Aspetterò qui fuori, stai tranquilla.

di Jessy Pax
(/viewuser.php?uid=508367)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una vita per un’altra vita ***
Capitolo 2: *** Distrazione ***
Capitolo 3: *** Spaventapasseri ***
Capitolo 4: *** Paglia ***
Capitolo 5: *** Responsabile ***
Capitolo 6: *** Rivelazione ***
Capitolo 7: *** Esperimento ***
Capitolo 8: *** Unthinkable? No more. ***



Capitolo 1
*** Una vita per un’altra vita ***


 
Una vita per un’altra vita




 
 
“Ti amo. Hai capito?”
Erano passati dodici mesi e settantuno giorni.
Felicity non aveva mai perso il conto da quella notte frenetica, non poteva permettersi di perdere nemmeno un minuto, le era indispensabile per tenere bene a mente che era stato solo un piano per incastrare Slade. Giocherellava con la matita, mantenendola in equilibrio tra il labbro superiore e la punta del naso.
Il team Arrow si stava occupando di un nuovo caso, qualcuno a Starling City aveva deciso di svaligiare nuovamente tutte le banche della città. Era già successo, in passato, di avere a che fare con dei criminali simili e Oliver, o meglio, Arrow li aveva catturati. Felicity come sempre aveva l’incarico di stanarli attraverso il segnale GPS del furgoncino con cui la piccola banda operava ma, nel pomeriggio di quel giorno, i ladruncoli sembrava non avessero intenzione di agire. La ragazza continuava a fissare a vuoto lo schermo luminoso del suo computer di ultima generazione, non prestando molta attenzione ai rumori che provenivano da dietro le sue spalle; sapeva soltanto che Oliver e Diggle stavano cercando di allenare al meglio Laurel Lance. “Sara era più divertente.” Un pensiero invadente si insinuò tra i tanti che affollavano la mente di Felicity. Sara Lance non aveva più dato segni di vita e, per quanto tutti ne sapessero, l’eroina dalla maschera nera era impegnata con la Lega degli Assassini. A Felicity, però, avrebbe fatto piacere poter sentire di nuovo la voce della propria amica. Laurel era entrata nel covo da ormai quattro mesi e Oliver le aveva promesso che si sarebbe impegnato per renderla l’eroina che tanto desiderava essere. A Felicity, la donna non era mai particolarmente piaciuta. La trovava piuttosto invadente in circostanze che non richiedevano alcun bisogno. Tuttavia, non poteva fare altro che attenersi agli ordini del capo, così come aveva rispettato quel piano subdolo e falso dell’anno precedente.
«Felicity, ci sono novità sulla banda?» Oliver aveva appena passato un panno per il viso alla sua ex fidanzata e si avvicinò con lentezza alla bionda esperta di computer, ma lei non stava ascoltando. Era ancora persa in quel ricordo che ogni giorno la tormentava, anche a distanza di tempo. Come se quelle parole, gli fossero state dette solo il giorno prima.
«Felicity?» il ragazzo tentò nuovamente, poggiando una mano sulla spalla minuta di Felicity. Non appena lei avvertì il tocco caldo e sudato di quella mano, saltò sulla poltrona facendo cadere la matita che, prontamente, fu presa al volo da Laurel.
«Tutto bene? Sembri distratta ultimamente. Dovresti concentrarti o la banda potrebbe sfuggirci da sotto il naso. Ehi, Oliver, guarda qui!» la signorina Lance non era famosa per la sua simpatia, ma Felicity non sopportava assolutamente quando qualcuno “estraneo”, mettesse le mani su ciò che non doveva. Laurel iniziò ad armeggiare con il mouse del grande computer, scovando una piccolissima luce rossa lampeggiare nello schermo. A quanto pareva, la banda di ladri aveva deciso di mettersi all’opera esattamente nel frangente in cui l’avvocato dalle manie eroiche, aveva scelto che fosse il momento di dare uno sguardo allo schermo. Oliver chinò il capo per controllare meglio il punto in cui la sua allieva stava indicando e, con uno sbuffo di disapprovazione, scosse la testa pungendo così la guancia di Felicity con la sua leggera barba ispida. La ragazza si allontanò immediatamente da quel contatto fisico non voluto e inaspettato e trattenne il respiro, nonostante sapesse che reagendo in quel modo, avrebbe solo destato sospetti.
«Sono stata fino ad ora fissa su questo schermo, giuro che non c’era nessun segnale d’allarme. La banda è stata assente in tutto questo tempo.» Non voleva dare spiegazioni o giustificazioni, quello era il suo lavoro e non c’era bisogno che Laurel la rimproverasse. Oliver la guardò con la fronte aggrottata, non capiva il comportamento della “sua” ragazza. Quando le era vicino, sembrava sempre essere nervosa e sfuggente.
«Non importa, in questo momento si trovano sulla sedicesima strada. Dovremmo andare, subito.» Di nuovo Laurel prese il controllo della situazione, posando la mano sul braccio nudo di Oliver e tentò di trascinarlo con se. Il ragazzo però si fermò, dopo aver solo fatto un paio di passi.
«Stai bene?» era una semplice domanda, ma forse Ollie stava iniziando veramente a comprendere Felicity e non sopportava l’idea di lasciarla nel covo senza essersi assicurato che fosse tutto okay. La biondina alzò le spalle e annuì debolmente. Cos’avrebbe potuto dirgli? Odiava ammetterlo, ma Laurel aveva ragione. Era distratta e non si era accorta del segnale acustico. Se l’altra non fosse intervenuta, la banda avrebbe potuto sfuggirle. Il ragazzo la guardò intensamente ancora per qualche secondo, prima di voltarsi e dirigersi verso la teca di vetro per indossare la sua uniforme e andarsene insieme alla sua nuova compagna di avventure: Black Canary.
«Ehi, non prendertela, Laurel vuole solo rendersi utile» Dig si sedette al fianco di Felicity, sopra la scrivania grigia. Era sempre stato un buon amico e lei si era sempre sentita in dovere di dirgli la verità. Per lei era una sorta di fratello maggiore, sempre pronto a proteggerla e aiutarla. Sospirò, infilandosi l’auricolare all’orecchio destro e poter così dare le direttive agli eroi là fuori.
«Non è questo, John. Laurel ha ragione, ero distratta. Non stavo pensando assolutamente alla banda.»
«Felicity, può capitare a volte di essere distratti. Non devi fartene una colpa.» Aveva ragione anche lui nel dire che non doveva farsene una colpa, ma Felicity si stava autocommiserando, avrebbe voluto parlarne al suo amico più fidato, ma al momento aveva delle responsabilità cui far fronte.
«Oliver, stanno girando sulla dodicesima. Dovete tornare indietro, hanno capito che li state seguendo, stanno andando verso nord!»
«Sì, lo sappiamo. È un piano di Laurel, li sta conducendo in un vicolo cieco. Sono in trappola!» Felicity, presa da una rabbia improvvisa, strappò l’auricolare dall’orecchio e lo gettò a terra, imprecando sottovoce. Non aveva mai reagito a questo modo e, appena incrociò gli occhi stupiti di Diggle, si alzò dalla poltrona girevole.
«Se ti stai chiedendo cosa mi sia preso, sappi che non lo so nemmeno io. Anzi, lo so, ma vorrei non saperlo. A volte penso che avrei fatto bene a dare ascolto a mia madre. Ma posso sempre rimediare, Las Vegas mi sta ancora aspettando!» Dig, sorrise, divertito dallo scatto dell’amica. Aveva passato fin troppo tempo con Felicity e Oliver e ormai aveva capito che per i due non c’era molto da fare; lei faceva un passo avanti e lui ne faceva altri dieci indietro.
«Sei gelosa di Laurel?»
«Cosa? No. Non è Laurel, sono io e… lui. Lui e quel suo modo di fare insopportabile.»
«Quindi non sopporti che dia ascolto alla sua ex fidanzata? Non sopporti che lei sia Black Canary?» Felicity sospirò, estenuata da quelle domande. Voleva bene a John, ma in quel momento non stava capendo molto dei problemi interiori che la disturbavano. La ragazza si sedette nuovamente sulla poltrona, lasciando che la testa ciondolasse all’indietro.
«Dig, sai quanti giorni sono passati da quando abbiamo fermato Slade?» fece una breve pausa e continuò a fissare il soffitto bianco. «Dodici mesi e settantuno giorni.»
«Hai tenuto il conto? Perché?» John era confuso, credeva di aver capito tutto dei suoi amici, dei sentimenti che li spingevano a restare lontani e allo stesso tempo desiderarsi ma, a questo punto, non sapeva più se le sue supposizioni fossero giuste.
«Perché in quell’esatto giorno, Oliver ha detto di amarmi.» Sollevò il capo e riprese a fissare tristemente il viso preoccupato e dispiaciuto di Dig. «Lo so, lo so. Non stava dicendo sul serio, era solo una tattica per incastrare Slade e… ci siamo riusciti, ovviamente. Ma sai» si sfilò gli occhiali e, con indice e pollice, si massaggiò le palpebre stanche, «a volte credo che quelle parole fossero sincere. Lui era così vero» la ragazza indossò nuovamente le lenti dalla montatura leggera e tornò a fissare l’uomo, «il suo sguardo lo era e sappiamo che non sa affatto mentire! Ci sono giorni in cui mi costringo a credere che fosse tutto reale solo per provare nuovamente la stessa sensazione di quella notte. Ѐ patetico, me ne rendo conto. Ma non ho altro a cui aggrapparmi nei giorni di malinconia. Vorrei che Oliver non me lo avesse mai detto.» Dig si avvicinò per catturare con la sua grande mano una lacrima lenta che scendeva sulla guancia chiara di Felicity. Non sopportava vederla ridotta in quello stato. Era innamorata di Oliver Queen ma, con tutte le probabilità, non ne era al corrente nemmeno lei stessa. Si accovacciò per poterla guardare meglio in viso e rassicurarla in qualche modo.
«Felicity, era solo una recita, non puoi continuare a farti del male a questo modo. Ripensare a quel giorno non è patetico, ma distruggi te stessa.» Vide che la ragazza abbassò gli occhi fino a chiuderli totalmente. Forse era stato troppo burbero, ma non voleva darle false speranze. Le alzò il mento con l’indice e le sorrise delicatamente. «Devi solo andare avanti e vivere i giorni presenti. Felicity, ti stai aggrappando al passato e non ti accorgi di ciò che succede oggi. Lascia andare quel ricordo e presta attenzione ad Oliver.»
«Oh, presto attenzione anche a questo! Oliver non fa altro che assecondare Laurel, anche quando lei sbaglia. Non c’è modo di fargli capire che non è ancora pronta per combattere, la scorsa settimana voleva a tutti costi catturare da sola un criminale, Oliver le ha dato fiducia e cosa è successo? Ci è mancato poco che Roy rischiasse la sua vita per tenerla al sicuro.» Felicity non era un tipo che sparlava degli altri, ma aveva provato più di una volta ad avvertire Oliver. Laurel era ancora inesperta, aveva iniziato a prendere lezioni di combattimento solo da quattro mesi, non era ancora agile o scattante, non sapeva muoversi felinamente come sua sorella. Semplicemente, Laurel non era Sara. Sicuramente con un buon allenamento, la Lance maggiore sarebbe potuta rivelarsi un’ottima lottatrice, ma non era ancora il momento.
«Non stavo parlando del comportamento che Oliver riserva a Laurel, ma di quello che si impone di avere quando tu sei nei paraggi.» Dig sospirò nel vedere che Felicity aggrottava la fronte, pronta a ribattere, ma non le diede il tempo di intervenire perché il suo cellulare cominciò a squillare. Diggle si allontanò per poter parlare con sua moglie e ,nel mentre, Fel ragionò su quanto le era stato detto; in tutto quel tempo, lei aveva solo prestato attenzione a quanto dovesse apparire fredda e distaccata agli occhi di Oliver, non aveva mai perso tempo nell’osservare il ragazzo. Vedeva solo che sfruttava tutte le proprie energie negli allenamenti dedicati a Laurel, ogni giorno che passava era sempre il “Laurel Day”. Persino Roy, una volta, concordò sul fatto che Ollie impiegasse troppo tempo negli esercizi della donna, tutti ormai pensavano ad un ritorno di fiamma ma, effettivamente, Oliver non aveva mai dato prova di ciò, anzi… tutt’altro.
«Tutto okay a casa? Ѐ successo qualcosa?» appena Dig finì di discutere al telefono, annuì contento alla domanda di Felicity.
«Certo, hanno solo bisogno di me per un po’. Torno più tardi.» La ragazza sorrise, felice che in tutto quel trambusto, Dig fosse riuscito a ricavarne un momento sereno e innocente. La nascita di un figlio deve essere una gioia infinita, pensò.
«Corri, ti stanno aspettando. Qui ci penserò io.» John non se lo fece ripetere due volte, recuperò la maglia che aveva lasciato su un tavolo lì vicino e fuggì dal covo prima che Oliver tornasse dalla missione e potesse fermarlo. Felicity rimase sola in quella stanza così grande e fredda, ascoltò i rumori che provenivano dalla scrivania cui era poggiata. Sarebbe stato tutto più facile se non avesse mai incontrato Oliver Queen, sarebbe stato più chiaro e meno problematico; non avrebbe mai saputo cosa significasse tenere a qualcuno e non poter far nulla per dimostrarglielo, non avrebbe mai saputo cosa fosse il tormento e la disperazione di amare una persona e non essere corrisposta. “Amare. Quindi lo amo, l’ho ammesso a me stessa.” Felicity venne a patti con questa dichiarazione, non poteva più nascondere un tale segreto al proprio cuore. Tutto di lei urlava di amare totalmente e incondizionatamente Oliver Queen, ma non poteva dirlo a nessuno, tanto meno al diretto interessato. Fece una risatina bassa e liberatoria quando sentì la porta del covo aprirsi lentamente, pensò che fosse Dig.
«John, ti sei dimenticato qualcosa?» si girò per vedere entrare l’amico, ma con un piccolo urlo si alzò dalla sedia, iniziando a respirare velocemente.
«Pensavo che trovare il nascondiglio di quel coniglio fosse più difficile. Invece è bastato ingannare quell’insetto della sua compagna.» Un uomo era entrato nel bunker del Team Arrow e la prima preoccupazione di Felicity fu per Dig.
«Cosa hai fatto a Diggle?» l’uomo le regalò un sorriso malato, mostrando la sua dentatura poco gradevole e giallognola, si avvicinò con passo felpato alla ragazza, facendosi vedere realmente per quel che era. Era alto e robusto, occhi color del fango, capelli grigi e un forte odore di alcool e fumo. Indossava una felpa nera e le mani erano occupate da armi: nella sinistra impugnava un coltello a serramanico e nella destra reggeva una pistola piccola e letale. Alzò quel pugno in direzione di Felicity e la minacciò fino a puntare la rivoltella dritta in fronte.
«Stai parlando di quel negro che ora giace a terra al piano di sopra? Non preoccuparti di lui, dolcezza. Dovresti preoccuparti della tua vita.» Sogghignò malvagiamente e Felicity capì di chi aveva di fronte. Era uno degli uomini della banda che stava svaligiando le banche. Solo allora si ricordò della foto che aveva trovato qualche giorno prima nella cartella degli schedati della polizia, era proprio lui, Gary Thousnader. Felicity tremò quando la lama del coltello l’accarezzò la tempia fino a scendere lungo il braccio, chiuse gli occhi respirando forte dal naso; non sapeva cosa fare, non poteva avvertire Oliver e l’unica cosa che sperava era che dalla porta del bunker arrivasse da un momento all’altro il suo eroe. Il cellulare della ragazza squillò e il ladro gettò subito lo sguardo sul display lampeggiante.
«Rispondi.» Le diede una spinta per farla voltare e Felicity, ancora tremante, pigiò il tasto verde rispondendo alla chiamata che le avrebbe salvato la vita… o forse no.
«Laurel…»
«Felicity, va via dal covo!»
«Non posso. Lui è qui.» Felicity balbettò quella frase, sentiva freddo e il sangue gelarsi nelle vene quando la pistola si posò sulla sua schiena.
«Merda. Stiamo arrivando!» Laurel chiuse la telefonata e a Fel non rimase altro che sperare che tutto si risolvesse per il meglio. Non sapeva le intenzioni di quel pazzo, ma era sicura che avesse a che fare con il Vigilante. Probabilmente gli dava fastidio avere alle costole due pagliacci mascherati che volevano a tutti i costi fermarlo.
«Perché stai facendo questo?» Thousnader strattonò nuovamente la biondina, facendola inciampare sui i suoi stessi piedi. La ragazza cadde sul pavimento freddo, ferendosi le ginocchia, la paura che la paralizzava e la speranza che cominciava a vacillare dentro di lei.
«Perché i tuoi amici mi stanno dando la caccia e in questo modo non riesco a svolgere il mio lavoro. Capisci cosa intendo, bambolina? Ho bisogno dei miei tempi, dei miei spazi. Di nessuno che mi ostacoli.» Accovacciandosi a terra, il criminale afferrò la lunga coda della ragazza, costringendola a guardarlo negli occhi. «Ѐ per questo che ho bisogno di te. Devo far capire a quei due insetti di restare al loro posto.» La lasciò andare con uno spintone e Felicity batté la fronte contro il pavimento, provocandosi un taglio sopra il sopracciglio sinistro. Rantolò di dolore, ma non si arrese. Questa volta non aveva intenzione di frignare ancora, doveva reagire.
«Perché pensi che io sia la persona giusta per rimettere in riga gli eroi che ti sono addosso? Probabilmente a quest’ora staranno acciuffando i tuoi uomini.» Felicity sputò quelle parole tra i denti e tentò di alzarsi da terra, ma l’uomo la costrinse a stare giù, non voleva che si muovesse.
«Zitta! Parli troppo! Ti farò saltare in aria il cervello con un colpo in gola se continui…»
«FERMO!» Laurel irruppe nel bunker e quello che avvenne dopo, agli occhi di Felicity apparve come qualcosa di surreale, completamente fuori dalla realtà, tanto fu veloce. Il ladro sparò un colpo contro Laurel, ma Felicity si alzò in fretta per gettarglisi addosso. La ragazza era stata scaltra, non si era fatta prendere dal panico, aveva tirato fuori quella temerarietà che celava in nell’animo gentile e fu proprio in quel frangente che prese coscienza del fatto che, per la seconda volta, aveva salvato la vita di una sorella Lance.
«Felicity!» Sapeva di chi era quella voce, ma le arrivò così lontana e flebile. Sentiva solo il battito del proprio cuore farsi più lento e debole. Un dolore lancinante le stava perforando lo stomaco. Non sapeva cosa fosse, ma sapeva che non era un bene avvertire tale sofferenza. Si spostò di lato quando vide una freccia trapassare il cranio del criminale e, per un momento, penso che giustizia era stata fatta. Lui era morto per mano dell’eroe che tanto la tormentava e Felicity, invece, stava per morire grazie alla lama del ladro. In qualche modo le sembrava un giusto scambio, una vita malvagia per una innocente. Sorrise a quella interpretazione della sua stessa sorte, rimase stesa sul pavimento lucido, sentendo il sangue caldo divenire sempre più freddo, fino a quando il buio calò su di lei.





Angolo della scrittrice: Buongiorno Oliciters!
Dopo tanto tempo, sono riuscita finalmente a scrivere una OS Olicity!
Spero che nel leggere questi primi due capitoli, abbiate l’impressione di conoscere da sempre Felicity, Oliver, Diggle e Laurel. Questo sarebbe davvero grandioso per me, perché significherebbe che sono riuscita a mantenere i personaggi in carattere!
Probabilmente, però, ho resto Laurel Lance più sopportabile rispetto a quanto non lo sia nella serie tv xD ma questo è un bene per voi! Così, non vi risulta troppo difficile da digerire!
Ho scritto solo due capitoli, tanto per iniziare. Non scrivevo da tanto tempo e sicuramente ci sarà qualche errore nella forma grammaticale, e mi scuso per questo.
Vi auguro buona lettura e se riceverò tante recensioni positive e apprezzamenti (ne dubito fortemente!), chissà… magari deciderò di continuare questa storia e renderla una vera Fan-Fiction!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Distrazione ***


Distrazione




 
«Oliver, che diavolo è successo?» Diggle cercò di raggiungere l’ospedale il più in fretta possibile, non poteva ancora credere a quanto accaduto e Oliver di certo non lo aiutava affatto a comprendere.
 «Ѐ successo e basta, non siamo arrivati in tempo.» Seduto in sala d’attesa, il ragazzo si tormentava la fronte con le dita. Era come se non volesse ascoltare nessuno, tutto ciò che desiderava in quel momento, era restare solo.
«Che significa non siete arrivati in tempo? Dannazione, Oliver! Ѐ tuo compito quello di salvare le persone!»
«Dig, pensi che non lo sappia? Pensi che desiderassi una sorte simile per Felicity? Ho cercato di fare del mio meglio, non ci sono riuscito. Ho fallito, ho tradito la fiducia di tutti voi. D’accordo?» Oliver scoppiò in un pianto silenzioso, coprendosi gli occhi con i palmi delle mani. Diggle respirò con il fiatone e quando capì che non c’era più nulla da fare, si sedette accanto a lui, provando a pensare che una soluzione sarebbe spuntata fuori. Non si era nemmeno accorto della presenza di Roy e Laurel. Il ragazzino dalla felpa rossa era appoggiato con la fronte sul pugno della mano destra contro il vetro della camera dove riposava Felicity; Laurel, invece, aveva le braccia conserte e fissava il linoleum come se fosse la cosa più interessante che avesse mai visto.
«E tu? Non hai nulla da dire?» John si rivolse proprio alla ragazza e questa alzò di scatto gli occhi, come se fosse stata punta da una vespa. Boccheggiò in cerca di una risposta, ma preferì restare in silenzio. Laurel sapeva che in parte era colpa sua, anzi, era tutta colpa sua, ma ammettere ciò non sarebbe servito a riportare indietro Felicity. Dig rinunciò a qualsiasi domanda volesse porre ai presenti, continuò ad osservare Oliver che piangeva senza farsi vedere e si nascondeva il volto con le mani. John pensò che non lo aveva mai visto così umano; Oliver Queen sembrava essere un ragazzo qualunque, un uomo perso dopo una notizia sconvolgente. Era stato distrutto altre volte in passato, prima la morte di Tommy, poi quella di sua madre e in tutte e due i casi, Oliver si era chiuso in se stesso cercando conforto nella vendetta. Adesso era diverso, perché non poteva vendicarsi della sua ex fidanzata; non poteva darle la caccia fino a farle saltare in aria la testa, non poteva e basta. Era un pensiero davvero cattivo quello che attraversò Oliver, far fuori Laurel era la cosa più ingiusta e perfida che potesse fare, ma doveva aggrapparsi a qualcosa, a qualcuno. Doveva liberare tutta la rabbia che aveva in corpo e scagliarla contro un facile bersaglio. Alzò il viso e fissò con inquietudine il capo di Laurel, era pronto a rovesciarle addosso tutto il risentimento che provava, un medico uscì dalla camera di Felicity e richiamò l’attenzione di tutti, interrompendo così la follia omicida che stava impossessandosi di Oliver.
«La ragazza è fuori pericolo. Ѐ stato un intervento piuttosto delicato, ma fortunatamente siete arrivati in tempo e abbiamo potuto recuperarla senza causare danni permanenti.» Il dottor Smith diede un’ultima occhiata alla cartella clinica della signorina Smoak e poi rivolse un sorriso soddisfatto agli amici della ragazza. Diggle esplose in una imprecazione a bassa voce, coprendosi la bocca con il dorso della mano, la contentezza lo portò a lacrimare di gioia; Roy sorrise come un bambino e andò ad abbracciare John con numerose pacche sulla schiena. Oliver si lasciò andare in un respiro sollevato e sentì, per la prima volta, di non avere più energia e forza in corpo. Era stato totalmente prosciugato dalla paura di aver fallito con l’unica persona che non meritava di soffrire. Laurel sorrise e portò le mani giunte a mo’ di preghiera sulle labbra, ringraziò il medico per aver salvato la ragazza e gli chiese: «Possiamo vederla?»
«Sì, ma due alla volta. Ѐ ancora sotto l’effetto dell’anestesia ed ha bisogno di riposo, cercate di non farla sforzare nel parlare una volta sveglia. Ѐ importante che riacquisti le forze con tutta tranquillità.» Laurel annuì e una volta che il dottore fu andato, i primi ad entrare nella stanza furono Dig e Roy. Oliver si sedette sulla sedia di plastica rossa e Laurel rimase in piedi, immobile ad osservare gli altri due con Felicity. Sembrò passare un’eternità prima che John e Roy uscissero dalla camera, ma solo perché Ollie era sprofondato in un silenzio catacombale e a Laurel non sembrò affatto una buona idea iniziare un discorso, sapendo che avrebbe solo peggiorato la situazione.
«Ollie, tocca a noi.» Oliver si alzò come un automa e le passò accanto senza degnarla di uno sguardo. Appena entrò, sembrò crollargli il mondo addosso. Vedere Felicity con tutti quei tubi attaccati gli ricordò che si era comportato da perfetto idiota. Era principalmente colpa sua se ora quella ragazza, la sua ragazza, si trovava in quelle condizioni; non volle avvicinarsi più del dovuto, pensò che Felicity non meritasse la sua presenza, preferì sedersi su una sedia lì accanto, restando a fissarla in silenzio, colpevolizzandosi fino a quando non ne avrebbe avuto abbastanza.
«Mi ha salvato la vita.» Fu Laurel, invece, a rompere quella promessa che si era fatto. Non aveva proferito parola per tutto il tempo dell’intervento e ora aveva deciso di ammettere quanto accaduto. Oliver girò appena il capo per ascoltarla, con le mani intrecciate e ripiegate sulle gambe. «Volevo solo rendermi utile, pensavo che usando le mie doti intellettuali, sarei riuscita a stanare la banda in minor tempo. Mi sbagliavo.»
«Non è colpa tua. Sono stato io ad incoraggiarti.»
«No, non è così, lo sai. In questi quattro mesi, non ho fatto altro che dare prova della mia stupidità, volevo essere la migliore ma… non sono ancora pronta per combattere, non sono pronta ad affrontare criminali pazzi e fuori di testa. Ho rischiato di mettere in pericolo la vita di voi altri, solo per i miei capricci.» Laurel sapeva cos’aveva fatto e non riusciva a perdonare se stessa. Si sentiva in colpa, perché si era resa conto di quanto avesse sbagliato nel giudicare la ragazza che adesso giaceva addormentata. Felicity non era mai stata la sua preferita, troppo distratta e poco coraggiosa. Laurel però, si ricredette perché Felicity Smoak era la ragazza più coraggiosa che avesse mai conosciuto. «Non sarò mai come Sara e tantomeno come lei, Felicity.» Indicando con un cenno la ragazza pallida e ferita, la donna diede voce a un pensiero che non era riuscita a trattenere dentro di sé.
«Ѐ così importante per te essere come Sara? Laurel, essere un eroe non significa imitare qualcun altro, ma avere una propria identità. Ti ho sempre incoraggiata in questi mesi, perché credevo che in quel modo avresti trovato la tua vera essenza. E invece non hai fatto altro che commettere errori. Non è così che funziona!» Oliver la guardò seriò, mantenendo le labbra serrate, e lei si sentì ferita da quel discorso tanto duro, ma anche molto vero.
«Perché non me lo hai mai detto prima? Perché hai permesso che continuassi a commettere errori? Oliver, ho cercato in tutti i modi di rendermi utile per la squadra, ma mentre credevo che stessi facendo la cosa giusta, in realtà stavo realizzando il più grande sbaglio della mia vita…»
«Perché…» Oliver non aveva idea di come continuare. Qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stata una banale scusa. «La verità è che volevo creare una distrazione, volevo che tu fossi la mia distrazione. Non ti ho mai detto nulla perché speravo che saresti diventata la donna, l’eroina, che volevo al mio fianco. Pensavo di potermi innamorare quanto bastava di te, di poter vivere la mia solitudine con qualcun altro; di potermi fidare di una compagna tanto da non affezionarmi e creare così un punto debole.» Fece una pausa, distogliendo lo sguardo dagli occhi della sua ex per puntarli sul corpo immobile di Felicity. Per quanto volesse guardarla, però, non riuscì nemmeno a reggere quel contatto visivo. Era come se le iridi chiare e chiuse della biondina lo stessero giudicando. «Per quanto io cerchi di proteggere le persone a cui tengo, queste finiscono sempre per rischiare la propria vita. Con te speravo di non avere più questo tipo di problema, speravo con tutto il cuore di riuscire a dimenticare le altre e tornare con te…»
«Dimenticare lei.» Oliver alzò il mento quasi incredulo nel sentire una tale affermazione da Laurel.
«Cosa?»
«Volevi dire: dimenticare Felicity.» Laurel sospirò incrociando le braccia al petto «Ollie, non posso essere la tua distrazione. Non sono un ripiego su cui far affidamento al bisogno, non sono quella donna che puoi amare a comando, “quanto basta”.» Fece una risatina sprezzante a queste ultime due parole, si sentiva offesa dal ragazzo che lei aveva amato per così tanto tempo e che, in un piccolo angolino del suo cuore, sperava di poter amare per sempre. «Mi rendo conto che sono sempre la seconda scelta, non avrò mai il primato su di te. Mi hai tradita così tante volte, che ormai ho perso il conto.» Oliver abbassò nuovamente la testa, non poteva certo darle torto. Era stato infedele ed egoista, ma aveva scelto di non esserlo con la persona che amava seriamente. A causa della vita che conduceva, era meglio non affezionarsi ad una persona alla quale poteva realmente tenere.
«Tommy ti amava. Eri da sempre la sua prima scelta, sarebbe morto pur di proteggerti.» Oliver volle mordersi la lingua, aveva appena detto una cosa terribile. Laurel sbuffò scuotendo il capo e si avvicinò alla porta della stanza per andarsene.
«Grazie per avermelo ricordato, Oliver. Da te non me lo sarei mai aspettato.» Girò il pomello e sparì nel corridoio bianco dell’ospedale, lasciando Oliver Queen a rimuginare sui propri peccati. Era davvero impazzito nelle ultime ore, come aveva potuto dire una cosa del genere a Laurel? Tommy era morto tra le braccia dell’amico e chi, meglio di lui, sapeva cosa aveva provato nel vedere l’anima di suo “fratello”, passare a miglior vita?
«Oliver…» una vocina piccola e bassa aleggiò nel locale. Felicity si era finalmente risvegliata e Oliver volle subito stringerle la mano, ma si arrestò in tempo, troppo convinto di essere il colpevole dell’accaduto.
«Ehi, ti sei svegliata. Come ti senti?» sorrise mostrando la sua solita faccia da poker, proprio la stessa che aveva sfoggiato sull’isola dopo aver rinchiuso Slade nei sotterranei.
«Credo… credo di essere stata perforata da qualcosa di pungente. Non sarà stata la tua freccia, vero?» Felicity respirò a fatica e poi le uscì un piccolo singhiozzò «Voglio dire, non la tua freccia… ma una delle tue frecce!» si lamentò, sia per lo sforzo fisico di parlare che le provocava un dolore immenso lì, dove c’era la ferita fresca, e sia perché ciò che stava dicendo non aveva alcun senso logico. Oliver rise sommessamente, con gli occhi lucidi per sentire che la sua Felicity non aveva perso quell’umorismo che la caratterizzava e che tanto gli piaceva. Si alzò, dimenticando completamente il perché non volesse farlo e si sedette appoggiandosi delicatamente sul lettino piccolo e freddo; prese la mano della ragazza nella sua e la strinse forte.
«Non sono state le mie frecce, Felicity. Gary Thousnader ti ha colpito con il suo serramanico e… mi dispiace, non volevo tutto questo.» Nella voce di lui, Felicity avvertiva dispiacere e rimorso ma ora ricordava cosa era realmente successo nel covo.
«Sai, è la seconda volta che salvo la vita ad una delle due sorelle Lance. Dovrei smetterla!» Ollie scoppiò a ridere, adesso un po’ più tranquillo, e strinse ancora di più la mano della giovane.
«Sì, lo penso anche io.» La guardò con le labbra tese in un sorriso sincero, ma poi la vide aggrottare la fronte preoccupata. «Che c’è?»
«John sta bene? Quel pazzo gli ha fatto del male?»
 «Shh… Dig sta benissimo, Thousnader stava solo recitando, non lo ha nemmeno visto.» Felicity tirò un sospiro di sollievo, ma fece una smorfia di dolore per quel semplice gesto. “Recitando”, a quanto pare nell’ultimo anno questa tecnica stava andando piuttosto di moda.
«Oliver, se non fossi stata così distratta ultimamente, forse tutto questo l’avremmo potuto evitare. Io…»
«Felicity. No, ti prego.» Oliver non poteva sopportare di sentirla prendersi la responsabilità di tutto. Lei era l’anima più pura e innocente che potesse esistere e non le avrebbe permesso di rimuginare e colpevolizzarsi su uno sbaglio inesistente. «Tu non c’entri nulla. Quello distratto ero io, pensavo ad altro.» Era curioso come entrambi si sentissero distratti da qualcosa, sia Oliver che Felicity erano torturati da un pensiero fisso che non permetteva loro di essere liberi. C’era qualcosa che li attanagliava.
«A cosa pensavi?» Felicity voleva sapere, probabilmente perché lei stessa era logorata dal ricordo del “ti amo”, ma dubitava che la distrazione di Oliver fosse la stessa. Lui le rivolse uno sguardo di ammonimento e con un gesto del capo le fece capire che stava chiedendo troppo.
«Felicity, il dottore ha detto che devi riposare. C’è tempo per parlare.» La ragazza annuì e si zittì. Come al solito, Oliver si stava chiudendo in se stesso, nascondendo ciò che davvero provava.
«Signor Queen? Le devo chiedere di lasciare la stanza della signorina Smoak, deve tornare a riposare e inoltre dobbiamo farle alcune analisi.» L’infermiera interruppe uno di quei momenti che, ormai, tra quei due erano sempre più rari. Stavano comunicando con gli sguardi e con i loro silenzi. Il ragazzo, colto alla sprovvista, assentì con il capo e ringraziò la signora per avergli concesso quei pochi minuti insieme all’amica.
«Non andartene.» Quella supplica della IT girl, lo fece sciogliere e sinceramente non aspettava altro che sentirselo dire.
 «Non andrò da nessuna parte.» Le sorrise fiero e a poco a poco si avvicinò alle labbra di Felicity. Sentì il cuore in gola per quel bacio imminente, ma Oliver cambiò idea all’ultimo secondo e spostò la propria bocca sulla fronte della biondina. Rimase a lungo a contatto con la sua pelle candida e quando, controvoglia, si staccò, deglutirono a fatica tutti e due.
«Aspetterò qui fuori, stai tranquilla.» Felicity non aveva alcuna forza per reagire, sentiva dolore ovunque e ancor di più al cuore.

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Spaventapasseri ***


Angolo dell'autrice: Ed eccomi qui! Come promesso il 3° capitolo è pronto per essere letto!
Prima, però, voglio davvero ringraziare ognuna di voi che mi ha lasciato una bellissima recensione.
Non mi aspettavo affatto che la mia storia piacesse così tanto ed è inutile dire che sono davvero contenta. Per me è importantissimo sapere cosa ne pensate sui miei capitoli, mi permettono di migliorare giorno per giorno! E le vostre parole sono un grandissimo aiuto per la mia ispirazione!
Siete state davvero carinissime e dolcissime!
Ringrazio anche chi ha semplicemente visualizzato la storia senza recensirla, anche voi siete importanti!
Spero vi piaccia anche questo nuovo e, a quanto pare, tanto atteso capitolo. Non vi anticipo nulla o vi rovino la sorpresa!
Un bacio, Jessy!
Alla prossima! 





 
Spaventapasseri
 
 
 
«Non c’era bisogno di scomodare Roy, le mie gambe funzionano perfettamente.» Era passata una settimana dall’incidente avvenuto nel covo  tra Felicity e Thousnader  e la ragazza aveva voluto a tutti i costi andarsene dalla camera dell’ospedale dove era ricoverata fino a poche ore prima. Il medico era del parere che sarebbe stato più opportuno restare qualche giorno in più, sotto il controllo vigile e costante degli infermieri ma, Fel,  decretò che si sarebbe ripresa più in fretta tra le mura del suo appartamento che tanto amava. Oliver era in piedi vicino al portello posteriore della sua utilitaria e seguiva con occhi scrupolosi ogni movimento di Roy mentre aiutava Felicity ad uscire dall’auto prendendola tra le braccia; l’adagiò delicatamente su quella piccola e fastidiosa sedia a rotelle, Oliver si spostò per lasciare il passaggio ai due e successivamente aprì il porta bagagli per recuperare - e issare in spalla - i due borsoni di Felicity.
«Ma sei ancora cagionevole e non ho intenzione di farti affaticare inutilmente.» Oliver, nell’ultima settimana non aveva fatto altro che preoccuparsi per lo stato di salute di Felicity, tal volta risultò anche petulante per tutte le domande che le poneva, ma secondo lei, si comportava a quel modo solo per gli innumerevoli sensi di colpa che lo tormentavano. L’ex miliardario chiuse la sua auto nera e seguì i due giovani avanti a lui fino a raggiungere i gradini della casa di Fel.
Roy, facendo affidamento sulla propria forza, alzò la sedia a rotelle riuscendo a superare il primo gradino.
«Mio Dio, Felicity… sei davvero pesante!» Felicity scosse la testa alla battuta di Roy, sentendosi terribilmente a disagio. Essere sollevata da un ragazzino mentre costretta a restare ferma su un aggeggio del tutto inutile, per lei, era peggio che essere stata accoltellata. Sbuffò e portò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio sinistro, sollevando gli occhiali per rimetterli in ordine e ripararsi così, con la stessa mano,  gli occhi dal sole di quel pomeriggio estivo.
«Sentito? Roy, davvero non serve, sto bene. Posso farcela…»
«Roy, finiscila. Felicity… sei pallida, non hai le forze necessarie. Smettila di fare i capricci e lascia che ti aiutiamo.» Intervenne Oliver divertito da Roy ma, celò a tutti i costi, quel sorriso che voleva prepotentemente affiorare sulle sue labbra.  Salirono tutti i gradini fino ad arrivare davanti alla porta dell’appartamento. Felicity alzò gli occhi per guardare il suo eroe con disappunto, evidentemente irritata dal fatto che la stesse trattando come una bambina di cinque anni. Era adulta, non aveva bisogno di una balia anche se affascinante come Oliver Queen!
Roy infastidito più degli altri, allargò le braccia con nervosismo puntando lo sguardo contro il suo amico. «“Aiutiamo”? Se non te ne fossi accorto, ti faccio notare che sto facendo tutto io. Che razza di bugiardo!» Sbuffò arrabbiato dando un colpo con il dorso della mano sullo sterno di Oliver, facendo rispondere quest’ultimo con una reazione pacata ma allo stesso tempo giocosa.  Ollie scosse la testa puntando un dito sul petto di Roy, scandendo al meglio le sue parole.
«Questo non è affatto vero, se tu non te ne fossi accorto, sto portando le sue borse. Il che significa che pesano almeno il doppio di Felicity!»
«Potreste smetterla di speculare sul mio peso? Qui c’è una ragazza bisognosa di aiuto…» La biondina stava assistendo ai loro battibecchi in silenzio, ma quando finalmente parlò, volle mordersi fortemente la lingua. Chiuse gli occhi disperata e sospirò grattandosi il capo.  
«Quindi ammetti di avere bisogno di noi?» Oliver non se lo fece ripetere due volte, non vedeva l’ora di mettere in difficoltà la sua partner solo per sentirsi dire di avere ragione. Piegò leggermente il busto quanto bastava per guardare dritto negli occhi chiari di Felicity, con un sorrisetto saccente stampato in viso; innervosendo maggiormente la ragazza.
«Sì. No… Non proprio. Oh, ma dai! Prendi le chiavi e zitto!» Felicity roteò gli occhi e con un cenno secco del capo, indicò l’entrata. Oliver sghignazzò muto, tornando ritto su se stesso. Aspettò che Roy entrasse per primo con la carrozzella per entrare insieme a loro.
«Signorina Smoak, bentornata a casa!» Il ragazzino  accese la luce dall’interruttore vicino la porta e spinse la ragazza fino al centro del grande salotto. «Ehi, bell’appartamento. Non è troppo grande per te sola?» Nessuno del team Arrow era mai stato nella casa di Felicity Smoak e alla IT girl, le parve come un’intrusione in quell’angolo della sua vita che, fino a quel momento, era sconosciuto a tutti. Annuì alla domanda di Roy e fece spallucce non sapendo bene come rispondere, non avendoci pensato mai granché su.
«Sì, forse è un po’ troppo grande, ma non sono abituata agli spazi piccoli. Mi fanno sentire a disagio.» Si guardò intorno come per dare conferma alla sua teoria e rivolse un sorriso dolce all’amico, ignorando completamente Oliver. L’unica persona che non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe messo piede nel suo appartamento. «Grazie Roy, sei stato davvero carino.»
«Di nulla, dolcezza. » Roy stampò un bacio sulla testa bionda della ragazza e con un movimento scaltro, si avvicinò al suo capo. «Oliver, vieni via con me?» Ollie sorrise come se qualcuno lo avesse riportato alla realtà. Era rimasto immobile prestando attenzione ad ogni particolare che caratterizzava quel salotto. Posò le borse a terra e si tolse il giacchino agganciandolo sull’appendi abiti dietro la porta; si spostò lateralmente per far passare Roy.
«No. Puoi andare, raggiungo te e Dig più tardi»
«Come vuoi amico. Ci vediamo!» Harper salutò entrambi alzando la mano e si chiuse il portone alle spalle.
Oliver e Felicity rimasero in silenzio, ascoltando il rumore dell’orologio appeso al muro che ticchettava impaziente. Ollie passò una mano dietro la testa e Fel prese quel gesto come “voglia di andarsene”.
«Non sei costretto a restare.» Iniziò lei decisa.
«Lo so. Non ho mai detto di voler restare.» Scontroso e maleducato, ecco come era stato Oliver Queen. Felicity, sconcertata e sorpresa, lo guardò in malo modo sollevando nuovamente le spalle.
«Okay. D’accordo. Ehm… allora cosa hai intenzione di fare qui?» Oliver mise le mani in tasca e per un breve attimo sembrò pensare realmente alla domanda che gli aveva fatto la biondina ma, preferì sorridere mostrando i denti.
«Hai fame?» Ed ecco che era tornato l’Oliver misterioso e disponibile. A Felicity le girò la testa per quel cambio repentino di comportamento e, poggiando le mani sui braccioli della sedia a rotelle, tentò di alzarsi.
«In realtà, devo fare pipì.» Riuscì a fare un solo passo, perché Ollie l’afferrò velocemente alla vita, nonostante Felicity si sentisse pronta e ben disposta a camminare. I loro occhi si incrociarono e Felicity distolse immediatamente lo sguardo, cercando di togliere le mani di Oliver da lei. «Oliver, non penso che tu voglia accompagnarmi in bagno e passarmi la carta igienica. Perché non prepari un panino al formaggio per entrambi?» Tornò a guardarlo con un leggero rossore in viso e, Oliver, corrispose lo sguardo intensamente. Felicity non riuscì a capire a cosa stesse pensando, ma le sembrò turbato da qualcosa che non comprendeva. Tolse, finalmente, le sue mani dal corpo di Felicity e tornò spensierato come prima.
«Ho ricevuto il tuo suggerimento. Hai bisogno di un po’ di tempo per te stessa. Vado a preparare la cena.» “Perspicace!” pensò divertita Felicity, annuì sorridente tirandosi su gli occhiali con l’indice, non sapeva come avrebbe fatto Oliver a orientarsi in cucina, non era mai stato prima nella sua casa e sicuramente gli sarebbe risultato difficile trovare il formaggio e tutti gli altri ingredienti. “Dovrò sicuramente aiutarlo” Felicity si trovò a pensare nuovamente, ma si diresse ugualmente in bagno per darsi una rinfrescata. Si spogliò di quella camicia da notte che ormai odiava e, di fronte allo specchio grande e luminoso, fissò il proprio riflesso. Era sciupata; delle violacee occhiaie le segnavano gli occhi, la sua pelle sembrava disidratata e i capelli formavano una massa bionda di nodi intrecciati. La ferita allo stomaco era coperta da una garza spessa e seccante, i punti le tiravano insistentemente e ci passò la mano cercando di alleviare quel prurito - nonché dolore - pungente. Si era piuttosto trascurata in quella settimana passata in ospedale e, forse, Oliver aveva ragione: era cagionevole e il viso pallido ne era una prova. Sospirò prima di lavarsi i denti, sciacquare il viso e bagnarsi il collo con un panno umido; si pettinò i capelli e li legò nella sua solita coda ordinata. Indossò un pigiama pulito e fresco sentendosi rigenerata ma si rese conto che, quel panino al formaggio, lo desiderava ardentemente. Chiuse la porta del bagno e lentamente raggiunse Oliver in cucina; lui non si accorse della presenza di Felicity e restò a guardare l’amico che armeggiava tra i fornelli accesi, costatando che, alla fine, non aveva avuto alcun problema ad orientarsi. L’eroe che tutti temevano e rispettavano, adesso sembrava solo un uomo da sposare, che preparava la cena per la donna che amava e se ne prendeva cura come se fosse la cosa più importante. Purtroppo, però, Felicity non era la donna che lui amava, era solo la sua partner, la sua complice. Era indispensabile per il team, ma non indispensabile per il cuore di Oliver Queen. La biondina smise di sorridere e abbassò gli occhi tristemente; ora ricordava cosa la spingeva ad essere distaccata nei confronti del suo capo: non poteva permettere di farsi calpestare il cuore proprio da lui. Non poteva fargli capire che ne era innamorata.
«Ti senti meglio?» Felicity sobbalzò e le uscì un respiro mozzato quando Oliver le rivolse la parola. Credeva che non se ne fosse accorto della sua presenza, ma si sbagliava. «Scusa, ti ho spaventata. Ma ormai sono abituato a captare ogni minimo rumore.» Le regalò uno dei suoi sorrisi comprensivi e le indicò il panino farcito nel piatto bianco sopra il tavolo.
«A volte dimentico che sei un eroe.» Felicity si rilassò di nuovo e si avvicinò al tavolino per dare un morso alla sua cena, togliendosi una briciola dalla guancia con il dito. «A volte semplicemente penso a te come ad un normale ragazzo e mi dimentico che sei Arrow.» Parlò a bassa voce, più a se stessa che ad Oliver ma questo sembrò sentirla ugualmente. Le poggiò una mano sulla spalla piccola e la strinse debolmente.
«Mi piace il fatto che tu pensi a me come ad un normale ragazzo. A volte non desidero altro che esserlo.» Felicity per poco non si strozzò con il proprio boccone e quando lo mandò giù con un sorso d’acqua, guardò Oliver con tenerezza.
«Tu, per me, lo sei sempre.» Di nuovo si scambiarono quegli sguardi carichi di sentimenti che nessuno dei due sapeva decifrare. Lui era perso negli occhi profondi di Felicity e lei, sapeva di poter morire in quel mare di ghiaccio. Oliver sospirò e tolse la mano dalla spalla di Fel,  prendendo entrambi i piatti con i panini.
«Perché non finisci la tua cena in camera? Lì starai più comoda, il tuo colorito mi sta preoccupando.» Si era già allontanato e Felicity non ebbe possibilità di ribattere, lo seguì in silenzio portando con se il bicchiere d’acqua e il cartone del latte, facendogli strada fino alla sua stanza.
Posarono la cena sul comodino lì vicino e la ragazza si stese sopra le lenzuola di cotone, prese atto che in una settimana, non aveva mai messo mano su un computer o accesso la TV satellitare. Rimediò subito, prese il telecomando e per prima cosa si sintonizzò sul canale delle news e Oliver si sedette sulla poltrona accanto al letto, curiosando le pareti della stanza di Felicity.
C’erano molte foto di lei piccola, di lei che giocava al mare, la sua prima recita scolastica, la sua laurea, il diploma; momenti della vita di Felicity immortalati in uno scatto eterno. Era da sempre stata una ragazza intelligente, sopra la libreria colma di libri, scintillavano alcuni dei suoi trofei più importanti: il primo posto alla gara di spelling, una medaglia d’oro come migliore studentessa al secondo anno di liceo, un’altra medaglia di bronzo per il secondo posto al concorso di poesia. La sua camera era un piccolo tempio. Oliver per un attimo si sentì invidioso e geloso della vita vissuta e passata dell’amica. Lui non aveva tutti questi ricordi fieri di se stesso, tutto ciò che poteva vantare erano le numerose ragazze avute, ma di certo, non erano minimamente paragonabili alle vittorie di Felicity.
«Il tuo sguardo sembra dire: “Felicity Smoak è una quattrocchi cervellona!”» Felicity scimmiottando la voce di Ollie, lo tirò fuori con prepotenza dai suoi pensieri orgogliosi. Lui scosse la testa incredulo e prese il panino addentandolo affamato.
«Cosa? No, niente affatto. Penso, invece, che tu sia una ragazza eccezionale, Felicity!» La inchiodò con lo sguardò e la biondina si sentì mancare il respiro. “Eccezionale”  L’aveva definita in quel modo già una volta, in un’altra occasione, quando lo aveva aiutato in uno dei suoi casi, ma adesso era diverso. Lui era diverso, Oliver  pensava e credeva in quel complimento, con tutto se stesso.   Felicity sorrise imbambolata e lasciò perdere il suo panino, avvertendo un leggero male allo stomaco; tornò a guardare la tv e sbadigliando si accomodò meglio tra i cuscini con una smorfia di dolore. Oliver senza dire nulla, finì la sua cena e causando diverse emozioni contrastanti in Felicity, si sdraiò accanto a lei, permettendole di poggiare la testa, sul suo petto robusto e muscoloso.
La circondò con un braccio e si schiarì la voce emozionato.
Nessuno dei due proferì parola. Alla ragazza le batteva il cuore all’impazzata e Oliver sembrava, nonostante tutto, a suo agio in quella situazione.
«Hai… hai detto che in questi giorni non hai avuto molto lavoro. Ti sei chiesto come mai?» Felicity cercò un argomento, un qualsiasi discorso pur di non crogiolarsi tra le braccia del suo capo, anche se, tutto di lei urlava di voler restare così, cullata in quell’abbraccio rassicurante e amorevole che l’avvolgeva totalmente. Era un’illusione, lo sapeva bene, Oliver lo stava facendo solo perché era un buon amico. Inoltre, lui stesso aveva detto che non era lì per restare e questo permise a Felicity di tornare nuovamente con i piedi a terra.
«Sì, ed è strano. Starling City non è mai stata così tranquilla come in questa settimana. Ѐ come se fosse  la quieta prima di una tempesta.» Oliver abbassò il viso per guardare Felicity e, dolcemente, prese ad accarezzarle i capelli raccolti nella coda. Fel chiuse gli occhi e trattenne il respiro, pervasa da un formicolio piacevole lungo le braccia e la nuca. Sembrava che vivesse in una bolla di felicità, tutto ciò non poteva essere reale; Oliver Queen nella sua stanza, non poteva essere reale!
D’un tratto, il notiziario in tv iniziò ad impazzare e la giornalista che prese a parlare, catturò l’attenzione dei giovani:

“Starling City, sembra che stia per cadere nuovamente nella morsa del terrore.
Paul Nolan, noto avvocato della metropoli, è stato ritrovato morto asfissiato nel bagno del tribunale.
A rinvenire il corpo è stata la sua collega Laurel Lance.
L’omicidio, pare sia stato opera di un nuovo criminale, soprannominato dalla polizia ‘Spaventapasseri’, a causa di una foto che lo ritrae mentre si aggira nei dintorni della scena del crimine.
Vi terremo aggiornati  sulla situazione.”


 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Paglia ***


Angolo della scrittrice: Quarto capitolo, eccolo pronto!
Ringrazio davvero tutte coloro che mi hanno lasciato una recensione 3° capitolo! Siete tutte gentilissime e carinissime! Leggere le vostre parole sono sempre un balsamo per la mia ispirazione! Siete adorabili! Spero che anche questo che sto per pubblicare, vi piacerà ad egual modo! Alla prossima! ♥




 

Paglia


 
 
 
«Vengo anch’io!» Felicity saltò giù dal letto dolorante, dopo che Oliver finì di parlare con Laurel. Dig e Roy lo stavano già aspettando al covo, Laurel stava per liberarsi della polizia e avrebbe raggiunto presto gli altri ma, Oliver, non aveva alcuna intenzione di coinvolgere anche Felicity in questa situazione.
«Felicity, sei debole. Dovresti restare sveglia per molte ore se vieni con me, non c’è bisogno che rischi.» Queen era sicuro di se, non avrebbe permesso assolutamente alla sua amica di esporsi a tale sforzo. Infilò il cellulare in tasca e si avviò verso la porta per uscire, ma la ragazza lo rincorse, tenendosi la ferita con la mano.
«Oliver, là fuori c’è un pazzo che sta seminando nuovamente terrore in città. Pensi che possa starmene qui tranquilla e giocare a parole crociate? Avete bisogno di me!» La ragazza alzò la voce afferrando il braccio di Oliver facendolo, così, fermare e voltare per guardarla. Sospirò lentamente non sapendo bene come rispondere a quella supplica; una parte di lui sapeva bene che Felicity era indispensabile in questo momento, ma dall’altra… dall’altra era al corrente che la sua IT girl non avrebbe retto ad un ulteriore sforzo. Aveva le occhiaie profonde e scure, il suo viso era visibilmente stanco e per niente rilassato. Avrebbe voluto alzare la mano per accarezzarla e poterle restituire quella luminosità che la rendeva bellissima. Scosse lievemente la testa e prese la mano della ragazza che era sul proprio braccio.
«Solo una settimana fa, ti ho quasi persa. Non posso permetterti di mettere in pericolo, ancora, la tua vita. Sei troppo importante…» Oliver non concluse la frase ma respirò profondamente e continuò soppesando e scegliendo con cura tutte le parole. «Sei importante per tutti noi, per Diggle, Roy… Rilassati, guarisci e poi tornerai nel covo. Promesso.» Avrebbe voluto dire la verità, tutta la verità! Che lei era importante per lui, che se l’avrebbe persa non se lo sarebbe mai perdonato. Non aveva mai tenuto a nessun’altra come teneva ora a Felicity, e per Oliver rappresentava il suo punto debole. Non riuscì a sostenere lo sguardo della biondina, volse le spalle e afferrò il pomello della porta per uscire in fretta da quell’appartamento che gli stava facendo provare sentimenti profondi e allo stesso tempo tormentanti.
«Hai bisogno di me, Oliver. E mi porterai con te. Adesso!» Oliver schiuse appena le labbra e tentò di replicare, questa ragazza era davvero testarda. Nonostante fosse minuta e graziosa, era tenace e caparbia; e il tono in cui, lei, si impose, lo fece riflettere. Ollie ritirò la mano dal pomello e girò di poco la testa guardando oltre la sua spalla. Felicity aveva ragione, non c’era hacker migliore di lei, non esisteva genio dei computer migliore di Felicity.
«Prendi la tua roba e andiamo.»
 
Oliver entrò nel bunker e dall’alto delle scale, sentiva  Dig e Laurel che discutevano. Aspettò che Felicity lo raggiungesse, la ragazza camminava piano e le sue forze stavano scemando sempre più. L’afferrò alla vita e con una mossa agile e veloce, l’alzò da terra prendendola sotto le ginocchia. Fel singhiozzò dalla sorpresa e si aggroppò al collo del suo capo.
«Oliver, adoro stare tra le tue braccia ma potresti anche farmi scendere le scale da sola» Felicity si morse il labbro superiore mentre si rese conto di ciò che aveva appena detto. Quando era così vicina ad Oliver, era più forte di lei: non riusciva a tenere a freno la sua lingua. Ollie la guardò tra il divertito e il confuso ma si limitò a scendere la scala senza risponderle.
«Ehi! Che ci fai qui? Non dovresti essere sotto le coperte a guardare “Ballando con le Stelle?”» Roy fu il primo a correre verso la ragazza bionda e Oliver, con un gran sorriso le diede il benvenuto con la sua solita allegria che, non molto spesso mostrava facilmente. In effetti, solo quando era con Felicity, riusciva a palesare il suo umorismo innato. Mr Queen lasciò che il ragazzino dal cappuccio rosso si occupasse della bionda, accompagnandola con estrema cautela  alla sua poltrona.
«Roy, anche tu pensi che me ne starei a letto piuttosto che aiutare tutti voi?» Felicity non riusciva davvero a capire perché tutti quanti si preoccupassero del suo stato di salute, quando ognuno dei presenti rischiava la vita ogni giorno più di chiunque altro. Rise con forza e le uscì un lamento smorzato quando si sedette con un tonfo sulla sedia girevole. Una settimana fa, rantolava a terra nella sua stessa pozza di sangue. Ed ora, invece, era già tornata a lavoro su un nuovo caso. Ma non era forse così, che facevano gli eroi? Era fiera di questo suo pensiero, voleva dire che anche lei si sentiva di essere una piccola eroina.
«Io penso che avresti fatto meglio a restare a casa. Sei visibilmente debole e un tuo errore potrebbe farci mettere in pericolo tutti quanti.» Laurel, appoggiata al bancone grigio e freddo, portò le braccia piegate al petto. Indossava già i panni di Black Canary e con voce astiosa sembrava voler attaccar briga con Felicity, tanto che tolse la parola a Roy. La fulminò con lo sguardo e Oliver si parò tra loro ammonendo la sua ex con un’occhiataccia. Felicity non riusciva a capire cosa avesse fatto per far innervosire Laurel Lance; rimase a bocca aperta e, spostandosi con il busto per superare la visuale coperta da Oliver, tentò un confronto diretto con la donna.
«Un grazie sarebbe apprezzato, Laurel. Ma qual è il tuo problema?» Fel aggrottò la fronte e, vedendo che Laurel spalancò le braccia esausta, volle trovare l’appoggio di Dig. Quando incontrò lo sguardo dell’amico, tutto ciò che ottenne come risposta fu un’alzata di spalle.
«Il mio problema…»
«Laurel, basta. Perché non mi racconti cosa è successo esattamente in tribunale? Chi è questo Spaventapasseri?» Oliver interruppe il litigio che avrebbe creato da lì a poco, Laurel. Black Canary schioccò la lingua contro il palato e prese a camminare avanti e indietro per il covo.
«Dovevo parlare con Paul Nolan, dovevamo discutere di un caso al quale stavamo collaborando. L’ho seguito fuori dall’aula del processo e quando è entrato in bagno ho aspettato che uscisse.» Fece una pausa e passò le dita sulla sua fronte tirata. «Stava passando troppo tempo da quando era entrato, ero preoccupata e ho pensato che gli fosse successo qualcosa. Così ho chiamato la sicurezza e, quando lo abbiamo trovato a terra, era troppo tardi.»
«E perché pensano che il colpevole sia stato lo Spaventapasseri? Non potrebbe essere stato colto da un malore?» Felicity si intromise e guardò i presenti cercando di capire cosa fosse accaduto in quello stesso giorno.
«Non proprio. Nolan è morto d’infarto, ma una telecamera esterna è riuscita a beccare lo Spaventapasseri mentre usciva da una porta secondaria del tribunale. Indossava un cappuccio in juta e un cappello di paglia. Chi altro si presenterebbe conciato in quel modo nel palazzo di giustizia, se non un pazzo omicida?» Dig sorrise alla sua amica e si avvicinò fino a stringerle la spalla con la sua grande mano, sussurrandole all’orecchio “E’ bello averti di nuovo qui!” .
«Perché non lo hai inseguito?» Chiese Oliver a Laurel. Era rimasto in silenzio ascoltando quanto aveva da raccontare la Lance, ma in entrambi si percepiva un rancore reciproco. Laurel strinse gli occhi come avvelenata dalla presenza di Ollie.
«Perché ho pensato che sarebbe stato rischioso inseguire un folle del genere da sola. »
«Potevi chiamarmi.»
«No, non potevo. Eri occupato a fare altro e non avrei voluto essere una distrazione per te.» Oliver la guardò serio e irritato dal comportamento infantile e poco professionale della sua collega. Afferrò l’arco e piegò il capo di lato prima di raggiungere la teca che proteggeva il suo costume verde.
«Laurel, per favore, potresti lasciare da parte i nostri problemi e concentrarti sul caso?» Laurel rivolse un sorriso falso al rimprovero di Ollie e alzò le mani in segno di resa. Felicity non capiva sul serio cosa stesse accadendo tra i due e moriva dalla voglia di scoprirlo. Forse, durante la settimana che aveva trascorso in ospedale, Oliver e Laurel avevano discusso sulla loro condizione; sapevano tutti che Laurel provava ancora qualcosa per il ragazzo ma nessuno mai aveva provato ad indovinare i sentimenti di Oliver.
«Come desideri. Ti aspetto fuori, credo che dovremmo fare un giro per ispezionare la zona dell’omicidio. Magari troviamo qualche indizio.» Laurel afferrò il giubbino di pelle che Sara le aveva regalato e passò davanti Felicity guardandola con odio palese. «Prova a mantenere gli occhi fissi sul computer questa volta. Non vorrei rischiare la vita nuovamente a causa tua.» L’ingratitudine di Laurel era tangibile. Ma ciò che ferì Felicity non furono le parole cattive di Black Canary, non si offese nemmeno nel sentirle dire che aveva rischiato la vita quando, invece, l’unica che corso la morte era proprio la giovane ragazza. No, ciò che ferì la signorina Smoak fu il forte odore di alcol che Laurel aveva lasciato al suo passaggio. Tutta famiglia Lance aveva sofferto per lo stato di salute sia fisico e mentale della donna, persino Oliver aveva sofferto per lei; non poteva credere che avesse ceduto ancora una volta all’alcol.
«Oliver…» Felicity chiamò debolmente il suo amico e quando intrecciarono i loro sguardi, non poté fare a meno di leggere la delusione e la rabbia che dimoravano negli occhi grigi di lui.
«Lo so. Le parlerò io, non preoccuparti. » Oliver era costretto per l’ennesima volta di occuparsi personalmente dei problemi di Laurel. Indossò la maschera verde e si aggiustò la faretra sulla schiena. «Trova tutti gli indizi possibili che ci portano allo Spaventapasseri. Qualsiasi cosa, va bene?» Felicity annuì alla raccomandazione di Ollie e Roy, lo seguì rapido per pattugliare il quartiere insieme.
«Come ti senti?» Dig volle assicurarsi che la sua amica stesse bene e si sedette al suo fianco, aiutandola nella ricerca che, diligentemente, Felicity aveva già iniziato.
«Se devo essere sincera, mi sento uno schifo.» Sorrise mentre apriva finestre e chiudeva siti della polizia in cerca del killer. «Cosa è successo tra quei due?» Fel non riusciva più a trattenere la sua curiosità, doveva a tutti i costi svelare quel mistero che la stava logorando.
«Credo che Laurel sia gelosa. Non riesce ad accettare il fatto che Oliver sia interessato a qualcun’altra che non sia lei.» Dig le indicò un nome sullo schermo a Felicity, scuotendo poi la testa quando  videro che non era l’uomo che cercavano. La biondina lo guardò oltre i suoi occhiali leggeri e sbuffò divertita.
«Questo è assurdo. Oliver farebbe di tutto per lei, a chi dovrebbe pensare se non alla mitica e gloriosa Laurel Lance?» Dig scoppiò a ridere non credendo alle sue orecchie.
«Felicity, fai sul serio? Mio Dio, siete così simili!» John aveva a che fare con due testoni, ecco la verità!
«Che intendi dire?» Felicity era concentrata nel leggere tutti i nomi degli schedati della polizia di Starling City e non stava prestando molta attenzione al suo migliore amico.
«Voglio dire che tu ed Oliver siete uguali. Non volete ammettere i vostri sentimenti, nonostante siano chiari a tutti.» Dig la guardò con le sopracciglia alzate e notando che la biondina non lo stava sentendo, decise di dire ciò che pensava da tempo. «Felicity, voi due vi amate!»
«Certo… Ehi, guarda… è stata da poco trovata una vittima al centro commerciale. Stacy Donald, imprenditrice trentaduenne, mamma di due figli. Pare che sulla scena del crimine sia stata rinvenuta della paglia. Avverto Oliver.» Fel annuì più volte e chiamò immediatamente Arrow, gli eroi là fuori forse erano ancora in tempo per acciuffare il criminale.
La ragazza sospirò, sentendo l’adrenalina ammontare in lei e quando prese atto di ciò che Dig le aveva poco fa detto, le si gelò il sangue.
Si voltò lentamente come se al suo fianco avesse un fantasma e con la voce tremante esclamo: «Aspetta… cosa hai detto?»

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Responsabile ***


Angolo della scrittrice: Buon pomeriggio! Eccoci di nuovo qui! Sapete? A volte penso che sia più difficile scrivere l’angolo della scrittrice che tutto l’intero capitolo! E’ incredibile perché voi mi lasciate ogni volta delle recensioni così carine che mi fanno davvero tanto piacere ma, come sempre, non so mai come ringraziarvi! Quindi, tutto ciò che posso scrivere è un immenso GRAZIE!
Come al solito, spero che anche questo capitolo vi piaccia e questo Spaventapasseri sembra proprio che non voglia essere trovato ma, purtroppo, ultimamente Oliver Queen è impegnato ad affrontare altri problemi, tipo Laurel Lance. Chissà, magari adesso sarà più libero di essere Arrow… Alla prossima!
 
 




Responsabile



 
 
«Perché fai quella faccia sorpresa?» Diggle non riusciva proprio a comprendere l’espressione stupita della sua amica. Persino i muri di quel covo grigio e freddo avevano ormai capito che, tra Oliver e Felicity, c’era ben più di una banale amicizia. Dig scosse la testa e sollevò appena le spalle come per incitare la ragazza ad ammettere i propri sentimenti. «Ѐ incredibile come ti ostini ancora a nascondere a te stessa i tuoi  sentimenti.» Fece una pausa, e cercò con lo sguardo gli occhi della biondina. «Felicity, quante ne avete passate? Quante cose sono successe tra di voi da quando vi siete conosciuti? Non sei stanca di nasconderti? Perché non gli parli?!» Felicity sospirò chiudendo gli occhi, posò il mento sulla sua mano chiusa a pugno sopra il tavolo. Come avrebbe potuto rispondere a Dig? Non sapeva nemmeno lei quale sarebbe stata la risposta più giusta in quel momento. Si era sentita mancare quando John le aveva fatto quella domanda poco prima; non tanto perché qualcuno avesse capito la realtà dei fatti, piuttosto perché, per la prima volta, aveva sentito con le proprie orecchie la verità su se stessa.
«Secondo te farebbe differenza se parlassi con Oliver?» riaprì gli occhi e guardò Dig con una espressione afflitta. «Un nuovo nemico sta allarmando la città. Starling ha bisogno del suo eroe, le persone hanno bisogno di Arrow, di un uomo che continui a lottare per loro.» Felicity sospirò e iniziò a mordicchiarsi l’unghia del pollice con nervoso. «Non posso svelare i miei sentimenti ad Oliver. Lui ha ben altro a cui pensare e sono certa che non prova le mie stesse emozioni.» Sbuffò con un mezzo sorriso, pensando a quanto sia assurdo che dopo tutto questo tempo, Oliver, possa corrispondere al sentimento di Felicity. “Ѐ così impossibile!” «Perché mai dovrebbe essere innamorato di me quando, al suo fianco, c’è Laurel Lance che lo tiene occupato tutto il tempo?» Scosse la testa con totale disapprovazione. «No, Oliver Queen, non mi amerà mai!» Diggle la fissò per tutto il tempo del suo discorso. Non poteva credere alle sue orecchie, se fosse stato un altro, a questo punto se ne sarebbe andato da un pezzo. Quei due ragazzi erano impossibili! Erano troppo testardi, troppo insicuri dei loro sentimenti, troppo concentrati nel cercare di fare la cosa giusta.
Ma John Diggle, amava Felicity e Oliver e avrebbe fatto di tutto pur di porre fine a questa sofferenza. Sofferenza che, tutti e tre, condividevano all’unanime.
«Felicity, Starling City avrà bisogno anche di Arrow. Ma tu hai bisogno di Oliver Queen.» Dig si alzò dalla sedia e andò a recuperare la sua giacca; si era fatto tardi e presto sarebbe dovuto tornare a casa da sua moglie e dal suo piccolo. Prima di andarsene, lanciò un’ultima occhiata a Felicity regalandole un sorriso dolce. «E inoltre… sono sicuro del fatto che anche Oliver abbia bisogno di te. Più di chiunque altro. Dovete solo cercare di far crollare i vostri muri.» Se ne andò dal covo, lasciando Felicity sola in quel bunker, cercando altre prove che incastrassero lo Spaventapasseri.
La ragazza guardò andare via il suo amico e iniziò a riflettere sulle ultime parole di John, l’avrebbero tormentata ancora per molto ma nel frattempo, avrebbe aspettato che il resto del team fosse tornato al covo e, a quel punto, avrebbe chiesto a qualcuno di accompagnarla al suo appartamento.
 
 
La mattina seguente
 
Felicity aveva passato una notte insonne. La ferita allo stomaco aveva ripreso a far male, questo perché si era sforzata troppo in quegli ultimi giorni. Aveva di nuovo dimenticato di prendersi cura di se stessa; troppo impegnata nel cercare un indizio sul nuovo nemico e sciogliere il dilemma che ormai la attanagliava dalla scorsa sera: parlare con Oliver oppure no.
Avendo chiamato un taxi, era arrivata al covo prima di tutti gli altri e pensò bene di mettersi subito al lavoro hackerando tutti i database della polizia locale, ma non era riuscita a trovare nulla di utile.
A Felicity le sembrò che lo Spaventapasseri sparisse come per magia quando agiva per uccidere le vittime. Non lasciava tracce, ne indizi, era impossibile da rintracciare perché, a quanto pareva, non usava automobili o mezzi pubblici tanto da poter essere riconosciuto. Tutto ciò che avevano a disposizione erano i video delle telecamere piazzate agli angoli della città ma, dopo l’omicidio nel tribunale, il criminale era impossibile da individuare anche attraverso quelle. La ragazza stava perdendo tutte le speranze per catturare il pazzo che stava terrorizzando la città e Oliver non era riuscito a fare molto durante la scorsa notte.
Forse, dovevano attenersi a piani più specifici, rischiare molto di più per riuscire ad acciuffare Spaventapasseri. Felicity mentre continuava a decriptare tutte le parole sullo schermo, girava concentrata il cucchiaino nella sua tisana calda, sperando con tutto il cuore che tutta questa faccenda non fosse uguale all’incubo vissuto con Slade.
«Sei mattiniera, oggi!» La mano di Oliver si posò sulla spalla minuta di Felicity e, quest’ultima, sobbalzò dalla poltrona quando avvertì un’altra presenza al suo fianco. Chiuse gli occhi portandosi una mano sul cuore per lo spavento, e fece cadere un po’ della sua tisana alle erbe sul tavolo bianco.
«Mi hai spaventata! Credevo che saresti arrivato più tardi…» La biondina riprese ancora fiato e Oliver si sedette al suo fianco con un sorriso di scuse stampato sul viso.
«Scusa, non volevo spaventarti. Eri così concentrata che non ho voluto disturbarti.» La guardò dolcemente e distolse subito lo sguardo per indicare con il mento barbuto lo schermo luminoso. «Novità?»
Felicity tirò su gli occhiali per rimetterli in sesto e con un grosso sospiro scosse la testa in segno di negazione. «Lo Spaventapasseri non vuole lasciare traccia di se, è così avvilente non riuscire a trovare una misera pista su cui indagare. Tutto questo mi sta mandando fuori di testa!» Allargò gli occhi per la frustrazione e si massaggiò la fronte con le dita, cercando di alleviare quel mal di testa costante che la stava facendo esaurire.
Ollie pose la mano su quella di lei e, stringendola lievemente, tentò di calmarla. «Lo prenderemo, non temere. Dobbiamo solo essere più furbi di lui!» Felicity incontrò lo sguardo del ragazzo e si sentì mancare il respiro. Le parole di Diggle le tornarono alla sua mente e non riuscì più a mantenersi calma. Abbassò lo sguardo deglutendo a fatica e, girando la mano, scivolò dalla presa di lui.
«Oliver… io…» si fermò, non sapeva come continuare. Una parte di lei le stava urlando che era il momento più adatto per dirgli cosa provava, ma dall’altra non ci riusciva. Aveva paura di essere rifiutata, di ricevere una solita risposta enigmatica tipica di Oiver Queen e, una tale negazione, non sarebbe stata capace di affrontarla. «Come sta Laurel? Ieri sembrava piuttosto alterata.» Ecco, ogni volta che avevano l’opportunità di rimanere soli, non perdevano tempo nell’usare Laurel Lance come una sorta di “ostacolo”, una specie di scusa per non affrontare l’inevitabile. Oliver sembrò scontento della domanda posta da Felicity e con una alzata di spalle, rispose il più neutrale possibile.
«“Alterata” è un eufemismo. Laurel ha ripreso a bere e questo non è un problema, è una tragedia.» Oliver si incupì velocemente, tutta la spensieratezza che aveva, sparì come fumo.  Felicity lo guardò tristemente, sapeva quanto potesse dargli fastidio tutta quella faccenda, non immaginava che Laurel potesse cadere nella trappola dell’alcol ancora una volta, ma a quanto pareva…
«Laurel, per favore!» Sia Oliver che Felicity si voltarono velocemente per guardare in alto, verso le scale che portavano all’entrata del covo. Dig stava tentando di trattenere Laurel sotto il braccio ma, lei, non sembrava entusiasta di quella presa non voluta. Colei che avrebbe dovuto rappresentare la figura dell’eroina per eccellenza, barcollava come se non avesse più un proprio equilibrio; in mano teneva con forza una bottiglia di vodka, ormai quasi del tutto prosciugata del liquido. Laurel scoppiò a ridere, provando a scendere i gradini con totale paura di tutti i presenti.
«Laurel! Che stai combinando?» Oliver si alzò dalla sedia visibilmente turbato da quella visione della sua amica del tutto fuori di se. La raggiunse immediatamente sulla scalinata per afferrarla e sorreggerla in modo da assicurarle protezione; ma Laurel non voleva contatto fisico da parte di nessuno. Si inciampò più volte con i propri piedi quando, finalmente, scese la scala precariamente.
Il suo obiettivo è sempre stato lì, di fronte ai suoi occhi. Ma non ha mai avuto il coraggio di affrontarlo. Troppo concentrata a comportarsi da eroina, troppo sicura di poter essere migliore di sua sorella. Tutto ciò che odiava e che, secondo lei, avrebbe rovinato i suoi ultimi quattro mesi, era proprio lì: Felicity Smoak.
«Tu.» Si avvicinò ciondolando le braccia lungo i fianchi verso la ragazza bionda che la guardava con sguardo preoccupato e terrorizzato. «Tu sei solo uno stupido impiccio.» Laurel era irrefrenabile, ormai. Il suo alito era pregno di alcol, e i suoi occhi erano talmente rossi da far paura. Oliver continuò a cercare una presa su di lei, per farla allontanare e ragionarci con calma, ma era tutto inutile.
«Laurel, ti prego. Stai rovinando del tutto la tua vita, non farti questo! Non lo meriti…» Felicity, mostrando ancora una volta la sua bontà d’animo, volle trovare un punto d’incontro con la sua rivale. Le faceva pena vedere Laurel in quello stato, perché solo una donna profondamente insicura e fragile poteva ridursi a quel modo. La signorina Lance strinse gli occhi e con nervosismo passò la mano libera tra i capelli colmi di nodi, esplodendo in una ira profonda e repressa per troppi mesi.
«Zitta! Ѐ tutta colpa tua! Prima c’era Sara ad ostacolarmi, ora sei tu!» Si era creata una situazione delicata nel covo. Diggle guardava Oliver con apprensione e Queen non sapeva come reagire. Laurel tirò su col naso, le lacrime scesero lungo le sua guance come un fiume in piena. «Ero riuscita a trovare un equilibrio. Ero diventata l’eroina di cui tutti avevano bisogno. Ero sicura di poter avere di nuovo il cuore di Ollie.» si voltò per guardare il suo vecchio amore. «Ero così vicina per averti di nuovo ma… ma ti sei innamorato di lei e ti sei dimenticato di nuovo di me. Perché Oliver…» gli si avvicinò supplicante «Perché?»
Oliver mandò giù quel grosso fardello che lo faceva soffocare. Non poteva rispondere lucidamente ad una donna ubriaca ed esaurita. Sarebbe stato come parlare con il muro. Chiuse gli occhi e provò a toglierle la bottiglia dalla mano, ma la presa era tropo solida.
«Laurel, ascoltami. Felicity non c’entra niente, il problema è nostro. Il problema è tuo… cerchiamo di ragionare…» Il tentativo di calmarla non andò a buon fine, Laurel si agitò ancora di più.
«Felicity, Felicity… sempre Felicity! E Se Felicity morisse?» Lanciò la bottiglia contro la biondina con una rabbia incommensurabile. Dig urlo “attenta” a Felicity e Oliver si gettò su Laurel per bloccarla a terra e fermare quel brutto spettacolo.
«Felicity? Guardami!» Diggle corse in aiuto della sua amica e le alzò la testa da terra. Felicity aveva un brutto taglio sulla fronte ma non aveva perso conoscenza. Corrispose allo sguardo di John e si rimise in piedi in fretta, tamponandosi la ferita con la mano.
«Ѐ solo un taglio… » La giovane rimase scioccata da quanto accaduto. Non immaginava che Laurel Lance la potesse odiare così tanto. «Oliver, deve essere aiutata. Non sopporto di vederla in quello stato. Si sta distruggendo!» Ollie respirò con il fiatone e Laurel continuava a piangere tra le braccia del suo ex fidanzato. Non potevano andare avanti così. A Starling City si stava diffondendo il terrore e la città aveva bisogno di aiuto, di eroi. Black Canary doveva essere vigile e affidabile, ma come poteva esserlo se la donna che indossava la maschera non era tale?
«Mi dispiace. Mi dispiace, Felicity.» Oliver guardò la sua partener con sincero dispiacere. Ancora una volta, Felicity era stata messa in pericolo.
Ancora una volta, Oliver sentì che ne fosse il responsabile.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Rivelazione ***


Rivelazione
 
 
 


 
«Ollie, sto parlando sul serio. Uno psicologo? Cosa ti fa credere che questo dottore riesca ad aiutarmi?» Laurel Lance era seduta sulla sedia della sala d’attesa e stringeva forte al petto la sua borsa nera lucida. Era nervosa e continuava a ripetere che nessun dottore avrebbe potuto aiutarla nella sua depressione. Oliver, al suo fianco, cercò di tranquillizzarla come meglio poteva.
«Laurel, anche io sto parlando sul serio. Hai bisogno di aiuto proprio come in passato.» Il ragazzo era irremovibile. Non aveva ancora smesso di sentirsi in colpa per quando accaduto nel covo; Laurel forse non era innamorata di Oliver ma sicuramente provava un sentimento molto forte per lui e il giovane non aveva fatto altro che causarle dolore in tutto questo tempo. Doveva mettere in chiaro alcune cose ma non lo aveva mai fatto e ora non poteva più rimediare. O forse sì.
Aveva promesso a se stesso che non l’avrebbe lasciata sola come l’ultima volta, e si sentì  in dovere di accompagnarla dal terapeuta.
Laurel sbuffò appoggiando il capo contro il muro dietro la sua schiena, si sentiva in trappola. Se si trovava in quello studio medico, era solo a causa propria. Si era comportata da bambina, non aveva saputo gestire le sue emozioni e questo non aveva fatto altro che crearle problemi. Non solo a se stessa, ma anche a tutti gli altri. Soprattutto a Felicity.
«Prima che mi chiamino per entrare in quella stanza, voglio sapere cosa ti ha fatto innamorare di lei.» Laurel era testarda, doveva sapere a tutti i costi la verità anche se le avrebbe fatto male sentirla. Fissava Oliver in attesa di risposta e quando lo vide irrigidirsi sulla sedia e voltare leggermente il capo, capì che il discorso lo metteva a disagio o, semplicemente, non voleva che lei ficcasse il naso in affari che non la riguardavano.
«Di cosa stai parlando?»
«Ollie, smetti di fingere. Dimmelo.»
Oliver strinse le labbra e i pugni. Non voleva rispondere alla sua ex, semplicemente non voleva parlare. I suoi sentimenti dovevano rimanere privati, non sopportava quando qualcuno voleva intrufolarsi con prepotenza nel suo cuore e, Laurel, stava facendo proprio questo. Queen, però, era stanco. Era stanco di fingere, era stanco di mentire alle persone che gli erano attorno, era stanco persino di mentire a se stesso. “Perché continuare a tenerlo nascosto? Perché non dire semplicemente la verità? Verità, tra l’altro, che tutti ormai sono venuti a conoscenza!” Questo, era il pensiero che lo accompagnava giorno e notte.
«Non c’è una spiegazione all’amore. » Finalmente parlò. Iniziò a liberarsi di quel fardello che lo opprimeva da mesi; forse lo stava ammettendo alla persona sbagliata, ma una cosa era certa: non poteva tornare più indietro. Stava per mettere a nudo la verità e non c’era nessun pericolo imminente che lo avrebbe salvato dal non parlare e fermarsi in tempo. «Un giorno incontri una persona per caso, la guardi, l’ascolti e tutto ciò che pensi è: “Parla così veloce!”» sogghignò sommessamente perso nei ricordi piacevoli che aveva vissuto. «Ho continuato a credere che tutte le donne mi meritassero tranne una. Lei era troppo per me. Troppo intelligente, troppo brillante…» fece una pausa scuotendo lievemente la testa «Così ingenua…» Abbassò la voce fino a fissare il pavimento. «Io, non so cosa mi ha fatto innamorare di lei. La amo e basta…» non aveva la forza di continuare, aveva confessato fin troppo e nel suo discorso spezzato e sicuramente poco esplicativo per Laurel, non aveva mai menzionato il nome della ragazza che effettivamente amava. Oliver pensò che tenere ancora segreto il nome di Felicity, era un po’ come preservare la sorpresa.
Laurel l’ascoltò in silenzio e quando l’amico finì di parlare, sospirò rassegnata.
«Ho desiderato tante di quelle volte sentirti parlare in questo modo quando stavi con me…»
Oliver guardò la donna, incuriosito e sinceramente sorpreso. «In quale modo intendi?»
Laurel scrollò le spalle e guardò in alto in modo sconsolato. «Innamorato. Sognante, amorevole, perso di lei.» Odiava ammetterlo, ma era invidiosa di Felicity. «Non ti ho mai visto così preso da qualcuna. Con me non lo sei mai stato, nemmeno con Sara. Sembra quasi che hai paura di poter distruggere la più bella cosa che ti sia mai capitata nella tua vita.» strinse gli occhi studiando più attentamente Oliver. Il giovane non aveva mai pensato che un giorno, si sarebbe potuto innamorare veramente. Non rientrava nei suoi piani esserlo. Laurel lo aveva descritto in maniera impeccabile e si spaventò nel sentirsi dire tali parole. Lui era preso, talmente preso da iniziare a credere di essere diventato pazzo.
«Buongiorno signorina Lance.» Entrambi i ragazzi alzarono all’unisono il capo quando videro lo psicologo uscire dal suo studio. Era un uomo elegante, indossava un completo marrone e una cravatta rossa, i lineamenti del viso erano marcati e decisi; i suoi zigomi pronunciati lo facevano sembrare una specie di manichino. Il suo portamento, tuttavia, era decisamente in conflitto con la sua età apparente, Oliver non avrebbe saputo stimare un numero preciso ma ad occhio e croce, il dottore era piuttosto giovane. «Scusate l’attesa» allungò la mano per afferrare quella di Laurel e, l’analista, con i suoi occhi color ghiaccio ed un sorriso caldo, cercò di metterla a suo agio.
«Non si preoccupi dottor Crane, non abbiamo aspettato molto.» Oliver si sentì fin da subito riconoscente nei confronti dell’uomo che aveva di fronte, in fin dei conti, rappresentava l’unica e l’ultima salvezza della sua amica.
«Ti prego, chiamami Jonathan. Tutto ciò che desidero per i miei pazienti è di farli sentire in famiglia.» Jonathan Crane guardò Oliver da dietro i suoi occhiali da vista, e Laurel annuì ansiosa per la sua prima seduta.
«Grazie, dottore. Spero di uscire da questo brutto incubo.»
«Non temere, Laurel. Vedrai, quest’incubo non sarà altro che un vecchio ricordo un giorno…» Crane sorrise e lasciò andare la mano della nuova paziente e poco prima che Laurel facesse cadere il braccio lungo il fianco, Oliver le afferrò il polso. Credeva di aver visto male e invece… sulla manica nera della ragazza, c’erano piccolissimi frammenti di paglia. Ollie ne tolse una per osservarla meglio da vicino, sotto lo sguardo stupito dei presenti. Quel che doveva essere un incontro tranquillo, si stava rivelando il più curioso e strano di sempre.
Quell’attimo sembrò durare ore infinite; Oliver fulminò con lo sguardo Jonathan Crane e subito dopo cercò gli occhi complici di Laurel. I tre avevano capito cosa stava accadendo, ma nessuno di loro era sicuro di avere la risposta giusta alle proprie supposizioni. Trovare della paglia sulla manica di Laurel Lance, significava solo una cosa: lo Spaventapasseri.
«Che sciocca! Chissà come mi sono procurata questa paglia sulla maglia… sono proprio sbadata!» Laurel tentò di smorzare la tensione che si era creata e sembrò riuscirci. Crane sorrise affabile e allungò nuovamente la mano, questa volta per porgerla ad Oliver e così salutarlo ma, il ragazzo, non corrispose subito. L’analista era riuscito a conquistare da subito la fiducia di tutti, compresa quella di Ollie. Ma adesso sentiva di mostrare diffidenza nei confronti dell’uomo, c’era ancora un serial killer in città  e per quanto ne sapessero, poteva essere chiunque. Queen, strinse alla fine la mano al dottore, anche se quel gesto celava un avvertimento chiaro e diretto.
«Ci vediamo più tardi, Laurel.» Salutò la ragazza incerto su cosa dovesse fare. Sicuramente non poteva restare ancora nello studio dello specialista, doveva correre immediatamente al covo e metter su immediatamente un piano per stanare una volta per tutti lo Spaventapasseri. A Felicity, avrebbe fatto hackerare ogni database esistente se necessario. Qualunque cosa pur di porre fine a questa assurda caccia al topo!

 
Poco dopo nell’Arrow Cave
 


Oliver entrò nel covo e vide subito la coda bionda di Felicity ondeggiare sulla schiena mentre parlava con con Diggle. Corse giù per le scale, attirando l’attenzione degli altri.  «Credo di avere una pista!»
«Oliver!» Felicity si voltò agitata e Dig passò una mano sul proprio viso. «Noi abbiamo di meglio. Sappiamo chi è lo Spaventapasseri!»
«Cosa? Chi? Perché non mi hai chiamato subito?!» Felicity venne sommersa dalle domande di Oliver e portò in avanti le mani per farlo zittire.
«Stavo per farlo, Oliver. Lo abbiamo appena scoperto.» Il ragazzo strinse le labbra e i pugni all’unisono, ritrovando la calma per affrontare la situazione, aspettando che Felicity o Dig, continuassero a spiegarsi. «Non capivo per quale motivo non riuscissi a trovare nulla nei database che hackeravo. Così, ho pensato che, forse,  il nostro problema non è l’assassino, ma le vittime.»
«Che vuoi dire?»
«Felicity ha trovato un curioso particolare che accomunava le persone uccise in questi ultimi giorni.» Intervenne Dig, seduto sulla scrivania dei computer. Felicity annuì e girò le spalle per tornare ad aprire schede utili sul suo pc.
«Esattamente.» Indicò una finestra sullo schermo luminoso. «Le vittime, erano pazienti dello stesso psicologo. Lo so che può sembrare strano ma io penso che sia possibile.» Tornò a guardare Oliver tirando su gli occhiali dal naso. «Tutte loro hanno avuto un attacco cardiaco e da quanto scritto sulle cartelle cliniche, la causa sarebbe stato il panico.»
«Cioè, sono morti di paura?» Ollie era confuso, non aveva mai sentito niente di simile; soprattutto perché nessun serial killer fino ad ora aveva mai pensato di usare lo spavento come arma.
«Sì, è terrificante. Beh, forse non è la parola più adeguata ma non so in che altro modo spiegare tutto questo casino.» Felicity, imbarazzata, sospirò abbassando lo sguardo, non potendo tenere a freno la sua lingua. Dig trattenne un sorriso e guardò il suo amico con la fronte aggrottata.
«Oliver, è tutto vero. Abbiamo perso tempo finora. Eravamo troppo concentrati a stanare il colpevole, dovremmo agire in fretta. Subito!»
Oliver annuì  e si diresse verso la teca di vetro. «Chi è lo Spaventapasseri?»
«Jonathan Crane.» Felicity pronunciò quel nome troppo velocemente ma Oliver aveva capito perfettamente. Sgranò gli occhi e aprì la teca strappando via l’uniforme verde ma proprio in quell’esatto momento, il suo cellulare squillò. Sul display apparve la foto di Laurel e non perse tempo nel risponderle. «Laurel? Che succede?»
«Laurel non è al momento disponibile, signor Queen. Ma presumo che lei lo sia. O sbaglio, Arrow?» Oliver diede un pugno sul tavolo lì accanto e digrignò i denti.
«Cosa le hai fatto?»
«Oh, io niente, signor Queen. Non sono io ad aver paura. La signorina Lance invece…» Oliver ascoltò le parole del pazzo e fece segno a Felicity di rintracciare la telefonata. Prima che Crane riattaccasse, però, l’orecchio di Ollie venne investito da uno strillo acuto e pieno di terrore di Laurel, accompagnato da una risata isterica e inquietante dello psicologo che la teneva in ostaggio.
«Dannazione!» La sua rabbia ormai era incontrollabile. Aveva conosciuto lo Spaventapasseri solo poche ore prima e gli era sembrato un uomo intelligente e scaltro. Ma quella paglia sul braccio di Laurel! Era il segnale, il campanello d’allarme e in cuor suo Oliver lo aveva capito subito che c’era qualcosa di strano nello psicologo. Issò in spalla la faretra e le frecce. «Dig, ho bisogno del tuo aiuto. Crane ha scoperto chi sono e ha preso Laurel. Dobbiamo muoverci!»
«Cosa? Possibile che tra tutti i psicologi che ci sono a Starling City, Laurel ha dovuto scegliere proprio il meno opportuno?» Dig scosse la testa e si affrettò a caricare la pistola e andare accanto ad Oliver per ricevere ulteriori spiegazioni.
«Non poteva saperlo, Dig. Dove si trovano, Felicity?»
«In un vecchio stabile abbandonato sulla 5° strada.» Lesse le coordinate sul computer stanando il segnale GPS del cellulare di Laurel. «Ehi! Un momento!» Felicity protestò e afferrò il braccio del suo eroe. «Oliver, non sei pronto per combatterlo. Lo Spaventapasseri usa un gas particolare per infondere alle vittime la paura. Non è così semplice fermarlo.» Fel, scoprì tutto in quelle ore passate a criptare ogni informazione che aveva trovato e non poteva permettere ad Oliver di affrontarlo e rischiare la vita senza avere la minima idea di come fronteggiarlo.
«Felicity, lo fermerò ma devo intervenire subito!»
«No! Tu non capisci!»
«Cosa devo capire, allora?» Oliver perse la pazienza e, togliendo la mano di Felicity dal proprio braccio, strinse con forza il polso della ragazza.
«Oliver, le stai facendo male…» Dig fece un passo avanti ma l’eroe lo fermò con una occhiataccia.
«Inizia ad andare, ti raggiungo presto.» John guardò un’ultima volta Felicity e in silenzio, uscì sbattendo rumorosamente la porta del covo. La ragazza sospirò e il polso stretto nella morsa di Oliver, iniziò a dolere prepotentemente.
«Oliver, hai bisogno di aiuto per fermare lo Spaventapasseri. Non credere che bastino delle frecce per metterlo K.O.»
Oliver sbuffò col naso e si avvicinò ancora di più a Felicity per incuterle timore. «Cosa suggerisci, quindi?»
La biondina sapeva cosa stava facendo e non volle dare vinta ad Oliver. «Un diversivo. Hai bisogno di qualcuno che distragga Crane in modo che tu possa acciuffarlo e liberare Laurel.» Deglutì a fatica per quello che stava per dire ma secondo lei, era il piano migliore. «Usa me. Proprio come abbiamo fatto con Slade. Mentre tu e Dig entrerete nel vecchio edificio attirando l’attenzione dello Spaventapasseri, io potrò liberare Laurer!» Oliver puntò lo sguardo altrove e aggrottò le sopracciglia.
«Felicity, è il piano più stupido che io abbia mai sentito!»
«Perché?»
«Perché non ti metterò nuovamente in pericolo a causa mia o di Laurel. Con Slade ho dovuto fare l’impensabile ma non credere che possa usarti come esca ogni volta che ce n’è bisogno.» Oliver lasciò andare con uno strattone il polso della sua IT girl e con passo veloce si diresse verso le scale.
«Come pensi di fermarlo? Non hai idea di cosa accadrà una volta che vi incontrerete! E comunque è una mia scelta!» Felicity urlò nervosa con lo scopo di farlo arrestare, e ci riuscì. Oliver voltandosi, la guardò infuriato.
«Non è una tua scelta. Ѐ una mia scelta!» Si puntò il petto con il dito avvolto nel guanto. «E scelgo di non metterti in pericolo perché tengo a te più di ogni altra cosa, voglio che tu stia al sicuro e voglio trovarti qui al mio ritorno. Perché non posso perderti. Perché ciò che ho detto prima di incastrare Slade era tutto vero e usarti nuovamente come diversino mi manderebbe fuori di testa! Perché ho bisogno di te.» Queen aveva il fiatone ma non distolse mai i suoi occhi da quelli di lei. «Tu, qui, nel covo!  Hai capito?» La fronte di Oliver era imperlata di un leggero sudore e le guance si erano tinte di una tonalità rosa piuttosto evidente. Felicity sembrò essere congelata nella sua stessa posizione e un timido sospiro le mozzò il fiato in gola. Per la seconda volta, si trovò nella condizione di non sapere e non riuscire a dire nulla. Ma proprio come un anno prima, dalle sue labbra, uscì un flebile e timido: «Sì.»












Angolo della scrittrice: Eccoci, finalmente, di nuovo qui! Il 6° capitolo è stato davvero infernale da terminare. Prima sono stata impegnata e quindi non ho avuto tempo di aggiornare la FF, poi è arrivato il Comic Con di San Diego e ho dovuto salvare moltissime foto per postarle tutte nella mia pagina Olicity! Ma ce l'ho fatta! 
Spero che questo capitolo vi piaccia come tutti gli altri finora letti!
Una piccolissima chicca: il cattivo, se volete dargli un volto, potete prendere questo attore come esempio, dato che mi sono liberamente ispirata allo Spaventapasseri in Batman Begins di Nolan! 
http://media.cineblog.it/s/spa/spaventapasseri.jpg 
Come sempre, GRAZIE a tutti quelli che recensiscono sempre la mia storia! Leggere le vostre parole mi rende super contenta!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Esperimento ***


Esperimento
 






 
 
«Dig, vedi niente?»
«Ci sono molte stanze, lunghi corridoi e infiniti gradini.» Diggle e Oliver erano arrivati all’edificio abbandonato dove Jonathan Crane aveva portato Laurel dopo averla rapita. L’arciere verde si trovava al settimo ed ultimo piano di quel palazzo abbandonato e tutto ciò che aveva di fronte, era un ampio appartamento con il pavimento in cemento , circondato da grandi colonne intervallate da spazi aperti senza alcun tipo di protezione.
Si avvicinò alla colonna più a nord e, con cautela, si sporse leggermente. Non soffriva di vertigini, ma persino per lui, era un’altezza notevole quella che lo separava dal suolo in basso. Sospirò tirandosi via tempestivamente, aveva sentito un rumore e si girò per controllare immediatamente. Prese la faretra e incoccò la freccia. Con sguardo  vigile, perlustrò ogni angolo di quel posto ma non trovò nulla.
“Forse è stato il vento” pensò in fine.
«Oliver, ho sentito un rumore!» Dig avvertì l’amico attraverso l’auricolare e Oliver volle subito delle spiegazioni.
«A che piano sei?»
«Sono al quarto pia… o mio Dio!» Oliver percepì subito del pericolo nel tono della voce di John e iniziò a preoccuparsi per il suo fedele alleato.
«Dig? Che succede?»
«Non lo so! C’è del fumo…» Diggle prese a tossire e i suoi rantoli fecero scattare Oliver.
«John, sto arrivando! Intanto va via da lì!» Ollie non aveva idea di cosa stesse accadendo, ma tutto ciò, era presagio di sventura. C’era lo zampino di quel pazzo criminale e Oliver iniziò a credere che fosse una trappola. «Diggle! Rispondimi! Dig!»
«John Diggle è un uomo forte, Oliver Queen. Non temere per lui. Sopravvivrà.» Oliver si voltò di scatto appena sentì quella voce pacata e allo stesso tempo gelida e letale. Sgranò gli occhi quando scorse, poco distante da lui, Jonathan Crane che sorrideva affabile mentre giocherellava con un cappuccio di paglia tra le mani.
Oliver impugnò nuovamente il suo arco e puntò la freccia letale, contro il petto dello psicologo.  «Questa storia è durata fin troppo, voglio sapere cosa vuoi da questa città e dov’è Laurel.» Il tono del ragazzo era fermo e deciso come sempre. Restò nella sua posizione,  aspettando che il dottore parlasse e svuotasse il sacco. Il nemico sorrise senza emettere nessun suono, le sue guance si alzarono e gli occhi gelidi divennero due fessure oltre i propri occhiali.
«Il problema di voi eroi è che avete sempre voglia di parlare tanto. In realtà dovreste solo agire in fretta.» Crane continuava a giocare con il cappuccio di paglia e, sollevando le sopracciglia, iniziò a camminare avanti e indietro, improvvisamente interessato ad un filo fuori posto su quel copricapo. «Tu, per esempio, avresti dovuto scoccare la tua freccia appena mi hai guardato negli occhi.» Alzò lo sguardo verso Arrow e si fermò un momento per studiarlo attentamente e, subito dopo, riprese a camminare. «Eppure non lo hai fatto. Perché?» Il serial killer si fermò ancora e tornò a prestare attenzione all’arciere verde.
«Smettila di psicanalizzarmi. Ti ho fatto una domanda. Rispondimi subito!» Oliver alzò la voce e tese ancora di più la freccia sull’arco; le chiacchiere non erano mai state il suo forte e odiava quando qualcuno lo facesse ripetere.
Crane sbuffò divertito e con passo lungo, si avvicinò ad una colonna di quell’appartamento. «Come posso smettere di psicanalizzarti, se tu sei uno dei casi più interessanti che mi siano mai capitati? Sei così, devastato, Oliver Queen!» Si passò una mano tra i capelli folti e inumidì le labbra con la punta della lingua. «Ti trovo estremamente affascinante. Un eroe dedito alla propria causa, un uomo che cerca di assicurare la vita di una persona ma si dimentica di vivere la propria. Dimmi, come pensi di risolvere questo problema?»
«Adesso basta!» Oliver non era famoso per essere un tipo paziente e Jonathan Crane stava cercando di riempire la sua testa con più parole possibili, solo per confonderlo e distrarlo. Il giovane aveva capito il suo trucco e, stanco di come stavano andando le cose, decise di scoccare la freccia.
«Attenzione!» Crane sollevò l’indice destro e arrestò Oliver. «Se mi infilzerai con quella freccia, sappi che io premerò questo bottone rosso e farò saltare in aria il tuo avvocato.» Mostrò a Queen una piccola scatolina nera con, al centro, un evidente bottone rosso.
Oliver respirò forte col naso e strinse le labbra infuriato. «Dov’è lei?»
«Come puoi non averlo capito?» L’assassino scoppiò in una risata folle e indicò la colonna al suo fianco. Oliver corse in quella direzione e si sporse con il busto. Temeva che avrebbe trovato uno scenario raccapricciante in basso, invece, ciò che vide, fu ancora più terrificante.
Laurel era legata con grosse corde marroni, e penzolava letteralmente nel vuoto. Era appesa al cornicione in alto e Oliver non avrebbe potuto vederla prima, la colonna gli copriva la visuale. Laurel, non poteva chiedere aiuto. La ragazza era priva di sensi e sulla bocca aveva del nastro adesivo grigio; e sul suo petto, era fissato un piccolo ordigno che, come aveva fatto presente Spaventapasseri, poteva far esplodere da un momento all’altro.
Oliver tentò di afferrarla, ma Laurel era troppo distante per essere presa e salvata. Con un suono gutturale, si scagliò contro Crane e lo gettò a terra dandogli un pugno. «Lasciala andare. Lei non c’entra nulla!»
Lo psicologo scoppiò in quella sua risata isterica e, nonostante il suo labbro sanguinasse, sembrava non avvertire alcun dolore. «Hai ragione. Sei tu quello che m’interessa!» Il pazzo criminale fu più scaltro e furbo dell’eroe, alzò il polso sinistro e pigiò una  levetta dell’orologio.
Del fumo verde e dalla puzza  solforica investì velocemente il viso di Oliver. Si sentì soffocare e la tosse non tardò ad arrivare; si allontanò dal corpo dell’avversario e si rese conto di non riuscire a tenersi in piedi. Gli girava la testa e la vista era annebbiata, vedeva doppio e le vie respiratorie bruciavano.
Cadde a terra sulle ginocchia e, con una mano, cercò a tentoni il pavimento ma ebbe la sensazione che sotto di lui ci fosse il vuoto più assoluto. Sollevò il viso strizzando le palpebre ma ciò che vidi lo fece rabbrividire.
«Felicity! Felicity! Che cosa le hai fatto?» Urlò con tutto il fiato che gli era rimasto, non poteva credere ai suoi occhi. Felicity ciondolava dal soffitto senza nessun segno di vita, una corda, la stessa con cui era legata Laurel, cingeva fortemente il collo delicato della ragazza. Oliver scoppiò in lacrime e, senza alcun successo, provò a raggiungere la sua IT girl. «Felicity…» Quando allungò il braccio per toccarla, le gambe della giovane svanirono tra le dita dell’arciere, come se fossero state di fumo.
«Interessante, signor Queen. Deduco che la sua più grande paura è quella di vedere la sua amata senza vita.» Quella voce che odiava, irruppe nelle orecchie di Oliver. Si guardò intorno per capire da dove provenisse e quando distinse una figura sfocata tra il fumo verde, cominciò a correre carponi.
Oliver Queen ne aveva passate tante, ma aveva smesso di avere paura da tanto tempo ormai, eppure… eppure ora si sentiva morire di terrore. Una maschera agghiacciante, fatta di paglia e sangue, incombeva sopra di lui. Si stese a terra supino, coprendosi il volto con le braccia. Una risata malefica continuò ad echeggiare in quell’appartamento vuoto e deserto e quando aprì gli occhi, ancora una volta vide Felicity.
«Guarda. Guarda cosa mi hai fatto.» Oliver scosse la testa spaventato nel sentire le accuse che gli rivolgeva la sua dolce ragazza. “Non può essere lei” pensò l’eroe. Felicity si avvicinò trascinandosi a terra, i capelli erano scompigliati e metà volto era sfigurato. Le mancava un occhio e tutta la parte sinistra del viso era totalmente bruciata e sanguinante. «Ѐ tutta colpa tua, Oliver. Sono morta a causa tua!»
«NO!» Oliver si sentì morire solo al pensiero di Felicity morta o ferita a causa propria. Lei era di fronte a lui, avrebbe voluto toccarla e rassicurarla ma non poteva, si sentiva tremendamente in colpa. Le ha causato troppo male per meritare il suo perdono e ora era troppo tardi, Felicity non c’era più. «Mi dispiace, è tutta colpa mia. Non volevo farti del male!» Oliver si rannicchiò su stesso in preda alle convulsioni, il cuore gli faceva male e sentì una prepotente fitta al braccio sinistro.
«Anche tu, eroe, non sei immune alla paura.» Non bastava il dolore che stava provando il ragazzo, lo Spaventapasseri aveva deciso di torturarlo non solo fisicamente, ma anche mentalmente. «Tutto ciò che volevo, era sapere quanto un uomo distrutto e devastato come te, potesse reggere al terrore. Davvero poco, sfortunatamente.» Crane rise, in quel modo viscido e sconsiderato che avrebbe fatto venire i brividi anche alla persona più coraggiosa del pianeta. Oliver lo ascoltò, ma ogni parola dello psicologo gli arrivarono flebili e lontane. Non riusciva a distinguere il vero, dal falso. E per quanto ne sapesse, quella Felicity, così minuta, che sosteneva a stento Diggle, seguita da una squadra di poliziotti che catturava Crane, poteva essere tutta finzione.
Si sentiva leggero e privo di sensi di colpa. Una serenità anomala lo accolse in modo inquietante, stava per andarsene, e come ultima immagine che avrebbe portato con se anche nell’aldilà, sarebbe stata la sua Felicity che correva verso di lui. 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Unthinkable? No more. ***


Unthinkable? No more.




 
 
 
 
«Oliver!» Felicity, appena vide il ragazzo immobile a terra, lasciò Diggle nelle mani di un poliziotto e corse verso l’eroe incappucciato. Non le importava se aveva appena svelato il vero nome del Vigilante, non le importava se in quell’appartamento rude, era presente anche Quentin Lance; ciò che era fondamentale in quel momento, era soccorrere Oliver Queen.
Fel fu subito dal suo amico e gli prese la testa tra le mani. Lo scosse cercando di procurare qualsiasi specie di reazione ma, purtroppo, il corpo fermo e rigido di Ollie, non prometteva nulla di buono. «Oliver, dannazione, riprenditi! Mi senti?» La ragazza gli tolse il cappuccio e avvicinò il proprio orecchio al naso dell’eroe. Non respirava. Felicity gli alzò le palpebre e le iridi chiare erano rovesciate all’indietro; gli diede uno schiaffo in preda all’ansia, ma non c’era modo di svegliarlo. «Oliver, ti prego, non lasciarmi. Ti prego!» Velocemente gli sbottonò  la felpa di pelle che gli avvolgeva il petto. Non era molto pratica nel pronto intervento ma sapeva che, con la respirazione bocca a bocca e un massaggio cardiaco, si poteva acquistare tempo. Posizionò le proprie mani sopra il cuore di Oliver e le sovrappose. «Uno, due, tre, quattro, cinque…» iniziò a contare ritmicamente mentre gli massaggiava il torace; continuò, non si arrese, frizionò il cuore fin quando non sentì dolore alle braccia. Dietro di lei, nel frattempo, si sentivano urla da parte di poliziotti e di Jonathan Crane. A Felicity non le importava però, non le interessava cosa stava accadendo, voleva solo riportare in vita il suo unico amore. «Oliver, avanti! Non puoi lasciarmi in questo modo. Ho bisogno di te!» Avvertì le proprie lacrime a iniziare a solcare le guance chiare. Tirò su col naso e smise con il massaggio cardiaco. Gli tappò le narici con due dita e gli aprì leggermente le labbra per appoggiare le proprie a quelle di lui. Soffiò profondamente, una volta, due volte, tre volte… fin quando sentì che non aveva più fiato in corpo. Si lasciò andare ad un singhiozzo di paura e stremo, non sapeva più che fare. Oliver non si svegliava e non poteva chiedere aiuto a Diggle dato che non aveva ancora ripreso perfettamente coscienza.
«Ѐ morto. Il tuo eroe è morto!» Felicity aveva il fiatone e volse il capo appena sentì il grido dello Spaventapasseri proprio dietro di lei. Lo guardò in quegli occhi chiari e gelidi e una rabbia profonda e viscerale, investì la ragazza come una tempesta. Strinse gli occhi e tornò sul corpo morto del Vigilante. «Tu non morirai, non oggi!» Tirò su le maniche fino al gomito e prese lunghi respiri per ricaricarsi. Spostò ancora di più la felpa verde del ragazzo per avere il busto completamente esposto. Serrò le mani e con una rincorsa le portò sopra la testa. «Ti amo. Hai capito?» Pronunciò quella frase a denti stretti, con tutto l’odio e l’amore che provava nei confronti di Oliver Queen. Scagliò i pugni contro il torace del giovane, con una tale forza che non pensava di possedere. Pensò di avergli fatto del male ma al contrario, sembrò funzionare!
Oliver spalancò gli occhi e, sobbalzando, si sollevò da terra respirando fortemente. Tossì grave e si toccò il petto con la mano. Tirò indietro la testa cercando ossigeno; girò la testa alla sua sinistra e finalmente vide l’angelo che lo aveva salvato. Le sorrise debole e allungò la mano per chiuderla sulla guancia di lei bagnata dalle lacrime.
«Mi hai salvato…»
Felicity annuì velocemente e tirò ancora su col naso. Prese la mano di Oliver e gli diede un bacio fugace. «Lo farò sempre!» Rimasero alcuni minuti fermi in quelle loro posizioni. Lui si stava aggrappando alla consapevolezza che lei era reale. Non era un’allucinazione. Felicity era lì, davanti a lui, la stava toccando, non era ferita, stava solo piangendo, ma nei suoi occhi vi leggeva felicità nonostante tutto.
«Grazie» Oliver sussurrò quelle parole poco prima di poggiare la fronte sulla spalla piccola di Fel.
La ragazza colmò quella distanza con un abbraccio. Avvolse il giovane con le braccia e gli diede un bacio sui capelli. «Non dirlo neanche per scherzo.» Sentiva il fiato corto e affaticato dell’arciere, solleticarle il collo. C’era ancora trambusto alle spalle di lei, ma non aveva alcuna importanza. Stavano vivendo il loro momento felice e, per una volta, sentirono entrambi di essere uniti nell’anima all’unisono.
Oliver, d’un tratto, alzò il viso e allarmato guardò oltre Felicity. «Laurel deve essere salvata, lei è ancora dietro quella colonna!»
«Oliver, è tutto ok. Laurel sta bene.» Fel, voltandosi, indicò Quentin. «Guarda, è con suo padre.» Li guardò ancora. Lei era scossa ma non sembrava avere ferite gravi. Oliver sospirò sollevato e anche lui restò in silenzio a osservare gli altri. Lo Spaventapasseri non era più nell’appartamento, forse la polizia lo aveva catturato. Dig era poggiato al muro e aveva gli occhi chiusi; Dio solo sa cosa gli era capitato, giù, al quarto piano! Laurel aveva delle profonde occhiaie violacee e lo sguardo perso nel vuoto.
«Ho bisogno di sapere cosa è successo, Felicity.»
«Lo so, ma non ora.» La ragazza tornò a prestare attenzione ad Oliver e subito gli coprì il viso con il cappuccio. «Tu e Diggle avete bisogno di riposo, quando vi sarete ripresi vi spiegherò tutto.»
«Aspetta…» Oliver provò ad alzarsi ma gli venne un capogiro, così, Felicity fu subito in suo soccorso e l’aiuto a rimettersi in piedi. Fece passare il braccio grosso sulle spalle piccole di lei e con una spinta lo riportò in sesto.
«Dig!» Felicity chiamò il loro amico che subito alzò lo sguardo nella loro direzione. «Andiamo al covo.» John annuì e, zoppicando, iniziò ad uscire da quell’appartamento del terrore. Oliver, prima di seguire il passo di Felicity, guardò Laurel. La donna seguì con lo sguardo i suoi due compagni di avventura e sorrise. Un sorriso fragile, proprio come era lei in quel momento.
«Detective?» Ollie chiamò Quentin e il signor Lance sospirando ascoltò il Vigilante. «Dove è stato portato lo Spaventapasseri?»
«Verrà trasferito all’Arkham Asylum di Gotham City. Quel pazzo ha bisogno di essere internato e spero che soffra tanto da fargli rimpiangere di essere nato!» Quentin Lance era adirato e nervoso, Jonathan Crane aveva messo in pericolo la vita di sua figlia e, Oliver, non poteva certo biasimarlo. Con un cenno del capo, Ollie annuì e lasciò che i poliziotti continuassero il loro lavoro, sparendo così nel buio di quell’edificio.
 
 
 
 
 
 
La mattina seguente
 
 
 
Starling City, era di nuovo al sicuro.
Erano passate solo 24 ore dall’arresto di Jonathan Crane eppure, quasi magicamente, durante la notte nemmeno una sirena della polizia aveva svegliato i cittadini della metropoli. Come d’incanto, sembrava che la criminalità avesse deciso di andare in vacanza.

“Lo Spaventapasseri è stato catturato. Il criminale soffriva di disturbi di bipolarismo.”


“Jonathan Crane alias Spaventapasseri sarà solo un incubo per Starling City. Catturato e trasferito a Gotham City, verrà sottoposto a cure psichiatriche. “


“Bruce Wayne, magnate della ‘Wayne Enterprises’ dona una sostanziale somma di denaro alle famiglie delle vittime dello Spaventapasseri.”
 
Oliver, seduto sulla panchina del parco della città, sfogliava il giornale leggendo i titoli più interessanti.
Sorrise in silenzio leggendo che quel magnate miliardario aveva donato così tanti soldi alle famiglie delle vittime, a quanto pareva, Bruce Wayne era la versione più oscura di Oliver Queen. Uomo misterioso, colmo di segreti, e restio nel rivelare ai media i propri scheletri nell’armadio. Così lo descrivevano i giornalisti.
«Oliver?» Il ragazzo sollevò gli occhi e sorrise ripiegando il giornale per metterlo al suo fianco sopra la panchina. Laurel Lance aveva chiesto di vedere il suo amico al di fuori del covo, ma Oliver non aveva capito per quale motivo.
«Hey! Al telefono sembravi piuttosto preoccupata, che succede?» Laurel si sedette vicino ad Oliver e posò la borsetta sulle gambe.
«Succede che, non voglio più essere Black Canary.» La rivelazione della ragazza stupì Ollie che, incredulo, la guardò come se stesse scherzando.
«Aspetta, che vuoi dire? Ѐ uno scherzo? Vuoi lasciare per quello che è successo con lo Spaventapasseri?»
Laurel chiuse gli occhi e sospirò stanca. «No, Oliver. Cioè, in parte sì.» Guardò malinconica il suo amico e scosse la testa lievemente. «Non sono pronta per essere un’eroina, non sono pronta per affrontare determinate situazioni. Sento la necessità di abbandonare per un po’ il covo e tutto ciò che riguarda te e Starling City.»
Oliver aggrottò la fronte e passò una mano tra i capelli. «Quindi è a causa mia che molli…»
«Ti prego, Ollie… non è sempre a causa tua che accadono le cose!» Laurel sembrava afflitta.
Il giovane annuì confuso e puntò lo sguardo in lontananza, ascoltando i rumori della città.
«Andrò via da Starling City, per un po’.»
«Cosa? Che stai dicendo?» Oliver alzò leggermente la voce e ruotò il busto per guardare meglio la sua amica. Quello che stava dicendo Laurel, non aveva alcun senso per lui.
«Sto dicendo che raggiungo Sara.» Sollevò le sopracciglia e strinse ancora di più la borsetta per ruotare anche lei con il busto proprio come fece Oliver. «Ollie, è la scelta più saggia che io possa fare. Ho bisogno di mia sorella più di chiunque altro. Ho bisogno di Sara.» Sospirò e sollevò le spalle. «Non posso continuare ad andare avanti credendo che prima o poi mi trasformerò in una eroina come per magia. Ho bisogno di uno stimolo, di una motivazione! Voglio essere un eroe come voi ma per come sono ora, non potrò fare altro che incasinare la mia situazione. Ti prego, comprendimi e accetta la mia scelta.» Lo sguardo di lei stava implorando Oliver e il ragazzo tentò di mettersi nei panni dell’amica.
«Va bene.» Fece cenno di sì con il capo e sorrise più tranquillo a Laurel. «Capisco la tua scelta, so cosa stai cercando di dirmi. Vuoi scoprire chi sei realmente e pensi che Sara e la Lega degli Assassini possano aiutarti.» Alzò le mani in segno di resa e si alzò in piedi invitando Laurel a fare lo stesso. «Non sono d’accordo ma è ciò che farei anche io.»
Laurel sorrise grata e felice per quella sorta di approvazione che gli era stata concessa dal suo migliore amico. Si gettò su di lui abbracciandolo forte. «Grazie, Ollie.» Si staccò e issò in spalla la borsa. «Partirò oggi stesso.»
Oliver sgranò gli occhi ma non disse altro, si limitò ad annuire ancora e infilare le mani in tasca. «D’accordo. Stai attenta, Laurel…»
«Mi mancherai.»
«Sì, anche tu.» Rispose Oliver. La ragazza si allontanò dal parco e  lasciò alle spalle il suo passato per andare in contro al suo futuro. Non sapeva cosa le attendeva ma sarebbe stata con Sara e questo, per la prima volta, la fece sentire viva.



Oliver entrò nel covo, si fermò in cima alle scale per osservare quel posto dall’alto.
Dig era a casa, con la sua famiglia, Ollie aveva preferito che restasse lontano dalla base del Team Arrow per quella mattina.
Roy era impegnato con Sin, quindi, non sarebbe stato un problema.
C’era solo Felicity, seduta sulla sua solita poltrona mentre armeggiava sulla tastiera del computer. Oliver sorrise senza che lei potesse vederlo e iniziò a scendere i gradini.
«Ieri ti avevo chiesto di restare qui nel covo. Non mi hai dato retta!» Felicity sobbalzò a quel rimproverò di Oliver.
«Hey, mi hai spaventata!» Tirò su gli occhiali, scesi un po’ troppo sul naso e li rimise in sesto. Sorrise divertita e piego la testa, proprio come fece la prima volta che incontrò Oliver Queen. «Beh, ho salvato la tua vita, quella di Dig e quella Laurel, ho fatto catturare anche lo Spaventapasseri. Tutto questo con una semplice telefonata alla polizia. Direi che mi sono meritata l’appellativo di “Eroina dell’anno”!»
Oliver rise e annuì avvicinandosi alla sedia girevole della ragazza. «Colpito! Hai ragione.»
Felicity lo guardò incuriosita, ricordava cosa le aveva detto nel covo. Oliver aveva rivelato che quello che le aveva detto prima di fermare Slade era tutto vero, ma non volle indagare, preferì che quell’argomento restasse in sospeso. Soprattutto perché aveva paura che si sarebbe rivelata solo l’ennesima farsa. Sospirò alzandosi dalla sedia per prendere il giornale lì accanto.
«Hai letto? Questo Bruce Wayne di Gotham ti somiglia molto. Beh… metaforicamente parlano, tu ormai sei al verde.» Chiuse gli occhi imprecando a bassa voce. «Non volevo dire che sei povero, in realtà non lo sei così tanto, solo che Bruce Wayne è il magnate del momento, insomma si sta creando visibilità, ecco…» Felicity sospirò appoggiandosi alla scrivania e gettò via quel giornale che la stava facendo imbrogliare. Oliver era divertito e tirò via le mani dalle tasche facendo un passo avanti.
«In verità io sono più ricco di lui. Ho una cosa che Bruce Wayne non ha.»
Felicity sgranò gli occhi e fece spallucce. «Cosa?»
«Tu!» Oliver colmò quel metro di distanza che lo separava da Felicity. Le prese il viso tra le mani e finalmente, dopo mesi trascorsi a desiderarsi e amarsi senza ammettere i proprio sentimenti, posò le labbra su quelle di lei.
Felicity rimase rigida, sorpresa. Si sentiva le gambe molli e lo stomaco si intorcinò su se stesso. Posò le mani sui polsi di Oliver quando  si staccò di poco per guardarla negli occhi sorridendo. Quel sorriso che lo aveva visto fare tantissime volte, ma che non aveva mai potuto ammirare da così vicino.
Tornò a baciarla, a sugellare quel sentimento che non avevano mai avuto il coraggio di  confessare.
Un bacio che la lasciò senza fiato. Un bacio che non permetteva di pensare o sognare ad occhi aperti, le labbra di Oliver non erano mai state così loquaci come in quel momento e Felicity, fu finalmente libera di esprimere le proprie emozioni.
Cinse il capo del ragazzo con le braccia e lo avvicinò di più a se, bisognosa di fargli capire cosa provava nei suoi confronti.
Ollie, non aveva mai baciato nessuna ragazza come stava facendo con Fel. In quell’atto così intimo, non c’era nulla di volgare, c’era solo amore, protezione, orgoglio, devozione, sentimento.
Oliver riprese fiato sulle labbra rosse della ragazza. Si sentivano entrambi febbricitanti e i loro sguardi erano colmi di significati. «Ti amo, Felicity. Hai capito?»
La sua IT girl, si sentì mancare. Le tremò il labbro e si sporse per tornare sulla bocca del ragazzo che aveva amato dal primo momento che lo aveva visto entrare nel suo ufficio.
«Sì.» Sorrise imbarazzata e felice al tempo stesso. «Ti amo anche io.» Oliver la strinse ancora di più ma a un certo punto Felicity lo allontanò, e lui credette che le avesse fatto qualcosa per farla reagire a quel modo. «Però… smettila di chiedermi se ho capito!» Si guardarono intensamente e scoppiarono a ridere insieme per poi riprendere a desiderarsi, recuperando così, tutto il tempo perso in questi anni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


|| Eccoci qui! La fine di questa avventura!
Ebbene sì! Questo, è l’ultimo capitolo della mia fan fiction.
Era da un po’ che pensavo al finale e beh, eccolo qua.
Voglio ringraziare tutti voi che ogni giorno visualizzate la mia FF, grazie a chi ha recensito costantemente, a chi mi ha seguito e ha sclerato con me! Grazie a tutti voi che mi avete permesso di continuare a scrivere!
E’ stato un “viaggio” appagante e spero che anche quest’ultimo capitolo sia di vostro gradimento!
Come avete potuto leggere, Laurel non è morta come molte di voi mi aveva chiesto di fare! Ma, ragazza, credetemi, avrei voluto farla fuori anche io ma poi ho pensato “Che effetti avrebbe avuto su Oliver?”. Ecco, quindi, principalmente è stato questo a impedirmi di realizzare il vostro e anche mio sogno! Ma in realtà penso che così sia meglio! Lontana da Starling City con Sara!
Comunque, i nostri Olicity finalmente esistono! Ed io non potevo esserne più contenta!
Grazie! ♥ Modifica in data 16/02/2015 ---> Ho pubblicato da poco il continuo di questa fan fiction, potete trovarla qui: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3027942&i=1

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2689438