The escape di piccolanene (/viewuser.php?uid=55068)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Escape ***
Capitolo 2: *** Anna ***
Capitolo 1 *** Escape ***
The escape
Capitolo 1
"Due anni prima…"
..."Mi chiamavo Isabella Fellini, avevo 15 anni, la
vita davanti e la morte dietro..."
"La mamma è di sopra,
sigaretta in mano e cioccolata in bocca. Lo stress degli ultimi 2 giorni si è
andato a posare sull' accumulato di un anno di dolore. Mi sento in colpa a
lasciarla così, ma non ho intenzione di soffrire ulteriormente. Due giorni fa è
arrivata una mail di papà, il fisco lo ha trovato e lui ha di nuovo bisogno di
soldi, mi chiedo per quanto mamma riuscirà ancora ad andare avanti
così...
Sono le 21.30, ancora un ora e mezza e tutto ciò non
mi toccherà più, come se non mi avesse mai riguardato.
Mi alzo dalla poltrona, poso il libro aperto sul
tavolino, e mi trascino faticosamente fino in camera mia. Nella penombra della
stanza scorgo il profilo della borsa accasciata sulla sedia della scrivania,
sopra un paio di pantaloni azzurri, una maglia blu e un maglioncino di un blu
più strano. E' insolito che mi vesta di un solo colore, quindi ho scelto
perlomeno sfumature differenti. Le Converse color jeans sono sotto il letto.
Guardo un ultima volta la mia stanza, super variopinta come è sempre stato il
mio umore, almeno fino al 24 aprile dell'anno prima, quando..meglio non
pensarci...mi dirigo verso il mio bagno privato, prendo la spazzola e un
elastico per capelli viola, mi raccolgo i capelli in una coda di cavallo il più
alta possibile, esco e torno alla mia poltrona e al mio libro.
Mamma scende, dice che è stanca e che va a dormire.
Perfetto. Rimango ancora un po' sulla poltrona, mi lascio raggiungere dal dolce
calore del fuoco che scoppietta nel camino, rimango così per un lasso di tempo
indefinito, poi mi alzo e scosto un mattone dal caminetto, dietro ci sono due
lettere.
Le prendo e le metto nel libro che ho intenzione di
portare con me. E' ora, prendo la borsa e ci metto i vestiti che sono sulla
sedia, le scarpe e il libro. Mi siedo sull'abbaino aperto. Mi lascio cadere nel
vuoto e finisco nel laghetto sottostante. A metà caduta ho lasciato andare la
borsa sperando che atterrasse sull'asciutto come da copione.
E' andato tutto bene. Tiro fuori un asciugamano che
avevo precedentemente preparato da sotto un cespuglio di margherite. Mi asciugo
e mi cambio, metto l'asciugamano e i vestiti che mi sono tolta sotto lo stesso
cespuglio. Recupero la borsa e mi avvio verso il garage dove ho il tempo di
controllare meglio cosa c'è in borsa: portafogli con carta di credito e
documenti. Io uccido: un regalo di Natale di una persona speciale, ora contiene
le due lettere. Un paio di jeans, una gonna e due o tre maglie. Ah, e le chiavi
di casa, le poso sulla sagoma di una macchina rally rotta e piena di polvere.
"Dannazione" fa ancora male, credo che non salirò più su una macchina in tutta
la mia vita...ora non pensiamoci.
"Addio" e nel momento in cui lo dico la macchina
sembra quasi capire le mie intenzioni.
Esco e mi reco in strada, mi fermo pochi minuti dopo
di fronte alla casa della mia migliore amica e del mio ex ragazzo (ex, da quando
è morto mio fratello e sono caduta in depressione) Stefania e Francesco. Prendo
le lettere e le poso davanti a casa loro. Mi concedo solo un ultima visita al
loro giardino sul retro, nel posto dove io e Francy ci eravamo visti seriamente
l'ultima volta...quando stavamo insieme.
"Ci torno anche io, a volte" il suono della SUA voce
mi colpisce forte come una cannonata in pieno petto e si trasforma in un dolore
quasi fisico. Le lacrime mi inondano gli occhi e non ho il coraggio di voltarmi.
Qualcosa mi cinge i fianchi da dietro e io non riesco più a trattenere le
lacrime, mi piego in due scossa dai singhiozzi. Sento un odore simile a quello
delle cicche alla menta e di nuovo quella voce, vicino al mio orecchio "Sono
qui". E' bassa e in un qualsiasi altro momento mi avrebbe tranquillizzato ma ora
non fa che peggiorare le cose. "Ti ho lasciato una lettera sulla porta" la mia
voce esce lagnosa e sottile, mi detesto. "Sei qui, perché non me lo spieghi?"
Come posso spiegartelo, fa troppo male. Tutto ciò che riesco a fare è voltarmi e
abbracciarlo forte, desiderando che quel momento non finisca mai, sperando che
il profilo di poco prima che mi inonda mi convinca a restare ma non è così.
Sciolgo l'abbraccio e guardo in quegli occhi stranamente blu che adoro tanto.
Quegli occhi che se sapessero vorrebbero tenermi qui, gli occhi che mi danno la
forza di correre via da quel giardino, gli stessi occhi che mi permettono di
ignorare la voragine che mi si è appena creata dentro.
Mi fanno male i polmoni per lo sforzo e non mi sento
più le gambe...svolto a destra nel vicolo che porta al molo e non mi fermo
finché non vado a sbattere in un tipo e crollo per terra. quello mi guarda
incuriosito, è un ragazzotto biondo e muscoloso sui 25 che dà l'idea dello
slavo. Mi offre una mano e mi aiuta a rialzarmi.
"Tutto bene?"Sembra veramente preoccupato, non devo
avere un bell'aspetto...il suo italiano ha un accento buffo che me lo rende
subito simpatico, evidentemente non è di qua.
"Sì, scusi tanto", mi giro e faccio per andarmene
quando un idea si fa spazio fra i miei pensieri come un ago da cucito attraversa
una stoffa particolarmente sottile.
"Scusi?" il tipo contro cui sono andata a sbattere
si gira e mi guarda in attesa che continui "Lavori su una barca vero?" L'ho
dedotto dall'accento e di solito sono brava a fare supposizioni, ma ora non ne
sono più tanto sicura. "Sì, sulla Salisbury, giù al molo n° 3. Salpiamo fra
poco" Lassù c'è qualcuno che mi ama! "Dove siete diretti?" Non che me ne importi
molto, anzi non me ne importa niente, ho appena trovato la soluzione ai miei
problemi. "Amsterdam" risponde, a quel punto sembra curioso di sapere perché gli
sto rivolgendo tutte quelle domande, non chiedo altro. "C'è posto per un mozzo
fra di voi? Non mangio molto e non mi interessa essere pagata" A questo punto
sembra davvero non capirci più niente, ma dura poco, solo un secondo, poi
riprende con la stessa allegria di prima "Certo! Io sono Tom, benvenuta a
bordo!" Uno spontaneo sorriso a trentadue denti mi si allarga sul viso, e si
specchia negli occhi del buffo ragazzo che mi si trova di fronte "Io sono Is..."
non voglio avere più nulla a che fare con quella vita, ogni volta tutto ciò che
la riguarda mi fa solo male " Veleno" Veleno, come quello che avrei voluto si
riversasse sul mio cuore in quel momento.
"Veleno?! Che nome insolito! Ma in fondo quale
ragazza normale va in giro chiedendo di poter salpare come mozzo su una barca
che non conosce e senza voler nemmeno essere pagata?" se non tenessi così tanto
a quel passaggio quel tipo sarebbe già in acqua. Mi sorride, evidentemente lo ha
detto per essere simpatico... non importa. "Molo 3"
"Sì, per di qua seguimi" mentre cammino al fianco di
Tom (in realtà devo quasi correre per stargli dietro) prendo i documenti e li
lancio nel fuoco di un senzatetto che dorme lì vicino. Tengo la carta di credito
in mano e la chiudo nella tasca interna della borsa prima di alzare gli occhi al
cielo da dove "Il mio fratellino" mi sta guardando. Salgo sulla barca appena in
tempo. Tom mi avverte che per quella sera posso andare in cabina a riposare.
Sono stremata e crollo su una branda. Mi sveglio 48 ore dopo per scoprire che il
viaggio è terminato da quasi due ore. Sono mortificata e mi scuso con Tom che
però mi tranquillizza con il suo solito sorriso rassicurante."
..."Fu così che arrivai ad Amsterdam"...
Isabella Fellini, 15 anni
Amsterdam
"Sono ad Amsterdam!"
non faccio in tempo a pensarlo che vengo quasi
investita da una banda di ragazzini in bicicletta, arretro per lo spavento e
picchio contro Tom che stava scaricando una cassa.
"Ahi!" di nuovo! Ma possibile che non riesca a
rimanere in piedi! Tom ridacchia e posa la cassa su di un carretto lì vicino. Mi
guarda e sorride, ha un bel sorriso, ed è anche contagioso perché gli sorrido a
mia volta. Ad un tratto mi dispiace doverlo lasciare."Senti, visto che ho
dormito per tutto il viaggio lascia almeno che ti aiuti a scaricare" Sembra
valutare se io sia o meno in grado di farlo. A quanto pare decide di sì perché
mi fa segno di seguirlo nella stiva e mi dà in mano una cassa di non so cosa.
Come la lascia ne sento il peso reale, mi cedono le ginocchia, sono sicura di
picchiare per terra ma un attimo prima di venire a contatto con il legno duro
della stiva vengo presa e tirata in piedi da Tom, "PORCA MISERIA", lo guardo,
anche se non dice niente capisco dallo sguardo che è seccato, molto
probabilmente sono viola in faccia ma lui sembra non rendersene conto, prende la
cassa che avevo in mano fino a pochi secondi prima e sale le scale che portano
su al ponte. Vorrei che si aprisse una voragine, esattamente sotto i miei piedi
e mi inghiottisse. Sento dei passi, dev'essere Tom, prima ancora di esserne
sicura comincio a dire" Mi dispiace tanto, davvero scusa per tutto il viaggio
non ho fatto altro che combinare disastri..." le parole mi muoiono in gola. L
persona che ho davanti non è Tom, senz'altro gli somiglia ma non è
Tom.
Quello che ho davanti è un ragazzino con i capelli
biondi, abbastanza lunghi, un po' tipo Jesse MC Cartney agli esordi, solo molto
più chiari. E gli occhi azzurri, come il mare d'estate, a riva, di quell'azzurro
che ti riempie il cuore di serenità. E' alto e magro, indossa un paio di jeans e
una felpa marrone col cappuccio. Il ciondolo di una collana portata a
braccialetto gli fa due giri del polso. Mi rendo conto di botto che lo sto
fissando, mi sento avvampare, abbasso lo sguardo e arretro dandogli così modo di
scendere gli ultimi gradini che lo separano dalla stiva. Non ho il coraggio di
guardarlo. "Di cosa dovrei perdonarti, scusa? tu non mi hai fatto
niente!"esordisce in un perfetto italiano.
Ha una bella voce, calda, mi viene in mente la voce
di un bambino, piene di innocenza, senza rabbia o rancore.
Alzo lo sguardo, ancora rossa in viso, lo trovo lì
che mi fissa, gli sorrido e cerco di riprendere il controllo della mia voce "Sì,
scusa, non era riferito a te. Conosci Tom? Pensavo tornasse presto, stava
portando su della casse ma non è qui, forse è arrabbiato con me, e avrebbe
ragione non ho fatto altro che essergli d'intralcio.." Ma che sto facendo, ho
cominciato a parlare velocemente e a dire cose assurde. Che figura! " Tu per
caso sai dov'è?Mi disp..."
" Tranquilla" mi interrompe lui " Mio fratello non è
il tipo che se la prende per queste cose, anche io da piccolo non facevo altro
che stargli tra i piedi! E' solo andato a parlare con il proprietario del
carretto , a quanto pare c'è stato un disguido".
" FRATELLO???"
" Sì, Tom è mio fratello maggiore, ah! Non mi sono
ancora presentato, io sono Daniel" per tutto il tempo non ha smesso un secondo
di sorridere, è un sorriso contagioso come quello del fratello, non so perché ma
mi sento subito meglio. Daniel si gira e si dirige verso una cassa più grande
delle altre, capisco al volo e lo seguo. La solleviamo in due e non mi sembra
così pesante ma credo che lui si sia caricato molto più peso di me! Appena sulla
banchina ci imbattiamo in Tom che ci saluta e ci dà una mano a caricare la
cassa.
" Vedo che hai conosciuto Daniel!" gli occhi azzurri
più allegri del solito, si avvicina a Daniel che gli sussurra qualcosa
all'orecchio. Dev'essere qualcosa di molto divertente perché Tom butta la testa
all'indietro e scoppia in una fragorosa risata, è una risata vera, affatto
preparata, una risata forte e roca che mi ricorda vagamente il ringhio di un
orso, che riempie tutta l'aria attorno a noi. Guardo Daniel con aria
interrogativa, ma lui non dice niente e tira una gomitata al fratello
intimandogli di smetterla. Mi sfugge una risata, è da tanto che non mi sento
così leggera, forse andarmene mi ha fatto bene per davvero , forse questo è
veramente l'inizio di una nuova vita.
" Allora, hai un posto dove andare?" La voce di
Daniel spezza il filo dei miei pensieri riportandomi alla realtà " Ecco,
veramente no! Cioè, ho intenzione di andare in un albergo..."
" Ti accompagno io, se vuoi. conosco un posto molto
carino"
"Ma tu non aspetti mai che la gente finisca di
parlare?!" mi dà fastidio! Però è così tenero, ha una faccia che riflette tutto
il suo dispiacere. E' ovvio che non l'ha fatto apposta! " Per farti perdonare
dovrai come minimo farmi vedere un ottimo ristorante dove andare a cena oltre
che l'albergo!".
Il volto gli si illumina di nuovo. " Vieni, per di
qua ".
Mi giro e cerco Tom con gli occhi, lo vedo sul
ponte, alzo un braccio e lo saluto e sono sicura che quel sorriso nasconda
qualcosa. Raggiungo Daniel. Mentre gli cammino affianco mi accorgo che un certo
numero di ragazze si voltano a guardarlo, a quanto pare è abbastanza noto,
mentre ci penso mi viene in mente che non gli ho detto il mio nome, mi blocco e
lui se ne accorge immediatamente. Si volta e mi guarda con le sopraciglia
inarcate per la sorpresa. " Che c'è?".
"Niente, è solo che non ti ho ancora detto il mio
nome!", ride, e mi guarda allegro. " Va bene. Facciamo finta di incontrarci per
la prima volta, ok?" propone lui.
" Va bene! Allora ciao! Io sono Veleno"
" Daniel, piacere di conoscerti, Veleno"
" Scusa, non è che mi accompagneresti? sono in cerca
di un albergo".
" Molto volentieri".
Lo guardo e scoppio a ridere, anche lui ride e io
penso che quando ride è molto bello. Sono contenta di essere lì con lui. Quando
smettiamo di ridere riprendiamo a camminare. Amsterdam è enorme, però non mi
piace molto, è grigia e fredda, e mi ricorda un ammasso di blocchi di cemento,
fa freddo, il vento mi scompiglia i capelli, c'è pieno di gente e non ci
metterei più di due secondi a perdermi, Daniel sembra capirmi e mi prende per
mano. Arrossisco automaticamente.
" Scusa, è solo che non ci vuole molto a perdersi se
non si conosce la città", il fatto che ogni volta si preoccupi mi
diverte.
" Continua a camminare, vorrei arrivarci prima delle
4 in albergo"
" Sono la due, abbiamo un mucchio di
tempo".
Siamo in una via pulita, con alti palazzi color
panna, fra tutti spicca un palazzo bianchissimo, con una scalinata d'oro che
scende sulla strada. Al centro la scalinata viene percorsa da un tappeto rosso,
fermato sugli scalini da alcuni cilindretti di ferro che fungono da peso in modo
che il tappeto non si sposti. Fino ad ora quella tecnica l'avevo vista applicata
solo sui tappeti degli altari in chiesa. Alzo gli occhi sul palazzo. La scritta
"Hotel Royal" spicca in lettere d'oro su una porta a vetri, dietro si intravede
una Hall con il pavimento di marmo e i muri chiari. Stringo la mano a Daniel che
si ferma. Gli indico l'hotel.
Lui mi guarda per un momento come per accertarsi che
io non stia scherzando.
" Devo dire che sei una persona poco appariscente!"
dice fra il sarcastico e il divertito.
Ha ragione, è un luogo troppo appariscente, e poi se
pagassi con la carta di credito verrei sicuramente rintracciata. Senza contare
che dovrei spiegare come posso permettermi una camera in quell'hotel che costa
sicuramente più di qualsiasi cosa mi venga in mente in questo
momento.
" Senti, i miei hanno che dovrebbe essere di mio
fratello ma che non viene utilizzato. A dire la verità penso che Tom non ci sia
neanche mai entrato. Comunque, loro si ostinano a tenerlo, puoi stare lì per un
po', mamma e papà non avranno niente in contrario"
Un appartamento, sì, non sarebbe una brutta idea, ma
non vorrei approfittare troppo di Daniel.
" Va bene. Se ai tuoi non dispiace."
" Ma no figurati! Vieni ti accompagno"
" Grazie. Allora Daniel, quanti anni
hai?"
" Sedici, e tu?"
" Quindici"
" Avrei detto sedici, sembri più grande"
" No, sei tu a sembrare più piccolo!" dico
scherzando.
" Uffa, non è vero. Dite tutti che sembro più
piccolo!" fa il tono un po' imbronciato, ma poi si volta e si mette a ridere, è
una risata pura, bellissima, priva di pensieri.
" Tutti?"
" Sì, tu, i miei genitori, Tom, i miei amici... ma
loro hanno ragione sono davvero il più piccolo del gruppo..."
" E, se non sono troppo indiscreta com'è che parli
così bene l'italiano?"
Daniel smette di ridere e mi guarda con quei suoi
occhi azzurri che mi trasportano in mondi lontani e sconosciuti, cavolo, lo sto
di nuovo fissando...
" Niente, solo che ho vissuto per un po' in Italia,
a Genova"
" Come mai lo dici così? Sembra che sia stata una
tortura"
" Bhé, in parte è così, non mi è piaciuta molto come
esperienza"
" Perché?"
" Non era un bel momento i miei genitori erano in
crisi e così mi hanno spedito in Italia da una zia di mia madre, perché secondo
loro là sarei stato più tranquillo..."
" Mi spiace. Anche i miei genitori sono
separati"
" Oh! Ma i miei non hanno divorziato, si è messo a
posto tutto. Come se non fosse mai successo nulla."
" Va bhè! Non importa, come mai, invece, mi hai
salutato in italiano?"
Daniel arrossisce visibilmente, la cosa mi fa
sorridere anche se mi lascia perplessa. " Ehm...ecco...hai parlato prima tu, in
italiano, e così ho parlato in italiano" dice senza troppa convinzione, poi
azzarda un sorriso" Ma se preferisci l'olandese..."
" No! No! L'italiano va benissimo! Un altra cosa,
cos'hai detto a Tom, prima quando si è messo a ridere?"
Arrossisce di nuovo, ancora più violentemente di
prima. " Io, nulla!".
" Sì invece, gli hai detto qualcosa all'orecchio e
lui si è messo a ridere, non sai che non è educato" dico in tono scherzoso,
sperando che basti a farlo parlare.
" No, niente davvero, non è niente di
importante".
" Dimmelo!".
" Non è il caso, davvero"
"Daniel!" cerco di avere un tono il più autoritario
possibile. Alla fine, anche se a malincuore, Daniel cede.
" Gli ho detto...però non ridere ok?"
" Non riderò, promesso"
"Gli ho chiesto perché le ragazze carine beccano
sempre lui..." dice tutto tenendo gli occhi fissi sull'asfalto, sono sicura che
la sua pelle bianchissima sia ancora più viola di quanto lo sia diventata la
mia.
"Bhé! Io a Tom gli sono picchiata dentro non l'ho
esattamente "beccato"" dico cercando di sdrammatizzare.
" Quindi dici che se mi " allargo" un po' cambia
qualcosa! Potrei provare con la palestra!" Scoppiamo a ridere tutti e due, la
gente intorno a noi si gira a guardarci, non importa, per la prima volta dopo
quasi un anno sono contenta! Non importa se sono in una città sconosciuta, con
un ragazzo che conosco da un ora appena, Daniel mi piace. E' simpatico e dolce e
gentile e con lui mi sento a casa. Lo prendo per mano e lui si volta a
guardarmi.
" Non ci vuole molto a perdersi se non si conosce la
città" dico cercando di ricordare le sue parole.
" Vieni, siamo quasi arrivati" Da quel momento in
poi parliamo e scherziamo come due vecchi amici, quando mi chiede come mai sono
arrivata ad Amsterdam su una barca come la Salisbury senza un posto dove andare
mi viene quasi voglia di dirgli la verità. Ovviamente non lo faccio. Quella
domanda è sufficiente a ricordarmi cos' ho perso andandomene, e quelli che mi
passano nella mente sono un paio di occhi azzurri che conosco troppo bene per
appartenere a Tom o a Daniel. Fortunatamente in quel momento Daniel esclama
"Ecco, ci siamo" e indica una porta in stile inglese pitturata di un lucidissimo
colore rosso.
" Queste sono le chiavi dell'appartamento" dice
porgendomi una chiave che ha un moschettone a forma di stella come portachiavi e
un biglietto" e il mio numero di telefono. Chiamami se hai bisogno".
" Ecco, io non ho il telefono però..."
" Puoi usare tranquillamente quello di casa, anzi se
non lo fai ti sbatto fuori" lo guardo sbigottita, dalle mie parti nessuno si
sarebbe preso tanta cura di me.
" Se hai bisogno di qualcosa..." continua Daniel
allegramente.
"Sì, ho bisogno di una cosa!"
Sembra sorpreso, evidentemente non si aspettava di
ricevere una richiesta così presto. Forse sto esagerando. Ma ormai sono in ballo
e questo gioco mi diverte, VOGLIO BALLARE.
" Hai promesso di mostrarmi un buon posto dove
mangiare, ricordi?".
" Ah! Sì! E' che pensavo che volessi stare u po' da
sola. Nuova città...nuova casa..." E' indubbiamente in difficoltà. ma non potevo
stare zitta!
" Bhé sì, ma è la prima sera, dovrei fare un po’ di
spesa..." Eccola! Un idea, di quelle buone, quelle che sai che riescono! E' lì,
a due passi da me, come Daniel in quel preciso istante.
" Se vuoi c'è un supermercato qui dietro
l'angolo"
" E...non è che c'è anche una boutique?"
" No",risponde ridendo " ma se vuoi ce n'è una in
piazza............... . E' vicina, un giorno ti ci porto"
Sorrido, quando fa così mi viene voglia di saltargli
al collo e urlare come una bambina di 3 anni.
" Ok! Allora ci vediamo!"
" Va bene, passo domani a vedere come va,
ok?"
" D'accordo"
Daniel si volta e muove qualche passo verso la
strada dove ha detto che si trova il supermercato. Lo guardo camminare da solo
in mezzo alla strada deserta. E' bello, le spalle dritte e il passo sicuro. Se
non fossi appena scappata di casa e non avessi il cuore frantumato in mille
pezzettini grandi come briciole sarei felice...
" DANIEL!" urlo appena prima che volti l'angolo. Si
volta per guardarmi.
" Grazie" è un grazie generico, per avermi aiutato a
trovare un posto dove stare, ma soprattutto avermi reso quasi
felice.
Lui sorride e si congeda con un gesto della
mano.
Ora è sparito dietro l'angolo, ma a me sembra ancora
di vederlo, lì, in mezzo alla strada, che cammina, per
me...
...L'Appartamento...
Mi chiudo la porta alle spalle e spingo un
interruttore sulla parete. La luce si accende rivelando una scala piuttosto
ripida che avrà a occhio una cinquantina di scalini, li percorro tutti, il luogo
è pieno di polvere. La cosa non mi sorprende, Daniel mi aveva avvertito che la
casa non era molto frequentata. Alla fine delle scale si apre una stanza. Un
salotto direi. I mobili sono tutti coperti da teli bianchi ma mi sembra di
riconoscere la sagoma di un divano. Accendo la luce della stanza e quello che mi
si para davanti mi lascia senza fiato. Le pareti dell'appartamento sono di un
caldo colore arancione, i pochi mobili scoperti sono di un legno scuro con delle
venature rosse che non fanno altro che addolcire l'aria della stanza. E' un
sogno. Muovo un passo per aprire la porta alla mia sinistra, le converse fanno
un leggero rumore a contatto col parquet. dietro la porta c'è una piccola stanza
arredata a guardaroba piena di scatole. Torno nella prima stanza ed entro in un
altra stanza, stavolta sulla destra. Trovo ad accogliermi una stanza rilassante,
i muri bianchi e il solito parquet. Al centro c'è un tavolino con sopra sei
sedie girate, come le mette la mamma lava per terra. Quella constatazione mi fa
male. sulla parete opposta due finestre chiuse fanno filtrare delle sottili lame
di luce che danno a quella scena un tocco di irrealtà. Faccio un giro intorno al
tavolo e mi porto vicino ad una di esse. E' di legno anche questa, o qui il
legno costa davvero poco o i proprietari della casa hanno una vera e propria
passione per quel materiale. Apro i vetri impolverati e spingo le persiane
all'infuori, si aprono cigolando ma con una velocità che dimostra quanto quella
casa abbia voglia di luce e di essere abitata. Apro anche l'altra finestra e mi
volto a guardare il tavolo alla luce. Vista così quella scena è molto meno
malinconica. Sul muro sinistro rispetto alla porta c'è un apertura che da su una
cucina, bianca e spaziosa, di quelle adatte per cucinare. Apro lo sportello del
frigo per controllare se funzione, ovviamente sì. Faccio la stesso con il
rubinetto del lavandino, l'acqua che ne esce all'inizio ha un brutto color
ruggine ma poi torna normale. La tocco, è gelida! Chiudo tutto e imbocco un'
altra porta che mi riconduce in soggiorno. Alla mia destra ci sono una scrivania
con un computer sopra e una poltroncina nera reclinabile che mi ricorda
vagamente il sedile di un automobile, ma potrei sbagliare, dopotutto, non salgo
su un auto da più di un anno...ahia, le briciole del mio cuore si stanno
frantumando ulteriormente diventando minuscole schegge. Non disperiamo proprio
adesso, ho ancora due porte da aprire, mi dirigo verso la parete opposta della
sala, mi ritrovo in un bagno azzurro e abbastanza spazioso. Abbastanza da
contenere sia la doccia che la vasca da bagno e uno strano cubo bianco che
presumo sia la lavatrice. Mi avvicino, sì, ho ragione, è una di quelle lavatrici
che si aprono dall'alto e che hanno un cestello in cui riusciresti a far entrare
anche un cadavere! Esco e apro l' ultima porta, vengo catapultata in un mondo
parallelo. La stanza è di una sfumatura indefinita tra il bianco e il giallo che
fa risaltare le venature del solito parquet. I mobili: due cassettiere, una
specchio con una base circolare alto circa un metro e ottanta e due comodini
sono di legno. Fra i duo comodini è posizionato un letto bianco con la testiera
imbottita che da un ulteriore senso di pace alla stanza. Sulla parete di fronte,
appena prima del letto, c'è una finestra uguale a quelle della sala da pranzo,
apro anche questa e torno di là. Mi guardo intorno in cerca di una finestra, la
trovo, e mi chiedo come ho fatto a non notarla prima, la finestra c'è, sì, ma è
grande come circa tre finestre delle altre, e distanziate fra loro di qualche
centimetro anche! Al posto delle persiane c'è una pesante tapparella. La alzo a
fatica ma ne vale la pena: il soggiorno alla luce è bellissima. Tolgo il
lenzuolo bianco dalla sagoma del divano e lo vedo, un due posti bianco di stoffa
davanti ad un grande televisore ultrapiatto attaccato alla parete. Tiro via le
lenzuola e scopro una libreria che occupa una buona parte del muro destro
insieme ad un tavolino con le gambe di legno e la superficie di cristallo.
Appoggiato al divano una dietro e uno affianco a sinistra, verso la finestra,
altri due tavolini in legno. Il pavimento quasi interamente coperto da un
tappeto dai colori caldi con alcuni disegni stilizzati che mi ricordano delle
tartarughe. E' incredibile ma in quel momento, in quella casa, a una distanza
assurda dal posto dove abitavo, mi sento, per la prima volta dopo tanto,
tantissimo tempo, a casa. Mi torna in mente il mio piano. Afferro le chiavi
dell'appartamento da sopra un tavolino vicino alle scale e mi precipito al
portone.
Uscita in strada comincio a notare il cambiamento di
clima. Mi dirigo verso il supermercato. E' dietro l'angolo e intanto faccio
mente locale:
1. Fare una spesa il più abbondante
possibile.
2. Trovare un negozio di vestiti e
"svaligiarlo".
3. Mettere in ordine e pulire la casa.
4.Trovare una scusa per chiamare Daniel.
"Coraggio Isabella" penso tra me "Non è così
difficile". Entro nel supermercato che riesco a riconoscere come mangiabile(io
mangio quasi esclusivamente cibo italiano) e pago con la carta di credito. Al
diavolo tutti. Quando mi rintracceranno io non sarò più a portata di mano,
almeno secondo loro. Chiedo alla commessa se mi può indicare un negozio di
vestiti, lei mi risponde che a un paio di isolati di distanza c'è una vi a di
negozi. La ringrazio ed esco. Poso le borse della spesa nell'androne delle scale
e mi precipito il più velocemente possibile nel luogo che mi ha indicato la
commessa. Come da copione, svaligio letteralmente la maggior parte dei negozi.
Compro vestiti, maglie, scarpe, pantaloni, cappelli, sciarpe, guanti, pigiami e
anche un paio di ciabatte, ovviamente pago tutto con al carta di credito. Quando
esco dall'ultimo negozio non sono sicura di riuscire a portare tutta quella roba
fino a casa. Circa a metà strada noto un barbone seminascosto nell'ombra di un
vicolo. Lo guardo, è piuttosto malridotto ma ha lo stesso un volto dall'aria
svegli, m accuccio in modo da poterlo vedere bene in faccia. Mi rispondono un
paio di occhi neri e brillanti, decisamente svegli.
" Ciao amico!" quello continua a guardarmi ma non
accenna minimamente a parlare. " Ho un lavoro per te! Io ora ti do questa carta
di credito, ci sono abbastanza soldi per andartene e comprarti una casa
rispettosa, puoi farci quello che vuoi, però devi andare il più lontano
possibile da Amsterdam. Va bene?" quello continua a guardarmi. Cavolo! Non ho
pensato che probabilmente non conosce l'italiano. Ripeto la frase in inglese,
quel poco che mi ricordo, comunque lui mi capisce perché fa un ghigno che
interpreto come un sorriso e annuisce. Gli porgo la carta di credito e lui la
afferra ad una velocità spaventosa. " ah! You have never seen me!" quello
annuisce, " Go! Now!" il barbone coglie al volo l'occasione, si alza e se ne va
per il vicolo. Io mi alzo, raccolgo tutti i vari sacchetti e mi incammino verso
casa. Per la strada mi fermo a comprare dei fiori, sono tutti colorati,
bellissimi, e prendo anche un paio di mazzi di margherite e uno di strani fiori
bianchi tipici del nord. arrivata a casa sistemo la spesa in cucina e i vestiti
nei cassettoni in camera, vado nella cabina armadio dove ora stanno appesi
alcune giacche e cappotti e alcuni paia di scarpe e stivali con relative borse,
sciarpe e cappelli e comincio a tirare fuori una serie di piatti, bicchieri e
soprammobili dalle scatole. In un ora ho sistemato tutta la casa, se prima era
bella ora è magnifica, chiunque abbia arredato quella casa e comprato i vari
soprammobili ha un ottimo gusto. Sono le otto e mezza, e io sono stanca morta.
vado in bagno con tutta l'intenzione di farmi la doccia. Quando mi tolgo la
maglia mi ritrovo con un profondo solco sulla pelle lasciato dalla borsa a
tracolla che non ho mai tolto in quei due lunghissimi giorni, in quel momento mi
rendo conto che non c'è più niente in me a parte gli occhi che ricordi chi ero
fino a due giorni prima e mi viene in mente il titolo del libro di Faletti:
"Niente di vero tranne gli occhi" da lì a "Io uccido" c'è poco, giusto il tempo
di pensare che sono rispettivamente il 2° e il 1° libro di una trilogia.
Respingo le lacrime a fatica ed entro nella doccia. Lì, sotto l'acqua finalmente
mi sfogo, all'acqua che mi scorre sul viso si aggiunge quella delle mie lacrime.
Rimango sotto la doccia per un tempo che mi sembra infinito, sufficiente a
riposarmi e a far finire le lacrime. Quando mi specchi ho ripreso un po' di
colore, per fortuna. Afferro dal gancio attaccato al muro un accappatoio bianco
morbidissimo, frutto della mia quasi ora e mezza shopping. Infilo le pantofole e
mi trascino fino in camera. Apro il cassetto dove ho posizionato i pigiami e ne
estraggo uno. E' carinissimo, azzurro con delle righe verticali sui pantaloni e
delle stelline blu. La maglia a maniche lunghe è tempestata di stelline
brillantinose riporta la scritta "I am a little star". Poco esibizionista. Sono
le 21 e 30, decido che è troppo tardi per mettersi a cucinare qualsiasi cosa. Mi
siedo sul divano e accendo la tv con la netta sensazione di aver dimenticato
qualcosa, qualche istante dopo mi torna in mente il piano. Daniel. Non ci stavo
pensando, ora che ho lasciato andare la tensione non ho affatto voglia di
vederlo, dentro di me sento solo tristezza e un enorme senso di vuoto, sono
stanchissima, sento solo il rumore di qualche auto al quale non riesco a fare a
meno di sobbalzare. Piano piano sento i rumori della strada attutirsi, rimane
solo il rumore ovattato delle ruote sull'asfalto e poi più
nulla.
...Risveglio...
Sento un rumore sordo, simile a quello di un
citofono, di nuovo, ma non possono andare a rispondere? A quest'ora di seri poi,
e accidenti, cos'è tutta questa luce che entra dalla finestra? Mi costringo ad
aprire gli occhi e scopro con mia grande sorpresa che è mattina. E nemmeno tanto
presto direi, guardo l'orologio che conferma la mia ipotesi. Sono le
10!
Un altro trillo mi riporta definitivamente su questo
pianeta e mi avvisa che c'è un poveraccio che suona alla mia porta da quasi 10
minuti. Che figura! " Chi è?" riesco a biascicare non troppo
convinta.
" Veleno! Sono Daniel!"
Cavolo! Corro giù per le scale cercando di mantenere
l'equilibrio e apro la porta. E' lì davanti, i capelli in ordine e gli occhi
svegli, indossa una polo nera a maniche corte con una righina bianca ai bordi
delle maniche e del colletto, e un paio di jeans normalissimi che gli donano un
aspetto semplice e pulito. Il ciondolo che gli avevo visto al polso il giorno
prima è ancora lì. Mi piacerebbe sapere cosa significa.
"Buongiorno principessa!" esclama lui dopo un attimo
di silenzio. Colgo al volo la citazione al film "La vita è bella" di Benigni.
Adoro quel film. Provo ad abbozzare un sorriso ma mi viene la nausea al solo
pensiero. "Ciao Daniel" rispondo senza tanto entusiasmo. " Entra pure" il suo
solito sorriso non scompare neanche dopo aver constatato che non sono dell'umore
giusto per scherzare. Noto che ha dei sacchetti in mano. Li indico con un cenno
della testa. Lui ne alza uno e dice " Lenzuola, mi sono reso conto troppo tardi
che non c'erano e dubito che ci fossero anche quelle dentro la borsa. "
"Oh! già " dal momento che mi ero addormentata sul
divano non ci avevo fatto caso. E no le avevo nemmeno comprate se è per questo.
" Grazie " afferro i sacchetti e mi incammino su per
le scale. é di nuovo Daniel a rompere il silenzio " Ti va se restio un po’ qui?
"
Annuisco " Non sarò una bella compagnia.
"
" La mancanza di casa comincia a farsi sentire, eh?
" dice sedendosi sul divano.
Mi immobilizzo per poco non lascio cadere i due
sacchetti, mi volto lentamente, pienamente consapevole di essere bianca e
sudata, sono sicura di non avergli detto niente di chi ero. Lui mi guarda
tranquillo ma non sorride più. " Non hai ancora acceso la tv? " guardo verso il
televisore, devo averlo spento prima di addormentarmi. Daniel afferra il
telecomando e accende su un canale olandese.
" forse è meglio se ti siedi. " non ci vuole la
traduzione per capire, le immagini spiegano tutto. Le immagini che scorrono
dietro il giornalista sono una spiegazione più che valide tutte recano la
scritta " Isabella Fellini scomparsa. " in inglese comprensibile a tutti. Guardo
Daniel che però ha ancora un aria tranquilla.
" Cosa dice? "ho il coraggio di
domandare.
" Oh! Nulla di che! parla di te, della tua vita dei
motivi che probabilmente ti hanno spinta ad andartene. ti hanno psicanalizzato
senza conoscerti! ". Intanto alla tv continuano a scorrere immagini, cartine di
Amsterdam e foto dei luoghi in cui ho usato la carta di credito e un video che
mostra mia madre, la sua voce coperta da quella del doppiatore olandese, sembra
distrutta. Non pensavo ci arrivassero così presto, Daniel alza il telecomando ma
continua a fissare il mio viso. Spegne la tv " Ti va di raccontarmi la tua
versione dei fatti? " annuisco ancora.
" Ho un fame da lupi,ti spiace se ci spostiamo in
cucina a parlare? " Daniel non risponde ma si alza e mi segue nell'altra stanza.
Apro il frigio e ne tiro fuori un cartoccio di latte, " Vuoi qualcosa? " lui
declina l' invito con un gesto della mano. Verso il latte i una tazza rossa con
delle righe giallo sole sopra e comincio a guardare il lattee a pensarlo come un
immenso mare bianco. Comincio a parlare sempre guardando il latte ma
evidentemente non è sufficiente a distrarmi perché appena dopo l'inizio sento le
lacrime rigarmi il volto. Daniel mi si avvicina e mi cinge la vita con le
braccia e mi stringe a se. Rimaniamo così per tutta la durata del racconto, lui
non fa altro che accarezzarmi i capelli. Quando ci stacchiamo io ho gli occhi
rossi e lui la maglietta fradicia! Lui affera la tazza che è ancora sul piano in
marmo della cucina e me la porge. La prendo e mi chino per afferrare anche una
scatola di biscotti che ho posto nel mobiletto sottostante il piano. Ci
dirigiamo nella sala da pranzo e ci lasciamo cadere sulle due delle sedie
intorno al tavolo, uno di fronte all'altra.
" Me ne sono andata perché non riuscivo più a
sostenere quel peso. La morte di Diego aleggia in quella casa come un onda
malefica pronta a distruggerti. Lui non l'avrebbe mai voluto, non avrebbe mai
permesso che io fossi triste e non avrebbe mai voluto che la mamma si riducesse
nello stato vegetativo in cui si trova ora. Ci avrebbe detto di reagire, di
andare avanti, di farlo per lui, di continuare a vivere la nostra vita dando il
massimo, per lui. Ho la possibilità di avere una vita e trascorrerla in quel
modo sarebbe un insulto a chi non la vita non ce l'ha più. Ma la mamma non lo
vuole superare, qualsiasi cosa glielo ricordi la manda in crisi, compresa me. E
le poche volte che si crea una sorta di finta calma ci pensa papà a rovinare
tutto. Non mi importa quello che ha fatto, se il fisco lo insegue che si faccia
prendere, non è giusto che si faccia aiutare da mamma, distrugge tutto quello
che abbiamo fatto per tornare a sembrare una famiglia normale. Non potevo più
sopportare di uscire per strada e incontrare gente che mi domandava come
stessimo e non sopportavo più di dover mentire dicendo che andava tutto bene.
Non sopportavo più di vedere le persone che amavo e non poter dire nulla se non
parlargli di cose vuote e senza senso. Non sopportavo più di guardarmi allo
specchio e non riconoscere più la persona che ero".
" Shhh! va tutto bene ora". Mi tranquillizza Daniel
con quei suoi occhioni dolci. " Solo devi evitare di uscire di casa per un po'
di tempo, tutto qui".
" Okay, tanto non saprei proprio dove andare, con
questo umore poi".
" Bene, allora, ti verrò a trovare tutti i giorni,
così sarà meno dura". Avrei tanto voluto che fosse vero, ma nessuno avrebbe mai
potuto rendere meno difficile quella situazione.
" Hai provato a metterti in contatto con i tuoi
genitori? Una telefonata, un e"mail non so, x tranquillizzarli, puoi usare il
computer di là se vuoi!"
" Grazie, magari do un occhiata alla mia casella di
posta elettronica" e immediatamente spero di non trovarci niente. " Ora però
vorrei restare un po'da sola se non ti dispiace".
" No, hai ragione, me ne vado" dice arrossendo
leggermente, poi continua" solo, sai come si imposta la lingua in un
computer?"
" Ehm, cosa?"
" Ti faccio vedere". Si dirige in soggiorno e
accende il computer silenziosissimo. Io intanto vado in cucina e lavo la tazza
che ho usato x fare colazione.
Dall'altra stanza mi arriva la voce di Daniel " Ho
impostato la lingua del computer su italiano, se mi dici la tua e"mail comincio
ad entrare, è tanto che non mi connetto ad internet da qui, non so quanto ci
mette".
" Ok! L'email è IsaVersace4e@hotmail.it e la
password è isaversace"
" Msn!"
" Certo!" finisco di lavare la tazza e lo raggiungo
di là, lo trovo che traffica sul PC. "Che fai? Sbirci la posta degli altri?"
dico nel tono più scherzoso che conosco.
" No, no! Tranquilla!" mi risponde con una risata
"Ora vado".
" Sì"
" Ah! Un ultima cosa!". Slega il ciondolo dal
braccio e me lo mostra. E' un cuoricino bellissimo, di ferro credo, perché non è
abbastanza luminoso per essere argento. Daniel lo volta e noto una piccola D
stilizzata incisa sul retro del cuore.
" E' tuo!". Mi si avvicina per legarmelo al
collo.
" D come? ...Daniel?" Sono allibita.
" Se vuoi, io lo intendevo come Diego". E mi incolla
con i suoi soliti bellissimi occhi. Sento il cuore scoppiarmi, lo
abbraccio.
" Oh! Daniel! Grazie! Grazie davvero!" riesco a dire
mentre sento le lacrime pungermi gli occhi.
Daniel scioglie l'abbraccio e finalmente si china
per legarmi il ciondolo al collo. Poi, appena prima di rialzarsi, così
velocemente da non darmi il tempo di reagire mi bacia. Velocemente, dolcemente,
teneramente. Non lo so neanche io. Si ritrae quasi subito, lasciandomi a occhi
sgranati. Mi sembra quasi di sentire la parola scusa uscire dalle sue labbra, ma
non mi dà il tempo di chiedere spiegazioni.
" Ci vediamo domani" mi saluta lui, e si dirige
verso le scale.
Mi lascio cadere sul divano e mi perdo nei miei
pensieri finché non mi ricordo che stavo controllando la mia e"mail. Mi avvicino
al computer. Una nuova e"mail si è aperta sul desktop. Francesco. Il cuore fa il
giro di tutta la casa prima di tornare nel mio petto e concludere il battito.
Con gli occhi già umidi di lacrime mi costringo a
leggerla:
" Isa,
Ovunque tu sia, ti voglio bene, ti mando qualcosa di cui so che
sentiresti la mancanza, qualcosa che spero ti aiuti a non dimenticare mai chi
sei. Copialo su un cd. Tua madre pensa che sia colpa di tuo papà se te ne sei
andata e non fa altro che insultarlo. Forse sarebbe meglio se tu la chiamassi,
ma so che se non ne sentirai il bisogno non lo farai. Non ti è mai piaciuto che
ti si dicesse cosa fare, se non fosse stato così forse ora non saremmo in questa
situazione.
Ma ora non importa, l'importante è che tu stia bene. Spero che
tu trovi la felicità, la pace, o qualsiasi altra cosa tu stia cercando perché so
che la meriti pienamente.
Ora vado, ti prego di rispondermi, sai che non ne parlerò con
nessuno.
Vai per la tua strada Isabella, non fermarti mai, spirito
libero e dolorante in cerca di felicità, non fermarti mai.
Sai che ti vorrò sempre bene... X Sempre...
.o0°Fra°0o."
Cerco di concentrarmi per trovare un cd vuoto e lo
inserisco. Mentre aspetto che il computer copi tutto sul cd mi accorgo che
vicino alla mail c'è un simbolo che dice che ho risposto ma non riesco a
scoprire nient'altro.
...???...
Il computer mi avvisa che il cd è completo. Lo
estraggo e lo infilo nello stereo, quando schiaccio play le note di "love show"
dei Sonohra si espandono per tutta la stanza. Dovevo immaginarlo. Mi ha mandato
l'intero album. Lo ascolto tutto, piangendo già alla seconda traccia. Quando
arrivo alla fine dell' undicesima traccia mi alzo per spegnere lo stereo ma il
cd va avanti. C'è di nuovo "Love show" ma questa volta è Francesco a suonarla,
quando finisce la canzone sento la sua voce che dice:" inutile ricordare che
questa canzone è fatta per noi, specialmente la seconda strofa..." mi sfugge un
sorriso tra le lacrime, poi la voce che esce dalle casse si fa se possibile
ancora più dolce " Ora non piangere, sei più bella quando ridi, lo sai" non
capisco a cosa si riferisce. Ma lo capisco subito dopo quando con la chitarra
inizia a suonare "Salvami", sempre dei Sonohra.
Salvami è la canzone che mi ricorda mio fratello,
quella che ha suonato Francesco dopo il suo funerale, quella sera, sempre nello
stesso giardino. E' la canzone che ho voluto a tutti i costi imparare a suonare
con la chitarra, anche se non la sapevo suonare affatto.
La canzone finisce e il display mi avvisa che il cd
è finito. Spengo lo stereo e vado in bagno a sciacquarmi la faccia. Ne esco
subito dopo perché la suoneria di un telefonino proveniente da un punto vicino
al portone mi fa precipitare di sotto. Appoggiato sul primo gradino delle scale
trovo il cellulare di Daniel accompagnato da un biglietto che dice: "Ho letto da
qualche parte che sono più difficili da rintracciare". Sorrido e rispondo."
Pronto?".
" Isabella, sei tu?"
Il cuore mi si ferma un istante quando sento la SUA
voce uscire dall'apparecchio. Anche con tutta quella distanza fra noi, mi sembra
di venire investita dal solito odore di menta che lo
accompagna...
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Capitolo 2 *** Anna ***
The escape
Allora, prima di tutto volevo avvertire di un errore
nella scrittura di questo secondo capitolo. Per questo l'ho modificato. Ora è
corretto. Buona lettura.
The escape
Capitolo 2
-Anna-
*****
Respiri piano per non far rumore ti addormenti di sera ti risvegli
con il sole sei chiara come un'alba sei fresca come l'aria. Diventi
rossa se qualcuno ti guarda e sei fantastica quando sei assorta nei tuoi
problemi nei tuoi pensieri. *****
Sentiva ancora la sua voce arrabbiata, diversa, la sua vera
voce, rotta dai singhiozzi. Lo sguardo di sua madre, le urla di suo zio, ma non
le importava.
Correva, la villetta dalle pareti bianche era sempre più
lontana, come lo erano gli aranci e i limoni che la circondavano.
Continuava a correre, il suo respiro si faceva affannoso, ma le
gambe non si fermavano. Il sentiero era ripido e pieno si pietruzze, saliva fino
a un piccolo promontorio, dove si vedeva quello splendido mare azzurro,
contornato da un cielo limpido e senza nubi. La ragazza si fermò ad ammirare
estasiata quel paesaggio, quella città, quanto l’aveva amata… quanto la stava
odiando… si soffermò un secondo sui suoi pensieri, si asciugò gli occhi gonfi,
ormai non vedeva più nulla, tante erano le lacrime. Forse aveva veramente
bisogno di quel pianto, per farle vedere cose nuove, cose vere… in fondo ora che
sapeva per lei c’era solo morte e dolore, morte e dolore. Solo quelle parole le
venivano in mente pensando a lui, suo padre. Tutto era sfocato contorto, dove si
sarebbe diretta? Ora che ci pensava capì che era stato uno sbaglio fermarsi a
riflettere e riprese la sua lunga corsa verso Palermo.
La strada si faceva più larga a poco a poco, era scoscesa,
entrava diritta in città.
Ci mise circa mezz’ora prima di arrivare in città, tutti la
conoscevano e la salutavano, lei ricambiava con un cenno di testa -Ciao Anna,
che fai oggi pomeriggio?- un ragazzo con i capelli neri come la pece la guardò
enigmatico -Allora?- la ragazza si convinse -Sto a casa, mio padre mi ha messo
in castigo, sono venuta a Palermo solo per fare un po’ di compere- le dispiacque
molto mentire a Roberto, era il suo migliore amico, ma non gli poteva confidare
che stava scappando, non lo avrebbe rivisto mai più…
Guardò dentro la sua tracolla nera, il portafoglio c’era, cento
euro non sarebbero bastati ma è tutto ciò che aveva, tre cambi, il diario, un
libro, e la fotografia di Ilaria, quanto le mancava… ora non avrebbe potuto
neanche andarle a trovare… mentre questi pensieri le giravano per la testa si
avvicinò velocemente alla stazione.
-Un biglietto per il primo treno che va a Messina per favore-
il bigliettaio non fece domande e iniziò a scribacchiare sul suo computer -Parte
tra un quarto d’ora sul binario sei, se mi dà le sue generalità…-
-Anna De Luca, nata a Palermo nel 1992- il bigliettaio la
guardò incuriosito -De Luca? Sei la figlia di…-
-Per favore, me lo fa questo biglietto si o no?- la donnina era
molto nervosa -Si certo, sono…20 euro-
Anna prese il borsello bianco e passò i soldi con una certa
fretta -Binario sei ha detto?- chiese la ragazza -Si, proprio così-
Mentre camminava verso il treno i suoi capelli neri e ricci
volavano, alzati dal vento. Salì in carrozza e si sedette nel primo
scompartimento trovato libero. Non le erano mai piaciuti i treni, preferiva gli
aerei, o le navi. Ora che ci pensava, come avrebbe fatto a lasciare la Sicilia?
Doveva per forza prendere un traghetto, i soldi non le sarebbero mai bastati
però, doveva raggiungere Amsterdam, lì ci stava un amico suo, a nuoto… che
stupida… non era proprio il momento di fare battute…
Il treno ci mise poco ad arrivare a Messina marittima, almeno
così le era sembrato, aveva così tante cose cui pensare che non si era resa
conto del tempo che passava, scese dal vagone e andò verso il porto. Guardò da
vicino tutti quei traghetti, i mercantili, che attraversavano lo stretto, e
decise che doveva fare un tentativo. Lei non aveva mai preso una barca da sola,
c’era sempre suo padre che organizzava i viaggi, non sapeva neanche quanto
potesse costare. Sentì il fischio di una nave da trasporto che stava per partire
e con un gesto istintivo salì di nascosto e si nascose in poppa.
La nave andava a Reggio, Anna stette a leggersi un libro finché
non senti la nave fermarsi. Scese con velocità prima degli altri e si ritrovò in
un paese sconosciuto.
Uscì dal porto, la città era grande e le ricordava Palermo,
piena di palazzi, case, persino le piazze sembravano le stesse, o forse era la
gente che era uguale? La solita massa di gente capace solo a annuire con la
testa e a seguire i più forti come un gregge di pecore? Rispetto… che bella
parola, quante volte l’aveva sentita a casa sua senza capirne il
significato…
Erano le sei di sera, non sapeva se continuare il suo viaggio o
fermarsi da sua zia Rosa. Optò per la seconda scelta, era sicura che sua zia non
avrebbe fatto domande ma l’avrebbe assecondata sempre e comunque. La via che
portava a casa della sua parente era stretta e buia, per fortuna era estate e il
sole splendeva ancora alto nel cielo e le illuminava la strada. Arrivò ad una
palazzina, era alta, le pareti giallognole, vecchie, andò vicino al campanello e
cercò la sorella di sua madre -Ehm… vediamo… Rosa Sanna!! Eccola qui!!- premette
il pulsantino bianco vicino al nome scritto elegantemente su un cartoncino
azzurro. -Rosa Sanna sono, chi è?- la voce della donna era forte e chiara, come
il suo accento -Zia!! Sono io!! Anna!!-la ragazza sembrava felice -Anna? Da
quanto tempo!! Vieni, ti apro subito!!- con uno scatto la porta di vetro si
aprì, Anna non si ricordava molto bene la casa della zia ma era sicura di
esserci già stata, sua madre e lei avevano litigato per Ilaria, e per la stessa
cosa per cui lei aveva litigato con la sua famiglia, sapeva che le avrebbe dato
ragione. Arrivò di fronte ad una porta bianca, ad un tratto la porta si aprì e
ne uscì una signora sulla cinquantina, aveva i capelli castani, portati in una
di quelle capigliature anni trenta, aveva un viso rotondo, con un rossetto rosso
sulle labbra, le fece cenno di entrare ed entrambe si accomodarono sul divano. I
gusti della casa erano molto classici, era tutto bianco, i mobili bianchi, il
divano bianco, sembrava di essere entrati in paradiso da quanto era lucente e
sbalorditiva quell’appartamentino all’ultimo piano. -che ci fai qui?- chiese la
donna con aria preoccupata subito dopo aver visto il viso angosciato della
nipote -Ci hanno riprovato zia, e io non voglio fare la stessa fine di Ilaria,
ne voglio essere figlia di un assassino. - La sua voce era stranamente calma
come se non badasse a ciò che diceva. -Piccola, lo sai che io non approvo ciò
che fa tuo padre ma non puoi neanche trasferirti qui, dopotutto sei ancore
minorenne…- la ragazza la interruppe -Zia, io non voglio rimanere qui, voglio
solo che tu mi ospiti per stasera, così da fargli prendere un bello spavento-
non osò dirle tutta la verità per paura di essere rispedita a Palermo -E va
bene, solo per stanotte però, poi fili dritta al traghetto… a proposito come sei
arrivata qui?- la ragazza esitò -Ho preso una nave da trasporto che mi ha fatto
un prezzo speciale…- la zia la guardò con uno sguardo di rimprovero -Ascolta per
domani ti do io un po’ di soldi così potrai prendere una nave passeggeri, ora
fila a letto, la stanza è l’ultima a destra’ Anna la guardò sorridendo
-Buonanotte zia- e si diresse verso il suo letto.
Le tapparelle filtravano i pigri raggi del sole che sfioravano
delicatamente la pelle bianca dalla ragazzina.
Si stropicciò piano gli occhi, si stiracchiò goffamente e
decise di aprire le finestre. Con la luce era tutto più chiaro, la stanza era
bianca, come tutto il resto della casa, e dava su un cortiletto fiorito. Notò
anche una porticina sulla parete di destra e si avvicinò, dentro c’era un
piccolo bagno con un grande specchio dietro il lavabo. Era dal giorno prima che
non si dava una sciacquata al viso, l’acqua le bagnò la pelle calda, e
finalmente si vide. Quanto era cambiata?? Era da un mucchio di tempo che non si
guardava intensamente allo specchio. Le erano cresciuti i capelli, ricci e neri,
il colore degli occhi era cambiato erano di un nocciola caramello, erano chiari
e dolci, anche la sua pelle chiara era diversa, era sveglia, sveglia da
quell’incubo a forma di sogno che era durato sedici anni. Troppo.
Si fece velocemente una doccia, si lavò i denti e si diresse in
sala da pranzo dove l’aspettava una signorotta allegra che le aveva preparato
una buona colazione. -Quante cose zia!! Potevi evitare…- c’era un po’ di tutto,
arance, limoni, un bicchiere di latte, uno di spremuta, cereali, biscotti, un
cornetto alla crema, il cacao in polvere, la donnona aveva proprio esagerato!!!
-Quando parti piccola?- avrebbe voluto rispondere mai più ma sapeva che doveva
andarsene da quel posto orrendo. -Tra due ore zietta!!!- fece finta di essere
allegra e felice.
Rosa la guardò negli occhi -Non le sai proprio dire le bugie
eh…- Anna ricambiò con uno sguardo preoccupato -Senti zia, io non ci voglio
tornare in quella casa, e… hai ragione sto scappando, e non tornerò in Sicilia,
vado via, fuggo, come una vigliacca, ma è l’unica cosa che sono in grado di fare
perciò, se vuoi chiamare i miei e dirgli che sono stata qui fa pure, tanto non
ci sarò quando arriveranno…- la donna le accarezzò il viso -Se fossi stata al
tuo posto avrei fatto la stessa cosa perciò ti lascio andar via a patto che mi
chiami tutte le sere. I soldi che ti ho dato non basteranno se hai intenzione di
andare lontano, qui ce ne sono degli altri…- le porse con comprensione un
centinaio di euro e insieme prepararono la valigia.
-Ciao zia, ci sentiamo stasera!!- Anna agitò la mano e salì in carrozza
camminò per circa tre metri e andò a sbattere contro un ragazzo dagli occhi
verdi che le versò del succo di frutta sulla maglietta bianca -Ma guarda sto
deficiente!!!- il ragazzino che avrà avuto più o meno vent’anni chiese scusa e
continuò la sua strada, lei si voltò a guardarlo e mentre imprecava arrivò ad
uno scompartimento e bussò -E’ libero? Posso entrare?- -Certo, figurati- un
ragazzotto biondo con gli occhi azzurri era seduto e canticchiava allegramente
ascoltando della musica sul suo I Pod. Anna si accomodò facendo un cenno di
ringraziamento con le testa. -Mi chiamo Michael piacere- il suo accento era
straniero, nordico -Anna, il piacere è tutto mio…- rispose con una di quelle
frasi antiche, già fatte, tanto da sembrare educata. -Se qui sola?- -Si, e
tu?- -No sono venuto a prendere un mio amico, Gianluca, tra poco dovrebbe
arrivare, è andato al bagno penso… che hai fatto alla maglietta?- Anna arrossì
imbarazzata, avrebbe voluto nascondersi sotto terra come gli struzzi -Ehm… un
ragazzo mi è venuto contro e mi ha rovesciato… il succo di frutta
addosso…- -Ah ecco…- la porta si aprì di scatto e ruppe quell’improvviso
silenzio, entrò lo stesso ragazzo maldestro che Anna aveva insultato un attimo
prima -Tu!? Sei quello che mi ha lanciato il succo addosso!- -No scusa… primo
non te l’ho lanciato, secondo le persone educate si salutano…- -Ciao
allora…- -Ciao anche a te…- Michael li guardava divertito, quel viaggio fino
a Roma sarebbe stato molto movimentato… -Allora, io mi sono già presentato, sono
Michael, lui è Gianluca e lei è Anna, siamo tutti calmi, tranquilli, non c’è
bisogno di scaldarsi… dobbiamo solo fare amicizia…- Anna ascoltò il biondino,
poi si rivolse a Gianluca e si strinsero la mano in segno di pace
-Tregua?- -D’accordo, tregua.- La ragazza guardo i due compagni, Michael era
bellissimo, nordico, altissimo, sguardo fiero, pelle chiara e così elegante…
l’altro invece era la solita bellezza mediterranea, aveva i capelli scurissimi,
ricci, corti, gli occhi erano verde chiaro e la pelle abbronzata, il viso era
perfetto.
Non ho mai visto ragazzo così bello e attraente in tutta la mia vita… ma cosa
stai dicendo Anna! Quel tipo ti ha sporcato la maglietta e si è presentato in
malo modo! Non c’è nulla di attraente in tutto questo!!!
Il viaggio per Roma proseguiva, Michael e Anna facevano amicizia mentre
Gianluca non faceva uscire parola, la ragazza decise di prendere iniziativa non
poteva più vederlo in quello stato, zitto, solo e arrabbiato con lei -Senti,
anche se non dovrei ti chiedo scusa per come mi sono comportata quando sei
entrato però parla, guardami negli occhi!- -Che vuoi sapere?- -Da dove
vieni?- il ragazzo rispose -Reggio Calabria- -Dove vai?- -Amsterdam con
Michael- Anna si bloccò -Vai ad Amsterdam?- -Si, perché è un problema?- la
ragazza sorrise -No nessun problema, anch’io sono diretta lì…- -Cosa ti
spinge ad arrivare ad Amsterdam, sei siciliana non è così?- Anna era stupita
-Come fai a saperlo?- -L’accento non inganna mai… io ritorno dalle vacanze…
sono stato qui da giugno fino ad ora e… adesso si ritorna a casa… Amsterdam… e
tu? Perché vai là? Già… forse vai in vacanza… luglio è il momento migliore…
"Luglio col bene che ti voglio lalalala…" com’è che faceva??? Dai…
rispondimi… perché vai ad Amsterdam??- non rispose -Dai, non fare la timida…-
rispose intimorita -Non te lo posso dire- Gianluca la fissò stranito -Vediamo…
una ragazza siciliana che non mi vuole dire perché va lontano da casa sua… o hai
fatto qualcosa e i tuoi ti vogliono recludere e sei scappata, o… sei una
mafiosa!- disse ridendo -Non si scherza con la mafia, lo sai questo, si…-
Anna era diventata seria tutt’un tratto -Centra la mafia?- -E a te che
t’importa? Comunque non ti voglio spiegare niente, non ti voglio mettere nei
casini capisci…- -Quanti anni hai Anna?- i suoi occhi verdi le diedero la
forza di rispondere -Sedici… sedici- i loro sguardi s’incrociarono -Voglio
sapere tutto, e ti voglio aiutare, verrai con noi ad Amsterdam starai con noi.-
I due sorrisero e a loro si unì anche il biondino, in questo lungo viaggio non
sarebbe stata sola se lo sentiva.
Il viaggio fu lungo e silenzioso, dal finestrino si vedevano paesaggi che
aveva già visto, ma è come se le fossero stati sconosciuti, come se da quel
giorno avesse iniziato una nuova vita, una vita diversa, sincera, Roma, aveva
tracciato le fermate, sarebbe andata a Genova, sarebbe passata per Milano,
voleva cogliere l’occasione di girare l’Italia, quel poco che gli era concesso,
sarebbe stata a Vienna, Berlino e infine l’epilogo ad Amsterdam… sarebbe
riuscita ad eliminare il suo passato? O il suo passato l’avrebbe rincorsa fin
là? Perché è questo che avevano detto…
"Non ti lasceremo ricordatelo, se tuo padre non la finisce di scassarci la
minchia farai la fine di tua sorella, l’hai capito questo, si? Ti seguiremo
dappertutto, sarai come figlia nostra diglielo al papà tuo…- ricordava
ancora la voce di quell’uomo, la sua minaccia, forse i suoi amici trovati in
treno l’avrebbero dovuta lasciar stare, erano in pericolo tutti, poi suo padre
la cercava, e… -Prossima fermata Roma Termini, ripeto, prossima fermata Roma
Termini- la voce dell’annunciatrice la fece svegliare da un brutto sogno,
rivolse uno sguardo d’angoscia a Gianluca -Cos’è che ti preoccupa, posso saperlo
adesso?- abbassò lo sguardo -No, in albergo… a proposito dove… cioè io come…-
Michael prese la parola -Stai tranquilla, dormiremo in ambasciata…- lo guardò
stupita -Si mio padre è un ambasciatore olandese, capisci…- ora tutto le era
chiaro -Ah… ok, basta saperlo…- scesero dalla carrozza, a Roma c’era brutto
tempo, le nuvole coprivano il cielo limpido che lei ricordava dalla fuga, la
stazione era grandissima, c’erano negozi ovunque, ristoranti, bar, era sperduta,
Michael li guidava come se ci abitasse dentro quell’enorme costruzione con le
pareti color legno, si dirigevano verso la metro, il loro passo era svelto e
fluido, erano tre ragazzini, ma sembravano molto più grandi, maturi e tristi.
L’ambasciata era una struttura bianca, alta, i tre raggiunsero la porta dove li
aspettava un uomo alto e fascinoso, era biondo e assomigliava molto a Michael,
doveva essere suo padre, il viso era chiaro, gli occhi erano azzurri come un
mare in tempesta, con quella sfumature bianche della schiuma. -Pà!!- -Mike!
Com’è stato il viaggio?- -E’ andato tutto bene!!- -E perché non mi
presenti questa signorinella, Bonjour mademoiselle, enchanté…- l’uomo si
avvicinò e le baciò delicatamente la mano, Anna sorrise imbarazzata e rispose
con quel poco di francese che aveva imparato da Ilaria -Le plaisir est d'autant
mon…- quando non conosceva le persone che la salutavano usava sempre la stessa
formula: -Il piacere è tutto mio- come aveva fatto in treno… -Sai il
francese? Lingua di classe… azzarderei a dire che sei una donnina di classe
anche tu- Anna non smetteva di arrossire, guardava in basso e sorrideva, era
molto simpatico… -Mi chiamo Anna, e visto che anch’io vado ad Amsterdam, suo
figlio mi ha chiesto di proseguire il viaggio insieme a lui…- l’uomo la guardò
-Sono Adriaan Van Der Buzzen, il padre di Michael, e sono felice di accoglierti
in ambasciata- poi si rivolse al ricciolino -Gianluca!!! Non ti avevo ancora
notato!!! Quanto tempo, come sta tuo padre? L’hai sentito tu no? Io con tutto il
lavoro che c’è qui non sono nemmeno riuscito a chiamare voi…- -Tutto bene
signor Van Der Buzzen…-
-Quante volte ti ho detto di darmi del tu? Michael, guidali nelle stanze
degli ospiti dell’ambasciata, alle sette e trenta ci sarà la cena ragazzi, mi
raccomando!!! Puntuali!!!’ Anna e Gianluca seguirono il compagno per la scala
di marmo, le pareti erano tappezzate con una carta da parati blu reale, il
corridoio era pieno di quadri e statue, la giovane si guardava in torno, alzava
gli occhi al cielo per vedere il soffitto bianco, finché non raggiunsero una
porticina bianca -Anna la tua stanza… Gianluca la stanza a fianco insieme a me,
fatevi pure una doccia, basta che all’ora di cena siete in sala, stasera c’è un
importante uomo politico… non so… in orario!!!!- Michael lasciò i due ragazzi
soli a guardarsi negli occhi, susseguirono due minuti di silenzio e imbarazzo
quando Anna abbassò lo sguardo -Io… vado a farmi un bagno caldo, ne ho proprio
bisogno…- balbettò arrossendo ed entrò timidamente nella stanza. Era blu, come
tutto il resto, accogliente, calda, c’era un divanetto a sinistra e di fronte un
televisore, nell’angolo in fondo a destra un cucinino e una porta che dava alla
camera entrò, trovò un letto matrimoniale con un copriletto damascato, sempre
sulle tonalità del blu con delle cuciture dorate, sulla destra un bagnetto dalle
mattonelle verde pastello, c’era una grande vasca idromassaggio
Proprio quello che ci voleva…
Riempì la vasca di acqua bollente e appena ci si tuffò, i suoi brutti
pensieri si sciolsero come neve al sole. Uscì dal paradiso, si mise
l’accappatoio e si diresse nella camera da letto. Sarebbero rimasti lì circa tre
giorni, perciò smontò la valigia, se così la poteva chiamare… Dalla tracolla
nera uscirono due abiti casual, li ripose nell’armadio, il portafoglio, nel
cassetto, la foto di sua sorella la poggiò con delicatezza sopra il comodino e
poi tirò fuori la pistola. Non lo doveva sapere nessuno che ne possedeva una,
nemmeno Gianluca o Michael, l’aveva sottratta a suo padre prima di andar via,
almeno si era portata qualcosa di lui, già la cosa che lo rappresentava a pieno,
che diceva cos’era lui: un assassino… Sentì bussare, era ancora in accappatoio,
nascose velocemente l’arma sotto il cuscino, si sitemò un attimo e andò ad
aprire. -Gianluca… che ci fai qui?- -Bè veramente… mi manda Michael, mi ha
detto di dirti che alla cena non ci puoi andare vestita normale e mi ha dato
questo…- tirò fuori, da dietro la schiena, un abitino blu, senza spalline, che
arrivava sopra le ginocchia -Ci starai benissimo Anna…- -Anche questo te l’ha
detto Michael?- replicò con aria scherzosa -Ehmm… ora devo andare ciao.- Chiuse
la porta, e la lascio con un sorrisetto malizioso in viso. Si provò l’abito, era
bello, semplice e le metteva in risalto la pelle chiara, certo che con i capelli
sciolti non era il massimo… provò a tirasi su i capelli in tutti i modi ma erano
così mossi e ribelli che ci rinunciò, li raccolse in coda laterale, che cadeva
sulla spalla sinistra, li legò con un nastro che si abbinava al vestito e mise
un velo di ombretto azzurro sugli occhi. Era pronta. Ora non le rimaneva che
andare da Gianluca, bussare alla sua porta e dirgli di accompagnarla a cena…
La sala era grande, il pavimento in marmo bianco metteva in risalto le figura
colorate che si muovevano sulla pista. -Smettila di crogiolarti su te stesso
Michael, se la vuoi lasciare fallo ora, questo è il momento giusto!!- l’amico
d’infanzia lo incitava -Ma Leida… va bene, hai ragione, ma quando glielo dovrei
dire secondo te?- -Mentre balli!!- -A proposito di ballare, un valzerino
lo fai con Anna vero?- -Perché dovrei? E poi hai cambiato discorso!- -Ma
dai, non dirmi che non ti piace…- Gianluca lo guardò contrariato -No, non mi
piace! La odio, non so come mi sia venuto in mente di aiutarla… e non è neanche
così carina, in fin dei conti!!!- in quel momento scese dalla scalinata marmorea
una donnina fresca come l’aria, bianca come il latte e ricoperta da un velo blu
che la faceva somigliare ad una fata. I due ragazzi si fermarono a fissarla,
incantati da quella bellezza bruna che si dirigeva verso di loro. -Ciao
ragazzi…- sembrava imbarazzata -Anna!! Sei veramente fantastica, questo abito ti
sta benissimo!!!- i complimenti di Michael la facevano stare bene -Grazie
Michael- anche Gianluca voleva dirle qualcosa, non aveva mai visto ragazza più
bella di lei in quel momento. -Già, sei molto… carina Anna…- la giovane arrossì,
poi guardò attentamente i due, erano vestiti uguali, sembravano due gemellini,
avevano un abito scuro, l’unica cosa che cambiava era la cravatta, il biondino
aveva una cravatta sui toni del lilla, mentre il ragazzo dagli occhi verdi
l’aveva sui toni del blu, come il suo vestitino corto. -Anche voi state molto
bene vestiti così…- -E’ vero, lo penso anch’io. Una giovane dai boccoli
rossicci cadenti da uno chignon sulla parte destra del capo si avvicinò
maliziosa a Michael ‘Leida ciao!’ disse il biondino e si scambiarono un bacio
-Io e Michael stavamo parlando proprio di te, prima dell’arrivo di Anna, non è
vero?- disse Gianluca -Si… parlavamo proprio di te…- affermò Michael tirando una
gomitata al suo compagno. Anna la osservò, portava un lungo vestito stile
imperiale, quelli con la vita alta, violetto come la cravatta di Michael. -E…
cosa dicevate di me?- chiese curiosa -Nulla di che, anzi ti presento questa
amica: Anna De Luca- -Salve signorina, sono la Duchessa Van Blanc, Est un
vrai plaisir de faire votre connaissance- disse in tono di sfida. Anna
aspettò un attimo -Ho detto che è un vero pia…- fu interrotta. -Je sais la
langue français, je suis trez feliz... ehm di averla incontrata duchessa Van
Blanc…-
Speriamo che l’abbia detto bene !!!
La duchessina era stupita, quasi arrabbiata -Pensavo non sapesse il
francese…- -Non sono nobile, ma non ha bisogno di un titolo per sentirmi una
donna di classe…- disse ricordandosi cosa le aveva detto il signor Van Der
Buzzen il pomerigio. -Mi congedo au revoir mon amur ci vediamo a
tavola… saremo vicini…- disse riferendosi a Michael ‘Arrivederci a tutti,
signorina De Luca.’ ‘Duchessa…’ fece una piccola riverenza. ‘Che c’è? Perché
mi guardate così?’ chiese accigliata ‘Tu hai appena sfidato la ragazza più
perfida di tutta l’Olanda, lo sai?’ ‘Non è vero!’ protestò Michael,
dopotutto era ancora la sua ragazza… ‘No… solo…’ ‘Bè, solo un pochino…’ i tre
finirono in una fragorosa risata.
La tavola era grande, ricoperta da un’elegante tovaglia blu e oro. I
camerieri portarono gli antipasti, c’erano spiedini di pesce freddi e molte
altre prelibatezze, Michael era seduto vicino alla duchessina Van Blanc, mentre
io e Gianluca sedevamo accanto, proprio di fronte a loro. Arrivò il primo
piatto, era una crema verde decorata da una scia bianca a forma di cuore -Che
cos’è questa Michael?- Leida la guardò divertita e le rispose con aria saccente
-Si chiama erwtensoep, le donne di classe dovrebbero conoscere la cucina
straniera…- Gianluca la fulminò, non l’aveva mai potuta soffrire. -E’ la famosa
zuppa di piselli alla crema- spiegò il biondino -Ah… capisco…- l’assaggiò, era
buonissima, cremosa, saporita, buona!! Arrivarono anche vari secondi, aringhe
marinate in varie salse, polpi, frutti di mare, e formaggi, le pareva che
Michael li avesse chiamati Edammerkaas e Goudsehaas o qualcosa del
genere. La serata proseguì allegra tranne per la presenza ingombrante della
duchessina sottuttoio. I quattro ragazzi si alzarono, una simpatica orchestrina
iniziò a suonare un bel valzer.
-Dai… chiedile di ballare!!- Michael spingeva Gianluca a invitare Anna a
ballare. -No, non ci ballo con Anna…- -Fa come ti pare… perdi
un’occasione!!!- -Ha parlato… tu non dovevi parlare di una cosa all’amore
della tua vita?- il ragazzo dagli occhi azzurri sbuffò e si diresse verso la
brunetta fatata.
-Dai…- -Che c’è??- -Chiediglielo…- -Ma cosa??- -Su, guardalo, è
depresso, deperito, devi farlo ballare o non sopravvivrà alla notte… Anna lo
devi fare!!!- Anna sorrise -Smettila, e poi se rifiutasse?- -Non rifiuta sta
tranquilla… vai!!!- Anna si allontanò e si diresse timidamente verso il ragazzo
riccioluto -Non è che… insomma…- -Mi dispiace, non so ballare.- Tagliò corto.
Anna tornò indietro delusa -Visto!!! Non sa ballare, sei contento???- -Va bè
dai, balla con me…- il sorrisò tornò a illuminare il suo viso chiaro
-D’accordo.- I due si buttarono in un valzer con i fiocchi, erano entrambi
ottimi ballerini e volteggiavano sulla pista come farfalle colorate. Gianluca li
guardava da lontano, aveva ragione Michael, aveva perso un’occasione, o forse
no? Avrebbe ballato dopo con lei dopo, anche se la gelosia che provava nei
confronti del suo migliore amico era altissima. -Che hai?- chiese con tono
consolatorio la duchessina dai boccoli ramati. -Nulla, che devo avere?- -No,
è che sembravi triste, la tua Anna è andata a ballare con un altro non è
così?- -Leida non ti intromettere nei miei affari chiaro!!!- il suo tono era
aspro, quasi inviperito. -D’accordo, scusa.- Se ne andò e lasciò il ragazzo solo
con i suoi pensieri.
-Comunque se lo vuoi sapere, Gianluca è un ottimo
ballerino.- Confidò Michael alla sua ballerina in mezzo alla sala -Che stai
dicendo, lui ha detto che…- -Che non sa ballare, è che si vergogna, devi
compatirlo.- -Si vergogna di ballare?- -No, figurati, quello non si
vergogna di ballare.- -E allora?- -Quello si vergogna di ballare con
te…- -Cosa?- chiese la ragazza facendo finta di non aver capito -Ma si dai,
gli piaci!!- la ragazza era stupita da quelle affermazioni -No… non dirmelo, non
te n’eri accorta? O devi mettere gli occhiali o sei innamorata anche tu, e tra
le due penso sia giusta la seconda!!!- -Ma che dici!!! Io non sono innamorata
di quel… di quel...- -Quel???- chiese Michael incuriosito -Quel bellissimo
ragazzo ricciolo con gli occhi verdi che ha un fascino innato…- sospirò -Ti sei
liberata eh….- -Forse è così…- il valzer finì e Gianluca si avvicinò ad Anna
-Mi vuoi concedere il prossimo ballo??- -Ma non sapevi ballare tu??- disse
con tono malizioso -Ehmmm… possiamo dire che…- -Ti concedo questo ballo
monsieur.- La musica cambiò, al posto del solenne valzer precedente prese posto
un tango passionale, Il ricciolino si avvicinò alla pista -Che fai, non vieni a
ballare?- chiese sospettoso -Non so ballare il tango!!!- Gianluca stava per
tornare indietro quando la focosa Leida prese per mano il giovane e lo trascinò
al centro della sala da ballo. Anna lo guardava impietrita dalla gelosia mentre
si rimpinzava di aringhe salate. Michael si avvicinò -Tranquilla, Gianluca non
gli interessa, è solo che l’ho appena lasciata, lo fa per farmi incazzare non ti
devi preoccupare!!- -E… di cosa mi dovrei preoccupare
scusa?- -Nervosetta…- -No! Non sono né nervosa né gelosa chiaro!!!- la due
figure volteggiavano sinuose, il vestito della giovane si alzava, mostrando le
lunghe gambe color bronzo. I loro sguardi erano lunghi e intensi, la ragazza
lasciò la sala con una lacrima che la rigava il viso. Si era presa una cotta per
un arrogante, stupido, orgoglioso… intelligente, bellissimo ragazzo dagli occhi
verdi… era una bambina, anche se lo odiava, non riusciva a pensare a lui se non
come essere perfetto, e dolce, armonioso. Salì di corsa in camera, indossò il
pigiama di satin che le aveva regalato zia Rosa e si sedette sul divano con la
testa tra le mani. Il tango finì, Gianluca si staccò subito da Leida a cercò
disperatamente lo sguardo di Anna senza trovarlo -Dov’è?- -Chi??- rispose il
compagno. -Lei, dov’è??- -E’ salita su in camera…- Corse di sopra, si
fermò di fronte alla stanza di Anna, la guardò, prese un grosso respiro e si
diresse nella sua camera abbattuto. Aprì la porta e anche lui si mise nella
stessa posizione della ragazza. Mezzoretta dopo la porta della camera si aprì.
-Fatto?- -Fatto cosa?- domandò Gianluca perplesso -Sei già stato da lei?-
Michael era tutto in subbuglio -Veramente non ho neanche avuto il coraggio di
bussare…- -Cosa?! Stai scherzando vero? Ora tu esci da quella porta, bussi,
entri e le parli!!!- -Va bene, vado…- si alzò lentamente dal letto sotto lo
sguardo di rimprovero di Michael -Corri!!!- Anna sentì bussare alla porta.
-Si… chi è?- -Ehmm… Gianluca…- -Ah… entra…- era sconfitta. Si sedettero
sul divano in silenzio aspettando che l’altro prendesse la parola -Ciao Anna.-
Disse lui rompendo il ghiaccio -Ciao, come mai qui? Pensavo fossi a
ballare…- -Bè… veramente…. Mi ha costretto Michael a venire…- lei scoppiò a
ridere. –Michael… già, ci vuole proprio vedere insieme non è così?- -Si…- fu
interrotto -Ma noi siamo solo amici vero?- ipotizzò Anna -Solo amici…- ribadì
lui pieno di amarezza -A proposito, non è che domani mi accompagneresti in
centro? Devo comprare dei vestiti, ho solo due cambi, ne ho veramente
bisogno…- -Si, certo…- si alzò e insieme a lui fece la stessa cosa Anna
accarezzandosi il pantalone color panna. Quegli occhi verde smeraldo la
ipnotizzavano mentre Gianluca si avvicinava sempre più a quella mandorle color
caramello contornate da lunghe ciglia nere. Le tastò la guancia con la mano, le
sue labbra sfioravano la pelle fredda della ragazza che si lasciava andare
sempre più, una mano le cinse la vita e i due si abbandonarono ad un bacio lungo
e dolce come il miele.
Sentì bussare alla porta. Sbadigliò e si alzò come tutte le
mattine. L’orologio faceva le nove, si alzò di malavoglia. -Chi è?-
-Colazione a letto!- esclamò una voce familiare. Aprì -Michael!
Che ci fai vestito così?- indossava abiti da cameriere -Buongiorno madame, se mi
permette le consiglio di tornare a letto e svegliarsi solo quando la chiamerò io
d’accordo?- fece come le era stato detto, si infilò sotto le coperte, chiuse gli
occhi e fece finta di svegliarsi sorridendo al suono di un’allegra campana di
bronzo. -Umhh… buoni!!! Cosa sono?- chiese la ragazza masticando dei biscottini
a forma di mulino a vento -Si chiamano Ruiter Speculaas, biscotti speziati molto
buoni!!!! Ora ti lascio, vestiti e raggiungici, io e Gianluca siamo nell’entrata
principale.- Uscì aggraziatamente dalla porta bianca. La ragazza prese buono il
consiglio dell’amico e cercò nella borsa. Trovò una camicetta in chiffon,
sfumata, color arancio e rosa con le maniche a sbuffo da metter sopra a un
pantalone bianco. Tirò su i capelli ricci con una pinza e lasciò cadere ai lati
del viso due boccoli scuri che le risaltavano gli occhi chiari. Scese le scale
canticchiando. Non sapeva cosa fare, cosa era successo l’altra sera? Si erano
baciati, tutto qui, non c’era nient’altro. -Ciao Anna!- Gianluca era più bello
del solito -Ciao! Allora, questo giro in centro lo facciamo si o no?-
-Veramente dovrete andare da soli, ho delle cose da fare prima
della partenza, sono sicuro che starete bene.- Michael lo aveva fatto apposta,
ne erano sicuri entrambi. -Ok, vorrà dire che questa passeggiata la faremo senza
di te no, Anna??-
-Ehh… si… figurati….- Anna era arrossita.
I due camminavano per le vie del centro silenziosi. -Non pensi
di dover parlare di ciò che è successo ieri sera?- chiese il ragazzo curioso
-Perché? Che è successo ieri sera?-
-Tu mi hai baciato ricordi?-
-No affatto! Sei stato tu a baciarmi!!-
-Va bene, sia chi sia rimane il fatto che ci siamo
baciati.-
-Anna!!!- una voce scura suonava dietro le loro spalle,
Gianluca si voltò, Anna frugò dentro la borsa e ne estrasse un’automatica, si
rivolse verso suo zio, l’uomo che la stava chiamando e gliela puntò contro.
-Anna! Nipote cara! Stai bene si… metti giù quella pistola…-
-Sta bene a sentire! Vai via, non ti voglio qui!-
-E dai piccola!!! Non ti arrabbiare!!! Tanto non concludi
niente!!!-
-Zio se non te ne vai entro il tre io… ti sparo.- L’uomo rise
-Non c’hai le palle Anna, non ce le hai mai avute.-
-A no?? Uno…- Gianluca la fissava terrorizzato -Due…-
-Anna, non lo fare, fallo per me! Per Michael!!-
-Tre!- uno sparò frantumò l’aria in mille piccole scaglie di
vetro taglienti che ferirono l’animo bianco e pulito della ragazza, era
diventata un’assassina, come suo padre.
Lei era immobilizzata. La pistola le era caduta di mano, era
tutto fermo, immobile. I movimenti rallentati, lo sguardo di Gianluca e il
terrore negli occhi di Anna. -Scappa cazzo!! Corri!! Datti una mossa!- le sue
urla spezzarono quell’attimo di panico in cui tutto era diventato ovattato. Anna
non si muoveva -Schioda quei cazzo di piedi da terra e vieni con me!!- la
giovane afferrò. Gianluca raccolse la pistola e poi iniziarono a correre verso
l’ambasciata. Il ragazzo la tempestava di domande ma lei non capiva, era fuori
da tutto. Non si accorse nemmeno di essere svenuta nell’atrio dell’ambasciata,
di essere stata portata in camera, di essersi svegliata e rannicchiata sul
divano. -Secondo te è sveglia?- chiese il biondino all’amico -Non ne ho idea…
forse… Anna…- disse a bassa voce -Anna…- lei non rispondeva.
D’un tratto si accorse di essere nella sua stanza con la testa
fra le ginocchia, aspettò, sentiva delle voci lontane, quasi sfumate… alzò di
botto il capo tirando indietro i lunghi capelli neri. -Anna!!!- gridò Gianluca
pieno di stupore -Anna…- lei muoveva la bocca ma non ne usciva suono -Anna…- la
chiamavano. Era calma, non piangeva ma non riusciva a connettere il cervello
alla bocca. -Anna!!- le voci intorno a lei si facevano insistenti e brusche. Un
ragazzo dai capelli ricci la scosse -Anna c***o rispondi!!!-
-Vaffanculo- disse la ragazza a bassa voce mettendosi a
piangere -Cosa?- quel ragazzo castano era Gianluca. -Ho detto vaffanculo- ribadì
la ragazza con quel filo di incertezza che le usciva dalla bocca. Una mano
fredda le accarezzò il viso -Scotti… hai la febbre… ti portiamo di là- notò che
c’era anche Michael -No!!! Non voglio andare…- i due provarono a prenderla di
peso per portarla in camera da letto ma faceva resistenza. -Anna, per favore,
fai la brava!!-
-No!!-
-Ti pregò!!!- non smetteva di dimenarsi. Riuscirono a portarla
di là, la stesero e la misero sotto le lenzuola bianche -Lasciatemi cazzo!!!-
per la prima volta urlò. Michael la lasciò immediatamente, Gianluca no,
continuava a stringerle con forza i polsi -Mi fai male!!- singhiozzò, lui la
guardò con freddezza.
-Mollami!!- continuava a gridare mentre Gianluca non lasciava
quella stretta atroce -Gianluca!! Lasciala, le fai male!!-
-State tutti zitti!!!!- vociò il ragazzo dagli occhi verdi, non
la voleva lasciare, aveva paura che mollando quella presa sarebbe sparita, come
fumo, la stanza era diventata un delirio. Michael tacque ma Anna non smetteva di
tirare calci da sotto le coperte. I suoi occhi mielosi guardavano stizziti gli
smeraldi di lui mentre blaterava a gran voce. Le prese il mento, lo avvicinò a
se e la baciò, magari solo per farla stare zitta. -Non provarci mai più!!!-
-Scusami.-
-Ora lasciami il braccio- disse calma -No-
-Perché?-
-Quando quell’uomo ti ha puntato la pistola e tu non hai fatto
niente, io…io… ho temuto di non rivederti mai più, se non a terra con un buco in
testa e… ho avuto paura di perderti e non riuscire a passare un attimo di più
con te e… non ti voglio lasciare Anna, non ti voglio lasciare mai più…-
-Il braccio però me lo puoi lasciare, tanto con la febbre dove
vuoi che vada?- le lasciò delicatamente il braccio ormai violaceo. -Tieni-
Michael le passò un termometro bianco. -Penso di dovervi delle spiegazioni…-
-Pensa a riposare ora.- Rispose Gianluca -Io… voi dovete sapere
tutto….- Il termometro la interruppe suanando. -Trentanove e tre!-
-Dormi e riposa, domani mattina ci spiegherai tutto.-
-D’accordo.- La ragazza si girò stanca dall’altro lato del
letto e quando Michel arrivò con l’aspirina lei dormiva serenamente.
Il giorno seguente si svegliarono presto. -Gianluca!!! Forza!!
L’hai preparata la valigia???-
-Si Michael, l’hai svegliata Anna?-
-No… ora vado.- Il ragazzo era agitato, suo padre, Adriaan, gli
aveva detto che sarebbero andati con il jet privato, quello dell’ambasciata, il
che era stranissimo perché quell’aereo si usava solo per le emergenze. Certo,
quello che era successo ieri era una vera emergenza ma lui non gliene aveva
parlato… le cose si complicavano. -Anna… sveglia…-
-Che ore sono??- disse con l’aria di una che non si è ancora
ripresa da una sbornia.
-Le 8.00, mio padre vuole che andiamo subito ad Amsterdam,
quindi prendi le tue cose e scendi nella sala a fare colazione. Ah… quasi
dimenticavo, questa deve essere tua…- le passò l’automatica con dolcezza. -Non
la voglio una pistola…-
-Averla non vuol dire che devi sparare per forza… tienila…- la
prese timidamente e stette a contemplarla per alcuni secondi. Poi si guardò il
polso. -Ascolta, Gianluca non è un tipo che mette le mani addosso, soprattutto
alle ragazze, è che…- lo interruppe -lo so… ho capito… sono stata io… mi vesto e
arrivo.- Tagliò corto lei. Il biondino uscì dalla stanza avvilito. -Ciao
Michel.- Sua madre era li davanti al lui. Era una bella donna, sui quarant’anni,
giovane. Aveva i capelli castani, chiari, gli occhi grandi e verdi e due labbra
rosee e sottili. -Ciao mamma.-
-So che ieri è successo qualcosa…-
-Neanche io so cos’è successo, ora devo andare.- La liquidò
freddamente.
Con gli occhi gonfi e il polso bruciante s’incamminò fino alla
saletta. -Mademoiselle Anna??- sorrise alla voce di Adriaan. -Mi dica signor Van
der Buzzen-
-Ho saputo di ieri e mi sono permesso di darle asilo ad
Amsterdam.-
-Lei sta nascondendo un’assassina lo sa?-
-Non sei un’assassina Anna… sei solo una ragazzina di sedici
anni spaventata da un mostro che divora e distrugge tutto il buono che c’è in
Sicilia… e la cosa buona è che hai deciso di non assecondarlo. Ho parlato con
dei ministri italiani e con i responsabili della DEA, stai tranquilla, mi hanno
detto che non hanno trovato neanche una chiazza di sangue… doveva avere un
giubbotto antiproiettile… puoi venire ad Amsterdam con noi… la polizia di qui è
d’accordo con la nostra… sarai al sicuro.- Questo discorso così semplice e
lineare la tranquillizzò. I tre salirono sull’aereo e dopo ore di silenzio
ininterrotto si fermarono. Scesero in un grande aereoporto. Anna aveva
riflettuto e dormito, si era tranquillizzata, suo zio non era morto, ma avrebbe
potuto esserlo. Il viaggio era stato lungo e lei ora voleva solo una cosa. -Che
ne dite di un gelato??-
Fu così che arrivò ad Amsterdam
Anna De Luca 16 anni Amsterdam
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