Luna sizigia al perigeo

di Inessa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Occorrente: incenso planetario della luna ***
Capitolo 2: *** Luna calante ***
Capitolo 3: *** Luna crescente ***
Capitolo 4: *** Luna crescente (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** Occorrente: incenso planetario della luna ***


Note: Questa storia è ambientata grossomodo alla fine della 3B, ma non tiene conto di diversa roba che alla sottoscritta non fa comodo. La storia è divisa in tre parti, questa è la prima e la seconda è già praticamente pronta, manca soltanto la terza.

Ringrazio Graffias per il betareading e per la sopportazione dei deliri derivati dalla stesura di questa storia XD tutti gli errori che senza dubbio ho dimenticato di correggere sono colpa del mio cervello rotto (cit.)

L'incantesimo citato viene da qui (sì, seriously, la gente ci crede) e ce ne sono diversi altri, per chi volesse provare xD

E poi sicuramente volevo dire qualcos’altro, ma non mi viene in mente, quindi okay. Lunga vita al Merthur! (era da tanto che non lo scrivevo) E allo Sterek (che in qualche modo mi sta spingendo oltre tutti i miei limiti scrittori)!





1. Incenso planetario della luna





L’estate quell’anno non sembrava avere nessuna intenzione di abbandonare le strade e le foreste di Beacon Hills. Settembre volgeva ormai al termine e rischiava di scivolare in uno degli ottobre più caldi di tutti i tempi. Soffiava un vento desertico, che bruciava la pelle come un incantesimo e rendeva impossibile concentrarsi su qualcosa per più di dieci minuti.

Il liceo di Beacon Hills era stranamente silenzioso in quei giorni, pieno di studenti più pigri del solito che si trascinavano per i corridoi sfiancati dalla calura. Scott passava le ore di lezione a passarsi una mano sulla fronte e domandarsi se lui in quanto licantropo sentisse il calore più degli altri, e per di più aveva ancora meno voglia di studiare di quanta ne avesse in genere. Aveva preso l’abitudine di tenere dentro lo zaino una bottiglietta d’acqua fredda, ma già a metà della seconda lezione, quando la afferrava assetato, la trovava calda come il brodo di pollo che gli preparava sua madre quando era malato. Prima del Morso, s’intende.

Lydia sembrava sempre fresca ed in ordine ed approfittava dell’estate prolungata per sfoggiare vestiti dal taglio stravagante ed acconciature alte. Si controllava però allo specchio con più frequenza del solito (il che era tutto dire) e spesso si lamentava sottovoce del trucco che colava, ma nessuno la sentiva, a meno di non avere un udito da creatura mannara.

Kira aveva passato spesso le vacanze estive nel nord del Giappone, quindi era ancora nella fase in cui riusciva a godersi qualsiasi temperatura elevata, anche quando sforava nel bollente. D’estate da quelle parti la temperatura si aggirava intorno ai 26° C, il resto dell’anno era generalmente abbastanza freddo ed il cielo era spesso coperto da nuvoloni. Il sole quindi le piaceva e sopportava bene la calura secca di Beacon Hills, che a volte faceva crepitare piacevolmente l’elettricità sotto le sue dita.

Stiles… Stiles era più iperattivo del solito. Scott temeva che fossero ancora le conseguenze del nogitsune e spesso gli aveva chiesto a cosa pensasse, dopo averlo visto perso con lo sguardo nel vuoto per diversi minuti, con una penna in bocca che faceva saltellare su e giù. Ma Stiles rispondeva con una scrollata di spalle, una risatina e diceva che non pensava a nulla e che aveva solo troppo caldo per concentrarsi. Scott non era lo Sceriffo Stilinski e sapeva riconoscere le bugie di Stiles, ma considerato che nulla di strano stava succedendo, almeno per il momento, e che per il resto Stiles sembrava stare bene, non aveva le forze per indagare oltre. Forse Stiles aveva davvero semplicemente caldo.

Quella mattina, come di tacito accordo, il branco si incontrò nel parcheggio della scuola, all’ombra di un grande albero. Quando Scott arrivò, Lydia aveva un quaderno in mano e mostrava qualcosa a Kira. Parlavano insieme di un esercizio di matematica che avrebbero dovuto svolgere a casa, quando Lydia, interrompendosi bruscamente, domandò, “Dov’è Stiles?”

Si guardarono intorno tutti e tre, come se Stiles potesse comparire dal nulla e saltar fuori da un cespuglio.

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Derek si svegliò con un cuscino sopra la testa, sdraiato a pancia in giù al centro del suo materasso a terra e per metà coperto da un lenzuolo, con di sottofondo il lieve ronzio del condizionatore, una voce chiara e distinta che parlava dall’interno della sua stanza ed una più lontana e metallica. Stiles era seduto sul bordo del letto, aveva il cellulare all’orecchio e la voce metallica era quella dello Sceriffo. La radiosveglia sul comodino diceva che era troppo presto perché Stiles fosse già in piedi, ma, a giudicare dalla conversazione, suo padre doveva essere rientrato prima ed avere trovato la sua stanza vuota.

“Sono uno studente serio, papà, cosa vuoi che ti dica?” domandò Stiles nervosamente e si portò una mano dietro la nuca, grattandosi piano.

Derek ridacchiò e si tolse il cuscino da sopra la testa, allungando una mano verso la base della schiena nuda di Stiles. Gliela accarezzò con i polpastrelli, in movimenti circolari, e sorrise quando lo vide contorcersi e voltarsi a metà per allontanarlo, tentando di restare concentrato sulla conversazione con suo padre.

“Sì, te l’ho già detto, quando non ci sei punto la sveglia due volte,” si passò il telefono da una mano all’altra per afferrare la mano di Derek e piazzarci sopra un cuscino, sperando di farlo stare fermo, “E visto che mi sono svegliato subito, ho pensato di alzarmi per evitare di riaddormentarmi.”

Il tono di voce di Stiles era così nervoso che solo al telefono e ad orecchie umane poteva risultare vagamente convincente. Sbuffando, Derek si alzò e si mise a sedere accanto a lui sul lato del letto. Gli portò le mani ai fianchi ed gli affondò il viso nella curva del collo, ispirando forte. Stiles rabbrividì, ma stavolta non lo allontanò e, piuttosto, sorrise e strusciò un po’ la guancia contro la sua testa, mentre ascoltava lo Sceriffo che gli parlava dell’importanza di essere maturo e responsabile e non cacciarsi nei guai.

“Non posso essere più responsabile di così, papà, mi sono alzato un’ora prima!” ripeté Stiles esasperato.

“Non hai la voce di uno che si è svegliato presto ed è già a scuola.”

Derek rise di nuovo, stavolta silenziosamente. Non per nulla il padre di Stiles era lo Sceriffo di Beacon Hills.

“È perché…” Stiles mosse una mano per aria, cercando una scusa.

“Caffè,” sussurrò Derek contro il suo orecchio.

“Non ho ancora preso il caffè, ecco, grazie,” Stiles trasalì, “No, non ho detto ‘grazie’, cioè, sì, l’ho detto… alla cameriera. Sono in uno Starbucks. Sto prendendo il caffè, appunto. Per svegliarmi. Perché sto andando a scuola.”

Derek scosse la testa divertito, gli baciò la mandibola e fece per allontanarsi per andare a preparare davvero il caffè. Stiles lo fermò mettendogli una mano sulla nuca e facendogli alzare il viso verso di sé. Gli diede un bacio a bocca chiusa, solo uno sfiorarsi di labbra, per evitare di emettere qualsiasi suono che potesse insospettire ancora di più suo padre. E poi avevano tutti e due l’alito mattutino.

“Va bene, papà. Ciao,” disse alla fine Stiles e chiuse velocemente la chiamata.

“Aaaaah,” si mise le mani sulla faccia, “Quando la mia vita è diventata un telefilm per adolescenti?”

Sei un adolescente, Stiles,” Derek si alzò e, tirandolo per una mano, fece mettere anche lui in piedi, “La tua vita è per forza di cose destinata ad essere un telefilm per adolescenti.”

“Oh, sicuro,” disse Stiles aggrappandosi al braccio di Derek per ritrovare l’equilibrio che aveva ovviamente perso nell’alzarsi, “E i lupi mannari, i coyote mannari, le kitsune del tuono, le kanima, i branchi di alpha, le tresche con un licantropo più grande di me sono assolutamente ordinarie e adolescenziali.”

Derek non rispose, si infilò i boxer e lanciò a Stiles i suoi, raccattandoli da terra. Stiles li afferrò, rischiando solo una volta di farli finire di nuovo per terra, e stava per imitarlo, ma poi guardò il suo borsone adagiato su una sedia e decise di andare a fare direttamente una doccia. Derek gli si avvicinò, gli poggiò le mani sui fianchi e gli sussurrò “Dopo,” respirandogli direttamente sul collo. Stiles pensò che un sorriso così predatore a quell’ora del mattino non dovesse essere permesso a nessuno, nemmeno a Derek Hale.

Annuì ed indossò i boxer. Lui e Derek avevano un meccanismo più o meno consolidato per nascondere la loro relazione al branco e gli odori erano importanti, nonostante l’unico rimasto ad avere un super olfatto fosse in realtà soltanto Scott. E Scott era… be’, era Scott, e quando si trattava di rapporti era un po’ troppo ingenuo. Tuttavia, Derek gli aveva consigliato di fare la doccia per ultima cosa prima di uscire di casa sua e Stiles aveva pensato che fosse meglio essere previdenti.

Qualche minuto dopo, il loft fu avvolto dal piacevole odore del caffè appena preparato. Stiles annusò l’aria, contento, e si avvicinò alla schiena nuda ed invitante di Derek, avvolgendogli le braccia intorno alla vita. Lo osservò in silenzio, con il mento poggiato sulla sua spalla destra, mentre versava il caffè in due tazze e metteva due toast su un piatto.

Mugugnò soddisfatto strofinandogli il naso contro il collo, “Ti adoro, adoro svegliarmi qui la mattina.”

Derek si voltò e gli mise una tazza in una mano e il piatto nell’altro, “Tu adori il mio condizionatore, è diverso.”

Stiles si sedette al tavolo e poggiò tazza e piatto, per poi afferrare un toast e dargli un morso, “È vero, adoro il tuo condizionatore,” disse mentre masticava, “Il tuo condizionatore è super sexy e la notte mi fa delle cose meravigliose,” bevve un sorso di caffè, “Il tuo caffè è migliorabile, ma adoro anche quello, soprattutto perché non devo prepararmelo da solo.”

Il timer del tostapane trillò, e Derek preparò due toast anche per sé, prima di raggiungerlo al tavolo. Mangiarono in silenzio e poi Stiles, alzandosi e stiracchiandosi con un gesto ostentato, annunciò che sarebbe andato a farsi finalmente una doccia.

“Vado, Derek. A fare una doccia,” disse di nuovo, per chiarire il concetto. Derek lo guardò da dietro la sua tazza, senza scomporsi.

“Ho capito, Stiles.”

“Perché poi devo andare a scuola. Via. Esco,” continuò con movimenti plateali.

“Te lo sto per caso impedendo?” domandò Derek indicandosi e fingendo in maniera palese di non cogliere i non detti di Stiles. Non è che Stiles stesse tentando di invitarlo a fare la doccia con lui (non più di tanto almeno), ma, per quanto ridicolo, dopo non avrebbero potuto per niente toccarsi; faceva tutto parte del piano anti-odori. E, se Stiles era stato costretto a svegliarsi in anticipo per colpa della telefonata di suo padre, voleva almeno poter molestare Derek il più a lungo possibile.

“Sei frustrante, Derek, te lo ha mai detto nessuno?” domandò infine rinunciandoci e dirigendosi verso il bagno. Guardiamo il lato positivo, pensò andando a prendere il borsone con il cambio di vestiti in camera di Derek, Almeno oggi arriverò puntuale a scuola.



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Scott guardò l’orologio e constatò che mancava meno di un minuto al suono della prima campanella. Provò a concentrarsi sui rumori della strada, ma non gli sembrò di sentire la Jeep nelle vicinanze.

“Il mercoledì suo padre ha il turno di notte. Quando la mattina deve svegliarsi da solo è sempre in ritardo,” rifletté infine Scott con una scrollata di spalle. Lui non riusciva a dormire molto con quella maledetta afa, ma Stiles non rinunciava mai ad arrivare in ritardo quando ne aveva l’occasione.

“Negli ultimi tempi mi sembra che sia sempre più in ritardo sempre più spesso,” sussurrò Lydia arricciando le labbra, a metà tra il mostrarsi in ansia e l’essere ad un passo dal risolvere un enigma.

Il suono della prima campanella li spinse ad avvicinarsi ai cancelli e, mentre camminavano verso l’ingresso, Scott mosse veloce le dita sullo schermo del cellulare.

“Dove diavolo sei, amico?”

Non ricevette nessuna risposta, ma qualche secondo dopo vide Stiles correre a perdifiato verso l’ingresso della scuola, travolgendo più persone nel processo. Sorrise e pensò che, se Stiles riusciva ancora ad essere puntuale per le prime lezioni, non c’era tanto da stare in pensiero.



Stiles era arrivato a scuola puntuale, ma solo per un miracolo. Derek ci aveva messo ben tre minuti prima di alzarsi dal tavolo, raggiungerlo in camera sua, gettarlo con poca grazia sul letto, mettergli le mani dappertutto e poi prenderlo in bocca. Stiles sospirò, muovendo su e giù la penna con i denti, le mani strette forte al bordo del suo banco, perso nel piacevole ricordo. Se si strofinava un po’ il collo, poteva sentire ancora un lieve bruciore dove Derek aveva sfregato la barba.

Stiles?” sussultò e si girò verso la voce che lo aveva chiamato con tono esasperato. Era Scott, seduto alla sua destra, con l’aspetto accaldato e la sua ridicola bottiglietta d’acqua che gli gocciolava sul quaderno per via della condensa.

Che c’è? Domandò muovendo solo la bocca e riparandosi metà del volto con una mano, ostentando un gesto di concentrazione per non farsi notare dal coach. Scott lanciava occhiate nervose verso di lui e gli faceva degli strani cenni con il mento. Stiles sollevò uno zigomo e scosse la testa, dando a vedere che non aveva capito cosa stesse cercando di dirgli.

“STILINSKI!”

Stiles trasalì e quasi cadde dalla sedia, rendendosi conto che il coach era proprio davanti a lui, con le braccia incrociate davanti al petto e le sopracciglia aggrottate. Ebbe la dignità di arrossire nel sentire le risate dei suoi compagni di classe. Scott si stava passando una mano sulla faccia, chiaramente in imbarazzo per lui.

“Salve, coach!” disse ridacchiando in maniera nervosa.

“Ciao, Stilinski. Scusa se interrompo i tuoi sogni erotici,” rispose il coach con il suo caratteristico tono amichevole. Stiles arrossì ancora di più e sentì un brivido di terrore attraversargli la schiena, tanto che quasi gli era sfuggita la seconda ondata di ilarità che aveva attraversato la classe, “Ma, forse, se risponderai alla mia domanda, non ti farò marcire tutto il pomeriggio a scuola insieme a me.”

Stiles si grattò la testa, “Certo, coach, la sua domanda, che era…” lasciò la frase in sospeso, ma il coach rimase impassibile, “Era così chiara che non ha bisogno di ripetermela!” disse decidendo di cambiare tattica. Si dondolò indietro con la sedia per avvicinarsi il più possibile a Scott, sperando che lui gli suggerisse la risposta, ma venne accolto da una scrollata di spalle e l’espressione di uno che non sapeva nemmeno di cosa si stesse parlando.

“Uhm,” Stiles allungò lo sguardo verso il manuale di economia aperto sul suo banco, sperando di essere il meno sfacciato possibile, “Il coefficiente di Gini?” domandò con poca convinzione, leggendo le prime parole in grassetto che gli capitarono sotto gli occhi.

Il coach sospirò ed aprì le braccia, che fino a quel momento erano state serrate intorno al suo torace, e Stiles si vedeva già a dover dire a suo padre che era stato messo in punizione per l’ennesima volta.

“Ringrazia la tua buona stella, Stilinski,” disse invece il prof tornando verso la cattedra.

Stiles tirò un sospiro di sollievo ma la sensazione di scampato pericolo durò appena il tempo di vedersi lo sguardo di Lydia puntato addosso, gli occhi penetranti ed un’espressione inquietantemente concentrata. Sollevò un sopracciglio, interrogativo, ma Lydia non lo stava guardando in faccia. Stava fissando un punto da qualche parte all’altezza del suo collo. Stiles si portò una mano alla clavicola, sentendosi in soggezione, e guardò in giù, deformando la faccia per guardarsi. Tirò un po’ la stoffa della maglietta e vide un segno rossastro e arrabbiato che forse sbucava appena dal colletto. Già dimentico della scena imbarazzante di poco prima, afferrò irritato il cellulare, e scrisse in fretta un sms.

“mi hai lasciato un succhiotto gigante in territorio proibito derek ti odio”

“Hai finito la punteggiatura e le maiuscole, Stiles?”

Roteò gli occhi. Derek era un cretino.

“TI ODIO.”



Alla fine della lezione il coach spiegò i dettagli del saggio che avrebbero dovuto presentare la settimana successiva, lavorando in coppie. Aveva scritto i loro nomi su dei pezzetti di carta e li aveva divisi in due contenitori di plastica. Man mano che ne estraeva uno da una parte ed uno dall’altra, annunciava chi avrebbe fatto coppia con chi e lo appuntava sul suo registro personale.

Quando furono rimasti solo un bigliettino in un contenitore ed uno in un altro e solo Stiles e Scott non erano stati chiamati, il coach li guardò con aria sospetta, come se avessero potuto in qualche modo falsificare le coppie. Stiles avrebbe voluto dire che non erano in Harry Potter e il calice di fuoco, ma per quel giorno aveva già ricevuto troppa grazia.

“Ed ovviamente,” disse il coach prendendo ed aprendo il primo bigliettino, “Infine abbiamo McCall,” aprì il secondo, “E Stilinski. Stilinski, oggi è la tua giornata fortunata,” appuntò con fare minaccioso il suo nome sulla lista.

“Fortunata, coach?” chiese Stiles, “Ha visto di recente i compiti in classe di McCall?” indicò Scott, che fece ‘ciao ciao’ con la mano, “Le dico solo che ha una sfilza di vocali e nessuna è una A. In più da quando fa così caldo penso che gli si sia fritto del tutto il cervello.”

“Grazie, amico,” sussurrò Scott, “Me ne ricorderò la prossima volta che rischierai di essere folgorato mentre dormi ad occhi aperti,” disse senza reale astio.

Scott sapeva che Stiles era felice di poter lavorare con lui, ma lui si premurò di comunicarglielo con una pacca sulla spalla. E poi poteva andare seriamente peggio, si disse Stiles, pensando che non invidiava per niente il poveretto con gli occhiali che era capitato con Malia. Nemmeno a Kira doveva essere andata benissimo, visto che era ancora nuova ed era finita con una tipa strana con il rossetto nero, lo smalto nero, e vario ferrame ai polsi e al collo. Doveva chiamarsi Madeline o Marleen, una cosa con la M. Tuttavia, lei sembrava esserne felice e si stava già scambiando il numero di telefono con la tipa, mentre si mettevano d’accordo per incontrarsi quel pomeriggio stesso. Perlomeno, Lydia era stata fortunata ad essere capitata con Danny.

-

Kira scese dall’autobus, pregando di essere nel posto giusto e domandandosi cosa avrebbe fatto nel caso in cui così non fosse stato. Il cartello accanto alla fermata dell’autobus recitava “Decimo chilometro”, che corrispondeva a quanto Margaret le aveva scritto in un sms quando le aveva dato le indicazioni per raggiungere casa sua. Sia a destra che a sinistra, si distendeva una strada molto larga, che da una parte portava al centro di Beacon Hills e dall’altra si perdeva, ad un certo punto, in mezzo alle foreste.

Di fronte a lei c’era una decina di villette a schiera, che sembravano sbucare dal nulla, e solo poche macchine parcheggiate sul ciglio della strada. Tutto intorno non c’era anima viva e la calura e il tremolio tipico dell’asfalto nelle giornate bollenti davano alla scena un’aria di pigrizia estiva. Kira attraversò la strada e strinse gli occhi per distinguere i numeri delle villette, alla ricerca della casa di Margaret.

C/da degli Angeli Caduti

Non ebbe bisogno di controllare l’sms per essere sicura di essere nel posto giusto, un nome simile era difficile da dimenticare o da confondere. Quando ebbe identificato la casa, che più o meno si trovava nel mezzo, Kira schiacciò l’unico pulsante, senza etichetta, posto sopra il citofono. Si domandò come facessero a ricevere la posta, dato che il nome non compariva, ma poi realizzò che forse la domanda giusta da porsi era se ricevessero la posta in un luogo così sperduto.

Disse il suo nome quando una voce femminile rispose, aggiungendo che era una “compagna di classe di Margaret”. Con un ronzio, il portoncino si aprì e lei entrò nel giardino ben curato della casa. Margaret le corse incontro, salutandola con un entusiasmo che Kira non avrebbe associato, a prima vista, a tutto il trucco nero che la ragazza portava di solito.

“Hai avuto difficoltà a trovare il posto? Scusa, mamma non poteva venire a prenderti, è a lavoro fino alle sei,” disse tutto d’un fiato, quasi saltellando.

Kira sorrise un po’ in imbarazzo, “No, no, le tue indicazioni erano molto chiare, non ti preoccupare.”

“Accomodati pure sul divano,” l’invitò Margaret conducendola in soggiorno, “Ti offro qualcosa da bere? Ho della Coca, 7Up, RedBull, acqua tonica… l’aranciata non c’era, ma…”

“Una Coca andrà benissimo,” Kira le sorrise interrompendo il suo fiume frenetico di parole.

“Oh, e vuoi qualcosa da mangiare? Ho delle patatine e…”

“No, grazie,” vide il volto di Margaret un po’ deluso e subito raddrizzò la schiena e chiarì, “È che ho pranzato da poco, ma dopo faccio volentieri uno spuntino.”

La cosa dovette far felice l’altra, che subito schizzò fuori dalla stanza per tornare dopo pochi secondi con un vassoio su cui erano poggiati due lattine e due bicchieri.

“Possiamo salire a studiare in camera mia,” propose Margaret indicando il piano di sopra, “Così ti faccio fare anche un tour della casa.”

La casa all’interno era arredato in maniera piacevole e del tutto ordinaria. Non che Kira avesse immaginato qualcosa di particolare, ma di certo Margaret era un po’ sui generis e, pensò con una punta di senso di colpa, lei si aspettava che vivesse in una casa meno normale. Margaret le indicò i due bagni e si assicurò di ripeterle più volte di sentirsi come a casa sua.

“E questa è camera mia,” infine Margaret aprì una porta e indicò l’interno con un gesto ampio della mano, “Non è niente di speciale.”

In effetti, pensò Kira, era la stanza di un adolescente qualsiasi, se non fosse stato per una collezione di fate in abiti neri e sfere di cristallo di varie dimensioni che occupava quasi interamente la scrivania. “Sono molto belle,” si complimentò Kira guardandole da vicino.

“Faccio collezione da quando avevo cinque anni,” rispose Margaret guardando la scrivania con una punta di orgoglio, “Allora, vogliamo iniziare?”

Kira annuì e tirò fuori dalla sua borsa il portatile, un quaderno ed una penna.

“Hai per caso una penna in più?” le chiese Margaret un po’ imbarazzata dopo aver rovistato per qualche secondo prima nel suo zaino e poi nei cassetti, “Devo aver dimenticato la mia a scuola e ho finito la mia scorta.”

“Certo,” Kira aprì di nuovo la borsa, estrasse una penna laccata di nero con dei brillantini bianchi e la porse a Margaret.

“Che carina,” sussurrò l’altra affascinata, rigirandosela tra le mani, “Dove l’hai comprata?”

“Uhm, puoi tenerla, se vuoi,” disse sorridendo. Margaret la guardò ed aprì la bocca, allungando già la penna verso Kira per restituirgliela, “Tranquilla! Le danno in omaggio a mio padre in una cartoleria in cui compra sempre un sacco di roba, ne ho almeno altre due uguali a casa.”

Margaret guardò di nuovo la penna, sembrò colta improvvisamente da un’idea e la ringrazio con un sorriso ampio ed anche un po’ esagerato dato il piccolo regalo.



“Adesso devo proprio andare,” disse Kira qualche ora dopo guardando l’orologio del cellulare e strofinandosi le dita con un tovagliolo. Era stato un pomeriggio molto produttivo, Margaret era molto diligente, anche se l’economia non era proprio nelle sue corde, e alla fine avevano deciso di concedersi le famose patatine, che Margaret aveva comprato in quantità industriale. Kira si era domandata più di una volta dove facesse la spesa, visto che si trovavano nel bel mezzo del nulla, ma non aveva avuto cuore di metterla in imbarazzo, anche perché sembrava succedere con molta facilità.

“Uh, sì,” Margaret si alzò ed iniziò a ripulire il tavolo, “Quando ci vediamo la prossima volta?”

Kira arricciò le labbra, pensandoci su, “Domani io non posso, devo vedere…” arrossì e si fermò prima di completare la frase.

“Scott McCall?” domandò Margaret con genuina curiosità ed uno sguardo un pizzico sognante, “State insieme?” aggiunse poi prima che Kira avesse il tempo di rispondere.

Se possibile, Kira diventò ancora più rossa e si guardò intorno.

“Scusa, scusa,” Margaret mosse le mani davanti a sé, in un gesto nervoso, come per cancellare la domanda di poco prima, “Non sono fatti miei, non dovevo intromettermi,” fece una pausa, diventando un po’ più pensierosa, “Pensavo solo che deve essere… bello avere qualcuno.”

L’ultima parte l’aveva appena sussurrata, con molta malinconia, e Kira, non sapendo se l’affermazione fosse in effetti rivolta a lei o solo una sorta di monologo ad alta voce, optò per non rispondere e non aumentare ancora di più l’imbarazzo.

“Dài, sentiamoci in questi giorni! In fondo oggi abbiamo fatto un bel po’ di lavoro,” disse con un sorriso timido e richiudendo la borsa. Margaret assentì e la accompagnò all’ingresso.



Non appena Kira oltrepassò il cancello e Margaret la vide dirigersi con calma verso la fermata dell’autobus, si lasciò prendere da una certa anticipazione. Accarezzò la penna che Kira le aveva regalato e la guardò di nuovo. Le piaceva proprio un sacco ed era praticamente perfetta per quello che aveva in mente. Non appena l’aveva vista, aveva pensato ad un segno del destino, e quando Kira gliel’aveva addirittura regalata, aveva capito che era quello il giorno giusto per mettere in atto il suo piano.

Saltellò per la felicità e salì le scale di corsa per raggiungere camera sua. Aprì il browser e ritrovò tra i segnalibri il sito che aveva salvato ormai due settimane prima.

“Come lanciare un incantesimo d’amore per trovare l’anima gemella.”

Adesso, non è che lei credesse davvero a questo genere di cose, ma che male poteva fare provare? Sua madre l’aveva chiamata Margaret in onore della Margherita di Bulgakov e a lei era sempre piaciuto pensare che un giorno sarebbe diventata una strega ed avrebbe volato sulla città per andare al ballo di Satana e poi ricongiungersi col suo amore perduto. Aveva sempre creduto di avere un nome magico, ma la sua vita sentimentale si era rivelata del tutto piatta e sfigata. Mentre tutte le sue compagne di classe avevano uno o più ammiratori e anche tutti i ragazzi sembravano più o meno felicemente accoppiati. Be’, tranne forse Stiles Stilinski, che era un po’ sfigato come lei. Se l’incantesimo avesse funzionato, avrebbe potuto consigliarglielo, pensò. Avrebbe potuto iniziare un business ed aiutare i cuori solitari come lei, si disse fiduciosa. Sì, avrebbe portato felicità nel mondo.

Avrai bisogno di:

Un foglio di carta speciale, che significhi qualcosa per te;

Uno strumento di scrittura rituale, non la penna che usi tutti i giorni per scrivere la lista della spesa;

Incenso planetario della Luna;

Carbone;

Una scatola a forma di cuore o una scatola con decorazioni a forma di cuore;



L’incantesimo doveva essere effettuato dopo il tramonto, preferibilmente con la luna crescente. Margaret digitò calendario lunare su Google e rimase un po’ delusa quando vide che in quei giorni la luna era calante. Sbuffò, sarebbe stato perfetto fare l’incantesimo con le condizioni ideali, ma aveva già aspettato tanto e adesso che finalmente aveva tutto, non voleva attendere ancora. Tra l’altro, non era una condizione necessaria che la luna fosse crescente, era solo preferibile. Annuì convinta e dispose le sue sfere di cristallo in un cerchio largo su una coperta, per creare un po’ d’atmosfera. Sarebbe andata a fare una doccia e a prendersi un po’ cura di sé in attesa che calassero le tenebre e che tornasse sua madre. A lei avrebbe detto che era stanca e che andava a dormire, così si sarebbe assicurata la tranquillità necessaria.

Nonostante tentasse di fare tutto con calma, si sentiva abbastanza nervosa. Che la magia esistesse o no e che lei potesse davvero lanciare un incantesimo o meno, la sola idea la riempiva di aspettativa e sentiva il battito cardiaco accelerato ma non tanto da essere spiacevole, mentre già immaginava una vita piena d’amore insieme al suo ragazzo perfetto.

Quando fu finalmente sola nella sua stanza, dopo cena, indossò un pigiama nuovo e si sedette sulla coperta, al centro del cerchio. Le istruzioni dicevano che doveva accendere l’incenso e il carbone con la sua mano del potere, riflettere sulle caratteristiche del suo partner perfetto, scriverle sul foglio di carta e poi leggerli a voce alta per tre volte. Dopodiché, avrebbe solo dovuto chiudere il foglio nella scatola, conservarlo in uno spazio pieno di energia positiva ed aspettare che l’incantesimo facesse il suo effetto.

Decise che avrebbe conservato la scatola dentro il cassetto della scrivania, sotto la sua collezione di fate e sfere di cristallo. Adesso doveva solo capire quale fosse la sua mano del potere, perché l’incenso e il carbone potevano essere accesi solo con quella e rigorosamente con un fiammifero, niente accendino. Essendo ambidestra, Margaret decise di usare la sua mano sinistra.

Con mano un po’ tremante, sfregò un fiammifero, si concentrò per qualche secondo sulla fiamma ed accese l’incenso. Attese che il profumo si spendesse un po’ nell’aria e poi, con un nuovo fiammifero, passò al carbone. Usare la mano sinistra le venne un po’ scomodo, ma ormai non pensava fosse il caso di cambiarla. Si sdraiò poi dentro il cerchio e, accarezzando la penna, iniziò a pensare alla sua potenziale anima gemella. Moro? Biondo? Occhi blu? Verdi? Marroni? Voleva più uno Stiles Stilinski o uno Scott McCall? O un Jackson Whittemore? Dio, se lo ricordava bene Jackson. Aveva certi pettorali... Stava con Lydia Martin. Lydia Martin riusciva sempre ad avere i ragazzi più fighi e lei l’aveva sempre invidiata un sacco. E poi era una specie di genio.

Scosse la testa e si concentrò. Doveva allontanare da sé tutti i pensieri negativi e concentrarsi solo su pensieri piacevoli sulla sua anima gemella. Forse lo preferiva moro, magari un po’ tenebroso. Mosse la testa a destra e sinistra per rilassare i muscoli del collo. Rifletté a lungo, finché la bacchetta d’incenso non fu quasi consumata del tutto. Allora si alzò di nuovo a sedere, afferrò la penna e la pergamena e scrisse in un soffio tutti i suoi desideri.

Come da istruzioni, li lesse tre volte, poi piegò con cura il foglio e lo infilò dentro la scatola a forma di cuore. Afferrò anche la penna, con l’intenzione di riporre tutto dentro il cassetto, ma, appena toccatala, prese la scossa e la penna le cadde dalle mani, di nuovo sulla coperta, proprio nel momento in cui l’incenso si estingueva con un filo di fumo particolarmente denso.

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Kira sussultò. Era seduta sul letto a guardare un film con il computer portatile in grembo, quando all’improvviso la lampada sul suo comodino si era spenta e riaccesa un paio di volte e poi aveva iniziato ad emettere delle scintille, per morire infine definitivamente con uno sfrigolio simile a quello dell’olio bollente in una padella.

Si portò una mano al petto per lo spavento. Poi sbuffò, si alzò dal letto ed aprì uno dei cassetti del suo armadio, dove teneva una massiccia scorta di lampadine. Da quando i suoi poteri si erano “svegliati”, ne aveva fulminate senza volerlo diverse, ma negli ultimi tempi era migliorata molto nel controllo delle sue capacità e non aveva più avuto bisogno di cambiarle così spesso. La cosa strana era che di solito, quando le succedeva, era nervosa o arrabbiata, non tranquillamente sdraiata sul letto a fare altro. Cambiò la lampadina e mise la vecchia dentro la scatola, per poi gettarla nel cestino sotto la scrivania. Infine tornò al suo film e si dimenticò presto dell’accaduto.

-

Quando lo Sceriffo, durante la cena, aveva ricevuto una telefonata dalla centrale di polizia ed era stato convocato con urgenza, Stiles era riuscito a mandare un sms a Derek ancora prima che suo padre chiudesse la chiamata. Stiles sapeva che avrebbe dovuto sentirsi almeno un po’ in colpa per il suo comportamento, ma, davvero, per quanto ci provasse, non gli riusciva.

“Non sono il tuo dannato booty call, Stiles.”

“Non indosso biancheria intima”

Non era vero, ma Derek non aveva modo di saperlo, a meno di non smettere di fingersi frigido e andare a trovarlo.

“Non hai proprio nessuna vergogna?”

“Mi sto toccando pensando a te”

Nemmeno quello era vero, anche perché suo padre era ancora in camera sua a mettersi la divisa. Se Derek non si fosse presentato, comunque quello sarebbe stato lo scenario più plausibile, ma Stiles sapeva che Derek non lo avrebbe lasciato lì da solo.

“Arrivo.”

Sorrise e fece un gesto di vittoria, stringendo la mano a pugno ed abbassando il gomito.

“Perché tanta esultanza, ragazzino?” domandò suo padre sistemandosi il colletto della giacca.

Stiles si guardò il pugno, come se gli fosse spuntato proprio in quel momento alla fine del braccio, “Sto… facendo pesi. Immaginari, perché… urgh, non è l’orario adatto per fare pesi.”

Lo Sceriffo lo guardò con una punta di esasperazione, “Non muoverti di qui mentre non ci sono, intesi?”

“Affermativo, Sceriffo Stilinski,” rispose Stiles accennando un saluto militare e buttandosi sul divano e guardando suo padre mentre usciva. E chi si muoveva?



“Sta’ fermo,” disse Stiles sollevando i polsi di Derek sopra la sua testa e spingendolo ancora di più contro il letto. Derek sollevò i fianchi, rivolgendogli un sorriso di sfida che gli fece roteare gli occhi.

“Ho detto sta’ fermo,” ripeté Stiles stringendo la presa. Era seduto a cavalcioni sui fianchi di Derek, sul letto della sua camera. Derek era arrivato circa quindici minuti dopo che suo padre era uscito di casa, gli aveva chiesto se la casa fosse libera e, al cenno affermativo di Stiles, gli aveva afferrato il volto tra le mani e lo aveva baciato, mormorando tra uno sfioramento e l’altro di labbra qualcosa su quanto fosse ridicolo e quanto lo avrebbe fatto impazzire un giorno. Dopo una sessione di baci infuocati sul divano, Stiles aveva trascinato Derek in camera sua e adesso stava tentando di immobilizzarlo al letto.

“Stai fermo da solo o devo legarti con le mie manette impregnate di strozzalupo?” domandò guardando Derek negli occhi e leccandosi le labbra.

“Non ce le hai le manette impregnate di strozzalupo, Stiles,” disse Derek tra i denti. Oh, Stiles aveva per caso sentito un ringhio?

“Vuoi scommettere?” si abbassò e gli baciò una guancia, per poi risalire con una scia di baci umidi fino al suo orecchio, “Cosa ti costa stare fermo e farmi felice?” sussurrò per poi mordicchiargli il lobo, “Per favore?”

Finalmente sentì Derek rilassarsi, borbottando qualcosa in assenso. Derek era uno stupido maniaco del controllo, ed era impulsivo e predatore, ma Stiles adorava convincerlo ad abbandonarsi alla sua mercé e costellare la sua pelle di baci e carezze. C’erano diversi punti del corpo di Derek che lo facevano vibrare e Stiles amava stuzzicarli tutti, uno per uno, fino a far diventare Derek una massa bollente che si contorceva sotto di lui.

Gli baciò il collo, passandogli le mani a palmi aperti sul basso ventre ed ondeggiando appena i fianchi. Poi si abbassò e gli sollevò piano l’orlo della maglietta, senza sfilargliela. Gli percorse con la lingua la linea che separava la gamba dal bacino, ma Derek si irrigidì di colpo, proprio nel momento in cui la luce del lampadario prese a vibrare.

Derek si sollevò sui gomiti e Stiles raddrizzò le spalle.

“Che succede?” domandò Stiles nervoso. Sembrava un banale abbassamento di tensione, ma una cosa così banale non avrebbe messo Derek in allerta. Allungò una mano per prendere la sua e tranquillizzarlo, ma sentì una scossa di elettricità attraversargli le dita.

“Che diavolo…” Stiles rimase pietrificato, vedendo che attorno ai polsi di Derek era visibile uno scintillio di elettricità. Durò pochi secondi e poi sparì.

“Ti ha fatto male?” gli chiese afferrandogli entrambi i polsi ed avvicinandoseli al viso per guardarli meglio.

Derek si leccò le labbra, “No, ma non è stato per niente normale,” disse lasciandosi cadere all’indietro sul letto. Stiles lo seguì e gli si sdraiò sopra. Derek gli diede un bacio sulla tempia e poi Stiles sentì le sue braccia circondarlo e muoversi piano su e giù contro la sua schiena, con movimenti rassicuranti. Peccato che il battito cardiaco di Derek sotto il suo orecchio raccontasse un’altra storia.

-

La sera dopo, Scott e Kira si erano appena allontanati da casa Yukimura, quando lei, gridando per farsi sentire da sotto il casco, fece notare che il serbatoio era quasi vuoto. Scott lo guardò perplesso, pensando sul momento di non aver capito, ma dovette constatare che aveva ragione. Cambiò tragitto e si diresse verso il distributore di benzina più vicino, godendosi sulla pelle accaldata l’aria fredda provocata dall’accelerazione.

Si fermò davanti al distributore e fece a Kira segno di scendere dalla moto.

“Che strano, ho fatto il pieno prima di venire a prenderti,” disse togliendosi il casco.

“Non abbiamo fatto tanta strada,” rispose Kira, “Forse il serbatoio è bucato?” chiese guardandosi intorno.

Anche Scott diede un’occhiata nella direzione da cui erano venuti, ma sapeva che non ci avrebbe visto niente, perché se avessero perso benzina ne avrebbe sentito l’odore. Sospirò, pensando ai soldi che aveva già sborsato quel pomeriggio per fare il pieno. Mentre pagava per fare di nuovo rifornimento, sentì il rombo di un’auto familiare alle sue spalle.

“C’è Derek,” gli disse Kira indicando la Toyota parcheggiata alle sue spalle.

Derek scese dalla macchina e, senza dar segno di averli visti, andò subito a controllare qualcosa sul retro. Guardò la strada e poi Scott gli vide fare un movimento con il collo all’insù e capì che anche a lui era successa la stessa cosa e stava annusando l’aria per sentire eventuali tracce di benzina.

“Ehi, Derek,” lo salutò ondeggiando una mano e attirando così la sua attenzione, “Tutto okay?” domandò mentre Derek si avvicinava a lui facendo un cenno di saluto in direzione di Kira.

“È successo anche a te qualcosa di strano?” chiese Derek a sua volta senza rispondere alla domanda.

Scott annuì, mentre sganciava l’erogatore e lo avvicinava al serbatoio della moto, “Ho fatto il pieno qualche ora fa,” disse indicando la moto, “E adesso sono a secco. Anche tu?”

Stavolta fu Derek ad abbassare la testa in un segno di assenso, con le sopracciglia aggrottate, “Che diavolo significa?”

“È una maledizione che risucchia la benzina ai lupi mannari?” domandò Scott ridendo, per allentare la tensione. Derek sembrava aver preso la cosa in maniera molto seria.

“Ieri sera ti è successo qualcosa di strano?” gli chiese ad un certo punto Derek, dopo averci riflettuto.

“Strano di che tipo?” Scott provò a pensare alla sera precedente, “Sono stato da Stiles a studiare.”

Dopo,” specificò Derek, “Sul tardi.”

Scott stava per domandare cosa ne sapesse Derek di quando lui era andato via da casa di Stiles, ma l’altro lo interruppe, “Tipo una scarica elettrica, un abbassamento di tensione?”

“No, amico, mi dispiace, ma non ricordo nulla del genere,” rispose Scott dopo aver ripercorso con la mente gli eventi della serata. Dopo essere stato da Stiles era tornato subito a casa ed aveva cenato con sua madre e poi aveva completato un saggio che avrebbe dovuto consegnare quella mattina.

“Non credo che possa essere importante,” disse Kira timida, comparendo alle spalle di Scott, dopo che per qualche secondo nessuno aveva detto nulla, “Ma una lampadina nella mia stanza ha tremolato e poi si è fulminata, emettendo delle scintille. Non è la prima volta che succede, però, da quando ho scoperto i miei poteri, per questo non ho prestato molta attenzione alla cosa.”

“È stato intorno alle dieci e mezzo?” le chiese Derek scrutandola con una punta di sospetto. Kira annuì.

“Che succede, Derek?” Scott lo guardò preoccupato mentre una macchina che passava gli illuminava meglio l’espressione del viso.

“Magari non è niente,” disse infine Derek, “Ma se succede qualcosa di strano avvisiamoci subito a vicenda,” concluse con un movimento sbrigativo della mano. Poi si girò per andare a recuperare la macchina e fare benzina.

Dopo pochi secondi, Scott percepì un ronzio strano, che fu subito seguito da una luce vibrante. Kira urlò alle sue spalle e poi si udirono un tonfo e un lamento di Derek. Quando si voltò, Scott vide Kira sull’asfalto, in ginocchio, e Derek, poco più avanti, che si contorceva per terra. Dai palmi delle mani di Kira, che in quel momento erano aperti, era visibile una corrente bluastra di elettricità, che, muovendosi con suoni secchi come colpi di frusta, arrivava dritta ai polsi di Derek.

La corrente sparì all’improvviso, lasciando solo delle scintille sull’asfalto. Scott si accovacciò accanto a Kira, che tremava aprendo e chiudendo le mani, “Io…” sussurrò lei con voce instabile.

Derek si alzò e la raggiunse a grandi falcate, - Che stavi tentando di fare? – domandò, la sua voce suonava più che altro come un ringhio e i suoi occhi rilucevano di blu. Quando Scott notò che aveva anche i canini allungati e gli erano apparsi gli artigli, avvolse le braccia attorno a Kira e, con gli occhi rossi, ringhiò a sua volta in direzione di Derek.

“Stalle lontano,” gli intimò.

“Hai visto anche tu cosa ha fatto, Scott!” rispose Derek incurvando le dita, come per trattenersi senza però abbassare la guardia.

“Non sono stata io,” sussurrò Kira, “Non l’ho fatto apposta,” aggiunse.

“Allontanati, Derek,” ordinò Scott di nuovo, tirando fuori gli artigli.

Derek li guardò con gli occhi spalancati che tradivano l’istinto di attaccare, ma poi fece come gli venne detto. Non appena fu accanto alla macchina, cadde di nuovo nello stesso punto di prima, bloccato a terra da un nuovo flusso elettrico.

Kira si guardò spaventata le mani e Scott si allontanò un po’ da lei d’impulso, per non essere colpito.

“Non riesco a controllarla,” mormorò Kira, con la luce arancione negli occhi. Poi la corrente sparì di nuovo, di colpo, e Scott vide che l’aveva lasciata scossa e con gli occhi lucidi.

“Non appena Derek si allontana, per qualche motivo, i tuoi poteri lo attaccano,” disse Scott con gli occhi spalancati, muovendo lo sguardo tra lei e Derek, che tentava di rialzarsi.

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Capitolo 2
*** Luna calante ***


Luna calante





Kira era salita in macchina con Derek, e Scott li aveva seguiti a distanza ravvicinata con la moto, mentre guidavano verso il loft. Scott tenne per tutto il tempo le orecchie ben aperte per sentire eventuali conversazioni all’interno della Toyota e, soprattutto, per controllare che Derek non avesse attacchi di rabbia. Ma né Kira né Derek dissero una sola parola durante tutto il tragitto e l’unica cosa che Scott riuscì a captare furono i ringhi nervosi di Derek.

Arrivati davanti al suo condominio, Derek saltò giù dalla macchina e si diresse a grandi passi verso il portone dell’edificio, dimenticando del legame con Kira. Cadde indietro per la terza volta e Scott dovette ringraziare tutti gli dei perché in quel momento non c’era nessuno che potesse vedere l’elettricità scorrere nell’aria. Mentre salivano in ascensore, tutti e tre in assoluto silenzio, Scott continuava a pensare ai problemi immediati da risolvere: presentarsi a casa di Kira con Derek alle calcagna significava dover spiegare ai genitori di lei cosa fosse successo, e non sapeva come avrebbe reagito Derek all’idea. Dovevano cercare una scusa, una credibile, e riuscire almeno per quella notte a non farla rientrare in casa. Forse avrebbero potuto telefonare a Lydia. Ed era ovvio che, sarebbe dovuto restare anche lui a casa di Derek.

“Telefono a Peter,” disse Derek appena furono entrati nel loft.

“Forse è meglio chiamare Deaton,” rispose Scott prendendo il cellulare dalla tasca, “Non mi fido di Peter.”

“È meglio sentire anche lui,” insisté Derek, “Uhm, suppongo che voi possiate accomodarvi sul divano,” disse impacciato, come se si fosse ricordato che Kira e Scott erano due suoi ospiti e che, nonostante la situazione, lui era una persona civile.

“Da quando hai un divano, amico?” chiese Scott sedendosi accanto a Kira. Le afferrò con delicatezza un polso con la mano e le sorrise, sperando di essere confortante. Non aveva detto neanche una parola da quando avevano lasciato la stazione di servizio. Lei rispose accennando appena un sorriso, ma se ascoltava il suo battito, Scott poteva sentire che era nervosa. Era comprensibile.

Derek lo liquidò con un gesto della mano.

“Vieni subito al loft, abbiamo un problema,” disse al telefono, camminando avanti e indietro. Dopo una pausa, in cui Peter doveva aver parlato, aggiunse, “Be’, io ho un problema e tu devi venire immediatamente al loft,” ringhiò.

“Non è per offenderti, ma non pensi che dovresti essere un po’ più delicato se vuoi convincerlo a collaborare?” gli chiese Scott, con una smorfia, quando Derek chiuse la chiamata.

“Verrà lo stesso, non perde mai occasione per ficcare il naso. Hai chiamato Deaton?”

“No, lo faccio adesso,” Scott cercò il suo numero nella rubrica e poi si portò il telefono all’orecchio. Sospirò quando sentì la segreteria telefonica e lasciò un messaggio.

“Quanti metri riesci a fare prima che l’elettricità ti fermi, secondo te?” Kira rompendo infine il silenzio, “Sette? Otto?”

“Al massimo,” rispose Derek annuendo.

“Quindi non posso tornare a casa senza che Derek venga visto. Non posso nemmeno andare a scuola!” rimase per un attimo in silenzio, morendosi le labbra, “Devo dirlo ai miei,” l’intonazione alla fine della frase salì, suggerendo che nemmeno lei sapeva se la sua fosse un’affermazione o una domanda.

“Così tua madre potrà suggerire di uccidermi come ha fatto con Stiles?” ringhiò Derek dall’altra parte della stanza.

“Derek,” disse Scott con un’ombra di rosso negli occhi, “Dobbiamo collaborare, soprattutto perché non sappiamo cosa diavolo stia succedendo,” poi alzò di scatto la testa, mettendosi in ascolto, “Credo che sia arrivato Peter.”

“Tre lupi ed una volpe,” esordì Peter non appena entrato, “Qualcuno è in minoranza. E io che pensavo che mi sarei annoiato, stasera.”

Derek ringhiò, “Risparmiaci il sarcasmo,” gli intimò, ed iniziò a raccontargli quello che era successo.

“Interessante,” disse Peter picchiettandosi il mento con un dito, “Perché hai comprato un divano ma continui a dormire per terra?” chiese poi cambiando bruscamente discorso.

Peter.”

“Okay, okay,” disse sedendosi su una sedia di fronte a Kira e Scott, mentre Derek continuava a percorrere la stanza avanti e indietro, “È successo tutto all’improvviso?”

“Ieri sera, alla stessa ora, sia in camera di Kira che…” Derek esitò, “…dove mi trovavo io,” disse poi, raggirando la bugia, “C’è stato come un abbassamento di tensione. Da lei si è solo fulminata una lampadina, mentre a me è successo qualcosa di strano ai polsi,” lo informò.

Scott e Kira lo guardarono stupiti.

“E dov’eri, esattamente, nipote caro?” domandò Peter con un sorrisetto insinuatore.

“Non è rilevante,” ormai Derek si esprimeva solo a furia di ringhi.

“Puoi essere più specifico?” roteò gli occhi, forse perché aveva captato un’altra ondata di rabbia provenire da Derek, “Riguardo quello che ti è successo, intendo.”

“Era come se avessi i polsi legati, da correnti elettriche,” fece una pausa, “Proprio come quando mi allontano da lei e l’elettricità mi afferra per i polsi e mi risbatte indietro.”

“Come delle catene?” chiese Peter. Derek annuì.

“È un incantesimo d’amore,” disse alla fine, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Cosa?” domandò Kira con una punta di panico nella voce.

“Lo avevo detto che non dovevamo fidarci di lui,” disse Scott intrecciando le dita a quelle di Kira.

“Senti, Peter,” esordì Derek, “Se non vuoi collaborare puoi benissimo andartene all’inferno, ma non farci perdere tempo.”

Respira, Derek,” Peter incrociò le braccia al petto, guardandolo con la massima calma, “È un incantesimo d’amore,” si indicò il petto.

“Non mente,” sibilò Scott.

“Allora ti sbagli,” Derek si fermò ed indicò Kira con un dito, “Perché non sono innamorato di lei, non sento niente di vagamente simile, te lo posso garantire.”

Scott, che aveva ascoltato con attenzione il battito cardiaco di Derek e si era accertato che non mentiva, come colto da un’idea improvvisa, guardò Kira, che arrossì fino alla punta delle orecchie, “Sei…” indicò Derek con il mento, lasciando la domanda in sospeso.

“No!” rispose lei con convinzione, senza sollevare gli occhi dal pavimento. Nemmeno lei mentiva.

Derek si girò di nuovo verso Peter, alzando le sopracciglia e muovendo il palmo della mano, come per dire Visto?

“Be’, visto che voi avete piste migliori, seguite pure le vostre. Intanto sono io che non ho tempo da perdere,” disse alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso l’ingresso. Se ne andò senza salutare.

“È stato inutile,” disse Scott, e riprovò a chiamare Deaton. Gli lasciò un altro messaggio, pregandolo di richiamarlo al più presto. Discussero brevemente di cosa fare fino a quando non avessero avuto sue notizie. Kira acconsentì a non interpellare sua madre, almeno per il momento, e decisero infine di chiamare Lydia.

“Magari riesce a sentire qualcosa,” azzardò Scott, “E può aiutarci ad inventare una scusa per far restare Kira fuori di casa, stanotte. Ovviamente resterò qui anche io, se dovesse restarci lei.”

Fantastico,” disse Derek tra i denti, mentre Kira parlava al telefono con Lydia.

“Dice che possiamo andare a prenderla e che convincerà sua madre a chiamare i miei per dire che passo la notte da lei,” comunicò Kira e Scott tirò un sospiro di sollievo. Almeno i problemi immediati sembravano essere stati risolti.

“Io vado a prenderla, poi credo che chiamerò Stiles,” disse Scott.

Derek gli lanciò le chiavi della macchina, “Prendi la mia macchina, ti verrà più comodo, intanto io do un’occhiata al bestiario di Peter.”

Una volta che Scott fu uscito, un silenzio pesante piombò di nuovo sul loft. Derek accese il computer di Peter, picchiettando con un dito sul bordo. Sentiva di dover dire qualcosa, anche se Kira non emanava paura, ma una certa preoccupazione e una massiccia dose di imbarazzo.

Derek si schiarì la voce, “Mi dispiace per prima,” disse senza guardarla, “Istinto.”

Kira lo guardò come se fosse comparso dal nulla, “Oh, nessun problema, posso capire,” rispose torcendosi le dita.

“Vuoi che ti offra qualcosa da bere? “ chiese, tentando di essere almeno all’apparenza cortese, “Dovrei avere un qualche energy drink. E dell’acqua. Non molto, in realtà.”

“Sto bene, non preoccuparti,” disse lei accennando un sorriso.

Calò di nuovo il silenzio, ma almeno stavolta sembrava essere meno pesante rispetto a prima. Derek continuava a cambiare chiave di ricerca per trovare qualcosa nel bestiario di Peter, ma senza risultato. All’improvviso una musica strana riempì la stanza.

Look at that booty, show me the booty
Give me the booty, I want the the booty


Entrambi si voltarono verso la fonte della canzone.

“Credo che sia il tuo telefono,” disse Kira, con una faccia un po’ perplessa, indicando il punto in cui questo vibrava sopra una sedia. Derek guardò il telefono con un’espressione di puro raccapriccio, poi si alzò di scatto ed andò a rispondere.

“Che cazzo hai fatto al mio telefono?” ringhiò Derek senza salutare.

“Suvvia, lo so che mi adori. La tua vita senza di me sarebbe triste e noiosa,” disse Stiles allegro, senza minimamente scomporsi di fronte alla scontrosità di Derek. Derek non riusciva mai a capire se Stiles fosse così di natura o se ci mettesse proprio dell’impegno nell’essere ridicolo.

“Sei un idiota,” rispose schietto.

“Awww, mi piace quando fai il duro con me,” poi all’improvviso cambiò tono, “Ho appena parlato al telefono con Scott.”

Derek fece un respiro profondo e tornò a sedersi sul divano, all’estremo opposto rispetto a Kira. Si appoggiò alla spalliera, portando la testa indietro e poi si coprì il viso con una mano.

“Immaginavo,” si massaggiò gli occhi.

“Dice che secondo Peter è un incantesimo d’amore.”

“Peter si sbaglia,” disse Derek lanciando delle occhiate a Kira, “Non è di certo un incantesimo d’amore.”

“Sicuro?” chiese Stiles e Derek poté percepire anche per telefono una punta di amarezza e di insicurezza nella sua voce.

“Sì, perché, ti la cosa ti preoccupa?” domandò con tono provocatorio.

“Ah-ah. Scott sta venendo a prendermi, vengo da te, anche se mio padre non ne sarà troppo felice.”

“Non devi farlo per forza, non voglio crearti problemi,” Derek si sollevò e poggiò i gomiti sulle ginocchia, passandosi le mani tra i capelli.

“Non ti lascerei mai da solo in una situazione del genere, Derek,” disse Stiles, e Derek capì che stava sorridendo. Sorrise anche lui istintivamente e notò che Kira, nonostante tentasse con ostinazione di guardare da un’altra parte, era quantomeno incuriosita dalla conversazione.

“Grazie,” sussurrò.

“Dovere, booty man!” Derek si lasciò sfuggire una mezza risata, “Ci vediamo dopo!”

“Va bene, ciao,” lanciò il telefono sul divano e riprese in mano il computer. Kira continuava a guardarlo di sottecchi.

“Ripensandoci,” disse lei dopo un po’, “Posso avere un energy drink?”

“Certo,” Derek fece per alzarsi.

“No, lascia, vado io,” Kira lo fermò, “Non riesco a stare con le mani in mano.”

“Uh, okay, li trovi in frigo.”

Kira si voltò e vide che il frigo era abbastanza vicino al divano. Si alzò e, dopo qualche minuto, tornò con due lattine di Burn in mano. Ne porse una a Derek.

“Oh, no, grazie, a me non piace,” disse Derek distrattamente, tornando a leggere.

Kira lo guardò inarcando un sopracciglio, stranita. Ne aveva una confezione intera, cosa se ne faceva se non gli piacevano? Ripose di nuovo la lattina nel frigorifero, poi aprì la sua e ne bevve un lungo sorso, ripensando alla telefonata che Derek aveva ricevuto poco prima.

Scott, Lydia e Stiles arrivarono circa mezzora dopo, con del cibo cinese da asporto, e diversi zaini.

“Abbiamo preso qualcosa da mangiare,” spiegò Scott, “Un cambio di vestiti e gli zaini per andare a scuola domani. Kira, Lydia ti presta dei suoi vestiti e un suo pigiama, ma non abbiamo il tuo zaino per la scuola.”

“Mia madre tra poco chiamerà i tuoi,” si intromise Lydia, “E dirà che non torni a casa perché io ho la febbre alta e tu mi stai facendo compagnia perché lei domani mattina presto parte. E quest’ultima parte è vera,” aggiunse, “Starà via fino a lunedì.”

Kira annuì, “Domani mattina potrei dire a mio padre che stai ancora male e chiedere il permesso di non andare a scuola.”

“Sì, era quello che pensavamo anche noi,” confermò Lydia indicando Stiles e Scott, “Un po’ traballante, ma speriamo che funzioni.”

Stiles gli si avvicinò con una busta in mano, “Non sapevamo cosa ti piacesse, quindi abbiamo preso degli spaghetti di soia coi gamberetti e del pollo in agrodolce,” disse allungandogliela. Nonostante fosse riuscito a mantenere un tono di voce abbastanza neutrale, Derek riconobbe il sottofondo di cura con cui Stiles gli stava porgendo il suo ordine di cibo cinese preferito.

“Andrà benissimo, grazie,” rispose incolore. Stiles gli sorrise e si girò per unirsi agli altri, che avevano già iniziato ad aprire le loro scatole da asporto.

Dopo dieci minuti, il loft di Derek odorava di cibo cinese e di adolescenti un po’ nervosi ma nell’insieme divertiti, che schiamazzavano e si lanciavano addosso riso al curry e pollo alle mandorle.

“Siete consapevoli del fatto che poi dovrete pulire voi questo schifo, vero?” domandò indicando il riso spiaccicato a terra, i fazzolettini unti e le scatole di spaghettini di soia.

Scott lo guardò con un involtino primavera per metà fuori dalla bocca, e Stiles, parlando con la bocca piena come al solito, rispose, “Sicuro, amico. Qui dentro brillerà così tanto che potrai specchiartici le zanne.”

Fedeli alla loro parola, alla fine della cena i ragazzi ripulirono il pavimento. Scott ogni tanto controllava il cellulare ed era palese che stesse sperando fino all’ultimo di ricevere almeno una chiamata da Deaton, che però non arrivò. In compenso telefonò il padre di Kira, e Lydia si lanciò in un’interpretazione magistrale per risultare convincentemente malata, quando lui volle parlarle per augurarle una pronta guarigione.

“Adesso però, voi branco di minorenni, ve ne andate a dormire,” disse a quel punto Derek, battendo le mani, “Immediatamente.”

Dovette chiedere a Kira di seguirlo mentre andava dall’altra parte del loft per prendere delle coperte e dei cuscini dall’armadio e si sentì uno stupido cane al guinzaglio. Ancora per evitare le conseguenze dell’incantesimo (o maledizione o qualunque cosa fosse), dovette sistemare le coperte per terra, accanto al suo letto.

“Lydia e Kira possono dormire sul letto, ma voi due,” disse indicando Scott e Stiles, “Ve ne state sul pavimento con me.”



Mezzora dopo, Derek poteva sentire che, nonostante fossero tutti sdraiati e all’apparenza tranquilli, nessuno stava dormendo. Scott si girava di continuo, Kira era immobile ma triste, Lydia sospirava ogni tanto e Stiles, sdraiato tra lui e Scott, lo fissava imperterrito. Lo sapeva anche se non poteva vederlo molto bene per via del buio. Era strano averlo lì, così vicino che avrebbe potuto allungare una mano e sfiorarlo, e non potergli nemmeno parlare.

Derek era sdraiato sulla schiena, con un braccio piegato dietro la testa, ed era il più vicino al letto. Stiles invece era su un fianco. Derek tirò un respiro profondo e mosse piano la mano nello spazio vuoto tra loro, restando per il resto del tutto immobile. Trovò subito la mano di Stiles pronta a stringersi alla sua. Le dita di Stiles erano leggermente sudate, ma fresche, e il suo indice gli solleticava un po’ l’interno del polso, dove ogni tanto premeva per sentirne la pulsazione. Stiles cercava spesso il suo battito, anche se non lo aveva mai detto in modo esplicito. Derek supponeva che fosse un suo modo per tentare di afferrare meglio le sue emozioni, dato che Stiles era stato sempre incuriosito dalle capacità dei lupi mannari di percepire certe cose. A volte pensava anche che fosse solo per avere il conforto e la conferma che Derek era qualcosa di vivo, di reale, che pulsava sotto il suo tocco. Qualunque cosa fosse, lui non gliela negava mai.

Finalmente iniziò a sentire che il respiro degli altri si stabilizzava. Lydia dormiva. Sperò che anche Kira e Scott si addormentassero in fretta, anche se era probabile che nemmeno lui quella notte sarebbe riuscito a prendere sonno. Nonostante Stiles emanasse più tranquillità, Derek voleva avvicinarglisi, anche solo per un secondo. Avrebbe voluto dirgli qualcosa senza che le sue parole raggiungessero le orecchie di Scott. Con Stiles era sempre così, erano vicini e lontani allo stesso tempo, come la terra e la luna.



-

“Vedi la Luna, Stiles?” domandò Derek brusco, indicando lo spicchio di luna crescente che brillava in basso nel cielo, senza sollevare gli occhi dal legno e dai chiodi che aveva in mano.

Ogni tanto Derek tornava a casa Hale, nonostante non vi vivesse più da tempo, e si teneva impegnato aggiustando qualcosa. Stiles all’inizio aveva pensato che fosse deleterio per Derek, gli sembrava un modo per mettere di rimediare agli errori del suo passato e temeva che così facendo non se ne sarebbe liberato mai. Poi aveva capito che era invece un modo per cullare i suoi ricordi, i momenti belli che aveva vissuto lì dentro e che non voleva abbandonare. Di solito, dopo aver trascorso qualche ora a prendersi cura di un mobile o di una finestra, Derek gli sembrava più rilassato e più in pace con sé stesso.

Quella sera, era seduto sul patio, all’aperto, ed era intento a riparare dei cassetti.

“Sì, e allora?” rispose Stiles allargando le braccia esasperato.

A volte Stiles gli imponeva la sua presenza, per non lasciarlo solo con i suoi fantasmi, e Derek lo lasciava fare, segno che non lo riteneva come una nota stonata né nel suo presente, né nel suo passato, e nemmeno nell’incontro tra i due. Tuttavia, quando lui aveva iniziato a vedere qualcosa di concreto tra lui e Derek, qualcosa che sembrava poter essere così meraviglioso da farli rinascere o così doloroso da ucciderli del tutto, Derek aveva immediatamente alzato le proprie barriere.

“È più vicina o più lontana di quando l’hai vista oggi pomeriggio?”

“Che cazzo c’entra adesso la Luna?” Stiles si passò una mano tra i capelli, in un gesto di frustrazione. Derek lo ignorò, e Stiles per un attimo sperò che si desse una martellata sulle dita, tanto sarebbe comunque guarito, ma almeno avrebbe provato qualche momento di dolore, perché se lo meritava.

“Non ho idea,” fece una pausa, riflettendoci, “Forse più vicina,” rispose alla fine sibilando tra i denti.

“Sbagliato,” disse Derek con un chiodo in bocca, “È sempre alla stessa distanza di oggi pomeriggio e di stamattina. Quasi quattrocentomila chilometri dal tuo naso.”

“E mi stai raccontando tutto questo perché? Cos’è, un indovinello?”

“Quando la luna è all’orizzonte, per effetto ottico, sembra più vicina. Ma non lo è,” il suo tono di voce era deciso e quasi severo, “È la tua testa che la vede accanto agli alberi, alle case e pensa di riuscire a comprenderla, a stabilirne la dimensione, pensa che sia più vicina,” Fece una pausa e indicò prima se stesso e poi Stiles, con il martello che aveva in mano, “Io e te? Ci separeranno sempre centinaia di migliaia di chilometri.”

-

Stiles gli strinse con più forza la mano per un attimo, e Derek si riscosse, ricambiando la stretta. Anche Kira e Scott si erano addormentati. Allora, prima di poterci ripensare, facendo leva sul braccio steso tra lui e Stiles, si piegò su un fianco con uno scatto, e gli si avvicinò. La maglietta che indossava Stiles era sottile ed ammorbidita dall’uso, tanto che poteva praticamente sentire la sua pelle sotto le mani. Stiles gli avvolse un braccio intorno alla schiena e insinuò una gamba tra le sue. Respirarono piano l’uno contro l’altro, trattenendosi per non svegliare Scott. Poi Derek affondò il viso nel collo di Stiles, gli si strofinò leggermente contro, inspirando. Stiles odorava di… Stiles, di sudore e un po’ di preoccupazione. Gli solleticò la pelle con le labbra e Stiles di rimando gli portò le braccia dietro la nuca, accarezzandogli i capelli. Si cullarono un po’ nella confortevole sensazione della loro posizione abituale, poi Stiles gli fece un po’ di pressione alla base del cranio e le loro bocche si incontrarono a metà strada. Si baciarono a lungo, con la frenesia dettata dalle tante questioni in sospeso che c’erano ancora tra loro e con la voglia di confortarsi a vicenda, ma anche di rimproverarsi a vicenda alcune dinamiche del loro rapporto che li costringevano a baciarsi di nascosto mentre gli altri dormivano.

Lydia si girò, alle loro spalle, e Derek subito si staccò da Stiles e portò la testa indietro, mettendosi in ascolto. Dormiva ancora.

“Andrà tutto bene,” sussurrò infine incollando la bocca all’orecchio di Stiles e muovendola appena. Stiles annuì senza dire nulla, Derek lo sentì deglutire e capì che non aveva assentito a voce alta semplicemente per non mentire. Gli sfiorò le labbra con un bacio per l’ultima volta e poi si allontanò, provando di nuovo a mettersi a dormire.



Kira aveva telefonato ai suoi molto preso, il mattino dopo, perpetrando la scusa che Lydia fosse malata e sola, quindi entrambe rimasero chiuse tutta la mattinata nel loft di Derek. Scott e Stiles avevano provato ad avanzare diverse lamentele e insistere sull’importanza del loro contributo nella risoluzione del mistero pur di non andare a scuola, ma alla fine furono buttati fuori dalla porta da un Derek ancora mezzo addormentato, seguiti a ruota dai loro zaini. Lydia e Kira, sbucando da dietro la schiena di Derek, una alla sua destra e una alla sua sinistra, li salutarono agitando una mano e accennando un sorriso di comprensione, mentre quest’ultimo chiudeva la porta alle loro spalle.

“Amico, credevo fossi tu l’Alpha!” si sentì Stiles dire nel pianerottolo.

“Sì, ma quando lui fa così sembra un sacco adulto e responsabile. Sembra tuo padre! Anzi, peggio, sembra mia madre!

Lydia, Derek e Kira si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere.



Derek aveva passato gran parte della mattinata con il cellulare in mano e Kira aveva scambiato numerose occhiate con Lydia. Non era tanto il fatto che messaggiasse con qualcuno ad incuriosirle, quanto, come la sera prima, i rari sorrisi, a volte un po’ esasperati, a volte divertiti e a volte quasi inteneriti, che comparivano a volte sul volto di Derek e il fatto che prontamente afferrasse il telefono ogni volta che lo sentiva vibrare.

Ad un certo punto gli era pure arrivata una chiamata e, nel sentire Booty Man, le sopracciglia di Lydia erano schizzate così in alto da arrivarle all’attaccatura dei capelli. Kira ormai aveva capito che, chiunque fosse, aveva impostato quella suoneria sul cellulare di Derek solo per il proprio numero, perché quando lo chiamava Scott squillava un’anonima melodia di default. E Derek, per qualche motivo, nonostante l’imbarazzo che gli creava, non l’aveva cambiata. Decise di mandare un sms a Scott.

“Derek ha per caso qualcuno?”

“In che senso?”

“Ha una ragazza?”

“Perché?!? Ti senti attratta da lui? È l’incantesimo?”

“No, Scott! Ce lo chiedevamo io e Lydia, secondo noi potrebbe avere una ragazza, manda un sacco di sms a qualcuno e poi sorride.”



Scott sollevò la testa per chiamare Stiles e girargli la domanda, ma lo vide concentrato a guardare il suo cellulare, con un sorriso ebete stampato in faccia. Scott inarcò un sopracciglio.

“Lo fa pure Stiles, ma se avesse qualcuno lo saprebbe l’universomondo.”



Deaton chiamò Scott solo la mattina successiva, ma, con loro grande delusione, disse di non aver mai visto nulla di simile e promise che avrebbe fatto delle ricerche. Intanto, suggerì di provare a far toccare a Lydia gli oggetti che erano stati interessati dalle scariche elettriche il giorno prima che si manifestassero gli effetti dell’incantesimo. Si riunirono tutti e tre a casa di Lydia, dove avevano deciso di spostarsi nell’eventualità in cui qualcuno andasse a trovarla per sapere come stava.

“Io credo di aver buttato via la lampadina,” ammise Kira con un sospiro, “Ma suppongo che possiamo provare comunque ad andare a casa mia.”

“Proviamole tutte,” disse Scott annuendo, “Io andrò da Deaton per vedere se posso aiutarlo in qualche modo, voi tre potreste andare a casa tua,” aggiunse indicando Lydia, Derek e Kira.

“Io vado in biblioteca,” si offrì Stiles, “Non so in che altro modo potrei essere utile, ma voglio fare qualcosa,” sospirò, lanciando una lunga occhiata a Derek.

“Okay, allora ci aggiorniamo non appena sappiamo qualcosa,” concluse Scott.

Nel tragitto in macchina, mentre Derek poggiava la mano sul cambio, Kira notò che aveva un anello all’indice, con qualcosa scritto sopra in una lingua che sembrava latino.

“Che dice il tuo anello?” chiese senza rifletterci. Ormai erano due giorni che vivevano a stretto contatto, dovevano praticamente chiedersi il permesso di andare in bagno.

Derek guardò lo specchietto retrovisore, poi si guardò la mano e si girò l’anello con il pollice, quasi accarezzandolo.

“’Omnia transeunt’,” rispose Derek continuando a tenere gli occhi sulla strada. Sembrò aprire la bocca per aggiungere qualcosa, forse una spiegazione, quando Lydia, seduta sul sedile posteriore, si avvicinò allo schienale di Derek e, guardandogli la mano da dietro la spalla, tradusse, “’Tutto passa’.”

Derek annuì. “C’è una scritta anche all’interno, ‘hoc quoque transibit’.”

“’Passerà anche questo’,” suggerì Lydia, con tono comprensivo, e Derek mosse di nuovo la testa in cenno di assenso.

“Non so se trovarlo estremamente confortante o estremamente scoraggiante,” sussurrò Kira.

“È un anello di famiglia?” domandò Lydia, “Il concetto sembra vagamente simile a quello del triskele, il continuo cambiamento, alpha, beta e omega.”

“No,” rispose Derek deciso, “Fa parte della tradizione ebraica, è molto diffuso in Israele.”

“Non sapevo che la tua famiglia fosse ebrea,” disse Lydia incuriosita, passandosi una mano sul braccio.

“Non lo è,” Derek non sembrava molto entusiasta di continuare la conversazione, “Me lo ha regalato una persona,” concluse continuando ostinato ad evitare il contatto visivo con le ragazze e girandosi di nuovo l’anello. Kira e Lydia si scambiarono un’occhiata di sottecchi.

Quando aveva iniziato a sospettare che avesse una ragazza, Kira aveva guardato le dita di Derek, ma si era concentrata più sulla mano sinistra, sull’anulare. Adesso i suoi dubbi diventavano sempre più concreti e questo avrebbe anche spiegato la frustrazione di Derek. Scott era sempre vicino a lei, per non parlare di Lydia e Stiles, mentre Derek stava affrontando tutto da solo e tenendosi di spontanea volontà lontano da una persona con cui evidentemente stava bene e che poteva offrirgli conforto.

“Passerà anche questo,” ripeté Kira sottovoce guardando fuori dal finestrino.

Derek decise di non dire nulla riguardo la terza scritta, quasi invisibile, sul bordo dell’anello.



La prima ad entrare in camera di Kira fu Lydia, mentre Kira e Derek la osservavano dall’uscio. Lei si guardò intorno, sperando che qualcosa la chiamasse, ma, non sentendo nulla, sfiorò coi polpastrelli quello che le capitava davanti agli occhi: penne, libri, la scrivania, una spazzola, il davanzale della finestra. Scosse la testa ed espirò un po’ delusa. Non riusciva a sentire proprio niente.

“Qual è la lampada della lampadina esplosa quella sera?” domandò voltandosi verso Kira.

“Quella accanto al letto, sul comodino,” rispose lei indicando una lampada viola. Lydia si avvicinò e sfiorò anche quella, prima la base, poi il paralume, poi la lampadina, l’interruttore.

“Non riesco a sentire nulla,” mormorò Lydia scuotendo la testa.

“Sei sicura di aver buttato la lampadina guasta?” chiese Derek a Kira, dopo aver tirato un lungo sospiro.

“L’ho messa nella scatola di quella nuova e l’ho buttata nel cestino,” rispose Kira entrando nella camera e guardando sotto la scrivania. Quando aveva buttato la lampadina, la busta della spazzatura era quasi vuota e lei non era praticamente stata a casa in quei giorni. Con un po’ di fortuna, sua madre non aveva ancora svuotato il cestino. Si chinò per controllare e rovistò un po’ tra la carta straccia.

“È ancora qui,” disse alzandosi, con una punta di emozione nella voce. Estrasse la lampadina dalla scatola e la porse a Lydia, con la bocca un po’ aperta e un’espressione speranzosa.

Lydia allungò le dita e sfiorò l’ampolla, ne tracciò la curva con la punta dell’indice e poi la ghiera. A quel punto si irrigidì e spalancò gli occhi.

“Lydia,” sussurrò Kira, vedendo che tremava leggermente, come se non capisse quello che le stava succedendo, “Senti qualcosa?”, chiese mettendole una mano sull’avambraccio.

Anche Derek entrò nella stanza, ma non disse nulla.

“Non sento niente,” mormorò Lydia, il viso contorto in concentrazione.

Derek ringhiò, “Maledizione”.

“No,” Lydia lo guardò e tolse le dita dalla lampadina, “È come se toccandola mi trovassi da qualche parte, mi sento come quando riesco a captare le voci, ma-“ si interruppe, non sapendo bene come spiegarsi, “Non sento niente. È come se fossi in un posto totalmente silente. Mortalmente silente,” disse alla fine.

“Come un cimitero?” le chiese Derek, con gli occhi grandi e la mascella rigida.

“Esatto.”



-



“Scott dice che suo padre è incazzato nero e che stasera non lo fa andare da nessuna parte,” Kira era seduta sul divano del loft e Derek passeggiava avanti e indietro come un leone in gabbia praticamente da quando erano rientrati. Lei continuava a sentirsi un po’ in colpa perché, anche se non aveva nessun controllo, erano pur sempre i suoi poteri a tenere Derek incatenato.

“Va bene, se tu non hai problemi a dormire qui da sola, non ne ho nemmeno io,” rispose Derek passandosi una mano tra i capelli con frustrazione. Lui aveva guardato tutto il bestiario di Peter, Scott aveva fatto diverse ricerche con Deaton, e Stiles aveva rivoltato l’intera biblioteca di Beacon Hills, ma nessuno aveva trovato niente. L’unica cosa concreta che avevano era un silenzio tombale “sentito” da Lydia mentre toccava una lampadina fulminata.

Sentì il cellulare vibrargli in tasca. Aveva un messaggio.

“Mi manchi.”

Dio, Dio. Stiles. Derek si rigirò inconsciamente l’anello con il pollice, come ormai faceva sempre quando pensava a Stiles. Sollevò lo sguardo e vide che Kira aveva seguito il movimento e poi lo aveva guardato come se stesse cercando le parole per dire qualcosa senza essere invadente. Si passò una mano sul viso.

“Derek,” Kira lo chiamò piano e si morse il labbro inferiore. Lui inarcò un sopracciglio, invitandola a continuare.

“Puoi invitarla qui, se vuoi,” continuò senza guardarlo negli occhi, “Per me va bene. Non dirò niente a nessuno, puoi contare su di me.”

Derek la guardò senza capire, “Kira, di chi stai parlando?”

Lei indicò il telefono, “La tua ragazza.”

Oh. Oh. Derek si irrigidì.

“Ho visto che quando parli con lei sei più tranquillo,” disse Kira, stropicciandosi le mani, “E poi Scott è sempre qui intorno, non mi lascia quasi mai da sola, non è giusto che non possa farlo anche tu.”

Kira non capiva se Derek la stesse guardando come se fosse appena comparsa dal nulla, o se stesse valutano se potersi fidare di lei.

“Io posso chiudermi in bagno mentre lei è qui, non devo per forza vederla,” aggiunse guardandolo finalmente in faccia, “Ma, ti prego, mi sento già abbastanza in colpa, non voglio anche impedirti di vedere la persona che ami.”

A quelle parole Derek sussultò e strinse un po’ gli occhi. Mosse un paio di volte il pollice sullo schermo del cellulare, senza però toccarlo davvero. Poi lesse di nuovo il messaggio di Stiles, “Mi manchi”. Alla fine sospirò, con un’espressione quasi rassegnata.

“No,” Kira gli sembrò delusa, “Non è necessario che tu ti nasconda, non è che me ne vergogni, è solo che…” Derek fece una pausa, per scegliere le parole adatte, “Potresti restare molto sorpresa.”

“Non ti giudicherò,” aggiunse lei di fretta, “Te lo prometto.”

Derek annuì e mosse rapido le dita sul display del telefono, poi se lo portò all’orecchio.

Kira si voltò per andare a sedersi sul divano e dargli un po’ di privacy, ma presto sentì Derek sussurrare il suo nome.

“Grazie,” gli disse lui abbozzando un sorriso e Kira ricambiò spontaneamente. Era così raro vedergli in viso un sorriso che gli arrivava fino agli occhi.

“Ehi,” sussurrò poi Derek intenerito e si concentrò sulla telefonata, “Ti va di venire al loft?” e Kira accese il televisore, per impedirsi di origliare la conversazione.



Il campanello suonò circa mezzora dopo e Derek, riconoscendo il battito del cuore di Stiles, guardò di scatto in direzione di Kira, “Promesso, non giudicherò,” disse lei alzando entrambe le mani in segno di resa.

Derek sospirò e roteò le spalle per darsi una calmata. Aprì la porta e si ritrovò davanti Stiles con lo zaino sulle spalle e un sorriso velato di agitazione. Si sussurrarono un “Ehi,” nervoso, all’unisono, e poi risero. Derek fece entrare Stiles e poi, mentre richiudeva la porta alle sue spalle, chiamò, “Kira?”

Lei guardò in direzione di entrambi e fece per dire qualcosa, ma lui la interruppe indicando Stiles e dicendo “Ti presento la mia ragazza.”

Stiles gli diede un pugno sul braccio e poi ritrasse la mano, accarezzandosela con l’altra per lenire il dolore. “Sei il solito imbecille,” disse a denti stretti.

“Oh mio Dio,” esclamò Kira iniziando a ridere, “Questo spiega così tante, tante cose!” A quel punto scoppiarono tutti e tre in quella che forse era la prima risata aperta e spontanea degli ultimi giorni.



-



Stiles trovava Derek bello. A volte il pensiero lo faceva sentire un po’ stupido, perché era ovvio che Derek fosse una specie di sogno erotico incarnato, ma lui ogni tanto si ritrovava a pensare a dei dettagli – al colore degli occhi impossibile da definire, alla linea della mascella, all’espressione sincera e quasi vulnerabile che gli regalava in certi momenti – e spegneva completamente il cervello, restando solo immerso nell’idea che Derek era bello. Paradossalmente, era qualcosa di cui si era accorto solo dopo, quando aveva smesso di guardare e aveva iniziato a vedere. Quando gli era stata data la possibilità di osservarlo mentre compiva piccoli gesti e aveva iniziato a notare alcune piccole cose.

Per esempio, Stiles aveva notato che Derek sprecava un sacco di miscela, spargendola lungo i fornelli mentre preparava il caffè al mattino ed era bello mentre teneva una mano a coppa attorno alla moka per non fare troppi danni.

Derek dormiva sdraiato a stella marina sul letto, ed era bello quando respirava tranquillamente, con i muscoli della schiena rilassati ed il tatuaggio tra le scapole; ma quando dormiva insieme a Stiles gli si avvolgeva attorno e lo stringeva e il cuore di Stiles saltava un battito e lui sapeva già che non avrebbe mai più potuto dormire meglio di così.

Nonostante si lamentasse sempre delle maniere di Stiles nel mangiare, Derek non era in grado di finire una pizza senza sbrodolarsi dell’olio sulla maglietta e soprattutto del pomodoro sul lato del labbro. Quando se ne accorgeva, di solito, si strofinava il viso con il pollice e poi istintivamente se lo portava alla bocca e Stiles, nonostante riconoscesse la sensualità del gesto, si immobilizzava più che altro a pensare a quanto fosse bello mentre effettuava quel movimento.

Più di tutto, Stiles lo trovava bello quando sorrideva, il che all’inizio succedeva abbastanza raramente. Quando lo faceva, gli occhi quasi gli brillavano e gli si formavano delle pieghe adorabili agli angoli. Se avesse avuto un minimo di talento letterario, Stiles avrebbe potuto scrivere una raccolta di sonetti sui sorrisi di Derek, ma non ce l’aveva, quindi tentava solo di goderseli il più possibile e marchiarli a fuoco nella memoria. Ma con Derek nulla era facile e, di solito, quando sorrideva, gli concedeva di ammirarlo per pochi secondi, per poi abbassare la testa e nascondere il sorriso alla base del collo di Stiles, che gli portava le mani attorno alla testa e si accontentava di baciargli le pieghe agli angoli degli occhi.

“Un giorno mi farai vedere?” gli aveva sussurrato una volta, dopo che Derek gli aveva affondato un sorriso nel petto.

“Cosa?” aveva chiesto Derek senza muoversi, solleticandogli la pelle col movimento delle labbra.

“Come sorridi,” aveva risposto Stiles e gli aveva accarezzato uno zigomo col pollice.

Derek aveva deglutito e Stiles aveva pensato che la cosa sarebbe finita lì, ma poi aveva sentito un flebile “Lo farò,”. E Derek manteneva sempre le promesse.



La prima volta che avevano fatto sesso era stato in un tardo pomeriggio, con le luci rossastre del tramonto che entravano dalle finestre del loft. Stiles era sdraiato sul materasso a terra, con Derek a petto nudo seduto a cavalcioni sul bacino. Stiles si era ritrovato disperso in un universo fatto di eccitazione, di pelle, di sudore, di mani tra i capelli e mani sul petto e labbra sul collo e sulle tempie e sulle labbra. Aveva percorso, riverente e frenetico allo stesso tempo, le labbra ed il petto ed il torace di Derek, dopo che questi si era tolto la maglietta e, per qualche lungo, glorioso istante, non ci aveva capito niente. Derek gli aveva accarezzato i fianchi e l’addome, prima da sopra la maglietta, poi insinuando le mani sotto la stoffa in cerca della sua pelle. Aveva tracciato una mappa tattile, gli aveva portato una mano tra le gambe ed aveva stretto appena, per sentirlo. Poi aveva iniziato a sollevargli la maglietta e Stiles era tornato in sé e gli aveva bloccato i polsi.

“Che c’è?” aveva domandato Derek, col fiato un po’ corto e con espressione confusa. Poi si era passato una mano tra i capelli, aveva sussurrato, “Cristo”, e sollevato una gamba, come per toglierglisi di dosso, “Scusa, non dobbiamo se-“

Stiles lo aveva interrotto, strattonandolo ancora verso di sé con la mano che era rimasta serrata attorno al suo polso. Lo aveva fatto sedere di nuovo sul suo grembo.

“Lo voglio, Derek, fidati,” aveva detto con una risata nervosa, e poi si era leccato le labbra, scostando lo sguardo, “Ma non sono un bello spettacolo,” aveva detto infine, trovando il coraggio di guardarlo di nuovo negli occhi.

“Stiles-“

Stiles non sapeva cosa Derek stesse per dire, ma lo aveva fermato un’altra volta, “Non dire nulla, so di non esserlo, ti sto solo avvisando,” concluse liberando i polsi di Derek e lasciando cadere le braccia ai lati del corpo.

Derek non gli aveva risposto, ma la sua espressione era rimasta contrariata. Gli aveva sollevato lentamente la maglietta, prendendosi tutto il tempo per continuare ad accarezzarlo mentre lo spogliava. Le luci del loft erano spente, ma gli ultimi raggi del sole, traditori, illuminavano il letto con un corridoio di luce abbastanza intenso da rendere gli angoli e le distese dei loro corpi e dei loro visi chiaramente visibili. Stiles aveva aiutato Derek a togliergli la maglietta, simulando una sicurezza che non sentiva, sfilandosela dalle braccia e poi dal collo. Gli sembrava di essere spogliato di una cotta di maglia, di un’armatura. Derek si era chinato su di lui e lo aveva baciato, confortandolo con tocchi languidi, cercando la sua lingua e passandogli le mani sulle braccia. Gli aveva lasciato una scia umida di baci sul collo, scendendo sul pomo di Adamo, sulle clavicole, gli aveva sfiorato un capezzolo con i denti, ad occhi chiusi. Li aveva aperti solo quando era arrivato al bottone dei suoi jeans, e finalmente si era sollevato per guardarlo. Stiles aveva visto il momento in cui Derek aveva capito. Aveva colto l’attimo in cui i suoi occhi si erano velocemente spalancati, per poi stringersi di nuovo, studiandolo. Stiles era avvampato, ma immaginava che il rossore che si sentiva addosso fosse camuffato dall’eccitazione e dalle scie lasciate dalla barba di Derek.

Il fatto era che Stiles era umano. Anche se in genere tutti sembravano tenere questo dettaglio a mente, in situazioni di vita o di morte, c’erano alcune cose che i licantropi tendevano a dimenticare, con tutto il loro ferirsi e poi guarire in poco tempo.

Stiles aveva tante cicatrici. A parte una che gli partiva dalla parte bassa del petto e gli arrivava al fianco, non erano particolarmente vistose o significative, ma erano lì ed erano tante. Alcune erano ancora rosse ed in via di guarigione, altre gli striavano la pelle in diversi disegni, come correnti che attraversano il mare in direzioni contrastanti.

Derek le aveva seguite ad una ad una con lo sguardo, a volte soffermandosi ed inarcando le sopracciglia, come per ricordare qualcosa. Dopo aveva sollevato un dito e lo aveva avvicinato all’estremità della cicatrice più grande, per poi fermarsi e cercare un cenno di assenso negli occhi di Stiles. Stiles aveva annuito, leccandosi le labbra, perché non era la cosa che più anelava, ma non era stato in grado di dirgli nemmeno di no. Perché Derek lo aveva guardato, con i capelli un po’ arruffati e il petto che si espandeva e restringeva velocemente. Quando Stiles era arrivato, Derek era appena uscito dalla doccia, quindi aveva i capelli puliti ed appiattiti sulla testa. Erano i momenti in cui Stiles lo preferiva e lo trovava più bello, perché era naturale e soffice. E mai sarebbe riuscito negargli qualcosa in quei momenti.

Mentre Derek percorreva lentamente la cicatrice con il polpastrello, Stiles si era sentito rabbrividire, ogni muscolo pervaso da una strana eccitazione.

“Sei perfetto.”

“Derek,” lo aveva chiamato, a metà tra un sussurro ed un lamento.

“Perfetto,” aveva ripetuto Derek, guardandolo di nuovo dal bacino al collo, “Sono un licantropo dalla nascita,” aveva aggiunto poi, quasi incoerente, “Non mi è mai rimasta una cicatrice,” gli aveva stretto una mano, “Né dopo essermi sbucciato le ginocchia, da piccolo, né dopo aver combattuto creature magiche di qualsiasi tipo. È solo grazie al tatuaggio che so cosa significa avere segni permanenti addosso.”

Derek si era chinato e gli aveva baciato la porzione di pelle sotto l’orecchio, “Tu hai tutta la vita scritta addosso, e sei perfetto.”

Stiles gli aveva preso il viso tra le mani ed aveva cercato le sue labbra, stringendo gli occhi. Più tardi, quel pomeriggio, aveva pensato che, checché ne dicesse Derek, lui non era affatto perfetto. Ma forse il modo in cui si erano stretti - Derek alle sue spalle che spingeva dentro di lui, Stiles che girava la testa nonostante l’angolo scomodo per inseguire le sue labbra, il sangue di Derek che pulsava sotto le sue dita - poteva somigliare un po’ alla perfezione.



Dopo che avevano ripreso fiato, Derek lo aveva fatto di nuovo sdraiare sul materasso e gli si era spalmato sopra. Lo aveva baciato lentamente, facendo ben aderire il torace, i fianchi, le gambe a quelli Stiles, gli aveva accarezzato il lato della testa. Poi, sollevandosi appena, aveva guardato il suo collo e seguito con il pollice la scia di segni rossi che gli aveva lasciato mentre facevano l’amore. Stiles gli aveva vietato di lasciargli segni in posti generalmente non coperti dai vestiti, sia perché nessuno ancora sapeva di loro, sia perché non li apprezzava e basta, ma Derek si riteneva giustificato per essersi lasciato andare poco prima.

“È per questo che mi mordi sempre?” aveva chiesto Stiles, seguendo il movimento sei suoi occhi. Derek lo aveva guardato interrogativo, “Per lasciare un segno, qualcosa di permanente?”

Stiles lo aveva visto tentennare un attimo e lo aveva attirato a sé baciandogli le labbra. Non voleva giudicarlo, era solo curioso.

“Qualcosa del genere, credo,” aveva risposto Derek, accettando prontamente il bacio, “Non ci penso particolarmente su, mentre lo faccio.”

“Vorrei poterlo fare anche io, poterti lasciare un segno addosso,” aveva ammesso Stiles, tracciandogli la linea della clavicola, in un attimo in cui il filtro tra il suo cervello e la sua bocca non funzionava come avrebbe dovuto. Ma supponeva che non fosse poi tanto inopportuna, una confidenza del genere. Dopotutto, erano ancora nudi, sul letto in cui aveva appena perso la verginità, dove si erano toccati dappertutto e dove ancora aderivano centimetro per centimetro l’uno all’altro. Che altro c’era da nascondere?

“Non sono segni permanenti,” aveva detto Derek, “Vanno via. Tutto va via.”

Stiles gli aveva preso una mano, “Non io,” aveva sussurrato baciandogli le nocche.

-

Kira si svegliò con la luce del sole che, entrando dalla finestra, illuminava il letto. A giudicare dalla quantità di luce, doveva essere mattino inoltrato. Si stiracchiò un po’ nel letto e cambiò diverse volte posizione, sentendo una sorta di formicolio alla nuca, una brutta sensazione. Aprì gli occhi e, quando riconobbe il soffitto alto del loft di Derek, si rese conto che il formicolio non erano altro che ansia e disagio. Era sabato, non aveva scuola ed era ormai la seconda mattina che si svegliava in casa di Derek, ma nonostante tutto a volte, prima di rientrare totalmente in possesso delle sue facoltà mentali, nei momenti tra il sonno e la veglia riusciva a dimenticarsi della brutta situazione in cui si trovava.

Il cuore iniziò a batterle più forse ed la familiare sensazione di inquietudine che la accompagnava già da due giorni trovò di nuovo dimora tra le sue spalle, facendole venire la nausea. Si passò le mani sul viso e si alzò dal letto per prepararsi un tè e tenere la mente e le mani impegnate con qualcosa. Il loft era silenzioso, e solo quando rischiò di inciampare su una coperta, si ricordò di Derek e Stiles.

La sera prima era stata abbastanza rilassante, come una ventata d’aria fresca. Stiles e Derek avevano battibeccato tutto il tempo, come due ragazzini delle scuole elementari, con lui che tira le trecce a lei solo perché ha paura di dirle che gli piace. Osservando il modo in cui si guardavano, però, Kira si era chiesta come fosse possibile che nessuno di loro avesse notato quello che c’era tra i due. Ma, in effetti, non si era mai fermata a guardare e, di solito, quando erano stati nella stessa stanza, Derek e Stiles avevano sempre interagito il minimo indispensabile, quindi era difficile trovare quel qualcosa, a meno che non si stesse cercando. Ad ogni modo, vederli così spontanei di fronte a lei l’aveva fatta sorridere. Era bello sapere che la ritenevano degna della loro fiducia. Il contatto fisico tra loro era stato minimo, e Kira supponeva fosse per non farla sentire in imbarazzo. C’era stato un momento in cui, mentre mangiavano una pizza, Stiles si era avvicinato a Derek, istintivamente, e gli aveva strofinato un pollice all’angolo della bocca, sorridendo e dicendo “Non ce la farai mai.” Si erano guardati con così tanta intensità che lei si era sentita di troppo ed aveva distolto lo sguardo, ma poi Stiles si era schiarito la voce, Derek aveva abbassato gli occhi ed il momento era passato. Erano adorabili.

Avevano litigato persino per scegliere dove dormire. Kira aveva ottenuto di nuovo il posto d’onore, il materasso di Derek. Derek si era offerto di dormire per terra e a Stiles aveva proposto il divano. Stiles aveva protestato, dicendo che non era una donzella, quindi Derek poteva prendersi il divano e dormire più comodo, oppure potevano dormire per terra tutti e due. Ovviamente, aveva vinto Derek.

Mentre si muoveva in punta di piedi verso il bollitore, però, Kira si era ritrovata a sorridere. Ad un certo punto, durante la notte, il piano di Derek doveva essere fallito, perché Stiles in quel momento era sdraiato sulla coperta insieme a Derek, il petto che aderiva alla schiena dell’altro. Condividevano il cuscino e Stiles aveva un braccio sotto la testa ed uno avvolto attorno al torace di Derek. La mano era proprio al centro del suo petto, all’altezza del cuore, e le loro dita erano intrecciate tra loro.

Nell’ultimo anno Kira aveva visto e scoperto parecchie cose che le sembravano rasentare l’impossibile, alcune la riguardavano personalmente. Eppure il solo fatto di vedere Derek Hale rannicchiato contro il petto di Stiles si guadagnava uno dei primi posti nella classifica delle cose più incredibili.

Mentre immergeva la bustina di tè nella tazza, sentì una sedia spostarsi e si voltò verso il rumore. Stiles si era svegliato e seduto al tavolo, con i capelli in tutte le direzioni. Le fece un cenno di saluto, ondeggiando la mano e sussurrando, “Buongiorno”. Si portò un dito sulle labbra, per farle capire che Derek dormiva ancora.

Lei rispose sottovoce e gli indicò la sua tazza, per chiedergli se volesse del tè. Stiles scosse la testa, si strofinò diverse volte le mani sulla faccia e poi si alzò di nuovo, di malavoglia, dicendo “Caffè.”

Stiles smanettò per diversi minuti con la macchinetta del caffè, sforzandosi di non far rumore e riuscendoci solo in parte. “Io adesso vado da Deaton con Scott,” le disse dopo essere tornato al tavolo con una tazza piena di caffè.

“Derek ieri mi ha detto che saremmo venuti anche noi,” sussurrò Kira e fece un segno nella direzione in cui più o meno si trovava Derek.

Bevendo un sorso di caffè, Stiles annuì, “Sì, ma per adesso non voglio svegliarlo.”

“Ieri era in piedi già all’alba,” notò lei, arricciando le labbra.

“Per questo vorrei che dormisse un altro po’,” Stiles lavò la tazza e poi restò un attimo interdetto, come se volesse dire qualcosa, “Potresti non dire nulla a Scott? A proposito di…” fece un gesto vago con la mano, tra se stesso ed il resto del loft.

“Sì, sì, sì, assolutamente,” si affrettò a dire Kira, e annuì esageratamente, “L’ho tipo promesso a Derek.”

“Glielo dirò appena posso,” Stiles si stropicciò le mani, “Ma voglio che lo sappia da me.”

“Lo capisco,” Kira gli sorrise, “Ma merita di saperlo.”

Stiles annuì, sentendo i familiari sintomi del senso di colpa invadergli il petto. Lo sapeva, eccome se lo sapeva.

-

Quando Stiles arrivò da Deaton, trovò Scott già lì intento ad occuparsi di un gatto ferito. “Ehi, amico,” disse sollevando una mano in cenno di saluto.

“Ciao Stiles! Deaton si è allontanato un attimo per telefonare, dice che torna tra poco,” lo informò Scott tagliando i fili che aveva usato per cucire il taglio che l’animale aveva sulla zampa, “Ci ha lasciato dei libri sul tavolo di là, puoi iniziare a dare un’occhiata mente io finisco qui, se vuoi.”

Stiles fece spallucce ed acconsentì, era meglio iniziare subito. Entrò nell’altra stanza e lesse i titoli dei volumi: alcuni avevano a che fare con la stregoneria, altri con creature magiche e leggende. All’apparenza erano tutti abbastanza consumati e si domandò dove li avesse trovati Deaton e su cosa si fosse basato nella scelta, ma, nonostante fosse del materiale nuovo, lui aveva già fatto ripetute ricerche sugli argomenti.

Fu raggiunto da Scott pochi minuti dopo, mentre iniziava a sfogliare il primo tomo.

“Dovrebbero venire anche Derek e Kira a darci una mano,” lo informò Scott, “Aspetto che mi chiamino da un momento all’altro, sono già in ritardo.”

Stiles non disse nulla e finse di essere impegnato nella lettura. Aveva detto che avrebbe raccontato a Scott al più presto di lui e Derek e forse quello poteva essere il momento adatto. A dire il vero, c’erano state decine di momenti adatti, da quando loro due avevano deciso che sarebbe stato giusto dirlo a Scott, ma poi nessuno era mai davvero sembrato quello perfetto e la notizia non era venuta ancora fuori.

“Ehi, sei nervoso?” domandò Scott guardandolo con un sopracciglio sollevato.

Licantropi, pensò Stiles sospirando, “Credo ci sia qualcosa che devo dirti,” Scott lo guardò preoccupato e lui aggiunge, “Non riguarda il problema con Derek e Kira.”

Scott gli sembrò appena sollevato, ma ancora perplesso, “Okay,” disse dopo qualche secondo di silenzio, “Ti ascolto.”

“Prometti che-“ stava per dire ‘non ti arrabbierai’, ma fu interrotto dalla suoneria di un cellulare.

“È Kira,” Scott mosse le dita sul telefono e se lo portò all’orecchio, “Kira? Dove siete?”

Scott rimase in ascolto per qualche secondo, “È successo qualcosa?” domandò poi battendo il palmo sul tavolo, allarmato.

Aggrottando le sopracciglia e muovendo il capo, Stiles fece per chiedergli cosa fosse successo. Scott si allontanò il cellulare dall’orecchio, chiedendo a Kira di aspettare, e mise la chiamata in vivavoce. Stiles si avvicinò per sentire meglio.

“Sono corsa via, non ho pensato all’incantesimo,” il suo tono di voce trasudava una certa agitazione, “E mi sono resa conto solo quando sono arrivata in strada che non c’era niente, né elettricità, né catene.”

“La maledizione si è spezzata, quindi?” chiese Scott, confuso, “Allora qual è il problema?”

“Stiles è lì con te?” domandò Kira.

Scott lo guardò e poi guardò di nuovo il cellulare.

“Sì, Kira, sono qui,” rispose lui precedendo Scott, “Perché sei corsa via dal loft?” chiese con un brutto presentimento.

“Quando Derek si è svegliato mi ha detto,” fece una pausa, “Mi ha detto quanto sono bella e che è fortunato ad avermi.”

Scott e Stiles si guardarono, con la bocca spalancata, e Stiles in un'altra situazione avrebbe riso, vedendo le loro facce, ma in quel momento era pietrificato, con un milione di cose che gli passavano per la testa. Per fortuna Scott riuscì ad avere più prontezza di riflessi.

“Arriviamo,” disse infatti secco a Kira, chiudendo la telefonata e strattonandolo per una manica.



-









Note varie:
  1. in questo capitolo sono iniziate le mie elucubrazioni mentali sulla luna, che continueranno anche nel prossimo.
  2. La canzone che Stiles imposta come suoneria nel cellulare di Derek è “Booty Man”, di Tim Wilson, e l’idea l’ho rubata a Grà (<3)
  3. L’anello di Derek è una cosa così, ma senza smalto, almeno nella mia immaginazione. In realtà in latino è un po’ difficile da trovare, ma credo che in ebraico sia più facile. Io ce l’ho in russo (il mio è in argento) e a quanto pare in Russia è relativamente popolare (nel senso che anche i non ebrei conoscono le due scritte e quando l’ho cercato ho scoperto che li realizzavano in diverse città). A me l’idea di comprarlo è venuta perché l’ho visto addosso ad un amico americano, di famiglia ebrea. Più dettagli in merito alla leggenda riguardante l’anello saranno nel prossimo capitolo.
  4. Grazie come sempre a Grà per il betareading *cuoricini* eventuali errori blabla, sono sempre colpa mia.
  5. Grazie a chi ha letto, recensito e/o messo la storia tra le preferite/ricordate seguite *cuoricini anche per voi* e spero che il secondo capitolo possa essere interessante.
  6. Basta, credo.

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Capitolo 3
*** Luna crescente ***


Note iniziali: Mi scuso tantissimo per il ritardo con cui sto aggiornando, ma la RL si è messa in mezzo e non sono riuscita proprio a finire prima. Inoltre, questo capitolo, che secondo i miei piani sarebbe dovuto essere l’ultimo, stava risultando molto più lungo di quanto mi aspettassi, quindi ho deciso di tagliare la testa al toro e scriverne un quarto. Il prossimo, quindi, a meno di cataclismi, sarà il quarto ed ultimo e comprenderà anche l’epilogo. Sono un sacco emozionata, non avevo mai scritto una storia così lunga, credo che questa da sola sia già lunga il doppio di qualsiasi cosa abbia scritto in passato \O/

Ringraziamenti, come sempre, a Graffias, che mi sistema le ridondanze causate dai troppi feels e le varie psicopatie che mi colgono mentre scrivo *cuoricini a forma di Sterek*

Grazie, ovviamente, anche a chi recensisce e a chi ha messo la storia tra preferite/ricordate/seguite *cuoricini anche per voi*





  1. Luna crescente





Stiles aveva fatto una gran fatica a stare dietro a Scott che correva in moto per arrivare il prima possibile a casa di Derek. Ad un certo punto lo aveva perso e lui aveva giurato che avrebbe raccontato a Melissa che suo figlio infrangeva tutti i limiti di velocità e, soprattutto, lasciava indietro il proprio migliore amico che arrancava dietro di lui in jeep.

Quando alla fine arrivarono nei pressi del palazzo di Derek, vide Scott svoltare verso il parcheggio all’aperto e, guardandosi intorno, riuscì ad intravedere due figure in mezzo alle auto. Dovevano essere Kira e Derek, pensò, e forse Scott aveva sentito il loro odore. Quando fu più vicino, vide che Kira era poggiata ad una macchina rossa ed aveva le braccia strette attorno a sé, con le spalle un po’ incurvate, come se sentisse freddo, nonostante la temperatura estiva. Sembrava del tutto a disagio.

Derek era a poca distanza da lei ed anche lui era poggiato ad un’altra auto, a qualche metro di distanza da Kira. Aveva la fronte aggrottata ed emanava frustrazione e pensieri iracondi da tutti i pori. Stiles sospirò e si passò una mano sul viso, guidando nella loro direzione. Vide subito Derek scostarsi e sollevare un avambraccio, muovendo le dita delle mani come faceva di solito quando stava richiamando gli artigli.

Stiles deglutì e frenò di colpo, lasciando la jeep in mezzo al viale del parcheggio e scendendo di corsa quando vide Scott lanciarsi giù dalla moto, togliersi a malapena il casco e posizionarsi davanti a Derek con gli artigli bene in vista.

Lui si avvicinò a Kira, che aveva appena sussurrato un “oddio” angosciato, e le mise brevemente le mani sulle spalle.

“Non preoccuparti, andrà tutto bene,” disse tra i denti, e poi si avvicinò cautamente a Derek e Scott.

“Cosa le hai fatto?” domandò Scott a Derek, con un ringhio e gli occhi illuminati di rosso.

Gli occhi di Derek in risposta si accesero di blu, “Non le ho fatto niente, Scott, e non sono affari tuoi,” rispose anche lui con un brontolio rabbioso, e Stiles vide che i suoi canini si erano allungati.

“Ragazzi,” li chiamò sollevando le mani in gesto di resa, “Siamo in pieno giorno in un luogo pubblico, non-“ si interruppe vedendo che entrambi, in forma beta, adesso erano girati verso di lui, con le zanne scoperte e gli occhi infuocati, “-okay,” disse tra sé e sé, “Il testosterone ha la meglio sul buonsenso, oggi.”

“Scott,” sentì Kira fare qualche passo sull’asfalto alle sue spalle, “È vero, sto bene, non mi ha fatto niente.”

“Prendi il casco, Kira,” le intimò Scott senza guardarla, indicando la moto, di nuovo concentrato su Derek, “Andiamo immediatamente da Peter e gli chiediamo come spezzare l’incantesimo.”

“Non darle ordini,” ruggì Derek, facendo un passo verso di lui. Stiles si passò una mano tra i capelli, avvertendo una scarica di angoscia che dal petto gli si spandeva nelle spalle. Derek si era fatto protettivo. Il suo Derek si era fatto protettivo nei confronti di una persona che non era lui. Come se non bastasse, tutti quegli istinti di protezione si stavano scontrando con quelli di Scott e tutto stava diventando un imbarazzante gomitolo di istinti esplosivi. Trasse un respiro profondo e deglutì: evitare che Derek e Scott si azzannassero a vicenda aveva la precedenza sui suoi problemi di gelosia.

“Scott, lascialo stare,” riprovò a parlare, con più decisione, facendosi avanti, “È l’incantesimo,” aggiunse indicando Derek con lo sguardo, dopo aver scelto le parole che gli sembravano più adatte. Se avesse detto che Derek non era in sé, avrebbe rischiato di farlo innervosire ancora di più. Era Scott quello lucido tra i due.

Fortunatamente, Scott annuì e riprese il suo aspetto umano.

“Di che incantesimo parlate?” domandò Derek, con il fiato un po’ accelerato, ma più in sé, guardando Kira, Scott e Stiles.

“Non ricordi nulla?” domandò Scott, “Tu e Kira siete stati colpiti da un incantesimo,” spiegò, quando Derek ebbe scosso la testa in senso di diniego.

Nel sentire quell’informazione Derek aggrottò le sopracciglia, “Che tipo di incantesimo?”

“Secondo Peter è un incantesimo d’amore,” rispose Scott.

“Incantesimo d’amore?” Derek lo guardò interdetto, “In che senso?”

“Nel senso che adesso sei innamorato di lei,” intervenne Stiles, mordendosi poi le labbra. Aveva parlato senza riflettere.

“Noi stiamo insieme,” disse Derek guardando verso Kira, che era alla sua destra; era nervoso, ancora arrabbiato per via dello scontro con Scott di pochi minuti prima, ma Stiles riconobbe un pizzico di smarrimento e di insicurezza nella sua espressione, nella linea tesa della mandibola e negli occhi appena spalancati.

“Kira?” la chiamò Derek facendo un passo verso di lei, che si strinse ancora di più nelle spalle.

“Derek,” Kira si passò i palmi sul viso e, quando Derek le poggiò le mani sulle spalle in un gesto di incoraggiamento, Stiles dovette fare violenza su se stesso per spingere indietro Scott ed evitare che provasse di nuovo a allontanarli.

“Noi stiamo insieme,” ripeté Derek, cercando gli occhi di Kira, “È solo che abbiamo deciso di non dirlo al resto del branco, per adesso.”

Stiles emise un verso da animale ferito e si passo di nuovo una mano tra i capelli. Gli sembrava tutto un orribile scherzo del karma. Era la punizione per non averlo detto subito a Scott?

“No, Derek,” disse Kira con delicatezza ma totale decisione, guardando Derek negli occhi, “Hanno ragione loro, è un incantesimo.”

Derek sembrò ferito, ma durò solo un attimo, poi il suo viso si fece duro ed inespressivo, “È come dite voi,” guardò Scott e Stiles e, sospirando, allontanò le mani dalle spalle di Kira, “Ma l’incantesimo ha colpito lei, non me, solo che non posso dimostrarvelo.”

-

Quando Peter aprì la porta del suo appartamento e si ritrovò davanti Scott, Stiles, Kira e Lydia, sorrise in quella sua maniera viscida e inquietante che Stiles associava al Grinch che rivela ad un bambino che Babbo Natale non esiste.

“Guarda chi c’è,” disse in segno di saluto, “Il branco di adolescenti che sanno tutto,” si mise una mano su un fianco e poggiò la mano sulla porta, inclinandovi sopra la testa con fare divertito, come se non avesse nessuna intenzione di invitarli ad entrare in casa sua.

“Okay, okay, tu avevi ragione e noi avevamo torto,” esordì Stiles, sfregandosi una mano sull’altra stretta a pugno, ripetendosi che, se lo avesse colpito, si sarebbe fatto solo male, “Tu sei un genio e noi siamo stupidi,” sentì Lydia schioccare la lingua e strisciare nervosamente un tacco sul pavimento a quell’affermazione, ma la ignorò, “Adesso facci entrare.”

In tutta risposta, il sorriso di Peter si allargò ancora di più e lui per un attimo pensò di istigare Scott ad attaccarlo, ma poi si disse che avrebbe rimandato quella decisione a quando non avessero più avuto bisogno di lui. Fece roteare gli occhi e poi riprese a parlare “Derek è…” la lingua gli si bloccò sulla parola innamorato, “crediamo sia sotto incantesimo, stamattina quando si è svegliato ha detto-“

“Dice di essere innamorato di me,” intervenne Kira, tirandolo fuori dalla sua miseria.

“Peter,” esordì infine Scott, “Facci entrare,” disse con decisione a denti stretti.

Con un sorriso che si faceva via via sempre più stucchevole, Peter spalancò la porta e con un gesto ampio della mano li invitò senza dire una parola a varcare l’uscio. Ovvio, Stiles aveva parlato per mezzora e non aveva concluso niente, poi arrivava Scott e tutti gli davano ascolto. Tutto sommato, pensava che sarebbe stato più difficile, visto che Derek non era con loro. Convincerlo a restare al loft e non seguirli non era stato per nulla facile, ma era stata la soluzione migliore, anche se significava doversela vedere da soli con Peter.

Sorprendentemente, l’appartamento di Peter era arredato molto meglio di quello di Derek. Tutti i mobili erano ben abbinati, in stile moderno, con una combinazione di nero e rosso e a Stiles sembrò addirittura accogliente. Si domandò chi mai Peter ci portasse lì dentro per avere prestato così tanta attenzione ai dettagli.

“Potete sedervi, suppongo,” disse Peter indicando un divano e delle poltrone disposte a semicerchio attorno ad un televisore a schermo gigante. Stiles si lasciò sprofondare su una poltrona nera, mentre Kira, Scott e Lydia si sedevano sul divano. Peter, contrariamente alle sue parole, rimase in piedi al centro della stanza con le braccia conserte. “Allora?” domandò guardandoli ad uno ad uno, quando dopo qualche secondo nessuno aveva ancora aperto la bocca.

Lydia roteò gli occhi, “Fino a ieri Derek si comportava normalmente, ma lui e Kira non potevano allontanarsi l’uno dall’altra senza che i poteri di Kira lo attaccassero; adesso possono stare lontani, ma Derek dice di essere innamorato di lei. Fine,” riassunse con un gesto conclusivo della mano, come per dire voilà.

“Vi avevo detto che era-“

“Sì, sì, abbiamo già appurato che tu sei intelligente e noi siamo scemi,” lo interruppe Stiles, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di tutti, “Ora che facciamo?” chiese.

Peter fece qualche passo su e giù per la stanza, che a Stiles sembrò più che altro un modo per creare suspense, “Prima di tutto bisogna capire perché le reali intenzioni di chi ha fatto l’incantesimo si siano palesate soltanto adesso,” rispose strofinandosi il mento con la mano, fissando Kira con sguardo accusatore.

Quando sembrò evidente che non avesse intenzione di dire altro, lei spalancò gli occhi e scosse con decisione la testa, “Non starete pensando che sia stata io a tentare un incantesimo!” disse incredula, “Scott?” si voltò verso di lui.

“No, ovvio che no,” rispose Scott muovendo la testa in senso di diniego, “Peter, smettila,” ringhiò.

“Ieri c’era la luna nuova,” si intromise Lydia con decisione, “Il che significa che adesso la luna è crescente, la ‘luna in divenire’ dà più forza agli incantesimi d’amore.”

Tutti si voltarono stupiti verso di lei, “Ho fatto delle ricerche su internet mentre aspettavo che veniste a prendermi,” li liquidò lei senza nemmeno guardarli.

“Ha senso,” confermò Peter, “Ammesso, quindi, che non sia stata la volpe a fare l’incantesimo, possiamo comunque dedurre che la prima ‘fase’ sia stata frutto di un errore della strega e non una cosa voluta.”

“Strega?” domandò Scott, “Significa che c’è una congrega a Beacon Hills?”

“Ci mancava solo questa,” sussurrò Stiles, ma Peter scosse la testa.

“Improbabile, lo avremmo saputo e di certo in maniera molto più dolorosa,” Peter fece qualche passo su e giù per la stanza mentre rifletteva, “Forse è una strega sola e pure inesperta.”

“Come fa una strega inesperta a lanciare un incantesimo così potente da far agire i miei poteri contro la mia volontà?” domandò Kira guardandosi le mani, come se si aspettasse che dai suoi polsi comparissero all’improvviso delle correnti elettriche.

“Bella domanda,” sussurrò Peter, “Gli incantesimi d’amore sono tra i più ricercati, ne esistono diversi tipi,” guardò Lydia, “Si trovano informazioni attendibili persino su internet,” disse con una punta di indignazione altolocata.

“Be’, ma se chiunque potesse aprire Google e lanciare un incantesimo, il mondo sarebbe un caos di incantesimi andati male,” rifletté Stiles aggrottando le sopracciglia, “Questa persona doveva pur avere dei poteri.”

“In camera di Kira ho sentito qualcosa di strano,” intervenne di nuovo Lydia. Peter la fissò e Stiles ammirò Lydia per il suo sangue freddo. Se Peter avesse fissato lui in quel modo, si sarebbe sentito totalmente inquietato, “Era come se mi trovassi da un’altra parte, ma c’era uno strano silenzio,” si interruppe.

“Ha detto che sembrava di essere in un cimitero,” concluse Kira per lei, ricordando la conversazione di quel giorno.

Peter non rispose, ma oltrepassò velocemente la poltrona su cui era seduto Stiles e sparì dietro una porta.

“Perché ci stiamo fidando di nuovo di lui?” domandò Stiles a bassa voce, pur sapendo che Peter con tutta probabilità lo avrebbe sentito comunque.

“Hai idee migliori?” chiese Scott, “Parleremo anche con Deaton, se qui dovessimo fare un buco nell’acqua, ma per adesso sentiamo cos’ha da dire.”

Dall’altra stanza si sentì un rumore di cianfrusaglie che cadevano sul pavimento e tutti e quattro si guardarono straniti per un attimo, prima di vedere Peter riemergere con un rotolo di carta ingiallita in mano che spiegò in fretta su un tavolino basso di fronte al televisore. Si alzarono anche loro e si inginocchiarono attorno al tavolo.

“È una mappa?” domandò Scott osservando il foglio. Non c’erano indicazioni scritte, ma solo una rosa dei venti su un angolo e dei simboli.

Stiles guardò le linee e indicò un punto con un indice “Questa è la foresta,” disse, poi tracciò con il polpastrello una linea, “Questa è la strada principale,” fece un cerchio in un’altra area, “Più o meno qui dovrebbe esserci la scuola, ma guardando la carta sembrerebbero esserci solo campi.”

Peter annuì, “È una mappa antica di Beacon Hills e della sua periferia,” spiegò, poi picchiettò con un indice un punto della mappa, segnato da croci latine, “Questo è il cimitero,” poi, senza staccare il dito dal foglio, lo spostò verso la periferia della città, indicando un ammasso di croci con un cerchio sullo sfondo, “Qui secondo le antiche mappe c’era un altro piccolo cimitero.”

“Croci celtiche? Perché adesso non c’è più?” chiese Lydia, toccando la mappa.

“Perché la sua esistenza è circondata da un’aura di leggenda, si dice che non fosse un cimitero umano,” spiegò, arricciando le labbra come per ricordare qualcosa.

“E allora di chi era?” chiese Stiles cercando di capire se Peter stesse bluffando, li stesse prendendo in giro o qualcos’altro.

“Degli ‘angeli caduti’,” sussurrò Kira, spalancando gli occhi fissi sul punto indicato da Peter sulla mappa.

“Sicura di non c’entrare nulla?” Peter la fissò con un sorrisetto quasi compiaciuto.

“Questa strada,” disse Kira indicando una strada larga che costeggiava l’area indicata da Peter, “Esiste ancora e si chiama ‘contrada degli angeli caduti’,” spiegò lei ignorando l’insinuazione, “Ci sono stata la settimana scorsa, ci abita Margaret.”

“La tipa che si veste di nero?” Stiles ricordava che Kira fosse capitata con lei per il progetto di Finstock.

Kira annuì, “Una nostra compagna di scuola un po’ strana abita lì,” spiegò a Peter.

“Definite ‘strana’.”

“Non è esattamente strana,” intervenne Lydia, “Si veste sempre di nero e si trucca pesantemente, ha gusti discutibili.”

“In camera sua aveva delle statuette di fate e delle sfere di cristallo, ma mi sembrava tutto molto innocuo, cose che si possono comprare in una bancarella,” aggiunse Kira, “Mi è sembrata solo un po’ malinconica, un po’… sola,” specificò, “Quando ho detto che dovevo vedere…” arrossì, “Scott ha fatto un commento sull’avere qualcuno.”

“Dici che potrebbe aver funzionato per via del cimitero?” domandò Stiles, “Altrimenti, ripeto, il mondo sarebbe pieno di incantesimi d’amore impazziti.”

“È possibile che la magia del cimitero abbia aiutato, sì,” rispose Peter, “’Angeli caduti’ era un modo per chiamare le creature fatate della mitologia irlandese, di cui fanno parte anche le banshee,” disse scoccando un’occhiata a Lydia, “Erano buone con i buoni e cattive con i cattivi, magari la vostra amica è riuscita in qualche modo ad attirarsi la benevolenza della magia che ancora impregna il cimitero.”

“E cosa c’entra Kira in tutto questo?” chiese Scott, riportandoli al problema concreto che avevano da risolvere.

Kira sembrò pensarci su un attimo, “Le ho regalato una penna,” esclamò rivolgendosi a Peter, “Mi ha detto che lei non trovava la sua e io gliene ho prestata una delle mie, e siccome sembrava piacerle tanto le ho detto di tenerla.”

“Potrebbe essere una spiegazione,” Peter si raddrizzò ed incrociò le braccia, “Se lei ha usato un oggetto che ti apparteneva - in questo caso la tua penna - per fare l’incantesimo, la magia del cimitero potrebbe aver aiutato ad attivarlo ed i tuoi poteri avrebbero fatto il resto, colpendo così te anziché lei.”

“E perché Derek?” chiese Stiles.

“Questo dipende dal tipo di incantesimo,” rispose Peter, “Come dicevo, ne esistono di diversi tipi: possono essere rivolti ad una persona specifica o solo attirare una potenziale ‘anima gemella’, o ancora una persona che corrisponde ai desideri della strega.”

“Okay,” intervenne di nuovo Scott, pragmatico, “Quindi ora che facciamo?”

“Ammazzate la strega,” disse Peter diretto, liquidando la domanda con un gesto.

“No,” risposero in coro tutti e quattro, come se si fossero aspettati una trovata simile.

Lydia fissò di nuovo la mappa, riflettendo, “Deve esserci un’altra soluzione.”

“Be’,” iniziò Peter, con un tono di voce che suonava, se possibile, ancora più compiaciuto e divertito di prima, “Come sempre, state sottovalutando…” fece una pausa, guardando Stiles.

Stiles schioccò le dita in modo nervoso, “Non ti azzardare a dire-“

“Il potere dell’amore umano,” concluse invece Peter con un sorrisetto del tutto soddisfatto. Stiles si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona, coprendosi la faccia con le mani.

“Che significa?” domandò ancora Scott, lanciandogli un’occhiataccia mentre lui inconsciamente blaterava qualcosa che alle sue stesse orecchie suonava come “La mia vita è una puntata di Merlin e io sono la dannata Gwen”.

“Un incantesimo d’amore fatto da una strega inesperta e per di più impazzito potrebbe essere facile da spezzare,” spiegò Peter, “Trovando il vero amore,” proseguì, tracciando delle virgolette in aria con le dita, con un finto tono sdolcinato, “Di mio nipote.”

“Tipo con il bacio del vero amore?” domandò Kira.

“Si potrebbe provare.”

“Dobbiamo trovare la ragazza di Derek?” chiese Scott per l’ennesima volta, e Stiles percepì tre paia di occhi spostarsi da Scott a lui.

“Perché tutti ti guardano, amico?”

Stiles si strofinò con forza le mani sulla testa. Fino ad allora non era riuscito a trovare la situazione giusta per dire a Scott di lui e Derek e adesso, che era senza dubbio il posto sbagliato ed il momento sbagliato, avrebbe dovuto rimediare. Fece un lungo sospiro.

“Scott, devo parlarti,” gemette in maniera molto virile da dietro le mani che ancora aveva appiccicate sulla faccia.

Sospirò di nuovo e si alzò, aggiungendo “In privato,” in direzione di Peter.

“Dato che siamo in città, se vi allontanate di cinque chilometri dovreste essere al sicuro dal mio udito,” disse lui facendo spallucce, dimostrando di non avere alcuna intenzione di essere discreto e fare loro un favore.

Stiles trascinò Scott in un parco nei dintorni dell’appartamento di Peter, dopo averlo convinto che Kira e Lydia potessero passare qualche minuto da sole con il padrone di casa in quanto capaci di difendersi da sole. Si sedette su una panchina e, nervoso, si strofinò una guancia col dorso della mano. Aveva rimandato questa confessione così a lungo che adesso, qualsiasi cosa gli venisse in mente, gli sembrava una scusa stupida ed imbarazzante.

“Mi stai preoccupando,” gli disse Scott, “Emani talmente tante vibrazioni nervose che tra poco inizierò a mangiarmi le unghie.”

“Sono innamorato di Derek,” sganciò la bomba d’un fiato, optando per l’opzione più schietta, senza guardare Scott negli occhi. Seguì un secondo di silenzio e lui si fece forza per alzare la testa e vedere la reazione dell’altro.

Scott aveva la bocca spalancata per metà e una faccia allarmata. Gli si sedette accanto di scatto, portandogli una mano sulla spalla, come per confortarlo.

“Oddio, anche tu?” domandò iniziando a muovere una gamba su e giù, “È contagiosa questa roba?”

Stiles rimase interdetto, poi si schiaffò una mano sulla fronte, facendosi quasi male, “Nononono!” piagnucolò, “Scott!” gli afferrò le spalle, costringendolo a guardarlo bene in faccia, “Non è un incantesimo, io e Derek stiamo insieme,” disse.

“Amico, è un incantesimo, non preoccuparti,” ripeté Scott convinto e Stiles realizzò di aver usato le stesse parole pronunciate da Derek qualche ora prima.

“Oddio, no, no, è tutto sbagliato,” mormorò, “Stiamo insieme da tempo, ma il branco non… oddio,” aprì e chiuse la bocca più volte, “So che suono come un disco rotto, ma è la verità. Credo che l’incantesimo abbia confuso le idee di Derek, ma sono io quello che sta con lui.”

Dallo sguardo di Scott capì che non stava credendo ad una parola.

“Okay,” disse prendendo un respiro profondo e poggiò le mani sulla panchina, sentendo il legno ruvido sotto le dita, “Pensaci, Scott! Le mattine che arrivo in ritardo a scuola perché mio padre fa il turno di notte?” chiese, “Non arrivo in ritardo perché lui non mi sveglia, ma perché passo la notte da Derek.” Rifletté su qualcos’altro da dire, “Non hai mai sentito l’odore di Derek su di me?”

Quello sembrò scuotere un po’ Scott, se l’improvviso irrigidirsi delle sue spalle era di qualche indicazione.

“Il telefono,” esclamò Stiles illuminandosi all’improvviso e cominciando a tastarsi le tasche, “Tutto il tempo che passo a mandare sms? Li mando a Derek!” estrasse il telefono dalla tasca dei jeans, “Posso farti vedere!”

Stiles stava per rispondere, ma vide che Scott aveva il viso contorto in un’espressione di dolore. Suppose che stesse mettendo insieme i pezzi.

“L’espressione distratta che hai costantemente in classe,” continuò Scott guardando fisso davanti a sé, poi fece una smorfia e i suoi occhi scattarono verso Stiles, taglienti come non li aveva mai visti prima diretti verso di sé, “Ho pensato che fossero le conseguenze del nogitsune.”

Fu quello il momento in cui Stiles si sentì davvero un pessimo amico ed un pessimo essere umano. Non aveva valutato come potesse apparire il suo comportamento dall’esterno, non aveva pensato a quali conclusioni potessero arrivare i suoi amici. Soprattutto, non gli era passato per la testa che potessero essere preoccupati per lui, mentre lui si perdeva in Derek.

“Non so se mi stupisca di più che tu sia in grado di raccontarmi balle senza che io me ne accorga,” disse Scott, come tra sé e sé, “O che tu lo faccia con tanta naturalezza.”

In effetti, Stiles si era fatto attento nel raccontare alcune cose a Scott. Di solito, quando poteva, rimandava alcune conversazioni per telefono o gli scriveva degli sms. Il problema era rispondere a delle domande dirette, e in quel caso provava a eludere la domanda o cambiava discorso, tentando di non rispondere.

“Da quanto tempo va avanti questa storia, amico?” gli chiese Scott, calcando sull’ultima parola, prima che lui potesse pensare ad un modo dignitoso di scusarsi.

“Un paio di mesi,” Stiles sospirò, scompigliandosi i capelli, “Un po’ di più,” ammise. Sapeva che raccontare a Scott di lui e Derek dopo averglielo tenuto nascosto per diversi mesi non sarebbe stato facile, ma il concretizzarsi di quello scenario lo stava facendo sentire peggio di quanto avrebbe mai immaginato.

“Okay,” disse Scott, stringendo i pugni, “Perché non me lo hai detto?” domandò, “Non sapevo nemmeno che fossi innamorato di lui, o di qualcuno in generale. Quando eri innamorato di Lydia non facevi che parlarmi di lei.”

“Non,” iniziò Stiles, per fermarsi subito, “Appunto!” sbottò, “Non volevo essere il solito, patetico Stiles, che si innamora di una persona totalmente al di fuori della sua portata,” iniziava a sentirsi il fiato corto, “Ho pensato che me lo sarei tenuto per me finché non mi fosse passata, perché tanto non avevo speranze e non volevo di nuovo rendermi ridicolo come avevo fatto con Lydia.”

Era vero e all’inizio Stiles non pensava che sarebbe riuscito a tenere la bocca chiusa sulla sua cotta per Derek per tanto tempo. Quando Derek gli aveva detto di voler comprare un divano per il loft, Stiles lo aveva convinto a farsi accompagnare. Era arrivato in anticipo di pochi minuti al loro appuntamento al centro commerciale e quando, mentre aspettava davanti all’ingresso, lo vide comparire, in occhiali da sole e giacca di pelle, e lo aveva visto fermarsi a destra e sinistra per cercarlo, si era sentito l’imbarazzante adolescente che era. Perché, anche se non era un incontro romantico, si era sentito le stupide farfalle nello stomaco nel vederlo, e gli era mancato il fiato. E si era domandato in quale universo parallelo uno come Derek avesse un appuntamento con uno come lui. Ecco, quel momento Stiles lo aveva voluto custodire e tenere per sé e non aveva mai sentito il bisogno di condividerlo con nessuno.

“Non ti avrei mai ritenuto ridicolo perché stavi soffrendo per qualcuno, Stiles,” ringhiò Scott a denti stretti, alzandosi dalla panchina e piazzandosi davanti a lui, “È questa l’opinione che hai di me?” chiese indicandosi.

“No,” sussurrò Stiles, evitando il suo sguardo, “Ma è l’opinione che ho di me,” aggiunse sospirando, “Sono un adolescente patetico e sfigato che nessuno voleva fino a poco tempo fa. E adesso che finalmente sembrava-” si interruppe. Adesso che invece sembrava che qualcuno lo volesse quanto lui, che ci tenesse a lui nonostante i suoi difetti, che lo ricambiasse, stava succedendo una catastrofe. “Non importa,” tagliò corto.

“Dio, deve fare schifo anche per te questa situazione,” gli disse Scott calmandosi per un momento.

“Non sai quanto,” rispose con un sorriso amaro, “Derek ci ha messo parecchio prima di accettare di darci una possibilità,” spiegò, “Ci siamo distrutti a vicenda e poi ci siamo rimessi insieme pezzo per pezzo,” si strofinò gli occhi, “E all’inizio abbiamo deciso di andarci cauti e non dire niente al resto del branco per vedere dove ci avrebbero portato le cose.”

“Perché Kira, Lydia e persino Peter sembravano saperlo?”

“Lydia e Peter credo che lo abbiano capito da soli,” spiegò. Lydia gli lanciava sempre delle strane occhiate, quando a volte lo vedeva dopo che lui era stato con Derek, come se avesse avuto scritto in fronte dove era stato e cosa aveva fatto. Per non parlare di quella volta in cui Derek gli aveva lasciato un segno sul collo e Lydia sembrava avergli fatto una radiografia. E qualche giorno prima, quando Lydia e Kira erano rimaste con Derek tutta la mattina, anche Derek gli aveva fatto notare che Lydia sembrava parecchio consapevole.

Peter, invece, era stato il confidente di Derek in passato, lo conosceva abbastanza bene ed era molto abile con le proprie capacità da lupo: era probabile che avesse riconosciuto il suo odore nel loft di Derek o qualcosa del genere.

“A Kira lo abbiamo detto ieri sera,” ammise, “È stata lei a dire a Derek che poteva invitare la sua ragazza,” rise senza ironia, “E Derek mi ha chiesto di raggiungerli”.

A Stiles sembrò di aver sentito Scott mormorare qualcosa come “Persino la mia ragazza lo ha saputo prima di me,” ma era stato così flebile che probabilmente lo aveva solo immaginato.

“So che non conta,” scosse la testa, “Ma sei il primo a cui confesso di essere davvero innamorato di lui,” disse tirando su con il naso e poi si massaggiò le tempie.

“Ti dirò una cosa, Stiles,” esordì Scott incrociando le braccia al petto, “Sei il mio migliore amico e quindi credo che tu sia la cosa migliore che possa capitare ad una persona,” Stiles abbassò la testa così tanto, per via del senso di colpa, che quasi il mento gli toccò le ginocchia, “E se tu mi avessi detto che eri innamorato di Derek non ti avrei giudicato e sarei stato felice per te, perché Derek non sarà facile, ma è un nostro amico, è parte del branco e io non ci ho mai pensato, ma adesso lo sto facendo e penso che possiate compensarvi ed essere una cosa positiva l’uno per l’altro.”

“Vorrei chiederti scusa, ma non credo di potermelo permettere,” rispose soltanto Stiles, “Sei un amico migliore di me.”

Scott annuì, “Ti perdonerò,” disse dirigendosi di nuovo verso casa di Peter, “Ma non oggi.”

“Quindi,” disse veloce e diretto Scott una volta rimesso piede a casa di Peter, “Derek e Stiles si baciano e l’incantesimo si spezza?”

Lydia e Kira guardarono Stiles con un sorriso empatico, e Kira si avvicinò a Scott, strofinandogli una mano sulla spalla. Lydia si avvicinò a Stiles.

“Ci siamo baciati,” confessò Stiles, senza guardare in faccia nessuno, “Mi sembra evidente che non ha funzionato.”

“Come vi dicevo, un incantesimo impazzito è difficile da prevedere,” disse Peter.

“Avete pensato per un solo momento,” domandò Stiles allargando le braccia, “Che ‘il bacio del vero amore’ non abbia funzionato perché io,” disse Stiles indicandosi, come se guardarlo potesse essere abbastanza per capire che c’era qualcosa di sbagliato in quella teoria, “Non sono il vero amore di Derek?”

Peter lo guardò con un sopracciglio inarcato in maniera dubbiosa.

Stiles si sentiva tremendamente imbarazzato. Discutere del proprio rapporto con un Derek assente e fuori di sé, con Peter, non era di certo una cosa che gli andava a genio. E sapeva che Derek avrebbe odiato sapere che i suoi sentimenti erano stati fatti oggetti di conversazione.

“Derek non ha mai detto che mi ama,” ammise, “Forse è per questo che non sono stato capace di spezzare l’incantesimo.”

Fino a quel momento, la questione non gli era passata per la testa. Derek non gli aveva mai detto di amarlo e non lo aveva fatto nemmeno lui. Da parte sua, questo non significava che il sentimento non ci fosse, solo che non aveva mai sentito la necessità di formalizzarlo e poi, coraggio, stavano insieme da due mesi o poco più. Se però la questione veniva messa in termini di ‘amore tanto grande da spezzare un incantesimo’, lui non aveva nessuna sicurezza da dare.

“È possibile anche questo,” Peter fece spallucce, come se a lui quell’opzione non facesse né freddo né caldo, e Stiles sentì una fitta all’altezza del petto. Tutte le sue insicurezza sembravano essersi concretizzate davanti ai suoi occhi quel giorno, e sembravano tutte pronte ad esplodergli in faccia.

Sentì Lydia mettergli una mano sull’avambraccio e le fu grato per il tentativo di confortarlo.

Si ritrovarono in strada pochi minuti dopo, e Scott telefonò subito a Deaton, spiegandogli brevemente la situazione, “Dice che non ci sarà fino a domani,” comunicò agli altri con un sospiro, chiudendo la telefonata. Peter li aveva aiutati a capire la natura dell’incantesimo, ma non era stato in grado di dare qualcosa di concreto per spiegare come spezzarlo.

“Intanto ci consiglia, se possibile, di trovare la strega,” guardò Kira, “Ti ricordi l’indirizzo?”

Kira annuì, “Telefono a Margaret per chiedere se è in casa,” disse estraendo il proprio cellulare dalla tasca, “È lontano, non vorrei che facessimo tutta quella strada per niente.”

Mentre Kira parlava al telefono con Margaret, Stiles, Lydia e Scott si guardavano in silenzio. Scott aveva le braccia conserte e sembrava guardare dovunque tranne che in direzione di Stiles, e Lydia lanciava ad entrambi delle occhiate a metà tra il dispiaciuto e l’esasperato. Stiles avrebbe dato qualsiasi cosa in quel momento per avere un minimo di interazione con Scott, una delle sue solite battute, o anche solo un minimo di comprensione. Se l’era cercata, pensò sospirando e sperando che Kira li liberasse presto da quella situazione imbarazzante.

Il suo desiderio fu presto esaurito, per fortuna, e Kira annunciò che Margaret la aspettava, “Non ho detto che saremo tutti quanti, per non spaventarla,” disse, “È molto timida, vi prego, tentiamo di essere gentili.”

Tutti annuirono e poi Kira e Scott montarono in moto, mentre Stiles e Lydia salivano sulla jeep.

Stiles quasi non parlò lungo il tragitto in macchina, si limitò a seguire Scott e Kira in moto davanti a lui, in maniera automatica. Incrociò brevemente gli occhi di Lydia mentre controllava se il semaforo fosse verde, quando lei allungò di nuovo una mano verso di lui.

“Mi spiace, Stiles,” sussurrò stringendo la presa e arricciando le labbra. Stiles sollevò un angolo della bocca in un tentativo abortito di sorridere, poi annuì mormorando un ringraziamento.

“Sono sicura che riusciremo a venirne a capo,” disse, e alle sue orecchie suonò abbastanza fiduciosa.

“Non credo di essere abbastanza per spezzare l’incantesimo,” confessò invece Stiles tenendo gli occhi sulla strada, “Altrimenti lo avrei già spezzato, no?”

“Smettila, Stiles, c’eri anche tu quando Peter ha detto che è un incantesimo andato male e non c’è modo di prevederlo,” Lydia mormorò qualcosa, “Secondo me saresti più che in grado di riprenderti Derek.”

Stiles sbuffò ironico.

“No, davvero,” insisté Lydia, “Come pensi che abbia fatto a capire che stavate insieme?”

“Gli sms, i succhiotti sul collo, i poteri da banshee?”

Lydia schioccò la lingua e gli diede un colpetto sul braccio, “Dilettante,” incrociò le braccia al petto come se le insinuazioni di Stiles avessero offeso la sua intelligenza, “È da dopo il nogitsune che orbitate uno intorno all’altro,” Stiles la guardò di sottecchi, “E vi lanciate queste occhiate,” fece un gesto con le mani, aprendole e chiudendole, come ad imitare gli occhi di Stiles o di Derek.

“Ma vi siete messi insieme circa due mesi fa,” continuò sicura.

Per un secondo Stiles distolse gli occhi dalla strada per lanciarle un’occhiata ammirata.

“Un giorno sei arrivato a scuola con la testa così tra le nuvole che ho dovuto prenderti sottobraccio per non farti sbattere contro qualcuno,” Stiles ridacchiò, non se lo ricordava per niente, ma era del tutto plausibile, “E Derek porta al dito come una reliquia un anello ebraico, anche se la sua famiglia non è ebrea. Ma lo è la tua.”

“Insomma, era abbastanza ovvio,” concluse Lydia.

“E perché gli altri non lo hanno capito, allora?” chiese Stiles, giusto per punzecchiarla.

“Gli altri non sono me,” rispose semplicemente Lydia, con un sospiro che stava ad indicare che non era colpa sua se nessun altro capiva i segnali lampanti che aveva davanti e quindi non era intelligente come lei.

“Grazie,” sussurrò Stiles dopo qualche secondo.

“Riprenditi il tuo uomo, Stiles,” disse lei di rimando, “Ma devi essere certo tu, per primo, di essere in grado di farlo, non è il momento di avere dubbi.”

Stiles annuì, poi le chiese, “Tu che sei così brava,” fece una pausa cambiando marcia, “Scott mi perdonerà mai?”

Lydia allungò una mano verso di lui per arruffargli i capelli, “Certo che ti perdonerà,” Stiles sorrise un po’ risollevato, “Non so quando, ma lo farà.”

Reprimendo l’istinto di sbattersi la testa contro il volante, Stiles si limitò ad emettere un lamento. Quando sarebbe finita quella giornata infernale?

Guidarono per oltre mezzora prima che Scott accendesse la freccia di destra e accostasse accanto ad una serie di villette a schiera. Stiles parcheggiò la jeep e si ritrovarono tutti davanti ad un cancello. Sotto il numero civico si trovava la dicitura C/da degli Angeli Caduti, e Stiles si ritrovò a borbottare un “Dannati angeli,” mentre Kira suonava il citofono e si annunciava.

Percorsero il vialetto d’ingresso e, appena arrivati davanti alla porta, questa si aprì ed una testa castana fece capolino. Era una ragazza minuta, che sembrava appena essersi svegliata (era sabato, dopotutto, Stiles avrebbe fatto lo stesso, se la sua vita fosse stata normale) ed aveva ancora i capelli scarmigliati.

“Ciao,” la salutò Stiles sollevando una mano e sorridendole amichevole, “Tu devi essere la sorella di Margaret,” indicò il gruppetto di nuovi arrivati con la mano, “Siamo dei suoi compagni di classe.”

La ragazza lo guardò spalancando gli occhi, stranita, e Stiles sentì una mano afferrarlo per la spalla e letteralmente spostarlo indietro, mentre una cascata di capelli rosso fragola prendeva il suo posto davanti alla porta.

Stiles,” lo chiamò Lydia, tagliente, tra i denti, “Ciao, Margaret,” sorrise tutta zucchero alla ragazza, “Scusa, conosci Stiles, crede di essere spiritoso,” poi indicò anche gli altri, Kira e Scott la salutarono con la mano, mentre Stiles sembrava avere appena mangiato un limone, “Possiamo entrare? Vorremmo parlarti.”

“Non l’avevo riconosciuta,” sussurrò Stiles a Kira, “Senza tutto il…” fece un gesto circolare della mano attorno alla propria faccia, per indicare il trucco nero. Kira gli diede un colpetto sulla spalla, con la bocca piegata in un sorriso che doveva essere incoraggiante, ma che a Stiles sembrò di paziente accettazione.

Ecco, aveva fatto incazzare pure Kira, pensò grattandosi la nuca.

Margaret li fece accomodare nel suo salotto e domandò se volessero qualcosa da bere, ma tutti scossero la testa e guardarono Kira, come per incitarla a prendere la parola. Dopotutto, era lei l’unica ad avere avuto un qualche contatto più stretto con Margaret.

“Margaret,” esordì lei timidamente, “Vieni a sederti vicino a me?” il tono si alzò leggermente alla fine, facendo apparire la sua come una domanda più che un invito e lei con la mano indicò il posto libero sul divano, “Vorremmo chiederti qualcosa,” spiegò.

“È successo qualcosa?” chiese Margaret sedendosi nel posto indicato da Kira e guardandoli un po’ spaventata.

“È quello che vogliamo scoprire,” intervenne Lydia sorridendole. Stiles stava per mangiarsi le mani dal nervosismo, perché non andavano direttamente al dunque?

“Ho visto che hai tutte quelle statuette in camera tua,” disse Kira e lui iniziò a muovere su e giù la gamba nervosamente, “Ti interessi per caso di magia?”

“Magia?” domandò Margaret, guardandoli stupita, “Mi state prendendo in giro?”

Stiles vide Scott irrigidirsi, segno che forse era riuscito a captare qualcosa che a loro era sfuggito. Perché non avevano concordato prima la discussione?

“Vedi,” riprese Kira, “Abbiamo avuto un piccolo problema, c’è questo ragazzo,” fece una pausa, per scegliere le parole, “Che improvvisamente dice di essere innamorato di me.”

Margaret lanciò un’occhiata a Scott, “Non lui,” si affrettò a specificare Kira.

“In realtà, si tratta del mio ragazzo,” intervenne Stiles, incapace di trattenersi, “Che, fino a ieri sera, per l’appunto, era il mio ragazzo e non era,” fece un gesto vago con la mano, “Innamorato di Kira, ecco.”

“Per una serie di circostanze,” riprese Kira, “Pensiamo che possa essere stato un incantesimo d’amore.”

Margaret spalancò ancora di più gli occhi e Stiles provò un momento di tenerezza per lei, vedendo che stava anche un po’ tremando. Stavano tentando di trattare la cosa nella maniera più delicata possibile, ma una ragazza timida come Margaret si era vista piombare a casa quattro suoi compagni di scuola che la accusavano di aver combinato un danno all’apparenza incredibile, non doveva essere la cosa più piacevole del mondo, per lei.

Guardando i suoi quattro compagni di scuola che la fissavano, accusandola di aver lanciato un incantesimo d’amore, Margaret si sentì entrare nel panico. Il problema era che lei sapeva benissimo di aver tentato quell’incantesimo, ma quali erano le probabilità che avesse davvero funzionato? E loro come erano arrivati a lei? E da quanto Stilinski aveva un ragazzo?

Aprì e chiuse la bocca più volte, tentando di arginare il tremolio delle mani, “Mi state prendendo in giro?” domandò, “Gli incantesimi non esistono, la magia, non esiste.”

I ragazzi si lanciarono un’occhiata imbarazzata tra loro. Stranamente, Stilinski e McCall sembravano non volersi guardare in faccia, a giudicare da come istintivamente si erano girati l’uno verso l’altro e poi subito si erano evitati a vicenda.

“Sappiamo che sembra folle, Margaret,” le disse di nuovo Kira, “Puoi non crederci, se vuoi, ma, ti prego, se sai qualcosa, diccelo,” concluse mettendole una mano sulla spalla.

“Per favore,” aggiunse Stilinski dall’altra parte della stanza e la sua espressione la convinse che, forse, non la stavano prendendo in giro.

“Io,” iniziò a dire incerta, “Ho seguito un procedimento trovato su internet,” gli altri si lanciarono dei segni di assenso tra loro, “Ma non pensavo proprio che avrebbe funzionato, voglio dire, andiamo, magia? L’ho fatto in un momento di noia.”

“Puoi dirci qual era l’incantesimo?” chiese Lydia Martin.

Lei annuì e si alzò per prendere il portatile accanto al telefono. Si sedette e se lo mise sulle ginocchia, aprì il browser e digitò sulla homepage di Google incantesimi d’amore. Stilinski, che insieme a McCall e Lydia Martin si era avvicinato a lei e Kira per guardare il monitor, fece un verso che la fece sentire molto stupida, ma Lydia Martin gli diede una gomitata e lui si zittì subito.

“È questo,” disse aprendo un link marrone perché già cliccato in precedenza e fece scorrere lentamente la pagina. Si sentiva un po’ in imbarazzo, era una pagina stupida di WikiHow, con dei disegni colorati e dei cuoricini rosa.

“Ci sono diverse varianti,” osservò Lydia Martin, leggendo velocemente, “Quale hai scelto?”

“Uhm,” continuò a scorrere la pagina fino a trovare l’incantesimo che aveva scelto, “Credo questo, dovevo…” arrossì, ma Kira le sorrise e la incitò a continuare, “Dovevo pensare alle caratteristiche del ragazzo che avrei voluto attirare a me e poi scriverle con una penna speciale su un pezzo di carta.”

“Hai usato la mia penna?” chiese Kira.

Lei annuì, poi le venne in mente che effettivamente c’era qualcosa di storto se questo fantomatico ragazzo si era innamorato di Kira e non di lei. Era davvero patetica: era riuscita a lanciare un incantesimo, a farlo funzionare contro ogni logica, eppure era stata così stupida da sbagliare e colpire qualcun altro.

“È per questo che il tipo si è innamorato di te e non di me?” domandò.

“È probabile,” intervenne McCall parlando più o meno per la prima volta, “Cosa hai desiderato, esattamente? Che tipo di ragazzo?”

Lei arrossì e guardò Stilinski, “Non so… moro, occhi chiari, misterioso, travagliato,” iniziò ad elencare, cercando di ricordarsi cosa diavolo le fosse venuto in mente quella sera, “Taciturno, un po’ scontroso, ma sotto sotto dolce,” arrossì ancora di più, “Passionale?”

“È Derek,” annuì Stilinski, grattandosi una tempia.

“Non sembri molto stupita dal fatto che il tuo ragazzo ideale avesse un ragazzo,” osservò McCall, senza capire.

Se possibile, Margaret si sentì le guance andare ancora più a fuoco. Distolse lo sguardo, per evitare di incrociare quello di chiunque. Forse, aveva desiderato che il suo ragazzo fosse bisessuale, in modo da essere eventualmente disponibile a fare qualcosa con una terza persona, ma sarebbe morta prima di raccontarlo davanti a Stilinski e McCall.

“Direi che non importa,” la salvò Kira, “Puoi mandarmi questo link via posta elettronica?” le chiese indicando il computer.

Lei annuì e, per avere una scusa per tenersi impegnata e non interagire con gli altri, si mise subito a trafficare per farlo.

“Adesso andiamo,” disse Kira quando ebbero finito, “Grazie.”

“Aspettate,” li fermò lei mentre tutti si alzavano, “Com’è possibile che una stupidaggine trovata su internet abbia funzionato proprio con me?”

A quel punto, Lydia Martin le raccontò qualcosa a proposito di un cimitero, di angeli caduti e di mitologia irlandese e di luna nuova. Non era sicura di aver capito tutta la storia, e non era ancora sicura che non la stessero semplicemente prendendo in giro, quindi annuì semplicemente e li accompagnò alla porta. Si mordicchiò le labbra, mentre li accompagnava al portoncino e li sentiva discutere di un tale Deaton da cui sarebbero andati la mattina dopo.

“Vi dispiace se vengo con voi?” domandò, stropicciandosi le mani. Kira e McCall si guardarono dubbiosi, ma McCall fece un cenno di assenso, “Potremmo avere bisogno di altre informazioni, se vuoi aiutarci.”

“Con piacere,” disse lei sorridendo, “Voglio dire, mi dispiace per i problemi che ho causato. Stiles?”

Stilinski, che stava osservando il vuoto, grattandosi la testa, si riscosse.

“Ti chiedo scusa,” sussurrò, “Non volevo che qualcuno soffrisse.”

“Oh,” ridacchiò, “Va tutto bene,” disse poco convinto, “Ce la caveremo.”

-

Stiles era seduto sulle scale del patio della vecchia casa degli Hale da circa un’ora e mezza. All’inizio aveva atteso con pazienza, cambiando posizione ogni tanto, giusto per stare più comodo. Poi si era alzato, aveva fatto avanti e indietro dai gradini alla jeep, aveva canticchiato e aveva battuto gli indici sulla ringhiera del portico, come se stesse suonando una batteria. Poi si era arreso di nuovo e si era seduto, e aveva sbuffato più volte alla luna piena e alle falene che svolazzavano intorno alla luce accesa sulla porta d’ingresso.

Quando era arrivato si era sentito nervoso, ma ora sentiva solo un vago pulsare nelle vene. Tutta quell’attesa gli aveva fatto calare l’adrenalina e adesso era quasi assonnato. Si avvolse le ginocchia con le braccia e vi posò sopra la testa, ma ebbe appena qualche secondo di tempo prima di sentire dei rumori di passi veloci nella foresta e dei rami che si spezzavano sotto le scarpe di qualcuno.

Si alzò di scatto e per un attimo desiderò avere dei poteri da licantropo per riuscire a capire chi si stesse avvicinando e se dovesse per caso iniziare a scappare. Quando vide finalmente spuntare Derek dal buio, tirò un sospiro di sollievo e si rilassò. Derek non sembrò stupito di vederlo - dopotutto la jeep doveva essere un segnale abbastanza inequivocabile - ma piuttosto un po’ rassegnato.

Era sudato ed aveva il fiato accelerato per la corsa. Durante le notti di luna piena andava spesso nella riserva a scaricare un po’ di energia. Indossava una canotta verde militare ormai totalmente umida, e le spalle e le braccia nel chiarore di luna scintillavano quasi per via del sudore.

“Che ci fai qui?” gli domandò Derek, afferrando un asciugamano dalla ringhiera del patio e strofinandoselo prima sul viso e poi sui capelli.

Stiles deglutì, Derek era guardingo e quasi diffidente, come se sapesse che da Stiles non poteva aspettarsi nulla di buono, o come se sapesse che quella serata si sarebbe conclusa con parecchia frustrazione.

“Tredici volte,” disse Stiles semplicemente, perché la sua mente sembrava avere fatto corto circuito e tutte le parole che si era preparato non volevano saperne di mettersi in fila ed uscire dalla sua bocca.

Derek lo guardò accigliato, mentre rimetteva a posto l’asciugamano.

“Solo quest’anno, tra me e te, abbiamo rischiato di morire tredici volte,” spiegò con determinazione, scendendo un gradino più in basso.

“Non ha molto senso quello che dici,” rispose Derek continuando a guardarlo stranito.

“Ho rischiato di morire cinque volte,” disse esasperato, “Ho rischiato di perderti otto volte,” allargò le braccia. Poi fece un lungo respiro per calmarsi e guardò Derek fisso negli occhi. Lui si era sempre ritenuto una persona diretta, ma c’erano cose che lo rendevano così nervoso da farlo tergiversare a lungo e farlo nuotare attorno al punto senza mai raggiungerlo.

“Voglio stare con te,” ammise alla fine, e finalmente Derek lo osservò con un certo guardingo stupore, “Lo voglio così tanto, Derek,” la sua voce alla fine si incrinò appena.

Stiles,” iniziò a dire Derek, ma lui lo interruppe. Non voleva saperne di farsi di nuovo raggirare dalle parole e dagli atteggiamenti di autosacrificio di Derek.

“No, ascoltami!” alzò le mani davanti a sé, per fermarlo, “Ogni volta mi racconti queste cazzate sulla mia età, sulla tua età, sul fatto che possa essere pericoloso,” si indicò, “Be’, ti sembra che la mia vita sia una passeggiata adesso? Ho rischiato di morire cinque volte in un anno, e nessun adolescente umano che conosco fa una vita come la mia.”

“E la storia dell’età?” fece un gesto della mano come per indicare sia se stesso che Derek, “Non me ne frega un cazzo! Potremmo morire domani e io avrei aspettato inutilmente di arrivare alla maggiore età.”

“Sei volte,” sussurrò Derek, voltando la testa verso un punto indefinito oltre la sua spalla.

Stiles rimase interdetto, aprì la bocca, poi si bloccò e la richiuse. Fantastico, lui aveva parlato e, come sempre, invece di ascoltarlo Derek stava avendo un dialogo interiore con se stesso e non lo stava seguendo per niente, “Come?”

“Stai contando solo gli eventi soprannaturali,” spiegò Derek stringendo i pugni, “Ma a gennaio quest’anno hai avuto un incidente con la jeep.”

Mentre il significato nascosto dietro il discorso di Derek si faceva strada nel suo cervello annebbiato dall’adrenalina, Stiles emise un lamento. Voleva prenderlo a pugni. Voleva prenderlo a pugni e poi baciargli la bocca, mordergli le labbra, infilargli la lingua in gola e succhiargli via l’anima. Derek aveva tenuto il conto.

D’un tratto se lo ritrovò vicino, che lo guardava con quegli occhi incomprensibili. Lui era ancora sui gradini del patio, quindi Derek lo stava osservando dal basso e gli sembrava vulnerabile in una maniera che gli faceva venire voglia di stringerselo al petto e tenerlo a sé per sempre.

“Dimmi che sarà sempre così,” gli sussurrò Derek, aprendo e chiudendo le mani, come se non sapesse cosa farci.

“Così come?” domandò, chiedendosi se per caso la conversazione fosse andata avanti mentre lui pensava a far diventare Derek stupido a suon di baci.

“Se io adesso ti bacio,” disse Derek all’improvviso, e lui non era affatto preparato ad un cedimento simile, se il versetto entusiasta che aveva fatto era di qualche indicazione, “Promettimi che quando farò qualcosa che non ti piace, il tuo primo istinto sarà sempre quello di prendermi a pugni e farmi rinsavire,” concluse Derek. Poi infine dovette essersi deciso con quelle mani, perché di colpo Stiles se le ritrovò sui fianchi.

Cristo, ho parlato ad alta voce, vero?”

Derek sollevò appena un angolo della bocca e per un attimo Stiles penso che lo stava guardando un po’ come se fosse la maledetta luna, “Vieni qui,” sussurrò Derek, facendo un altro passo verso di lui. Stiles non aveva abbastanza spazio per scendere l’ultimo gradino, quindi l’unico modo per avvicinarglisi di più era portargli le braccia attorno alle spalle. Lo fece.

Derek sollevò il viso verso di lui, avvicinando le labbra al suo mento. Stiles gliele guardò e pensò incoerentemente che erano meravigliose e sembravano morbide, circondate dalla barba. Inclinò la testa verso il basso, avvicinandoglisi anche lui. Vide con la coda degli occhi Derek chiudere le palpebre e lo imitò.

Sentì i pollici di Derek che gli affondavano nei fianchi, come per fermarlo, un attimo prima che si abbassasse del tutto su di lui. “Prometti,” mormorò Derek, e Stiles fu attraversato da un brivido, nel notare che il suono era stato attutito dalle sue labbra.

“Derek,” lo chiamò, incapace di concentrarsi su quello che gli stava chiedendo e desideroso soltanto di affondare finalmente nella sua bocca.

“Prometti,” sussurrò di nuovo Derek muovendo appena la testa così che la sua barba gli solleticò il mento.

“Va bene, va bene,” si affrettò ad acconsentire, “Te lo prometto.”

Ebbe appena il tempo di pronunciare l’ultima sillaba, prima che Derek annullasse lo spazio tra le loro bocche. Fu quasi sorpreso, nonostante tutto, perché aveva lo aveva desiderato così tanto, per così tanto tempo, che la sua mente non riusciva a raccapezzarsi all’idea che stesse succedendo davvero.

Derek lo baciò come se volesse inglobarlo, gli circondò i fianchi con le braccia, portandolo incredibilmente ancora più vicino, gli leccò il labbro inferiore con la lingua, poi cercò la sua e Stiles tremò come se fosse stato percorso da una scossa elettrica. Quando alla fine si separarono per prendere fiato, Derek gli mordicchiò il lato della mascella e poi lo delineò con la lingua, per poi tornare alla sua bocca e baciarlo a labbra chiuse. Fu Stiles, dopo qualche minuto, ad approfondire il bacio di nuovo, accarezzandogli il collo con le mani.

“Uoah,” sussurrò Stiles quando si separarono di nuovo. Si sentiva le labbra gonfie e il mento gli pizzicava e, pensò con soddisfazione, sarebbe stato davvero fantastico se avesse avuto delle bruciature da barba. Derek lo stava guardando di nuovo con gli occhi sinceri e pieni di fiducia e a Stiles si riempì il cuore. Era quello lo sguardo che gli sarebbe venuto sempre in mente, da quel momento in poi, quando pensava a Derek.

Gli tracciò con i polpastrelli gli angoli della bocca, il naso, la fronte. Derek si sollevò di nuovo per stampargli un bacio sulle labbra e poi, inaspettatamente, si ritrovò faccia a faccia con il sorriso più mozzafiato che avesse mai visto. Durò solo un secondo, nemmeno il tempo di ritrovare le proprie capacità intellettive, poi Derek gli affondò il viso nel collo, strofinandoglisi addosso.

“Ti rivoluzionerò l’esistenza,” sussurrò Stiles contro la sua tempia, e poi gli ricoprì di baci la tempia, la guancia, la mandibola.

“È una minaccia?” gli chiese Derek, la voce divertita attutita dalla gola di Stiles.

“Puoi giurarci,” lo rassicurò Stiles, sollevandogli il mento per baciarlo di nuovo.

-

Stiles scese dalla jeep e si fermò per qualche minuto davanti al portone del condominio dove viveva Derek, rigirandosi le chiavi della macchina tra le mani. Quella mattina avevano promesso a Derek che se avessero ottenuto delle informazioni gliele avrebbero riferite, e lui era lì per mantenere la promessa. Che Derek fosse in sé o no, Stiles glielo aveva detto guardandolo negli occhi e non avrebbe mai tradito la sua fiducia. Solo, aveva paura di quello che Derek gli avrebbe detto e quella giornata era già stata abbastanza difficile, con tutti i dubbi che gli si erano insinuati nella mente e il litigio con Scott.

Facendosi forza e camminando a grandi falcate verso l’ascensore, si disse che non sarebbe stata la prima volta che Derek gli faceva del male. Poteva sopportarlo, lo stava facendo per lui.

Quando Derek aprì la porta del loft, l’espressione con cui lo accolse gareggiava con quella che aveva stampata in viso quando gli aveva detto che gli avrebbe squarciato la gola con i suoi stessi denti: fronte aggrottata, sopracciglia strette tra loro e linea della mascella dura. A giudicare dagli occhi con cui lo guardava, stava pensando ad un’altra maniera fantasiosa e violenta per ucciderlo, o quantomeno per minacciarlo. Stiles si sentì il cuore piombargli nello stomaco, mentre si ricordava di quando Derek lo osservava con gli occhi pieni di fiducia sul patio di casa Hale, o con il mento appoggiato sul suo petto quando erano sdraiati sul letto del loft.

“Che vuoi, Stiles?” domandò Derek vedendolo tentennare.

“Ehi,” rispose, ostentando una finta allegria, “Sono venuto a, uhm, vedere come stavi.”

Era vero, anche se era stata una frase blaterata sotto l’influsso dell’ansia e nel tentativo di alleggerire un po’ l’atmosfera. Voleva mettere Derek al corrente dei fatti, ma voleva anche assicurarsi che stesse bene ed aveva detto a Scott che sarebbe stato lui ad assumersi l’ingrato compito di infilarsi nella tana del lupo incazzato solo per potersene accertare di persone. Era il suo Derek, quello.

“Come sta Kira?” chiese Derek cupo, in tutta risposta, ignorando completamente il suo interesse per lui.

Ohi, questo faceva male.

“Sta bene,” rispose sospirando, “L’abbiamo riportata a casa. Vuoi davvero parlarne sul pianerottolo, amico?” ribatté Stiles, visto che Derek sembrava non avere nessuna intenzione di farlo entrare. Che problemi avevano quel giorno gli Hale con l’ospitalità?

“Perché non è venuto Scott?” domandò Derek facendolo entrare. Poi, senza aspettare una risposta, mentre era ancora di spalle e gli faceva strada dentro il loft, gli chiese, “Che vi ha detto Peter?”

“Abbiamo scoperto chi ha lanciato l’incantesimo,” disse Stiles, ripassando a mente le informazioni che avevano raccolto quel giorno. Derek gli lanciò un’occhiata interrogativa. Che ne era stato della comunicazione tra lui e Derek?

“È stata una nostra compagna di classe,” spiegò.

“C’è una strega nella vostra scuola?” domandò Derek, lasciando trasparire un po’ di preoccupazione nella voce.

“No, no,” gli rispose muovendo le mani in senso di diniego, “Ha cercato l’incantesimo sul dannato Google e ha seguito un procedimento banalissimo, ma a quanto pare casa sua si trova su un cazzutissimo cimitero degli angeli caduti, un antico luogo magico, e questo ha attivato l’incantesimo in modo del tutto casuale.”

“Il cimitero irlandese?” intervenne Derek e Stiles annuì.

“Tra l’altro, Kira ha regalato una penna a questa Margaret quando è stata a casa sua, e quindi l’incantesimo si è concentrato su Kira anziché su di lei.”

“Kira non mi aveva detto di essere stata da quelle parti, strano,” disse Derek, come sovrappensiero. Stiles si domandò quale fosse l’esatto funzionamento di quell’incantesimo. Derek aveva dei ricordi di sé e Kira? Erano fondati su ricordi reali o erano del tutto stati creati dall’incantesimo? E di Stiles che ne era stato?

“Aspetta, qual era l’intento esatto dell’incantesimo? Qualcosa non quadra, perché Kira si è dimenticata di me?" gli domandò Derek. E, nonostante stesse cercando di essere il più impassibile possibile, Stiles poteva vedere che la situazione lo stesse mettendo a disagio.

“Derek,” Stiles prese un sospiro e si massaggiò le tempie, “Sei tu quello colpito dall’incantesimo,” e prima lo capisci, prima forse riusciamo ad arrivare da qualche parte, aggiunse mentalmente. In tutta risposta, Derek gli ringhiò contro.

“No, no, davvero,” Stiles si indicò il petto, per farlo concentrare sul suo battito e convincerlo che non mentiva, “Sei tu quello colpito dall’incantesimo.”

“Non cercare di confondermi le idee, Stiles,” ringhiò di nuovo Derek avvicinandoglisi minaccioso.

“Derek, Kira sta con Scott,” insisté, guardandolo negli occhi e continuando ad indicarsi all’altezza del cuore. Derek lo spinse contro il muro e Stiles gemette.

Voleva tornare a casa, addormentarsi e scoprire che tutto era stato un brutto sogno, perché il rapporto tra lui e Derek era tornato indietro di anni. E l’ultima volta che si era trovato in quella posizione con Derek era stato per motivi molto, molto più piacevoli. Erano le stesse persone, nella stessa posizione, ma con sentimenti completamente diversi. Stiles realizzò che forse sarebbe stata l'unica occasione che avrebbe avuto di avere Derel così vicino da sentire il suo fiato sulle labbra.

“Non ho paura di te,” gli disse, “Puoi minacciarmi quanto vuoi, ma accanirti contro l’incantesimo non ti aiuterà a tornare te stesso,” concluse battendogli il dorso della mano sulla spalla. Derek guardò la sua mano come se il solo contatto con Stiles fosse un affronto e Stiles abbassò per un attimo lo sguardo, ripensando alle volte in cui avevano guardato un film stesi insieme sul divano, alle volte in cui Derek lo cercava inconsciamente nel sonno, a quando gli aveva messo della crema solare sulle spalle, prendendolo in giro senza pietà, dopo che con Scott si erano allenati a lacrosse sotto il sole cocente.

“Ti fidi di me, Derek?” chiese d’un tratto, sollevando lo sguardo e ancorandolo a quello di Derek, con tono del tutto serio. L’espressione di Derek non si ammorbidì, e per qualche secondo lo tenne ancora contro il muro, come per valutarlo. Non rispose, ma lo lasciò andare e gli diede le spalle. Stiles lo prese come un no.

“Vattene, Stiles,” gli ordinò, senza girarsi verso di lui. Senza dire una parola, Stiles obbedì.

-

Quando Stiles si svegliò il giorno dopo, la prima cosa che decise di fare fu mandare un messaggio a Lydia.

Ho avuto quest’incubo, in cui il mio ragazzo era innamorato di un’altra persona e io litigavo col mio migliore amico. Mi sono svegliato?

La risposta arrivò velocemente.

Mi dispiace :(

Sospirò e si alzò dal letto. Non ci aveva creduto nemmeno per un secondo alla storia del brutto sogno. Il suo telefono vibrò di nuovo.

Io e Margaret ti aspetteremo da me tra quaranta minuti. Andiamo a capire come riattivare la tua vita sessuale ;)

Stiles sbuffò, ridendo, e andò a lavarsi per prepararsi e andare a prendere le ragazze. Si incontrarono con Scott e Kira davanti allo studio di Deaton.

“È già arrivato, ci aspetta dentro,” comunicò Scott. Appena entrati nella sala d’aspetto, raccontarono in breve a Deaton quanto avevano scoperto dalla visita a Peter. Deaton annuiva durante il loro racconto, segno che quanto stavano dicendo per lui aveva senso, quindi potevano almeno dire di non essere stati raggirati da Peter. Margaret, seduta su una delle sedie di plastica, tra Kira e Lydia, li ascoltava con gli occhi spalancati, come se non sapesse se essere incredibilmente eccitata o spaventata da quello che stavano dicendo.

“Quindi tu hai lanciato l’incantesimo,” disse Deaton rivolgendosi a Margaret, che arrossì.

Lei annuì con la testa e si affrettò ad aggiungere, “Non volevo fare danni.”

“Ti crediamo, Margaret,” la rassicurò Deaton con tono conciliante, “Hai notato qualcosa di strano nell’eseguire l’incantesimo?”

Lei sollevò gli occhi, pensierosa, e Deaton la invitò a prendersi qualche secondo e pensarci bene.

“Alla fine dalla penna è comparsa una scintilla,” rispose e Deaton annuì, “E poi,” si interruppe, “No, okay, non so quanto possa essere rilevante, ma,” sollevò la mano sinistra, “Le istruzioni dicevano di usare la mano del potere per accendere l’incenso e il carbone, e io ho usato la mano sinistra, ma è stato molto scomodo.”

“La mano del potere di solito è quella che usi per scrivere e per compiere la maggior parte dei gesti,” spiegò Deaton, “Sei mancina?”

Lei scosse la testa, “Sono ambidestra.”

“Metti le mani palmo contro palmo e poi intreccia le dita,” la istruì Deaton, e lei eseguì, “Vedi? Il tuo pollice destro sta sopra il pollice sinistro, significa che la destra è la tua mano del potere.”

Lei si guardò le mani interdetta, sembrava quasi che le vedesse per la prima volta, “Potrebbe avere influito?”

“Visto che hai usato una penna che non ti apparteneva, usando l’altra mano hai probabilmente fatto dono dell’incantesimo a Kira, che era la proprietaria dell’oggetto usato,” rivelò Deaton, “E quindi l’incantesimo ha cercato tra la cerchia di Kira una persona che corrispondesse al tuo desiderio.”

“Inoltre,” disse poi, lanciando un’occhiata d’intesa agli altri, “Forse l’incantesimo ha avuto effetto solo perché erano coinvolte due persone con determinate caratteristiche.”

Creature magiche, dedusse Stiles. Una kitsune e un lupo mannaro. C’era una possibilità che, se Margaret avesse beccato la mano giusta, tutto ciò non sarebbe successo. O sarebbe successo a qualcun altro, pensò, e forse era meglio così. Almeno loro sapevano come reagire di fronte agli scherzi del sovrannaturale. Più o meno.

“E come facciamo a spezzare l’incantesimo?” intervenne Kira, mentre Scott, in piedi accanto a lei, sembrava essere in silenzio stampa, “Peter ha detto che potrebbe bastare un bacio del vero amore.”

Stiles roteò gli occhi. Se avesse sentito di nuovo quella combinazione di parole avrebbe vomitato. La sua vita era diventata la storia di Biancaneve.

Deaton annuì, “Potrebbe, in questo tipo di incantesimi la magia lavora molto sulla psiche, diciamo,” si picchiettò un labbro con un dito, “Sapete se per caso Derek ha una fidanzata o qualcosa del genere?”

Stiles si schiaffò un palmo sul viso, prima o poi si sarebbe causato un danno cerebrale. Sollevò una mano, come per dire “Presente,” dopo che tutti si furono voltati a guardarlo, “Sì, sì, per favore, velocizziamo la parte imbarazzante.”

“Questa è nuova,” disse Deaton continuando a restare impassibile, nonostante la manifestazione di stupore.

“Il bacio non ha funzionato,” si affrettò a dire Stiles.

“È successo prima o dopo la luna nuova?” chiese Deaton incrociando le braccia.

“Prima,” rispose Stiles senza pensarci, “Dopo Derek non sarebbe stato molto incline.”

“A questo proposito,” continuò poi Stiles, dando voce ad una domanda che gli gironzolava da un pezzo per la mente, “Credevo che la magia non potesse creare sentimenti così, dal nulla, che dovesse agire su delle basi,” spiegò, e, da come lo stava guardando, capì che Kira era riuscita a intuire la domanda dettata dalla sua insicurezza.

“Infatti,” Deaton assentì, “Ma in questo caso è presto detto: i sentimenti di Derek per Kira non sono nati dal nulla,” Scott e Stiles lanciarono delle occhiate ad una Kira rossa d’imbarazzo, “È probabile che dei sentimenti già esistenti siano solo stati deviati verso Kira.”

Tutti e tre tirarono un sospiro di sollievo. Se non si fossero saltati addosso a vicenda prima della fine di quella storia, sarebbe stato un puro miracolo.

“Derek si ricorda di te?” gli domandò Deaton, e lui annuì.

“Cioè, sa chi sono, ma non ha dato segni di ricordarsi…” fece un gesto vago, “Del resto.”

“Dovete capire come l’incantesimo ha agito sulla sua mente,” spiegò Deaton, “Se il tuo posto nella sua vita è stato rimpiazzato da Kira, se ha creato dei ricordi nuovi…”

“Oh, sì, buona fortuna,” rispose Stiles con una risata amara, “Ieri sera sembrava più incline a squarciarmi la gola, non credo abbia molta voglia di confidarmi le sue pene d’amore. Mi maltrattava come ai tempi migliori.”

“Sei stato da lui ieri?” gli chiese Lydia, e lui rispose con un cenno della testa.

“Be’,” esordì Deaton, “Questo a dire il vero potrebbe essere positivo.”

“In che modo?” domandò di nuovo Lydia, mentre lui si lasciava cadere sulla sedia accanto a lei. Questa voleva sentirla. Come poteva essere positivo che Derek volesse aprirlo in due e senza doppio senso sessuale nascosto?

“Se l’incantesimo ha riportato il rapporto tra Stiles e Derek agli inizi, cancellando i ricordi di Derek relativi alla loro relazione, potrebbe significare che la magia vede Stiles come una minaccia alla buona riuscita dell’incantesimo stesso.”

Stiles spalancò la bocca. Quella era… l’informazione più contortamente confortante che avesse ricevuto in due giorni. Il fatto che adesso la sua sola esistenza sembrasse essere motivo di irritazione per Derek, poteva significare al contrario che Derek fosse davvero innamorato di lui. Grandioso.

“Ad ogni modo,” riprese il filo del discorso Deaton, “Potrebbero esserci due teorie per spiegare perché il bacio non abbia spezzato l’incantesimo. Per prima cosa, questo ha iniziato ad agire nella sua vera natura solo dopo la luna nuova.”

Ovvio, pensò Stiles, la sua speranza di avere altre informazioni confortanti si era subito dissipata.

“Non ci sono speranze che questo Derek voglia provare a baciarmi di nuovo,” disse incrociando le braccia. E non stava tenendo il broncio.

“È lo stesso Derek di prima,” gli disse Lydia, “Se lo hai convinto a farlo la prima volta, potrai riuscirci di nuovo.” Stiles le fu grato per la fiducia che aveva in lui e Derek.

“Sembra che in tutto questo debba esserci un ma,” intervenne Scott. Oh, non era diventato muto, allora, “Qual è la seconda teoria?”

Deaton guardò il cielo fuori dalla finestra, “La prossima sarà una luna piena al perigeo,” rispose, e tutti lo guardarono in maniera interrogativa.

“Significa che la luna sarà alla distanza minima dalla terra,” disse Lydia, “Una super luna.”

“Molto bene, Lydia,” annuì Deaton, “Sarà una super luna o luna gigante, è un fenomeno che si verifica poche volte l’anno.”

“Credevo che la distanza tra la terra e la luna fosse sempre la stessa e che fosse tutto un effetto ottico,” si intromise Stiles, pensando ad una discussione che lui e Derek avevano avuto mesi prima davanti alla casa degli Hale.

“Quando a distanza di poche ore la luna ti sembra più grande o più piccola, è colpa dell’effetto ottico, sì,” confermò Deaton, “Ma l’orbita della luna attorno alla terra è ellittica, ci sono dei periodi in cui è effettivamente più vicina.”

“Nelle istruzioni che ho seguito, si diceva che sarebbe stato preferibile effettuare l’incantesimo quando la luna era crescente,” ammise timidamente Margaret.

“Sì, gli incantesimi d’amore funzionano meglio quando la luna è in divenire,” spiegò Deaton, “Quando la Luna, la Terra ed il Sole sono quasi in linea retta, il fenomeno viene detto sizigia, che significa unito, accoppiato, per questo ha influenza proprio su questo tipo di incantesimi.”

“Sizigos in greco moderno significa coniuge,” intervenne Scott, e per un attimo tutti lo guardarono a bocca spalancata, “Che c’è?” chiese facendo spallucce in segno di difesa, “Anche io posso sapere cose del tutto casuali che voi non sapete.”

Stiles sorrise. Scott era sempre il solito.

“In filosofia il concetto di sizigia è anche associato agli opposti che si attraggono, l’unione di ciò che dovrebbe essere del tutto impossibile da unire,” intervenne Lydia, interrompendo il momento di gloria di Scott, “E credo proprio che sia questo il caso,” aggiunse guardando Stiles con un sorrisetto ironico. Se non erano opposti lui e Derek.

“Sì, la sizigia indica la completezza, la compensazione, l’unione psicologica, fisica, sociale in nome, per quanto banale possa suonare, dell’amore,” spiegò Deaton e Stiles si sentì girare la testa. Tutto iniziava a suonare molto confuso.

“Può essere anche una metafora sessuale, o dell’amore sessuale,” sussurrò Lydia, battendogli una mano sul ginocchio. Lui arrossì.

“E cosa c’entra tutto questo con noi?” domandò Scott, roteando gli occhi.

“La luna alla sua piena potenza potrebbe rafforzare particolarmente gli incantesimi d’amore,” rispose Deaton, “Ma, allo stesso tempo, potrebbe favorire la ricerca di compensazione, e quindi ricongiungere gli amanti, se destinati.”

“Mi pare di capire che debba fare qualcosa io, in tutto questo,” disse quindi Stiles, massaggiandosi le tempie. Si sentiva già un gran mal di testa, “Non esiste un controincantesimo? Una pozione?”

“Farò delle ricerche,” rispose Deaton, “Ma data la semplicità della magia, la poca esperienza della strega,” Margaret fece un versetto nel sentirsi chiamare strega, “E l’influenza benevola che potrebbe avere la luna, è plausibile che il metodo tradizionale funzioni.”

Stiles lo guardo interrogativo.

“Credo intenda il bacio,” gli disse Kira, e a lui sembrò che fosse molto affezionata all’idea della soluzione romantica.

“Oh, certo, sarà come bere un bicchier d’acqua,” rispose ironico.

“Potrebbe volerci qualcosa di più profondo,” riprese Deaton, e Stiles gli lanciò un’occhiataccia, “In senso psicologico. Potresti doverlo fare innamorare di nuovo.”

Oh, certo, perché la prima volta lo aveva fatto apposta. Aveva creato un piano, con tanto di mappe e grafici.

“E se non fossimo amanti destinati e la luna e il perigeo ci facessero un baffo?” domandò infine.

“Passeremo alle alternative,” lo rassicurò Deaton, “Ma dopo la luna sizigia al perigeo.”

-




Note finali: Come dicevo a Graffias, quel poco di scholar che è rimasto in me, mi impone un minimo di bibliografia per questo capitolo XD

Dunque, come scoprire la “mano del potere” l’ho trovato pure gironzolando su internet, mentre altre cose me le sono inventate di sana pianta.

Gli “angeli caduti” sono legati al mito irlandese dei Tuath De Danan e ne parla Yeats in una raccolta che in italiano ha il titolo di “Fiabe irlandesi”. Io ho girato un po’ la cosa come mi pareva.

Per quanto riguarda la luna sizigia, ammetto di aver usato principalmente Wikipedia. Poi blablavo con una mia amica su tutta questa storia e lei, che è mezza greca, mi ha detto “non so di cosa tu stia parlando, ma in greco sizigos significa coniuge” e io mi sono illuminata. La sizigia ho scoperto che esiste davvero anche in filosofia, in Jung (il concetto di opposti che si attraggono, come yin e yang) e in particolare ho riso molto scoprendo che il concetto è presente in un filosofo russo, che si chiama Vladimir Sergeevič Solov’ev e mi sono messa a cercare fonti in russo, che ho bellamente distorto a mio piacimento, perché a un certo punto si iniziava a parlare di Gesù Cristo e non mi pareva il caso. Ad ogni modo, cercando sui motori di ricerca russi il filosofo in questione, viene definito il “filosofo dell’amore” e viene citato qua e là nei siti di aforismi rrrromantici, quindi okay. Era destino.

Fine della bibliografia :D non è tutto scientificamente provato quello che dico, ripeto che l’ho un po’ distorto, all’occorrenza, ma :D




Ah!
Cosa importanterrima: La prossima luna sizigia al perigeo è domani notte! Ho faticato per finire il capitolo entro il 10, e poi ho dimenticato di dirlo! Guardatela, soprattutto se quando sorge siete nei pressi del mare! Il mese scorso era quasi al perigeo ed io ero al mare, è stato uno spettacolo, all'alba lunare era anche rossa!

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Capitolo 4
*** Luna crescente (seconda parte) ***


Note iniziali: Anche stavolta, mi scuso per averci messo tanto a scrivere e ringrazio chi ha letto/recensito/messo la storia nelle varie liste del sito! Vi auguro tanti sogni Sterek!

E, soprattutto, grazie alla magica Graffias, che si è sorbita tutte le bozze della storia ed è stata tanto paziente con la mia psicopatia *regala limonate Sterek* (p.s.: la ricompensa mi spetta ancora o ci ho messo troppo? XD)

Questo è definitivamente l’ultimo capitolo (stavolta per davvero)! Spero che non abbiate la glicemia alta, in genere, perché ho deciso che volevo dare fondo al miele e un po’ mi vergogno (non è vero, mi vergogno TANTO) per essere stata tanto sdolcinata. Diabete.




4. Luna crescente

(seconda parte)




Nove giorni alla luna piena

Stiles non aveva conquistato Derek. Non si era svegliato una mattina e deciso che voleva stare con lui, e non aveva nemmeno messo in scena un corteggiamento, quando si era reso conto di volere sempre più Derek nella sua vita. Tutto era cominciato quando, dopo l'esperienza del nogitsune, aveva sentito la necessità di ricostruire gli eventi che, nella sua testa, erano ancora confusi e poco nitidi. Avrebbe voluto parlare con Scott, o anche con Lydia, ma loro avevano il lutto di Allison da elaborare, e lui non voleva essere un ulteriore peso. Isaac era andato in Francia con Chris Argent, Danny era partito, suo padre era fuori discussione, e lui aveva incontrato Derek, un giorno, mentre passeggiava senza meta per pensare. Derek aveva capito le sue necessità ed era stato discreto, aveva dimostrato quasi una certa delicatezza di cui non lo avrebbe creduto capace. E Stiles gli aveva confessato tante cose, mentre Derek lo ascoltava, annuiva, ed interveniva solo in maniera opportuna.
Quando aveva iniziato a sentirsi un po' più se stesso, aveva continuato ad andare da Derek, aveva iniziato a fargli delle domande sul sovrannaturale, tantissime sui licantropi, cose che gli gironzolavano per la testa da quando Scott era stato morso e lui era stato preso da una curiosità insaziabile, spesso per cose a cui nemmeno l'onnipotente Google sapeva dare una risposta. I lupi mannari provavano dolore? Più o meno degli esseri umani? Tendevano ad accoppiarsi per la vita come i veri lupi? Esistevano branchi misti? Perché ululavano esattamente? Da quanto nella sua famiglia c'erano lupi mannari? Chi era stato il primo e come ci era diventato? Roba così.
Capitava che Derek non sapesse rispondergli e Stiles restava stupito quando, qualche giorno dopo, Derek tornava con le informazioni che Stiles gli aveva chiesto. La prima volta che era successo, Derek aveva fatto spallucce ed aveva detto che non ci aveva mai pensato, ma che la domanda era interessante anche per lui. Piano piano, si erano insinuati l'uno sotto la pelle dell'altro e, prima di rendersene conto, Stiles si era preso una sbandata. Forte.
Insomma, Stiles non poteva vantare grandi esperienze di conquista attiva. L’unica persona che avesse provato a conquistare con consapevolezza era stata Lydia, e tutti sapevano com’era finita quella storia. E dubitava che comprare dei gioielli e dei palloncini per Derek gli avrebbe dato qualche chance. Quindi aveva provato a fare delle piccole cose per lui, sperando di fare centro.

“Gli hai regalato della frutta?” domandò Lydia, quasi scandalizzata, seduta sul suo letto a gambe accavallate in casa Stilinski. Il risultato del suo selvaggio corteggiamento di Lydia era stato ritrovarsela in camera sua che lo prendeva in giro e dubitava di come stesse cercando di riprendersi il suo ragazzo.
“A Derek piacciono le arance!” si giustificò Stiles, mettendo le mani davanti a sé come in segno di difesa, poi prese a muoversi avanti e indietro sulla sua sedia con le ruote.
“La prossima volta cosa gli regalerai? Un cammello?”
Stiles si passò le mani sul viso, esasperato. Non era abituato a stare dall'altra parte, ad essere l'oggetto di una frecciatina sarcastica. Lui non era bravo a corteggiare, che poteva farci?
“Scherzi a parte,” riprese Lydia e si sdraiò indietro sui gomiti, cosa che le fece cadere un ciuffo di capelli sul viso. “Sei sempre stato così accondiscendente con lui?”
Stiles serrò la mascella, interdetto, “Che vuoi dire?”
“Non so,” rispose Lydia, e si scostò i capelli dalla guancia con la punta delle dita, “Gli fai regali, gli fai scegliere i film, se ti dice di andartene te ne vai, sei così arrendevole,” fece spallucce, “Non mi sembra nel tuo stile.”
Sì, Lydia non aveva tutti i torti, ma Stiles stava tentando di farsi apprezzare. Non era facendo cose carine che si otteneva quel risultato? “Che dovrei fare, secondo te, scusa?” le domandò, grattandosi la fronte con il pollice.
Lydia arricciò le labbra, guardando verso l'alto, come faceva di solito quando stava riflettendo, “Essere te stesso?”
“Certo,” Stiles sbuffò una risata, “Perché quello ha sempre funzionato, guarda la fila di pretendenti che ho sempre avuto davanti alla porta.”
“Be', con Derek ha funzionato,” constatò lei.
“Con Derek non ci ho nemmeno provato,” rispose Stiles allargando le braccia. Poi prese una penna dalla scrivania e la cominciò a picchiettare sul bracciolo della sedia.
Lydia alzò gli occhi al cielo, “Appunto!”
“Ascolta,” riprese Lydia dopo qualche secondo di silenzio, mettendosi di nuovo a sedere e sporgendosi verso di lui. Per un attimo Stiles pensò che gli avrebbe preso le mani, ma non lo fece, “Quello che so io è che tu e Derek avete sempre avuto un rapporto travagliato...”
Stiles rise, “Travagliato, con Derek, is the new black.”
Lydia lo liquidò con un gesto della mano, “E so che tu gli hai impostato una stupida canzone oscena come suoneria, che lui non ha cambiato.”
“Adesso l'ha fatto,” la corresse accigliato.
“Vuoi smetterla?” lo rimproverò, e Stiles unì pollice e indice e se li passò sulle labbra, da sinistra a destra, imitando la chiusura di una cerniera, “So che quando leggeva i tuoi messaggi, la metà del tempo la passava a roteare gli occhi, ma poi sorrideva.”
Anche Stiles sorrise, intenerito, al pensiero. A volte lo faceva anche lui.
“Io non ti ci vedo a fare lo zerbino come stai facendo adesso, sei pur sempre un trickster.”
Se mi comporto da trickster,” Stiles simulò delle virgolette con le dita, “È la volta buona che Derek mette in atto una delle sue minacce.”
“Trova una via di mezzo,” gli consigliò Lydia, e lui annuì. Forse tutta quella teoria aveva un senso.




Gibbosa crescente - Cinque giorni alla luna piena

Derek avrebbe voluto dire che entrare nel loft e sentire l’odore di Stiles in qualche modo lo aveva stupito, ma non era abituato a mentire a se stesso. Erano giorni che Stiles gli gironzolava intorno, senza un motivo apparente. A volte lo aspettava nel parcheggio del loft, a volte nella foresta, a volte nel supermercato in cui faceva la spesa o nel ristorante tailandese che gli piaceva. Una volta gli aveva portato un caffè da Starbucks (il suo preferito), prima che uscisse per la sua corsa mattutina, un'altra si era autoinvitato a guardare un film (ancora, uno dei suoi preferiti), in un'occasione gli aveva regalato delle arance (ottime, nonostante non fosse stagione – era rimasto incredibilmente interdetto, non riusciva a trovare una spiegazione logica per quel gesto, per quanto si sforzasse). Spesso Derek lo aveva cacciato in malo modo, perché quel comportamento era molesto, e Stiles gli aveva risposto che lui si arrampicava sulle finestre e in più occasioni aveva seguito Scott, con la sua aura da serial killer, peggio di uno stalker mannaro.
Grazie a Dio, ad un certo punto aveva smesso con i regali, ma aveva continuato a comparire con insistenza nelle sue giornate.
Che Stiles non avesse paura di lui era stato chiaro più o meno dalla seconda volta in cui si erano visti e, nonostante lui provasse in tutti i modi a fargli capire quanto la sua sola presenza lo infastidisse, Stiles sembrava essere sempre tra i piedi.
Scott gli era andato da subito più a genio. Scott aveva degli ideali, era uno con la testa sulle spalle, era abbastanza furbo e gli ricordava un po’ se stesso alla sua età. Stiles era solo un inconveniente che non stava mai zitto, era fisicamente debole, sveniva alla vista del sangue e, soprattutto, non faceva mai quello che gli veniva detto. Stiles era piuttosto incontrollabile, a meno di non trattarlo con un minimo di violenza, cosa che lui non si faceva scrupoli a fare. All’inizio aveva anche funzionato: Stiles non aveva paura di lui, ma non ci teneva nemmeno a farsi male. Quando questa situazione idilliaca si fosse interrotta Derek non lo avrebbe saputo dire.
In quel momento, Stiles era tranquillamente sdraiato sul suo divano nuovo e stava leggendo un libro, rilassato e a suo agio come se fosse al suo posto in casa di Derek. Sembrava essere talmente assorto nella lettura da non aver sentito Derek entrare ma, notò dopo, in realtà stava ascoltando della musica con le cuffie. Derek si avvicinò al divano e, in un unico movimento, gli tolse il tomo dalle mani e gli sfilò via le cuffie dalle orecchie.
“Come cazzo hai fatto ad entrare?” tuonò Derek, poi lasciò cadere il libro per terra e incrociò le braccia al petto.
“Ehi, un po’ di delicatezza,” rispose Stiles abbassandosi a prendere il volume, che poi controllò attentamente. “Qualcuno mi ha insegnato a fare lo stalker,” aggiunse poi, e Derek gli ringhiò contro.
“Ho la chiave,” spiegò allora, alzando gli occhi al cielo. Poi strofinò con la manica della maglietta la copertina, come per pulire il libro da polvere invisibile. Era una raccolta d’incantesimi, realizzò Derek leggendo il titolo.
Stiles notò il cipiglio sospettoso che aveva assunto e, alzando di nuovo gli occhi al cielo, gli disse: “Non pensarci nemmeno, non sono stato io a maledirti. Te lo hanno detto anche Scott, Kira, Lydia, Peter e Deaton che è stata una nostra compagna di scuola.”
“Sai che è illegale duplicare le chiavi delle case altrui?” gli chiese senza degnarlo di una risposta.
“Non ho duplicato niente, me l’hai data tu,” Stiles lo guardò dritto in faccia nel dirlo.
Derek rimase interdetto e si domandò, non per la prima volta, quando Stiles avesse imparato a mentire così bene alle sue orecchie. Perché era ovvio che stesse mentendo, solo che il battito del suo cuore era rimasto regolare, seppur veloce, per tutto il tempo.
Derek sapeva che c’erano delle tecniche per aggirare le macchine della verità usate dalla polizia: pronunciando una bugia volontaria si potevano accelerare i battiti del cuore una prima volta, per esempio, così da mantenerli poi alterati per coprire le menzogne successive. Non gli sembrava una cosa oltre le possibilità di Stiles. Molto probabilmente aveva imparato come fare cercando su internet. Non c’era verso, infatti, che Derek, in possesso delle sue piene facoltà mentali, avesse mai dato una chiave di casa sua ad una persona invadente come Stiles. Sarebbe stato da masochisti.
“Sai che non credo ad una parola di quello che dici, vero?” gli chiese, e si allontanò per aprire l’armadio e prendere dei vestiti smessi. Si tolse i jeans stretti che indossava per metterne un paio più larghi e comodi e lo stesso fece con la camicia grigia a maniche lunghe, che sostituì con una canottiera. Solo quando, voltandosi, si ritrovò lo sguardo di Stiles puntato addosso, con gli occhi un po’ spalancati e la mascella serrata, realizzò di essersi spogliato davanti a lui.
Stava per urlargli contro qualcosa, ma una luce negli occhi di Stiles lo fermò. Si erano fatti malinconici e struggenti e gli misero addosso una certa tristezza, come una nostalgia, anziché disagio.
“Ho una cosa da sbrigare,” disse mentre si allacciava le scarpe, e Stiles si mise in ginocchio sul divano, incrociando le braccia sulla spalliera e aspettando che continuasse.
“Quando torno non voglio trovarti qui,” concluse e si avvicinò alla porta per prendere le chiavi della macchina. Notò che non c’erano e si guardò intorno per cercarle.
“Sul letto,” Stiles gli indicò le coperte con un dito, “Le lanci sempre lì e poi te ne dimentichi,” spiegò facendo spallucce e Derek si domandò cosa intendesse con sempre e cosa mai ne sapesse lui. Si abbassò, afferrò un angolo del copriletto e lo strattonò. Poi raccolse le chiavi che, in effetti, erano cadute per terra a quel movimento.
“Vai nella foresta? Vengo con te!” disse Stiles, e Derek alzò gli occhi al cielo. Gli aveva appena detto di sparire, era forse stato poco chiaro? Si girò per ripeterglielo, ma notò che, nonostante il tono sicuro di sé, c’era ancora quello sguardo da cucciolo malinconico sul viso di Stiles e Derek non riuscì a dirgli di no.
“Va bene,” annuì, e vide Stiles alzarsi felice dal divano, con un po’ troppo entusiasmo, “Ma mi darai una mano.”

Derek vide Stiles oltrepassare l’uscio e uscire dalla sua vecchia casa nella riserva, con una grossa scatola di legno in mano. Aveva il viso arrossato e un velo di sudore sulla fronte, il che lo fece sogghignare. La sua intenzione iniziale era stata quella di andare lì, come faceva di solito, e trovare qualcosa da riverniciare per tenersi impegnato. Quella mattina era stato fuori città ed aveva ribaltato un’intera biblioteca per cercare un metodo che spezzasse la maledizione che aveva colpito Kira; aveva trovato qualcosa, ma c’era una mole così grande d’incantesimi d’amore che ci avrebbe messo un pezzo per capire se uno dei libri reperiti potesse servirgli. Quindi, nonostante fosse difficile concentrarsi su altro, aveva pensato di liberare un po’ la mente con del lavoro manuale. Quando poi Stiles si era infilato nel suo piano, aveva scelto di prendersi una piccola vendetta e farsi aiutare a trasportare fuori delle cianfrusaglie bruciate ed ormai inservibili che aveva conservato dentro degli scatoloni per buttarle e liberare la casa, nel caso in cui avesse voluto seriamente restaurarla un giorno. Aveva fatto fare la maggior parte del lavoro pesante a Stiles, che si era prodigato nelle lamentele più fantasiose, e non si sentiva per niente in colpa.
Mentre lo vedeva scendere i gradini del patio con l’ultimo scatolone in mano, però, Derek fu colto da un attimo di compassione, quindi gli si avvicinò e gli chiese di passarlo a lui, così da poterlo caricare in macchina. Piegò leggermente le gambe per afferrarlo dal fondo e toglierglielo dalle mani, e sollevò casualmente lo sguardo verso Stiles. Quando incrociò i suoi occhi, ebbe una sensazione fortissima di déjà-vu, e anche Stiles inspirò stupito. Non aveva realizzato quanto gli si fosse avvicinato, curvandosi per prendere il carico. Stiles aveva il respiro affannato per lo sforzo, un velo di traspirazione sul labbro e una traccia di sporco sotto lo zigomo, dove probabilmente si era passato una mano.
Rimasero a lungo a guardarsi, e Derek pensò che avrebbe dovuto provare un certo disagio nell’essere così vicino a Stiles, come quando gli si era spogliato davanti. Solo che, entrambe le volte, non aveva sentito nulla del genere, solo una strana sensazione all’altezza del petto e una malinconia struggente. Si allontanò di scatto, scuotendo la testa e cercando di riacquistare lucidità.
Alle sue spalle, Stiles trasse un respiro profondo, ma non disse nulla.
“È per questo che mi stai sempre tra i piedi?” chiese a Stiles, colto da un’improvvisa idea, mentre caricava la scatola in macchina. Stiles lo guardò stranito, senza capire la domanda. “Stai cercando di farmi credere che sono… che i miei sentimenti sono per te e non per Kira?”
Capì di aver fatto centro quando Stiles abbassò lo sguardo, imbarazzato.
“Sai bene che la magia non può creare sentimenti dal nulla,” rispose Stiles passandosi una mano sul viso e sporcandosi ancora di più, “Noi stavamo-“ si interruppe, “Stiamo insieme, ma la magia ha sostituito Kira a me nei tuoi ricordi. Come pensi che abbia la chiave di casa tua? E che sappia che perdi le chiavi della macchina?”
Derek ringhiò, “Non cercare di confondermi le idee,” lo ammonì.
“È la verità, Derek!” disse Stiles accalorato e fece un passo indietro sulle scale, “È qui che ci siamo baciati la prima volta," indicò il gradino sotto i suoi piedi, "Vuoi dirmi che non te lo ricordi per niente?”
Derek chiuse il cofano dell’auto, sbattendolo con eccessiva forza. Certo che se lo ricordava. Solo che non era Stiles che aveva baciato lì.
“Non esiste un universo in cui io possa volerti anche solo toccare,” rispose a denti stretti e sentì che Stiles sussultava a quelle parole. “Sali in macchina, prima che decida di lasciarti qui,” gli ordinò mentre apriva la portiera del lato di guida.
Contrariamente a quanto fatto all’andata, Stiles non disse una parola per tutto il tragitto. Rimase in silenzio a guardare fuori dal finestrino, con un gomito poggiato sullo sportello ed una mano chiusa a pugno a sostenersi la testa. Quando raggiunsero il parcheggio di casa sua, Derek pensò che Stiles se ne sarebbe andato senza salutare, invece si voltò un’ultima volta, prima di incamminarsi verso la sua jeep.
“Ti manca?” gli domandò e Derek restò interdetto, “Kira, dico. Ti manca?” ripeté Stiles.
Derek annuì, “Da matti,” confessò, stupendosi di essersi lasciato sfuggire una dichiarazione così sincera. Non era la prima volta che gli succedeva, in quei giorni. Un attimo prima Stiles diceva qualcosa che lo faceva andare su tutte le furie e gli faceva venire voglia di rompere qualcosa, per evitare di rompergli un osso. E un secondo dopo una scintilla nei suoi occhi, nel modo in cui lo guardava gli faceva ammettere cose che non avrebbe voluto ammettere, o gli faceva accettare di fare cose che non avrebbe voluto fare.
“Per adesso questo mi basta,” disse Stiles con un filo di voce, “Perché anche tu mi manchi da matti,” mormorò tra sé e sé.



Stiles accostò sul ciglio della strada, dopo aver guidato in modo quasi automatico per qualche minuto. Spense il motore e poggiò la testa sul volante, con un lungo sospiro. Si ripeté mentalmente che non si sarebbe autocommiserato, anche se la tentazione era forte, per quello che aveva detto Derek, perché non era stato lui a parlare, ma lo stupido incantesimo.
Si fece forza tenendo a mente che, secondo Deaton, la forza con cui Derek lo rifiutava era segno che l'incantesimo lo vedesse come una minaccia da combattere. Inoltre, c'era un'altra cosa che non gli dava pace e che lo faceva sentire patetico all'inverosimile. Si sfilò il telefono dalla tasca e cercò il numero di Scott. Picchiettò un dito sul finestrino, nervoso, mentre i suoni lenti e regolari del telefono in attesa di una risposta.
“Ehi,” lo salutò quando sentì la voce di Scott, “Volevo chiederti... Che ne diresti se andassimo da Derek, domani stasera? No, non io e te, no, non è successo nulla. Vorrei chiedere a Kira, perché...”, farfugliò.
“È solo che...” Stiles fece una pausa e si batté di nuovo la testa contro il volante, “Non ce la faccio a vedere Derek così,” ammise. “Con me è sempre incazzato, ma quando pensa che non lo stia guardando si vede che si sente uno schifo.”
“Dimmi che ho capito male, Stiles. Vuoi che porti la mia ragazza a casa del tuo ragazzo – che mi hai tenuto nascosto per mesi - che in questo momento crede di essere innamorato di lei?”
Stiles fece una smorfia, detta così sembrava la trama di una pessima telenovela.
“Scott, mettiti nei suoi panni,” disse esasperato, “Gli stiamo dicendo che non può fidarsi di se stesso, che crede fieramente in un'illusione. Che l'unica persona che vorrebbe accanto all'improvviso non lo vuole più. Noi stiamo lavorando insieme come branco, mentre lui è da solo controdi noi.”
“Al massimo è da solo contro se stesso,” rispose Scott, secco.
“Il che è ancora peggio,” insisté Stiles e sentì Scott sospirare dall'altra parte della linea.
“Okay, okay, parlerò con Kira, è una sua decisione,” acconsentì Scott, poi aggiunse, “Ma vengo anche io, vieni anche tu e viene anche Lydia. Diventa una riunione di branco, una cena tra amici, quello che vuoi, ma è una cosa di gruppo.
Stiles annuì vigorosamente, come se Scott potesse vederlo, “Certo, certo, amico, fantastico!”
Dopo aver chiuso la chiamata, Stiles lanciò il telefono sul sedile accanto a sé e sì guardò intorno. Era solo, sul ciglio di una strada totalmente buia - se non fosse stato per i fari della sua jeep -, il suo ragazzo sosteneva che non ci fosse un universo in cui lo avrebbe toccato volontariamente, il suo migliore amico era incazzato con lui e lui si sentiva del tutto misero.
Quando, circa mezz’ora dopo, mentre rientrava in casa, il telefono gli notificò un sms di Scott che diceva Kira dice che va bene, ci vediamo domani sera alle 7 da Derek. Avvisa tu Lydia, non seppe se essere entusiasta o depresso all’inverosimile per ciò che lo attendeva.



Tre giorni alla luna piena

Se c’era una cosa che Stiles aveva imparato negli ultimi tempi era che, quando si trattava di Derek, era meglio anticipare le sue mosse e metterlo di fronte al fatto compiuto, senza tergiversare. Per questo motivo, nel tardo pomeriggio, poco prima del tramonto, aveva lasciato la jeep in uno spiazzo piuttosto distante ed aveva raggiunto a piedi casa Hale. Era entrato, con un grande cigolio di porte, ed aveva salito le scale fino alla soffitta; poi aveva aperto la botola che portava sul tetto e, non senza poche difficoltà, si era arrampicato sulle tegole annerite.
Di solito era Derek che lo aiutava a salire lì sopra, prendendolo in giro per la sua incapacità di coordinare braccia e gambe; a volte, nel farlo, si beccava anche qualche gomitata o qualche ginocchiata e Stiles gli intimava di non lamentarsi troppo, dicendo che era volere del karma e quindi, per un motivo o per un altro, se li era meritati. Più tardi, quando erano entrambi sdraiati sul tetto col naso all’insù, Stiles si girava e baciava Derek nell’esatto punto in cui lo aveva colpito. Se Derek aveva capito il suo schema, non lo aveva mai detto, ma lo attirava sempre a sé e gli poggiava, di rimando, le labbra sulla tempia.
Quella sera, però, Derek non era con lui e sarebbe stato fortunato se non lo avesse buttato giù dal tetto una volta arrivato. Il minimo che si aspettava era una minaccia e, per quella, si sentiva più o meno pronto.
Si sdraiò, respirando l’odore familiare di legno bruciato e umido, e guardò il cielo. Negli ultimi giorni la temperatura si era un po’ abbassata e ogni tanto delle nuvole attraversavano il cielo, ma ancora non si era vista nemmeno una goccia di pioggia. In quel momento la gibbosa crescente era nascosta dietro una nube e lui, sospirando, pensò che era un po’ grato, perché il solo pensare alla luna, in quei giorni, lo faceva sentire uno schifo.
Si irrigidì quando sentì un rumore arrivare dall’interno della casa e dovette farsi forza per non scattare a sedere. Non c’era nessuna probabilità che Derek non avesse in un modo o nell’altro percepito la sua presenza, e lui, nonostante i battiti furiosi del cuore lo tradissero, si impose di dimostrarsi calmo ed impassibile mentre lo aspettava. Rimase immobile, mentre Derek si arrampicava sul tetto, senza degnarlo di uno sguardo e senza nemmeno dar segno di averlo visto. Derek si stese dall’altra parte della botola, mettendo una certa distanza tra lui e Stiles, al contrario di quanto faceva di solito. Incrociò le gambe e si mise le mani dietro la testa, restando poi in silenzio, come se fosse stato da solo. Stiles ogni tanto, con la coda dell’occhio, gli lanciava delle occhiate e gli sembrava quasi di vedere una stupida statua di marmo, con gli occhi fissi verso il cielo, rigida e immobile. L’unica differenza era che Derek emanava inequivocabilmente calore, anche a una certa distanza. Era un insieme di muscoli e sangue pulsante e Stiles non sarebbe riuscito in nessuna circostanza a definirlo freddo.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato – minuti, o anche ore - quando Derek aprì la bocca per parlare.
“L’incendio è stato otto anni fa esatti,” lo sentì sussurrare Stiles e dovette stringere i denti per non girarsi verso di lui. Decise di prendere come un buon segno il fatto che la prima parola che gli aveva rivolto non fosse un insulto.
“Lo so,” disse Stiles annuendo appena con la testa.
“Vengo qui ogni anno,” continuò Derek, ignorando la sua risposta, come se non lo avesse sentito affatto.
“Lo so,” ripeté lui fermamente.
“Anche per l’anniversario della morte di Laura,” sussurrò ancora Derek, e Stiles assentì, pronunciando le stesse due parole di prima.
“Lo so.”
Dopodiché Derek rimase in silenzio per un altro po’ e Stiles vide con la coda dell’occhio che aveva sollevato la mano destra e con il pollice stava facendo roteare l’anello attorno all’indice. Sollevò lo sguardo e vide la maledetta luna fare finalmente capolino da dietro le nubi. Era senz’ombra di dubbio più grande del solito e lui pensò che fosse proprio coerente con le stranezze della sua vita dover fare a gara con gli elementi celesti.
“Una volta,” prese di nuovo la parola Derek, poi si fermò, con un sospiro, come se si fosse pentito di aver iniziato a parlare, “Una volta ho detto a Kira che tutto va via,” disse con voce incredibilmente ferma e Stiles deglutì per impedirsi di urlargli che lo aveva detto a lui, a lui, maledizione.
“Lei mi ha risposto ‘non io’,” aggiunse Derek, “È evidente che avessi ragione io.”
Stavolta Stiles si voltò, perché quella era una cosa che non riusciva ad accettare. Avrebbe voluto alzarsi, annullare la distanza tra sé e Derek e avvolgergli le braccia attorno alle spalle, affondargli il viso tra i capelli e ripetergli all’infinito che era stato lui a dirglielo, era stato lui a dirgli che tutto andava via, ma che lui non lo avrebbe fatto ed era lui che stava mantenendo la parola data anche in quel momento, che era lì, non era andato da nessuna parte e non se ne sarebbe andato.
Stiles si portò due dita all’attaccatura del naso ed inspirò a fondo per tentare di calmarsi, “L’anello,” disse con un filo di voce, “Conosci la storia dietro quell’anello?” domandò al profilo stoico di Derek, puntando gli occhi sulla sua mano destra.
Derek si irrigidì e Stiles pensò per un po’ che non gli avrebbe risposto, prese fiato per farlo al posto suo, ma la voce di Derek lo interruppe, “Fu un savio a regalarlo ad un grande re, perché le incisioni all’interno e all’esterno erano in grado di rattristare i momenti di felicità e rallegrare i momenti di dolore,” disse corrucciato, continuando a guardarsi le mani.
Stiles annuì, “Tutto passa.”
Passerà anche questo,” completò Derek recitando le parole dell’incisione interna, “Perché mi hai chiesto la storia, se la conoscevi già?”
“Te lo ricordi il nogitsune, Derek?” chiese Stiles a denti stretti, “Te la ricordi la mia scacchiera in cui tu eri il re?”
“Questo non dimostra niente,” ringhiò di nuovo Derek, voltandosi verso di lui con le mani strette a pugno.
“Tu sei il re,” disse Stiles, senza smettere di fissarlo, “E sono stato io a darti quell’anello, proprio perché tu eri dell’idea che ‘tutto va via’.”
Sentì Derek ringhiare e lo vide scoprire i denti, “Ti ho già detto che non voglio ascoltare le tue cazzate.”
“C’è una terza incisione, quasi invisibile, sul bordo,” continuò Stiles imperterrito e si sollevò a sedere.
Nihil transeat,” sibilò Derek.
Nulla passa,” confermò Stiles, “Ed è raro che venga incisa, perché secondo la leggenda il re la vide in un riflesso appena prima di morire, quando davvero nulla passa. Ma io ho voluto che ci fosse, perché io non me ne vado,” Stiles serrò la mascella e si avvolse ostinatamente le braccia attorno al petto, “Non me ne sono mai andato e non me ne andrò adesso, incantesimo o no. E poi,” riprese Stiles, “Ti ho detto che tutto quello che abbiamo vissuto ci ha in qualche modo segnati, anche se a me restano le cicatrici e a te no,” fece un gesto indicandosi il torace, “E quello che abbiamo vissuto non passa, ci ha resi quello che siamo, ti ha reso quello che sei e io non voglio cancellarlo.” Alla fine distolse lo sguardo, sentendosi arrabbiato, stringendo ed allargando le dita che gli tremavano per il nervoso. Dire quelle cose la prima volta era stato difficile, ripeterle in quelle circostanze era devastante.
Aveva dato l’anello a Derek una sera di fine luglio, su quello stesso tetto. C’era un festival musicale a Beacon Hills, lui era stato con Scott ad ascoltare le band e poi, in tarda serata, aveva raggiunto Derek e si erano arrampicati lì sopra per guardare i fuochi d’artificio. Stiles gli si era seduto tra le ginocchia, la sua schiena contro il petto di Derek, gli aveva detto “Ho una cosa per te,” e – con le braccia di Derek attorno a sé - gli aveva sciorinato tutta la storia del re, dell’anello, delle incisioni, vomitando sempre più velocemente le parole per l’imbarazzo. Fino all’ultimo aveva temuto che Derek lo prendesse in giro o che ritenesse un regalo del genere inopportuno. Stile gli aveva anche blaterato che non doveva per forza portarlo, ma che gli bastava che lo tenesse a mente. Derek non aveva risposto, lo aveva fatto voltare e lo aveva baciato così a lungo che alla fine non si era sentito più le labbra. E l’anello Derek non lo aveva mai sfilato.
Per un attimo pensò che le sue ultime parole avessero smosso qualcosa dentro Derek, che aveva spalancato gli occhi ed era rimasto pensieroso. Per un attimo gli sembrò di scorgere quell’espressione con cui lo guardava Derek di solito, la stessa che aveva sul viso la sera in cui si erano baciati per la prima volta.
“Derek?” lo chiamò, allungando una mano verso di lui. Derek la guardò per un attimo, aggrottando la fronte, ma poi il suo viso si contorse di nuovo in una smorfia di rabbia.
“Non cercare di confondermi le idee,” ringhiò Derek – per l’ennesima volta, come un disco rotto - alzandosi a sedere e muovendosi verso la botola.
“Derek, Kira non era nemmeno a Beacon Hills quando ti ho dato quel fottutissimo anello,” disse Stiles passandosi una mano tra i capelli e sperando di riuscire a fermarlo. Era per quello che era andato al concerto insieme a Scott, Kira era partita per il Giappone un paio di giorni prima.
“Me lo ricordo perfettamente, Stiles,” rispose Derek, stringendo le mani a pugno, “Era sera e lei è venuta qui per vedere i fuochi d’artificio,” infilò le gambe all’interno della botola e fece leva con le mani per saltare giù, “Adesso sparisci e vedi di starmi lontano,” gli intimò prima di sparire nel buio della soffitta.
Stiles rimase a bocca spalancata e strinse le dita così tanto al bordo della botola da farsi diventare le nocche bianche e sentire delle schegge di legno insinuarglisi tra i polpastrelli. Sentì la porta d’ingresso che sbatteva con violenza e poi vide Derek inoltrandosi di corsa nella foresta. Si abbracciò le ginocchia e vi poggiò sopra la fronte e rimase lì a dondolarsi pensando a tutto e a niente.


Derek sbatté con violenza la porta e si passò una mano tra i capelli diverse volte, passeggiando nervosamente su e giù per il loft. Non ne poteva più. Era stanco di dover dubitare di tutto e tutti, era stanco di sentirsi dire che provava i sentimenti sbagliati per la persona sbagliata, era stanco di sentirsi dire a chi dovesse tenere e a chi no. E poi c’era Stiles, che sapeva troppe cose, molte più di quante avrebbe dovuto e che cercava di convincerlo di cose che non esistevano né in cielo né in terra. Stiles che, se Derek ci aveva visto giusto, aveva convinto Kira e gli altri ad andare a cena a casa sua.
Scorse con lo sguardo l’interno del loft e si rimboccò le maniche. Doveva pur esserci qualcosa che appartenesse a Kira, lì dentro, qualcosa che potesse dimostrare a Scott, a Stiles e a Kira stessa che non era lui quello sotto incantesimo. Controllò di nuovo il cellulare, ma non c’era nessuna traccia degli sms che si erano scambiati, perché lui li cancellava sempre, per abitudine, per evitare che qualcuno li scoprisse. Sbuffò, pensando a quanto tutta la segretezza stesse complicando irrimediabilmente le cose. Si sedette sul letto, afferrò un cuscino e lo annusò d’istinto, ma lo rilanciò presto sulle lenzuola, con un gesto arrabbiato, perché c’era solo il suo odore. Ormai aveva lavato le lenzuola dalla maledetta mattina dopo il novilunio, ma per giorni erano state impregnate, senza ombra di dubbio, dall’odore di Kira, segno che lei in quel letto ci avesse dormito. C’era anche una borsa con dei suoi vestiti, che non era più tornata a prendere e, per qualche motivo, una maglietta con l’odore di Lydia.
Si alzò in piedi, aprì un armadio e prese a far scorrere le grucce, scrutando con attenzione i jeans e le camicie, ma era tutta roba sua. Allora aprì i cassetti e iniziò a rovistarvi dentro con poca attenzione, spiegazzando qualsiasi cosa vi trovasse all’interno, lanciando un paio di cose senza cura sul pavimento alle sue spalle. Doveva pur esserci qualcosa che indicasse che in quel loft c’era stata spesso un’altra persona insieme a lui, non potevano essere stati così bravi da nascondere gli indizi anche a se stessi. Lanciò per terra il contenuto dell’ultimo cassetto e una polo a righe arancioni e blu attirò la sua attenzione. La prese in mano e si sedette per terra, in mezzo alle ante dell’armadio aperte. Quella decisamente non era sua e non era nemmeno di Kira. Era di Stiles, ed era la stessa che aveva indossato quella volta che l’imbecille lo aveva presentato a Danny come suo cugino Miguel e lo aveva fatto spogliare davanti a lui, quindi c’era la possibilità che fosse finita in un suo cassetto in seguito e lui non se ne ricordasse. Se la portò al viso per annusarla, aveva l’odore del suo detersivo e, sotto sotto, si sentiva ancora l’odore di Stiles. La appallottolò e la buttò per terra con stizza, poi continuò a perlustrare il loft.
Trovò della Burn nel frigo, e sapeva che piacesse sia a Kira che a Stiles, delle curly fries, di cui Stiles andava matto, nel freezer ed un manuale di chimica del liceo nella libreria, che era saltato fuori solo dopo che l’aveva rivoltata da cima a fondo, come se fosse stato lì per parecchio tempo, tanto da essere stato riposto dietro gli altri libri. Si passò di nuovo una mano tra di capelli, con frustrazione. Ricordava di aver avuto Kira a studiare al loft, diverse volte, in un paio di occasioni l’aveva pure aiutata. Aprì il libro e, quando vide il nome Stiles Stilinski, scritto a matita e a stampatello sulla prima pagina, schizzò fuori dal loft, indemoniato. Stiles aveva le chiavi del suo loft, se avesse scoperto che era stato lui a lasciarlo lì, avrebbe riconsiderato la sua nonviolenza nei confronti del ragazzino.

Quando arrivò a casa di Scott, trovò la porta aperta e lui e Kira che lo aspettavano sull’uscio. Scott gli corse incontro, domandandogli cosa fosse successo, ma lui lo oltrepassò degnandolo appena di uno sguardo, “Devo parlare con Kira,” disse come spiegazione, e la raggiunse sulla porta. Le prese le spalle e gliele strinse, scrutandole la fronte, gli occhi, il naso, le guance, la bocca.
“Derek, va tutto bene?” domandò lei, incrociando le braccia al petto, preoccupata. Istintivamente, Derek le fece scivolare i polpastrelli su un braccio e le strinse la mano.
“Derek,” sibilò lei, e si allontanò con decisione dalla sua morsa, “Che c’è?”
“Sei stata tu a regalarmi l’anello?” le chiese Derek, ignorando Scott che si era messo accanto a Kira.
“Che anello?” domandò lei per tutta risposta, confusa. Derek strinse a pugno la mano con l’anello e la sollevò.
Kira lo notò e lui vide che aveva capito di cosa parlava, “Quello con le due incisioni?”
“Tre,” la corresse.
“Hai detto due,” insisté lei, “Ne abbiamo parlato in macchina con Lydia, tu hai detto che c’era un’altra incisione all’interno e basta, è tutto quello che so.”
Kira non stava mentendo e, se non fossero bastati i battiti del suo cuore a dirglielo, Derek lo avrebbe capito dal suo viso, “Kira, sei stata tu a darmi questo anello e spiegarmi delle incisioni.”
“Mi spiace, Derek,” gli rispose Kira in un sussurro, abbassando la testa.
“È stato la sera del festival, a fine luglio, sei venuta nella riserva dopo aver visto il concerto con Scott,” provò ad insistere, scuotendole di nuovo le spalle.
“Derek,” si intromise Scott con voce incredibilmente ferma, “Stiles è stato con me a quel concerto, Kira non era nemmeno in California.”
Derek artigliò le mani alla stoffa della maglietta leggera di Kira, voltandosi verso Scott, con i denti stretti.
“È vero, Derek,” confermò Kira, “Fidati di noi,” poi si fermò a riflettere e, come colta da un’illuminazione, disse, “Il passaporto.” Poi si voltò, allontanandosi dalla presa di Derek ed entrando in casa. Scott fece un segno a Derek, invitandolo a varcare la soglia. Seguirono Kira che correva veloce su per le scale, fino alla stanza di Scott, poi Derek la osservò confuso mentre lei rovistava nella borsa, accanto alla scrivania.
“Eccolo,” disse alla fine, tirando fuori una custodia portadocumenti a motivi gialli e rosa. Aprì il documento all’interno e scorse le pagine, sussurrando tra le dita delle date, “È il mio passaporto giapponese, guarda il timbro d’uscita dalla California,” lo invitò mettendogli davanti alla faccia una pagina di passaporto con delle scritte in giapponese e due timbri, uno verde e uno rosso. Lui controllò la prima data, ventisei luglio di quell’anno.
“Accanto c’è il timbro d’ingresso,” Kira indicò un altro rettangolo d’inchiostro, che recitava 15 agosto. Derek spalancò gli occhi e strinse i denti così tanto da sentirli quasi scricchiolare. Scostò con delicatezza il braccio di Kira e le puntò di nuovo lo sguardo sul viso. Le portò una mano all’altezza della gola e, nonostante l’improvviso guizzo di Scott, le prese il mento tra le dita e glielo sollevò appena, guardando il punto in cui la mandibola incontrava il collo, sia a destra che a sinistra. C’era qualcosa che non andava, e lui non riusciva a capire bene nemmeno cosa fosse. Cercava qualcosa nel volto di Kira e non riusciva a trovarlo. Si lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e si sedette sul letto.
Kira gli si mise accanto e gli poggiò una mano tra le scapole. In un altro momento si sarebbe goduto il gesto di conforto – dopotutto, erano due settimane che anelava quel contatto con Kira – ma in quell’istante non riusciva a concentrarsi su niente oltre l’idea fissa che aveva preso a martellargli la testa da quando Stiles gli aveva detto ‘Quello che abbiamo vissuto non passa, ci ha resi quello che siamo, ti ha reso quello che sei e io non voglio cancellarlo’.
“Qualcosa sta giocando con la mia mente,” sussurrò più a se stesso che a Kira e Scott che gli stavano accanto, portandosi le mani alle tempie. Giurò di aver sentito Scott sussurrare un Grazie al cielo.



Un giorno alla luna piena

Stiles sussultò e rovesciò il bicchiere di succo di frutta che aveva accanto al portatile sulla tastiera. Si alzò di scatto, imprecando, “Cazzocazzocazzo,” e, di riflesso, afferrò la prima cosa che gli capitò accanto per assorbirlo. Quando si rese conto che era una sua maglietta pulita imprecò doppiamente, tra i denti.
“Aaaah, maledizione,” mormorò spiegando la maglietta per constatare l’entità del danno e poi la appallottolò con rassegnazione. Si voltò per uscire dalla camera, gettare la maglia nel cesto della biancheria sporca e recuperare qualcosa dalla cucina per pulire per bene i tasti del portatile, quando sentì un rumore provenire dalla finestra. Ecco cosa lo aveva fatto sussultare, pensò afferrando la sua mazza da baseball ed avvicinandosi al davanzale. La lasciò cadere in terra qualche secondo dopo, quando, oltre il vetro, riconobbe la sagoma di Derek.
“Amico, mi hai fatto prendere un colpo, sei impazzito?” gli domandò gesticolando dopo avergli aperto, mentre Derek si arrampicava sul davanzale ed entrava.
“Perché ti stupisci?” chiese Derek senza rispondere, “È per caso la prima volta?”
Stiles chiuse la bocca con uno scatto. Cercò di sopprimere la fiammella di speranza che gli si era accesa dentro nel sentire quella domanda. L’ultima volta che si erano visti, Derek era stato parecchio ostile nei suoi confronti, e Stiles aveva deciso di stargli un po’ alla larga. C’era un orologio che ticchettava costantemente nella sua testa e gli ricordava che mancavano poco più di ventiquattro ore alla luna piena al perigeo, eppure lui sapeva bene che era meglio dare a Derek dello spazio per decomprimersi, or si sarebbe ostinato ancora di più nel rifiutarlo.
“Sono stato da Kira e Scott,” disse Derek, scrutandolo.
Stiles di solito era bravo ad interpretare Derek. Aveva affinato una sua tecnica, riusciva a riconoscere le sfumature delle espressioni del suo viso, gli sguardi, la postura… da quando era stato colpito dall’incantesimo, però, Derek era diventato un fottutissimo puzzle da un milione di pezzi. A volte gli sembrava che non ci fosse niente di diverso e che potesse ancora riuscire a metterli insieme anche ad occhi chiusi e, in altri momenti, invece, era del tutto imprevedibile. Adesso, per esempio, non sarebbe stato in grado di fare un’ipotesi su quello che stava succedendo, perché non sapeva cosa cazzo passasse per la testa di Derek.
“Devo baciarti?” chiese Derek all’improvviso e lui spalancò le palpebre. Derek roteò gli occhi, vedendo che lui non riusciva a stare al passo, “A quanto pare,” disse Derek calcando le parole con un velo di sarcasmo, “C’è qualcosa che gioca con la mia mente.”
“Dio,” rispose tirando un sospiro di sollievo ed allargando le braccia, “Non so cosa ti abbia convinto, ma meglio tardi che mai,” concluse battendo le mani tra loro ed incrociando le dita, come se stesse ringraziando il cielo.
“Secondo Kira e Scott un bacio potrebbe spezzare l’incantesimo,” continuò Derek pragmatico, “Quindi adesso ti bacerò,” disse, e Stiles se lo ritrovò all’improvviso dentro il proprio spazio personale.
“Quindi adesso ci credi?” gli chiese Stiles, facendo un passo all’indietro, d’istinto. Aveva le vertigini. C’era una voce dentro la sua testa che diceva ‘Dio, sì, sì, sì’ e una parte di lui sarebbe saltata addosso a Derek senza pensarci due volte. Ma un’altra parte di lui non voleva baciare Derek senza capire cosa gli passasse per la mente. Non voleva baciare un Derek che pensava che non esistesse un universo in cui lui potesse voler anche solo toccare Stiles.
“No,” rispose Derek con decisione, “Credo che ci sia qualcosa che non va e se questa può essere una soluzione, tanto vale provarci e cancellare per sempre il tentativo dalla lista.”
Derek fece un altro passo verso di lui e Stiles si sentì come se gli avessero dato un pugno nello stomaco e gli avessero risucchiato l’aria dai polmoni. Si portò le mani al volto, ma stavolta non si allontanò.
“Per sempre,” mormorò, ripetendo le parole di Derek, poi sospirò, scuotendo la testa, “Okay, okay,” sussurrò tentando di darsi un contegno. Il bacio era una delle probabili soluzioni e, che Derek ci credesse o meno, aveva ragione: bisognava provarci.
“Ma sei tu il ranocchio tra i due,” rise senza allegria alla sua stessa stupida battuta, “Quindi sono io che devo baciarti per farti tornare un principe, non il contrario.”
“Dettagli,” ringhiò Derek, afferrandolo per il colletto della camicia ed attirandolo verso di sé, “Sbrighiamoci.”
“Mio il ruolo di principe azzurro, mie le regole, amico,” disse Stiles tutto d’un fiato, in un’eco di qualcosa che aveva detto molto tempo prima, in quella stessa stanza. Si leccò le labbra e vide che Derek, nonostante sembrasse riluttante, seguì il movimento.
“Vieni qui,” sussurrò a Derek, afferrandogli le mani artigliate alla stoffa della camicia e facendogli allentare la presa. Si portò le mani di Derek sui fianchi e poi gli mise le braccia attorno al collo e gli accarezzò la nuca con i polpastrelli. Si sentiva abbastanza umiliato dallo sguardo duro con cui Derek lo stava fissando: lui non voleva baciare una statua di marmo. Lui rivoleva il suo Derek, quello con gli occhi in tempesta che lo guardava come se fosse la luna e che gli diceva che era perfetto, anche se lui non ci aveva mai creduto. Quello che gli mordeva il collo e a volte non riusciva a non lasciargli dei segni, pur sapendo che a Stiles non piacevano. Quello che gli si rannicchiava sempre contro e gli strofinava la barba sulla pelle della gola, facendogli venire i brividi. Quello che aveva imparato a permettergli di prendersi cura di lui.
Strinse gli occhi, gli afferrò il viso e fece scontrare le loro labbra con più forza di quanto avrebbe voluto. Derek restò impassibile, non ricambiò la sua stretta, non si avvicinò, non si chinò verso di lui per andargli incontro.
Dopo pochi secondi Stiles si allontanò, sentendo la sconfitta pesargli come un macigno nello stomaco. Si tirò indietro ma, inaspettatamente, Derek lo attirò di nuovo a sé e lo baciò ancora una volta, facendogli girare la testa per la sorpresa. Stavolta Derek mosse le labbra contro le sue e Stiles ricambiò, emettendo un suono con la gola. Derek gli era mancato. Gli era mancato l'odore del suo dopobarba mischiato a quello della sua pelle, gli era mancato sentire la sua consistenza sotto le mani, il modo in cui lo toccava. E in quel momento le sue labbra sapevano appena di birra. Non era passata che una decina di giorni, ma sapere che Derek lo disprezzava e non lo voleva gli aveva fatto sentire la sua mancanza in maniera molto più viva e dolorosa. Immaginava che averlo fra le braccia sarebbe stato come prendere una boccata d'aria fresca. Strinse un po' le dita sulle spalle di Derek e si accorse che gli tremavano. E non solo le mani, Stiles tremava dalla testa ai piedi.
Avrebbe voluto dire che anche Derek tremava, che c’era qualcosa in quel bacio, che stava sentendo Derek sciogliersi, ma sarebbe stato come mentire a se stesso. Si allontanò di nuovo e poggiò brevemente la fronte su quella di Derek.
“Non ha funzionato,” affermò con lo sguardo basso. Non era una domanda, poteva sentirlo che non c’era stata la scintilla.
“Mi dispiace,” sussurrò Derek, facendo un passo indietro, e a Stiles sembrò quasi sincero mentre lo diceva.
“Vorrei poterti restituire te stesso,” ammise Stiles continuando a guardare il pavimento, “Ma è evidente che non sono abbastanza,” concluse con un filo di voce.
“Stiles,” lo chiamò Derek piano, e sollevò una mano verso la sua guancia, ma lui si allontanò, muovendo la testa di lato. Si sentiva già abbastanza umiliante e totalmente, totalmente indegno.
“Ho bisogno di pensare, Derek,” disse indicandogli la finestra, “Lasciami da solo. Per favore,” aggiunse, quando sentì Derek tentennare.
Non chiuse nemmeno la finestra alle spalle di Derek, prima di buttarsi sul letto con tutte le intenzioni di iniziare una lunga notte di autocommiserazione.


Luna piena

Era venerdì e Stiles aveva bigiato la scuola per pensare. O almeno, questo era quello che si era detto, perché in realtà aveva passato l’intera notte e buona parte della giornata a compiangersi, nascosto sotto le coperte. Quando suo padre era andato a lavoro, quella mattina, non aveva avuto nemmeno bisogno di fingere che non stesse bene perché, a giudicare dallo sguardo che gli aveva rivolto lo sceriffo, doveva proprio avere un aspetto terribile. Si era lavato i denti e quando era stato costretto a guardarsi allo specchio aveva constatato che aveva due occhiaie orribili, i capelli che gli schizzavano in tutte le direzioni e sprizzava commiserazione da ogni poro.
Aveva sospirato e poi era sceso in cucina per spizzicare qualcosa da mangiare tanto per non restare a digiuno; poi si era buttato di nuovo a letto, dove aveva dormito gran parte della giornata.
Ogni tanto aveva aperto un libro di incantesimi o cercato su internet, ma ormai erano due settimane che leggeva tutto e il contrario di tutto, provava a leggere all’inverso, oppure una parola sì e una no, o a mettere insieme le iniziali degli indici, ma non c’era niente che lo aiutasse. Quindi aveva optato per nascondersi sotto le coperte ed uscirne fuori solo quando aveva avuto bisogno di aria, il che era patetico all’inverosimile.
Si era detto che era stato l’adolescente meno musone del mondo, quello che si era fatto meno pare mentali per ragazze o ragazzi, quindi si era guadagnato il diritto di essere un piagnone per ventiquattro ore. La cosa non lo aveva fatto sentire particolarmente meglio, anche perché, a voler essere precisi, non si stava solo struggendo per un ragazzo, ma per colpa di un incantesimo che… bah, non ne valeva nemmeno la pena. Era patetico e basta.
Adesso era pomeriggio inoltrato e lui era ancora a letto. Strofinò il viso contro il materasso e si strinse meglio il lenzuolo intorno, in un bozzolo di stoffa e caldo insopportabile. Chiuse gli occhi e sperò di addormentarsi di nuovo, ‘fanculo la luna piena, la sizigia, il perigeo e tutte le altre cazzate.
Improvvisamente sentì uno strattone ed il lenzuolo gli sfuggì dalle mani. Lo investì un’ondata d’aria e scattò a sedere sul letto, riparandosi gli occhi dall'improvvisa abbondanza di luce, mentre tentava di mettere a fuoco la figura che aveva davanti.
“Che cazzo, la buona abitudine di bussare vi viene tolta quando vi crescono le zanne?” domandò, cercando di afferrare di nuovo il lenzuolo che gli era stato strappato via.
“Io mi domanderei piuttosto che cazzo ci fai a letto da due giorni,” rispose uno Scott dall’aspetto piuttosto incazzato. Era strano vedere l’”onnipaziente” alpha così inferocito e Stiles si sentiva quasi orgoglioso per essere stato lui a fargli quell’effetto.
“Sono malato,” gli disse Stiles incrociando le braccia sul petto e sdraiandosi di nuovo.
“Certo, raccontalo a qualcun altro. Vuoi sapere cosa penso io?”
“No, ma sono sicuro che mi illuminerai comunque,” rispose senza guardarlo.
“Io penso,” esordì avvicinandoglisi e strattonandolo per la maglietta fino a farlo mettere in piedi, nonostante i suoi deboli tentativi di protesta, “Che tu sia un codardo,” concluse Scott in un sibilo.
Stiles gli lanciò un’occhiataccia, “Bene, adesso che mi hai illuminato, puoi andartene,” fece per allontanarsi, ma Scott lo fermò con i pugni stretti sotto il colletto.
“Okay, ricominciamo da capo,” disse Scott con voce molto più ferma, “Possiamo parlare con calma, amico?”
Stiles fece una smorfia nel sentire l’appellativo e annuì.
“Stasera c’è la luna piena, Stiles,” lo guardò combattuto, “Perché ti sei rinchiuso in casa pur sapendo che Derek ha bisogno di te? Credevo fossi innamorato di lui, amico!”
Abbassando lo sguardo, Stiles si passò una mano tra i capelli e si sedette sulla sedia della scrivania, “Non posso spezzare questo stupido incantesimo,” rispose con voce rotta. “Ieri sera Derek è stato qui,” spiegò, e Scott prese posto sul letto, “Ci siamo baciati.”
Sorrise amaramente, pensando che questa conversazione sarebbe stata molto plausibile qualche mese prima, se lui avesse raccontato di sé e Derek a Scott. Avrebbe potuto dirgli che si erano baciati sul patio di casa Hale e che lui era felice da matti e non riusciva a smettere di sorridere e di sentirsi la testa tra le nuvole. Avrebbe potuto dirgli che era così, così innamorato.
Scott prese un lungo sospirò e lui poté sentirlo anche se non lo stava guardando, “Non è cambiato nulla?”
Stiles scosse la testa in cenno di diniego.
“Ci abbiamo parlato io e Kira due sere fa,” disse Scott, “Mi ha chiamato e mi è sembrato molto confuso, quindi gli ho proposto di venire a casa mia, ho intuito che fosse stato con te.”
Finalmente Stiles sollevò lo sguardo, “Sì, mi ha cacciato via e mi ha detto di stargli alla larga, molto romantico,” rise con amarezza, “Infatti quando è comparso dicendo di volermi baciare ero abbastanza stupito.”
“Gli abbiamo spiegato che poteva essere una soluzione,” rispose Scott, “Ma sembrava davvero scosso, a modo suo, ovvio. Cosa era successo?”
Stiles gli spiegò dell’anello, e riferì brevemente la conversazione che avevano avuto. Disse che c’era stato un momento in cui Derek gli era sembrato per un attimo insicuro, ma che era passato in fretta, e Scott gli riferì del passaporto.
“Ha accettato di non potersi fidare della sua testa,” concluse Stiles, “E si è fidato di te e Kira,” si stropicciò il naso con una mano, il “Ma non si fida di me” era implicito. “Tuttavia, non è servito a niente.”
Scott rimase per qualche secondo in silenzio, perso nei suoi pensieri, e Stiles riconobbe l’espressione che aveva quando stava cercando di formulare uno dei suoi piani. “Secondo Deaton potrebbe volerci qualcosa di più profondo di un bacio,” disse infine. Stiles lo guardò stupito, invitandolo a continuare.
“Ha detto che l’incantesimo agisce sulla psiche, forse dovresti provare con qualcosa di più… psichico?” chiese senza suonare del tutto sicuro di quello che stava dicendo.
“Tipo?” domandò Stiles, non riuscendo ad immaginare nulla di psichico, non era nemmeno sicuro di sapere cosa implicasse la parola psichico. Lui si era sentito molto psichico quando Derek lo aveva baciato, ma evidentemente lo stesso non era stato per l’altro.
“Dici che ti è sembrato confuso per un attimo, forse sei riuscito a toccare il tasto giusto senza volerlo,” provò a dedurre. “Cosa gli avevi detto?”
Stiles provò a richiamare alla mente la conversazione di quella sera. Derek gli aveva parlato dell’anniversario dell’incendio, di quello della morte di Laura, lui gli aveva chiesto la storia dell’anello, ma c’era stato un momento in particolare in cui sembrava che fosse scattato qualcosa in Derek.
“Forse,” disse colto da un’idea, “Lui pensava che Kira lo avesse abbandonato, nonostante gli avesse promesso che non sarebbe andata via,” si leccò le labbra, “Lì ho perso un po’ la calma, gli ho detto che ero stato io a prometterglielo e che non me ne sarei mai andato.”
“Be’,” iniziò a dire Scott, ma Stiles lo interruppe.
“No, no, è stato dopo,” Stiles mosse le mani per fermarlo, “Gli ho detto che il passato non si cancella, che lo ha reso quello che è e io non voglio che si cancelli.”
Se lo ricordava, perché anche lui dopo aver pronunciato quelle frasi si era sentito un po’ scosso ed entrambi erano stati in silenzio per qualche minuto.
“Amico,” lo chiamò Scott e gli sembrò un po’ esasperato, “Quando mi hai raccontato che ero stato il primo a cui confessavi di essere innamorato di Derek… intendevi proprio il primo in assoluto?” Stiles lo guardò e annuì, “Lo hai mai detto a Derek?”
Stiles rimase interdetto, poi afferrò quello che Scott stava tentando di dirgli e pensò che se gli fosse spuntata una seconda testa lo avrebbe lasciato meno a bocca aperta. Psichico includeva le dichiarazioni d’amore?
“Vi siete baciati e Derek non ha fatto una piega,” rifletté Scott dopo averci riflettuto, e lui fece una smorfia di disappunto nel sentirsi ricordare quel fatto, “Ma quando gli hai parlato dei tuoi…” Scott fece un vago gesto imbarazzato con la mano, “sentimenti, è successo qualcosa.”
Aveva senso, pensò Stiles. Aveva senso e lui non avrebbe mai più sottovalutato la perspicacia di Scott, anzi, in quel momento avrebbe anche potuto fargli una maledetta statua.
“Dici che potrebbe funzionare?”
Scott aprì le braccia, come per dire “Sembrerebbe logico.”
“Oddio,” mugolò coprendosi il viso con le mani, “Non potevo essere un principe azzurro come tutti gli altri, una limonata e via? Perché la mia vita non può essere La Bella addormentata?
“Coraggio,” gli disse Scott alzandosi e mettendogli una mano sulla spalla, “Margaret è molto meno inquietante di Malefica. Credo. Ha pur sempre risvegliato un cimitero di angeli o qualcosa del genere. E ha beccato la luna gigante. Ma resta comunque meno inquietante di Malefica, ne sono certo.”
Stiles rise, suo malgrado. Scott gli era mancato.
“Mi ci vedi con una spada a combattere contro dei rovi maledetti?” gli chiese indicandosi.
“Ti vedo di più con una spada di legno a combattere contro i mulini al vento,” rispose Scott ridendo a sua volta.
“Ehi, amico,” esclamò Stiles portandosi una mano al petto con fare drammatico, “Una citazione letteraria dopo una potenziale intuizione geniale: sei sicuro di non essere anche tu sotto incantesimo?”
“’Sta zitto,” lo ammutolì Scott roteando gli occhi al cielo, “Ti ricordo che sono ancora incazzato con te.”
Sorridendo in modo triste, Stiles si morse la lingua per non pronunciare le ennesime scuse che gli erano salite spontaneamente alla bocca.
“E se non funzionasse nemmeno questo, Scott?” domandò in maniera un po’ apatica, alzandosi in piedi.
“Stiles, a volte mi viene il dubbio che tu non sia abbastanza determinato a combattere contro questa cosa,” ammise Scott con un sospiro. “Non fai che dire che non sei abbastanza, non fai che dubitare di te stesso e di Derek.” Fece una pausa, come per valutare se fosse il caso o meno di andare avanti, “È davvero questo che mi hai tenuto nascosto? Una relazione in cui non credi?”
“Forse ho sempre avuto il dubbio che non fosse reale, che fosse troppo bello per essere vero,” rispose Stiles, “E tutto questo me lo ha confermato.”
“Be’,” disse Scott facendo spallucce, “Andiamo a scoprirlo, no?” propose con un mezzo sorriso.
“Sì, cazzo,” Stiles ondeggiò una mano stretta a pugno, improvvisando uno scatto d’entusiasmo, “Andiamo, Sancho!”
Si era già lanciato verso la porta, ma Scott lo bloccò afferrandolo per una spalla, “Prima va’ a farti una doccia e renditi presentabile. Fai schifo e sei in pigiama!”
Stiles borbottò contrariato, il suo entusiasmo era stato stroncato sul nascere.
“Che importa, stavolta io sono l’eroe!” urlò mentre attraversava il corridoio, “E tu sei la spalla!”
Prima di chiudersi alle spalle la porta del bagno, sentì Scott urlare: “Vola basso, amico, sei Don Chisciotte, mica Batman!”


Una volta entrati nella foresta, Stiles iniziò a guidare la jeep in una maniera che gli sarebbe costata l’isolamento nella sua camera a vita se per caso fosse giunta alle orecchie di suo padre. Scott teneva la testa fuori dal finestrino ed annusava l’aria, per seguire le tracce di Derek, e ogni tanto gli dava indicazioni su dove girare. Mentre guidava nel tramonto avanzato, tra gli alberi ogni tanto compariva la maledetta luna, rotonda, incredibilmente luminosa e gigantesca. Era di un colore rossastro, sanguigna e un po’ demoniaca.
Sei con me o contro di me? le domandò Stiles in silenzio.
Di colpo, si ritrovò davanti Derek, e frenò così di scatto che lui e Scott balzarono sul sedile. Si slacciò la cintura di sicurezza, saltò giù dalla macchina e poco dopo sentì Scott che sbatteva lo sportello alle sue spalle e lo seguiva con un rumore di passi veloci nel terreno.
Si fermò di fronte a Derek, ma non si avvicinò più di tanto. Come quella sera di quasi tre mesi prima, Derek era in tenuta da corsa e lo stava guardando come se da lui non si aspettasse niente di buono.
“Sei un idiota,” disse ad alta voce, indicandolo, e Derek aggrottò le sopracciglia con espressione poco felice. Stiles sentì Scott che alle sue spalle mormorava qualcosa in disappunto.
“Sei l’idiota più testardo che io abbia avuto la sfortuna di incontrare nella mia vita,” continuò, e Scott sibilò un “Amico?! Davvero?” esasperato alle sue spalle.
Derek rimase immobile davanti a lui, a metà tra il perplesso e l’indignato, con la mascella serrata e le braccia rigide lungo i fianchi.
“Non sei in grado di preparare un caffè decente, ma suppongo che ti meriti una lode per provarci sempre,” strinse i pugni, “Ti sporchi come un bambino mangiando una pizza, sei così abituato a dormire da solo che quando ci sono anche io non mi lasci quasi spazio, la mattina ti alzi sempre all’alba e hai un regime di allenamento maniacale,” si fermò, riprendendo fiato, “Leggi solo libri pesanti, hai una strana ossessione per i film storici e sei fissato col riparare i vecchi oggetti rotti, il tuo piatto cinese preferito sono gli spaghetti di soia ai gamberetti e non sopporti gli involtini primavera, dici sempre che la tua ancora è la rabbia, ma è cambiata da almeno un anno a questa parte. Mi hai fatto penare un’eternità prima di convincerti a baciarmi, ma adesso tieni sempre in frigo una scorta di fottuti energy drink, anche se ti fanno schifo, e poi mi baci lo stesso dopo che li ho bevuti io. E non hai mai pianto, nemmeno dopo l’incendio o dopo la morte di Laura, ma sei scoppiato in lacrime una mattina tra le mie braccia e io sono morto un po’ dentro, anche se non hai mai voluto dirmi il perché. Mi hai chiesto solo di stringerti e basta ed io l’ho fatto.”
Aveva tirato fuori tutto d’un fiato, senza smettere di guardare negli occhi Derek, che man mano sembrava essere sempre più sul punto di ridurlo a pezzettini. Stiles fece un passo avanti, con una sorta di coraggio disperato. Aprì le braccia e sbuffò una mezza risata esasperata. “E io ti amo,” dichiarò finalmente, azzardandosi a sollevare una mano e sfiorare con i polpastrelli la guancia di Derek.
“Ti amo così tanto che a volte non so cosa farmene di me stesso,” ammise, ed appiattì il palmo contro la barba ruvida di Derek, incoraggiato dal fatto che lui si fosse mosso appena verso alla sua mano, chiudendo gli occhi per un istante. Poi Stiles si allontanò e, nonostante fosse stata una sua iniziativa, sentì subito la mancanza del contatto, il vuoto che c’era tra le sue braccia. Continuò a parlare, mentre indietreggiava verso la jeep, con l’intenzione di finire il suo discorso e poi andarsene, lasciar andare Derek, dargli la possibilità di smaltire la luna e poi tornare.
“Una volta mi hai detto che noi siamo come la terra e la luna. Anche quando sembra che la luna sia più vicina, in realtà è lontanissima,” sollevò lo sguardo, dove una luna ormai bianca come il latte illuminava lo spazio tra gli alberi. Ormai era calata la notte, e Derek si riparò gli occhi dalla luce dei fari della jeep col palmo di una mano.
“Be’, sai una cosa, Derek?” chiese amaramente, “È valido anche il contrario, a volte sembra lontanissima, e tuttavia è alla stessa distanza, sarà sempre l’oggetto celeste più vicino alla terra. E adesso?” domandò indicando la luna, “Adesso è più vicina e più potente che mai.”
L’espressione di Derek non si era fatta né più comprensiva, né meno ostile. Derek era rimasto stoico, con le sue sopracciglia e i suoi muscoli e gli occhi taglienti. Stiles si voltò per raggiungere di nuovo la jeep, con le mani che gli tremavano.
“Luna o no, spezzerò quest’incantesimo,” disse oltre la sua spalla, voltandosi appena, con voce flebile, consapevole che Derek lo avrebbe sentito lo stesso, “Fosse l’ultima cosa che faccio.”
Cercò lo sguardo di Scott, che gli sembrava piuttosto confuso ed esitante e gli fece segno di salire in macchina. Aveva appena messo una mano sulla maniglia e stava per applicare una leggera pressione ed aprirla, quando la voce di Derek lo gelò.
“Non so se ti amo, Stiles,” proclamò con voce ferma alle sue spalle, senza tradire nessuna emozione, “Ma mi fido di te.”
Stiles dovette fare forza su se stesso per non voltarsi. Deglutì e strinse gli occhi, sentendosi il cuore battere così forte da fargli temere che gli sarebbe saltato fuori dal petto. Se Derek si fidava di lui, negli ultimi giorni aveva avuto un modo piuttosto bizzarro di dimostrarlo.
“Ed è qualcosa che risale a molto tempo fa,” continuò Derek con lo stesso tono. “Quindi, dato che è evidente che in questo momento non posso fidarmi di me stesso, mi fido di te. E credo che manterrai questa promessa come hai fatto con tutte le altre.”
Stiles annuì e saltò in macchina, dove già lo aspettava Scott, seduto sul sedile passeggerò. Avviò il motore e guidarono in silenzio per diverso tempo, mentre raggiungevano la strada principale.
“Ti perdono, amico,” annunciò ad un certo punto Scott, dal nulla. Stiles sarebbe potuto morire di gratitudine, quella sera.



Derek si strinse la radice del naso tra due dita. Se il suo organismo ne fosse stato in grado, in quel momento lo avrebbe tormentato con un mal di testa epico, ne era certo. Maledisse Peter con tutte le sue forze, perché Peter aveva morso Scott e da quel momento in poi la sua vita era diventata una scuola superiore, piena di adolescenti con abitudini da adolescenti, problemi da adolescenti e ormoni da adolescenti.
Forse lui aveva una piccola parte di colpa in tutto ciò, perché aveva scelto di mordere Erika e Boyd e Isaac, ma tutto era partito da Peter. Si versò da bere in un bicchiere e si ripromise di scoprire se Peter avesse ancora le sue scorte di alcol speciale, perché un giorno ne avrebbe avuto bisogno. Un giorno l’unico modo per sopravvivere a un branco di adolescenti riuniti insieme dentro casa sua sarebbe stato non essere sobrio.
Si voltò verso di loro, riconcentrando la propria attenzione su quello che stavano dicendo e a cui era riuscito miracolosamente a togliere il volume per qualche minuto. Si domandò cosa avessero da schiamazzare più del normale.
Vide Stiles che stritolava Scott in un abbraccio, mentre tutti gli altri ridevano, e d’istinto inarcò un sopracciglio. Quando si allontanarono, Scott diede a Stiles un colpetto sulla spalla. Chi aveva dato dell’alcol a questi minorenni?
“Isaac, amico!” esclamò Stiles girandosi a braccia aperte verso Isaac, che lo guardò dubbioso, ma alla fine rise ed allargò a sua volta le braccia, facendosi abbracciare.
“Ehi, ehi, voglio anche io un abbraccio,” si intromise Erika, strappando letteralmente Stiles dalle braccia di Isaac, mentre Stiles, ridendo, diceva “Ce n’è per tutti, vacci piano!”
“Dovresti farti stampare una maglietta con su scritto ‘free hugs’, amico,” disse Scott, mentre Stiles si avvicinava ad una Lydia che lo guardava come se volesse lanciargli un tacco a spillo addosso se si fosse avvicinato abbastanza. Dopo qualche secondo, però, con uno sbuffo, accettò anche lei la dimostrazione di affetto.
“Ho carenze di affetto,” mormorò Stiles, e la sua voce era attutita dai capelli di Lydia, che alzò gli occhi al cielo ed arricciò le labbra, per poi allontanarlo intimandogli di non esaltarsi troppo.
Derek si avvicinò e tutti cercarono di darsi un contegno e una parvenza di serietà. Sentendo il silenzio scendere attorno a lui, Stiles sollevò la testa da dove era sepolta nella spalla di Lydia e lo guardò incuriosito.
Restò interdetto per un attimo, poi allargò le braccia verso di lui e lo chiamò con un entusiasmo che disturbò il suo udito, “Derek!”
Derek lo incenerì con uno sguardo, prima che potesse avvicinarsi al suo spazio vitale, e Stiles lasciò cadere le mani lungo i fianchi, facendo spallucce, “Okay, Lupo Guastafeste, volevo farti un favore.” Poi Stiles si girò e, sorridendo di nuovo, domandò: “Qualcuno vuole il bis?”



Luna calante

Derek fu svegliato da un rombo di tuono eccezionalmente assordante, seguito subito dopo dallo schiocco di un lampo. Si portò una mano alla fronte e guardò l’orologio sul comodino, notando che era più pomeriggio che mattino. Si sentiva come se avesse dormito per un’eternità, il che forse era dovuto al fatto che non fosse abituato a svegliarsi così tardi. Aveva la testa annebbiata, come se fosse stato drogato, ed emise un lamento all’idea. Considerando la sua vita, non era del tutto da escludere che fosse quello il caso.
Si alzò a sedere e sentì un altro rombo, se possibile più forte di quello di prima. Scorse con la coda dell’occhio la luce del lampo che lo seguì oltre la finestra e stava per voltarsi per scoprire se stesse piovendo, ma fu bloccato da uno strano formicolio ai polsi. Sobbalzò, accorgendosi di avere delle strane corde, come di elettricità, che sembravano caricarsi e scaricarsi al ritmo dei lampi oltre i vetri. Poi, di colpo, scomparvero.
Si guardò a lungo i polsi, muovendoli e domandandosi cosa diavolo stesse succedendo. Era la seconda volta che gli accadeva, contò, pensando all’episodio in casa di Stiles.
Stiles.
Sgranò gli occhi, tentando di mettere insieme i pezzi confusi di ricordi che gli venivano in mente. Non era stato drogato, ma a quanto pareva c’era andato abbastanza vicino, era stato incantato. Si portò le mani alle tempie; ricordò della mattina imbarazzante in cui aveva detto a Kira che era bellissima, di aver quasi litigato con Scott, di aver minacciato e cacciato via in malo modo Stiles, ripetutamente. Scostò via le lenzuola, di scatto, saltò fuori dal letto e si vestì di corsa. Fu fuori dal loft in tempo record e constatò che, sì, non solo stava piovendo, ma gli elementi sembravano essersi scatenati in un temporale di tutto rispetto.


Derek guidò fino a casa Stilinski, arrivando proprio nel momento in cui la jeep di Stiles imboccava il vialetto. Ancor prima di vederlo, sentì Stiles lanciare maledizioni mentre scendeva dall’auto, cercando in malo modo di ripararsi dalla pioggia con la camicia a quadri sollevata sopra la testa. Quando scorse i fari della sua Toyota, Stiles si bloccò e lasciò la presa, così che le gocce di pioggia, pesanti, iniziarono a colpirlo in pieno, bagnandogli i capelli e le spalle.
“Derek?” lo chiamò stupito, “Stai bene?”
Derek gli si avvicinò e gli venne in mente la dichiarazione in grande stile che Stiles gli aveva fatto la sera prima. Quando lui e Scott erano andati via, Derek aveva ricominciato a correre, aveva liberato le zanne e gli artigli ed aveva ululato ad una luna gigante, di quelle che avrebbero fatto fremere Stiles e la sua passione per l’astronomia, forse, se lui non fosse stato impegnato a riportare il suo cervello sulla retta via.
“Riesci ad immaginare la terra senza la luna?” chiese a Stiles, oltre il rumore della pioggia.
Stiles rise senza reale ironia, “Ancora con la luna, Derek?”, domandò, con i capelli fradici appiattiti sulla fronte, e Derek poteva vedere il piglio di insicurezza nella sua espressione. Non capiva cosa volesse, e in genere Stiles era dannatamente bravo a leggerlo.
“Senza la luna la terra sarebbe alla mercé delle perturbazioni gravitazionali celesti, oscillerebbe su se stessa come una trottola, gli ecosistemi sarebbero distrutti,” spiegò Derek, incurante della pioggia sempre più forte. “La terra e la luna sono un pezzo l’una dell’altra, si orbitano intorno e si tengono ancorate a vicenda.”
Poteva sentire il cuore di Stiles battere a mille, aveva anche il fiato un po’ accelerato e i vestiti erano ormai zuppi.
“Una volta ti ho promesso che sarei venuto con te a osservare le stelle, ma non lo abbiamo ancora fatto,” gli disse, consapevole di essere incoerente. Aveva tante cose da dire, ma non le aveva pianificate e quindi decise di sciorinarle così come gli passavano per la testa.
“Oh, e il tuo telescopio si chiama Excalibur,” fece un sorrisetto ironico e Stiles scoppiò a ridere, “E mi piacciono i tuoi nei, soprattutto quelli che hai sulla guancia, ma anche quelli che hai sul fianco sinistro. E, prima che tu possa farti venire dei dubbi, so che Kira non li ha, ho controllato,” specificò pensando a quando aveva sollevato il volto di Kira, cercando qualcosa che non riusciva a trovare.
Il ghigno di Derek si trasformò spontaneamente in un sorriso, perché non c’era verso che non fosse ancora un po’ sotto incantesimo per aver detto certe cose ad alta voce. “Tu e tuo padre fate a turni per stirare i vestiti, perché è una cosa che odiate entrambi, però a volte accetti di aiutare me, quando ho rimandato per troppo tempo di fare il bucato e ho una montagna di roba.”
“A volte fai esasperare tuo padre di proposito, perché sai che in fondo si diverte,” Stiles spalancò un po’ la bocca, “E ti piace quando non metto il gel nei capelli.”
“Ah,” ricominciò Derek dopo una pausa, “E anche tu mi sei mancato da impazzire, solo che non sapevo fossi tu.”
Un tuono risuonò in lontananza e Derek riuscì a vedere alla luce del lampo il momento esatto in cui Stiles comprese. Fece qualche passo verso di lui, sorridendo.
“Alcune di queste cose non te le ho mai dette,” sussurrò Stiles quando Derek gli fu così vicino da poter vedere le gocce di pioggia che gli si intrappolavano tra le ciglia e poi scorrevano giù quando muoveva la testa.
“Lo so,” rispose semplicemente Derek.
“Cazzo, sono il tuo principe azzurro,” disse Stiles, lanciandoglisi addosso. Lui aprì le braccia ed afferrò Stiles per le gambe, per fargliele allacciare attorno alla sua vita. Rise, mentre Stiles gli tempestava la faccia di baci zuppi di pioggia. L’odore di terra bagnata e foglie e Stiles gli colmò le narici; tutto intorno, sotto gli schiocchi delle labbra di Stiles, poteva sentire il picchettare dell’acqua sul terreno.
“E tu sei un ranocchio,” mormorò Stiles e lo strinse più forte. Derek rise di nuovo e ricambiò l’abbraccio.
“Credo che tu stia facendo confusione,” rispose Derek tracciando dei cerchi sulla schiena di Stiles, sotto la stoffa della maglietta e della camicia a quadri.
“Mi hai fatto impazzire per giorni, mi sono guadagnato il diritto di reinventarmi a mio piacimento tutte le fiabe che voglio,” affermò Stiles con il viso poggiato sulla sua spalla. Derek gli mormorò delle scuse, mentre, finalmente, gli premeva il viso nella pelle del collo e vi si strofinava come faceva di solito.
“Non è colpa tua,” gli sussurrò Stiles, afferrandogli il mento e facendogli sollevare lo sguardo. Lo vide scrutarlo per un attimo, e dovette aver trovato qualsiasi cosa stesse cercando nei suoi occhi, perché gli sorrise.
“Ti amo,” disse quindi Derek, approfittando del contatto visivo e poi si chinò per baciare la curva stupita che avevano preso le labbra di Stiles. Aveva di certo sbagliato qualcosa se, dopo tutto quello che era successo, dopo essere riuscito anche a spezzare la maledizione, Stiles aveva ancora dei dubbi in proposito.
Quindi, quella sera glielo sussurrò più volte del dovuto - mentre lo abbracciava da dietro impaziente in attesa che Stiles aprisse la porta di casa; mentre ridendo si spogliavano dei vestiti fradici e bevevano del caffè per riscaldarsi; mentre parlavano, con le labbra ormai rosse e le mani intrecciate sul letto in camera di Stiles; mentre Stiles lo colpiva per scherzo quando lui gli mordeva il collo. E, anche se furono troppe volte, pensò di essere in qualche modo giustificato. E poi gli piaceva l’odore che emanava Stiles ogni volta che glielo sentiva dire.
“Non abituartici,” sussurrò a Stiles dopo essersi fatto sfuggire l'ennesima dichiarazione, “Sono circostanze straordinarie.”
Stiles roteò gli occhi e, per tutta risposta, gli si sdraiò addosso e gli morse le labbra.




Epilogo


Stiles si soffiò il naso per l’ennesima volta e provò ad inspirare, senza alcun successo. Era in camera sua, seduto sul letto in pigiama, e avrebbe scommesso di avere un aspetto orrendo. Ecco quali erano le conseguenze delle scene romantiche sotto la pioggia nella vita reale. Era certo che il Principe Eric non si era ammalato dopo che Ariel lo aveva tirato fuori dall’oceano. Perché doveva essere proprio lui il principe sfigato?
“Sto per morire,” disse con tono molto teatrale, lasciandosi andare indietro per poggiare le spalle al muro e chiudendo gli occhi. “Fidati di Stiles,” provò a dire, ma si interruppe per tossire, “E lui si ammalerà nel momento dell’anno meno opportuno.”
Seduti di fronte a lui, Scott, Kira, Lydia e Margaret risero.
“Dovrei festeggiare la ripresa della mia vita sessuale,” continuò indicando Derek, che aveva appena varcato l’uscio della sua camera con una tazza in mano, “E invece sono qui, in punto di morte.”
Mormorando “Troppe informazioni, amico,” Scott si schiaffò una mano sul viso e poi finse di tapparsi le orecchie per non sentirlo. Kira arrossì, mentre Margaret, con il suo trucco nero, si contorceva le mani e si mordeva il labbro. Quando era entrata in camera di Stiles e aveva capito chi fosse Derek, aveva boccheggiato e detto qualcosa che era suonato vagamente come un “Oddio, io avrei attirato lui?” – Gli era sembrata un po’ delusa per il resto della mattinata e Stiles si era sentito un po’ orgoglioso e un po’ geloso per quella reazione.
Derek si sedette sul letto accanto a lui, gli mise la tazza in mano e gli diede un bacio sulla tempia, “Non odori di morte,” mormorò annusandolo, “Solo di febbre.”
Stiles emise un lamento e gli poggiò la testa sulla spalla, “Fantastico,” commentò sarcastico, “Ho un aspetto orribile e puzzo. Sono il peggior principe azzurro che si sia mai visto.”
“Anche il più melodrammatico,” rispose Lydia con un sospiro, sistemandosi la gonna sulle ginocchia.
“A proposito di principe azzurro,” intervenne Kira, “Avete visto quel film…”
Stiles non sentì il resto della domanda, ma a quanto pare tutti e le mamme di tutti avevano visto il film in questione, e si persero in una discussione sulla trama e gli attori. Lui chiuse gli occhi e strofinò la faccia contro la spalla di Derek, che gli mise una braccio attorno al collo.
Ogni tanto Derek interveniva nella conversazione, e lui, quando non era impegnato a spargere microbi, era felice, perché il momento di imbarazzo iniziale che aveva imbambolato Derek e Kira era passato velocemente. Derek aveva anche provato a scusarsi, perché era un cretino ed un martire e si scusava anche quando non era colpa sua, ma Kira aveva liquidato le sue scuse con un sorriso timido.
Cullato dalle voci degli altri, si sporse in avanti e poggiò le labbra sulla base del collo di Derek. Derek profumava di buono, e la sua pelle era morbida e liscia e lui pensava proprio che avrebbe dovuto ricoprirla di baci, perché era quello che la pelle di Derek si meritava. Si sentiva le palpebre calde e pesanti.
Eclissandosi dalla conversazione, Derek gli avvicinò la bocca all’orecchio, mormorando, “Cosa stai facendo, Stiles?”
Per tutta risposta, Stiles farfugliò qualcosa e Derek gli toccò la fronte con il dorso di una mano.
“Scotti di nuovo,” gli comunicò, allontanandosi da lui, probabilmente per cercare il termometro, ma Stiles gli si aggrappò addosso piagnucolando e pregandolo di non andare via.
“Forse è meglio se andiamo noi,” disse Lydia, alzandosi, “Stiles non mi sembra del tutto in sé.”
“Oh, no,” si lamentò lui, sollevando la testa, “Restate!”
“Mettilo a letto, Derek,” consigliò ancora Lydia e diede a Stiles un colpetto sulla testa, mentre anche gli altri salutavano e gli auguravano di guarire presto.
Stiles approvava quell’idea, non per nulla Lydia era un genio, “Oh, sì, questo dovresti farlo, Derek.”
Troppe informazioni,” urlò Scott dall’altra parte della porta e Derek rise in una maniera così bella che Stiles non poté fare a meno di mettersi in ginocchio sul materasso, gettargli le braccia attorno alle spalle e stringerlo forte.


Note finali:Spero che qualcuno sia ancora vivo e chiedo di nuovo perdono per il miele, really.

Un paio di cosine:

(1) In questo capitolo c’è una specie di citazione di Merlin (no, non quella sul telescopio che si chiama Excalibur) e se qualcuno la trova vince una granita con la brioche!

(2) Qui c’è una versione dell’anello con la terza incisione, che nel mio per esempio non c’è. Spesso l’anello in questione viene attribuito a re Salomone, ma ci sono diverse versioni della leggenda.

(3) Uhm, non ricordo, al massimo lo aggiungo dopo XD

(4) Non avevo mai scritto una storia così lunga (è a un soffio dai 40k), quindi mi scuso per debolezze di trama o eventuali contraddizioni, dimenticanze e imperfezioni varie. So che questo non le giustifica, ma ci ho provato. Spero che nell’insieme la storia vi sia piaciuta e che nessuno sia morto di diabete. Grazie di nuovo!
(5) Pubblicità: Se non le avete ancora lette, vi consiglio le seguenti traduzioni di Graffias: Werewolf Love Songs, Vol. 1 e ‘Linski’s Late Night Antidote To Lame e an awful curse. Buona lettura :)

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