Il Gelsomino Notturno di Yuna Shinoda (/viewuser.php?uid=30027)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 New York ***
Capitolo 2: *** 2.2 I vicini ***
Capitolo 3: *** I Cullen ***
Capitolo 4: *** Alaska ***
Capitolo 5: *** Biblioteca ***
Capitolo 1 *** 1.1 New York ***
Il gelsomino notturno
«Non avrei
saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.»
Era il
luglio del 1890, quando mia
madre ed io
stavamo viaggiando verso New York con il treno, nelle prime luci
dell’alba.
-
Svegliati presto, Bella – mi aveva detto la sera prima
– domani partiamo
all’alba e ci tengo che durante il viaggio tu non ti stanchi.
-
Detto
fatto.
Questa
mattina ero più sveglia che mai, pensate che non ero neanche
inciampata nel
tappeto anche se tutte le luci erano spente e da fuori alla finestra si
notavano solo pochi raggi di sole.
Il treno
era confortevole e caldo, anche se un po’ asfissiava, dato
che fuori c’erano 40
gradi all’ombra.
Il nostro
viaggio durò circa 12 ore; prima abitavamo a Phoenix, in
Florida, ma la casa
era diventata troppo piccola per noi due visto che mia madre si era
risposata
con un altro uomo, Phil, che aveva già un figlio a carico e
che, guarda caso,
abitava a New York.
Così ho
dovuto rinunciare a tutte le già poche amicizie che avevo
lì e ho dovuto
impacchettare tutta la mia roba per un luogo che non avevo mai visto.
Non
eravamo molto ricchi, così nella mia vita fino ad allora
avevo fatto solo un
viaggio, che era per altro andato anche un po’ male ma non
vorrei ricordarlo
proprio adesso.
Phil e
suo figlio, George, ci aspettavano sull’isola di Manhattan
per condurci alla
nostra nuova casa, che però si trovava nel quartiere del
Bronx, uno dei
quartieri più vicini al centro della città.
Mia madre
mi ha detto che Phil non è di certo facoltoso ma che mi
avrebbe garantito libri
e quant’altro per la mia istruzione. Meglio di niente!
- Siamo
quasi arrivate – mi disse mia madre verso le 13 –
tra un po’ abbiamo la nave
che da qui ci porterà a Manhattan -
- Ah –
feci finta di non ascoltarla, volevo vedere il panorama.
Restai
tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, attratta dalla
splendido
paesaggio che incontravamo ogni KM
in
più che il treno percorreva.
Verso le
17, sentì uno strano rumore che mi destò.
Non ero
proprio rimasta ad osservare il paesaggio tutto il tempo, mi ero
addormentata.
- Bella,
è ora di scendere – disse mamma.
Un po’
stanca, mi alzai dal sediolino di legno e mi diressi con i bagagli in
mano
verso l’uscita.
Ero un
po’ assonnata e camminavo un po’ barcollando,
così che, quando mia madre scese
i tre scalini che ci separavano dall’uscita e venne il mio
turno, non mi sentì
cadere per terra.
Ero
inciampata nel secondo gradino perché i bagagli mi
impedivano di vedere davanti
a me, ma con mia sorpresa non caddi.
Avevo già
gli occhi chiusi per prepararmi al dolore che avrei provato se fossi
caduta, ma
sentì due braccia calde e forti che mi strinsero la vita.
Riaprì
gli occhi, quasi pensassi di essere in un sogno, ed incontrai quelli
castani di
un’altra persona, un ragazzo per l’appunto.
Mi
accorsi subito di essere tra le sue braccia che quasi violentemente mi
staccai
da lui e rimisi i piedi a terra.
Il
ragazzo era scuro di pelle, ma non nero, bensì mulatto.
Sembrava
un indiano della riserva. Aveva anche un po’ gli occhi di una
strana forma...
Erano color nocciola ed erano molto penetranti… Troppo.
Mi
fissava come se mi conoscesse.
- Scusa –
mi affrettai a dire, e corsi vicino a mia madre che da lontano aveva
osservato
la scena.
- Stai
bene? – mi chiese mamma.
- Si –
risposi velocemente.
- Quel
ragazzo è stato davvero carino a prenderti… Sai
che figura se fossi caduta lì
davanti a tutti –
Non
risposi.
Mia madre
cercava sempre di farmi venire alla mente quanto fossi maldestra ed
incapace
nel camminare, nel fare tutto. Era si una madre molto cara, ma quando
mi
ricordava quello che non ero – una ragazza attenta a dove
mette i piedi – mi
tornavano i complessi.
- Ehi,
ragazze mie! - sentì da lontano.
- Oh,
Billy! – disse mia madre.
Billy
chi?
- Cosa ci
fate qui? - chiese l’uomo, della stessa carnagione del
ragazzo di prima.
-
Forse Charlie non
te l’ha detto ma… ci
siamo lasciati l’anno scorso. –
- Oh, non
lo sapevo. – si vedeva dalla faccia che era dispiaciuto.
- Ed io
mi sono sposata con un uomo che vive a New York. Adesso lo stiamo
raggiungendo
io e Bella. – Indicò me con il dito.
- Ah,
Bella. Sei diventata grande – disse, vedendo
l’incertezza sul mio volto – io
sono Billy Black, un amico di tuo padre. Forse non ti ricordi di me, ma
da
bambina venivi sempre nella riserva dove vivevo assieme a mio figlio e
alle mie
due ragazze che adesso si sono sposate. –
- Oh,
Jenny e Tina? –
- Esatto,
vedo che ti ricordi. –
Annuì.
- Bè, è
stato davvero un piacere ma devo andare a fare delle consegne assieme a
mio
figlio Jacob. E’ lì che mi aspetta. –
Indicò quel ragazzo che prima mi aveva
salvato.
Jacob.
Jacob Black. Ecco perché lo ricordavo.
Quando
Billy lo nominò si voltò impercettibilmente verso
di me, quasi fosse in
ascolto.
- Di
sicuro ci rivedremo – disse Billy – io vivo nelle
vicinanze, nella riserva
indiana. -
Ci fece
l’occhiolino e si diresse verso il figlio.
Che
strano ragazzo. Era bollente quando mi ha toccata per non farmi cadere.
Magari
non ci rivedremo nemmeno, perché pensarci?
Con mamma
arrivai al porto.
La nave
era già lì e se non fosse stato per la
velocità dell’uomo che guidava la
carrozza che prendemmo, di sicuro non ce l’avremmo fatta a
prendere quella
delle 18,30.
Fortunatamente
Manhattan si trovava molto vicina alla costa, così il
viaggio in nave durò solo
una mezz’oretta. Buon per me, io odio stare su qualcosa di
instabile!
Prendemmo
nuovamente una carrozza, ed arrivamo in Trentford Street, dove Phil ci
aspettava per portarci alla nostra nuova casa.
Mamma
aveva detto che sarebbe stata più grande, carina e
tranquilla.
La parola
tranquilla mi faceva pensare che attorno non ci fosse nulla…
Non mi
acquietai finché non vidi la casa in questione.
Phil
disse che era la più decente ed a buon mercato che aveva
trovato, perché
solitamente erano rare le famiglie composte da quattro persone. Di
solito erano
composte da 7 – 8 inquilini o anche di più,
perché molti avevano tanti figli.
Dopo
circa un’ora di viaggio da quando vedemmo Phil, arrivammo.
La casa
era piccola ma carina, aveva due piani e dall’esterno
sembrava anche ben messa
all’interno.
- Ah, che
bella! – disse mamma, sempre felice come una Pasqua,
soprattutto quando era
Phil a fare delle cose carine per lei.
- amore,
vedo che sei soddisfatta. – disse Phil, felice – e
tu, Bella? Che ne dici? –
- Mi
sembra carina. – mi limitai a dire senza dargli
soddisfazione. Prima volevo
vederla all’interno.
Presi le
valige dalla carrozza, quando qualcosa o meglio qualcuno
attirò la mia
attenzione.
La casa
dei nostri vicini non era molto distante dalla nostra, ma da dove ero
io lì
invece sì.
Era molto
più grande e con un giardino ben fornito di fiori e statue,
anche con un gazebo
all’interno. Ci avrei giurato che gli inquilini fossero
ricchi.
A piano
terra, vicino alla finestra a destra dell’entrata, vidi una
sagoma accanto ai
vetri chiari.
Camminavo
piano per il gran peso delle valigie, ma non potei non fermarmi ad
osservare chi
mi stava fissando con tanta… cosa?
Non avrei
saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.
Odio?
Invidia? Disprezzo?
Penso
nessuna della tre.
Come
faceva ad odiarmi se non mi ha mai vista? O anche ad invidiarmi se
magari è lui
quello che si può permettere tutto? Come poteva pure
disprezzarmi se forse non
ero ricca quanto la sua famiglia?
Non lo
sapevo.
L’unica
cosa che potevo sapere ed osservare il suo volto.
Forse era
il vetro oppure il sole già calante alle spalle della casa,
o forse altro ma…
vedevo la sua pelle decisamente bianca e diafana.
Di sicuro
se fosse stato accanto al ragazzo di questo pomeriggio, Jacob, avrebbe
fatto
decisamente contrasto con la pelle colorita del giovane.
La sua
sembrava quasi neve.
E gli
occhi. Non oso parlare degli occhi.
Forse è
sempre la luce che mi gioca brutti scherzi, ma avrei giurato che
fossero neri,
neri come la pece e arrabbiati per non si sa quale motivo.
Scostai
lo sguardo da lì e guardai di nuovo avanti, per rischiare di
non inciampare.
Quando
ero sotto la veranda mi voltai, ma il ragazzo non c’era
già più.
Salì
piano le scale sempre per non cadere e, una volta nella mia nuova
stanza, posai
tutto ai piedi del letto. Stranamente, in quella gelida
tranquillità, corsi
alla finestra perché sentì un rumore forte di
pneumatici sull’asfalto. Non era
frequente vedere macchine in giro, soprattutto perché erano
state collaudate da
poco tempo ma… i vicini avevano anche quella.
Sospettai
inizialmente che fosse qualcuno che andasse di fretta o che non avesse
semplicemente voglia di andare piano, ma poi mi balenò nella
testa la strana
sensazione che colui che aveva spinto sull’acceleratore
così tanto potesse
essere proprio colui che due minuti prima mi osservava.
Non
volevo dargli molta attenzione visto che non lo conoscevo, ma decisi,
per la
mia curiosità, che sarei stata accanto alla finestra per
vedere se le mie
supposizioni erano vere.
Che ne dite? Forse è
un po' poco per decidere, ma spero la trama vi intrighi... non volevo
essere troppo banale, così ho scelto un'altra epoca XD
Il titolo l'ho preso da una poesia di G.
Pascoli che mi piace molto, poi capirete perchè "gelsomino
notturno"...
Spero
che
vi sia piaciuta! Mi farebbe molto piacere se mi lasciste delle
recensioni... vedete il tasto qui sotto vi chiama! XDD
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Capitolo 2 *** 2.2 I vicini ***
Il gelsomino notturno
«Non avrei
saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.»
Rimasi
quasi tutto il tempo incollata a quella finestra.
Erano
ormai le 23 passate ma niente o nessuno osava farsi vedere
lì, sotto la flebile
luce del lampione che illuminava la strada.
Decisi di
staccarmi da lì, va bè la curiosità,
ma non dovevo mica
passare tutta la vita ad aspettarlo?
Così mi
allontanai da lì e mi stesi a peso morto sul mio letto nuovo.
Il
materasso era durissimo, ma meglio di niente.
Mi misi a
pensare a cosa avrei fatto la mattina successiva… Dovevo
ancora finire di
aggiustare le mie cianfrusaglie sui mobili e pulire un po’ i
quadri impolverati
della stanza.
- Sarà
meglio che mi vada a dare una rinfrescata – dissi fra me e
me.
Mi alzai
da lì e mi diressi al bagno.
Fortunatamente,
anche nella nuova casa avevo un bagno tutto mio.
Avevo
paura che venendo qui avrei dovuto rinunciare anche a
questo…
Mi
diressi sbadatamente verso il bagno, liberandomi degli indumenti pian
piano che
arrivavo nella piccola stanzetta. C’era una grossa vasca
bianca, uno specchio e
un grosso piatto in ceramica dove avrei potuto mettere
l’acqua per lavarmi il
viso.
C’era
solo una piccola finestra in alto, tutto il confort per far si che
nessuno ti
venga a disturbare o ti veda senz’abiti.
Versai un
paio di brocche nella grande vasca… Erano un po’
freddine, ma a quell’ora chi
pensa a scaldare l’acqua?
Mi
immersi completamente in quel laghetto gelato.
Non avevo
freddo, anzi visto che il clima di quella zona era molto afoso,
l’acqua gelata
mi faceva davvero bene.
Mi bagnai
i capelli e delicatamente con il sapone me li insaponai,
così da togliere
parzialmente il brutto odore che avevo accumulato durante il lungo
viaggio da
Phoenix.
Mentre
ero a mollo, ripensai ai nostri vicini.
Si
sarebbero mai presentati? Credo di no.
Li
avremmo mai visti anche di sfuggita? Penso sempre di no.
Che
scortesia, sembra che gli abbiamo fatto un danno venendo ad abitare
accanto a
loro.
Dopo un
po’ di tempo uscì dalla vasca.
Mi
avvolsi nell’asciugamano bianca
che
mamma mi aveva messo sulla sedia alcune ore prima e tornai nella mia
stanza.
Quando
tornai lì, fui attratta da una luce che proveniva dalla casa
accanto. Era
accesa, e, strano caso del destino, lo stesso ragazzo di questo
pomeriggio era
lì, con un’espressione a dir poco tra il
meravigliato e l’arrabbiato.
Accanto a
lui c’era quella che riconobbi essere una ragazza dal volto
maturo.
Era
bassina e con i capelli neri, strano per una ragazza.
Grazie
alle luci accese riuscì anche a vedere meglio
l’aspetto fisico del ragazzo.
Era molto
alto rispetto alla ragazza che sembrava un folletto.
Aveva
sempre la pelle bianca che la luce esaltava maggiormente e dei capelli
bronzei.
Non riuscivo
a vedere gli occhi, ma sono sicura che erano di un colore chiaro.
Quando mi
avvicinai alla finestra per chiudere le tende, di colpo entrambe i
giovani si
girarono verso di me, quasi come se potessero sapere ogni mio movimento
anche
da girati.
Gli occhi
del ragazzo non potevo vederli, ma riuscì a leggere la sua
espressione.
Quella di
poco fa, tra il meravigliato e l’arrabbiato divenne ancora
più famelica.
Sembrava
che stesse combattendo una lotta interiore, quasi come se voleva
rompere il
vetro della finestra perché era arrabbiato con qualcuno.
La
ragazzina era al contrario molto serena.
Sorrideva
e diceva qualcosa al ragazzo accanto a lei; lo capì
perché sembrava muovere le
labbra, quasi fosse divertita.
Ma…
stavano davvero osservando me?
Corsi verso
la tenda e l’abbassai, così come spensi il lume
che avevo sulla scrivania.
Mi
riavvicinai alla finestra e sbirciai da dietro la tenda: erano ancora
lì, con
la stessa espressione di prima solo che adesso discutevano tra di loro.
La
ragazza poi si avvicinò al ragazzo e lo
abbracciò, ma lui resto con le braccia
parallele al corpo.
Dopo un
po’ lei se ne andò e la luce si spense.
Decisi
allora che era arrivato il momento di andare a dormire.
Basta con
tutte queste congetture, secondo me il sole mi ha fatto male oggi.
Speravo
che addormentandomi avrei risolto tutti i miei dilemmi, ma quella notte
al
contrario sognai qualcosa di molto strano.
Ero nella mia
nuova casa e stavo
mettendo a posto il soggiorno quando improvvisamente suonano alla
porta.
Ero sola e mi precipitai ad aprire
pensando che fosse mamma o Phil.
Invece no.
Quando aprì mi ritrovai davanti
una donna sulla trentina con i capelli color miele e gli occhi color
oro; aveva
in mano una torta che sembrava essere alla frutta.
- Salve, io sono la vicina, la
signora Cullen -
- Salve io sono Isabella, Bella
Swan. E’ un gran piacere conoscerla –
- Il piacere è mio – disse la
signora sorridendo.
Inaspettatamente, la donna cambiò
espressione: il sorriso bonario che aveva mostrato divenne un ghigno
malefico
che mi fece paura.
- Mia madre non c’è… penso che
voglia conoscere anche lei -
Il suo volto si illuminò.
- Ah, sei sola? – disse, con tono
di voce diverso… viscido.
Annuì.
Lei si fece strada nell’atrio
della casa e improvvisamente… cambiò volto.
Il suo viso perfetto e amichevole
divenne il viso di un uomo giovane, molto somigliante a quello del
ragazzo che
avevo visto quel pomeriggio.
Si avvicinò e piano mi assalì,
mordendomi sul collo. Poi non sentì più nulla.
Mi
risvegliai alle prime luci dell’alba madida di sudore.
Ero
ansante, quasi come se avessi paura che quel sogno fosse vero.
“Bella,
era finto, rilassati.”
Mi
appoggiai nuovamente sul cuscino, cercando di prendere sonno ma non ci
riuscivo.
Mi veniva
sempre alla mente l’immagine della donna che diveniva quel
ragazzo di oggi… Era
così malefico e così…
assetato… sembrava volesse mangiarmi… e poi era
un…vampiro.
Ma Bella,
tu credi davvero ai sogni?
Mi girai
e rigirai nel letto ma nulla, non riuscì a riprendere sonno.
Così mi
alzai e andai accanto alla finestra per vedere fuori.
Nella
casa accanto, nella
stessa finestra
della sera prima, il ragazzo era seduto ad un piano e suonava. Anche se
non
potevo udire alcun suono, riuscivo bene a vedere le sue mani che
toccavano i
tasti di quel bellissimo pianoforte che riuscivo ad intravedere dalla
finestra
aperta del piccolo balconcino della stanza.
Aprì la
finestra e sbadigliai, ancora un po’ assonnata. Avevo voglia
di sentire sulla
pelle il venticello leggero che soffia alle prime luci
dell’alba.
Non
appena spalancai i vetri, un rumore un po’ antico si fece
sentire… si vede che
non aprivano da secoli quelle finestre!
Con mia
sorpresa, il ragazzo si voltò verso di me.
Per non
andar via, alzai gli occhi al cielo e li chiusi per continuare a fare
ciò che
ero andata a fare lì vicino, proprio per fargli percepire la
mia indifferenza.
Mi
ritirai subito perché avevo voglia di un bagno,
così mi lavai presto e scesi a
fare colazione.
Mia
madre, Phil e George stavano già attorno al piccolo tavolino
di legno della
cucina gustando una tazza di latte.
-
Buongiorno Bella – disse Phil.
- Ciao –
fece eco la mamma – dormito bene? –
Cosa le
dovevo rispondere? Meglio mentire per oggi…
-
Benissimo. - Sappiamo che non era
così ma sorvoliamo…
Presi il
mio posto a tavola ed iniziai ad inzuppare del pane nella mia tazza,
poi mamma
iniziò a dire qualcosa.
- Bella,
oggi io e Phil andiamo a fare la spesa perché non abbiamo
più nulla… Ti
dispiace stare qui da sola? – sottolineò la parola
sola.
“Bella,
ricorda che era solo un sogno…”
- ehm,
si. – dissi un po’ così.
- Sicura?
–
- Mica ho
due anni che non so stare sola! Qui si sta tranquilli, nessuno mi
disturberà.
Inoltre devo anche finire di aggiustare le nostre cosette. –
Che brava
attrice… mica le potevo dire che avevo paura di stare sola
perché la nostra
vicina (?) era una creatura non normale…
Sospirai.
Ben
presto di quanto mi aspettassi, mamma, Phil e George si alzarono e si
diressero
verso la porta principale.
- Saremo
di ritorno tra un’oretta. – Ed uscirono.
Decisi di
impiegare il tempo a fare qualcosa.
Guarda
caso il mio progetto era proprio quello di pulire il
soggiorno… e così sia.
Spolverai
i mobili ben bene e aggiustai le varie foto sui vari scaffali e misi
anche
qualche quadro alle pareti.
Poi, per
uno strano caso del destino, bussarono alla porta.
Andai
velocemente ad aprire e…
Una donna
sulla trentina mi si parò davanti.
Era
bellissima, i capelli erano color miele e gli occhi… oro.
Accanto a
lei c’era la ragazza bassina che avevo visto la sera prima.
Era molto carina,
aveva i capelli cortissimi e corvini ma stranamente, aveva anche lei
gli occhi
color oro.
- ciao –
fece la ragazza.
- Ciao –
risposi.
- Io sono
la vicina, la signora Cullen, ma puoi chiamarmi Esme. – Fece
la signora con il
sorriso sulle labbra. Sembrava proprio il mio sogno.
- Questa
è mia figlia Alice. C’è tua madre?
–
- No. Io
sono Bella comunque –
-
Piacere. – disse, con un espressione sempre pi radiosa in
volto – vi ho portato
questa torta come segno di amicizia. Sono davvero felice che finalmente
siano
venuti ad abitare dei giovani qui… I miei figli erano sempre
soli… - guardò in
alto senza sapere dove.
- Ah –
risposi perplessa.
- Bhè,
qualsiasi cosa vogliate, ci trovate qui accanto. – disse
Esme, porgendomi la
torta.
- O-okey.
Grazie mille. –
-
Salutami tua madre – fece la signora che con la ragazza di
nome Alice, pian
piano ritornò a casa sua.
Seppur
sembravano normali, quelle due donne avevano qualcosa di strano come il
ragazzo.
Mha,
meglio non pensarci e continuare la mia vita, il sogno si era
sbagliato.
Non c’è
nessun mostro o vampiro.
Così me
ne tornai dentro, finchè poche ore dopo non mi successe
qualcosa che mi fece
mettere in discussione queste mie parole.
Volevo ringraziare tutte coloro che hanno commentato il primo chap! Non
pensavo che vi potesse piace così tanto *-*
Grazie mille a kanon16 _sefiri_,
clodiina85
PenPen Clhoe gianna88,
Princesseelisil,
e a
1 - Clhoe
2 - clodiina85
3 - Giuggiolina
4 - Inuyasha__girl92
5 - isabell89
6 - kira988
7 - me stessa
8 - PenPen
9 - susy88
Che l'hanno aggiunta ai preferiti!!! Non sapete quando mi renda felice
questa cosa! *_*
Spero di non avervi deluse con questo chappy... a breve uno nuovo
perchè mi dovrò prendere pure una nuova pausa
dallo studio o_o
Spero che continuate a seguirmi, kiss a tutte :)
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Capitolo 3 *** I Cullen ***
Il gelsomino notturno
«Non avrei
saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.»
La
visione delle due donne mi lasciò perplessa: erano
incredibilmente belle ma
anche incredibilmente pallide. Erano strane… Avevano anche
gli occhi di un
colore difficile da combinare.
Mha,
magari la figlia ha preso dalla madre!
Quando
mamma tornò, le raccontai tutto e pensò che era
buona educazione ringraziare i
vicini.
Mi chiese
di andare con lei ed io accettai;
indossai uno dei migliori vestiti che avevo. Era blu
elettrico e mi
risaltava i capelli.
Ci
dirigemmo verso la casa affianco.
La mamma,
sempre euforica, bussò alla porta con vigore.
In men
che non si dica – quasi sapessero che stavamo per arrivare
– aprirono la porta.
-
Buonasera – disse la piccola Alice che avevo conosciuto
stamane, sorridendoci.
- Ciao,
sono la signora Dwyer, la vostra vicina. C’è tua
madre? – chiese Reneè sempre
in modo amichevole.
La
signora Cullen sbucò da dietro ad Alice.
- Che
piacere avervi qui – disse gentilmente – volete
entrare? -
- La
ringrazio molto – ed entrammo nella grande casa Cullen.
L’atrio
era un grande soggiorno.
Qua e
là
c’erano quadri e vasi pieni di fiori… Una casa
molto allegra insomma.
Ci
sedemmo su un divano rosso – dovrà essere stato di
seta – e Alice, che intanto
era andata via, tornò con un vassoio pieno di biscotti e
the.
- Molto
gentile – disse mamma, che aveva sempre appetito ultimamente.
La
signora sorrise, poi cominciò a fare qualche domanda a
Reneè.
- Puoi chiamarmi Esme -
- E tu
Reneè – Scoppiarono a ridere come due ragazzine.
- Cosa vi
ha spinto a venire qui? – chiese la donna, senza malizia.
-
Bhè, io
mi sono ri-sposata. Mio marito lavorava qui così ho ritenuto
giusto
trasferirmi. –
- Che
idea carina! Anche io ho fatto lo stesso per mio marito. E’
il caporeparto
dell’ospedale di New York – disse Esme lentamente.
- Ah, che
fortuna –
La mamma
non era mai stata un tipo veniale, soprattutto perché
eravamo una famiglia di
estrazione proletaria, ma la vidi un po’ in
difficoltà. Che sognasse anche lei
un marito ricco? No!
Iniziarono
a parlare del più e del meno.
Dei
luoghi di ricreazione della città, delle feste
nazionali… Cose da donne della
loro età.
Io
iniziai invece a guardarmi attorno.
Notai che
la piccola Alice se n’era nuovamente andata e che eravamo
sole.
Da dove
ero seduta riuscivo a vedere la cucina. Era vuota, quasi sfornita. Magari i Cullen visto che
erano così ricchi
andavano a cenare nei migliori ristoranti della città a
pranzo e a cena…
Non so
cosa c’era nel the, ma ad un certo punto mi venne lo stimolo
di andare in
bagno.
- Mi
scusi signora… Non è che potrebbe indicarmi il
bagno? – chiesi, arrossendo.
- Cara
Sali le scale e lo troverai al piano di sopra – rispose
sempre sorridente.
Mi
diressi su.
Il
corridoio era ancora più lungo e grande del soggiorno,
sarà stato quasi come un
labirinto.
C’erano
tante porte, non sapevo quale scegliere.
Alla fine
optai per la prima che mi si parò davanti andando un
po’ a destra e la aprì.
Non avrei
mai dovuto farlo.
Quando
aprì quella porta, mi ritrovai davanti il peggiore dei miei
incubi. O quasi.
Era lui,
bellissimo e pallido come sempre, che non appena girai la maniglia mi
fissò
come se avesse paura di me. No, che dico, come se i odiasse. Forse
quella che
aveva paura ero io.
Aveva
un’espressione famelica, quasi voleva mangiarmi.
Lo vidi
stringere forte il cd che aveva in mano… Probabilmente lo
avevo disturbato ed
era arrabbiato ma…
No riuscivo a
richiudere la porta e ad andarmene.
Sembrava
quasi che i suoi occhi incatenassero la mia forza di
volontà, quasi come se lui
potesse controllarmi.
All’improvviso,
una mano fredda mi toccò, chiudendo la porta della stanza.
- Oh,
scusami, vuoi una mano? – Era Alice.
- Ah. Si
– Non i ricordavo più chi ero e cosa dovevo fare.
- il
bagno è di là – mi disse, indicandomi
una porta in fondo al corridoio.
Annuì
e
mi diressi di corsa lì.
Non
appena uscì, dopo un po’ di tempo, trovai Alice
che mi aspettava vicino alla
scala che portava al piano terra.
- Che
cosa carina che tu sia venuta qui -
-
Già –
dissi un po’ triste.
-
Bella…
Se vuoi parlare puoi dirmi tutto – mi disse, quasi come se
conoscesse i miei
problemi e sapesse perché ero giù.
-
G-grazie. –
-
Davvero, non esitare! Potremmo diventare buoni amiche! -
Sorrisi.
Era davvero così pallida a vederla meglio…
- Su,
dimmi cosa ti tiene sulle spine! – guardò in alto
– E’ forse mio fratello? -
- Tuo
fratello, chi? – Ero un po’ rimbambita dalla
splendida figura che avevo visto
poco prima.
Iniziò
a
ridere.
- Ma
come! Quello che hai visto prima quando hai sbagliato la
porta… -
- Ah si
–
feci la finta tonta.
Non
è che
volevo fargli una proposta di matrimonio o cosa, non sarei nemmeno
stata
all’altezza di essere sua amica. Era troppo.
Si, era
troppo da mozzare il fiato.
Alice
restava in silenzio come me, era una cosa davvero imbarazzante.
-
Comunque non crucciarti, - riprese – non si è
arrabbiato. E’ solo pensieroso
per delle cose… -
Sulla
parola “cose” sentii un rumore quasi assordante,
come qualcosa che cadeva per
terra.
Che ci
stesse sentendo?
- Ah
–
feci, nuovamente per non farle capire il mio interessamento.
- Uff,
devi già andare. –
- Come?
–
Non feci
in tempo a terminare la frase che sentii la voce di Reneè
che mi chiamava.
- Ci
vediamo domani, vuoi? -
-
C-certo. – risposi piano.
- Ciao!
–
Corse via e mi baciò sulla guancia. Un po’
insolito, ma chi sa.
Io e
mamma tornammo a casa alla nostra routine quotidiana.
Tutto il
tempo che siamo stati a tavola per la cena non la smetteva di parlare
della
signora Cullen o Esme…
“Esme
è
sposata con un dottore! Capisci, con un dottore! Ha adottato cinque
figli… Che
gente per bene…” e roba del genere. La solita roba
che si racconta dei vicini.
Ma sarà stato davvero così?
Dopo la
cena mi diressi nella mia stanza.
Stavolta,
senza accedere alcuna lampadina, mi affacciai fuori per vedere se
qualcosa era
cambiato.
Nulla.
Le
finestre di casa Cullen – tutte – erano chiuse e
non c’era nessuna luce accesa.
Era
tardi, di sicuro saranno tutti andati a dormire, dissi a me stessa.
Poi fui
attratta da qualcosa che proveniva dall’oscurità
del giardino della casa
affianco…
C’erano
delle figure che si muovevano… Non riuscivo a capire bene
chi fossero e nemmeno
se fossero persone o animali.
Poi lo
vidi: bello da far paura, pelle totalmente priva di colore…
Il fratello di
Alice.
Aveva una
lampada in mano per far luce, ed insieme a lui notai anche altre
persone…
magari gli altri figli ed il dottore chi lo sa…
Fin qui
tutto normale.
A parte
che era l’una passata, era una semplice famiglia che voleva
godersi il fresco
della notte nel proprio giardino.
Poi, come
se un vento forte potesse muoverli dalla loro posizione, iniziai a non
vederli
più.
Uno
correva a destra rincorso da qualcun altro e si passavano qualcosa.
Tutto
normale se si fossero mossi ad una velocità normale.
Andavano come furie!
Mi
strofinai gli occhi più e più volte
perché pensavo di essere una sonnambula, ma
nulla, era lo stesso!
Le figure
correvano nella notte come le saette nel cielo. Ridevano e correvano.
Improvvisamente,
tutto tornò normale.
In
lontananza,
illuminati dalla lampada, vedevo Alice suo fratello parlarsi.
Alice si
girò nella mia direzione, quasi mi stesse osservando, che
sapesse che ero lì.
Anche suo
fratello si voltò verso di me.
Li vidi
avvicinarsi agli altri e dire qualcosa, poi la luce fu spenta.
ehiiiii!
scusate se ho postato un po' in ritardo ma sono sotto esame e quindi
non ho avuto il tempo materiale di scrivere su pc - scrivevo sul cell,
pensate! XD -
Inanzitutto
volevo ringraziare tutti coloro che hanno commentato e che hanno
aggiunto la storia ai preferiti! Un grazie enorme! :*
Spero
anche questo chap vi piaccia... a presto! ;) Yuna
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Capitolo 4 *** Alaska ***
Quella
fu la seconda cosa strana che accadde da quando ero a New York.
Stranamente era accaduta alle stesse persone. Le stesse che avevo visto
nel mio sogno comportarsi in modo strano.
Due mattine dopo l'accaduto, mentre ero intenta a dare una ripulita
alla mia stanza, una voce piuttosto alta mi giunse alle orecchie.
- Non provare a fermarmi - diceva la voce, di un ragazzo.
- Ragiona! Lo sai meglio di me che se ho visto... -
- No! Non è detto che sia vero! -
Mi affacciai alla finestra del soggiorno - ero intanto scesa
giù per capire meglio, anche se immaginavo la provenienza di
quelle parole. Erano Alice e suo fratello.
Lui era considerevolmente arrabbiato, furioso, direi, mentre lei era
molto dispiaciuta.
Improvvisamente salì in macchina mentre Alice cercava di
farlo tornare indietro. Quando si fu allontanato troppo, Alice cadde in
ginocchio sul terreno.
Un'altra figura - più alta e muscolosa del fratello di Alice
- uscì velocemente dalla casa e si inginocchiò
accanto a lei. Le poggiò una mano sulla spalla e
avvicinò la testa alla sua.
- Se n'è andato, non capisce - disse Alice, molto
dispiaciuta.
- Secondo me tornerà presto, lo fa sempre -
- Jazz, sei davvero sicuro? E se lo facesse tra vent'anni? Lei potrebbe
anche sposarsi con un altro, lo sai... Questa è la sua
occasione, ne sono sicura. -
- Sai dov'è diretto? -
- Vuole andare da Tanya -
I due si guardarono con un'espressione perplessa. Alice sembrava
rassegnata.
Il ragazzo le si avvicinò e le baciò la fronte,
poi l'aiutò ad alzarsi.
- Tornerà, lo sai. - Le sorrise. Entrambi tornarono in casa.
"Se n'è andato, Bella. Andato. Starai più
tranquilla, adesso, senza quegli strani sguardi?" Non sapevo cosa
rispondere a questa domanda, inizialmente, ma poi mi decisi.
"Sì, lo sarò."
Mi ero bloccata davanti alla finestra, guardando ancora la grande casa
accanto alla mia, che non mi accorsi di George che mi picchiettava con
il dito sulla spalla.
- Bella? -
- George? Che vuoi? - Diciamo che non mi era tanto simpatico, e nemmeno
io lo ero, a lui.
- Ti ho vista immobile e ho pensato che fossi un vampiro - Quella
risposta, seppur tanto stupida, mi fece sorridere. Non era da George
dire cose del genere.
- Vampiro? -
- Sì, come i vicini... Non sbattevi le palpebre -
La risposta mi fece di nuovo sorridere.
- George, non farmi ridere, dai -
- Ma è vero! Ho visto il tuo sguardo... Sembra tanto quello
di quel ragazzo e dei suoi fratelli... Spesso lo osservo dalla finestra
della mia stanza... Guarda un punto indefinito e non sbatte mai le
palpebre... -
- George. Non ho bisogno delle tue storie. Leggere troppo Dracula ti ha
dato al cervello... -
George scosse la testa. - Davvero non mi credi? Te lo assicuro,
è tutto vero. Ho visto con i miei occhi... Giocano anche a
baseball in una velocità assurda -
- Sì, come no - Tradii la verità nelle mie stesse
parole. Era davvero come aveva detto George. Li avevo visti "giocare"
anche io. Erano incredibilmente veloci... E strani. Inoltre, non appena
mi ero affacciata alla finestra, se ne sono subito andati. Inoltre,
avevo fatto un sogno l'altro giorno, prima di conoscere Esme ed
Alice...
Mi diressi al piano di sopra, per continuare a fare ciò che
facevo prima.
La finestra era spalancata, e improvvisamente soffiava un vento
piuttosto forte tanto che uno dei due vetri sbatteva insistentemente
contro il davanzale. La chiusi, e mi accorsi di non essere sola.
Quando mi avvicinai, una persona nell'altra casa mi notò e
mi salutò agitando la mano. Alice.
Aveva un largo sorriso stampato in volto, al contrario di quello che
aveva prima, quando suo fratello se n'era andato via.
- Come stai? - urlò.
- Tutto bene - Dissi, sollevata.
- Mi fa piacere! Oggi posso passare da te? -
Annuii. Semmai potevo fare qualcosa.
- Alle cinque, allora - e se ne andò.
Chi sa perchè aveva così tanta urgenza di venirmi
a trovare.
All'ora stabilita, Alice bussò alla porta con un colpo secco
ma forte che mi fece sobbalzare.
La stavo aspettando in salotto.
Quando entrò in casa, sembrava danzare, lenta e graziosa
allo stesso tempo.
- Oh, Bella! - disse, gettandomi le braccia al collo - Stai benissimo -
- Ehm, grazie - risposi, meravigliata dalla tanta confidenza che si
prendeva in così poco tempo di conoscenza. Non era male
questa cosa, a dire il vero, perchè avevo trovato una amica.
Penso.
La feci accomodare sul divano.
- Tu come stai? - chiesi, giusto per parlare.
- E' di questo che ti sono venuta a parlare... - mi disse, abbassando
gli occhi e prendendomi le mani.
- Ti ascolto - le risposi, ignara di ciò che mi stava per
chiedere.
- Bhè... Bella... Visto che ci sono le vacanze... Mi
chiedevo, se tu... -
- Oh. - Fu l'unica cosa che riuscii a dire. Voleva che andassi in
vacanza con lei. Quasi come se fossimo vecchie amiche.
- Non sarà male, suvvia. E' già tutto pagato...
Dovevo andarci con mia sorella Rose, però lei ha degli
impegni che non può proprio prorogare... Si deve sposare con
mio fratello Emmett e... -
- Alice. Penso che... Mia madre non mi farà venire - dissi,
sospirando.
- Uhm... penso invece che dirà di sì. Per
favore... Mi sento un po' triste ultimamente, ho bisogno di un
viaggetto... - Abbassò gli occhi quasi come se volesse
mettersi a piangere.
- E... Va bene. Farò il possibile, lo giuro.
Verrò con te, ma mi lascerai pagare la mia parte -
Subito il suo sguardo cambiò, divenne solare, raggiante. Si
alzò in piedi e mi prese le mani, inizando a saltare. I suoi
palmi erano gelati.
- Evviva! Vedrai che non te ne pentirai - disse, mentre rideva. Mi
chiedevo perchè.
Stavo quasi per cadere, mentre Alice saltava allegramente. Cercai di
fermarla, ma non riuscivo a fare pressione sulle sue braccia. Erano
dure come il ferro.
Mentre lei gioiva, entrò George nella stanza.
Lo guardai negli occhi, fisso, e gli feci una linguaccia di
sfottò.
Improvvisamente Alice si fermò, e stranamente
salutò il mio fratellastro.
- Ciao - disse.
- Eh... Ciao - rispose lui freddamente.
Si scambiarono un intenso sguardo, non sapevo dire se dentro c'era
amore o odio, visto che non si conoscevano, però intravidi
un po' di astio nei confronti di George.
Si voltò per andare in cucina e disse sottovoce - Succhia...
- chi sa quale sarebbe stato il continuo di quella frase.
- Alice... - sussurrai, curiosa di sapere quale sarebbe stata la meta
del nostro viaggio. Ero sicura al 70% che sarebbe stato qualcosa che
aveva a che fare con le navi... Forse una crociera costa a costa?
- Lo so, lo so. Adesso ti dico subito dove andiamo - mi rispose sempre
sorridente - sei curiosa? -
Annuii, piegando la testa in avanti.
- Ecco, avevo pensato ad una cosa un po' insolita... Visto che
estate... Ho pensato ad un bel viaggio in Alaska per rinfrescarci! -
- Alaska?! Ma... Ci saranno minimo dei gradi sotto zero! - Gridai,
perplessa.
- E che saranno mai! Hai l'abbigliamento adatto? -
- No, non credo proprio... Penso che dovrò restare qui, mi
dispiace -
- Non se ne parla proprio - disse, sempre lo stesso sorriso stampato
sul viso. Mi nascondeva qualcosa... - Io ho tantissimi vestiti per la
neve... Te ne posso dare qualcuno! -
- Alice... -
- No, per favore. Non accetto scuse, okey? -
Mi piegai al suo volere, anche se mi dispiaceva non poter ripagare
tutto ciò che stava facendo per me. Il viaggio, ad esempio,
ed anche i vestiti. Le sarei stata grata a vita per quest'occasione.
Avrei voluto tanto fare un viaggio - che non fosse quello da Phoenix a
New York - quest'estate, per svagarmi un po'. Le possibilità
economiche non c'erano, era troppo il costo di una carrozza per
arrivare al molo e prendere la nave e poi, arrivata alla costa,
prendere il treno per andare da qualche altre parte in questo grande
continente.
La sera stessa che Alice mi fece la proposta, io gliela girai a mia
madre.
Ero convinta che non mi avrebbe fatto andare per un motivo o un altro,
ma, con mia meraviglia, mi disse di sì. Le parole magiche
furono "Alice mi ha chiesto...". Mia madre stravedeva totalmente per
Alice, anche se la conosceva ancora meno di me. Aveva detto che si
fidava di lei perchè sua madre Esme le era sembrata davvero
una donna affidabile.
La partenza era stata fissata per il giorno successivo, Alice aveva
detto che i biglietti del treno per l'Alaska valevano solo per pochi
giorni, così dovevamo muoverci a partire.
Salutai mamma calorosamente, mi sarebbe mancata per le prossime due
settimane in cui sarei stata sommersa dalla neve dell'Alaska.
Alice mi aspettava giù sempre con lo stesso sorriso di ieri,
quando mi vide mi abbracciò.
Insieme a lei c'era un uomo, alto, biondo e molto molto bello.
Probabilmente era l'Emmett che aveva nominato nel pomeriggio, o era suo
padre adottivo.
- Hey, Bella - disse Alice, - vorrei presentarti Carlisle. E' mio padre
adottivo -
Carlisle mi porse la mano, che strinsi. Anche la sua era molto fredda.
- Piacere mio, Bella. Vi accompagnerò con la macchina fino
al molo... Da lì dovrete prendere il treno -
- Grazie - risposi.
Il viaggio fu molto lungo, più di quello che feci per
arrivare a New York da Phoenix.
Alice aveva dei biglietti per dei treni di lusso, però,
quindi non viaggiammo ad una velocità lenta, ma
ciò che costò la lunghezza del viaggio fu solo la
distanza considerevole che c'era tra New York e Denali. Alice mi aveva
detto che quella sarebbe stata la città in cui saremmo
state. Quella era la capitale, ed era anche quella con più
attrattive. C'era un parco enorme con molti animali, tramonti
bellissimi e tante librerie.
Aveva detto, inoltre, che saremmo state da alcune sue cugine, ma prima
avremmo soggiornato in un albergo in centro, poichè lei
doveva avvisarle del nostro arrivo.
Ci volle quasi un giorno per arrivare a Denali.
- Tra un po' andiamo da mia cugina - disse Alice, - l'ho avvisata via
telegramma mentre tu dormivi nel treno -
- Ah, quindi adesso stiamo andando da lei? -
- Sì - rispose Alice sogghignando - vedrai che ti divertirai
-
Eravamo in un automobile, e stavamo andando verso la periferia, dato
che la cugina dei Cullen viveva accanto alla foresta.
La macchina procedeva lenta, dato che il massimo che poteva fare era 20
Km/h, ma ben presto, quando ormai erano le due o tre di notte,
arrivammo a destinazione.
Alice mi picchiettò con il dito sulla spalla, pensando che
stessi dormendo, e uscimmo nell'oscurità e ci dirigemmo
verso la grande casa davanti a noi.
- Vedrai che Tanya ti piacerà -
- Non ne dubito - risposi - se è come te -
- Più o meno - sogghignò.
Bussò alla porta. La cugina di Alice, "Tanya", non si fece
attendere.
Dietro la porta mi aspettavo una ragazza bruna con gli occhi scuri,
invece ci si parò davanti una ragazza magra ed alta, con i
capelli di un biondo fragola accacante e gli occhi color caramello come
Alice. Ci sorrideva, e potevo dedurre che era contenta di vederci.
- Alice, che piacere vederti -
- Ciao, Tanya. Questa è Bella, una mia amica -
- Che piacere, Bella - disse Tanya sorridendomi, - Entrate, prego -
- Ehm, penso che Bella abbia un po' di sonno - disse Alice, abbassando
improvvisamente la voce.
- Certamente, adesso la accompagno in una stanza di sopra -
Camminavamo verso il soggiorno, immagino, perchè Alice
parlava di un divano sul quale sedersi per parlare di alcune cose con
Tanya, che sentii i passi nervosi di qualcuno.
Immaginai che ci fosse qualcun'altro in casa, magari qualche altra
cugina o cugino, e invece fui spodestata da chi realmente era la
persona che forse furiosa, veniva verso di noi.
Si fermò a una decina di passi da noi, fulminando Alice
negli occhi.
- Voi iniziate ad andare - ci intimò Alice, così
io e Tanya salimmo una rampa di scale ed arrivammo al piano superiore.
La ragazza mi mostrò una stanza e mi disse che potevo fare
ciò che volevo, e se avevo fame potevo semplicemente
scendere in cucina e farmi uno spuntino.
Anche se ero al primo piano, sentivo perfettamente ciò che
Alice e suo fratello si stavano dicendo.
- Fammi spiegare - disse lei, cercando di giustificarsi - è
solo un viaggio -
- Tu... Tu... Io... Dannazione! - Urlò il fratello di Alice.
Non sapevo ancora il suo nome...
- Edward, calmati. Sai perchè l'ho fatto... Fammi provare! -
Eccolo, il suo nome. Edward.
- Alice... Sai che... Potrebbe... -
- Almeno per queste due settimane, no. E ne sono sicura -
- Ne.sei.sicura? Ma ragioni, Alice? Ti ho spiegato mille volte che non
riesco ancora a sopportarlo... Potrei perdere il controllo
all'improvviso e tu, cosa fai? Porti proprio la cosa che mi
può far succedere tutto questo -
"La cosa" ero... io? Non ne avevo idea. L'unica cosa che sapevo era che
non appena mi aveva vista, era diventato furioso. Forse mio odiava. No,
niente forse. E' sicuro che mi odiava.
Mi stesi sul letto e cercai di dormire, sperando che il giorno dopo non
l'avrei visto. Se davvero mi odiava così tanto da chiamarmi
in quel modo, non avevo la minima voglia di vederlo.
Parlavano troppo forte.
- Edward, per favore, prova... -
Sentii un sospiro forte - Ci... proverò. Ma se va male...
Sarà colpa tua -
- Non andrà male -
- Ragazzi, abbassate la voce, starà dormendo - disse Tanya.
- Giusto. E tu non andare via, fratello - disse Alice, forse ridendo -
Che devi cercare di conoscerla meglio -
Nessuno rispose. Nessuno parlò più.
Ma, ci avrei giurato, dopo alcuni minuti, o forse ore, qualcuno
entrò nella mia stanza e ci rimase per molto molto tempo.
Improvvisamente, sprofondai nel sonno.
Quella notte, rifeci nuovamente uno strano sogno, e Edward ne faceva
parte.
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Capitolo 5 *** Biblioteca ***
Ero in una grossa radura
innevata, ed era quasi sera.
Non era ancora buio,
dato che eravamo in estate, ma faceva freddo. Ero sola.
Mi guardai attorno. Ero
circondata da alti pini che non mi permettevano di vedere bene oltre
l'orizzonte.
Sentivo i cinguettii
degli uccelli e i rumori delle zampe degli animali sul terrenno
innevato, unici suoni in quel luogo così desolato. Mi alzai
da terra e feci pochi passi.
Mi bloccai subito.
Davanti a me, a pochi
metri, c'era lui. Non un lui normale, c'era Edward Cullen.
Guardava davanti a
sè, era quasi di spalle che riuscii a stento a riconoscerlo.
Stringeva i pugni.
Sentii nuovamente dei
passi sul terreno. Un cervo, non molto grande, entrò nella
radura da dietro gli alberi, dirigendosi verso Edward. Lui era ancora
immobile, che guardava dalla parte opposta alla mia, senza quasi
respirare.
Poi, come se quasi
avesse avuto le ali sotto ai piedi, si gettò sul cervo,
intrappolandolo.
Rimasi basita dalla
vista, che non mi mossi da dov'ero.
Edward era sul cervo
e... Era attaccato al suo collo, dove... succhiava il sangue.
Sembrava davvero avido
di quel liquido rosso che adesso ricopriva tutto il corpo del povero
animale, che, non appena smise di bere, si voltò subito alla
ricerca di un'altra preda.
Mi fissò
negli occhi, sul volto un'espressione strana... Confusa. Forse non
sapeva cosa fare.
Si portò le
mani alle tempie e chiuse gli occhi, sul volto un'espressione affranta.
Poi, così
com'era arrivato, scomparì dietro gli alberi.
Mi svegliai di colpo, ed era già mattina.
Mi tastai piano le tempie con la mano, erano madide di sudore. Che
strano, quel sogno sembrava tanto vero quanto solo il frutto della mia
fantasia. Mi affacciai alla finestra: pioveva a dirotto.
Decisi di vestirmi e di andare da Alice, chi sa quali strane cose
avrebbe programmato da fare per passare la giornata... Scesi le scale e
la cercai per tutta la casa. Di lei nessuna traccia.
Pensai che forse era in bagno o nella sua stanza, ma bussai molte volte
in entrambe senza avere risposta. Andai infine in cucina. Sentivo lo
stomaco brontolare e avevo proprio bisogno di qualcosa da mettere sotto
ai denti... Sembrava che non mangiassi da tanto... Eppure era solo
mattina.
Guardai il grande orologio a pendolo della cucina. Non era mattina.
Segnava le 16,30 del pomeriggio. "Oh, mamma", pensai.
Poi vidi un biglietto bianco piegato in quattro parti. Non l'avevo
notato prima, e mi chiesi perchè.
Solo poche parole.
"Bella, se hai fame puoi servirti da sola. Io sono andata a fare alcune
cose con Tanya e sua sorella Kate, e non volevo svegliarti, dormivi
così bene! Fai pure un giro per la casa, so che ti piace
leggere e c'è una biblioteca ben fornita al piano di sopra!
Dagli un'occhiata! Tornerò presto, divertiti!"
Decisi di fare come mi aveva suggerito. Mi preparai un po' di pane con
le patate, giusto per mangiare qualcosa e per risollevarmi un po'.
Denali - almeno ciò che avevo visto finora - era davvero una
città carina, ed anche molto accogliente. Mi aspettavo che
facesse freddo, invece c'erano solo 15 gradi o giù di
lì.
Quando terminai il mio spuntino, seguii di nuovo il consiglio di Alice.
Era vero che amavo la lettura, ed era vero anche che mi stavo annoiando
perchè non sapevo cosa fare, così decisi di
andare in questa fantomatica biblioteca che c'era a casa di Tanya.
Almeno così avrei ingannato un po' il tempo.
Non sapevo bene dove si trovasse la stanza, ma Alice aveva detto "al
piano di sopra", così salii le tre rampe di scale fino ad
arrivare all'ultimo piano e capii di aver seguito la strada giusta.
Su una porta di legno scuro, c'era la scritta "biblioteca".
"Bingo!", pensai, mentre aprii la porta.
La stanza era considerevolemente enorme, c'erano tanti scaffali in
legno che contenevano quelli che sembravano essere centinaia di libri.
Mi avvicinai al primo scaffale... Tutti i volumi di Shakespeare
rilegati finemente e sicuramente antichi... Poi Swift, E. A. Poe, e
molti altri autori del tempo e anche alcuni più vecchi.
- Che fortuna - dissi tra me e me, nella mia solitudine.
Feci altri passi, ed ammirai gli altri libri sugli innumerevoli
scaffali; erano davvero troppi, come grande era la stanza. Poi trovai i
miei preferiti.
Orgoglio e Pregiudizio, Cime Tempestose, Ragione e Sentimento... Erano
nuovissimi. Contemplai le copertine e le pagine all'interno. Avevo
potuto leggere quei libri solo perchè me li aveva prestati
una mia zia che era molto facoltosa. Beata lei che poteva permettersi
tutti questi libri...
Mi voltai e iniziai a sfogliare le pagine di Cime Tempestose, leggendo
stralci di periodi che mi avevano affascinata quando l'avevo letto la
prima volta. Me lo sarei divorata di nuovo.
Iniziai a camminare, con il sorriso sulle labbra. Ero felice di poter
passare del tempo così.
- Cime Tempestose? - disse una voce maschile. Capii subito di chi era.
Era l'unico ragazzo di quella casa...
- Sì, è davvero un bel libro. O meglio, penso che
se lo si apprezzi lo è. - risposi per le rime, alzando lo
sguardo e guardando Edward fisso negli occhi. Non potevo dire di stare
a mio agio guardandolo, poichè, come quando l'avevo visto a
casa Cullen, sembrava che il suo sguardo mi incatenasse e non mi
permettesse di fare cose coerenti.
- Sono punti di vista. A mio parere c'è troppo odio tra i
due protagonisti... Sono forse troppo egoisti e vendicativi
per capire che ciò che conta davvero sia l'amore che provano
l'un l'altra... - mi disse, con un tono saccente. Il suo sguardo era
illegibile. Sembrava arrabbiato ma anche triste, o addirittura
affranto, come nel sogno di stanotte. Ma, soprattutto,
perchè mi parlava? Avevo capito che mi odiava, o no? Era un
modo per vedere se ero all'altezza di parlare con lui?
- Penso invece che Heathcliff sia un personaggio molto profondo. E'
solo incompreso... -
- Se la pensi così... Io non sono d'accordo... -
- A ognuno piacciono cose diverse. Non si può amare tutto
nella vita - gli risposi, un tono acido nelle mie parole. Naturalmente
quel "non si può amare tutto nella vita" era riferito a lui.
Non avevo niente di male contro di lui, ma forse lui contro di me,
sì. Volevo vedere cosa avrebbe risposto. Aveva capito
l'ironia dietro le mie parole?
- Oppure si può amare qualcosa ma non poterla avere, non
trovi? Proprio come Heathcliff. Ama follemente la sua Cathy ma non
può averla perchè lei non lo ritiene all'altezza.
O forse perchè è solo masochista,
perchè non prova a riprendersela. Stupido, vero? -
Aveva raggirato la domanda, oppure era una risposta alla mia
affermazione nascosta? Non ne avevo idea. Parlava in un modo
così criptico... Era troppo difficile da comprendere. Le sue
parole mi suonavano come un rebus, come un'allusione alla sua
situazione, ma più di tanto non ci pensai.
Vidi tuttavia i suoi muscoli rilassarsi, la sua espressione farsi meno
tesa. Forse si stava ricredendo sul mio conto... O forse stava solo
pensando ad altro di più divertente.
- Sì, davvero stupido. - Nella parola "stupido" c'era un
senso. Quella parola era realmente diretta a lui. Perchè si
dimostrava tanto distaccato nei miei confronti? Cosa gli avevo fatto?
Non rispose a quell'affermazione.
Mi diressi, con il libro in mano, verso l'unico divano della stanza,
dove Edward era già seduto con il suo libro tra le mani.
Cercai di leggere il titolo del libro. Era La Tempesta di W.
Shakespeare.
Mi sedetti accanto a lui, il più lontano possibile, oserei,
visto che tra di noi non c'era molta confidenza. E poi non pensavo che
il suo astio verso di me sarebbe finito con quelle due parole scambiate
solo perchè ci eravamo incontrati per caso nella stessa
stanza.
Accavallai le gambe, ed iniziai a leggere. Edward sembrò
irrigidirsi, ma tuttavia non si mosse.
Non si mosse nemmeno per tutti i minuti e forse ore successive che
trascorsi lì a leggere.
Fu immerso nella sua lettura e non mi chiese più nulla di
nulla. Improvvisamente, si alzò dopo tanto tempo, chiudendo
il suo libro e tirando un sospiro.
Pensavo che adesso se ne sarebbe andato, dato che molto probabilmente
aveva finito di leggere il suo libro, ma al contrario si diresse verso
un grosso piano a coda che si trovava in fondo alla stanza. Prima non
ci avevo fatto caso.
Vidi i movimenti di Edward. Si sedette sullo sgabello foderato di raso
rosso e cominciò ad intonare una melodia a me sconosciuta.
Almeno, erano sconosciute le prime note. Poi, la riconobbi.
Era di sicuro Claire de Lune, di Debussy. Amavo quella composizione.
Mentre suonava continuavo a leggere, e tutto sembrava così
leggero...
Quando finì quella melodia, ne intonò subito
un'altra e un'altra ancora... Una più bella dell'altra, le
perfette imitazioni delle composizioni di Mozart, Chopin e dei
più grandi musicisti fino ad ora.
Non si voltò mai una volta verso di me, che gli lanciavo
sguardi ogni tanto, tra una pagina ed un'altra. Era davvero bello, ed
era ricco. Dopotutto, non era così male.
Forse, il fatto che era rimasto significava che gli piaceva la mia
compagnia... Ma poteva anche significare che, visto che Alice e le
altre erano fuori, si stancava di stare solo. Oppure può
darsi che restava per suonare. Non ne avevo idea.
Sta di fatto che, senza accorgermene, mi addormentai, cullata dalla
musica.
Mi risvegliai poco dopo, immagino, quando qualcosa di gelato mi
toccò. Sembrava un muro di marmo, tanto che pensai di
essermi tanto rigirata sul divano da essere caduta per terra e di stare
con la faccia sul pavimento freddo della biblioteca.
E invece mi sbagliai. Guardai in basso, e vidi una mano che mi cingeva
la vita, ed una altra poco vicino che mi teneva le gambe. Ero tra le
braccia di qualcuno. Alzai la sguardo, forse consapevole di conoscere
l'identità della persona che mi portava in braccio, dato che
forse era l'unica che poteva farlo. Incontrai i suoi occhi topazio. Mi
guardava con occhi vigili, seri, che mi trasmettevano nervosismo. Forse
non voleva portarmi a letto ma era stato costretto a farlo.
Mi scappò uno sbadiglio.
- Hai fame? - mi chiese.
- Si... Shi... - di nuovo uno sbadiglio. Chi sa che ore erano. - Che
ore sono? - gli chiesi.
- Sono le nove - rispose molto secco e indifferente.
- Ho dormito molto? -
- Circa tre ore -
- Ah. C'è Alice? -
- No, non è ancora tornata - disse, sospirando. Era davvero
scocciato.
Ci stavamo dirigendo verso la mia stanza, lo capii dai quadri sulla
parete, anche se conoscevo la casa da troppo poco per ricordare ogni
minimo particolare.
Mi poggiò delicatamente sul letto e si voltò per
andarsene.
- Edward... - lo chiamai. Faceva davvero uno strano effetto prununciare
il suo nome, dato che in un certo senso, non ci eravamo mai presentati
ufficialmente.
Si girò piano, sul suo volto mille emozioni diverse.
Tuttavia non rispose, stava aspettando.
- Grazie - gli dissi, per fargli capire che era stato carino con me...
Almeno una volta, da quando c'eravamo visti una settimana fa. Quando
ero arrivata a New York.
Nuovamente non mi rispose. La sua espressione divenne più
dura, più rude, e molto enigmatica, quasi come se si
pentisse di avermi portata fin qui. Uscì dalla stanza senza
fare troppo rumore e si chiuse la porta dietro di sè.
Adesso non avevo più sonno. Restai sul mio letto a fissare
il soffitto sopra di me.
Era davvero una noia mortale, ma poi mi accorsi che sul comodino c'era
qualcosa. Non credevo che potesse essere proprio quello, ma quando lo
toccai ne fui certa. Era il libro che leggevo in biblioteca. Immaginai
che Edward l'avesse portato qui per non farmi annoiare, ma poi ritrassi
il pensiero. E perchè l'avrebbe dovuto fare? Dopotutto mi
odiava, oppure no?
La risposta giunse veloce alle mie orecchie come un fulmine in un
temporale.
Alice, Tanya e Kate erano tornate, avevo sentito che avevano salutato
Edward, ma lui non aveva risposto, come sempre.
- Kate, Tanya, scusate... Potete lasciarci soli? - chiese con mia
grande sorpresa Edward qualche minuto dopo. Non sentii alcuna risposta,
così dedussi che Edward era rimasto solo con Alice.
- Allora? - gli chiese lei.
- Allora... Niente. -
- Non fare il superficiale come al solito, caro fratello... Io so tutto
- disse Alice, sottolineando l'ultima parola della frase.
- Sì sì, lo so. -
- Ti sei divertito? -
- Stai andando troppo nel personale, ferma i tuoi pensieri... Non
è stato niente di tutto quello che stai immaginando -
- Oh, ma come sei! Un giorno morirai per la troppa chiusura. Apriti,
Edward! Questa occasione è perfetta! -
- Sì, perfetta. E' stato un bene che abbia chiuso le narici -
"E' stato un bene che abbia chiuso le narici"... Qualcuno mi dice che
si riferisce proprio a me. Adesso puzzavo anche? Sì, Bella.
Ti odia. E pure tanto! Forse è per questo che ha fatto
quella faccia prima, quando stavi tra le sue braccia. "Allora, cosa
farai?" Nulla, non farò nulla. Se le mie teorie sono vere,
me ne vado. O almeno cerco di evitarlo. "Brava", disse la voce nella
mia testa.
- Come ti odio! Dimmi la verità! -
- Vuoi la verità? Ebbene... Non è tanto difficile
come sembra -
- Ecco, questo è quello che ti volevo sentir dire! E domani,
lo rifarai! -
- Eh? Ma vuoi pilotare tutte le mie relazioni? -
- Sì. Perchè tu non ne sei capace. -
- Ah, sì. Perchè tu sai tutto -
- Sì. Se non fossi venuta qui... Tu non sai... Tanya -
- Tanya? E lei che centra? -
- Guarda un po'... Impegnati con Bella. So che ce la puoi fare -
- Sì, ci proverò... Ho visto che... -
Non riuscii ad ascoltare il resto perchè per mia sfortuna,
il sonno prese il sopravvento su di me, ma, ne sono sicura, forse un
barlume di speranza c'era.
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