Cose da re e regine

di felsah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lunga vita alla regina ***
Capitolo 2: *** La regina cattiva ***
Capitolo 3: *** Doppio gioco ***
Capitolo 4: *** Elg\sa ***
Capitolo 5: *** Un trono per una vita ***
Capitolo 6: *** Troppi segreti ***
Capitolo 7: *** Papà ***
Capitolo 8: *** Addio ***



Capitolo 1
*** Lunga vita alla regina ***






Cose da re e regine


1
Lunga vita alla regina



 

L'odio è cieco, la collera sorda, e colui che vi mesce la vendetta, corre pericolo di bere una bevanda amara.
Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo


 
Il bambino si rannicchiò più a fondo all’interno della coperta ricamata e tremò.  “Fa fr-freddo qui” balbettò, battendo i denti.
Lo disse tanto per dire qualcosa, il silenzio che  fino a quel momento aveva schiacciato la stanza con forza prepotente lo stava opprimendo, lui, sempre abituato alla gioia perenne delle stanze in cui viveva.
Elsa ridacchiò e scosse la testa, “Certo che fa freddo, il mio palazzo è fatto di ghiaccio” rispose con un sorrisetto beffardo.
Il ragazzino la osservò per qualche minuto prima di parlare di nuovo. Quella donna era strana: la sua carnagione era insolitamente pallida e i suoi capelli erano di un colore così chiaro da avvicinarsi al bianco; aveva occhi cerulei e ipnotici, labbra rosso vermiglio. Si teneva avvolta in una pelliccia fatta di schegge di ghiaccio e spruzzi di neve.
Henrik si chiese se non lo sentisse anche lei tutto quel gelo. “Perché mi hai portato qui?” domandò curioso scrutandola piano,  per poi abbassare gli occhi sul pavimento, dove ne vedeva il riflesso. Li chiuse: non voleva guardarla troppo a lungo.

“Ho…” sospirò pesantemente, mentre si lasciava cadere su un maestoso trono di ghiaccio, “un conto in sospeso con tuo padre, se così posso dire”.


“Mio padre? Conoscete il re Hans?”.
“Quando lo conoscevo io, era poco meno di un principe, un uomo senza scrupoli e crudele”.
“Non parlate così di mio padre!” intimò il ragazzino, “è un ottimo re, e mia madre, la regina Anna….”.
“Cosa?” lo interruppe Elsa, come stordita.
Al ragazzino balzò il cuore nel petto. “Eh?”.
“Cosa…cosa hai detto di tua…madre?” esitò la donna. Henrik rialzò gli occhi su di lei.
“Ho solo detto il suo nome. Anna. Vi ricorda qualcuno che conoscete?”.
“Tua madre” mormorò cauta, “viene da un regno straniero?”.

“No” rispose il bambino, come se la cosa dovesse essere ovvia, “era la principessa di Arendelle. Ma perché tutte queste domande su di lei?”.
Elsa dopo anni avvertì una morsa attanagliarle il cuore e stritolarlo. Hai visto cosa hai fatto? sembrava chiederle. La stai facendo soffrire, ancora. E pensare che volevi solo vendicarla. Hai rapito il figlio di tua sorella e ora va e riprenditi il regno, come hai pianificato!
Cosa potrebbe succedere di tanto brutto? Una condanna a morte per il re usurpatore, suo marito, come avevi stabilito? L’esilio del piccolo erede al trono? E lei? Avrebbe ucciso anche lei? L’idea della morte di Anna le provocò un fastidio enorme, che si manifestò attraverso una piccola scarica di energia, che la percorse da capo a piedi.
C’era già andata vicino, tanto tempo fa.  Cercò di riscuotersi.

“Ti piacciono le storie piccoletto?”.
“Che tipo di storie?” chiese il principino, reggendosi sui gomiti.
Elsa fece spallucce, “Te ne racconterò una, se vuoi”.
“Okay” diede il via libera quello, sempre più interessato. Per la prima volta da quando era arrivato lì, si sporse un po’ più vicino a lei. Elsa sorrise dolcemente e con un gesto rapido delle mani, fece apparire davanti a Henrik una coppa di gelato. Il ragazzino strabuzzò gli occhi, pieno di meraviglia e dopo aver osservato la regina per un po’, si decise a prenderlo.
“Beh…da dove posso cominciare?” si chiese Elsa, parlando tra sé e sé.
“Dall’inizio magari, maestà?” rise il bambino.



 
~
 

Anna sedette accanto al fuoco, portandosi lo scialle sulle spalle. Erano nel bel mezzo dell’estate ma quella notte non avrebbe potuto sembrarle più fredda. Sedeva con le spalle rivolte verso l’entrata, non sopportando di avere davanti agli occhi il ritratto di Elsa.
Era stata intenzionata a chiudere a chiave, ma poi aveva deciso di non farlo: le notizie sarebbero potute arrivare in qualsiasi momento e alleviare il suo tormento. La vita le aveva già portato via troppo, strappandolo da lei tanto crudelmente quando dolcemente glielo aveva affidato: i suoi genitori, sua sorella…e ora suo figlio.

Come aveva sospettato, non riuscì a stare da sola per più di cinque minuti. Sentì il cigolio della porta che si apriva e in poco tempo, Hans fu accanto a lei e le poggiò le mani sulle spalle con fare protettivo.
“Vedrai che lo troveranno” sussurrò, sedendosi accanto alla sua sposa.

“E se non dovessero trovarlo?” domandò lei, trafiggendolo con il suo sguardo pieno di dolore. Hans sospirò gravemente, prendendola tra le sue braccia.
“Non succederà” la rassicurò. Hans sapeva esattamente dove cercare e non avrebbe fallito questa volta, ma questo, non lo disse ad alta voce. Anna non sapeva e non avrebbe dovuto sapere mai cosa si nascondeva tra le mura di quel castello all’apparenza armonioso e perfetto: tanti, troppi fantasmi e ombre del passato.
“Sei sempre così sicuro di tutto” borbottò Anna.
Oh, piccola dolce ingenua Anna, pensò lui, se fosse davvero così. In realtà in quel momento non si sentiva sicuro di niente, tanto meno che sarebbe riuscito a scavalcare quella dannata strega.
Se solo Anna avesse saputo che era ancora viva, di sicuro non gli avrebbe mai lasciato fare quel che aveva intenzione di portare a termine. Questa volta però, non avrebbe dato seconde chances e forse sarebbe stata la sua fine per davvero.
La sentì singhiozzare premuta contro il suo petto e fu preso dallo sconforto.
“Era qui e un attimo dopo non c’era più” piagnucolò, incapace di smettere. Certo che sì, non penso che tua sorella se lo sia portato via per mano. Il suo erede, trascinato via insieme a quel mostro. Il suo erede.
La rabbia gli avvelenò la bocca e decise di rimanere in silenzio. Dopo che ebbe chiamato dei servitori perché accompagnassero a letto sua moglie, rimase da solo nella grande camera, faccia a faccia con il ritratto di Elsa. Oh, stavolta gliel’avrebbe pagata davvero cara. Sfoderò il piccolo pugnale che teneva allacciato alla vita e mirò al cuore.
“Lunga vita alla regina!”.
Il pugnale stracciò il corpetto finemente ricamato, aprendo uno squarcio nella tela. Anna da dietro la porta, ritenne il gesto sufficiente per infilare la sua tenuta da viaggio. Sparì attraverso i passaggi della servitù, uscendo dal castello.
 Il mattino successivo, il quadro era sparito.


 
~
 
“Sei mia zia!” quasi urlò Henrik, “ sei tu vero? Sei tu la regina che mio padre ha esiliato? La storia parlava di te…e di mia madre”. Elsa lo guardò, senza dire né sì né no. Il ragazzo aspettò una risposta per qualche minuto, prima di continuare il suo morboso interrogatorio.
“Prometti di rispondere, se ti domando una cosa?”. Elsa fece un piccolo cenno di assenso.
“Tu hai detto che mio padre ti ha bandito, proibendoti di tornare dopo che avevi scongelato il regno, ma a casa, ad Arendelle, tutti ti credono morta”.
“Morta?”. Il suo cuore emise un piccolo tonfo sordo, e sembrò fermarsi, paralizzato dalla sorpresa.
“Mio padre ha detto così. Ha raccontato alla mia mamma che quando credevi che lei fosse morta, ti sei congelata il cuore, tramutandoti in ghiaccio e quando tutto si è scongelato, così ha fatto anche il tuo corpo”.
“Tuo padre ha davvero una fervida immaginazione” commentò Elsa con una punta di acidità nella voce.
L’odio s’impossessò di nuovo del suo cuore, e la vendetta le stregò ancora una volta l’anima. Se quel dannato damerino del principe delle Isole del Sud non aveva ucciso sua sorella, le aveva mentito e si era preso il suo trono, il regno che era stato di suo padre. 
Ah, papà, pensò, non saresti per niente fiero di me. Ma che importava a quel punto? Il re usurpatore avrebbe avuto quel che si meritava, una volta per tutte.
“Ora che cosa intendete fare, maestà?”.
“Per prima cosa, ragazzino, mi riprenderò il mio regno” rispose la regina sorridendo, “d’altra parte, sono stata via così a lungo. Sentiranno la mia mancanza, non credi?”.





Vaaaaa bene, ora spiego tutto, promesso! Ehm, ehm...diciamo che ero intenzionata a non postare più nulla per un po' per dedicarmi a una long sulla coppia helsa che stavo già scrivendo da qualche giorno, poi questa storia ha bussato al mio cervello questa notte, urlando prepotentemente, ed eccomi, seduta a scrivere nel bel mezzo della notte. Ero troppo, troppo felice dell'idea per buttarla in un angolino e dire "ci penserò un'altra volta". E' uscita questa roba qui ^^ Diciamo che ho sempre amato l'idea di una Elsa "cattiva" nonostante ami il personaggio così come è risultato alla fine e qui ho miscelato Frozen con un poco della vera regina delle nevi, che rapisce i bambini e ha il cuore congelatoC'è di mezzo anche il fatto che amo tanto tanto il film originale e il mio cuore non ce la fa a stravolgerlo troppo. Ma cosa c'è di meglio che mettere zizzania tra le due sorelline di Arendelle per poi vederle riabbracciarsi? E sì, ovviamente mi sono inventata il figlio di Hans e Anna (per quanto riguarda la sua età...beh 10 anni? è più o meno l'età che potrebbe avere il bambino che ho in testa), e prometto che anche sul fatto dell'esilio della nostra regina capirete tutto mooolto presto. Non credo nemmeno che la storia sarà molto lunga, quattro, cinque capitoli al massimo :)
Sperando di non avervi annoiato, vi saluto...alla prossima!
felsah
p.s. non ho idea di chi sia la fan art che ho usato come copertina, l'ho trovata digitando "the snow queen" su google ;)

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Capitolo 2
*** La regina cattiva ***


Cose da re e regine





2
La regina cattiva




 
L'amore ha diritto di essere disonesto e bugiardo. Se è sincero.
Marcello Marchesi



 
“Oh ancora, ancora!”.
Henrik batté le mani, esaltato. I capelli rossicci gli svolazzarono sulla fronte ricoperta di lentiggini e per qualche minuto, Elsa riuscì a vedere sua sorella. Con la gioia entusiasta che è tipica dei bambini, il ragazzino si guardava intorno, gli occhi pieni di meraviglia, in attesa di vedere cos’avrebbe fatto con le sue dita magiche la donna seduta accanto a lui. Sembrava così semplice: bastava che lei facesse un piccolo movimento e dalle sue mani schioccavano pagliuzze e fiocchi, tormente e pupazzi di neve.

“Come si dice?”.
“Oh, per favore, fatelo di nuovo!”.

La regina sorrise dolcemente, fece svolazzare le mani su e giù ed eccolo lì, un altro soldatino di neve, completo di uniforme e armi. Le tremò il cuore ascoltando la risatina infantile che gli usciva dalle labbra ogni volta che qualcosa lo compiaceva.
Anch’io, anche per me avrebbe dovuto essere così. Tutto semplice, tutto bello. Non lo era stato. Giocarono ancora, crearono ancora mille altre cose che rimasero lì, proprio dove erano nate.
Elsa non era mai riuscita a sciogliere qualcosa di ciò che aveva plasmato dopo Quel giorno e le poche volte che ne aveva sentito il bisogno, aveva soffiato neve fresca su ciò che voleva distruggere e ciò, qualunque cosa fosse, si era sempre dispersa in piccoli fiocchi, l’unica cosa che con il tempo riusciva a scomparire.

Era tutto lì, nel teatro dei loro giochi: un soldatino, un pupazzo, tutto ciò che Henrik le aveva chiesto. Nonostante fosse ormai nel palazzo da diversi giorni, avevano cominciato a parlare dopo la favola, o così era come avevano deciso di chiamarla, che Elsa aveva raccontato.

“E’ così bello!” urlò il ragazzo, correndo nella neve fresca, spargendola qui e là con le mani. “Mia madre dev’essere stata così fortunata!”.
“Sì…fortunata” mugugnò Elsa sospirando, mentre volgeva lo sguardo altrove. Se solo avesse saputo quanto assomigliava ad Anna.
“Non lo è stata?” domandò lui, quasi deluso, “non creavate anche per lei tutte queste cose, quando eravate bambine?”.
“Oh sì, lo facevo” sorrise, “ma abbiamo avuto poche occasioni di stare insieme e…”.
“Come mai?”.
Nella sua folle corsa, Henrik si fermò accanto a lei, accovacciandosi ai suoi piedi, come se si stesse preparando ad ascoltare una bella storia. Il peso di quella domanda si fece sentire nell’animo della regina come un macigno insormontabile. Per colpa di tutte queste belle cose che tu ora ammiri, era la risposta, e che non sono altro che una stupida maledizione.
“Beh, io sarei dovuta diventare regina, avevo obblighi e impegni” si limitò così a rispondere, troppo disgustata dalla verità per potervi anche solo accennare.

“Sapete, io credo che mia madre pensi ancora spesso a voi, non ha mai voluto che staccassero il vostro ritratto dalla parete, né che lo coprissero, è ancora dove l’avevano messo quando siete stata incoronata. Quello con lei e mio padre è in una parte più interna del castello, e diciamo che lui non approva proprio”, rise gaio, ricordando le infinite discussioni che c’erano state a proposito di quel ritratto.

Ora che la guardava, Henrik pensò che non le rendesse abbastanza giustizia: lei era davvero la donna più bella che avesse mai visto. E proprio mentre la guardava, notò che si era irrigidita e fissava il pavimento con uno sguardo così velenoso che per un attimo gli fece quasi paura. Osservò le sue mani stringersi attorno ai braccioli del suo trono di ghiaccio e spezzarsi sotto tutta quella pressione.

“Ce l’avete con lei perché ha preso il vostro posto?” chiese il ragazzino, fissandola intensamente, “con mia madre?”.
“No” rispose la regina dopo qualche attimo, “io…non penso potrei mai…odiare Anna, mai”. Guardò il nipote dolcemente e gli sorrise, “Le somigli molto, sai?”.
Henrik sorrise di rimando, “Somiglio molto anche a mio padre” disse orgoglioso, “e spero di essere come lui un giorno”.
“Ed io spero proprio che tu non sarai affatto come lui” ribatté Elsa, pervasa da un moto di disgusto.
“Allora è con lui, è con mio padre che siete arrabbiata”.
“Arrabbiata” gli fece il verso “non è abbastanza, ragazzino”.
“Perché?”. Silenzio. “ Ne parlate sempre male. E’ perché vi ha scacciata? Eppure, siete ancora una regina qui. Lo ha fatto per il suo paese, perché l’inverno finisse, voi avevate maledetto…”.
“Arendelle è il mio paese, non il suo e io non ho maledetto proprio niente. E’ stato un incidente” s’impuntò Elsa.
“Lui è diventato re in modo giusto, ha sposato mia madre”.
La donna si spazientì. “Tuo padre ha sedotto,  ingannato e ucciso. L’ha sposata per avere il mio trono, mi ha allontanata e ha mentito a tutti, lei compresa, dicendo che ero morta. Ti sembra giusto questo?! Ti sembra un comportamento degno di un re impossessarsi di un regno quando il legittimo sovrano è ancora in vita? E’ solo un modo di agire perverso e malvagio, così come lo è lui”. E

lsa provò un brivido ripensando a quegli ultimi momenti della sua vita ad Arendelle e provò pena per se stessa: si era ripromessa che avrebbe dimenticato quel che era successo, che avrebbe provato a credere che lui sarebbe cambiato e Anna sarebbe stata felice. Non ci era ancora riuscita.
Henrik si tappò le orecchie con le mani, scuotendo la testa e stringendo gli occhi. “
No, non ci credo, non ci credo! Sono bugie, solo bugie. Voi perché non avete fatto niente in tutti questi anni se ciò che dite è vero?”.
Non potevo.
Il silenzio portò con sé un nuovo gelo, ma nulla aveva preparato Elsa per tutto il dolore pungente che venne dopo.  “ Non avete nemmeno il coraggio di rispondermi! Parlate male di persone che non conoscete –“.
“Henrik….”. Era la prima volta che lo chiamava per nome.
“No! Siete una codarda e avete paura, siete cattiva, una donna mille volte più malvagia di lui!”. Il ragazzo prese la rincorsa con le lacrime agli occhi, scomparendo dietro una delle numerose porte della sala del trono.
“Ragazzino…!” tentò di fermarlo lei. Poi sorrise, riappoggiandosi placidamente alla sua sedia ghiacciata: non sarebbe andato lontano.

Non c’era via d’uscita e quando entravi nel castello, a meno che non fossi la proprietaria, non esisteva un modo per uscire dal labirinto di stanze e corridoi che Elsa aveva creato. Rimase lì impalata e il suo sorriso si spense non appena ricordò le parole che il ragazzino aveva pronunciato: una donna mille volte più malvagia di lui…quelle parole bruciarono a lungo nel suo cuore, mentre contemplava in silenzio i ricami del suo abito, composto da mille piccole schegge di ghiaccio.
Era davvero così? si chiese, era cattiva? lo era stata? O aveva semplicemente avuto troppa, troppa paura?
Si disperò, prendendosi la testa fra le mani. Ecco i cari, vecchi problemi che quel ragazzino dall’aria vivace aveva riportato a galla, uno ad uno.
Era un mostro?
Eppure, ricordava che qualcosa di buono aveva fatto nel corso della sua vita. “Olaf” sussurrò, quasi a volerlo evocare, e poco dopo eccolo lì, che nasceva dalla punta delle sue dita. Si era sciolto anche lui quasi dieci anni fa, e Elsa aveva voluto dimenticarlo, come tutte le cose che potevano ricordargli tutto quello che si stava lasciando alle spalle. Si chinò sul pupazzo e lo abbracciò, come fosse una cosa viva.
“Tu eri una cosa buona”.



 
~
 


Non sapeva quanto a lungo aveva camminato e nemmeno le importava. Era la prima volta dopo tanto tempo che Anna rivedeva il villaggio. Le casette colorate e allineate lungo il fiordo le parevano un sogno lontano fino a qualche ora prima.
Trovò la porta che stava cercando dopo qualche tempo e bussò energicamente, sperando che qualcuno la sentisse. Venne ad aprire proprio chi si aspettava che fosse, solo un po’ invecchiata, modellata dal tempo come una bambola di creta.
La vecchia Gerda si portò le mani alle labbra, e dopo qualche mormorio di sorpresa la invitò ad entrare e la fece accomodare.
“Bambina mia, cosa ci fai qui, tutta sola?”. Quel dolce appellativo con cui l’anziana donna non aveva mai smesso di chiamarla placò un po’ il suo dolore e la fece sentire di nuovo a casa, tra visi amici.
“Ho bisogno…di informazioni” sussurrò lei in modo furtivo, come se qualcuno all’infuori del nulla attorno a loro avesse potuto sentirle. “Ho bisogno…che tu sia sincera con me, come lo sei sempre stata”. La giovane sorrise, cercando di essere convincente.

“Tutto quello che volete, princip- “.
L’appellativo che un tempo era stato della fanciulla le si bloccò in gola e Gerda fissò Anna con evidente imbarazza.
“Dimmi, lo sono ancora, sono ancora solo la principessa?”.
“Cosa volete dire?” la vecchia governate sembrò essersi risvegliata da un sogno. Batté le palpebre numerose volte. Anna si guardò intorno sospirando prima di parlare ancora.
“Temo…no anzi, sono terrorizzata. Io penso, che il re mi nasconda qualcosa” sputò infine, lasciando che tutte quelle preoccupazioni fluissero e aleggiassero nella stanzetta dove sedevano. Magari fosse stato così facile annullarle tutte! “Penso che riguardi…la morte di mia sorella, o peggio, il paese…e…e sono venuta da te perché so che puoi aiutarmi. Tu e Kai avete sempre aiutato i miei genitori e poi Elsa e se lui sapeva qualcosa…”.
La sua voce disperata scorreva come un fiume in piena in quella stanza stretta e angusta.
Gerda la fermò appena in tempo, prima che impazzisse.
“ Lui forse sapeva, o forse no” mormorò l’anziana. I suoi occhi assunsero un’aura quasi mistica allo scoppiettare del fuoco nel camino, “ quando abbiamo lasciato il palazzo, credetemi, non l’abbiamo fatto per cattiveria. Vi amavamo, così come abbiamo sempre fatto e non desideravamo abbandonarvi altezza.
In verità, fu proprio Kai a convincermi ad andarcene. Lui provava un profondo affetto per vostra sorella, e dopo la promessa che aveva fatto a vostro padre di proteggerla, mi confidò che non se la sentiva di servire la famiglia reale dopo che aveva fallito”.
Ci fu una pausa, piena di attese e speranze. “ Mi disse che non voleva credere che tua sorella si fosse uccisa…l’aveva vista soffrire per lunghi anni ma mai arrivare a…insomma…”. Anna annuì e non ci fu bisogno di proseguire.

“Tu pensi che sia ancora viva quindi, pensi sia questo che mi nasconde Hans?”.

 “Oh altezza” sussurrò la governante, voltandosi e dandole le spalle, nonostante non le fosse permesso. “Voi mi avete chiesto di essere sincera e io senz’altro lo sarò ma…vedete, è spiacevole, ciò che ho da dirvi. Beh, quando lasciammo il castello, Kai aveva un’opinione tutta sua, un po’…diversa”.

“Cioè?” fece la fanciulla, spostandosi vicino a Gerda.
“Lui pensava che il principe avesse ucciso vostra sorella. E’ un uomo ambizioso, lo sapete meglio di me, e ipotizzò che avesse fatto tutto per avere la corona”.
La frase uscì dalle sue labbra tutta d’un fiato e il suo corpo attese rigido la reazione della ragazza.
“NO!” esplose quella, camminando a piccoli passi per allontanarsi dall’anziana signora. Si portò le mani alle labbra, incredula, e scosse la testa in modo deciso. “Scusate, scusate…ma non posso credervi. Lui…noi…non lo farebbe mai”.
“Certo che no, altezza”.




 
~
 

Era da quasi un’ora che la regina passeggiava avanti e indietro, cercando di decidere cosa fosse meglio fare.
Sapeva esattamente dov’era il ragazzo e sarebbe stato un giochetto per lei farsi perdonare per il piccolo affronto, ma ancora non era sicura di volerlo fare in quel modo. Gli ricordava così tanto Anna che era nauseata al solo pensiero di mentirgli pur sapendo che era necessario, e non avrebbe voluto in alcun modo incantarlo con qualche stregoneria o qualche altro gelato.
Voleva un perdono sincero, qualcosa che potesse scaldarle il cuore. Si era affezionata al ragazzino per tutto il tempo durante il quale l’aveva tenuto lì, e voleva disperatamente che lui ricambiasse. E sapeva di avere ragione.
Fu questo pensiero che la spinse a procedere a passo spedito nella stanza dove il ragazzo si era addormentato, lasciandosi andare sfinito sul pavimento di ghiaccio, dove aveva  tentato mille e mille volte di trovare l’uscita. Lo sistemò nel letto che gli aveva preparato, e fece in modo che fosse ben al caldo.
Passò molto tempo prima che aprisse gli occhi, tutto il tempo che occorreva ad Elsa per pensare ancora.
“Sei qui” mormorò non appena la vide.
“Sono qui” asserì Elsa, sorridendogli amorevolmente.
 Henrik la guardò per un po’ e pigolò, “Ho freddo”.
“Lo so”.
“Voglio mia madre”.
“Lo so”.
Ci fu silenzio per un tempo che parve infinito a entrambi, mentre Elsa meditava per l’ultima volta. Passò una mano tra i capelli bronzei del nipote e sussurrò dolcemente al suo orecchio, “Anch’io voglio rivedere mia sorella, lo vorrei così tanto. Perciò, ho deciso che ti farò un regalo: che ne dici, ti andrebbe se ti accompagnassi a casa?”.
A riprendermi la mia casa, a riprendermi il mio trono, a riprendermi mia sorella.
Tutto ciò che è mio e che quel damerino mi ha rubato
.
Per la corona.
La vendetta, la vendetta…
tutte quelle parole le ronzavano in testa in modo confuso, all’interno di un piano che era stato nel cassetto per troppo tempo.
“Mi sa che dovrai trovare degli altri vestiti se vuoi davvero accompagnarmi” mormorò Henrik con una risatina.
“Non ti preoccupare, li sistemerò” lo rassicurò Elsa, dando una fugace occhiata ai piccoli fiocchi di neve che li componevano. “Ma vorresti?”.
“Certo! Certo che sì!”. Lo colse uno sbadiglio mentre pronunciava quelle parole, “ma ora ho davvero troppo sonno”.
Elsa sorrise, “Vorrà dire che partiremo quando sarai pronto allora”. E poi avrò la mia vendetta.
“Va bene”.
“Ora riposa”. Dormi dormi bel bambino, che forse domani non sarai più un principino.
 Il bambino chiuse gli occhi, sorridendo beato. Li riaprì quando Elsa era a pochi passi dalla porta, pronta ad andarsene.
“Zia!” la chiamò, “lo sapevo che non eri cattiva”.




Et voilà! Rieccomi con il secondo capitolo. Diciamo che ancora non succede granché, sarà dal prossimo capitolo in poi che ci sarà la vera azione. Volevo ringraziarvi tanto tanto per come avete reagito all'idea e sono felicissima che vi sia piaciuta. Io ero così tanto spaventata delle possibili reazioni che mi sono tormentata tutto il giorno, pensando che forse sarebbe stato meglio se l'avessi tenuta solo per me...quindi davvero, grazie di tutto cuore, mi avete colmato di gioia! *-* Spero di non deludere nessuno. Per chi non lo sapesse, (ma dubito che ormai qualcuno non lo sappia eheheh ^^) Gerda e Kai sono due personaggi che sono realmente presenti all'interno del fim, e sono presumibilmente uno una specie di maggiordomo (?) e l'altra la governante delle due bambine, così ho deciso di utilizzarli anche nella mia storia. Vi ringrazio se siete arrivati fino a qui e spero di non avervi annoiato troppo!
Un bacio,
felsah

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Capitolo 3
*** Doppio gioco ***


Cose da re e regine



 
3
Doppio gioco





 
 Chi fa il doppio gioco è come il padre di famiglia che ha l'amante: perderà famiglia ed amante; matematico.

 

 “Vogliamo andare? O starai lì come un pesce per tutto il giorno?”.
Henrik si riscosse e batté gli occhi due o tre volte prima di riuscire a ritrovare la parola. “Potete fare anche questo?” domandò pieno di meraviglia. Continuò a fissare insistentemente la carrozza che Elsa aveva fatto comparire qualche istante prima.
“Io posso fare tutto ciò che desidero”.
“E andremo a casa in carrozza?”.
“No, percorreremo così solo un piccolo tratto. Arendelle è lontana da qui”.

Si sistemarono entrambi sulla bizzarra vettura, mossa dal vento e strani mostri di neve e ghiaccio.
“Sono incantati” aveva sussurrato la regina all’orecchio del bambino, riempendo il suo piccolo cuoricino di stupore. Al suo passaggio, la carrozza alzava maestosi sbuffi di neve che turbinavano nell’aria intorno a loro, offrendo lo spettacolo più bello che si fosse mai visto.
Elsa se ne compiaceva, e aggiunse alla visione qualche altro fiocco, che partì dalle sue mani e si disperse nell’aria.

 Il bambino non riusciva a stare fermo e si contorceva ora a destra, ora a sinistra per cercare di carpire ogni dettaglio e ogni ricamo che senza alcuno sforzo era stato inciso nel ghiaccio. Quando il gelo intorno a loro cominciò a farsi sentire, penetrando nei suoi abiti, il principino si mise a sedere composto, cercando di scaldarsi come meglio poteva.
Elsa gli si fece più vicina e aprì le braccia, invitandolo a utilizzare un lembo della sua pelliccia. Lei d’altra parte, non ne aveva alcun bisogno.  “Vieni, ti terrà al caldo”. Il bambino sorrise e ringraziò.
Presto avrebbero attraversato completamente i suoi domini e non ci sarebbe più stata né la neve né il freddo.
La regina era preoccupata di quella frontiera e di quando ci sarebbero finalmente arrivati. Perché i suoi piani funzionassero, era assolutamente necessario che riuscisse a controllarsi. Non avrebbe dovuto usare i suoi poteri per un bel po’ di tempo. Sperò che Henrik collaborasse: senza nemmeno saperlo, gli stava offrendo il suo aiuto su un piatto d’argento.




 
Giunsero alla periferia del regno non molto tempo dopo. Il villaggio era silenzioso, e in quel tardo pomeriggio, il cielo era stato coperto da nuvole che promettevano una lunga e violenta pioggia.
Elsa era quasi sicura che fosse merito del suo passaggio, ma non ne parlò. Le strade erano deserte. Rivedere Arendelle fu come svegliarsi da un lungo sonno e non riuscì a pensare al suo piano fino a quando non furono effettivamente all’interno della città. Si dovette controllare oltre ogni immaginazione per far sì che il freddo che sentiva stringerle il cuore non abbandonasse i palmi delle sue mani.
“Henrik…” sussurrò, mentre camminavano fianco a fianco, cercando di passare inosservati.
Elsa lo trascinò in un posto al coperto, dove nessuno avrebbe potuto vederli: non aveva ancora cambiato abiti e i suoi erano davvero troppo appariscenti. “Devi promettermi una cosa…”.

“Qualsiasi cosa zia”.
“Giura che lo prometterai, qualsiasi cosa ti chiederò”.
“Giuro”.
Si chinò per arrivare alla sua altezza e lo guardò negli occhi. “Diciamo solo che…quando mi cambierò, ecco, non mi vestirò proprio in modo regale. Non voglio farmi riconoscere e ruberò qualcosa qui”.
“Non dirò che hai rubato, promesso”, sorrise.
“E’ un’altra cosa, quella che non devi dire. Fino a che non ti darò il permesso”. Si fissarono intensamente. “Non devi dire mai a nessuno, specialmente alla tua mamma, chi sono”.
“Ma tu non glielo dirai?”. Il bambino parve deluso e chinò la testa, affranto. “Glielo dirai?”.
“Certo che glielo dirò…ma devo essere sicura che può perdonarmi, prima”.
Elsa ebbe bisogno di tutto il suo coraggio per raccontare quella bugia e pensò di non aver mai fatto nulla di tanto orribile. Forse era davvero cattiva. Che diritto aveva di mentire a un bambino, di comportarsi come aveva fatto il nemico? Di dimostrarsi peggio di lui…di essere cattiva. Odiava quella parola associata a sé stessa e cercò di scacciare dalla mente tutto ciò che poteva turbarla.
Se non si fosse vendicata adesso, non le sarebbe rimasto tempo per farlo. Mai più.
“Non avere paura”, Henrik le prese la mano, stringendola con affetto, “lei è buona”.
“Sì, lo è” mormorò la regina. E’ questo a farmi paura.
“E comunque non hai alcun bisogno di rubare”. Elsa guardò il ragazzino con fare interrogativo, fino a che quello non riprese a parlare. “Conosco una persona che ti conosce e…”.
“Henrik! Cosa ti ho appena detto?”.
“Lo so, lo so! Ma lei sarà discreta, lo so. Probabilmente sverrà quando ti vedrà”. Rise divertito al pensiero, mentre la donna accanto a lui lo guardava preoccupata.
“Ma di chi stai parlando?”.
“Gerda”.



Ci volle più tempo per convincere Elsa che per arrivare a destinazione, ma poi mano nella mano, arrivarono fino alla porta giusta.
La regina fece due respiri profondi, sentendo il cuore batterle più velocemente di quanto non avesse mai fatto. Henrik bussò.
Prima che lei potesse decidere di andarsene o restare, o fare qualsiasi altra cosa, il volto della sua vecchia governante si affacciò alla porta.
“Oh mio – “. Le ci vollero due minuti per accertarsi che la sua cara bambina fosse davvero lì. Poi le colò una lacrima lungo la guancia e a malapena si accorse del bambino, che si crogiolava per avere indovinato l’espressione che avrebbe avuto sulla faccia la vecchia signora. Aprì la porta un po’ di più, così da poterla vedere meglio e fu allora che notò Henrik.
“Oh…io…”, tese una mano verso di lei, tentando di toccarle il viso, per poi allontanarla immediatamente, “oh, non abbiamo mai dubitato un momento che voi foste viva,” esitò ”…vostra maestà”. Elsa sorrise. Li fece entrare.




 
~
 



Le guardie erano entrate a dare il grande annuncio poco prima e Anna e Hans, l’uno più impetuoso dell’altra, erano impegnati a correre frettolosamente giù per le scale. Fu probabilmente l’ultimo briciolo di contegno rimasto tra loro a impedirgli di spintonarsi a vicenda. I litigi non erano mancati in quei giorni tristi e pieni di angoscia.
Non occorse nemmeno correre troppo lontano, perché Henrik li stava raggiungendo proprio dall’altra parte del grande salone. Si tuffò nelle braccia di sua madre, che scoppiò in un disperato pianto di sollievo. Lo strinse a sé, baciandogli il viso più e più volte.
“Stai bene?” domandò Hans, mantenendo un po’ più di distacco, nonostante i suoi occhi tradissero le sue emozioni per il ritorno del bambino.
“Certo che sto bene padre” rispose quello, sorridendo piano, mentre si staccava dall’abbraccio di Anna. Il sorriso era rivolto alla zia, che era rimasta ferma pochi passi dopo di lui, e si stava torturando le belle mani, coperte da dei guanti bianchi.
Si era cambiata d’abito grazie all’aiuto della governante, e vestita così com’era, con un ridicolo scialle giallognolo a coprirle i capelli e un’insulsa gonna color prugna, non poteva sembrare che la figlia di un povero paesano. Se ne stava lì, fissando le pieghe del suo abito rattoppato.
“Voi avete riportato a casa mio figlio?” mormorò Hans, scendendo le scale verso di lei. La scrutò piano, con fare curioso.  “Come posso ringraziarvi? Cosa posso…fare per voi?”.
Elsa alzò la testa di scatto, come fosse stata morsa da qualche bestia velenosa, e i suoi occhi color del cielo incontrarono quelli di lui.
“Oh, di sicuro non c’è nulla che possiate fare per me” mormorò lei, accennando l’ombra di un sorriso divertito. Hans stava per ribattere, quando fu sua sorella ad intervenire. Henrik era ancora stretto tra le sue braccia.
“Potreste fermarvi a cena, sarebbe il minimo dopo quel che avete fatto per la nostra famiglia” disse.

Elsa sembrò come paralizzata al suo della sua voce, incapace di rispondere. La vide lì, in piedi sulle scale, con i capelli rossi raccolti, avvolta in un delizioso abitino color fragola. 
Le parole uscirono dalle sue labbra in un sussurro, “Non penso di avere abiti adatti per la vostra cena, maestà”.
Calcò quell’ultima parola con particolare insistenza, mostrando il suo vestito in segno di scusa. Come poteva fare del male ad Anna? Come poteva toglierle tutto quello? Mostro. Tutte le sue certezze crollavano e si riaccendevano nel giro di un secondo mentre spostava lo sguardo sulla bizzarra coppia di sposi.
Henrik si spaventò. Voleva andarsene? Cosa diavolo stava facendo?
“Oh su, non fatevi pregare, mia madre può prestarvene uno” intervenne. Anna gli sorrise amorevolmente, dichiarandosi d’accordo.
“Fatelo per lui almeno” mormorò, “sembra che ci tenga e…anche io, mi avete reso un servizio che non potrò mai ripagare, concedetemi almeno questo”.
Elsa sorrise imbarazzata.  Ora o mai più, ora o mai più. “Con piacere”.
“Non vi tratteremo più del dovuto” rispose Anna. “Volete seguirmi?”. Henrik batté le mani entusiasta, mentre Hans si limitò ad un piccolo sorriso e continuò a scendere le scale, scusandosi con le signore e promettendo che le avrebbe viste più tardi a cena.
“Dove va?” si lasciò scappare Elsa, tappandosi la bocca con le mani subito dopo, vergognandosi di essere stata così stupida.
“Oh, cose da re” rispose la sorella con un sorriso, mentre stringeva dolcemente la mano del bambino. Gli diede una piccola spintarella sulla schiena per convincerlo ad andare avanti senza di loro e ritirarsi nella sua stanza fino all’ora prestabilita. Henrik scoccò ad Elsa un ultimo sorriso e mimò con le labbra un ‘buona fortuna’, prima di sparire.

“Sembra che vi abbia preso in simpatia” commentò Anna, mentre saliva allegramente le scale. Almeno, la sua vivacità era quella di sempre, e il pensiero fece sorridere Elsa mentre la seguiva silenziosamente.
“E’ un bravo bambino” si limitò a rispondere, con una scrollata di spalle. Il pensiero che le martellava insistentemente nel cervello era: sono sola con lei. Sola con lei. Più la guardava e più si meravigliava di come sembrasse non essere cambiata affatto.
Passarono attraverso la galleria per raggiungere gli appartamenti privati della regina e Elsa deglutì rumorosamente quando notò che l’allegra coppietta aveva deciso di sistemarsi nelle stanze dei suoi genitori. I suoi genitori; stava per vomitare.
Lei non avrebbe mai e poi mai fatto una cosa del genere. Pensare che il damerino occupasse lo studio di suo padre la fece divenire verde dalla rabbia, tutto sotto lo squallido scialle giallo.
Anna era passata davanti a lei per fare strada e non vide nemmeno una delle espressioni che si succedettero sul suo viso.
Quando furono alla porta della suite, si voltò. “Allora, come promesso, vi farò scegliere un vestito”.

“Grazie” si limitò a mormorare, acida, notando che il quadro raffigurante l’incoronazione di suo padre era stato spostato, sostituito con quello di Hans. Oh, dannato verme, non puoi immaginare cosa ti farò quando ti avrò tra le mani. E se fino a qualche attimo prima aveva quasi abbandonato l’idea del suo piano, quando respirò di nuovo l’odio che covava dentro di sé, si decise: lui doveva pagare. Anna spalancò le porte e la invitò ad entrare.
“Io devo ancora occuparmi di qualche faccenda e poi verrò a cambiarmi, voi potete scegliere qualcosa nel frattempo”.
Indicò la cabina armadio davanti a sé.
“Io…”.
“Entrate e scegliete qualcosa, sul serio! Se quando sarò tornata non avrete preso nulla, la considererò un’offesa personale” strillò con un sorriso mentre si preparava a dileguarsi.
Elsa sorrise dolcemente e scosse la testa, “D’accordo maestà”.
Si esibì in un piccolo inchino teatrale e Anna lasciò la stanza palesemente deliziata dalla nuova ospite.
Quest’ultima nel frattempo, si fermò a osservare per la prima volta dopo anni la maestosità di quella stanza-guardaroba: aveva dimenticato quanto l’interno del palazzo fosse bello. Non che durante la sua giovinezza ne avesse potuto vedere molto, ma buona parte l’aveva esplorata da bambina insieme ad Anna.
Si tolse l’abito, lo lasciò cadere a terra, e si immerse tra le stoffe e i pizzi di tutti gli abiti sistemati lì dentro, facendovi scorrere le mani sopra per sceglierne uno. I ricordi la travolsero.



Una bambina era nascosta tra sciarpe, pellicce e taffetà: seduta sul pavimento, si abbracciava le ginocchia con le mani e sorrideva, certa questa volta, di essersi nascosta per bene. Sua sorella, a contare nella stessa stanza, sapeva già benissimo dov’era, ma finse di non sapere, per rendere il gioco più divertente.
“Anna?”.
Risata.
“Ma dove ti sei cacciata?! Questa volta ti sei nascosta proprio bene”.
“Tanto non mi prendi ‘sta volta” gongolò Anna, ridacchiando ancora.
“Guarda che se parli capisco dove sei”.
“Ops…”.
Le si avvicinò furtivamente, e quando fu dietro di lei, strinse sua sorella in un abbraccio, forte forte. “Presa!” urlò mentre la prendeva tra le braccia. Risero insieme.




“Presa!”. Elsa sobbalzò quando sentì delle mani avvolgerle la vita stringendola in una morsa d’acciaio, mentre un’altra le passò attorno al collo, sciogliendo i suoi lunghi capelli biondi. Quella voce. “Oh mia cara, siete proprio più stupida di quanto pensassi se avete creduto che non vi avrei riconosciuta ”. Sentì il fiato caldo di quella voce sul collo. Provò ad urlare, ma una mano corse a tapparle le labbra. “Io riconoscerei dovunque il vostro viso”.
“Non provate ad urlare” intimò la voce. Le labbra di Elsa furono libere, e poté riprendere a respirare.
Non si poteva dire lo stesso del suo corpo.
“Toglietemi le mani di dosso” ordinò, scalciando con tutte le sue forze per liberarsi. “Se ricordate chi sono, di sicuro ricordate anche quanto sono pericolosa”.
“Oh sicuro, ma non credo che avreste il coraggio fare qualcosa qui dentro, siete troppo buona e gentile”.
Elsa gli pestò un piede, contorcendosi ancora. “Lasciatemi andare”. La voce era più imperiosa di quanto ricordasse.
“Non così in fretta, ho delle domande”.
“Ebbene fatemele allora principe Hans, e poi lasciatemi andare. Subito”.
La stretta attorno alla sua vita si fece più forte, tanto che tentò di liberarsi con le mani. “Principe non mi addice più da lungo tempo ormai, rammentate? E nemmeno il tono che state usando con me ”.
“Oh lo so” ribatté lei calma, “ma chiamarvi con il nome che vi si addice mi sembra poco educato”. Maledetto. Razza di idiota. "Che cosa diavolo avete detto a mia sorella per convincerla a sposarvi?".
Lui mugugnò qualcosa che Elsa non capì, in modo scontroso, poi “Perché siete qui?”.
“Vi ho riportato il bambino” affermò, come se la cosa fosse ovvia.
“Il vero motivo. Perché siete tornata?”.
“E credete che lo dirò a voi?”. Provò a liberarsi ancora, tentando di tirargli un piccolo calcio.
“Non vi voglio qui”.
“Nemmeno io ”. Elsa sfoderò un sorrisetto sardonico.
“Ora statemi bene a sentire” gridò Hans, strattonandola perché fossero faccia a faccia, “ stasera verrete a cena, come programmato, e poi sparirete senza lasciare traccia. Se osate fare qualcosa contro di me o la mia famiglia, sarà l’ultima volta che farete qualcosa”. Le accarezzò prepotentemente il viso e la sua mano si strinse sul suo collo. “Sapete, ho sempre trovato molto poetico il sangue sulla neve”.

“Oh, principe Hans “ sussurrò lei con voce suadente, “non vi conviene fare di queste minacce con me. Io amo il sangue sulla neve”. Schiuse piano le labbra e soffiò, lasciando che mille piccoli fiocchi di neve si posassero sul viso dell’uomo.
“Allora, avete trovato qualcosa che vi piace?” mormorò una terza voce.
Le tende che separavano le stanze del guardaroba dalla camera frusciarono, e poi si aprirono.






Fiùùùùùùùùùùùù. E anche questa volta, sono riuscita a vincere la mia lotta contro l'editor. ^^  Sì lo so, sono un'imbranata, ancora non riesco ad usarlo. E non ho nemmeno più messo l'immagine, perchè è una sfida troppo grande inserirla senza scombinare mille volte il testo già sistemato e specialmente senza incavolarmi. Bene bene, direi che vi lascio in un punto critico, anche se ora è cominciata l'azione a tutti gli effetti. Come avete potuto notare leggendo, in questo capitolo ho finalmente aggiunto qualcosa che ricorda molto di più la regina delle nevi di quanto non ricordi Elsa, come per esempio la scena sulla carozza e la pelliccia. D'ora in poi il divario tra le due si farà sentire meno e la nostra bella regina comincerà a prendere un po' di scelte...insolite, ecco. Va bene, se continuo ancora a scrivere qualcosa rischio di riassumervi il capitolo quattro qui sotto, quindi vi lascio andare, finalmente libere! ;)
Un bacione enorme a tutti
felsah

 

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Capitolo 4
*** Elg\sa ***


4
Elg\sa






 
Che strana cosa sono il piacere e il dolore;
sembra che ognuno di loro segua sempre il suo contrario e che tutti e due non vogliano mai trovarsi nella stessa persona.
Socrate




 
“Ma non hai ancora scelto niente?” gridò Henrik divertito, correndo tra l’arcobaleno di colori che formavano tutti quei vestiti messi insieme. Elsa sospirò di sollievo quando le mani di Hans scivolarono via, ridandole un po’ di respiro: lui sparì com’era arrivato, e senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio. Il dolore si fece sentire in modo acuto nei punti in cui l’aveva stretta con troppa violenza.
Si massaggiò il collo con un movimento lento, tentando di riprendersi dallo spavento.

“Cosa ci fai qui ragazzino?” chiese, incrociando le braccia al petto. “Dovrebbe essere una stanza per le signore”.
“Oh, ti tengo solo d’occhio” rispose quello, sistemandosi a gambe incrociate su una poltroncina poco distante. Anche lui doveva essersi andato a cambiare a quanto pareva, perché portava dei nuovi abiti e l’odore del bucato solleticava il naso. Rivolse alla zia un sorriso brillante.

“Mmhmh, allora starò sull’attenti, piccoletto”.
“Dì la verità: volevi andartene?”.
“No”.

Henrik la guardò sospettoso per qualche minuto, ridacchiando. “Va bene, ti credo. Quindi, ora scegli un vestito?”.
Elsa sospirò gravemente, “Temo proprio di sì”. Fece scorrere la mano tra le stoffe blu, azzurre, rosse, gialle, beandosi del contatto con qualcosa di così morbido dopo lungo tempo. In fin dei conti, tutti gli abiti che aveva indossato quei dieci anni, li aveva creati con la magia. Vestiva la magia: era così comodo che a malapena si accorgeva di stare effettivamente indossando qualcosa.

Il ragazzino riuscì a farle infilare un vestito  prima che sua madre tornasse: lo indossò bianco, con qualche rifinitura azzurra. “Così siete più voi” mormorò, “sembra quello che indossavate nel vostro palazzo”.
“E’ proprio quello che stavo cercando di evitare, piccoletto: somigliare a me stessa”. Quello rise gaiamente, felice e ingenuo.
Mentre Elsa era intenta a crearsi un paio di scarpe di ghiaccio – un compito molto meno arduo che cercarne un paio che si abbinasse a ciò che aveva addosso in mezzo a tutti quegli accessori – vide Henrik sparire, per ricomparire subito dopo con una custodia blu in mano.
“Che cos’è?” domandò curiosa.
Il ragazzino la aprì, sorridente. Al suo interno, una maestosa collana con uno zaffiro al centro, brillò di nuova luce.
“Si abbina, non trovi zia?”.
“Quello non posso metterlo di sicuro” mormorò lei, tendendo una mano per accarezzare la piccola pietra blu. La ricordava più grossa di quanto in realtà non fosse. “Il gioiello della regina” disse. Fu un sussurro pieno di malinconia. Ricordò di averlo indossato il giorno della sua incoronazione come spilla, e lo rivide  nei suoi ricordi sul petto di sua madre: lo portava sempre, qualsiasi cosa indossasse. A quanto pareva, sua sorella lo aveva fatto ritornare un ciondolo.
“Mia madre lo odia” spiegò Henrik “dice che è troppo pesante”.
“Richiudila, ragazzino”.

Il bambino incontrò il suo sguardo afflitto, e si affrettò a fare quanto gli aveva chiesto. Poi si sedette in un angolo, ad osservarla mentre fissava ossessivamente la sua immagine allo specchio. Vide la sua immagine riflessa sorridere in modo accattivante.
Poi dalle sue mani uscirono le tanto amate scintille bianche e prima che quasi potesse accorgersene, i suoi capelli sciolti si raccolsero in una treccia, tenuta insieme da spruzzi di neve che cercò di nascondere come meglio poté.
“Ora può andare”, decise.
Aveva appena finito di creare l’acconciatura quando sua sorella rientrò, già vestita di tutto punto,  immersa in un abito giallo limone: quando si muoveva le balze del vestito ondeggiavano e lei sembrava un piccolo sole saltellante. La fece sorridere; e la fece pensare.

Lei al suo confronto, con quell’abito bianco e serio, era il suo opposto: il freddo e il caldo, il ghiaccio e il sole.
“Siete molto bella” si congratulò andando verso di lei a passo spedito.
“Voi lo siete molto di più” rispose Elsa, notando la piccola tiara che Anna portava tra i capelli. “E se devo essere sincera, il merito non è stato affatto mio. Vostro figlio ha dovuto scegliere per me, io non sapevo decidermi”.

Voltandosi verso di lui, gli fece l’occhiolino. Anna rise rumorosamente, e rivolse al bambino uno sguardo adorante.
“Non ascolti mai quello che dico vero? Ti avevo chiesto di andare in camera, monello che non sei altro”. Il modo in cui guardava suo figlio fece perdere al rimprovero qualsiasi valore, forse non aveva nemmeno mai avuto la pretesa di esserlo.
Elsa si chiese se l’unico ad avergli mai dato una punizione o una sonora strigliata fosse stato Hans. O forse nemmeno lui.
“Scusatemi” mormorò il bambino, arricciandosi una ciocca di capelli rossi tra le dita.
“Beh, vogliamo scendere? La cena sta per essere servita”. Tutti e tre si affrettarono a scendere le scale, in religioso silenzio. Fu la nuova giovane regina a spezzare quel silenzio.
“Spero che non vi dispiaccia se stasera abbiamo anche altri ospiti ehm…insomma, come, come dobbiamo chiamarvi, per stasera?”.
Elsa smise di respirare per qualche attimo e i suoi arti rimasero come paralizzati sul gradino sul quale si era fermata. Dannazione, quella di un nome falso era forse l’ultima cosa a cui aveva pensato.
Il suo cervello elaborò un miliardo di nomi in una frazione di secondo, ma nessuno di quelli sembrava andare abbastanza bene.
Troppo simili al suo. Pensò addirittura di dirle il suo. Non era di certo l’unica in tutta la Norvegia a chiamarsi Elsa per l’amor del cielo.
No. No. No.
Stupida, stupida, stupida.


Fu Henrik a parlare, “Si chiama El – “ Lei si voltò appena in tempo per fulminarlo con lo sguardo. “ –ga” terminò il bambino, porgendo alla zia uno sguardo di scuse. Lei non accennò a mutare espressione, e sembrò assai contrariata.
Elga?” domandò Anna. Aveva sentito Elsa. “Ehm, va bene, allora, Elga. Scendiamo, prima di farci attendere troppo”.
Sembrava parecchio scossa e Elsa la osservò di sottecchi, preoccupata. Notò che si era dimenticata di rinfilare i guanti solo quando furono sulla soglia della sala da pranzo.
Lì c’era Hans, abbigliato come stesse per partecipare a un gran galà invece che ad una cena. Prese il braccio della sua sposa, ancora troppo turbata per dire o fare qualcosa, e entrarono nel grande salone dove avrebbero servito la cena a braccetto. Lei ed Henrik li seguirono.
Fu costretta a sedere vicino ad Hans, ovviamente capotavola,  che cercava continuamente di metterla in difficoltà, costretta ad avere di fronte sua sorella e ad incontrare i suoi occhi in continuazione.
Sentiva i suoi poteri bruciarle sotto i palmi delle mani, irradiarsi in quelle sue bizzarre scarpette e soffocarla.
Non aveva ricordato cosa si provasse a dover nascondere tutto quello fino al momento della cena.

Celarlo, domarlo, non mostrarlo.

Fu come se le avessero piantato un pugnale nel cuore, ma sopportò.


 
~
 

Quando la cena terminò, tutti furono congedati e Elsa si ritrovò a percorrere i corridoi deserti e bui con sua sorella, che davanti a lei, rimase in silenzio. Henrik era andato nelle sue stanze con la balia e quindi le due donne non avevano nemmeno quella carta da giocare per togliersi da quel pesante imbarazzo.
Anna aprì le porte della stanza guardaroba in silenzio, e si sedette sulla poltroncina della sua toletta con sguardo assente, mentre Elsa rimase in piedi, al centro della stanza.
Si sentiva così fuori posto da non saper cosa fare o dire.
Vide la sorella togliersi la tiara e sciogliersi i capelli, così decise di fare altrettanto con la sua treccia, da cui pendevano ciocche arruffate di capelli biondi. La camera era buia, e attraverso una finestra filtrava debole la luce pallida della luna. Avevano acceso una candela per farsi strada all’interno del castello, ma adesso, abbandonata su un ripiano, era prossima a spegnersi.

“Mi aiuteresti a slacciare l’abito?” domandò Anna, voltandosi verso di lei. Le aveva dato del tu.
“Certo, maestà”. Annuì brevemente e le si avvicinò. Quella sorrise debolmente, e le diede la schiena.
Il suo abito d’oro aveva sulla schiena mille piccoli bottoncini dello stesso colore.
Elsa ne slacciò uno, poi due.
Non era facile. Erano così piccoli che riusciva a malapena a tenerli in mano per spostarli fuori dall’asola. Al terzo bottone, emise un piccolo sbuffo. Non era mai stata brava con quelle cose da signorina.

“Anche mia sorella faceva così”.
“Eh?”. La paura le risalì il corpo come una scarica elettrica, facendola rimanere muta per il terrore.
Le mani cominciarono a tremarle, e slacciare i bottoni si fece ancora più difficile. Cercò di continuare.
“Mia sorella” sussurrò Anna, “ da bambine, usavamo alcuni dei vestiti di nostra madre per travestirci…lei non riusciva mai a slacciare i bottoni quando erano così piccoli”.
“Beh…beh…i-io…”.
“Diceva ‘ mi scivolano dalle mani’ “ continuò Anna, facendo un maldestro tentativo di imitare la voce di sua sorella così come la ricordava. Quella d’altra parte, rimase muta e in completo imbarazzo, cercando di finire il suo lavoro senza sembrare troppo impacciata. “Scusate”.
“Scusa- scusarvi? E di cosa?”.

“Di avervi messo in imbarazzo con i miei discorsi insensati” Anna sospirò rumorosamente, mentre giocava con i sottili braccialetti d’oro che si era tolta. “Non so nemmeno perché l’ho detto” continuò, voltandosi a fissare Elsa negli occhi, “ voi non siete lei”.
“No”.
“Non potete essere lei…” mormorò Anna, allungando la mano per toccare una ciocca dei suoi capelli, “ ci credeste mai…? Per un attimo ho pensato davvero che…”. Con la voce prossima ai singhiozzi, allontanò la mano, “Ma non lo siete”.
“No”.
“Potete andare adesso, se lo desiderate…” mormorò indicando la porta con un cenno del capo, “vi ringrazio per esservi fermata a cena, mio figlio ne è stato davvero felice ”.

“Il..il vestito?” sussurrò Elsa, accorgendosi di averlo ancora indosso. Sua sorella si prese la testa fra le mani, come fosse stata colpita proprio in quel momento da una violenta emicrania. Rimase così per diversi attimi prima di riprendere a parlare.

“Era suo” mormorò con aria scocciata, “ l’avevano disegnato per mia sorella, come quasi la metà degli abiti che ho nel guardaroba. Potete tenervelo, non voglio mai più vederlo. E ora andate, per favore”.
Elsa indietreggiò piano, senza fiato, e quando la sua schiena toccò la porta, si dovette aggrappare alle maniglie per non cadere. Sperò che Anna non si accorgesse dell’improvviso calo della temperatura nella stanza. O forse era solo lei, gelida di terrore.
Rimase lì a fissarla, chiedendosi se poteva davvero farle una cosa del genere. Stava per protendersi verso di lei quando quella alzò il capo, “Andatevene!” urlò, gli occhi accesi dall’ira.
Elsa aprì la porta per uscire, e la sbattè con violenza non appena si ritrovò sul corridoio. Si accasciò sul tappeto rosso, con la schiena contro la porta, e rimase ad ascoltare. Non ci volle molto per sentire Anna scoppiare in un pianto disperato.
Che strana la vita, ora era lei quella fuori dalla porta.

 Incapace di ascoltare il suo dolore senza poter fare nulla, ordinò alle sue gambe di muoversi per andarsene di lì il più fretta possibile. Si ritrovò di nuovo nelle aree basse del castello, doveva avevano cenato.
Riuscì a vedere della luce filtrare debole attraverso la porta socchiusa del salone. Dopo poco, da quella stessa porta uscirono Hans e tutti gli altri dignitari che avevano cenato con loro.
Elsa moriva dalla voglia di sapere quali trattative avessero intavolato. A cena se ne era parlato poco: qualche accenno ad un’alleanza militare, affari commerciali.
Voleva qualche altro dettaglio più interessante.
Hans la osservò per qualche minuto e tenne lo sguardo incollato a quello di lei anche quando quello che gli riservò non fu null’altro se non veleno e odio. La invitò ad entrare e lei lo seguì, pensando che dopotutto, gli stava facilitando le cose.
Tutti dormivano e nessuno si sarebbe accorto di quello che succedeva tra di loro. Sarebbe bastata una piccola, minuscola scheggia di ghiaccio nel suo cuore, e avrebbe potuto gridare ‘lunga vita al re!’.

“Non le avete detto nulla” disse lui, richiudendosi la porta alle spalle. Si accomodò su uno dei piccoli divanetti presenti nella stanza, continuando a guardarla con il riflesso del fuoco che gli danzava negli occhi.
“Perché avrei dovuto?” mormorò Elsa, ricambiando lo sguardo con la stessa intensità.
“ Mmmh, allora avete taciuto davvero. Non lo so”, Hans la invitò ad accomodarsi accanto a lui, “ma siete così prevedibile”.
“Non ci giurerei, principe Hans”.
Lui le si avvicinò piano quando capì che non si sarebbe mai seduta.
“Siete fissata con questo principe” le toccò le mani, e quando lei le scostò, “non vi mordo mica…ballate? O ancora non avete imparato?” la rimbeccò. In realtà, aveva cercato di dire la prima cosa che potesse giustificare la sua azione, non sapendo nemmeno lui perché l’aveva fatto.
“Ballo” sputò lei, a poca distanza dal suo viso, gli occhi così stretti da essere ridotte a due fessure.
Le loro mani si riallacciarono e Hans fece volteggiare la donna nel grande salone vuoto, mentre entrambi mantenevano il silenzio. Senza nemmeno un po’ di musica ad accompagnarli, le parole tornarono a sostituirla in fretta.
Elsa pensò che sarebbe stato perfetto ucciderlo durante un valzer.
“La amate?”.
“Cosa?”. Hans sembrò risvegliarsi da un lungo sonno.
“Mia sorella. La amate?”.
Quello rimase in silenzio, mentre eseguivano una piccola giravolta. Elsa sospirò. “Vostro figlio?”.
E lo sentì ridere. Tra tutte le reazioni che avrebbe potuto avere, quella era davvero l’ultima che la regina si sarebbe aspettata.

“Non è mio figlio più di quanto non sia vostro” rispose, continuando a far volteggiare la donzella, che nel frattempo tentava di fermare quei ripetitivi e monotoni passi di danza. Non aveva affatto imparato a ballare e la annoiava.
“Cosa volete dire?” chiese, sorpresa.
“Siete anche voi così splendidamente ingenua, Elsa”. Le accarezzò una ciocca di capelli e gliela scostò dal viso, quando finalmente lei riuscì a fermare il loro maldestro balletto.
“Spiegatevi” ordinò, spingendolo lontano da sé.
“Come credete che sia riuscito a sposare vostra sorella dopo averla lasciata a morire chiusa a chiave in un salotto? Mi sarebbe servita davvero una bella scusante, ammettiamolo” mormorò lui, girandole intorno.
Lei lo seguiva, tentando di non perdere di vista i suoi occhi. “Ma vostra sorella mi rende sempre tutto così semplice”.
“Se non spiegate tutto chiaro e tondo, io vi renderò tutto un inferno, sono stata chiara?” urlò lei, afferrandogli il colletto della camicia.
Alzò la mano che ancora aveva libera verso il volto di lui, facendo volteggiare in aria mille piccole schegge di ghiaccio.
Lui rise ancora, in modo meschino. “Come desiderate, vostra maestà”, le sussurrò all’orecchio.
La sua voce era così calda. La magia scomparve com’era apparsa.
“Dopo la nostra chiacchierata sul ghiaccio, la ricordate, vero? Beh, dopo che siete fuggita con la coda tra le gambe e tutto si è scongelato, così è stato per il cuore di Anna.  Era proprio come se foste morta. Scomparsa. Cosa potevo dirle, dopo il modo in cui l’avevo trattata? Non siete d’accordo? Ma lei, al contrario di voi, non aveva l’età adatta per prendere la corona, né decisioni. I dignitari mi hanno creduto, quando ho spiegato la mia versione dei fatti e il trono mi è stato assegnato…a votazione. – il suo sorriso le fece venire i brividi – Però…”.

“Però?”.

“C’era un piccolo, piccolissimo dettaglio, che era assai sconfortante per me all’epoca. La carta che avevo siglato diceva ‘fino al raggiungimento della maggiore età di Sua Altezza la principessa Anna’. Ricordo ancora la rabbia, lo ricordo a memoria quel pezzo di carta. Progettavo di ucciderla, lo confesso. Non si arriva così vicino al sogno di una vita per poi rinunciarvi, non è lo stesso che avete fatto voi?”.

“Non osate paragonarmi a voi, mi fate ribrezzo”.

“Ma non avete forse agito allo stesso modo, non avete abbandonato il vostro regno e vostra sorella per il profumo della libertà? E ora pensate di poter recuperare ciò che avete miseramente buttato via e io ho raccolto?”. Con una manata gettò per terra tutte le carte sulla sua scrivania, e fra tutti gli oggetti che volarono per terra, una statuetta in porcellana cadde rovinosamente a terra, frantumandosi.

“Che è successo dopo?!” urlò Elsa, in preda all’ira, spingendolo contro il muro. “ Perché mia sorella ha acconsentito?”.

“Mesi dopo, quando avevo sperimentato mille diversi modi per ucciderla – una caduta da cavallo, il veleno… - scoprì da una conversazione di alcuni servitori che era incinta. Quale occasione migliore? Mi aveva servito la corona su un piatto d’argento. E’ stata costretta a sposarmi, e il moccioso è passato per mio. Mi ha regalato ogni cosa senza nemmeno accorgersene: una moglie, una corona, un erede”.

“Chi è il padre di Henrik?”. Elsa aggrottò le sopracciglia, turbata.
Lui fece spallucce, “Cosa volete che ne sappia? Anna è riuscita a mantenere il segreto, e finché lo fa, non c’è ragione di preoccuparsi, non trovate?”.
“Siete disgustoso, siete….!”. Hans ribaltò le loro posizioni, facendo in modo che questa volta fosse la regina ad avere le spalle al muro. Estrasse il piccolo pugnale che teneva attaccato alla cintura e glielo puntò alla gola.

“E poi siete arrivata voi, a rovinate tutto, di nuovo” gracchiò Hans, tracciando un piccolo graffio con l’arma che teneva in mano. Lasciò che cadesse a terra con un sonoro tonfo, per sostituirla con le sue mani.
Gliele strinse attorno all’esile collo e lei tossì, strabuzzando gli occhi per lo spavento. “ Siete davvero troppo bella per essere buttata via così, regina Elsa” soffiò a qualche centimetro dalle sue labbra. “Ma non mi lasciate altra scelta”.
Se qualcuno li avesse visti in quel momento, sarebbero sembrati sul punto di scambiarsi un bacio, piuttosto che di uccidersi a vicenda. Fu allora che la porta si aprì e Anna fece il suo ingresso in camicia da notte, con il viso devastato dal pianto.
“Cosa sta succedendo?” riuscì a sussurrare, con un filo di voce.
“Oh, cose da re e regine, mia cara” rispose Hans, stringendo la presa sul collo di Elsa.
Lei cercò ancora una volta di liberarsi, “ E lei non è forse la vostra regina?” gli chiese, paonazza in volto.
Hans si chiese perché non avesse ancora usato qualche stregoneria.
“Ma siete impazzito? Lasciatela andare”, intervenne Anna, mettendosi in mezzo ai due. Riuscì a separarli e Elsa si accasciò a terra, respirando a fatica.
Anche Hans aveva il fiato corto e la guardò con odio feroce, “Che dejà vu…ma questa volta non vi salverà, sapete?”.
“Che cosa stai dicendo?” chiese lei, guardando il marito. “E tu” rivolta ad Elsa, “ti avevo detto di andare via”.
La sorella, ancora accasciata sul pavimento, chiuse gli occhi.
“Oh, tesoro credimi, tra cinque minuti non vorrai più lasciarla andare”.
“Che cosa diavolo stai dicendo, Hans?!”.
“Sto dicendo…”, recuperò la daga e  fece in modo che Elsa si rialzasse, tutto in una frazione di secondo. Si ritrovarono nella posizione precedente e lui alzò l’arma senza che lei tentasse minimamente di ribattere. Ancora una volta, era inerme davanti a lui. 
O così gli sembrò, “…lunga vita alla regina…” e poi, fissando malignamente quella che a questo punto, rimaneva la piccola principessa Anna, “… Elsa!”.










Eccoci qui, alla fine di questo quarto capitolo pieno di azione...! Eheheh, dite la verità, nello scorso pensavate tutti che la terza voce fosse quella di Anna ;) Comunque, spero di tutto cuore che vi sia piaciuto.
Mi scuso per il ritardo con cui ho postato, ma come potete vedere alla fine ce l'ho fatta.  (yeaaaah! :P) Per quanto riguarda il capitolo, faccio una serie di piccole precisazioni: "il gioiello della regina" l'ho ovviamente inventato, basandomi però su qualcosa di concentro: in "Frozen" sia Elsa che sua madre indossano come spilla una piccola pietra azzurra e in qualche altra storia avevo letto che fosse una specie di gioiello di famiglia, così l'ho usato anche qui ^^ Seconda cosa! Elga è un nome reale, che viene davvero usato in Norvegia...non mi piaceva molto se devo essere sincera, ma era quello più simile a quello della nostra bella regina che io sia riuscita a trovare dopo taaaaaaante ricerche, e l'unico che suonasse similissimo nella pronuncia.
Bene...penso di aver detto tutto, quindi non mi resta altro da fare che dileguarmi :)
Au revoir,
felsah

 

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Capitolo 5
*** Un trono per una vita ***


Cose da re e regine





5
Un trono per una vita






 
Tell me why I feel unwanted?
Damn, if you didn't want me back
 Why'd you have to act like that?
 It's confusing to the core
 'Cause I know you want it
[Super psycho love - Simon Curtis]




 


“Elsa?”. La guardò negli occhi, quegli occhi che aveva fissato a lungo anche nella stanza-guardaroba, e che aveva tentato di togliersi dalla testa per tutto il tempo dopo che quella donna aveva sbattuto la porta.
Il pugnale sembrò vibrare a un centimetro dal petto della regina, fino a quando il suo aggressore lasciò che cadesse a terra con un sonoro tonfo, allentando la presa dalla stoffa del suo corpetto, per poi accasciarsi a terra. Si portò una mano sul cuore, gemendo di dolore.
“Qualche problema, principe Hans?”. Elsa si chinò alla sua altezza, e i loro sguardi si riallacciarono.
“Cosa mi hai fatto?” sussurrò lui, senza fiato, premendosi insistentemente la mano sul petto, tentando di fermare l’ondata di freddo che lo stava avvolgendo.
Una morsa gelida gli stritolò il cuore, per poi lasciare che battesse come nulla fosse accaduto. Ma il freddo rimase, e con quello l’ondata di terrore che lentamente si stava impossessando di lui. Non conosceva quella sensazione, e non l’aveva mai provata…ma l’aveva vista. Lei sorrise, e si rialzò, senza rispondere.
Anna era ancora lì in piedi, dove si era fermata quando era entrata, a fissarla in un modo che non riuscì a interpretare. Non ebbe tempo di chiedersi cosa provasse sua sorella, o cosa provasse lei. Non riuscì nemmeno a decidere se dirle qualcosa o no. Se svelarsi o no. Sentiva l’adrenalina percorrerle braccia e gambe, e una felicità strana, il gusto della vittoria sulla punta della lingua, che aveva un sapore strano, cattivo.
 La voce di Hans rimbombò ancora nella stanza, “ Che cosa hai fatto, dannata strega?!”.
“Considerarlo…un regalo di addio” rispose, “ e…ti consiglio di correre. Molto veloce. Via di qui”.
“Perché mai dovrei farlo?” tossicchiò, con la poca voce che gli era rimasta.
“Perché non vedo nessun atto di vero amore qui intorno”.
Anna sussultò. La vide tremare dalla testa ai piedi.
“Non finché non mi sarò liberato di te!”. Lo vide tastare sul pavimento per raccogliere la daga, ma non ebbe abbastanza tempo per conficcargliela nel petto. Elsa, agitò le mani, pronta a scagliargli contro quanto di più terribile avesse mai creato.
Fu sua sorella a impedirlo. “Elsa, no!”.
Le afferrò un braccio, sconcentrandola per qualche attimo. Sentirsi chiamare per nome da quella voce le provocò un brivido, che la percorse dalla testa ai piedi come una scarica elettrica.
“Perché no?!” ringhiò, allontanando la sorella con uno spintone.
“Perché non sei migliore di lui, se ora lo uccidi”.

“Hai visto cosa ci ha fatto?!” domandò lei, in preda all’ira. Guardava Anna negli occhi, ma quasi sembrava non vederla. Vedeva solo la sua vendetta, e l’odio gli annebbiava la mente. Chi delle due, aveva sofferto di più? Non lo sapeva. Non le importava.
“Ci ha portato via tutto!”.

Si ripreparò a scagliargli contro una magia, quando Anna la strattonò, facendole perdere l’equilibrio.
Tutto successe così rapidamente da lasciare i tre interessati storditi e tremanti sul pavimento dell’enorme stanza.
Elsa aveva lanciato delle schegge di ghiaccio contro il suo aggressore, che erano si erano prontamente piantate nel muro quando le guardie reali avevano fatto irruzione. Sono qui per me, aveva pensato la regina, affrettandosi a creare altro ghiaccio per avere almeno la soddisfazione di vedere il verme morto sul pavimento.
Questo fino a quando la sorella aveva alzato un dito, ancora instabile, e aveva sussurrato “Lui” così piano che nemmeno credeva di aver sentito bene.
Non aveva mai visto sua sorella così: sconvolta e in camicia da notte, con lo sguardo più truce che le avesse mai attraversato il viso. Non pensava nemmeno che fosse capace di guardare una persona in quel modo.
“Cosa?” si ritrovò a sussurrare all’unisono con Hans, lasciando perdere per un attimo il colletto della sua camicia, che aveva strattonato fino a fargli male.
“Ma Maestà…il re..” sussurrò uno degli uomini, titubante. Si guardavano spaesati, come se nessuno di loro sapesse cosa fare.
“Prendete lui” ribadì Anna, aggrappandosi a una delle poltroncine per rimettersi in piedi. “ E’ un ordine di Sua Maestà, la regina Elsa”.
Quelle si guardarono, ancora più confuse e gettarono una rapida occhiata alla donna bionda, ancora in ginocchio sul pavimento, che come tutti avevano notato fin troppo bene durante la cena, assomigliava alla defunta sovrana in modo allarmante.
Hans rise sprezzante, “Questo è da vedere mia cara, sono ancora il re qui!” mentre le guardie facevano come gli era stato ordinato. Furono in tre a doverlo prendere, per cercare di tenerlo fermo. “Ma questa è follia!”.

Cercò la sua daga, ancora sul pavimento, dove l’aveva lasciata cadere poco prima e troppo lontana per poterla raccogliere. “Lasciatemi! Io ve lo ordino! Toglietemi le mani di dosso!” provò ancora, lottando per riuscire a sciogliere la morsa in cui lo stringevano.
“ Tu ordini?” chiese Anna, raccogliendo l’arma al posto suo, non appena ebbe intercettato la direzione del suo sguardo. “ Sono stata davvero una povera sciocca sì, ma almeno qualcosa ho saputo farla” mormorò, accennando al fatto di aver portato le guardie quando era scesa nel salone. “Tu non sei il re”.
I rumori che aveva sentito dalla sua stanza da letto non le piacevano, e avvertiva ancora attorno a sé l’alone di stranezza e mistero che aveva portato con sé quell’ospite tanto particolare. Era sicura che stesse succedendo qualcosa, e così era scesa, portandosi dietro una piccola scorta.
“E tu, cara” sputò ai suoi piedi, “ non sei la regina. Ricordati chi è la donna che hai di fronte, nemmeno tu puoi dare simili ordini ”.
“Sì, siamo due impostori” ardì a un centimetro dal suo viso, “ e ci rimetteremo alla sua clemenza - Portatelo via” disse ancora. L’uomo fu scortato fuori dalla stanza mentre urlava e si dimenava in modo così deciso che dovettero accorrere altri uomini per portarlo fino alle prigioni.

Le porte del grande salone si chiusero qualche istante dopo, lasciando le due sorelle da sole, in un silenzio di gelido imbarazzo.
Anna si lasciò andare di nuovo sulla poltrona, gettando la daga in un angolo della stanza con fare disgustato.
Si accasciò su se stessa e parve esausta, incapace di parlare o fare qualsiasi cosa che non fosse starsene lì, con gli occhi attaccati al pavimento. Elsa non era da meno, solo che fissava sua sorella e non aveva idea di che cosa fare con lei, com’era stato per quasi tutta la sua vita.

“Perché l’hai fatto?” domandò. Perché non hai cacciato me? voleva chiedere in realtà. Non ne ebbe il coraggio.
“Quale essere umano preferisce uno sconosciuto imbroglione alla sua famiglia?” rispose Anna, senza riuscire nemmeno a guardarla. “Anche se la sua famiglia è..beh…”.
Cosa? Cos’è la tua famiglia? Ma non lo disse.

Eccoci qui, pensava, ancora una volta, siamo a pezzi, così vicine e così lontane. Rimasero così per un tempo infinito, mentre l’orologio a pendolo ticchettava su ogni minuto che passava. Nessuna delle due aveva la minima idea di come uscire da quella situazione. Poi l’orologio scoccò per l’ennesima volta, e le lancette si mossero sulla mezzanotte.
“ Perché non me l’hai detto?” sussurrò infine la rossa, guardandola negli occhi per la prima volta dopo ore.
La sorella non le rispose, e continuò a fissarla. “Perché?!” chiese ancora, in preda alla disperazione, “ siamo sorelle dannazione, ti avrei aiutato ti avrei…”. Le tremarono le labbra, e non fu in grado di continuare. La fissò, mentre le lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance.

“Come? Come avresti potuto?” domandò Elsa dolcemente, “ Come avresti potuto aiutare una vigliacca che ti aveva abbandonato?”. Si accasciò su se stessa, incapace di sostenere lo sguardo di sua sorella più a lungo. Anna la raggiunse per sedersi accanto a lei. “Pensavo che fossi morta. E quando ho scoperto che eri viva pensavo fossi felice. Con quale coraggio avrei potuto toglierti un’altra volta la felicità? Ma lui…lui doveva morire” le si spezzò la voce, “ sono un mostro..”.

“Non lo sei” sussurrò. “Non so cosa ti abbia detto lui per fartelo credere, ma non sei…”.

“Lo sono!” urlò la regina, scostando la sorella in modo brusco. “ Ti ho lasciata qui con lui! Me ne sono andata quando mi ha mentito così bene da farmi credere che il mio stesso popolo mi avrebbe ucciso come una strega”.
“Io non lo avrei permesso, tu…”.
“Io? Io cosa?”.
Sei mia sorella!”. Ora urlavano entrambe.

Anna le diede uno schiaffo. Elsa fu così stupita che sbarrò gli occhi per la sorpresa. “Sei…” la sorella strinse i pugni, “sei davvero….stupida, se pensi che smetterò di volerti al mio fianco ‘perché mi hai lasciato qui’ “ la scimmiottò, “ me la sono cavata. Non ho più cinque anni, sai?”.
“ E io non ne ho più otto. Non sono quella che ricordi”. Il tono che usò fu duro, severo.

“Certo che no, ma sei sempre la mia famiglia. E mi sono sentita così…insignificante, perché mi hai respinto, dicendo che non potevo aiutarti”. La guardò per degli istanti interminabili, “ma ti prego, non fare lo stesso errore che hai fatto dieci anni fa “.

“Anna…”.
“ Forse non posso aiutarti, forse hai ragione. Ma non m’importa, perché so che posso perdonare…se è quello che occorre”.

“ Io non smetto di volere ciò che è mio, però”, strinse i pugni, “ sono così…arrabbiata”. Scelse quella parola con cura, prima di pronunciarla.
“E io non smetto di volere mia sorella! Dannazione, tu devi piantarla! Non hai colpa di ogni evento catastrofico avvenuto sulla terra! E le persone possono cercare di capire”.

“Per metà della mia vita mi è stato detto che non lo avrebbero fatto”.

“Elsa...”.

Elsa scoppiò a piangere come una bambina, china sulle ginocchia di sua sorella. “ Oh Anna…se avessi potuto non ti avrei mai trascinato in tutto questo” singhiozzò, stringendosi a lei come fosse l’unica ancora di salvezza che avesse a disposizione.
Crollò, tutta la ferrea resistenza e la gelida barriera che aveva cercato di mettere tra di loro in tutti quegli anni, venne buttata giù dalle sue stesse mani in quell’istante. Era stanca.
Riuscì a calmarsi dopo molto tempo, e Anna la prese per mano, per portarla nella sua stanza. In tutti quegli anni, nessuno l’aveva mai toccata, ed era ancora lì, esattamente come lei l’aveva lasciata il giorno della sua incoronazione, ma la sorella la pregò, “Non voglio stare qui”.
Così la trascinò ancora verso la camera dei suoi genitori, ed entrambe si sdraiarono nel grande letto a baldacchino nel quale la minore aveva trascorso intere notti al fianco di Hans. Rimasero sveglie a guardarsi nel buio della notte, e ad entrambe sembrò troppo bello per essere vero, ma nessuna delle due riuscì ad ammetterlo.
“Che farai con Hans?” chiese Anna, giocando nell’oscurità con la mano di sua sorella e il pizzo del suo vestito. Non se l’era ancora tolto. La sua pelle era fredda, proprio come nei suoi ricordi.
“Non lo so. Devi dirmelo tu”. Voglio ucciderlo.
La rossa sbuffò, “Tu sei la regina, però”.
“Forse sarebbe ora di dormire” consigliò Elsa, che sentiva pian piano la stanchezza impossessarsi del suo corpo.
Non aveva voglia di parlare di quello. Non in quel momento.
“Ma lo sei, Elsa”.
“Anche tu. E non è così semplice come sembra”.
“Io non voglio essere la regina. Non l’ho mai voluto. E tu sei viva. La primogenita, l’erede al trono”.
“Mi stai prendendo in giro?”.
“Mai, Maestà ” sorrise Anna.
“Allora dormi” ribadì la primogenita.
“Io non voglio dormire” fu la risposta che ottenne. “ Domani mattina non ci sarai più”.
“Sono qui”.
“Lo prometti?”.
“Lo prometto”.
E dopo che fu passato solo qualche minuto da quell'insolita buonanotte, "Elsa?".
"Sì?".
"Non sai quanto sono felice che tu sia qui".
Lei non rispose. Pianse.



Anna si addormentò in fretta, pensando che finalmente era accanto alla persona giusta quella notte. Così come Anna fu la prima ad addormentarsi, Elsa fu la prima a svegliarsi, quando i raggi del sole illuminarono la stanza con violenza, costringendola ad aprire gli occhi. Fu come ritrovarsi in un sogno, un sogno nel quale non riconosceva l’ambiente e nemmeno se stessa.
Si sentiva immateriale, ferma nel tempo. Le ci volle qualche minuto per ricordare tutti gli eventi della sera precedente.

La fecero scattare in piedi, e quando vide la sorella, ancora placidamente addormentata, non poté fare a meno di sorridere.
Quella era la sua Anna. La lasciò per andare a passeggiare nel corridoio, a piedi nudi, ancora immersa nel vestito stropicciato che aveva visto insieme a lei tutto quello che era successo. Non pensava di essere mai uscita dalla camera da letto così in disordine. Quel pensiero, la fece sorridere ancora di più, e subito dopo, realizzò che non le importava per nulla.
“Maestà?”. Alzò la testa, una reazione istintiva. Due donne apparvero nell’oscurità del corridoio, vedendo verso di lei. La scrutarono piano, con fare silenzioso, quasi volessero verificare che fosse una persona in carne ed ossa. Avevano paura, realizzò poi Elsa, dispiacendosene. Certo, quale persona normale, tranne sua sorella forse, non avrebbe dovuto avere paura di una strega? Avrebbe potuto ucciderle con un gesto delle dita.
“Maestà, il Consiglio richiede la vostra presenza” mormorò una, “dati…gli avvenimenti della scorsa sera”.
Lo sapevano, pensò. Per quanti era così? E cosa pensavano loro? Si ricordò improvvisamente di quelle due facce: dame di compagnia al seguito di sua sorella.
“La mia?” chiese, come se non si ricordasse qual era la sua carica.


**


“Ma, Altezza reale, quel documento non ha più valore, dal momento che la Sua Grazia la principessa, a questo punto non è più prima in linea di successione. Il fatto che voi non siate morta, vi da’ diritto al trono”.
Lo dice come se lo avesse preferito, pensò Elsa, guardando il ministro con falsa cordialità. Non ricordava nemmeno più il suo nome, nonostante fosse stato ripetuto parecchie volte.
Quell’assemblea si stava trascinando da quasi un’ora, e lei non ricordava di aver mai fatto cosa più difficile di quella. Prima di entrare le avevano spiegato tutte le regole che andavano seguite, e il comportamento da tenere, che lei stava deliberatamente ignorando. Erano così tante che non sarebbe comunque riuscita a impararle in così poco tempo.
La principessa le ha studiate per mesi, le aveva detto una delle due dame che le aveva portato le pile di fogli da studiare e le era venuta voglia di schiaffeggiarla.
“E’ tutta una questione di carte? Di…documenti?”. Non voleva credere fosse così facile. Non lo era. La sua rivincita sarebbe stata molto più lenta e tortuosa. Aveva solo fatto qualche passo, e si era riseduta sul suo trono. Ancora nulla.
“Sì, Maestà” intervenne un altro dei dignitari.
“E per quanto riguarda il principe?” domandò, cercando di mantenersi fredda e cordiale. Il solo pensare a quella faccia le faceva scordare per un attimo che aveva promesso ad Anna di essere migliore di lui.
“Beh, in quanto unito in matrimonio a vostra sorella, ciò gli conferisce il titolo di principe ereditario, e nel caso di un vostro…eventuale decesso..ehm…ristabilirebbe la sua precedente carica”.
Lei inarcò un sopracciglio, infastidita. Riusciva a vedere il sudore colare dai capelli di quell’uomo grasso e baffuto.
“ Il principe ha dichiarato il falso, e tentato più volte di uccidere sia me, sia mia sorella” disse, “ non meriterebbe forse…un castigo?”.
L’uomo si schiarì la voce, imbarazzato. “ Castigo?” domandò, come se non conoscesse affatto quella parola.
“ Proprio così”.
“Ciò che Vostra Maestà desidera…”.
Sorrise, decisamente più contenta di quella soluzione di quanto non lo fosse prima.
“Ma…”.
“ Cosa?” chiese.
“ L’ex principe ereditario, Maestà. Dal momento che i suoi genitori non sono più la coppia regnante, anche il suo status, si abbassa. Saranno i vostri figli, a ereditare il trono”.
Henrik. Per un attimo l’aveva dimenticato. Cosa avrebbe dovuto fare con lui…di lui. Era solo un bambino.
Non era passato giorno, da quando l’aveva portato nel suo palazzo, in cui non si chiedesse cosa ne sarebbe stato di lui una volta che il regno fosse tornato suo. Rimase in silenzio per qualche minuto, massaggiandosi la fronte.
Nella grande stanza intanto, tutti attendevano per sapere che cosa avrebbe deciso. Non era forse grazie al ragazzino se lei adesso era seduta lì e stava prendendo quel genere di decisioni?
Era la regina. Non era quello che aveva desiderato così ardentemente da consumare tutte le sue energie nel raggiungimento di quell’obbiettivo? Ma non avrebbe avuto alcun erede che fosse suo, nessun figlio.
Nessuno sposo.
“No” mormorò poi, alzandosi in piedi. “ Non intendo contrarre matrimonio, gentili signori” decretò, fissandole le loro facce sbalordite una ad una, “ per cui, il principe Henrik potrà continuare a usufruire del suo titolo come meglio crede. E per renderlo effettivo, lo nominerò mio successore, scavalcando suo padre dalla lista in caso di un mio…eventuale decesso” calcò quelle parole con un pizzico di acidità, proprio mentre posava gli occhi sul ministro che le aveva pronunciate prima per lei.
Quello abbassò lo sguardo.
“Maestà…”.
“Padre!”.
Henrik entrò nella stanza come un uragano, portando con sé nella sala la confusione più inaudita che si fosse mai vista.
Al suo arrivo, tutti si alzarono in piedi, Elsa compresa. Si fissarono per qualche attimo, mentre tutti gli uomini che stavano affollando la sala si scusavano e indietreggiavano, cercando di uscire senza far troppo danno. Come se non ci fosse stata già abbastanza confusione.
“Che cosa ci fai tu qui?” domandò il bambino, quando vide che non era affatto suo padre a presiedere l’assemblea.
“ E tu?” chiese lei, decidendo che forse quello non era il momento più adatto per spiegare al ragazzino cosa stava succedendo.
“ Ero venuto a cercare mio padre”. Per un attimo si era quasi dimenticato cos’era andato a chiedere.
“Questo l’avevo capito”, sorrise.
“ E’ per la mamma” continuò lui, con fare agitato, “è svenuta!”.


Mmmmh...okay. Dove posso cominciare? Inanzitutto mi scuso mille e mille volte per il mostruoso ritardo, pur sapendo che non è abbastanza. Non era assolutamente mia intenzione metterci così tanto tempo, ma purtoppo ho avuto molti impegni, e siccome ci metto quasi un'ora ogni volta per usare l'editor, mi servivano due o tre orette di pace assoluta, cosa che in questi giorni purtroppo non ho avuto. Anzi, non le ho nemmeno oggi in realtà, ma avevo promesso in un MP che avrei postato o domenica o lunedì, e volevo mantenere la promessa a tutti costi, specialmente quanto mi sono resa conto che l'ultimo capitolo era stato messo online il 9 di luglio...e oggi è ehm... il 21 u.u va bene basta, vado a nascondermi.
Non posso dire nient'altro, se non sperare che il capitolo vi piaccia e che non vogliate prendermi a bastonate. Ovviamente, c'è ancora molto da dire e molte cose da sistemare! Vi voglio dire anche quanto apprezzi tutte le bellissime cose che mi scrivete! Giuro che non appena avrò tempo risponderò alle recensioni del precedente capitolo; nulla mi fa più piacere che chiaccherare con voi! :*
Un bacione grande grande
felsah

 

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Capitolo 6
*** Troppi segreti ***


Cose da re e regine




6
Troppi segreti






 
Talvolta sono sulla riva
Ove riversano gli affanni l'impetuoso efflusso,
E le acque inquiete stridule gridano e sospirano
Di segreti che non osan rivelare.
[Howard Phillips Lovecraft]





 
 Elsa si fermò sulla soglia della porta, e fece due respiri profondi prima di bussare. Sentì dei passi muoversi irrequieti per tutta la stanza, e si chiese come si fosse sentita Anna quando era stato il suo turno di trovarsi lì fuori.
Pensò a quanto dovesse essere frustrante rimanere sulla soglia della porta di una persona cara, e implorarla di uscire, mentre quella non rispondeva nemmeno. Alzò la mano e batté due piccoli tocchi sul legno bianco.

“Henrik…?” domandò piano.
“Vattene via” rispose la voce del bambino, mentre i passi frettolosi si arrestavano. “Non voglio vederti”.
Almeno aveva parlato. Finalmente.

“Ragazzino per favore…dammi solo una possibilità…per spiegare” sussurrò lei, preparandosi a girare la maniglia senza aver ricevuto il permesso; ma il bambino la aprì dall’altra parte con un veloce scatto e i due si ritrovarono faccia a faccia.

“Cosa vuoi spiegare!?” quasi urlò in preda alla rabbia. I suoi occhi arrossati e umidi erano perfetti testimoni del fatto che stava piangendo ormai da ore. “Mi avevi promesso che non gli avresti fatto del male! Lo avevi promesso!”.
Ricominciò a singhiozzare, stringendosi i lembi della camicia fino a far imbiancare le nocche.
Quando Elsa si avvicinò, provando a toccarlo, lui la respinse, indietreggiando fino a tornare all’interno della stanza.
“Henrik, io non ho fatto nulla” provò a giustificarsi. Era inutile: ogni volta che diceva qualcosa il nipote non le lasciava comunque il tempo di finire. Aveva provato a parlare con lui per metà del pomeriggio, dopo che Anna era stata sistemata dove potesse riposarsi, ma l’esito era sempre lo stesso.

“Il dottore ha detto che qualcuno l’ha avvelenata” fece lui, guardandola male, “ chi altri farebbe una cosa del genere? Se lei muore hai il tuo regno e il tuo castello…e sei di nuovo la regina”.

Fu come ricevere una pugnalata in pieno petto. “E’ questo che pensi di me?”.
Vide tutta la rabbia nei suoi occhi, e essere spettatrice di tutto quell’odio nei suoi confronti fece vacillare la sua fermezza. Si sentì per l’ennesima volta, colpevole di qualcosa che non aveva fatto, com’era stato per tutta la sua vita. Incrociò le mani al petto, aspettando una risposta che non arrivò. Lui la fissava, cercando di trovare nei suoi occhi qualcosa che la scagionasse, e la facesse tornare la donna dalle dita magiche che tanto gli piaceva.
Voleva, desiderava ardentemente trovarne una.
“Henrik, io ho parlato con la tua mamma, sono stata con lei tutta la sera” confessò Elsa, cercando di incrociare il suo sguardo. “Non l’ho avvelenata…avrei potuto usare metodi più veloci, se avessi voluto ucciderla”.
Sapeva di essere stata dura con quelle parole, ma voleva disperatamente convincerlo della sua innocenza.
Il ragazzino sussultò, ma al contempo nei suoi occhi comparve uno strano luccichio.


“Le hai detto la verità?” domandò, fissandola di sottecchi.
“Sì”.
“Quindi lei sa chi sei”.
“Proprio così”. Elsa sorrise incoraggiante, cercando ancora una volta di avvicinarsi.
“Se sei stata con lei tutta la sera, hai avuto un sacco di tempo per avvelenarla. E avevi come motivo in più quello della tua identità…la mamma si fida di te”.
“Henrik per favore…” la voce assunse una sfumatura disperata, “ non sono stata io”.
“Se non tu, chi allora? Hai anche mandato mio padre in prigione!”.
Nella sua testa scattò un campanello d’allarme non appena si ricordò di Hans. Si stava preparando a ribattere ancora una volta, quando cambiò idea.

“Zia! Dove stai andando!?” urlò Henrik, non appena la vide voltarsi e correre furiosamente giù per le scale. Le sembrò impazzita.
“In un posto che non è per bambini” fece lei, intimandogli di non seguirla.


Se non fosse stata costretta dall’imminente disgrazia, Elsa non sarebbe mai scesa in quel luogo buio e desolato.
Se l’era ripromesso quando era scappata dieci anni prima, e adesso eccola lì, a scendere le scale che conducevano alle prigioni. All’ingresso due guardie sull’attenti la salutarono così come imponeva il protocollo e lei rispose con un cenno del capo, pur non essendo tenuta a farlo.
“Sono venuta per vedere il principe” annunciò seria, fissando i due uomini ai lati della porta d’ingresso. Come se fosse possibile che lei fosse scesa lì per qualcun altro.
Uno dei due si sfilò un pesante mazzo di chiavi dalla cintura e le fece cenno di seguirlo.
Con il suo solito portamento, degno del suo ruolo di regina, scacciò i demoni che le aleggiavano nella mente, ricordandole in modo pericolosamente vivido il suo breve e intenso periodo di prigionia là sotto.
Quelle celle erano così umide e nauseanti che nessuna persona normale ci avrebbe messo molto a vedere la fine dei suoi giorni.
L’uomo in uniforme la condusse in una delle ultime postazioni.
Oltre le grate metalliche riuscì a vedere le ciocche  dei suoi capelli, a tratti così bianche da superare il pallore dei suoi. Quando i loro occhi si incontrarono, lo sguardo di lui era fiacco e debole quanto carico di odio velenoso. Lei entrò e si chiuse la porta alle spalle. “Quale onore…maestà” mormorò il prigioniero, con fare sprezzante.
“Al contrario principe Hans, sono io che sono onorata a stare di fronte a un così abile stratega”.

Gli sorrise con fare seducente, avvicinandosi al pagliericcio dove era disteso. “Siete venuta a farvi beffe di me, regina?” chiese con tono acido, “potevate almeno avere la bontà di lasciarmi morire in pace”.

“Oh!” fece lei, fingendo una risata, “morire in pace…voi principe Hans!”. E poi, fissando le crepe sulle pareti, dopo un attimo di riflessione, “Che strana la vita, non è vero? Prima quella incatenata ero io e adesso…”.

“Se voi aveste accettato la mia proposta molto tempo fa, nessuno dei due sarebbe stato incatenato” tossì lui, cercando di sedersi.
Lei scosse la testa.
“ La vostra proposta di matrimonio non fu molto galante se ben ricordo” lo sbeffeggiò, portandosi le braccia in vita.
Ancora una volta, erano lì a discutere di quella chiacchierata nel ghiaccio.
Era quando gli aveva detto per la prima volta che era bella, e decisamente troppo, troppo preziosa per morire, e che l’avrebbe voluta al suo fianco. Era stato un dialogo odioso.
Elsa aveva cercato in tutti i modi di dimenticarlo.
Pur avendo visto di cosa era capace, dopo che avevano parlato e lei aveva rifiutato di sposarlo per renderlo re, era scappata da lui e dai suoi doveri, portandosi nel cuore la gelida disperazione per la morte di Anna.
Se solo avesse saputo che lei era viva.
Se solo…si era tormentata per anni interi con quei e se…e se invece…ora era il momento di farla finita.

“Cosa volete, si può sapere?!” gracchiò lui, agitato. Ormai aveva perso le speranze di riuscire anche solo a cambiare posizione.
Il freddo che si stava lentamente impossessando del suo corpo lo rendeva troppo rigido per consentire alcun movimento. Elsa vide gli arabeschi che la neve aveva formato suoi abiti. Vide che tremava.

Ormai non doveva restargli molto tempo. La regina si chiese cosa si provasse a sentire tutto quel freddo. Lei avrebbe sicuramente preferito una morte calda: il ghiaccio sapeva essere crudele. “Farvi una proposta”.

Lui rise sprezzante, o almeno, ci provò, “No, grazie”.
“Non quel genere di proposta” sibilò lei, a denti stretti. “Potremmo fare un accordo” precisò, “di altra natura”.
“Io non faccio accordi con gente come voi, non intendo ascoltarvi. Non penso mi rimanga abbastanza da vivere perché possiate vendicarvi”.
“Oh, ascolterete, invece!” urlò Elsa, “ e state certo che la mia proposta vi interesserà parecchio, mio caro”.
“Cosa?” sbottò, pur cercando di apparire disinteressato. Elsa sorrise vittoriosa. Ci siamo quasi, pensò.
“Beh…potreste incominciare col dirmi cos’avete somministrato a mia sorella”.
“Potrei” fece il principe, senza più la forza di parlare, “ Ma questo non è un accordo, perché dovrei farlo?”.

“Perché io posso…” si avvicinò a lui, sollevandogli il mento con due dita in modo che la guardasse, “ sciogliere…” soffiò… “il ghiaccio”.
Improvvisamente i suoi tremori sparirono, e i capelli tornarono ad essere del loro colore naturale. Hans sbarrò gli occhi e agitò le mani, aprendole e chiudendole piano, più e più volte: ora poteva muoverle.
“Ma se non me lo direte…” asserì Elsa, con fare minaccioso. Agitò la mano, e del ghiaccio comparve ai suoi comandi.

“Chi mi dice che manterrete la parola, se vi dico qual è l’antidoto al veleno?”.
Il ghiaccio venne risucchiato di nuovo all’interno della sua mano, in un gesto fulmineo. “Io non sono una persona cattiva” mormorò lei, dandogli le spalle, “ siete voi che vi siete sempre ostinato a vedermi così”.
“Non sapete quanto vi sbagliate” sussurrò lui in risposta. “Ne avevamo parlato, e dubito che non vi ricordiate cosa ho detto di voi”.
Quando lei si girò per obbiettare, le sue labbra si ritrovarono su quelle di lui. Non fu un bacio dolce, né gentile. Fu l’attacco di un predatore, famelico e insaziabile. Seppur con un piccolo stordimento iniziale, venne ricambiato.
Si aggrapparono furiosamente l’uno all’altro, mentre entrambi perdevano il fiato.
Fu la regina a interromperlo, sbarrando gli occhi, come si fosse resa conto solo a quel punto di cosa stava facendo, e pentendosi del suo comportamento sconveniente.

“Carbone attivo”.
“Eh?”. Elsa scosse leggermente la testa, cercando di riprendersi.
“L’antidoto” precisò Hans.
“Grazie” rispose lei, senza sapere cos’altro dire. Si rese conto di quanto era stata stupida quella risposta solo parecchie ore dopo, mentre ripensava senza posa al loro colloquio. Aprì la porta, facendo per andarsene.
Dirgli che tutto quello non sarebbe mai più dovuto accadere le sembrava superfluo: non avrebbe mai più rivisto quell’uomo.

“Elsa!” la chiamò, prima che lei fosse fuori. Aveva urlato il suo nome. Elsa, l’aveva chiamata.
Il suo cuore fece una piccola capriola. La regina non si voltò, ma rimase ferma, un piede dentro e uno fuori, in ascolto.
“Avrei avuto una possibilità?” domandò lui, fissandole i capelli albini. Vide che le tremavano le ginocchia.
Quello doveva finire subito.
Lui non avrebbe mai dovuto conoscere i suoi pensieri, e nemmeno lei li avrebbe esplorati.
Era un sentiero troppo, troppo pericoloso. Per entrambi. 
“No” mormorò Elsa, voltandosi per gettargli un ultimo rapido sguardo. Arrivata alle guardie ordinò di farlo partire il più presto possibile per il suo paese, spiegando tutto ciò di cui era accusato e lasciando che lo giustiziassero come preferivano. Non lo voleva lì.
Non lo voleva più rivedere.
E mentre risaliva le scale, le lacrime scorsero copiose sul suo viso. Perché piangeva? Lui non era certo il principe azzurro. Non era nemmeno il suo, in caso lo fosse stato. E che le importava? Lei non era più una principessa.




 
**



Quando Henrik si ritrovò solo in corridoio, non sapendo dove andare e non avendo voglia di rimanere ancora nella sua stanza, decise di andare in camera di sua madre.
Non era riuscito a pensare a nulla per tutta la mattina e aveva aspetto con gli adulti il verdetto del medico, dondolandosi su una grossa poltrona per delle ore.
La zia lo aveva rimproverato due o tre volte, dicendogli che sarebbe potuto cadere, ma alla fine lo aveva lasciato fare, lanciandogli di volta in volta piccoli sorrisetti perché non si preoccupasse troppo.
Sulla soglia della stanza, gli venne incontro una cameriera, tutta affaccendata a portare avanti e indietro acqua e pezze, e tutto ciò che la malata chiedeva o il dottore aveva ordinato.
“Asciugatevi le lacrime” consigliò strizzando l’occhio al principino, “ a vostra madre dispiacerà vedere che avete pianto”. Lui seguì il consiglio, strofinandosi la manica della camicia sugli occhi.

Entrando notò che tutte le tende erano state chiuse, in quella stanza che di solito era sempre illuminata dal sole, e che l’unica cosa in grado di fare un po’ di luce era un lanternino, posto vicino al letto, che faceva apparire la pelle di sua madre di un colorito giallognolo e smunto.
Ebbe paura che fosse già morta vedendola così e il suo cuore accelerò i battiti. Se ne stava distesa sotto un mucchio di coperte, che non facevano altro che farla sudare, con i boccoli rossi sparsi sul cuscino. Henrik non pensava di aver mai visto sua madre con i capelli sciolti.
Si avvicinò piano, e vide che teneva gli occhi chiusi, mentre la sua bocca, quasi bianca, era appena schiusa. Le prese dolcemente la mano, rimanendo lì in piedi. La sua pelle scottava.
“Ciao” mormorò Anna, ricambiando debolmente la stretta. Sulle sue labbra pallide comparve l’ombra di un sorriso.
“Scusa mamma...non volevo svegliarti”.
Henrik lasciò che lei gli accarezzasse la mano.
“Non dormivo” rispose, battendo una mano sul letto perché il bambino si sedesse accanto a lei. Lui si arrampicò sul materasso, e si strinse a lei, stendendosi lì vicino.
Si fece accarezzare i capelli per qualche minuto, senza riuscire a smettere di pensare a quanto amava sua madre e a quanto voleva che stesse di nuovo bene.
Di solito, era lui che si ammalava, ma la mamma sapeva sempre che lui sarebbe guarito.
“Ti voglio bene” sussurrò Anna, dandogli un piccolo bacio sulla fronte.
Lui si limitò a stringerla più forte e la pregò, “Guarisci mamma, per favore”. Sentì che se avesse detto qualche altra cosa sarebbe scoppiato a piangere, ma si ricordò che tutti gli avevano detto di non farlo, cameriera compresa.
“Certo” pigolò lei, senza quasi voce. Cercò di sorridergli ancora, ma non ci riuscì.
La domestica intanto, era ricomparsa nella stanza.

“Principessa, vostra sorella è qui fuori, chiede di entrare”.

“E che entri, è la regina” mormorò lei, con una gran voglia di ridere. Ne uscì solamente una brutta tosse, che si interruppe parecchi minuti dopo, quando ormai Elsa era già lì, e la guardava con un misto di tenerezza e preoccupazione.

Si sedette sulla parte opposta del letto rispetto a Henrik, “ Posso stare un po’ da sola con la tua mamma, ragazzino?”.
Lui la fissò con aperta ostilità, fino a quando non spostò lo sguardo su sua madre, che lo convinse a lasciare la stanza con un occhiolino. Le due sorelle si ritrovarono ancora una volta da sole.
Elsa posò dolcemente una mano sulla fronte bollente di Anna, dandole un po’ di sollievo.
“Sei sempre così fresca” sussurrò lei, prendendole anche l’altra mano perché la unisse alla prima.

Elsa ridacchiò e fece come le era stato silenziosamente chiesto.
“Ho trovato l’antidoto” mormorò poi, dopo un po’ di silenzio. “Tra due o tre giorni sarai di nuovo in piedi”.
“Hans…?” domandò lei, stupendola.
“Hans” si limitò a rispondere.
“Come sei riuscita a farti dire così in fretta cosa serviva per contrastare il veleno?” chiese Anna, tossendo un’altra volta per lo sforzo che faceva ogni volta che doveva pronunciare una frase troppo lunga.

“Non importa” fece l’altra, cercando di sorridere incoraggiante. “ L’importante è che ha confessato. Ho dato ordine di farlo riportare da dove è venuto”.
“Come se questo potesse risolvere tutto…” sospirò rumorosamente, stringendo le coperte tra le dita affusolate, “sono ancora sposata con lui”.
“ Faremo in modo di sciogliere il matrimonio” ribatté lei con decisione. Odiava il pensiero di essere stata lei la causa di tutto quel dolore e quelle disgrazie.
“Ho ancora un figlio con lui, non puoi cancellarlo”.
“ Non essere sciocca, Anna. Sembra quasi che tu lo difenda…e poi, lui non è figlio di Hans”. Le servì tutto il suo coraggio per riuscire a pronunciare quelle parole.
“Come lo sai?” chiese lei, agitandosi a tal punto da voler mettersi a sedere. Elsa la aiutò a raddrizzarsi e poi, “Me l’ha detto lui stesso. Quella sera, nello studio”.

“Non riesco a credere che la sua crudeltà sia arrivata a tanto”.
“Credici” mormorò Elsa sprezzante, “dovevi vedere come raccontava quello che è successo”. Si alzò in piedi, dirigendosi verso la grande finestra triangolare che dava sulle verdi montagne che circondavano Arendelle.
Prese la piccola cordicella che spuntava tra le tende e le tirò appena, permettendo a un po’ di luce di filtrare. I raggi del sole illuminarono la sua pelle lattea, facendo brillare i cristalli di ghiaccio che componevano il suo abito.
Ne aveva confezionato un altro quando i vestiti di stoffa avevano cominciato a stancarla.
Non era facile abbandonare quell’abitudine dopo dieci anni trascorsi a vestire la magia.

“Che cosa ti ha detto?” volle sapere Anna, sporgendosi per scendere dal letto. La sorella la fermò appena in tempo e rispose, “ Niente di che. Solo che non è suo figlio e di come è riuscito a sposarti”.
La malata sospirò ancora una volta.
“Anna…?”.
“Non me lo chiedere, per favore” sussurrò, e la sua voce uscì flebile e debole come quella di una bambina impaurita. Sapeva che quella domanda prima o poi sarebbe arrivata e ne aveva paura, perché il ricordo bruciava ancora sulla sua pelle come una ferita aperta che non era mai stata disinfettata: al suo interno si erano annidati germi pericolosi che continuavano a scavare, scavare, scavare…e pezzo per pezzo la stavano mangiando viva.

Solo Elsa, con il suo ritorno, era riuscita a risanare un lembo di quel disastro.
Le accarezzò una guancia, “ Ti risparmio giusto perché sei in questo stato” fece, cercando di apparire scherzosa, “ ma non appena ti rimetti in piedi ti torturerò con le mie domande”.

“Anche io ho tante da fartene” rispose Anna, sorridendo a sua volta, felice di essere riuscita ad evitare l’argomento, almeno per quella volta.
“Ti lascio riposare”.

Le stampò un bacio sulla fronte e uscì dalla stanza, dandogli le ultime disposizioni alle domestiche perché si prendessero cura di lei e le somministrassero il medicinale di cui aveva bisogno.


Quando scese le scale per tornare a quello che ormai poteva considerare a tutti gli effetti il suo studio, trovò Henrik sul primo gradino, intento a stropicciare un foglietto di carta, strappandolo in mille pezzetti, che puntualmente danzavano nell’aria come coriandoli, per poi finire rovinosamente al piano di sotto.
Lei colse l’occasione per sedersi accanto a lui. Quando gli fu accanto il bambino mormorò, “Scusa”.
Nel sentire la sua voce, capì che stava piangendo. Gli posò dolcemente una mano sulla spalla e lui si girò, rivelando il suo viso triste. “ Non devi scusarti di nulla” sussurrò Elsa, spazzandogli via le lacrime con un gesto della mano.

“Per non averti creduto”.
La regina sorrise, “ E come mai ora mi credi?”.
“ Ero nascosto….h-ho sentito di cosa hai parlato con la mamma”.
Henrik strappò ancora una volta dei pezzetti di carta che vorticarono turbinosamente nell’aria e poi si poggiarono sui gradini davanti a loro. Il sorriso di Elsa svanì com’era apparso.
“ E perché l’hai fatto ?” chiese sconfortata, tenendogli il mento sollevato con una mano.
Sperò con tutta se stessa che non fosse vero.
“Volevo solo tenerti d’occhio” scoppiò il lacrime, cercando l’abbraccio della zia, che non tardò ad arrivare. Elsa lo strinse a sé, e gli accarezzò la schiena tremante, non sopportando di sentire i suoi singhiozzi.
Lo cullò per qualche minuto, fino a che non rimase in silenzio, senza più lacrime da versare, né parole da poter usare per chiedere qualunque cosa e si mise a fissare i pezzettini di carta bianca che erano finiti ai loro piedi.
Nemmeno Elsa sapeva cosa dire. Rimase in silenzio per un bel po’, stretti in uno strano abbraccio.
Poi, lei agitò le mani, facendo frusciare i pezzetti di carta, che si alzarono in volo. Come se non fossero mai caduti, cominciarono a volteggiare in mezzo ai fiocchi di neve che le sue mani avevano creato.
E per un po’ rimasero entrambi così, ad ammirare lo spettacolo in silenzio.
“ Mi racconti una storia, zia?”.
“Quelle che racconto io non sono mai storie, dovresti saperlo”.
“ Lo so, è per questo che lo chiedo a te”.
“Ma quella che vuoi sentirti raccontare non la conosco nemmeno io, ragazzino”.






Eccomi qui, questa volta decisamente molto più veloce rispetto a quando avevo postato il capitolo 5! Spero di farmi ulteriormente perdonare ehehe. Qui possiamo dire che ho chiuso alcuni interrogativi e ho aperto finalmente in modo definitivo quello più grande, ovvero: di chi è figlio Henrik? Qualche ipotesi mi sa che l'avete già, ma vedrete che non tarderete a mettere tutti i tasselli al loro posto, anche perchè non è difficile da indovinare.
Per quanto invece riguarda il carbone attivo, l'antidoto che serve ad Anna per disintossicarsi diciamo, è davvero comunemente usato per il veleno, ma non so precisamente come funziona, se non che va sciolto in acqua e assunto per due o tre giorni...ho raccolto informazioni qua e là ecco, dico in mia difesa! :)
Spero che il capitolo vi piaccia! Alla prossima,
felsah


 

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Capitolo 7
*** Papà ***


Cose da re e regine




7
Papà





 
If I'd have done what you and daddy done, would have never lost and never won
Or gotten myself kicked when I was down
I would not know how to travel well,
A hundred bucks and cheap motels
I would not know how to fight for my own heart next time around
Now don't you cry another night about me
[Mama I’m alright – Miranda Lambert]




 
“Dovresti cercare di dormire” consigliò Elsa, lanciando un’occhiata a Henrik, steso sul divano del suo studio, mentre lei iniziava non senza difficoltà a immergersi nei problemi di Arendelle.
Aveva davanti a sé carte politiche, abbozzi di progetti e richieste per la corona. Sospirò. Governare il nulla dal suo palazzo di ghiaccio era stato molto più semplice. Fu colta da una strana nostalgia e fissando le pareti in cerca di qualcosa di familiare, si accorse che quel posto, che le spettava per nascita e per cui aveva lottato tanto a lungo non somigliava affatto a ciò che solitamente le persone associano all’idea di “casa”.
Aveva visto così poco di quel castello che riconosceva a malapena le sue mura.
Le sue le aveva lasciate sulla montagna del nord. Cercò di non pensarci, senza riuscire però a evitare di far comparire un po’ di malinconia sul suo volto.
“Non riesco a chiudere gli occhi” si lamentò il bambino “se lo faccio vedo cose orribili”.
“Cosa vedi?” domandò la regina con un pizzico di curiosità. Ricordava molto bene i suoi incubi di fanciulla e ricordava quanto fossero spaventosi. Lasciò per un attimo i fogli sullo scrittoio, per sedersi accanto al nipote.
Lui scrollò leggermente le spalle, “Tutto” disse, “Vedo un sacco di cose brutte”.
“Le cose brutte succedono Henrik, a un sacco di persone…” sospirò.
Era decisamente ironico che fosse proprio lei a dire quelle parole, che per metà della sua vita aveva creduto di non potere avere la felicità, ed di essere destinata a guardare quella degli altri da lontano.
“Tipo a te?” domandò Henrik, stringendosi le ginocchia al petto mentre la fissava con uno sguardo serio e penetrante.
Elsa si morse un labbro, “ A me è successa una cosa un po’ diversa” fece, desiderando con tutto il cuore che non si mettessero a parlare di quello.
Sapeva bene quanto il bambino fosse curioso, e quante domande avrebbe fatto. “Ci sono anche quelle belle però”. Sorrise incoraggiante, accarezzandogli una mano in modo affettuoso.
“ Ma durano poco…” si lamentò, “quelle brutte per sempre”.
“Durano solo un sacco di tempo” rispose Elsa, “ ma non per sempre. Ora sei triste e confuso e…ti sembra che tutto sia così nero e orribile da…”. Sapeva bene cosa si provava.
Dopo che lo aveva trovato sulla scala, i due avevano parlato a lungo ed erano scesi in giardino per una breve passeggiata. Elsa aveva avuto il delicato compito di consolarlo e spiegargli le cose.
O per lo meno, ciò che poteva essere spiegato senza che lei si intromettesse in una storia di cui non sapeva nulla.
“Non avrei dovuto origliare”, fece il ragazzino, sconfortato, “ora sarei molto più felice”.
“Hai fatto una scelta, e ne hai subito le conseguenze” mormorò la regina, “ lo hai fatto perché nessuno facesse male alla mamma…è stata una cosa buona, in un certo senso”.
“Sì… penso di sì”.
Henrik lasciò che la sua mano gli accarezzasse i capelli rossi e rimase in silenzio, con i suoi pensieri angosciosi in testa.
Il silenzio tornò così imbarazzante che Elsa tornò allo scrittoio e dopo poco il bambino si addormentò, nonostante avesse preferito non farlo.
Quando Elsa si accorse del ghiaccio che dalle sue mani decorava la scrivania, decise di essere troppo stanca per continuare.
Si appoggiò su quegli stessi fogli che la stavano facendo impazzire e in breve si addormentò anche lei.


“Elsa?”. Voltò la testa di scatto al suono di quella voce. La conosceva talmente bene. Quella voce era quella della sicurezza e il conforto, era la sua preferita tra tutte le altre, noiose e irritanti.
“Cosa fai qui? Non pensavo saresti scesa” continuò.
“Scesa?” fece lei alzandosi in piedi. “Certo che sono scesa, dovevo finire di sbrigare del lavoro. Tu…tu non dovresti essere qui”. La voce le tremò.
“E’ il mio studio”.
Suo padre prese una poltrona e vi si accomodò. Ah, doveva essere impazzita. Si passò le mani sul volto, come se quel gesto avesse potuto cancellare tutta la stanchezza che sentiva permearle il corpo, mista al tremore e alla confusione. “Ma sei morto” mormorò per avvalorare la sua tesi. Lui non poteva essere davvero lì.
“Già” sospirò, come se non avesse ascoltato una parola di quello che lei aveva detto. “ Proprio così. Ci rivedremo tra due settimane”.
“Cosa state dicendo, padre?”. Il suo corpo era scosso da brividi mentre gli si avvicinava. La sua immagine era così vivida, così vera, reale.
Allungò una mano, e poté toccare quella di suo padre. Quante volte da bambina e poi da ragazza aveva desiderato poter abbracciare i suoi genitori?
Non riusciva più a contarle, né a contare le volte che si era addolorata quando poteva solo guardare dalla finestra un amore che sembrava non essere destinato a lei nemmeno in minima parte.
Benché stesse tentando di fermarle con tutta se stessa, le lacrime scesero dai suoi occhi, e lei si sentì di nuovo quella bambina, così spaventata, così sola e bisognosa dell’amore.
“Due settimane non sono molte, Elsa”. Suo padre le accarezzò una guancia, cercando di scacciare via le lacrime.
“Una vita” rispose lei in un singhiozzo.
“Andrà tutto bene”.
“Me lo prometti?” domandò, nonostante conoscesse benissimo quale esito avrebbe avuto la sua partenza.
Il vecchio re la abbracciò e lei assaporò il momento come se le fosse stata offerta la più prelibata delle pietanze, nonostante dovette ammettere  a se stessa di sapere bene che quella era solo un’illusione.
Eppure…
“Sarai una grande regina, bambina”.
Si scostò, e quando lo riguardò in volto, il suo viso era quello di Hans.
“Ma sono già la regina”.  Si alzò in piedi e l’ambiente si fece nero. Elsa sentì l’odore dell’olio che sua madre usava per lei mani. “Padre!” chiamò, cercando a tastoni qualcosa che non fosse l’oscurità.
“Padre non lasciarmi!” – “Ho paura!” gracchiò la sua voce, in una versione più infantile. Risentì la sua voce di bambina.
Si portò le mani alla gola e nello stesso istante, l’aria si fece soffocante e irrespirabile. Il ghiaccio le ricoprì il corpo, come aveva fatto con Hans quando lei lo aveva colpito.
Come doveva aver fatto con Anna.
Non sentì dolore. Non riuscì a sentire niente. Urlò.
Quando riaprì gli occhi, il sole aveva creato dei fasci di luce sulla sua scrivania.
Notò che Henrik dormiva ancora e ringraziò il cielo per quello. Si prese qualche minuto per riorganizzare i pensieri e poi quelle dannate carte. Non riusciva a togliersi dalla testa la voce di suo padre.
Non riusciva nemmeno a capire perché lo avesse sognato dopo tutti quegli anni. Imputò la colpa alla sua firma, che aveva visto su diversi vecchi fogli e cercò di non badarci.
Le immagini di quel bizzarro incubo, prima così vivide, si affievolirono, e se ne dispiacque.
Si fece aiutare da una delle guardie a portare a letto il principino e dopo una breve visita alla sorella, già sveglia da diverse ore – non era riuscita a chiudere occhio- si ritirò nella galleria.
La poté rivedere il ritratto di famiglia e il volto di suo padre. Poco più in basso notò le tele che raffiguravano Hans. Anna aveva ragione. Non potevano semplicemente cancellarlo. Lui aveva lasciato n segno di fuoco nelle loro vite, che niente sarebbe mai stato in grado di curare. Si avvicinò al dipinto e posò la mano sul disegno di quella di suo padre, come se quello avesse potuto rispondere al contatto.
“Mi manchi tanto, papà”.



 

**


“ Sei l’ultima persona che può criticare il mio comportamento…”.
“Non lo sto affatto facendo…credo solo che tuo figlio meriti di sapere chi è suo padre”,
“A questo punto…”.
“Non gliel’avresti mai detto, se non avesse origliato?”.
“A cosa sarebbe servito?” domandò Anna tra le lacrime. “Lui non è più qui”.
Afferrò il calice con l’antidoto e lo mandò giù in un sol sorso.
Elsa nel frattempo si sentì sprofondare: non aveva mai pensato nemmeno per un istante a quell’eventualità. Si diede della stupida, ma chiese lo stesso ciò che desiderava sapere.
“Oh mio dio Anna…è…è morto?”.
“Per l’amor del cielo, no!”. L’espressione di Anna fu di puro orrore. “O almeno, penso di no”.
“Pensi?”.
“Non ho comunque idea di dove sia…”. La sorella la guardò sconsolata, esclusa da quel segreto come a suo tempo lei aveva escluso Anna dal suo.
Non me lo vuoi proprio dire? Invece chiese, “Lui lo sa almeno? …che ha un figlio?”.
Anna batté piano le palpebre e si voltò, dando a Elsa la schiena. “Lo sa…è stato allontanato, per questo”.
“Da chi?”.
“Da chi pensiamo entrambe” commentò Anna con voce acida.
“Lui mi ha detto che non sapeva chi fosse il padre”.
“ E tu gli hai creduto?”.
“Beh, se l’ordine l’ha dato lui, io posso sempre revocarlo”. Elsa riusciva solo a pensare che si era fatta ingannare di nuovo. Sospirò e si fece spazio per sdraiarsi accanto alla sorella. Anna le afferrò la mano e per un attimo rimasero così, in silenzio, l’una bisognosa dell’altra più di quanto osassero immaginare.
Forse lei non avrebbe mai saputo nulla dell’uomo che aveva rubato il cuore a sua sorella, ma andava bene, si convinse.
Andava bene se questo era ciò che voleva Anna. Si accorse che stava piangendo solo qualche minuto dopo, quando un singhiozzo uscì fuori più forte degli altri.
“Anna…”. Quella si strinse alla sorella con maggior forza, come se avesse avuto paura che qualcuno potesse ancora portargliela via.
Cercò di soffocare i lamenti, quando si decise a lasciarli liberi, sentendo che non poteva più trattenerli.
“Non puoi capire…” cominciò, mentre il pianto spezzava le parole in strani punti, rendendo il suo discorso difficile da seguire.
“La disperazione”, tirò sul col naso, cercando freneticamente di asciugare le lacrime, “ quando ho pensato… sono rimasta sola. Queste tre parole si sono materializzate nella mia testa e mi hanno fatta diventare pazza. Tutto ciò che amavo era…andato. Non c’era più”.
Fu un sussurro. Guardò nel vuoto, senza guardare qualcosa per davvero.
Strinse le palpebre, mordendosi le labbra così forte da farle sanguinare. “ Niente genitori, niente Elsa…” scosse la testa, “ non potevo farcela. Non era pronta. Ero così sciocca”.
Quando li riaprì Elsa era ancora lì. “Mi sentivo ferita, tradita, ingannata. Ero arrabbiata così tanto con me stessa da non saper più cosa fare…sono stata a dormire nella tua stanza per un po’. Tutte le notti mi rigiravo tra le lenzuola piangendo e non riuscivo a capire…per quanto mi sforzassi…perché. Perché…di tutto. Mi mancavate così tanto che sentivo il dolore mangiarmi il cuore. E poi Hans è tornato”.
“Non sei obbligata a raccontarmi tutto questo…”.
“ Ogni volta che lo guardavo rivedevo tutta la scena…” proseguì lei, senza dare a intendere di aver capito che poteva fermarsi, “ io che ti strappo il guanto e la tua faccia così…terrorizzata. Gli ero grata e lo odiavo allo stesso tempo. Grata perché faceva il lavoro che io non ero capace di fare. E lo odiavo perché piano piano prendeva il tuo posto. Era dappertutto. Così ho cominciato a passare sempre più tempo fuori da palazzo, per evitarlo. Sempre più tempo con Kristoff”.

“Il padre di Henrik?”.

Anna riuscì appena a fare un debole cenno con la testa. “Lui c’era quando sono venuta al tuo palazzo. Pensavo che se lui ci fosse stato ancora, tutto quello che mi era successo sarebbe stato un po’ meno reale”. Alzò le spalle come per scusarsi di quello che stava dicendo. “ E ne ero innamorata. O forse cercavo solo l’amore…come ho sempre fatto. Così disperatamente…non lo so più”.

Si accoccolò tra le coperte, acciambellandosi su se stessa.  “Quando alla fine mi sono sposata…dio, per un po’ è stato come vivere in una sorta di paralisi…di immobilità. Cercavo te in ogni faccia, ogni dama di corte, scansavo Hans e non avevo occhi che per Henrik. Poi è andata via anche Gerda…e mi sono detta, svegliati…non c’è più. E’ tutto finito ”.
Si lasciò andare, preda del suo stesso pianto disperato. Elsa la accolse fra le sue braccia, e pianse silenziosamente mentre ascoltava i singhiozzi di Anna.
E’ tutta colpa mia, pensò, ma non osò fargli vedere le sue lacrime.


Quando la lasciò, si era addormentata di nuovo. La regina tornò nuovamente nei suoi appartamenti e cercò disperatamente di pensare a qualcosa che non fosse la conversazione con sua sorella. Cercò di pensare a qualcosa che non fosse sua sorella, o Hans. O Henrik. I loro volti le danzavano nelle mente uno ad uno in rapida successione, facendola quasi impazzire. Quello di Anna pieno di un conforto e un perdono che non meritava, quello accusatore di Henrik e quello di Hans, sempre avvolto dalla nebbia della menzogna e il mistero.
Li aveva distrutti. Tutti loro. Non era stato quello che aveva voluto sin dal principio?
Servire a tutti loro una vendetta fredda e amara, vederli…spezzati. Si rese conto che non lo sapeva. E poi che non lo voleva.
Non lo aveva mai voluto. Non avrebbe voluto fare del male ad Anna. Non a lei. Non al bambino.
Fu proprio lui a bussare alla sua porta con tre rapidi tocchetti. “Voglio vedere mio padre” annunciò con un espressione grave.
Alle orecchie di Elsa quella richiesta arrivò così confusa che non rispose nemmeno, ma si limitò a fissarlo, senza apparentemente capire. “ Ne sei sicuro?” gli domandò.
“Io lo conosco in modo diverso da come lo conosci tu”.
“Lo so”. Quell’ammissione le costò una certa fatica, e uscì dalle sue labbra con un tono più pungente del dovuto.
“Che vuoi dire?”.
“Non importa”.
Lei non ci voleva pensare, non ci voleva entrare in quella storia. Non erano affari suoi. Lei non voleva rivederlo, non voleva parlargli, non voleva sentire la sua voce nemmeno nei suoi ricordi. E provò a far funzionare quella cosa, ci provò davvero, a far funzionare quel maledetto gioco di negazione continua.
Lasciò che Hans venisse portato in una delle sale del consiglio per l’incontro con Henrik, dato che le segrete non le sembravano un posto per nulla adatto ad un bambino, a condizione che due guardie si ponessero davanti alla porta e lo sorvegliassero costantemente. Sapeva che se ne sarebbe andato prima o poi, con la prima nave disponibile a riportarlo nel dannato paese dal quale proveniva.
Per liberarsi da quell’ossessione, ordinò ad altri servitori di togliere dalle pareti i quadri dove era raffigurato e si impegnò a sostituirli con paesaggi e altri dipinti del tutto inutili.
Quando le passò sotto gli occhi il dipinto della bionda ventenne appena incoronata, non ebbe il coraggio di guardarsi, perché sapeva che non si sarebbe riconosciuta.
Sapeva che avrebbe ritrovato in quelle pennellate tutta la paura e il dolore del suo passato. Fece togliere anche quello.
Quella sera, Anna si sentì abbastanza in forze da scendere a cenare in sala da pranzo. Tuttavia, la sedia vuota era un’altra quella sera.
Quando Elsa chiese spiegazioni sull’assenza di Henrik, Anna si limitò a dirle, “Ha parlato con Hans. Poi si è chiuso nella sua stanza. Non mi ha lasciato entrare”.
Lei non voleva tornare laggiù. Non voleva rivederlo. Non voleva. Non voleva. Non lo voleva.

Si decise a scendere quando sentì la voce singhiozzante di Henrik oltre la porta della sua stanza. Non aveva mangiato un boccone dal vassoio che gli avevano lasciato davanti all’ingresso della camera. Forse non aveva nemmeno aperto la porta, forse non se n’era nemmeno accorto.

“Cos’hai detto a quel povero bambino?” sbraitò non appena la porta della sua cella venne aperta. Hans era seduto in un angolo, accucciato su se stesso. Rise.
Tuttavia, ne uscì un suono contorto, che non assomigliava per niente ad una risata.
“Non c’è niente da ridere!” urlò ancora. “Dio, sei senza pietà”. Fu allora che smise di ridere.
“Non gli ho detto niente”.
“Cosa?”. Elsa sgranò gli occhi, concentrandosi sulla sua figura, ancora immersa nell’oscurità.

“Niente. Non gli ho detto assolutamente niente”. Calcò quella parola, quel niente con decisione e poi si zittì, come se non avesse avuto voglia di aggiungere altro.
“Nel senso che sei stato zitto per due ore?”.
“Esattamente”. Semplice, lineare. La regina osservò la linea rosea e sottile delle sue labbra che si alzava e si abbassava.
Nella sua testa non vorticava che una domanda, e così la pose, “Perché?”.
“ Non avevo nulla da dirgli”. Un'altra risposta secca, che le fece venire voglia di prenderlo a schiaffi fino a farlo sanguinare. Come poteva permettersi di dire una cosa simile?
Aveva da dare a tutti loro un sacco di spiegazioni, e aveva da riparare molti più danni di quanti potesse immaginare.
Con il suo comportamento, non aveva fatto altro che aggiungerne uno alla lunga lista di quelli che già aveva da riparare.
Non mentire, avrebbe voluto gridare. Non lo fece. Dalle sue labbra uscì ancora una volta un impercettibile, “Perché?”. Le scappò prima ancora che potesse controllare le sue stesse azioni.
Se possibile, la posizione in cui Hans era seduto divenne ancora più curva, ancora più goffa, ancora più sofferente.
“ Immagina di aver mentito”. Sì.
L’ho fatto. Ho mentito, pensò. Ho mentito per una vita intera. E’ per colpa di quella menzogna che ora sono qui a parlare con te.
“Di aver ingannato”. Una pausa. Anna.
“Di aver  quasi ucciso”. Elsa deglutì. Quella pausa durò più della precedente.
“Di aver tradito…e fatto soffrire”.
Di nuovo Anna. Anna, Anna, Anna.
Conosceva bene quelle sensazioni.
“ Immagina che non te ne importi nulla, perché per una volta hai pensato a te stesso e non sempre, continuamente, ossessivamente agli altri o a quello che avrebbero pensato di te una volta fatto”.
La fuga, la fuga, la fuga.
Era scappata dai suoi doveri, da sua sorella, dal castello, dal suo popolo.
Aveva ghiacciato l’intero fiordo perché quel ghiaccio fosse il suo ponte verso la libertà.
Avevano fatto soffrire le stesse persone, lo stesso paese. Li avevano condotti alla morte e risparmiati poco prima che fosse troppo tardi. Li avevano distrutti e avevano distrutto loro stessi. Non erano poi così diversi.
“ Immagina che un bambino, per
cui fino a quel momento sei stato fonte di ammirazione, pur non avendo fatto niente per meritarla, venga a chiederti perché. Cosa risponderesti?”.
Il silenzio li ferì entrambi come la lama affilata di un coltello. Elsa rimase in silenzio.
“ Mi ha detto, ‘ti voglio bene papà’ prima di andarsene” singhiozzò, “ E io non mi meritavo nemmeno quello. E non ho detto niente. E non sono suo padre”.
Il dolore di quelle lacrime la colpì come una scarica elettrica. Elsa uscì sbattendo la porta della cella e dopo aver barcollato per un po’ sulle scale, si lasciò andare sui gradini freddi.
Non avrebbe voluto piangere, ma non sapeva cos’altro fare.


Okaaaaay, immagino che un miliardo di scuse non bastino a giustificare questo immenso ritardo, ma spero vogliate capirmi: colpa delle troppe cose da fare ogni giorno, del caldo, della pigrizia e mia...sì, sostanzialmente colpa mia. Come avete potuto vedere questo è un capitolo senza molta azione, ma in cui non mancano le spiegazioni a un sacco di cose. Finalmente tutti i tasselli si stanno rimettendo al loro posto, anche se così facendo la situazione si è incrinata alquanto...bene bene... che faranno ora i nostri beniamini? :D
Un bacione a tutti!
felsah ( e ancora mille e mille scuse)
 
 

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Capitolo 8
*** Addio ***


Cose da re e regine





8
Addio



 
Vostra signoria, questo è un addio.
Sì, e allora?
Beh, allora niente smancerie: addio Principessa!
[Guerre Stellari]



 

Il silenzio di quella notte era spettrale. “Fate silenzio e montate a cavallo, dannazione!” ordinò Elsa, a voce così bassa che lui a malapena la sentì. Si sentiva così agitata da non riuscire a parlare.
Hans la guardò con un velo di curiosità, ma fece come lei gli aveva detto per evitare di innervosirla di più di quanto già non fosse.
“ Avete bisogno?” domandò, porgendole la mano destra perché potesse issarsi sull’animale davanti a lui. La regina rifiutò e riuscì a fare comunque di testa sua a forza di braccia.
L’unico motivo per il quale non avevano preso due cavalli era più semplice di quanto lui potesse pensare: Elsa non aveva alcuna intenzione di far sapere né dove andava, né che era accompagnata.
Chi la accompagnava poi, era costretto sotto un pesante mantello grigio. Hans portò le mani intorno alla vita sottile della regina e impugnò le briglie, così che potessero uscire da palazzo al galoppo. Il contatto con la pelle fredda di lei lo fece rabbrividire.

“Perché avete scelto me per accompagnarvi?”.
“Avevo bisogno di parlarvi” lo liquidò lei.

Rimasero in silenzio per gran parte della galoppata, quando furono abbastanza lontani dal palazzo per poter procedere a un ritmo più lento. La polvere rossiccia del terreno si sollevava intorno a loro insieme all’odore prepotente dei fiori, solleticando le narici di entrambi. Una nigella staccatasi dal suolo danzò brevemente ai loro piedi, per poi incollarsi alla gamba di Elsa.
Lei chinò il busto quel tanto che le permise di prendere il fiore tra le mani e sorrise tra sé e sé. “Mio padre mi aveva fatto credere che questi fiori fossero stati creati per me” sospirò, cullando quel ricordo con tutta la dolcezza e la dedizione che aveva provato per il vecchio re di Arendelle.
“Cosa?” fece Hans, spostando nuovamente la sua attenzione su di lei.
“Quando ero bambina” continuò lei, alla quale non importava se la stesse ascoltando o meno, “ per farmi smettere di piangere. Siccome somiglia a un fiocco di neve, mi aveva detto che un giardiniere li aveva creati per me e che erano i fiori di Elsa” rise, “ci rimasi malissimo quando scoprì che non era vero”.

Lo lasciò andare e il fiore tornò a posarsi sul terreno, e in poco tempo venne seppellito dagli sbuffi di erba, che nel buio della notte apparivano quasi neri.
“E’ una bella storia” concesse Hans, mentre osservava i riccioli biondi che sfuggivano alla sua treccia.
“Sì” si limitò ad annuire lei, quasi irritata dal fatto che lui avesse potuto ascoltare quell’aneddoto di famiglia. Come se non fosse stata lei a decidere di raccontarlo.
“Vi manca molto?” chiese il principe, spostando lo sguardo verso l’orizzonte pieno di stelle. La luna dava un tocco malinconico a tutto il paesaggio circostante, tetro e quasi inesistente, formato dalle ombre di un unico colore. Lui non ricordava di aver mai provato un sentimento di amore o tenerezza così forti per nessuno, né per i suoi genitori, che nei primi anni di vita riconosceva a malapena, a causa delle poche ore che trascorreva con loro, né per i suoi fratelli, che detestava con tutte le sue forze.
“ Certo che mi manca” ribatté Elsa, piccata. “ E anche a voi mancherebbero i vostri familiari se…”.
“Se, cosa?” sbraitò lui, impugnando le redini con rinnovata forza. Lei avrebbe voluto completare la frase con se aveste un po’ di cuore, ma le immagini del suo pianto nella celle le impedirono di proseguire.
“Che vi hanno mai fatto di tanto terribile, per meritarsi tutto questo odio?”.


Ricordò i suoi occhi mentre piangeva, incurante di nasconderlo, gli occhi di un uomo ferito, che non aveva più nulla da perdere se non la sua vita, un uomo a cui non importava più molto di averla, in ogni caso. Perfino il tono con cui pose quella domanda era il più dolce con cui gli si era rivolta fino a quel momento. Non sapeva dove l’avesse tirato fuori, né perché l’avesse usato, sperava che quel tono delicato l’avesse aiutata a soddisfare la sua curiosità. Sentì di doverglielo. Non poteva essere così crudele con un uomo di cui non conosceva il passato.
Se riuscirò a conoscerlo, deciderò, si mise in testa.
Lo fece perché il suo pianto gli era sembrato troppo ricolmo di dolore per essere studiato e così anche la freddezza piena di risentimento che mise nella sua risposta a quella domanda.
“Non sono affari che vi riguardano” disse , con tono deciso, desiderando per la prima volta di non essere solo con lei. Elsa conosceva fin troppo bene quei sentimenti. Sapeva cosa voleva dire essere sola, perché nonostante l’amore dei suoi genitori e di Anna, non si era mai sentita parte di qualcosa, e aveva odiato se stessa e i suoi poteri con quanto fiato aveva in corpo. Perciò decise di essere gentile, o almeno di provarci.
Non aveva forse avuto anche lei desideri di sangue e di vendetta?
“Vi hanno fatto molto male, vero?” chiese, ignorando l’ammonimento.
“Ne hanno fatto anche a voi, più di quanto vogliate ammettere. E so che lo sapete, non siete una stupida”.
“E’ stato diverso. Era per proteggermi, pensavano di fare la cosa giusta”.
“La cosa giusta?” Hans rise sprezzante. “ Vi hanno lasciata sola ad affrontare qualcosa di più grande di voi”.
Elsa si irritò a quell’accusa contro le due persone che aveva amato di più dopo Anna, ma cercò di dominarsi. “ Non si dovrebbero mai lasciare soli i propri figli”.

“Voi siete stato lasciato solo”. Non era una domanda.
“Sì” ammise Hans, come fosse stata una cosa di cui vantarsi, sentendo che la voce veniva a mancargli. Cercò di controllare le sue emozioni, sapendo che sicuramente ci sarebbe riuscito. Lo aveva fatto per tutta la vita, nascondendolo dietro a un freddo contegno e a maniere da gentiluomo. Quella risposta gli costò più di quanto lui stesso pensasse. 
Lei si voltò a guardarlo e fissando i suoi occhi, tutto l’astio che Hans aveva provato per lei si dissolse, e tornò quell’ammirazione che sentiva ogni volta che la guardava. Non poteva farne a meno, anche se non gliel’avrebbe mai detto. L’aveva desiderata con un tale ardore che nemmeno le poche fiammelle di passione rimaste dopo la delusione, volevano saperne di arrendersi.
Era la donna più forte, intelligente e coraggiosa che avesse mai incontrato, e si poteva capirlo immediatamente, dando un rapido sguardo a quegli occhi, decisi in modo quasi feroce.
Era stato perseguitato e incatenato dalla magia che si nascondeva nei suoi occhi. Sapeva che era una donna con la quale avrebbe potuto parlare e discutere.  Era la prima creatura che avesse incontrato ad essere così simile a lui per il modo in cui aveva cominciato la sua vita, eppure era riuscita a riscattarsi, senza cadere nel baratro dell’odio e della vendetta.
Per quello l’ammirava. Lui non c’era riuscito. 
Non le avrebbe detto nemmeno quello, mai. Ormai aveva creato attorno a sé una corazza troppo rigida per permettersi di staccarne anche solo un minuscolo frammento: tutta la maschera sarebbe crollata, e anche lui. Era stato certo, dal primo istante in cui aveva posato gli occhi su di lei, che avrebbe fatto di tutto pur di averla. Ritornò con la memoria a quel periodo di dieci anni prima, quando aveva desiderato ardentemente che fosse sua moglie. Non lo sarebbe mai stata, realizzò in quel momento con amarezza, e non avrebbe mai pensato a lui come Hans aveva fatto verso la sua persona.
Non erano veri e propri pensieri romantici, ma quanto di più vicino potesse esistere. Pensò alle sue congetture e i progetti pensati e ripensati milioni di volte per presentarla ai suoi fratelli, per poi pavoneggiarsi della fortuna che aveva avuto (per una volta), mentre loro avrebbero avuto al seguito quelle galline sciocche e petulanti che erano le loro principesse.
Sarebbe stato re, senza far così male a tutte quelle persone. Far del male non era stata la sua intenzione primaria, ma per follia che lo aveva dominato era stato necessario.
Si era convinto con tutte le sue forze che quella volta ci fosse stato di più del semplice desiderio di vendetta verso i familiari, perché infondo, c’era stato.
Capì che la loro destinazione era la montagna del Nord, o comunque, un posto molto vicino a quella landa desolata. Poi ricordò l’affascinante reggia che si era costruita.
Un motivo in più per essere affascinato dalla regina.
Erano anni ormai che non pensava più a quel posto, poiché aveva tentato a lungo di scacciarlo dai suoi ricordi.
Giunsero al confine ghiacciato qualche ora dopo e dovettero lasciare il cavallo che li aveva accompagnati dove rimanevano tratti di boscaglia, perché non morisse congelato.

“Vi siete creata un piccolo regno di neve, eh?”.
Lei fece spallucce, “ Voi avevate rubato il mio”.

“Siete incredibile!”. Elsa sorrise debolmente. Procedevano nella neve a passo lento. Lei lo faceva più che altro per tenere il passo con Hans, perché altrimenti sarebbe corsa verso la scala del suo palazzo, tanto le mancava. Aveva avuto il forte desiderio di ritornarci sin da quando aveva messo piede ad Arendelle.
Non che non stesse bene nella sua città, o con Anna, ma le cose erano così cambiate che la sua vigliaccheria avrebbe preferito non averle mai viste.
Non sapeva cosa si era aspettata quando era bramosa di vendetta – forse Anna ad accoglierla sorridente, come la sera della sua incoronazione? Forse sperava che tutto fosse immutato?
Eppure erano passati dieci anni, e non poteva essere, nulla di tutto quello ci sarebbe stato. O non sapeva più rispondersi, e si portava sulle spalle il peso dello sue scelte.

“E avete portato qui mio f – “. Il principe si fermò appena prima di pronunciare quella parola e sospirò forte, affondando i piedi nella neve con più decisione, tentando di passare avanti, nonostante sapesse di avere addosso gli occhi della regina. Non sapendo cosa fare, alla fine Elsa gli posò una mano sulla spalla, costringendolo a fermarsi.
“L’ho trattato con tutti i riguardi che merita un principino” lo rassicurò con un occhiolino.
“Lo so”, lui accennò a un sorriso, malgrado tutto, “ non so che cosa abbiate fatto mentre era qui, ma lui è totalmente affascinato da voi…mi ha dato fastidio, lo ammetto”.
Il sorriso di Elsa tremò. “Anche da voi, Hans” mormorò, “dovevate sentirlo con quanto orgoglio mi diceva che voleva essere come il suo papà”.
“Peccato che non sia io”. Si voltò per procedere verso il castello, sollevando i piedi dalla neve con estrema fatica e riaffondandoceli un secondo dopo. “ E spero di tutto cuore che gli abbiate detto che non è proprio una buona idea”.
Continuò a procedere fino a quando non sentì qualcosa di freddo e duro colpirgli la schiena e frantumarsi.
Voltata leggermente la testa, un’altra palla di neve gli sfiorò il viso, facendogli perdere l’equilibrio. Atterò nella neve morbida, fissando sbalordito la donna che aveva davanti.
“Sì” ammise Elsa, incrociando le braccia, “ l’ho fatto…gli ho detto che cosa terribile sarebbe stata essere come il più grande farabutto che conoscevo”.

Non smise di sorridere nemmeno quando Hans rispose al suo attacco, costruendo palle di neve decisamente più grosse. Decise di lasciargli quel vantaggio e non usare la magia, per una volta.
Lui se ne accorse e tuttavia non gli dispiacque.

“Che altro gli avete detto? Di tenersi alla larga dalle streghe?”. Lanciò una palla di neve verso di lei. Due, tre, poi quattro.
“E dagli impostori”. Un sorriso. Palle di neve verso di lui.
“ E lui che vi ha risposto?” domandò a un centimetro dal suo viso, quando riuscì a farla cadere e dopo averla inchiodata a terra sul manto nevoso.
“Che non vi conoscevo”. La lasciò andare improvvisamente, stendendosi sulla neve accanto a lei, con un’espressione indecifrabile. Il terrore, gelido, infuriò di nuovo come una tempesta nel suo cuore. Non c’era mai stato nessuno a cui si fosse concesso di raccontare un segreto. Uno piccolo piccolo. Decise di provare.

“Vi ho mentito” mormorò dopo un po’. Si voltò a fissare Elsa.
“Come?”.
“Vi ho mentito”  ripeté, “quando vi ho detto che per me lui non contava nulla…”. Ci fu una breve pausa durante la quale fissò le stelle, immobili e calme. “ Lo adoravo come fosse davvero il mio bambino. Forse è l’unica cosa che ho davvero amato sinceramente nella mia vita”.
“Henrik lo sa”.
“E voi?”. Ci fu di nuovo silenzio per un bel po’.
“Io vi credo” mormorò Elsa, tornando a guardare il cielo sopra di loro, “ un pochino…ho bisogno di tempo”.
Rimasero stesi sulla neve per un periodo di tempo che parve interminabile ad entrambi. A tratti si fissavano e a tratti parlavano, senza sapere dove volevano andare a parare.
“ Non mi avete ancora detto di cosa mi volevate parlare” sussurrò infine lui.
Elsa non pensava fosse una buona idea chiederglielo in quel momento, dopo che avevano discusso a lungo di Anna e del bambino, ma sapeva che era una cosa che prima o poi avrebbe dovuto fare.
“Non credo che…”.
“Avanti” la incoraggiò lui, “ resisto a qualsiasi tempesta”.
Lei sorrise, senza essere troppo convinta. “ Volevo…” balbettò, “ecco…sapere qualcosa su quell’uomo”. Si stupì di come stava parlando, lei, che era sempre stata così fredda e controllata. “ Del padre di Henrik”. Ecco, l’aveva detto, non aveva avuto scelta, a costo di ferirlo ancora. “ Per sapere che ne è stato di lui”.
“Non tornerà” rispose lui, con fin troppa calma, “ se è questo che spera Anna. Ormai è troppo lontano, e non verrà comunque a sapere che non posso più minacciarlo, o che voi siete tornata”.
“Cosa volete dire?”.
“L’ho fatto passare per un ricercato. Mi ci è voluto un bel po’ di tempo, ma alla fine sono riuscito a fargli lasciare la Norvegia per salvarsi la pelle” rise, “ e ormai è chissà dove, avrà moglie e figli a quest’ora”.
“Ha un figlio anche qui”.
“Lo so”.
Nella sua voce c’era un disprezzo e allo stesso tempo un dolore, che Elsa pensò non sarebbe mai riuscita a comprendere. Non si avvicinò quasi al suo palazzo, e poco prima che giungesse l’alba, tornarono in città, veloci come il vento.  Quella chiacchierata le aveva perfino fatto dimenticare che desiderava rimanerci almeno per una notte. Le aveva fatto dimenticare tutti i progetti fatti.


Ne rimaneva uno solo. Si fermarono nel porto e smontarono entrambi da cavallo. Il cielo cominciava appena ad assumere piccole tinte rossastre, e l’odore di salsedine era forte e invadente, dolce in modo quasi eccessivo, si alternava ad altri, decisamente più sgradevoli, come quello di sudore e fatica che emanavano gli uomini intorno a loro, presi a caricare mercanzie su una nave in partenza. Elsa lo fissò prepotentemente negli occhi per qualche minuto, e gettò occhiate furtive all’imbarcazione; poi tirò fuori dalle pieghe del suo abito una saccoccia tintinnante, piena di monete.

“Non accetterò il vostro sporco oro per togliermi di torno, se è questo il vostro brillante piano” sussurrò Hans sprezzante, attirandola a sé tirandola per il mantello, “ preferisco aspettare che il mio paese mi condanni a morte o di marcire nelle segrete del palazzo, che sia chiaro ”.
Era così vicina al suo viso da poter sentire il suo profumo. Lo respirò a lungo prima di rispondere.
“Calmatevi, damerino. E’ per la traversata…e se ben ricordo non vi è dispiaciuto rubarmi il mio sporco oro, dieci anni fa ”.
Elsa provò a liberarsi dalla sua presa, senza riuscirci. “E smettetela di tirare…mi sfilaccerete il vestito”.
“Come se ve ne importasse qualcosa di questo stupido pezzo di stoffa” la lasciò andare, ma continuarono comunque a stare molto più vicini di quanto avrebbero dovuto. “Dov’è finito il vostro abitino da regina delle nevi?”.
“Siete un villano e un mascalzone insopportabile, prendete questo denaro e sparite!”. Si voltò per andarsene, ma Hans la trattenne ancora una volta, con il sacchetto che lei gli aveva lasciato tra le mani.
“Dove finirà il mio viaggio, se posso saperlo?”.
La regina lo fissò con uno sguardo di fuoco. “ Non volevo dirvelo, perché non lo meritate nemmeno un po’. Inghilterra, in ogni caso”.
“Inghilterra?” il principe strabuzzò gli occhi, incredulo, “ e che mi ci mandate a fare?”.
Elsa sorrise debolmente. Spiegare le motivazioni che l’avevano persuasa ad attuare quello stratagemma non era stato nei suoi piani.
Pensava che lui avrebbe accettato subito la sua gentile offerta. Era anche un po’ seccata.  “Eviterete la condanna a morte se…”.
“ E come coprirete questo nostro inganno, ditemi, regina?”.
“Dirò che siete scappato…se me lo chiederanno”.
“La morte non mi spaventa…e me la merito anche un po’, cosa dite?” la sbeffeggiò.
“Oh, non prendetevi gioco di me! Non adesso. Desidero che prendiate questa nave e vi allontaniate, immediatamente. Promettete di farlo?”.
 “Lo desiderate?” mormorò Hans, cercando di afferrarle una mano, “ o lo ordinate e basta?”. Lei si ritrasse.
“I giochi di parole mi hanno sempre dato molto fastidio”.

“Oh, io li adoro, maestà”. Alzò un solo angolo della bocca, piegandola in un sorriso stranamente seducente. “ Mi darete almeno un bacio d’addio, visto che state per fare una cosa che va contro i vostri desideri?”.
“Oh!” lei spalancò gli occhi, decisamente allibita e arrossì. La sua pelle era così bianca che si notò subito. “Siete davvero…”. Non ebbe il tempo di finire, perché la bocca di lui la zittì, e senza nemmeno avere il tempo di sapere come ci era finita, eccola lì, stretta in una morsa tra le sue braccia. Lo schiaffo che seguì subito dopo fu altrettanto passionale.
“Salite e sparite dalla mia vista!”.
“Perché lo fate, allora?” urlò lui, attirando alcuni sguardi su di loro. Elsa non ebbe il coraggio di dire la verità.
“Per Henrik”. 
“Grazie” mormorò lui con un pizzico di disprezzo nella voce. Si chinò a posarle un bacio sul palmo della mano, e mentre lei aspettava che lui completasse quel ringraziamento con un maestà, intinto dello stesso barbaro disprezzo, lui disse, dopo averla fissata negli occhi per qualche secondo, “Elsa”. Il suo nome pronunciato da quella voce la fece rabbrividire.

“Addio, Hans”.
E lo guardò mentre si allontanava lungo la passerella dell’imbarcazione. Prima di andare sottocoperta, lui si voltò a guardare un’ultima volta la sua treccia bionda che ondeggiava al vento. Sapeva che accettava di arrendersi solo perchè era stata lei a chiederlo. Guardò la donna che aveva desiderato, amato, odiato, disprezzato.
Mimò l’inviò di un bacio, con tutte le briciole di disprezzo e orgoglio ferito che gli rimanevano. Dopo qualche minuto, Elsa alzò il pugno per afferrarlo. “Preso”.


Questo capitolo doveva essere già online stamattina, ma purtroppo non sono riuscita a caricarlo nell'orario in cui speravo e così...beh, eccomi qui, alle 22:19 a postarlo. Chiedo ancora scusa!
Scriverlo mi ha fatto sudare parecchio e non so nemmeno perchè sia uscito così, ma è ormai fatta, e sono sicura che (insomma, spero) che non vi dispiaccia godervi un capitolo con un vago aroma di helsa nell'aria :P
Non so ancora per quanto riguarda il capitolo 9, cosa ho intenzione di fare. Nelle idee originali sarebbe dovuto essere l'epilogo, ma in questi giorni, rileggendo gli altri per postarli mi è venuta una voglia pazzesca di metterci mano e modificarlo un po' per poter continuare...non so ancora, e dato che in questo periodo non ho molto tempo per scrivere in santa pace come vorrei...beh, vedrò.
Intanto spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima,
felsah :)

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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