Il Gelsomino Notturno

di Yuna Shinoda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 New York ***
Capitolo 2: *** 2.2 I vicini ***
Capitolo 3: *** I Cullen ***
Capitolo 4: *** Alaska ***
Capitolo 5: *** Biblioteca ***



Capitolo 1
*** 1.1 New York ***



Il gelsomino notturno

«Non avrei saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.»

Era il luglio del 1890, quando mia madre ed io stavamo viaggiando verso New York con il treno, nelle prime luci dell’alba.
- Svegliati presto, Bella – mi aveva detto la sera prima – domani partiamo all’alba e ci tengo che durante il viaggio tu non ti stanchi. -
Detto fatto.
Questa mattina ero più sveglia che mai, pensate che non ero neanche inciampata nel tappeto anche se tutte le luci erano spente e da fuori alla finestra si notavano solo pochi raggi di sole.
Il treno era confortevole e caldo, anche se un po’ asfissiava, dato che fuori c’erano 40 gradi all’ombra.
Il nostro viaggio durò circa 12 ore; prima abitavamo a Phoenix, in Florida, ma la casa era diventata troppo piccola per noi due visto che mia madre si era risposata con un altro uomo, Phil, che aveva già un figlio a carico e che, guarda caso, abitava a New York.
Così ho dovuto rinunciare a tutte le già poche amicizie che avevo lì e ho dovuto impacchettare tutta la mia roba per un luogo che non avevo mai visto.
Non eravamo molto ricchi, così nella mia vita fino ad allora avevo fatto solo un viaggio, che era per altro andato anche un po’ male ma non vorrei ricordarlo proprio adesso.
Phil e suo figlio, George, ci aspettavano sull’isola di Manhattan per condurci alla nostra nuova casa, che però si trovava nel quartiere del Bronx, uno dei quartieri più vicini al centro della città.
Mia madre mi ha detto che Phil non è di certo facoltoso ma che mi avrebbe garantito libri e quant’altro per la mia istruzione. Meglio di niente!
- Siamo quasi arrivate – mi disse mia madre verso le 13 – tra un po’ abbiamo la nave che da qui ci porterà a Manhattan -
- Ah – feci finta di non ascoltarla, volevo vedere il panorama.
Restai tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, attratta dalla splendido paesaggio che incontravamo ogni KM in più che il treno percorreva.
Verso le 17, sentì uno strano rumore che mi destò.
Non ero proprio rimasta ad osservare il paesaggio tutto il tempo, mi ero addormentata.
- Bella, è ora di scendere – disse mamma.
Un po’ stanca, mi alzai dal sediolino di legno e mi diressi con i bagagli in mano verso l’uscita.
Ero un po’ assonnata e camminavo un po’ barcollando, così che, quando mia madre scese i tre scalini che ci separavano dall’uscita e venne il mio turno, non mi sentì cadere per terra.
Ero inciampata nel secondo gradino perché i bagagli mi impedivano di vedere davanti a me, ma con mia sorpresa non caddi.
Avevo già gli occhi chiusi per prepararmi al dolore che avrei provato se fossi caduta, ma sentì due braccia calde e forti che mi strinsero la vita.
Riaprì gli occhi, quasi pensassi di essere in un sogno, ed incontrai quelli castani di un’altra persona, un ragazzo per l’appunto.
Mi accorsi subito di essere tra le sue braccia che quasi violentemente mi staccai da lui e rimisi i piedi a terra.
Il ragazzo era scuro di pelle, ma non nero, bensì mulatto.
Sembrava un indiano della riserva. Aveva anche un po’ gli occhi di una strana forma... Erano color nocciola ed erano molto penetranti… Troppo.
Mi fissava come se mi conoscesse.
- Scusa – mi affrettai a dire, e corsi vicino a mia madre che da lontano aveva osservato la scena.
- Stai bene? – mi chiese mamma.
- Si – risposi velocemente.
- Quel ragazzo è stato davvero carino a prenderti… Sai che figura se fossi caduta lì davanti a tutti –
Non risposi.
Mia madre cercava sempre di farmi venire alla mente quanto fossi maldestra ed incapace nel camminare, nel fare tutto. Era si una madre molto cara, ma quando mi ricordava quello che non ero – una ragazza attenta a dove mette i piedi – mi tornavano i complessi.
- Ehi, ragazze mie! - sentì da lontano.
- Oh, Billy! – disse mia madre.
Billy chi?
- Cosa ci fate qui? - chiese l’uomo, della stessa carnagione del ragazzo di prima.
- Forse Charlie non te l’ha detto ma… ci siamo lasciati l’anno scorso. –
- Oh, non lo sapevo. – si vedeva dalla faccia che era dispiaciuto.
- Ed io mi sono sposata con un uomo che vive a New York. Adesso lo stiamo raggiungendo io e Bella. – Indicò me con il dito.
- Ah, Bella. Sei diventata grande – disse, vedendo l’incertezza sul mio volto – io sono Billy Black, un amico di tuo padre. Forse non ti ricordi di me, ma da bambina venivi sempre nella riserva dove vivevo assieme a mio figlio e alle mie due ragazze che adesso si sono sposate. –
- Oh, Jenny e Tina? –
- Esatto, vedo che ti ricordi. –
Annuì.
- Bè, è stato davvero un piacere ma devo andare a fare delle consegne assieme a mio figlio Jacob. E’ lì che mi aspetta. – Indicò quel ragazzo che prima mi aveva salvato.
Jacob. Jacob Black. Ecco perché lo ricordavo.
Quando Billy lo nominò si voltò impercettibilmente verso di me, quasi fosse in ascolto.
- Di sicuro ci rivedremo – disse Billy – io vivo nelle vicinanze, nella riserva indiana. -
Ci fece l’occhiolino e si diresse verso il figlio.
Che strano ragazzo. Era bollente quando mi ha toccata per non farmi cadere.
Magari non ci rivedremo nemmeno, perché pensarci?
Con mamma arrivai al porto.
La nave era già lì e se non fosse stato per la velocità dell’uomo che guidava la carrozza che prendemmo, di sicuro non ce l’avremmo fatta a prendere quella delle 18,30.
Fortunatamente Manhattan si trovava molto vicina alla costa, così il viaggio in nave durò solo una mezz’oretta. Buon per me, io odio stare su qualcosa di instabile!
Prendemmo nuovamente una carrozza, ed arrivamo in Trentford Street, dove Phil ci aspettava per portarci alla nostra nuova casa.
Mamma aveva detto che sarebbe stata più grande, carina e tranquilla.
La parola tranquilla mi faceva pensare che attorno non ci fosse nulla…
Non mi acquietai finché non vidi la casa in questione.
Phil disse che era la più decente ed a buon mercato che aveva trovato, perché solitamente erano rare le famiglie composte da quattro persone. Di solito erano composte da 7 – 8 inquilini o anche di più, perché molti avevano tanti figli.
Dopo circa un’ora di viaggio da quando vedemmo Phil, arrivammo.
La casa era piccola ma carina, aveva due piani e dall’esterno sembrava anche ben messa all’interno.
- Ah, che bella! – disse mamma, sempre felice come una Pasqua, soprattutto quando era Phil a fare delle cose carine per lei.
- amore, vedo che sei soddisfatta. – disse Phil, felice – e tu, Bella? Che ne dici? –
- Mi sembra carina. – mi limitai a dire senza dargli soddisfazione. Prima volevo vederla all’interno.
Presi le valige dalla carrozza, quando qualcosa o meglio qualcuno attirò la mia attenzione.
La casa dei nostri vicini non era molto distante dalla nostra, ma da dove ero io lì invece sì.
Era molto più grande e con un giardino ben fornito di fiori e statue, anche con un gazebo all’interno. Ci avrei giurato che gli inquilini fossero ricchi.
A piano terra, vicino alla finestra a destra dell’entrata, vidi una sagoma accanto ai vetri chiari.
Camminavo piano per il gran peso delle valigie, ma non potei non fermarmi ad osservare chi mi stava fissando con tanta… cosa?
Non avrei saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.
Odio? Invidia? Disprezzo?
Penso nessuna della tre.
Come faceva ad odiarmi se non mi ha mai vista? O anche ad invidiarmi se magari è lui quello che si può permettere tutto? Come poteva pure disprezzarmi se forse non ero ricca quanto la sua famiglia?
Non lo sapevo.
L’unica cosa che potevo sapere ed osservare il suo volto.
Forse era il vetro oppure il sole già calante alle spalle della casa, o forse altro ma… vedevo la sua pelle decisamente bianca e diafana.
Di sicuro se fosse stato accanto al ragazzo di questo pomeriggio, Jacob, avrebbe fatto decisamente contrasto con la pelle colorita del giovane.
La sua sembrava quasi neve.
E gli occhi. Non oso parlare degli occhi.
Forse è sempre la luce che mi gioca brutti scherzi, ma avrei giurato che fossero neri, neri come la pece e arrabbiati per non si sa quale motivo.
Scostai lo sguardo da lì e guardai di nuovo avanti, per rischiare di non inciampare.
Quando ero sotto la veranda mi voltai, ma il ragazzo non c’era già più.
Salì piano le scale sempre per non cadere e, una volta nella mia nuova stanza, posai tutto ai piedi del letto. Stranamente, in quella gelida tranquillità, corsi alla finestra perché sentì un rumore forte di pneumatici sull’asfalto. Non era frequente vedere macchine in giro, soprattutto perché erano state collaudate da poco tempo ma… i vicini avevano anche quella.
Sospettai inizialmente che fosse qualcuno che andasse di fretta o che non avesse semplicemente voglia di andare piano, ma poi mi balenò nella testa la strana sensazione che colui che aveva spinto sull’acceleratore così tanto potesse essere proprio colui che due minuti prima mi osservava.
Non volevo dargli molta attenzione visto che non lo conoscevo, ma decisi, per la mia curiosità, che sarei stata accanto alla finestra per vedere se le mie supposizioni erano vere.


Che ne dite? Forse è un po' poco per decidere, ma spero la trama vi intrighi... non volevo essere troppo banale, così ho scelto un'altra epoca XD

Il titolo l'ho preso da una poesia di G. Pascoli che mi piace molto, poi capirete perchè "gelsomino notturno"...

Spero che vi sia piaciuta! Mi farebbe molto piacere se mi lasciste delle recensioni... vedete il tasto qui sotto vi chiama! XDD

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Capitolo 2
*** 2.2 I vicini ***



Il gelsomino notturno

«Non avrei saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.»

Rimasi quasi tutto il tempo incollata a quella finestra.
Erano ormai le 23 passate ma niente o nessuno osava farsi vedere lì, sotto la flebile luce del lampione che illuminava la strada.
Decisi di staccarmi da lì, va bè la curiosità, ma non dovevo  mica passare tutta la vita ad aspettarlo?
Così mi allontanai da lì e mi stesi a peso morto sul mio letto nuovo.
Il materasso era durissimo, ma meglio di niente.
Mi misi a pensare a cosa avrei fatto la mattina successiva… Dovevo ancora finire di aggiustare le mie cianfrusaglie sui mobili e pulire un po’ i quadri impolverati della stanza.
- Sarà meglio che mi vada a dare una rinfrescata – dissi fra me e me.
Mi alzai da lì e mi diressi al bagno.
Fortunatamente, anche nella nuova casa avevo un bagno tutto mio.
Avevo paura che venendo qui avrei dovuto rinunciare anche a questo…
Mi diressi sbadatamente verso il bagno, liberandomi degli indumenti pian piano che arrivavo nella piccola stanzetta. C’era una grossa vasca bianca, uno specchio e un grosso piatto in ceramica dove avrei potuto mettere l’acqua per lavarmi il viso.
C’era solo una piccola finestra in alto, tutto il confort per far si che nessuno ti venga a disturbare o ti veda senz’abiti.
Versai un paio di brocche nella grande vasca… Erano un po’ freddine, ma a quell’ora chi pensa a scaldare l’acqua?
Mi immersi completamente in quel laghetto gelato.
Non avevo freddo, anzi visto che il clima di quella zona era molto afoso, l’acqua gelata mi faceva davvero bene.
Mi bagnai i capelli e delicatamente con il sapone me li insaponai, così da togliere parzialmente il brutto odore che avevo accumulato durante il lungo viaggio da Phoenix.
Mentre ero a mollo, ripensai ai nostri vicini.
Si sarebbero mai presentati? Credo di no.
Li avremmo mai visti anche di sfuggita? Penso sempre di no.
Che scortesia, sembra che gli abbiamo fatto un danno venendo ad abitare accanto a loro.
Dopo un po’ di tempo uscì dalla vasca.
Mi avvolsi nell’asciugamano  bianca che mamma mi aveva messo sulla sedia alcune ore prima e tornai nella mia stanza.
Quando tornai lì, fui attratta da una luce che proveniva dalla casa accanto. Era accesa, e, strano caso del destino, lo stesso ragazzo di questo pomeriggio era lì, con un’espressione a dir poco tra il meravigliato e l’arrabbiato.
Accanto a lui c’era quella che riconobbi essere una ragazza dal volto maturo.
Era bassina e con i capelli neri, strano per una ragazza.
Grazie alle luci accese riuscì anche a vedere meglio l’aspetto fisico del ragazzo.
Era molto alto rispetto alla ragazza che sembrava un folletto.
Aveva sempre la pelle bianca che la luce esaltava maggiormente e dei capelli bronzei.
Non riuscivo a vedere gli occhi, ma sono sicura che erano di un colore chiaro.
Quando mi avvicinai alla finestra per chiudere le tende, di colpo entrambe i giovani si girarono verso di me, quasi come se potessero sapere ogni mio movimento anche da girati.
Gli occhi del ragazzo non potevo vederli, ma riuscì a leggere la sua espressione.
Quella di poco fa, tra il meravigliato e l’arrabbiato divenne ancora più famelica.
Sembrava che stesse combattendo una lotta interiore, quasi come se voleva rompere il vetro della finestra perché era arrabbiato con qualcuno.
La ragazzina era al contrario molto serena.
Sorrideva e diceva qualcosa al ragazzo accanto a lei; lo capì perché sembrava muovere le labbra, quasi fosse divertita.
Ma… stavano davvero osservando me?
Corsi verso la tenda e l’abbassai, così come spensi il lume che avevo sulla scrivania.
Mi riavvicinai alla finestra e sbirciai da dietro la tenda: erano ancora lì, con la stessa espressione di prima solo che adesso discutevano tra di loro.
La ragazza poi si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò, ma lui resto con le braccia parallele al corpo.
Dopo un po’ lei se ne andò e la luce si spense.
Decisi allora che era arrivato il momento di andare a dormire.
Basta con tutte queste congetture, secondo me il sole mi ha fatto male oggi.
Speravo che addormentandomi avrei risolto tutti i miei dilemmi, ma quella notte al contrario sognai qualcosa di molto strano.  
 

Ero nella mia nuova casa e stavo mettendo a posto il soggiorno quando improvvisamente suonano alla porta.
Ero sola e mi precipitai ad aprire pensando che fosse mamma o Phil.
Invece no.
Quando aprì mi ritrovai davanti una donna sulla trentina con i capelli color miele e gli occhi color oro; aveva in mano una torta che sembrava essere alla frutta.
- Salve, io sono la vicina, la signora Cullen -
- Salve io sono Isabella, Bella Swan. E’ un gran piacere conoscerla –
- Il piacere è mio – disse la signora sorridendo.
Inaspettatamente, la donna cambiò espressione: il sorriso bonario che aveva mostrato divenne un ghigno malefico che mi fece paura.
- Mia madre non c’è… penso che voglia conoscere anche lei -
Il suo volto si illuminò.
- Ah, sei sola? – disse, con tono di voce diverso… viscido.
Annuì.
Lei si fece strada nell’atrio della casa e improvvisamente… cambiò volto.
Il suo viso perfetto e amichevole divenne il viso di un uomo giovane, molto somigliante a quello del ragazzo che avevo visto quel pomeriggio.
Si avvicinò e piano mi assalì, mordendomi sul collo. Poi non sentì più nulla.  
 

Mi risvegliai alle prime luci dell’alba madida di sudore.
Ero ansante, quasi come se avessi paura che quel sogno fosse vero.
“Bella, era finto, rilassati.”
Mi appoggiai nuovamente sul cuscino, cercando di prendere sonno ma non ci riuscivo.
Mi veniva sempre alla mente l’immagine della donna che diveniva quel ragazzo di oggi… Era così malefico e così… assetato… sembrava volesse mangiarmi… e poi era un…vampiro.
Ma Bella, tu credi davvero ai sogni?
Mi girai e rigirai nel letto ma nulla, non riuscì a riprendere sonno.
Così mi alzai e andai accanto alla finestra per vedere fuori.
Nella casa accanto,  nella stessa finestra della sera prima, il ragazzo era seduto ad un piano e suonava. Anche se non potevo udire alcun suono, riuscivo bene a vedere le sue mani che toccavano i tasti di quel bellissimo pianoforte che riuscivo ad intravedere dalla finestra aperta del piccolo balconcino della stanza.
Aprì la finestra e sbadigliai, ancora un po’ assonnata. Avevo voglia di sentire sulla pelle il venticello leggero che soffia alle prime luci dell’alba.
Non appena spalancai i vetri, un rumore un po’ antico si fece sentire… si vede che non aprivano da secoli quelle finestre!
Con mia sorpresa, il ragazzo si voltò verso di me.
Per non andar via, alzai gli occhi al cielo e li chiusi per continuare a fare ciò che ero andata a fare lì vicino, proprio per fargli percepire la mia indifferenza.
Mi ritirai subito perché avevo voglia di un bagno, così mi lavai presto e scesi a fare colazione.
Mia madre, Phil e George stavano già attorno al piccolo tavolino di legno della cucina gustando una tazza di latte.
- Buongiorno Bella – disse Phil.
- Ciao – fece eco la mamma – dormito bene? –
Cosa le dovevo rispondere? Meglio mentire per oggi…
- Benissimo.  -  Sappiamo che non era così ma sorvoliamo…
Presi il mio posto a tavola ed iniziai ad inzuppare del pane nella mia tazza, poi mamma iniziò a dire qualcosa.
- Bella, oggi io e Phil andiamo a fare la spesa perché non abbiamo più nulla… Ti dispiace stare qui da sola? – sottolineò la parola sola.
“Bella, ricorda che era solo un sogno…”
- ehm, si. – dissi un po’ così.
- Sicura? –
- Mica ho due anni che non so stare sola! Qui si sta tranquilli, nessuno mi disturberà. Inoltre devo anche finire di aggiustare le nostre cosette. –
Che brava attrice… mica le potevo dire che avevo paura di stare sola perché la nostra vicina (?) era una creatura non normale…
Sospirai.
Ben presto di quanto mi aspettassi, mamma, Phil e George si alzarono e si diressero verso la porta principale.
- Saremo di ritorno tra un’oretta. – Ed uscirono.
Decisi di impiegare il tempo a fare qualcosa.
Guarda caso il mio progetto era proprio quello di pulire il soggiorno… e così sia.
Spolverai i mobili ben bene e aggiustai le varie foto sui vari scaffali e misi anche qualche quadro alle pareti.
Poi, per uno strano caso del destino, bussarono alla porta.
Andai velocemente ad aprire e…
Una donna sulla trentina mi si parò davanti.
Era bellissima, i capelli erano color miele e gli occhi… oro.
Accanto a lei c’era la ragazza bassina che avevo visto la sera prima. Era molto carina, aveva i capelli cortissimi e corvini ma stranamente, aveva anche lei gli occhi color oro.
- ciao – fece la ragazza.
- Ciao – risposi.
- Io sono la vicina, la signora Cullen, ma puoi chiamarmi Esme. – Fece la signora con il sorriso sulle labbra. Sembrava proprio il mio sogno.
- Questa è mia figlia Alice. C’è tua madre? –
- No. Io sono Bella comunque –
- Piacere. – disse, con un espressione sempre pi radiosa in volto – vi ho portato questa torta come segno di amicizia. Sono davvero felice che finalmente siano venuti ad abitare dei giovani qui… I miei figli erano sempre soli… - guardò in alto senza sapere dove.
- Ah – risposi perplessa.
- Bhè, qualsiasi cosa vogliate, ci trovate qui accanto. – disse Esme, porgendomi la torta.
- O-okey. Grazie mille. –
- Salutami tua madre – fece la signora che con la ragazza di nome Alice, pian piano ritornò a casa sua.
Seppur sembravano normali, quelle due donne avevano qualcosa di strano come il ragazzo.
Mha, meglio non pensarci e continuare la mia vita, il sogno si era sbagliato.
Non c’è nessun mostro o vampiro.
Così me ne tornai dentro, finchè poche ore dopo non mi successe qualcosa che mi fece mettere in discussione queste mie parole.




Volevo ringraziare tutte coloro che hanno commentato il primo chap! Non pensavo che vi potesse piace così tanto *-*
Grazie mille a kanon16 _sefiri_clodiina85  PenPen Clhoe gianna88,  Princesseelisil, e a
1 - Clhoe
2 - clodiina85
3 - Giuggiolina
4 - Inuyasha__girl92
5 - isabell89
6 - kira988
7 - me stessa
8 - PenPen
9 - susy88

Che l'hanno aggiunta ai preferiti!!! Non sapete quando mi renda felice questa cosa!  *_*
Spero di non avervi deluse con questo chappy... a breve uno nuovo perchè mi dovrò prendere pure una nuova pausa dallo studio o_o
Spero che continuate a seguirmi, kiss a tutte :)

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Capitolo 3
*** I Cullen ***


Il gelsomino notturno

«Non avrei saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.»

La visione delle due donne mi lasciò perplessa: erano incredibilmente belle ma anche incredibilmente pallide. Erano strane… Avevano anche gli occhi di un colore difficile da combinare.

Mha, magari la figlia ha preso dalla madre!

Quando mamma tornò, le raccontai tutto e pensò che era buona educazione ringraziare i vicini.

Mi chiese di andare con lei ed io accettai; indossai uno dei migliori vestiti che avevo. Era blu elettrico e mi risaltava i capelli.

Ci dirigemmo verso la casa affianco.

La mamma, sempre euforica, bussò alla porta con vigore.

In men che non si dica – quasi sapessero che stavamo per arrivare – aprirono la porta.

- Buonasera – disse la piccola Alice che avevo conosciuto stamane, sorridendoci.

- Ciao, sono la signora Dwyer, la vostra vicina. C’è tua madre? – chiese Reneè sempre in modo amichevole.

La signora Cullen sbucò da dietro ad Alice.

- Che piacere avervi qui – disse gentilmente – volete entrare? -

- La ringrazio molto – ed entrammo nella grande casa Cullen.

L’atrio era un grande soggiorno.

Qua e là c’erano quadri e vasi pieni di fiori… Una casa molto allegra insomma.

Ci sedemmo su un divano rosso – dovrà essere stato di seta – e Alice, che intanto era andata via, tornò con un vassoio pieno di biscotti e the.

- Molto gentile – disse mamma, che aveva sempre appetito ultimamente.

La signora sorrise, poi cominciò a fare qualche domanda a Reneè.

- Puoi chiamarmi Esme -

- E tu Reneè – Scoppiarono a ridere come due ragazzine.

- Cosa vi ha spinto a venire qui? – chiese la donna, senza malizia.

- Bhè, io mi sono ri-sposata. Mio marito lavorava qui così ho ritenuto giusto trasferirmi. –

- Che idea carina! Anche io ho fatto lo stesso per mio marito. E’ il caporeparto dell’ospedale di New York – disse Esme lentamente.

- Ah, che fortuna –

La mamma non era mai stata un tipo veniale, soprattutto perché eravamo una famiglia di estrazione proletaria, ma la vidi un po’ in difficoltà. Che sognasse anche lei un marito ricco? No!

Iniziarono a parlare del più e del meno.

Dei luoghi di ricreazione della città, delle feste nazionali… Cose da donne della loro età.

Io iniziai invece a guardarmi attorno.

Notai che la piccola Alice se n’era nuovamente andata e che eravamo sole.

Da dove ero seduta riuscivo a vedere la cucina. Era vuota, quasi sfornita. Magari i Cullen visto che erano così ricchi andavano a cenare nei migliori ristoranti della città a pranzo e a cena…

Non so cosa c’era nel the, ma ad un certo punto mi venne lo stimolo di andare in bagno.

- Mi scusi signora… Non è che potrebbe indicarmi il bagno? – chiesi, arrossendo.

- Cara Sali le scale e lo troverai al piano di sopra – rispose sempre sorridente.

Mi diressi su.

Il corridoio era ancora più lungo e grande del soggiorno, sarà stato quasi come un labirinto.

C’erano tante porte, non sapevo quale scegliere.

Alla fine optai per la prima che mi si parò davanti andando un po’ a destra e la aprì.

Non avrei mai dovuto farlo.

Quando aprì quella porta, mi ritrovai davanti il peggiore dei miei incubi. O quasi.

Era lui, bellissimo e pallido come sempre, che non appena girai la maniglia mi fissò come se avesse paura di me. No, che dico, come se i odiasse. Forse quella che aveva paura ero io.

Aveva un’espressione famelica, quasi voleva mangiarmi.

Lo vidi stringere forte il cd che aveva in mano… Probabilmente lo avevo disturbato ed era arrabbiato ma… No riuscivo a richiudere la porta e ad andarmene.

Sembrava quasi che i suoi occhi incatenassero la mia forza di volontà, quasi come se lui potesse controllarmi.

All’improvviso, una mano fredda mi toccò, chiudendo la porta della stanza.

- Oh, scusami, vuoi una mano? – Era Alice.

- Ah. Si – Non i ricordavo più chi ero e cosa dovevo fare.

- il bagno è di là – mi disse, indicandomi una porta in fondo al corridoio.

Annuì e mi diressi di corsa lì.

Non appena uscì, dopo un po’ di tempo, trovai Alice che mi aspettava vicino alla scala che portava al piano terra.

- Che cosa carina che tu sia venuta qui -

- Già – dissi un po’ triste.

- Bella… Se vuoi parlare puoi dirmi tutto – mi disse, quasi come se conoscesse i miei problemi e sapesse perché ero giù.

- G-grazie. –

- Davvero, non esitare! Potremmo diventare buoni amiche! -

Sorrisi. Era davvero così pallida a vederla meglio…

- Su, dimmi cosa ti tiene sulle spine! – guardò in alto – E’ forse mio fratello? -

- Tuo fratello, chi? – Ero un po’ rimbambita dalla splendida figura che avevo visto poco prima.

Iniziò a ridere.

- Ma come! Quello che hai visto prima quando hai sbagliato la porta… -

- Ah si – feci la finta tonta.

Non è che volevo fargli una proposta di matrimonio o cosa, non sarei nemmeno stata all’altezza di essere sua amica. Era troppo.

Si, era troppo da mozzare il fiato.

Alice restava in silenzio come me, era una cosa davvero imbarazzante.

- Comunque non crucciarti, - riprese – non si è arrabbiato. E’ solo pensieroso per delle cose… -

Sulla parola “cose” sentii un rumore quasi assordante, come qualcosa che cadeva per terra.

Che ci stesse sentendo?

- Ah – feci, nuovamente per non farle capire il mio interessamento.

- Uff, devi già andare. –

- Come? –

Non feci in tempo a terminare la frase che sentii la voce di Reneè che mi chiamava.

- Ci vediamo domani, vuoi? -

- C-certo. – risposi piano.

- Ciao! – Corse via e mi baciò sulla guancia. Un po’ insolito, ma chi sa.

Io e mamma tornammo a casa alla nostra routine quotidiana.

Tutto il tempo che siamo stati a tavola per la cena non la smetteva di parlare della signora Cullen o Esme…

“Esme è sposata con un dottore! Capisci, con un dottore! Ha adottato cinque figli… Che gente per bene…” e roba del genere. La solita roba che si racconta dei vicini. Ma sarà stato davvero così?

Dopo la cena mi diressi nella mia stanza.

Stavolta, senza accedere alcuna lampadina, mi affacciai fuori per vedere se qualcosa era cambiato.

Nulla.

Le finestre di casa Cullen – tutte – erano chiuse e non c’era nessuna luce accesa.

Era tardi, di sicuro saranno tutti andati a dormire, dissi a me stessa.

Poi fui attratta da qualcosa che proveniva dall’oscurità del giardino della casa affianco…

C’erano delle figure che si muovevano… Non riuscivo a capire bene chi fossero e nemmeno se fossero persone o animali.

Poi lo vidi: bello da far paura, pelle totalmente priva di colore… Il fratello di Alice.

Aveva una lampada in mano per far luce, ed insieme a lui notai anche altre persone… magari gli altri figli ed il dottore chi lo sa…

Fin qui tutto normale.

A parte che era l’una passata, era una semplice famiglia che voleva godersi il fresco della notte nel proprio giardino.

Poi, come se un vento forte potesse muoverli dalla loro posizione, iniziai a non vederli più.

Uno correva a destra rincorso da qualcun altro e si passavano qualcosa.

Tutto normale se si fossero mossi ad una velocità normale. Andavano come furie!

Mi strofinai gli occhi più e più volte perché pensavo di essere una sonnambula, ma nulla, era lo stesso!

Le figure correvano nella notte come le saette nel cielo. Ridevano e correvano.

Improvvisamente, tutto tornò normale.

In lontananza, illuminati dalla lampada, vedevo Alice suo fratello parlarsi.

Alice si girò nella mia direzione, quasi mi stesse osservando, che sapesse che ero lì.

Anche suo fratello si voltò verso di me.

Li vidi avvicinarsi agli altri e dire qualcosa, poi la luce fu spenta.


ehiiiii! scusate se ho postato un po' in ritardo ma sono sotto esame e quindi non ho avuto il tempo materiale di scrivere su pc - scrivevo sul cell, pensate! XD -

Inanzitutto volevo ringraziare tutti coloro che hanno commentato e che hanno aggiunto la storia ai preferiti! Un grazie enorme! :*

Spero anche questo chap vi piaccia... a presto! ;) Yuna

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Capitolo 4
*** Alaska ***


Quella fu la seconda cosa strana che accadde da quando ero a New York. Stranamente era accaduta alle stesse persone. Le stesse che avevo visto nel mio sogno comportarsi in modo strano.
Due mattine dopo l'accaduto, mentre ero intenta a dare una ripulita alla mia stanza, una voce piuttosto alta mi giunse alle orecchie.
- Non provare a fermarmi - diceva la voce, di un ragazzo.
- Ragiona! Lo sai meglio di me che se ho visto... -
- No! Non è detto che sia vero! -
Mi affacciai alla finestra del soggiorno - ero intanto scesa giù per capire meglio, anche se immaginavo la provenienza di quelle parole. Erano Alice e suo fratello.
Lui era considerevolmente arrabbiato, furioso, direi, mentre lei era molto dispiaciuta.
Improvvisamente salì in macchina mentre Alice cercava di farlo tornare indietro. Quando si fu allontanato troppo, Alice cadde in ginocchio sul terreno.
Un'altra figura - più alta e muscolosa del fratello di Alice - uscì velocemente dalla casa e si inginocchiò accanto a lei. Le poggiò una mano sulla spalla e avvicinò la testa alla sua.
- Se n'è andato, non capisce - disse Alice, molto dispiaciuta.
- Secondo me tornerà presto, lo fa sempre -
- Jazz, sei davvero sicuro? E se lo facesse tra vent'anni? Lei potrebbe anche sposarsi con un altro, lo sai... Questa è la sua occasione, ne sono sicura. -
- Sai dov'è diretto? -
- Vuole andare da Tanya -
I due si guardarono con un'espressione perplessa. Alice sembrava rassegnata.
Il ragazzo le si avvicinò e le baciò la fronte, poi l'aiutò ad alzarsi.
- Tornerà, lo sai. - Le sorrise. Entrambi tornarono in casa.
"Se n'è andato, Bella. Andato. Starai più tranquilla, adesso, senza quegli strani sguardi?" Non sapevo cosa rispondere a questa domanda, inizialmente, ma poi mi decisi. "Sì, lo sarò."
Mi ero bloccata davanti alla finestra, guardando ancora la grande casa accanto alla mia, che non mi accorsi di George che mi picchiettava con il dito sulla spalla.
- Bella? -
- George? Che vuoi? - Diciamo che non mi era tanto simpatico, e nemmeno io lo ero, a lui.
- Ti ho vista immobile e ho pensato che fossi un vampiro - Quella risposta, seppur tanto stupida, mi fece sorridere. Non era da George dire cose del genere.
- Vampiro? -
- Sì, come i vicini... Non sbattevi le palpebre -
La risposta mi fece di nuovo sorridere.
- George, non farmi ridere, dai -
- Ma è vero! Ho visto il tuo sguardo... Sembra tanto quello di quel ragazzo e dei suoi fratelli... Spesso lo osservo dalla finestra della mia stanza... Guarda un punto indefinito e non sbatte mai le palpebre... -
- George. Non ho bisogno delle tue storie. Leggere troppo Dracula ti ha dato al cervello... -
George scosse la testa. - Davvero non mi credi? Te lo assicuro, è tutto vero. Ho visto con i miei occhi... Giocano anche a baseball in una velocità assurda -
- Sì, come no - Tradii la verità nelle mie stesse parole. Era davvero come aveva detto George. Li avevo visti "giocare" anche io. Erano incredibilmente veloci... E strani. Inoltre, non appena mi ero affacciata alla finestra, se ne sono subito andati. Inoltre, avevo fatto un sogno l'altro giorno, prima di conoscere Esme ed Alice...
Mi diressi al piano di sopra, per continuare a fare ciò che facevo prima.
La finestra era spalancata, e improvvisamente soffiava un vento piuttosto forte tanto che uno dei due vetri sbatteva insistentemente contro il davanzale. La chiusi, e mi accorsi di non essere sola.
Quando mi avvicinai, una persona nell'altra casa mi notò e mi salutò agitando la mano. Alice.
Aveva un largo sorriso stampato in volto, al contrario di quello che aveva prima, quando suo fratello se n'era andato via.
- Come stai? - urlò.
- Tutto bene - Dissi, sollevata.
- Mi fa piacere! Oggi posso passare da te? -
Annuii. Semmai potevo fare qualcosa.
- Alle cinque, allora - e se ne andò.
Chi sa perchè aveva così tanta urgenza di venirmi a trovare.


All'ora stabilita, Alice bussò alla porta con un colpo secco ma forte che mi fece sobbalzare.
La stavo aspettando in salotto.
Quando entrò in casa, sembrava danzare, lenta e graziosa allo stesso tempo.
- Oh, Bella! - disse, gettandomi le braccia al collo - Stai benissimo -
- Ehm, grazie - risposi, meravigliata dalla tanta confidenza che si prendeva in così poco tempo di conoscenza. Non era male questa cosa, a dire il vero, perchè avevo trovato una amica. Penso.
La feci accomodare sul divano.
- Tu come stai? - chiesi, giusto per parlare.
- E' di questo che ti sono venuta a parlare... - mi disse, abbassando gli occhi e prendendomi le mani.
- Ti ascolto - le risposi, ignara di ciò che mi stava per chiedere.
- Bhè... Bella... Visto che ci sono le vacanze... Mi chiedevo, se tu... -
- Oh. - Fu l'unica cosa che riuscii a dire. Voleva che andassi in vacanza con lei. Quasi come se fossimo vecchie amiche.
- Non sarà male, suvvia. E' già tutto pagato... Dovevo andarci con mia sorella Rose, però lei ha degli impegni che non può proprio prorogare... Si deve sposare con mio fratello Emmett e... -
- Alice. Penso che... Mia madre non mi farà venire - dissi, sospirando.
- Uhm... penso invece che dirà di sì. Per favore... Mi sento un po' triste ultimamente, ho bisogno di un viaggetto... - Abbassò gli occhi quasi come se volesse mettersi a piangere.
- E... Va bene. Farò il possibile, lo giuro. Verrò con te, ma mi lascerai pagare la mia parte -
Subito il suo sguardo cambiò, divenne solare, raggiante. Si alzò in piedi e mi prese le mani, inizando a saltare. I suoi palmi erano gelati.
- Evviva! Vedrai che non te ne pentirai - disse, mentre rideva. Mi chiedevo perchè.
Stavo quasi per cadere, mentre Alice saltava allegramente. Cercai di fermarla, ma non riuscivo a fare pressione sulle sue braccia. Erano dure come il ferro.
Mentre lei gioiva, entrò George nella stanza.
Lo guardai negli occhi, fisso, e gli feci una linguaccia di sfottò.
Improvvisamente Alice si fermò, e stranamente salutò il mio fratellastro.
- Ciao - disse.
- Eh... Ciao - rispose lui freddamente.
Si scambiarono un intenso sguardo, non sapevo dire se dentro c'era amore o odio, visto che non si conoscevano, però intravidi un po' di astio nei confronti di George.
Si voltò per andare in cucina e disse sottovoce - Succhia... - chi sa quale sarebbe stato il continuo di quella frase.
- Alice... - sussurrai, curiosa di sapere quale sarebbe stata la meta del nostro viaggio. Ero sicura al 70% che sarebbe stato qualcosa che aveva a che fare con le navi... Forse una crociera costa a costa?
- Lo so, lo so. Adesso ti dico subito dove andiamo - mi rispose sempre sorridente - sei curiosa? -
Annuii, piegando la testa in avanti.
- Ecco, avevo pensato ad una cosa un po' insolita... Visto che estate... Ho pensato ad un bel viaggio in Alaska per rinfrescarci! -
- Alaska?! Ma... Ci saranno minimo dei gradi sotto zero! - Gridai, perplessa.
- E che saranno mai! Hai l'abbigliamento adatto? -
- No, non credo proprio... Penso che dovrò restare qui, mi dispiace -
- Non se ne parla proprio - disse, sempre lo stesso sorriso stampato sul viso. Mi nascondeva qualcosa... - Io ho tantissimi vestiti per la neve... Te ne posso dare qualcuno! -
- Alice... -
- No, per favore. Non accetto scuse, okey? -
Mi piegai al suo volere, anche se mi dispiaceva non poter ripagare tutto ciò che stava facendo per me. Il viaggio, ad esempio, ed anche i vestiti. Le sarei stata grata a vita per quest'occasione.
Avrei voluto tanto fare un viaggio - che non fosse quello da Phoenix a New York - quest'estate, per svagarmi un po'. Le possibilità economiche non c'erano, era troppo il costo di una carrozza per arrivare al molo e prendere la nave e poi, arrivata alla costa, prendere il treno per andare da qualche altre parte in questo grande continente.
La sera stessa che Alice mi fece la proposta, io gliela girai a mia madre.
Ero convinta che non mi avrebbe fatto andare per un motivo o un altro, ma, con mia meraviglia, mi disse di sì. Le parole magiche furono "Alice mi ha chiesto...". Mia madre stravedeva totalmente per Alice, anche se la conosceva ancora meno di me. Aveva detto che si fidava di lei perchè sua madre Esme le era sembrata davvero una donna affidabile.
La partenza era stata fissata per il giorno successivo, Alice aveva detto che i biglietti del treno per l'Alaska valevano solo per pochi giorni, così dovevamo muoverci a partire.
Salutai mamma calorosamente, mi sarebbe mancata per le prossime due settimane in cui sarei stata sommersa dalla neve dell'Alaska.
Alice mi aspettava giù sempre con lo stesso sorriso di ieri, quando mi vide mi abbracciò.
Insieme a lei c'era un uomo, alto, biondo e molto molto bello. Probabilmente era l'Emmett che aveva nominato nel pomeriggio, o era suo padre adottivo.
- Hey, Bella - disse Alice, - vorrei presentarti Carlisle. E' mio padre adottivo -
Carlisle mi porse la mano, che strinsi. Anche la sua era molto fredda.
- Piacere mio, Bella. Vi accompagnerò con la macchina fino al molo... Da lì dovrete prendere il treno -
- Grazie - risposi.



Il viaggio fu molto lungo, più di quello che feci per arrivare a New York da Phoenix.
Alice aveva dei biglietti per dei treni di lusso, però, quindi non viaggiammo ad una velocità lenta, ma ciò che costò la lunghezza del viaggio fu solo la distanza considerevole che c'era tra New York e Denali. Alice mi aveva detto che quella sarebbe stata la città in cui saremmo state. Quella era la capitale, ed era anche quella con più attrattive. C'era un parco enorme con molti animali, tramonti bellissimi e tante librerie.
Aveva detto, inoltre, che saremmo state da alcune sue cugine, ma prima avremmo soggiornato in un albergo in centro, poichè lei doveva avvisarle del nostro arrivo.
Ci volle quasi un giorno per arrivare a Denali.
- Tra un po' andiamo da mia cugina - disse Alice, - l'ho avvisata via telegramma mentre tu dormivi nel treno -
- Ah, quindi adesso stiamo andando da lei? -
- Sì - rispose Alice sogghignando - vedrai che ti divertirai -
Eravamo in un automobile, e stavamo andando verso la periferia, dato che la cugina dei Cullen viveva accanto alla foresta.
La macchina procedeva lenta, dato che il massimo che poteva fare era 20 Km/h, ma ben presto, quando ormai erano le due o tre di notte, arrivammo a destinazione.
Alice mi picchiettò con il dito sulla spalla, pensando che stessi dormendo, e uscimmo nell'oscurità e ci dirigemmo verso la grande casa davanti a noi.
- Vedrai che Tanya ti piacerà -
- Non ne dubito - risposi - se è come te -
- Più o meno - sogghignò.
Bussò alla porta. La cugina di Alice, "Tanya", non si fece attendere.
Dietro la porta mi aspettavo una ragazza bruna con gli occhi scuri, invece ci si parò davanti una ragazza magra ed alta, con i capelli di un biondo fragola accacante e gli occhi color caramello come Alice. Ci sorrideva, e potevo dedurre che era contenta di vederci.
- Alice, che piacere vederti -
- Ciao, Tanya. Questa è Bella, una mia amica -
- Che piacere, Bella - disse Tanya sorridendomi, - Entrate, prego -
- Ehm, penso che Bella abbia un po' di sonno - disse Alice, abbassando improvvisamente la voce.
- Certamente, adesso la accompagno in una stanza di sopra -
Camminavamo verso il soggiorno, immagino, perchè Alice parlava di un divano sul quale sedersi per parlare di alcune cose con Tanya, che sentii i passi nervosi di qualcuno.
Immaginai che ci fosse qualcun'altro in casa, magari qualche altra cugina o cugino, e invece fui spodestata da chi realmente era la persona che forse furiosa, veniva verso di noi.
Si fermò a una decina di passi da noi, fulminando Alice negli occhi.
- Voi iniziate ad andare - ci intimò Alice, così io e Tanya salimmo una rampa di scale ed arrivammo al piano superiore. La ragazza mi mostrò una stanza e mi disse che potevo fare ciò che volevo, e se avevo fame potevo semplicemente scendere in cucina e farmi uno spuntino.
Anche se ero al primo piano, sentivo perfettamente ciò che Alice e suo fratello si stavano dicendo.
- Fammi spiegare - disse lei, cercando di giustificarsi - è solo un viaggio -
- Tu... Tu... Io... Dannazione! - Urlò il fratello di Alice. Non sapevo ancora il suo nome...
- Edward, calmati. Sai perchè l'ho fatto... Fammi provare! - Eccolo, il suo nome. Edward.
- Alice... Sai che... Potrebbe... -
- Almeno per queste due settimane, no. E ne sono sicura -
- Ne.sei.sicura? Ma ragioni, Alice? Ti ho spiegato mille volte che non riesco ancora a sopportarlo... Potrei perdere il controllo all'improvviso e tu, cosa fai? Porti proprio la cosa che mi può far succedere tutto questo -
"La cosa" ero... io? Non ne avevo idea. L'unica cosa che sapevo era che non appena mi aveva vista, era diventato furioso. Forse mio odiava. No, niente forse. E' sicuro che mi odiava.
Mi stesi sul letto e cercai di dormire, sperando che il giorno dopo non l'avrei visto. Se davvero mi odiava così tanto da chiamarmi in quel modo, non avevo la minima voglia di vederlo.
Parlavano troppo forte.
- Edward, per favore, prova... -
Sentii un sospiro forte - Ci... proverò. Ma se va male... Sarà colpa tua -
- Non andrà male -
- Ragazzi, abbassate la voce, starà dormendo - disse Tanya.
- Giusto. E tu non andare via, fratello - disse Alice, forse ridendo - Che devi cercare di conoscerla meglio -
Nessuno rispose. Nessuno parlò più.
Ma, ci avrei giurato, dopo alcuni minuti, o forse ore, qualcuno entrò nella mia stanza e ci rimase per molto molto tempo. Improvvisamente, sprofondai nel sonno.
Quella notte, rifeci nuovamente uno strano sogno, e Edward ne faceva parte.







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Capitolo 5
*** Biblioteca ***


Ero in una grossa radura innevata, ed era quasi sera.
Non era ancora buio, dato che eravamo in estate, ma faceva freddo. Ero sola.
Mi guardai attorno. Ero circondata da alti pini che non mi permettevano di vedere bene oltre l'orizzonte.
Sentivo i cinguettii degli uccelli e i rumori delle zampe degli animali sul terrenno innevato, unici suoni in quel luogo così desolato. Mi alzai da terra e feci pochi passi.
Mi bloccai subito.
Davanti a me, a pochi metri, c'era lui. Non un lui normale, c'era Edward Cullen.
Guardava davanti a sè, era quasi di spalle che riuscii a stento a riconoscerlo. Stringeva i pugni.
Sentii nuovamente dei passi sul terreno. Un cervo, non molto grande, entrò nella radura da dietro gli alberi, dirigendosi verso Edward. Lui era ancora immobile, che guardava dalla parte opposta alla mia, senza quasi respirare.
Poi, come se quasi avesse avuto le ali sotto ai piedi, si gettò sul cervo, intrappolandolo.
Rimasi basita dalla vista, che non mi mossi da dov'ero.
Edward era sul cervo e... Era attaccato al suo collo, dove... succhiava il sangue.
Sembrava davvero avido di quel liquido rosso che adesso ricopriva tutto il corpo del povero animale, che, non appena smise di bere, si voltò subito alla ricerca di un'altra preda.
Mi fissò negli occhi, sul volto un'espressione strana... Confusa. Forse non sapeva cosa fare.
Si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi, sul volto un'espressione affranta.
Poi, così com'era arrivato, scomparì dietro gli alberi.


Mi svegliai di colpo, ed era già mattina.
Mi tastai piano le tempie con la mano, erano madide di sudore. Che strano, quel sogno sembrava tanto vero quanto solo il frutto della mia fantasia. Mi affacciai alla finestra: pioveva a dirotto.
Decisi di vestirmi e di andare da Alice, chi sa quali strane cose avrebbe programmato da fare per passare la giornata... Scesi le scale e la cercai per tutta la casa. Di lei nessuna traccia.
Pensai che forse era in bagno o nella sua stanza, ma bussai molte volte in entrambe senza avere risposta. Andai infine in cucina. Sentivo lo stomaco brontolare e avevo proprio bisogno di qualcosa da mettere sotto ai denti... Sembrava che non mangiassi da tanto... Eppure era solo mattina.
Guardai il grande orologio a pendolo della cucina. Non era mattina. Segnava le 16,30 del pomeriggio. "Oh, mamma", pensai.
Poi vidi un biglietto bianco piegato in quattro parti. Non l'avevo notato prima, e mi chiesi perchè.
Solo poche parole.

"Bella, se hai fame puoi servirti da sola. Io sono andata a fare alcune cose con Tanya e sua sorella Kate, e non volevo svegliarti, dormivi così bene! Fai pure un giro per la casa, so che ti piace leggere e c'è una biblioteca ben fornita al piano di sopra! Dagli un'occhiata! Tornerò presto, divertiti!"


Decisi di fare come mi aveva suggerito. Mi preparai un po' di pane con le patate, giusto per mangiare qualcosa e per risollevarmi un po'. Denali - almeno ciò che avevo visto finora - era davvero una città carina, ed anche molto accogliente. Mi aspettavo che facesse freddo, invece c'erano solo 15 gradi o giù di lì.
Quando terminai il mio spuntino, seguii di nuovo il consiglio di Alice. Era vero che amavo la lettura, ed era vero anche che mi stavo annoiando perchè non sapevo cosa fare, così decisi di andare in questa fantomatica biblioteca che c'era a casa di Tanya. Almeno così avrei ingannato un po' il tempo.
Non sapevo bene dove si trovasse la stanza, ma Alice aveva detto "al piano di sopra", così salii le tre rampe di scale fino ad arrivare all'ultimo piano e capii di aver seguito la strada giusta.
Su una porta di legno scuro, c'era la scritta "biblioteca".
"Bingo!", pensai, mentre aprii la porta.
La stanza era considerevolemente enorme, c'erano tanti scaffali in legno che contenevano quelli che sembravano essere centinaia di libri. Mi avvicinai al primo scaffale... Tutti i volumi di Shakespeare rilegati finemente e sicuramente antichi... Poi Swift, E. A. Poe, e molti altri autori del tempo e anche alcuni più vecchi.
- Che fortuna - dissi tra me e me, nella mia solitudine.
Feci altri passi, ed ammirai gli altri libri sugli innumerevoli scaffali; erano davvero troppi, come grande era la stanza. Poi trovai i miei preferiti.
Orgoglio e Pregiudizio, Cime Tempestose, Ragione e Sentimento... Erano nuovissimi. Contemplai le copertine e le pagine all'interno. Avevo potuto leggere quei libri solo perchè me li aveva prestati una mia zia che era molto facoltosa. Beata lei che poteva permettersi tutti questi libri...
Mi voltai e iniziai a sfogliare le pagine di Cime Tempestose, leggendo stralci di periodi che mi avevano affascinata quando l'avevo letto la prima volta. Me lo sarei divorata di nuovo.
Iniziai a camminare, con il sorriso sulle labbra. Ero felice di poter passare del tempo così.
- Cime Tempestose? - disse una voce maschile. Capii subito di chi era. Era l'unico ragazzo di quella casa...
- Sì, è davvero un bel libro. O meglio, penso che se lo si apprezzi lo è. - risposi per le rime, alzando lo sguardo e guardando Edward fisso negli occhi. Non potevo dire di stare a mio agio guardandolo, poichè, come quando l'avevo visto a casa Cullen, sembrava che il suo sguardo mi incatenasse e non mi permettesse di fare cose coerenti.
- Sono punti di vista. A mio parere c'è troppo odio tra i due protagonisti... Sono forse troppo egoisti e vendicativi  per capire che ciò che conta davvero sia l'amore che provano l'un l'altra... - mi disse, con un tono saccente. Il suo sguardo era illegibile. Sembrava arrabbiato ma anche triste, o addirittura affranto, come nel sogno di stanotte. Ma, soprattutto, perchè mi parlava? Avevo capito che mi odiava, o no? Era un modo per vedere se ero all'altezza di parlare con lui?
- Penso invece che Heathcliff sia un personaggio molto profondo. E' solo incompreso... -
- Se la pensi così... Io non sono d'accordo... -
- A ognuno piacciono cose diverse. Non si può amare tutto nella vita - gli risposi, un tono acido nelle mie parole. Naturalmente quel "non si può amare tutto nella vita" era riferito a lui. Non avevo niente di male contro di lui, ma forse lui contro di me, sì. Volevo vedere cosa avrebbe risposto. Aveva capito l'ironia dietro le mie parole?
- Oppure si può amare qualcosa ma non poterla avere, non trovi? Proprio come Heathcliff. Ama follemente la sua Cathy ma non può averla perchè lei non lo ritiene all'altezza. O forse perchè è solo masochista, perchè non prova a riprendersela. Stupido, vero? -
Aveva raggirato la domanda, oppure era una risposta alla mia affermazione nascosta? Non ne avevo idea. Parlava in un modo così criptico... Era troppo difficile da comprendere. Le sue parole mi suonavano come un rebus, come un'allusione alla sua situazione, ma più di tanto non ci pensai.
Vidi tuttavia i suoi muscoli rilassarsi, la sua espressione farsi meno tesa. Forse si stava ricredendo sul mio conto... O forse stava solo pensando ad altro di più divertente.
- Sì, davvero stupido. - Nella parola "stupido" c'era un senso. Quella parola era realmente diretta a lui. Perchè si dimostrava tanto distaccato nei miei confronti? Cosa gli avevo fatto?
Non rispose a quell'affermazione.
Mi diressi, con il libro in mano, verso l'unico divano della stanza, dove Edward era già seduto con il suo libro tra le mani. Cercai di leggere il titolo del libro. Era La Tempesta di W. Shakespeare.
Mi sedetti accanto a lui, il più lontano possibile, oserei, visto che tra di noi non c'era molta confidenza. E poi non pensavo che il suo astio verso di me sarebbe finito con quelle due parole scambiate solo perchè ci eravamo incontrati per caso nella stessa stanza.
Accavallai le gambe, ed iniziai a leggere. Edward sembrò irrigidirsi, ma tuttavia non si mosse.
Non si mosse nemmeno per tutti i minuti e forse ore successive che trascorsi lì a leggere.
Fu immerso nella sua lettura e non mi chiese più nulla di nulla. Improvvisamente, si alzò dopo tanto tempo, chiudendo il suo libro e tirando un sospiro.
Pensavo che adesso se ne sarebbe andato, dato che molto probabilmente aveva finito di leggere il suo libro, ma al contrario si diresse verso un grosso piano a coda che si trovava in fondo alla stanza. Prima non ci avevo fatto caso.
Vidi i movimenti di Edward. Si sedette sullo sgabello foderato di raso rosso e cominciò ad intonare una melodia a me sconosciuta. Almeno, erano sconosciute le prime note. Poi, la riconobbi.
Era di sicuro Claire de Lune, di Debussy. Amavo quella composizione. Mentre suonava continuavo a leggere, e tutto sembrava così leggero...
Quando finì quella melodia, ne intonò subito un'altra e un'altra ancora... Una più bella dell'altra, le perfette imitazioni delle composizioni di Mozart, Chopin e dei più grandi musicisti fino ad ora.
Non si voltò mai una volta verso di me, che gli lanciavo sguardi ogni tanto, tra una pagina ed un'altra. Era davvero bello, ed era ricco. Dopotutto, non era così male.
Forse, il fatto che era rimasto significava che gli piaceva la mia compagnia... Ma poteva anche significare che, visto che Alice e le altre erano fuori, si stancava di stare solo. Oppure può darsi che restava per suonare. Non ne avevo idea.
Sta di fatto che, senza accorgermene, mi addormentai, cullata dalla musica.
Mi risvegliai poco dopo, immagino, quando qualcosa di gelato mi toccò. Sembrava un muro di marmo, tanto che pensai di essermi tanto rigirata sul divano da essere caduta per terra e di stare con la faccia sul pavimento freddo della biblioteca.
E invece mi sbagliai. Guardai in basso, e vidi una mano che mi cingeva la vita, ed una altra poco vicino che mi teneva le gambe. Ero tra le braccia di qualcuno. Alzai la sguardo, forse consapevole di conoscere l'identità della persona che mi portava in braccio, dato che forse era l'unica che poteva farlo. Incontrai i suoi occhi topazio. Mi guardava con occhi vigili, seri, che mi trasmettevano nervosismo. Forse non voleva portarmi a letto ma era stato costretto a farlo.
Mi scappò uno sbadiglio.
- Hai fame? - mi chiese.
- Si... Shi... - di nuovo uno sbadiglio. Chi sa che ore erano. - Che ore sono? - gli chiesi.
- Sono le nove - rispose molto secco e indifferente.
- Ho dormito molto? -
- Circa tre ore -
- Ah. C'è Alice? -
- No, non è ancora tornata - disse, sospirando. Era davvero scocciato.
Ci stavamo dirigendo verso la mia stanza, lo capii dai quadri sulla parete, anche se conoscevo la casa da troppo poco per ricordare ogni minimo particolare.  
Mi poggiò delicatamente sul letto e si voltò per andarsene.
- Edward... - lo chiamai. Faceva davvero uno strano effetto prununciare il suo nome, dato che in un certo senso, non ci eravamo mai presentati ufficialmente.
Si girò piano, sul suo volto mille emozioni diverse. Tuttavia non rispose, stava aspettando.
- Grazie - gli dissi, per fargli capire che era stato carino con me... Almeno una volta, da quando c'eravamo visti una settimana fa. Quando ero arrivata a New York.
Nuovamente non mi rispose. La sua espressione divenne più dura, più rude, e molto enigmatica, quasi come se si pentisse di avermi portata fin qui. Uscì dalla stanza senza fare troppo rumore e si chiuse la porta dietro di sè.


Adesso non avevo più sonno. Restai sul mio letto a fissare il soffitto sopra di me.
Era davvero una noia mortale, ma poi mi accorsi che sul comodino c'era qualcosa. Non credevo che potesse essere proprio quello, ma quando lo toccai ne fui certa. Era il libro che leggevo in biblioteca. Immaginai che Edward l'avesse portato qui per non farmi annoiare, ma poi ritrassi il pensiero. E perchè l'avrebbe dovuto fare? Dopotutto mi odiava, oppure no?
La risposta giunse veloce alle mie orecchie come un fulmine in un temporale.
Alice, Tanya e Kate erano tornate, avevo sentito che avevano salutato Edward, ma lui non aveva risposto, come sempre.
- Kate, Tanya, scusate... Potete lasciarci soli? - chiese con mia grande sorpresa Edward qualche minuto dopo. Non sentii alcuna risposta, così dedussi che Edward era rimasto solo con Alice.
- Allora? - gli chiese lei.
- Allora... Niente. -
- Non fare il superficiale come al solito, caro fratello... Io so tutto - disse Alice, sottolineando l'ultima parola della frase.
- Sì sì, lo so. -
- Ti sei divertito? -
- Stai andando troppo nel personale, ferma i tuoi pensieri... Non è stato niente di tutto quello che stai immaginando -
- Oh, ma come sei! Un giorno morirai per la troppa chiusura. Apriti, Edward! Questa occasione è perfetta! -
- Sì, perfetta. E' stato un bene che abbia chiuso le narici -
"E' stato un bene che abbia chiuso le narici"... Qualcuno mi dice che si riferisce proprio a me. Adesso puzzavo anche? Sì, Bella. Ti odia. E pure tanto! Forse è per questo che ha fatto quella faccia prima, quando stavi tra le sue braccia. "Allora, cosa farai?" Nulla, non farò nulla. Se le mie teorie sono vere, me ne vado. O almeno cerco di evitarlo. "Brava", disse la voce nella mia testa.
- Come ti odio! Dimmi la verità! -
- Vuoi la verità? Ebbene... Non è tanto difficile come sembra -
- Ecco, questo è quello che ti volevo sentir dire! E domani, lo rifarai! -
- Eh? Ma vuoi pilotare tutte le mie relazioni? -
- Sì. Perchè tu non ne sei capace. -
- Ah, sì. Perchè tu sai tutto -
- Sì. Se non fossi venuta qui... Tu non sai... Tanya -
- Tanya? E lei che centra? -
- Guarda un po'... Impegnati con Bella. So che ce la puoi fare -
- Sì, ci proverò... Ho visto che... -
Non riuscii ad ascoltare il resto perchè per mia sfortuna, il sonno prese il sopravvento su di me, ma, ne sono sicura, forse un barlume di speranza c'era.

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