The game of True or False.

di tunztunzwaffle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Mietitura. ***
Capitolo 2: *** La commedia. ***



Capitolo 1
*** La Mietitura. ***


Note.
In primis, sappiate che mi ha sorpresa che nessuno ci avesse pensato prima. Questo è il mio debutto nel fandom /e/ su efp. Precisazioni. Dato che i personaggi che avevo intenzione di usare sono latentemente più grandi di diciottenni, ho manipolato un po' le regole dei giochi, portando il limite di età a 25 anni. Questo vuol dire tredici anni di mietiture, wow. In più: ho combinato la tematica Panem con quella dei mutanti, ma i chiarimenti li avrete leggendo -dato che la letture del Trattato del Tradimento durante la mietitura, mi ha dato la scusa di riassumere la storia di Panem lievemente diversa da quella originale. Non appariranno personaggi dei libri se non quelli estremamente secondari, come Flickerman; per esempio, il Presidente non è Snow, ma un personaggio legato alla saga degli X-Men. Il Distretto 9 non è mai stato descritto e si sa ben poco su di esso -tralasciando le immagini ufficiali che sono da poco state rilasciate in vista di Mockinjay(che mostrano un abitante per ogni Distretto)- quindi mi sono presa un minimo di libertà, attenendomi alle informazioni ricevute. Ci saranno dei momenti-tributo al libro, o, in ogni caso, per qualche particolare della storia mi ispirerò al libro. Qualsiasi espediente sarà in ogni caso usato in un contesto ed una maniera differente. Remy Etienne Lebeu è Gambit, nei film appare soltanto in 'Wolverine: Le Origini'.
Nei capitoli, nel caso in cui creda siano necessari chiarimenti, inserirò piccoli numeri sopra le parole che vi riporteranno alle note in cima al capitolo, come segue.
1. Parla di Johanna Mason, riferimento al libro.
2. Armando Munoz è il Darwin di First Class; lì non ha un fisico molto imponente, ma nel fumetto è considerevolmente più grande di corporatura e ho deciso di prendere quella in considerazione, giusto per non avere troppi tributi minuti, lol.


.La Mietitura

Un'improvvisa e violenta folata di vento mi prende di sorpresa. Succede poco spesso che mi distragga dal mio lavoro e se lo faccio, normalmente la mia fuga si svolge su un piano puramente fantastico; ogni giorno mi allontano dalle risaie , invisibile agli occhi dei Pacificatori, e corro nei campi di papaveri rimasti, quel poco di terreno incolto che prima o poi verrà distrutto in virtù della nascita di qualche altra piantagione. Ma è solo un riflesso, un pensiero che mi copre gli occhi mentre tengo il capo chino sul mio lavoro.
Ma non oggi.  I Pacificatori sono impegnati, non se ne vedono. Almeno non qui intorno. Sono seduto su una sottile striscia di terreno che divide una coltura dall'altra, la stessa sul quale tutte le mattine cammino prima di impegnarmi nel curare le piante verdi e tenere che solleticano il pelo dell'acqua. Ho le gambe raccolte al petto, nel tentativo di sedermi senza dovermi necessariamente inzuppare fino alle ginocchia. Tutta questa situazione è familiare: il fruscio del frumento, che vedo distendersi per poi tornare elasticamente alla sua posizione originale; il vento che si insinua fra ogni girasole, sussurrando parole che non riesco a comprendere; la luce forte di un mezzogiorno caldo e afoso, che picchia sul terreno deserto. Succede solo una volta all'anno che ogni contadino eluda il lavoro, preso da altri pensieri. Il giorno della mietitura. Ho sempre pensato che fosse ironico si chiamasse proprio così, dal momento che abito nel Distretto 9, dove la parola 'mietitura' appare spesso come un'innocua parola quotidiana -magari non amica, ma quantomeno normale. Ma ogni anno, nello stesso giorno, assume un significato sinistro. Due di noi verranno scelti per sentire il fiato della morte, disgustarsene e per esserne inghiottiti. Che i settantaquattresimi Hunger Games abbiano inizio!, penso, con amara ironia. Punto lo sguardo verso la rete elettrificata sormontata da filo spinato, davanti alla quale ci sono i pochi Pacificatori che sorveglieranno quella che può essere l'unica via per un disperato tentativo di fuga e tiro un sospiro, sfiorando il collare che ho al collo. A volte, per qualche secondo, mi illudo di essere libero, felice. Dura poco, con tutti questi elementi a ricordarmi quanto, ogni minuto di più, la gabbia che mi imprigiona sembra progressivamente restringersi, dandomi la sensazione che un giorno le sbarre arriveranno a soffocarmi. Ma non oggi. Oggi, tutti i miei pensieri sono rivolti ad una sola persona che ha bisogno di me, non posso permettermi di lasciarmi morire.  "Ancora qui?" Squilla qualcuno accanto a me. Vengo percosso da un brivido. Non avevo sentito nessuno avvicinarsi, ma il mio sussultare dipende più che altro al fatto che oggi sento di non poter abbassare la guardia.  "Sono così tremendamente spaventosa?" Scherza la ragazza che mi si è appena accucciata accanto. E' Raven. L'ho conosciuta quando, ancora ragazzino -avrò avuto nove o dieci anni- l'ho trovata a bazzicare vicino a casa mia un po' troppo oltre l'orario prestabilito. Quella notte, credo di averla salvata per un pelo dall'essere scoperta in giro a quell'ora -avrebbero subito pensato che volesse rubare del cibo dalle riserve- e da quel momento in poi, è rimasta con me e mia madre. I suoi genitori erano morti da poco e mi ha confessato che la sua azione non era priva di motivazioni. Avvolta dal buio e tremante, aveva capito che non ce l'avrebbe fatta. Che non era in grado di continuare da sola; diceva di non avere forza, né carattere. Ha saputo dimostrarmi il contrario, e io ho deciso che l'avrei protetta, ad ogni costo, anche da se stessa e dal suo tentativo di farsi catturare. Ora che ha ventidue anni, splende di una luce propria, fiorita nel migliore dei modi in una generosa giovinezza. Si scosta i capelli dal viso, portandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio. Sorride e la cosa mi rende perplesso. "Sarà la tua faccia" rispondo, ridendo e voltandomi verso di lei. Meglio sdrammatizzare, no? E' già pronta. Indossa un vestito rosa con decorazioni floreali che le si stringe in vita grazie ad un fiocco color confetto. E' un po' logoro, probabilmente una volta è appartenuto a mia madre, ma è comunque in ottime condizioni e riesce a mettere in risalto il fisico snello ma non privo di forme di quella che io considero mia sorella. Indossa un cappello di paglia con un fiocco rosa, per proteggersi dal sole cocente della giornata. Lei continua a sorridere, senza mai rivolgermi uno sguardo. "Charles," esordisce. Capisco immediatamente che qualcosa non va e so anche di cosa si tratta. Il nostri nomi appaiono fin troppe volte in quella lista. Se poi penso a tutte le nomine in più che ho io per le tessere, credo di poter intuire cosa sta per dirmi. Chiudo gli occhi, preparandomi ad un augurio, come quelli che mi fa ogni anno e che io faccio a lei. "ho paura." Mi volto, le sorrido quanto più pacificamente posso. "Raven, devi stare tranquilla, in confronto a molte persone che conosco, dieci nomine sono-" mi interrompe, proseguendo quello che sembrava un discorso terminato. La sua voce si incrina, ma lei continua a negarmi uno sguardo. "Tu non hai dieci nomine." Dice convinta. Prima che io possa ribattere, mi frena con altre parole, sempre più sussurrate, sempre più sofferte. "Non voglio perderti." Soffia, prima che una lacrima le righi il volto. Mi avvicino di scatto, abbracciandola. Cosa posso dirle? Ha semplicemente detto ad alta voce quello che stavamo pensando entrambi. Cerco comunque di tranquillizzarla. "Raven, ho venticinque anni. Per me, questa è l'ultima mietitura" mi allontano da lei, senza mutare la mia espressione distesa "Andrà tutto bene." Le asciugo la lacrima solitaria, prima che questa possa raggiungere il mento. "Ce la siamo cavati fino ad ora, no? Conto su di noi." Finisco le mie argomentazioni, nella cieca speranza che le mie parole di rassicurazione riescano a frenare quel terrore che la divora da dentro e che io ho sempre dovuto nascondere per essere lo scudo della mia famiglia. Lei. Devo proteggerla, essere la sua roccia. Questo è il mio compito e farò tutto ciò che è in mio potere per portarlo a termine, fino in fondo.


Entro il pomeriggio, sono pronto anche io. Indosso la camicia meno sgualcita o rovinata che ho e credo di poter dire lo stesso dei pantaloni. Ai piedi ho i mocassini di mio padre, a cui Raven ha dato una ripulita ieri sera, con un sorriso illusorio dipinto sulle labbra. Ha cercato di non pensarci, ma alla fine è esplosa; tipico di lei. Mia madre non è in casa. Deve essere già in piazza, anche se dubito sia lì per fare il tifo per me, quanto più perché è costretta ad assistere. Non indugio troppo a pensare a lei, come lei avrà sicuramente fatto con me, ed usciamo di casa, rendendoci conto che rischiamo di arrivare in ritardo. Fino alla piazza vige un religioso silenzio, che potrebbe anche risultare fastidioso, pesante o imbarazzante, se non credessi che sia meglio così; sono troppo impegnato a districarmi fra i miei pensieri per costruire una conversazione, troppo preoccupato per apparire sollevato e leggero come sempre. Allungo il passo, non ci possiamo permettere di arrivare tardi. Ma, allo stesso momento, sento crescere dentro il desiderio che quella strada che in pochi istanti ci porterà al patibolo. duri in eterno, diventando un corridoio senza fine. Cosa darei per far durare quest'istante per sempre? Ma non ho nemmeno il tempo di desiderarlo che siamo già in piazza. Ci registriamo. Credo che il mio cuore abbia smesso di battere e mi muovo quasi incosciamente nell'area degli uomini, senza però perdere di vista neanche per un secondo mia sorella, sfilando davanti ai Pacificatori. Sul palco, un uomo giovane e curato, siede fra il sindaco e sua moglie, sfoggiando un sorriso di circostanza ai sorteggiabili e ai loro famigliari, riuniti attorno alla zona delimitata, silenziosi e scossi da paure più che legittime. Battono le due e il Sindaco si alza, avvicinandosi al microfono. Ha un'aria tetra, cupa. Legge la solita solfa. La storia di Panem, la Fenice del Nord America, uno stato travagliato e distrutto da una feroce guerra nucleare. Panem nacque per mano degli umani sopravvissuti alla distruzione totale che presero il controllo con un unico obbiettivo: proteggersi dai Figli Dell'Atomo, i mutanti che, crudeli e spietati, volevano sottrarre loro la loro terra promessa. Ma grazie alle Sentinelle -armi che ormai solo di rado si possono vedere in giro- e ai collari inibitori, finalmente i mutanti sono stati domati e resi docili. E nella loro enorme magnaminità, gli esseri umani hanno concesso comunque loro fette di terra e lavoro, distruggendo l'ultima minaccia rimasta: il Distretto 13, il Distretto dei ribelli. Da quel giorno in poi, Panem vive in pace e ogni anno i Giorni Bui nei quali i mutanti si erano ribellati agli umani, vengono ricordati con gli Hunger Games. Le regole sono semplici: ogni Distretto, come punizione, deve fornire due partecipanti fra i dodici e i venticinque anni, i tributi. I ventiquattro partecipanti verranno poi lasciati in un'arena -che può essere una foresta così come una spiaggia tropicale- ad uccidersi fra loro. L'ultimo rimasto, vince. Ascolto ogni parola del discorso, ingoiando velono e capisco che il Sindaco stesso odia le parole che sta dicendo, che sembrano talmente false in certi punti da sembrare sarcastiche. So che questa storia è di parte, e dubito molto di come certi passaggi vengono esposti. "E' il giorno del pentimento ed è il momento del ringraziamento" intona cupo e solenne il nostro Sindaco. Ci fanno vedere un video che testimonia la distruzione del Distretto 13 e il disgusto che provo verso questa situazione germoglia dall'indifferenza che riesco gelidamente a mantenere per il resto dell'anno; gli Hunger Games si prendono gioco di noi, ci umiliano, riuscendo a colpire ognuno nel proprio piccolo mondo personale. Mandano al macello dei ragazzini e degli uomini appena fatti, pretendendo che noi li consideriamo una festa. Dobbiamo considerarla una cosa divertente. E la nausea culmina nel pensare che c'è davvero un gruppo di persone dalle menti perverse che crede che tutto questo sia buffo, un semplice programma, nulla di più. Sono delle vite. Ma loro non lo capiscono, i privilegiati, gli umani, troppo coccolati dai loro benefici per rendersi veramente conto di qualcosa. Ma non li colpevolizzo. Sono ciechi ed incoscienti di quello che sta succedendo, gli abitanti di Capitol. Trattengo il fiato. Come di consuetudine, viene letta la lista dei vincitori del Distretto. Ne abbiamo 5, ma l'unico ancora vivo è Logan Howlett, un uomo ruvido e muscoloso, che porprio ora sta salendo sul palco, senza privarsi del sigaro che sta fumando, con un'espressione scocciata. Il Sindaco non si cura troppo di lui, e presenta l'accompagnatore del Distretto: Remy Etienne Lebeu. Questo libera la sedia che si trova fra il Sindaco e la moglie, mentre Howlett occupa la sua ai margini del palco. "Felici Hunger Games!" Biascica, con un'accento di Capitol City così marcato da farlo sembrare uno straniero. "E possa la fortuna essere sempre a vostro favore!" Esclama poi, frizzante come sempre. Ha ancora qualche speranza di vedere i suoi Tributi trionfare, e chissà, magari pensa che questo sia l'anno buono. Tengo lo sguardo fisso su di lui, come tutti gli altri, del resto. L'attesa sta martoriando tutti, come un chiodo che, piantato sul dorso della mano, viene spinto giù con una lentezza sadica ed infinita. In diretta nazionale. "Prima le signorine!" Continua, avvicinandosi a una delle due bocce di vetro e violandola con una certa delicatezza, probabilmente per aumentare la suspance. Alla fine, pesca una strisciolina di carta,  simile a molte altre. Legge silenziosamente, per poi recitare il nome con lentezza, per assicurarsi di non sbagliare. Lo sento, eppure mi sembra così irreale da non poter essere vero. Sento un tuffo al cuore. Lebeu, ha appena letto il nome Raven Darkholme, scritto il bella calligrafia sul foglietto che stringe fra le dita. I miei occhi saettano fra la folla e vedo le altre ragazze farle spazio per passare. Poi incrocio il suo sguardo. Ha paura, ha gli occhi lucidi. Sa di non avere speranze di tornare indietro, mentre io muoio dentro, aggrappandomi però a quella sottile corda che è la possibilità che lei vinca in ogni caso gli Hunger Games. Sento gli occhi inumidirsi e penso in fretta alla mia mossa. C'è un unico modo per stare accanto a lei. Ma la sorte è ironica, e decide di rendermi tutto più semplice e diretto. Remy si avvicina col passo leggero e femmineo di una ballerina all'altra boccia ed esegue lo stesso rituale, mentre il mio respiro si fa più pesante, nel mantenere il contatto ottico con Raven. "Charles Xavier!" Sento il mio nome. Per riflesso la mia mano scatta appena verso l'alto, ancor prima che io possa realizzare che tutti mi stanno facendo strada, con espressioni dispiaciute. Tossisco appena, imbarazzato dal gesto che ho appena fatto -che finirà appunto, sulle bocche di tutti- ed inizio ad incamminarmi verso il palco. Lei crolla. Inizia a piangere silenziosamente sul palco, gettando gli occhi azzurri e grandi verso il basso, mentre io intercetto lo sguardo del nostro mentore, che ha alzato gli occhi al cielo, in evidente segno di disperazione. Rassicurante, è la prima affermazione che, con laconica ironia mi si disegna nella mente. Io e mia sorella siamo sul palco, uno accanto all'altra. La differenza è che lei si è spezzata, mentre io no. Ed è proprio questo a rendermi più determinato; capisco che il mio unico obbiettivo nell'Arena, sarà vivere abbastanza da far tornare indietro l'unica persona a cui sento realmente di voler bene.                                
Il Sindaco riprende a parlare, duro e distante, e conclude infine l'interminabile e monotono Trattato di Tradimento; ci impone di stringerci le mani. Prendo la mano di Raven e la stringo nella mia, nel modo più rassicurante che riesco a simulare, con forza. Voglio farle capire che io ci sarò, sarò pronto a difenderla. Intreccio le mie dita con le sue, e lei ricambia debolmente, resa fiacca dalle lacrime che le scivolano copiosamente sul volto. Se ha fortuna, potrebbero decidere di lasciarla in pace proprio per questo; era successo in passato che una ragazza di cui non ricordo il nome(1), a forza di pianti e lamentele, avesse finito per essere considerata completamente innocua. Fu lasciata per ultima dai tributi più forti, e alla fine si scoprì che era capace di ucciderli tutti. Aveva vinto. Io cerco di mantenere la calma, ma è davvero difficile. In ogni caso, prima che io abbia il tempo di abituarmi realmente all'idea, dei Pacificatori ci invitano a seguirli e ci scortano dentro al Palazzo di Giustizia. Veniamo portati in due stanze diverse e io so che ho un'ora per salutare amici e parenti. Ma chi incarna queste due parole sta aspettando in una stanza simile le stesse visite. Entrano dei conoscenti, mi guardano con gli occhi lucidi con cui si guarda un malato terminale di cui appena si conosce il nome. Sono sicuro che provano pena per me, ma nessuno di loro soffrirà non vedendomi ritornare. Porgo i miei ultimi saluti nascondendo la riluttanza a parlare e dispensando invece sorrisi di circostanza. Alla fine, entra mia madre.                      
Ha un aspetto orribile. Come sempre. Continuo a sorridere placidamente, mi forzo di farlo, mentre lei mi guarda seria e torva, con occhi vitrei, senza parlare. Vedo il rossetto sbavato e il trucco pesante coprirle le palpebre sfumato dal sudore, per non parlare del vestito rosso e apparentemente molto scomodo che indossa, e capisco cosa ha fatto stanotte. Mia madre ha sempre ritenuto troppo faticoso impegnarsi in lavori manuali per guadagnarsi da vivere, quindi si cimenta in attività di tutt'altra natura in cambio di cure mediche e qualcosa da mangiare. E so anche che mi odia per questo. Era un'abitante di Capitol, prima che io nascessi e venisse trovato in me in gene X, quello che mi rendeva inaccettabile ed inadatto a trovarmi lì, in un ospedale. Così la trasferirono nel Distretto 9 insieme a me e mio padre. Lui sopportò, e finché non morì, anche mia madre sembrava reggere. Ma dopo la morte di mio padre, tutto sembrò crollare; capìi che la mia famiglia e l'affetto di mia madre erano tanto effimeri quanto un castello di carte. Ma l'uomo è fatto per adattarsi e io mi abituai agli sguardi colmi di risentimento della mia stessa madre, che preferiva il silenzio a qualsiasi altra forma di violenza. Ma credo che sia riuscita a ferirmi nello stesso modo, se non di più. E ora mi fissa, senza dire nulla. Vedo scenderle una lacrima lungo la guancia. Ho deciso di prenderlo come una parola di gentilezza non detta, uno 'scusa' frenato dall'orgoglio a dal dolore; ma d'altra parte so benissimo che potrebbe semplicemente essere la perdita dell'ultimo legame che ha col mondo, per quanto sottile sia. O ancora, credo che ora, nei miei occhi, veda tutto ciò che ha perso per colpa mia, che venga presa infine dal tremendo rimpianto che l'ha perseguitata per una ventina d'anni a parte: perché gli ho dato la vita? Le sorrido, e mi rendo conto di essermi commosso, proprio come lei. Un Pacificatore rompe la nostra bolla di dolore muto, dicendoci che il nostro tempo è finito. Continuo a sorriderle mentre la vedo andarsene, senza mai staccare gli occhi dai suoi, che rimangono fissi su di me fino a quando in Pacificatore non si frappone a noi.                                                                                                                                
Il viaggio sino alla stazione è in macchina. Ho cercato di rimuovere le prove delle mie lacrime, ma non sono sicuro di riuscirci; lo spero, in ogni caso. Raven continua a piangere ininterrottamente e io continuo a stringerle la mano, cercando di corrucciare la fronte, simulare un'espressione dura. In non molto tempo, arriviamo alla stazione, sapendo che ad aspettarci ci sono altre telecamere. Scendiamo dall'automobile assieme ad Howlett, che non ci ha degnati di uno sguardo per tutto il viaggio, ed un entusiasmato Remy, che invece non ha smesso di farfugliare cose senza senso per tutto il tempo, mantenendo però una cadenza regolare ed elegante e quel suo strano accento.
Non riesco a capire se sia davvero l'accento di Capitol o se sia semplicemente un modo di parlare tutto suo dato che, per esempio, non ho mai sentito Flickerman parlare in questo modo. Sarà perché fa più tendenza? Inizia la nostra sfilata fra le telecamere; cerco di rimanere fermo, duro, cerco di sorreggere Raven mentre le stringo la mano, ma per qualche secondo, riesco a vedere la mia immagine su uno schermo e mi deludo del mio risultato. Ho gli occhi arrossati, per le lacrime che ho trattenuto e per quelle poche che ho versato poco fa; fra l'altro ho un'espressione tirata e tesa, una faccia di bronzo forzata e malriuscita. Prendo un respiro e riesco ad apparire tranquillo, in pochi attimi. Calma la tua mente mi dico, nel tentativo di apparire più rilassato. Incredibilmente, mi riesce. Vedo un volto tranquillo sullo schermo mentre continuo a camminare e mi impegno addirittura a sorridere. Sento un risultato abbastanza naturale e pacato e mi complimento interiormente con me stesso. Sarò riuscito a non apparire debole?                              

Il treno è un lusso. E' la prima volta che salgo su un treno passeggeri, certo, ma dubito che siano tutti così. Ognuno di noi ha una cabina personale. Dico a Raven che ho bisogno di farmi una doccia e le suggerisco di fare lo stesso. Ci ricongiungiamo alla cena, vedendo che il nostro accompagnatore e il nostro mentore si sono già accomodati. "Le posso suggerire di spegnere il sigaro?" Sta chiedendo Remy, proprio mentre noi entriamo, rivolto ad Howlett. Il tono è delicato ed educato, ma percepisco una sfumatura tagliente nel modo in cui l'ha detto, nonostante le 'r' ridondanti e tutti i suoni affusolati che si schiudono amorevolmente dalle sue labbra. L'altro alza lo sguardo, apparentemente infuriato -anche se, data la sua espressione di default, credo che sia semplicemente infastidito- e risponde secco: "No." Etienne rimane a fissarlo qualche attimo e sta già per riprendere a parlare, evidentemente più animato, quando decido di interrompere il momento con un lieve colpo di tosse, per far presente ai litiganti che siamo arrivati. La situazione strappa un sorriso a Raven e anche io non posso fare a meno di sentirmene divertito. I due si girano verso di noi quasi contemporaneamente. "Oh, che bello avervi finalmente qui, giusto in tempo!" Ci accoglie il primo. Logan non sembra intenzionato a fare conversazione. Riusciremo a guadagnare sponsor con un mentore simile? Questa preoccupazione ha iniziato ad insinuarsi sibilitante fra i miei pensieri. "La cena sta arrivando!" Continua l'altro, sempre giocondo. Detto questo, si impossessa del telecomando ed accende la televisione, mentre alcuni addetti iniziano a portare le pietanze. Mia sorella punta subito lo sguardo sull'anatra all'arancia che ci hanno appena messo davanti, mentre io non riesco a staccare gli occhi dalla televisione, in attesa che facciano chiaramente vedere i partecipanti. Passano in rassegna le mietiture in ogni distretto, ed i commentatori non si risparmiano. Nel primo Distretto si sono offerti due ragazzi maturi, credo che abbiano più o meno la mia età. Il maschio sembra molto più grande, è un bestione biondo che ghigna famelico alle telecamere; Victor Creed. L'altra invece è una donna elegante ed affascinante: è talmente bionda da sembrare che abbia forgiato i suoi capelli dal platino, e ha due grandi occhi azzurri che tiene socchiusi, sprigionando un'aura maliziosa. Il secondo Distretto invece conta un solo volontario: Alex Summers, anche lui biondo, ma molto più giovane dei primi due. Avrà diciotto anni, ma sembra carico di rabbia ed ha i muscoli al posto giusto. La ragazza invece era spaventata, è evidente, e non si è offerta volontaria. La guardo con le sopracciglia corrucciate, ma qualche secondo dopo, mi sono già dimenticato il suo nome. Non tutti riescono a restarmi in testa, ma alla fine del resoconto, oltre ai primi riesco a ricordarmi solo 7 o 8 tributi. Il primo è  Hank McCoy, un ragazzo mingherlino e con un grosso paio di occhiali proveniente dal Distretto 3, che non ha smesso di torturarsi le mani per un attimo. I commentatori sono stati crudeli con lui. Poi c'è Sean Cassidy, anche lui minuto ma apparentemente più determinato, anche se non sono sicuro di averlo visto bene, col visto seminascosto da ciuffi scomposti di riccioli rossi; Distretto 4. Angel Salvadore, Distretto 8; una bella ragazza dalla pelle olivastra. Non si scompone. Poi, dopo di loro, ricordava solo il nome di Armando Munoz, un ragazzo alto e abbastanza robusto(2), dalla pelle scura e lo sguardo inferocito. Probabilmente è la situazione in cui si è cacciato a renderlo talmente furioso. Avrò tempo per imparare i nomi degli altri tributi, ma, fra tutti, mi ha colpito uno in particolare: Erik Lensherr, il tributo maschio del settimo Distretto che, una volta chiamato, è salito senza scomporsi sul palco ed ha puntato gli occhi alle telecamere, con uno sguardo quasi indifferente. E ancora, prima di salire sul treno, ha sorriso magneticamente agli obbiettivi. Ha le spalle larghe e sembra muscoloso, anche se non è poi tanto facile intuirlo quando lo guardi indossare un dolcevita nero e non esageratamente attillato sullo schermo della televisione. Eppure, guardandolo, la prima cosa che ho pensato è che Lensherr è senza dubbio un uomo affascinante. E aggiungendo che ha dimostrato una buona dose di sangue freddo, diventa un nemico pericoloso.                                                                                                        
"Tutto bene?" Chiede Raven, accigliandosi. Mi giro frettolosamente verso di lei e le sorrido. "Sì, certo." Mi sono reso conto solo ora di star fissando la televisione con uno sguardo tetro e la fronte corrugata. Mentre i commentatori parlano dei fiacchi tributi del Distretto 12, sto ancora pensando a Lensherr che, per qualche motivo, mi è rimasto bloccato in testa più degli altri. La cena passa senza intoppi né grandi tentativi di conversazione da parte di nessuno, nemmeno Remy, anche lui concentrato nell'ascoltare ciò che dice il televisore. Dopo mi dirigo verso la mia stanza e Raven mi segue. La lascio fare. Quando entriamo nella cabina, mi volto verso di lei, sorridente. "Sì?" Le chiedo con un velo di sarcasmo, anche se immagino cosa voglia da me. "Possiamo dormire insieme?" Ci sono molte parole non dette dietro quella frase sussurrata e pudica, ma io le sento tutte, incise sulla pelle e dolorose. Lei sa che ci rimane poco tempo insieme e non vuole perderlo. E neanche io. Allungo il mio sorriso verso l'alto e annuisco. "Vai a cambiarti e poi torna qui." Le dico. Lei annuisce e ricambia il mio sorriso, anche se ce qualcosa che lo strozza, facendolo durare poco più di qualche secondo. E' successo tutto così in fretta, eppure ora sembra passata un'eternità da quando ero seduto di fronte la risaia, a guardare il nulla ed ascoltare il vento.                                                                                  
Quella notte dormiamo insieme, abbracciati e malinconici, ma finalmente più tranquilli. Lei crolla in maniera quasi istantanea, mentre io mi addormento al ritmo del suo cuore e del suo respiro regolare. Spesso, quando eravamo più piccoli, i nostri amici ci prendevano in giro, convinti che ci saremmo sposati un giorno; io non ci ho mai creduto, e ora, venticinquenne, sono ancora convinto del fatto che Raven sia la miglior sorella del mondo e del fatto che non ci sarà mai nulla di romantico fra noi e so che lei la pensa nello stesso modo. Abbiamo un legame troppo profondo, troppo viscerale, per essere cambiato. Ed in ogni caso, non ce ne sarebbe più tempo.                                                              
Mi sveglio grazie ad un raggio di luce che filtra dalle persiane di cui è dotata la mia finestra in cabina che la tinge di giochi di luci ed ombre geometrici. Mi metto a sedere pigramente, e noto che la mia occasionale conquilina si è già alzata. Mi stiro, sbadiglio e sono in piedi.
Non ci metto molto a vestirmi, recuperano i vestiti curati e probabilmente molto costosi che ho indossato ieri dopo essermi fatto la doccia. Non dovrebbe mancare molto per Capitol City e so che quando arriveremo dovremo incontrare i nostri stilisti che ci prepareranno alla cerimonia di apertura. Quando vado a fare colazione, come il giorno prima, mi stupisco della quantità di cibo che è servita in tavola, ma non riesco a mangiare tanto quanto vorrei, coi pensieri diretti a tutt'altro. Remy tossisce, lanciando uno sguardo torvo ed eloquente ad Howlett, che sbuffa come un bufalo e prende parola: "Allora" inizia, roteando gli occhi e accendendosi un sigaro "qual'è il vostro gioco?" Ci chiede. Lancio un'occhiata a Raven, che sembra confusa come me. "Gioco?" Risponde infatti lei, inclinando le sopracciglia verso l'alto con evidente perplessità. Il mentore aggrotta vistosamente le sopracciglia, appoggiando gli avambracci al tavolo. "Mi state dicendo che non avete una strategia? Niente? Nessuna idea?" Inizia a tempestarci di domande evidentemente retoriche e non riesco a frenare una lieve irritazione. Non mi ero di certo preparato nei dettagli, nel caso in cui fossi stato sorteggiato. "Nessuna" confermo i suoi dubbi, seriamente. "E allora cos'era quella scenata davanti alle telecamere alla Stazione?" Continua, contrariato."Pensavo aveste un'idea, non che foste delle mammolette!" Conclude infine, senza preoccuparsi di nascondere la sua delusione. Vorrei potergli rispondere, ma non saprei come. Effettivamente, è vero, avrei voluto essere più duro, ma evidentemente quel mio unico momento di debolezza non è stato invisibile. Come avevo potuto distrarmi mente i commentatori parlavano di me? Ero ancora concentrato sugli altri tributi? Cercando di ricordare, riemerge l'immagine di Erik, che scaccio il più in fretta possibile dai miei pensieri.Prendo un lungo fiato, per evitare di apparire aggressivo nei suoi confronti e gli chiedo: "Cosa dovremmo fare, secondo te?" Lui ci squadra. "Sapete combattere?" Storco il naso. "Sappiamo usare la zappa, siamo forti." Rimbecca Raven, con una nuova luce negli occhi. Speranza. Desiderio di sopravvivere. "Potrebbe esservi utile." Fa una pausa. "Una volta che gli stilisti vi avranno messo le mani addosso, potreste anche sembrare più che decenti. Siete fidanzati?" Io spalanco gli occhi e Raven arrossisce all'insinuazione. "No, siamo come fratelli." Rispondo io, per tutti e due. Lui agrotta le sopracciglia. "Quando vi intervisteranno, ogni volta che vi riprendono, ostentatelo. Vi potrebbe aiutare ad avere più sponsor. Sapete, la storia commovente." Per qualche secondo mi sembra una follia mettere in gioco una cosa talmente personale, ma mi rendo conto quasi immediatamente del fatto che ha ragione.Gli abitanti di Capitol cercano emozioni, cercano sangue e lacrime, vogliono il dolore dei partecipanti; questo rende l'edizione più emozionante e piena di colpi di scena. Annuisco, mentre Raven rimane in silenzio, ma sembra essere d'accordo. Howlett si alza, intenzionato a ritornare nella sua cabina probabilmente. "Ah, e..." risprende, voltandosi appena verso di noi "non vi opponete a ciò che fanno i vostri stilisti. Anche se non vi piace." Esce di scena con i suoi passi pesanti, senza aggiungere altro, mentre noi lo guardiamo confusi e Remy sorride radioso. "Sarà una bellissima edizione, ragazzi!" Esclama, prima di voltarsi verso le finestre del treno. Cerco di capire se intende che abbiamo delle possibilità, o se si riferisce al semplice fatto che quest'edizione sarà più emozionante delle altre. Non riesco a fidarmi di lui. Fuori dalla finestra, c'è una folla urlante, emozionata dall'arrivo di un treno di tributi. "Salutate, sorridete, salutate" sibila Remy in un ritornello che lui rispetta alla perfezione, senza scomporre il suo sorriso. Ci avviciniamo al finestrino e agitiamo le mani, sorridendo a chi non vede l'ora di vederci morire. Ma rendersi piacevoli agli occhi della gente è il primo passo per conquistare il cuore degli sponsor.                                     

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Capitolo 2
*** La commedia. ***


Note.
Come avrete notato, ho deciso di rendere la pubblicazione dei capitoli settimanale. Salvo eccezioni -dovrei avere un viaggio a breve- gli aggiornamenti saranno ogni sette giorni, Lunedì. La storia sta iniziando a prendere forma, e credo che, se continuo a scrivere capitoli di questa lunghezza, potrei finirla in 4, 5 o massimo 6 capitoli, ma dipende dalla logica che mi spinge a finire o meno un capitolo in un certo punto. E' possibile che i capitoli della storia all'interno dell'Arena saranno più brevi ma decisamente più intensi, ovviamente. I numeri delle annotazioni sono continui di capitolo in capitolo.

3. Si riferisce alle immagini che hanno rilasciato un po' di tempo fa per promuovere Mockinjay, in cui hanno mostrato gli abiti tradizionali di ogni Distretto. Se siete curiosi di vedere l'immagine a cui mi sono ispirata, chiedete pure -preferisco non inserire link esterni nell'HTML della storia.


La Commedia.

Non capisco perché il mio stilista senta la necessità di depilarmi. Sono un uomo, quindi dei peli non sarebbero poi tanto sconvenienti da parte mia. Eppure lui continua imperterrito il suo lavoro, con accuratezza maniacale; prima fa la ceretta e, nel caso fosse rimasto qualche pelo, se ne occupa con la pinzetta.
"E' doloroso, ma necessario!" Continua a dire pomposo, mentre io stringo i denti per il dolore che mi sta causando. Prima di iniziare il trattamento, Marcus, uno degli aiutanti del mio vero e proprio stilista che a quanto pare non si occuperà della mia cura per quanto riguarda la gestione della peluria e affini. In ogni caso, oltre alla depilazione delle gambe, mi depila anche il petto e cerca di rendere le mie sopracciglia "più presentabili"-a parole sue. Ma dopo la lunga tortura causatami da lui, Basilius e Illiricus, arriva finalmente il vero e proprio stilista. Sarà compito suo preoccuparsi del mio abbigliamente e di quello di Raven, in modo che sia totalmente in linea col mio distretto. Mi immagino vestito da spiga di grano e rabbrividisco, terrorizzato dalle idee che questo Alceus può avere riguardo la moda e i cereali e alla loro possibile combinazione. Beh, l'importante è, quantomeno, indossare dei vestiti. E' un uomo più elegante dei primi tre, che indossa un completo semplice e bianco, in contrasto con la pelle abbronzata. Mi squadra dall'alto in basso, facendomi sentire alquanto in imbarazzo, dal momento che sono nudo. Sembra star riflettendo. Più cerco di immaginarmi cosa indosserò questa sera, più tremo. Eppure lui sembra sicuro di sé e in parte questa sua sicurezza apparentemente non frutto di arroganza, riesce a darmi un po' di sicurezza. La preparazione continua per molte ore, finché, un'ora scarsa prima della cerimonia, fra pause per mangiare abbastanza silenziose -tralasciando qualche scherzo nervoso fatto con Raven o le frecciatine che Howlett e Lebeu si sono lanciati quasi perennemente, che avevano egualmente strappato un sorriso- sono pronto. Indosso una camicia dalle tonalità pastello, di un colore bianco che tende delicatamente verso il giallo; sotto al colletto sono state cucite delle spighe di grano che, intrecciate, vanno a coprirmi le spalle. Ogni rifinitura della camicia è realizzata con vere e proprie spighe; si snodano accanto a bottoni e ne seguono le cuciture. Sopra la camica indosso delle bretelle, anch'esse gialle, color frassino, ed evidentemente ispirate a quello che si può considerare l'abito tradizionale del Distretto 9(3) , un sistema per trasportare grandi quantità di grano senza occupare le mani. E' come un busto a cui è collegato un cesto, nel quale noi mettiamo il raccolto per trasportarlo. Ma su questo il cesto non c'è, ed è pieno di rifiniture dorate e regali, che lo rendono quasi elegante. La camicia sparisce sotto quella specie di salopette rigida e scomoda-che mi favorisce anche una postura più retta ed elegante- e finisce dentro ai pantaloni, anch'essi lignei, ma più vicini alle tonalità dell'olmo. Infine, le scarpe sono un semplice paio di mocassini laccati che mi ricordano quelli di mio padre, quelli che indossavo alla mietitura. Sento la porta apirsi e smetto di guardarmi allo specchio solo per capire di non essere che il cavaliere della star della serata. Raven splende, in un vestito dello stesso delicato colore della camicia. Le spighe cucite all'abito ne seguono le cuciture e disegnano immagini floreali sul tessuto, sino alla fine della gonna, dove le spighe sono messe in verticale, simboleggiando un campo di grano. Il corpetto è a cuore e valorizza le forme della ragazza. La frangia dei capelli è portata verso l'alto e poi mandata all'indietro, assumendo una forma singolare, ma senza osare, e i capelli biondi di mia sorella -ora più brillanti che mai- sono intrecciati con delle spighe, che accompagnano la frangia a ricongiungersi col resto dei capelli sulla nuca, da dove parte una folta treccia che le ricade su una spalla, richiamando ancora una volta il frumento. Le ciglia sono state infoltite da un mascara dorato, facendo nuovamente eco a quel cereale a cui siamo tanto legati. Ed effettivamente, anche se in un certo senso mi sembra pacchiano il modo in cui tutto di noi gridi "FRUMENTO" credo che sia io che lei non siamo mai stati così curati ed attraenti come lo siamo ora. Il mio sorriso si allarga lentamente sul volto e lei fa una piroetta. "Ta-da!" Esclama, facendomi vedere l'abito per intero. "Sei stupenda" le rispondo immediatamente io, scuotendo appena la testa e mormorando; se non pensassi che questa sfilata potrebbe essere una delle ultime cose che farò prima di morire, potrei addirittura trovarla piacevole. Ma al momento mi concentro sul fatto che Raven sorride, e anche io sembro esserne capace. "Anche tu stai bene, ma non quanto me" dice poi, con una finta aria di sufficienza. Rido. "Oh, davvero? Potrei farti lo sgambetto sul carro, non tentarmi" la minaccio, ridacchiando. Remy entra di fretta. "Raggazzi, su, sbrigatevi! Dobbiamo presentarci all'entrata della sfilata fra poco!"                                                
Cerco di capire perché dobbiamo arrivare in anticipo. Di cosa dobbiamo occuparci, di dare gli zuccherini ai cavalli? Non alzo gli occhi se non per portarli al nostro carro, e Raven fa lo stesso. Ha perso il sorriso nell'ascensore, mentre arrivavamo, per colpa dell'ansia. E anche io ora mi sento nervoso. So che i nostri abiti sono perfetti, credo di non averne visti di meglio fatti per il nostro distretto, ma non è quello che mi angoscia. Sento lo sguardo di qualcuno bruciarmi addosso. A malincuore, mi volto appena, gettando degli sguardi ai miei avversari. Senza sorprendermi troppo, noto che tutti stanno facendo la stessa cosa. Ma, solo dopo un po', noto gli occhi di qualcuno puntati proprio nella nostra direzione, quasi fissamente. Raven, avendo notato che qualcosa -o qualcuno- ha attirato la mia attenzione, mi imita e punta lo sguardo nello stesso punto. Un uomo aitante ha puntato lo sguardo verso di noi, ma notandolo ricambiato si volta appena, fingendo interesse per i cavalli del suo carro. Indossa una maschera di foglie che gli copre la prima parte del volto, lasciando scoperti solo gli occhi. E' a torso nudo, così che gli addominali e i pettorali tonici siano messi in risalto; delle liane -o una loro imitazione molto fedele- gli avviluppano gentilmente le braccia e gli fasciano obliquamente l'ombelico, senza però impedire di vedere la pelle nuda e chiara al di sotto. Porta due anelli scuri stretti al di sopra dei bicipiti -sempre allo scopo di evidenziarli, suppongo- mentre alla vita indossa una citura che con una spaccatura a V gli accarezza il pube senza però mostrare nulla, lasciando tutto all'immaginazione; infatti da lì parte una gonna verde, ruvida ed ispida, strappata da una parte al livello delle ginocchia, offrendo la visuale sulle gambe, anch'esse ben scolpite, che sono cinte da sandali di legno dal ginocchio in giù.                                      
Distretto 7. E' Erik Lensherr. Deve aver notato che il nostro sguardo persiste -credo che Raven non abbia ancora capito perché lo stiamo osservando- perché si volta appena verso di noi, sorride con la complicità di un amico e fa un occhiolino. Aggrotto le sopracciglia e mi volto verso di Raven, che vedo arrossire mentre punta nuovamente la sua attenzione sul nostro carro. "Raven" la chiamo. "Sì?" Chiede lei, ancora imbarazzata dalla gentilezza inaspettata del tributo. "Non pensarci neanche per un attimo." Le intimo, forse in modo troppo rude e freddo, perché lei non mi risponde e si volta. Vorrei continuare la nostra conversazione, ma non c'è tempo. Remy ci invita a salire sul carro, mentre Logan lancia uno sguardo diffidente a Lensherr. Credo stia cercando di capire le sue intenzioni, come sto facendo io. Saliamo sul carro e aspettiamo il nostro turno, dato che sappiamo che i primi ad uscire saranno i tributi del primo Distretto. Sento le grida del pubblico che acclama i favoriti e vedo i carri iniziare ad uscire, uno dopo l'altro. Sento le urla delle ragazze inferocite quando è il turno del settimo Distretto, che sembra aver puntato di più sul suo tributo maschio che sul tributo femmina. E invece, a cosa sta puntando Erik? Finalmente, è il nostro turno. Il carro inizio la sua sfilata e anche noi iniziamo a ricevere applausi e commenti invidiosi da parte delle ragazze che amano l'abito; incredibilmente, anche io ho delle ragazze ad  invocare il mio nome, e sento le guance diventare calde, segno che sto arrossendo. In qualche modo, così facendo, non faccio che amplificare lo scroscio degli applausi. Poi, improvvisamente, mi ricordo cosa ha detto Logan questa mattina. Mi volto verso di Raven, le sorrido, e le stringo più forte che posso la mano, alzandola poi al cielo e provocando una sua risata. Ridiamo e sorridiamo entrambi, salutando il pubblico, ma so che anche lei, come me, sta solo cercendo di fingere. Sono contento che ci riesca talmente bene. Alla fine della sfilata, arriviamo dentro all'Anfiteatro che segna la fine di questa grottesca parata, che mi ha anche offerto una visione di me stesso sul megaschermo, più falso che mai. E ho visto anche la mia mano e quella di mia sorella unite. E solo vedendolo su uno schermo, come ho fatto con tutti gli altri Hunger Games, capisco quanto menzognere siano state le nostre mani strette. Perché ci siamo legati l'uno all'altra, sia per il pubblico che per questo nostro effimero e disperato tentativo di strappare le nostre ultime gioie al mondo, ma nell'Arena rimane solo uno. Guardo Raven sottecchi, senza smettere di sorridere dolcemente. E questa sarà Raven. Il Presidente Kelly ci da il suo benvenuto ufficiale e poi i carri iniziano ad entrare nel Centro di Addestramento. Lì passeremo tre giorni, e svolgeremo tre sessioni di Addestramento. Dovremo assorbire tutto il possibile, prima di essere gettati gli uni in pasto agli altri.

Nel Centro di Addestramento, i tributi hanno le proprie camere in cui trascorrere la notte. Dopo essermi disfatto dei miei abiti grazie all'aiuto di uno staff di prepartori, mi ritrovo a fissare il soffitto, in biancheria, mentre penso a Lensherr e a quella criptica complicità che ha regalato a me e a mia sorella. A me e a mia sorella. A me e a Raven. Socchiudo gli occhi, sentendomi improvvisamente infastidito. Che quel piccolo ma inusuale gesto di intimità fosse unicamente per lei? Sicuramente. Spero che Erik non stia cercando di conquistare mia sorella per ucciderla, sarebbe spregevole, oltre che insensato. Più ci rifletto, meno ha senso. Perché avrebbe dovuto conquistare Raven, che non è fra i Favoriti e non si è nemmeno dimostrata forte come invece hanno fatto molti altri tributi femmina? Arriccio il naso, preso dai miei pensieri e da tutte quelle domande che non sembrano avere risposta. Sento bussare alla mia porta. So già chi è. "Entra" dico sorridendo. Lei entra, indossando un pigiama che sembra essere morbido e caldo e si stringe accanto a me. Ci addormentiamo abbracciati e senza parole, se non sussurri riguaro la magnificenza che siamo riusciti a dimostrate quella sera e le parole che il pubblico ci ha vomitato  addosso. Tutte parole effimere che servono solo per coprire ciò a cui stanno pensando, per non parlare di paure, di cose vere. Tanto vale mantenere la bugia ancora un po', quel che basta per godere del calore reciproco e degli ultimi ricordi che riusciranno a condividere, comunque vada. La notte passa, ma senza che io riesca a dormire o senza che Raven riesca ad evitare i brutti sogni.                                                                                                                                                                                    
I tributi fanno la prima colazione col loro accompagnatore e col loro mentore. Infatti, eccoci qui, ad una delle nostre ultime abbuffate. Certo, detta in questa maniera, la situazione si fa ancora più tetra. Sto pensando all'allenamento. Cosa dovrei fare come prima cosa? Lancio uno sguardo preoccupato a Logan, che intercetta i miei pensieri. "Oggi avrete la vostra prima sessione di allenamento." Inizia con un ovvietà. Spero abbia di più da dirci rispetto a questo.
"Non cimentatevi in cose che non sapete fare per nulla e occupatevi a rafforzare le vostre abilità, a meno che non pensiate di riuscire a fare qualcosa che possa fare la differenza fra la vita e la morte." Aspetto che aggiunga altro, ma non sembra intenzionato. "Per esempio?" Gli chiedo, facendo scattare un sopracciglio verso l'alto. "Per esempio accendere un fuoco, trovare dell'acqua..." Sbotta infastidito. So come accendere un fuoco? Non credo. E cosa dovrei potenziare? La mia forza fisica? So usare una zappa, che però può essere paragonata a poche armi. E in forza fisica sono svantaggiato rispetto a molti altri, come Victor ed Erik. Tutto questo sta vertendo verso una semplice soluzione: sono spacciato. Respiro appena più profondamente e, per qualche secondo, tengo l'aria nei polmoni prima di ributtarla fuori. Logan lo nota. Stiamo per scendere per allenarci, Raven mi precede e, prima di entrare in ascensore, il mio mentore mi ferma, prendendomi per una spalla. "Attento a quello del Distretto 7." Annuisco, senza voltarmi verso di lui, ed entro nell'ascensore.  
Scendiamo verso il Centro di Addestramento e Remy si lamenta, dato che siamo arrivati in ritardo. Tutti i tributi sono riuniti attorno ad una donna che sta già parlando, mentre degli assistenti ci appuntano frettolosamente il numero 9 sulla schiena e ci spingono verso l'agglomerato di odio che è diventato il cerchio dei tributi. La donna che sta parlando ci lancia un'occhiata fulminante, ma continua a parlare; sembra abbia appena cominciato. E' Atala, la capoistruttrice e ci dice come funzionano gli allenamenti, e cosa è severamente proibito -come fare prove di lotta con altri tributi. In breve, alla fine della spiegazione, io e Raven ci troviamo spaesati, indecisi su cosa scegliere. Alla fine mi espongo: "Vado a provare ad accendere un fuoco. Che ne dici?" Propongo, con un sorriso sghembo. Lei annuisce grave, seguendomi verso la postazione adibita. I Favoriti si stanno esibendo nelle loro tecniche di combattimento con armi letali, cercando di intimorire gli avversari. Faccio scivolare lo sguardo ad una postazione che mi ha incuriosito, dopo essere riuscito -con un'oretta buona di addestramento- ad accendere un fuoco. Alex Summers e Victor Creed ridacchiano, guardando da questa parte. So quanto rischio di rendermi ridicolo, ma decido di farlo comunque, per qualche motivo. "Raven, torno subito." Le dico, allontanandomi mentre lei continua a cercare di infiammare un mucchietto di foglie secche senza alcun successo. Eccola lì, vuota, la postazione dell'arco. Non credo di saper usare un arco. Ma non ho saputo resistergli. L'istruttore inarca un sopracciglio, non riuscendo a capire se ho intenzione o meno di provare. Cedo. Mi da delle nozioni base. La schiena dritta, come impugnarlo, quando rilasciare la corda. Poi mi mette un arco in mano e si fa da parte, aspettando che io provi.                                                                          
E' così vicina dal centro che io stesso stento a crederci, mentre l'istruttore si complimenta con me, sorpreso. "Un talento naturale, eh?" Fa una voce roca e profonda dietro di me. Mi volto di scatto e vedo Erik Lensherr sorridermi con aria amichevole. "Non mi risulta che nel Distretto 9 si faccia questo grande uso dell'arco. O almeno non credevo, dato che eri coperto di grano, alla sfilata." Mi giro di scatto, dandogli le spalle. Cosa vuole da noi? "Non mi risulta che siano affari tuoi." Gli dico tranquillo, sorridendo, per poi voltarmi nuovamente e scoccare un'altra freccia, ancora sorprendentemente vicina al centro. Temo che siano delle coincidenze, quindi ci riprovo più volte, mentre Erik mi osserva silenzioso. Eppure, salvo uno o due tentativi, vanno tutti a buon fine. L'uomo dietro di me fischia, come per complimentarsi, immagino. O è sarcastico? "Speriamo ce ne siano nell'Arena." Commenta semplicemente e stavolta sono sicuro sia ironico. Quindi mi giro per rispondergli, non potendo fare a meno di notare che è molto più vicino rispetto a prima. Almeno abbastanza da sentire il suo alito in faccia, constato. "Speriamo" ribatto seccamente senza cambiare espressione, sperando che Erik perda soddisfazione nel provocarmi senza risultati. Ma lui non demorde e rimane vicino. Per la prima volta, noto i suoi occhi. Sono grigi, anche se altre volte mi erano distrattamente sembrati azzurri, e taglienti; brillano di un bagliore metallico e, allo stesso tempo, vedo delle onde di colore nascere dalla sua pupilla e disegnare ombre appena più scure fino alla linea nera, sottile e marcata che determina la fine dell'iride. Deglutisco e lui segue il movimento del mio pomo d'Adamo, accarezzando il collare con lo sguardo e riagganciando i nostri occhi. "Scomodo?" Mi chiede semplicemente. Per quanto l'abbia detto in modo ambiguo, capisco perfettamente a cosa si riferisce. Ma come posso rispondergli? Perché dovrebbe importarmi se dice cose pericolose per se stesso -considerando che è a Capitol? All'improvviso, una voce spezza quel momento eterno. "Erik!" Summers richiama la sua attenzione, quindi l'uomo dai capelli corti si gira e si avvia verso il ragazzo, lasciandomi qui a boccheggiare nella mia confusione. Cosa cerca? Qual'è la sua tattica?

Anche il secondo giorno di allenamenti mi alleno con l'arco, mentre vedo Erik cimentarsi in attività come i nodi o gli ami; il primo pensiero che formulo è che abbia ricevuto un consiglio come quello che Logan ha dato a noi -e che mi ha fruttato un rimprovero ed una lode nel giro di cinque minuti dallo stesso. Poi inizio a pensare che stia cercando di occupare il tempo, certo che saprà organizzarsi nell'Arena. Ho deciso di prendere in osservazione i tributi, per capire che genere di avversari ho. Ne ho già inquadrati molti. Hank McCoy, per esempio. E' molto intelligente e si vede, ma non riesce in qualsivoglia attività manuale, che, sostanzialmente, sono l'unico tipo di attività che si svolgono negli Hunger Games. E' giusto che la forza sia accompagnato dall'intelletto, ma un genio particolarmente impacciato e non molto furbo per quanto riguarda tutti i campi che non siano la scienza, non potrà mai fare molto all'interno dei giochi. Guardandolo, mi sento in pena per il fatto che il mondo sta per perdere una mente brillante in una sfida priva di senso e brutale. La ragazza del suo stesso Distretto sembra egualiarlo in impaccio, ma non sembra altrettanto intelligente. Sposto lo sguardo verso altri tributi e, involontariamente, lo sguardo mi cade sulla cerniera della felpa di Emma Frost, tirata fin troppo giù per non attirare l'attenzione di un venticinquenne. Raven è accanto a me e mi tira uno scappellotto, causandomi una risata imbarazzata. Eppure, tranne qualche dettaglio sui tributi, non scopro nulla di interessante. Ognuno è esattamente come sembra; eccetto Lensherr forse, che, nonostante le attività per lo più secondarie in cui si cimenta, sembra avere buone possibilità di allearsi coi Favoriti. Anche oggi lancia una fugace ma intensa -e seducente?- occhiata nella nostra direzione, e sorprendo nuovamente Raven ad arrossire. Non ho ancora capito le sue intenzioni e temo sempre più che quando le capirò, sarà troppo tardi. Decido di parlare con Logan, più tardi, dato che non sembro capace di arrivarci da solo. Mi sento terribilmente ingenuo.                                                                                            
Dopo la cena, aspetto che Raven vada nella sua stanza per cambiarsi e gli poso una mano sulla spalla. "Ho bisogno di parlarti." Esordisco, a voce bassa. Lui alza le spalle e si volta verso di me. Senza alzare il mio tono di voce, abbasso la mano dalla sua spalla per portarmela alla tasca dei pantaloni. "Cosa ne pensi di Erik?" chiedo, per poi chiarire. "Il ragazzo del Distretto 7." Lui sembra turbato -anche se effettivamente lo sembra sempre. "Credo che stia tramando qualcosa." Borbotta. "E finché non so di cosa si tratta, non mi piace." Ringhia, cercando ancora di non farsi sentire, capendo che non voglio allarmare Raven. Ed è proprio su di lei che mi rimbecca. "Attento alla sorellina." Mi ammonisce. "Guarda il ragazzo con occhi strani. O il contrario." Conclude, fingendosi molto concentrato sul suo sigaro. Allora non è stata solo una mia impressione. Questo mi rassicura sulla mia salute mentale, ma non molto per quanto riguardi le carte coperte di Erik, incognite fin troppo scomode per noi. Logan non dice nulla sulle alleanze, ed intuisco che nessuno ha voluto allearsi con noi, molto probabilmente. Non chiedo neanche degli sponsor, per quelli è troppo presto. Quando torno nella mia stanza, trovo Raven ad aspettarmi, già infilata nelle coperte, che mi guarda. Mi sento come se mi stesse chiedendo qualcosa. Mi infilo nel letto e l'abbraccio, finché lei non si addormenta. Ma io non riesco a chiudere occhio. Soli due giorno all'Arena. Soli due giorni alla morte. Deglutisco. Non so neanche se riuscirò a superare il bagno di sangue iniziale, per quanto io sia determinato a salvare mia sorella. Non riesco a rimanere fermo qui, quindi mi alzo con delicatezza, cercando di non svegliare la mia bella addormentata, ed essendo ancora vestito, sgattaiolo fuori dalla mia stanza. Prendo l'ascensore. Se devo morire, c'è ancora qualche cosa che devo fare. Mi appunto una lista mentalmente. Quali saranno i miei rimpianti? Avrei voluto vedere il mondo, ma ho sempre saputo quanto fosse impossibile. Ma posso per lo meno vedere Capitol City illuminata a festa di notte. Muovo i miei primi passi sul tetto, avvicinandomi al bordo. Mi chiedo se non si preoccupino dei tributi, di quello che potrebbero fare, ma allungando la mano, ho le mie risposte. Vedo una scintilla e allontano subito le dita con cui ho evidentemente tocca una barriera elettro-magnetica. Se provassi a buttarmi, verrei rispedito indietro. Getto i miei occhi famelici sulla vista che ho da lì. Capitol City è una città pulsante di vita che, come un cuore, non smette mai di battere fino alla sua morte; brulica di persone indaffarate che cercano di rimanere in equilibrio sui loro ridicoli tacchi e anche a quest'ora di notte ogni tanto si sente un grido. Vedo le macchine sfrecciare velocemente per brevi tratti di strada per poi incastrarsi nel frenetico traffico notturno. Penso che, in fondo, anche loro sono schiavi. Ma in modo diverso da lui. Loro sono schiavi del loro modo di vivere e delle loro convinzioni assurde, schiavi del consumo e delle tendenze. Io sono il loro schiavo. Sfioro delicatamente il collare, con l'indice e il medio, prima di sentire dei passi dietro di me. Qualcuno si è avvicinato, i passi sono stati ovattati dal vento che tira. Mi volto di scatto e vedo Erik che mi guarda sorridente. "Allora non sono l'unico che viene qui a pensare." Inizia. Sospiro pesantemente, ma rispondo con un sorriso frettoloso, sempre per non dargli la soddisfazione di farmi impazzire -come sta realmente facendo. "Tranquillo, non ho intenzione di trattenermi." Le parole escono più ostili di quanto non vorrei, e lui inarca un sopracciglio, incuriosito. Inizio ad incamminarmi verso l'ascensore, passandogli vicino, ma lui mi mette una mano sul petto, per fermarmi. Sta per dire qualcosa, ma parlo prima io. "Quali sono le tue intenzioni?" Gli chiedo, stavolta con un tono grave e un'espressione altrettanto seria. Gira lentamente il capo verso di me, con le sopracciglia che accentuano quello che per me è sempre stato un sorrsio sarcastico. "Sopravvivere. Le tue?" Sì, è decisamente sarcastico. Spingo la sua mano lontana da me e mi dirigo a grandi passi verso l'ascensore, mentre lui si gira nella mia direzione. Con lo scendere dell'ascensore, non riesco a sganciare lo sguardo da quello di Erik, che scompare lentamente dal mio campo visivo, ma che rimane accanto a me tutta la notte, con il suo sarcasmo, i suoi dannati piani e il viso truce con cui mi ha fissato questa sera mentre scomparivo nel cemento.

Il terzo giorno, a mezzogiorno, ci chiamano per le nostre prove. Prima di me, osservo entrare altri tributi. Molti sembrano aver dato il meglio di loro. Erik entra composto, ed esce sudato, trattenendo il fiatone e passandosi una mano fra i capelli corti, ma fluenti e quasi sempre ordinati. Non ci avevo fatto caso fin ora. Mi passa vicino con la fronte corrugata; sembra preso da uno scatto d'ira e si getta rabbioso nell'ascensore, premendo il bottone del suo piano con una certa violenza. Cerco di ignorarlo. In breve arriva il mio turno. Lancio uno sguardo a Raven ed entro. Capisco la rabbia di Erik solo ora. Gli Strateghi. Sono gli organizzatori degli Hunger Games, e devono valutare le nostre performance alla fine dei giorni di Addestramento, assegnadoci un numero da uno a dodici, che segna le probabilità che i Tributi hanno di vincere. I risultanti escono questa sera, ma dubito che saranno in grado di valutarci senza guardarci. Sono troppo occupati nel loro banchetto, ma nonostante questo, faccio del mio meglio. Sfoggio la forza fisica di cui dispongo spostando energicamente oggetti pesanti -solo quelli che sono certo di poter lanciare senza morire- poi do una breve dimostrazione con l'accetta, la cosa più simile alla zappa che vedo, ignorando completamente la scure che vede abbandonata sul terreno. Immagino uno dei Favoriti maneggiarla senza alcun problema, e rabbrividisco interiormente. Alla fine, azzardo: prendo l'arco e tiro tre freccie. Manco il bersaglio una volta, un'altra mi avvicino al centro e la terza, incredibilmente, lo prendo in pieno. Mi dicono che posso congedarmi e così faccio. Mentre esco, do una pacca di incoraggiamento a Raven e mi infilo nell'ascensore, preoccupato, con un'espressione corrucciata.                                                                                                                                                                
Quella sera, in televisione, ci sono i punteggi. Poco prima, dopo un pomeriggio di chiacchere, arriva la fatidica domanda di Remy. "Com'è andata oggi?" Io sollevo le spalle, non sapendo bene come rispondere. "Non ci guardavano neanche." Risponde invece Raven, ammutolita. Remy sospira, guardandoci come una mamma chioccia guarda i suoi ingenui pulcini, mentre Logan non si interessa al nostro discorso e guarda la televisione. In poco, iniziano a passare i punteggi. Molti sono prevedibili; alti per i Favoriti, un po' più moderati per gli altri. Sto bevendo del succo di arancia e rischio di sputarlo quando vedo il punteggio di Erik. Undici. Credo di averlo proprio sputato sulla tovaglia invece, da come mi sta guardando Remy -un miscuglio incerto di disgusto e pena verso 'coloro che non hanno potuto ricevere un'educazione decente'. Beh, almeno so per certo che Remy preferirà sempre noi ai ragazzi del Distretto 12, sottoposti anche loro a condizioni di fame, probabilmente anche peggiori delle nostre. Anche se non posso esserne sicuro, non avendo mai visitato il Distretto 12. In ogni caso non è rose e fiori da nessuna parte, sicuramente. Arriva il mio punteggio. Sette. Strabuzzò gli occhi e tutti si complimentano con me, Remy e gli stilisti, che fino ad ora avevano confabulato fra di loro, emettendo gemiti di sorpresa e cercando di soffocare commenti sussurrati che evidentemente preferivano non udissimo. Poi arriva quello di Raven. Quattro. Tutti si rabbuiano, mentre Logan rimane impassibile. "Il risultato di adesso non conta." Soffia, mentre si serve del vino nella coppa. "Potrai sempre dimostrare quanto sia sbagliato, una volta là dentro." Cala un silenzio pesante, probabilmente più di quello di prima, che viene poi spezzato dall'allegria forzata dei capitolini. Che l'improvvisa quiete sia stata causata dal fatto che nessuno di noi è davvero certo di cosa Raven potrà dimostrare nell'Arena? Sorrido ai nostri stilisti che, con quegli scatti di allegria falsissimi, hanno comunque tinto di sfumature meno pesanti l'atmosfera e portato il sorriso a mia sorella. Domani ci sarà l'intervista in diretta nazionale e continuo a pensare per tutta la cena a come dovrò comportarmi e cosa dovrò fare. In ogni caso, Logan ci preparerà. "Ah, domani..." inizia, prima che tutti abbandoniamo la stanza da pranzo. "...sarete preparati separatamente." Questo è uno dei motivi per cui non mi piace Logan. Non si riesce a capire cosa gli passi per la mente finché non lo dice in modo palese. E decisamente non l'ha appena fatto.

Nella mattinata, sono io a prepararmi. Logan e Remy mi consigliano di essere gentile, sorridere al pubblico, immaginare di essere amici. Mi danno nozioni fondamentali, suggerimenti per mantenere viva la conversazione. Alceus mi dice che mi presenterà l'abito nuovo solo quella sera e, per quanto mi fidi del suo buon gusto, ho comunque paura di cosa si trovi sotto il velo nero, ma lo nascondo con un sorriso di circostanza mal riuscito. Nel pomeriggio tocca a Raven. Mi torco le mani per tutta la giornata. Non ho mai parlato di fronte a così tanta gente, vorrei sapere perché Logan ha deciso di separarci, vorrei avere la certezza di poter fare bene e vorrei poter comprendere cosa debba dire a Raven in più che a me non ha detto; perché, date le nozioni puramente basiche di cui Logan mi ha fornito, è ovvio che le debba dire qualcosa in più e non qualcosa in meno. A cosa la sta preparando?                                                                      
Alla fine arriva il fatidico momento della serata in cui Alceus ha deciso di rivelarmi il suo abito. Lo libera repentinamente dal velo nero che lo copre. E' un completo corvino, fornito di cravatta che ha un solo ed importante dettaglio rilevante; un gilet azzurro di un materiale brillante, quasi laccato, che al tocco -come scopro non appena avvicino la mano allo stesso, sembra velluto. Gli sorrido entusiasta. "Si intona coi tuoi occhi." Risponde semplicemente lui, prima di eclissarsi. So che, mutamente, in qualche modo, ci siamo scambiati dei ringraziamenti. E' solo che è così difficile abbandonarsi a ringraziamenti commoventi ed abbandonare questo forzato modo di comportarmi naturalmente, proprio perché, sapere che sto per morire, mi spinge a far finta di non saperlo.  
Incontro Raven e Logan nell'ascensore, accompagnato fin lì da Remy. Dobbiamo dirigerci all'Anfiteatro. C'è qualche istante di silenzio, che io passo ad osservare la bionda. Indossa un vestito corto e dorato; il corpetto è a cuore, stretto sino in vita, dove l'abito si apre in delle balze sbarazzine che le arrivano alle cosce, qualche centimetro sopra il ginocchio. "Perché?" Chiedo infine io, senza neanche girarmi verso il mio mentore. "Mh?" Risponde lui, inarcando una delle due folte sopracciglia. "Perché ci siamo preparati da soli?" Specifico io. C'è un momento di esitazione, Logan tentenna, ma alla fine risponde. "Potrebbe avere sorprese che tu non avrai." Troppo vago, ma è troppo tardi. L'ascensore si è aperto e il percorso da lì al palco dietro all'Anfiteatro è troppo breve o almeno abbastanza da permettere che la calca dello staff di preparazione ci sia già addosso, per poi farci raggiungere gli altri Tributi. Ogni stilista ha saputo giocare bene sul corpo del proprio modello. Emma è stupenda, fasciata in un vestito che stuzzica con le sue trasparenze, bloccando gli occhi in un gioco di vedo e non vedo di tonalità di azzurre, forme, brillantini. Non posso dire lo stesso di Creed, che sembra più che altro un gorilla costretto in un abito da imprenditore, e da come si agita, credo che condivida a grandi linee la mia opinione. Caesar Flickerman si destreggia bene in ogni intervista, riuscendo a far splendere a modo suo ogni tributo e a farli risultare molto più divertenti di quanto qualcuno non sia in realtà. Ogni intervista dura 3 minuti ed infatti, in breve -una manciata di minuti- arriva anche la sua. Erik fa capolino dalle tende e sorride in modo composto il pubblico, esibendo un sorriso contenuto, ma caloroso. Indossa un completo sobrio, grigio, una camicia bianca e una cravatta nera. Il suo stile altero ne mette in evidenza i lineamenti duri, la mascella squadrata e virile e lo sguardo penetrante, anch'esso tinto di tonalità grigie. Un gruppo in particolare di ragazze chiama il suo nome e lui dimostra il suo interesse verso di loro con un occhiolino. Caesar ride. "Ti sei già guadagnato delle fan, eh?" Chiede retorico. Erik si accomoda sulla poltrona, appoggiandosi allo schienale e portando la caviglia sinistra -quella rivolta a pubblico e telecamere- sul ginocchio dell'altra gamba, riuscendo ad ottenere una posizione dignitosa ed elegante, senza mai smettere di essere mascolino. Sorride divertito. "Oh, beh, contro ogni aspettativa." Commenta con la sua voce bassa e profonda. Non c'è da stupirsi che abbia un gruppo di vere e proprie ammiratrici, è un uomo affascinante, impossibile negarlo. Caesar si getta in una nuova risata, per poi contraddirlo. "Ma come, un ragazzo bello come te che ha così poca autostima?" Erik è tempestivo e parla con la sicurezza di una persona carismatica. "Se lo dici tu, mi fiderò di te. Ma temo che siano i fatti a parlare." Caesar inclina la testa, assumendo una delle sue solite espressioni esagerate, che ora è un misto fra stupore e un sorriso sghembo. "Non dirmi che non hai nessuno che ti aspetta a casa!" Il giovane chiude un attimo agli occhi, come colpito da quella affermazione, per poi scuotere appena la testa. "Nessuno." Conferma. Non posso fare a meno di chiedermi quanto quella parola potesse aver assunto il significato generale o meno, a giudicare dalla reazione apparentemente ferita dell'uomo che vedo nello schermo, dietro al palco. Raven aggrotta le sopracciglia e prende fiato. Ho l'impressione che mi stia nascondendo qualcosa. "Non sarà mica perché sei una persona inafferrabile?" Chiede Caesar, indicandolo con ironia e ricevendo assenso del pubblico, che poco prima si era dispiaciuto per il giovane e solo tributo. La risata dell'altro è cristallina, ma sembra coprire un'incrinatura nella voce. "In realtà qualcuno che mi ha afferrato ci sarebbe, ma dubito che..." lascia la frase in sospeso, finché Flickerman non lo spinge a fornire più dettagli. "Su, su, non essere timido, dicci di più!" Tira un sospiro, Erik, e abbassa appena le spalle, tenute fino a quel momento in una posizione alta e fiera. Nel pubblico la tensione cresce. "Soltanto uno di noi uscirà vivo di qui." Soltanto ora capisco. Le confidenze. Le preparazione separate. L'atteggiamento ambiguo del tributo del Distretto 7 nei loro confronti. Vuole giocare ad uno spettacolo delle marionette e ha scelto una preda facile che gli assicuri un dramma a poco tempo dall'inizio dei giochi, per guadagnarsi più sponsor. Caesar sembra commosso. "Su, non ci tenere sulle spine, dicci chi è!" Anche dietro al palco tutti sembrano trattenere il fiato, lanciandosi occhiate sospettose fra di loro, soprattutto al tributo femmina del settimo Distretto, una ragazza magrolina e perennemente tremante. "E'..." sembra essere in difficoltà, ma so benissimo quale nome sta per dire. Raven. Vuole giocare con la vita di mia sorella. "...Charles Xavier, il tributo del Distretto 7." Il pubblico si esalta improvvisamente, gridando parole di incoraggiamento, in un'improvvisa onda di commozione e sorpresa. Anche Caesar spalanca gli occhi e la bocca, portandosi una mano al cuore. "Chi vuole sentire una sua risposta?" Si sentono grida entusiasmate da tutto il pubblico, mentre il segnale acustico che segnala la fine dell'intervista di Erik scatta. "Oh, beh, peccato! A presto Erik, e..." si prende una pausa per ammiccare eloquentemente alle telecamere ed indicare con un cenno della testa le tende dietro al palco. "...buona fortuna, per tutto!" L'altro ride e si dirige dietro al palco, dove il tempo si è fermato. Tutti si sono girati a guardarmi, Raven per prima, confusa e sorpresa, mentre io cerco ancora di metabolizzare le informazioni che ho appena ricevuto. I tributi dell'ottavo Distretto mi guardano malissimo e passano furiosamente vicino ad Erik mentre lui esce dal palco senza degnarli di uno sguardo. Gli abbiamo rubato la scena: ora la gente, durante le loro interviste, non farà che pensare alla rivelazione del tributo del settimo Distretto e alla mia risposta. Certo, ma quale risposta? Sento il panico salire. Cosa dovrei fare? Raven mi mette una mano sulla spalla. "Charles, Logan pensava che sarei stata io la persona a cui si sarebbe dichiarato." Inizia, partendo in quarta. "Anche io lo pensavo." Bisbigliò stizzito, al limite dell'esasperazione. "Quindi, io sono pronta all'evenienza e tu no." Alzo immediatamente gli occhi sui suoi. Aspetto che continui, guardandola torvo. "Devi dire che lo hai appena conosciuto e che questa dichiarazione ti ha preso tanto alla sprovvista, che non riesci a decidere dei tuoi sentimenti così facilmente. Poi il resto verrà da sé, vedrai." Mi rassicura. La sua raccomandazione sembra quasi uscire dalla bocca di Logan, abituato come sono ad immaginarlo come colui che ci da le direttive. Annuisco, cercando di tranquillizzarmi. Due segnali acustici e sarà il mio turno. Due tributi. Sei minuti.                                                                  
I tributi del Distretto 8 hanno interviste molto meno emozionanti rispetto alle altre; è evidente che il pubblico freme nell'attesa della mia intervista. E alla fine, il mio turno arriva. Entro sorridente, non appena vedo il tributo femmina dell'ottavo Distretto, Angel, uscire con un'espressione minacciosa dipinta in volto -nonostante le sue modeste dimensioni- e la rabbia saettare nei suoi occhi neri. E chi può darle torto? Le ho sottratto la più grande occasione dei giochi di ottenere il favore degli sponsor, seppur involontariamente. Faccio capolino sul palco e il calore che arriva dal pubblico è maggiore di quello che è stato dato a qualsiasi altro tributo in entrata, e secondo soltanto all'uscita di scena di Erik. Mi siedio di fronte a Flickerman sorridendo radiante e salutandolo con un'amichevole stretta di mano; tengo le gambe appena divaricate e appoggio i gomiti ai braccioli della poltrona, facendo ricongiungere le mani, intrecciate, di fonte al mio torace. "Senti Charles, so che dovrei farti molte altre domande su di te prima..." inizia, fingendosi interdetto sul da farsi. "...ma il pubblico è così curioso, che non resisto. Prima un giovane uomo ti ha dichiarato i suoi sentimenti, ha rivelato al mondo l'intensità dell'amore a che si è instaurato subito in lui." Il discorso pomposo è accompagnato da gesti ed espressioni teatrali e, soprattutto, dalle urla estasiate del pubblico. Ridacchio, imbarazzato -come effettivamente sono. "Quale sarà la tua risposta?" Mi chiede infine, guardandomi dritto negli occhi con il luccichio di un giornalista che ha appena addentato un grosso scoop che gli brilla negli occhi. In pochissimo tempo, nella mia testa faccio calcoli, relazioni, cerco di dare la risposta meglio costruita. "Oh, b-beh, non ci conosciamo da molto e..." Mi porto una mano sul collo, arrossendo. Non riesco a fare altro che farfugliare, ma si sentono un sacco di 'aw' provenire dal pubblico, che non fanno che aumentare la mia sensazione di essere un fenomeno da baraccone. "...E...e credo che anche se ricambiassi i suoi sentimenti, ormai non si potrebbe fare nulla, no?" Sorrido, ma le parole sono uscite più amare e velenose di quanto non credessi, mentre abbasso lo sguardo al pavimento, torturandomi le mani. Delle signore fra il pubblico devono aver confuso il mio imbarazzo per dispiacere, perché si commuovono rovinosamente, trascinando con loro metà della platea. Sono stato abbastanza ambiguo e vero da dar loro l'llusione che questi Hunger Games saranno ancora più commoventi del solito. So che Erik potrebbe voler fare in modo di uccidermi solo per guadagnare più sponsor col suo dolore, ma so anche che ormai sono dentro al gioco fino al collo e non mi rimane che scegliere bene le carte, quali mosse fare. Giocherò la mia partita.                                                                                                                    
Che la commedia abbia inizio.

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