This Fairytale is radioactive now. di littlemoonstar (/viewuser.php?uid=31225)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Once upon a time. ***
Capitolo 2: *** What are you doing out here, Mary Ann? ***
Capitolo 3: *** Magic mirror on the wall,who is the fairest one of all? ***
Capitolo 4: *** A very merry unbirthday to you. ***
Capitolo 5: *** Itty-bitty living space. ***
Capitolo 6: *** Treasure. ***
Capitolo 7: *** Rose. ***
Capitolo 8: *** Who could ever learn to love a beast? ***
Capitolo 9: *** Red hair under the sea. ***
Capitolo 10: *** The Original. ***
Capitolo 11: *** You remind me when I was strong. ***
Capitolo 12: *** All around you are spirits,child. ***
Capitolo 13: *** Spinning wheel. ***
Capitolo 14: *** Awakening. ***
Capitolo 15: *** Fire and Ice. ***
Capitolo 16: *** The better to eat you with, my dear. ***
Capitolo 17: *** This violet scent. ***
Capitolo 18: *** Neverland. ***
Capitolo 19: *** Hello, Darling. ***
Capitolo 20: *** Where everything begins. ***
Capitolo 21: *** And they lived... ***
Capitolo 22: *** ...Happily ever after? ***
Capitolo 1 *** Once upon a time. ***
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Questa
è una storia originale. E' vietato ogni tentativo di copia. Spero vi piaccia.
THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
1.
Once upon a time.
Il
cielo era coperto da un fitto strato di nebbia grigia. La fredda
coltre si estendeva fino al confine, sparendo oltre la linea
dell'orizzonte. L'aria era fredda, e fra poco sarebbe arrivata la
neve. Nei giorni precedenti aveva nevicato talmente tanto da coprire
per intero i grandi alberi della foresta. Oramai niente si
distingueva più.
Camminavo
a passo rapido, e il rumore delle suole su quel miscuglio di ghiaccio
e nevischio provocava un crepitio quasi rilassante. Non c'era altro
suono, in quel momento. Tutto taceva. Anche il mio cuore, che per un
attimo aveva smesso di tenere quel ritmo accelerato che oramai avevo
imparato a riconoscere. Una tachicardia fisiologica iniziata dal
momento in cui tutto era finito.
L'aria
calda che oltrepassava coraggiosamente le mie labbra si bloccava a
metà strada, sfumando in una nuvoletta di vapore bianco.
Non
so quanti gradi facessero, ma strinsi a me il mantello e coprii i
capelli con il cappuccio, pregando che gli stivali di pelle
riuscissero a reggere il freddo e che i piedi non mi si staccassero
da un momento all'altro.
Oramai
mancava poco alla meta. La prima di una lunga serie, ma sempre un
punto di arrivo.
I
grandi occhialoni da aviatore mi stringevano la fronte, quel tanto
che bastava per rimanere in bilico sulla testa. Mai avrei pensato di
indossare una roba simile, ma in situazioni di emergenza si poteva
arrivare a tutto: e quando sarebbe arrivata la tempesta di neve, ne
avrei avuto bisogno. Non andavo fiera di me stessa per averli rubati,
ma in quel momento erano un bene primario per una viaggiatrice. In
quel mondo non c'erano stagioni, né il sole splendeva alto
nel cielo
portando gioia e serenità a tutti. Erano tutte stronzate.
Ora
tutto era cambiato.
«
Ehi, ragazzina. Quanto tempo è passato... ».
Mi
voltai, vedendo dietro di me solo la distesa di neve bianca. Il
silenzio invase di nuovo l'aria intorno. Tenni stretta la lancia
nella mano destra, e la lama affilata brillò sotto la luce
del cielo
plumbeo.
Sapevo
difendermi, oramai: non ero più la timida ragazzina con il
vestitino
a fiori e il cestino di primizie, che vagava ingenuamente tra i
boschi. Un fiocco di neve mi sfiorò il viso e cadde sugli
aderenti
pantaloni in pelle, finendo dentro gli stivali. Guardai in alto, ma
dal cielo non arrivava nulla. Mi accorsi che si trattava di un grumo
di nevischio residuo, caduto accidentalmente dall'albero sopra di me.
«
Dannazione. » imprecai, stringendo i denti. E a quel punto mi
scappò
una risatina. « Devi smetterla di farmi queste improvvisate.
».
Nella
mia testa già si confondevano le decine di alternative per
fuggire
da quella situazione spiacevole, nel caso in cui si fosse rivelata
pericolosa: avevo un coltello all'altezza della coscia, tenuto
stretto da una fascia elastica. La lancia era affilata. Nella sacca
che portavo a tracolla c'erano altre utilità, ma ci avrei
messo del
tempo per tirarle fuori. Ma adesso sapevo di non dovermi preoccupare,
nonostante lo spavento iniziale.
«
Lo sai che sono fatto così. » proseguì
la voce, che ora si
distingueva chiaramente dietro di me. Mi voltai.
«
L'apocalisse non ti ha cambiato di una virgola, Peter. »
mormorai, e
lui si fermò finalmente a terra.
«
Scusa. Per la neve, intendo. » disse, posando i piedi sulla
coltre
bianca. Sapevo che era stato lui.
Lo
guardai a fondo, cercando in lui un minimo segno di stanchezza. Ma la
sua espressione era la stessa di quando giocava con le sirene, o si
beffava dei pirati. Un eterno bambino, ma con gli occhi profondi e
consapevoli di un adulto.
Forse
il cambiamento maggiore era stato quello: nonostante tutto, anche lui
era cresciuto un po'.
«
Begli occhiali. » continuai, notando gli occhialoni da
aviatore
simili ai miei, proprio sopra al cappello verde smeraldo.
«
Regalo dei bimbi sperduti. Non chiedermi dove li hanno trovati.
»
mormorò, guardando l'orizzonte.
«
Che ci fai nel mio bosco, Peter? Ci deve essere un motivo, suppongo.
» tagliai corto io, sapendo che non poteva essere
lì per caso. Da
quanto sapevo uno dei bimbi sperduti era gravemente ammalato per via
delle radiazioni, e la sua attenzione era concentrata interamente
verso di lui.
«
Il tuo bosco?
» ripeté lui,
portando le braccia sui fianchi. « da quando in qua si fanno
queste
divisioni? ».
«
Ci sono sempre state. »
«
Non ora. ».
Non
riuscii a rispondere, perciò lo lasciai nel silenzio: aveva
maledettamente ragione. In tutta quella confusione, e con tutti quei
cambiamenti, cosa importava fare distinzioni?
Il
mondo delle Favole era un vero disastro.
«
In che stato è l'Isola ?
» chiesi, cambiando argomento. Speravo si trovasse in
condizioni
migliori rispetto al mio bosco, in cui imperava quel fastidioso
Inverno nucleare da cui non riuscivo ad uscire. Peter poteva volare,
e informarmi di ciò che succedeva all'esterno. Lo vidi fare
una
smorfia.
«
Uno schifo. Le sirene non si vedono da giorni, e questo inizia a
preoccuparmi. E gli indiani si stanno decimando. » rispose
lui,
massaggiandosi le tempie. « Sto andando alla ricerca di una
cura per
Pennino, non voglio che ne muoia un altro. ». Si
alzò in volo, e le
sue orme rimasero impresse nella neve candida.
Sussultai
appena. Guardai in alto, verso di lui, che mi lanciò uno
sguardo
ruvido, scalfito nella roccia. Era davvero cresciuto.
«
L'hai più trovata, la tua ombra? » mormorai,
sapendo di toccare un
tasto dolente. Lui sorrise, amareggiato.
«
Lo sai benissimo, Red. » aggiunse poi, guardando l'orizzonte.
«
l'ombra se n'è andata con lei.
».
Ogni
volta finivamo a parlare di quello. Lo stesso discorso sempre e
ancora e ancora.
«
Non puoi saperlo. Non puoi sapere se è morta davvero.
» ribattei,
stringendo la lancia con forza.
«
Chi, la mia ombra? »
«
No. Sto parlando di Wendy, Peter. E lo sai benissimo. » dissi
con
decisione, guardandolo dritto negli occhi.
Il
dolore si fece vivido nei suoi occhi. « Ognuno di noi ha
perso
qualcosa, Red. E io sono sicuro di averla persa per sempre. ».
Volò
più in alto, fino a raggiungere la cima degli alberi.
« Fai
attenzione, e rimani viva! » gridò, sparendo nel
cielo grigio.
Osservai
le sue impronte impresse sulla neve: Peter aveva perso l'amore, la
gioia. In poche parole, la sua umanità. Per questo la sua
ombra era
sparita, finita chissà dove. Ma mi rifiutavo di credere che
Wendy
fosse morta. Mi rifiutavo e forse questa negazione era sbagliata.
Ma
in fondo aveva ragione, ognuno di noi aveva perso qualcosa in quella
battaglia che era solo all'inizio.
Guardai
il braccio libero, piegando le dita della mano. Sentivo i meccanismi
elettronici sotto la pelle, le valvole e i congegni attivarsi per far
muovere il polso e i polpastrelli.
Avevo
un braccio meccanico perché il mio era stato strappato via
da un
lupo, pochi minuti dopo il mio risveglio. E ancora non riuscivo ad
abituarmici del tutto.
«
Cominciavo a preoccuparmi. » sibilò una voce alle
mie spalle,
sinuosa e calda. Mi voltai.
«
Scusa il ritardo. » mormorai, sorridendo al mio
interlocutore. Lui
avanzò verso di me a passo lento, provocando quel crepitio
che calmò
i battiti sordi del mio cuore.
Ma
in fondo di ritardi, lui, se ne intendeva.
Le
lunghe gambe bianche si uniformavano alla tinta chiara del paesaggio,
contrastando con il panciotto color petrolio e il grande orologio
d'oro che spuntava dalla tasca.
«
E' un piacere rivederti, Red. » rispose lui, sistemandosi i
tondi
occhialetti dalle lenti colorate sul naso rosa.
«
Il piacere è tutto mio, Bianconiglio. ».
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Capitolo 2 *** What are you doing out here, Mary Ann? ***
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THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
2.
What are you doing out here, Mary Ann?
«
E' stato difficile arrivare fino a qui? ».
Osservai
le lunghe orecchie del Bianconiglio sullo sfondo plumbeo del cielo,
scrollando le spalle.
«
Non molto. » mormorai, sentendomi così piccola nei
suoi confronti.
Sarà stato alto quasi due metri, con quelle lunghe gambe
slanciate e
magrissime. Continuava a vagare di luogo in luogo, rimanendo lontano
dal Paese delle Meraviglie e tornando solo quando era strettamente
necessario.
Era
un covo di matti, quello.
«
Hai scoperto qualcosa di nuovo? » gli chiesi, cambiando
discorso. Lo
vidi sistemarsi nuovamente gli occhiali sul muso. Era una specie di
vizio che aveva, ma non mi dava fastidio.
Rimanevamo
fermi tra due grandi abeti innevati, cercando di non muoverci troppo
per evitare di svegliare gli altri abitanti del bosco. Che
scocciatura.
«
Non molto. O almeno, nulla di positivo. » precisò,
con un sospiro.
Alzai
gli occhi al cielo: e quando mai c'erano notizie positive, in quel
posto?
«
Altri guai nel mondo dei matt – ehm, nel Paese delle
Meraviglie? »
mi corressi, guardando altrove.
«
Oh, fin troppi. » rispose nuovamente lui, sospirando ancora.
« ma
non è per questo che sono qui, o mi sbaglio? ».
Sorrisi.
Fortunatamente eravamo lì per altro, e forse presto una
buona
notizia ci sarebbe stata. Il Bianconiglio tirò nuovamente
fuori il
suo grande orologio, guardando distrattamente l'ora. Lo rimise al suo
posto e tirò fuori un bigliettino dalla tasca interna del
panciotto.
«
Ecco qui. » mormorò, con un mezzo sorriso. Presi
il biglietto e
lessi attentamente le indicazioni. Sgranai appena gli occhi, poi
aggrottai la fronte in un attimo di confusione.
«
Ma...questo è...? » iniziai, senza sapere come
continuare: lui mi
guardava con consapevolezza, e un barlume di speranza apparve per un
istante nei suoi occhi, dietro le lenti rosa acceso.
Il
Bianconiglio vedeva e sapeva tutto. Ogni abitante del mondo delle
Favole si rivolgeva a lui per informazioni, contatti, collegamenti. E
in questo nuovo clima le richieste erano sempre più segrete
e
cospiratorie. Per questo gli avevo chiesto di incontrarci: era stato
difficile contattarlo, ma finalmente ero riuscita ad ottenere
ciò di
cui avevo bisogno.
L'indirizzo
era scritto con inchiostro nero su un biglietto malconcio, ma
nonostante tutto riuscivo comunque a leggere le coordinate. Mi
aspettava una bella camminata.
«
Non so dove ti porterà quell'indirizzo, ma di sicuro
troverai
qualcosa. E' tutto quello che sono riuscito a trovare. »
concluse il
Bianconiglio, guardando il cielo sempre più scuro.
«
E' già tanto. Non mi aspettavo di avere un riferimento
così
preciso. » mormorai, con un cenno d'assenso. Era palese che
non gli
avrei chiesto come era riuscito ad ottenere quelle informazioni, non
me l'avrebbe mai rivelato.
Ma
a me non importava. Adesso avevo un nuovo obiettivo.
«
Grazie. » aggiunsi, senza sbilanciarmi troppo.
«
Te lo devo. » rispose lui, scuotendo la testa. « Se
non fosse stato
per te, a quest'ora sarei morto. ».
Effettivamente
aveva ragione. Era successo qualche tempo prima, ma ancora il ricordo
era vivido e ben definito nella mia mente. L'avevo trovato nel mio
bosco – si, mi piaceva ancora considerarlo mio –
sotto l'attacco
feroce di una creatura. Averlo salvato adesso mi ripagava,
fortunatamente.
Probabilmente
alcuni non avrebbero fatto lo stesso. Il mondo delle Favole era
cambiato davvero.
Mi
voltai senza dire nulla, infilai il foglietto in una delle tasche dei
pantaloni e comincia a camminare, lanciandogli un cenno con la mano.
«
La ritroverai, Red! » mi assicurò lui da lontano,
cercando di
confortarmi. Un sorriso amaro apparve sulle mie labbra: stranamente,
non gli credevo neanche un po'.
«
Sai che non ho bisogno di essere compatita, B. » mugugnai,
ascoltando lo scoppiettio della neve sotto i miei piedi. Lui lo
sapeva benissimo, ma ultimamente gli piaceva sperare. Mi fermai.
«
Non ti compatisco. Dico solo ciò che mi piacerebbe vedere,
Mary Ann.
» aggiunse poi, suscitando la mia curiosità.
Mi
voltai, lanciandogli un sorrisetto. Quell'abitudine di prendermi in
giro non gli era ancora passata: la storia dell'equivoco con Alice,
di averla chiamata Mary Ann quando era andato a cercarlo a casa sua.
E quel dannato incidente con i biscotti che facevano crescere.
Ogni
volta che diceva quel nome avevo l'impressione che fosse tornato
l'essere pazzo che era un tempo.
Ma
adesso era cambiato tutto: le radiazioni l'avevano trasformato in un
essere che non era più animale, ma neanche umano. E in quel
luogo di
distruzione la follia era sparita.
Oramai
ce l'avevamo attorno, ci si attaccava alla pelle. Non c'era
più
bisogno di averla nella testa.
Quando
mi guardai indietro, dopo qualche minuto, era già sparito.
I
primi fiocchi di neve iniziarono a cadere dopo qualche ora: il cielo
ora era di un color grigio perla, luminoso e abbagliante. Dovevo
muovermi a trovare un rifugio, o la tempesta mi avrebbe assalita e
non ne sarei uscita facilmente.
Il
bosco era tutto uguale. Lo conoscevo come le mie tasche oramai, ma mi
capitava spesso di trovarvi persone disperse – vive o morte
– che
non avevano idea di come orientarsi in quella fitta e intricata rete
di abeti innevati e tronchi morti a terra.
Mi
guardai attorno, e in quel momento pensai a Peter. Chissà se
era
riuscito a trovare un riparo.
Scrollai
la testa, scacciando quel pensiero che non aveva il diritto di
stazionare nella mia mente: avevo promesso a me stessa di non
preoccuparmi degli altri più del necessario. Non potevo,
almeno non
in quel momento. Una preoccupazione in più poteva distrarmi,
e
questo voleva dire morire subito.
In
quel momento qualcosa – un rumore soffocato, quasi troppo
delicato
per quel posto – interruppe l'armonioso silenzio, mettendomi
in
allerta.
Il
Bianconiglio era l'unico che avrei dovuto incontrare, perciò
chiunque fosse giunto dopo poteva essere pericoloso.
Fu
in quel momento che sentii un ringhio. Profondo, che scosse la terra
e anche me.
Il
ringhiare famelico che oramai avevo imparato a riconoscere.
Gli
alberi nascondevano ancora alla vista gli artefici di quei suoni
orridi, ma già riuscivo a distinguerne le ombre.
Così cominciai a
contare, piano, nella testa, senza muovermi.
Uno,
due, tre...
Quattro.
«
Venite fuori, bastardi. » mormorai, ignorando i fiocchi di
neve
sempre più spessi che mi si posavano sul mantello. La
tempesta era
arrivata.
Non
era una cosa nuova, almeno. Altre brutte notizie mi avrebbero
lasciato l'amaro in bocca.
Le
ombre si fecero più ampie, e otto paia di occhi rossi si
accesero
improvvisamente sullo sfondo bianco.
«
Cappuccetto Rosso vieni, vieni qua, se ti vede il lupo ti
mangerà...
» cominciai a
cantare, per attirarli a me.
Erano
terribilmente attirati da quelle stronzate.
E
poi, eccoli.
Quattro
giganteschi lupi grigi mi circondarono: avevano delle striature
bianche sul dorso, e grandi occhi rossi simili a lampadine. Quel
dannato Inverno nucleare gli aveva fatto bene.
Uno
di loro si alzò sulle zampe posteriori – si,
riuscivano a stare in
piedi, per mia sfortuna – e mostrò la lunga fila
di denti bianchi
e affilati. Più che lupi, adesso erano grossi come cavalli.
In piedi
dovevano superare di certo i due metri di altezza.
Alcuni
di loro erano già stati feriti, forse anche da me.
«
Vedo il lupo nero che ti sta a guardare,
Cappuccetto Rosso
comincia a scappare... »
continuai, incurante dei loro sguardi famelici che puntavano dritti
verso di me. Ordinaria amministrazione.
Uno.
Due.
Tre.
Via.
Il
lupo più grande tornò su quattro zampe e
balzò verso di me, mentre
gli altri mi circondavano lasciandomi sempre meno spazio per
muovermi. Saltai agilmente in avanti, aggrappandomi al ramo
più
basso del grande abete di fronte a me. Era una battaglia veloce,
incentrata sulla rapidità dei movimenti e
sull'agilità.
Non
potevo perdere un altro braccio, non come la prima volta. Il solo
pensiero mi faceva rivoltare le budella.
Tenni
stretta la lancia, afferrando con la mano libera il grande coltello
agganciato alla gamba. Il grande lupo schivò i primi due
colpi e si
allontano di qualche passo, pronto ad un secondo attacco.
Mi
voltai, localizzando il lupo alle mie spalle, e con un movimento
rapido lanciai il coltello dritto in mezzo a i suoi grandi occhi
color sangue, facendolo cadere a terra dopo qualche minuto.
Quello
era il momento peggiore: gli altri tre guardarono il compagno morto e
mi ringhiarono contro.
«
Ops. » mormorai, senza distogliere lo sguardo. « mi
sa che vi ho
fatto arrabbiare, cucciolotti. ».
Uno
di loro reagì, saltandomi addosso. Mi graffiò il
petto, ma
fortunatamente il corpetto metallico mi protesse. Oramai era pieno di
segni delle precedenti battaglie, il che voleva dire che funzionava
davvero.
Rotolai
su un lato e, con la lancia stretta tra le dita, trafissi la carte
del bestione, proprio all'altezza del cuore.
Tornai
sulla carcassa del primo e recuperai il coltello, mi voltai e un
altro lupo era già pronto all'attacco.
Più
veloce.
Più
furioso.
Più
tutto.
Indossai
gli occhialoni da aviatore per proteggermi dalla neve che oramai
cadeva rapida e battente, scalfendo il loro pelo lungo e irrigidito.
«
Che bocca grande che hai.
» mormorai, lanciandogli un sorrisetto. Lui mi
ringhiò contro,
mostrando ancora di più i denti affilati e sporchi. Gli
occhi
brillarono di una luce più intensa.
Accelerai
il passo, correndo verso di lui sempre più velocemente. Lui
fece lo
stesso. Brandendo la lancia insanguinata cercai di saltare il
più
possibile in avanti per cadergli addosso: sapevo che acquisendo la
stabilità sulle zampe posteriori, i lupi ci avevano rimesso
in
equilibrio.
Finii
sulla sua schiena, destabilizzandolo. Il lupo più grande
minacciò
di venirmi incontro, e affrontarne due insieme sarebbe stato
più
difficile. Dovevo muovermi.
Rotolammo
per terra e mi ritrovai sopra di lui. Gli piantai la lancia in mezzo
al petto, e quando la tirai fuori mi portai dietro il cuore rosso e
pulsante, che adesso era molto più simile a quello di un
umano, solo
dieci volte più grande.
Non
erano più animali, ma troppo bestie per essere uomini. O
forse no.
«
Che cuore grande che hai.
» sibilai, lanciandolo sulla neve.
In
quel momento il grande lupo mi arrivò addosso, con una forza
tale da
spostarmi di qualche metro.
Provai
a colpirlo di nuovo, ma era decisamente più forte degli
altri.
Raramente incontravo delle bestie con un pizzico di intelligenza.
Forse l'Inverno nucleare gliel'aveva regalata insieme a quell'orrida
trasformazione in bestie fantascientifiche.
Sbuffai.
Non avevo voglia di usare le maniere forti, ma dovevo muovermi o
sarei morta sotto la tempesta.
Mi
voltai e corsi verso la piccola montagna di neve alle mie spalle.
Guardai
il braccio meccanico libero, così simile ad un esile braccio
umano:
la pelle era perfettamente riprodotta in ogni suo elemento,
così
come le unghie e le dita. Nulla poteva far sospettare cosa si celasse
dietro quello strato apparente di carne.
«
Tu che ti credi tanto feroce, scappa...
» continuai a canticchiare, e quella filastrocca
rimbombò nell'aria
gelida del bosco. Strinsi la mano a pugno, osservando la pelle
diradarsi per lasciare spazio alle parti metalliche.
C'erano
fili e luci colorate e un sacco di altra roba: dall'interno
cominciò
ad uscire una serie di piccoli cilindri di metallo, che si unirono
insieme per formare un unico cannone lungo due volte il mio
avambraccio.
Era
pesante, ma oramai avevo imparato a gestirlo. Non avrei voluto usarlo
vista la scarsità di proiettili che avevo con me, ma in quel
momento
era necessario.
Lo
puntai dritto verso di lui, che mi lanciò uno sguardo feroce
e
intimidito.
«
...che il cacciatore spara e... »
proseguii, lanciando due colpi uno dopo l'altro. I piccoli cilindri
attorno al mio braccio cominciarono a muoversi, e la struttura
roteò
facendo un giro completo.
I
grandi proiettili lo colpirono in testa, spegnendo gli occhi
sanguigni come dopo un black out.
Lo
vidi accasciarsi a terra e morire, coperto dalla neve.
«
...poi ti cuoce. »
conclusi, osservando il fumo nero che saliva dalla carcassa oramai
priva di vita e dal mio braccio. Chiusi gli occhi e sentii i cilindri
muoversi di nuovo.
Quando
li riaprii, il braccio era di nuovo roseo e normale. Non era molto
piacevole fare quel cambio.
Ormai
dovevo essere vicina al confine. Forse.
Ma
non vedevo più niente.
«
E' tardi. » sibilai, imprecando sottovoce. Quell'attacco a
sorpresa
mi aveva fatta finire in mezzo alla tempesta, senza un riparo. Non
succedeva mai, di solito riuscivo a prevederlo.
Dannati
lupi.
La
tempesta mi avvolse, circondandomi nella sua morsa gelida. Niente
poteva salvarmi.
Sentivo
le forze mancare a poco a poco. Lo scontro era stato faticoso, e
tirare fuori l'artiglieria pesante mi aveva consumata
definitivamente.
Tutto
quello che vidi prima di chiudere gli occhi fu un'altra ombra, poco
distante da me.
E
con le ultime forze pregai che non si trattasse di un lupo.
Nb. Il titolo del capitolo è tratto da una frase detta
realmente
nel libro di "Alice nel Paese delle Meraviglie" dal Bianconiglio, nel
momento in cui Alice lo raggiunge a casa e lui la scambia per una
fantomatica Mary Ann ( o Marianna, nella versione italiana). Penso che
lo scambio di persona sia uno dei segni cardine della follia nel Paese
delle Meraviglie, riconducibile anche al Bianconiglio, e per questo ho
voluto usarla nella mia storia sottoforma di scherzo: lui oramai non
è più sovrastato dalla follia, ma ricorda bene
cosa
voglia dire e per questo gioca con Red, la quale è
consapevole
della lucidità del Bianconiglio.
Piccola spiegazione, per il resto spero che il capitolo vi sia
piaciuto. Grazie per aver letto questa storia, spero continuerete a
farlo!
L.
|
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Capitolo 3 *** Magic mirror on the wall,who is the fairest one of all? ***
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-
3.
Magic mirror on the wall,who is the fairest one of all?
La
prima cosa che riuscii a sentire al mio risveglio fu un intenso odore
di spezie. E cipolla. Troppa cipolla.
Tuttavia,
la sorpresa nel sentirmi ancora in vita era troppa per pensare agli
odori acri che mi circondavano.
C'era
una temperatura piacevole, e non faceva affatto freddo. Non come lo
ricordavo in mezzo a tutta quella neve.
Provai
ad aprire gli occhi, ma vedevo ancora tutto appannato. Oltretutto mi
costava una gran fatica, segno che dovevo aver riposato poco. Provai
a sgranchirmi le gambe, e sorprendentemente ci riuscii.
Deglutii
a fatica. Avevo la bocca secca e una terribile sensazione di sete.
In
più, quell'odore che prima disprezzavo cominciava a piacermi.
«
Che... » mugugnai, e tutto quello che sentii dopo furono dei
passi
rapidi in mia direzione.
«
Ben svegliata. » squittì una voce accanto a me, e
ci misi un po'
per ruotare la testa e mettere a fuoco la situazione. A quel punto mi
resi conto di essere sdraiata su un letto di legno e paglia, il che
spiegava tutta quella comodità imprevista.
La
stanza era comoda e accogliente, non molto grande ma quel tanto che
bastava per viverci, interamente intagliata nel legno. Intravidi il
camino con il fuoco acceso, sopra cui era posizionata una pentola da
cui proveniva quell'odorino invitante.
«
Dove sono? » mormorai, ma avevo la bocca impastata. Passai la
lingua
sulle labbra screpolate, e provai a mettermi seduta. L'ombra accanto
a me provò ad aiutarmi, visto che era palese quanto fossi
irrigidita
nei movimenti.
«
Dannato Inverno nucleare, le mie ossa ti malediranno per sempre.
»
borbottai sottovoce, imprecando come solo io sapevo fare. Accanto a
me partì una risatina cristallina e limpida, che mi
tranquillizzò.
E
finalmente riuscii a metterla a fuoco.
Non
mi ci volle molto per riconoscerla: i capelli neri scendevano in
ampie onde sulle spalle nude, appena raccolti con un fazzoletto color
lampone, incorniciando il viso simmetrico e due grandi e intensi
occhi color smeraldo. Mi sorrise, mostrando la fila di denti bianchi
in risalto sulla pelle olivastra.
Tossii,
e lei mi passò una ciotola da cui proveniva quel
meraviglioso
profumo, muovendo le braccia su cui ondeggiavano una serie di
bracciali colorati, che arrivavano quasi fino al gomito. Quel
tintinnio riuscì quasi a calmarmi.
«
Mangia qualcosa, sei molto debilitata. » mi
suggerì lei, e
l'istinto mi disse che potevo fidarmi. La zuppa era calda e
buonissima. Talmente buona che ripulii la ciotola in pochi istanti.
«
Te ne porto ancora. Può farti solo che bene, fidati.
» aggiunse,
con voce energica. Prese la ciotola e si avvicinò al camino.
Indossava un'ampia gonna color ametista, strappata ai margini e
decorata con perle e altre decorazioni dai colori sgargianti. Le
calze color lampone la coprivano fin sopra al ginocchio, e le
caviglie erano decorate con catenine brillanti e ciondoli d'oro.
Indossava un paio di orecchini dorati, due cerchi spessi che dovevano
pesare una tonnellata.
«
Noi...ci conosciamo? » mormorai, sapendo già la
risposta. Nel mondo
delle Favole ci conoscevamo tutti, ma alcuni di noi meglio di altri.
«
Non proprio. » rispose lei, voltandosi. Mi portò
un'altra razione
di zuppa, e mangiai di gusto anche quella.
«
Cos'è successo? » le chiesi, ancora ignara di dove
fossi. Qualcuno
mi aveva salvata, e di certo questo mi bruciava un po'. Ma in quel
mondo così cambiato un po' d'aiuto non guastava mai.
«
Al sicuro. » disse semplicemente lei, allontanandosi dal
letto. «
Eri in mezzo alla tempesta, devi essere svenuta. Hai dormito per
parecchie ore. ». Prese un gilet sbracciato color smeraldo e
lo
indossò sopra il corpetto bianco. Solo in quel momento mi
resi conto
che alla cintura, legato con una fascia, c'era un coltello dal manico
d'ottone.
A
quanto pare ognuno, anche il più insospettabile, doveva
difendersi.
Anche nel posto apparentemente più accogliente di
quell'Inferno.
«
Grazie. » mormorai, riconoscente. Non potevo non farlo, visto
che mi
aveva salvato la vita.
«
Non ringraziare me. » rispose lei, con un sorriso affettuoso.
« Non
sono io che ti ho salvata. ».
Rimasi
in silenzio, rimuginando sulle sue parole, e solo a quel punto
cominciai a guardarmi attorno: attraverso la finestra si scorgeva
solo un manto bianco senza fine, ma nessun accenno di tempesta.
Forse
mi trovavo ancora nel bosco, benché mi sembrasse leggermente
diverso
da quello a cui ero abituata a vedere.
«
Oh, dimenticavo. » esordì poi lei, avvicinandosi
nuovamente. Le
calze erano tagliate in fondo, e lei camminava a piedi nudi senza
provare il minimo fastidio. « Io sono
Esmeralda.
».
Sorrisi.
« Piacere. Red. ».
«
E' un piacere conoscerti, finalmente. Non ci siamo mai incontrate,
vero? ».
«
Mai. ». Ed era vero, i nostri mondi erano lontani. Ma allora
che ci
faceva lì?
In
quel momento udii nuovamente un rumore di passi, come se qualcuno
oltre la porta stesse salendo le scale. Esmeralda si voltò e
sorrise. « Arriva. » disse, strizzandomi l'occhio.
La
porta si aprì e tutto quello che vidi furono due pesanti
stivaloni
neri e un'ampia gonna gialla da bambola vittoriana.
«
Sei sveglia! Era ora. » squittì la voce acuta e
vispa della
ragazza, stretta in quel corpetto blu e rosso che mi fece trasalire.
Strabuzzai
gli occhi. « Biancaneve? ».
Non
era cambiata di una virgola. Fatta eccezione per l'abitino molto
più
succinto.
Di
certo i bambini non si sarebbero addormentati immaginando una
sventola simile.
«
E' da tanto che non ci si vede. Vero, Red? » rispose lei,
muovendo
le labbra rosse e perfette.
I
capelli nero corvino le fasciavano il viso in un caschetto
spettinato, tenuto fermo da un fiocco rosso nel cui centro era
fissato un piccolo teschio. Non osavo immaginare da quale animale
l'avesse tirato fuori.
Povere
bestie.
«
Sono nel tuo bosco? » sussurrai, guardando oltre la finestra.
Effettivamente era diverso dal mio.
Ero
a casa sua. O meglio, nella casetta nel bosco.
«
Eri arrivata al confine, a quanto sembra. Ero in giro per la solita
ronda e ti ho vista in mezzo alla tempesta. Fortuna che sono arrivata
in tempo. » mi spiegò lei, avvicinandosi.
« come ti senti? ».
«
Meglio, grazie. » dissi, annuendo. Riuscii finalmente ad
alzarmi in
piedi. « E tu? Come stai? ».
Nonostante
i nostri regni fossero vicini, non ci eravamo più viste
dall'Apocalisse. Era difficile comunicare.
«
Me la cavo. » rispose, lanciando un'occhiata ad Esmeralda.
Sotto la
gonna color canarino intravidi una serie di fasce che tenevano
stretti coltelli e armerie. Altro che reggicalze.
Esmeralda
si alzò e attraversò la stanza. « Io
comincio a scendere. Ci
vediamo giù. ». Mi sorrise e si richiuse la porta
alle spalle.
Scendere?
Biancaneve
prese una sedia di legno e si accomodò accanto al mio letto,
così
anche io tornai a sedere. Fortunatamente non avevo perso nulla nella
tempesta: la lancia e la sacca erano poggiate al muro,ad un angolo. E
il mio corpetto metallico era sul bancone di fronte a noi.
«
L'Inverno nucleare è una rogna. » mugugnai,
ripulendo gli
occhialoni da aviatore dal sangue e dal ghiaccio.
«
Non posso che darti ragione. » aggiunse lei, guardando oltre
la
finestra. Anche il suo bosco era stato colpito dall'Inverno,
così
come il mio. Non sapevo quali bestie feroci si aggirassero nei
dintorni, ma se erano uguali ai miei lupi, allora doveva essere un
gran casino anche lì.
«
Perché Esmeralda è qui? ». Non sapevo
nulla di lei e del suo
mondo. Praticamente eravamo agli antipodi.
«
Una brutta storia, purtroppo. Il suo mondo è stato
completamente
distrutto. La Corte dei Miracoli è diventata cenere. Non ha
più
nessuno, e ha vagato fino a qui di regno in regno. ».
Capivo
cosa voleva dire. Il mio mondo non era stato distrutto, ma avevo
perso tutto ciò che avevo e dovevo combattere di giorno in
giorno
contro la morte.
«
E tu? » le chiesi, indicando con un gesto le pareti di legno
e il
tetto. « Perché non sei al castello? ».
Sul
suo volto apparve un'espressione contrariata. La smorfia
increspò la
meravigliosa pelle diafana.
«
Il castello non esiste più, è andato distrutto.
»
«
E... » iniziai, ma lei aveva già capito. Di norma
non avrei chiesto
così tanto, ma Biancaneve ed io ci conoscevamo da tanto.
Nonostante
tutto, mi fidavo di lei e lei di me.
Ed
ero contenta di rivederla, dopo tanto tempo.
«
Il principe? Oh, lui mi ha lasciata nel castello. A parlare d'amore
sono tutti bravi, Red. E' quando dobbiamo dimostrarlo che si vede la
vera essenza delle persone. » concluse poi, alzandosi per
togliere
la pentola dal fuoco.
O
fare qualsiasi altra cosa che potesse distrarla. Rimasi incredula di
fronte alle sue parole.
L'aveva
abbandonata, rischiando di lasciarla morire in quel castello.
«
Perlomeno ha avuto ciò che si merita. Gli animali del bosco
si sono
vendicati di lui. » mormorò, con un ghigno
soddisfatto. « Lui è
Grimilde possono marcire all'Inferno, per quanto mi riguarda.
».
Sbattei
le palpebre, incredula. La donna che avevo di fronte aveva dato un
bel calcio in culo alla bambolina dalle guance rosee.
«
Coraggio, andiamo di sotto. C'è una cosa che devi vedere.
» sibilò
lei, con fare cospiratorio.
Fantastico.
Quando
raggiungemmo il piano di sotto quasi mi venne un colpo. Di certo non
mi aspettavo una cosa simile.
L'atmosfera
era calda e illuminata solo da qualche luce fioca, aranciata. C'erano
piccoli tavoli rotondi in ogni angolo, e al lato un lungo bancone di
legno dove due nani stavano servendo enormi pinte di birra.
In
fondo alla stanza era posizionato un piccolo palchetto, circondato da
tessuti colorati che mi ricordarono improvvisamente l'abito di
Esmeralda.
«
Tu...? » iniziai, guardando Biancaneve. Lei osservava la sua
creazione con immensa soddisfazione.
«
Io. » confermò, guidandomi attraverso i tavoli
fino al bancone. I
due nani la salutarono con calore.
Li
guardai, poi mi voltai dando le spalle al bancone: c'era un sacco di
gente, proveniente da tutti i mondi vicini, e qualcuno anche da molto
lontano.
«
E' un punto di ritrovo. O anche di sosta. Insomma, chiamalo come ti
pare. » mi spiegò Biancaneve, salutando un altro
nano in fondo alla
sala. « questo mondo ancora non è finito.
».
Di
certo, la speranza non era sparita del tutto. In quel momento provai
un moto di grande ammirazione per lei, e pensai a quando avevo
incontrato il Bianconiglio: perché io non ero in grado di
pensare al
futuro con un minimo di positività?
Biancaneve
mi passò un bicchiere con all'interno un liquido di un rosso
intenso. Quando lo assaggiai, notai l'intenso sapore di alcool e
mela.
«
Il miglior sidro di mele della zona. Fidati. »
sussurrò Biancaneve
al mio orecchio. « Oh, e non preoccuparti. Non sono
avvelenate. ».
Mi
scappò una risata, la prima dopo lungo tempo. Iniziai a
guardarmi
attorno nella stanza.
«
Due, tre...cinque...sette. » mormorai, sotto il suo sguardo
intenso.
« ci sono tutti. ».
Lei
mi sorrise e annuì. « Per fortuna. ».
Perdere i suoi amati nani
sarebbe stato il lutto più difficile da superare. Ma per
fortuna
ancora non doveva preoccuparsene. Erano tutti lì, e
l'aiutavano.
Questo
era importante.
Una
musica trascinante cominciò a diffondersi nella sala,
coperta dagli
apprezzamenti degli spettatori. Intravidi un'ombra dietro i teli
colorati, e quando apparve non rimasi stupita. Esmeralda
cominciò a
ballare sul palco con una straordinaria grazia e sensualità,
muovendo i fianchi a ritmo di musica.
Gli
spettatori lasciavano il loro contributo per lo spettacolo al centro
di ogni tavolo, nel cestino della candela.
Mi
scappò un altro sorriso. « Ci avrei scommesso.
».
Biancaneve
si voltò verso il bancone e uno dei nani le passò
un bicchierino
ricolmo di un denso liquido verde. L'odore forte e pungente mi invase
le narici, facendomi tossire. Lei lo bevve in un sorso.
«
Non dirmi che ti sei data all'assenzio, adesso. Non bastavano tutte
quelle mele avvelenate? » commentai, cercando di farmi
sentire sopra
la musica che cresceva di volume. Dio, adoravo prenderla in giro.
«
Non farmi arrabbiare, ragazzina. » rispose lei in tono,
lasciando il
bicchiere sul bancone. Esmeralda continuava a ballare, così
la
salutai da lontano sperando che mi vedesse e mi diressi verso le
scale insieme a Biancaneve, che mi accompagnò al piano di
sopra.
Presi le mie cose e mi avvicinai all'uscita.
«
Sicura di voler andare così presto? Puoi stare quanto vuoi.
»
mormorò lei, con un sorriso affettuoso.
«
Grazie, ma devo andare. ».
Lei
annuì, perché sapeva. « Tieni.
» mi disse poi, passandomi un
sacchetto di pelle nera. Al suo interno c'era una maschera color
petrolio, con due sbocchi laterali.
Una
dannata maschera anti – gas.
«
Oh, dio. Non dirmelo. » mi lamentai, alzando gli occhi al
cielo. Lei
annuì, esasperata.
«
Probabilmente sono gli effluvi radioattivi dal terreno. Fortuna che
la zona in cui ti ho trovata era di confine, e non ce n'è
traccia.
Ma più avanti sicuramente te ne accorgerai, ti conviene
indossarla
subito. » mi consigliò lei, ed io mi sentii quasi
in colpa
nell'accettare quel regalo.
«
Grazie. Per tutto, Bennie. » sussurrai, stringendo la fredda
plastica attorno agli sbocchi d'aria.
Lei
si aprì in un sorriso affettuoso. « Te lo ricordi
ancora. »
mormorò, con una punta di emozione. « nessuno mi
chiama più così,
sai? ».
Le
sorrisi, e indossai la maschera. Tenni gli occhiali da aviatore ben
saldi sulla testa, e coprii i capelli con il cappuccio. Sapevo che ci
saremmo incontrate di nuovo, presto.
O
almeno lo speravo.
La
guardai un'ultima volta, poi mi voltai e cominciai ad incamminarmi.
Senza girarmi. Senza pensare.
Nb. Probabilmente le rivedrete ancora. Lo dico perché adoro
Esmeralda, e nonostante Biancaneve mi sia sempre sembrata un
pò moscetta, questa versione mi ispira di più,
quindi penso che saranno due personaggi che rivedremo nel corso della
storia. Oh, e odio il principe di Biancaneve. Probabilmente lo avete
capito! Spero che la storia vi piaccia!
L.
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Capitolo 4 *** A very merry unbirthday to you. ***
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THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
4.
A very marry unbirthday to you.
I
fumi radioattivi mi sarebbero costati la vita, se non avessi avuto la
maschera di Biancaneve. La indossai per tutto il tempo, senza mai
toglierla. Sentivo gli effluvi provenienti dal terreno avvolgermi. La
pelle prudeva, e nonostante la maschera avevo costantemente uno
strano sapore in bocca.
Che
schifo di posto.
Chissà
se la casa dei nani era l'unica ad essere rimasta in piedi. Da quello
che mi aveva detto Biancaneve, il castello era andato a farsi
benedire, così come quell'idiota di un principe. In fondo
non mi era
mai piaciuto.
Insomma,
a baciare siamo bravi tutti. E il dopo, che divide chi ha le palle da
chi non ce le ha.
E
in quel momento, Biancaneve probabilmente era più uomo di
quanto mai
sarebbe stato il principe.
Sapevo
che quel bosco era grande, forse anche più grande del mio.
Ma almeno
non c'erano lupi famelici, e le creature del bosco erano asservite a
Biancaneve. Perciò non correvo alcun pericolo.
Ora
l'obiettivo principale era uscire da quel dannato bosco e recuperare
qualche munizione. Era difficile riuscire a trovarle, l'ultima volta
le avevo rimediate grazie ad un giro di contrabbando che avevo
scoperto per caso, e ne avevo prese un bel po'. Adesso dovevo mettere
in moto il cervello e cercare di trovarne altre prima di finire
ammazzata.
Biancaneve
aveva messo nella sacca una bottiglietta di sidro di mele. Di certo
mi avrebbe scaldata.
Oramai
camminavo da un bel po', ma percepivo ancora l'intensità dei
fumi
tossici attorno a me.
E
nonostante tutto, non potevo fare a meno di pensare a Peter.
Chissà
se aveva trovato riparo durante la tempesta. Chissà se era
vivo.
No,
non dovevo pensarci.
Non
dovevo, maledizione.
Scalciai
a terra, colpendo una pigna rinsecchita. La vidi rotolare pochi metri
più avanti, e poi sparire. Mi bloccai. Di certo non era la
prima
stramberia a cui avevo assistito, ma non per questo dovevo
fregarmene.
Avanzai
cautamente, un passo dopo l'altro. Ogni centimetro era indispensabile
e prezioso.
Frugai
nella sacca in cerca di qualcosa da poter lanciare davanti a me, ma
tutto quello che mi passava tra le mani era più che
indispensabile.
Scavai nella neve fino a che non trovai una pietra grossa come il
palmo della mia mano, piatta e ruvida. Dosai bene la forza e la
lanciai di fronte a me. La pietra cadde con un tonfo, e poi
sparì.
Scossi
la testa, irritata. Quei giochetti mi davano fastidio, e non poco.
Così decidi di rischiare. Avanzai sempre più
rapidamente, contando
i passi che mi separavano dall'oblio.
Ma
non avevo paura. La paura se n'era andata da un pezzo oramai.
Più
o meno da quando mi ero svegliata in una pozza di sangue, con il
braccio mozzato e i brandelli di carne che penzolavano dal gomito.
Una scena a dir poco raccapricciante. Ero stata svezzata brutalmente,
ma forse era meglio così. La sopravvivenza era difficile, ed
essere
forti era tutto ciò che ci rimaneva.
C'era
qualcosa che bloccava la strada. Un muro invisibile chissà
quanto
ampio di cui riuscivo a percepire solo qualche dettaglio confuso. E
questo mi irritava ancora di più.
Così
tirai un pugno alla parete che bloccava il mio cammino. Un pugno
energico, forte, senza alcun timore.
La
superficie era liscia solo in apparenza: poco al di sotto si poteva
percepire qualcosa di ruvido, frastagliato e informe.
Non
avevo idea di cosa si trattasse. Uno sfrigolio all'altezza dei miei
occhi attirò la mia concentrazione, e un cumulo di neve
cadde a
terra senza fare il minimo rumore. Al suo posto c'era solo un buco
dai contorni irregolari, al cui interno riposavano lunghe foglie
verdi, brillanti e vitali.
«
Oh, maledizione. » imprecai sottovoce, alzando gli occhi al
cielo.
Era una siepe. Non sapevo quanto fosse grande, né se fosse
tanto
fitta da non poterci passare attraverso. Scostai un altro poco di
quella neve rinsecchita e pian piano scoprii altre foglie, verdi allo
stesso modo e tutte vicine tra di loro.
Era
incredibile come si fossero mantenute al di sotto di quella cupola di
nevischio, che le intrappolava nei suoi fumi velenosi lasciandole
tuttavia intatte. Non sapevo come fosse possibile.
Ma
di una cosa ero certa: c'era un solo mondo, a parer mio, in cui era
così difficile entrare.
Sbuffai,
irritata, e il mio pensiero corse subito al Bianconiglio. Se ci fosse
stato lui sarebbe stato tutto molto più semplice. Mi guardai
attorno, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarmi.
Perché
c'era sempre, sempre un modo per entrare nel Paese delle Meraviglie.
Anche in quel terribile caos.
Raramente
mi addentravo in quei luoghi, ma adesso dovevo farlo e anche alla
svelta. Non sapevo se l'aria lì fosse già
respirabile, così tenni
su la maschera antigas per sicurezza. Mi inginocchiai e frugai nella
neve, cercando tra le foglie verdi che spuntavano sporadicamente tra
gli ammassi di ghiaccio e acqua.
Terra,
erba, terra ed erba. Nient'altro. Scavai più a fondo,
avvicinandomi
poi alla siepe. I guanti di pelle mi proteggevano dalla bassa
temperatura, ma nonostante tutto percepivo chiaramente il vento
gelido del bosco.
Scavai
ancora, fino a quando non vidi qualcosa di diverso da tutta quella
neve: qualcosa di più colorato, vivido e brillante.
Un
fungo.
Un
vero fungo, con il cappello color miele e il gambo tozzo e spesso.
Accanto ve ne erano altri due, più piccoli ed esili. Staccai
il
fungo più grande da terra e lo analizzai da vicino.
Il
dubbio mi attanagliava: in quel miasma di polveri tossiche e fumi
radioattivi, di certo mangiare un fungo cresciuto per terra era la
cosa più sbagliata da fare. Ma non avevo scelta, se non
quella di
cambiare strada e allungare il mio percorso costeggiando quella siepe
infinita. Il mio senso dell'orientamento era scarso su quella zona, e
non sapevo dove sarei andata a finire cambiando strada. E poi ero
inspiegabilmente attratta da quel rischio così vicino.
Volevo
sfiorare la morte, e semmai mi fossi svegliata, sarebbe stata una
vittoria in più. Staccai il cappello del fungo dal gambo e
ne
mangiai un pezzetto, masticando e ingoiando ad occhi chiusi.
Nel
Paese delle Meraviglie c'era una regola: mangiare o bere qualsiasi
cosa poteva essere molto pericoloso.
Ma
in quel momento del pericolo mi importava poco. Speravo davvero che
quel pezzetto di fungo insapore mi aiutasse. Che so, a diventare
più
piccola.
O
a crescere a dismisura. No, forse quello sarebbe stato troppo.
Indossai
di nuovo la maschera antigas e attesi. Uno, due, tre minuti. Non
accadeva nulla. Forse quello schifo di Inverno nucleare ne
aveva annullato gli effetti, o forse quello era solo uno stupido
fungo ed io lo avevo mangiato inutilmente. Cominciavo a pensare che
la seconda ipotesi fosse più realistica.
Meglio
che essere maciullata dalle scorie tossiche, senza dubbio. Ma quel
fungo sembrava così innocuo che non lo ritenevo possibile.
Pochi
istanti dopo mi accasciai a terra, perdendo i sensi.
Aprii
gli occhi di scatto, prendendo un grande respiro come dopo una lunga
apnea sott'acqua. La mente era completamente vuota, priva di ogni
ricordo. Poi, come un uragano, ritornò tutto.
Il
fungo.
Una
mossa geniale, Red. Complimenti.
Mi
alzai in piedi, e come al solito verificai di avere tutto al mio
posto. La sacca, la lancia, i coltelli.
Frugai
nella borsa e afferrai con tenacia la bottiglia di sidro di
Biancaneve. Ne bevvi un sorso, poi un altro.
Mi
guardai attorno, e mi accorsi subito di una cosa: la neve era
sparita.
E
questo voleva dire che ero dall'altra parte.
Mi
ci volle poco a confermare la mia ipotesi: attorno a me c'erano solo
erba incolta, sterpaglie e fiori dalle dimensioni sproporzionate,
probabilmente resi tali dalle radiazioni che oramai incombevano su
tutti noi.
Provai
a togliere la maschera antigas, rendendomi conto che l'aria era
più
che respirabile. Ma l'atmosfera non era certo delle migliori.
Il
cielo era di un grigio topo, come se da un momento all'altro dovesse
scoppiare una tempesta. Il sentiero che mi divideva da quella specie
di prato in versione gigante era lasciato a se stesso, così
come
tutto il resto.
Tirai
su gli occhiali e li fermai saldamente sulla testa, scrollandomi la
neve di dosso.
Il
Bianconiglio mi aveva detto che il Paese delle Meraviglie non se la
passava bene, ma non credevo a tal punto. E adesso iniziavo a capire
perché cercava sempre di rimanere lontano il più
possibile dal suo
regno.
Improvvisamente
mi ricordai del fungo che avevo mangiato, e cominciai a pensare di
essere diventata più piccola: in fondo, tutto lasciava
intendere che
fossi io, quella troppo minuta nel contesto.
Mi
guardai attorno, e dopo aver recuperato le mie cose iniziai a
costeggiare i giganteschi fili d'erba, seguendo il sentiero terroso.
Sembrava un luogo misero, abbandonato sotto lo sferzante attacco del
tempo.
Metteva
nostalgia. Chiunque nel mondo delle Favole ricordava quel posto per
l'allegria e la spensieratezza che si potevano percepire in ogni
angolo, nonostante la follia.
Ma
non c'era nulla, davanti ai miei occhi, che ricordasse tutto
ciò.
Continuavo
a cercare qualche punto di riferimento, qualcosa che mi suggerisse la
mia vera altezza. Ma intorno a me vedevo solo tanto caos, e quella
confusione stava lentamente facendosi strada nella mia testa.
Un
fruscio flebile mi distrasse da quei pensieri sconnessi. Mi voltai
velocemente, cercando di vedere oltre quella barriera verde marcio.
Il silenzio aveva coperto ogni rumore.
Ogni
rumore eccetto uno.
Un
tintinnio, leggero e delicato. Come di due oggetti che lentamente
vengono a contatto. Somigliava ad un suono che avevo già
sentito
prima, che ricordavo o ero in grado di riconoscere.
Il
tintinnio di una tazza da tè.
Feci
un passo in direzione dei grandi fili d'erba, tenendo la lancia
stretta a me. Dovevo fidarmi solo del mio istinto. Smisi di muovermi,
respirando lentamente e modulando ogni minimo movimento. Sapevo che
sarebbe scattato qualcosa, non appena qualcuno avesse rotto il
silenzio. Era questione di secondi.
Due
piccoli e luminosi occhi gialli apparvero nell'oscurità.
« Non
muoverti. » mormorò la vocina incrinata tra i fili
d'erba.
E
in un attimo mi ritrovai accerchiata. In trappola, senza neanche
accorgermene, tenuta stretta da due grossi energumeni di cui non
riuscivo a scorgere il volto.
«
Lasciatemi! » gridai, dimenandomi. Ma erano forti, e non ci
misi
molto a capire che non era sempre stato così. Le radiazioni
nel
paese delle Meraviglie avevano agito peggio degli steroidi.
«
Fossi in te non farei così tanto chiasso. Non vorrai mica
farti
trovare, vero? » la misteriosa figura al di là
delle fronde
scavalcò la matassa d'erba ed apparve, riconoscibile
più di
chiunque altro.
Prima
di quel casino amavo trascorrere qualche giornata nel paese delle
Meraviglie, nonostante lo considerassi un covo di matti. Ma adesso
avevo come l'impressione che entrarci non era poi stata un'idea tanto
brillante.
Di
fronte a me, il leprotto bisestile mi fissò con quegli occhi
indagatori, muovendo le lunghe orecchie che cadevano delicatamente
sulle spalle. Anche lui era diventato decisamente più alto,
e aveva
la gobba. Il pelo era ispido e mancava in alcuni punti, così
come il
suo panciotto macchiato e rovinato dal tempo.
Sembrava
essere appena uscito da una rissa.
«
Non ce la passiamo bene, vedo. » mugugnai, cercando di
scrollarmi
nuovamente di dosso i due gorilloni, che non erano altro che due
degli animali del bosco. « andiamo, ragazzi. Non dovete
fare...una
maratonda,
o qualcun'altra di quelle idiozie che prima amavate tanto? ».
Uno
dei due mi ringhiò contro. Probabilmente non capivano il mio
umorismo. Il leprotto prese la mia lancia e guardò i due
bestioni. «
portiamola via. ».
«
Via? » ripetei, agitandomi di nuovo. « andiamo, non
mi riconosci?
Le radiazioni ti hanno spappolato il cervello, per caso?! ».
Lui
si avvicinò a me con una strana bottiglietta di vetro.
Appeso al
tappo di sughero c'era un bigliettino con su scritto Bevimi.
Maledizione.
«
Da brava, buttala giù. » mugugnò lui,
aprendomi la bocca con
forza. Il liquido era color lavanda, e sapeva di stantio e ruggine.
Un vero schifo.
«
Brutti bastar – » cominciai, ma non sentii il
resto. In pochi
istanti caddi di nuovo nel buio.
Quando
mi svegliai, l'irritante rumore di tazzine e ceramica fu la prima
cosa che udii. Imprecai. Ero in quel maledetto posto da cinque minuti
e già avevo mangiato e bevuto, le due azioni assolutamente
controindicate.
Ed
ora ero lì, narcotizzata, su quel lungo tavolo pieno di
tazze.
«
Tavolo? » ripetei, mettendomi a sedere di scatto. La testa mi
girò
per qualche istante, così cercai sostegno sul duro legno del
tavolo
di mogano scuro.
C'era
odore...di tè. Sorrisi. Conoscevo quel posto. Mi guardai
attorno, ma
gli alberi coprivano tutto ciò che c'era al di là
di quel luogo. I
fumi delle teiere annebbiavano parzialmente la vista, ma nonostante
tutto riuscii perfettamente a vedere dall'altro capo del tavolo.
«
Sai che non dovresti bere nulla in questo posto. »
sussurrò una
voce suadente e bassa. « eccetto il mio tè.
».
«
Non mi fido neanche di quello, se permetti. » risposi, e
dall'altra
parte udii una risata stridula.
«
Mi scuso per il trattamento, Red, ma non eravamo certi che fossi
ancora...te
stessa. ».
Qualche
passo verso di me, e finalmente riuscii a vederlo: il tempo e
l'Apocalisse non erano riusciti a scalfire la sua figura distinta, ne
i suoi abiti dai colori sgargianti; i capelli erano sempre di quel
color perla, lunghi appena sopra le spalle e leggermente disordinati.
Il Cappellaio fece un leggero inchino, togliendosi per un attimo lo
sproporzionato cappello verde in segno di riverenza.
«
Dì alle tue bestiole di trattare meglio gli ospiti.
» sibilai, con
un sorrisetto. Lui mi rispose di rimando.
«
Bevi, sarai un po' scossa. » mi rispose poi, porgendomi una
tazza
color canarino. Afferrò una teiera fumante a forma di otto,
e verso
il tè nella mia tazza.
Inspirai
quell'odore familiare, il vago sentore di limone e la punta di
zucchero. Era sempre lo stesso.
«
Alcune cose non cambiano mai, vedo. » commentai,
sorseggiandolo
lentamente. « Ma credo sia maleducazione bere il
tè sopra il
tavolo, non credi? ». Il Cappellaio scoppiò in una
sonora risata:
nei suoi grandi occhi color nocciola c'era un barlume di luce che
raramente riuscivo a vedere in lui.
«
Vedo che la follia è sparita anche dai tuoi occhi.
» proseguii,
sedendomi su una delle grandi poltrone che fiancheggiavano la
tavolata. Accanto ad essa c'erano la mia lancia e la mia sacca,
accuratamente riposte vicino a me. Il Cappellaio guardò il
cielo
malinconico. « La follia non ci serve più.
».
In
quel momento un fruscio dall'altra parte della radura attirò
la
nostra attenzione, e il leprotto – se così poteva
ancora
chiamarsi, vista la stazza – uscì dal fitto del
bosco con una
tazza sulla testa.
«
Oh, mancavi solo tu. » esclamò il Cappellaio,
facendogli segno di
avvicinarsi. Lui si grattò la testa con una delle zampe,
visibilmente in imbarazzo. Sapevo che era maledettamente difficile
per lui chiedere scusa. Non era un'abitudine che aveva, visto che
prima era matto da legare.
«
Non ci pensare. » dissi, scrollando le spalle. «
è tutto okay. ».
Lui mi rispose con un grugnito e si appollaiò su una delle
poltrone
più distanti da noi.
«
Hai incontrato il Bianconiglio? » mi chiese il Cappellaio,
rompendo
il silenzio. Annuii.
«
Mi è stato utile. » dissi, bevendo un altro sorso
di tè. « Devo
riuscire ad attraversare il vostro mondo e arrivare dall'altra parte.
». Lo vidi sospirare.
Il
Cappellaio era sempre stato un tipo malinconico sotto la sua follia:
insomma, la storia del tempo che si era fermato all'ora del
tè
l'aveva profondamente scosso, nonostante nessuno se ne accorgesse
visto che era matto.
«
Purtroppo non è così semplice, mia cara.
» disse dopo un lungo
silenzio. « il nostro mondo è molto cambiato
dall'ultima volta.
Anche se la follia ci ha abbandonati, ci sono molte persone qui che
l'hanno raccolta e fatta propria. ».
«
Nel senso che sono più matti di prima? » mugugnai,
con una smorfia.
Lo trovavo difficile. Il Cappellaio mi lanciò un sorrisetto
affettuoso.
«
Adoro il tuo senso dell'umorismo. Per fortuna non ti ha abbandonata.
» sibilò, lasciandosi andare sulla poltrona.
« La Regina Rossa ha
dato vita ad una delle dittature più terribili che questo
regno
abbia mai conosciuto. Le carte ispezionano la zona e non danno scampo
a nessuno. Fortunatamente questo posto è tenuto nascosto
dall'incantesimo del tempo, e nessuno può entrarvi se non
invitato o
portato qui da uno di noi. Per questo il leprotto ti ha portata qui
con la forza: di questi tempi chiunque potrebbe essere una spia della
regina. O peggio, fare tanto baccano da far scoprire il nostro
nascondiglio. ».
Rimasi
ad ascoltare le sue parole con molta attenzione, comprendendo
perché
il Bianconiglio amava stare lontano da quel posto: era molto
difficile uscirne, così come viverci.
Sospirai.
« Io non capisco. La Regina Rossa è già
stata sconfitta, perché
Alice non
fa nulla per fermarla? E' l'unica che può riuscirci!
».
A
quel nome, il Cappellaio sussultò. Pronunciarlo aveva fatto
scattare
in lui qualcosa, probabilmente di orribile. Rimasi in silenzio,
osservando il tremolio appena percepibile delle sue mani.
«
Cappellaio..? » mormorai, confusa. « Va tutto bene?
».
Lui
sospirò di nuovo. « E' ora che tu veda una cosa,
Red. ». Detto
questo si alzò, ed io lo seguii: ci addentrammo all'interno
del
bosco, in una minima porzione di quel regno a cui la regina non
poteva accedere. Oltrepassammo la spiaggia degli animali, adesso
deserta. Ci scambiammo un rapido sguardo, e il Cappellaio
percepì
subito i miei pensieri. Effettivamente, non sentire più gli
animali
cantare quegli stupidi motivetti faceva un certo effetto.
Ci
inoltrammo lungo il sentiero, fino a che non ci trovammo di fronte ad
una casetta davvero deliziosa, tutta bianca e con le imposte blu. Il
vialetto si interrompeva di fronte ad un piccolo cancello, che
portava ad un giardino mal curato: da esso si diramava un secondo
sentiero, che portava fino ad un orticello dove ora crescevano solo
erbacce; il tetto era rovinato, e mancava qualche tegola; il patio
era deserto e lasciato a sé stesso. Le imposte erano chiuse,
dal
camino non usciva fumo. Era una casa abbandonata.
«
E' la casa del Bianconiglio? » azzardai, e lui
annuì.
«
Vieni. » mi disse, aprendo il cancelletto. Mi
guidò fino alla
porta: il pavimento del patio scricchiolava terribilmente, e c'erano
ragnatele ovunque. Cosa poteva esserci dentro una casa abbandonata?
Il
Cappellaio aprì la porta con una piccola chiave d'oro,
estratta
magicamente dal suo taschino. La porta scricchiolò,
immergendosi
nella stanza in penombra. La luce fioca attraversava le imposte
chiuse in spiragli orizzontali, con una cadenza regolare.
Mi
guardai attorno, cercando di ignorare la polvere e il buio. Il
Cappellaio avanzò di un passo, guardandosi attorno. Solo
dopo
qualche istante si mise a fissare un angolo, dall'altra parte della
stanza, completamente illuminato dalla luce della finestra chiusa. La
polvere attraversava quel fascio di luce offuscandola.
E
lì, all'angolo, finalmente la vidi. Quasi mi si
mozzò il respiro.
I
lunghi capelli biondi, l'abitino azzurro oramai rovinato dal tempo,
la pelle diafana così delicata.
«
Sono io, Alice. Sono il Cappellaio. » mormorò lui,
avvicinandosi
sotto il mio sguardo sconvolto.
Alice
alzò lo sguardo, mostrando le grandi occhiaie e gli occhi
celesti
così vuoti, privi di luce e di qualsiasi barlume di vita.
Erano
frammenti di uno specchio rovinato dal tempo, opaco e senza alcuna
vitalità.
Emise
un mugolio così flebile che lo sentii a fatica.
Guardò lui, poi lo
sguardo si posò su di me. Spalancò gli occhi,
intimorita.
«
E' Red. Te la ricordi, Alice? E' un'amica. »
mormorò il Cappellaio
per rassicurarla. Lei mi fissò per qualche istante e poi
tornò
nella posizione iniziale, con le gambe rannicchiate al petto e la
testa tra le ginocchia. Dondolava appena, e forse non se ne rendeva
conto.
E
a quel punto non riuscii più a resistere. Mi voltai e uscii
da
quella stanza. Da quella casa. Da quell'orrore.
Alice
era mia amica. Forse una delle mie amiche più sincere,
quando ancora
si potevano stringere legami affettivi con qualcuno. Prima di tutta
quella morte, di quella distruzione.
E
adesso non c'era più niente. Era lì, in quella
casa, senza più
un'anima.
Cercai
di cacciare via le lacrime, che sgorgavano silenziose macchiandomi in
viso di una debolezza vile, ma necessaria. Ero arrabbiata, furiosa
per quello che avevo visto. Sentii la porta dietro le mie spalle
chiudersi, e percepii il Cappellaio dietro di me.
«
Mi dispiace, Red. Non ero sicuro di mostrartela, ma ho pensato che se
non l'avessi fatto poi sarebbe stato peggio. »
mormorò,
mortificato. Nella sua voce c'era un dolore che forse neanche io
riuscivo a comprendere.
«
Perché? Maledizione, perché! » gridai,
stringendo i pugni fino a
farmi male. Non sapevo se fosse una domanda o un'imprecazione. Mi
lasciai cadere per terra, in ginocchio.
«
Lei era l'unica che avesse un briciolo di testa in questo mondo. Ci
aveva dato la forza di continuare, aveva sconfitto la Regina Rossa e
ci aveva liberati. Ma non è stato sufficiente. »
spiegò lui,
avvicinandosi a me lentamente. « Dopo l'Apocalisse, tutto
è
cambiato. L'aria è diventata irrespirabile, le radiazioni
hanno
modificato il nostro aspetto e ucciso. La distruzione si è
manifestata come mai aveva fatto prima. Non era più la
follia a
spaventarci. Erano l'orrore, la morte. La crudeltà. La
Regina è
diventata più forte. E Alice non ha retto. ».
Mi
voltai, con l'orrore negli occhi. « Vuoi dire che...
».
Lui
annuì. « E' impazzita. Da un giorno all'altro
è diventata
silenziosa, debole. Ogni cosa riusciva a spaventarla. La trovavamo
negli angoli più bui del bosco, rannicchiata nel tentativo
di non
farsi trovare. Diceva che voleva sparire, andare via. E poi, quella
luce, quel barlume così vivo che sempre era presente nei
suoi occhi
è...sparito. Per sempre. La Regina la vuole, e la vuole per
vederla
morta. Per questo l'abbiamo rinchiusa nella casa del Bianconiglio. In
questo modo la Regina non può trovarla. ».
Tirai
su con il naso, annuendo appena. « Per questo il Bianconiglio
se ne
va sempre in giro. » mormorai, e lui annuì. Non
era solo per
restare lontano da quel mondo. Lo faceva per Alice, per aiutarla.
«
Non era quello che ti aspettavi, vero? » proseguì
lui, e in quel
momento un surreale silenzio ci avvolse.
Per
la prima volta non era sufficiente distruggere la Regina. C'era
qualcosa di molto più potente che andava eliminato. E fino a
quel
momento, Alice sarebbe rimasta in quel mondo tutto suo, a combattere
con quell'assenza.
«
Devo andarmene da qui. Devo riuscire ad uscire. » dissi,
fermamente
convinta che quel viaggio, da quel momento, non era più solo
per me
stessa, per il mio obiettivo. Era anche per loro.
Per
tutti loro. E per Alice.
Mi
voltai, dando una rapida occhiata alla casa. Sapevo che Alice era
lì
dentro, intrappolata in una prigione da cui era impossibile uscire.
Il
Cappellaio si frappose tra me e i miei pensieri. « Ti
aiuterò io.
Perché so che puoi farcela, Red. Che il tuo viaggio ci
aiuterà.
Aiuterà tutti noi. ».
«
Come lo sai? » mormorai, aggrottando appena la fronte.
Lui
mi sorrise. « I matti credono sempre all'impossibile, mia
cara. ».
Nb. Il titolo si riferisce alla celebre questione del "Non-
compleanno", che mi è sempre piaciuta e che ho deciso di
sfruttare. Il Paese delle Meraviglie mi ha sempre affascinato! Spero
che anche questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante le poche
visualizzazioni della mia storia sto continuando a scrivere a ritmo
serrato, spinta dalla creatività! Quindi spero vi piaccia!
L.
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Capitolo 5 *** Itty-bitty living space. ***
thisfairitaleisradioactivenow
THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
5.
Itty-bitty living space.
Il
bosco era buio e non si vedeva ad un palmo dal naso: il Cappellaio ed
io camminavamo vicini, lentamente.
Senza
fare nessun rumore. C'era un silenzio inquietante che aleggiava tra
gli alberi,come se nessun suono fosse permesso.
«
Ti farò arrivare fino ad un bivio, e da lì
proseguirai da sola. »
sibilò il Cappellaio, attento a non farsi sentire da
nessuno. Annuii
appena, guardandomi attorno. Non che ci fosse qualcuno in quel
momento, e questo rendeva tutto ancora più inquietante: il
bosco era
tetro e tinto di luci fredde e scure, di certo non come lo ricordavo.
Il vento sussurrava le sue note macabre tra gli alberi, smuovendo
appena le fronde tinte di un verde spento, oramai non più
vitale
come una volta.
Faceva
freddo. O forse ero solo io ad avere i brividi.
Strinsi
a me la lancia, come per proteggermi dai fantasmi del bosco che
vedevo in ogni angolo.
«
Lo so. » mormorò il Cappellaio nel silenzio,
probabilmente leggendo
la mia espressione. « è triste. ».
Abbassai
lo sguardo: a quelle parole era inevitabile pensare ad Alice.
«
Ci siamo. » disse il Cappellaio con voce ferma: eravamo
arrivati in
un piccolo spiazzo d'erba, al centro di cui troneggiava un'imponente
quercia secolare che, nonostante i toni spaventosi del bosco,
sembrava ancora piena di forza e vigore.
«
Dov'è l'uscita? » chiesi, pronta a proseguire.
«
Aspetta. Dobbiamo attendere il suo arrivo. »
ribatté il Cappellaio,
guardando verso l'alto.
«
L'arrivo di chi? » mugugnai, confusa. Credevo che avrei
proseguito
da sola, e adesso spuntava quella novità. Per un attimo
pensai che
il Cappellaio mi avesse teso una trappola, e che da un momento
all'altro sarebbe spuntata la Regina con le sue maledette carte, ma
scacciai subito quel pensiero dalla mia mente.
In
cuor mio, sapevo che di qualcuno potevo fidarmi. E il Cappellaio era
quel qualcuno.
Lo
vidi sorridere, guardando ipnotizzato tra le fronde dell'albero.
Seguii il suo sguardo, e notai in tutto quel verde una coda di un
intenso color violetto, tanto scuro da sembrare nero.
«
Buonasera, Stregatto. » esclamò il Cappellaio, per
la prima volta
ad alta voce. Dall'albero spuntarono due piccole orecchie striate di
rosa scuro, che nell'oscurità sembravano quasi brillare.
«
Cappellaio. » sibilò lo Stregatto con voce
suadente. Sembrava
provenire dalle profondità della terra. « Vedo che
siete riusciti
ad arrivare senza intoppi. Red. » concluse, con un lieve
cenno del
capo.
Conoscevo
poco lo Stregatto, di norma non era un tipo molto socievole. E poi,
parlare con lui era come fare discorsi a vuoto con un muro, e alla
fine non si riusciva a trovare né capo né coda
alla discussione.
«
Lo Stregatto ti porterà fino al confine. Non preoccuparti,
andrà
tutto bene. » concluse, posando una mano guantata sulla mia
spalla.
Un sorriso amaro attraversò le mie labbra. Cominciavano ad
essere un
po' ripetitivi con quella positività gratuita, ma d'altra
parte era
l'unica cosa che ci era rimasta.
«
Ecco... » iniziai, in imbarazzo. Non ero solita intraprendere
quei
discorsi. « Bé, grazie. E...prenditi cura di
Alice. Cercherò di
fare del mio meglio per aiutarla. ».
Non
volevo fare promesse, perciò non lo feci. Era troppo
pericoloso in
quel mondo.
Il
Cappellaio annuì e si voltò, tornando indietro
lungo la strada. Lo
vidi scomparire tra gli alberi, fino a che non mi lasciò
sola
nell'ombra.
«
Andiamo. » disse risoluto lo Stregatto, saltando
giù dall'albero. «
La Regina non ci metterà molto a trovarci se rimaniamo qui.
».
Lo
guardai, strabuzzando gli occhi. Si accorse che avevo esitato per
qualche istante, ma avevo le mie buone ragioni: aveva il pelo molto
più lungo e stopposo, e i colori erano intensi e
fosforescenti. In
più, era molto più grosso di quando l'avevo visto
l'ultima volta.
«
Oh, sei cresciuto, caro mio. » commentai, senza riuscire a
trattenermi. In quelle occasioni non avevo quel maledettissimo filtro
chiamato discrezione.
«
Già. Radiazioni. E ti fanno anche la permanente. »
ribatté lui,
lisciandosi il pelo fluorescente. Lo vidi svanire appena, diventando
poco meno reale.
«
Scusa, è che con questi dannati colori sono parecchio
visibile. »
mi spiegò, alzando gli occhi al cielo.
Io
non dissi nulla. Semplicemente mi limitai a seguirlo in silenzio, in
attesa.
Un
passo, poi l'altro. Sembrava che i minuti passassero così
lentamente
da sembrare ore, e il bosco era tutto uguale. Non si vedeva uno
spiraglio di luce, né un cambiamento che portasse a pensare
a un
qualche tipo di uscita.
«
Red. » sussurrò improvvisamente lo Stregatto,
senza fermarsi. Lo
seguii a passo rapido, facendogli intuire che lo stavo ascoltando con
un cenno.
«
Ho delle informazioni dal Bianconiglio. ».
Il
mio cuore mancò un battito: in quella confessione
apparentemente
minima c'erano tante di quelle informazioni che il mio cervello per
un attimo andò in pappa.
«
E' stato qui? » chiesi, senza scompormi. Dovevo mantenere la
calma,
così come stava facendo lui.
«
Mh mh. Purtroppo le guardie della Regina ci stavano pedinando, ed
è
dovuto scappare. Mi ha detto che, semmai ti avessi incontrata, avrei
dovuto dirti delle cose. ».
Rimasi
in silenzio. « Sta bene? » chiesi solamente,
sperando con tutto il
cuore che la Regina non l'avesse catturato.
«
Si, è uscito dal regno appena in tempo. Mi ha detto di
riferirti
queste esatte parole. » prese un respiro, si fermò
un momento, poi
proseguì. « c'è
chi sa del tuo tesoro,ma devi dirigerti oltre le dune di sabbia. ».
«
Un messaggio criptico. » commentai, arricciando le labbra.
«
Qui non possiamo essere troppo espliciti. » mi
spiegò lui,
fermandosi di colpo. « la Regina opera il controllo della
mente. Può
sapere anche i dettagli di ogni conversazione contenuta nella mente
di ognuno degli abitanti di questo posto. ».
Lo
Stregatto continuava a rimanere immobile, muovendo esclusivamente gli
occhi in ogni direzione. Fu in quel momento che anche io mi accorsi
di uno strano fruscio, lontano e intermittente, proveniente dal fondo
del bosco.
Poi
distinsi chiaramente i passi.
Poi
le voci.
«
Ci hanno trovati. » disse semplicemente lo Stregatto.
« Vai. Sempre
dritto, non puoi sbagliare. Vai! ».
Annuii
appena, e in quel gesto c'era tutta la mia gratitudine. Cominciai a
correre rapidamente, schivando le radici degli alberi e le
sterpaglie. Caddi un paio di volte, ma mi rialzai nonostante la
fatica e le ferite.
Facevano
male, ma in quel momento dovevo pensare solo a correre.
Non
so per quanto tempo corsi senza voltarmi. Una luce improvvisa alle
mie spalle mi costrinse a girarmi, e in quel momento una specie di
incendio divampò sotto i miei occhi, lontano quel tanto che
ci avevo
messo per arrivare fin lì.
Pregai
che non fosse accaduto nulla allo Stregatto, poi mi voltai e
continuai a correre.
Corri,
corri, corri.
Era
il mio unico obiettivo in quel momento. Sempre dritto, senza
sbagliare.
Nella
folle corsa cercai di eliminare gli arbusti che mi intralciavano con
la lancia, provando a non rallentare il passo. Sentivo le voci farsi
sempre più vicine nonostante lo Stregatto si fosse immolato
come
diversivo.
Pregai
di nuovo che fosse sano e salvo, e continuando a correre mi scontrai
con una parete trasparente, invisibile ad una prima occhiata.
Ma
io non ci feci caso. Vista la velocità a cui andavo mi
accorsi solo
dopo di esservi entrata attraverso.
L'avevo
oltrepassata, come una barriera invisibile che riusciva a bloccare
solo chi non aveva tanta fiducia in se stesso da attraversarla. Per
un attimo fu come passare attraverso una sostanza vischiosa, creata
apposta per rallentare il passo a chi ci entrava.
Proseguii
a fatica, un passo dopo l'altro. Passarono secondi, poi minuti. E
finalmente emersi.
Caddi
a terra con un tonfo, udendo il rumore lontano di tutto ciò
che
avevo nella sacca cadere a terra.
Tossii,
cercando di eliminare quel fastidioso odore di terra dal naso. Poi
guardai alle mie spalle e vidi nuovamente la siepe, verde e imponente
di fronte a me.
«
Sono fuori... » mormorai, afona. « Sono fuori.
».
Mi
sentivo incredibilmente spossata, eppure l'adrenalina continuava a
scorrermi vorticosamente nelle vene mantenendomi reattiva. Mi alzai
in piedi, barcollando appena.
Non
avevo idea di dove fossi, ma l'aria sembrava respirabile e non c'era
traccia di neve. Di certo non ero nel bosco di Biancaneve, e questo
era un bene. Se mi fossi ritrovata al punto di partenza avrei dato di
matto.
Ripensai
alle parole del Bianconiglio. Dovevo dirigermi oltre le dune di
sabbia, ma lì vedevo solo una grande distesa d'erba
apparentemente
fresca e rigogliosa.
Cominciai
ad avviarmi, temendo che le guardie della Regina potessero spingersi
fuori dal regno: nonostante lei non ne avesse mai avuto l'intenzione,
non aveva certo timore nel mandare i propri galoppini a farsi
ammazzare all'esterno.
E
cominciai a pensare ad Alice.
Nonostante
cercassi con tutte le forze di non farmi coinvolgere in quelle
stupide vicende sentimentali, e di lasciare spazio alla bambina
emotiva che ero un tempo. Ma
lei era tua amica.
Stupidi,
stupidi sentimenti. Non facevano bene proprio a nessuno.
La
lunga distesa d'erba si era fatta sempre più rada, fino a
scomparire
quasi del tutto per lasciare spazio ad un infinito orizzonte di
roccia rossa. Visto che gli ultimi eventi avevano completamente
sconvolto la mia bussola, avevo deciso di andare sempre dritto ed
evitare di cacciarmi nei guai per vie traverse.
Non
conoscevo quella zona, né ricordavo di esserci mai stata,
perciò
per me era come fare i primi passi.
Grazie
al Cappellaio avevo soddisfatto la mia sete e mi ero rifornita di
qualcosa da mangiare, così da poter rimanere tranquilla
almeno per
un altro giorno. Sapevo di dover raggiungere un deserto, e quello ne
aveva tutto l'aspetto, ma poi?
Continuai
a camminare per ore, senza mai fermarmi. Avevo lo strano timore che,
se fosse calata la notte, quello non sarebbe stato decisamente il
posto migliore per nascondersi.
«
Oltre le dune di sabbia... » ripetei di nuovo, pensando alla
voce
calma e speranzosa del Bianconiglio. Le mie parole echeggiarono nel
vento, rimbombando tra le pareti di roccia irregolare, che tendevano
via via ad abbassarsi lungo il cammino.
Abbassarsi?
Intorno
a me, qualcosa stava cambiando. Il paesaggio si faceva via via
più
ampio, le grandi rocce rosse lasciavano spazio a elementi sempre
più
piccoli, mentre il resto si trasformava in sabbia. Quel graduale
cambiamento mi strappò un sorriso.
«
Maledetto Stregatto, sa sempre tutto. » mugugnai, ripensando
alle
vaghe indicazioni che mi aveva dato quel micio troppo cresciuto. Vai
sempre dritta,
aveva detto. E forse non si riferiva solo al suo mondo,
perché
adesso c'era della sabbia sotto i miei piedi ed ero fermamente
convinta che lui lo sapesse fin dall'inizio.
Chi
invece avrei dovuto maledire era il Bianconiglio, che come al solito
parlava ad indovinelli.
Il
silenzio attorno a me improvvisamente fu interrotto da una serie di
suoni sordi e non molto lontani.
E
questa volta li riconoscevo bene. Erano spari, probabilmente di armi
pesanti.
E
mi ci stavo avvicinando sempre di più.
La
sabbia sotto di me aumentava man mano che andavo avanti, e in poco
tempo attorno ebbi solo un'infinita distesa di deserto rosso.
Camminavo da ore oramai. Il sole era alto nel cielo, ma cominciava
impercettibilmente a calare.
«
Lasciami andare! » gridò qualcuno in lontananza,
sovrastato da quel
rumore assordante. C'era un bambino che piangeva, e il rumore di
tanti passi che sembravano circondarmi.
Accelerai,
stando ben attenta a dove mettevo i piedi: non c'erano posti dove
nascondersi, e da quel che sentivo poco lontano da lì non
erano
tutte rose e fiori.
«
Lasciami! » udii nuovamente, più vicino. La voce
era femminile,
delicata ma al contempo intensa.
«
Stà zitta! » rispose bruscamente un vocione cupo,
che rimbombò nel
deserto vuoto.
Respirai
a fondo. Le dune di sabbia rossa aumentavano sempre di più,
e in
pochi istanti non riuscii a vedere oltre di esse. Continuai a
camminare, mentre il percorso in salita si faceva sempre più
ripido.
«
Se non fai silenzio sarò costretto a punirti, mi hai capito
ragazzina?! » vociò qualcun altro.
Rimasi
nascosta, osservando la situazione con la duna come riparo sicuro:
c'erano due grossi tizi con un turbante sporco e logoro in testa e la
barba incolta. Uno di essi stringeva tra le mani una sciabola arcuata
di enormi dimensioni, mentre l'altro impugnava una sorta di mitra con
caricatore, puntato dritto verso due ragazzini.
Strabuzzai
gli occhi, inorridita. Stavano veramente minacciando due bambini con
quelle armi?
Che
diavolo avevano intenzione di fare?
«
Allora, vediamo se con le cattive ti convinco io. »
proseguì
l'omone nerboruto, strattonando la bambina per il braccio. Lei si
lamentò, e il fratello – sicuramente
più grande di lei – provò
a separare il grosso braccio di lui da quello, esile, della sorella.
L'altro gorilla lo spintonò, lanciandolo sulla sabbia.
«
Non ti impicciare, moccioso. » mugugnò,
sghignazzando. « Allora,
ragazzina, dimmi: dove sono nascosti gli
altri?
».
Altri?
«
Guarda che se non me lo dici, » proseguì l'altro,
stringendo il
mitra lucente sotto la luce del sole. « non vorrò
sapere più nulla
da te. Ti sparerò dritto in quella bella fronte e poi lo
chiederò a
tuo fratello. Li troveremo, quei bastardi dei vostri genitori.
Perché
non mi rendi le cose più facili? ».
La
bambina piangeva, e tremava come una foglia. Sentii un moto di rabbia
attraversarmi il corpo. La sciabola lucente brillò sotto il
sole
ancora rovente.
Adesso
basta.
Superai
la collina a passo lento e mi fermai, pronta a utilizzare gli ultimi
proiettili che mi rimanevano contro quei due brutti ceffi. I
cilindri metallici attorno al mio braccio tiravano da morire, ma non
mi importava in quel momento. Le connessioni si attivarono, brillando
come stelle di giorno. I due ceffi si voltarono in mia direzione,
sollevando lo sguardo con sorpresa.
Puntai
il braccio, oramai completamente avvolto nel metallo, verso di loro.
I grossi cilindri girarono vorticosamente in entrambe le direzioni, e
il primo grosso proiettile colpì il tizio con il mitra, che
stramazzò a terra senza neanche il tempo di rendersene conto.
L'altro
mi guardava con sdegno. « Chi diavolo... »
sibilò, infuriato,
stringendo la sciabola con mano ferma.
Un
ghigno vendicativo apparve sulle mie labbra. Mi ricordava un po' il
maledetto lupo che da piccola mi aveva quasi ammazzata. Era un po' la
stessa storia.
Solo
che a quel tempo non avevo un fottuto cannone al posto del braccio.
Saltai
lungo la duna, scendendo a piena velocità. Il grosso omone
mi venne
incontro, brandendo la spada con una ferocia tale da somigliare
davvero ad uno dei lupi del mio bosco.
Schivai
il primo colpo, poi il secondo. Mi voltai verso i bambini. «
Via! »
gridai. Li vidi annuire e correre nella direzione opposta. Di fronte
a me, quella specie di gorilla probabilmente mi voleva morta.
Schivai
un altro attacco, osservando i suoi movimenti. Era piuttosto lento,
nonostante la forza e la stazza.
Pronto
a scagliarmi la sciabola appuntita addosso, non feci in tempo a
respingere l'attacco che un rumore forte, acuto e fastidioso ci
sorprese entrambi.
Il
suono stridulo di un proiettile che colpisce la lama di un coltello,
disarmando il proprietario.
«
Che..? » balbettò l'omaccione di fronte a me,
guardandosi le mani
libere con l'espressione inebetita. La sciabola era a qualche metro
di distanza da noi, conficcata nella sabbia. Bloccai ogni suo
tentativo di ribattere puntandogli la lancia al collo.
«
Fossi in te non mi muoverei più di tanto. »
sibilai, premendo
appena la lama contro la sua scorza dura. Lo vidi deglutire
lentamente, poi fare un impercettibile passo indietro. Sopra le dune,
due figure oscurate parzialmente dalla luce del sole apparvero a poca
distanza da noi.
«
Ti conviene andare dai tuoi amichetti. » cominciò
una voce
femminile ed energica. « e informarli che non ci faremo
sottomettere
così facilmente. Hai capito? ».
L'energumeno
davanti a me si trasformò improvvisamente in un cucciolo
spaesato e
impaurito. Lo vidi annuire freneticamente, e in pochi istanti
scappò
a gambe levate senza neppure riprendere la spada.
Mi
voltai di scatto verso le due figure, che avanzavano lungo la duna in
mia direzione. La prima che riuscii a scorgere fu la ragazza, colei
che aveva parlato: la pelle olivastra fu il primo elemento che mi
colpì di lei.
Indossava
un abito a due pezzi celeste, e uno scialle dello stesso colore le
copriva la testa. Quando mi si avvicinò si scoprì
il capo,
mostrando i lunghi capelli corvini legati in una coda ripresa in
più
punti. Intravidi il manico d'oro di una spada dietro le spalle,
legato alla schiena da una cinta che le fasciava il petto.
Mi
sorrise. Era strano in quel contesto, ma nonostante la frenesia degli
ultimi minuti ne fui sollevata.
«
Grazie per averli salvati. » disse nuovamente lei, fissandomi
con i
grandi occhi nocciola. Erano così profondi che mi sentii
quasi
catturata da quello sguardo. Improvvisamente i miei pensieri
tornarono ai due bambini che avevo fatto fuggire. Risposi al sorriso
con un cenno della testa.
«
Era giusto farlo. » dissi, ferma. I ringraziamenti mi
mettevano a
disagio. « Ho fatto il mio dovere. ».
«
Di questi tempi è difficile trovare qualcuno che lo faccia
come si
deve. » aggiunse lei, sistemando la pesante cinghia scura
sulla
spalla. Solo in quel momento mi accorsi che, oltre alla spada, si
trascinava dietro un mitra dalle dimensioni spaventose. Probabilmente
era stata lei a disarmare quell'uomo.
«
Io sono Jasmine. ». Allungò la mano verso di me.
«
Red. » risposi io, sussultando appena. Non ci eravamo mai
incontrate, prima d'ora. La principessa di Agrabah ora aveva
l'aspetto di una bellissima guerriera rivoluzionaria. Quando
pronunciai il mio nome, vidi lo stupore sul suo volto.
«
Red? » ripeté lei, sorridendo nuovamente.
« E' un piacere
conoscerti, finalmente. Quando si vive in due regni così
lontani,
non capita spesso di incontrarsi. ».
Ma
ora era diverso.
«
Ehi, Al! » gridò poi voltandosi verso la seconda
figura, che
avanzava lentamente lungo la duna: pian piano riuscii a scorgere un
ragazzo alto, dai capelli corvini e ribelli. Anche lui portava con se
un pesante mitra da combattimento.
«
Aladdin? » azzardai, riconoscendolo. Non lo avevo mai visto
davvero,
ma non poteva che essere lui.
«
E' un piacere conoscerti, Red. » disse rapidamente lui,
stringendomi
la mano nelle sue, grandi e ruvide.
A
quanto pare non ero così sconosciuta agli occhi degli
abitanti degli
altri regni. In quel momento pensai alle parole del Bianconiglio, e
quasi mi venne un colpo. Se dovevo cercare oltre le dune di sabbia,
il posto non poteva che essere quello.
La
mia mano tornò lentamente normale: i cilindri metallici
rientrarono
dolorosamente l'uno nell'altro, lasciando spazio alla pelle
artificiale sotto cui scorrevano fili e lucine e altra roba
elettronica in eccesso.
Jasmine
e Aladdin osservarono in silenzio quella trasformazione, accorgendosi
della smorfia di dolore che traspariva, nonostante tentassi di
nasconderlo, attraverso le mie labbra.
«
Deve fare un male cane. » mugugnò Aladdin con un
ghigno. Jasmine lo
guardò male.
«
Oh, non preoccuparti. » mi affrettai a dire io, cercando di
non
metterlo nei guai. « Ha detto la verità.
».
«
Cosa ti porta qui ad Agrabah? » mi chiese lei, sistemandosi
nuovamente lo scialle sulla testa. A quel punto mi guardai attorno:
all'orizzonte si scorgeva il palazzo del Sultano, e le grandi cupole
d'oro sembravano splendide nonostante il sottofondo delle armi da
fuoco. La magia di quel luogo sembrava essere scomparsa.
«
Sono in viaggio. » dissi semplicemente, ma nonostante il mio
linguaggio ermetico entrambi sembrarono capire. Forse perché
anche
loro erano ribelli, come me.
«
Allora vieni. Sarai stanca dopo il cammino nel deserto. »
concluse
lei, facendomi strada.
Agrabah
era diventata una città di rivolte, lotta e speranza. Si,
perché
nonostante le bombe e i combattimenti per strada e in pieno giorno,
c'era ancora una scintilla che animava quei vicoli.
Jasmine
e Aladdin ne erano la prova. Da quello che mi raccontavano, il regno
era stato messo sotto assedio dopo l'assassinio del sultano. Jafar
era morto da un pezzo, ma i suoi sostenitori continuavano ad aizzare
faide contro i ribelli sostenitori del vecchio governo.
«
Noi siamo i legittimi successori al trono. » mi
spiegò Jasmine, con
un'occhiata rapida verso Aladdin. Eravamo all'interno di una casa nel
cuore della città, uno dei tanti rifugi dei ribelli.
« Ma al
momento non possiamo rivendicare nulla di ciò che ci spetta.
Se
fossimo in grado di salire al trono potremmo riportare Agrabah a
com'era un tempo. Ma c'è un caos tale che nessuno
può smuovere
nulla. E tutto ciò che possiamo fare è combattere
i ribelli che
sostengono il potere di Jafar. ».
Annuii,
bevendo un sorso di quell'infuso rigenerante che Jasmine mi aveva
offerto con tanta premura. La osservai mentre ripuliva la lama della
sua spada con cura. Aladdin non le toglieva gli occhi di dosso: come
se perderla per un istante potesse significare perderla per sempre.
Era
un amore nascosto dalla lotta, dalla ribellione, ma onnipresente. In
quel momento pensai alla ragione del mio viaggio, alla voglia di
scoprire cosa avesse ridotto il mondo delle Fiabe in quello stato
pietoso.
A
Peter.
Peter?
Arrossii
a quel pensiero. Ma che diavolo di stupidaggine aveva partorito il
mio cervello? Peter?
Come
potevo pensare a lui in quel momento così delicato?
Dio
mio, stai diventato una vera idiota.
Scrollai
la testa, cercando di rimuovere quel pensiero. Non avevo idea di dove
fosse, se stesse bene o che altro, e non dovevo certo pensare a lui
in un momento come quello. Nonostante fosse mio amico.
Nonostante
tutto.
«
Ma nonostante tutto questo casino, siamo ancora fiduciosi. »
proseguì Jasmine, con un sorriso malinconico. «
Fiduciosi? »
ripetei io, ammaliata dalle sue parole.
«
Lo so che sembra strano, Red, ma siamo tanti. I ribelli che
sostengono mio padre credono davvero in quello che fanno. E ci
riusciremo. Riusciremo a riportare Agrabah alla sua vecchia gloria.
»
concluse lei, con un meraviglioso fervore nella voce.
«
Le rivolte si stanno facendo più aspre. » aggiunse
Aladdin. « Non
sarà facile. Ma non molleremo. ».
In
quel momento quella strana sensazione che avevo percepito nelle
strade della città si riversò interamente nei
loro occhi: ovunque
andassi c'erano persone che credevano realmente nella loro missione,
come io credevo nel mio viaggio.
I
ribelli non erano solo lì, ma dappertutto. Lottavamo per
qualcosa,
ed eravamo accomunati tutti dalla stessa speranza. Una speranza che
non si sarebbe affievolita mai. Una luce perpetua, per sempre.
«
Mio padre sarebbe stato fiero di noi. E anche di te, Red. »
sussurrò
Jasmine, con gli occhi lucidi. Riuscivo a capire come poteva
sentirsi. Superare la perdita di qualcuno non era facile. Aladdin le
fu subito accanto.
«
Perché non ti riposi un po' prima di ripartire? Sarai
stanca, ed è
inutile partire di notte. » mi consigliò lei, e
inspiegabilmente la
sua proposta mi sembrò quasi un sogno. Ero convinta che
dormire non
fosse fondamentale, ma in quel momento mi resi conto di averne un
gran bisogno.
«
Vi ringrazio tanto. Ma avrei bisogno di chiedervi un favore, prima.
»
dissi, guardandomi il braccio meccanico. « Avrei bisogno di
rifornimenti. ».
Jasmine
sorrise in modo complice. « Tranquilla, ci pensiamo noi.
».
Nb. Scrivere questa storia per me è molto importante, sto
inserendo personaggi che hanno fatto parte della mia infanza e spero
che modificandoli in questo modo possa rendergli giustizia! Spero che
la storia vi piaccia, vi invito a farmi sapere cosa ne pensate, se ne
avete voglia, lasciando una piccola recensione!
Un abbraccio,
L.
|
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Capitolo 6 *** Treasure. ***
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-
-
6.
Treasure.
Quando
aprii gli occhi ci misi un po' a rendermi conto di dove fossi. Poi
ricordai il deserto.
Jasmine.
Aladdin.
E
quel grande letto pieno di cuscini su cui avevo dormito per un bel
po'. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi stanca, e di
come quel viaggio stesse cambiando ogni cosa di me. Avevo
l'impressione che quella sensazione sarebbe rimasta in me per sempre.
Mi
stiracchiai, infilando nuovamente il corpetto metallico e le scarpe.
Faceva un gran caldo ad Agrabah.
Di
certo i miei vestiti da vecchio bosco innevato non erano proprio il
massimo. Mi diressi verso la porta, più riposata ed
energica.
«
Lascia, faccio io... » mormorò una voce dall'altra
parte della
tenda, oltre la porta. Aladdin.
«
Tranquillo, ho quasi finito. » sussurrò Jasmine.
Scostai appena la
tenda e li vidi, l'uno vicino all'altro.
Jasmine
stava lavando le ciotole in cui avevamo bevuto qualche ora prima.
Dalle finestre filtrava un debole spiraglio di luce.
Ma
quanto avevo dormito?
La
vidi riporre l'ultima ciotola sulla pila accanto al lavabo. Quel
luogo era uno dei tanti rifugi che avevano in città e fuori:
lì ci
vivevano, ospitavano i ribelli e organizzavano le varie missioni ogni
giorno.
Mantenerlo
in modo decoroso era il minimo. Osservai i modi dolci e delicati di
Aladdin mentre le cingeva i fianchi con le braccia, stringendola a
sé. Arrossii impercettibilmente, dandomi della stupida da
sola.
Ma
il sorriso che apparve sulle loro labbra, quasi nello stesso momento,
mi sembrò incredibile.
Si
avvicinarono l'uno all'altra, sfiorandosi appena. Con le labbra a
contatto, mi resi conto di essere un'intrusa in quella scena privata.
E
mi ritrovai a pensare nuovamente a Peter.
Avevo
dormito tutta la notte senza neanche rendermene conto. Jasmine mi
aveva detto che il riposo era fondamentale se avessi voluto
proseguire nel mio viaggio, perciò era contenta che fossi
rimasta
con loro fino alla mattina.
Camminavamo
nei vicoli della città con le armi a portata di mano,
nonostante la
situazione sembrasse più tranquilla del giorno precedente:
il
mercato cittadino pullulava di gente, e in quel breve lasso di tempo
mi sembrò di essere tornata alla normalità.
Eppure, nonostante
quell'apparente tranquillità, riuscivo ancora a sentire lo
scricchiolio delle crepe che minacciavano di far crollare l'intero
sistema.
Era
l'occhio del ciclone, la calma prima – o forse, nel mezzo
– della
tempesta. Ma andava bene così.
Un
attimo di respiro era necessario. Il riposo serviva a tutti.
«
Dove stiamo andando? » chiesi, rivolta verso Aladdin.
«
Ti portiamo a fare rifornimenti.
»
disse lui, strizzandomi l'occhio. « Da Jim. ».
«
Jim? » ripetei, titubante. Non era proprio un nome tipico di
quel
posto. Probabilmente Jasmine comprese i miei dubbi, e
ridacchiò. Mi
piaceva vederla ridere, in quello sfacelo un sorriso era la cosa
migliore che avevamo.
In
quel momento un rumore di passi veloci e leggeri sopra le nostre
teste ci distrasse. Guardai in alto, scorgendo una macchia scura sul
cornicione della finestra sotto cui stavamo passando. Vidi Aladdin
sorridere.
In
quel momento, una scimmietta saltò sulla sua spalla,
attirando la
mia attenzione. Una scimmia?
«
Abu! » esclamò Aladdin, con un buffetto sulla
testa pelosa del
primate. « dove ti eri cacciato? ».
Lanciai
un'occhiata fugace a Jasmine, che osservava il suo uomo con
devozione.
Un
amore così non lo ricordavo.
Raggiungemmo
una piccola bottega in un vicolo cieco. Le scalette strette e ripide
portavano ad un locale buio, con solo due piccole finestrelle agli
angoli per illuminazione.
Faceva
caldo, e il vapore che fuoriusciva dai grossi macchinari disposti in
fila lungo la stanza non aiutava.
Doveva
essere la bottega di un fabbro, o qualcosa di simile. Un grosso omone
dalla folta barba scura stava colpendo una lama affilata e rovente
con un martello dall'aria davvero pesante.
«
Ehi, ragazzi! » mugugnò lui, con un cenno della
testa. Loro
risposero al saluto.
«
Lui sarebbe Jim? » sussurrai all'orecchio di Jasmine, ma lei
fece
segno di no con la testa. Si voltò verso una seconda porta
sulla
parete opposta della stanza, che si aprì nell'esatto momento
in cui
i nostri occhi vi si posarono.
Un
ragazzo apparve sulla soglia con un panno sporco tra le mani piene di
grasso: indossava una casacca color cachi e un paio di pantaloni
scuri; ai piedi aveva degli anfibi. La pelle era chiara, i capelli
castani stretti in un codino.
Quello
non era certo di Agrabah. Ma allora che ci faceva lì?
«
Jim, ti stavamo cercando. » esordì Aladdin,
dirigendosi verso di
lui.
Jim.
Oh.
«
Al, vecchio sbruffone. » rispose lui scherzosamente,
abbracciandolo
con un gesto affettuoso. Aveva una stretta forte, energica. Le
braccia erano toniche e muscolose. Arrossii, e quando me ne resi
conto cercai di nasconderlo.
Che
diavolo mi prendeva adesso?
«
Che vi serve oggi, ragazzi? » aggiunse poi, salutando Jasmine
e
guardando in mia direzione con l'espressione di un bambino
incuriosito. Aveva l'aria di essere così spensierato da
mettermi
allegria.
«
Oh, non siamo qui per noi, Jim. » rispose Jasmine,
scostandosi
appena. « Ti presento Red. Le servono dei ...rifornimenti
molto particolari. Sicuramente saprai aiutarla. ».
Jim
mi guardò con quella stessa espressione, spalancando i
grandi occhi
azzurri e brillanti. Sembrava volermi guardare dentro, fin nel
profondo. Quell'intensità mi metteva quasi a disagio.
«
Red. » dissi rapidamente, mettendo fuori il mio scudo
virtuale
contro quegli occhi indagatori. Lui mi strinse la mano, accennando un
debole sorriso.
«
Jim Hawkins, molto piacere. » rispose con un mezzo sorriso e
il
panno in equilibrio sulla spalla. « Vieni con me. ».
Lasciai
Jasmine e Aladdin a chiacchierare con il gigante e il suo martello,
mentre mi dirigevo con Jim nell'altra stanza, anch'essa prima di
finestre e molto nascosta. Avevo capito fin da subito che quel
commercio di armi non era assolutamente illegale, e lo si capiva
anche dalla quantità di mitra, proiettili e altra roba
accatastata
in quello stanzino.
Ma
alla fine la legalità era sopravvalutata in quel momento.
Tanto
meglio per me.
«
Allora, fammi vedere l'arma. » esordì poi, nel
silenzio della
stanza. Era arrivato il momento.
«
Okay. Ma ti conviene fare qualche passo indietro. » mormorai,
pronta
alla sua reazione. Lo vidi aggrottare la fronte, ma alla fine fece
come richiesto. Chiusi gli occhi, percependo lo scorrere degli
impulsi elettrici sotto la carne, e l'intenso vibrare del metallo che
cominciava a muoversi.
Il
cannone metallico cominciò rapidamente a formarsi attorno e
dentro
il mio braccio, provocandomi quelle fitte lancinanti che ogni volta
mi facevano talmente male da far sembrare quei pochi secondi
un'eternità.
Jim
guardò in silenzio, gli occhi grandi fissi su di me. Mi
sentivo
scoperta, e fragile nonostante le mie difese.
Si
avvicinò lentamente a me, un passo dopo l'altro, rispettando
il mio
silenzio: sembrava sorpreso e affascinato da quella trasformazione.
Ero sorpresa anche io. Insomma, non era scappato a gambe levate.
Era
già qualcosa.
Ispezionò
ogni singolo centimetro di quell'aggeggio, osservando i cavi e gli
ingranaggi che si muovevano lentamente, incastrandosi alla perfezione
nelle sottili fessure dei cilindri metallici.
«
Ti fa male? » mormorò, sollevando improvvisamente
lo sguardo.
Sussultai.
Di
certo non era la domanda che mi aspettavo. Ero pronta a fornirgli
informazioni sui materiali, il funzionamento e la tipologia di
proiettili che avevo in precedenza. Ma non quello.
«
Ecco...non adesso. » risposi, schiarendomi la voce.
« ma quando si
monta e si smonta, bé...è parecchio fastidioso.
».
Lo
vidi annuire. Sfiorò con le dita i cavi perfettamente
inseriti tra i
cilindri, mantenendo un silenzio religioso.
«
L'hai fatto tu? »
«
Oh, no. E' una lunga storia. »
«
Ho tempo. ».
Trattenni
il respiro. Tempo? E chi ne aveva più in quel mondo?
E
poi, quella storia non mi piaceva. Odiavo raccontarla, soprattutto
perché neanche io la conoscevo bene.
«
So solo che mi sono svegliata in mezzo alla neve e senza un braccio.
Perdevo tanto sangue, ma sono riuscita a bloccare l'emorragia con uno
straccio. Poi sono svenuta e quando mi sono svegliata avevo questo al
posto del braccio. La pelle che si forma quando lo ripongo è
sintetica. Non so chi sia stato, ma chiunque l'abbia fatto mi ha
salvato la vita. Senza motivo. ».
«
Un motivo ce l'aveva. » ribatté lui, ed io
aggrottai la fronte. «
Ti ha salvato la vita. Non è già una risposta
sufficiente? ».
Mi
lasciai sfuggire un sorrisetto. Touchè.
«
Ho quello che fa per te. ». Lo vidi frugare tra le scatole
poste su
un grande ripiano di fronte a noi. Continuava ad aprire contenitori
di plastica rigida, girando attorno al grande tavolo come un
forsennato.
Alla
fine sollevò un pesante scatolone scuro e lo
portò di fronte a me:
al suo interno c'erano dei grossi proiettili simili a quelli che
avevo in precedenza, ma dall'aria molto più minacciosa.
«
Argento e metallo. La scorza è bella resistente, non se ne
trovano
in giro. » commentò poi, tirandone su uno.
«
Fantastico. » mormorai, ammaliata. I lupi del mio bosco
avrebbero
girato alla larga, con quei cosi che minacciavano di spaccargli la
testa.
Guardai
di nuovo Jim, orgoglioso nell'aver trovato quello che stavo cercando:
indossava un orecchino d'oro, un piccolo cerchietto luminoso. Mi
ricordava un pirata.
«
Jim...come mai sei qui? Voglio dire...ad Agrabah. ». Era
chiaro che
non fosse di quel mondo. Pensai subito ad Esmeralda: che fosse anche
lui un fuggitivo?
«
Anche questa è una storia lunga. »
mormorò lui, sospirando. « Ma,
in sintesi, è solo la storia di un ragazzo senza casa. Il
mio mondo
oramai è ridotto in cenere. Montressor, il luogo da cui
provengo, è
stato raso al suolo dopo l'Apocalisse. Il potere nelle mani
sbagliate, il desiderio di una forza illimitata, armi di distruzione
di massa...una marea di stronzate che hanno portato solo a
sofferenza. ».
Nei
suoi occhi c'era qualcosa che rivedevo nei miei: la perdita. La
perdita di qualcuno che, come con Jasmine, si rifletteva nello
sguardo.
«
Mi dispiace. Non volevo... »
«
Non preoccuparti, Red. » ribatté lui, sorridendo.
« Sto cercando
di superarlo. Ognuno di noi ha perso qualcosa, ma nonostante tutto
siamo ancora qui. Credo sia questo l'importante. ».
Solo
in quel momento mi resi conto della collanina che portava al collo.
Il ciondolo era un piccolo portafoto dorato, di forma ovale. Al suo
interno, una donna bellissima e molto somigliante a lui sorrideva.
Il
sorriso di Jim.
Jasmine
e Aladdin mi accompagnarono al confine, dall'altra parte della
città.
Jim mi aveva lasciato rifornimenti sufficienti per un pezzo,
assicurandomi che lì avrei sempre trovato quello che cercavo.
Salutarlo
mi aveva lasciato con una strana sensazione all'altezza dello
stomaco, un sentore che non riuscivo a definire correttamente.
«
Fai attenzione, mi raccomando. » ripeté nuovamente
Jasmine,
fissandomi con gli intensi occhi nocciola.
Aladdin,
accanto a lei, rimase in silenzio. Ma il suo sguardo non aveva
bisogno di parole.
Erano
così vicini, così uniti, che per un attimo pensai
solo a loro due.
Affiorò di nuovo quel sentimento di protezione che ogni
volta
cercavo di reprimere.
«
Anche voi. Non cacciatevi nei guai. » mormorai, con una punta
d'affetto nella voce.
Mi
voltai sotto la luce del sole, senza dire altro. Non sapevo davvero
che altro dire per non aggravare quell'addio già abbastanza
apprensivo. Rischiavo di preoccuparmi per troppe persone in quel
modo, ma cominciava a diventare inevitabile.
Diventava
sempre più difficile reprimere i sentimenti che affioravano
nel mio
cuore ogni volta che incontravo nuove persone, e ogni volta che
queste mi aiutavano.
La
città scomparve lentamente dietro le mie spalle, con le sue
dune di
sabbia e quel barlume di speranza che per un attimo aveva colpito
anche me. Secondo le parole del Bianconiglio, dovevo essere sulla
strada giusta.
Dovevo
solo continuare a camminare, e quel viaggio avrebbe avuto un senso.
Buttai
un occhio sul mio braccio. Provai a muovere le dita, poi l'intera
mano. Non ricordavo nulla di quello che mi era accaduto dopo aver
perso i sensi nel bosco, e forse quel viaggio mi avrebbe aiutata a
scoprirlo.
La
sabbia cominciò a diradarsi lentamente a qualche ora di
distanza da
Agrabah: era un regno davvero enorme, e senza le indicazioni di
Aladdin probabilmente sarei rimasta a vagare lì per sempre.
Forse
un po' di aiuto ti serve, in fondo.
«
Ah...stà zitta. » mugugnai, rispondendo a quel
pensiero nato
spontaneamente nel mio cervello stanco. Ma in realtà stavo
solo
parlando da sola come una pazza.
La
conformazione del territorio cominciò a cambiare lentamente,
man
mano che il sole si faceva più alto nel cielo. Mi
sembrò di essere
tornata all'inizio, quando dal Paese delle Meraviglie mi ero diretta
ad Agrabah.
La
sabbia aveva lasciato spazio a cumuli di roccia rossa e terra, che si
alzava a piccoli getti grazie al vento leggero. L'aria si era fatta
più fresca, e anche il sole sembrava picchiare di meno sulla
mia
testa accaldata.
Probabilmente
mi stavo avvicinando ad un confine, nonostante non avessi idea di
dove fossi. Quelle terre inesplorate mi facevano sentire
così
impreparata ogni volta da farmi infuriare man mano che proseguivo.
Il
cielo era azzurro e terso, così pulito che quasi non lo
ricordavo:
di certo il caldo bestiale che adesso opprimeva Agrabah era
sufficiente. Io, al contrario, nel mio bosco mi ero beccata l'Inverno
nucleare e un cielo costantemente plumbeo, di una tristezza
desolante.
Fantastico.
«
Oltre le dune di sabbia... » continuando a ripetere a me
stessa come
un mantra, quasi sperando che il Bianconiglio apparisse accanto a me
per spiegarmi quel cavolo di messaggio che mi aveva lasciato.
Quello
che apparve, al contrario, non me lo aspettavo di certo.
C'erano
delle grosse pietre sul mio cammino: larghe e piatte, dalla forma
rotondeggiante. Davvero enormi, avrei potuto stendermi su una di esse
e sarebbe avanzato spazio.
Prima
una sola, poi due. E poi non vidi altro per metri e metri.
Un
posto così non l'avevo davvero mai visto. Salii su una delle
pietre
e ne testai la stabilità.
Erano
piuttosto pesanti, e avrebbero retto un peso nettamente superiore al
mio: quel lastricato sarebbe stata la mia unica strada per molte ore,
se avessi deciso di percorrerla.
E
siccome non vedevo altro attorno a me se non la prospettiva di
tornare indietro, decisi di proseguire.
Saltavo
da una pietra all'altra, cercando di scorgere cosa ci fosse sotto.
Per un breve tratto sotto di esse vidi ancora terra rossa e
pietruzze, ma lentamente mi accorsi che anche la terra cominciava a
sparire sotto ai miei piedi, lasciando spazio solo a quei grandi
sassi fluttuanti.
Fluttuanti?
Stavo
camminando nel vuoto. O meglio, su delle grosse rocce sospese nel
vuoto. Ma era lo stesso.
Mi
fermai un istante a pensare, ma bloccarmi lì avrebbe voluto
dire
tornare indietro. E questo non potevo permettermelo in nessun caso,
perciò avrei dovuto rischiare.
Continuai
a camminare lentamente, mantenendo un passo costante e stando attenta
alla reazione delle pietre al mio passaggio. Sembravano salde
nonostante fossero circondate solo da aria.
Il
silenzio mi circondava. Il cielo si fece via via più
sbiadito, fino
a che sopra la mia testa non ci fu che una coltre bianca. Sembrava
dovesse arrivare una nevicata da un momento all'altro, ma la
temperatura era ancora piacevole e fresca.
Tum,
tum, tum. I miei passi oramai erano diventati familiari. In quel
luogo così lontano dalla civiltà e diverso da
quello che avevo
appena lasciato, il silenzio mi era diventato amico.
Per
questo udii subito il fruscio a pochi passi da me, quando una leggera
nebbia aveva iniziato ad oscurare l'orizzonte. Quel rumore non
l'avevo fatto io. E in quel luogo deserto non poteva essere un caso.
C'era
qualcuno.
Tenni
stretta la lancia tra le dita, pronta a difendermi. Ero sospesa in
aria su un mucchio di sassi e con la nebbia alle costole, di certo
questo non giocava a mio favore.
Ma
non mi sarei arresa, non adesso.
«
Avanti, fatti sotto... » sibilai, e quel fruscio si
ripeté. La
sagoma che intravidi era sicuramente umana.
La
mia ombra si rifletteva sulle pietre grigie, aiutata dai pallidi
raggi di sole che filtravano oltre le nuvole color latte. Osservai di
nuovo la figura di fronte a me, poi di nuovo la mia ombra a terra.
Solo
la mia
ombra
a terra.
Per
un istante trattenni il respiro e rilassai i muscoli. Difendermi non
sembrava più così importante.
Non
ero in pericolo. La figura di fronte a me avanzò di qualche
passo,
mostrandosi oltre la nebbia leggera.
«
Peter... » mormorai, in un sibilo. Mi mancava il fiato. Dal
momento
in cui lo avevo perso di vista nel mio bosco, avevo pensato alle
più
orribili tragedie. Vederlo lì, con gli occhialoni da
aviatore sulla
testa e i capelli ribelli mossi dalla brezza leggera, mi
mozzò il
respiro.
«
Red. » rispose lui con un sussurro, incredulo quanto me. Sul
suo
volto i segni della stanchezza erano parecchi visibili, ma la luce
che da sempre vedevo nei suoi occhi non era scomparsa.
Chiusi
gli occhi, poi li riaprii. E lui era ancora lì.
Solo
più vicino.
«
Red. » ripeté, come se dire il mio nome mi
rendesse più reale.
Ormai vicinissimo a me, allargò le braccia e mi cinse le
spalle,
stringendomi in un abbraccio forte, energico.
Senza
pensarci.
Chiusi
di nuovo gli occhi. Sentivo le lacrime risalire e spingere con forza
sulle palpebre in attesa di uscire.
Le
ricacciai in dietro. Avevo giurato, santo dio, giurato che non avrei
pianto per quel genere di cose.
Sentii
le mani forti di Peter ricadere sulle mie spalle. Mi
trascinò
nuovamente contro di lui, contro il suo respiro sulla mia pelle.
Rimanemmo in silenzio per minuti interi, stretti in quell'abbraccio
che rendeva insignificante tutto il resto.
Non
riuscivo a capire il motivo per cui non ero in grado di staccarmi da
lui. Io non ero così. Non volevo essere fragile, vittima dei
sentimenti come quelle sciocche ragazzine che tanto odiavo. Ma in
quel momento non ero in grado di fare il primo passo.
«
Ho pensato al peggio. » ammise lui in un sussurro, muovendo
lentamente le labbra accanto al mio orecchio, facendomi tremare.
«
Mi hai sottovalutata. » commentai io, senza trattenere un
sorriso
sarcastico.
«
Dopo la tempesta di neve sono tornato a cercarti, ma non c'eri
più.
Te n'eri già andata via dal tuo bosco e non sono riuscito a
trovarti. La tempesta ha continuato a imperversare per giorni.
» mi
spiegò lui, distanziandosi appena da me. Era più
pallido del
solito, e due occhiaie leggere marcavano gli occhi scuri rendendoli
ancora più intensi. Era molto stanco.
«
Sei rimasto bloccato nel mio bosco? » gli chiesi, ripensando
alla
terribile tempesta di neve e al miracoloso salvataggio di Biancaneve.
Lui
annuì. « Volare era impossibile. Ho trovato un
rifugio e sono
ripartito quando la tempesta si è placata. Ma quando non ti
ho più
trovata, ho cominciato a cercarti. ».
Ascoltai
attentamente le sue parole, ma tutto quello a cui riuscivo a pensare
era quanto fossi sollevata di vederlo lì di fronte a me,
sano e
salvo.
«
Io... » iniziai, senza sapere come concludere la frase.
Ero
preoccupata.
Ho
pensato spesso a te.
Pensavo
di non rivederti più.
«
...sono contenta di vederti. ». Dire ciò che
pensavo realmente non
era giusto. Non lo volevo davvero.
In
quel momento, avrebbe provocato solo più sofferenza. Peter
mi
sorrise, sfiorandomi il volto con le dita.
Quel
contatto mi fece rabbrividire.
«
Pennino? » dissi semplicemente, ripensando al motivo del suo
viaggio. Stava cercando la cura per uno dei suoi bimbi sperduti, e
oramai era passato parecchio tempo dall'ultima volta che ci eravamo
visti. La sua espressione cambiò, e la luce nei suoi occhi
fu
oscurata da un incredibile senso di preoccupazione.
«
Per ora ho trovato solo un palliativo. Lo mantiene in vita ma non lo
cura. » mi spiegò Peter, senza riuscire
più a sostenere il mio
sguardo. « Sto continuando a cercare, ma sembra del tutto
inutile.
».
«
Non devi arrenderti. » ribattei io, stupita di
quell'improvviso moto
di positività. Lo vidi rispondere con un sorriso muto e
malinconico.
«
Adesso sei tu, quella poco realista. » mugugnò,
quasi divertito. «
una volta era il contrario. ».
«
Non sono sempre stata così cinica, sai. ». Ed era
vero. Una volta
ero quasi troppo ingenua e spensierata per vivere in quel mondo.
Ripensandoci, forse quel cambio di atteggiamento mi aveva fatto bene.
«
Lo so. ». Peter mi prese la mano, stringendola nelle sue.
« Ma non
ho detto che questo sia un male. ».
Rimasi
in silenzio, meditando su quelle parole. Forse non era un male, ma di
certo non avevo ciò che avevo prima. L'Apocalisse mi aveva
strappato
qualcosa che volevo fortemente indietro.
«
Devi andare. » mormorai, e non era una domanda, né
una richiesta.
Solo un dato di fatto. Dovevamo separarci, ed era giusto che fosse
così.
«
Non ti lascio di certo qui. » rispose lui, spalancando i
grandi
occhi scuri. « Vieni. ».
Non
feci in tempo a ribattere. Peter mi afferrò per le gambe e
mi prese
in braccio, stringendomi con forza.
Il
mio viso era vicinissimo al suo. « Che fai? »
balbettai,
impreparata.
«
Ti porto via da qui. » disse semplicemente lui, e in un
attimo ci
alzammo in volo. Di certo volare mi avrebbe fatto arrivare alla fine
del percorso molto più rapidamente. Non avevo ancora capito
dove
fossi.
«
Sai in che Regno ci troviamo? » gli chiesi, poggiando il capo
sul
suo petto. Lo vidi scuotere la testa.
«
Probabilmente una zona di transizione, ma non ne sono sicuro.
».
Rimasi
in silenzio per il resto del viaggio. Durò qualche minuto,
se non
poco più. Ma per me, il tempo in quel momento si
fermò. Sentivo il
battito del cuore di Peter, il silenzio oltre le nuvole, i nostri
respiri.
E
per un attimo non pensai più ad altro.
Nb. Per chi non lo sapesse, Jim Hawkins è il protagonista de
"L'isola del tesoro", celebre storia di Robert L. Stevenson.
Personalmente, quando ero piccola adoravo questo romanzo, per questo ho
deciso di inserirlo. La descrizione di Jim e il suo atteggiamento sono
tuttavia ispirati al classico Disney "Il Pianeta del tesoro", ispirato
al romanzo di Stevenson ma riletto in chiave fantascientifica. Per chi
non lo avesse visto, consiglio di fare un tuffo nel passato e vederselo
perché, nonostante sia abbastanza recente in casa Disney (
anno 2002) è caratterizzato ancora da quell'aura magica che
riveste i grandi classici. Consiglio davvero a tutti di vederlo, anche
perché ho intenzione di renderlo più partecipe
all'interno della storia, dato che è un personaggio che mi
piace moltissimo...ma non vi dico altro! =)
E poi abbiamo Peter: vi avevo detto che l'avremmo rivisto,
personalmente è un personaggio che mi piace tantissimo anche
in questa chiave più realistica...perciò spero
non me ne vogliate per questo ultimo momento un pò
più sdolcinato, ma non ho potuto farne a meno!
Spero mi farete sapere cosa ne pensate, e che continuerete a seguire la
mia storia!
Un abbraccio,
L.
|
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Capitolo 7 *** Rose. ***
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THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
7.
Rose.
Il
viaggio insieme a Peter mi risparmiò la traversata di quel
luogo
inesplorato. Quando mi lasciò a terra, di fronte a noi le
grosse
pietre erano sparite, lasciando spazio ad una grande distesa d'erba.
Quella
landa deserta sembrava non avere fine. Il cielo era tornato plumbeo e
pesante. Somigliava al mio bosco, ma non c'era neve – almeno
per il
momento.
Peter
esitava a riprendere il volo, ed io lo guardavo in attesa. Nessuno
dei due voleva allontanarsi, ma prima o poi andava fatto. Avevamo
entrambi una missione da portare a termine, e non potevamo aspettare
ancora.
«
Tornerò a cercarti. » disse lui ad un certo punto,
sollevando
appena i piedi da terra. Mi limitai ad annuire.
«
Vedi di non morire. » sibilai con voce flebile, non potendo
fare
altro. Le lacrime represse continuavano a stare al loro posto, ma la
mia anima era sempre più tormentata.
«
E tu non cacciarti nei guai, ragazzina. ». Sollevandosi in
aria, non
distolse mai lo sguardo da me. Continuammo a guardarci fino a quando
non lo vidi sparire di nuovo in cielo, diretto verso chissà
quale
luogo. Avevo avuto paura per lui, e non riuscivo ad ammetterlo. Ma
ora che lo avevo visto sano e salvo, sapevo di poter continuare senza
che quei pensieri mi ronzassero nella testa come una mosca
fastidiosa.
Mi
addentrai nella landa desolata, chiedendomi perché in quel
posto non
ci fosse un accidenti di individuo.
Tra
le sterpaglie cominciò a farsi più vivido un
sentiero di terra e
sassi, lasciato a se stesso ma sempre visibile. Avevo come
l'impressione che quel luogo una volta fosse un villaggio.
Le
poche macerie ai lati della strada non potevano che confermare la mia
idea. Continuai a camminare, addentrandomi tra gli arbusti che si
facevano via via più alti e difficili da scansare. La
temperatura
calava passo dopo passo, e in pochi istanti rividi la brina sulle
foglie e neve accumulata ai bordi della strada.
Aveva
tutta l'aria di essere un luogo abbandonato, il cui clima era molto
simile a quello del mio bosco. Sicuramente il freddo Inverno aveva
colpito anche quella zona. Ma non riuscivo a capire ancora dove
fossi.
La
soluzione a quell'enigma mi apparve di fronte agli occhi, su un
cartello di legno conficcato nel terreno. L'edera lo copriva quasi
per intero, e un lato era scheggiato e rovinato dal tempo. Su di esso
c'era un'incisione ancora chiaramente leggibile nonostante l'usura.
Scrostai le foglie d'edera dagli angoli.
ADAM'S
CASTLE
«
Adam? » ripetei, strabuzzando gli occhi. Quel nome mi era
familiare.
Si, certo che lo era. Mi guardai attorno, poi oltre il cartello di
legno. Un bosco di altissimi abeti si apriva di fronte a me, ed erano
così fitti che non vi riuscivo a vedere attraverso.
Dio,
probabilmente avrei dovuto addentrarmi in quel postaccio senza sapere
cosa avrei trovato dopo.
Ma
tornare indietro era fuori discussione. Perciò cominciai a
camminare, cercando di ignorare gli sporadici fiocchi di neve che si
posavano lentamente sulla mia mantella.
Quei
dannati alberi non mi facevano vedere a un palmo dal naso. Camminavo
sulla neve soffice da ore oramai, e avevo la netta impressione di
essermi persa. Quel bosco era molto diverso dal mio, tanto buio e
fitto che era impossibile orientarsi. Il crepitio delle scarpe sulla
neve mi dava, tuttavia, un'inspiegabile sicurezza, come se fossi a
casa.
Un
lupo ululò in lontananza. Probabilmente anche questo mi
faceva
sentire a casa. Ma oltre a quel suono così familiare ce
n'erano
altri. Delle voci, voci arrabbiate.
Voci
umane.
Erano
molto lontane, ma riuscivo a distinguerle chiaramente. Tuttavia,
vista la lontananza, al momento preferivo non preoccuparmene e dare
più importanza ai vicini ululati che, con il passare dei
secondi,
aumentarono di numero.
Continuai
a camminare a passo svelto, stringendo la lancia tra le dita senza
distogliere lo sguardo dagli alberi che mi passavano accanto. Una
sagoma scura si mosse rapidamente accanto a me, seguita da un'altra,
più grande, a pochi passi di distanza.
Ero
abituata a quel genere di movimenti, e non mi ci volle molto a capire
che un branco di lupi mi stava alle costole. Tuttavia, nonostante
l'imminente pericolo di morte, finalmente mi confrontavo con qualcosa
a cui ero abituata. E, a giudicare dalle ombre, non si trattava di
grossi bestioni simili a quelli del mio bosco.
Uno
di essi apparve finalmente di fronte a me, ringhiandomi addosso con
gli occhi tinti di sangue.
Erano
lupi di boscaglia. Senza mutazioni genetiche, né radiazioni.
Probabilmente solo molto affamati.
«
Oh, ma guarda un po'. » mormorai, e un sorriso sadico apparve
sulle
mie labbra. « Cuccioli. ».
In
tutta risposta ricevetti un ringhio famelico. Iniziai a contarli.
Uno, due, tre...
Dopo
il decimo persi il conto. Erano decisamente troppi.
Di
sicuro ci sarebbe stato da divertirsi.
I
primi tre si accanirono contro di me insieme, con il capobranco al
centro. Schivai i loro attacchi cercando di non farmi azzannare, e li
respinsi con la lancia. Mi piegai, scostando la mantella per avere
libero accesso ai pugnali aderenti alla mia gamba. Ne lanciai uno al
lupo di destra, colpendolo di striscio.
Erano
veloci, ed io dovevo esserlo di più. Avevo una maledetta
promessa
sulle spalle, quella di non cacciarmi nei guai.
Maledetto
Peter.
Continuai
a respingere i loro attacchi senza fermarmi, ma quando mi accorsi che
erano decisamente troppi per me, decisi di passare alle maniere
forti.
«
Volete che vi faccia arrosto, mh? » sibilai, mentre la neve
continuava a cadere sempre più rapidamente sulle nostre
teste.
Strinsi la mano a pugno, percependo quella oramai inconfondibile
sensazione di calore sulla punta delle dita, poi attraverso l'intera
mano e l'avambraccio. Il rumore degli ingranaggi bastò per
un
momento a distrarmi dal dolore. Ogni volta faceva sempre più
male, e
questo non era un bene.
Il
cannone metallico apparve in pochi secondi. Brillando sotto la luce
chiara del cielo grigio. Rifletteva il candore della neve, e
probabilmente quei vecchi cagnacci se ne accorsero. Li vidi
indietreggiare quando gli puntai l'arma contro.
«
Non siete più così cattivi, eh? »
mormorai, cercando di
infastidirli. Andiamo,
fatevi sotto.
Il
capobranco fece un passo avanti, poi voltò di scatto la
testa. Lo
vidi irrigidirsi, e poco dopo fecero lo stesso anche tutti gli altri.
Alcuni scapparono via, mentre un esiguo gruppo rimase a poca distanza
da me, con la testa fissa verso il fitto del bosco.
Quella
dannata neve oramai oscurava completamente la visuale, ma distinsi
chiaramente una figura scura dalle dimensioni esagerate, forse anche
più grande dei lupi del mio bosco. I pochi lupi rimasti
scapparono
via lanciando dei flebili guaiti di resa.
Io
non riposi la mia arma. A quanto ne sapevo, quell'essere nell'ombra
poteva essere addirittura più pericoloso di loro. Attesi, in
silenzio. Ero un cacciatore silenzioso, in fondo, e fare rumore non
sarebbe servito a nulla. Tenni stretta la lancia, preparando il colpo
con il cannone.
Tre,
due, uno...
Una
grossa zampa si posò su una foglia immersa nella neve,
facendola
scricchiolare appena.
Ora.
Mi
scagliai velocemente verso la sagoma nera, che cominciava ad uscire
dall'ombra. Non mi importava quanto fosse grossa o quanto potevano
avere paura gli altri. Intravidi il pelo marrone scuro, lungo e
inaspettatamente curato. Poi la camminata a quattro zampe, la stazza
possente.
E
in un attimo mi fermai, guardando in alto. Il bestione era
decisamente più grosso dei lupi del mio bosco, e mi
ringhiava contro
con le grosse fauci, da cui spuntavano due enormi denti appuntiti.
I
grandi occhi azzurri mi fissarono intensamente. Erano del colore del
cielo, quando ancora era terso e limpido. Un'immensa distesa azzurra
tra me e quell'essere animalesco che ora non mi faceva più
paura.
Mi
si mozzò il respiro. I miei occhi erano fissi su di lui,
spalancati
e increduli.
«
Adam... » sibilai, senza quasi rendermene conto. Era proprio
lui. La
Bestia
che
volevo combattere.
Il
principe Adam si bloccò, trascinato da qualcosa che
intravidi solo
focalizzando lo sguardo attorno alla sua testa. C'erano delle funi,
funi che lo tenevano legato.
Ammaestrato.
Sollevai
ancora di più lo sguardo, e a quel punto la bestia si
voltò,
girandosi trasversalmente. La vidi in tutta la sua grandezza, ed era
davvero bella grossa. Di certo i lupi del mio bosco se la sarebbero
fatta sotto.
A
tenere le redini di quel bestione era una figura esile ma energica,
che mi osservava dall'alto.
Il
mio cuore mancò un battito quando la riconobbi, e anche da
parte sua
sentii chiaramente un sussulto.
«
Red? » mormorò con la sua voce delicata, incredula
quanto me per
quell'incontro. Scese agilmente dalla bestia, con i fluenti capelli
color cioccolato che ondeggiavano liberi in mezzo alla neve.
Due
grandi occhi castani mi squadrarono, illuminandosi. « Red,
sei tu. »
ripeté, sollevata.
«
Belle. » sussurrai, sorprendentemente sollevata per
quell'incontro.
Era lei. Ed era viva.
Conoscevo
Belle da molto tempo, nonostante i nostri regni fossero lontani.
Difatti non ero mai arrivata fin lì, né avevo
visto il suo regno
prima dell'Apocalisse. Ma lei aveva la fama di essere una
appassionata viaggiatrice, perciò veniva spesso a trovarmi.
Probabilmente aveva girato l'intero Regno delle Fiabe.
E
ora era lì, splendida nonostante la distruzione. Un'altra
fiamma che
brillava di luce propria, in mezzo al buio che tutto quel caos aveva
portato con sé.
Belle
si avvicinò di un altro passo, poi mi abbracciò.
Era sempre così
dolce, nonostante tutto.
«
Oh, non posso crederci... » sussurrò, con la voce
spezzata
dall'emozione. Mi era mancata la sua voce.
«
Cosa... » balbettai, incredula di fronte a quella scena. Adam
ci
fissava immobile, muto nella sua bestialità.
Belle
si voltò appena, quasi non ricordasse che il suo unico amore
fosse
tornato in forma animale. Poi tornò con lo sguardo su di me,
concedendomi un altro dei suoi dolci sorrisi.
«
E'...una lunga storia. » disse con un filo di voce, in gran
parte
coperta dal rumoroso scrosciare della neve attorno a noi. Indossava
ancora l'abito dorato che aveva messo la prima volta con Adam.
Quell'abito meraviglioso che ora aveva accorciato per adattarsi a
quei tempi difficili. Indossava un cappotto blu, con degli intarsi
dorati. Solo ad una seconda occhiata mi accorsi che un tempo quel
capo era di Adam.
Ma
ora, probabilmente non gli serviva più a nulla.
Belle
tirò su il cappuccio che aveva accuratamente cucito sul
cappotto del
suo innamorato, proteggendo il viso ancora perfetto. « Vieni,
andiamo al castello. ».
Adam
emise un ringhio sommesso.
E
in quel momento mi resi conto che non era più in grado di
parlare.
Il
castello di Adam cominciava a mostrare i primi segni di decadenza: la
struttura esterna era ancora intatta, ma all'interno le stanze
cominciavano a scurirsi di quelle ombre macabre che tingevano i
luoghi abbandonati.
«
Certe volte mi sembra di essere tornata a quando sono arrivata qui
per la prima volta. » ammise Belle, versando il tè
nelle tazze di
porcellana bianca. « cerco di tenere il castello in uno stato
dignitoso, ma per una persona sola è difficile. ».
Eravamo
in una grande sala con gli araldi alle pareti: la legna nel camino
ardeva riscaldando piacevolmente l'intera stanza. Le poltrone
dall'imbottitura color cremisi erano grandi e comode, e attraverso le
grandi vetrate si riusciva ad intravedere il bosco innevato in cui
imperversava ancora la tempesta.
«
Grazie a Dio ti ho trovata, con quella tempesta di neve là
fuori non
avresti resistito molto. » commentò, osservando
oltre i vetri della
finestra con la preoccupazione sul volto. Posò la manina
esile sulla
mia, stringendola appena.
«
Ne sono sicura. Anche nel mio bosco la situazione è simile,
e non è
facile. » risposi, bevendo un sorso di quel buonissimo
tè.
«
Ho cercato di mettermi in contatto con te, e con Biancaneve,
ma...purtroppo è stato impossibile. » aggiunse
poi, dando una
rapida occhiata alla Bestia che dormiva all'angolo della stanza.
«
Cosa è successo al regno, Belle? ». Dovevo
saperlo. Dovevo sapere
la storia di quel luogo. La vidi incupirsi ancora di più, e
affondare le labbra di nuovo nel tè bollente.
«
L'Inverno è calato sul bosco e non è
più andato via. Il villaggio
è stato distrutto. » mormorò, e una
lacrima solitaria le solcò la
guancia cadendo sulla cintola del vestito, un cinturone di cuoio in
cui teneva il necessario per la caccia nel bosco. « Raso al
suolo. E
come hai visto i lupi là fuori sono affamati. E...Adam...
».
Si
bloccò, schiarendosi la voce incrinata dall'emozione. Chiuse
gli
occhi per qualche secondo e poi li riaprì, cercando di
trovare la
forza in quel poco che le rimaneva. Quel poco che rimaneva a tutti
noi.
«
Da quando è tornato...in questo stato? » le
chiesi, provando ad
aiutarla.
«
Dall'Apocalisse. » mi rispose lei, voltandosi nuovamente
verso di
lui. « la mutazione è stata quasi immediata. Per
qualche giorno è
stato in grado di parlare, poi neanche più quello. Ora
è allo stato
animale. Credo mi riconosca, in quale modo. Capisce che sono ancora
io, la stessa persona. Ma l'istinto è quello che
è...quello di una
bestia. ».
Annuii,
senza sapere cosa dire. « E' accaduto anche...agli altri?
» chiesi
nuovamente, constatando che nel castello lei e Adam erano gli unici
abitanti. La vidi annuire.
« Sono tornati gli oggetti che
erano al momento della maledizione. Ma anche a loro è stata
tolta la
vita. » proseguì con un filo di voce. Un momento
di silenzio, e poi
riprese con un sorriso appena accennato sul volto. « ma
almeno Adam
è vivo...questa è l'unica cosa che conta. Lo
riporterò a com'era
un tempo, ne sono sicura. ».
Sorrisi. Un sorriso
impercettibile che quelle parole mi strapparono senza accorgermene.
Belle amava talmente tanto Adam che non si sarebbe lasciata
sconfiggere da quel destino infausto. Così le raccontai del
mio
viaggio, di Biancaneve e di Alice, e di come volevo trovare una
risposta a tutte le domande che ci stavamo ponendo.
« Non deve essere stato facile
per te, in quel bosco. » commentò lei, sfiorandomi
il braccio che
poco prima aveva visto in una forma decisamente meno umana.
« Si fa quel che si
può. » mi
limitai a dire, senza alcuna autocommiserazione. Non ne avevo
bisogno. In quel momento ripensai al mio viaggio, e al percorso che
avevo affrontato per arrivare fino a lì.
« C'è qualcosa che
vuoi
chiedermi? » azzardò lei, con uno dei suo
sorrisetti che sapevano
tutto. Era incredibilmente brava a leggere le espressioni altrui.
« Ecco,sono
passata...attraverso uno strano posto, per arrivare fino a qui. Un
ponte di pietre fluttuanti. Per caso è un territorio di
transizione?
». Il suo volto si fece più scuro. Probabilmente
mi sbagliavo.
« Lo è, adesso. E'
una terra
desolata, di passaggio. » mi spiegò Belle, con lo
sguardo oltre la
finestra. « Ma prima dell'Apocalisse, quello era un Regno. Il
regno
della principessa Mulan. Non so come abbia fatto a trasformarsi in
quel modo, ma dopo la distruzione la conformazione del territorio
è
cambiata completamente. E adesso è solo un ammasso di pietre
fluttuanti immerso nella nebbia. ».
Le parole oltrepassarono le sue
labbra e rimasero lì, sospese in aria. Meditai su
ciò che mi aveva
detto Belle, e in quel momento avere ancora il mio bosco, nonostante
profondamente desolato e modificato, non mi sembrava più una
realtà
tanto orribile. Mi stavo rendendo conto che c'era a chi era andata
decisamente peggio.
Pensai ad Esmeralda, a Jim, e a
coloro che non avevano più un luogo dove andare. Che erano
costretti
a contare solo sulla generosità degli altri, sempre
più difficile
da trovare.
« E' un vero schifo.
»
borbottai, e quel commento mi uscì di getto. Belle non
poté che
annuire.
In quel momento mi vennero in
mente le parole del Bianconiglio. Oltre le dune ci ero arrivata, e
ora?
« Belle, hai incontrato
qualcuno degli altri regni oltre me, di recente? » le chiesi,
sperando in una risposta affermativa. Lei arricciò il naso,
in
quell'espressione buffa che faceva sempre quando era pensierosa.
La ricordavo bene.
« Qualche tempo fa, ma non di
recente. Perché? ». Sbuffai, confusa. Il
Bianconiglio sapeva
esattamente quello che faceva, ed ero certa che aveva già
progettato
tutto nel momento in cui mi aveva fornito quell'indizio criptico. Se
ero arrivata fin lì doveva esserci un motivo.
« Ah, io...non saprei.
»
mugugnai, senza altre risorse da utilizzare. Mi abbandonai sullo
schienale della sedia. « Devo decifrare uno stupido indizio,
e non
so da che parte iniziare. Ma credo di essere sulla strada
giusta...solo, non so come continuare. ».
I suoi occhi guizzarono da una
parte all'altra della stanza, illuminandosi. Un sorrisetto
scalfì le
sue labbra rosee. « Non so di cosa si tratti...ma forse posso
aiutarti. ».
Si alzò velocemente in piedi,
sistemandosi la gonna dorata sotto le ginocchia. Mi prese per mano e
mi trascinò fuori dalla sala, lungo le ampie scale che
portavano al
piano di sopra. Quel castello era immenso, e dopo la prima rampa
avevo già perso l'orientamento. Probabilmente stavamo
salendo su una
delle torri.
« Dove stiamo andando?
»
chiesi, guardandomi attorno. Gli arazzi alle pareti mettevano
inquietudine.
« Ti porto nell'ala Ovest.
»
rispose lei senza voltarsi. Oh, l'ala proibita.
Man mano che salivamo su per le
scale, l'atmosfera si faceva sempre più buia e macabra. Le
ombre
tingevano le pareti e si nascondevano negli angoli, come presenze
dispettose. Un grande portone in legno scuro ci divideva da un enorme
stanzone in cui era stata lasciata un sacco di roba alla rinfusa,
perlopiù vecchi mobili muffiti e altra robaccia piena di
polvere.
« Scusa per il disordine.
»
mormorò lei, e a me venne da ridere. Di certo non doveva
preoccuparsi di una cosa del genere, al momento. Ma Belle era fatta
così. Delicata come un giglio bianco.
Attraversammo l'ampia stanza tra
i pezzi d'antiquariato e le ragnatele, fino a che non raggiungemmo
l'altro lato della sala, illuminato grazie alle ampie vetrate che
davano sul piccolo balcone della torre.
E lì, su un tavolino di
cristallo bianco, la vidi.
Una bellissima rosa all'interno
di una teca di cristallo: era leggermente sospesa da terra, e
brillava di luce propria. I petali erano di un rosa intenso, ma con
venature di un intenso blu scuro, quasi corvino.
Era incredibilmente bella,
nonostante quelle variegature scure facessero pensare ad una
maledizione, o a qualcosa di simile.
«
E'...e' proprio lei?
» sussurrai, come se alzare troppo la voce potesse
distruggere quel
fiore così delicato.
Belle annuì. «
Credevo di
essermene liberata, e invece eccola lì. ».
« Come...com'è
possibile? ».
« Non lo so neanche io, in
realtà. Ma dopo l'Apocalisse è semplicemente
riapparsa, con quelle
orribili venature scure. » mi spiegò lei,
sospirando. « i primi
giorni è stato un incubo. Con Adam in quello stato, avevo
paura che
i petali ricominciassero a cadere. Avevo paura di perderlo di nuovo,
di dover rompere la maledizione in qualche modo. E invece...nulla.
».
« Nulla? » ripetei,
sorpresa.
« Proprio così. I
petali non
sono mai caduti. La rosa è rimasta come la vedi ora. Ma ha
sicuramente a che fare con la trasformazione di Adam, perciò
la
proteggo fino a quando non ci capirò qualcosa. Sai, anche io
avevo
pensato di mettermi in viaggio qualche tempo fa, ma con la rosa
radicata nel castello non posso abbandonare il mio regno. Se le
succedesse qualcosa, non so cosa potrebbe accadere. ».
Ascoltai attentamente le sue
parole, poi guardai di nuovo la rosa e capii cosa intendesse Belle
dicendo che era radicata al castello: il gambo scuro si allungava fin
sotto la teca di cristallo, giù oltre le gambe del tavolo, e
da lì
una serie di fusti secondari partivano in ogni direzione, coprendo
l'intera stanza. Osservai il percorso di uno di loro, e mi accorsi
che raggiungeva la parete alle mie spalle fino al soffitto. C'erano
un sacco di spine.
« Oh. » mi limitai a
dire,
dandomi della stupida per la mia occhiata superficiale.
« Ma non è per
questo che ti
ho portata qui. » continuò Belle, scavalcando i
rami della rosa
fino ad un altro tavolo. Quando si voltò, tra le mani aveva
uno
specchio di cristallo, luminoso e splendente.
« Quello è lo
specchio di
Adam? ». Conoscevo quello specchio, Belle me ne aveva
parlato: le
era stato molto utile in passato, mostrandole ciò che
realmente
desiderava vedere, e forse mi sarebbe servito.
« Devo avvertirti,
però. Non
funziona più come una volta: decide lui cosa mostrarti,
perciò fai
bene la tua scelta. ». Annuii. Dovevo pensare, e pensare in
fretta.
Lo presi tra le mani, ammaliata dalla luce verdognola che emanava.
« Specchio, mostrami il
Bianconiglio. » dissi con voce forte e chiara. Lo specchio
brillò
per qualche istante, poi si spense. Mi voltai verso Belle, che mi
invitò a riprovare.
« Specchio, mostrami...
» mi
bloccai. Cosa? Cosa volevo vedere davvero? Lo sapevo. « ...la
mia
famiglia. ».
Lo specchio si illuminò di
nuovo, poi si spense. Una fitta al cuore mi gelò, ma decisi
di
passarci sopra. Lo sguardo di Belle faceva intendere che non le avevo
raccontato tutta la storia, e lo sapevo anche io. Non l'avevo
raccontata a nessuno prima, e non amavo farlo. Sperai che
soprassedesse.
Cosa poteva volere il
Bianconiglio per me? Cosa poteva fare per aiutarmi?
Sussultai. « Specchio,
mostrami
l'indizio. ». Lo specchio brillò nuovamente, e
finalmente apparve
qualcosa.
Una spiaggia di sabbia bianca,
poi l'oceano. Il mare era calmo e la luce del sole brillava nel cielo
luminoso.
Belle emise un gemito. « Ci
siamo. ».
« Conosci questo posto?
» le
chiesi, completamente ignara di dove si trovasse. C'erano un sacco di
sbocchi verso il mare nel Regno delle Fiabe, quel posto poteva essere
ovunque. Lei mi sorrise.
« Lo conosco perché
è
adiacente al mio Regno. » disse, con gli occhi che le
brillavano. «
Si trova al confine con il mio Regno, al di là del bosco.
».
Un sorriso spontaneo apparve
sulle mie labbra senza che potessi evitarlo. Il Bianconiglio era un
genio.
« Adesso dobbiamo solo farti
uscire da qui. ».
« Oh, posso farcela con i
lupi,
non preoccuparti. ». I suoi occhi mi fecero intuire che i
lupi non
erano l'unico problema all'interno del suo regno. E mi vennero in
mente le voci che avevo sentito in lontananza prima di incontrarla.
« Non sono i lupi il problema,
Red. » rispose lei, confermando la mia ipotesi.
Maledetto intuito.
Nb. Eeee si. Sono una cattivona. Ma non voletemene, anche io adoro
Belle e Adam e in generale la storia de "La Bella e la Bestia",
perciò anche per me è stato piuttosto straziante
scrivere questo capitolo, soprattutto dopo aver deciso di togliere la
voce al nostro principe. Mi farò perdonare, lo prometto!
A voi, ora: cosa ne pensate? Ringrazio in maniera particolare chi sta
leggendo questa storia...su, fatevi sentire! Voglio sapere cosa ne
pensate, se avete dei suggerimenti sono qui!
Un abbraccio,
L.
|
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Capitolo 8 *** Who could ever learn to love a beast? ***
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8.
Who could ever learn to love a beast?
La
tempesta di neve si stava placando nel regno di Belle e Adam: dalla
torre del castello gli abeti che occupavano fitti e ravvicinati il
bosco sembravano tante piccole statuine di cristallo imperlate di
bianca e candida neve. Il cielo grigio, tuttavia, minacciava ancora
tempesta.
Eravamo
usciti sulla torre dell'ala Ovest, la più alta del castello:
Belle
osservava l'orizzonte, pensierosa, mentre io mi preparavo –
mentalmente e fisicamente – ad uscire di nuovo nel bosco.
«
Quando il villaggio è stato distrutto, gli abitanti si sono
riversati nel bosco, ma non erano più gli stessi. Come
accaduto con
Adam, l'istinto animale si è impossessato di loro. Adesso
brancolano
tra gli alberi come lupi allo stato brado. ». Belle si
fermò a
riprendere fiato, poi tirò nuovamente su il cappuccio della
mantella.
Non
riuscivo a crederci.
«
Sono tanti? » chiesi, cercando di percepire anche il minimo
rumore
dal bosco.
«
Una ventina. » rispose lei, indossando i pesanti guanti che
usava
all'esterno. « decimati, rispetto alla popolazione originaria
del
villaggio. Credo ce ne siano altri, ma hanno troppa paura per uscire.
Solo i più aggressivi girano per il bosco. Ho dovuto
ucciderne tre
finora, minacciavano il castello. ».
«
Sono mai arrivati fino a qui? »
«
Prima. Adesso non lo fanno più. Adam li ha spaventati,
perciò hanno
paura di avvicinarsi. Ma se tu esci nel bosco, probabilmente ti
attaccheranno. ». La vidi mentre puntava i piedi a terra, e
dalla
punta delle scarpe fuoriuscirono due artigli metallici, somiglianti
alla lama di una lancia.
Fece
lo stesso con la struttura di cuoio attorno agli avambracci, e anche
da li spuntarono una serie di lame dall'aria parecchio pericolosa.
«
Quindi dovrò distrarli. Tu devi arrivare dalla parte opposta
del
bosco. Attraversarlo in tutta la sua lunghezza. ». Sfruttando
gli
speroni su mani e piedi, Belle iniziò ad arrampicarsi sulla
parete
della torretta, sul cui tetto non si poteva salire dall'interno. Era
un'attrezzatura piuttosto ingegnosa.
La
fissavo con ammirazione mentre scrutava il bosco con attenzione, una
cacciatrice in abito d'oro. Scese nuovamente alla mia altezza e con
un saltello fu di nuovo sulla torre in cui ero rimasta io.
Sorrise,
imbarazzata. « Adattamento. Adam riesce a farlo con gli
artigli,
perciò mi sono dovuta inventare qualcosa. ».
Scendemmo
al piano di sotto e Belle portò Adam e me all'entrata
posteriore:
uscimmo nel grande giardino e arrivammo al grande cancello di ferro
battuto, che si aprì con uno scricchiolio. Belle
salì in groppa ad
Adam, legandolo con le redini che avevo visto in precedenza.
«
Vieni. » mi disse, tendendomi la mano. « Se sono
lontani, riuscirò
a portarti direttamente al confine. ».
Con
un balzo agile salii su Adam, e in quel momento mi sembrò
quasi di
sentirlo parlare. Ma mi accorsi, dopo qualche istante, che si
trattava solo di un'illusione. Non sentire la sua voce faceva uno
strano effetto.
E
ritrovarlo lì, di nuovo bestia, di nuovo animale, mi
riportava ad un
passato che non avrei voluto ricordare.
Ripensai
ai lupi del mio bosco. A quando mi ero svegliata con il braccio
reciso e sanguinante. A quando avevo pensato alla fine. E al mio
secondo risveglio, viva e non più del tutto umana. Ma viva.
Iniziammo
a correre tra gli alberi. Adam era agile, e schivava i tronchi fitti
e ravvicinati tra loro molto facilmente nonostante la stazza. Belle
tirò appena le redini e lui si fermò, girando a
sinistra, poi di
nuovo a destra e sempre dritto.
In
quel momento sentii rumore di passi. Passi veloci, forsennati,
diversi da quelli di Adam.
«
Belle! » gridai, sperando che mi sentisse. La
velocità e il rumore
di Adam attraverso la foresta non erano d'aiuto, ma la vidi annuire e
voltare appena la testa.
«
Si stanno avvicinando, tieni gli occhi aperti! »
gridò lei, e Adam
aumentò la sua velocità.
Le
voci si facevano sempre più vicine, la confusione aumentava.
E
improvvisamente mi accorsi di due ombre che ci seguivano, percorrendo
accanto a noi la stessa strada. Erano coperte dagli alberi, ed erano
tanto veloci che non riuscivo a vederli in modo definito.
«
Dannazione... » mugugnò Belle, e dal cinturone che
aveva in vita
estrasse un pugnale dalla lama affilata, legato da un filo elastico
alla cintura. Lo lanciò contro uno di loro, e tutto
ciò che sentii
fu uno schiocco e un mugolio tra gli alberi. Il pugnale
tornò
indietro grazie all'elastico, per metà coperto di sangue.
Uno
di loro tentò di avvicinarsi, e lo respinsi con la mia
lancia. In
quel momento li vidi: erano umani, con i vestiti stracciati e la
faccia sporca.
Sembravano
vagabondi, ma sui loro volti c'era qualcosa di diverso: follia,
istinto, rabbia.
Erano
esseri animaleschi, veloci e aggressivi.
«
Che diavolo è successo a questo mondo... »
sussurrai tra me e me,
ma anche Belle mi sentì.
Continuammo
a cavalcare a gran velocità, fino a che le voci non si
fecero un po'
più lontane. Belle si fermò improvvisamente,
tirando le redini di
Adam – il quale emise un ruggito flebile.
«
La direzione è questa. Vai sempre avanti, non fermarti. Io
me la
caverò. » mi disse lei rapidamente. Scesi da Adam
e lo guardai
negli occhi. Mimai un grazie
con
le labbra, sperando che lui, nonostante quello che era, riuscisse a
capirmi. A comprendere quanto fossi grata a tutti loro.
«
Perché lo fate? ». Mi uscì spontaneo,
quasi d'istinto. Belle mi
guardò. « Ognuno di voi cerca di aiutarmi mettendo
a rischio la sua
vita, e io...io mi sento... ».
«
Smettila. » mi interruppe lei, guardandomi dall'alto della
bestia. «
Tu non hai idea di ciò che il tuo viaggio significhi per me.
Per
tutti noi. Stai mettendo a rischio la tua vita e ne sei consapevole.
Siamo noi, ad esserti grati. Tu puoi farcela, Red. Ce la farai e non
potrai fare nulla, per impedirmi di aiutarti. ».
Rimasi
ad ascoltarla in silenzio, senza sapere cosa dire. Nessuno aveva mai
fatto tanto per me. Tutta quella distruzione mi aveva trasformato in
una cinica bastarda, ne ero consapevole. Reprimevo tutte le emozioni,
impedendomi anche solo di pensare. Ma quello andava oltre tutto
ciò
che avevo sempre pensato di quel mondo in quello stato pietoso.
Perché
c'era ancora speranza.
Annuii
in silenzio e mi voltai. Cominciai a correre, ma la voce di Belle mi
bloccò nuovamente.
«
Red! » gridò, mentre Adam si sollevava sulle zampe
posteriori. «
Li ritroverai. L'ho capito, sai? La tua famiglia. E' questo, il tuo
scopo. Trovarli tutti. Ce la farai, io ci credo! ».
Non
mi lasciò il tempo di ribattere. La bestia si
sollevò ancora come
un cavallo imbizzarrito, ed entrambi partirono nel fitto del bosco
per combattere gli esseri che cercavano di ostacolare il mio cammino.
Mi
voltai ed iniziai a correre.
Probabilmente,
eccetto il Bianconiglio, nessuno sapeva. Non era solo per trovare la
causa di quel caos, che mi ero messa in viaggio. E il dialogo con lo
specchio di Belle l'aveva messo in luce. Lei l'aveva capito.
Cercavo
la mia famiglia, e questo voleva dire lei.
Mia
nonna. Lei era ancora viva, ne ero certa. E sapevo che l'avrei
trovata, alla fine del mio viaggio, perché era tutto quello
che mi
rimaneva al mondo. Dopo di lei ero sola.
Il
crepitio dei miei passi sulla neve era silenzioso e costante. Cercavo
di mantenere un ritmo veloce per arrivare il prima possibile al
confine.
Un
bagliore luminoso, improvvisamente, mi distrasse. Mi voltai di scatto
per osservare meglio l'intensa luce che proveniva dal fitto del
bosco.
Belle.
Rivolsi
l'ennesima preghiera al cielo, sperando che quella specie di
esplosione non l'avesse ferita, o non avesse procurato danni ad Adam.
Sperai con tutto il cuore che stessero entrambi bene.
Un
ringhio sommesso alle mie spalle mi mise in allerta. Mi ero fermata,
e questo non era un bene.
Voltai
appena il capo, indirizzando lo sguardo oltre la neve, oltre me
stessa. Uno di loro era proprio lì.
E
mi stava fissando con gli occhi di chi ha appena trovato la cena.
Mi
voltai lentamente, cercando di non aizzarlo: dopotutto erano uomini
ridotti allo stato animale, perciò dovevo comportarmi in
modo da non
scatenare la loro ira con gesti troppo rapidi o inaspettati. Aveva,
in fondo, tutto l'aspetto di un umano: i vestiti, benché
stracciati,
pendevano a brandelli sul corpo sporco di fango e terra, e la postura
ricordava ancora quella di un essere umano nonostante la schiena
ingobbita e le braccia a penzoloni.
Quello
che mi si era presentato davanti doveva essere un ragazzo piuttosto
giovane: i capelli ramati, ispidi e incolti, scendevano a grandi
ciuffi sul volto pallido ed emaciato, circondando gli occhi vacui e
le profonde occhiaie da fame e freddo. Dietro di lui ne apparve
un'altra, una donna dai riccioli rossi con le lentiggini e la pelle
chiarissima.
Non
potevo ucciderli. Erano ancora lì, me lo sentivo. Sotto
quella
scorza animale c'era ancora un cuore umano. Ripensai alle parole di
Belle: anche lei doveva aver fatto un grande sacrificio uccidendo
coloro che minacciavano il castello.
Così
decisi di aspettare. Aspettare che facessero loro il primo passo.
Contai una, poi due volte, sempre più lentamente. I secondi
passavano, e dopo poco ne apparve un altro alle mie spalle. Stavano
aumentando.
Non
potevo rimanere lì. Dovevo andare via.
Corsi
in direzione del ragazzo emaciato e dalla donna dai capelli rossi.
Ostacolavano il mio cammino, perciò non dovevo farmi
scrupoli. Tenni
stretta la lancia attorno alle dita, cercando di spaventarli.
Al
contrario, loro mi vennero incontro con lo sguardo inferocito e avido
del mio sangue.
Sfruttai
la velocità per schivare i loro colpi una, poi due volte.
Nel
frattempo ne vidi altri, probabilmente un gruppo separato da quello
che Adam e Belle stavano combattendo al centro del bosco.
La
rossa tornò all'attacco, di tutti era lei la più
aggressiva. Mi
ringhiò contro, lanciandomisi addosso. Cercai di schivarla,
nonostante la sua velocità mi sorprese. Indietreggiai, e
ricominciai
a contare.
Uno,
due, tre.
Uno,
due, tre.
Il
silenzio religioso del bosco durò per circa dieci secondi.
Poi, con
un movimento repentino, mi voltai di scatto e cominciai a correre
verso il confine. Non volevo ucciderli, e rimanere lì
probabilmente
sarebbe andato a mio sfavore visto che aumentavano progressivamente
di numero.
Sentivo
le loro grida e i loro passi alle mie spalle, e non erano molto
lontani.
Alzai
involontariamente gli occhi al cielo: anche in una situazione
drammatica come quella riuscivo a trovare il lato comico delle cose,
visto che essere inseguita da un'orda di umanoidi in mezzo ad un
freddo e umido bosco non era proprio nei miei piani della giornata.
Dallo
scalpiccio alle mie spalle mi resi conto che erano decisamente
vicini, e decisamente aumentati in numero.
Ma
non era l'unico rumore nel bosco silenzioso. No, c'era qualcos altro.
Un cigolio metallico, accompagnato da un bizzarro scoppiettio. Avevo
le allucinazioni, per caso?
Cercai
di concentrarmi nonostante la fatica per la corsa. Si, era
decisamente un motore.
Voltai
appena la testa, ma concentrarmi su quel rumore anomalo mi rallentava
decisamente.
«
Ma che diavolo... » mugugnai, constatando che qualcosa si
stava
avvicinando, e gli umanoidi non c'entravano nulla. Un'ombra
sfiorò
gli alberi, poi si frappose tra me e il bosco, alla mia stessa
velocità.
Quasi
mi venne un colpo quando focalizzai l'attenzione su quella
sottospecie di tavola da surf di rame e metallo, con gli ingranaggi
in vista e una vela color cremisi spiegata nella direzione del vento
gelido.
I
due motori turbinavano nella parte posteriore della tavola, che si
staccava a pochi metri da terra.
Strabuzzai
gli occhi, continuando a correre. Non poteva essere vero.
Il
ragazzo alla guida mi lanciò un'occhiata intensa,
lasciandosi
sfuggire un sorriso malizioso.
«
J-Jim?! » gridai, e la mia voce superò il rumore
dei motori. Jim
Hawkins era a pochi passi da me su un bolide in corsa con le rotelle
degli ingranaggi che ruotavano a velocità disumana. Molto steampunk.
Ma
era Jim Hawkins. Che diavolo ci faceva lì?
«
Sali! » mi gridò, abbassandosi di poco.
Lanciò un'occhiata fugace
alle bestie che mi stavano alle costole, poi schivò
abilmente un
tronco bruciato e si rimise in linea retta.
«
Che diavolo ci fai qui?! » gridai ancora, seguendo con le
dita i
bordi della sacca che tenevo in spalla. Appese al lungo manico di
cuoio c'erano una serie di piccole sferette ancorate a dei ganci in
ottone. Ne sfilai una, poi mi voltai e la lanciai all'indietro,
proprio al centro della folla inferocita. La sfera emise un suono
acuto e breve, poi esplose mandando tutti nel panico.
«
Red! » gridò nuovamente Jim, avvicinandosi in
volo. « Sali,
maledizione! ». Mi tese la mano.
Nella
mia testa circolarono una serie di pensieri nell'arco di pochi
secondi.
Non
voglio il tuo aiuto.
Questi
tizi sono veloci, mi raggiungeranno.
Jim
Hawkins è qui.
Sali.
Mi
voltai si scatto, e con un salto bilanciato tesi la mano e afferrai
la sua, poggiando i piedi sulla tavola motorizzata. Barcollai per
qualche secondo, ma trovai sostegno nelle braccia di Jim. Mi strinsi
attorno alla sua schiena e mi voltai ancora, osservando la folla alle
nostre spalle.
«
Tieniti forte! » gridò lui, e in pochi istanti
partimmo a tutta
velocità verso il confine.
Attraversare
il confine fu come una doccia fredda. Mi ricordò la fuga
dalle
guardie della Regina rossa nel Paese delle Meraviglie. Attraversammo
l'ultima parte del bosco innevato e poi a tutta velocità
verso
l'esterno.
Quando
superammo l'ultima fila di abeti, ero sicura della nostra salvezza:
gli umanoidi erano legati a quel regno, e il loro essere animalesco
non gli permetteva di prendere decisioni in merito. Non potevano
muoversi da lì. Ce l'avevamo fatta.
Fuori
dal bosco la neve era sparita: quel dannato cambiamento climatico
dovuto alle tempeste radioattive aveva fatto proprio un bel casino.
Il passaggio ci creò non pochi problemi: attraversare la
barriera
tra le due zone destabilizzò i motori della tavola di Jim,
che
vacillò per qualche metro.
Le
turbine si spensero per qualche istante, poi si riaccesero troppo
tardi: la tavola si impuntò a terra e noi ruzzolammo
giù.
Sentivo
odore di terra bagnata. La polvere mi entrò nel naso, mentre
rotolavo a qualche metro di distanza dalla tavola. Lasciai subito
andare la lancia per evitare di avere la lama troppo vicino, e vidi
il corpo di Jim distanziarsi dal mio.
Quando
aprii gli occhi, a terra, ci misi un paio di secondi a capire cosa
era accaduto. Mi rialzai lentamente, cercando di ignorare il dolore
alla gamba. Dovevo essere finita su una pietra, o qualcosa del
genere.
Mi
guardai attorno: la tavola era ancora conficcata nella terra, le
turbine si erano spente e la vela era ancora aperta. Jim era a poca
distanza. Cercai di muovermi il più rapidamente possibile
verso di
lui, recuperando sulla strada la lancia che avevo abbandonato durante
il volo.
Jim
era disteso sulla schiena, con le braccia aperte e il volto coperto
di terra. Quando cercai di svegliarlo una prima volta non rispose,
tossicchiando appena ad occhi chiusi. Tirai un sospiro di sollievo,
constatando che almeno non era morto durante la caduta. Di quei
tempi, era un grosso passo avanti.
«
Jim, mi senti? ». Lo vidi aprire lentamente gli occhi,
battere le
palpebre rapidamente un paio di volte e poi fissarsi su di me. Rimasi
in silenzio, tirando un altro sospiro di sollievo.
«
Stai bene? » mi disse con voce roca, tossendo ancora. Lo
guardai
storto: lui era in quello stato pietoso ed ero io a dovermi
preoccupare della mia salute?
«
Si...tutto okay. Ma forse dovresti controllare il tuo carretto.
»
gli risposi, cercando di tirarlo su con entrambe le braccia. Si mise
a sedere, massaggiandosi la testa.
«
Ehi, non chiamarlo così. Ah, la testa. Abbiamo fatto un
bell'atterraggio, eh? » concluse, tirando fuori il solito
sorrisetto
che oramai riuscivo a riconoscere. Come poteva sorridere anche in una
situazione come quella, era un mistero che non avrei mai capito.
A
poco a poco riuscì ad alzarsi, e anche io feci lo stesso. Ci
avvicinammo alla tavola impuntata a terra, e Jim la studiò
da
lontano. Poi, con forza, la liberò dal suolo e la mise
nuovamente in
posizione orizzontale.
«
Vediamo un po'. ». Accese di nuovo i motori, che
scoppiettarono per
qualche secondo. Chiuse la vela, la riaprì e
valutò le condizioni
di ogni centimetro. Si alzò in volo e fece qualche piroetta,
ma
avevo l'impressione che quell'ultima parte servisse solo per darsi un
po' di arie.
«
Nessun danno. » asserì entusiasta, scendendo
nuovamente a terra.
Spense i motori e legò la tavola alla schiena con un
cinturone di
pelle. Poi lanciò un'occhiata alla mia gamba. «
Ehi, ma tu sei
ferita. Fatti dare un'occhiata. ».
«
Oh, non è niente. Sono abituata e – »
non feci in tempo a finire
che mi ritrovai seduta sul terriccio umido con Jim che valutava la
mia gamba da lontano. La sua espressione rendeva tutto ancora
più
comico.
«
Va bene, va bene. Ora controllo. Basta che la smetti. »
mormorai,
scostando la mantella rossa dalle gambe. Al di sotto, le calze in
pelle nera e lattice erano ancora intatte. Raggiunsi il bordo nella
metà superiore della coscia e sganciai il reggicalze,
tirandone giù
una. Erano molto pesanti, e fornivano la protezione ideale per
fronteggiare il freddo del mio bosco. Effettivamente si vedeva una
piccola escoriazione sul ginocchio, ma nulla di grave.
Jim
era diventato stranamente silenzioso. Frugai nella mia sacca, fino a
che non trovai una fascia bianca e il sidro di mele che mi aveva dato
Biancaneve. Dall'ultimo assaggio ricordavo che il tasso alcolico era
parecchio alto, ed era comunque la cosa che si avvicinava
più ad un
disinfettante in quel momento. Ne lasciai scorrere un po' sulla
ferita, poi fasciai delicatamente il ginocchio e tirai di nuovo su la
calza.
«
Sei contento, adesso? » mugugnai, ma lui si limitò
a rispondere con
un cenno silenzioso. Mi alzai in piedi, stiracchiandomi. Il mio corpo
era ancora intorpidito dalla caduta. Quello che vidi attorno a me
aveva tutta l'aria di un territorio di transizione: il bosco alle
nostre spalle sembrava lontanissimo e inaccessibile, mentre davanti a
noi si imponeva una lunga distesa di terra chiara. Mi voltai.
«
Ti ringrazio di avermi portata fino a qui. » iniziai, sapendo
che
era arrivato di nuovo il momento di separarsi. « Adesso posso
proseguire da sola, e tu puoi tornare alle tue...cose. ».
Jim
mi guardò divertito. Non ero capace a fare quel genere di
discorsi,
lo sapevo benissimo. A dire il vero potevo sembrare piuttosto
ridicola, e forse Jim stava pensando proprio a quello.
«
Scherzi? Non ti lascerò in questa landa deserta. Vengo con
te. »
rispose lui, sistemando nuovamente la tavola sulle spalle.
«
Oh! Grazie, ma...ma no, grazie. » mormorai, nonostante lui si
fosse
già avviato. Lo seguii a passo rapido, sperando che mi desse
un po'
di considerazione. « Ehi? Mi hai sentito? Ce la faccio da
sola! ».
In
quel momento mi ritornarono in mente le sue parole, e pensai
inevitabilmente a Peter.
Non
ti lascio di certo qui.
Tutti
lì a volermi aiutare, come se non potessi cavarmela da sola.
Come se
non potessi farcela.
«
Sappi che ce la faccio benissimo da sola. Non ho bisogno che tu mi
faccia da spalla. » mugugnai, raggiungendolo.
«
Oh, ma questo lo so benissimo. » rispose lui, attirando la
mia
attenzione. « Ma non voglio lasciarti sola. ».
Quelle
parole sparirono nel silenzio. Non ribattei. Semplicemente, lasciai
che il muto suono del vento le portasse via. Forse perché
volevo
dimenticarle. O forse perché mi avevano colpita.
Jim
mi guardò di nuovo, e sentii quella stessa sensazione che
avevo
percepito al nostro primo incontro.
Camminammo
in silenzio per un bel po', attraversando la landa deserta. C'era una
brezza piacevole, nonostante il sole che cadeva a picco sulle nostre
teste. Le cose cambiarono solo quando, improvvisamente, sentii uno
strano odore diffondersi attorno a noi. Era piacevole, davvero
piacevole.
«
Lo senti? » sussurrai, e Jim si voltò. «
C'è odore di...sale. ».
«
Sale? »
«
Si. Non so come spiegarlo... ». Jim annusò l'aria,
e sulle sue
labbra apparve un sorriso. Poi iniziò a correre.
«
Ehi! » gridai, cercando di raggiungerlo. In pochi istanti
alle mie
orecchie giunse un rumore scrosciante, impetuoso, ma allo stesso
tempo delicato.
Quando
raggiunsi Jim, all'orizzonte una striscia blu si frapponeva fra la
terra e il cielo.
Il
blu intenso del mare.
Nb. Eccomi qui, e scusate se non ho aggiornato prima ma ultimamente ho
parecchio da fare! Comunque, come vedete Jim si ripresenta nel corso
della storia e i nostri eroi vengono condotti fino all'oceano. Mi
è piaciuto scrivere questo capitolo, ho immaginato la fuga
di Red in mezzo alla neve e il salvataggio da parte di Jim in ogni
dettaglio. Ultimamente sto scrivendo con il sottofondo musicale dei
Mumford and Sons, qualcuno di voi li conosce? Fanno della musica
bellissima, dategli un ascolto, e magari potranno accompagnarvi nella
lettura di questo capitolo.
Per il resto spero che la storia vi stia piacendo, e fatemi sapere cosa
ne pensate! Ringrazio tanto coloro che hanno lasciato un commento, o
anche solo un pensiero.
Significa tanto per me.
Un abbraccio,
L.
|
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Capitolo 9 *** Red hair under the sea. ***
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-
9.
Red hair under the sea.
La
terra divenne pian piano sabbia. La lunga striscia bianca era calda e
soffice, e portava progressivamente ad una lunga distesa d'acqua, che
a piccole onde si infrangeva contro il bagnasciuga.
Era
un luogo bellissimo. Sembrava che l'Apocalisse non avesse minimamente
scalfito quella terra. Forse non era così, forse c'erano
cose che
non sapevo e che non avevano nulla di buono.
Ma
per un momento volli pensare che quel luogo avesse preservato tutta
la sua bellezza e vinto il caos.
Jim
tirò su le braccia, respirando a fondo. Doveva piacere anche
a lui.
Lo osservai mentre si metteva a sedere sulla sabbia, per poi
togliersi i pesanti scarponi e arrotolare il bordo dei pantaloni fino
al polpaccio.
«
Ma che stai facendo? » chiesi, confusa. Lui si
voltò e mi sorrise.
Che?
«
Vado a sentire l'acqua. Vieni con me, dai! » mi rispose lui,
dirigendosi a passo sostenuto verso la battigia.
Strabuzzai
gli occhi: come faceva a darmi una risposta del genere in un momento
come quello?
Era
matto, per caso?
«
Non siamo qui per perdere tempo! » mi lamentai, conficcando
la
lancia a terra e appendendo la sacca alla tavola che aveva conficcato
nella sabbia. « Dobbiamo muoverci! ».
«
Smettila di lamentarti e vieni qui! » mi rispose lui,
irritandomi
ancora. Presi un gran respiro. Dovevo mantenere la calma e ucciderlo
più tardi, al momento opportuno. Sapevo che mi avrebbe
tormentata
fino alla fine dei miei giorni, perciò decisi di
assecondarlo.
Sfilai i pesanti stivaloni dai piedi e tirai su le pesanti calze in
pelle, tastando la sabbia a piedi nudi per raggiungerlo.
Era
un sensazione davvero piacevole: vivendo sempre nel mio bosco, avevo
raramente l'opportunità di vedere il mare e camminare sulla
sabbia.
Dovevo ammettere che durante quel viaggio un'esperienza del genere
era più che gradita. Raggiunsi la sabbia umida e poi
l'acqua,
rinfrescante e limpida.
«
E' bellissima... » mi lasciai sfuggire, osservando i
sassolini che
brillavano attraverso l'acqua come perle.
Jim
mi si avvicinò e mi schizzò con un piede. Le
gocce d'acqua mi
arrivarono sulle braccia e sul viso. Lo guardai, e lui
scoppiò a
ridere. Tornò indietro nel tentativo di difendersi, ma il
mio
contrattacco arrivò comunque. Mi lasciai scappare una risata
mentre
mi rincorreva per vendicarsi, poi mi fermai e guardai l'orizzonte,
pensierosa.
«
Non devi essere dispiaciuta. ». Jim mi si avvicinò
con le mani sui
fianchi. « Puoi essere felice anche tu, nonostante tutto. Non
devi
fartene una colpa. ».
Lo
guardai, quasi ferita. Come aveva fatto a capirlo?
«
Succedeva anche a me, fino a poco tempo fa. »
proseguì lui, senza
voltarsi verso di me. « Ogni volta che facevo qualcosa che mi
rendeva anche minimamente felice, pensavo a mia madre. Alla sua
scomparsa. E dicevo a me stesso che non dovevo, non potevo essere
felice. Non ne avevo il diritto. ».
Abbassai
lo sguardo. Aveva ragione, mi sentivo esattamente così.
Forse lui mi
capiva, perché come me era stato privato di qualcosa di
talmente
importante che tutto il resto sembrava solo una grossa stupidaggine.
«
Ma alla fine ho capito che ragionando così non avrei vissuto
affatto. ». Jim andò a sedersi a poca distanza
dall'acqua, lì dove
la sabbia andava progressivamente asciugandosi. Lo raggiunsi e mi
sedei accanto a lui, distendendo le gambe. I piedi raggiungevano
l'acqua, che con la risacca li rinfrescava a intervalli regolari.
«
Perché eri nel bosco di Belle? » gli chiesi,
osservando la grande
distesa blu di fronte a noi.
«
Cercavo mia madre. Ad Agrabah è arrivato un ragazzo di
Montressor,
anche lui in cerca di una nuova casa. Mi ha detto di aver visto una
donna simile a mia madre tra gli umanoidi nel bosco di Adam e Belle,
così sono partito subito per cercare conferma. »
fece una pausa,
poi scosse la testa. « Ma non era lei, ho battuto tutto il
bosco per
trovarla, e alla fine ho scovato una donna vicino al castello molto
somigliante a lei. Ma non era mia madre. Poi ho trovato te. Fine
della storia. ».
«
Capisco. » mormorai, annuendo appena. « E ora
tornerai ad Agrabah?
».
«
Certo. » rispose lui, con un sorriso. «
Lì hanno bisogno di me. Ma
questo non mi impedisce di accompagnarti fin dove posso, o sbaglio?
».
Trattenni
il fiato. Era una persona davvero strana, non potevo negarlo, e molto
diversa da me.
Ma
in quel momento non potevo evitare di ammettere che essere da sola su
quella spiaggia sarebbe stato molto peggio.
«
Perciò sembra proprio che dovrai bearti della mia presenza
ancora
per un po'. » scherzò lui, cercando di
punzecchiarmi. Alzai gli
occhi al cielo.
«
Divertente. » borbottai, mentre mi infilavo di nuovo gli
stivali. «
Oh. L'hai visto anche tu? ».
Di
fronte a noi, l'acqua si era increspata. Forse me l'ero immaginato,
perché Jim scosse la testa in segno di negazione. Focalizzai
l'attenzione su quel punto, ma non vidi più nulla.
«
Aspetta, ora lo vedo anche io. » sussurrò lui,
indicandomi la
direzione con un dito. L'acqua si era increspata allo stesso modo, ma
più vicina al bagnasciuga. Mi alzai in piedi per vedere
meglio. Feci
un passo avanti e l'acqua tornò ad incresparsi, questa volta
più a
fondo e più a lungo. Una macchia rosa cominciò ad
espandersi poco
sotto la superficie, fino a che affiorò mostrando un rosso
brillante
e vivido.
Jim
mi guardò con la coda dell'occhio: nessuno di noi aveva idea
di cosa
diavolo fosse, ma era incredibilmente bello. La macchia rossa si
espanse lentamente, fino a che sotto di essa non spuntò
qualcosa.
Un
volto.
Un
volto umano.
«
Quella è... » iniziai, ma Jim interruppe i miei
pensieri a voce
alta. Avanzò di un passo, finendo con i piedi nell'acqua. La
macchia
rossa si avvicinò appena, e il visetto si fece
più vivido alla
luce del sole.
«
Ariel. » mormorò Jim a mezza voce, e la sirena di
fronte ai nostri
occhi balzò in superficie con un guizzo, lasciando
ondeggiare la
coda tra le onde.
Non
avevo più incontrato Ariel dopo l'Apocalisse: i nostri Regni
erano
lontani, e già prima era raro che ci incontrassimo. Jim, al
contrario, sembrava conoscerla bene. Si avvicinò a lei con
un balzo,
rimanendo con le caviglie immerse nell'acqua fredda.
Ci
eravamo accorti entrambi che qualcosa era cambiato in lei: gli occhi
erano due perle opalescenti, con rare sfumature azzurre. Non si
riconosceva più l'intensa oscurità della pupilla,
né il celeste
vibrante dell'iride.
Mi
ricordava alcuni pesci delle acque profonde, con gli occhi velati e
irriconoscibili. Al posto delle orecchie le erano spuntate delle
pinne turchesi che si diramavano in sottili peduncoli tra i ciuffi di
capelli.
Aveva
assunto un aspetto diverso, come se il mare l'avesse catturata nella
sua morsa, offrendole un aspetto molto più vicino all'acqua
che alla
terra. Gli occhi vuoti ne erano la prova.
Ripensai
ad Adam, e a tutti coloro che erano stati privati, in modi diversi,
di una parte della loro umanità: forse ad Ariel era toccata
la
stessa sorte.
Rimasi
ad osservarla mentre si avvicinava alla riva, utilizzando le braccia
come sostegno. Jim affondò le gambe il più
possibile per
raggiungerla.
«
Che ti è successo? » le chiese, e lei
mimò qualcosa con la bocca.
Poi, con un gesto della mano, si sfiorò la gola e
seguì la linea
del collo fino alle labbra, lasciando fluttuare le dita in aria.
Ripeté quel gesto per due volte, con l'espressione vuota e
triste.
Jim sembrò non capire.
Io
ripensai ad Adam. « Non può parlare. »
mormorai, impietrita. Lei
annuì, le labbra inarcate in un broncio.
Jim
si voltò verso di me, gli occhi spalancati dalla sorpresa,
poi tornò
su Ariel. Lei gli sorrise.
In
quel momento avevo la netta sensazione di essere di troppo,
benché
fosse una situazione normalissima e non ne avessi motivo. Eppure mi
sembrava di sentire qualcosa che non andava, che non avevo mai
provato in passato. Volevo andarmene da quel posto, nonostante non
stesse accadendo praticamente nulla di male.
Che
diavolo mi prendeva?
«
Ariel. » dissi, cercando di interrompere il flusso immotivato
di
pensieri assurdi che mi oscurava la mente.
Lei
si voltò verso di me, e indico con l'indice verso l'alto,
come a
voler dire che c'era qualcos altro, oltre l'assenza di parole, che
era cambiato in lei.
Rimanemmo
entrambi in attesa. Lei chiuse gli occhi, poi li riaprì e
schiuse
appena le labbra rosee. E lì, nel silenzio della spiaggia,
una
melodia armoniosa cominciò a diffondersi sotto i nostri
sguardi
sbalorditi.
Non
poteva parlare, questo era vero. Ma poteva ancora cantare.
«
Incredibile... » commentò Jim, ascoltando quella
melodia che era
solo suono, senza parole. Probabilmente neanche lei sapeva spiegarsi
il perché di quello strano fenomeno, ma finché
aveva la sua voce
era ancora tutto possibile.
Feci
un altro passo avanti nell'acqua, affiancando Jim. Ariel era sempre
bellissima nonostante le mutazioni che avevano modificato il suo
corpo, e adesso che ero più vicina me ne rendevo conto.
«
Ariel, il Bianconiglio è passato di qui recentemente?
» le chiesi
dopo un attimo di pausa, ma lei scosse la testa in segno di
negazione. Pensai ai suoi indizi, che erano arrivati fino al castello
di Belle e Adam. Forse dovevo cambiare direzione una volta
arrivata lì?
«
Se mi ha fatto arrivare fino a qui... » sussurrai, pensando
ad alta
voce come al solito. « Forse... ».
In
quel momento, Ariel puntò di nuovo il dito come aveva fatto
in
precedenza. Si tuffò all'indietro e nuotò per
qualche secondo,
emergendo dall'acqua a qualche metro di distanza. A quel punto ci
fece segno di raggiungerla.
«
Forse ha ragione. » commentò Jim, girandosi verso
di me. « Se
l'indizio era quello, dobbiamo attraversare le acque di Ariel fino a
toccare terra. ».
«
Eh? ». L'idea poteva anche avere un senso, ma stavamo sempre
parlando di un oceano. « il Bianconiglio non può
essere davvero
così sadico da farmi attraversare il... » mi
interruppi, e Jim mi
guardò con sguardo eloquente. Okay, forse era tanto folle da
pensare
che sarei stata in grado di attraversare l'oceano da sola.
«
E io che ci sto a fare, allora? » mi chiese Jim, guardando in
direzione della spiaggia. La sua tavola era ancora conficcata nella
sabbia, e aspettava solo di essere messa in moto.
Feci
segno ad Ariel di aspettarci mentre tornavamo a riva. Jim mise la
tavola in posizione orizzontale, riscaldò i motori e
spiegò la
vela. La brezza che tirava sulla spiaggia ci avrebbe permesso di
andare molto più veloci, e di fare in fretta.
«
Non sei obbligato, lo sai. »
«
Smettila e sali. ».
Legai
la lancia alla schiena, ancorandola saldamente. Mi posizionai dietro
a Jim, piantando i piedi sulla tavola in modo da avere il giusto
equilibrio.
«
Reggiti. » mi disse lui, ed io afferrai i lembi della sua
maglia,
all'altezza dei fianchi. « Reggiti bene.
».
Sbuffai.
Odiavo quel tono, soprattutto se proveniva da lui. « Va bene,
mamma.
» e strinsi più forte.
Lo
vidi alzare gli occhi al cielo. I motori rombarono più
forte, e lui
tirò appena le maniglie attorno alla vela. La tavola
partì con uno
scatto, ed io quasi persi l'equilibrio rischiando di cadere dalla
tavola.
Come
contraccolpo lo abbracciai, cingendogli i fianchi con le braccia. Lo
vidi sogghignare.
Idiota.
L'aveva
fatto apposta.
L'acqua
sotto di noi era di un blu intenso. Non avevo idea di quanto fosse
profonda, ma era un bel po' che viaggiavamo e la riva oramai era
lontana. Seguivamo Ariel con la tavola e, per quanto noi fossimo
motorizzati, lei manteneva una velocità sorprendente:
muoveva la
coda su e giù come un pesce, aiutandosi con le braccia e
saltando in
superficie con la grazia e l'abilità di un delfino.
Era
incantevole nonostante la mutazione e tutti i cambiamenti.
«
Tutto bene? » mi chiese nuovamente Jim, ed io annuii.
« Reggiti,
dobbiamo salire un po' per superare gli scogli. ».
La
tavola salì appena, e con un movimento deciso Jim
spostò la vela in
modo da virare leggermente e deviare verso destra, in modo da passare
oltre gli scogli senza pericolo. Aveva il completo controllo del
mezzo.
«
Devo ammetterlo, te la cavi bene. » commentai, e lui
reagì con un
sorriso luminoso. L'aria era fresca e rilassante, e piccoli getti
d'acqua raggiungevano le nostre gambe ogni volta che la tavola
sfiorava la superficie uniforme del mare.
C'era
un'atmosfera strana, e per un attimo provai un sentimento strano,
qualcosa che fino ad allora non ero riuscita a percepire.
Serenità.
In
mezzo a quella distesa di acqua e cielo, soli senza alcun suono se
non quello delle onde, mi sentii improvvisamente pervasa da una
strana tranquillità. I luoghi che avevo visitato riuscivano
a
tenermi in tensione, con il fiato sospeso, e ogni giorno mi chiedevo
se avrei superato o meno la giornata.
Ma
in quel momento, in quel luogo di passaggio, potevo essere libera di
cancellare ogni pensiero dalla mente.
Jim
scese ancora con la tavola, a pochi centimetri dall'acqua. Mi piegai
appena sulle gambe, cercando di mantenermi in equilibrio, e tendendo
il braccio sfiorai le onde con le dita. L'acqua era così
fresca che
al contatto provai un leggero brivido che risalì lungo tutta
la
schiena. Sentii Jim ridere.
Ariel
saltò fuori dall'acqua con un balzo, poi si immerse e rimase
sott'acqua per qualche minuto. Osservai la sua figura longilinea
muoversi sinuosamente sotto la superficie. Non avevo idea di come
stessero gli abitanti del suo mondo sommerso, o se addirittura ci
fosse ancora. L'idea di non avere una voce mi spaventava
terribilmente.
«
Ci siamo. » annunciò Jim, ed io guardai dritto di
fronte a me:
lungo la linea dell'orizzonte, non molto distante da noi, una
striscia di terra cominciava a farsi visibile ai nostri occhi.
Ariel
ci osservava attentamente mentre scendevamo dalla tavola sulla
terraferma: Jim spense le turbine e chiuse la vela, agganciandola
dietro la schiena, mentre io mi avvicinai alla riva e mi piegai sulle
ginocchia per avvicinarmi il più possibile alla sirenetta
dai
capelli rossi che, con gli occhi opalescenti, sembrava guardare tutto
eppure niente.
Lei
sollevò lo sguardo, poi mi indicò la direzione
con la mano: proprio
alle nostre spalle si apriva una lunga distesa di sabbia che, a poco
a poco, si trasformava in una striscia di boscaglia dai colori
spenti. In lontananza il cielo era grigio e pesante, e l'esperienza
nel mio bosco mi suggeriva che di certo non avremmo trovato il tempo
a nostro favore.
Non
che fosse una stranezza: dopotutto, già prima
dell'Apocalisse i
cambiamenti climatici erano piuttosto repentini e variabili al
passaggio da un regno all'altro, e ancora di più dopo quel
terribile
sconvolgimento che aveva incasinato le cose.
«
Ci sarà da combattere di nuovo con la neve. »
mugugnai tra me e me,
fissando l'orizzonte. Mi accorsi di come il cielo fosse ancora chiaro
nonostante fossi partita da Agrabah parecchio tempo prima.
Davvero
bizzarro, ma oramai non mi stupivo più di nulla.
Mi
voltai di nuovo, e osservai il sorriso luminoso di Ariel mentre
parlava con Jim: aveva una spensieratezza da bambina sul volto e,
nonostante gli occhi madreperlati apparentemente inespressivi, il suo
sguardo diceva molto più di quanto quella sorta di
maledizione
volesse nascondere.
La
vidi schiudere appena le labbra, e di nuovo una melodia dolce e
delicata cominciò a diffondersi attorno a noi. Quella voce
non aveva
subito alcun cambiamento nonostante la distruzione che aveva attorno.
Jim
si inginocchiò sulla riva, mormorando qualcosa che non
riuscii ad
intuire. Probabilmente la stava ringraziando per averci fatto da
guida, ma non ne ero certa. Sapevo solo che quel senso di pesantezza,
quell'astio immotivato che avevo già sentito in precedenza
si faceva
nuovamente spazio nel mio corpo senza che potessi fermarlo.
Alle
nostre spalle, la landa spoglia ci stava aspettando. Non avevo idea
di cosa si trovasse oltre quella fila di sterpaglie, ma avevo il
presentimento che non fosse nulla di buono.
Quando
i primi fiocchi di neve caddero delicatamente sulla mia mantella,
quasi mi maledii di avere un sesto senso maledettamente puntuale.
Quella
fitta boscaglia priva di senso presto si sarebbe coperta di una fitta
distesa bianca, e probabilmente anche la temperatura sarebbe scesa a
picco. Sollevai lo sguardo verso Jim, a pochi passi da me. Camminava
mantenendo il passo, stretto negli stivaloni pesanti che falciavano
l'erba incolta come macchine.
Indossava
una maglia in tessuto leggero, e un giaccone dall'aria piuttosto
pesante. Almeno era ciò che speravo.
«
Jim... » iniziai per l'ennesima volta, ma lui
reagì come al solito.
Si voltò di scatto e mi fulminò con lo sguardo.
«
Non se ne parla. » rispose, senza lasciarmi il tempo di
finire la
frase. « Non ti lascio qui nel bosco. ».
Alzai
gli occhi al cielo, sbuffando per la sua testardaggine. Che diavolo,
non sarei riuscita a convincerlo neanche se fossi stata
maledettamente persuasiva. Quel ragazzo aveva la testa di legno.
«
Sai, ti ringrazio davvero molto per avermi scortata fino a qui.
Probabilmente sarei ancora molto indietro se non fosse per te.
»
cominciai con la mia solita parlantina, cercando di essere
convincente.
«
Accetto volentieri i tuoi ringraziamenti. Acceleriamo il passo, sta
cominciando a nevicare. » ribatté, interrompendomi
nuovamente per
lasciarmi con la bocca mezza aperta.
Non
capivo perché non volesse lasciarmi proseguire da sola. Non
che la
sua compagnia non fosse gradita, anzi: avere un compagno di viaggio
poteva salvarti la vita, e lui l'aveva già ampiamente
dimostrato.
Ma
in questo modo mi faceva sentire di peso, come se fosse lui a
condurre me. E questo mi stava meno bene.
«
Non devi sentirti responsabile del mio viaggio. »
mormorò lui nel
silenzio del bosco. « Sono io che ho deciso di accompagnarti,
perciò
smettila di pensare a quello che, sicuramente, starai pensando.
».
«
Come diavolo..? » iniziai, e lui si voltò verso di
me strizzandomi
l'occhio.
La
neve iniziò a cadere sempre più fitta, fino a che
la terra non si
colorò di quel bianco candido macchiato solo dalle nostre
orme
solitarie. Tirai su il cappuccio della mantella e coprii il
più
possibile i capelli, che erano diventati umidicci e freddi. Il sole
stava calando rapidamente, e poco a poco la notte circondò
le nostre
figure, lasciando solo una tiepida ombra sulla neve che
svanì del
tutto quando l'ultimo bagliore di luce scomparve dietro l'orizzonte.
La luna si vedeva appena dietro le nuvole e gli alberi, sempre
più
alti e imponenti, avevano oramai ricoperto l'intera volta celeste.
«
Faremo meglio a cercare un posto nascosto e ad accendere un fuoco.
»
propose Jim, sfruttando gli ultimi istanti del crepuscolo. Camminammo
a lungo, raccogliendo più legna possibile lungo il percorso
in modo
da farla asciugare in tempo per accendere il fuoco. Tra gli alberi
scovammo un abbozzo di grotta abbastanza nascosto, e decidemmo di
accamparci lì per la notte. Era abbastanza riparata, e la
chioma
degli alberi aveva impedito alla neve di attecchire al terreno.
Jim
sistemò la legna nella grotta e iniziò
pazientemente ad accendere
il fuoco. Uscii fuori e mi addentrai nella boscaglia dietro la
grotta, allontanandomi dalla fonte luminosa: i rumori e i suoni
erano quelli di un comune bosco, ma c'era qualcosa di diverso che non
riuscivo a comprendere a fondo.
Mi
guardai attorno, poi udii un rumore diverso di fronte a me: il
cespuglio si
mosse appena, con un fruscio labile. Sfilai lentamente il coltello
dalla giarrettiera, e con un movimento rapido lo lanciai in mezzo al
cespuglio, che rispose con un tonfo.
Andai
a controllare: era una lepre abbastanza grossa, di certo ci avrebbe
sfamato entrambi e non saremmo morti di fame in quel bosco freddo.
Tornai indietro e Jim mi guardò con gli occhi grandi di
fronde al
fuoco che ardeva in mezzo alla grotta.
«
Spero ti piaccia il coniglio. » dissi, e lui
scoppiò a ridere.
Chissà perché quello che dicevo lo faceva sempre
ridere. Montai uno
spiedo rudimentale e tolsi il pelo al coniglio, poi lo misi sul
fuoco. Il profumo era davvero invitante. Tirai fuori la bottiglia di
sidro di Biancaneve, mentre Jim vi affiancò la borraccia
d'acqua
fresca che avevamo ancora con noi.
Mangiammo
avidamente e in silenzio: il coniglio era morbido e gustoso, e in un
attimo lo finimmo. Dividemmo l'acqua, lasciandone un po' per il
giorno seguente, poi iniziammo a bere il sidro per scaldarci.
La
temperatura cominciò gradualmente a scendere, ma avevamo
legna a
sufficienza per tutta la notte.
E
quella strana sensazione, quel brivido inspiegabile che avevo
percepito nel bosco, continuava a persistere dentro di me senza che
potessi fare nulla per eliminarla.
«
Tutto bene? » Jim spostò un ciocco di legna
rovente con un bastone,
facendolo scoppiettare. Bevvi un altro sorso di sidro ed annuii, ma
probabilmente lui non la bevve. Come faceva a capire sempre quello che
stavo pensando?
«
E' che...non so, ho avuto un presentimento. » ammisi,
buttando le
braccia indietro. Il terreno era asciutto e fresco. Nonostante le
basse temperature esterne, attorno al fuoco c'era un tepore davvero
piacevole.
«
Ed è una cosa brutta? » mormorò lui,
bevendo il sidro dopo di me.
Feci una smorfia. In effetti, non sapevo come rispondere a quella
domanda. Non sapevo se fosse un presagio negativo, ma ero certa che
si trattasse di qualcosa di importante, che non dovevamo
sottovalutare.
«
Forse mi sto immaginando tutto, e devo solo dormire un po'. »
mugugnai, sdraiandomi a terra. Il soffitto della grotta era pieno di
crepe, e da alcune di esse fuoriusciva qualche foglia verde.
«
Forse. » continuò lui, stiracchiandosi. Si
sdraiò dall'altra parte
del fuoco, nella mia stessa posizione.
«
Sei strano, Hawkins. » borbottai, osservando la sua faccia da
sbruffone. Rideva ancora di me. « Continui a seguirmi
nonostante
tutto. Davvero strano. ».
«
Non ho niente da perdere. » sussurrò lui, nel
silenzio della
grotta, dopo qualche istante di silenzio. « E questo viaggio
potrebbe essermi utile. Anche io sono alla ricerca, come te. E non
voglio certo stare fermo quando potrei fare qualcosa di utile.
».
Sussultai. Non
ho niente da perdere.
Quella
era una confessione strana. Eppure mi ci ritrovavo, nonostante non
avrei mai ammesso ad alta voce di non avere più niente.
«
Siamo più simili di quanto pensi. » mormorai alla
fine, lasciandomi
andare a quel tipo di discorsi. Li odiavo davvero, mi facevano
sentire estremamente esposta. Ma al momento sentivo di poterne
parlare con Jim, dato che oramai viaggiavamo insieme da un po'. Come
un compagno di viaggio, o forse...
Un
amico?
La
mia stupida coscienza e le sue supposizioni. La zittii, cancellando
quei pensieri che tanto odiavo.
«
Perché siamo due folli in viaggio? »
azzardò lui, scoppiando in
una risata innocente. Nonostante tutto, quella spensieratezza mi era
utile. Mi lasciai sfuggire un sorriso.
«
Perché non abbiamo niente da perdere. » sibilai, e
la voce si
spense su quelle parole.
Jim
rimase in silenzio per qualche istante. « Bé, non
è del tutto
vero. ».
Indirizzai
lo sguardo verso di lui, voltando appena il capo. Lo vidi attraverso
le fiamme, e anche lui mi stava guardando. I suoi occhi mi
ricordarono il nostro primo incontro, e sentii di nuovo quella strana
sensazione.
«
Che vuoi dire? » gli chiesi, udendo solo lo scoppiettare del
fuoco.
«
Che per ora siamo compagni di viaggio. » disse lui a bassa
voce. «
E se ti accadesse qualcosa, non me lo perdonerei. Quindi qualcosa da
perdere ce l'ho, a quanto pare. ».
Nb. Eeeee momenti teneri a rotta di collo! Lo so, scusate,
sarà la vicinanza con il Natale ma in questo periodo mi
sento molto più smielata...si vede? Spero che questo
capitolo vi sia piaciuto, ci tenevo a inserire Ariel tra i miei
personaggi, perché mi piace davvero tanto...ho solo voluto
renderla un pò meno umana, e spero che anche questo
cambiamento vi sia piaciuto. Quindi, dato che il prossimo capitolo
verrà pubblicato con molta probabilità a Gennaio,
auguro a tutti voi di passare delle buone feste e un meraviglioso
Natale! Spero mi facciate sapere, come al solito, cosa ne pensate di
questo capitolo! Ci rivediamo a Gennaio, e tanti auguri ancora a tutti!
Un abbraccio,
L.
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Capitolo 10 *** The Original. ***
thisfairitaleisradioactivenow
THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
10.
The Original.
Aprii
gli occhi a fatica, ma subito mi resi conto di una meravigliosa
sensazione che cominciò lentamente a pervadere il mio corpo:
avevo
dormito, mi sentivo riposata ed energica. Era da tanto che non mi
svegliavo così riposata.
Il
fuoco si era spento da poco, probabilmente Jim lo aveva rabboccato
durante la notte: la legna fumava ancora, tiepida e scura. Voltai lo
sguardo verso l'esterno della caverna, e con sollievo notai che non
stava nevicando. La coltre bianca riposava in silenzio sul terreno,
circondando i grandi alberi e il sottobosco.
Mi
misi a sedere, stiracchiandomi. La testa mi girava un po', e ne capii
il motivo osservando la bottiglia vuota di sidro. Biancaneve ci
metteva decisamente troppo alcool, questo era assodato. Allacciai di
nuovo la mantella sulle spalle e sistemai il cappuccio, poi mi voltai
verso Jim. Dormiva ancora, accucciato come un bambino con i capelli
scompigliati sul volto.
Aveva
l'innocenza di un bambino, e in quel momento di silenzio assoluto mi
venne voglia di avvicinarmi, come se nessuno potesse vedermi o
sentirmi. In quel bosco muto mi sentivo l'unico essere vivente a
poter respirare, l'unico a potersi muovere liberamente.
Avanzai
a carponi vicino a lui: respirava lentamente, e ogni volta che i
capelli gli finivano sul viso si muoveva per ricacciarli indietro.
Era davvero uno spasso da osservare.
In
quel momento aprì gli occhi lentamente, sbattendo le
palpebre
pesanti. Aveva lo sguardo assonnato e ancora non propriamente vigile,
ma quando mi mise a fuoco sorrise. In quel momento mi resi conto di
essere davvero tanto, troppo vicina a lui, così mi ritrassi
indietro
imbarazzata.
Che
figura.
«
Buongiorno. » biascicò lui con la voce ancora
impastata, tirandosi
su. Si stiracchiò e bevve un sorso d'acqua dalla borraccia.
«
B-Buongiorno. » riuscii a dire io in risposta, presa in
contropiede.
Momento sbagliato, decisamente.
Non
aveva una bella cera, nonostante celasse la stanchezza con quel
solito sorriso sornione che mirava a tranquillizzarmi senza alcun
risultato. Mi domandai se avesse dormito almeno un po'.
«
Andiamo? » mormorò lui, interrompendo il flusso
dei miei pensieri.
Mise in spalla la tavola e in pochi secondi lo vidi fuori dalla
grotta. Probabilmente non ero l'unica ad essere lunatica, lì
dentro.
Mi
limitai ad affiancarlo in silenzio, stringendo a me la lancia come a
volermi proteggere dalla sua aura di negatività che stava
facendo
sciogliere anche la neve del bosco. Dio, come odiavo non essere
l'unica ad avercela con il mondo intero. E dire che mi ero svegliata
persino di umore decente quella mattina.
Così,
per evitare di concentrarmi sulla sua instabilità emotiva,
inizia a
guardarmi attorno: il bosco era silenzioso e spento, coperto da quel
manto bianco che mi ricordava tanto casa mia. Eppure, nonostante le
somiglianze, c'era qualcosa di diverso, una divergenza sottile
difficile da ritrovare anche con il mio occhio attento. Non c'era
vita, lì dentro. Sembrava che il tempo si fosse fermato e
non fosse
più ripartito.
La
stessa spiacevole sensazione della sera precedente tornò a
farsi
viva attraverso il mio corpo, e un brivido lungo e profondo mi
scosse.
«
Hai freddo? » mi chiese Jim, continuando a guardare
l'orizzonte. Gli
alberi dovevano essere lì da decenni a giudicare dalla
stazza, ed
erano talmente tanti che non si riusciva a vedere ad un palmo di
naso.
«
No, è solo...una sensazione. » risposi,
sull'attenti. Avevo la
netta impressione di non dover abbassare la guardia neanche per un
istante.
«
Finiscila, così non fai che agitarti e basta. »
borbottò lui,
alzando gli occhi al cielo. E quello che diavolo era?
Disprezzo,
forse?
Il
signorino era irritato,
per caso?
«
Ehi. » mi fermai, piantando per bene i piedi nella neve.
« Non ho
proprio tempo per le tue lagne di prima mattina, d'accordo? Se hai la
luna storta fattela passare, ne ho già a sufficienza delle
tue manie
da adolescente frustrato. ».
Jim
si voltò verso di me, a metà tra la sorpresa e il
profondo
disprezzo. Alla fine era pur sempre un uomo, e ferirlo nell'orgoglio
equivaleva a mozzargli una gamba.
«
Come hai detto? » mugugnò, riducendo gli occhi a
due piccole
fessure incattivite.
«
Non ti ho chiesto io di venire con me e, scusami tanto, ancora non ho
capito perché lo fai. Ma nonostante questo dovresti almeno
avere il
buonsenso di non odiare il mondo di prima mattina. » sbottai
senza
mai riprendere fiato. Dannazione, io non perdevo mai il controllo. Un
altro punto in meno per lui.
Mi
girai e continuai a camminare a passo spedito, lasciandolo
lì. Lo
sentii correre dietro di me aumentando il passo, ma non avevo nessuna
intenzione di voltarmi.
«
Ehi, Red! Dai, aspetta... » mi gridò lui dietro.
« Scusa! Okay,
non dovevo prendermela con te... ».
Le
sue scuse mi sfioravano appena. Quel comportamento mi aveva fatto
saltare i nervi, e adesso dovevo sbollire la rabbia e farmela
passare.
«
Red! » gridò lui per l'ennesima volta, e a quel
punto mi voltai di
scatto cogliendolo di sorpresa.
«
Che vuoi? » mugugnai, nera per la rabbia.
«
Senti... » sbuffò, passandosi una mano tra i
capelli. Così vicino
era decisamente più alto di me, ma questo non mi avrebbe
impedito di
dargli un pugno se avesse detto qualche altra stronzata.
«
Non ho bisogno delle tue scuse, Jim. Non voglio le scuse di nessuno.
Possiamo continuare, ora? ».
«
Ho avuto uno schifo di nottata. Non ho dormito e...non dormo quasi
mai. Ogni notte faccio degli incubi che mi tengono sveglio. Scusa se
ti ho risposto male, non era mia intenzione. » parlava come
se fossi
l'unica in quel momento a capirlo veramente. Le sue parole avevano
qualcosa di estremamente spontaneo e sincero.
Rimasi
in silenzio, meditando su ciò che mi aveva appena rivelato.
Non
sapevo di quali incubi parlasse, ma in qualche modo lo capivo. Dopo
tutta quella distruzione, le notti erano tormentate anche per me.
In
quel momento un fruscio ruppe il silenzio estatico del bosco. Per la
prima volta da quando ero lì sentivo un suono chiaro e
deciso, fuori
dal tempo fermo e statico che aleggiava su quel luogo.
Era
un movimento leggero, che si fece via via più pesante. Un
tonfo
profondo fece vibrare il terreno.
«
Che diavolo... » mormorò Jim, ma le sue parole
furono interrotte da
un urlo.
Il
mio.
Quando
ero più piccola avevo una bambola di pezza con i capelli
rossi e le
lentiggini. Mi piaceva acconciarle i capelli di lana in due codini
sparati ai lati del viso, e cambiarle i vestiti quando il tempo
cambiava.
Ogni
volta che andavo a casa di mia nonna la portavo con me, e lei mi
chiedeva di che umore fossi quel giorno. Solo dopo riuscii a capire
il perché di quella domanda: vestivo la mia bambola non solo
a
seconda del tempo, ma sulla base del mio umore.
Un
giorno le misi un vestitino nero e le coprii tutti i capelli con una
fascia che avevo trovato in cucina, nera anch'essa. Quando arrivai a
casa sua mi fece trovare la mia torta preferita sulla tavola e del
tè
caldo. Fuori nevicava, così mi avvolse nella coperta
più calda che
aveva e mi lasciò far merenda sul suo grande letto.
Prima
di tornare a casa cambiai la mia bambola, le sciolsi i capelli e le
feci indossare un vestitino giallo a fantasia.
Se
in quel momento avessi avuto la mia bambola, probabilmente l'avrei
lasciata nuda, senza vestiti.
Perché
in quel momento nessuna sensazione, nessuna emozione pervadeva il mio
corpo.
Non
c'era niente.
Ero
bloccata in quel bosco nel mio tempo personale, fermo dal momento in
cui quella grossa mano mi aveva afferrata e sollevata a metri dal
suolo. Ero al cospetto di una creatura enorme, mostruosa.
E
nonostante fossi abituata a fronteggiare le creature più
ostili e
minacciose di quel mondo, in quel momento non riuscivo a muovere un
muscolo.
Perché
quella era la
creatura.
Ciò
che di più spaventoso avevo sempre temuto, e che in quel
momento era
proprio di fronte a me. Mi stringeva nella sua grossa zampa coperta
di pelo scuro, da cui fuoriuscivano zanne acuminate.
«
Allora, non mi chiedi
che bocca grande che ho?
» sibilò con voce roca e profonda l'essere di
fronte a me.
Quello
era un lupo enorme, e parlava. La sua voce raggiungeva gli angoli
più
nascosti della mia anima e li metteva a nudo con facilità
estrema.
Percepivo
un odore selvatico proveniente dal pelo scuro e folto che lo
ricopriva. Aveva qualcosa di umano, e non solo nella voce. Riusciva a
stare sulle sole zampe posteriori, mentre quelle anteriori erano
impegnate a rendermi inerme. Ero minuscola rispetto a lui, e quel
confronto mi fece capire che la sua stazza era decisamente maggiore
rispetto a quelli che avevo affrontato nel mio bosco.
Ma
lui era diverso: i suoi occhi color sangue mi fissavano intensamente,
i denti bianchi e affilati bramavano la mia carne con consapevolezza.
Sapeva chi era, ed io sapevo chi fosse lui.
Era
il mio
lupo.
Quello
che credevo di aver sconfitto una volta per tutte molti anni fa,
quando aveva tentato di uccidere me e mia nonna in quell'orribile
giorno in cui ero stata ingannata. Il ricordo mi faceva accapponare
la pelle.
Era
lì, il lupo Originale, e voleva uccidermi.
«
E' strano incontrarsi di nuovo, non trovi? »
sussurrò lui con
quella voce stranamente attraente e profonda.
«
Non credevo di ammetterlo, ma sei diventata una bellissima ragazza,
mia cara. Bella e succulenta. ».
Non
riuscivo a muovere un muscolo, i miei sensi erano oscurati.
Continuavo a fissarlo con gli occhi spalancati, tremando come una
foglia. Sentivo le forze abbandonarmi lentamente mentre la presa su
di me si faceva più forte. Voleva uccidermi così,
senza che potessi
fare nulla per fermarlo?
Ribellati,
maledizione!
E
come? Quello era il mio incubo peggiore, l'ombra che mi teneva
sveglia la notte, il motivo per cui avevo decimato i lupi nel mio
bosco, la rovina della mia infanzia.
L'Originale
che credevo di aver sconfitto per sempre.
Sentivo
delle voci lontane che continuavano a chiamarmi, a ripetere il mio
nome. Ma forse me le stavo solo immaginando.
In
quel momento l'Originale iniziò a stringere la presa e, Dio,
faceva
male da morire. Gridai, sempre più forte. Sentivo le sue
zampe
possenti distruggere a poco a poco il mio corpo, fino a farmi morire
di stenti.
La
prospettiva di quel tetro futuro incombeva su di me senza che
riuscissi a fare nulla per impedirlo.
Era
davvero finita così?
La
mia vita, la mia ricerca. Tutto finito in un attimo?
I
suoi occhi iniettati di sangue mi squadrarono di nuovo, e di nuovo
rividi quel momento. Il momento in cui mi aveva guardato prima di
essere ucciso dal cacciatore. Quegli occhi pieni di odio che
giuravano vendetta.
«
Allora, Cappuccetto
Rosso,
non hai niente da dirmi? ».
Non
chiamarmi così.
In
quel momento la mia mente vuota mise a fuoco qualche immagine alla
rinfusa, probabilmente basandosi sul fatto che prima di morire si
ricordano le cose più stupide. Non è vero che la
vita ti passa
davanti, se non vuoi abbandonarla. Ed io non volevo farlo, ma
nonostante tutto non riuscivo a muovermi.
Lui
strinse ancora di più la presa, e mi lasciai sfuggire un
gemito di
dolore. Faceva male, davvero.
Avevo
le braccia bloccate, e le zampe erano talmente grandi da ricoprire
per intero anche le gambe.
Poco
dopo lo vidi mentre muoveva una zampa verso l'alto, come a volersi
proteggere da qualcosa. Qualcuno gli aveva tirato un coltello, che si
era andato ad infilare proprio su una delle zampe anteriori. Rispetto
alla sua stazza, quel piccolo arnese risultava quasi ridicolo.
Lo
sfilò con stizza, gettandolo come si getta una scheggia
finita per
errore sulla cute. Avvicinò entrambe le zampe al mio corpo,
e con
quella libera mi sfilò la mantella e la gettò a
terra. Vidi il
drappo rosso cadere lentamente verso il basso a peso morto, e mi
immaginai mentre facevo la stessa fine.
«
Non puoi essere... » sibilai, ricordando il cacciatore, e il
lupo
immerso in una pozza di sangue.
«
Oh, invece lo è eccome, mia cara. » rispose lui,
con un ghigno
sadico. Voleva uccidermi lentamente.
Strinse
ancora di più la presa, poi si bloccò guardando
in basso.
Pochi
istanti dopo, un'esplosione sotto di me lo fece vacillare. Immersa in
tutto quel fumo non riuscii a vedere altro. Sentivo solo un gran
chiasso, e puzza di bruciato.
Ma
la sua presa era ancora forte, e cominciavo a sentirmi debole. Le
forze mi abbandonarono lentamente, lasciandomi solo con la
consapevolezza che da un momento all'altro avrei perso i sensi.
Poi,
in un solo istante, la presa forte dell'Originale si fece
più
flebile, fino a che non sentii più nulla.
Mi
sembrò di cadere nel vuoto, e un attimo dopo
l'oscurità mi avvolse.
Sentivo
il mio respiro. Calmo, lento e presente. Ero viva.
Cercai
di aprire gli occhi, ma le palpebre erano pesanti e instabili, e
continuavano a tremare come foglie.
Presi
un respiro profondo, e un dolore lungo ma sopportabile
attraversò la
mia cassa toracica e si diffuse, scomparendo dopo poco.
Era
tutto così ovattato che per un attimo mi sembrò
di sognare. Ero
indolenzita, ma non provavo alcun tipo di dolore. Come dopo una lunga
corsa, o un allenamento intenso.
Riuscii
ad aprire gli occhi, e mi resi conto di essere all'interno di una
stanza: l'alto soffitto era formato da una serie di pesanti travi di
legno, da cui spuntavano numerosi ciuffi di paglia secca. La camera
era illuminata appena da una serie di candele, e l'unica finestra era
chiusa e coperta con delle spesse tende di stoffa color giallo
sporco. Il pavimento era scuro e formato da lunghe assi verticali, e
l'odore mi ricordava quello di casa mia. Mi guardai attorno,
disorientata: accanto al letto su cui ero distesa c'erano la mia
lancia e la sacca con tutte le mie cose, posate su una sedia vicino
al comodino.
Non
avevo idea di dove fossi. Sembrava una sorta di baita di montagna, e
dall'aspetto curato e ben tenuto sicuramente ci viveva qualcuno. Ma
chi?
Improvvisamente
una serie di ricordi confusi si riversarono nella mia mente senza
alcun preavviso, destabilizzandomi: la neve, il silenzio, e il lupo
Originale.
Un
brivido attraversò la mia schiena per intero, facendomi
vacillare.
Tenni la testa tra le mani, chiusi gli occhi e inspirai a fondo,
cercando di ritrovare il fiato perso per tenere testa a quelle
memorie dolorose.
Non
avevo idea di cosa fosse accaduto dopo che avevo perso i sensi, ma
ero certa che la presa dell'Originale su di me doveva essersi
affievolita fino a scomparire del tutto. Ciò che ricordavo
era
quella strana sensazione di abbandono, come fossi caduta
improvvisamente nel vuoto.
Che
fosse stato davvero così?
C'erano
un sacco di domande che mi frullavano nella testa, e a nessuna sapevo
dare una risposta certa. Ero terribilmente confusa, e da sola in
quella stanza non riuscivo a mettere ordine.
In
quel momento udii un rumore di passi. La pesante tenda che faceva da
porta a quella stanza si scostò appena, e da dietro di essa
apparve
una figura che avanzò verso di me lentamente, scuotendo
l'ampia
gonna color canarino.
La
guardai con gli occhi spalancati. « Bennie? ».
Biancaneve
mi sorrise, sollevata. Tirò un sospiro di sollievo, poi
corse verso
di me e mi abbracciò.
«
Ti sei svegliata, finalmente. Eravamo tutti preoccupati. »
sussurrò
lei al mio orecchio, e la sentii reprimere un singhiozzo. Quando
ritornò a guardarmi aveva gli occhi lucidi.
«
Che ci fai qui? Dove...dove sono? » mugugnai, confusa e
disorientata. Ma ero così contenta di vederla.
«
Non preoccuparti. Sei al sicuro, e stai bene. » disse
semplicemente
lei con il solito tono materno. Mi piaceva anche per quello: sapeva
essere rassicurante dicendo il minimo indispensabile.
«
Perché ogni volta che perdo i sensi ci sei tu a soccorrermi?
» le
chiesi, e lei scoppiò a ridere.
«
Ah, non ne ho la minima idea. ». Fortunatamente il suo senso
dell'umorismo non se n'era andato. « Cerca di riprenderti e
poi
vieni di là, ti stiamo aspettando tutti. ».
Tutti?
Continuava
a ripeterlo, ed io non capivo assolutamente di che diavolo parlasse.
Chi altro c'era in casa?
«
Non mi spiegherai niente ora, vero? » azzardai, conoscendo
già la
risposta.
«
Pensa solo a stare in piedi, intanto vado a prepararti qualcosa da
mangiare. » rispose lei, concisa, e in un attimo fui di nuovo
sola
nella stanza.
Qualcuno
mi aveva tolto le scarpe, e anche il corpetto metallico era poggiato
sulla sedia accanto al letto.
Non
avevo la mantella, e il ricordo dell'Originale che la gettava a terra
mi destabilizzò di nuovo.
Altri
passi, più energici, interruppero nuovamente la mia
silenziosa
convalescenza. Probabilmente Biancaneve si stava domandando dove
diavolo fossi e se non fossi svenuta alzandomi dal letto.
«
Bennie, sto bene, sto arriv – » iniziai, ancora
seduta sul letto,
ma quando la tenda si scostò le mie parole si spensero
lentamente
sulle mie labbra, affievolendosi del tutto.
Sentii
il mio cuore accelerare, sorpreso e colto alla sprovvista.
«
Jim? » sussurrai con voce flebile.
Jim
chiuse la tenda alle sue spalle, senza mai distogliere lo sguardo da
me: la maglia leggera era squarciata all'altezza della spalla; aveva
tirato su le maniche, probabilmente per disinfettare i graffi che gli
solcavano le braccia. Notai anche una fascia bianca attorno al
braccio sinistro, e subito iniziai a preoccuparmi.
Non
disse nulla. Nel silenzio della stanza, sotto la luce della candela,
Jim attraversò a passo rapido lo spazio vuoto che ci
divideva e in
un attimo ci ritrovammo l'uno di fronte all'altra.
Non
ebbi il tempo di rendermi conto di quello che accadde dopo. In un
attimo Jim mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò al
suo,
baciandomi con foga e talmente velocemente che non feci in tempo a
pensare.
Il
contatto con le sue labbra fece esplodere un calore dentro di me
così
forte che per un momento non riuscii a pensare ad altro.
Il
suo bacio, così energico e voluto, mi attraversò
interamente. Non
avevo mai provato nulla di simile, e per questo non mi tirai
indietro. Nella mia testa una voce mi diceva che dovevo smetterla,
che non potevo farlo.
Che
non facevo quel genere di cose.
Ma
io non l'ascoltavo, e continuavo a seguire il mio istinto: sentivo le
sue mani sul mio viso, le labbra ancora a contatto con le mie, i
capelli che mi sfioravano la fronte e il naso. Il mio cuore stava
impazzendo.
Il
tempo si fermò, e quando Jim si distanziò da me
non avevo idea di
quanto tempo fosse passato.
Lo
vidi ritrarsi, con le mani ancora sul mio viso e lo sguardo intenso
su di me. Il mio respiro affannato ed io attendevamo in silenzio,
increduli e tremanti.
Jim
lasciò andare la presa sul mio viso e fece un passo
indietro. «
Mi...mi dispiace. Ecco... » iniziò a balbettare,
lasciandomi ancora
più intontita. Cosa avrei dovuto dirgli, adesso?
Non
sapevo se essere felice oppure darmi dell'idiota fino alla fine dei
miei giorni. Dopo tutto quel caos mi importava solo di capire cosa
stesse accadendo.
«
Stai bene? » balbettai, ancora affannata. Per un volta ero io
a
chiederglielo. Lui batté le palpebre un paio di volte,
cercando di
mettere a fuoco la situazione.
«
Si, io...non ho nulla di rotto. E tu? » biascicò
un istante dopo,
sperando di essere convincente. Mi guardai, poi cercai di muovere le
mani e le gambe.
«
Sto...bene. » risposi, incredula. Ricordavo chiaramente il
dolore
che l'Originale mi aveva provocato, e di certo il mio fisico non
avrebbe mai potuto sopportare una stretta del genere. Allora com'era
possibile?
«
Bene, vuol dire che il
siero
ha funzionato. ».
«
Siero?
»
ripetei io a pappagallo, cercando di capirci qualcosa. Ottimo, mi
avevano anche drogata.
«
Ti spiegheremo tutto. Vieni. » mi tese la mano, e con il suo
aiuto
mi alzai in piedi. Per un attimo la testa mi girò e credetti
di non
farcela, ma con l'aiuto di Jim riuscii a tenermi in piedi. La sua
presa forte attorno ai miei fianchi fece di nuovo accelerare i
battiti del mio cuore. Dannazione.
Quando
scostai la tenda notai un'altra stanza simile a quella in cui mi ero
svegliata, ma leggermente più grande: c'erano due ampi
divani di
fronte al camino acceso e un lungo tavolo di legno scuro con due
panche ai lati. L'aria era pervasa da un buonissimo sentore di
spezie, e solo a quel punto mi resi conto che sul camino ribolliva
della zuppa in un pentolone. Le finestre davano sul bosco ancora
coperto dalla neve bianca.
Mi
guardai attorno, ed incrociai subito lo sguardo di Biancaneve, che mi
rimandò un'occhiata rasserenata.
Insieme
a lei c'era un'altra ragazza che mi guardava: aveva due grandi e
intensi occhi scuri dal taglio a mandorla che mi facevano sentire
estremamente piccola. Emanava un'energia che mi dava tanta forza.
Prima
vicine, le vidi scostarsi per lasciare spazio ad una terza figura, e
quando misi a fuoco il suo volto non riuscii a trattenere un gemito
di sorpresa.
«
Peter... » sussurrai, incredula nell'averlo davanti a me. Non
sapevo
cosa ci facesse lì, ma in quel momento non potevo che
esserne
felice. Mi venne incontro, proprio come quel giorno, e mi
abbracciò
con trasporto.
Chiusi
gli occhi e restituii l'abbraccio.
«
Stai bene. » sussurrò lui al mio orecchio, ed io
annuii serena. Non
sapevo se si trattasse di una domanda o di una semplice
constatazione, ma in quel momento non ci feci caso. Ero solo contenta
di averlo lì con me.
Sciolsi
l'abbraccio e lo guardai, concedendogli un sorriso affettuoso: aveva
ancora la scia di quelle occhiaie portate dalla stanchezza, ma stava
decisamente meglio della volta precedente.
Con
la coda dell'occhio guardai Jim, e in quel momento mi sembrò
quasi
irritato dal mio abbraccio con Peter.
Quello
sguardo non fece che ricordarmi in maniera ancora più vivida
il
bacio che ci eravamo scambiati, e al pensiero arrossii. Non sapevo
come avrei dovuto comportarmi in futuro, ma al momento decisi di
pensare ad altro. Ad esempio, a come ero finita lì.
«
Potete spiegarmi cosa è successo? » mormorai,
quasi come una
supplica. Biancaneve mi si avvicinò e mi invitò
sul divano.
Quell'atteggiamento di estrema protezione cominciava a infastidirmi,
ma sapevo che se avessi fatto la brava probabilmente avrei avuto le
informazioni che tanto aspettavo.
Biancaneve
mi passò una ciotola con della zuppa fumante, che accettai
volentieri. Il sapore della carne e delle spezie mi riempì
lo
stomaco già al primo boccone, e subito mi sentii meglio.
«
Ricordi qualcosa di ciò che è successo?
» mi chiese poi lei,
sedendosi accanto a me.
Annuii,
rabbrividendo. Eccome se lo ricordavo. Non avrei potuto scordarlo
neanche volendo.
«
Siamo arrivati giusto in tempo. Fortunatamente Jim è
riuscito ad
attirare l'attenzione su di sé quando il lupo ti ha
affettata. Siamo
arrivati giusto in tempo. » ripeté nuovamente lei,
come se quelle
parole dovessero entrarmi nella testa a suon di ripetizioni.
Ricordavo il coltello, e la facilità con cui il lupo l'aveva
estratto dalla carne. Ma probabilmente quel gesto lo aveva distratto.
Jim mi aveva salvata.
«
Perché eravate qui? Bennie, e la tua locanda? » le
chiesi io,
finendo la zuppa. Lei mi riempì nuovamente la ciotola.
«
Oh, Esmeralda e i nani sanno cosa fare. La stanno gestendo nel
migliore dei modi, mentre sono via. » mi rispose lei,
scostandomi i
capelli dal viso. « Peter è venuto alla mia
locanda qualche giorno
fa, alla ricerca di una cura per Pennino. Sai, di lì passa
molta
gente, perciò le probabilità di trovare qualcosa
sono molto alte.
E' stato proprio quel giorno – quando lui è
arrivato – che il
Bianconiglio ha raggiunto la locanda. ».
«
Il Bianconiglio? » esclamai a voce alta, con sorpresa.
Biancaneve
annuì.
«
Era di passaggio, doveva tornare nel Paese delle Meraviglie. A quanto
pare hanno dei problemi con la Regina Rossa. Era molto agitato.
».
«
Non è da lui. » commentai immediatamente pensando
alla sua
pacatezza, in attesa di sapere altro.
«
Non aveva una bella cera. E' stato lui a dirmi di cercarti, sapeva
che eri in viaggio e deve aver scoperto qualcosa riguardo
l'Originale. Mi ha chiesto di partire subito per cercarti, e che
sulla base delle sue supposizioni ti avrei trovata oltre l'oceano.
È
rimasto alla locanda per qualche giorno, in modo da riprendersi del
tutto. Esmeralda mi ha fatto arrivare un messaggio al momento della
sua partenza, per informarmi della sua completa guarigione.
».
Biancaneve si fermò, ritornando a respirare tranquillamente.
Il
silenzio invase di nuovo quel luogo accogliente, e per un momento le
mille domande che avevo in testa cominciarono ad assumere una
struttura più ordinata. Mi voltai verso Peter, in attesa di
una sua
dichiarazione.
«
Non guardarmi così. » mugugnò lui,
alzando gli occhi al cielo.
Sapeva benissimo quello che pensavo: in un momento così
delicato per
i suoi bimbi sperduti e per l'Isola che non c'è, non aveva
certo il
tempo per stare dietro alle mie questioni.
«
Peter è venuto alla locanda per l'antidoto da dare a
Pennino. » si
affrettò a spiegare Biancaneve, probabilmente intuendo
l'aura
negativa che stava calando sulla conversazione.
«
L'antidoto? » ripetei io, tranquillizzandomi. La vidi
annuire, e
anche Peter si rilassò.
«
La locanda di Biancaneve è un luogo di passaggio per molti,
ho
pensato che lì avrei avuto più
possibilità di trovare informazioni
su una possibile cura. » mi spiegò lui, con le
braccia incrociate
sul petto. « Ma quando ho sentito che potevi essere in
pericolo,
sono partito con lei. ».
«
Volando siamo arrivati più in fretta e abbiamo attraversato
l'oceano
di Ariel in meno del previsto. Appena in tempo per trovarti.
»
sussurrò Biancaneve con una punta di emozione nella voce.
Annuii
in silenzio, cominciando finalmente a capire perché fossero
tutti lì
attorno a me. Quello che non riuscivo a comprendere, tuttavia, erano
i messaggi criptici del Bianconiglio. Non sapevo se fosse stato
l'Originale a ridurlo in quelle condizioni, ma ne avevo abbastanza di
quel mistero e di seguire i suoi maledetti indizi. Adesso che il
Paese delle Meraviglie lo teneva impegnato, dovevo essere io a
seguire la mia strada senza che lui lasciasse le briciole sul mio
sentiero per aiutarmi.
«
Il Bianconiglio vi ha detto altro? » chiesi loro, ma stavolta
non
ebbi nessuna risposta.
«
Ci ha detto solo di fare in fretta, e che il pericolo era alle porte.
». Biancaneve si alzò e si avvicinò al
caminetto. Osservava le
fiamme con lo sguardo perso. « Non so cosa stia accadendo, ma
qualcosa sta cambiando. Siamo tutti in pericolo. ».
Quello
strano presentimento che avevo percepito prima di incontrare
l'Originale non se n'era ancora andato del tutto, e le parole di
Biancaneve lo riportarono alla luce. Sapevo che il nostro mondo era
in pericolo, e ora che gli eventi stavano prendendo quella piega ne
ero assolutamente certa.
«
Il lupo Originale è ancora vivo. » constatai,
annuendo tra me e me.
« E probabilmente mi vuole morta. Non so perché,
né il motivo per
cui sia diventato così. Ma... ».
«
Se me lo permettete, a questo punto interverrei io. ».
Mi
voltai: la voce alle mie spalle era della ragazza con gli occhi a
mandorla, che per tutto il tempo era rimasta in disparte. In tutta
quella frenesia ci eravamo dimenticati della sua presenza, o forse
era lei che non voleva intromettersi in quella discussione,
preferendo ascoltare.
La
guardai mentre si avvicinava a noi a passo controllato, lasciando
oscillare i lunghi e setosi capelli corvini sulle spalle. Nella
stanza si diffuse il debole cigolio della sua armatura in metallo
scuro, decorata con preziosi intarsi dorati e color vinaccia. Dai
drappi bordeaux che le impreziosivano i fianchi spuntavano due lunghe
katane, inserite in un fodero rigido e molto antico. Aveva un'aria
fiera e possente, da vero guerriero.
Tra
i capelli spuntava un meraviglioso fiore di pesco.
«
Noi non ci siamo ancora presentate, mi pare. » disse con voce
energica, tendendo la mano verso di me.
«
Il mio nome è Mulan. ».
Nb. Buon anno a tutti! Avete passato bene le feste? Mi scuso per questo
periodo di assenza, ma sono parecchio impegnata con gli studi e con il
lavoro...comunque ecco qui il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto.
Cominciamo ad entrare un pò più nel vivo della
storia, e soprattutto...BACIO! BACIO! Scrivere quella parte del
capitolo mi ha fatto venire i brividi, lo ammetto. Si prospetta un
triangolo interessante, prometto che non vi farò attendere
molto per il prossimo aggiornamento! Fatemi sapere cosa ne pensate!
ps. Quanti "mi piace" per la fantastica Mulan? Non so voi, ma io da
piccolina l'adoravo!
L.
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Capitolo 11 *** You remind me when I was strong. ***
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THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
11.
You remind me when I was strong.
Mulan
aveva la forza di un guerriero e l'eleganza di una regina. Era
l'immagine dell'energia e della grazia, fuse perfettamente insieme.
Non ci eravamo mai incontrate prima, e vederla ora mi sembrava
surreale.
«
Tu...vivi qui? » le chiesi, e con la coda dell'occhio
osservai la
neve candida fuori dalla finestra. Di certo non la conoscevo, ma
sapevo bene che il suo regno non si avvicinava minimamente a quello
che avevamo attorno in quel momento. Ricordai ciò che mi
aveva detto
Belle, e il lungo sentiero di pietre fluttuanti che un tempo era
stato il regno di Mulan. Riportai alla mente la desolazione, il
silenzio e il freddo che mi circondavano.
Lei
mi sorrise e scosse la testa. « Si, al momento. Anche io,
come te,
sono in viaggio. Il mio regno è stato raso al suolo, e per
non
rimanere lì sono fuggita. ».
In
quel momento mi resi conto di quante persone viaggiassero come
nomadi, senza una terra in cui ritornare.
Avevo
come l'impressione che il mio, nonostante le disgrazie, fosse un
destino piuttosto fortunato, se comparato agli altri. Per questo non
dovevo piangermi addosso.
«
Questa casa è uno dei miei rifugi. Non avendo più
un mio regno, ho
dovuto arrangiarmi come potevo. » proseguì lei,
incrociando le
braccia al petto.
«
E Mulan non ama essere ospitata a lungo dai regni vicini... »
la
stuzzicò Biancaneve, con il suo solito sorrisetto
impertinente. Lei
alzò gli occhi al cielo, e i capelli di seta ondeggiarono
appena
attorno al viso perfetto.
«
Tradizione cinese. Dopo poco mi sento di troppo. » si
giustificò
lei, facendo spallucce. « E poi, non posso stare ferma in un
unico
luogo per tanto tempo: voglio rendermi utile, in qualche modo. Per
questo mi sposto spesso. ».
Mi
guardai attorno: quella baita era comoda e accogliente, e l'idea che
Mulan avesse vissuto nello stesso bosco dell'Originale mi fece
rabbrividire. Questo mi fece pensare a ciò che era accaduto,
e alla
strana sensazione che avevo provato quando avevo incontrato il lupo.
Ora mi sentivo stanca e spossata, ma quel malessere che avevo
percepito in precedenza sembrava essere sparito. E lui? Lui dov'era,
adesso?
«
Sono confusa. » ammisi, scuotendo la testa. «
Mulan, tu hai mai
incontrato il lupo Originale in questo bosco, prima d'ora? ».
Lei
scosse nuovamente la testa. « No, non mi è mai
capitato. Questo è
un luogo tranquillo. Nonostante le sporadiche tempeste di neve, non
c'è mai stato alcun elemento di disturbo. Sono qui da
parecchie
settimane, ma non l'ho mai incontrato. Però... ».
Rimasi ad
osservarla mentre distoglieva lo sguardo da noi. Fece pochi passi in
direzione della finestra, e scostando la tenda osservò la
neve
attraverso il vetro leggermente appannato. Le sue parole rimasero
sospese in aria, con noi in attesa.
«
...devo ammettere che gli animali del bosco sono entrati in
agitazione da qualche giorno. Come se sapessero, se ci fosse qualcosa
ad alterare l'equilibrio del loro mondo. »
confessò alla fine
Mulan, ed io sussultai. Forse quella strana sensazione che avevo
percepito era fondata, dopotutto. Lei rimase a fissarmi con i grandi
occhi scuri, e mi sentii di nuovo nuda di fronte al suo sguardo
indagatore. Annuì rivolta verso di me, come se avesse
captato i miei
pensieri.
«
L'hai sentito anche tu, vero? » mormorò poi con un
sorrisetto
consapevole, e gli altri si voltarono a guardarmi. « Quando
sei
entrata qui, hai percepito qualcosa? ».
Annuii.
«
E' quel presentimento di cui mi parlavi nella grotta? » disse
improvvisamente Jim, guardandomi. Anuii di nuovo. In quel momento
sentire la sua voce nel silenzio mi diede sicurezza. Peter si
avvicinò al divano e mi affiancò, sedendomi
vicino. Averlo lì era
una sicurezza, in mezzo a tutta la confusione che regnava nella mia
testa. Mise una mano sulla mia spalla, e quel contatto mi
rasserenò.
«
Andrà tutto bene, Red. Cercheremo di capirci qualcosa.
» sussurrò
lui a bassa voce, ed io gli sorrisi.
«
Il succo della storia è che abbiamo incontrato Mulan e lei,
conoscendo bene il bosco, ci ha aiutati a trovarti e in seguito ci ha
condotti qui. » concluse Biancaneve, sistemando i tizzoni
ardenti
nel camino.
«
Cosa è successo quando ho perso i sensi? » chiesi
ancora,
desiderosa di conoscere il più possibile.
Mulan
si appoggiò al bracciolo del divano. « Il lupo
è...sparito. Il
nostro attacco deve averlo preso di sorpresa, e quando si è
accorto
che non eri più sola e che noi eravamo armati si
è...letteralmente
volatilizzato. Abbiamo solo visto la neve sollevarsi dal suolo, ci ha
oscurato la vista. E poi lui non c'era più. Ancora adesso
non ho
capito come diavolo abbia fatto. Comunque, Peter ti ha afferrata in
volo e poi siamo arrivati qui. ».
Mi
voltai verso Peter e mimai un grazie
con
le labbra. Ora ricordavo quella sensazione di leggerezza nel momento
in cui mi aveva afferrata, impedendomi di schiantarmi al suolo. Jim
si allontanò da noi, diretto verso la finestra, mentre Mulan
prendeva il suo posto accanto al camino.
«
Ma sono certa di una cosa. » aggiunse poi Mulan, piegandosi
sulle
ginocchia di fronte a me. « Tu lo
senti. Il
presentimento che hai avuto ne bosco non è stato casuale.
Voi siete
collegati, probabilmente perché appartenenti allo stesso
Regno.
Avete qualcosa che vi accomuna, e tu riesci a sentire la sua
presenza. ».
«
Si, me ne sono accorta. Ma questo vuol dire che lui riesce a sentire
me, e che potrebbe trovarmi da un momento all'altro. ». Quel
pensiero mi faceva rabbrividire. E non solo per me, ma anche e
soprattutto per le persone con cui stavo condividendo quella casa.
Non osavo immaginare cosa avrei fatto se il lupo avesse fatto loro
del male. Di certo non me lo sarei mai perdonato. Mi alzai finalmente
dal divano, rinvigorita dal cibo e dal riposo, pronta per prendere la
mia decisione.
«
Devo trovarlo. Devo capire perché è ancora vivo e
cosa cerca da me.
» esclamai, nel silenzio delle mura accoglienti del rifugio.
Tutti
loro rimasero ad osservarmi, consapevoli che non avrei cambiato idea.
Ma nessuno era intenzionato a lasciarmi andare da sola, lo vedevo nei
loro occhi.
E
avrei dovuto far cambiare loro idea, per evitare che si facessero
male.
«
Verremo con te. » esordì Biancaneve, come
sospettavo dal momento in
cui avevo parlato.
In
quel momento un rumore alla porta fece calare il silenzio all'interno
della casa: era un fruscio indistinto, come se qualcuno si fosse
aggrappato al legno della porta con entrambe le mani, e con tutte le
forze cercasse di scalfirlo nel profondo con le unghie. Mulan
posizionò le mani sulle katane ai lati del corpo, Biancaneve
si
piegò in avanti, pronta all'attacco. Poteva essere chiunque.
Eppure,
dopo qualche istante, Biancaneve stessa si calmò, riducendo
gli
occhi a due sottili fessure, poi emise un gemito appena percepibile.
«
Fermi. » mormorò avvicinandosi alla porta.
Girò il pomello
d'ottone e aprì. Da fuori si sentì un battito
d'ali, e pochi
istanti dopo nella stanza entrò un bellissimo falco, che
andò a
posarsi sulla spalla della ragazza.
Era
davvero un essere perfetto, con il becco arcuato giallo oro e il
piumaggio soffice. L'occhio destro era chiuso, solcato da una vecchia
cicatrice, e le zampe erano saldamente ancorate alle spalle di
Biancaneve, come se quello fosse il suo posto.
Sbattei
le palpebre, sorpresa, poi alzai gli occhi al cielo. « Oh, tu
e i
tuoi dannati animali del bosco. ».
Lei
scoppiò a ridere, e tutti gli altri si rilassarono. Mulan
andò a
chiudere la porta mentre Biancaneve sfilava dalla zampa del falco una
piccola pergamena in carta bianca. Quel messaggio era partito dal suo
bosco, e aveva fatto un lungo viaggio fino a trovarci. Mi resi conto
che gli abitanti dei vari regni erano in qualche modo collegati tra
loro – altrimenti il falco non ci avrebbe mai trovati
così
facilmente, se non fosse stato per la presenza di Biancaneve
– e
questo mi fece riflettere. Capii che il legame tra me e il lupo
Originale era molto più forte di quanto potessi pensare, e
che
dovevo muovermi in fretta.
Biancaneve
lesse attentamente la pergamena, poi guardò Peter con gli
occhi che
brillavano di una luce intensa.
«
E' Esmeralda. » disse lei, sorridendo. « Forse
hanno trovato la
cura per Pennino. ».
La
camera in cui mi ero svegliata era ancora calda e illuminata dalla
luce fioca delle candele, che rendevano l'ambiente accogliente. Mi
sentivo a casa. Indossai il corpetto metallico e allacciai le pesanti
fibbie dietro la schiena, sentendomi immediatamente più
protetta.
Afferrai la sacca e la rimisi al suo posto sulla mia spalla.
Dopo
il messaggio di Esmeralda, tutti quanti cercavano un modo per
organizzarsi. Peter doveva tornare insieme a Biancaneve, e
approfondire la questione della cura per Pennino. Da parte mia, ero
ancora convinta di dover andare da sola, nonostante nessuno ancora
avesse affrontato l'argomento.
In
quel momento sentii l'ormai consueto fruscio della tenda che mi
divideva dall'altra stanza, e i passi pesanti di grandi stivali.
Abbassai lo sguardo, intuendo già chi fosse entrato.
«
Pronta? » chiese Jim alle mie spalle, ed io non ebbi il
coraggio di
rispondere. Mi limitai ad annuire nel silenzio della stanza, sicura
che lui osservasse attentamente ogni mio movimento.
«
Jim... » iniziai dopo un momento di silenzio che mi
sembrò
infinito. Dovevamo affrontarlo.
«
Lo so. » disse lui interrompendo ogni mio tentativo di
dialogo. Mi
voltai, nella sorpresa che doveva essere palpabile nel mio sguardo.
La separazione ci attendeva, ma non credevo sarebbe stato
così
difficile.
E
non ne conoscevo il motivo. O forse lo conoscevo, ma non volevo
ammetterlo. Sapevo solo che in quel momento il mio cuore aveva smesso
di battere, anche lui in attesa. Nella stanza si sentivano solo i
nostri respiri, e l'eco lontano delle voci dall'altra parte.
La
fiammella delle candele vibrò, mossa da chissà
quale folata di
vento che nessuno di noi percepì. Jim mi guardava senza
distogliere
lo sguardo, mentre io non riuscivo a fare altrimenti. Come era
già
accaduto in precedenza, non riuscivo a sostenere il peso dei suoi
occhi, così grandi e intensi da schiacciarmi.
«
Sai, Mulan mi ha detto che c'è una comunità di
sopravvissuti
stanziata in un regno di transizione ad Est...ce ne sono alcuni di
Montressor. Potrebbe esserci anche mia madre. »
proseguì lui, e
quando sollevai lo sguardo mi resi conto che era vicinissimo a me. In
quel momento volevo fotografare ogni minimo centimetro del suo volto,
per ricordarlo quando se ne sarebbe andato.
«
E' meraviglioso, Jim. » mormorai, realmente felice per lui.
Meno per
la sua partenza. « Sono sicuro che la troverai. E quando
l'avrai
fatto torna ad Agrabah. Jasmine e Aladdin hanno bisogno di te.
».
Jim
annuì appena. « Oh, a proposito... »
disse all'improvviso, animato
da una strana allegria. Da dietro la schiena tirò fuori una
matassa
rosso acceso, e solo dopo qualche secondo realizzai che si trattava
della mia mantella. Credevo di averla persa, o che comunque fosse in
condizioni pessime dopo lo scontro con il lupo.
Eppure
eccola lì, intatta. Il laccio che la teneva legata al collo
era
stato rammendato alla perfezione.
«
Biancaneve l'ha aggiustata. Non potevi lasciare questo bosco senza la
tua mantella. » commentò lui, strappandomi un
sorriso. Mi circondò
le spalle con le braccia, posando delicatamente la mantella su di
esse e legando il laccio rosso attorno al collo con un fiocco. Sentii
cadere il cappuccio sulla schiena, ma le mani di Jim non si mossero
da lì. Rimasero piantate sulle mie spalle, sentivo il loro
calore e
non volevo assolutamente che si allontanasse da me. Eppure,
nonostante tutto, la vocina nella mia testa mi intimava di
allontanarmi, di lasciar perdere. Perché in quel momento non
potevo
lasciarmi distrarre.
Percepivo
quella spiacevole sensazione addosso, gli occhi bruciavano
terribilmente e mi era sempre più difficile reprimere le
lacrime.
Tentai di guardarlo di nuovo, e di nuovo lo sguardo deviò la
sua
direzione e tornò a terra. Mi maledivo ogni volta, ma non
riuscivo a
fare di meglio.
Il
calore delle sue mani mi avvolgeva, concentrato sulle spalle e
lentamente diffuso in tutto il corpo. Sentivo la sua presa energica,
seppur delicata, risalire verso l'alto, fino al collo. Mi
scostò una
ciocca di capelli dal viso, costringendomi a guardarlo di nuovo negli
occhi. Ero paralizzata da quei gesti così semplici, eseguiti
con
naturalezza, senza alcuna costrizione. In quel momento il bosco, il
viaggio, l'altra stanza erano in un universo parallelo distante
chilometri da noi.
Le
sue mani raggiunsero il mio viso e si fermarono. Riuscivo a sentire
il suo respiro, così vicino alla mia pelle. Sentii la sua
fronte
posarsi delicatamente sulla mia, a contatto. Chiusi gli occhi,
concentrandomi solo su ciò che avrei voluto ricordare nei
giorni
seguenti. E mi resi conto di volere Jim più di quanto non
credessi.
Ma
in quel momento non c'era tempo per quel genere di cose. Il mio cuore
non poteva aprirsi a tanta gioia e perdere il sentiero su cui mi ero
immessa fin dall'inizio. Il mio obiettivo era chiaro, e nulla poteva
distoglierlo.
Perciò
raccolsi la forza necessaria e mi concentrai su quel singolo istante,
fotografando il suo profumo, il calore della sua pelle e il rumore
del suo respiro controllato. Poi aprii gli occhi, incontrando i suoi.
«
Tornerò a cercarti. » sussurrò Jim a
bassa voce, una confessione
che era solo per me. Avrei voluto dirgli di non fare promesse, di non
sperare in un futuro che per noi non aveva certezze. Ma in quel
momento ricordai solo le sue parole e il tono della sua voce. E
annuii, in silenzio, fermando quel singolo istante nella mente e nel
cuore.
Fuori
la temperatura era calata di qualche grado, e il cielo era ancora
grigio e carico di neve. Tuttavia, il bosco era ancora silenzioso e
nessun fiocco aveva solcato il terreno coperto dal manto bianco e
immacolato.
I
miei passi emisero uno crepitio i giorni in cui ero ancora a casa
mia, nel bosco dove forse sarei tornata.
Fuori,
Peter osservava il cielo.
Gli
altri erano ancora dentro la baita, intenti nei preparativi per la
partenza. C'era una strana atmosfera, una malinconia silenziosa che
attraversava il cuore di tutti nonostante nessuno avesse intenzione
di ammetterlo.
Non
ve n'era il tempo.
Peter
si voltò e mi concesse uno dei suoi sorrisi senza tempo: gli
occhialoni da aviatore attorno alla testa si mossero appena,
cadendogli sulla fronte e strappandomi un sorriso. Li
riposizionò e
si avvicinò a me.
«
Sei pronta? »
«
Si. E tu? »
«
Oh, mi sto preparando psicologicamente a trasportare in volo
Biancaneve fino a casa. » rispose dopo una pausa, alzando
volontariamente la voce. Biancaneve urlò qualcosa
dall'interno della
baita, probabilmente imprecando come solo lei sapeva fare. Peter
ridacchiò e si grattò il capo. Vedevo ancora in
lui il ragazzino
che era un tempo.
«
Non cacciarti nei guai. » mormorai io, che in quella
confusione non
avevo smesso di preoccuparmi per la sua incolumità. Avevo
bisogno di
sapere che sarebbe andato tutto bene, e che non l'avrei perso.
E
per la prima volta, nella mia mente si manifestò una strana
confusione. Una serie di sentimenti in contrasto tra loro si
intromisero nella mia testa, senza lasciarmi il tempo necessario per
riflettere.
I
sentimenti che provavo per Peter non avevano una spiegazione
razionale. Semplicemente esistevano, e me ne rendevo conto adesso che
provavo lo stesso per altre persone. Volevo salvarli tutti, e temevo
per la loro vita.
Quei
sentimenti che cercavo di nascondere, e che avevo sempre voluto
cancellare, adesso erano lì.
Impossibili
da ignorare. Mi stavo intenerendo, e questo non poteva accadere. Non
doveva,
maledizione.
Le
braccia di Peter mi circondarono nuovamente, stringendomi in un
abbraccio che mi fece dimenticare il freddo. Avevo l'impressione di
essere nata tra le sue braccia, di averne bisogno. Eppure dovevo
lasciarlo andare.
La
confusione che avevo in testa non poteva essere spiegata a parole. Se
me l'avessero chiesto, probabilmente non ci sarei riuscita. E non
riuscivo neanche a spiegare come un essere razionale e realista come
me fosse improvvisamente in balia di quelle stupide emozioni.
Mi
sentivo una vera deficiente.
«
Sai che non ti farei mai preoccupare. ». Peter mi diede un
buffetto
sulla testa, poi avvicinò le labbra sottili al mio viso.
Molto.
Forse troppo. Stampò un bacio delicato sulla mia guancia,
sfiorando
appena l'angolo delle labbra. Rabbrividii, e cercai di sciogliere la
tensione scostandomi appena da lui.
«
Vedi di non farti ammazzare, Pan. Ho già troppe cose a cui
pensare.
» mugugnai, facendolo ridere. I miei diversivi cinici lo
facevano
sempre sbellicare. Chissà perché.
Biancaneve
uscì dalla baita, e noi due ci allontanammo appena. Subito
dopo, Jim
uscì con la tavola fra le mani, e una volta fuori l'accese
scaldando
i motori. Mulan si chiuse la porta alle spalle, girando una pesante
chiave di ottone nella serratura, il cui suono rimbombò nel
bosco
deserto.
«
Ci siamo. » esordì Biancaneve con voce energica.
Si avvicinò a me
e mi diede un abbraccio soffocante, stringendomi più tempo
del
dovuto. Mi resi conto che ci saremmo dovute separare un'altra volta,
e di nuovo mi fu difficile dirle addio. Quando ci separammo notai i
suoi occhi brillare, lucidi e solcati dall'ombra delle lacrime che si
apprestavano a scendere. Peter la prese in braccio, sollevandola con
una facilità estrema.
Quando
prese il volo, istintivamente chiusi gli occhi. Li riaprii, ed erano
già un puntino nel cielo grigio. Peter volava in fretta, e
speravo
che sarebbero arrivati a destinazione altrettanto in fretta.
Mulan
si avvicinò a me, posandomi una mano sulla spalla.
« Quando sarai
da sola, concentrati a fondo. Solo tu puoi capire dove si trova
l'Originale e come raggiungerlo. Una volta trovato, troveremo il modo
di raggiungerti per aiutarti. Te lo prometto, Red. ».
«
Non promettere. » mormorai in automatico. Nonostante la
fiducia che
riponevo in lei, ero ferma nelle mie convinzioni. Testarda, forse.
Mulan
sorrise. « Non è detto che ci riesca. Ma
farò il possibile.».
Si
voltò, muovendosi rapidamente verso Jim. I motori della
tavola erano
caldi ed emanavano una scia che scaldava lentamente la neve al di
sotto, facendola sciogliere poco a poco. La fiamma che virava dal
rosso al blu era quasi ipnotica. Jim si voltò verso di me, e
per una
volta sostenni il suo sguardo e sperai che capisse ciò che i
miei
occhi tentavano di dirgli.
Ti
prego, non avvicinarti. Non rendere tutto più difficile.
Se
avesse fatto anche solo un passo verso di me, probabilmente non
l'avrei lasciato andare. E non volevo sapere il motivo per cui mi
comportavo in quel modo. Jim rimase a fissarmi per qualche istante,
come a voler imprimere la mia immagine nella sua mente. Poi
salì
sulla tavola e attese che Mulan si posizionasse dietro di lui,
guardando un punto indefinito di fronte a se.
Trassi
un sospiro di sollievo, e con la stessa serenità li osservai
mentre
si alzavano in volo.
Il
bosco era ancora più silenzioso, ora che ero da sola. Avrei
dovuto
abituarmi nuovamente al viaggio senza accompagnatore. Dentro di me si
agitavano una serie di pensieri, ma non riuscivo a leggerne nemmeno
uno.
Come
se fossero oscurati, mi davano solo un terribile senso di spossatezza
senza alcuna conferma.
Quello
strano presentimento che avevo percepito prima di incontrare
l'Originale sembrava essere scomparso del tutto. In più,
senza un
obiettivo, non avevo idea di che strada prendere. Mulan mi aveva dato
le indicazioni per uscire dal bosco, ma dopo dovevo essere solo io a
decidere.
Quel
manto di neve candida mi fece pensare al Bianconiglio: saperlo in
cattive condizioni mi metteva ancora di più in agitazione,
perché
lui era l'unica mia guida in quel mondo sconclusionato.
Ora
ero davvero sola con le mie forze, senza più alcun aiuto
dall'esterno.
Dal
punto di vista fisico, al contrario, non potevo lamentarmi: il riposo
mi aveva ricaricata, e prima di partire avevamo tutti fatto scorta di
cibo per il viaggio. La priorità, adesso, era trovare
dell'acqua che
non fosse neve raccolta per terra e fatta sciogliere. E il bosco non
deluse le mie aspettative per molto: dopo qualche ora di cammino
iniziai ad udire uno sciabordio lontano, il rumore dell'acqua che
scorre veloce.
Un
fiume a pochi passi da me.
La
temperatura era calata ancora di più, cristallizzando tutto
ciò che
avevo intorno. Il suono scostante dell'acqua si avvicinava sempre di
più, e nel silenzio iniziai ad intravedere i margini del
fiume. Non
era molto grande, e probabilmente avrei potuto attraversarlo in guado
se non fosse stato per la corrente.
L'acqua
scendeva veloce a valle, e sicuramente mi sarei messa nei guai se lo
avessi attraversato in quel modo. Mi avvicinai al minuscolo molo di
legno che si inoltrava gradualmente nell'acqua: doveva essere
parecchio vecchio, e la corrente aveva eroso gran parte delle assi
che lo componevano. Due piccole barchette erano legate ai pali del
molo tramite delle grosse funi consunte, che si muovevano rapidamente
a causa del flusso potente dell'acqua. Una di esse aveva un enorme
falla sul fondo, e per metà era immersa nel fiume. L'altra,
al
contrario, sembrava ancora piuttosto stabile nonostante le precarie
condizioni del luogo. Avrei potuto utilizzarla per raggiungere
l'altro lato del fiume e proseguire il mio cammino. Mi avvicinai alla
sponda e tirai fuori la borraccia che avevo nella sacca, in modo da
riempirla di quell'acqua fresca e pura.
Ma
nel momento in cui le mie dita sfiorarono la superficie, un brivido
mi attraversò la schiena. Non era dovuto al freddo, ma a
quella
stessa sensazione che avevo percepito nel bosco.
La
sensazione di essere sulla strada giusta. Di essere vicina al lupo
cattivo.
Ritrassi
automaticamente le mani, come dopo aver sfiorato il fuoco. Provai
nuovamente ad immergere i polpastrelli nell'acqua, e di nuovo quella
spiacevole sensazione si ripropose, inondandomi. Guardai di fronte a
me, poi tornai a fissare il ruscello seguendone il percorso. Non si
vedeva una fine, e la corrente era fortissima. Ma dovevo seguire
quella sensazione che mi invitava a percorrere il letto del fiume
fino a valle.
Il
bosco più in là non era molto invitante, gli
alberi erano sempre
più vicini e la boscaglia sempre più fitta. Avrei
sicuramente
trovato la strada sbarrata prima o poi, di questo ero certa.
Perciò
rimaneva solo un modo.
Salii
sul molo instabile, cercando di mantenere l'equilibrio. L'acqua si
scontrava contro la palizzata e smuoveva le assi di legno,
lasciandomi oscillare sopra le acque gelate. Sembrava dovesse
frantumarsi sotto ai miei piedi da un momento all'altro. Lasciai
cadere la lancia nella barca, e osservandola dall'alto verificai che
non ci fossero falle o altri problemi. Mi calai lentamente al suo
interno, cercando di non ribaltarmi come un'idiota. Ci mancava solo
questo.
In
quel momento mi accorsi che nel relitto accanto a me era rimasto un
remo di legno dall'aria piuttosto resistente, così mi
allungai verso
i resti dell'altra imbarcazione e lo afferrai, portandolo con me.
Scostai
la mantella, afferrando il pugnale stretto alla coscia tramite il
reggicalze. Presi un respiro profondo.
Poi,
senza pensare ad altro, tagliai la corda con un colpo secco.
E
la barca partì a velocità inaudita lungo il
fiume, trascinata dalla
corrente.
Il
letto del fiume divenne via via più profondo, e una serie di
rapide
minacciarono l'integrità della barca. Afferrai il remo e
cercai di
riprendere stabilità, schivando le pietre che spuntavano dal
fondo
del fiume e cercando di superare le rapide senza ferirmi.
Prendevo
sempre maggiore velocità, nonostante cercassi di mettere un
freno ai
miei movimenti. Sopra la mia testa, sempre più fitte, le
chiome
innevate degli alberi divenivano sempre più spoglie, fino a
trasformarsi un un susseguirsi di alberi morti e rinsecchiti che
dall'alto mi osservavano minacciosi.
In
quel momento mi accorsi che si facevano sempre più vicini,
fino ad
oscurare il cielo con le loro ramificazioni: si piegavano verso il
fiume, sporgendo in avanti verso di me e costringendomi a piegarmi
per evitarli.
Cominciai
a vedere la fine, ma non si avvicinava assolutamente a quello che mi
ero immaginata: invece di una grande distesa d'acqua in cui, in
teoria, avrebbe dovuto immettersi il torrente, davanti a me gli
alberi formavano una specie di barriera, piegandosi a novanta gradi
sopra la mia testa.
Tutto
ciò che vedevo era una specie di galleria buia, circondata
da quei
rami morti. Nessuna via d'uscita.
Niente
di niente.
Poteva
essere una galleria, o all'interno poteva esserci una barriera contro
cui mi sarei schiantata senza neanche accorgermene. Non potevo
saperlo.
La
corrente mi spingeva a velocità massima verso quel punto,
senza
darmi la possibilità di fare altrimenti.
Non
potevo gettarmi in acqua o sulla sponda. Il tempo passava, e accadde
tutto in un lampo.
Mi
piegai su me stessa, raggomitolandomi per evitare le fronde
rinsecchite sulla mia testa.
Chiusi
gli occhi, e il buio mi accolse.
Nb. Scusate il ritardo, ma la sessione di esami non mi lascia molto
tempo purtroppo. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, la
piega che sta prendendo tra Jim e Red mi intriga sempre di
più. Inoltre sto cercando di caratterizzare al meglio il
personaggio di Mulan, che personalmente adoro. Fatemi sapere la vostra
opinione!
Un abbraccio fortissimo,
L.
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Capitolo 12 *** All around you are spirits,child. ***
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-
12.
All around you are spirits, child.
Lo
sciabordio lento e rilassante dell'acqua sotto di me riuscì
a farmi
aprire gli occhi. Era ancora buio, ma almeno adesso una luce in fondo
a quella galleria la vedevo.
Una
luce in fondo al tunnel? Io mi preoccuperei.
Mentre
il mio cervello formulava ipotesi trascendentali sulla mia probabile
morte, mi resi conto che il flusso d'acqua si era placato, e adesso
viaggiavo lentamente verso la luce.
Sopra
di me, il buio della galleria mi sovrastava: gli alberi avevano
formato quella specie di cunicolo grazie ai loro rami saldamente
intrecciati, che non lasciavano filtrare alcuno spiraglio di luce.
Per
questo motivo, quando raggiunsi la fine della galleria, tornare alla
luce mi costrinse a chiudere gli occhi. Li tenni strizzati per
qualche istante, beandomi della calda luce del sole che mi avvolse
piacevolmente.
Il
cambio di temperatura era stato repentino, quasi immediato, e questo
mi portò ad un'unica conclusione.
Ero
uscita dal regno di transizione.
Aprii
gli occhi, osservando il grande lago che si apriva di fronte ai miei
occhi, circondando da sponde verdeggianti e ricche di vegetazione.
Gli alberi erano alti, secolari, e le chiome oscillavano grazie alla
tiepida brezza del vento. Faceva caldo, e il cielo era terso e
limpido.
Oh,
diamine. Ero in paradiso, per caso?
Mi
guardai attorno, poi concentrai la mia attenzione sul braccio destro:
mi ero graffiata, e stavo sanguinando.
Quello
mi diede la conferma di non essere morta.
Immersi
il braccio nell'acqua e pulii la ferita, poi la lasciai asciugare al
sole. Afferrai il remo e raggiunsi lentamente la sponda più
vicina
del fiume, trascinando l'imbarcazione malridotta fino a riva.
Non
conoscevo quel luogo, eppure c'era qualcosa che me lo rendeva
stranamente familiare. La sensazione spiacevole che avevo percepito
sul fiume era sparita, e per un momento pensai di aver sbagliato
direzione.
Eppure
sapevo di essere sulla strada giusta. Non ne conoscevo il motivo, ma
lo sapevo.
Quel
luogo sembrava non essere stato scalfito minimamente dai drammi
dell'Apocalisse: la vegetazione era fitta e rigogliosa, gli animali
si muovevano nel bosco senza curarsi di me.
Posai
la mano su uno degli alberi ai margini di quel bosco verdeggiante, e
sentii subito l'intenso odore di resina sulla corteccia. Un fruscio
attirò la mia attenzione, così guardai
distrattamente verso l'alto.
Un'ombra
su uno dei grandi rami si mosse. Era ampia, e si muoveva rapidamente.
Indietreggiai
di scatto, stringendo la lama tra le dita. Piegai le gambe, pronta ad
attaccare.
Che
diavolo era quell'affare?
Un
altro tonfo e l'ombra scese a terra, uscendo finalmente alla luce del
sole.
«
Che cavolo... » sbottai tra me e me, mordendomi la lingua.
Ero stufa
di quelle entrate a sorpresa, ne avevo davvero abbastanza. La
bellissima donna di fronte a me avanzò ancora, e la pelle
olivastra
brillò alla luce di quel caldo sole di cui avevo sentito
tanto la
mancanza.
Solo
in quel momento mi resi effettivamente conto della sua bellezza:
simile ad una dea, i capelli corvini le fasciavano il corpo fino ai
fianchi nudi, oscillando sotto le morbide onde del vento. Mi fissava
con gli occhi scuri e profondi, dal taglio esotico. Non ero mai
rimasta tanto affascinata da qualcuno come lo ero in quel momento.
A
piedi nudi sull'erba, la ragazza avanzava verso di me senza alcuna
paura. Non le importava della lama appuntita della mia lancia, o di
ciò che avrei potuto lanciarle contro: la sua sicurezza la
rendeva
fiera come un leone, padrona di se stessa e di quel bosco che la
circondava.
Le
labbra carnose e perfette si mossero appena, incrinandosi in un
sorriso accennato che mi tranquillizzò. La sua
semplicità mi
incuriosiva. Aveva un aspetto selvaggio, ma allo stesso tempo molto
controllato.
«
Non volevo spaventarti. » disse poi con voce calma, e i
tratti del
viso si addolcirono poco a poco. Nonostante non avessi idea di chi
fosse, quell'improvviso cambio di atteggiamento nei miei confronti mi
fece intendere che probabilmente lei conosceva me.
Continuavo
a fissarla, incapace di distogliere lo sguardo dalla sua bellezza
fiera: indossava un abito spezzato, che le lasciava la pancia
scoperta. La gonna era stracciata ai margini. Non osavo immaginare
quale animale avesse scuoiato per farsi quel vestito. Lo stesso arco,
che teneva saldamente ancorato alla schiena, doveva averlo realizzato
da sola. Quei piccoli dettagli mi diedero sempre più l'idea
di una
figura solitaria, eppure padrona del suo mondo.
«
Questo è il tuo Regno? » le chiesi, diretta,
osservandola mentre
strabuzzava gli occhi. Quella parola non doveva piacerle molto, o
forse la trovava strana. Scostò una ciocca di capelli
corvini dal
viso, e solo in quel momento mi accorsi del marchio rosso che le
circondava il braccio, poco sotto la spalla.
Mi
era familiare, nonostante lo vedessi per la prima volta. Mi fece
pensare al sangue, alla lotta.
Quel
pensiero crudo strideva in mezzo alla natura rigogliosa di quel
paradiso, ma non riuscivo a pensare ad altro. Lei mi fissava, forse
incuriosita dai miei pensieri, e la sua espressione mutò
appena da
trasformare la dolcezza in malinconia. Era amareggiata da qualche
pensiero che probabilmente era stato riportato alla luce dalla mia
domanda.
«
Si, questo è il mio mondo. » mormorò
lei, fissando l'orizzonte: il
grande lago era circondato da una riva verdeggiante, in lontananza si
sentiva lo scrosciare di una cascata. Una piacevole brezza spirava da
Nord.
«
Non volevo irrompere così all'improvviso. Mi dispiace.
» mi
affrettai a dire, rompendo il silenzio. « Io sono Red.
Cappuccetto
Rosso. ». Ripetere quel nome non mi faceva affatto piacere,
ma
dovevo pur presentarmi in qualche modo. Eppure dirlo ad alta voce mi
fece quasi rabbrividire. Quel nome non mi apparteneva più,
era un
ricordo del passato. Un passato felice, spensierato, e al momento
assente.
Lei
si accigliò, poi spalancò i grandi occhi scuri in
un moto di
improvvisa sorpresa. « Red? » ripeté,
stupita.
Annuii.
Le sue reazioni erano così spontanee e sincere da farmi
provare un
improvviso senso di tenerezza nei suoi confronti. Era impossibile
aspettarsi un tradimento da quella donna, a giudicare dai suoi occhi.
«
Noi non ci siamo mai incontrate, ma so dove si trova il tuo regno.
»
mi spiegò lei. « hai fatto tutta questa strada
fino a qui da sola?
».
«
E'...una lunga storia. » mormorai, accennando un sorriso. Lei
tornò
a quell'espressione dolce che avevo visto all'inizio, e mi
salutò
con un piccolo cenno del capo.
«
Sono felice di incontrarti. » aggiunse poi, con voce ferma.
« Il
mio nome è Pocahontas. ».
Il
bosco di Pocahontas sembrava non aver subito alcun cambiamento: anche
all'interno manteneva la stessa integrità del resto della
sua terra,
e questo lo rendeva una specie di paradiso. Non avevo mai visto nulla
di simile.
Ci
avvicinammo ad una capanna di grandi dimensioni costruita in legno.
Era in perfette condizioni, e all'interno c'era tutto il necessario
per vivere. C'erano altre capanne più piccole intorno a
quella che
doveva essere la casa del capo villaggio e di sua figlia, ma in giro
non si vedeva nessuno.
In
quel momento mi resi conto che non avevamo incontrato nessuno da
quando ero arrivata lì.
Pocahontas
entrò scostando la pesante tenda ricamata e uscì
qualche secondo
dopo con una grande ciotola di legno tra le mani: al suo interno,
delle grandi pannocchie dai chicchi dorati erano disposte in modo
casuale, una sopra l'altra. Me ne offrì una, ed io accettai
volentieri.
C'era
una strana quiete in quel bosco, eppure nonostante tutto non riuscivo
a rimanere tranquilla. Era come se fossimo nell'occhio del ciclone,
in tensione e trepidante attesa di qualcosa di estremamente
sconvolgente.
E
dallo sguardo intenso e concentrato di Pocahontas, probabilmente
doveva essere esattamente così.
«
Dove sono gli abitanti del villaggio? » chiesi, rompendo il
silenzio. Ma era proprio quella quiete a contenere le risposte, ed io
ne ero assolutamente consapevole. Ma non volevo ammetterlo fino in
fondo.
Pocahontas
guardò l'orizzonte, assottigliando lo sguardo. «
Ora ti racconterò
una storia. La storia di un mondo pacifico sconvolto da qualcosa al
di là di ogni immaginazione. Qualcosa di terribile, oscuro e
malvagio. Che ti consuma. Ti avvolge. Assapora ogni parte di te e poi
ti abbandona, morente, senza lasciarti scampo. Questa maledizione,
che noi chiamiamo Apocalisse, ha sconvolto i nostri Regni e distrutto
i nostri cuori già fragili. Ad ognuno di noi è
stato portato via
qualcosa, e ad ognuno è stata concessa una maledizione da
portare
con sé, come un fardello da trascinare. ».
La
osservai attentamente mentre parlava senza distogliere lo sguardo
dall'orizzonte, gli occhi scuri appena sgranati verso l'infinito. Era
come se non fosse lei a parlare, come se una forza inconscia e molto
potente avesse preso il suo posto, guidandola nelle parole e nei
movimenti. Come un oracolo, parlava con trasporto scegliendo
accuratamente ogni parola.
Iniziavo
a confondermi: che lei sapesse più di quanto io –
e tutti noi –
avevamo scoperto fino a quel momento?
«
Ognuno di noi ha perso qualcosa. » ripeté, e i
suoi occhi tornarono
a posarsi su di me, vitrei e accecati da quelle parole.
Ognuno
di noi ha perso qualcosa.
Quella
frase mi rimbombò nella testa, un frastuono fastidioso che
non mi
lasciava andare. Era come se quelle parole avessero risvegliato in me
qualcosa di nascosto, che fino a quel momento era rimasto assopito.
In
quell'istante mi resi conto di come le sue parole fossero
particolarmente azzeccate, e di come effettivamente chiunque avessi
incontrato nel mio viaggio fosse stato privato di qualcosa.
Una
parte di sé, della sua vecchia vita.
Pensai
ad Alice, che aveva perso il senno.
Agli
abitanti del Paese delle Meraviglie, che avevano perso la follia ed
ora erano costretti a vivere nell'angoscia, senza Alice a guidarli.
Ad
Adam, che era stato privato della sua umanità.
A
Peter, che aveva perso l'amore.
A
Biancaneve, il cui amore era stato stroncato dalla triste
realtà.
A
Mulan ed Esmeralda, che erano senza radici.
Ad
Ariel, che era stata privata della voce.
E
anche a Jim, che aveva perso sua madre e la sua patria.
E
infine pensai a me stessa, e il cuore accelerò: la mia
famiglia, una
parte del mio corpo, la fiducia nel mondo.
Avevo
perso tante cose, e in quel momento tutto cominciò ad avere
più
senso. Ciascuno di noi aveva con sé un fardello da portare,
in un
modo o nell'altro.
Eravamo
tutti maledettamente collegati da quel filo sottile.
«
E tu? » sussurrai, e una folata di vento gelido mi
scompigliò i
capelli, lasciando cadere il cappuccio della mantella sulla schiena.
Il cielo era diventato improvvisamente di un grigio funereo, e si era
tinto di colori che mai avrei voluto vedere.
Colori
che ricordavano la morte, l'abbandono. Pocahontas mi guardò
di
nuovo, poi seguì la scia del vento che mosse i suoi capelli
corvini,
facendoli ondeggiare in modo selvaggio.
«
Io ho perso il mio popolo. Ma soprattutto, la mia libertà.
»
aggiunse poi, lasciando galleggiare la mano in aria. Le dita
sfiorarono il vuoto di fronte a sé, e in quel momento mi
sembrò di
percepire con i miei occhi l'elettricità dell'aria. Era
palpabile,
era proprio lì.
Libertà?
«
La mia maledizione è essere legata a questo Regno, senza
possibilità
di uscire. Non posso oltrepassare il confine, né rivelare
agli altri
ciò che so. » ammise, e in quel momento un brivido
mi percorse la
schiena.
Lei
sapeva. Sapeva qualcosa che noi ignoravamo: forse grazie a quella
spiritualità che era sempre stata parte del suo popolo, e
che ora
parlava attraverso il suo corpo, Pocahontas aveva scoperto qualcosa
di molto importante. Ma la sua maledizione le impediva di cercare chi
avrebbe potuto far tesoro di quelle scoperte.
Ma
ora io ero lì,per puro caso. E non sapevo se questo fosse un
problema o meno.
«
Tu sei arrivata fino a qui. Adesso sei in pericolo. »
mormorò lei,
con una punta di terrore negli occhi.
Dovevo
muovermi. Scoprire tutto ciò che potevo.
Ripensai
alle sue parole, a quello che aveva detto con voce ferma e decisa.
«
Chi c'è dietro tutto questo? Perché questa
maledizione sui nostri
regni? » sussurrai, cercando di trovare le risposte in quello
che mi
sembrava un ragionamento forse troppo difficile.
«
La stessa persona che mi ha impedito di uscire da qui, tenendomi
prigioniera. Non so chi sia, né che forma abbia. Ma se
riesce a
tenermi rinchiusa qui, probabilmente non è molto lontano.
».
Riflettei
sulle sue parole. Se Pocahontas era una minaccia per lui,
probabilmente avrebbe potuto ucciderla.
O
forse non voleva.
Probabilmente
le sue visioni erano utili per scoprire i segreti profondi del Mondo
delle Fiabe. Ma se riusciva a controllarla così a fondo,
allora...
«
E' vicino. » mormorai, con un sussurro. Doveva essere
lì, da
qualche parte. Dovevo uscire da quel regno, e continuare ad andare
avanti. Ero certa che una volta uscita dal bosco sarei stata presa di
mira, o seguita.
Quello
che sapevo era che qualcuno mi teneva d'occhio.
Pocahontas
si muoveva calibrando ogni passo. Era selvaggia, indomabile, ma
nonostante tutto avevo l'impressione che misurasse ogni mossa nel
giusto modo. Era leggera, veloce come una gazzella. E nei suoi gesti
c'era qualcosa che la rendeva impalpabile, eterea.
Ci
muovevamo rapidamente e in silenzio attraverso il bosco, scivolando
vicinissime agli alberi secolari dai lunghi tronchi che tendevano
verso il cielo. Eravamo ombre di passaggio, così leste da
non essere
viste.
Gli
animali si affacciavano dalle tane e ci osservavano senza
disturbarci, come se la visione della mia compagna fosse per loro
un'immagine abituale. E probabilmente lo era, vista la sua perfetta
simbiosi con la natura.
Nonostante
la corsa a passo sostenuto, mi resi conto di non sentire più
la
stanchezza, tanta era la concentrazione. Volevo arrivare alla fine di
quella storia, trovare una soluzione alle mie domande.
E
forse in quel momento c'eravamo vicine, più di quanto
pensassimo.
Pocahontas
rallentò, lasciando scivolare i piedi nudi sull'erba fresca
con
movimenti fluidi e armoniosi, fino a fermarsi del tutto. Il suo viso
era rilassato e il suo sguardo intenso. Quando mi parlò,
nella sua
voce non c'era fatica, solo una grande forza.
«
C'è una strana energia in questo posto. »
mormorò poi, ispirata
dal vento che scuoteva leggero la sua chioma. « Me ne sono
accorta
non appena sono arrivata qui dopo il grande
caos.
».
Lei
lo chiamava così. La parola apocalisse
era troppo catastrofica. Quando me l'aveva detto le avevo risposto
che se fosse uscita da lì avrebbe capito che quella parola
aveva un
giusto utilizzo: gli altri regni avevano subito un destino peggiore
del suo, apparentemente. Ma lei mi aveva risposto che in quella
parola c'era tutta la negatività che noi riponevamo, come se
non
avessimo più speranze.
Come
se quel mondo per noi fosse già finito, e non avesse una
possibilità
di ripresa.
«
Il caos è in continuo movimento, e muta costantemente. E
prima che
tu possa accorgertene, ecco che si forma un nuovo ordine. Per questo
mi piace. » aveva confermato lei, con la solita voce
suadente. «
C'è una speranza anche nella confusione. ».
Non
sapevo se credere a quell'anima piena di speranza nel nostro futuro.
Eppure ognuno di noi cercava di fare del suo meglio per riuscire a
sopravvivere ogni giorno a quella distruzione.
Forse
un minimo di speranza dovevamo averla.
Mi
guardai attorno, pensando alle sue parole. Eravamo arrivati su una
riva silenziosa, dove la luce illuminava solo a sprazzi il terreno a
causa della fitta coltre di fogliame degli alberi. Il laghetto
tranquillo si apriva all'orizzonte, e poco distante dalla riva si
intravedeva una specie di isolotto.
Ancorata
alla terra, a pochi passi da noi, una canoa di legno ci stava
aspettando.
«
Vieni. » mi disse lei, salendo agilmente sull'imbarcazione e
afferrando il remo. La seguii, cercando di mantenere l'equilibrio. Ci
sedemmo entrambe, e Pocahontas iniziò a remare. L'acqua era
limpida
e calmissima. Lo specchio trasparente rifletteva le nostre immagini
appena distorte, fino a quando non arrivammo all'isolotto che avevo
visto in precedenza. Mi resi conto che non era affatto un'isola, ma
attraversando il lago avevamo guadagnato tempo evitando di
costeggiarlo e arrivare dall'altra parte.
Gli
alberi si diramavano lasciando intravedere la riva opposta,
sormontata da un maestoso e bellissimo salice, i cui rami si
gettavano a pelo sull'acqua.
Era
uno spettacolo meraviglioso. Mai in vita mia avevo visto un luogo
tanto bello. I colori viravano dal blu al viola, e anche la luce
intensa del sole sembrava calare tra le fronde verdeggianti.
I
miei occhi guizzavano da una parte all'altra della riva, ammirando
tale bellezza. Ci avvicinammo al salice, e vi passammo attraverso
scostando i rami per lasciare spazio alla canoa e farla scivolare
sull'acqua senza provocare danni. All'interno, il tronco secolare del
salice si ergeva di fronte a noi nella sua maestosità.
Le
fronde rendevano l'atmosfera tranquilla e la luce soffusa. Era come
essere dentro un sogno.
Ci
fermammo una volta raggiunto una delle enormi radici che si piegavano
entrando in acqua. Accostammo la canoa e scendemmo, arrampicandoci
sulle radici fino ad arrivare ad uno dei tronchi disposti di fronte a
quello principale.
«
E ora? » mormorai. Pocahontas si voltò e mi
sorrise.
«
Nonna Salice. » sussurrò, senza distogliere lo
sguardo da me. Stava
chiamando...l'albero?
Improvvisamente
notai che le rughe della corteccia formavano chiaramente un volto.
Quello di una donna anziana, con il naso pronunciato e gli occhi
profondi. Insomma, era pur sempre un albero.
E
poi faccia di corteccia mi sorrise. Deglutii a fatica. Forse le
pannocchie che mi aveva dato erano allucinogene, o c'era qualcosa
nell'aria.
«
Faccia di corteccia si muove? » sbottai, strabuzzando gli
occhi.
Probabilmente era ora di abituarmi a quel genere di stranezze, visto
che avevo a che fare con gente sempre più bizzarra. Eppure
un albero
così non l'avevo ancora mai visto. Poi mi resi conto che
l'avevo
chiamata faccia
di corteccia e
ritornai sui miei passi.
Bella
figura.
Pocahontas
ridacchiò, probabilmente comprendendo il mio stupore. E a
quel punto
riuscii a collegare ciò che lontanamente sapevo sulla
principessa
dei boschi con ciò che avevo davanti agli occhi.
Quello
era il suo spirito guida, che si manifestava a lei e a lei soltanto.
E portarmi in quel luogo quasi sacro era per me un onore e una grande
sorpresa.
L'accenno
di un sorriso apparve sulle mie labbra pallide, rischiarandomi il
viso. Eppure c'era qualcosa di strano in quel viso, qualcosa che non
riuscivo a definire. Pensai al mio viaggio, e a chi avevo incontrato.
Ad
Ariel, a cui era stata tolta la voce. Alla Bestia e agli ibridi del
bosco, che avevano perso la loro umanità.
«
Non può parlare? » azzardai, con un'occhiata in
sua direzione.
Pocahontas annuì, comprensiva e ispirata dalla mia
intuizione.
Probabilmente era la prima volta, da quando tutto quel caos aveva
tolto a Nonna Salice la possibilità di comunicare con lei,
che
qualcuno riusciva a capire come si sentiva.
«
Ma può ancora guidarti. » aggiunse con la sua voce
comprensiva. Si
voltò nuovamente verso l'albero e a quel punto riuscii a
vedere ciò
che lei voleva mostrarmi.
Al
di là del grande albero, oltre le sue fronde fitte e
rigogliose,
c'era un sentiero. Un sentiero fatto d'acqua e poi d'erba verde, la
cui fine ancora non si vedeva.
«
Io non posso uscire da qui. » mormorò lei, e
nonostante tutto non
c'era tristezza nelle sue parole. Come se sapesse di non poter fare
nulla per quella situazione.
O
come se sperasse in me.
«
Ma io si. » continuai, finendo ciò che lei stessa
avrebbe voluto
dire. La vidi sorridere. E Nonna Salice, nella sua comprensione muta,
fece lo stesso. A quel punto le sue radici si mossero, e una di esse
si infilò sotto di me cogliendomi di sorpresa. Sobbalzai,
emettendo
un gemito di stupore.
Mi
aveva colta impreparata.
La
radice mi sollevò da terra, e in un attimo mi trovai
vicinissima al
suo volto: era incredibile come le scalanature del suo volto
somigliassero alle rughe dell'età, che la rendevano ancora
più
imponente e saggia.
Le
fronde della chioma si mossero attorno a me, circondandomi in un
vortice che mi estraniava da tutto il resto. Due di esse si
distaccarono dal turbinio di foglie che mi avvolgeva, portando con
loro un oggetto in legno che aveva un che di familiare, nonostante
non l'avessi mai visto.
Osservai
i colori oltre il vetro, la freccia muoversi rapidamente in senso
orario, girando a trecentosessanta grandi tanto rapidamente da farmi
girare la testa.
Era
una bussola.
«
La forza che anima il tuo cuore è più potente di
qualsiasi
maledizione. » sussurrò Pocahontas, ma la sua voce
somigliava ad un
grido alle mie orecchie, proprio come quando mi aveva incantata con
il suo oracolo.
«
E la bussola ti guiderà dove il tuo cuore vuole portarti.
».
La
sagoma di Pocahontas si fece via via più sfocata, mentre mi
allontanavo sopra la canoa lasciandomi il suo bosco alle spalle. Non
sapevo cosa avrei incontrato nel mio cammino.
Sarei
riuscita ad uscire da quel posto?
Tenni
stretta la bussola tra le mani. Il suo dono mi suggeriva che ce
l'avrei fatta. Non sapevo quale fosse la sua storia, ma quell'oggetto
doveva avere un grande valore per lei, un valore che neppure
immaginavo.
Quando
glielo avevo chiesto, mi aveva semplicemente risposto che apparteneva
ad una persona speciale.
E
nei suoi occhi avevo visto una luce così intensa che non
avevo osato
chiedere altro.
Quando
arrivai alla riva opposta del lago, un grande bosco buio si apriva di
fronte a me, decisamente meno ospitale di quello che mi aveva accolta
fino a poco tempo fa. Nonna Salice e il suo piccolo posto tranquillo
sembravano già troppo lontani, quasi come appartenessero ad
un
sogno.
Camminai
fino a quando la luce scomparve del tutto, facendomi perdere
l'orientamento. Sentivo la freccia della bussola muoversi
all'impazzata, e nonostante non vedessi nulla non riuscivo proprio a
fermarmi.
Lasciavo
dietro di me impronte fresche, su un terreno che odorava di terra
bagnata ed erba appena tagliata. In quel momento una strana
sensazione mi pervase, lasciandomi dimenticare tutto il resto.
Nonostante
il buio, o la solitudine.
Io
ero lì.
E
sarei arrivata alla fine di quel viaggio, viva o meno, con una
risposta a tutte le mie domande. Avrei trovato una luce chiara,
vivida e calda alla fine di quel tunnel che rischiava di
imprigionarmi.
E
fu in quel momento che lo sentii. Un rumore.
Appena
accennato, portato da una brezza fresca e debole.
Il
rumore di un bosco vivo. Di fronde mosse dal vento, di uccellini e
animali del sottobosco.
Di
vita che scorre.
E
dopo il rumore arrivò la luce. Trattenni il respiro,
avvicinandomi
lentamente ad essa, e con passo deciso mi ci immersi. La sensazione
che provai fu simile a quella che avevo percepito appena, nella folle
corsa fuori dal bosco di Belle e Adam, attraversando i confini del
loro regno insieme a Jim.
Questa
volta, camminando con calma, riuscii a viverla più
intensamente: era
come attraversare uno spesso muro d'acqua sospeso di fronte a me.
L'immersione, l'apnea, il silenzio.
Era
una sensazione meravigliosa.
Dopo
qualche altro passo uscii alla luce, oltre la barriera che mi
divideva da quel regno, senza subire alcun danno. Ora capivo cosa
intendeva Pocahontas quando mi parlava di essere intrappolata
lì
dentro.
A
prima vista la parete sembrava una vera e propria barriera, e
probabilmente la possibilità che avevo io di attraversarla
non era
concessa a lei.
Di
fronte a me si apriva di nuovo un bosco, molto simile a quello che
avevo appena lasciato. Eppure, non appena feci il primo passo,
riuscii di nuovo a sentirla chiaramente dopo tanto tempo.
Quella
sensazione spiacevole che avevo percepito quando stavo per essere
attaccata. La sensazione che qualcosa di brutto sarebbe accaduto di
lì a poco, che dovevo tenermi pronta.
E
accadde davvero, ma questa volta il pericolo non era affatto attorno
a me.
Era
nella mia testa.
“Ciao,
Red.”
Una
voce, bassa e profonda, che conoscevo bene.
Che
scatenava in me le più profonde paure, bloccandomi.
La
voce del lupo.
Nb. Ecco un nuovo personaggio, che sicuramente dovevo inserire visto
che rappresenta uno dei cardini della mia infanzia. Ho sempre visto
Pocahontas come l'emblema della libertà, perciò
non
potevo darle uno spazio più che consistente nel corso della
storia. Questo capitolo è molto "spirituale", per
così
dire, Red comincia a capirci qualcosa anche se non sembra essere ancora
tutto molto chiaro. Il titolo del capitolo è tratto dal
classico
Disney, e precisamente è una frase che Grandmother Willow (
aka
Nonna Salice) dice a Pocahontas quando quest'ultima le rivela il sogno
ricorrente che ogni notte la tormenta. Spero continuerete a seguire
questa storia, che ogni giorno sta acquisendo sempre più
importanza per me.
Un abbraccio,
L.
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Capitolo 13 *** Spinning wheel. ***
thisfairitaleisradioactivenow
THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
13.
Spinning wheel.
Era
una tortura senza precedenti. Non potevo attaccarlo, o allontanarmi.
La voce era nella mia testa, roca ma distinta nelle sue spaventose
sfumature, e rischiava di farmi impazzire.
“Ascoltami
bene, mia cara bambina.”
continuò lui, ronzandomi nelle orecchie. Mi girava la testa.
Portai
le mani alle tempie e strinsi forte i denti, sbarrando gli occhi.
Volevo mandarla via, ma non sapevo come.
Era
insopportabile.
Le
vibrazioni della sua voce continuarono ancora, destabilizzandomi.
“Voglio
che tu faccia una cosa per me, e sono sicura che la farai,
perché ho
qualcosa a cui davvero tieni. Perciò ascoltami bene e
nessuno si
farà male.”.
Qualcosa
a cui tengo?
Mi
bloccai, e nella mia mente passarono una serie di immagini. Si stava
riferendo a mia nonna, su questo non c'erano dubbi. Eppure mi
sorpresi a non pensare subito a lei, e questo mi stupì. Non
pensai
neppure a mia madre.
Pensai
a Jim.
E
mi diedi della stupida quando me ne resi conto. Non dovevo, era
sbagliato. Mi sentivo un verme.
La
voce continuava a disturbarmi. Mi accasciai a terra, tenendomi la
testa tra le mani. Diveniva sempre più imponente, eliminando
qualsiasi suono esterno. Un gemito di dolore mi sfuggì dalle
profondità della gola.
Aveva
cominciato a fare male davvero.
“Se
non vuoi che faccia del male alla tua cara nonnina, torna indietro
nel tuo bosco e non le torcerò un capello. Arrenditi,
vattene. E
vedrai che la riavrai indietro in meno di un attimo.”.
Sobbalzai,
scossa da quella richiesta. Allora era così, voleva che mi
arrendessi. Il mio viaggio in cerca di risposte cominciava a
infastidirlo. Questo voleva dire che c'era lui, dietro tutto questo?
Dietro
la distruzione, le morti, il caos?
Non
potevo crederci, e non riuscivo a credere neanche a lui.
«
Sei...un bugiardo. » mugugnai a denti stretti, tenendo le
mani salde
sulle tempie. Mi mancava il fiato.
“Se
non mi credi, allora ascolta.”.
Le
sue parole furono seguite da un grido acuto, e successivamente da una
voce stanca, ma che riconobbi subito mentre gridava il mio nome. Era
lei.
«
Lasciala stare! » gridai, e la mia voce echeggiò
nell'aria. Allora
era vero, l'aveva presa. Mia nonna era viva, ma non per molto.
“Torna
a casa, Red. E la riavrai indietro. Fai questo e si
sistemerà tutto.
Altrimenti...sarai di nuovo sola. E questa volta per sempre.”.
La
comunicazione si interruppe bruscamente, ed io reagii con un urlo. Un
rivolo di sangue fresco si raggrumò nell'orecchio sinistro,
scendendo poi sul collo. Respiravo a fatica, contenendo l'affanno.
Mi
aveva resa debole di nuovo, e adesso non avevo la minima idea di cosa
fare. Rimanevo lì, bloccata nella mia indecisione.
Era
evidente che l'idea di abbandonare quel viaggio mi disgustava. Voleva
dire arrendersi. Ma avevo sentito di nuovo la sua voce, e l'idea che
la mia famiglia fosse in pericolo mi portava a rivalutare l'idea. In
fondo era per ritrovare lei che avevo iniziato quel viaggio.
Eppure,
nonostante questo, tutte le persone che avevo incontrato mi avevano
spinta a continuare non solo per me stessa, ma anche per trovare una
spiegazione a questa storia. Per allontanarci da quel dolore, e dai
cambiamenti che avevano devastato quel mondo in maniera quasi
irreparabile. Quel viaggio non era solo per me, lo sapevo bene.
E
adesso mi trovavo ad un bivio, senza alcuna idea su cosa scegliere.
In
quel momento un rumore di passi mi mise in allerta. Che il lupo fosse
già venuto a prendermi. Mi alzai barcollando appena,
raccolsi la
lancia da terra e mi preparai ad attaccare. Nonostante la stanchezza.
Nonostante
la paura.
Le
orecchie mi fischiarono, e la testa cominciò nuovamente a
dolermi
per lo sforzo. Strinsi i denti e mi tenni su, mentre una figura esile
si avvicinava lentamente verso di me. Dapprima non la riconobbi,
vista anche la confusione che avevo in testa.
Poi
focalizzai l'attenzione sulle morbide onde color miele che le
circondavano il viso pallido, i bellissimi occhi chiari circondati da
velate occhiaie, l'abito rosa stracciato lungo l'ampia gonna in uno
spacco vertiginoso. Era diversa, cambiata, ma pur sempre lei.
Sollevai
il capo e presi un lungo respiro, cercando di articolare le parole in
modo comprensibile.
Lei
si piegò sulle ginocchia, tendendo le labbra rosee in un
sorriso.
«
Bentornata nel mio Regno, Red. » sussurrò
dolcemente, e per un
momento mi rilassai.
«
Aurora. » sibilai, ancora a corto di fiato. Era lei, ne ero
certa.
Osservai i suoi grandi occhi farsi improvvisamente più
sottili,
chiudersi in due fessure cariche di concentrazione.
«
Non preoccuparti, andrà tutto bene. » disse, e
sollevò appena lo
sguardo oltre la mia testa.
Quello
che accadde dopo non riuscii a spiegarlo neppure io. Sentii solo una
fitta lancinante alla testa, e solo dopo pochi istanti
arrivò la
botta. Un colpo secco, tra capo e collo, che mi stordì
facendomi
cadere sull'erba ancora bagnata dalla rugiada.
Il
buio mi avvolse, e con esso svanì anche il dolore.
Quando
riaprii gli occhi, ancora stordita, non riuscivo a contenere la
rabbia. Dopo un primo momento di apparente gioia per non essere
morta, sopraggiunse l'odio verso me stessa. Per essermi fidata di
quella che un tempo era mia amica, e che ora mia aveva immobilizzato
gambe e braccia con delle corde su una parete.
«
Aurora! » gridai, dimenandomi. « Liberami,
maledetta! ».
La
vidi entrare dalla porta a passo lento. La casa in cui ci trovavamo
doveva essere quella in cui aveva vissuto da piccola, nel periodo in
cui si era allontanata dal castello per non essere trovata da
Malefica.
Il
legno emanava un buon odore, e dalla finestra si intravedeva il bosco
e il margine superiore del tetto di paglia. Dovevamo essere al piano
terra. Avevo visto parecchie volte quella casa, e Aurora mi ci aveva
portata quando venivo a trovarla. Passavamo intere giornate nel
bosco, lontane dal castello e dalle buone maniere che come
principessa doveva mantenere. Facevamo il bagno nel lago, mangiavamo
sotto gli alberi, giocavamo con gli animali e parlavamo senza
preoccuparci del mondo intorno.
Adesso
che la vedevo lì davanti a me, le braccia conserte e lo
sguardo
fisso su di me, nessuno di quei ricordi mi sembrava più
tanto
piacevole.
«
Stai calma. » iniziò lei, parlando come se tutto
quello fosse
assolutamente normale. « Mi dispiace, ma ho dovuto farlo.
».
«
Falla finita. » mugugnai, senza crederle. «
Immagino avrai fatto
questo anche agli animaletti del tuo bosco, perciò mi sento
parte di
una comunità. ». La fissai, senza distogliere lo
sguardo. Non mi
intimidiva, ma non potevo fare a meno di ricordare quando eravamo
allegre e spensierate.
Adesso
invece ero legata come un tacchino ad una parete, perciò le
cose
erano cambiate parecchio.
Il
nostro silenzio fu interrotto da un rumore di passi, e un ragazzo
bellissimo si affiancò a lei.
«
Oh, ma certo. » sbottai, alzando gli occhi al cielo.
Vedendolo
ricordai la botta che avevo preso nel bosco, e adesso cominciavo ad
avere una vaga idea di chi poteva esserne l'artefice.
«
Ciao, Red. » esordì Filippo con la stessa
espressione concentrata
della sua compagna. Nonostante l'odio che stavo provando nei loro
confronti, vederli insieme non poteva che darmi un inevitabile senso
di sollievo.
Pensare
ad Aurora senza il suo principe era inconcepibile. Erano per me il
simbolo del vero amore, e separati probabilmente non ce l'avrebbero
mai fatta. Ora, anche se in modo diverso, li osservavo insieme senza
dire una parola.
«
Allora? » continuò Filippo, voltandosi appena in
direzione di
Aurora. « Che idea ti sei fatta? ».
Lei
sospirò, scuotendo il capo. « Non saprei. Non mi
sembra, ma non
possiamo esserne sicuri. ».
Aggrottai
la fronte, irritata per quei discorsi criptici. « Toc, toc.
Ci sarei
anche io qui! Non so cosa stiate pensando, ma vorrei esserne
informata. ».
In
quel momento sospettai che Aurora e Filippo potessero essere
coinvolti con il mio lupo. In fondo erano arrivati subito dopo che le
sue parole avevano abbandonato il mio cervello. Chi poteva dirlo?
Sfruttai
il loro fare meditabondo e il silenzio che ne seguì per
cercare di
calmarmi, ma fu tutto inutile. Così rimasi in silenzio anche
io:
perché se avessi parlato, oh, sarebbero stati guai seri per
tutti.
Passarono
cinque, dieci minuti, e il loro fitto parlottare si interruppe.
«
Ehi, ti hanno tagliato la lingua? ».
Le
parole di Aurora mi colpirono come una doccia fredda. Sollevai
lentamente il capo, distogliendo lo sguardo dalle assi di legno del
pavimento. La vidi sussultare, probabilmente dovevo avere
un'espressione non proprio dolcissima.
«
Sto pensando a come ti farò fuori una volta che mi
sarò liberata da
queste funi. » mormorai, monocorde. Le mie parole erano un
sussurro
inquietante. « Non è difficile, sai? Credo che
riuscirò a
liberarmi da qui in sette punto cinque secondi, quindi sarai morta
prima di accorgertene. La dormita più lunga della
tua vita. ».
Filippo
fece un passo avanti, il volto macchiato da un ghigno irritato e
furioso che raramente avevo visto su di lui. Compariva solo quando
qualcuno osava toccare la sua adorata compagna.
«
Vedi di stare buona, razza di – »
iniziò, ma la mano delicata di
Aurora interruppe gli sproloqui verso di me.
«
Filippo, ti prego. » sibilò lei, la voce quasi
inesistente. Aveva
gli occhi lucidi. Che quella tortura le pesasse?
Cominciavo
a non capire. Avevo mille ipotesi nella testa, ma nessuna sembrava
quella giusta. Così decisi di seguire quella che mi indicava
il mio
istinto, consapevole del fatto che seguendolo mi sarei quasi
sicuramente cacciata nei guai. Succedeva sempre così, a non
ragionare.
«
Aurora. » mormorai, togliendomi quella fredda espressione dal
volto.
« Vuoi spiegarmi che succede? ».
Lei
tornò con lo sguardo su di me, quasi sorpresa da quel cambio
di
atteggiamento. Incredibile come poche parole fossero riuscite ad
allontanarci in qualche misero istante, rendendoci perfette
sconosciute l'una agli occhi dell'altra.
Il
silenzio ci avvolse, escludendo qualsiasi altra cosa. Persino
Filippo, che era rimasto fermo a fissare il nostro scambio di
sguardi, assecondò quel momento tra noi senza intromettersi.
La
vidi mentre inspirava a fondo attraverso il nasino piccolo e
perfetto: la pelle opalescente brillò alla luce che filtrava
debole
attraverso la finestra. Scosse la testa, e mi sembrò di
scorgere
l'ombra di un sorriso attraverso le labbra socchiuse. Filippo la
guardò, confuso.
«
Possiamo slegarla. Non ci farà del male. »
asserì, e questa volta
sorrise davvero. A quel punto fui io, a rimanere stupita.
«
Farvi...del male? » ripetei, confusa. Adesso non capivo
davvero.
Come potevo far loro del male?
Massaggiai
più volte i polsi arrossati. Quelle dannate funi mi avevano
distrutto le braccia. Rimasi a fissarli in piedi, a pochi metri dalla
parete su cui mi avevano legata come un trofeo. La confusione oramai
regnava sovrana nella mia testa, e non potevo far nulla per
schiarirmi le idee se non attendere che loro parlassero.
Fu
Aurora ad iniziare. « Mi dispiace, Red, ma non potevamo
rischiare
così tanto. ».
La
sua voce non era cambiata, e ora aveva ritrovato la dolcezza di un
tempo. La ricordavo esattamente così, quando il nostro mondo
non era
ancora distrutto e le cose erano diverse.
«
Rischiare cosa?
Come avrei potuto farvi del male? » ribattei, spalancando le
braccia. Mi sembrava così assurdo anche solo parlarne. Erano
loro,
nonostante tutto non era cambiato nulla.
Allora
cosa?
Cosa
li spingeva a comportarsi in quel modo nei miei confronti?
Aurora
soffocò una risata amara. « Dicono tutti
così. Che sono sempre gli
stessi, che non si sognerebbero mai di far del male. Che non
è
cambiato nulla. Ma poi allenti quelle corde, li liberi, e subito te
ne penti. Ti tradiscono, e tu ti senti una stupida per avergli
creduto. ». Le sue parole attraversarono le mie orecchie come
una
doccia gelata ed improvvisa, facendomi capire che non ero la prima
né
l'unica che si era addentrata nel loro bosco.
«
E' già successo? » azzardai, ma conoscevo
già la risposta. La
conoscevamo tutti. Aurora chinò il capo.
«
Il mondo delle Fiabe è cambiato, Red. » questa
volta fu Filippo a
parlare. « Bisogna guardarsi dai nemici, ma anche dagli
amici. Noi
ci siamo passati, ed ora abbiamo imparato a difenderci. Per questo
non ci siamo fidati di te: ti abbiamo vista nel bosco così,
all'improvviso, in un luogo molto lontano dal tuo regno e in preda ad
una crisi. Pensavamo fossi comandata da una forza oscura, che non
fossi più te stessa. ».
Il
mondo stava marcendo. Ci stavano facendo cose orribile, e quella
tortura era incredibilmente divertente per qualcuno che se ne stava
comodo a guardare, come di fronte ad un grande schermo.
Le
nostre sofferenze e il nostro dolore erano solo un passatempo.
«
Come l'hai capito? » mormorai, rivolgendomi direttamente ad
Aurora.
« Come hai capito che ero io? ».
Lei
sorrise, ed i suoi occhi mi trafissero. Erano talmente limpidi,
talmente sinceri, che nessuno avrebbe potuto pensare a lei in modo
negativo. Io stessa mi sorprendevo di averla vista come nemica, anche
se solo per un breve periodo.
«
L'ho visto. » rispose lei, con la voce incrinata
dall'emozione. «
Nei tuoi occhi. E nella tua voce. Eri tu. Non potevi che essere tu,
Red. ».
Quelle
parole piantarono un altro paletto nel mio cuore già
tramortito più
e più volte: troppe persone mi stavano dimostrando un
affetto che
mai avrei immaginato. Scoprivo legami forti giorno dopo giorno, ed
ogni volta me ne sorprendevo. Avevo come l'impressione di essere
intrappolata da quelle emozioni che rischiavano di distruggermi, per
poi lasciarmi in un lago di debolezze da cui non sarei più
riuscita
ad uscire.
Aurora
ed io eravamo amiche. Lo eravamo un tempo, e sentivo quel legame
persino in quel momento.
Rimasi
a guardarla, in silenzio. Non avevo bisogno di sapere altro.
In
quel momento lo scalpiccio di zoccoli interruppe i nostri discorsi
privi di parole. Aguzzai l'udito in direzione della porta, ma
sembrava provenire da più lontano.
Il
rumore di una corsa rapida, di zoccoli decisamente non umani.
Un...cavallo?
Riportai
lo sguardo su Filippo e Aurora, ma probabilmente doveva trattarsi di
qualcuno che conoscevano: erano tranquilli, certamente si aspettavano
quella visita.
«
Tranquilla. » sussurrò Aurora, rispondendo alle
mie silenziose
domande. « E' un nostro alleato. ».
Rimasi
a fissare la porta per minuti interi, tanto che alla fine mi
sembrò
quasi di non sentire più alcun suono. Poi, improvvisamente,
la porta
si aprì. Riconobbi subito i fluenti capelli neri e il passo
deciso.
Il
mio cuore mancò un battito, ma subito si riprese.
Rasserenato.
E
felice.
«
Mulan! ».
«
Questo tè è ottimo. »
commentò Mulan, sorseggiando il tè dalla
tazza di porcellana che Aurora aveva accuratamente conservato.
Emanava un odore davvero delizioso, in effetti. Ma in quel momento
ero troppo agitata per assaggiarlo. Osservavo Mulan e cercavo in lei
uno sguardo, qualcosa che potesse suggerirmi come diavolo fosse
arrivata lì.
«
E' un infuso di aghi di pino e miele. Sono una maestra, in questo.
»
rispose Aurora, e fui sorpresa di vederla scherzare di nuovo, per la
prima volta. Proprio come un tempo.
«
Scusatemi tanto. » sbottai alla fine, alzandomi in piedi.
« Perché
io sono stata legata come un tacchino, mentre lei sorseggia
tè al
pino come se niente fosse? ».
Aurora
ridacchiò, seguita dalla risata più composta di
Mulan. « Ho fatto
visita ad Aurora parecchio tempo fa, quando vagabondavo in cerca di
un posto dove stare. È stata la prima a darmi
ospitalità. ».
«
Ancora non conoscevamo le insidie che questo mondo poteva nascondere.
» aggiunse Aurora, alzando gli occhi al cielo. «
Fui un po' troppo
ingenua, a pensarci bene. Se Mulan fosse venuta con lo scopo di
rubarmi il Regno, probabilmente a quest'ora sarei morta. ».
«
Ma non è successo. » concluse lei, sorseggiando
altro tè. Si
voltarono verso di me, in attesa di una mia risposta. Feci spallucce
e tornai a sedermi.
«
Okay, mi sta bene. » mugugnai, strappando ad Aurora un altro
sorriso. In quel momento rientrò Filippo, che aveva portato
il
cavallo di Mulan nella stalla insieme al suo destriero, Sansone.
Avere un cavallo, soprattutto in un regno così grande,
poteva essere
di grande aiuto.
«
Mi dispiace essere piombata così all'improvviso. »
si scusò Mulan,
schiarendosi la voce. Doveva aver fatto un lungo viaggio. A cavallo
di certo non aveva seguito il mio stesso percorso via fiume tagliando
per il bosco di Pocahontas, perciò il suo doveva essere
stato un
viaggio lunghissimo via terra.
«
Com'è la situazione lì fuori? Come stanno gli
altri? » mi
affrettai a chiedere, mordendomi la lingua.
Gli
altri?
Da
quando in qua questa era la mia prima preoccupazione?
Mulan
posò la tazza sul tavolo. Sapeva a cosa mi stavo riferendo:
Peter.
Lui
e nessun altro.
Quando
ci eravamo separati, Peter era tornato indietro verso la locanda di
Biancaneve per cercare l'antidoto che avrebbe potuto salvare la vita
a Pennino. Da quel momento non avevo saputo altro.
«
E' stato difficile comunicare. Ho ricevuto un messaggio da parte di
Biancaneve ed Esmeralda qualche giorno fa. »
iniziò lei, cercando
di essere il più dettagliata possibile. « hanno
trovato l'antidoto,
e l'hanno consegnato a Peter. Quando mi ha scritto, lui era appena
partito. Non so se abbia funzionato, ma lo spero tanto. Sembrava
davvero la volta giusta, questa. ».
Annuii,
tra me e me. Sperai davvero con tutto il cuore di ricevere altre
notizie, presto. Molto presto.
«
Per quanto mi riguarda, » continuò lei, alzandosi
in piedi. « Ho
accompagnato Jim
ad
Est, ma di sua madre non c'era traccia. ».
Un
brivido freddo mi percorse interamente la schiena. Non sentivo quel
nome da molto, e attraverso le mie orecchie rimbombò dandomi
quasi
fastidio. Quelle sensazioni che provavo non erano giuste, dovevo
smetterla.
Eppure
sentire il suo nome riusciva a risvegliarmi. Oh, Jim. Non potevo
immaginarlo mentre si scontrava con l'ennesima sconfitta, per non
aver trovato sua madre. Io mi sentivo allo stesso modo.
Per
questo non volevo rivederlo nella mia mente.
«
A quel punto ci siamo separati. Io mi sono diretta a Nord, e lui
è
tornato ad Agrabah. Ho viaggiato a lungo prima di arrivare qui.
Speravo di trovarti. » concluse lei, stringendomi le mani.
Era la
prima volta che dimostrava un tale affetto nei miei confronti.
Il
suo calore mi faceva sentire diversa. Come se qualcuno, dopo tanto
tempo, tornasse a preoccuparsi di nuovo per me. Era una sensazione
strana, che mi rendeva felice ma allo stesso tempo riusciva a
mettermi a disagio.
Emozioni,
troppe. Non riuscivo a reggerle tutte. Me lo sentivo, sarei crollata
e presto.
Mulan
era davvero molto stanca per il lungo viaggio, così Aurora
le
concesse una delle stanze della casa per riposarsi. Offrì la
stessa
proposta anche a me, ma rifiutai. Dormire era l'ultima cosa di cui
avevo bisogno.
Così
uscii fuori e andai a sedermi oltre la porta di ingresso, dove un
muretto di pietra grigia delimitava il confine tra l'interno e il
verde prato all'esterno.
Rimasi
immobile a fissare il bosco di fronte a me: aveva un'aria tranquilla,
e non era cambiato molto da quello che ricordavo. L'unica differenza,
e forse era questo ciò che più tormentava Aurora,
era il silenzio.
Non
si sentivano più gli animali, e tutti quei suoni che
animavano il
bosco e che ad Aurora piacevano tanto. La natura era scomparsa e
l'aveva lasciata sola, in quella casa nel bosco, in compagnia del
solo silenzio.
Ripensai
alle maledizioni che ognuno di noi aveva con sé, le stesse
che ci
avevano tolto qualcosa, una parte della nostra vita. Sentivo di
essere vicina alla soluzione di quel mistero così fitto, ma
in quel
momento il limbo silenzioso che mi circondava non dava adito ad
altri pensieri.
C'ero
solo io, e nessun altro.
«
Ehi. » mormorò una voce alle mie spalle, e in
pochi istanti Aurora
tornò a sedersi accanto a me, rompendo quel silenzio
opprimente. «
Tutto bene? ».
Annuii,
poco convinta. Ovviamente lei non la bevve. « Mi dispiace per
prima.
».
Scossi
la testa. « Lo capisco. Nessuno può fidarsi
più di nessuno, in
questo schifo di mondo. ».
Esitai,
mordendomi il labbro. Era quello, il problema: il viaggio che stavo
compiendo aveva fatto nascere in me la fiducia nelle persone, e
questo aveva permesso di creare quei legami che tanto disprezzavo.
«
Non è poi del tutto vero. » commentò
lei, arricciando il nasino. «
E' questo, il problema, vero? ».
La
guardai, e mi sfuggì un sorrisetto divertito. Riusciva
sempre a
capire come la pensavo, maledizione.
«
E' che...durante il mio viaggio, ho ascoltato così tante
storie, e
incontrato tante persone...persone che credevo non avrei più
rivisto. E ora, io... » mi fermai, mordendomi nuovamente la
lingua.
Stupida, stupida Red.
«
Ti preoccupi per loro. » concluse Aurora al mio posto.
« E'
normale, Red. Sei umana. E non puoi evitare di stringere legami.
Tutti noi lo facciamo, soprattutto in questo momento così
delicato.
Ne
abbiamo bisogno.
E tu, Red, sei la prova che il tuo viaggio sta riunendo davvero i
nostri cuori. ».
«
Io..? » mormorai, scettica. « Non volevo soccombere
alle emozioni.
Volevo restarne fuori. ».
«
Ma è impossibile. » ribadì lei,
prendendomi la mano, le sue dita
erano sottili e delicate. « E' impossibile, Red. E non
c'è niente
di male. Davvero. ».
Esitai,
riflettendo sulle sue parole. Pensai a Belle, a Biancaneve, ad Alice.
Ad Aladdin e a Jasmine.
Ma
prima di tutto pensai ad un nome, e quel nome rimase nella mia mente.
Restituii
la stretta e chiusi gli occhi. Sentivo il calore di Aurora sulla mia
pelle, ed era una bella sensazione.
Il
pensiero di salvarli, di salvare tutti loro e riportare quel mondo
alle origini...mi dava forza.
«
Non sarà così per sempre. » sibilai,
con un nuovo vigore nella
voce. « Torneremo a stare bene. Tutti. Questo caos
finirà. Lo farò
finire. ».
Gli
occhi di Aurora mi sorridevano. « Eccoti qui. »
disse, come se mi
vedesse per la prima volta.
Restituii
quel sorriso, piena di coraggio. Perché da sola non sarei
riuscita a
trovare la forza, ma con loro – e il pensiero di salvarli
tutti –
sarebbe stato tutto più semplice.
Quel
meraviglioso silenzio fu interrotto da un rumore diverso, questa
volta. Non erano gli zoccoli di un cavallo, ne i passi di una
persona.
Era
un rumore metallico, uno scalpiccio artificiale. Ci alzammo entrambe
in piedi, questa volta in guardia.
La
figura scura di fronte a noi rallentò, mostrandosi sotto la
luce del
crepuscolo.
E
in quel momento smisi quasi di respirare. Sentii il fiato congelarsi
nei polmoni e rimanere lì, immobile.
«
Jim... » sussurrai, senza rendermene conto. Senza crederci.
Nb. Eccoci qui. Non potevo lasciare fuori la Bella Addormentata, che
è senza dubbio la mia favola preferita. Quando ero piccola
me la facevo raccontare ogni sera. Spero che la caratterizzazione dei
personaggi vi sia piaciuta, ho inserito anche il principe Filippo
perché non potevo, NON POTEVO separarli! Il titolo del
capitolo è "Spinning Wheel", che significa "Arcolaio", un
piccolo tributo al nuovo personaggio della storia.
Cercherò di pubblicare il prossimo capitolo il prima
possibile, vi avverto che sarà...piccante. Vi ho
incuriosite? Lasciate a casa i bambini! :-P
Un abbraccio,
L.
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Capitolo 14 *** Awakening. ***
thisfairitaleisradioactivenow
THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
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-
14.
Awakening.
Era
vivo. Ed era di fronte a me. La giacca di pelle era graffiata in
qualche punto, gli stivali sporchi di terra e i capelli scompigliati
sul viso. Ma l'avrei riconosciuto a chilometri di distanza.
Jim
Hawkins. Pazzo, imprevedibile Jim, a cui avevo detto inconsciamente
addio quando ci eravamo separati, ora era di fronte a me e non
riusciva a distogliere lo sguardo.
E
fu in quel momento che lasciai scorrere le emozioni, proprio come
aveva detto Aurora. Le lasciai fluire all'esterno, senza bloccarmi.
Avanzai di un passo, poi di un altro, ma l'emozione mi impediva di
correre.
Così
avanzai a tentoni fino a lui che, immobile, mi osservava con
un'intensità quasi impossibile da reggere.
Avanzai
ancora, in quel pochi metri che mi sembrarono chilometri. Respiravo a
fatica, cercando di non perdere neanche un dettaglio della sua figura
alla luce di quel sole aranciato, che lentamente si preparava a
lasciare il posto alla notte. Non mi importava di niente attorno.
Volevo solo raggiungerlo.
Eravamo
ad un passo di distanza. Immobili. Io non riuscivo a piangere. Sapevo
che non l'avrei fatto.
E
poi accadde.
Jim
aprì appena le braccia, ed io mi ci tuffai. Senza pensare,
affondai
il volto sul suo petto, e sentii le braccia di lui sorreggermi e poi
circondarmi. La sua stretta era così salda che, anche se
fossi
caduta, ero sicura che mi avrebbe sostenuta.
Non
sapevo perché si trovasse lì, o perché
– forse – mi avesse
raggiunta.
Ma
in quel momento non mi importava.
La
notte si preparava ad essere fredda. Filippo andò a
rifornire la
stalla, la chiuse per bene e diede da mangiare ai cavalli. Aurora
preparò zuppa in abbondanza in modo da rifocillarci.
C'erano
stanze a sufficienza per tutti, e dopo aver cenato ognuno di noi si
coricò nella propria: Filippo e Aurora al piano di sopra, in
quella
più grande, Mulan nella stanza più piccola. Jim
si offrì di
dormire sul divano, mentre a me fu data la piccola depandance
dietro la casa, collegata ad essa tramite una piccola porticina di
legno intagliata a mano.
Aurora
si congedò dopo avermi mostrato la stanza: il letto
matrimoniale
poggiava su un grande tappeto blu ed ecrù, affiancato da due
pesanti
comodini in legno. Diedi una rapida occhiata allo specchio e
all'armadio, poi alla finestra e alle tende bianche. Andai a sedermi
sul letto, alla luce della candela appena accesa, senza sapere cosa
fare.
Dormire
era fuori luogo, non ci sarei riuscita comunque. Così
iniziai a
contare le assi di legno che componevano il pavimento, ma lasciai
perdere dopo la decima. Mi tolsi la mantella e gli stivali, poi il
corpetto metallico e tutto l'armamentario. Aurora mi aveva lasciato
una camicia da notte in tessuto leggero color panna, visto che le
coperte sul letto erano così pesanti da far sudare al solo
pensiero.
Finii
di spogliarmi e la indossai: era morbida e delicata. Era tempo che
non indossavo un indumento del genere. Mi spazzolai i capelli e
sprimacciai il cuscino di piume morbide. Mi infilai sotto le coperte
e provai a stendermi, ma i pensieri presero subito il sopravvento.
Spostai il cuscino e mi misi a sedere, sbuffando.
Sentii
un rumore di passi avvicinarsi alla porta. Il cuore mi batteva
talmente forte che avevo paura si sentisse anche da fuori. La porta
cigolò appena, e Jim apparve alla luce fioca della candela:
aveva
indosso solo i pantaloni e la camicia leggera.
«
Non hai freddo? » mugugnai, pentendomi subito dopo della
domanda. Ma
che razza di idiota ero?
Lui
sorrise dolcemente, scuotendo la testa. « Ero abituato alla
neve. ».
Non
avevamo parlato da quando l'avevo visto arrivare. Dal nostro
abbraccio. Non c'era stato bisogno di dire nulla, eppure adesso
sentivo un grande desiderio: quello di raccontargli tutto.
Quello
che avevo passato e che avevo visto. E chiedere di lui, del suo
viaggio, del perché fosse tornato.
Ma
ero come bloccata, intirizzita da un freddo che sentivo solo dentro.
Trattenevo il respiro, come in una lunga apnea. E alla fine espirai,
ponendogli un'unica domanda.
«
Perché sei qui? » glielo chiesi come una
liberazione, lasciando
fluire quelle poche parole di getto, senza filtri. Avevo bisogno di
saperlo. Rimasi ad osservarlo mentre chinava la testa, gli occhi
fissi sulle lunghe assi di legno invecchiato che ci dividevano.
Sollevò lentamente lo sguardo, scuotendo la testa.
«
Non lo so. ».
Mi
ero preparata ad un lungo discorso, o a delle scuse anche banali. Ma
quella risposta di certo mi lasciava interdetta. Avevo bisogno di
sapere, conoscere almeno mezza verità. Ultimamente ero
all'oscuro di
molte, forse troppe cose. Avevo bisogno di sicurezze, di qualcosa di
certo.
Il
cuore mi stava scoppiando nel petto, e faceva decisamente
più caldo
adesso. Osservai il fisico allenato di Jim, lo cercai sotto gli abiti
più leggeri. I muscoli delle braccia trasparivano attraverso
la
camicia in tessuto.
Avanzò
di un passo, poi un altro, e alla fine si fermo. Mi fissava senza mai
abbassare lo sguardo, con tanta intensità che alla fine fui
costretta a distogliere lo sguardo. Mi ricordò il nostro
primo
incontro ad Agrabah.
E
quel bacio nella baita, che tentavo invano di dimenticare.
Perché,
poi?
In
effetti dovevo fare uno sforzo non indifferente per ricordare quel
momento, ma non perché lo avessi rimosso. Anzi, il solo
pensarci mi
mozzava il fiato. Ma cercavo di contenerlo, come facevo sempre con
ogni tipo di sensazione. Rischiavo di perdere il controllo di me
stessa, e non poter più recuperare la mia
integrità.
Ma
piccoli stralci di memoria riuscivano ancora a sfuggire da quella
gabbia d'acciaio che vi avevo costruito intorno. Lo ricordavo come un
bacio passionale, inaspettato e talmente rapido da farmi perdere il
controllo.
Jim
mi guardava allo stesso modo in quel momento, ma nei suoi occhi non
c'era la paura che avevo intravisto quella volta, quando pensavamo di
morire entrambi per mano del lupo.
Adesso
eravamo lì, da soli ma insieme, in un piccolo angolo di
mondo
momentaneamente in pace.
Sentii
uno strano calore divampare in tutto il corpo e raggiungere le
guance. Dio, stavo arrossendo. Mi sarei data della stupida
più e più
volte se non fossi stata impegnata a pensare alla sottilissima
camicia che Aurora mi aveva dato per la notte.
Sottilissima
e trasparente. Decisamente troppo.
Sollevai
con un gesto automatico il lenzuolo per coprirmi, e Jim si
lasciò
sfuggire un sorriso attraverso l'espressione seria e concentrata.
Vederlo sorridere mi rasserenava. Era come una conferma, un segno che
stava bene.
«
Smettila. » mi ammonì, con voce ferma e
tremendamente sensuale.
Deglutii a fatica.
Sensuale?
Avevo
davvero pensato a lui in quel modo?
La
mia mente improvvisamente si illuminò, rischiarandosi del
tutto. Era
diventata una tavola bianca, e tutto si faceva via via più
chiaro.
La sua voce, il suo corpo, i suoi occhi. C'era sempre una parte di me
che li ricordava, anche nel periodo in cui ci eravamo allontanati. La
distanza tra noi non aveva neppure scalfito quei ricordi, ricolmi di
gioia e, adesso, di desiderio.
Si,
perché quel bacio non era stato un caso: nonostante non me
lo
aspettassi, non mi ero ritratta. Non lo avevo respinto
perché era
ciò che volevo. E anche ora, mentre Jim si avvicinava a me,
non
volevo lasciarlo andare via da quella stanza.
Piegai
appena le gambe e lasciai cadere il lenzuolo, finendo ginocchioni sul
letto, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Non mi importava.
Quella notte eravamo soli, lui ed io.
Tutto
il resto avrebbe smesso di esistere, anche se per poco tempo.
Sentivo
gli occhi inumidirsi pian piano, ma sapevo che non avrei dato spazio
alle lacrime di marchiare il mio volto. Non lo avrei permesso in un
momento come quello.
Jim
rimase in piedi affianco al letto, a pochi centimetri da me. Sentivo
il suo respiro accelerato. Posai una mano sul suo petto e percepii i
battiti rapidi del suo cuore.
«
Perché sei qui? » ripetei, consapevole di aver
già avuto la mia
risposta. Ma adesso le cose erano cambiate.
Eravamo
più vicini, quasi a contatto, e sapevo che la sua risposta
sarebbe
stata diversa.
Lasciò
scivolare le mani grandi e forti sui miei capelli, fino a circondarmi
in viso. Mi sollevai appena sulle gambe e lasciai che si avvicinasse
a me. Quando percepii il calore delle sue labbra, mi sembrò
quasi di
essere tornata a casa. Come se fossimo stati lontani per troppo
tempo, in un luogo oltre lo spazio.
Era
una sensazione familiare, ma allo stesso tempo diversa:
perché
questa volta volevo quel bacio, lo aspettavo con impazienza, lo
bramavo con il cuore. E mi resi conto che ogni centimetro del mio
corpo desiderava Jim come mai prima.
Non
sapevo che nome dare a quella sensazione, né al sentimento
che
provavo nei suoi confronti. Ma per una volta decisi di non pensare
razionalmente, e fare fede al solo istinto che diceva ancora.
Sentivo
le sue dita sulla mia pelle, intrecciate tra i miei capelli. Poi
sulle spalle, e sul corpo. Di nuovo sui capelli, sempre più
vicine.
Mi mancò il respiro, così rallentai. Le mie
labbra presero le
distanze di appena qualche centimetro. E lui, oh, lui era
così
maledettamente vicino.
Aprì
gli occhi, quei grandi specchi cristallini ricolmi di desiderio.
«
Per te. » sussurrò, e il suo fiato caldo
riempì i miei polmoni,
rispondendo a quella domanda lasciata a mezz'aria. Dio, come lo
volevo.
Non
volevo davvero altro in quel momento.
«
Bugiardo. » sibilai, e lo vidi sorridere ancora.
Affondò entrambe
le mani tra i miei capelli, e di nuovo mi baciò. Le nostre
labbra si
cercavano disperatamente, pochi istanti di lontananza ed eccole
ancora lì a cercarsi ancora e ancora.
Lo
trascinai lentamente verso di me, portandolo sul letto. Sentivo le
sue gambe sfregare contro le lenzuola.
Cosa
stavo facendo?
E
perché mi sembrava tutto così maledettamente
sbagliato?
Forse
stavamo sbagliando. Ma non avevo intenzione di fermarmi.
Continuai
a baciarlo sulle labbra, sulle palpebre e sul viso. Scesi sul collo,
poi mi fermai. Il cuore batteva sempre più forte, ed io mi
resi
conto che non sapevo davvero cosa fare. Guardai Jim con
l'espressione smarrita, e lui mi sorrise. Quel sorriso mi diede tutta
la forza di cui avevo bisogno.
Mi
lasciai cadere sul letto, tra le sue braccia, e lo osservai mentre si
sfilava la camicia e i pantaloni lentamente, senza alcuna fretta. I
muscoli erano ben delineati sul petto e sulle braccia, il fisico
allenato e ben proporzionato. Mi tirai su e lo baciai ancora, come
attratta da un'invisibile calamita che mi impediva di rimanere
lontana da lui per più di qualche minuto.
Mi
sfiorò le spalle con le mani forti, scendendo lungo le
braccia, e a
quel punto sollevò il delicato tessuto della camicia da
notte
candida, lasciandolo scivolare verso l'alto. Quando mi resi conto di
essere completamente nuda di fronte a lui, il rossore sulle mie
guance si fece più evidente, così tanto che era
inutile provare a
nasconderlo. Jim mi sfiorò una guancia e si
lasciò sfuggire un
sorrisetto divertito, probabilmente a causa del mio imbarazzo.
Eppure, nonostante la mia evidente fragilità in quel
momento, non
avevo paura.
E
non ero nemmeno infastidita, perché per la prima volta
sapevo di
potermi fidare: quelle guance rosse, la fragilità che gli
stavo
mostrando facevano parte di un segreto che era solo nostro.
Nessun
altro, all'infuori di quella stanza, l'avrebbe mai saputo.
Le
labbra di Jim mi scivolarono sul collo, poi più
giù fino all'incavo
dei seni. Un lungo brivido mi attraversò la schiena. Mi
bloccai,
respirando piano, e lasciando che i suoi baci colmassero con il loro
calore il vuoto che quei brividi avevano provocato.
Anche
lui si fermò, oramai sopra di me. Sentivo la sua presenza
ovunque
sul mio corpo, oramai accaldato e pronto. Non ero mai stata
così
pronta come in quel momento.
I
suoi capelli mi sfiorarono il viso, facendomi il solletico. Le
lenzuola mi coprivano appena le gambe, lasciando il resto scoperto.
«
Dio, come sei bella. ».
Lasciai
che quelle parole rimanessero sospese nell'aria, come per farle
durare più a lungo. Davvero?
Davvero
l'aveva detto?
Lui?
Ovviamente
non risposi. Non c'era nulla da aggiungere ad una frase come quella.
Lui si avvicinò di nuovo e ci baciammo ancora, e quei baci
riempirono l'aria e si diffusero lungo le pareti.
Sentii
le sue mani percorrere il mio corpo nella sua interezza, spalle,
braccia, fianchi e gambe. Ed una volta arrivate lì fermarsi,
e
stringere appena la presa. Cercai di ricordarmi sempre di respirare,
anche se in quel momento era facile dimenticarlo. Il calore che mi
pervadeva si concentrò sulle gambe appena piegate, e
sostenute dalla
sua presa forte. Le mie ginocchia si scontravano appena con il suo
corpo, senza alcuna forzatura. Chiusi gli occhi, inspirando
profondamente, e quando li riaprii vidi solo il legno grezzo del
soffitto. Il volto di Jim era affianco al mio, le sue labbra posate
sul mio orecchio.
«
Tutto bene? » mormorò, e quel sospiro accese un
nuovo fuoco dentro
di me. Annuii. Jim sollevò il capo, lo sguardo intenso su di
me.
Probabilmente voleva assicurarsi che avessi detto il vero.
E
quando incrociai il suo sguardo capii che non avevo mentito. Non
avevo paura, e stavo bene.
Andava
tutto bene.
Ed
io lo volevo. In quel momento, con tutta me stessa. Per tutta la
notte.
E
per la prima volta gli sorrisi. Un sorriso flebile, leggermente
contratto dall'emozione.
Ma
un sorriso. E lui rispose, sollevato dalla mia reazione, baciandomi
ancora.
Chiusi
gli occhi, assaporando quel momento e i piccoli gesti che lui mi
concedeva. Il suo corpo a contatto con il mio, le mani forti che
afferravano le mie gambe, il suo respiro veloce sul collo.
Le
mie mani lo cercavano, sfioravano ogni parte di lui. Delicatamente,
con dolcezza. Poi, quando il calore che mi pervadeva iniziò
a
concentrarsi tra le mie gambe, le mie unghie solcarono la sua schiena
con forza.
Per
aggrapparsi a lui, sorreggersi quando iniziò ad esplorare
realmente
il mio corpo. Era una strana sensazione, un dolore che era anche
piacere. L'esplosione dentro di me non accennava ad arrestarsi, era
un'energia continua che si rinnovava.
Un
flebile gemito mi sfuggì quando lo sentii più
forte dentro di me.
Goccioline di sudore gli imperlavano il viso assieme ai capelli
scompigliati, che gli davano un'aria sensuale e al tempo stesso
selvaggia.
Lo
sentivo vicinissimo a me, e in un istante diventammo una cosa sola,
raggiungendo il culmine del piacere.
Recuperai
il respiro perduto in silenzio, immobile sotto al suo corpo caldo.
Jim abbandonò la testa nell'incavo del mio collo, respirando
insieme
a me. A poco a poco ci calmammo, ma nonostante tutto non avevo
intenzione di separarmi da lui.
«
Red... » sospirò lui sul mio collo, facendomi
rabbrividire. Non
riuscii a capire se mi stesse chiamando, o se stesse semplicemente
dicendo il mio nome, come a voler dire qualcosa in merito a
ciò che
era appena accaduto.
Lasciò
il mio nome sospeso nell'aria statica della stanza. Chiusi gli occhi
e mi rilassai, riscaldandomi con il calore del suo corpo, e senza
accorgermene caddi in un sonno profondo e sereno.
La
luce del mattino trapelava appena attraverso le tende color panna,
riscaldando la stanza con una luce tiepida e confortevole. Quando
aprii gli occhi mi sentii leggermente stordita, e con il corpo quasi
indolenzito.
Mi
stiracchiai sotto le coperte, rendendomi conto che quella sensazione
non aveva nulla di spiacevole. Era l'accenno di una stanchezza
piacevole, che riportò alla memoria un ricordo ancora
migliore.
Arrossii
al solo pensiero, scoprendomi imbarazzata di fronte al mio corpo nudo
sotto le pesanti coperte.
Poi
mi voltai, e lo vidi: Jim dormiva ancora sotto le coperte, a petto
nudo. Aveva addosso i pantaloni e dormiva su un fianco, verso di me.
Proprio come nella grotta. Il viso era rilassato, i capelli a ciocche
disordinate scendevano sugli occhi e sul naso. Aveva un'aria
estremamente serena.
Mi
avvicinai appena e rimasi ad osservarlo per qualche istante. Vederlo
dormire così beatamente rilassava anche me. Così
mi avvicinai un
po' a lui e mi accoccolai nuovamente sotto le coperte,. Doveva essere
molto presto, qualche altro minuto di sonno non mi avrebbe fatto
male. Chiusi gli occhi e rimasi a contemplare il silenzio in quel
letto che aveva visto così tanto quella notte.
In
quel momento un fruscio debole accanto a me riuscì ad
incuriosirmi,
costringendomi ad aprire gli occhi.
Jim
si era svegliato, ed i suoi occhi assonnati mi squadravano
intensamente.
«
Buongiorno. » azzardai, senza avvicinarmi. Lui
esitò per qualche
istante, poi mi sorrise. Allungò una mano verso il mio viso
e mi
sfiorò la guancia, in silenzio. Chiusi gli occhi e assaporai
il suo
tocco.
«
Come ti senti? » mormorò, stiracchiandosi proprio
come avevo fatto
io. Sollevai gli occhi al cielo, meditabonda. Quelle domande mi
mettevano sempre a disagio, costringendomi a pensare alla nostra
notte.
«
Molto bene. » sussurrai, sincera, a voce bassa. Jim sorrise
ancora.
«
Dobbiamo alzarci. » mugugnò lui, ma più
che una constatazione
sembrava una domanda. Ridacchiai.
«
A quanto pare. » risposi, stirando le braccia. Mi misi a
sedere,
coprendomi con il lenzuolo. Alla luce del giorno anche le mie
inibizioni erano tornate al loro vecchio splendore. Mi schiarii la
voce.
«
Ho saputo di tua madre da Mulan. Mi dispiace. » mormorai,
rompendo
nuovamente il silenzio. Non riuscivo a guardarlo, ma sapevo che anche
il suo sguardo era perso da qualche parte nella stanza. Dopo qualche
istante mi voltai verso di lui, che contemplava il soffitto con le
mani intrecciate dietro la testa.
«
Credevo fosse la volta buona. » rispose lui, senza
distogliere lo
sguardo. « Ma a quanto pare non era destino. Sono tornato ad
Agrabah
subito dopo. Jasmine e Aladdin erano ansiosi di sapere di te.
».
Il
loro ricordo fu come un dolce boccone sul palato: sentii
improvvisamente l'aroma di spezie e il vociare confuso del mercato di
Agrabah, e la luce soffusa nel rifugio dei ribelli. Poi pensai che
era lì che Jim ed io ci eravamo incontrati per la prima
volta, e la
mia mente si perse a ricordare ogni minimo particolare.
Jasmine
ed Aladdin mi mancavano. Erano le persone per cui temevo di
più,
vista la situazione burrascosa nel loro regno. Ogni giorno c'erano
battaglie e scontri fra ribelli che minacciavano le loro vite.
«
Stanno combattendo valorosamente, e al momento non possono muoversi
dal loro regno. La situazione è molto delicata. »
proseguì lui, ed
io annuii comprensiva. « Me ne sono andato sfruttando uno dei
pochi
momenti di pace. ».
Le
sue spiegazioni concise non mi bastavano. Mi voltai verso di lui,
arricciando il naso. Lui sorrise, probabilmente aveva capito dalla
mia espressione di non avermi accontentata.
«
Non basta? »
«
E' che... » inspirai a fondo, abbandonandomi sul cuscino di
morbide
piume. « Sto cercando di capire...cosa è successo
stanotte. ».
Ecco.
L'avevo detto. Una bella doccia fredda così, all'improvviso.
Ma
non potevo tenermelo dentro.
Non
era una domanda banale, questo lo sapevamo entrambi. Ma non mi era
mai capitata una cosa simile, e sinceramente al momento la mia mente
era un fitto nodo di confusione. Perciò me lo meritavo.
Ah,
fanculo.
«
Okay, cancella tutto. Lascia perdere... » iniziai, mettendomi
nuovamente seduta. Cercai la mi camicia da notte, ma non la trovai
attorno a me. E dire che fino a poco fa Jim la stringeva tra le mani.
Ma dove diavolo era?
«
Red – »
«
No, davvero. Lascia stare, ho solo bisogno di – »
«
Red. » ripeté lui, e in pochi istanti mi ritrovai
di nuovo stesa
sul letto, circondata dal suo braccio che cercava di impedirmi
qualsiasi mossa. Era chiaro che sarei riuscita a divincolarmi in tre
secondi netti, ma lo lasciai fare. A quanto pare stava cercando di
dirmi qualcosa, e la mia parlantina irritante glielo stava impedendo.
Quel
contatto mi riportò alla mente i ricordi della notte che
avevamo
passato insieme: quei baci strappati l'uno all'altra, il desiderio
che ci aveva consumati, il piacere che ci divorava...
Avvampai,
cercando al contempo di rimuovere quei ricordi per darmi una calmata.
Impossibile.
Jim
era nuovamente sopra di me, il che mi impediva di muovermi. Il suo
corpo riusciva a scaldarmi, e in pochi istanti mi calmai. In
silenzio, aspettai che fosse lui a parlare.
«
Sei felice? » mi chiese, sfruttando il silenzio.
«
Eh? ».
«
Sei felice, ora? In questo momento? Rispondi. » mi
esortò lui,
scostandomi una ciocca di capelli finita per sbaglio sul mio viso.
Continuò a passare le dita tra i miei capelli con movimenti
costanti, come se sapesse esattamente cosa fare. Come se lo facesse
da una vita.
Chiusi
gli occhi, e svuotai la mente. « Si. » sussurrai,
con estrema
sincerità. Lo ero davvero. Non pensavo al mio viaggio, al
lupo, alla
battaglia a cui stavamo per andare incontro.
In
quel momento, tra quelle lenzuola, non avevo bisogno di altro. E
sapevo che nessuno di noi avrebbe dato una risposta alla mia domanda:
quello che era accaduto quella notte era semplicemente accaduto,
senza una spiegazione né una risposta. Era successo, e con
la nostra
piena consapevolezza. Usciti da lì avremmo avuto altre
priorità, ma
quel momento ci aveva resi felici entrambi. Non era il momento di
parlare delle implicazioni legate a ciò che era accaduto.
Non ve ne
era il tempo.
Mi
era difficile pensarla in quel modo: non dare una spiegazione
razionale, per me, era come lasciare una questione irrisolta, a
metà.
Ma per quel che mi riguardava, in quel momento non volevo essere
razionale.
Accennai
un sorriso, e lui fece lo stesso. Si avvicinò a me,
sfiorandomi una
guancia con le dita, e mi baciò delicatamente sulle labbra.
Rimanemmo
in silenzio per qualche istante. Poi, lentamente, Jim si
alzò e si
rivestì. Io feci lo stesso, indossando anche il corpetto
metallico e
i pesanti stivali. Inspirai a fondo, ed indossai anche la mantella
rossa, lasciando cadere il cappuccio sulla schiena. Ravvivai i
capelli con le mani e sistemai il letto.
Varcammo
la soglia della stanza insieme, e lentamente raggiungemmo la stanza
principale. Si sentiva lontanamente un rumore di stoviglie, segno che
qualcuno era già in piedi.
Jim,
nel corridoio buio, mi tenne la mano per tutto il tempo.
Poi,
non appena uscimmo alla luce della stanza, ci allontanammo appena, e
le nostre mani si separarono.
Nb. Questo è uno dei miei capitoli preferiti, anche se ci ho
lavorato molto a lungo dato che non ero mai contenta: correggevo,
modificavo, e avevo paura di non esserne mai soddisfatta. Eppure eccoci
qui, personalmente sono consapevole di quanto sia difficile descrivere
una scena "piccante" come questa senza scadere nel banale o peggio nel
volgare, perciò spero di aver fatto un buon lavoro, e che vi
sia piaciuto. Il titolo non fa riferimento a nessuna fiaba
questa volta, bensì a una canzone che mi piace tantissimo,
ovvero "Awakening" di Mae. Vi consiglio di ascoltarla, non ve ne
pentirete! :-)
Un abbraccio,
L.
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Capitolo 15 *** Fire and Ice. ***
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15.
Fire and Ice.
Incontrai
subito lo sguardo di Aurora: stava sistemando delle tazze sul tavolo
di legno, insieme ad una teiera fumante. Sul tavolo c'erano dei
biscotti dall'aria molto invitante, una pagnotta scura ai cereali e
della marmellata. Aurora mi sorrise.
«
Buongiorno. » dissi io, senza sapere dove guardare. Mulan,
seduta su
una delle sedie attorno al tavolo, si voltò e mi concesse un
sorriso.
«
Buongiorno, ragazzi. » esordì Aurora, versando
l'acqua fumante in
due tazze. « La colazione è pronta. ».
Andai
a sedermi su una delle sedie libere, mentre Aurora tagliava due fette
di pane e me le metteva accanto.
«
Mangia. » mi disse poi, imperativa. Era sempre stata molto
materna
nei miei confronti, forse perché più grande di
me. Presi una fetta
di pane e vi spalmai sopra un po' di marmellata. Doveva essere di
more.
Addentai
il pane, masticai a lungo e mandai giù. Era una delle
pietanze più
buone che avessi assaggiato negli ultimi tempi.
«
E' buonissimo. » commentai, addentando nuovamente il pane.
Aurora
sorrise, gongolante.
«
E' fatto in casa, ovvio che è buono. » rispose,
strizzandomi
l'occhio. Mandai giù un po' di tè agli aghi di
pino, annuendo per
nulla sorpresa. Anche prima dell'Apocalisse, Aurora preparava
praticamente tutto in casa: pane, dolci, marmellate e tutto
ciò di
cui avevano bisogno per vivere. Certo, forse adesso era più
difficile trovare gli ingredienti, ma a quanto pare se la stavano
cavando bene.
Jim
terminò di bere il suo tè e addentò
una fetta di pane con il
burro. « Dov'è Filippo? » chiese poi,
guardandosi intorno.
«
E' sul retro, a tagliare la legna per il camino. » rispose
Aurora,
indicandogli la porta.
«
Vado a dargli una mano. ». Jim lasciò la tazza sul
tavolo e si tirò
su le maniche, dirigendosi verso la porta sul retro. La chiuse alle
sue spalle e sentii i suoi passi in lontananza.
Finii
le due fette di pane e continuai a sorseggiare il mio tè,
sperando
che nessuno si chiedesse perché eravamo arrivati
lì insieme quella
mattina. Così, per non correre rischi, decisi di parlare per
prima.
«
Che altre notizie ci sono, Mulan? » le chiesi, sperando che
lei
fosse riuscita a mettersi in contatto con qualcuno. Ultimamente era
sempre più difficile comunicare, e ce ne rendevamo conto
tutti.
Lei
sospiro. « Non molte. Il Bianconiglio è tornato
nel Paese delle
Meraviglie. Biancaneve voleva seguirlo, ma lui l'ha convinta a
rimanere alla locanda. E' un punto di incontro molto importante, lei
ed Esmeralda stanno facendo un ottimo lavoro. Del resto non so altro,
purtroppo. ».
Lanciai
un'occhiata ad Aurora, che ascoltava la conversazione con viva
preoccupazione. Così iniziai a raccontare del mio viaggio,
del mio
incontro con Pocahontas e di ciò che mi aveva detto riguardo
l'Originale. Raccontai che non avrebbe potuto aiutarci, intrappolata
com'era nel suo mondo, ma che mi aveva aiutata a capirci di
più
riguardo questa storia. Esitai sul resto, e soprattutto sulla voce
del lupo che avevo sentito nella mia testa prima di incontrare
Aurora. Avevo paura che avrei messo in pericolo tutti loro,
raccontandolo.
«
Una cosa però è chiara. » conclusi,
ferma nelle mie convinzioni. «
E' me che cerca. Il Lupo mi sta cercando e non smetterà di
farlo
finché non farò ciò che dice.
».
«
C'è una cosa che non capisco. » mi interruppe
Mulan, pensierosa. «
Perché non viene a prenderti? Insomma, l'abbiamo visto
tutti.
Potrebbe scontrarsi con te in ogni momento, come ha fatto nel bosco.
Se è vero che ti vuole, non capisco perché si
tiene nascosto. ».
Era
una questione interessante. Visto l'effetto che aveva su di me, oltre
che la sua stazza, avrebbe potuto fronteggiarmi in qualsiasi momento.
E a quel punto pensai alle parole che avevo sentito nella mia testa,
cercando di far scattare la scintilla.
“Se
non vuoi che faccia del male alla tua cara nonnina, torna indietro
nel tuo bosco e non le torcerò un capello. Arrenditi,
vattene. E
vedrai che la riavrai indietro in meno di un attimo.”.
Quelle
parole erano impresse in modo indelebile nella mia mente. Le avrei
ricordate ovunque. Non sapevo se il lupo tenesse davvero mia nonna
prigioniera, ma non potevo rischiare che le facesse del male.
Eppure...
«
Torna...indietro? » ripetei, pensierosa. Le altre mi
guardarono, e
subito mi morsi la lingua. Avevo parlato di nuovo ad alta voce,
maledizione.
«
Red? » mi esortò Mulan, senza distogliere lo
sguardo da me.
Sospirai. E così, oramai alle strette, decisi di raccontare
ciò che
avevo sentito prima dell'incontro con Aurora e Filippo, sotto i loro
occhi stupiti.
«
Ma è incredibile...incredibile! » continuava a
dire Mulan. Era la
prima volta che la vedevo così poco composta. «
Questa è la prova
che siete davvero legati. Voi comunicate.
E forse anche tu puoi entrare nella sua testa, se lo volessi.
».
«
Vuole che torni indietro. Che mi arrenda. » mormorai,
scuotendo la
testa.
«
Forse ha paura. » ipotizzò Aurora, sedendosi
accanto a noi. «
Insomma, so che è poco probabile...ma è l'unica
spiegazione che
riesco a dargli. ».
«
E noi non ci arrenderemo. » ribatté Mulan, decisa.
La fulminai con
lo sguardo.
«
Non posso rischiare di perdere mia nonna. Se davvero la tiene
prigioniera, potrebbe ucciderla. » risposi di getto,
alzandomi in
piedi. Ero in preda alla confusione.
«
Cosa? » sibilò Mulan, alzandosi in piedi. Gli
occhi erano due
fessure iniettate improvvisamente di uno strano astio, che non avevo
mai visto nei miei confronti.
«
Vuoi che la lasci morire? » ribattei, irritata.
«
E vuoi mandare al diavolo tutto quello che abbiamo costruito fino ad
ora per un tuo dubbio? Sul serio? » sputò Mulan,
furiosa.
«
Io non...non posso rischiare di – »
«
E' il nostro mondo, Red! Vorresti abbandonare tutto, arrenderti,
per questo? A cosa è servito, allora?! ». Mulan
stava gridando. Nei
suoi occhi vedevo la rabbia e l'odio per tutta la distruzione e il
caos. E tra tutto questo c'ero anche io, che non riuscivo a capire la
sua reazione. O meglio, la comprendevo fino ad un certo punto. Non
avevo ancora deciso cosa fare, e lei stava reagendo quando ancora non
avevo preso una decisione.
«
Io non ho deciso, ancora. » ribattei, cercando di mantenere
la
calma.
«
Tu? » ripeté lei, alzando le braccia al cielo.
« E' di te che si
tratta allora? Non hai capito ancora che stiamo combattendo tutti per
un unico scopo?! Non sei da sola, maledetta egoista! ».
Colpì
con forza il tavolo con entrambe le mani, scaricando la rabbia sul
legno invecchiato, e lasciandoci nel silenzio più totale. Si
tirò
su dopo qualche istante ,e con foga lasciò la stanza.
Uscì dalla
porta principale, dirigendosi verso la stalla.
Rimasi
immobile per qualche minuto, sconvolta dalle sue parole. Egoista.
Quella
parola feriva più di mille lame.
«
Red... » iniziò Aurora, ma mi alzai prima che
finisse di parlare.
«
Scusa. » dissi semplicemente, lasciando la stanza. Presi le
mie
cose,attraversai la grande porta d'entrata, già lasciata
aperta da
Mulan, e mi diressi nel fitto del bosco. Volevo allontanarmi da
quella casa per un po'.
Seguii
il percorso del ruscello per qualche metro, fino a che non trovai un
albero frondoso sotto cui ripararmi dal pallido sole della mattina.
Mi sciacquai il viso. L'acqua era fresca e limpida, decisamente
rivitalizzante.
Mi
schiarì le idee. Forse avevamo sbagliato entrambe, ma su una
cosa
Mulan aveva ragione: avevo nuovamente pensato a me stessa, quando
c'erano tantissime persone che stavano collaborando nell'ombra per
aiutarmi in quel viaggio che sembrava fosse stato fatto per me.
Ma
non ero un'egoista: era chiaro che volessi il bene del Regno, ma
forse Mulan ed io eravamo diverse sotto questo punto di vista. Lei
avrebbe dato la vita per la patria, mentre io vacillavo solo al
pensiero di perdere mia nonna sotto le grinfie del lupo.
Lasciai
sbollire la rabbia, e una volta ripresa l'usuale calma mi alzai in
piedi e mi preparai a tornare verso casa. Rimasi in attesa di un
suono, anche minimo, da parte del bosco.
Niente.
La
mancanza degli animali doveva pesare molto ad Aurora. Forse non le
avevo concesso il tempo necessario per sfogarsi, o forse lei non
voleva farlo. Sapevo solo che quella situazione andava risolta.
E
in quel momento un suono riuscii a sentirlo. Un rumore di passi.
Mi
voltai. Mulan mi osservava in silenzio, a pochi metri di distanza. La
sua espressione tradiva il dispiacere per quella lite ingiusta.
«
Mi dispiace. » dissi per prima. Ero sempre restia a scusarmi
a causa
del mio stupido orgoglio, ma quella volta volevo essere la prima. Ci
tenevo, perché quel litigio era davvero privo di senso.
«
Anche a me. » rispose lei, avvicinandosi. « Non
volevo dirti quelle
cose. Non penso affatto che tu sia un'egoista. ». Mi prese le
mani,
e le strinse delicatamente tra le sue.
«
Lo so. E io...cercherò di capirci qualcosa. E non vi
abbandonerò.
Lo prometto. ».
Ci
abbracciammo in silenzio, solo per un istante. Poi, come se nulla
fosse accaduto, ritornammo sui nostri passi verso la casa di Aurora,
entrambe di nuovo composte e poco inclini a quel genere di
sentimentalismo.
Per
questo Mulan mi piaceva tanto. Era così simile a me che
trovavo
persino sensato il litigio appena risolto: due caratteri
così simili
dovevano scontrarsi, in un modo o nell'altro.
«
Così, tu e Jim..? » iniziò lei, e in
quel momento capii che tanto
composta non era neppure lei, quando si trattava di quei discorsi da
donne. Le lanciai un'occhiata, e la vidi sorridere appena.
«
Non intendo rispondere. » mi affrettai a ridere, e lei
ridacchiò.
Raggiunsi la porta di casa e lì vi trovai Jim, Filippo e
Aurora, ad
attenderci.
La
loro espressione, tuttavia, tradiva un certo nervosismo.
«
Che è successo? » mormorai, confusa. Incrociai lo
sguardo di Jim,
teso e concentrato su di me.
Aurora
si spostò dal tavolo di legno, avvicinandosi a Filippo. La
sua
figura lasciò spazio ad un puntino luminoso proprio vicino
alla
teiera di coccio che Aurora utilizzava per il suo tè agli
aghi di
pino.
Mi
avvicinai, incredula. Il puntino luminoso si fece più
intenso quando
mi avvicinai, per poi affievolirsi nuovamente.
«
Campanellino... » sibilai, ma mi mancava il fiato.
Campanellino
sollevò la testolina, muovendo i capelli arruffati, e
rispose con un
battito d'ali. La polvere di fata cadde appena, dissolvendosi prima
di toccare terra.
La
sua luce era flebile, di certo non come la ricordavo.
«
Cosa ci fai qui, che succede? » chiesi improvvisamente,
rendendomi
poi conto di non essere in grado di comunicare con lei. Non conoscevo
il linguaggio delle fate, perciò non riuscii a capire le sue
parole
attraverso il battito d'ali e gli scampanellii che produceva.
Mi
voltai verso Aurora, confusa. « Dice che è
contenta di vederti. »
mi spiegò lei, ed io sorrisi. Aurora conosceva bene quella
lingua.
Ricordo che le sue tre fate madrine erano state delle ottime
insegnanti. Successivamente aveva tentato di insegnare qualcosa anche
a me, senza successo. Conoscevo solo qualche parola sporadica, e di
certo non sarei stata molto d'aiuto.
«
Cosa ci fa qui? » sussurrai, incerta. Aveva fatto un lungo
viaggio
dall'Isola che non
c'è, e questo era davvero preoccupante.
« Cosa
le sta succedendo? ».
Ricordai
l'effetto che le radiazione e l'Apocalisse stavano avendo su Peter.
Lui stesso mi aveva detto che gli effetti dei gas tossici stavano
influendo sulla capacità di volare. Presto non ne sarebbe
stato più
capace. In quel momento mi venne in mente quando Campanellino
rischiò
la vita perché tutti smisero di credere nelle fate. Le stava
accadendo la stessa cosa. Stava morendo, lentamente.
«
I suoi poteri stanno svanendo lentamente. Presto non sarà
più in
grado di volare. E poi... » Aurora trattenne un gemito al
solo
pensiero. Non sapevo che fine avessero fatto le sue fate madrine, ma
in quel momento sospettai il peggio.
«
Perché è qui? » chiese nuovamente
Mulan. Jim distolse lo sguardo,
e a quel punto iniziai a preoccuparmi.
«
E' arrivata da pochi minuti. Mi ha spiegato qualcosa, ma
non...ecco... » iniziò Aurora, balbettando.
«
Aurora. » la ripresi, convinta. La conoscevo troppo bene.
Erano
brutte notizie. « Ti prego. ».
Si
fermò. Chiuse gli occhi. Prese un lungo respiro, nel
silenzio più
totale.
«
Il lupo ha rapito Peter. ».
Il
fuoco stava divampando.
Era
rabbia, odio cieco. Desiderio di vendetta.
Perché
Peter? Perché lui?
Il
lupo mi stava mandando un segnale di guerra, qualcosa che mi impediva
di ragionare lucidamente.
Gridai,
poi lo feci una seconda volta. Uscii dalla casa di Aurora sbattendo
la porta, a passi rapidi avanzai sul prato di morbida erba verde, al
limitare del bosco. Alzai gli occhi al cielo, ora grigio e coperto di
nuvole.
Minacciava
pioggia, da un momento all'altro.
«
AVANTI! » gridai con tutto il fiato, a pieni polmoni.
« Fatti
avanti, cane! Sono qui! Perché mi fai questo?! Maledetto!
».
Ero
stanca. Stavo raggiungendo il limite, e i miei nervi non avrebbero
sopportato a lungo quello stress psichico. Il lupo stava giocando
d'astuzia, e cominciavo a capire il suo gioco: privandomi delle
persone a me care, mi avrebbe convinta a ritirarmi per sempre.
Minacciandomi
con l'amore che serbavo nel cuore, e portandomi via le persone a cui
tenevo di più.
Peter
si era indebolito molto a causa delle radiazioni: il ragazzo forte e
agile che conoscevo si era consumato alla ricerca di una cura per
Pennino, ed ora stava soffrendo sotto le grinfie di quella sporca
bestia.
La
testimonianza di Campanellino mi rassicurava di una cosa: il lupo
diceva la verità, non stava bluffando.
E
se aveva rapito Peter, probabilmente aveva con se anche mia nonna.
Peter.
Dio
santo, dovevo andare da lui. Dovevo salvarlo subito. Al diavolo il
piano, al diavolo le strategie.
Peter
era in trappola, in pericolo...dovevo riportarlo da me.
Il
mio Peter.
«
Sono qui! Parlami! Combatti, vigliacco! » urlai ancora al
cielo. Non
sapevo con chi altro prendermela. E il cielo stesso mi rispose con
una goccia di fredda pioggia. Ad essa ne seguì un'altra, poi
un'altra ancora.
E
in pochi istanti fui solo una ragazza fradicia sotto la pioggia, in
preda alla rabbia.
«
Red... ».
Mi
voltai. Aurora mi fissava con gli occhi tristi. Anche lei teneva
molto a Peter, e sapeva quanto stavo soffrendo. Oltre le sue spalle
vedevo il tiepido bagliore di Campanellino attraverso la pioggia e la
finestra.
Era
debole. Quasi inesistente.
«
Io devo andare da lui. Devo trovarlo. » mormorai, senza voler
sentire altro. Aurora rimase a fissarmi, in silenzio. Sapeva
benissimo che non avrebbe potuto ribattere. C'era la vita di Peter in
ballo.
La
pioggia batteva senza sosta, quasi a farci male. Ma nessuna delle due
si mosse.
«
Devo riportarlo a casa. » aggiunsi, scuotendo la testa.
« Il lupo
vuole me, e nessun altro. È quello che vuole. La mia resa.
».
Un'altra
figura raggiunse Aurora, affiancandola. Mulan mi guardò a
lungo
senza parlare. Solo la pioggia gridava attraverso quelle gocce
pesanti, che si schiantavano rapidamente al suolo.
Un
tuono squarciò il cielo con il suo rumore, facendoci
sussultare.
“Forse
non sono stato chiaro.”
La
sua voce arrivò insieme al frastuono del cielo, profonda e
suadente
come la ricordavo. Portai le mani alla testa, colta da quel dolore
che ogni volta mi sopraffaceva.
Un
altro tuono, e caddi in ginocchio con un gemito strozzato. Tenni la
testa tra le mani sotto la pioggia.
“I
tuoi amici ti saranno vicini, ma per quanto? Il tuo amico Peter non
vivrà a lungo se non fai come ti dico.”.
«
A...Affrontami, m-maledetto. » riuscii a sibilare, sperando
che mi
sentisse. Sperando che qualcuno, chiunque, riuscisse a sentire le mie
parole.
“Torna
indietro, Red. Arrenditi. E' molto semplice.”
Perché
continuava a ripeterlo? Non capivo. Non capivo, maledizione.
Torna
indietro.
Torna
nel tuo bosco.
Torna
indietro.
Un
fulmine squarciò il cielo, illuminandolo completamente. E a
quel
punto capii.
Dovevo
tornare indietro, perché...
Perché
lui era lì.
Mi
aspettava nel solo luogo in cui poteva trovarsi. Casa sua. Dove tutto
era iniziato.
Dove
meditava la sua vendetta.
Ora
capivo. Le tessere del puzzle tornavano lentamente al loro posto,
lasciando coincidere i pezzi.
Si
era rifugiato in quel luogo perché era lì che si
sentiva potente,
che aveva piena facoltà dei suoi poteri: probabilmente lo
aveva
capito quando ci aveva affrontati in un regno diverso dal suo.
Era
più debole, all'esterno. Per questo voleva affrontarmi dove
si
sentiva al pieno delle sue forze.
Si
era spostato al punto di partenza. E a me rimaneva una sola cosa da
fare.
E'
molto semplice,
aveva detto.
«
Voglio...voglio tornare a casa. » sibilai, cercando di
dimenticare
il dolore. « Voglio tornare a casa! ».
Un
altro fulmine frantumò il cielo, questa volta in mia
direzione. Mi
sentii pervadere da un calore incredibile, che riuscì a
scuotere
ogni fibra nel mio corpo. Mi sollevai da terra, e quando aprii gli
occhi fluttuavo nell'aria in una strana nube di gas.
«
No, Red! » gridò Mulan, cercando di raggiungermi.
In quel momento
vidi Campanellino volare rapidamente fuori, seguita da Filippo e,
più
veloce di tutti gli altri, da Jim.
Lo
vidi correre rapidamente, senza staccare gli occhi da me. Non sapevo
cosa sarebbe accaduto, ma avevo la netta impressione che non avrei
più rivisto nessuno di loro. Così fissai nella
mente lo sguardo di
Jim, lo stesso di quando mi guardava in quella camera da letto,
contemplando il mio corpo ardente di desiderio.
Volevo
ricordarlo perché mi avrebbe dato tanta forza, qualsiasi
cosa
sarebbe accaduta.
Il
buio mi avvolse, e quando chiusi gli occhi rividi il volto di Jim
nella mia mente.
E
nonostante tutto, il mio animo fu pervaso da un senso di pace, anche
in quell'oscurità.
Neve.
C'era
tanta neve attorno a me. Aveva attecchito bene al suolo, era fresca e
familiare. La riconoscevo.
Aprii
gli occhi e mi tirai su. Non avevo bisogno di osservare altro. Gli
alberi, il sottobosco, la coltre bianca e il cielo. Non c'erano
dubbi: ero nel mio bosco.
Il
lupo mi aveva fatto tornare a casa, da lui. Per affrontarlo.
La
mia sacca era ancora legata a me, così come i coltelli che
tenevo
saldamente alle giarrettiere. La lancia era pronta, ben affilata e
illuminata dal riverbero della neve bianca sulla lama liscia.
Tirai
su il cappuccio, nascondendo i capelli, pronta a proteggermi da un
eventuale attacco. Rimasi in attesa.
Un
rumore di passi mi costrinse a voltarmi. C'era qualcuno alle mie
spalle, e i passi sulla neve erano decisamente umani.
Umani?
«
Finalmente ci incontriamo, Cappuccetto
Rosso.
» la sua voce inconfondibile mi fece rabbrividire. Di fronte
a me,
la sagoma di un uomo si stagliava elegante a pochi metri di distanza.
Mi
concentrai su di lui, sorpresa: nonostante il freddo, indossava
un'elegante camicia bianca e un paio di pantaloni tenuti su da un
cinturone di costosa pelle, dalla fibbia splendente; gli stivali
erano scuri e ad altezza ginocchio, impreziositi da rubini che
sostituivano le fibbie grezze sul polpaccio. Un lungo cappotto scuro
dal taglio raffinato gli dava un'aria elegante, da principe. Un
principe oscuro, decisamente.
Quando
lo osservai in viso, per un attimo pensai di aver preso un abbaglio.
Forse stavo sognando.
Ma
nonostante il passare degli anni, non potevo non ricordarmi di lui.
La barba curata, i capelli scuri a spazzola, gli occhi grigio
antracite. Era lui, senza dubbio.
Hunter.
Il
Cacciatore.
Nb. Scusatemi per l'enorme ritardo, di solito cerco di pubblicare un
capitolo al mese ma questa volta sono stata sommersa dagli impegni e
non ne ho avuto la possibilità. Spero che questo capitolo vi
sia piaciuto, si comincia lentamente a capire qualcosa credo eh eh...
fatemi sapere cosa ne pensate, cercherò di aggiornare
più frequentemente!
Un abbraccio,
L.
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Capitolo 16 *** The better to eat you with, my dear. ***
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16.
The better to eat you with, my dear.
Cosa
ci faceva lì? E perché la sua voce e quella del
lupo erano così
simili, adesso?
Erano
passati molti anni, ma ricordavo perfettamente il Cacciatore: mi
aveva salvato la vita, e aveva salvato quella di mia nonna uccidendo
il lupo prima che ci sbranasse. Gli ero debitrice, ed ero diventata
Red ispirandomi a lui e alla sua forza.
E
ora era lì, identico a tanti anni fa ma dall'aria
decisamente più
curata: sembrava davvero un principe senza la tenuta da boscaiolo e
la barba incolta. Aveva un'aria affascinante e pericolosa al tempo
stesso.
Poi
capii. Non era il cacciatore quello che avevo davanti.
O
meglio, lo era, ma solo in quel momento.
Erano
la stessa persona. Due facce della stessa medaglia. Cacciatore e
Lupo: forma umana e bestia.
Ripensai
ad Adam, e alla sua trasformazione. Il Lupo riusciva a farlo a suo
piacimento.
«
Oh, vedo che hai capito perfettamente, bambina mia. »
commentò lui,
facendomi sussultare. Riusciva a leggere nella mia mente meglio di
quanto pensassi.
«
Cosa vuoi da me? » sibilai, carica d'odio. Volevo ucciderlo,
e
volevo sapere dove si trovasse Peter.
«
Oh, mio piccolo tesoro, è semplice. » rispose lui,
sorridendo. «
Voglio che tu sparisca da questa terra per sempre, così da
lasciarmi
libero di governare il Mondo delle Fiabe a modo mio. Semplice, no?
».
Bingo.
Finalmente i suoi progetti erano chiari. Governare sull'intero Mondo,
senza una stupida ragazzina ad intralciare i suoi piani.
Perché in
qualche modo dovevo essere in grado di farlo, anche se non sapevo
come.
«
Come hai fatto ad impossessarti di lui? » gli chiesi ancora,
cercando di capire. Lui sorrise. Un sorriso meschino, disonesto. Di
chi ricordava qualcosa di orribile e ne gioiva.
Bastardo.
«
L'animo umano è facilmente corruttibile, mia cara.
» mi spiegò
lui, sospirando in modo teatrale. « Ero quasi morto quando
proposi
al Cacciatore di risparmiarmi. Se lo avesse fatto, avrei donato a lui
il mio corpo e la mia anima. E lui accettò. Ovviamente i
suoi
propositi erano lodevoli, il suo era un animo nobile. Diventare un
essere perfetto, dotato di forza e intelligenza, sia bestia che uomo:
te lo immagini? Aveva in mente un sacco di buoni propositi. »
pronunciò quelle due parole con disgusto. Rimasi ad
ascoltarlo,
incredula.
«
Ma quando ci unimmo, misi in atto il mio piano. »
continuò lui,
sfoderando nuovamente quel ghigno. « mi impossessai sempre di
più
di quel corpo, prendendo le decisioni per entrambi. Mi imposi con la
mia forza, fino a farlo scomparire pian piano. Alla fine il suo Io
è
scomparso definitivamente, lasciandomi con un corpo perfetto.
Perfetto per la mia vendetta. Mi ci sono voluti un po' di anni, mi
sono nascosto nelle terre più desolate e nei regni
più lontani per
evitare di essere scoperto. Ma alla fine ce l'ho fatta. Il Cacciatore
soccombe ed io mi prendo tutto il merito. È così
che funziona. ».
Ero
senza parole. L'animo nobile del cacciatore aveva lasciato il posto a
quell'essere orribile, quella bestia disgustosa che ora era anche
uomo, un essere perfetto e spietato.
«
Purtroppo ci sono stati dei piccoli intoppi durante il percorso.
»
mugugnò lui, alzando gli occhi al cielo. « a
cominciare da
quel braccio.
». Indicò il mio braccio, e subito lo guardai.
«
Cosa? » sibilai, sull'attenti.
«
Ovviamente sarebbe stato un piacere vederti morire dissanguata.
Lentamente, e inesorabilmente. Ma l'anima del Cacciatore ha preso il
sopravvento – inaspettatamente – e ti ha salvato la
vita. Quel
lavoro di ingegneria è opera sua. ».
Il
mio respiro si mozzò quando udii quelle parole.
Così era quella la
verità. Era stato il Cacciatore a salvarmi, bloccando
l'emorragia e
sostituendo il mio braccio con quell'arma meccanica. Troppe
informazioni.
Troppe
rivelazioni.
Avevo
bisogno di una pausa, maledizione.
«
Dov'è mia nonna? E Peter? » le mie parole
echeggiarono nell'aria
intrisa di neve, raggiungendo le sue orecchie in un moto d'odio e
impazienza. Ero lì, di fronte a lui. Ora doveva ridarmi la
mia
famiglia.
Dovevo
riaverli indietro.
«
Ehi, con calma. » biascicò lui, divertito.
« abbiamo appena
cominciato. ».
Piazzai
bene i piedi per terra, per evitare di scivolare sulla neve, e
strinsi a me la lancia con forza. Se voleva combattere, ero pronta.
Non c'era nulla che mi impedisse di ucciderlo all'istante, ma dovevo
stare attenta: se si fosse trasformato in una bestia, sarei stata in
tremendo svantaggio.
Di
positivo c'era che, con il Cacciatore davanti, non avevo paura. La
sua figura mi avrebbe sempre ricordato qualcosa di buono, un eroe che
mi aveva salvato la vita e a cui mi ispiravo. Così ero
più forte.
Più
forte.
E
a quel punto mi chiesi perché non stesse cercando di
mettermi in
difficoltà: se avesse mutato forma probabilmente sarebbe
stato in
vantaggio. Ma allora perché si ostinava a rimanere
lì di fronte a
me,un semplice e fragile umano?
Abbiamo
appena cominciato.
Cominciato
cosa?
Hunter
spalancò le braccia, il palmo di entrambe le mani aperto in
mia
direzione, le dita attorcigliate ai margini del cappotto scuro, che
brandiva come un mantello. Percepii di nuovo quello strano
presentimento, quell'aura negativa che sapeva di oscuro, di malvagio.
Di
maledizione.
E
a quel punto Hunter cominciò a correre – no, non a
correre, a
fluttuare
–
sulla neve in mia direzione, più veloce di quanto mi
aspettassi. Il
suo mantello spazzava via la neve, le braccia aumentavano sempre
più
la loro apertura, facendolo somigliare ad un grande e spietato
volatile.
Mi
raggiunse, coprendomi con il mantello oscuro senza che potessi fare
nulla per fermarlo. Ero come immobilizzata, ma questa volta la paura
non c'entrava nulla. Era un vero e proprio incantesimo.
Incantesimo?
Quella
era una magia. Il Cacciatore non solo era l'essere perfetto, ma per
qualche strano motivo aveva acquisito dei poteri di cui ignoravo
l'esistenza.
Quando
il suo mantello mi avvolse, in pochi istanti fui circondata da
oscurità. Gridai, senza realmente sapere cosa mi stesse
accadendo.
Ero vigile, non era un sogno, ma quel buio mi accecava.
Dov'era
il cielo? E la neve, che fine aveva fatto?
Lentamente
un freddo spinoso iniziò ad impossessarsi del mio corpo,
come se la
temperatura fosse improvvisamente calata. Sentivo delle voci
rimbombare nella mia mente e farmi male, fino a che una in
particolare non si impose sulle altre.
«
Vedrai la sofferenza in volto, Cappuccetto Rosso.
» sibilò il lupo nella mia testa. Gridai ancora.
Era
un incubo.
Gli
occhi misero lentamente a fuoco qualcosa. Non riuscivo a capire se
stavo recuperando i sensi o solo la vista. Non riuscivo a rendermi
conto del mio stato di coscienza, non sapevo se avevo perso i sensi o
se invece ero sempre stata vigile. Avevo gridato più e
più volte,
ma la mia voce aveva echeggiato nel vuoto ed era tornata nella mia
testa, infestandola con parole orribili. Il lupo era sempre
lì, da
qualche parte.
Misi
a fuoco uno spiraglio di luce, proveniente dall'alto. Alzando lo
sguardo, non riuscivo a vedere nulla se non oscurità. Sotto
di me,
un freddo pavimento di pietra mi stava ospitando. Sentivo il rumore
lontano di acqua, goccioline che lentamente scendevano sulla pietra
modificandone la struttura. Doveva essere la condensa della roccia
che scivolava lungo le pareti, o l'umidità di quello strano
luogo
che metteva i brividi.
Mi
guardai attorno. Avevo recuperato la vista, ma nonostante tutto non
avevo la minima idea di dove mi trovassi. C'erano delle sbarre
d'acciaio in pessime condizioni, il che mi portava a sospettare di
essere in una rozza prigione sotterranea. Oltre la grata non vedevo
nulla se non un grande buio.
L'unica
luce proveniva dal misterioso spiraglio sul soffitto, che illuminava
una zona circolare al centro del piccolo rettangolo in cui ero stata
gettata. Mi alzai in piedi, disorientata. Maledizione.
«
Red... ».
Il
mio cuore balzò fuori dal petto, ma non per la paura.
Riconoscevo
quella voce, l'avrei riconosciuta ovunque. Mi voltai osservando il
timido cerchio di luce pallida al centro della cella: oltre i suoi
confini, una sagoma giaceva a terra nel buio.
«
Peter! » gridai raggiungendolo di corsa. Mi inginocchiai a
terra,
prendendolo fra le braccia. Era gelato.
«
Peter, dio mio... » sussurrai, angosciata. Avevo un terribile
groppo
alla gola. Il suo volto era pallido ed emaciato, l'espressione
assente. Aprì gli occhi e mi squadrò, cercando di
mimare un debole
sorriso che mirava a rassicurarmi. Ovviamente non ci riuscì.
Lo
abbracciai, tenendolo stretto. Avevo ancora la mia sacca, mentre la
lancia giaceva abbandonata all'angolo della cella.
«
Non sono riuscito a fermarlo, ho... » iniziò a
dire lui, senza che
potessi fermarlo. « Ha attaccato l'Isola che non
c'è, e non sono
riuscito a fermarlo. Mi dispiace, Red, avrei voluto avvisarti. Mi
dispiace... ».
«
Non parlare, così peggiori le cose. Coraggio. »
risposi io,
cercando di trovare una soluzione. A cosa, questo non lo sapevo.
C'erano troppi problemi da affrontare.
Scrollai
la testa, cercando di far chiarezza nella mia mente. Dovevo
affrontare un problema alla volta. Frugai nella sacca e trovai
l'ultima bottiglia di sidro che Biancaneve mi aveva regalato. Non ne
era avanzato molto, ma sarebbe bastato per scaldarlo un po'. Lasciai
che lo bevesse a piccoli sorsi. Gli occhi erano circondati da pesanti
occhiaie scure, e sulla guancia apparivano i resti di un livido
violaceo, che fino a poco tempo prima doveva essere grande il doppio.
Il labbro inferiore era spaccato proprio a metà, e una serie
di
graffi erano distribuiti sulle braccia e sul resto del corpo. Era in
condizioni pessime, decisamente.
«
Ah... » sibilò, dopo aver bevuto il sidro.
« Grazie. ». Lo
abbracciai di nuovo, cercando di riscaldarlo il più
possibile. Mi
sfilai la mantella e lo coprii come meglio potevo, continuando a
tenerlo tra le braccia. Scostai qualche ciocca arruffata dal viso
distrutto. Vedevo la condensa dei miei respiri oltre le labbra. Dio,
se faceva freddo.
«
Red! ».
Mi
voltai di scatto, stringendo a me Peter istintivamente. Volevo
proteggerlo a tutti i costi. Ma quella voce che mi chiamava,
così
vicina e conosciuta, mi calmò improvvisamente. Capii che non
si
trattava di un pericolo, ma al contempo non riuscivo a crederci.
Forse me l'ero immaginata. Rimasi in silenzio, in attesa.
«
Red! » ripeté la voce, e questa volta mi resi
conto che era tutto
vero. « Sono qui! ».
Lasciai
Peter disteso a terra, con la mia mantella a coprirlo, e mi alzai in
piedi. Raggiunsi il perfetto cerchio di luce al centro della cella,
esponendomi del tutto. Cautamente, avanzai ancora, fino a raggiungere
le sbarre. Mi ci appoggiai, stringendole con le mani. Erano fredde e
odoravano di ruggine e sangue. Respiravo a fatica, sopraffatta da
quegli strani eventi. Non poteva essere. Non poteva davvero essere
vero.
«
Jim... » sibilai, senza più la forza di
sorprendermi. Ero
devastata, distrutta, e non riuscivo a capire perché lui
fosse lì,
a pochi metri di distanza, nella cella di fronte alla mia. Si
appoggiò alle sbarre e improvvisamente si
rasserenò. Un sospiro di
sollievo gli sfuggì dalle labbra.
«
Stai bene, per fortuna. » mormorò, stanco.
Tossì un paio di volte,
ma riuscii a vedere solo i contorni sfocati dei suoi movimenti a
causa della scarsa illuminazione. Ma i suoi occhi, quelli li vedevo
bene. Non poteva essere che lui.
«
Com'è possibile? » chiesi, forse a lui o forse a
nessuno, con
l'accenno della sconfitta nella voce. « Perché sei
qui? ».
«
Mi ha catturato. Dopo che hai espresso il desiderio di tornare a
casa, la tempesta ci ha portati via entrambi. Mi sono svegliato qui,
e tu non c'eri. » mi spiegò lui, ed io lo ascoltai
attentamente.
Era ovvio. Quel bastardo di un cane ci conosceva entrambi, sapeva che
Jim aveva cercato di proteggermi quando ci aveva attaccati nel bosco
la prima volta. E ora l'aveva portato lì per farmi soffrire
di più.
Lui e Peter erano le persone a cui tenevo di più, e ora
erano
imprigionate insieme a me in quell'incubo.
«
Credo che mia nonna sia morta. » sibilai, con la voce
incrinata
dall'emozione. « Perché dovrebbe averla tenuta in
vita? Mi ha
ingannato, non è qui. ».
«
Red...non devi arrenderti. Tu sei più forte. »
sussurrò Jim oltre
le sbarre. Fece per allungare la mano in mia direzione, ma eravamo
troppo distanti. Eppure, in quel momento avrei voluto raggiungerlo
davvero. Stringere quella mano, sentire il suo tocco sulla mia pelle.
Mi avrebbe dato tanta forza.
Ora
invece mi sentivo debole, e sola.
Peter
tossì, e subito tornai da lui. Mi inginocchiai, lasciando
che
posasse la sua testa sulle mie gambe.
«
Ehi, sono qui. » mormorai, cullandolo. « Va tutto
bene, ci sono io.
Ci sono io. ».
Non
sapevo dove mi trovavo. Dovevamo marcire tutti e tre lì, in
quelle
celle sotterranee? Era questa, la vendetta dell'Originale?
Peter
si mise a sedere, così lasciai che poggiasse la schiena alla
parete
della cella. La mia mantella non bastava a tenerlo al caldo.
Così la
indossai nuovamente e mi sfilai la pesante giacca per darla a lui. La
pelliccia di lupo di certo l'avrebbe tenuto più al caldo.
Gli
sfiorai il viso con la mano, sperando che la fioca luce del sole
aumentasse la temperatura. Alla luce del sole i suoi occhi avevano lo
stesso guizzo di energia, seppur molto ridotto, che ricordavo. Un
tempo quell'energia era tanto travolgente da sconvolgermi. Frugai
ancora nella sacca, e tirai fuori delle gallette di riso. Gliene
offrii una ma lui voltò appena la testa.
«
Non fare il bambino. » mugugnai, avvicinandole di nuovo.
« Devi
mangiare qualcosa. ».
«
L'ha uccisa lui. » disse improvvisamente Peter, e mi accorsi
che
aveva gli occhi lucidi. Una lacrima silenziosa scese sulla guancia
martoriata, cadendo sui vestiti malconci.
«
Chi? Chi ha ucciso? »
«
Wendy. L'ha uccisa lui, Red. » ripeté lui,
voltandosi verso di me.
Mi irrigidii, sconvolta. Portai una mano alla bocca, cercando di
contenere lo stupore.
«
Mi ha detto di averla portata via. L'ha portata via e l'ha uccisa.
»
mormorò ancora Peter, affondando il viso nelle mani. Io non
riuscivo
a crederci.
«
Peter... »
«
Credevo di avere una speranza. Continuavo a cercarla nonostante
tutto. E invece... » sibilò ancora, e le parole
gli morirono sulle
labbra. Lo abbracciai, stringendolo per tutto il tempo necessario.
Non importava dove ci trovassimo, o in che condizioni fossimo. In
quel momento eravamo insieme, ed io dovevo sostenerlo a qualunque
costo. Jim ci osservava, in silenzio. Con la coda dell'occhio vedevo
la sua figura, e desiderai di averlo qui vicino a me nonostante
tutto.
Peter
tossì di nuovo, sputando sangue. Lo aiutai a ripulirsi con
un
fazzoletto, cercando di tranquillizzarlo.
«
Sto morendo, vero? » riuscì a dire lui nel mezzo
dell'ascesso di
tosse, ridendo. Si, ridendo. Forse rideva perché quella
situazione
era assurda, e non poteva finire così.
«
Smettila. Hai capito? Smettila di dire così, Peter.
» ribattei,
alterata. « Non è finita, chiaro? ».
Lui
manteneva quel sorriso sulle labbra. Un sorriso rassegnato, e
amareggiato per quell'apparente conclusione. Ma io mi rifiutavo di
crederci. Non l'avrei lasciato morire così facilmente. Gli
lasciai
bere dell'acqua per sciacquarsi la bocca, e finalmente
mangiò una
delle gallette.
«
Grazie. » gli dissi, sapendo che l'aveva fatto esclusivamente
per
farmi contenta. Lui mi sorrise, sfiorandomi di nuovo il viso con la
mano. Le sue dita erano più calde, ed era un buon segno.
Quel tocco
mi fece comunque rabbrividire, riportando in me un po' di forza.
«
Ce la faremo, Peter. » lo rassicurai io, cercando di essere
convincente. La luce adesso ci illuminava entrambi. Era calda e
confortevole, e solo ora mi rendevo conto che poteva trattarsi
realmente del sole, e non di qualche altra diavoleria magica.
«
Ricordi cosa ti ho detto qualche tempo fa? »
mormorò lui, la voce
tinta di un debole vigore.
«
Cosa? »
«
Di non cacciarti nei guai. ». Sorrisi, constatando che aveva
ripreso
un po' del suo vecchio umore.
«
Ops. » sussurrai, stando al gioco. Dovevo fare in modo di
tenerlo
vigile, viste le sue condizioni precarie.
«
Fai sempre a modo tuo. » commentò lui,
avvicinandosi. Negli occhi
c'era tanta di quella tristezza che per un attimo colpì
anche me. La
sofferenza che stavamo condividendo per quel momento, per i nostri
compagni caduti. Per Wendy, e la mia famiglia. Era tutto
così
palpabile da sembrare reale.
«
Ne usciremo. Ne usciremo, maledizione. » dissi a denti
stretti. Lui
mi prese il viso tra le mani, fissandomi con quegli occhi pieni di
cose, di ricordi, e di dolore. Si avvicinò e posò
le labbra sulle
mie, baciandomi con tutto quel dolore dentro, e la rabbia. Era
furioso con la vita, con sé stesso e con l'Originale. Stava
combattendo una battaglia così intima che nessuno avrebbe
potuto
aiutarlo.
Quel
bacio fu come un assaggio di un vecchio ricordo. Era come se
conoscessi già le sue labbra, il suo volto e il suo respiro.
Mi
baciava con trasporto, tradendo una grande emozione.
Avvicinò ancora
di più il mio viso al suo, tenendomi la testa con entrambe
le mani,
intrecciando le dita sottili ai miei capelli scompigliati.
Percepii
il dolore che stava provando, e mi resi conto che non ce l'avrebbe
mai fatta a sostenerlo da solo. Che da troppo tempo la sua anima era
tormentata dall'angoscia per Wendy, per Pennino e gli altri bimbi
sperduti, per la sua terra. Sorreggerla, per una persona sola, era
davvero troppo. E con quel bacio mi sembrava quasi di aiutarlo, come
se in quel momento stessi contenendo quel dolore insieme a lui. Non
riuscivo a capire le sensazioni che stavo provando, ma non mi
retrassi. Peter aveva bisogno di quel bacio, di quel contatto.
E
io?
Io
ne avevo bisogno?
Si
separò da me dopo un po', rimanendo a distanza ravvicinata.
Sentivo
il suo respiro sul mio viso, leggermente accelerato. Le sue mani
scivolarono sulle mie spalle, e li si fermarono. Sentivo la sua
stretta, piena di di quel dolore che aveva tentato di abbandonare.
Lo
abbracciai, e lui mi tenne stretta per tutto il tempo. Jim era a
pochi metri da noi, ed ero sicura che avesse visto tutto. Mi sentivo
strana, in colpa. Perché quel bacio mi aveva ricordato
quella notte
che avevamo passato insieme, e ora i miei sentimenti erano talmente
confusi che per un attimo la mia battaglia con il Cacciatore
passò
in secondo piano.
C'era
una lotta anche dentro di me. Una battaglia terribile tra testa e
cuore. O forse dentro il cuore stesso, diviso perfettamente in due.
«
Nonna! Nonna, ci sei? » gridai, bussando un'altra volta. Il
cestino
era terribilmente pesante, la mamma come al solito aveva esagerato
con le dosi. Sentivo l'intenso profumo di formaggio e di pane fatto
in casa, il rumore del latte nella bottiglia e l'aroma di ciliegie
della crostata sfornata la mattina stessa. Avevo il sospetto che ci
fossero anche le uova delle nostre galline, e mi pentii subito di
aver fatto oscillare il cestino così tanto nel bosco.
«
Nonna? » gridai ancora, bussando più forte. Solo a
quel punto mi
resi conto che la porta era socchiusa. La aprii, entrando nel
salottino buio. Il fuoco nel camino era ancora acceso, e scoppiettava
allegramente riscaldando la stanza. Sul tavolo c'era un vaso colmo di
fiori di campo colorati.
«
Nonna? » la mi voce si era fatta più leggera,
quasi un sussurro.
Lasciai il cestino sul tavolo e mi avvicinai alla camera da letto. La
porta era socchiusa, le finestre sbarrate e la candela spenta.
Qualcuno
si agitava nel letto. « Nonna, ti senti bene? »
mormorai,
avvicinandomi. La mamma si sarebbe preoccupata, se le avessi detto di
aver trovato la nonna malata nel letto. Mi avvicinai ancora,
concentrandomi sul suo respiro. Era pesante, e affannato.
La
figura scura di fronte a me ringhiò.
E
delle grandi fauci si aprirono davanti ai miei occhi.
Gridai,
spalancando gli occhi e respirando a fatica. Rivedere la cella
putrida in cui ero stata gettata fu quasi un sollievo.
«
Finalmente ti sei svegliata. » si affrettò a dire
Peter, accanto a
me, con un sospiro di sollievo. « Hai cominciato a gridare
nel
sonno, non sapevo come fare per svegliarti. ».
«
Oh... » mormorai, cercando di riprendere fiato. Avevo
sognato.
Quegli incubi che mi tenevano sveglia la notte, e che non riuscivo a
superare. Madida di sudore, cercai di capire come avevo fatto ad
addormentarmi così facilmente in quello schifo di posto.
«
Avevi bisogno di riposo, eri a pezzi. ». Peter mi
sistemò la giacca
di pelliccia sulle spalle. La indossai, infilandomi nuovamente la
mantellina e il cappuccio per evitare di prendere freddo. Peter stava
decisamente meglio: forse il cibo e l'acqua gli avevano dato
quell'energia che era venuta a mancare. Ma i lividi e il dolore nei
suoi occhi erano sempre presenti.
Mi
alzai, e in fretta raggiunsi le sbarre. « Jim? » lo
chiamai,
sperando che rispondesse in fretta. Quel luogo ci stava consumando, e
cominciavo a pensare che la disposizione dei posti fosse uno dei
giochetti del lupo per metterci l'uno contro l'altro.
«
Red, sono qui. » rispose lui, ancorandosi alle sbarre.
«
Oh, grazie a dio. Tutto bene? » gli chiesi, e lui
tossì. Cercai di
vederlo alla luce del sole, ma riuscivo a distinguere solo a grandi
linee il suo volto. Ero contenta che fosse lì.
«
Si. E tu? » rispose lui, calmo.
«
Bene. Dobbiamo uscire da qui, non possiamo marcire fino alla fine dei
nostri giorni. ».
Silenzio.
«
Tranquilla,
a questo ci penso io.
». Sobbalzai. La voce del lupo arrivò dall'alto e
mi entrò nella
testa, come se non avesse aspettato altro.
«
Lasciaci uscire, bastardo di un cane! » gridai, furiosa.
Finalmente
era uscito allo scoperto.
«
Come desidera, principessa. » sibilò ancora lui,
apparentemente
divertito dalla mia scenata. Lo spiraglio di luce sulle nostre teste
si fece improvvisamente più vivido, talmente forte da
accecarci.
Chiusi
gli occhi, con la voce di Peter che mi chiamava come ultimo avviso.
Luce.
Luce.
Ancora
luce.
Accecante.
Calda
e bellissima.
E
poi, di nuovo bianco. Candore ovunque.
Neve.
Mi
guardai attorno, mettendo a fuoco il bosco attorno a me.
Questa
volta non c'era solo la neve a fare da sfondo, ma una struttura in
legno abbandonata a sé stessa.
Chiusi
gli occhi, poi li riaprii.
Era
la casa della nonna.
Nb. Visto che l'ultima volta ci ho messo un bel pò ad
aggiornare, questa volta ho deciso di farvi una sorpresa e pubblicare
il nuovo capitolo in anticipo. Spero lo apprezziate, soprattutto voglio
sapere cosa ne pensate, se avete consigli o suggerimenti, domande o
dubbi amletici che vi assillano. In questo capitolo mi sono voluta
concentrare sugli aspetti più intimi di Red, cercando di
mettere in luce la lotta interiore che non è solo fisica, ma
per la maggior parte emotiva. Con l'occasione vi auguro tanti giorni di
sole ( non so voi, ma qui da me sembra Novembre tra pioggia e
temporali)!
L.
|
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Capitolo 17 *** This violet scent. ***
thisfairitaleisradioactivenow
THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
17.
This violet scent.
«
Ti ricorda qualcosa? » mormorò il Cacciatore, che
improvvisamente
apparve dietro di me. Mi voltai, lasciandomi la casa alle spalle.
Provavo un incredibile disgusto per ciò che stava facendo.
Quella
violenza psicologica mi avrebbe consumata lentamente. La giusta
vendetta, che bramava da secoli.
«
Vuoi che ti risponda? » mugugnai, recuperando la lancia da
terra.
Chissà come mai, me la ritrovavo sempre accanto. Come se mi
seguisse.
«
Cosa vuoi fare, Cappuccetto Rosso? » commentò lui,
ridacchiando. «
Non sai che una signorina non dovrebbe brandire un oggetto affilato
in quel modo? ».
«
Stronzate. » sputai, stringendo il freddo manico della
lancia. Lui
ghignò di nuovo, gli occhi iniettati di sangue.
Sollevò appena il
braccio e schioccò le dita. Una fiammella violacea apparve
sui
polpastrelli, e si diffuse gradualmente attorno a noi. Rimasi a
fissarla, focalizzando l'attenzione su quel colore familiare.
«
Così, è a causa tua... » mormorai tra
me e me, ma lui riuscì a
sentirmi. « Tutto questo. L'Apocalisse. Sei stato tu.
».
Il
Cacciatore scoppiò in una fragorosa risata. «
Davvero non l'avevi
capito? Oh, stellina, le tue indagini non sono state poi
così
fruttuose. ».
Ricordavo
quella luce viola, che aveva coperto il cielo prima della grande
esplosione. Prima che la terra iniziasse a tremare. Era stato lui.
«
Voglio saperlo, Hunter. » sibilai, concentrata. «
Voglio sapere
come hai fatto. ». Sapevo che non mi avrebbe negato una
risposta.
Era così egocentrico e narcisista che avrebbe pagato oro per
fare
quel monologo.
Lo
vidi ghignare. Gli occhi erano rossi come il sangue, i denti affilati
come lame.
«
Vedi, mia cara, il potere su questa terra è distribuito
equamente
proprio per non creare situazioni come queste. O meglio, lo era prima
che lo concentrassi su di me. Rompere un equilibrio così
delicato
non è poi così difficile, ma risulta complicato
in un regno
pacifico e collaborativo come questo. » iniziò
lui, sputando quelle
belle parole con disgusto. L'idea di pace lo irritava terribilmente,
e ne capivo perfettamente il motivo.
«
Quando ho assimilato l'anima del Cacciatore, »
proseguì lui, con lo
sguardo abbagliato dall'estasi. « credevo di aver raggiunto
la
perfezione. E in effetti era così, ma a quel punto non
volevo
limitarmi alla vendetta nei tuoi confronti. Oh, no. Volevo tutto.
Tutto questo mondo così pacifico sarebbe entrato in mano
mia, e lo
avrei plasmato a mio piacimento. Per questo avevo bisogno della
magia. Una magia potente, così potente da spazzare via tutto
in
pochi secondi. Non è magnifico? » aprì
le braccia, come per farmi
rimirare la sua opera di distruzione. Era così felice di
quel caos,
dell'opera prima che le sue mani avevano creato.
«
Mi fai vomitare. » sibilai, e lui sghignazzò.
« Come hai fatto a
ricevere un potere così grande? ».
Sapevo
che su quella terra c'erano molti esseri magici. Fate, streghe e
maghi potevano essere a sua disposizione. Eppure avevo come
l'impressione che non si trattasse di questo. C'era qualcosa di
più
grande.
«
Avevo bisogno di una grande magia, qualcosa di talmente forte da
surclassare tutto e tutti. La fonte primaria di energia magica, che
ha dato vita a questo mondo. » concluse lui, lasciando quelle
parole
sospese nel silenzio. Riflettei per qualche istante, soppesando
ciò
che aveva detto. Un gemito mi sfuggì dalle labbra.
Non
poteva averlo fatto veramente.
«
Tu hai...attinto dalla fonte
originale? » sibilai,
tremante. Tutto il mio coraggio non sarebbe bastato, per
fronteggiare quella discussione. La fonte originale, il cuore di
quella terra, da cui proveniva l'energia magica che dava vita alle
fate, alla magia, all'incanto.
«
Oh, ma non ho attinto da essa. Io l'ho assorbita. » rispose
lui,
stringendo i pugni. « Completamente.
».
Vacillai.
La
fonte originale era il cuore del nostro mondo. Per questo il lupo era
riuscito a creare tutto quel caos, e per questo l'energia di
Campanellino si stava lentamente esaurendo, e Peter non poteva
più
volare.
Aveva
lentamente portato via l'energia che nutriva quel mondo,
così come i
suoi abitanti. Ma come?
Come
era possibile che un essere tanto ignobile fosse riuscito a
raggiungerla?
«
La mia forza era al di sopra di qualsiasi cosa. Unendomi con il
Cacciatore ho dato vita a qualcosa di oscuro, che non è mai
avvenuto
in queste terre. Qualcosa di proibito. Ho fatto vacillare l'intera
struttura » continuò lui, ormai in preda ad un
monologo in cui era
diventato il protagonista principale.
Non
avevo idea di come avesse fatto, ma sapevo che l'energia di cui era
entrato in possesso non aveva eguali.
Pensai
a tutte le tappe del mio viaggio, a ciò che avevo visto e
sentito.
Sobbalzai, quando un ricordo in particolare fece accendere una nuova
luce nella mia testa.
«
Pocahontas... » sussurrai, iniziando a collegare le tessere
tra di
loro. « Lei ti aveva scoperto. Aveva capito che l'equilibrio
di
questo mondo era stato alterato. Per questo l'hai intrappolata nel
suo regno. ».
Lo
vidi digrignare i denti, come se il ricordo di Pocahontas avesse
riportato in lui ricordi spiacevoli. Probabilmente era stata una
delle minacce più temibili per lui, dato il suo grande
potere
spirituale.
Ma
allora perché non l'aveva eliminata?
«
Ah, Pocahontas... » mormorò lui, alzando gli occhi
al cielo. «
Imprigionarla nel suo regno non ha impedito ad una ragazzina
impertinente come te di entrarvi. A quanto pare la prossima volta
cercherò di proteggerla meglio. ».
Assottigliai
lo sguardo, focalizzando l'attenzione sulle sue parole. Erano
criptiche, ma allo stesso tempo stavano cercando di lanciarmi un
messaggio.
«
Volevi usarla. » sussurrai, cercando di capire se stessi
dicendo la
cosa giusta. « il suo potere spirituale ti avrebbe fatto
comodo. ».
«
Oh, ma non solo il suo. » ribatté lui,
stringendosi nella giacca. «
Sai, avevo in mente un sacco di progetti. Ma prima di realizzarne
anche soltanto uno, dovevo portare a termine ciò per cui
fremevo da
anni. Ucciderti. E finalmente avere la mia vendetta. ».
Mi
guardai attorno: il mio bosco non era mutato dal giorno in cui
l'avevo lasciato, la neve aveva continuato a battere incessantemente
sul terreno, attecchendo e gelando gli ultimi sprazzi di vita. Faceva
un freddo terribile, e il cielo minacciava ancora tempesta. Si stava
alzando un vento ghiacciato, che sferzava il viso come una lama
affilata.
Il
Cacciatore si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito.
« Non hai
idea, del dolore che si può patire a questo mondo. Ma sono
sicuro
che lo capirai presto, mia cara. ».
Schioccò
le dita, e quelle fiammelle ametista che avevo visto in precedenza
apparvero di nuovo sulla punta dei suoi polpastrelli. Emanavano
un'energia oscura, terribilmente negativa. Uno strano presentimento
fece scendere un brivido lungo la mia schiena. Avevo come
l'impressione che il suo spettacolo fosse appena iniziato.
«
Ragazze. » sibilò lui, richiamando due figure alle
sue spalle:
fluttuavano a pochi metri da terra, avvolte da quell'aura violacea
che avevo visto sulle sue mani fino a pochi istanti prima. Le
fasciava come un manto di seta, morbido e delicato. Ma l'energia che
sprigionava era forte, e scura.
Quando
quella stessa aura si dissolse, le figure dietro di lui scesero
lentamente a terra, fluttuando a qualche centimetro dal suolo. Lo
superarono, e solo a quel punto aprirono gli occhi, sollevando la
testa in uno scatto improvviso. Quando le vidi, il mio cuore
mancò
un battito.
«
Cosa... » iniziai, ma le mie parole morirono sulle labbra
rovinate
dal freddo. Non sapevo come continuare, tanto era lo stupore. Il
Cacciatore scoppiò in una risata fragorosa, beffarda, e
incrociò le
braccia al petto.
«
Scommetto che le riconosci. D'altra parte, attingere alla fonte
originale per un essere ignobile come me sarebbe stato impossibile.
Per questo ho dovuto usare delle
esche,
animi puri in grado di oltrepassare la barriera. E chi, più
puri di
loro? ».
Le
due donne di fronte a me avevano lo sguardo spento, opalescente: mi
ricordavano gli occhi perlacei di Ariel. Eppure, c'era qualcosa in
più che riusciva a mettermi i brividi. Non solo non c'era
umanità
in loro.
Non
c'era niente.
Non
un barlume di luce, o di speranza. La gioia, l'emozione che era in
loro era sparita. Gli era stato tolto tutto, e adesso stazionavano di
fronte a me come due fantocci vuoti, con solo quell'aura di morte e
distruzione a tenerle in vita.
Riconobbi
i lunghi capelli biondi, legati in una treccia che toccava terra; e,
dall'altra parte, lo sfarzoso abito bianco ricoperto di infiniti
punti luce, e le scarpe di cristallo ancorare ai piedi.
«
Come hai potuto fare questo? » sibilai, distrutta. Ma quella
domanda
era priva di senso, per un essere ignobile come lui.
E
ora Cenerentola e Raperonzolo mi osservavano da quelle gabbie prive
di vita, pronte ad assecondare qualsiasi comando del lupo. Ed io, per
difendermi, avrei potuto fare solo una cosa.
Ucciderle
entrambe.
«
Ragazze. » sibilò nuovamente il Cacciatore,
fissandomi con quel
ghigno sadico. « Attaccate. ».
Non
potevo ucciderle. Non potevo eliminare due delle più belle
principesse del Regno delle Fiabe solo per la cattiveria
dell'Originale. Loro non avevano fatto nulla di sbagliato.
Semplicemente, erano state catturate.
E
dovevano morire per quel motivo?
No,
mi rifiutavo di pensarci.
Ma
quando Cenerentola si scagliò brutalmente verso di me
brandendo una
lancia di cristallo, capii che nulla di ciò che ricordavo di
loro
era rimasto in quei corpi. Non mi riconoscevano.
Schivai
il suo colpo, spostandomi di lato e fermando la sua lancia di
cristallo con la mia. Qualsiasi mio movimento era finalizzato alla
difesa, e non all'attacco. Non ci riuscivo, era più forte di
me.
«
Allora, Cappuccetto? Dov'è la forte ragazza che ha ucciso
tutti quei
lupi? » gridò il Cacciatore, riportando alla mente
le mie battaglie
quotidiane in quel bosco. Al momento avrei preferito fronteggiare un
branco di bestie che loro due.
Raperonzolo
apparve alle mie spalle, e con una catena arrugginita mi
circondò il
collo. Mi dimenai, sentendo la sua presa forte e il respiro venire
meno. Come potevo continuare a combattere, se non volevo far loro del
male?
Sfilai
una gomitata a Raperonzolo, che barcollò alle mie spalle
facendo
cadere la catena. Tossii, evitando di pensarci. Mi voltai, e
Cenerentola era di nuovo pronta con quel maledetto arnese di
cristallo che, chissà per quale assurdo motivo, non riuscivo
a
distruggere. Poi, quando cercò di colpirmi, mi accorsi delle
spire
viola che circondavano la sua arma.
Ah,
giusto. La magia.
Che
sciocca.
«
Fermale! » gridai in direzione del Cacciatore, mentre
continuavo a
difendermi dai loro ripetuti attacchi. Sembravano non stancarsi mai,
i loro attacchi avevano la stessa forza ogni volta. Mi distrassi
osservando i suoi occhi farsi più scuri, tinti di una vena
sinistra.
Cenerentola
mi afferrò per un braccio, Raperonzolo agguantò
l'altro con una
stretta mortale e rimasi lì, nelle loro grinfie, imbracata
in quella
trappola da cui tentavo di dimenarmi invano. Insomma, sapevo
benissimo che un tempo avrei potuto batterle ad occhi chiusi, ma la
loro forza attingeva direttamente da quella del lupo, e quindi dalla
fonte originale. Tentai di dimenarmi ancora, ma senza risultato.
Il
Cacciatore avanzò a passo lento davanti ai miei occhi,
calpestando
la neve di quel bosco che ora sembrava accerchiato da un'atmosfera
così cupa e triste da farmi male. Rimase a distanza, a pochi
passi
da me.
«
Avanti. » sibilai, disgustata dalla sua presenza. «
E' quello che
vuoi, no? Fallo. Uccidimi.
». Sputai quell'ultima parola facendola soppesare nell'aria,
dandole
il tempo di rimanere sospesa.
Per
fargli capire che poteva farla finita lì, ma sarei caduta
con
dignità davanti ai suoi piedi, guardandolo negli occhi fino
alla
fine e a testa alta.
Lo
vidi ridacchiare. « Perché? »
mormorò, ostentando un'innocenza
che di certo non gli si addiceva. Schioccò le dita con un
movimento
rapido, ed io rimasi in attesa.
In
quel momento, proprio alle sue spalle, un cubo trasparente apparve
lentamente di fronte ai miei occhi: uno spazio chiuso adagiato
delicatamente sulla neve, che sembrava non risentire assolutamente
della sua presenza, come se non ci fosse. Come se quelle pareti non
pesassero che un grammo.
Come
se non fosse uno spazio reale.
Campo
di forza.
Furono
le prime parole che apparvero nella mia testa, chiare e definite. Il
Cacciatore schioccò di nuovo le dita, e un bagliore intenso
si
diffuse al centro del cubo. Al di là di esso vedevo quelle
che una
volta erano state le quattro mura più importanti della mia
vita, che
conservavano il mio cuore e la mia famiglia.
E
in quel senso di abbandono riuscii finalmente a vederlo.
Un'altra
parte di me che si materializzava a pochi metri di distanza
all'interno di una luce accogliente, per divenire sempre più
reale.
E quando mi resi conto che era proprio lì, e non era la mia
immaginazione a farmi brutti scherzi, con uno scatto mi scrollai di
dosso le tirapiedi del lupo e cominciai a correre.
«
Jim! » echeggiò la mia voce nell'aria, un grido di
disperazione che
si ripeté più e più volte in quel
grande spazio silenzioso e
deserto. La neve scandiva i secondi, e cominciava a cadere lenta e a
grandi fiocchi.
Sentii
di nuovo la stretta ferrea della mia prigione umana, saldamente
ancorata a terra, che mi costringeva a fermarmi. Mi dimenai ancora,
gridando e imprecando contro la scura figura che si dirigeva a passo
tranquillo verso Jim.
Così
mi fermai, recuperando il respiro che avevo perso nel tentativo di
raggiungerlo. Mi fermai e lo guardai.
Perché
in quel momento guardarlo negli occhi, incrociare anche solo per un
attimo il suo sguardo, mi sembrava la cosa più giusta da
fare. Non
avevo idea di quanto tempo ci rimaneva da vivere, e volevo avere
quegli occhi puntati addosso il più possibile.
«
Jim... » sibilai, e finalmente lui alzò la testa.
I grandi occhi
luminosi non erano andati via, fortunatamente. Per un attimo avevo
quasi temuto che il Cacciatore l'avesse trasformato in uno dei suo
scagnozzi personali.
«
Allora, Jim...immagino tu sia contento di vederla. Da sola, voglio
dire. » iniziò il Cacciatore, girando attorno al
cubo trasparente
con movenze sinuose.
Di
che diavolo stava parlando?
«
Deve essere stato proprio un brutto colpo, non è vero?
» continuò
lui, avvicinandosi sempre di più. Attraversò la
parete trasparente
e gli andò vicino, circondandolo con quegli strani effluvi
color
ametista. Sembravano tenerlo stretto nelle loro grinfie come una
morsa subdola, proprio come quelle parole di cui iniziavo lentamente
a capire il significato. Il Cacciatore si avvicinò ancora di
più e
posò le labbra sul suo orecchio.
«
Lei e Peter Pan. Peter Pan! Insomma, chi l'avrebbe mai detto? E tu,
lì...proprio lì davanti a loro. » gli
sussurrò all'orecchio, ma
io riuscivo a sentirlo benissimo. Voleva che lo sentissi. «
non deve
essere stato un bello spettacolo, mh? ».
Oh,
no.
Il
bacio.
Stava
cercando di allontanarlo da me piantando il seme della gelosia. Quel
piccolo e infido serpente, che si sarebbe insinuato nel suo cuore e
nella sua mente. Voleva metterci contro, allontanarci.
Farmi
soffrire come un cane per poi uccidermi definitivamente.
Jim
abbassò la testa, e in quel momento vidi in lui l'amarezza
che
quelle parole avevano insinuato nel suo cuore. Alzò di nuovo
lo
sguardo, e i suoi occhi mi inquadrarono in modo diverso,
trafiggendomi.
Aveva
toccato un tasto dolente.
Cenerentola
e Raperonzolo sparirono gradualmente, dissolvendosi in una nube di
polvere scura, ma sapevamo tutti che non avevo più bisogno
di essere
tenuta a forza. Ero immobile, a pochi metri da loro, e fissavo la
scena incredula, con il cuore a pezzi.
Si.
Quelle parole stavano mandando il mio povero cuore in frantumi, con
mia grande sorpresa.
E
perché, poi?
Jim
ed io non avevamo condiviso solo quella notte nel regno di Aurora:
avevamo viaggiato insieme per giorni, senza perdere mai la speranza.
E ora un invisibile muro di pietra stava lentamente ponendo fine a
quel legame.
No,
non potevo permetterglielo.
«
Che senso ha vivere, mi chiedo? Hai perso tua madre, e ora lei...
»
continuava il Cacciatore imperterrito, ignorando il dolore sul volto
di Jim. « Fa male, vero? Allora finiamola qui. Non vorrai
soffrire
ancora, mi chiedo! ».
Le
fiamme viola continuavano ad avvolgerlo sempre più forte, in
una
morsa...mortale. Non era qualcosa di fisico, ma di spirituale: erano
le ombre oscure del suo passato e della sua anima, la sofferenza che
aveva celato nel suo cuore e in quella grotta che si stava lentamente
impossessando di lui.
Non
era il suo corpo, ma la sua anima a morire lentamente.
Cominciai
a correre. Battei quei pochi metri in qualche secondo, prendendo alla
sprovvista persino il Cacciatore. Eppure, quando arrivai di fronte al
cubo, non riuscii ad attraversare la parte. A quanto pare non c'era
posto per me, lì dentro. Così cominciai a battere
e battere fino
allo stremo.
Facevo
confusione, cercando di farmi sentire e di distrarlo dalle infide
parole del Cacciatore.
«
Jim, no! Non ascoltarlo! Non ascoltarlo, maledizione! »
gridai,
battendo i pugni fino a farmi male. Cercavo il suo sguardo, ma dietro
quelle fiamme oscure era impossibile vedere.
«
Dimenticala, Jim. Dimentica chi ti ha fatto soffrire. ».
«
Jim! Jim! » gridai ancora, e ancora. « Mi dispiace!
».
Mi
accasciai sulla neve, cadendo sulle ginocchia. Respiravo a fatica,
come dopo una lunga salita. Fissai la neve candida sotto il palmo
delle mie mani. Non sentivo più il freddo. Non sentivo
più nulla,
adesso.
«
Oh, povera piccola... » la voce del lupo arrivò di
nuovo alle mie
orecchie, più distinta. « Immagino quanto tu possa
soffrire in
questo momento. Qui, da sola. Già...dove sono i tuoi amici?
».
Digrignai
i denti, incredula di fronte a quelle parole. Ero devastata dal
dolore, ma ero certa che lui non potesse minimamente immaginarlo. Chi
non ha un cuore non può rendersene conto.
Le
fiamme di polvere oscura si diffusero lentamente attorno al suo corpo
rinchiuso nel cubo, avvinghiandosi alla sua testa per inculcargli
quelle orribili parole nel cervello. Vedevo già le
propaggini di
quelle idee attecchire e cancellare ogni ricordo, ogni memoria di
quello che era stato.
L'Originale
non voleva solo uccidermi, ma voleva farlo dopo una lunga agonia.
Dopo avermi fatto patire le sofferenze più indicibili. A
quel punto
mi avrebbe finita, una volta per tutte, e la sua vendetta sarebbe
stata completa.
Sollevai
appena la testa, e i fiocchi di neve cominciarono a scendere
lentamente sul mio volto, posandosi sui capelli che erano ricaduti
davanti al viso in modo disordinato. Gli occhi di Jim erano chiusi,
la testa china.
«
Jim, ti prego... » sussurrai, e in quel momento avrei tanto
voluto
piangere. Lasciarmi andare finalmente a quella liberazione che per
anni avevo represso per mostrarmi forte agli altri. Ma ora era il
momento meno adatto per rivelarmi debole, soprattutto di fronte a
lui. In fondo eravamo soli: Jim era rinchiuso nella sua gabbia
personale e le principesse agli ordini del lupo erano lentamente
scomparse in una nebbia violacea, che le aveva riportate nel
nascondiglio dove il lupo le custodiva gelosamente.
Pensai
che forse non erano le uniche ad essere state catturate da lui. E
l'idea di affrontare un avversario con una forza così grande
improvvisamente mi destabilizzò: nel silenzio di quel luogo
pensai a
cosa volesse dire attingere dalla fonte originale, il cuore di tutta
l'energia magica del mondo delle Fiabe. Un'energia unica, che non era
né bene né male – ancora. E da
lì si distribuiva nei vari Regni,
suddivisa in parti più piccole.
Lui
l'aveva tutta, e continuava ad assorbirla togliendola agli altri. E
così Peter smetteva di volare, Campanellino moriva
lentamente, e
nessuno poteva fare nulla per impedirlo.
In
quel momento, però, mi venne in mente quando avevo
incontrato
l'Originale per la prima volta nel bosco: nonostante avessi perso i
sensi, Biancaneve e gli altri avevano chiaramente visto che si era
dato alla fuga al loro arrivo. Perché?
Perché
non era rimasto, vista la sua enorme potenza? Poteva ucciderli
tutti, e portarmi via.
Eppure...
«
Mi ha lasciato andare. » sussurrai, scoprendo quella
verità che
prima avevo sempre ignorato. Se non mi aveva portata con sé,
un
motivo doveva esserci. Ed era lo stesso motivo per cui non mi aveva
mai cercata, né ostacolata direttamente, ma aveva fatto in
modo di
farmi arrivare da lui fino a lì.
Quell'attacco
in gruppo l'aveva colto di sorpresa, e questo aveva fatto vacillare
qualcosa dentro di lui, rompendo l'equilibrio che lo teneva
saldamente legato alla sua crudeltà. Qualcosa di potente,
assopito
dentro di lui, ma che riusciva ancora ad uscire fuori quando ne aveva
la possibilità.
Trattenni
il respiro, arrivando finalmente alla fine.
L'anima
del cacciatore c'era ancora, e stava ancora combattendo. Aveva dato a
me la
possibilità di vincere.
Nonostante
la presenza del lupo, mi aveva sempre aiutata.
Sollevai
appena lo sguardo, fissandolo negli occhi.
«
Tu ci sei ancora... » sussurrai, e lo vidi assottigliare lo
sguardo.
Probabilmente era irritato dalla mia tenacia, voleva vedermi crollare
e invece ero ancora lì, pronta a sfidarlo. Voltai le spalle
a Jim, e
sotto i suoi occhi indagatori feci qualche passo indietro.
A
quel punto, nel silenzio di quel luogo surreale, lasciai che il mio
braccio prendesse vita, e che le parti metalliche sostituissero la
pelle in quei pochi secondi. Il rumore degli ingranaggi
rimbombò
nell'aria mentre i cavi elettrici spuntavano dalle radici nervose.
Dio, quanto faceva male.
Eppure
in quel momento non pensavo al dolore. Non pensavo a niente.
Il
cannone cominciò a ruotare attorno al mio braccio,
mettendosi in
moto. Mi voltai, e il cacciatore era ancora lì che mi
fissava. Il
mio sguardo virò su Jim, rinchiuso in quel cubo con la mente
offuscata dalla magia nera.
In
quell'attimo rimase tutto fermo, tutto spento. Nulla si muoveva,
neppure di un millimetro. Il cigolio delle chincaglierie meccaniche
che davano vita al mio braccio artificiale erano solo un brusio
impercettibile in confronto.
Chiusi
gli occhi, poi li riaprii. Volevo vederlo, questa volta. Il
proiettile scattare rumorosamente, e dirigersi a grande
velocità
verso il bersaglio. Il fragore, l'esplosione. Il fumo. La polvere,
mista a schizzi di neve macchiata di fuliggine. Poi, di nuovo il
silenzio.
Volevo
assistere di persona a quel momento.
Così
sparai.
In
quel momento il fumo provocato dalla grande esplosione mi
oscurò la
vista. Non vedevo più Jim, e questo era ciò che
mi spaventava di
più. Attorno a me si era alzato un polverone più
grande del
previsto.
Mi
fischiavano le orecchie, ma se provavo a pensarci non ricordavo
assolutamente il fragore dell'esplosione.
In
quel momento, con quel fischio acuto nelle orecchie e un nuovo
silenzio che preparava a ristabilire l'equilibrio, le parole di
Pocahontas mi ritornarono alla mente come se lei fosse lì,
in quel
momento, a parlarmi.
La
forza che anima il tuo cuore è più potente di
qualsiasi
maledizione.
Nb. Buongiorno piccioncini miei! Come sono andate le vacanze? Le mie,
ahimè, mi sono sembrate troppo brevi... ma credo sia sempre
così per tutti! Comunque, eccomi qui ad aggiornare con un
nuovo capitolo. Spero stiate continuando a leggere questa storia, e che
mi facciate sapere cosa ne pensate.
Vi abbraccio forte!
L.
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Capitolo 18 *** Neverland. ***
thisfairitaleisradioactivenow
THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-
-
18.
Neverland.
C'era
qualcosa di sbagliato. Gli eventi si susseguivano senza una logica,
senza un criterio. Non c'era nessun filo a legare quei momenti. Era
tutto sbagliato.
Quando
il fumo si diradò, dopo che il proiettile era schizzato
fuori dal
mio braccio artificiale, non c'era più neve. L'atmosfera era
cambiata, e in pochi istanti mi resi conto di non essere più
nel mio
bosco.
“Se
vuoi giocare, allora giochiamo."
Quelle
parole mi rimbombarono nella testa una sola volta, ma non feci fatica
a riconoscere la voce del lupo: era chiara e distinta nella mia
mente, come se fosse sempre stata lì.
Mi
guardai attorno, cercando di capire in che diavolo di posto mi
trovassi, e come fossi riuscita a raggiungerlo: a quell'ultima
domanda trovai presto risposta, considerando che avevo fronteggiato
un essere che mi aveva riportata a casa dal bosco di Aurora in meno
di un secondo. Ma ora rimaneva ancora una questione da risolvere:
dove mi aveva mandata, dato che non ero più a casa?
Le
fronde attorno a me erano selvagge e incolte, come in una giungla
dove l'uomo non aveva mai avuto accesso. Era un luogo impervio, che
tuttavia avevo già visto. Nonostante tutto, non potevo
rimanere
ferma senza far nulla: dovevo muovermi, e cercare di orientarmi.
Sfilai
il coltello dal suo fodero legato alla coscia e iniziai a farmi
strada tra le fitte fronde della foresta, ignorando il caldo atroce e
gli insetti che continuavano a fare tuffi acrobatici attorno ai miei
occhi. Camminai a lungo, ignorando la fatica.
O
almeno ci provavo. Avevo appena superato quasi indenne uno scontro
con l'Originale, e questo era più che sufficiente. Ma sapevo
bene
che lui mi stava osservando, l'avevo capito nell'attimo esatto in cui
il fumo si era diradato. Stava giocando con me, ero la sua bambolina
personale da torturare.
Continuavo
a ripensare alle parole di Pocahontas mentre la foresta si apriva di
fronte a me. La forza che animava il mio cuore poteva davvero
sconfiggere il lupo, nonostante lui avesse un'energia così
potente
tra le mani?
Mi
sembrava talmente irreale che a poco a poco avevo smesso di crederci.
Forse era quello il problema.
Probabilmente
girai in tondo per un po', oppure era la foresta ad essere tutta
uguale. Sentivo un brusio in sottofondo che di certo era
sufficientemente inquietante per i miei gusti. C'erano animali
selvaggi nei paraggi, e probabilmente non avevano buone intenzioni.
Mi
guardai di nuovo attorno: di fronte a me, ora, si stagliava una
parete di roccia, terra e muschio che di certo non avrei mai potuto
scalare. Alla mia sinistra l'oscurità crescente mi
suggerì che,
prendendo quella strada, mi sarei inoltrata ancora di più
nel fitto
della giungla. Così optai per la destra, cercando di trovare
un
valido motivo per scegliere, dato che ogni strada sembrava tanto
pericolosa da uccidermi.
Eppure,
camminando ancora per un tempo indefinito, riuscii ad uscire da
quella natura selvaggia. Lentamente gli alberi si diradarono, le
fronde erano sempre meno fitte e la luce iniziò ad invadere
gli
spazi vuoti. Era una luce fredda, priva di qualsiasi vigore. Spenta,
come tutto dopo l'Apocalisse.
Davanti
a me c'era solo uno sperone di roccia, nuda e fredda, che si apriva
su uno strapiombo di cui non si vedeva il fondo. Avanzai a passo
lento per raggiungere la lingua rocciosa sospesa in aria.
Quasi
mi si mozzò il respiro quando mi accorsi del profilo
conosciuto,
seppur cambiato, del panorama che si stagliava all'orizzonte: la
laguna, un tempo bellissima, era lasciata a se stessa, in un
abbandono segnato dal tempo; le onde si scontravano con le rocce a
picco sul mare, invaso da coccodrilli dall'aspetto feroce che
segnavano il loro territorio lasciando rimbombare il loro ringhio
sommesso.
Il
cielo era plumbeo, e una pioggia pesante rendeva l'aria
irrespirabile. Di tanto in tanto qualche fulmine illuminava il cielo,
scontrandosi con le montagne all'orizzonte.
Era
un posto orribile. E ciò che mi spaventava di
più, era che lo
ricordavo come pieno di meraviglia.
Ma
ora, quello era l'Inferno.
Ero
sull'Isola
che non c'è.
Perché
mi stava facendo questo? Voleva vedermi impazzire?
O
forse quella sofferenza gratuita lo divertiva a tal punto da
continuare con quell'assurda tortura?
Di
certo l'Originale stava superando le sue capacità. Mi
guardai
attorno, disorientata. Peter aveva ragione quando parlava del suo
regno. La situazione era più che critica.
Non
riuscivo a vedere molto, ma dall'aspetto della laguna le sirene
dovevano essere completamente sparite. E il villaggio degli Indiani
sembrava abbandonato, in lontananza le loro abitazioni avevano
l'aspetto di vecchie dimore lasciate a marcire. C'era aria di morte e
distruzione, ovunque.
E
avevo come l'impressione che la situazione, in tempi recenti, fosse
peggiorata.
Cercai
di pensare lucidamente, ma il temporale e la vista di quello
spettacolo me lo rendevano molto difficile. Se il lupo aveva ancora
Peter, probabilmente non potevo contare sul suo aiuto. Mi trovavo in
un luogo in cui il caos stava dominando, un luogo pericoloso. E
cominciai a capire perché ero stata trascinata lì.
C'erano
troppe cose di cui preoccuparmi, troppe persone a cui pensare. Chiusi
gli occhi, cercando di focalizzare il mio obiettivo.
Ma
per la prima volta non vedevo nulla, davanti a me. Il vuoto
più
totale. Cosa mi stava accadendo?
«
Se vuoi farmi impazzire... » sibilai, sicura che mi stesse
ascoltando. Iniziai a camminare a passo svelto, il cappuccio della
mantella ben saldo sulla testa. Avevo riposto il cannone ignorando il
dolore provocato dagli ingranaggi che ritornavano ordinatamente sotto
la pelle artificiale. Avevo ancora la mia lancia, che tenevo stretta
saldamente in mano. Discesi lungo la scogliera seguendo il viale
tortuoso che portava sul mare. Almeno un aspetto positivo, in tutta
quella faccenda, riuscivo a trovarlo: avevo passato talmente tanto
tempo sull'Isola da conoscerla abbastanza bene. Non mi sarei persa,
ma ero certa che il Lupo questo lo sapesse bene.
Allora
perché mi aveva spedita lì?
Camminai
ancora fino a ridiscendere lungo la scogliera: il percorso si faceva
sempre più impervio, tanto che fui costretta – per
un breve tratto
– a legare la lancia alla schiena e a proseguire in
arrampicata,
scendendo lungo la parete di roccia.
Decisi
di prendere la strada per la laguna delle sirene: il covo dei pirati
era decisamente da evitare, così come il villaggio indiano
abbandonato e depredato. Sapevo benissimo che in questo modo mi sarei
allontanata dal rifugio di Peter e dei Bimbi Sperduti, ma sapevo
benissimo che se fossi andata lì avrei messo in pericolo
anche loro.
Provai
a pensare al motivo per cui il Lupo mi aveva spedita qui: di certo
era ancora vivo, e i miei colpi non lo avevano ucciso come avevo
previsto; Jim era ancora con lui, e questo era un problema.
Probabilmente anche Peter si trovava ancora in trappola, nonostante
non lo avessi più visto.
Le
parole di Pocahontas mi rimbombavano nella testa in continuazione,
senza lasciarmi il tempo di formulare un pensiero totalmente mio. Mi
sentivo disorientata, e questo non era affatto un buon segno.
A
bassa quota gli alberi e le fronde riuscivano a proteggermi dalla
pioggia, che ora arrivava solo in parte e mi permetteva di vedere
meglio la strada. Da quando ero arrivata non avevo visto nemmeno una
fata, o una creatura del bosco. C'era una desolazione spaventosa.
Proseguii
lungo il sentiero, cercando di dare un ordine ai pensieri. Non avevo
la minima idea da quanto tempo stessi camminando, ma a poco a poco
cominciai a vedere il sentiero aprirsi sempre di più, e gli
alberi
diradarsi. La laguna si aprì di fronte ai miei occhi,
spaventosa e
abbandonata. Il mare era molto mosso e le onde si scontravano sugli
scogli producendo dei rumori fastidiosi e inquietanti, dei sibili che
echeggiavano nel vuoto dell'ampio spazio rimbombando ad oltranza.
L'area della laguna era leggermente più tranquilla,
l'insenatura in
qualche modo creava una protezione naturale contro le forti raffiche
di vento.
Non
avevo idea del perché mi fossi diretta subito lì:
Peter mi aveva
detto già da tempo che le sirene oramai erano quasi
scomparse, e lui
stesso non ne vedeva quasi più. Ma in qualche modo l'istinto
mi
aveva suggerito di prendere quella strada, e allo stesso modo io
avevo deciso di dargli retta.
Raggiunsi
la scogliera, scegliendo uno dei punti più riparati, e mi
inginocchiai sulla sabbia umida. Il mio riflesso nell'acqua era
smosso dalle onde e dal vento, e non riuscivo a distinguere bene i
contorni del viso.
Avvicinai
una mano all'acqua e con il dito ne sfiorai la superficie. Cerchi
concentrici irregolari si aprirono attorno al polpastrello,
allargandosi fino a sparire in onde disordinate.
Un
ringhio alle mie spalle mi distolse da quei pensieri, mi voltai di
scatto, pronta ad attaccare, ma ero ancora sola. Non c'era nessuno
dietro di me, e per un attimo pensai di aver preso un abbaglio.
Ma
poi un altro ringhio mi attirò verso sinistra, simile al
primo.
Questa volta non l'avevo immaginato.
Tentai
di scorgere qualcosa ai margini del bosco, ma sembrava tutto
tranquillo. Camminai lungo gli scogli, senza dare le spalle al bosco.
Saltai da un masso all'altro, cercando di raggiungerne uno
più in
alto. Gli scogli non erano il luogo migliore per rintanarsi in quel
caso, ma era l'unica opzione che avevo.
Le
onde si infrangevano contro la roccia, la schiuma bianca mi sferzava
le caviglie. Sfilai lentamente la lancia da dietro la schiena,
stringendola tra le dita. Qualsiasi cosa mi si fosse parata davanti,
di certo non aveva buone intenzioni.
Mi
spostai in avanti, cercando di recuperare terreno: non potevo
rimanere sul ciglio della scogliera, rischiando quasi sicuramente di
farmi ammazzare.
Un
altro ringhio, questa volta a destra. Ma
quanti sono?
«
Vieni fuori, bastardo. » sibilai, pronta. Si, ero pronta ad
affrontarlo. Non avevo idea di cosa fosse, ma avevo come
l'impressione che l'avrei scoperto presto.
Alla
luce del cielo grigio la figura che si stagliò davanti ai
miei occhi
era inizialmente priva di forma. La sua ombra diventava via via
più
grande, mostrando la pelliccia nera e brillante, le zampe grandi che
scavavano il terreno con gli artigli logori, gli occhi scuri che
puntavano verso di me.
Trattenni
il respiro per un momento, cercando di capire. Capire perché
un lupo
delle dimensioni di un cavallo si trovasse nella laguna delle sirene,
e volesse uccidermi.
Da
quel che ricordavo, sull'Isola non c'erano lupi. Se qualcuno di loro
si nascondeva nella boscaglia, era comunque di piccole dimensioni e
relativamente innocuo. Peter mi aveva raccontato di non aver paura
degli animali dell'Isola. Neppure degli orsi, che aveva imparato a
conoscere e con cui riusciva persino a convivere.
Ma
quello, quello non apparteneva decisamente a quel luogo. Le
radiazioni, il caos, l'Apocalisse.
Quell'essere
era il risultato di quell'orribile destino che ci era stato
riservato?
Un
brivido mi percorse la schiena. Somigliava terribilmente ai lupi del
mio bosco. Somigliava a
lui.
In
un primo momento quel pensiero mi raggelò il sangue nelle
vene.
Potevo davvero combattere contro di lui?
Tenni
stretta la lancia, cercando di ignorare la paura che si stava
impossessando nuovamente di me. Non potevo, non di nuovo. Non dovevo
cedere alla debolezza.
Il
lupo avanzò ancora, ringhiando. Come poteva essere
lì, di fronte a
me? Ancora non ci credevo.
Rimasi
immobile, oramai lontana dal ciglio della scogliera, ma non per
questo fuori pericolo.
Un
fulmine rischiarò il cielo, e il rimbombare di un tuono in
lontananza fece scattare il lupo.
Era
il momento. Il momento in cui avrebbe tentato di azzannarmi. Cercai
di schivarlo, ma la sua zampa mi colpì di striscio sul
braccio,
graffiandomi. Sentii un lieve bruciore, e in pochi secondi tre graffi
paralleli apparvero sull'avambraccio.
Eppure
c'era qualcosa che non tornava. Era un dolore diverso, un dolore che
non avevo mai provato. La percezione stessa era differente. C'era
qualcosa di sbagliato.
Il
lupo si voltò di scatto e tornò ad attaccare. Mi
difesi con la
lancia e indietreggiai, contando i passi che mi dividevano dal ciglio
della scogliera. Ero salita decisamente troppo in alto, e se fossi
caduta di certo sarei morta.
Gli
occhi del lupo trovarono di nuovo i miei, facendomi rabbrividire. Non
potevo crederci. L'Originale mi aveva spedito sull'Isola ed io andavo
a trovare un dannato lupo. Mi sentivo alla fine.
Per
la prima volta iniziai a convivere con l'idea di non farcela. Ma
subito dopo, un altro pensiero mi balenò in mente.
Pensai
al dolore. Al dolore che avevo provato quando il lupo mi aveva
colpita. Quella sensazione nuova, diversa. Pensai al fatto che non
c'erano bestie del genere sull'Isola, che Peter non me ne aveva mai
parlato.
Che
quel lupo rifletteva esattamente le mie paure.
Ma
che non poteva essere lì.
Trattenni
il respiro, spalancando gli occhi. Un altro tuono rimbombò
nell'aria. Chiusi gli occhi, poi li riaprii.
Il
lupo era ancora immobile di fronte a me.
Inspirai
a fondo. « Non è reale. » sibilai a
bassa voce.
Non
avevo idea di cosa stessi facendo. Ma stava andando esattamente
così.
Mi
voltai di scatto, dando le spalle al lupo, e cominciai a correre.
Raggiunsi
il bordo della scogliera e saltai, lanciandomi nel vuoto.
Durò
solo pochi secondi. Giù, nell'acqua.
Quando
mi immersi completamente, finendo a fondo nelle acque profonde della
laguna in tempesta, tornò di nuovo il silenzio. Sott'acqua,
senza
l'Isola e i suoi animali selvaggi.
Aprii
gli occhi, e l'oscurità mi avvolgeva.
Il
mare attorno, mentre trattenevo il respiro.
«
Tutto questo non è reale. » ripetei, e mi resi
conto di sentire la
mia voce, anche li sotto. Sollevai la mano, sfiorando l'acqua che mi
circondava.
E
un istante dopo notai come una spaccatura in fondo a
quell'oscurità,
una crepa da cui filtrava una luce bianca e purissima, che in pochi
secondi mi accecò.
Aprii
gli occhi di scatto, ed ero di nuovo nel mio bosco. Non mi ero mossa
da lì, e tutto era rimasto esattamente come prima. Non ero
morta, e
questo provava che le mie supposizioni erano vere.
Non
ero mai stata sull'Isola
che non c'è:
ero rimasta ferma lì, nel mio bosco, mentre il Lupo
proiettava
quelle immagini nella mia testa, mettendomi di fronte le mie
più
grandi paure.
Nulla
di ciò che avevo affrontato era reale, e avevo rischiato di
morire
annegata pur di provarlo.
Il
cacciatore, ancora nella sua forma umana, mi osservava a braccia
conserte, l'espressione seria e concentrata. Jim non c'era
più. Per
un attimo vacillai, temendo di averlo perso ancora.
«
Non ho mai incontrato una persona simile a te, Cappuccetto Rosso.
»
mormorò dopo qualche secondo di silenzio, guardandosi
svogliatamente
le unghie della mano. « Fin da piccola hai mostrato una
particolare
attitudine per il pericolo. ». Sulle sue labbra apparve un
ghigno
divertito, mentre cercava di rigirare il dito nella piaga riportando
alla mente i vecchi ricordi. Sapeva bene che odiavo ricordare
quell'esperienza, quando avevo quasi rischiato di perdere la mia
famiglia per colpa del Lupo. Ma osservandolo in forma umana, mi era
impossibile non pensare a quell'uomo coraggioso e onesto che ci aveva
salvate, e che per tutta la vita aveva rappresentato per me un
modello. Ora era lì, di fronte a me, e non era
più lo stesso.
Plasmato dal male e corrotto da un'energia troppo potente per una
sola persona, ora non era altro che l'involucro di un male
più
grande. In quel momento iniziai a provare compassione per
quell'essere così potente, ma che aveva necessariamente
bisogno di
un corpo umano per essere perfetto.
E
questo lo rendeva necessariamente imperfetto.
Imperfetto.
Irreale.
Mi
guardai attorno, cercando di scandire il tempo contando i secondi: il
cielo era vitreo, le nuvole minacciavano continuamente tempesta; gli
alberi erano coperti di quella coltre bianca che non svaniva mai,
alti e imponenti nella loro maestosità secolare. C'era un
grande
silenzio.
«
Cosa ti succede, ragazzina? » mi spronò lui,
rompendo il silenzio.
Vedermi pensare lo metteva in agitazione, probabilmente. Aveva
bisogno della mia paura.
Osservai
quell'alone color ametista apparire nuovamente attorno a lui, le
stesse lingue suadenti che avevano circondato Jim.
«
Dov'è lui?
» sibilai, esasperata. Non potevo permettergli di giocare in
quel
modo, come se fossimo tutti burattini al suo cospetto. Mi rispose
nuovamente con un ghigno, poi le lingue di ametista puntarono dritte
verso di me.
Erano
talmente veloci che mi resi conto appena in tempo della loro
direzione, e tutto ciò che riuscii a fare fu gettarmi di
lato, nella
neve, affondando il corpo in quel candore gelato. Udii la forte
esplosione, poi il fumo.
Mi
voltai, e a quel punto qualcosa – un bagliore appena
accennato –
attirò la mia attenzione: oltre il fumo e il polverone
creato da
quell'eccesso di energia c'era qualcos'altro, qualcosa che
inizialmente non riuscii a definire.
Somigliava
alla rifrazione di uno specchio, come se l'energia si fosse
improvvisamente scontrata con qualcosa di invisibile. Cercai di
focalizzare l'attenzione su quel punto, ma il Lupo mi distrasse
ancora scagliando un altro colpo. Rotolai di lato, cercando di
seguirne la direzione.
La
sfera di energia andò a schiantarsi contro un albero, e
schegge di
luce si fermarono proprio a metà strada, creando tanti
piccoli punti
di luce che durarono solo un istante, scomparendo poi nell'aria.
Mi
voltai di nuovo verso il Cacciatore: sapevo che c'era qualcosa, ma
finsi di non dargli troppa importanza. Ogni movimento, ogni sguardo
in quel momento era fondamentale.
«
Ti ho fatto una domanda,
cane. »
sputai avvelenata. Volevo farlo arrabbiare. Doveva attaccarmi.
Sfilai
il coltello che tenevo all'altezza della coscia, e con un gesto
rapido lo lanciai verso di lui. L'ennesima sfera di luce opaca
deviò
la direzione della lama, che andò a trafiggere un tronco
cavo a
pochi metri da noi, e l'esplosione mi colpì alle spalle.
A
quel punto lo vidi chiaramente: c'era una barriera invisibile che ci
divideva da qualcosa, contro cui quell'energia si scontrava. Come se
fossimo chiusi dentro qualcosa. Mi venne in mente il cubo dentro cui
era stato intrappolato Jim. Il principio sembrava essere lo stesso.
Sussultai.
Possibile che...?
In
quel momento mi tornarono in mente le parole di Pocahontas.
La
forza che anima il tuo cuore è più potente di
qualsiasi
maledizione.
La
mia forza. La mia forza non era fisica.
Dove
sono i tuoi amici, Red?
Ripensai
ai loro volti. Mulan, Aurora, Biancaneve...
Tutti
coloro che avevo incontrato mi avevano aiutata, avevano rischiato la
vita per me, per farmi andare avanti. E ora dov'erano?
Perché
non erano lì con me, a combattere?
Lo
guardai di nuovo, e lo vidi vacillare. Solo per un istante, dai suoi
occhi, si sollevò un leggero tremolio. Forse invisibile, ma
me ne
accorsi. Stavo pensando troppo per i suoi gusti.
«
I miei amici... » sussurrai, cercando di riflettere.
La
sicurezza tornò ad impossessarsi dei suoi occhi vermigli, e
il
sorriso sadico che non aveva mai abbandonato le sue labbra si fece
più feroce, intenso.
«
Oh, i tuoi amici. » sbuffò poi, soffocando una
risata. « Io non
vedo nessuno. ».
«
Già. » sibilai, ma ciò che poteva
sembrava una risposta d'arresa,
in realtà era una riflessione più profonda.
Non
erano lì, quello era vero. Ma il Lupo non mi conosceva
così bene
quanto voleva farmi credere: secondo lui non ero altro che un'illusa,
che si era lanciata in un'impresa più grande di lei. Che
aveva
creduto di poter vincere da sola. Ma in realtà non mi aveva
osservata nel modo giusto: non aveva visto ciò che avevo
visto io
nel mio viaggio, le persone che in realtà avevo incontrato,
conosciuto o ritrovato, e che avevano permesso di sciogliere il
ghiaccio che si era formato attorno al mio cuore a causa della
solitudine che avevo provato nel mio bosco dopo l'Apocalisse.
Non
si era reso conto che la persona di un tempo, la fredda e spietata
Red, aveva aperto una piccola fessura nel suo cuore verso gli altri.
E dire che avrebbe dovuto rendersene conto, vista la mia reazione nei
confronti di Jim e di Peter. Ma forse non aveva afferrato bene il
concetto. Aveva gioito a tal punto della mia sofferenza da non
rendersi conto che quel sentimento era più forte di quanto
potesse
pensare.
Era
quella, la forza che animava il mio cuore e che poteva distruggerlo:
la consapevolezza che quel viaggio mi aveva avvicinata a molte
persone, e che insieme avremmo potuto farcela.
«
Io non sono sola. » sussurrai nel silenzio, mentre la neve
ricominciava a cadere, di nuovo, sempre più forte sopra le
nostre
teste.
«
Io non – » iniziò lui, ma questa volta
fui io ad interromperlo.
«
Non voglio ascoltarti. » risposi prontamente, spezzando la
sua presa
su di me. « Le persone che mi hanno aiutata e sostenuta in
questo
viaggio...loro non mi abbandonerebbero mai. Ne sono certa. E sono
anche certa che sei tu, a farmi credere il contrario. ».
«
Oh, questa poi... » mormorò lui, scuotendo la
testa. « Credi
davvero che abbia bisogno di ridicoli sotterfugi come questo per
convincerti? Non ti basta questo?
» gridò, e la sua voce rimbombò negli
antri vuoti del bosco. Lo
vidi spalancare le braccia per indicare il vuoto attorno a noi.
«
E' vero, non sono qui. » gli confermai, sperando di toglierli
quel
ridicolo sorriso dalla faccia. « ma so che è colpa
tua, se non ci
sono. Come so che questo non è il mio bosco. ».
Tutto
questo non è reale.
Come
avevo fatto a non accorgermene prima?
I
suoni, la neve, il cielo...tutto era così simile al mio
bosco da
riuscire anche ad ingannare la proprietaria.
Non
era reale, e me ne ero resa conto dal momento in cui ero uscita
dall'Isola
che non c'è:
una realtà perfetta, apparentemente la stessa, ma con
qualcosa di
diverso. Una sensazione così sottile da essere quasi
impercettibile.
Le
rifrazioni della luce che avevo visto alle mie spalle erano l'unica
prova: una barriera ci divideva dal mondo reale, da tutto
ciò che
era esterno a noi.
Chiusi
gli occhi e sentii nuovamente gli ingranaggi al di sotto della pelle
scalpitare, e in un attimo il cannone di metallo freddo prese il
posto dell'avambraccio, mentre i cavi elettrici fuoriuscivano dalla
muscolatura allacciandosi tra loro.
Il
Cacciatore mi guardava con odio, per la prima volta colto di sorpresa
dalla mia rivelazione. Cercò di colpirmi con un'altra delle
sue
sfere di energia, ma riuscii a schivarla cogliendolo di sorpresa e
gettandomi lateralmente, sulla neve, mentre il cannone ultimava le
ultime modifiche.
Mi
tirai su, poggiando il ginocchio a terra. Voltai le spalle al
Cacciatore e, senza prendere la mira, lanciai uno dei proiettili
verso il bosco innevato.
Lo
vidi percorrere qualche metro a grande velocità, poi
schiantarsi
contro il nulla ed esplodere in una nuvola di metallo e fiamme.
Ed
eccola lì, di nuovo, la parete invisibile illuminata da una
luce
chiara, abbagliante: una superficie perfetta che lentamente si
spaccò
in più punti, come uno specchio rotto, frantumandosi in
mille
schegge luminose.
Alle
mie spalle udii il lamento del Cacciatore, un grido di odio rivolto a
me, colpevole di aver ridotto in frantumi la sua realtà
virtuale.
La
parete continuò a frantumarsi mostrando la sua vera forma:
una
cupola molto estesa, che scomparve proprio sopra le nostre teste.
Quell'improvviso
cambio di realtà mi sconvolse, nonostante fossi pronta a
tutto: il
Cacciatore osservò le schegge di luce proiettarsi su di noi
e
scomparire nell'aria fredda. Non riuscivo a definire precisamente la
sua espressione, o cosa stesse pensando realmente in quel momento.
Sapevo
solo che non era nulla di buono.
Ma
per la prima volta in assoluto, mi resi conto di non avere paura di
lui. Quel senso di oppressione, quell'effetto devastante che la sua
voce e la sua figura avevano su di me ora era affievolito, come in un
ricordo molto lontano.
Per
la prima volta non lo temevo.
Guardandomi
attorno, riconobbi il profilo del bosco, le chiome verdi e rigogliose
degli alberi e l'erba umida sotto i nostri piedi: ero ancora nel
bosco di Aurora.
La
realtà in cui avevo combattuto fino a quel momento non era
altro che
una finzione.
«
Red! » gridò qualcuno alle mie spalle, e
voltandomi riconobbi Mulan
in lontananza: ci trovavamo in uno spiazzo molto ampio, forse a
qualche centinaio di metri di distanza dalla casa di Aurora. Le
chiome degli alberi attorno a noi si muovevano freneticamente, a
causa del vento impetuoso che, probabilmente, non era del tutto
frutto della natura. Il Cacciatore si fece scuro in volto, e il vento
iniziò ad aumentare rapidamente, concentrandosi soprattutto
attorno
a noi.
«
E così... » iniziò, circondandosi di
quella luce color ametista,
che lo avvolse nelle sue grinfie come una trappola mortale. «
Ti
piace prenderti gioco dei miei artefici, mh? ».
La
figura del Cacciatore andò lentamente a modificarsi, il
corpo
divenne un misto di carne e polvere viola, magia e realtà si
unirono
fondendosi in un miscuglio indefinito: la massa oscura di fronte a me
iniziò ad aumentare, fino a raggiungere un'altezza
spropositata. Un
ringhio sommesso partì dal centro della nube, e un brivido
mi
attraversò la schiena.
Sapevo
benissimo cosa stava accadendo.
Le
grandi zampe del lupo toccarono terra, marchiando il terreno e
rivoltando intere zolle di terra; il pelo scuro e ancora coperto da
quella foschia violacea cominciò rapidamente a ricoprire il
corpo
della bestia, mentre una fila di denti affilati apparve sul muso
lungo e rabbioso.
Forma
umana e forma animale.
Ed
ora era lì, quella bestia che sempre avevo temuto. Di fronte
ai miei
occhi, così feroce da paralizzarmi. Riusciva a risvegliare
le paure
più recondite, i ricordi più dolorosi e macabri
della mia infanzia.
Era la mia debolezza, il centro di tutta la mia paura.
Era
il Lupo cattivo, ed era pronto a mangiarmi di nuovo.
Nb. Beh, se volete linciarmi fatelo pure. Lo so, un terribile,
gigantesco ritardo! Mi scuso con voi, che continuate a seguire questa
storia. In questo periodo però ho un grande, immenso impegno
( chiamato LAUREA) che mi impedisce di dedicarmi a tutto quello che non
è studiare studiare e studiare! Comunque sfrutto questi
minuti di disponibilità per pubblicare questo capitolo, che
spero vi piaccia! Cercherò di aggiornare con più
frequenza, ve lo prometto!
Un bacio,
L.
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Capitolo 19 *** Hello, Darling. ***
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19.
Hello, Darling.
«
Oh, Cappuccetto Rosso,è solo per guardarti meglio...
» mormorò il
Lupo, con la voce roca e profonda. Una voce che ricordavo benissimo.
Il braccio iniziò a pulsarmi, come se quell'arnese meccanico
fosse
strettamente collegato alla paura che provavo per il lupo.
Piantai
saldamente i piedi a terra, cercando di respirare a fondo: era
difficile rimanere concentrati quando quella bestia enorme puntava
dritta in mia direzione.
Eravamo
l'uno di fronte all'altra, e per la prima volta mi stavo rendendo
conto che avrei dovuto affrontare la mia paura più grande:
la bestia
di fronte a me era feroce quanto quella che animava la mia anima. Una
paura folle, incontrollata, paralizzante.
La
sua figura mi sovrastava: non avevo idea di quanto fosse alto,
soprattutto ora che si era su due zampe, ma avrebbe potuto
schiacciarmi come un moscerino. Ero piccola, insignificante. Una
nullità.
E'
la paura, che ti fa pensare a questo. Non sei insignificante.
Ma
a me sembrava un dato di fatto. Eppure le parole di Pocahontas
riecheggiavano nella mia mente come una regola ferrea da dover
seguire. Forse dovevo dare ascolto alla forza che animava il mio
cuore, e che mi aveva guidata fin lì.
Forse
dovevo smetterla di sentirmi piccola e sola. Soprattutto sola.
Non
ero sola.
Mi
voltai di scatto, incrociando lo sguardo di Mulan. « Ai
fianchi! »
gridai, e la vidi annuire. Scattò sulla destra, e alle sue
spalle
apparve un'altra figura che riconobbi benissimo.
«
Bennie? » sibilai, incredula. Biancaneve mi stava fissando e,
come
avesse intuito i miei piani, scattò dal lato opposto a
quello di
Mulan, muovendosi sulla sinistra. Mi voltai nuovamente,e il Lupo
ringhiò.
Cercai
di non farmi intimorire da quel grido ancestrale, che scatenava in me
le paure più profonde, e mi concentrai su altro: sui miei
amici, che
erano lì con me. Che erano pronti ad aiutarmi.
Io
non ho paura di te.
E
avanzai. Un passo, poi un altro. In sua direzione, senza mai esitare
o fermarmi.
Perché
per tutto quel tempo mi ero mostrata debole ed era questo che mi
aveva fatta soccombere di fronte a lui. Ma ora potevamo dimostrargli
– tutti noi – che la paura non era reale.
Tutto
questo non è reale.
L'essere
di fronte a me non faceva parte di quel mondo: era frutto di un patto
malvagio, illogico e privo di ogni morale. Era qualcosa di sbagliato,
che andava distrutto.
«
Io... » mormorai, a pochi passi da lui. Lo vidi ringhiare, e
guardandolo negli occhi riconobbi il guizzo luminoso che avevo visto
nello sguardo del Cacciatore la prima volta, quando mi aveva salvato
la vita.
«
Io non ho paura di te. » mormorai a voce bassa. Forse non ero
stata
troppo convincente. Lo vidi avvicinarsi a grande velocità, e
per
poco non mi colpì con una delle sue enormi zampe. Mi buttai
di lato,
e sentii in bocca il sapore del sangue.
Cercai
di ignorarlo, e a fatica mi alzai nuovamente in piedi. Ansimai,
mentre gli occhi del lupo mi fissavano con bramosia.
E
in quel momento accadde l'impossibile: delle forti catene d'acciaio,
miste a delle corde dall'aspetto resistente, iniziarono a circondare
il corpo del lupo con estrema rapidità. La testa, le zampe,
il
corpo.
In
pochi secondi una trappola di catene e corde e lacci spessi lo
immobilizzò. Voltandomi appena riuscii a intravedere chi
stava
tenendo le redini: Mulan, Biancaneve, Aurora e Filippo.
Erano
tutti lì, ad aiutarmi.
Quasi
mi mancava il respiro. Il Lupo cercava inutilmente di dimenarsi, ma
era tenuto ben saldo dalla loro imbracatura. Avanzai a passo lento in
sua direzione, senza mai abbassare lo sguardo.
Vedevo
nei suoi occhi il Cacciatore, quando ancora era una persona buona e
onesta.
E
non avevo più paura.
«
Io... » iniziai, oramai a pochi passi da lui. « Non
ho più paura di te!
».
Il
cannone di freddo metallo sostituiva ancora il mio braccio: e con
quello sparai l'ultimo colpo.
Si,
l'ultimo.
Perché
sapevo che non era la forza delle mie armi, o la potenza dei
proiettili, che avrebbe avuto la meglio su di lui.
Io
avevo già vinto.
Non
avevo più paura.
La
nube di fumo scura scomparve solo dopo alcuni minuti. Tossii a lungo
cercando di non inspirare la fuliggine che mi circondava. Quando
lentamente la polvere iniziò a dissolversi, i contorni del
bosco
tornarono a farsi nitidi e chiari. Sembrava essere tutto ancora come
prima, e del Lupo non c'era traccia.
Al
contrario, il corpo del Cacciatore in forma umana giaceva a terra
esanime, e una sfera color ametista aleggiava a pochi centimetri dal
suo petto.
Mi
avvicinai con cautela, studiandola: il colore ricordava quello
dell'energia che il Lupo aveva usato fino a quel momento,
benché al
centro fosse di un viola più intenso; fluttuava sul corpo
del
Cacciatore, vibrando appena al passaggio del vento.
Il
Cacciatore respirava ancora, seppur a fatica. « Oh...
» mormorava,
sibilando. « Oh, grazie al cielo. ».
«
Hunter..? » lo chiamai, inginocchiandomi al suo capezzale.
«
Mi hai liberato. » mormorò lui con un filo di
voce, forse l'ultima
che gli rimaneva. « Sono libero. ».
Sollevai
appena la mano, attratta da quel vorticare di energia oscura, ma
subito la ritrassi: e se fossi finita come lui, prigioniera di una
forza troppo potente da controllare?
«
Fallo. » mi incitò lui, e la sua voce mi
sembrò stranamente
tranquilla. « L'oscurità non può
corromperti, ragazza mia. Non
più. ».
L'ombra
di un sorriso apparve sulle sue labbra screpolate. E mi resi conto
che aveva ragione. Sollevai la sfera di energia, lasciandola
fluttuare sulle mie mani. Era calda e pesante, troppo pesante per una
persona sola.
E
adesso?
Provai
a tenerla sospesa verso l'alto, quel tanto che bastava per
permetterle di tornare da dove era venuta: lì, dalla fonte
originale
che conteneva tutto e riusciva a sostenere quel peso. Ma l'energia
non mi abbandonava, rimaneva a fluttuare a qualche millimetro dalla
mia pelle, calda e opprimente.
«
Che succede? » mormorai, pervasa da una strana inquietudine.
Che non
riuscisse più a tornare indietro?
Il
Cacciatore emise uno strano gemito, e con fatica cercò di
tirarsi
su, facendo leva sui gomiti. Un accesso di tosse lo costrinse ad
abbandonarsi di nuovo a terra, e per istinto lo afferrai per le
spalle, sostenendolo.
La
sfera di energia rimase a fluttuare sopra le nostre teste, quasi
immobile. Sentivo la presenza degli altri attorno a me, ma in quel
momento vedevo solo gli occhi del Cacciatore.
«
Il
vincolo.
» mormorò poi con un sussurro. « Devi
eliminare il vincolo per
permetterle di tornare al suo luogo d'origine. ».
«
Vincolo? Di che stai parlando? ».
«
Tutta quell'energia è troppo grande per una persona sola,
non trovi?
» mi domandò poi, con il respiro pesante, ed io
annuii. L'avevo
pensato nel momento stesso in cui l'avevo tenuta tra le mani.
«
Pensavo che con il vostro accordo aveste creato l'essere perfetto.
Non era questo lo scopo del Lupo? ».
«
Oh, certamente. » la sua voce calò appena, per poi
riprendersi. Era
molto pallido. « Ma anche in quel modo non avremmo mai potuto
assorbire una tale energia tutta insieme. E lui la voleva
completamente. Per questo aveva bisogno di una valvola di sfogo,
qualcosa che avrebbe potuto fare da tramite con la fonte originale, e
permettere il fluire continuo di energia. In questo modo, non
avendola mai tutta per intero, avrebbe comunque potuto usufruirne
senza autodistruggersi. ».
Ascoltavo
le sue parole con attenzione: il vincolo di cui parlava gli aveva
permesso di accaparrarsi tutto senza subire alcun danno; era un piano
diabolico, ma non avevo alcun dubbio che avrebbe potuto portarlo a
termine.
«
Aveva bisogno di qualcosa che non avrebbe risentito dell'assenza di
energia... » proseguì lui, ed io iniziai a
pensare. E mi resi conto
che si stava riferendo a qualcosa di umano.
Una
persona.
«
E dove si trova? » chiesi, sostenendogli la testa.
«
Nell'unico luogo dove non saresti mai tornata prima del termine del
tuo viaggio. » mi rispose, con un sorrisetto amaro.
Probabilmente
anche lui continuava a stupirsi dei piani diabolici del Lupo.
Trattenni
il respiro. « Casa della nonna. ».
«
Quella vera, però. » mi corresse, con un'
espressione serena in
volto.
«
Devo tornare a casa. » ammisi, e sentii dei gemiti di
sorpresa alle
mie spalle. Doveva essere Aurora.
Il
Cacciatore sollevò appena la mano a mezz'aria, e la sfera si
avvicinò a noi lentamente. Sentivo il calore e
l'oscurità sempre
più presenti.
«
Farai in un attimo. » mormorò di nuovo lui, e
all'inizio non capii.
Avrei dovuto affrontare di nuovo quel viaggio, e ci avrei messo
un'eternità. Sapevo che stava mentendo, fino a quando non lo
vidi
posare la mano sulla mia, ancora delicatamente adagiata sul suo
petto. La sfera di energia divenne sempre più luminosa, fino
a
quando non vidi più nulla.
«
Che succede?! » gridai, ma non riuscivo a udire la mia voce.
Era
come se quel fascio di luce avesse coperto tutto il resto. Mi sentii
incredibilmente debole, sballottata da una parte all'altra di quel
grande sfondo bianco senza sapere cosa stesse accadendo.
Il
Cacciatore aveva usato l'energia della fonte originale per farmi
tornare a casa?
La
luce cominciò a dissolversi, ma il bianco candore attorno a
me non
scomparve del tutto. Anzi, non scomparve affatto.
Ci
misi qualche secondo a rendermi conto che non si trattava
più del
corridoio di luce a cui mi ero abituata nei minuti precedenti.
Era
neve.
Neve
bianca e soffice, forse appena caduta, che ricopriva abbondantemente
il bosco.
Il
mio bosco.
Ero
a casa.
Solo
nel mio vero bosco riuscii a rendermi conto di quale fosse la
differenza con la realtà artificiale che il lupo aveva
creato per
ingannarmi. C'erano altri suoni, altri odori.
Era
tutto diverso.
Ed
ero a casa. Nonostante l'Apocalisse, il caos e i maledetti lupi che
giravano tra gli alberi senza più qualcuno che gli desse la
caccia,
mi sentivo di nuovo a casa mia.
Di
fronte a me, la casa della nonna troneggiava con le sue pareti di
massiccio legno scuro. Ormai era abbandonata da tempo: quando vivevo
nel bosco non ci entravo quasi mai, forse qualche rara volta per
impedirle di cadere in rovina.
Come
se da un momento all'altro mi aspettassi di nuovo di vederla sulla
soglia, la mia cara nonna, sorridermi come un tempo.
Red?
Sobbalzai,
guardandomi attorno. La neve rivestiva tutto donando un irreale
silenzio a quel bosco sempre così movimentato. Avevo sentito
distintamente una voce, chiara e forte nella mia mente. Una voce di
donna, che riecheggiava ancora nelle orecchie. Era una sensazione
simile a quella che avevo provato quando il Lupo si era volutamente
introdotto nella mia mente, ma le reazioni erano completamente
diverse: non avevo paura, perché conoscevo bene quella voce
e sapevo
che non mi avrebbe fatto nulla di male.
Red!
«
Bennie? » sibilai, voltandomi di nuovo. Ero sola. Ma la
sentivo,
forte e chiara nella mente, la voce di Biancaneve che mi chiamava.
Red!
Oh, mi senti! Mi senti!
«
Bennie, dove...dove sei? » continuai, senza capire. Me lo
stavo
immaginando? La voce era nella mia testa?
Red,
ti stiamo parlando attraverso il Cacciatore, mi
spiegò un'altra voce, quella di Mulan, sempre nella mia
testa.
Cominciai a capire perché riuscivo a sentirle,
perché le sensazioni
che provavo erano simili a quando lui
si metteva in contatto con me.
«
Sta facendo da tramite? » chiesi al nulla, sapendo che
comunque
riuscivano a sentirmi. Eravamo collegate.
Si.
L'energia della fonte è ancora qui, e lui riesce ancora a
controllarla. Ti ha mandato nel tuo bosco grazie ad essa. Ma ora devi
andare da sola, noi non possiamo vedere ma solo sentirti.
Annuii.
« D'accordo. ». Avevano ragione. Quel viaggio
l'avevo compiuto da
sola, ma loro mi avevano aiutata ad affrontare un passo dopo l'altro
senza mai arrendermi. Ma ora, quell'ultimo passo stava aspettando
solo me.
Dovevo
farcela con le mie forze.
Avrei
voluto chiedere loro qualcosa. Si, una cosa in particolare. Jim e
Peter.
Di
loro non c'era ancora traccia, nonostante la trappola del Lupo fosse
sparita da un pezzo. Dov'erano, allora?
Distruggi
il vincolo.
La
voce di Biancaneve mi arrivò forte e chiara. Forse aveva
intuito i
miei pensieri. O forse, essendo così intimamente collegata
alla mia
mente, era riuscita a leggere chiaramente i miei pensieri.
Forse
dovevo distruggere il vincolo per avere le mie risposte.
«
Adesso devo proseguire da sola. » mormorai, e in pochi
istanti non
le sentii più. Avevano interrotto il collegamento.
Mi
ritrovai a pochi centimetri dalla soglia di casa, e mentre aprivo la
porta non potei fare a meno di immaginare quella bambina con la
mantella rossa che, anni prima, entrava lì dentro per
trovare la
pace.
Una
famiglia piena d'amore con cui passare ogni istante.
Inspirai
a fondo, e la porta si aprì gracchiando. Nella mia mente
riecheggiavano le voci che, un tempo, animavano quella casa: le mie
grida mentre correvo da una stanza all'altra chiamando la nonna, le
sue parole dolci quando avevo paura o faticavo ad addormentarmi, il
profumo di biscotti appena sfornati.
Non
c'era più nulla.
Solo
un bagliore, luminoso quanto oscuro, proveniente dall'ampio salotto
coperto di polvere.
Quel
bagliore mi ricordò improvvisamente la sfera di energia
color
ametista che aleggiava sul corpo del Cacciatore. Era la stessa
sensazione che mi provocava la sua vicinanza.
E
ora era lì, a pochi passi da me, a circondare con le sue
grinfie un
corpo sospeso a mezz'aria e immobile.
Di
certo il Lupo aveva scelto in modo saggio il luogo in cui riporre il
vincolo: sapeva che, una volta intrapreso quel viaggio, non sarei
tornata facilmente indietro. E, se anche lo avessi fatto, mi avrebbe
uccisa senza pensarci due volte.
Ma
ora osservavo il corpo esile di fronte a me, e lo stupore mi impediva
anche solo di pensare a quanto fosse stato astuto il Lupo
nell'orchestrare quel piano.
Osservavo
quel corpo, e la sua vista mi impediva di respirare.
Aveva
bisogno di qualcosa che non avrebbe risentito dell'assenza di
energia...
Pensai
a Peter, che lentamente aveva perso la capacità di volare. A
Campanellino, che si spegneva lentamente.
A
Belle e Adam, intrappolati dal vincolo della rosa nel loro castello.
Tutti
noi avevamo percepito quell'assenza, che ci stava lentamente privando
dell'energia vitale.
Tutti,
ma non lei.
Lei,
che forse aveva raggiunto il nostro mondo come un normale essere
umano.
E
che ora si trovava lì, incatenata.
Wendy.
Nb. Bene miei cari, come potete vedere ancora non è finita!
Wendy. Cosa posso dire? Aspettate di leggere il prossimo capitolo! Ve
lo aspettavate che non fosse scomparsa per sempre? Il titolo
letteralmente viene tradotto con "Ciao, Tesoro", ma Darling
è anche il cognome della nostra dolce Wendy. Eh si dai,
questa volta mi ci sono impegnata a trovare un titolo originale,
datemene atto! Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, quello
che vi aspettate, o cosa vorreste vedere...insomma, ho voglia di
sentirvi!
Un abbraccio,
L.
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Capitolo 20 *** Where everything begins. ***
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20.
Where everything begins.
Osservavo
il suo volto spento, l'abito azzurro consumato e impolverato, i
capelli color grano abbandonati sulle spalle: le lingue di energia la
bramavano, tenendola imprigionata in quella gabbia senza uscita.
Wendy
non aveva nessuna luce attorno, perché quell'energia che la
teneva
eccezionalmente in vita come vincolo non riusciva a rischiarare la
stanza.
Forse
perché non c'è luce nell'oscurità,
neanche in un luogo come
quello.
Ripensai
alle parole di Peter, al dolore e alla disperazione che lo avevano
accompagnato dopo l'Apocalisse, mentre tentava con le sue sole forse
di proteggere l'Isola e i suoi bimbi sperduti senza la sua Wendy.
Che
tutto quel dolore fosse stato invano non potevo dirlo: lei era
lì,
ma non sapevo ancora quale sarebbe stato il suo destino.
Di
certo era viva, perché un corpo senza vita non sarebbe
riuscito a
sostenere tutta l'energia magica in transizione. Ma cosa potevo fare
io adesso, se non distruggerla?
Lasciarla
in vita avrebbe significato mantenere quel potere ancora attivo, e
non saremmo mai giunti alla fine. Le parole del Cacciatore mi
ritornarono alla mente, rimbombando nel vuoto di quella stanza
silenziosa.
Distruggi
il vincolo.
Distruggi
il vincolo.
«
Perché... » sibilai, senza più forse.
La mia mente era piena di
domande a cui non sapevo dare una risposta. E quello mi impediva di
prendere una decisione, anche se non avevo molto tempo per starmene
lì a riflettere.
Ma
come potevo?
Conoscevo
Wendy. E soprattutto volevo bene a Peter, e ucciderla sarebbe stato
come uccidere lui.
Allora
a cosa è servito?
Annuii
tra me e me: quella domanda aveva un senso. Avevo viaggiato per
trovare una risposta, un senso a ciò che ci era accaduto.
Quel caos,
quella distruzione, avevano assunto un nome e una forma.
Ora
stava solo a me, e non potevo permettere alle mie emozioni di
intralciarmi.
Eppure
in quel momento tutto quello che avevo attorno scomparve: o meglio,
ciò che prima c'era sembrò abbandonarmi. La
magia, l'incanto di
quel mondo per un attimo si dissolse. E rimasi solo io, una ragazza
umana con un braccio meccanico e nulla di magico se non la mia sola
forza di volontà, che mi aveva spinta ad arrivare fino a
lì nel
tentativo di salvare il mio luogo d'origine e quel mondo,
così
grande e pieno di meraviglia, che ora sembrava un posto come tanti
altri.
Mi
sentivo tremendamente comune, una persona come le altre in un luogo
abbandonato a se stesso, costretta a scegliere tra la patria e il
cuore. E se non avesse funzionato?
Se
rompendo quel legame avessi fatto peggio?
Questo
non potevo saperlo. Fino a quel momento ero sempre stata convinta di
poter trovare tutte le risposte alla fine del mio viaggio, ma solo in
quel momento mi rendevo conto di avere ancora troppe domande, e che
non ero sicura di un bel niente.
«
Sai cosa penso? » sibilai, rivolta a quel corpo inerme.
« Che sia
una vera assurdità. Che non posso essere qui dopo aver
affrontato...il mio più grande nemico! Dovrebbe essere tutto
finito,
e invece...quello era solo l'inizio. ».
Chiusi
gli occhi.
La
vera sfida non aveva messo alla prova la mia forza fisica, la mia
resistenza o la capacità di difendermi. Era una questione di
scelte,
scelte che potevano portare ad un destino o ad un altro, e spettava a
me.
La
battaglia non era solo lì fuori, ma dentro.
C'è
una speranza anche nella confusione.
Spalancai
gli occhi, trattenendo il respiro. Le parole di Pocahontas sembravano
sospese in aria, tanto erano reali. Eppure l'avevo incontrata tempo
fa, nella sua grande foresta silenziosa.
Eppure
quelle parole erano l'unica cosa di cui avevo bisogno in tutto quel
caos, che si imponeva nella mia testa senza lasciarmi il tempo di
riordinare i pensieri.
Guardai
nuovamente Wendy, e in quel momento ricordai di quando avevo visto
Peter per l'ultima volta, in quelle luride segrete che l'Originale
aveva creato per noi: stanco, privo di quasi tutta la sua magia, e
distrutto per la consapevolezza che non avrebbe rivisto mai
più la
sua Wendy. Ripensai a quel bacio, a quella sofferenza, e per un
momento provai un po' di gelosia per quel ragazzo che conoscevo da
sempre, e che aveva e avrebbe sempre avuto un posto nel mio cuore.
Respirai
a fondo, leggermente agitata. In quel momento mi sembrò
quasi di non
avere più tempo.
Sapevo
qual'era la cosa giusta da fare.
Mi
voltai indietro, allontanandomi lentamente dalla sagoma fluttuante di
quella dolce ragazza senza vita. La porta era sempre più
vicina, e
il formicolio alla mano sempre più intenso. Quasi mi
sfuggì un
gemito quando cominciò a diffondersi a tutto l'avambraccio,
fino ad
arrivare al gomito.
Raggiunsi
la porta e la aprii, sfiorando il pomello invecchiato con
delicatezza. Vederlo ora, con la consapevolezza di quella casa vuota
e silenziosa, era un colpo al cuore.
Inspirai
a fondo, mi voltai e sollevai il braccio, le cui parti meccaniche
erano già quasi tutte formate.
Sparai.
E
questa volta tenni gli occhi aperti.
Il
contraccolpo fu durissimo.
Come
se una scarica di vento si fosse improvvisamente diretta verso di me
tutta insieme, senza lasciarmi il minimo tempo per reagire. Mi
scaraventò oltre la porta, che fortunatamente avevo aperto
prima di
sparare il colpo, lasciandomi scivolare per metri sulla neve gelida
del mio bosco.
Per
un attimo mi mancò il respiro e non sentii più
nulla, solo un
fischio prolungato sembrava avessi messo piede su una mina nascosta
nel terreno, o che fossi nel pieno di una guerra di trincea.
Del
pulviscolo scuro, mischiato a schizzi di neve fredda, mi
passò
davanti agli occhi, senza che potessi muovere un muscolo per
evitarlo.
Ero
lì, bloccata su quel manto di neve, con i sensi paralizzati.
Così
iniziai a contare i secondi: lo facevo sempre quando mi ritrovavo a
terra dopo un brutto colpo e non riuscivo ad alzarmi, mi aiutava a
rilassarmi e a tenere il conto del tempo che passava.
Superato
un determinato lasso di tempo, probabilmente non riuscivo ad alzarmi
per qualche tipo di paralisi.
O
perché stavo morendo.
Fortunatamente
non mi era mai successo di incorrere in questa quanto mai rara
possibilità, benché adesso cominciassi a nutrire
seri dubbi in
proposito.
Poi,
lentamente, ricominciai a sentire qualcosa. Era la neve fredda che mi
dava fastidio alla schiena e alle gambe, e l'odore di bruciato e un
fastidioso prurito agli occhi per via del pulviscolo. E poi qualche
suono indistinto, perfettamente riconoscibile nel silenzio
impeccabile di quel luogo. Neve che si scioglieva, qualcosa che
cadeva a terra, legno che si sgretolava.
Ricominciai
a muovere le dita delle mani e le gambe, e la testa smise di girare
freneticamente. Deglutii, e senza mettermi fretta tentai di sollevare
la testa, poi la schiena, e mettermi seduta.
Mi
guardai attorno: la vista inizialmente era sfocata, ma pian piano
ricominciai a distinguere i contorni, infine i dettagli.
C'era
troppa confusione, e non riuscivo a capire se quel fumo derivasse dal
colpo del mio cannone o fosse il risultato dell'impatto del
proiettile contro Wendy. Un improvviso senso di nausea si
impossessò
di me, nel momento in cui mi resi conto di aver sparato contro la
ragazzina dai riccioli biondi, che faceva così fatica a
volare con
la polvere di fata, preferendo rimanere con i piedi per terra.
A
raccontare storie ai bimbi sperduti, e dare loro tutto l'amore di cui
avevano bisogno.
Pensai
a Peter. Non lo avevo più visto da quando eravamo stati
rinchiusi in
quella cella virtuale, che di vero aveva soltanto l'aria gelida e
l'odore acre di ruggine e morte. Non sapevo se fosse vivo o meno.
Non
sapevo niente. Ma avevo appena distrutto colei che stava cercando da
quando quel mondo era caduto in rovina. E per un attimo sperai
davvero di non dover affrontare quello che sarebbe venuto dopo.
La
testa ricominciò a girarmi, questa volta molto
più velocemente che
in precedenza. La casa della nonna era ancora lì,
abbandonata al suo
destino e con il fumo che traspirava da quelle pareti lasciate a loro
stesse.
La
porta era divelta, e giaceva a terra come un vecchio ramo secco.
C'erano dei vetri per terra, e alcuni di loro riflettevano la luce
chiara del cielo grigio splendendo come piccoli e luminosi diamanti
in mezzo alla neve.
La
neve, mia unica compagna di vita in quell'inferno. Perenne, intatta,
splendida.
Sentivo
le forze abbandonarmi lentamente. Avevo la netta sensazione di non
poter reggere ancora in quella posizione. Tenere dritta la schiena
richiedeva tanta forza, e al momento non ne avevo neanche per riporre
l'arma meccanica nel braccio.
Era
impossibile guardare quel metallo freddo, così pesante sul
suo
giaciglio ghiacciato, tanto gravoso da trascinarmi con lui.
Così
guardai la neve.
Bianca,
luminosa e fresca.
La
neve che...si stava sciogliendo.
Forse
avevo le allucinazioni.
Fissai
di fronte a me, cercando di mettere a fuoco le formazioni ghiacciate
che scendevano minacciose dal tetto, quelle stalattiti di ghiaccio
che da piccola rimiravo durante l'Inverno. Ricordavo come mia madre
si infuriasse a morte, quando mi trovava lì sotto con lo
sguardo
rivolto all'insù. Mi trascinava via dicendomi che, se uno di
quei
ghiaccioli appuntiti fosse caduto, avrebbe potuto cavarmi un occhio.
Ma
io non potevo fare a meno di rimanerne affascinata, e quando iniziava
a fare più caldo tiravo fuori la lingua lasciando che
l'acqua fresca
gocciolasse dalle formazioni in via di scioglimento, tentando di
prenderle.
Adesso
quelle formazioni gelate, che mai erano andate via durante l'Inverno
nucleare, si stavano sciogliendo. Ogni tanto una goccia cadeva
giù,
fino ad unirsi al manto di neve. Era un cambiamento impercettibile,
le gocce cadevano di rado e un osservatore distratto non ci avrebbe
fatto minimamente caso.
Ma
quello era il mio bosco. Lo conoscevo come conoscevo me stessa.
E
quelle sporadiche gocce volevano dire una sola cosa: avevo portato a
termine la mia missione.
Non
sapevo come, ne cosa stesse accadendo. Non avevo idea di cosa ci
fosse in quel momento dentro la piccola casa di legno a pochi passi
da me, o in qualsiasi altro posto.
In
quel momento c'ero solo io: una ragazza stanca e ferita, in mezzo a
tanta, tantissima neve.
Abbandonai
la schiena di nuovo sul manto gelido, e chiusi gli occhi. C'era un
che di liberatorio in quel gesto.
In
quel momento c'ero solo io.
Ma
questo, questo mi bastava.
Nonna,
secondo te la neve arriverà in anticipo questa volta?
La
neve mi piaceva. Quando faceva freddo, ed era difficile uscire di
casa, la nonna trovava sempre il modo di rendere divertenti quei
pomeriggi noiosi. Accendeva il fuoco, e riscaldava la casa. Mi
cucinava i biscotti, e la torta di mele che sapevano fare tutti, ma
nessuno come lei. Ci metteva la cannella, e la noce moscata. Mi aveva
fatto promettere di non rivelare a nessuno la sua ricetta segreta, ed
io mantenni la mia parola.
Ma
perché lo dici a me, allora?
Perché
tu sei la mia anima, gioia mia. Nulla è segreto, con la mia
anima,
mi
rispondeva lei, con la tranquillità di chi possedeva una
saggezza
tanto grande, da poter essere comparata solo con la sua dolcezza.
Ecco
perché amavo i pomeriggi d'Inverno.
Perché
potevo essere l'anima di qualcuno, senza il minimo sforzo.
La
neve era solo un pretesto.
Frittelle.
Ecco
perché non potevo essere un eroe, dopotutto.
Perché
nei momenti meno opportuni andavo a pensare alle cose più
stupide.
Come
in quel momento.
La
mia mente poteva vagare tra mille scenari, pensare a tutt'altro e
invece...frittelle.
In
particolare, le frittelle di mele.
Era
una ricetta semplice, che mia nonna adorava sfornare spesso durante
l'anno: la casa si riempiva di quell'aroma caldo, un misto tra mele e
spezie che associavo automaticamente all'aria di casa.
Quando
ne avevo voglia, ci mettevamo in cucina e accendevamo il forno a
legna infilando dei grossi ciocchi per la cottura. Mia nonna
preparava le mele, tagliandole con il coltello, mentre io mi limitavo
ad aiutarla nelle operazioni più semplici, o che almeno non
rischiavano di uccidermi data la mia goffaggine.
Così
preparavo la pastella unendo le uova, il latte e la farina. A quel
punto di solito era lei ad occuparsi della cottura nell'olio
bollente, dato che per una bambina poteva essere pericoloso.
A
quel punto disponeva le frittelle su un piatto, e cospargendole di
zucchero le lasciava freddare appena sul davanzale in modo che
potessimo mangiare più in fretta.
Una
volta le chiesi come mai accendessimo tutte le volte il forno,
occupandoci minuziosamente della disposizione della legna e di
manovrare il fuoco con il passare delle ore, compito che di solito
era mio. Mi accorsi con il tempo che, una volta imparata la tecnica e
assicuratasi che non fossi più un pericolo pubblico vicino
ai
tizzoni ardenti, la nonna mi lasciava da sola davanti al fuoco, ed io
mi impegnavo seriamente per non farlo spegnere.
«
Ma perché, se poi non lo usiamo? » le chiesi
infine, senza riuscire
a comprenderne la logica.
Lei
mi guardò, sorrise e volse uno sguardo lontano oltre la
finestra,
verso la neve, gli alberi e l'orizzonte.
«
Perché quando sarai grande dovrai essere in grado di
accendere un
fuoco, soprattutto in Inverno. Imparerai a fare le frittelle, mia
cara, questo te lo prometto. Ma quando sarai grande e avrai una casa
tutta tua, sarà più importante riscaldarla che
preparare qualcosa
da mangiare. ».
Io
la ascoltai per tutto il tempo, senza mai perdere la concentrazione.
Essendo ancora piccola, non capii subito il significato di quelle
parole. Pensai ad una casa calda e con un bel forno ardente, ma senza
l'odore di cannella e mele non sarebbe stato ugualmente bello. Con il
tempo mi resi conto che aveva ragione.
Se
dopo l'Apocalisse non fossi stata in grado di accendere un fuoco, o
di distinguere le bacche velenose da quelle commestibili,
probabilmente sarei morta. I suoi consigli mi avevano salvato la
vita.
Lei
c'era sempre stata per me, ma ancora di più era stata
qualcosa che
non potevo dimenticare.
La
mia guida.
E
adesso, in tutto quel trambusto in cui probabilmente ero morta o
forse mi trovavo in qualche strano limbo a diretto contatto con i
pensieri, c'era un motivo reale per cui pensavo a quelle dannate
frittelle.
Pensavo
a lei, e al fatto che il lupo l'aveva uccisa, e che l'avevo
vendicata.
Pensavo
che mi mancava, nonostante avessi ottenuto la mia vendetta.
E
pensavo che mi sarebbe mancata sempre, qualsiasi cosa avessi fatto.
La
luce sulla pelle mi riscaldava, e i raggi del sole mi davano quasi
fastidio, impedendomi di aprire gli occhi.
Riuscivo
quasi a vederli, tra le ciglia scure.
E
questo probabilmente era un dato sufficiente a giustificare che non
ero ancora passata a miglior vita.
Ma
non si sa mai.
Aprii
gli occhi gradualmente.
Mi
trovavo ancora nel mio bosco, e tutto sembrava uguale. Eppure c'era
qualcosa.
Qualcosa
che solo la padrona di quel bosco avrebbe potuto notare.
Mi
sollevai, sedendomi sul manto freddo. Attorno a me, era proprio vero,
la neve si stava sciogliendo.
Goccia
a goccia, con movimenti impercettibili.
Poi
sollevai lo sguardo, spalancando improvvisamente gli occhi.
Raggi
di sole.
Nel
mio bosco c'era il sole.
Trattenni
il respiro.
«
Red... ».
Abbassai
di nuovo la testa, con uno scatto, e dopo una piccola pausa
sussultai.
Frittelle.
Nb. Eccoci di nuovo qui, dopo le abbuffate natalizie e le feste per
l'inizio di un nuovo anno. Spero abbiate passato nel migliore dei modi
queste festività, e auguro a tutti voi un buon 2015 anche se
con un pò di ritardo. Spero di aggiornare il prima possibile
in modo da non lasciarvi con il fiato sospeso troppo a lungo, anche
perché come avete visto oramai siamo agli sgoccioli! Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto, il seguente è
già in revisione perciò non dovrei metterci molto
ad aggiornare!
Un abbraccio,
L.
|
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Capitolo 21 *** And they lived... ***
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21.
And they lived...
Trenta
giorni.
Erano
passati esattamente trenta giorni dal memorabile giorno in cui Red
Riding Hood aveva sconfitto il Lupo. A volte mi veniva da pensare che
forse era stato il Lupo a farmi compiere il mio viaggio. Come se
fossi stata attratta da lui. Come se ad ogni padrone di ogni Regno
corrispondesse un malvagio. Sarei partita lo stesso se al posto del
Lupo fosse stata, che so, la Regina di Cuori ad attingere dalla
fonte?
Oppure
il desiderio di partire sarebbe nato in Alice, ed io mi sarei
ritrovata depressa in mezzo ai lupi e alla neve?
Certe
volte ci pensavo e mi veniva da ridere. Altre volte invece quel
pensiero assumeva una nuova logica.
Guardai
il cielo: era di un azzurro terso, incredibile. Il sole riscaldava
gli alberi, che si tingevano di fiori colorati. Il profumo in quel
momento era incredibile. Nonostante la catastrofe, nonostante
l'Apocalisse, la natura stava risorgendo, come a volersi ribellare da
tutto quel marciume, da quella distruzione che l'aveva colta
all'improvviso, togliendole la dignità. Come gli esseri
umani, anche
la natura stava ricostruendo, lentamente, e mettendo radici ancora
più profonde.
In
quei trenta giorni erano successe molte cose: dopo la sconfitta del
Lupo e la distruzione del vincolo, il nostro obiettivo era stato
quello di ridare vita ai Regni, cercando di ricominciare da capo. Nel
mio bosco la neve si era sciolta definitivamente ed era tornata la
Primavera: i lupi, senza le radiazioni e l'energia del vincolo a
nutrirli, erano tornati in numero e dimensioni più che
accettabili.
Gli animali della foresta ricominciavano a popolare la boscaglia, ed
io facevo l'unica cosa che in quel momento poteva farmi stare bene.
Ricostruire
la casa della nonna. Stavo meticolosamente rimettendo in ordine tutto
ciò che il tempo e il caos avevano distrutto, cercando di
dare vita
a quella casa in modo da ricordare sempre l'incredibile donna che mi
aveva cresciuta. Oramai mancava poco alla fine, e sapevo che
continuando con quel ritmo avrei di sicuro finito nel giro di qualche
altra settimana. Gli abitanti del mio villaggio, appena fuori dal
bosco, stavano ricostruendo ogni cosa. Nessuno di loro ricordava cosa
fosse stato di loro nei mesi precedenti, e come mai improvvisamente
si erano risvegliati di nuovo nel villaggio. Io ero più che
sicura
di non averli mai visti durante l'Apocalisse: ero sempre stata sola
nel mio Regno, e nemmeno io sapevo spiegare il motivo di quel
ritorno. Sapevo, tuttavia, che il Lupo non li aveva uccisi.
Se
fossero tornati dal Regno dei morti, probabilmente sarebbe tornata
anche mia nonna.
Invece
non era stato così.
Con
gli altri Regni eravamo costantemente in contatto, e accorrevamo in
aiuto qualsiasi cosa stesse accadendo. Quella mattina avevo appreso
da un falco viaggiatore che Biancaneve, grazie all'aiuto dei nani e
degli abitanti del villaggio, stava ultimando la costruzione del
castello con il sostegno dei nani e della magia dei Regni vicini.
Come gli abitanti del mio villaggio, anche Pocahontas mi aveva
inviato buone notizie: non era più sola, e non c'era nessun
vincolo
che la tenesse relegata nel suo mondo. Aurora e Filippo cercavano di
aiutare come meglio potevano: il loro mondo non era stato quasi
intaccato dall'Apocalisse, e con il ritorno della loro gente
cercavano di portare aiuto il più possibile. Da quello che
sapevo
lavoravano freneticamente per aiutare Mulan a non essere più
una
nomade. Non avevo avuto alcuna notizia da Ariel, ma sapevo che se la
cavava bene ed ero quasi convinta che fosse tornata alla
normalità:
Belle mi aveva riferito con gioia che Adam era tornato alla sua forma
umana, e la rosa nel loro castello era di nuovo stata ridotta alle
ceneri, come doveva essere. Le mutazioni – la maggior parte,
almeno
– stavano lentamente sparendo, e questo mi faceva pensare che
forse erano le radiazioni portate dall'Apocalisse e dal Lupo ad
alimentarle: i mutanti dall'istinto animale erano tornati alla loro
forma umana, e gli umani avevano smesso di uccidersi fra loro.
Jasmine e Aladdin stavano tentando di ricostruire la loro Agrabah
dopo aver soppresso le rivolte, per riportare il regno al loro
vecchio splendore. Certo, non era tutto come prima: il vecchio
sultano era stato realmente ucciso, e ora toccava alla principessa e
al nuovo principe prendere le redini del Regno. C'erano ancora molti
luoghi distrutti, che andavano ricostruiti. E molte persone che non
erano più tornate.
Sollevai
lo sguardo verso quella casa che stavo riportando alla vita con
meticolosa precisione, e un sorriso amareggiato mi sfuggì
dalle
labbra. Sarei ripartita dall'inizio, ma una parte del mio cuore
sarebbe sempre rimasto lì, tra quelle mura, a contemplare il
passato.
Oggi,
trenta giorni dopo quel lungo giorno, ci eravamo ripromessi di
incontrarci di nuovo lì, proprio dove tutto era cominciato,
per
chissà quale motivo.
Forse
per fare il punto della situazione.
O
forse semplicemente perché, dopo tutto quello che avevamo
passato,
incontrarci di nuovo ci sembrava ciò che di più
rassicurante quel
mondo ci offriva.
Camminare
sull'erba fresca e verde era ancora strano per me: non avevo
più
l'aria ingenua da bambinetta, e questo non sarebbe cambiato. Se c'era
una cosa che l'Apocalisse aveva portato dentro di noi, di certo
quella cosa era il cambiamento. Tutti noi stavamo ricostruendo, ma di
certo non avremmo mai cancellato ciò che era accaduto. Il
cambiamento era in noi, e forse questo era un bene. Pensai a tutto
quello che avevo fatto, e improvvisamente mi venne in mente la
reazione di mia nonna, se fosse stata ancora lì con me, nel
vedermi
vestita di pelle e pelliccia, con i coltelli legati alle cosce e un
braccio meccanico a comando. Osservai la mia mano, senza riuscire a
distinguere la pelle sintetica da quella umana, riscaldata dal sangue
e dal calore del sole. A volte, senza un motivo preciso, riattivavo
il congegno del cannone, osservando quell'arma lucente apparire al
posto dell'avambraccio: in quel periodo non ne avevo più
avuto
bisogno, per fortuna, ma rivederlo mi riportava alla mente tanti
ricordi. E nonostante tutto avrebbe fatto parte di me per sempre.
Ripensai a Belle, che con i suoi speroni e l'abito stracciato
risaliva la torre del suo castello, o ad Aurora che mi aveva legata
al muro dopo avermi dato una botta in testa. Forse l'Apocalisse aveva
cambiato tutti noi: ci aveva resi guerrieri, più forti,
più
indipendenti.
Degni
di vivere in quel mondo.
Raggiunsi
il villaggio a passo spedito, notando con piacere che i lavori
stavano procedendo bene: con l'aiuto della magia dispensata dalle
varie fate e maghi dei mondi vicini, stavamo procedendo molto in
fretta.
«
Red, buongiorno. » mi salutò la fornaia, mentre
passavo lungo il
viale. La salutai con un cenno del capo, mentre il resto degli
abitanti si fermava per aggiornarmi sui lavori e su ogni opera che
stavano portando a termine. Ascoltavo con interesse tutti i loro
aggiornamenti, sentendomi lievemente in imbarazzo per quel nuovo
ruolo che avevo assunto. Eppure, dopo quello che avevo fatto, ero
finita sulla bocca di tutti, una persona schiva e riservata come me,
che improvvisamente diventava un'eroina a tutti gli effetti.
Bè,
te la sei cercata, vecchia mia.
Raggiunsi
il grande belvedere del villaggio, una grande terrazza lastricata da
grandi pietre color sabbia. Vi si accedeva attraverso una breve
scalinata, e tutto intorno sorgeva una balaustra in pietra, le cui
colonne creavano dei meravigliosi giochi di luce sul pavimento. La
attraversai per intero, e mi appoggiai alla balaustra sfiorando la
pietra con i polpastrelli: tirai giù il cappuccio della
mantella e
lo lasciai cadere sulle spalle, mentre la lieve brezza mi
scompigliava appena i capelli. La vista era meravigliosa: si
intravedeva parte del bosco, poi la valle e infine, molto in
lontananza, il mare.
E
i ricordi presero il sopravvento, facendosi largo nella mia mente
come sempre.
Ripensai
a quel giorno, quando avevo sparato al vincolo. A Wendy. E a tutto
ciò che sarebbe venuto dopo.
Un
brusio in sottofondo mi distrasse da quel flusso di pensieri. Mi
voltai, osservando l'orizzonte, e il tappeto volante che si
avvicinava poco a poco al villaggio. Sorrisi, e con un cenno indicai
ad Aladdin dove fermarsi. Jasmine scese ancor prima di toccare terra,
e correndo mi raggiunse per abbracciarmi. Dopo un istante di
esitazione, mi lasciai stritolare dalla sua morsa energica. Neanche
una persona restia alle smancerie come me avrebbe potuto resistere a
quelle dimostrazioni di puro affetto.
«
Stanno arrivando tutti, li abbiamo visti dall'alto. »
commentò
Aladdin, stringendomi la spalla. Annuii.
«
Ci sei mancata, piccola esploratrice. » aggiunse Jasmine,
ricevendo
subito un'occhiataccia.
«
Sai che – » iniziai, ma venni improvvisamente
interrotta da una
folata di vento anomala, che riportò il cappuccio sulla mia
testa
insieme a tutti i capelli, in una massa scompigliata. Guardammo in
alto, e subito dopo Peter Pan approdò su quelle acque
tranquille,
seguito da Campanellino e Wendy, cosparsa di polverina magica.
«
Siamo in ritardo? » commentò lui, lanciandomi un
sorriso divertito,
ed io stetti semplicemente in silenzio a guardarlo, tradendo quel mix
di emozioni che in quel momento si stavano impossessando del mio
corpo.
«
Mh, Aladdin, Jasmine? » mormorò Wendy, voltandosi
verso di loro. «
Vogliamo incamminarci? ».
Loro
annuirono immediatamente, come a volersi allontanare da quel silenzio
che era fatto solo per noi due. E Wendy l'aveva compreso
immediatamente. Li vidi allontanarsi in silenzio, chissà
verso quale
parte del villaggio, mentre il vento continuava ad essere l'unico ad
ululare in tutto quel silenzio.
In
un primo momento nessuno dei due voleva fare la prima mossa. Poi, con
cautela, lo vidi avvicinarsi a passo lento e fermarsi solo a pochi
centimetri da me.
«
Ciao, ragazzina. » mormorò con voce roca,
aprendosi in quel sorriso
da ragazzaccio che non era mai andato via, neanche ora che,
finalmente, era diventato un uomo. Gli sorrisi, il viso contrito per
la commozione, e in un attimo mi ritrovai tra le sue braccia. Mi
aveva abbracciata senza neppure pensarci, stringendomi nella sua
presa sicura. Sentivo il suo profumo, così familiare. E in
un
momento tutto ritornò alla mente. Quando avevo distrutto il
vincolo, mi ero resa conto di aver anche ucciso Wendy. La dolce
Wendy, che Peter aveva cercato così a lungo. L'avevo uccisa,
e non
me l'avrebbe mai perdonato. Eppure, quel pensiero era tutto
ciò che
avevo: perché pensare al suo odio, almeno mi avrebbe
permesso di
immaginarlo ancora in vita. In quel momento l'avevo lasciato nella
prigione creata dal Lupo per distruggerci, e non sapevo che fosse
ancora vivo. Quando avevo sollevato lo sguardo a quella vocina
flebile che mi aveva chiamata, lì in quella distesa di neve
fredda,
c'era una sola persona davanti a me. Wendy, che inspiegabilmente era
viva nonostante il vincolo fosse stato distrutto.
«
Mi sei mancata. » aggiunse, cercando di sopperire al mio
silenzio.
Ripensai a quando ero tornata indietro, portando Wendy con me. Erano
tutti lì, vicini al corpo del Cacciatore oramai in pace. E
quando il
suo corpo scomparve in una luce abbagliante, Peter ricomparve da
quella prigione che lo aveva tenuto lontano da me.
Peter
e...
Scrollai
la testa. Peter. Peter era tornato. Era debole, seppur avesse
risentito dell'improvviso fluire dell'energia dalla fonte originale,
che non era più in possesso del Lupo. Quell'energia, che
lentamente
tornava a scorrergli nelle vene, gli diede la forza per alzarsi. Per
guardare me. E nei suoi occhi vidi tutto ciò di cui avevo
bisogno
per stare bene.
«
Io... » mormorai, senza sapere cosa dire. L'emozione era
troppo
forte, e ogni volta rischiavo di rovinare tutto. Sapevo solo che
senza di lui mi sarei persa. E inevitabilmente ripensai a quel bacio
che mi aveva dato. In quel momento aveva avuto bisogno di me, ma io
mi ero resa conto che l'amore che provavo per lui era un'altra cosa.
Qualcosa di inspiegabile. Un legame più profondo dell'amore.
«
Wendy sta meglio. » conclusi, mentre vedevo che si
allontanava con
gli altri. Lui si voltò a guardarla, sorrise e
tornò su di me.
«
Si, si è completamente ripresa. Ma non voglio parlare di
lei. »
aggiunse poi, stringendomi le mani.
Il
ritorno di Wendy per Peter aveva rappresentato l'avverarsi di un
sogno. Per un tempo interminabile l'aveva cercata. Lei, l'amore della
vita, scomparsa sotto i suoi occhi. Era convinto che fosse morta, lo
eravamo tutti. E quando la vide, oh, la luce negli occhi che aveva
prima che tutto quel caos scoppiasse riapparve misticamente. Come una
magia. Una magia potente.
Forse
la più potente di tutte.
Presi
un lungo respiro, poi feci un passo in avanti e poggiai la fronte sul
suo petto. Sentivo il battito del suo cuore, forte e vigoroso come un
tempo. Lo sentii mentre poggiava la testa sulla mia, e con le braccia
mi cingeva ancora.
«
Te l'ho riportata. » sibilai, fiera di me. Fiera di noi.
«
Me l'hai riportata. » ripeté lui, e la voce gli si
incrinò.
Sollevai lo sguardo, osservando i suoi occhi lucidi e pieni di
emozione. « E sei tornata. Viva. ».
«
Questa volta non mi sono cacciata nei guai. » ribattei,
cercando di
sdrammatizzare. Lui scosse la testa.
«
No, invece l'hai fatto. Hai lottato da sola contro i tuoi demoni, nel
tuo Inferno. Hai fatto scelte importanti, dolorose, e alla fine sei
tornata. E se ti fosse accaduto qualcosa io...Red, io amo Wendy. Lei
è...è Wendy. Ma tu...tu sei parte di me. Della
mia anima. Se te ne
vai, me ne vado io. Quindi non provare ad andartene. ».
Il
silenzio calò di nuovo su di noi. Era un silenzio buono,
docile e
calmo. E noi ci entravamo perfettamente.
Eravamo
stati distanti per quei trenta giorni: lui ad occuparsi di Wendy, dei
suoi bimbi sperduti, della sua Isola; io a pensare al mio mondo, al
mio villaggio, alla mia casa. Ma i nostri cuori non si erano separati
mai. Ed era come se non fosse passato neanche un giorno.
«
Non me ne vado. » mormorai, scuotendo la testa e riuscendo a
guardarlo negli occhi senza emozionarmi di nuovo come una ragazzina.
« Non me ne vado più Peter, promesso. ».
E
lo abbracciai. Lo abbracciai con forza, facendogli sentire tutto
l'affetto che provavo per lui. E in quel momento mi resi conto di non
avergli mai chiesto una cosa importante nel corso di quei trenta
giorni. Non ci eravamo visti, certo, ma ci scrivevamo spesso. Ma
quella cosa, quella non gliel'avevo mai chiesta.
«
L'hai poi ritrovata, la tua ombra? » chiesi, continuando a
tenergli
le mani. Lui sorrise.
Si
dice che l'ombra sia il simbolo dell'essere umano. E Peter, che non
voleva crescere ed essere umano fino in fondo, se la lasciava sempre
scappare. Ma all'inizio di quel caos, quando anche Wendy se n'era
andata, l'aveva persa per sempre. Se n'era andata con lei lasciandolo
davvero solo, vuoto, e non umano. E ora?
Ora
dov'era?
«
Non lo so. Continuo a pensare che sia da qualche parte, e che non sia
andata via definitivamente. Certe volte mi sembra di sentirla,
soprattutto da quando tutto è tornato alla
realtà. Ma forse non si
farà mai trovare. Forse sono cresciuto, no? ».
Sorrisi.
« Forse, Pan. Forse. » mugugnai, prendendolo un po'
in giro, e lui
mi diede un buffetto sulla guancia, com'era solito fare per
infastidirmi. In quel momento mi tornarono alla mente altri pensieri.
Più bui.
Più
oscuri.
Mi
voltai verso l'orizzonte, cercando di guardare oltre il mare. Sentii
le mani grandi di Peter cingermi le spalle in una presa forte.
«
Questa volta verrà. » mormorò a bassa
voce, ma ricevette subito un
mio segno di dissenso. Scossi energicamente la testa, come a non
voler sentire quello che aveva da dirmi.
«
No. Non è vero. Lui non verrà più.
»
«
Red, dagli del tempo. »
«
Stronzate. » sibilai, e la voce mi si incrinò. Non
ti azzardare a versare una lacrima per lui, capito?
«
Red... » sussurrò di nuovo Peter, stringendomi in
un abbraccio. «
Io sono qui. Sarò la tua ombra. ».
Soffocai
una risata amara, mentre lui mi lanciava un altro dei suoi mezzi
sorrisi da teppista.
«
Ce l'ho già la mia ombra, Pan. Cercati un'ombra tua.
» gli risposi,
a tono, di nuovo leggera.
Lui
mi guardò di nuovo in silenzio. « La mia ombra.
» ripetei, e di
nuovo lo abbracciai.
Il
sole cominciava a tramontare all'orizzonte. Lassù, su quel
grande
belvedere, il panorama era da mozzare il fiato. Si era alzato di
nuovo un vento leggero, piacevole. Tutti quanti avevano ripreso la
strada per i loro Regni, con la promessa di ripetere quell'incontro
per fare il punto della situazione.
Salutai
con la mano alzata Biancaneve, che stava prendendo la via del bosco
insieme ad Esmeralda per tornare alla sua locanda a festeggiare con i
suoi Nani il completamento del castello dove avrebbe vissuto come
regina, senza un principe vigliacco al suo fianco. L'adoravo per
questo.
«
Red. » mi chiamò una vocina flebile. Mi voltai,
serena. Wendy mi
aspettava con l'espressione grata, e allo stesso tempo serena di chi
ha ritrovato la felicità dopo un lungo periodo di sonno.
Campanellino ci svolazzava intorno, spargendo polvere magica ovunque.
Peter, a pochi passi da noi, ci osservava.
Andai
ad abbracciarla. I delicati boccoli color nocciola mi oscurarono la
visuale, ma lei restituì l'abbraccio senza pensarci.
«
Fate attenzione. E salutatemi i ragazzi. » le dissi,
stringendole le
mani. Lei annuì, e dopo un istante si alzò in
volo assieme a
Campanellino. Peter si avvicinò e mi salutò con
un abbraccio.
«
Passo a trovarti fra qualche giorno, ragazzina. Non cacciarti nei
guai. » mi ripeté lui, come sempre era solito
fare. Gli sorrisi,
lasciandolo andare. E istintivamente misi una mano sul cuore, dove
lui aveva un posto assicurato ogni secondo, ogni minuto, ogni giorno.
Li
vidi volare oltre l'orizzonte, oltre le nuvole fino alle stelle.
Osservai quello scenario surreale, quasi incantato, mentre la brezza
lieve sollevava appena la mia mantella. Un'altra folata di vento
smosse il bustino di pelle, e un cigolio attirò la mia
attenzione.
Cercai di capire se provenisse dalla sacca che tenevo su una spalla,
o se me lo fossi immaginato. Cercai di smuovere il bustino, ma le
tasche erano talmente tante che non avrei potuto indovinare. Ripetei
il gesto, e mi accorsi di un altro cigolio nel taschino sul fianco
destro. Lo aprii, tirando fuori l'oggettino che proprio in quel
momento cigolava senza sosta.
La
bussola di Pocahontas.
Era
sempre stata lì, eppure non avevo mai avuto modo di usarla.
Ripensai
alle sue parole.
La
bussola ti guiderà dove il tuo cuore vuole portarti.
Ma
ora la freccia si muoveva all'impazzata, roteando e cigolando.
Sembrava stesse sul punto di rompersi.
Girava,
girava, girava, fino a che...
Improvvisamente
si fermò. La punta, rossa e sgargiante, indicava a Sud.
Stava
indicando...me?
Cosa
voleva dirmi?
In
quel momento sembrava stesse indicando il mio cuore, e forse era
proprio lì che dovevo essere. Lì, in quel preciso
istante, era il
posto adatto. Ed io mi sentivo esattamente nel posto giusto.
Eppure
c'era qualcosa che non quadrava. La freccia continuava a compiere
piccolissimi movimenti a scatto, come se stare ferma a puntare
qualcosa la infastidisse. O come se il luogo da puntare fosse oltre
il mio corpo, oltre me stessa. Un rumore alle mie spalle mi distrasse
da quei pensieri, e improvvisamente collegai tutto quanto.
La
bussola puntava alle mie spalle, proprio dietro di me.
Dietro
di me, dove ora c'era Jim.
Nb. Siamo alle battute finali, ma come potete vedere i colpi di scena
non mancano. Ci tenevo a dare un pò di spazio a Peter e Red,
scrivere questo passaggio mi ha stretto il cuore! Oramai manca poco
alla fine, cosa ne pensate? Fatemi sapere, aspetto i vostri commenti!
Un bacio,
L.
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Capitolo 22 *** ...Happily ever after? ***
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22.
...Happily ever after?
Perché
era lì? Perché adesso?
Lo
osservai mentre scendeva dalla sua vela meccanica in fretta, senza
neanche darle il tempo di spegnersi. Una volta incrociato il mio
sguardo sembrò rallentare, come dopo aver visto un fantasma.
Indossava sempre i soliti anfibi, e la stessa giacca in pelle
pesante. I ciuffi ribelli di capelli color mogano si muovevano a
ritmo di quella brezza leggera, ma lui sembrava di pietra. Ed io,
come lui, non mi ero ancora resa conto di quello che stava accadendo
attorno a me. Abbassai lo sguardo, tornando ad osservare la bussola.
Puntava lui.
Puntava
Jim.
Lui
non verrà più.
Improvvisamente
i ricordi presero di nuovo possesso della mia mente. Era tornato
anche lui dalla prigione infernale, insieme a Peter. Ma qualcosa era
cambiato in maniera irreversibile, a causa di ciò che il
Lupo gli
aveva fatto. Inizialmente pensai che la colpa fosse delle parole
dell'Originale, che aveva inserito in lui il seme della gelosia, del
tradimento, nel momento in cui avevo baciato Peter. Era plausibile,
viste le condizioni in cui ci trovavamo. Ma poi avevo capito che non
poteva essere abbastanza: Jim credeva in ciò che c'era stato
fra di
noi, me l'aveva detto lui stesso. Ed era più forte di tutte
quelle
parole, di quelle menzogne. Un ragazzo abbandonato, solo senza
più
famiglia né patria, ovviamente doveva esserlo per forza. E
non
poteva davvero credere che l'avessi tradito con tanta
facilità.
O
forse si?
In
quel momento mi ero resa conto che c'era stato di più. Che
in quello
spazio solitario in cui era stato rinchiuso, dove cercavo di
raggiungerlo senza risultati, il Lupo aveva fatto altro. Quelle
spirali di fumo viola, quelle lingue di energia negativa che si
avviluppavano attorno a lui, avevano riportato alla mente i ricordi
più spiacevoli del suo passato. L'Originale in fondo aveva
fatto
questo anche con me: mi aveva spinta a ricordare quando, da bambina,
aveva cercato di uccidermi. Quei ricordi maledetti mi avevano
paralizzata, impedendomi di combattere. E in quel momento aveva fatto
lo stesso con Jim. Chissà cosa gli aveva fatto, insinuandosi
nel suo
cervello. Sicuramente il primo ricordo era stato quello di sua madre.
E se avesse ucciso anche lei, insieme alla nonna? Se avesse riservato
lo stesso trattamento a tutti gli abitanti del suo villaggio?
Terrore.
Distruzione. E infine la resa.
Una
volta distrutto il vincolo, Jim era tornato a casa. Nel suo paese
d'origine, come tutti noi. E nessuno l'aveva più rivisto,
neppure
gli abitanti dei Regni vicini.
In
quel momento un'altra folata di vento sollevò la mia
mantella, e
ritornammo a fissarci. Era strano, davvero. Mi ero dimenticata che
effetto mi facesse il suo sguardo. Sembrava di essere ritornati
all'inizio del mio viaggio, quando non riuscivo a spiegare i
sentimenti contrastanti che provavo per lui.
Ma
adesso non potevo lasciarmeli sfuggire. Non più. Non potevo
permettermi di soffrire di nuovo per lui, come per nessun altro. Quel
viaggio mi aveva insegnato a fidarmi delle persone, ma anche a non
lasciarmi trascinare eccessivamente dalle emozioni che avrebbero
potuto distruggermi. Era quello che avevano fatto.
Quando
lui se n'era andato, io...
«
Cosa ci fai qui? » sibilai, rendendomi conto di aver parlato
ad un
tono di voce troppo basso per poter essere sentito. Eppure, in quel
silenzio surreale, la mia voce gli arrivò. Manteneva gli
occhi fissi
nei miei, come per paura di perdere il contatto, di perdere qualsiasi
possibilità di parlare con me.
«
Lasciami spiegare. » iniziò lui, ma io lo
interruppi subito,
scuotendo vigorosamente la testa e interrompendo quell'assurdo
contatto che mi stava mandando ai matti.
«
No. No. Non puoi venire qui e...Non puoi. »
«
Ho saputo che oggi c'è stato l'incontro. »
«
Già, ed è finito. Sono andati via tutti.
» risposi con stizza,
facendogli segno di guardarsi attorno. L'atmosfera si era tinta di un
arancio intenso, e gli abitanti del villaggio stavano tutti facendo
ritorno alle proprie case. Quello strano silenzio era interrotto solo
dalle nostre voci concitate, e dal rumore del vento.
Ritorna
nella tua corazza. Non hai bisogno di questo.
«
Sono felice che tu stia bene. » dissi, riprendendo il
controllo
della voce. « Se c'è qualcosa che posso fare per
te, non esitare a
chiedere. Ma devo tornare a casa. ».
Avanzai
di un passo, poi più veloce, cercando di superarlo e
andarmene il
prima possibile. Rimanere lì non aveva senso. Ma quando
cercai di
superarlo, sentii un'improvvisa stretta attorno al braccio. Mi
bloccai, e d'istinto cercai di retrarlo per proteggermi. Jim mantenne
stretta la presa, ed io mi fermai.
«
Mi dispiace. » sibilò, tenendo il capo chino.
«
Non ho bisogno delle tue scuse, davvero. Non devi scusarti, va tutto
bene. La guerra è finita, stiamo ricominciando. »
proseguii io,
riuscendo a guardarlo negli occhi per la prima volta senza rimanere
impietrita. Le iridi luminose erano velate da una leggera
contrizione, e forse ne capivo il motivo. Ma non era sufficiente.
Lo
sentii allentare la presa, e di nuovo ripresi il passo. Il silenzio
stava diventando opprimente, soffocante.
«
Ariel mi ha detto che sei andata a cercarla. Che hai chiesto di me.
»
esclamò lui ad alta voce, rompendo quella distanza. Mi
fermai. E
ancora ricordi, ricordi e stupidi ricordi mi invasero. Era vero,
avevo raggiunto l'oceano sapendo che il mare di Ariel confinava con
Montressor. Lei e Jim si conoscevano, doveva per forza sapere
qualcosa. Se era vivo. Se stava bene. Ma Ariel aveva risposta solo ad
una parte delle mie domande: a quanto mi era parso di capire, Jim
aveva sfruttato tutto quel tempo per ricostruire il villaggio con gli
abitanti ritornati nel suo mondo. Molti non erano tornati. Le macerie
ricoprivano la terra. C'era molto lavoro da fare, e Ariel non era
riuscito a convincerlo a riprendere i contatti con il resto del
mondo. Ma a quanto pare, presa dall'esasperazione, gli aveva parlato
della mia visita. Nonostante le avessi fatto promettere di non dirgli
che ero andata fin da lei per cercare informazioni su Jim, da una
parte la capivo: Ariel era una persona impulsiva, e Jim sapeva essere
davvero esasperante quando si chiudeva a riccio con il resto del
mondo.
«
Si. » risposi, voltandomi. « Ma a quanto pare
nessuno sapeva di te.
E' stato un sollievo sapere che eri ancora vivo, comunque. ».
La
freccia nella bussola continuava a girare vorticosamente,
scricchiolando nella mia tasca. Cominciavo ad odiarla.
«
Red, non sarei mai voluto sparire in questo modo. ». Non
pronunciare il mio nome. «
Ma il Lupo...lui mi ha fatto vedere cose che non pensavo di ricordare
ancora. Tutta quella morte, la distruzione...mi ha fatto rivivere la
perdita di tutti, compresa mia madre, fino allo sfinimento. Per
questo sono tornato a Montressor. Per ricominciare da capo.
».
«
E ci sei riuscito? » sussurrai, riducendo gli occhi a due
fessure
esili. Lui rimase in silenzio. « Tutti stiamo cercando di
ricominciare, Jim. In un modo o nell'altro, ce la faremo. Ma
cancellare ogni ricordo del passato, scappare via in questo
modo...non è la soluzione. E secondo me lo sai anche tu.
».
Avevamo
tutti perso qualcosa. E adesso dovevamo imparare a ricominciare. Ma
se c'era una cosa che avevo imparato da quel viaggio, è che
il
passato non poteva essere buttato al vento. Per questo avevo deciso
di rimettere in sesto la casa nel bosco. Ritornai sui miei passi.
«
Ti prego, non andare via. Sono venuto qui per... »
«
Per cosa?! » sbottai, voltandomi di nuovo. Era incredibile
come
riuscisse a portarmi all'esasperazione in così poco tempo.
Era una
dote che in effetti gli riconoscevo.
«
Per te. ».
Rimasi
in silenzio, ed inevitabilmente ripensai a quella notte, quell'unica
notte in cui eravamo stati insieme davvero, in segreto, fermando il
tempo. Soffocai una risata amara, ripensando a quelle stesse parole.
«
Bugiardo. » mormorai, cercando di soffocare il terribile
groppo alla
gola che stava rischiando di uccidermi. Non volevo mostrarmi debole,
non di fronte a lui. Non volevo ricordare il dolore che mi aveva
attraversata quando se n'era andato. O forse non volevo ammetterlo.
Mi
voltai di nuovo, cercando di nascondere il volto. E dopo pochi
istanti sentii le sue braccia circondarmi il corpo, in una stretta
soffocante. Riconobbi ogni singolo secondo di quell'abbraccio, e ogni
centimetro di pelle, seppur nascosta dagli abiti, mi era
terribilmente familiare. Il suo profumo era insopportabilmente lo
stesso. Sentivo il suo respiro tranquillo, nonostante
l'elettricità
nell'aria. Abbandonai le braccia lungo i fianchi, senza il coraggio
di voltarmi.
«
Permettimi di restare. » mormorò lui con un filo
di voce. E a quel
punto non riuscii più a contenermi.
E
scoppiai in un pianto liberatorio. Non riuscivo a ricordare l'ultima
volta che avevo pianto. Ma mi ero ripromessa di non farlo
più, da
quando era scoppiato l'Apocalisse. Facevo in modo di impedirlo ogni
volta: e così non lo avevo fatto quando mi ero svegliata con
il
braccio mozzato, o ogni volta che il cannone metallico compariva al
posto dell'avambraccio; non l'avevo fatto quando mi ero ritrovata
sola, nel bosco, o quando mi ero resa conto che mia nonna non sarebbe
tornata; non l'avevo fatto nella prigione, e non l'avevo fatto quando
Jim se n'era andato.
Quindi,
forse, doveva accadere. Dovevo liberarmi finalmente di tutti i miei
demoni, rimasti nascosti nelle lacrime che non avevo mai voluto
versare per sembrare debole. Strano che proprio in quel momento
avessi deciso di lasciarle andare così, in un soffio di
vento.
Sentii Jim aumentare la stretta ancora di più, come per
impedire al
mio corpo di sgretolarsi in mille pezzi.
«
Resta. »
«
Resterò. ».
* * *
Il
villaggio quella mattina era in fermento: i preparativi per la grande
festa del giorno dopo stavano procedendo bene, e dovevamo tutti
prepararci all'arrivo di molte persone.
Era
passato un anno esatto dal giorno in cui l'Originale era stato
sconfitto, e per celebrare quel giorno ogni Regno era in festa. Il
nostro villaggio si preparava ad accogliere coloro che avevano
collaborato a quella vittoria, e insieme avremmo ricordato il giorno
in cui il nostro mondo era tornato a splendere, finalmente, di luce
propria.
Attraversai
il viale principale in modo da raggiungere la piazza, ma fui
interrotta improvvisamente da una squillante voce che mi chiamava da
lontano.
«
Signorina Red! Signorina Red! » gridava in lontananza un
bambino dai
brillanti capelli color miele. Lo raggiunsi a passo spedito,
piegandomi sulle ginocchia in modo da essere alla sua altezza.
«
Solo Red. » ribadii, probabilmente per l'ennesima volta.
« Che
succede? ».
«
Un coniglio. » riuscì a dire lui con il fiatone.
« Un coniglio la
sta cercando. E' al belvedere. ».
Strabuzzai
gli occhi, e istintivamente sorrisi. Lo ringraziai e mi diressi a
passo spedito verso la grande terrazza.
«
Tu hai seri problemi di orario, sai? » gridai, cercando di
farmi
sentire. Il Bianconiglio si voltò, appoggiato alla
balaustra, e mi
sorrise in modo complice. Adoravo stuzzicarlo, soprattutto quando mi
faceva quelle improvvisate.
«
Lo so, volevo farti una sorpresa. E' tutto pronto per domani?
» mi
chiese lui, tenendo stretto il suo orologio d'oro. La sua altezza mi
incuteva sempre timore. Nessuno di noi era riuscito a spiegare come
mai fosse rimasto l'essere che era, invece di trasformarsi di nuovo
nel coniglio paffuto e peloso di un tempo. Probabilmente questa era
la forma che più si adattava a lui. Un essere elevato,
saggio e
forte.
«
Siamo pronti, palla di pelo. » risposi, ridendomela sotto i
baffi.
L'avrei preso in giro a vita.
«
Sai, ora che sono così alto potrei anche fartela pagare.
» ribatté
lui a tono. Ero contenta che avesse recuperato parte della sua
follia. Mi avvicinai alla balaustra, poggiando i gomiti sulla fredda
superficie di pietra. Lasciai cadere il cappuccio della mantella, in
modo da sentire quella leggera brezza sul viso.
«
Come va nella Landa dei Matti? » gli chiesi, questa volta con
sincero interesse.
«
Bé, tanto matti non lo siamo più. Credo che
questa sia una fortuna,
in parte. Anche se il Cappellaio ha ricominciato a ballare sui
tavoli. ».
«
Ottimo. »
«
Ma c'è sempre Alice. Lei ci sarà sempre a
riportarci sulla retta
via. » concluse poi osservando l'orizzonte.
«
Come si sente? » gli chiesi, in leggera apprensione. Alice
era
quella che più aveva risentito dell'Apocalisse: aveva perso
il
senno, si era chiusa in se stessa rischiando di impazzire. E questo
non poteva essere cancellato nemmeno con la distruzione
dell'Originale.
«
Meglio. » mi rispose lui, sereno. « Ha ricominciato
ad uscire e a
parlare. Fa ancora degli incubi tremendi che la tengono sveglia la
notte, ma starà bene. Tornerà quella di un tempo.
Domani vedrai con
i tuoi occhi. ».
E
non vedevo l'ora.
«
E Jim? Lui come sta? »
Abbassai
lo sguardo, tentando di deviare il discorso. Mi ero resa conto del
rossore diffuso su tutto il mio viso. Stavo avvampando come
un'adolescente in tempesta ormonale.
«
Red. » mi richiamò lui, come un padre esasperato.
« Red. Oramai è
passato un anno, devi cercare di superare il fatto che tu e Jim
siete...ecco, più che amici. E che la gente te lo chieda.
».
«
M-Ma io non ho intenzione di... ecco, stiamo bene. » mi
limitai a
dire, cercando di riprendere un tono. « è a
Montressor ora, a
controllare che tutto vada bene. Tornerà fra poco, credo.
».
Mi
imbarazzava ancora parlare di quel genere di cose con chiunque. Fino
ad un anno fa il mio interesse principale era uccidere lupi, poi
ricostruire la casa della nonna, e adesso...
Jim
viveva insieme a me nel bosco.
«
Com'è potuto succedere? A volte mi chiedo se sono la stessa
persona
di un tempo. E se questo sia un bene. Insomma, mi sono ammorbidita,
non puoi negarlo. Con Peter, e con Jim...insomma, perché
lui? ».
Il
Bianconiglio scoppiò in una risata, poi si
sistemò gli occhiali sul
naso e tossì. « Sei esilarante. ».
«
Smettila di prendermi in giro. Ti sto parlando dei miei sentimenti,
come una femminuccia. È questo che vuoi in fondo, no? Fare
lo
psicologo. Allora psicanalizzami. ».
Il
Bianconiglio tornò serio, e si voltò appena verso
di me. « Non c'è
nulla di sbagliato nelle tue domande. Hai semplicemente imparato ad
esprimere i tuoi sentimenti, mentre prima non li consideravi nemmeno.
Sai, quando mi chiedi di Jim, io penso sempre a quello che mi hai
raccontato quando ti ho chiesto del tuo viaggio. Ricordi quando il
Lupo Originale vi ha attaccati per la prima volta, nel bosco
innevato? ».
«
Mh-mh. » mormorai, annuendo. Sentir pronunciare quel nome non
mi
dava più quelle strane sensazioni, quei presentimenti che mi
facevano rabbrividire. Era un sollievo.
«
Peter ti ha presa al volo quando sei svenuta nella morsa del Lupo, ma
Jim ti ha restituito la mantella. La tua mantella. »
ripeté,
sfiorando il cappuccio che avevo lasciato cadere sulle spalle. Che
diceva tutto. Il mio passato, presente e futuro. « Tu non hai
bisogno di essere salvata, Red. Non ne hai mai avuto bisogno.
Fondamentalmente non sei una damigella in difficoltà. Ma
qualcuno
che ti ricordi quanto vali, chi sei e cosa hai fatto per questa
terra. Questo sì, questo puoi permettertelo. ».
Rimasi
in silenzio, riflettendo sulle sue parole. « Questo
è un esempio
stupido. » commentai, tentando di sdrammatizzare, e lo vidi
sorridere. E inevitabilmente sorrisi anche io. Perché aveva
ragione,
aveva sempre avuto ragione. Potevo permettermi quei sentimenti,
potevo permettermi di esprimerli.
E
potevo permettermi di amare Jim.
Improvvisamente
il Bianconiglio mosse le orecchie in uno scatto, poi si tirò
su
dalla balaustra sulle zampe scattanti. « Bé,
è ora di andare.
Torno nel Paese delle Meraviglie, raccolgo gli sbandati e ci vediamo
qui domattina. ».
Risi.
« Mi raccomando, non dimenticare nessuno. ».
«
Oh, ci mancherebbe. » rispose lui strizzandomi l'occhio.
« E sarò
puntuale, puntuale come un orologio. ».
Lo
vidi sparire in meno di un secondo, saltando sulle lunghe zampe
candide. Era terribilmente veloce.
E
in quel momento Jim atterrò con la sua “tavola da
surf voltante”,
come amavo chiamarla per prenderlo un po' in giro. Alzai gli occhi al
cielo. Ovviamente
il
Bianconiglio aveva scelto di andarsene proprio nel momento
più
opportuno, per lasciarci da soli a goderci il tramonto sulla valle.
A
volte sapeva essere schifosamente romantico.
«
Ehi, non era il Bianconiglio quello? » mi chiese lui
scendendo dalla
tavola. Si passò una mano tra i capelli e mi raggiunse alla
balaustra.
«
Già. A quanto pare gli piacciono le sorprese. »
commentai io,
incrociando le braccia al petto. Jim si avvicinò a me e
sfiorò le
mie labbra con un bacio, con una naturalezza quasi devastante. Per
lui era così facile. Tirai su il cappuccio, riparandomi dal
vento
che si stava alzando sulla valle.
«
Com'è andata a Montressor? »
«
Alla grande. Sono tutti pronti. » rispose prontamente lui,
stiracchiandosi. Viaggiare su quel coso non era poi tanto comodo,
soprattutto per le lunghe distanze. « E tu, sei pronta?
».
Feci
per rispondere, ma lasciai le parole a mezz'aria. Quella domanda
racchiudeva tanti quesiti.
E
se...e se...
E
se.
Avevamo
affrontato l'Inferno, e in qualche modo ne eravamo usciti. «
Si,
sono pronta. ».
Dopo
aver controllato i preparativi decidemmo di tornare nella casa nel
bosco. C'era una cosa che dovevo fare, prima di dare il via alle
danze e ai festeggiamenti. Prima di vivere quelle ore nella
più
assoluta spensieratezza. Camminammo tra gli alberi, e i profumi del
bosco mi inebriarono distraendomi solo per un momento. C'erano di
nuovo odori, rumori, animali che vagavano quieti nel sottobosco.
C'era di nuovo vita.
La
casetta adesso era tornata ad assumere un aspetto glorioso, forse
anche migliore di quello che aveva in precedenza: le assi di legno e
il tetto erano nuovi di zecca, il vialetto delimitato da gradi vasche
di fiori e erbe aromatiche, e dal camino spuntava lo sbuffo del fumo
del fuoco, che avevo lasciato acceso e adeguatamente protetto.
Superai la casa, avanzando di qualche metro e immergendomi nel fitto
del bosco: lì, in una minuscola radura poco distante da
casa, c'era
una lapide. Era circondata da fiori profumati e freschissimi, e gli
uccellini vi si posavano sopra con naturalezza. Non c'era il cupo
grigiore del cimitero, o l'inquietante pesantezza delle tombe. Era
una parte del bosco, parte della natura che conviveva con essa.
Lì,
dove avevo deciso di rendere omaggio alla nonna, in modo da lasciarla
nel luogo che lei stessa amava di più. Solo crescendo mi ero
resa
conto di quanto lei fosse divenuta importante per questo bosco: gli
animali si avvicinavano a lei senza alcuna paura, anzi con un
rispetto surreale, e dall'incidente dell'Originale e del Cacciatore
di molti anni prima neanche i lupi si avvicinavano più a
lei. Quel
bosco doveva custodirla per sempre.
Mi
inginocchiai di fronte alla lapide. Jim era a pochi passi da me,
riconoscevo la sua presenza anche senza vederlo. Sfiorai i fiori di
campo dai colori pastello che erano cresciuti attorno alla pietra,
inspirando a lungo il loro profumo.
«
Sei ancora qui. » mormorai, sperando che in qualche luogo, da
qualche parte, lei potesse sentirmi. « E ci siamo ancora
tutti. ».
Per
il resto del tempo rimasi in silenzio. Mi alzai solo più
tardi, e
sempre in silenzio ritornai sui miei passi. Mi avvicinai a Jim e gli
presi la mano, incamminandomi con lui.
Quando
arrivammo a casa il fuoco era ancora acceso, l'ambiente caldo e
rassicurante. Mi diressi verso la camera da letto e appesi la
mantella alla parete, stiracchiandomi. La giornata era ancora lunga.
Sentii
le braccia di Jim cingermi il corpo, e il suo volto affondare
nell'incavo della mia spalla.
«
Abbiamo un sacco di cose da fare... » sibilai, attenta a non
interrompere la quiete e l'equilibrio della stanza. Sentivo un
profumo particolare, acre ma invitante. Muschio. O chissà
cosa. Il
suo viso sul collo mi faceva il solletico, e lo trovavo stranamente
elettrizzante.
«
No, non è vero. Tu sei una psicopatica perfezionista, e hai
già
organizzato tutto. Non c'è nient'altro da fare, a meno che
tu non
voglia andartene senza motivo. Ma sappi che in quel caso me la
prenderò, e molto. » rispose lui, continuando a
viaggiare dalla mia
mandibola alla spalla. Sorrisi, scuotendo appena la testa.
«
Oh, è proprio strano. » commentai. « Tu
non ti offendi mai. Non
sei una persona permalosa. Anzi, direi che la tua qualità
migliore è
proprio – » e non finii, perché Jim si
era reso conto che lo
stavo prendendo in giro. Mi buttò sul letto impedendomi di
muovermi.
«
Non fare la spiritosa. » mugugnò, mordendomi
l'orecchio.
«
E tu non farmi tirare fuori il fucile. » sibilai, muovendo il
braccio e le dita della mano. Improvvisamente rabbrividii, ripensando
al dolore lancinante che provavo ogni volta che il mio braccio
lasciava il posto a quel congegno meccanico. Subito dopo la fine
della battaglia con l'Originale, il mio primo desiderio era stato
quello di toglierlo. Avevo pensato di chiedere aiuto a qualcuno che
potesse ridarmi il braccio utilizzando la magia che era tornata a
fluire regolarmente dalla Fonte. Ma non era mai così
semplice,
neanche quando si metteva in mezzo una magia così pura come
quella
che fluiva dalla Fonte. Chiedere di riportare il mio braccio era
difficile, c'erano tanti vincoli che la magia non poteva superare. Ma
se ad Ariel erano state date delle gambe, allora anche io potevo
riaverlo, no?
Eppure,
improvvisamente cambiai idea. Decisi di tenerlo. Non perché
avessi
intenzione di usarlo – ognuno di noi sperava in una pace che
durasse il più a lungo possibile – ma
perché avevo accettato la
mia condizione. Ero sopravvissuta ad una catastrofe, e quel braccio
meccanico mi aveva ridato la vita. Mi aveva strappata alla morte e
permesso di sconfiggere l'Originale con le mie forze. Eliminandolo
avrei eliminato una parte di me.
Così
da quel momento provai semplicemente ad accettare le conseguenze
della distruzione. Della vita.
Periodicamente
lo facevo uscire dal suo bozzolo, curandolo come una parte preziosa
di me. Con l'aiuto di Jim e la collaborazione degli altri Regni ero
riuscita a diminuire l'attrito dei congegni meccanici e ora faceva
meno male. La speranza era quella di eliminare completamente il
dolore, e sorprendentemente ci stavamo riuscendo a poco a poco. Ma a
volte ripensavo a quella sensazione, la pelle strappata e l'odore di
ferro che improvvisamente mi riportava a quella realtà
cruda. E
rabbrividivo, ogni dannata volta.
Jim
si allontanò appena, probabilmente riconoscendo la mia
reazione. Mi
massaggiò le spalle e le braccia con le mani, vigorosamente,
come a
voler togliere quella sensazione spiacevole dalla mia pelle.
Rimase
a guardarmi, poi mi baciò il braccio, il polso, la mano,
fino alle
dita. Quella sensazione così piacevole mi fece dimenticare
il
dolore. Probabilmente era per questo motivo che in quel momento mi
sentivo così bene.
«
Non abbiamo nulla da fare... » mormorai, in accordo con lui.
Lo vidi
sorridere, trionfante. Le sue labbra si appropriarono di nuovo del
mio collo, avide della mia pelle. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a
quelle sensazioni piacevoli, lasciando tutto il resto fuori.
Doveva
essere l'alba. Sentivo gli uccellini cantare appena fuori dalla
finestra, e il crepitio del fuoco nella stanza che si stava
spegnendo. Mi rigirai nel letto, trovandomi a pochi centimetri da
Jim: dormiva sereno, con i capelli che gli ricadevano sul viso in
modo del tutto casuale. Il suo braccio non aveva nessuna intenzione
di spostarsi dal mio corpo, così rimasi ancora qualche
minuto sotto
le coperte, accoccolata vicino a lui. Poi, delicatamente, scivolai
fuori dal letto. Ravvivai appena il fuoco e mi lavai di corsa,
maledendo l'acqua gelata di prima mattina. Mi vestii, indossando gli
stivali pesanti e la mantella, e in quel momento sentii uno strano
odore.
Era
un profumo particolare, abbastanza forte e speziato, familiare. Ma in
quel momento non riuscivo proprio a collegarlo a nulla. Sapevo che in
qualche modo lo avevo già sentito prima, ma non riuscii a
riconoscerlo.
Improvvisamente
un suono lontano attirò la mia attenzione: al villaggio
erano in
corso gli allestimenti e i preparativi per la grande festa, e presto
molti sarebbero accorsi. Dovevo sbrigarmi.
Vidi
Jim stiracchiarsi lentamente, sbadigliando. Aprì appena gli
occhi,
sbattendo le lunghe ciglia scure.
«
Che ore sono? » mi chiese, ed io mi avvicinai finendo in
ginocchio
sul letto.
«
L'ora di alzarsi. » risposi, stampandogli un bacio sulle
labbra.
«
Siamo di buon umore stamattina, vedo. » mormorò
lui, cercando di
trascinarmi di nuovo a letto.
«
Non ti azzardare, Hawkins. » risposi allontanandomi e
tornando in
piedi al bordo del letto.
Lui
scoppiò a ridere e si alzò in piedi. Sistemai la
mantella sulla
testa e tornai in cucina. Controllai di non aver dimenticato nulla, e
quando Jim uscì dalla camera con dei vestiti addosso ci
preparammo
per uscire.
Chiusi
la porta alle mie spalle, e insieme percorremmo il vialetto fino al
bivio che ci avrebbe portato al villaggio. Eppure in quel momento
qualcosa attirò nuovamente la mia attenzione.
«
Jim, vorrei salutarla. » mormorai, stringendogli la mano.
«
Oggi...oggi è importante. ».
Lui
mi guardò per un istante, poi annuì. Mi tenne la
mano stretta
mentre deviavamo appena dalla strada, facendo il giro attorno alla
casa per fare visita alla tomba della nonna.
Sentivo
che quella mattina avrei dovuto salutarla, perché quella
giornata
serviva anche a ricordare chi non c'era più. E il mio
ricordo di lei
era vivido, così vivido da lasciarmi senza fiato ogni volta.
Attraversammo
il sottobosco, raggiungendo la piccola radura. E li, in mezzo agli
alberi e agli animali e di fronte a quella lapide di pietra, lo
sentii di nuovo.
Quel
profumo, questa volta più forte.
E
mi fu impossibile non riconoscerlo.
«
Lo senti? » sussurrai, arricciando il naso. Jim mi
guardò, confuso.
«
Cosa? »
«
Questo...questo profumo. ».
Era
cannella. Erano spezie, e...biscotti.
Si,
era il profumo che sentivo quando andavo a trovare la nonna, ancor
prima di varcare la soglia di casa.
Il
profumo dei biscotti che mi faceva sempre trovare sulla tavola,
quando tornavo da lei, caldi e fragranti.
Quel
profumo inconfondibile.
E
fu in quel momento che la vidi. Li, piccola e quasi invisibile, che
giaceva sulla lapide coperta di fiori.
Mi
avvicinai, trattenendo il respiro.
Non può essere.
Probabilmente
ero pallida come uno straccio, perché stavo tremando e non
riuscivo
più a sentire le gambe.
Mi
inginocchiai davanti alla tomba, lasciando cadere le gambe sul manto
erboso.
Li,
poggiata sulla superficie liscia della lapide, c'era una piccola
figura di stoffa.
Mi
piaceva acconciarle i capelli di lana in due codini sparati ai lati
del viso, e cambiarle i vestiti quando il tempo cambiava. La vestivo
non solo a seconda del tempo, ma sulla base del mio umore.
Il
corpicino riempito di morbido cotone era rivestito da un abito
giallo, i capelli acconciati in due treccine rosse.
Era
la mia bambola.
Nb. Non pensavo che sarei riuscita a concludere questa storia, e a
tutti gli effetti, tecnicamente, non l'ho fatto. Devo dire che detesto
i finali aperti quando leggo un libro, comincio sempre a urlare e
sbraitare chiedendo al cielo o al muro come cavolo finisce la storia (
si, lo faccio davvero). A meno che la suddetta storia non abbia un
seguito. Ed ecco perché ho voluto lasciarvi con un finale
che potrebbe concludersi così, oppure continuare. A me
piacerebbe dare a questa storia un seguito, ho già qualche
idea che spero di portare avanti. E a voi, farebbe piacere leggere un
seguito?
Fatemi sapere cosa ne pensate di questa idea, e soprattutto cosa
pensate di questa storia ora che è conclusa. Aspetto le
vostre risposte e intanto vi mando un bacio grande, ringraziandovi per
avermi seguita fino a qui.
A presto,
L.
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