The Little Titan Café

di pocketsizedtitan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Baffi di Latte ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Chai Tea ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Il suo modo di reggere la tazza ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Lo spirito natalizio ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Schizzi ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Un vita di merda ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Eau de Levi ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Il barista ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Sabato sera ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Caldo e freddo ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Un triste, strano ometto ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Mikado ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Maid special ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - L'omino di pan di zenzero ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - L'amore matura lentamente ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Rifiuto ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Rifugio ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Questa vecchia caffetteria ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Rivaille ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - Narcisi ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - Lieto fine ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Baffi di Latte ***


Salve a tutti (ノ◕ヮ◕)ノ*:・゚✧ , qui vi parla la traduttrice della fanfiction. Ho deciso di dare la possibilità di leggere questa fic (una delle più famose nel fandom inglese di Attack On Titan) ad un pubblico più vasto perchè la trovo davvero piacevole e dolce. Sappiate che state per immergervi in un mondo di fluff / tensione sessuale e piccoli avvenimenti ma importanti. Attualmente siamo al capitolo 17 in inglese, e ho intenzione di postare almeno un capitolo a settimana (di più avendo tempo), ma la fanfiction è ancora incompleta (anche se credo che siamo verso la fine dal momento che l'autrice sta iniziando a dedicarsi ad altri progetti, che potrei tradurre nel caso in cui questa fic avrà successo :3). Vi prego se la fic vi piace e avete del tempo per scrivere un piccolo commento FATELO! Tradurrò tutti i commenti in modo che possiate avere anche una risposta! L'autrice è una persona squisita e si merita tantissimo! Per qualsiasi altra informazioni ci sono tutti i link sul profilo. Buona Lettura!
SULLA TRADUZIONE: la fic è ambientata in un coffee shop stile americano; non tradurrò tutti i nomi delle bevande perchè non esistono in italiano ma cambierò questo disclaimer di capitolo in capitolo per inserire i dettagli di traduzione/spiegazioni che ritengo utili. In questo capitolo ho lasciato i voti degli esami in lettere.


The Little Titan Café
CAPITOLO 1: Baffi di Latte

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Levi

Eren lanciò un’occhiata all’orologio: erano le ventidue e trenta e non c’era molto da fare al Little Titan Café. No! Non chiedetegli come mai il locale si chiamasse così. Sua madre, la proprietaria, semplicemente pensava che suonasse carino, e nonostante Eren pensasse fosse strano, ai clienti sembrava piacere, quindi chi era lui per giudicare?

In una serata settimanale come quella non vi erano molti clienti, ad eccezione dell’occasionale studente universitario venuto ad usufruire del Wi-Fi gratuito. E, considerando che erano aperti fino a mezzanotte quasi tutte le sere – ad eccezione delle domeniche – quello era sicuramente il posto perfetto per gli studenti per venire a lavorare, terminare qualche compito, progetto o qualsiasi cosa fosse.
Sfortunatamente per lui, gli era solitamente assegnato il turno di chiusura: “Tanto comunque dormi sempre troppo. Non hai lezione che nel pomeriggio e bla bla bla.” E non è che Eren odiasse il turno di chiusura: semplicemente non sopportava quanto fosse tremendamente noioso.

Prese il cellulare per giocherellarci un po’: ventidue e venticinque. La foto di sfondo lo vedeva insieme ai suoi amici d’infanzia stretti in un angolino di quello stesso locale. Mikasa sembrava stupefatta con quel suo baffo di latte e lui ed Armin ridevano. Sorrise al ricordo e sbloccò il cellulare per rispondere ai messaggi.

Armin: Non dimenticare che hai una prova di matematica domani.

Merda. Non che loro fossero nella stessa classe – Armin era ben oltre cose come la semplice algebra – ma in qualche modo ricordava sempre quando Eren aveva un esame. Un esame che lui aveva dimenticato e per il quale sarebbe stato spacciato l’indomani. Non che fosse uno studente da A+… magari più da B… o forse qualcosa tra una D+ e una C-; dopotutto chi aveva bisogno della matematica? Non aveva neanche qualcosa a che fare con il corso di studi.

Mikasa: Ciao

Eren sbuffò, strozzando una risatina. I messaggi di Mikasa non smettevano mai di divertirlo. Nel momento in cui finì di rispondere, erano le ventidue e ventinove, pochi secondi per arrivare a trenta. Il tintinnare del campanello della porta che veniva aperta riportò l’attenzione di Eren dal suo telefono al locale. C’erano pochi metri tra il bancone e l’entrata, e quindi, quando l’aria fredda invernale entrò nel negozio, lo fece rabbrividire dalla sua posizione alla cassa.

Il ragazzo si voltò nel tentativo di scampare almeno un pò dal freddo del vento mentre salutava il cliente con un “Benvenuto al Little Titan Café”.

Se non fosse stato contrattualmente obbligato – e se non sospettasse che sua madre in qualche modo veniva a sapere ogni volta che non pronunciava tali parole a un cliente – Eren non si sarebbe mai disturbato a dire una frase tanto stupida. Ma, dopo anni che sua madre gliela aveva inculcata, si sentiva in dovere di pronunciarla ogni qualvolta sentiva il suono del campanello.

Era sempre ovvio quando un cliente veniva per la prima volta. Di solito esitavano all’entrata per guardarsi intorno, come se si aspettassero di vedere qualcosa di strano. Ed Eren non poteva biasimarli: se lui fosse entrato in un posto chiamato Little Titan Cafè (Il Caffè del Piccolo Gigante ndT), anche lui si sarebbe probabilmente aspettato qualcosa di strano. Ma se quest’uomo fosse semplicemente nuovo o solo in cerca di un posto dove sedersi era difficile da dire: la sua espressione era fissa fermamente in quella che Eren avrebbe potuto descrivere solo come apatia. Allungati occhi grigi analizzavano l’atmosfera familiare del locale, comprese le due donne che chiacchieravano vicino ad una finestra, uno studente che batteva le dita furiosamente sulla tastiera del suo pc ed una ragazza che tentava di tenersi sveglia mentre leggeva un libro.

C’erano un sacco di cose in cui Eren Jaeger non credeva. Non credeva nello svegliarsi prima delle undici al mattino. Non credeva di aver bisogno di fare colazione. Non credeva di dover guidare seguendo i limiti di velocità perché questi erano dannatamente lenti. Non credeva nella fortuna – devi prenderti quello che vuoi, non sperare di avere qualcuno che te lo serva già pronto. Non credeva nel non combattere. Non credeva nei fallimenti (senza contare il test di matematica a cui sarebbe stato bocciato l’indomani, perché non credeva nemmeno nella matematica). Non credeva, o almeno, non riteneva opportuno, far arrabbiare sua madre, perché lei sì che era paurosa quando si arrabbiava. Non credeva nelle favole o all’amore a prima vista o nel perdere la testa per qualcuno. Lui era un ragazzo, dopotutto, dunque col cavolo che gli interessava tutta quella roba sdolcinata.

Tutto ciò finché i suoi occhi non si posarono su quell’uomo dal volto apatico e iniziò a pensare di dover dare un taglio a tutte quelle miscredenze. Okay, forse non tutte: solo quella sull’amore a prima vista. Sì, perché Eren stava iniziando a crederci e non importa quanto ciò potesse essere un cliché. C’era un qualcosa nella forma dei suoi occhi, nell’inclinazione delle sue labbra, nel modo in cui la sua frangia non era divisa esattamente al centro, qualcosa nel modo in cui le sue spalle erano notevolmente ampie attraverso la giacca del suo completo – nonostante fosse una decina di centimetri più basso di lui - , un qualcosa nel modo in cui la sua sola presenza chiedeva attenzione e sì, indubbiamente aveva catturato tutta quella di Eren.

Non era un segreto per nessuno il fatto che lui fosse gay. Così tanto, talmente gay. E il suo cuoricino gay iniziò a battere alla vista dell’uomo e perse un colpo e si fermò nella sua gola quando quegli occhi grigi catturarono i suoi. Eren iniziò a pensare che il suo respiro si fosse fermato, oltretutto, perché stava iniziano a sentirsi un po’ troppo leggero e nervoso. O forse erano solo le farfalle che impazzivano nel suo stomaco mentre l’uomo si avvicinava a lui. Le sue mani si aggrapparono al suo grembiule verde, mandando le farfalle a farsi un dannato sonno ma rimaneva che Eren stava diventando un fascio di nervi solo perché quell’uomo si stava avvicinando e in quel momento non avrebbe voluto far altro che nascondersi.

Gli ritornò in mente di essere l’unico dipendente presente in negozio solo quando l’uomo occupò uno dei posti al bancone, poggiando una borsa a tracolla di pelle nera. Il cuore di Eren martellava rumorosamente nella sua gola, e forse fin nelle sue orecchie, e in ogni caso riusciva a sentirlo fin dentro le sue viscere. Cosa c’era che non andava? Tutto quello che quell’uomo aveva fatto fino a quel momento era fermarsi, osservare, entrare e sedersi, e ora si stava semplicemente togliendo la giacca e sì, quelle spalle sembravano ancora più ampie coperte solo da quella sottile camicia bianca, i cui primi bottoni aperti lasciavano intravedere la linea disegnata dalle clavicole e…- Eren inghiottì – ora la sua bocca sembrava insopportabilmente secca.

Si sentiva patetico e strano ed era assolutamente convinto che c’era qualcosa che non quadrava in lui.

“B-ben-…” Eren si schiarì la gola. La sua voce suonava ridicola alle sue stesse orecchie. Fece un lungo respiro cercando di convincersi a calmarsi e trattare l’uomo come qualsiasi altra persona. Sorrise nel miglior modo possibile: “Benvenuto al Little Titan Café. E’ la sua prima volta qui?”

“Sì.” L’uomo rispose mentre poggiava la sua giacca sulla spalliera dello sgabello vuoto accanto al suo. “Come mai questo posto si chiama così?”

Eren si rilassò alla domanda, sentendo il suo nervosismo scivolare piano piano via. “Mia madre pensava che il nome avrebbe incuriosito la gente abbastanza da farle decidere di entrare. Sembra che abbia funzionato con lei, no?”

“Vero. Quindi tua madre è la proprietaria di questo posto?”

Eren annuì. Ora che erano più vicini poteva vedere chiaramente il rossore sulle guance dell’uomo, dovuto senza dubbio al fatto che aveva camminato fuori al freddo, anche se stava già iniziando a scemare. “Cosa posso portarle? O ha bisogno di un momento per vedere il menu?”

“Mi basta un caffellatte.” Rispose questi mentre apriva la borsa per tirare fuori un pc portatile.

“Un caffellatte in arrivo.” Rispose Eren, sciogliendo la stretta sul suo grembiule. Se c’era qualcosa che sapeva fare bene, questa era sicuramente preparare un misero caffellatte. Pochi minuti dopo, stava poggiando la bevanda di fronte al fascinoso cliente – Be', non conoscendo il suo nome in quale altro modo avrebbe potuto riferirsi a lui? – sussurrando un: “Prego.”

“Grazie,” l’uomo lanciò uno sguardo sulla targhetta sul grembiule di Eren. “Eren.” E se la sua attenzione non fosse stava catturata dalla bevanda posizionata davanti a lui, avrebbe notato la maniera in cui il barista stava arrossendo nel sentirlo pronunciare il suo nome. Fortunatamente il rossore scemò in tempo mentre l’uomo osservava la foglia che era stata disegnata con la schiuma di latte, lasciando ad Eren il tempo di sostituire il suo imbarazzo con un minimo di contegno. “L’hai fatto tu? Impressionante.”

Eren fece spallucce e con un sorrisetto compiaciuto, disse: “Oh, e questo è niente.”

L’uomo lo guardò senza accennare nessun cambiamento di espressione. “Sai, quando ricevi un complimento dovresti fingere modestia e ringraziare. Moccioso.”

Eren roteò gli occhi. “Bè, se sono bravo a fare qualcosa per quale motivo dovrei fare finta che non sia così? Sarebbe stupido.”

“Magari alla gente non piacciono i ragazzini presuntuosi.”

“Ma guarda chi mi ha chiamato piccolo.”

Improvvisamente la temperatura nella stanza scese sotto lo zero. Giusto una precisazione: Eren ha la tendenza a dire cose prima di pensarci un attimo sopra, e, in quel momento, aveva capito chiaramente di aver toccato un punto dolente nel momento in cui l’espressione dell’uomo si era accigliata considerevolmente. “E con ciò cosa vorresti dire?”

“Ehm…” Lo sguardo di Eren iniziò a muoversi nervosamente verso ogni punto della stanza nel tentativo di trovare una via d’uscita, nella speranza che entrasse un nuovo cliente o che magari uno di quelli che già c’erano fosse colto da un infarto. Ma nessuno di loro sembrava abbastanza vecchio da poterne avere uno. Dannazione. “Uhm. Niente, non intendevo nulla.”

Eren pensò che fosse meglio rimangiarsi l’idea di chiedergli chi avesse iniziato tutto ciò. Qualcosa gli diceva che, bancone o no a separarli, l’uomo l’avrebbe raggiunto e strangolato. Questo gli fece ripensare un attimo alla sensazione di prima, o quello che diavolo era. Magari un momento di follia? Ora che realizzava le inclinazioni violente che erano senza dubbio nascoste sotto una maschera di apatia, Eren sembrava riprendere i sensi. Non c’era nessun amore a prima vista dopotutto. Lui stava semplicemente apprezzando il bell’aspetto dell’uomo, il suo senza-alcun-dubbio-favoloso-corpo nascosto dal suo completo, il modo in il colletto della camicia si poggiava mollemente ai muscoli del collo, e quello in cui riusciva a intravedere la pelle pallida del suo petto, e…

I suoi pensieri furono interrotti dall’uomo che prendeva la tazza, portandola alle labbra per bere un corso di caffellatte. E come Eren aveva magicamente predetto nell’arco di un secondo, un leggero baffo di schiuma di latte aveva coronato la sua bocca.

Non riuscendosi a controllare il barista poggiò le mani sui fianchi e rise.

L’uomo si fermò un attimo, stringendo gli occhi. “Cosa diavolo c’è da ridere?”

“N-Niente,” Eren boccheggiò, sogghignando. “signore.”

“Solo Levi.”

Eren sbatté gli occhi, “Come?”

“Il mio nome. E dammi del tu.”

“Ah.” Eren sbattè gli occhi una seconda volta, e poi di nuovo, mentre il nervosismo sembrava stare prendendo di nuovo il sopravvento. “Ok, Levi.”

C’era una luce nei suoi occhi grigi, uno sguardo che riusciva a far sprigionare una fiamma nel petto di Eren, la quale svanì in un attimo, trasformandosi in un’altra risata quando il suo sguardo cadde di nuovo sui baffi di latte.

Il cipiglio sul viso di Levi era decisamente bieco. “Dimmi cosa diavolo c’è di così dannatamente divertente…” Mentre diceva ciò il suo sguardo cadde sullo schermo nero del pc, e gli si aggrottarono le sopracciglia mentre fissava il suo riflesso. Levi strappò un tovagliolo dal dispenser con un borbottio. “Tu, brutto imbecille.”

“Mi scusi?” Il sorrisetto sul volto di Eren perlomeno tentava di sembrare un po’ dispiaciuto.

Non è necessario dire che quella sera al Little Titan Café era stata un po’ meno noiosa del solito per un certo barista.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Chai Tea ***


Salve a tutti! Ancora la traduttrice a parlare. Vorrei ringraziare tutte le persone che si sono fermate a leggere il capitolo e soprattutto tutte quelle che hanno commentato e inserito nei preferiti/da ricordare/da seguire! L'autrice è stata felicissima di ogni singola cosa (e anche io a dirla tutta)! Se avete tempo e voglia lasciate un commento per favore, tutto viene riportato all'autrice che è iperfelicissima di ogni singolo feedback. Buona Lettura!
SULLA TRADUZIONE: Ad un certo punto c'è una citazione di "Spartacus". Siccome non lo conosco mi sono messa a cercare su google per vedere di trovare le parole esatte della traduzione italiana ma alla fine non ci sono riuscita, quindi ho semplicemente fatto la traduzione letterale. Se qualcuno capisce quale frase è quella che io ho tradotto come "Avrei delle parole" e me la vuole dire guadagnerà la mia eterna gratidtudine. Questo capitolo è stato scritto nel 2013.


The Little Titan Café
CAPITOLO 2: Chai Tea

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Chai Tea

Eren inarcò le sopracciglia: se avesse potuto avere un centinaio di dollari ogni volta che sentiva una cosa del genere, adesso sarebbe milionario. “Come prego?”

“Ho detto che voglio un Tai Chi.” Un signora di mezza età, dai capelli scuri, gli lanciò un’occhiata come a dire sei-sordo-o-sei-scemo-ragazzo?

“Un Chai Tea?”

“Ti pare che abbia detto Chai Tea?” Rispose lei seccamente.

“Si chiama Chai Tea, signora. Non Tai Chi.” Biascicò Eren. Il suo livello di tolleranza per i clienti stupidi andava da zero a nulla. Ed era onestamente sorpreso che sua madre lo lasciasse lavorare al suo negozio: lei sapeva bene quanto potesse essere irascibile.

“Fammi questo Tai Chi. Caldo.”

“Che dimensione preferisce? Titano Colossale, Titano Corazzato o Titano Danzante?” Quando la risposta che ricevette fu uno sguardo vacuo, Eren continuò: “Un Titano Colossale è grande, mentre un Titano Corazzato è medio e il Danzante è piccolo.” Indicò la vetrina a fianco della cassa che conteneva tre modelli dei bicchieri da asporto, ognuno con una caricatura di uno strano mostro a rappresentare la dimensione della tazza. Sì, la proprietaria aveva sicuramente una fervida immaginazione.

“Medio. Dio, questo posto è così strano…” La donna posò una banconota da 10 dollari di fianco alla cassa. Eren fissò senza interesse i soldi e le sue unghie perfettamente curate. Ripeté il suo ordine silenziosamente mentre le dava il resto. “Fammelo da asporto.”

“Un Tai Chi, arriva.” Disse Eren con uno sguardo esasperato prima di voltarsi per prepararle da bere.

Il viso della cliente si contorse in un’espressione chiaramente indignata. “Che modo orribile di trattare i clienti. Quale commesso fa quella faccia a un cliente? Chi è così folle da lasciar lavorare qui una persona così maleducata? Dov’è il manager? Avrei due-tre cose da dirgli!”

Le labbra di Eren si contrassero nel tentativo di mantenere un’espressione neutra, ma un sorriso riuscì a districarsi senza troppa difficoltà. “Intende dire ‘Avrei delle parole’?”

La donna corrugò le sopracciglia, sbattendo gli occhi, presa alla sprovvista. “Cosa?”

Eren scosse la testa, ancora sorridendo mentre finiva di prepararle il tè. Non c’era alcuna possibilità che la donna guardasse qualcosa come Spartacus. Il ragazzo le tese il bicchiere ancora fumante. “Ecco a lei. Un Tai Chi.”

Qualsiasi idea di parlare con il manager – non che ce ne fosse uno – lasciò la mente della donna non appena strappò la bevanda dalla mano di Eren, graffiandogliene il dorso mentre lo faceva. Con uno sbuffo, si girò e uscì dal negozio. Eren sospirò, massaggiandosi la mano.

“Dovresti disinfettarlo. O magari andare da un dottore. Quella donna potrebbe avere la rabbia.”

Eren si voltò verso Levi. Questi sedeva sullo stesso sgabello di due sere prima, e l’unica cosa che cambiava erano i suoi abiti, un po’ più casual. Le maniche della sua polo blu erano arrotolate fino ai gomiti e lo sguardo di Eren cadde sui suoi avambracci, facendogli notare l’indistinta linea di una vena e il modo in cui i muscoli si muovevano mentre batteva le dita sulla tastiera del suo portatile. C’era qualcosa di quelle braccia che gli piaceva davvero tanto, al punto da chiedersi come fossero quei bicipiti ancora nascosti dalle maniche.

“Anche le persone possono avere la rabbia?” Chiese Eren, portando il suo sguardo dalle braccia di Levi ai graffi sulle sue mani, accigliato.

“Certo.” Il clicchettio sulla tastiera si fermò e occhi grigi si alzarono su Eren. “Non senti nessun dolore o prurito?”

La preoccupazione di Eren sembrò aumentare. “Be', ora che me lo chiedi…”

“Fastidio?”

Eren scosse la testa.

“Febbre?” Forse iniziava a sentire un po’ troppo caldo.

“Mal di testa?”

Eren ingoiò. Che cos’era quel martellio che sentiva sul retro della sua testa?

“Già i primi sintomi? Non c’è modo di salvarti. Morirai.”

Eren strillò, mentre i suoi occhi si allargavano in un’espressione di orrore. “No!”

Levi lo fissò per tre snervanti secondi. Poi ridiresse la sua attenzione al computer. “Scherzavo. Ci vogliono alcune settimane prima che tu possa avvertire i sintomi. Non morirai. Non ancora, almeno.”

“C-c’è una cura?” Ci doveva essere una cura, no? Erano nel 2013, quindi doveva per forza essercene una. In quale mondo si poteva vivere se non c’era una cura per la rabbia? Eren alzò entrambe le mani, passandosele tra i capelli, mentre il panico lo bloccava.

Levi poteva praticamente sentire quel paio di occhi verdi che lo fissavano imploranti. Avrebbe potuto tirarla un po’ più sulle lunghe. C’era un qualcosa di piacevolmente divertente nel far contorcere e agitare quel ragazzo; e lui provava un distorto senso di soddisfazione nel modo in cui Eren contorceva la sua faccia in un’espressione impaurita. Le sue dita carezzarono le lettere sulla tastiera prima di intrecciarsi, per permettere al suo mento di poggiarsi sui palmi delle sue mani, mentre i gomiti si poggiavano sul bancone e le dita nascondevano il suo sorrisetto. Lasciò sudare freddo il barista per un altro paio di momenti, mentre le mani di Eren lasciavano i capelli per intrecciarsi al suo grembiule mentre questi saltellava da un piede all’altro. Levi agitò la mano in aria. “Scherzavo.”

Il naso di Eren si contrasse in confusione. Levi voleva dirgli di non fare così perché… be', non era sicuro del perché. “Stai scherzando sul fatto che stavi scherzando o stai scherzando sul fatto che ho la rabbia?”

“La rabbia si contrae solo tramite saliva, Quindi anche se quella donna aveva davvero la rabbia, a meno che tu non abbia fatto qualcosa con lei, non dovresti averla contratta a tua volta.”

“Era la prima volta che la vedevo, quindi no.” E comunque, Eren preferiva l’altro sesso. Le sue spalle si abbassarono con sollievo solo per irrigidirsi di nuovo in irritazione. “Mi stavi prendendo in giro!”

“Congratulazioni per essertene finalmente reso conto. E comunque,” Levi ignorò il guaito di indignazione di Eren per raggiungere la tasca davanti della sua borsa e lanciargli una bottiglietta di gel igienizzante. Eren quasi la fece cadere, “disinfetta quei graffi. E lavati le mani dopo.”

“Sì, mamma.” Levi gli lanciò un’occhiataccia alla battuta, ma Eren stava facendo come gli era stato detto. Restituì la bottiglietta a Levi. “Grazie, ma rimani cattivo.”

Se solo avessero avuto in negozio un Muro della Vergogna come voleva Eren… avrebbe fatto una foto a Levi, stampato una gigantografia e l’avrebbe appesa nella sua camer-…ehm sul Muro della Vergogna. Sì, lì. Al luogo a cui apparteneva. Questa era solo il loro secondo incontro e Levi lo stava già mettendo in difficoltà.

“Succede spesso?”

“Clienti che mi lanciano bottigliette di disinfettante?”

Levi sbuffò. “No. Clienti che ordinano un ‘Tai Chi’.”

Era difficile seguire i pensieri dell’uomo. Eren si appoggiò al bancone. “Sì, purtroppo. E’ stato divertente le prime tre volte, ma ora non lo è più tanto.” Si sporse un po’ di più, per dare un’occhiata allo schermo del pc, ma Levi lo inclinò abbastanza da non permetterglielo. “Cosa stai facendo?”

“Lavoro.”

“Che tipo di lavoro fai?”

“Cose di lavoro.”

“Be' ovvio.” Davvero, quanto irritante poteva essere quest’uomo? Stava iniziando a diventare sempre meno attraente. Levi poteva mostrare quelle braccia quanto voleva, ma ciò non cambiava quello che in fondo sentiva Eren. No. Nemmeno un po’. Ma poi Levi arrotolò le maniche un po’ più su per riprendere a lavorare e il bracciò di Eren crollò dal bancone e urtò la sua spalla nel processo. Levi alzò uno sopracciglio senza dire nulla mentre Eren arrossiva e si raddrizzava.

Seriamente, Eren Jaeger? Di tutte le cose per le quali disturbarsi e accaldarsi: un paio di braccia? Non era più uno studente delle scuole medie con i suoi stridolini. Fortunatamente, il suono del campanello lo distrasse dal dare un senso ai suoi stessi pensieri mentre salutava il nuovo cliente con il solito “Benvenuto al Little Titan Café!”




“Sai di non aver ancora ordinato niente?” Eren accennò, guardando il suo telefono mentre controllava Facebook e masticava la sua gomma. Ventitré e cinque. Cinquantacinque minuti alla chiusura. Sospirò.

“Potresti giocare con il telefono durante il tuo turno?” Levi chiese, anziché rispondere alla domanda. “E smettila di masticare con la bocca aperta.”

Eren fece un palloncino e lo risucchiò in bocca con un ‘pop’. “Non c’è nessuno a lamentarsi. E la maggior parte dei clienti che viene a quest’ora o è troppo ubriaca o è troppo preoccupata con il lavoro e la scuola per interessarsene. Di quale tipo sei tu?”

“Nessuno dei due.”

“Potresti tranquillamente passare per uno studente.” Lo sguardo affilato che gli fu riservato gli fece alzare le mani in segno di resa. “E’ un complimento. Sto dicendo che sembri giovane e non un vecchietto.”

Levi non si disturbò a graziare Eren di una risposta. Finì di digitare, cliccò un paio di volte sul touch pad e chiuse il pc. “Ordinerò qualcosa.”

Eren infilò il telefono nella tasca del suo grembiule. “Ok, spara.”

In tutta onestà, Eren avrebbe dovuto capire cosa stava per succedere da kilometri di distanza. “Prendo un ‘Tai Chi’ Colossale.”

Dannazione a quest’uomo, alle sue braccia, al suo fascino e alla sua astuzia.

“Ti odio.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Il suo modo di reggere la tazza ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice. Un enorme GRAZIE da parte mia e dell'autrice per tutti i commenti/preferiti/da ricordare che ci state lasciando. Mi scuso anche per la lentezza nel rispondere ai commenti, ma tendo ad aspettare l'ultimo minuto per tradurli all'autrice in modo da poterglieli comunicare tutti in una volta. Lei è sempre contentissima, quindi, come sapete, ogni commento e feedback è sempre accettatissimo, ogni commento fa venire voglia all'autrice di scrivere e a me di tradurre (ne parlavamo oggi eheh). Buona Lettura!
SULLA TRADUZIONE: Il capitolo vedere la comparsa di Ymir e Christa, in coppia :D man mano vedremo tutti i vari personaggi.


The Little Titan Café
CAPITOLO 3: Il suo modo di reggere la tazza

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Romeo e Giulietta

Eren sapeva che Levi era consapevole del fatto che lui lo fissava. Poteva vedere la vena che pulsava sulla sua tempia, poteva notare il modo in cui le sue dita stringevano con più forza la penna, e trovava divertente la maniera in cui spingeva la punta della penna più profondamente nel foglio di carta. Oggi Levi non aveva né il pc portatile né la borsa in pelle nera. Solo un quaderno e una penna. Eren passava di tanto in tanto per lanciare un’occhiata a quello che Levi stava scrivendo, ma non era riuscito nemmeno a iniziare a decifrare le piccole lettere. Si diede per vinto dopo parecchi tentativi, optando sul solo osservare l’uomo.

Quello fu il momento in cui realizzò che Levi prendeva in mano la sua tazza sempre in un certo modo. Proprio come in quell’attimo, la mano di Levi copriva il suo ormai-quasi-finito caffé, e le dita afferravano i margini della tazza. Poi la inclinava, sempre tenendola in quella maniera, e la portava alle labbra, il tutto senza distogliere gli occhi dal foglio di carta.

La curiosità si impossessò di lui, e Eren prese un bicchiere di carta riempendolo con dell’acqua di rubinetto. Lanciò un altro sguardo a Levi, che aveva posato la sua bevanda, prima di imitare il modo in cui aveva preso in mano la tazza. Non sembrava male, fu quello che Eren pensò mentre si portava il bicchiere alla bocca, tentando di inclinarla come aveva fatto Levi. Solo che, più la avvicinava alla bocca, più impacciati gli erano i movimenti, e finì col battere il dorso della mano contro il suo naso, mentre il bicchiere scivolava dalla sua presa, spruzzandogli acqua su tutto il grembiule.

“Dannazione.”

Un udibile “tsk” gli fece alzare la testa. Levi roteò la penna tra le dita, sbeffeggiandolo: “E’ quello che ti meriti, moccioso.”

“Sì, sì.” Eren si sfilò il grembiule da dosso e lo alzò sopra la sua testa, strizzandolo e lanciandolo in qualche angolo lì vicino. Poi prese un paio di fazzoletti di carta per pulire il casino che aveva fatto. “Non è colpa mia se mantieni le tazze in quel modo strano.”

Levi fece spallucce. “E non è colpa mia il fatto che tu sia stupido abbastanza da provarci.”

“Ero curioso.” Il suono del campanello lo fece voltare per sbirciare oltre il bancone.

“Benvenuto al Little Titan Cafè!” Eren si accigliò quando vide due ragazze, o, perlomeno, quando vide quella più alta in particolare. “Ah, sei tu.”

Levi alzò un sopracciglio e lanciò uno sguardo dietro le sue spalle. La prima cosa che notò fu che le due ragazze creavano una strana coppia: una piccola, biondina dal viso angelico e l’altra alta, una brunetta dallo sguardo furbo. Quest’ultima si strofinò un dito sotto al naso, inspirando rumorosamente – senza dubbio per il freddo – e si diresse impettita verso Eren, sbattendo rumorosamente gli stivali da motociclista sul parquet di mogano. Una mano si poggiò sul fianco vestito di jeans, mentre l’altra cadde sul registro di cassa. “Due cioccolate calde. Entrambe Corazzate.”

“Ymir, non essere maleducata.” Un paio di occhi blu guardarono i loro compagni più in alto, mentre un piccolo sorriso adornava il viso fanciullesco. “Ciao, Eren.”

“Ciao, Christa,” Eren si alzò, con una manciata di fazzolettini ancora in mano, ma senza l’arrabbiatura di prima. “Avete appena finito in facoltà? Un po’ tardi, no?”

“La nostra recita è finita un’oretta fa. Abbiamo deciso di fermarci tornando a casa.”

“Ah, giusto! Come è andata? Ho sentito che tu avevi il ruolo di Giulietta. E fammi indovinare,” il ragazzo lanciò un cenno malizioso a Ymir che lo guardò dall’alto in basso, “Ymir ti ha fatto da Romeo.”

“Bè,” Ymir sbuffò, mani ai fianchi. “Come se avessi lasciato qualche tipo baciare la mia Christa.”

“Sai bene che non mi avrebbero baciato sul serio.” Disse Christa, con occhi divertiti. Il sorriso sul suo viso mentre guardava la sua ragazza, era pieno di nient’altro che affetto.

“Non avrebbero dovuto ma sono certa che ne avrebbero approfittato, facendolo lo stesso.” Ymir diede un pizzicotto a Christa. “Tu sei troppo ingenua. Giuro.”

Dopo aver pagato, le due si andarono a sedere ad un tavolo. Quando Eren ebbe finito di preparare le loro bevande, girandosi trovò le due ragazze sedute comodamente su una panca. Christa aveva optato per togliersi sciarpa e cappottino, e Ymir sedeva accoccolata contro di lei, un braccio intorno alle spalle della biondina. Non che ci fossero molti clienti. C’erano solo quattro persone oltre la coppia e Levi, e no, Eren non stava sorridendo vedendo quanto erano assolutamente, incontrovertibilmente adorabili. Perché Ymir non era adorabile. Christa lo era, e la sua altezzosa ragazza no.

Quando Eren si accorse dello sguardo di Levi si allontanò in fretta, assolutamente senza arrossire per l’imbarazzo. L’atto gli aveva richiesto un secondino in più di quello che normalmente necessitava per preparare le bevande a dei clienti. Ma c’era qualcosa nel modo in cui Levi lo aveva guardato – divertimento, da una parte, e ammirazione? No, Eren si levò quel pensiero dalla testa – che lo aveva colpito. Nel momento in cui raggiunse il tavolo delle ragazze, si convinse che era stata una trovata della sua immaginazione e posò le bevande davanti alle ragazze. Christa sorrise, mentre le sue piccole dita afferravano la tazza, notando che Eren si era preso la libertà di etichettare i loro ordini come Romeo e Giulietta.

“Grazie, Eren.”

“Dunque chi è quel tipo?” chiese Ymir, senza afferrare del tutto la bevanda. Il suo polso era rilassato, mentre lei aspettava che la cioccolata si raffreddasse un po’.

“Levi?” Eren alzò le spalle. “Ha iniziato a venire solo un paio di giorni fa.”

“Sul serio.” Non era una domanda, ma Eren intese l’incredulità nel suo tono di voce. “E tu già sai il nome di un cliente non abitudinario?”

“E quindi?”

“E’ ovvio che te lo vuoi portare a letto. Non facevi che guardarlo mentre preparavi i nostri ordini.”

Eren divenne rosso quanto la gonna di Christa, farfugliando: “Ch-che stai dic…” E poi, abbassando la voce in un sussurro, chiese: “Sono così ovvio?”

“Parecchio.” Ymir testò la temperatura della cioccolata calda con un sorso. “Ma conoscendo la tua fortuna, lui sarà probabilmente super etero.”

Eren sospirò. Come se non l’avesse già pensato. “Probabil-” Ma si interruppe per dare un affrettato benvenuto a un cliente che stava mettendo piede nel negozio. “Ci vediamo dopo, ragazze.”

Niente da aggiungere sul fatto che Eren fu in grado di inciampare nei suoi stessi piedi.




“Compagne di classe?” Levi chiese mentre Ymir e Christa lasciavano il negozio, mano nella mano.

“Più o meno. Andavamo al liceo insieme.” Eren rispose, terminando di pulire il bancone.

“E io che pensavo che frequentassi ancora alle scuole superiori.”

Eren si gettò lo straccio dietro le spalle. Aveva capito che Levi stava cercando di provocarlo di nuovo, ma ci pensò un attimo prima di commentare. “Non sarebbe illegale per uno studente delle superiori lavorare fino a tardi?”

“Vero.” Levi concesse. Aveva smesso di scrivere un’oretta e mezzo prima, optando piuttosto per fissare torvo il suo quaderno – o perlomeno questo era quello che Eren credeva, dal momento che era difficile dire quando l’espressione dell’uomo fosse effettivamente cambiata. Di tanto in tanto scriveva qualche parola con la penna battendola poi accanito contro il foglio. Ma ora il quaderno era chiuso, e la penna poggiata sulla copertina.

“E poi se fossi stato uno studente delle superiori, non avresti avuto niente di meglio da fare che spendere un’intera serata con me?” chiese Eren. Vedeva chiaramente la sua opportunità di provocare l’uomo e coglierlo di sorpresa. Non che Levi sembrò reagire.

“Quello che faccio si chiama lavorare.”

“Non puoi lavorare a casa?” ‘Zitto, Eren!’ Una voce sibilò nella sua testa. L’ultima cosa che voleva era mandare via Levi, ma la sua bocca si era mossa prima del cervello.

“No.” Fu l’unica cosa che Levi rispose in proposito. Qualsiasi cosa gli impediva di lavorare a casa in pace e tranquillità, lo turbava abbastanza da far ricadere un’ombra sui suoi occhi. Eren si ricordò dello sguardo furioso di Levi la sera in cui per la prima volta era venuto al caffè, uno sguardo che credeva fosse riservato solamente agli scherzi sulla sua altezza.

Per Eren quello fu un promemoria sul fatto che non sapeva assolutamente nulla di Levi. Okay, magari non del tutto. Sapeva che Levi manteneva la sua tazza in un modo inusuale, o che comunque Eren reputava scomodo. Sapeva che Levi aveva un bel paio di spalle larghe e un collo possente. Sapeva che a Levi piaceva la caffeina – anche se detto così era farla semplice: la caffeina era una necessità. Sapeva che Levi aveva delle belle braccia. Sapeva che, quando Levi era immerso nel suo lavoro, gli si formava una piccola grinza tra le sopracciglia, e che qualche volta alzava la testa, come se una nuova, meravigliosa idea si fosse impossessata di lui.

“Ora dovrei andare.” Disse Levi con un sospiro stanco, strofinandosi gli occhi con le dita. Eren occhieggiò l’orologio appeso al muro: ventitré e cinquanta. Quasi ora di chiusura. Avrebbe voluto chiedere a Levi di rimanere un altro po’, ma questo avrebbe reso la sua leggera infatuazione un po’ troppo ovvia , facendolo sembrare un po’ troppo disperato, quindi tenne la bocca chiusa. “Torna a casa sano e salvo, moccioso.”

Se Levi fosse stato colpito dall’improvvisa indole raggiante di Eren o dal sorriso genuino che si era disteso sul volto del ragazzo, non era facile a dirsi.

“Anche tu, Levi.”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Lo spirito natalizio ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice. Mi scuso tantissimo per aver aggiornato così in ritardo, avrei dovuto farlo lunedì ma oggi ho avuto un esame e davvero non c'è stato tempo. Mi dispiace! Grazie comunque a tutti per i feedback! Ogni singolo commento è sempre apprezzatissimo se avete tempo/voglia. Buona Lettura! // domani rileggo meglio ma se trovate qualche errore scemo casomai fatemi un segno eheheh sono stanchissima.
SULLA TRADUZIONE: Il capitolo è ambientato agli inizi di Novembre (ossia quando l'autrice l'ha postato in inglese). Un mocaccino è una bevanda che fa un po' da via di mezzo tra cappuccino e caffellatte e che può essere aromatizzata a piacere. Un melonpan è un tipo di pane/briosche che si mangia in Giappone.


The Little Titan Café
CAPITOLO 4: Lo spirito natalizio

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Mocaccino alla menta piperita

Mentre la maggior parte dei negozi stava già trasmettendo musica natalizia, un certo caffè non aveva ancora iniziato. In genere non era un gran problema considerando che la maggior parte dei clienti erano studenti delle superiori ed universitari. Ma di tanto in tanto arrivava un cliente che non riusciva proprio a fare a meno di lamentarsi della scelta della musica (non che ci fosse niente di male in proposito. Loro cercavano solo di mantenere l’atmosfera leggera, variando da Michael Bublé ai Of Monster and Men, con i mix dei The Mowgli’s, tra l’altro). Per tutto il resto dell’anno non c’era mai nessuna lamentela, ma non appena si avvicinavano le feste…

“Buona serata a lei, Signor Pixis.” Eren poggiò la bevanda dell’uomo sul bancone, salutandolo. Poi tornò alla cassa proprio mentre una signora anziana entrava. Stava strizzando gli occhi, e aveva le sopracciglia corrucciate e le labbra strette, come se qualcosa le fosse sgradito. A Eren piaceva pensare, da quando era diventato abbastanza grande per lavorare nel negozio di sua madre, di essere un professionista a capire i clienti non appena questi entravano. E lui sapeva bene dal momento in cui la donna aveva strizzato i suoi piccoli occhietti, che stava per dare di matto. “Benvenuta al Little Titan Café. Cosa posso servirle?”

Lei si accigliò, con uno sguardo di disapprovazione. “Quello che puoi servirmi è un po’ di spirito natalizio.”

“M-mi scusi?”

“Se questo è uno di quei negozi anti-Cristo, mi rifiuto di ordinare qualcosa!”

“Non capisco.” Ed Eren davvero non capiva. Aveva appena terminato la sua pausa quando il signor Pixis, ormai un cliente fisso, entrasse e venisse servito, per lasciarlo alle prese con una signora anziana che stava blaterando cose sullo spirito natalizio. “Non siamo anti-Cristo signora, o contro la religione.”

“Allora dov’è il vostro spirito natalizio?” La donna chiese. “Perché non state trasmettendo musica natalizia?”

Quello fu il momento in cui Eren capì per quale motivo la vecchia pazza si stava alterando. “La cosa non ha niente a che fare con me. E’ la proprietaria che sceglie le canzoni.” Be’, questo era vero solo a metà. Eren spesso aveva una certa influenza sulle canzoni che sua madre sceglieva, dal momento che lei non sapeva come fare un mix, comprare o scaricare musica (gratuita) online, metterla su un CD o copiarla su una penna USB – e fondamentalmente non sapeva usare qualsiasi cosa potesse essere definita tecnologica. “Ora, potrei sapere cosa vorrebbe ord–”

“Sono sicura che attrarreste molti più clienti mettendo della musica natalizia.” Strepitò la donna. Eren sospirò, lanciando un’occhiata al negozio, perché erano le dieci e un quarto di venerdì sera e il locale era abbastanza pieno.

“Questa è solo la mia opinione personale,” Eren fece un cenno al locale, “ma non credo che abbiamo bisogno di musica natalizia per attrarre altri clienti. Ora, ha intenzione di ordinare qualcosa o no?”

“Ma ci dovrebbe essere musica natalizia ovunque.” La donna insistette appassionatamente.

La pazienza di Eren già era abbastanza instabile da sé. Stavolta non riuscì a contenersi molto – una trentina di secondi, secondo più, secondo meno – prima che l’impazienza facesse capolino sul suo volto. “Senta signora, non vorrei mancare di rispetto al suo amore per la musica di natale, ma sa cosa vuol dire ascoltarla per ore e ore di seguito senza sosta? No, non mi risponda. Ma mi lasci dire che è un incubo, okay? Preferisco di gran lunga canzonette pop per teenagers per tutto il giorno che sopportare delle infinite ore di ‘We wish you a Merry Christmas’. E non siamo nemmeno al giorno del ringraziamento! Halloween sarà stato una settimana fa! Lasci passare un po’ di tempo! E ora,” Eren fece una pausa per prendere aria, “o ordina qualcosa o esce.”

Un rossore iniziò a diffondersi sulla faccia della vecchia, che divenne sempre più scura di attimo in attimo. Eren contò sulle dita della sua mano: 3…2…1… prima che la cliente ritrovasse la voce. A quel punto poteva predire cosa avrebbe detto; era sempre lo stesso discorso con le persone come lei: ‘Dov’è il manager? Ti farò licenziare. Maleducato. Un terribile servizio clienti. Non hai nemmeno sorriso quando mi hai salutata. Dovresti sorridere ai clienti. Ah! I giovani d’oggi. E qual comportamento! Quanto sarebbe indignata tua madre (e questa era l‘unica cosa che Eren non avrebbe potuto negare).

“Non è difficile sorridere, sai.” La voce della donna interruppe il flusso di pensieri di Eren. “Basta smettere di pensare alle tue angosce adolescenziali e le cose verranno da sé.”

“Non sono più un adolescente da quando ho compiuto vent’anni. E questo è successo circa un anno e mezzo fa, okay?”

“Oh.” Il cambiamento di tono lasciava intendere un qualcosa che ad Eren non piaceva: era comprensivo ma impietosito. “Capisco. Lavori qui perché non sei riuscito ad iscriverti all’università. Allora capisco il tuo modo di comportarti.”

Dio Santo, non c’era mai una fine con questa donna? “No, lei non ha capito null—”

“Prenderò un espresso, non zuccherato.” Disse cacciando il portafoglio dalla borsa e tirando fuori un paio di banconote. Ne mise qualcuna nel vasetto delle mance. “Qui c’è qualcosa per te, caro. Pregherò affinché lo spirito natalizio raggiunga anche te quest’anno.”

“No, Io—” Eren si lasciò scappare un sospiro frustrato, scrollando le spalle in segno di sconfitta e sbattè lo scontrino sul registro di cassa. “Sono uno e cinquanta.” “Che cosa è successo?” Una voce chiese quando la donna finalmente era uscita con il suo espresso, un caffè amaro quanto il suo cuore, a quanto pare.

Eren si girò verso la sua collega, che aveva un melonpan mezzo mangiato in mano. Sasha Braus era una tipa strana, a partire dal suo appetito infinito fino ad arrivare alla sua maniacale fissazione per il cibo. “Niente. Solo un’altra cliente impazzita.”

“L’hai preso dal negozio?”

“Mmh—” La ragazza annuì addentando un altro pezzo di brioche, mentre mugugnava una risposta.

Senza dire altro, Eren si diresse al ripostiglio, prendendo un secchio e uno spazzolone e tornando da Sasha per tendere entrambi gli oggetti verso di lei. Lei ingoiò un altro boccone, gemendo pietosamente. “Devo proprio?”

“Per compensare il cibo gratis che rubacchi sempre, sì.”

Sasha si mise in bocca il resto del panino prima di prendere spazzolone e secchio con riluttanza. Eren incrociò le braccia e non smise di guardare fin quando non la vide dirigersi imbronciata in bagno. Quando Sasha fu entrata, rilassò le braccia e portò una mano nella tasca dei jeans per prendere il suo telefono cellulare. Perlomeno con quella scusa poteva far pulire il bagno a Sasha, cosa che lui aveva evitato di fare per un paio di giorni fino a quel momento. E nemmeno per pigrizia! Solo che dopo la sua ultima pausa in genere rimaneva sempre da solo a chiudere il negozio, quindi non aveva modo di lasciare la cassa senza controllo.

Okay, okay, era soprattutto perché era pigro e si rifiutava di diventare un lavoratore modello.

“-ccioso.” Eren s’irrigidì, realizzando che qualcuno stava cercando di attirare la sua attenzione.

“Ohi, moccioso.”

E ora cosa? Frettolosamente rimise il telefono in tasca e si girò verso il cliente. “Benvenuto al—” si fermò mentre un sorriso faceva capolino sul suo volto, “Ah, sei tu.”

“Tsk. Tu e il tuo pessimo servizio clienti.” Levi fece schioccare la lingua mentre poggiava la sua borsa sul bancone. Era sempre rassicurante vederlo, Eren pensò, perché c’era qualcosa di inspiegabilmente piacevole sulla sua presenza. Magari era il modo in cui era sempre vestito bene, o semplicemente il fatto che chiacchierava con Eren tutte le volte che veniva, ma, ogni altra ragione gli sfuggì di mente non appena Levi iniziò a togliersi i guanti di pelle, un dito alla volta. Tutti i suoi pensieri si fermarono di botto non appena le dita affusolate rimasero esposte. Non che Eren non avesse mai visto quelle mani. Le aveva notate scivolare sulla tastiera del portatile di Levi, tracciare linee sulla carta, reggere la tazza in quel modo che Eren trovava adorabilmente strano.

Non gli era mai passata per la mente l’idea che Levi potesse essere sposato. Quel pensiero lo paralizzò per un momento, ma una volta che i guanti furono tolti anche le sue preoccupazioni scivolarono via. Ma ciò non cambiava il fatto che – così come era conscio delle braccia di Levi, dei suoi occhi, dei suoi sguardi, delle sue spalle e del suo collo – adesso era tremendamente cosciente anche di quelle mani. Tali deliziose, gradevoli mani e dita e Eren poteva solo immaginare cosa avrebbe provato a sentirle addosso. Sarebbero state ruvide? Grezze? Gentili? Calde o fredde?

“Stai ascoltando?”

“Eh?”

“A volte mi chiedo se tu abbia qualcosa in quella testa.” Disse Levi, mettendo i guanti di pelle nella tasca del suo cappotto. Poi la tolse e la posò sullo sgabello di fianco il suo. “Ti stavo chiedendo se avevi qualcosa da consigliarmi.”

“Consigliarti…?” Eren corrugò le sopracciglia, ancora cercando di ricomporre i suoi pensieri, perché non era giusto che fosse reso così nervoso dalla sola presenza dell’uomo.

“Qualcosa da bere. Sai, questa è una caffetteria e tu lavori qui.”

“Ah, sì, giusto. Sì, caffè. Io so fare il caffè. Mhh.” Eren girò le spalle a Levi per poter guardare il pannello con il menù, dietro il bancone. Lui conosceva il menù a memoria con tutto il cuore, solo che questo sembrava non volersi dare una dannata calmata. “Che ne dici di un mocaccino alla menta piperita?”

“Ti sembro il tipo che ordina mocaccini alla menta piperita?”

Eren sorrise tra sé e sé. Era sicuro che se si fosse girato avrebbe trovato un’espressione indecifrabile sul volto di Levi. “No, ma è buono, giuro! Magari un po’ di spirito natalizio potrebbe intenerire il tuo cipiglio.” Oh! Che ironia. Quella vecchiaccia sembrava averlo influenzato.

Sentì Levi sospirare. “Va bene. Ma non lo decorare in maniera festiva o altro.”

Una coppia di minuti dopo, un festoso mocaccino alla menta piperita in una tazza corta fu poggiato davanti a Levi, guarnito con panna montata e zuccherini colorati. Eren sogghignò con malizia. “Un mocaccino alla menta piperita super natalizio per il signor Grinch.”

Sì dai, magari poteva farsi prendere dallo spirito natalizio.

Il sopracciglio di Levi si alzò. Eren avrebbe voluto dirgli che magari avrebbe dovuto farsi controllare perché quel sopracciglio sembrava tremare un po’ troppo. “Tu, imbecille.”

“Sono tre e cinquanta!”

“Ma io non ho ordinato questo!”

Eren poteva sicuramente farsi prendere dallo spirito natalizio se questo voleva dire far arrabbiare Levi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Schizzi ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Un grazie a tutti per i preferiti/da ricordare/seguiti che state lasciando, e ovviamente anche per i commenti (anche solo per leggere la storia eheh)! Mi scuso tantissimo per stare aggiornando meno spesso ma non credo che da ora in poi riuscirò ad aggiornare più di una volta a settimana perchè i capitoli stanno diventando sempre più lunghi quindi ci metto molto più tempo a tradurli. In ogni caso aggiornerò sempre il prima possibile e comunque non meno di una volta a settimana! :) Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Il Chai latte è una bevanda a base di latte e tè chai (un tè cinese).


The Little Titan Café
CAPITOLO 5: Schizzi

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Armin

“Eren…”

Le sue mani guizzarono frettolose sulla pagina del suo quaderno degli schizzi. Più si piegava su di esso, più la grinza tra le sue sopracciglia era visibile.

“Eren.”

Un gemito strozzato e nervoso risuonò nella sua gola mentre strappava la pagina del quaderno, abbandonandola sul tavolo insieme agli altri disegni. Si grattò la testa con la matita, furioso, prima di portarne la punta di nuovo sul foglio e ricominciare da capo per – Armin contò le bozze che giacevano sul tavolo – l’undicesima volta.

“Eren.”

“Cosa?” sbottò il suddetto, con gli occhi ancora sul foglio, arrabbiati e indomabili perché non riusciva a raggiungere l’obiettivo che si era posto, per quante volte provasse. Quelle dita erano troppo lunghe, troppo corte, troppo qualcosa.

“Dovresti davvero stare a fare queste cose?” Armin prese gli schizzi uno a uno, ordinandoli in una pila accurata. Non capiva bene perché Eren non era contento. Ognuno di essi era un disegno di un paio di mani, e in nessuno Armin avrebbe potuto puntualizzare una qualche imperfezione. Le mani erano grezze e adombrate, alcune messe come se pronte a suonare un pianoforte, altre mantenevano una penna, altre avevano le dita intrecciate tra loro, altre ancora erano strette in un pugno; alcune mantenevano una tazza e altre avevano un dito puntato; erano belle sotto ogni prospettiva, affascinanti nella loro rude delicatezza. Ma Armin non era un artista e non vedeva le cose sotto lo stesso punto di vista di Eren, che, di tanto in tanto era impossessato da qualcosa – un’idea, un soggetto, una scena – e, come ora, si ossessionava a ridisegnarlo ripetutamente fino a quando non gli veniva come voleva, e anche in quel caso il risultato non era abbastanza.

“Cosa?” Eren chiese di nuovo, chiaramente senza neanche realizzare di stare parlando.

Armin prese un sorso del suo Chai Latte al cioccolato. Non c’era nessun modo di far riprendere Eren quando si impuntava con un tale fervore. Ma non avrebbe potuto scegliere un posto meno ‘pubblico’ per farsi prendere dalla smania di disegnare? Armin posò la tazza sul tavolo e provò di nuovo con una domanda diversa. “Davvero vuoi passare la tua serata libera a lavoro?”

“Eh?” Eren alzò il volto, confuso, incrociando lo sguardo indagatorio del suo migliore amico. Armin notò che i suoi occhi guizzarono al bancone del locale, speranzosi e nervosi nello stesso momento, prima di tornare al quaderno degli schizzi. “Qui va bene.”

Non c’era nessuno seduto al bancone. Sasha e Connie avevano il turno di chiusura, quindi non era una cosa sorprendente vederli scherzare dietro la cassa. Avevano trovato le decorazioni natalizie nel ripostiglio e al posto di metterle dove sarebbero dovute andare, avevano ben pensato di mettersele addosso e improvvisare una sfilata. “Lo sai che c’è una festa da Jean, vero?”

Eren rispose con un tono derisorio. “Non credo che si chiami festa quando nessuno si presenta.”

“Non ti senti bene o è successo qualcosa? Normalmente fai i salti di gioia all’occasione di andare ad una festa, anche se a casa di Jean.”

“Be', sì, ma qualche volta voglio solo rilassarmi.”

Per favore. Eren e rilassarsi di certo non erano parole che appartenevano alla stessa frase. Armin non voleva curiosare troppo, ma… “Okay. Dimmi chi è lui.”

Sapeva di aver toccato il tasto dolente perché le guance di Eren si colorirono istantaneamente dello stesso rosso del finto naso da renna che stava indossando Connie. “D-di che st-stai parlando?”

Questo era proprio quello che Armin temeva. Eren stava balbettando. Mikasa non sarebbe stata contenta quando l’avrebbe scoperto. “Dimmi di questo ragazzo di cui non riesci a smettere di disegnare le mani.”

“Sto solo disegnando delle mani, Armin.”

“Mani molto specifiche, con una specifica persona in mente.”

“Come diavolo faresti a capire una cosa del genere dai miei schizzi? Come fai a capire che non sono semplicemente ossessionato dalle mani in generale?”

“E’ quello che avevo dedotto all’inizio, ma se continui a fissare il bancone dove non sta seduto nessuno e fai quella faccia…”

“Non sto facendo nessuna faccia” Eren negò, un po’ troppo veementemente.

“Ora ti sei messo sulla difensiva.”

Eren corrugò le labbra, maledicendo Armin per la sua sgradevole intelligenza. Quello era Armin, dopotutto. Armin che si stava laureando in Ingegneria Nucleare, che al momento stava prendendo parte a un tirocinio in laboratorio – ora, Eren non ne sapeva molto, ma aveva capito bene quanto fosse difficile avere un posto in quel programma, perlomeno -, che risolveva tutto con la logica, la ragione e le deduzioni, e che, per farla semplice, era un maledetto genio a cui Eren non poteva nascondere nulla.

“So cosa stai pensando e, credimi, non c’è bisogno di essere un genio per capire cosa c’è che non va. Sei troppo trasparente.”

Eren si accigliò di fronte allo sguardo accusatorio di Armin. “Non cambia il fatto che tu sia intelligente.”

Armin spostò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. Eren non aveva notato fino a quel momento che il taglio di capelli di Armin era diventato sempre più lungo nel corso degli anni – ormai li aveva sempre legati in una coda. Normalmente li portava semplicemente di una certa lunghezza, ma Eren capì che era troppo preso dall’università per preoccuparsene. “Chi è questo cliente per cui stai ossessionando?”

“Non sono ossessionato da nessuno.” brontolò Eren, fissando imbronciato il suo ultimo schizzo. Iniziò a disegnare anche le braccia questa volta, le maniche arrotolate sui i gomiti, i gomiti piegati a 110 gradi, gli avambracci distesi – e a lui piacevano davvero tanto quegli avambracci -, la curva dei polsi – erano troppo piegati? – e le mani – bellissime mani -, e il modo in cui le dita si muovevano, il modo in cui mantenevano la tazza, stringevano con sicurezza la penna, il modo in cui erano pulite e grezze allo stesso momento e il fatto che non ci fosse nessuno anello alle dita, ma forse c’era comunque qualcuno e Eren non lo sapeva perché non sapeva un sacco di cose su di lui ma avrebbe voluto saperle, solo non aveva idea di come –

“Eren!”

“Sì?”

“Stavi sognando ad occhi aperti.”

“Ah.” Eren si rabbuiò, cercando di capire quando si era perso nei suoi pensieri. Stava ancora guardando il suo schizzo di braccia-mani-dita, un disegno non specifico, né di una persona specifica, ma che era in realtà l’immagine nella sua testa di un certo cliente dall’aria indifferente a cui piaceva prenderlo in giro e guardarlo con quegli occhi che – dannazione, lo stava facendo di nuovo. Eren chiuse il quaderno degli schizzi, sbattendolo sul tavolo. “Forse dovrei venire alla festa. Ho bisogno di bere.”

Ma invece, per Gesù Cristo, o per Dio o per qualsiasi altra divinità che avesse deciso di farlo arrabbiare in quel momento, la porta del locale si aprì, seguita dal rintoccare del campanello e da una ventata di fredda aria invernale. E improvvisamente il caffè era troppo piccolo e troppo grande nello stesso momento, perché l’oggetto delle ossessioni di Eren era fermo in piedi all’entrata, la testa abbassata mentre premeva qualche tasto sul suo telefono. Armin iniziò ad alzarsi per andarsene, ma Eren lo fermò, afferrando il suo polso e facendolo sedere di nuovo, mentre cercava di rendersi invisibile.

Cazzocazzocazzocazzo.

Aspetta. Per quale motivo stava andando in panico? Come se non potesse stare nel posto dove lavorava a gustare una tazza di caffè, perché poteva, no? Aveva lo stesso diritto di essere lì che aveva Levi. Non c’era niente di strano a proposito. Okay, questa era una balla. Adesso era definitivamente un momento bizzarro perché gli unici momenti durante i quali Eren aveva interagito con Levi erano mentre stava lavorando ed era più facile in quella situazione. Mentre lavorava, era normale parlare con lui: era il suo lavoro intrattenere i clienti, per assicurarsi che avessero un’esperienza piacevole – come se a lui importasse di ciò, ma lasciamo stare. Mentre Levi si dirigeva al suo solito posto, Eren si chiese se sarebbero riusciti ad uscire silenziosamente dal negozio senza che Levi se ne accorgesse.

“Eren! Armin!”

Dannazione. Dannazione. Dannazione. Magari Levi era distratto. Magari avrebbe pensato che era un altro Eren quello di cui si stava parlando. Magari – no, Levi aveva alzato la testa e guardato Sasha e Connie che indossavano delle corna da renna mentre cercavano di attirare l’attenzione di Eren e Armin. Se fosse confuso o no, non si sarebbe potuto dire, dal momento che non si trovava dietro al bancone come di solito.

“Che ne dici, Eren?” Chiese Sasha, in posa con una mano sul fianco.

Eren cercò di sprofondare di più nella sua sedia, e ci riuscì. Sfortunatamente era anche rimasto immobilizzato quando Levi aveva guardato dietro le sue spalle, individuandolo.

“Non dovresti essere a lavoro?” Eren sbottò.

“Non dovresti esserci tu?” Chiese Levi.

“Oggi è il mio giorno libero.”

“E lo passi a lavoro?”

Eren si rilassò, ricomponendosi. Nello stesso momento Armin cercava di essere discreto, fallendo, mentre si girava per guardare l’oggetto delle ossessioni di Eren. “Volevo del caffè, e, come figlio della proprietaria, ho uno sconto.”

“Tutti i dipendenti hanno uno sconto.” Precisò Connie.

Mentre Levi si sedeva al bancone e Connie e Sasha prendevano la sua ordinazione, Armin si sporse sul tavolo e sussurrò: “E’ lui?”

“Cosa intendi dire?” Chiese Eren, offeso perché il suo tono faceva sembrare Levi una malattia ambulante, e se lui era una malattia di certo era la più affascinante malattia sulla faccia della terra.

“Non è… grande?”

“Non è così grande…” Eren biascicò con incertezza.

“Non sai nemmeno quanti anni ha?” Armin sospirò.

Eren sapeva dove la discussione sarebbe andata a parare, lo poteva leggere sulla faccia di Armin, e perciò, prima che ci arrivasse, lo interruppe: “E’ solo una cotta, ok? Non se ne farà nulla.”

Preoccupazione, era ciò che vi era ora dipinto sullo sguardo di Armin. Preoccupazione e nervosismo per il suo amico che non si innamorava mai e che, improvvisamente, aveva sviluppato un’infatuazione – ossessione, cotta, come la si vuole chiamare – per un uomo più grande di lui; il suo amico Eren, i cui sentimenti a volte straripavano e lo sopraffacevano perché lui non sapeva come contenerli. Poteva solo sperare che sarebbero rimasti sul quel livello: una cotta, un interesse fuggevole. “Va bene. Stiamo ancora andando alla festa?”

Eren lanciò un’occhiata furtiva alla schiena di Levi. “Credo che resterò qui. Tu puoi andare.”

“Eren…”

“Smettila di fare quella faccia, voglio finire di disegnare.”

Armin dovette mordersi la lingua per non precisare ad Eren che era prontissimo a venire alla festa prima che arrivasse quell’uomo, ma poi aveva cambiato idea. Se c’era una cosa che sapeva, essendo un amico di infanzia di Eren, era quanto fosse testardo. “Va bene. Ci vediamo domani.”

Non appena Armin uscì, Eren lasciò cadere la sua testa sul tavolo, battendocela contro un paio di volte, anche se piano. Sarebbe dovuto semplicemente andare. Quando era stata l’ultima volta che era andato a una festa? Uno, due mesi fa? Aveva lavorato così tanto da non preoccuparsi della sua vita sociale, ed eccolo ora, a passare la sua serata libera al caffè. La sua priorità era di seguire la retta via, ma, tecnicamente, era andato fuori rotta, tra curve e biforcazioni, per arrivare in un territorio dove finiva per innamorarsi di uomini. E, in realtà, non c’era mai stato un momento della sua vita in cui era stato eterosessuale.

Un’altra pressante priorità, quella di capire perché qualcosa fosse stata buttata sul suo tavolo, gli fece alzare gli occhi per vedere una borsa familiare. Le gambe di una sedia raschiarono contro il parquet, mentre questa veniva spostata e una persona molto familiare occupava il posto che Armin aveva lasciato deserto. Eren sbattè gli occhi.

“Non posso sopportare di stare vicino ai tuoi colleghi.” Si spiegò Levi. La sua espressione era quasi comica – un qualcosa tra incredulità e orrore –, non che Eren potesse biasimarlo. Prima che potesse rispondergli, lo sguardo di Levi si posò sulla pila di schizzi. “Disegni?”

“Eh? Ah...” Eren si alzò e li tolse velocemente dalla sua vista, inserendo i fogli nel suo quaderno degli schizzi, mentre l’imbarazzo colorava le sue guance. “No. Cioè… sì.”

“Non male.” Disse Levi.

Normalmente quando le persone si complimentavano per i suoi disegni, tendevano a tessere le sue lodi a gran voce. Qualche volta i loro complimenti lo facevano sentire orgoglioso, lo mettevano di buon umore, ma non gli facevano saltare il cuore fuori dal petto come quelle due semplici parole. Scrollò le spalle nel tentativo di sembrare calmo e impassibile. “Grazie, credo…”

Eren fu sorpreso dal fatto che Levi non cacciò il suo portatile dalla borsa, ma un libro. Era scritto in francese quindi Eren non riusciva a comprendere il titolo. Comunque decise di non infastidire Levi con domande sul motivo per il quale aveva un libro in francese, perché voleva continuare a disegnare, dal momento che le sue frustrazioni sembravano essere scomparse improvvisamente e il suo stomaco liberato da un peso.

Passarono quindi il resto della serata così, consci solo del rumore di pagine voltate e di una matita che scribacchiava.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Un vita di merda ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Un sentitissimo grazie sia per i commenti che per tutti i 'preferiti', 'da ricordare' e 'seguito' che ci state lasciando e che crescono ad ogni capitolo, e anche per le visualizzazioni :) Un grazie anche a chi legge solo e si sta godendo questa storia. L'altra volta ho accidentalmente cambiato il nome del capitolo da 'Ossessione' a 'Schizzi' ma poi io e l'autrice ci siamo chiarite un attimo (lei non aveva inserito il titolo nel sito dove prendo il testo da tradurre) e mi ha dato l'ok per lasciarlo così. In ogni caso mi dispiace tanto. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Domani sera rileggo meglio perchè sto letteralmente dormendo con gli occhi aperti e sicuro ho scritto qualcosa male. Mi dispiace (odio l'universita!), ma un grazie a quelli che mi fanno notare gli errori, ho bisogno di voi eheh. Ho lasciato il sistema di voti estero anche in questo capitolo: F è una insufficienza.


The Little Titan Café
CAPITOLO 6: Una vita di merda

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Un inusuale occhio nero

Stava diventando uno di quei giorni in cui l’unica cosa che Eren voleva fare era strozzare qualcuno, o prendere il registro di cassa e usarlo per picchiarlo. Entrambe le prospettive suonavano sempre più allettanti man mano che passava il tempo. Non che questo fosse un umore inusuale nelle sue giornate – rabbia, ecco cos’era – ma oggi questa rabbia era eccezionalmente forte, talmente forte che chiamarla rabbia era sminuente. Eren era incazzato nero, e con istinti omicidi. Non che avrebbe realmente ucciso qualcuno – si spera – dal momento che non voleva ancora andare in prigione, e tante grazie. Quel giorno c'era stata una cosa dopo l’altra che lo aveva portato a quel punto, oltre ogni limite di sopportazione, e, rimuginando sulla sua giornata, Eren realizzò che l’avrebbe dovuta spendere accoccolato nel suo letto, dandosi malato a lavoro (ma sfortunatamente questa non era una opzione quando sua madre era anche il suo capo).

Ma, in ogni caso, Eren sapeva che non avrebbe neanche dovuto alzarsi. Come? Be’, torniamo indietro a quella stessa mattina quando i lavori del cantiere di fronte lo avevano svegliato all’alba. Aveva cercato di tornare a dormire, ci aveva davvero provato, ma non c’era modo di tornare indietro una volta che veniva svegliato. Dopo un’ora a dimenarsi e rigirarsi e a seppellire la testa sotto uno strato di cuscini e coperte, si era alzato. Quello era stato il primo segno che lasciava presagire come la sua giornata sarebbe stata un inferno. Il secondo segno – che avrebbe dovuto essere il segnale per farlo filare a letto e nascondersi dal mondo – era che, alzandosi dal letto nel suo stato intontito, era inciampato e aveva sbattuto l’alluce contro l’angolo della sua scrivania (e il rumore dei lavori fuori era intanto salito così tanto, che aveva annichilito tutto il suo campionario di insulti per esprimere il suo dolore fisico).

Per colazione aveva avuto un toast bruciato. Avrebbe voluto dei cereali, ma una volta che li aveva messi in una ciotola, quando era andato a prendere il latte aveva realizzato che il cartone era vuoto. Il resto della sua mattinata era passato senza intoppi, fortunatamente, – e si era anche concesso un po’ di cartoni animati mattutini prima di farsi una doccia e dirigersi in facoltà – finché, fuori casa, si era ritrovato bloccato nel traffico a causa dei lavori. Oltre ad aver passato una mattina orribile, Eren era arrivato tardi a lezione, aveva ricevuto il voto del suo esame di matematica di una settimana prima – una F, maledizione! – e aveva realizzato di aver lasciato a casa lo zaino, per terminare la sua giornata universitaria odiando la sua vita.

Ma poi – poi! – quando se ne stava finalmente andando, aveva notato che qualche imbecille aveva distrutto il faro posteriore della sua auto! Come diavolo era riuscito a fare una cosa del genere? E comunque, solo un eccellente idiota poteva andarsene senza far sapere niente al proprietario della macchina che aveva danneggiato, e se lui avesse mai trovato chi aveva rotto la sua piccola l’avrebbe fatto nuovo nuovo (e, mentre Eren sbuffava e si lamentava rumorosamente, vari studenti che stavano passando gli lanciarono occhiate comprensive come a dirgli che era normale che fosse infuriato. Non che qualcuno potesse biasimarlo, si stava anche avvicinando la fine del semestre: chiunque impazziva in quel periodo).

Pertanto, Eren era di cattivissimo umore già prima di arrivare a lavoro. Non aiutò il fatto che ogni cliente che arrivava – e qui stava esagerando perché in realtà erano stati solo due – pensava che gli stesse dando il resto sbagliato. Il suo turno non poteva passare più lentamente e ogni volta che non stava guardando la porta i suoi occhi erano sull’orologio e quando mancavano solo dieci minuti alla chiusura si dovette rassegnare al fatto che Levi non sarebbe venuto. Non gliene importava.

Non gli importava nemmeno del fatto che l’ultima volta che aveva visto l’uomo era stato quattro sere prima, durante la sua serata libera. Non gliene importava niente. La cosa non lo innervosiva per niente. Assolutamente per nulla.

Da ciò, potete capire il nervosismo di Eren e il motivo per cui odiava la sua vita.

Avrebbe davvero, seriamente, dovuto spendere la giornata a letto. Infatti, in quel caso, oltre ad evitare una pessima giornata, avrebbe anche evitato di essere dietro al bancone nel momento in cui un cosiddetto ‘tipo losco’ gli puntava contro quella che sembrava una pistola. O, perlomeno, quella che lui voleva far passare per un pistola, nascosta dietro la sua giacca mentre chiedeva ad Eren di dargli tutti i soldi nella cassa.

“Dammi i soldi.”

Eren fissò lui, e poi la supposta pistola completamente coperta dal giaccone e per un attimo pensò che avrebbe dovuto stargli a sentire. Gli era sempre stato detto di essere cauto quando chiudeva il negozio di sera, ma in tutti gli anni in cui aveva lavorato al caffè, non era mai successo nulla di male. Il vicinato era tranquillo e c’era una stazione della polizia a due o tre isolati da lì, in fondo alla strada, quindi l’area non era di certo nota per la criminalità. Questo tipo doveva essere un totale idiota per pensare di poter fare una rapina in zona.

“Ehi, mi hai sentito?” L’uomo interruppe i suoi pensieri, muovendo la pistola sotto il giaccone. “A meno che tu non voglia essere sparato datti una mossa.”

Eren aveva due opzioni: poteva aprire il registro di cassa e dare al tipo quello che voleva, o poteva mandare a quel paese lui e tutto il resto del mondo. L’opzione due gli sembrava più allettante. Se fosse stato un qualsiasi altro giorno il rapinatore se ne sarebbe andato via illeso, ma quel giorno Eren se l’era vista con così tanti momenti schifosi che adesso era al limite. “Ma sei serio?”

Le sue parole sorpresero l’uomo. “Be’… sì?”

“No, perché se lo fossi stato avresti portato una pistola vera, imbecille.”

“Come diavolo faresti a sapere che non è vera?”

“Allora mostramela.” Lo esortò Eren. Quando passarono tre secondi senza avere nessuna reazione, il ragazzo fece un cenno col viso. “Proprio come avevo pensato.”

“Senti stronzetto, anche nel caso in cui non abbia una pistola ti picchierei fino a farti nero. Ora-” L'uomo si sporse oltre il bancone e afferrò Eren per la collottola, “apri quel dannato registro e dammi i soldi.”

“Dio. Sei davvero stupido.”

“Potresti muoverti a cooperare?”

Eren digrignò i denti quando l’uomo lo strattonò. “Per quale motivo dovrei cooperare con te? Non ho intenzione di darti nulla. Quindi puoi andartene o aspettare che arrivi la polizia.” L’uomo si raggelò all’ultima frase, e Eren sorrise beffardo.

“Stai mentendo.”

“C’è un bottone proprio qui sotto il bancone per avvisare la polizia.” Era solo uno stratagemma, ma l’uomo era abbastanza stupido da cascarci. Il barista poteva vedere il terrore nei suoi occhi.

“Dannato moccioso.” Il tipo tenne Eren fermo con una mano, mentre l’altra si alzava per sferrargli un pugno all’occhio destro. Eren imprecò non appena fu liberato dalla presa, mentre un dolore bruciante gli si diffondeva sul viso.

Okay, era abbastanza per quella serata. Eren scavalcò il bancone con un salto e iniziò a inseguire l’uomo.

“Torna qui, bastardo!”





“Non sei molto bravo a fare finta.”

La voce familiare dietro di lui fece balzare Eren dallo spavento. Era così distratto a fare finta di spazzare e a pensare che non aveva nemmeno sentito la porta che si apriva. Eren si girò, con le mani che stringevano il manico della scopa e cercò di non sorridere – non voleva che Levi pensasse di essergli mancato o cosa. Vederlo vestito impeccabilmente come sempre era come sentire una ventata di aria fresca in volto. “Ciao a te.”

Uno sguardo più accigliato del solito deturpò il volto di Levi non appena il suo sguardo cadde sull’occhio nero di Eren. “Sei orrendo.”

“Be’, grazie.”

“Lo voglio davvero sapere?”

Eren fece spallucce, poggiando la scopa contro il bancone. “E’ una brutta storia.”

Levi sbuffò, sedendosi in fondo al bancone. “Ne sono certo.”

“Cosa vuoi stasera?”

“Sorprendimi.”

Eren alzò un sopracciglio. “Sei sicuro?”

“Mh.”

“Va bene allora.” C’era una cosa nuova che stava morendo dalla voglia di provare a fare, dopotutto. Eren canticchiò la canzone in onda nel negozio - Gone, Gone, Gone dei Phillip Phillips – mentre si lavava le mani e iniziava a preparare l'ordine di Levi: versò il latte freddo in una brocca, macinò i chicchi di caffè per poi pressare la polvere nel filtro; inserì il braccio nella macchina del caffè e mise una tazza sotto. Mentre l’acqua filtrava lui mise il latte sotto il getto di vapore. Colpì e agitò la brocca fino a quando il liquido non si trasformò in una spuma leggera, facendo in modo che non si formassero bolle. Poteva sentire lo sguardo di Levi posato su di sé mentre versava la spuma nella tazza, tenendo la brocca vicina e centrata.

“Illuminami sull’adorabile livido sulla tua faccia.”

Eren distribuì la schiuma di latte sulla superfice della bevanda con un cucchiaino, fermandosi un momento. “Be’… non ho partecipato ad una rissa se è quello che stavi pensando. Più o meno.” Infilò un bastoncino di legno muovendolo attraverso la schiuma. “Un tipo ha cercato di rapinare il negozio l’altra sera e io gli ho detto che avrei chiamato la polizia e lui mi ha dato un pugno ed è scappato.” Una volta terminato, mise la tazza di fronte a Levi, quasi ridendo all’espressione scettica sul suo viso. “Non preoccuparti. L’ho inseguito e gliele ho suonate come si deve.”

Una venetta si gonfiò sulla tempia di Levi – aveva davvero bisogno di farsi controllare. Tutta colpa del ragazzo. “Almeno hai chiamato la polizia?”

“Sì. Tutto riportato e schedato.”

Quel che è fatto è fatto. Questo non significava che Levi lo trovasse meno stupido per aver inseguito un ladro. In ogni caso lasciò stare non appena vide il disegno che Eren aveva fatto sulla schiuma del suo Latte. Era un paio di ali spiegate: e non un convenzionale paio di ali, bensì particolare e un po’ stilizzato, ma comunque delle ali. “Non male.”

Eren sorrise. Sì, Levi era tremendo a fare i complimenti, ma questo non lo rendeva meno contento di averne ricevuto uno.

Levi fece qualche sorso, ignorando il fatto che Eren lo stava fissando, con il mento poggiato tra le mani. La tazza tintinnò mentre veniva posata sul piattino. “Hai intenzione di stare lì fermo e fissarmi per tutta la serata?”

“Ah, stavo solo pensando a dove potevi essere stato…” La voce di Eren si affievolì. Si era fermato e aveva incespicato nelle sue stesse parole, le guance rosse per l’imbarazzo e la voce un po’ rotta dall’incertezza. “Cioè, non che mi interessi è solo che avevo iniziato a considerarti come un cliente regolare e tu hai… smesso di venire improvvisamente.”

Eren si sentì solo peggio quando finì di spiegarsi, e, in tutta risposta, Levi continuò a guardarlo senza accennare nessun cambio di espressione. Poi un sorrisetto stirò le sue labbra e Eren non seppe più se sentirsi sollevato o preoccupato. “Ero via per un viaggio di lavoro. Grazie per esserti preoccupato per me.”

“Non mi hai ancora detto che lavoro fai.” Precisò Eren.

“Un moccioso ficcanaso, eh?”

“Ehi ehi, guarda che anche tu sei un ficcanaso.”

Eren notò che Levi non aveva negato la sua affermazione. Si era appoggiato alla testiera dello sgabello, gli occhi fissi nel vuoto come in contemplazione, mentre mescolava la sua bevanda con un cucchiaino. “L’ultima volta che sono venuto… eri con un tuo amico?”

Eren aggrottò le sopracciglia in confusione, non capendo a chi si stava riferendo Levi fino a quando non gli tornò in mente. “Armin? Sì. Ci conosciamo da quando eravamo bambini. Per me è come un fratello, sai?” Poi le sue labbra di piegarono in una smorfia irritata. “Ehi, smettila di eludere le mie domande.”

“Te lo dirò,” Levi inclinò la tazza portandola alla bocca. Eren si rallegrò per un secondo, solo per essere deluso quello dopo, “un giorno, forse.”

“E se tirassi ad indovinare? E tu mi dici se ci ho preso?”

“No.”

“Giornalista?”

“No.”

“Scrittore?”

“No.”

“Insegnante?”

“No.”

“Commercialista?”

“No.”

“Agente segreto?”

“…”

“Che c’è? Potrebbe essere.”

Levi si salvò da un ulteriore interrogatorio quando entrò un cliente.





“Uhm…” Eren lanciò un’occhiata a Levi, che non si era mosso dalla sua sedia nemmeno quando lui aveva preso la sua tazza, l’aveva lavata, aveva controllato e chiuso il registro di cassa. “Non dovresti avviarti? Starei chiudendo il negozio.”

Levi girò un’altra pagina del suo libro.

“Non prendere niente.” Disse Eren, scomparendo nel retro per posare i soldi e prendere le sue cose. Ritornò con la sua felpa addosso, sorpreso e diffidente nel trovare Levi in piedi ad aspettare paziente, con i guanti di pelle sulle mani che stringevano il manico della sua borsa. Eren decise che era meglio non fare domande e si diresse fuori, mantenendo la porta aperta mentre Levi usciva dietro di lui. A quel punto si aspettava di vedere l’uomo andare via, ma questi continuò a indugiare mentre Eren chiudeva il negozio. In totale agitazione, Eren si girò puntandogli le chiavi contro. “Okay, cosa stai facendo?”

“Mi sto congelando il sedere mentre tu chiudi il negozio con tutta calma.” Rispose Levi, impassivo.

“Perché non te ne vai, scusa?”

“Non posso.”

“Perché no?”

“Perché,” La sua espressione era inalterata – neutrale, apatica, imperturbata. C’era qualcosa di semplicistico nel modo in cui parlava, e nel modo in cui guardò Eren come se il fatto che fosse rimasto lì fosse la cosa più ovvia del mondo “Ti sto accompagnando alla macchina.”

Eren era senza parole, capace solamente di spalancare la bocca come un pesce fuor d’acqua. Il suo cuore perse un battito. “Ma… perché?”

“Sei quasi stato rapinato. Quale adulto mi sento responsabile della tua sicurezza.”

“Ti sei accorto del fatto che sono un adulto anche io, vero? E che sono capace di difendermi. Se solo avessi visto come ho conciato quel tip—”

“Eren taci e andiamo. Fa freddo.”

Freddo? Sul serio? Perché Eren l’aveva difficilmente notato considerando quanto velocemente il suo cuore stava battendo e quanto caldo sentiva improvvisamente il suo corpo. Fece come gli era stato detto e si avviò verso il suo posto auto. C’erano solo due macchine parcheggiate, e una era la sua, messa nell’unico posto per gli impiegati. “Suppongo che quella lì sia la tua macchina.”

“Nh.”

“Allora ci vediamo in giro…” Disse Eren, il nome di Levi bloccato nella sua gola. Per qualche ragione non riusciva a pronunciarlo, probabilmente perché ogni volta che stava per dirlo le sue mani diventavano calde e appiccicose. Eppure Levi riusciva a dire il suo nome con una tale facilità da far palpitare il suo povero cuore.

Levi annuì e si diresse verso la sua auto. In realtà non c’era alcuna ragione per accompagnare Eren fino alla sua macchina quando poteva tranquillamente vederlo da lì. Eren si sedette al posto di guida, inserì le chiavi e mise in moto il motore. Non riusciva a pensare a nient’altro che a come il suo nome suonava pronunciato da Levi, non riusciva a pensare a nient’altro che al fatto che Levi l’aveva aspettato per accompagnarlo alla sua macchina, al fatto che anche se non doveva l’aveva fatto comunque, al fatto che avrebbe potuto trovare un sacco di scuse – del tipo ‘ho parcheggiato nello stesso posto, tanto vale andarci insieme’ – che avrebbero suonato meglio di scemenze come ‘sono un adulto’.

Eren poggiò la fronte contro il volante, mettendosi le mani sulle guance, che ormai gli facevano male tanto che stava sorridendo. Si sentiva come un quindicenne al primo amore. Solo a quel punto gli venne in mente quanto era completamente partito, e che la sua vita sarebbe diventata un po’ più incasinata d’ora in poi.

Ma non gli importava per il modo in cui il suo nome suonava sulle labbra di Levi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Eau de Levi ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Aggiornamento anticipato perchè domani non ho tempo e perchè ve lo meritate tutti! Le statistiche tra visite/commenti/ridordare-preferiti-seguiti stanno andando alla grande e questo non potrebbe rendere più felici me e l'autrice. Grazie grazie grazie a tutti e grazie per starvi godendo questa fanfiction! Non ho ancora risposto i commenti perchè ho inviato le traduzioni all'autrice oggi quindi il tempo che mi risponde lei che io rispondo a voi (grazie! ci sono stati un sacco di commenti e uno più bello dell'altro!). Per la prima volta posto un capitolo senza avere il successivo già tradotto (la tecnica che ho usato fino ad ora per non incorrere in ritardi xD), spero di non ritardare la prossima settimana. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Non ho ancora corretto il capitolo precedente, ma grazie per avermi avvisata... purtroppo la sessione di esami mi uccide. Oggi sono meno stanca magari mi è andata bene xD (non ci spero più in realtà...) // edit: ho corretto lol ma non darei per scontata l'assenza di altri errori ;___; //. Vabbè ci sono un botto di bevande che non troverete mai in un bar tipicamente italiano ma nulla di che. Vi ricordo che a questo punto della fic si è a novembre/dicembre.


The Little Titan Café
CAPITOLO 7: Eau de Levi

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: tortino al cioccolato dal cuore morbido con panna montata

C’era questa ragazzina che veniva spesso al caffè con suo padre. Le piaceva ordinare una cioccolata calda con panna e zuccherini colorati un giorno e un tortino al cioccolato dal cuore morbido con panna e cioccolata extra l’altro. Le sue descrizioni erano sempre diverse, ma l’ordine era comunque lo stesso. A volte chiedeva al padre di poter avere del latte al cioccolato. Qualche volta voleva un latte al cioccolato da adulti, quello disgustoso che i bambini non riuscivano a bere perché non era divertente e festoso e delizioso. Suo padre le sorrideva sempre in adorazione.

C’era una signora anziana che girava per il negozio e lanciava sguardi furtivi al menu. Si chiedeva dove fossero i suoi occhiali – mica li aveva lasciati a casa? – e Eren cercava di non ridere perché erano poggiati proprio sulla sua testa.

C’era una studentessa universitaria che ordinava ogni sacrosanta volta un caffè amaro colossale. Indossava una giacca di jeans e un maglione dai colori pastello – verde, rosa, blu e vari altri colori, rispetto alla giornata – e uno zaino nero della ShinaSport. Un portachiavi della SU (Università di Shiganshina) era attaccato a una delle lampo dello zaino. Entrava nel negozio con occhi di ghiaccio ed un’espressione fredda e cupa sul volto, ma diceva sempre ‘Grazie’ con una nota calda nella sua voce. Gli studenti avevano uno sconto quindi Eren sapeva che il suo nome era Annie dalla volta che lei gli aveva mostrato la sua tessera studenti.

Di tanto in tanto due ragazzi molto alti venivano con lei. ‘Macho man’ e il ‘fagiolo magico’ erano i nomi con cui Eren mentalmente si riferiva a loro. A Macho man piaceva ordinare gli speciali delle festività, mentre il fagiolo magico aveva una particolare passione per il macchiato alla nocciola. Eren ogni tanto gli lanciava delle occhiate in momenti un po’ più intimi: che erano fatti per essere solo loro.

Keith Shadis, un amico dei suoi genitori, veniva qualche volta, portando con sé l’odore di whiskey e storie sugli anni passati nell’esercito. Ordinava un decaffeinato corazzato.

Due ragazze del liceo ridacchiavano spesso mentre Eren prendeva i loro ordini, un mocaccino al cioccolato bianco per una e un chai latte alla soia per l’altra, entrambi danzanti. Il sole sembrava seguirle.

Un impiegato, che sembrava sempre fosse sopravvissuto a un terremoto, veniva ogni volta ad ordinare parecchie cose e lasciava sempre qualche banconota nel barattolo delle mance prima di andarsene.

C’erano un sacco di altri clienti – di cui ognuno aveva una caratteristica particolare che aveva attratto l’interesse di Eren – ma i suoi pensieri finivano sempre al suo secondo cliente preferito – la prima era la bambina che adorava il tortino al cioccolato.

“Una colata di lava di cioccolato con nuvole di panna e zuccherini al cacao per sua altezza la principessa Lily.”

“Te la cavi con i bambini.” Commentò Levi non appena Eren finì di scambiarsi inchini galanti con Lily. Lei corse al tavolo dove l’aspettava il suo papà.

Eren fece spallucce. “Solo perché non sono i miei. E’ molto più facile gestirli quando è solo per un paio di minuti.” Mentre parlava si mise a mettere a posto il ripiano di fianco la cassa. Tazze e bicchieri erano in bella mostra, ognuno decorato in qualche maniera per le festività. Eren aggiustò uno dei set da regalo mentre chiedeva con nonchalance: “e tu hai figli?”

Levi sbuffò. “No. Avere bambini sarebbe impossibile per me.”

“Perché?”

“Li ucciderei.”

Eren rise alla sua brusca onestà. Quella era una delle ragioni per cui Levi era il suo cliente preferito: la sua onestà e il fatto che non ordinava mai la stessa cosa, doveva essere sempre qualcosa di diverso. Ma c’era un numero limitato di bevande sul menu e Levi sarebbe stato costretto a ricominciare la lista da capo ad un certo punto. Ma aveva ancora un paio di cose ancora da provare prima che ciò accadesse.

Erano passati tre giorni da quando Levi aveva trovato Eren con un occhio nero dopo che questi era quasi stato derubato. Levi era stato di parola, e l’aveva sempre accompagnato alla sua macchina a fine serata. E quella era un’altra ragione per cui lui era il suo cliente preferito: gli interessava abbastanza di Eren da assicurarsi della sua incolumità.

Okay. A chi stava cercando di prendere in giro? Cliente preferito? Levi non era il suo cliente preferito. Se qualcosa, era il peggior cliente: diretto, esigente, sempre ad infastidire Eren - ‘Sei sicuro che quella tazza è pulita?’ -, enigmatico al punto da essere frustrante. L’uomo portava sempre con sé una bottiglietta di gel igienizzante, era meticoloso, ordinato, non si passava mai il fazzoletto sulla bocca, ma lo picchiettava, manteneva la tazza in quel modo strano, era basso e aveva una faccia indecifrabile. Levi non era il cliente preferito di Eren per tutti questi motivi, ma era il suo cliente favorito perché lui gli piaceva per tutte queste stesse ragioni.

E non riusciva a capire perché.

Magari Eren era davvero molto superficiale? Nooo. Macho man e il fagiolo magico erano attraenti. E i muscoli di macho man? Mmmh. E una volta era anche uscito insieme a faccia da cavallo, ma quello sì che era stato un disastro di relazione. Non poteva essere così superficialotto.

Ma nemmeno Jean gli era piaciuto così tanto dall’inizio. Sicuramente sapeva apprezzare un bel pezzo di ragazzo quando ne vedeva uno, ma non ne rimaneva irreversibilmente attratto dalla prima occhiata.

Irreversibilmente. Fantastico. Eren sospirò. Quindi non c’era un modo di tornare indietro?

Scosse la testa e scacciò via quei pensieri. Poi si girò verso Levi, smettendo di far finta di lavorare mentre si faceva strada dietro al bancone. “Professore?”

“Hai già detto insegnante. E io ho detto no.”

Avevano iniziato a giocare a questo gioco la notte dopo la tentata rapina. Eren faceva una lista di possibili lavori e Levi li negava tutti. Quindi, in realtà, non era tanto un gioco dal momento che Eren non si avvicinava mai alla risposta giusta. “Dottore.”

“No.”

“Mmh…” Eren strinse gli occhi sospettosamente. “Malavitoso?”

Si aspettava che Levi avrebbe sbuffato e l’avrebbe chiamato stupido, ma l’uomo si fermò mentre le sue dita si curvavano attorno all’estremità della sua tazza. “E se lo fossi?”

Il cuore di Eren perse un battito o due perché c’era una luce pericolosa nei suoi occhi che gli mandò la pelle in fiamme. “Ah. Io… be’… credo che sarebbe proprio figo!”

“Tsk.” Il bagliore negli occhi di Levi svanì. Portò la tazza alle labbra, mentre gocce di tè tiepido finivano nella sua bocca. “No.”

Eren piegò le braccia, poggiandole sul bancone, vicino al computer di Levi. “Lo capirò in ogni caso, prima o poi, sai.”

“Ne sei così sicuro?”

Eren alzò le spalle. “E’ che tu stai sempre lì a digitare qualcosa sul tuo pc e io… Non lo so.” Non poteva certo dirgli che voleva saperne di più su di lui. Poi la sua cotta sarebbe stata evidente quanto un uomo che prorompeva nel negozio vestito da gallina e iniziava a ballare (e credetegli, è successo una volta). “Sono annoiato, ok? In quale altro modo posso passare il tempo?”

“E tu?”

“E io cosa?” Come se Eren gli avrebbe detto qualcosa. Se Levi non gli diceva nemmeno una cosa semplice come che lavoro faceva, non gli avrebbe dato nessun piccolo dettaglio su sé stesso.

“Immagino che tu vada all’università.”

“Sì, quella di Shiganshina.” Dannazione. Vai con l’aria di mistero.

“Ah! Ci sono andato una volta.”

“Quando? Cinquanta anni fa?”

Il suo sguardo stavolta era davvero pericoloso, del tipo potrei-ucciderti-all’istante. Eren provò una sorta di déjà-vu e alzò le mani in segno di resa.

“Quando ti sei laureato?”

“Ho detto che ci sono andato una volta, non che frequentavo. Frequenti l’accademia d’arte.”

“Sì.” Uh. Eren stava volontariamente dando informazioni su di sé senza pensarci due volte. Le parole letteralmente gli uscivano di bocca prima che il suo cervello potesse ordinargli di tacere. “Ti sei mai laureato?”

“No.” Questa era una sorpresa. Levi sembrava sempre così raffinato che Eren pensava facesse parte di una famiglia benestante e per qualche ragione, quello lo aveva fatto convincere del fatto che Levi era andato all’università e si era laureato. Davvero non puoi giudicare le persone solo dalle apparenze. “Cosa vuoi fare dopo la laurea?”

“Probabilmente l’editore per libri d’arte. Oppure disegnare sceneggiature. Allora mi vuoi dire che lavoro fai ora?”

“No.” Che spreco di fiato. Gli angoli della bocca di Levi si piegarono in un sorrisetto non appena le sopracciglia di Eren si incurvarono in un’espressione frustrata. “L’editore di libri d’arte?”

“Sì. Mi piacciono i libri.”

“Sorprendente.”

“Dovrei offendermi?”

“Probabile.”

“Allora sono offeso.”

“Dovrei scusarmi?”

“Sì.”

“Allora non lo farò.”

Eren si accigliò parecchio. Era incredibile quanto potesse essere esasperante quest’uomo. E per qualcuno, più grande di Eren oltretutto, prenderlo in giro in quel modo immaturo era la parte più inconcepibile! Davvero degno del suo portamento raffinato e dignitoso. Una volta che apriva bocca finiva tutto fuori la finestra.

“Smettila di imbronciarti, Eren.”

“Non sono imbronciato, sono furioso.”

“Okay. Allora perché sei arrabbiato?”

“Furioso,” Eren corresse, “perché… be’ perché –” perché ti ho detto la storia della mia vita e tu non vuoi dirmi nemmeno che lavoro fai. Perché mi piaci, mi piaci tanto. Mi piaci molto più di quanto dovresti. E il fatto di non sapere nemmeno perché mi fa infuriare. Aprì la bocca per dargli una scusa, ma nessuna scusa gli venne in mente, perché tutto si fermò perché Levi si stava avvicinando, sempre di più, e stava stringendo il suo mento tra le sue dita. Il respiro di Eren si fermò in gola. Levi lo stava toccando e tutto quello che Eren poteva vedere era l’estrema vicinanza di un paio di occhi di acciaio mentre l’odore di colonia invadeva i suoi sensi.

Eren non si era mai interessato di colonie. O di profumi. Le persone se ne mettevano sempre una quantità sgradevole. Ma qualsiasi cosa aveva addosso Levi era esattamente nella giusta quantità. L’aveva probabilmente spruzzata sul suo polso perché le sue maniche erano arrotolate e la sua mano era proprio lì e qualsiasi fragranza fosse era muschiata ma contemporaneamente sapeva di dolce; leggera e sottotono, ma che era stata comunque capace di sopraffare i sensi di Eren completamente. C’era un aroma floreale nella fragranza, ma niente che potesse effettivamente giustificare il modo in cui si sentiva girare la testa - non che ne capisse abbastanza di fiori per darne anche solo una descrizione adeguata. Accogliente: quella era una buona parola per descrivere quell’odore. Gli faceva venire voglia di seppellirsi nella sua fonte. Si chiese se Levi ne avesse spruzzato un po’ anche sul collo. Se il suo collo odorava così come il suo polso, l’avrebbe incantato, cullato in una sensazione di benessere.

“Il tuo livido sembra essere migliorato un pochino.” Commentò Levi, inconsapevole del turbamento interiore di Eren. O magari se ne era accorto. E, magari, gli piaceva vedere Eren imbarazzarsi. In realtà era difficile a dirsi dal momento che la sua espressione non era cambiata per nulla. Levi gli girò il viso da una parte come per guardare meglio il livido, ma poi bloccò Eren con una presa d’acciaio, e si fermò a fissarlo con uno sguardo altrettanto d’acciaio. “Eren, mi stai ascoltando?”

Sì, perché aveva pronunciato il suo nome e il cuore di Eren stava stupidamente battendo più veloce del solito. La sua voce suonò incomprensibile persino alle sue orecchie, e poteva solo immaginare quanto Levi lo trovasse stupido. “Eh? Sì.”

Levi strattonò Eren per averlo un po’ più vicino, così vicino che il barista notò un accenno di azzurro nei suoi occhi grigi, come una tempesta tutt’intorno. “I tuoi occhi, Eren.”

Cosa diavolo c’era ora sui suoi occhi? Che cosa poteva fregargliene dei suoi stessi occhi quando Levi diceva il suo nome? Ogni volta che Levi diceva ‘Eren’, non c’era altro su cui lui riusciva a concentrarsi: il suo nome pronunciato da quelle labbra. “Ah?”

“Sono notevoli.”

Questo portò Eren a funzionare di nuovo, in qualche modo. Per la verità stava semplicemente passando dal guardare incantato l’uomo al fissarlo sbalordito, ma prima che potesse chiedergli cosa ci fosse di così ‘notevole’ nei suoi occhi, la suoneria di un telefono interruppe la loro conversazione. Levi prese il suo telefono e lesse accigliato il nome della persona che stava chiamando. “Devo rispondere. Dai un’occhiata alle mie cose.”

“C-certo.”

Si rimise il cappotto, chiuse il pc e uscì dal negozio, con il telefono pressato su un orecchio. Eren lo vide fermarsi davanti alla porta d’ingresso, già muovendo le labbra ancor prima di avviarsi più in là sul marciapiede, sparendo dalla sua vista. Quando era sicuro che nessuno lo stesse guardando, le sue ginocchia diedero forfait e lui crollò debolmente a terra. Non si era mai sentito così agitato e frustrato come in quel momento. Per quello che ne sapeva, il suo corpo poteva star emettendo vapore. Seppellì il volto tra le sue mani, lasciando che il suo viso paonazzo ritornasse a una temperatura dannatamente normale.

Non era giusto. Niente di ciò era giusto. Credeva di aver accettato di avere una cotta già prima, anche se non era preparato a una situazione così incasinata. La verità era che non era assolutamente preparato. Non era preparato per questi sentimenti o il modo in cui lo disorientavano.

Eren non era preparato a niente di ciò, ma il campanello suonò e non ebbe il tempo di cercare una soluzione. Se era Levi era necessario che rimanesse calmo, tranquillo e composto, aveva bisogno di far finta che tutto andava bene. Molto più facile a dirsi che a farsi.

Un’ondata di sollievo lo investì alla vista di un nuovo cliente, un uomo alto con i capelli biondi pettinati ordinatamente. “Benvenuto al Little Titan Cafè. E’ la sua prima volta qui?”

“Ah, sì. Ero incuriosito dal nome del locale.” Ammise l’uomo, con un sorriso amabile. Un po’ troppo amabile, per i gusti di Eren.

“Le do un momento per guardare il menù.”

“Non ce n’è bisogno. Prenderò un caffè lungo americano,” Guardò alle tazze di esempio per le dimensioni. “Corazzato? E da portare.”

“Un americano lungo arriva.”

Mentre Eren preparava la bevanda, lanciò delle occhiate curiose all’uomo. Forse era una cattiva abitudine, ma da quando aveva conosciuto Levi, lo comparava ad ogni uomo attraente che vedeva. Questo cliente era ovviamente più alto di Levi – anche se l’uomo medio era generalmente più alto di Levi. Era ben vestito, con una sciarpa grigia avvolta attorno al collo e con un paio di occhi azzurri che scrutavano il negozio con interesse. Eren assunse che era un uomo attraente se ti piacevano gli uomini che avevano un aspetto ordinario. Ma, nonostante il suo sorriso amabile, Eren non riuscì a farsi piacere l’uomo.

Posò la bevanda appena preparata sul bancone. “Ecco a lei.”

“Grazie.” Disse il cliente, occhi brillanti mentre prendeva il bicchiere. C’era una strana curvatura di labbra nel modo in cui sorrideva ad Eren, un segreto che lui non era in grado di carpire, come se lui sapesse qualcosa che Eren non poteva capire eppure era impossibile perché non si erano mai incontrati prima. I suoi occhi si posarono sulla targhetta di Eren. “Buonanotte, Eren.”

Eccola di nuovo, nella sua voce, quella segretezza. Magari era la sua immaginazione e lui era ancora stordito da quello che era successo con Levi prima. Magari era lui a pensare troppo duramente di un completo sconosciuto. Magari-

La porta del locale si aprì e Levi entrò. Il cliente si girò per andarsene nello stesso momento, ma entrambi si fermarono non appena i loro sguardi si incontrarono. Levi non sembrava molto contento. “Erwin? Che diavolo fai qui?”

- No. Eren odiava quel tipo. Lo odiava con tutto sé stesso. Odiava la sua stupida faccia attraente, i suoi stupidi capelli perfettamente pettinati, i suoi stupidi vestiti, probabilmente disegnati da qualche stilista, il suo stupido sorriso, le sue stupide sopracciglia – e, sul serio, che cosa era successo a quelle sopracciglia? Lo odiava più di chiunque altro, di qualsiasi altra cosa. Ed era completamente irragionevole da parte di Eren ma ecco qui che c’era qualcuno che conosceva Levi, che era alto e affascinante e… aveva già menzionato che conosceva Levi?

“Oh, ciao Levi. Che strana coincidenza incontrarti qui. Ma utile dal momento che avevo bisogno di parlarti.”

Strana coincidenza. Che sorpresa. Giusto.

L’espressione di Levi si oscurò. “Parliamo fuori.”

“Stammi bene, Eren.” Disse Erwin, lanciando ad Eren un ultimo sfolgorante sorriso – era scherno quello che vedeva? – prima di girarsi e uscire dal negozio. Eren fu accecato da una rabbia nera mentre i due uscivano insieme, tenendosi vicini, la mano di Erwin sulla spalla di Levi, le loro voci abbassate mentre iniziavano a parlare.

La porta si chiuse.

Eren non riusciva più a capire se stesso. Non riusciva a capire il dolore che bruciava le sue interiora. Non riusciva a capire le sue emozioni. Erano dannatamente confuse. E non riusciva a capire il suo innaturale odio per un uomo con cui non aveva interagito più di un minuto o due. Se non trenta secondi.

Levi ritornò al suo posto più tardi. Eren non sapeva esattamente quanto tempo era passato. Cinque minuti, quindici, trenta. Avrebbe potuto essere di più o di meno ma per lui sarebbe stato sempre lo stesso – un tempo infinito con il rintoccare del suo battito che suonava violentemente nelle sue orecchie.

Eren ingoiò rumorosamente. La sua gola era secca. Aveva bisogno di calmarsi. “Un… un tuo collega?”

“Una cosa del genere.”

Eccola di nuovo. Una fitta di dolore. E Eren stavolta capì cos’era, lo capì così bene che la consapevolezza lo fece sentire solo peggio. Il cliente – Erwin o com’era – era un uomo. E Eren era solo uno studente universitario con un lavoro part-time al caffè di sua madre perché non ci sarebbe stato nessun altro posto disposto ad assumere qualcuno con il suo temperamento. Erwin e Levi probabilmente lavoravano insieme. Probabilmente sapevano molto l’uno dell’altro.

Forse stava saltando a delle conclusioni affrettate, ma Eren non riuscì a fermarsi. Non riuscì a fermare quella nuvola di oscurità che eliminava ogni ragione. Non riuscì a fermare la gelosia che lo consumava.

Eren lasciò la conversazione a quel punto.

Si sentiva respinto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Il barista ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Grazie mille per continuare a leggere questa fic e per tutti i seguiti/preferiti/da ricordare che ci lasciate oltre che per gli adorabili commenti (quelli del capitolo 7 sono stati tradotti e inviati ora all'autrice quindi spero di potervi rispondere presto *^*). Ero eccitatissima all'idea di postare questo capitolo perchè tutti sono curiosissimi su Levi e qui finalmente scopriamo un po' di cose su di lui, ma soprattutto entriamo proprio nella sua testa! *_* Aaah Levi pov finalmente (lo speciale di oggi è RIVAILLE wdagsergt... sono più eccitata di voi ahaha)... Altra cosa che volevo dire: vi siete accorti tutti che questa fanfiction è lentissima... vorrei solo dirvi che da lettrice anche io ci ho/sto patendo un sacco, non siete soli nelle vostre sofferenze. Attualmente siamo al capitolo 18 in inglese e la fic è incompleta, quindi io sto attendendo con impazienza il 19 mentre mi rifaccio traducendo. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Gli errori, blablabla, solite cose, ho corretto 100 volte ma mi sarò persa sicuramente qualcosa ;_;. La password del Wi-Fi è 'you are the prey' ovvero 'tu sei la preda', ovviamente è un gioco di parole riferito a Levi, tanto quanto legato al gioco di parole che viene fatto nella sigla dell'anime ('Sie Sind Das Essen Und Wir Sind Die Jaeger' che vuol dire 'Voi siete la preda e noi siamo i cacciatori', riferendosi al fatto che Jaeger vuol dire cacciatore). Poi 'Eoten' è una versione antiquata di Titan/Giant (gigante), non mi è venuto un modo antiquato per dire titani/giganti in italiano (anche perchè per me titano è già la versione antiquata di gigante) quindi ho lasciato così (si accettano suggerimenti e correzioni come sempre).


The Little Titan Café
CAPITOLO 8: Il barista

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Rivaille

“Potresti spiegarmi cosa ci fai qui?” Levi chiese non appena la porta si chiuse dietro di loro, mentre l’aria fredda aggrediva il suo viso.

“Prendevo un caffè.” Erwin rispose confuso. “Per quale altro motivo dovrei andare in una caffetteria?”

Levi si accigliò, non potendo confutare la sua affermazione. “Sai cosa intendo dire.”

“Hanji mi ha accennato che la stai evitando ultimamente. Come stai evitando il tuo lavoro.”

“L’ho finito, no?” Levi incrociò le braccia e prese a battere impazientemente l'indice. Questa conversazione era decisamente inutile. “Se vuoi solo continuare a sprecare il mio tempo, vorrei tornarmene al mio posto dove non mi congelerei il sedere.”

“Ero solo curioso. Hanji ha detto che avevi menzionato un certo ‘Eren’ prima.”

‘Solo una volta’ pensò Levi. Erwin guardò attraverso la finestra del negozio e il suo sguardo incrociò momentaneamente quello di Eren. Il viso del barista arrossì profondamente perché era stato scoperto a fissare e il ragazzo si girò velocemente ad armeggiare con la macchina del caffè. Erwin sorrise. “Non mi sorprende che tu sia così preso.”

Levi evitò di cascarci. La sua lingua schioccò in irritazione, strascicando le parole: “Qualsiasi cosa tu voglia dire dilla e finiamola qui.”

“Eravamo preoccuparti, tutto qui. Ma chiaramente le nostre preoccupazioni non erano necessarie.” Erwin raggiunse la tasca interna del suo cappotto e ne fece uscire un libro dalla copertina nera. Lo porse a Levi. “Volevo anche darti questo.”

Levi lo prese senza nemmeno leggere il titolo. “E’ tutto?”

“Sì. Stammi bene.” E con un cenno della mano, Erwin se ne andò.

Grazie al cielo. Ora poteva rientrare al caldo.






Un paio di settimane prima...

Levi si fermò sentendo il suo cellulare vibrare. Il nome ‘Hanji Zoe’ comparve sulle schermo, ma piuttosto che rispondere, l’uomo optò per premere il pulsante di spegnimento – non senza aver prima guardato l’orario: ventidue e venticinque – e poi rimise il telefono nella tasca del cappotto. Col cavolo che sarebbe tornato a casa in modo che Hanji avesse l’occasione di prorompere nel suo appartamento per assillarlo a proposito di questioni di lavoro. Quindi, naturalmente, prese le sue cose e uscì prima che lei potesse arrivare, senza alcuna destinazione predefinita, ma sapendo che aveva bisogno di pace e quiete.

Ce ne era in abbondanza al momento. Vi erano pochi pedoni, in parte perché era sera e in parte perché faceva freddo. Il più delle persone erano all’interno al calduccio, proprio dove anche Levi desiderava essere. Lui odiava il freddo. Lui odiava l’inverno. Lui odiava qualsiasi temperatura al di sotto dei ventuno gradi Celsius. Il suo obiettivo attuale era trovare un posto caldo e tranquillo anche se erano le ventidue e ventisei, e la sua unica opzione era un bar o un ristorante di quelli aperti per 24 ore, ma nessuno dei due gli sembrava un posto calmo.

Poi, avrebbe voluto ordinare dell’alcool. Qualsiasi cosa forte abbastanza da soffocare il fastidioso dolore che sentiva sul retro della testa. Le settimane precedenti non erano state altro che stressanti quando si parlava di lavoro: piene di nottate insonni e senza tempo per rilassarsi.

Levi sbattè gli occhi e alzò la testa. Nonostante il buio, c’era una luce brillante che veniva dalla sua destra e che gli fece girare lo sguardo in quella direzione. Si sentì confuso per un attimo, non sapendo bene cosa cercare, finché i suoi occhi non si posarono su un negozio quasi vuoto e sulle parole ‘Little Titan Cafè’ dell’insegna. L’orario sulla porta d’ingresso diceva ‘LUN-SAB 06:00-24:00 e DOM 06:00-22:00’. Era difficile vedere l’interno a causa del fatto che il vetro era appannato, ma non importava: aveva trovato un posto caldo e tranquillo per quella sera. Nessuno lo avrebbe trovato lì.

Non appena Levi spinse la porta, aprendola, ci fu un tintinnio di un campanello e un istantaneo sollievo al calore che sciolse l’indolenzimento causato alle sue articolazioni dal freddo. Guardò in giro per il locale curiosamente – qualsiasi cosa che si chiamasse ‘Little Titan Cafè’ doveva avere qualcosa di strano – ma non vide niente di eccentrico. Era un posto dall’atmosfera cordiale con giusto un paio di ragazzi che studiavano, isolandosi dal mondo usando un paio di auricolari. C’era un cartello appeso su uno dei muri con le informazioni per la connessione Wi-Fi (Wi-Fi gratuito! JAEGER, password: youaretheprey) scritto con degli evidenziatori e un po’ di strane creaturine disegnate sulla pagina. Ok, quello era un po’ strano.

Sentì il barista salutarlo con un ‘Benvenuto al Little Titan Café’, ma non lo guardò subito. C’erano alcuni dipinti appesi alle pareti: qualche ritratto e qualche paesaggio. Un cartello indicava la porta dei bagni e un bancone con degli sgabelli proseguiva il profilo della zona dove vi era la cassa. Gli occhi di Levi si posarono sull’espositore dove vi erano delle tazze di esempio per le dimensioni – colossale, corazzato e danzante – per poi alzarsi sull’ultima stranezza in quel caffè: un ragazzo snello con una indomabile chioma bruna.

Levi resistette all’impulso di chiedere al ragazzo cosa stesse guardando perché lo stava fissando con un paio di grandi occhi verdi. Mentre si avvicinava al bancone, non era sicuro di come avrebbe potuto descrivere quel verde. Ma poi la sua attenzione di spostò sul rosso che stava colorando le guance del barista, e al modo in cui le sue mani giocherellavano con il grembiule man mano che Levi si avvicinava. Era incredibilmente ovvio all’uomo che il ragazzo stava cercando di rimanere calmo.

Levi posò la sua borsa sul bancone e occupò uno degli sgabelli.

“B-ben—” Il barista provò a salutarlo di nuovo, ma le parole gli si bloccarono in gola. Il sorriso che fece era forzato, ma la cosa non sminuì il fatto che questo ragazzo, ragazzino, quello che era – anche se Levi immaginò fosse più grande di quello che sembrava per lavorare in un caffè – era un bel bocconcino. In ogni caso Levi smise di guardarlo per togliersi il cappotto dal momento che ormai iniziava a sentirsi un po’ soffocato dal calore. “Sì. Come mai questo posto si chiama così?”

“Mia madre pensava che il nome avrebbe incuriosito la gente abbastanza da farle decidere di entrare. Sembra che abbia funzionato con lei, no?”

“Vero. Quindi tua madre è la proprietaria di questo posto?” Ricevette un cenno del capo in risposta. Il barista sembrava essersi rilassato durante la loro conversazione futile, ma comunque lanciò uno sguardo timido a Levi per poi guardare da un’altra parte altrettanto velocemente.

Eren. La sua targhetta diceva che il suo nome era Eren.

E come Eren passò la serata annaspando in giro in preda al nervosismo, Levi non poté fare a meno di compararlo ad un topolino. Il modo in cui si agitava, il modo in cui i suoi occhi non riuscivano a focalizzarsi su una cosa sola ma erano comunque sempre posati sul viso di Levi, il modo in cui sembrava nervoso e frustrato. Levi si chiese se era facile spaventarlo.

Ma c’era di più oltre al nervosismo, in quel topolino: era sicuro di sé e, Levi avrebbe detto, aveva anche una tendenza suicida nel modo in cui lo provocava con i suoi commenti maliziosi.

Era goffo e inopportuno, sempre a cercare di scoprire cose su Levi.

Era interessante e stupido – mentre cercava di reggere il bicchiere nella stessa maniera di Levi, solo per rovesciarsi tutta l’acqua addosso.

Era un credulone che strillava all’idea di avere la rabbia.

I suoi sorrisi erano riservati, ma quando sorrideva, il suo viso si illuminava e lui era brillante e bello e quella visione stringeva il cuore di Levi in un modo che lo lasciava senza respiro.

Eren riempiva i silenzi e si infiltrava nelle crepe, con irruenza e calore. Era espressivo e stupidamente dolce e Levi non era più capace di lasciarlo solo, nonostante si continuava a ripetere di farlo.

E i suoi occhi erano di un vivido verde e blu: assolutamente, incredibilmente eccezionali. Erano il tipo di occhi su cui i romantici scrivevano odi, che ispiravano descrizioni non necessarie ma di cui non si riusciva a fare a meno. Erano il tipo di occhi che portavano Levi a chiedersi quando fosse diventato uno smidollato.

Forse era il fatto che si illuminava – radioso ed entusiasta – ogni volta che vedeva Levi entrare, o forse era solo che Levi non sapeva che lui faceva così con tutti. Forse sentiva il bisogno di possedere quel sorriso e quegli occhi in modo che potessero vedere solo lui. Forse era il fatto che questi erano nello stesso tempo timidi e coraggiosi quando lo guardavano. Forse era il modo in cui Eren si contraddiceva in tutti i modi e Levi non poteva davvero lasciarlo solo.

Al punto che continuava a tornare, sera dopo sera, attirato dalla luce del caffè.






Era strano. Il moccioso era molto più tranquillo del solito, e non stava nemmeno parlando. E il fatto che tale moccioso si stesse effettivamente sforzando a pulire provava ancora di più il fatto che c’era qualcosa di strano in corso. Che diavolo era successo nel tempo di una telefonata e una chiacchierata con Erwin? Erwin aveva detto qualcosa ad Eren? No. Non era nel suo stile provocare qualcuno in quel modo.

Forse era arrabbiato con lui? Il suo tè era ormai freddo. Levi aggrottò le sopracciglia.

Sì, aveva toccato il ragazzo - ugh, detto così suonava male – e sì gli aveva fatto un complimento e tutta quella conversazione era stata un po’ bizzarra ma c’era davvero qualcosa per cui essere arrabbiati? Dannato moccioso.

Levi fece un sorso del suo tè e mise gli occhi addosso al barista. La schiena di Eren era di fronte a lui mentre questi spazzava il pavimento dietro la cassa.

Guardami.

Le braccia di Eren si muovevano da una parte all’altra.

Guardami, stupido moccioso.

Le mani di Eren si strinsero attorno al manico della scopa, mentre le sue spalle s’irrigidivano. Sì, esattamente: nessuno poteva ignorare uno degli sguardi penetranti di Levi: perciò guardami, Eren.

Fortunatamente per lui, il ragazzo fu salvato dal campanello della porta e Levi avrebbe voluto uccidere il nuovo cliente.

Ma la cosa non durò a lungo e Levi poté ritornare a fissare Eren. Cosa era successo a quello stupido che lo guardava sempre con quel sorriso stupidamente sciocco? Avrebbe preferito essere infastidito con cento domande piuttosto che questo. Il che in realtà era strano, pensò Levi, perché a lui piaceva il silenzio no? E okay che Eren era in qualche modo discreto nei momenti in cui Levi voleva essere lasciato in pace, ma la maggior parte del tempo Eren era lì a smuovere delle acque pericolose con impavida curiosità.

“Eren.” Levi lo chiamò, contrariato al fatto di doverlo chiamare. Non avrebbe dovuto, come impiegato, assicurarsi che Levi fosse un cliente soddisfatto? Si aspettava che Eren si sarebbe girato al suono del suo nome, ma a quanto pare no, sembrava troppo occupato a pulire il dannato pavimento. Il che era una cosa buona, pensò Levi, perché pulire era sempre una cosa buona. Per una volta il moccioso stava facendo il suo lavoro e Levi avrebbe dovuto sentirsi fiero di lui ma non lo era. “Eren, Ohi. Fai il tuo lavoro e preparami un altro tè, stupido moccioso.”

“Ah, scusami.” Eren rispose, finalmente girandosi. Il suo volto era abbassato mentre prese la tazza di Levi per poi mettersi a preparargli un altro tè verde.

Dannazione, l’espressione sul suo viso non alleviò per niente l’irritazione di Levi. Eren sembrava demoralizzato, ma si capiva solo guardandolo bene perché stava cercando di far finta di niente in tutti i modi. Ma le sue spalle crollarono in segno di sconfitta quando i suoi sforzi risultarono vani. Levi avrebbe voluto ignorarlo: avrebbe voluto aprire il pc e riprendere a lavorare o navigare su internet, qualsiasi cosa gli andasse. Ma non poteva perché questo moccioso depresso stava incupendo così tanto il locale che la sua negatività era praticamente palpabile e rendeva difficile a Levi concentrarsi.

Questo era il motivo per cui, quando Eren si avvicinò per posare la tazza davanti a lui, Levi afferrò il suo polso, fermandogli il braccio a mezz’aria. Allarmato, i suoi occhi si spalancarono e se Levi non fosse stato arrabbiato, si sarebbe preso il suo tempo per apprezzare il rossore che andò a colorare le sue guance. Okay, tutto quello che ora doveva fare era solo chiedere al ragazzo cosa c’era che non andava…

“Smettila di fare quella faccia, Sembra che tu stia per piangere.”

Molto bene. Eccellente adulto a ore 6.

“N-Non sto per piangere.” Protestò Eren, con lo sguardo diretto ovunque ma non a Levi, e una scintilla di rabbia sul viso. Non c’era l’ombra di una lacrima, ma se l’unico modo per Levi di avere una qualche reazione da lui era quello di farlo arrabbiare non si sarebbe tirato indietro.

“Davvero? Perché il modo in cui stai piegando la testa come un cucciolo abbandonato sembra dire il contrario.” Disse Levi con voce sprezzante. Avrebbe voluto tacere, davvero, ma non poteva farci niente. Non è che voleva far arrabbiare il ragazzo, anzi, avrebbe volentieri subito il suo stupido sorriso tutti i giorni.

“Non è vero,” disse Eren, agitandosi in disagio, “La tazza è bollente, potresti lasciarmi?”

Levi mollò la presa, seppur con riluttanza. Eren posò la tazza con un tintinnio. Le sue labbra si corrugarono mentre si massaggiava il polso – non che Levi avesse stretto con forza – e le sue sopracciglia si curvarono al punto che stavano quasi per toccarsi.

“E’ solo che ho un sacco di cose per la testa.” Mormorò.

“Non ti far male a stare a rimuginare così a lungo.”

“Be’, la mia testa ha iniziato a dolere.”

Levi lo guardò impassibile. Faceva sul serio?

“Perché mi stai guardando così?”

Sì, questo ragazzino faceva sul serio e la cosa non fece sentire meglio Levi. Sentire meglio in che senso, poi? “Così. Hai finito di fare il broncio?”

“Non stavo—” Eren iniziò a protestare ma la sua voce si fermò in un rantolo. “Quello è—?”

Eren stava fissando il libro nero con occhi spalancati. La copertina era vuota a parte per la parola ‘RIVAILLE’ stampata in grassetto con un colore argenteo. Levi lo prese, notando il modo in cui gli occhi di Eren rimasero incollati ad esso in venerazione. “Tu leggi ‘Rivaille’?”

“Lui è solo,” non smise di fissare il libro, nemmeno quando Levi lo agitò di lato, “il mio scrittore preferito.”

“Ah?” Qualcosa doveva non andare bene perché il cuore di Levi saltò un battito. Non pensava di essere abbastanza vecchio da avere già un infarto. “Quindi sai chi è?”

Levi avrebbe voluto dargli un pugno. Eren si stava mordendo le labbra e questo lo distraeva. “Sì. Quella non è… non è la sua raccolta di poesie? Che non è ancora stata pubblicata?”

“Mmh.” Fu l’unica cosa che uscì dalle labbra di Levi. Eren lo guardò come se stesse per svenire, o piangere. E Levi pensò che stavolta non gli avrebbe dato fastidio. Il suo lato sadico avrebbe voluto vedere il ragazzo pregare. “Non sapevo che ti piacesse la poesia.”

“Certe poesie sì.” Disse Eren, distrattamente.

Era come un gatto che fissava un laser: pronto a balzare.

“Come hai fatto a procurartelo?”

“Conosco l’autore.”

Eren gridò: “Tu conosci l’autore?”

“Te l’ho enunciato chiaramente una volta. Forse dovresti farti controllare l’udito.”

“Posso… posso vederlo?”

Levi lo lasciò in attesa per una coppia di secondi, godendo a vederlo contorcersi impazientemente. “Ecco.”

Eren prese il libro con dita leste, come se avesse il timore che potesse finire in polvere da un momento all’altro. Levi fece un sorso di tè. “Sai, Rivaille è la ragione per cui il caffè si chiama così. Anche mia mamma è una sua fan, ed è stata ispirata dal suo primo libro ‘Attack on Eoten’. Be’, in realtà è lei che mi ha fatto leggere i suoi libri.” ‘Attack on Eoten’ parlava dell’incombente estinzione dell’umanità causata dai giganti e della battaglia degli esseri umani per trovare un modo per sconfiggerli usando il meccanismo di movimento tridimensionale.

Il tè gli andò storto e Levi iniziò a tossire.

“Tutto bene?”

“Sì,” Levi rispose, prendendo un fazzolettino per picchiettare le gocce di tè sulla sua bocca. Che moccioso astuto. “Quella storia ha una fine tragica. Muoiono tutti.”

“Sì,” Disse Eren con un po’ di malinconia. “Ma era cruenta e sanguinosa e piena d’azione. L’ho trovata forte.”

Tipico.

Eren sfogliò le pagine in silenzio, con gli occhi che brillavano di meraviglia alla lettura di alcune parole, prima di chiudere il libro e restituirlo a Levi. L’uomo agitò la mano. “Tienitelo.”

“C-cosa?”

“Non mi piace essere contraddetto.”

“Ma–”

Levi lo guardò male, impedendogli di fare obiezioni. Eren deglutì e strinse il libro al petto. Un sorriso vibrante gli stirò le labbra. “Grazie.”

Era davvero un moccioso astuto. Sempre a dire la cosa giusta al momento giusto, e a sorridere nel momento giusto. Levi abbassò lo sguardo e alzò la tazza per portarsela alle labbra. “Non è ora di chiudere?”

Eren lanciò un’occhiata all’orologio piazzato vicino al menu: ventitré e cinquantadue. “Ah, cavolo. Sì.”

Il sorriso rimase sulle sue labbra per tutto il tempo che gli servì per mettere a posto la cassa.






“Qual è il tuo libro preferito di Rivaille?”

Il moccioso non aveva smesso di parlare di Rivaille negli ultimi venti minuti per un solo secondo. Eren ci aveva messo più tempo a chiudere il negozio solo perché non riusciva a smettere di parlare di Rivaille, al punto che Levi ne era quasi geloso. Quasi, perché sarebbe stato stupido esserlo per varie ragioni, di cui una era: non ce n’era motivo.

“Nessuno.”

“Ma è un tuo amico, no?” Chiese Eren, esterrefatto. La porta fece un ‘click’ ed Eren tirò via la chiave dalla serratura. “Devi avere un libro preferito.”

“Non ce l’ho.” Levi girò i tacchi e si diresse in fretta verso il parcheggio. Il suono dei passi sul marciapiede gli assicurava che Eren stava correndo per raggiungerlo.

“Sai, certo che per essere basso cammini velocemente.”

“Certo che hai proprio bisogno di imparare a pensare prima di parlare.”

“Perché?”

“Perché a causa della tua boccaccia potresti essere ucciso prima o poi.” Da lui.

“Ah, be’, non c’è problema perché ci sei tu a proteggermi. Cioè, nel senso che tu mi accompagni sempre alla macchina di sera, allora…” Eren girò il volto, ma Levi non aveva bisogno di guardarlo per sapere che stava arrossendo. “Ma io mi so proteggere anche da solo, se proprio vuoi saperlo.”

Non c’era modo di batterlo, eh? “Certo che puoi.”

“No, sul serio.” Per qualche motivo Eren si stava avvicinando a lui, stringendo forte il libro, con le sopracciglia corrugate in un’espressione determinata. Anche nel buio i suoi occhi erano visibili.

Con una manata in faccia, Levi lo allontanò. “Certo, certo. Vai in macchina.”

Eren gli augurò una buonanotte e fece come gli era stato detto. Perlomeno aveva smesso di fare il broncio.

Dannato moccioso.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Sabato sera ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Non ho davvero parole per ringraziare tutte le persone che stanno leggendo questa fic. Con il capitolo 8 c'è stato un vero e proprio boom nelle statistiche sotto ogni punto di vista, e sia io che l'autrice siamo felicissime e ringraziamo tutti, anche solo per stare leggendo, e soprattutto chi ha lasciato uno dei favolosi commenti. Grazie mille! Finalmente in questo capitolo c'è Mikasa... anche se l'ho letto e straletto ho come l'impressione che non suoni bene come gli altri, ma spero che almeno per voi sia all'altezza. Buona lettura! (FINISCO DI RISPONDERE ALLE RECENSIONI DOMANI SERA PERCHE' STO MORENDO DI SONNO)
SULLA TRADUZIONE: A parte gli errori che correggerò man mano che me ne accorgo/me li fanno notare (no non mi offendo xD), vorrei fare un po' di premesse. A parte bevande sconosciute in italia come il 'pumpikin latte' (latte alla zucca) che ho lasciato così, volevo solo dirvi che in Inglese (lingua) un coffee shop/caffè è un posto dove in genere si bevono bevande tipo caffè etc. che beviamo noi al bar, nello stile Starbucks per capirci (cmq almeno dove abito io hanno già aperto vari 'American coffee shop' quindi qualcuno di voi già lo saprà); mentre un bar, diversamente dalla nostra accezione, è un posto dove si bevono quasi esclusivamente alcolici (ma comunque non caffè). Non mi andava tradurre bar con discoteca/club/pub perchè nessuno dei tre mi sembrava corretto. SU è 'Università di Shiganshina'. Non ho la minima idea di se 'faccia da cavallo' sia la traduzione giusta, non ho mai letto/visto shingeki in italiano *fugge*


The Little Titan Café
CAPITOLO 9: Sabato sera

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: problemi di cuore

Era un sabato sera al Little Titan Café, e il negozio era più o meno affollato dagli studenti dell’Università di Shiganshina. Non c’erano compiti da scrivere o pagine da ripetere quella serata, semplicemente perché tutti erano di buon umore. Inoltre era sabato sera quindi i compiti erano una delle ultime cose che passava per la mente della maggior parte degli studenti. Ma ciò non spiegava ad un certo cliente come mai una comitiva di ragazzi erano al caffè a celebrare qualcosa, a quel che lui aveva capito. Dei normali studenti universitari sarebbero andati ad un bar, per bere al punto da diventare brilli, alticci, completamente ubriachi – quale che fosse il termine che quei dannati ragazzini usavano – e non a sorseggiare un pumpkin latte o un macchiato.

Levi ingurgitò metà del suo caffè amaro in un sorso, godendo del suo calore bruciante. Era quasi tentato di prendere le sue cose e andarsene. Non c’era alcun modo in cui sarebbe riuscito a lavorare in quell’atmosfera. In verità, avrebbe dovuto fare dietro-front nel momento esatto in cui aveva visto il numero di gente che occupava il negozio, ma poi aveva adocchiato il volto dello stupido moccioso e i suoi piedi lo avevano condotto all’interno prima che lui se ne accorgesse.

Come se lo stesse aspettando, tale stupido moccioso era apparso subito, smarrito tra tutti gli ordini che lui e i suoi colleghi dovevano gestire. Nonostante ciò, aveva sorriso a Levi non appena aveva avuto un secondo di pausa: “Scusa se ci sono tutti questi clienti.”

“E’ sempre così il sabato?”

“Per lo più sì.” Annuì Eren. “Ma oggi la maggior parte delle persone fa parte della squadra di pallavolo della SU. Stanno celebrando l’ammissione ai campionati regionali.”

Ecco spiegato il motivo per cui la maggior parte della clientela era di genere femminile.

“Una delle mie migliori amiche fa parte della squadra. Ah, comunque, non ho ancora finito il libro ma,” Eren si fermò per pensare, “Lo adoro fino ad adesso. Solo che…”

Levi alzò un sopracciglio.

“Be’, non so bene come spiegarlo con esattezza, ma è come se per Rivaille qualcosa sia cambiato nel bel mezzo della stesura.” Quando tutto quello che ricevette fu uno sguardo vacuo, Eren si grattò la guancia, occhieggiando timidamente in un’altra direzione. “Come se gli fosse successo qualcosa di bello?”

“Chi lo sa.” Rispose Levi,

“Mi sembra di capire che non sei molto in confidenza con nessuno dei tuoi amici.”

“Non proprio.”

“Lui che tipo è?” Chiese Eren con occhi adoranti. La cosa fece arrabbiare Levi, irrazionalmente, perché stava idolatrando un uomo senza volto. Cioè, senza volto nel senso che Rivaille non esisteva, ma Levi sì. Non aveva mai desiderato di confessare di avere un alias prima. Mai, fino a quel momento.

Ma non lo fece. “Rivaille è un vecchio pervertito.”

“Ne dubito altamente.”

“Non sei tu quello che lo conosce.” Gli fece notare Levi, facendo un altro lungo sorso del suo caffè e desiderando improvvisamente di essere ad un bar, ovvero il tipo di luogo a cui appartenevano i vecchi pervertiti come lui. In un bar, ad affogare nell’alcool. Non in un caffè dove un innocente barista lo serviva di sera in sera con insensato ottimismo.

Levi riusciva a leggere i pensieri che attraversavano gli occhi di Eren – verdi, ma non del tutto verdi; blu, ma non del tutto blu; turchesi: una pozza d’acqua senza impurità – e vedeva la frustrazione, il rifiuto, la protesta che si era formata nella sua mente ma che era rimasta catturata da un paio di labbra serrate. Eren non poteva provare che quello che Levi aveva detto non era la verità. Lui conosceva solo le parole stampate su carta, non la persona che le aveva scritte. Ma erano davvero così diversi? La storia e lo scrittore? L’artista e i suoi disegni? Sicuramente uno può disegnare o scrivere qualcosa di radicalmente diverso dalla persona che è, ma se si va a scrutare da vicino, si possono sempre trovare delle tracce del creatore, le impronte della sua personalità.

Eren avrebbe voluto dire tutte queste cose a Levi, ma quale sarebbe stato il senso? Alla fine, Levi aveva ragione. Le sue spalle si rilassarono mentre sospirava. “Be’, per essere un vecchio pervertito, è uno scrittore incredibile.”

Levi sbuffò, con la tazza ancora vicino alla bocca, spruzzando qualche goccia. Eren corse via non appena qualcuno lo chiamò, probabilmente uno dei suoi amici, lasciando l’uomo da solo con i suoi pensieri, con le parole ‘come se gli fosse successo qualcosa di bello’ che si ripetevano nella sua mente. Di che diavolo stava parlando quel moccioso? Il suo modo di scrivere non era cambiato per nulla per quanto gli concerneva. Hanji, la sua editrice, non aveva detto nulla a proposito – anche se, ogni volta che lo vedeva aveva un sorriso sciocco in volto, più sciocco del solito. Anche Erwin non aveva detto nulla.

Levi si morse l’unghia del pollice, irritato. Tsk, quel moccioso stava solo dicendo sciocchezze, tutto qua.






“Era davvero necessario invitare tutti qui?” Chiese Eren, sedendosi al tavolo occupato da Mikasa ed Armin. Cinque bustine di zucchero circondavano la tazza di Mikasa, mentre lei girava il cucchiaino nel suo tè. “Non che non sia contento di vedervi ragazzi, ma questo è un caffè, non un bar.”

Inoltre, tutto quel lavoro gli toglieva quel poco tempo che aveva modo di trascorrere con Levi. Ma ne valeva quasi la pena solo per il modo in cui l’uomo sembrava così fuori luogo in mezzo a quell’affollamento di persone.

“E’ stata un’idea dell’allenatrice, Rico.” Disse Mikasa, con la solita voce suadente. Armin le dovette posare una mano pacificatrice sul polso per farle smettere di mescolare il suo tè ulteriormente, il che era un’abitudine che la ragazza davvero non riusciva a togliersi. “Lo sai com’è fatta. Non ci avrebbe mai portato a bere ed è lei ad offrire.”

Eren sospirò. Probabilmente non c’era una sola persona in tutta la SU che non sapeva chi fosse l’allenatrice Rico. Era ben conosciuta per i suoi allenamenti spartani e l’incapacità di tollerare qualsiasi tipo di fallimento (il che era probabilmente il motivo per cui la squadra di pallavolo femminile puntava alle nazionali, differentemente dal team maschile).

Mikasa si allungò per prendere un’altra bustina di zucchero, ma lo sguardo di disapprovazione di Eren le fece ritirare il braccio. “Forse dovresti smetterla con tutto questo zucchero.”

“…Se pensi che sia meglio.” Disse lei, stringendo le mani attorno alla tazza. “Hai detto a tua madre della tentata rapina?”

“Sì.” Eren fece una brutta faccia. Odiava far preoccupare sua madre, ma lei l’avrebbe scoperto comunque prima o poi. Ma più che altro odiava l’essere trattato come un bambino come conseguenza a cui la sua confessione aveva portato. “Mi ha detto che torneranno la settimana prossima.”

Ogni due-tre anni, i genitori di Eren partivano un paio di giorni prima o dopo il loro anniversario per farsi un mese di vacanze. Una volta, zaino in spalla, avevano visitato l’Europa. Un’altra volta erano andati ad esplorare i Safari Africani. Un altro anno erano andati in Australia. E un’altra volta ancora avevano fatto un viaggio in macchina attraverso tutti gli Stati Uniti. Quest’anno erano andati in Sud America. Se i suoi parenti si potevano definire con una parola, questa era sicuramente ‘avventurosi’.

Eren diede un’occhiata al negozio. Riconobbe alcuni studenti dell’università che erano andati ad assistere alla partita di Mikasa, come Mina, Hannah e Sasha, anche se quest’ultima l’aveva conosciuta meglio lavorandoci insieme, e Ymir, che giocava nella squadra e faceva teatro. Fu sorpreso quando vide Annie, una delle sue clienti più frequenti. “Non sapevo che Annie facesse parte della squadra.”

“L’avresti saputo se fossi stato capace di venire a qualcuna delle partite.” Lo rimproverò Mikasa, anche se con gentilezza. Entrambi sapevano che non era facile per lui, perché lavorava parecchio. “E’ entrata a farne parte quest’anno.”

“Ho sempre pensato che le pallavoliste fossero… alte.”

“Lei è una giocatrice eccellente.” Si intromise Armin, gli occhi posati su Annie. Il fagiolo magico e macho man erano con lei.

“Chi sono quei tipi con lei?” Chiese Eren. Aveva visto le loro tessere studenti molte volte in passato, ma i loro nomi gli erano difficili da ricordare.

“Il biondo è Reiner Braun, fa parte della squadra di rugby. Quello alto è Berthold Fubar.”

Eren annuì, pensando che ‘macho man’ e il ‘fagiolo magico’ erano nomi più facili da ricordare. “Ho un’altra domanda.”

Armin si girò verso di lui. “Cioè?”

Eren posò il mento sulla mano e strinse gli occhi, sbirciando il posto alla sua sinistra. “Perché lui è qui?”

Jean si fermò a metà di un sorso, facendo una faccia offesa: “Posso stare qui quanto e quando voglio. E comunque, sono con Mikasa e Armin. Sono anche amici miei, sai.”

“Questo non significa che tu debba essere qui, faccia da cavallo.”

“Non dimenticare che ci uscivi insieme, con questa faccia da cavallo.”

Eren si allontanò con aria disgustata. “Uuuh. Non me lo ricordare.”

“Maleducato.” Jean riprese a bere il suo latte, rischiando di sputarlo quando si bruciò la lingua. “Dannazione, Eren.”

“Ehi, non è colpa mia se sei stupido.”

“E’ difficile da credere che voi due siate riusciti ad uscire insieme.” Disse Armin, in tono riflessivo. “L’unica cosa che fate è bisticciare, e questa cosa non è mai cambiata.”

“Abbiamo fatto altre cose oltre che litigare.” Disse Jean maliziosamente, agitando significativamente le sopracciglia. Eren gli diede una bella gomitata.

“Stai zitto, deficiente.”

“Che cosa avete fatto oltre che litigare?” Chiese Mikasa, facendo congelare entrambi sul posto. Il suo sguardo si mosse da Jean ad Eren, gli occhi blu scuro che non lasciavano trasparire alcuna emozione.

“Noi… giocavamo ai videogames.” Disse Jean, strillando alla fine. Eren annuì un po’ troppo energicamente.

“Sì. Videogames.” Be’, almeno parzialmente, era vero. Anche se essere adolescenti confusi e sessualmente frustrati lasciava poco tempo per giocare ai videogames, e, in verità, a qualsiasi altra cosa si fosse messa in mezzo alle tempeste ormonali e al loro temperamento impetuoso.

“Dunque, Eren,” Disse Jean, cambiando velocemente discorso e indirizzandolo a qualcosa di meno pericoloso per sé stesso, “Armin mi ha detto che hai una cotta per un uomo più grande di te.”

“Jean!” Lo zittì Armin.

“Armin!” Eren aggredì l’amico. “Non dovevi dirlo a nessuno.”

“Mi è sfuggito,” Armin sembrava sinceramente dispiaciuto. “E’ che lui ha chiesto di te e—”

“Non ho chiesto di lui.” Sibilò Jean, ma il rossore delle sue orecchie confermava il contrario. Non era mai stato bravo a mentire.

Eren si coprì il viso con le mani, e un lamento gli scappò dalle labbra. Aveva fatto promettere ad Armin che non avrebbe parlato di Levi con Mikasa, quindi non poteva neanche biasimarlo. Oh merda, Mikasa. Sbirciò tra le dita, notando che lei era ancora immobile, sul viso un’espressione di calma terrificante. Quello non era mai un buon segno. Magari era ora di filarsela con la scusa di avere del lavoro da sbrigare…

“Un uomo più vecchio, Eren?” Disse infine Mikasa. La sua voce era di ghiaccio. “Quanto vecchio?”

Eren fece uno sguardo corrucciato. “Non lo so e non importa, okay? E’ solo una cotta.” La parola cotta gli lasciò un po’ l’amaro in bocca. Per qualche ragione, era molto più difficile usarla ora che quando l’aveva usata la prima volta con Armin, considerando i suoi sentimenti. E ora si sentiva nervoso e frustrato e con tre paia di occhi che lo fissavano – un paio dispiaciuto, un altro freddo ma preoccupato, e il terzo, be’, Eren non riusciva bene a comprendere lo sguardo di Jean. Confuso, forse?

“Non credevo parlassi sul serio,” Commentò Jean, rompendo il silenzio che si era stabilito tra gli occupanti del tavolo. “Ma ce l’hai scritto in facc—”

Eren si alzò improvvisamente. “Devo tornare a lavorare.”

“Eren.” Disse Mikasa, in un tono che diceva ‘ne parleremo presto’ e che normalmente l’avrebbe fatto sedere di nuovo. Ma non stasera e non davanti a Jean. Tuttavia una mano afferrò il suo polso. Eren girò il volto verso Jean. “Cosa vuoi?”

Jean aprì la bocca per dire qualcosa, ma Eren non sarebbe riuscito nemmeno a supporre cosa. Con uno strattone costrinse Jean a mollarlo e si girò a guardare in un’altra direzione.

Eren se ne andò via in un soffio. Non poteva preoccuparsi di quello che Jean aveva da dire, o perché aveva fatto quella faccia. Semmai, Jean che parlava della sua attuale cotta gli faceva solo ricordare il fatto che loro non erano durati a lungo come coppia e del motivo per cui avevano rotto. Quella dannata faccia da cavallo non sapeva mai come filtrare i suoi pensieri prima di farli uscire di bocca. Sì, neanche lui sapeva come farlo, ma questo non cambiava le cose. Il punto era che Jean era uno stronzo insensibile, e lo era ancora adesso.

Ma nulla di ciò importava, non quando Levi era seduto al bancone, e questo era abbastanza perché la tensione che si era creata lo abbandonasse del tutto.






L’allenatrice Rico buttò tutti fuori alle ventitré – ‘è tardi smettetela di oziare in questo posto come un gruppo di teppistelli’ – con grande sollievo di Eren. Il ragazzo salutò i suoi amici con meno ostilità, vedendo che Armin si stava ancora scusando per la sua uscita e notando sia lo sguardo mortificato di Jean, sia che Mikasa, nonostante non sembrasse contenta, aveva un’espressione di tolleranza.

“Io ho finito, Eren.” Il suo lentigginoso collega disse, mentre usciva dal retro, senza grembiule e con la sua giacca.

“Grazie per l’impegno di oggi, Marco.” Disse Eren. Si era offerto di aiutarlo a pulire i piatti ma Marco, da bravo ragazzo qual era, aveva insistito per fare da sé. E Eren, come era da lui – un fannullone che faceva di tutto per evitare i suoi doveri – non aveva potuto fare a meno di accettare. Marco era l’ultimo arrivato al Little Titan Café: sua madre l’aveva assunto giusto prima di partire per le vacanze.

“Sei sicuro che non vuoi che rimanga fino all’ora di chiusura?” Chiese Marco con una ruga di apprensione tra le sopracciglia.

“Sì, sono sicuro. Ho chiuso un sacco di volte da solo.” Troppe, a dire il vero. Ma il turno di chiusura era quello ideale per lui.

“Va bene. Ci vediamo. Buonanotte, Eren.”

Eren agitò la mano e si sedette su uno degli sgabelli, troppo stanco per rimanere in piedi. Il negozio si era svuotato del tutto dopo che il team di pallavolo e i relativi amici se ne erano andati, quindi ora erano rimasti solo Eren e Levi. Soli. Eren e Levi. Quel pensiero lo fece sedere composto. Non era la prima volta che rimaneva da solo con l’uomo, ma normalmente c’era sempre un cliente che indugiava fino all’ora di chiusura, e quindi non erano mai veramente soli fino a quando Eren non chiudeva il negozio. E ora mancavano tre quarti d’ora alla chiusura. Tre quarti d’ora solo per loro.

Non si era mai sentito talmente in allerta come in quel momento.

“Che cosa stai fissando?”

Eren trasalì. Non si era nemmeno accorto di stare ripetutamente lanciando occhiate a Levi. “Ah, nulla. Cercavo solo di capire su cosa stai lavorando.”

“Sto cercando una cosa.” Borbottò Levi, con un accenno di perplessità nel tono di voce. Era strano: normalmente Levi parlava come Mikasa, ora che ci pensava. Composto, neutrale, uguale tranne che nella voce femminea.

Eren piegò le braccia sul bancone e ci posò sopra la testa. La giornata era stata insopportabilmente lunga, anche se il suo turno era passato in un attimo. Ma ora con il ticchettio delle lancette dell’orologio e i ‘click’ del mouse di Levi che cercava qualcosa sul pc, il tempo sembrava stare rallentando di nuovo. “Detective?”

“No.”

“Guardia giurata?” Giusto. Come se una guardia giurata potesse permettersi gli abiti che indossava Levi quotidianamente.

“No.”

“Portiere?”

“Adesso stai diventando ridicolo.”

“Sei erede di una famiglia ricchissima quindi in realtà non fai nulla. Sono io che penso che tu faccia qualcosa.”

“No, ma questa era buona.” Ogni singola parola era pervasa da sarcasmo. Eren non riuscì a non sorridere.

“Di giorno visiti orfanotrofi e porti felicità ai bambini, e durante la notte scrivi romanzi di cui la maggior parte dei ricavati è devoluta in beneficenza.”

“Non sono un santo, Eren.”

Eren strinse le braccia al suono del suo nome, con il cuore che batteva così forte che avrebbe percorso un kilometro al minuto. Odiava le sue reazioni. Queste gli ricordavano dello sguardo impietosito di Armin, di quello preoccupato di Mikasa e di quello confuso di Jean. Il suo nome pronunciato da Levi aveva il potere di soggiogarlo, e l’uomo non lo sapeva nemmeno. “Okay, allora assassino?”

“No. Spiegami quello che intendevi prima.” Eren lo guardò confuso. “Intendo il fatto che il modo di scrivere di Rivaille è cambiato.”

“Non è che è cambiato il suo modo di scrivere,” Lo corresse Eren, “E’ più come se… ci stesse mettendo più emozione?”

“Capisco.” Gli occhi di Levi si strinsero, fissando lo schermo del pc. No, non capiva. Tutto quello che vedeva quando rovistava tra le sue bozze era che si era trasformato in un triste e patetico romantico a metà stesura. Perché nessuno gli aveva detto niente? Avrebbe mandato qualche messaggio indignato ad Erwin ed Hanji. Quando Eren smise di parlare, lui abbassò lo sguardo per notare che il moccioso aveva chiuso gli occhi. Levi allungò una mano, con l’intento di scuoterlo e farlo alzare ad andare a fare il suo lavoro, ma la mano che si posò sull’indomabile chioma bruna ci rimase un po’ troppo prima che lui si ricomponesse e la levasse. “Smettila di dormire nel tuo orario di lavoro, moccioso.”

“Mi dispiace.” Disse Eren, aprendo gli occhi seppur con un certo sforzo. “Ho fatto più tardi del solito per leggere il libro.”

Levi ebbe un improvviso spasmo al cuore. Si chiese se era arrivato all’età in cui doveva iniziare a preoccuparsi della sua salute. Magari sarebbe dovuto andare a farsi controllare da un dottore. “Stare seduto lì non ti aiuterà a rimanere sveglio.”

“E’ vero.” Eren si alzò, e stiracchiandosi, alzò le braccia abbastanza da far sollevare la sua maglia, lasciando visibile un lembo di pelle che catturò l’attenzione di Levi, mentre il suo cuore batteva dolorosamente. Quel ragazzo sarebbe stato la sua fine. “Vuoi il bis?”

“Sì.” Levi spinse la tazza vuota verso di lui, incapace di guardare Eren negli occhi. Il barista scese dallo sgabello, prendendo la tazza, e tornò al suo posto dietro il registro di cassa. Mentre Eren preparava la sua bevanda, Levi prese in considerazione l’idea di venire di meno al caffè. Quella era l’unica soluzione per proteggere la sua sanità mentale, e la sua vita.

Ma non appena Eren iniziò a canticchiare una stupida canzonetta pop che veniva trasmessa dalle casse del locale, Levi pensò che non sarebbe stato possibile smettere di venire. Avrebbe sofferto della deprivazione di caffeina – ‘puoi sempre andare in un altro caffè’ una vocina lo riprese, ‘quella catena famosa, Star-qualcosa.’ Tanto un caffè valeva l’altro, finché gli preparavano da bere, e quello era ciò che importava.

Ad eccetto che, non in tutti i caffè lavorava il barista che vi era qui. C’era solo un caffè in quella città, un solo caffè dove poteva essere servito da una certa persona. E qualcosa disse a Levi che non era dalla caffeina che era assuefatto.

“Prego.” Eren spinse la tazza verso Levi, e un rossore sbocciò sulle sue guance quando le loro dita si sfiorarono in quel modo tipico che non era accidentale da parte di Levi. Il ragazzo arrossì, e tanto. Levi si chiese fino a che punto poteva spingere Eren, quanto rosso sarebbe diventato, e se arrossiva ovunque. Si chiese se c’era qualcuno in grado di farlo arrossire come faceva lui.

Di certo non era la caffeina di cui era dipendente.






“Allora, qual è il problema?”

Levi fece dei respiri profondi come gli aveva chiesto la dottoressa, che stava muovendo lo stetoscopio qua e là. “Mi fa male il cuore e talvolta salta dei battiti.”

“Capisco. Sei sotto stress quando succede?”

Levi pensò al barista moro e dagli occhi turchesi. “No.”

“Quanto spesso hai dolore?”

“Per lo più la sera quando vado a prendere qualcosa da bere a un caffè.”

“Mmh…” La dottoressa mosse lo stetoscopio sulla schiena di Levi, incoraggiandolo a continuare a ispirare ed espirare profondamente. “Non sento niente di anormale.”

“E’ perché non c’è quel moccioso.”

“Capisco.”


Più tardi...

Medico: Dr.ssa Hanji
Diagnosi: sei innamorato
Prescrizione: fai sesso

Levi accartocciò il foglio. “Ma che diavolo è… che schifo di dottoressa!”

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Caldo e freddo ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Innanzitutto un enorme grazie a chi sta leggendo questa storia, poi un grazie a tutti quelli che l'hanno inserita nei preferiti/da ricordare/seguita e a chi ha lasciato un commento. Ogni volta vedo numeri che non mi sarei mai sognata e sia io che l'autrice siamo super felici che ci siano tutte queste persone che apprezzano la fic. Vi avviso che la settimana prossima ho un esame e pertanto ho già avuto un po' di difficoltà ad aggiornare oggi, quindi il prossimo capitolo potrebbe arrivare a fine settimana prossima ;_; (io ci provo a essere puntuale ma non prometto nulla!). Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Quando Marco dice 'tifo l'altra squadra' in realtà non è una traduzione letterale (la letterale è 'batto per l'altra squadra' per questo Eren parla di football americano), ma tifo faceva più senso in italiano. Solita cosa sulle cose che bevono. Solita cosa sugli errori di distrazione xD


The Little Titan Café
CAPITOLO 10: Caldo e freddo

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: caffè mocha

C’era una legge non scritta che affermava che non appena eri solo a lavoro – Eren era uscito a buttare la spazzatura – sarebbero improvvisamente apparsi dei clienti, e infatti, nell’esatto momento in cui Marco ed Eren, dopo aver perso mezz’ora a cazzeggiare, avevano ripreso a fare qualcosa la campanella del negozio suonò. Fortunatamente erano solo due persone, quindi Marco Bodt pensò che sarebbe riuscito a servirli entrambi da solo senza problemi. Sorrise educatamente ad una giovane donna probabilmente della sua età, e delle fossette si formarono alle estremità dei suoi occhi, mentre diceva: “Benvenuta al Little Titan Cafè. Come posso aiutarla?”

Il campanello suonò ed un altro cliente entrò nel negozio. La donna aprì la bocca per chiedere ma fu bruscamente interrotta quando il cliente appena entrato si mise bruscamente davanti a lei, all’inizio della fila. “Vado di fretta quindi ho bisogno di ordinare.”

Marco guardò scioccato l’uomo, il suo sorriso scomparso. C’era un’aria di presunzione in lui che Marco notò nel tono di voce e nell’espressione impaziente dei suoi occhi. “Ehm, mi scusi signore, ma c’è una fila e-”

“Ti sembra che la cosa mi interessi? Prendo un decaffeinato colossale.”

“Mi dispiace signore, ma deve fare la fila.”

“C’è un posto dove devo stare. O non hai sentito che vado di fretta?”

Marco sorrise pazientemente. “Sono le dieci di sera passate, signore. Sono certo che ovunque debba andare può essere atteso. Ora potrebbe per favore spostarsi al termine della fila?”

“Ora ascoltami bene teppistello, io lavoro per una compagnia grossa, capito? Non ho un lavoro senza prospettive.” Marco fece un sospiro gentile: quindi quest’uomo era uno di ‘quel genere’. “E ho una video-conferenza con varie persone importanti da diverse parti del mondo fra poco. E se faccio tardi a questo meeting perché tu ti rifiuti di fare il tuo lavoro, ti assicuro che ti faccio licenziare. E farò anche in modo che tu non venga assunto da nessun’altra parte.”

“Signore, mi dispiace che lei abbia deciso di prendere un caffè così in ritardo anziché essere preparato in anticipo per il suo meeting, ma le devo chiedere di prendere il suo posto al termine della fila.” Il sorriso di Marco si stirò mentre lui piegò la testa da un lato, “Farà tardi al suo meeting se continuiamo a discutere.”

“E’ per questo che ti sto dicendo di fare il mio dannatissimo caff-”

“Che sta succedendo qui?” Eren era finalmente tornato. Gli altri due clienti sembravano a disagio a causa della discussione. La voce dell’uomo d’affari si alzava di più ogni volta che diceva qualcosa a Marco, e le sue guance si erano tinte di rosso dalla rabbia.

“Questo teppista si rifiuta di preparare il mio caffè.” Spiegò l’uomo.

“Questo cliente si è messo di fronte a questa signorina,” Lo corresse Marco. “E si rifiuta di rimettersi in fila.”

“Ritorni in fila.” Disse Eren con meno pazienza di Marco.

“Mi scusi?” L’uomo disse corrucciato. “Questo è un oltraggio. Dov’è il manager?”

“Ah, me lo faccia chiamare.” Eren scomparì nel retro solo per tornare indietro due secondi dopo con un sorrisetto divertito sulle labbra. “Qual è il problema?”

Il cliente colpì il bancone con il lato della mano, chiusa a pugno. “Non ho intenzione di sopportare oltre. Sai chi sono io?”

L’espressione di Eren si fece seria. “Senti un po’, stronzo. Anche se fossi il fottutissimo bambino Gesù non me ne potrebbe fregar di meno. Ora, se non hai intenzione di metterti in fila, puoi anche uscire dal mio negozio.”

“Dammi il numero del proprietario. Vi farò licenziare entrambi.”

“Buona fortuna, allora,” Sbuffò Eren. “Visto che sono suo figlio.” E provò fin troppa soddisfazione al modo in cui la faccia dell’uomo divenne di un orribile rosso. Ormai, anche l’unico altro cliente che sedeva al caffè si era tolto le auricolari che stava usando per capire a cosa fosse dovuta tutta quella agitazione. “Ve lo chiederò gentilmente solo un’altra volta: esca dal mio negozio. Sta disturbando gli altri clienti.”

L’uomo mosse lo sguardo da Marco ad Eren, chiedendosi se potesse spingersi oltre. Marco sembrava un sempliciotto con il suo atteggiamento amabile e il massimo che Eren gli aveva visto fare erano degli sguardi arrabbiati – che non erano per niente intimidatori, ad essere onesti. Ma stavolta Eren notò che l’espressione che era dipinta sul volto del lentigginoso collega non era per nulla gentile, e di una tale intensità che non permise al cliente di infastidirli ulteriormente: uno sguardo di fuoco. L’uomo deglutì. “B-bene. Ma non tornerò mai più. Avete appena perso un buon cliente.”

Eren sospirò altezzosamente quando l’uomo fu uscito dal caffè. “Infatti, meglio che te ne vada.” Poi si girò verso Marco, la cui espressione era ritornata alla solita dolcezza, e gli diede una pacca sulla spalla. “Ecco fatto. Tutto risolto.”

“Grazie Eren.” Disse Marco. Poi si girò verso la signorina che lo stava fissando sgomenta. “Mi dispiace molto. Cosa posso portarle?”

“Il tuo numero,” Disse lei in uno stridolino, e arrossendo vistosamente. “Cioè, intendevo dire… ehm, vorrei un Latte al caramello, corazzato.”

Mentre Marco prendeva gli ordini ed Eren li preparava, quest’ultimo non poté fare a meno di rimanere impressionato dal nuovo arrivato. Anche se quell’uomo gli stava praticamente urlando contro, Marco era rimasto calmo per tutta la durata della discussione. Eren ripensò a quando Sasha si era trovata a confrontarsi con il suo primo orribile cliente: sembrava sull’orlo delle lacrime e non si era calmata fino a quando non le avevano dato qualcosa da mangiucchiare. Connie aveva addirittura alzato il dito medio la sua prima volta – ma fortunatamente c’era solo Eren e comunque non molti clienti, quindi non ne era pervenuta notizia a sua madre. In ogni caso, nessuno di tutti gli altri impiegati aveva gestito molto bene il suo primo pessimo cliente, a dirla tutta. Eren aveva quasi dato un pugno al suo e non l’aveva fatto solo perché sua madre l’aveva fermato.

Si ricordava quella giornata ancora abbastanza bene. Qualche idiota aveva pensato di poterla passare liscia dopo aver affermato che Eren gli aveva dato il resto sbagliato. E questa cosa accadeva fin troppo spesso con i clienti.

“Non so come tu faccia ad essere così paziente.” Disse Eren, una volta che avevano servito tutti i clienti.

Marco fece spallucce. “Prima facevo il cameriere. Credo mi abbia temprato un po’.”

Qualcosa disse ad Eren che la cosa aveva più a che fare con la sua natura che con l’aver lavorato in un ristorante. “Avresti dovuto dare il tuo numero a quella ragazza. Era carina.”

“Ah,” Un’ombra di rossore fece spiccare le sue lentiggini ancora di più. “No. Io non… uhm… “

Eren annuì comprensivo. “Ah, no capisco. C’è già qualcuno.”

“No, no,” Marco agitò le mani in aria. “Niente del genere. E’ solo che io sono…”

“Sei…?”

“Sai…”

“So…?”

“Sono dell’altra sponda.”

“Eh?”

“Tifo per l’altra squadra.”

“Come? Scusa non me ne intendo molto di football.”

Marco sospirò. Fece un passo verso Eren e gli mise una mano sulla spalla proprio mentre la porta del negozio veniva aperta e il campanello suonava. “Eren sono gay.”

“Ah, okay.” Eren si girò verso l’entrata, sorridendo raggiante non appena vide Levi che si era arrestato sul posto. Lo sguardo di rabbia sul viso dell’uomo era intenso, e un’indecifrabile emozione guizzò nei suoi occhi mentre fissava Marco ed Eren. “Hey Le-” Eren ingoiò il resto del suo nome, chiedendosi come avesse fatto a pronunciarlo. “Ehm, bentornato.”

Marco tolse la sua mano, e un brivido freddo attraversò il suo corpo quando lo sguardo di Levi si posò su di lui. Occhieggiò il suo orologio. “Hai capito, Eren? E’ già ora di andare per me.”

“Sì, sì. Non preoccuparti.”

Marco annuì e si affrettò sul retro, nel tentativo di togliersi dalla visuale dell’uomo appena entrato. Era lui o il cliente sembrava avere intenti omicidi? Un vaga idea del perché lo fece sorridere.

“Allora cosa vuole stasera, oh uomo basso e misterioso?” Chiese Eren ghignando.

Levi si avvicinò al bancone con un ‘tsk’. Posò la borsa sul bancone con un tonfo. “Un mocha con espresso triplo corazzato.”

“Wow. Lunga giornata in ufficio?”

Levi si tolse il cappotto. “Non ho un ufficio.”

Eren stava trafficando con la macchina del caffè. “Quindi non lavori per una compagnia o cosa? Lavori a casa?”

“Sì.”

Doppio wow. Quella era la cosa più onesta che Levi avesse mai detto su sé stesso. Dopo il non avere un ufficio, ovviamente. Eren provò a pensare a tutti quei lavori che si possono fare da casa. “Sei un web-designer o simili?”

“No.”

Maledizione. “Sei un programmatore informatico?”

“No.”

“Sei uno di quei professori che insegnano online?”

“Ho già detto di no a ‘professore’ e ‘insegnante’.”

“Sei sicuro di non essere uno scrittore?”

“Sono sicuro.”

“Ci vediamo, Marco.” Eren agitò la mano mentre Marco usciva, i suoi passi più veloci quando aveva notato lo sguardo di Levi. “Certo che se ne è andato di fretta. Ma credo di non poterlo biasimare.” Eren mise la tazza di fronte a Levi.

“Sembrate in confidenza.” Disse Levi, avvicinando la bevanda a sé.

“Marco è un ragazzo simpatico.”

“Ti piacciono i ragazzi simpatici?”

“Eh? Direi di sì.” Eren corrugò le sopracciglia alla domanda. Aveva l’impressione che c’era un significato sottinteso dietro quelle parole e che lui non stava capendo.

Levi portò la tazza alle labbra e ci soffiò dentro. “Quindi ti piacciono i ragazzi.”

“B-be’, sì.” Borbottò Eren, chiedendosi come la conversazione fosse passata dalla carriera di Levi alle sue preferenze sessuali.

Levi fece un piccolo sorso. “E lui… ti piace.”

“Cosa? No! Cioè, è un ragazzo simpatico e tutto, ma è solo un amico.”

“Capisco.”

“Sei proprio strano oggi, sai? Non che tu non sia strano. Solo più strano.”

Levi posò la sua tazza, imperturbato dall’osservazione di Eren. La sua postura era rilassata, e per quello che si poteva vedere, lui sembrava tranquillissimo tranne che per l’ombra che gli aleggiava negli occhi. C’era sempre un’ombra nei suoi occhi, ma stasera era più scura. Più minacciosa. “Immagino tu abbia ragione.”

“Normalmente non sei mai d’accordo con me, oltretutto. E’ successo qualcosa a lavoro?”

“Sono affari tuoi?”

Tali parole ebbero l’effetto di una freccia nel cuore di Eren; un promemoria che lui era solo un impiegato e Levi era un cliente, e che quella era l’unica relazione che li legava. E per la prima volta da quando Eren aveva conosciuto Levi, si sentì amareggiato a causa della sua natura vaga e criptica. Qualche volta lo sentiva vicino, e qualche altra, come ora, lo sentiva distante e inavvicinabile. “No, direi di no.”

“Vuoi sapere perché non voglio dirti che lavoro faccio?”

“Eren batté gli occhi. “Sì?”

“Tecnicamente ho due lavori.”

“Be’ allora non vale. Ora devo indovinarli entrambi.” Levi era davvero strano e inspiegabilmente disponibile, ma, nonostante ciò, Eren dubitò che sarebbe riuscito a scoprire di entrambi i suoi lavori. “Ma questo non mi spiega il perché tu non voglia dirmeli. Non è che me ne vada in giro a dire a tutti che sei un poliziotto sotto copertura. Ti prometto che non prepariamo metanfetamina nel retro, anche se sembra.”

“…”

Eren posò una mano su quella di Levi, in maniera confortante. “A meno che non fai proprio questo. Vendi marijuana o cose simili? Sei uno spacciatore? E’ questo? Posso trovarti un gruppo di supporto se sei drogato.”

Lo sguardo impassibile che gli concesse Levi valse la pena perché l’ombra nei suoi occhi sembrava essere scemata. “Ti sembro un drogato o uno spacciatore?”

“Uno spacciatore elegante, sì.”

Il pugno in cui era stretta la mano di Levi si aprì, e la punta delle sue dita che sfiorava l’interno del polso di Eren fecero rendere conto al ragazzo che aveva toccato Levi. Stava per ritrarre la mano, ma quelle stesse dita si strinsero attorno al suo braccio in una presa stretta. Il suo cuore martellò rumorosamente nel petto e Eren era sicuro che Levi poteva sentirlo. “Tocchi sempre le persone così liberamente, Eren?”

Il modo in cui Levi aveva detto il suo nome fece pensare ad Eren che l’uomo era perfettamente consapevole delle sue reazioni: aveva pronunciato ogni singola sillaba, enunciato il suo nome con uno schiocco della lingua, abbassato la voce in un timbro roco. E non aiutò il fatto che il suo pollice aveva carezzato una delle sue vene in un modo che, voluto o non, aveva fatto attraversare un brivido lungo il corpo di Eren. “No.”

Eren provò a guardare ovunque, in qualsiasi posto che non fosse Levi. C’erano solo due altri clienti nel caffè, ma nessuno dei due si era accorto del suo turbamento interiore. Uno guardava assorto lo schermo del suo computer, mentre l’altro si stava preparando ad andarsene.

“Ti fai toccare dalle persone, normalmente?”

A Eren ci volle un attimo per realizzare che la domanda non era uguale alla prima. “Uhm, no. Quindi potresti lasciarmi?”

“Non hai protestato quando il tuo collega ti ha toccato.”

Eren corrugò le sopracciglia. “Marco? Di che stai parlando? Tutto quello che ha fatto è-” Quello fu il momento in cui una realizzazione lo ammutolì. Un bellissimo, glorioso pensiero che fece battere il suo cuore più velocemente, ma in un bel modo. Stavolta incontrò lo sguardo di Levi, con occhi così brillanti e speranzosi che presero l’uomo alla sprovvista. “Non è che… sei geloso?”

Levi lasciò la presa, e la sua facciata di difesa si ricompose a tutta forza. “Cosa ci sarebbe da essere gelosi? Ti sto semplicemente facendo notare che sei troppo aperto, qualcuno di cui approfittarsi facilmente.”

La frustata che Eren provò gli fece malissimo. Era incredibile quanto velocemente Levi potesse cambiare da caldo a freddo, dal bruciare le sue interiora ad avere lo stesso effetto di una secchiata di acqua gelida. “E’… è la cosa più stupida che io abbia mai sentito. Non sono cose che dici ad un ragazzo.”

Levi fece spallucce. Cacciò il suo pc dalla borsa, e questo indicò la fine della conversazione.






Eren stava pulendo i tavoli in giro per il negozio, il che era una cosa buona per Levi dal momento che lui, invece, non stava assolutamente lavorando. L’ultima cosa a cui poteva pensare in quel momento era il lavoro, non quando era stato vicinissimo ad assicurarsi un biglietto di prima classe per l’inferno. Se non ne aveva già uno - e probabilmente ce l’aveva.

Cosa diavolo l’aveva posseduto quando aveva afferrato Eren in quel modo? In verità, sapeva esattamente cos’era stato. Levi non era bravo a fare lo stupido, né era stupido di per sé, e tutto quello a cui riusciva a pensare era di essere arrivato al caffè e aver trovato quel ragazzo lentigginoso toccare Eren e a come qualcosa era scattato dentro di lui. Un calo di giudizio, forse. Probabilmente anche di pazienza. Di morale, persino.

Dio, Eren aveva almeno dieci anni meno di lui e tutto quello che Levi voleva era baciare lo stupido moccioso perché aveva fatto quell’espressione speranzosa alla prospettiva che Levi fosse geloso.

Si passò una mano sul viso, fermandola a metà per proteggersi dalla concretezza della sua perversione. Stava avendo una crisi di mezza età? Era quello? Ma dannazione, lui aveva trentadue anni. Era troppo giovane per cose del genere. Okay: era anche vero che era sempre stato più maturo della sua età. Magari stava arrivando a quel punto della sua vita in anticipo.

Levi era abbastanza sicuro che Eren aveva una cotta per lui se quello sguardo speranzoso era qualcosa su cui basarsi, o se lo erano il modo in cui Eren arrossiva sempre quando c’era Levi, o se lo erano quegli sguardi che gli lanciava pensando di essere discreto.

E tutto quello che lui voleva era approfittarsi di quella innocente infatuazione.

Sì, Levi sarebbe sicuramente andato all’inferno.

Non aiutava il fatto che prima, durante la giornata, aveva parlato con Hanji del suo libro e di cosa Eren gli aveva fatto notare – di come qualcosa fosse cambiato. Era riuscito a sentire il sorriso di Hanji anche attraverso il telefono e non avrebbe voluto niente di più che strangolarla per le sue risposte maliziose. ‘Ho capito quello di cui parli, Levi… perché non mi racconti che è successo? Qualcosa di bello? Se me lo chiedi, mi sembra che tu sia innamor- ”

Aveva attaccato prima che lei potesse finire.

Nemmeno Erwin era stato di aiuto. ‘Capirai.’

Perché diavolo era ritornato al caffè? Era come se ogni volta che ci veniva, stava mettendo alla prova la sua morale e testando la sua pazienza. Era come un gioco: vediamo quante volte riesci a venire senza assalire il barista dagli occhi luccicanti.

‘Lui ne sarebbe contento’, sussurrò il vecchio pervertito dentro di lui.

E dannazione se Levi non sapeva che quella era la verità.

E perché, perché, per quale motivo aveva detto ad Eren che aveva due lavori? Aveva fatto un grosso errore. Stava iniziando ad essere troppo disinvolto, a proprio agio, troppo aperto. E Levi non si poteva permettere niente di ciò. La sua mente, il suo cuore, la sua vita erano nel caos a causa di Eren e al fatto che tutto quello che lui aveva bisogno di fare era sorridere.

Questo era il motivo per cui il suo libro lo faceva arrabbiare. Aveva bisogno di avere controllo sulla sua vita, e scrivere era sempre stata l’unica cosa su cui aveva assoluto controllo. Ma apparentemente anche quella sicurezza era finita sottosopra.

Ma ora basta. Levi doveva riprendersi sia la sua vita che il suo libro. L’ispirazione l’aveva portato a immaginare un continuo per ‘Attack on Eoten’ che parlava di un ragazzo che salvava l’umanità dai giganti. E sì, forse Levi lo immaginava con gli occhi verde-blu.

E proprio quando stava per rimettersi diligentemente al lavoro, il suo telefono vibrò sul bancone. Una volta. Due. Tre. Era un messaggio. Levi lo prese e fece un faccia contrita allo schermo.

Auruo: Capo, abbiamo un problema.

Hip-hip-dannato-urrà. Questo poteva voler dire una sola cosa.

Non erano nemmeno le ventitré e Levi doveva andarsene. Qualcuno l’avrebbe pagata cara e, possibilmente, con la vita. Levi chiuse il pc e lo rimise nella borsa e finì velocemente di bere la sua bevanda che, in realtà, era diventata fredda durante la sua crisi interiore.

“Te ne vai di già?”

Dannazione. Perché il moccioso doveva avere quel tono avvilito? Levi posò la tazza e si mise il cappotto. “E’ successa una cosa al lavoro.”

“Ah, okay. Spero niente di grave.”

Levi afferrò la borsa e si girò verso Eren. Era ovvio che il barista si stava chiedendo se non era stato lui che aveva fatto qualcosa di sbagliato, pensando che Levi stava solo cercando di essere gentile dicendogli una bugia. No. Togliti quella stupida espressione dalla faccia. Prima che potesse fermarsi – la sua mano si era mossa senza permesso – Levi stava piazzando la suddetta sulla testa di Eren. I suoi capelli erano soffici come aveva immaginato. “Non ti mettere nei guai mentre torni in macchina dopo.”

“N-non lo farò.” Balbettò Eren, chiaramente spiazzato. Le sue orecchie erano rosse, e tale rossore si diffuse anche sul suo viso non appena Levi strinse la presa e lo strattonò più vicino.

“E non ti far toccare più da nessuno. Mi hai capito?”

Aveva finito di preoccuparsi di morale o di età e di essere un adulto responsabile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per non dover sentire quella voce abbattuta o per non rivedere quello sguardo. Questo moccioso era solo suo da confondere e nessuno doveva mettersi in mezzo.

“Io… sì,” Disse Eren disorientato. “Questo non includerebbe anche te?”

“Io sono un’eccezione, moccioso.”

Levi lo lasciò e si avviò fuori dal negozio, prendendo il cellulare dalla tasca per inviare un messaggio ad Auruo.

Levi: Meglio che sia fottutamente importante.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Un triste, strano ometto ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Mi dispiace tantissimo di essere così tanto in ritardo ma il mio esame è stato posticipato di un giorno e mezzo e poi volevo aggiornare ieri ma il mio relatore ha chiamato i suoi tesisti in studio oggi e ho dovuto preparare del materiale per lui e non c'è stato tempo ;___;. Grazie mille a tutti per stare seguendo questa storia, grazie mille a chi l'ha messa nei preferiti/da ricordare/seguiti e soprattutto a chi ha lasciato un commento! Purtroppo ancora non ho tradotto i commenti all'autrice quindi non posso ancora rispondere ;____; lo farò domani pomeriggio e cercherò di rispondervi il prima possibile (oltretutto in queste due settimane di assenza ho avuto 12 commenti O___O sappiate che vi amo tutti incodizionatamente e che non potrei essere più felice anche se tradurre tutta 'sta roba in inglese a volte è dura xD). La smetto di rubarvi tempo e vi lascio al capitolo che è meglio. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: bla bla bla errori di distrazione bla bla bevande inesistenti in italia, già sapete. Nella fic stiamo sotto Natale. Stavo ascoltando i Daft Punk mentre traducevo sdgfdsg non c'entra nulla ma ve lo volevo dire xD. L'assedio di Orgrimmar è riferito a World of Warcraft, un gioco per il pc (credo... è per il pc no?). Un 'F' è una bocciatura e una 'D' è un voto mediocre.


The Little Titan Café
CAPITOLO 11: Un triste, strano ometto

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: pumpkin latte speziato

C’erano delle caricature dei ‘giganti’ di Carla Jaeger, in versione definitivamente rimpicciolita – alcuni con un cappello da Babbo Natale, uno con un sacco pieno di regali, un altro a guidare una slitta – che Eren aveva disegnato sulla lavagnetta del negozio. Lo speciale era stato scritto con dei gessetti rossi e verdi, insieme ad un ‘Buone vacanze!’. Questo poteva significare solo due cose: o, uno, Carla Jaeger era tornata dalle sue vacanze e aveva costretto Eren a cercare di essere un po’ più festivo, o, due, Eren l’aveva fatto per scacciare la noia. Il che voleva dire che era molto, ma molto annoiato.

Quando lo sguardo di Jean si spostò dalla lavagna, vide Eren che usciva dal retro indossando un cappello da Babbo Natale con un cipiglio petulante dipinto in volto, e poté dedurre con facilità che la proprietaria del Little Titan Café era tornata a casa.

“Quando sei arrivato?” Chiese Eren, mentre la sua espressione si scuriva ulteriormente.

“Solo un minuto fa,” Jean fece un sorrisetto. “Carino il cappello.”

“Taci. Cosa vuoi?”

“Un mocha bianco, danzante.”

“Va bene.”

Jean quasi si mise a ridere quando Eren posò la tazza di fronte a lui pochi minuti dopo. Una faccia arrabbiata lo scrutava, disegnata sulla schiuma. “Brutta giornata?”

“Più o meno.” Eren sospirò, poggiandosi al bancone con un gomito. “Da quando mia mamma è tornata non fa altro che ripetermi che non ho proprio fatto un buon lavoro a controllare il negozio. Quindi lei-”

“Eren Jaeger!”

Il suddetto barista sussultò all’evidente ferocia nella voce femminile. Carla Jaeger uscì dal retro, mani sui fianchi, e con un’espressione accigliata molto familiare. Jean era sempre stato sconcertato da quanto Eren somigliasse a sua madre.

“Che c’è ora?” Chiese Eren, senza fare molto per mascherare la sua esasperazione.

“Non mi mancare di rispetto, signorino,” Disse lei sventolando un foglio in faccia al figlio, “Ti andrebbe di spiegarmi questo?”

Il ragazzo strabuzzò gli occhi, riuscendo a stento a vedere quella che sembrava una ‘F’ scritta in rosso. “Ti sei messa a rovistare tra le mie cose?”

“No. La tua borsa è caduta e si è rovesciato tutto a terra, quindi ho iniziato a mettere a posto e ho trovato questo. Spero caldamente che tu non abbia intenzione di essere bocciato in matematica.”

“E’ solo una F. Lo supererò.” Disse Eren senza preoccupazione, evitando di dire che aveva preso anche una ‘D’. “E poi dovremmo davvero discutere queste cose qui?”

“Ah.” Carla arrossì in imbarazzo. Poi fece un sorriso di scuse a Jean. “Ciao, Jean caro.”

“Salve, signora Jaeger,” La salutò Jean con un sorriso educato, “Come è stata la sua vacanza?”

“Oh. Fantastica,” Rispose lei con entusiasmo. “Ho delle foto sei vuoi- ”

Proprio mentre iniziava a trafficare con il marsupio attaccato al suo grembiule per prendere tali fotografie, Eren la interruppe: “Mamma. Vai a casa.”

“Ma- ”

Eren iniziò a spingerla verso il retro, “Hai già mostrato quelle foto ad ogni singolo cliente che hai servito.”

“Avevo intenzione di rimanere e aiutarti a chiudere il negozio.”

“Non ce n’è bisogno.”

“M- ”

“Vai.”

“-a.”

“Vai a casa.”

Entrambi tornarono dal retro del negozio un paio di minuti dopo, Carla con indosso la sua giacca e con la borsa appoggiata poco cerimoniosamente al braccio mentre Eren continuava a sollecitarla a lasciare il negozio. Le aprì la porta e le diede un bacio sulla guancia. “Ci vediamo dopo.”

Carla sospirò. “Ti lascio la cena nel frigo. Stai attento quando chiudi.”

“Lo sarò.” Eren non poté trattenersi dal sorridere perché chiudere il negozio voleva dire farsi scortare alla macchina da Levi. Carla strinse gli occhi sospettosamente, e mentre si girava si scontrò casualmente con qualcuno.

“Mi scusi tanto.” Disse lei ad un uomo basso, che si era prontamente spostato per farla passare.

“Le scuse sono mie, signora.”

“Chiamami sei hai qualche problema, Eren.” Disse Carla prima di incamminarsi verso la sua auto. Levi la fissò con quella che, secondo Eren, poteva essere chiamata solo in un modo: curiosità. Era sempre difficile decifrare i pensieri dell’uomo.

“Tua…?”

“Madre.”

“Ah.” Levi entrò nel caffè, togliendosi i guanti di pelle. “Le somigli un sacco.”

Eren fece un gemito. “Per favore non dirmi che stavi facendo un pensiero su mia madre.”

“Cosa te lo farebbe pensare?”

“Non so, l’hai guardata in un modo strano.”

“Posso assicurarti che non ci sto facendo nessun pensiero.”

Eren si accigliò. “Vuoi dire che mia madre non è abbastanza bella per te, o cosa?”

Levi lo schernì, mormorando: “Non è tua madre che mi interessa.”

“Che hai detto?”

“Niente.”






Eren si sentiva un po’… a disagio. Questo perché Jean e Levi sedevano l’uno vicino all’altro – Levi al suo solito posto vicino la cassa, e Jean un paio di sgabelli più in fondo. Era strano perché uno dei due era il suo ex ragazzo, mentre l’altro era l’oggetto della sua corrente infatuazione. Lui era più che sicuro che non c’era niente da preoccuparsi dal momento che tra lui e Jean era finita una volta e per tutte, ma sembrava che Levi non la pensasse allo stesso modo. O perlomeno, questa era la sua impressione. Era difficile dirlo con certezza quando l’uomo cambiava modo di fare da un momento all’altro: un attimo faceva il freddo, mentre quello dopo diceva ad Eren che nessuno a parte lui poteva toccarlo.

Eren si fermò a metà ragionamento.

Perché era quello che Levi intendeva no? Quando aveva detto, Eren citò nella sua testa, ‘Io sono un’eccezione, moccioso'.

Il solo pensarci – insieme al modo in cui Levi lo aveva toccato, gli aveva carezzato i capelli: gentilmente a dispetto dei suoi modi – gli fece infiammare il viso. Era davvero sorprendente come si ricordasse ogni singola volta che si erano toccati. E nemmeno una sola Levi era stato brusco. C’era una chiara risolutezza, un’ombra di spietatezza che si celava dietro, ma che non faceva altro che far battere il suo cuore più velocemente, lasciandogli un calore che non riusciva a scrollarsi di dosso. Lo ossessionava nei suoi sogni. Lo ossessionava durante il giorno quando sognava ad occhi aperti. Lo stava ossessionando in quello stesso momento, facendogli tremare le ginocchia.

E proprio una delle sue ginocchia traballanti che batteva contro uno degli armadietti del bancone lo risvegliò dal suo stato di stordimento. Eren finì di versare il latte in una tazza, terminando con una spruzzatina di cannella e si girò, posando il pumpkin latte speziato di fronte a Levi.

“…”

“Perché quella faccia?”

Levi lanciò uno sguardo alla sua bevanda, solo per rivolgerlo di nuovo ad Eren e alzare un sopracciglio, incredulo. “un …cuore?”

Bello e chiaro, disegnato sulla schiuma del suo latte, c’era un cuore. Uno stupido cuore. Eren resistette all’urgenza di schiaffeggiarsi la fronte da solo. Come diavolo era successo? “E’… è che è tutta la sera che faccio cuori per tutti i clienti, okay? E’ un disegno molto comune dopo la rosetta.”

“Pensavo che odiassi fare i cuori.” Jean si intromise. Lo stupido, deficiente Jean che doveva per forza mettersi in mezzo quando avrebbe potuto semplicemente infilarsi una scarpa in bocca, o da qualche altra parte. O preferibilmente in entrambi i posti.

“Fatti gli affari tuoi.” Lo zittì Eren, alzando le spalle in tono difensivo. Poi corse verso Jean, determinato a non guardare Levi in faccia. “Non dovresti tornare a casa dalla tua vecchia? Inizierà a preoccuparsi se non ti vede tornare per il coprifuoco.”

“Per favore. Anche tu vivi con tua madre.”

“…”

Eren stava per schiaffare un mano sulla bocca di Jean – o per infilargli un pugno in gola, uno dei due – ma le parole ‘tocchi sempre le persone così liberamente?’ risuonarono nella sua testa. Le mani gli si chiusero a pugno sui fianchi, mentre la rabbia e l’imbarazzo gli riscaldavano il corpo. Alla fine, optò per zittire Jean mettendosi un dito davanti alla bocca. “Shh.”

Non capiva che Levi era lì e che poteva sentirlo!? Ugh. Se solo il pavimento avesse potuto inghiottirlo in quel momento, per favore e grazie.

“Comunque,” Jean riprese, facendo una faccia strana ad Eren, “Volevo sapere se avevi un compagno per il progetto.”

“Progetto?”

“Sì, sai, per il corso di dizione.” Sospirò Jean. “Non hai seguito per niente oggi?”

Eren ricordava di essere stato a lezione, ma essere effettivamente lì era tutta un’altra cosa. Era troppo occupato a cercare un modo per migliorare la sua squadra in modo da riuscire ad andare avanti nell’assedio di Orgrimmar. E quando non stava pensando alla realtà virtuale, i suoi pensieri tornavano a Levi, e più specificatamente all’altra sera e a cosa diavolo era riferita quella-

“Pronto. Terra chiama Jeager.”

“Sì, certo. Che progetto è?”

“La professoressa ci ha dato una dispensa…”

Eren aggrottò le sopracciglia, ricordando vagamente di aver ricevuto delle fotocopie durante la lezione. “Giusto. Sì. Ci darò un’occhiata dopo. Ma sì, posso fare coppia con te. Avresti potuto direttamente inviarmi un messaggio.”

“Volevo qualcosa da bere, e non ho pensato al progetto fino a quando non sono arrivato qui.”

Eren stava per contraddirlo, ma la suoneria del telefono di Jean interruppe la loro conversazione.

“Vecchia? Sì, sì, sto venendo. Donna, calmati. I- ” Jean allontanò il telefono dal suo orecchio, desiderando che qualcuno lo uccidesse seduta stante. “Questo è il motivo per cui non vedo l’ora di andarmene.”

“Non hai ancora trovato nessuno con cui convivere?” Chiese Eren mentre la ramanzina continuava dall’altra parte della linea.

Jean sospirò. “No.”

“Potrei conoscere qualcuno.” Disse Eren. Un paio di sere prima Marco gli aveva detto che stava cercando un coinquilino perché Eren si era lamentato di voler andare a vivere da solo. Anche se non avrebbe disdegnato andare a vivere con Marco, Eren sperava di trovare un posto con Armin e Mikasa.

“Ti stai offrendo?”

Eren roteò gli occhi. “Diamine! No.”

“Be’, io mi offro.”

“Stai scherzando?”

“No.”

E Eren poteva vedere che Jean era serio. Ingoiò, sentendosi stupidamente a disagio. Sicuramente ora erano amici, ma sarebbe comunque stato strano, no? Andare a vivere con il tuo ex. “Ehm…”

Il rumore acuto di una tazza sbattuta sul piattino risuonò fastidiosamente nel locale, spostando l’attenzione di Eren da Jean a Levi, che si alzò bruscamente. “Devo andare in bagno.”

Mentre Levi si alzava dallo sgabello, Jean incrociò il suo sguardo e un brivido freddo gli attraversò la schiena. E non un brivido da fuori-fa-freddo, ma uno da tutto-sembra-sudato-e-appiccicoso-e-fa-freddo-e-caldo-contemporaneamente. Dietro quegli occhi di acciaio c’era un’ostilità sottesa, una veemenza pura e qualcos’altro che Jean non riuscì propriamente a definire, ma lo fece piantare sulla sedia dalla paura. Era snervante vedere che un uomo così basso potesse instillargli un assoluto terrore.

“Che problema ha?” Chiese Jean, quando lo strano omino sparì dalla sua vista.

“Probabilmente gli stavamo dando fastidio.” Spiegò Eren, occhieggiando il pc. “Di solito viene qui per lavorare in silenzio.”

“Una reazione un po’ esagerata se lo stavamo solo infastidendo.” Disse Jean, riportando il telefono cautamente all’orecchio. “Okay, sì, ci vediamo tra poco.” Poi attaccò. “Comunque sul serio, dovremmo trovarci un appartamento insieme.”

“Assolutamente no.”

“Perché lo fai suonare come se fosse terribile vivere con me?”

“Ah, chissà,” Eren puntò un dito, “Forse perché litighiamo sempre.”

“Non abbiamo litigato così tanto ultimamente,”

“Sei disordinato.”

“E quindi?”

“Sei un idiota.”

“Come te.”

“Ah e noi uscivamo insieme una volta. Imbarazzante.”

“Oh-oh.” Era ovvio che il pensiero non aveva toccato Jean fino a quando non allargò gli occhi in segno di realizzazione. “Giusto, è che io pensavo che era passato tutto e quindi la cosa non avrebbe avuto alcuna importanza.”

Dannazione. “E’ finita, ma vivere insieme sarebbe comunque imbarazzante. Chi lo sa cosa potrebbe succedere? Potremmo finire con l’odiarci ancora di più o poterebbe di nuovo nascere qualcosa e non ce lo possiamo permettere,” Eren strinse gli occhi sospettoso, prima di finire: “A meno che non è proprio questo che vuoi.”

Jean si stava già alzando e infilando il cappotto. Si mise le mani in tasca, sorridendo in una maniera suggestiva che all’epoca faceva impazzire Eren – e in senso buono. “Forse.”

“Sei un idiota.”

“Sì, sì. E tu ci uscivi con questo idiota.”

“Smettila di ricordarmelo.”

Mentre Jean usciva dal Little Titan Cafè, di colpo capì cosa significava la luce che quell’uomo aveva negli occhi: dopo l’ostilità e il fervore, c’era un’insormontabile dose di possessività, come se stesse cercando di dire a Jean di farsi fottutamente indietro. Il ragazzo indugiò un secondo fuori il locale, lanciando uno sguardo al losco uomo attraverso la finestra, mentre questi tornava a sedersi. Anche da fuori, con un vetro appannato a separarli, Jean poteva vedere come il viso di Eren era illuminato e tutto divenne chiaro.

Si chiese se era il caso di tornare dentro e mettere in guardia Eren nei confronti dell’uomo, ma alla fine non erano affari suoi. E comunque Eren non l’aveva mai guardato in quel modo, nemmeno quando erano ‘fidanzati’ – mai con quello sguardo di completa e totale adorazione.

Con i suoi stessi passi che risuonavano sul marciapiede, Jean se ne andò.






Un’ombra scura aleggiava su Levi, o un’aura, forse. In ogni caso, Eren poteva praticamente vedere il viticcio di oscurità che gli stava crescendo addosso.

“Mi dispiace se ti abbiamo infastidito mentre stavi lavorando.” Disse Eren. Possesso. Il modo in cui Levi diede una manata secca al suo pc gli sembrò possesso.

Non rispose ad Eren.

“Jean è un amico, sai.” L’ombra sembrò scurirsi alla menzione di Jean. “Solo un amico.”

Levi si rilassò un minimo.

“Uscivamo insieme una volta.”

Buio pesto.

“Ma era un bel po’ di tempo fa. E’ finita ora.”

Grigio scuro.

Eren si morse le labbra, resistendo alla voglia di ridere. “Lui pensa che sia un buona idea dividere un appartamento, ma io gli ho detto che la cosa sarebbe talmente imbarazzante che è fuori questione.”

La nuvola si schiarì e divenne di un grigio chiaro. Le dita di Levi sembravano ora meno frenetiche mentre si muovevano sulla tastiera.

“Mi dispiace se ti abbiamo disturbato.”

La solita faccia imperturbabile di Levi tornò al suo posto. L’uomo terminò di bere e poi porse la tua tazza verso Eren. “Ancora.”

Eren sorrise e prese la tazza.

“Dentista.”

“No.”

“Veterinario.”

“No.”

“Ex ufficiale di marina.”

“No.”

“Sei segretamente uno dei membri dei Daft Punk?”

“Ti sembro uno dei Daft Punk?”

“Sai chi sono?”

“Non vivo fuori dal mondo.”

“Fai finta di essere uno di loro usando il casco? Come una sorta di controfigura?”

“No.”

Eren batté il pugno contro il palmo dell’altra mano. “Ah! Lo so! Lavori per Rivaille?”

Con un gomito poggiato sul bancone, Levi poggiò la guancia contro le nocche della sua mano stretta in un pugno. “Qualcosa del genere.”

“Sei il suo addetto alle relazioni stampa? Redattore? E’ questo quello che fai sempre? Cambi le sue bozze e scrivi un sacco di critiche costruttive? Anche se probabilmente saranno per lo più commenti cattivi. Poverino.”

“Smettila di saltare alle conclusioni, moccioso.”

Eren fece spallucce, con un sorrisetto sulle labbra. Tutto quello che faceva era saltare alle conclusioni, dopotutto. Forse era un po’, un pochino pochino, ossessionato dall’uomo. Giusto un pochettino. “Credo che inizierò a chiudere il negozio.”

Mentre Eren iniziava – prendendo la tazza di Levi per lavarla, controllando e chiudendo la cassa, ripulendo il bancone – lo sguardo di Levi lo seguì con discrezione. Era venuto al negozio con l’intenzione di lavorare al suo prossimo romanzo. Era riuscito a fare qualcosa, ma la maggior parte della sera era passata rimuginando su come quello stupido moccioso flirtava apertamente con l’altro stupido – ma stupidamente carino – moccioso. Levi sarebbe stato perfettamente soddisfatto anche se l’avessero lasciato cuocere nella sua rabbia, ma Eren era arrivato a calmarlo, quasi come se consapevole che Levi era furioso.

Ah, quel moccioso birichino.

Man mano che passavano le serate, Levi trovava sempre più difficile concentrarsi sul lavoro quando era fin troppo preoccupato a guardare Eren andare da una parte all’altra, come in quel momento. Bisbigliava sempre qualcosa tra sé e sé, e la maggior parte delle volte Levi non riusciva a sentire, ma in genere era qualche commento irritato perché c’era qualcosa che non quadrava con la cassa, o perché Connie aveva lasciato la sua bevanda semi-finita sul bancone, o perché – dannazione – Sasha lasciava sempre briciole dappertutto. Era sempre divertente quando si chiudeva le dita nel registro di cassa, o si dimenticava di tirare fuori i soldi prima di chiudere tutto e spegnere il sistema.

Qualche volta era goffo. Qualche volta i lacci delle scarpe gli si erano sciolti e lui ci inciampava dentro.

Era anche dannatamente tenero vederlo grattarsi la testa mentre rimetteva a posto i conti, spostando quel ridicolo cappello da Babbo Natale. Era ovvio che Eren aveva completamente dimenticato che lo stava indossando.

Levi chiuse il pc e lo infilò in borsa. Poi vide una delle sue penne sbucare da una delle tasche e un pensiero gli attraversò la mente. Un pensiero cattivo, di quelli che avrebbe dovuto ignorare istantaneamente ma non poteva, perché Levi aveva deciso che avrebbe reso quel moccioso suo – non necessariamente ammettendolo in questi termini, ma il senso era quello, okay?

E aveva intenzione di divertirsi nel frattempo.

E così, senza preoccuparsi ulteriormente, Levi prese una delle penne e la lanciò dall’altra parte del bancone. Questa cadde rumorosamente, catturando l’attenzione di Eren. “Ooops.” Biascicò Levi. Poi puntò alla suddetta penna rossa e disse. “Potresti prendermela?”

“Certo.” Disse Eren, piegandosi per afferrarla.

E mentre Eren si abbassava, un sorrisetto soddisfatto stirò le labbra di Levi.

Oh-oh… non male. Niente male proprio.

Ah Levi, sei proprio un triste, strano ometto.






Faceva freddo fuori, ed era probabilmente una delle notti più fredde che c’erano state ultimamente, e Levi non desiderava altro che raggiungere la sua macchina e accendere il riscaldamento. Eren provava lo stesso, ed era evidente dal modo in cui stava cercando di chiudere in fretta la porta con le dita intirizzite dal freddo. Aveva lasciato i suoi guanti a casa.

Levi si fece uscire di bocca un ‘tsk’ perché Eren ci stava mettendo parecchio per chiudere la dannatissima porta. Alla fine spinse le mani del barista via e prese le chiavi, inserendole nella serratura e chiudendola prima di ridarle ad Eren. “Non ti dimenticare i guanti la prossima volta.”

“S-scusa.” Farfugliò Eren infreddolito.

“Forza.” Disse Levi, tirandosi dietro Eren impazientemente, con la sciarpa. Faceva troppo freddo perché questi protestasse e Eren si lasciò trascinare dall’uomo, quasi scivolando su una lastra di ghiaccio. “Volevo farti sapere una cosa: Rivaille sta scrivendo una seguito per Attack on Eoten.”

“D-davvero!?” Boccheggiò Eren, gli occhi spalancati per l’eccitazione. “Ma… perché adesso? Sono passati nove anni da quando fu scritto il primo.”

“Ha trovato… l’ispirazione.”

“Capisco.” Eren sorrise mentre si fermavano nel bel mezzo del parcheggio. Rimase lì impalato, ridicolo come non mai, continuando a sorridere valorosamente nonostante i suoi denti stessero battendo violentemente dal freddo. Sotto la luce fluorescente dei lampioni Eren appariva pallido, ma c’era un po’ di colore nelle sue guance perché il suo battito si era intensificato animatamente non appena Levi aveva iniziato a strofinare le sue mani tra le proprie.

“Rivaille vuole commissionarti il disegno per la copertina.” Levi aggiunse in un tono casuale.

Eren era troppo scioccato per dire qualcosa, senza aggiungere che Levi si era tolto i guanti per poi infilarli sulle sue mani. “C-cosa?”

“Ne parleremo meglio la prossima volta,” Disse Levi, aggiustandogli la sciarpa. “Buonanotte, Eren.”

“Buonanotte.” Rispose Eren debolmente.

Poi sbattè gli occhi, finalmente registrando di avere i guanti di Levi addosso. Erano caldi intorno alle sue mani, probabilmente perché Levi li aveva indossati per primo. Erano anche un po’ larghi sulle sue dita, ma incredibilmente comodi.

Be’, sperava proprio che Levi non si aspettasse di vederli restituiti.






“No, ma sul serio. Conosco qualcuno che sta cercando un coinquilino.”

“Non saprei, non voglio dividere una casa con qualcuno che non conosco.” Disse Jean.

“E’ un ragazzo simpatico.” Eren ripensò alla ragazza che aveva chiesto il numero a Marco. “Carino, anche.”

“Non sto cercando un coinquilino ‘carino’, Eren.” Jean rispose, impassibile.

“Sì, lo so. Ma credo che lui ti piacerà.”

“Sicuro.” Jean tremò al pensiero dello strano ometto che gli aveva fatto così paura. “Come se tu sapessi giudicare bene gli uomini.”

Eren fece un sorrisetto convinto. “Non è un caso che sia uscito con te.”

“…”

“Guarda che te la sei cercata faccia da cavallo.”

“Zitto. Stai zitto.”

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Mikado ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Come al solito grazie mille a tutti per stare leggendo questa storia e a chi l'ha inserita tra i preferiti/seguiti/da ricordare, i numeri aumentano di capitolo in capitolo. Grazie davvero! Grazie tantissimo anche a chi ha lasciato un commento per il capitolo 11, siete tutti sempre dolcissimi, purtroppo le risposte arriveranno fra un paio di giorni perchè ho pensato fosse carino postare con un giorno di anticipo, quindi domani traduco e invio i commenti all'autrice. Ora, vi volevo dire che questo è il mio capitolo preferito fino ad adesso (vi ricordo che in inglese siamo al capitolo 19, e la fic è incompleta), l'avrò letto 1246786745343454364782314436235 volte. Infatti ero eccitatissima all'idea di postarlo fino a quando non ho iniziato a editare e mi sono venuti dubbi su se ho fatto un buon lavoro o meno. Non lo so se ho fatto un buon lavoro, alcune parti non sono letterali perchè le ho volute rendere in italiano nel miglior modo possibile e se nei commenti vedrò delle buone reazioni significherà che è andata bene. In realtà credo che questo sia un capitolo normale e io mi sto facendo i problemi perchè lo amo particolarmente. Ho dimenticato tutte le altre cose che avevo da dire T__T. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Solita storia sugli errori dei distrazione (grazie a chi me li segnala!). Non so voi ma io non mi ricordo più di che sogno aveva parlato Eren ahaha. Ero indecisa sull'uso del verbo 'divorare' che forse avrebbe reso meglio in altri modi, comunque l'ho lasciato perchè avrà senso in alcuni dei capitoli successivi *lancia cuori in aria* Ho altre cose da dire ma potrebbero considerarsi spoiler, quindi ci sono altre note alla fine del capitolo ;)


The Little Titan Café
CAPITOLO 12: Mikado

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: le ali della libertà

Il sole splendeva. Il cielo era terso. Faceva freddo ma Eren si sentiva al calduccio con cappotto, sciarpa e il paio di guanti di pelle che vestiva le sue mani, che stavano stringendo il suo quaderno degli schizzi.

C’erano giorni in cui vedere il Little Titan Cafè non gli faceva provare altro che orrore. C’erano anche giorni in cui lavorare lì non era così male perché non c’erano clienti sgradevoli, ma la maggior parte del tempo l’idea di andare a lavoro lo portava a trascinarsi per il breve tratto dalla sua auto al negozio. Ma tutto ciò aveva smesso di accadere giusto un paio di settimane fa. Anche nei giorni nuvolosi i suoi piedi rimbalzavano lievi sul marciapiede. Anche nelle notti così fredde da gelarti le ossa il suo corpo bruciava di aspettative. Anche se il resto della giornata era stato orribile, le sue serate finivano sempre in maniera piacevole e lui andava a dormire con il cuore leggero e un sorriso sulle labbra.

Il suo cambiamento di umore non era rimasto inosservato dai suoi più cari amici, e specialmente una, Mikasa Ackerman, che era conosciuta per sapere tutto di Eren. Cose come il fatto che lui non aveva perso di vista il suo quaderno degli schizzi nemmeno per un attimo durante tutta la giornata, o come il fatto che ogni tanto lo apriva con l’intenzione di disegnare, ma finiva per fissarlo stordito. E quando riusciva a disegnare, era sempre lo stesso uomo. Il solo pensiero di quest'uomo – quest’uomo più grande per cui Eren aveva una cotta – faceva stringere le mani di Mikasa in dei pugni. Chiunque fosse, era meglio che non si mettesse a giocare con i sentimenti di Eren o lei avrebbe cancellato la sua esistenza da questo mondo e dal prossimo.

La ragazza si rilassò mentre Eren le tenne la porta del caffè aperta, facendola entrare per prima. I loro volti si riscaldarono istantaneamente al calore dell’interno.

“Vado a mettere questa roba nel retro.” Disse Eren, sparendo mentre Mikasa occupava uno dei pochi tavoli liberi. Connie e Sasha stavano lavorando, insieme ad un ragazzo lentigginoso che Mikasa ricordava vagamente – Mark o qualcosa del genere. La ragazza vide Carla mentre usciva dal retro e i loro sguardi si incrociarono. La donna le sorrise, agitando la mano.

Eren arrivò non appena lei si era sistemata – cappotto poggiato sullo schienale della sedia, le cose che avevano comprato al supermercato sul tavolo in una busta di plastica, la sua sciarpa rossa ancora indosso – e si sedette dopo essersi districato goffamente tra i tavoli, con il quaderno degli schizzi ancora in mano. Lo posò un attimo per rovistare nella busta e prendere un pacco di mikado.

“Eren.” Disse Mikasa mentre il ragazzo girava le pagine del quaderno, mangiucchiando il suo snack distrattamente.

“Mmh?”

Eren si fermò sull’ultimo schizzo, tirando fuori una matita portamine dall’apposito elastico e riprendendo a lavorare sul disegno.

“Chi stai disegnando sempre?”

La sua mano sinistra – quella che usava per disegnare – strinse la matita, e la punta si alzò per un millisecondo prima di ritornare a premere sul foglio. Eren non alzò lo sguardo mentre prendeva un altro mikado con la mano destra. “Cosa?”

“E’ quell’uomo, no? Quello più vecchio che ti piace.”

Questa volta il pezzo di mikado andò storto ad Eren che si diede un pugno sullo stomaco per riprendere a respirare. Quando non lo vide rispondere, Mikasa spostò la sedia, alzandosi. “Vado a prenderci qualcosa da bere. Cosa vuoi?”

“Solo una cioccolata calda, danzante.” Rispose lui, evitando il suo sguardo.

Quando Eren fu sicuro che Mikasa non stava guardando, sfogliò il suo quaderno freneticamente, pensando che Mikasa doveva essere pazza per aver pensato che lui disegnava sempre e solo Levi. Quello non era il caso, vero? Doveva aver disegnato qualcos’altro. Altre cose. Altre persone. Ma no. C’era Levi che reggeva la sua tazza, Levi che lavorava al pc, Levi che scriveva su un quaderno. Le mani di Levi, i suoi avambracci, il suo sorrisetto. I suoi occhi a mandorla e la testa piegata e l’angolo che formava la sua mascella e la sua camicia sbottonata abbastanza da far risaltare la curva del collo – Eren diede una testata al tavolo.

Non si era mai sentito come un totale stalker fino a quel momento. La sua ossessione per Levi non era né sana né razionale. All’inizio voleva solo iniziare qualche bozza per la copertina del prossimo libro di Rivaille, giusto qualche cosa da mostrare a Levi fino a quando non avrebbe saputo più dettagli su cosa Rivaille voleva. Ma quando Eren si ricompose e rivide il suo ultimo schizzo, si accorse che non era per nulla riuscito nel suo intento. Aveva finito per disegnare Levi come l’aveva visto l’ultima sera che si erano incontrati: calmo mentre gli riscaldava le mani, il naso rosso sotto la luce pallida del lampione, il suo respiro visibile mentre parlava.

Mikasa tornò un paio di minuti dopo per trovare Eren in stato catatonico. Si sedette e piazzò le bevande di fronte a lui. Poi lo chiamò: “Eren.”

Il suo nome lo riportò alla realtà, il volto distorto in un’espressione disperata mentre si lamentava: “Cosa devo fare, Mikasa?”

Il sospiro della ragazza fu sottile e gentile. Le persone dicevano un sacco di cose su Mikasa, Eren lo sapeva. Che era fredda come una pietra, una stronza impassibile, senza cuore. Che le interessava solo di Eren e Armin. Un sacco di volte Eren si era arrabbiato e aveva urlato contro queste persone, o optato per la violenza fisica perché Mikasa non era per nessuna di queste cose. Lei era difficile, sì, ma anche la persona più forte che Eren conosceva. Poteva sbaragliare e rendere indifeso un uomo adulto. Ma non era senza cuore o fredda o una di quelle cose crudeli che venivano dette su di lei. Parlava sempre con un tono garbato ed era gentile e aveva sempre, sempre avuto un cuore tenero.

“Lui ti piace, Eren?” Chiese lei, ma a tutto vantaggio dell’amico. Infatti questi non era sempre del tutto conscio delle situazioni in cui si trovava, per non parlare dei suoi stessi sentimenti, e la maggior parte delle volte aveva bisogno di qualcuno che gli faceva uscire le parole di bocca.

“Credo.” Borbottò lui, seppellendosi nella sedia.

Lo sguardo tagliente che gli fece Mikasa lo fece rizzare e sedere composto.

“Va bene. Sì, okay? Mi piace. Un sacco.”

Non appena quelle parole furono pronunciate, Eren si sentì totalmente e completamente liberato. Sicuramente aveva pensato un sacco di volte anche da solo a quanto fossero confusi i suoi sentimenti per Levi, ma ora che li aveva ammessi, si era liberato di un peso che si stava trascinando da troppo. Non provava altro che gratitudine per la sua amica d’infanzia.

“Grazie, Mikasa.”

Lei fece spallucce mentre faceva un sorso della sua bevanda, attenta a non scottarsi. “Non mi fraintendere. Se si permette di oltrepassare il limite, lo distruggo.”

Probabilmente era un bene che Eren aveva tenuto per sé le poche volte in cui Levi lo aveva toccato. Non che avesse qualche intenzione di parlare di quei momenti con qualcuno. Mai. “Non c’è di cui preoccuparsi.”

“Lo spero.”






Eren stava avendo difficoltà a concentrarsi per lavorare quella sera. Niente di nuovo, quindi. Sembrava che la sua capacità mentale di fare qualcosa fosse proporzionata al modo in cui Levi era vestito.

Oggi, Levi era vestito casual con un paio di jeans e una maglietta (c’erano anche un cappotto e una sciarpa e un paio di guanti di pelle che si era già tolto. Eren si era chiesto quante paia di guanti tutte uguali possedesse). C’era questa credenza secondo cui gli uomini che indossavano completi tutto il tempo apparivano molto più attraenti in abiti casual – jeans in particolare. Lo stesso si poteva dire al contrario. Eren non era mai stato interessato nel modo di vestire di qualcuno per constatare la cosa: fino ad adesso. E aveva detto che Levi aveva una t-shirt addosso? Perché era una maglietta particolarmente attillata che metteva in bella mostra i suoi bicipiti e questi erano eccezionalmente attraenti, a dirla tutta.

Sfortunatamente, a confronto, le braccia di Eren sembravano ramoscelli.

Forse doveva iniziare ad andare in palestra.

Pfff. Certo. Ora ci pensava.

Considerando la forma in cui era Levi, doveva sicuramente andare in palestra. Nessuno aveva un corpo naturalmente allenato, o dei bei bicipiti o dei begli avambracci. E cosa c’era sotto quella maglia? Probabilmente addominali. Begli addominali.

Eren dovette prendersi a schiaffi mentalmente per non iniziare a divagare ulteriormente. Non poteva certo vedersela con un naso sanguinante o un – ehm – problema decisamente più duro. Non aiutava il fatto che ultimamente Eren stava provando tutti i livelli di frustrazione sessuale. In parte perché ormai non si ricordava più dell’ultima volta in cui era venuto senza l’aiuto delle sue stesse mani, e in parte perché stava facendo dei sogni ultimamente. Su Levi. Su Levi che lo toccava. Su Levi che lo baciava. Lo possedeva. Che gli faceva cose che certamente non appartengono a una storia per bambini.

E sì, ora aveva un bel po’ di boxer sporchi che dovevano essere lavati.

Stava iniziando a pensare che l’unica ragione per cui era attratto da Levi fosse per il suo corpo. Diciamocelo, il tipo non era proprio la definizione di affascinante. Era basso. Maleducato. Non mostrava le sue emozioni. E ogni volta che sorrideva, era sempre un sorrisetto dispettoso. E quando faceva quel sorrisetto ad Eren, una fossetta si formava al lato dei suoi occhi e lo faceva sembrare dieci anni più giovane e le sue pupille brillavano di una luce che era tutt’altro che apatia. Era gentile ogni volta che toccava Eren.

Okay, okay, forse la sua cotta era meno superficiale di quanto voleva credere. Sperava solo che fosse superficiale, perché sarebbe stato più facile dimenticarsi di Levi.

Eren aveva davvero bisogno di mettere in ordine i suoi pensieri. Stava iniziando a suonare come una dodicenne malata d’amore la cui vita gira attorno a ragazzi e vestiti. Meno i vestiti. Il che gli portò alla mente ricordi oscuri e minacciosi della sua infanzia quando sua madre lo vestiva da femmina perché ‘Aww, Mikasa e Eren non sono carini mentre prendono il tè?’. E qualche volta aveva costretto anche Armin a vestirsi da ragazzina, e lui era molto più carino di Eren conciato così. Sua madre non aveva fatto granché per nascondere il fatto che avrebbe voluto una femmina, ma era comunque felice di avere un figlio e non si era nemmeno preoccupata di provare ad avere una bambina dopo che Mikasa e la sua famiglia erano entrati a far parte delle loro vite. Mikasa era come una figlia per Carla e Grisha Jaeger, tanto quanto Armin era come un secondo figlio. Loro tre erano gli unici figli che i suoi genitori avessero mai desiderato.

“Hai finito con il mio ordine? Mi sto facendo vecchio.”

Eren sorrise e si girò, dando la tazza a Levi. “Sei già vecchio.”

“Tsk. E tu sei ancora un moccioso.”

“A proposito, quanti anni hai?”

“Trentadue.”

“Oh. Io ne ho ventidue.”

“Visto? Ancora un moccioso.”

Eren tentò davvero, sul serio, di non fare il broncio. Non voleva che Levi pensasse che lui era solo un bambino. Quello che voleva era che lo vedesse come un adulto. “Sono legalmente un adulto, sai. Non un moccioso.”

“Legalmente o no, la tua mentalità è quella di un moccioso. Pertanto sei un moccioso.”

“Come ti pare. Dobbiamo parlare o no dei dettagli della copertina per il libro di Rivaille?”

Aveva intenzione di provare di essere un adulto e di ignorare gli insulti per comportarsi in maniera professionale. Magari una volta terminato questo piccolo progetto, Levi avrebbe visto Eren come una persona seria e diligente. Magari l’avrebbe visto come un uomo.

“Sì, ma ci stavi mettendo così tanto a prepararmi da bere che mi stavo dimenticando.”

“Sì, sì. Comunque,” Eren prese il suo quaderno degli schizzi dalla postazione dietro di lui e lo mise sul bancone, già aperto su una pagina non-Levi. Premendo il portamine, chiese: “Cosa vorrebbe esattamente Rivaille per la copertina?”

Levi intrecciò le mani e posò il mento su di esse, spostando lo sguardo dal foglio immacolato all’eccitazione degli occhi verde-blu di Eren. “Per dirti questo, ti devo dare un po’ più dettagli sul libro.”

Levi ridusse tali dettagli al minimo necessario, dicendo solo che la storia prendeva luogo cento anni dopo Attack on Eoten e che una terza branca militare era stata istituita: la Legione Esplorativa. Questa andava fuori dalle mura per esplorare e reclamare i territori dei giganti. Pertanto, rispetto alle altre due branche, la Polizia Militare e la Guardia Stazionaria, entrava a contatto con i titani molto di più.

Eren fu un po’ deluso dal non poter scoprire ulteriori dettagli, ma già era un miracolo che gli fosse stato commissionato il disegno della copertina del libro. A meno che non fosse una cosa organizzata da Levi, e in quel caso non si poteva proprio dire che era un miracolo.

“Ho una domanda.”

“Cosa?”

Eren stava giocando con un angolo del suo quaderno degli schizzi, facendo scivolare i lembi delle pagine contro un dito mentre cercava di apparire disinteressato. “Hai… detto tu a Rivaille di farmi disegnare la copertina? Perché ti ho parlato del mio sogno?”

“Io non ho detto a Rivaille di fare un bel niente. E’ stata una sua idea.”

Eren corrugò le sopracciglia in un’espressione confusa. “Ma come fa ad essere una sua idea se non è mai stato- ” I suoi occhi di spalancarono. “E’ stato qui?”

Levi nascose un sorrisetto dietro la sua tazza. “Una volta.”

“Wow. Chissà se ci ho parlato. Quando è venuto? Come è fatto?”

“Eren, calmati. Sembri un fanboy.”

Le sue guance bruciarono di imbarazzo e Levi capì, in quel singolo momento, che era stata una buona idea dare il lavoro ad Eren. C’erano varie definizioni della parola divertimento. La versione di Levi comprendeva guardare Eren eccitarsi, innervosirsi e imbarazzarsi. Era felice di aver commissionato il disegno ad Eren perché gli piaceva vedere il ragazzo tutto entusiasta: gli piaceva come brillavano i suoi occhi. Anche se, probabilmente, non sarebbe stato così divertente se Eren avesse scoperto che l’autore che adorava era in realtà Levi.

Levi tornò a discutere del lavoro con Eren, descrivendo i dettagli della ‘visione di Rivaille’ dell’immagine di copertina. Eren prese qualche appunto sul suo quaderno, con gli occhi che brillavano in anticipazione e Levi poteva quasi vedere le sue idee mentre prendevano forma nella mente del ragazzo. Una di quelle idee fece accendere una lampadina nella testa di Eren, che aprì la bocca per dire qualcosa, ma un cliente già stava entrando nel negozio.






Levi ne aveva contate tre. Tre scatole di mikado. Eren era alla sua terza confezione di mikado, quella sera – quarta, ma Levi non sapeva di quella che aveva finito giusto prima di iniziare a lavorare. Eren finì il pezzo che stava mangiando e iniziò a disegnare con tratti veloci. “Non so se ti ricordi, ma una volta ti ho fatto un disegno sul latte che rappresentava un paio di ali.”

Quando aveva finito, prese il suo quaderno degli schizzi, e lo porse a Levi. Il disegno delle ali gli era familiare, una posata sull’altra, ma su carta era più nitido, più geometrico. “Sì, mi ricordo.”

“Pensavo… magari, potrebbe essere usato come logo della Legione Esplorativa?”

“Va bene.”

Eren aggrottò le sopracciglia. Poi strappò il foglio dal quaderno e lo diede a Levi. “Ecco. Mostralo a Rivaille,. E’ il suo libro, quindi…”

Dannazione. Fare finta non essere Rivaille sarebbe stata una scocciatura per Levi. “Glielo farò vedere.”

“Grazie.” Disse Eren, portandosi alla bocca un altro mikado e stringendolo tra i denti. Il ragazzo guardò Levi che metteva il disegno nella sua borsa e si chiese se sarebbe riuscito ad avvolgere la mano tutt’intorno il suo bicipite. Probabilmente no. Magari avrebbe dovuto chiederglielo per mettersi l’anima in pace.

Alzò la testa giusto per fare ciò – quasi dimenticando di avere ancora il mikado tra le labbra – ma il viso di Levi gli fu improvvisamente vicinissimo. Il cuore di Eren fece un non-tanto-piccolo balzo mentre Levi apriva la bocca per fare un morso. Un morso abbastanza grande da far sentire il calore delle sue labbra ad Eren.

“T-tu,” Balbettò Eren, con quello che era rimasto del suo mikado che quasi gli stava cadendo di bocca. La sua faccia sembrava aver preso fuoco. “Era l’ultimo!”

“Come?” Levi biascicò. “Io volevo solo il tuo mikado.”

Eren non sapeva se era lui a sentire cose, o se era veramente frustrato sessualmente, ma quell’affermazione era suonata incredibilmente indecente alle sue orecchie. Non aiutava il fatto che lo sguardo malizioso di Levi non mostrava altro che cattive intenzioni. Nessuna delle repliche a cui avrebbe potuto pensare gli venne in mente. Riuscì solo a mugugnare un: “Uhm.”

Levi chiuse la bocca di Eren posando l’indice sotto il suo mento. “Finisci il tuo mikado, Eren, o lo farò io per te.”

Un tremore attraversò le gambe di Eren. Questi fu grato di essere già poggiato al bancone, perché, in caso contrario, sarebbe crollato a terra. Non desiderava altro che Levi finisse quello che era rimasto del suo mikado, che si prendesse quello che era rimasto e tutto quello che Eren poteva immaginare è come sarebbe stato. Sarebbe stato un bacio esigente? Sensuale? Impetuoso? Levi lo avrebbe provocato? E se le sue gambe avessero ceduto come in quel momento, lui l’avrebbe sorretto? Sarebbe stato divorato?

Forse se l’avesse chiesto gentilmente, forse se l’avesse pregato, forse Levi l’avrebbe davvero divorato e questo era tutto quello che Eren voleva. Essere divorato da quest’uomo.

E Levi lo poteva leggere nei suoi occhi. Lo poteva vedere nel modo in cui quegli occhi lo fissarono, nel modo cui Eren sembrava confuso e adorabile ed eccitato nello stesso momento e la cosa mise Levi contro un muro. Questo ragazzo. Era come un testamento per la sua forza di volontà. Lui non credeva in Dio, o in un dio, e forse questi lo stava punendo inviandogli Eren. Lo stava tentando con questa giovane, fresca carne in cui Levi bramava di affondare i denti.

“Io,” Eren iniziò a dire, fermandosi per finire il pezzo di mikado che gli era rimasto in bocca perché si stava inzuppando. Levi lo stava ancora fissando e nessuno dei due si era mosso, come se entrambi stessero aspettando che fosse l’altro a entrare in azione. Io voglio baciarti. Io voglio che sia tu a baciarmi. Io voglio solo te. Tu mi piaci. Così tante parole, ma nessuna venne fuori, tranne: “Telefono.”

Eren battè in ritirata nel retro come un cucciolo spaventato, lasciando Levi da solo. Questi si mise una mano sulla bocca, chiudendo gli occhi e aggrottando le sopracciglia, ripensando a quanto terribilmente vicino era stato a baciare il barista. Stupido moccioso. Bastava che Eren lo guardasse come se volesse essere baciato e tutto quello che lui avrebbe voluto fare era accontentarlo per dargli la colpa dopo.

Ma no. Non era il momento di baciare mocciosi – non che lui se ne andasse in giro a baciare mocciosi. Solo un moccioso dagli occhi verde-blu – e non gli interessava quanto la cosa potesse essere immorale.

Levi doveva essere paziente. Doveva aspettare il giorno in cui Eren sarebbe stato meno spaventato, meno agitato in sua presenza. Come se non lo avesse intimidito abbastanza.

Se sarebbe riuscito ad aspettare era tutt’altra storia.






Eren stava fissando il suo telefono. Il primo istinto era stato chiamare o mandare un messaggio ad Armin o Mikasa, ma aveva esitato. Mikasa probabilmente stava già dormendo, e anche se l’avesse chiamata lei avrebbe capito che qualcosa non andava, e sarebbe arrivata seduta stante per uccidere Levi. Armin sarebbe probabilmente stato un po’ più paziente, sapeva che Eren non voleva domande, e non lo avrebbe pregato. Sarebbe solo stato lì. E Eren apprezzava Armin per questo, ma non era quello di cui aveva bisogno al momento.

Non sapeva di cosa aveva bisogno, ad essere sincero.

Aveva bisogno di una macchina nuova che non si rompesse ogni due settimane.

Aveva bisogno di un paio di jeans che non erano strappati alla fine.

Aveva bisogno che questi sentimenti se ne andassero via.

Aveva bisogno di altre magliette bianche perché le sue erano piene di macchie che non sarebbero andate via.

Aveva bisogno di essere baciato da Levi.

Le sue dita si strinsero attorno al telefono. Sbatterselo sulla fronte non avrebbe risolto nessuno dei suoi problemi, ma lo faceva sentire meglio nel senso doloroso del temine. Il dolore era una distrazione dai suoi pensieri, e questo era esattamente quello di cui aveva bisogno.

Eren iniziò a scorrere tra i suoi contatti fino a quando non trovò un certo nome.

Eren: 6 sveglio?

Si mise il telefono nella tasca del grembiule e uscì avendo sentito il suono del campanello. Levi era ancora al bancone, a scrivere qualcosa al pc. Tre studentesse universitarie si avvicinarono alla cassa mentre ridacchiavano tra di loro, trascinandosi dentro una ventata di aria fredda dall’esterno. Eren prese i loro ordini e ci mise dai cinque ai dieci minuti a preparare le bevande. Sentì lo sguardo di Levi su di lui in certi momenti, ma ogni volta che si girava, gli occhi dell’uomo erano fissi sullo schermo del computer.

Il suo telefono vibrò nella tasca, ma Eren non lo controllò fino a quando non ebbe finito di servire le ragazze.

Faccia da cavallo: si sto sveglio.

Da quando avevano rotto, Eren aveva cambiato il nome di Jean nel suo telefono a ‘faccia di cavallo’. Certo, all’epoca si erano lasciati di comune accordo, ma questo non significava che Eren non fosse un po’ arrabbiato con lui. Non si era mai preoccupato di cambiarlo di nuovo.

Eren: vuoi uscire qnd ho finito?

Quando venne il momento di andarsene, Eren era sicuro che Levi era conscio di quanto lui fosse nervoso e a disagio, perché si fermò improvvisamente nel bel mezzo del parcheggio e si girò verso Eren. All’inizio non disse nulla, fissò semplicemente Eren con i suoi occhi grigi e una piccola ruga tra le sopracciglia sottili.

“Sono certo che a Rivaille piacerà il tuo disegno.”

Eren non poté fermare il sorrisino che gli si stirò in volto, perché ecco qui quest’uomo che lo disorientava e poi cercava di farlo sentire meglio, a modo suo. C’era ancora un po’ di tensione – non tutta se ne sarebbe andata facilmente – ma Eren si sentì molto più rilassato. “Grazie.”

“Buonanotte, Eren.”

“Buonanotte.”

Forse domani avrebbe provato a dire il nome di Levi, ma stasera…

Faccia da cavallo: sicuro. Dove ci vediamo?

Eren: utopia.









SULLA TRADUZIONE: I mikado sono degli snack che sono stati inventati in Giappone. Da quello che ho capito su tumblr hanno nomi diversi in varie parti del mondo (credo siano chiamati mikado solo in Europa), mentre in Giappone sono definiti con il nome 'pocky' (che era il titolo originale del capitolo). Il capitolo è stato scritto l'undici novembre che sarebbe ufficialmente il 'pocky day'. Perchè? Perchè la data 11-11 è composta da quattro 1 e quindi tante barrette. Che succede durante il pocky day? Il pocky day, se non erro, è nato in Corea come un giorno in cui si dovevano comprare tante scatole di pocky xD in seguito la cosa è cresciuta anche in Giappone dove si è iniziato a fare spot pubblicitari particolari e cose simili (altri fatti in inglese qui, che sinceramente non mi sono letta bene). Per quel che riguarda gli anime/manga fandom di solito durante il pocky day impazzano fanfic e fanart su coppie di personaggi che mangiano un pocky e via così (qui una breve gallery di immagini ereri a tema pocky giuro che l'intento non è spammare il mio tumblr... anzi vi sconsiglio di clikkare su index perchè ultimamente sto postando spoiler sul capitolo 56 del manga che mi ha traumatizzata un attimo ahaha).




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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Maid special ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Grazie mille a tutti per stare leggendo questa fanfiction e grazie a chi l'ha inserita tra i preferiti/da ricordare/seguiti. Vi amerò per sempre! Un grazie speciale a chi ha lasciato un commento T__T siete sempre adorabili, ho già tradotto una buona metà dei commenti quindi tra stasera e domani vorrei inviarli all'autrice così da potervi rispondere, scusate se sto sempre in ritardo. Anche stavolta un capitolo che adoro (aaah adoro la reazione di Levi ahah), mi chiedo se possa piacere questo Eren in una mise tutta particolare ;). A me piace un sacco. Visto che ci siamo vi faccio notare che ci sono triliardi di fanart della fanfiction che potete trovare qui e qui (attenzione perchè ci sono alcune fanart non-ereri e altre decisamente R18 e una che è uno spoiler del prossimo capitolo, sapevatelo... ps: è il blog dell'autrice). Mi sembra che per oggi sia tutto. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Errori blablabla non ho cambiato il titolo del capitolo perchè non mi piaceva in italiano. Con mutandine intendo quelle da donna, carine con i merletti e cose varie.


The Little Titan Café
CAPITOLO 13: Maid special

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Eren in uniforme da cameriera

“E’ veramente necessario?”

Carla sorrise innocentemente, ma Eren conosceva sua madre abbastanza bene da intravedere le intenzioni sinistre che la donna celava. Lei aveva una mentalità diabolica e ancora le piaceva far vestire suo figlio da ragazza, anche quando ormai lui era un adulto. “Be’, tutti hanno votato per il tema ‘cameriera’, quindi sì, è assolutamente necessario.”

Ugh. Non aveva aiutato il fatto che la maggior parte dello staff del Little Titan Café fosse di sesso femminile, eliminando ogni possibile competitività tra la giornata a tema ‘cameriera’ e quella ‘sport’ (non che Eren si interessasse di sport: semplicemente era sempre meglio di vestirsi da cameriera). Inutile dire che Eren, Marco e Connie non avevano avuto alcuna chance di proteggere il loro orgoglio maschile.

Anche se, come Eren constatò sbirciando con la testa fuori dalla porta del retro, Marco e Connie sembravano starsi divertendo fin troppo ad andare in giro con i loro vestiti da cameriera. Soprattutto Connie che si stava rigirando tutto il negozio sbattendo le ciglia ai clienti. Marco era il solito: prendeva gli ordini con un sorriso. Nessuno dei due sembrava turbato dal modo in cui erano vestiti, il che irritò incredibilmente un Eren che si morse l’unghia del pollice. Non capivano quanto fosse totalmente umiliante tutto ciò? Tutta colpa di sua madre e delle sue idee strambe.

“Eren…” Parlando della donna, la sua voce suonò un po’ troppo maliziosa per i suoi gusti. “Non dimentichi qualcosa?”

Lui guardò oltre le sue spalle con occhi sospettosi, solo per spalancarli subito dopo. “Oh no. No. Assolutamente no. Già mi sono messo addosso questa roba ridicola. Non mi metterò anche quelle. Non puoi costringermi.” Per provare quello che aveva detto, additò la gonna dell’uniforme. Questa era un po’ troppo corta e si intravedeva un paio di boxer blu che spuntavano sotto i fronzoli. Fronzoli. Eren non avrebbe mai pensato che dei fronzoli sarebbero stati un problema da affrontare durante la sua vita da adulto, ma quel giorno lo erano. Ce n’erano un po’ sul grembiule, sulla cuffietta che aveva in testa e sull’orlo della gonna del vestitino di seta nera. Il grembiule era legato con trascuratezza sulla schiena. Calze autoreggenti, scarpette nere lucide e un fiocco sul collo completavano l’outfit.

Carla fece schioccare la lingua in disapprovazione. “Connie e Marco non hanno fatto nessuna lamentela.”

“E quindi?” Eren sbuffò, incrociando le braccia in difesa. “Sono più uomo di quanto lo siano loro.”

Lei si portò una mano sulla fronte in un gesto esagerato. “Vuoi far piangere la tua cara mamma? Tuo padre non ne sarebbe feli- ”

Eren rientrò in una mossa agitata nel retro e strappando il paio di mutandine e i reggicalze dalle sue mani, le passò davanti per andare a cambiarsi.

Carla sorrise trionfante.






“Carino, Eren…” Mikasa fece una foto con il telefonino, senza preoccuparsi dello sguardo arrabbiato che rovinava le fattezze dell’amico.

“Non-una-parola.” Biascicò Eren a denti stretti. Armin sembrava diviso tra la compassione e il divertimento. “Dammi il telefono, Mikasa.”

Lei fece un’altra foto. “No.”

La faccia di Eren si contorse ulteriormente. “Mikasa!”

“Eren, cliente!” Gli fece notare Marco giusto in tempo, perché Eren stava per sporgersi dal bancone per afferrare il cellulare di Mikasa con la forza.

Eren fece un respiro profondo e si voltò a guardare il nuovo cliente alla cassa. L’uomo sembrava meravigliato, no, senza dubbio si stava chiedendo perché non ci fosse alcuna ragazza vestita da cameriera a lavorare (Sasha se ne era andata un paio di minuti prima, ancora con l’uniforme indosso), e Eren sapeva che quello era solo l’inizio di una lunga serata. Sfortunatamente per lui, dopo un’ora di fischi e ‘oops, ho fatto cadere questa cosa accidentalmente, potresti raccoglierla?’, Eren odiava di poter dire che aveva ragione. Per una volta. E ora che Marco e Connie se ne erano andati, era rimasto tutto solo a tentare di difendersi.

“Ehi, Armin puoi farci una foto?” Chiese Jean avvolgendo un braccio intorno al collo di Eren, mentre l’altra mano era alzata nel segno di pace.

“Perché sei qui?” Chiese Eren, cercando di liberarsi dalla stretta di ferro di Jean, ma Armin e Mikasa avevano già fatto qualche foto. Traditori, entrambi! Eren calpestò il piede di Jean, infilzando il tacco della sua scarpa con veemenza.

“Ahi, dannazione Eren.” Sibilò Jean, mollando la presa. Poi alzò una gamba per massaggiarsi all’altezza delle dita dei piedi. “Credo che tu mi abbia rotto qualche osso.”

“Bene,” Sbuffò Eren. “E ne romperò qualcun altro se queste foto finiscono in giro.”

Jean zoppicò fino a sedersi sullo sgabello di fianco a quello di Mikasa. Decise di non dire a voce alta che non aveva intenzione di mostrare quelle foto a nessuno, perché sarebbe stato come condannarsi a morte all’istante e lui avrebbe preferito non morire giovane, e tante grazie. Tutti i pensieri di una morte imminente e di dita doloranti gli passarono di mente quando il suo telefono vibrò alla ricezione di alcune foto che gli aveva inviato Armin.

“Mandale anche a me.” Disse Mikasa, mentre si sporgeva oltre la spalla di Jean per ammirarle.

“Già fatto.” Sorrise Armin.

“Grazie.” Rispose lei, gli occhi brillanti e le guance raggianti di felicità mentre stringeva il suo telefono in assoluta reverenza.

“Mi state uccidendo.” Gemette Eren. Come diavolo poteva considerare certa gente sua amica? Anche dopo essere cresciuti sembravano divertirsi alle sue spalle. E quello che disturbava di più Eren era che normalmente Mikasa avrebbe fatto qualsiasi cosa Eren gli avesse chiesto – per la maggior parte delle volte – ma stasera anche lei sembrava particolarmente testarda. “Spero che tu sappia che ho ancora delle foto di te vestito da ragazza, Armin.”

Questi alzò le spalle. Eren non sapeva bene quando era iniziata la cosa, ma man mano che Armin cresceva, era diventato conscio del fatto che era molto più intelligente di chiunque altro. Era simile alla madre di Eren nel modo in cui era una persona piacevole sia fuori che dentro ma nel contempo c’era anche una parte manipolatrice, una natura misteriosa che nessuno riusciva a percepire se non troppo tardi. O fino a quando non ti trovavi faccia a faccia con uno dei suoi sorrisetti da sono-sinceramente-divertito-dal-tuo-dolore. Così. “Ero un bambino. Non mi interessa.”

Era impossibile vincere contro Armin.

Eren sospirò, massaggiandosi le palpebre. L’unica cosa che poteva rendere la serata ancora peggiore era il possibile arrivo di Levi, e quello sarebbe stato un disastro se i suoi amici fossero stati ancora lì. Poteva solo sperare in due esiti: a – Levi non sarebbe venuto, o b – questi se ne sarebbero andati prima del suo arrivo. Ma non c’era modo di dire a che ora avrebbero sloggiato. Intanto Jean aveva chiesto curiosamente delle foto a cui aveva accennato Eren, al che Armin aveva iniziato a cacciare dolorosi dettagli su come Carla si divertiva a farli vestire da ragazze. In qualche modo Eren era riuscito ad evitare di fargli sapere della cosa durante il periodo in cui uscivano insieme, e ora che l’aveva scoperto, Jean aveva iniziato a sbattere una mano sul bancone ridendo. Eren si chiese se sarebbe riuscito a zittirlo infilandogli il manico della scopa in gola.

Non che Jean stesse facendo totale attenzione ad Armin. Una metà di questa attenzione era persa negli sguardi ripetitivi che lanciava ad Eren, che stava spazzando il pavimento con rabbia. C’erano molte ragioni per cui a Jean piaceva la signora Jaeger: non dava mai credito ad Eren, gli faceva fare quello che lei voleva, faceva sempre i migliori spaghetti del mondo ogni volta che Jean andava a cenare da loro, non si arrabbiava mai anche se facevano tardi la sera per giocare ai videogames, molte volte aveva mandato Eren a scuola con un pranzo in più per lui, aveva un fantastico senso dell’umorismo ed era anche una bella donna. Questa volta però aveva veramente superato sé stessa. Dio benedica questa donna per aver fatto vestire suo figlio da cameriera.

Personalmente Jean avrebbe preferito Eren senza le calze autoreggenti, ma non poteva certo dire di odiarle, non quando erano attaccate a un reggicalze. Se c’era una cosa da cui Jean era ossessionato quando si parlava di Eren, erano le sue gambe. Essere lì al caffè, e poter lanciare occhiate alla provocante pelle nuda delle cosce di Eren gli aveva portato alla mente momenti in cui quelle gambe erano avvolte attorno alla sua vita, o poggiate sulle sue spalle mente lui – “Terra chiama Jean.”

Il ragazzo strizzò gli occhi, spostando con riluttanza il suo sguardo da Gamb- cioè, Eren – ad Armin (Mikasa era scomparsa per andare in bagno). “Eh?”

Un paio di occhi azzurri scintillò con consapevolezza. “Stai sbavando.”

Jean arrossì e si pulì la bocca con la manica della sua maglietta.

“Sai, Eren sta parlando molto di te ultimamente,” Armin commentò con un tono così perfettamente casuale che Jean dovette ripetersi la frase in mente. “Considerando che aveva completamente smesso di parlare di te dopo che avevate rotto.”

Jean alzò le spalle. “Stiamo uscendo insieme recentemente.”

Armin emise un mugugno evasivo mentre faceva un sorso del suo caffè. “Come amici.”

Per qualche ragione, quelle parole avevano fatto irritare leggermente Jean. “Sì. Come amici.”

“Perché a lui piace qualcun altro.”

Jean sospirò. “Lo so.”

“Quindi non stai uscendo con Eren perché hai ulteriori motivi?”

“Ovviamente no.”

Armin lo guardò con la coda degli occhi.

“Okay, forse era così all’inizio. Ma poi – ” Jean si zittì, ripensando a come Eren si illuminava quando era in presenza di quel nano malefico e come non aveva mai fatto lo stesso con lui, “Andiamo bene come amici.”

Qualche volta si chiedeva se nel caso in cui entrambi non fossero stati incasinati, ognuno a modo proprio, le cose sarebbero andate diversamente; se Eren lo avrebbe guardato nello stesso modo in cui guardava quel tipo basso. Poi seppellì quei pensieri perché non aveva senso rimuginare sul passato quando nel presente c’era Eren vestito da cameriera, e anche se non c’era alcuna chance di tornare insieme, poteva sempre godersi la vista.

“Mi chiedo a quanto potrei vendere queste foto.” Disse Armin meditabondo mentre passava al setaccio le immagini sul suo telefono.

Jean mise un braccio attorno alle spalle del biondo. “Credimi, se vuoi un aiuto sono certo che potremmo fare un sacco di soldi.”

“Fare soldi facendo cosa?”

I due si congelarono sul posto. L’aura gelida e minacciosa che palpitava dietro di loro era fin troppo familiare. Non dovettero neanche girarsi per riconoscere la proprietaria di quella voce. Mikasa era una forza della natura, dopotutto.

I due ragazzi squittirono all’unisono: “N-niente, Mikasa.”






Quando Eren aveva pensato che la sua giornata sarebbe stata pessima, non avrebbe mai creduto che lo sarebbe stata così tanto. Si stava trasformando in uno di quei giorni da vediamo-quanto-possiamo-divertirci-alle-spalle-di-Eren-Jeager, perché anche Ymir e Christa si presentarono al negozio. Ymir procedette a prenderlo in giro e lo costrinse a farsi fare altre foto mentre – benedetta sia la sua anima angelica – Christa cercava di fermare la sua fidanzata, nonostante non ci fosse molto che potesse fare contro una Ymir che si stava prendendo gioco fin troppo della situazione imbarazzante in cui si trovava Eren. Questi stette tutto il tempo ad abbassarsi la gonna perché Ymir cercava costantemente di provare a fare qualche altra foto, facendo sfavillare flash per tutto il negozio.

E non era ancora arrivato il peggio. Annie e la sua banda, macho man e il fagiolo magico, si presentarono a loro volta, insieme ad alcuni compagni di corsi. Molti di questi non ordinarono nulla, per il suo stupore. Eren non poté fare a meno di chiedersi se l’universo gli stava giocando qualche scherzo malato facendo arrivare chiunque lui conoscesse al negozio proprio la serata in cui non voleva vedere nessuno.

(L’ ‘universo’ prendeva il nome di Mikasa Ackerman, che voleva che tutti vedessero Eren in un outfit così carino – e quindi aveva mandato messaggi in giro)

E sorprendentemente nessuna di queste fu la ciliegina sulla torta della peggiore serata della vita di Eren. No.

Infatti, proprio quando Eren pensava che finalmente quella serata era giunta al termine dopo che i suoi amici se ne erano andati, qualcuno che Eren aveva sperato di non incontrare mai più, entrò nel Little Titan Café a tempo di walzer. Qualcuno che era alto e biondo e aveva come nome Erwin-qualcosa. Sì, Eren aveva memorizzato il suo nome e ancora non era riuscito a mettere da parte la gelosia che provava per l’uomo che in quel momento era fermo in piedi dall’altra parte della cassa, con un sorriso piacevolmente sorpreso a stirargli le labbra. Ma stavolta era accompagnato da una donna bruna con un paio di occhiali.

“Benvenuti al Little Titan Café.” Eren li salutò con un tono non troppo cortese per dei clienti. “Che cosa posso portarvi?”

“C’è qualcosa in corso oggi?” Chiese Erwin con curiosità.

“La proprietaria ha insistito per avere una giornata a tema cameriera.” Fu la risposta brusca di Eren, mentre si contorceva irritato alla vista degli occhi di Erwin stretti in un’espressione canzonatoria.

“Sono contento di aver deciso di fermarmi, allora.” C’era qualcosa nel suo tono che Eren trovava sospetto. Come se suonasse… malizioso?

“E’ lui Eren?” La donna li interruppe mentre si sporgeva sul bancone, cogliendo Eren di sorpresa perché in un attimo i loro nasi erano divisi solo da qualche centimetro. Lei afferrò la sua mano per agitarla con gusto. “Il nome è Hanji. Hanji Zoe. Sono la redattr- un’amica di Levi.”

Era quasi difficile credere che una donna così rumorosa ed eccentrica fosse amica di Levi. “Ehm, piacere di conoscerti?”

“Quindi tu sei la musa ispiratrice del nostro caro Levi.” Lei aggiunse. Eren poté solo sbattere gli occhi disorientato, il senso delle sue parole completamente oscuro. Ispirato Levi per cosa? “Sai, sei tutto quello di cui lui parla. E lui non parla tanto ma ogni volta che lo fa gli esce sempre il tuo nome di bocca. E’ veramente tenero, davvero. E’ un tale stoico per tutto il tempo, ma sotto sotto ha un cuore tenero e ora posso capire perché è così preso da te.”

“Ehm…”

“Ora, Hanji,” Intervenne Erwin, strattonandola gentilmente via da Eren. “Ora passiamo avanti e ordiniamo qualcosa. Eren- ” Okay, Eren non era sicuro prima, ma si sentiva abbastanza convinto che c’era una cadenza sensuale nel tono dell’uomo, ma non essendone certo al 100% aveva deciso di lasciar stare. “Io prendo un americano lungo, corazzato.” ‘sempre lo stesso’ pensò Eren.

“E un colossale-” Iniziò a dire Hanji.

“- decaffeinato per lei.” Terminò Erwin al posto suo. Il Signore sapeva quanto lei non avesse bisogno di altra caffeina. “Da portare.”

Sollevato dal fatto che non si sarebbero fermati a lungo, Eren prese i soldi del conto e li lasciò andare via un paio di minuti dopo, con le loro bevande in mano. Erwin prese il telefono, un sorriso sul volto mentre Hanji allungava il collo per guardare meglio lo schermo.

“Penso che dovrei mettermela come sfondo.” Disse pensieroso.

“Levi ti ucciderebbe se la vedesse.” Gli fece notare Hanji, ammirando la foto di Eren che armeggiava per preparare i loro ordini. Lei si aggiustò gli occhiali con una mano sul ponte del naso, cacciando il suo telefono e facendo una foto ad Eren che si stava piegando. “La mia è meglio.”

Eren li fissò sbigottito, mentre la loro conversazione si perdeva dietro la porta chiusa del caffè.






Non fu fino alle ventidue e trentadue che Levi finalmente si avvicinò al Little Titan Cafè, completamente esausto alla fine della giornata. Quel dannato Auruo non riusciva a risolvere i suoi affaracci da solo neanche per un giorno, no? Levi sospirò notando che il negozio era entrato nella sua visuale, la luce che dalle finestre illuminava la fredda notte invernale. Non voleva nient’altro che essere lì dentro dove faceva caldo, a sorseggiare un caffè caldo preparatogli da un certo barista. Sarebbe rimasto seduto per il resto della serata ad ascoltare le chiacchiere di Eren che provava a indovinare la sua professione. Avrebbe fatto finta di non lanciare occhiate segrete dalla sua parte. Avrebbe – Levi si fermò quando vide la porta del negozio spalancarsi e un uomo – senza dubbio un cliente – che veniva lanciato sul marciapiede.

“Se ti vedo di nuovo qui ti prenderò a calci così forte che – ” Levi non poteva vederlo, ma riconobbe subito la voce infuriata di Eren, “non sarai capace di sedere composto per il resto della tua vita, e i tuoi figli non saranno capaci di sedersi composti, e i figli dei tuoi figli non ne saranno capaci e nemmeno i loro figli saranno capaci…” L’uomo balzò in piedi e se la diede a gambe, quasi scivolando nella smania di allontanarsi. “Sì, è meglio che corri, pezzo di…”

Levi lo guardò fuggire con divertimento, mentre si faceva strada verso la porta d’entrata. “Sembra che tu stia passando una bella- ”

Bella… che cosa stava cercando di dire? Qualcosa. Parole forse? Cosa erano le parole? Avrebbe dovuto saperlo. Era uno scrittore. Gli scrittori usavano le parole, pensò. Giusto? Gli scrittori scrivono. Giusto. Quindi, parole. Ma ogni singola parola fu dimenticata nel momento in cui aveva visto Eren in – e qui le parole lo abbandonarono di nuovo.

Tentò invano di fare due più due. Eren era in una cosa. Sì, c’era una parola familiare che lo descriveva. Vestito. Quella era un’altra parola. Due parole. Eren più vestito. Levi stava facendo progressi.

Le sue labbra si stavano muovendo. Le labbra di Eren si stavano muovendo. Parlare. Un’altra parola che Levi capiva. Fu fulminato dalla consapevolezza che Eren stava parlando, e le sue sopracciglia si erano aggrottate con preoccupazione mentre agitava una mano davanti a Levi.

“Tutto bene qui?” Il modo in cui Levi si fermò improvvisamente rimanendo impalato – l’espressione così vuota, come lui non l’aveva mai vista – fece preoccupare Eren.

“Sì.” Disse Levi, con voce meccanica, e notando quanto i suoi movimenti fossero altrettanto meccanici mentre entrava nel negozio. Il suo corpo stava funzionando con l’autopilota mentre si trascinava al bancone, verso lo sgabello dove sedeva di solito, lo sguardo incapace di spostarsi da Eren che camminava di fronte a lui. Eren. Vestito.

Autoreggenti, una nuova parola invase il suo cervello malfunzionante. Stava lavorando un po’ più velocemente ora, e vari termini si stavano facendo riconoscere: vestitino corto, grembiule, reggicalze. Levi non riuscì a togliere gli occhi dai cinturini del reggicalze, non fino a quando Eren tornò dietro al bancone. Uniforme da cameriera finalmente gli saltò alla mente e tutti i possibili motivi per cui Eren aveva potuto buttare fuori dal negozio quel cliente arrivarono come una tempesta.

“Quell’uomo… ti ha molestato?” Chiese Levi, dandosi mentalmente qualche pacca sulla spalla per suonare composto.

“Ah,” Eren fece una faccia, come se si sentisse più consapevole della presenza di Levi, mentre si tirava giù l’orlo della gonna. “Ha allungato le mani.”

“Capisco.” Levi riuscì a rispondere, buttando la sua borsa sul bancone senza finezza. Forse sarebbe dovuto correre dietro all’uomo e spiegargli una cosa o due su cosa non toccare. Ma lui aveva altri modi per vedersela con cose – persone – che non gli stavano a genio. “Sai il suo nome?”

“Sono sicuro che è sulla copia dello scontrino.” Disse Eren, che non aveva per nulla notato il tono di Levi. “Perché?”

“Sono solo curioso.” Disse Levi. Ma Eren finalmente vide la mancanza di curiosità nella sua espressione. La curiosità si supponeva essere innocente, non di certo traboccante di intenti omicidi.

“… credo che abbia pagato in moneta.”

Quindi l’uomo avrebbe vissuto per vedere un altro giorno, ahimè. Levi si tolse il cappotto e lo mise su una sedia. “Il vestito?”

“Giornata a tema: cameriere. Un’idea di mia mamma.” Sospirò Eren.

Levi non era sicuro se avrebbe dovuto maledire o lodare l’esistenza di quella donna. Non solo era riuscita a mettere suo figlio in un vestito che lasciava molto all’immaginazione, ma gli aveva anche permesso di andarsene in giro conciato così. Tutta la sera. Nessun dubbio che altre persone avessero allungato l’occhio. Levi si mise una mano davanti alla bocca per dissimulare un gemito infastidito. Che cosa aveva, quindici anni? Essere geloso di una cosa così stupida come gli altri che guardavano qualcosa che gli apparteneva. Ma dannazione se questa non stava diventando velocemente la serata migliore della sua vita.

E sarebbe stata la serata migliore della sua vita se altri clienti avessero smesso di arrivare al negozio, rubando gli unici momenti che Levi poteva trascorrere con Eren. Ma perlomeno così aveva modo di vedere il ragazzo girare per il locale mentre serviva un cliente dopo l’altro; e la sola presenza di Levi faceva ripensare a chiunque l’idea di anche solo osservare Eren (che era confuso sul motivo per cui tutti stavano evitando di guardarlo negli occhi. Lanciò un’occhiata a Levi, ma l’uomo stava scrivendo sul suo quaderno, niente pc per quella sera).

Come se Levi stesse effettivamente lavorando. Come poteva quando qualcuno definitivamente più interessante del suo lavoro stava pulendo il negozio? Di certo non stava pulendo bene, ma per stasera avrebbe sorvolato. E come poteva concentrarsi quando Eren si piegava su un tavolo, e il vestito si alzava un po’ ma non abbastanza da esporre qualcosa e Levi non riusciva a smettere di chiedersi se stava indossando anche delle mutandine sotto la gonna o meno. Voleva davvero andare e scoprirlo. Voleva fare cose molto peggiori dell’uomo che l’aveva palpato – Levi scattò sul posto, innervosito – perché quando si trattava di queste cose, Levi era un vecchio pervertito che voleva fare preda di un ragazzo innocente. Non un ragazzo, si ripeteva sempre perché Eren glielo ricordava ogni volta. Sempre. ‘Sono un adulto’.

Sì. Un adulto dagli occhi scintillanti che non aveva la più pallida idea che lui era un vecchio predatore che voleva spingerlo su un tavolo lì in quel momento e scop- possederlo senza freni.

E come si permetteva Eren di nascondere le sue gambe ogni sera in quelle ridicole paia di jeans sciatti? Be’ no. Magari sarebbe stato meglio se le avesse tenute nascoste perché d’ora in poi sarebbero state incise nei suoi ricordi per sempre. Come se le sue notti non fossero già insonni…

Levi si massaggiò le palpebre. Pazienza, pazienza, avrebbe solo spaventato Eren saltandogli addosso. E non credeva che i pochi clienti ancora presenti nel negozio avrebbero apprezzato.

Il barista esitò prima di dirigersi verso il bancone, lasciandolo per ultimo perché era un po’ innervosito dall’idea di stare vicino a Levi quella sera. C’era un’aura strana, soffocante che aleggiava intorno all’uomo e lui si sentiva estremamente a disagio nello stupido vestitino che gli aveva fatto mettere sua madre. Ma poi scacciò questi pensieri e si avvicinò al bancone, partendo però dall’estremità più lontana mentre iniziava a pulirlo.

“Mettici un po’ più di impegno, moccioso.” Mugugnò Levi.

Eren strinse le labbra e passò lo straccio con più forza.

Stette un po’ troppo tempo a pulire un punto in particolare, mettendoci troppo per passare avanti, ed era ovvio a Levi che stava temporeggiando per qualche motivo. “Siamo un po’ lenti, no?”

“V-voglio solo essere sicuro…” Mormorò Eren, non capendo la ragione per cui sentiva di avere il viso in fiamme.

Le dita di Levi si strinsero attorno alla sua penna man mano che Eren si avvicinava. Magari non sarebbe saltato addosso ad Eren – non ancora – ma poteva perlomeno permettersi qualcosa, no? Stava pazientando, dopotutto. Si meritava un premio.

Quando Eren fu abbastanza vicino, Levi lasciò che la curiosità prendesse la meglio e si stirò sulla sedia mentre alzava l’orlo della gonna di Eren con la penna.

Sì. Eren aveva un paio di mutandine.

“Oh? Non male.”

“L-Levi!” Strillò Eren, girandosi in un balzo mentre si portava le mani dietro, per mantenere la gonna al suo posto. Era arrossito violentemente dal collo in su.

Levi fece il suo solito sorrisetto, agitando la penna in direzione del balbettante e imbarazzato barista.

Ne era valsa la pena. Eren aveva detto il suo nome.


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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - L'omino di pan di zenzero ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Grazie mille per continuare a leggere la storia e a tutti quelli che l'hanno inserita tra i preferiti/seguiti/da ricordare. Un grazie speciale a quelli che hanno lasciato commenti *_* purtroppo ancora non li ho tradotti e ho delle cose da fare per l'università entro giovedì quindi ci vorrà un attimo per farvi avere le risposte... ma come sapete arriveranno sicuramente anche se con un poco di ritardo ;). Questo è un altro capitolo che adoro (ho già detto che dal 12 in poi quasi tutti i capitoli mi fanno impazzire?). Per la storia dell'omino di pan di zenzero cliccate qui. La settimana prossima sarà un po' piena ma visto che ritarderò un pochino con la traduzione dei commenti vedrò di non ritardare con il capitolo, che è in anticipo solo perchè stasera non ci sto ehehe. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: solite cose sugli errori, il gingerbread latte è letteralmente 'latte al pan di zenzero', ma mi è sembrato meglio lasciare così. Ci sono vari punti dove la traduzione non è letterale ma è per la stessa questione del capitolo 12: mi interessava più suscitare le emozioni giuste che tradurre a dovere (è anche questo il senso della traduzione!)


The Little Titan Café
CAPITOLO 14: L'omino di pan di zenzero

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Gingerbread latte

“Devi sempre tenere quel coso in testa?”

Eren strattonò la pallina di pelo bianca che terminava il suo cappello da Babbo Natale con un sospiro. “Sì.” Disse, e poi si mise all’opera per preparare l’ordine di Levi. Ormai, sapeva bene che ogni volta che l’uomo si accomodava sulla sua solita sedia voleva essere sorpreso, specialmente se era già passato qualche minuto e non aveva ancora ordinato nulla. Terminò il gingerbread latte con una nuvola di panna alle spezie – cannella, chiodi di garofano e zenzero – e una pioggerellina di zucchero candito. “Mi sembri stanco oggi.”

Levi era stanco. Molto più stanco del solito. Non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui si era sentito stanco come in quel momento, ma la sensazione si era affievolita non appena era entrato nel caffè, con il calore che aveva sciolto il gelo invernale che gli aveva annodato le interiora. Una sensazione piacevole gli riempì lo stomaco al primo sorso della bevanda, e il miscuglio di spezie con qualcosa di dolce gli bruciarono la lingua e la gola. “E’ stata una giornata lunga.”

“Hai catturato qualcuno per riscattarne la taglia, eh?” Osò Eren con un sorriso giocoso che spesso faceva venire voglia anche a Levi di sorridere. Si fermò prima che le sue labbra si stirassero, attento a fare qualsiasi espressione tranne quella.

“Ammiro la tua determinazione, devo concederti almeno questo.”

“Magari abbastanza da premiarmi?” Chiese Eren. La domanda era abbastanza innocente, ma portò alla memoria di Levi dei sogni e al motivo per cui era così esausto e non riusciva a prendere sonno – come poteva quando era costantemente imprigionato in pensieri indecenti dove faceva cose indecenti a questo completamente inconsapevole, ragazzo (quasi-adulto)? E gli ci volle un attimo per realizzare che Eren non intendeva niente di ciò con la sua domanda, ma solo saziare la sua curiosità: cosa faceva Levi nella vita?

“Ti premierò con una storia,” Disse alla fine, “sull’omino di pan di zenzero.”

Eren fece una faccia. “Conosco già quella storia. Lui corre via per non essere mangiato.”

“Be’, sì,” Concordò Levi. “Ma sai come finisce?”

“Credo che venga mangiato.”

“Sì, alla fine.” Disse Levi. “Tutti vogliono un pezzo dell’omino, ma lui è troppo veloce per chiunque. Fino a quando non arriva sulla riva di un fiume e incontra una furba vecchia volpe.” Non era realmente scritto nella storia che la volpe era vecchia, ma per quello che era l’intento di Levi, andava bene così. “L’omino di pan di zenzero si fa allora convincere a salire sulla coda della volpe per attraversare il fiume. Ma l’omino inizia a bagnarsi e quindi si arrampica prima sulla schiena e poi sul muso della volpe.” Incrociò lo sguardo di Eren, e per un attimo il barista si dimenticò che quella era una storia per bambini. “A quel punto, la volpe lancia in aria l’omino per mangiarlo in un sol boccone. E questa è la fine dell’omino di pan di zenzero.”

“E’ una fine terribile.”

“Non per la volpe.”

“Perché me l’hai raccontata?”

Levi si sporse per poggiarsi sul bancone, per poi fare spallucce. “Come avvertimento.”

Eren fece un’espressione confusa. “Avvertimento per cosa?”

“Di stare attento alle furbe vecchie volpi.”

Eren rise – un po’ incerto, ma sicuramente con incredulità e diletto. “Non preoccuparti. Le vecchie volpi non vengono da queste parti.”

Questo è quello che pensi tu, omino di pan di zenzero.






Ora che finalmente Eren aveva messo tutto a posto nel locale, avevano un po’ di tempo per discutere della copertina per il prossimo libro di Rivaille. “Ti avevo detto che avrebbe approvato il tuo design.”

Un rossore di compiacimento riscaldò le guance di Eren mentre lui cercava di trattenere il sorriso che minacciava di stirare le sue labbra. Era difficile contenere l’eccitazione quando qualcuno che teneva in così alta considerazione approvava qualcosa che lui aveva fatto, ma c’era qualcosa di molto più eccitante nello sguardo convinto di Levi. Come se gli stesse dicendo che era bravo abbastanza, e quello era l’unico complimento di cui aveva bisogno.

Eren prese lo schizzo che aveva disegnato per Levi, e quasi senza guardare la carta, lo piegò, per poi infilarlo nella tasca di dietro dei jeans. “Mi sono portato avanti e ho iniziato delle vere e proprie bozze per la copertina, ma te le mostrerò quando ci sarà effettivamente qualcosa da vedere. Ah! Però c’è un’altra cosa che volevo mostrarti.”

Stavolta cercò nelle tasche davanti, tirando fuori un pacchetto di gomme, un adesivo e un paio di carte di caramelle e posandoli sul bancone. Levi alzò un sopracciglio, prendendo l’adesivo con curiosità. C’era la scritta ‘Utopia’ stampata in grassetto con un carattere tondeggiante, con la ‘o’ che era una caricatura di Saturno.

“Utopia?”

Eren cacciò un foglio spiegazzato con un ‘aha!’ “Ah, Utopia è un ristorante aperto 24 ore su 24 con una fantastica sala giochi.” Aprì il foglio e cercò di spianarlo sul bancone proprio mentre Levi posava l’adesivo, perdendo ogni interesse nella cosa. “Come tu sai mia mamma si è ispirata al primo libro quando ha aperto il caffè e ha ideato i giganti, no? Be’, lei mi ha aiutato a creare un design del gigante alto 50 metri usando il nostro Colossale e- ”

Era facile stare a sentire Eren blaterare su qualcosa che lo entusiasmava genuinamente. Lo schizzo del gigante di classe 50 metri era impressionante. Levi riusciva a vedere le somiglianze tra l’immagine del titano Colossale che era stampato sul bicchiere grande che veniva usato per il take away, e la molto più intensa versione su carta. Era abbastanza raro che Levi desiderasse di essere capace di fare cose che non era in grado di fare, ma quando si trovò faccia a faccia con i talenti e il sorriso di Eren, si chiese some sarebbe stato catturarlo in un dipinto, in uno schizzo, in qualcosa che non fossero parole perché a volte queste non erano abbastanza, anche se erano l’unica cosa di cui Levi disponeva.

“- Mi stai ascoltando?”

“Sì.” Disse Levi, che non si era perso una battuta.

“Sembri davvero stanchissimo.” Gli fece notare Eren. Le linee sotto gli occhi di Levi erano più profonde del solito, ma la sua espressione rimaneva imperturbabile come sempre. “Forse dovresti semplicemente andare a casa.”

“E chi si assicurerà che sei arrivato in macchina tutto d’un pezzo?”

Eren roteò gli occhi. Magari non ci si credeva, ma Levi era alquanto carino a modo suo. Non c’era nessuna frecciatina nella sua domanda, nessuna intenzione di mettere in dubbio la sua mascolinità o la sua capacità di stare attento. Era una semplice domanda, ed era il semplice fatto che Levi aveva la cosa a cuore abbastanza da assicurarsi che tutto fosse ok alla fine della serata e il suo semplice, brusco modo di girare attorno alle cose – nonostante la maggior parte delle volte non faceva altro che confondere Eren – ridusse in poltiglia il suo stomaco. “Me ne assicurerò io.”

Levi fece un mugugno evasivo. “Devo ancora finire delle cose. E’ tutto ok.”

“Scrivi il testo della tua prossima canzone ultra-premiata?”

Levi grugnì mentre beveva. “Le tue assunzioni diventano man mano sempre più ridicole.”

“Ah, l’altro giorno ho cercato su google qualche professione strana. Lo sai che esistono delle persone che vengono pagate per provare i letti? Cosa che sicuramente tu non fai considerando quanto sei stanco…”

Levi ignorò il commento. “Hai mai considerato l’opzione che quello che faccio nella vita deve rimanere segreto?”

Eren sbatté gli occhi. “Be’, sì. Quindi sei veramente un assassino? Mi dovrai uccidere se lo scopro? Hai mai giocato ad Assassin’s Creed?”

A volte, non riusciva a seguire i discorsi del moccioso.

“Oh, questo mi ha fatto ricordare una cosa. L’altra sera ero all’Utopia con Jean e stavamo giocando a SoulCalibur e abbiamo scelto entrambi Ezio e- ”

“Jean?” Interruppe Levi.

“Sì. Ti ricordi il mio amico, giusto? Quello con cui uscivo. Comunque – ”

La mano di Levi si rilassò mentre lasciava la tazza, non volendola rompere a causa dell’irritazione che gli bruciava sotto pelle. Questo Jean stava uscendo fuori un po’ troppo frequentemente ora che Levi ci pensava. Compariva al negozio, parlava con Eren e a quanto pare era anche uscito con lui l’altra sera, il che significava che quasi sicuramente era stato con Eren dopo che questi aveva finito di lavorare fino a chissà quale assurda ora del mattino. Picchiettò le dita impazientemente mentre Eren andava avanti con il suo discorso su questo gioco che a Levi non poteva interessare di meno. Non aveva senso perché cosa centrava questo Ezio di SoulCalibur con quello di Assassin’s Creed?”

“- e abbiamo pareggiato al secondo round ed è stato pazzesco, ma poi al terzo round io ero – ”

“Eren, taci.”

La sua bocca si chiuse in uno scatto. Scese un silenzio fatto da tesi secondi che si susseguivano lentamente, e Levi si prese un attimo per portare la tazza alla bocca mentre Eren giocherellava nervosamente, cercando di capire cosa aveva detto di sbagliato. Non fu così difficile alla fine, e il barista si pentì istantaneamente di aver pronunciato il nome di Jean. Per qualche ragione lui non piaceva a Levi – probabilmente perché era odioso – ma Eren si chiese se la cosa avesse a che fare anche con il fatto che erano usciti insieme e non solo con la personalità vincente di Jean. C’era sempre una speranza.

“Le – ”

Uno sguardo.

“ – vi.”

Questi si rilassò un pochino. Il moccioso si era perlomeno accorto che stava dicendo il nome di Levi sempre con più facilità? Levi rimase seduto composto, con il volto che non mostrava nemmeno l’ombra dell’ira che lo inaspriva dentro. “Che relazione hai con lui, Eren?”

“Te l’ho già detto, siamo solo amici.” Disse Eren paziente, confuso e diffidente della calma che simulava l’uomo. La tensione era più che palpabile.

Eren fu sollevato dalla tregua offerta da un cliente che era appena entrato nel negozio – quante volte quel campanello lo aveva salvato? – perché non riusciva a capire cosa c’era nella mente di Levi. Questo era uno dei motivi per cui era uscito con Jean quella sera, e l'altro era stato perché la sua stessa mente era tormentata e tutto ciò che Eren desiderava era avere un momento dove potesse rimanere con sé stesso: meno confuso e disorientato e ossessionato dall’uomo. Jean non aveva fatto alcuna domanda, non l’aveva importunato per sapere come mai era voluto uscire, non aveva parlato dell’uomo più grande per cui Eren aveva iniziato a provare qualcosa. E per tutto ciò, Eren gli era grato. Tutto quello che avevano fatto era mangiare in compagnia di Hannes, il cuoco, e giocare ai videogames fino all’alba, ripensando ai giorni passati insieme al liceo, ed Eren si era sentito di nuovo sé stesso.

La sua mente si era liberata, smettendo di essere un caos completo. Aveva bisogno di avere la testa sulle spalle quando era con Levi. Aveva bisogno di essere sé stesso.

Eren diede la bevanda da portare al cliente e lo guardò uscire dal negozio, sentendo il rumore di un motore suonare forte prima che la porta si richiudesse. I suoi occhi di un verde caraibico ritornarono su Levi, brillanti e onesti. Erano il tipo di occhi che Levi voleva catturare con le sue parole. “Non lo amo, se è quello che pensi. Non l’ho mai amato.”

Forse era proprio questo quello che Levi stava pensando perché tutta la rabbia e – osò ammettere – la gelosia scemarono in un attimo. Levi riconobbe sé stesso nello sguardo che illuminava gli occhi di Eren: vide la consapevolezza di non essere mai stato innamorato.

Lo fulminò in quel singolo momento quanto la loro relazione fosse strana. Ecco qui Eren ad assicurarlo che non era innamorato di nessuno, che non lo era mai stato, e nessuno dei due si chiedeva perché. Nessuno dei due si chiedeva della gelosia di Levi, della necessità di Eren di calmarsi, del motivo per cui si sentivano costretti a parlare e a stare insieme. Era strano e particolare e nuovo e diverso e naturale. Era così.

Ma Levi voleva di più. Non sapeva bene cosa quel ‘di più’ comportava, ma solo che un ‘mio’ aveva fatto capolino nella sua testa un giorno, e da quel momento, Levi sapeva che non avrebbe mai volontariamente lasciato che qualcuno avesse Eren. Che fosse quel dannato odiosissimo moccioso che gli girava attorno sotto la pretesa dell’amicizia, o qualsiasi altra persona.

Lui era la volpe ed Eren era la sua preda.

Corri, corri più veloce che puoi, omino di pan di zenzero.






“Oh, ciao ragazzi.”

Armin sorrise dispiaciuto mentre Mikasa, invece, lo guardò imperturbabile, alzando la sciarpa sul viso e affilando gli occhi. Eren si allontanò dal bancone – si era messo a modificare lo schizzo del titano di classe 50 metri con Levi che ogni tanto lanciava uno sguardo spostandolo dal pc – un sorriso forzato sul volto. Non era pronto per far conoscere Levi a Mikasa, ma sapeva che la ragazza, appena aveva visto l’uomo, lo aveva riconosciuto come quello dei suoi schizzi.

“Volevo fermarmi,” Disse Mikasa con voce gentile da sotto la sua sciarpa, “Visto che domani mattina partiamo per le nazionali.”

Il sorriso di Eren si rilassò. “Vi preparo qualcosa da bere, offre la casa.”

Mentre si apprestava a fare ciò, Levi tornò a lavorare al pc, fermandosi non appena sentì l’intensità di uno sguardo posato su di lui. Vide Mikasa con la coda dell’occhio. “Posso aiutarti?”

“Sei tu quello che ha commissionato ad Eren la copertina per il libro di Rivaille?” Chiese lei, il tono gentile di prima completamente sparito.

“Sì.”

“Come fa a sapere che non è una frode?”

“Mikasa.” Armin cercò di intervenire, ma Levi si rigirò sulla sedia in modo da guardarli in faccia, posando un braccio sul bancone.

“Sicuramente non lo sa,” Concordò Levi. “Ma si fida di me.”

“Lui è un incosciente.”

“Probabile.”

Armin vide che Eren stava chiacchierando con un cliente ed era troppo occupato per ascoltare la loro conversazione. Quel confronto lo rendeva nervoso, in modo particolare perché Mikasa era coinvolta.

“Se gli causi qualche problema…” Lei lasciò non detta la minaccia che aleggiava tra di loro.

La testa di Levi si mosse su e giù, in un paziente cenno di assenso. “Non lo sto facendo, quindi non c’è nulla di cui preoccuparsi.”

“Ecco a voi ragazzi,” Disse Eren un po’ frettolosamente mentre posava le loro bevande. “ Uno dei bagni si è intasato quindi devo risolvere.”

“Noi ce ne dobbiamo andare,” Disse Armin comprensivo. “Buona fortuna con il tuo problemino.”

Eren agitò la mano mentre si dirigeva in bagno. “In bocca al lupo, Mikasa!”

Lei però non aveva ancora finito in quanto fece un altro passo verso Levi, gli occhi blu profondi e scuri come una notte senza nuvole. “Tu piaci ad Eren e lui si fida di te. Non so perché. Forse sei una persona onesta che vuole rendere il suo sogno una realtà, ma se distruggi i suoi sogni, o se gli fai del male, preparati ad affrontarne le conseguenze.”

“E’ bello sapere che ha degli amici così protettivi.” Disse Levi, e sul serio. “Ma ti posso assicurare che non ci sono cattive intenzioni,” Eccetto il fatto che c’era un piccolissimo dettaglio che Levi aveva deciso di non menzionare: il suo amico voleva portarselo a letto. “Ma anche se fosse, non ti conosco abbastanza da sentirmi intimidito dalle tue minacce.”

Mikasa abbassò la sciarpa in modo che lui potesse vedere l’espressione derisoria sul suo volto. “No. Non è di me che dovresti avere paura. Infatti, se dovessi tradire la fiducia di Eren è lui che non ti perdonerebbe mai. Andiamo, Armin.”

Era divertente, sul serio. Mikasa pensava di averlo avvertito sull’idea di deludere le speranze di Eren riguardo al disegno della copertina, ma in quel caso non c’era niente di cui preoccuparsi perché Levi era completamente onesto su quello e aveva tutte le intenzioni di usare il suo disegno per il prossimo libro. Ma quello che era successo aveva in realtà messo in allerta Levi per qualcosa a cui teneva di più – il fatto che era segretamente Rivaille. Come se non gli fosse piaciuto sapere come Eren avrebbe reagito una volta venuto a sapere della verità. Era solo quello che si era chiesto ogni volta che Rivaille entrava a far parte delle loro conversazioni: Eren l’avrebbe perdonato? L’avrebbe odiato? E se non l’avesse voluto vedere mai più?

Un sospiro stanco gli uscì dalle labbra non appena gli amici di Eren se ne andarono. Fissò lo schermo del computer, con le parole della bozza del libro che gli si ritorcevano contro, ricordandogli del suo alias.






“Fammi indovinare,” Disse Armin mentre si avviavano alla sua auto. “In realtà ti sei voluta fermare per vedere quel tipo.”

“Sì.” Rispose Mikasa, senza prendersi nemmeno la briga di negare.

“E…?”

“… sembra un nano.”

Armin rise. “Così sei cattiva.”






“Mi dispiace,” Si scusò Eren mentre si lavava le mani. “Spero che la mia amica non ti abbia disturbato.”

La mancanza del plurale e l’uso del femminile non rimase inosservata da parte di Levi. “Per niente. E’ stata una conversazione illuminante.”

Eren voleva chiedere cosa Levi intendesse dire con ciò, ma si accorse dell’ora e imprecò. Sturare il gabinetto aveva chiesto più tempo di quello che si aspettava e il negozio avrebbe dovuto essere chiuso già da due minuti. Si asciugò le mani e si mise a fare il necessario in fretta. “Scusa. Fammi finire queste cose.”

“Smettila di scusarti, fallo e basta.”

“…Scusa.”

“Hai dei buoni amici.” Disse Levi quando Eren finì di mettere a posto e tutto quello che era rimasto da fare era spegnere le luci. Eren indossò i guanti che gli aveva dato Levi, inconsapevole del sorriso che illuminò il suo volto mentre si aggiustava le dita. Uno di questi giorni questo moccioso sarebbe stato la causa della morte di Levi.

“Eren.” Nell’oscurità i loro movimenti si fermarono, la mano di Eren ancora mollemente poggiata sulla maniglia della porta. Si girò per vedere meglio Levi ora che erano più vicini alla finestra. Eren notò che non aveva i guanti, ma poteva scommettere che ne aveva almeno un altro paio oltre a quelli che aveva dato a lui. Forse li aveva lasciati a casa?

Eren piegò la testa in un’espressione curiosa. “C’è qualcosa che non va?”

Sì. Certo che c’era qualcosa che non andava. Qualcosa di terribilmente sbagliato. Sbagliato perché la sua confessione era sulla punta della lingua, e questa era la cosa più vicina ad una confessione che Levi aveva mai fatto. Non era il tipo che andava in chiesa a confessarsi. Non era il tipo che parlava dei suoi segreti, che si sentiva necessariamente obbligato a non mentire agli altri. Non che Levi avesse l’abitudine di mentire: semplicemente non diceva la verità, preferendo tenersi le cose per sé. Ma eccolo qui, davanti ad Eren, con la luce giusto dietro di lui e i suoi stupidi occhi brillanti ben visibili anche nell’oscurità del negozio, curiosi e tranquilli. Sì, le parole di quella ragazza – Mikasa, giusto? – lo avevano colpito più di quanto avesse immaginato.

“Levi?”

“…Niente.”

Un bagliore di delusione passò sulla faccia di Eren, ma fu subito rimpiazzato da comprensione mentre si avvicinava a Levi, prendendolo gentilmente per mano, con sua grande sorpresa. Eren pian piano stava diventando sempre più audace nei loro pochi momenti di affetto. Levi permise al barista di trascinarlo fuori dal negozio, e nessuno dei due lasciò la presa mentre Eren chiudeva a chiave la porta con la mano libera.

Non provò a lasciarlo fino a quando non arrivarono al parcheggio, e anche a quel punto, Eren non lasciò la sua mano subito. “Be’, buonanotte.”

Levi annuì, guardando Eren che si girava per andarsene, ma poi lo afferrò con una presa salda, riportandolo indietro.

“Ah- ” Iniziò a dire Eren, ma le parole gli si bloccarono in gola non appena Levi alzò la sua mano e gli sfiorò con le labbra le nocche, ancora coperte dai guanti. Eren non poteva sentire il calore di quelle labbra attraverso la stoffa, ma sentì il dolore dei denti che affondavano nella carne, mentre quegli occhi d’acciaio, predatori nella notte, lo incatenavano sul posto. Eren sentì un brivido freddo che gli attraversava la schiena, che quasi lo mise in agitazione.

“Buonanotte.” Mormorò Levi, con un tono basso e seducente, pericoloso ma dolce come miele. Le sue dita mollarono la presa sulla mano di Eren e lui se ne andò, con il rumore delle sue scarpe da completo che risuonava forte nel silenzio del parcheggio.

Eren si portò la mano al petto, chiedendosi perché si sentiva bruciare, perché era come se fosse stato catturato da qualcosa da cui non sarebbe mai riuscito a scappare.

E’ troppo tardi per fuggire, omino di pan di zenzero.


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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - L'amore matura lentamente ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Oggi ho un sacco di cose importanti da dire, quindi abbiate un po' di pazienza se mi dilungo un pochino. Innanzitutto volevo dirvi che la fanfiction si trova attualmente al primo posto delle 'Storie più popolari' della sezione e io l'autrice siamo le persone più felici del mondo per questo. Quando ho iniziato a tradurre la storia non mi sarei mai aspettata la popolarità che sta avendo e vedere che i miei sforzi sono ripagati in questo modo è fantastico! Inoltre, Sakura tan (grazie!) ha inserito una recensione per proporre che la storia venga inserita tra le 'Storie scelte' del sito. Ovviamente né io né l'autrice ci aspettavamo nulla di tutto ciò e siamo rimaste senza parole. La risposta alla sua recensione contiene sia un messaggio di ringraziamento per lei che uno per tutte le persone che stanno leggendo la fanfiction e che l'hanno commentata/messa tra i preferiti/seguiti/da ricordare, quindi se vi va potete andare a leggere il messaggio qui. La settimana scorsa mi sono dimenticata di dirvi che esiste un fanvideo della fanfiction su youtube (con gli eventi fino al capitolo 14) che trovate qui. La canzone che sentite nel video è considerata un po' come la colonna sonora della fanfiction e la potete ascoltare integralmente qui (sono deficiente e avrei dovuto linkarvela molto prima perchè quando leggo e traduco la fic l'ascolto sempre!). Questo capitolo è stato lungo e difficile da tradurre e c'è un po' meno Levi del solito, ma ne è valsa la pena perchè i prossimi due - per me - sono delle gemme. Ho blaterato abbastanza... grazie ancora a tutti e buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: solita storia sugli errori. Lo slush è una via di mezzo tra tra una granita ed un sorbetto (il frappuccino, da Starbucks). Il libro citato da Levi è ' Se nessuno parla di cose meravigliose ' di Jon McGregor. Viene citato di nuovo il gingerbread latte, vi ricordo che è il latte al pan di zenzero. Un'altra cosa che dimentico sempre da precisare: in realtà nella fanfiction in Inglese i termini forti / le parolacce, sono un pochino più volgari di come le traduco: la mia scelta è dovuta al fatto che ci tengo a rimanere su certi toni in italiano e trovo che usare una terminologia volgare contrasterebbe incredibilmente, quindi smorzo un pochino, ma direi che non cambia molto xD


The Little Titan Café
CAPITOLO 15: L'amore matura lentamente

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Slush alla nocciola

only miss the sun when it starts to snow;
only know you love {him} when you let {him} go.

Era facile dire quando un cliente sarebbe stato un problema. Entravano nel negozio con un'aria di superiorità e guardavano chiunque e qualunque cosa dall’alto in basso (c’erano anche quelli che entravano con gli occhi iniettati di sangue, che puzzavano di alcool o fumo; ma non tutti questi clienti causavano problemi: perlopiù divertimento). L’uomo di mezza età che era appena entrato non era un’eccezione, e si fermò davanti alla cassa per ordinare – un tè Earl Grey – saltellando sui talloni mentre si guardava intorno. Vide qualcosa che non gli piacque e interruppe Marco che gli stava preparando il tè: “Che razza di posto state gestendo?”

“Ehm, un caffè?” Disse Marco incerto, chiedendosi come avrebbe dovuto rispondere.

“Permettete che certa gente venga qui?”

Fu come se il volume del negozio fosse improvvisamente portato al minimo: qualsiasi conversazione si fermò mentre una serie di sguardi curiosi si posavano sul cliente e sul barista lentigginoso. Marco smise di preparare il tè, già sapendo perfettamente che non avrebbe avuto la chance di finirlo perché quelle erano parole estremamente offensive, come non ne aveva sentite da molto tempo. “Ed esattamente che tipo di gente è quella, signore?”

L’uomo alzò una spalla per indicare dietro di sé, nella parte retrostante del caffè, ma Marco non aveva neanche bisogno di guardare per sapere che l’uomo si riferiva alle due studentesse universitarie che sedevano raggomitolate in un abbraccio in un angolo della sala. Ymir e Christa, se Marco ricordava bene. Due amiche di Eren. Una nuvola si posò sul volto di Ymir, oscurando il suo sguardo ardito e sostituendolo con la furia. Un ringhio eruppe tra i denti stretti mentre lei si alzava: “Cosa vorresti dire, vecchio?”

“Ymir,” L’avvertì Christa, riportandola sulla sedia con uno strattone. “Ignoralo.”

“E’ disgustoso.” L’uomo sogghignò.

Marco sospirò, felice che Eren fosse uscito un attimo a prendere qualcosa da mangiare per cena ad entrambi. Era certo che se non fosse stato così, a questo punto già sarebbero volati vari pugni. “Signore, non la stanno disturbando.”

“Oh sì che lo stanno facendo. Il loro comportamento mi infastidisce, è innaturale.”

“Credo che lei stia facendo il maleducato.”

“Senti, se vuoi che gli affari continuino ad andare a gonfie vele, ti suggerisco di sbarazzarti di quella gente. Nessuno li vuole vedere.”

“Ah ti do io qualcosa da vedere,” Sibilò Ymir, incapace di muoversi dalla sedia perché Christa la teneva per un braccio.

“Ymir,” La pregò lei, ma la cosa non fece calmare Ymir, non quando il dolore era evidente nei suoi occhi blu. La cosa fece infuriare Ymir ancora di più, ad essere onesti. Come poteva starsene seduta quando qualcuno stava parlando male di Christa? Come poteva starsene seduta quando la sua fidanzata veniva pubblicamente insultata e molestata? Come poteva starsene seduta quando Christa – la dolce, dolce Christa – era stata respinta dalla sua stessa famiglia e ora questo stronzo-apparso-dal-nulla le stava ridicolizzando per quello che erano? “Per favore.”

“Stanno ovviamente disturbando il resto dei clienti.”

“Forse ce ne dovremmo semplicemente andare.” Mormorò Christa.

“Al diavolo andarsene. Che se ne vada lui al diavolo.”

“E’ lei quello che sta disturbando la clientela, signore,” Affermò Marco. “Le devo chiedere di andarsene se non riesce a comportarsi come una persona civile.”

“Stai dalla loro parte?” L’uomo si incupì. “Non dirmi che supporti anche tu i matrimoni omosessuali.”

Il tono di voce tagliente di Marco avrebbe intimidito chiunque, ma quest’uomo era ovviamente sordo a certe cose, e a un sacco di altre. “Sì, perché? Lo supporto e anche io sono gay.”

“Ugh. Dov’è il responsabile? Vorrei parlargli della gente che fa lavorare qui.”

“Non è qui al momento.”

“Allora aspetterò.”

“Mi dispiace ma le devo chiedere di andarsene o chiamerò la polizia.”

“Non ho fatto niente di sba- ”

“Ehi, amico.” Un altro cliente in fila dietro di lui lo interruppe, e l’irritazione trapelava dalle sue parole. “Hai sentito il ragazzo. Vattene al diavolo.”

L’uomo si girò verso Jean, e dovette piegare la testa per guardarlo in viso, visto che il giovane era almeno una dozzina di centimetri più alto di lui. “Fatti gli affari tuoi, teppistello.”

Jean aggrottò le sopracciglia. “Sai, ho avuto una giornata veramente pessima e stare qui impalato a sentire le tue stronzate bigotte non sta aiutando a calmarmi. Quindi o te ne vai al diavolo come ti ha già chiesto il barista, o te lo farò fare io.”

“E che cosa vorresti fare? Picchiarmi? Vai. Dovranno chiamare la polizia per te.”

“Be’ me l’hai chiesto tu.” Disse Jean facendo spallucce e non perdendo un attimo per colpire l’uomo dritto in faccia. Non provò nient’altro che soddisfazione e compiacimento non appena una serie di sospiri preoccupati ed esulti furono emessi dalla clientela, ma tale soddisfazione fu istantaneamente cancellata dalla sua faccia quando l’uomo rispose con un altro pugno. Una luce bianca inondò le palpebre di Jean all’impatto, disorientandolo temporaneamente. Tutto il resto accadde molto velocemente: Jean si preparò per sferrare un altro pugno ma delle braccia gli avvolsero le spalle e gli avambracci e lo tennero fermo mentre Ymir e un altro cliente prendevano il tizio – che stava urlando ogni tipo di profanità - e lo trascinavano fuori dal negozio. “Lasciatemi andare, dannazione! Non ha ancora avuto una lezione!”

“Va tutto bene,” La voce dietro di lui lo rassicurò, stringendo la presa giusto in caso. “Ti lascio appena ti calmi.”

Ancora fumante di rabbia e con riluttanza Jean si rilassò. “Okay. Mollami ora.”

“Aspetta, fammi prendere del ghiaccio per quel livido.” Jean fu rilasciato, il tutto mentre protestava contro quella persona che non avrebbe dovuto fermarlo, ma tutto ciò che vide fu la schiena di uno dei dipendenti del Little Titan Café che spariva via. Sospirò e quasi sobbalzò quando una mano si poggiò sulla sua spalla.

“Grazie di tutto.” Disse Ymir.

“Be’, non l’ho fatto per voi. Quel tipo mi stava facendo saltare i nervi.” Mormorò Jean.

“Sì, sì.” Lei agitò una mano e ritornò da Christa.

“Tutto bene?” Il ragazzo tornò con una borsa del ghiaccio in mano, e Jean realizzò, mentre alzava la testa, che non aveva mai visto questo barista lentigginoso prima. Era certo che si sarebbe ricordato di un sorriso così dolce.

“Uh-ghh.” La risposta rimase incastrata da qualche parte tra le sue corde vocali.

“Ecco.” Disse Marco mentre premeva il ghiaccio sulla guancia di Jean, e il biondo sussultò dolorante al gelo. “Mi dispiace che tu ti sia fatto male.”

Jean si schiarì la gola. “Ma non sei dispiaciuto che quel tipo si sia fatto male, vero?”

Il suo sorriso si fece giocoso e forse Jean era stato picchiato più duramente di quanto aveva creduto perché ne rimase praticamente accecato. “Naah. Se lo meritava.”

“Grazie,” Mormorò Jean, allungando la mano per mantenere il ghiaccio, e le sue dita sfiorarono il dorso della mano di Marco. Bruciò come un’improvvisa tempesta elettrica. Si sarebbe lamentato dopo del dolore alla mascella, perché al momento non aveva alcuna importanza, non quando era occupato a collegare le lentiggini sul suo viso con gli occhi. “L’h-ho preso.”

Il campanello squillò, seguito da una familiare, fastidiosa voce. “Cosa diavolo è successo qui?”

Ovviamente Eren doveva rovinare il momento.






“Un sacco di pugni stanno volando da queste parti durante le vacanze.” Eren disse meditabondo mentre dava a Jean del ghiaccio nuovo.

Jean grugnì. “Sul serio! Piuttosto, cos’è quello?”

Eren lanciò uno sguardo alla lavagna dove Carla aveva fissato con delle puntine una copia dei voti dei suoi esami, il voto di matematica cerchiato in rosso con un ‘Sono così fiera di te!’ scritto sotto (aveva terminato il semestre con un 75/100). Eren si strofinò il naso. “Mia mamma è così felice che io abbia superato l’esame di matematica e che abbia alzato la mia media dopo aver preso un’insufficienza che l’ha appeso lì.”

“Ah ok, ma… uhm… chi era quel tuo collega?” Chiese Jean con nonchalance, eccetto che lui non era capace di fingere – soprattutto quando cambiava discorso così in fretta – e Eren nascose il suo sorrisetto mentre si girava a pulire il bancone di dietro.

“Quale collega?”

“Lo sai. Quello che se ne è appena andato.”

“Mi devi far capire di quale stai parlando.”

Dalla tensione della sua voce era tutto ovvio. “Lo sai. Quello con le lentiggini.”

“Ah! Dici Marco?”

Jean quasi batté una mano sul bancone, contento di avere finalmente il suo nome. Troppo disorientato dalla rissa, non aveva pensato di guardare la sua targhetta. “Sì.”

Eren si girò verso di lui, piegando la testa innocentemente. “Che mi dici di Marco?”

“Niente su Mar-” Jean fece un bel sorso del suo slush alla nocciola – offerto dalla casa per cortesia di Marco. Si sentì gelare il cervello e sussultò. “Marco. Niente. Ero solo… curioso di sapere come si chiama.”

“Va bene.” Eren mormorò poco convinto.

“Se hai qualcosa da dire, dilla.”

“Be’, ti ricordi quando ti dissi che avevo un collega che stava cercando un coinquilino? Era Marco. Ti avevo detto che era carino ed ero certo che avresti concordato con me.”

“Non ho detto nulla sul fatto che è carino,” Borbottò Jean, con un rossore che gli colorava le guance. “E comunque, non posso andare a vivere con qualcuno che non sa neanche il mio nome.”

“E’ per questo che vi dovete conoscere meglio.”

“Se stai cercando di farci mettere ins- ”

“Sto cercando di aiutarti a trovare un coinquilino così che tu la smetta di scocciarmi. Non mi potrebbe interessare di meno se vi mettete anche insieme, visto che ci siete.”

Questo era Eren Jaeger con lui: incapace di indorare la pillola. Jean ignorò il pizzicorio nel suo stomaco perché sì, non aveva ancora dimenticato del tutto questo stronzo insensibile, anche se non era più ossessionato come una volta. Era uno stronzo insensibile, dopotutto. E lui era in una situazione strana nei suoi confronti, a dirla tutta. Quella in cui lo voleva ancora ma non sentiva la necessità di andargli dietro. Quella in cui, però, continuava a trattenersi dal lasciar stare del tutto. “Ehi, Eren.”

“Mmh?” Il barista sembrava molto più diligente nel pulire il negozio negli ultimi giorni: a stento alzò lo sguardo mentre passava lo straccio dietro il bancone.

“Se te lo chiedessi mi baceresti?”

I suoi movimenti si fermarono. “… perché dovrei fare una cosa del genere ora?”

“Un bacio di addio, forse?”

Eren aggrottò le sopracciglia, studiando intentamente la faccia di Jean come se stesse cercando di capire qualcosa, qualsiasi cosa, dalla sua espressione. C’era una preghiera speranzosa nel suo sguardo che fece venire voglia ad Eren di assecondarlo, di dare a Jean quello che voleva, ma poi si ricordò l’avvertimento di Levi sul non toccare nessuno, e di non lasciare che nessuno lo toccasse. Era quasi certo che la cosa si estendeva anche ai baci. E per qualche ragione, quello era molto più importante di assecondare Jean, anche se gli faceva un po’ male rifiutare. “Scusami, ma non posso.”

Jean fece spallucce con rassegnazione. “Ci ho provato. Smetterò di chiederti di venire a vivere con me.”

Okay, ora Eren stava iniziando a sentirsi davvero male. Magari si erano creati un sacco di fastidi vicendevolmente, ma questo non stava a significare che gli piacesse ferirsi. “Jean- ”

“Non ti preoccupare per me, Eren.” Con il gomito sul bancone, Jean poggiò una guancia sulla mano, rilasciando un sospiro esagerato. “Probabilmente sarebbe stato troppo se ti avessi chiesto un’ultima notte insieme.”

Eren si mise a ridere, e tutta la tensione che si era creata durante la loro conversazione si sciolse. “Non lo so, non suona così male.”

Jean si tenne per sé una risposta sull’evitare di dargli qualche speranza, e fece un altro sorso dello slush con la cannuccia. Non voleva insistere, non voleva rendere le cose ancora più difficili riportando alla luce il loro passato, ma non ne avevano mai parlato e se avesse lasciato questa cosa a metà- “Ti ricordi quando ci siamo lasciati?”

Il sorriso sul volto di Eren si trasformò in una espressione rievocativa ed amara. In qualche maniera anche quell’espressione riusciva a farlo sembrare bello, e forse era perché sembrava arrabbiato 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, e qualsiasi altra espressione era meglio. Ormai era sempre arrabbiato tranne quando quel tipo basso era in giro. “Sì. Abbiamo fatto una bella litigata.”

“Tu eri arrabbiato perché io ci provavo con gli altri.”

Era vero. Ed era una cosa che Eren pensava di aver accettato quando avevano iniziato ad uscire insieme, ovvero il fatto che Jean aveva l’abitudine di flirtare – anche se senza alcuna grazia e con stupidità – con gli altri. Era proprio a causa del modo di flirtare di Jean che Eren lo aveva trovato molto attraente e che avevano iniziato a uscire insieme, in primo luogo. Ma dopo aver iniziato l’università non poteva sopportare la cosa ulteriormente. Non che fosse tutta colpa di Jean. “E tu eri arrabbiato perché io non ero molto… affettuoso.”

Traduzione: Eren non riusciva a dare a Jean la sua completa attenzione, e nemmeno l’amore incondizionato che questi desiderava. “Eravamo molto diversi in quel periodo.”

“Sì.” Annuì, concordando. Ormai Eren non vedeva più Jean provarci con nessuno. Ad essere onesti, Jean era diventato molto più maturo, così maturo che gli faceva quasi male. Per quel che riguardava sé stesso, Eren non era sicuro di essere capace di fare l'affettuoso o di amare qualcuno, non era sicuro che avrebbe mai avuto l’occasione di essere pazzo di una sola persona, una persona con cui voler trascorrere il suo futuro, ma ultimamente stava iniziando a pensare il contrario.

“Anche tu sei cambiato, sai,” Disse Jean perché aveva notato lo sguardo sul volto di Eren, e quel momento in cui aveva dubitato di sé stesso. Gli ricordava la prima volta che erano stati insieme e non erano riusciti ad avere un rapporto completo e Eren si era dato la colpa della cosa. “Non sei più rabbioso come una volta.”

Eren roteò gli occhi. “Be’ grazie, vale anche per te.”

Quella era un’altra cosa. Entrambi erano stati adolescenti ribelli e arrabbiati, determinati a soggiogare il mondo, e con l’intenzione di battere chiunque si sarebbe messo sulla loro strada. Forse se avessero aspettato, forse se non avessero iniziato a uscire insieme immediatamente, forse – “Ti sei mai chiesto cosa sarebbe successo se avessimo iniziato a uscire insieme ora anziché un paio di anni fa?”

“Forse avrebbe funzionato,” Disse Eren mentre spostava il suo peso sul manico della scopa, “Ma non ha senso pensarci adesso. E’ già andata.”

“Sì, ma non ne avevamo mai parlato.”

“Cosa c’è da dire? Eravamo entrambi stupidi e abbiamo fatto degli errori. Io ho accettato la cosa e sono andato avanti, e tu dovresti fare lo stesso.”

“Non è così semplice. Io non volevo rompere, ho accettato solo perché era quello che volevi tu.”

“Avresti potuto dire qualcosa.”

“Cioè? Che avrei smesso di flirtare in giro? Non potevo fare promesse che non avrei mantenuto.”

Gli occhi di Eren guizzarono sul locale, e fu sollevato dal fatto che era quasi vuoto e che la maggior parte delle persone stava ascoltando qualcosa con il lettore mp3 o il pc portatile. Avere conversazioni private al caffè era una cosa che non gli era mai piaciuta. Posò la scopa contro il bancone. “Facevi schifo a flirtare, per gentile informazione. E sono felice che tu non abbia detto nulla. E dovresti esserlo anche tu.”

Jean alzò un sopracciglio. “Perché?”

“Perché siamo entrambi cresciuti. E, ad essere onesto, non credo che la nostra storia avrebbe funzionato. Non in questa vita, almeno.”

“Devo dire che potresti avere ragione a volte.”

“Ehi, io ho sempre ragione.”

Jean finì il suo slush direttamente dal bicchiere perché non riusciva più a berlo con la cannuccia. “… possiamo far finta di non avere mai avuto questa conversazione? Odio queste cose.”

Eren fece una smorfia. “Anche io. Considera tutto dimenticato.”

“… facevo davvero schifo a flirtare?”

“Quale parte di ‘tutto dimenticato’ non hai capito?”

La porta suonò e l’espressione di assoluta gioia sul volto di Eren fu una chiara indicazione su chi era il cliente appena entrato. Jean si guardò comunque alle spalle, sentendo un brivido gelido e violento causato da un paio di occhi grigi che lo fissarono mentre Levi attraversava il negozio. Un brivido che non aveva nulla a che fare con lo slush che aveva appena finito di bere. “Be’, credo che sia arrivata l’ora di andarsene.”

Eren fece un sorrisino dispiaciuto mentre Jean posava la borsa del ghiaccio per mettersi la giacca, prendere il suo cellulare dal bancone e uscire facendo il segno della pace. Si mise le mani nelle tasche della giacca e fece un sospiro profondo, odiando il fatto che riusciva a vedere il suo stesso respiro e odiando il freddo gelido che riusciva a passare attraverso tutti gli strati di vestiti che aveva indosso. Ma non poteva negare di sentirsi libero da un peso.

Non vedeva l’ora che l’inverno finisse.






Levi non era sicuro di cosa aspettarsi da Eren quando si trattava del disegno della copertina del libro. Quello che ricevette era di gran lunga molto meglio di qualsiasi cosa aveva immaginato: Eren era stato attento a non disegnare il volto del protagonista che era in piedi nell’angolo a sinistra, e solo metà del suo profilo era visibile, mentre la maggior parte del suo aspetto era nascosto. I suoi capelli erano mossi dal vento, le ciocche selvagge e disordinate, e il mantello era catturato dalla stessa corrente d’aria. Levi riconobbe le ali della libertà sul retro di questo, ammirando il modo in cui il mantello terminava in una raffica di piume. Riconobbe anche il titano colossale degli Jaeger che prendeva metà dell’intero disegno, e che faceva un contrasto terribile con l’immagine mozzafiato del giovane.

Poteva sentire gli occhi di Eren addosso, inquisitori e impazienti mentre aspettava una reazione. Levi posò il disegno e incrociò il suo sguardo, apprezzando la sua espressione di attesa, come un cucciolo che non desiderava altro che la sua approvazione. Era una bella espressione per lui. “E’ stupendo.”

Se stesse parlando del disegno o del modo in cui Eren rimase senza respiro e i suoi occhi scintillarono, Levi non ne era più sicuro. Eren si riprese dall’eccitazione con un: “Allora credi che piacerà a Rivaille?”

Gli angoli della bocca di Levi si abbassarono un pochino – ed Eren si chiese se era disapprovazione – mentre questi abbassava la testa per osservare il suo tè. “Sì. A Rivaille piacerà.”

Stava iniziando a diventare un po’ più facile per lui capire cosa faceva irritare Levi. Bastava menzionare Jean o Rivaille ed Eren poteva immaginare l’irascibilità nel suo sguardo ancor prima che questa si dipingesse sul suo volto. “Be’, se non sarà così, non ho nessun problema a disegnare qualcos’altro.”

“No, questo andrà bene.” Disse Levi con un tono convinto, senza lasciare spazio ad eventuali discussioni.

“Lavorato duramente oggi alla fattoria?” Chiese Eren sbattendo le ciglia.

“Quindi lavoro in una fattoria ora?”

“Sì, o magari sei un boscaiolo. Dopotutto hai i - ” Eren si morse la lingua, fermandosi prima di pronunciare la parola bicipiti. “Ehm.”

“Ho i cosa?”

“Ah, niente.”

Ogni volta che Levi iniziava a bere, reggeva sempre la tazza nel modo in cui tutti lo facevano – con il manico, ma solo perché questa era ancora bollente. Non appena si raffreddava abbastanza ritornava alla sua strana abitudine. “Vedo che hai superato gli esami.” Disse indicando la lavagna con un cenno del capo.

Eren avrebbe veramente dovuto staccare il foglio da lì non appena sua madre se ne era andata. Arrossì imbarazzato. “Ah, sì. Ma avrei potuto fare di meglio.”

“Hai fatto meglio di quanto io abbia mai fatto al liceo.”

Eren alzò un sopracciglio, non convinto. “Davvero?”

“Perché sei così sorpreso? Non sono andato all’università, ricordi?”

“Sì, ma… è solo che sembri sempre così intelligente?”

“Ciò non implica che io prendessi bei voti.” Il cielo sapeva che Hanji aveva sempre dovuto correggerlo sia sulla grammatica che sull'ortografia. Solo perché parlava bene – la maggior parte delle volte, e comunque quando ne diceva più di due una dopo l’altra – non significava che fosse in grado di scrivere bene. “Si potrebbe dire lo stesso per Rivaille. Neanche lui è stato all’università. Non che voglia dire che tu non devi finire i tuoi studi.” Aggiunse Levi alla vista dell’interesse crescente negli occhi del barista.

Eren fece un sospiro assorto. “Lo so. Ho fatto un patto con i miei genitori, ovvero che posso continuare a fare arte purché continui l’università. Mio padre voleva diventassi un medico e mia madre voleva che prendessi in gestione il negozio.”

La testa di Levi annuì comprensivamente. “Anche i miei genitori volevano che ereditassi l’attività di famiglia.”

“Quindi c’è un’attività di famiglia,” Eren si allungò sul bancone, intenzionato ad avere più dettagli sulla vita di Levi. “Che tipo di attività è?”

“Dovrei ucciderti se lo scoprissi.”

Lo disse con una tale serietà che ad Eren si fermò il respiro, ma quando espirò si accorse dell’espressione maliziosa negli occhi di Levi. “…Ah. Ma quindi lavori per la tua famiglia?”

“Part time.”

“E l’altro part time è il tuo secondo lavoro?”

“Sì.”

Eren rimuginò sulla cosa. “Me lo dirai prima o poi?”

“Prima o poi.”

“Va bene.” Sembrò tranquillizzarsi perché annuì. “Allora sarò paziente. Ma solo se mi dirai qualcos’altro su di te.”

“Sono un vecchio noioso.”

“Non sei vecchio.”

Levi sospirò nel suo tè, prendendosi una pausa per fare un sorso e notando che Eren non aveva negato il fatto che era noioso. “Niente di troppo personale.”

“Va bene.” Eren non si aspettava che lui avrebbe acconsentito, infatti dimenticò ogni singola cosa che si era chiesto fino a quel momento. “Ehm, qual è il tuo colore preferito?”

“Nero.”

“Wow, sei veramente un vecchio noioso.”

“Se vuoi solo prendermi in giro- ”

“Stavo scherzando, stavo scherzando.” La cosa migliore di lavorare in un caffè ed essere anche il manager era che poteva prepararsi da bere ogni volta che voleva. Iniziò a prepararsi uno slush alla nocciola, desiderando qualcosa di dolce. “Ti piacciono i dolci?”

“Sì.” Eren cercò di ignorare il bagliore negli occhi di Levi, un promemoria del pezzo di mikado che gli aveva rubato alcune sere fa. “Qual è… mmh, il tuo libro preferito?”

“Se nessuno parla di cose meravigliose.”

“Non l’ho mai sentito.”

“Hai intenzione di rispondere anche tu alle domande?”

Eren sbatté gli occhi. “Perché dovrei farlo?”

“Fallo e basta.”

“Okay. Il mio colore preferito è il blu e i miei libri preferiti sono tutti quelli di Rivaille – ” Levi fece un commento sarcastico su quanto fosse sorprendente la cosa, ed Eren decise di ignorarlo. Passarono il resto della serata con Eren che faceva domande come ‘qual è la tua bevanda preferita fino ad ora?’, ‘che tipo di musica ascolti?’, ‘il tuo cupcake preferito? ti piacciono i cupcake?’, ‘ da bambino giocavi ai videogame?’. E Levi rispose che sì, giocava ai videogame da bambino – ‘ah, deve essere passato così tanto tempo. Avevate solo sassi e legnetti all’epoca?’ -, sì, gli piacevano i cupcake e il suo preferito era il red velvet, ad essere precisi – ‘anche il mio!’ -, no non amava la musica classica, come Eren aveva ipotizzato, ma preferiva il rock classico – ‘ah bello, ma preferisco di più le cose moderne’ -, e ammise con riluttanza che la bevanda preferita preparatagli da Eren era stata il gingerbread latte (anche se per ragioni che il barista non poteva immaginare).

“Devo dire,” Eren iniziò mentre si affaccendava a sistemare il registratore di cassa, “Che sei meno noioso di quel che pensassi.”

“Grazie,” Sbiascicò Levi, chiedendosi che cosa fosse accaduto all’Eren timido e impacciato. Quasi quasi gli mancava. “E io mi sono accorto che sei un sarcastico imbecille più di quel che avevo immaginato.”

Eren gli concesse un sorriso luminoso. “Me l’hanno detto spesso.”

La cosa non lo sorprese.

Ma era piacevole vedere Eren illuminarsi di un colore che non fosse il rosso, vederlo risplendere sicuro di sé e rilassato, così come non era la prima volta che si erano incontrati. Entrambi pensavano di aver catturato l’altro, di potersi leggere e capire come due libri aperti, ma in realtà stavano solo grattando la superficie. C’erano ancora così tante cose che non sapevano l’uno dell’altro, così tante cose che Levi voleva sapere. Voleva saperne di più sulla relazione tra Eren e Jean, voleva sapere cosa faceva arrabbiare Eren e cosa lo rendeva felice, cosa lo faceva rattristare e ciò di cui aveva paura. Voleva conoscere ogni singolo dettaglio, dal suo colore preferito ai sogni che faceva di notte.

Pazienza, Levi ricordò a sé stesso.

Era una meraviglia vedere come dei dettagli così piccoli su Levi potessero renderlo così contento, pensò Eren mentre andava nel retro a prendere le sue cose. Era lui o era Levi che si stava aprendo sempre di più? Forse non l’aveva realizzato o forse lo stava facendo apposta? Qualche volta era difficile a dirsi, ma Eren era certo che lui non avrebbe dato informazioni non necessarie senza alcune ragione. Voleva davvero che Eren ne sapesse di più su di lui? La sua mano indugiò un attimo sul cappotto mentre considerava la cosa, e il cuore gli si riscaldò nel petto.

Prese il cappotto e lanciò la targhetta col nome nell’armadietto, chiudendone la porticina.

Eren fu un po’ sorpreso quando Levi gli prese la mano e uscì dal negozio insieme a lui. Non che avesse di cui lamentarsi, anzi, sperava che questa cosa di tenersi la mano sarebbe diventata un’abitudine tra loro. Anche se non la capiva appieno. Ma era sicuro che anche Levi non capiva. E’ solo che sembrava… giusto. Naturale.

“Qual è la tua stagione preferita Levi?”

“Non ne ho una preferita. Semplicemente quando non fa troppo caldo o troppo freddo.”

“Quindi primavera?”

“A volte fa freddo anche in primavera, ma credo di sì.”

“La mia è l’estate. Mi piace il caldo.” Disse Eren alzando lo sguardo verso il cielo. Non sapeva bene cosa ci fosse in quelle notti d’inverno quando non c’erano nuvole, ma le stelle sembravano sempre più luminose che in qualsiasi altro momento. “Ma l’inverno non è così male.”

“No.” Concordò Levi. Le guance di Eren erano riscaldate da un colore rosato, ma lui aveva il sospetto che la cosa avesse meno a che fare con il freddo e più con il contatto fisico. Era bello sapere che il timido barista dagli occhi scintillanti sarebbe sempre stato lì.

E come Levi gli augurò la buonanotte e se ne andò dopo avergli stretto la mano un’ultima volta, Eren fu colpito da una rivelazione. Fu fulminato in modo veloce e violento dalla rivelazione che le stelle in cielo erano abbaglianti, che il mondo non era così male e che persino l’inverno non era male. Avrebbe associato sempre l’inverno a Levi perché quella era la stagione in cui si erano conosciuti (anche se era più verso la fine dell’autunno, ad essere precisi), avrebbe associato a lui il calore che veniva dopo il gelo, e la sensazione di torpore che sentiva ogni volta che si avvicinava più e più all’uomo.

Sempre, sempre, sempre.

Perché era inequivocabilmente innamorato di Levi.


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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Rifiuto ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Come sempre grazie mille a tutti quelli che leggono la storia e in maniera particolare a chi ha commentato e l'ha inserita tra i preferiti/da ricordare/da seguire. Ahaha ho notato di avervi dato un sacco di aspettative su questi capitoli... aaaaah vorrei dirvi un sacco di cose ma mi sa che è meglio se chiudo la bocca. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: errori blablabla. Come noterete il capitolo è ambientato durante la vigilia di Natale, infatti in inglese fu appositamente postato a Natale. La citazione finale è la poesia, nel caso qualcuno non lo intendesse. Solite cose sulla traduzione... ci ho letteralmente pensato per mesi a come tradurre la poesia ma alla fine ci ho messo 10 minuti, ho preferito attenermi il più possibile all'originale senza preoccuparmi troppo di rime o sillabe, non so credo che non sia così male alla fin fine xD


The Little Titan Café
CAPITOLO 16: Rifiuto

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Buone feste!

“Allora io vado a casa, Eren!” Carla finì di abbottonarsi il cappotto e si infilò la borsa al braccio.

“Va bene.” Urlò Eren in risposta, accigliandosi mentre svuotava lo zaino del suo contenuto. Dove era finito il suo telefono? Sapeva di averlo con sé quando era uscito di casa quella mattina, ed era sicuro al settantotto percento di averlo messo nello zaino prima di andare a lavoro. Era strano che usasse lo zaino quando c’erano le vacanze natalizie, ma questo era utile per portarsi dietro il quaderno degli schizzi, insieme ad altre cose random che voleva avere con sé.

Sospirò sollevato quando lo vide sul fondo della borsa con 5 messaggi non letti da parte di Mikasa ed Armin che gli volevano ricordare che si sarebbero visti l’indomani in città insieme ad altri amici. Eren si mise il telefono in tasca per poi ributtare malamente nello zaino le cose che aveva preso – fotocopie per l’università e altro – fermandosi quando un foglio attirò la sua attenzione.

Era lo schizzo del titano colossale che Eren aveva dato a Levi per mostrarlo a Rivaille. Era divertente come i nomi di Levi e Rivaille suonassero simili, ma Eren non ci pensò su a lungo, mentre apriva il foglio. C’erano delle parole scritte sulla parte retrostante, in una grafia che non era la sua.

C’erano solo due persone che avevano avuto il disegno in mano – solo una con certezza – e tutto quello che lui riuscì a fare era leggere e rileggere quelle parole all’infinito, mentre il battito del suo cuore aumentava.

Carla sbirciò con la testa nel retro. “Eren, c’è un cliente in attesa!”

“Arrivo.” Gracchiò lui, odiando come la sua voce suonasse patetica e quanto caldo il suo volto fosse. Una poesia. C’era una poesia scritta sul retro del suo schizzo di un gigante mangia-uomini. Un poesia d’amore se aveva capito correttamente.

Solo una delle due persone che avevano visto il disegno era uno scrittore. Ma perché proprio Rivaille tra tutte le persone avrebbe dovuto lasciare una poesia sul suo schizzo? Era una bozza di qualche tipo? Era stato un incidente? Doveva esserlo.

“Eren!”

“Sì, sì!” Il ragazzo lanciò lo zaino nell’armadietto, chiuse la porticina con forza e corse fuori, stringendo il foglio di carta.






Chi diavolo aveva insegnato a sua madre come cambiare la musica nel negozio? Aveva già sentito ‘Astro del ciel’ perlomeno cinque volte nonostante avesse iniziato a lavorare solo mezz’ora prima. Eren sospirò mentre spruzzava un po’ di cannella sulla schiuma di un latte, per poi posarlo sul bancone e chiamare l’ordine.

Forse era perché domani era Natale, ma la maggior parte dei clienti che stava arrivando al negozio sembrava una coppia in un qualche tipo di relazione. Lui non aveva alcun problema con le coppie, sul serio, solo che gli era sembrato di vederne molte ultimamente. O era così o era lui che le stava notando solo ora per qualche inspiegabile ragione: come se l’intero mondo volesse schiaffargli in faccia quanto adorabile fosse l'amore. Come se gli dicessero ‘Ciao, sì, siamo innamorati l’uno dell’altra e vogliamo sfoggiarlo perché tu sei innamorato di qualcuno e il tuo amore potrebbe, o non, essere ricambiato. Brutta storia, eh? Buone vacanze’ – Eren soffocò un’imprecazione mentre si chiudeva le dita nella cassa – dannaz… - e porgeva il resto a un cliente che gli aveva lanciato uno sguardo compassionevole.

Amore. Era una parola che ancora gli suonava straniera e distante. Eren si mise le dita doloranti in bocca, rimuginando silenziosamente su quella parola per ancora un po’. Forse era il fatto che se la ripeteva in continuazione, ma la trovava sempre meno spaventosa, meno lontana, meno incomprensibile. Come… come i pomeriggi in cui andava a lavoro e il sole era alto in cielo e lavorare non sembrava una prospettiva così terribile. Come le notti in cui si addormentava con un sorriso ebete in volto, sentendosi incredibilmente felice. Come le sere che passava a chiacchierare con Levi, soddisfatto e in pace nelle ore che passavano ascoltando solo il click-clack della sua tastiera. Come quando, dopo, Levi gli teneva la mano e gli augurava la buonanotte. Come le carezze leggere, gli sguardi rubati, le piccole rughe ai lati dei suoi occhi che si rilassavano.

Come la prima volta che Levi era venuto al negozio, come l’improvvisa curiosità, l’improvvisa attrazione. Eren non aveva mai provato niente del genere prima e si era sentito confuso e tormentato, ansioso e intimorito anche se, se c’era qualcosa che lui non era mai stato, era un codardo. Quindi sì, la cosa lo fece anche un po’ arrabbiare. E lo faceva arrabbiare anche ora, ma più nel modo voglio-fare-anche-io-tutte-queste-cose-stupidamente-romantiche-con-Levi. La sola domanda era: come avrebbe fatto a fare tutte queste cose stupidamente romantiche con Levi?

Si morse un’unghia, aggrottando le sopracciglia meditabondo. Come si faceva a iniziare una relazione, comunque? Tutto quello che aveva fatto Jean era flirtare un pochino e un secondo dopo, senza che nessuno dei due sapesse come, si stavano baciando. Molto. Ogni giorno. Per l’anno seguente o forse per due. Qualcosa gli diceva che quel metodo non avrebbe funzionato con Levi.

“Caro?”

Eren sbatté gli occhi verso la signora anziana in piedi di fronte la cassa. Il giovane non aveva assolutamente sentito la cliente arrivare. “Ah, mi scusi signora. Benvenuta al Little Titan Café. Cosa posso portarle?”

Lei ridacchiò. “Solo un tè verde danzante, per favore.” Eren premette il prezzo sulla cassa e lei gli porse la sua carta di credito. “C’è qualcosa che ti preoccupa? Mi è sembrato che fossi immerso nei tuoi pensieri.”

“Ah…” Eren fece una mezza smorfia mentre passava la carta di credito nella macchinetta. “Mi stavo solo chiedendo qualcosa.”

“Forse è qualcosa per cui potrei aiutarti?”

“Be’,” Lui le restituì la carta. “Come si fa a dire a una persona che sei innamorato di lei?”

La donna ripose la carta nel suo portafoglio. “E’ molto facile. Vai dalla persona e le dici ‘ti amo’.”

“E’ davvero così semplice?”

Lei sorrise mentre Eren le preparava da bere. “Lo so che fa paura, ma io ho sempre creduto che sia meglio tentare che non fare assolutamente nulla. Essere rifiutati non è la cosa peggiore del mondo: c’è la povertà e gli omicidi e il traffico di esseri umani e la droga…”

Eren non poté trattenere un sorrisino mentre le porgeva il suo tè. “Quando la mette così…”

“Pensala in questa maniera, tesoro. Se vieni rifiutato potrai finalmente andare avanti e trovare qualcuno che ti ami e sia grato per quel tuo faccino adorabile.” Gli fece l’occhiolino. “Buon Natale.”

“Buone feste.” Le rispose lui dopo un attimo, stupefatto. Le persone anziane di solito erano i suoi clienti preferiti perché erano sempre schietti, e le donne ancora di più con i loro commenti civettuoli.

Ma era davvero così facile? Confessarsi e essere rifiutati e andare avanti? Probabilmente no. Adesso capiva un po’ meglio quello che provava Jean. Era quello che aveva cercato di fare l’altra sera riparlando del passato? Andare avanti? Lo fece sentire male il fatto che non se ne era reso conto, che non si era reso conto di quanto Jean fosse in difficoltà, e Eren si chiese se si sarebbe presto trovato in una posizione simile. La differenza tra lui e Jean era che, se questi era in grado di accettare la cose per come stavano, Eren non lo era. E specialmente se tali cose erano contro di lui: Eren avrebbe sempre provato ad adattarle ai suoi bisogni.

Ma forse non c’era nulla di cui preoccuparsi? Dopotutto Levi aveva praticamente baciato la mano di Eren una sera, e l’aveva tenuta stretta nella sua per tutto il tratto dal negozio al parcheggio. Per ben due volte.

Era normale sperare, no?






Qualche volta a Levi piaceva stare un pochino fuori al Little Titan Café prima di entrare. Odiava il freddo, e odiava il modo in cui lo faceva sentire: dalla maniera in cui gli sembrava che le sue orecchie si sarebbero staccate da un momento all’altro, al modo in cui si doveva avvolgere in numerosi strati di vestiti. Odiava anche le sigarette, ma ogni tanto si fermava vicino alla finestra del negozio per inalarne la nicotina, guardando il modo in cui sia il suo respiro che il fumo erano visibili nella notte invernale. Odiava la puzza della sigaretta, ma ancora di più odiava il modo in cui osservava Eren dalla finestra, mentre il barista ignaro o serviva qualche cliente o si poggiava mollemente al bancone e, annoiato, giocava con il telefono.

Queste erano le sere in cui Levi si diceva che questo era il modo in cui dovevano rimanere le cose tra loro. Eren era giovane e forse non così tanto innocente, ma apparteneva a quel mondo caldo e luminoso. Un mondo con cui Levi non aveva nulla a che fare. E qualche volta – di solito a metà sigaretta – si diceva di andare via prima di invadere quel mondo ancora di più. Ma poi vedeva quegli occhi verde caraibico che gli facevano venire voglia di scrivere un’ode e perdeva tutte le intenzioni di andarsene. Era infruttuoso tentare di combattere contro qualcosa che non voleva davvero sconfiggere.

Qualche volta a Levi piaceva rimanere fuori dal caffè perché gli ricordava la prima volta che era venuto, e il modo in cui il negozio portava luce e calore alla strada, dove tutto il resto era chiuso. Stava cercando un posto, un posto dove poter scrivere anche se non si sentiva veramente di farlo. Era fuggito dal suo appartamento per non doversela vedere con le molestie di Hanji, ma in realtà stava solo cercando di trovare una via di fuga dalla pressione di scrivere e dalla contemporanea mancanza d’ispirazione. Ed era finito lì, in questo piccolo caffè con la sua atmosfera pacifica, le stupide canzoni pop di sottofondo e un barista con un bel visino.

Era stato come trovare la sua musa per la prima volta e realizzare che non c’erano abbastanza parole nel mondo.

Non capiva esattamente perché era attratto così tanto da Eren. Forse era il fuoco nei suoi occhi. Forse era il modo in cui sorrideva, dolce e seducente e solo per lui. Forse era il calore che lo avvolgeva, e Levi voleva seppellirsi in quel calore perché fuori faceva freddo, il mondo era freddo. Era sempre stato così freddo?

Odiava il freddo e qualsiasi cosa legata a questo, ma non aveva mai notato quanto potesse essere gelido fino al giorno in cui era entrato nel negozio perché aveva notato casualmente che le luci erano accese.

Odiava le sigarette. Levi ne finì un’altra con un ultimo profondo tiro e poi spense il mozzicone con il tacco.

Qualche volta, quando aveva finito la sigaretta, ripensava un’ultima volta se era il caso di andare via prima di farsi coinvolgere ancora di più. Ma Eren, nei suoi pensieri, sorrideva o si toccava il naso o alzava un sopracciglio o faceva un sospiro impaziente e Levi veniva sconfitto.

La sua mano trovava la maniglia della porta e lui veniva salutato con il suo nome mentre realizzava di non essere più al gelo.

“Sei in anticipo.” Disse Eren mentre Levi si sedeva al solito posto.

Fece spallucce, non voleva dire che aveva letto che il caffè chiudeva prima visto che era la vigilia di Natale. “Ho finito di lavorare prima.”

“Ah. Farai qualcosa domani, per Natale?”

Levi si tolse il cappotto con un sospiro. “Probabilmente sarò trascinato a bere. E’ un’occorrenza annuale.”

Eren sorrise maliziosamente. “E io che pensavo che ti saresti rinchiuso in casa.”

“Se potessi lo farei. Ci ho provato un anno e – ” Levi fece una smorfia al ricordo di Hanji che buttava giù la sua porta. Non era stato piacevole. “Mai più.”

“E’ un peccato che domani non ci possiamo vedere,” Commentò Eren, mentre il suo cervello lentamente fermava quello che gli stava uscendo di bocca. Fece una risata nervosa e Levi alzò un sopracciglio, “Cioè, intendo dire che visto che il negozio è chiuso ed è Natale e ehm… cioè, è che mi sono abituato a vederti tutte le sere, quindi sarà strano.” Taci Eren, ti stai scavando la fossa da solo e questa sta anche diventando sempre più profonda, e così non ne uscirai mai più.

“Provo lo stesso.” Il tono di Levi era chiaro, e anche se probabilmente stava solo concordando con le ragioni che aveva dato Eren, la cosa lo fece comunque sentire meglio.

“Levi,” Iniziò a dire il barista, perché Levi era lì di fronte a lui e quello era un momento buono come un altro per confessargli i suoi sentimenti. Ma il negozio non avrebbe chiuso per un’altra ora e lui non voleva che Levi si sentisse costretto a rimanere seduto dopo averlo rifiutato e forse non era per niente un buon momento, dopotutto. “Ehm, cosa vuoi da bere?”

Il pc era già aperto. “Sorprendimi.”

Oh, Eren sì che avrebbe potuto sorprendere Levi. L’avrebbe potuto sorprendere con una tazza di ‘sono tipo innamorato di te’ latte. Ma decise per un dolce latte alla cannella. Molto più prudente.

“Eren.”

“Mmh?” Il ragazzo continuò a versare il latte nella brocca mentre alzava la testa verso Levi.

“Che cosa fai domani?”

Erano solo chiacchiere, ma la domanda lo fece comunque sentire inspiegabilmente leggero. “Andrò in centro con i miei amici.”

Si distrasse un pochino quando Levi si sbottonò i polsini della camicia e arrotolò le maniche, lasciando nudi gli avambracci. Come poteva essere consentita una cosa del genere? Eren guardò da un’altra parte, sentendosi di nuovo come la prima sera che si erano incontrati. Pensava di essersi rilassato molto quando era con Levi. Pensava di essersi schiarito le idee e di non essere più così stupido da farsi prendere da sciocchezze come questa, ma aveva pensato male perché il suo cuore stava palpitando con violenza, e quasi dolorosamente. Ugh, come avrebbe fatto a confessarsi se reagiva così alle cose più frivole come Levi che si arrotolava le maniche della camicia?

“Eren.”

“Eh?”

Levi fissò un punto, indicandoglielo con lo sguardo. Eren abbassò gli occhi, e vide che il latte che aveva riscaldato stava strabordando dalla tazza insieme al caffè che ci aveva versato prima. Bestemmiò per la seconda volta quel giorno. Erano anni che preparava bevande del genere, ormai, e sapeva esattamente quanto latte aveva bisogno di usare. Ma in qualche modo si era imbambolato nel processo di versarlo. Non aveva fatto niente del genere dalla prima volta che aveva imparato a preparare le bevande.

Dannato Levi e le sue braccia.

“Scusa. Lo rifaccio sub – ” Nella fretta di ricominciare, Eren colpì la tazza con la brocca, e questa rotolò sul bancone e cadde a terra rompendosi in mille pezzi, mentre il liquido all’interno schizzava sul pavimento. “Merda.”

Perché faceva così caldo? Sua mamma aveva alzato il riscaldamento o qualcosa di simile? Eren si accovacciò a terra, mormorando altre parolacce mentre recuperava i pezzi di porcellana. Le sue mani stavano tremando. Quando avevano iniziato a tremare? Forse non si sentiva bene. Forse avrebbe dovuto chiamare sua mamma e chiederle se poteva chiudere il negozio in anticipo perché aveva la nausea. Forse avrebb – Eren si congelò sul posto quando delle mani avvolsero le sue.

“Guardati, stai sanguinando.”

“Ah.” Fu tutto quello che il ragazzo riuscì a dire nella confusione. Non aveva nemmeno sentito di tagliarsi quando aveva toccato un pezzo affilato.

“Cosa c’è che non va?”

“Io – ” Cosa c’era che non andava?

“Guardami.”

“Non ci riesco.” Guarda ovunque, ma non verso di lui.

Eren sentì le dita stringere, gentili e solide attorno alle sue e fu fulminato dalla consapevolezza che le loro mani si stavano toccando. Non c’erano guanti questa volta, nulla a separare il contatto tra quella pelle callosa e la sua. Una pelle dura che era stata consumata e segnata dalle intemperie e dagli anni. In quel momento quella era l’unica cosa che contava. Quell’incredibile, glorioso momento in cui Eren dovette usare tutta la sua forza di volontà per non stringere a sua volta le mani di Levi.

“Eren.” La terza volta è quella buona, no? Eren alzò lo sguardo, e per una volta Levi non riuscì a capire cosa stava frullando nella sua testa. Osservò il giovane con pazienza, “Perché stai tremando?”

“Perché – ” Eren deglutì. Un fascio di nervi, ecco cos’era in quel momento. Se gli avessero dato un altro ladro, questa volta con una pistola vera, sarebbe stato felice di affrontarlo. Sarebbe stato felice di rincorrerlo e conciarlo per le feste con la sua stessa pistola. Sarebbe stato felice di combattere contro giganti mangia-uomini. Sarebbe stato felice di fare qualsiasi cosa che non fosse essere innamorati e preoccuparsi di essere rifiutati perché era una sensazione strana e sconosciuta per lui e forse non era veramente innamorato e lo avrebbe realizzato il giorno dopo quindi avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa. Ma mentre studiava il volto di Levi, l’indifferenza nella curva dei suoi occhi, le rughe rilassate ai lati di questi e la pazienza e la tenerezza nascoste dietro strati e strati di asprezza, iniziò a calmarsi. Eren sospirò un: “No.”

Okay, ora Levi era perso. Prima Eren stava tremando e ora lo stava fissando come se avesse avuto una rivelazione di qualche sorta. Non riusciva a seguirlo, ma non era un grosso problema. Non aveva nessun problema a farsi trascinare da quella tempesta imprevedibile che era Eren. “No cosa?”

Il rifiuto non è la cosa peggiore che possa accaderti. “Io ero… Io non sono un codardo.”

“Questo lo sapevo dal momento in cui mi hai preso in giro per la mia statura.”

Eren si avvicinò un poco. Levi era inginocchiato sul pavimento, attento a non toccare il latte che vi era versato. “Quindi va bene anche se vengo rifiutato.”

“Rifiutato?” Levi, come al solito, non stava mostrando nessuna emozione attraverso la sua espressione. Ma non si stava allontanando e la cosa confortò Eren in qualche modo. Semmai si stava persino avvicinando. E molto più velocemente di lui e il suo respiro era caldo sulla sua guancia e da così vicino Eren sentì il familiare odore della sua colonia e una meno familiare puzza di sigarette.

“Fumi?”

“A volte.”

“E’ disgustoso.”

Lo sguardo di Levi si abbassò sulle labbra di Eren. “Non so come smettere.”

“Non devi saperlo,” La sua lingua guizzò un momento sulla bocca, “Smetti di farlo e basta.”

“Non stavo parlando di questo.”

“E di cosa stavi parlando?”

Eren si sentiva ardere nel fuoco che brillava negli occhi grigi. “Non fare il finto tonto.”

E quei bellissimi occhi verdi, alle sue parole, si infuocarono anche loro, fieri e provocatori. “Solo se la smetti di essere così vago con me, Levi.”

Furbo, il moccioso. Levi aprì la bocca, pronto a rispondere, ma il campanello suonò per l’arrivo di un cliente e tutta la tensione si trasformò in rabbia, mentre un ringhio irruppe dalla sua gola. L’unica consolazione fu l’espressione di delusione e frustrazione che si disegnò sul volto di Eren.

Stava per alzarsi per salutare il cliente, ma prima che potesse muoversi, Levi afferrò in una stretta ferrea le ciocche di capelli sulla sua nuca, e lo strattonò bruscamente in avanti. Eren rischiò quasi di cadere nel liquido versato a terra, ma invece finì goffamente addosso a Levi, con le mani che stringevano le sue spalle larghe per avere un appoggio. Una morsa di dolore gli attraversò il cranio non appena le loro fronti urtarono, ma nonostante ciò tutto quello che Eren notò fu la minacciosa promessa, le parole pronunciate in un sussurro roco da Levi. “Non abbiamo finito.”

Eren tremò, e la trepidazione gli curvò la spina dorsale.

Dio quanto sperava di no.






Come aveva lasciato che le cose finissero così fuori controllo?

Okay, sicuramente ora era ovvio che Levi non gli avrebbe detto di no, e che non aveva mai avuto intenzione di farlo. Perlomeno l’idea di un rifiuto era ben lontana dalla sua mente, e ora anche da quella di Eren.

Ma ora lui non sapeva cosa ci sarebbe stato dopo.

Questa era un bugia. Eren sapeva esattamente cosa veniva ora, o comunque cosa Levi voleva avvenisse ora e Eren sarebbe stato un bugiardo a dire di non desiderare lo stesso. Ma stava accadendo molto prima di quanto si aspettava e la cosa lo rendeva nervoso. Forse non stava più tremando come una foglia, ma ogni volta che sentiva lo sguardo di Levi su di sé, ogni volta che vedeva il fuoco immortale che illuminava i suoi occhi, il suo cuore iniziava a battere alla velocità della luce al punto che ebbe paura che gli sarebbe presto uscito dal petto. Tutto quello che poteva fare era pensare all’inebriante promessa che gli era stata fatta e per questo le restanti ore di servizio al negozio passarono al contempo troppo lentamente e troppo velocemente.

“Eren.” Questi dovette stringere il piattino e la tazza per non farli cadere a terra. Eren poteva giurare che Levi stava dicendo il suo nome apposta per farlo agitare. E il suo sorrisetto la diceva lunga.

“Sì?” Sibilò Eren. “Hai bisogno di qualcosa?”

“… Non fa niente.”

Definitivamente apposta. “Potresti smetterla?”

“Smetterla di fare cosa?” Se Levi non fosse sempre così impassibile, Eren avrebbe giurato che stesse facendo del suo meglio per mostrarsi innocente.

“Sai cosa.”

“No.”

“E ora chi sta facendo il finto tonto?”

Levi fece spallucce. Eren aveva capito dal primo momento che era un uomo esasperante, solo che non aveva mai saputo quanto, almeno fino ad adesso. “E’ quasi ora di chiudere.”

“Lo so.”

“Non dovresti iniziare a chiudere la cassa?”

Chi la fa l’aspetti. “Credo che aspetterò ancora un pochino nel caso qualche altro cliente venga.”

Le pupille di Levi si affilarono come quelle di un gatto mentre lo guardava lascivamente, come un vero predatore. “Non sono un tipo paziente, Eren.”

Avrebbe dovuto prendere quell’avvertimento come tale, davvero. Ma qualcosa su quelle parole – qualcosa su Levi – fece venire voglia ad Eren di stuzzicare quella tigre. “Ma se sei sempre stato così gentile e paziente con me, Levi.”

C’era una certa soddisfazione nel modo in cui Levi strinse le labbra. “Tutti hanno un limite.”

Quella soddisfazione fece attraversare un brivido di anticipazione e nervosismo lungo la spina dorsale di Eren, che deglutì rumorosamente.

E ora Levi lo stava aspettando e Eren pensò che stava iniziando a mancargli il respiro. Se non gli mancava di già. Non era facile giudicare, non quando il suo cuore batteva troppo veloce e tutto era troppo veloce ma –

Ad Eren non interessava.

Voleva tutto questo. E l’aveva desiderato a lungo, così tanto da far male.

Gli ci volle un minuto o due per riuscire a infilarsi le maniche della giacca – erano rivoltate -, mettersi sulle spalle lo zaino e chiudere la porta dell’armadietto.

Così a lungo si era chiesto come sarebbe stato baciare Levi, e, ad ogni passo che faceva, il suo cuore batteva sempre più veloce. “Levi – ”

Eren un po’ si aspettava di trovare Levi in piedi con la solita espressione da ci-hai-messo-abbastanza-moccioso, un po’ si aspettava che Levi gli avrebbe detto di muoversi e che era troppo lento. Non sapeva come avrebbero ripreso quello che era iniziato prima. Forse Eren avrebbe finito di dire quello che aveva iniziato, o forse Levi avrebbe ripreso il discorso per primo. Forse avrebbe passato le dita tra i suoi capelli come prima. Forse il bacio sarebbe stato lento e sensuale.

I suoi passi si fermarono e il sorriso sparì dal suo volto.

Quello che Eren non si aspettava era di trovare il negozio vuoto e realizzare che Levi se ne era andato.





Non sono un santo,
e ho combattuto senza fede così a lungo.
Ma improvvisamente sono caduto,
vittima di occhi luminosi.




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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Rifugio ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! SORPRESA sono in anticipo (peccato che sto scrivendo ciò alle 00:33 e non pubblicherò prima di tre quarti d'ora e voi starete tutti dormendo (tranne qualcuno che hai i miei stessi orari da vampiro). Vabbe' sono un pochino in anticipo perchè domani non voglio l'ansia di postare il capitolo in ritardo... però la settimana prossima il capitolo arriverà sempre tra lunedì e martedì perchè devo fare delle cose per l'università (se ci riuscirò mai, ispirazione 0 non aiuta a fare la tesi). Comunque, volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto e/o inserito la storia tra i preferiti/seguiti/da ricordare e in maniera particolare chi ha commentato! Ci sono stati una marea di commenti (ma me lo aspettavo) e sappiate che vi stimo tutti tantissimo perchè avete avuto un sacco di parole gentili da riservarci nonostante tutto (vi dico solo che io ho letto il capitolo 16 una sola volta, la prima, l'ho chiuso traumatizzata e non l'ho più riletto se non prima di tradurlo - e non lo commentai nemmeno, oltretutto xD). Un grazie speciale a Sethmentecontorta perchè anche lei ha suggerito la storia affinché venga inserita tra le storie scelte del sito... grazie mille (ormai io e l'autrice siamo in uno stato di pianto commosso perenne T_T). Vabbè ho blaterato fin troppo e so che proprio in questo momento non ve ne può fregar de meno xD. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: errori blablabla. Non ho idea (e non ho voglia di informarmi) di cosa sia un toffee nut latte, ma se piace a Marco è sicuramente buono. Ho ridacchiato come un'imbecille per tutto il tempo che ho tradotto la seconda parte del capitolo... attenzione se siete in zona pubblica xD Ah! Ho detto che questo è il mio capitolo preferito dopo il 12? (taci ndTutti)


The Little Titan Café
CAPITOLO 17: Rifugio

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Toffe nut latte.

Era un’aspettativa meravigliosa: il ricordo degli occhi socchiusi di Eren, illuminati dall’eccitazione e da un accenno di trepidazione. Il respiro tenue che aveva sentito sempre più vicino man mano che la distanza tra loro si accorciava, allo stesso ritmo del battito dei loro cuori. Molto presto Levi avrebbe ottenuto quello su cui fino a quel momento aveva potuto solo fantasticare, la cosa per cui aveva atteso pazientemente, per cui aveva speso il suo tempo, trattenendosi per non rovinare quella delicata danza.

Un bacio. Un bacio era tutto ciò che voleva, ed era tutto quello per cui aveva aspettato mentre seduceva Eren sussurrando il suo nome, o mentre lo stuzzicava con promesse brucianti di un seguito. Un solo, semplice bacio, anche se Levi era quasi sicuro che non sarebbe finita così. Un bacio avrebbe portato ad un altro se la tensione che palpitava tra di loro indicava qualcosa. Levi avrebbe avuto Eren in ogni innocente modo possibile. Niente di spinto perché non poteva dimenticare che erano in un luogo pubblico, che fossero le due sole anime che occupavano il negozio oppure no. Non poteva dimenticare che dovevano prendere le cose con calma, anche se il desiderio li incoraggiava a muoversi, anche se il modo in cui le spalle di Eren si irrigidivano e la sua schiena si raddrizzava era con lo stesso tipo di aspettativa che provava lui.

Eren sarebbe stato suo. Eren era già suo, no? Eren voleva lui e lui voleva Eren e cos’altro contava più di questo?

E come il barista sparì nel retro per smontare da lavoro – quasi lanciando un gridolino mentre si affaccendava più rapidamente del solito, perché il sorriso di Levi era stato più predatorio che furbo e, sì, quella era la prima volta che aveva visto qualcosa che non era un sorrisetto – , Levi iniziò a mettere le sue cose a posto. Sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa d’ora in poi. Eren avrebbe potuto cambiare idea, e c’era sempre la possibilità che non si sarebbero baciati. Eren avrebbe potuto decidere in questi pochi minuti che stavano prendendo le cose troppo velocemente e, anche se la cosa gli avrebbe causato del vero dolore fisico, Levi era pronto ad accettare la sua scelta, anche se dannazione se non lo desiderava con tutto sé stesso. Ma voleva essere preparato a qualunque esito, a qualunque linea d’azione Eren avrebbe deciso di prendere.

Quello che non aveva previsto era il picchiettare che proveniva da una delle finestre del locale. Levi si girò, le mani bloccate sul collo del suo cappotto e le sopracciglia accigliate. La sua espressione non fece altro che contrirsi ancora di più non appena notò un volto dai tratti taglienti e fin troppo familiari pressato contro il vetro, gli occhi piccoli ancora più stretti nel tentativo di vedere nella poca luce che illuminava la strada. Le spalle di Levi si irrigidirono con irritazione, e la lingua schioccò contro i denti mentre si chiedeva come Auruo Bossard – tra tutti! – avesse fatto a trovarlo. Il solo pensiero non lo rallegrava affatto. Se Auruo sapeva dove trovarlo, questo voleva dire che lo sapevano anche altri, e chissà chi erano queste persone, e tutto ciò era qualcosa che Levi aveva cercato di evitare.

Questo caffè era il suo rifugio e lui avrebbe volentieri annientato qualsiasi invasore piuttosto che farlo distruggere.

Gli occhi di Auruo si spalancarono non appena si posarono su Levi, e il picchiettare sul vetro divenne odiosamente incessante. Lo sguardo che Levi gli riservò fu abbastanza eloquente da avvertirlo che era ora di smettere, ma non da spaventarlo e farlo andare via. Sospirò e prese la borsa, uscendo silenziosamente dal negozio con tutte le intenzioni di dire ad Auruo di andarsene al diavolo prima che Eren uscisse dal retro. Quella era l’ultima cosa di cui aveva bisogno: che i due si conoscessero.

C’era ancora quell’aria adorante da bambino di fronte dal suo eroe preferito negli occhi di Auruo e la cosa fece tornare in mente a Levi dei vecchi tempi, ma poi l’uomo si ricompose – il risultato del voler somigliare al suo eroe – perché a forza di fare finta di essere qualcun altro, finisci per cambiare. Questo era stato più o meno il caso di Auruo.

“Yo, capo.”

Levi strinse una sigaretta tra le labbra mentre l’accendeva passando il dito sulla rotellina dell’accendino. Quel giorno qualsiasi cosa era riuscito a farlo sentire agitato: la possibilità che i suoi due mondi si scontrassero (e non come avrebbe voluto lui), la possibilità che le sue aspettative di prima sarebbero state un buco nell’acqua, la possibilità che questo rifugio non sarebbe stato più tale. “Come mi hai trovato?”

“Petra l’ha vista venire un paio di volte.”

Ovvio. Era difficile nascondere qualcosa a quella donna. Poteva sembrare dolce, ma lei sapeva tutto. E anche quanto tu credi che lei non sappia qualcosa, ci sono ottime possibilità che non sia così.

Il fumo gli uscì dalle narici e dalla bocca. “Chi altro lo sa?”

“Solo noi due, giuro.”

Forse il suo rifugio era salvo, dopotutto. Auruo poteva anche essere un goffo idiota che si mordeva la lingua fin troppo spesso, ma era uno degli uomini più fedeli che Levi conosceva. “Lasciamo le cose come stanno, allora.”

“Se non mi intrometto troppo – ”

“Ti intrometti.”

“ – Come mai viene in questo posto?”

La conversazione era già stata trenta secondi più lunga di quanto avrebbe dovuto, ed Eren sarebbe potuto spuntare fuori in qualsiasi momento. Levi accennò ad Auruo di seguirlo in un punto dove non sarebbero stati visibili dalla finestra. “Hai bisogno di qualcosa, Auruo?”

“Gunther e Erd hanno avuto dei problemi con la famiglia Reiss. Ho provato a inviarle un messaggio prima ma non mi ha risposto.”

“Che tipo di problema? E’ così grave che hai deciso di pedinarmi?”

“Quei bastardi dei Reiss erano nel nostro territorio e – ” Auruo era riuscito in qualche maniera a superare la sua fase di adorazione, ma non era mai riuscito a togliersi il vizio di mordersi la lingua a intervalli casuali, e così forte da far uscire sangue. Ovviamente gli capitò giusto in quell’attimo. “Hann’inizia-to una rissa e-ntrambi sono stati coinvolt-”

“Quale boss è stato coinvolto?”

“Reis-s.”

Levi espirò un’altra nuvola di fumo. Perlomeno non era il loro di boss. “Suppongo che Erd e Gunther siano trattenuti dai Reiss e debbano essere tirati fuori dai guai.”

Auruo annuì.

Be’, la serata di Levi era ufficialmente rovinata. “Pensavo di avervi detto di lasciarmi fuori dalle questioni di famiglia.”

“Lei è l’uni-co che può aiut-arli capo.”

“E smettila di chiamarmi così. Non sono più coinvolto con la famiglia in questo modo.”

“Reis-s ascolterà so-lo lei.”

Notti come quelle erano un costante promemoria sul motivo per cui Levi continuava a fumare anche se odiava farlo. “Va bene. Dammi un minuto.”






All’inizio, Eren non era sicuro di cosa sentiva, a parte il peso del timore che si era posato oppressivamente nel suo stomaco. Non era sicuro di quanto tempo aveva passato lì impalato a osservare un negozio che era vuoto, quando avrebbe dovuto essere occupato da un irascibile uomo ad aspettarlo. Non era sicuro di quanto tempo era stato lì in piedi ad ascoltare il ticchettio dell’orologio, che suonava ancora più rumorosamente del sangue che gli stava scorrendo nelle vene. In realtà erano stati solo cinque minuti, minuto più minuto meno, ma qualcosa nel dolore di essere stato rifiutato stava facendo passare il tempo troppo lentamente.

Il dolore non durò a lungo prima di essere sostituito da rabbia, rabbia nera che gli ribollì nelle vene, che gli fece battere il cuore troppo velocemente mentre ripensava a tutti i comportamenti fuorvianti di quella sera. Chi credeva di essere Levi per mettersi a flirtare con Eren, dandogli una speranza, per poi abbandonarlo alla fine? Ogni sorriso, ogni sguardo acceso e la promessa che non era finita. Levi sapeva. Levi sapeva cosa stava provando Eren. Sapeva in cosa Eren stava sperando, cosa desiderava, ma dov’era adesso?

Non di certo qui ad aspettarlo.

Ed Eren era infuriato. Più che infuriato. Non si era sentito così pieno di rabbia da tantissimo tempo. Non quando quel ladruncolo lo aveva colpito, non quando i clienti dicevano che aveva sbagliato a dargli il resto, nemmeno quando aveva rotto con Jean ed era così arrabbiato con quella faccia da cavallo perché non sapeva come smettere di flirtare anche quando era totalmente incapace di farlo. L’ultima volta che era stato così arrabbiato era stato sospeso per una settimana da scuola, e aveva avuto un anno di punizione perché aveva mandato un bambino all’ospedale.

Be’, quel ragazzino se lo meritava per essere uno stronzo bigotto ed omofobico.

E sì, ora si sentiva abbastanza arrabbiato da mandare qualcun altro all’ospedale, e dannazione alla prigione.

Levi sapeva, ma allora perché non era qui ad aspettarlo? Aveva pianificato tutto questo? Di tirare la corda fino al limite ma di spezzarla alla fine?

No, pensò. C’era qualcosa che non quadrava. Levi era il tipo di persona che aspettava l’orario di chiusura per portare Eren alla sua auto, dopo un solo stupido incidente. Era il tipo di persona che non diceva bugie, ma solo verità. Era il tipo di persona che non faceva cose inutili, e portare Eren alla macchina significava assicurarsi che lui fosse al sicuro, il che non era una cosa inutile ai suoi occhi. Era il tipo di persona che reggeva la tazza in quel modo strano, che indossava abiti immacolati, che scocciava Eren rimarcando ogni volta le sue scadenti abilità a pulire, che qualche volta aveva uno sguardo gentile quando chiacchieravano. Non era il tipo di persona che ti faceva sperare per nulla. Non era il tipo di persona che fuggiva nei momenti cruciali.

La rabbia fece posto alla paura, ma un nuovo tipo di timore. Un timore da perché-Levi-se-ne-è-andato-così? Eren era quasi sicuro che doveva essere qualcosa di dannatamente importante. Levi si era arrabbiato molto la sera in cui se ne era dovuto andare a causa del lavoro, dopotutto. E ora? Loro erano sul punto d-di… ora non era il momento di sentirsi timidi e nervosi sulla cosa.

Ricordava bene la frustrazione e la rabbia e il desiderio negli occhi di Levi quando erano stati interrotti prima. Non poteva essere che fosse fuggito dopo di quello.

Allora perché? Se solo avesse avuto il numero di telefono di Levi, gliel’avrebbe potuto chiedere. Ma perché non gli aveva semplicemente detto che se ne stava andando?

Il campanello fece tornare Eren alla realtà.

“Eren, io – ”

Il sollievo che lo travolse fu istantaneo. Ovvio, Levi doveva essere fuori ad aspettarlo. Ora si sentiva stupido anche solo per aver pensato a qualcos’altro. Quello che aveva pensato doveva essere più che comprensibile dalla sua espressione, perché ora era Levi che sembrava confuso, o almeno, quanto più confuso potesse sembrare quando il suo volto non mostrava mai alcuna emozione. Era impressionante, davvero.

“…Che succede?”

“Ho pensato,” Iniziò Eren, ma poi si fermò. Non voleva ammetterlo. Come poteva ammettere di aver dubitato di Levi anche solo per un secondo? “Niente.”

Levi si accigliò, mentre lasciava che la porta gli si chiudesse alle spalle. Studiò l’espressione di Eren, incapace di capire perché le sue guance erano rosse e i suoi occhi posati a terra per la vergogna, finché non ebbe una rivelazione. Forse per qualcuno sarebbe stato divertente, ma non lo era per lui. “Hai pensato che me ne ero andato.”

“Sì.” Disse lui, con la voce sottile per la stessa vergogna che gli colorava le guance.

“Vieni qui.”

Eren trasalì al tono scontento. Era tentato di rimanere al suo posto, ma non voleva mettere a dura prova la pazienza dell’uomo, non quando sembrava che stesse per perderla tutta. Da vicino, Eren poteva vedere il suo dispiacere, e lo sguardo contemporaneamente impaziente e di paziente comprensione.

“Avrei dovuto dire qualcosa prima di uscire.”

“No,” Lo interruppe Eren. Non voleva che Levi pensasse ancora di più che lui era un bambino. Non voleva che pensasse che doveva prendersi cura di lui e proteggere i suoi sentimenti. “Mi sono innervosito perché pensavo che tu volessi fuggire da me. Pensavo che non volessi – Non ho bisogno che tu ti preoccupi di ferire i miei sentimenti. Sono stato uno stupido a saltare alle conclusioni.”

Quindi non trattarmi come un bambino. Per favore.

“Non dubitare più di me, moccioso.”

Poche parole e Eren già non si sentiva più a disagio. Sorrise. “Non lo farò. Prometto.”

“E non fare promesse che non puoi mantenere.”

Il sorriso si trasformò in un cipiglio severo. “Non lo farei mai.”

La veemenza e la sicurezza nella voce di Eren ricordarono a Levi di Auruo: una persona onesta e leale che si fidava ciecamente di lui. Come se lui avrebbe mai potuto tradire tale fiducia. “Bene.” Piegò l’indice verso sé stesso. “Vieni più vicino.”

Eren sbatté gli occhi. “Ehm, perché?”

“Non ti fidi di me?”

“Sì, ma – ”

Levi strattonò Eren insistentemente dopo aver afferrato il collo della sua giacca.

“L-Levi – ” Eren quasi inciampò nei suoi stessi piedi. “Che cosa stai – ”

“Ti ho detto che non era finita.” Incalzò Levi, chiedendosi perché Eren stava cercando in tutti i modi di allontanarsi. Diede un altro strattone, brusco, solo per stringere gli occhi quando Eren posò le mani sulla sua bocca.

“Io, ehm… si è rovinata l’atmosfera.”

“Al diavolo l’atmosfera.” Grugnì Levi, il tono smorzato dalle mani sulle sue labbra.

“Ho capito che non ero pronto.” Spiegò Eren nervosamente, rifiutandosi di spostare le mani. Suonava ridicolo alle sue stesse orecchie, ma non voleva mentire. Eren non voleva che quello che c’era tra loro finisse nello stesso disastroso modo in cui era finita l’unica relazione che aveva mai avuto.

Levi afferrò i polsi di Eren, allontanandoli dal suo volto. “Non è l’impressione che ho avuto prima.”

“Sono stato preso dal momento,” Ansimò Eren. “E potrei averci ripensato, sai.”

“O anche no.”

“Sei infantile.”

“Ho aspettato tutta la sera.”

“Puoi aspettare ancora.”

No, la parte infantile di Levi voleva ribattere ancora, ma quella adulta, matura, gli diceva che non ce n’era ragione. Il motivo per cui era stato paziente fino a quel momento era che non voleva spaventare Eren. Ed era sicuro che se avesse insistito ulteriormente avrebbe ottenuto solamente questo. “Va bene. Aspetterò.”

“Grazie.” Sospirò Eren.

“Ma,” Levi avvolse le braccia di Eren attorno al suo collo, mentre le sue mani si posavano sulla vita del barista, apprezzando il sussulto gentile di Eren. “Ho delle condizioni.”

“T-tipo?” Il movimento ondulatorio del pomo d’Adamo del ragazzo era fin troppo allettante.

“Tu mi permetterai di corteggiarti.”

“Corteggiarmi?” Eren alzò un sopracciglio. “Chi dice ‘corteggiare’ di questi tempi? Ah giusto, ma tu sei un vecch – ”

Lo sguardo di Levi fu abbastanza per far ritirare qualsiasi battuta. “Tu ti lascerai corteggiare,” Ripeté Levi, con voce gentile, “E io ti dirò tutto su di me.”

Il respirò di Eren si fermò. “Tutto?”

“Mh.”

Eren sorrise in quel modo che faceva chiedere a Levi se era il fascino della curva delle sue labbra o l’accecante luminosità di quegli occhi che aveva rubato ogni minuscola parte del suo cuore. Dai piccolissimi frammenti che lasciava scalfire da chiunque alle parti impenetrabili ed isolate. Era ridicolo come un criminale recidivo come lui fosse stato reso impotente dall’adorazione di questo moccioso.

Le braccia attorno al suo collo si strinsero, ancora timide, ma con un po’ più di convinzione. “Posso accettare queste condizioni.”

La vibrazione del cellulare ricordò a Levi che Auruo lo stava aspettando fuori, riportandogli alla mente come lui e gli altri gli avessero rovinato la serata. Non che fosse stata una totale perdita di tempo. “Niente più ripensamenti.”

“No.” Disse Eren, e, per confermare la sua promessa, si abbassò un pochino per posare le labbra sulla guancia infreddolita di Levi. Sentì l’odore di sigaretta, ma poco gli interessava quando quella serata aveva finito per essere la migliore della sua vita.

La distanza tra loro era praticamente quasi nulla. Erano così vicini che Levi poteva toccare Eren, stringere la presa sulla sua vita, poteva sentirsi così vicino al ragazzo, e così al caldo e in pace.

Erano così vicini dall’essere abbracciati che, per ora, era abbastanza.

Era abbastanza perché questo era il suo rifugio.






Due giorni dopo...


“Grazie Marco.” Disse Eren mentre il barista lentigginoso posava un toffee nut latte, la sua bevanda preferita, davanti a lui.

“Niente quaderno degli schizzi oggi?” Marco si sporse oltre al bancone per guardare curiosamente il tablet di Eren.

“Nah. Volevo provare il mio regalo di Natale.”

“E’ il Galaxy Note?”

“Sì,” Rispose Eren sorridente, rigirando il pennino tra le dita. “Me l’ha comprato mia mamma. Ci sono voluti un po’ di suggerimenti velati, ma ce l’ho fatta.”

Carla sospirò dalla sua posizione alla cassa. “Un po’ di suggerimenti velati? Sono quasi sicura che passare per un negozio e dire ‘Ah, caspiterina, vorrei così tanto che qualcuno mi comprasse questo come regalo per le prossime vacanze’ non rientri nella categoria velato… per non parlare del fatto che hai messo in mezzo il discorso a cena almeno una volta a settimana per ben due mesi.”

“Non ho detto caspiterina,” Si accigliò Eren. “E sono molto più discreto di così.”

“Ah, tesoro, mi dispiace deluderti, ma l’essere discreto non è il tuo forte.” E non era di certo discreto il modo in cui Eren sgattaiolava dietro le persone insinuandosi dietro di loro per gridare ‘Attacco a sorpresa!’ prima di lanciarsi sul malcapitato. E non era quieto nemmeno nell’approccio.

“Sì, sì.” Eren gonfiò le guance allo sguardo divertito di sua madre. Ma ora doveva solo decidere qual era la prima cosa che voleva disegnare. Ah, come se fosse una scelta difficile.

Eren passò varie ore, prima che il suo turno iniziasse, rannicchiato in un angolo del bar, con il tablet più vicino che poteva al suo petto mentre faceva volteggiare il pennino con colpi veloci. La prima intenzione era stata di disegnare qualcosa per il nuovo libro di Rivaille, ma quaranta minuti dopo si era trovato a fissare delle bozze di una mascella, di uno sguardo fiero, della curva del naso e degli angoli rialzati di un paio di occhi glaciali. Molto bene, pensò, mentre non riuscì a fermare il sorriso che gli stirò le labbra, perché ad un certo punto Eren aveva smesso di preoccuparsi del fatto che Levi invadeva il suo subconscio così facilmente.

Tutti i fremiti di felicità che lo avevano assalito due sere prima erano però già completamente scomparsi in favore dell’usuale irritazione. Da una parte, qualcuno aveva avuto un non-così-pulito incidente in bagno, e dall’altra, lui era rimasto a chiedersi perché non aveva mai chiesto il numero di telefono di Levi, dal momento che era ormai l’orario di chiusura e l’uomo non si era ancora presentato. Eren si ricordò di non saltare alle conclusioni per la seconda volta. Era troppo presto per rendersi di nuovo ridicolo.

Aveva appena finito di chiudere la cassa quando il suono del campanello portò la sua attenzione verso la porta d’entrata. “Mi scusi, ma siamo chius – ” Eren provò a non sorridere, sul serio. Voleva fare l’irritato, ma il solo vedere Levi in piedi all’entrata con i lineamenti severi del suo volto che si rilassavano, fecero perdere importanza ad ogni sua lamentela. “Sei in ritardo, Levi.”

“Ho avuto delle commissioni da fare.” Disse Levi mentre si toglieva i guanti, e una persona che Eren non aveva mai visto lo seguiva dentro il negozio, portando qualcosa che sembrava un vassoio.

“Chi è – ”

“Lui è Auruo. Sarà il nostro cameriere per stasera.”

L’espressione contrariata sul volto dell’uomo non diede ad Eren l’impressione che fosse un cameriere. “Ehm, cameriere per cosa esattamente?”

“Per la cena.”

“Ah,” Eren guardò Levi che si toglieva il cappotto e lo posava sullo schienale di una sedia ad uno dei tavoli. Era strano che un uomo ancora più bizzarro di lui lo stesse accompagnando, e ancora più strano che Levi avesse deciso di sedersi ad un tavolo quando di solito era sempre al bancone. “Non capisco.”

“Cosa non capisci?” Levi si girò verso di lui, e parlò con tono che non lasciava spazio a dubbi. “Questo è il nostro primo appuntamento. Auruo, riscalda il cibo.”

“Sì, capo.”

Eren dovette darsi un pizzicotto da solo per assicurarsi di non stare sognando. Okay, ahia. Quindi questo non era un sogno. Levi era realmente lì con un cosiddetto cameriere e un vassoio di cibo e tutte le intenzioni di trascorrere il loro primo appuntamento al caffè. Eren finì di chiudere il registro di cassa in uno stato di confusione. “Sai, saremmo potuti andare fuori da qualche parte se me l’avessi chiesto.”

“Vero.” Disse Levi mentre toglieva alcune cose dal vassoio – erano… candele e vino? “Ma questo è il mio posto preferito.”

Come era possibile dire una cosa così sdolcinata e farla sembrare la cosa più naturale al mondo? Ma era comunque un pensiero adorabile e fece arrossire Eren come una adolescente. Chiuse la cassa e sorrise imbarazzato ad Auruo, che aveva invaso il retro per riscaldare il cibo nel microonde. L’uomo fece schioccare la lingua e piegò le labbra sogghignante, e tutto quello a cui Eren riuscì a pensare era se quest’uomo era un gangster di qualche sorta. Perché Levi frequentava certe persone? Chissà.

“Vieni, Eren. E togliti il grembiule.”

“Ah, giusto.” Questi corse nel retro per fare come gli era stato chiesto, solo per tornare indietro e trovare Levi che gli teneva la sedia. Eren deglutì rumorosamente. “Che stai facendo?”

Levi non batté ciglio. “Aspettando che tu ti muova a sederti.”

“Perché – ”

“Sei il mio ragazzo.”

“Non c’è bisogno di fare certe cose.”

“Lo voglio fare lo stesso.” Petra aveva detto che era un gesto galante, ma allora perché Eren era così imbarazzato?

Eren si chiese se era possibile morire di imbarazzo. “Non voglio. Siediti così posso farlo anche io.”

Gli occhi di Levi si strinsero in due fessure che gli ricordarono lo sguardo glaciale che aveva disegnato prima. “Siediti.”

“Va bene,” Borbottò Eren, mentre riluttantemente faceva come gli era stato ordinato. “Ma questa è la prima e ultima volta.”

“Era così difficile?”

“Sì.”

“Moccioso.”

“Tu stai facendo il moccioso.” Levi prese la bottiglia di vino che era posata nel secchiello del ghiaccio, o quella che Eren aveva pensato fosse una bottiglia di vino, ma che in realtà era succo di mela frizzante. Eren alzò un sopracciglio. “Cosa abbiamo? Dieci anni?”

Levi stappò la bottiglia e versò la bevanda nei loro bicchieri. “Come se potessi lasciarti guidare dopo aver bevuto.”

“Avresti sempre potuto accompagnarmi a casa.” Gli fece notare Eren, lasciando un ‘o a casa tua’ non detto. Che Levi stesse pensando esattamente la stessa cosa o qualcosa di completamente differente era difficile a dirsi quando la sua espressione non mostrava nulla.

“Quindi sei abbastanza grande per bere?” Levi si sedette di fronte ad Eren, posando la bottiglia al suo posto nel secchiello.

“Perlomeno sembro uno della mia età.”

Eren non poteva proprio ignorare la peculiarità di quella sera. Ecco davanti a lui Levi, un uomo che – fino a qualche giorno fa – era solo un cliente per cui Eren aveva una cotta assurda, anche se lui aveva cercato di minimizzarla. E ora lo stesso sedeva di fronte a lui ad un tavolo con una candela al centro e dei bicchieri pieni di succo di mela frizzante, con l’intenzione di fare fede alla sua promessa di corteggiarlo. Era assurdo, davvero. Ogni singola cosa era assurda ed inverosimile, e se qualcuno gli avesse detto un paio di mesi fa che avrebbe trascorso un intero appuntamento a lavoro, con un uomo più grande oltretutto, Eren gli avrebbe riso in faccia. Perché Eren non faceva cose come corteggiare o avere appuntamenti o come diavolo si vogliano chiamare queste cose.

Ma chi era lui per lamentarsi quando si trattava di cibo gratis?

E tale cibo gratis stava venendo piazzato davanti a loro dal cameriere contrariato.

“Grazie,” Disse Eren mentre alzava lo sguardo curioso verso Auruo. “Quindi tu saresti il maggiordomo di Levi o cosa?”

Auruo iniziò a balbettare – mentre Levi ridacchiò nascosto dal suo bicchiere – quasi facendo cadere il piatto di sashimi di salmone. “Guarda cosa dici, dannato moccioso. Io non sono il maggiordomo di nessuno.”

“Scu-sa. Allora siete amici?”

“Porta rispetto. Il capo è – ”

“Auruo,” Lo interruppe Levi. “Hai detto abbastanza.”

Eren guardò mentre Auruo si allontanava con uno ‘tsk’, incapace di ignorare la sensazione di aver già visto qualcun altro far schioccare la lingua in quel modo.

“Cos’è quella faccia?”

Qualcuno che sedeva di fronte a lui. “Ah, niente.”

Il silenzio che seguì fu confortevole e familiare, come le sere che passavano senza parlarsi, come quando Levi picchiettava le dita sulla tastiera e Eren disegnava sul suo quaderno. Ma stasera non c’era la pressione del lavoro o la possibilità che arrivasse un cliente ad interromperli. C’era solo la luce soffusa del caffè, il gentile scoppiettio della candela e il calore del loro rifugio.

“Quindi capo, eh?”

“Mangia il tuo cibo, Eren.”


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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Questa vecchia caffetteria ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Grazie mille a tutti quelli che stanno leggendo questa storia e che l'hanno commentata e a chi l'ha inserita tra le preferite/da ricordare/seguite! Un grazie speciale a Drunk perchè anche lei ha proposto la fic per le scelte del sito... grazieee T____T. Chiedo scusa se sono di nuovo in ritardo con i commenti ma ho già tradotto una buona metà quindi conto di rispondere quanto prima. Non so bene perchè ma questa settimana la mia voglia di tradurre è stata ai minimi storici xD sarà che l'ultimo sforzo è sempre il più faticoso (??? nuovi detti by la traduttrice) (sì i capitoli da tradurre stanno finendo ma ne parliamo al prossimo). Ho opinioni controverse su questo capitolo quindi sono proprio curiosa di vedere cosa avrete da dire (mettiamo anche che io ho atteso un mese e mezzo per leggerlo e non otto giorni). Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: errori blablabla sto anche morendo di sonno. Ho 3000 cose da dire? Ci sono tantissime parti che mi hanno sinceramente messa in difficoltà in questo capitolo xD A parte la confusione incredibile perchè Levi ha avuto la bella idea di ordinare un 'Chai Tea latte al cioccolato' (-_-) e le varie cose che ho cambiato un po' per farle suonare meglio come faccio di solito, c'è la parte dove Levi pensa alle cose che Eren gli suscita... vabbè a parte i versi (che erano haiku ma questa è una storia troppo lunga...), il testo che ho lasciato in inglese è quello della canzone che vi ho linkato 1-2 capitoli fa (traduzione: "Non ho mai capito cosa c’è in questo vecchio caffè che... adoro così tanto”) e poi c'è quella che credo sia una citazione del libro che Levi sta scrivendo (?). Più avanti c'è un punto dove Levi corregge l'espressione che usa Eren... nella versione inglese Eren aveva semplicemente usato lo slang quindi l'ho trovata definitivamente intraducibile... non mi andava di tradurlo né con una possibile espressione dialettale (senza contare quanti dialetti/lingue ci sono in italia...) e soprattutto con un errore grammaticale stupido... però se a qualcuno che sa l'inglese viene in mente una traduzione migliore mi farebbe piacere sentire la sua opinione! Un borsalino è un tipico cappello da uomo che adava molto prima degli anni '50.


The Little Titan Café
CAPITOLO 18: Questa vecchia caffetteria

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Chai latte al cioccolato.

Gli occhi di Eren si stavano stringendo sempre di più al passare dei secondi, e la tensione era visibile nella sua mascella serrata. Il suo pollice tremava nello sforzo che ogni gentile tocco gli richiedeva. Ancora un po’, ci siamo quas – c’era quasi – quasi, quasi, qua-si.

Game Over
Score: 65
Best: 66


Al diavolo questo gioco. Al diavolo questo stupido uccello. Al diavolo le sue stupide alette e il suo stupido piccolo becco e gli stupidi tubi verdi e lo stupido cielo azzurro, che qualche volta era notturno con delle dannate stelline sullo sfondo. Al diavolo a tutte le crocchette di pollo che gli ricordavano Flappy-dannato-bird. Al diavolo questo gioco e il fatto che dietro c’era un’idea così semplice ma così difficile da mettere in pratica ed Eren si chiedeva ancora come facesse qualcosa di così semplice ad essere così dannatamente complicato, ma non c’era un modo per spiegarlo.

Eren avrebbe ucciso tutte le crocchette di pollo sulla faccia della terra. Ci sarebbe stato un genocidio di crocchette di pollo e nessuno avrebbe avuto nulla da ridere. Probabilmente sarebbe stato commemorato, se vogliamo essere onesti. Sarebbe diventato un eroe e chiunque l’avrebbe visto come il salvatore. Chiunque l’avrebbe ringraziato e questo sarebbe stato il minimo nei suoi confronti. Lui sarebbe stato il liberatore e tutti avrebbero invocato il suo nome fino a quando le parole ‘Flappy Bird’ sarebbero diventate nient’altro che un orrido, distante ricordo; fino a quando le parole ‘Flappy Bird’ sarebbero state solo sussurri nei peggiori incubi delle persone.

Levi posò il mento su una mano mentre guardava Eren blaterare di uccisione di massa e spennamenti e qualcosa sulla tortura e sull’essere l’ultima speranza di salvezza per l’umanità. Era adorabile vedere gli occhi di Eren che brillavano assetati di sangue e se Levi non fosse già stato innamorato del barista, era certo che si sarebbe innamorato di nuovo di lui solo per quell’espressione distorta.

C’era un qualcosa che stava stirando le sue labbra che Levi diagnosticò come un semplice spasmo muscolare.

“Dammi il tuo telefono, Eren.”

Il ragazzo alzò la testa, mentre tutti gli istinti omicidi scemavano in confusione. “Eh?”

“Sembra che tu stia per romperlo da un momento all’altro.” Eren continuò a stringere il detto telefono mentre Levi porgeva una mano, con espressione paziente. “Te lo restituisco dopo.”

“Un’altra partita.”

“No.”

“Solo un’altra, giuro.”

“E’ quello che hai detto venti minuti fa.”

“… Giuro che questa è l’ultim – ” Eren riluttantemente si arrese all’espressione vacua di Levi. Posò il telefono sul palmo dell’altro. “Va bene. Hai deciso cosa vuoi ordinare?”

“Te l’ho detto venti minuti fa ma mi hai ignorato.”

“Sì perché hai detto Tai Chi e non abbiamo niente del genere.”

“Ho detto Tai Chi al cioccolato.”

Eren cercò di non sorridere, sul serio, ma era difficile non farlo quando Levi sembrava così serio mentre insisteva nel dire che Chai Tea e Tai Chi fossero la stessa cosa. “Mi sembra di ricordare che abbiamo già avuto questa conversazione.”

“Non ho idea di cosa tu stia parlando.”

“E sono quasi certo di averti detto che ti odiavo.”

La morsa di Levi sulla tazza si fece più stretta. “Potrei vagamente ricordare qualcosa.”

“Ma non ti ho mai odiato, a dirla tutta.”

“Oh?”

Ormai Eren sorrideva senza preoccupazione, inconsciamente e senza vergogna di farsi vedere dal mondo. Ma Levi era l’unico che poteva vederlo in quel momento e sinceramente gli andava benissimo così. Non voleva che il resto del mondo si innamorasse di lui. “Sono anche quasi sicuro che mi sei piaciuto dal momento in cui sei entrato la prima volta.”

Chiunque altro. Se qualunque altra persona avesse detto una frase così sdolcinata e stereotipata a Levi, lui l’avrebbe derisa. Ed era quasi tentato di farlo, per mascherare il modo in cui il suo cuore batteva più velocemente e quanto certe parole lo imbarazzassero. Forse si stava rammollendo nella sua non-così-anziana età. Ma Levi credeva che il cambiamento dei suoi modi di fare fosse dovuto all’onestà di questo ragazzo, e dal modo in cui riusciva a sembrare un pazzo omicida un secondo, e dare la forma di un gatto alla schiuma del Chai tea che gli stava mettendo davanti, quello dopo.

“Ecco. Un Miao latte al cioccolato.”

“Questo non è sul menu.”

“E’ una ricetta del menu segreto speciale riservato solo ai clienti più speciali.”

“E quanti clienti speciali ne hanno avuto uno?”

Eren inclinò la testa, tutto orgoglioso e compiaciuto di sé stesso, mentre il movimento dei suoi capelli catturava l’attenzione di Levi. Erano cresciuti molto dalla prima volta in cui si erano incontrati ad ottobre, ma questo look trasandato non era così male. “Solo uno.”

Che fosse intenzionale o no, Eren aveva preso l’abitudine di allungarsi sul bancone, ed avvicinarsi a lui abbastanza da lasciargli vedere chiaramente la punta del suo naso, una sbavatura di cioccolato agli angoli della bocca – causata dalla merendina che aveva furtivamente messo in tasca prima –, il modo in cui i capelli gli cadevano intorno alle orecchie e al viso e come doveva spostare la frangia dagli occhi. “Bene.”






“Questo è il Little Titan Café, con chi parlo?” Eren tenne il telefono tra la spalla e l’orecchio mentre passava uno straccio sul bancone. “Dove siamo? Sulla 104esima strada, tra il fioraio e lo stupefacente negozio di magia di Daz. Sì, nessun problema.” Rimise il telefono a posto.

Levi fece un sorso della sua bevanda. “Ci sono negozi di fianco a questo?”

Era troppo preoccupato da quello che stava facendo per notare lo sguardo incredulo che gli riservò Eren. “Sul serio? Vieni qui tutte le sere e non hai mai notato i negozi a fianco?”

“Sono insignificanti.”

“Sì ma… è abbastanza difficile non notare quell’insegna viola fluorescente. Stai perdendo la vista alla tua età, eh?”

Levi strizzò gli occhi fissando lo schermo del pc. “Ho una visita oculistica la settimana prossima, ora che me lo ricordi.”

“Capisco.” Disse Eren, non notando l’ironia perché la sua mente si era persa in fantasticherie di un Levi con gli occhiali e oh, che vista che sarebbe stata.

“Hai qualcosa sul mento, Eren.”

“Ah?” Il barista si pulì la bocca con la manica della maglietta. “Che cos’era?”

“Bava.”






“Non capisco cosa ci trovi in quel nanerottolo.”

Mikasa e Armin stavano prendendo la novità meglio di quanto Eren si sarebbe aspettato. Be’, non che si fosse aspettato queste grandi reazioni da Armin. Era Mikasa quella di cui si era preoccupato, ma per ora lei aveva optato per una tattica passivo-aggressiva, con Levi che sedeva un paio di sgabelli più in là ignorando passivo-aggressivamente i suoi commenti.

“Non è così basso, Mikasa.” Disse Eren. Okay, forse era vero che Levi era basso ma il modo in cui l’uomo si raddrizzò sulla sedia e guardò Eren compiaciuto per aver difeso il suo ‘alto onore’ glielo avrebbe fatto ripetere ancora e ancora.

“Non hai risposto alla mia domanda.”

Ora Levi era particolarmente interessato a sentire la loro conversazione visto che girò lo sgabello in modo da poterli guardare. Alzò un sopracciglio, mentre un sorrisetto appena visibile gli stirava le labbra come a dire: ‘non vedo l’ora di sentire come risponderai’.

“B-be’,” Dannazione se l’uomo non lo stava facendo sentire a disagio. “Lui è… affascinante?”

“Non mi sembri così convinto.” Disse Mikasa, ma Levi non sembrava pensarla allo stesso modo visto che appariva ancora più compiaciuto di prima. “Per favore dimmi che non stai uscendo con lui per un motivo così superficiale. E comunque sembra un nano malefico.”

Armin sputacchiò quello che stava bevendo.

“Mikasa!”

Lei espirò prima di dire: “Sono solo onesta, diversamente da te.”

Eren sospirò mentre pensava a un modo per evitare di far degenerare la situazione. Levi stava stringendo il bordo del bancone così forte che Eren temette che si sarebbe rotto da un momento all’altro. “Ti fidi di me, Mikasa?”

“Certo.”

“Allora ti puoi fidare di me quando ti dico che sto con Levi per delle buone ragioni?”

Mikasa seppellì il naso nella sua sciarpa, nascondendo il broncio che era sicuramente comparso su sul volto. “…Va bene. Ma la prossima volta non voglio che aspetti un mese per dirci che stai uscendo con qualcuno.”

“Non ci sarà una prossima volta.” Disse Levi.

“Non ne sarei così convinta se fossi in te, tappo.”

Eren grugnì. Abbastanza da farli smettere.

“Congratulazioni, credo.” Armin posò la sua tazza di tè mentre Mikasa e Levi si guardavano male. “L’hai già detto ai tuoi?”

“Una cosa alla volta Armin.”

I suoi genitori era il passo successivo, ma Eren non credeva che sarebbe stato un problema per loro. Per due motivi: uno, non avevano fatto storie quando aveva fatto outing (suo padre ci aveva scherzato su con un ‘era ora’ e sua madre gli aveva dato una gomitata e sorridendo l’aveva rassicurato che le sue preferenze sessuali non avrebbero cambiato nulla, per poi intimarlo di andare a pulire la sua camera); secondo, perché i suoi parenti avevano circa dieci anni di differenza. Che fossero interessati o no alla scelta di fidanzato del figlio era un’altra questione. Procrastinare sembrava un’ottima scelta per ora.

Fidanzato. Era davvero quello che erano? Fidanzati?

Se Levi che fissava Mikasa con lo stesso sguardo gelido che gli stava riservando lei non stava a dire che loro due stavano insieme, allora Eren non sapeva proprio dire cosa ‘stare insieme’ potesse voler dire.

La vibrazione del suo cellullare interruppe i suoi pensieri. Eren prese il telefono dalla tasca del grembiule e fissò il messaggio sullo schermo.

Levi: A cosa stai pensando?

Eren alzò lo sguardo verso Levi. L’uomo stava giocando con il telefono mentre Armin distraeva Mikasa parlando di Annie.

Eren: che n sai che sto pensndo qlcs /?

Levi fece una smorfia all’atroce ortografia. La gioventù d’oggi e il loro modo di fare superficiale rispetto ad una corretta grammatica e punteggiatura. Solo perché stavano facendo qualcosa di comune come messaggiare non significava certo che dovessero trascurare le regole della loro lingua. Avrebbe fatto una lezioncina ad Eren sulla cosa, più tardi.

Levi: Hai sempre quell’espressione vacua e stupida sul volto.

Un po’ maleducato?

Eren: io nON ho nex espressione stupida e cmq mi stavo chiedendo se siamo fidanzati.

Levi poteva ancora perdonare Eren per i suoi terribili errori di battitura. L’aveva già fatto, ad essere onesti, perché Eren era il solo che riusciva a far sentire il suo volto più caldo con una semplice e diretta domanda.

Levi: Sì, idiota.

Un sorrisino illuminò il volto di Eren quando lesse la risposta. Sicuramente stavano uscendo insieme, ma lui voleva essere assolutamente certo, al cento percento, per non rendersi ridicolo in futuro.

Eren: asp quando ho avuto il tuo num?

Un idiota, ma un idiota carino, perlomeno.






“Per quando vuoi la pagina con la dedica?” Il suo respiro era visibile a causa del freddo pungente che gli stava gelando il volto. Il canale del meteo prima aveva detto che questa settimana avrebbe nevicato. Evvai.

Dei colpetti alla finestra del negozio attirarono lo sguardo di Levi, che vide Eren che dall’interno stava disegnando qualcosa con l’indice sul vetro appannato.

“Va bene.” Fu la risposta distratta che pronunciò al telefono.

Parole. Eren stava formando delle parole. Era lento e goffo perché le stava tracciando al contrario, ma Levi distolse abbastanza l’attenzione da registrare a stento cosa Erwin gli stava dicendo dall’altra parte della linea.

“Sì, sì. Sto ascoltando.”

Mi piaci.

C’erano stati un sacco di momenti in cui Eren avrebbe voluto carezzare il volto di Levi, anche se solo per far rilassare le rughe e i lineamenti dovuti alla sua espressione severa. Era certo di poter contare sulle dita di una mano tutte le espressioni di Levi che aveva mai visto, e quella che aveva in quel momento era una di quelle che aveva visto più raramente. Un dolce, tenero segreto che aveva mostrato solo ad Eren mentre toccava il vetro della finestra con le dita guantate.

Il campanello suonò.

Anche tu.






Non capisco cosa ci trovi in quel nanerottolo.

La domanda di Mikasa perseguitò Levi per un po’. Va bene, lo perseguitò per una settimana o due, giorno più giorno meno. Non è che lui mancasse di autostima in qualche modo. Ma quella domanda lo aveva portato a chiedersi cosa lui vedeva in Eren.

Sì, Eren aveva dei begli occhi e un bel viso, e, okay, aveva quel sorriso stupido ma incredibilmente carino e queste erano tutte ragioni superficiali. Ma Levi era una persona superficiale. Gli piaceva che Eren era bello e affascinante e ogni curva e angolo del suo corpo catturavano il suo sguardo e, parlando di sguardi, gli occhi di Eren erano magnifici. Lui era il sogno di ogni scrittore, un fiume di parole portato in vita. O forse era solo la sua predilezione a parlare.

“…Quindi mi sta dicendo che vuole un caffè freddo perché il caffè caldo è calorico?”

“Be’, sì. Le calorie sono un’unità di energia termodinamica, quindi se togli il calore togli anche le calorie!”

Eren ci provava. Davvero. Sua mamma si era messa d’impegno per convincerlo ad essere più simpatico con i clienti, ma c’era un limite alla stupidità che riusciva a tollerare. “Sei stupida o cosa?”

La donna spalancò la bocca. “S-scusa?”

“Solo perché qualcosa non è caldo non vuol dire che non ci siano calorie.”

“Guarda che non sono stupida. L’ho letto su internet dopo aver fatto delle ricerche. Ora fammi il mio caffè freddo.”

Lui girò gli occhi ma le fece comunque da bere, posando il bicchiere sul bancone una volta pronto. Il sarcasmo nella voce di Eren era quasi comico per Levi. “Un caffè freddo danzante, da non confondere con il caldo perché ha più calorie.”

“Guarda con cosa devo vedermela.” Disse Eren gesticolando arrabbiato verso la porta, dopo che la cliente se ne era andata.

Levi si sentì un po’ male per lui, ma era difficile compatirlo troppo quando il suo passatempo preferito era vedere Eren alterarsi. La tonalità di rosso che accendeva le guance di Eren era il nuovo colore preferito di Levi, ormai.

“Potresti perlomeno fare finta di compatirmi.”

“Ho una sola espressione di default.”

Eren sorrise. “Non posso contraddirti in questo caso.”

Eccolo di nuovo: quel sorriso ridicolmente tenero. Era la ragione per cui Levi scriveva, era la ragione per cui si ritirava in questo piccolo caffè ogni sera. Componeva versi nella sua testa – ‘mi fai scrivere / poesie, romanzi e testi / come un ragazzo malato d’amore’ – e ogni canzone d’amore gli ricordava Eren – ‘I never knew just what it was about this old coffee shop I…’ – e lo vedeva in ogni storia – ‘l’unica cosa che c’è: occhi brillanti’ – e ogni tazza di caffè che beveva al mattino sembrava stantia e senza sapore sulla sua lingua, mai buona come quelle che gli serviva Eren. Niente sarebbe più stato così buono.

E quello era il motivo per cui, nonostante la domanda di Mikasa lo perseguitasse, Levi sapeva esattamente cosa trovava di così bello in Eren e nei suoi maldestri – ma contagiosamente attraenti – modi di fare. Perché nessuno avrebbe mai più avuto degli occhi così brillanti, nessuno avrebbe mai più avuto un sorriso così seducente, nessuna voce avrebbe mai più attirato la sua attenzione come quella di Eren, nessuno avrebbe mai alzato il volto come faceva Eren quando lui gli parlava.

“Ti sei mai rotto un osso, Levi?” Domanda casuale, ma questo faceva parte della loro intesa.

“Varie volte.” Ammise questi in risposta. “Qualche dito, un braccio, il naso, una gamba.”

“Ahia. Anche io. Non dirmi che è perché ti sei picchiato con qualcuno come me.”

Forse poteva sembrare un po’ strano, ma Levi vedeva anche un po’ di se stesso in Eren, e anche questo era abbastanza intrigante.

“Per lo stesso motivo, invece.”

E nessuno era assolutamente eccitato nel venire a sapere di ogni dettaglio crudo e noioso su di lui ad eccezione di Eren, la cui bocca aveva formato una ‘o’ di sorpresa e curiosità. “Davvero?”

“Ero un po’ un delinquente all’epoca.” Ed ‘un po’’ era un eufemismo.

“Scommetto che lo sei ancora.” Lo riprese Eren. “Solo che ora sei un delinquente vestito impeccabilmente.”

Quello sarebbe potuto essere il momento perfetto per Levi per confessare ad Eren quella cosa che lui stava morendo dalla voglia di sapere, dalla prima volta che si erano parlati. Avrebbe potuto rispondere con un ‘Non sei così lontano dalla verità’ o un ‘Ora che me lo dici…’. Qualcosa di sdolcinato come quello avrebbe funzionato. Avrebbero avuto questa conversazione ed Eren avrebbe importunato Levi per conoscere tutti i dettagli sulla sua vita familiare. Forse sarebbe stato tutto compiaciuto del fatto che aveva indovinato un sacco di tempo prima e Levi aveva negato. Forse sarebbe stato anche un po’ arrabbiato perché aveva ragione e Levi aveva negato. Forse sarebbe stato ben più che un po’ arrabbiato. Forse Eren non avrebbe pensato che era così ‘figo’ come aveva detto che fosse.

“Levi,” Il suo stesso nome gli fece sbattere gli occhi mentre abbandonava i suoi pensieri. Il volto di Eren era vicino, la sua espressione sicura e paziente mentre intrecciava le dita con le sue. “Sto ancora aspettando e continuerò a farlo. Qualsiasi cosa tu faccia,” E qui fece una pausa, e le sue sopracciglia si curvarono mentre si sforzava di trovare le parole giuste. “Può essere che tu non sia così male come pensi di essere. Ma, in ogni caso, non mi prenderà un colpo.”

“Metterai paura.”

“Eh?”

Levi strinse le sue dita. “Non ti metterai paura.”

Eren roteò gli occhi – ora nemmeno le espressioni gergali andavano più bene! – , ma poi si sporse un po’ più vicino, con un sorriso fintamente innocente, per premere le labbra sulla guancia di Levi. “Se aiuta, quando me lo dirai ti darò un vero bacio.”

“Quindi se te lo dico adesso, mi bacerai?”

E proprio come era arrivata, la spavalderia si tramutò in imbarazzo che rese Eren goffo e paonazzo. “Ehm… N-no. Non ora. Dopo. Non dopo stasera, però. O dopo domani. Forse più tipo, la settimana prossima? O la settimana prossima più un giorno? Quindi tipo fra otto giorno? Più uno o anche cinque?”

Senza dubbio un fiume in piena di parole.






Eren: a k ora vieni oggi?

Levi: Farò un po’ tardi. Cerco di essere lì per le 10.

La cosa migliore di avere il numero di telefono di Levi (finalmente) era che Eren non doveva spendere il resto della serata a chiedersi se l’uomo sarebbe venuto. La risposta era a portata di messaggio. Sicuro gli ci volevano un paio di minuti per rispondere, in parte perché Levi a volte non sentiva il telefono, ma soprattutto perché ci metteva un’eternità a rispondere – così lento a scrivere un messaggio. Eren sorrise al pensiero di Levi seduto lì davanti a guardare male il suo telefono mentre premeva le lettere e imprecava a bassa voce ogni volta che doveva tornare indietro a correggere qualche parola digitata male.

Lo stupiva ancora il fatto che Levi era rimasto fedele alle sue parole e non aveva mai permesso che Eren andasse alla macchina da solo, nemmeno una volta (tranne quella in cui aveva chiuso il negozio con Marco). Anche se aveva fatto tardi, Levi era sempre lì. Anche nel mese e mezzo in cui erano usciti insieme.

Un bello, bellissimo mese e mezzo di carezze rubate e dettagli svelati sulle loro vite.

Il sorriso di Eren si accese non appena il suo sguardo cadde sul tablet. Era ancora uno schizzo grezzo quello che si stagliava sullo schermo, ma il volto di Levi era impresso nella sua memoria, con le labbra curvate appena e le mani guantate che toccavano la finestra dove erano state tracciate le parole ‘mi piaci’ sul vetro appannato dal gelo.

“Benvenuto al Little Titan Café.” Disse Eren con un sospiro, togliendo il tablet dal bancone mentre la porta si apriva e suonava il campanello. Non era la prima volta che vedeva un uomo indossare un borsalino, ma rimaneva comunque un fatto inusuale. Il cliente aveva la testa abbassata, e l’ombra del cappello nascondeva il suo volto. “E’ la sua prima volta qui, signore?”

L’uomo percorse la distanza tra la porta e la cassa con passi lenti e sicuri, gli occhi scuri lanciarono un’occhiata veloce al caffè. Altri due clienti sedevano vicino la finestra chiacchierando rumorosamente di un compito di Inglese e della lezione su Shakespeare. L’uomo si fermò di fronte al registro, alzando un pochino il cappello.

“Eren Jaeger?”

Eren strinse gli occhi, ed ebbe l’impressione di dover avere cautela. “Sì?”

“Credo che lei conosca un uomo chiamato Levi.”

Cautela. “Forse. Il nome mi suona familiare, ma i clienti vanno e vengono tutto il tempo.”

La mano, che l’uomo aveva tenuto fino a quel momento nella tasca del cappotto, sfilò via da questa e poggiò una fotografia sul bancone. Era una foto di Eren e Levi che chiacchieravano più che intimamente nel negozio, le mani strette in un modo che era tutto fuorché professionale.

“Qualcosa mi dice che siete più che conoscenti, signor Jaeger.”


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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Rivaille ***


Salve a tutti! Qui la traduttrice! Eccomi con un altro favoloso capitolo e un po' di news. Dunque vi volevo far sapere che siete delle persone fortunate e che giusto una settimana fa è stato pubblicato il capitolo 20 in inglese, quindi la settimana prossima aggiornamento regolare come al solito. L'autrice ha anche annunciato che la storia terminerà con il capitolo 21, quindi siamo veramente vicini alla fine... sia io che lei ci sentiamo incredibilmente felici e maliconiche allo stesso tempo. Poi il prossimo capitolo vi faccio sapere quando credo che arriverà il 21, ma sappiate che non è proprio finita qui e ho un po' di sorprese in serbo per voi ;). Grazie mille a tutti quelli che hanno inserito la storia nei preferiti/seguiti/da ricordare e in maniera particolare a chi ha commentato (l'autrice mi ha detto che siete i migliori lettori che abbia mai avuto). Grazie in particolare ad AngelHeller per aver segnalato la fanfic per le scelte del sito *piange di gioia e commozione con l'autrice*. Cercherò di mettermi in pari con i commenti prima di pubblicare il capitolo 20 (che potrebbe arrivare con un giorno di ritardo a seconda dei miei impegni con la tesi). Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: errori blablabla. Il butter toffee è una specie di caramella mou fatta con il burro anziché con il latte (sì mi sono vista la ricetta ahaha). Lo Shina Sentinel è ovviamente un giornale. Sono citati vari film e canzoni ma vabbè non cambia nulla che li conosciate o meno. Il borsalino è sempre il solito cappello xD. Ah la cosa che dice Erwin alla fine è sempre una semi-citazione al titolo di 'falling in love at a coffee shop'.


The Little Titan Café
CAPITOLO 19: Rivaille

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Butter toffee coffee

21:13

Eren fissò la fotografia con espressione prudentemente disinteressata.

Niente di buono poteva capitare in una situazione dove un uomo con un borsalino in testa era coinvolto. Sembrava l’inizio di una barzelletta, una storiella che partiva con un uomo sospetto che entrava in un bar e che finiva con qualche morto. O con qualcuno conciato per le feste. Come in quel film con quel tizio di Bourne Identity, quello carino – sapete a chi mi sto riferendo, no? – che era anche in quell’altro film dove c’erano tutti questi uomini con lo stesso cappello dell'uomo di fronte a lui. Quello sui guardiani. L’aveva sulla punta della lingua ma non riusciva a ricordare il titolo – ah! I guardiani del destino!. Era stranamente coincidenziale il fatto che l’aveva visto giusto l’altro giorno con Mikasa ed Armin, e ora un uomo con un borsalino era entrato nel negozio, facendogli seriamente prendere in considerazione che i due amici avessero cospirato contro di lui.

L’uomo sembrava avere circa quarant’anni, forse un po’ più vecchio considerando le occhiaie profonde e l’ombra di barba che gli copriva il volto. L’odore di sigaretta era forte su di lui, come se avesse fumato giusto prima di entrare, e come se lo facesse il più spesso possibile.

Si tolse il cappello, ed Eren notò che anche i suoi capelli neri erano scompigliati. Se strizzava gli occhi abbastanza, poteva vedere qualche ciocca di capelli grigi sulla sua testa, come a raccontare delle vicissitudini che aveva vissuto.

“Ah, quel Levi. Viene ogni tanto.”

L’uomo si sedette su uno sgabello, posando il cappello al suo fianco. “Voi due sembrate abbastanza… amichevoli in questa foto.”

“Sì, be’,” Eren diede un colpetto con il pollice al barattolo delle mance. “Questo coso non si riempie da solo.”

“Mi stai dicendo che tutto quello che fai è flirtare con lui per le mance?”

Eren fece spallucce. “E’ lavoro. Come quello che sto facendo ora. Vuole ordinare qualcosa o no?”

“Dammi quello che ti pare.”

“Se lo dice lei.”

Non era difficile capire che allo sconosciuto non piacevano le cose dolci. Probabilmente beveva il suo caffè nero come erano stati i suoi capelli in giovinezza. Molto forte, senza zucchero o panna. Pensando ciò, Eren si mise all’opera per preparargli qualcosa, lanciandogli qualche occhiata curiosa mentre il cliente girava le pagine del suo taccuino.

“Come mai mi sta chiedendo di Levi?” Chiese infine Eren, mentre posava la tazza di caffè di fronte all’uomo. “Ha fatto qualcosa?”

“Puoi dirlo forte.” L’uomo prese la tazza e senza soffiare o aspettare che si raffreddasse un pochino, fece un sorso prima di tirarsi indietro in un colpo. “Che cos’è?”

“Butter toffee coffee,” Eren fece un sorrisetto impudente. “Non è ancora sul menu, ma lo sarà presto.”

L’uomo storse il naso, posando la tazza sul bancone e spingendola lentamente lontano da sé. “Capisco.”

Eren strinse l’angolo della foto tra indice e pollice, tenendola lontana dalla portata dell’uomo. “Giusto per curiosità, e soprattutto per una questione di privacy, perché è un po’ fastidioso – okay, molto fastidioso – che lei abbia una cosa del genere,” Girò la testa, guardando meglio l’immagine. “Non mi fraintenda, è una bella foto, ma perché ce l’ha?”

“Perché l’ho fatta io.”

Lo sguardo di Eren passò dalla foto all’uomo, e poi ricadde sulla foto, solo per ritornare all’uomo e agguantare la sigaretta che stava per mettersi tra le labbra. “Ehi! Qui non si fuma. Puoi andare fuori e non tornare indietro, visto che ci sei.”

“Guarda che – ” L’uomo riprese la sigaretta, risedendosi con aria imbronciata. “ – Va bene. Tanto non mi sei utile se voglio scoprire qualcosa su Levi.”

Ah ah! Alla faccia tua cretino, perché Eren sapeva un bel po’ di cose su Levi. Stavano uscendo insieme, dopotutto.

“Se sapessi veramente che uomo è, probabilmente non lo copriresti, quindi posso dedurre che non è quello che stai facendo e che non hai la più pallida idea di chi sia veramente.” Continuò il tipo, la sigaretta spenta stretta tra le dita mentre fissava Eren con uno sguardo di sufficienza che gli addolcì gli occhi.

Il suo modo di fare fu abbastanza irritante da far assalire Eren da un’ondata di rabbia che gli fece stringere i pugni, mentre le unghie scavavano nella carne. Chi diavolo credeva di essere quest’uomo per arrivare al negozio e schernirlo apertamente? “Le devo far notare che i miei piccoli incontri con Levi mi hanno solo confermato che è una brava persona. Gentile, oltretutto.”

L’uomo prese il cappello, la sigaretta stretta all’angolo della bocca mentre ridacchiava. “Gentile.”

Eren si irrigidì. “Sì, gentile. Sicuramente qualche volta mi ha preso in giro o è stato un po’ maleducato, ma non è mai entrato nel negozio portando una mia foto scattata senza permesso.”

“Davvero ragazzo, non hai la più pallida idea di cosa stai parlando.” L’uomo tamburellò una penna contro una delle pagine della sua agenda, con espressione contemplativa. Ad essere onesti, i suoi modi di fare ricordavano ad Eren di Levi quando non aveva a che fare con il suo portatile: costantemente pensieroso e a scribacchiare note ogni due per tre. “Che cosa sai di Rivaille?”

Eren sbatté gli occhi. “Rivaille?”

“Sì, sai, l’autore di – ”

“Lo so,” Si spiegò Eren. “So chi è. Che cosa ha a che fare con Levi?”

“Tutto.”

“Cosa? Perché si conoscono?”

“…Mmh.” Appuntò qualcosa prima di posare sia la penna che l’agenda in tasca.

“Che diavolo significa?”

“Che significa cosa?”

“Quel ‘mmh’.”

“Niente.” Ignorando l’irritato schioccare della lingua di Eren, l’uomo si alzò rimettendosi il borsalino in testa. “Lo vuoi un consiglio?”

“Non proprio.”

“Stai lontano da Levi. Non è un brav’uomo.” Lanciò una banconota stropicciata da cinque dollari e un cartoncino sul bancone. “Tieniti il resto.”

La sua uscita sarebbe stata teatralmente irritante agli occhi di Eren – con la punta del cappello alzata e il movimento del suo cappotto mentre si girava – ma il campanello suonò prima che l’uomo potesse arrivare alla porta, e soprattutto prima che Eren riuscisse a sbattergli la banconota in faccia dicendogli che il resto se lo poteva infilare su per il sedere.

Se Eren era già irritato, lo fu decisamente qualche milione di volte in più grazie all’ultimo cliente entrato nel negozio. Ma se il suo sorriso era solitamente calmo e controllato, ed i suoi abiti erano impeccabili come sempre, stavolta lo sguardo di Erwin era solo fintamente calmo e controllato, e lo era in una maniera così forzata, che questi non si preoccupò nemmeno di fingere sorpresa quando vide l’uomo con il borsalino.

“Ah, Nile. Eccoti.”

Nile? L’attenzione di Eren passava da un uomo all’altro, la rabbia sostituita da curiosità.

L’uomo con il cappello, ora identificato come Nile, si fermò. “Erwin? Che stai facen – ”

“Vecchio sciocco, ti sei dimenticato che ci dovevamo incontrare qui davanti per cenare insieme?”

“Vecchio? Guarda che abbiamo la stessa età.”

Persino Eren dovette ammettere che Erwin si portava gli anni molto meglio.

“Forza Nile, non scocciamo questo bel barista ancora di più. Probabilmente ha da lavorare.”

Nile fece una smorfia ad Erwin, e poi ad Eren, e strinse gli occhi. “Aspetta, quindi voi due vi conosc – ”

“Sto morendo di fame.” Lo interruppe Erwin, accompagnando Nile con una mano sulla sua schiena. Lanciò un ultimo sguardo ad Eren, e i suoi occhi blu lo avvertirono di non pronunciare una sola parola. Eren chiuse le labbra perché sapeva che era esattamente quello che stava per fare.

“Dannazione Smith, vuoi smett – ”

“Buona serata.” Si sforzò di dire Eren, la porta che si chiudeva di fronte alle sue domande senza risposta, mentre lui si accorgeva che Love Alone dei Thriving Ivory aveva iniziato a riecheggiare per tutto il negozio. Era la nuova canzone preferita di sua madre.

Prese il bigliettino che l’uomo aveva lasciato con i soldi.

Nile Dawk [Giornalista]
Cellulare: xxx-xxx-xx02
E-mail: n.dawk@shinamail.com


Con uno ‘tsk’, Eren accartocciò il biglietto nella sua mano, non vedendo l’occasione in cui avrebbe potuto avere la necessità di contattare quell’uomo arrogante. Un corno che non aveva la più pallida idea di chi Levi fosse. Eren sapeva tutto quello che c’era bisogno di sapere su Levi. Non un brav’uomo. Quale tipo di uomo non-buono accompagnava qualcuno alla sua macchina ogni sera? Se Levi era così cattivo, perché spendeva le sue serate al caffè bevendo cappuccini e ascoltando i discorsi sconclusionati di uno studente universitario / barista su professori noiosi e scrittori preferiti? Che tipo di uomo cattivo poteva farlo sentire così coccolato e al sicuro e –

Eren girò intorno al bidone della spazzatura. Sapeva che il biglietto apparteneva all'immondizia e che non c’era ragione di tenerselo.

Non è un brav’uomo.

Lo faceva arrabbiare. Lo faceva arrabbiare così tanto. Tutto quello che Eren avrebbe voluto, era dare un pugno in faccia così forte a quel bastardo arrogante da fargli passare tutta quell’aria di superiorità. Questo – questo Nile Dawk lo faceva arrabbiare così tanto perché quei pochi minuti che era durato il loro primo incontro, la loro prima conversazione, aveva colpito tutti i suoi punti deboli, tutte le preoccupazioni che erano nascoste all’interno di Eren.

Non sono un santo, Eren.

Quelle parole non avevano significato nulla quando erano state pronunciate la prima volta. Ma erano tutto ora.

“ – sera?”

“Ah, mi scusi,” Mettendosi il bigliettino in tasca in fretta e furia, Eren si girò verso il cliente. “Benvenuto al Little Titan Café, è la sua prima volta qui?”






21:53

Stanco. Eren era stanco. Era stanco di un sacco di cose, ora che ci pensava. Era stanco dei clienti. Era stanco del fatto che era ancora inverno. Era stanco perché stasera avrebbe probabilmente nevicato – Shiganshina aveva avuto solo pochi giorni di neve durante gennaio e febbraio. Era stanco di tutti i saggi che doveva scrivere per materie che non avevano nulla a che fare con il suo corso di laurea. Era stanco perché era rimasto fino all’alba a giocare alle arene 3 contro 3 di World of Warcraft – Eren con il suo cacciatore, Jean con il suo stregone del ghiaccio e Armin con il suo monaco guaritore. Quella era tutta colpa sua, ma poteva comunque lamentarsi, no?

Era stanco perché gli sembrava che tutti tranne lui conoscessero i dettagli più importanti della vita di Levi.

Il negozio era vuoto da già una ventina di minuti, quindi lui era rimasto solo a sentirsi ancora più stanco ed annoiato. Non che Eren potesse incolpare qualcuno dell’imminente nevicata. Era anche domenica quindi avrebbero chiuso in anticipo rispetto al solito, ed era sempre un terno a lotto predire se una domenica sarebbero stati pieni o no. Di solito durante le settimane di esami lo erano, ma non c’erano esami per gli studenti universitari quella settimana.

Eren finì di mettere a posto il registro di cassa. Se un cliente sarebbe arrivato nei prossimi cinque minuti solo con i contanti sarebbe stato veramente sfortunato.

Alle ventuno e cinquantotto, finì di chiudere la cassa per poi andare alla porta e girare il cartello da ‘Aperto!’ a ‘Chiuso’.

Alle ventuno e cinquantanove, Levi era dall’altra parte di quella porta, una mano sulla maniglia mentre Eren teneva fermo a mezz’aria il cartello. Aveva le sopracciglia più corrucciate del solito e il respiro veloce formava in successione delle nuvolette. I primi bottoni della sua camicia erano aperti, la giacca a stento si teneva sulle sue spalle e la sua espressione era tirata, per quanto fosse possibile mostrarlo per il suo volto inespressivo. La neve aveva lasciato dei puntini bianchi sulle sue spalle e solo a quel punto Eren notò che già aveva iniziato a nevicare.

Aprì la porta, ma il primo a dire qualcosa fu Levi. “Dobbiamo parlare.”

Eren fece un sospiro. “Sì. Dobbiamo parlare.”






22:05

Forse non era usuale, ma Levi era seduto al suo solito sgabello al bancone, con un bicchiere di acqua stretto tra le sue mani. Una busta di carta marrone, abbastanza spessa, era poggiata sul bancone giusto al suo fianco. Nessuno dei due disse nulla mentre Eren sedeva nello sgabello di fianco al suo, né quando Levi fece un sorso d’acqua. I secondi passavano ticchettando. Un altro minuto e poi, finalmente, Levi sospirò.

“Ho incontrato Erwin quando stavo uscendo dalla Legion House.”

“Legion House?” Quel nome gli suonava familiare. “Non è – ”

“La casa editrice, sì.”

“Ma perché eri l – e Erwin?”

“Erwin è uno degli editori della Legion House, quindi ci lavora. Io ero lì per sbrigare delle commissioni quando l’ho incontrato. C’era un uomo con lui che credo tu abbia avuto la sfortuna di incontrare.”

Eren fece una smorfia. “Ah, lui. Quel giornalista.”

“Nile Dawk. Scrive soprattutto per lo Shina Sentinel.”

“Perché è così interessato a te?”

Il modo in cui Eren strinse le spalle quando il suo tono di voce era fieramente protettivo fece curvare le labbra di Levi in un lieve sorriso. “E’ più interessato in Rivaille che in me – ”

“Perché nessuno sa chi sia e sarebbe un grosso scoop se riuscisse a scoprirlo?”

“Eh.”

Il barista annuì. “E in qualche maniera ha scoperto che tu lo conosci e ti sta seguendo, al punto da arrivare a pedinarti fino a qui e farci delle foto.”

A Levi andò storta l’acqua. “Cosa?”

“Comunque,” Eren continuò, dandogli un colpetto sulla schiena. “Questo non spiega perché tutte queste persone sanno di te, persino questo Dawk.”

“E’ per questo che ti devo parlare di Rivaille.”

“Io voglio sapere di te, non di Rivaille.”

“Ascoltami e basta.”

Eren chiuse la bocca, fermando il milione di domande e proteste che avrebbe voluto fare. Era ovvio che Levi stava temporeggiando usando la scusa di voler finire il suo bicchiere d’acqua. Una mano si posò sul suo braccio, delicata e rassicurante e attirò lo sguardo di Levi, che si perse in quello sicuro e paziente di Eren Jaeger. Era come se gli volesse dire che andava tutto bene, e che poteva prendersi il suo tempo. Sentì una dolorosa stretta al cuore perché Eren era sempre così. Sempre così paziente. Sempre pronto ad aspettare Levi. Sempre pronto ad ascoltare ogni piccolo, stupido dettaglio che Levi gli raccontava. Sempre pronto ad aspettare quelle cose importanti che Levi non riusciva a dirgli perché non voleva rovinare l’immagine che probabilmente Eren aveva di lui.

Quello era forse uno dei problemi di Levi. Era convinto che Eren si fosse costruito un’immagine perfetta di lui, quando in realtà non aveva modo di sapere cosa realmente passava per la testa del ragazzo. Era convinto che avrebbe rovinato la perfetta immagine che Eren aveva di lui, quando in realtà era lui a voler essere perfetto ai suoi occhi.

“Rivaille…” Le parole gli morirono in gola all’inizio, ma furono poi pronunciate una alla volta. Più parlava e più era facile farlo. “… non è sempre andato d’accordo con la sua famiglia, o con i suoi genitori. Questi non c’erano quasi mai, e lui è stato praticamente cresciuto dalle tate. Non aiutò che, in giovane età, scoprì cosa faceva la sua famiglia – e cioè cose illegali.”

A questo punto Eren avrebbe voluto sorridere e prendere in giro Levi per aver detto così tante parole e frasi in una volta sola, ma sapeva che avrebbe solo rovinato l’atmosfera. Quindi annuì, invitando Levi a continuare.

“Quando era ormai già un adolescente, Rivaille entrò a far parte di una gang. Era già un ragazzo problematico da prima, in realtà: aveva partecipato a varie risse, vandalizzato proprietà altrui, rubato, marinato la scuola… le tipiche cose da teppista. Si è messo in così tanti guai…” Levi si passò una mano in faccia, come se fosse imbarazzato per le cose che aveva fatto Rivaille. “Comunque, se non fosse stato per suo padre che lo costrinse a ereditare gli ‘affari di famiglia’, sarebbe rimasto in quella gang a farsi di droghe da qualche parte. O sarebbe finito in prigione a vita.”

“Rivaille era drogato?”

“No, ma avrebbe finito per diventarlo se fosse rimasto in quella situazione a lungo.” Fu la lugubre risposta di Levi. “A Rivaille potevano non piacere i suoi genitori, ma non aveva nessun altro posto dove andare. L’università fu un fallimento. Non sarebbe mai riuscito a trovarsi un vero lavoro senza di loro. Gli fu insegnato ad essere un vero uomo, e dell’importanza della famiglia e della lealtà a questa, e che la famiglia è il legame più importante che ci sia.”

Eren sorrise, piegando la testa. “Sembra la mafia o una cosa simile.”

“Questo perché la sua famiglia è parte della mafia, Eren.”

Il ragazzo sbatté gli occhi una volta. Due. Tre volte. “…Eeeh? Impossibile!”

“Perché credi che Rivaille si nasconda sotto uno pseudonimo?”

Be’, ora tutto aveva un senso. Chissà quanti problemi avrebbe avuto Rivaille se le persone avessero scoperto chi era in realtà, per non parlare dell’attenzione dei media. “Ma è veramente…”

“Pazzesco?”

“Sì! E’ solo che – wow,” Eren si fermò per la meraviglia. “Questo vuol dire che tu – anche tu – ”

Il momento della verità.

“Sì.” Disse Levi, spostando lo sguardo e pentendosi subito. Il silenzio che seguì era opprimente come il peso che si era posato sulle sue spalle e che sapeva nessuno sforzo avrebbe potuto muovere. Non voleva nient’altro che vedere la reazione di Eren. Forse era troppo presto. Forse avrebbe dovuto aspettare. Forse Eren non era così pronto a sapere la verità ma era già troppo tardi.

“… Allora avevo ragione!” Trionfo. Eren suonava trionfante. Sembrava trionfante, ora che Levi si era permesso di alzare lo sguardo. “Lo sapevo. Io lo sapevo.”

“Potresti essere un po’ più serio, Eren.”

“Sì, be’,” Ora era decisamente compiaciuto. “Avevo ragione io e tu hai mentito. Non che sia una colpa visto che all’inizio eravamo estranei. Ma lo sai, ti si addice, questa cosa del criminale.”

“Questa non è una cosa che dovresti prendere così alla leggera,” Disse Levi, con un tono di avvertimento, mentre si avvicinava un pochino. “I criminali non sono bravi ragazzi.”

“Ma tu lo sei,” L’espressione di Eren era presuntuosa e testarda. “E non dire che non lo sei perché mi sono stancato di te e di tutti quelli che ti circondano che dicono che tu sei una cattiva persona. Perché non lo sei. Tu sei – ” Le parole gli morirono tra le labbra quando Levi prese gentilmente il suo volto tra le mani, con uno sguardo negli occhi così dolce e affettuoso che fece battere il suo cuore troppo velocemente. Ed Eren si chiese se si sarebbe mai calmato, quel battito.

“Grazie, Eren.”

Il barista posò le sue mani su quelle di Levi. “Sei un brav’uomo, Levi. Di buon cuore. Anche i criminali di animo gentile esistono.”

“Ne sei così sicuro?”

“Certamente.”

“Ti potrei mangiare, ora – ” Il mio omino di pan di zenzero.

“Magari te lo lascerei fare.”

Un lamento afflitto. “Non mettermi alla prova, Eren.”

“Baciami, Levi.”

Eren pensò davvero che Levi l’avrebbe semplicemente baciato. Era nei suoi occhi, nel modo in cui li aveva abbassati sulle sue labbra in uno sguardo acceso e disperato e pieno di desiderio – ma non lo fece. Posò la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi, come a volersi ricomporre. “C’è un’ultima cosa che devi sapere e poi sarà tutto alla luce del sole.”

“Va bene. Sputa il rospo.”

“Ho bisogno che tu legga una cosa.”

Eren aggrottò le sopracciglia, e parlò in tono impaziente. “Qualsiasi cosa sia non me la puoi semplicemente dire?”

I suoi occhi si riaprirono, la bramosia di prima era andata ma c’era ancora un accenno di disperazione. “Ti prego.”

“Va bene. Cosa vuoi che legga?”

Levi prese la busta marrone e la porse ad Eren, che la afferrò esitante perché era abbastanza spessa e la veloce lettura che aveva pensato di fare sembrava non sarebbe stata per niente veloce. “Non l’aprire ancora. Quando arrivi a casa, okay? Capirai di cosa si tratta.”

Che cosa sarebbe stato un altro giorno o due? Eren annuì, stringendosi al petto quella che sembrava una risma di fogli A5. “Va bene.”

Il bacio che Levi posò sulla sua fronte e il calore che si diffuse fino alla punta dei suoi piedi rese l’attesa non vana. “Grazie, Eren.”

“Per cosa mi stai ringraziando?”

“Per essere così paziente.”

Il barista artigliò la camicia di Levi, nascondendo il volto sul suo petto per celare la felicità che era quasi sicuro fosse resa fin troppo ovvia dalla sua espressione. “Se sei tu, Levi, aspetterei per sempre.”






23:57

Eren balzò sul suo letto, incrociando le gambe e posizionandosi confortevolmente mentre apriva la busta marrone, tirandone fuori il contenuto. Era rimasto confuso un attimo, all’inizio, ma il respiro gli si bloccò in gola non appena riconobbe il disegno sulla copertina del libro che aveva davanti. E lo riconobbe perché era stato lui a realizzarlo. Perché era una delle cose di cui parlava senza sosta a Levi, perché era fuori di sé dalla gioia che sia Levi che Rivaille lo avevano approvato.

Era mozzafiato perché la scritta ‘Attack on Eoten: La speranza dell’umanità’ era stampata in alto e il nome dell’autore (Rivaille) e dell’artista (Eren) erano in basso.

Una bozza. Questa era una bozza del romanzo e tutto quello che Eren era in grado di fare in quel momento era fissarla con meraviglia e stupore perché era stato lui a disegnarne la copertina. E, per qualche ragione, Levi voleva che lui leggesse la bozza per primo, quindi sollevò lo sguardo dalla copertina per aprire il libro e girarne una pagina. La prima era quella delle dediche.

In quel momento tutto ebbe senso.


– per il mio barista dagli occhi scintillanti:

Non sono un santo,
e ho combattuto senza fede così a lungo.
Ma improvvisamente sono caduto,
vittima di occhi luminosi.








Levi fece una smorfia scocciata all’uomo seduto al suo posto. “…Erwin.”

Tale uomo fece elegantemente un sorso del suo tè. “Levi.”

“Sei seduto al mio posto.”

“Come? Non vedo il tuo nome scritto da nessuna parte.”

Molto maturo. “Posso chiederti che diavolo stai facendo qui?”

Erwin sorrise, e gli occhi blu si posarono sul barista dai begli occhi che stava servendo un cliente. “Mi innamoro in una caffetteria.”

Cinque secondi dopo Erwin veniva cacciato via da un ometto molto arrabbiato.

“Innamorati in un’altra caffetteria, merd-win. Questa è già occupata.”


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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - Narcisi ***


The Little Titan Café
CAPITOLO 20: Narcisi

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Caramel flan latte


→ I narcisi rappresentano il perdono, un nuovo inizio e la rinascita. Il fiore ha una parte centrale a forma di tromba circondata da petali disposti a formare una stella. I narcisi nascono da bulbi e fioriscono ogni primavera, marcando la fine dell’inverno e l’inizio della nuova stagione.




Era stupido. Questa situazione era stupida. Lui era uno stupido.

Era patetico, davvero. E così tragicamente patetico perché Levi (dal cuore di pietra, il criminale purosangue, il potenziale-assassino-Levi, attenzione!) era in piedi davanti al caffè – qualcosa che si era trovato a fare fin troppo spesso ultimamente, ossia aspettare fuori al buio, come se timoroso di fare un passo nella luce – esitante ad entrare, con un piccolo bouquet di fiori stretto nella mano destra.

Cosa aveva intenzione di fare con quei fiori? Scusami, Eren, per non averti detto da subito che sono io lo scrittore che adori così tanto. Che sono un uomo terribile. Che sono un criminale. Che sono nato criminale. Che non dovresti avere nulla a che fare con me. Che io voglio comunque avere tutto a che fare con te.

Eren non era una ragazzina sciocca che poteva essere persuasa da un paio di miseri narcisi.

Non che tutte le ragazze potessero essere distratte con dei fiori. La maggior parte delle donne della sua famiglia avevano tentato di castrare i loro partner quando questi erano stati abbastanza stupidi da farle arrabbiare per poi cercare di fare ammenda con una dozzina di rose. Ma quello era solo perché la maggior parte delle persone della mafia erano naturalmente violente. Ma Levi era certo al cento percento che Eren era violento tanto quanto loro – se non di più (anche se non l’aveva mai visto picchiare qualcuno con i suoi occhi). E il fatto era che Eren non era come la maggior parte delle persone, non era nemmeno una ragazza, lasciando stare che una ragazza normale anche se avesse accettato i fiori risentita, poi avrebbe comunque reso la sua vita un inferno.

Eren era Eren. Un giovane uomo. Un uomo.

Dio, questi fiori erano stati un’idea stupida. Che cosa diavolo frullava nella testa di Petra?

“Pensavo che fossero un gesto carino.”

Levi non la guardò. “Ripetimi perché sei qui?”

“L'ho accompagnata in macchina.”

“Mh.”

“Perché lei era troppo impaurito per venire da solo.”

“…”

Il sorriso di Petra era paziente. “Non vi può ammazzare, a meno che non voglia andare in prigione. Quindi stia tranquillo, capo.”

L’espressione di Levi si incupì. “Non lascerei mai che Eren finisca in prigione.”

Lei sospirò, perché lui non aveva assolutamente afferrato il senso della sua affermazione. “Vuole che entri prima io per valutare il suo temperamento?”

“No.”

Passarono cinque secondi. “Allora sta entrando?”

“…”

Non era possibile. Non poteva essere… o no? Ma mentre se ne stava in piedi ad analizzare il suo profilo, Petra riuscì a vederlo nelle tenebre del suo sguardo, nel colore più scuro delle sue occhiaie, nella curva nervosa delle sue sopracciglia. Riuscì a vedere che Levi aveva paura. “Di cosa ha così paura, capo?”

“Ti ho detto di smetterla di chiamarmi così. Ho rifiutato quella posizione da ormai molto tempo.”

“Non creda che non mi sono accorta che ha evitato di rispondere.”

Lui chiuse gli occhi, abbassando la testa con un sospiro flebile. Non sapeva cosa aspettarsi quando aveva dato ad Eren la bozza del libro. Un messaggio. Una chiamata. Entrambi ed entrambi arrabbiati, magari. Magari qualcosa del tipo ‘non ci posso credere che tu non me l’abbia mai detto’. Ma Levi non aveva avuto né chiamate né messaggi, niente ad indicare la reazione di Eren o se Eren aveva letto o meno. Forse ci stava pensando su troppo, forse non c’era nulla di cui preoccuparsi, forse lui non aveva nemmeno afferrato l’indizio. Era stato troppo vago? Troppo sdolcinato? Così insopportabilmente sdolcinato che Eren aveva capito che non voleva avere niente a che fare con lui?

E poi, ancora, perché aveva lasciato che Petra lo convincesse a comprare dei fiori?

“Sono troppo vecchio per avere paura di cose come questa? Di…” Levi si massaggiò le tempie, con voce stanca. “… essere rifiutato.”

“No, Levi. E’ assolutamente naturale. Ma è davvero quello di cui è preoccupato? L’ha tirata abbastanza per le lunghe ormai, no?”

Dannate donne e il loro potere di analizzare tutto.

“Illuminami – visto che sembra che tu lo sappia così bene – per quale motivo sarei preoccupato?”

Petra alzò le sopracciglia in un’espressione provocatoria mentre procedeva nel fare una lista di tutte le insicurezze di Levi, tenendo il segno con le dita delle mani perfettamente curate. “Troppo vecchio per Eren. I suoi genitori probabilmente non approveranno la vostra relazione. La società non approverà la vostra relazione. Eren potrebbe stancarsi di lei quando invecchierà. Eren potrebbe stancarsi di lei quando realizzerà quanto lei è terribilmente noioso. Lei non lo merita per colpa del suo passato oscuro e… bla, bla, bla. Devo continuare?”

Be’ quando lei la metteva così… Levi si massaggiò il petto. “No.”

“Posso essere franca con lei, capo?”

Lui avrebbe voluto farle notare che era già stata franca, ma decise saggiamente di tenere la bocca chiusa e annuire.

“Le sue insicurezze sono un impedimento. Le ignori. Da quando in qua ha iniziato a interessarsi di cosa gli altri pensano di lei? Da quando in qua le interessa la norma e quali sono gli standard sociali? L’uomo che conosco io insegue il suo obiettivo e non si fa avvilire dalle cose che non possono essere cambiate.”

Quando lui non rispose, Petra gli diede un colpetto sulla spalla.

“Se ha capito tutto, che cosa sta facendo ancora qui impalato? Il suo ragazzo la sta aspettando.”

“Stavo ripensando ai tempi in cui mi parlavi con gentilezza.”

Lei rise. “Buona fortuna, capo.”

Levi afferrò la maniglia della porta, fermandosi nel freddo dell’inverno solo per un attimo in più. Il meteo aveva detto qualcosa sulla possibilità di una nevicata stasera. “Come tornerai indietro?”

“Mi viene a prendere Auruo. Ah, capo?”

“Mh?”

“Non si dimentichi di presentarci Eren come si deve, dopo.”

“Forse.”

Il campanello suonò al suo arrivo.






Eren non aveva capito molto bene come aveva fatto a finire seduto a gambe incrociate sul pavimento del negozio, mentre lasciava che una bambina facesse chissà cosa ai suoi capelli. Le aveva appena dato il suo solito – ‘una danzante colata di lava al cioccolato bollente con un’esplosione di zuccherini e panna!’ – quando Lily lo aveva rimproverato – rimproverato! – per i suoi capelli (‘che succede se un capello finisce nelle bevande? Sono troppo lunghi, ormai.’). Sì, non poteva crederci neanche lui. Una bambina di cinque anni che lo sgridava. Incredibile.

Ogni tiro e strattone ai suoi capelli, mentre le piccole mani paffute li raggruppavano insieme, fece smuovere la testa di Eren, ma lui strinse i denti e sedette obbediente, sopportando il dolore. Lily decise che l'elastico verde brillantinato era la scelta migliore perché era in tinta con gli occhi di Eren, e solo dopo aver finito, trovando che Eren fosse più presentabile, sorrise soddisfatta.

“Finito!”

“Grazie, Lily,” Eren si grattò la testa, allentando alcune ciocche di capelli con sollievo. “Non so cosa avrei fatto senza di te.”

“Ti dovresti tagliare i capelli.”

“Sembri mia madre.”

“Mpf.”

Eren sorrise forzatamente. “Spero che tu non mi abbia fatto qualche pettinatura da femmina.”

L’espressione di lei era angelica mentre nascondeva le dita incrociate dietro la schiena. “No, no.”

“Prometti?”

“Giurin, giurello!”

“Okay, allora mi fido.”

“Sono desolato per mia figlia.” Il padre di Lily si scusò, stringendo una delle sue manine nella propria.

“Nessun problema,” Eren alzò il viso con un sorriso. “I miei capelli sono stati una seccatura ultimamente perché mi stanno sempre davanti gli occhi, quindi lei mi ha fatto un gran favore.”

“Ah, per le bevande.” L’uomo iniziò a porgergli una banconota da dieci dollari ma Eren agitò la mano.

“Non si preoccupi. Offro io.”

“Ne è sicuro?”

“Sono sicuro – ” Iniziò a dire Eren ma la sua voce si affievolì mentre la porta del caffè si apriva, e la sua attenzione si spostò non appena vide Levi in piedi all’entrata e improvvisamente fu come la prima volta che lui era entrato, per l’ennesima volta. Il suo cuore avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi considerando il triplo salto mortale che aveva fatto nel suo petto. Eren era quasi sicuro che gli si fosse bloccato in gola, non permettendogli di deglutire. A dire la verità, non sapeva come avrebbe affrontato Levi dopo la rivelazione della sera prima. Aveva pensato di essere arrabbiato. Aveva pensato di essere felice. Aveva pensato di essere sconvolto e che avrebbe dovuto mandare via Levi fino a quando non sarebbe riuscito a chiarirsi le idee.

Ma non c’era nulla da pensare, realizzò.

Eren l’aveva fatto troppo ultimamente. Troppi pensieri. E si era stancato della cosa. Si era stancato di chiedersi cose e dubitare di altre perché non c’era proprio nulla da chiedersi. Nulla di cui dubitare. C’erano solo cose per cui sperare – e tutte cose buone.

“Levi.” Disse infine con voce flebile.

Levi si fermò in piedi all’entrata, e il suo sguardo tagliente si posò un momento su Lily e suo padre e poi su Eren, senza che lui sapesse bene cosa fare né come affrontare Eren. La presa sui fiori si strinse, e la plastica dell’involucro si piegò sotto le sue dita. Aveva una parola sulla punta della lingua, un nome che doveva essere pronunciato, ma tutto si fermò non appena vide il barista seduto su quel pavimento sporco con il suo bel sorriso e il suo bel viso e i suoi begli occhi e tutto il suo bellissimo essere e come era possibile che un piccolo codino potesse risultare così totalmente e completamente adorabile su un ragazzo, Levi non sapeva dirlo.

Questa. Questa creatura ultraterrena era sua.

Non in un senso possessivo, e non nel senso che Levi poteva fare di lui qualsiasi cosa voleva. Ma nel modo in cui le persone offrono i loro sentimenti e la loro fiducia. Nel modo in cui si rendono completamente vulnerabili per qualcun altro. E Levi finalmente aveva ottenuto tutto ciò.

“Eren.”

Eren era suo. Lo poteva vedere nella trasparenza dei suoi occhi verdi.

“Ciao.” Lo salutò il barista, con un sorriso così affettuoso e di benvenuto che gli si formarono delle fossette sulle guance rosate.

Levi era di Eren.

“Ti ho portato – ” Levi si schiarì la voce, alzando goffamente il bouquet di narcisi. “Ti ho portato dei fiori.”

Non c’era disgusto o orrore o confusione nella reazione di Eren, ma solo stupefatta felicità. “Grazie.”

“Sono narcisi.”

“Ah sì?” Eren si era alzato e stava camminando verso Levi.

“Mh.”

Strinse il bouquet tra le mani, posandole giusto sopra quella di Levi. “Sono molto belli.”

E lo pensava veramente.

A Levi non interessava dei fiori. Non pensava che fossero eccezionali. Avevano uno strano odore. Morivano velocemente. Erano fragili e facili da distruggere. Ma se facevano sorridere Eren in quel modo, allora ne avrebbe colti a migliaia.

Perché amava Eren Jaeger.

(l’incantesimo sotto cui erano caduti fu rotto dai mormorii sbalorditi e gli applausi del resto della clientela che rese entrambi improvvisamente consci di essere osservati.)






“Non ci posso credere che nessuno ha detto nulla.” Mormorò Eren. La cosa che lo rendeva ancora più imbarazzato era che sua madre era lì – sua madre che ora stava mettendo i fuori in un vaso pieno d’acqua.

“Chi poteva dire qualcosa quando eravate troppo preoccupati a farvi gli occhi dolci?” Chiese Carla, mentre Levi grugniva divertito da dietro la sua tazza di Caramel flan latte. A Levi non interessava che un gruppo di sconosciuti li avesse visti, e non si sarebbe fatto nessun problema se non fosse stato per il fatto che anche la madre di Eren era lì. Lei aggiustò i fiori nel vaso, ordinandoli in modo che ogni stelo avesse abbastanza spazio. “Sono contenta di avere finalmente il piacere di conoscerti, Levi.”

“Il piacere è tutto mio, signora Jaeger.” Disse Levi, in tono cortese.

“Mi pare di capire che stai uscendo con mio figlio.”

“Sì signora.”

“E che la vostra differenza di età è discutibile.”

“…Sì.” Come se potesse negarlo.

Carla sospirò quando si sentì soddisfatta dell’arrangiamento dei narcisi. “Probabilmente dovrei fare un discorso a mio figlio su quanto questa cosa sia inappropriata – ”

“Mamma!” Si lamentò Eren.

“ – ma sarebbe ipocrita da parte mia.” La donna sorrise in modo rassicurante. “Dopotutto Grisha ha quindici anni più di me, e la nostra differenza d’età non è mai stata un problema per noi.”

Eren sbatté gli occhi. “Davvero?”

Carla occhieggiò suo figlio con disapprovazione. “Non lo sapevi?”

“Be’, non ho mai saputo quanti anni avete.”

“Non sai quanti anni hanno i tuoi genitori?” Levi alzò un sopracciglio, compiacendosi del modo in cui Eren era stato messo alle strette.

Questi balbettò la sua risposta. “Perché mi dovrebbe interessare quanti anni hanno? Sono i miei genitori. Do per scontato che siano molto vecchi – ”

“Scusami?”

“Cioè, tu sembri ancora giovane, mamma. Non un giorno oltre i venti.” Ah, l’aveva scampata per un pelo.

“Comunque,” Carla riportò la sua attenzione su Levi, lasciando che il figlio servisse il cliente che si era appena fermato davanti la cassa. “E’ davvero un piacere conoscerti, Levi. Magari vorrai venire a cena da noi qualche volta così che potremmo parlare con più calma.”

“E’ proprio necessario?” Chiese Eren con tono spaventato, mentre prendeva i soldi del cliente.

“Non desidererei altro, signora Jaeger.”

“E’ deciso allora!”

Che cosa diavolo era appena accaduto, si chiese Eren mentre preparava da bere al cliente, sbalordito. Un secondo sua mamma stava mettendo i fiori in un vaso, e quello dopo lei e Levi stavano pianificando quale sera lui sarebbe potuto venire a cena. La donna lasciò il negozio con un sorriso e un bacio volante, il cappotto addosso e la borsa al braccio. Eren porse la bevanda al cliente, ancora confuso.

“Che cosa è appena successo?”

“Vengo a cena da te la settimana prossima.”

“Perché hai accettato?”

“Perché è tua madre.”

Eren sbuffò impazientemente. “E chi ha detto che a me sta bene? Sono arrabbiato con te, sappilo.”

Levi posò la tua tazza, guardandolo inespressivo come sempre. “Davvero?”

“Sì.”

Levi posò la mascella sul palmo della sua mano, al contempo compiaciuto e indifferente ed Eren era davvero arrabbiato con lui in quel momento. Ma non riuscì a rimanere arrabbiato perché in verità non lo era dall’inizio. Per niente.

“…Okay, va bene. Non sono arrabbiato. Ma ancora non posso crederci anche se – be’ posso, credo. E’ solo che ho avuto difficoltà ad afferrare che tu sei – ” Eren abbassò la voce in un sussurro. “Rivaille.”

“Pensavo che non l’avessi proprio capito, considerando quanto sei ottuso.” Lo prese in giro Levi.

“Non sono così ottuso.” Eren si sporse sul bancone. A Levi non sfuggì quanto Eren fosse a suo agio con lui, quanto aperto fosse tutto il suo linguaggio del corpo e come ogni suo movimento sembrava gravitare verso di lui. “Non sapevo cosa pensare all’inizio. Per un attimo ho creduto di aver immaginato tutto… ma più ci pensavo più ogni cosa mi portava alla stessa conclusione. Tutto aveva senso. E mi sono sentito… felice.”

Sollievo. Levi era stato preoccupato a causa di questo ragazzo imprevedibile, senza una buona ragione. Ma ecco il motivo per cui era stato attratto così tanto da Eren: la sua imprevedibilità.

Anche Levi era felice. Anche se era strano, essere felici. Non si era mai considerato felice o infelice. Era sempre stato così.

“Anche io lo sono.”






“Tuo padre è aperto come tua madre?”

Eren guardò fuori la finestra del negozio. Come aveva detto il canale meteo, stava nevicando, ma la neve non si stava stratificando. Girò l’insegna a ‘Chiuso’. “Mio padre è… indifferente. Quindi sì, direi che è aperto.” Allungò il collo per guardare dietro le sue spalle e fece un sorrisetto a Levi. “Hai paura, signor criminale?”

Il volto di Levi rimase inespressivo. “I criminali come me non hanno paura di niente.”

Eren non sapeva se era voluto o meno, ma la frase di Levi sembrava la citazione di un film. La trovò stranamente naturale e convincente pronunciata da lui. Fissò di nuovo lo sguardo fuori la finestra, con il respiro che formava una nuvoletta sul vetro appannato. “Cosa faremo ora, Levi?”

“Andiamo a casa.”

“Lo sai cosa intendo dire.”

Eren sentì il rumore di Levi che scendeva dallo sgabello, e i suoi passi mentre si avvicinava, e vide il suo riflesso nel vetro quando questi si mise di fianco a lui. “Domani, quando hai finito le lezioni, ti porterò fuori a pranzo. Ci vedremo a Little Italy, e pranzeremo insieme, forse parlando o forse in silenzio. E poi durante la sera verrò qui a trovarti. Tu lavorerai, e anche io. E il giorno successivo, tu sceglierai un posto dove vuoi andare a mangiare. E così ogni giorno, non mi interessa dove andremo o cosa faremo. Ti porterò ovunque tu voglia. Se vuoi andare al cinema, va bene. Se vuoi andare in un altro paese, va bene lo stesso.”

Eren piegò leggermente la testa, giusto quello che gli bastava per posare la guancia sulla spalla di Levi.

Voleva piangere per varie ragioni. Voleva piangere non perché era triste, ma perché era felice, perché era così bello stare lì in piedi ad ascoltare quelle parole pronunciate dalla voce di Levi. Eren non avrebbe mai pensato di essere capace di amare qualcuno così tanto, ma eccolo lì. Eccoli lì.

Voleva piangere perché tutto era lo stesso e tutto era diverso. Levi era ancora il silenzioso, indifferente uomo che la prima volta era entrato nel negozio, ma, allo stesso tempo, non lo era più.

Voleva piangere perché si era innamorato così follemente di Levi dal primo momento, ma, allo stesso tempo, era stata una stupida cotta che era diventata solo con il tempo qualcosa di più.

“Stai piangendo, Eren?”

Eren tirò su col naso flebilmente. “Ovviamente no.”

Delle mani insistenti e callose afferrarono il suo volto e non ci fu nulla da fare per Eren per nascondere le sue lacrime. “Sei bello quando piangi.”

“E’ la cosa più sadica che abbia mai sentito in vita mia.”

“Spero che tu non ti stia pentendo adesso.” Disse Levi, asciugandogli le lacrime con una carezza del pollice.

“E’ troppo tardi per pentirsi.”

“Esatto. Sei legato a me, Eren.”

“Bene.”






Febbraio sarebbe finito presto. Questa probabilmente sarebbe stata l’ultima nevicata della stagione, pensò Eren mentre chiudeva il negozio dietro di sé. La prossima settimana sarebbe arrivata la primavera e il clima si sarebbe riscaldato (“Grazie al cielo!” Aveva borbottato Levi. Anche se, ad essere onesti, si era un po’ affezionato all’inverno: si era abituato al freddo e all’andare in posti caldi, in piccole e piacevolmente riscaldate caffetterie dove un barista dagli occhi brillanti lo faceva sempre sentire bollente).

Eren stese le mani guantate davanti sé, catturando i fiocchi di neve e guardandoli sciogliere sulla pelle nera.

“Eren.”

“Mh?”

Levi gli strinse la sciarpa attorno al collo. “Se rimani lì impalato come un idiota, ti prenderai un raffreddore.”

“Pensavo che gli idioti non potessero ammalarsi.”

“Quindi ammetti di essere un idiota.”

“E’ – aaaah, sei sempre tu!”

Levi rise. Rise. Non era una di quelle risate che ti facevano venire le lacrime, o una fastidiosamente alta. Era una risata di cuore, accompagnata da un leggero echeggio interno, che fece sentire le farfalle nello stomaco ad Eren, e gli bucò il cuore, che prese a martellare nel suo petto così velocemente che a stento riusciva a distinguerne i battiti. Perché Levi stava ridendo, e gli sorrise in un modo che fece brillare i suoi occhi di una luce che Eren non aveva mai visto prima.

Attese fino a quando la risata non si spense del tutto perché era rara e adorabile e lo riscaldò fino alle punte dei piedi. Attese fino a quando Levi non si fermò a sorridergli in un modo così dolce da spezzargli il cuore, fino a quando Levi non lo guardò a sua volta, fino a quando non c’era più nulla di cui ridere o parlare. E solo a quel punto Eren avvolse le braccia attorno all’uomo.

Era mezzanotte in punto e si stavano baciando.

Un bacio che gli fece sentire le vertigini. Che li fece sentire deboli. Non osarono spingersi troppo in là, andare oltre i limiti. Perlomeno non ancora. Non quando qualcosa di così gentile, di così dolce fece tremare le ginocchia di Eren al punto che Levi dovette sostenerlo, le mani ad afferrare il suo cappotto e le braccia strette e calde e sicure attorno al suo corpo. Eren si strinse a lui per sicurezza, intrecciando le dita nei suoi capelli. Non pensava che avrebbe potuto lasciarlo anche se avesse voluto, e, soprattutto, non pensava che avrebbe mai potuto desiderare di lasciarlo.

Non fu esplosivo, ma… accese qualcosa in entrambi. Un fuoco che poteva solo crescere e bruciare, sempre più caldo e lucente.

Le loro labbra erano screpolate dal freddo, ma non lo rimasero a lungo, perché ad un certo momento tutto fu bollente ed Eren era certo che il suo volto era rosso. Era certo di starsi sciogliendo.

E oh, quanto era dolce il sapore dell’omino di pan di zenzero di Levi. Sapeva di caffè, di cannella e zucchero e di tutto quello che poteva desiderare. Ma non poteva divorare Eren come avrebbe voluto, si disse, catturando il labbro inferiore del più giovane tra i denti. Lo lasciò, baciando gli angoli della sua bocca, le sue labbra, più piano, più forte, fino a quando non ebbe Eren stretto tra il suo corpo e l’edificio, fino quando non fu sicuro che non sarebbe più riuscito a trattenersi come si era detto di fare solo tre secondi prima. Fino a quando il respiro spezzato e i gemiti rochi di Eren non irruppero nel silenzio della notte invernale.

E oh, quanto velocemente quel fuoco crebbe e Levi voleva di più, così tanto in più… Catturò quegli occhi brillanti, lucidi e frastornati.

Gli ci volle un attimo per accorgersi che anche lui non aveva più fiato.

“Tutto… bene?”

“Sì.” Fu la risposta strozzata di Eren.

“Mi dispiace. Mi sono fatto prendere dal momento.”

“Anche io.”

Levi pulì un rivolo di saliva dal labbro inferiore di Eren. Le sue labbra si schiusero leggermente, tumide e rosse e invitanti. Così dolci. Si sentì di nuovo un diciasettenne, pronto ad assalire Eren dopo un solo bacio. “Domani. Domani ci vedremo a Little Italy per pranzare.”

“A che ora?”

“Alle undici e mezza.”

“Non vedo l’ora.”

“Domani, allora.” Lo sguardo di Levi cadde di nuovo sulle labbra di Eren.

“Domani.” Confermò Eren, e le sue dita strinsero di nuovo le ciocche di capelli neri di Levi.

“Ultimo giro.”

“Ultim – ” Eren non riuscì a ripetere la frase, che già si stavano baciando di nuovo. Questa volta senza quel fuoco che minacciava di consumarli. Era lì. Sarebbe sempre stato lì. Ma lo respinsero in favore di qualcosa di più clemente.

Il mondo era silenzioso attorno a loro, la neve continuò a cadere, il tempo continuò a trascorrere, e l’inverno finì.









Salve a tutti! Qui la traduttrice! Stavolta mi sono messa alla fine per non rovinare l'atmosfera con le mie scemenze... non ci speravate più in questo bacio vero??? Manco io fino a due settimane fa quando è finalmente uscito il capitolo xD. Spero che penserete che ne sia valsa la pena... io sinceramente direi di sì xD. Il capitolo 21 (l'ultimo per chi ancora non lo sappia) ancora non è stato pubblicato ma ho parlato con l'autrice e mi ha detto di ricontattarla fra una decina di giorni per pressarla xD quindi le invierò i vostri commenti a fare da 'reminder'... e arriverà fra le due settimane e un mese massimo (io appena esce lo traduco!). Se qualcuno va in ansia perchè non aggiorno non vi fate scrupoli a mandarmi un bel messaggio privato o lasciare un commento per farvi una chiacchierata e chiedermi info, mi fa sempre piacere xD. Grazie tantissimo a chi sta leggendo e a chi ha inserito la storia nei preferiti/seguiti/da ricordare e in maniera particolare a chi ha lasciato un commento... siete tutti adorabili. Visto che il prossimo capitolo uscirà abbastanza presto lascio degli annunci che ho da fare (xD) per quello. Un bacione!
SULLA TRADUZIONE: errori blablabla. Il caramel flan è il crème caramel, ma suonava meglio flan xD. Sono stata molto indecisa su se tradurre i fiori come 'narcisi' o 'giunchiglie'... diciamo che la frase all'inizio - che è la traduzione di quella che ha dato l'autrice (lei l'ha trovata su un sito inglese) - contrastava con tutti i significati dei fiori che ho trovato io in italiano sia per i narcisi che per le giunchiglie (che poi sono più o meno la stessa cosa? Le giunghiglie sono narcisi gialli???)... vabbè in pratica alla fine ho deciso per narcisi e ho lasciato quel significato del fiore lì. Ovviamente anche in questo capitolo mi sono presa un paio di licenze poetiche (mi sono trovata davanti al problema slang per la seconda volta ma non vi dico dove voglio vedere se la mia frase suona male o no xD) ma erano adattamenti necessari... se qualcuno ha qualche suggerimento di traduzione migliore io accetto umilmente come al solito.





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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - Lieto fine ***


The Little Titan Café
CAPITOLO 21: Lieto fine

Grazie per essere venuti al Little Titan Café!


Tre mesi dopo – maggio


“Eren,” Levi si tolse gli occhiali proprio mentre Eren si girava verso di lui, le sopracciglia aggrottate in un dolore atroce. Lo fissò implorante e speranzoso – Levi stava per offrirgli qualche saggia, utile parola per aiutarlo a superare questa fase difficile della sua vita? Gli adulti erano pieni di queste cose, no? Consigli utili. E così sembrava dal modo in cui Levi tenne lo sguardo di Eren,, risoluto, le sue stesse parole un flusso infinito di sicurezza di sé. “Scrivere un saggio è come quando non riesci ad andare in bagno. Devi sforzarti.”

Due sedie più in là, Armin annuì. “Ha ragione, Eren.”

“Quindi questo è il consiglio di un adulto, eh.” Mikasa prese un lungo sorso del suo smoothie al lampone, scambiandosi di traverso occhiate ostili con Levi. In qualche modo erano riusciti a sopportarsi negli ultimi due-tre mesi. Parola chiave: in qualche modo. Avevano ancora molto su cui lavorare, ma Eren era contento di vedere che stavano imparandosi a tollerarsi.

Ma tale contentezza ebbe vita breve.

“Molto maturo, Levi.” Si lamentò Eren, lasciando sbattere la fronte contro il bancone.

“Questo è il tuo ultime esame, no?” Armin sorrise incoraggiante. “Perlomeno il tuo professore non vi ha fatto sostenere una verifica.”

“E’ vero.” Sospirò Eren, alzando la testa. Non sarebbe riuscito a studiare su internet abbastanza da passare un vero esame, quello era certo, e soprattutto non quando non aveva nemmeno letto il materiale che gli era stato assegnato durante l’ultimo semestre. Doveva solo scrivere quest’ultimo saggio per il professor Frankstein e poi sarebbe stato libero.

Solo fino ad agosto, ma non voleva pensare a un futuro così lontano, non quando quello vicino implicava le vacanze estive, andare al mare, parchi dei divertimenti, forse più ore di lavoro, traslocare nel suo nuovo appartamento con Armin e Mikasa e più tempo da passare con il suo fidanz – con Levi. Sì, fidanzato non suonava molto bene per varie ragioni e ogni volta che Eren pensava a quella parola si faceva tutto rosso in viso e imbarazzato e – “Eren, perché stai arrossendo?”

“Stai zitta, Mikasa. Non sto arrossendo.”

“Probabilmente sta pensando al suo fidanzato.” Disse Levi, rimettendosi gli occhiali a posto.

Eren deglutì, scegliendo di ignorarlo e di mettersi a fissare con odio il foglio vuoto a righi posato sul bancone. Ipoteticamente avrebbe dovuto essere nel pieno della stesura del suo saggio. Giusto. Ma come poteva quando la primavera era arrivata e più il clima si faceva caldo, più Levi si vestiva in maniera informale? Ad esempio, oggi aveva addosso una t-shirt aderente. Un t-shirt che era particolarmente attillata sul petto e sui bicipiti. E sì, era fin troppo affascinante con quegli occhiali dalla sottile montatura nera. Più maturo. Non che non sembrasse già maturo considerando che era più grande di lui ed un adulto, ma era sempre sembrato più giovane della sua età mentre con gli occhiali sembrava più grande ed Eren aveva veramente bisogno di smetterla di blaterare nella sua stessa testa quando aveva cose su cui concentrarsi.

Anche Eren era un adulto. O perlomeno si supponeva che lo fosse. Ma quale studente universitario si poteva dire veramente un adulto?

Forse era una cosa degli adulti-più-vecchi, o una cosa di Levi, ma sembrava che lui sapesse sempre cosa Eren stesse pensando perché nel momento in cui Eren alzò lo sguardo, si accorse che Levi lo stava fissando, come se sapesse tutto e ne fosse anche compiaciuto. Ma c’era anche una nota di tenera adorazione, e questa fu la cosa che lo fece imbarazzare più di ogni parola di scherno.

“V-voi avete già finito i vostri esami?” Eren chiese ai suoi amici, nel disperato tentativo di distrarsi.

“Ah sì. Ho finito la settimana scorsa.” Mikasa era stata fortunata perché aveva fatto tutte le verifiche nella prima settimana di sessione di esami.

“Devo solo consegnare la mia tesi.” Armin fece spallucce.

La faceva semplice, lui. “Ugh. Tu sei troppo intelligente, Armin.”

“Non avresti dovuto mettere da parte gli esami su materie non inerenti all’arte per così tanto tempo.”

“Sì, sì.”

E probabilmente non avrebbe dovuto battere la fiacca all’università, lavorando di più e seguendo meno corsi, perché ora ci avrebbe messo un semestre in più a laurearsi.

Mikasa terminò il suo smoothie in un ultimo sorso. Prese il suo borsone da palestra, posandolo sul bancone un attimo prima di metterselo in spalla. “Devo andare ora. Ci vediamo la settimana prossima.”

Armin si spostò un pochino al lato, per darle più spazio per aggiustarsi la borsa. “Divertititi.”

“Mi sarebbe piaciuto venire alla festa.” Disse lei accigliata. “Se solo si sarebbe potuta spostare la settimana di campeggio che la mia famiglia organizza ogni anno…”

L’attenzione di Levi fu attratta momentaneamente da Mikasa che scendeva dallo sgabello, e il suo sguardo cadde sulla scritta ‘Ackerman’ segnata con il pennarello indelebile nero su un pezzo di scotch. “Ackerman, eh.”

“Conosci la mia famiglia?”

“Hm. Chissà.”

“Che cosa vorresti dire?”

“Anche il mio cognome è Ackerman.”

Tre paia di occhi si girarono a fissarlo.

“Il mio nome è Levi Ackerman.”

“Cosa?”

“Perché sei così sorpreso, Eren?” Mikasa girò intorno a lui, con le spalle che si strinsero in tono difensivo.

“Ehi, non ho mai saputo il suo cognome, okay?”

“Quindi sei uscito con lui tutto questo tempo ma non conoscevi nemmeno il suo cognome?”

“Come se lui sapesse il mio.”

“Jaeger.”

“Quando l’hai scoperto?”

“Tu me l’hai detto.”

“Quando?”

Levi fece spallucce.

“Okay, aspetta.” Eren fece un cenno con le mani, mentre i suoi occhi guizzarono da Mikasa a Levi, che entrambi lo stavano fissando con la solita espressione impassibile. Se era vero – se era possibile che fossero imparentati – be’, Eren sarebbe riuscito a capire il motivo delle loro inspiegabili somiglianze, questo era certo. “Quindi voi due, siete parenti?”

Mikasa e Levi si studiarono a vicenda, le loro espressioni intellegibili. Passarono tre pesanti secondi di silenzio prima che si girassero e pronunciassero un brusco: “No.”

“Come se potessi essere imparentata con questo gnomo.”

“Deve essere una coincidenza.”

Una coincidenza. Doveva proprio essere una coincidenza. Perché Mikasa doveva avere qualche relazione con la mafia se il nome Ackerman era legato alla stessa. Eren era abbastanza sicuro che l’avrebbe saputo se la sua migliore amica d’infanzia avesse avuto legami con la mafia. Doveva essere così, no?

Giusto?

Giusto! Il solo aver considerato la possibilità che Mikasa fosse legata alla mafia era ridicolo. Era meglio mettere da parte certi pensieri stupidi e non perdere tempo a rimuginarci sopra. Aveva cose più importanti a cui pensare, tipo il suo saggio o se voleva mangiare messicano o cinese a cena. Probabilmente messicano. Si sarebbe preso un paio di burrito.

L’ignoranza è beatitudine.

“Ah, ehi ragazzi!”

Christa e Ymir rimasero in piedi vicino a loro, tenendosi a braccetto, un sorriso piacevole stendeva le labbra della biondina. Eren fece un cenno della testa. “Ehi, Christa. Non è che sei un’Ackerman anche tu ora? Non hai qualche oscuro e profondo segreto di famiglia? La tua famiglia non è un gruppo di delinquenti, vero?”

Okay, forse Eren ancora non aveva smesso di pensarci.

“C-cosa stai dicendo, Eren?” Christa rise nervosamente, e un gemito le uscì dalle labbra non appena Ymir le diede una gomitata nel fianco.

“Che cosa sto dicendo?” Eren si grattò il retro della testa facendo una risatina. “Scusa. Devo essere impazzito per un attimo. Il mio cervello è fritto dagli esami. Come se tu potessi far parte della mafia.”

Armin era il più confuso di tutti. “Chi ha detto qualcosa sulla mafia?”

L’ignoranza è veramente beatitudine.

“Be’, cosa vi posso portare signorine?”






Quella sera il Little Titan Café rimase chiuso durante il normale orario di apertura.

Sasha stava incespicando in giro con gli occhi bendati, al centro del negozio, con una finta coda in mano mentre giocava ad ‘Attacca la coda a Connie’. Macho man (Reiner, ma Eren preferiva sempre chiamarlo ‘macho man’) urlava direzioni dal lato: “Alla tua sinistra! Fuochino, fuoc – no, acqua, acqua ora!”

Connie agitò il sedere, canzonando la sua collega e migliore amica. “Forza, Sasha!”

O, perlomeno, quella che presto sarebbe stata la sua ex-collega. Questo era l’ultimo giorno di Sasha e Connie al Little Titan Café quindi Carla aveva deciso di chiudere il negozio in anticipo per una festa d’addio.

E proprio la proprietaria del negozio sedeva con il figlio ad uno dei tavoli, una guancia posata sulla mano mentre sorrideva affettuosamente alla scena. “… E’ un po’ triste, vero? Ma sono felice per loro. Avranno un impiego migliore e saranno più felici.”

“E’ anche strano,” Disse Eren, guardando Sasha finalmente riuscire ad attaccare la coda di plastica sul sedere di Connie. Lui fece una risata compiaciuta mentre gli altri esultavano. Sasha si tolse la benda e mise le braccia intorno al collo di Connie, che la alzò e la fece volteggiare in aria, posando un bacio a schiocco sulla sua guancia. Entrambi stavano sorridendo a trentadue denti. Così felicemente. La loro felicità era reale e contagiosa e persino Eren non riuscì a non sorridere. “Una volta si infilavano a vicenda le cimici nei vestiti durante le scuole elementari, e ora sono fidanzati ufficialmente.”

“State tutti finendo l’università, presto anche tu te ne andrai e io non vi vedrò più in giro per il locale.” Carla fece un sospirone.

“Ah mamma, per favore. Non iniziare di nuovo.”

“Non posso farci niente se non sentirmi sentimentale.”

“Sono sicuro che ognuno verrà ogni volta che gli sarà possibile.”

I clienti andavano e venivano sempre. Alcuni Carla li vedeva una volta e mai più, altri tornavano dopo un sacco di tempo di assenza. Alcuni erano senza volto e impossibili da ricordare mentre altri frequentavano il caffè ogni volta che potevano. Poteva ricordarsi di qualcuno, conoscere i nomi di altri, memorizzare gli ordini frequenti sino ai dettagli.

Con i dipendenti, invece, era sempre lo stesso. Si ricordava di tutti quelli che aveva assunto. Eren, Sasha e Connie erano stati lì dall’inizio: dall’epoca in cui avevano sedici anni e lei aveva aperto il negozio la prima volta.

E ora stavano lasciando lei e il Little Titan Café. Ma lei non osò credere che non sarebbero più tornati. Perché l’avrebbero fatto. Perché erano cresciuti in questa città. Perché avevano ancora le loro famiglie e gli amici qui, e avevano un posto familiare in cui tornare, avevano ancora questa caffetteria quando non c’era nessun altro posto dove andare.

“Sì.” Concordò Carla.

(Era il turno di Berthold di giocare ad ‘Attacca la coda a Connie’. Finì per attaccarla sul naso di Annie, con suo grande orrore.)

“Quei due passano sempre più tempo insieme.”

Eren guardò nella direzione dove era rivolto lo sguardo di sua madre. Marco e Jean erano seduti ad un tavolo a farsi gli occhi dolci. Era l’unico modo per descrivere il modo in cui si stavano guardando, tutto cuoricini e con l’infatuazione ad annebbiare i loro sguardi, come se si vedessero solo l’un l’altro (anche se, ad essere sinceri, ogni tanto si permettevano di guardare lo spettacolo che stava dando Berthold, sudando nervosamente sotto lo sguardo della ragazza bionda e bassina). Era felice che i due si fossero trovati bene da subito, che Jean non era più ossessionato da Eren e che ora potevano parlarsi come due normali ragazzi che non avevano niente tra loro.

“Ah sì, sono coinquilini ora.”

Carla ridacchiò. “I ragazzi di oggi vanno così veloci.” Poi si girò per sorridere ad Eren. “E, a proposito, spero che tu e Levi vi stiate prendendo il vostro tempo e che se siete già arrivati a quel punto stiate usando la giusta protez – ”

“M-mamma!”

Ah se solo la terra avesse potuto ingoiarlo. Eren era decisamente mortificato dal fatto che lei avesse deciso di parlarne, ma ancora più mortificato dal fatto che si stavano prendendo il loro tempo e usare protezioni o no non era un problema quando non erano ancora arrivati al punto in cui ne avevano bisogno, e in un certo senso questa era una cosa ancora più imbarazzante da ammettere.

Ma Eren non l’avrebbe detto a sua madre.

Sprofondò nella sua sedia, rosso come un pomodoro. “Papà mi ha già parlato della cosa, okay?”

“Volevo solo assicurarmene!”

Non preoccuparti, mamma. Tuo figlio non ha avuto rapporti sessuali con il suo ragazzo più grande di lui. Ragazzo. Uomo. Tuo figlio non ha avuto rapporti sessuali con il suo uomo perché è troppo codardo.

Uomo non andava bene. Fidanzato, ecco. Dannazione.

Eren era troppo impaurito dal fare sesso con il suo fidanzato perché era passato molto tempo da quando l’aveva fatto con qualcuno, e cosa sarebbe successo se non fosse stato all’altezza delle aspettative di Levi?

Era ridicolo che un uomo come lui fosse preoccupato da cose del genere?

Forse. Ma la loro intera relazione era stata lenta dall’inizio. Dal momento in cui si erano incontrati, dal momento in cui Levi era entrato nel negozio, tutto si era mosso lento e veloce. Tutto era nato da un fiammella che era cresciuta improvvisamente e sempre più brillante e calda con tutte le piccole cose che avevano scoperto l’uno dell’altro, con ogni sguardo e breve carezza.

Il bacio era arrivato improvviso e dopo era tutto quello che erano riusciti fare. Tutto quello che avevano voluto fare. Da quell’inverno, da quella notte nevosa, tutto era bruciato con passione. Eren si era sentito bollente, dalla punta dei piedi che si era piegata nelle scarpe. Queste sensazioni che Levi gli suscitava gli facevano sempre piegare le dita dei piedi con anticipazione e felicità, con desiderio e amore.

Levi era sempre stato paziente nonostante l’impazienza fosse sempre in agguato. Lo pressava, ma mai troppo.

E qualcosa su tutto ciò, qualcosa sul sapere, sul vedere l’impazienza e il desiderio che spesso Levi era costretto a tenere sotto controllo rendeva Eren nervoso. Gli torceva lo stomaco, facendogli sentire le farfalle.

Qualcosa nel modo in cui Levi teneva fermo il suo sguardo su di lui anche se era dall’altra parte del negozio, gli faceva martellare il cuore nel petto selvaggiamente. Tutto ciò che c’era nei suoi occhi, tutti i giorni e le settimane e i mesi in cui si era trattenuto. Tutti i modi in cui voleva Eren. Tutti i modi in cui voleva amare Eren se lui sarebbe stato d’accordo.

“Pensavo che mi avreste parlato di Rivaille.” La voce di Nile interruppe il flusso di pensieri di Levi.

“Ho detto qualcosa del genere?” Chiese Erwin, mescolando il suo caffè freddo con una cannuccia.

L’espressione di Nile non era contenta. “Invece siamo a questa specie di festa. Che perdita di tempo.”

“Hai bisogno di rilassarti ogni tanto, Nile. Stare sempre a stressarti su ‘Rivaille questo’ e ‘Rivaile quello’ ti ha fatto venire un sacco di capelli grigi.”

“Dovrei tingermi i capelli come fai tu, per nascondere il grigio?”

“Io non ho nessun capello grigio,” Disse Erwin. “Sono troppo giovane per queste cose.”

“Abbiamo la stessa età.”

“Eppure tu hai i capelli grigi. Non lo vedi cosa ti fa lo stress?”

Hanji era impegnata con il suo cellulare quando vide qualcosa che fece stirare le sue labbra in un sorriso. Fece una risatina, “Ah, Leviii.”

Quando lei cantilenava il suo nome in quel modo, lui aveva sempre un sentore spiacevole. Levi non spostò il suo sguardo da Eren. Voleva vedere il ragazzo contorcersi, arrossire fino a quando tutto il suo corpo sarebbe stato rosso. “Cosa c’è, Hanji?”

“Ehi Erwin, ti ricordi di questa?”

Al posto di farlo vedere a Levi, Hanji agitò lo schermo del telefono di fronte ad Erwin e Nile. La pelle di Nile sbiancò mortalmente, mentre un rantolo mortificato usciva dalle sue labbra. Erwin sorrise. “Ah sì. Questo mi fa pensare che anche io ho una foto simile di Eren.”

L’attenzione di Levi si rivolse a loro, sospettosamente. “Che foto?”

L’ultima cosa che si sarebbe aspettavo era di vedere una foto di Eren la sera in cui il Little Titan Café aveva organizzato una giornata a tema cameriere.

“Che diavol – ”








“Tornate presto, okay?”

Connie e Sasha non fecero nulla per nascondere le lacrime che stavano cercando di trattenere mentre abbracciavano Carla. Lei sorrise e li abbracciò nello stesso modo in cui abbracciava sempre Eren, Mikasa ed Armin.

“E abbiate cura di voi. Sono così felice per entrambi.”

Inutile da dire, il loro arrivederci non fu un arrivederci senza lacrime, e per il momento in cui la festa fu finita e tutti se ne erano andati, Eren aveva consumato un intero pacchetto di fazzolettini per far asciugare gli occhi a sua madre. Le donne emotive non erano mai state facili da gestire per lui.

“In qualche modo tutto è stato sorprendentemente tollerabile.”

Eren annuì, concordando. Vide Armin ed Annie andare verso il parcheggio, e il biondo gli fece un sorriso nervoso mentre si avviava. Eren sorrise a sua volta e alzò i pollici incoraggiante. Armin intendeva chiedere ad Annie un appuntamento, ed lui poteva solo sperare che sarebbe andato tutto bene.

Il negozio era chiuso, l’aria era calda anche se era sera e uno dei lampioni si spegneva e accendeva ad interruzione. Era sorprendente che la lampadina fosse sopravvissuta così a lungo nonostante lo facesse continuamente.

“Grazie per essere rimasto, Levi.”

“Non sono rimasto con intenzioni innocenti.”

Eren si leccò le labbra, rallegrandosi di non essere faccia a faccia con Levi. Anche la sua pazienza aveva un limite, ed Eren lo sapeva. Sapeva già da molto che prima o poi questo sarebbe successo e il solo pensiero gli faceva venire le ginocchia molli. “…Sai, non è giusto.”

Poteva quasi vedere il modo in cui Levi aveva alzato il sopracciglio sottile.

“Eccomi qui, impaurito e nervoso. Mi sento così… imbarazzato quando ci sei tu. Non posso nascondere quanto arrossisco. Non posso far smettere il mio cuore di battere così velocemente. Non riesco a stare calmo a prescindere da quello che faccio, e davvero credo che non sia affatto giusto. Specialmente considerando quanto mi distrai, tu, e le tue stupide braccia – ” A quello, il sopracciglio di Levi si alzò ancora un pochino, ma Eren non poteva comunque vederlo. “ – e quanto bene ti sta quella maglietta e quanto ti stanno bene quegli occhiali e quanto tu sia più maturo di me e quanto io sia ossessionato da te. E' stato così per tanto tempo, sai? Non è per niente giusto.”

“E pensi di essere il solo?”

“Eh?” Eren guardò oltre le proprie spalle, con sospetto e nervosismo. Levi sospirò, facendogli un gesto per farlo avvicinare. Eren lo fece, senza pensarci.

“Anche io sono ossessionato,” Disse Levi, schietto e semplice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo per lui. Guardò Eren come se avrebbe dovuto essere una cosa ovvia, perché per lui lo era. C’erano così tante parole che voleva dire ad Eren, così tante cose che voleva mostrargli, ma per qualche ragione era difficile esprimersi a voce alta. Sì, lui era uno scrittore, ma ciò non voleva dire che sapeva come parlare alle persone. Non sapeva come dire ad Eren quanto era bello ai suoi occhi, quanto era rimasto affascinato da lui, sin dal primo giorno, come nessuno dei suoi pensieri era puro e tutto quello che provava era egoista. Avrebbe potuto dire qualcosa come ‘sei bello’, ma non bastava. “Mi dico sempre che dovrei essere più maturo. Ma è difficile e non voglio più esserlo. Voglio solo te, Eren. Tutto di te.”

Il modo in cui Eren abbassò le ciglia era maledettamente distraente.

“Devo dirlo, Eren? Devo dire quella parola che inizia per A – ”

Eren piantò entrambe le mani sulla bocca di Levi, gli occhi spalancati nel panico. Sembrava pronto ad esplodere. “Non credo di essere ancora pronto.”

Levi avvolse le dita attorno ai polsi di Eren con gentilezza.

“Ti voglio anche io, Levi.” Eren ammise, con voce flebile.

Levi allontanò le mani di Eren e lo baciò, piano e con dolcezza. Non credeva fosse possibile sentirsi così eccitati e sollevati contemporaneamente – per quanto tempo aveva bramato di sentire quelle parole? E ora il suo cuore stava battendo così velocemente che Levi era certo di star avendo un infarto.

E lì, sotto quella luce altalenante ed un cielo senza stelle, solo Levi poteva sentire il respiro sottile di Eren. Solo lui poteva vedere la luce nel verde smeraldo, poteva sentire il modo in cui Eren stava tremando leggermente, poteva sentire il proprio cuore forte e pulsante di agitazione. Levi carezzò la mascella di Eren con le dita.

“Vieni a casa con me, Eren.”

“Okay,” Disse Eren. Si lasciò andare contro Levi, e i loro volti si toccavano, le ciglia brune sbatterono contro la pelle pallida della guancia di Levi nel momento in cui si avvicinarono ancora. Tutti i muri erano crollati. “Okay.”








Sei anni dopo


Non ho mai creduto nel lieto fine, è una cosa creata per le favole. Il lieto fine non appartiene ad un mondo dove i giganti mangiano gli umani e le persone muoiono ogni giorno in modi tragici. L’unica cosa in cui potevamo sperare era di sopravvivere.

Non avevo mai creduto che avrei vissuto fino a questo giorno, ad essere onesto. Pensavo che sarei morto ad un certo punto, ma non così presto da lasciare le cose a metà. Pensavo che avrei combattuto la mia battaglia, avrei annientato gli Eoten, abbastanza che l’umanità potesse guadagnare un vantaggio in questa guerra – e solo allora sarei morto e la mia storia avrebbe avuto una fine.

Non credevo in un lieto fine per me stesso perché la realtà era troppo crudele.

Eppure eccomi qui. Eccoci qui.

Liberi.


Levi si tolse gli occhiali e si stese sulla sedia, riguardando le ultime frasi. Questa era la fine. C’erano ancora delle modifiche che dovevano essere fatte, probabilmente un sacco di aggiustamenti e revisioni che Hanji lo avrebbe costretto a fare, ma con questo, il suo quarto e ultimo libro, la sua serie Attack on Eoten era finita.

Era una sensazione strana – finire una storia. Lo faceva sentire vuoto e compiaciuto allo stesso tempo, come se una grossa parte della sua vita fosse arrivata alla fine.

Ma non importava. Aveva ancora cose di cui scrivere. C’erano altre storie da raccontare, altre idee che voleva buttare giù, ancora qualche lieto fine che sentiva il bisogno di condividere. Patetico, davvero. Levi a scrivere storie dal lieto fine. Ma la sua mentalità era cambiata e lo erano anche le sue prospettive, e mentre Levi alzava lo sguardo per trovare Eren che disegnava qualcosa di fronte a lui, pensò che un lieto fine era una cosa che si poteva scrivere.

Mentre sentiva lo sguardo di Levi su di sé, Eren alzò il volto, gli occhi lucenti e inquisitori e curiosi per natura. Piegò un pochino la testa e spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Negli anni Eren aveva tagliato e lasciato crescere i suoi capelli un sacco di volte. Oggi somigliavano allo stesso taglio che aveva la prima volta che Levi l’aveva visto al Little Titan Café: una massa indomabile di capelli bruni, e poi occhi brillanti. Ancora giovane e bello come il primo giorno.

“L’hai finito, Levi?”

“Nh.”

Eren posò il suo quaderno degli schizzi e si allungò con entusiasmo. “Posso leggere?”

“Puoi. Dopo.”

Eren mise il broncio mentre giocherellava con l’anello argentato sull’anulare della mano sinistra. Era un’abitudine che aveva acquisito nel tempo. “Va bene. Ah, a proposito. Dovremmo proprio andare. Mamma ci aspetta per cena.”

Levi annuì e chiuse il pc, mettendolo nella sua borsa insieme all’album degli schizzi di Eren. Si sentì una voce infantile, seguita da uno scintillio. “Papà!”

“Ah, eccoti qui.” Disse Eren, prendendo in braccio il bambino di tre anni.

Anche se era stato adottato, Levi non poteva far a meno di pensare che si somigliassero, Eren e il loro bambino.

“Stavi di nuovo infastidendo Marco?”

Marco era il manager del Little Titan Cafè.

“No!... tì.”

Eren strinse il suo nasino con un sorriso giocoso. “Sei pronto ad andare dai nonni?”

“Tì!”

Il verde dei suoi occhi non era lo stesso di Eren. Ma erano grandi e brillanti come i suoi, e Levi poteva vedere Eren nel modo in cui il bambino sorrideva, a trentadue denti e sempre entusiasta. Stringendo un braccio alla spalla di Eren, il bambino tese l’altra manina cicciottella, serio e impaziente.

“Perché tai lì fermo, babbo? Andiamo.”

E come Levi prese la sua manina e lasciò il negozio con la sua famiglia, pensò che un lieto fine non era così male.

FINE.








Sulla 104esima strada, tra lo stupefacente negozio di magia di Daz e il negozio di fiori di Hannah & Franz, troverai una pittoresca caffetteria chiamata Little Titan Café. Magari ti fermerai tornando da lavoro, o durante una pausa, o dopo l’ultimo corso della giornata all’Università di Shiganshina. Magari prenderai una tazza di caffè da portare, o forse proverai uno degli speciali del giorno.

Potrai sempre venire al Little Titan Café quando avrai bisogno di scappare dalla realtà. Provare uno dei nostri tè o infusi mentre ti rilassi in una delle nostre sedie con un libro. Gustare un dolce o una cheesecake al cioccolato chiacchierando con gli amici. Assaggiare uno dei nostri cappuccini, con un adorabile disegno fatto da uno dei nostri talentuosi baristi.

Che tu abbia bisogno di rilassarti o preparare qualche compito per la scuola, che tu sia qui per scappare o per aver un posto dove riposarti, i nostri baristi ti saluteranno sempre con un sorriso e un “Benvenuto al Little Titan Café!”.

Quindi se sarai mai da queste parti qualche volta, facci una visita!

Grazie per essere venuto al Little Titan Café!

Speriamo di rivederti presto.











Salve a tutti! Grazie per aver letto fino a questo punto. Grazie per aver lasciato uno o venti commenti, e grazie a chi ha inserito la storia tra i preferiti, i seguiti o tra le storie da ricordare. Grazie a chi ci ha accompagnato fino a questo punto. Ci sono tantissime cose da dire, quindi vedrò un po' di dividere tali cose in sezioni, così che possiate leggere quello che vi interessa!
SULLA TRADUZIONE: errori blablabla... Credo di non avere nulla da dire per la prima volta? xD

Un messaggio dalla traduttrice: A parte i ringraziamenti di sopra, che valgono sia per me che per l'autrice vi volevo ringraziare sinceramente di tutto il supporto che ho avuto, in maniera particolare con i commenti, durante questo viaggio. E' stato abbastanza difficile e decisamente impegnativo tentare di essere puntuale e precisa ma, nonostante tutto, sono felice di aver deciso di tradurre questa storia. Non solo ho avuto modo di entrare a contatto con tutte le persone splendide che l'hanno letta, ma ho avuto delle soddisfazioni incredibili, che mi hanno aiutato molto soprattutto perchè l'ultimo anno universitario è stato molto pesante per me e c'era veramente bisogno di qualcosa che mi distraesse e mi facesse felice. Vi sono veramente grata anche perchè non mi sarei mai aspettata che un tale numero di persone avrebbe letto ed amato questa fanfiction come me e questa cosa sicuramente si aggiunge alla serie di quelle che mi hanno resa così felice. Grazie davvero a tutti! (grazie a Heichou21 che mi ha corretto TUTTI gli errori di battitura in tutti e 20 i capitoli *^*)
Altre traduzioni: ad essere sincera questa non è la prima storia che avevo pensato di tradurre, ma, essendo l'altra un lavoro abbastanza complesso, sei mesi fa, quando ho iniziato questa l'ho fatto sia perchè pensavo ne valesse veramente la pena, sia per mettermi un po' alla prova. Penso di aver superato la prova e nelle prossime settimane inizierò a pubblicare la mia seconda traduzione... è un'altra storia ereri, ma è di un'altra autrice ed è abbastanza diversa da questa. Si intitola 'The 6th Ward' e l'autrice si chiama 'coldmackerel'. Non sto qui a parlarvene nei dettagli, ma forse se vi è piaciuta questa potrebbe piacervi anche quella. Il resto lo dirò nelle note del primo capitolo. Quindi ci rivediamo presto ;) (vorrei riuscire a tradurre e rispondere a tutti i vostri commenti prima di iniziare a pubblicare e forse tradurrò e risponderò a scaglioni, quindi se rispondo in ritardo ai commenti abbiate un pochino di pazienza <3).
Un messaggio dall'autrice: “Grazie mille a tutti per essere stati pazienti mentre scrivevo l’ultimo capitolo. So che la maggior parte di voi non era abituata alla lunga attesa di cui ho bisogno per scrivere, quindi mi scuso per questo! Spero solo che vi siate goduti la fine per quella che è, e sono grata per ogni singola persona che ha lasciato una parola gentile. In maniera particolare sono grata alla mia traduttrice che si è presa il tempo di tradurre questa storia e anche i vostri commenti… Onestamente non avrei potuto chiedere una traduttrice migliore o dei lettori migliori. Attendevo sempre di ricevere i vostri messaggi e ora mi sento un po’ triste perché non potrò più sperare di trovarli nella mia casella di posta ;_; . E’ stato un tale piacere ricevere tutti i vostri pensieri e il vostro apprezzamento. Siete veramente fantastici e spero che questa umile fanfiction vi abbia portato un po’ di felicità o anche solo un sorriso. Grazie mille per averla letta dall’inizio alla fine, ne sono veramente onorata <3.”
Altre storie dell'autrice: sono la prima a voler tradurre qualcos'altro scritto dall'autrice, ma per tutta una serie di motivi con cui non vi voglio annoiare, non ho qualcosa da tradurre. In cambio ho chiesto in regalo per me e per voi una one-shot ereri di raiting rosso, che molto probabilmente sarà uno spin-off di The Little Titan Café. Ovviamente sta a voi leggerla o meno, ma non appena l'autrice la pubblicherà, io la tradurrò, quindi ogni tanto venite a controllare questo profilo se vi interessa leggerla ;). Non è detto che nel futuro possa decidere di tradurre altro dell'autrice, ma dipende da un sacco di fattori, quindi potreste rivedere questo nickname o no.

Credo che sia tutto. Volevo anche dire che io continuerò sempre a controllare periodicamente questo account e che tutti i messaggi e i commenti che mi arriveranno continueranno ad essere tradotti all'autrice anche se sarà passato molto tempo, quindi se qualcuno ha voglia di lasciarci un pensiero è sempre apprezzatissimo. Un bacione!





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