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La
voglia di conoscere la donna era presa forte mentre osservava i cieli
di Parigi tingersi di viola scuro nell'alba sudicia e quasi piovosa.
La preferiva a Londra per la qualità della vita, sebbene il
clima non fosse granché, soprattutto nei mesi invernali.
Quella
mattina, Nadia aveva soffiato via il fumo della Gitanes,
dozzinale come il vestito che indossava, e si era appoggiata alla
cornice della ringhiera ferrosa della mansarda parigina. Era in piedi
da ore, il sonno sembrava abbandonarla con il trascorrere degli anni.
Giunta
a metà della sigaretta, aveva lasciato cadere la cicca spenta
sul marciapiede sottostante, sfiorando di poco un ciclista che
pedalava nelle viette deserte, e si era avvicinata al letto dove Jean
George dormiva profondamente. I capelli stavano diradandosi sulle
tempie ed ingrigendo fra le ciocche biondastre. Nel bagliore bluastro
della luce, la pelle appariva pallida, quasi malata. Nadia aveva
raccolto i vestiti dell'ecclesiastico e li aveva sistemati su una
sediola raccattata al mercatino dell'usato di Montmartre. Per finire,
aveva deposto il collarino bianco sul comodino con gentilezza.
L'aveva
incontrato in chiesa, durante una funzione religiosa. La madre
adottiva l'aveva educata a credere in Gesù, a temere l'Inferno
e ad essere caritatevole e giusta. Come tutte le brave bambine, Nadia
aveva seguito i consigli materni: si era mantenuta pura, aveva
digiunato in Quaresima, aiutato i più bisognosi, ed una sera
si era ritrovata di fronte un uomo dall'aria impudica, nero di
capelli e altrettanto d'occhi che parlava una lingua che stentava a
comprendere, ma sembrava conoscere la verità dei suoi fausti
natali.
Nadia
aveva assorbito silenziosamente le parole del Viaggiatore, era
tornata a casa fluttuando nei propri pensieri e giunta al cospetto
della madre, intenta a pelare due striminzite patate per la cena, le
aveva chiesto se era vero, se era stata adottata.
L'espressione
sbigottita e sorpresa di Margaret era durata una frazione di secondo.
Sebbene non avessero lo stesso sangue erano creature simili, entrambe
prive di slancio affettivo. Non scambiarono molte parole neppure in
quell'occasione. Nadia uscì di casa per andare a prendere
l'acqua al pozzo e quando tornò, si accorse di essere
arrabbiata. Si coricò, voltando la schiena al fuoco che andava
morendo nel camino, restò un po' a fissare la parete grezza
dell'abitazione e, quando il gufo cominciò a bubbolare,
sgusciò via dall'abitazione e raggiunse il Viaggiatore che
l'attendeva al confine del villaggio. L'uomo l'aveva rifornita di un
mantello pesante per la notte e un coltello affilato. “Per
iniziare” aveva detto.
Per... iniziare?
Iniziare cosa? E dopo cosa sarebbe successo?
Ormai
Nadia non ci pensava più tanto spesso. Non amava ricordare la
solitudine degli anni, il rude affetto della donna che aveva tradito
fuggendo nella notte come un ladro. Si muoveva fra Varsavia e Parigi,
sempre via terra, scrutando pensosa le enormi macchine voltanti con i
nomi delle compagnie aeree di tutta Europa, chiedendosi come sarebbe
stato volare su uno di quei cosi. O che sensazione avrebbe provato
cadendo. Certo sarebbe sopravvissuta...ma
cosa avrebbe sentito?
La prima volta che
aveva voluto qualcuno ferocemente, così forte da perdere il
lume della ragione, era stato in chiesa dopo la funzione domenicale.
Il sacerdote che si intratteneva a conversare con i fedeli e
dispensava carezze ai bambini, era un giovane che andava appassendo
nella propria maturità. Nadia era tornata molte volte, senza
mai osare avvicinarsi alla comunione come gli altri fedeli, aveva
spiato i suoi movimenti compassati e misurati, poi, stanca dei
pensieri lascivi indirizzati ad un uomo di Dio, si era seduta agli
ultimi banchi a pregare. A chiedere consiglio. Ad invocare la purezza
della mente intorpidita dal desiderio carnale. Nella vita era stata
accorta, poco incline alla lusinga, giusta. Avrebbe fatto la cosa
giusta anche quella volta, aveva pensato chiudendo gli occhi e
girando fra le dita la croce d'oro che pendeva fra i seni.
Quando l'uomo si era
avvicinato per raccogliere i libricini delle preghiere, Nadia l'aveva
fissato dritto negli occhi ed egli aveva smesso di muoversi,
intontito da una forza superiore a quella del suo dio. Le labbra di
Nadia si erano socchiuse, in preda allo sconcerto per la perdita del
controllo mentale ed era scappata via, imponendogli di dimenticare.
Non
sarebbe mai più tornata, aveva deciso aggirandosi per le
viuzze strette del Quartiere Latino,
spiando senza vedere bancarelle di fiori e negozi di formaggi dal
sapore incantevole. La notte
stessa era scesa a Pigalle
in cerca di divertimento a poco prezzo. Aveva scrutato la folla
elegante che accompagnava l'uscita di uno spettacolo del Moulin
Rouge e aveva trovato quel che
cercava.
Nadia
aveva trascorso dieci notti in preda ai dubbi, prima di tornare a
l'Eglise de la Madeleine,dove la statua di Maria
Maddalena tendeva le braccia al cielo e un tripudio di angeli ne
accompagnava l'ascesa tutto
il giorno.
Si era confessata,
aveva fatto la comunione e poi aveva atteso nascosta fino alla
chiusura. Fino a che Padre George non aveva sbarrato il portone
dall'interno, abbassato l'illuminazione delle candele artificiali ed
inchinato all'altare in segno di sottomissione.
Dopo
quella notte, per molte notti, Jean George si inchinò a
lei....
Ma era giusto trattarlo
così? Ingannarlo, compromettere la purezza del suo spirito e
del corpo con gli assalti amorosi? Il dilemma etico le scavava le
viscere, togliendole il sonno e l'appetito.
… ma
se non l'avesse fatto, non sarebbe mai stato suo
Nel
momento stesso in cui Nadia si allungò al suo fianco e
chiuse gli occhi, portando il braccio sinistro sotto la testa, l'idea
di Katerina Petrova le riempì la mente. Esigeva spiegazioni
per l'abbandono brutale. Si era fatta trasformare in vampiro per
semplificare la ricerca (un'altra notte che avrebbe voluto
dimenticare con tutte le sue forze, tanta era stata l'agonia
dell'anima per la perdita dell'umanità e il dolore del
trapasso) e non avrebbe lasciato che quella cagna la facesse franca
ancora a lungo.
Dopo
Nadia
ha viaggiato fino a New Orleans in stato catatonico. Ha scelto il
treno per lo sferragliare basso e rassicurante delle rotaie che
accarezzano veloci l'acciaio. Ha scelto il posto singolo per non
essere disturbata, la febbre sta salendo e non ha molta pazienza con
i seccatori e gli avventurieri.
Appena
scesa alla stazione, New Orleans l'ha aggredita con la sua allegria,
i colori e le orchestre di benvenuto che credeva esistessero solo nei
film. Non ha idea di che faccia abbia Klaus Mikealson e non ha più
molto tempo. Lo stato febbrile che le offusca la mente la rende
debole e indifesa. Quando scorge un locale poco appariscente e
dall'entrata quasi invisibile, decide che non è un posto per
turisti. Forse, un posto da Klaus Mikealson.
Una
volta dentro, Nadia si aggrappa alla prima sedia libera e si siede,
ordinando un bourbon, gli occhi bassi, le mani abbandonate sulle
cosce. Le vede muoversi al rallentatore. E' squassata dai brividi.
Quando il bicchiere compare, i polpastrelli serpeggiano sul vetro
bagnato. Il liquore è lava fusa in gola. Avrebbe dovuto
ordinare un bicchiere d'acqua.
“Stai
bene?”
Nadia
lecca le labbra aride ma non trae alcun giovamento. “Tu sai...”
inizia facendo un sforzo enorme per parlare. “Sai dove posso
trovare... mh...” Il braccio brucia da morire nel punto in cui
Tyler l'ha morsa. Il veleno sta prendendo possesso delle ultime fibre
muscolari che hanno resistito strenuamente alla battaglia. Quando
giungerà al cuore, morirà.
“Klaus
Mikealson...” bisbiglia, stringendo l'avambraccio. “Gira
da queste parti...”
La
bionda la scruta, dubbiosa e restia a rispondere.
Nadia
afferra la manica del giubbotto e la solleva, mostrando la cancrena
che la corrode. “E'... urgente...”
La
targhetta della donna scintilla improvvisa sotto la luce, rivelandone
il nome. Camille.
“E'
stato lui a farti questo?!”
Sembra
sconcertata, furiosa. Come se le avesse fatto un torto grave. Nadia
scuote la testa, debole. “Allora... è qui?”
Camille
esita, Nadia la guarda con occhi febbricitanti. “Per favore...
è... urgente...”
Il
braccio ferito scivola improvviso lungo il fianco, abbassando al
contempo la spalla. Nadia si ritrova di colpo con la guancia premuta
contro il bancone, sorda ai rumori del locale, cieca all'espressione
terrorizzata della barista. Nessuno la tocca ma si forma un cerchio
di esseri demoniaci attorno a lei. Si fa forza, tenta di combattere
la paralisi muscolare. Non può andarsene senza aver impartito
una lezione a sua madre. La bellissima e tracotante madre che l'ha
lasciata morire nella chiesetta sconsacrata per correre dietro il
grande amore.
***
“Puoi
aiutarla?”
Cami
svita lentamente il tappo dello scotch e versa una dose standard di
liquore nel bicchiere. Klaus fa una smorfia, mandando giù un
sorso. Emana sentore di morte ma non è agli sgoccioli: Camille
dovrebbe imparare a non disturbarlo per qualsiasi 'randagio' morso da
un licantropo! “Potrei.”
Il
punto non è se può salvarla o meno. Il punto è
che vuole essere pregato. Cami si protende verso di lui e il
movimento deve coglierlo di sorpresa, perché il vampiro tira
indietro la testa e la guarda negli occhi.
“Si
prendono più mosche col miele che con l'aceto.”
Klaus
umetta le labbra e posa il bicchierino, poco incline a lasciarsi
convincere. “Ne catturi di più col letame, cara.”
Deve
aggirare l'ostacolo della sua ostinazione solleticando l'orgoglio
maschile. “Una bellissima donna chiede il tuo aiuto e questo è
quel che ne riceve?”
Ad
essere onesti, ne ha viste di migliori. Klaus alza meccanicamente le
spalle.
“Dio
mi salvi il giorno in cui avrò bisogno di te.”
L'ha
lasciata cadere all'improvviso, disturbando il suo stato di
indifferenza. Klaus saetta lo sguardo dalla propria ordinazione alla
barista. E' un modo come un altro per manovrarlo e convincerlo ad
aiutare la straniera. Non inganna nessuno con la psicologia spicciola
da giornalino del parrucchiere. “Mi aspettavo qualcosa di
meglio” mormora sollevando Nadia per la giacca e scrollandola
un po' per farla rinvenire.
“Fa
piano.”
“Ora
vuoi insegnarmi a trattare quelli come me?”
La
domanda è uscita dura e arrabbiata. Camille vorrebbe dire
qualcosa a proposito ma intuisce il suo stato d'animo e tace,
appoggiandosi al bancone. E' paranoico, ricorda. Ha paura di essere
manipolato e lei non ha fatto altro che pungolarlo per dieci minuti,
senza mai dargli un attimo di respiro.
Il
movimento sussultorio non l'ha percepito ma Nadia sente che qualcosa
è cambiato. Un'ondata di freddo sale dalle gambe. Qualcuno la
sta toccando e anche se non sente e non vede niente, solo una macchia
di fronte agli occhi, cerca di interagire col suo soccorritore.
“Mhrg...”
Non
tacciono mai, pensa Klaus lacerandosi il polso e avvicinandolo alle
labbra della donna. Neppure in punto di morte. “Fa che
ne valga la pena.”
All'inizio,
il sapore di sangue in bocca non lo percepisce. Ha la lingua felpata
e il liquido è ghiaccio bollente che anestetizza le gengive.
Col trascorrere dei secondi, i brividi si azzerano e una bomba di
calore esplode in gola e nello stomaco, cancella l'intorpidimento del
veleno, i muscoli si contraggono e le dita di Naia stringono feroci
il braccio del vampiro.
Aria.
Vita.
Una
voce sconosciuta sussurra che non ne serve troppo e Nadia si stacca,
ubbidiente, con un gemito gutturale e soddisfatto. Il labbro
inferiore struscia sulla pelle sottile del polso, si ricongiunge al
superiore e la gola inghiotte l'ultimo sorso. Un altro gemito di
godimento che testimonia la sazietà. I lineamenti si
distendono, le occhiaie spariscono e la bellezza di Nadia rifulge
nuovamente.
Camille
ha preso le distanze fisiche dalla scena ma nella sua mente si sta
svolgendo di nuovo il film. Sente il cuore battere nella gola, nelle
tempie, perfino nei polpastrelli. Fissa il vampiro che sembra
annoiato da tutto quel trambusto e quando incrocia il suo sguardo,
Camille gira la testa e riprende a sistemare le bottiglie già
ordinate, voltando le etichette in direzione frontale e agganciando i
bicchieri nei supporti. L'imbarazzo non riesce a mandarlo giù.
Klaus
lascia scivolare lo sguardo sul corpo della barista, sente la cascata
di sangue che pompa dal cuore, la interpreta a modo suo e torna a
concentrarsi sulla vampira sconosciuta che sta riacquistando il
controllo. Ha qualcosa di famigliare. Forse un nome lo aiuterebbe a
rimettere insieme i pezzi. “Come...”
Nadia
gli ruba il bicchierino pieno, passa le mani nei capelli arruffati
con aria altera e soffoca la domanda di Klaus con la propria voce.
“Dov'è il bagno, dolcezza?”
“In
fondo a destra.”
La
ragazza sconosciuta non l'ha guardato in faccia neppure una volta e
l'ha trattato come l'ultimo dei servi. Va a far del bene!, pensa
scocciato mentre l'occhiata profonda di Camille gli perfora la
fronte. Ha fatto quel che chiedeva, che altro vuole?
Klaus
abbandona lo sgabello portando via la bottiglia e si accomoda nel
settore più nascosto del locale. Ha già cancellato la
maleducazione di Nadia dalla propria mente. Ora pensa a Camille. Non
riesce sempre ad interpretare i comportamenti della strizzacervelli e
detesta il suo modo semplice e diretto di metterlo di fronte alle
proprie mancanze senza caricarle di accuse. Lui è quel che è,
e fa quello che fa per una ragione. Prima lo digerisce, meglio sarà
per tutti.
Quando
Nadia torna dal bagno e chiede informazioni alla barista su un
eventuale rifugio per la notte, Klaus la osserva. Studia la postura,
la flessuosità del corpo, i vestiti stazzonati, tenta di
eliminare il superfluo e concentrarsi sull'essenza. Intravede una
crocetta d'oro al collo e mugola infastidito. La religione l'ha
sempre messo di cattivo umore. Come può credere a qualcosa che
non si può vedere o toccare?
“Posso
sedermi?”
Nadia
indica la parte del divanetto occupata volontariamente dalle gambe
del vampiro. Klaus la lascia attendere qualche secondo. “Come
si dice?”
“Grazie”
sussurra inclinando la testa con un sorriso ironico. “Passamela,
ero certa di morire.”
Klaus
raddrizza lievemente la schiena, spostando le gambe. Le donne fanno
sempre quel che vogliono. Anche se le dicesse di andarsene, non
obbedirebbe.
Così
quello sarebbe il vampiro che fa tanta paura a sua madre? E' un
ragazzo, avrà più o meno la sua età. Emana
negatività ed è più diffidente di un gatto
randagio. Nadia decide che non ha proprio nulla di spaventoso. “Io
sono Nadia.”
“Che
altro vuoi da me, Nadia?”
Quanta
immotivata ostilità! Credeva la esercitasse abbondantemente
solo contro i nemici manifesti. “Intendo restare qualche
giorno, devo chiedere il tuo permesso per nutrirmi?”
Gli
piace il fatto che chieda il suo 'permesso'. Ce ne vorrebbero di più
come lei. “Puoi morderli ma non puoi ucciderli. Il sindaco la
prende male se decimiamo la popolazione turistica... non che mi
interessi quel che dice quel vecchio pirata imbroglione...”
Nadia
sorride, rallegrata dalla battuta, e afferra la parte inferiore della
borsetta con entrambe le mani, portando i gomiti vicino al corpo. La
catenella dorata finisce in mezzo ai seni, attirando lo sguardo del
vampiro. Assecondare la propria natura sospettosa è quel che
gli riesce meglio e in lei c'è qualcosa che ha già
visto... “Tieniti lontano dal bayou. Pullula di lupi
mannari.”
“Cos'è
un bayou?”
“Non
sei mai stata a New Orleans?” Klaus tamburella le dita sul
tavolino, pensoso. “Ad essere onesti, tutta la città è
invasa da quelle bestiacce pulciose.”
La
donna sorride, mostrando fossette sulle guance che addolciscono i
lineamenti spigolosi del viso.
“Chi
ti ha parlato di me?”
“La
donna che mi ha partorito.”
“Un
po' macabra come favola della buonanotte.”
Nadia
serra le labbra e una tempesta d'odio la possiede in un istante. Se
solo ripensa allo sguardo 'dispiaciuto' di Katherine mentre se ne
stava distesa sulla panca della chiesuccia sconsacrata, in preda alla
febbre... nessuna madre al mondo lascerebbe morire la propria figlia
a quel modo! Nessuna madre degna di questo nome metterebbe la propria
vita di fronte a quella di sua figlia!
“Mi
ha allevato una brava donna” sibila e afferra la
bottiglia, tracannandone un buon sorso e bruciando tutto, lingua,
gola e stomaco. Un modo come un altro per mascherare gli occhi umidi
di rabbia e delusione.
Approfondire
la conversazione con la straniera è una stravaganza inusuale
che ha deciso di concedersi per ammazzare il tempo, ma la sua
reazione l'ha genuinamente coinvolto. Klaus si accorge di trattenere
il respiro. Lo fa sempre quando si parla di affetti famigliari.
“Tentare
di risvegliare il suo amore, è come gettarsi su un coltello
affilato” sussurra Nadia fissando un punto inesistente del
tavolo. “Non puoi lamentarti se ne esci ferita, dopo...”
A
Klaus non piace il discorso. Gli tornano in mente gli umilianti
soprusi patiti in passato. Un pallido muro di silenzio scende fra i
due vampiri, poi Nadia allunga una mano e prende quella di Klaus,
abbandonata con noncuranza accanto alla bottiglia. “Ti devo la
vita, non lo dimenticherò” sussurra portandola alle
labbra e deponendovi un bacio sopra. “Grazie.”
Klaus
si accorge di avere le labbra socchiuse per lo stupore, l'espressione
di un bambino che scopre l'esistenza di qualcosa di meraviglioso. La
catenina d'oro rifulge alla luce. “Fa attenzione a chi pesti i
piedi. Solo la prima volta è gratuita” mormora con voce
roca. Stupido. Ecco come si sente. Manca poco che balbetti. “Hai
capito?”
I
suoi occhi sono azzurri. Le torna in mente Jean George. “Ho
capito” sussurra spiando tutti i cambiamenti in atto nel suo
corpo. Ha fatto qualcosa che l'ha turbato profondamente. “Tanto
per sapere, la seconda volta quant'è?”
Klaus
accartoccia una banconota e la lancia accanto alla bottiglia. Abbozza
un sorriso complice e Nadia l'osserva mentre si dirige verso una
donna dai capelli rossi. Dal desiderio con cui lei lo guarda e dal
modo in cui lui l'afferra, capisce come andrà a finire. La
nostalgia di Jean George non la lascia andare. Loro esistono solo dal
tramonto all'alba... e solo se è lei a permetterlo.
Nadia
piange, spingendo il cellulare contro la fronte. Se fosse stata
presente, avrebbe potuto evitarlo. Se fosse tornata subito a Parigi,
invece di perdersi nell'esagitata allegria di New Orleans, avrebbe
potuto aiutarlo. Un singhiozzo di colpevolezza le scuote il corpo,
l'angolo del telefono si conficca nella tempia e poi cade in terra,
mentre la ragazza abbandona se stessa contro le proprie braccia. I
banchi della chiesa sono freddi, la messa non avverrà che fra
molte ore. Non trae alcun conforto dal luogo sacro. Ha perso la fede
con la morte di Jean George. Non c'è alcun dio buono e
caritatevole. Ci sono solo gli uomini che fanno del male agli altri
uomini.
***
La
barista bionda non è di turno, quella sera. Il gin finisce
troppo rapidamente, oppure sono gli stupidi bicchieri ad essere
troppo piccoli. Si sono già avvicinati in tre. Con i primi due
è bastata un'occhiata, ma col terzo ha dovuto usare le maniere
forti. Poi è entrato un branco di lupi mannari e Nadia ha
pensato bene di non rischiarsela una seconda volta. Ha pagato tutta
la bottiglia e si è ritirata in un angolo appartato. Ha
contato un paio di streghe mercenarie e una dozzina scarsa di umani.
Fra un bicchiere e l'altro, mentre cercava di cancellare dalla mente
la stupida morte accidentale di Jean George, ha seguito i movimenti
dei vampiri, la circuizione delle vittime, l'evidente disagio dei
licantropi. Lo fanno apposta, ha pensato sbattendo la bottiglia sul
tavolo mentre perdeva il senso della realtà e torturava la
catenina d'oro al collo, i quattro angoli della croce conficcati nel
palmo della mano.
Nadia
l'ha strappata con un gesto stizzoso, lasciandola cadere sul ripiano.
L'ha fissata con sfida mentre ingollava un secondo bicchiere. L'ha
maledetta più e più volte sperando che qualcuno lassù
si arrabbiasse e le dimostrasse che aveva torto, rimandandole
indietro il suo amato Jean George.
E'
passata un'ora e nulla è accaduto. A metà della
bottiglia, Nadia ha cominciato a sentirsi male. Un altro tipo di
male: la disillusione. Jean George non l'avrebbe mai amata se non
l'avesse costretto a farlo. Non sarebbe mai andato da lei se non
l'avesse soggiogato. Dio ha rimesso a posto le cose dimostrando che
non potevano condividerlo. Oh, ma se fosse stata presente,
gliel'avrebbe fatto vedere lei! L'avrebbe riportato indietro e reso
immortale. Gliel'avrebbe sottratto per sempre!
Furiosa,
Nadia stringe il bicchierino finché il vetro non esplode
conficcandosi nel palmo della mano. Dolore, ma è giusto un
attimo. Il suo cuore ne è pieno e la sta avvelenando come il
morso del licantropo. Un lampo e il viso di Katherine si fa largo a
gomitate prendendo il posto d'onore. E' colpa sua!, pensa
togliendo i frammenti uno alla volta, contandoli per evitare di
urlare. Se fosse stata una brava madre e si fosse degnata di chiedere
aiuto al vampiro dagli occhi azzurri, lei avrebbe potuto...
“Devi
aver perso la fede in dio, se hai deciso di bere questa roba.”
Klaus
solleva la bottiglia, adocchiando l'etichetta. Solleva le
sopracciglia e fa una smorfia, spingendola da un lato. Fa un cenno al
barista, afferra la sedia libera col piede sinistro e, mentre si
accomoda, registra il volto lacrimoso di Nadia, la sua disperazione,
le maglie strappate della catenina e il bicchiere in frantumi. Se
avesse fatto caso prima al suo stato d'animo, ci avrebbe pensato due
volte. Ora come si comporta? Non può certo alzarsi con tanti
cari saluti. “Che succede?”
Nadia
abbassa la testa, lasciando piovere i capelli di fronte al viso.
Stringe il pugno insanguinato mentre le ferite si rimarginano. Pensa
che un frammento potrebbe restare dentro e viaggiare dritto dritto
fino al cuore, lacerandolo. “Un decesso improvviso”
sussurra. “Vorrei stare sola.”
La
fortuna gli viene sempre in aiuto. Klaus obbedisce volentieri, ma non
può fare a meno di chiedersi perché l'unica persona
interessante di New Orleans sia anche la più sfuggente.
***
E'
una notte perfetta per rilassarsi. Tiepida, accogliente, solitaria.
Klaus si ferma in mezzo alla strada, accanto all'orchestra che sta
suonando per i turisti. Rimira i mangiatori di fuoco, i pittori a
lavoro poi scorge Camille fra la folla e, al suo fianco, Marcel. Ma
non diceva di amare Rebekah?
Non
ha sbagliato a classificarlo inadatto alla sorella. Klaus soffia aria
dalle narici e un sogghigno ironico gli deturpa le labbra. Affonda le
mani nelle tasche e pensa alla straniera. Tutta
quella disperazione, soffocata e lacerante, gli ha ricordato se
stesso nel periodo più buio. E' stato un bene essersi
allontanato dalla donna. Forse in un'altra epoca, in un altro
momento, si sarebbe comportato diversamente. Avrebbe prestato
orecchio alle sue pene, le avrebbe asciugato le lacrime. Klaus ride
dei propri pensieri e scruta la folla. Turisti per lo più.
Vampiri a caccia. Amanti abbracciati. Genevieve è una
bellissima donna, ma il piacere della sua compagnia è esaurito
in due settimane. L'abbraccio di Camille e Marcel, al contrario, gli
ricorda quel qualcosa che manca da troppo tempo nella sua vita. L'ha
cercato inutilmente, ha tentato di conquistarlo con la forza, l'ha
rifiutato. Non c'è mai stato il tempo,
si giustifica, ne il momento.Una
figura femminile gli si affianca, ha un buon profumo che lo fa
inspirare. Klaus la sbircia di sottecchi. Il suo sguardo sale dalle
braccia strette attorno al busto all'espressione distrutta. Il trucco
si è sciolto sotto gli occhi e ha creato due mezzelune nere
che sfumano agli angoli delle tempie. Le pupille brillano per le
lacrime passate e ha le labbra serrate.
Quando si accorge di
lui, Nadia batte le ciglia, tirando via le tracce secche dalle
guance. “E' destino...”
Non è destino,
solo una coincidenza: lo spettacolo è a pochi metri dal
locale. Klaus pesca un fazzoletto dalla tasca e lo porge alla
straniera. La cavalleria non è proprio defunta.
Nadia è
spaesata. Socchiude gli occhi alle vampate di fuoco, gira la testa
verso l'orchestra, indecisa se gradire o meno le sonorità
allegre che mal si adattano allo stato d'animo tempestoso. Tampona le
guance col fazzoletto e lo tiene stretto stretto fra le dita. Non può
soffocare nel dolore, deve schiarirsi la mente. Riacquistare il
controllo. Poco alla volta si calma e smette di torturare i bordi
della giacca. La folla spinge per avvicinarsi, Nadia fa un passo
laterale per non essere toccata dagli sconosciuti e si accosta al
vampiro, immerso nella contemplazione del quadro che il pittore sta
dipingendo per loro.
Distratto, Klaus gira
il braccio attorno alla sua vita. Nadia saetta lo sguardo verso di
lui, capisce che non ha alcuna intenzione malvagia e si rilassa.
“Sei
mai stato a Parigi?” sussurra ricordando i dipinti del Louvre,
le campane di Notre Dame, la rassicurante placidità del
cimitero neogotico di Père-Lachaise. “E' una città
artistica... meravigliosa...”
Musica per le sue
orecchie! Non ha sbagliato a giudicarla la persona più
interessante di New Orleans. “Molto tempo fa. Mi piacerebbe
tornarci” sussurra felice come un bambino.
Nadia è
completamente appoggiata contro il suo fianco, l'espressione ora
tranquilla. Sorride, promettendo una visita guidata.
Klaus sente l'orlo
superiore dei suoi jeans sotto le dita. L'arco armonioso della spina
dorsale. La straniera sembra non risentirsene: appoggia il mento
sulla sua spalla ed inclina la testa.
Il vampiro immagina la
scena da fuori, e una vaga speranza si riaccende.
“E' sempre così?”
sussurra la straniera nel suo orecchio. “Non si sente mai soli
qui?”
“New Orleans è
la città adatta per rinfrancare lo spirito.”
Nadia non vuole tornare
a Parigi, nella mansarda vuota. Non vuole tornare a Mystic Falls,
dalla sua tracotante madre. “Lo spero tanto” bisbiglia
sovrappensiero.
E' attratto dal respiro
caldo della donna, soggiogato dai propri desideri. Klaus avvicina il
volto al suo, chiedendosi fin dove si spingerà o cosa accadrà.
Se quella sera cambierà finalmente qualcosa.
Lo sguardo trasognato
di Nadia si risveglia nel suo, si vela di imbarazzo e Klaus ha la
risposta che cerca. La solita risposta. Sente la pressione del
corpo svanire e non vuole assistere all'ennesima fuga. Lascia che si
allontani, fissando il quadro quasi terminato del pittore.
Nadia
cammina veloce sul ciglio della strada. Deve essere proprio andata
per avvicinarsi ad uno sconosciuto. Un vampiro per di più.
“Aspetta.”
La donna si arresta con
un movimento secco. La catenina d'oro brilla fra le dita di Klaus.
Deve essere scivolata di tasca mentre prendeva il fazzoletto. Quando
cerca di agganciarla, ricorda le maglie rotte e il suo sguardo si
incupisce.
“Non devi
soffrire per forza. Puoi girare l'interruttore se vuoi.”
Buffo, è sempre il primo a non seguire i propri consigli.
“Se
elimino anche i sentimenti... che cosa mi resta?” bisbiglia
strusciando le dita lungo le cuciture sui fianchi dei jeans, le
spalle curve di dolore. “E' sbagliato...”
“Non esistono
verità universali, solo quel che è giusto per te”
insiste pensando alla sua vita. “Non devi deciderlo adesso.”
Katherine esagerava con
le descrizioni, Klaus è davvero cortese. E ha gli occhi
azzurri. Il ricordo del suo amato Jean George, le provoca un'altra
ondata di tristezza.
“Hai trovato un
posto per passare la notte?”
Ha smarrito il senso
dell'orientamento. Non sa più dove si trova. “Mi sono
persa...” bisbiglia con un filo di voce.
Nel senso vero del
termine. Klaus le porge la mano, percependo la sua desolazione. “Ti
aiuto io.”
***
“A-ah!
Ti ho visto!”
Anche
lui l'ha visto con una donna che non era sua sorella, ma non è
andato a cercarlo per rimarcarne il comportamento. Klaus accetta il
colpetto amichevole di Marcel, il vampiro sposta la sedia vuota
davanti a se e ferma la cameriera del piccolo caffè, ordinando
una robusta colazione. E' una bella mattinata piena di sole e Klaus è
appena uscito da una nottataccia che gli ha tolto gran parte delle
forze. Il suo figlioccio, al contrario, ha l'espressione allegra e
soddisfatta: l'uscita con Camille deve aver avuto un risvolto
notturno piacevole. “Non ho nulla di cui vantarmi.”
“Chi
è?”
“Una
nuova, viene da Parigi. Ha 524 anni.”
“Non
ti ho mica chiesto i dati della carta d'identità!”
Klaus
smette di giocare con la cartina arrotolata dello zucchero di canna
che ha versato nel caffè e lo guarda, assonnato. “Un
licantropo l'ha morsa. Ha sentito parlare di me e si è
trascinata fin qui. Il suo uomo è appena morto. Non c'è
altro da dire.”
Il
nero fa un gesto che ne testimonia la conoscenza pregressa. Certo
Camille ha parlato. Suocerette! “Devi
rintracciare una persona per me.”
Dalla tazza di caffè
del vampiro si alzano vapori paradisiaci. Marcel fa un cenno
affermativo col mento.
“Ha
un rapporto tempestoso con la madre, le sue ferite sono fresche”
comincia incrociando le dita delle mani. “Ho la netta
impressione che sia un vampiro, uno di quelli della nostra...”
“Alt
alt alt!” esplode il nero con un sorriso. “Sei fin troppo
sensibile alle tragedie familiari. Non cacciarti in quelle altrui!”
“...
razza.” Klaus ammutolisce, punto sul vivo. Fa una smorfia e
abbandona la schiena contro la sedia. “Voglio solo...”
“Non
portarti avanti col lavoro. Se vuole confidarsi, lo farà a
tempo debito. Alle donne piace mantenere l'alone di mistero.”
Ha
finito di interromperlo?! Klaus osserva le uova strapazzate nel
piatto dell'amico e il contorno di bacon. Alone di mistero è
una metafora bella e buona: Nadia è più chiusa di una
cassaforte arrugginita. A proposito...
Il
crocefisso e la catenina rotta sono avvolti da un fazzoletto con le
iniziali. Klaus lo spiega sul tavolino. Marcel la indica,
ingoiando un boccone esagerato. “Ti sei convertito e non mi hai
invitato alla cerimonia?”
“Le
ho promesso di farla riparare” gorgoglia. “Eppure
dovrebbe sapere che non esiste alcun dio all'infuori di noi.”
“Le
persone si aggrappano a tutto pur di non morire” commenta con
la bocca piena. “Se le da serenità, perché no?”
Perché
l'illusione, quando si spezza, ti annienta.
“Tu
non fai mai colazione... che ci fai qui, a quest'ora?” Marcel
sorride con tutta la faccia, masticando platealmente. “La stai
aspettando, vero?”
***
Non
è abituata a tutto quel sole. Nadia si appoggia al muro di un
negozietto, indecisa se recarsi al cafè o meno. I suoi
vestiti sono nel vecchio Continente e nella valigia che l'albergatore
di Mystic Falls avrà provveduto a gettare via, dopo una
settimana di alloggio non pagato. Non aveva voglia di fare shopping,
ma non aveva abiti puliti. Quella roba andrà bene, il clima è
dei migliori e non è una che soffre il freddo.
“Oh,
ciao!”
Nadia
apre gli occhi e una chioma bionda rifulge alla luce del sole. E'
bellissima, come la statua nell'Eglise de la Madeleine.
Camille
sposta i sacchetti della spesa da un braccio all'altro e la sbircia
velocemente. “Stai bene?”
“Migliora”
mormora avvicinandosi e togliendole un sacchetto, lieta di avere una
scusa per non recarsi al cafè dove Klaus la sta
certamente aspettando. E' combattuta, e quando è in quello
stato d'animo, è meglio non fare niente. “Ti aiuto.”
Le
due donne camminano fianco a fianco, in silenzio. Entrambe sono
abituate a vivere sole e non sentono il bisogno di riempire lo spazio
con sciocchezze verbali.
La
casa di Cami è come lei: bella, piena di luce e ordinata. Ci
sono dei cuscini colorati sul divano, la scrivania è ingombra
di fogli. Nadia scorge libri di psicologia nella libreria. Più
in là, un po' nascosti, alcuni romanzi d'amore. Ricettari di
cucina. Una rivista di moda aperta su un completo casual. Una
cartellina spessa di fogli scritti a macchina e solo un nome a
siglare il tutto.
Klaus.
Nadia
apre la cartellina arancione spento. Tu guarda... sta scrivendo le
sue memorie.
Quando
la scopre, Cami fa marcia indietro, smorzando i rumori. Nadia deve
sapere con chi ha a che fare. Le cattive notizie vengono affrontare
meglio, se provengono dalla fonte principale.
Le
basta mezz'ora per avere un quadro reale del vampiro. Katherine non
mente, Klaus non mente. E' davvero pessimo come si dice, ma ne ha
conosciuti tanti di personaggi sgradevoli e uno in più non fa
differenza. Almeno lui lo ammette. “Scusami, dovevo chiedere il
permesso” mormora alla padrona di casa che si sta avvicinando
con due tazze di te.
“Le
sta scrivendo perché vuole che qualcuno le legga”
commenta, laconica. “Ha manipolato così a fondo la mia
mente che dimenticavo l'esistenza dei vampiri appena fuori da casa
sua. Una strega mi ha restituito i ricordi e ora assumo verbena per
evitare che succeda ancora.” Camille inghiotte e un brivido la
attraversa tutta. “L'ha fatto contro la mia volontà, non
mi ha lasciato scelta.”
“A
me la scelta è stata data... ma è stato orribile lo
stesso” sussurra. “Vuoi che mi sdrai sul divano e ti
racconti la mia vita?”
***
Nadia
ha visitato le case stregate, il cimitero e ha deciso di togliere le
tende e recarsi a Varsavia. Deve solo recuperare la catenina tenuta
in 'ostaggio' da Klaus. La notte l'ha passata insonne, turbata dal
lutto, soffocata dalla delusione di avere una madre a cui non importa
molto della figlia. Non l'ha neppure chiamata per sapere se era viva
o morta, e la garbata vicinanza di Klaus l'ha intristita ancora di
più. La semplicità con cui è entrata in sintonia
col vampiro non la spiega. Non si è mai fidata di quelli della
sua razza, ha sempre preferito stringere rapporti esclusivamente con
gli umani. Raramente è stata delusa da loro.
E'
stato facile trovare Klaus. È bastato chiedere in giro. La
casa ha un chiostro interno e un certo andirivieni di vampiri. Quando
Nadia si ferma al centro del cortile, guardando le balaustre
intarsiate, un 'wow' le arriccia le labbra.
“Cerchi
qualcuno, bellezza?”
Odia
essere chiamata 'bellezza'. O 'bambina'. O 'dolcezza'. La mette di
cattivo umore.
“Diego,
non essere scortese.”
Nadia
alza lo sguardo verso il vampiro di colore, Marcel strangola un
sorrisetto e scende la scalinata con un saltello. Se è lì,
qualcuno deve aver fatto colpo. Marcel se lo augura. Per
antico affetto e per rispolverare la sua parte umana che sembra
deceduta da secoli. “Sei Nadia, vero?”
Lui
è il maggiordomo? Nadia annuisce, osservando il piano
superiore da cui proviene musica classica.
“Accomodati.
Bevi qualcosa? Scotch?”
Nadia
continua a spiare il vago bagliore che oltrepassa la porta socchiusa
e si domanda se Klaus sia lì e la stia spiando. “Non
vorrei apparire maleducata declinando l'invito, ma sto partendo e
vorrei indietro la mio crocefisso.”
Quello
che ha spedito in Europa a far riparare? Marcel fa un gesto vago che
non le piace affatto. “Dov'è?”
“Klaus
o il crocefisso?”
L'esitazione
nella risposta lo fa sorridere. E' davvero fatta di panna montata, ha
ragione il suo amico. “L'ha spedito ad un gioielliere belga
specializzato in gioielli antichi” esclama notando lo stupore
salirle sul volto.
L'ha
fatto senza chiedere il suo parere? “Data di riconsegna?”
“Due
settimane circa. Le maglie erano tutte strappate.”
La
nonna gliela mise al collo il giorno in cui fu portata via dalle
braccia di Katherine. Senza si sente nuda...
“Sai
che ti ha aspettato tutta la mattina al cafè come uno
scemo?”
Davvero?
Tutta la mattina? “Ho incontrato una persona... e... sono stata
trattenuta. Poi dirgli che... che mi scuso...”
“Diglielo
tu. È proprio dietro di te.”
Klaus
attraversa il chiostro con passo svogliato. Ha avuto una giornataccia
ed sono solo le tre del pomeriggio. “Marcel, ti autorizzo a
darmi un pugno, la prossima volta che mi vedrai frequentare una
strega!”
“Ricevuto.
Hai ospiti.”
Quella
casa è un vero porto di mare. Uh? Nadia? Klaus si ferma al
centro della stanza. Come l'ha trovato? Che diavolo ha addosso?
Perchè sembra più adorabile della sera prima? Le gambe
si muovono verso la donna e il suo animo si rinfranca. “Cosa
posso fare per te, mia cara?”
“Sono
in partenza. Mi chiedevo se ti fosse possibile spedirmi la collana ad
un indirizzo di Varsavia.”
Klaus
non muta espressione ma dentro di se sospira, abbattuto. La delusione
è cocente. “E' senz'altro possibile. Nient'altro?”
Nadia
scuote la testa e pensa di aver affrettato la decisione. “Grazie...”
sussurra afferrando la mano che ciondola lungo il fianco e
stringendola fra le sue.
Klaus
ricambia la stretta ma le spalle si curvano lievemente. Sale i
gradini a due a due, desiderando rinchiudersi nello studio per il
resto della giornata.
“La
lasci andare così?” sibila a mezza bocca Marcel,
gettando un'occhiata a Nadia ancora ferma al centro del chiostro.
“Chiamale
un taxi” borbotta sfilando la giacca e versandosi da bere.
'Nadia' è un capitolo di poche righe da dimenticare.
Il
nero scuote la testa ripetutamente. “Ti sei appena lasciato
scappare una cosa bella, amico mio.”
“Le
cose belle non fanno per me. Dovresti saperlo.”
Era
lì, dietro il suo sguardo immobile. Nadia l'ha visto e non ha
saputo cogliere l'attimo per rimangiarsi la parola. Ha visto la
disillusione millenaria di Klaus, l'ha sentita nel tono di
voce. Katherine le ha raccontato delle passioni improvvise e della
curiosità feroce che lo divora dall'interno. L'ha messa in
guardia dalla cattura del suo interesse, ha consigliato di muoversi
come un'ombra. E' come un cane sull'osso: se ti morde non ti
lascia più andare, ha detto. Però a lei è
sembrata solo un'anima smarrita nel loop infinito del tempo,
senza più nulla da perdere, senza niente in cui credere. Solo,
fino alla consumazione dei secoli.
Com'è,
essere Klaus?, si domanda passeggiando per le strade di New Orleans,
ancora indecisa se partire o meno, senza orario dei treni da cui
attingere un aiuto. Lui si sveglia mai la notte cercando un corpo
caldo da stringere? Prova mai compassione per un mendicante nelle
notti invernali? Ha mai rimangiato una promessa o deluso una persona
cara? Si è mai innamorato, come lei ha amato visceralmente
Jean George? Crede nella lotta fra il Bene e il Male o è solo
convinto che il fine giustifica i mezzi?
“Ehi,
ciao!”
Il
volto corrucciato della vampira si distende a suono della voce
allegra di Camille. Passeggiando, è tornata al punto di
partenza. Nadia decide che non è casualità ma destino.
Qualcosa o Qualcuno vuole che resti a New Orleans. Forse per
dar tempo a Katherine di capire gli sbagli, pensa. Forse per
riportare sulla retta via un'anima dannata.
Camille
che è intenta a sistemare le casse vuote di birre nel
retrobottega del locale, una cuffietta è ancora al suo posto,
l'altra penzola oltre la scollatura. La canzone che proviene dal suo
lettore non la conosce. L'unica cosa che può dire, è
che il volume è troppo alto. “Vuoi un aiuto?”
“Ce
la faccio. Hai recuperato la catenina?”
Le
manca toccare il crocefisso quando è turbata. Nadia scuote la
testa debolmente. “Sembra che io sia destinata a restare altre
due settimane.”
“E'
un sacco di tempo per una riparazione” borbotta spazzando il
rettangolo di marciapiede su cui alloggeranno i fusti di birra in
arrivo dal fornitore. “Sembra tanto una scusa.”
“Klaus
l'ha spedita in Europa” soffia imbarazzata a pronunciare il suo
nome. Non è certo un amico e non sa bene come definirlo. Colui
che ha versato sangue per lei nel momento del bisogno, suona
blasfemo.
Camille
inarca un sopracciglio e le sue labbra si stirano in un sorriso
consapevole. “E' una scusa per trattenerti.”
Non
da alcuna fiducia al vampiro. “Mi interessa solo che sia
riparata. Tutto... il resto può aspettare.”
Camille
le lancia un'occhiata mentre riempie il sacco di sporcizia. Cos'è
tutto il resto? Che storia c'è fra loro? Lo conosce da
oche ore, ha letto le confessioni di Klaus e ne è rimasta
affascinata? Ma è una di quelle donne che scrivono agli
assassini in carcere?! “Tua madre?”
Katherine
si è ben guardata dal chiamarla. Nadia si rabbuia ancora una
volta e scuote la testa. Ha l'aria così sperduta e triste che
Camille si avvicina, dimentica di avere la scopa in mano, due
bottiglie e un lavoro da terminare prima che apra il locale. Cerca di
trasmetterle empatia con un semplice gesto cortese. Le stringe il
braccio e Nadia la guarda, grata per la dimostrazione di amicizia. Ai
vampiri preferisce gli umani. Agli uomini, le donne. Nadia sospira e
fa una cosa che non fa più da molto tempo: prende il viso
della barista fra le mani e la bacia, schiacciando morbidamente le
labbra contro le sue. Camille trasale e lascia cadere le birre in
terra. La prima colpisce il piede sinistro, la seconda si frantuma,
inondandole le scarpe da lavoro.
Ah,
la dolcezza di un corpo femminile non potrà mai battere la
ruvida prepotenza di uno maschile! Nadia la prende fra le braccia,
stringendola forte mentre Camille tenta di opporsi al bacio, superato
lo shock iniziale. La lingua di Nadia scivola via dalla sua bocca per
spostarsi sul collo. La morbidezza della pelle la spinge a tirare
fuori i denti, ma il sangue di Cami è pieno di verbena e
comunque non morderebbe mai un'amica.
Camille
spia la porta del locale socchiusa e prega mentalmente che qualcuno
esca a cercarla. Non si tratta di un bacio alcolico fra amiche
ubriache al college: quella è un'aggressione sessuale vera e
propria!
Non
vuol dire niente. Quel che sta accadendo fra loro non ha alcun
significato e Nadia non vuole ingannare una brava persona. Lentamente
si scioglie dal corpo caldo e pulsante della barista e si vergogna
del proprio comportamento. Fa un passo indietro mentre Camille cerca
di tenere a bada l'incipiente crisi nervosa.
“Scusami”
bisbiglia chinandosi a raccogliere i cocci della bottiglia. “Non
sono migliore di tanti uomini...” o di sua madre, pensa
impilandoli con accortezza per non tagliarsi.
“N-no
no, ci penso io...” bisbiglia in fretta per togliersi
dall'imbarazzo. Camille tiene gli occhi saldamente piantati a terra,
il cuore che batte senza tregua. Agitata com'è rischia di...
“Ahia!”
La
scheggia basta a far sbocciare un fiore di sangue sul polpastrello.
Nadia non si nutre da quando è arrivata ed ora sente la testa
girare per la fame. Camille porta il dito alla bocca in un gesto
spontaneo e...
“Problemi,
Camille?”
Un
brivido di pericolo le attraversa la schiena. Nadia si volta di
scatto ed è costretta ad alzare parecchio la testa: è
un licantropo e ha l'aria minacciosa. Dietro di lui ne compaiono
altri, certo a dar man forte. Quei sacchi di pulci ce l'hanno nel
DNA, il litigio!
Camille
sa come vanno a finire le dispute fra licantropi e vampiri: un bagno
di sangue e una morte dolorosa e non necessaria. Il camion dei
rifornimenti arriva nello stesso momento e lei è sollevata di
non essere più sola con la vampira e di non dover temere altri
attacchi 'sessuali.' Strofina la mano ferita sui jeans scuri e corre
a firmare la bolla di scarico. “Va tutto bene, ragazzi.
Aiutatemi col fusto di birra, forza.”
Come
si dice, ha colto la palla al balzo. Nadia scocca un'occhiata
ironica alla barista. Camille pensa che è in un bel guaio e
non può tacere l'evento a Marcel. I vampiri sono permalosi ed
estendono la proprietà anche senza il tuo permesso. Se
Nadia si ferma a New Orleans...
“Cami...”
“Devo
lavorare” afferma, decisa. “Scusami.”
Una
cosa che non sopporta delle donne: devono sempre piantare scuse
assurde! Nadia fa una smorfia, spostando i piedi dal rettangolo di
terreno dedicato alle casse di birra. I mannari continuando a
fissarla come se si trattasse di una presenza inopportuna. “Non
importa... ci vediamo stasera” sussurra e Camille sbianca e le
lancia un'occhiata disperata. Nadia sorride amorevolmente, la
agguanta per la nuca e le impone un altro bacio.
***
“Camille
richiede il nostro intervento.”
“M-mh...”
Klaus gira una pagina del diario vecchio di secoli – poi ha
smesso di scriverli – fruga nel cassettone e tira fuori un po'
di pergamene. Disegni, lettere di amanti, lettere mai spedite,
ritratti...
“Mi
hai sentito?” Marcel si affaccia alla porta dello studio,
trovando seduto in terra a gambe incrociate. “La tua bella sta
litigando con un gruppo di licantropi. Andiamo a piazzare le
scommesse?”
Klaus
batte le palpebre uscendo dalla trance. “Perchè? Hanno
commentato ad alta voce quel ridicolo vestitino che indossava?”
mormora dimenticando che Nadia avrebbe dovuto trovarsi a centinaia di
chilometri di distanza. Chiude il baule e spolvera veloce le mani.
Non può negare di essere contento della novità. “Fa
strada.”
***
Nadia
è forte e veloce ma i licantropi sono troppi. Il suo passato
le torna utile: non ha vissuto 500 anni senza imparare tutti i
trucchetti sporchi. Capisce che non c'entra nulla il bacio che ha
imposto a Camille, nessun uomo se la prende tanto se due donne danno
spettacolo in mezzo alla strada.
Camille
non è una che si frappone fra litiganti di quelle dimensioni,
ha una paura del diavolo ma qualcuno deve sedare gli animi. E' il
clima politico attuale? Gli accordi di Klaus hanno scontentato un po'
tutti e se la stanno prendendo con Nadia perché è una
straniera e non è soggetta alle regole come gli altri?!
“Quattro contro uno non è leale!” urla.
“I
vampiri non sono mai leali!” risponde un lupo mannaro sputando
a terra. “Perché noi dovremmo esserlo?”
“Ci
hanno relegato nel bayou per secoli e molte streghe sono state
lasciate morire agli angoli delle strade come 'insegnamento'!”
“Vero!
Che imparino cosa vuol dire vedere i propri amici morire!”
Morire
è una parola troppo grossa per quel cervello minuscolo.
Uomini!, pensa scuotendo la testa. Se la cercano sempre!
***
Eh
no, non va bene! Tutta quella folla ha attirato un sacco di turisti e
le loro fottute reflex digitali! “La prossima volta che la tua
donna vorrà fare del bene, risponderai tu delle conseguenze”
sibila Klaus sbattendo la portiera del Suv. E' uno che vede lontano,
sa già come andrà a finire: una menata del Sindaco, un
bagno di sangue quando lo irriterà oltremodo e un nuovo
Consiglio da eleggere. Che palle! “Lo scontro non è
stato autorizzato!” urla infilandosi di prepotenza fra la
gente. Nadia ha gli occhi di due taglie più grandi del
normale, i capelli scompigliati, il viso arrossato e sanguina
vistosamente dalla spalla sinistra. Klaus si trattiene
dall'imprecare: credeva avesse imparato la prima volta!
Nadia
approfitta della distrazione generale per assestare una violenta
testata al naso dell'uomo che la lascia andare con un gemito di
dolore.
Urgh!
Deve fare male!
Non
paga, afferra il secondo mordendolo a sangue e piazza un calcio in
mezzo alle gambe al terzo.
Uhhhh,
quello fa proprio male!
Più
si muove, più il veleno circola veloce nelle vene. Nadia ha
perso di vista il quarto.
“Alle
tue spalle, bellezza!”
Klaus
guarda male Marcel che ha appena urlato l'avvertimento. “Non
suggerire, vediamo come se la cava.”
“Perderà.”
“Sei
un coach poco incoraggiante” mormora inclinando la testa.
“Belle gambe, però.”
“E'
europea. Niente brasiliana.” Marcel segue il movimento
acrobatico di Nadia e sospira. “Riconsidererei l'idea di
portarla a letto. Se usa le gambe a quella maniera, non ne esci
vivo.”
“Si
sta battendo contro quattro lupi mannari e l'unica cosa che
riesci a fare, è commentare la sua ceretta?” Klaus
strangola un sorrisetto con tutte le sue forze. E' una vera teppista,
chissà da chi ha imparato. “Ora basta!” urla.
“Lascialo andare!”
Ma
se stringe ancora, gli spezza il collo e un mannaro in meno al mondo
non dispiace a nessuno! Nadia allenta la presa, fa una capriola e
atterra con grazia, flettendo le ginocchia. Tira giù il
vestito, ma tutta New Orleans sa che ha le mutandine rosa, ormai.
Prova a quantificare il danno che le ha inflitto il lupo e brontola
dentro di se: è condannata. I suoi occhi saettano verso quelli
del vampiro e Klaus l'analizza velocemente. Può sopravvivere
qualche ora senza morire. “Chi ha cominciato?”
“La
straniera ha aggredito Camille.”
“E'
vero?”
Nadia
fa una smorfia, guardando al di sopra della sua spalla. “E'
ancora viva.”
Quella
è la sua tipica risposta. “Ci sono delle regole
da rispettare. Noi non ci nutriamo della popolazione locale.
Camille?”
“Sto
bene” sussurra la barista distogliendo lo sguardo dalla donna.
“Ho cercato di fermarli ma non mi hanno ascoltata.”
Non
mette in dubbio le parole di Cami, ma è certo che nasconda
altro. “La prossima volta il colpevole risponderà delle
conseguenze. Sono stato chiaro?” sibila concentrando
l'attenzione sui licantropi. Avrà qualcosa da usare al
Consiglio appena Hayley romperà le palle. “Sparite dalla
mia vista, branco di idioti!” sibila scocciando un'occhiata per
uno e soffermandosi sulla vampira accovacciata a terra. “Tu
resti.”
Nadia
lo guarda con aria innocente ma sbianca appena una fitta di dolore
corre dalla ferita. Klaus la vede stritolare la spalla fra le dita ma
non muove un passo. C'è troppa tensione... e c'è ancora
troppa gente! Che diavolo vogliono ancora? Il bisbiglio di Marcel lo
capta ad un'altra frequenza del suono.
“Credono
sia una spettacolo organizzato. Forza, salva la bella.”
Sul serio?! Klaus
sbuffa apertamente e conta fino a tre, avvicinandosi alla donna. Le
porge la mano senza tante cerimonie. Il messaggio subliminale è
'facciamola finita alla svelta.' Nadia ha
il palmo freddo e sudato e l'attività fisica ha spedito il
veleno in circolo rapidamente, rispetto alla prima volta. Che sta
soffrendo lo sente dal modo in cui gli pianta gli unghie nella carne
Nadia fa leva sulle
gambe con tutte le sue forze, ma preferirebbe restarsene accucciata
nell'angolino che ha guadagnato. Il respiro comincia già a
mancarle. E' un effetto del veleno del lupo. Rigidità
muscolare, paralisi respiratoria. Le allucinazioni vengono poco
dopo. Il blocco cardiaco per ultimo.
“Devi proprio
rendermela difficile, eh?!” sibila Klaus abbassando la voce
ad una frequenza non udibile dall'orecchio umano. Se fosse stato un
altro momento o un altro luogo, l'avrebbe lasciata in pasto ai corvi!
Invece no!, pensa prendendola in braccio e alzando gli occhi al
cielo appena l'applauso della folla gli investe le spalle.Gli
tocca fare la parte dell'eroe, Cristo! “Siete autorizzati a
'cenare' fuori stasera!” bisbiglia diretto a Marcel che sta
ridendo sotto i baffi. “Potete gettare i corpi nella baia,
per quanto mi riguarda!”
Klaus raggiunge il Suv
scaricando la vampira sul sedile posteriore. L'ha messo in un tale
imbarazzo che non riesce quasi a parlare. “Voglio la tua
versione dei fatti. Ora!” sbraita col respiro corto. “Non
hai idea del casino che hai combinato e se devo prendermi una rogna
per te, farai meglio ad essere veloce ed esaustiva!”
“Scu... sa...
mi...”
Sempre educata, anche
in punto di morte. Klaus osserva malvolentieri la cancrena nelle
vene, il suo volto scavato. “Hai una ragione per vivere?”
Deve
mostrare a sua madre quando è stata brava a cavarsela da sola
ancora una volta... forse questo basterà a conquistare il suo
amore... forse... Katherine la prenderà fra le braccia e le
dirà... le dirà... che è stata... brava...
Nadia
mette un gemito e il vampiro sospira, tirando su la manica. E' sempre
l'ultima parola di uomo morente.
L'unica
parola.
Mamma.
***
Scavare
nel baule del 1500 non lo aiuta a calmare i nervi. Nadia nasconde
troppi segreti e deve avere un sacco di mostri sotto il letto, ma
questo non significa che può attaccare briga con la fazione
mannara costringendo lui ed Elijah a metterci la pezza! Ora gli tocca
un altro summit politico con quelle mezze seghe! Che
palle!, sbuffa rovistando fra i
ricordi. Perché tiene ancora la cronistoria di Katherine?!
Quella femmina dannata gli ha portato via un secolo di pazienza.
Dovrebbe sbarazzarsene, magari fare un bel falò in giardino e
arrostire due salsicce sopra. Il fidato camino però, è
sempre pronto all'uso. Klaus trascina il baule nel salotto, getta una
breve occhiata a Nadia che sta dormendo sul divano, e accende il
fuoco. Le sue lunghissime gambe sbucano dalla coperta, interropendo
la continuità porpora del tessuto. Il viso è rilassato
e i capelli sparsi sul cuscino riflettono la luce debole del
caminetto. E' un'opera d'arte... e un dito al culo.
Klaus si costringe a girare il collo e tornare ai disegni. Uuuh,
Rebekah ritratta mentre era nel suo periodo preraffaellita! Ha sempre
odiato quel disegno, diceva che la faceva sembrare grassa.
“Mh...”
Nadia
tira indietro una ciocca di capelli che le solletica la guancia. Che
cosa ha addosso? La morbidezza della coperta solletica il palmo della
mano, non ha mai toccato nulla di così prezioso. Non si è
mai concessa gioielli o pellicce, coerente con la scelta di restare
una persona umile e semplice. Quel tessuto stuzzica la parte latente
e oscura che ha ricacciato nel profondo. Conta fino a tre
e si alza sui gomiti, guardandosi intorno. Dov'è? Che cosa è
successo? Chi l'ha portata lì? C'è qualcuno alle sue
spalle!
La vampira individua un
tagliacarte affilato e fra l'afferrarlo e il puntarlo al mento di
Klaus, passa mezzo secondo. Come incontra il suo sguardo, le trema la
mano e il cuore caccia sangue a forza. Nadia pensa al peggio, poi
pensa alla spalla che non fa più male. Dovrebbe essere morta
per il veleno del licantropo...
Comincia a capire il
personaggio, sapeva che avrebbe reagito male e quel tagliacarte l'ha
messo lì di proposito per avvalorare la sua tesi: Nadia ha
avuto un sacco di brutti risvegli nella sua vita. Senza parlare,
Klaus le sottrae l'arma impropria e le caccia in mano una sacca di
sangue. Inizialmente aveva pensato ad un'adeguata presentazione del
prodotto, ma persino un innocuo bicchiere di cristallo sarebbe stato
frainteso. “Nutriti e smetti di fare la pazza.”
“Quando verrà
a costarmi, stavolta?”
La domanda vera è
quanto costerà a lui la scelta di lasciarla vivere.
Nadia esaurisce la
sacca mentre si guarda intorno. C'è qualcosa che non sia di
valore in quella stanza? Ha davvero tanto bisogno di cose preziose?
“Non eri obbligato a farlo.”
“Non farmene
pentire” mormora svagato, scegliendo le pergamene.
La donna si avvicina e
apre un diario che sta per andare in pezzi. E' molto antico...
“Sei pregata di
non leggere i miei diari.”
“Sono
stata a casa di Cami, ho letto il tuo file” mormora guardandolo
di sottecchi. “Se non cambi stile di vita finirai
all'inferno...”
“Correrò
il rischio” risponde. “La lettura ti ha impressionato?”
“Mi
ha rattristato” confessa posando il diario chiuso sul tappeto.
“Cosa sei? Un assassino di massa o uno scrittore di poesie?”
“L'uno
e l'altro. Ti crea problemi?”
Non
ha la risposta alla domanda perché ancora non ha visto le
sfaccettature del suo carattere. “Non ti ho mai giudicato.”
“Ma
non è quello che fate voi credenti? Giudicate, puntate il dito
e pregate un dio invisibile e inesistente?”
“Come
fai ad andare avanti se non credi in niente?”
“Sono
io il mio dio... e il tuo. Ti ho salvato la vita due volte, non
scordarlo.”
E
non l'ha neppure ringraziato, pensa guardando il fuoco che arde nel
caminetto. “Perché l'hai fatto?”
“La
prima volta per curiosità. La seconda...”
“...
per compassione?”
“Hai
letto il mio file. Non sono uno che si muove a compassione”
borbotta infilando la testa nel baule. “Era uno spreco
perderti.”
“Spreco?”
“Sei
bella, intelligente e hai messo sotto quattro licantropi. Ce ne sono
altre come te nel posto da cui vieni?”
Il
modo in cui la guarda, la riscalda. O forse è solo il fuoco la
sta stordendo. “Com'è, essere Klaus Mikealson?”
La
straniera fa domande pericolose. Klaus guarda le pergamene e rinuncia
alla sua opera di distruzione. Quella roba serve a ricordargli chi è
e cosa rappresenta. “Non ti piacerebbe saperlo.”
“Ti
sbagli” mormora avvicinandosi di un altro centimetro. “Sei
generoso, disinteressato... e vuoi essere perdonato.”
Non
poteva fermarsi a 'generoso e disinteressato'? Perdonato per
cosa, poi? “Quel che ho fatto ha sempre avuto uno scopo”
mormora sentendo l'angoscia serrargli la gola. “Rileggi la
Bibbia, Nadia. Il tuo Dio non è caritatevole come si professa.
Persino io ricordo due o tre passaggi interessanti... alluvioni,
piaghe d'Egitto, pestilenze. La tua religione ha sterminato popoli...
le Crociate ti dicono niente, Nadia?”
Soffia
il suo nome come un gatto soffia un pericolo. Klaus è
terrorizzato da lei e da quel che rappresenta: la redenzione. Ora
capisce perché è a New Orleans. “Tu giochi a fare
dio, ma in realtà sei un'anima persa che vaga da troppo tempo
su questa terra...”
“...
con un marchio sulla fronte, come Caino. Non appena ti fermerai,
tutti ti inseguiranno e ti colpiranno. Sarai dunque costretto a
fuggire costantemente e, ogni volta che ti fermerai, la terra tremerà
sotto i tuoi piedi... e alla fine morirai coperto di vergogna senza
ricevere la giusta sepoltura...” recita
divertito, alzandosi sulle ginocchia per sovrastarla in altezza. “Si
dice che Caino fosse malvagio per via del veleno iniettato dal
serpente in sua madre.”
“Si
dice anche che i primi vampiri discendano proprio da Caino, mio
piccolo dio sorto dalla terra per regnare sui più deboli”
sorride colpendolo nel vivo. “Non mi impressionano due
citazioni pescate a caso nella memoria, Klaus.”
Se
vuole davvero essere impressionata,
basta che continui su quella strada scellerata fatta di provocazioni
alla persona sbagliata! Klaus stringe i pugni, irritato.
“Ma
sì... posso impegnare una serata a parlare di religione con un
pagano eretico come te... comincia, Klaus. Impressionami.”
L'ultima volta che
Nadia aveva danzato era stato nel 1878. Stava viaggiando con una
compagnia teatrale rumena, quando la notizia della ritrovata
indipendenza della Romania, sancita durante il Congresso di Berlino -
che aveva appena rettificato il trattato di pace di Santo Stefano -
li aveva travolti in un piccolo villaggio austriaco.
I festeggiamenti
andarono avanti per giorni, Nadia li passò in lieta compagnia,
cantò quando le fu chiesto di cantare, ballò battendo i
piedi e le mani come le avevano insegnato e sollevò la veste
con grazia, inchinandosi con altrettanta leggerezza. Faceva tutto
parte dello spettacolo e Nadia non ne traeva particolare piacere.
Piroettare era un lavoro duro, sorridere le costava molti sospiri.
Ballare non era proprio fra le sue attività preferite. Ci
aveva riprovato, un centinaio di anni dopo, ma i risultati erano
stati patetici: il suo corpo rifiutava sistematicamente di lasciarsi
condurre e/o abbandonarsi ad un qualsivoglia ritmo. Non aveva
controllo, ne coordinazione.
L'aveva avvertito che
sarebbe stato doloroso (per i di lui piedi), ma Klaus non aveva dato
ascolto. Le aveva 'ordinato' di afferrare la sua mano e piantarla con
le 'menate'.
“Ti fai troppo
problemi, ragazza mia.”
Oh,
beh... se ne sarebbe reso conto da solo. Dopotutto, l'aveva
interrotta nel bel mezzo di un discorso di una certa rilevanza,
annunciando che gli serviva una tregua da tutto quel 'moralismo
bigotto' e le aveva versato da bere, senza neppure chiederle il
permesso. Katherine l'aveva messa in guardia dagli exploit
di Klaus ma Nadia aveva mai immaginato di trovarsi in una simile
situazione. Aveva deposto le 'armi' e si era alzata in piedi,
afferrando la mano del vampiro con un sospiro agitato. “Te ne
pentirai.”
“Mai
sottovalutarsi, mia cara.”
Era stato il tono farle
saltare il cuore in gola. O forse era stata la vicinanza, il profumo,
il calore. Aveva obbedito malvolentieri alle indicazioni 'la mano qui
e qua' ed era certa di essere arrossita, quando le aveva cinto la
vita, fermandosi ad una certa altezza della schiena.
“Questo non mi
distrarrà dall'argomento principe del nostro discorso.”
“Il tuo noioso
monologo sulla redenzione, non mi farà cambiare stile di vita”
aveva chiarito facendo un passo avanti, quando Nadia ne avrebbe
dovuto fare uno indietro, col risultato di intrecciare gli arti
inferiori in una vicinanza sensuale. La donna si era cimentata in uno
stupido saltello sul posto per riacquistare l'equilibrio,
imbarazzata.
“Apprezzo chi
cerca di agire moralmente, ma la maggior parte delle volte è
una fatica inutile. Sono certo che la tua coordinazione
migliorerebbe, se mi lasciassi condurre.”
“Lo farei se
sapessi da che parte cominciare.”
“Non guardare i
piedi, guarda me.”
Nadia aveva alzato la
testa in tanti piccoli scattini. Prima il torace, poi il mento con la
barba dorata, infine gli occhi, scuri nel riverbero del fuoco. Klaus
aveva inclinato la testa, sorridendole e un lampo azzurro aveva
squarciato l'oscurità del suo sguardo. Nadia era tornata a
guardare a terra e tutto il suo corpo si era irrigidito. “Il
Bene e il Male esistono contemporaneamente, devi solo trovare uno
stato di equilibrio...”
“Tu devi
perderlo, l'equilibrio” aveva sentenziato e Nadia non aveva
capito bene se intendeva quello mentale o quello fisico, perchè
un secondo dopo Klaus l'aveva fatta inarcare all'indietro: il sangue
era finito nelle orecchie, un gemito le era sfuggito e quando era
tornata in posizione eretta, aveva battuto più volte le
palpebre. “Aspetta... mi gira la testa...”
Klaus si era fermato, e
Nadia gli aveva stretto la spalla, strofinando la fronte sul dorso
della propria mano. “M dispiace, non riesco a mantenere il
passo. Non sono portata.”
“Non
vuoi essere portata.
Come pretendi di riscattare la mia anima se non hai fiducia in me?”
Nadia era trasalita,
cercando di afferrare il filo rosso del ragionamento. “E'
diverso! Completamente diverso!”
“Pensaci bene. Mi
chiedi di credere in te e nel tuo dio invisibile ma mi tieni a
distanze per paura di sporcarti le mani.”
“Questo cosa
centra con la mia inettitudine a danzare?”
“Ti ho dato dei
consigli e dei suggerimenti. Non ne hai seguito neanche uno. Non mi
ritieni all'altezza o temi che la mia dissolutezza ti contagi?”
“Non attecchisce
il male in un giardino ben curato.”
Klaus
aveva sorriso in maniera sinistra, quasi divertita. “I
peccati non possono essere disfatti, solo perdonati.”
“E'
quello che sto cercando di farti capire” aveva sentenziato
cercando di mantenere il controllo.
"Il riscatto dell'anima è troppo alto, e il
denaro sarà sempre insufficiente."
“Perciò
cosa mi suggerisci? La penitenza, la preghiera?” aveva
domandato con un altro ghigno sarcastico. “Vuoi che mi spogli
degli averi come San Francesco?”
Nadia si era guardata
intorno, indicando la stanza. “Hai così tanto bisogno di
oggetti preziosi?”
“Ognuno di essi
racconta una storia. Non ti piace l'arredamento?”
Una brusca piroetta
l'aveva fatta inciampare nei piedi del vampiro. Superata la
confusione del cambiamento, si era accorta di essere ormai stretta
fra le sue braccia. La novità le aveva fatto sgranare gli
occhi ma non aveva sentito lo stesso effetto in Klaus che la
scrutava, immobile e fisicamente 'distante'. “Scoprirò
il tuo segreto, Nadia. Spera solo che sia di buon umore, quando
accadrà.”
Klaus aveva capito di
aver centrato il segno quando aveva deglutito e un sottile orrore era
trapelato dal volto. La donna l'aveva guardato con le labbra
socchiuse e il respiro trattenuto, convalidando tutti i suoi
sospetti. Un secondo dopo, l'aveva spinta contro il muro e il
movimento veloce aveva mosso le fiamme del camino, facendo crepitare
il ciocco di legno al suo interno.
Nadia sentiva
chiaramente l'ossatura della mano che premeva la base del collo. Non
le toglieva il fiato, ma era un avvertimento sufficiente e non
fraintendibile. Si erano guardati negli occhi, poi Klaus l'aveva
lasciata andare. Nadia era rimasta immobile, dispiaciuta più
che risentita. Ferita più che impaurita. “Non ti fidi di
me...”
“Non è mia
abitudine” aveva risposto strusciando il palmo della mano
contro il pugno chiuso. La pelle di Nadia era soffice e calda. Aveva
sentito il battito del suo cuore attraverso la cassa toracica, il
singulto di paura che si era perso fra i denti quando l'aveva
toccata. Avrebbe voluto affondare la bocca fra i seni della donna e
godere della reazione finale del suo corpo. “Riconsidera il
soggiorno a New Orleans, mia cara.”
La stava bandendo dalla
città?! “Permettimi di restare, ti prego!”
Klaus non sopportava
quel servilismo. Non in lei, almeno. “Per tediarmi l'anima con
i tuoi discorsi creazionisti?”
“Voglio
conoscerti.”
“Nadia, non amo
ripetermi...”
“Non voglio
nuocerti!”
“Non potresti
comunque.”
“Di cosa hai
paura?!”
Klaus aveva distolto lo
sguardo, nel tentativo di riacquistare il controllo di se stesso. Pur
di prolungare la permanenza della donna nell'abitazione, aveva finto
di ascoltare le sue chiacchiere strampalate sulla salvezza e la
redenzione. Nadia aveva un bagaglio culturale vasto e predicava come
se ne andasse della propria vita. Sarebbe stata perfetta al suo
fianco nel Consiglio, per controbattere con pugno di ferro le tediose
disquisizioni diplomatiche del fratello e della rappresentante
mortale, un'imbrogliona fatta e finita che dava l'idea di voler
sedurre anche il diavolo.
Poiché la
risposta tardava ad arrivare, Nadia si era infine staccata dal muro,
avanzando verso il vampiro e prendendogli le mani. Klaus era stato
brutalmente strappato ai suoi pensieri organizzativi: le sopracciglia
si erano avvicinate al centro della fronte e un muscolo era guizzato
nella mascella. “Il tuo comportamento non fa che convalidare i
miei sospetti” aveva dichiarato, tirando indietro le braccia.
Ma Nadia non l'aveva lasciato andare e quel movimento non aveva fatto
altro che colmare la distanza fra i loro corpi.
Le avevano sempre
rimproverato di essere cocciuta ed insistente ma Nadia non avrebbe
gettato la spugna con Klaus. “Io ti vedo per quello che sei
realmente.”
Klaus mi era morso la
lingua per non controbattere acidamente mentre il suo corpo reagiva
alla dolce presenza. Se non avesse cianciato sulle stronzate morali,
non sarebbe stata dissimile da quella strega di Genevieve. Ma Nadia
aveva qualcosa che lo fermava, una vocina che gli suggeriva di
attendere per ottenere una ricompensa ben più alta della pura
soddisfazione fisica. “E come sono realmente?” aveva
domandato con un filo di voce mentre i pensieri gli urlavano nella
testa.
Nadia aveva sorriso,
come una mamma che perdona il suo bambino. Un coltello aguzzo aveva
trafitto il cuore di Klaus, lasciando entrare la speranza. Forse...
forse lei poteva capire... cosa era costretto a fare... per se stesso
e gli altri... o forse era solo una trappola per fargli abbassare la
guardia! “Devi andartene oggi stessi. Sei bandita dalla città,
se solo provi ad avvicinarti ai confini, ti uccido personalmente.”
La delusione appesantì
i lineamenti di Nadia, privandola della parola.
Non era studiato, non
era voluto, era completamente naturale e spontaneo. Possibile che si
fosse sbagliato?
“La definizione
di follia è ripetere all'infinito la stessa azione
aspettandosi un risultato diverso.” aveva sentenziato,
lasciandolo andare. “Sei l'essere più stupido che abbia
mai conosciuto in tutta la mia vita... ed io ho avuto a che fare con
gli Inquisitori, so quel che dico!”
Un momento prima gli
era sembrato che stesse per scoppiare in lacrime, di seguito l'aveva
insultato con eleganza ed infine l'aveva fatto sorridere.
“D'accordo... puoi restare ma non devi criticare il mio
arredamento.”
“Non me ne
importa un fico secco del mobilio. Mi interessi tu.”
Sarebbe stato bello,
detto un'altra situazione. “La mia anima” la provocò.
Era diventata veloce la sua lingua, così veloce che la mente
stessa non riusciva a stare al passo.
Un uomo è fatto
di corpo e spirito, non si può pensare di salvarne una parte a
discapito dell'altra. Nadia fece una panoramica del vampiro da capo a
piedi e mugolò fra i denti qualcosa che Klaus non capì
e non interpretò. Però lo fece sorridere di nuovo. Si
stava rendendo conto del 'caso disperato'?
Nadia l'aveva
minacciato con un gesto veloce, smorzando il ronzio improvviso del
cellulare. Perchè Matt la chiamava? La donna sorrise,
sentendosi quasi bene. “No, non fare nomi” aveva
sussurrato in tutta fretta quando aveva inteso il motivo della
chiamata. Dal silenzio protratto, Nadia aveva capito. Ma aveva
sperato tutt'altro.
>Stai bene?<
“No, che
domande...” aveva bisbigliato con la gola stretta e lo sguardo
fisso nel fuoco. “Dimentica questo numero.”
Klaus aveva fischiato
internamente. Roba grossa per un'affermazione tanto forte. Nadia
aveva gettato la scheda nel camino e l'odore di plastica bruciata gli
aveva invaso le narici. Non sembrava intenzionata a parlarne e non
l'avrebbe sollecitata in quel senso.
Nadia dondolò
verso il mobiletto dei liquori e si versò da bere con mano
tremante. “Mia madre è deceduta.”
“Le mie
condoglianze.”
“Non mi ha mai
voluto bene, non c'è nulla di cui dispiacersi...”
“Non parlavo di
lei. Porgevo il mio cordoglio alle tue speranze infrante” disse
ma Nadia non lo stava ascoltando. Stava pensando che se fosse andata
diversamente e il nonno avesse permesso a Katherine di tenerla, le
sarebbero state risparmiate tutte quelle immonde sofferenze. Sarebbe
morta nella devastazione del villaggio ad opera di Klaus? O avrebbe
avuto pietà di una bambina innocente?
“Non credo che
tua madre non ti amasse. Forse non era capace di dimostrarlo.”
Nadia emise un gemito e
una risatina isterica e delusa. “Katerina Petrova non ha mai
amato nessuno.”
Il nome risuonò
come un colpo di cannone nella stanza e nell'anima di Klaus.
L'impressione di averla già conosciuta, il piacere della sua
presenza, l'attrazione violenta che sentiva per Nadia... ma non
poteva essere la figlia di Katherine! Non aveva mai dimostrato un
briciolo della sua onestà morale, non aveva mai creduto in
niente se non in se stessa e nel potere, non aveva idea di cosa
fossero compassione o pentimento! “Era questo, il segreto. Se
non fosse morta, non l'avrei mai saputo.” Katherine era stata
egoista fino alla fine. Invece di chiedere il suo aiuto, invece di
mostrare un minimo di palle e umiltà, aveva lasciato che Nadia
viaggiasse sola e malata fino a New Orleans... l'aveva lasciata in
balia del mostro che temeva da secoli, anziché
assumersi le proprie responsabilità. Klaus pensò che
erano entrambi vittime degli errori genitoriali ma, come soldati,
andavano avanti per la loro strada. “Hai l'onere di organizzare
il funerale?”
“Il corpo è
stato bruciato.”
Non meritava neppure il
disturbo.
Un attimo dopo, Nadia
aveva scagliato il bicchiere di cristallo spesso contro il muro ed
era rimasta ansimante e piangente a fissare il nulla. “Una
cagna sarebbe stata una madre migliore di lei.”
Klaus non aveva
commentato, si era limitato a pensare quanti bicchieri erano rimasti
nel mobiletto, poiché lui stesso non lesinava gesti violenti
quando era irritato. La seguì con lo sguardo quando infilò
gli stivaletti ordinatamente risposti ai piedi del divano e la
giacchetta leggera. “Dove vai?”
“A pregare per
l'anima di quella stronza” disse, ferma sulla porta del
salotto. “Hai un'idea migliore?”
Oh, sì. Assai
migliore.
***
Non ha mai visto
nessuno crollare in quel modo e riprendersi altrettanto velocemente.
Per un momento ha creduto che avesse spento i sentimenti, poi si è
accorto che Nadia padroneggia l'arte della finzione come nessuno mai
e se l'è tirata appresso. Se deve restare a New Orleans, che
si renda conto di quel che succede al di fuori della vita turistica.
Al momento, Nadia se ne
sta in silenzio, appoggiata al muro della stanzetta nel retro di uno
strip club. L'occhiata di sufficienza che ha lanciato a Klaus quando
ha visto la scritta, parlava da sola.
La rappresentante della
controparte umana è una bella donna dai lunghi capelli neri e
i modi di una cortigiana parigina. Le è sfuggito il nome, ma
anche lei sembra annoiata dalla riunione forzata. La strega la
conosce: Genevieve è di una bellezza abbagliante che distrae
lo sguardo. La sua pelle è burrosa, sottile, pura. Le viene
voglia di affondarci i denti dentro. Non sembra particolarmente
entusiasta dell'evento. Forse non le piace il locale. Forse non le
piace trovarsi in compagnia di Klaus.
Nadia ascolta tutto
senza lasciar trapelare alcun sentimento. Klaus si chiede a cosa
pensi. Che cosa provi. Chissà cosa starà pensando di
Hayley, la legale rappresentante della fazione mannara, incinta di
quasi nove mesi che sta discutendo come una carrettiera con Elijah.
Il vampiro se la gode a vedere il fratello messo in difficoltà
dalla donna che ama e ogni volta che lei tocca la pancia, i suoi toni
si smorzano lievemente. Lo tiene per le palle. “Adoro
sentirvi litigare ma vi ricordo che la colpevole è stata morsa
e quasi uccisa dal braccio destro della nostra bella Hayley.”
La bellezza bruna
controlla il cellulare brontolando su un impegno e li prega di non
tirarla per le lunghe. “Camille O'Connell non ha lasciato
alcuna dichiarazione in merito.”
Perché sono lì,
allora? Nadia stacca la schiena dal muro e avanza di un passo,
attirando l'attenzione di Hayley. “Stai cercando di scatenare
una guerra inutile per radere al suolo la città?”
La bruna sospira e
infila il cellulare nella borsetta, sorridendo a Klaus. “Bella
ed intelligente.”
Nadia la ignora,
concentrandosi su Hayley. “Stai volontariamente obliando il
fatto principale: quattro lupi mannari si sono arrogati il
diritto di affrontarmi tutti insieme per 'darmi una lezione'.
Quattro uomini che non vedo in questa stanza!” urla
all'improvviso battendo il pugno e facendo trasalire anche Klaus. “Il
loro coraggio si manifesta solo in gruppo? Mandano avanti una donna
incinta a fare il lavoro sporco?!”
Hayley la guarda,
sorpresa e un po' stizzita. “Sono il capofamiglia e rispondo
io...”
“Se quattro pezzi
di merda di qualsiasi razza proveranno ad aggredirmi
nuovamente, non ci saranno tavole rotonde o discussioni filosofiche
che tengano! Al mio paese, la gente finiva impalata per molto meno!”
Klaus sente un brivido
intenso di eccitazione percorrerlo da capo a piedi. Non ha sbagliato
a definirla la persona più interessante di New Orleans ed ora
lo vede, un accenno del carattere di Katherine in lei.
“Come legale
rappresentante della controparte umana, è a conoscenza della
reale entità del danno inflitto a Camille O'Connell?”
La bruna scuote la
testa, in ritardo e poco attenta. Nadia risucchia il labbro inferiore
e lo lascia andare con uno schiocco umido che rizza i capelli sulla
nuca di Klaus. Di nuovo torna a concentrarsi su Hayley attirando il
fastidio di Elijah. “E' una caccia alle streghe, dico bene? Ho
assistito a molti roghi ed annegamenti, so quel che dico.”
Quella donna lo eccita
come un ragazzino tredicenne!
Genevieve sospira,
schiarendosi la voce. “Ti chiami Nadia, giusto? Beh, Nadia non
possiamo permetterci di rendere manifesto quel che accade dietro le
'quinte'.”
“I turisti sono
influenzabili. Mostra loro un po' di azione e crederanno ad una
messinscena...” commenta Klaus, annoiato. “Non ci sono
stati danni e Camille sta bene. Di cosa siamo parlando, ancora?”
Nadia è sorpresa
che nel Consiglio ci siano soprattutto donne. Elijah rappresenta la
fazione vampiresca, ma non capisce bene quale sia il ruolo di Klaus.
“Gradirei mostrarvi ciò che è avvenuto fra me e
Camille O'Connell” mormora fissando la bruna. “Mi ricordi
il suo nome.”
“Francesca
Correa. Guai a te se lo dimentichi ancora” sussurra con un
sorriso accattivante, scivolando gli occhi lungo la figurina maga di
Nadia. “Finiamola una volta per tutte. Ho un appuntamento e
sono già in ritardo.”
“Ed io ho una
veglia funebre a cui partecipare” risponde cupa, prendendole il
volto fra le mani e baciandola con un certo ardore. Nadia la sente
rispondere, poi la donna la allontana da se con un gesto fermo. “Non
toccarmi i capelli a meno che non te lo chieda espressamente”
soffia frugando con due dita nella borsetta. Le porge un biglietto da
visita e chiude la clutch con uno scatto metallico. Le strizza
l'occhio, scivola fino alla porta e scompare in una nuvola di
profumo.
Il silenzio della
saletta di protrae anche dopo il congedo di Francesca. Nadia ha un
pensiero compiaciuto mentre intasca il biglietto. Che classe,
pensa con un sorrisetto malizioso, tornando a rivolgersi ai presenti
e in particolare ad Hayley che ride sotto i baffi. “Questa
la normale reazione di un uomo” mormora indicando
l'immobilità stupefatta dei due vampiri. “In quanto
capofamiglia, puniscili come è giusto.”
Klaus è
tramortito dalla scoperta. Fatica a mantenere la calma e dentro
ribolle di fastidio ed eccitazione. “Abbiamo finito? Il
comitato scolastico per la salvaguardia del Decoro e della Decenza
può sciogliersi?”
“Non ancora.”
Klaus alza gli occhi al
cielo ed espira rumorosamente ma Elijah lo ignora e si rivolge ad
Hayley, non più gentile come prima. “Ti consiglio di
radunare il branco e rimarcare la tua posizione di dominio.”
“La mia guida non
è in discussione.”
“Povera
illusa...” soffia Klaus lasciando ricadere a terra il piede che
stava dondolando. “Ti stanno lasciando al comando perché
sei incinta della bimba miracolosa ma quando partorirai, ti
detronizzeranno, mia regina!”
“Non siamo una
monarchia, Niklaus.”
Detesta essere chiamato
a quel modo. Gli ricorda di quando era giovane, ingenuo ed umano!
Spazientito, Klaus tamburella le dita sul tavolo, lanciando uno
sguardo a Nadia che sta osservando la tavolata. Nella postura è
identica a Katherine. La invita a sedersi con un gesto svogliato, ma
la donna resta distante. E gelida. “Siete seduti su una
polveriera che sta per esplodervi sotto il culo. Non contate su di
me” mormora abbandonando la stanza.
Nadia attraversa con i
paraocchi la folla eccitata dello strip club. Restare a New Orleans è
una follia ed è stata coinvolta nella presa di una città,
più di una volta. La prima volta non è stata così
brava a scappare o a difendersi...
“Fermati!”
La donna si blocca nel
bel mezzo del marciapiede, Klaus gira il braccio attorno alla sua
vita e la spinge avanti. Quando sono abbastanza distanti dal locale,
il vampiro si infila in una stradina poco battuta. “Tu ed io
faremo grandi cose, insieme.”
Loro... cosa?
“Ho bisogno di
qualcuno che non si perda in ciance diplomatiche ma vada dritto al
punto. Niente in contrario se è una bella donna a farlo.”
Sta tentando di
incastrarla.
“A farla breve,
ho bisogno di una Regina guerriera.”
Lui... cosa?
“Non è una
proposta romantica ma un puro accordo politico.”
Nadia aggrotta la
fronte, perplessa. “E cosa dovrei fare, esattamente?”
Nadia non aveva avuto
una madre ma in compenso aveva ritrovato il padre. Lev, il
Viaggiatore che l'aveva prelevata al villaggio, era stato incaricato
dall'uomo di riportarla 'a casa'. Gregor le era piaciuto
immediatamente: aveva gli occhi buoni e sorrideva spesso, un balenio
bianco che interrompeva la continuità della barba rossastra, i
capelli neri con qualche filo bianco. Emanava sicurezza, calore e
l'amava senza ombra di dubbio. Dal padre aveva appreso lo sventurato
destino di Katherine e il nome del vampiro che la tormentava. Nadia
si era sentita un po' meno abbandonata e aveva iniziato una nuova
vita nel piccolo accampamento dei Viaggiatori.
Il padre le aveva
spiegato che non potevano mai essere più di una decina, che su
di loro gravava una maledizione ma che il suo arrivo non avrebbe
alterato le cose, perché era una ragazza buona e semplice che
non possedeva doni sovrannaturali. Aveva osservato la crocetta che
portava al collo con un certo compiacimento e le aveva detto che
Margaret aveva fatto un buon lavoro. Nadia non aveva ben
capito ma aveva sentito la felicità invaderla. Per cinque anni
Nadia viaggiò e studiò al fianco del padre, si lasciò
tentare dalla promessa di una vita piena, si innamorò per la
prima volta, non fu ricambiata e pianse calde lacrime. Il giorno in
cui arrivò Consuelo, il vento dell'Ovest ruggì. Gregor
le proibì – per la prima volta! - di starle
vicino e men che meno fare amicizia, ma ormai Nadia era conquistata
dai profondi occhi neri ematite, dalla pelle caramellata, dalla
parlata sguaiata e il forte accento catalano. Sotto la gonna
stracciata aveva un vasto assortimento di coltellini infilati nella
giarrettiera, beveva e parlava come un uomo, prendeva tutto quel che
voleva e non si fermava di fronte a nulla. A volte Nadia credeva di
vedere le sue pupille brillare nel buio e un brivido caldo piombava
nel ventre, illanguidendola tutta. Non avendo mai provato nulla del
genere per una persona del suo stesso sesso, si affidò alla
religione che aveva trascurato negli anni, in cerca di sollievo.
Una sera Nadia vide
quel che il padre cerca di nasconderle e ne fu travolta: Consuelo si
era presa il più bello e forte dei Viaggiatori, Anton –
per cui lei nutriva ancora un sentimento profondo - e il sangue era
sgorgato. Se n'era impadronita con lascivia, dopodiché le
aveva mostrato come rendere felice un uomo a riparo da sguardi
indiscreti, ma quello che l'aveva shoccata più del resto –
non era una bambina e sapeva benissimo cosa accadeva dentro una tenda
buia – era stato il suo sguardo nero, le profonde venature
attorno agli occhi, i denti sporchi di sangue.
“Demonio!”
aveva sussurrato stringendo la sua insulsa crocetta, un groviglio di
sensazioni e sentimenti contrastanti.
Consuelo aveva riso
gettando indietro la testa e l'aveva contraddetta con ferocia e
sarcasmo... e se l'era presa, coma aveva preso Anton. Era stato il
sangue o il sesso a legarla a lei. Nadia non poteva fare altro che
obbedire e compiacerla.
Gregor era andato su
tutte le furie quando l'aveva scoperto, ma poiché a quei tempi
i vampiri e i Viaggiatori si coprivano le spalle nei riguardi delle
streghe, e Consuelo si era rivelata un'alleata preziosa, non aveva
potuto fare altro che osservare la propria bambina soggiacere ai
voleri della Succube del Diavolo.
Poi l'accampamento era
stato attaccato da una congrega e Consuelo aveva pensato bene di
tradire l'amicizia ventennale con Gregor, defilandosi e portandosi
via la figlia come ricordo. Nadia aveva lottato contro la vampira ed
era stata uccisa con crudeltà e violenza. Quando si era
svegliata, in transizione e confusa, aveva arrancato fino al corpo
straziato del padre, piangendo calde lacrime sui cadaveri. Quello che
aveva imparato sui vampiri, l'aveva scoperto da sola. Non era stato
facile e aveva spesso rischiato di morire per aver succhiato l'ultima
goccia di sangue o per non essersi messa al riparo dal sole.
Quando lui arrivò,
le cose peggiorarono.
Nadia pensa a tutto
questo mentre Klaus getta sul piatto la sua offerta. Pensa a lui.
E a Consuelo. “Mi stai chiedendo di essere il tuo
diplomatico, in tuo tirapiedi, una spia e il tuo 'più uno'
alla Festa della Benedizione?”
“Voi donne siete
multitasking, confido nella capacità organizzativa innata.”
La proposta non è
malvagia: le da la possibilità di svuotare la mente dai
pensieri negativi e la costringe a pensare al futuro in termini di
settimane e non di secoli. Lo trova stranamente confortante. O forse
è il chiaro di luna della notte tiepida. “Accetto
l'accordo ma declino l'invito alla festa.”
“Posso chiedere
come mai?” Klaus allarga le braccia sulla panchina di legno un
po' umida e dondola una gamba.
“Non ho niente da
indossare, non sono di compagnia, non so ballare e non amo le
chiacchiere vacue.”
“Di questo ne
riparleremo. Raccogli i tuoi averi, sei mia ospite a tempo
indeterminato.”
La sua arroganza è
leggendaria. Katherine l'ha avvertita che non accetta 'no' come
risposta. Perciò... “No, grazie.”
Il vampiro le scocca
un'occhiata. Lunga, felina e cattiva. “Non hai capito”
sussurra. “Sei in prova. Se al termine della prova non sarò
soddisfatto, mi sbarazzerò di te. Nel frattempo, ti voglio a
portata d'occhio e d'orecchio. Ti va bene, messa in questo modo?”
“Per niente”
ripete con voce tenue solo per gustarsi l'espressione incredula del
vampiro. “Non hai bisogno di ordinare. Basta chiedere con
cortesia.”
Una tiepida ironia
arriccia le labbra di Klaus. Non deve essere abituata a sfidare
vampiri più forti, non teme le conseguenze delle sue parole.
“So di essere in
debito con te...”
E' il tono di voce,
l'incipit della frase? Klaus ha cambiato espressione e la studia
interessato. Nadia espira prendendo infine la sua decisione: ha
bisogno di sapere se esiste un altro modo di vivere oltre a
quello che le ha mostrato 'lui' ed oltre a quello 'vietato' dalla sua
religione. Fare una prova. Per un po'. “La tua fiducia sarà
ben ripagata.”
“Non ho alcun
dubbio” mormora, soddisfatto solo in parte di aver condotto in
porto l'accordo. Gli accordi sono fatti per saltare, le alleanze
tradite. “Le regole sono semplici e poche: non si caccia per
uccidere, non si uccidono altri vampiri. Se uccidi un vampiro,
finisci nel Giardino e lì non ci sono fiorellini e
uccellini a tenerti compagnia.”
Cos'è il
Giardino? “Il quinto dice 'non uccidere', Klaus...”
“... e il nono
dice 'non desiderare la donna d'altri'. Camille appartiene a
Marcel, quindi lascia perdere” mormora distratto da un nuovo
pensiero: i lupi mannari hanno cercato un pretesto per attaccar briga
con i vampiri, gli umani ci andranno di mezzo e prima o poi le
streghe si schiereranno... o forse risorgeranno dalle ceneri di New
Orleans. Hanno stipulato un patto? Hayley non avrebbe il fegato di
mettersi contro di lui e detesta le streghe dopo quel che le hanno
fatto passare. La scarta a priori ma tiene un occhio puntato sui
tirapiedi spacconi. “Ti affido il tuo primo incarico, dolcezza.
Prendi contatti con Francesca. Falla parlare, non mi interessa il
modo. Voglio sapere cosa sta accadendo alle mie spalle e quanto
feroce dovrà essere la mia vendetta.”
E se non ci fosse
proprio un bel niente dietro? “Ti porterò anche il nome
della maestrina delle elementari” promette. “C'è
una chiesa da queste parti?”
“Giù per
Bourbon Street. Quando sei dentro, chiedi di padre Kieran. Non dirgli
che ti ho mandato io o fiuterà una trappola.”
Un venticello fresco,
come un presentimento cattivo, la fa rabbrividire. “Ora posso
vedere il Giardino?”
***
Francesca non sa un bel
niente di niente. Nadia ci ha messo poco per farla parlare e non è
neppure dovuta ricorrere alla seduzione. L'umana non sa
dell'esistenza di una pianta chiamata verbena che è in grado
di annullare la malia di un vampiro. Certo non può negare che
le serate trascorse insieme si stiano rivelando più piacevoli
del previsto, ma non è pronta ad andare avanti e la sua
riluttanza sta stuzzicando ed infastidendo Francesca allo stesso
tempo. Quando l'ha confessato, la donna ha sussurrato che era molto
dolce, ma l'ha liquidata prima che la bottiglia di vino finisse.
Nadia ha capito di aver fatto un passo falso – mai aprire il
proprio cuore ad una sconosciuta – ed è rientrata a casa
scornata, nervosa e un po' alticcia. Si è tolta i vestiti e si
è infilata nella doccia per cacciar via l'odore di fumo che
appesta tutti i locali della città. Dopo aver asciugato i
capelli, Nadia si è seduta sul bordo del letto, sfogliando un
libricino con sguardo vitreo. La solitaria veglia funebre che aveva
tenuto per Katherine, non aveva portato alcun giovamento. Ha davvero
perso la fede o troppe cose, tutte insieme, le impediscono di
concentrarsi sulla preghiera?
/La
sera prima/
Nella chiesa di padre
Kieran si respirava un'aria strana. Un sentore di morte aleggiava fra
le quattro pareti, rizzandole i peli delle braccia. Era successo
qualcosa di orribile in quel posto, aveva pensato prima di scoprire
la verità sul massacro dei fedeli. Nadia si era fatta il segno
della croce e il prete si era avvicinato, indicando il libro di
preghiere.
“E' davvero raro
vedere qualcuno rivolgersi a San Francesco di questi tempi.”
“O in questa
città” aveva sussurrato infilandovi dentro un segnalino.
“Avrei bisogno di confessarmi, padre.”
L'aveva sconvolto, quel
pover'uomo. Quando aveva capito di non stare parlando con una fedele
qualsiasi ma con un vampiro in crisi mistica, era ammutolito. Le
aveva detto di non averne mai incontrato uno e che non credeva fosse
possibile che un anima persa cercasse conforto nella parola del
Signore. Confessare la relazione
impura con un padre della Chiesa, era stata la cosa più dura
della sua vita. Nadia aveva temuto che prendesse il crocefisso e
glielo sbattesse in testa, ma padre Kieran era stato ben più
lungimirante. Le aveva dato l'assoluzione ma Nadia aveva creduto che
fosse più per paura che per reale perdono.
Un'ora dopo, piangeva
calde lacrime di orrore.
Klaus
non aveva alcun interesse ad illustrarle le 'meraviglie' nel Giardino
e l'aveva affidata alle cure di Marcel. Poco prima, Nadia
aveva cominciato a bere per annegare il ricordo di Katherine e mentre
sprofondava negli abissi alcolici, l'incubo era tornato,
claustrofobico e crudo. Si era ripetuta che non era vero, che non
sarebbe mai più successo, che non lo stava vivendo e pian
piano era riuscita a distinguere le cupe figure nella cripta
sotterranea. Anime perse, corpi rinsecchiti, occhi vacui che
fissavano il vuoto in cerca di sangue.
“L'ha fatto
Klaus...?”
“No, sono stato
io.”
Era compiacimento
quello che trapelava voce? Per un attimo, Nadia aveva immaginato di
essere di nuovo prigioniera della fossa, ma ne era uscita nel
peggiore dei modi e non avrebbe mai più rivissuto
quell'incubo. “Peste vi colga...” aveva gorgogliato
tenendosi ben distante dalle pareti. “Non avete alcuna pietà...
fratricidi...”
“Non li stiamo
mica torturando. Gli lasciamo tempo per riflettere sui propri
errori.”
Maledetti dal primo
all'ultimo, incapaci di vivere o morire, sospesi in un purgatorio
terreno in cui il tempo si è fermato. Perché Klaus
permetteva che accadesse tutto quello?!
Nadia era rincasata
all'alba con lo stomaco in subbuglio, l'anima torturata per la sorte
dei malcapitati e il ricordo delle punizioni inflitte da lui
che non contribuivano alleviare la pena. Quando accadeva, perdeva il
lume della ragione. “Svegliati!!”
Il vampiro si era
voltato nel letto, disturbato dal richiamo della donna. Aveva
continuato a sonnecchiare finché una mano dura l'aveva
scrollato con violenza e c'era mancato poco che Nadia finisse a far
compagnia ai cadaveri nel fiume. “Ma che caz....”
“Sei a capo della
congrega, dovrei guidarla con saggezza ed onestà, non
torturare quelle povere creature macchiate di chissà quale
delitto!” aveva urlato aggrappandosi alle sue spalle nude.
Klaus ci aveva messo un
po' a raccapezzarsi. L'olfatto registrava una dose massiccia di
liquore, il tatto, dita gelate sulla pelle. Aveva dimenticato la
visita guidata come uno stupido. Nadia era cattolica, le bastava
pregare il Signore col giusto fervore per ottenere piaghe d'Egitto ed
alluvioni. “Il giorno in cui guiderai una comunità, ne
riparleremo. Va smaltire la sbronza da un'altra parte.”
Nadia aveva congiunto
le mani, chiudendo gli occhi lacrimosi nello stesso momento. “Non
potresti almeno prendere in considerazione l'opzione di smantellare
quell'abominio e applicare la legge in maniera meno severa?”
“Troppe cose ti
sono ignote ed è bene che restino così” aveva
biascicato sistemando il cuscino con un pugno. “Ci hai dato
dentro con il bourbon, eh?”
Ricordarglielo serviva
solo a farle girare la testa. “Ti prego, ti supplico e ti
scongiuro di rivedere la tua decisione!”
Non poteva scongiurarlo
di mattina? A mezzogiorno sarebbe stato meglio.
“Dimostrati
migliore degli altri... ti prego...”
Gli altri chi?
“Se dico sì, la pianti e mi lasci dormire?”
Nadia aveva annuito,
muovendo scompostamente la testa e l'ondata di nausea le aveva
rimescolato lo stomaco. Era diventata verde e aveva dovuto
abbandonare la stanza in tutta fretta per evitare di rigettare sul
pavimento. Klaus aveva spinto il cuscino sulle orecchie, domandandosi
chi fosse il lui o la lei che Nadia aveva bisogno di
esorcizzare.
/Ora/
A ripensarci non era
stato ne saggio ne cauto da parte sua. Aveva mostrato una mancanza di
rispetto che lui non avrebbe tollerato...
Toc toc
… ed è
ancora avvolta dall'asciugamano.
Nadia si sgrida
mentalmente: deve ricordare che non è sola in casa propria e
che quel posto è un vero porto di mare. Ma nuda o vestita che
differenza poteva fare? Se aveva deciso di allontanarla, ucciderla o
punirla non sarebbe stata la sua mise a fargli cambiare
idea.
“Vieni in
salotto. Dobbiamo parlare.”
La voce di Klaus non è
alterata dalla rabbia e non ha particolari inflessioni. Per un
momento pensa di fuggire dalla finestra, l'altro ha già
estratto gli abiti dall'armadio come un bravo soldatino. Katherine
aveva detto che scappare non serviva a niente e Nadia non aveva
potuto contraddirla: l'aveva sperimentato sulla pelle per anni.
***
Ma dove li prende quei
ridicoli vestitini? Klaus sospira per la mancanza di gusto della
donna. Eppure è figlia di Katherine, non ha ereditato proprio
nulla da lei? “Francesca ti manda i suoi saluti, o mio dolce
fiorellino di campo.”
Ah... ecco di cosa
devono parlare. Ha usato proprio quel termine per descriverla quando
le ha parlato della sua scelta di fare l'amore solo con la persona
giusta. “E' arrabbiata perché non voglio concedermi a
lei.”
“Ti costa
fatica?”
Una promessa fatta a se
stessa non può essere sospesa alla leggera. Ma questo lui non
può capirlo. “Hai detto che non ti importava il modo in
cui ottenevo informazioni. L'ho soggiogata...”
“Prende la
verbena!” esclama Klaus con un risolino incredulo. “Il
tuo candore è squisito e completamente inutile in questa
occasione. Per nostra fortuna, Francesca non ha alcun interesse a
schierarsi. È una commerciante, sopravvive sempre. A lei basta
che ci sia un mercato di compravendita... però ha un'interesse
particolare per i farabutti e mi appoggia senza ombra di dubbio.”
Ah sì... sa come
va a finire la storia. Ora le dirà che l'ha delusa...
Klaus posa il bicchiere
vuoto e cammina fino a lei, le mani infilate in tasca. “Quando
ti affido un compito, mi aspetto che lo porti a termine.”
Appunto. Nadia
raddrizza la schiena, trattenendo il respiro. “Non sono stata
all'altezza e lo capirò se vorrai punirmi.”
Fossero tutti come lei,
non avrebbe tanti problemi a regnare sulla città. E'
conquistato dalla sua lealtà, ma il costante servilismo non
riesce a tollerarlo. “Non dire sciocchezze. Ti sto chiedendo
troppo in un momento di dolore.”
“Non merito
giustificazioni...”
Lo sguardo dimesso di
Nadia pizzica in un angolino del cuore e non gli piace tanto quando
succede. Il suo dolore è interno, profondo e radicato negli
anni. Klaus non riesce ad essere duro con lei. Gli ricorda troppo se
stesso. “Non ti affiderò altri compiti al momento, è
evidente che non sei in grado di scendere a compromessi... ne vorrei
che tu lo facessi” conclude girando su se stesso “Chi me
la salva l'anima, altrimenti?”
La tensione che le
appesantisce i lineamenti scompare. La preferisce così che
tormentata come l'ha vista in quei giorni. Klaus l'aveva udita
rientrare alle prime luci dell'alba e salire le scale con passo
stanco e pesante. Da sconfitta. L'aveva spiata mentre fissava il
cellulare, col bigliettino di Francesca in mano e la voglia di fare
tutt'altro dipinta sul viso. Era evidente che il compito non le
piacesse per niente ed era certo che avrebbe preferito restarsene sul
divano della biblioteca a leggere Rousseau, invece di uscire
tutte le sere a far baldoria per New Orleans con la donna. A tal
proposito... “Ho trovato questo da un vecchio libraio
vicino al porto. E' una prima edizione.”
Klaus le tende il
libro, spiando le sue reazioni. E' un po' come mostrare la piumetta
al gatto sperando che ci giochi. Funziona. Nadia si avvicina
titubante ma gli getta un'occhiata sospetta. “Voltaire?”
“Ti ho vista
prendere dei libri dalla mia biblioteca e ho pensato che potesse
interessarti. Spero non ti sfugga l'ironia della scelta.”
Il Candido, o
l'Ottimismo. “Sosteniamo tutto e il contrario di tutto.
Questo libro descrive fin troppo bene la violenza cieca della natura
e la fragilità degli esseri umani. Sapevi che le descrizioni
delle improbabili mutilazioni dei protagonisti ispirarono il marchese
de Sade?”
“Non amo il
genere e non capisco cosa si trovi di piacevole nell'essere frustati.
Mio padre ha sempre usato il bastone con noi e nulla di ciò
che ci infliggeva portava piacere erotico” commentò
velocemente, dandole le spalle. “Intuisco che il mio regalo non
ti entusiasmi.”
“Al contrario”
mormora stringendo il libro contro il seno. “Potevi comportarti
diversamente, potevi punirmi per la mia mancanza...”
Nei primi tre minuti
della chiacchierata con Francesca avrebbe voluto ucciderla, ma il
racconto allegro della donna e la descrizione minuziosa della sua
ritrosia l'aveva deliziato. Stronzate a parte, Nadia non aveva
causato guai e la prima volta poteva lasciarla passare. La prima
volta.
“... ma hai
scelto di perdonare e questo farà di te un gran comandante.”
Preferiva re, ma per
quella sera dovrà accontentarsi. “Toglimi una curiosità.
Perché non hai voluto fare l'amore con lei?”
“Alla luce dei
fatti, sarebbe servito?”
Non gli è
sfuggito l'irritazione nel tono teso della voce. La leggiadra
straniera amante della cultura non desidera parlare di se stessa o
mostrare debolezze umane. Un altro punto in comune. “Non ho
trovato solo quel libro, al porto...” borbotta cambiando
argomento e sollevando una pila di tomi. “Hai letto anche
questi?”
[...] Il sole che
muore rinascerà ma questa luce nostra fuggitiva
una volta abbattuta, dormiremo una totale notte senza fine
[...]
Catullo
La donna veniva tutte
le sere, alla funzione delle diciannove. Padre Kieran l'aveva vista
inginocchiarsi negli ultimi banconi, pregare fervidamente ed
allontanarsi con lo stesso animo pesante di quando era entrata. Era
la prima volta che assisteva ad un tale pentimento in un assassino
naturale. Si tacciò di codardia ma nessuna forza divina lo
spinse a prendersi cura dell'anima dannata. Era innaturale. Perverso.
Spaventoso.
“... e guarda
caso ha pensato proprio a me. Sono lusingato, padre.”
Padre Kieran non
entrava mai al Rousseau's, un'altra ragione per cui Klaus
frequentava il locale... a parte l'ottima compagnia di Camille,
impegnata anche quella sera a mescere liquori e ascoltare confessioni
ardite.
Klaus era perfettamente
a conoscenza delle strane abitudini di Nadia. Tipo recarsi una volta
al giorno nel Giardino e rendere ancora più pesante la
punizione dei traditori, tormentando le loro orecchie con le letture
sacre. La novità della straniera si era spenta e nessuno
faceva più caso a lei. La si vedeva a tarda notte seduta su
una panchina del parco, sola, o agli angoli delle strade ad ascoltare
i complessini jazz. La catenina era tornata integra e brillante e
Nadia aveva stentato a riconoscerla. Aveva ringraziato educatamente
ma Klaus non l'aveva mai più vista al suo collo. Era dura, la
bella Nadia. Aguzza come un punteruolo, liscia come un diamante ed
immobile nel tempo. Le spalle erano sempre rigide, lo stomaco
perennemente vuoto. Si puniva per qualcosa che aveva o non aveva
fatto e trascurava se stessa, violentandogli la vista con i suoi
sciatti vestitini.
/Prima/
La sera in cui aveva
letto per lei stralci de “La Signora delle Camelie' aveva
creduto di vedere un guizzo di vita o interesse, ma finito il
passaggio la fiammella si era spenta. Klaus aveva letto un altro
capitolo e poi un altro. Nadia si era rannicchiata in un angolo del
divano del salotto, sotto la coperta di velluto rosso in cui l'aveva
avvolta la prima volta. Klaus l'aveva strappata dal proprio letto,
noncurante della sua sorte e non l'aveva più rivista fino a
quella sera. La sua mente aveva riflesso la parola 'protezione' e un
sentimento di calore lo aveva invaso, mettendolo sulle spine e
approfondendo la voce.
“C'erano, in
Marguerite, fierezza ed indipendenza: due sentimenti i quali, offesi,
hanno la forza di fare quello che fa il pudore. Io non riuscivo più
a parlare: sembrava che la mia anima fosse tutta nel mio cuore, e il
cuore tutto nei miei occhi...”
Nadia trovava la
lettura piuttosto noiosa, ma Klaus traduceva per lei con una cadenza
sexy e calda da farle desiderare ben altre parole sussurrate
nell'orecchio. Vagava con l'immaginazione, insonnolita dalla comodità
del divano, dalla ricca coperta di velluto rosso, profondamente grata
per quel momento di quiete. I libri erano tutti in francese e sebbene
vivesse a Parigi da anni, aveva sempre avuto problemi con la lingua.
Non arrotondava la 'erre' nel modo giusto, sbagliava gli accenti,
dimenticava i plurali. Klaus, invece, sembrava non masticare altro da
secoli. Appariva calmo, la lettura lo rilassava – Nadia si
chiese se fosse il suono della propria voce a dargli sicurezza –
ogni tanto le gettava un'occhiata e poi girava la pagina, e i suoi
occhi scorrevano sulle righe prima di socchiudersi come quelli di un
gatto impigrito dal sonno. Ma fra i due, si disse soffocando uno
sbadiglio, era lei che stava crollando. Per la prima volta da giorni
si sentiva in pace. Una piacevole bolla di serenità la
circondava e la cullava, facendole chiudere...
Tump.
Il tonfo del libro
aveva interrotto la lettura del vampiro. Era stato come narrare ad
una bambina che non voleva saperne di dormire, ma le domande di Nadia
erano acute e brillanti e lo spronavano ad andare avanti.
Il libro doveva essere
scivolato perché non sentiva più la costina dura fra le
dita. Nadia aprì gli occhi appiccicosi di sonno, sbirciando
l'individuo in controluce. Klaus abbandonò i volumi
lentamente, fissando lo sguardo sulle curve esaltate dalla coperta. I
capelli sparsi, le lunghe gambe che sbucavano dal vestitino a
fiorellini che sarebbe stato bene in terra. O a far compagnia ai
ciocchi nel caminetto. Un pensiero gentile gli accarezzò
la mente, si diede dello sciocco ma decise di farlo lo stesso: poiché
la posizione si prestava, passò le braccia sotto le ginocchia
e la schiena e la sollevò.
Nadia emise un singulto
sorpreso e si aggrappò alle spalle del vampiro. Ci mise un po'
a capire l'intento generoso di metterla a dormire e quando lo fece,
sistemò meglio la testa contro il suo collo e si abbandonò,
inspirando una miriade di odori che avevano l'effetto di
rassicurarla: il calore del fuoco che aveva scaldato la pelle
rivelando il suo profumo personale. Il sapone da bucato della maglia,
il sentore di un profumo maschile, ne troppo, ne troppo poco. Era
tutto nuovo e già visto. Era piacevole sentire la durezza dei
suoi muscoli dietro le ginocchia e attorno alla schiena. Il pizzicore
della barba quando Nadia aveva alzato la testa, sorpresa dalla
perdita di equilibrio, e Klaus aveva strofinato il mento contro la
sua fronte non volendo. Ora quel punto bruciava da morire e avrebbe
voluto frizionarvi le dita sopra per mandarlo via. I gradini non
erano molti e Klaus stava calpestando l'ultimo prima del corto
corridoio che conduceva alla sua stanza. Nadia strinse le dita
attorno alla maglia, all'altezza del cuore e il vampiro esitò
a compiere il successivo passo. Resta, avrebbe voluto dire. Resta un
altro po'. “Puoi mettermi giù...” sussurrò
invece con un filo di voce che non riconobbe come propria. “Sono
sveglia...”
“Lo so”
rispose spalancando la porta con la spalla ed immergendosi
nell'oscurità della stanza. Nadia chiuse gli occhi espirando
forte. Ora avrebbe compiuto un passo falso, le avrebbe mostrato
ancora una volta che non esistevano altri modi di vivere per i
predatori. Invece, Klaus l'abbandonò sulle lenzuola fresche
senza alcuna malevola intenzione dietro e le sorrise, o così
le sembrò, nella penombra fitta della camera. “Finché
resterai a New Orleans non ti accadrà nulla di male. Sei sotto
la mia protezione.”
Quando fu sola, Nadia
scostò la coperta dal corpo, accaldata, eccitata e con le
membra tremanti. Le lacrime non riusciva a fermarle e neppure i
singhiozzi. Probabilmente Klaus era ancora dietro alla porta e stava
ascoltando tutto. Ma come poteva ignorare una simile promessa? Era
come essere tornata nell'accampamento dei Viaggiatori, e sedere
spalla a spalla con suo padre di fronte al fuoco. Sicurezza,
protezione. Fiducia. Dopo tanta assenza di emozioni, Nadia crollò.
/Ora/
Nadia è immersa
nella luce smorta dell'entrata del locale. Si guarda attorno,
strofinando un braccio con la mano, lo sguardo basso quando qualcuno
la indica col mento. Nota i due uomini seduti l'uno accanto all'altro
e un guizzo le ravviva lo sguardo, quando incrocia gli occhi di
entrambi.
Klaus sta già
scivolando via dallo sgabello per offrirle un salvacondotto sicuro,
ma Nadia sta venendo proprio nella sua direzione e il piede che si è
appena mosso torna al proprio posto. Solo le dita tamburellando sul
bancone, rivelando impazienza agli occhi del prete.
Nadia accenna un mezzo
sorriso e un cenno col capo. Klaus non capisce a chi è
indirizzato e nel dubbio tace. Padre Kieran ha temuto per la sua
vita, ma quando vede la crocetta brillare al collo della giovane, è
felice. La crisi è passata. Le parla di sciocchezze a cui
Nadia risponde con cortesia ed educazione. Klaus attende, messo da
parte, irritato. Nadia si accomoda, sfiorando la gamba del vampiro
con l'orlo del vestito stropicciato. Appena il prete si ritira, la
donna gli tocca il braccio e le sue labbra si avvicinano all'orecchio
sinistro. Nei primi secondi, Klaus non fa caso alle parole che
pronuncia. Lo stupido atto cavalleresco di cui si è macchiato
nelle precedenti serate, lo porta stampato addosso e nella testa.
“... fuori di
qui...”
Mh? Klaus la guarda,
battendo piano le palpebre.
“Dobbiamo
parlare. Fuori di qui” ripete Nadia in un bisbiglio. “E'
importante.”
E' stranamente calmo. O
forse è ubriaco. Accenna un 'sì' col capo ma lo sguardo
corre lungo il corpo della donna. Inspira e gira il braccio
nell'incavo della schiena, tirandola a se. Un piede atterra per
mantenere l'equilibrio. Klaus la racchiude in un cerchio protettivo e
le sfiora la frangetta con le dita, quasi non notando la sorpresa
della donna che ha sgranato gli occhi quando i due corpi sono entrati
in contatto.
Nadia non sa come
reagire. Le sue mani sono corse lungo le braccia del vampiro, non per
trattenerlo, ma neppure per incoraggiarlo. Abbassa lo sguardo sui
bottoncini slacciati della maglia. Le asole sono finte. “E'
davvero importante...” bisbiglia mentre Klaus la prepara come
ogni uomo fa con la propria donna: una dolce carezza lungo la
schiena, fra i capelli, sul viso... ma a Nadia sembra che manchi
l'aria nella stanza. Il cuore le batte nel petto, il languore la
stordisce... e ci sono troppe persone... sono troppe, tutte
insieme...
Klaus la lascia andare,
sorprendendola un'altra volta. Trema troppo per essere emozionata,
decide grattando un angolino della mandibola e afferrando la giacca
posata sullo sgabello. “Sentiamo questa cosa importante”
mormora con voce roca, infilando la mano in tasca e precedendola
all'uscita.
Nadia rimane a fissare
il nulla per un istante lungo. Da il tempo a Camille di avvicinarsi a
ritirare il bicchiere e l'eccessiva mancia. Li ha sbirciati –
come tutto il resto del locale – e ha tifato per loro. “Troppa
mancia anche stasera” mormora sfilando la banconota con due
dita e lasciandola penzolare nel vuoto. Nadia sembra accorgersi di
lei solo in quel momento. Prende il denaro con un gesto stanco e
l'accartoccia nel pugno. “Dovresti far controllare l'impianto
di aerazione... si soffoca...”
Non si può dire
che al Rousseau's manchi la ventilazione. “Provvederò.”
Nadia batte il pugno
debolmente, espirando forte. Le tremano i muscoli, la testa le gira e
sente un fiotto di bile in gola. Non può essere emozione,
quella. Ne veleno. Stregoneria? “Sono io?”
Nadia è
parecchio incasinata. Non ha bisogno di una psicologa ma qualcuno
affine a lei che l'aiuti a rimettersi in piedi. Camille accenna un
minuscolo sorriso. “Klaus è la persona più adatta
ad aiutarti a scacciare i demoni.”
“Perchè
fra mostri ci si capisce, giusto?” mormora sentendo il disagio
nello stomaco salire lentamente.
“Per la sua
profonda sensibilità. Sembra tonto ma non lo è.”
Tonto è
l'ultimo aggettivo che userebbe per lui. Nadia pensa da quanto tempo
la sta attendendo fuori e sospira, frustrata. “Potrebbero
volerci mesi...”
O anni.
“L'amore, radice di tutti i mali” sussurra Camille
spiando la reazione della vampira che impallidisce e non sembra avere
argomenti da opporre.
“Perché
voi donne riducete tutto a quest'unica parola?!”
Voi donne? Nadia
appartiene ad un'altra razza, per caso? “Ne staremmo parlando
se non ti importasse nulla di lui?” esclama non trattenendo una
risatina.
Deve trovare un modo
per farla tacere senza strangolarla e non causare un altro incidente
diplomatico. “Non sono dell'umore adatto per continuare la
conversazione!” sibila, agitata e confusa. “Si soffoca,
qua dentro!”
Nadia si lancia contro
la porta, spalancandola con entrambe le mani e finisce in strada,
dove cerca di incamerare più ossigeno possibile. Può
sentire il risolino deliziato di Camille anche a quella distanza. Si
sta facendo beffe di lei! Brutta...
“Alla buon'ora!
Cos'è questa cosa importante che devi dirmi a tutti i costi?!”
Klaus l'afferra per il braccio, voltandola con poca grazia. E'
arrabbiato, ma lo sarà ancora di più fra un istante.
“So cosa sta succedendo” sussurra disarcionando la spalla
dalla sua presa.
Per tutto quel tempo,
Nadia ha mantenuto il suo ruolo di spia, incamerando dati e
ascoltando conversazioni, quando sembrava che stesse solo ciondolando
in preda alla tristezza. Ora Klaus ha tutte le informazioni che
vuole. I doppi giochi sono stati svelati. L'ammirazione soppianta la
delusione di essere stato rifiutato. Nadia osserva i cambiamenti del
suo volto con apprensione: ha svolto il suo lavoro, ma sono
sopraggiunte delle complicazioni e deve andarsene. La bomba
esploderà molto presto e lei non vorrà esserci quando
accadrà. Sta per dirglielo quando Klaus sorride, enigmatico.
“Andiamo.”
Dove?! Lei deve fare le
valige (il che vuol dire indossare un paio di jeans e una maglietta,
e gettare nella borsa l'edizione integrale delle lettere d'amore di
Abelardo ed Eloisa col testo a fronte in inglese) e prendere
la corriera prima che cali la notte... dove la trascina, quel pazzo?!
***
Quando lui
l'aveva trovata, Nadia aveva assaggiato per la prima volta la
violenza del morso del vampiro. Consuelo la trattava come un fiore
delicato – la sua 'preziosa', la chiamava – non si
era mai dimostrata avara di baci e carezze, non le aveva mai inciso
la pelle per spiccare il sangue. Tranne quella volta, la notte che si
portò via la sua verginità. Se ci ripensa, Nadia non
prova più niente. Lui l'aveva riscattata per pochi
spiccioli dalla maitresse di un bordello. Gli era piaciuta, la
ragazza che non intratteneva gli ospiti ma si occupava delle pulizie,
aveva qualcosa di diverso. Fulberto l'aveva azzannata e le
aveva succhiato il sangue. Per 'conoscere la sua storia', aveva
detto. Il dolore, intenso come un osso rotto, le aveva impedito di
gridare. Si era accasciata ai piedi del vampiro e quando era
rinvenuta, l'incubo era iniziato.
“Ha mai sfogliato
un Bestiario, Klaus? Una donna sta acconciando i capelli allo
specchio e quando il diavolo dispettoso la scorge, le mostra le terga
e la lingua. L'incisione deplora la vanità femminile ed invita
a non perdersi nelle frivolezze. In questo preciso momento, tu sei
quel diavolo!”
Il suo servizio di
spionaggio non ha mai raggiunto la precisione della bella Nadia. La
figlia di Katherine si è rivelata degna figlia di sua madre ed
altrettanto ostinata: quale donna rifiuta un giro di shopping
gratuito?
“Non mi lascio
comprare i vestiti da te!”
“L'hai già
detto. La mia risposa qual è stata?”
“Non me ne
frega niente.”
Brava e attenta.
“Forza, esci dal camerino.”
Nadia alza gli occhi al
cielo e tira la zip nascosta sotto il braccio. Non si guarda neppure
allo specchio: spalanca la porta di legno del camerino con un
gestaccio e gli si pianta davanti con espressione irritata. “Non
è il mio genere.”
Ma le sta da dio. E
toglie anche un po' le parole di bocca. “Hai detto che il rosso
è il tuo colore preferito” mormora scivolando lo sguardo
sulla figuretta per poi riportarlo negli occhi lampeggianti d'ira ed
imbarazzo della donna.
“Non mi piace
indossarlo” esclama, incrociando le braccia. “Non hai
bisogno di me per quella quella stupida festa! Chiedi a Camille di
accompagnarti.”
“Camille è
la più uno di Marcel ed io ho bisogno dei tuoi occhi e
delle tue orecchie ancora una volta” ripete, paziente. “Ho
bisogno di te, mia preziosa regina.”
Preziosa? Nadia
trattiene il respiro e le torna in mente Consuelo che inanellava i
suoi capelli fra le dita mentre le baciava la nuca e sussurrava
parole incoraggianti. “Non chiamarmi così...”
Klaus smette di bearsi
della sensualità di Nadia, esplosa come un fuoco d'artificio
improvviso nella notte e la guarda, interessato.
La donna si fa elusiva
e distante. “Una persona mi chiamava così... molto tempo
fa...”
La giornata si sta
rivelando ben proficua. “Forse per lui eri davvero preziosa.”
“Era una lei”
sussurra guardando gli abiti appesi alle grucce ed estraendolo uno
avorio. “Vengo alla festa, ma il vestito lo scelgo io.”
Una lei? Deve
arrendersi sull'abito e ricacciare l'interesse per Nadia in un
angolino dentro di se. “Fa come vuoi. Ti aspetto fuori.”
Nadia ha l'impressione
che se non lo fa ora, sarà impossibile tornare sull'argomento
dopo. “E' stata lei a trasformarmi...” mormora, bloccando
il vampiro sul posto. “Era pazza e bellissima...”
Klaus sapeva cosa era
meglio per lui: riportare l'ordine a New Orleans, regnare
sulla città che aveva contribuito a costruire e ripreso con
tanti sacrifici, dare ordini. Però c'era la fastidiosa domanda
che non lo lasciava neppure di notte: e poi? Quando fosse
tornato al proprio posto, cosa avrebbe fatto, a parte dare ordini?
“Ciao! Vieni,
entra!”
Nell'abitazione di
Camille stava svolgendosi una festa. Mescolati ai mortali, Klaus
contò tre lupi mannari che non avevano mai dato noia, la
strega Davina con un'amichetta del Raccolto e un paio di vampiri
oltre Marcel. Camille era sempre politically correct. “Regalo
di laurea.”
“Non ho discusso
la tesi, l'ho solo conclusa.”
Già già.
Marcel gliel'aveva detto ma troppo distratto dal racconto di Nadia e
gli era passato di mente. “Allora me lo riprendo.”
“Non credo
proprio. Sai cosa fare e dove farlo.”
Camille intendeva dire
che conosceva l'abitazione e dove trovare il vino fresco, ma Klaus si
domandò se avesse davvero la risposta a quelle domande. Una
festa non era nelle sue corde e la fuga gli parve allettante, ma
Marcel stava venendo dalla sua parte e sarebbe stato scortese nei
confronti dell'amico, defilarsi. Così Klaus provò a
sorridere e ad essere di compagnia. Se Nadia fingeva bene, lui
avrebbe dovuto fare meglio.
***
“Ha qualcosa di
strano.”
“Klaus è
sempre strano.”
Camille mugolò
in senso negativo. Klaus aveva uno stato d'animo evidente per
qualsiasi cosa, era proprio la sua mobilità facciale a
salvarle la serate e le mance. La tristezza lo rendeva evasivo, la
rabbia gli faceva brillare gli occhi, la curiosità gli piegava
all'insù gli angoli della bocca. Continuava a guardare fuori
della finestra come se attendesse qualcuno e cosa ben più
strana, non aveva toccato un goccio in tutta la serata. Non aveva
partecipato a nessuna discussione, era sempre rimasto in disparte ma
lo aveva visto con la coda dell'occhio, sbirciare lei e Marcel
mentre...
“Nadia non è
venuta?”
… si baciavano.
Camille aveva battuto le palpebre. L'aria di perenne attesa, quello
stare sulle spine senza alcun motivo apparente... “Tu che lo
conosci bene, l'hai mai visto innamorato?”
Il nero aveva sollevato
le spalle e Camille lo aveva colpito piano col dorso della mano.
“Tu credi?”
“Se non è
innamorato, ha mal di pancia. Perché non fai un salto nel
Quartiere e scopri che fine ha fatto quella ragazza?”
“A Klaus non
piace che si ficchi il naso nei suoi affari” mormorò
scuotendo la testa. “La deve sbrigare da solo.”
Sapeva che era il
consiglio giusto da seguire, ma Camille li vedeva bene insieme e non
era intenzionata a mollare l'osso. Scivolò alle spalle del
vampiro, sperando di sorprenderlo. L'esitazione fu minima, ma
l'occhiata che le lanciò, bruciante.
“Nadia ci
raggiunge?”
La domanda gentile era
stata una martellata sulle rotule. Klaus si stava chiedendo la stessa
cosa mentre rimuginava il triste racconto di Nadia. “Non ho la
risposta alla tua domanda e temo di dover abbandonare la festa. Ho
del lavoro da sbrigare. Felicitazioni.”
Non aspettava mica un
bambino! Camille era intenzionata a rimediare la situazione e stava
cercando di mettere insieme due pensieri quando il campanello suonò.
Intuì dall'espressione svagata del vampiro che la spinosa
attesa era finita.
Nadia comparve con un
cesto di frutta sottobraccio – perché al suo paese si
usava così - un fiocco e un bel sorriso a coronare il tutto.
Annunciò che stava per scoppiare un temporale e asciugò
la gocciolina sulla guancia con il dorso del dito. Sorrise a Klaus ma
il vampiro non riuscì a ricambiarla.
***
“Assaggia le
tartine, sono squisite.”
“Non ho fame.”
E non aveva neppure
voglia di parlare. Nadia lo fissò, schioccando le labbra
attorno all'indice sporco di salsina. “Perché ci sono
due bambine ad un party di adulti?”
“Davina è
la protetta di Marcel. L'altra, una strega resuscitata dal
Raccolto... entrambe mi odiano.”
“Ma va? C'è
qualcuno che non ti odi, in questa città?”
Klaus sollevò
appena un sopracciglio. “No, a quanto pare.”
“Ehi, stavo
scherzando.” Nadia lo colpì piano con la spalla. “Parla
con me.”
“Non ho voglia
di...” Klaus alzò gli occhi al cielo quando Nadia gli
tolse il bicchiere – sempre pieno – e lo intrappolò
contro la credenza della nonna di Camille. Ora non sapeva dove posare
le mani. Se non attorno ai suoi fianchi, cosa che si guardò
ben dal fare. “Le piace fare gli straordinari.”
“Ti stava
psicoanalizzando? Attento, quando una donna ti entra nella testa sei
completamente fottuto” dichiarò tagliando l'aria con la
mano. “Ne so qualcosa.”
Allora erano in due.
Nadia girò il collo con un ampio movimento emettendo un debole
'mmmh'. Restò immobile per un lungo secondo, in cui Klaus la
osservò dubbioso. La donna si mosse casualmente verso la
libreria, si appropriò di qualcosa, lo nascose sotto la
giacchetta e tornò verso di lui. Lo afferrò per il
polso, tirandolo verso il bagno. “Nessuno piazza una spia nel
bagno” spiegò senza dargli tempo di aprire bocca.
Estrasse l'acchiappasogni dalla giacchetta e lo sventolò.
“Stanno spiando Camille.”
Quegli affari li
regalavano ai turisti durante le feste. Ne aveva anche lui uno, nel
suo studio. “Sei più paranoica di me.”
“Ho avuto il mio
daffare con le streghe...”
“Perchè
spiare Camille?”
“Semplice: ha una
relazione con il tuo braccio destro. Magari quando sono a letto
parlano e si confidano, svelando i tuoi piani di conquista del mondo”
scherzò.
Dubitava che parlassero
di quello, insie... ne aveva uno nel suo studio?! E chi ce l'aveva
messo? Genevieve?! Klaus si scurì ancora di più.
“Lo scopriremo. Ora rimettilo a posto” disse, brusco.
“Non lo
distruggiamo?”
“No”
borbottò spingendola senza riguardi e meditabondo verso la
porta chiusa, desideroso di imbarcarsi in una nuova serie di ricerche
ed interrogatori che avrebbero prolungato la 'presa' della città
e svagato la mente dal racconto di Nadia. “Mi stai facendo
perdere tempo” disse quando la donna lo fermò con un
gesto della mano.
“Dove stai
andando?”
Dritto alla fonte,
al laboratorio di Genevieve.
Nadia batté le
palpebre e si spostò da un lato, deviando lo sguardo sullo
spazzolino da denti di Camille. Non aveva risposto, ma aveva capito
lo stesso. Nadia si chiese perché la cosa la rattristasse a
quel modo. Da quando aveva accennato il passato, raccontando l'amore
di suo padre e di Consuelo, Klaus era cambiato. Non la voleva più
fra i piedi, pensò. Non aveva senso neppure restare lì.
Nadia aprì la
porta e Klaus la richiuse con un gesto secco e non ragionato. Lo
guardò, amareggiata. “Deciditi, una buona volta. O
dentro o fuori.”
Decidere! Decidere
stava diventando così faticoso e snervante!, pensò
alzando lo sguardo nel suo. Il desiderio ricorrente era prenderla fra
le braccia e rassicurarla. I suoi sentimenti lo terrorizzavano.
“Torniamo alla festa” disse con un gesto vago, evitando
di toccarla.
Nadia si sgonfiò
come un palloncino. Era stressante gestire quell'uomo! Le relazioni
con gli individui di sesso maschile poteva contarle sulle dita di una
mano, non le avevano fornito il libretto delle istruzioni alla
nascita, e le rare volte in cui sentiva il bisogno di compagnia
maschile, utilizzava ben altri mezzi per procurarsi un compagno
adeguato. Solitamente, li ammaliava. Capì il problema di fondo
mentre lo guardava. Non aveva alcun potere su di lui. Klaus non
poteva soggiogarlo, non poteva 'ammaestrarlo', non poteva
costringerlo ad amarla nel modo a cui era abituata. Klaus non si
sarebbe fermato se gliel'avesse chiesto. La parte più
femminile e nascosta era intrigata dalla novità e altrettanto
desiderosa di scoprire come sarebbe finita... perciò doveva
stroncare sul nascere quella stronzata prima di finire in un buco
nero senza uscita.
***
Camille li aveva
sbirciati quando li aveva visti allontanarsi insieme. Aveva sperato
in un'attesa maggiore ma erano ricomparsi abbastanza alla svelta con
due musi lunghi che non riusciva ad interpretare. Non si davano pena
di bluffare: il loro rapporto era esattamente quel che
sembrava, senza null'altro dietro. “Stiamo per fare un
brindisi, vi unite a noi?”
Klaus guardò la
bionda senza vederla. “Le streghe ti stanno spiando.”
“Quello è
il mio acchiappasogni?” domandò indicando l'oggetto che
aveva in mano. “Lo regalavano ai turisti all'ultima festa...”
“Vivi in una
città di esseri sovrannaturali e ancora non hai capito come
funziona?” la rimproverò tenendo bassa la voce ed
osservando i movimenti di Nadia. “Sbarazzatene.”
Nadia si era avvicinata
al tavolo ingombro di bottiglie più o meno aperte, più
o meno vuote, ne aveva afferrata una e rovesciato il contenuto in un
bicchiere. Avrebbe dovuto nutrirsi non abusare dell'alcool. Doveva
riprendersi, non confondersi ancora di più. Se qualcuno si
fosse vagamente concentrato, avrebbe sentito il suo cuore battere
come un forsennato e se la luce fosse stata migliore, avrebbe notato
il lieve rossore sulle guance. In pratica, gli aveva fatto capire che
non avrebbe apprezzato l'incontro con la strega. Che stupida!, pensò
mordendo l'interno della guancia con rabbia. Il suo parere non
contava nulla, i suoi desideri men che meno.
“Ricordi che
siamo ad una festa?”
Nadia saettò lo
sguardo verso quello sorridente di Marcel. Il suo stato d'animo era
così evidente?
“Nik ti spinge
all'alcolismo e all'omicidio efferato. Non pensarci ed unisciti a
noi.”
Qualsiasi cosa pur di
non pensare o immaginare. Nadia si aggregò al gruppetto
degli amici di Marcel e gli porse il bicchiere che il nero riempì
per la seconda volta. Nadia lo tenne in mano e fissò le
bollicine cercando una soluzione rapida: Klaus si muoveva come una
scheggia impazzita, era impossibile prevederne le mosse, e lei...
beh, lei aveva giurato 'basta uomini per almeno un secolo' ma
sapeva che certe promesse avevano la durata di un battito di ciglia,
e quel formicolio alle mani le prendeva solo quando voleva una cosa
tanto da arrivare a comportarsi male. Oh santo... era gelosa,
ora?!
“Ai nemici. Che
possano vivere a lungo per assistere al nostro trionfo.”
Che razza di brindisi,
pensò alzando piano il bicchiere. Umorismo nero. Nadia
buttò giù il vino ma appena il liquido fresco scivolò
lungo l'esofago, si sentì morire! Le mancava il respiro... e
bruciava, bruciava come l'inferno! Scaraventò a terra il
bicchiere mentre lo stesso Marcel rigettava il vino sulla camicia e
sul mento che sfrigolò dolorosamente per il quantitativo di
verbena diluito all'interno. La vampira trasse un respiro che risuonò
come un rantolo sconnesso. “Nik, non bere...”
Klaus aveva appena
svuotato il contenuto del proprio bicchiere in una pianta, quando la
udì. Scambiò uno sguardo col vuoto e con Camille,
sorpresa e deliziata dal significato che racchiudevano le sillabe del
suo nome.
“Qualcuno si
preoccupa per te.”
“Inutilmente”
borbottò e sollevò la bottiglia leggendo l'etichetta.
Quella roba non la vendevano nei supermercati, lui stesso ne aveva
alcune bottiglie in cantina. Un regalo di Francesca Correa. L'annata
migliore, l'aveva definita. Quindi ora avevano contro le streghe
e gli umani. Non che gli ultimi fossero un problema, pensò
mentre rispondeva al telefono. Altre cattive nuove? “Che vuoi,
fratello?”
***
Faceva bella mostra di
se in mezzo alla strada ed era difficile non vederlo e non
fraintendere. E sì... quelli erano i vestiti della lavanderia:
impiccare un fantoccio con le sue sembianze era un atto ostile non da
poco.
“Non sono andati
per il sottile” sussurrò Elijah indicando il manichino.
Klaus si avvicinò al palo della luce: odorava di benzina ma la
pioggia battente aveva impedito che il fuoco divampasse. Osservò
Nadia muoversi nella sua direzione e un groppo gli strinse la gola.
“Scopri chi è stato” mormorò sbrigativo
mentre la vampira esaminava con cura ogni dettaglio dello 'scherzo'
di cattivo gusto.
Nadia rabbrividì
quando la pioggia ricominciò a scorrere, inzuppandole i
capelli e gli abiti. La disperazione, tenuta a bada da un rigido
controllo, salì di colpo. Poteva essere ovunque, anche
nascosto fra la folla di turisti che scattava foto al manichino
credendolo una rappresentazione di qualche tipo. New Orleans era
l'Eldorado per uno come lui. Nadia era esausta dal ritornello
che si ripeteva ogni cento anni. Ricalcava lo schema di Katherine suo
malgrado. Con gli uomini e il resto. Sbirciò Klaus con la coda
dell'occhio e tirò indietro la frangetta bagnata. Volente o
nolente, doveva andarsene alla svelta. “Richiama i cani.
Conosco il suo nome.”
***
La doccia calda le
aveva riscaldato il corpo ma il pensiero di lui le irrigidiva
i muscoli. Nadia avrebbe voluto sprofondare nella poltrona con la sua
coperta rossa, invece restò appoggiata al camino ad
abbrustolire la faccia. Sbirciò i componenti della sala,
soffermandosi sul pancione di Hayley. Doveva stare ben scomoda nel
bayou per acconsentire a passare le ultime settimane di
gravidanza nell'abitazione dei vampiri. La strega dai capelli rossi,
invece, si era presentata all'improvviso, professando ad alta voce
l'estraneità ai fatti della serata. Klaus le aveva detto di
darsi una calmata e l'aveva invitata a prendere una tazza di te.
Elijah la stava studiando in cerca di punti deboli o chissà
che altro. Nadia si chiede come avesse fatto la madre a perderci la
testa: aveva il fascino di un uovo sodo.
Poiché la parte
davanti era giunta a cottura, pensò bene di voltarsi e
arrostire le gambe e la schiena. Si sbarazzò della tazza
bollente, e portò le mani sui fianchi avvolti dal suo unico
paio di jeans. Sopra il top blu, portava una felpa nera presa in
prestito dal vampiro che non avrebbe mai permesso che la sua ospite
gelasse. Il vestito era steso ad asciugare ma era tempo di smettere i
panni della damigella ed indossare la corazza della guerriera. Al
pensiero, strofinò le braccia con le mani intirizzite e si
rivolse al padrone di casa con sguardo cupo. “E' colpa mia. Se
non fossi rimasta tanto, Fulberto non mi avrebbe mai trovato.”
Tanto? Era lì da
due settimane.
“Fulberto è
un pastore luterano, seguace di Flacio Illirico” mormorò
notando il suo sguardo interrogativo. “E' materia religiosa, la
tua passione.”
C'era un'invasione di
vampiri credenti a New Orleans? Klaus si disse che la religione non
andava capita ma praticata, afferrò una sedia e la piazzò
sotto le gambe. “Va avanti.”
“Per i Luterani,
l'uomo è completamente immerso nel peccato, non esiste il
libero arbitrio e non ha alcuna possibilità di redimersi con
le proprie forze. Fulberto mi odia perché sono Cattolica e ho
scelto di continuare a vivere dopo che Consuelo mi ha trasformata...”
Klaus detestava le
dispute teologiche, le trovava inutili e dannose. “Continua.”
“E' un vampiro e
un cacciatore di vampiri. Non può essere ucciso. Se lo
uccidi...”
“... ti becchi la
maledizione” concluse, seguendo lo sguardo allarmato del
fratello. “Tranquillo, Elijah. Non ho intenzione di passare
altri 52 anni in preda alle allucinazioni.”
Aveva ucciso un
cacciatore impossibile da fermare ma Katherine gli era sfuggita per
secoli? Provava una nuova ammirazione per la madre.
“In che modo la
disputa teologica mi coinvolge?”
Nadia lo guardò,
serrando le labbra. “Fulberto scopre il tuo punto debole e ti
infligge dolore finché non sei costretta a rinunciare a tutto
pur di sopravvivere.”
Klaus deviò lo
sguardo sul bicchiere pieno di scotch. Aveva preso una cantonata non
da poco, ma era quasi lusingato dall'errore. “E' stato lui ad
uccidere il tuo amante?”
Non aveva mai pensato
alla possibilità. Jean George era stato investito da una
macchina... o era stato spinto?, si domandò in preda ad
un'orribile dubbio. Fulberto era pazzo e crudele, la trasformazione
in vampiro gli aveva tolto la ragione secoli prima e Jean
rappresentava tutto quello che era stato un tempo. Per colpa sua, un
uomo innocente aveva perso la santità e la vita. “E' una
spiegazione buona come un'altra” ansimò. Nadia voltò
verso il camino, mordendo a sangue le labbra per non cedere al
pianto. Non sarebbe andata da nessuna parte in quello stato, non
sarebbe stata di alcuna utilità, singhiozzante e spaventata
come una bimba abbandonata. Doveva darci un taglio. Spegnere tutto.
Dimenticare. C'era un unico modo per farlo: doveva raggiungere
quell'apice di dolore in cui nulla e nessuno poteva raggiungerla ed
infliggerle altro male. Doveva raccontare. Aveva una platea di
spettatori per nulla impressionabili a cui rivolgersi.
Nadia si staccò
dal camino, guardandoli uno alla volta. La donna incinta aveva una
smorfia di dolore sul viso, segno che la maternità la stava
affaticando. La strega era lì solo per un motivo, per nulla
nobile. Il vampiro amato dalla madre continuava a guardarla con le
palpebre strette e un dubbio nella mente. Klaus fissava il tappeto,
dondolava il ghiaccio nel bicchiere e sembrava sul punto di dire
qualcosa. Nadia lo sperò. Sperò che la distogliesse
dall'intento peccaminoso di lasciare affiorare la crudeltà che
continuava a ricacciare in fondo, la ferocia che la religione le
intimava di sopprimere con tutte le sue forze.
“Dobbiamo cercare
un prete pazzo armato di acqua santa?”
“Un pastore”
sussurrò in tono roco. “E' luterano...”
“Da morto non
sarà un bel niente” decise passandole il bicchiere.
L'odore le diede la nausea. Nadia lo posò sul camino, scossa
dai brividi. “Come hai fatto ad ucciderlo?”
“I cacciatori
cercano lo scontro” mormorò piantando lo sguardo nel
suo. “I topi si nascondono.”
Nadia strofinò
violentemente la nuca e il collo, lasciando solchi rossi sulla pelle.
Fulberto era il motivo che cercava per andarsene alla svelta. Il
difficile stava nel dirlo ad alta voce. Il difficile, stava nel dirlo
a lui.
“Chi cade in
peccato è un uomo; chi se ne duole è un santo; chi se
ne vanta è un diavolo.”
L'acquazzone infuriava
e le raffiche di vento avevano bagnato la finestra, impedendole di
scorgere eventuali movimenti all'esterno. Quando la furia degli
elementi si abbatteva su New Orleans, nessuno era tanto stupido da
avventurarsi in strada.
“Non odori mai
quello che ti viene versato nel bicchiere?”
“Non quando
proviene da una bottiglia chiusa ermeticamente” mormorò
stringendo le ciglia per vedere meglio la strada.
Nadia si stava
stancando in fretta, la verbena l'aveva indebolita ma non poteva
abbassare la guardia. Strofinò gli occhi forte, passando le
dita fra i capelli. Klaus spense le luci del salotto e la donna si
diede della stupida per non averlo fatto prima. Perdeva la lucidità
mentale quando si trattava di Fulberto. “Sto mettendo in
pericolo tutti... quella ragazza è anche incinta!”
Hayley se la passava
benone e come tutte le madri, era più feroce di un mastino in
cattività. Lei, invece, stava crollando. Klaus le arrivò
alle spalle senza fare alcun rumore e l'odore di sangue la fece
ispirare. Era digiuna da un po' e l'allettante offerta non poteva
rifiutarla. Il liquido nel bicchiere era quasi freddo, non il
migliore dei pasti ma come Klaus, temeva che anche la scorta
personale del vampiro fosse stata edulcorata dalla verbena.
Ringraziò, sforzandosi di mandare giù tutto. Raramente
aveva provato il piacere descritto dai suoi simili. Forse perché
si sforzava di non affondare mai i denti nella carne.
“Ti ho dato la
mia parola. Finché resterai a New Orleans non ti accadrà
nulla di male. L'ho fatto o no?”
“L'hai f...”
Le labbra di Nadia si
sigillarono ermeticamente, inquadrando la figura incappucciata e
ferma sotto la pioggia. Nadia lo fissò, aggrappando le dita
alla tenda. Klaus l'affiancò curioso e in allerta. La figura
attese qualche istante, poi un'altra, indubbiamente una donna, arrivò
correndo verso la prima. Un bacio veloce e via di nuovo.
“Amanti notturni.
Molto romantico.”
“Idioti senza
ombrello...” rettificò la vampira abbassando le spalle e
passando le mani sul viso. Era così tesa da scambiare l'ombra
di un sassolino per un bisonte.
“Va a dormire.
Monto io il primo turno di guardia.”
“Non se ne parla.
Fulberto è un problema mio” borbottò
appoggiandosi al muro con una mano e lasciando gravare tutto il peso
del corpo sul braccio teso. “Parliamo, vuoi?”
Ammirava la sua
tenacia. Klaus annuì, ciondolando fino all'armadietto dei
liquori. Sollevò una bottiglia quasi vuota e annunciò
che avrebbe fatto un salto in cantina. La vide irrigidirsi o forse lo
immaginò. “Non aprire la porta agli sconosciuti e non
accettare le caramelle che ti offrono.”
Nadia sorrise, pensando
che era stato proprio quello il suo sbaglio. “Non mi piacciono
le caramelle.”
“E cosa ti piace,
Nadia?”
Doveva avere le difese
schiantate a terra, perché la domanda risuonò talmente
lussuriosa che la fece tremare. “Un Armagnac, grazie.”
Aveva evitato la
domanda. “Arriva” mormorò gettando un'altra
occhiata alla figuretta sottile piantata di vedetta.
***
L'ennesima bottiglia di
vino finisce nello scarico del lavandino, la cucina è permeata
da odore di mosto fermentato e disturba un po' l'olfatto di Nadia. Se
non si concede di dormire, deve fare qualcosa per occupare le mani.
“.... e senza
prove, mi gettarono nella fossa... un buco scavato nel terreno che
andava giù per metri... ho passato 70 giorni là
dentro...”
“Come sei
fuggita?”
Le domande di Klaus
sono sempre delicate. Il tono di voce sbagliato poteva invalidare
l'intero racconto. Odora un'altra bottiglia colma di verbena,
maledicendo Francesca Correa dentro di se.
“Non sono
fuggita... mi hanno tirata fuori, processata... condannata... e
punita... quando hanno creduto che fossi morta, hanno abbattuto il
palo e mi hanno gettato sulla catasta dei corpi... e giù, in
un'altra fossa...”
Il vampiro sbianca
visibilmente ma Nadia non se ne accorge. Versa un'altra bottiglia nel
lavandino e lascia scorrere l'acqua. “Il sangue era poco ma
sufficiente... ho scavato. Era notte quando sono arrivata in
superficie... credo di essere impazzita quel giorno perché non
ricordo granché dei successivi cinquanta anni... quando mi
'risvegliai' dalle parti della Cecoslovacchia, un gruppo di circensi
mi prese per uno spettacolo... viaggiai con loro e mi ritrovai in
Italia... lì incontrai una persona... mi rifugiai nel
monastero di Santa Chiara, fra le suore di clausura...”
Ci sono un sacco di
buchi nei suoi racconti. “Quanto sei rimasta?”
“Dieci anni...
era difficile nutrirsi e non invecchiare... fuggii... un'altra volta
di notte...”
Il rumore di un altra
bottiglia posata sul tavolo, la fa trasalire. “Ero stordita,
non distinguevo più la realtà... trovai lavoro in un
bordello come sguattera... e lui trovò me...”
Klaus è
shoccata. Non ha molto da dire e non riesce più ad ascoltare.
Per sua fortuna, anche Nadia sembra esausta.
“Per
cinquant'anni... ho vago sulla terra senza alcun ricordo. Mi sono
addormentata e mi sono risvegliata in un posto diverso,
in un'epoca diversa, con abiti diversi. Per anni sono stata privata
della capacità di sentire, di provare la benché
minima sensazione... la cosa più spaventosa della mia vita...”
mormora e un rigagnolo di lacrime comincia a scorrerle sulle guance.
“Bevi.
Nadia ubbidisce ma
bagna appena le labbra col cognac. “Non ho voglia di bere...”
“Le hai stabilite
tu, le regole. Un sorso per ogni lacrima che spargi nella mia
cucina.”
Giusto. Le ha stabilite
lei.
“Non c'è
alcuna nobiltà nella sofferenza. Vuoi che cancelli i ricordi?
Posso farlo.”
Nadia chiude il
rubinetto, osservando il rigagnolo che sparisce nel buco. “Se
tacessi le mie emozioni sarei solo un morto che cammina...”
“Ti stanno
portando a fondo.”
“Allora andrò
a fondo” mormora, dura. “Sono già impazzita ma a
differenza della prima volta, ho un motivo per non arrendermi.”
Testarda. “Sentiamolo,
questo motivo.”
Il sorriso della
vampira è amaro e al tempo stesso divertito. “Ho
conosciuto un giovane cacciatore di vampiri, a Mystic Falls... Jeremy
Gilbert, un bravo ragazzo...”
Aveva evitato di
rispondere ad un'altra domanda personale.
“E' malleabile e
amico del licantropo che mi ha morso. Mi deve un favore”
annunciò asciugando le mani sui jeans con rinnovato vigore. La
mente della donna cominciò a lavorare freneticamente.
Klaus se ne accorse
dall'espressione acuta che le affilò il viso. “I
cacciatori di vampiri sono come le giovani coccinelle: apri la porta
ad una, ne arriveranno cento.”
Nadia occhieggiò
l'alba che sorgeva timida ma inesorabile e sorrise, malefica.
“Prepara i biscottini. Io devo fare una telefonata.”
***
Hayley che non è
riuscita a chiudere occhio. La bambina è cresciuta, manca poco
al parto. L'appetito è passato insieme al sonno. Anche quella
mattina è di cattivo umore e il futuro padre di sua figlia non
ha rifornito il frigorifero di cibo.
Klaus le rivolge
un'occhiata parsimoniosa, adorando uno champagne francese che pensava
di stappare alla nascita della bambina ma che ahimè, deve
essere reso alla terra. “Elijah sta provvedendo ai viveri.”
Bastava nominarlo ed
Hayley si calmava. Poco dopo, il perfetto Elijah arrivò
carico di cibarie perfette per una donna in stato
interessante. “Cosa mangia una donna incinta?”
“Niente che non
sia stato ben cotto o bollito o precedentemente vivo.”
“La flebo in vena
o vuoi la cannuccia?”
Hayley rispose con una
linguaccia aprendo un sacchetto colmo di dolciumi con un sorriso
affamato. Klaus non poteva capire la gravidanza, ma era vero quello
che si diceva delle donne incinte e degli ormoni extra in circolo:
era bellissima e risplendeva.
“Nadia non fa
colazione?”
Era sparita alla
conquista del mondo. Klaus sollevò le spalle, versando un
caffè. Avrebbe dovuto mettere al corrente il fratello della
parentela con Katherine? “Nadia è la figlia perduta di
Katerina.”
Elijah non si diede
pena di mascherare la sorpresa. Non ci riuscì. “La
bambina che le sottrassero alla nascita?”
“Altre non ne ha
avute, perciò...” mormorò muovendo la tazza,
vago.
“Ne sarà
felice” borbotta un po' in colpa per averla abbandonata dalla
sera alla mattina. Però c'erano dei pezzi che non tornavano:
Nadia si era presentata in fin di vita, implorando aiuto... e
Katerina? Fissò il fratello, scurito. “Lei dov'è?”
“Morta.
Risucchiata da un vortice infernale che le impedirà di tornare
se il velo dell'Aldilà cadrà un'altra volta”
annunciò con tono basso. “Questo è ciò che
dice a strega Bennet...”
Hayley saltò lo
sguardo fra i due fratelli, masticando silenziosamente. Conosceva la
storia di Katherine Pierce e preferì non intromettersi.
“Nadia è
stata morsa da Tyler Lockwood e Katherine ha pensato bene di
lasciarla morire, invece di mendicare un favore da me.”
Elijah sa che è
la verità ma non può fare a meno di assumere un'aria
stupita e dispiaciuta al tempo stesso.
“Insisteva a dire
che l'avrei uccisa... ha preferito cavarsela da sola.”
“L'avresti
fatto?”
Le solite domande
stronze del fratello! Klaus sospirò e indurì la
mandibola, irritato. “Mi sarei dovuto sbarazzare del lupastro,
piuttosto...”
Hayley lo fissò
mentre una tazza piena di cereali e latte compariva di fronte a lei.
“Ma se non l'avesse morsa, non l'avresti mai conosciuta.”
Aveva centrato in pieno
il 'problema'. “Nutri mia figlia invece di dire stronzate...”
“Tua figlia?!”
Nadia
è tornata, scarmigliata e con un fuoco selvaggio negli occhi.
Convincere Jeremy Gilbert non è stato facile, ma è
bastato fare un paio di nomi per ottenere la sua disponibilità.
Non è molto cristiano minacciare un ragazzino, ma farà
ammenda il prima possibile. “Come è possibile, in
nome di Dio?”
“Dio non centra
niente. E' successo col solito modo.”
“Ma tu sei...”
“Le lezioni di
Katherine sono state insufficienti, a quando vedo.”
“Come fa un
vampiro...”
“... mezzo
licantropo a mettere incinta una donna lupo? Chiedilo alle streghe.”
Nadia è
stordita, infreddolita per l'umidità che pregna l'aria esterna
e oltremodo stanca ed irritata. Ha dovuto strisciare lungo i muri
guardandosi le spalle nel timore che Fulberto la sorprendesse.
“Possibile che tu non riesca a tenerlo nei pantaloni?!”
esclama voltando su se stessa ed uscendo a grandi passi dalla cucina.
“Cristo!”
Una Cattolica che
imprecava lo divertiva. Klaus si schiarì la voce tornando alla
colazione ma gli occhioni di Hayley gli stavano scavando la fronte.
“Cosa?” domandò, esitante.
“Non diglielo.
Vediamo se ci arriva.”
Il vampiro guardò
il fratello e poi la donna. Era come stare nel cortile della scuola
quando ci si mettevano. “Dirmi cosa?”
“Era una scenata
di gelosia, quella” sussurrò Hayley abbassando al minimo
la voce. “Spiegale che non c'è più nulla fra noi,
o impazzirà.”
“C'è mai
stato qualcosa fra noi?”
Hayley alzò gli
occhi al cielo, tuffando il cucchiaio nei cereali. “Tu diglielo
lo stesso.”
***
Può sciorinarle
il discorsetto sull'inattitudine a stringere rapporti di un certo
tipo o il temperamento selvaggio che gli impedisce di mantenere gli
affetti, ma Klaus opta per un colpevole silenzio: provare a spiegare
ad una Cattolica praticante che la loro è stata solo una botta
e via, sarebbe come gettare benzina sul fuoco. Bussa alla porta della
stanza e Nadia risponde con un 'avanti' soffocato. E' seduta sul
bordo del letto e sta rimuginando sul display del cellulare, avvolta
dall'asciugamano post doccia. I capelli sono asciutti e risplendono.
Ha un odore incantevole. “Hai avuto una reazione eccessiva.”
“Me ne scuso.
Sono stata al laboratorio di Genevieve.”
Klaus entra nella
stanza e si chiude la porta alle spalle, rigido. “Che cosa ha
Genevieve che io non posso procurarti?”
“A parte una
pozione magica e un incantesimo di localizzazione?” Nadia
sorride allo stesso modo di Katherine. “Hai paura che la
seduca, Niklaus?”
Non gli piace ne il
tono, ne il sorrisetto. “Ho ucciso tre cacciatori di vampiri e
mi insulti cercando aiuto in una strega traditrice?!”
“Non prenderla
sul personale, devo pararmi il culo. Jeremy Gilbert arriverà
nel pomeriggio con un suo amico. Raduna il Consiglio, devono saperlo
tutti.”
“La pozione a
cosa ti serve?”
Quelli sono affari
suoi, ma se non risponde resterà lì a tormentarla e ha
ben altre cose di cui occuparsi. “A dimenticare.”
“Le pozioni non
sono selettive, Nadia. Resettano tutto.”
Dai 25 anni in su è
stata un'agonia e ne porta ancora le tracce nell'animo. Solo l'idea
di perdere i ricordi di suo padre la fa retrocedere di un buon
millimetro.
Nadia stava soffrendo
per tutte le ragioni del mondo e in lei sentiva un'anima affine.
Aveva voglia di consolarla... e di morderla, coccolarla e farla
morire di piacere. Eh sì... gli aveva dato di volta il
cervello.
“Devi capire che
me la sono cavata da sola per 500 anni... non posso smettere solo
perché mi sventoli sotto il naso il tuo bel culetto”
mormorò tenendo ben stretto l'asciugamano sul seno. Klaus le
piaceva, era attratta da un vampiro per la prima volta nella vita,
però... “Vuoi sapere cosa ho preso da mia madre, a parte
un gusto migliore in fatto di uomini?”
Cominciava ad
intrigarlo questo nuovo lato di Nadia. “Sono tutto orecchi”.
“La capacità
di cavarmela sempre.” Nadia lo guardò con una scintilla
negli occhi. “Voglio preparare una trappola” chiarì
alzando un dito e avvicinandosi tanto da permettergli di respirare il
sentore del bagnoschiuma che era rimasto sulla pelle. “Una
nostra comune amica ha tradito e Fulberto non resiste ai
vampiri 'giovani'...”
Intendeva sacrificare
Francesca? Aveva la sua benedizione. La crudeltà improvvisa di
Nadia lo eccitò da morire. “Dio non ti perdonerà
per questo.”
“Il bello della
mia religione è che puoi fare cose orribili e pentirtene
sinceramente un attimo dopo” disse con un altro sorriso,
picchiettando la mano sul suo torace. “Lui vuole me. New
Orleans è solo un parco giochi per ammazzare il tempo. Ora
via, devo vestirmi. Tu hai delle telefonate da fare ed io delle
persone da incontrare.”
“Il piccolo
Jeremy e il suo amichetto Matt Donovan? Ci sarà da ridere...”
Se quello non aveva
dubbi, pensò sbirciando il vampiro di sottecchi. Mh, aveva
ancora tempo per raccontargli di Rebekah e del loro piccolo threesome
a Varsavia con Matt..
Stazione di New
Orleans, qualche ora dopo
“Io sono stato
costretto, ma tu?”
“Sono tua sorella
e non ti lascio in balia di quello psicopatico.”
“E tu?”
“Per la stessa
ragione di Elena: non sono mai stato a New Orleans.” Matt
sollevò gli occhiali sulla testa e si guardò in giro.
“Questa città è tutta una festa,.. mi piace.”
“Lo faranno per
attirare i turisti. Ricordate i danni dopo l'uragano?”
“Ingenti.”
“A quel college
ti insegnano un sacco di cose, eh?”
Elena piantò una
gomitata nel fianco di Matt e si sedette sulla valigia rigida. “Dove
sta scritto che siamo costretti a correre ogni volta che Klaus
chiama?”
“Non ci ha
chiamato lui.”
“E' stata Nadia.”
La ragazza fece una
smorfia buffa e spostò la borsa a tracolla sulle gambe. Non
era morta, allora. “Chi dobbiamo incontrare?”
“Noi.”
Elena voltò
piano il collo, inquadrando un nero sorridente dai denti bianchissimi
che sembrava appena uscito da uno dei suoi telefilm stile Hawaii
Five-0
“Lasciatemi
indovinare.. tu sei il cacciatore.”
Jeremy alzò una
mano, scrutando uno ad uno i componenti della squadra di Marcel.
“Presente.”
“Tu sei l'amico
di Xbox... e tu, dolce creatura?”
Il nero la indicò
col dito ed Elena credette di arrossire. “La sorella apprensiva
del cacciatore.”
Marcel rise, deliziato
dalla sua timidezza. “Benvenuti a New Orleans! Vi hanno
spiegato come funziona?”
Risposta
ai Commenti. AriannaJones: le cose vanno a complicarsi per i
nostri eroi. A Klaus non piace tirarla per le lunghe e Nadia è
troppo evasiva... si stanno aggiungendo nuovi personaggi alla storia,
basta dire questo! ;) Annaterra: non ricordo se eri tu a chiamare
Elena 'Elagna' ma purtroppo eccola qua, accodata al fratellino
pompato. Magari si rivelerà un po' meno fastidiosa del
telefilm ma va a sapere...;) A tutti, buona lettura!
Tika
gli era piombata fra capo a capo e collo – letteralmente
– durante una scorribanda notturna che era terminata con un
ramo rotto, un braccio steccato e parecchie lacrime. Katinka era la
figlia del locandiere, un maschiaccio fatto e finito che gli aveva
rubato il cuore e un bacio a soli quindici anni. Si era presa tutto
il resto, curiosa come un gatto, e lo aveva lasciato per un altro
ragazzino, più forte di lui e più bravo nell'amore.
Niklaus non aveva mostrato la delusione per non incorrere nelle
ramanzine del padre, ma l'occhio attento di Esther aveva notato i
lunghi silenzi, i digiuni ricorrenti e le poesie trascurate. In una
notte di luna nuova l'aveva condotto con se al fiume, e seduti sulla
sponda, aveva interrogato il figlio sul dolore. L'aveva rassicurato
con parole calme e tiepide: la sofferenza portava alla consapevolezza
e il risveglio sarebbe stato più dolce ogni volta.
Quindi
è un bene soffrire...
E'
inevitabile.
Ed...
è... è sempre così... difficile?
Non
sempre, amore mio. Non sempre.
Le
lezioni di Esther le ricordava a morsi e bocconi, ma quella gli
tornava spesso in mente. Klaus grattò un angolino della fronte
e lasciò ricadere la mano in grembo. C'erano trentadue gradi
all'ombra, un'umidità che ti ammazzava e lui se ne stava in
giacca di pelle e occhiali a specchio sotto il sole torrido, su una
panchina di New Orleans. Si era fatto imbambolare da un visetto a
cuoricino e appena abbassava la guardia, erotiche visioni del suo
corpo contorto dal piacere gli balenavano nella mente. Era arrivato a
livello di guardia. L'aveva capito quando, tornando al furgone con il
carico di liquori per la scorta personale, aveva intravisto una
coppietta di giovani stranieri abbarbicati l'uno all'altro con
intenzioni bellicose.
Klaus
aveva camminato fino al parco, chiedendosi perché non fossero
capaci di vivere solo in funzione di se stessi, perché
avessero sempre bisogno di provare qualcosa per sentirsi appagati. Si
era illuso di trovare corrispondenza in Nadia... e aveva quasi voglia
di tornare da quei due mocciosi e spiegargli come andava il mondo.
Prima o poi uno avrebbe lasciato l'altra e sarebbe subentrato il
dolore, la disillusione.. e così via, in un loop infinito
culminato in cenere alla cenere, polvere alla polvere. Nadia non si
fidava di lui, se aveva chiesto aiuto alla strega e interpellato
agenti esterni. Non era stata una ferita di striscio ma un colpo in
pieno petto.
***
Trentadue
gradi all'ombra, un'umidità raccapricciante, l'orribile incubo
dei nodi nei capelli e un deodorante che avrebbe cessato l'effetto da
un momento all'altro. Non mancava nulla per scatenare l'intolleranza
di Elena Gilbert per quel mondo caldiccio e privo di aria
condizionata. La rottura con Damon la deprimeva e, per distrarre la
mente, aveva pensato di accodarsi al fratello e a Matt. Non aveva
grandi aspettative se non quella di smettere di pensare al vampiro
per cinque minuti.
“Figo,
qui.”
Già.
Elena tirò indietro un'ampia ciocca di capelli e si appoggiò
alla maniglia del trolley, gli occhiali scivolarono sulla punta del
naso e rimasero lì. L'ultima volta che era stata a New Orleans
aveva avuto quattro anni e non ricordava un granché. Avrebbe
dovuto essere riposata, i ragazzi avevano insistito per sollevarla
dal suo turno di guida, eppure si sentiva spossata e atterrata su un
altro pianeta. Sarebbe risultato scortese fare 'ciao ciao' con la
manina, lasciare gli uomini ai loro discorsi e gironzolare per la
città come una qualsiasi turista armata di macchina
fotografica? I ragazzi ci avevano messo poco ad ambientarsi, già
chiacchieravano amabilmente con i vampiri di New Orleans che
l'avevano passata allo scanner due volte. Eppure non indossava nulla
di pretenzioso: un paio di shorts corti, stivaletti bassi, maglia
colorata e la solita catenina lunga fino all'ombelico che a Damon
piaceva afferrare quando aveva intenzione di baciarla. Elena sospirò
di nuovo: c'era una parte del cervello non deputata al ricordo del
vampiro?!
“Per
te.”
Acqua
fresca nel deserto torrido. Marcel le sorrise ed Elena ricambiò
in automatico. “La scalinata dove conduce?”
“Al
piano superiore. Se vuoi fare un tour guidato della casa, ti
consiglio di attendere l'arrivo di Klaus. Adora mostrare i suoi
possedimenti ai comuni mortali.”
Elena
alzò lo sguardo verso la balconata luminosa. Ce lo vedeva, a
spolmonarsi ed arringare le masse dei plebei ma qualcosa le diceva
che il tour gliel'avrebbe fatto fuori della porta. In fondo, era
l’imbucata della festa.
Almeno
uno era felice di vederla, pensò rivolgendo ad Elijah il suo
sorriso più tenero e luminoso.
“Non
sono stato avvertito del tuo arrivo! Ho davvero piacere di
rivederti!”
Come
poteva essere perfetto anche con quel caldo atroce? Elena sorrise
come un automa. “E' reciproco.”
Il
vampiro la guardò per un altro momento, poi rivolse la sua
attenzione ai ragazzi. “La nostra ospite ci raggiungerà
fra poco e ci ragguaglierà di tutti i dettagli. Mettetevi a
vostro agio. Elena, desideri qualcosa in particolare?”
“Ho
tutto quello che mi serve, grazie” mormorò sollevando la
bottiglietta che frizzava allegra. “Posso lasciarvi alle vostre
chiacchiere da uomini? Il caldo è opprimente.”
“Abbiamo
l'aria condizionata al piano superiore” la informò con
gentilezza. “Ma se preferisci ritirarti, Marcel ti porterà
ovunque desideri.”
“Ci
penso io” mormorò il nero inclinando la testa. “Dove
vuoi andare, piccola?”
“Jer,
in quale albergo abbiamo prenotato?”
“Attendiamo
istruzioni da Nadia. Ha detto che se ne sarebbe occupata.”
Elijah
alzò un sopracciglio, dubbioso. “Ma non ci sono più
stanze libere negli alberghi da settimane. La città è
in festa.”
“Ci
possiamo accampare in giardino, abbiamo i sacchi a pelo in macchina”
disse Jeremy facendo spallucce. “Non è un problema per
noi.”
“Abbiamo
parecchie stanze per gli ospiti non utilizzate” li informò
girando lo sguardo su Elena. “E' una soluzione accettabile?”
Sarebbe
stata perfetta se Klaus non li avesse tollerati a malapena. “Non
dovremmo sentire il parere di tuo fratello prima di svuotare le
valige?”
“Klaus
ha altro a cui pensare. Perdonate la sua scortesia, ma abbiamo avuto
un incidente con i fornitori di alcolici ed ha insistito per
occuparsene personalmente.”
Sarebbe
tornato con le loro teste infilzate su una picca, pensò per
nulla impressionata. Elena recuperò il tempo perduto
aggredendo con una lunga sorsata la boccetta e un istante dopo, la
sputò sul pavimento tossendo come una pazza. Cercavano di
avvelenarla perché era l’ospite in più?!
Elijah
le tolse di mano la bottiglietta, odorandola più volte. “Da
dove proviene?”
“Dal
nostro frigorifero” rispose Marcel, scuro in volto. “A
Nik non gli piacerà per niente.”
“Siamo
arrivati a questo” mormorò lugubre, passandola ai
ragazzi. “Il problema si è esteso.”
“Verbena
e strozzalupo mescolati? Questo lo facciamo quando vogliamo torturare
un ibrido.”
La
presenza dello strozzalupo riduceva il target su Klaus ed Hayley.
Elijah inspirò, fuori di se: stavano cercando di uccidere
anche la bambina!
***
Il
prurito all’occhio sembrava arrivare al cervello ma continuare
a stropicciarlo non aiutava per niente. Klaus caricò lo
scatolone su una spalla e attraversò il porticato. Uno sguardo
fugace alla sala e il battito cardiaco si arrestò. No... non
poteva essere Katherine... Katherine era morta…
Il
vampiro si strappò gli occhiali dalla faccia per vedere
meglio: che diavolo ci faceva Elena Gilbert in casa sua?! Chi aveva
invitato la coniglietta al party di soli uomini? “Ogni scusa è
buona per scappare da Mystic Falls, eh?”
“La
situazione peggiora, fratello.”
Klaus
odorò la bottiglietta con attenzione. Ora capiva la pozza
d'acqua ai piedi di Elena: era stata avvelenata. Occhieggiò la
ragazza che tratteneva piccoli colpetti di tosse con grazia squisita
e alzò un sopracciglio. Un caldo disumano e una sorsata di
veleno giù per la gola… Benvenuta a New Orleans,
Elena Gilbert. “Mi aspetto risultati e stereo basso, la
mattina. Fratello, mostra loro le stanze… tu, vieni con me.”
***
Elena
era certa che Klaus l'avrebbe eviscerata come un pesce appena
pescato, il momento in cui sarebbero rimasti soli. Manteneva una
strana calma che non lasciava prevedere nulla e la cosa la spaventò
non poco. “L'acqua era destinata a te?”
“No”
dichiarò aprendo la strada nell'abitazione sconosciuta. Klaus
estrasse una sacca di sangue dal frigorifero e l'abbandonò sul
tavolo. “Parlami di Katherine. Nadia ha detto che è
morta.”
“E’
vero.”
“Come?”
“Vecchiaia.
La pozione per l’immortalità l’ha riportata alla
sua vera età.” Elena battagliò con la sacchetta,
la strappò e il liquido rosso le inondò le mani e
gocciò a terra. “Non si è arresa. Ha preso un
passaggio dentro di me e ha... sedotto Stefan e allontanato
Damon.”
Non
aveva mai provato alcun tipo di sentimento per la ragazza, la trovava
noiosa come la madonnina sul santino di un prete, ma essere posseduta
dall'anima di Katherine l'aveva cambiata. Le era rimasta una traccia
dentro e lui la stava fiutando come un cane. Emanava uno smarrimento
tale da farlo eccitare. Klaus immaginò di prenderla in
quell’istante, di sentire la carne sbattere contro la carne, il
calore della sua femminilità aumentare…
“Ti
dirò una cosa che disse mia madre, molto tempo fa”
mormorò mentre Elena raccoglieva una goccia di sangue col dito
e la strofinava veloce sul labbro superiore, dolorante e bruciato
dalla verbena. Non era certo voluto ma il vampiro lo trovò
molto seducente. “Ti prego di dedicarmi attenzione, sto
condividendo un momento intenso con te.”
Elena
smise di pulire in terra e lo guardò, attenta. “Vuoi che
sembri la scena di un crimine?”
“Non
sarebbe la prima volta.”
Eh
già... chissà che succedeva là dentro, quando le
porte si chiudevano!
“Sopravvivrai”
disse, laconico quando infine si rialzò dal pavimento. “Non
è la fine del mondo.”
Elena
infilò le mani sporche sotto l’acqua gelida del
rubinetto e la beatitudine le attraversò le braccia. “Tua
madre ha detto una cosa del genere? Sul serio? Suo figlio
di...”
“...
quattordici anni...” mentì abbassando l’età
di proposito.
“...
subisce la prima delusione amorosa e tutto quello che riesce a dire è
'sopravvivrai'?”
Era
sexy, così scettica e sardonica. Klaus sorrise con un angolo
della bocca.
“Non
avevi quattordici anni.”
La
sua affermazione non lasciava spazi a commenti. Klaus chiuse il
rubinetto in attesa di spiegazioni.
E
quello era un dispetto. Elena sorrise, divertita e stuzzicata dalla
debolezza umana e prettamente maschile che mostrava.
La
fanciulla si stava rivelando ben diversa da quel che ricordava. Il
suo sorriso era civettuolo e parlava da solo. Klaus soffiò un
‘touché’ ed Elena si lascio scappare la
prima vera risatina divertita delle ultime settimane. L’ombra
della delusione non si lasciò mettere da parte e appena una
goccia d’acqua si staccò dal rubinetto, Elena ricordò
l’ultima penosa conversazione con Damon e si incupì.
Non
era fragile come Nadia e non era gravata dal fardello di un passato
oscuro, ma non si poteva dire che Elena Gilbert non conoscesse la
sofferenza. Klaus spinse il pugno contro la bocca, poi si aggrappò
al bordo smussato del mobile che gli premeva il bacino. “La
sofferenza porta alla consapevolezza e il risveglio sarà
ogni volta più dolce. New Orleans è come Las Vegas,
tutto ti è concesso. Infila un vestito sexy e va a divertirti
senza stare tanto a pensare a quel che succederà domani.”
Imbronciata
e sofferente, Elena alzò due occhi lucidi che premettevano
lacrime. “Tua madre ha spiegato come aggirare l’ostacolo
dell’orgoglio? La mia non ne ha avuto tempo.”
Non
poteva replicare in alcun modo. Lo sguardo si spostò dai dolci
occhi scuri della ragazza al mento corrugato. Klaus roteò il
corpo nella sua direzione e sollevò piano una mano, posandola
sui capelli. Erano tanti, sottili e morbidi.
Empatia
da Klaus era forse l’unica cosa al mondo che potesse fermare il
pianto incipiente. Elena passò una mano sul viso, piuttosto
scossa. Non si esce con l'ex della tua migliore amica, non si
bacia un ragazzo quando il tuo ti ha appena mollato. Non ci si
struscia addosso agli sconosciuti per cercare di dimenticare. “Ho
solo bisogno di qualcosa di diverso…”
“Quando
diverso, Elena Gilbert?”
Di
nuovo quell’inflessione insinuante nella voce. Elena aggrottò
la fronte, confusa dai segnali contrastanti che arrivavano dal
vampiro. Era tedioso, mutevole d’umore e isterico come al
solito ma era stato il suo vago tentativo di rassicurarla a metterla
sulle spine. Klaus non era mai gentile e se lo era, c’era
qualcosa sotto. “Ho accompagnato Jeremy, nient’altro…
se vuoi che me ne vada, basta dirlo.”
“Non
voglio.”
Elena
batté le palpebre e lo guardò, dritto negli occhi.
Perché mentiva? Era stato evidente a tutti fin dal suo
ingresso!
“Non
c’è alcuna nobiltà nella sofferenza. Andartene
significherebbe arrendersi… e non c’è nulla di
più stupido al mondo che passare le giornate a pensare a Damon
Salvatore.”
Il
nome fu come una fucilata in pieno petto. Elena traballò e si
ritrovò all’incrocio di due mobili. Sospirò per
calmarsi, poi annuì. “Ho solo bisogno di qualcosa di
diverso dal solito…”
Klaus
si chinò in avanti e la baciò, sostenendole la nuca
mentre lo faceva. Un gesto sconsiderato ed impulsivo che apriva un
ampio ventaglio di possibilità: Elena poteva mettersi a
piangere od urlare… o peggio, ricambiarlo e chiedere ben più
di quel che pensava di reclamare.
Le
formiche rosse le stavano divorando il cervello. La vampira aveva i
brividi. Brividi diversi dalla solita paura. Era una reazione al
dolore, si disse. Sarebbe andato bene chiunque.
Elena
Gilbert avrebbe rappresentato l'innocente valvola di sfogo alla sua
passione repressa e, magari, l'avventura avrebbe allietato l'animo
sofferente della ragazza. Si sarebbe impegnato per farla stare bene,
pensò scivolando la bocca sulla parte più sensibile del
collo e abbassando le spalline del top e del reggiseno.
Elena
gli accarezzò i capelli quando un pensiero ridicolo la bloccò:
era tutta sudata e il deodorante aveva ceduto. “No”
bisbigliò insaccandosi nelle spalle.
“No?”
sussurrò spostando i capelli da un lato e baciandola sulla
clavicola, la gola e risalendo verso le labbra. “No?”
domandò ancora sfiorandole con le proprie. Poiché non
rispondeva, Klaus si sentì autorizzato a prenderla a
modo suo. Elena strinse le gambe attorno al bacino, tremando. Quello
era diverso. Era oltre il suo limite.
Il
seno era così morbido che non riuscì ad impedirsi di
accarezzarlo. Elena annaspò per la sensazione di piacere e lo
morse per difesa.
Non
succhiava forte ma il suo corpicino si muoveva lascivamente,
strusciandosi contro l'erezione che lo stava uccidendo. “Ti
condurrò negli angoli più oscuri, sordidi e perversi,
Elena...” promise con voce roca e pressoché inesistente.
Elena
prese una boccata d’aria e ansimò, guardando il nulla
davanti a se. L’aveva vista ma non l‘aveva
riconosciuta. “Chi è lei…?”
“Uno
sbaglio… come te...”
***
“Non
ha l'aria felice.”
Matt
diede di gomito a Jeremy e il ragazzo fece spallucce. Alla ronda
anti-cacciatore si era unito anche Klaus e di Nadia neppure l'ombra.
Non aveva risposto alle telefonate. Bastava quel silenzio prolungato
per fargli temere il peggio. Inoltre, il maledetto asciugacapelli di
Elena aveva fatto saltare la corrente due volte ed era toccato a lui,
trafficarci!
“Cimitero?”
“Cimitero.”
“E'
territorio delle streghe, fate attenzione a come vi muovete.”
Jeremy
rispose con un “ok” laconico e Matt spalancò il
cancello. “Siamo sicuri che Nadia non se lo sia inventato,
questo cacciatore?”
Klaus
lo ignorò, scavalcando un sasso piuttosto largo e un cumulo di
foglie secche. “La guardavo negli occhi mentre raccontava. Non
mentiva.”
Nadia
gli aveva raccontato tante di quelle balle... “Non c'è
nessuno neppure qui. Possiamo concludere il giro? Elena mi ha mandato
un messaggio, è dalle parti di Bourbon Street…”
Al
Rousseau's, pensò Klaus allungando il passo. Colpito
dalla grazia di Elena, Marcel se l'era tirata dietro promettendole
divertimento e il gombo migliore di tutta la città.
“Si
sta annoiando.”
Come
poteva annoiarsi a New Orleans, quella scioccherella?!
Matt
si fermò a chiudere il cancello che scricchiolò quando
scattò la serratura. “Nadia è una voltafaccia
doppiogiochista. L'ho incontrata a Varsavia, con Rebekah. Ci ha
agganciato in un locale. La mattina dopo era scomparsa con i nostri
soldi e il mio anello.”
Klaus
sentì una fiammata di rabbia divorarlo e lasciare le ceneri di
un patetico cretino: persino Matt Donovan e sua sorella erano
arrivati dove lui aveva fallito!
“Non
è una santarellina, io mi guarderei le spalle.”
Il
dubbio cominciava a salire con il sorgere della luna. Si era lasciato
ingannare dalla figlia di Katherine? “E' un mio problema. Se
vedete un movimento sospetto, chiamatemi.” Klaus deviò
nel laboratorio di Genevieve, constatò che non c'era nessuno e
si diresse al Rousseau's. Voleva saperne di più della
pozione magica e dell'incantesimo di localizzazione.
***
Forse
aveva ragione Klaus. Forse le era rimasto dentro un pezzetto di
Katherine. Elena non provava alcuna sensazione di vergogna per quel
che era accaduto nel primo pomeriggio ed invece di divertirsi con
Marcel e il suo amico Slinguazzami-ho-un-piercing - come aveva
soprannominato Diego - la sua attenzione era tutta dedicata ad un
gruppetto di streghe che fingeva di trascorrere una serata fra
amiche. Erano più inquietanti di un bambino posseduto in un
film horror. Per quanto riguardava la festa, beh… sembrava di
stare al college… con meno birra e troppi adulti, decise
entrando nel campo visivo di una rossa mozzafiato che parlava al
cellulare. L’aveva vista… stava solo ricordarsi dove.
Dopo un po', Elena era scesa in strada portandosi appresso un
bicchiere pieno e i ricordi di Damon. Lo scotch era affogato del
ghiaccio. Aveva cominciato a bere quella roba perchè a casa
dei Salvatore non c'era altro e Caroline diceva che non faceva
ingrassare, a differenza della birra. Aveva seguito la scia musicale
di un sassofono terribilmente languido, e si era ritrovata alle
spalle di un gruppo di turisti – prettamente coppiette - che
ascoltavano l'artista, si appoggiavano l'uno all'altro, dondolando.
Non intendeva essere ostile o fare discorsi da sfigata, ma erano
consapevoli del fatto che prima o poi tutto quell'amore sarebbe
finito? Era tornata alla festa con l'idea di divertirsi alla morte.
Non immaginava che l'avrebbero presa tutti sul serio.
Qualcuno
doveva spiegare alla sua stupida amica che fare i selfie con Marcel e
gli amici - per poi postarli su Facebook col solo scopo di far
ingelosire Damon – era controproducente. Era preferibile che
impazzisse domandandosi dove fosse e cosa stesse facendo, piuttosto…
ma dovevano proprio insegnarle tutto? Matt si rivestì dopo la
doccia e si buttò sul letto gemello accanto a Jeremy. Il
ragazzo leggeva fumetti con le cuffiette nelle orecchie e aveva
parlato a malapena da quando erano arrivati a New Orleans. Matt
allungò il braccio e lo colpì col cuscino. Jeremy lo
scacciò con una manata. “Sono preoccupato per Elena”
disse abbassando la rivista sotto il mento. “E’ davvero
lei è c’è rimasto qualcosa di Katherine? Hai
visto come si veste? E i capelli? A cena, Klaus non le ha tolto gli
occhi di dosso, persino Elijah stenta a riconoscerla.”
Non
aveva prestato molta attenzione alle reazioni dei due fratelli, a
dire il vero. Matt era concentrato sull’ambiente, le dinamiche
della casa, la ricerca di possibili vie di fuga se le cose si fossero
evolute diversamente. Sebbene avesse messo Klaus in guardia da Nadia,
una parte di lui era felice di saperla salva e scampata al giogo di
una madre inconsistente come Katherine. “Sei geloso di tua
sorella?”
Jeremy
batté le palpebre e si rimise a leggere. “Ho perlustrato
il giardino e il resto della casa mentre facevi la doccia. Ho visto
una cosa che mi ha ghiacciato il sangue.”
Matt
si riprese il cuscino e sospirò, chiudendo gli occhi. “Mh…”
“Una
culla” mormorò lento e lugubre. “Cosa ci fa una
culla in una casa abitata da vampiri?”
***
Stunk!
Hayley
posò l’asciugacapelli e la spazzola, lasciando ricadere
il boccolo mal fatto. C’era più elettricità nel
bayou che nell’abitazione dei fratelli! Quando scoppiavano i
temporali, invece, l’atmosfera nella casa si faceva tetra e
sembrava di stare in un libro di Edgar Allan Poe. Per essere maghi
dell’organizzazione, gli pesava fare quella telefonata
all’elettricista. Hayley infilò un vestitino chiaro che
rendeva la pancia ancora più grande e si avventurò nel
seminterrato. La bambina si muoveva spesso negli ultimi tempi, la
faceva sentire pesante e per nulla sexy, sebbene Elijah dicesse il
contrario e anche Klaus non lesinasse aggettivi cordiali ed
incoraggianti. Mfp!, pensò posando il piede sul primo
scalino. Aveva il suo tornaconto, quel vampirucolo…
Tump…
tu tump… tu tump… tu tump.
Hayley
alzò gli occhi sulla porta esterna, osservando l’oggetto
roteare nella sua direzione. Inghiottì quando si rese conto
che era la testa di una donna. In controluce, spiccò la sagoma
di Nadia. Odorava di sangue.
“Richiama
il branco, dolcezza. C’è stato un problema.”
Rousseau’s
La
porta del Rousseau’s era sbarrata e le luci spente.
Klaus
fece tre passi indietro e alzò lo sguardo ai piani superiori.
Non sentiva volare una mosca e quello poteva significare due cose: la
festa si era spostata oppure, cosa da non escludere di quei tempi,
erano tutti morti. Stava per chiamare Marcel quando la telefonata di
Hayley gli rizzò tutti i peli del corpo.
Docks
Ci
stavano dando dentro di brutto con le vittime ‘consenzienti’
ed Elena era certa che la situazione stesse gradevolmente sfuggendo
di mano. Al Rousseau’s, il gruppetto tanto interessante
di streghe aveva abbandonato la festa quando gli animi si erano
scaldati e, con la coda dell’occhio, Elena aveva visto anche i
licantropi defilarsi. Era stata lei a suggerire di variare il menù,
sostituendo l'alcool col sangue… e magari spostare la festa in
un luogo più appartato e meno a portata di cacciatore…
Che ne dici, Marcel? Ci divertiamo sul serio?
Il
vampiro le aveva servito ‘le condizioni ottimali’ su un
piatto d’oro: un vecchio palazzo del 700, ristrutturato
dall’altra parte del fiume. Spartano, con un mucchio di spazio
e un impianto stereo da paura. A differenza degli altri, vegliava con
occhio di falco l’andamento della serata. Li teneva sotto
controllo. Elena non poté non ammirare la sua stabilità.
Ma chi era ‘lei’?, si domandava ancora a distanza di ore.
Possibile che anche Klaus avesse un Damon Salvatore che gli torturava
l’anima?
“Non
ci pensare.”
Sorrideva,
Marcel, porgendole un bicchiere pieno in cambio di quello vuoto che
soggiornava ai suoi piedi da parecchi minuti.
“E’
difficile” rispose, accettando il dono. “Non ti aspetti
mai che succeda.”
“Un
cuore spezzato non è una novità. Per molto tempo sono
stato sulla tua stessa barca sorella.”
“Non
stavo parlando di me.”
Il
nero si accomodò sul divano, accavallando una gamba in
atteggiamento molto maschile. Sembrava reticente a parlare. “E’
una storiaccia senza sbocchi. Fossi in te, mi terrei la curiosità.”
“Ricevuto”
mormorò sentendo il classico fremito di indiscrezione nella
testa e nello stomaco. “Non ha speranze?”
“Non
si capisce con certe donne…”
Elena
si rese conto di essere intrigata ad un livello mentale pericoloso.
Il bacio, all’inizio, era stato imbarazzante e fuori dagli
schemi del mondo. Poi era sopraggiunta la necessità spinta dal
dolore. Infine, il lungo contatto aveva smosso la passione sopita
dall’abbandono, risvegliando la goccia di desiderio sessuale
che era bastata ad oliare il meccanismo nel cervello che sfrondava
l’uomo dei connotati e lo riduceva ad un puro essere maschile.
Elena l’aveva etichettata come ‘la follia di New Orleans’
certa che non sarebbe ricapitato una seconda volta.
“Faccio
un giro nei dintorni per accertarmi che sia tutto a posto” le
disse Marcel all’improvviso. “Socializza un po’,
ragazza mia.”
Elena
annuì ma affondò di più nel divano. Non c’era
nulla di diverso rispetto a quello che faceva con Caroline
ogni fine settimana, pensò lanciando sguardi in giro in giro
per la sala e fermandosi su un bellissimo esemplare di razza maschile
dal volto glabro. Elena distolse lo sguardo, bevve un goccio dal
bicchiere e lo fissò di nuovo.
Mikealson’s
Nadia
spariva per quasi 24 ore e tornava con la testa di Francesca Correa
come un gatto che porta un topolino morto in regalo. Ed era quello il
modo di presentarsi, sporca di sangue come un guerriero che torna
dalla battaglia? Voleva ucciderlo a forza di erezioni?
La
donna lo aveva atteso in piedi fronte al camino acceso, le braccia
incrociate sotto il seno e l’aria pensosa. Aveva il viso stanco
e i suoi occhi si perdevano fra le fiamme, ma si accesero quando
Klaus varcò l’ingresso della stanza, adrenalinico come
sempre, sollevato dall’idea di saperla viva. Il vampiro si rese
conto di non aver mai dubitato di lei e che le parole di Matt Donovan
avevano solo aggredito la superficie. Il quarterback e il cacciatore
erano svegli e tesi, Hayley, pallida, era assistita dal suo amorevole
fratello. La testa mozzata era stata sistemata sul loro piatto da
portata d’argento. Klaus lo etichettò come un gesto
macabro e di poco gusto, a tratti medioevale. “Falla sparire
dalla mia vista” ordinò seccato. Tentava di rendere il
soggiorno di Hayley il più piacevole possibile, non intendeva
esporla a simili visioni nel suo stato. “Che non si ripeta mai
più.”
Non
era certo quella l’accoglienza che immaginava. Il folle
desiderio che era cresciuto con la lontananza scemò di colpo.
“Sissignore” mormorò Nadia debolmente afferrando
la testa per i capelli. Hayley inspirò e distolse lo sguardo,
attraversata da un ondata di nausea. Era cresciuta in una zona di
guerra, aveva visto molti orrori nella sua breve vita, ma quella
donna compiva atti cruenti con una leggerezza diabolica. Si chiese
fino a dove si sarebbe spinta pur di compiacerlo. “Klaus, c’è
un nuovo clan di lupi mannari in città…”
Docks
Elena
si sentiva al sicuro. Quel tipo era davvero carino e le sue mani
calde. Lui la chiamava giocosamente ‘la straniera’ e ad
Elena era piaciuto quell’anonimato che garantiva mistero e
riservatezza. Avevano condiviso la stessa vittima – cosa che
non si era mai permessa prima di allora con i fratelli Salvatore –
ed erano finiti contro un muro a baciarsi e ridacchiare come
matricole sceme ad una festa alcolica. Lui le aveva chiesto se si
stava divertendo – dio, sì! – e se voleva
spostarsi altrove. Elena aveva risposto che non c’era alcun
bisogno di farlo, che nessuno badava a loro ma il ragazzo aveva
insistito. Quando parlava, il suo strano accento la faceva fremere
come un diapason. Era magro e muscoloso, attraversato da una corrente
elettrica che brillava negli occhi neri. Elena non riusciva a
staccargli le mani di dosso e non riusciva a respirare, tanto forte
era il desiderio di averlo. Strappargli i bottoni della camicia era
un indizio sufficiente sulle sue intenzioni? Il ragazzo aveva leccato
il solco fra i seni, facendola gemere e la preghiera era sfuggita
dalle labbra con una semplicità spaventosa. Si era lasciata
condurre via, consumata dall’ansia di concludere ma l’ebbrezza
era svanita quando una voce nel cervello l’aveva avvisata di un
cambiamento pericoloso. Alla luce della luna si era accorta che i
suoi lineamenti si erano induriti. Elena non era pratica dei
divertimenti occasionali, ma era certa che ci fossero molti
atteggiamenti sbagliati nella sua ‘botta e via’. Il
dubbio fu cancellato quando lo vide estrarre un punteruolo che non
brillò sotto la luce, segno inconfondibile di un legno duro
trattato appositamente per trafiggere. Essere sorella di un
cacciatore e aver avuto Alaric come insegnante, era servito a
qualcosa. Proprio la sera in cui decideva di ‘divertirsi’
le capitava un faccia a faccia col cacciatore di vampiri. La sua
solita fortuna, aveva pensato con un sorrisetto ironico. Le scarpe
non erano adatte a correre. Elena aveva abbassato la stringa
posteriore di pelle con un movimento seducente e utilizzato il
tallone per liberare l’altro. Le avrebbe riprese il giorno
dopo, aveva pensato scartando velocemente da un lato. Udiva ancora la
musica provenire dall’abitazione di Marcel. Doveva disperderli
o magari, aveva pensato con un sorriso crudele, iniziare la...
‘caccia’ al cacciatorehhhhh!!
Ma
quanto era veloce?! Elena si arrestò in mezzo alla strada,
trovandoselo di fronte. Cercò di incamerare più dati
possibili per il futuro identikit – che ce l’avevano a
fare un vampiro fissato con l’arte? – trasse un respiro
profondo e cambiò direzione. Lanciò uno sguardo
all’acqua che brillava alla sua destra, ebbe un moto di panico
ma si gettò lo stesso.
Mikealson’s
Altre
gatte da pelare. Continuava a peggiorare e non se ne vedeva la fine.
Klaus strofinò il pugno contro la bocca, fissando il pancione
di Hayley. “Dovresti riposare, cara.”
“E
tu dovresti chiamare l’elettricista” mormorò
rialzandosi goffamente dalla poltrona “sono dovuta scendere nel
seminterrato un’altra volta.”
“Sarà
il mio primo pensiero domattina” promise, addolcendo il tono
della voce. Sentiva gli sguardi dei due ragazzini puntati sulla nuca.
Le loro piccole menti stavano impazzendo a cercare una relazione fra
i bizzarri personaggi della stanza. L’orologio digitale al
polso segnò le due e Klaus si rese conto che mancava una
fanciulla all’appello. “Tua sorella è solita fare
le ore piccole?”
Jeremy
Gilbert scosse la testa, incrociando lo sguardo di Matt. “L’ho
chiamata, non ha risposto.”
“Non
è da lei.”
C’era
anche Elena?! Nadia si chiese quale sarebbe stata la sua reazione di
fronte alla copia della madre. Comunque, doveva delle scuse alla
ragazza. “Andiamo a cercarla.”
“Noi
andiamo a cercarla. Tu pensa agli affaracci tuoi” sibilò
Jeremy gettandole un’occhiata velenosa. “Hai fatto
abbastanza danni la prima volta.”
Il
piccolo Gilbert tirava fuori i denti. Klaus spostò lo sguardo
dal ragazzo alla donna.
“Era
mia madre!” ribattè. “Cercavo di salvarla!”
“Cancellando
mia sorella?!”
Nadia
strinse i denti, consapevole di essere dalla parte del torto. “Non
potevo fare altrimenti.”
“Litigare
non serve a niente, il passato è passato. Ora noi usciamo a
cercare Elena e quando torniamo, seppelliamo l’ascia di guerra.
D’accordo?”
Al
quarterback piaceva proprio fare l’ago della bilancia e
rischiare la vita inutilmente. Si sarebbero scannati, pensò
Klaus avvicinandosi alla finestra e guardando il giardino illuminato
fra le siepi.
Il
cellulare ronzò sul tavolo e tutti lo guardarono. Klaus
rispose con un mugolio basso.
>La
gente ha cominciato a sparire.<
Eppure
era tornata a casa. Molti vampiri non possedevano protezioni magiche
diurne e mancavano solo due ore all’alba. Klaus inspirò,
passando una mano sulla fronte e lasciandola ricadere lungo il
fianco. Le brutte notizie sono vigliacche, non arrivavano mai sole.
“Che altro?”
>Elena...
l’ho persa.<
O
forse stava solo scopando con uno dei ragazzi di Marcel in qualche
angolino ombroso e ritirato. Per quanto apprezzasse una donna che
sapeva cogliere le occasioni che le si presentavano, poteva dire con
certezza che Elena Gilbert, la pallida copia di Katherine Pierce, la
madonnina compassionevole di Mystic Falls, era tutto fuorché
un’avventuriera. “Dove siete di preciso?”
***
New
Orleans non si era rivelata una buona idea. Elena strizzò i
capelli, parte dei vestiti e zoppicò in tondo, persa in una
città che non conosceva. Il cellulare aveva tirato le cuoia
nell’acqua e il denaro era annegato nella borsetta, persa
chissà dove sul fondo del fiume. Era intirizzita di freddo e
paura, sola e con il cacciatore alle calcagna. Il bastardo le aveva
nuotato dietro per parecchio tempo, poi era scomparso. Quella parte
del porto sembrava deserta, nessun passante da fermare e soggiogare
per scroccare una telefonata o un passaggio in macchina. Puzzava di
benzina, melma e pesce morto. Aveva pregato per qualcosa di diverso
ma non credeva… Elena si voltò di scatto, in tempo per
vedere la punta del paletto ricadere a folle velocità contro
di lei. La vide affondare nella carne, la sentì penetrare nel
diaframma e aprire un solco attraverso tutto il suo corpo. Dolore.
Non c’era altro. Solo stupore e dolore. E quel nome urlato
nella testa.
***
Avevano
smesso di parlare da più di due ore, ma Klaus poteva sentire i
loro cervellini arrovellarsi di domande sulla sorte della ragazza.
Ammettere di essere infastidito dall’assenza protratta di Elena
Gilbert – soprattutto dopo aver trovato tre corpi su cinque
trafitti al cuore - sarebbe risultato un segno di debolezza, perciò
tacque per tutto il tragitto e si chiese se quel sentimento non fosse
colpa della bambina non ancora nata… e no, non avrebbe
chiamato Rebekah per sapere come se la passava!, pensò
battendo il pugno sul volante. Avrebbe costretto Elijah a farlo.
“Oh,
frena!”
Klaus
inchiodò, sebbene non corresse per niente. Quelle maledette
streghe sbucavano ovunque! “E’ territorio neutrale,
Davina!” urlò sporgendosi di una buona metà.
“Per
questo sei ancora vivo” rispose aggirando il cofano della
macchina. “Marcel mi ha chiesto di aiutarti.”
Klaus
aggrottò la fronte, trattenendo un commentaccio. Quando la
testa di Jeremy sbucò dal finestrino, l’espressione di
Davina cambiò e si fece meno dura. Il vampiro udì un
battito più profondo degli altri, segno di curiosità e
attrazione.
“Puoi
aiutarmi a ritrovare mia sorella?”
“Prima
dobbiamo concordare il prezzo.” Davina si voltò con
decisione verso Klaus e l’aria cambiò di nuovo. “Voglio
un riconoscimento con tutti i crismi alla Festa delle Benedizioni,
talmente grosso e imponente da far impallidire quelle stronze di
Monique e Genevieve.”
“Mi
prostrerò ai tuoi piedi…”
“Non
ho finito: voglio studiare il grimorio di tua madre e accedere a
tutti gli incantesimi.”
Era
un prezzo troppo alto per la salvezza di Elena Gilbert. “Tu non
arriverai neppure a sfiorarlo quel…”
“Per
favore. Non farmi usare la balestra.”
Klaus
girò lentamente il collo e squadrò il quaterback alle
sue spalle. Traditore e doppiogiochista. Aveva imparato in fretta.
“Il grimorio di Esther contiene incantesimi troppo potenti…”
“Lo
consulterei a casa vostra, sotto la tua supervisione!” esclamò
la ragazzina con l’urgenza tipica degli adolescenti. “Vuoi
rivedere o no la tua ragazza?”
“Ti
dovevi fermare prima” sibilò disarmando Matt Donovan e
puntando la balestra contro il cuore di Davina. “Hai cinque
secondi per salmodiare l’incantesimo. Uno in più e ti
spedisco a salutare gli Antenati in prima persona!”
***
“Non
l’avrei fatto. L’avevi capito, sì?”
Per
salvare la ragazza, quei due avrebbero fatto qualsiasi cosa. Klaus
evitò di rispondere e svoltò nella strada indicata da
Davina. Si fermò e quando smontarono dall’auto, l’odore
di sangue gli aggredì le narici. Ne era stato versato
parecchio. Klaus seguì la scia come un cane che fiuta una
bistecca di carne cruda. Pestò qualcosa di viscido e tirò
su il piede con accortezza. Una pozza di sangue. Gocce di sangue
piovevano dal cielo. Il vampiro alzò piano lo sguardo. Oh…
cristo! L’orrore provato durante il racconto di Nadia si
tramutò in nausea. Klaus si tirò via dalla pioggia
insanguinata e ansimò per riprendere il controllo. Impiccare
il manichino con le sue fattezze era stata la prova generale per un
orrore ben più grande.
“Dov’è?
L’hai trovata?”
“Sì…”
Jeremy
vide per la prima volta il ribrezzo negli occhi del vampiro.
Rabbrividì come se la temperatura fosse calata di colpo. “E’…”
“No…
ma dobbiamo tirarla giù…”
Tirarla
giù. Jeremy non riusciva ad alzare la testa. Vedeva solo
il sangue gocciare e scivolare lungo il palo della luce. Tirarla
giù.
“Torna
in macchina e chiama Elijah. Digli di venire qui di corsa. Ehi, mi
senti? Sto parlando con te!”
Jeremy
annuì ma non si mosse e non staccò gli occhi dal
rigagnolo vivo che scendeva lento lungo il legno.
Aveva
visto uomini impazzire per molto meno. “Portalo via, è
completamente inutile nel suo stato.”
“Come
farai a tirarla giù?”
La
voce di Matt vibrava come un diapason. Era sconvolto ma manteneva il
sangue freddo. Le sue mani, invece, tremavano. “E’ un
problema mio. Portalo via prima che perda la ragione del tutto.”
La
Parigi degli anni Trenta. Anais Nin ed Henry Miller che scopano
all’alba nei bassifondi della città, sotto i ponti della
Senna. La giarrettiera di seta bianca e le ruvide mani del rozzo
scrittore strette attorno alle cosce pallide. I capelli tagliati alla
garçonne, le collane di perle, le scarpe lucide, i
velluti un po’ lisi, i cappelli flosci. La decadenza parigina
ben si adattava all’animo malinconico e ombroso di Nadia che
guardava, assimilava, ingurgitava la vita attraverso i corpi sudati
dei protagonisti.
Era
stato il periodo migliore della sua vita.
Ma
non aveva avuto il coraggio di sperimentare.
L’invisibile
filo rosso che li univa si era spezzato. Aveva sottovalutato il suo
attaccamento alla donna incinta. Aveva commesso un passo falso
turbandola e Klaus l’aveva punita sottraendole la sua
attenzione e rovesciandole sul fragile involucro che aveva racchiuso
l’anima di Katherine per alcune settimane. Si erano dati molto
da fare per salvarle la vita. L’avevano vegliata.
Povera
piccola stellina.
“Ed
ora?”
Nadia
si riscosse dai pensieri malevoli biasimando se stessa. Doveva
provare pena per lei, per la brutalità inflittale da Fulberto.
Invece, era gelosa. Mortalmente gelosa. “No, non va bene.”
Il naso era troppo aquilino, la bocca troppo pronunciata, le labbra
troppo sottili. Quel che aveva rappresentato, era la grottesca
caricatura del pastore. L’insofferenza malcelata esplose in
stizza e frustrazione. “Sbaglio o avevi detto di saper fare un
ritratto?”
Klaus
chiuse il blocco per gli schizzi, abbandonandolo sul tavolino. Non
era semplice procedere, Nadia cambiava idea ogni due secondi ma non
era l’unica ad avere la testa nel frullatore. Pretendevano
troppo da lui, aveva passato una nottata infernale. “Ci
riproveremo più tardi” mormorò alzandosi
pesantemente dalla poltrona. “Vado a dormire e non voglio
sentire volare una mosca.”
Nadia
portò il pugno alla bocca, il cuore in gola. Un altro errore.
“Perdonami. La mia mente cerca in tutti i modi di ricordarlo e
dimenticarlo al tempo stesso… quando penso di aver raggiunto
la completezza, l’immagine svanisce.”
“Faremo
alla vecchia maniera” dichiarò scrollando una mano nel
vuoto. Gli elettricisti sarebbero arrivati da lì a poco, ma se
ne sarebbe occupato Elijah come sempre… ed Hayley avrebbe
evitato di ammazzarsi sulla scaletta ripida del seminterrato. Una
promessa era una promessa.
Nadia
lo seguì con lo sguardo quando spalancò la porta della
camera da letto, muovendo circolarmente la testa per sciogliere i
muscoli irrigiditi. Solo lei aveva il potere di rimuovere
l’impedimento. “Non posso amarti nel modo in cui
vorresti, ma non per questo ti desidero meno.”
Aveva
avuto degli uomini, il problema non riguardava le preferenze
sessuali. Klaus si fermò, la mano posata sul pomello di ottone
lucido. Aveva smussato gli angoli, riempito le crepe per lei.
“L’amore spirituale va bene nella letteratura… io
sono solo un uomo e ho bisogno di tutto il resto.”
“Ti
sono devota, morirei per te. Non basta?”
Non
si rigetta una simile lealtà. Anche se il tuo cuore chiede di
più. “Hai preso troppo sul serio il compito di salvarmi
l’anima...”
“Non
credo ai casi ‘persi’ e tu vali qualunque sacrificio.”
La
voluttuosità di una conoscenza a metà. Klaus accennò
un sorriso amaro chiudendosi ala porta alle spalle. Una stanza vuota
in penombra. La sua vita.
***
… e
a morire fu il cane.
L’Elegia
di Goldsmith l’aveva dovuta studiare per la lezione di
letteratura. Una frase senza senso a quell’ora del mattino.
Elena
aveva scalciato le lenzuola, regolato l’aria condizionata e
aperto la porta del bagno. Gli asciugami puliti erano stati
ordinatamente impilati sul lavandino e la parte alta dello specchio
era attraversata dal ricamo di un fiore alabastrino. Nel locale
l’aria era soffocante, dalla finestra entrava il sole e
disegnava una curva sul pavimento. Le unghie laccate dei piedi
avevano brillato nel riflesso intenso. L’acqua della doccia era
fresca, a tratti sputava getti tiepidi che le massaggiavano le spalle
e scivolavano lungo le cosce snelle. Un rivoletto d’acqua era
finito nell’orecchio, isolandola dal mondo esterno. Elena aveva
piegato e scrollato un po’ la testa, lasciandolo fluire via.
Mentre i getti leggeri le accarezzavano la mandibola nel punto in cui
lui l’aveva baciata, Elena si era resa conto di non
poter far finta di niente. Alla cruda luce del giorno, la ‘follia
di New Orleans’ si stava mostrando in tutta la sua
sfacciata problematicità.
“Elly?”
Elena
aprì gli occhi per la seconda volta, la spalla appoggiata alle
maioliche fresche e azzurrine come un mare tranquillo. La curva del
sole attraversava il mucchietto di vestiti abbandonati in terra.
“Elly,
sei in bagno?”
“Non
sono presentabile, non entrare!” esclamò udendo con
sgomento una nota disturbata nella propria voce.
“Che
vuoi per colazione?”
Un
toast grondante formaggio. Uova strapazzate con la pancetta fritta.
Una ciambella alla fragola affogata nello sciroppo.
“Ok.”
L’acqua
cessò di scorrere con uno stridio del rubinetto.
Non
l’aveva toccata e non ricordava la sensazione delle gambe
strette attorno al suo bacino, ma rammentava il respiro, il calore
incendiario del corpo, la promessa sussurrata. Come molte donne,
l’udito era il suo punto debole. Quando Damon le sussurrava
certe sconcezze, il suo corpo reagiva con violenza. L’intimità
e la fiducia, poi, rendevano tutto più veloce e intenso.
Elena
si sbirciò allo specchio che le rimandò un’espressione
cupida e rapace.
La
colonnina bianca della struttura in legno che circondava il letto
concedeva l’idea di un baldacchino. Mentre sceglieva i vestiti
nell’armadio, si chiese dove fosse finita la parte superiore.
Che tendaggi accogliesse. Damon odiava quei letti imponenti ma non
disdegnava immobilizzarla al suo di tanto in tanto. Erano le notti
che ricordava nei dettagli perché la liberavano delle
inibizioni. Si sentiva diversa, dopo.… mh?
“… ti
stai agitando e non fa bene ne a te, ne alla bambina.”
“Dovete
scovare questo tipo prima di subito! Non voglio spezzatino di neonata
per cena!”
“Non
ti accadrà niente, stai...”
“Ho
paura! Sto cominciando a chiedermi se non sia lei
a organizzare questi attentati!”
“In
quando a paranoia, mi batti.”
“La
sua storia strappalacrime ha ottenebrato il tuo giudizio. L'ho
sentita raccontare, sembrava così falsa...”
“...
da essere vera. La guardavo negli occhi, ti assicuro che non
mentiva.”
“Oh,
io te ne ho raccontate tante di balle e tu hai sempre creduto a
tutto! La verità è che ti senti in colpa per quello che
hai fatto a Katherine e vuoi cercare in tutti i modi di rimediare!”
“Cosa
centra Katherine?!”
“L’hai
privata della maternità e hai sottratto a Nadia la sua
infanzia... ahia... ah!”
“Stai
partorendo?”
“Imbecille,
è solo una fitta...”
“Non
ne hai troppe e troppo spesso, di queste fitte? Quel dottore è
capace a fare il suo lavoro? Devo recarmi personalmente da lui?”
Aveva
udito la conversazione grazie alla finestra aperta del bagno, ma non
aveva riconosciuto la voce della donna che parlava con Klaus. Elena
aguzzò le orecchie. Il vampiro aveva un vasto repertorio di
minacce fantasiose che, se non dirette personalmente a lei o ai suoi
cari, la facevano sorridere. Le voci svanirono debolmente, Elena
balzò in direzione della porta aprendola piano piano. Il
pancione di Hayley entrò nel suo campo visivo come un pallone
aerostatico, il volto era girato e avvolto da una carezza. Elena alzò
le sopracciglia quando vide le teste vicine. La ragazza di Elijah era
molto carina e aveva un viso conosciuto. Gli sorrideva allo stesso
modo in cui lei sorrideva a Damon quando le cose andavano bene…
e c’era qualcun altro che li sbirciava con estremo riserbo.
Remoto,
consapevole, rassegnato. Sarcastico. Elena non si era mai accorta
della vasta quantità di sentimenti che mostrava quando era
certo che nessuno lo stesse guardando. Il tutto durò pochi
istanti ma le restò impresso a fuoco nella mente. Klaus la
vide con la coda dell’occhio e un velo calò sui
lineamenti, appiattendoli nell’indifferenza. Quanto lavoro
c’era dietro la sua velocità di esecuzione?
“E’
quella l’ora di tornare a casa, svergognata?”
Elijah
le rivolse un sorriso morbido e porse il braccio alla donna. “Non
prestargli attenzione, sei libera di fare ciò che vuoi.
Fratello, i vestiti per la festa sono arrivati. Li ho fatti sistemare
nelle varie stanze.”
“Molto
bene.”
“Ne
ho ordinato uno anche per Elena. ”
Ma
non avevano deciso di metterla sul treno per Mystic Falls il giorno
stesso?! Jeremy Gilbert era stato il primo a proporlo e, a cascata,
appoggiato da tutti loro. A che pro la sparata dell’abito?
“Nadia
sarà di ronda con i ragazzi.”
Klaus
si irrigidì. Lo fissò per alcuni istante e si limitò
ad annuire.
Lei
aveva finalmente un
nome. Elena sbirciò cauta l’espressione di Klaus e si
chiese cosa ne pensasse del cambio di dama. Attese che la coppia si
allontanasse a passo di lumaca giù per la breve scalinata e
tornò a guardarlo. Indecifrabile. “Sono rientrata
ubriaca?”
Avevano
dovuto prendere misure drastiche mentre la liberavano, spezzarle il
collo quando rinveniva con urla strazianti, soggiogarla per impedirle
di ricordare la brutalità del supplizio. Erano tutti d’accordo
nell’inscenare una tranquilla realtà per la sanità
mentale di Elena Gilbert, perciò Klaus annuì accennando
un sorriso falso che non durò neppure un secondo. “Se
tua madre fosse viva, si vergognerebbe di te.”
Wow!
Le feste di Marcel dovevano metterle sulla guida turistica di New
Orleans! Si era divertita talmente tanto da avere un buco nero nella
testa.
“Sei
una vera ragazzaccia” mormorò, atono. “Continua
così.”
“Hai
tempo per quella visita guidata?”
Ne
aveva da vendere e rimuginare il rifiuto di una donna votata al
sacrificio cristiano non avrebbe cambiato la sostanza delle cose: era
stato scaricato per interposta persona. Il vampiro si appoggiò
alla balconata, le braccia dritte e il peso sospinto avanti. La sua
ospite pregava per qualcosa di diverso e lui non vedeva l’ora
che le cose tornassero a posto. Stava subendo un radicale mutamento
che non riusciva ad ammortizzare, ne era quasi spaventato. L’ansia
per la salute di Hayley, l’attaccamento per la creaturina non
ancora nata… Era cominciato nei mesi precedenti e stava
esplodendo come una bomba proprio in quell’istante. Scorgeva la
possibilità di essere felice ma non osava sperarci. “Cosa
ti interessa? L’architettura, la storia?”
Se
fosse stata Caroline, avrebbe stilato la lista di richieste, ma Elena
era più dell’idea di lasciare l’uomo a
briglia sciolta. “Mi rimetto a te.”
Ragazza
intelligente. “Scarpe comode e capelli legati. Pronta fra
mezz’ora.”
“Sono
pronta, prendo la macchina fotografica...”
“Elly,
la colazione!”
Elena
sorrise per l’assurdità della tempistica e l’odore
appetitoso proveniente dalla cucina stimolò il centro della
fame “… fra mezz’ora” concluse con un lungo
sguardo divertito che non venne ricambiato. Era di nuovo assorto in
se stesso. Fu la curiosità a porre la domanda. “L’impero
non va come dovrebbe andare? Gli schiavi si ribellano? Se hai in
mente punizioni corporali, ti pregherei di avvertirmi perché
non voglio assistervi.”
Un
ghigno beffardo piegò gli angoli della bocca di Klaus. Elena
Gilbert lo credeva un fantasma senza corpo ne sostanza, privo dei più
semplici desideri umani. “Nella ballata di Goldsmith, si narra
di un cane che litigò col padrone…”
An
Elegy On The Death Of A Mad Dog. Che
strano, le era venuta in mente proprio quella mattina. “Questo
cane e l'uomo dapprima furono amici; ma quando cominciarono a farsi
dispetti, il cane, per qualche suo scopo segreto,
impazzì, e diede un morso all'uomo…”
Klaus
la sbirciò, piacevolmente sorpreso “… e mentre
quelli giuravano che il cane era pazzo, giuravano pure che l'uomo
sarebbe morto…”
“… e
a morire fu il cane.”
Elena distolse lo sguardo, appoggiando il bacino alla balconata. Era
elegante nell’incassare certe sconfitte.
“Sopravvivrai.”
Toccato.
“Ora ti do una spinta e lo faccio passare per un incidente.”
La
ragazza scoppiò a ridere e la sua risata argentina e sincera
risuonò nel chiostro. Jeremy smise di trafficare con le tazze
della colazione e anche Matt sollevò gli occhi dal giornale
sportivo locale. “Dovremmo fare un regalo a quei due.”
“Mhh.
La balestra è carica e tale resterà.”
“Me
ne rallegro. Siete qui per questo.”
Un
tremito nella mano e il caffè galleggiò scomposto nella
tazza del quarterback. “Alla buon’ora. Dov’eri
finita?”
“Ho
avuto da fare” mormorò Nadia spostando una sedia e
afferrando una ciambella dalla scatola. La masticò lentamente
e a lungo. Katherine la tormentava dall’aldilà nelle
fattezze di Elena Gilbert. Quando si affacciò in cucina, Nadia
lasciò andare il boccone residuo, lo stomaco chiuso. Elena
augurò il ‘buongiorno’ a tutti, ficcò il
toast pronto in bocca, calcò il berretto militare sulla testa
e infilò gli occhiali da sole nella scollatura. “Jer,
lascia stare le uova, ho tempi ristretti.”
Il
treno sarebbe partito alle 1230, aveva tutto il tempo per fare
colazione e sistemare i bagagli… dove andava così di
fretta?
“Il
Supremo
mi ha concesso mezz’ora di ristorazione prima della visita
guidata.”
Visita
guidata?! Jeremy guardò Matt, interrogativo. Il ragazzo colse
la palla al balzo, fingendo di leggere il giornale. “Ieri sera
biascicavi di voler tornare a casa…”
“Se
non lo ricordo, non vale.” Elena fagocitò l’ultima
ciambella sporcandosi con lo zucchero a velo. “Ehi! Non trovo
il cellulare ne il portafoglio. Li avete visti?”
Era
probabile che li avesse persi nel Mississippi durante la fuga dal
cacciatore. Matt scosse una pagina, accennando un sorriso. “E’
freudiano. L’hai perso per paura di cedere e chiamare Damon.”
“Non
ho un’amnesia” borbottò adombrandosi un poco.
Ricordava tutte le conversazioni, le sue espressioni, il fermo
rifiuto di parlarle ancora.
Nadia
smise di far finta di leggere le notizie di cronaca locale e le
scivolò lo sguardo addosso. “Anche se pensi di essere al
sicuro con lui, conta solo sulle tue forze. Fulberto è
ben più veloce e forte di un vampiro antico. Quell’incosciente
non lo vuole capire…” mormorò sfogliando il
giornale di Matt. “Non abbassare la guardia e se le cose si
mettono male, non sacrificarti.”
“Sissignora”
sussurrò scambiando un’occhiata perplessa con i ragazzi.
Nadia
le inviò un’altra occhiata consapevole. Quella cosina
fatta d’aria non possedeva una briciola della fermezza e del
carattere di Katherine. “Sarai gambe all’aria prima di
sera…”
***
“….
E il secondo porcellino andò al mercato, sbagliò strada
e si inoltrò sulla via della perdizione…”
Elena
batté le palpebre e si accorse di essere giunta al mercato
delle pulci. L’avvertimento di Nadia non era servito a molto,
era talmente distratta che il cacciatore non doveva neppure
disturbarsi a tenderle un agguato… e cosa significava,
l’ultima frase? Non la riteneva in grado di cavarsela? “Devo
prendere un souvenir per Caroline, cosa mi consigli?”
Klaus
le toccò il braccio cercando il suo sguardo. Non erano andati
a fondo e stava ricordando? “Che succede?”
Elena
sospirò, sollevando il berretto dalla fronte. “Non
ricordo nulla, solo di essere uscita di casa… non trovo il
telefono, ne i documenti… non trovo la borsetta e manca anche
un vestito all’appello…”
Era
inquieta, c’era una nota di paura nella voce. Era sempre così:
la mente non lo ricordava, ma nella carne era rimasto impresso.
“Vieni, togliamoci dalla folla.”
///
“Dove
siamo?”
“Rebekah
ha comprato questo posto per farmi dispetto.”
Non
compri un appartamento per ripicca! Elena varcò la soglia
sospirando per la frescura improvvisa. Non doveva averlo lasciato da
molto, era pulito e non c’erano tracce di polvere sui mobili.
Era carino, intimo e molto femminile. “E ti lascia una copia
delle chiavi quando se ne va?”
Per
sempre?, pensò aprendo il frigo ed estraendo una bottiglia
d’acqua fresca. “Evidentemente.”
L’oasi
nel deserto. Elena si servì con molto piacere. “La
verità lontano dalle orecchie di mio fratello. Sono tornata in
uno stato pessimo? Mi sono portata un ragazzo in camera?” Non
ci pensava neppure alla terza ipotesi. Era talmente ridicola…
“Sei
stata aggredita dal cacciatore, ieri sera.”
Il
cacciatore?
“Abbiamo
ritenuto opportuno fartelo dimenticare.”
Il
bicchiere d’acqua si scaldò fra le mani. Elena si lasciò
andare all’indietro e la sedia di segno scricchiolò.
“Cosa mi ha fatto?”
“Ti
ha quasi ucciso. Soffrivi molto.” Klaus si mosse lento,
appoggiò gli occhiali da sole sul tavolo e spiò
l’edificio di fronte dalla finestra della cucina all’americana.
“Perché gravarti di altro dolore?”
Elena
inspirò dopo un lungo istante di apnea. “Jeremy lo sa?”
“Purtroppo.
Ti abbiamo cercata tutta la notte, ho dovuto piegarmi ai voleri di
una strega sedicenne per localizzarti.”
Addirittura!
“Perché lo hai fatto?”
“Ho
una sorella anche io.”
Un
brivido l’attraversò da capo a piedi. Elena ringraziò
di essere seduta ma l’insicurezza si impadronì di lei.
Strofinò le braccia con le mani e i gesti scattosi rivelarono
ben più delle parole. “Chi vi ha dato il permesso di
cancellarmi la memoria?”
“Tuo
fratello. Lo stesso che mi ha impedito di tirare giù dal letto
quell’idiota di Salvatore.”
Jeremy
non aveva il potere di opporsi a nessuno, tanto meno a lui. La
rivelazione l’aveva scombussolata. “Perché me
l’hai detto?”
“Vivere
nel dubbio ti logora. Lo senti che c’è qualcosa che non
va.”
Era
una sensazione sgradevole. Ti pungolava a tratti e quando cercavi di
afferrare il capo del filo, annaspavi nel dubbio.
“Rallegrati.
Pensa che dovrò genuflettermi ad un’adolescente che mi
odia… per di più, di fronte a tutti.”
In
quel momento non c’era un bel niente che poteva tirarla su di
morale. Era a New Orleans da un giorno, l’avevano quasi uccisa
e ripresa per i capelli…
“Se
ci fosse pericolo, lo avvertiresti.”
“Come
me ne sono accorta la prima volta?!” biascicò sull’orlo
delle lacrime.
“I
cacciatori sono una razzaccia. Non biasimarti.”
Elena
mordicchiò un’unghia, agitata. “Biasimo te per
avermi cancellato la memoria. A quest’ora saprei che faccia
ha…”
“… ed
io vorrei che qualcuno cancellasse la mia. Ho ancora le tue urla
nelle orecchie, dolcezza” eruppe, brusco. “Tu non hai
visto quel che ho visto io. C’è un biglietto sulla mia
scrivania, il treno parte fra un’ora e mezza.”
Elena
sentì un brivido gelido scuoterla. Lo stesso provato
nell’istante esatto in cui si era morta. Ora capiva la frase di
Matt: avevano pianificato tutto per rimandarla a casa. “Non mi
lascio rovinare la vacanza da nessuno...”
Klaus
si fece torvo. Avevano impiegato tempo e versato un sacco di sangue
per quell’ingrata traditrice. “Sei il mio
capolavoro, donna. Non ti permetterò di rovinarlo.”
“Non
credere che avermi salvato la vita ti dia diritto di disporre di me a
tuo piacimento.”
“Tu
farai quello che ti ordinerò di fare. Metterai quelle chiappe
secche sul treno e te ne tornerai a casa, dritta fra le braccia di
Salvatore.”
L’avevano
nominato troppe volte in un solo giorno. Elena inghiottì una
boccata di rabbia e la tensione salì ai livelli di guardia.
“Non darmi ordini!”
Com’era
a letto, Elena Gilbert? Timida, senza dubbio. Riluttante a chiedere.
Era morbida allo stesso modo in tutte le parti? C'erano luoghi
segreti che, se svelati, aprivano le porte a ricompense munifiche? La
delusione di essere stato respinto più volte da Nadia gli
aveva fatto commettere la sciocchezza di baciarla in un momento di
sfrenata empatia. Il bisogno era venuto da se e aveva acuito
il latente desiderio sessuale. Inconsciamente, la voleva. Klaus
espirò cercando di allentare la tensione al cervelletto.
Doveva uscire da quell’appartamento.
Le piace, il laboratorio di Genevieve. Ci sono fiori e piante ovunque, le ricorda la
sua infanzia. Nadia passa piano l'indice su una corolla per non gualcirla. “State
spiando Camille?”
“Era precedente agli
accordi.”
“E la verbena nel
vino?”
“Non siamo stati
noi. Klaus ha molti nemici, dovrebbe guardarsi le spalle e ricordare che il
fornitore ufficiale...”
“... è Francesca
Correa. Abbiamo chiarito il malinteso.”
Oh sì, aveva udito
del cadavere senza testa ritrovato nel fiume. Erano corse voci raccapriccianti
anche sulla ragazzina giunta in città con il piccolo cacciatore. “Una pozione
del genere richiede molto lavoro, Nadia. Ho bisogno di concentrazione.”
“Me ne vado, me ne
vado...”
“Il tuo sangue,
prima.”
Genevieve le passò una
piccola ampolla e Nadia fece gocciolare il sangue all’interno. “Sarà pronta per
stasera?”
“Non serve tanto
tempo. Dammi quattro ore.”
Nadia è come una
giornata senza sole. La sua presenza porta malinconia e un disordinato senso di
perdita e morte. Genevieve si affretta a mettere
insieme gli ingredienti. Li dispone ordinati sul tavolino e la pelle d’ora le
ricopre il corpo. Passiflora per dimenticare. Dragoncello per mai più amare…
///
“Sei stata veloce.”
“Non amo le perdite
di tempo.”
L’aria è calda,
Nadia gioca con la lunga collana magica che la tiene in vita, cerca la mano di
Matt e la stringe nella sua. “E’ l’ultima volta che ti coinvolgo, promesso.”
“Non c’è problema.
Preferisco cacciare vampiri che servire ai tavoli.”
“Prova nelle offerte
di lavoro” ammicca, con un sorriso allegro.
“MysticFalls è una piccola città e da quando sono andati via
quei tre psicopatici, non succede mai niente. Non ho intenzione di restarci per
sempre. Potrei stabilirmi qui, il materiale sovrannaturale non manca di certo.”
“Dicevi di non sopportare
il fiato di Klaus sul collo…”
Matt si ferma, il
braccio si tende e trattiene Nadia, facendola tornare indietro di un passo. “Ti
ci sei immischiata di tua spontanea volontà o cosa? Non dire cosa, ho una balestra pronta e un po’ di
quercia bianca la rimedio su Ebay.”
“Che tu ci creda o
no, è stato buono con me.”
“La novità del
secolo!” ironizzò. “Klaus non fa nulla disinteressatamente.”
“Sarà un momento di
‘bassa’. Mi ha salvato la vita due volte e ha curato la vostra amica.”
Uno dei ricordi che
Matt vorrebbe perdere nell’immediato.
“Ti preoccupi troppo
per quell’uccellino indifeso. Se non si fa le ossa, come sopravvivrà al triste mondo crudele?”
Decisamente, Elena
non le piace. “La pozione a cosa ti serve?”
“A dimenticare.”
“Cosa?”
“Quante domande!”
esclama tirando via la mano dalla sua. “Ho vissuto una vita piena e molto
dolorosa. Voglio ricominciare, Matt. Azzerare tutto e avere un’altra
possibilità.”
Quante volte si era
augurato di perdere la memoria, ripensando a Vicky?
“Ora scusami, devo prepararmi.”
La preparazione di
Nadia non ha nulla a che fare con trucchi e belletti. “Raccomanda la mia anima
al Big Boss!”
Nadia alza il
pollice, mentre si allontana in direzione della chiesa di saint
Anne con la schiena dritta e l’animo inquieto. Ha una brutta sensazione che
nessuna pozione magica riuscirà mai a cancellare.
Rebekah’s
Gli occhiali da sole
infilati nella scollatura urtavano il bordo del tavolo. Elena li tolse insieme
al capellino. “Non vuoi seccature, lo capisco” mormorò tirando indietro la
sedia e facendo dondolare la bisaccia colorata che pendeva da un lato. “Il
bagno?”
“Camera da letto.”
I bagni sono sempre
le stanze più fresche e pacifiche delle case. Luoghi ideali per riflettere
sulla propria vita. Rebekah ha sistemato una minuscola
piantina grassa in un piccolissimo vasetto smaltato di rosa, sulla mensolina sotto lo specchio. Elena ha visto piccoli
raggruppamenti di candele, un armadio dalle ante socchiuse con pochi vestiti
dentro e nessuna foto incorniciata. Quando esce dalla stanzetta, Klaus sta
tirando una tenda per impedire al sole di invadere la stanza. Le imposte sono
chiuse ma c’è luce a sufficienza per incrociare lo sguardo col vampiro.
“Vuoi continuare il
giro turistico o vuoi tornare a casa?”
Si è arreso troppo
facilmente e troppo presto. “Cosa c’è da vedere in questa parte della città?”
“Rebekah
lo chiamava ‘il centro del nulla’…”
“Traduzione, non ci
sono negozi di vestiti nelle vicinanze” mormorò osservando i contorni degli
oggetti, il letto rifatto. “Se torna e ci scopre, se la prenderà.”
“Le ho concesso la
libertà che voleva. Non tornerà mai più.” Klaus abbandonò la finestra e sedette
sul letto. Erano tante, le sue colpe. Così tante che a voltarsi indietro,
l’avrebbero ucciso. “Affetto e possessione non possono vivere insieme. Non l’ho
consigliata quando avrei dovuto farlo… l’ho obbligata
a piegarsi alla mia volontà, l’ho punita…” Perché ne
parlava con Elena Gilbert? Aveva la sua psicologia personale per quei momenti
di sconforto!
Aveva sempre avuto
una certa abilità nel calcolare quanto danno infierire alle persone e in che
momento affondare il coltello. Con lei erano bastate poche parole per
affossarla. “Ti senti in colpa e vieni qui ad innaffiarle le piante e rifornire
il frigorifero nel caso in cui torni…”
Klaus avvampò. Come
aveva fatto…
“Il terreno della
piantina grassa è quasi asciutto” borbottò spostando una gamba sull’altra e
appoggiando la schiena al muro le braccia incrociate. “Tornerà, forse non
subito ma lo farà. Quando le sarà insopportabile stare lontano dalle persone
che ama, tornerà.”
“Ogni quanto tempo
vedi tuo fratello, miss College?”
“E’ diverso”
sussurrò spostando lo sguardo nel suo. L’azzurro brillò per un istante nel dito
di luce che gli attraversava il viso. Klaus alzò il mento e la striscia scivolò
sulla guancia.
“Hai un rapporto
quasi incestuoso con Rebekah.”
Un silenzio pesante
piombò fra i due vampiri. Elena sciolse i capelli e li legò di nuovo. “Nelle
società antiche, l'incesto era consuetudine nelle famiglie che detenevano il
potere, con l'evidente finalità dell'autoconservazione dello stesso. Il fatto
che tu sia un vampiro e non possa avere figli, rende l’attaccamento al sangue
del tuo sangue dieci volte maggiore...”
Ci sarebbe stato
tempo per una certa rivelazione, era
curioso di udire il resto dell’analisi junghiana.
“… eppure riesci ad
allargare la cerchia di affetti, Marcel ne è la prova. L’interesse per Nadia ti
riporta alla situazione di normalità che cerchi… un
uomo e una donna, una nuova famiglia” concluse riportando lo sguardo sul
vampiro che la guardava incuriosito e anche un po’ divertito. “Prego,
confutami.”
“L’esposizione
eccellente ma hai sbagliato solo una cosa, Elena: io sono un licantropo.”
Elena batté le
palpebre, indecisa sul significato da attribuire alle sue parole.
“Hayley
aspetta una bambina da me” sussurrò gustandosi il suo silenzio attonito. “Sì, è
successo al solito modo. Sì, prenderò precauzioni la prossima volta, non credo
ce ne siano altri in giro e no, Elijah è venuto dopo e sarà un’ottima figura
paterna. Credo di aver risposto a tutte le tue domande. Ho tralasciato
qualcosa?”
Elena scosse la
testa ed una fiammata di calore mista ad inquietudine la attraversò tutta. Non
riusciva ad immaginarlo fra pappe e pannolini ma Klaus aveva parlato chiaro,
sarebbe stato Elijah a prendersi cura di lei. Razionalmente era la scelta
perfetta, era equilibrato, affettuoso e incline all’indulgenza…
“ma non ci provi neppure?”
“Non sono un esempio
da seguire, Elena.”
Quella bambina
sarebbe venuta al mondo senza conoscere nulla del suo passato. Avrebbe
richiesto solo amore e attenzioni. “Non ti dai e non le dai alcuna possibilità.
L’abbandoni nel grembo della madre e volti le spalle alle responsabilità?”
“Un uomo
intelligente conosce i propri limiti e li rispetta.”
“Hai paura di non
essere un buon padre?”
E di farsi odiare da
lei. “Ne ho la certezza.”
Elena puntò le mani
sui fianchi, il suo sguardo esprimeva solo ironia. “Ti divertiresti a plasmare
quella bambina a tua immagine e somiglianza.”
“Lo ammetto, l’idea
di una discendenza non mi dispiace.”
“Molto medievale da
parte tua...”
“Ai miei tempi,
un’impudente linguacciuta come te sarebbe stata punita severamente” scherzò.
“Sei un progressista
ma ragioni come un uomo di Neanderthal.”
Non avrebbe disfatto
il suo capolavoro anche se l’idea di
strangolarla galoppava. Klaus si alzò con uno sbuffo, muovendosi verso la parte
opposta del letto. “Sono civile, Elena. So fin dove arrivare con te.”
E lei si sentiva di
nuovo vulnerabile. Doveva analizzarla bene, quella cosa.
“Tu che sei una
‘donna’…”
Aveva virgolettato,
lo stronzo.
“Come si concilia
una stanza rosa con queste?”
Elena seguì il
tintinnio metallico e ammutolì: bracciali di cuoio invece delle solite
scherzose manette pelose che si aprivano con una forcina?! Che pervertita!
“C’è anche una
scatola sotto il letto, ma non ho avuto il coraggio di aprirla.”
Elena si rasserenò
sentendo che l’atmosfera era cambiata, diventando scherzosa e cameratesca. “Non
sono grandi per i polsi di una donna?”
“Quei casi persi che
rimorchia non valgono lo sforzo” mormorò Klaus infilando la mano all’interno. “Tipico
di Rebekah fare le cose a metà: queste catene non
terrebbero mai un vampiro o un licantropo.”
“Forse è voluto…”
“Na,
credo che non abbia trovato altro dal ferramenta” borbottò allungando il
braccio per conoscerne la lunghezza. Guinzaglio corto, eh?
Damon usava un
classico foulard di seta con lei. Non la stringeva mai troppo e poteva
liberarsi in qualsiasi momento. Una rete di sicurezza inutile: quando il
piacere era troppo, perdeva tutte le energie. Elena allacciò l’altro bracciale
e scrollò la mano. “Tu lo fai mai?”
Gli aveva sempre
instillato il dubbio che fosse al di sopra degli istinti animali ma il suo
sguardo liquido brillava nella penombra “Se la signora lo desidera...”
“Te lo chiedono
loro?” Elena battagliò con una fibbietta, impacciata.
Arrossì quando udì la sua risata. Il cuore accelerò i battiti e l’aria che la
circondava divenne calda.
“Non prendertela, ma
è più facile immaginarti preda del cacciatore che ospite di un lussurioso
giaciglio intenta in pratiche peccaminose” rise.
“E’ fastidioso
essere etichettate come vittime naturali”
mormorò perdendo la calma e dando uno strattone alla catena.
“Non distruggere il
letto.”
“Mh…
non sarebbe la prima volta...”
“Come fa una cosina
come te…”
Elena ammiccò,
mostrando la punta della lingua e rise senza alcun motivo.
La sua naturale
allegria stemperava il cupo goticismo di Nadia e c’era una vena comica in
quella dissonante alleanza di cuori infranti. “New Orleans ti ha fatto
impazzire.”
“Non lo trovi
meraviglioso?”
La scossa ai lombi
arrivò dritta al cervello. Era stata la sua espressione intensa a provocarla.
Gli occhioni di Elena luccicarono nella penombra. “Hai già in
mente il nome?”
Mikealson’s
“Wow…
questi incantesimi sono molto eleganti…”
“Nostra madre amava
la semplicità ma diceva sempre che se fossero caduti in mani sbagliate, la
sciagura si sarebbe abbattuta sul mondo…”
“… o qualcosa del
genere” concluse Davina con un sorriso rapito. “Non
sono semplici da replicare.”
“Allora ha fatto un
buon lavoro. Prendi tutto il tempo che vuoi, Klaus non tornerà prima di sera.”
“Lo so, è in giro
con la sua ragazza” mormorò piegando le braccia a sporgendosi sul librone. “Li
ho incrociati in Royal Street.”
“Elena è solo una
vecchia conoscenza.”
E ci davano dentro,
le vecchie conoscenze?
///
“… una zecca umana.
Sapeva che ci sarebbe stata una sosta al tabac e che saresti stato così
buono da comprargli un sigarettino… a suo modo era
interessante. Un uomo senza alcuna ambizione… beveva
e frequentava femmes de chambre proponendo il matrimonio ad
ognuna di loro…”
“Prostitute?”
“Cameriere. Troppo
povero anche per i casini da dieci soldi.” Klaus si fermò sotto il porticato,
mentre la borsa di Elena scivolava dalla spalla alla mano sinistra. “Sei mai
stata a Parigi?”
“Basta con le
domande personali. Chiacchieri ininterrottamente da…”
Elena seguì il movimento della lancetta dell’orologio e annuì. “Sei ore in
questo preciso istante. Non centra il carattere: le stordisci di chiacchiere,
le poverine.”
“Ai miei tempi…”
“Ai tuoi tempi sarei
stata frustata o chissà che altro!”
Elena ammiccò,
facendolo sorridere. Era diventato un appuntamento dopo gli eventi di Royal Street, i trentasei gradi all’ombra, la
fila interminabile per la mostra ‘tutto
esaurito’ e il soundsbrindella-anima del vecchio Pete.
“Ti sei reso conto che rincorri donne che non ti desiderano perché temi di non
essere all’altezza?”
“All’altezza di
cosa?”
“Aspettative altrui”
sparò testando la reazione.
Avrebbe dovuto
metterla su quel dannato treno con la forza, non scorrazzarla per la città e… fare l’idiota. “Sì, ora lo sento l’impulso a frustarti”
mormorò spalancando la porta.
“Spero che tu stia
scherzando.”
Elena alzò gli occhi
verso la scalinata e sorrise ad Elijah. “Sta scherzando. I ragazzi?”
“Fuori ad allenarsi”
rispose deviando uno sguardo di ghiaccio sul fratello. “Davina
è ancora qui, cerca di non dare in escandescenze.”
L’aveva dimenticata,
la rompicoglioni. “Controlla che non rubi le pagine del grimorio invece di
bacchettarmi per ogni stronzata che dico.”
“Sai come si dice…”
“No, non lo so” esclamò
dirigendosi verso lo studio. Spalancò la porta sorprendendo la ragazzina con il
cellulare in mano. “Niente foto e niente CamScanner, mocciosa. Non erano
questi i patti.”
Davina sbuffò, mettendo
via il telefono. “E’ stata piacevole, la sosta al parco?”
Klaus si immobilizzò
e anche Elena si ritrovò a corto di fiato. La borda dondolò in mano e tornò
sulla spalla. “Vado a fare una doccia. Con permesso...”
Klaus stirò le
labbra in un falso sorriso compiaciuto. “La strega sta andando via. Fratello,
scortala fino alla porta… per la sua sicurezza
personale.”
Davina chiuse il grimorio
e ci restò appoggiata sopra, perplessa. “Ci lasci soli, per favore? Gli adulti
in preda alle emozioni mi incuriosiscono sempre.”
Un altro sguardo di
fuoco dal fratello. Klaus si versò da bere e appena la porta si chiuse alle
spalle di Elijah, sbatté il bicchiere mezzo vuoto sul tavolino. “Non
permetterti mai, Davina!”
“Deve essere
orribile svegliarsi nel tuo corpo ogni mattina” grugnì, imbronciata. “Questa
Elena lo sa che sei squilibrato e hai un problema di controllo della rabbia?”
Camille, con le sue
spiegazioni scevre di giudizi, aveva smosso i demoni che lo torturavano. Nadia
aveva rovesciato fuori la parte umana perduta nelle nebbie del tempo, Rebekah l’aveva fatto vergognare del proprio comportamento
ma il colpo finale l’aveva inferto Elena Gilbert con i suoi occhioni
da cerbiatta.
Il tempo si era
contratto su se stesso, dopo il bacio.
Royal
Street:
trentasei gradi all’ombra e un’umidità spaventosa. Sole a picco e una fila
interminabile. L’aveva avvertita che la mostra faceva il tutto esaurito e che
avrebbero dovuto escogitare un altro piano per entrare, ma Elena aveva fatto
spallucce e si era appoggiata al muro battuto dal sole dicendo che non c’era
alcuna fretta. Dopo quaranta minuti aveva ceduto, ma proprio in quel momento era
arrivato il vecchio Pete con tutta la banda al
completo.
Klaus pensa che è un
buon intrattenimento. Esce dalla fila, allunga un po’ di soldi al vecchio creolo
e resta fregato perché non conosce la romantica storia locale che gira sul soundstrappa-anima.
Elena aveva gli occhiali da sole, ma si capiva che era commossa. Se ne stava
ferma ferma come un sasso ad ascoltare e quando la
fila era avanzata, non aveva mosso un passo. Era voltato, non l’aveva vista
allontanarsi. Aveva impiegato poco tempo a ritrovarla. Elena, piangendo, gli
aveva dato del bastardo. Klaus aveva incassato senza conoscere bene la sua
colpa. L’aveva condotta alla prima panchina all’ombra, chiedendosi cosa diavolo
l’avesse fatta scoppiare a quel modo. Si era scusato, nonostante tutto. Poco
dopo, Elena era scivolata contro la sua spalla e senza pensarci, aveva
allargato il braccio. La sottile frescura che lo avvolgeva era stata interrotta
dal corpo bollente premuto contro il suo e gli aveva fatto rimpiangere l’aria
condizionata in casa di Rebekah. Mentre si domandava
se fosse stato lo shock postumo del cacciatore a turbarla o solo la sua storia
d’amore franata, Elena si era messa a giocare con una delle tante catenine che
portava al collo. Le sue dita avevano sfiorato lo sterno rimandando una
sensazione piacevole e la stretta era aumentata. L’aveva sentita trattenere il
fiato come se si risvegliasse da un sogno improvviso. L’aveva baciata perché
quando una donna ti guarda a quel modo, ha bisogno di essere baciata. Elena gli
aveva sfiorato il mento e posato una gamba sulla sua. Un altro contatto
piacevole. La mano era scivolata dal ginocchio lungo la gamba, Elena aveva
ansimato, approfondendo il bacio, la carezza era salita lungo tutto il corpo,
aveva lambito il seno – un altro gemito intenso – e si era fermata nei capelli.
Il bacio era diventato intenso e la sua partecipazione molto attiva. Erano
stati interrotti dall’urto di un pallone calciato da chissà chi contro la
panchina. Elena l’aveva guardato, un po’ spaventata e…
aveva chiesto scusa. Lei aveva
chiesto scusa.
“Lo sa” rispose, eccitato
dal ricordo. Non l’aveva cercato, era capitato ma si sarebbe creato un
problema.
“L’hai baciata, alla
fine?”
Se l’aveva… Klaus la guardò, rendendosi conto che era solo una
ragazzina circondata da un pessimo branco di adulti che non dava alcun buon
esempio. “Non lo sai?”
“Non mi sono mica
fermata a guardare” arrossì. “Vi ho visti e ho tirato dritto.”
Klaus optò per la
sincerità. Chi ci avrebbe creduto? “L’ho fatto ma non avrei dovuto.”
Davina tornò ad
accucciarsi sulla sedia, i gomiti posati sul grimorio, la bocca affondata nei
pugni. “Perché no?”
Il vampiro tirò via
il libro di incantesimi ma la ragazzina non cambiò posizione. Fece solo ‘ahi’
quando i gomiti urtarono il tavolo. “Non si dovrebbe mai baciare una ragazza
che ha appena rotto col fidanzato.”
“Problemi di cuore?
Chi non c’è l’ha, al giorno d’oggi” esclamò annoiata, facendolo sorridere. “Si
è arrabbiata?”
“Lo farà.”
“Perché?”
Succedeva. Si
sarebbe arrabbiata con se stessa per essere stata debole e con lui per aver
approfittato del momento. “L’ho messa a disagio.”
Oh. Quello lo poteva
capire. Col disagio ci conviveva. “Ma se lei è la tua più uno…
non sarà un casino stasera?”
Camille si muove dietro il
bancone. Chiude bottiglie stappate, lava i bicchieri sporchi, scrive o depenna
ordini sul taccuino. Ha ancora lo sguardo dolce e fiducioso, è giovane e
irresponsabile nel modo giusto. Klaus invidia la sua innocenza e ne vorrebbe un
po’ per se.
La barista l’ha notato con la coda
dell’occhio, sorride e lo indica con la gommina in cima alla matita. “Vuoi che
sposti il tavolino sotto la luce per ricreare la giusta penombra ammaliatrice?”
Klaus sorride e scola l’ultima goccia di
scotch nel bicchierino, spostandolo verso di lei.
Camille recupera la
bottiglia da dietro il bancone e lo serve. “La mia consulenza oraria costa
cara. Sgravati la coscienza o sarò costretta ad addebitarti un extra.”
“Ho passato una giornata piacevole. Mi sono
divertito e ho imparato qualcosa.”
“La tua testa mi affascina, voglio capire
come funziona.” Camille si piega in avanti,
scrutandolo intensamente. “Confessi omicidi efferati con la stessa semplicità
con cui io ordino una pizza, ma per una stupida cazzata sprechi tempo ed
aggettivi.”
“Sono due cose diverse” mormora spostando
l’indice su punti diversi del tavolo.
“La prima non ti coinvolge emotivamente e
questo fa di te uno psicopatico. Riordina i pensieri mentre impedisco la
vendita degli alcolici a quelle minorenni.”
“Entro stasera saranno la cena di qualcuno,
lasciale perdere.”
“Non sei spiritoso.”
Un colpetto sulla spalla. Klaus ondeggia,
fissando il posto lasciato vuoto dalla barista. Non ha mentito: dopo un inizio
spiacevole, la naturale allegria di Elena aveva allentato la tensione che
provava da giorni. Difese basse, ragazza piangente…
un buon vecchio cliché.
“Stai sorridendo.”
Il gruppo di minorenni è stato messo alla
porta con fermezza. Klaus ha seguito la faccenda con poco interesse. “Succede
così di rado” mormora, alzando gli occhi su di lei. “Ti vedo alla festa,
stasera?”
“Ti vedrò ancora felice, stasera?”
Non si porta così in là col ‘lavoro’. Si
gode il mo…uhm…
Camille ha notato il
cambiamento repentino. Segue la direzione del suo sguardo quando volta la testa
verso sinistra.
“Fa uscire i ‘ragazzi’.”
“Perché?”
“Vuoi avere decine di morti sulla
coscienza?”
La sua voce è leggera ma decisa. Il
passaparola ai vampiri, assai veloce.
E’ seduto a due tavolini di distanza, in un
angolo appartato. Il cacciatore è alto, ha lineamenti forti, occhi e
sopracciglia scure. Capelli neri, lunghi. Per moda, non per incuria.
“Mi chiedevo quanto ci avresti messo.”
La cadenza straniera pizzica un angolino
del cervello. Klaus sposta la sedia con un gesto garbato e si siede, recando
con se bottiglia e bicchiere. “Hai brutalizzato una mia amica.”
“Faccio il mio lavoro, vampiro.”
“Piuttosto male, è ancora viva.”
“Se avessi voluto ucciderla, le avrei
strappato il cuore” mormora con logica inoppugnabile. “Un vampiro Antico… Nadia si è immischiata con la razza peggiore.”
“Nessuna donna ha mai amato un uomo per le
sue virtù.”
“Non è mai stata capace di amare un uomo, e
tu questo lo sai.”
Klaus batte le palpebre, senza mostrare
alcun sentimento. “Il fantoccio al mercato.”
Il naso del cacciatore si arriccia e la
testa si muove in cenno di diniego. “Sono qui solo per parlare con Nadia.”
“Parlare.”
Fulberto sogghigna, si
appoggia allo schienale della sedia e allunga una gamba, voltando lo sguardo
attorno a se. “Cosa ti ha raccontato?”
“Molte cose interessanti.”
“Quante di queste credi siano vere?”
Di nuovo la sensazione di essere stato
ingannato. Nadia, figlia di Katherine. Bugiarda come sua madre.
///
Nadia spinge la porta del locale con poca
forza. Placato il subbuglio dell’anima, deve dare ristoro al corpo. Non è un
comportamento corretto, ma LUI chiuderà un occhio per una volta. “La cosa più
forte che hai” ordina al barista girando piano il collo. No. Non è possibile…
Un brivido gelato scivola lunga la schiena
di Nadia, non sente più le gambe, il mondo collassa nel piccolo spazio che
corre fra il bancone e il tavolino a cui i due uomini sono seduti. Con
insopportabile lentezza, raccoglie la sua consumazione e si avvicina alla
coppia di vampiri. Riesce a sorridere al cacciatore e nel frattempo si umetta
le labbra per il nervosismo. “Il tuo fascino sta nell’imprevedibilità.”
La voce è flebile, impaurita. Klaus sente i
battiti del cuore aumentare.
“Sei diventato un damerino.”
“Ti piacciono i damerini” mormora indicando
il vampiro col mento.
“Mi piacciono anche gli animaletti, dove
vuoi arrivare?”
“Consuelo sta
morendo. E’ stata morsa da un licantropo nelle Ande ed è in agonia. Questo significa…”
“… che morirò…”
“… ed io con te. Si è presa la mia virtù e
la vita durante il noviziato… conosceva il destino
che mi attendeva e ha fatto di me una triste caricatura.”
“Quanto le resta?”
“E’ anziana ma forte. Pochi giorni, non di
più.”
Nella tasca, Nadia stringe la pozione di Genevieve. Può dimenticare ed ingannare la Morte ancora per
qualche giorno. “Come faccio a crederti?”
“Dovrai fidarti.”
“Hai ucciso tu il mio uomo?”
“Il pretino? Ci ho pensato ma il Signore
l’ha chiamato a se prima del tempo. Non deve essergli piaciuta la tua
intromissione.”
“Non ti credo.”
“All’oscuro
io ascolto; e ben molte volte son io stato a mezzo innamorato della confortevole
Morte e l’ho chiamata con soavi nomi in molte meditate rime perché si portasse
nell’aria il mio tranquillo fiato…”
Il tappino dell’ampolla è di sughero. Non
può aprirlo con una semplice pressione. “L’ode
all’usignolo di Keats...”
“Scritta in punto di morte assume tutto un
altro significato, non trovi?”
“Le persone diventano più morbide quando
stanno per morire” mormora sfilando la mano dalla tasca. “Non io!”
Il movimento è repentino e quasi nessuno si
accorge di quel che sta succedendo. Nadia accompagna la discesa del cadavere
fino alla fine. Klaus non ha mosso un muscolo per tutto il tempo. Le porge un fazzoletto,
Nadia lo avvolge attorno alla mano insanguinata e si alza per andare in bagno.
Dietro la porta chiusa della toilette, ingoia il contenuto della fialetta e la
getta nel cestino dell’immondizia. Quando torna, il cadavere del cacciatore è
sparito. Si risiede e alza il bicchiere pieno. “Che la Vita non separi ciò che la Morte ha unito.”
L’Adonias di Shelley. Non è pienamente d’accordo ma non è il
caso di discutere con una morta che cammina. “Sul serio ti scopavi un prete?”
Dalla gola di Nadia, proviene un mugolio
allegro. “Guarda che fine ha fatto...”
Mikaelson’s
Hayley odia gli abiti
premaman. Anche oggi indossa leggings colorati e un
ampio camicione di pizzo bianco senza maniche. Canticchia una canzoncina che ha
sentito chissà dove e di cui non ricorda il nome, dondola piano sulla sedia e
accarezza il pancione mentre sfoglia un libricino che ha già letto tre volte.
Ha lasciato volutamente la porta della stanza accostata quando ha sentito il
passo veloce di Klaus sui gradini della scalinata. Sa che tutti i giorni, più
volte al giorno, passa di fronte alla sua stanza e si ferma ad ascoltare il
cuore della bambina. Non ha il coraggio di entrare e avvicinarsi. Quando lo
sente rallentare, Hayley sorride e chiude il libro.
“Entra, per favore.”
Il vampiro spinge piano la porta, infilando
solo la testa. “Sei ancora incinta? Mai una novità, in questa casa!”
“Vorrei che fossi tu il mio più uno alla festa.”
Klaus stringe appena gli occhi, entra del
tutto nella cameretta e chiude la porta. “Perchè?”
“Siamo una famiglia, Nik.
Tu, io e la bambina.”
Ed Elijah?, si chiede sedendo cauto ai
piedi del letto, di fronte alla sedia a dondolo. Ci sono dei piccoli peluche
nella culla vuota. “Il motivo vero?”
“Mi preoccupa la nuova dinastia di
licantropi e mostrarsi uniti è la cosa migliore, in questo momento” continua.
“Non c’è niente di meglio della felicità per far incazzare la gente.”
“Non cerco lo scontro, voglio solo vedervi
in salute e al sicuro.”
“Stiamo bene. Ti prendi cura di noi. Stai
facendo un buon lavoro.”
Klaus la guarda per la prima volta negli
occhi. “Bugiarda.”
Hayley sorride,
incoraggiante. “La tua lista di nomi?”
Il vampiro indica la fronte con un gesto
veloce. “Ne ho solo uno: Hope.”
“E’ carino.”
Klaus alza le sopracciglia, distratto dal
placido tu-tum
del cuoricino. “Posso?”
Sarebbe anche ora, pensa osservando con
quanta delicatezza appoggia la mano sull’ombelico. “Attento, morde!”
“Scema.”
Hayley si insacca nelle
spalle quando la bacia sulla tempia. Un bacio lungo e tenero che la fa
sorridere. Non è per lei, quel bacio. “Si sta svegliando.”
“Lo sento.”
“E’ stato il bacio del suo papà a
svegliarla.”
Bastarda!
///
“Elly, ti muovi?”
Elena si assicurò che gli orecchini fossero
agganciati e i laccetti delle scarpine ben stretti. Si guardò allo specchio per
la millesima volta e ripassò il lucidalabbra. Elijah aveva imbroccato la taglia
ma non avendo fatto alcuna prova abito, sarebbe stata costretta a raccoglierlo
per camminare senza inciampare. Con quel vestito, invece, entrava a tutte le
feste: un pezzo unico stile Balmain senza spalline, stretto in vita che terminava in un
pantalone aderente tagliato ben sopra la caviglia.
“Siamo
mostruosamente in ritardo!”
Elena controllò di nuovo il contenuto della
borsetta. L’acconciatura terminava in una piccola onda elegante sulla schiena.
Aveva fatto attenzione ad eliminare ogni traccia dell’odore del vampiro, lavato
i denti due volte e ancora sentiva la sua presenza addosso. Chiuse gli occhi e
il rossetto rotolò via e cadde sul pavimento, aprendosi. Rimuginarlo non
l’avrebbe reso meno reale, e non le aveva impedito di masturbarsi dopo la
doccia. Nessuna romanticheria era passata per la testa mentre lo faceva: era
bastato il ricordo della morbida e pigra carezza umida della sua lingua, per
entrare nel tunnel delle fantasie sconce.
“El…”
“Urla di nuovo ed userò la balestra su di
te.”
Matt si sventolò pigro con il volantino di
una vecchia pizzeria trovato nella tasca posteriore dei jeans, e ammiccò in
direzione di Jeremy, seccato per essere stato ‘sgridato’ da Klaus. “A quanto
arrivi?”
“A tre.”
“Non metterle fretta, anche Hayley è in ritardo.” Elijah cercò lo sguardo del fratello
e si meravigliò del suo persistente buonumore. “Va tutto bene?”
Klaus si allontanò dal camino spento ed
incrociò lo sguardo serio e distante di Nadia. “Diglielo.”
“Il cacciatore è morto…”
“Incidente sul posto di lavoro” insistette,
il vampiro.
“Non sono stata del tutto sincera con voi
riguardo il motivo per cui ho vagato senza ricordi per tutti quegli anni… non era la prima volta che uccidevo un cacciatore,
sapevo come farlo senza cadere nel tranello della maledizione…
per cinquecento anni li ho sfidati ed ingannati. Ho fatto in modo che
uccidessero se stessi usando le armi più spregevoli a disposizione... ho usato
degli innocenti per arrivare a loro… non ne vado
fiera. Fulberto mi odiava per aver ucciso i suoi
fratelli d’arme e la carne della sua carne. Adarico,
il fratello, mi desiderava… l’ho sedotto e gli ho
strappato la lingua, usandola come segnalibro del trattato religioso che stava scrivendo…”
“Ingegnoso ed eccitante.”
“Non è argomento su cui scherzare!” esclamò
mentre Klaus alzava gli occhi al cielo.
“Vuoi che ti dica ‘cattiva Nadia, finirai
all’Inferno per questo?’ E’ la legge della natura: cacci o vieni cacciato.”
“Non era più semplice difesa, sono
scivolata nel sadismo.”
“Nella presa di Gerusalemme i tuoi
amichetti cattolici passarono a fil di spada ebrei e mussulmani senza
risparmiare i bambini… qual è il problema se torturi
un cacciatore cresciutello che cerca di ucciderti?”
“Sei sulfureo e privo di morale!”
“Avete inventato voi il tribunale
dell’Inquisizione.”
Nadia strusciò i palmi delle mani sui jeans
e trattenne il respiro per non insultarlo. “Tu non mi capirai mai.”
“Si fanno i corsi pre-parto
in queste situazioni?”
“Mi ha visitato una dottoressa nella
palude. Sarà un miracolo se nascerà in salute e con tutte e dieci le dita!”
Due cose che Klaus non avrebbe voluto
sentire. Lo sguardo scivolò sulle caviglie nude di Elena Gilbert e risalì con
un battito di ciglia al seno pieno ed infine al viso luminoso. “Cos’è, questo?”
Elena arrivò all’ultimo gradino e si fermò,
lasciando Hayley alle cure di Elijah. “Il vestito era
troppo lungo ed in caso di attacco zombie
mi avrebbe intralciato” mormorò spostando la borsina
da una mano all’altra e saettando lo sguardo sui fratelli. “Nessuno baderà a
me.”
Avrebbe attirato ancora di più
l’attenzione, invece. Nessuna donna si sarebbe mai presentata con i pantaloni,
alla festa. Era sexy e mostrava carattere.
La ragazza saettò lo sguardo nella stanza. “Che
succede? Avete una faccia…”
Jeremy lasciò cadere a terra la sacca con
le armi. “Il cacciatore è morto. Possiamo anche andarcene.”
Elena girò lo sguardo su Matt che sembrava
ansioso come il fratello di sbaraccare. Il ragazzo fece spallucce ma si capiva
che avrebbe desiderato togliere le tende la notte stessa. Elena si aggrappò al
corrimano. Non voleva discutere con i ragazzi ma non era pronta per tornare a
casa. O al college.
“Ne potete discutere alla festa. Andiamo, è
tardi.”
Klaus le porse la mano in quel modo
seducente che faceva impazzire lei e Caroline. Elena esitò, spostando lo
sguardo dall’amico al fratello e posandosi infine su Nadia. Era remota,
distante, sofferente. “Nadia, potresti…”
Lo sguardo gelido della vampira la
sgomentò. L’odio era palese. “Potresti essere così gentile…”
“Non ho il vestito.”
“Sì, ce l’hai” sussurrò, ingoiando la
delusione improvvisa. “Vado a fare i bagagli.”
///
Poteva opporsi alla decisione generale e
partire l’indomani mattina, ma il suo piccolo sacrificio avrebbe reso qualcuno felice.
Hayley bussò alla porta
mentre si cambiava. “Tuo fratello sta aspettando in macchina col motore acceso.”
“Ho quasi finito.”
“Lo stai facendo per Klaus, vero? Lo sai
che non ha speranze con lei.”
Ma era sexy e affascinante, quella sera. Senza
più la pressione del cacciatore, Nadia avrebbe abbassato la guardia, permettendogli
di avvicinarsi. Elena tirò la zip della valigia e afferrò la bisaccia colorata.
“Quando scade il temine?”
“Due settimane, più o meno... forse tre.”
Il clacson suonò due volte, Elena sbuffò. “Prometto
che tornerò a trovarvi per la nascita della bambina, senza fratelli al seguito.”
Hayley sorrise, posando
le mani sulla pancia. “Ci conto.”
Elena scese velocemente le scale ignorando
il peso della valigia. Nadia non si era mossa e non si era cambiata. La ragazza
pensò che qualcuno sarebbe rimasto senza dama, quella sera. Scambiò uno sguardo
di profonde scuse con Elijah che le fece cenno di non preoccuparsi. Lo baciò su
una guancia e occhieggiò il vampiro di fronte al camino spento. Le dava le
spalle e non aveva alcuna intenzione di voltarsi. Il clacson suonò per la terza
volta e il vampiro si girò. “Elena, l’amore non fa davvero cambiare gli uomini. E’ un’illusione creata dalle donne per
giustificare scopate grandiose con lo stronzo di turno. Hai dei principi morali
troppo forti per sostenere una relazione con Damon Salvatore.”
I principi morali erano forti ma la carne
debole e aveva avuto amnesie ripetute, in quei giorni. Baciando lui, aveva tradito
tutti i suoi amici. “E’ il tuo modo per dirmi ‘fa buon viaggio?’” mormorò
mantenendo un tono tenue.
Klaus sorrise con un angolo della bocca. “Te
lo perderai, Gibert.”
“Lo vedrò in differita.”
Elena dondolò sulle gambe, spalancò il
portone e guardò in alto e poi tutto intorno a se. Sarebbe tornata. Aveva fatto
una promessa ad Hayley.
Continua in ‘C’è
stato un incidente con l’Altro Lato’