura per quel genere di situazioni non prevedeva certo lo
sparare addosso ai criminali senza alcun preavviso, bensì un’irruzione armata,
che li avrebbe costretti a gettare le armi. Un’azione di quel genere sarebbe
costata il posto con disonore a qualsiasi agente, e non conosceva nessuno fra
gli uomini di Megure con simili aspirazioni. Dunque, ad aiutarli non era stata
la polizia, e non ricordava di avere stretto solide amicizie da quelle parti.
Perciò, chi li aveva aiutati?
Era la domanda
che la sua mente si era posta subito dopo aver sentito il rombo dell’arma da
fuoco e l’infrangersi dei vetri. Così, lasciando volutamente che Heiji lo
distanziasse mentre ripercorrevano l’asse di legno, conscio che non poteva
chiedergli di restare ancora lì dentro dopo quello che era successo per una sua
vaga supposizione, si fermò a metà strada, fece scivolare giù dall’asse le gambe
sorreggendosi con le braccia, e con una mossa atletica riuscì a mettere i piedi
per terra, aiutandosi anche con le rientranze del muro più vicino. Dopodiché si
nascose nell’ombra, osservando ora la scena da un’angolazione migliore, attento
a non farsi scorgere: era certo che Gin e Vodka pensassero che era scappato via
dalla finestrella. Sperava solo che Hattori non fosse così stupido da rientrare,
non vedendolo, e che andasse invece a chiamare la polizia: la sua
ricetrasmittente era stata distrutta dal proiettile che Gin aveva sparato poco
prima.
I due Uomini in
Nero si guardavano intorno con circospezione, Shinichi poteva vedere quanto
fossero tesi: sicuramente non si aspettavano un attacco da due fronti. Alle
labbra gli affiorò un lieve sorriso, che si spense subito quando la supposizione
si fece largo nella sua mente. Stavolta, avrebbe tanto voluto sbagliarsi.
Non può essere
lei…non avrebbe mai potuto saperlo…
Ma ancora una
volta era la voce della speranza a parlare, non della razionalità. Avrebbe
potuto scoprirlo in cento modi diversi, e non ci sarebbe stato modo di impedirle
di raggiungerli, in quel caso. Udì Gin lanciare al suo complice l’ordine di
bloccare l’altra uscita, e seppe che adesso non avrebbe potuto più andar via,
non prima di aver sistemato gli Uomini in Nero. Era in trappola, solo e
disarmato. Fantastico. Nonostante tutto però non era pentito della sua scelta:
se le cose stavano davvero come pensava, non si sarebbe mai perdonato di averla
lasciata sola in quel magazzino con quei due assassini.
Scrutò l’oscurità
con attenzione, cercando di individuarla: vide un movimento dietro Gin, non
troppo vicino, e non si trattava certo di Vodka, che si era allontanato verso il
retro del magazzino e la finestrella, unica altra via di fuga. Gin era attento,
e sapeva che se non avesse creato un diversivo, l’uomo avrebbe avvertito la
presenza alle sue spalle e l’avrebbe preceduta, uccidendola. Anche ammesso che
non si trattasse di Ai, come aveva supposto, non poteva permettere che qualcuno
perdesse la vita, qualcuno che per di più aveva appena salvato la sua. Si guardò
intorno e notò un pezzo di calce non distante da lui, sul pavimento,
probabilmente staccatosi dal soffitto o dal muro. Lo afferrò, attento a non far
rumore, prese la mira e lo lanciò verso un cumulo di legname marcio, alto
abbastanza da nascondere un individuo adulto. Il rumore che provocò attirò
l’attenzione di Gin, che cominciò ad avvicinarvisi lento e vigile. Shinichi
sorrise soddisfatto: a quanto pare, anche lui sapeva attirarlo in una trappola,
volendo.
Abbassa la
cresta, galletto…hai solo tirato un sasso…
Sbuffò
silenziosamente, scocciato. Prima o poi avrebbe dovuto andare dall’analista,
chissà quali traumi infantili aveva dovuto subire, se nei momenti meno opportuni
la voce canzonatoria di suo padre gli rimbombava fastidiosa nella testa con quel
suo tono saccente di sufficienza…
Gin era arrivato
vicinissimo alla catasta e aveva puntato la pistola, pronto a colpire. Proprio
in quel momento, una donna bionda sbucò dall’ombra e con un balzo fu dietro di
lui, puntandogli un’arma alla testa. Shinichi si sentì sprofondare: aveva avuto
ragione, era proprio Ai Haibara, la misteriosa soccorritrice. Non gli importava
che l’avesse salvato, avrebbe preferito mille volte che se ne restasse a casa.
Perché era uscita allo scoperto?? Cosa aveva intenzione di fare, scontrandosi
faccia a faccia con gli odiati Uomini in Nero??? Strinse i pugni: se le cose si
fossero messe davvero male, non avrebbe saputo come aiutarla. Forse avrebbe
dovuto arrendersi alle proteste di Hattori e prendere lui la pistola! Qualunque
cosa avesse in mente Ai, non gli piaceva per niente. Il fatto stesso che si
fosse intrufolata nel magazzino e non fosse scappata, dopo averli aiutati,
dimostrava che aveva cercato di proposito lo scontro con Gin. Ma perché?? Per
quel che ne sapeva, Ai era spaventata a morte dall’Organizzazione. Parlava
sempre di scappare e nascondersi, più di una volta aveva perfino cercato di
suicidarsi. Non faceva che ripetergli quanto fossero pericolosi, e ogni volta
che lui aveva l’occasione di fare concretamente qualcosa, come quando li avevano
incontrati per strada e lui aveva deciso di seguirli di nascosto, era sempre
stata pronta a scoraggiarlo, a cercare di dissuaderlo dall’andare contro di
loro, definendolo ‘inutile e pericoloso’. E adesso si scopriva così
stupidamente, attaccandolo frontalmente. Cosa sperava di ottenere? Perché?
Però in fondo lo
sapeva. Gli era accaduto così tante volte in passato…vedere persone normalissime
cadere in quella spirale di autodistruzione. Sarebbe stato facile considerarle
persone sciocche, o cattive, e lasciarsi tutto dietro le spalle. Ma la realtà
era ben diversa: tutti loro, non erano né sciocchi, né cattivi: solo accecati da
un dolore insopportabile, che li aveva consumati dentro, fino a fargli prendere
quella decisione così terribile, per i loro obiettivi ma anche per loro stessi.
Vendetta.
Una delle
motivazioni più frequenti per un omicidio. Quante volte, dopo aver incastrato il
colpevole, aveva udito dalle sue labbra che l’aveva fatto per vendicare qualcuno
a cui voleva davvero bene, che gli era stato portato via per colpa della persona
che aveva assassinato? Aveva visto i loro occhi umidi di pianto privi di
qualsiasi luce, bensì colmi di un’oscurità soffocante che inghiottiva qualsiasi
sentimento che non fosse la disperazione più assoluta. Molti di loro, dopo
l’omicidio, non avevano trovato l’appagamento desiderato: perché non è a questo
che porta la vendetta. No, porta solo altra sofferenza. A quanti di loro aveva
cercato di impedire di suicidarsi, dopo il loro atto? E non con tutti c’era
riuscito, purtroppo.
Seppe con
certezza che Ai voleva vendicare la morte di sua sorella Akemi uccidendo Gin, e
seppe con altrettanta certezza che non gliel’avrebbe permesso. Non per lui,
quell’odioso bastardo assassino, perché per quanto volesse negarlo a se stesso
non avrebbe potuto che tirare un sospiro di sollievo, se un giorno avesse letto
sul giornale della sua morte. L’avrebbe fatto per lei: non voleva vedere anche
nei suoi occhi quel buio così opprimente, non voleva perderla per sempre. Quella
cosa l’avrebbe distrutta in un modo tanto doloroso che lei non poteva nemmeno
immaginare.
Ti salverò
Ai…fosse l’ultima cosa che faccio…
E non era un modo
di dire. Contro l’Organizzazione, la possibilità era più che reale. Inarcò le
sopracciglia, pronto ad intervenire.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Aveva creduto
che nel momento cruciale si sarebbe sentita agitata e spaventata a morte, che
avrebbe esitato, e fu un sollievo riscoprirsi perfettamente calma. Aveva trovato
la sua pace interiore nell’oceano di paura che tempestava nel suo animo, e si
era mossa con grande abilità, riuscendo a non farsi vedere dai suoi nemici.
Sapeva che con il suo gesto aveva salvato Kudo e il suo amico di Osaka, e la
cosa la faceva sentire soddisfatta e fiera. Ormai loro due erano certamente
fuggiti via, sperava solo che Kudo, memore del favore che gli aveva appena
fatto, non ce l’avesse troppo con lei per averlo ingannato, e, se ci fosse
riuscita, per aver commesso un omicidio. Ma sapeva che era una vana illusione:
lui l’avrebbe odiata e disprezzata, oh sì. Le avrebbe urlato contro che era
un’assassina e un mostro, proprio come quando gli aveva rivelato il suo passato
a casa del dottor Agasa, il giorno del loro primo incontro. Si sarebbe rifiutato
di continuare ad aiutarla e l’avrebbe mandata via dall’unico posto che, dopo
tanti anni, poteva considerare davvero come casa. Lei sarebbe rimasta sola. Di
nuovo. In fondo c’era abituata, no? Non poteva sperare che Kudo, simbolo
impeccabile di giustizia e onestà, collaborasse con un’assassina. Lui pensava
che non c’era cosa peggiore dell’omicidio; ma lei sapeva bene che c’è più di un
modo per uccidere una persona, uno di questi era ciò che avevano fatto a lei,
rubandole la sua infanzia, i suoi affetti più cari…la sua vita. L’Organizzazione
l’aveva prosciugata di qualsiasi cosa la rendesse minimamente felice. E ora,
inconsciamente consapevole, l’avrebbe aiutata lei stessa a toglierle l’ultima
cosa che le era rimasta che la faceva stare bene.
Vide Gin
avvicinarsi ad una catasta di legname, mentre quell’idiota di Vodka si era
allontanato sotto suo ordine verso il retro del magazzino. Seppe che quello era
il momento che aspettava, se l’avesse sprecato non ne avrebbe avuti più. Gin era
troppo furbo per creare due situazioni a suo svantaggio in una sola volta…
Inspirò
profondamente e si lanciò verso di lui, la sua fedele pistola in pugno, e senza
un attimo di esitazione gliela puntò saldamente contro la nuca, buttando fuori
l’aria prima di sibilare minacciosa: “Non un movimento, Gin”.
Sperava di
vederlo agitato, magari impaurito, ma le sue illusioni crollarono non appena
sentì la sua voce rilassata e divertita.
“Ciao, Sherry”
disse lui, come se l’avesse salutata incontrandola per la strada. Sentì insieme
collera e timore crescere dentro di sé: possibile che non fosse minimamente
preoccupato dal fatto che gli stava puntando una pistola addosso? Avrebbe potuto
fargli saltare in aria il cervello con il semplice gesto di un dito…
“Non credevo che
ti avrei trovata qui. Sei venuta ad aiutare il tuo amichetto come ha fatto lui,
qualche tempo fa? Una specie di scambio di favori?” le chiese, perfettamente
immobile. Lei aggrottò la fronte, decisa a far affiorare la collera e non il
timore. “Taci.” Ringhiò.
“Sono curioso di
sapere quale altro genere di favori vi scambiate…”
Tolse la sicura
alla pistola, sperando che lo scatto gli infondesse un po’ di timore, ma,
sebbene non potesse vederlo in volto, avvertiva la sua calma.
“Cosa pensi di
fare adesso, Sherry? Vuoi forse uccidermi?” le domandò, sempre con quel tono
divertito.
“Credi che non lo
farei?” replicò, tenendo così saldamente la pistola che le sudavano le mani.
Gin non rispose.
Voltò lievemente la testa in modo di farle scorgere il suo sorriso.
“Vuoi sapere
perché ho ucciso tua sorella?” mormorò, il blu dei suoi occhi pervasi da uno
strano luccichio che non aveva mai visto.
“C…cosa?” disse
lei, spiazzata.
“Quella
stupida…per tutta la vita non ha fatto altro che eseguire gli ordini,
macchiandosi del sangue di molte persone, nella sciocca illusione che in questo
modo ti avrebbe salvata.”
“Zitto! Non
parlare di Akemi…!”
“E
invece…l’abbiamo solo usata, per tutta la sua miserabile esistenza, e quando non
ci è più servita l’ho gettata via…come un pezzo di carta igienica.”
Questo era
troppo. Non poteva sentir parlare così di sua sorella, dell’unica persona che
l’aveva davvero amata… Fece per sparare, ormai non le importava più nulla, non
aveva niente da perdere…
“Ricorda,
sorellina…non lasciarti mai corrompere. Puoi lavorare per loro…ma non sarai mai
come loro. Tu sei migliore.”
La voce di Akemi,
limpida e chiara, riaffiorò alla sua mente. Buffo, non ricordava nemmeno in che
occasione gliel’avesse detto...ma le infuse qualcosa che prima non aveva,
qualcosa che le fece allentare la pressione sul grilletto.
Inaspettatamente
Gin con un gesto improvviso e violento la colpì allo stomaco, facendole
strizzare gli occhi per il dolore cadendo a terra. Teneva ancora la pistola in
mano, ma Gin premette con forza il piede sulla sua mano, facendole scricchiolare
dolorosamente le ossa e gemere, e la lasciò andare, cosa che permise a lui di
raccoglierla.
“E anche tu sei
una povera stupida…proprio come lei.” rise, un suono agghiacciante che risuonò
nell’edificio vuoto. “La vostra vita ci è appartenuta…è giusto che sia così
anche per la vostra morte, non credi?”
“Va all’inferno,
stronzo” ringhiò lei, tenendosi la mano dolorante. Ora sapeva che era davvero
finita. Gin l’avrebbe uccisa, proprio lì, e nessuno avrebbe più saputo nulla di
lei. Non che avesse importanza.
“Prima le
signore…” replicò lui con un sorriso crudele, ma prima che potesse spararle il
suo braccio fu colpito da un grosso pezzo di legno, che gli scatenò un grugnito
soffocato e lo costrinse ad abbassare la mira. Ai approfittò dell’occasione per
rialzarsi, sferrandogli un calcio e fuggendo nella direzione dalla quale era
partito il proiettile. Gin le sparò un colpo che la mancò di pochi centimetri, e
prima che potesse rendersene conto una mano le afferrò il polso e la costrinse a
rifugiarsi dietro un cumulo di materiale vario da costruzione, vecchio
abbastanza da essere inutilizzabile. Si ritrovò faccia a faccia con un Kudo
adulto, il giovane viso tirato per la tensione, che le fece cenno di tacere con
un dito sulle labbra.
“Stupido! Gli hai
rivelato la tua posizione così!” sbottò, e infatti Gin ora puntava verso di
loro, la pistola in pugno.
“Tranquilla.”
Ribatté, restando nascosto e mirando con il suo orologio spara-anestetico.
“Aspetta solo che sia abbastanza vicino…”
Nonostante la
situazione piuttosto critica, non poté fare a meno di sentirsi sollevata al
pensiero che Kudo fosse al suo fianco. Le venne da sorridere quando pensò che la
scena era molto simile alla battaglia finale di “Amore e Morte a Broadway”,
nella quale i due protagonisti affrontavano i cattivi aiutandosi l’un l’altra.
L’unica cosa che restava da chiedersi era se il finale sarebbe stato lo stesso.
Adesso Gin era
vicinissimo a loro. Kudo sorrise, puntandolo con il suo orologio e sparando il
dardo narcotizzante, che lo colpì al braccio. L’uomo guardò strabuzzando gli
occhi l’ago che spuntava dalla veste nera, poi si afflosciò, cadendo a terra
addormentato. Il sorriso sul viso di Kudo era trionfante, e lei non poté fare a
meno di notare quanto fosse bello, gli occhi che brillavano, i capelli
scompigliati, il fisico atletico che si intravedeva attraverso la camicia
bianca.
Era pur sempre
una ragazza, dopotutto.
Kudo si alzò,
dirigendosi verso Gin e guardandolo con circospezione. Dentro di sé, Ai sentiva
un misto di sensazioni diverse confondersi insieme: gioia, soddisfazione,
incredulità…Avevano vinto.
Fu allora che Gin
prese Kudo per la caviglia e lo atterrò.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Era davvero
ridicolo che riuscisse a catturare assassini scaltri e abili e non fosse in
grado di ritrovare sua figlia, poco più di una bambina. Dovette fermarsi a
riprendere fiato, il volto in fiamme, la testa che gli faceva male da morire per
la mancanza di ossigeno, che i suoi polmoni cercavano di compensare lavorando
furiosamente, così come il suo cuore, mentre una forte nausea cominciava a
propagarsi alla bocca dello stomaco.
Dannate
sigarette.
“Mouri-san, forse
è meglio se si riposa. Posso continuare…”
“Stai qui” riuscì
a bofonchiare, ancora con il fiato corto, ansimante. L’ultima cosa di cui aveva
bisogno era perdersi anche la figlia del capo della polizia di Osaka. Oltretutto
era davvero preoccupato per Ran: se era in corso un’azione armata, avrebbe
potuto trovarsi in pericolo. Tutta colpa di quel ragazzino viziato e odioso.
Meglio per lui che non gli capitasse fra le mani in quel momento, non escludeva
che avrebbe potuto ammazzarlo per quello che aveva fatto alla sua bambina.
“Non le è
sembrato di sentire un rumore?” chiese dietro di lui l’amica di Ran.
Kogoro, che
faticava persino a sentire i propri pensieri dato il fiatone, la guardò
interrogativamente. Kazuha indicò col dito una vecchia casa dall’altra parte
della strada. “Ho sentito come un rumore di vetri rotti…”
L’investigatore
sospirò, avanzando a fatica verso il punto indicato. Fece cenno alla ragazza di
restare dov’era e raggiunse la porta, aprendola con cautela e sbirciando
attraverso la fessura. In effetti, c’era qualcuno accoccolato in terra, che
smise improvvisamente di muoversi quando sentì la porta cigolare; il buio gli
impediva di vedere chi era, ma dal profilo sembrava una donna.
“Chi diavolo..?”
entrò nell’abitazione, con circospezione, e avvicinandosi si accorse che la
donna era legata e imbavagliata: dei frammenti e la canna di una bottiglia
spaccata gli fecero capire da dove proveniva il rumore di vetri rotti udito da
Kazuha. Ma fu quando si accorse chi era la donna che ebbe un sussulto violento,
e sgranò gli occhi dalla sorpresa: “S-signorina Sato?!?” esclamò con il cuore in
gola, affrettandosi a toglierle il bavaglio e cominciando a trafficare con le
funi per scioglierle. Dopo aver respirato un paio di volte profondamente con la
bocca, Sato gli si rivolse con un mezzo sorriso di sollievo. “La ringrazio,
detective. Non ci speravo più…per fortuna che qualche ubriacone ha lasciato per
terra una bottiglia, pensavo di tagliare le corde con il vetro, ma ora non ce
n’è più bisogno.” Lui stava ancora armeggiando con le funi e le chiese
incredulo: “Chi è stato a…?”
“Non lo so.”
Sospirò “Ero di pattuglia quando ho sentito il rumore di uno sparo. L’ispettore
Megure ha aperto la comunicazione e proprio mentre stavo per rispondere qualcuno
mi ha colpito forte alla testa e ho perso i sensi. Accidenti!” strinse i pugni,
e Kogoro si accorse che era profondamente frustrata e arrabbiata con se stessa
“Avrei dovuto accorgermi che qualcuno mi era arrivato alle spalle, insomma, sono
un’agente esperta! Invece…”
“Sono sicuro che
non è colpa sua” cercò di rincuorarla Kogoro, riuscendo finalmente a sciogliere
le funi. Lei si alzò, sgranchendosi le braccia intorpidite. Lei so voltò verso
di lui, le sopracciglia scure inarcate. “Lo è invece! E come se non bastasse,
quando ancora ero semi cosciente, mi è sembrato di sentire…” la voce divenne
fioca, mentre aggrottava la fronte a quel che pareva perplessa.
“Cosa?” la
incoraggiò lui. Sato sospirò. “Mi è sembrato di sentire la mia voce, che
indirizzava le truppe di Megure in un palazzo del mio settore.” disse
debolmente, Kogoro scoppiò a ridere. “Ma è assurdo, no? Forse stava già
sognando.” Concluse semplicemente. Lei lo guardò poco convinta, fece per
replicare ma all’ultimo minuto parve rinunciarci e annuì. “Andiamo, devo
raggiungere la squadra e avvertire l’ispettore dell’accaduto.”
“Non ha con sé la
ricetrasmittente?”
“No. È questo il
problema. Chiunque ce l’abbia, ora è in grado di conoscere tutte le mosse della
polizia.”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Era nei guai.
L’aveva presagito sin da quando aveva messo piede in quel caseggiato. Le
sopracciglia scure inarcate, lo sguardo passava teso dalla pistola puntata
contro di lui al ghigno terribile dell’uomo e ai suoi occhi gelidi e spietati.
Cosa avrebbe potuto fare? Non poteva muoversi senza beccarsi una pallottola, e
ad ogni modo stava per sparargli comunque. Non poteva usare la sua pistola, che
fuggendo sull’impalcatura si era re-infilato nei jeans. Non c’era via d’uscita:
era evidente che l’uomo che gli stava davanti era un killer esperto. Una
orribile sensazione di impotenza e di disperazione si fece largo nel suo
animo…era spacciato. Poteva solo sperare nell’arrivo di qualcuno…Kudo, forse…
“Uhm…data la
delusione della serata, vediamo se posso divertirmi un po’ con te…” si leccò le
labbra, gli occhi che scintillavano famelici “Non sarà bello come con il piccolo
Toshio, ma mi posso accontentare.” Rise, un suono spaventoso e crepitante che
non poté udire più di qualche istante, sebbene fosse durata di più. L’uomo aveva
premuto il grilletto, e Heiji sentì un’esplosione di dolore lancinante alla
spalla, che lo fece urlare strizzando gli occhi, mentre il sangue colava lento e
inesorabile dalla ferita pulsante e bruciante. La mano corse istintivamente a
tamponarsi, mentre il dolore, concentrato in un unico punto, fluiva in tutto il
suo corpo, teso alla sofferenza.
Aprì gli occhi a
fatica, ansimante, e incontrò lo sguardo divertito ed eccitato del suo nemico,
che non aveva smesso di ridere quella sua risata raccapricciante.
“Fa male, vero?”
chiese retoricamente, sempre ghignando. “Tu sai, ragazzo, quanti proiettili
possono entrare nel corpo umano prima che il malcapitato muoia?”
Heiji lo guardò
con odio e disprezzo, continuando a tenersi stretta la spalla. Aveva paura,
questo sì, non voleva morire…ma se proprio non c’era via d’uscita, non gli
avrebbe dato la soddisfazione di mostrarsi debole e spaventato. L’avrebbe
affrontato, e sarebbe morto con onore. In fondo, non era compiacendo quel mostro
che si sarebbe salvato. Non rispose, continuando a fissarlo quasi con sfida, e
cercando di raddrizzarsi, dato che il suo corpo si era come curvato in direzione
della parte lesa.
“No..? Non lo
sai?” insisté l’assassino. Si avvicinò a lui, poi abbassò un po’ la voce con
fare cospiratorio e gli sorrise complice, strizzandogli l’occhio. “Nemmeno io.”
Mentre con l’altra teneva la pistola puntata, allungò una mano e strinse forte
la spalla, che grondò di sangue mentre lui emetteva un gemito soffocato a causa
della nuova scarica di dolore.
“Ma lo scopriremo
insieme, vero, ragazzo?” si allontanò di nuovo da lui, leccandosi via il sangue
dalla mano. Nonostante la sofferenza, Heiji storse la bocca disgustato. Era
l’uomo più mostruoso che avesse mai incontrato, sembrava uscito da un racconto
dell’orrore, stentava quasi a credere che una feccia del genere fosse un essere
umano. Non voleva nemmeno immaginare cosa aveva potuto fare al piccolo Toshio e
agli altri bambini di cui parlava. Non c’era alcuna traccia di pietà o di calore
nei suoi modi, nel suo viso. Sembrava un essere crudele senza nessuna traccia di
umanità.
“Stronzo” imprecò
lui. Aveva bisogno solo di un’occasione, un attimo di distrazione avrebbe potuto
sfilare la sua pistola e sarebbero stati alla pari. Ma come distrarlo?
“Braccio Gamba braccio gamba…” cantilenò
lui, apparentemente indeciso, facendo oscillare appena il revolver.
“HEIJI!!!!”
Una voce
femminile terrorizzata li fece sobbalzare entrambi. Passò quasi un secondo prima
che la sua mente, completamente concentrata su ciò che stava accadendo,
registrasse il suono e la riconoscesse, nonostante la sentisse tutti i giorni
fin da quando aveva i ricordi. E malgrado ciò, non volle subito prestare fede
alle sue orecchie: era semplicemente assurdo. Assurdo e terrificante. Non
riusciva a credere che fosse lì…non voleva credere che fosse lì…
Ma era la verità.
Dietro la figura del killer la vide, le guance arrossate, gli occhi verdi
scintillanti e determinati sotto le sopracciglia inarcate, i capelli leggermente
arruffati che si curvavano in riccioli scomposti attorno al viso, il petto che
si alzava e abbassava velocemente. Non stava guardando lui, ma la schiena del
suo avversario, le mani strette a pugno.
“Lascialo stare.”
Ringhiò, voce carica di rabbia. L’uomo si voltò appena, il ghigno si propagò
sulla sua faccia spaventosa. “Ma senti un po’…” commentò divertito.
“Kazuha, vattene
via di qui!!! Scappa!!” le urlò lui, ma lei parve ignorarlo, focalizzata
sull’assassino.
“Bene mocciosetta…vieni
qui davanti a me, se non ti dispiace. Perché se non lo fai, ti dispiacerà
immensamente vedere il tuo amico morire.” Le gridò, senza voltarsi, la pistola
saldamente in pugno. Heiji si sentì pervadere da un misto di collera e
disperazione: perché quell’idiota era uscita così allo scoperto?? Che diavolo
sperava di fare disarmata contro quell’uomo? Perché non era corsa ad avvertire
la polizia invece? E soprattutto: come cavolo faceva a trovarsi là??? La seguì
con lo sguardo avvicinarsi, il viso tirato per la tensione e la paura.
“Questa cosa mi
fa venire in mente un altro giochino divertente.” Disse l’uomo, negli occhi un
luccichio perverso.
“Allora
ragazzina…Ka-zu-ha, giusto? Se muovi solo un altro passo, uccido il tuo
amichetto. Un colpo secco in fronte. Ti assicuro che ho una mira impeccabile. Se
invece il primo a muoversi sei tu…” si rivolse di nuovo a lui, con un sorriso
che scoprì un paio di denti mancanti “...sparo a lei. Bum. La vedi e ora non la
vedi più. Chi sarà il vincitore?” rise di nuovo, gli occhi che si spostavano
dall’uno all’altra. “Oh, naturalmente, se nessuno si muove entro il 10…deciderò
io.”
“Kazuha, stammi
bene a sentire” bisbigliò, cercando di non muovere le labbra. Forse sapeva che
cosa fare: era rischioso, dannatamente, ma non poteva fare altrimenti. In ogni
caso, lei si sarebbe salvata.
“1…2…3…”
“Al mio segnale,
prendi la pistola che ho dietro la schiena, nei jeans. ”
“Ma…se mi muovo…”
sussurrò lei, la voce acuta.
“Non
preoccuparti. Fa’ come ti ho detto, non ti accadrà nulla.”
“Ma…”
“4…5…”
“Ehi…ti fidi di
me?”
“Io…sì, certo.”
confermò lei, e sebbene nel sussurro, Heiji percepì la nota di speranza nella
sua voce.
“6…7…”
“Bene. Quando hai
la pistola, sparagli. Non perdere tempo a prendere la mira, sparagli e basta.
Okay?” Heiji sorrise, guardando il loro assalitore. Avrebbe voluto dirle altre
cose...molte altre cose…di quanto era stato bello conoscerla, di come ogni
giorno della propria vita avesse amato incontrarla, parlare con lei, anche solo
starle accanto. Avrebbe voluto ringraziarla, per essergli stata accanto per
tutto questo tempo, per averlo fatto stare così bene. Avrebbe voluto
ringraziarla anche semplicemente di esistere…di essere quella che era. E
improvvisamente si accorse che l’amava. Il suo viso, il suo carattere…il modo in
cui sporgeva il labbro inferiore quando era imbronciata, in cui la coda di
cavallo ciondolava ogni volta che muoveva la testa, il fuoco che vedeva nei suoi
occhi ogni volta che si arrabbiava con lui, il suono della sua voce…il suo
profumo fruttato, di mirtilli. Io amo Kazuha, pensò, e si chiese perché
diavolo non se ne era accorto prima. In un attimo, rimpianse tutte le occasioni
in cui avrebbe potuto rivelarglielo, tutti i momenti che avrebbero potuto
passare insieme…e il bacio che avrebbe potuto darle al Tropical Land. Se fosse
stato possibile tornare indietro nel tempo, l’avrebbe baciata e abbracciata e le
avrebbe detto tutto ciò che era stato così stupido da non rivelarle prima, anche
davanti all’amica di Mouri, se necessario.
Ma ora era troppo
tardi.
Quelle sarebbero
state probabilmente le ultime parole che le avrebbe detto in tutta la sua vita.
“Kazuha…”
bisbigliò, gli occhi fissi sull’uomo davanti a lui.
“8…”
“Sì?”
I suoi occhi si
posarono su di lei per un istante e le sorrise, cercando di confortare la paura
che vide nel verde dei suoi occhi.
“Hai davvero un
bel nastro, stasera.”
“9…”
Si voltò di nuovo
verso il mostro. “ADESSO!!”
Il resto successe
in un lampo. Sentì Kazuha muoversi accanto a lui, estrarre la pistola dai suoi
jeans, e contemporaneamente uno sparo squarciò il silenzio della notte.
E poi…solo buio.
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Note dell’Autrice:
salve a tutti!! Ecco terminato un altro capitolo, mi
auguro di non avervi fatto aspettare troppo (se così vi chiedo scusa un’infinità
di volte!! ^^” Sorry!!) e naturalmente che vi sia piaciuto. È un altro
capitoletto all’insegna dell’azione, ma non preoccupatevi, fra poco inserirò
anche il love, anzi, un accenno c’è anche in questo, #^^# come avrete letto.
Spero davvero di non aver commesso errori nell’intreccio, devo tenere i fili di
varie situazioni diverse e quindi è possibilissimo che io commetta qualche
imprecisione; naturalmente faccio del mio meglio per evitarle, ma se qualcuna
sfugge al mio controllo confido in voi per farmelo notare (ehi, con gentilezza,
però: non riducete in lacrime una povera pseudo scrittrice, per favore! ^^”).
Allora, ringrazio come al solito tutti i lettori di questa ff, e passo ai
ringraziamenti singoli di quelle persone assolutamente ADORABILI che hanno
commentato:
Yuki:
ciao! Grazie per l’incoraggiamento, spero che non mi sia rovinata con quest’ultimo
capitolo! Mi auguro anche che sia arrivato abbastanza presto.
Ruka88:
ciao! Non credo di poter rispondere subito alle tue domande, ma continua a
leggere la storia e vedrai che ti sarà tutto chiaro (“che strazio!” nd Ruka). Ho
aggiornato, spero che anche questo chap ti sia piaciuto, e naturalmente grazie
mille per la recensione, sei stata un angelo.
Akemichan:
davvero? Il mio albergo ospitava un casinò aperto al pubblico
tutta la notte, quindi entrava e usciva gente di tutti i generi…immaginerai che
non era auspicabile uscire dalle stanze oltre una certa ora! Alla reception
parlavano pochissimo inglese e quasi nulla italiano, una sera sono andata lì per
chiedere un termometro per una mia amica che stava male e ti assicuro che è
stata un’impresa da Indiana Jones fargli capire la parola ‘termometro’. Ti
risparmio i particolari, ma immaginami gesticolare disperatamente davanti ad un
tizio dall’aria smarrita. Comunque, si parlava della ff, temerai ancora di più
per i nostri due giovani detective dopo questo capitolo…poveri!! Ti ringrazio
per i complimenti comunque, mi ha fatto piacere il tuo commento su Vermouth,
perché mi è piaciuto come l’hai caratterizzata nella tua storia e quindi, se
senti in sintonia con il personaggio anche la mia…a proposito, Ai è entrata in
scena, come hai visto, e vorrei chiederti se ti è sembrata un po’ OOC in
questa scena. Io ho il terrore che sia così, ma non ho potuto costruire la
vicenda altrimenti. Fammi sapere la tua opinione, ok?
Kiara:
ciao! Sono contenta che la storia continui a piacerti…la scuola per fortuna è
finita, questo spero acceleri i miei ritmi; mi dispiace tantissimo farti penare
tanto, scusa, faccio del mio meglio con gli aggiornamenti. Se vuoi un consiglio,
cerca un nuovo capitolo almeno due settimane dopo che ho postato quello
precedete: ti assicuro che con tutta la buona volontà, è raro che riesca ad
aggiornare prima che siano passati almeno 14 giorni, sai, tendo a rileggere e
modificare tutto più volte prima di pubblicare, per evitare che ci siano errori
ecc. che fra l’altro non riesco comunque ad evitare!! Ciao, a presto.
Sabry1611:
salve! L’azione continua, come avrai letto. Molti dei tuoi
interrogativi hanno trovato risposta in questo capitolo, sai, mi ha fatto
davvero piacere leggere il tuo commento, mi hai fatto arrossire. #^^# Thanks! Il
tuo ragionamento su Ran è molto azzeccato…in effetti per chiunque sarebbe
difficile credere una cosa del genere, e chiunque si illuderebbe su qualcosa di
più semplice e razionale. Non posso dirti se questo conflitto interiore di Ran
avrà soluzione nella storia, leggi e lo scoprirai! Spero di essere in grado di
gestire la situazione contro gli Uomini in Nero, non è facile avere a che fare
con loro nemmeno su carta, credimi!^^” io faccio del mio meglio, mi auguro che
sia di tuo gradimento! Baci, a presto.
Ersilia:
ciao, grazie dell’incoraggiamento, sei dolcissima, e ti ringrazio anche per
essere così indulgente sui miei ritardi. Sono felicissima di riuscire a
trasmetterti delle emozioni, spero di non averti deluso con questo capitolo.
Heiji e Kazuha compaiono entrambi in questo capitolo, e come promesso una
piccola parte è dedicata a loro…ehm, non mi uccidere, ti prego! Continua a
leggere la storia…un bacione!
Ginny85:
ehilà! Sono contenta di risentirti…scusa dell’estremo ritardo dell’altra volta,
sono stata davvero pessima, e mi sa che anche stavolta…ehm…comunque, spero di
essere in tempo prima della tua partenza. Mi coinvolge il tuo entusiasmo per
Shinichi, come vedi anche in questo capitolo ne abbiamo una descrizione dal
punto di vista di una persona che non è indifferente al suo charme… che non
siamo né io né te. Hai visto che gli è successo?? Cioè, dalla padella nella
brace, come si suol dire. E Heiji non è più fortunato di lui, con quel viscido
individuo…poveri i miei ragazzi!! Vermouth è contenta di avere per sé il suo
angelo, vedrai che combinerà! Quella parte ce l’ho in cantiere da un bel po’,
non vedo l’ora di scriverla. Sono felice che ti piaccia come ho caratterizzato
Ran, da un parte naturalmente volevo che fosse fedele al manga, dall’altra
intendevo analizzare più approfonditamente di quanto faccia Gosho l’interiorità,
la sua psicologia, come si sente per la situazione che è costretta a
vivere…ripeto, mi fa piacere che ti piaccia. Mi auguro di risentirti al più
presto, e buone vacanze!! (te ne vai via tutto luglio?? E come farò io senza di
te??? Cattiva!! ßignorami
-__-”)
Anto:
ciao, ti ringrazio moltissimo per la recensione e per le lodi, mi fa piacere che
la storia sia di tuo gradimento e spero che continui ad essere così.
Naturalmente il fatto che hai deciso di recensirla non può che lusingarmi!
Thanks!
IRENE:
salve, grazie dei complimenti e del commento, fa sempre piacere vedere nuovi
nomi in lista. Sono felice che la storia ti appassioni tanto quanto dici, e che
approvi la mia scelta di aver fatto tornare Shinichi adulto: non me ne vorrai
per averlo messo così nei guai, spero!^^” Sei troppo buona con i complimenti,
grazie, mi fai arrossire! #^^# Addirittura una scrittrice professionista?? Se
continui così mi farai montare la testa! Mi auguro di non deluderti con il
proseguimento della storia. Una domanda: dato che hai citato un episodio
(decisamente drammatico, tra l’altro) di Sherlock Holmes, mi chiedevo: il tuo
nick ha qualcosa a che fare con Irene Adler, l’unica donna che si dimostra più
astuta dell’investigatore londinese, e di cui lui chiede di poter tenere la
foto? Comparsa nel racconto “Uno Scandalo in Boemia” di Conan Doyle? O
non c’entra niente e sono io che faccio partire la testa per cavoli suoi?? Fammi
sapere!!
BPM: anche
tu sotto tortura, eh? Meno male che è finita, possiamo tirare un sospiro di
sollievo e rattoppare ciò che resta del nostro povero cervello maltrattato. Sono
felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, come ti è sembrato quest’ultimo??
Ho fallito miseramente o riesco ancora a cavarmela? Grazie della recensione, sei
sempre molto gentile, e non disperare: le tue aspettative potrebbero essere
presto soddisfatte.
APTX4869:
ciao! Grazie della recensione e dei complimenti, aspetto di sentire cosa ne
pensi di questo capitolo! Un bacio.
Lili: eh
sì, mi sono proprio divertita, è stato un viaggio stupendo, cibo a parte. Hai
ragione, l’azione continua a prevalere indisturbata anche in questo capitolo, ma
il romance si farà presto strada tra la polvere (oggi mi sento metaforica ^^).
Grazie delle lodi, sei carinissima, una cosa non ho capito: quando dici che
‘qui’ Ran non ti piace, con ‘qui’ intendi questo capitolo o tutta la storia? Mi
interessa conoscere la tua opinione, così posso cercare di migliorare. Fammi
sapere, ok? Un bacione, e non preoccuparti, fra ritardatarie ci si intende.
Questo è tutto mi
sembra. Nel capitolo c’è qualche riferimento al volume 24 del manga, nel quale
Conan e Ai vengono a conoscenza di certi piani dell’Organizzazione e cercano di
fermarli. È anche la storia della prima apparizione di Vermouth, una vera
chicca, mi è piaciuta molto. Ne hanno fatto l’episodio corrispondente qualche
tempo fa… ora vi saluto, spero di poter aggiornare il prima possibile.
A presto
-Melany
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Capitolo 24 *** Fight for the Light ***
Nuova pagina 1
24. Fight
for the Light
Era una bella
giornata, uno di quei pomeriggi primaverili in cui l’aria è tiepida, la brezza
fresca profumata di petali di fiore, e i raggi del sole splendono di lieve
tepore. La piccola sgranò gli occhioni verdi incantata dagli alberi di ciliegio,
dai boccioli teneri di quel rosa così intenso. Era così contenta: il suo papà le
aveva promesso che l’avrebbe portata a fare un bel picnic, per farsi perdonare
di essere mancato al suo compleanno per colpa del suo lavoro. Sapeva che il
lavoro del suo papà era importante: combatteva i cattivi e difendeva la città.
La sua mamma glielo diceva sempre, che lui era un vero eroe, e la piccola non ne
aveva mai dubitato. Anche lei da grande sarebbe diventata forte e coraggiosa
come lui, ne era sicura. Adesso se ne stava seduta, con le gambette incrociate
che sporgevano dal suo vestitino color arancio, e aspettava impaziente che il
suo papà la raggiungesse sotto i fiori di ciliegio, per pranzare insieme. Vide
arrivare un’auto bianca e blu, una di quelle del suo papà, lo sapeva perché
avevano tutte delle luci sul tettuccio e una volta lui le aveva accese e fatte
suonare per lei mentre erano in macchina. ‘Sirene’, le aveva chiamate lui, ma la
bambina era scoppiata a ridere di cuore, perché sapeva benissimo che le sirene
non erano luci, erano bellissime donne per metà pesci che vivevano sul fondo del
mare: il suo papà era un eroe, ma certe cose proprio non le capiva.
Si alzò di
scatto e cominciò a correre verso la macchina accostata, per saltare in braccio
al suo papi, ma si fermò di colpo quando vide scendere un agente che aveva visto
spesso con lui, e che ora le accarezzò la testa e le disse che il suo papà era
davvero dispiaciuto ma non sarebbe potuto venire, perché stava seguendo un caso
importante e non poteva proprio liberarsi. Improvvisamente lei non si sentì più
così contenta, e le lacrime cominciarono a pizzicarle agli angoli degli occhi:
urlò al poliziotto che non era possibile, perché lui gliel’aveva promesso e le
promesse si mantengono, sempre…ma il poliziotto continuava a insistere e alla
fine lei scappò via piangendo perché non era proprio giusto, doveva essere la
sua giornata speciale, dovevano pranzare insieme-lei aveva aiutato la mamma a
fare i panini e l’insalata e a preparare il cestino- e poi dovevano giocare lui
e lei sotto gli alberi in fiore. Cattivo, papà, gliel’aveva promesso! Si era
fermata a piangere accoccolata sotto un albero perché non voleva che la mamma
la vedesse, il viso nascosto nelle mani, quando sentì una voce che la fece
sussultare: “Perché piangi?” Chiese, e lei sbirciò attraverso le dita e vide un
bambino alto più o meno come lei, con la pelle di uno strano colore, che la
guardava perplesso, sbattendo le palpebre. Le sembrava di averlo già incontrato,
era il figlio di un amico del suo papà, ma non si erano mai parlati. “Che ti
importa?” replicò lei, la vocetta intrisa di pianto, asciugandosi le lacrime con
i pugnetti. Lui sembrò imbronciarsi: “Mamma e papà hanno detto che devo giocare
con te. Io gliel’ho detto che non mi va, perché le femmine sono solo delle
rompiscatole piagnucolose, ma loro…”
“Io non sono
una rompiscatole piagnucolosa!!” la interruppe lei, alzandosi in piedi per
essere alla sua stessa altezza, ricacciando indietro le lacrime e guardandolo
torva nei suoi occhioni verde-azzurri. Inaspettatamente, il bambino fece un
sorriso smagliante, mostrando i denti bianchissimi, e le porse la mano: “Così mi
piaci, grinta, ci vuole. Io sono Heiji.” La piccola restò interdetta per un
attimo, fissando incredula e sorpresa il bambino sorridente di fronte a lei, poi
gli strinse la mano, come la sua mamma le aveva insegnato, facendo un po’ su e
giù. “Io sono Kazuha.”
Non si era resa
conto praticamente di niente. Tutto era successo in un lampo, suoni, voci, tutto
si era confuso nella sua testa, ma aveva fatto esattamente come le aveva detto
Heiji: aveva preso la pistola dai suoi jeans e aveva sparato addosso al nemico,
senza mirare, scaricandogli addosso una raffica di pallottole, finché il
grilletto era scattato a vuoto con un sordo click. Allora si lasciò
andare sulle ginocchia, facendo cadere a terra l’arma, il respiro ancora
affannoso, la spalla che le doleva, probabilmente per il contraccolpo. Davanti a
lei, l’uomo non era altro che una massa informe di colore nero, accoccolata a
terra, con spruzzi rosso scuro qua e là, che andavano propagandosi. Aveva
sparato ad un uomo…era una strana sensazione, si sentiva disorientata,
sporca, in colpa quasi…ma fu solo per un attimo. Quando si ricordò che cosa
stava per fare loro, cosa aveva fatto a Heiji, i sensi di colpa si tramutarono
in rabbia e soddisfazione. Se l’era meritato, era un essere orribile. Anche se
una piccola parte di sé sperava angosciata di non averlo ucciso…
Si voltò
sorridendo debolmente verso Heiji: “Ce l’abbiamo fatta Hei-“ e improvvisamente
si sentì raggelare, gli occhi sbarrati che fissavano increduli il corpo del suo
amico d’infanzia, del suo unico grande amore; non riusciva a respirare,
l’accesso ai polmoni era sbarrato, restò lì, immobile a boccheggiare, scossa da
tremiti irrefrenabili, il sangue che aveva smesso di scorrerle nelle vene. “No”
riuscì a mormorare con voce roca e flebile, tutta la disperazione, il dolore,
l’angoscia, concentrati in un’unica parola, che risuonava sorda nelle sue
orecchie “No…no…no…”
“No…no e no!!”
gridò la piccola, sbattendo i piedi a terra. “Ti dico che il MIO papà è un
grande eroe, il più grande del mondo!”
“Ma il MIO è
il suo CAPO…fidati, è così” replicò il bambino, ostinato. Lei lo guardò
imbronciata, scuotendo la testa indispettita ,i due codini di capelli neri che
ciondolavano ai lati della testa. “Il mio papi è un eroe, lo dice sempre anche
la mamma…” insisté, decisa, poi la sua voce divenne flebile “È per questo che
non può venire alla mia festa, o al picnic, o alle recite all’asilo…” Abbassò lo
sguardo, fissando i sandali rossi, non avendo il coraggio di guardare lui. Non
voleva che la accusasse di nuovo di essere una piagnona, e cercò di non
rimettersi a piangere al pensiero che lui non aveva mantenuto la promessa che le
aveva fatto. Si erano stretti il mignolo, doveva pur valere qualcosa!
“È stata la
tua festa? Quando?” chiese lui, con tono stranamente interessato.
Lei alzò un
pochino la testa e si accorse che lui la stava fissando con gli occhioni
sgranati colmi di curiosità, le grosse e buffe sopracciglia inarcate “Due giorni
fa…ho fatto 4 anni” lo informò, alzando quattro dita. Lui annuì, poi parve perso
nei suoi pensieri. “Hmmm…”
“Che c’è?”
Chiese lei, scrutandolo con la fronte aggrottata.
“Ti piacciono
i fiori di ciliegio?” le domandò, ignorando la sua domanda. Lei annuì. “E al tuo
papà?” Un altro cenno di assenso dalla piccola. Lui sorrise di nuovo. “Bene,
allora.”
Si voltò,
guardando in alto, e lei lo imitò, contemplando nuovamente con ammirazione i
boccioli rosa sugli alberi, così delicati e belli. Quando abbassò la testa, vide
che lui aveva cominciato con fatica ad arrampicarsi sull’albero.
“Ma che fai
fermati!! Non hai il permesso!!” gridò, guardandosi intorno per vedere se
arrivava qualche adulto. “Scendi subito, scemo!!” lo sapeva che non poteva dire
parolacce, ma era evidente che la situazione lo richiedeva. E nel caso fosse
stato necessario, ne aveva sentite di altre parecchio bizzarre dal suo papà.
“Tra un
attimo.” Replicò lui, continuando a scalare senza paura il grosso ciliegio,
incurante del piede che ogni tanto slittava, facendogli quasi perdere
l’equilibrio. La piccola Kazuha lo guardò disperata, le manine sulla bocca
spalancata.
“Heiji”
bisbigliò, guardandolo attraverso l’umida pellicola delle lacrime “Heiji ti
prego rispondi…” Ma lui non si mosse, immobile, gli occhi chiusi, la mano ancora
poggiata sulla ferita sanguinante, la pelle esangue. Sentiva che non poteva
resistere, stava troppo male, aveva un forte impulso a vomitare, mentre gocce di
sudore gelido le imperlavano la fronte, appiccicandole i capelli sulla pelle.
Heiji, non poteva essere capitato a lui, no…le aveva promesso che sarebbe andato
tutto bene, e le promesse si mantengono. Non poteva lasciarla così…loro dovevano
andare a cena fuori, lui gliel’aveva detto quella mattina, un tempo che le
sembrava eternamente lontano, un qualcosa successo secoli prima. Aveva detto che
sarebbero andati al cinema, e lei avrebbe scelto il film… “Me l’hai promesso,
Heiji, ti ricordi? Non hai scuse…dobbiamo andarci…” insisté, guardandolo, mentre
le lacrime scendevano lente e pesanti, solcando le guance e lasciandosi dietro
una scia di dolore. “A-Andremo al cinema…ti farò vedere uno di quei film
romantici strappalacrime…quelli che odi tanto…e t-tu ti addormenterai durante il
film, e io, io mi arrabbierò, e litigheremo perché tu dirai che sono stata…una
strega a costringerti a vedere una schifezza del genere e-e io ti dirò che sei
un maleducato e un egoista e sai pensare solo alle tue indagini…ma poi faremo
pace…noi facciamo sempre pace. E tutto torna com’era prima. Giusto,
Heiji?” Riuscì a toccarlo, esitante, accarezzandogli il braccio, per poi
lasciarsi andare completamente su di lui, la testa nascosta fra le braccia
incrociate, piangendo disperatamente, lasciandosi andare completamente. Voleva
restare lì per sempre, piangere fino a consumarsi, anche se sapeva che non
sarebbe servito a nulla, tutte le lacrime del mondo non avrebbero potuto
cancellare il dolore forte e pressante che martellava nel suo corpo, che
divorava ogni fibra del suo essere, a partire dal cuore. Ma non poteva fare
nient’altro, e quindi sarebbe rimasta lì, per sempre, perché non aveva la forza
di alzarsi, di affrontare il mondo, di vivere sapendo che lui non sarebbe stato
con lei, a sorriderle, ogni giorno, a farla ridere con le sue stupide battute, a
prenderla in giro, a consolarla se piangeva. Una vita senza di lui, no, non
poteva esistere. Tutto ciò che era in grado di fare era piangere, e
piangere....ancora, fino alla fine.
“Visto? Non
era poi così difficile.”disse lui, scendendo dall’albero con un ultimo salto,
con gran sollievo della piccola, che poté finalmente ricominciare a respirare e
smettere di aver paura dell’arrivo di qualche adulto, che di certo avrebbe dato
la colpa anche a lei, sebbene non c’entrasse proprio nulla. Il piccolo Heiji
teneva fra le mani un mazzolino grande di fiori rosa, alcuni ancora teneri
boccioli, altri fioriti e bellissimi, e glieli porse. “Ecco. Un regalo per te,
buon compleanno.” Disse con un sorriso, la bambina non poté fare a meno di
arrossire, ammirando quella meraviglia, gli occhioni verdi che brillavano.
“Oooh…io…grazie.” Mormorò, ancora contemplando quei fiori stupendi che ora
teneva fra le mani, accarezzandone i petali morbidi e lisci. “Ne ho presi un bel
mucchio, così puoi darne un po’ anche al tuo papà, e non si perderà questo
spettacolo.” Lei rivolse di nuovo l’attenzione verso di lui, che sorrideva beato
e soddisfatto, strofinandosi il naso. E fu in quel momento che lei se ne
accorse. “Le tue mani…” mormorò inorridita, indicando i suoi palmi, che erano
tutti scorticati e in più punti sanguinanti. Lui li guardò per qualche breve
istante, poi scrollò le spalle. “Cose che capitano. Gli alberi fanno questi
scherzi.”
“Ma…ma…la tua
mamma? Non si arrabbierà con te?” insisté lei, senza poter fare a meno di
fissare le mani di lui. Cavoli, erano ferite GROSSE. Lui scosse la testa.
“Macché!! La mamma è abituata a vedermi tornare con qualche taglio e livido.”
“Ma…non ti
fanno male?” chiese lei,rabbrividendo. Una volta, disubbidendo alla mamma, aveva
preso in mano le forbici da cucito, quelle con la punta affilata, e si era
tagliata. Ricordò che bruciava da morire, tanto che le erano venute le lacrime
agli occhi. Lui alzò le spalle. “Un po’, ma il dolore non mi spaventa. Io…”
assunse un tono pomposo, gli occhi chiari che brillavano. “…sono un detective.
E noi detective non temiamo nulla.” Aggiunse, sempre atteggiandosi. Lei scoppiò
a ridere e lui la guardò perplesso e un pochino infastidito. “Che c’è?” sbottò,
e lei fra una risatina e l’altra rispose. “Tu sei troppo piccolo per essere un
detective. Bugiardo.”
“Sì? beh,
almeno io non sono una femminuccia piagnucolosa…” replicò, e lei gli diede un
calcio, buttandolo a terra.
“Ahi! Però,
sei forte per essere una femmina…”
“E tu sei
stupido, proprio come tutti i maschi.” Replicò lei, poi ci ripensò e aggiunse
“Tranne il mio papà.” Lui sbuffò
“Figuriamoci…”
e entrambi scoppiarono a ridere. Poi lei gli si avvicinò, gli scoccò un veloce
bacio sulla guancia e gli sussurrò un “grazie dei fiori” prima di correre
lontano, lasciandolo come inebetito a massaggiarsi la guancia, ora rosso
fuoco.
“Non puoi
lasciarmi Heiji…non puoi…” alzò la testa, quel tanto che bastava per guardalo in
faccia, si sentiva così debole. I suoi occhi erano chiusi, le labbra dischiuse.
“I-Io non posso…capisci? Andare avanti, continuare…senza di te. Non…non sono
capace. Io…” tirò su col naso, mentre altre lacrime continuavano a fuoriuscire,
il petto scosso dai singhiozzi “ho bisogno di te. Del modo in cui mi tratti,
della tua presenza…io ti amo.” Avvicinò il proprio viso, caldo e
zuppo, al suo, tiepido e pallido. “Mi hai sentita? Ti amo.” Posò le labbra su
quelle di lui, lambendole amorevolmente, in un bacio lieve e dolce, un contatto
che non voleva finisse mai. Non voleva staccarsi, continuare a baciarlo era
l’ultima illusione che le era rimasta, l’illusione che lui era ancora lì, per
lei, e così sarebbe sempre stato. Ed era così persa nel lieve tepore che quel
bacio le stava donando che si accorse a malapena della mano che si posò con
delicatezza sulla sua nuca, accarezzandole i capelli, o del fatto che le labbra
di lui cominciarono debolmente a ricambiare, accettando il contatto e coccolando
a loro volta le sue labbra, sfiorandole dolcemente, lentamente. Di colpo
realizzò e si staccò, guardandolo con gli occhi sbarrati, le guance arrossate
ancora umide di lacrime, il respiro affannato. Heiji aprì a fatica gli occhi,
sorridendole attraverso la fronte aggrottata. “Ciao.” Sussurrò, senza voce. Lei
restò immobile e incredula, il suo corpo, ormai conquistato e devastato
dall’estremo dolore che aveva provato credendolo morto, non riuscì subito ad
accettare quell’improvviso sentimento di gioia e felicità che si faceva largo
nel suo animo. Perciò restò imbambolata a fissarlo, incapace di parlare, di
muoversi, nella mente un solo pensiero che rimbombava incessante:
lui è vivo…Heiji è vivo…
“OH mio DIO!!”
gridò infine, sorridente, ricominciando a piangere, ma stavolta per la felicità,
incapace di trattenersi. Lo abbracciò convulsamente, stringendolo forte, udendo
a malapena il suo gemito soffocato di dolore. Quando si rese conto lo lasciò
andare e lo vide afflosciarsi con una smorfia di dolore. “Ma sei scema??”
bofonchiò, tossendo un paio di volte. “Ehm…scusa.” Disse lei, ancora sorridente.
Lui respirò profondamente un paio di volte. “Vattene da qui. Dovrebbe esserci la
polizia qui intorno, da qualche parte.”
“Sì, ma vieni
anche tu.” Replicò lei decisa.
“Io sono ferito,
come puoi vedere anche tu. Vai, cerca aiuto, io me la caverò.” Insisté lui, con
voce roca.
“Non se ne
parla.” Esclamò, con un tono che non ammetteva repliche. “Se ti aiuto, dovremmo
farcela.”
Lui sospirò. “E
va bene. Comunque non possiamo stare qui, è pericoloso.”
“Okay” Disse
Kazuha, e lo aiutò ad alzarsi, lui le passò un braccio intorno al collo, mentre
lei gli teneva il fianco sano.
“Camminiamo
rasente al muro così evitiamole luci.” Suggerì lui, tossendo di nuovo. Lei
annuì; era un po’ faticoso portarlo, ma strinse i denti: ce l’avrebbe fatta, per
lui. Non poteva abbandonarlo. Non ora che l’aveva ritrovato.
“Dobbiamo
assolutamente avvertire un poliziotto…dovrebbero essercene in giro.” Bofonchiò
Heiji accanto a lei, che scosse la testa. “No, sei ferito, troviamo un posto
riparato e poi andrò a cercare un medico.”
“Tu non capisci!”
cercò di gridare, con il risultato che ricominciò a tossire in modo
preoccupante. “Kudo…io, l’ho perso. Dobbiamo aiutarlo”
Kazuha sbuffò:
“Sono sicura che riuscirà a cavarsela da sé. È pure lui un detective, no? E tu
certamente non sei in grado di dargli una mano, ora come ora.” . Era convinta
che Kudo gli avesse già fatto abbastanza, trascinandolo in quel pericolo. Sapeva
che non avrebbe dovuto provare quell’astio nei confronti del ragazzo di Ran, ma
in quel momento non poteva fare a meno di ricordare che era solo colpa sua se
Heiji pesava sulla sua spalla sanguinante ed esausto. Erano a Tokyo, di sicuro
lui l’aveva chiamato per chiedergli aiuto, e come al solito il suo amico
d’infanzia era scattato pronto ad accorrere al suo richiamo. Era un mistero per
lei come Kudo riuscisse ad avere quell’influenza su di lui.
“Tu non capisci…”
obiettò lui, con un nuovo colpo di tosse.
“Non sforzarti a
parlare. Troviamo un rifugio e poi penseremo a Kudo-kun, d’accordo?” Lo disse
solo per farlo smettere di insistere: pareva che ogni parola gli costasse un
grande sforzo, eppure era convinta che avrebbe continuato a parlare senza
riserve se lei non gliel’avesse data vinta. Comunque, dentro di sé, era sicura
che Kudo se la stesse cavando benissimo anche da solo.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Shinichi si sentì
stringere la caviglia e quasi contemporaneamente perse l’equilibrio e cadde a
terra con un tonfo e un gemito soffocato. In quei pochi decimi di secondo che
gli ci vollero per realizzare cosa fosse successo, sentì anche una nuvola di
timore e preoccupazione oscurare la serenità che aveva provato quando aveva
creduto di aver vinto. Strinse i denti e ruotò, per trovarsi davanti il suo
avversario, che sogghignava, ora in ginocchio, con la pistola ancora in pugno.
Aveva creduto che la partita fosse finita? Cavoli, erano solo al calcio
d’inizio.
Invece di
perderti in colorite metafore calcistiche cerca di pensare a qualcosa per
cavarti fuori dai guai...
Facile a dirsi.
Adesso sì che era in trappola, finché Gin lo teneva sotto tiro con la sua arma
non poteva sperare di fuggire o contrattaccare.
“Ma tu credevi
davvero che mi sarei fatto fregare due volte di seguito dallo stesso giochetto?
Povero illuso.” Si lasciò andare ad una risata agghiacciante, senza smettere di
tenerlo d’occhio. “Cappotto imbottito, a prova di aghi. Non sono meravigliosi, i
ritrovati della sartoria moderna?”
“Sì, peccato che
non possano fare nulla per la tua brutta faccia.” Replicò Shinichi, il cervello
che lavorava furiosamente. Doveva trovare una via d’uscita, una qualsiasi.
“Siamo spiritosi,
eh? Beh, credo che…Sherry, non provare a fare ciò che hai in mente di fare
perché ti ucciderei prima che tu possa anche solo avvicinarti a me.” Disse,
cambiando tono di voce. Era evidente che Ai voleva colpirlo alle spalle, ma Gin
sapeva che lei era lì, e naturalmente non si era fatto cogliere di sorpresa.
Dunque,
ricapitolando: devo riuscire a salvare me e Ai, catturare Gin se possibile…e a
proposito, che fine avrà fatto Heiji?
“Lo sai, mi
sembra di averti già visto da qualche parte…la tua faccia mi evoca una
sensazione sgradevole di fastidio e disgusto allo stesso tempo…chi sei,
moccioso?”
Shinichi sorrise,
uno dei suoi soliti sorrisi tutti sicurezza e spavalderia, e vide Ai dietro Gin
guardarlo perplessa, sbattendo le palpebre.
“Io sono quello
che ti sconfiggerà.” Disse, con voce bassa e lenta, e Gin sorrise, sferrandogli
un calcio nello stomaco dolorosamente potente. Lui gemette soffocato, le braccia
strette intorno alla parte dolente e pulsante, mentre un forte senso di nausea
si impossessava del suo corpo.
“Divertente. Ma
ti passerà la voglia di scherzare, spiritosone, quando avrò finito con te.” Rise
di nuovo, gli occhi che luccicavano, come se avesse aspettato quel momento con
ansia da tempo. Poi, prima che Shinichi potesse reagire, con un movimento veloce
lo colpì alla mascella con l’impugnatura della pistola. Una miriade di luccichii
comparvero davanti ai suoi occhi, mentre un dolore pungente esplose dalla bocca,
che si riempì di un caldo liquido dolciastro e ferroso. Shinichi cadde di nuovo
con la schiena a terra, ansimando, gli occhi chiusi. Gin si avvicinò a lui,
afferrandolo per i capelli, proprio come aveva fatto quel giorno di molto tempo
prima, al Tropical Land.
“Aspetta…adesso
mi ricordo di te.” Disse, costringendolo a guardarlo, il sorriso sul suo volto
si allargò, mentre gli occhi si animavano di comprensione. “Ma scusa, non ti
avevo già ucciso?”
“Tu che ne dici,
genio?” replicò lui, sputandogli in faccia uno spruzzo di sangue. Lui si portò
istintivamente il braccio sugli occhi per pulirsi e Shinichi ne approfittò per
mollargli una gomitata e liberarsi dalla sua stretta, mentre un po’ di capelli
dissero addio alla sua testa. Si alzò, ancora un po’ barcollante per i colpi
ricevuti, e si gettò sopra di lui, cercando di rubargli la pistola. Non era in
grado di stabilire quanto durò la lotta, tutto il suo cervello era impegnato nel
tentativo di sottrargli la sua arma, incurante dei colpi che incassava –in fondo
anche lui non era da meno, nei confronti del suo avversario- e finalmente riuscì
a fargliela sfuggire di mano con un colpo ben assestato del ginocchio.
“PRENDILA!!”
urlò, e vide Ai precipitarsi verso l’arma e raccoglierla. Ma per accertarsi
che lei la prendesse si era distratto, e Gin ne approfittò per colpirlo
violentemente al lato del collo e bloccarlo con il braccio piegato dietro la
schiena. Ai puntava verso di loro, la fronte aggrottata, lo sguardo deciso.
“Lascialo, Gin.”
Ordinò, con voce dura e carica di determinazione. Gin rise, ma non c’era traccia
di allegria in quella risata, era fredda e gracchiante.
“Se no cosa
farai, sparerai rischiando di uccidere il tuo amichetto?” Ai strinse le labbra,
evidentemente cercando di reprimere la rabbia. “No, non lo farai, Sherry. Sei
sempre stata una debole, incatenata ai tuoi sciocchi sentimenti, incapace di
reagire, di liberarti dei legami e diventare finalmente qualcosa di più,
innalzarti ai miei livelli. È per questo che non sei mai riuscita a fare
veramente parte di noi. Sei una stupida, patetica ragazzina. Avresti potuto
avere una carriera brillante, con il corpo e il cervello che ti ritrovi, saresti
perfino potuta diventare una dei capi dell’Organizzazione. Invece, hai sputato
addosso al successo solo per un capriccio, ritrovandoti a fare la puttana di un
ragazzino patetico quanto te. Cosa credevi, di poter vincere? Lui forse poteva
illudersi, ma tu? Hai conosciuto la nostra potenza, sapevi di andare incontro
alla rovina, eppure non ti sei fermata, trascinando giù con te anche lui. Hai
scavato una fossa per te e per il tuo amico, non puoi che biasimare te stessa,
mia cara, per essere stata tanto sciocca. E lui non può che biasimare se stesso
per averti dato retta. Scommetto che in questo momento la odi, eh, ragazzino?”
Gli chiese, dandogli uno scrollone secco. Shinichi sorrise alla ragazza davanti
a lui, scuotendo lievemente la testa.
“No. Io non ti
odio, Shiho. Anzi, sono fiero di te: non tutti avrebbero avuto la forza di
reagire come hai fatto tu, dopo quello che hai passato. Hai conosciuto
l’oscurità, ma sei riuscita a riemergere alla luce del sole, nonostante tutto il
male che hai dovuto subire, nonostante tu abbia avuto una vita che avrebbe
distrutto e consumato da dentro qualsiasi altra ragazza. Sei stata in grado di
conservare la tua forza d’animo, i tuoi ideali, di rimanere una persona buona e
degna di fiducia seppure circondata per quasi tutta la tua vita da persone
perfide e senza scrupoli. Ti ammiro, e non credo che tu sia debole: ci vuole
molta più forza a rialzarsi dopo essere caduti, che a non cadere mai.”
Ai lo guardava
con gli occhi sgranati e sorpresi, le guance soffuse di un lieve rossore, e
Shinichi si rese conto di non averle mai veramente dimostrato fino a quel
momento quanto la sua opinione di lei si fosse evoluta durante il periodo che
avevano passato insieme. La prima volta che aveva saputo del suo passato l’aveva
definita un’assassina e un mostro, e da quel momento in poi, seppure non si era
più dimostrato ostile nei confronti di lei, non aveva mai rinnegato quelle
parole. Non perché le pensasse ancora, semplicemente le aveva dimenticate. Ma
adesso capiva, dall’espressione incredula sul volto della bionda scienziata, che
lei non le aveva dimenticate, tutt’altro. Era stato sciocco a non comprendere
quanto le parole potessero ferire.
“Commovente.”
Commentò Gin, stringendo ancora di più il braccio di Shinichi, finché scosse di
dolore si propagarono per tutto il corpo. Lui strizzò un attimo gli occhi, poi,
li riaprì, focalizzandosi di nuovo su Ai.
“Scappa adesso!!
Lui non può colpirti senza pistola, va’ via!! Io me la caverò.” Le gridò, lei
sussultò.
“No, io non…”
“MUOVITI!!” urlò,
Gin rise di nuovo. “E chi ha detto che sono senza pistola?” Estrasse una Magnum
dalla cintura. Logico, aveva ancora la sua, quella che gli aveva sottratto
apparteneva ad Ai. Shinichi non l’aveva dimenticato, ma sperava in qualche modo
che fosse scarica o che lui non potesse prenderla.
Stiamo
perdendo colpi, eh Shin?? In tutti i sensi…
“Chiudi
il becco.” Mormorò alla voce-padre, irritato, e cominciò a divincolarsi
furiosamente, cercando di liberarsi dalla stretta dell’uomo. Se Gin pensava a
tenerlo fermo, Ai poteva nel frattempo fuggire, sperava che lei ci arrivasse.
“Buono,
moccioso!” ringhiò lui, e di nuovo si udì uno scoppio tonante e allo stesso
tempo la stretta sul suo braccio si allentò, e Shinichi poté con uno strattone
liberarsi, nelle orecchie il lamento di dolore del suo avversario, mentre un
taglio bruciante si apriva sulla sua guancia. Corse verso Ai, che teneva la
pistola in mano ancora fumante, e senza voltarsi la prese per mano e la trascinò
fuori, e corsero entrambi velocissimi, senza una meta prestabilita. Avanzarono
rapidamente a perdifiato per un po’, Shinichi sapeva che non poteva affrontare
Gin, non prima di aver messo in salvo Ai, e perciò doveva portarla in un posto
sicuro. Finalmente si fermarono, ansimanti, all’ombra di un alto edificio.
“Credi che ci
troverà?” chiese Ai, fra un respiro e l’altro.
“Forse sì forse
no. Comunque, spero che il tuo sparo attiri la polizia da quelle parti. A dire
il vero, sono sorpreso che non sia già successo.” Commentò, asciugandosi il
sudore dalla fronte e passandosi una mano sulla guancia, riscoprendola sporca di
sangue. Si voltò imbronciato verso di lei.
“Ci è mancato
poco che mi prendessi, con quel proiettile. Perché diavolo non sei scappata come
ti ho detto??” Borbottò, lei fece uno dei suoi sorrisetti ironici. “Oh, non mi
dire che il Grande Detective ha avuto paura di un piccolo sparo! Male che fosse
andata, c’è sempre la chirurgia plastica, e tu sei ricco.” Disse con tono di
sufficienza, scrollando le spalle. Shinichi sbuffò, gli occhi socchiusi. “Beh,
spero che almeno la ferita alla spalla lo tenga occupato abbastanza da farci
cercare un rifugio.”
“Vuoi
nasconderti?” chiese lei, con tono falsamente casuale. Lui continuò a guardarla
male attraverso la frangetta arruffata.
“No, tu
devi nasconderti. Non posso lavorare in pace se devo pensare a salvarti.”
“Non sono
d’accordo con la distribuzione dei ruoli, Kudo-kun. Sono stata io a
salvare te, stasera, e per ben due volte.” Replicò con tono saccente,
passandosi una mano fra i capelli biondi, cercando di metterli in ordine. Lui
sbuffò, ma non rispose, evitando di farle notare che aveva impedito a Gin di
scoprirla, distraendolo. Sua madre gli aveva insegnato che non era carino
rinfacciare alle ragazze di averle tirate fuori dai guai. Poco ‘gentleman’, a
suo dire.
“Dobbiamo anche
cercare Hattori. Andiamo, muoviamoci, è pericoloso restare fermi troppo a lungo
nello stesso punto.”
Le afferrò di
nuovo la mano quasi senza rendersene conto e fecero per avanzare, quando
improvvisamente Shinichi si bloccò, sgranando gli occhi, la bocca
istantaneamente asciutta. Il tempo parve congelarsi intorno a lui: non era
possibile, non poteva essere…
“Ran!?”
soffiò, senza voce, impallidendo, senza poter staccare gli occhi di dosso alla
ragazza che si stava dirigendo in quella direzione, ancora senza essersi accorta
della sua presenza. Percepì senza registrarlo Ai che si irrigidiva dietro di
lui, mentre, incapace di dare aria ai polmoni, se ne stava lì impalato, e non
solo per la sorpresa di trovare lì la sua amica d’infanzia. Soprattutto per la
donna che la stava scortando, tanto innocua e aggraziata all’apparenza quanto
pericolosa e sadica in realtà.
Vermouth!!!
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Ran camminava al
fianco di Sheila, la fronte aggrottata, scoccandole sempre più spesso occhiate
di apprezzamento. Secondo quanto le aveva detto, la stava portando dove voleva,
la lei stessa non era ben sicura di dove volesse andare in quel momento: una
parte di lei avrebbe tanto desiderato tornarsene a casa, infilarsi sotto le
coperte soffici e calde, al sicuro nella sua cameretta, e dimenticare tutta
quella brutta storia, invece di starsene lì, al freddo, a camminare accompagnata
da un’estranea in mezzo a un cumulo dì edifici dall’aspetto poco rassicurante.
Un’altra parte di lei, quella più determinata e sicura, desiderava invece
scoprire dove si trovava Shinichi, andare da lui, incurante dei possibili
pericoli, disposta a tutto pur di rivedere quegli occhi, quel sorriso…
Indecisa sul da
farsi aveva scelto la via di mezzo, ovvero continuare la sua avanzata verso
l’ignoto al fianco della bellissima poliziotta. Le lanciò l’ennesima occhiata,
soffermandosi un momento sul modo ricercato e raffinato con cui i capelli le
ricadevano sulle spalle, leggermente mossi e vaporosi, di un biondo lucente, e
poi scorgendo tutta la sua figura, le labbra fini e rosse, che sembravano
disegnate per essere perfette, il corpo sinuoso, le forme aggraziate, il
portamento fiero e delicato allo stesso tempo, con il mento alto, lo sguardo
dritto davanti a lei, quasi stesse sfilando davanti ad una platea di spettatori
e non camminando in un quartiere malfamato nel bel mezzo della notte. Il
cappotto nero di cachemire, di certo costato una fortuna, avvolgeva la sua
figura senza però soffocarne la silhuette, e scopriva le sue gambe, altrettanto
perfette, e i piedi calzati in scarpe con il tacco alto, anch’esse visibilmente
preziose e scomodissime, che lei portava con disinvoltura e naturalezza.
Distogliendo lo sguardo da lei, Ran non poté fare a meno di pensare che si
sarebbe aspettata di trovare una donna del genere in un ristorante di lusso, uno
di quelli in cui solo per sederti al tavolo dovresti aprire un mutuo in banca, e
magari al braccio di un affascinante gentiluomo, non certo in un posto come
quello, o in una centrale di polizia, dietro una scrivania. Insomma, tutto in
lei trasmetteva classe, eleganza, sfarzo. Certo, aveva conosciuto altre
poliziotte molto attraenti: Sato, ad esempio, era una bella donna, anche lei di
un certo livello. Eppure, le sensazioni che le trasmetteva erano completamente
diverse da quelle che avvertiva vicino a Sheila. C’era qualcosa che non tornava,
in tutto ciò.
“Mi scusi, può
ripetermi dove stiamo andando?” chiese, gentilmente. Non si spiegava il motivo,
ma lei la metteva in soggezione.
Sheila le si
rivolse con un sorriso dolce e caldo, di cui Ran non poté fare a meno di
fidarsi: l’aura di superiorità era crollata ed ora lei sembrava una donna
qualunque, onesta e buona.
Forse anche
troppo…
“Siamo quasi
arrivate, abbi pazienza.” Le disse, senza smettere di sorridere, ma prima che si
voltasse Ran percepì qualcosa nei suoi occhi, come un’ombra poco rassicurante,
uno strano scintillio, che aveva un qualcosa di familiare. Come se l’avesse già
visto, non molto tempo prima. Qualcosa che la fece rabbrividire.
“Incontreremo
Sato?” domandò ancora.
“Chissà, my
darling…il destino è così imprevedibile…” rispose, stavolta senza voltarsi.
“Ehm…” voleva
chiederle altre cose, ma, sebbene Sheila fosse stata cordiale, aveva
l’impressione che non le facesse piacere ricevere troppo domande.
Coraggio
Ran…non siamo alla fiera della cortesia…questa donna ti ha chiesto di fidarti di
lei e tu hai tutto il diritto di accertarti che non ti stia ingannando…no?
Certo era più
semplice pensarlo che metterlo in atto.
“…mi perdoni se
insisto, ma…” una breve pausa, per testare le acque. Sheila continuava a
muoversi decisa, senza guardarla, un’espressione indecifrabile sul viso
abilmente truccato. Beh, tanto valeva finire, ormai.
“…ehm…mio padre è
stato un poliziotto e, per quanto ne so io, insomma…non dovrebbe avvertire
l’ispettore Megure della nostra posizione? E…beh, portarmi in un posto sicuro?”
non voleva che lei pensasse che stesse criticando il suo modo di lavorare, così
aggiunse precipitosa “Almeno così mi ha detto, potrei sbagliarmi.”
Lei sorrise,
senza voltarsi, e da quel poco che scorgeva, Ran si rese conto che non era il
sorriso tutto affetto e fiducia di prima.
Era…sinistro.
“No, you’re right, Angel, but…what can I say? I’m not an
ordinary policewoman. Well, actually, I’m definitely not a
policewoman.[1] ”
“Ehm…scusi?” non
era certa di aver capito bene.
Il sorriso
s’intensificò, mentre i suoi occhi grigio-verdi si focalizzavano su qualcosa
davanti a lei, facendole aggrottare le sopracciglia ritoccate con la matita
nera. Ran seguì il suo sguardo e rimase pietrificata, non credendo ai propri
occhi: il ragazzo che sperava di vedere da così tanto tempo, di cui per mesi non
aveva potuto che udire la voce modificata dalla cornetta del telefono, per il
quale aveva pianto tanto, col cuore gonfio di dolore e apprensione, per il quale
aveva passato tanti guai, prima nelle mani del giornalista e poi in quelle di
quegli uomini...il ragazzo che desiderava più di ogni altra cosa riabbracciare,
e che aveva sognato tante volte di incontrare di nuovo svegliandosi poi con le
lacrime agli occhi, era lì, davanti a lei, concreto e reale, identico a come la
sua mente lo rievocava, sempre più spesso col passare del tempo: i capelli
bruni, che non volevano mai stare giù, gli occhi blu limpidi e sinceri, il viso
rassicurante…
Shinichi…Shinichi…
La sua mente non
poté pensare nient’altro per più di un minuto, mentre fissava incredula il suo
amico d’infanzia, ansiosa di corrergli incontro eppure incapace di muovere un
muscolo, pregando che non fosse un sogno, o comunque di non svegliarsi...
Finché i suoi
occhi, completamente calamitati dalla sua figura non si spostarono di qualche
centimetro, e videro la mano di lui, dell’unico ragazzo che avesse mai amato in
tutta la sua vita, stretta saldamente a quella di un’altra ragazza. Nella
completa felicità che l’aveva avvolta s’insinuò repentino un altro sentimento,
spiacevole, che le mandò violente fitte dolorose al cuore. Fissò da capo a piedi
la sconosciuta: era bella, non c’era dubbio, anche se non aveva quella bellezza
ricercata, da copertina di riviste di moda, bensì semplice e allo stesso tempo
attraente: i capelli biondo cenere le incorniciavano il viso, da cui spiccavano
i suoi occhi, azzurri e profondi, gelidi. Il golf viola aderente avvolgeva il
suo busto modellato e il seno, lasciando lievemente scoperti i fianchi, da cui
scendevano i pantaloni attillati grigio perla, terminando a campana su
stivaletti di cuoio. Non era solo bella, era anche sexy. Ran si sentì
improvvisamente inadeguata, e scoccò un’occhiata quasi vergognosa alla camicia a
righe che spuntava da sotto il pullover rosa, e poi ai jeans e alle scarpe da
ginnastica. Si sentì arrossire, e contemporaneamente limpida rabbia arse nel suo
corpo: così, dunque? Mentre lei si struggeva come un’idiota per la sua
lontananza Shinichi se la spassava con una bionda, bene, grandioso.
Uomini…puoi
fare quello che vuoi, ma andranno sempre appresso alla prima barbie che
incontrano…
Sbuffò
aggrottando la fronte, sentendosi ferita: doveva essergli mancata davvero molto,
oh certo, ma lui sapeva come consolarsi. Magari era quella lì il motivo per cui
era mancato all’appuntamento, ora capiva perché non avesse potuto giustificarsi
al telefono. Insomma, cosa avrebbe potuto dirle?
“Perdonami Ran, so che volevi parlarmi urgentemente, ma vedi, le ho promesso che
avremmo fatto compere insieme, e poi che l’avrei portata al cinema, e…non potevo
mica deluderla, no?”
S’imbronciò, e
quando lo sguardo tornò sul suo amico d’infanzia era gelido e bruciante di
rabbia allo stesso tempo. Anche Shinichi stavolta la stava guardando, e sussultò
sorpreso e colpito quando vide la sua espressione. Ran sorrise spietatamente:
ben ti sta, odioso dongiovanni.
Shinichi la fissò
come imbambolato e ferito per qualche attimo, poi parve risvegliarsi da una
specie di trance, lasciò la mano della bionda e le fece cenno di aspettare,-
sembrano James Bond e la ragazza di turno pensò Ran con stizza-
mentre lui si faceva avanti, serio e deciso, la mano poggiata inspiegabilmente
sul proprio orologio, quasi fosse un’arma. Le venne da ridere, e improvviso le
tornò alla mente un episodio di qualche tempo prima, quando aveva scoperto Conan
che puntava la sua amica Sonoko con uno strano orologio, e dopo averlo
rimproverato lui le aveva spiegato che era un giocattolo del professor Agasa,
che sparava fuori una biglia. Beh, se anche Shinichi se n’era fatto fare uno,
era più infantile di quanto pensasse.
Ma forse la
spiegazione è un’altra…
Di nuovo quella
vocina fastidiosa, quella che ormai lei accostava all’irrazionalità. Doveva
smettere di farla affiorare e tapparle la bocca per sempre. Quello non era un
film di fantascienza.
“Si allontani da
lei.” ordinò perentorio Shinichi, sempre con le sopracciglia aggrottate e la
mano sul polso sinistro, fissando minaccioso Sheila. Ran si voltò verso di lei e
la scoprì perfettamente tranquilla, anzi, divertita. Alzò l’indice e lo agitò
davanti a sé, con un’espressione di rimprovero.
“You’re so rude, Cool Guy. Now, say please [2]”
“Lei non c’entra,
è una questione fra me e voi” replicò lui duro, ignorandola. “La lasci andare.”
Sheila rise. Ran
pensò che era molto probabile che prima non l’avesse fraintesa, nonostante
l’inglese. Aveva davvero detto che non era una poliziotta. Ma allora chi
diavolo..? Scoccò un’occhiata a lei, perfettamente a suo agio e divertita, e a
Shinichi, teso e determinato: sembrava quasi avere paura di lei.
“Oh no, così è
troppo semplice, Cool Guy. Devi seguire le regole del gioco.”
Ran fece per
allontanarsi, cauta, ma Sheila, se davvero questo era il suo nome, la afferrò
per il braccio, saldamente, abbastanza da bloccarla ma non da farle male. Pensò
di liberarsi con una mossa di karate, ma poi le tornò in mente la mossa agile
con cui prima lei si era difesa, e lo sguardo apprensivo di Shinichi.
Decisamente, lei non era una con cui si poteva scherzare. Ora era irritata con
se stessa: ma perché doveva sempre fidarsi delle persone sbagliate?? Scoccò
un’occhiata dolorosa a Shinichi.
Già…sempre
delle persone sbagliate…sono proprio una stupida…
Inghiottì a
fatica un groppo in gola: non era il momento di lasciarsi andare.
“Cosa vuole
dire?” replicò Shinichi aspro, e, nonostante la situazione pesante, una parte
della mente di Ran registrò il ‘lei’ formale e lo trovò ridicolo. Incredibile e
quasi esilarante come Shinichi riuscisse a tenere conto di certe regole sociali
anche nei momenti critici.
“Well” la donna
tirò fuori con un gesto fluido e aggraziato la pistola dal cappotto, e la puntò
alla sua testa. Wow.
E il premio
per la serata più disastrosa dell’anno va a Ran Mouri! Prego signori,
applaudite…
Perfino la
ragione cominciava a vacillare in quel caos, notò con una punta di ironia, che
doveva affievolire la paura che stava di nuovo crescendo dentro di lei. Cercò di
divincolarsi, strattonando il braccio che la teneva stretta, ma era ben saldo;
una forza incredibile per una donna così fine, realizzò.
“Cool Guy,
abbiamo entrambi qualcosa, qualcuno, che l’altro desidera disperatamente.
Quindi, che ne dici se lasciamo da parte la violenza e le minacce e arriviamo ad
un accordo?” spiegò lei con voce melliflua.
“Io non stipulo
accordi con gli assassini. Se lo può scordare.” Obiettò lui, lo sguardo deciso e
la voce ferma. Nonostante tutto, non poté che ammirare il suo coraggio, il modo
in cui, anche nelle situazioni critiche, lui rimanesse fedele ai suoi ideali di
giustizia. Temeva quella donna, era evidente, ma non aveva alcuna intenzione di
piegarsi a lei, e nessuna paura ad affrontarla. Adorava quel suo sguardo
temerario e intenso, lo stesso che aveva la notte in cui la salvò dal serial
killer a New York, la notte in cui si accorse che per lei non era più solo un
amico…e che nulla sarebbe stato più uguale fra loro.
Si sentì
arrossire e si costrinse a distogliere gli occhi da lui, così inevitabilmente si
ritrovò di nuovo a fissare la bionda, e l’affetto si trasformò subito in
collera: anche l’altra la stava osservando, ma il suo sguardo era assolutamente
indecifrabile, la sua espressione neutra: aveva l’occhio clinico e distaccato
del medico, si ritrovò a pensare.
“Era quello che
volevo sentire.” Annuì la falsa poliziotta, e con la coda dell’occhio Ran vide
che sorrideva compiaciuta. Shinichi parve spiazzato, ma non perse
l’atteggiamento di sfida.
“Non devi
mischiarti a simili individui di basso livello, Cool Guy; lascia a me Sherry. E
tu potrai tornartene a casa con la tua Angel, pura e incontaminata, non te lo
impedirò.” Disse, e le dita che stringevano la pistola le accarezzarono
lievemente la guancia. Ran rabbrividì a quel contatto, sebbene delicato e quasi
impercettibile. Dedusse che ‘Angel’ fosse lei stessa e ‘Sherry’ fosse proprio la
bionda, che si era irrigidita visibilmente quando si era pronunciato quel nome,
e ora fissava attentamente il suo amico d’infanzia. All’improvviso, il cuore di
lei ebbe un tuffo: dalla conversazione che aveva ascoltato il giorno prima,
aveva capito che gli uomini vestiti di nero che l’avevano catturata usavano come
nomi in codice quelli degli alcolici. E per quanto ne sapeva, lo sherry era un
alcolico alla ciliegia….dunque la bionda era una di loro, una criminale, e
Shinichi la teneva per mano per non farla fuggire. Che stupida era stata!
Nonostante la situazione critica, si ritrovò a sorridere, sollevata, non solo
perché ora sapeva che Shinichi non l’aveva tradita: se Sheila voleva solamente
che Shinichi le riconsegnasse quella che di sicuro era una sua complice, beh, la
faccenda si sarebbe conclusa in un attimo: era certa che il suo amico d’infanzia
non l’avrebbe lasciata in pericolo solo per aggiungere l’ennesimo arresto alla
sua lista, e comunque avrebbe potuto riprenderla in seguito. Inoltre, era troppo
astuto per farsi imbrogliare da uno scambio fasullo.
Ma Shinichi emise
uno strano suono, a metà fra uno sbuffo e una risatina, e disse qualcosa che non
si sarebbe mai aspettata: “Niente da fare. Non te la consegnerò mai, puoi
scordartelo.”
Fu come se tutta
se stessa, il suo corpo, le sue viscere, la sua anima, sprofondassero in un
baratro profondo. Guardò Shinichi, intensamente, senza riuscire ad arginare le
lacrime stavolta, e quando i loro sguardi s’incontrarono, lo vide fissarla,
colpito, e impallidire di colpo, come se avesse appena realizzato qualcosa, i
suoi occhi blu colmi di dispiacere e dolore. Dopo qualche penoso attimo, in cui
lei sentiva il proprio cuore sbriciolarsi e sanguinare, lui si focalizzò di
nuovo sulla donna che la teneva intrappolata, e Ran fu sicura che i suoi occhi
attenti non avessero perso nemmeno un particolare di quello che era accaduto fra
loro due, ma stranamente non le importava. Davvero Shinichi, il ragazzo con cui
era cresciuta e che amava tanto, era disposto a sacrificarla per uno stupido
arresto?
Allora è
proprio vero...preferisci il tuo lavoro…a me…
“Complimenti
Shinichi” si ritrovò a dire, con voce ironica incrinata dalle lacrime “Sei
diventato il detective freddo e razionale che hai sempre voluto essere.”
Non lo guardava.
Non poteva. Ma, non essendo in grado di coprirsi le orecchie con le mani, udì la
sua risposta.
“Non è così
Ran…hai frainteso….” La sua voce non era più ferma e determinata, ma debole e
incerta. Sembrava del tutto dimentico della situazione in cui si trovava. Ran
guardò in tralice Sherry e la vide rabbuiarsi in un’espressione di dolorosa
rassegnazione.
“Dunque accetti?”
incalzò la bionda, allentando di poco la stretta sul suo braccio.
“No.” Replicò
deciso, e Ran avvertì un’altra lama affilata trafiggerle il petto. Lo sentì
sospirare, e poi aggiungere, con molta meno decisione. “Io…le salverò entrambe.”
“You can’t, Cool Guy. You know that, I can feel it.
[3]” Replicò dolcemente, quasi con benevolenza.
“And the girls…they know that too. [4]”
Sì, quella strana donna aveva ragione.
Se Shinichi fosse fuggito con la bionda, lei sarebbe morta. Se
invece lui avesse cercato di salvarla, a morire sarebbe stata la bionda.
Dipendeva da lui. Era tutta questione di…
“Choice” disse
Sheila, come se le avesse letto nel pensiero. “Chi vuoi salvare, Cool Guy? Time’s
over: make your choice…or they’ll both die. [5]”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Traduzione delle
parti in inglese (o quello che io intendevo quando le ho scritte, ad ogni modo.
^^”):
[1] No, hai
ragione, angelo, ma…che posso dire? Non sono una poliziotta come le altre. Beh,
in effetti, io decisamente non sono una poliziotta.
[2] Sei così
scortese, Cool Guy. Adesso, dì per favore”
[3] Non
puoi, Cool Guy. Lo sai, posso sentirlo.
[4]
E le ragazze…anche loro lo sanno.
[5]
Il tempo è scaduto: fai la tua scelta…o moriranno entrambe.
Note dell’Autrice:
bene, ecco un capitolo che ho ADORATO scrivere. *
__ * Davvero, non c’è una parte che non mi soddisfi, e dato che è una cosa che
capita piuttosto raramente (beh, più unica che rara, in effetti ^^”) mi voglio
godere questo momento di assoluto appagamento, prima che qualcuno mi demolisca
con una recensione. A proposito, a voi che leggete, come è sembrato? Come
sempre, ci tengo alla vostra opinione, in fondo, se scrivessi solo per me
stessa, eviterei di pubblicare… Ho cercato, in questo capitolo, di fondere
insieme azione e romanticismo, cominciava a sembrarmi troppo schematico scrivere
capitoli assolutamente privi dell’uno o dell’altro, e colmi dell’opposto.
Naturalmente non posso escludere che ce ne saranno, in futuro…tutto dipende da
come gira alla mia musa.^^ Comunque, posso assicurarvi che ci saranno altre
scene Heiji/Kazuha e Shinichi/Ran…in quest’ultimo ho inserito anche una specie
di Shinichi/Shiho, come avete visto, ma non in chiave amorosa…che posso fare,
anche se non piace a molti, Ai è uno dei miei personaggi preferiti, mi piace
darle qualche piccola soddisfazione! Bando alle ciance, passo a rispondere ai
commenti. Grazie, ragazzi, siete i migliori!! #^^#
Ruka88:
ciao! Mi spiace che Ai non ti piaccia tanto, spero che comunque apprezzerai la
scena fra lei e Shinichi in questo chap. Niente di compromettente, giuro!^^”Beh,
il love c’è stato, come avevo promesso, ma per scene Shinichi/Ran abbi un po’ di
pazienza e fiducia: non ti deluderò! (o almeno così mi auguro ^^”)
Kiara:
grazie, spero che ti sia piaciuto altrettanto anche questo capitolo. Sei molto
gentile,^//^ ti ringrazio dei complimenti sullo stile, sono felice di riuscire
ad appassionarti. Ran è tornata in scena, insieme a Vermouth…non me l’ero perse,
tranquilla, l’avevo solo lasciate in stand-by. Esigenze di copione (okay, lo so,
sto delirando - _ -“). Credo che i tuoi dubbi siano stati soddisfatti in questo
capitolo…fammi sapere cosa ne pensi, ok?
Shizuka:
ciao, ti ringrazio tantissimo per le lodi, mi ha fatto davvero piacere leggere
la tua recensione. #^^# Sono contenta che nessuno dei miei personaggi ti sembri
OOC, è un timore ricorrente quando decido cosa far fare a chi.^^; Non
preoccuparti, anche Shinichi e Ran avranno i loro spazi…in questo capitolo ne ho
dato un assaggio, come avrai letto. A risentirci!
Ersilia:
Grazie mille, sei adorabile.^//^ Mi farai montare la testa con tutti questi
complimenti, spero di non deluderti mai, né adesso né in futuro. Credo che a
quest’ora tu sia già partita per il tuo viaggio, in ogni caso ti auguro di fare
buone vacanze e di divertirti…non vedo l’ora di risentirti a Settembre. Ciao!
Irene:
ciao! Ti ringrazio delle lodi, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, in
quanto alla deduzione…beh, Irene Adler è un personaggio che adoro, amo l’idea
che sia riuscita a raggirare quel maschilista patentato di Holmes (non
fraintendermi: anche il detective londinese mi piace, ma quando se ne esce con
certe frasi sessiste...Hmf!), perciò, quando ho letto il tuo nick, mi è venuta
subito in mente. Mi auguro che la mia storia continui a essere di tuo
gradimento, in quanto alle tue domande su Heiji, una ha trovato risposta nel
capitolo, l’altra…la troverà! Per ora ti basti sapere che l’assalitore è un
membro dell’Organizzazione, e che, come avrai già capito, non è per niente
simpatico. Ran e Shinichi hanno i loro guai, e Gin non scherza…come hai detto
tu, è un avversario al livello del nostro giovane detective. In quanto al
soprannome di Shinichi…beh, in un volume del manga, il 27 uscita giapponese, Ran
e Sonoko parlano di Shinichi con la loro insegnante d’inglese, Jodie
Saintemillion, e lei esclama: “Oh! He’s so cool!”. Poi, mentre le ragazze e
Conan si allontanano, dice fra sé e sé: “Bye bye, cool guy”. Da lì in poi sia
lei che Vermouth chiamano il giovane detective con quel nome, e chiaramente si
sospetta che siano la stessa persona, data la somiglianza fisica e caratteriale.
Se i sospetti siano fondati o meno, chissà… : p
Akemichan:
salve! In effetti, lì a Praga, casinò e sexy shop
abbondavano…praticamente vedevo in giro più quelli che negozi di alimentari! In
quanto alla salute, noi ci siamo tenuti su, a parte questa mia compagna di
classe di cui ti parlavo, che è dovuta stare per un paio di giorni in albergo
invece di girare per la città con noi, povera! Grazie dei complimenti sulla
storia, spero che anche lo stile di quest’ultimo capitolo ti sia piaciuto. In
effetti, l’assalitore di Heiji e Kazuha non è Vodka…lui è stato spedito da Gin a
controllare le uscite del magazzino, se ben ricordi, quindi si trova
all’interno, non all’esterno con i nostri due eroi, sebbene non partecipi
all’azione con il suo compare, contro Shinichi. Ma che vuoi farci? Il tipo è un
po’ tonto…esegue gli ordini senza pensare. Sono felice che Ai non risulti fuori
dal personaggio, spero che anche le scene di questo capitolo ti piacciano.
Sita89:
ciao, grazie della recensione. Mi auguro di non averti deluso con quest’ultimo
capitolo, e che continui a divertirti leggendo la mia storia.
APTX4869:
ciao, grazie dell’incoraggiamento! Ci sono altre scene d’azione, spero di non
aver bruciato i miei standard. Oh, continua a leggere, ricevere i tuoi commenti
mi fa sempre piacere.^^
Ginny85:
ciao Ginnuzza, sono contenta di risentirti. ^__^ Che dire, Heiji ha avuto
momenti decisamente migliori nella sua vita, ma dopotutto sono i rischi del
mestiere! C’è un altro bel momento con Kazuha in questo chap (okay, ‘bello’ a
seconda dei punti di vista ^^ ;), spero di aver reso il drammatico. Ebbene sì,
il tizio disgustoso che lo ha assalito è frutto del mio cervello, e mi fa
davvero piacere che lo odi: io ho cercato di farlo il più detestabile possibile,
in fondo fa parte della schiera dei bad guys. Se le riflessioni su Sherry ti
sono piaciute, credo che apprezzerai anche quello che Shinichi le dice in questo
capitolo! Cerco sempre di mettere parti carine fra loro due, nonostante la
limitazione di non poter scadere nel romantico…sai com’è, il ragazzo è cotto
della brunetta! E a proposito di lei, è rispuntata fuori insieme alla cara
Vermouth, che ha fatto proprio un bello scherzetto al giovane detective. Vedremo
come se la caverà! Un bacione, buone vacanze! Felicissima di poterti risentire
al più presto. Ciao!
BPM: ciao, grazie mille!! #^^#
Lo sai che sei davvero adorabile? ^//^ Sono contenta che il mio stile di
scrittura ti piaccia, così come sono fiera di riuscire a trasmetterti suspanse.
Mi auguro di non aver fallito con quest’ultimo capitolo. Guarda che sono io che
ti devo ringraziare per lasciarmi queste recensioni, risponderti a fine capitolo
è il minimo che possa fare per sdebitarmi. È così scoraggiante non ricevere
alcuna gratificazione o qualsivoglia commento per il lavoro svolto… é __ è Buone
vacanze anche a te, spero ti divertirai. A risentirci! ^^
Anto: salve!^^ Ti ringrazio
tanto dei complimenti, mi ha fatto davvero piacere leggere la tua recensione.
Addirittura un futuro come scrittrice?? Mi fai arrossire! ^//^ Mi auguro che la
storia continui a piacerti, e naturalmente che il tuo computer non faccia più
brutti scherzi e ti permetta di connetterti senza problemi. Anch’io ne ho avuti
un po’ con il mio l’estate scorsa, un vero strazio! Spero che anche questa
scena finale ti sia piaciuta, aspetto la tua prossima recensione!
Questo è tutto
per ora, mi auguro di non aver trascurato nessuno; ringrazio ancora una volta
tutti i lettori, spero che questo capitolo vi piaccia, cercherò di aggiornare al
più presto il prossimo.
Bye
-Melany
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Capitolo 25 *** Choice ***
Nuova pagina 1
25. The Choice
“Choice” disse
Vermouth, con voce tanto dolce quanto minacciosa.
“Chi vuoi salvare, Cool Guy? Time’s over. Make your choice…or
they’ll both die.”
La donna fissava
intensamente Kudo senza batter ciglio, un sorriso tenero sulle labbra rosso
rubino che non si estendeva ai suoi occhi, freddi e temibili. La pistola era
puntata alla tempia di Mouri, ma Ai sapeva bene che se avesse fatto anche un
minimo movimento l’avrebbe centrata in pieno una pallottola sparata da quella
stessa arma. Vermouth era una tiratrice eccezionale, l’aveva vista colpire
bersagli ad una distanza considerata impossibile per chiunque altro. Dunque, la
pistola che lei stessa impugnava nella mano lungo il fianco era pressoché
inutile: se solo si fosse azzardata a puntarla, si sarebbe ritrovata stesa a
terra. Sospirò, lo sguardo che passava dalla nuca di Kudo al viso teso e ansioso
della sua ragazza, e un sorriso amaro le increspò le labbra: forse non era stata
una grande idea invitare Mouri a unirsi a loro per quella bella serata. Sperava
che Kudo se ne accorgesse prima, e che nel tentativo di salvarla e starle
accanto lasciasse a lei campo libero per la sua vendetta contro Gin. Invece, le
cose non erano andate come sperava: alla fine non era riuscita a uccidere il
bastardo, per quanto lo odiasse, per quanto desiderasse fargliela pagare per
aver distrutto la sua famiglia. Per di più, aveva messo in grave pericolo
Kudo-kun, l’unico che le fosse stato di conforto da quando sua sorella se n’era
andata, e aveva spinto la brunetta nelle grinfie di uno dei membri più
pericolosi dell’Organizzazione. Non che avesse mai avuto rapporti con la donna
in questione, si conoscevano, certo, avevano parlato qualche volta…ma Ai aveva
capito subito che era una con cui non si doveva scherzare. Quella sua calma,
quell’aria di superiorità che aleggiava sempre intorno a lei, quella noncuranza
di tutto, come se si trattasse di un gioco, le avevano sempre fatto correre un
brivido gelido lungo la schiena, sebbene non l’avesse mai dato a vedere.
Vermouth era…fatale nella sua grazia. Tutta quell’eleganza, quella
raffinatezza, celavano un animo perfido e crudele. Ai avrebbe mille volte
preferito essere perseguitata da un assassino violento e brutale piuttosto che
da lei, con quei suoi modi delicati da signora. Sembrava avesse sempre tutto
sotto controllo, che nulla potesse spezzare quella sua maschera di tranquillità
e superiorità: era convinta che se anche un manipolo di agenti dell’FBI avessero
circondato la sua casa armati fino ai denti, Vermouth se ne sarebbe rimasta
seduta placidamente sul divano a sorseggiare un Martini. Si comportava come se
tutto il mondo fosse ai suoi piedi. Non che fosse stupida: conosceva i suoi
limiti, sapeva bene quando poter andare avanti e quando tirarsi indietro, ma
anche in ritirata riusciva a tenere la testa alta. Ai era sicura che fosse più
probabile vedere Kudo diventare un serial killer piuttosto che Chris Vineyard
alias Vermouth presa dal panico, magari perfino in lacrime. Lei non perdeva mai
il controllo.
Chi non ne era
spaventato era ovvio che non l’avesse mai guardata negli occhi. Un antico
proverbio dice che sono lo specchio dell’anima, ed è vero. Per quanto i suoi
modi fossero eleganti e quasi teneri, se voleva, in alcuni momenti nei suoi
occhi si poteva scorgere il suo vero io. Non durava molto, lei era un’abile
attrice, sapeva far riflettere in quegli specchi ciò che voleva. Ma c’era sempre
quell’istante, quel minimo lasso di tempo, in cui guardandola bene si poteva
scorgere la sua malignità, la scintilla sadica che albergava nei reconditi del
suo animo. Il riflesso di una donna disposta a tutto per ottenere ciò che
voleva, una donna che ricordava ogni sua singola uccisione senza il minimo
rammarico, ma solo un una punta di gelida soddisfazione.
Una donna di cui
aver paura.
Ad Ai venne la
pelle d’oca solo a pensarci. Fin da quando si erano strette la mano, in quella
sera di novembre di tanto tempo prima, aveva sperato che il proprio nome non
finisse mai sulla lista nera di quella donna.
Ma adesso era
certa che ci fosse, e marcato a fuoco, per di più. Ne era certa tanto quanto era
sicura della scelta di Kudo; lo stomaco le si attorcigliò dolorosamente al
pensiero, ma lo ignorò, come era abituata a fare con tutti i suoi sentimenti, e
si focalizzò sulla situazione: da una parte, c’era l’amore di tutta la sua vita,
la ragazza che aveva fatto breccia nel suo cuore probabilmente fin da quando
aveva per la prima volta posato i suoi occhioni innocenti su di lui. Dall’altra,
c’era una ragazza semi-sconosciuta, piombata nella sua vita non molto tempo
prima portandosi dietro un mare di complicazioni e pericoli, dopo aver inventato
la causa di tutti i suoi mali, nientemeno. Per quanto le avessero scaldato il
cuore le parole di Kudo di fronte a Gin, e per quanto fosse certa che il ragazzo
intendeva davvero ciò che le aveva detto, cosa che aveva fatto brillare una
piccola fiammella di speranza dentro di lei, sapeva che non sarebbe stata
scelta. Il sorriso amaro s’intensificò, mentre un groppo in gola le impediva
quasi di respirare: Kudo non ci avrebbe pensato su così a lungo se avesse saputo
che era stata lei a gettare la sua preziosa Mouri in quel pasticcio. Magari la
sua rabbia sarebbe stata tanta da abbandonarla, chissà. Anche se in un angolo
remoto di se stessa ne dubitava.
Sospirò: Vermouth
credeva davvero che Kudo avrebbe scelto di far morire qualcuno? Era un’illusa.
Qualcun altro doveva scegliere per lui, o sarebbero potuti rimanere lì in attesa
fino a farsi venire i capelli bianchi.
Fu con questa
consapevolezza che si decise: avrebbe alzato la pistola, così Vermouth le
avrebbe sparato, dando modo a Kudo di approfittarne e di buttarla a terra,
salvando la sua amata Mouri. Era un piano perfetto. In fondo, cosa le importava?
Non aveva mai fatto niente di buono nella vita, aveva lasciato che sua sorella
morisse nel desiderio di salvarla, non era stata in grado di vendicarla, e
adesso aveva anche messo in pericolo l’unico ragazzo che si fosse mai preso cura
di lei: se Mouri fosse morta, la sofferenza l’avrebbe distrutto, non poteva
permettere che accadesse. Né poteva far morire lui, non se lo sarebbe mai
perdonato. Se fosse stata lei quella colpita, sarebbe stato meglio per tutti.
E forse Kudo
l’avrebbe ricordata per sempre.
Strinse i denti e
cominciò a muovere il braccio, quando le parole che udì pronunciare da lui la
raggelarono. Non poteva credere alle sue orecchie.
“Ho fatto la mia
scelta,Vermouth”.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Choice” disse
Vermouth, con quella sua voce falsamente dolce che aveva imparato a temere. “Chi
vuoi salvare, Cool Guy? Time’s over.
Make your choice…or they’ll both die.”
Shinichi udì le
parole di Vermouth e qualcosa morì dentro di lui. Una scelta? Come poteva essere
così crudele e sadica da chiedergli di fare una cosa simile? La donna non gli
staccava gli occhi di dosso, una scintilla divertita negli occhi. Non li avrebbe
lasciati andare finché non si fosse deciso, non poteva evitarlo; e ormai aveva
perso la speranza che la polizia o chiunque altro accorresse in suo aiuto.
Era solo.
Solo e senza la
più pallida idea di come cavarsela. Anche volendo non avrebbe mai potuto
decidere a sangue freddo di far morire una delle due. Il suo sguardo si posò su
Ran, e una fitta dolorosa gli trafisse il petto: vederla catturata da Vermouth
era stato terribile, ma le sue parole di poco prima, pronunciate con così tanto
dolore e disperazione, l’avevano colpito nel profondo. Di certo aveva frainteso
la situazione, dato che non conosceva la storia di Ai, doveva aver creduto che
lui preferisse catturarla piuttosto che salvarla. Ancora adesso, Ran non lo
guardava, fissava un punto imprecisato del marciapiede, l’azzurro dei suoi occhi
più lucido e brillante, come se…
Come se si
stesse trattenendo dal piangere…
Lo odiava. Odiava
vederla in quello stato, così sfiduciata, così triste, come se il mondo le fosse
crollato addosso. Ma da quando era andato ad abitare con i Mouri nei panni di
Conan Edogawa, aveva visto quell’espressione tante, troppe volte,
rabbuiare il suo bellissimo viso. Tutto ciò che desiderava era vederla
sorridere, perché Dio, era stupenda quando sorrideva, gli infondeva
calore e speranza. Non importava quanto la giornata fosse stata dura, quante
difficoltà avesse dovuto superare, un sorriso di lei era in grado di scaldargli
il cuore, di farlo stare bene. Ricordava molti giorni in cui solo vederla gli
era stato di conforto: era bello, dopo ore passate a fare in conti con crimini
efferati e spaventosi, sapere di poter stare con lei, parlarle, vedere le guance
soffuse di quel tenero rossore, sentire il suono meraviglioso della sua risata,
osservare quei suoi occhi di quel colore così particolare.
Ti amo…Dio
solo sa quanto ti amo Ran…
La amava così
tanto, eppure riusciva sempre a fare la cosa sbagliata, facendola soffrire, sin
da quando l’aveva piantata in asso durante il loro appuntamento per seguire gli
Uomini in Nero. Se fosse rimasto con lei, riaccompagnandola a casa,
assicurandosi che il delitto non l’avesse sconvolta più di tanto,
Stava
piangendo maledizione, piangeva anche allora e io me ne sono andato via come se
niente fosse
non sarebbe
accaduto nulla. Ora lei non sarebbe tra le braccia fatali di un’assassina a
sangue freddo, con una pistola puntata alla tempia. Era colpa sua. Era sempre
colpa sua. Ogni lacrima che lei aveva versato in quell’ultimo anno era stato
solo a causa del suo egoismo, di quella sua stramaledetta mania di ficcare il
naso in affari che non lo riguardavano, disinteressandosi delle conseguenze, del
dolore che poteva provocare alle persone che gli stavano attorno. Diceva di
amarla, ma non lo dimostrava affatto. Se davvero provava per lei quei
sentimenti, avrebbe dovuto farla felice, e non farle sempre del male. Non si
meritava una ragazza meravigliosa come Ran. Lei doveva avere qualcuno che
potesse starle sempre vicino, che potesse stringerla fra le braccia e
confortarla se ne aveva bisogno, che potesse arrivare in tempo ad un
appuntamento e farla divertire, che sapesse mantenere una promessa.
Insomma, aveva
bisogno di una persona che potesse amarla come meritava, qualcuno degno di lei,
che la facesse felice.
E questa persona
non era lui. Non era in grado di esserlo.
Fu quando
realizzò questo che le cose si fecero chiare nella sua mente: c’era un’unica
scelta che potesse fare, e sperava che Vermouth mantenesse la parola. Scoccò uno
sguardo alle sue spalle, verso Ai; sperava intensamente che se la cavasse. Era
una ragazza in gamba, molto più forte di quanto credesse lei stessa. Aveva
superato delle avversità e delle sofferenze che avrebbero distrutto qualsiasi
altra persona della sua età. Lui aveva sempre cercato di aiutarla, di starle
accanto, e aveva sperato di poterla salvare, di poter sconfiggere
l’Organizzazione e regalarle la vita normale che si meritava. Era un’illusione,
perché non avrebbe più potuto. Sperava che Ai capisse che aveva dovuto farlo,
che non c’era altra scelta, e che lo perdonasse per averla abbandonata.
Trascorrendo molto tempo insieme a lei, ammise a se stesso che le si era molto
affezionato: sotto la scorza fredda e distaccata della scienziata, c’era una
ragazza buona e degna di fiducia, una persona su cui poter contare.
L’Organizzazione non l’aveva corrotta, e questo dimostrava la sua forza d’animo.
Era riuscita a salvarsi da loro una volta, poteva farlo di nuovo, senza il suo
aiuto. Era forte…
Addio,
dunque…spero di aver fatto la scelta giusta…
Alzò la testa
verso Vermouth, incontrando i suoi freddi occhi grigio-verdi, rimasti puntati su
di lui per tutto il tempo. Non sapeva quanto poteva fidarsi di lei, ma sperava
che lasciasse andare Ran come promesso. In fondo, aveva sempre mostrato di avere
un debole per lei, per la sua ‘Angel’. Si schiarì la gola, ignorando il peso
alla bocca dello stomaco, la sensazione orribile che lo stava divorando a poco a
poco, e che aveva cominciato già a spolpare con gli artigli il suo cuore.
Continuava a ripetersi che non c’era altra scelta, che non poteva fare
altrimenti…ma chissà perché il dolore invece di cessare si intensificava ogni
minuto di più, consumandolo.
Tuttavia quando
parlò, la sua voce era ferma e sicura, come al solito. “Ho fatto la mia scelta,
Vermouth”, disse, e vide il sorriso stirarsi sulla sua bocca in una smorfia
crudele, cancellando ogni traccia di qualsiasi bellezza dal suo volto da star di
Hollywood. Percepì Ai irrigidirsi dietro di lui, mentre Ran alzò la testa,
guardandolo di nuovo, il viso tirato e pallido per l’ansia, gli occhi grandi
ancora lucidi. Shinichi distolse un attimo lo sguardo dalla criminale per
sorriderle dolcemente, cercando di rassicurarla, e lei batté le palpebre,
confusa, mentre alle guance fu restituito un po’ di colore.
“Bene, Cool Guy.
Allora dimmi: chi vuoi salvare, e…” lo guardò quasi con affetto “…chi vuoi
uccidere?”
Shinichi
abbandonò la contemplazione della ragazza che amava, e il sorriso si trasformò
in beffardo quando si rivolse a Vermouth.
“Nessuna delle
due”.
La donna lo
guardò per un attimo sorpresa, ma si ricompose subito e sorrise: “Oh, non hai
capito, allora. Tu devi fare la tua scelta.” Ripeté, dolcemente.
“E l’ho fatta.”
Respirò profondamente, come a voler raccogliere tutto il suo coraggio “Scelgo
me.” Disse Shinichi, gli occhi determinati, il sorriso stabile sulle labbra. Ran
lo guardò inorridita, improvvisamente ancora più pallida.
“NO! Non puoi
farlo!”
“Non posso fare
altrimenti, Ran.” Ora la guardava di nuovo, serio, sperando disperatamente che
nei suoi occhi blu lei leggesse tutto il suo amore, e capisse, capisse
che era l’unica cosa da fare.
“Scelgo me,
perché non potrei vivere sapendo di aver ucciso anche solo una delle due.”
Parlava con voce forte, decisa, sebbene dentro di sé fosse spaventato a morte;
si rivolgeva a Vermouth, ma i suoi occhi erano fissi sulla ragazza che amava,
che lo fissava incredula e terrorizzata. “Loro sono le ragazze più speciali che
abbia mai conosciuto, non potrei mai permettere che accadesse loro qualcosa. Ho
promesso di proteggerle, a tutti i costi.” Sorrise a Ran, un ultimo sorriso
carico di amore, di sincerità, prima di spostare di nuovo gli occhi su Vermouth.
“Perciò, se vuole uccidere qualcuno, uccida me. Perché se fa del male anche solo
ad una delle due, me la pagherà.” Il tono ora era minaccioso ora, lo sguardo
freddo.
Vermouth rise di
cuore. “Really?” replicò scettica e divertita “Cosa faresti, Cool Guy? Mi
uccideresti?”
Stavolta fu il
turno di lui di ridere: “Ecco il problema di voi assassini: non riuscite a
capire che possono esserci cose peggiori della morte.” Scosse la testa,
guardandola quasi con commiserazione. “Allora, io ho scelto. Si muove o no?”
“NO!” Esclamarono
all’unisono Ran e Ai. “Stai facendo una sciocchezza, Kudo.” Continuò la bionda,
il tono piatto incrinato, preoccupato.
“Shinichi, non
puoi abbandonarmi! Ti prego…” Le lacrime scorrevano incontrollabili sulle guance
della sua amica d’infanzia, che lo fissava supplichevole, con quei suoi occhi
meravigliosi nonostante il gonfiore. “Ti prego non farlo…”
“Poor Angel.”
Commentò Vermouth, con un sospiro. “By
the way, a deal is a deal. Say goodbye to the life,
Cool Guy.[1]”
La pistola fece
fuoco, senza un attimo di esitazione. Ran chiuse gli occhi, il suo grido
disperato soffocato dal rombo assordante dello sparo, il cuore che parve
fermarsi. In un secondo, le braccia della donna non la sorreggevano più, e lei
cadde in terra, le ginocchia tremanti che non riuscivano più a tenerla, tutto il
suo corpo scosso e invaso da un dolore tanto accecante che le sembrò di essere
piombata all’inferno, nell’istante in cui quel mostro aveva premuto il
grilletto. Udiva lontani singhiozzi e gemiti disperati, e solo dopo un bel po’
riuscì a capire che era lei stessa a piangere, a consumarsi di lacrime. Dio, era
una sofferenza al di là dell’immaginabile, sembrò che il tempo si fosse fermato,
perché lei ora non vedeva, non sentiva più nulla che non fosse un’atroce pena
interiore che la dilaniava, pezzo per pezzo, senza pietà; era come se stesse
lentamente e dolorosamente morendo lei stessa.
“Come hai potuto
farmi questo Shinichi! Perché!?! Sei uno stupido e un egoista e io ti ODIO!”
Quella voce tanto sofferente, tanto disperata, non poteva che essere la sua,
bruciante di rabbia che celava solo un’orribile sensazione di sconfitta e orrore
e perdita, il suo corpo tremante lì per terra, in quella notte senza luna, in
quel luogo ostile e freddo.
“Please, don’t
cry, Angel.[2]” Udì una voce mielosa consolarla, e tutto il dolore si trasformò
improvvisamente in un’accecante furia. Si alzò, di scatto, avventandosi sulla
donna che aveva premuto il grilletto, che aveva ucciso il suo Shinichi e anche
lei. La colse di sorpresa riuscendo a gettarla a terra, sovrastandola. “TU!
Lurida bastarda! Stronza io ti UCCIDO!!”
Riuscì a
sferrarle due pugni prima che lei le bloccasse il polso e ribaltasse le
posizioni, puntandole la pistola alla gola. “Calmati adesso!” Le ordinò, il tono
gentile completamente sparito, gli occhi glaciali. “Devi-“ Ma prima che potesse
finire fu colpita alle spalle, forte, e con un gemito soffocato di afflosciò su
di lei.
Ran non aveva
nemmeno la forza di togliersela di dosso. Restò lì, lacrime brucianti che le
rigavano le guance senza che potesse fermarle, lasciandole una scia di fuoco
sulla pelle, nel cuore solo una orribile sensazione di vuoto, e di abbandono, e
di sofferenza, pura, incontrollabile, travolgente. Per quel che le importava,
poteva spirare lì, in quel momento, perché ormai, era già morta dentro. Non
poteva sopportare di dover affrontare una vita senza Shinichi, la realizzazione
della sua morte che ogni volta le conficcava lame affilate nel cuore, il
pensiero che non l’avrebbe più rivisto, che non le avrebbe più sorriso in quel
modo tanto caldo e disarmante, che non le avrebbe più parlato, confortandola,
standole accanto…la realizzazione che l’aveva lasciata sola.
Qualcuno spostò
la donna per lei, ma lo percepì come un qualcosa di lontano, come se non si
trovasse nemmeno lì, il corpo pesante e dolorante come un’incudine rovente.
“Alzati Ran, devi
darmi una mano.” Le intimò una voce familiare, che credette fosse frutto della
sua immaginazione.
Non può essere
altrimenti…lui è morto…Shinichi è morto…
“Ran!” Ora si
sentì scuotere. Aprì gli occhi, per cancellare quel fantasma che si prendeva
gioco di lei, così crudelmente, senza pietà, e si ritrovò riflessa in due occhi
blu, caldi e profondi come l’oceano, che la fissavano preoccupati. Gli occhi più
belli del mondo.
“Sh..Shinichi!”
Gridò, improvvisamente felice, abbracciandolo, le lacrime che continuavano a
cadere, mentre il corpo, ancora incredulo, continuava a tremare, la disperazione
che ristagnava dentro di lei. “Shinichi sei vivo! Oddio Shinichi!” Voleva
restare così attaccata a lui per sempre, sentire il profumo dei suoi capelli, il
calore del suo collo, le sue braccia forti che la circondavano e la stringevano.
“Ma allora ti ha mancato!” Esclamò, con voce improvvisamente squillante, carica
di gioia e felicità sebbene ancora incrinata per il tanto piangere.
“Non mi ha
mancato.” Rispose cupo Shinichi, e lei si staccò per contemplarlo,
improvvisamente spaventata. “Cosa?”
Lui sospirò, il
viso serio e triste, facendo cenno dietro la sua spalla, dove una figura in
viola e grigio giaceva a terra.
“Ha mirato a
qualcun altro.”
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Heiji, come va?
Vuoi che ci fermiamo un momento?” Chiese Kazuha preoccupata, guardandolo in
tralice mentre lo aiutava a camminare. Il ragazzo le sorrise a fatica e scosse
la testa. “No, è tutto okay, andiamo avanti.” Bofonchiò, il respiro affannoso.
In realtà, si
sentiva tremendamente male, le pallottole nel suo corpo che sembravano ancora
bruciare infiammando le ferite, da cui continuava a grondare sangue caldo e
viscoso; la vista cominciava ad annebbiarsi, i muscoli sembravano indebolirsi
sempre di più, sorreggendolo a fatica e costringendolo a pesare sempre di più
sulle spalle di Kazuha, che sopportava senza dire una parola. Era fatta così, la
sua amica d’infanzia: forte e determinata; Dio, quanto l’adorava.
Improvvisamente,
sentì le guance avvampare al ricordo del bacio che si erano scambiati poco
prima. Non che l’avesse programmato, o ci avesse pensato su più di tanto: aveva
ripreso i sensi dopo la sparatoria e, avvolto ancora nel torpore e stordito dal
dolore, aveva percepito le labbra morbide di lei sulle sue, che si muovevano,
lambendole e accarezzandole in un tocco piacevole, come di seta, e al sapore di
mirtilli. Rispondere al bacio era stato istintivo e meraviglioso, così come
accarezzarle i capelli e incredibilmente, per quei pochi attimi, tutto il dolore
e la paura erano scomparsi. Ora scoccò un’occhiata al profilo delicato di
Kazuha, i suoi occhi color smeraldo, il naso a punta, le guance rosa, le
labbra…e realizzò in quel momento che per lui non esisteva e non sarebbe mai
esistita una ragazza più bella di lei.
Kazuha era
stupenda…ma non solo fisicamente, tutto di lei lo faceva impazzire: i suoi modi
bruschi eppure così femminili, il suo atteggiamento a volte strafottente, la sua
bontà d’animo e la sua generosità, la lealtà che dimostrava nei confronti di
tutte le persone che le erano care; quella sera stessa, sarebbe potuta scappare,
salvarsi, invece aveva deciso di mettersi in pericolo, di rischiare di morire
solo per lui. Lei era…grandiosa, strabiliante, e Heiji capì che l’amava, che non
desiderava altro che stringerla a sé e baciarla e dimenticarsi di tutto e di
tutti; capì che voleva passare il resto della sua vita con lei e nessun altra,
perché in alcun modo avrebbe potuto svegliarsi la mattina senza essere salutato
dal suo sorriso, andare in giro senza averla al suo fianco, che gli parlava con
quella sua voce forte e squillante oppure tenera se voleva. Non avrebbe mai
potuto né voluto andare a dormire senza sapere che lei c’era e sarebbe stata con
lui per sempre.
Avrebbe voluto
dirle tutto questo. In fondo, lei lo aveva baciato, no? Quindi ricambiava i suoi
sentimenti…eppure, una brutta sensazione si insinuò nel suo animo, al pensiero
che forse, probabilmente, lei lo aveva baciato solo perché lo credeva
morto, perché era tanto disperata e terrorizzata che si era lasciata andare,
senza pensarci. Sapeva che gli voleva molto bene, e forse quell’atto era stato
dettato solo dall’affetto, e non dall’amore.
Sospirò: avrebbe
pensato a tutto questo dopo. Adesso, doveva concentrarsi solo sui movimenti
delle gambe, che divenivano più difficoltosi passo dopo passo; Kazuha era
irremovibile sulla decisione di cercare un rifugio per curare le sue ferite
prima di cercare Kudo, e siccome era lei che teneva le redini del gioco in
quel momento, Heiji non poteva opporsi. Se fosse stato per lui, si sarebbero
messi all’istante alla ricerca del suo migliore amico e dopo avrebbero
pensato al posto dove ripararsi: non lo vedeva da quando erano entrati in quel
magazzino ed era passata un’infinità di tempo, durante il quale sarebbe potuta
succedere qualsiasi cosa al detective dell’est. Magari in quel momento era in un
pessimo guaio con uno dei membri dell’Organizzazione, oppure era stato ferito a
morte, e sanguinava agonizzante da qualche parte, nel buio, senza che nessuno
l’aiutasse, oppure era già cadavere…
Si costrinse a
frenare le immagini truculente che via via scorrevano nella sua mente:
disperarsi non avrebbe aiutato nessuno. Kudo era in gamba, sia come ragazzo che
come detective, e probabilmente ora stava meglio di lui, magari a gongolarsi con
l’ispettore Megure per la cattura di Gin e Vodka. Okay, forse stava divagando un
po’ troppo nell’ottimismo, ma se non altro quelle immagini erano più confortanti
di quelle del suo corpo morto in qualche vicolo…
All’improvviso,
il silenzio della notte fu squarciato dal rumore di uno sparo. Entrambi si
bloccarono all’istante, raggelando: non era molto lontano dal punto in cui si
trovavano…
“Presto, dobbiamo
seguirlo!” Esclamò Heiji, lo sguardo carico di determinazione.
“Seguire cosa??”
replicò Kazuha sgranando gli occhi e guardandolo come se fosse impazzito di
colpo.
“Andiamo nel
luogo da dove proveniva lo sparo!” Insistette lui, deciso, nonostante la voce
fosse soffocata.
“Dì un po’, una
pallottola ti è entrata anche nel cervello?? Sarebbe come buttarsi di proposito
giù da un dirupo!”
“Non capisci che
potrebbe esserci Kudo immischiato?!?” ribatté esasperato. D’accordo, amava in
lei anche la sua testardaggine, ma in quel momento lo stava davvero facendo
infuriare. Non avrebbe mai potuto ignorare volutamente una cosa del genere, non
sapendo che il suo migliore amico era da qualche parte lì intorno, magari
proprio di fronte all’individuo che aveva premuto il grilletto.
“Non puoi esserne
sicuro!! Obiettò lei, cocciuta “E anche se fosse, come potresti aiutarlo se sei
ridotto ad un rottame?”
“Io ho una
pistola! E non è mia, ma sua!! Me l’ha ceduta volontariamente,
mettendosi in pericolo, e io sarei un bastardo se adesso lo lasciassi nei
guai!!”
“Ma-” cercò di
dire lei, ma lui la interruppe infervorato, incurante dello sforzo enorme che
gli costava parlare.
“Kazuha, io andrò
lì, costi quel che costi. E se tu non vuoi venire, bene, andrò da solo!”
Cercò di
liberarsi dalla sua stretta, ignorando le violente fitte dolorose che provava ad
ogni movimento, ma lei lo trattenne: “No, andiamo insieme. Ma credimi se ti dico
che sei un vero idiota.” Replicò lei, gli occhi che brillavano di tristezza e
rassegnazione.
Lui sospirò, e
lasciò che lo conducesse nel punto indicato. Dentro di sé era molto combattuto:
una parte di lui voleva che Kudo non fosse implicato, che lo sparo fosse
provenuto dalla pistola di un agente di polizia o di un criminale di bassa
tacca; dall’altro, desiderava trovarlo, perché il pensiero che l’avesse perso,
abbandonandolo a se stesso, senza la minima idea di quello che gli era capitato
e che gli stava accadendo mentre lui si lasciava trascinare dalla sua amica
d’infanzia lo
divorava vivo.
“Resisti Kudo,
sto arrivando” mormorò fra sé e sé, quasi senza accorgersene, così come non fece
caso all’occhiata che gli lanciò Kazuha, a metà fra la compassione e il
fastidio.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
“Signore, avere
sentito?” Esordì Takagi, quando lo udirono. L’ispettore Megure si fece subito
serio, stringendo le labbra sotto i folti baffi: “Sì. Dirigiamoci verso il punto
da cui proveniva lo sparo, presto!” Ordinò alla sua squadra, che subito si mise
in marcia, le pistole impugnate. Takagi annuì, seguendo i suoi compagni e
sperando intensamente dentro di sé che Sato non fosse coinvolta: terrore e
preoccupazione impregnavano il suo animo, non si sarebbe mai permesso di
perderla. Lei era troppo importante, troppo speciale…
Se qualcuno si
fosse azzardato a toccarla anche solo con un dito, avrebbe dovuto vedersela con
lui. Chiunque fosse. Non gli importava quanto fossero pericolosi e
temibili questi assassini.
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*
Traduzione delle
parti in inglese (o la mia personale interpretazione, se vi basta):
[1]
Ad ogni modo, un accordo è un accordo. Dì addio alla vita, Cool
Guy.
[2]
Ti prego, non piangere Angel
Note dell’Autrice:
ciao a tutti! Innanzitutto mi scuso umilmente per
l’ENORME attesa; lo so, stavolta vi ho fatto penare davvero tanto, e mi
dispiace. ; __ ; Il fatto è che dovevo prendermi una piccola pausa dalla stesura
di questa fanfic, che scrivo ormai da più di un anno, per staccare un po’ la
spina e riposare il cervello. Non che mi dispiaccia scriverla, tutt’altro: mi
diverto un mondo, e mi aiuta a passare qualche ora in piacevole compagnia di me
stessa e dei personaggi del manga che amo di più. Tuttavia, penso che qualunque
maratoneta, per quanto adori correre, si ferma ogni tanto a riprendere fiato!
No? ^ __ ~
Detto questo, e
sperando nel vostro misericordioso perdono, passo al commento del capitolo:
ahimè, non mi soddisfa pienamente come il precedente, ci sono diverse parti che
non mi convincono e che mi sembrano poco scorrevoli, però ho fatto del mio
meglio come al solito, per cui…Mi auguro che nessuno se la prenda per la scelta
e per come è andata a finire tutta la faccenda Ai-Shinichi-Ran: accorgendomi
solo dopo aver pubblicato in che razza di pasticcio mi ero cacciata con le mie
mani, ho dovuto arrovellarmi il cervello disperata per trovare una soluzione.
Ciò che avete letto è il risultato del lavoro faticoso delle mie rotelle, spero
che ne sia valsa la pena e che vi piaccia.
Okay, mi accingo
ora a rispondere ai commenti: vi amo, vi adoro, vi venero…come farei senza di
voi?
Akemichan:
ciao! Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto…ne
vado molto orgogliosa! ^//^ Quest’altro è un pochino più zoppicante, ma spero lo
stesso che non ti deluda. Non preoccuparti, ho iniziato di proposito il 24 con
il flashback senza spiegare nulla per confondere il lettore, dunque la tua
reazione è stata più che normale. Grazie dei complimenti, riguardo alla tua
osservazione su Ran: beh, in certi momenti una è disposta a credere a qualunque
cosa pur di non dubitare della persona che ama, un po’ per se stessa, per non
soffrire, un po’ per lui: insomma, amore vuol dire fiducia, no? Era quello lo
stato d’animo di Ran durante tutte le supposizioni su Ai e Shinichi, non del
tutto obiettive e distaccate, come avrai notato. Riguardo invece all’altra
osservazione, su “aveva un forte impulso a” o “…di”, devo confessarti che mi ha
lasciato piuttosto perplessa; a me suona meglio come lo dico io, ma anche con il
’di’ non è male…per tagliare la testa al toro ho cercato sul vocabolario, ma
purtroppo nessuno degli esempi riportati faceva al caso nostro; ho chiesto in
giro, tutti quanti ne sono rimasti perplessi quanto me. Risultato: boh! Penso
che vada bene scritto in entrambi i modi. Un bacione, spero di risentirti. P.s.
Mi sono iscritta al concorso e ho mandato la storia. I dettagli te li ho scritti
in una e-mail, controlla la posta!
Yuki: Eh
sì, povera Ran! Poveri tutti e due…non gliene va mai bene una! Shinichi è molto
combattuto sullo scambio, poverino, lui non vorrebbe uccidere nessuna delle due!
Spero che la mia soluzione non ti deluda. In quanto alle qualità estetiche delle
due ragazze... “la bellezza sta nell’occhio dell’osservatore”! Dai che anche Ai
non è brutta, no? Anche se io stessa trovo più carina Ran. #^^# Grazie della
recensione, sfogati pure quanto vuoi! Voglio sentire tutto ciò che hai da dire
sulla fanfic.
Sita89:
ciao! Felicissima che il capitolo ti sia piaciuto così tanto, grazie, mi fai
arrossire con tutte le tue lodi ^//^! Spero che anche quest’ultimo sia stato di
tuo gradimento e che la scelta di Shinichi ti vada a genio. Secondo me, non
poteva fare altrimenti! (ma sono opinioni…) Mi raccomando, fammi sapere cosa ne
pensi anche su questo, perché non sei la sola curiosa fra noi due!^^ Ci
sentiamo, e scusa se ti ho fatto aspettare tanto!
Shizuka:
salve! Ehm…probabilmente ora ti sembrerò un po’ stupida ma…lo sai che non ho
capito la battuta? O __ O Mi ha lasciato piuttosto perplessa. Comunque,
figuracce mie a parte, sono contenta che la storia continui a piacerti, e mi
dispiace infinitamente di averci messo tanto a postare…spero di essere più
svelta con il prossimo aggiornamento! Un bacio.
APTX4869:
ciao! Sono felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto; anche a me è mancato
un po’ il romance nella mia storia, vedrai che avrà un bel po’ di spazio in
seguito. Grazie della recensione, spero di risentirti!
Anto: oh!
Davvero hai pianto!? Mi dispiace un po’, certo, ma devo ammettere di essere
orgogliosa di essere riuscita a scatenare una simile reazione (lo so, sono una
malefica scrittrice senza scrupoli - _ -“). Ti ringrazio tanto dei complimenti,
sei sempre dolcissima! #^^# Spero che il seguito non ti deluda…un bacio, a
risentirci!
Kiara:
ciao, ti ringrazio del commento, sei molto gentile. Mi scuso per averti fatto
aspettare tanto con l’aggiornamento, spero non ricapiti più (non dipende
sempre da me, lo giuro!). Dimmi cosa ne pensi della decisione di Shinichi,
ok? Baci, a presto.
Lore:
grazie! Beh, Ran è una ragazza forte, nonostante tutto…mi auguro che ti sia
piaciuto anche questo capitolo e di risentirti presto. Bye!
Ginny85:
ciao! Figurati, anche io mi scuso per l’estremo ritardo dell’aggiornamento. Sono
stata felicissima di leggere il tuo commento, le tue lodi mi fanno sempre
arrossire da morire! #^^# Thanks! (w Vermouth forever…e gli ospedali
psichiatrici che permettono a persone come noi di girare a piede libero!). Ero
molto fiera dello scorso capitolo, come si era capito, sono contenta che sia
stato apprezzato. Personalmente, adoravo la parte del triangolo, quando mi è
venuta l’idea mi si è acceso un qualcosa dentro…che si è spento miseramente non
appena ho pensato: okay, ma come lo risolvo? Ti assicuro che ci ho riflettuto
mooolto a lungo prima di prendere la decisione, cavoli, era complicato! Come
vedi oltre che sadica sono masochista ( e totalmente disorganizzata e
incompetente…ma lasciamo stare.)! Le considerazioni di Ran mi sono venute di
getto, e anche quelle mi sono piaciute molto. Grazie ancora dei complimenti, sei
adorabile!^//^ Un bacio, e perdonami per averti fatto aspettare tanto!
Ruka88:
ciao, grazie mille del commento! Mi dispiace di non aver aggiornato prima,
scusa; spero che la scelta di Shinichi ti abbia soddisfatto, e che continuerai a
leggere con piacere. Baci, a risentirci!
_ChibiCia_:
salve! Non ho parole per esprimere quanto mi abbia fatto piacere
il tuo commento: sei stata carinissima! #^^# Ti ringrazio dei complimenti, sono
contenta che sia la storia che la caratterizzazione dei personaggi ti soddisfi e
ti piaccia: faccio del mio meglio per fare in modo che entrambe siano in linea
con il manga. Davvero la storia è una delle più belle che tu abbia mai letto?
Wow! Mi metti davvero in imbarazzo, grazie mille! ^//^ Prenditi pure tutto il
tempo che vuoi per leggere i 25 capitoli che ho postato, sono curiosa di
conoscere la tua opinione sullo svolgimento della fanfic e mi auguro che non ti
deluda man mano che vai avanti. Come avrai capito, è ancora in costruzione,
anche se non manca molto alla fine (*sigh*). Un bacione, spero di risentirti!
Lily2000:
ciao! Grazie mille dei complimenti, mi ha fatto piacere leggere la tua
recensione. Sono contenta che la storia risulti un vero giallo, era la prima
volta che mi cimentavo nel genere e avevo qualche timore ^^" . Mi scuso anche
con te per il ritardo dell'aggiornamento, spero che non me ne vorrai. Oh, è
NATURALE che sia stata una donna a mettere in seria difficoltà il giovane
detective, che ti aspettavi? No, scherzi a parte, ho notato che nel manga i più
intelligenti e in gamba sono sempre i maschi in un modo o nell'altro, perciò ho
voluto far avere una rivincita all'universo femminile nella mia storia...un
bacio, spero di risentirti.
Questo è tutto
per oggi. Mi scuso ancora per la lunga attesa, spero di riuscire a postare il
prossimo capitolo il prima possibile, compiti delle vacanze permettendo che,
come al solito, si sono accumulati tutti in questi ultimi giorni (sono proprio
una studentessa coscienziosa, eh?).
Bye
-Melany
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