The Phoenix and the Snowbird

di Call it Maglc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***
Capitolo 8: *** Otto ***
Capitolo 9: *** Nove ***
Capitolo 10: *** Dieci ***
Capitolo 11: *** Undici ***
Capitolo 12: *** Dodici ***
Capitolo 13: *** Tredici ***
Capitolo 14: *** Quattordici ***
Capitolo 15: *** Quindici ***
Capitolo 16: *** Sedici ***
Capitolo 17: *** Diciassette ***
Capitolo 18: *** Diciotto ***
Capitolo 19: *** Diciannove ***
Capitolo 20: *** Venti ***
Capitolo 21: *** Ventuno ***
Capitolo 22: *** Ventidue ***
Capitolo 23: *** Ventitré ***
Capitolo 24: *** Ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Venticinque ***
Capitolo 26: *** Ventisei ***
Capitolo 27: *** Ventisette ***
Capitolo 28: *** Ventinove ***
Capitolo 29: *** Ventotto ***
Capitolo 30: *** Trenta ***
Capitolo 31: *** Trentuno ***
Capitolo 32: *** Trentadue ***
Capitolo 33: *** Trentatré ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Note della traduttrice (Hiraeth): e questa volta ritorno su EFP con la traduzione di una long-fic. Una long-fic! È praticamente un suicidio a lungo termine, ma sono sicura che la gratificazione sarà enorme. In più non vedo l’ora di mettere mano ai capitoli più in avanti, che sono praticamente gloriosi. (Sì, va be’, evito di farmi viaggi mentali quando sono ancora al primo capitolo).
 Su Fanfiction.net a questo indirizzo trovate il link originale di questa storia, che per concessione della (gentilissima!) autrice mi trovo a portare anche nel fandom italiano. Spero che piacerà almeno quanto è piaciuta a me! Buona lettura!











The Phoenix and the Snowbird
di Call it Maglc











Uno



S’incrociaron allo albore d’avosto dua vie diritte,
La Fenice et lo Junco¹ achataron, sed si perdero.
Lo lilium da cendri rinasto, la rosa da paure discomfitte,
La Fenice et lo Junco viderosi et si speliarno invero.
Ben cetto cassellarno tempo et pugnae lor idilli,
La Fenice et lo Junco d’altero curaron li cori.
Sic fuit li quali, ambedue co foco et gelo, devisi eppur eguali,
La Fenice et lo Junco caciron preda dro giuoco d’amori.


Il principe Hans delle Isole del Sud era morto.

 O almeno, era stato creduto morto fino a meno di un’ora prima.

 Con il suo costante camminare su e giù dopo aver appreso la notizia, Anna avrebbe potuto scavare un solco nel tappeto. Sproloquiava senza sosta, ma Elsa non riusciva a concentrarsi sulle sue parole. Un terrore corrosivo l’attanagliava allo stomaco, gli infelici ricordi di quando Anna era quasi morta che risalivano a galla, come solevano fare sempre. Ma adesso la situazione era diversa e in qualche modo anche peggiore, ora che l’uomo che le aveva fatto del male se ne stava in una cella a poche rampe di scale da loro.

 «Non ha senso! Lui è morto!» esclamò Anna per la settima volta: Elsa le aveva contate. «La gente non annega per poi, tra tutti i posti che ci sono al mondo, tornare ad Arendelle senza un motivo! Non pensa di averne prese abbastanza? Perché ooh, se gli darò una ragione per andarsene via».

 Anna si voltò di nuovo in quel suo giro intorno al tappeto del salotto. Le trecce sbattevano contro la sua schiena come se fossero arrabbiate quanto la loro proprietaria. Aveva le sopracciglia estremamente corrucciate e la bocca sparava a raffica. Trovando una sorta di pace nel guardarla, Elsa seguiva con lo sguardo la scia del vestito color melagrana della sorella, che sfrusciava fluido per il tappeto.

 Probabilmente sarebbe stato più opportuno avere una reazione simile a quella di Anna, ma non ce la faceva. Non poteva pretendere di trovare una soluzione limitandosi a mormorare delle imprecazioni contro l’uomo. Ciò che faceva, invece, era rivivere di nuovo nella sua testa l’immagine di Anna che congelava. Anna che congelava perché sua sorella le aveva ghiacciato il cuore. Che congelava perché l’uomo che adesso era in una cella l’aveva lasciata morire. La sequenza di immagini si ripeté migliaia di volte nella mente di Elsa, talvolta mostrandole scenari in cui Anna non era in grado di scappare dal palazzo, congelava davanti al camino e si scioglieva, sicché tutto quello che rimaneva di lei era una macchia bagnata sul tappeto.

 Elsa batté le palpebre e sua sorella fu di nuovo in vita, ancora che andava su e giù per il pavimento; dietro di lei stava il camino, il colpevole nel suo sogno. Elsa non si era accorta che il battito del suo cuore era accelerato, ma impose a se stessa di rallentarlo, così che il martellare nelle sue orecchie calasse di volume e lei potesse ascoltare Anna.

 «Okay, okay. Che ne dici di questo?» Anna smise di camminare e tese le mani, gesticolando mentre esponeva ciò che aveva da dire. «Si è impossessato in qualche modo della nave ed è salpato verso casa sua. Adesso sta tenendo prigionieri gli ambasciatori francesi, ma non vuole far sapere in giro che in realtà sono ancora vivi».

 «Allora perché mai sarebbe tornato qui?» fiatò un’altra voce, il tono grave dell’ex custode di Arendelle, Ingvalda, che aveva regnato il paese al posto dei genitori delle sorelle fino all’incoronazione di Elsa. La novella regina non aveva mai stretto un legame particolarmente profondo con Ingvalda (dopotutto, lei non aveva mai stretto legami particolarmente profondi con nessuno) e la vedeva come una specie di prozia. Di recente aveva iniziato a trascorrere molto più tempo in sua compagnia e Ingvalda le faceva di continuo presente la buona etichetta di un monarca, scrutandola al di sopra della spalla per assicurarsi che niente andasse storto. Elsa rimuginò che, sebbene dovesse esserle grata per l’aiuto che le forniva, non si sentiva mai a suo agio sotto l’occhiataccia vigile di Ingvalda.

 Anche adesso la donna, con le zampe di gallina attorno agli occhi e il vestito di seta color oliva che fasciava la sua figura sottile, non la perdeva di vista. Elsa cercò di non notarlo, ma avvertì comunque un bruciore alla nuca.

 Anna ricominciò a camminare su e giù, borbottando qualcosa riguardo la tendenza delle navi a scomparire sempre una volta imbarcate e perché lui era tornato ad Arendelle?

 Solo a tre mesi di distanza dall’incoronazione della regina Elsa, giorno in cui erano stati rivelati i suoi poteri, e dall’accordo con l’ambasciatore francese per riportare Hans alle Isole del Sud, era pervenuta una lettera. Era del re della Catena dell’Ovest, in Francia, che domandava dove fossero finiti i suoi delegati. La nave francese non era ancora giunta sana e salva a destinazione e, a dire la verità, non era giunta in generale da nessuna parte. Nessuno degli undici alleati commerciali di Arendelle – adesso nove, dopo che erano stati rotti i rapporti con Weselton e le Isole del Sud – l’aveva avvistata o ne aveva sentito le notizie. Si era creduto, quindi, che l’ambasciatore francese, i suoi uomini e Hans fossero periti in mare.

 Ormai era passato più di un anno da quell’inverno di mezza estate, per cui Elsa e Anna si sentirono completamente prese alla sprovvista quando Kai interruppe il loro tè per riferire la sconcertante novità. Il principe Hans era stato catturato e arrestato, colto nel tentativo di rubare una nave da uno dei moli di Arendelle. Aveva opposto resistenza alle guardie, annunciò Kai dopo che Anna fece cadere una tazza, tanto era scioccata, ma erano state in grado di trattenerlo abbastanza a lungo da riuscire a buttarlo in prigione. Avevano comunicato che l’uomo bolliva dalla rabbia e che, quando lo avevano condotto nella cella assegnatagli, era parso più caldo di una stufa.

 Anna aveva iniziato ad andare su e giù per il tappeto sin da quando il loro tè quotidiano era stato interrotto e non dava segni che si sarebbe presto o tardi fermata. Ingvalda si era unita a loro nello studio non appena aveva appreso le circostanze, ma non aveva offerto alcun consiglio sul da farsi.

 Il salotto, che aveva sempre fatto sentire Elsa al sicuro, adesso le sembrava strano e rigido. Il divano non era più comodo, a prescindere dalla posizione in cui lei si metteva, e aveva la sensazione che centinaia di schegge di ghiaccio fossero conficcate nella stoffa del sofà. Il camino era vuoto, dato che la calura di agosto forniva sufficiente riscaldamento. Elsa aveva udito dalle cameriere che a loro non sarebbe dispiaciuto un altro “inverno perenne”, ma lei era consapevole di non essere ancora abbastanza in controllo dei suoi poteri per creare un nevischio confortevole. Ormai non portava più i guanti, ma si trattava comunque di qualcosa che lei non si riteneva capace di gestire.

 «Doveva proprio tornare qui?» brontolò di nuovo Anna, voltandosi nel suo giro. «Non poteva andarsene da qualche altra parte e rubare le navi a loro? Sono tipo vicina così dal dirigermi io stessa giù nelle prigioni e pretendere delle risposte» disse, avvicinando talmente tanto il pollice e l’indice che solo un ago poteva passare attraverso l’esigua distanza.

 «No» rifiutò immediatamente Elsa, finalmente contribuendo a quella che era stata fino a quell’istante una discussione molto unilaterale.

 Anna smise di camminare per guardare negli occhi la sorella, sorpresa che la sua invettiva fosse stata interrotta.

 «Non voglio che ti avvicini a lui di un centimetro» spiegò con calma Elsa, le mani nude sul grembo. Anche se aveva un’aria rilassata, internamente era tutto l’opposto. Le sue dita si erano irrigidite e contemplava con avversione l’idea di congelare qualcosa per sbaglio, come andando a sbattere contro un muro di mattoni, per colpa di un improvviso scoppio emotivo. Sperava che, nel caso tale avvenimento succedesse veramente, la vittima fosse il suo vestito blu scuro e non un oggetto (o una persona) importante.

 Quando Anna si allontanò dal tappeto e le si sedette accanto sul divano, la confusione dipinta sul volto della principessa si trasformò in delizia. «Aww, Elsa, non devi preoccuparti per me! Posso prendermi cura di me stessa. Ho preso quel tizio a pugni in faccia e l’ho buttato in mare, ricordi?» le rammentò, sollevando il braccio e piegandolo scherzosamente. «Ci penserà due volte prima di provare a ingannarci di nuovo».

 Elsa fu lì lì per abbozzare un sorriso, ma rimase in silenzio. Non importava quanto in gamba fosse sua sorella, lei non avrebbe mai e poi mai smesso di preoccuparsi per Anna. Avrebbe potuto prendere a pugni e buttare in mare un centinaio di omoni crudeli ed Elsa sarebbe stata comunque esitante a lasciarla avvicinarsi a loro.

 Anna sospirò e affondò un po’ di più tra i cuscini, le gambe che sbucavano da un angolo della gonna a campana del vestito. «Vorrei solamente sapere cosa ci fa lui qui. Impazzirò se non otterrò una risposta».

 Elsa era conscia che era vero. Se lasciata sola, Anna si sarebbe inventata teorie su teorie. Tempo un giorno e lei sarebbe praticamente irrotta in prigione per pressare l’uomo a dirle la verità. Elsa rabbrividì un po’ al pensiero di Anna nella stessa stanza con Hans. Prima che fosse troppo tardi, decise di prendersi lei quella responsabilità.

 «Gli parlerò io».

 Anna e Ingvalda fissarono Elsa come se lei avesse suggerito di metterlo al rogo.

 «Tu… gli parlerai?» chiese Anna, raddrizzando la schiena e sedendosi dritta.

 «Ciascuna di noi desidera conoscere cos’è successo» disse Elsa, guardando ovunque tranne che sua sorella. «Mi farò dire ogni cosa e poi ti racconterò, se è questo che vuoi».

 «Elsa, se lo stai facendo per me, non devi—»

 «No, no, affatto» assicurò Elsa, alzandosi dal divano, che le lasciò un formicolio sulla pelle, e gesticolando per indicare che le andava bene. Ingvalda continuò a fissarla con uno sguardo da rapace, senza battere le palpebre. «Dopotutto, io sono la regina. È mia responsabilità scoprire come e perché lui è qui».

 L’espressione sulla faccia di Anna metteva in mostra il suo conflitto di emozioni. Della gratitudine e un pizzico di paura, ma soprattutto curiosità, che Elsa realizzò non sarebbe diminuita fino a quando non avrebbe avuto il quadro della situazione.

 «Sei sicura? Voglio dire, convincerò Kristoff a—»

 «È tutto a posto, Anna. Sto bene» garantì Elsa, anche se non si sentiva bene per niente. Avrebbe potuto scrivere una lista lunghissima di cose che preferirebbe fare piuttosto che affrontare di nuovo Hans. Ma era una lista misera se paragonata alla ragione per cui era disposta a fare praticamente qualsiasi cosa: Anna.

 Ingvalda strizzò gli occhi: sembrava che riuscisse a leggere il disagio che provava Elsa, come se fosse stampato sulla sua fronte. «Consiglio di non fare visita a quest’uomo» proferì, il naso in aria come sempre, sprigionando una grazia regale che, Elsa sapeva, lei non era in grado di emanare. «I vostri sentimenti si metteranno di mezzo all’interrogazione, specie considerata la loro negatività».

 «Grazie, ma sono perfettamente preparata a questo» asserì Elsa, raccogliendo la gonna per congedarsi. «Tornerò prima di cena. Non attendetemi».

 Con un leggero cenno, Elsa uscì dalla stanza e si fece scappare un sospiro profondo. Si guardò le mani, che stavano tremando al solo pensiero di recarsi nelle prigioni. L’ultima volta che si era trovata lì era stato durante l’episodio dell’anno prima, quando era stata dichiarata colpevole di alto tradimento.

Anche tu potresti essere ritenuta una traditrice sussurrò una vocina. Dopotutto, il ghiaccio che ha quasi ucciso la principessa è stato scagliato per mano tua. È stato solo per un colpo di fortuna se Anna è sopravvissuta.

 Elsa abbassò le palpebre e scosse il capo, cercando di sbarazzarsi di quei pensieri assillanti, senza però riuscire a scrollarsi di dosso quella parola: tradimento.

 «Bene» mormorò a se stessa. «Allora me la caverò. Si tratterà semplicemente di un incontro fra traditori di Arendelle».

 E riacquistando forza con quella riflessione bene in mente, Elsa si diresse verso le prigioni, fermandosi per una sola piccola deviazione verso camera sua. Aveva bisogno dell’assistenza dei suoi vecchi amici confinanti, i guanti. Il Cielo solo era a conoscenza di cosa avrebbe provato parlando con quell’uomo pericoloso. Anche se congelargli il cuore non le sembrava una brutta idea, i guanti le avrebbero sicuramente impedito di perdere il controllo. E lei aveva bisogno di tutto il controllo possibile.




Quando entrò nella cella, la prima cosa che Elsa notò fu la calura. Dato che erano nel bel mezzo dell’estate, faceva caldo in tutto il castello, ma in quella stanza in particolare la temperatura era infernale. Forse era solo colpa della sua accentuata sensibilità rispetto alle altre persone; ad ogni modo, non poté fare a meno di arrotolare le maniche fino ai gomiti e allentare il nodo del suo mantello, mentre gocce di sudore si formavano sotto la frangetta.

 La seconda cosa che notò fu la misera figura che sedeva sulla brandina della cella. I suoi piedi erano incatenati a un punto nel centro del pavimento, il che era un cambiamento, in confronto alle manette studiate per ingabbiare le mani di Elsa. Rabbrividì al loro ricordo, al fatto che erano state realizzate apposta per lei. Non appena se le era sentite alle mani, aveva capito che erano state costruite quando suo padre era ancora re. Provò a scacciare quei pensieri. Quelle manette erano state da tempo distrutte e lei doveva concentrarsi sulla sfida che aveva di fronte a sé.

 Si schiarì la gola per annunciare la sua presenza, dato che, da quando era entrata nella stanza, la figura non si era mossa. Diede ordine alle guardie di andarsene, sapeva badare a se stessa, e stette sola in quella calda cella.

 La figura alzò la testa, rivelando un uomo molto diverso dal principe che aveva incontrato il giorno dell’incoronazione. I suoi pettinati capelli rossi adesso erano così scompigliati da rendere evidente il fatto che non se li spazzolava da settimane, o addirittura mesi. La giacca bianca con cui era stato arrestato e incarcerato nella nave era lacera e sporca e appariva bruciacchiata in diversi punti. Ormai era più marrone che bianca. Una sottile barba rossiccia ricopriva la parte inferiore del viso. Anche gli occhi erano cambiati. Non c’era più traccia dell’amabile e piacevole uomo dalle iridi verdi e sorridenti di cui Anna si era tanto innamorata. No, quel vispo verde si era trasformato in pietra, era chiaro dall’occhiataccia che lui lanciò alla regina.

 «Oh, sei solo tu» disse, tornando a guardare di nuovo in basso.

 Elsa lo fissò per un secondo, cercando di dare un significato a quelle parole. La sua noncuranza delle formalità era irritante, ma non la sorprese troppo.

 «Solo io?» chiese Elsa. «Sono la regina, non “solo” io».

 Lui alzò di nuovo la testa, in una maniera che mostrava più sarcasmo che riluttanza.

 «Perdonatemi, “Vostra Maestà”. Credevo che, del vostro comitato di benvenuto, la prima persona a venire a farmi visita sarebbe stata vostra sorella. A cosa devo l’onore di essere ritenuto talmente speciale da incontrare la regina stessa?»

 «Non datevi troppe arie» replicò freddamente Elsa. «Non potevo permettere che Anna si avvicinasse a voi. Ha espresso il desiderio di salutarvi con un altro pugno».

 «Dovrei ringraziarvi per essere stato risparmiato?» chiese Hans, la schiena ancora piegata, i gomiti che riposavano sulle ginocchia e le mani mollemente lasciate cadere.

 Vedendo che le chiacchiere non andavano a parare da nessuna parte, Elsa incrociò strettamente le braccia al petto. «Voglio sapere che razza di affari intrattenete ad Arendelle».

 «Sono affari miei» sogghignò Hans.

 «E sono affari miei scoprire il motivo per cui la nave degli ambasciatori francesi non è mai arrivata alla Catena dell’Ovest e per cui voi siete saltato fuori dopo quasi un anno dalla sua scomparsa» pretese Elsa, ringhiando dalla frustrazione.

 La risoluta espressione sul volto di Hans divenne indulgente, seppur per un attimo solo, prima di corrucciarsi nuovamente. Le sue labbra rimanevano cucite. Non aveva intenzione di rivelarle niente.

 «Perché Arendelle?» ritentò Elsa, le mani che stringevano l’un l’altra, strati di stoffa che impedivano a esse di toccarsi. «Tra tutti i posti in cui non siete più il benvenuto, l’ultimo regno da cui vi dovreste aspettare un aiuto è Arendelle».

 Il muro di pietra irradiava calore ed Elsa avvertì una goccia di sudore scenderle lungo il collo. Si augurò che Hans non pensasse che lei stesse sudando per il nervosismo. Non che non fosse nervosa, certo, ma sperava che non fosse troppo evidente.

 Che la calura gli fosse di disturbo o meno, lui non lo diede a vedere. I suoi occhi fissavano la calda parete di rocce in fronte a lui e ancora si ostinava a non parlare. Il suo silenzio iniziò a irritare Elsa. Ma che altro si era aspettata, in fondo? Che Hans fosse un libro aperto? L’ultima volta che era venuto ad Arendelle, il suo vero io era stato sepolto così profondamente da farle addirittura dubitare che si trattassero della stessa persona.

 Alla fine parlò. «Non ho intenzione di restare. Ho solo bisogno di una nave e poi non mi vedrete più».

 «Non avete risposto alla mia domanda» osservò Elsa accigliandosi. Lui continuò a non guardarla negli occhi.

 Passò un minuto, dopodiché Hans si alzò dalla panca, sovrastandola di soli pochi centimetri, ma emanando comunque un’aria intimidatoria. Nonostante fosse conscia che le guardie erano fuori dalla porta e lui era incatenato, Elsa si sentì allarmata lo stesso. Alzò la mano sinistra e si diede un pizzicotto all’avambraccio scoperto per riacquistare il controllo di sé.

 «Potremmo raggiungere un compromesso. Voi dopotutto siete una giusta regina, no?» disse, un accenno dell’antico fascino che trapelò dalle sue parole. Elsa non se la bevve nemmeno per un istante.

 «Non siete nella posizione per negoziare» ribatté lei, alzando il mento.

 «Voi e il resto del vostro regno volete che me ne vada via. Tutto quello che chiedo è una nave e le scorte essenziali e poi scomparirò per sempre. Non voglio i vostri soldi o i vostri uomini, né la vostra corona» continuò.

 «Non potete onestamente credere che esaudirò il vostro desidero» rispose Elsa con una tenue risatina senza divertimento. «Se avete bisogno di una nave per tornare alle Isole del Sud, posso organizzare più che volentieri—»

 «No!» la interruppe Hans, la sua maschera che evaporò in un’espressione di panico assoluto.

 Elsa batté le palpebre stupefatta, e Hans capì che si era fatto sfuggire con le azioni più di quanto avesse voluto far intendere con le parole. Guardò in basso e per un attimo si fece piccolo, come se in quel momento fosse stato messo a nudo.

 «Io… ho solo bisogno di una nave» ripeté. «E non mi vedrete mai più».

 Era una proposta molto, ma molto allettante. Tutto ciò che Elsa voleva era che Anna fosse felice e al sicuro e la presenza di Hans metteva questo a repentaglio.

 D’altro canto, l’ultima cosa che voleva era dare a Hans ciò di cui lui aveva bisogno.

 «No» rifiutò semplicemente, il mento in su.

 La faccia di Hans fu sconvolta per un secondo, per poi trasformarsi presto in furiosa.

 «Non ho ragione per fidarmi di voi. Non ho ragione per avere pietà o essere gentile con voi, non dopo quello che avete fatto» spiegò Elsa, mentre un’altra goccia di sudore le scivolava lungo il viso. Se la strofinò via, chiedendosi se il caldo in quella cella fosse dovuto all’ora oppure semplicemente alla cella stessa. «Non sono obbligata a dare a un principino viziato tutto ciò che lui vuole».

 «Viziato?» Hans rise, il sorriso che era più contorto che divertito. «Voi siete dell’opinione che io sia viziato?»

 «Un uomo che raggira e uccide due membri di una famiglia reale solo perché vuole avere un castello per sé è chiaramente stato viziato» concluse Elsa girando i tacchi. «Rimarrete qui fino a quando non decideremo cosa fare di voi».

 «Ma parlate voi di cosa significa essere viziati?» quasi urlò Hans. Elsa si voltò per fronteggiare il suo slancio emotivo, tutte le sentinelle in allerta. «Viziata è una ragazzina che esclude la sorella dalla propria vita senza spiegarle mai il perché».

 Elsa non respirava. Faceva così caldo quel giorno e la sua gola aveva anche cominciato a chiudersi. «Sta’ zitto» riuscì a dire debolmente.

 «Che fa finta che sua sorella sia invisibile a tal punto che, pur di ricevere le attenzioni di qualcuno, la sorella accetta la proposta di matrimonio di un uomo poche ore dopo averlo conosciuto».

 «Sta’ zitto» ansimò, il suo cuore che fece un tonfo. Le pareva che Hans avesse trovato una lista di tutte le cose di cui si vergognava e che a ogni parola la pugnalasse, come se quei pensieri non attraversassero già la sua mente ogni giorno, ogni momento, agguantandole il cuore e marchiandolo con un dolore ustionante.

 «Viziata è una donna che non sa come affrontare le proprie paure e allora scappa da esse, non curandosi di tutti coloro che potrebbe aver ferito e di coloro che dovranno gestire le conseguenze delle sue azioni e che, dopo essere stata cercata dappertutto dalla sorella, le congela—»

 «Sta’ ZITTO» gridò Elsa contraendo i pugni, mentre la superficie dei suoi guanti si ricopriva di ghiaccio, congelandole le mani in solidi blocchi. La temperatura sembrava essere calata di almeno venti gradi e il sorrisetto malizioso di Hans scomparì quando lui cominciò ad avvertire il freddo. Piccole sagome di ghiaccio iniziarono a volteggiare dal punto in cui lei si trovava e crepitarono, diffondendosi per il pavimento.

 Elsa ansimava pesantemente quando una guardia si precipitò nella stanza, chiedendole se fosse successo qualcosa. Lei scosse leggermente il capo, abbassò le palpebre e cercò di smettere di rivivere con la mente tutti i torti che aveva commesso contro Anna. Ma quelli non si scioglievano. Si erano congelati nella sua memoria e si rifiutavano di sparire.

 Regolò il respiro fino a calmarsi e comunicò debolmente alla guardia che necessitava di un minuto. Lui si inchinò esitante e uscì dalla stanza, lasciando la porta semichiusa per lei.

 Elsa scrutò Hans un’ultima volta, il suo sguardo adesso freddo quanto lo era stato quello dell’uomo durante il loro colloquio. Lui invece ora la fissava con occhi larghi e luminosi, un’espressione che, se lei non conoscesse bene Hans, avrebbe scambiato per ammirazione.

 «Non avrete la vostra nave. Resterete qui fino a quando io e il mio popolo decideremo la vostra sorte» ripeté Elsa, cercando di suonare minacciosa, ma venendo tradita dalla sua voce titubante.

 Era sul punto di uscire dalla stanza, quando Hans provò ad avere l’ultima parola.

 «Immagina di essere al posto di Anna. Quello ero io, ma con dodici fratelli maggiori. Dodici fratelli maggiori che mi escludevano o che mi trattavano come spazzatura. Non puoi capire cosa provassi».

 Elsa si fermò alla porta, con l’intenzione di uscire senza dire altro, ma non ci riuscì. Voltò leggermente la testa, così da vedere con la coda dell’occhio i capelli rossi di Hans.

 «Non provo compassione per voi» disse e, dopo quello, annuì alla guardia ordinandole di chiudere la porta.

 Non aspettò di farsi accompagnare e camminò via il più velocemente possibile dalla cella di quell’uomo orribile. A malapena si era contenuta e non poteva ritirarsi nelle sue stanze fino a quando non avrebbe evocato dei ricordi felici dai quali attingere per sciogliere il ghiaccio dai guanti.

 Elsa aveva pensato che fuggire e diventare la regina delle nevi l’avrebbe resa finalmente felice, finalmente serena. Ma se la sua mente non faceva altro che rivivere ogni singolo errore commesso, lei non sarebbe mai stata veramente libera.

 Era scossa tanto quanto la persona che ora stava nelle prigioni, le quali erano bollenti e ghiacciate allo stesso tempo.










¹ Il junco delle nevi, detto anche junco occhiscuri (o, con il nome scientifico, junco hyemalis), è un simpatico passerotto originario del Nord America che vive negli ambienti a clima temperato e, fino a una certa latitudine, a clima artico. Qui in Italia non ce lo abbiamo, ma in Europa è diffuso soprattutto nel Regno Unito e nei paesi nordici. Negli Stati Uniti, dove vive l’autrice, il junco è presente solamente in inverno ed è per questo chiamato anche “snowbird”.

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Capitolo 2
*** Due ***


Due



Erano le tre del pomeriggio e le tazze di tè erano disposte accanto a dei delicati piattini, su cui erano sistemati dei sandwich in miniatura. Il loro nuovo rito, il tè quotidiano, già acquistava un gusto di familiarità, ma Elsa non si ricordava come comportarsi per essere la compagna di chiacchiere ideale.

 Anna non esauriva mai gli argomenti di cui parlare. Era in grado di andare avanti per ore e ore, colmando i buchi di silenzio che lasciava Elsa. Non che quest’ultima trovasse sgradevole conversare con la sorella. Al contrario, a Elsa piaceva il fatto che Anna fosse una persona tanto loquace. Le dava l’occasione per conoscerla meglio, ora che i muri tra di loro erano stati abbattuti. E la regina era brava ad ascoltare, per cui le due erano un’accoppiata perfetta.

 Tuttavia, anche Anna quel giorno si limitò a dire solamente un: «Wow, oggi fa davvero caldo, eh? Certo che si suda», al quale Elsa annuì, posando un dito sulla superficie del suo tè e contemplando i cristalli che si formarono su essa.

 Volevano entrambe parlare di Hans, ma allo stesso tempo non lo volevano affatto. Quello che era certo, però, era che nessuna delle due desiderava essere la prima a tirare fuori la questione.

 Non sopportando il silenzio, fu Anna a buttarsi. «Che ne faremo di lui?»

 Elsa non sollevò lo sguardo dalla sua tazza. Non le dispiacevano le bevande calde, ma preferiva il tè ghiacciato perché era nella sua natura prediligere il freddo. Adesso, però, nemmeno quello l’attirava più di tanto.

 «Secondo Kristoff dovremmo rimandarlo a casa sua» proseguì Anna data l’assenza di una risposta da parte di Elsa. «Dice che forse però dovremmo prima avvisarli con una lettera. A ogni modo, insiste che Hans se ne vada il più presto possibile. Chi se lo aspettava che, tra tutti, sarebbe stato lui quello a preoccuparsi di più, eh?» Anna fece una risatina, arricciando la punta di una treccia intorno al dito.

 Elsa continuò a non dire niente e, anche se lo avrebbe voluto, non riuscì a sorridere.

 Anna lasciò stare i suoi capelli facendoli ricadere mollemente e tamburellò senza sosta un dito sul tavolo. «Alla… Alla fine hai scoperto il motivo per cui lui è qui?» chiese più sommessamente.

 Elsa sollevò il viso per incontrare gli occhi curiosi di sua sorella. Anna cercava di celare il proprio interesse, ma stava fallendo miseramente.

 «Non esattamente» replicò infine Elsa, piano. «Quando gli ho parlato… ho perso il controllo. Me ne sono andata prima che potessi scoprire qualcosa».

 «Tu stai bene?» domandò Anna, protendendosi sopra il tavolo. Elsa nascose istintivamente sotto di esso le mani nude che erano intorno alla tazza e incrociò le braccia.

 Le sorelle si bloccarono per un attimo e Anna si ritrasse. La sua espressione era imbarazzata, quasi in colpa. «Scusami. Mi ero dimenticata di quanto fossi… delicata».

 Elsa si esaminò le mani e si morsicò l’interno delle labbra. «No, non ti scusare. Io… dovrei abituarmi a essere toccata».

 Appoggiò di nuovo le mani sul tavolo, anche se questa volta Anna non provò a stringergliene una. Elsa non sapeva se sentirsi sollevata o triste. Sperò che Anna non si accorgesse del tremolio delle sue dita.

 «Però ho saputo che vuole una nave». Elsa provò a tornare all’argomento precedente. «Ha promesso che, se gliene diamo una, non lo rivedremo mai più».

 «E tu gli hai detto di no?» chiese Anna, le guance gonfie di sandwich, disseminando briciole per tutto il tavolo.

 «Perché mai gliel’avrei accordata?» le domandò Elsa, sollevando la tazza per sorseggiare il tè e scoprendolo congelato. «Non ho motivo per fidarmi o per accogliere una sua richiesta. Dalla sua bocca non escono altro che menzogne».

 Anna annuì mentre masticava, guardando fuori dalla finestra del salotto. «Ingvalda ha detto che il commercio delle Isole del Sud probabilmente sarà in crisi per un po’. Ma è anche preoccupata per le finanze di Arendelle. Ha detto che, dopo che abbiamo tagliato i ponti con Weselton e le Isole del Sud, calerà qualcosa che c’entra con le esportazioni e le importazioni. Non sono sicura di cosa intendesse, ma era molto agitata».

 Elsa si chiese se questo non si trattasse di un altro dei suoi gesti egoistici. Non solo aveva cessato gli scambi con uno dei suoi maggiori alleati commerciali, aveva chiuso i rapporti con uno dei regni più potenti. Difatti, Elsa aveva avuto familiarità con le Isole del Sud prima ancora che Hans entrasse nelle loro vite. Le radici dell’influenza di quella nazione avevano ormai raggiunto territori vastissimi, dato che alcuni dei suoi principi avevano sposato le principesse o le nobildonne di paesi stranieri. Qualunque fosse il protocollo insegnato a loro per trovare un posto in cui vivere una volta lontani da casa, Hans probabilmente aveva saltato quella lezione.

 La mano di Anna tornò a giocherellare con una treccia, attorcigliandola e tirandola lievemente quando il dito raggiunse la punta. Era mezzogiorno e lei fissava il paesaggio fuori dalla finestra di quella calda giornata d’estate. Il sole splendeva talmente grande e luminoso nel cielo che Elsa quasi si sentiva male. Il calore la dava sempre l’impressione di essere sul punto di sciogliersi, mentre invece Anna non si stancava mai del bagliore della luce.

 «Esci» le suggerì Elsa. «Distraiti un po’».

 Anna staccò lo sguardo dalla finestra come se fosse stata colta con le mani nel sacco a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare. «No, no, sto bene. Non mi dispiace—»

 «Anna» la interruppe Elsa con risolutezza, inclinando leggermente la testa in direzione della sorella. «Hai l’aria di un prigioniero in attesa della propria sentenza di morte. Va’ pure a divertirti».

 La ragazza guardò nuovamente fuori dalla finestra, smaniosa di uscire, ma restò comunque esitante. «Non voglio lasciarti qui da sola. So quanto non ti piace il sole e poi siamo nel bel mezzo del nostro tè e io—»

 «Trova Kristoff, digli di portare Sven e poi fatevi una cavalcata insieme. Ordini della regina» comandò Elsa, un sorriso che finalmente spuntò sulle sue labbra.

 Come se, invece delle parole della sorella, fosse stato quello a darle l’autorizzazione di congedarsi, Anna sorrise radiosa, le guance già rosee che si arrossarono ulteriormente. Saltò giù dalla sedia e per poco non fece cadere la propria tazza per la fretta.

 «Grazie, Elsa!» replicò balzando e tendendo le mani in fuori, ma davanti a Elsa si bloccò a metà, le braccia stese in un abbraccio troncato. «Oh, io, uhm… Posso… Ti va bene se…?»

 Elsa sorrise di nuovo. «Ci abbracciamo?»

 Anna si morse il labbro e scrollò le spalle. «Be’, se insisti tanto. L’hai proposto tu, non io». Ma si lanciò su Elsa e la cinse in uno stretto abbraccio che Elsa trovò in parte soffocante, ma soprattutto confortevole.

 Anna sembrava essere l’unica persona al mondo che la faceva sorridere o stare a suo agio. Era da sempre la cosa più importante della sua vita, ma adesso che lei la conosceva per ciò che era e, nonostante questo, era comunque disposta a soffocarla in abbracci come appunto aveva appena fatto, Elsa finalmente sapeva di avere un cuore per davvero, perché se lo sentiva traboccante di amore.

 Tutt’a un tratto, Anna si staccò e la salutò, esclamando: «Ciao! E grazie ancora!» e uscendo dalla stanza.

 Il salotto divenne molto più tetro quando il suo raggio di sole, Anna, andò a brillare altrove. Elsa rimase sola nel soggiorno caldo e afoso con un ghiacciolo al gusto di tè.

 Si alzò dalla sedia e vagò senza meta per la stanza, cercando di svuotare la mente. Rifletté che sarebbe stato bello non avere nulla che le passasse per la testa; solo futili fantasie. Sfortunatamente, però, nemmeno la regina poteva permettersi lussi del genere.

 I suoi piedi si fermarono di fronte al camino. Non era accesso e non vi era nemmeno la legna da ardere. Pensare al fuoco le fece venire la pelle d’oca: l’ultima cosa che voleva era che facesse più caldo. Senza riflettere, distese un braccio in avanti e rilasciò un getto di ghiaccio, che si espanse fino a riempire tutta la canna fumaria di pietra. Guardò i fiocchi di neve che cascavano dalla sommità fino alla base del camino come cenere bianca. Vederli cadere la fece sentire istantaneamente meglio.

 Oltre ad Anna, dopo che tutti ebbero scoperto che lei era la regina delle nevi, Elsa aveva ottenuto un’altra cosa ancora, e cioè era riuscita a provare amore per i suoi poteri. Potevano essere pericolosi, incontrollabili e un rischio per tutti coloro che le erano cari; ma erano bellissimi lo stesso. Erano capaci di costruire castelli di ghiaccio, far cadere la neve a luglio e, addirittura, generare delle vite, grazie all’amore e alla felicità che lei impiegava nelle sue creazioni.

 Girò i palmi in alto e si fissò le mani. Aveva visto i suoi poteri come una maledizione sin da quando aveva cominciato a nasconderli. Ma adesso, dopo tutti quegli anni, sentiva di aver sbagliato. Come il troll aveva detto tempo prima, c’era bellezza nel suo dono, ma dentro di esso si nascondeva anche un grande pericolo. Se avesse imparato a controllarlo, sarebbe stata in grado di creare chissà quali meraviglie che altri avrebbero potuto solo sognare.

 Si voltò dal camino, nel quale aveva smesso di nevicare, e osservò il salotto torrido. Stendendo le braccia, Elsa fece zampillare neve e ghiaccio dalla punta delle dita. Un flusso di aria gelida le scompigliò un po’ i capelli, ma non le importò. Dei cristalli di ghiaccio e dei delicati fiocchi di neve caddero dal soffitto e iniziarono a ricoprire il tè e i sandwich.

 Tutto questo intontì Elsa. Trascorrere il tempo con Anna per rimediare agli anni persi era senza prezzo, ma quei momenti da sola erano come una boccata d’aria fresca. Quei momenti da sola volevano dire che le era permesso far nevicare nel soggiorno e allestire uno spettacolo per il suo godimento personale.

 Assistere alla neve che cadeva sui suoi capelli e sui suoi vestiti la fece sentire più calma, più in controllo di se stessa. Aveva creato una piccola tempesta e le sue mani l’avevano tenuta sotto controllo. Niente nevischi o mulinelli di aria polare, né gelidi apocalissi. Solo una regina e il lavoro che aveva prodotto con le sue mani.

 Anche se solo per pochi attimi, quel potere la fece sentire indistruttibile. Niente poteva ferirla, nessuno era più potente di lei, era la padrona di tutto. Sotto questa impressione, la regina delle nevi decise che, piuttosto che passare dell’altro tempo in confortevole solitudine, avrebbe fatto visita al prigioniero una seconda volta. Adesso che era forte, avrebbe retto ogni cattiveria che lui le avrebbe sibilato contro. E se l’avesse messa a disagio anche solo per un secondo, le sue mani prive di guanti gli avrebbero congelato le labbra. E poi dopotutto Anna aveva ancora delle domande irrisolte, Elsa lo vedeva negli occhi della sorella. E se Anna era felice, anche Elsa lo era, non importava quanto dolore avrebbe affrontato per raggiungere quella felicità.

 Per cui la regina Elsa abbandonò la sua oasi invernale e si lasciò dietro i guanti, dirigendosi nelle prigioni alla ricerca di una spiegazione che Anna non aveva ancora ricevuto.




Una volta arrivata nelle profondità delle prigioni, il coraggio che Elsa aveva provato in salotto sembrava come essersi sciolto improvvisamente.

 I corridoi erano più bui rispetto al resto del castello e continuava a fare caldissimo, anche se non tanto quanto il giorno prima; il che era strano, dato che la temperatura esterna non era ugualmente rovente. Le pareti di pietra, insieme alle solide porte di legno, impedivano la fuga ai pochi carcerati presenti.

 Elsa indossava una vestaglia dalle maniche che le arrivavano giusto sotto il gomito e con una scollatura bassa abbastanza per non essere soffocante. Stava cominciando a chiedersi se, nonostante tutto, avrebbe dovuto portare i guanti. A ogni passo che compiva, metteva in dubbio le ragioni che la spingevano a recarsi lì una seconda volta. Era ovvio che non sarebbe riuscita a ottenere delle spiegazioni da lui senza crollare emotivamente in qualche modo.

Se solo fossi più forte la rimproverò la sua vocina interiore. Se solo non perdessi la testa e cadessi a pezzi alla minima provocazione.

 «Basta» borbottò a se stessa, i pugni che si strinsero mentre dietro di lei tracciava una sottile scia di ghiaccio. «È tutto sotto controllo. Io sono forte. Sono la regina di Arendelle e quest’uomo mi dirà perché si trova qui e perché ha bisogno di una nave».

 Neanche un momento dopo, alla sua vista apparve la cella e, davanti a essa, stavano le due guardie addette alla sorveglianza. Annunciò a loro che desiderava rimanere da sola con il prigioniero per un paio di minuti. Le guardie la guardarono diffidenti: era ovvio che avessero sentito le chiacchiere su quanto era successo il giorno prima, i solidi blocchi di ghiaccio che le avevano ricoperto le mani. Ma nessuno dei due aveva intenzione di essere la persona che diceva di no alla regina, e la lasciarono passare.

 In confronto al resto delle prigioni, la temperatura in quella cella era ben superiore, proprio come prima, anche se era comunque tollerabile se paragonata alla calura torrida del giorno precedente. Prima o poi Elsa avrebbe convocato degli esperti per scoprire la causa del caldo intenso in tutto il castello.

 Hans fissava il paesaggio fuori dalla finestra e si voltò soltanto quando la porta si chiuse dietro di loro.

 Aveva lo stesso aspetto malandato di ieri e le sue braccia incrociate avevano le maniche rimboccate. Le sue sopracciglia si sollevarono in segno di interesse, che si tramutò in sorpresa quando vide che il suo visitatore era di nuovo la regina.

 Elsa avanzò alcuni passi all’interno della piccola stanza. Vederlo di nuovo le ricordò l’incontro disastroso del giorno prima. No, questa volta non avrebbe perso la calma. Hans si irrigidì ed Elsa si mise a canticchiare mentalmente che era lei la padrona della situazione.

 «Regina Elsa?» chiese Hans, sciogliendo le braccia incrociate. «Avete forse cambiato idea sulla mia nave?»

 «Forse no» rispose Elsa. Tuttavia, i suoi occhi rimasero puntati sulle mani di lui. O meglio, le sue mani inguantate. Le maniche erano state senza dubbio rimboccate per rinfrescare le braccia, ma Elsa era dell’opinione che con i guanti addosso il prigioniero avrebbe sofferto maggiormente il caldo…

 Poteva darsi che Hans si fosse accorto del fatto che lei lo stava fissando. A ogni modo, si mise le mani dietro la schiena, senza dare a Elsa altra scelta che guardare qualche altra parte. Lei optò per il viso.

 «A cosa devo l’onore?» domandò Hans, le sopracciglia tornate risolutamente al loro posto dopo la sorpresa iniziale. «Credevo di aver allontanato la regina, dopo che l’ho indotta a congelare le proprie mani».

 Le dita di Elsa formicolarono al ricordo, dei piccoli frammenti di ghiaccio che si formarono, ma non fu niente che non potesse gestire.

 «Avete creduto male» ribatté lei altezzosamente. «Per vostra sfortuna, l’amore che provo per mia sorella supera il disprezzo che nutro nei vostri confronti. Non ho ancora ricevuto una spiegazione».

 «Una spiegazione?» chiese l’altro, un sopracciglio che si sollevò di nuovo.

 «Diverse spiegazioni, in realtà. Voglio sapere perché siete qui e perché avete bisogno di una nave. La verità, avete capito? In passato le vostre bugie avranno anche funzionato, ma adesso non siete più il reggente delegato dalla principessa. Siete un uomo miserabile rinchiuso in prigione».

 Hans le lanciò un’occhiata obliqua, come se stesse cercando di trovare un secondo significato nelle parole di Elsa.

 «E se non dicessi la verità?» domandò dopo un momento.

 «Lo saprò» mentì Elsa. Sollevò le mani e creò una sottile nebbia di neve nell’aria. «E questa volta non ci saranno i guanti a fermarmi».

 Hans fissò i fiocchi di neve che cadevano a terra, ricevendone alcuni sulla giacca come se i fiocchi stessero tentando disperatamente di farla tornare al suo originario colore bianco, ma si sciolsero (quello che Elsa aveva sentito era uno sfrigolio?) non appena vennero in contatto con lui. Dopo che passò diversi secondi a osservarli, Hans… sorrise. Le sue labbra si curvarono all’insù in una maniera non del tutto innocente, ma nemmeno colpevole.

 «Di fronte al rischio di un’altra bufera di neve, ho deciso di darvi qualche delucidazione. Anche se alcune le troverete difficili da credere» rispose, prendendo posto sulla sua brandina.

 Ma poi tacque fin troppo a lungo. Elsa stava a testa alta, l’immagine esatta dell’autocontrollo e del potere, mentre in realtà a ogni secondo trascorso in silenzio si innervosiva sempre più. Hans invece non si muoveva affatto. Esaminava i suoi stivali da un pezzo, senza dare indizio di essere sul punto di parlare. Elsa non lo sopportava più.

 «Quando siete pronto» disse freddamente.

 Lui finalmente mostrò segni di vita, sollevando leggermente la testa così che i suoi occhi potessero incontrare quelli di lei.

 «Voi siete una primogenita» enunciò. «Sin dalla vostra nascita, sul vostro nome è stata posata una corona. Siete sempre stata educata a comportarvi come una regina perché un giorno assumeste la carica al trono».

 Elsa batté le palpebre, perdendo quell’implicita gara di sguardo fisso. «Scusatemi, ma cos’ha a che fare questo con il furto di una nave?»

 «Se foste così cortese, Vostra Maestà» continuò Hans, gli occhi che non lasciarono mai i suoi. «Ma penso che voi non possiate capire quello che ho passato».

 Dentro Elsa cominciò a nascere qualcosa. Cos’era? Non era rabbia, né shock. No, era qualcosa che la spingeva a controbattere alla sfida che le era stata lanciata.

 «State forse insinuando che la vostra vita è stata in qualche modo peggiore della mia?» chiese, avvertendo un raffreddarsi delle dita.

 «Sì» replicò Hans schiettamente. La semplicità di quell’affermazione la colpì talmente che desiderò gettarsi in un’invettiva sulla sua vita, su come aveva cercato di celare e non provare niente, su come aveva vissuto ogni momento di ogni giorno e di ogni notte nella paura e nel dubbio costante.

 Ma non lo fece. Quella provocazione non le sortì lo stesso effetto che avrebbe potuto ottenere con Anna. Elsa scrutò quegli occhi verdi impassibili e vi riconobbe un’emozione simile alla supplica.

 «Va bene» concesse. «Continuate. Non crederò alla vostra presunta vita travagliata, a meno che non ne abbiate le prove».

 Lui inclinò la testa, solo leggermente. Una metà della sua bocca venne attraversata da un sorriso, che fece risaltare una basetta trascurata. Hans si piegò in avanti, i gomiti sulle ginocchia e il mento in alto.

 «Immaginate di essere Anna» iniziò. «La bambina più piccola che guardava sua sorella maggiore vivere una vita in cui le veniva sempre detto che un giorno sarebbe diventata una grande regina, in cui le veniva insegnato tutto ciò che un monarca dovrebbe sapere per essere giusto e imparziale. Ora, immaginate che ci fossero dodici Elsa e solo una piccola Anna. Una piccola Anna che non sarebbe mai salita al trono perché a lei sarebbe toccata solamente una corona più piccola e meno importante, che sarebbe stata sempre meno speciale della sorella maggiore. Destinata a essere un avanzo».

 Elsa cominciò a sentirsi un po’ ansiosa, le parole di Hans che dipingevano una piccola, triste e indifesa Anna; ma poi riuscì a frenare l’immaginazione. Si aiutò con un pizzicotto superficiale alla mano. Anna non era in pericolo. Anna non la detestava.

 «Io ero Anna» disse Hans, la voce profonda che rimbombava lievemente. «Sono il tredicesimogenito della famiglia reale delle Isole del Sud. Al momento del mio arrivo, tutti avevano già fatto questo e quello e il mio fratello più anziano si era anche sposato. Piuttosto sarebbe stato strano se la mia nascita fosse stata celebrata.

 «Mia madre era la regina e lo è tutt’ora. Era… occupata. È sempre stata una persona occupata. Era tutto un trafficare tra documenti e incontri e firme, e curarsi dell’ennesimo bimbo maschio non era una sua priorità. Inoltre, il tredici non è ritenuto un numero molto fortunato. Per lungo tempo, lo sfortunato tredicesimo non è stato voluto da nessuno».

 Elsa ascoltava, aspettandosi di non provare niente per la storia strappalacrime di un assassino mancato, ma avvertendo comunque una fitta di empatia. Non era stato l’unico ad avere come genitore un sovrano distante.

 «Per la maggior parte della mia infanzia, fui affidato alle cure dei miei fratelli. Ovviamente mi accudirono finché non imparai a parlare e a camminare. E poi diventai un passatempo. Tutti piombano su una preda facile. Il tredicesimo bambino, l’errore che rovina il perfetto equilibrio di dodici figli.

 «E poi naturalmente mi sfruttarono. Mi svendettero come se fossi il buffone di corte, finché il solo membro della mia famiglia a cui importavo era mio padre, che insisteva a—» Hans si fermò di colpo, i suoi occhi verdi che si dilatarono come se avesse guardato direttamente il sole.

 «Insisteva a cosa?» lo invitò a proseguire Elsa.

 «Che… che… Non è rilevante» liquidò lui frettolosamente, incuriosendola più che mai.

 Hans prese un respiro profondo, espirando talmente a lungo da darle l’impressione che fossero trascorsi secoli. «Ho solo bisogno di una nave. Una nave che mi permetta di andarmene da qui. Specialmente dalle Isole del Sud. Non posso tornarci. Non dopo aver vissuto con loro per anni, passando la mia vita intrappolato in quella gabbia di isole. Diventerò re da qualche altra parte. Un re di cui il popolo si fiderà e che possiederà un potere assoluto».

 Il pugno di Hans si strinse ed Elsa udì il rumore dello strappo del guanto di pelle. Lui smise di parlare e lei diede per scontato che avesse finito il racconto, il quale aveva sollevato degli interrogativi ma era riuscito con successo a non rispondere a niente.

 «Come avete fatto a tornare qui?» domandò.

 «Sono scappato dalla nave» replicò Hans.

 «E allora perché non avete mai attraccato alla Catena dell’Ovest o alle Isole del Sud?»

 «Non posso dirlo».

 «State mentendo?»

 «Più che altro, omettendo la verità».

 Elsa assottigliò gli occhi, strizzandoli come se i segreti di Hans sarebbero saltati fuori se lei lo avesse fissato abbastanza.

 «Mi chiedete di fidarvi di voi e darvi una nave e tuttavia tralasciate ancora la verità» disse. Aveva sentito abbastanza da poter fare 2+2 e raccontare tutto ad Anna. Non sopportava più di stare in quella stanza.

 «Considererete la mia richiesta?» chiese lui quando Elsa si alzò dalla sua sedia.

 Lei si fermò, ritrovandosi così in una situazione che faceva eco a quella del giorno prima. «No, ma grazie comunque per la magra spiegazione del perché siete qui. La principessa adorerà sentirla».

 Prima che Elsa lasciasse la cella, si voltò ancora una volta sola verso Hans, che aveva le sopracciglia talmente aggrottate da non far intravedere gli occhi verdi imperturbabili. La sua rabbia controbilanciava l’ultimo commento fatto da Elsa, ma lei proseguì comunque.

 «Il vostro paragone con Anna non funziona» rimbeccò, una mano alla porta. «Solo uno dei vostri fratelli salirà al trono. Non siete l’unico destinato a rimanere un avanzo».

 Lui ringhiò ed Elsa poté giurare di aver visto del fumo. Apparentemente soffriva di allucinazioni a causa del caldo. «Ve l’ho detto, non mi capireste mai».

 Decise di non volergli dare più corda e tornò alla ventata d’aria fresca del corridoio.

 Ringraziò le guardie, adesso più sicura di sé di quanto non lo fosse stata il giorno prima. Le sue mani nude non avevano fatto niente eccetto che aggiungere uno strato sottile di ghiaccio sulla sua pelle. Le parole di Hans non l’avevano toccata minimamente e, anzi, avevano ferito lui stesso. La sua storia era stata interessante, certo, ma non aveva fatto cambiare idea ad Elsa riguardo alla nave. Esistevano splendide persone che risolvevano i loro problemi senza uccidere, rubare e manipolare. Niente di quello che diceva poteva giustificarlo.

 Mentre il suono dei suoi passi rimbombava per i corridoi, Elsa decise che avrebbe raccontato la storia di Hans ad Anna e che poi avrebbe affidato il destino del prigioniero a lei e a Ingvalda. Di certo l’idea di giustizia di Anna avrebbe avuto un sapore più dolce rispetto alla visione che Elsa aveva di essa. Inoltre, preferiva non dovergli prestare altra attenzione.

 La regina Elsa non aveva più intenzione di rivedere Hans.

 Era un’intenzione che, ovviamente, non fu mai rispettata.

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Capitolo 3
*** Tre ***


Tre



Elsa era pronta a parlare di Hans a cena, ma Anna si assicurò che nessuno interrompesse il proprio discorso. Niente poteva fermare la vivace descrizione della giornata che aveva trascorso in città, accompagnata inoltre da alcune rappresentazioni sceniche, che avevano il più delle volte quasi strappato la tovaglia da sotto i loro piatti. Le ferite di guerra del racconto consistevano in una piccola macchia di vino.

 «Già, e allora Kristoff si gira verso questo tizio e si prepara a prenderlo a calci, ma io sono tipo: “Non puoi veramente incolparlo. Voglio dire, non è che possa sapere di aver appena spinto per sbaglio la principessa di Arendelle in un carretto della frutta”, e Kristoff è tipo», Anna si fermò un attimo e fece una facciona per sembrare più grossa possibile, «“Chiunque ti faccia del male è di mia responsabilità”», e poi tornò alla normale espressione deliziata di sempre. «Ma a quel punto il tizio è scappato e, dopo che io sono inciampata, ha anche fatto cadere delle mele, quindi chi è che alla fine ha vinto per davvero?»

 «Avete mangiato delle mele raccolte da terra?» chiese Ingvalda, gli occhi che riflettevano il suo orrore mentre affondava una forchetta nella bistecca.

 Anna scrollò le spalle, rigirando nel cibo la propria, di forchetta. «Be’, sì. Però prima ce le siamo strofinate sulle magliette per pulirle».

 Ingvalda continuò a guardare Anna come se avesse detto “letame” invece che “mele”, ma si limitò ad arricciare il naso e a sospirare. «Milady, una principessa non dovrebbe prendersi rischi del genere. Le mele avrebbero potuto essere state fatte cadere apposta».

 Anna rivolse velocemente uno sguardo a Kristoff, un sorrisetto dispettoso che minacciava di spuntarle in faccia. «Ma certo. Non si ripeterà».

 La tavola era stranamente affollata, anche se in verità era lunga abbastanza da poter ospitare un banchetto. Le quattro sedie al centro erano occupate: da un lato c’erano Kristoff ed Elsa e dall’altro Ingvalda e Anna.

 Elsa aveva notato che Kristoff non era ancora del tutto a suo agio e che guizzava continuamente la propria attenzione verso gli occhi freddi e disapprovanti di Ingvalda, dimenandosi nel proprio completo, più pulito rispetto ai suoi vecchi vestiti e passabile come abito da cena. Anna aveva spiegato che lui era abituato a indossare le stesse cose, a volte anche per giorni, e che non sedeva mai a tavola durante i pasti a meno che non fossero con la sua famiglia. Nella maggior parte dei casi, condivideva una dieta a base di carote con la sua renna. Il montanaro sembrava essere intimidito dall’enorme piatto di Stroganoff¹ e dal bicchiere colmo di vino e ne aveva consumato a malapena la metà.

 Il cibo di Anna, ovviamente, non era stato toccato, principalmente perché la sua bocca era già impegnata a parlare. Quando si sarebbe stancata di chiacchierare avrebbe ingollato giù l’intero pasto, ma per il momento il suo sproloquio non si era ancora esaurito. Adesso Anna stava mostrando con l’argenteria come Kristoff e Sven avessero rischiato di cadere nel fiordo, nonostante il disagio del silenzioso montanaro. Una sottile linea di rossore si stava espandendo sulla sua faccia, mentre l’occhiataccia di Ingvalda si accentuava sempre più a ogni parola pronunciata.

 Elsa non lo biasimava: Ingvalda era terribilmente intimidatoria. Il pasto della donna era mangiato con coordinazione perfetta e tagliato in pezzetti perfetti senza che venisse fatto cadere del cibo sulla tovaglia o sull’abito. Sorseggiava il vino come se avesse già calcolato quanto fosse l’appropriato. Seguiva talmente perfettamente le regole del galateo che Elsa, rispetto a lei, si sentiva centinaia di livelli indietro.

 Elsa notò che Kristoff aveva l’abitudine di girarsi i pollici quando l’occhiataccia di Ingvalda diventava troppo intensa. Sapeva che i sensi di colpa lo stavano attanagliando. Dopotutto, escludendo se stessa, nessuno era a conoscenza del fatto che la principessa e il montanaro si amavano a modo tutto loro. Agli occhi di Ingvalda, Kristoff era semplicemente un ospite della regina e della principessa.

 Mentre Anna era impulsiva e più che eccitata all’idea di urlare al mondo i sentimenti che provava per lui, Kristoff prendeva le cose con più calma, viveva la vita giorno per giorno. E Anna ormai lo stava assecondando da un anno. Non che Elsa ne fosse sorpresa, dopo quello che era successo in seguito al fidanzamento affrettato con Hans.

 Ricordarsi del nome dell’uomo fece contorcere lo stomaco a Elsa. Aveva mangiato durante tutta la durata del racconto di Anna, ma adesso posò la forchetta. Le era scomparso l’appetito.

 «Avete concluso di mangiare?» le domandò Ingvalda quando Anna si fermò per riprendere fiato.

 «Uhm?» chiese Elsa, rendendosi conto che l’ex custode di Arendelle stava parlando con lei. «Oh, sì. Sono piena, grazie».

 «Eh?» disse Anna, guardando il proprio piatto ormai raffreddato. «Oh, hai già finito? Cavoli, abbiamo iniziato a cenare adesso».

 Elsa sorprese Kristoff nell’atto di rivolgere uno sguardo verso il largo orologio appeso alla parete in fondo della sala, che segnava una mezz’ora trascorsa dall’inizio della cena. Nessuno dei due si prese il disturbo di comunicarlo.

 «Sbrigati, Anna cara» disse Ingvalda. «Non far aspettare tua sorella».

 Anna annuì e cominciò a spazzolare via il suo cibo. Ingvalda sembrò avere qualcosa da obiettare sulle sue maniere barbariche di mangiare, ma Elsa salvò Anna da una predica intromettendosi.

 «Ingvalda, siete stata molto impegnata, ultimamente?» chiese, porgendo il piatto a un servo e ringraziandolo.

 Ingvalda si girò da Anna, felice di poter parlare di sé per una volta. «Sì, mia regina, anche se nemmeno lontanamente quanto ai tempi della mia custodia di Arendelle, ovviamente, ma ancora molto indaffarata. Amministro e amministrerò la maggior parte dei vostri documenti fino a quando non sarete in grado di tenervi al passo con tutti i vostri doveri da sovrana».

 «Ah» disse Elsa, fissando il suo bicchiere di vino. Non aveva previsto che avrebbe avuto tanto lavoro da fare una volta diventata regina. Fortunatamente, una buona mole di quel lavoro le era stato sollevato dalle spalle dalla stessa donna che, prima di lei, era stata abituata a occuparsene. Adesso che non aveva niente da fare, Ingvalda sentiva ancora il bisogno di darle una mano. Aveva detto a Elsa che non c’era onore più grande di aiutare la nuova regina di Arendelle con le sue incombenze.

 «Vi ringrazio per il vostro sostegno» aveva risposto Elsa, sollevando lo sguardo solo per un attimo. L’espressione sul viso di Ingvalda era stato qualcosa a metà tra il compiaciuto e il soddisfatto e aveva annuito con grazia.

 «Il piacere è mio, Vostra Maestà».

 Elsa si morse il labbro, osservando Anna riempirsi la bocca di cibo, e si sentì in colpa per non averle ancora parlato di Hans. Ma aveva il presentimento di non poterne discutere in presenza di Ingvalda. Ingvalda era tutta presa dalla nozione di essere precisa e consona alle regole in ogni circostanza e un altro confronto con Hans non poteva davvero essere definito regale.

 Decise di azzardare una mossa temeraria e disse: «Ingvalda, avete ancora molto da fare?»

 «Niente che non sia capace di gestire, Vostra Maestà».

 «Allora siete scusata, alzatevi pure da tavola» disse Elsa, avvertendo un pulsare nei suoi polpastrelli.

 Ingvalda batté le palpebre, la faccia adesso inespressiva. «Ne siete sicura, Vostra Maestà? Perché non è corretto—»

 «Ho detto che siete scusata» disse Elsa ponendo fine alla conversazione. Non riuscì a costringersi a guardare la donna, ma Ingvalda si alzò e rimise la sedia al suo posto.

 «Ma certo, mia regina» disse, inchinandosi leggermente e lasciando la stanza.

 Anna smise di masticare, un pezzo di Stroganoff che le pese dalla bocca. La principessa e il suo “amico” guardarono l’ex custode lasciare la stanza, i tacchi che risuonavano mentre lei si dirigeva verso l’uscita. Finalmente la pesante porta di legno si aprì e si chiuse con un pesante tonfo. Anna si voltò in direzione della sorella e inclinò la testa, dato che il cibo le stava per cadere dalla bocca.

 Provò a parlare, ma Elsa alzò una mano. «Anna, ti prego. Non sono Ingvalda, ma devi comunque masticare».

 Anna masticò velocemente e inghiottì. «Perché le hai chiesto di andarsene?» disse, pulendosi il mento con il dorso della mano. Adesso che Ingvalda se n’era andata, Kristoff non esitò a pulire con il pollice quello che Anna non era riuscita a beccare.

 «Io… Oggi sono andata a incontrare il prigioniero» disse Elsa, il battito del sangue che le pulsava nelle orecchie.

 Anna sollevò le sopracciglia e spalancò la bocca. Kristoff si girò immediatamente verso la regina, l’attenzione adesso concentrata solo su di lei.

 «Voi state bene? Vi ha fatto del male?» chiese Kristoff, preoccupato.

 Elsa sorrise, commossa dall’apprensione del montanaro. «Sto bene, grazie. Non mi ha ferito».

 «Ho detto che non serviva che ci tornassi ancora» disse Anna, di colpo stressata. «So quanto a disagio sei stata l’ultima—»

 «No, no, non fa niente» disse Elsa, sollevando gentilmente le mani. «Mi sono sentita sicura di me. La situazione era sotto controllo. Non sono riuscita a ottenere un’intera spiegazione, ma alcuni pezzi sì».

 «Davvero?» chiese Anna, il senso di colpa sostituito dall’entusiasmo. «Quali sono? E perché lui è qui?»

 Elsa raccontò a loro di come Hans avesse detto che era scappato dalla nave e di come non avesse rivelato perché la nave non aveva attraccato. Raccontò di come lui sentisse di non poter tornare alle Isole del Sud perché non sopportava di vivere con i suoi fratelli, dovendo stare sempre nella loro ombra; di come avesse cercato di scappare dalla nave per partire diretto verso luoghi sconosciuti e diventarne il re.

 Anna ascoltava con attenzione, mangiando in silenzio mentre lasciava parlare la sorella. Kristoff rimaneva preoccupato, muovendosi a disagio sulla sedia; o forse era solo a disagio a causa dei vestiti che indossava.

 «E questa è la spiegazione che ho ricevuto» concluse Elsa. «Gli ho detto che la nave è fuori questione».

 «Ma certo» concordò Kristoff. «Non potete dare per scontato che quello che dice sia vero, specialmente dopo che ha confessato di star omettendo la verità».

 Elsa annuì. «È solo che non so cosa fare».

 «Che intendi?» chiese Anna. «La risposta è semplice. Contatta le Isole del Sud e basta. Di’ loro di venire qui a raccogliere la loro spazzatura».

È facile parlare per te rimbeccò una parte della mente di Elsa, sbigottendola. Aver pensato una frase simile la inquietò. Era naturale che la cosa più logica da fare fosse contattare le Isole del Sud. Lui era stato sul punto di diventare un assassino, era l’uomo che aveva provato a uccidere sia lei che sua sorella. Elsa non aveva alcuna ragione per provare pietà nei suoi confronti. Nessuna ragione per sentirsi turbata al pensiero di rispedirlo a casa.

 Ma allora perché era tanto esitante?

 Elsa abbassò le palpebre, perdendosi velocemente nei pensieri. Non appena chiuse gli occhi, lei vide degli altri. Due iridi verdi che bruciavano come il fuoco. Perché mai il verde le avrebbe ricordato il fuoco? C’era qualcosa di strano in lui e in quegli occhi, che potevano mutare la loro espressione passando da fieri a rassicuranti per poi andare in panico—

 Panico.

 Ecco che cos’era. Era il ricordo del panico in quegli occhi, quando lei gli aveva detto che lo avrebbe rispedito alle Isole del Sud, che la faceva esitare. Ed era a causa dell’impotenza e della paura mostratele mentre l’aveva implorata con lo sguardo, se Elsa aveva un nodo allo stomaco al pensiero del principe, ormai un ex principe, legato e condotto in una nave dai suoi fratelli maggiori. L’aveva visto essere caricato come merce e lui l’aveva guardata con quegli occhi verdi angosciati. Panico e paura. Lo stesso panico che aveva avuto nei suoi occhi blu. Un colore diverso, una situazione diversa, una vita diversa, eppure il sentimento era lo stesso.

 «Elsa?»

 La regina uscì dal suo trance, battendo le palpebre e rimettendo a fuoco Anna. La giovane principessa aveva la testa inclinata, le trecce che le incorniciavano il viso. «Tutto okay? Per un secondo è come se ti avessimo perso».

 «Sì… sì, sto bene» disse Elsa, schiarendosi la gola e provando a scrollarsi di dosso quella terrificante rivelazione.

 «Quindi… qual è il verdetto?» chiese Anna, appoggiando la faccia sui propri palmi.

 «Il verdetto?» ripeté Elsa, sollevando il bicchiere di vino alle labbra. Notò che le mani in quel momento le stavano tremando leggermente. Il vetro si appannò al suo tocco, ma lei provò a ignorare il fatto.

 «Su quello che dobbiamo fare di Hans».

 «Ah» disse, agitando il vino nel suo calice e fissandolo come se contenesse tutte le risposte. Era consapevole del fatto che Kristoff e Anna la stavano osservando e cercò di non avvertire il bruciore dei loro sguardi.

 Sapeva che cosa avrebbero voluto sentirsi dire. Volevano che lei maledisse il bastardo, che lo mandasse a casa perché lui meritava qualsiasi cosa avrebbe elemosinato da loro. E se tanto non voleva tornare alle Isole del Sud, allora è lì che lo avrebbero spedito. Perché lui era il cattivo. Il cattivo egoista e non voluto.

 Prima era lei la cattiva. Il mostro.

 Sapeva che cosa avrebbero voluto sentirsi dire Anna e Kristoff. “Mandalo a casa, perché lui è il cattivo, perché lui è…”

 Un mostro.

Non siate il mostro che tutti temono.

 «Io… Io penso che dovremmo aspettare».

 «Cosa?» disse Kristoff, il volto gentile che si contorse. «Ma ha provato a uccidere—»

 «Kristoff». Anna lo interruppe con un’occhiata. L’uomo si zittì e si morse il labbro, decisamente scontento. Anna si voltò verso la sorella. «Perché non imbarcarlo adesso? Voglio dire, prima o poi si verrà comunque a sapere. Per adesso i soli a conoscenza del segreto sono la gente del castello, ma un giorno trapelerà la notizia che teniamo il principe scomparso nelle nostre prigioni».

 «Lo so, lo so» disse Elsa, posando il bicchiere per paura che quello le potesse scivolare dalle mani. «Ma adesso tutti pensano che sia morto. E sono ancora confusa su diversi punti della sua storia. C’è qualcosa che non torna. Devo prima scoprire cos’è successo alla nave. Se l’ha effettivamente sabotata, allora voglio sapere dov’è finita. Ne varrà la pena se rimarrà qui ancora per un paio di giorni. Non posso permettere che vada a distruggere altri regni o affondare altre navi e, anche se i suoi fratelli facessero davvero in modo che non combini niente, è mio compito aiutare la Catena dell’Ovest a rendere giustizia al proprio ambasciatore».

 «Ma non è compito tuo, non sei obbligata a fare niente eccetto che mandarlo via di qui» disse Anna, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio.

 «Scusatemi, Vostra Maestà, ma sono d’accordo con Anna» le fece eco Kristoff, stufo di tenere la bocca chiusa. «Capisco che vogliate far giustizia alla Catena dell’Ovest, ma la vostra sicurezza viene prima».

 Elsa cominciò ad avvertire il suo sangue raffreddarsi. «Io… Capisco come dobbiate sentirvi. Ma sono la regina e ho deciso di farlo restare».

 Un’ora prima Elsa sarebbe stata pronta a mandarlo via senza rivolgergli un secondo sguardo, ma adesso stava lottando perché lui restasse. Che cos’era successo? Fissò il rosso violaceo del vino, sperando di trovare una spiegazione. Elsa provava per l’uomo qualcosa di simile all’empatia, e questo la terrorizzava a morte.

 Promise a se stessa che gli avrebbe fatto visita solo un paio di volte, avrebbe ottenuto abbastanza confessioni da mettere insieme una spiegazione in qualche modo e, quando sarebbe giunto il momento giusto, quando non avrebbe provato più niente per quegli occhi terrorizzati, avrebbe contattato le Isole del Sud.

 Non le sembrava un piano molto affidabile, ma si finse sicura di sé. «Una volta scoperto cos’è successo alla nave, lo farò mandare via».

 Né Anna né Kristoff sembrarono molto convinti della sua scelta e si scambiarono uno sguardo incerto, da cui Elsa capì che più tardi avrebbero provato a discuterne di nuovo con lei. Cercò di non curarsene, ma non poté non sentirsi immensamente in colpa per la sua decisione.

 «Be’… d’accordo» disse Anna con uno scrollare di spalle ben intenzionato. «Sei tu la regina, dopotutto».

 «Però avvertiteci se avete bisogno d’aiuto» completò Kristoff.

 «Ma certo» rispose Elsa, alzandosi da tavola. Gli altri due la imitarono e un servo prese i piatti di Kristoff e Anna mentre i tre si incamminavano verso la porta. «Grazie per la vostra comprensione».

 Ma era ovvio che non la capivano e si sentiva quasi bene facendo finta che concordassero.




Elsa si trovò a dire alle guardie che desiderava vedere il prigioniero per la terza volta in quei giorni. L’occhiata che si scambiarono tra loro non avrebbe dovuto infastidirla, ma lo fece ugualmente. Sebbene fosse la regina, si sentì comunque imbarazzata mentre entrava nella stanza e si chiudeva la porta alle spalle.

 «È questa una delle torture di cui dispone Arendelle? Continuare a presentarmi la sua regina?» disse Hans prima che Elsa si voltasse verso di lui. «Perché devo dire che la sto gradendo».

 «Non sto cercando di torturarvi» ribatté Elsa, girandosi per poi vederlo in piedi e davanti alla finestra. Si stava infilando i guanti e fletteva le dita. «Anche se probabilmente ve lo meritereste».

 «Credevo che steste raccontando tutti i miei segreti ad Anna» disse Hans, le mani che strinsero l’un l’altra.

 «Infatti lo sto facendo. Ed è “principessa Anna” per voi» replicò Elsa, lo sguardo fisso sulle sue mani.

 «La principessa Anna, naturalmente» si corresse Hans, ma era fin troppo sarcastico per i gusti di Elsa. «E vi ha di nuovo mandato qui per recapitarmi un messaggio?»

 «No» disse Elsa, esitante. «Sono qui per mio volere».

 Questo sembrò cogliere Hans di sorpresa. La sua schiena si irrigidì, le sue mani si strinsero maggiormente e, in volto, un’espressione di meraviglia. Fissò Elsa come se stesse cercando di capire la battuta di una barzelletta.

 Elsa guardò il pavimento, incapace di sopportare quello sguardo. «C’è ancora fin troppo che non mi avete rivelato. Voglio sapere dov’è finita la nave».

 Hans sembrò rilassarsi, una volta ricevuta una risposta alla sua implicita domanda. «Oh, capisco». Le sue mani si sciolsero e lui le tenne dietro la schiena, raddrizzando la postura. «Be’, temo che non caverete molto da me».

 «Che significa?»

 Hans non disse niente, ma un sorriso compiaciuto spuntò sul suo viso e irritò Elsa. Lui prese posto con un piccolo sospiro, reclamando la brandina per sé.

 «Significa che non sapete dove si trovi la nave, o che non volete dirmi dov’è?» riprovò a chiedere Elsa.

 Il sorrisetto di Hans si allungò ed Elsa sentì le sue mani raffreddarsi.

 «Non ho paura di usare metodi alternativi per farvi sputare la verità».

 «Non ne dubito» disse Hans. «Ma di certo non volete scagliare un altro inverno improvviso sul vostro regno. Ne avete il potere, ma non ne avete il controllo».

 Quelle parole la soffocarono. Le afferrarono e le pizzicarono la pelle e le stritolarono la gola al punto che l’aria le sembrò addirittura più rarefatta di quella in cima alla Montagna del Nord. Il ghiaccio avanzò lentamente sulle sue mani e dei delicati disegni si incurvarono sui suoi polpastrelli. Elsa sollevò le mani tremanti per osservare meglio quella visione luccicante.

Ha ragione le sussurrò la mente. Pensi che una boccata di libertà ti abbia dato il controllo? Non potresti sbagliarti di più. Disfarti dei guanti non ti ha automaticamente reso una minaccia minore. Infatti, adesso che non sei più incatenata, sono tutti ancora più in pericolo. Anna è ancora più in pericolo…

 Hans non ebbe la decenza di distogliere lo sguardo e la fissò mentre le mancava il respiro e allargava gli occhi alla vista del sottile strato di ghiaccio sui suoi palmi. Lui alzò una mano inguantata, stendendola verso di lei, ma poi la ritirò con una tale rapidità che Elsa si chiese se l’avesse mossa realmente.

 «Ovviamente, però, non credo che avrete presto bisogno di usare i vostri poteri» disse Hans. Se Elsa non lo conoscesse bene, avrebbe pensato che stesse cercando di calmarla. Ovvio, doveva aver temuto per la propria persona, adesso che era ammanettato in una stanzetta insieme a una regina delle nevi instabile.

 «N-no» disse Elsa, piegando le dita per spaccare silenziosamente il ghiaccio. «No, non ancora».

 «Ottimo» disse Hans, il tono caldo e rassicurante. Anche se era unicamente nei propri interessi atteggiarsi a calmarla, a udire quella voce Elsa si sentì leggermente meglio comunque.

 Era la stessa che usava a volte Anna, per rassicurare Elsa che andava tutto bene, che era tutto a posto. Che lei non era ferita. Elsa si ricordò la fiducia nei sorrisi di Anna, nei suoi abbracci, nel suo volerle bene anche se non ricambiata, non importava quanto Elsa rovinasse qualcosa.

 Chiuse gli occhi e lasciò che affiorasse dentro di sé quel raro calore, l’amore. Ricordarsi che Anna era sana e al sicuro le diede il potere di ritirare il gelo. Sollevò le palpebre e vide la piccola sfera di ghiaccio che fluttuava tra le sue mani. La dissipò con un sospiro, così da non lasciare niente dietro, eccetto che una fresca brezza gentile.

 Dopo aver assistito a tutto questo, Hans la guardò con gli occhi spalancati.

 «È stato… impressionante» commentò. «Mi avevate detto che non potevate fermare l’inverno».

 «Come pensate che sia riuscita a liberare il mio regno?» disse Elsa, sentendosi meglio. «Ho trovato una soluzione quando Anna è venuta a cercarmi».

 «Avete trovato una maniera per controllare i vostri poteri?» indagò Hans, piegandosi in avanti come se quella fosse la domanda più importante che avesse mai chiesto. «Come?»

 «L’amore» disse semplicemente Elsa. «Devo solo visualizzarmi in un posto… quello che mi rende serena e felice. A volte è difficile riuscirci, ma ogni volta che penso al sorriso di Anna e al suo cuore puro…»

 Si interruppe, rendendosi conto che Hans la stava ancora osservando. «Scusatemi, sto straparlando».

 «Oh, non mi dispiace. Vostra Maestà». L’appellativo lo aggiunse frettolosamente. Questo le fece curvare lievemente le labbra all’insù.

 «Noi però non siamo qui per discutere di me» disse. «Vorrei che mi raccontaste di più di voi, soprattutto riguardo la nave. Dov’è?»

 Hans sospirò, appoggiandosi al muro dietro di sé. «Non posso dirlo».

 «Molto bene. Prima o poi lo scoprirò. Ma perché non mi parlate di qualcos’altro fino a quando non mi direte dove si trova la nave?» propose Elsa. Bussò alla porta e chiese alle guardie uno sgabello.

 Quando gliene fu portato uno, Hans la fissava ancora con uno sguardo vacuo. «Qualcos’altro…?»

 «Esattamente» disse Elsa, sistemando il vestito sullo sgabello. «Raccontatemi dei vostri fratelli. Ditemi com’era la vostra vita crescendo con dodici fratelli maggiori».

 La faccia di Hans si incupì leggermente, ma non riuscì a nascondere un pizzico di curiosità. «È una storia che nessuno vorrebbe ascoltare. Le tragedie non sono divertenti».

 «Eppure sono qui a chiedervene una» disse Elsa, incrociando le braccia. «Parlatemi di com’era essere lo sfortunato tredicesimo».

 La curiosità divenne infine un sorrisetto e Hans rilassò i muscoli. Le sue spalle furono scosse dalle risate.

 «Solo perché me lo chiedete voi, Vostra Maestà. Cosa diavolo ho da perdere, in fondo?»

 Ruotò il collo e scrocchiò le nocche per prepararsi ed Elsa sedette pazientemente, gli occhi ancora innaturalmente attirati dai guanti dell’uomo, una volta candidi prima che il tempo e lo sporco intervenissero.

 Hans si raddrizzò e iniziò finalmente a parlare. «Essere il più piccolo di tredici fratelli aveva i suoi pro e contro. I contro erano per lo più maggiori rispetto ai pro. Tre di loro fecero finta che fossi invisibile per due anni…»










¹ Il filetto alla Stroganoff è un piatto originario e tipico della cucina russa ed è composto da pezzi di manzo saltati in una salsa di smetana (panna). È molto popolare in tutto il mondo, ma oltre che in Russia è diffuso soprattutto in Svezia e in Norvegia, dove però sono in voga delle varianti – in Svezia è più comune trovare la salsiccia alla Stroganoff, mentre in Norvegia la smetana è sostituita da una crema vegetariana, solitamente a base di funghi.

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Capitolo 4
*** Quattro ***


Quattro



Durante il corso di quelle giornate, Elsa scoprì che il tredici era il numero più solo. Non aveva avuto intenzione di ascoltare davvero le scuse di Hans, non dopo quella che avrebbe voluto fosse stata la sua ultima visita. Ma, nella speranza di stancarlo e fargli finalmente confessare la sorte della nave, si trovò in più di un’occasione a provare solidarietà per il prigioniero.

 Le sue visite duravano… piuttosto a lungo. Più a lungo di quanto avesse previsto, almeno. Dopo il tè delle quindici con Anna, Elsa ritornava in quella cella per ascoltare le mille avventure del principe malridotto, ritenuto annegato dai più. Anna le ricordava regolarmente che avrebbero dovuto spedire una lettera alle Isole del Sud, ed Elsa ogni volta le assicurava che quello sarebbe stato il giorno in cui Hans avrebbe finalmente vuotato il sacco.

 Ma non lo faceva mai. La maniera con cui riusciva a schivare quella domanda era esasperante. Ed era anche più esasperante la maniera con cui Elsa ci cascava sempre quando lui tirava fuori un altro dei suoi racconti. Ma prima o poi sarebbe giunto a corto di storie, concluse. E anche in caso non le esaurisse mai, lei avrebbe avuto le informazioni necessarie per poter calcolare da sé la posizione della nave.

 «Aspettate, chi è che ricevette un cavallo per il proprio compleanno?» chiese Elsa, seduta sul suo solito sgabello.

 «Nessuno dei miei fratelli» chiarì Hans. «Fui io a riceverne uno da mio padre. Campbell e Charles lo liberarono nel bel mezzo della notte».

 «E ritornò da voi lo stesso?» chiese Elsa, un piccolo sorrisino che le spuntò in volto senza che se ne accorgesse.

 Hans scrollò le spalle, il suo sorriso invece del tutto intenzionale. «Sì. Il mattino successivo, scorsi Sitron mentre galoppava per le colline. Si era fatto una corsetta di mezzanotte, ma le facce dei miei fratelli furono senza prezzo».

 «E non vennero puniti per averlo liberato?»

 Il sorriso svanì. «Solo leggermente. Spalarono le mie stalle per una giornata, cosa che, secondo la regina, era una punizione sufficientemente severa per i suoi figli. E naturalmente, non smisero mai di rinfacciarmelo».

 La luce del giorno sbucava dalla finestra e impregnava il pavimento e le mura, facendo sì che il calore estivo li infradiciasse ancora per un po’ prima dell’imminente arrivo della sera, che avrebbe rinfrescato l’aria. Hans era appoggiato contro il muro, seduto sulla brandina con le gambe distese, un ginocchio piegato per tenerlo in equilibrio e le braccia leggermente incrociate. Che fosse infastidito dal caldo o no, non lo dava a vedere.

 Elsa, dal canto suo, indossava un vestito con le maniche adornate da nastri, modellato perché avesse solo uno strato di tessuto, così da lasciarle respirare le gambe. Strofinava le mani gelate sulle braccia nel tentativo di rinfrescarle, ma poteva ancora avvertire una goccia di sudore o due scivolarle giù dalla fronte.

 «Io non ho mai provato l’equitazione» confessò Elsa. «Ho cavalcato un paio di volte, ma non sono mai uscita per andare a cavallo… e basta».

 «Davvero? Be’, come futura regina, sono sicuro che siete occupata e che passate gran parte del vostro tempo studiando» disse Hans, con ancora i guanti addosso. Elsa si chiese come facesse a sopportare la calura.

 «Sì» disse, guardandosi le mani nude. Forse i guanti di Hans catturavano tanto la sua attenzione poiché essi erano anche per lei un importante elemento della routine quotidiana. Doveva indossarli quando maneggiava i numerosi libri che aveva studiato. Se da un lato leggere i manuali di legge o storia non costituiva un vero pericolo, dall’altro le capitava a volte di congelare per sbaglio le pagine di un romanzo quando si appassionava troppo alla trama. La cosa era accaduta in diverse occasioni, e lei aveva deciso che non avrebbe più toccato un libro a meno di avere i guanti addosso. «Trascorro molto tempo in solitudine, questo è sicuro».

 «Andavo sovente a cavallo da solo» disse Hans. «Non ho mai voluto la compagnia dei miei fratelli, e mio padre cercava sempre scuse. Non veniva mai solo perché sapeva che, in una gara, avrei vinto io».

 «Vi piace vostro padre?» chiese Elsa, incrociando le gambe e chiedendosi come facesse a parlare così facilmente con Hans. Strano come non riuscisse ad aprire bocca quando conversava con Ingvalda, che conosceva da almeno tre anni; ma con Hans era come se le barriere impossibilmente alte non esistessero. Rabbrividì un attimo, confusa e un po’ arrabbiata con se stessa.

 «Mio padre è una delle poche persone a cui sono legato» disse Hans, abbandonando la posa iniziale e sistemando le gambe in modo da poggiare i piedi sul pavimento. Si mise a guardare fuori dalla finestra, fissando il sole dorato del crepuscolo. «Non mi ha mai fatto sentire come se fossi lo sfortunato tredicesimo. Per lui non ero solo un numero, come invece mi considerava la regina. Ero suo figlio».

 Elsa agitò le mani, cercando di distrarsi. Puntandogli direttamente addosso gli occhi, aveva l’impressione di star invadendo la sua privacy. Hans che osservava il tramonto e parlava di suo padre sembrava in qualche modo… intimo, ed Elsa non si sentiva benvenuta a far parte di quel momento.

 Hans distolse lo sguardo dalla finestra, la luce dorata che gli svanì dal viso. Elsa sciolse i pugni, senza essersi accorta di averli stretti. C’era qualcosa in quella luce che le aveva fatto mancare appena il respiro.

 Lui cominciò a parlare di nuovo: «Sitron fu il regalo per il mio diciottesimo compleanno, ma quando compii sedici anni ricevetti una nave tutta mia. Mi furono insegnate delle nozioni sulla navigazione. Niente di eclatante, ovviamente, solo robette come la lettura delle stelle e delle mappe, l’analisi del cielo per stabilire se le condizioni per salpare sono buone, la cura e la manutenzione di una nave».

 «E vi siete preso gran cura della nave francese, vero?» mormorò Elsa.

 «Cosa?» chiese Hans, il sorriso nostalgico spazzato via.

 «Niente» si corresse velocemente Elsa.

 «No, avete detto qualcosa» disse Hans, gli occhi assottigliati.

 «Be’, se proprio dovete saperlo, mi riferivo alla nave che avete perso con così tanta noncuranza» disse Elsa, guardando dritto verso di lui.

 Lui ruotò gli occhi e affondò di nuovo contro il muro. «Ancora con quella storia? Pensavo che ve ne foste dimenticata».

 «L’unico motivo per cui siete ancora qui e non su un vascello diretto alle Isole del Sud è perché non ho ancora scoperto cos’è successo a quella nave» chiarì Elsa, rendendosi conto troppo tardi di aver rivelato qualcosa che non aveva avuto intenzione di svelargli.

 Hans colse il significato tacito, gli occhi verdi che si illuminarono d’interesse. «Ma davvero? Be’, questo vuol dire che non dovrò più posare piede in quel luogo tremendo, dato che non parlerò».

 «Prima o poi vi farò confessare» asserì Elsa, tenendo il mento in su e fingendo una sicurezza che non provava.

 «Non mi obblighereste mai su un vascello per le Isole» disse Hans con una risatina che avrebbe potuto essere o meno divertita.

 «Posso scrivere loro una lettera quando voglio» minacciò Elsa, ricordandosi improvvisamente dei consigli non-proprio-impliciti di Anna a proposito di cacciare quel farabutto via dal regno.

 «Oh, ma non lo farete» disse Hans, incrociando le braccia con un sorrisetto soddisfatto. «Voi sapete tutto sui miei fratelli, su come mi hanno trattato, com’è stato crescere con loro. Non lascereste mai che un uomo tornasse a essere torturato».

 «Un uomo come voi merita torture peggiori» replicò Elsa, ma sentì di nuovo la fitta che aveva provato l’altro giorno. La vista dei suoi fratelli mentre lo portavano via in catene sulla nave. Quei tristi, imploranti occhi verdi…

 «E poi», Hans interruppe il ricordo con le sue parole, «voi siete troppo affezionata ai miei racconti perché io me ne vada».

 Elsa sedette in silenzio per un istante, prima di poggiare le mani sui fianchi. «Non è vero!»

 «Sì che è vero».

 «No. Aspetto solo notizie sulla nave francese».

 «Può darsi, ma siete ugualmente interessata ai miei aneddoti».

 «Non è vero

 «Siete protesa in avanti!» Hans indicò la sua postura, che in effetti era protesa leggermente in avanti. Elsa raddrizzò lesta la schiena e incrociò le braccia.

 «Prima o poi cederete» borbottò Elsa, principalmente a se stessa. Provava una sensazione simile ma più tenue rispetto alla rabbia. Irritazione. Hans era l’incarnazione sorridente dell’irritazione, perché nonostante Elsa non volesse provare dispiacere per lui, non poteva fare a meno di ridere o simpatizzare o anche solo sentirsi un po’ stizzita. Era innervosita dalla sua incapacità di essere una spietata aguzzina.

 Durante un’altra occasione, tre giorni dopo, l’interesse di Elsa raggiunse i picchi. Hans iniziò a parlare dei guanti che l’avevano sempre tanto affascinata.

 «Li ha fatti mia madre» sussurrò, come se le stesse confidando un segreto. «Ogni volta che mi diventavano piccoli o li brucia— voglio dire… li rovinavo, aveva sempre un altro paio perfetto a portata di mano. Diceva che indossare i guanti era la cosa più giusta».

 Elsa aveva familiarità con quella situazione. Era come se, in quel momento, la storia la stesse raccontando lei. Quante volte aveva accidentalmente mandato in frantumi i suoi guanti nel tentativo di togliersi il ghiaccio dalle mani? Quante volte si era sentita dire da suo padre: “Sii più cauta con questo paio. Celarlo, domarlo. Non mostrarlo”? Le sue mani si raffreddarono ancora di più al solo pensiero della voce calma di suo padre e dei suoi occhi atterriti.

 Non lo incolpava per essere stato così spaventato. Non aveva saputo come gestire i suoi poteri. Nessuno di loro lo sapeva. Ma sua madre e suo padre avevano fatto quello che avevano creduto fosse la soluzione migliore, anche se Elsa si era resa conto che per tutto questo tempo Anna le avrebbe voluto bene lo stesso, a prescindere da tutto. Lo hanno fatto per proteggerti, non essere egoista.

 «Perché voleva che indossaste dei guanti?» chiese Elsa, agitando lievemente la testa nella speranza di far desistere quella vocetta velenosa.

 «Io, uhm… Immagino che avesse qualche problema con lo sporco…» replicò stranamente lui. Forse un altro giorno Elsa avrebbe notato il fatto che Hans evitava di guardarla, come si torcesse le mani. Forse avrebbe notato che in quel momento l’uomo, che era un abile bugiardo, le stava evidentemente mentendo, perché con molta probabilità era stato preso alla sprovvista. Elsa, però, era troppo rapita dalle sue mani e dalle sue memorie per accorgersene.

 «Ma sin da quel giorno indosso abitualmente i guanti» continuò Hans dopo essersi schiarito la gola. «Non mi infastidiscono durante l’estate. Sono un po’ come una seconda pelle. Una coperta di sicurezza, se vi piace porre la cosa in questo modo».

 «Sì». Elsa ridacchiò. «Una coperta di sicurezza».

 «Voi lo sapete, ovviamente» disse Hans con delicatezza, sicuramente conscio di star guadando acque profonde e oscure.

 «Sì» ripeté Elsa, ma stavolta non rise. «Le prime settimane è stato duro perdere quest’abitudine, ma mi piace non avere i guanti addosso. Mi sento… libera. Fin tanto che sono in controllo, certo. Ma dev’essere senza dubbio più facile per voi, dato che non nascondete poteri glaciali».

 Hans fece una risata, a disagio e quasi forzata. «Niente ghiaccio».

 I giorni trascorsero, la settimana passò rapidamente da quando Hans fu sorpreso a rubare un’imbarcazione. Il dodicesimo giorno, parlò di una nave, ma non come Elsa pensava ne avrebbe parlato.

 «…naturale che Jørgen si lamentasse del fatto che la mia era migliore della sua. Dato che lui è il settimo, ha sempre pensato di essere speciale. Per il suo sedicesimo compleanno si è lagnato dicendo che nostro padre non gli ha mai regalato una nave, e che per questo motivo ha dovuto procurarsene una da solo». Hans ruotò gli occhi, qualcosa che faceva spesso quando parlava dei suoi fratelli.

 Elsa avvertì gli angoli delle sue labbra alzarsi involontariamente. Abbassarli le costava troppa fatica.

 «Non lavorava quasi mai. Tutto ciò che doveva fare era battere le palpebre e pretendere una nave e la regina gli avrebbe chiesto se gliene servisse una che poteva ospitare un centinaio di persone oppure un migliaio».

 «Quale delle due ricevette?» chiese Elsa, sapendo già la risposta.

 «Voi che dite?» replicò Hans con derisione. «Con una dalla capienza minore di mille persone, si sarebbe sentito insultato. Eppure, quando gli è stato assegnato il compito di venire ad Arendelle, ha usato la nave di Francis perché aveva una migliore—»

 Hans si fermò improvvisamente, gli occhi verdi che scintillavano per tutti i segreti che avrebbero potuto rivelare.

 «Aspettate, Jørgen è stato ad Arendelle?» chiese Elsa, il sorriso che scomparì con la velocità con cui salì la tensione nella stanza.

 «Lui…» cominciò a dire Hans, ma lasciò perdere ed emise un lungo sospiro. «No, lui non è mai stato ad Arendelle».

 «Ma avete appena detto—»

 «Dimenticate ciò che ho detto» ordinò freddamente Hans.

 Elsa aveva scordato la vera identità di Hans. La ragione per cui lo odiava tanto. Il fatto che lei l’odiava. Si era abituata troppo a passare le ore conversando con lui, dicendosi che avrebbe provato a farlo confessare a proposito della nave. Ma ovviamente tutte queste conversazioni avevano compromesso il suo giudizio.

 «Capisco» disse, con lo stesso, se non anche più, gelido tono.

 Era strano. Ciò che per due persone nelle loro posizioni era appropriato proferirsi erano esattamente quelle parole gelide, e tuttavia le pareva troppo anomalo per essere naturale. Anche Hans dovette averlo notato, perché la sua maschera di pietra si sgretolò leggermente.

 «Elsa, io—»

 «Regina Elsa» lo corresse subito. «Non so come possiate credere di avere abbastanza familiarità con me da potervi rivolgere così informalmente».

 Elsa non lo guardò negli occhi. Non ci riusciva. E non sapeva perché. Dopotutto, lei era la regina. Perché mai avrebbe dovuto sentirsi in colpa per avergli parlato con tanta asprezza?

 «Ma certo, Vostra Maestà» fu poi la sua eventuale risposta. Alle sue orecchie suonava troppo distaccata, troppo forzata, ma Elsa non lo avrebbe mai ammesso. Aveva lasciato che i loro rapporti tesi ritornassero al punto di partenza. Le dava fastidio il fatto che avesse continuato a pensarci a cena, mentre firmava dei documenti per Ingvalda, e mentre era a letto cercando disperatamente di addormentarsi.

 Elsa fissò fuori dalla finestra, pensando alla notte in cui la sua vita cambiò, ormai secoli fa. Si è svegliato il cielo, perciò io sono sveglia, dobbiamo giocare!

 Adesso nel cielo non c’erano luci. Non erano ancora addentrati nell’estate. Tra qualche mese, i cieli si sarebbero colorati di viola pastello e di verde vivace e del blu più tenue e più gentile. Le mancavano le luci del nord. Le mancava il calore che le facevano sentire durante il brivido dell’inverno, il brivido di se stessa.

 Prevedendo che non si sarebbe addormentata subito, Elsa si tolse le coperte di dosso e si incamminò verso il balcone. Aprì piano il lucchetto e mise piede nella tiepida notte d’estate.

 Con la vestaglia rosa chiaro che si trascinava leggermente sul pavimento, Elsa si avvicinò al limite e si appoggiò alla ringhiera. Non era la stessa vista di cui poteva godere dal castello sulla Montagne del Nord, ma era comunque bellissima. Alla sua sinistra poteva vedere parte del villaggio e del fiordo, illuminati da alcune lanterne e candele del suo popolo mai del tutto dormiente. Alla sua destra c’erano le mura, che non sembravano aver mai fine. Si era spesso chiesta cosa ci fosse oltre quelle mura, oltre ad Arendelle, ma non le era mai importato abbastanza da scappare via di lì.

Forse dovrei farlo ora la sfidò un pensiero. Ma no, lei aveva già provato a scappare. E non importava quanto bello fosse stato per un breve momento, la realtà sarebbe sempre arrivata per ridurre a pezzi il suo castello di ghiaccio.

 La conversazione avuta con Hans si ripeté nella sua mente, su come non avesse mai provato l’equitazione. Qualcosa nel suo cuore agognava di cavalcare nell’infinito, l’esplorazione come suo unico obiettivo. Ma non in sella a un cavallo. Lei avrebbe cavalcato il vento. Avrebbe usato il ghiaccio per spingersi in avanti fino a quando non sarebbe rimasta intrappolata nell’aria, volando libera come un uccello senza ferire nessuno o dover adempiere ai suoi obblighi.

 Sospirò, non esattamente sicura che quello sarebbe rimasto solo un sogno per colpa della sua brama o per pietà. Entrambe, probabilmente. Rimase in quella posizione per un po’, osservando la cascata appoggiata alla ringhiera. Si interrogò su cose come l’equitazione e il volo e le luci del nord e il perché lei finisse sempre per fissare i guanti di Hans, fino a quando non si stancò e tornò a letto con il colore verde impresso nella sua mente.

 Ciononostante, l’indomani fu un discorso diverso. La giornata procedette regolarmente, con documenti da trascurare, pasti da consumare e una sorella esuberante da divertire. Tutto cambiò, però, quando finalmente scoprirono cos’era successo alla nave del delegato francese.

 Mentre i sopravvissuti giungevano a riva, Elsa non mancò l’ironia del fatto che si trattava del tredicesimo giorno da quando il principe Hans era stato buttato in prigione. Nel momento in cui fece quasi cadere la sua tazzina di tè, pensò a quel numero sfortunato.

 Kai era venuto, interrompendo il tè delle quindici, per dare ansante la notizia: circa dieci uomini erano arrivati in città con la richiesta di incontrare la regina. Erano magri e malridotti e trasandati come dei nomadi, ma alcuni distintivi ufficiali che avevano addosso provavano che erano ciò che rimaneva dell’equipaggio della nave della Catena dell’Ovest.

 Anna ed Elsa abbandonarono immediatamente il loro tè e i loro sandwich, affrettandosi verso il salotto dove erano assistiti i francesi. Il cuore di Elsa batteva veloce, in parte a causa della corsa e dall’altra l’adrenalina perché stava per scoprire cos’era accaduto alla nave. Ma allora Hans non stava tenendo come suoi prigionieri la nave e i passeggeri per ricatto. Quella teoria poteva essere cancellata dalla lista.

 Quando arrivò senza fiato al salotto, contò dieci uomini, tutti molto abbronzati e dall’aria non molto felice. Anna si mise immediatamente al lavoro, chiedendo loro se stessero bene e se poteva fare qualcosa, ma erano già arrivate le cameriere per occuparsi del peggio.

 Con il cuore che tornava lentamente al suo battito regolare, Elsa prese posto su una sedia vuota, Anna in piedi accanto a lei.

 «Cos’è successo alla vostra nave?» chiese Elsa all’ambasciatore francese, uno dei pochi che erano sopravvissuti.

 «Oh, è stato orribile» rispose, la faccia scottata più rossa della poltrona su cui era seduto. «Un attimo navighiamo senza problemi e quello dopo la nave è in fiamme!»

 «In fiamme?» chiese Anna.

 «Oui. La nave ha preso fuoco ed è sprofondata nel giro di un’ora» disse l’ambasciatore, scuotendo la testa. «Ci sono voluti dei giorni perché raggiungessimo terra e abbiamo vagato per un anno prima di riuscire a tornare qui. Non avevamo nessuna mappa e abbiamo dovuto seguire le informazioni inaffidabili dei contadini. Vedete, solo dieci di noi si sono salvati dall’affondamento e dal viaggio».

 La testa di Elsa girava. Allora la nave aveva preso fuoco. Ecco perché non era mai approdata nella Catena dell’Ovest o alle Isole del Sud. Ma come…?

 «Il principe Hans è sopravvissuto?» chiese Anna, dando voce alla domanda che Elsa voleva porre così disperatamente.

 «Il principe Hans?» ripeté un uomo, la voce per metà strozzata e derisoria. «È impossibile che sia sopravvissuto. L’incendio è iniziato dall’area delle prigioni. Temo che non abbia avuto speranze».

 Le sopracciglia di Anna si aggrottarono, lei completamente shockata. «Ma allora come ha fatto—»

 «Anna» mormorò Elsa, dandole un colpetto con il gomito.

 La rossa non aprì più bocca, ma guardò Elsa con un’espressione strana, in preda al panico ma soprattutto molto, molto, molto confusa. Elsa arricciò le labbra, confidando nella sorella per afferrare la sua intenzione di non comunicare loro che Hans era scampato alla morte, tanto meno in presenza del loro regno.

 Fortunatamente, Anna sembrò capire, anche se non appariva granché felice della cosa.

 La principessa si schiarì la gola. «Sono… sono molto dispiaciuta».

 «Bah, non esserlo» disse uno degli uomini più aspri, un cipiglio burbero permanentemente inciso in volto. «Che riposi in pace, il bastardo. Ve lo dico io, è stato lui stesso ad appiccare fuoco alla nave».

 Improvvisamente, Elsa non riuscì a respirare. È stato lui stesso ad appiccare fuoco alla nave. Una frase detta senza significato, ma che di colpo significava tutto. Hans aveva detto a Elsa di essere scappato. Non aveva mai menzionato un incendio. Una nave in fiamme è qualcosa che in genere va menzionato.

È stato lui stesso ad appiccare fuoco alla nave. Non aveva avuto accesso a lampade, né a fiammiferi. Non aveva avuto nient’altro che se stesso. Le sue mani, mai scoperte. I guanti ma certo i guanti. La sua stanza era sempre caldissima quando entrava lei. Il rosso ardente dei suoi capelli era sempre troppo rosso per essere naturale. La ragione per cui quel verde ardeva sempre ricordandole sempre delle fiamme.

È stato lui stesso ad appiccare fuoco alla nave.

 Elsa incespicò all’indietro, per poco inciampando nel suo stesso abito. Tutti si voltarono verso di lei, interrompendo la conversazione e neanche fingendo discrezione. Anna balzò in avanti in suo soccorso.

 «Tutto a posto?» chiese Anna, senza avere occhi per nessun altro se non per sua sorella. «Che succede?»

 «Io… Io…» Elsa non riusciva a parlare, non riusciva a pensare. Non poteva essere vero.

 I preoccupati occhi blu di Anna battevano contro di lei ed Elsa non ce la faceva più. Stava succedendo tutto troppo velocemente. La testa le girava. Doveva parlargli subito.

 «Scusatemi» mormorò Elsa, evitando lo sguardo di Anna e sentendosi in colpa per questo. Sapeva che se si fosse voltata verso Anna, si sarebbe sentita anche peggio di prima. Ma non glielo poteva dire subito. C’erano troppe cose da spiegare, troppe cose che Anna avrebbe provato a capire ma che non sarebbe mai riuscita a comprendere.

 Per adesso, Elsa si affrettava verso le prigioni, puntando dritta verso Hans delle Isole del Sud. Troppe cose stavano accadendo tutte insieme e stavano per finire fuori controllo, eppure Elsa si sentiva stranamente… felice? Era un’emozione simile alla felicità, che le sgorgava dalla gola e la spingeva sadicamente a sorridere. Possibile che lei non fosse l’unica con i poteri magici? Oh, sì, sorrise perché adesso sapeva il segreto di Hans.

 Si tolse i guanti.










Note della traduttrice (Hiraeth): già. Sono viva. :D

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Capitolo 5
*** Cinque ***


Cinque



La regina di Arendelle non dovette neanche spiegare alle guardie che desiderava vedere da sola il prigioniero. Quando lei sopraggiunse, si limitarono ad aprire la porta.

 Non appena essa si chiuse, Elsa ordinò: «Toglietevi i guanti».

 Hans era seduto sulla brandina, la testa abbassata come per fare un sonnellino. Ma alla presenza di Elsa, il suo viso si sollevò. L’ammasso di capelli rossi e di lentiggini si contorse in segno di confusione.

 «Cosa?»

 Elsa, che era ansimante e certa di star avvertendo l’arricciarsi del ghiaccio sui polpastrelli e sui palmi, lo guardò con fermezza. «Toglietevi i guanti».

 Lui non sembrò andare in panico né si chiuse a riccio, come se la severità delle sue parole non lo avesse toccato poi molto. Si alzò dalla brandina, le braccia ancora incrociate. Non indossava la giacca, la camicia azzurra che rivestiva il suo busto era strappata e sporca e con macchie di sudore. E, naturalmente, i guanti erano ancora saldamente alle sue mani.

 «Siete venuta a farmi visita prima del solito» osservò Hans. «Temo che ieri ci siamo separati in malo—»

 «Toglietevi. I. Guanti» lo interruppe Elsa, la voce più forte che mai. Era vagamente conscia di star tremando.

 Per la prima volta, Hans apparve decisamente inquieto. «Perché?»

 «Perché un gruppo di uomini della Catena dell’Ovest, incluso il delegato francese, è appena arrivato ad Arendelle stanco e affamato» rispose Elsa.

 Come colpito al petto, Hans incespicò leggermente all’indietro, esattamente nella stessa maniera con cui aveva incespicato Elsa solo qualche minuto prima. Rimase a bocca aperta, solo un po’, perso il controllo della propria faccia per colpa dello shock. Dovette appoggiarsi al muro per mantenere l’equilibrio.

 «Mi hanno detto cos’è successo alla loro nave» proseguì Elsa, la voce che diventava sempre più sommessa. «Hanno detto che è andata in fiamme».

 «Ma davvero?» chiese Hans, il fiato corto di uno che aveva nuotato avanti e indietro per il fiordo.

 «Difatti, l’incendio ha avuto origine nelle prigioni» continuò lei, il tremolio delle mani adesso troppo acuto per ignorarlo. Incrociò le braccia al petto per non permettere alle sue emozioni di avere la meglio su di lei. «Hanno detto che non c’era alcuna possibilità che voi sopravviveste».

 Hans ammutì. Restò immobile come una statua, fissando il muro con uno sguardo vitreo.

 «Avete dichiarato di essere fuggito dalla nave, ovvio. E cosa c’è di meglio di chiudere in bellezza?» chiese. «Avete appiccato fuoco alla nave perché tutti vi credessero morto. Avete sacrificato quasi un intero equipaggio, e tutto questo solo per sparire dalla circolazione».

 «Non potevo tornare indietro» sussurrò Hans. «Non potevo…»

 «Così avete appiccato fuoco a una nave?» lo accusò Elsa, il tono di voce che saliva. «Li avete condannati a bruciare o ad annegare? Voi… voi…»

 Questo problema non riguardava più solo Hans. Tutto ciò che Elsa riusciva a vedere era la lettera dell’annuncio del re e della regina periti in mare. Bastò una tempesta perché le onde reclamassero le vite di così tante brave persone. E questo idiota probabilmente pensava che la sua fuga fosse stata così impavida, così coraggiosa.

 «Ascoltate, posso spiegare—»

 «Toglietevi i guanti» disse Elsa, il tono di voce che si fece sinistro. I suoi occhi divennero affilati, il ghiaccio intorno alle mani minacciò di esplodere senza controllo. «Come fa una persona ad accendere un fuoco senza avere a disposizione dei fiammiferi, senza avere accesso alle lanterne?»

 Hans andò in panico come avrebbe dovuto fare sin dall’inizio. I suoi occhi verdi erano più pupille che iridi ed Elsa notò che il suo respiro si era fatto pesante.

 «Voi… voi non dovreste saperlo».

 «Vostra madre insistiva molto sui guanti, non è vero?» disse Elsa. «Celare, domare, giusto? Bisogna avere dei poteri per riconoscere chi altri li possiede».

 Hans scosse la testa lentamente, come se non riuscisse a credere a quello che stava succedendo. Incespicò nuovamente all’indietro, scontrandosi contro la brandina per poi sedersi il secondo dopo.

 «In quanti lo sanno?» mormorò.

 «Solo io» rispose Elsa, sentendo il cuore tornare a un battito quasi regolare.

 Hans non disse niente, ma si aggiustò i guanti. Erano sporchi tanto quanto la giacca bianca messa da parte in un angolo della cella, la maggior parte del loro fascino ormai perso. Con una mano tremante, si costrinse ad abbassare le dita e a tirare via il tessuto bianco, vacillando un po’ prima di rivelare infine una delicata mano color pesca.

 Aveva una faccia seria quando alzò la mano, il palmo rivolto al soffitto. Prima di mostrare il suo segreto, volse gli occhi verdi verso Elsa, che aveva il cuore in gola. Lei si convinse che fosse solamente per colpa del nervosismo, in anticipazione a ciò che stava per accadere.

 E poi lui si lasciò andare.

 Una piccola fiamma, alta trenta centimetri appena, divampò in tutto il suo splendore, prolungandosi dal palmo della sua mano. Elsa era senza parole mentre ammirava il rosso e l’oro incresparsi nell’aria, sempre in moto, e Hans la osservava, in attesa disperata di una qualche reazione. Aveva un’aria vulnerabile, il che la diceva lunga su uno capace di produrre fuoco. Qualcosa nei suoi occhi le disse che non c’era niente che potesse metterlo più a nudo di quella situazione.

 «Non… non riesco quasi a crederci» disse Elsa, talmente piano da essere sul punto di bisbigliare. La fiamma bruciava luminosa, sorretta costantemente sul palmo come una candela. «Pensavo di essere impazzita. Di essere saltata a conclusioni».

 Hans spostò lo sguardo da Elsa alle sue fiamme, scrutando assorto quei nastri danzanti con un’espressione che poteva essere descritta a metà tra l’odio e il timore.

 «Come?» chiese Elsa delicatamente.

 Lui alzò di nuovo la testa, gli occhi che si assottigliarono. «Che intendete?»

 «Io… Volevo solo…» Elsa ebbe difficoltà a convertire i suoi pensieri in parole. «Non sapevo che esistessero altri come me».

 «Non siete esattamente speciale quanto credevate, eh?» disse, il tono cupo.

 «Avete avuto questo potere per tutta la vostra vita?»

 «A voi le storie piacciono, giusto?» chiese Hans, stringendo la mano e spegnendo la fiamma. Quella sparì con un leggero sfrigolio e una nuvoletta di fumo protesa in alto. «Mettetevi comoda, questa è terribilmente lunga».

 Mentre si sedeva sullo sgabello lasciato sempre in quella stanza, il cuore di Elsa batteva forte. Tutto quello che aveva sin da sempre associato ai suoi poteri e a Hans stava mutando. Anche adesso, guardandolo, le sembrava di avere davanti un’altra persona. Non l’Hans che aveva incantato Anna, non l’Hans che aveva cercato di ucciderle, non l’Hans raccontastorie rinchiuso in una cella.

 No, questo Hans non sfoggiava un sorriso in volto. Nessuna traccia di fascino, niente di orgoglioso, nemmeno un vago cenno di felicità. Non avrebbe potuto essere così solenne neanche al suo stesso funerale. Appoggiò nuovamente la schiena al muro, rimettendosi frettolosamente il guanto. A Elsa quasi sfuggì di dirgli di non indossarli, ma non aveva intenzione di discutere con lui. Voleva ascoltare il racconto il prima possibile e dunque restò silenziosa ma irrequieta.

 Dopo aver assicurato al proprio polso il guanto e averlo squadrato per un momento, Hans fece un sospiro profondo e si portò le mani alla faccia. Rimase in quella posizione fin troppo a lungo; solo la schiena che si alzava e si abbassava indicava segni di vita.

 Finalmente chinò le mani, passandosele sul viso come per strapparsi la pelle. Si voltò verso di lei, gli occhi che nell’immaginazione di Elsa erano terrorizzati e che nella vita reale erano in continuo cambiamento e che adesso erano vuoti e cupi come lei non li aveva mai visti.

 «Sapete meglio di chiunque altro com’è essere nati con una maledizione» cominciò a dire. «Voi avete il ghiaccio sin da quando ne avete memoria?»

 Elsa annuì.

 «E da quello che ho sentito dire, non è per niente facile averci a che fare. Ma il ghiaccio può essere bellissimo. Può essere giocoso e incredibile e può ispirare meraviglia. Il fuoco, invece…» La sua voce si affievolì, l’attenzione che si trasferì dal viso alle mani inguantate, adesso strette insieme saldamente. «Il fuoco non porta altro che distruzione. Il fuoco brucia, consuma tutto. Il ghiaccio prima o poi si scioglie, ma ciò che il fuoco brucia non può più essere salvato».

 Fece un’altra pausa, le sopracciglia che si aggrottarono e la mascella sempre più tesa. Digrignò i denti e strinse il guanto, il cuoio che si incrinò.

 «È una maledizione» ringhiò. «Una maledizione orribile e malvagia. Darei qualsiasi cosa per non dover avere costantemente bisogno dei guanti, per non essere uno scherzo della natura».

 «Sono certa che il fuoco possa—» provò a dire Elsa, ma il viso di Hans scattò all’insù, una mina che era stata calpestata.

 «Voi non avete alcuna idea di come possa essere» disse con asprezza. «Voi non siete stata sfruttata dalla vostra famiglia. Non siete mai stata allontanata da tutti per il divertimento altrui. Non siete mai stata usata dai vostri fratelli come uno dei loro tanti giocattoli da rompere».

 Elsa non aprì bocca, non sapendo come rispondere. Una parte di lei voleva rimbeccare che era ovvio che capiva, erano anni che cercava di trovare un equilibrio tra sua sorella e i suoi poteri. Ma un’altra parte di lei intuiva che questa si trattava di una storia del tutto diversa dalla sua, da quella di due sorelle che si vogliono bene nonostante si sentano le persone più sole al mondo.

 Hans continuò a parlare, le mani inguantate ancora strette a pugno. «Essere il tredicesimo della regina Caroll voleva dire che non ero niente di speciale. Ma quando cominciai a dare fuoco alle cose, bruciare accidentalmente le infermiere e riempire la mia stanza¹ di fumo e cenere, dimostrai di meritare la sua attenzione. Ero lo sfortunato tredicesimo per davvero. Mia madre pensava che fossi il diavolo, voleva gettarmi via immediatamente, ma mio padre mi salvò. La rassicurò del fatto che quel bambino era un segno, un dono. Per cosa stesse a significare un dono del genere, Dio solo lo sa, naturalmente, ma mi salvò ugualmente». Fece una risatina senza divertimento. «Sarebbe stato meglio per tutti se non lo avesse fatto».

 I suoi pugni si sciolsero e lui stiracchiò le dita, aggiustandosi i guanti. Lo sguardo bruciante si calmò col procedere del racconto.

 «Alcuni dei miei fratelli erano già adulti quando io crebbi. A ognuno di loro era stato garantito un posto al mondo. Erano i principi delle Isole del Sud ed erano destinati a esser parte di un progetto superiore. Per cui coglievano ogni occasione che avevano per provare al sottoscritto che io, invece, non vi appartenevo.

 «Fino a quando non compii otto anni, non fu poi così terribile, immagino. Giocavo con il fuoco poco per volta. Niente di che, fino a quando non bruciai un’intera ala del castello. Fu un incidente, ma le scuse non innalzano mura. Non puoi annullare le conseguenze di un incendio».

 I suoi occhi continuavano a guizzare intorno, spostandosi come se fosse ritornato all’età di otto anni, mentre fissava i resti di un corridoio in cenere e cercava di inventarsi invano una scusa per giustificare i danni.

 «Ricevetti una predica molto severa dalla regina» disse. «Ecco perché vennero creati i guanti. Fui ritenuto un pericolo per la società; non avrei dovuto disonorare la famiglia. Non potevo insudiciare il nome della nostra nazione. E non avevo il diritto di rovinare il futuro a nessuno.

 «I miei fratelli mi fecero a pezzi su questa faccenda dell’incendio. Mi redarguirono e mi rimproverarono senza fine, senza pietà. E dissero che se avessi fatto loro del male, avrebbero informato la regina delle mie minacce di bruciarli. Piccolo com’ero, presi le loro intimidazioni sul serio. E non volevo ferirli, non all’inizio. Ma poi… cominciai a indossare i guanti».

 Elsa li aveva contemplati per tutta la durata del racconto, trovandoli incredibilmente interessanti. Le mani di Hans erano instancabili. Gesticolavano a ogni frase e avevano una personalità tutta loro. Lui agitava e stringeva e incrociava le dita, faceva di tutto perché non stessero mai ferme. Con i guanti al centro della conversazione, le sue mani si chiusero di nuovo a pugno.

 «Quando mi ordinarono di indossare i guanti per la prima volta, mi ribellai. Mi davano prurito e mi confinavano e li sentivo innaturali. Per cui me li toglievo a ogni occasione che trovavo».

 Smise di parlare, la voce che si attenuò verso la fine della frase. Era silenzioso, ma aveva l’espressione di uno che cercava di liberarsi di un peso. «Poi… poi iniziarono i dispetti».

 Elsa poteva capire di star venendo trascinata negli angoli bui della sua memoria dall’espressione spettrale che Hans aveva. Si chiese se anche lei assumeva la stessa espressione ogni qualvolta venivano a galla gli orrori che aveva commesso.

 «Cominciarono a maltrattarmi di più, usando i guanti per controllarmi. Non appena vedevano una traccia di pelle scoperta, mi venivano addosso e mi parlavano di come fossi lo sfortunato tredicesimo, di come non sarei mai dovuto essere nato. Ero uno sbaglio, dopotutto: non pianificato, inaspettato e non voluto. Sostenevano che mia madre non mi amasse e che era per quello che ero stato maledetto ed ero uno scherzo della natura e una creatura che proveniva direttamente dagli inferi. E così mi assicurai di avere sempre addosso i guanti, e da allora me li sono tolti di rado».

 La luce pomeridiana era fin troppo vivace per un argomento simile. Gli uccellini cantavano al di fuori delle mura di pietra, ma la faccia di Hans non assorbì neanche una goccia di quella felicità estiva. Il suo viso rimase freddo come la roccia.

 «Se vogliamo vederla da un certo punto di vista, l’odio mi aiutò, in realtà. Tutta quella avversione e quel disgusto e quella vergogna che i miei fratelli mi instillavano, non potevo ricambiarle. Dopotutto, pensavo di voler loro bene. Pensavo che mi volessero bene. È quello che fanno le famiglie, amarsi l’un l’altro. Per cui indirizzai il mio odio al fuoco».

 La sua faccia si contorse, esaminando i guanti con ribrezzo. «Lo odiavo. Lo odio tuttora. Ho indirizzato e puntato ogni fibra della mia rabbia al fuoco, riuscendo con successo a celarlo e a controllarlo».

 «Ma non è così che funziona» lo interruppe Elsa. «La paura peggiora solo le cose».

 «La paura, forse, ma l’odio è molto più forte» spiegò Hans. «Io non temevo le fiamme. Sapevo esattamente di cosa erano in grado. Passavo il tempo a sedermene in disparte e chiedermi perché non potessi essere normale. Perché non potevo avere mani capaci di andare all’aria aperta e sporcarsi e schizzare l’acqua intorno e giocare senza mandare tutto in fumo? Grazie ai guanti e al mio disprezzo, il fuoco si estinse. Sono arrivato a essere talmente in controllo di me stesso da non avere quasi più bisogno dei guanti».

 Elsa si guardò le mani nude. Ora stavano poggiate sul suo grembo, posizionate educatamente mentre ascoltava. La sua testa aveva ancora le vertigini, rivivendo ripetutamente nella testa il fuoco di Hans, come se quel momento si sarebbe rivelato solo uno strano sogno se Elsa avesse smesso di indugiarci sopra.

 «Ho cominciato a odiare la magia. Era una forza terribile, ne ero sicuro. Se i miei fratelli mi definivano un mostro, voleva dire che ogni persona dotata di poteri magici lo era. I mostri che possiedono il potere di ferire e di distruggere, come me».

 Alzò gli occhi, il verde che incontrava il blu. Elsa non seppe per quanto tempo lui la guardò, ma si schiarì la gola e abbassò la testa.

 «Per cui stavate pianificando di svelare a tutti il mio segreto» disse Elsa. «Avevate scoperto in qualche modo che ad Arendelle esisteva la magia ed eravate venuto a uccidere la regina delle nevi».

 «A dire la verità» la corresse Hans, «non sapevo nulla dei vostri poteri. Non fino alla notte del mio fidanzamento con An—» Si fermò, poi riformulò la frase con esitazione, «…la vostra coronazione».

 Al ricordo del loro breve fidanzamento, Elsa si sentì bollire le viscere. Era come se qualcuno avesse dato fuoco alle pene e al dolore dell’infanzia di Hans, come se avesse dato fuoco a tutte le sue giustificazioni, dato che si era approfittato di sua sorella. E nessuna storia strappalacrime avrebbe mai cambiato la cosa.

 «Venni ad Arendelle con il solo obiettivo di posare la vostra corona sulla mia testa» tornò a raccontare. «Volevo solo avere un regno tutto per me. Le Isole del Sud erano affollate, dopotutto, e trovare un posto mio sembrava la cosa ideale. Volevo dimostrare a loro, a me stesso, di esserne degno. Che sarei riuscito a conquistare un regno e a governarlo».

 Rise ancora per un po’, gli occhi puntati al pavimento. «Il mio piano iniziale era… meno sanguinario, in realtà. Sarei salpato e avrei affascinato l’incantevole regina e più tardi l’avrei sposata e sarei diventato re».

 «Voi intendevate sposare me

 Hans scrollò le spalle. «L’ho detto prima, era il mio piano iniziale. Poi mi imbattei in vostra sorella, abbastanza letteralmente, direi, e scoprii che non c’era nessuna possibilità con la futura regina, riservata e difficile da raggiungere. Ma non fu fino a quando i vostri poteri non vennero rivelati che le cose non presero una piega più tetra.

 «In me si risvegliò un sentimento che mi riportò a dieci anni prima. Tornai a dirmi che tutta la magia era malvagia e che una persona così non poteva portare nient’altro che guai. Per cui mi ostinai a trovarvi nuovamente. La magia doveva essere contenuta, eliminata. Ma non puoi ridurre in sottomissione una regina senza che poi il popolo protesti. Allora decisi che per me non sarebbe stato un problema, sarei diventato l’eroe, avrei eliminato sia la magia che una vita. Fino a quel momento, non ero mai giunto a tanto, ma c’è una prima volta a tutto, no?»

 Il suo sguardo si fece lontano, gli occhi vitrei che raccontavano da soli tutta la storia. «Però il mio piano fallì». Sospirò. «Una ragazza morta mi diede un pugno in faccia, scaraventandomi in mare, e in seguito le vostre guardie mi gettarono nelle prigioni di una nave. Le prigioni della nave con cui ero venuto qui, tra l’altro. Che umiliazione».

 Si fermò ed Elsa attese per sentire altro, ma nulla ruppe il silenzio.

 «È tutto?» chiese.

 Lui rimase quieto, gli occhi ancora vitrei.

 «Perché deste fuoco alla nave?» chiese Elsa, ricordandosi dell’unica domanda di cui voleva la risposta. «Non c’era alcuna necessità che voi—»

 «Andai in panico» disse d’impulso. «Ero rinchiuso in quella prigione e l’aria del mare aperto non era abbastanza perché riuscissi a respirare. Avevo un nodo alla gola e il cuore minacciava di strapparmi il petto a metà, tanto batteva forte. Non potevo tornare dalla regina Caroll, dai miei fratelli. Non potevo. Soprattutto dopo aver visto vostra sorella».

 «Mia sorella?» chiese lei, un sopracciglio alzato.

 «Sì: la cara Anna che salva la situazione con il suo atto di vero amore. Disposta a sacrificare la sua stessa vita per voi, nonostante l’abbiate tagliata fuori dalla vostra e l’abbiate colpita con il ghiaccio. Avrebbe dovuto salvarsi la pelle. Ma no… lei ha scelto voi».

 La gola di Elsa minacciò di seccarsi non appena lui cominciò a parlare di Anna, ma le sue parole finirono per essere stranamente… rilassanti. Anche se aveva avuto la possibilità di salvare se stessa, Anna aveva scelto Elsa. Anna mi vuole bene. Anna è al sicuro.

 «È quello il vero amore» disse Hans, scuotendo lentamente la testa. «Non i fratelli che, con i loro dispetti e i loro tentativi di controllarti, ti assicurano di star agendo con i migliori interessi in mente. Non una regina che posso a malapena definire mia madre senza un retrogusto amaro in bocca. Non le persone che ti tengono incatenato perché avete lo stesso sangue e che ti infamano per essere nato con una maledizione. Quello non è amore e quella non dovrebbe essere la mia famiglia. Non potevo tornare indietro.

 «Così… andai in panico. Mi strappai i guanti di dosso e diedi fuoco al legno. La nave si incendiò immediatamente. Afferrai una barca a remi prima ancora che la maggior parte dell’equipaggio si rendesse conto del disastro che stava accadendo, raggiunsi la riva poche ore dopo e fui libero di andarmene dove volevo».

 «Perché non scappaste in quel momento?» chiese Elsa con esitazione. Non voleva mettergli idee in testa, ma era troppo curiosa per trattenersi.

 Lui fissò fuori dalla finestra con un cipiglio arrabbiato, il mondo esterno e la libertà al di là della sua portata. «Che c’è, mi prendete per un folle? Ma certo che potrei crearmi una via di fuga bruciando tutto. Posso andarmene da qui quando voglio. Ma nel caso non ve ne siate resa conto, i miei fratelli, che mi piacerebbe non dover rivedere mai più, non sanno che sono vivo. È passato un anno dalla mia “morte” e vorrei che la situazione rimanga tale. Non c’è dubbio che, se scappassi, voi e vostra sorella li avvertireste subito».

 «Ma perché Arendelle?» chiese Elsa. «Tra tutti i luoghi in cui fuggire?»

 «Non intendevo venire qui» ringhiò. «Ciò che successe semplicemente fu che, dopo aver passato diversi mesi sfamandomi di quello che offriva la terra e quello che riuscivo a rubare dai villaggi, raggiunsi un punto di ritorno. In seguito alla biforcazione dopo la quale avrei dovuto intraprendere l’altra direzione, inciampai invece proprio in Arendelle. Probabilmente adesso sarei ancora libero, non fosse per quella sensazione che mi spinse a incamminarmi verso il mare.

 «Avevo nostalgia della nave che avevo a casa ed ebbi l’idea di rubarne una e imbarcarmi per terre completamente diverse, inesplorate e che attendevano di essere governate. Dopotutto, sono di sangue reale. Avrei trovato un gruppo di persone e mi sarei proclamato loro re. È un piano che ha dei difetti su cui dovrei lavorare, ovviamente, ma è migliore di qualsiasi vita che potrei avere a casa o marcendo in questa cella».

 «Non credo sia così che funzionano le monarchie» contestò Elsa. «E il luogo che vi avrà come sovrano sarà veramente sfortunato».

 «Sentite, voi potete obiettare quanto volete» disse Hans con le sopracciglia corrucciate, volgendo minacciosamente un dito inguantato verso di lei, «ma non potete sostenere che io non sia un buon leader. Certo, ho ingannato vostra sorella. Era solo una messa in scena per salire al potere, ma ho mandato avanti il regno. Mentre voi due vi prendevate una vacanza, io mi sono preso cura di Arendelle. Ho tenuto il vostro popolo al caldo quando avete lanciato su di loro un inverno perenne, sfamandoli e vestendoli, e intanto quel duca di Waferton² non faceva altro che lamentarsi della riduzione dei beni commerciali».

 Elsa si fece più fredda, così come la stanza si fece più calda. L’averle riportato alla memoria il ricordo tagliente del fatto che altre persone avevano pagato la sua libertà con la propria le faceva sempre attorcigliare lo stomaco.

 «A me importerebbe del mio popolo. Salperò per un posto dove il mio nome non è conosciuto» disse Hans, diventando sempre meno difensivo e più esplicativo. Agitò la mano in fronte a sé come se stesse facendo cenno alle infinite possibilità. «Nessun fratello, nessun potere magico, niente tranne che re Hans di qualche nuovo paese».

 La sua mano cadde e si volse di nuovo verso la regina. «Per cui ve lo chiedo di nuovo. Vi prego. Lasciatemi avere una nave».

 Elsa lo osservò, mordendosi internamente il labbro. «No».

 La faccia di Hans non avrebbe potuto assumere un’espressione più persa. «Cosa?»

 «Per quanto triste sia la vostra storia, non posso ignorare i vostri crimini» spiegò, evitando il suo sguardo.

 «Prometto che sarò diverso! Sono cambiato!» la implorò, ma Elsa non se la bevve neanche per un istante.

 Lei si alzò dallo sgabello e solo adesso si arrischiò a guardarlo dall’alto in basso. «Voi rimarrete qui» disse. «La vostra sentenza è permanente».

 «Quale sentenza?» la derise.

 «Quella che decreta che voi sarete nostro prigioniero fino a quando non spedirò una lettera alle Isole del Sud» ribatté Elsa.

 Lui strinse la bocca immediatamente, gli occhi pieni di una paura che Elsa ora sapeva essere giustificata. «Voi… voi non potete».

 «Io posso» disse lei. «Ma non lo farò».

 La paura gli rimase, ma un sentimento diverso si diffuse sul suo volto. Qualcosa come… la curiosità.

 «Non informerò le Isole del Sud della vostra situazione corrente, né che siete ancora vivo» continuò Elsa. «Il vostro imprigionamento per ora rimarrà un segreto fino a quando non saprò che uso farne di voi».

 Lui la scrutò ancora, come per carpire i suoi segreti analizzandole il viso. «D’accordo» disse infine. «Accetto rancorosamente il vostro rifiuto. Continuerò ad aspettare, però. E un giorno, io sarò re».

 «Allora sarebbe meglio per voi se iniziaste a tenere il conto dei giorni» gli rispose e fece per lasciare la stanza.

 Per qualche motivo, esitò. Avrebbe voluto ascoltarlo ancora un po’ più a lungo. Che le dicesse ogni cosa su com’era vivere con dei poteri, su com’era bruciare guanto dopo guanto, e su come il fuoco era diverso dal ghiaccio. Ma aveva fatto attendere Anna e i sopravvissuti ormai fin troppo a lungo e inoltre non avrebbe dovuto passare così tanto tempo con il prigioniero per principio.

 Però, uscendo dalla cella, si voltò per rivolgergli un’ultima occhiata. Si trattava sempre dello stesso uomo ricoperto di sporco, ma qualcosa era cambiato. L’espressione che aveva in faccia era meno dura. Più delicata. Più vulnerabile. Lei adesso era a conoscenza dei suoi segreti e i segreti erano una cosa potente; lo sapeva bene.

 Elsa lasciò le prigioni, la testa che le girava ancora di informazioni e lo stomaco contorto dalla nozione di non essere la sola con i poteri. Anche se l’unico che avesse incontrato era il suo esatto opposto. Ma più ci rifletteva sopra, e meno loro due le sembravano diversi.




Toc, toc, toc-toc toc.

 A Elsa il suono delle nocche che battevano contro il legno era fin troppo familiare, ma sconosciuto alle sue mani. Di solito era lei dalla parte interna della porta, anche se poi finiva per non rispondere mai.

 Sebbene fosse ormai passata da un pezzo l’ora in cui la gente comune andava a dormire, Anna le aprì velocemente la porta e lo fece con tanta rapidità da rischiare di strapparla dai cardini. I suoi occhi erano socchiusi, come se si fosse appena svegliata, ma in qualche modo riuscirono a sbarrarsi per la sorpresa.

 «Elsa?» chiese la principessa, un po’ intontita. Si schiarì la gola e batté le palpebre un paio di volte, come per assicurarsi che non fosse tutto un sogno strampalato. «Che ci fai qui?»

 Elsa si morse il labbro, lo sguardo rivolto alle mani agitate. Indossava i guanti, come faceva sempre quando era notte. Forse li metteva per una semplice questione di abitudine, ma sospettava che, se già da sveglia doveva fare attenzione ai suoi poteri, chissà cosa avrebbero potuto scatenare i suoi sogni?

 «Non sei qui per fare un pupazzo di neve, vero?» chiese Anna, un sorriso assonnato che illuminava l’atmosfera.

 Elsa non riuscì a trattenersi dal ricambiarlo. «No, non stanotte».

 Erano passate ore da quando aveva saputo dell’abilità segreta di Hans. Non aveva avuto il fegato, né la stabilità emotiva necessaria per tornare da Anna e i sopravvissuti. Si era portata la cena in camera e vi era rimasta fino a qualche minuto prima.

 Non riusciva ad addormentarsi. Non con tutti questi pensieri che danzavano e vorticavano e le perseguitavano la mente. Erano troppe cose da digerire. L’unica oasi di pace che aveva mai conosciuto era Anna, che tra l’altro stava a una breve camminata di distanza da lei. Un anno di libertà con sua sorella aveva insegnato a Elsa che non c’era bisogno che lei rimanesse sola.

 «Mi chiedevo… Mi chiedevo se forse…» provò a dire Elsa, continuando a non incrociare gli occhi della sorella. «Posso… dormire qui stanotte?»

 Anna batté piano le palpebre, probabilmente certa di star sognando. «Uhm, sì, sì, va bene». Spalancò la porta e le fece cenno di entrare.

 «Grazie» disse Elsa, stringendo il cuscino che si era portata dietro da camera sua.

 La stanza di Anna era simile a quella di Elsa, ma era molto più piccola e molto più disordinata. Guardò la notte fuori dalla finestra, mentre Anna chiudeva la porta e si stropicciava gli occhi.

 «Tutto okay?» chiese frastornata la principessa.

 «Sì, sto bene» replicò immediatamente Elsa. Se non fosse stata così assonnata, Anna avrebbe indagato di più.

 «D’accordo, tu puoi dormire da questa parte, se ti va». Anna scrollò le spalle, arrampicandosi nell’abbraccio confortevole delle sue coperte. «Sai, se volevi un pigiama party come si deve, avresti dovuto chiedermelo quando ero sveglia».

 Elsa sorrise leggermente, sentendo il suo cuore riscaldarsi alla sola vista di Anna. Lei era come il ciuccio di Elsa, riusciva sempre ad allontanare la negatività e a calmarla all’istante.

 «Buonanotte, Elsa» mormorò Anna prima di scomparire sotto le lenzuola.

 Elsa prese silenziosamente posto nel suo lato del letto di Anna, i capelli sciolti che le finirono in volto mentre posava la testa sul cuscino. Aveva molto a cui pensare: ai sopravvissuti, alla lettera per le Isole del Sud che non era mai stata scritta, al dono o alla maledizione di Hans, qualsiasi fosse il termine migliore, e alle mille emozioni che provava e a cui non riusciva dare un nome.

 Pensò ad Anna, pura e semplice, e la sua mente si schiarì subito. Il calore gentile che emanava il corpo di sua sorella rese Elsa assonnata e un sorriso spuntò sul suo viso.

 «Buonanotte, Anna».

 Il mondo di Elsa stava cambiando, ma almeno poteva avere questo attimo di serenità.










¹ Nella versione originale, Hans dice che riempiva di fumo e di cenere la “nursery”, ovvero la cameretta dedicata al o ai bebè. “Nursery” in inglese sta anche a significare “asilo nido” o “reparto neonatale [di un ospedale]”.
² Nel doppiaggio originale di Frozen e in TPatS in inglese rispettivamente, Kai e Hans chiamano Weselton “Weasel Town” per l’assonanza tra le due parole. Nell’adattamento italiano, invece, “Weasel Town” è sostituito con un “Waferton” – perdendo il gioco di parole che si ha con “weasel”, ovvero la donnola, animale che nel mondo anglofono è associato alle persone meschine, subdole e viscide.

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Capitolo 6
*** Sei ***


Sei



Il mondo non cambiò. Sebbene Elsa fosse nel suo studio, fissando con sguardo vacuo i documenti che avrebbe dovuto leggere e cercando di ricordarsi se Hans avesse sul serio prodotto del fuoco dal palmo della sua mano, il mondo non cambiò. Il sole di fine agosto persisteva a splendere attraverso la finestra della stanza, emanando un raggio che faceva intravedere la polvere, invisibile altrimenti. Il sole persisteva a splendere, nonostante il ricordo di una fiammella fosse presente in ogni centimetro dei pensieri di Elsa. Come faceva il sole a splendere persistentemente anche adesso che sapeva di non essere l’unica con i poteri?

 Era un atteggiamento egocentrico, naturalmente, pensare che tutto dovesse ruotare intorno a lei. Almeno, ora, non stai facendo l’egocentrica come quella volta che hai congelato l’intero regno solo per ricevere un briciolo d’attenzione—

 «Zitta un po’» mormorò Elsa alla sua vocina interiore. «Non adesso».

 Parlare così tra sé e sé forse era un comportamento leggermente allarmante, ma in passato si era spesso trovata a poter conversare solo con se stessa, e così si era dovuta inventare un’amica immaginaria con cui chiacchierare. Non ne aveva bisogno, ora che era libera di parlare con chi ne aveva voglia. Ma le vecchie abitudini erano dure a morire.

Non dovresti dirlo ad Anna? Le hai promesso di raccontarle tutto. È per questa ragione se Hans si trova ancora qui, no?

 Lei scosse la testa, cercando di concentrarsi sul foglio di fronte a sé. Rilesse la stessa parola sette volte e tuttavia non riuscì mai a coglierne il significato. Con un sospiro profondo, spinse via il documento e si mise a fissare la polvere danzante nell’aria.

No?

 Non poteva dirlo ad Anna. Non ancora. Non quando Elsa stava ancora cercando di schiarirsi le idee. Il concetto di non essere l’unica con i poteri le sembrava impossibile. E Hans, tra l’altro. Perché non poteva essere la principessa di qualche paese lontano quella a somigliarle? Qualcuno che non le avrebbe attorcigliato lo stomaco ogni volta che avrebbe pensato a lei.

 Eppure… non le si attorcigliava più lo stomaco così di frequente. Non da quando aveva iniziato ad ascoltare le sue storie. E, come tutto ciò che aveva affrontato sinora, era terrificante. Provare un’emozione simile alla pietà per l’uomo che aveva quasi ucciso lei e Anna.

Anna.

 Ecco perché non poteva dirlo ancora a sua sorella. Perché Anna lo odiava ancora. Non sapeva delle sue storie strappalacrime, e apprendere della sua magia avrebbe potuto far nascere in lei dell’entusiasmo. Anche Anna avrebbe potuto cominciare a provare pena per Hans, conoscendo la sua tendenza a perdonare. Ed Elsa aveva bisogno di una voce della ragione. Aveva bisogno che qualcuno le dicesse: «Alloooooora, quando la scriverai la lettera per le Isole del Sud?» Aveva bisogno che Anna odiasse Hans così che lei potesse finalmente guarire da quell’attacco di empatia.

 Elsa fece un respiro profondo profondo e curvò di nuovo la schiena, alla ricerca di un documento che non aveva ancora letto. Aggrottò le sopracciglia e si costrinse a concentrarsi sulle parole.

Regina Elsa di Arendelle,

 Sono consapevole che qualunque lettera proveniente dalla mia famiglia può essere accolta con shock ed essere ritenuta deplorabile, ma…


 Elsa perse nuovamente la concentrazione, la mente che tornava di nuovo al prigioniero con il fuoco nelle proprie vene. I suoi occhi continuarono a scorrere lungo il foglio, ma non ne afferrò il senso fino a quando non vide un nome: Hans.

 Batté le palpebre, convinta di esserselo immaginato. Ma no, eccolo! Andò all’inizio della frase, che diceva:

La morte del principe Hans è stata riconosciuta, cionondimeno è una notizia sconcertante per la quale ci sentiamo apprensivi.

 Elsa strinse gli occhi per la confusione. Cosa? Di chi era questa lettera?

 Afferrò la busta con cui era arrivata e osservò il sigillo. Non era il simbolo delle Isole del Sud. Si trattava invece della Colonia del Nord, uno dei partner commerciali di Arendelle.

 Sbigottita, ritornò alla lettera e la lesse dall’inizio.

Regina Elsa di Arendelle,

 Sono consapevole che qualunque lettera proveniente dalla mia famiglia può essere accolta con shock ed essere ritenuta deplorabile, ma richiedo il Vostro aiuto in questi tempi difficili. La famiglia Westergard non ha avuto scandalo più grave del comportamento perturbante di mio fratello nel Vostro regno e sappiate, pertanto, che non abbiamo motivo per esserVi contro. Scrivo a nome di mia madre, la regina, in quanto lei e mio padre sono stati dati per dispersi da ormai un anno. Dacché residente nella Colonia del Nord, la comunicazione mi è giunta più tardi di quanto avrei voluto, accompagnata da successivi messaggi, pervenuti dalla mia madrepatria, la Catena dell’Ovest e il Changshe, relativi alla scomparsa di tre dei miei fratelli. I verbali informano che gli eventi si sono succeduti a distanza di poche settimane l’uno dall’altro.

 Avrei dovuto comunicarVelo prima, ma ammetto di aver serbato timore all’idea di mandarVi una lettera in seguito ai recenti conflitti tra i nostri regni. Adesso, tuttavia, sento di non avere altra scelta. Sono dell’opinione che il mio fratello più giovane possa essere la causa di queste scomparse. La morte del principe Hans è stata riconosciuta, cionondimeno è una notizia sconcertante per la quale ci sentiamo apprensivi. Quando la nave di mio fratello non fece ritorno alla Catena dell’Ovest, si pensò che fosse perito in mare. Eppure questi avvenimenti mi turbano. Sono giunto alla conclusione che la nave possa essere stata sequestrata da mio fratello e che adesso si stia vendicando ingiustamente contro la nostra famiglia. Che io sappia, lo schema seguito è per ordine di nascita: per primi il re e la regina, poi Campbell, in seguito Francis e quindi John. Il che farebbe di me il prossimo, se la situazione non venisse risolta.

 Mi scuso nuovamente per averVi trascinata nei nostri affari di famiglia, ma essendo stata una delle ultime persone ad aver visto Hans, la nostra famiglia non potrebbe ringraziarVi abbastanza nel caso foste in possesso di informazioni che potrebbero esserci potenzialmente d’aiuto.

 Potete rispondere a me o al principe Jørgen delle Isole del Sud.

 Firmato

 l’arciduca della Colonia del Nord e principe delle Isole del Sud

 Aleksander Westergard


 Elsa non sapeva cosa pensare. Alla fine non le toccava scrivere nessuna lettera: gliene avevano già spedita una loro.

 La versione raccontata da Aleksander cozzava con la verità di cui era a conoscenza. I sopravvissuti arrivati nel suo regno erano la prova che la nave era al momento situata in un cimitero acquatico, e Hans era rinchiuso nelle prigioni dei sotterranei del castello. Non poteva aver rapito la sua famiglia durante quel suo periodo di vagabondaggio.

Tu dici?

 Un anno è un lasso di tempo terribilmente lungo per starsene per conto proprio. Elsa si ricordò dell’Hans il cui sguardo bruciante era pieno d’odio. Lo aveva visto l’anno precedente, quando aveva ordinato che venisse gettato nelle prigioni della nave. Aveva avuto gli occhi di un uomo che sarebbe stato in grado di rapire e uccidere la propria famiglia.

 Elsa si chiese se Ingvalda avesse aperto la lettera. Concluse che la mole di lavoro da svolgere che trascurava sempre si era accumulata troppo persino per la vecchia custode. Controllò la data della lettera e trasalì a vedere che era datata al mese di giugno. Erano passati quasi tre mesi da quando era stata scritta. Il senso di colpa le rivoltò lo stomaco per non essersi occupata per tutto quel tempo della posta e dei documenti.

 Il che la lasciava in una scomoda posizione. Quasi tre mesi fa, il re e la regina delle Isole del Sud erano scomparsi insieme ai loro tre figli maggiori. E se nel frattempo ne fossero scomparsi altri?

 Ma poi pensò… e se avessi già messo fine alla faccenda?

 E se Hans fosse andato di qua e di là a rapire la sua famiglia fino a quando non era stato catturato? E dire che aveva quasi provato pena per lui!

 Ma c’era qualcosa che non quadrava. Perché mai avrebbe avuto bisogno di venire ad Arendelle a rubare una nave se aveva già intenzione di partire per le Isole del Sud? E perché era così fermo sulla decisione di non volerci tornare mai più? Che le sue storie fossero state tutte un’invenzione e una recita? E cosa c’entrava il fuoco in tutto questo?

 Elsa gemette, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. La sua testa sarebbe esplosa se le avessero dato altre notizie angoscianti. Negli ultimi giorni aveva ricevuto tante di quelle sorprese che gliene sarebbero avanzate per un anno.

 Una cosa era certa: non poteva permettere a nessuno di vedere quella lettera. Non a Ingvalda, non ad Anna, né a Hans. Non fino a quando lei non avrebbe scoperto in che razza di situazione era finita. Non poteva permettere che Hans venisse rispedito alle Isole del Sud, non adesso che aveva così tante cose di cui accertarsi. E se era lui il rapitore, il gesto stesso di rispedirlo alle Isole del Sud non sarebbe stato un crimine?

 Si alzò dalla scrivania, rimettendo la lettera nella busta e infilandola su per la manica. Lasciò la stanza, con l’intenzione di andarsene in camera sua e nascondere il documento nel cuscino. Non poteva rischiare di lasciarlo sul tavolo, dove Ingvalda avrebbe potuto trovarlo.

 No, questo doveva rimanere un segreto. Ed Elsa era molto brava a mantenere i segreti.




Il tè delle quindici fu sorprendentemente spensierato. Elsa pensava che con Anna si sarebbe sentita a disagio, dopo tutto quello che le aveva fatto passare il giorno prima. Essere sul punto di svenire e scappare via senza alcuna spiegazione, senza ritornare per dare una mano con i sopravvissuti, e poi svegliarla nel bel mezzo della notte erano ragioni più che sufficienti perché Anna si comportasse in maniera diffidente verso sua sorella.

 Ma Anna aveva il cuore più puro che Elsa avesse mai visto. Dopo averle chiesto brevemente se avesse risolto tutti i suoi problemi, Anna sembrò più che ben disposta a lasciare che Elsa avesse la sua privacy. E la regina ne era grata, pensando che sua sorella fosse nientemeno che un angelo.

 Il che rese la sua reticenza a non confidarle tutti i suoi segreti ancora peggiore. Elsa aveva chiesto a Kai di portarla a lei adesso, la posta, senza che Ingvalda ne venisse a sapere. Lui le aveva domandato se per caso non si sentisse bene, ma eseguiva come richiesto. Ed Elsa aveva le sue buone ragioni: Ingvalda non avrebbe esitato ad agire. Ma Anna era tutto tranne che disonesta con Elsa, e l’unica cosa che Elsa faceva era escluderla e mentirle.

Hai smesso di escluderla dalla tua vita, provò a consolarsi. State prendendo il tè delle quindici come fate sempre ogni giorno. La notte scorsa ti ha lasciata dormire da lei. Ti vuole bene.

 «Sì, e poi uno di quei tizi ha riso in faccia a Kristoff, perché ricordava di averlo visto condividere una carota con Sven, l’anno scorso. Ha detto che, se condividere le carote con una renna l’ha fatto entrare a corte, ci avrebbe provato anche lui. Non è pazzesco?» disse Anna, mescolando il tè con un grazioso cucchiaino.

 «Molto» replicò Elsa, sorridendo. Ringraziò gli dei per essere ancora in grado di sorridere, visti gli ultimi due giorni che aveva passato. «Cos’ha detto Kristoff?»

 «Oh, lo conosci» disse Anna, ruotando gli occhi. «È arrossito in quella sua maniera carina e piccolina».

 Il sorriso di Elsa si allargò. «Carina e piccolina?»

 «Sì!» esclamò Anna con entusiasmo, come se avesse messo tutta la propria anima in quella sillaba. «L’hai mai visto arrossire? È adorabile

 La regina rise e annuì.

 Anna sospirò sognante, ancora nell’atto di mescolare il tè. «I nostri figli saranno così teneri».

 «Oh?» disse Elsa, un sopracciglio che si alzò e il sorriso che si fece malizioso. «Ci avete già provato?»

 A differenza di Kristoff, il rossore di Anna era meno delicato e ricoprì ogni angolo del suo viso. Anche le lentiggini sembrarono essere diventate rosse quando lei smise di mischiare il tè.

 A quella sua reazione, Elsa rise. «E questo, come lo dovrei interpretare?»

 Anna si sciolse in una breve risatina, alzando le mani e coprendosi le guance. «Non è nulla!» la rassicurò. «Oltretutto, Kristoff dice che così correremmo troppo velocemente. Ha detto che è meglio limitarsi a non farci caso». Lentamente, la sua faccia diventava sempre meno imporporata, ma rimaneva comunque più rossa dei suoi capelli. «Ugh, odio quando lo dice. Io voglio vivere adesso

 «Allora le campane nuziali non sono previste nel vostro futuro?» chiese Elsa, sentendosi a suo agio come non mai.

 Anna gemette e la sua testa ricadde all’indietro. «Nooooo! Di questo passo, quando considererà l’idea di chiedermi in moglie avrò, tipo, trecento anni!»

 «Sono sicura che non dovrai aspettare tanto a lungo» la tranquillizzò Elsa, sorseggiando il suo tè.

 Anna era ancora appoggiata indietro, dondolandosi sulle due gambe posteriori della sedia. «Voglio dire, non che aspettarlo mi dia fastidio. Non gli dispiace baciarmi, e quella è già una vittoria. Penso—»

 Le gambe della sedia cedettero sotto il suo peso e Anna strillò quando la sedia iniziò a collassare sotto di lei.

 In un istante, Elsa allungò il braccio in maniera protettiva e gridò: «Anna!»

 Ma Anna non batté contro il pavimento, perché dalla mano di Elsa eruppe un nevischio in miniatura. In meno di un secondo, la sedia e la metà inferiore del corpo di Anna si bloccarono nel ghiaccio.

 Elsa si alzò, coprendosi subito la bocca per lo shock. Anna aveva gli occhi sorpresi e spalancati mentre guardava in che posizione era finita. Per lo stupore di Elsa, Anna iniziò a ridere.

 «Guarda!» ridacchiò. «Un momento imbarazzante immortalato in una scultura vivente. Ben fatto, Elsa, così fai risaltare il mio lato migliore».

 Ma Elsa non rise. Il sorriso che prima era spuntato genuinamente sul suo volto sparì. «Anna, mi dispiace così tan—»

 «Ah, non preoccuparti, è tutto a posto» disse Anna, scrollando le spalle come meglio poteva con una mano intrappolata nel ghiaccio. Usò quella libera per sistemarsi una ciocca dietro l’orecchio. «Potresti liberarmi, però?»

 Elsa stessa sembrava essere stata congelata. A malapena si rese conto di quello che le aveva detto Anna, e pensò invece che aveva rischiato di colpirla al cuore… di nuovo.

 «Io… Io…» mormorò Elsa.

 «Elsa?» chiese gentilmente Anna, il sorriso che svanì. «Ehi, Elsa? Ci sei?»

 «S… sì» disse Elsa, scuotendo la testa. «Mi dispiace, lasciami aiutare».

 Provò a invocare tutti i suoi ricordi felici, i suoi ricordi d’amore. Anna mi vuole bene, Anna mi vuole bene, ad Anna si è congelato il cuore.

 L’amore si corruppe con facilità e si trasformò in una paura paralizzante. Il ghiaccio, che aveva iniziato un po’ a sciogliersi, smise di farlo, liberando il corpo di Anna solo fino alle ginocchia. Elsa adesso aveva problemi a tenere ferme le mani. E dire che stava andando tutto così bene…

 «Uh, Elsa?» chiese Anna. «Hai saltato un pezzo».

 «Ci sto provando» replicò bruscamente Elsa.

 Anna rimase spiazzata, ed Elsa inorridì per ciò che aveva appena detto. Le sue parole si addolcirono, rimpiangendo immediatamente la risposta data.

 «Anna, mi dispiace, io—»

 «Elsa» disse Anna con fermezza. «Tirami fuori di qui e basta».

 Lei avvertì i sensi di colpa tornare ad attanagliarle lo stomaco. «Sì… D’accordo».

 Con il respiro tremante, cacciò il male e attirò a sé solo il bene. Alla fine, il ghiaccio si sciolse e Anna si aggrappò al tavolo prima che la sedia cadesse a terra con un tonfo.

 Le due erano silenziose mentre Anna sistemava la sedia e si ripuliva il vestito umido. Guardò il tavolo, ancora pronto per il tè, e sospirò.

 «Per oggi penso sia abbastanza» disse. «Vuoi che vada a chiamare qualcuno per riordinare tutto?»

 Elsa non poté far altro che annuire, così Anna la salutò e andò a chiedere una mano.

 La regina rimase impalata per un momento, rivivendo ripetutamente la scena nella testa. Non aveva importanza quanto lei ci provasse, continuava a essere paralizzata dalla paura. La paura la ostacolava sempre. Rivide il viso di Anna, esausta e sfinita dei drammi di Elsa.

Anna ti vuole bene, ma si sta stancando.

 Le venne in mente qualcosa che le aveva detto Hans, qualcosa a che fare con l’avere i poteri senza avere il loro controllo. Quelle parole la afferrarono per il collo e la strinsero come un cobra.

 I suoi piedi la guidarono verso un posto dove lei potesse trovare pace, ma stare in camera sua con i guanti addosso non le bastò. Cominciò a vagare per il castello, senza riflettere, fino a quando non riconobbe delle scale acciottolate e si chiese perché il suo corpo l’avesse automaticamente guidata verso Hans.

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Capitolo 7
*** Sette ***


Sette



Quando Elsa entrò nella cella, lo sgabello era già lì, pronto per lei. Hans tamburellava noncurante le dita contro il letto su cui era seduto e alzò gli occhi nel momento in cui entrò la regina. Aveva un sorriso leggermente pieno di sé; il picchiettio cessò.

 «Non riuscite a starmi lontana, non è vero?» ironizzò, ma il sorriso svanì non appena notò che lei era ancora aggrappata alla maniglia della porta, i guanti addosso.

 Si alzò immediatamente, quasi osò fare un passo in avanti, quasi fu sul punto di aiutarla, ma poi i muscoli del suo corpo lo bloccarono. Elsa avrebbe potuto pensare che lui fosse preoccupato per lei e quell’idea era semplicemente ridicola.

 «Vostra… Maestà?» domandò, incontrando lo sguardo della regina. Non dovette neanche menzionare i guanti per capire l’oggetto della sua preoccupazione.

 «Ho avuto un incidente» rispose Elsa sommessamente.

 «Un incidente?» chiese piano.

 Elsa si fissò le mani ancora incollate alla porta. «Non so perché sono venuta qui».

 «Me ne… Me ne volete parlare?»

 Con grande sforzo, lei mollò la presa dalla maniglia e si portò le dita alle tempie. Li tenne in quella posizione, come se cercasse di trattenere il cervello all’interno del suo cranio.

 «No» mormorò.

 «Allora perché siete qui—»

 «Non lo so!» esplose, dandogli le spalle e avvertendo i polpastrelli a contatto con la testa raffreddarsi. Contrariamente alle sue aspettative, Hans non parve neanche lontanamente preso alla sprovvista. Anzi: si sedette, la schiena piegata leggermente in avanti. Non aveva un’espressione né sorpresa né shockata; piuttosto, sembrava interpretare la parte del dottore che esaminava il proprio paziente e ne osservava i sintomi. A Elsa quell’immagine non piacque affatto.

 Lui tacque, limitandosi a guardarla, il che la fece rabbrividire. Si ricordò della lettera dalla Colonia del Nord, si ricordò che c’era la possibilità che Hans avesse rapito e/o ucciso diversi membri della sua stessa famiglia. Aveva provato a uccidere lei e Anna, pertanto, se era pazzo, cosa gli impediva di togliere la vita ai suoi genitori e ai suoi fratelli?

 «Qual è la gravità dell’incidente?» indagò lui.

 Elsa si guardò nuovamente i guanti e ripeté tra sé e sé che aveva la libertà a portata di mano, ma che finiva sempre per essere dominata dalla paura.

 «Io… ho per sbaglio congelato Anna in un blocco di ghiaccio» mormorò, nonostante prima gli avesse detto che non avrebbe aperto bocca.

 «L’avete congelata di nuovo?» esclamò Hans, uno scherno incredulo ad accompagnare le sue parole.

 Lei lo trafisse con un’occhiataccia di stalattiti e lui chiuse il becco, ricordandosi della propria posizione.

 «A quanto pare non sono una che perde facilmente le sue abitudini» sospirò Elsa.

 «Cos’è… cos’è successo?»

 Sulle prime si rifiutò di raccontarglielo, ma poi pensò che sarebbe stato un atteggiamento terribilmente infantile, adesso che ormai gli aveva già rivelato l’esito della vicenda.

 «Stavamo prendendo il tè e Anna è caduta dalla sedia. Io… ho allungato il mio braccio. Non intendevo usare il ghiaccio».

 «Lei sta bene, adesso?»

 Elsa alzò gli occhi, un sopracciglio arcuato in maniera interrogativa. Strano che lui apparisse così preoccupato.

 «Sì…» disse lentamente. «Ma ho perso la calma a causa della mia impazienza e ho… ho…»

 «Sedetevi». Hans interruppe il suo balbettio, indicandole lo sgabello. «Vi racconterò un’altra storia».

 Lei lo fissò, delle domande a dipingerle il volto. «Ma so già cos’è accaduto alla nave. Non ho più bisogno di storie».

 «Solo perché avete ascoltato la favola che volevate, non significa che non ce ne siano altre» controbatté Hans, sedendosi di nuovo sulla brandina della cella. «E poi, vi sono piaciuti tutti i miei altri racconti».

 Elsa se ne sarebbe dovuta andare. Non aveva alcun motivo per rimanere, dato che non voleva ricevere favori da lui. Eppure si sedette sullo sgabello, sistemandosi la gonna. «Che tipo di storia?» lo assecondò.

 «Parla di me, ovviamente» rispose Hans, i lati delle labbra che si incurvarono. «Vi aspettavate diversamente da una persona tanto vanitosa?»

 A Elsa venne quasi da sorridere. Cominciava già a stare meglio, solo un po’. Forse essersi recata qui aveva avuto un senso. Dopotutto, lui sembrava sapere cosa fare. È perché lui ci è già passato prima, no?

 Si rese conto che anche Hans si era ritrovato nella situazione di doversi mettere i guanti, di cercare un rifugio, proprio come era successo a lei. Si chiese se Hans avesse mai avuto qualcuno che lo facesse sorridere e che gli raccontasse storie. Il bisogno di ascoltarle era infantile, ma a lei dava conforto.

 Tra due giorni sarebbe arrivato settembre, dunque l’aria era più tiepida, ma la stanza era comunque abbastanza illuminata e si poteva intravedere la polvere che danzava nella luce.

 «In realtà parla del mio incontro con una persona» ammise Hans. «Avete familiarità con il regno dell’Aruna?»

 Elsa annuì. L’Aruna era uno dei tredici partner commerciali di Arendelle, situato in India.

 «Oltre a voi… ho incontrato un’altra persona dotata di poteri magici. Era dell’Aruna, di sangue reale proprio come noi due».

 Elsa non aveva mai sentito parlare di una persona con i poteri magici che proveniva dall’Aruna. Difatti, prima di Hans, non aveva mai sentito parlare di nessun altro che ne avesse.

 «Chi?»

 «La principessa Bhumi». Pronunciò il nome come se quello avesse un sapore amaro che non riusciva a inghiottire.

 «Non ho mai saputo di una principessa dell’Aruna con i poteri magici».

 «E io sono sicuro che loro non hanno mai saputo di una regina capace di costruire castelli di ghiaccio» replicò Hans passandosi una mano tra i capelli, anche se quelli erano talmente sporchi che l’unica maniera per sistemarli sarebbe stata una buona doccia. «Be’, adesso che il vostro segreto è stato rivelato…»

 La sua voce si affievolì, la mano che cadde dai capelli (Elsa si diede mentalmente un calcio per non essersi resa conto prima di quanto somigliassero al fuoco), e continuò. «Oh, Bhumi. Ci incontrammo dieci anni fa, quando avevo nove anni. L’Aruna era venuta a negoziare un accordo commerciale con la regina e mio padre. Avevano portato con loro la figlia, solo di un anno più grande di me. Mentre discutevano l’accordo, rimasi come al solito nella mia stanza. Bhumi vi irruppe, avendo preso la decisione di farsi un tour del castello. Mi chiese se volessi conoscere il suo segreto. E poi fece crescere un albero in camera mia».

 Elsa batté le palpebre. «Scusatemi, cosa?»

 Un sorriso inconscio spuntò sul viso di Hans, e lui annuì. «Non avete capito male, Vostra Maestà. La principessa Bhumi aveva la capacità di far crescere o rinsecchire le cose. Fuori trovò un albero e lo fece crescere al punto che i suoi rami attraversarono la finestra di camera mia». Ridacchiò leggermente al ricordo. Elsa si rese conto di non averlo mai visto ridere per davvero: Hans si limitava sempre a ridacchiare, e spesso non era neanche sincero. «Fu uno spettacolo. Lei mi invitò ad arrampicarmici sopra e, quando le risposi di no, lo rimpicciolì di nuovo, facendolo tornare alle sue dimensioni precedenti».

 Contemplando il resto della storia, il sorriso di Hans sparì completamente. «Jacob e Wilhelm, rispettivamente il nono e il decimo in linea di successione, la videro» spiegò. «E lo riferirono agli altri miei fratelli. Quella notte mi misero con le spalle al muro con una domanda dietro l’altra. Mi dissero che lei era strana come me e che si sarebbe dovuta vergognare di esserlo. E poi venne loro in mente un piano…»

 Aggrottò la fronte, gli occhi puntati al pavimento. «Ero solo un bambino. Tutto quello che desideravo era la loro approvazione, per una volta nella mia vita. Quando mi promisero che, sbarazzandomi di lei, mi sarei riscattato dalla mia maledizione, colsi l’opportunità».

 Elsa raddrizzò la schiena, allarmata. «L’avete uccisa?»

 «No!» sbottò Hans, alzando lo sguardo. «No, non ero capace di fare del male a nessuno. Non all’epoca, almeno. Invece, la derisi nella stessa maniera con cui mi deridevano i miei fratelli. Usai i loro stessi insulti. Scherzo della natura, disumana, non di questo mondo. Non le ho mai confessato di essere anch’io uno scherzo della natura. La canzonai fino alle lacrime, e lei corse dai suoi genitori e singhiozzò quanto era successo. Quando loro lo sentirono, annullarono l’incontro e chiusero i rapporti con le Isole del Sud.

 «Mia madre ne fu furiosa. Urlò e strepitò e mi graffiò con le sue offese. Fosse stata il tipo da preferire le mani al cervello, mi avrebbe picchiato a sangue. L’unica cosa che potei fare fu starmene lì impalato e tentare di ignorare le sue parole. Ma ne fu valsa la pena.

 «Per alcuni giorni perfetti, i miei fratelli mi guardarono con un sentimento simile al rispetto. Mi batterono pacche sulla schiena, esclamando cose come “Hai fatto la cosa giusta” e “Forse non sei poi così male”. Naturalmente, la settimana dopo tornarono a essere quelli di sempre, ma da ragazzino quei giorni furono un paradiso assoluto. In seguito giurai a me stesso che gli scherzi della natura come me potevano essere trattati solo in un modo: duramente. Non meritavano di esistere e, pertanto, dovevano stare zitti e accettare le botte».

 Tacque nuovamente ed Elsa si chiese se fosse giunto al termine del racconto. Ma quando una nuvola di passaggio oscurò la stanza, Hans continuò. «Dieci anni fa la principessa Bhumi salpò verso casa sua, l’Aruna, e da allora non udii più notizie di qualcuno con i poteri magici. Fino a, be’, voi».

 Elsa era silenziosa. Come poteva una persona essere così crudele con un proprio simile?

 «Hans, voi siete perfido» sentenziò Elsa, la voce profonda.

 Lui non obiettò.

 «È tutto? È questa la storia?» rimbeccò Elsa, avvertendo il calore scorrere nelle sue vene. «Cosa speravate di raggiungere?»

 «Be’, a me pare che non stiate più volgendo l’odio che avete contro voi stessa» osservò Hans.

 Sebbene fosse avvampata dalla rabbia, in quel momento Elsa notò che le sue mani non erano più gelide. Quindi era questo che Hans aveva cercato di fare? Intercettare il suo odio su se stesso? Le sembrava una cosa troppo altruista da parte sua.

 «Toglietevi i guanti» propose lui.

 Elsa si mise immediatamente sulla difensiva. «Non datemi ordini».

 «Sto solo suggerendo, Vostra Maestà, che non riuscirete mai a controllare il ghiaccio se vi limitate a mettervi i guanti ogni qualvolta vi prendete un piccolo spavento» disse.

 La regina si accigliò, una mano avvolta sull’altra. «Ho buone ragioni per farlo. Potrei ferire qualcuno, altrimenti».

 Hans ridacchiò, facendo un gesto in direzione della cella. «Chi rischiate di ferire, qui?»

 Elsa batté le palpebre, fissandolo. Be’, voi avrebbe puntualizzato se glielo avesse permesso l’orgoglio. Dopotutto, a chi sarebbe importato se si fosse fatto male lui?

 Ancora accigliata, si tolse lentamente un guanto, poi l’altro. Hans sorrise, quasi calorosamente, mentre lei li piegava e li appoggiava sullo sgabello.

 «Vi sentite in controllo?» le domandò.

 «Perché state facendo questo?»

 «Rispondete e basta».

 Ponderò l’idea di rivolgergli una linguaccia a rischio di apparire troppo infantile. Ma… in effetti era vero. A stento lo ammetteva.

 «Nel mio caso, l’odio mi aiuta a dominare il fuoco, perché il mio obiettivo è estinguerlo. Io non voglio maneggiarlo, ma spegnerlo. Tuttavia, per voi che amate il ghiaccio, l’odio genera solo terrore» spiegò, come se lui fosse un insegnante ed Elsa la sua studentessa preferita.

 «Come fate a sapere che lo amo?» brontolò lei.

 «Uno che lo odia fuggirebbe per costruire un castello di ghiaccio?» ribatté. «No, voi siete scappata da questo mondo di monotonia e speravate che la solitudine avrebbe significato per voi la libertà di fare ciò che amate davvero».

 Elsa si chiese come facesse un uomo percettivo come lui ad avere un lato tanto terribile. Afferrava cose che lei stessa non afferrava. Aveva conosciuto il tormento che lei aveva passato meglio di chiunque altro. Eppure, quel giorno, aveva comunque preso la decisione di impugnare la spada.

 «Come avete potuto?» lo interrogò.

 «Come avete potuto cosa?»

Ogni cosa.

 «Come avete potuto ferire una vostra simile?» mormorò. «Nonostante quello che avete patito, vi siete comportato come i vostri fratelli».

 Hans sospirò. «Non c’è alcun motivo in particolare, se non che, ai tempi, non avevo princìpi morali miei. Quelli che possedevo li avevo ereditati dai peggiori modelli possibili. Ma un anno trascorso lontano da loro mi ha fatto riflettere e realizzare che, dentro, sono un disastro».

 Rendersi conto di essere un disastro significava infliggere un disastro sulla propria famiglia? Elsa non sapeva ancora che pensare del contenuto della lettera.

 «E come fate a capire così bene i miei poteri?»

 Il principe si appoggiò al muro, aggrottando maggiormente le sopracciglia. «Perché mi ponete tutte queste domande?»

 Elsa si accigliò. «Cerco solo di comprendere. Ho sempre creduto di essere sola al mondo e ho dovuto studiare la magia dai testi antichi e inintelligibili di tomi polverosi. Però ora ho la sensazione di avere un manuale parlante davanti a me».

 Hans affondò ulteriormente contro il muro. «Non so se mi faccia piacere essere paragonato a un vecchio libro impolverato».

 Ma Elsa non udì la sua risposta. Aveva appena avuto un’epifania per via delle parole che gli aveva rivolto. Era sempre stata sola, ma adesso non lo era più. Aveva incontrato qualcuno che era un esperto di magia. E che inoltre era suo prigioniero.

 Immaginò di possedere il potere e il controllo. Avere un potere senza riuscire a controllarlo era pericoloso, lo sapeva dall’esperienza. Ma se lui era in grado di dominare il suo come sosteneva, cosa le impediva di esigere delle lezioni private?

 «Regina Elsa?»

 Con un battito di palpebre, il suo sogno a occhi aperti sparì e lei incontrò le fiamme verdi. All’improvviso, quel peso e quell’enigma da risolvere cominciarono ad assomigliare un po’ troppo a un’opportunità.

 «Io… ho un’idea» farfugliò, la voce che non suonava sicura di sé come avrebbe voluto.

 «Oh?» disse lui, incrociando le braccia. «Che il Cielo ci dia soccorso».

 Lei aggrottò le sopracciglia, ma lasciò perdere. «Avete fiducia nella vostra padronanza?»

 «Che?» la sbeffeggiò.

 «Assecondatemi» replicò rigidamente Elsa.

 Lui sospirò e scrollò le spalle, come un adolescente impertinente. «Immagino di sì».

 «Cosa ne direste di insegnarmi a controllare i miei poteri?»

 Questo catturò il suo interesse. Raddrizzò la schiena e sciolse le braccia. Elsa aveva la sua piena attenzione. «Controllare… i vostri poteri?»

 «Non sono stata abbastanza chiara?» chiese Elsa. «Voglio che mi aiutiate a controllare me stessa».

 Il suo stupore si trasformò velocemente in scetticismo. «Solo perché un semplice esercizio vi ha calmata, non significa che i vostri poteri possano essere contenuti allo stesso modo».

 «E chi dice che non sia così?» ribatté lei. L’aria dava l’impressione di raffreddarsi, poi scaldarsi, poi raffreddarsi di nuovo, come se stessero inconsciamente lottando per la dominanza della temperatura. «Dobbiamo almeno provarci. Sarei disposta a tutto pur di non fare di nuovo del male ad Anna».

 Gli occhi di Hans si allargarono leggermente, dei fili invisibili che continuarono a strattonargli le labbra. «Qualsiasi cosa?»

 Elsa si rese conto dell’errore commesso e gli puntò il dito contro. «Non pensiate che—»

 «Ascoltate, non vi chiedo la corona, d’accordo? Non la voglio più. È impregnata dal vostro disgustoso profumo. Ma collaborerò, a due condizioni».

 Lei strinse e si umettò labbra. «Sentiamole».

 Il ghigno di Hans si allargò. Sollevò un dito inguantato. «Uno, dovete concedermi una camera all’interno del castello. Mi sono stufato di questa cella».

 A Elsa il patto cominciava già a non piacere. «È una richiesta pesante».

 «Oh, e la prossima lo sarà ancora di più» asserì sollevando un secondo dito. «Due, voglio una nave».

 «No» rispose lei immediatamente. «È fuori discussione».

 «Ma davvero?» obiettò Hans sghignazzando. «Da quello che ho capito, sareste disposta a tutto pur di non fare del male a vostra sorella».

 «Lei è più al sicuro se rimanete qui sotto» affermò Elsa, alzandosi dal suo sgabello. «No, domandate troppo».

 Anche Hans si alzò e, nel gesto, le catene gli sbatterono contro le gambe. «Allora siate una regina e negoziate. È quello che fate, giusto?»

 Naturale. Aveva letto centinaia di libri di legge ed era al comando di un regno. L’espressione di Hans sembrava suggeriva che lei avesse trascorso quelle ore in solitudine inutilmente.

 Elsa assottigliò gli occhi e accettò la sfida.

 «Mi insegnerete il controllo dei poteri e vi assegnerò una stanza. Ma sarete sotto la sorveglianza di almeno tre guardie alla volta» disse.

 «Una».

 «Due» offrì.

 «Due guardie» concordò. «E la mia nave?»

 «Niente nave».

 «E allora niente accordo».

 Ci rifletté intensamente per un secondo, cercando di scegliere la cosa a cui dare più priorità.

 «Potrete avere una nave solamente quando riterrò di aver imparato tutto» decretò infine.

 Hans si accigliò. «Chi mi assicura che non mi terrete qui per sempre?»

 «Io non sono come voi, Hans» constatò Elsa altezzosa. «Sono una che mantiene la parola data e, una volta che sarò in controllo di me stessa, vi lascerò andare».

 Hans ci mise un po’ per venire a capo di quelle condizioni, ma alla fine l’assecondò, seccato.

 «D’accordo. È comunque meglio che marcire in questa prigione» sospirò, occhieggiando le varie macchie colorate sui muri di roccia.

 Allungò la mano inguantata ed Elsa fu sul punto di stringergliela, prima di notare che la sua era nuda. Non sapeva a quali regole dovesse attenersi in accordi che coinvolgevano due persone con i poteri magici. Guardò Hans, che pareva star pensando la stessa cosa.

 Poi, lentamente, si tolse il guanto anche lui. Stiracchiò le dita pallide prima di allungare nuovamente la mano.

 Elsa non poté non sorridere un po’ quando gli porse la sua. Le dita di Hans erano veramente calde, specie se paragonate alle sue, che erano gelide. La loro unione le parve perfetta in modo allarmante.

 Il rossore sulle loro facce doveva essere causato dalla differenza shockante tra la temperatura dei loro corpi, concluse lei dopo che si sentì avvampare le guance. Hans arrossiva in una maniera dissimile da Kristoff, che tendeva ad avere una sottile linea rosea in volto, o Anna, la cui faccia si imporporava tutta; sulle sue guance erano comparse due chiazze rotonde che riscaldarono il cuore a Elsa. È solo colpa del suo fuoco, ovvio si rimproverò lei.

 Adesso che si erano stretti la mano, il fuoco e il ghiaccio erano diventati due improbabili alleati.

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Capitolo 8
*** Otto ***


Otto



«Lezione numero uno: la paura. Se volete usare liberamente i vostri poteri, non potete permettere alla paura di ostacolarvi sempre. Perciò oggi proveremo a sradicarla del tutto».

 Elsa cominciava già a rimpiangere la sua decisione. Si trovava nella nuova camera di Hans e, senza i guanti, si sentiva nuda. Sì, per un lungo periodo di tempo se l’era cavata anche senza, ma era snervante esercitarsi con la magia di fronte a quell’uomo. L’avrebbe giudicata per le sue pessime capacità di controllarsi? E se avesse ritenuto le sue prestazioni al limite del ridicolo? E perché me ne importa?

 Era stata una decisione orribile.

 «La paura. D’accordo» ripeté Elsa, cercando di nascondere il fatto che fosse più che terrorizzata e che in quel momento avrebbero potuto eleggerla sindaco del paese dei terrorizzati.

 «Guanti tolti, fatto» disse Hans, spuntando con gli occhi una lista mentale. «Spazio libero, fatto. Finestra aperta, fatto».

 «A che serve la finestra aperta?» chiese Elsa, girandosi per scrutare il cielo dei primi giorni di settembre.

 La bocca di Hans si curvò leggermente, in una maniera sorprendentemente non derisoria. «L’aria fresca mi è mancata».

 In due giorni, il suo aspetto era cambiato drasticamente. I capelli ingarbugliati erano tornati a non somigliare più a una palude in fiamme. In quanto a perfezione, ancora non erano neanche lontanamente paragonabili al taglio pulito e impeccabile che Hans aveva esibito al loro primo incontro avvenuto il giorno dell’incoronazione, e andavano accorciati. Ma il modo con cui gli ricadevano sul volto e con cui lui si ravviava i capelli era non poco attraente.

 I suoi vecchi vestiti sporchi erano stati lavati o buttati: a Elsa non era importato. Lui adesso indossava completi verdi e viola, i colori di Arendelle.

 Anche i guanti erano scomparsi, il che metteva Elsa a disagio. Non che lui la spaventasse, davvero. Se fosse successo qualcosa, si sarebbe difesa con facilità. Solo che era… insolito. Tutto ciò che accadeva in quella stanza e che la riguardava era insolito.

 «Allora, la paura. Ditemi qual è la vostra più grande paura, Vostra Maestà» domandò Hans, passandosi di nuovo una mano tra i capelli.

 «Pensavo che queste fossero lezioni, non sessioni di terapia» constatò Elsa, tentando di rimandare il momento in cui avrebbe risposto.

 «Difatti le mie sono lezioni» confermò lui. «Se vi faccio da insegnante, però, è indispensabile che io conosca esattamente i difetti che dovrò scoraggiare».

 «Che scelta di parole interessante per porre la questione» borbottò Elsa sottovoce.

 Osservò le sue mani. Nude. Fredde. Tremanti.

 «Ho paura di ferire chi mi è intorno» confessò.

 «E?» la incoraggiò Hans.

 «È tutto» tagliò corto Elsa, distogliendo lo sguardo dalle mani. Hans assottigliò gli occhi, analizzando ogni sua mossa. Lei rifletté che le mancava il respiro quando lui la esaminava.

 «Non credo proprio» ribatté lui, scuotendo la testa. «C’è dell’altro».

 Elsa aggrottò le sopracciglia. «Lo saprei, se ci fosse dell’altro».

 Hans scosse nuovamente la testa e alzò una mano al livello del viso. Dal palmo sprigionò una fiamma, facendola risplendere e danzare nell’aria.

 «C’è un che di familiare nei vostri occhi» borbottò, scrutando il fuoco. Poi la sua concentrazione si ruppe per dedicarsi a Elsa e lui sollevò il mento.

 «In questa lezione, congelerete vostra sorella» annunciò.

 Elsa inclinò la testa. «Cosa?»

 Hans si abbassò, così da toccare il pavimento con il dorso della mano. Le fiamme scorsero come seta, ma anziché diffondersi, cominciarono a plasmarsi come se dentro a uno stampo invisibile. Quando presero forma, divennero una copia infuocata di Anna.

 Il cuore di Elsa si fermò. «A-Anna?» sussurrò, le ginocchia deboli.

 «Elsa?» strepitò il fuoco fissandola. «No, vattene!»

 La testa della regina scattò verso Hans, che si sfregava le mani e la studiava. L’espressione di Elsa si inferocì.

 «Che state facendo?» sibilò.

 Hans annuì in direzione dell’Anna di fuoco, che rimirava Elsa con disgusto.

 «Non voglio lei qui, ci farà del male!»

 «Si tratta di uno scherzo di cattivo gusto?» ringhiò Elsa. «È così che intendete insegnarmi il controllo?»

 Lui volse di nuovo un cenno verso l’Anna di fuoco. «Congelatela».

 «L’estate scorsa ho quasi rischiato di ucciderla» obiettò Elsa con asprezza. «E voi esigete che lo faccia ancora?»

 «Quella non è la vera Anna» le ricordò Hans, incrociando le braccia. «Pensate che quella autentica vi direbbe mai cose tanto orribili?»

 Come se interpellata, l’Anna di fuoco iniziò nuovamente a parlare. «Non osare toccarmi con il tuo ghiaccio! Non sarai mai come noi. Sei un pericolo per chiunque ti stia intorno! Mostro».

 «Solo congelandola potete salvare Anna» la spronò Hans.

 Ma quelle parole si insinuarono nella sua mente e la stritolarono come un cobra. Mostro mostro mostro.

 «Mostro» ripeté Elsa.

 «Proprio così» concordò l’Anna di fuoco. «Non sei altro che un mostro».

 «Se la congelate, smetterà di ferirvi» la esortò Hans.

 «Datemi… datemi qualcun altro» rantolò Elsa, chiudendo forte gli occhi. «Non posso fare del male ad Anna».

 Hans si accigliò. «Se voi—»

 «Non importa, datemi qualcun altro. Non constringetemi a congelare ancora Anna» lo supplicò Elsa, scuotendo la testa come se potesse far svanire tutto in quel modo.

 Non si aspettava che Hans avesse pietà per lei, ma l’Anna di fuoco non aprì bocca. Una risatina sinistra spezzò il silenzio.

 «Mostro» malignò la voce facendo le fusa, anche se con un timbro molto più profondo e minaccioso rispetto a quello di Anna. Elsa aprì gli occhi e vide Hans al posto di sua sorella. Aveva l’aspetto sfoggiato dal principe durante l’incoronazione e la differenza con l'uomo dietro a sé era stupefacente.

 L’Hans di fuoco sorrise orribilmente. «Speravi davvero di riuscire a diventare qualcosa di più di un mostro, vero? Non è colpa tua, dopotutto. I mostri non possono decidere se esserlo o no. L’unica cosa che possiamo fare è ucciderli».

 Elsa non avrebbe saputo dire se fosse più inquietante lui o l’Anna di fuoco.

 Il falso Hans aveva zittito quello vero. Quest'ultimo fissava la sua immagine infiammata con il terrore dipinto in faccia.

 «Ma che sfortuna è stata la tua per essere nato con una maledizione. Sei destinato a non ricoprire un ruolo, ed è così sin da quando hai esalato il tuo primo respiro. Credi che divenire re possa rimediare a tutto?» continuò a maliziare l’Hans di fuoco, che però adesso non stava più parlando con lei. Si era voltato verso il vero Hans, soffiando la sua perfidia a un metro da lui.

 Hans era immobile come il marmo, gli occhi puntati con raccapriccio verso la figura che stava avanzando sempre di più.

 «Nessuno ti ha mai voluto e nessuno mai ti vorrà» canticchiò la creatura raggelante. «Il tredici è un numero sfortunato già di suo, non ci sarebbe niente di cui stupirsi se il tuo futuro fosse tetro. Sei nato per procurare soltanto guai. Perché non la fai finita? Il mondo starebbe meglio senza di te».

  Mentre Hans era inerte di fronte alla terribile copia di se stesso, Elsa trovò la forza di sgattaiolare silenziosamente dietro di loro, senza farsi notare da nessuna versione del principe.

 L’immagine incandescente si accostò a Hans, poggiando la mano sulla sua guancia.

 Elsa si avvicinò furtivamente, le braccia tese in direzione della bestia.

 «Oh, Hans» gli disse dolcemente la sagoma rovente. «Se solo qualcuno ti amasse davvero».

 Elsa colpì e il ghiaccio le esplose dai palmi e dai polpastrelli. Il freddo si scontrò con il calore e la creatura sibilò fino a quando non rimase altro che il vapore.

 Quando il fuoco sparì, Elsa ebbe davanti una scultura della torrida creatura. Hans aveva gli occhi sbarrati. Stettero a lungo in quelle posizioni, non sapendo che parole scambiarsi dopo un simile incontro.

 «Puoi generare vite?» chiese lei infine, sommessamente.

 Hans sembrò uscire piano dal suo stato di trance, alzando lo sguardo per inerzia. «No… non generarle. Posso far loro imitare la gente. Ma non hanno nulla da dire che valga la pena ascoltare».

 La mente di Elsa andò a Olaf, che lei aveva creato l’anno prima. Era stato “adottato” dall’orfanotrofio di Arendelle e, da quando era ricomparso Hans, non aveva più avuto occasione di rivederlo. Là Olaf stava benone, le aveva assicurato Anna. Era stata una sua idea. Olaf era troppo adorabile perché lo rinchiudessero nel castello senza lasciarlo divertirsi.

 «Io… immagino che questa lezione sulla paura ci abbia insegnato qualcosa» mormorò Elsa. «Abbiamo entrambi molto su cui lavorare».

 Hans era quieto e si limitò ad annuire.

 «Sono quasi le quindici» seguitò lei, udendo le campane annunciare le tre meno un quarto. «Devo… devo andare».

 Lui restò silenzioso e immoto, come se le scarpe gli si fossero incollate al suolo. Elsa strinse le labbra e fece per uscirsene dalla porta.

 Stringendo la maniglia, non poté fare a meno di girarsi indietro per un’ultima volta. Lui era ancora lì.

 «Hans?» domandò, costringendosi a chiamarlo con un nodo alla gola.

 Lui si voltò lentamente, i piedi che si mossero ma che rimasero fermi nello stesso punto.

 «Forse domani dovremmo partire da qualcosa di più semplice» suggerì lei.

 Dopo un istante, Hans annuì. «Sì… sì. Vogliate scusarmi per oggi».

 Elsa concordò, poi lasciò la stanza per andare a prendere il tè con Anna. Anna, che le voleva bene e che non era l’incarnazione infuocata dei suoi dubbi e delle sue preoccupazioni e dei suoi scheletri nell’armadio.

 E se Anna era il demone interiore di Elsa, adesso lei comprendeva Hans meglio.




«Ehi, so che sei la regina e che dovrei fidarmi del tuo giudizio ed eccetera…»

 «Ma?»

 «Ma…» Anna esitò, mordendosi il labbro mentre camminava accanto a Elsa.

 Le due avevano finito il tè prima del solito perché Anna aveva suggerito di movimentare un po’ le cose andando a fare una passeggiata per le stalle. Inizialmente Elsa aveva ipotizzato che Anna lo avesse proposto perché voleva vedere Kristoff; tuttavia, mentre camminavano e contemplavano gli animali, la principessa sembrava star ponendo tutta la sua attenzione sulla sorella.

 «Ma, uhm, ho l’impressione di non essere granché a questa faccenda della fiducia» bisbigliò infine Anna.

 Elsa assottigliò le labbra, il sangue che si raggelava per il senso di colpa. Si trattava di Hans. Da quando era stato trasferito nella sua nuova stanza, Hans le aveva impartito tre lezioni; e durante la seconda e la terza, loro due avevano ottenuto risultati migliori rispetto alla prima. La regina aveva temuto il momento in cui avrebbe dovuto confessare ad Anna la sua decisione di trasferire Hans dalle prigioni, specialmente dato che non poteva raccontarle ogni cosa. Tuttora Anna non sapeva dei poteri di Hans, per cui dirle che lui era diventato il suo insegnante non avrebbe avuto senso.

 Invece, Elsa era solo stata in grado di dirle fidati di me.

 Aveva permesso a Hans di spingersi a tal punto. Non poteva confessarlo ad Anna, la sua àncora di sanità mentale, o avrebbe rischiato di perdere la sua fermezza. Dirle di fidarsi di Elsa le dava la sensazione di star lentamente uccidendo sua sorella. Dopo tutti quegli anni, erano finalmente arrivate a conoscersi, ma entrambe continuavano a non riporre nell’altra la fiducia necessaria per essere completamente oneste. L’espressione sul volto di Anna era sorridente, ma Elsa riusciva a vedere quanto addolorata fosse internamente. Dietro a quella maschera, non c’era nient’altro che la sofferenza.

 Elsa abbassò le palpebre, il cuore che le batteva forte. Non adesso, non adesso. Pensieri positivi.

 In quei giorni non aveva avuto molti pensieri positivi da cui attingere. La lettera, il rilascio di Hans dalle prigioni, l’afflizione inflitta ad Anna, la piega più che indesiderabile che aveva preso la prima lezione…

 Ma poteva allietarsi grazie ad alcune considerazioni. Dopotutto, lei sarebbe stata in controllo dei suoi poteri non appena Hans avrebbe imparato a dominare pienamente i propri. Ma dopo l’incidente avvenuto, cominciava a dubitare di se stessa. E se persino Hans non fosse in comando di sé? Eppure, la seconda e la terza lezione le erano state di aiuto. Adesso era capace di congelare le pareti senza temere che poi non si sciogliessero. E visto che intendeva padroneggiare la sua magia come Hans, aveva ritenuto che lui fosse la cosa più simile che lei avesse a un esperto.

Anna non capisce nessuno di voi due e tu ti puoi definire tutt’altro che un’esperta.

 Elsa digrignò i denti. Riflessioni del genere sarebbero state la sua rovina.

 «So che è difficile fidarsi senza alcuna spiegazione» replicò con cura mentre sorpassavano un energico stallone. «E… e so che ci siamo promesse di non tenerci più all’oscuro di niente».

 «Ah-ha» concordò Anna in una maniera non esattamente discreta.

 «Ma si tratta di una cosa che devo fare da sola» proseguì Elsa, il cuore che si ruppe non appena pronunciò quelle parole. Sebbene non guardasse Anna negli occhi, percepiva la sua delusione.

 «Elsa, sai bene che non devi più cavartela sempre da sola, sono—»

 «È tutto» decretò bruscamente, fermandosi e facendo segno con una mano – inguantata – per porre fine alla discussione.

 Anna si bloccò e chiuse la bocca, ma, più della sua voce o dei suoi occhi, fu il suo silenzio a esprimere il suo sconforto. Solo ancora un po’. Tu imparerai a controllare i tuoi poteri, lui vi lascerà per sempre, e tu e Anna andrete avanti per la vostra strada.

 «Ti va… ti va bene se terminiamo qui il nostro giro?» chiese Elsa con calma.

 Anna annuì senza aggiungere una parola e voltò i tacchi, camminando via velocemente.

 L’angoscia dentro Elsa aumentava man mano che sua sorella si allontanava. La regina si circondò il busto con le braccia, un gesto che sembrava segnalare un ritorno alle sue vecchie abitudini.

Prima Hans se ne va, e meglio sarà per me.

 Alla fine Elsa raggiunse Anna, ma le due stettero in silenzio. Erano tanti gli argomenti di cui discutere, ma non avevano niente da dirsi. Quando rientrarono a castello, vennero accolte dal membro dello staff preferito di Elsa, Kai.

 «Vostra Maestà, Vostra Altezza» le salutò educatamente con un inchino. Entrambe ricambiarono con letizia annuendo, ma il sorriso si cancellò dal volto di Elsa quando vide le lettere che Kai stava tenendo in mano.

 «La posta, come desideravate» disse lui, porgendole i documenti.

 Elsa congelò. Anna era lì ad assistere alla consegna. Avrebbe sicuramente spifferato tutto ad Ingvalda, e l’ex custode si sarebbe sicuramente insospettita. Gli occhi spalancati di Elsa guizzarono verso la sorella, che osservava la posta con la testa leggermente inclinata.

 Si maledì per non aver riferito a Kai di darle le lettere solo in assenza di Ingvalda e Anna, ma ormai era troppo tardi.

 Esibendo un sorriso, prese le lettere e se le strinse velocemente al petto prima che Anna potesse notare i paesi d’origine dei mittenti.

 «Grazie, Kai» rispose, facendogli cenno di andarsene.

 Kai, che squadrò Anna e parve essersi reso conto del proprio sbaglio, si inchinò di nuovo e alzò i tacchi, lasciando sole le sorelle.

 Elsa non riusciva a guardare Anna. Come poteva spiegarle questo? Fidati di me? Ormai aveva preteso fin troppe volte il suo sostegno.

 «Così… ti fai consegnare direttamente la posta?» domandò Anna con tranquillità.

 «Io sono la regina» replicò Elsa, che in apparenza aveva come sola opzione la difesa.

 «Sì, sì, non lo sto negando», Anna iniziò a parlare senza sosta, «è solo che ho notato che ultimamente sei strana perché voglio dire sembra che l’ora del tè venga sempre interrotta e hai ricominciato a indossare i guanti e i cancelli sono aperti da ormai un anno ma non ti sei fatta nessun amico e hai liberato dalle prigioni il tizio che ha tentato di ucciderci e adesso ti fai dare la posta anche se non te ne sei mai interessata e ho solo…»

 Anna fece un profondo respiro, ma non continuò. Elsa aveva smesso di fissare per terra durante lo sproloquiare della principessa e i loro sguardi si incrociarono.

 «Sono preoccupata, Elsa» concluse Anna. «Ho come la sensazione che tra noi due non sia cambiato niente».

 Elsa si torse i polsi ed ebbe il disperato impulso di circondare con le braccia se stessa o sua sorella. Invece si limitò a stringersi le mani.

 «Ci sono molti cambiamenti in vista. E sto provando a capire cosa stia accadendo. Al momento cerco solo di tenerti al sicuro e… lo so! Lo so, non interrompermi» asserì, alzando una mano non appena Anna aprì bocca. «E prometto, prometto che ti dirò ogni cosa. Solo, non adesso».

 La principessa si intristì, ma sembrò rincuorarsi un po’, il che fu quasi peggio. «O-okay».

 Elsa annuì e si allontanò, non sapendo come chiudere la conversazione. A ogni passo compiuto, il suo viso si incupiva sempre di più.

Era tutto tranne che disonesta—

 «Basta» ringhiò, scuotendo la testa e volgendo l’attenzione ai documenti. Assegnò alcuni di essi a Ingvalda e si interessò particolarmente alle lettere provenienti dalla Catena dell’Ovest e dal Changshe.

 Fece un salto nello studio per lasciare il resto della posta sulla pila di fogli, per poi dirigersi verso il conforto di camera sua.

 Seduta sul letto, si lanciò per prima cosa sulla lettera della regina Simone della Catena dell’Ovest.

 Era una richiesta d’aiuto, analoga a quella inviata da Aleksander della Colonia del Nord. La regina Simone parlava del suo consorte, il re Francis, ormai svanito da mesi:

Spero di poter mettere da parte i disguidi legati alla perdita dei miei delegati e mi scuso per il comportamento di mio cognato, sebbene anch’egli sia scomparso. Tuttavia, dubito che le sparizioni siano collegate. Possiamo solo pregare che Francis non si imbatta nella stessa tomba marina di suo fratello.

 Elsa la lesse velocemente la prima volta e scrupolosamente la seconda, poi prese in mano quella spedita dalla principessa Ning del Changshe.

 Pur differenziandosi nelle parole, il contenuto della missiva era lo stesso: un marito influente che veniva a mancare sotto misteriose circostanze, e una richiesta d’aiuto.

 «Non c’è da stupirsi che fosse invidioso delle loro posizioni» mormorò Elsa. Aveva senso che Hans avesse desiderato la corona al punto da spingersi a uccidere lei e Anna. Il principe Campbell avrebbe ereditato le Isole del Sud, il principe Francis era il re consorte della Catena dell’Ovest, il principe John era sposato con l’erede al trono del Changshe e il principe Aleksander era l’arciduca della Colonia del Nord. E loro erano i suoi quattro fratelli più grandi. Chissà quali onori sarebbero spettati agli Westergard restanti?

 Le balzarono all’occhio dei dettagli, però. Innanzitutto, nessuna lettera menzionava la scomparsa degli altri fratelli. La stessa famiglia, la stessa situazione. Non era una coincidenza: stavano affrontando qualcosa di molto più grande. Qualunque cosa – o chiunque – fosse il responsabile delle scomparse sapeva quello stava facendo.

 Si chiese di sfuggita se si trattasse di una maledizione. Dopotutto, il tredici è un numero sfortunato, giusto?

 Il numero tredici la colpì. Oltre a Hans, qualcos’altro aveva a che fare con il numero tredici. Ma cosa?

 Un’idea scattò dentro la testa della regina, che raddrizzò la schiena. La sua bocca si aprì in una leggera “o”, poi lei nascose le lettere e corse nel suo studio alla ricerca di carta e penna.

 Dopo aver rovistato in giro ed essersi procurata il materiale per scrivere, stilò una lista dei regni alleati economicamente: Arendelle, Weselton, Colonia del Nord, Territorio dell’Est, Catena dell’Ovest, Changshe, Aruna, Corona, DunBroch, Agrabah, Maldonia, Isole del Sud¹.

 I regni congiunti dal patto commerciale erano dodici. Elsa si accigliò, frustrata. Era sicura che le due cose fossero collegate. Meditando, si picchiettò la punta della piuma contro le labbra. E se stesse unendo puntini inesistenti? Era forse in errore?

Errore.

 Hans aveva detto qualcosa a proposito di un errore… ma cosa? Elsa chiuse forte le palpebre e rifletté il più intensamente possibile.

“Il tredicesimo bambino, l’errore che rovina il perfetto equilibrio di dodici figli”.

 Elsa aprì gli occhi con un sussulto. Il perfetto equilibrio dei dodici… ma certo. Non era una coincidenza che i quattro fratelli più grandi di Hans occupassero posizioni di rilievo. Il patto commerciale tra i dodici regni non aveva come solo scopo il commercio: era un menù per i fratelli.

 E Hans era l’avanzo.










¹ Dopo essermi consultata con l’autrice, il nome definitivo per le Terre dell’Ovest tornerà a essere Catena dell’Ovest. Mi scuso per averlo cambiato di continuo, spero di non aver causato mal di testa di confusione a nessuno.
 Tra i nomi dei partner commerciali di Arendelle, due ovviamente appartengono all’universo di Frozen (Weselton e le Isole del Sud) e cinque sono stati inventati dall’autrice (Colonia del Nord, Territorio dell’Est, Catena dell’Ovest, Changshe, Aruna); il resto proviene da altri film della Disney e della Pixar (Corona: Rapunzel; DunBroch: Ribelle – The Brave; Agrabah: Aladdin; Maldonia: La principessa e il ranocchio).

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Capitolo 9
*** Nove ***


Nove



Nonostante l’ora, non c’era niente di particolarmente anomalo nell’irruzione di Elsa in camera di Hans. Dall’aria sorpresa e confusa di lui, però, capì che in quel momento il suo aspetto era probabilmente uno spettacolo: il viso arrossato per l’essersi precipitata lì, e il pugno stretto intorno a un mucchio di carte spiegazzate.

 «Non siamo stati completamente onesti l’uno con l’altro» affermò senza tanti giri di parole quando la porta si chiuse, l’attenzione rivolta all’uomo seduto sul letto con un bicchiere d’acqua e un libro che lei gli aveva concesso.

 Lui dovette poggiare il bicchiere e il libro sul pavimento, dato che gli era stato negato un tavolo. Una volta in piedi, ruotò il collo ed Elsa poté udire i piccoli crac prodotti dai muscoli di Hans.

 «Oh? Vi state vedendo con altra gente magica?» ironizzò lui, la voce leggera. Nell’ultimo periodo era stato decisamente di buon umore. Elsa suppose che fosse perché adesso aveva il diritto di lavarsi.

 Lo sguardo grave di lei lo rese più serio, la giocosità negli occhi che si smorzò.

 «Che succede?» chiese.

 Elsa si occhieggiò le dita: i documenti – ovverosia le lettere che aveva ricevuto e nascosto nella fodera del suo cuscino – erano leggermente congelati sui bordi.

 «Non mi avete mai detto il motivo per cui siete venuto ad Arendelle».

 Hans sbuffò con scherno, incrociando le braccia. Dando per scontato che la situazione non fosse poi così preoccupante, parve tornare velocemente al suo stato di allegria.

 «Sono venuto qui per diventare re. Pensavo fosse ovvio».

 «No, intendo il motivo per cui volevate la corona. E non prendetevi il disturbo di rispondere, so già tutto» ribatté lei, alzando una mano affinché lui non aprisse bocca.

 Gli crollarono le spalle e mise su il broncio.

 «Voglio sapere perché non mi avete mai raccontato il piano della vostra famiglia» si affrettò a dire Elsa, come se non fosse in grado di porgli quell’interrogativo a meno che non lo soffiasse in un respiro.

 Quella domanda attirò l’attenzione di Hans meglio di uno schiaffo. Il broncio si trasformò in shock. Mutò in uno specchio del passato, una copia esatta dell’istante in cui lei ebbe scoperto i suoi poteri. Elsa lo stava denudando di ogni suo singolo segreto.

 «Io… Non so a cosa vi riferiate» farfugliò, gli occhi rivolti in basso. Quell’anno trascorso da solo lo aveva cambiato per davvero. L’esperto in menzogne che Elsa aveva conosciuto brevemente era quasi completamente scomparso.

 «Vostro fratello maggiore Campbell è l’erede al trono che succederà a vostra madre» iniziò a elencare lei, aprendo le lettere e scorrendo gli occhi lungo il loro contenuto. «Il secondo, Francis, a cui avete preso la nave, è il re consorte della Catena dell’Ovest. John, il promesso sposo della principessa del Changshe. Aleksander, l’arciduca della Colonia del Nord. E il resto dei vostri fratelli si sta facendo strada in altrettante corti, persuadendo le loro famiglie reali con moine dolci, non è vero?»

 La confusione di Hans aumentò e divenne ostilità, mettendolo sulla difensiva piuttosto che farlo cedere. «Come siete venuta a conoscenza di tutte queste informazioni? Che c’è scritto in quelle carte?»

 Ma Elsa non si fermò. «Dodici fratelli, dodici regni. I vostri genitori hanno ideato un piano per prendere il controllo di tutti i paesi che sono vostri partner commerciali. Immagino la loro sorpresa quando è saltato fuori un tredicesimo inaspettato e superfluo».

 Hans si sgretolò in frantumi, come se fosse tornato bambino. Ammutolì.

 «Non era affatto nei loro progetti farvi conquistare Arendelle, vero?» proseguì Elsa più flebilmente. «I vostri genitori vi hanno mandato qui dopo avervi comunicato la loro decisione di includervi. Avete creduto di essere stato finalmente riconosciuto come figlio. Ma loro sapevano che avreste fallito. Però non riesco a spiegarmi la ragione per cui avrebbero rovinato i loro rapporti con noi pur di—»

 «Vi sbagliate» sbottò bruscamente lui.

 Lei tacque, fissando l’uomo che l’aveva interrotta. Hans era adirato, ma gli occhi verdi si addolcirono quando incontrarono quelli di Elsa.

 Con un sospiro profondo, si strofinò la fronte e si passò una mano tra i capelli, anche se le sue ciocche più lunghe erano state tagliate giorni fa. Le indicò il suo letto, dato che lo sgabello era stato lasciato nelle prigioni.

 Raggiungere il letto e accomodarsi lì erano gesti da niente, ma Elsa dovette costringere se stessa a farlo. Sedersi dove sedeva Hans significa avvicinarsi a lui. Perché la cosa la spaventava e la eccitava al contempo?

 Lui si allontanò da lei di un metro, abbastanza da darle il proprio spazio personale. Puntò gli occhi verso il muro accanto a sé, nel tentativo di non incrociare nuovamente lo sguardo di Elsa.

 «Non siete in errore» cominciò a mormorare. «Fui una sorpresa per tutti. Sarebbero dovuti nascere solamente dodici principi, dodici principi che avrebbero controllato dodici paesi. Le Isole del Sud avrebbero avuto regnanti in ogni nazione. Ma mio padre non c’entra niente. Lui è il re consorte, dopotutto. Quella a bramare il potere è la regina».

 Elsa si ricordò delle parole affezionate con cui lo aveva sentito descrivere suo padre, l’unica persona che pareva non avergli mai fatto del male.

 «E non è vero che mi mandarono ad Arendelle intenzionalmente. Arendelle era stata promessa a Jørgen, il settimo di noi fratelli. Era previsto che Francis gli prestasse una nave, dato che l’ambasciatore della Catena dell’Ovest avrebbe partecipato alla vostra incoronazione. Dando un passaggio a Jørgen, lo avrebbero condotto qui perché civettasse con voi, con vostra sorella o con qualcuno della vostra corte, e diventasse potente.

 «Ma ne fui invidioso, ancora più del solito. E alla fine… scattai. Il giorno della partenza, feci le valigie e dissi all’equipaggio che c’era stato un cambio di piani e che avrei sostituito Jørgen. Li forzai a salpare prima che potessero mettermi in dubbio. All’idea di essere in viaggio per Arendelle, mi girò la testa».

 Si zittì ed Elsa gli scrutò il viso. Aveva un’espressione mortificata. Quell’anno lo aveva trasformato in una persona diversa… a meno che non stesse solo recitando. Si ricordò delle supposizioni di Aleksander, che riteneva che Hans avesse rapito i membri della sua famiglia, e strinse forte la lettera.

 «Il mio quinto fratello, Louis, al momento sta manovrando le decisioni dello zar del Territorio dell’Est. Non ha potuto sposarlo, ma è risaputo che lo zar sia solito prendere amanti, nonostante abbia per moglie una rogna» le confidò Hans con una leggera risatina. «Non sono l’unico fallito, però. Charles si sta lavorando l’Aruna da anni, e con scarso successo. Be’, per quanto ne so io. Magari quest’anno ci è riuscito».

 Parlando di queste cose, il verde dei suoi occhi si era offuscato. Le sue spalle, sconfitte, si erano incurvate, e la sua voce vacillava appena. Nessuno era in grado di mentire in una maniera così convincente. Un anno fa, invece, i suoi modi avevano avuto un che di… artificiale. Non era stato lui a rapire la sua famiglia.

 «Non potete proprio tornarci, vero?» constatò piano Elsa.

 Lui inclinò la testa e le rivolse un’occhiata.

 «Tutti vi considerano morto e ne sono felici. Se tornaste là, vi punirebbero per aver rischiato di mandare in fumo i loro piani, non per aver cercato di conquistare Arendelle».

 Lui annuì, esaminando le proprie mani. «Temo per la mia vita».

 Elsa scosse lentamente il capo. «Se in questo momento state dicendo la verità, vostra madre è perfida».

 Una risata soffocata risuonò dalla bocca di Hans, le spalle che si alzavano e che ricadevano bruscamente. «Oh, non immaginate nemmeno».

 Sospirò, chinando il capo quando il suo scoppio di risa scemò, e su loro due calò nuovamente il silenzio. Lui sollevò la testa e la guardò, le sopracciglia arcuate.

 «Devo sapere, come l’avete indovinato? Voglio dire, prima i miei poteri, e adesso questo? Sono un libro aperto?»

 Elsa si sentì in colpa senza che ce ne fosse il bisogno, le lettere che scottavano nel suo pugno. «Be’… Anch’io non sono stata completamente onesta».

 Come se le avesse letto la mente, lo sguardo di Hans si spostò sui documenti. Si piegò in avanti e provò ad afferrarli, ma Elsa se li portò velocemente al petto, gettandogli un’occhiata di avvertimento.

 «Di che si tratta?» chiese Hans con curiosità, una leggera tinta di pericolo nella sua voce.

 Lei li poggiò sul suo grembo e gli allungò la prima lettera – quella di Aleksander – cautamente. Forse stava commettendo un errore. Se fosse Hans il rapitore della sua famiglia, esibendo quelle lettere cosa sarebbe accaduto in lui? E a lei?

 Hans la prese, sull’attenti all’improvviso. Quando riconobbe la provenienza, la sua faccia si contorse.

 «È il sigillo della Colonia del Nord» affermò, scrutando Elsa per ricevere una conferma.

 Lei annuì, poi fece cenno al foglio che lui aveva in mano, come a suggerirgli di leggerlo.

 Hans procedette a farlo, stringendo le labbra e aprendo la busta.

 Intanto che scorreva lo sguardo lungo la carta, Elsa lo studiò insistentemente. Si accorse che, durante la lettura, le sopracciglia di Hans erano in costante movimento. Mentre le labbra pronunciavano silenziosamente le parole di Aleksander, quelle si arcuarono e si inclinarono. Dopodiché si accigliarono in segno di un’eterna confusione. Lentamente, posò la lettera sulle cosce, continuando a fissarla.

 Girò la testa verso Elsa e lei notò l’emozione dipinta sul suo volto. Era per caso… timore?

 «Perché non me l’avete mostrata?» domandò lui sommessamente.

Siete mio prigioniero, non sono obbligata a mostrarvi niente rimbeccò lei mentalmente.

 «Non… Non so. Mi sono detta che potevo gestire la faccenda da sola. Non sapevo cosa credere, ma poi mi sono arrivate queste missive dal Changshe e dalla Catena dell’Ovest» si giustificò porgendogliele, e lui le agguantò e rischiò di strapparle nella foga.

 «Nessun altro le ha viste» spiegò mentre gli occhi di Hans dardeggiavano da una riga all’altra. «Giusto nel caso ne riceva ancora, tengo la posta lontana da Anna e Ingvalda. Non voglio che si preoccupino».

 «Chi è Ingvalda?» indagò sbrigativamente Hans mentre proseguiva con la lettura.

 «La cugina di mio padre, penso. Non lo so. Quando sono morti i miei genitori, Ingvalda è stata mandata qui ed è stata nominata custode di Arendelle fino al giorno della mia incoronazione. Tutt’oggi vive qui, mi aiuta. A dire la verità, ancora svolge quasi tutti i suoi vecchi doveri».

 Hans sollevò lo sguardo, le sopracciglia di nuovo alzate. «Sbriga il vostro lavoro?»

 A Elsa si arrossarono le guance. «Non la costringo, è lei che si è offerta volontaria. Immagino che le piaccia. Ed è difficile sbarazzarsi delle vecchie abitudini, per cui è molto gentile da parte sua incaricarsi dei miei compiti più ardui mentre mi adatto al ruolo di regina».

 Lui sembrò scettico (come se fosse nella posizione di giudicare le sue azioni), ma tornò a leggere. Lei lo lasciò fare in silenzio finché Hans non spinse via i fogli da sé.

 «Be’, che liberazione» mormorò, contemplando il paesaggio fuori dalla finestra.

 Elsa strinse le labbra e guardò le lettere. Rimise in dubbio la sua decisione di rivelargli la loro esistenza. Le prese in mano e le ripose nelle buste, mentre Hans chiudeva gli occhi e si appoggiava al muro.

 «Non ne avete altre?» borbottò, coprendosi il viso con le mani.

 «No, ne ho ricevute due solo oggi» replicò Elsa. Lungo la carta scorse le sue dita, grata del fatto che non lasciassero una scia di ghiaccio. «Siete davvero così indifferente alla vostra famiglia?»

 Hans era silenzioso; le sue mani celavano qualsiasi espressione potesse svelare le sue carte.

 Elsa andò in panico. E se fosse lui il colpevole? La persona che aveva rapito i membri della sua famiglia: e se li avesse uccisi? Si nascondeva perché stava scegliendo la reazione da esibire, vero?

 Mentre il battito del suo cuore accelerava, lui finalmente si scoprì e rivelò una faccia insensibile. Non avrebbe tradito alcuna emozione.

 «Sì» confermò con freddezza. «E la mia indifferenza dovrebbe essere considerata una gentilezza nei loro confronti. Quando mai mi hanno rivolto un briciolo di preoccupazione? Be’, non si meritano la mia. Sono felice che il piano della regina sia andato in rovina. Applaudo l’assassino, il rapitore, chiunque questa persona sia».

 Elsa si sentì delusa. Che ti aspettavi? rimuginò. Che ammettesse in lacrime che, nonostante gli anni passati, li avesse perdonati e fosse in pensiero per loro?

 «Non vi importa nemmeno di vostro padre?» chiese piano.

 Lo vide serrare la mascella. Era quella la fessura nella sua armatura.

 «Vi ringrazio per avermi informato di queste lettere». Hans evitò di ribattere e, con una leggera rotazione del polso, fece un gesto per scacciare le carte, come se quelle potessero scomparire nel nulla. «Anche se non sono un mio problema».

 «Vi dovreste allarmare se qualcuno mai le trovasse» lo avvertì Elsa, alzandosi dal letto.

 Hans incrociò le braccia. «Oh?»

 «In fondo, Aleksander riteneva che foste voi il rapitore» spiegò lei, la voce che fu via via sempre più sommessa e fiacca. Meno male che dovevi essere discreta.

 Hans raddrizzò la schiena e sciolse le braccia. «Voi credete che… io…?»

 «Non lo sto insinuando». Elsa si precipitò a correggersi. «Dico solo che, se qualcuno cogliesse parola di queste lettere, non otterreste mai la vostra nave».

 L’idea di una vita passata in cella mitigò l’atteggiamento del prigioniero. «E cosa dovrei fare?»

 Lei meditò, poi con un sospiro gli rispose: «Sperate. E affrettatevi con le vostre lezioni. Prima ve ne andate, e meglio sarà per tutti».

 Ma non appena lo disse, non poté fare a meno di sentirsi a disagio. Sarà davvero meglio per tutti? Dopotutto, oltre a Hans, era Anna l’unica persona con cui lei si confidava, e solo di rado. Per via degli anni trascorsi a tacere la verità a sua sorella, a Elsa risultava difficile aprirsi con lei.

 Il discorso fatto prima dalla principessa le era rimasto in testa. …e i cancelli sono aperti da ormai un anno ma non ti sei fatta nessun amico…

 Elsa non ne aveva mai avuto uno. Oltre ad Anna, ovviamente, ma loro due erano dello stesso sangue. Condividere un legame simile con una persona scelta di sua volontà: Elsa ci aveva spesso fantasticato sopra.

 In un apparente attacco di pazzia, le scappò di bocca: «Hans, voi siete mio amico?»

 Il principe si ritrasse lievemente, come se una folata di vento lo avesse spinto all’indietro. «Che?» commentò con una leggera ridarella.

 Elsa era consapevole di star arrossendo. Che cosa stupida da dire.

 «È poco appropriato per una regina porre una domanda del genere al proprio prigioniero» la prese in giro Hans, facendole desiderare di poterselo rimangiare.

 «Ma» proseguì lui, «immagino… immagino di sì».

 Come mai, non appena glielo ebbe sentito dire, le farfalle cominciarono a spargersi per lo stomaco di Elsa? Non riuscì a trattenere un sorrisino.

 «Anche se suppongo di non poter parlare» ammise Hans. «Non ho mai avuto amici».

 «Nemmeno io» bofonchiò Elsa, gli occhi che incrociarono lentamente quelli di Hans. Il verde incontrò il blu ed entrambi avvamparono.

 Avrebbero voluto dire qualcosa, ma nessuno dei due riuscì a capire cosa in particolare. Per cui stettero in silenzio e i loro sguardi ruppero il contatto.

 «Allora… le lezioni. Domani alle quattordici?» si assicurò Elsa.

 «Sì. Sì, naturalmente» promise lui. «E farò del mio meglio per affrettarmi».

 Sia per la regina che per il criminale, l’idea di affrettare le cose parve stranamente meno allettante.

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Capitolo 10
*** Dieci ***


Dieci



L’orfanotrofio era stata un’idea di Anna, naturalmente. Intanto che Elsa si logorava in camera sua anno dopo anno, la giovane Anna – appena quindicenne – aveva cercato di trarre qualcosa di positivo dalla morte del padre e della madre. Si era resa conto che altri non avevano genitori né tutori, mentre lei aveva un castello e una sorella e un’Ingvalda che si era di recente trasferita da loro. Quelle persone, invece, non avevano niente.

 Aveva contattato la custode e l’aveva scongiurata perché facesse costruire un orfanotrofio. Il suo desiderio era stato esaudito e, da allora, Arendelle aveva un luogo in cui accogliere tutti i bambini meno fortunati.

 Elsa aveva difficoltà a sorridere in un posto simile. Intorno a sé c’erano bambini che giocavano e ridevano senza alcuna preoccupazione. L’aria di festosità era acuita dalla presenza del pupazzo di neve. Ma… come facevano a essere così gioiosi?

 Quando il re e la regina erano periti in mare, Elsa aveva creduto che non sarebbe stata più felice. Difatti, dopo l’avvenimento, aveva assaporato qualcosa di somigliante alla serenità solo durante la sua fuga verso la Montagna del Nord, quando aveva finto di poter riniziare da zero.

 Se provava sdegno per dei bambini, era caduta davvero in basso. Lo sapeva. Ma scrutandosi attorno, vide i loro sorrisi senza dentini e le loro risa scroscianti e pensò a quanto fosse stata ingiusta la sua incapacità di tornare a sorridere e ridere quando suo padre le aveva imposto di portare i guanti.

 «Elsa!» Anna rise, trascinandola via dalle proprie amare considerazioni. «Vieni a giocare!»

 Elsa forzò un sorriso per la sorella, che adesso stava agitando una carota tenuta stretta nel suo pugno. Un pupazzo di neve, il proprietario del naso rubato, saltellava all’insù nel tentativo di raggiungerlo con i rametti che aveva per braccia.

 «Non è giusto! Non riesco ad arrivarci!» protestò Olaf, allungandosi invano. La cosa fece scoppiare i bambini in una risata fragorosa.

 «Prendete!» disse Anna, tirando a loro la carota. Un ragazzino l’acchiappò con entrambe le mani e se la strinse forte al petto, un largo sorriso in volto.

 Olaf si girò e corse verso il ragazzino. «Ridammela!»

 Quello strillò e scappò, in testa a un’orda fuggente di bambini.

 Il pupazzo di neve li seguì con la sua andatura a papera, strillando: «Ehi, ridammela! Guai a te se mi mangi il naso!»

 All’infuori delle due sorelle, la stanza si spense improvvisamente di vita. Anna aveva il viso illuminato dalla contentezza e le sue guance erano chiazze rosa di puro gaudio. Si voltò in direzione di Elsa, che simulò nuovamente un sorriso. A dire la verità, respirare le era più facile adesso che i bambini se n’erano andati.

 «Non è grandioso, qui?» osservò Anna con un sospiro. «Olaf ha detto che i bimbi hanno sempre voglia di giocare. Il che è fantastico, dato che non riesco a ricordare l’ultima volta che l’ho visto senza energie».

 Elsa rimirò quella che era la sala da pranzo degli orfani. Vi era una lunga tavola, con sedie allineate lungo ogni suo centimetro. Una ciotola stava nel mezzo, priva di briciole di avanzi.

 Con un dito tracciò il legno del tavolo, sforzandosi di essere lieta per loro. Di non essere afflitta per quei bambini che, nonostante le tragedie affrontate, erano riusciti a tornare a comportarsi normalmente e giocare e ridere e sedersi a tavola con la loro nuova famiglia.

 Quei bambini possedevano poco, ma erano ben più ricchi di Elsa.

 «Elsa?» la chiamò Anna, risvegliandola una seconda volta.

 «Sì, scusami» replicò, scuotendo la testa e scrutando la sorella negli occhi. La luminosità gioiosa di Anna svanì e persino le trecce sembrarono afflosciarsi.

 «Tu stai… bene?» chiese la principessa. «Voglio dire, non so esattamente cos’hai per la testa e, dato che per me non sei proprio un libro aperto, non riesco mai a capirlo, ma…»

 Elsa attese il termine della frase e Anna fece una pausa per mordersi il labbro e guardarsi in giro per la stanza.

 «Ha… ha a che fare con i nostri genitori?»

 Forse Elsa non era un libro chiuso come credeva sua sorella. L’ipotesi di Anna fu confermata dall’assenza di una reazione da parte della regina e dal suo sguardo schivo che guizzava velocemente per la superficie del tavolo.

 «Quando ho visitato per la prima volta l’orfanotrofio, mi sono sentita un po’ a disagio» confessò Anna, appoggiandosi a una delle sedie poste dal lato opposto a quello di Elsa. «Voglio dire, quando sono morti i nostri genitori non avevamo nessuno se non l’un l’altra, e… be’, siamo state entrambe molto sole. E non hai nessuna colpa» si affrettò ad aggiungere, temendo di ferire Elsa e di riaprire vecchi tagli. «So perché ti sei allontanata da me».

 «Non avrei dovuto» mormorò Elsa, continuando a fissare il tavolo.

 «Hai fatto del tuo meglio». Anna scrollò le spalle.

 «No, non è vero» ribatté la regina, alzando gli occhi. Anna aveva in mano una treccia e se la stava tirando leggermente, un tic nervoso. «Se avessi fatto del mio meglio, sarei stata una sorella migliore. Avrei padroneggiato i miei poteri e non ti avrei tagliata fuori dalla mia vita».

 Anna rimase per un attimo in silenzio. Elsa sapeva cosa stava rimuginando: Sì, avresti potuto. Ma non l’hai fatto.

 «È che… anche questi bambini ne hanno passate di tutti i colori. Una delle piccoline ha ucciso per sbaglio i genitori preparando alcune tortine con delle bacche avvelenate» spiegò Anna. «E si sta facendo aiutare per riprendersi dal trauma, ma non supererà mai il senso di colpa.

 «Non potevamo sapere che ci sarebbe stata una tempesta, Elsa» enfatizzò. «Non possiamo prendercela con noi stesse».

 Il cuore di Elsa si contorse in spasmi e lei ebbe difficoltà a stare in piedi. Prese posto su una delle sedie piccine e la principessa la imitò.

 «Però… se solo li avessimo pregati di non partire—»

 «Elsa» la interruppe Anna con fermezza. Si allungò da sopra il tavolo e le afferrò la mano. Elsa sussultò appena. «Può sembrare un salto enorme, ma devi affrontarlo».

Devi affrontarlo¹.

 Aveva familiarità con quel consiglio. Quando era scappata dai suoi problemi e aveva costruito un castello di ghiaccio. Era ingiusto che le parole che si era detta durante la sua fuga fossero valide per uno dei problemi da cui stava correndo via. All’epoca aveva pensato che forse i suoi demoni sarebbero scomparsi di colpo, se solo avesse tentato di scacciarli.

 Anche qualcun altro di sua conoscenza si aggrappava ai propri demoni. I ricordi con protagonista Hans, immobile e terrorizzato perché sotto il controllo di una sua copia infuocata, finirono alla deriva nella mente di Elsa. L’Hans di fuoco l’aveva spaventata e le aveva rammentato il mostro che era stato lui in passato. O che ancora era? Che fosse rimasto la stessa persona?

 Scrutò di nuovo il tavolo, cercando delle risposte nei mulinelli del legno pieno di graffi.

Il resto è storia ormai, che passa e se ne va¹.

 Elsa fece un profondo respiro ed espirò via una parte delle sue preoccupazioni.

I miei genitori sono morti.

Avrei potuto trattare Anna meglio.

Hans era un mostro spregevole.

 Ma queste erano questioni fuori dalla sua portata. Non erano problemi su cui poteva torturarsi; esistevano perché lei desse loro rimedio. Non era capace di far tornare in vita i suoi genitori, ma poteva trattare la sua sorellina amorevole e premurosa come una principessa, come meritava di essere trattata. E Hans… di recente aveva accettato la nozione che lui fosse il suo primo amico al di fuori della famiglia. Doveva sperare che quell’Hans fosse perito nelle fiamme da tempo e che dalle ceneri ne fosse riemerso uno nuovo. O che ne sarebbe riemerso uno nuovo un giorno. Sarebbe stato una fenice.

 Anche a lei non mancavano gli ostacoli da superare. Non poteva permettere al suo senso di colpa e al suo panico di graffiarla e lacerarla ogni giorno. Si ricordò di una vecchia storia che le aveva raccontato Gerda da piccola, la Leggenda del Junco delle Nevi, una creatura che aveva timore di giocare con gli altri uccellini, ma che poi si fece coraggio e iniziò a fidarsi di loro e ad amarli. Quando divenne talmente prode da affrontare il loro nemico senza forma, la Paura, venne fatto re.

Io sarò il junco delle nevi rifletté Elsa. E Hans sarà una fenice.

 Finalmente restituì lo sguardo ad Anna, un sorriso genuino in volto, e annuì. «Hai ragione» concordò. «Grazie».

 La bocca di Anna si incurvò dalla felicità. Ancora mano nella mano con la sorella, la principessa gliela strinse per rassicurarla.

 «Odio vederti triste, Elsa» sospirò. «Tu meriti di essere felice».

 Prima che Elsa potesse rendersi conto delle tiepide bolle di orgoglio nel suo stomaco, un pesante rumore di passi si introdusse nella stanza.

 «Kristoff!» lo salutò Anna, che lasciò la mano di Elsa per saltare al collo del fidanzato. Kristoff fu leggermente colto alla sprovvista e rise, mentre Anna lo abbracciava entusiasta. Si schioccarono un bacio veloce, poi Anna gli si avvinghiò addosso.

 «Avevo la netta sensazione che ti avrei trovata qui» esclamò Kristoff con la letizia nella voce. Notò Elsa e annuì rispettosamente nella sua direzione. «Anche se devo ammettere che è una sorpresa imbattersi in voi».

 Elsa gli sorrise e si alzò, ricambiando il cenno del capo. «Ci sono già venuta un paio di volte. È stata un’idea di Anna quella di portarmi qui».

 «Ah, sì?» domandò Kristoff, girandosi verso la ragazza con un sorriso stupidamente innamorato.

 «Sì, pensavo che sarebbe stato bello fare visita ai bambini e a Olaf» replicò Anna, poi batté rapidamente le palpebre quando che si ricordò di una cosa. «Oh, cavoli. Me ne sono completamente dimenticata! Oggi dobbiamo andare a cavallo, vero?»

 «Be’, era quella l’intenzione» ribatté Kristoff, strofinandosi la nuca. «Il tuo cavallo è fuori, ma se sei impegnata con Elsa—»

 «No, no, sono una tale imbecille». Anna gemette, punendosi con uno schiaffo alla fronte. «Non mi è nemmeno venuto in mente!» Si voltò verso la sorella con un’espressione depressa. «Elsa, mi dispiace tantissimo. Oggi non potremo prendere il tè insieme. Ho promesso a Kristoff di andare a cavalcare e fare un picnic. Cioè, se vuoi unirti…»

 Ma si capiva che sia Anna che Kristoff non avevano nessuno se non l’altro per la testa. E oltre a non voler essere la terza ruota del carro, Elsa quel giorno aveva già fissato una lezione con Hans.

 Per cui agitò una mano, dicendo: «No, tutto a posto. Voi due divertitevi».

 Anna ammiccò in segno di gratitudine. Di punto in bianco, un Olaf senza naso entrò nella stanza. I suoi piccoli occhietti brillanti individuarono Kristoff e la sua faccia si illuminò.

 «Oh, bene! Kristoff è qui! Dammi una carota, credo che mi abbiano appena mangiato il naso».




«Lezione numero quattro» proclamò Hans, le mani incrociate elegantemente dietro la schiena. «La fiducia».

 «La fiducia?» ripeté Elsa, stirando alla cieca le sue braccia in avanti. «Sapete, sono del parere che da bendata non riuscirò a fidarmi molto».

 Nel buio del nulla, avvertì la sua mano venire stretta da quella di Hans. «Questo esercizio vi aiuterà a sviluppare l’agilità e l’accuratezza. Controllare i vostri poteri significa poter contare su di loro anche senza far uso dei cinque sensi. E la vista è essenziale».

 La guidò verso il letto e l’aiutò a prendervi posto. Lei vi si sedette posando con finezza le mani sul grembo, in attesa di istruzioni.

 «Voglio che costruiate una statua in quello spazio vuoto del pavimento» le disse Hans. «Senza guardare».

 Elsa si accigliò. «Ma… e se colpissi qualcosa per sbaglio?»

 «Basta che vi concentriate» la rassicurò Hans. Lei sentì un peso sul letto muoversi e ipotizzò che si fosse seduto anche lui. «Cosa volete creare?»

 Elsa si morse il labbro e cercò di focalizzarsi in direzione del pavimento. Stava in basso senz’altro. Formò un’immagine nella sua mente e volse i palmi verso il pavimento di pietra. Mentre scolpiva una statua alla cieca, percepiva il flusso di ghiaccio rilasciato dai suoi polpastrelli.

 Udì la risatina di Hans accanto a sé e si fermò. «Che c’è?»

 «Uhm? Oh, niente, niente» mugugnò lui, schiarendosi la gola. «Proseguite».

 Lei lasciò perdere e continuò a lavorare. Alla fine, terminò il suo capolavoro.

 «Posso vedere?» sbottò con impazienza, senza aspettare che Hans le desse il suo permesso per togliersi la benda. La visuale con cui lei venne accolta non fu piacevole.

 Il pupazzo di neve che aveva provato a realizzare aveva una base e un busto, ma la testa era sbilenca e penzolante a destra. Il naso di ghiaccio era collocato in cima, a mo’ di cappello.

 Non poté fare a meno di ridacchiare. «Che fiasco».

 «Non del tutto» obiettò Hans indicando il pupazzo. «Siete riuscita a contenere il ghiaccio in una determinata area. Avete avuto la fiducia necessaria in voi stessa affinché le mani non vi tremassero e non vi deludessero. Sono certo che, senza la benda, il vostro pupazzo di neve sarebbe risultato meno… astratto».

 «Provo di nuovo?» chiese Elsa nell’atto di rimettersi la fascia. Lui scosse la testa e gliela prese dalle mani.

 «Il vostro compito successivo sarà un po’ più impegnativo» la avvisò, alzandosi dal materasso. Si voltò così da esserle di fronte, le gambe divaricate e le braccia sistemate con cura dietro la schiena. «Voglio che mi congeliate».

 Elsa conficcò immediatamente le unghie nel letto. «Cosa?»

 «Voglio che mi congeliate» ribadì Hans, facendo un cenno ai suoi piedi.

 «Ma… ma…» balbettò lei, le immagini di Anna al fiordo e durante il tè che le balzarono alla mente e che fecero scattare tutti i suoi campanelli d’allarme.

 «Dovete avere piena fiducia nelle vostre capacità di ritrarre il ghiaccio con la stessa facilità con cui lo scagliate».

 «Ma non ci riesco» gemette lei.

 «Allora è un bene che vi esercitiate su di me».

 Elsa non comprese la sua spiegazione. «Cosa?»

 «Avete il terrore di congelare le persone e io sono il miglior candidato su cui esercitarsi. Se non riuscite a scongelarmi, non fa nulla, giusto?»

Ed eccolo di nuovo. Insinuava di non contare nulla per Elsa. Lo aveva suggerito anche quando le aveva raccontato la storia della ragazza in grado di far crescere o rinsecchire le piante. Ridacchiando, aveva ironizzato: chi rischiate di ferire, qui?

 «Perché lo fate?» domandò Elsa.

 Lui assottigliò gli occhi in segno di confusione. «Fare cosa?»

 «Perché mi dite sempre quelle cose? Che non è un problema se vi ferisco?»

 Hans scrollò le spalle, ma il suo sguardo non incrociò quello di Elsa. «Perché non sarebbe un problema, non per voi. Dopotutto, sono solo un prigioniero».

 «Siete più di un prigioniero, siete… siete il mio insegnante». Elsa esitò, cercando un modo per esprimere il concetto. «Se vi viene fatto del male, come farò a controllare i miei poteri?»

 Lui annuì con indulgenza, ma continuò a distogliere il viso. «Immagino di sì».

 Tuttavia, non era giusto. Quando quelle parole lasciarono la bocca di Elsa, il suo cuore non le reputò esatte. Per lei Hans non era un insegnante… ma allora cos’era?

 «Vi ho promesso che sareste riuscita a domarli» riaffermò Hans. «Se vi preoccupate per me, sappiate che il ghiaccio lo posso sciogliere tranquillamente». Una piccola scintilla gli scaturì dal palmo della mano, a conferma delle sue rassicurazioni. «Ora congelatemi i piedi al pavimento».

 Elsa si alzò lentamente e si schiarì la gola. Guardò il suo insegnante negli occhi e si sentì più calma di quanto si aspettasse. Forse a causa della sensazione di libertà avuta quando aveva deciso di non permettere alla paura di consumarla. Credi in te stessa.

 Espirando, rilasciò un getto di ghiaccio dalle mani e lo vide arricciarsi intorno alle gambe di Hans, prendendo forma e cementando con fermezza il principe al pavimento. Quando il ghiaccio gli si arrampicò su per la coscia, Elsa si fermò, riportando le braccia ai lati del busto, e prese un respiro.

 «Bene, adesso scongelatemi» le impartì Hans, la voce gentile e rasserenante.

 Lei annuì e tese le mani in avanti, ritraendo il ghiaccio dal suo corpo. Amore, amore, amore. Anna ti vuole bene. Hans… è tuo amico.

 E prima che se ne rendesse conto, la stanza era sgombra di ghiaccio e Hans era libero di muoversi, perfettamente illeso.

 Lei non riuscì a trattenere il sorriso che le incurvò gli angoli della bocca all’insù. «Ce l’ho fatta!» rise, sollevando le mani per ammirare i poteri che non l’avevano delusa. «Non mi sono nemmeno spaventata!»

 Alzò lo sguardo verso Hans, che esibiva un sorriso orgoglioso simile al suo. «Ottimo lavoro».

 La regina ebbe il brusco impulso di corrergli incontro, di averlo tra le braccia e sapere di non averlo ferito. Non lo represse.

 Il tredicesimo principe fu sorpreso dalla velocità con cui Elsa sfrecciò e gli saltò addosso. I suoi occhi si allargarono quando fu stretto da lei con calore inaspettato. Subito i suoi muscoli si rilassarono e lasciò che quelle braccia lo avvolgessero.

 Elsa si morse il labbro e si ritrasse leggermente. L’abbraccio di Hans si allentò.

 «Mi… mi dispiace» bofonchiò lei, ma con un sorriso che parve quasi suggerire che non le dispiacesse così tanto, in fondo. «Ero solo emozionata…»

 «No, no, tutto a posto». Lui respinse la sua scusa, il sorriso sfacciato che si allargò. «In fondo adesso siamo amici, giusto?»

 Elsa rise, un suono che era sicura di non aver udito sin da quando era ricomparso Hans. La cosa non fece altro che aumentare la sua contentezza.

 Stare abbracciati all’altro era così semplice, così naturale. Così sorprendentemente confortevole. Prima che le si schiarisse la mente e si dicesse che era ridicola, Elsa volle assaporare quella sensazione. Ma non furono i suoi pensieri a interrompere il momento.

 Un improvviso e tagliente bussare alla porta li fece trasalire, troncando l’abbraccio. Il rossore di Hans si spanse sulle sue guance, ed Elsa si schiarì la gola e ordinò: «Entrate».

 Era un servitore, con un’espressione più grave di quanto Elsa avrebbe voluto.

 «La presenza di Vostra Maestà è richiesta immediatamente» comunicò, la pelle di un bianco cadaverico.

 Lei aggrottò le sopracciglia e si avvicinò a lui. «Che succede?»

 «È stato trovato un cadavere, Vostra Maestà».

 Tutta la felicità venne risucchiata via dal cuore di Elsa. Non Anna. Non poteva essere Anna.

 «Non… Non è…» balbettò, ma non fu in grado di completare la frase.

 Il servo sembrò comprenderla e scosse la testa. «No, non si tratta della principessa Anna, Vostra Maestà».

 Un’ondata di sollievo la travolse, solo per poi essere spazzata via con angoscia dalle parole successive.

 «È il re delle Isole del Sud».










¹ Ovviamente un riferimento ad All’alba sorgerò, la versione italiana di Let It Go, cantata dalla nostra fantastica Serena Autieri.
 Purtroppo la battuta: «Può sembrare un salto enorme, ma devi affrontarlo» è una mia rielaborazione. Nella versione originale di TPatS, Anna dice: «You have to let it go» (“Devi lasciar stare”, o “Devi lasciar correre”), ma in All’alba sorgerò la frase “Let it go”, pari pari, così com’è, è assente. Riascoltandomi la canzone, ho quindi deciso di optare per “Può sembrare un salto enorme, ma io l’affronterò!”, che mi pareva migliore di tutte le alternative.

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Capitolo 11
*** Undici ***


Undici



Re Lewis delle Isole del Sud era scomparso.

 O almeno, era stato creduto scomparso fino a meno di un’ora prima.

 Elsa era sopraffatta da un forte senso di déjà vu, colpita in volto dal nuovo strano mistero che attorniava i Westergard. Era seduta nella sala del tè con Ingvalda, la quale era impegnata a conferire con decine di persone, tutte dal tono di voce calmo ma inconfondibilmente turbato. Il re consorte delle Isole del Sud era stato ritrovato ad Arendelle… morto? Lo scandalo non avrebbe mai avuto fine.

 Ma la regina non poteva fare a meno di infischiarsi di quella minaccia. Chi se ne importava della loro reputazione? La sua apprensione era rivolta al re, il padre di cui Hans aveva sempre parlato con ammirazione. Le si contorse il cuore al ricordo del panico tartagliante che aveva assalito l’amico nel momento in cui il servitore l’aveva condotta fuori dalla camera. Se già allora era ridotto in quelle condizioni, era probabile che adesso si sentisse completamente distrutto. Tra sé e sé, si domandò come facesse lui a resistere alla tentazione di trasformare le mura del castello in magma.

 Sebbene la stanza fosse gremita di movimento, l’attenzione di Elsa fu catturata da colei che si stava unendo alla folla, la proprietaria di un paio di trecce color carota intenso. Anna si guardava intorno con occhi blu e irrequieti, quando poi si imbatté nello sguardo della sorella e si diresse di corsa verso di lei. La regina si alzò per venirle incontro, facendosi circondare dalle braccia di Anna e stringendola forte di rimando. Due abbracci in una giornata: Elsa si era fatta avida.

 Kristoff arrivò subito dopo, la faccia arrossata dalla fretta. Anna, dal canto suo, era agitatissima e scarmigliata, notò Elsa quando le due si separarono. La principessa aveva occhi solo per lei e le controllò ogni centimetro del viso.

 «Tu stai bene?» chiese Anna. «Eravamo sulla strada del ritorno e una persona ci ha informati che qualcuno è morto e ho pensato a te e—»

 «Io sto bene» la rassicurò Elsa, tenendo le mani di Anna tra le sue. «Ma non appena ne sono venuta a sapere, mi sono spaventata. Ho pensato che fossi tu».

 Anna sorrise tristemente e soffocò una risata. «Be’, allora è un bene che entrambi i nostri presentimenti abbiano fatto cilecca».

 Kristoff, che aveva ripreso fiato, colse l’occasione per entrare a far parte della conversazione. «Di chi è il cadavere? Cos’è successo?»

 Elsa lanciò un’occhiata in basso, verso il vestito color ametista che indossava, e sospirò. Si sforzò di sorridere e indicò alla coppia un posto dove sedersi. Anna le strinse la mano un’ultima volta, poi andò a condividere con Kristoff una poltrona che stava a loro stretta. Elsa si accomodò sulla sua.

 «Questa mattina, un pescivendolo ha aperto una cassa e, sotto uno strato di pesce, vi ha trovato un cadavere» iniziò a raccontare. Anna arricciò il naso, disgustata.

 «Era un uomo dal vestiario raffinato, che portava sul capo una corona sontuosa ed elegante. Esaminando il simbolo sul suo cappotto, è stato istanteneo concludere che si trattava del re delle Isole del Sud».

 La bocca di Anna si spalancò e le spalle di Kristoff caddero fiacche.

 «Cosa?» esalò Anna. «Cioè, vuoi dire… il padre di Hans?»

 Elsa annuì e il battito del suo cuore accelerò. Adesso veniva la parte difficile.

 «Sul suo corpo… sul suo corpo è stato lasciato un biglietto» proseguì con esitazione.

 «Un biglietto?» ripeté Kristoff.

 «Mostramelo!» pretese Anna.

 Elsa scosse la testa. «Ce l’hanno Ingvalda e gli altri».

 «E che dice?» la sollecitò Anna, quasi sul punto di saltellare sulla poltrona su cui era seduta. Essere tenuta all’oscuro dei dettagli era una cosa che non sopportava.

 «Che è… è da parte di Hans» disse Elsa, la voce che diventò sommessa.

 «Da parte di chi?» esclamò Anna che smise di muoversi, gli occhi ridotti a due fessure.

 «Non so come» ribatté Elsa, scuotendo la testa. «L’unica cosa che asserisce è: “Uno è andato, ne rimangono tredici. Firmato il principe Hans”. Sul retro c’è scritto: “Re Lewis delle Isole del Sud”».

 «Ma non ha senso». Anna scosse la testa. «Hans non può aver ucciso suo padre. È qui da tipo un mese. E “ne rimangono tredici”? Non ha solo dodici fratelli? Ha intenzione di suicidarsi?»

 «Credo che voglia includere la regina» puntualizzò Kristoff, senza che il suo intervento facesse sentire meglio Elsa.

 La regina studiò il color viola del suo abito, cercando di dare un senso a quello che stava accadendo.

 «Be’, tanto per iniziare» constatò Anna alzandosi in piedi, «dobbiamo rimandare Hans in prigione».

 Perché Elsa digrignava i denti al solo suggerimento? In fondo, Anna aveva perfettamente ragione. Dato che era suo il nome – letteralmente – appuntato al cadavere, avrebbero dovuto processarlo e giustiziarlo il prima possibile. Ma se finisce in cella o muore, l’accordo non avrà più valore. Hans non ti insegnerà più niente.

 Anna fece una pausa, notando che l’apatia di Elsa manifestava la sua ansia e la sua contrarietà. Chiuse gli occhi e sospirò piano. «Elsa, so che sei la regina e stai prendendo un sacco di decisioni che non hanno alcun senso e mi hai pregato di fidarmi di te. Ma là fuori c’è un cadavere, collegato in qualche modo a Hans. Lui è pericoloso. Dobbiamo rimetterlo in prigione».

 «Hans è già in una prigione» mormorò Elsa, fissando il muro con un’espressione vuota.

 Anna scambiò una breve occhiata con Kristoff, poi ritentò: «Ascolta, è per il bene di tutti. So che tu… Non so. Lo hai voluto liberare. Ma il suo benessere non conta più delle vite altrui».

 Elsa non poté controbattere. Di fatto, quelle accuse la fecero stare peggio.

 «Sì» concordò debolmente, sentendosi come una bambina che aveva deluso i genitori. Però è proprio questo che sono, no?

 Anna si protese in avanti, ma si bloccò. La guardò negli occhi per assicurarsi di avere il suo permesso, ed Elsa annuì e le prese gentilmente la mano.

 «Andrà tutto bene, Elsa. Non importa quale sia il problema che stai affrontando, noi due troveremo una soluzione insieme».

 Elsa annuì, non nutrendo abbastanza fiducia in se stessa per dire alcunché.

 Anna le strinse la mano un’ultima volta e la lasciò andare. «Vado a parlare con Ingvalda, okay?»

 Elsa annuì di nuovo, con l’impressione di essere una marionetta manovrata dai fili.

 «Kristoff, potresti stare con Elsa?» gli chiese Anna con un piccolo sorriso.

 «Ma sì, certo» acconsentì il montanaro, sedendosi teatralmente sulla poltrona in un modo che fece ridacchiare Anna. Lei agitò leggermente la mano e si avviò. Elsa si domandò come facesse Anna a flirtare nonostante le fosse stato annunciato che era morto qualcuno solo pochi minuti fa.

 Il borbottio nella stanza non accennò ad attenuarsi, ma l’assenza di Anna rese stantia l’aria intorno a Elsa. Un’occhiata nella direzione di Kristoff le rivelò che l’uomo provava ancora troppo imbarazzo per attaccare discorso. Il lato maligno di Elsa pensò bene. Non era dell’umore adatto per chiacchierare.

 «Dovete dirglielo, qualunque cosa sia».

 La voce di Kristoff la colse di sorpresa ed Elsa si voltò con un’aria che doveva essergli apparsa offesa, perché Kristoff si affrettò a scusarsi sollevando le sopracciglia.

 «Mi… mi dispiace, Vostra Maestà, ho osato troppo».

 «No, no, non è quello». Elsa dimenticò la sua arrabbiatura. «Cosa intendi?»

 Kristoff non avrebbe potuto avere un’aria più a disagio di così nemmeno se fosse stato circondato da una banda di criminali. «È solo che… Anna odia essere tenuta all’oscuro. Mi ha descritto i vostri vai e vieni. Si preoccupa per voi».

 Elsa si morse la parte interna del labbro, scrutando la pel di carota che stava impazientemente aspettando il suo turno per incontrarsi con l’ex custode.

 «Non so cosa stia succedendo, ma se è colpa di Hans—»

 «Non lo è» replicò immediatamente Elsa, interrompendolo. «O almeno… non del tutto».

 Kristoff era seduto con le gambe divaricate e i gomiti poggiati sulle ginocchia. Non era affatto regale, ma un anno solo non bastava perché qualcuno cresciuto dai troll perdesse la sua informalità.

 «Non incolpatevi per ciò che è successo» la confortò Kristoff. «Quel—»

 «Non mi sto incolpando!» sbottò lei, stringendo i pugni con una forza tale da tirare fastidiosamente il tessuto dei guanti.

 Gli occhi gentili di Kristoff si allargarono e lui fissò il pavimento, il sottile rossore adesso in bella mostra.

 «Ma certo, scusatemi, Vostra Maestà» mormorò, pieno di sensi di colpa.

 Elsa si sentì malissimo in un batter d’occhio. Non era lui il responsabile della situazione attuale. «Scusami tu, Kristoff» sospirò e chiuse gli occhi. Prevedeva un’emicrania in arrivo. «Non avrei dovuto risponderti così bruscamente».

 «No, sono io in errore. Non mi sarei dovuto permettere». Kristoff cercò di capovolgere le carte.

 A Elsa venne quasi da sorridere. «Se continuiamo a prenderci la colpa dell’altro, andremo avanti per ore».

 La timidezza di Kristoff si sciolse in un sorriso genuino. Era molto più bravo a sorridere di lei. Elsa capì per l’ennesima volta la ragione per cui sua sorella aveva scelto il montanaro.

 «Già, per ore, Vostra Maestà» rise brevemente lui.

 Caddero nuovamente in silenzio, ma questa volta fu meno teso. Entrambi comprendevano e avevano bisogno dell’assenza delle parole. Lei riteneva che quello fosse un sentimento che Anna e Hans non avrebbero mai conosciuto. Dio non voglia che uno dei due trascorresse più di un minuto stando zitto.

 Pensare a Hans fece tornare Elsa con il morale a terra. Come stava prendendo la notizia? Era già stato scortato in cella? Elsa voleva disperatamente vederlo, parlargli. Ma c’era una folla che in quel momento reclamava la sua presenza, anche se lei si limitava a brontolare in un angolo con il suo futuro cognato.

 «Se… se non sono sfacciato, Vostra Maestà» esordì Kristoff, «potete confidarvi con me per qualsiasi cosa. Insomma, la mia famiglia, i troll, è piuttosto brava a dare consigli. Forse sono riuscito a ereditare da loro un po’ di quel talento».

 Elsa sorrise lievemente a quelle parole. «Grazie. È molto generoso da parte tua, Kristoff. Com’è che Anna li ha definiti? Gli… gli esperti in amore, giusto?»

 Kristoff si nascose la faccia e gemette, ma rise. Quando si coprì le guance con le mani, un timido sorriso fece capolino sul suo volto. «Oh, sì. Quello ero io… ero io che facevo lo stupido. Che mi davo delle arie. Fingendo di avere degli amici».

 «Tutte regolari procedure di un corteggiamento, ovviamente» lo assecondò Elsa.

 «Naturale» ridacchiò lui. «Sono serio, però, se avete bisogno di aiuto…»

 «Sto bene, grazie» gli garantì Elsa, sebbene non ne fosse sicura nemmeno lei.

 Kristoff annuì. «Okay, okay. Buono a sapersi».

 La sala del tè rimase invasa per diverso tempo ancora, finché gli ufficiali non cominciarono a uscire. Kristoff si era da ore addormentato su una delle poltrone ed Elsa era persa nelle sue riflessioni da chissà quanto. Il sole stava tramontando, e Gerda giunse per comunicare alla regina che la cena era pronta.

 Quel giorno aveva perso ogni possibilità di contattare Hans, ma mentre si incamminava solennemente verso la sala da pranzo per cenare con Ingvalda, Anna e un Kristoff assonnato, giurò a se stessa che l’indomani sarebbe andata a vederlo.




Andare a vederlo l’indomani, però, finì per essere un errore.

 Quando si diresse verso la cella che le era tanto familiare, le guardie si scambiarono un’occhiata preoccupata e la osservarono a disagio, il che innervosì anche Elsa.

 «Sono venuta per fare visita al prigioniero» annunciò.

 «Uhm… c-certo, Vostra Maestà» balbettò uno dei due. «Ma… lui non è dell’umore adatto per ricevere visite».

 «Grida e piange e minaccia di dare fuoco al mondo intero» aggiunse l’altro.

 Il cuore di Elsa smise di battere. «Vi posso assicurare che il prigioniero è in condizioni sane. Non mi farà del male».

 «Vostra Maestà—»

 «È un ordine» lo interruppe gelida.

 I due si scambiarono una seconda occhiata e, con la coscienza a posto perché in fondo l’avevano avvisata, decretarono che era libera di organizzare il proprio funerale e le aprirono la porta.

 Non appena quella cominciò a cigolare, udì Hans urlare: «ANDATEVENE».

 Elsa esitò davanti alla porta, chiedendosi se fosse il caso di dare retta alle guardie. Ma ignorò le sue vene pulsanti ed entrò.

 «HO DETTO DI ANDARVENE!» ringhiò la voce aspra e gutturale da dentro la stanza.

 Non appena lo squadrò, Elsa poté giurare che Hans non avesse mai lasciato la cella. Se prima i capelli gli erano stati finalmente sistemati, ora erano arruffati, come se se li fosse tirati. I vestiti conservavano il loro aspetto piacevole, dato che il principe era stato incarcerato solo il giorno prima. Ma quando il viso di Hans scattò nella sua direzione, nelle iridi dell’uomo scorse la stessa pazzia che aveva già visto tempo prima.

Lo avevi notato al fiordo si ricordò. Lo avevi notato riflesso nel ghiaccio. La spada che fendeva verso il basso e lo sguardo folle e malato nei suoi occhi. Gli stavi permettendo di ucciderti.

 Quegli occhi smeraldi erano contorti e selvaggi, come se l’anno trascorso lo avesse spogliato di ogni traccia di umanità. Digrignava i denti e pareva sul punto di assalire qualcuno.

 Ma quando lui la riconobbe, i suoi lineamenti si addolcirono. Gli occhi si ammansirono, la schiena si raddrizzò, le file di denti si separarono.

 «Elsa…» boccheggiò, quasi come se fosse lei la sua àncora di sanità. «Non è… non può davvero…»

 Elsa sapeva esattamente cosa le stava domandando, ma l’ultima cosa che voleva fare adesso era rivelargli la verità.

 «Ingvalda lo ha riconosciuto» mormorò. «Aveva addosso il sigillo ufficiale e la corona».

 Hans era silenzioso. Fissava lo spazio di fronte a sé, l’espressione vuota. Lei avrebbe pensato che fosse morto, sebbene stesse in piedi, immobile, e di quando in quando battesse le palpebre.

 Soppesò l’idea di parlargli del biglietto, ma prendendo in considerazione la reazione che l’altro aveva appena avuto alla notizia del padre, scelse di nascondergli quell’informazione solo ancora per un po’, abbastanza perché lui si riprendesse.

E poi, se fosse lui l’assassino? azzardò internamente. Non puoi mostrare al colpevole le prove che lo incriminano. Negherebbe immediatamente.

 «Andatevene» sussurrò Hans.

 Lei ebbe difficoltà a registrare la cosa. «Scusatemi, co—»

 «Andatevene, ho detto» ripeté lui, la voce tesa. Elsa gli poteva vedere le vene, che risaltavano sul collo come se fossero in procinto di esplodere.

 «Hans, io—»

 «ANDATEVENE» urlò Hans a denti stretti.

 Il volto gli si invermigliò pericolosamente e lo scintillio delle fiamme danzò sulle sue dita. All’improvviso lei capì, e sfrecciò fuori dalla stanza. Quando aprì e si chiuse la porta alle spalle, le tornarono alla mente i ricordi di una camera da letto congelata, i fiocchi di neve sospesi nell’aria, il giorno in cui aveva pianto per la morte dei suoi genitori.

 Neanche un secondo dopo, dalla cella eruppe un grido d’angoscia.

 Una delle guardie ridacchiò lievemente. «È solo questione di tempo prima che impazzisca».

 Elsa non aveva la pazienza o la volontà necessarie per rispondergli a tono. E non era nemmeno sicura che la guardia fosse nel torto. Per cui si limitò a sollevare un lembo della gonna e lasciò le prigioni. Allontanandosi, sentì uno dei due uomini fischiare e poi dire: «Certo che per essere settembre si suda, eh? Ho come la sensazione che in questi ultimi minuti la temperatura sia raddoppiata».

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Capitolo 12
*** Dodici ***


Dodici



Prima che Hans le permettesse finalmente di entrare, trascorse quasi una settimana. Elsa gli fece visita tutti i giorni, ma lui la buttò fuori prontamente ogni volta. È così che si è sentita Anna? pensò mentre se ne andava arrancando dalle prigioni. Io l’ho cacciata via per anni.

 E al piano di sopra le cose non andavano meglio. Il tè delle tre fu sospeso a tempo indeterminato da Ingvalda, la quale aveva bisogno della stanza per discutere con gli ufficiali di Arendelle e organizzare una strategia. A Elsa prepararono un discorso in cui lei annunciò, di fronte a una folla curiosa, che era stato trovato un cadavere. Leggendolo, però, non riuscì a scrollarsi di dosso la sensazione che, al posto delle asserzioni e delle rassicurazioni preconfezionate e ripetute da un foglio, avrebbe dovuto usare parole sue.

 Anna le ricordava ogni giorno di scrivere la lettera per le Isole del Sud. E ogni giorno, Elsa le rispondeva che ci stava lavorando sopra. Un’altra bugia. Niente lezioni, niente tè e un cadavere aveva mandato a male una cassa di pesce. Quella settimana si era rivelata essere l’esatto opposto di quanto avrebbe voluto.

 Ma il sesto giorno, quando lei aprì la porta, non fu mandata via. Non ci furono urla o grida, né minacce. Solamente il silenzio.

 Per un breve momento, il suo cuore si fermò.

È morto.

 Le mura di pietra erano chiazzate qua e là di nero, senza dubbio a causa del calore del fuoco. L’odore di fumo impregnava l’aria. Come avevano fatto le guardie a non notarlo? E nel punto con le striature più annerite, sedeva un uomo dai capelli rosso fiammante e l’espressione vuota.

 Era raggomitolato contro la parete, le gambe piegate, le braccia incrociate al petto e le dita congiunte per darsi conforto. Aveva strappato le maniche della camicia fino ai gomiti e si era avvolto il tessuto lacerato intorno alle mani, come rimpiazzo improvvisato di un paio di guanti. Un misero panno non sarebbe mai stato in grado di domare un incendio, ma forse lui aveva ritenuto utile l’effetto placebo sortito da esso. Le borse che il prigioniero aveva sotto gli occhi e lo sguardo vacuo avrebbero potuto convincerla che fosse morto; tuttavia, quando lei gli apparve davanti, la incontrarono delle verdi iridi spente.

 Hans non la allontanò. Non si mosse neanche. Si limitò a fissarla come un animale stordito.

 Elsa lo osservò con empatia. Le sembrò di riflettersi in uno specchio del passato, quando si era abbandonata contro un muro e aveva manifestato la sua disperazione con un’esplosione di gelo. Che importava se la magia era di ghiaccio o di fuoco? In entrambi i casi, era stata la dimostrazione dell’infinita sofferenza del lutto.

 «Hans» lo chiamò la regina, senza stupirsi di averlo interpellato con un filo di voce.

 Lui rimase inespressivo. «Che ne farete del corpo?»

 «Del… del cosa?» domandò Elsa, come se fosse lei l’animale stordito.

 Mentre elaborava l’informazione, il principe restò in attesa, poiché non era disposto a ripetersi.

 «Noi— Ingvalda ha detto che dovremmo restituirlo alle Isole—»

 «Non fatelo» la interruppe. «Vi prego. Non fatelo tornare là».

 Elsa si paralizzò e non seppe come ribattere. «È il re, dovrebbe essere reso al proprio regno».

 «Non fatelo tornare» la supplicò nuovamente Hans. «Era un brav’uomo e non meritava di dover definire quelle terre “casa”. Giuratemi… giuratemi di seppellirlo qui. Gli sarebbe spettato il migliore dei funerali, ma l’unica cosa che vi chiedo è di dargli una degna sepoltura».

 «Io… Io non… È usanza—» balbettò Elsa.

 «Siete la regina» replicò lui, che finalmente con il tono di voce esibì una punta dei sentimenti che provava, nonostante gli occhi continuassero ad appartenere a un morto. «Il volere della regina è legge. Non mi importa delle conseguenze. Potete cancellare le mie lezioni, negarmi la nave, potete giustiziarmi senza processo. Non mi importa più. Non quando è stato assassinato il più nobile degli uomini. Non mi rimane nient’altro».

Nient’altro? si amareggiò Elsa. Rigettò immediatamente quel pensiero.

 Guardò a terra, la lunga gonna che toccava il pavimento e che le nascondeva i piedi. Era di color cremisi, come il vino spruzzato di sangue. Le maniche aderenti le arrivavano ai gomiti e lasciavano scoperti i suoi avambracci. La corona le pesava troppo.

 «Me lo promettete?» chiese Hans, la voce rotta quando pronunciò l’ultima sillaba.

 Lei alzò il viso, assistendo allo disfacimento del volto senza emozioni del principe, che tentava invano di frenare il tremore al labbro inferiore e il corrugamento delle sopracciglia.

 Quello sforzo disperato le spezzò il cuore. L’uomo che aveva cercato di ucciderla era caduto così in basso… Elsa avrebbe dovuto gioire del suo dolore. Ma lungo la strada, la regina delle nevi si era rammollita nei suoi confronti, evidentemente.

Voltagli le spalle. Adesso è a pezzi le consigliò la sua vocetta interiore. Rimandalo alle Isole del Sud. Non protesterà.

 Ma il cuore trionfò sulla logica. Non nutrendo fiducia in se stessa per dire alcunché, si limitò ad annuire in risposta.

 Il prigioniero esalò, il respiro affannoso. Strinse ulteriormente le dita e abbassò le palpebre. Perse il controllo: si lasciò sfuggire un singhiozzo e si schiacciò il capo contro le mani. Soffocò i singulti coprendosi la bocca e il naso, ma il suo sguardo restò in vista. La pelle si ridipinse di rosso pesca e le lacrime sgorgarono come la perdita di un rubinetto, arginata ma mai riparata.

Ero anch’io così? si domandò Elsa contemplandolo.

No. No, affatto.

 Elsa riusciva a ricordarsi chiaramente l’esistenza che aveva condotto, fatta di un boato devastante di tristezza e di secoli di silenzioso lutto. Ben diversa dalla rabbia estesa e dal pianto incontrollato di Hans. Non che una reazione fosse più valida dell’altra; ma il fuoco e il ghiaccio erano più che dissimili.

Non può insegnarti un bel niente fu la conclusione che raggiunse internamente. Credere di poter imparare tutto dal tuo esatto opposto è una follia.

 Lo avrebbe dovuto lasciare a terra ad annegare tra le proprie lacrime.

 Ma Elsa sapeva che la parte cinica di sé era giunta alla conclusione sbagliata. Sono proprio le differenze a favorire l’apprendimento. Per vedere il mondo da una nuova prospettiva, è necessario conoscere altri punti di vista. Se Hans le fosse uguale, interagirci sarebbe noioso e improduttivo.

Non c’è insegnante migliore di chi è diverso da te si corresse. Non c’è persona migliore.

 Il che fu il motivo per cui non sopportava più di vederlo in quello stato. Si diresse dritta verso di lui e cadde in ginocchio, la gonna sangue-vino che si sparpagliò intorno a lei.

 Hans schiuse le palpebre, ma non si rivelò comunque. I suoi occhi erano talmente rossi da eguagliare quasi la tonalità dei suoi capelli. Sembrò sorpreso a vedere la regina inginocchiata accanto a lui.

 Con lo sguardo fisso su quello di Elsa, i singhiozzi diminuirono sempre e sempre più. Alla fine, seppur rigide, le sue spalle si calmarono e Hans sollevò piano il viso dalle dita. Le sue lacrime scivolavano silenziosamente e il suo petto era percorso di quando in quando da delle scosse.

 Non aprì bocca, ma la sua faccia diceva tutto. Cosa state facendo? pareva chiedersi. Che ci fa la regina ancora qui?

 Elsa si guardò le mani, appoggiate con grazia sul grembo, e le separò, sollevandone una come se si trattasse di un gioiello prezioso. Il suo volto si girò esitante verso l’uomo curvo addossato al muro, che adesso l’osservava di sbieco, inclinando leggermente la testa.

 «Cosa—» mormorò, prima che Elsa gli rispondesse.

 «Toglietevi i guanti» lo esortò lei con delicatezza.

 Hans ammutolì e apparve più disorientato che mai.

 «Toglietevi. I. Guanti» fu la pretesa della regina, che gesticolò con la mano alzata.

 Gli occhi di Hans si voltarono verso i suoi “guanti”. Cominciò a tirarli via fiaccamente, come se non ne avesse le forze.

 Elsa attese pazientemente che il tessuto cadesse, scoprendogli le mani. Per un attimo volle arrischiarsi a sfiorargliele, allungando il braccio, ma si bloccò e gli lanciò un’occhiata.

 L’afflizione del principe fu quasi del tutto spazzata via dalla confusione. «Cosa state facendo?»

 «Posso… posso toccarvi?» chiese lei, sentendosi arrossire un po’.

 Lui batté le palpebre, nitidamente smarrito. Ma tacque e fece un debole cenno di assenso.

 Elsa lo raggiunse lentamente e gli prese la mano. Il calore la fece rabbrividire, ma con le dita scovò dello spazio tra quelle di Hans e vi si insinuò.

 Che lo trovasse strano o meno, Hans non mostrò alcuna reazione. Si limitò ad accettare la mano di Elsa, stringendogliela forte.

 Il verde e il blu si incontrarono, connessi l’uno all’altro tramite la vista e il tocco, e poi anche verbalmente.

 «Hans, la vostra perdita mi addolora» disse Elsa, senza deviare mai l’attenzione verso qualcosa che non fosse lui. «So che vostro padre vi stava moltissimo a cuore. E sarete costretto ad attraversare le viscere della terra, prima di scorgere la luce in fondo al tunnel».

 «Le… le guardie» constatò lui, schiarendosi la gola, «hanno raccontato che sul corpo è stato lasciato un biglietto. Hanno detto che era stato firmato da me».

 Elsa trattenne l’impulso di distogliere il viso per i sensi di colpa che non era obbligata a provare.

 «Non l’avrei mai ucciso» asserì Hans, alzando il tono di voce. «Non ne sarei stato capace. Mai. Era mio padre».

 Serrò le mani e lei ricambiò la strizzata.

 «Lo so» concordò Elsa e, per una volta, lo sapeva davvero. Non poteva essere stato Hans. Ignorò gli istinti che l’avvertivano che era lui il rapitore, l’assassino. Quell’uomo era innocente; o almeno, era innocente dei crimini commessi contro il re.

 «Mi dispiace tantissimo» singhiozzò il principe, la voce di nuovo rotta, i lucciconi che gli salirono agli occhi. Era in arrivo un’altra ondata di pianti.

 «Non è colpa vostra» lo consolò Elsa.

 «No, no, non per mio padre» convenì Hans, rompendo il contatto visivo per abbassare le palpebre e scuotere il capo. «Al fiordo. Io… io avevo intenzione di uccidervi. Pensavo di aver ucciso Anna e non me ne importava. Ne ero felice».

 Elsa si congelò, le dita ancora intrecciate tra quelle di Hans.

 «Ero accecato» mormorò lui, una lacrima che gli cadde sulla camicia. «Credevo di essere valoroso e audace. Credevo che i miei fratelli e mia madre ne sarebbero stati fieri. Mi sbagliavo».

 Rialzò le palpebre ed Elsa notò delle minute gocce intrappolate tra le sue ciglia, come la rugiada al mattino.

 «Ti prego… perdonami, Elsa».

 L’aveva chiamata per nome e le aveva dato del tu, ma a lei non interessava. E non le interessava che non le interessasse. Non poteva perdonarlo.

 «No» scandì lentamente.

 Lui smise per un secondo di respirare. «C… cosa?»

 «No» ribadì Elsa. «Non posso perdonarti. Non dopo quello che hai fatto ad Anna. Non potrei mai e poi mai perdonarti per quello che le hai fatto».

 Hans parve essere di nuovo sul punto di piangere, ma anche troppo stanco per farlo. Così annuì e basta, il volto fintamente coraggioso.

 «Capisco» barbugliò. «Naturale».

 «Ma» continuò lei, catturando un’altra volta la sua attenzione, «quello che posso fare è lasciarmelo alle spalle».

 Il prigioniero non la comprese.

 Elsa tese la mano libera. Dopo averle fissato il palmo per un istante, Hans si schiuse dalla posizione fetale che aveva assunto, stirando le gambe e inginocchiandosi accanto a lei, e le prese la mano e la sollevò con esitazione. Le due mani si unirono e si avvolsero nell’altra.

 «Ho visto il cambiamento che c’è stato in te» spiegò Elsa. «Sei venuto qui pretendendo una nave e adesso ti scusi per le tue azioni. Certe cose non possono essere perdonate. Ma non ti serberò rancore. Non se il tuo rammarico è genuino».

 Nell’espressione di lui scoccò una scintilla che lo strappò dalla nube di confusione e tristezza. Una scintilla di speranza.

 «Quel che è successo è successo¹» pispigliò la regina, il che lo fece sorridere e annuire. L’ovattato incantesimo della risata esplose dalle loro bocche, ma fu placato rapidamente.

 «Non riesco a immaginare quello che hai provato al fiordo» mormorò Hans. «Vedere Anna… l’unica persona che ti ama. Congelata».

 Il cuore di Elsa si contorse un po’.

 «Almeno io non ho dovuto assistere alla sua morte» proseguì a borbottare lui, la presa alle mani che si affievolì.

 «Ascolta» disse lei, nella speranza di distrarlo. «Ti giuro che stanerò la persona che ha rapito la tua famiglia. Chiunque sia colui che ha ucciso tuo padre e ti ha incastrato, io lo troverò. Lo consegneremo alla giustizia».

 Hans annuì alle sue parole, le lacrime che ricominciarono a trapelare. Le lasciò una mano per asciugarsele di fretta, ma le sue dita tornarono presto ad avvolgere quelle di Elsa.

 «Grazie» sussurrò, perché non voleva che la sua voce si spezzasse. «Grazie».

 Rimirandola, un sorriso sincero gli illuminò la faccia sofferente. Le sue labbra tremarono, e si fece scappare una breve risata strozzata. La cosa fece sorridere anche Elsa, che gli strinse le mani per dimostrargli la sua onestà.

 Poi Hans si fece serio e il cuore di Elsa si fermò quando lui iniziò ad avvicinarsi a lei. Avrebbe potuto giurare che le avesse scrutato le labbra.

 Ma mentre il suo battito cardiaco accelerava irrazionalmente, la testa di Hans superò quella di Elsa, mollando la presa alle sue mani per cingerla in un abbraccio. Quando la circondò con le sue braccia e la strinse, Elsa divenne cremisi bollente. Infine alzò le mani, ricambiando debolmente.

 «Grazie» ripeté lui con sincerità.

 Ma Elsa non riusciva a smettere di arrossire. Era come se Hans le avesse dato fuoco. Cosa pensavi che avrebbe fatto?

 «Non sai quanto significhi tutto questo per me».

Tu sai esattamente cosa pensavi che avrebbe fatto.

 «Non ho mai dato la giusta importanza al valore degli amici».

Tu volevi che lo facesse.

 Elsa scivolò via dall’abbraccio, indossando un sorriso quando incontrò quello gioioso ma depresso di Hans. Lui la lasciò andare e lei si alzò in piedi più velocemente di quanto avrebbe dovuto.

 Che l’avesse notato o meno, Hans non lo diede a vedere e si levò in piedi, prima una gamba e poi l’altra.

 Si guardarono una seconda volta negli occhi, l’allegria di Hans che ancora non era sbiadita.

 «Non so come ringraziarti» rise lui.

 Elsa annuì, sebbene volesse premersi le mani gelate contro le guance bollenti. «È un piccolo prezzo da pagare per le tue inestimabili lezioni».

 «Allora le continuiamo? Sempre alle due?»

 «Sì» disse lei, girovagando nella cella in direzione della porta. «Spero davvero che inizierai a sentirti meglio. Verremo a capo di questa tragedia».

 Hans chinò la testa. «Ti sono eternamente debitore».

 E con questo, Elsa uscì dalla stanza. Chiuse la porta dietro di sé e si imbatté nelle due guardie, assolutamente shockate, che volevano sapere come fosse riuscita a calmare il prigioniero e cosa fosse successo. Ma lei sibilò bruscamente di farsi gli affari loro e le guardie si scostarono immediatamente, vergognandosi del loro comportamento.

 Di norma non sarebbe stata così dura, se solo non avesse avuto l’urgenza di sbarazzarsi del bruciore sul suo volto. Mentre avanzava per il corridoio, si coprì il viso con le mani, e sentì l’acqua scivolare lungo le guance in grado di sciogliere il ghiaccio.

 Aveva creduto che Hans stesse per baciarla. E volevo che mi baciasse.

 In quel momento, il suo cuore parlava dove la sua testa non poteva. E il cuore le batteva più forte che mai.










¹ Originariamente “The past is in the past”, riferimento a Let It Go. Ho pensato di adattarlo con “Il resto è storia ormai”, come in All’alba sorgerò… ma non mi suonava!, per cui sono andata per questa via.

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Capitolo 13
*** Tredici ***


Tredici



Con grande orrore della gente del castello, l’incubo dello scandalo di Arendelle era tutt’altro che finito. Quando arrivò la notizia della scoperta di un secondo cadavere, Elsa credette che Ingvalda sarebbe svenuta.

 In un carretto sotto uno strato di provviste era stato rinvenuto un uomo dal vestiario raffinato, che dall’aspetto sembrava una copia ringiovanita del corpo trovato in precedenza. Allegato c’era un biglietto firmato dal “principe Hans”. Da un lato c’era scritto “Lunga vita agli eredi” e dall’altro era segnato il nome della vittima, ossia il principe Campbell delle Isole del Sud.

 Mentre venivano enunciati i dettagli dell’avvenimento a lei e ai membri del Consiglio, la mente di Elsa divagava. Prima il re e adesso il fratello più grande di Hans, Campbell. Erano stati anche i primi a scomparire. Uno strano brivido di freddo le percorse la schiena quando si rese conto che le morti non sarebbero cessate: se i Westergard continuavano a essere rapiti, poi le loro spoglie sarebbero inevitabilmente comparse ad Arendelle.

 Ma non poteva dirlo agli agitatissimi membri del Consiglio, che si rubavano la parola a vicenda interrompendo con speculazioni i discorsi spaventati altrui. Per confermare la sua teoria, Elsa sarebbe stata costretta a spiegare perché fosse a conoscenza delle sparizioni e perché non avesse divulgato prima un’informazione simile. Sono una stupida. Elsa si biasimava. Perché ho tenuto segrete le lettere? Non posso rivelare la loro esistenza adesso.

 L’angoscia di Hans cresceva. Le lezioni delle quattordici neanche più avevano la parvenza di essere tali e, anzi, si erano trasformate in sedute di sfogo, occasioni per congetturare e un tumulto di emozioni, soprattutto per Hans. La regina delle nevi, che era da tutta la vita che reprimeva i suoi sentimenti, trovava i moti di trasporto del principe un filo melodrammatici, e si doveva ripetere più volte che ognuno affronta il lutto a modo suo.

 Ma oltre all’educazione, Elsa aveva svariate altre ragioni per starsene zitta. Non aveva smesso di rimuginare su quel loro incontro terribilmente intimo sin da quando Hans le aveva finalmente ripermesso di fargli visita. Era stato forse lo sgomento di quel giorno che le aveva fatto sussultare il cuore e imporporare le guance in quella maniera? Tentò di giungere a quella conclusione, ma nel processo arrossì fin troppe volte.

 Osservò l’altro mentre sproloquiava su Campbell, il quale non aveva mai bullizzato il suo fratello più piccolo se non per quei due anni in cui lui, Francis e John avevano fatto finta che Hans fosse invisibile. Buffo come una persona debba morire per essere ricordata con affetto, aveva commentato alla fine.

 Guardarlo e ascoltarlo parlare, anche se su un argomento tragico come questo, la rendeva felice. Non che la cosa le fosse subito apparsa chiara ed evidente. Ma si era accorta che, con lui, le sue dita emanavano un certo calore e le sue labbra si incurvavano in un leggero sorriso.

 Orbene, Elsa non aveva letto molto in proposito, né aveva mai provato niente del genere finora, ma facendo 2 + 2 le era balzata alla mente un’ipotesi orripilante.

 Elsa si stava innamorando – no, si era già innamorata – di Hans.

 Era una delle poche cose che preferiva non menzionargli. Quella terrificante prospettiva le era ancora nuova e si chiedeva se, come una febbre, i sentimenti che nutriva sarebbero passati. Ma più tempo trascorreva con lui, più aveva la sensazione che la risposta al suo dilemma fosse un no.

 Gli insegnamenti alla fine ripresero, malgrado Hans fosse decisamente meno in controllo dei suoi poteri. Quelle delle quattordici non erano lezioni unilaterali, perché loro due si incontravano per istruirsi e aiutarsi a vicenda.

 Quando Elsa osava pensarci su, rimembrava le parole di Hans, lo sguardo nei suoi occhi, l’incurvatura delle sue labbra, e riusciva quasi a intravedere in lui quello che provava lei. Uno scintillio così ignoto, eppure così familiare. Tuttavia, non gli porse interrogativi a proposito. Prima d’ora, non aveva mai neanche contemplato quell’angosciante parola da cinque lettere, quella che aveva salvato il suo regno dall’inverno perenne.

 Come poteva trattarsi di amore?

 Aveva l’impressione di impazzire.

 E quando su proposta di Anna ripresero il rito del tè delle quindici, Elsa si sentiva più distante che mai dalla sorella. A stento la guardava negli occhi. Come poteva spiegarle il suo attaccamento nei confronti del diavolo? Anna era un angelo, vedeva il buono in ognuno e riusciva persino a trovare un lato positivo nello scarafaggio più sporco e meschino. Ed Elsa si era proprio innamorata dell’unica persona che lei detestava.

 Mentre le due sedevano in silenzio, il vapore del tè che si disperdeva nell’atmosfera opprimente, Elsa realizzò che l’opinione negativa di Anna era completamente giustificata.

Non posso dirglielo.

 Le aveva promesso di rivelarle tutto. E quando l’aveva pregata di aspettare ancora per un po’, l’espressione sul volto della principessa era stata triste e ciononostante speranzosa. Elsa aveva fede nella bontà di Anna, anche se non la meritava affatto dato il modo con cui trattava sempre sua sorella.

Non capisco perché Anna continui a volermi bene.

 Lanciò un’occhiata furtiva alla principessa, che quel giorno aveva acconciato i capelli in una treccia a corona. O Anna aveva imparato a farla da sola, o aveva finalmente permesso a Gerda di sistemarle la chioma. Siccome era una piccola ribelle ed era sempre alla ricerca di avventure, aveva sempre considerato più pratiche le trecce. Elsa si domandò la ragione per cui avesse di colpo deciso di agghindarsi.

 Quella ragazza, che aveva una pettinatura nuova e gli occhi blu e le migliori intenzioni a cuore, le voleva ancora bene. A dispetto delle brutte cose che aveva commesso, la regina era amata. Anna aveva la massima fiducia in sua sorella ed Elsa non aveva fatto altro che provarle di essere nel torto.

Se vuole bene a me, sarebbe capace di accettare chiunque.

 «Mi piacciono i tuoi capelli». Elsa ruppe il silenzio con una timida asserzione.

 Il fatto colse Anna leggermente alla sprovvista. Batté le palpebre, come se non riuscisse a credere che quel complimento fosse rivolto a lei. «I miei capelli?»

«Oh, salve a me

 Era come se tra loro due non fosse cambiato niente.

 Elsa annuì. «Sei molto bella».

 «Tu dici?» replicò Anna, animandosi. «Ingvalda ritiene che dovrei iniziare a vestirmi così, con tutti questi ufficiali del governo in giro».

 L’umore di Elsa si smorzò con la rapidità del vento. Le incombenze con Ingvalda erano l’ultima cosa a cui voleva pensare in quel momento.

 «Lei, uhm… voleva sapere perché oggi non ci fossi» scandì lentamente Anna, con attenzione.

 «Aspetta, oggi c’era una riunione?»

 «Sì» disse Anna, distogliendo lo sguardo e mordendosi il labbro. «Dovevamo discutere della lettera da inviare alle Isole del Sud. Ti sono venuti a chiamare, ma… tu non eri in camera tua».

Non avrei dovuto parlare.

 Elsa non sapeva come reagire. Fare finta di niente? Mentire? Ripetere fidati di me per l’ennesima volta?

 No, non poteva andare avanti così. Anna meritava la verità.

Devo confessarglielo.

 «Ero… ero nelle prigioni» ammise Elsa dopo un lungo sospiro, raccogliendo il coraggio.

 Anna probabilmente si era aspettata un fidati di me. La bizzarra risposta catturò istantaneamente la sua attenzione.

 «Con Hans?» indagò, protendendosi sul tavolo.

 Quel giorno Elsa aveva avuto lezione. Lei e Hans avevano lavorato sulla velocità, cercando di trovare il metodo più lesto possibile per sciogliere il ghiaccio. Una volta raggiunto un risultato soddisfacente, avevano fatto a gara a chi avrebbe toccato per primo il muro con una gettata dei propri poteri. Aveva vinto Hans, ma Elsa non ci era rimasta male: la volta successiva era sicura di batterlo.

 «Sì» assentì.

 «Cosa?» esclamò Anna, scuotendo la testa dall’incredulità. «Avrebbe potuto farti del male!»

 Anna era ignara delle lezioni. Non aveva idea che Elsa trascorresse gran parte del suo tempo libero facendo visita all’uomo dietro le sbarre. Sapeva solo che, per pretesa di Elsa, Hans era stato trasferito per un breve periodo all’interno del castello, e che poi era stato rinvenuto un cadavere.

 «Lo so» ribatté Elsa, che in fin dei conti non mentiva. Era cosciente del rischio costante che loro due si ferissero a vicenda. Soprattutto adesso che lo stato emotivo di Hans era compromesso.

 «Che diavolo stavi facendo?» sbottò Anna. Elsa trovò arduo capire se sua sorella fosse furiosa o turbata, ma ora come ora Anna era sconvolta e basta.

 «Stavo… stavo…»

Perché le ho detto la verità? Perché non le ho tenuto tutto nascosto come sempre? Non c’è via d’uscita.

 Anna scosse la testa, scettica. «Elsa… Mi spaventi. Ti prego, dimmi che non gli hai parlato».

Mi dispiace da morire, Anna.

 Elsa non fu in grado di restituirle lo sguardo e tacque. Udì Anna prendere un sospiro profondo, spezzato da un leggero tremolio.

 «Non puoi dare fiducia a quell’uomo. È impossibile ragionare con lui. Oh, però è bravo con le parole, lo so».

 Si bloccò, prese un secondo sospiro e proseguì con calma. Elsa rivolse un’occhiata furtiva ad Anna, che nei modi era simile in una maniera inquietante a Ingvalda.

 «Ma non ti farai manipolare così, vero?» chiese la principessa. «In fondo, è difficile arrivare al tuo cuore. A me ci sono voluti anni ed è stato solo grazie a un incidente. Voglio dire…» Anna rise lievemente, ma smise non appena vide l’espressione tragica e colpevole sul volto della sorella.

 «No» boccheggiò, come se diffidasse dei propri occhi. «No, no. Elsa, ti prego, dimmi che non ti sei innamorata di lui».

 Elsa cercò di difendersi: «Non puoi capire—»

 Anna si alzò in piedi, scattando come la luce, la faccia contorta dall’orrore. «Non ci posso credere».

 Gli incubi di Elsa erano divenuti realtà. La sagoma di fuoco invocata da Hans pareva star parlando attraverso la bocca della vera Anna.

 «Ti rendi conto del pericolo che stai correndo? Del pericolo che stai facendo correre a tutti? Oh, quando lo hai trasferito qui al castello ho immaginato che ci fosse qualcosa che non andava, ma ho sperato di sbagliarmi! Mi sono detta che mia sorella è troppo intelligente per cascarci!»

 Elsa sentiva di essere lì lì per scivolare giù dalla sedia e crollare a terra. «Anna, mi dispiace, io—»

 «No» la interruppe Anna, chiudendo gli occhi e sollevando le mani in aria. «Elsa, scusami, ma non ce la faccio più. Da quando è arrivato lui, sei distante e hai smesso di parlarmi. Ho tentato di essere ottimista, di appoggiarti e sostenerti nel caos di questi giorni. Ma non posso più aiutarti, non se non viene mandato via quel mostro».

Mostro.

 Oh, aveva usato quella parola.

 «Lui non è un mostro» mormorò Elsa.

 «Sì che lo è!» gridò Anna. «Dimentichi forse che ha cercato di ucciderci? Che ha interpretato la parte del principe azzurro solo per rubare il trono di Arendelle? Elsa, lui non ti ama. Non gliene importa niente del tuo cuore: gli interessa solo il titolo!»

 Come se quei pensieri non la torturassero di continuo. Ogniqualvolta Elsa provava gioia e felicità, veniva pugnalata dalla possibilità che Hans si stesse prendendo gioco di lei.

Ma non poteva essere. Le storie che le aveva raccontato erano reali, così come erano spontanee le emozioni che aveva mostrato. Non poteva aver mentito su tutto.

 «Non so che altro dire» borbottò Anna. Elsa l’aveva vista arrabbiata di rado e sperava di non dover ripetere l’esperienza mai più. «A meno che tu non lo convinca a non ammazzare la sua famiglia, sarà—»

 «Non è lui il colpevole!» insistette Elsa, ma fu ignorata.

 «È ovvio che si tratta di lui! Il suo nome è sui cadaveri! Ti sta ingannando!»

 «Non sarebbe mai capace di fare del male a suo padre».

 «Cosa?» chiese Anna, gli occhi assottigliati. «Lascia stare, non importa. Qualunque cosa ti abbia detto, qualunque cosa ti abbia fatto, ti prego, dimenticala. Dobbiamo rimandarlo alle Isole del Sud».

 «Non mi ha fatto niente» enfatizzò Elsa, che arrossì all’accenno. «Può anche darsi che non mi contraccambi affatto».

 Sentendo questo, Anna si placò. «Non ha… non ha detto di amarti?»

 Elsa scosse la testa. La cosa colse Anna di sorpresa, uno stupore maggiore rispetto a quello avuto alla confessione iniziale di Elsa. D’improvviso le intenzioni di Hans non erano più ovvie come prima. Tuttavia, non era disposta ad addolcirsi nei suoi confronti.

 «Solo… ti prego. Scrivi la lettera, così possiamo cacciarlo via il prima possibile. Ho finito il tè» concluse la principessa, alzandosi da tavola e rimettendo la sedia al suo posto.

 Elsa non si era mai vergognata tanto in vita sua. La verità ti renderà libera… ma non se non esiste una via d’uscita¹.

 «Elsa?» disse Anna prima di uscire dalla stanza. La regina si voltò verso la sorella, i cui occhi erano profondamente tristi, mentre il viso era freddo come la roccia. «Se non scrivi la lettera entro una settimana, sarò costretta a riferire tutto a Ingvalda».

 Elsa rischiò di strozzarsi. «Anna… no» esalò. «Per favore. Ho solo bisogno di più tempo».

 «Mi dispiace, Elsa. Ma è per il tuo bene. Per il bene di Arendelle» asserì Anna. Si morse il labbro e, senza la fiducia necessaria per aggiungere altro, lasciò il salotto.

 La bocca di Elsa si spalancò, la gola che si stringeva e le lacrime che scorrevano come fiumi.

Anna ti vuole bene… cercò di rassicurare se stessa, ma non ne era più certa.

 Inciampò nella sua sedia e quasi cadde per terra di faccia. Si issò di nuovo in piedi, fremente e intenta a uscire dal soggiorno il più velocemente possibile. Una volta fuori dalla porta, le gambe la condussero al suo rifugio.

 Per anni Elsa era stata confinata tra le mura della sua stanza, della sala da pranzo e della biblioteca. Quest’ultima era per lo più sempre vuota e, in confronto a camera sua, era una boccata d’aria fresca, per cui col tempo vi aveva passato diverse ore leggendo. Era diventata una specie di secondo santuario, e fu per questo che Elsa si diresse incespicando verso gli scaffali di libri, aggrappandosi alla maniglia per sostenersi, mentre i singulti avevano la meglio su di lei.

 Chiuse la porta, sbattendola. Appoggiò la testa contro la superficie di legno, singhiozzando ad ogni lacrima. Il suo pianto echeggiò per il vuoto della stanza. Non era la prima volta che accadeva.

Anna ha ragione. Non è cambiato niente. Non cambierà mai nulla. Finirò sempre per allontanarla da me.

 «Vostra… Maestà?»

 La voce la colse completamente alla sprovvista. Si guardò intorno e vide Kristoff, estremamente allarmato, seduto accanto al camino acceso. Come ho fatto a non notare che c’era già qualcuno? La preoccupazione era dipinta sul volto del montanaro. «State… state bene?»

 In fretta e furia, Elsa si asciugò invano le lacrime con una manica. «Sì… sì, tutto a posto».

 Ma il danno era fatto. Kristoff si alzò dalla sedia e, imbarazzato, le si avvicinò di qualche passo, incerto se dovesse correrle incontro o lasciarla stare.

 «Vi va… vi va di parlarne?»

No.

 Aveva sempre affrontato i problemi correndo piangente in camera sua. O correndo verso le montagne per costruire un palazzo. E niente sembrava andarle per il verso giusto. Al diavolo. Ho già mandato tutto a rotoli. Cos’altro posso rischiare?

 «Quando hai capito di amare Anna?» mormorò Elsa, la voce tremante per le lacrime.

 Kristoff batté le palpebre. Era evidente che non voleva turbarla ulteriormente.

 «Uhm… be’». Si grattò la nuca, impacciato. Elsa comprendeva il motivo che aveva spinto Anna a sceglierlo. La vitalità di lei e la timidezza di lui cozzavano magnificamente, e nel modo migliore. «Immagino… di aver capito di amarla quando l’ho riaccompagnata ad Arendelle. Il suo cuore stava congelando e l’unica maniera per salvarla – be’, credevamo fosse quella l’unica maniera – era riportarla dal suo fidanzato».

 Alla menzione di Hans, Elsa si fece piccola.

 «Ma sapevo che non potevamo fare altrimenti se non, insomma, ritornandola al suo “vero amore”». Rise brevemente. «Immagino che però alla fine abbia funzionato».

 Dopo che notò che Elsa non si stava riprendendo, gli occhi di Kristoff guizzarono a terra. «Volete che me ne vada? Perché io—»

 «No» disse Elsa. «È tutto a posto».

 Lui si irrigidì, l’imbarazzo fatto a persona. «Uhm, d’accordo». Le indicò il divano, nel tentativo di essere d’aiuto. Elsa annuì grata, asciugandosi nuovamente il viso. Fece qualche passo in direzione del sofà, con l’impressione di aver camminato per chilometri, e vi prese posto.

 Kristoff aveva l’aria di un cucciolo perso, cercando freneticamente un modo per sollevare l’umore della sua (forse) futura cognata.

 «Quando… quando sentivi di amare Anna… ma sapevi che era fidanzata» balbettò Elsa, «avevi la sensazione di star facendo qualcosa di sbagliato? Come se fossi una persona orribile per provare quei sentimenti?»

 Kristoff ci rimuginò su, mordendosi il labbro. «Uhm, no. Non proprio. Uno non può decidere di che persona innamorarsi. Può solo fare del suo meglio per renderla felice».

E io per Hans sto facendo del mio meglio? E per Anna?

 «Scusatemi, Vostra Maestà, ma cos’è successo? Anna sta bene?» domandò Kristoff, l’apprensione riflessa sul suo volto.

 Elsa annuì. «Sta bene. Ma mi sa che… per un po’ non mi parlerà più» replicò, la voce sottile senza che lo volesse a causa della stretta che avvertiva alla gola. Non riuscì a parlare oltre e le lacrime le rigarono le guance.

 «L’ho tradita» gemette. «Mi… mi sono innamorata dell’unica persona di cui non mi sarei dovuta innamorare».

 Kristoff si accigliò, sforzandosi di capire a chi si riferisse. L’illuminazione lo colpì all’improvviso e il peso della notizia lo costrinse a sedersi. «Oh».

 «Non volevo» lamentò Elsa, assaporando il sale sulle sue labbra. «Non ho mai… non ho mai voluto ferirla».

 Le parole di solidarietà di Kristoff si erano interrotte e il montanaro la fissò. Elsa si chiese se avrebbe mai rivisto Hans o se, prima che l’amico partisse e finisse in un posto per lei irraggiungibile, avrebbe spiattellato al mondo intero lo sbaglio raccapricciante che il suo cuore aveva commesso. Si chiese se fosse meglio così.

 «Sapete» confessò Kristoff, «anch’io amo qualcosa che non dovrei amare».

 Elsa alzò lo sguardo e tirò su con il naso e gli occhi di Kristoff vennero attirati dalle fiamme che gli erano di fronte.

 «È sin da piccolo che lavoro con il ghiaccio. E ne conosco i pericoli. Vale a dire… Immagino che la ragione per cui sono un tagliaghiaccio è perché lo voglio padroneggiare. Come se, tagliandolo e vendendolo, gli fossi superiore. E lui prova a battermi, ma ho io l’ultima parola».

 Mentre lo ascoltava, i singhiozzi di Elsa diminuirono. Kristoff si voltò verso di lei con un sospiro.

 «Il gelo mi ha derubato dei miei genitori» raccontò sommessamente. «Quel giorno andarono in città, ma vennero sorpresi da una brutta tempesta. Dovemmo scavare a lungo prima che potessimo dare a loro un funerale decoroso».

 «Mi… mi dispiace tanto» disse Elsa, il cuore che sprofondava. Per un attimo, dimenticò i suoi problemi e fu invasa dal senso di colpa. Sapeva di non essere la responsabile, ma Kristoff aveva perso i genitori a causa di una bufera. Poteva benissimo essere stata scatenata per mano sua.

 «Anna al fiordo non era la prima volta che vedevo qualcuno congelare a morte» mormorò il montanaro. «Ma… dopo che i miei mi hanno lasciato solo, ho imparato a raccogliere e vendere il ghiaccio. Adesso direi che… be’, fino a un anno fa, il ghiaccio è stato la mia vita.

 «Ammetto che lo amo. Ogni cosa che lo riguarda è magnifica e bellissima e, cavoli, sono così geloso di voi» rise. La bocca di Elsa si curvò lievemente.

 «Io, uhm, in pratica quello che voglio dire è che non dovete mai dimenticare ciò che vi ha ferito. Ma potete fare del vostro meglio per far sì che il male non trionfi su di voi. Non so… cosa vi stia succedendo di preciso. Tutto quello che vi posso dire è che non dovete arrendervi al dolore. Scegliete di fare ciò che ritenete più giusto. Se amate davvero… questa persona, fate del vostro meglio».

 Elsa non sapeva esattamente cosa pensare, ma le parole di Kristoff, stranamente, furono in grado di restituirle la fiducia. Il suo cuore si gonfiò di speranza. Kristoff era riuscito a rendere il quadro della situazione meno drammatico rispetto a come l’aveva dipinto lei. Non l’aveva giudicata anche se aveva compreso che la persona di cui avevano discusso era Hans e, con grande sollievo di Elsa, non lo aveva nemmeno nominato.

 «Grazie» gli rispose lei con sincerità.

 Kristoff annuì, rincuorato. Il tagliaghiaccio si rilassò nuovamente sulla sedia, continuando a tenere gli occhi fissi sulla regina.

 Tacquero a lungo, ma fu un silenzio gradevole. A nessuno dei due dispiaceva la quiete ed entrambi godevano della tranquilla compagnia dell’altro. Tuttavia Elsa era assillata da un problema su cui ponderava da tempo ma che non aveva mai portato alla luce: fare del suo meglio per tutti coloro cui teneva.

Ma cosa?










¹ Eversione della frase “The truth will set you free” (“La verità ti renderà libero”), pronunciata da Gesù nel Vangelo secondo Giovanni (8, 32).

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Capitolo 14
*** Quattordici ***


Quattordici



Il principe John giunse a riva a soli tre giorni di distanza dall’arrivo di Francis, che a sua volta era comparso una settimana dopo Campbell. Arendelle adesso ospitava un re defunto, tre principi morti e un traditore che stava impazzendo nelle prigioni.

 Elsa comunicò la notizia a Hans con il cuore pesante, e vide la bocca del principe contrarsi e i suoi occhi adirarsi. Hans la fissò male come se fosse lei quella che stava uccidendo ad uno ad uno i membri della sua famiglia.

 Quando la regina concluse di parlare, Hans si allontanò da lei per avvicinarsi alla finestra. Da quando Elsa era entrata nella cella, la temperatura era salita. Non sapeva se si fosse arrotolata le maniche per via del caldo o per il nervosismo.

 «Mi hai promesso che avresti trovato l’assassino» ringhiò Hans, le parole smorzate dai denti stretti.

 «Ci sto provando» ribatté lei, il che non era una completa bugia. Kristoff si era offerto volontario per vigilare tutti coloro che avrebbero potuto essere i responsabili della consegna dei cadaveri, ma finora era tornato dalla sorveglianza notturna con gli occhi stanchi e le mani vuote. Sembrava che l’omicida, recapitando i propri regali, non bussasse alle porte, né sfrecciasse per le strade¹.

 «Sono cose che necessitano di tempo» tentò di consolarlo Elsa. «Ti giuro che scoveremo—»

 «Ma quando?» disse Hans bruscamente, voltandosi. La sua espressione era fumante. «Quante volte ancora dovranno comparire i miei fratelli sulle tue sponde, prima che sia data loro giustizia? Ti verrà la motivazione di farlo quando sarò io quello trascinato fin qui dalle onde? Vuoi terminare la collezione?»

 Elsa spalancò la bocca, in parte per la vergogna, ma soprattutto per l’offesa subita.

 «Ti ripeto che ci sto provando» obiettò irritata. «E non sei nella posizione per accusarmi. Il tuo nome è scritto su tutti e quattro i corpi».

 «Ma non sono stato io» gemette lui. «Lo sai».

 «Solo perché lo so io non significa che ciò sia una solida argomentazione» borbottò Elsa, distogliendo lo sguardo: Hans le stava rivolgendo degli occhi da cucciolo bastonato. «E poi, il killer di certo non si fermerebbe anche se il popolo si convincesse della tua innocenza».

 Quando lei si girò, vide che le iridi luminose di Hans si erano sfumate e che il suo volto si era contorto in un cipiglio arrabbiato. «Forse, se venissi rilasciato da questa dannata prigione, potrei agire in prima persona contro l’assassino, dato che tu non hai intenzione di farlo».

 Elsa non riusciva a credere alle sue parole. «Ti ripeto di nuovo che ci sto provando. E sai bene che pretendendo la tua liberazione mi chiedi troppo».

 «Davvero?» replicò lui. «Pretendere che un uomo innocente venga liberato è chiedere troppo?»

 «Tu non sei innocente!» urlò Elsa, esplodendo per la prima volta in quel giorno. «Hai cercato di impadronirti del mio regno! Hai sedotto mia sorella per poi lasciarla morire! Hai tentato di uccidermi per rubarmi la corona!»

 Hans trasalì, poi sibilò: «Mi hai detto che avresti lasciato tutto alle spalle. Il passato è passato, no?»

 In quel momento la frustrazione di Elsa era tale che niente in vita sua era paragonabile. Come aveva fatto a innamorarsi di un idiota simile?

 «Stai ancora cercando di manipolarmi, vero?» mormorò, la voce che si attenuò mentre il suo cuore sprofondava. «Non sei cambiato affatto».

 Hans, al contrario suo, non si era calmato. Difatti il suo viso era incredibilmente scarlatto e respirava in maniera pesante e udibile. «Io sono cambiato!» sbottò, spingendo le braccia in su.

 Ma così facendo, dai suoi palmi partì un’onda di fuoco diretta verso Elsa. Il cuore le salì in gola.

 Fortunatamente, Elsa aveva le mani scoperte e fermò le fiamme d’istinto. Una parete di ghiaccio si innalzò immediatamente dal pavimento al soffitto, da muro a muro.

 La regina delle nevi chiuse gli occhi e sentì il rumore dello sfrigolio del fuoco contro il ghiaccio. Quando tornò il silenzio, si azzardò ad aprire un occhio. Il ghiaccio si era sciolto leggermente da una parte, ma la parete era spessa e il fuoco non era stato in grado di penetrarla. Elsa era salva.

 L’uomo che stava dal lato opposto, tuttavia, aveva l’aria di aver appena ricevuto la propria condanna a morte. Nonostante il ghiaccio deformasse i tratti dell’altro, Elsa distinse due occhi verdi spalancati per l’orrore. Hans ansimò, poi subito cinse se stesso in un abbraccio, come per soffocare ulteriore fuoco. Continuava ad agitare la testa e dire: «No, no, no».

 Elsa ebbe quasi pietà di lui. In quel periodo Hans stava affrontando pene oltre ogni misura, persino più di lei. Aveva ogni ragione per essere sconvolto. Ma non è capace di controllarsi pensò. È addirittura più pericoloso di me.

 Si ricordò di quello che le aveva detto Anna il giorno in cui era stato rinvenuto re Lewis: «Il suo benessere non conta più delle vite altrui».

 Afflitta, Elsa abbassò le mani e guardò Hans negli occhi. A giudicare da quello che vedeva attraverso il muro, l’uomo era terrorizzato. Mentre le si riempivano gli occhi di lacrime, però, l’unica cosa che poté fare fu scuotere il capo e dirigersi in direzione della porta.

 Quando quella si chiuse, Elsa credette di sentirlo gridare in agonia. Cercò di non pensarci, affrettando il suo passo mentre percorreva il corridoio e si asciugava le lacrime. Doveva andarsene subito. Anna alla fine aveva ragione. In lui albergava ancora un mostro, non importava quanto lei desiderasse che scomparisse.




L’indomani ricevette l’ennesima lettera. Nell’istante in cui riconobbe il sigillo delle Isole del Sud, provò angoscia. Possibile che non ci fossero mai buone notizie?

 Sgattaiolò in camera sua, il cuore pesante e i nervi tesi a causa dell’incontro del giorno prima. Chiuse la porta non appena mise piede nelle sue stanze. Diede un’occhiataccia alla busta, poco propensa a vedere cosa vi fosse all’interno.

 Ciononostante, se voleva fare progressi era costretta ad accertarsi del suo contenuto, e così la aprì piano. Non aveva fretta di leggerla.

 Il foglio era firmato da Jørgen, il settimo principe. Egli aveva una calligrafia incomprensibile, per cui le ci volle del tempo per decifrarla, ma si capiva che la missiva era stata scritta durante un vero e proprio attacco di panico. Jørgen raccontava che, in aggiunta alle sparizioni prolungate del re e della regina, anche il principe Campbell era svanito, e che persino le lettere che aveva inviato agli altri suoi fratelli erano state rispedite indietro da gente che dava notizia della loro scomparsa. Su dodici fratelli, gli unici incolumi erano sette, se si teneva conto del nono e del decimo che erano ancora rinchiusi nelle prigioni di Corona, in Germania. A quanto pareva, Hans non era il solo ad aver avuto problemi con la legge.

 La notizia non la rincuorò. Come avrebbe fatto a rintracciare un assassino di tale rapidità? Era riuscito nell’impresa impossibile di rapire i fratelli Westergard da luoghi distantissimi l’uno dall’altro in un lasso di tempo esiguo. E nell’ordine esatto, poi. Non sarebbe stato più facile colpirli in base alla vicinanza di territorio? L’omicida si era avventurato dalle Isole del Sud, in Danimarca, alla Catena dell’Ovest, in Francia, per poi andare in Cina e in Islanda, in Russia e in India. A chi non era a conoscenza dell’ordine delle loro nascite, le sparizioni dei principi sarebbero apparse casuali. E con i restanti fratelli – salvo i criminali – raggruppati nello stesso punto, sarebbero stati una preda ancora più facile da rivendicare.

 Senza contare i costanti viaggi del killer ad Arendelle per lasciare i corpi. Elsa avrebbe voluto distruggere la lettera che aveva tra le mani, tanto era frustrata. Non sarebbe mai riuscita a catturare quello spettro.

 Sospirò profondamente e chiuse gli occhi, poi rimise con cura il foglio nella busta. Per qualche ragione, le venne alla mente la principessa Bhumi, la ragazza che riusciva a donare e a togliere la vita con il suo tocco. Era stata ridotta in singhiozzi da Hans. Mentre una lacrima le scorreva lungo la guancia, Elsa rifletté che Bhumi non era stata la sola che il principe aveva fatto piangere.

 La vita sarebbe stata molto più semplice se avesse seguito il consiglio di Anna e avesse mandato l’uomo a casa sin dal principio. Non avrebbe mai dovuto farsi coinvolgere in quella storia. Non avrebbe mai dovuto abbassare la guardia e lasciarlo insinuarsi nel suo cuore.

 Si massaggiò l’attaccatura dei capelli e, raddrizzando la schiena, si staccò dalla porta dopo esservisi appoggiata contro. La regina fece il suo consueto viaggio verso il cuscino per riporvi dentro la lettera, come un’accumulatrice compulsiva. Con tutta quella carta infilata all’interno della federa, dormire le sarebbe stato più difficile.

 Stava per prendere in mano il cuscino, quando la porta si aprì con suo grande orrore.

 «Elsa?»

 La regina si voltò velocemente, facendo cadere la lettera sul letto e riconoscendo Anna, che si stava stringendo timidamente all’entrata. Proprio adesso doveva succedere? sibilò Elsa internamente.

 «Io, uhm…» farfugliò Anna, gli occhi puntati a terra. Le sue dita tracciavano mulinelli sul legno. Elsa si chiese se Anna avesse notato il senso di colpa tradito dalla faccia avvampata di sua sorella. «Mi voglio scusare… per l’altro giorno».

Oh. Intendeva parlare di quello. Elsa arrossì, ricordandosi di quello che aveva confessato ad Anna.

 «No, non fa niente» rispose lei, con il timore di spostarsi da dov’era per non attirare l’attenzione della principessa sulla busta sulle lenzuola.

 «, invece» ribatté Anna, torcendosi le mani. «Non avrei dovuto perdere le staffe, perché, insomma, dopotutto sei mia sorella e la famiglia è la cosa più importante…» La sua voce si affievolì e il suo sguardo si diresse sul letto. Elsa era una statua. «Cos’è quella?»

 «Niente» si affrettò a dire Elsa, agguantando la lettera e inserendola velocemente nel cuscino. «Niente di importante».

 Ma Anna ne aveva abbastanza di essere messa da parte. «Elsa…»

 «Hai finito?» la interruppe la regina, che si sarebbe data un calcio per la sua maleducazione. Per quanto ancora continuerò a respingerla?

 Anna pareva star pensando la stessa cosa. In circostanze normali, si sarebbe insopportabilmente intristita, ma avrebbe sorriso per finta. Questa volta, però, non lo fece. Le sue sopracciglia si aggrottarono e le sue labbra si strinsero. Il cambiamento che c’era stato in lei era terrificante a vedersi. Sono stata io a farle questo.

 «Ingvalda e io ti avremmo invitata a prendere il tè con noi» disse Anna scontrosamente. «Ma a quanto pare sei già occupata».

 Elsa voleva raggiungere Anna, scusarsi e raccontarle delle lezioni e delle lettere e di quanto fosse dispiaciuta. Anna, però, afferrò la maniglia e sbatté la porta, chiudendola dietro di sé.

 Elsa sussultò alla forza del colpo. Fissò il legno della porta per diverso tempo. Non sapeva come facesse il suo cuore a continuare a battere. Dopo tutti quegli anni, era finalmente riuscita ad allontanare Anna da sé.

 Doveva rimediare. Doveva riprendersi Anna. Un raggio di sole come lei non era destinata a covare tutto quel rancore. Qual era la costante che le aveva sempre separate?

 Hans.

 Con il cuore a pezzi, si rese conto che Hans aveva ragione. Doveva scarcerarlo. Una volta libero, forse sarebbe riuscito a fermare l’assassino. Ed Elsa avrebbe detto ad Anna che non aveva idea di cosa le fosse preso e avrebbe riparato la loro relazione.

 L’unica cosa che le impediva in quel momento di correre verso la cella e liberare Hans era il suo egoismo. Adesso capiva il motivo per cui lo aveva tenuto incarcerato tanto a lungo e si era rifiutata di scrivere alle Isole del Sud. Elsa era stata così stupida da ascoltarlo, empatizzare per lui ed essersene innamorata.

 Ma si trattava di amore per davvero? Hans era un prigioniero che in passato aveva cercato di ucciderla e che il giorno prima aveva perso il controllo di sé, rischiando di carbonizzarla. E non le aveva mai dimostrato di provare sentimenti diversi dall’amicizia.

 Olaf una volta le aveva detto qualcosa, una frase che Anna ripeteva sempre. L’amore è mettere il bene di un altro prima del tuo.

 Con il labbro tremante e con tutta la forza che riuscì a raccogliere, Elsa si alzò, il cuore che sprofondava a ciascun passo che compieva verso le prigioni.




Il tè non era la stessa cosa senza Elsa. Sin da agosto, le due si erano distanziate talmente che Anna faticava a credere che fosse mai cambiato alcunché tra loro due.

 Probabilmente la cupezza le era dipinta in volto, perché Ingvalda si fermò a metà monologo per esclamare: «Ma cos’avete?»

 Anna le lanciò un’occhiata e scrollò le spalle in risposta a colei che non aveva mai considerato parte della sua famiglia. La donna grondava di affari. «Niente».

 «Negli ultimi tre minuti vi siete limitata a mescolare il tè e scrutare il muro» osservò Ingvalda. A dire la verità, Anna aveva pensato che si fosse arrabbiata perché non le aveva badato mentre l’ex custode sermoneggiava sulla tensione nel mercato internazionale.

 Non era mai stata brava a starsene zitta e, a causa di tutte le cose che le passavano per la testa, aveva bisogno di qualcuno che l’ascoltasse un po’.

 «È solo che non riesco a capire perché Elsa sia tanto fredda con me» esplose Anna. «Voglio dire, sì, è tipo così da tutta la vita, ma nell’ultimo anno era migliorata e parlavamo e prendevamo il tè insieme e poi è comparso lui e ha cambiato Elsa e la cosa non mi piace».

 «Intendete il principe Hans?» chiese Ingvalda. Avere qualcuno che la stava a sentire fece sentire Anna leggermente meglio, anche se si trattava dell’ex custode.

 La principessa annuì. «Ha iniziato a parlargli, cioè, un casino. Ed è certa che non sia lui l’assassino e suppongo che sia un tantino difficile uccidere gente di paesi stranieri se sei in prigione, ma lei è sempre sulla difensiva! E poi l’altro giorno ha semplicemente…» Anna non poteva rivelare a Ingvalda ogni segreto di Elsa. Anche se era furiosa, non stava a lei confessarli. «Sono solo frustrata».

 «Dove si trova la regina adesso?» domandò Ingvalda, gli occhi più affilati del solito.

 Anna fece spallucce. «Prima era in camera sua. Aveva una lettera in mano— oh, e ancora una cosa! Ha cominciato a occuparsi personalmente della posta».

 «Ma davvero?» disse Ingvalda, il busto in avanti. «Perché?»

 «Non so. Ma aveva questa lettera – è da, bah, settimane che ne riceve – e l’ha infilata nel cuscino con un’aria di segretezza e io ugh!» Anna si portò le mani alla faccia per l’insoddisfazione. «Grazie per avermi ascoltata. Kristoff odia fare questo genere di chiacchiere, cerca sempre scappatoie—»

 «No, grazie a voi, Anna» affermò Ingvalda, alzandosi da tavola. «In effetti, ho come l’impressione che possiamo sistemare i nostri affari esteri prima di quanto pensassi».

 Per la sorpresa della principessa, l’ex custode spinse la sedia al suo posto e si incamminò via. «E il tè?»

 «Scusatemi, mia cara. Temo che mi attendano questioni urgenti. Perdonatemi se vi lascio così presto» replicò Ingvalda con un leggero inchino. E detto quello, Anna si ritrovò sola per l’ennesima volta.

 Aveva il sospetto di aver parlato troppo. Anzi, mentre contemplava la sua tazzina, aveva la sensazione di aver parlato quanto bastava perché Elsa decidesse di non rivolgerle più la parola.










¹ In inglese, l’espressione “dine and dash” indica l’atto di cenare a un ristorante e andarsene senza pagare il conto. In TPatS, Elsa dice che sembrava che l’assassino, quando lasciava i suoi regali, non bussasse ai cancelli per poi scappare via (It seemed the killer didn’t knock on the gates and dash when they left their gifts), facendo un gioco di parole. In italiano la frase mi suona poco, dunque l’ho modificata.

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Capitolo 15
*** Quindici ***


Quindici



La parete di ghiaccio non si era minimamente sciolta. Quando Elsa si recò nella cella, tutto ciò che riuscì a intravedere attraverso la lastra scivolosa fu un’ombra raggomitolata, che grossomodo aveva la sagoma di un uomo. Il labbro inferiore della regina non aveva smesso di tremolare sin da quando ella era uscita da camera sua.

 «Hans?» lo chiamò piano. Non ricevette alcuna reazione. Provò a chiamarlo più forte: niente.

 Se non aveva intenzione di risponderle, era costretta a varcare la barriera che le era di fronte. Non era la prima volta che doveva abbattere una delle tante poste tra lei e Hans.

 Abbassò le palpebre e ricordò a se stessa che lo stava facendo perché amava Anna e – non aveva più senso mentirsi – Hans. Radunò quel sentimento in sé mentre posava gentilmente le mani sul ghiaccio. Percepì una fessura formarsi all’interno del muro. Aprì gli occhi e ammirò il suo lavoro che scompariva piano in fiocchi di neve nell’aria.

 «Fermati» lamentò una voce frastornata. Elsa vide la sagoma cambiare posizione, il che bastò perché lei decidesse di ritirare le mani, un largo buco inciso nel ghiaccio all’incirca all’altezza della sua testa.

 Hans inciampò per poi sollevarsi in piedi, delle borse scure a sottolineare il suo sguardo e un cipiglio burbero in volto. «Che stai facendo?»

 «Non ti alzavi» spiegò Elsa.

 «Non sciogliere il muro, è l’unica difesa che ci separa». Lui lo constatò come se fosse una cosa positiva. «Non voglio ferirti di nuovo».

 «Non mi hai ferita». Non fisicamente, almeno.

 «Ma avrei potuto» obiettò Hans, cingendosi il busto come in un autoabbraccio. Elsa si chiese per quanto tempo avesse tenuto nascoste le mani in quel modo.

 «Non sei l’unico ad aver perso il controllo» lo rassicurò lei. «Tu non sei troppo pericoloso per me, perché noi due siamo uguali».

 «Noi non siamo uguali». Hans soffocò una risata.

 «E invece sì» insisté Elsa. «Entrambi siamo obbligati a portare i guanti. Entrambi ci siamo allontanati dai nostri fratelli. Entrambi sappiamo cosa significa vivere in un costante stato di vigilanza, perché il senso di colpa ci consuma se perdiamo il controllo per un singolo secondo».

 Quel discorso tappò la bocca al principe, e i suoi tratti si addolcirono. Elsa proseguì.

 «Per cui smetti di comportarti come se fossi l’unico terrorizzato all’idea di ferire le persone che ami» concluse sommessamente, rendendosi conto solo dopo di aver sottinteso che Hans l’amasse. Ma passò oltre. «Ti prego… Metti le mani dietro la schiena se sei tanto preoccupato. Voglio parlarti».

 Lui la fissò, apparentemente calmato dalle sue parole. Ubbidientemente, mise le mani dietro la schiena, non rompendo mai il contatto visivo. «Allora parla».

 «Ho ricevuto un’altra lettera» annunciò Elsa. «È da parte di Jørgen. Mi ha comunicato che sono rimasti solo lui e i fratelli minori. È molto agitato».

 «Com’è giusto che sia» mormorò Hans.

 «E… so che per te è dura ricevere continuamente notizia della tua famiglia che compare sulle nostre sponde» balbettò Elsa, senza voler concludere la frase, «per cui… ho preso una decisione».

 Hans sembrò di colpo estremamente triste. Ma si contenne e, rassegnato, asserì: «Va bene. Scrivi pure la lettera».

 La regina era disorientata. La confusione che aveva in faccia era la stessa che aveva anche il principe.

 «Non… non era questo che intendevi? Scrivere alle Isole del Sud?»

 Elsa scosse il capo. «No, ti farò uscire di galera».

 Aveva creduto che la cosa lo avrebbe rallegrato, ma oltre a un breve scintillio nei suoi occhi, l’espressione di Hans non cambiò.

 «Non finirai nei guai?» domandò lui.

 «Nessuno saprà che sono stata io» sostenne Elsa, senza esserne certa. Chi altri lo avrebbe liberato, se non la regina che trascorreva tutto il suo tempo nelle prigioni?

 Hans agitò la testa. «No, non puoi».

 «Solo ieri mi pregavi di scarcerarti» ribatté Elsa. Non era sicura di quanto ancora potesse resistere prima di cedere e permettergli di rimanere. «Mi hai quasi dato fuoco quando mi sono rifiutata di assolverti».

 Hans schiuse le labbra, probabilmente per rispondere in maniera accalorata, ma invece si azzittì e abbassò le palpebre, prendendo un sospiro profondo. «Pensavo che tu volessi tenere a bada il mio caratteraccio».

 «A quanto pare abbiamo tutti e due difficoltà a venire a capo di quello che vogliamo» disse Elsa, il tono di voce attenuato.

 «Scrivi alle Isole del Sud» le consigliò Hans. «Chiedi cosa possiamo— cosa può fare Arendelle per aiutarli».

 Sciogliendo una mano dalla stretta dell’altra, il principe tracciò con i polpastrelli una linea sulla lastra gelida. Il suono leggero dello sfrigolio contro il ghiaccio era ben udibile.

 «Adesso capisco cos’hai provato al fiordo» sussurrò poi, come se non avesse voluto dirlo ma gli fosse scappato. «Collassando a terra, convinta che Anna fosse morta».

 Elsa rimase in silenzio, squadrando l’ombra delle dita che scorrevano sul ghiaccio.

 «Mi reputavo fortunato quando ho visto che il mio bersaglio si era indebolito, che la morte di una persona lo aveva annientato». Hans la scrutò, ma lei non fu capace di ricambiare lo sguardo. Era troppo occupata a rimuginare su quanto era successo con Anna.

 Anna, che era venuta in camera sua per scusarsi. Anna, che agognava a prendere nuovamente il tè insieme. Anna, a cui aveva promesso che non l’avrebbe più tagliata fuori dalla sua vita e a cui puntualmente sbatteva la porta in faccia ogni volta. E mentre Anna sorseggiava il tè con Ingvalda, Elsa era lì sotto che proponeva a Hans di farlo evadere di prigione.

Sono la peggior sorella di sempre rifletté rammaricata.

 «Elsa?»

 La voce preoccupata di Hans la strappò dalle sue orribili elucubrazioni. «Tutto bene?»

 Elsa provò a rispondere affermativamente, ma non le funzionavano le corde vocali. Si coprì la bocca e lasciò che le lacrime le fluissero lungo le dita.

 «Ehi, ehi». Hans cercò di consolarla, ma l’idea di raggiungerla e toccarla lo spaventava. Perciò, frustrato, rimase fermo dall’altro lato del ghiaccio, stringendo i pugni davanti a Elsa che piangeva.

 «Solo che io… io…» farfugliò lei, la voce affievolita. «Anna non mi ha mai fatto un torto, mentre io non faccio altro che escluderla. Sono una sorella terribile».

 Hans si sfregò una mano con l’altra, come se, accarezzando la propria, stesse consolando Elsa.

 «Non ne so molto di rapporti tra sorelle, ma… ti posso assicurare che non sei una persona terribile» scandì piano lui, meditando su ogni parola che pronunciava.

 Lei tirò su con il naso, cercando di riacquistare il contegno. Lo guardò con un’aria di aspettativa, come per chiedergli di spiegarsi.

 «Dopotutto, mi hai concesso una possibilità» osservò Hans. «Ero amareggiato e non potevo elargirti alcunché in cambio, eppure non mi hai scacciato via. E mi hai aiutato quando hai scoperto i miei poteri e i segreti della mia famiglia. Non mi hai voltato le spalle, né hai permesso che crogiolassi nei miei problemi. Tu… mi hai offerto la tua amicizia e, prima di te, non lo aveva mai fatto nessuno.

 «Dovrei essere ammazzato, considerando tutte le malefatte che ho compiuto. La Regina di Arendelle avrebbe potuto processarmi e farmi giustiziare pubblicamente. Ma tu no. Hai donato a un traditore la tua amicizia e una seconda opportunità per continuare a vivere, e mi hai indotto ad accettare una maledizione che, fino ad oggi, non mi ero mai arrischiato a giudicare meravigliosa».

 Hans alzò una mano, con esitazione, in un certo senso, ma padrone di sé. Una piccola scintilla eruppe dal suo palmo e poi altre cominciarono a balzellare intorno come pesci che saltavano fuori dall’acqua. La scena portò un sorriso sul volto di Elsa.

 Lui rise con leggerezza a quello spettacolo. «Ero convinto che non mi volesse nessuno. Tu mi hai fatto sentire come se la mia vita avesse un senso. Per cui, regina Elsa di Arendelle, non sei una persona terribile. Hai mostrato a un uomo ripugnante la gentilezza, nonostante lui ti avesse mostrato soltanto il bagliore della sua spada».

 Chiuse il palmo con un leggero crepitio, poi lo riaprì e soffiò via il fumo. Profumava d’estate.

 «Non riesco a immaginare cosa sarebbe successo se ci fossi riuscito» mormorò, il sorriso che si estinse insieme alla fiamma. «Se ti avessi uccisa al fiordo e ti avessi rubato la corona. Dio, ero pazzo».

 Trovava sempre la maniera per dare una piega demoralizzante alla conversazione? I ricordi del fiordo danzarono nella mente di Elsa.

 «Non era niente di personale, naturalmente» disse Hans. «Si trattava solo di affari. Alla fin fine, se ti avessi conosciuta, se avessi conosciuto la tua bontà, non ne sarei mai stato capace. In quell’attimo, l’unica cosa che avevo per la testa era che fosse un peccato uccidere una donna tanto bella».

 La guardò come se volesse intendere qualcosa, come se, dopo circa un anno ormai, la ritenesse ancora bellissima. O forse che, tuttora, sarebbe un peccato ucciderla.

 «Non amo ponderare su ciò che è accaduto al fiordo» ammise Elsa. «È stato un momento buio. Io… io sapevo che mi stavi impugnando contro una spada».

 Hans ne fu sorpreso e protese leggermente il busto in avanti. «Tu cosa?»

 «Sapevo che stavi per uccidermi» confessò lei, le mani appoggiate alla cornice della fessura nel ghiaccio. «E non mi importava. Desideravo la morte. Forse così la bufera sarebbe finita. Non volevo più fare del male a nessuno, era quella l’argomentazione che mi spronava. E poi, con Anna morta, che altro motivo avevo per continuare a vivere?»

 Quando Hans le prese le mani, Elsa si stupì. Gli occhi del principe erano ipnotizzanti: non era in grado di distogliere lo sguardo.

 «Se sei riuscita a gettare il mio passato alle spalle, il minimo che possa fare io è ricambiare il favore» asserì lui. «Sappi che non ti ferirei mai e poi mai in quel modo. E che se tu morissi, avrei ben poche ragioni per esistere. Sei la cosa migliore che abbia mai incontrato in questo mondo e non posso sopportare l’idea che, per qualche ragione, tu ti tolga la vita».

 Il cuore di Elsa batteva forte. Lei rise nervosamente.

 «È stato un anno fa, Hans» replicò. «La situazione è cambiata. Tutti e due siamo cambiati. Non è mia intenzione morire nell’immediato futuro».

 Hans annuì, unendosi alla risata. Guardò in basso e scosse la testa. «Io… scusami. Mi sono fatto prendere dal fervore. È solo che…»

 Non riuscì a concludere la frase. Come se avesse preso una decisione improvvisa, alzò bruscamente il viso e la fissò, uno sguardo disperato in faccia.

 «Dimmi che non sto impazzendo» la supplicò, con grande confusione della regina. «So che nella mia posizione è orribilmente inappropriato chiedertelo, ma dimmi che tra me e te c’è qualcosa».

 Non era possibile che il cuore di Elsa fosse capace di battere così forte. «Qualcosa…?»

 «Un legame. Un interesse. Ultimamente nei tuoi occhi intravedo dei segni. Mi fanno presumere che forse non mi sto illudendo, che forse… potresti provare anche tu qualcosa».

 «Dillo e basta» lo incoraggiò Elsa, sorprendendo se stessa con la sua audacia.

 Il principe aveva un’aria terrorizzata. Lei si domandò se anche lui avesse le farfalle nello stomaco. Era talmente ansiosa che avrebbe urlato.

 «Io… penso di volerti, regina Elsa» confessò Hans, la voce che era poco più di un sospiro. «E non so cosa fare».

 Sebbene se lo fosse aspettato, quando udì quelle parole Elsa avvertì un’ondata di calore che le scorse tutto il corpo. Penso di volerti. Allora i suoi sentimenti non erano unilaterali. E non so che fare.

 «Lo so io» ribatté, stringendo fermamente le mani di Hans. Mentre il sangue pompava nelle sue vene, lo attirò a sé e si alzò in punta di piedi, la testa che si accostava alla fessura. Lui capì e la imitò, incontrandola a metà del muro di ghiaccio.

 Ci fu un breve momento di esitazione, come se si fossero entrambi ricordati di essere la regina e un prigioniero, ma l’incertezza dissipò nell’istante in cui le loro labbra si unirono. Hans era caldissimo, non era paragonabile a niente che avesse mai toccato prima. Era una sensazione talmente soffice e naturale che Elsa stentava a credere di non aver mai baciato nessuno fino a quel momento.

 E nella sua mente passò ogni genere di pensiero e non ne passò alcuno allo stesso tempo, il silenzio che le gridava contro mentre Hans spingeva ulteriormente la testa nella fessura. Lei si protese lievemente, poi staccò le labbra, poggiando la fronte su quella di Hans. Ascoltò il respiro di lui, il cuore che tonava come un tamburo tribale.

 Quando si rese conto di quello che aveva fatto, le si incurvarono le labbra in un gran sorriso e una risata le traboccò dal petto. Sentì la risata profonda e calorosa di Hans congiungersi alla sua.

 «Non mi merito tutto questo» sussurrò lui.

 «Zitto» rise Elsa, allungandosi di nuovo in avanti per avvicinarsi a Hans. Lo baciò con delicatezza una volta, poi due. «Non devi autocommiserarti. Non più».

 «Elsa—» provò a dire Hans, ma fu messo a tacere da un altro bacio. Finora Elsa non aveva saputo cosa si era persa per tutto quel tempo, ma non si faceva problemi a reclamarlo ripetutamente.

 Hans sciolse la stretta di mani e ne portò una al viso di Elsa, sfiorandole la guancia. Dopodiché passò ai capelli, scorrendo le dita tra l’oro bianco.

 «Sei la persona più bella che abbia mai conosciuto» mormorò poi, prima di scostarsi.

 A Elsa venne quasi da ridere. Hans era sempre stato così sdolcinato? O lo era soltanto quando baciava qualcuno?

 Avrebbe voluto essergli più vicina, ma li separava un muro di ghiaccio che limitava il contatto tra loro due. Doveva rassegnarsi ed essere grata per le labbra e le mani di Hans.

 «Potrei stare a baciarti tutto il giorno» disse, posando la testa sul mento di Hans mentre lui le accarezzava i capelli. Il tocco di Hans era talmente rilassante che lei avrebbe voluto non abbandonare più quel luogo. Lì non si ricordava dei suoi problemi, non fantasticava su nient’altro se non lui pensa di volermi.

 Una considerazione terrificante si insinuò fra le sue tenere e felici fantasie. Non so come farò a lasciarlo andare. Tentò disperatamente di scacciarla, ma quella si aggrappò a lei e non la mollò. L’unica soluzione che Elsa trovò fu alzare il capo e baciare Hans di nuovo.

 Lui rise contro le sue labbra, staccandosi. «Vostra Maestà, siete drogata».

 Lei non poté fare a meno di ridacchiare e se ne mortificò subito dopo. Non aveva mai ridacchiato in vita sua.

 «E poi» proseguì Hans, togliendole le dite dai capelli e reintrecciandole tra quelle di Elsa. Le strinse gentilmente la mano. «Dovresti tornare a castello. Scrivi la lettera, compi i tuoi doveri. Fa’ pace con Anna».

Se solo fosse così facile rimuginò Elsa amaramente.

 «Non voglio lasciarti» si lamentò lei. «Non è niente di così urgente da dovermene occupare subito».

 «Va’» insisté lui, sciogliendo la presa dalle mani, ma con un largo sorriso dipinto sulle labbra. «Si staranno domandando dove sei finita».

 Elsa ridacchiò di nuovo, completamente imbarazzata dal suono emesso. Si coprì la bocca con una mano, ma non fu in grado di nascondere il sorrisone che si celava sotto. «Hai ragione» rispose, la voce soffocata. «È stato un piacere, principe Hans».

 «Altrettanto» esclamò lui con un breve finto inchino che la fece ridacchiare ulteriormente. Meglio alzare i tacchi, prima di cacciare quello stomachevole rumore per la quarta volta.

 Con un piccolo e timido saluto, uscì dalla stanza, intontita e con la mente assolutamente frastornata. Allora è così che ci si bacia ponderò, un dito che scorreva sulle labbra. Riusciva ancora a percepire l’intenso calore che illuminava tutto il suo corpo di energia.

 Non riteneva possibile che qualcosa fosse capace di rovinarle il buonumore.

 Quello, fino a quando non entrò in camera sua e vide Ingvalda seduta sul letto, la federa vuota del cuscino e una manciata di lettere sul grembo.

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Capitolo 16
*** Sedici ***


Sedici



Elsa era pietrificata alla porta: vedere Ingvalda con le lettere in mano era un incubo. Forse sarebbe svanito, se lei fosse scappata verso le prigioni.

 Ciò che più la spaventava era che Ingvalda non le aveva rivolto nemmeno un’occhiata. L’ex custode era troppo occupata a leggere il contenuto di uno dei fogli. L’unica cosa che a Elsa restava da fare era starsene immobile, terrorizzata all’idea di venire apostrofata nel caso avesse tentato la fuga. Era costretta ad attendere pazientemente di essere punita.

 Alla fine, la donna abbassò la lettera, una sgradevole espressione compiaciuta in viso. «Per quanto tempo ancora intendevate mantenere segrete queste missive?»

 Elsa si rese conto di essere stata interpellata e cercò di rispondere, ma le mancò la voce.

 «Avete cominciato a riceverle ben prima del ritrovamento dei corpi, vero?» Ingvalda parlava con la calma di qualcuno che colloquiava su banalità come il tempo. «Eppure avete deciso di non mettermi al corrente degli avvenimenti. Perché?»

 «Ingvalda, mi dispiace—» iniziò a dire Elsa, ma l’ex custode la interruppe.

 «Esigo motivazioni, non le vostre giustificazioni».

 Elsa inghiottì un grumo di saliva che le era rimasto bloccato in gola. «Non… non volevo causare alcun guaio. Non avevo idea che sarebbero arrivati dei cadaveri ad Arendelle». Quello era vero. «E non potevo rischiare uno scandalo». Quello non lo era, Elsa se ne infischiava della loro reputazione.

 La spiegazione, però, sembrò soddisfare Ingvalda. «Capisco» rispose, sfogliando le lettere. «Sapete, questa situazione ci avrebbe ferito gravemente. Con l’occultamento di queste informazioni, sareste perfino accusata di tradimento».

 Elsa si era applicata in legge molto più di quanto la gente fosse indotta a credere, ed era quasi convinta che non si trattasse di un errore così serio. «Io—»

 «Se qualcuno lo scoprisse, verremmo ritenuti colpevoli di aver cospirato con l’assassino. E ora come ora, parrebbe che siate voi il suo complice».

 Elsa avvertì un bruciore alle guance, certa che Ingvalda non fosse al corrente del bacio che aveva dato all’uomo solo alcuni minuti prima; nondimeno, si sentì comunque insopportabilmente in colpa. «Sono sicura che non è lui il killer».

 «Non possiamo affidarci solamente al vostro istinto» affermò Ingvalda, alzandosi dal letto. Raccolse le missive tra le braccia apparentemente fragili. «Essendo la regina di Arendelle, è vostro dovere collaborare con i consiglieri reali. Siete una squadra. L’omissione di notizie tanto importanti è inaccettabile».

 Elsa strinse insieme le dita. «Sì, lo so» replicò sommessamente.

 «Seguitemi» comandò Ingvalda, superandola per poi uscire dalla porta. Indirizzando un ultimo sguardo alla federa vuota del cuscino che non era riuscito a custodire i suoi segreti, Elsa seguì l’ex custode, facendosi precedere di un passo.

 «Capisco che per voi l’esperienza al trono sia una novità» sermoneggiò Ingvalda mentre camminavano. Elsa aveva la sensazione di essere condotta verso la sua esecuzione. «Ma vi ho aiutata oltre i limiti dell’accettabile. Forse siete ancora troppo giovane. Troppo inesperta. In effetti, la soluzione ideale potrebbe essere il mio ritorno alla reggenza».

 «No» disse Elsa sulla difensiva. Si rese conto del tono che aveva assunto quando Ingvalda le lanciò un’occhiataccia. «Insomma, non è necessario. Sono perfettamente capace di governare il mio regno».

 «Allora datemene prova» fiatò la donna, al che Elsa rimpicciolì mentre si paragonava mentalmente a Ingvalda.

Ha ragione rimuginò. Ho fraternizzato con il nemico e ho lasciato che fosse lei a raccogliere i cocci di questo macello. Non sono una brava sovrana.

 Si rimproverò per essersi avvilita. Pensieri positivi. Hans crede di volermi. Anna… oh. Aveva il forte presentimento che fosse stata Anna a svelare a Ingvalda dove fossero le lettere. Questa volta l’ho spinta troppo oltre.

 Ingvalda scortò Elsa verso il suo ufficio, dove era accatastato il resto della posta e dove erano sparpagliati documenti vari. «Sedetevi».

 Lei obbedì, non vedendo altra opzione.

 Ingvalda cercò un foglio intonso e una penna. Una volta trovati, li posò di fronte alla regina. A Elsa sembrava di essere a scuola.

 «Scrivete».

 «Cosa devo scrivere?» chiese Elsa.

 «Una lettera alle Isole del Sud. Voglio che raccontiate loro che sono mesi che teniamo prigioniero il loro principe e che è giunta l’ora che vengano a riprenderselo».

 Il cuore di Elsa sprofondò al punto che il suo battito cardiaco si percepiva a malapena. Lui non può tornare da loro, non capite? avrebbe voluto urlare. Ma si limitò a fissare il pezzo di carta con uno sguardo vacuo.

 «Comprendo che avete trascorso diverso tempo insieme al prigioniero e scelgo di presumere che abbiate agito in questa maniera solamente per interrogarlo» proferì Ingvalda, come se in quel momento fosse fin troppo clemente nei confronti di Elsa, «tuttavia le circostanze si sono fatte troppo pericolose ed è indispensabile che lui sia allontanato dal nostro regno. Adesso rimarrete qui seduta a scrivere e non ve ne andrete fino a quando non avrete concluso».

 «Però—»

 «Siete la regina e avete delle responsabilità» la ammonì Ingvalda. «E badate a non dimenticarvi di menzionare alcunché, perché rileggerò la lettera io stessa». L’ombra dell’ex custode si stagliava da davanti la porta, una mano poggiata sulla maniglia. «Mi aspettavo di meglio da voi, Elsa. Cosa avrebbe detto vostro padre?»

 Non le rivolse un secondo sguardo quando la porta si chiuse. A Elsa venne la nausea non appena rimase da sola. Hans le aveva consigliato di mandare una lettera alle Isole del Sud, ma adesso che ce l’aveva davanti non se la sentiva di prendere in mano la penna.

Come posso abbandonarlo in questo modo? rifletté mestamente. Non ora che pensa di volermi.

 Solo un anno prima, se fosse stata persuasa da lui così facilmente, Elsa avrebbe asserito di essere in preda alla follia. Erano bastate alcune paroline dolci e dei baci, e lei non era in grado di compiere ciò che era più giusto per la sua gente. Anna era molto più coraggiosa. Aveva mollato tutto pur di rintracciare Elsa, dopo che lei si era sottratta ai suoi doveri per fingersi libera.

 Si chiese se Ingvalda e Anna avessero ragione. Forse le era sfuggito di mano il quadro generale. E se Hans la stesse manipolando? E se avesse mentito, pensando di volerla? E se stesse rimettendo in scena il teatrino di un anno prima?

 «Non può essere vero» mormorò Elsa ad alta voce. «Non può».

 Ma i dubbi la stavano già consumando. E Ingvalda aveva ragione, lei era la regina. E la regina era obbligata a compiere il suo dovere nei riguardi del suo popolo, prima che verso se stessa.

 Amava Hans, di questo era certa; che però fosse quella la soluzione migliore?

 Elsa abbassò le palpebre, le labbra tremanti. Era la soluzione migliore per il suo regno, che aveva la priorità su ogni cosa, lei compresa.

 Rassegnata, impugnò la penna e iniziò a firmare la condanna dell’unica persona che avesse mai baciato.




Alla riunione convocata da Ingvalda il giorno prima, Elsa fu al centro dell’attenzione senza desiderare di esserlo. Tutte le sue recenti colpe furono divulgate di fronte a un concilio. Mai si era sentita tanto in imbarazzo.

 Quel che fu peggio fu vedere la reazione di Anna. La principessa era seduta all’altro lato del tavolo, un’espressione infinitamente triste scavata in volto. Per la maggior parte del tempo, Elsa preferì fissare il tavolo, incapace di incontrare gli occhi di nessuno – soprattutto quelli di sua sorella.

 Ingvalda parlò per l’intera durata del meeting. Diede notizia delle visite costanti di Elsa al prigioniero: per interrogarlo, a detta di Ingvalda. Elsa annuì svogliatamente quando le fu richiesta una conferma. L’ex custode affermò di essere giunta alla conclusione, grazie agli indizi forniti da Elsa, che il colpevole e l’assassino delle vittime ritrovate era indubbiamente Hans. La regina alzò il capo con l’intenzione di intervenire, ma fu zittita da un’occhiataccia scoraggiante di Ingvalda. Per cui lo riabbassò, decisa a essere presente senza però partecipare alla discussione.

 Ingvalda rivelò inoltre l’esistenza dei documenti occultati e, quando Elsa guardò Anna, notò che la principessa aveva un’aria stranamente… in colpa. Era confermato, dunque. Era stata Anna ad averlo spiattellato a Ingvalda. Ma Elsa non era arrabbiata. Non si sarebbe mai arrabbiata con Anna. Anzi, a questo punto, Elsa più che meritava questa sorte.

 La lettera, che lei aveva scritto in fretta e furia per non dover riflettere troppo su ciò che stava per abbandonare, fu letta ad alta voce da Ingvalda. Mentre le sue stesse parole venivano pronunciate, Elsa rimpiangeva il solo fatto di aver sfiorato il foglio con una penna. Nella missiva, invitava con entusiasmo i fratelli rimanenti del principe a ritirare la loro spazzatura. Se solo lei avesse il coraggio di liberare Hans, fregandosene delle conseguenze. Sono davvero una pessima sovrana, non è vero? pensò mentre Ingvalda proseguiva a discorrere con la sua voce sonora e imperiale. Per quante volte ho anteposto i miei capricci ai bisogni del mio regno?

 Provò un’eterna gratitudine quando i membri del concilio annuirono e bofonchiarono all’unisono con goffaggine, felici che la situazione sembrasse finalmente sotto controllo. Elsa poteva avvertire il disprezzo nei loro sguardi, anche se prima di uscire si inchinarono comunque al suo cospetto.

 In seguito la stanza si svuotò, ma Elsa non aveva la forza di volontà per alzarsi. Era pietrificata al suo seggio, gli occhi ancora puntati sulla superficie del tavolo. Nella sala calò velocemente il silenzio e, quando lei udì il rumore delle porte che si chiudevano, incrociò le braccia sul legno e lasciò che la testa affondasse nella specie di amaca che aveva creato. Avrebbe voluto piangere, ma il giorno prima aveva versato fin troppe lacrime perché gliene fossero rimaste altre.

 Un breve colpetto alla spalla la fece trasalire, sollevare il viso bruscamente e girarsi verso l’aggressore. Si aspettava di avere davanti Ingvalda, e invece trovò accanto a sé sua sorella, con un’aria imbarazzata.

 «Ehi» bisbigliò piano Anna.

 Le spalle di Elsa si rilassarono. Strano a dirsi, ma si sentì meglio sapendo di non essere completamente sola: aveva Anna.

 «Ehi» le fece eco Elsa. Dopo un attimo di silenzio, girò la sedia a fianco alla sua e annuì, offrendo ad Anna un punto dove accomodarsi. La principessa assentì, senza incontrare lo sguardo della sorella, e prese posto.

 Elsa avrebbe potuto dire mille cose, ma era stata Anna ad averle dato un colpetto. Probabilmente aveva qualcosa da confessare. L’arido silenzio tra le due era segno della difficoltà che Anna stava avendo ad aprirsi.

 «Le ho parlato delle lettere» ammise infine Anna, come se quella si trattasse della sua sentenza di morte. «Mi dispiace, è solo che ero così frustrata e—»

 «Non ce l’ho con te, Anna» disse Elsa, il che chiuse la bocca all’altra. Anna si voltò verso la regina, la quale la stava già guardando.

 «Non— non lo sei?» chiese la principessa, stupefatta. «Cioè, Ingvalda ha scoperto tutto e adesso abbiamo imposto ai suoi fratelli di venire a riprenderselo».

 «Prima o poi sarebbe successo comunque» borbottò Elsa. «C’è un limite al numero di segreti che posso celare prima che mi esplodano in faccia». Solo che avrebbe preferito che le fossero esplosi in faccia quando ancora non le importava di Hans. «E non potrei mai avercela con te, Anna. Tu agisci per il meglio. Sei la persona più fantastica e più altruista che conosca. Sì, non conosco molta gente, ma vale lo stesso».

 Anna sorrise, sebbene i suoi occhi fossero tristi. «Aww, Elsa. Che dolce che sei».

 «È vero» ribatté la regina, che ricambiò con un leggero sorriso quello della sorella. «E mi dispiace davvero per tutti quei segreti. So di averti promesso che non ti avrei nascosto più niente e che non ti avrei respinta e invece ho continuato a fare quello che facevo. E questo è… inammissibile. Per cui spero che mi perdonerai».

 Anna le tirò un leggero pugno al braccio. «Ma certo che ti perdono», rise, «se questa volta dici sul serio».

 Elsa si strofinò il braccio, dato che Anna si era dimenticata di quanto fosse forte, e la curva sulle sue labbra si allargò. «Sì che sono seria. E… dal momento che Hans partirà, forse potremo rammendare il nostro rapporto e tornare alla vita di sempre».

 La felicità di Anna sfumò. «Sì… per quanto riguarda Hans, scusami per il comportamento che ho avuto quando mi hai detto… di lui».

 «Non devi scusarti» obiettò Elsa, tuttavia il suo sorriso si trasformò in una linea grave. «Sono io che sono stata ridicola. Chi mai si innamorerebbe di un tizio che non avrebbe mai dovuto amare di principio?»

 «Be’, Kristoff la pensa diversamente» osservò Anna scrollando le spalle, poi si portò la mano alla bocca, come se si fosse lasciata sfuggire un enorme segreto. «Oh, non deve sapere che te l’ho riferito io! Ero infuriata e mi sono lamentata con lui e lui mi ha raccontato di quella volta in cui ti sei imbattuta in lui e Kristoff ti ha descritto quanto è accaduto ai suoi genitori ed eccetera».

 Elsa ridacchiò e scosse il capo. «Prometto che non lo farò».

 Anna esalò e sprofondò nel seggio. «In poche parole, mi sono data una bella calmata, grazie al mio bel montanaro. Quando si nutrono certi sentimenti, non ci si può far niente».

 Questa volta toccò a Elsa sorprendersi. «Insomma… non ce l’hai con me?»

 Anna si morse il labbro e inclinò la testa di lato. «Be’… non è che sono incavolata nera o cose così. Voglio dire, sono ancora un pochino arrabbiata con te. Non puoi aspettarti che io accetti la cosa senza qualche agitazione. Però, per adesso… Credo di non essere proprio furente. Diciamo che mi sta bene al sessantatré per cento».

 Tanto era sufficiente per Elsa. Spinse indietro la sedia e, senza un avvertimento, stritolò Anna in un abbraccio. Anna lanciò uno strillo, ma presto si fece travolgere e ricambiò la stretta. Elsa si ricordò di quanto fosse piacevole l’essere circondati dalle braccia calorose dei propri cari.

 Mollò la sorella, dei sorrisi stampati sui loro volti per l’avvenuta riconciliazione.

 «Mi sei mancata» sussurrò Elsa.

 «Aww, che scema tenerona che sei» commentò Anna con una risatina. «L’unica cosa che mi preoccupa è che Hans ti spezzerà il cuore. Cioè, so che provi qualcosa per lui e questo l’ho accettato, ma quando mi hai confidato che lui non ti si è mai dichiarato, ho temuto che non avrebbe mai ricambiato l’affetto che vorresti tanto».

 Elsa avvertì una vampata inondarle le guance. A malapena incontrava gli occhi di Anna e si morse il labbro per impedire a se stessa di sorridere. «Be’… io… lui—»

 Anna sussultò. «Aspetta, cos’ha detto? Quali sono state le sue esatte parole? Descrivimi ogni particolare!»

 Elsa lasciò che il suo sorriso si allargasse quando rispose timidamente: «Ha detto “Penso di volerti”».

 Anna storse il naso. «Basta così? Non ti è nemmeno davvero devoto! “Penso di volerti”?»

 «Lo so, lo so» replicò la regina, ruotando leggermente gli occhi. Le era così naturale tornare a parlare ad Anna in questa maniera. Il lato positivo della situazione era che almeno aveva riavuto indietro la sorella. «Però poi… l’ho baciato».

 La gonna di Anna pareva aver preso fuoco, perché lei non riusciva a stare ferma. Saltellò sul seggio, emettendo gridolini soffocati dal suo labbro morsicato. «Sul serio? Lo hai baciato per davvero? Com’è stato? Cos’è successo? Non ti ha chiesto di sposarlo, vero?»

 Elsa rise, scuotendo la testa. Si alzò dalla sedia e offrì una mano ad Anna. «Sì, l’ho fatto. È stato… caldo. E non mi ha chiesto di sposarlo».

 Anna pestò velocemente i piedi a terra. «Non ci posso credere! Quali altri segreti mi puoi raccontare ora?»

 Be’, tra i tanti che custodiva, ce n’era uno enorme e scottante ed Elsa stava morendo dalla voglia di condividerlo con qualcuno. Promise ad Anna una passeggiata verso la cascata, per pulirsi finalmente la coscienza.

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Capitolo 17
*** Diciassette ***


Diciassette



Per delucidare Anna di ogni perplessità, a Elsa occorsero più tempo e più discrezione di quanto pensasse. Mentre lei parlava, Anna sussultava e ridacchiava e interrompeva la narrazione ogni poche frasi per porle qualche domanda. Quando la regina rivelò i poteri di fuoco di Hans, Anna fu sul punto di gridare, prima che Elsa le coprisse la bocca con un «Zitta!» agitato. Le fu evidente che la calma passeggiata in direzione della cascata non era l’occasione ideale per rivelare alla sorella gli svariati segreti di cui era venuta a conoscenza negli ultimi mesi. Sulla strada di ritorno al castello, Elsa dovette trascinare via Anna, che stava praticamente saltellando, pur di evitare che qualcuno origliasse uno dei suoi infiniti dubbi.

 Anna si trattenne a malapena perfino nell’intimità della camera di Elsa. Alla fine, tutto venne chiarito, sebbene le spiegazioni si protrassero per il resto della giornata e per buona parte della mattinata successiva.

 Elsa aveva appena finalmente terminato di raccontarle ogni cosa e le due stavano uscendo dalla stanza per andare a pranzare. Mentre Anna saltellava fuori dalla porta con un sorrisone stampato in faccia (il resoconto si era concluso con la descrizione del primo bacio), Elsa notò Kai, che percorreva il corridoio con una manciata di lettere tra le mani. Il servo si fermò bruscamente quando vide la principessa e fece velocemente dietro front. Ma Elsa lo richiamò: «Kai! Sta’ tranquillo».

 Anche se in maniera estremamente esitante, Kai si voltò e si affrettò verso la regina. Si guardava costantemente alle spalle, come se fosse seguito.

 Con aria cospiratoria si protese in avanti e bisbigliò a bassa voce: «Perdonatemi se sono tanto cauto, ma Ingvalda ha imposto l’ordine di recapitare la posta a lei».

 Elsa strinse le labbra e diede una scorsa alle lettere, sistemandole a mo’ di ventaglio. Era di suo interesse quella che proveniva dalla Colonia del Nord e fece una smorfia quando si rese conto che, in quel paese, l’arciduca in potere era il numero quattro Aleksander¹.

 «Grazie» sussurrò a Kai. «So che di recente il clima a corte si è fatto molto tumultuoso, ma aggiusterò le cose».

 «Non ho mai dubitato di voi, Vostra Maestà» replicò lui, un piccolo sorriso che gli abbellì il volto prima di inchinarsi al cospetto suo e a quello di Anna, per poi avviarsi con il resto delle missive.

 I piedi di Anna sembravano esser tornati a terra e adesso lei allungava il collo, occhieggiando con aria curiosa la lettera, mentre quella veniva aperta da dita agili. Come Kai, la regina scrutò i corridoi; dopodiché sfilò il foglio dalla busta e i suoi occhi lo analizzarono rapidamente. Elsa non apparve sorpresa dal suo contenuto e, dopo una letta veloce, sospirò e lo rinfilò nella busta.

 «Niente di nuovo» constatò. «Solo un’altra richiesta disperata di aiuto».

 «E noi li aiuteremo?»

 «Non saprei come». Esitò, poi aggiunse: «Se non liberando Hans».

 «Davvero? Non pensi che sia pericoloso?»

 «Lo so» ammise Elsa, fissando il pavimento. «Anch’io mi sono posta il problema, per migliaia di volte. Ma una volta libero, Hans riuscirà a trovare l’assassino».

 «E liberandolo la situazione migliorerebbe?» ribatté Anna. «Insomma, può darsi che, contro il killer, non sia capace di difendersi unicamente con le sue forze. Invece qui è messo sotto chiave ed è sorvegliato dalle guardie e da te. Non è più al sicuro in prigione?»

 Elsa non l’aveva considerato. Ma Hans era in grado di difendere se stesso. Era sopravvissuto da solo per un anno e possedeva dei poteri magici. Se messo a confronto con quanto gli sarebbe toccato tra poco, di certo là fuori gli sarebbe spettato un futuro migliore. Elsa aveva firmato e sigillato la lettera controvoglia e Ingvalda era stata felice di spedirla. Nel momento in cui il messaggio avesse raggiunto le Isole del Sud, i suoi restanti fratelli sarebbero senza dubbio saltati a bordo di una nave e partiti per riprendersi il loro fratellino.

 «Non intendo rimandarlo dai suoi fratelli» asserì. «E ne sarei onorata, se mi aiutassi a elaborare il piano di fuga».

 Anna esitò. «Non so… Non ho mai aiutato un detenuto a scappare».

 «Non ti costringerò. E la tua fedina resterà pulita, te lo giuro. Se il piano fallisce, la colpa sarà interamente mia».

 Anna si morse il labbro e annuì. «Okay. Ti aiuterò». Un sorriso scaltro le spuntò in viso e punzecchiò la sorella con il gomito. «Guardaci, siamo tornate insieme e stiamo progettando un’evasione. Non c’è modo migliore per legare».

 Elsa avrebbe riso, se non fosse per la sensazione di annegamento che provava all’idea di abbandonare Hans per sempre.

 «Ti va di accompagnarmi alle segrete?» chiese Elsa, una piccola scheggia di egoismo che sperava che Anna rifiutasse.

 Ma lei annuì con entusiasmo. «Sì! È da quando è venuto ad Arendelle per la prima volta che non lo vedo. È cambiato tanto? Ooh, sono impaziente di dirgliene quattro per averti baciata. La sua faccia sarà senza prezzo».

 Dopo che Elsa nascose via la lettera (non nella federa del suo cuscino: non avrebbe ripetuto quell’errore), prese a braccetto la sorella e si preparò mentalmente a incontrare di nuovo il principe e organizzare un piano di fuga. Ridacchiò, poi replicò allo sguardo confuso di Anna: «Alla fine Hans ha ottenuto la nave che voleva».




Quando la porta si aprì, gli occhi dell’uomo all’interno della cella si illuminarono di speranza. Senza dubbio gli sarebbe piaciuto riprendere le attività svolte durante il suo ultimo incontro con la regina. Ma la sua eccitazione svanì nel momento in cui vide che la persona entrata era la principessa Anna.

 «Vostra… Altezza» disse, cercando di nascondere la delusione.

 Anna aveva un’aria sprezzante e crudele: l’esatta descrizione che Elsa avrebbe fatto di Ingvalda. Gli pareva incredibile il fatto che fosse cambiata tanto radicalmente dalla persona che aveva ingannato con la sua richiesta di matrimonio.

 «Principe Hans delle Isole del Sud, il concilio si è riunito in corte per discutere dei vostri crimini contro Arendelle senza concedervi un processo e siete stato condannato a mangiarvi le unghie dei piedi per tredici anni».

 La paura che Hans aveva mostrato all’inizio della dichiarazione di Anna si trasformò in uno sconcerto genuino.

 «Che?» Strizzò gli occhi, come se stesse cercando di decifrare quello che gli aveva detto.

 Anna non riuscì a continuare a fingere e la sua farsa si dissolse in un sorriso contenuto a malapena e una risata che minacciava di erompere dalla sua bocca.

 «Oh, andiamo» rise una voce dietro di Anna. Elsa la superò, un sorriso in volto. «Non torturarlo, ne ha già passate tante».

 «Per me, invece, tredici anni di unghie dei piedi non sono abbastanza» ribatté Anna incrociando le braccia, ma gli angoli delle sue labbra si sollevarono.

 Il muro di ghiaccio con una fessura al suo centro si era sciolto, lasciando alcune macchie bagnate sul pavimento. Come al solito, la stanza puzzava di umidità e insalubrità e di fumo e dava l’impressione che qualcuno avesse spento di fretta e furia un falò.

 Sebbene fosse felice di vedere Elsa, Hans non era in grado di togliere gli occhi di dosso da Anna, come se, fissandola, sarebbe riuscito a capire il motivo per cui lei si trovasse nelle prigioni. La regina colse la sua espressione confusa e si affrettò a chiarire il quadro delle circostanze.

 «Io… uhm… ho fatto quello che mi hai detto tu e mi sono riconciliata con Anna».

 «So tutto» si vantò Anna. L’espressione di Hans diventò ansiosa, il che servì solamente ad alimentare il suo perfido piacere. «So che vi siete baciati, se è di questo che ti preoccupi».

 Lui guardò Elsa disperatamente, come per chiederle Sul serio? Lei si fece piccola e sorrise imbarazzata. «Scusa».

 Hans era più seccato di quanto Elsa avesse sperato. «Ti ha… Ma le hai raccontato tutti i miei segreti?»

 «Cosa, che a causa delle tue manine infiammate saresti un potenziale rischio per ciascuno di noi? Sì, so pure quello. E so che volevi bene al tuo papà e che non ti piace nessun altro della tua famiglia e che hai fatto piangere una ragazza e—»

 «Anna», Elsa interruppe la sorella, «per favore, ti faccio andare via se non ti comporti bene».

 La principessa rivolse all’interno le labbra, fingendo di chiudere una cerniera lampo e di serrarla, per poi gettarsi alle spalle una chiave immaginaria. Elsa annuì grata, il cuore che si riscaldava per riavere con sé la sua spensierata sorella. Si girò verso l’uomo meno spensierato², il cui viso si era incupito. Sapeva dell’esistenza di un vecchio stereotipo secondo la quale tra cognati non si va mai d’accordo e Anna e Hans non erano un’eccezione.

 «Lo so… mi dispiace. Non spettava a me confidarle quelle informazioni. Ma dovevo riguadagnarmi la sua fiducia. Se c’è una lezione che mi hai insegnato, è che devi apprezzare la tua famiglia o altrimenti la perderai, perdendo l’opportunità di farlo».

 Afflitto, Hans smise di aggrottare le sopracciglia e sospirò. «Hai ragione». Si alzò in piedi e si stirò il collo. «A cosa devo la gioia di incontrare entrambe?»

 Anna era appoggiata al muro, le braccia incrociate. «Oh, niente di che. Architettiamo la tua evasione».

 Hans si raddrizzò, improvvisamente più all’erta. «Pensavo che avessimo rinunciato a quella trovata» grugnì in direzione di Elsa.

 La regina si morse il labbro e gli fece segno di sedersi. «Lo so che l’ultima volta mi hai convinta a cambiare idea».

 «È stato molto convincente, vero?» aggiunse Anna maliziosamente, il che fece avvampare i due colpevoli, entrambi imporporati in faccia a modo loro.

 «E…» proseguì Elsa, cercando di impedire alle sue guance di arrossire ulteriormente. «E desideravi che contattassi le Isole del Sud. Ma le circostanze sono cambiate. Ingvalda ha trovato le lettere e mi ha costretta a scriverne una per chiedere alla tua famiglia di venirti a prendere».

 Ogni pelo sulla pelle di Hans si rizzò, gli occhi assenti e puntati verso la parete grigia.

 «Ingvalda l’ha spedita ieri» concluse lei, «e sospetto che a noi rimangano due o tre settimane prima che il messaggio arrivi a destinazione. Per cui… ti servirà una nave».

 Gli ci volle qualche istante per rendersi conto delle implicazioni delle sue parole; poi gli si accese una lampadina e si riscosse dall’espressione vuota e agitò la testa, come se il solo pensiero fosse una mosca fastidiosa. «No. Anche tu avevi detto che non l’avrei ottenuta se prima non avessimo completato le lezioni».

 «Ho detto che l’avresti ottenuta quando avrei considerato le lezioni completate. E lo sono».

 «Elsa, no» disse, afferrandole le mani e facendola rabbrividire. Lei osò alzare lo sguardo, gli occhi color smeraldo di Hans che erano persino più terrificati di quando Elsa aveva scoperto i suoi poteri di fuoco. «Non ti posso lasciare».

 «Me la caverò» rispose con una risatina, sebbene il suo cuore fosse andato in pezzi mentre pronunciava quelle parole. Nonostante avesse eliminato ogni segreto che c’era tra lei e Anna, sarebbe stata tutt’altro che bene. Doveva ancora farsi perdonare dalla sorella e darle prova che non l’avrebbe più ignorata, e tutto questo senza Hans. Forse gli aveva mentito per convincere anche se stessa che se la sarebbe cavata.

 «Ma io no» ribatté Hans, stringendole gentilmente le dita. «Sarò un egoista, ma, dopo tutti i mesi e tutte le cose che abbiamo passato insieme, non posso lasciarti. Non sopporto—»

 Interrompendo Hans, Anna si schiarì la gola talmente forte da risvegliare persino un morto. «Ehi, so che ci siamo messe d’accordo per essere completamente oneste e per non lasciare mai l’altra, Elsa, ma… pensavo che forse sarebbe il caso che tornassi di sopra». Indicò la porta dietro di sé con il pollice, dato che l’atmosfera l’aveva messa a disagio. «Cercate, uhm, di non darvi troppo alla pazza gioia, okay?»

 Elsa annuì, grata. «Sei congedata».

 Anna incrociò nuovamente le braccia, inclinando la testa con un sorrisone. «Scordatelo, io me ne sto già andando». Non vedeva l’ora di uscire dalla cella e fuggire dalle stranezze che erano sua sorella, fredda come il ghiaccio, e il suo ex fidanzato infernale.

 Quando la porta si richiuse, le mani di Hans si spostarono alle sue guance con la velocità della luce. «Elsa, ti prego, ti posso baciare? Sono in astinenza da troppo tempo».

 Elsa annuì con un piccolo sorrisetto e una risatina sospirata, mentre il principe premeva le proprie labbra contro le sue. Era più che grata di poter toccare il suo corpo, invece che un muro di ghiaccio. Quando lui la baciava, ogni cosa intorno a sé le pareva riscaldarsi.

 Infine Hans alzò il viso dal suo, con un’aria in qualche modo più triste e più disperata di prima. «Hai davvero intenzione di mandarmi via?»

 «È una decisione che si sta facendo sempre più difficile» confessò Elsa, le dita che si intrecciavano tra quelle di Hans, quando lui le lasciò cadere dalle sue guance. «Ma devo tenerti al sicuro. Non posso affidarti alla custodia dei tuoi fratelli».

 Hans prese a fissare solennemente le loro mani, quelle di Elsa che accarezzavano lievemente le sue.

 Elsa tentò di alleggerire il discorso: «Stai ottenendo ciò che volevi. Avrai una nave e delle provviste e potrai finalmente viaggiare per il mondo a tuo piacimento».

 «Mi stai accordando la libertà che tanto agognavo…» mormorò. «E non voglio averci niente a che fare. Che ironia».

 «Lo sai che sei incredibilmente sdolcinato?»

 Elsa si avvicinò per vezzeggiargli le basette, le palpebre di Hans che si abbassarono per la beatitudine. «Non sono sdolcinato» borbottò lui. Le prese una mano e se la portò alla guancia, per appoggiarsi contro di essa.

 «La nave sarà pronta in una settimana» disse Elsa sommessamente, godendosi il contatto. Non aveva mai permesso a nessuno di esserle tanto intimo e amava quella nuova sensazione.

 «Prometto che ti scriverò» sussurrò Hans, voltando la testa per baciarle il palmo.

 L’averglielo sentito dire rese improvvisamente tutto reale. Elsa avvertì un bruciore agli occhi. Quelle labbra sulla sua pelle erano calde e, una volta che lui sarebbe partito, non riusciva ad immaginarsi la terra desolata e congelata che avrebbe avuto davanti a sé. Come aveva fatto a sopportare il freddo tanto a lungo?

 «La vita è crudele» bisbigliò. «La felicità ci viene strappata via non appena la conosciamo».

 «Ci resta una settimana» osservò Hans, le labbra che lasciarono la sua mano e che ritornarono al viso di Elsa. «Non è ancora giunta la fine».

 «Non ancora» mormorò passivamente Elsa, accogliendo un altro bacio. «Potresti… potresti stringermi?»

 In genere si sarebbe imbarazzata ad apparire tanto fragile davanti agli occhi altrui, ma aveva un enorme bisogno di toccarlo. Lui la circondò con le sue braccia e a lei sembrò che le avessero avvolto attorno una grande coperta calorosa. Sfilò le mani attraverso lo spazio tra i loro corpi e si avvinghiò a lui.

 Avrebbe potuto restare per sempre in quella posizione, gettando via la sua intera vita nella stretta di Hans, e ne sarebbe stata felice. Ma la vita era crudele per davvero e, mentre si cullava nel suo rifugio, non era in grado di fare a meno di ricordare che, prima o poi, quelle braccia l’avrebbero lasciata per sempre.










¹ Nei capitoli precedenti ho ripetutamente commesso l’errore di scrivere il nome di Aleksander “Alecksander”. Scusatemi un sacco! Ho già corretto i capitoli precedenti la settimana scorsa. Lo sbaglio è dovuto al fatto che anche l’autrice nel capitolo 6 originale aveva scritto “Alecksander”, salvo poi correggersi nei capitoli successivi… e io ostinata a continuare a chiamare in maniera errata il poveretto, credendo di non essere nel torto. xD Meno male che a un certo punto mi è venuto il dubbio e ho chiesto all’autrice! Comunque, uhm, questo è quanto.
 ² Nell’originale inglese Anna viene definita “her happy-go-lucky sister”, in contrasto con il “the less happy and less lucky man” per descrivere Hans. Il gioco di parole verte quindi sull’espressione “happy-go-lucky”, che significa “libero da preoccupazioni” – “spensierato”, appunto – e che è intraducibile in italiano.

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Capitolo 18
*** Diciotto ***


Diciotto

Quando Elsa aveva promesso a Hans che la nave sarebbe stata predisposta in una settimana, aveva dimenticato che non poteva chiedere ai suoi servitori di arrangiarne una e averla pronta, rifornita e luccicante il giorno dopo. Il gruppo di allestimento era formato da se stessa, Anna, Kristoff e Sven. Elsa dovette spiegare a Hans che la scadenza sarebbe stata estesa a un’altra settimana. Lui aveva un’aria leggermente esaurita, probabilmente a causa del fatto che ogni giorno aumentavano le possibilità che arrivassero i suoi fratelli.
 Il sesto giorno sulla loro tabella di marcia, saltò fuori l’ennesimo cadavere. Il principe Aleksander, il primo a contattare la regina, era morto. Elsa ebbe l’oneroso compito di comunicare al becchino l’esigenza di una fossa in più. Sebbene Ingvalda volesse stipare i corpi e spedirli alle Isole del Sud, Elsa insistette perché venissero seppelliti, proprio come le aveva chiesto Hans. Alla sinistra della cascata aveva scelto un punto in cui potessero riposare in pace. Aveva il sospetto che, quando i fratelli fossero approdati per prendersi ciò che apparteneva a loro di diritto, sarebbe stata costretta a restituire le spoglie delle vittime.
 In quel momento, la squadra aveva trovato con successo una nave a più di un chilometro e mezzo di distanza dal castello. Per andare a caricarla di beni come provviste, scorte, mappe ed eccetera, o per metterla a posto, la comitiva sgattaiolava fuori quasi tutte le notti. Sulla prua c’era una fessura potenzialmente pericolosa, ma Kristoff e Anna erano sicuri di essere in grado di ripararla.
 Elsa non si sorprese al vedere che Anna era più disposta a dare una mano nei lavori manuali rispetto alla maggior parte delle donne – ovvero Ingvalda –, le quali avrebbero considerato inaccettabile il loro coinvolgimento. La principessa era piena di energia e non aveva senso tenerla ancorata a Elsa, che si occupava invece della lista dell’approvvigionamento e calcolava ogni cosa mentre annotava le operazioni svolte. Ma quello che stupì davvero la regina fu l’assoluta facilità con cui Anna portava a compito le sue mansioni. Kristoff se ne stava fermo con il martello e i chiodi e la sua attrezzatura, sgobbando sull’apertura, e Anna gli portava le tavole di legno reggendone tre alla volta, ciascuna delle quali era lunga e senza dubbio pesante. La regina si chiese dove si fosse allenata Anna per ottenere delle braccia tanto forti.
 Un’altra meraviglia fu che Anna stesse anche solamente toccando la nave. Durante l’anno passato, Elsa aveva notato che Anna odiava le imbarcazioni. Era l’ultima persona al mondo che avrebbe suggerito di andare in vacanza a una qualsiasi meta raggiungibile solo via mare. Ed Elsa aveva l’esagitato dubbio che quella paura fosse stata instillata dalla fine disastrosa che aveva avuto il vascello dei loro genitori.
 Elsa guardò dall’alto la sorella e il suo futuro fidanzato, che stavano battibeccando scherzosamente su qualcosa che riguardava le slitte.
 «Oh, e sono cresciuta in una stalla se metto i piedi su una slitta, ma ficcarsi le dita nel naso va bene?»
 «A essere onesti, l’avevo appena finita di pagare».
 «Okay, be’, sono stata al 100% io a pagare quella che hai adesso. Pertanto sono dell’opinione che i miei delicati piedini meritino di appoggiarsi sopra».
 La risata del venditore di ghiaccio era distintamente udibile dal ponte dove si trovava Elsa. «Delicati? Senza offesa, ma ultimamente li hai annusati?»
 Un sorriso crebbe sul volto di Elsa, mentre Anna sussultava e sbottava: «Ritira quello che hai detto!», per poi ridere insieme a lui. Nulla scaldava il cuore di Elsa più di vedere sua sorella felice. Era contenta che, sebbene tutto quello che era successo sin da quando era scappata alla Montagna del Nord, Anna avesse incontrato lungo la strada Kristoff. Lui era assolutamente perfetto per lei e sperava che prima o poi anche il montanaro si entusiasmasse all’idea di sposarsi.
 La regina tornò ad annodare strettamente i sacchi di cibo e a trasferirli nel magazzino di sotto, allietata dal fatto che Anna e Kristoff si fossero offerti di aiutarla anche se ciò significava aiutare pure Hans. Riallacciare i rapporti con sua sorella era qualcosa che aveva rinviato per fin troppo tempo. Se solo ci avesse provato prima e non si fosse gettata a capofitto, salvo poi allontanarsi nuovamente…
No s’impose, grugnendo mentre trasportava un sacco di farina giù dalle scale. Non posso più avere pensieri del genere. Basta con gli atteggiamenti autodistruttivi.
 Una volta toccato il pavimento, lasciò cadere il sacco con un tonfo. Così come le sue braccia si alleggerirono dal peso di esso, nella stessa maniera si sentiva libera da se stessa. Non aveva provato quell’emozione sin da quando era fuggita. Anna l’amava, Hans… la voleva (a prescindere da quanto rapidamente sarebbe scomparso quel desiderio) e non avrebbe mai più permesso che i suoi demoni interiori avessero il sopravvento su di lei.
 L’unica cosa che le rovinò il buonumore fu l’ulteriore corpo che arrivò il decimo giorno. Il numero cinque, Louis, venne rinvenuto all’interno dei cancelli del castello. Sebbene quelli venissero ormai chiusi di rado, fu inquietante avere un cadavere in tali vicinanze. Come era riuscito l’assassino a non farsi scorgere da nessuno?
 Ingvalda sembrava essere dello stesso parere e si prese la briga di redarguire Elsa, come se fosse colpa sua se l’omicida non era ancora stato catturato.
 «Grazie al cielo, però, abbiamo ricevuto una risposta dalle Isole del Sud» disse la donna. «Hanno annunciato che ci toglieranno di torno quel disgraziato il prima possibile. Forse, quando se ne sarà andato, non saremo più afflitti da questa piaga».
 Elsa fece del suo meglio per starsene zitta e non lanciare occhiatacce a Ingvalda. Adesso che non incolpava più se stessa per tutto ciò che era successo, trovava l’ex custode parecchio irritante.
 «Ovviamente, se mi aveste parlato prima delle lettere, avremmo elaborato una strategia più velocemente» brontolò dalla sua sedia, in una posa così regale da dare l’impressione che fosse invece accomodata su un trono.
 «In mia difesa» aprì bocca Elsa, «non sapevo che sarebbero stati rinvenuti dei corpi ad Arendelle».
 «Ma se lo aveste confessato a me, lo avremmo potuto prevedere» replicò veemente Ingvalda, come se lei fosse talmente intelligente da essere capace di porre fine alla questione prima ancora che quella iniziasse. «L’assassino è più che mai vicino al castello. Agisce in modo ardito. È ovvio che il principe Hans stia collaborando con qualcuno che gli consegna i cadaveri. Quanto ancora aspetterà quell’individuo, prima di ricevere l’ordine di uccidere la regina e le principesse?»
 Elsa non mancò di accorgersi che Ingvalda aveva utilizzato la parola “principessa” al plurale. A meno che non avesse dimenticato di non essere più la regina, si era montata la testa a forza di occuparsi delle scartoffie.
 Certo, Elsa non si era comportata appropriatamente, ma la sbagliata definizione del suo titolo la indispettì. Avrebbe cominciato a tenere d’occhio l’ex custode. Almeno lei non aveva i mezzi per salire al potere sposandosi con il futuro regnante.
 Infine calò la tredicesima notte. L’umore di Elsa peggiorò considerevolmente durante la settimana. La sera dopo, la nave sarebbe partita e Hans sarebbe stato libero di navigare gli oceani. La situazione pareva di colpo così… definitiva. Ma avevano svolto un ottimo lavoro: la fessura era stata riparata e controllata, le scorte erano state conteggiate e sistemate, un equipaggio segreto era stato radunato da Anna e, il giorno successivo, tutto ciò che rimaneva da fare prima di caricare gente sull’imbarcazione era un ultimo accertamento.
 Quella volta Anna concordò di recarcisi insieme a Elsa per verificare che tutto fosse pronto. Per cui a mezzanotte si avvolsero attorno i mantelli neri che avevano indossato nelle ultime due settimane e agguantarono delle lanterne per rischiarare la strada in quella buia oscurità.
 Uscirono dal castello silenziosamente e senza intoppi, malgrado tutte le guardie appostate. Di recente avevano dovuto usare ancora più cautela, dal momento che Ingvalda aveva imposto che venisse installata una rigida sorveglianza. Era rimasta incredibilmente shockata dal ritrovamento dei corpi all’interno dei cancelli del castello e aveva preso a cuore la sicurezza.
 «Mi sento una criminale» sussurrò Anna mentre evitavano per poco una delle guardie, ma la sua voce dava l’idea di essere euforica, come se si trattasse di qualche gioco. «Insomma, tecnicamente lo sono, ma—»
 «Speriamo che non ci buttino in carcere prima di riuscire a far fuggire l’altro carcerato» mormorò in rimando Elsa, dando il via libera e entrando di corsa nella cittadella, con Anna dietro di lei.
 Era rischioso passare per il paese, ma aveva imparato da Hans che il modo migliore per nascondersi è stando in bella vista. Circondate dalle loro cappe nere, le due sorelle si tenevano a braccetto e probabilmente avevano l’aspetto di un paio di streghe. Quando scorsero una guardia, per poco il cuore di Elsa non smise di battere, ma lui non le ritenne una minaccia e continuò per la sua strada.
 Erano quasi sopraggiunte alla periferia, quando lei notò un profilo incappucciato. A quanto pareva, non erano le uniche a girovagare a mezzanotte. E la regina non avrebbe prestato attenzione a quella persona, se non fosse per il fatto che quella si abbassò, come per raccogliere qualcosa. Ma quando si alzò, un’altra era a terra, floscia e immobile.
 Elsa si arrestò e strattonò Anna. La sorella cacciò un cinguettio sorpreso, al che la strana sagoma guardò entrambe. Rimase immobile, poi scappò improvvisamente.
 Un’orribile sensazione si fece spazio in Elsa, che corse verso il punto in cui si trovava il fuggiasco. Percepiva sua sorella che da dietro di sé la chiamava confusamente, ma Elsa non si fermò. Aveva un brutto, bruttissimo presentimento sull’individuo che giaceva al suolo.
 Il cuore le martellava in petto per l’adrenalina, ma nell’istante in cui raggiunse il luogo, il battito quasi si interruppe. Come aveva sospettato, si trattava del sesto principe, il cui nome, Charles, era stampato su un biglietto proprio come tutti gli altri. Su di esso c’era scritto: “Aruna non verrà conquistata”. Costui era il fratello che non era riuscito a salire al trono. Oltre a Hans, ovviamente.
 A differenza dei suoi fratelli, Charles sembrava effettivamente morto, o almeno ferito gravemente. Aveva un occhio nero e il labbro che aveva l’aria di essere stato appena spaccato. Il suo braccio era posizionato in maniera strana. E quando Elsa si chinò per provargli il polso, lo scoprì ancora caldo. Non c’era una pulsazione, ma non si era raffreddato. Come se fosse appena morto.
 Anna giunse sul posto, respirando pesantemente, e sussultò alla vista del cadavere. «Quello è… un altro principe?»
 La testa di Elsa si voltò rapidamente in direzione della persona fuggita via, il mantello che ondeggiava nell’aria, sfocato dalla lontananza. Lei si alzò e puntò un dito contro la figura.
 «È quello l’assassino» disse, dopodiché iniziò a rincorrerlo.
 Sentì Anna che faceva cadere la lanterna ed esclamava «Cosa?!», ma Elsa non le prestò attenzione. Era concentrata sul mantello, il quale si era fuso nel buio della notte. La figura svoltò d’un tratto ed Elsa iniziò ad agitarsi. Non poteva perdere le sue tracce. Non ora che era così vicina alla verità.
 Sbandò quando dovette girare l’angolo e cambiò immediatamente direzione. Il suo cuore pulsava e i suoi polmoni stavano già implorando pietà. Elsa avrebbe voluto urlare all’assassino di fermarsi, ma in quel modo avrebbe messo in allarme la gente della cittadella. Inoltre, era implausibile che le desse retta. Le toccava continuare a correre.
 Lasciarono il paese, dirigendosi nel nero assoluto. Ma la figura non andò in campagna: si avviò all’alta scogliera che si stagliava sullo sfondo del castello. Il killer s’incamminò verso la cascata.
 Elsa si ricordò di come poterlo raggiungere nonostante le sue gambe fossero affaticate. Alzò la mano e lanciò un getto di neve verso l’individuo, ma invano. Quello schivò con facilità il colpo e proseguì per la sua strada. Lei si morse il labbro, ragionando febbrilmente, fino a quando non le venne un’altra idea. Se non riusciva ad acciuffarlo, doveva trovare una via.
 La regina si fermò, le gambe e i polmoni che la ringraziarono. Vide la cascata che risplendeva sotto la luce lunare, l’acqua argentea che scorreva. Era solita ascoltare quel suono per addormentarsi. Sollevò le braccia e costruì un ponte di ghiaccio. Quello luccicò, estendendosi verso l’infinito da sotto i suoi piedi. Lei ci salì sopra e piantò i piedi a terra, grata di non star portando i tacchi.
 Un’idea folle le assillò la mente. Se desiderava arrivare a destinazione velocemente, correre non era sufficiente. Senza pensarci due volte, si voltò e iniziò a spingersi dall’altra parte del ponte con l’aiuto di un vento glaciale.
 L’aria che le soffiava in viso le impediva di respirare, ma sorrise, malgrado la situazione. Forse è così che ci si sente andando a cavallo pensò. È questa la sensazione di libertà che ti scorre fra i capelli di cui mi ha parlato Hans.
 Aveva quasi attraversato tutta la cascata, quando notò che il ponte mancava di una estremità. Ma invece di terminare di costruirlo, affondò i piedi nel ghiaccio e scivolò fino a fermarsi. Le dita dei piedi penzolarono dal ponte, a meno di un metro dal suolo.
 Elsa avrebbe dovuto finirlo, aiutandosi con i propri poteri per giungere alle cascate e intercettare l’assassino. Notò però un’altra sagoma, immobile, ai piedi della scogliera. La curiosità la sopraffece e scese silenziosamente dal ponte, affrettandosi in direzione dell’ombra.
 Avvicinandosi, notò che non si trattava della stessa persona. Questa indossava un mantello di un colore più chiaro e un largo vestito fuoriusciva dai suoi lembi. Sembrava che il suo sguardo fosse ancorato a terra.
 Un brivido soggiogò Elsa mentre si rendeva conto che non si trovavano semplicemente alla base della cascata, ma a un cimitero improvvisato. Quella figura stava scrutando una bara e accanto a essa c’era un cumulo di terra. Era ferma e fissa, ma Elsa non sarebbe stata in grado di muoversi nemmeno se lo avesse voluto. Stava dissotterrando le tombe?
 L’omicida – o almeno, colui che aveva depositato il cadavere di Charles – arrivò correndo verso la profanatrice di tombe, il respiro pesante. A quanto pareva, Elsa si era nascosta bene abbastanza perché nessuno si accorgesse di lei.
 «Dobbiamo andarcene» disse l’assassina. Era una donna, si appuntò Elsa. «Mi ha scorta qualcuno, penso che fosse la regina. L’ho seminata, ma è possibile che abbia mandato delle guardie—»
 «Non puoi lasciarmi parlare con lui per un secondo?» replicò l’altra donna, ancora in piedi di fronte alla tomba.
 La prima scosse la testa, mentre recuperava il fiato. «Non abbiamo il tempo necessario, dobbiamo andarcene. E avevi detto che non avevi più intenzione di parlargli».
 «Oh, be’, ai tempi ero infuriata, sai» si giustificò la seconda, la voce che grondava di una dolcezza malata simile a quella di Ingvalda quando l’ex custode voleva qualcosa. Ma non si trattava di lei: la voce di Ingvalda era molto più profonda. «Non mi pento della sua morte, naturalmente, anche se non mi dispiacerebbe un’ultima chiacchierata».
 «Non la possiamo fare un’altra volta?» suggerì la prima, guardandosi alle spalle. Era tuttora molto agitata. «Non abbiamo il tempo per seppellirlo. Andiamocene a basta».
 «Oh, be’» sospirò la donna più anziana, girandosi finalmente in direzione della prima. Allungò un braccio agghindato verso la giovane, posando una mano sulla spalla. E poi, in un bagliore bianco e accecante, le due scomparvero.
 La notte tornò a essere pacifica, i grilli tardivi che creavano una melodia insieme ai suoni del vento autunnale. La cascata che l’aveva spesso cullata fino ad addormentarla scorreva, ma nella testa di Elsa era tutto scombussolato. Era talmente nervosa che, se non fosse stata grata di vederla, al rumore dei passi di Anna avrebbe strillato.
 La principessa le fu accanto, riprendendo il fiato. «Cosa… che era quella luce? L’hai fatta tu?»
 Elsa scosse la testa, gli occhi che erano ancora bloccati sul punto in cui le due donne erano sparite. Il suo cuore batteva forte, mentre si alzava piano disfacendo la sua posa accovacciata, senza aver più bisogno di celarsi. «No».
 «Allora cos’era?» chiese Anna, piegata in avanti con le mani sui propri fianchi.
 Anziché risponderle, Elsa s’incamminò verso la bara che la donna più anziana stava esaminando: era quella del re. Una parte di lei aveva paura di guardarci dentro. Non aveva mai squadrato prima d’ora un cadavere in putrefazione e non aveva intenzione di squadrarlo adesso, ma rifletté che l’uomo che Hans aveva ammirato tanto si meritava come minimo di venire riseppellito.
 L’uomo era stato disotterrato: ciò era evidente dal mucchio di terra e dalle sue spoglie nella fossa. Non vi era alcuna puzza, però, come invece Elsa s’era aspettata. Quello che era più inquietante era l’aspetto immacolato del corpo. Malgrado gli occhi chiusi e la sua apparenza a riposo, aveva l’aria di qualcuno che si stava facendo un lungo sonnellino. Non c’erano segni di imputridimento e decomposizione. Questo la sconvolse più di quanto lo sarebbe stata se, al contrario, ce ne fossero state le avvisaglie.
 «Perché quella tomba è stata scavata?» domandò Anna, dando un’occhiata. Sibilò, poi disse: «E perché il re non è diventato schifoso?»
 Elsa aveva gli occhi larghi e le sopracciglia corrugate, la mente che non riusciva a mettere insieme in pezzi. L’unica cosa che poté fare fu scuotere il capo. «Ce ne sono due».
 «Eh?»
 «Due assassine, entrambe donne» spiegò Elsa. «Una è la persona che abbiamo inseguito. L’altra stava osservando la tomba… Credo che sia stata lei a dissotterrare il corpo».
 «Aspetta, le hai viste?» chiese Anna, la luce lunare che splendeva nei suoi occhi eccitati.
 «Non esattamente» rispose lei. «Avevano addosso dei cappucci. Ma le ho sentite parlare. E la donna più anziana…» Elsa alzò il viso, la paura nello sguardo. «Non abbiamo semplicemente a che fare con un assassino. Il nostro killer possiede dei poteri magici».

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Capitolo 19
*** Diciannove ***


Diciannove

Sebbene l’ultima cosa che voleva al mondo fosse separarsi da Hans, Elsa decise che era essenziale che la sua evasione venisse attuata prima del calar della notte. Dopo l’incontro con le due assassine, la regina era sicura che, quanto più rapidamente faceva fuggire il tredicesimo principe dal regno, tanto meglio era.
 Quella notte non riuscì a chiudere occhio e, una volta alzatasi, si lanciò dritta verso la camera di Anna per comunicarle che dovevano mettere in azione il piano quel giorno stesso.
 «Ma come, in piena luce del sole?» chiese la principessa con uno sbadiglio, stiracchiando la schiena. «Non è super rischioso?»
 «Tenerlo rinchiuso qui è stato super rischioso di suo» replicò Elsa. «Prima se ne va, e prima potremo tirare un sospiro di sollievo».
 La risposta destò Anna, il viso ornato di preoccupazione. «Per te è difficile sul serio, vero?»
 Elsa non si fidava della propria bocca. Si limitò a fissare le lenzuola e annuì. Anna saltò in piedi immediatamente e gettò le braccia intorno alla sua sorellona.
 «Oh, Elsa» fu tutto ciò che disse. Tutto ciò di cui aveva bisogno. La regina si morse il labbro e tentò di trattenere le lacrime, ma ci rinunciò con facilità e strinse le dita intorno ad Anna, aggrappandosi a lei come se ne dipendesse la sua vita.
 Anna l’abbracciò per il tempo necessario, dandole colpetti sulla schiena e poggiando la propria testa sulla sua. Quando Elsa allentò finalmente la stretta e si staccò, Anna sorrise e le prese la mano.
 «Va’ a vestirti, okay?» si raccomandò flebilmente. «Lo scorterai fuori di prigione personalmente? O…»
 Elsa scosse il capo. «No» ribatté, la voce gorgheggiante. «No, non… non lo potreste liberare tu e Kristoff? Non so se ne sarei capace».
 Anna annuì, comprensiva. «Allora raduna gli uomini. Di’ che la partenza è stata anticipata e porta la nave al molo. Attracca a mezzogiorno, d’accordo?»
 Riunire un gruppo di marinai brontoloni e ormeggiare una grossa nave entro le dodici, passando inosservata, fu più facile a dirsi che a farsi. Ad ogni modo, Elsa si ritrovò camuffata sotto un sole luminoso. Indossava una veste marrone e un gilè scuro e i suoi capelli intrecciati erano coperti da una bandana. Nessuno le rivolse più di uno sguardo fugace, tutti troppo concentrati sulle proprie faccende per le strade, ma nelle sue orecchie il sangue pulsava talmente forte da non capacitarsi come non venisse notata.
 Scrutò la solita orda di gente alla ricerca della sorella, ma senza trovarla. Stava cominciando a impensierirsi, quando sentì l’orologio della cittadella che suonava l’una e un quarto. Anna avrebbe già dovuto presentarsi con il prigioniero dietro di lei.
 La regina cominciò ad andare in panico ed era sul punto di precipitarsi nelle prigioni; vide però tre figure che si stavano spostando velocemente nella sua direzione. A destra e a sinistra c’erano Anna e Kristoff – che, secondo Elsa, non si erano travestiti abbastanza – con una persona in mezzo che era quasi completamente avvolta in un mantello. Erano talmente appariscenti che Elsa sospirò.
 Eccetto alcune occhiate incuriosite, i tre si muovevano tra la folla senza difficoltà. O almeno, nessuno stava loro puntando un dito contro urlando che un prigioniero stava scappando, per cui Elsa ringraziò il Cielo.
 Non sopportava di starsene in piedi ad aspettarli pigramente in fondo al molo, per cui venne loro incontro accelerando il passo il più che poté. Tentò di restare calma e tranquilla, ma la sua andatura somigliava a una corsetta, piuttosto che a una camminata. L’uno intoppò nell’altro nel bel mezzo del porto, Elsa che si fermò prima di andare a sbattere addosso alla sagoma incappucciata.
 Anna sorrideva, probabilmente su di giri per le sue azioni criminose. «Non abbiamo nemmeno dovuto ricorrere alle maniere forti con le guardie» spiegò emozionata. «Per cui penso che ci resti mezz’ora prima che si rendano conto che il cavallo che abbiamo liberato è un granchio per sviarli. O… un cavallo¹? Comunque ce la siamo cavata».
 Elsa annuì, Anna che irradiava eccitamento. Kristoff, tuttavia, continuava a guardarsi nervosamente alle spalle ogni pochi secondi. Sebbene Anna avesse sostenuto che avevano a disposizione trenta minuti, Elsa era dell’opinione che l’inquietudine di Kristoff stava a significare che fosse il caso di sbrigarsi.
 Hans azzardò una sbirciata da sotto la sua copertura, gli occhi che scintillavano euforici come quelli di Anna. Elsa voltò velocemente la testa. Se voleva mantenersi imperturbabile, doveva avere il pieno controllo di se stessa e il modo più sicuro per perderlo era contemplando Hans.
 «La nave è pronta?» chiese Kristoff.
 «Sì» confermò Elsa. «Imbarchiamolo».
 Ma Anna corrugò le sopracciglia. «Ehi, noi portiamo a termine questo lavorone e tu ti limiti semplicemente a farlo salire a bordo? Non gli rivolgi nemmeno lo sguardo».
 «Anna» la redarguì a bassa voce Kristoff.
 Ma la principessa aveva già afferrato il braccio di Elsa per attirare la sua attenzione. «Capisco che in questo momento ti senti turbata, ma se non gli dirai addio, ben presto te ne pentirai e la cosa ti perseguiterà per il resto della tua vita».
 Elsa sapeva che aveva ragione. Ma non sapeva se era in grado di dire addio. Ancora non rivolgeva lo sguardo al detenuto evaso.
 «Kristoff e io andiamo a controllare, uhm, l’acqua?» avvisò Anna, dando un colpetto al braccio della sorella. «Ti concedo cinque minuti».
 «Solo… non fate scena» aggiunse cautamente Kristoff, che non smetteva di stare all’erta. Anna violava la legge con scioltezza, ma Kristoff era preoccupato come un bambino che ruba il suo primo biscotto.
 Anna non si diresse subito verso la nave, ma trascinò Kristoff in un punto del molo dove l’acqua s’infrangeva sul legno. Mentre s’incamminavano, constatò: «Immagino che siamo costretti a tirarlo fuori di qui il prima possibile, oggi ci sono un casino di navi ormeggiate».
 Elsa era rimasta in mezzo alla folla con Hans. Buffo, nessuno sembrò battere ciglio allo scorgere la regina in compagnia del criminale più ignobile di Arendelle. Nascondersi in piena vista faceva miracoli.
 Lei stringeva insieme le mani e desiderava toccarlo, ma non si fidava della reazione che avrebbe potuto avere.
 «Ti… ti auguro un buon viaggio» disse annuendo leggermente, senza mai fronteggiarlo. Lui non aveva ancora spiccicato parola. «Ti abbiamo messo a disposizione il rifornimento di un mese. Ci sono anche alcune provviste che potresti vendere o barattare e—»
 «Elsa» la interruppe con una parola.
 Alzò gli occhi dalla strada acciottolata all’uomo che le era davanti. Hans aveva il mantello che lo avvolgeva ed era curvato lievemente in avanti, come un mendicante. Era un attore estremamente provetto, dopotutto. Posò una mano sull’avambraccio di Elsa, accarezzandolo delicatamente e stringendo il tessuto. Il suo tocco la paralizzava. L’unica cosa che era in suo potere, se non aveva intenzione di gettarsi nelle braccia di Hans e supplicarlo di non lasciarla, era rimanere immobile.
 «Sei ciò che di più bello mi potesse capitare» dichiarò lui sommessamente. «E non lo asserisco con leggerezza. Io ero, e lo sono ancora, un criminale e un traditore e un tiranno e un egoista e…» Rise. «Be’, sono una persona tremenda. Ma tu hai ignorato questi miei aspetti e hai visto una scintilla di qualcosa di diverso. In precedenza, non avevo mai l’impressione che il fuoco si trattasse di… un dono. Non ho mai realizzato che fosse qualcosa da cui potessi beneficiare».
 Elsa sorrise amaramente, ricordandosi di una delle prime conversazioni che avevano avuto sin da quando Hans era rientrato nella sua vita. «“Re Hans di qualche nuovo paese”» recitò. «Alla fine otterrai ciò a cui aspiravi».
 La mano di Hans, poggiata sul braccio di lei, adesso la stava afferrando invece di accarezzarla. «Non miro più a diventare re» mormorò. «Non avevo capito quanto fosse complicato questo compito. L’essere il sovrano non è un titolo che posso usare per dimostrare alla mia famiglia che si sbagliavano sul mio conto. No, mi getterò questa vita alle spalle».
 L’espressione di Elsa s’incupì. «Non ambisci più a cercare l’assassino?»
 Lui scosse la testa. «No. Che si prenda pure il resto della mia famiglia. Voglio ripartire da zero. Nell’istante in cui salirò a bordo, cambierò il mio nome, cambierò la mia vita. Mi allontanerò da Arendelle e ricomincerò tutto da capo».
 Da un lato, era sollevata ad apprendere che sarebbe stato fuori pericolo. Ma il suo cuore vacillò quando comprese che anche lei sarebbe stata una parte del suo passato. Un altro ricordo da abbandonare.
 «Allora… allora…» Tentò di dire qualcosa, qualunque cosa, ma la sua mente si era svuotata. Era davvero la fine.
 Hans allargò le braccia e la strinse forte. Elsa piangeva, nonostante avesse giurato che non avrebbe versato una lacrima. Sebbene si sentisse tradita e imbrogliata, resistette e gli diede un abbraccio con tutte le energie che fu in grado a raccogliere. Lui magari era capace di mettere una pietra sopra quello che avevano e disperderlo dalla memoria, ma Elsa no, nemmeno lontanamente. Per lei era impossibile scordarsi che lui era stato un tassello della sua esistenza.
 Le sembrava che il suo cuore si stesse riducendo in brandelli. Hans stava troncando ogni rapporto con lei e avrebbe cancellato ogni momento passato insieme. Elsa si chiese se, fra due giorni, gliene sarebbe ancora importato della donna che anelava a cingerlo fra le braccia più di qualsiasi altra cosa al mondo, che si ricordava di lui e che lo desiderava ancora e che non lo avrebbe mai dimenticato.
 «Ti amo» gli sussurrò. Non glielo aveva mai confessato. Ad Anna sì, aveva menzionato la parola “amore”, ma mai a lui. E con il cuore che colava a picco, si rese conto che nemmeno lui si era mai dichiarato. Che non l’aveva mai amata. Lui l’aveva voluta. «Penso di volerti».
 Allentò gradualmente l’abbraccio quando lui evitò di reagire. Non le rispondeva ed Elsa seppe che Hans non era mai stato attaccato a lei quanto lei lo era stata a lui.
 Si levò rapidamente, inorridita dalla rivelazione. Non appena si scostò, però, Hans si protese per donarle un bacio. Era deciso e finale e a Elsa veniva da piangere. Ma chiuse gli occhi e lo accettò, fingendo che si trattasse del suo modo per dirle “Ti amo anch’io” e non di un regalo di commiato.
 Ben presto si separarono e a lei rimase la sensazione residua delle sue labbra sulle proprie. Hans era indecifrabile. Le porse il braccio.
 «Mi accompagneresti alla nave?» le chiese. Così formale, così impersonale. Tutto ciò che fu in grado di fare fu annuire e prendergli il braccio, come se quello fosse un convenevole come un altro.
 Ogni passo le sembrò durare un anno, eppure si trovarono sul punto di imbarcarsi in un battibaleno. Anna e Kristoff li aspettavano all’estremità del molo, pronti a ricevere Hans e a mandare via la nave.
 Elsa non voleva mollare l’appiglio al suo avambraccio. Le pareva di essere sempre stata in quella posizione e se l’avesse alterata non avrebbe saputo cosa fare. Ma lo lasciò comunque, la propria espressione illeggibile come la sua.
 Prima di mettere piede sull’asse, lui si voltò verso di lei. Il principe s’inchinò profondamente e disse: «Grazie per tutto quanto, Vostra Maestà».
Non ha nemmeno voluto pronunciare il mio nome urlò internamente. Tuttavia ricambiò l’ossequio, annuì e replicò: «È stato un piacere».
 E poi Hans si voltò e se ne andò. Di punto in bianco, era a bordo e sul ponte della nave. Lei era fuori dalla sua visuale e, ne aveva il timore, per sempre fuori dai suoi pensieri.
 Sentì una mano sulla spalla ed ebbe subito l’istinto di scrollarsela di dosso. Ma era quella di Anna e stava cercando di fare del suo meglio per consolarla. Per cui Elsa poggiò il proprio palmo sopra le sue dita e si aggrappò a esse. Il tocco di Anna riuscì quasi a riempire il vuoto lasciato da Hans.
 E le sarebbe occorso del tempo prima di colmare quella voragine. La sua partenza era stata già abbastanza, ma il suo atteggiamento così freddo, come se fosse risoluto a dimenticarla, aveva quasi spinto Elsa a tornare la se stessa dei tempi più bui. I tempi in cui le sue riflessioni le si avvicinavano furtivamente e le bisbigliavano cattiverie all’orecchio. Per poco non le percepiva. Non gli importava di restare. Non ti ha mai amata, ha solo pensato di volerti.
 «Ti va di osservare la partenza della nave?» chiese piano Anna.
 Elsa ci meditò per un momento, poi scosse la testa. Se lui si gettava il passato alle spalle, non aveva motivo per non imitarlo.
 «Okay» sussurrò la principessa.
 Kristoff fronteggiò la regina e sorrise. «Andrà tutto meglio» la rassicurò semplicemente ed Elsa si fidò di lui. Kristoff non le aveva mai dato ragione per non contare su di lui. Per cui annuì e provò a sorridere di rimando. Era felice che almeno una delle sorelle fosse stata capace di tenersi stretta la persona amata. Era felice che si trattasse di Kristoff. Hans aveva spezzato il cuore a entrambe: il suo allontanamento era la cosa migliore.
 I tre si girarono e cominciarono a incamminarsi verso la terraferma, scambiando i moli di legno con la terra compatta e la pietra. Nonostante avesse desiderato di non voltarsi, non resistette a una sbirciatina. Il suo cuore palpitò per un secondo quando vide qualcuno sul ponte della nave che stava scrutando in lontananza: era Hans? Ma quel qualcuno lasciò la sua vista con la velocità con cui vi era entrato e a lei non rimase niente.
 Avevano quasi raggiunto i cancelli della cittadella, quando vennero accolti da cinque uomini che correvano. Elsa si chiese perché le guardie fossero tanto di fretta. Il suo cuore martellava mentre pensava alla cella abbandonata di Hans. Kristoff tentò di guidare Anna e lei verso una strada che non incrociasse il sentiero dei soldati, ma quelli cambiarono direzione, puntando direttamente a loro.
 Il gruppo si bloccò, confuso e spaventato.
 «Chi sono?» domandò Anna, afferrando la mano di Elsa.
 Elsa aveva creduto che si trattassero dei gendarmi, ma quando si avvicinarono, notò che una componente delle uniformi era diversa, avevano dei colori stranieri. Una metà delle sentinelle era di Arendelle, ma non sapeva da dove provenisse l’altra metà. Con la distanza che si assottigliava, il sigillo sulle loro giacche divenne improvvisamente chiaro.
 Il cuore della regina si arrestò. Prima d’allora, aveva visto quel sigillo su molte lettere. Non possono essere qui. Non ancora. Lui non è ancora abbastanza lontano.
 «Alt!» li richiamò uno degli uomini, il che fu un gesto assolutamente non necessario, dato che si erano già fermati.
 «Come fanno a saperlo?» sibilò Anna, la stretta tesa come quella di un cobra. «E seriamente, chi sono?»
 «Sono delle Isole del Sud» disse Elsa, la testa che girava sempre più velocemente ogni secondo che passava. «I fratelli sono già qui».
 Udì Anna che imprecava sottovoce, il che sorprese sia lei che Kristoff. Ma Anna non offrì alcuna giustificazione e spiegò: «Ecco perché oggi avevo l’impressione che ci fossero un sacco di navi al porto».
 La scorta raggiunse rapidamente il trio, sfoderando le spade. Dei cittadini di qua e di là si innervosirono incredibilmente, specialmente quando sentirono uno dei soldati – uno di quelli di Arendelle – enunciare: «Regina Elsa, vi dichiaro in arresto per tradimento, per aver cospirato contro Arendelle e per aver assistito la fuga di un traditore e assassino conosciuto».
 Elsa riuscì a stento a mantenere l’equilibrio. «Per ordine di chi?»
 «Per ordine di Sua Maestà, la custode Ingvalda».





¹ Nell’originale inglese Anna dice: “So I think we might have like half an hour until they realize that the escaped horse was wild goose chase. Or… wild horse chase?” Non sapevo bene come tradurre “wild goose chase” – letteralmente “caccia all’oca selvatica”, un modo di dire che significa “falsa pista” –, soprattutto perché subito dopo l’autrice utilizza un gioco di parole; ma ho fatto appello alle traduzioni che ho letto e mi è venuto in mente come “red herring” nella filastrocca dei Dieci piccoli indiani sia stato tradotto con “granchio”. Ecco, non sono sicura che sia la scelta più opportuna, ma è migliore di qualsiasi altra alternativa a cui ho pensato.
Edit per mergana: dato che in italiano non esistono modi di dire che significano “falsa pista” e che abbiano a che fare con le oche, ho cambiato ragionamento e ho scelto di scrivere “granchio” (ovvero “inganno”, come quando si dice “ho preso un granchio”). Anna spiega a Elsa che il cavallo che hanno liberato lei e Kristoff era un diversivo per distrarre (cioè ingannare) le guardie (ed è quindi un granchio). Poi ci pensa su e fa una battuta al riguardo, perché il “granchio” usato era un cavallo, no?, e allora dice: “O… un cavallo?”
 L’idea di tradurre la frase originale usando la parola “granchio” mi è venuta in mente pensando alla traduzione di Dieci piccoli indiani: la frase “Four little Indian Boys going out to sea; / A red herring (letteralmente “aringa rossa”, ma significa “falsa pista”) swallowed one and then there were three” in italiano è “Quattro poveri indiani / salpan verso l’alto mar: / uno un granchio se lo prende, / e tre soli ne restar”. È qui che avevo visto “falsa pista” essere tradotto con “granchio” e perciò volevo attribuirne a esso il merito, tutto qui. :D
 Mi scuso per la poca trasparenza, mi capita spesso di parlare e parlare dando per scontato di venire capita a prescindere, è decisamente un mio difetto. >_< Ti rispondo qui perché non si sa mai che ci sia qualcun altro con lo stesso dubbio.
 (Mi scuso anche perché a momenti questa spiegazione è più lunga del capitolo stesso! >_<)

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Capitolo 20
*** Venti ***


Venti

Bastò la risposta dell’uomo per infuriare Elsa. Era dichiarata in arresto per ordine di Sua Maestà? La custode Ingvalda? Implicava che la donna aveva ripreso la sua carica al trono senza averne alcun diritto. Certo, la regina Elsa adesso era una traditrice, ma l’accusa non fece altro che incollerirla ulteriormente.
 Se avesse ragionato un attimo con la testa, avrebbe mentito ai soldati che la circondavano, affermando che il prigioniero era scappato con il suo gruppo di uomini, che si trovavano al porto e che erano pronti per essere acciuffati. Dopotutto, Hans l’aveva dimenticata. Perché non ricambiare la cortesia?
 Ma le sue spalle crollarono, la rabbia che si prosciugava e una depressione passiva che le brulicava in testa. Era in procinto di arrendersi.
 Anna aveva un piano diverso. Spinse dietro di sé Elsa e le fece da scudo umano. «Se osate anche solo toccare mia sorella, ve lo sarete meritato».
 Un’altra guardia – vestita con i colori delle Isole del Sud – replicò: «Anche la principessa Anna e Kristoff Bjorgman sono dichiarati in arresto per aver collaborato con la regina nel suo atto di tradimento».
 E quello diede a Elsa le ragioni necessarie per scattare. Nessuno le avrebbe portato via Anna.
 La regina delle nevi la sospinse da parte e creò repentinamente un muro di ghiaccio, fine e mediocre a causa dei suoi sbalzi d’umore. Non ci si può aspettare la perfezione nelle situazioni di emergenza.
 La principessa incespicò con un urletto, ma si riebbe velocemente grazie all’aiuto di Kristoff. Con la bocca spalancata, prima guardò la sorella, poi il muro di ghiaccio. Seguì lesto un sorriso euforico, mentre si avvicinava alla sorella.
 «Che vogliamo fare? Qual è la prossima mossa?»
 Le sentinelle ruggivano e si aprivano con facilità un varco nella parete sottile. Elsa cercò di fortificarla con una mano e respinse un soldato rude con un vento glaciale. Ormai tutta la gente della cittadella era corsa via gridando, il che per sfortuna condusse sul posto altri gendarmi.
 «Dobbiamo trattenere le guardie prima che blocchino la nave» asserì a denti stretti. «Non ci siamo ficcati in questo caos e tormento solo per poi disinteressarcene».
 Anna annuì, entusiasta, come se fosse stata intenzionata ad agire così sin dall’inizio. Elsa non capiva come sua sorella riuscisse a estasiarsi per tutto, dal tè delle tre ai combattimenti che inducevano il cuore a battere all’impazzata, la cui posta in gioco era alta e il cui esito era incerto.
 «D’accordo! Okay, che posso— uah!» Anna fu interrotta quando una lama tagliò la lastra gelida e rischiò di colpirla al braccio.
 «Attenta!» l’ammonirono Elsa e Kristoff all’unisono.
 Anna, sebbene dopo l’incidente si fosse fatta più seria, ruotò gli occhi. «Non preoccupatevi di me. Anzi, Elsa, ti sarei grata se mi procurassi una spada».
 «Una spada?» chiese Elsa, la testa in subbuglio poiché il ghiaccio si frantumava più velocemente di quanto ne stesse creando.
 «Sì, okay, allora, hai presente quella questione dell’essere completamente oneste l’una con l’altra?» disse Anna mentre Kristoff la tirava indietro per schivare le esplosioni affilate di Elsa.
 «Sì?»
 «Be’, anch’io ti ho tipo nascosto un segreto» confessò Anna, il che colse talmente di sorpresa Elsa che si voltò per un istante. La spada lacerò il ghiaccio e attaccò, mancandola per appena pochi centimetri sopra la testa. La regina strillò e congelò la spada – insieme alla mano del soldato che la impugnava ancora – alla barriera.
 «Sì, sì, passami quella spada».
 Nonostante Elsa fosse confusa e diffidente e volesse più di ogni cosa crollare a terra e ripetere da capo la giornata, sbrinò le dita dell’uomo e gli rimosse l’arma. Dall’altro lato della parete, lui sbraitava e tentava invano di staccarsi.
 Anna corse verso sua sorella, afferrando l’oggetto come un bambino con un giocattolo molto appuntito e pericoloso. Elsa esitava a consegnarglielo. «Anna…»
 «Scusami se mi sto rigiocando questa carta, ma fidati di me» assicurò Anna, fissando Elsa negli occhi con una sincerità assoluta. La regina fu incapace di deludere Anna e le cedette la spada.
 La mano di Anna circondò l’impugnatura con scioltezza, brandendo la spada con una destrezza che Elsa non sapeva potesse appartenere a chi era sempre così gioioso. Lo sguardo della principessa si acuì, il sorriso che non le abbandonava mai le labbra.
 «Ammira» disse Anna, che squarciò l’aria con movimenti fluidi. Uno dei gendarmi irruppe all’interno della barriera e sfrecciò nel loro rifugio. Estrasse la spada e l’abbassò lievemente quando vide che anche Anna ne aveva una.
 «Vostra Altezza» la implorò. Era di Arendelle. «Non voglio ferirvi. Se solo ne discutessimo con Ingvalda—»
  «Ingvalda non è la regina, ma una malvagia vecchietta rugosa» ribatté Anna. «Io scelgo di lottare».
 L’avversario aggrottò la fronte, angosciato alla prospettiva di combattere contro un membro della famiglia reale, ma rialzò il ferro. «È il vostro funerale, Vostra Altezza».
 Scattò in avanti, ma Anna fu più svelta. Le loro lame collimarono per un paio di volte, poi Anna lo tagliò al mento e lui sibilò. Adesso aveva un’aria arrabbiata e grugniva quando si muoveva, ma Anna era inaspettatamente brava. Da quando era diventata un’esperta della scherma?
 «Ha!» esclamò Anna quando, per la sorpresa del contendente, gli urtò l’arma e quella gli cadde dalle mani. Si avventò su di essa e le sorresse entrambe con un sorriso sicuro di sé.
 La guardia alzò le braccia in segno d’arresa. «D’accordo, Vostra Altezza, non fate niente di troppo avventato—»
 «Perché non torni da Ingvalda e glielo dici?»
 L’uomo concordò con lei in un battito di ciglia e scappò via.
 Elsa, che aveva assistito alla scena con attenzione, si ricordò della barriera solo quando la udì rompersi da un lato. La ricompose rapidamente prima che qualcuno entrasse, anche se, con Anna presente, riteneva che avessero una discreta possibilità di cavarsela.
 «Dove hai imparato quello?» balbettò Elsa.
 Anna scrollò le spalle, la soddisfazione che non sfumava. «Ah, sai. È da anni che mi alleno. Papà pensava che si trattasse di un buon investimento. Credo… che volesse che avessimo entrambe un modo per difenderci».
Papà non mi ha mai dato lezioni non poté fare a meno di ponderare Elsa. Cercò di scacciare le considerazioni velenose – addirittura invidiose.
 «Allora è per questo che sei tanto forte» proferì Elsa, ricordandosi che Anna aveva trasportato la legna durante le riparazioni della nave. Si spinse ancor più in là con la memoria, a dopo che aveva fermato l’inverno perenne, quando si era chiesta come Anna fosse riuscita a tirare via un braccio a una delle armature all’ingresso. La ragazza aveva sempre dato prova di essere più di un agnellino ed Elsa cominciò addirittura a sentirsi… meglio. Forse perché, in cambio delle montagne di enigmi che aveva custodito, persino Anna ne aveva avuto uno che non aveva mai rivelato.
 «Scusa per non averti mai confidato niente, solo che… mi pare un po’ strano» spiegò, indicando una crepa nella parete che Elsa riparò immediatamente. «Ho come l’impressione che papà rimarrebbe deluso se lo sbandierassi».
 E anche questo la rinfrancò. Suo padre era stato un re magnifico e forse aveva in serbo dei progetti per le sue figlie, ma dopo la sua morte erano rimaste entrambe schiacciate dal peso dei segreti che avevano promesso di mantenere.
 Anna scoppiò improvvisamente a ridere, lo sguardo su Kristoff. Lui non aveva commentato, ma era rosso in faccia e fissava Anna con gli occhi spalancati. «Tutto okay?»
 Lui si riscosse, ma il suo viso era di un cremisi ancora più scuro. «Tu, uhm… è stato…»
 Anna diede sorridendo una gomitata a Elsa. «Sono abbastanza sicura che la scena di prima mi abbia resa dodici volte più fica». Al che il montanaro si strozzò, guardando ovunque tranne che verso le due donne.
 Elsa avrebbe riso, se non fosse che il raschio e le urla dietro le mura s’intensificarono d’un tratto. Tornò a concentrarsi sulla loro protezione ed era consapevole della precarietà del loro nascondiglio nello spazio tra il calcestruzzo da una parte e il ghiaccio dall’altra. In qualche maniera, dovevano scappare.
Ma dove? pensò, le ombre che si stagliavano fuori dal muro. Devastata, si rese conto di non essere più regina di Arendelle. Grazie a Ingvalda e alla reazione che aveva avuto prima, era in arresto. A meno che i sudditi che le erano ancora leali venissero a salvarla – cosa di cui dubitava, dato che non si trattava della prima volta che era accusata di tradimento –, avrebbe preso il posto di Hans all’interno della sua cella. Non era più la benvenuta ad Arendelle.
 E per quanto questo la intristisse, di colpo le balenò in testa una nuova opportunità. Una nave fuggitiva era sul punto di lasciare il porto. Sebbene l’uomo a bordo avesse dichiarato che l’avrebbe dimenticata, Elsa fantasticò di saltarci dentro giusto in tempo per partire. E con lei accanto, non era necessario che lui la dimenticasse. Avrebbero persino potuto trovare un luogo in cui sistemarsi… forse sarebbero diventati il re e la regina di Qualche Nuovo Paese.
 «Cambio di programma» annunciò, il cuore che batteva dalla contentezza di non dover più essere accusata di tradimento. «Scapperemo con la nave».
 «Che?» chiese Anna, la punta della spada che urtò il terreno. «Elsa, potrebbero aver già preso possesso della nave—»
 «Non hanno scoperto chi è a bordo!» replicò Elsa trionfante. «Sanno solo che è evaso».
 «Però… andarcene da Arendelle…»
 L’umore di Elsa s’infiacchì. «O la nave o la prigione. Mi dispiace doverti trascinare in questa faccenda. Se avessi saputo—»
 «È solo che non sono certa se saremo in grado di raggiungere la nave» si affrettò a soggiungere Anna, così rapidamente che per poco a Elsa non sfuggì la risposta. E poi la regina capì: si trattava della paura del mare di Anna, scatenata dalla fine dei loro genitori. Salire sulla nave equivaleva a squarciare delle vecchie ferite.
 «Oh, Anna…» sussurrò Elsa, il piano che si riduceva in briciole davanti a lei.
 Kristoff, che era stato zitto, voltò Anna verso se stesso, stringendole le spalle. Gli occhi della ragazza si allargarono leggermente dalla sorpresa. «Anna, ascoltami. Sei la persona più coraggiosa che abbia mai incontrato. Compi delle pazzie e io…» Rise brevemente. «Ti prometto che su quella nave andrà tutto bene. Sono qui per te e anche Elsa lo sarà. Abbiamo bisogno di abbandonare Arendelle e rimetteremo piede sulla terra ferma in men che non si dica».
 Se non fosse stato impegnato a stringere Anna, Elsa lo avrebbe abbracciato. Era utile affidarsi a lui per aiutare la principessa a sconfiggere le proprie paure.
 «Io… io…» balbettò, ma alla fine chiuse la bocca e lasciò che fossero le sue labbra a ribattere. Mentre i due si baciavano, Elsa distolse lo sguardo, concentrandosi sulla fortificazione del ghiaccio.
 «Sì» disse infine Anna, senza fiato. «Verrò, ma solo se ci sarete anche voi».
 «Resterò al tuo fianco per sempre» promise Kristoff e il cuore di Elsa venne trafitto da uno spillo. Avrebbe voluto che Hans avesse gli stessi principi del montanaro. Hans, però, purtroppo era uno stronzo.
 «Distruggerò il muro» annunciò Elsa. «Quando sarà crollato, voi due rincorrete la nave. Imbarcatevi e partite».
 «Che?» chiese precipitosamente Anna. «Non ce ne andiamo senza—»
 «Lo so. Vi seguirò. Costruirò un ponte, lo dissolverò man mano e salirò a bordo. E in più piazzerò degli anelli di ghiaccio intorno al porto, cosicché i loro vascelli non partano. In questo modo, non ci seguiranno».
 Il viso di Anna si illuminò dalla comprensione e la ragazza annuì. Passò a Kristoff una delle due spade che aveva con sé. «D’accordo, Elsa. Siamo pronti quando lo sei tu».
 «Buona fortuna» sospirò Elsa mentre osservava le ombre al di fuori che colpivano e graffiavano il suo ghiaccio.
 «Anche a te».
 Il ghiaccio si ridusse in frantumi. Elsa abbassò le palpebre quando avvertì i frammenti che cadevano su di lei. Erano come una doccia calmante, nonostante le urla e la confusione dei soldati. Quando riaprì gli occhi, Kristoff e Anna era già schizzati via, degli uomini che li indicavano e gridavano. Alcuni di loro li inseguirono, ma la maggioranza rimase a distanza di sicurezza dalla regina delle nevi.
 «Ritiratevi, regina Elsa» la apostrofò uno. «Non è nelle nostre intenzioni ferirvi».
 «Non mi preoccupo delle ferite» rispose Elsa, i palmi all’insù con il ghiaccio che s’incurvava sulla punta delle sue dita. «E se davvero sono ancora la vostra regina, ascoltate me e non Ingvalda».
 La folla mormorò, incerti sulla persona da cui prendere gli ordini.
 «Lei è ancora la regina».
 «Ma ha aiutato un prigioniero a evadere!»
 «E se ci scagliasse contro un altro inverno? Non adiriamola!»
 «Non possiamo vivere nel terrore di adirarla, ha sostenuto un assassino!»
 Con suo grande sgomento, le guardie erano giunte a concordare borbottando che Elsa era un nemico e non un amico. Le toccava tenere loro testa fino a quando non fosse scappata. E adesso erano comparse molte più persone da affrontare di quanto avesse pensato.
 Ringraziò silenziosamente Hans per le lezioni che le aveva dato, a prescindere dalle difficoltà a cui erano stati esposti durante le esercitazioni. Grazie a esse, aveva imparato una cosina o due sulla magia per usarla a suo vantaggio e non temerla. Era padrona dei suoi poteri.
 Elsa alzò le mani di fronte a se stessa e sparò un colpo di vento glaciale alle sentinelle, abbattendo tutti coloro che la ostacolavano. Quelle latrarono e attaccarono in contemporanea, spaventando la regina. Ma lei non era in procinto di arrendersi.
 Ghiacciò insieme la spada di un soldato a quella di un altro e i due incespicarono nel tentativo di liberarsi. Un’altra spada fu sul punto di ferirle il braccio, ma lei si voltò velocemente e centrò l’aggressore. L’uomo volò indietro e mise fuori gioco quelli che gli erano appresso. Elsa rivolse i palmi contro la terra e si lanciò nel cielo, costruendosi un piedistallo su cui stare mentre i gendarmi sotto di lei gridavano e accoltellavano il ghiaccio. Una guardia si arrampicò sulla colonna, ma rovinò al suolo con facilità.
 Da lì vedeva il porto. Anna e Kristoff dovevano trovarsi già a bordo, perché la nave stava partendo. Se si fosse allontanata ancora un po’, la regina sarebbe stata costretta a sostenere una maratona.
 Un dolore acuto la trafisse alle gambe. Collassò sulle proprie ginocchia con un gemito. Il polpaccio destro inveiva dal male e, quando Elsa si controllò la ferita, un rosso scarlatto colava da un taglio affilato e impreciso. Una spada era posata accanto a lei sul piedistallo. Qualcuno gliel’aveva tirata contro.
 Strinse i denti, togliendosi la bandana dai capelli e legandosela stretta attorno alla gamba per poi aggiungere un velo di ghiaccio. Sibilò leggermente nel momento in cui il ghiaccio incontrò la lacerazione ustionante.
 Quando scrutò la visuale sotto di sé, gli uomini avevano cominciato a utilizzare le spade al posto dei picconi e uno era già giunto alla cima. Provò ad afferrarla, ma Elsa si girò giusto in tempo per schivarlo. Sfortunatamente, nel momento in cui lo fece, scivolò giù dalla colonna. Cadde con uno strillo.
 Ricoprì il terreno di neve, che purtroppo non attutì affatto la caduta. Si schiantò con un crack nauseante. Adesso non le veniva più da piangere solo per la gamba: le sue mani avevano subito il primo impatto. Aveva la sensazione che il suo polso destro si fosse spezzato a metà e si capovolse per stendersi sulla propria schiena, che le doleva, ma mai quanto il polso.
 La regina cacciò un lamento mentre si sedeva con uno sforzo immenso. La mano era piegata in una posa innaturale; o forse la sua vista era annebbiata dalle troppe lacrime. Si morse il labbro per trattenere le proprie urla.
 I gendarmi intorno a lei si immobilizzarono e si azzittirono. Non avevano idea di come gestire la situazione.
 «Qualcuno la prenda» disse una persona. Una manipolo di uomini si avvicinò cautamente alla regina, non avendo dimenticato la lotta di prima.
 «Non per i polsi!» osservò un altro.
 «Perché no?» borbottò un terzo. «Non ha l’aria di poterci attaccare».
 Elsa cercò di edificare un muro di ghiaccio per non venire catturata, ma il dolore al polso peggiorò nel suo tentativo e l’unica cosa che emise fu un rantolio.
 «Nah, è al tappeto e si è rotta il polso. Non riesce a servirsi della magia. Prendila per le spalle».
 Elsa venne strattonata in piedi e fu spinta via dal cortile. Non aveva scelta se non quella di seguire i soldati, piangendo e provando ma fallendo nell'impresa di non guaire, perché in quell'istante avrebbe desiderato la morte, tanto le faceva male il polso.
 Il cuore della regina si fermò quando lei si rese conto che era la fine. Aveva rovinato tutto. Era stata acciuffata e non sarebbe stata capace di fuggire neanche se lo avesse voluto. Non era nelle condizioni di correre con una gamba ferita, né di usare i suoi poteri con un polso rotto. Sebbene Anna e Kristoff e Hans fossero al sicuro, lei non si poteva unire a loro. Avrebbe marcito in prigione per il resto dei suoi giorni.
 Mentre veniva condotta verso il castello che non le apparteneva più, Elsa si sentì assolutamente impotente.

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Capitolo 21
*** Ventuno ***


Ventuno

Elsa si sentiva inerte. Il male al polso destro le aveva offuscato la vista e, mentre veniva trascinata all’interno del suo stesso palazzo, quasi gioiva della guida fornita dalle persone davanti a sé, date le innaturali vertigini di cui soffriva. Le voci si fondevano tra loro e lei non riusciva a distinguerne le parole. Il dolore pulsante alla mano la faceva svenire e rinvenire di continuo. Dalle poche informazioni che aveva colto, era stato chiamato un medico. Elsa sperava che l’avrebbe aiutata a curare le sue ferite.
 Perse nuovamente coscienza e, quando riprese i sensi, aveva un ronzio in testa e la sensazione di star precipitando da un’altezza di trenta metri. Batté le palpebre: adesso la testa non le girava più. Non si trovava in camera sua, men che meno nel suo letto; il luogo in cui era finita, tuttavia, le era comunque molto familiare. Con un inconsueto strattone al cuore, realizzò di essere nella stanza che aveva assegnato a Hans prima che i cadaveri avessero iniziato ad arrivare ad Arendelle.
 Mettendosi lentamente a sedere, vide il sole splendere nel cielo a est: era mattino. Quindi ieri aveva dormito per il resto della giornata? Lo spasimo sbiadito al polso confermava l’ipotesi che si fosse appisolata a causa di esso.
 Il polso era almeno tre volte la sua grandezza normale, ricoperto da delle garze e da una stecca di legno rigido che le impedivano di muovere la mano.
 Guardò fuori dalla finestra, il porto che brulicava di gente come al solito. Aveva però un aspetto così… diverso. C’era qualcosa di sbagliato. Con Anna, Kristoff e Hans che salpavano lontani da lei, il mondo intero era sbagliato. E Ingvalda…
 Quando udì entrare qualcuno, Elsa si volse verso la porta. Aveva il timore che si trattasse della donna che le aveva presumibilmente rubato la corona, ma era soltanto Kai.
 Colui che in genere aveva sempre un sorriso in faccia, specie se riservato alla regina, aveva un’aria devastata. Le spalle erano curve, come se non avesse più la forza di raddrizzarle. Elsa avvertì una stilettata di senso di colpa: l’espressione di Kai comunicava solo amarezza. Lui era la persona più vicina che Elsa avesse a un genitore e lei lo aveva deluso.
 «Kai» provò a dire, ma aveva la gola secca e la sua voce era graffiante.
 «Signorina Elsa» la salutò, chiudendo con delicatezza la porta. Quel “signorina” la tagliò come un coltello. Non era più la “regina Elsa”. Nelle mani di Kai stava un vassoio di cibo, come uno di quelli che venivano dati a Hans quando era un detenuto. Quindi lei non era..?
 Kai avvalorò l’interrogativo taciuto. «Siete prigioniera della custode. Dal momento che quando il principe Hans scappò voi non eravate da nessuna parte, Ingvalda vi ha immediatamente incolpata».
 «Non era certa della mia colpevolezza» obiettò Elsa dopo essersi schiarita la gola. «Sostiene che io abbia commesso tradimento e tuttavia non ne ha le prove».
 «È in errore?» le chiese Kai, ma non era una domanda.
 Elsa appassì al suo sguardo. Si era ripetutamente spinta oltre i limiti della legge ed era solo una questione di tempo prima che venisse catturata. Poteva solo rallegrarsi se le persone che aveva a cuore erano scampate al pericolo.
 «Che… che è successo alla nave?»
 «È stata inseguita, eppure per qualche ragione i nostri soldati non sono stati in grado di raggiungerla. Hanno avuto un guasto e qualcosa è andato a fuoco».
 Un’altra nave in fiamme per la cortesia di Hans. Elsa nutriva sentimenti contrastanti riguardo la loro fuga.
 «Abbiamo perso il prigioniero e gli ostaggi».
 «Gli ostaggi?»
 «Vostra sorella» la delucidò Kai, quasi sorpreso che lei ne fosse ignara. «E Ser Kristoff».
 «Sono i suoi ostaggi?» s’informò, sul punto di negare la nozione, ma si rese conto del modo con cui era stata inquadrata la faccenda. Quando Anna e Kristoff non erano stati acciuffati dalle guardie, Ingvalda doveva aver pensato che Hans avesse avuto in mente di intrappolarli per tenerli come garanzia. Che storia: la regina aveva sacrificato la propria stessa sorella per aiutare l’amante (o… almeno, il volutore¹, rimuginò aspramente Elsa). Non esistevano punti di vista secondo i quali lei non fosse la cattiva della situazione.
 L’afflizione sul viso di Kai allora aveva un significato più profondo. Credeva che fosse stata lei a permettere a Hans di rapire Anna. Provava una disperata smania di assicurargli di non averlo fatto e che Anna era sana e salva. Ma non avrebbe rinunciato al falso alibi di sua sorella.
 «Che cosa mi succederà?» sussurrò Elsa.
 L’uomo appoggiò il vassoio sul letto e sospirò profondamente. «Speriamo solo per il meglio, Vostra Maestà».
 Alzò i tacchi senza rivolgerle più di un’occhiata di saluto. Elsa scrutò il vassoio e, sebbene non avesse mangiato per un’intera giornata, non sopportava l’idea di inghiottire del cibo. Era da molto, molto tempo che non si sentiva tanto sola.
 Le ore passarono. Alla fine il suo stomaco la convinse a sfamarsi; dopodiché non ebbe nulla tra le mani. Tentò di aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Non aveva alcuna intenzione di usare la magia: non sarebbe servito a niente e il suo polso doleva ogni qualvolta muoveva il braccio troppo velocemente. Tutto quello che era in suo potere era fissare il muro o il paesaggio fuori dalla finestra e lasciar correre la fantasia, chiedendosi dove si dirigesse la nave e quale destino avrebbe riservato Ingvalda alla regina che non era più idonea a governare il suo stesso regno.
 Infine la porta si aprì per rivelare due guardie, che la scortarono alla sala del trono. Lo stomaco di Elsa si agitò. Non aprì bocca e seguì i soldati comportandosi in maniera collaborativa, uscendo da quella camera isolata. Le sembrava di ricevere una sentenza di morte a ogni passo che avanzava.
 La sala del trono non era mai stata la sua preferita: era sempre linda e pulitissima e un esempio scintillante di regalità. Tuttavia era anche fredda e calcolatrice e Ingvalda era nata per stare in quell’esatto tipo di stanza.
 La donna sedeva sul seggio che non spettava più di diritto a Elsa. La sua occhiataccia fece voltare il capo a quest’ultima, che diresse lo sguardo verso quattro uomini. I loro capelli erano di varie tonalità del castano e avevano tutti la medesima espressione dura. I loro nasi erano identici a quello di Hans. Il cuore di Elsa si arrestò quando capì che si trattavano dei suoi fratelli. Quattro dei dodici, almeno. Erano probabilmente il settimo, l’ottavo, l’undicesimo e il dodicesimo principe, dato che il nono e il decimo si trovavano a Corona a scontare la loro pena in carcere.
 Elsa venne fermata quando fu di fronte al trono e si girò verso la custode. Ingvalda non aveva l’aria felice, ma in essa aleggiava una sorta di compiacimento che Elsa sapeva non avrebbe dovuto assumere. Ingvalda era verosimilmente deliziata all’idea di possedere un motivo per togliersi dai piedi la regina.
 «Regina Elsa» iniziò a proclamare Ingvalda, il tono di voce controllato. «Siete stata accusata—»
 «Sono al mio processo?» la interruppe Elsa, procurandosi un’occhiata torva da parte della donna sul trono.
 «C’è già stato. Siete stata dichiarata colpevole per aver fornito assistenza al detenuto, il principe Hans Westergard, il quale è un criminale rinomato ed è reo di tentato omicidio, a fuggire da Arendelle e a rapire la principessa Anna».
 Non era giusto. Non avevano il diritto di tenere un processo senza la loro regina, anche se era lei l’indagata. Ingvalda, generalmente pedante con le regole, stava infrangendo la legge.
 «Non potete fare questo» ribatté Elsa con la consapevolezza di essere ignorata.
 «Per quanto riguarda il verdetto, sarete gettata in prigione e vi sarà tolta la corona».
 Se lo aspettava, ma, udendolo ad alta voce e ragionando sul serio sulle conseguenze della defraudazione del proprio titolo, si zittì e tutte le repliche sulla propria lingua svanirono.
 «Regnerò al vostro posto fintantoché la principessa Anna non sarà rintracciata e in grado di reclamare il trono, o fino a quando non sarà dichiarata morta, e in quel caso sarò io ad assumere la corona».
 Ingvalda se la stava godendo. Non c’era nulla al mondo che la donna non bramasse più dell’autorità. Ne aveva avuto un assaggio quando Elsa era più giovane e non era pronta a essere incoronata e per oltre un anno Ingvalda aveva proseguito a sostituirla nei suoi doveri. Non aveva mai smesso di essere la sovrana, ma non aveva più intenzione di condividere i riflettori con Elsa. L’ex regina comprese di meritare la sua punizione; avrebbe solo voluto che Ingvalda non ne fosse stata così orgogliosa.
 «Vostra Altezza, se posso offrire un’alternativa» enunciò una voce alle spalle di Elsa. Pareva una roccia che affondava nelle profondità del mare, roca e armoniosa. Lei si volse e vide che era quella di uno dei fratelli. Il viso era rasato e non era né il più alto né il più basso tra gli uomini presenti. Ma la sua bocca si arcuò scaltramente in una curva che era certa di aver visto sulle labbra di Hans. Elsa si chiese di quale fratello si trattasse.
 «Principe Jørgen» fiatò Ingvalda, rispondendo al suo interrogativo inespresso. «Parlate».
 «Invece di permettere a questa donna di sprecare lo spazio dei vostri carceri, saremmo felici di prenderla con noi a vostro nome».
 A Elsa mancò il fiato. Improvvisamente la curva scaltra sulla sua bocca apparì minacciosa, un avvertimento che le preannunciava che, se adesso pensava che la sua vita fosse difficile, sarebbe stata colta di sorpresa. Era a conoscenza del trattamento che i Westergard riservavano alla gente dotata di magia. Non sarebbe riuscita a vivere così.
 Ingvalda però si mostrò interessata. «Perché ve lo dovrei concedere?»
 «Arendelle ha nascosto nostro fratello, che credevamo fosse perito in mare, il che ci darebbe una comoda motivazione per dichiararvi guerra. Senza tra l’altro menzionare che nostro padre e i nostri fratelli maggiori sono stati ritrovati morti nelle vostre terre. Hans potrebbe aver assunto un mercenario per ucciderci e voi ve lo siete lasciato scappare. Davvero, Vostra Maestà, la vera domanda è: perché non ci concedete quello che vogliamo?»
 Ingvalda non sorrideva più. La sua carnagione divenne due volte più pallida del solito. «E cosa ne farete di Elsa?»
 «Sono affari nostri, che ne dite?» rispose il fratello più alto in un modo che fece rabbrividire Elsa. Lei pregò di non venire reclamata, di star vivendo un brutto incubo.
 Ingvalda ci meditò sopra, e a lungo. Aveva l’aria di star pesando i pro e i contro e alla fine fu persuasa.
 «Avrete la custodia di Elsa» concordò, mentre la donna in questione perse ogni briciolo di speranza. «Lei è bandita dal regno di Arendelle».
 «Non potete bandirmi». Elsa inghiottì le lacrime. «Non potete».
 «Io posso» replicò Ingvalda con un balenio nello sguardo. «L’ho appena fatto. Se non rispettate la legge, non aspettatevi di venire rispettata da essa. Siete congedata».
 Elsa provò a dibattere la propria pena, ma perse le parole. Farfugliò come se fosse solo in grado di sputare segatura e non di parlare. Dietro di lei le guardie l’afferrarono per le spalle e una fitta le infiammò il polso di nuovo. Eppure non era paragonabile al dolore che la opprimeva, ora che aveva appreso di essere stata esiliata dall’unico luogo che chiamava casa.
 Elsa si scrollò di dosso gli uomini che la tenevano, lanciando a loro un’occhiataccia raggelante. «Non vi gioco scherzi, ho il polso rotto».
 I soldati la guardarono e, dato che non volevano ferire in alcun modo la loro regina, acconsentirono con facilità.
 Fu scortata fuori dalla sala mentre i fratelli discutevano le condizioni del suo rilascio. Elsa voleva chiudere le palpebre con tutta se stessa, affinché il mondo intorno a sé scomparisse. Perché la situazione doveva finire così? Solo qualche mese prima, stava prendendo un tè con Anna ed era dell’opinione che la cosa peggiore che fosse mai capitata era la presenza di Hans nelle loro prigioni. Se solo si fosse vista adesso.
 Venne rinchiusa nella propria stanza e le fu ordinato di attendere. Elsa non sapeva che fare. Per un momento stette immobile, poi si girò verso la finestra. Si avvicinò a essa e osservò il suo— no, non era più suo. Si era spinta troppo oltre e le era stato portato via il regno.
 E improvvisamente comprese la sofferenza di Hans. Vide attraverso i suoi occhi ciò che era stato brevemente suo. Lei lo aveva posseduto per più tempo, eppure entrambi pativano allo stesso modo. Entrambi avevano oltrepassato il limite. E ora erano due criminali senza corona.
 Ancora una volta le venne in mente la storia del Junco delle Nevi. Quello che aveva sconfitto le proprie paure ed era divenuto il re degli uccelli. A un certo punto aveva pensato che lei potesse essere il junco. Ma mentre scrutava i suoi ex domini, rifletté che l’aver sconfitto le proprie paure non le aveva dato niente tranne che difficoltà.
 Mai il suo destino era stato tanto incerto. Serrò lo sguardo, domandandosi se Anna fosse al sicuro. Aveva Kristoff al suo fianco ed era forte, sarebbe sopravvissuta. A Hans lei mancava? Provava qualche rimorso per averla lasciata indietro? O lei era già un fantasma del suo passato?
 Elsa si appoggiò al vetro, esaminando silenziosamente le navi che ondeggiavano su e giù per il fiordo e temendo ogni secondo che trascorreva. Non era sicura di quanto a lungo fosse rimasta lì; comunque, udì bussare. Non i piccoli e familiari colpetti che Anna batteva sul legno, ma tre solidi rumori.
 Si volse e vide la porta aprirsi per il principe dall’aspetto semplice che l’aveva reclamata. Il principe Jørgen era sulla soglia e non compieva un passo.
 «Non mi invitate?»
 Non aveva la forza per mettere in dubbio il perché le stesse permettendo di avere quel controllo, essendo lei la sua prigioniera. Si limitò ad annuire, dandogli il consenso.
 Lui sorrise grato ed entrò, chiudendosi gentilmente la porta alle spalle.
 Elsa si ricordava di lui dai racconti di Hans. Jørgen era il settimo figlio fortunato. Era quello che veniva sempre favorito dalla madre, quello che aveva esatto un vascello più grande. Elsa era intenzionata a odiarlo.
 Lui rimase rispettosamente con le mani dietro alla schiena, aspettando che fosse lei a parlare per prima, come se fosse stata lei ad averlo convocato nelle proprie stanze.
 «Non sono più la regina, non lo avete sentito? Non siete obbligato a farlo».
 «È un’abitudine, suppongo. Sono il principe Jørgen. Spero che la mia audacia a rivendicarvi non vi abbia scoraggiata. Al contrario, mi rallegro all’idea di ritenervi più felice da libera piuttosto che intrappolata in una cella».
 «Vi dovrei ringraziare?»
 «Starebbe nelle circostanze. Non pensiate però che vi abbiamo preteso per pura bontà del nostro animo».
 Rassicurante.
 Elsa raddrizzò la schiena, nel tentativo di apparire più intimidatoria. «Allora perché lo avete fatto?»
 L’uomo spostò le mani da dietro la schiena e le tenne di fronte. Aveva un’aria straordinariamente sicura di sé.
 «I miei fratelli e io siamo stati informati da una fonte attendibile che eravate in affinità con nostro fratello».
 Lei provò a essere impassibile, ma il labbro di Jørgen si arcuò nuovamente ed Elsa capì di avergli risposto senza aver pronunciato una parola.
 «E?»
 «E siamo dell’opinione che sareste in grado di condurci da lui».
 Volevano… volevano che lei cooperasse con loro per catturarlo? Dopo che era stata lei a farlo fuggire?
 La confusione doveva esserle scritta in faccia. Jørgen avanzò di un passo e spiegò: «In passato, nostro fratello ha cercato di uccidervi e questo si potrebbe considerare il suo secondo esperimento. Non so in che maniera vi abbia spinto a liberarlo; ho tuttavia ben presente che è capace di essere molto persuasivo. Vi indurrebbe a scagionarlo anche se venisse accusato di omicidio per la millesima volta».
 Il dubbio strisciò, intrufolandosi di nuovo all’interno del suo cuore. Il dubbio che lui non l’avesse mai amata, o che non l’avesse nemmeno voluta. Non riusciva a crederci, specie perché quei ricordi erano tra le poche cose che le restavano.
 «Il punto è che noi abbiamo le nostre ragioni e voi le vostre. La vendetta è dolce, soprattutto quando ti viene strappato via quello che hai».
 «Non so dove si nasconda» mormorò Elsa. Era la verità, ma lui non sembrò convinto.
 «Prima o poi collaborerete» le assicurò. «Partiremo domani mattina. C’è niente che desiderate venisse impacchettato?»
 Avrebbe voluto ribattere di no perché Jørgen uscisse il prima possibile, ma colse l’occasione per chiudere il becco prima che se ne pentisse. I fratelli erano noti per essere dei bulli, si ricordò. Se avevano commesso tutte quelle orribili cattiverie contro il loro fratello minore, chissà che avrebbero imposto alla loro stessa prigioniera? C’era una cosa che desiderava.
 «Mi… mi consegnereste i guanti?»
 Jørgen annuì. «Farò personalmente in modo che li troviate a bordo».
 Si congedò ed Elsa rimase ancora una volta con l’unica compagnia dei suoi pensieri e la prospettiva del mondo che conosceva.
 Come poteva aiutare i fratelli a scovare e a punire l’uomo che amava talmente da averlo fatto evadere al prezzo della sua vita passata? Non poteva. Neanche se lo avesse voluto. Ma se c’era una cosa che era capace di fare…
 A poco a poco cominciò a rincuorarsi. Aveva infatti un’altra alternativa. L’esilio si trasformò di colpo in un’opportunità. Era in compagnia dei fratelli che sarebbero stati i prossimi bersagli dell’assassina. L’avrebbe catturata e avrebbe messo la parola fine a questa storia.
 Forse Hans aveva asserito che Elsa fosse un fantasma del suo passato, ma lei non aveva chiuso con lui. E se non aveva il diritto di essere la regina e di essere libera, avrebbe ripulito il suo nome, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto.





¹ Nell’originale inglese è “What a tale; the queen helped her lover (or… at least wanter, Elsa thought bitterly) by sacrificing her own sister” e avevo inizialmente pensato di tradurre il gioco di parole con un artificioso “la regina aveva aiutato colui che l’amava (o… almeno, colui che la voleva)”, ma non essendo “wanter” un lemma vero e proprio in inglese ho pensato che “volutore” fosse la scelta più calzante. “Lover” però è finito per essere stato tradotto con “amante” e purtroppo così il senso non si è conservato granché… perché “lover” implica che Hans amasse attivamente Elsa (e da lì la sua asprezza e il suo voler correggere la definizione), mentre “amante” si limita ad avere una semplice accezione negativa e oggigiorno si usa per descrivere qualcuno che tradisce il proprio partner.

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Capitolo 22
*** Ventidue ***


Ventidue

Davvero non serviva che la incatenassero: Elsa non aveva comunque intenzione di fuggire. Eppure le sue mani erano state immobilizzate saldamente con delle manette, bloccandola all’interno della sottocoperta. Non aveva senso lottare o gridare, dato che le possibilità di essere scarcerata erano minime, e non avrebbe saputo come comportarsi se le avessero concesso la libertà. Pertanto sedeva sulla sedia che le aveva consegnato un addetto al carico delle merci ed era assillata dalle onde che oscillavano l’imbarcazione. Fingere di non essere a bordo le era arduo, ma se abbassava le palpebre e si rilassava…
 Il tonfo degli stivali di coloro che si trovavano sul ponte, i quali davano gli ultimi ritocchi e stipavano le ultime provviste, non l’aiutarono a concentrarsi. Ma col passare del tempo, il calpestio diminuì, le voci e le leggere risate tacquero ed Elsa ebbe il dubbio di essere stata lasciata sola in mezzo all’oceano.
 In seguito la nave fu nuovamente inondata dai passi e ricomparvero i mormorii, solo per poi cessare per ascoltare le grida di qualcuno. Elsa concluse che si trattasse del discorso del capitano. Non riusciva a distinguerne alcuna parola, tutti i rumori che si mischiavano confusamente.
 Più tardi eruppe un grande “urrà” e il cuore di Elsa affondò. Erano in procinto di partire. Stava per andarsene da Arendelle. Improvvisamente si sentì male e, tra l’altro, prima ancora che navigassero effettivamente le acque.
 Il naviglio barcollava e lei perse l’equilibrio. Inciampò nella sedia, ma non cadde. Le catene tiravano il suo polso più forte di quanto le sarebbe piaciuto, però, ed Elsa sibilò mentre si raddrizzava. Aveva l’opportunità di congelare le catene con la mano sana, ma, come detto prima, non ne valeva la pena. Inoltre stava indossando i guanti. Dopo essere stata a mani nude tanto a lungo, ora aveva la sensazione di essere troppo coperta.
 Qualcosa come trenta minuti dopo che la nave era stata disormeggiata, udì il cigolio della porta che si apriva e il suono di un paio di stivali neri e pesanti che si facevano strada lungo i scalini. Chiunque fosse, Elsa non voleva fronteggiarlo, perché altrimenti avrebbe scorto la sua paura. Ma lei era brava a portare una maschera, per cui se la mise e si sforzò a non farsela strappare di dosso.
 «Si sta terribilmente soli, qui» osservò la persona. Lei capì che era Jørgen dalla nota amabile che si percepiva in quella voce.
 Non rispose.
 Dopo un silenzio doloroso, lui aggiunse: «Non siate la nostra prigioniera. Potrei provvedere in modo che vi siano tolte le catene e vi sia dato un letto».
 I suoi polsi smaniavano acciocché lei accettasse la proposta e le venisse rimosso il metallo pesante e freddo. Prima di posare piede sulla nave, non le era mai capitato di non dormire in un letto. Anche quando era intrappolata nelle prigioni del suo stesso regno ne aveva avuto uno. Le tavole di legno del pavimento non avevano scricchiolato comodamente durante la scorsa notte tenebrosa.
 «Tutto ciò che dovete fare è seguire queste esigue condizioni» le illustrò, come se stesse parlando a un bambino. «Indossate già i vostri guanti, bene. Continuate a indossarli. E l’altro requisito è che voi ci indichiate la destinazione».
 Elsa interruppe la sceneggiata per curiosità e si girò, inquisitoria. Quando si rese conto del proprio errore, voltò velocemente il capo, ma notò con la coda dell’occhio che Jørgen stava sorridendo. Adesso lui sapeva di avere la sua attenzione.
 «Esattamente, sarete la nostra ufficiale di rotta. Non vogliamo parassiti su questa nave, signorina Elsa. Mio fratello Peter è il capitano, il primo ufficiale è Silje, abbiamo un cuoco che viene dalla Catena dell’Ovest. Ma, onestamente, penso che sia per via della sua cucina se Monsieur Didier è stato cacciato dalla Francia». Ridacchiò a quella che era una vecchia battuta all’interno della sua cerchia. «E saremmo lieti di accogliervi tra i nostri ufficiali di rotta. Basta che ci conduciate sul suo cammino e sarete libera di ciondolare dappertutto a vostro gradimento».
 Elsa non ebbe bisogno di domandare a quale cammino lui si stesse riferendo: era chiaro che alludesse a Hans.
 «Che ne dite?» chiese Jørgen e il suo tono era talmente amichevole che Elsa avrebbe accettato all’istante. Ma fu in grado di trattenersi e fissò il muro cupo con fermezza. La nave gemette e le onde lambivano sommessamente il legno e le voci della gente sul ponte lottavano contro le urla soffocate dei gabbiani. Eppure regnava il silenzio.
 «Meditateci su» suggerì lui. «Proseguiremo a offrirvi i pasti e i nostri dottori vi controlleranno il polso ogni giorno. Ma informatemi quando più vi aggrada in caso cambiate idea. Qui sotto è deprimente e il cielo oggi è cristallino. Sarebbe un peccato perderselo».
 I suoi stivali sfilarono via, su per le scale e fuori dalla porta. Elsa tirò un sospiro. Non aveva idea del perché le fosse così difficile essergli intorno. Cercò una giustificazione nel fatto che lo odiava perché lo odiava anche Hans; Jørgen però appariva gentile per davvero. Il che cozzava con il bruto piagnucoloso che aveva immaginato quando Hans lo aveva descritto, lamentandosi del vascello ricevuto al suo compleanno dal fratello.
 Giocherellò nervosamente con le dita nei guanti, rendendosi conto del buio e della solitudine di cui pativa. In fondo le sarebbe bastato indirizzarli verso un luogo qualsiasi. E poi catturare l’assassina era tra i suoi progetti, perché non aveva aperto bocca?
Perché Hans ti ha contagiato con il suo stupido rancore verso i suoi fratelli rimuginò dando una soluzione al proprio interrogativo. Inizia a ragionare con la tua testa. Non pensare quello che pensa lui.
 Sospirò e si appoggiò contro la parete di legno fresco. Non sapeva più a cosa credere.
 Passarono una settimana e due giorni ed Elsa si ostinava a non rivolgere la parola a nessuno. Jørgen le faceva visita una o due volte al giorno, in genere con il vassoio del cibo o con il dottore. A ogni incontro cercava di persuaderla e le sue offerte erano tutt’altro che svantaggiose. Lei non rispondeva.
 Il capitano, l’ottavo fratello Peter, si fermò per presentare se stesso e il primo ufficiale. Peter aveva una coda di cavallo color castano chiaro e una cicatrice sul labbro superiore ed Elsa ipotizzò che il capitano fosse lui perché nessun altro aveva il coraggio di sfidarlo. Il primo ufficiale Silje aveva una coda di cavallo più lunga, del colore del miele, e le mancavano almeno tre denti, ma aveva un’aria allegra e salutò Elsa. Quando la prigioniera non reagì, Silje assunse rapidamente un atteggiamento più freddo, lasciando che fosse Peter a provare a convincerla a rivelare loro la meta. Non ebbe successo.
 Il dodicesimo, Christian, aveva il compito di portarle i pasti. Era un tipo taciturno, ma le consigliò di accettare la proposta dei suoi fratelli. Tecnicamente era l’unica persona con cui parlasse, dato che mormorava dei “grazie” quando riceveva da mangiare, ma non aggiungeva una sillaba di più.
 La nona notte Elsa raccolse il coraggio di assecondare la loro richiesta. Quando la porta si aprì, lei era già in piedi. Aveva misurato a passi la stanza, studiando le parole esatte che avrebbe riferito a Jørgen quando l’uomo sarebbe entrato. Aveva progettato un intero copione. Ma non fu Jørgen a entrare: invece si trattava del fratello che non aveva più rivisto dopo il suo processo, durato cinque minuti.
 Anderson chiuse la porta velocemente e si affrettò a percorrere le scale. Il cuore di Elsa batteva forte: come mai si comportava in maniera tanto furtiva? Che intenzioni aveva?
 Lui scattò, avvicinandosi a lei, e poggiò un dito sulle labbra. Elsa era pietrificata.
 «Non vi farò del male, okay?» sussurrò Anderson. «È solo che mi occorre un favore. Non raccontatelo a nessuno, neanche ai miei fratelli, d’accordo?»
 Elsa non gli rispose di sì, ma non rifiutò nemmeno. Si limitò a fissarlo con occhi sgranati. Lui lo lesse come un segno per proseguire.
 «Voi avete dei poteri magici, vero? Vi chiamano la regina delle nevi, l’anno scorso avete congelato il vostro regno. Mio fratello minore vi odiava per questo».
 «Che volete?»
 «Ripeto che non intendo farvi del male» la rassicurò. «Necessito di un consiglio. Riguarda mio figlio».
 Di tutte le cose che Elsa non si era aspettata, questa era tra le prime della lista.
 «August ha sette anni. Lui e sua madre sono ciò che di più prezioso abbia mai avuto. Ma sono terrorizzato. Un anno fa August ha cominciato a parlare di assurdità che gli uccelli gli avevano detto e di come gli animali del mercato fossero tristi e lui li volesse liberare. Alberte e io all’inizio non ci demmo peso, e poi lo osservammo conversare con dei topi alla finestra e loro lo ascoltavano, e capimmo che August era stato maledetto».
 «Mi… mi dispiace. Aspettate, voi siete sposato?»
 Anderson assunse un’espressione ancor più in colpa di come generalmente si sentiva Elsa. «Non proprio, no. È per questo che vorrei che restasse un segreto. Se si venisse a sapere che ho una donna e un figlio, mio madre non…» Scosse la testa. «Non è questo il punto. Ho bisogno del vostro aiuto. Che posso fare con lui? Lo amo con tutto il mio cuore, ma le persone con i poteri magici sono una fonte di cattive notizie. Cosa—»
 Ma la porta cigolò nuovamente, il che fece sobbalzare dallo spavento l’undicesimo fratello.
 Jørgen scese giù dalle scale, il sorriso che scomparve quando notò il fratello perfettamente immobile. «Anderson?»
 «Jørgen» lo salutò lui. «Stavo… stavo solo discutendo con la prigioniera. Affinché lei guidi il viaggio».
 «Lei non è la nostra prigioniera, lo sai bene» lo corresse Jørgen, che non sembrò sospettare niente mentre continuava a discendere le scale. Elsa udì il sospiro di sollievo di Anderson. «È la nostra ospite. Anche se la preferirei come ufficiale di rotta di sicuro. È un peccato che vi stiate perdendo il tramonto, oggi è magnifico».
 Elsa si rammentò dell’evenienza per cui si stava preparando e, sebbene la vista di Jørgen rievocasse nella sua mente il risentimento di Hans, disse: «Principe Jørgen, vostro fratello mi ha convinta. Gradirei ammirare il tramonto».
 Jørgen era così shockato che tacque per cinque secondi. A quanto pareva, non si era aspettato che l’ex regina accettasse la sua offerta. Ma la sua sorpresa si trasformò in gioia nel momento in cui rise e batté le mani insieme. «Davvero? Ci aiuterete?»
 Elsa annuì impercettibilmente, rivolgendo un’occhiata a Anderson. Se Jørgen era shockato, Anderson era piacevolmente stupito. Era chiaro che nessuno a bordo aveva previsto che Elsa avrebbe acconsentito per davvero.
 La risata di Jørgen non era bella, ma le faceva venire voglia di sorridere.
Assomiglia a quella di Hans.
 E immediatamente Elsa s’incupì.
 Ma quello che le ronzava in testa non poteva rovinare l’umore di Jørgen. Disse a suo fratello di correre a procacciare la chiave per liberare Elsa e ordinò all’equipaggio di preparare del cibo. Sproloquiava mentre Anderson saliva di sopra, descrivendo la sua felicità e parlando di come la situazione avesse finalmente preso un svolta migliore dopo quel lungo periodo di tempo. Era emozionatissimo, come se il figlio prodigo fosse ritornato da lui¹.
 I polsi di Elsa vennero presto liberati e lei era lieta di abbandonare la solitudine. Jørgen continuava a chiacchierare con quei suoi occhi luminosi e quella curva furba del suo sorriso. La guidò su per le scale e fuori dalla porta e a lei sembrò di incamminarsi in un nuovo mondo.
 Erano in mare aperto e non si riusciva a scrutare Arendelle. Da una lato c’era macchia sfumata e scura di terra, probabilmente verde di giorno ma adesso del fosco e intenso arancione del sole. Dall’altro, una distesa d’acqua, scintillante a causa degli ultimi residui di luce. Stavano salpando in direzione del crepuscolo, dritti verso il fuoco. Ed era di una bellezza incomparabile.
 «Avevo accennato che sarebbe stato un peccato, no?» le disse Jørgen alle sue spalle.
 Lei annuì, camminando lungo il trincarino² e inspirando ed espirando l’aria. Così salata e fredda, eppure fresca e pulita.
 Jørgen si avvicinò fieramente a lei e alla battagliola². I due contemplarono l’oceano talmente a lungo da avere la sensazione che la nave si curvasse e cadesse giù da un’imponente cascata ai confini del mondo.
 Jørgen ruppe il silenzio. «L’equipaggio si rallegrerà alla prospettiva di avere finalmente un’assistente di rotta. Finora abbiamo viaggiato lentamente verso sud ovest. Avere una direzione migliorerà l’umore generale».
 Elsa annuì, senza togliere gli occhi dalle onde buie e silenziose. Il tramonto era stupendo, ovviamente, ed era grata del suo rilascio. Ma si sentiva comunque triste. Neanche il tramonto era in grado di farle riavere Anna al suo fianco. E trovandosi su una nave, sua sorella era probabilmente terrificata ed Elsa non le era accanto… di nuovo.
 «Dove dobbiamo andare, ufficiale di rotta?»
 Lei si voltò, togliendosi Anna dalla testa. «Non ne sono ancora certa. Avrei un’idea, ma ho bisogno di più tempo per meditarci sopra».
 Jørgen si morse il labbro, ma annuì serenamente lo stesso. «Naturalmente». Dalla sua bocca il respiro uscì a sbuffi, che vorticarono nell’aria gelida come fumo. «Prendetevi tutto il tempo necessario. Però dovrete fornirci una risposta entro stanotte, o temo che tornerete in catene».
 Lei non stava sorridendo ma, se prima lo avesse fatto, in quel momento avrebbe smesso subito. Jørgen era gentile, ma non uno stupido.
 «Adesso non ha importanza! È ora di cena» annunciò lui, allontanandosi dalla battagliola. «Signorina Elsa, vi sta bene essere chiamata così?, se mi concedeste l’onore di accompagnarmi alla sala da pranzo, sono sicuro che saranno presenti molte persone ansiose di conoscervi».
 Le porse il braccio e, nonostante Elsa non lo volesse, lo prese. Meglio assecondarlo piuttosto che rischiare di trascorrere un’altra notte a dormire sul pavimento. Si sentiva in controllo dei suoi poteri, ma era obbligata ad avere addosso il tessuto opprimente dei guanti.
 Sulla strada per la cucina passarono diversi marinai, i quali si sorpresero tutti a scorgere l’ex regina fuori dalla propria gabbia. Ma rivolsero cenni di rispetto a lei e salutarono Jørgen.
 Anche Elsa era un po’ shockata alla vista di tutti quei marinai. Si era quasi aspettata di avere a che fare con un gruppo rude di uomini chiassosi con tatuaggi su tutto il corpo, o con i soldati esperti di una corazzata da guerra d’élite. Ma queste persone non corrispondevano né all’una né all’altra immagine. Qualcuno aveva sì dei tatuaggi e alcuni avevano l’aria di essere capaci di ucciderti se avessi battuto le palpebre in un modo a loro sospetto. Tuttavia, la donna con un sacco di tatuaggi era troppo occupata a preoccuparsi su dove farsi il prossimo per essere davvero pericolosa e l’uomo dallo sguardo spaventoso rideva come un cannone tonante, asciugandosi le lacrime dagli occhi. Elsa si rilassò lievemente.
 C’era un grande trambusto nella stanza sovraffollata che definivano “cucina”. Una fila di marinai affianco al muro era in attesa della porzione di cibo. Era tutti impegnati a chiacchierare, con voci che si diversificavano tra di loro per essere rauche o acute e un uomo dietro il basso bancone distribuiva ciotole fumanti di minestra marrone o, almeno, quella che lei sperava fosse minestra.
 Dato che questa era un’occasione speciale, Jørgen le garantì che avrebbero saltato la fila. Coloro che aspettavano il proprio turno borbottarono e le lanciarono occhiatacce, ma presto spalancarono gli occhi e sorrisero nella sua direzione. Elsa non si sentiva tanto benvenuta da… be’, da quando aveva riportato l’estate nel suo regno.
 Il pasto le venne servito dal cuoco, che sollevò il cappello in sua presenza. Jørgen le disse che l’avrebbe preceduta ed Elsa lo seguì attentamente, cercando di non rovesciare la scodella. La minestra era calda al tocco dei suoi guanti.
 Jørgen la guidò di nuovo verso il trincarino, dove stava bighellonando anche altra gente.
 «Non avete un tavolo a cui sedervi?» chiese Elsa con sconcerto quando Jørgen si appoggiò a un albero e iniziò a divorare il contenuto della sua ciotola.
 «Non per la maggior parte dell’equipaggio. Io ne ho uno in camera e così tutti i miei fratelli. Ma durante notti come questa, un po’ d’aria fresca non mi dispiace. Ognuno deve trovarsi un angolo in cui mangiare. Molti consumano il proprio pasto nelle cabine comuni».
 Malgrado il nervosismo che provasse per la mancanza di un tavolo, Elsa era rimasta incatenata per una settimana, per cui era capace di sopravvivere anche cenando in piedi.
 «Avete riflettuto su dove dovremmo dirigerci?» le domandò Jørgen.
 Elsa era sicura che il limite che le aveva dato le fosse stato imposto meno di quindici minuti prima. Non abbastanza tempo per pensarci sopra.
 «Be’… ci sono parecchi posti che potremmo controllare. Hans è imprevedibile».
 Jørgen scosse la testa. «Non c’è bisogno che me lo diciate, ne sono consapevole. Fa sempre di testa sua. Ma se abbiamo il compito di catturare il diavolo, dobbiamo ragionare come lui».
 Nonostante Elsa non avesse gradito il paragone con Satana, annuì.
 Jørgen eruppe fugacemente in una risata, che però non era… divertita come le altre. Lei lo guardò in viso e non vi vide traccia di sorriso.
 «In sostanza, ho intuito fin da subito che sarebbe stato uno difficile, ma non avrei mai indovinato che sarebbe scattato». Il principe scosse lentamente la testa. «Mi sfugge come sia riuscito a uccidere tutti i miei fratelli maggiori. Come fa un uomo a trovarsi in più posti in una breve spanna di tempo?»
 Elsa avrebbe disperatamente voluto difendere colui che aveva baciato; dubitava tuttavia di non finire in prigione se avesse contestato Jørgen. «Saremo all’oscuro di come sono andate veramente le cose fino a quando non avremo tra le mani ogni ind—»
 Lui volse il capo, inclinandolo con curiosità. «Voi… lo state proteggendo?»
 Le guance di Elsa si tinsero di rosso.
 «Scusatemi, non avevo intenzione di mettervi in imbarazzo. È solo che trovo interessante il fatto che stiate proteggendo colui che aveva tentato di uccidere vostra sorella» spiegò Jørgen.
 Anche Elsa se lo chiedeva da settimane. Fissò il mare, che adesso era più scuro e quasi minaccioso. Le onde erano… affamate. Pronte a ingoiare una nave.
 La sua stretta alla ciotola era più salda di quanto fosse necessario. «Io confido nel compimento della giustizia» mormorò. «Se è colpevole, allora riceverà la pena che merita».
 Jørgen rise ancora. «Sostenete la sua innocenza?»
 «Non è innocente, ma Hans non ha ucciso i vostri fratelli. Da agosto fino alla scorsa settimana era un detenuto nelle prigioni di Arendelle. Non aveva la possibilità di toccarli. E la notizia della morte del padre lo ha depresso… non è stato lui».
 Il principe spostò il peso da un piede all’altro e il legno del ponte scricchiolò. «Mio padre è sempre stato molto affezionato a Hans, dato che era il più piccolo della famiglia, immagino. Mia madre lo aveva sposato perché era l’unico che non voleva sottrarle il potere condividendolo tra marito e moglie.
 «Come fate a sapere che Hans ne era turbato?» le chiese, comprendendo improvvisamente quello che Elsa rimpianse di aver menzionato.
 «Io… Vostro fratello e io parlavamo molto. Abbiamo scoperto di avere in comune molte più cose di quanto credessi» rivelò, alzando la mano inguantata e agitando le dita. Jørgen sgranò gli occhi. «Sono a conoscenza della sua magia. Hans è potente. Mi ha mostrato ciò di cui lui è capace e mi ha raccontato di tutti voi. Ne ha dipinto una bella immagine, di solito lamentandosene».
 Jørgen s’accigliò. «Ma davvero?»
 Elsa fu sul punto di sorridere.
 «Be’… mantenete il segreto, d’accordo? L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un ulteriore scandalo. La nostra famiglia sarà malfamata».
È una decisione presa da vostra madre? avrebbe voluto dire, ma si trattenne prima di confessare tutti i segreti sulla famiglia Westergard di cui era stata informata.
 Finirono la minestra e Jørgen le prese la scodella, poi chiese di nuovo: «Avete scelto la destinazione?»
 Lei si morse il labbro, riflettendo. «Le Isole del Sud».
 «Le Isole del Sud?»
 «Sì. Dove, se non verso un trono vacante?»
 Gli occhi di Jørgen s’illuminarono. «È un peccato che abbiate aiutato mio fratello a infrangere la legge, signorina Elsa. Sareste stata una regina straordinaria».
 Elsa era sicura che questa fosse una buona risposta, ma, mentre osservava l’oceano che si anneriva rapidamente, sperava che l’assassina avesse fatto lo stesso ragionamento.





¹ Riferimento alla parabola del figlio prodigo, raccontata nel Vangelo secondo Luca (15, 11-32). Un padre ha due figli e il minore dei due se va di casa per sperperare le sue ricchezze: la felicità di Jørgen è quindi paragonata a quella del padre alla fine della parabola, quando il figlio ritorna da lui pentito.
 ² La battagliola è il “corrimano”, la “ringhiera” delle navi; il trincarino è l’area vicino alla battagliola.

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Capitolo 23
*** Ventitré ***


Ventitré

Elsa diventò parte integrante dell’equipaggio dopo appena un giorno.
 All’inizio aveva creduto che si sarebbe sentita a disagio in compagnia del resto dei membri. In fondo, i cadaveri della loro famiglia reale erano comparsi nel paese di Elsa: era naturale avere dei dissapori. E invece, quando la incrociavano, le rivolgevano tutti dei cenni e dei sorrisi e a volte la salutavano persino verbalmente. Addirittura due uomini e una donna avevano provato a flirtare con lei, cosa che la divertiva e che a momenti l’avrebbe fatta ridere. Per un breve e luminoso istante, considerò l’idea di riempire il vuoto lasciato da Hans con uno dei marinai; ma i loro tentativi di corteggiarla fallivano, indipendentemente dal suo desiderio di saltare tra le braccia di qualcuno. Forse un giorno, quando il tempo avrebbe guarito le sue ferite e si sarebbe sbarazzata dell’assassina, lo avrebbe dimenticato.
 L’abbigliamento fu un altro notevole cambiamento. Se non avesse deciso di uscire dalla sottocoperta, chissà quando le sarebbe stato concesso il diritto di lavarsi. Ma adesso che era una di loro, fu aiutata a trasportare una vasca nella propria cabina. Jørgen spiegò di aver ottenuto la stanza convincendo i gemelli a condividerne una, lasciando che Elsa avesse, quindi, quella di Christian. In principio lei si sentì in colpa, ma il sentimento sparì immediatamente al soffice tocco dell’amaca su cui dormiva. Ovviamente Elsa e coloro che l’assistevano a prepararsi furono scocciati dall’ordine di Jørgen di continuare a indossare i guanti mentre faceva il bagno, ma in qualche modo riuscirono nell’impresa, inumidendoli solo leggermente.
 Dopo una settimana trascorsa con i capelli sporchi e annodati, pettinarli fu una meraviglia. Il vestito che aveva addosso da giorni fu sostituito da un paio di stivali robusti, dei pantaloni ruvidi, una camicia e un gilè che le era un po’ troppo grande e che aveva una macchia sul lato sinistro. Era certa che, se fosse stata vista agghindata come un pirata da quella minaccia di Ingvalda, la custode avrebbe sofferto di un infarto.
 Ma a Elsa cominciavano a garbare quei vestiti e la ciurma cominciava ad andarle a genio e, soprattutto, lei cominciava ad amare l’oceano. Era in grado di passare ore appoggiata alla battagliola, con il vento che le sollevava la treccia e inspirando il sale, che in mare aperto pareva si trovasse dappertutto.
 Trovava simpatico il primo ufficiale Silje, un’alta donna danese dagli occhi sicuri che avevano in loro tutta la dignità della corte reale. Raccontò che, prima che andasse in pensione, suo padre era stato il capitano della nave di re Lewis e che lei aveva sempre voluto seguire le sue orme. Era curiosa di conoscere ogni informazione su Elsa: la regina delle nevi aveva goduto di una certa reputazione nelle Isole del Sud, sin da quando il loro principe più giovane era stato accusato di tentato omicidio.
 Silje ascoltò mentre Elsa esponeva spezzoni della storia con esitazione. Non l’avrebbe mai descritta per intero, no di certo; tuttavia, persino quei pochi frammenti fecero accigliare Silje.
 «Non capisco perché non siate titubante della sua innocenza» asserì. «Tutto sembra indicare a lui. Eppure avete favorito la sua fuga».
 Elsa non le aveva parlato dei poteri di Hans, né di quello che si poteva definire “amore” nel senso più ampio del termine. Ma anche se avesse aggiunto quei dettagli, era a conoscenza della stoltezza delle sue azioni.
 «Be’… lui era molto persuasivo. Ebbi la sensazione che le sue parole fossero sincere, specialmente quando il corpo di suo padre comparve sulle spiagge di Arendelle. Il suo dolore appariva sincero. Io persi i miei genitori qualche anno fa. E quel genere di esperienze ti distruggono».
 Silje serrò le labbra mentre fissava il mare con un’espressione torva. «Non pensate che lo sapesse?»
 «Cosa?»
 «Non pensate che sapesse che avreste provato solidarietà nei suoi confronti? Quando si è infiltrato per la prima volta nel vostro regno, mi hanno detto che è un attore molto convincente. Secondo me era consapevole della vostra empatia. Si è comportato in modo tale da attirare le vostre attenzioni e guadagnarsi la propria libertà».
 «Lui… no, non lo farebbe mai» ribatté Elsa, ma le si era di nuovo stretto il cuore in gola. Aveva disperatamente tentato di sopprimere il dubbio. Era conscia di come probabilmente si fosse trattato di manipolazione e, ai tempi, di come si fosse messa sugli occhi un’enorme benda ardente. Ma adesso non ci avrebbe creduto. O altrimenti Kristoff e Anna sarebbero stati in grave pericolo.
 Scosse la testa e inspirò quel sale che la rinvigoriva. «No. So che non stava fingendo».
 Le sopracciglia di Silje si sollevarono, ma si girò dall’ex regina e lasciò perdere la questione. Ciò nondimeno, una scheggia affilata come un coltello affondò all’interno della mente di Elsa. E se era Hans il colpevole? Quant’era implausibile l’ipotesi che avesse assunto due persone coi poteri per compiere il lavoro sporco, mentre lui faceva le moine alla regina?
 Elsa ebbe il bisogno di pensare ad altro.
 «Il… il principe Jørgen non è preoccupato?»
 «Di cosa?»
 «Se il killer uccide i Westergard per ordine di nascita, lui è il prossimo».
 Silje si morse la guancia. «Non gli piace aver paura. Si maschera con un sorriso e ride e rende la gente felice. Ma è terrorizzato».
 Il primo ufficiale fece cenno a Elsa di camminare con lei. «Si circonda di due sentinelle quando dorme e tre durante il giorno. Il capitano Peter e io abbiamo rimarcato che si guarda sempre alle proprie spalle».
 «E voi non siete in ansia per lui?»
 Silje acquisì un’espressione che non tradì alcuna emozione. «Ora che siamo in mare aperto, stiamo solo ritardando l’inevitabile. Temo che una volta che saremo a terra…» Scosse la testa. «Il destino di Jørgen è stato già segnato».
 Elsa trascurò il fatto che essere in mare aperto non sarebbe servito a niente, date le abilità dell’assassina di apparire e scomparire.

L’ex regina aveva cercato diverse volte di raggiungere Anderson e prenderlo in disparte, ma lui riusciva sempre a evitarla. Elsa avrebbe voluto chiedergli di suo figlio, il bambino capace di parlare con gli animali. Ma quando la notava nelle vicinanze, Anderson trovava costantemente metodi per affaccendarsi nella direzione opposta. La cena non fece eccezione, dato che, accorgendosi di Jørgen ed Elsa che mangiavano nuovamente accanto all’albero, si voltò all’istante.
 «Pare che abbia paura di te» scherzò Jørgen, osservando il fratello che ripercorreva il tragitto da cui era venuto.
 «Strano» mentì Elsa. Non avrebbe confidato a Jørgen la vita privata di Anderson: lo aveva promesso.
 «Suppongo che sia angosciato dall’omicida. La vostra presenza fa sembrare il tutto molto più vero».
 «Voi ne siete angosciato?»
 Lui scrollò le spalle, un sorriso sulle labbra che sigillavano qualcosa di non svelato. «Nah. Niente affatto. Chiunque lavori per Hans è un facile avversario da battere».
 Per cui erano ritornati al punti di partenza, rifletté Elsa. Hans era il killer.
 Jørgen capì quello che pensava. Era consapevole delle proteste espresse mentalmente da Elsa contro ciò che aveva appena dichiarato. Ma non sarebbe stato lui il primo a menzionare la questione.
 Così pane e fagioli vennero consumati in silenzio, nonostante il canto del mare e le risate dell’equipaggio, finché Christian non venne loro incontro e li salutò.
 «Avete visto Anderson da qualche parte?»
 La bocca di Jørgen si distese. «Non posso risponderti con certezza. Siamo dell’avviso che la signorina Elsa lo abbia atterrito».
 Il fratello più giovane scosse la testa e sorrise, i denti inferiori che erano giusto leggermente storti. «Ah, Andy. È sempre stato un po’ uno scemo intorno alle donne. Suda un sacco e balbetta. Nostra madre sostiene che finirà come papà, più arrendevole di quanto piacerà a sua moglie».
 Elsa sorrise a disagio, mentre i fratelli risero alla battuta.
 «Come mai lo cerchi?» domandò Jørgen.
 «Niente, davvero. Peter ha dato l’ordine di informare tutti che arriveremo a casa fra tre giorni al massimo. Sono lieto che siate uscita da quel buco, signorina Elsa, o altrimenti avrei accostato¹ io stesso per tornare indietro».
 «Lei vale più dell’oro» si vantò Jørgen, come se Elsa fosse un artefatto che aveva esumato. «Il suo rancore è tale da averci rivelato ogni suo segreto».
 «Scusatemi» lo interruppe Elsa, le mani strette nei guanti. «Non sono a conoscenza di alcun segreto che vi sia stato rivelato».
 «Be’, ci state conducendo verso le Isole» replicò Christian facendo spallucce. «Io la considero una confessione».
 «Una confessione..? Non ho confessato niente».
 Jørgen non sorrideva più. «Vi siete convinta per davvero che nostro fratello non è il killer».
 Elsa aprì bocca, ma non ne uscì parola.
 «Lo sapete» sussurrò Jørgen. «Nel profondo del vostro cuore, voi sapete che è lui il colpevole. Non c’è altra spiegazione».
 «Ero… ero con lui» farfugliò lei. «E lui era rinchiuso in una cella. Non può… non era…»
 «Mercenari» mormorò Christian. «Scommetto che ha assunto degli assassini e li ha pagati profumatamente».
 Come se non si fosse già figurata mille volte quel scenario. Come se non fosse stata logorata dal dubbio. E adesso l’esitazione strisciava e strisciava e lei non era più sicura di quanto a lungo avrebbe continuato a conservare i ricordi di quell’uomo delle prigioni, prima che quelli venissero trasferiti negli angoli solitari della sua memoria.
 «Ci avete guidato voi alle Isole del Sud». Jørgen la riportò alla realtà, sulla nave.
 «Questo non dimostra nulla».
 «Lo avete affermato voi. Dove dirigersi, se non verso un trono vacante?»
Lo aveva affermato. Elsa non riusciva a respirare.
 «Signorina Elsa? Volete che porti via la vostra ciotola?» propose Christian sommessamente.
Non riusciva a respirare.
 Elsa annuì, porgendogliela con un braccio tremante. Si girò all’istante e s’incamminò in direzione della battagliola di legno sul lato della nave e la strinse forte. Osservò le onde nere e selvagge e le venne da vomitare il pasto e non riusciva a respirare.
 Per tutto questo tempo… dopo tutto quello che lei aveva fatto. Dopo tutto ciò che era successo e tutto il tempo che lei aveva dedicato a quello stupido. Era lui il killer, non c’erano altre spiegazioni ragionevoli. Le aveva mentito in faccia e aveva mentito alle sue mani e al suo cuore.
 Serrò gli occhi e inspirò profondamente. Non aveva mai respirato tanto intensamente.
 Elsa, per lui, aveva trascorso un periodo di silenzi con sua sorella. Per lui aveva avuto una crisi e aveva indossato i guanti. Con lui aveva scambiato il primo bacio, con qualcuno con cui aveva sentito un legame impossibile da spiegare, e quel qualcuno era lui. Per lui aveva perso la corona. Elsa si trovava semi-prigioniera su una nave che si dirigeva verso le Isole del Sud, mentre sua sorella – l’unica famiglia che le era rimasta – era bloccata su un’altra nave, lontana da lei, e tutto ciò per causa sua.
 «Signorina Elsa?»
 La voce di Jørgen le pareva provenire da una distanza di quindicimila chilometri. Aveva le vertigini e non aprì gli occhi perché altrimenti sarebbe caduta dalla nave. Si limitò a stringere la battagliola e ad ascoltare il vento e l’acqua.
 Ma poi ci fu una mano sulla sua spalla e i suoi occhi si aprirono. E Jørgen era lì, il volto che non mostrava altro che preoccupazione.
 «Signorina Elsa, state bene?»
 Squadrò il fratello dell’uomo il cui viso diventò improvvisamente difficile da ricordare. «Mi aveva… mi aveva raccontato che voi fratelli eravate terribili. Che eravate violenti contro di lui e che avrebbe preferito morire piuttosto che tornare a casa».
 «In difesa di Hans, abbiamo assunto un atteggiamento orribile nei confronti del suo… disturbo» confessò Jørgen.
 Elsa scosse il capo. «Vi ha fatto sembrare dei diavoli, quando anche lui nascondeva dei corni».
 «Non… non so cosa dire per aiutarvi» borbottò Jørgen. «Solo che… lo consegneremo alla giustizia. Lo scoveremo. Daremo una fine alla serie di omicidi prima che possa avanzare di un solo passo».
 L’ex regina annuì debolmente, come se la sua testa fosse collegata al filo di una marionetta rotta e floscia. Era consapevole della colpevolezza di Hans, eppure non ne era ancora completamente persuasa. Non poteva e basta.
 «Adesso penso sia ora di andare a letto» suggerì Jørgen e lei annuì nuovamente, accompagnata come una bambola di pezza alla sua cabina, dove augurò la buonanotte a Jørgen e si mise passivamente addosso la vestaglia da notte. Fissò a lungo il soffitto, ascoltando il rumore dei marinai che passavano davanti alla porta del suo alloggio, senza essere in grado di credere pienamente che Hans avesse compiuto tutte quelle cose orribili.
 E proprio prima di addormentarsi, per un secondo la sua mente volò a Bhumi, la principessa con la capacità di togliere e ridare la vita a un albero fuori dalla finestra. La principessa che Hans aveva fatto piangere perché lui trovava che gli assomigliasse troppo. E adesso lui aveva tolto la corona a Elsa, forse perché trovava che anche lei gli assomigliasse troppo.
 Due giorni dopo, negli attimi che anticipavano l’una del pomeriggio, intravidero le Isole del Sud.
 Elsa era ancora paralizzata dalla rivelazione. E non era ancora riuscita a parlare faccia a faccia con Anderson.
 Ma adesso il suo cuore batteva forte. Erano finalmente giunti alle Isole del Sud. Finalmente giunti al trono vacante. E forse, solo forse, avrebbe provato a se stessa e ai fratelli che Hans non si era recato lì. Forse Hans non era il colpevole degli omicidi.
 Ecco la ragione del perché Elsa si trovava al pulpito della prora², scrutando le Isole che da piccole e sfocate erano man mano messe a fuoco. La massa sfocata era un castello e le macchie erano delle navi attraccate al molo che ondeggiavano. I gabbiani volavano alti e il cielo era del colore di una delicata sfumatura di grigio. L’intero paesaggio era luminoso. Elsa, però, non sarebbe stata soddisfatta fino a quando non avrebbe visto con i propri occhi che la nave che aveva prestato a Hans non era ormeggiata accanto al palazzo delle Isole del Sud.
 E le ginocchia di Elsa quasi cedettero quando lei scorse in maniera cristallina la bandiera verde e viola, che agitava nel vento in cima all’albero maestro di un certo naviglio dall’aspetto familiare. La bandiera di Arendelle era ancorata al porto e, con quella conferma, ogni protesta a sostegno dell’innocenza di Hans era stata resa vana.
 Hans era lì. Era alle Isole del Sud ed era venuto a occupare il trono vacante.





¹ Mutare la direzione del moto della nave, ovvero variare la rotta.
 ² La prora è la parte anteriore della prua e il pulpito è la punta estrema: in pratica, la zona dove accade la famosa scena di Titanic con Jack e Rose e My Heart Will Go On in sottofondo, haha.

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Capitolo 24
*** Ventiquattro ***


Note della traduttrice (Hiraeth): scusate per il ritardo di questo capitolo! Purtroppo ieri sono stata fuori per quasi tutta la giornata, perciò eccovi qua l’aggiornamento. Ne ho anche approfittato per levigarlo più del solito, visto che in genere non lo faccio – anche se ne ho un disperato bisogno perché, ugh, a rileggere i primi capitoli mi è venuta l’orticaria, devo rivedere tutto da capo seriamente.
 Annuncio che la vera MVP del mese è Queen_the_darkness, che la scorsa settimana ha scovato su Wattpad un’utente che aveva plagiato The Phoenix and the Snowbird, Il Principe Maledetto e Redenzione e l’ha poi convinta a rimuovere le storie copiate. Sei una grande, meno male che ci sei stata! Colgo inoltre quest’occasione per invitare i lettori a non sostenere questo genere di comportamento ma, anzi, a supportare l’originalità! Date una sbirciata alle fanfiction di Gloria Grabov, andrienne riordan e, naturalmente, di Call it Maglc, che scrive magnificamente e i cui lavori, davvero, vi fate un favore a leggere in inglese.
 Detto questo, buona lettura!


***



Ventiquattro

Elsa aveva la sensazione di star partecipando a una processione funebre, guidata da un gruppo di marinai che le faceva da guardie del corpo, il quale era poi seguito dal capitano Peter, il primo ufficiale Silje e i fratelli restanti, accalcati gli uni sugli altri. Elsa, che era in catene, chiudeva la fila. «L’annodatura non è stretta» le assicurò Jørgen. «Prometto che serve solo a fare scena».
 Il piano era il seguente: sarebbero scesi da bordo per raggiungere la cittadella, tentando poi di scatenare una ribellione. Da uniti avrebbero avuto la speranza di rovesciare il trono di Hans. Jørgen aveva fiducia nel piano. Doveva averne, dato che c’era in ballo la sua vita.
 Per cui Elsa, le manette ai polsi, fu scortata fuori dalla nave. Camminava trascinando i piedi, senza dubbio logorando gli stivali che le erano stati prestati. La velocità con cui la sua realtà era crollata a pezzi era stupefacente. Eppure non riusciva a credere che fosse Hans colui che si celava dietro gli omicidi.
 Improvvisamente un lampo nero attraversò la sua visione periferica e lei alzò all’insù il viso. Uno degli uomini strillò, indicando la figura che Elsa capì si trattava della persona incappucciata apparsa nell’oscurità. Era ricoperta di nero da capo a piedi e le s’intravedevano solamente gli occhi.
 «Chi osa mettersi di mezzo al cammino del capitano Westergard?» chiese con audacia uno dei marinai di fronte, estraendo la pistola e puntandogliela contro.
 Gli occhi della donna – divertiti e talmente scuri da sembrare neri – si affilarono. Ella non aveva armi addosso, ma non parve scoraggiarsi alla prospettiva di averne una mirata alla fronte. Si limitò invece a rizzarsi in piedi e a unire le mani.
 L’uomo con la pistola era agitato: Elsa lo vedeva dal tremolio con cui la impugnava. Sebbene l’intero equipaggio stesse cercando di proteggere Jørgen – che pareva in procinto di svenire dal terrore – riconducendolo alla nave, anche l’ex regina era in preda all’ansia. Avevano dinanzi a loro l’assassina ed erano all’aperto e alla luce del sole. La killer aveva di colpo alterato il suo modus operandi. Prima della notte in cui lei e Anna avevano rinvenuto il corpo di Charles, nessuno era stato capace di avvistarla.
 Cos’era cambiato da quella volta?
Hans era libero.
 Adesso lui non aveva più niente da perdere. Perché mai avrebbe ordinato alla mercenaria di nascondersi? Elsa era lì lì per capitolare all’indietro e purtroppo non per allontanarsi da colei che si era tolta un guanto, rivelando una mano abbronzata e sottile.
 L’uomo di fronte fece cadere di sproposito la pistola e guaì, balzando sui propri piedi e rivolgendo lo sguardo a terra. Con una mano libera, l’omicida approfittò dell’opportunità e corse verso il povero sfortunato. Quello rialzò la testa e sollevò le braccia, ma si comportò esattamente secondo i desideri di chi gli era davanti. Il suo palmo fu sfiorato appena e lui collassò sul punto in cui si trovava, il corpo che colpì il suolo con un tonfo malato.
 Il panico crebbe. I marinai urlavano e saltellavano febbrilmente in modo disordinato per sfuggire alla figura in grado di uccidere con un singolo tocco.
Perché questa situazione mi è familiare?
 Elsa conosceva la killer. La fissò mentre quella compieva il gesto di pulirsi le mani sporche di polvere. Ma come?
 Fu bloccata dal trambusto, spinta alle spalle nel pigia pigia per tornare a bordo. Sbatté contro le aste di legno e, quando cadde sul polso, si ferì solo leggermente; ma trasalì lo stesso e avvertì una sensazione di gelo tagliente che le attraversava i polpastrelli.
 Elsa sgranò gli occhi. Se i suoi polpastrelli si erano raffreddati, allora..? Con una scorsa veloce, notò che le catene si erano ghiacciate. Il polso era migliorato e lei era di nuovo in possesso dei suoi poteri! Togliendosi i guanti, avrebbe potuto congelare e liberarsi delle manette, proprio come aveva fatto l’anno prima.
 Il cuore cominciò a batterle forte. Cosa ci ricavava lei? Guardò i marinai spaventati, Jørgen che era completamente sparito. Peter cercava di sovrastare le grida comandando agli altri di attrezzarsi, avrebbero sconfitto il nemico! Silje aveva le braccia cariche di armi e le passava ai pochi coraggiosi che non erano scappati via.
 L’assassina si arrampicò sulla tavola che portava alla nave, lasciandosi da tergo i freddi cadaveri di due malaugurati. Elsa aveva bisogno di sciogliere le catene.
 Lei, però, cosa ci ricavava?
 In precedenza aveva pensato che, catturando la colpevole, sarebbe stata valsa la pena perdere la corona. E l’occasione era dritta davanti a sé.
 Ma se Hans era il colpevole… chi stava vendicando? Perché prendersene il disturbo se era nato da una bugia?
 La sagoma appoggiò la mano sulla nuca di un marinaio. Elsa assistette alla scena: una lampo di luce che, in mezzo secondo, bruciò il volto dell’uomo, il quale si afflosciò sulle proprie ginocchia e poi stramazzò a terra. Ed Elsa non riusciva a respirare perché per un istante aveva intravisto il corpo inerte di Anna. Aveva intravisto la vita di Anna che veniva bruciata via e aveva intravisto il corpo inerte di Anna e, se Hans era il colpevole, chi le poteva garantire che Anna non fosse già stata bruciata viva?
 Elsa si strappò i guanti di dosso, impetuosa ma poco lucida. Il ghiaccio si riversò nella sua mano attraverso le vene e mai si era sentita meglio. Sebbene il polso fosse ancora indolenzito, squarciò le bende e la stecca. Se ne infischiava della possibilità di rovinare per sempre le sue abilità motorie, di rovinare la sua vita. Non avrebbe permesso all’omicida di scappare dalla nave.
 Le catene si congelarono al suo tocco e, con un mugugno, spinse le braccia in avanti. Il metallo si spezzò come un ramoscello.
 Il rumore attirò l’attenzione dell’equipaggio. Silje e Peter erano spaventati, ne era consapevole. Ma la cosa non aveva più importanza. Avrebbe annunciato la sua intenzione di occuparsi della donna misteriosa, se la maggior parte dei marinai non se la fosse già data a gambe.
 Sei ulteriori persone giacevano sul sentiero di distruzione tracciato da quest’ultima, che solo in quel momento si accorse di Elsa. Si fermò d’un tratto, consentendo che le sfuggisse una vittima. Raggelò all’apparizione dell’ex regina. Per alcuni secondi le due lottarono una battaglia immobile e silenziosa; poi Elsa osò un passo e la temperatura calò.
 Dietro di lei udiva Peter e Silje che la esortavano ad allontanarsi da lì e a rimettersi immediatamente i guanti. Erano così atterriti dalla magia da non rendersi conto del suo tentativo di aiutarli? Continuò a non dare importanza alla cosa.
 Elsa avanzò e avanzò ancora, finché la sua andatura non divenne quella di una camminata vera e propria.
 «Dov’è… mia sorella?»
 La mercenaria raddrizzò la schiena, ma non aprì bocca.
 «Dov’è mia sorella?» chiese ancora Elsa, incedendo. «L’avete uccisa? È stato Hans a ordinarvelo, o è stato lui stesso a farlo?»
 L’omicida sembrava confusa. Le mani, che prima erano in cielo, le caddero lungo i fianchi e inclinò lievemente il capo. La vista di Elsa si appannò e lei capì di essere sul punto di piangere, ma strinse i denti e accelerò la cadenza.
 «Quanto vi ha pagata? Cosa vi ha offerto? Ha per caso confessato di volervi
 I suoi palmi scattarono all’insù e sprigionarono un’immensa scia di ghiaccio. Aveva la sensazione di essersi fratturata il polso di nuovo, ma le lacrime striavano lungo il suo viso e digrignava i denti talmente forte da temere la probabilità di spaccarli.
 E per un breve attimo, lei sentì… di essere tornata libera. Come quando sulla Montagna del Nord i soldati di Weselton avevano provato a spararle e lei li aveva battuti in celerità. E aveva quasi trafitto il primo e spinto giù dal balcone l’altro e le era piaciuto.
 Ma una volta scomparso il ghiaccio, la killer era irreperibile. Elsa si girò e la scorse mentre fuggiva via ed esaminava l’ex regina con un’espressione angosciata. Distinguendo il panico in quegli occhi, in Elsa nacque un istinto bestiale. L’avversaria era la sua preda.
 «E Kristoff!» urlò, lanciandole contro una raffica di pugnali di ghiaccio. «Che ne hai fatto di lui? Hai assistito alla sua morte? O lo hai ucciso e hai badato perché fosse lei ad assisterla? Perché hai ammazzato un montanaro che non aveva mai commesso nemmeno il più piccolo dei crimini in vita sua? Come hai potuto farlo?»
 La donna si muoveva ritmicamente per eluderla, come in una danza, evitando ghiaccioli dopo ghiaccioli. Elsa dava l’impressione di essere pazza, ma non ne vedeva gli svantaggi. Falla danzare.
 «E io, invece? Quand’è che Hans aveva intenzione di ripresentarsi e bruciarmi il cuore?»
 La mercenaria si addentrò nell’interno della nave. Si avvicinò al capitano Peter ed Elsa non se ne accorse fino all’ultimo secondo.
 Le vorticava la testa, tant’è che scordò tutte le accortezze che avrebbe potuto enunciare. Si limitò a strillare e a gettare furiosamente dei turbinii di nevischio contro l’assassina.
 Ma la rivale li schivò e, di colpo, saltò addosso al capitano Peter, le cui palpebre erano sbarrate. Elsa si bloccò, guardando la scena con orrore mentre la mano nuda della nemica colpiva della pelle scoperta. Ma non fu Peter a morire. Il primo ufficiale Silje cadde con un tonfo, fredda e senza vita. In una frazione d’istante era balzata in avanti di fronte al capitano e adesso fissava vacuamente Elsa.
 L’ex regina si arrestò, la bocca schiusa. Silje la scrutava e, scossa, pareva dirle: «Non rendere vano il mio sacrificio».
 Ed Elsa tremava, ma alzò lo sguardo e sia la killer che Peter stavano squadrando il cadavere. Peter urlò dall’orrore, avvicinandosi al primo ufficiale. La mercenaria portò nuovamente il braccio in aria, pronta a toccare il capitano, ma senza successo.
 Elsa – con la mente lucida per la prima volta durante quella giornata – si concentrò. Rievocò le lezioni. Almeno quelle erano state autentiche, anche se niente che riguardava Hans lo era stato. Si focalizzò su Peter e ideò una cupola di ghiaccio in cui rinchiuderlo, poi la realizzò il più rapidamente possibile.
 Il fratello fu intrappolato, mentre la mano dell’assassina incontrò il ghiaccio. La donna rimase confusa, poi si arrabbiò. Urtò la protezione, ma inutilmente.
 Aveva smesso di prestare attenzione a Elsa, quindi questa era la sua occasione. Avrebbe potuto farla finita. Sollevò le mani mentre la killer calciava la superficie della cupola scintillante.
 Aveva la sensazione di doversi fermare, di non dover uccidere. Di non doverlo fare. Tuttavia pensò ad Anna. Pensò ad Anna, terrorizzata davanti a Hans che rivelava il suo vero io per la seconda volta. Anna, deceduta e un’espressione atterrita, che collassava a terra.
 Alzò le braccia, mirando alla testa. Ferma, ferma…
 «Elsa!»
 Lanciò il colpo ma mancò, colta di sorpresa dal suo nome. La mercenaria gridò, con una voce che apparteneva alla donna di quella notte, quella che discuteva con la complice mentre le due si stagliavano sulle tombe vicino alla cascata. Elsa si volse verso l’omicida e notò di non averla centrata; eppure quella si copriva la guancia. L’aveva ferita.
 L’assassina si girò ed Elsa la guardò in faccia per la prima volta. La sua pelle era più scura del legno di una nave e dal zigomo colava del sangue color cremisi. Aveva assottigliato lo sguardo, stringendo le labbra. Dopo aver rivolto un’occhiata alla cupola con all’interno la sua preda, un’occhiata alla nave, dov’era nascosto il resto dei suoi bersagli, e infine un’occhiata a Elsa, sembrò aver preso una decisione. In un lampo fuggì e saltò in acqua.
 Elsa l’avrebbe seguita, se solo non le stesse palpitando il cuore all’impazzata. La voce di prima l’aveva disorientata, motivo per cui aveva risparmiato la vita alla mercenaria. Era una voce che credeva non avrebbe sentito più. Che si fosse trattato forse di un’allucinazione? Stava impazzendo?
 «Elsa!»
 Trattenne il respiro. Non poteva essere un sogno. Elsa attraversò il trincarino incespicando e perse l’abilità di ragionare, mentre osservava le tre sagome che si precipitavano nella direzione della nave: un uomo biondo e muscoloso, una ragazza dalle trecce svolazzanti e in mezzo ai due un uomo alla cui vista il cuore di Elsa smise di battere.
 Kristoff, Anna e Hans correvano, delle spade sfoderate nei loro pugni, ormai sul punto di raggiungere la nave. A Elsa tremavano le ginocchia. Aveva esaurito l’adrenalina e il polso aveva cominciato a bruciare dal dolore, ma non gliene importava. Anna correva, Anna urlava, Anna era viva.
E lei e Kristoff stanno correndo accanto a Hans.
 La mente di Elsa viaggiava e le batteva forte il cuore e la sua schiena scivolò giù lungo la murata e lei si sedette, mentre i tre scalpitavano su per la rampa. Arrivati in cima si fermarono, i volti paonazzi e il fiatone. Iniziarono a cercare freneticamente il loro obiettivo, chiunque quello fosse.
 «Dov’è l’assassina?» chiese Kristoff con il respiro affannoso.
 Anna ansimava, piegata a metà con i palmi sulle ginocchia. Scosse il capo. «Non… non so. Scappata via?»
 Hans, però, esplorò i dintorni con gli occhi, il petto che si gonfiava mentre recuperava il fiato. Elsa lo fissò impotente, incapace di parlare o riflettere o agire.
 E poi lui la vide.
 Senza scomporsi di una virgola, subito Hans le si inginocchiò accanto. Era così vicino. Elsa non avrebbe potuto diventare tanto pallida nemmeno da morta.
 «Elsa, Elsa» fu quello che rantolò lui. Le toccò il viso e le strinse una mano. «Elsa, stai bene?»
 Lei non riusciva a muoversi. Si limitava a squadrare il principe che aveva creduto fosse buono, poi cattivo, poi buono e poi cattivo di nuovo. E adesso non sapeva cosa credere di lui.
 Hans non smise di insistere. «Elsa, stai bene? Ti hanno fatto del male? Ti prego, dimmi che non sei ferita».
 Il suono del vetro in frantumi si diffuse nell’aria precedentemente pervasa da ansiti e domande apprensive. Elsa si guardò a lato: Peter aveva sfondato la cupola di ghiaccio. E non pareva molto felice.
 «Hans» ringhiò lui, ma il principe non si girò. Ancora tentava di ricevere una risposta da parte di Elsa.
 Anna si raddrizzò e notò Peter. Diede dei colpetti al braccio di Kristoff e glielo indicò. Il montanaro intuì che l’unico vero pericolo sulla nave si stava dirigendo dritto verso di loro.
 «Hans, lei è fuggita. Andiamocene prima che—»
 «Hans!» ruggì Peter.
 Le facce incuriosite di alcuni marinai sbucarono fuori dai nascondigli in cui si erano rintanati quando era comparsa l’assassina. Distinguendo due sconosciuti e uno che non era esattamente uno sconosciuto, iniziarono a parlottare in tono concitato e a uscire in massa dai loro ripari, mentre Peter si avviava nella direzione di Hans. Eppure il tredicesimo principe non se ne accorse.
 I concetti astratti nella mente di Elsa cominciarono a formare delle lettere, delle parole, delle frasi. Avrebbe voluto dire così tante cose. Schiuse la bocca per replicare agli interrogativi, la voce che era in procinto di gocciolare dalle sue labbra, ma Peter li raggiunse. D’improvviso le fu strappato via l’uomo dai capelli rossi e gli occhi verdi, che prima d’ora non l’aveva mai osservata con tanto allarme, e la verità fu lasciata in sospeso.
 Per la prima volta da quando l’aveva scorta, Hans aveva distolto lo sguardo da Elsa. Farfugliò, battendosi per liberare se stesso dalla presa d’acciaio del suo fratello maggiore.
 Peter cercò di verbalizzare i suoi pensieri, ma era talmente furioso che non poté far altro che emettere un mormorio adirato. Hans si contorceva nelle sue braccia come un serpente, senza però essere in grado di sottrarsi alla morsa.
 Elsa si scostò dalla murata, rialzandosi sulle proprie gambe tremanti. Kristoff la notò e accorse ad assisterla, mentre Anna si occupava dei fratelli.
 «No, no, no» disse a Peter, nonostante le sue proteste venissero accolte da orecchie sorde. «No, lui ci ha aiutato, liberatelo!»
 Una folla si formò, più veloce dell’acqua riversata da una diga distrutta. In mezzo alla moltitudine di persone, Elsa individuò Jørgen, la cui faccia era completamente bianca e dava l’impressione che il settimo si fosse appena svegliato da un incubo. Kristoff la sosteneva per un braccio, cosa per cui gli era grata: non era capace di reggersi in piedi in quel momento.
 Hans smise di lottare, realizzando che ogni sforzo era inutile. Si rimise alla ricerca di Elsa con le sue iridi supplicanti e sempreverdi. Non riformulò l’interrogativo, ma lei lo intuiva: stai bene?
 Annuì molto lentamente e lui tirò un sospiro di sollievo.
 Jørgen si fece strada tra la massa di gente, le pupille dilatate che erano grandi il triplo rispetto al normale. Evidentemente non aveva apprezzato il ritorno a casa.
 «L’assassino s-se n’è andato?» chiese Jørgen con una vocetta acuta.
 Peter strinse Hans, borbottando: «Rispondi alla domanda».
 Il principe abbassò le palpebre, sussultando. «Non lo so».
 «Sì che lo sai, maledetto» ringhiò Peter. Elsa cominciò a capire da dove provenissero le storie dell’orrore che le aveva raccontato Hans sui suoi fratelli.
 «Non lo so!» ripeté, senza fiato mentre Peter aumentava la stretta su di lui.
 «L’omicida è scappato!» ribatté Anna. «Se l’era svignata prima ancora che arrivassimo qui».
 Jørgen fissò la principessa come se fosse lei stessa l’omicida. «E voi chi siete?»
 «La principessa Anna di Arendelle».
 Una nube di mormorii si levò dai marinai. La principessa Anna era viva? E cosa ci faceva affianco al principe naufrago?
 Jørgen scosse il capo, agitando una mano nella sua direzione. «Pr-prendeteli, prendeteli».
 «Che?» esclamò Anna, ma fu presto immobilizzata dai marinai. Altri strapparono Kristoff di dosso a Elsa e lo catturarono. Elsa era in piedi, ma solo per fortuna. Quel precedente scoppio di energia era memoria passata.
 Jørgen bisbigliò qualcosa, scuotendo nuovamente il capo. «No, no, prendete anche lei».
 E anche se per un secondo i marinai esitarono, Elsa si ritrovò con le braccia premute contro la schiena. Non si dibatté, ma non riuscì a capire.
 «Io… vi ho salvato» disse.
 Jørgen emise il verso di un animale ferito, poi si schiarì la gola. «Avevo stabilito una sola regola. Vi avevo ordinato di non togliervi i guanti. Vi avevo ordinato di non toglierli».
 «Io vi ho salvato!» contestò Elsa, aumentando il tono di voce. Perché la stavano trattenendo?
 «Non avete salvato Silje» latrò Peter, torcendo Hans come uno straccio bagnato.
 Elsa aprì bocca ma rimase silenziosa. Peter aveva ragione, non aveva salvato Silje. La donna dagli occhi sicuri e i denti mancanti, che si era sacrificata per il suo capitano saltandogli davanti e ricevendo il tocco mortale. Non aveva—
Peter. Gli ingranaggi nella testa di Elsa si arrestarono, poi ripartirono nella direzione opposta. La killer aveva come obiettivo Peter.
 Jørgen stava parlando a Hans, ma Elsa non udì la conversazione. Non era il fratello dal viso pallido e le mani tremule l’obiettivo della donna. Era Peter.
 Elsa fu sul punto di esprimere le sue conclusioni, ma un paio di guanti le furono improvvisamente ficcati su per le mani, facendola sussultare.
 Lanciò un’occhiata allarmata a Jørgen. Gli domandò silenziosamente il perché, ma lo sguardo terrorizzato dell’altro non tradì alcuna delucidazione.
 «Per tutto questo tempo avete lavorato con lui» illustrò Jørgen. «Mentre voi architettavate un piano, lui si comportava da prigioniero esemplare. Non ha nemmeno cercato di uccidervi, vero? Scommetto che ha pescato un attore per… per farla franca!»
 Elsa corrugò le sopracciglia. «Io—»
 «Ci avete condotto qui di proposito!» balbettò. «Dovevamo giungere a terra perché voi ci poteste tendere un’imboscata! Non pensavate di venire beccata, credevate di potervela cavare! V-v-voi…» Ma Jørgen non aveva più niente da aggiungere. L’additava e scuoteva il capo, come un giocattolo rotto.
 «Gettateli nelle prigioni» decretò Peter. «La magia qui non è ben accolta».
 Per un breve istante, Elsa riconobbe un volto familiare in mezzo alla folla. Anderson era cereo in faccia, tanto da somigliare al colorito del suo fratello più grande ancora vivente. Elsa avrebbe voluto avere la possibilità di discutere di suo figlio con lui. Avrebbe voluto avere la possibilità di confortarlo e assicurargli che suo figlio stava bene.
 E d’un tratto loro quattro furono strattonati, scendendo cautamente da bordo e avviandosi verso il castello. Elsa ascoltava le urla di Anna rivolte al suo aguzzino e ai fratelli senza però registrarle. Anche Kristoff protestava, ma nella sua tipica maniera meno accalorata. Hans era in testa al gruppo e tentò di volgersi verso Elsa, prima di essere spinto in avanti con un duro rimprovero.
 Mille emozioni erravano allo stesso tempo attraverso il corpo dell’ex regina. Durante quella corta spanna di tempo erano cambiate tantissime cose e colei che prima era l’ospite d’onore dei principi, ora veniva inviata a marcire nei carceri delle Isole del Sud. Anna e Kristoff erano vivi e si fidavano di Hans. Hans, alla fin fine, non era il colpevole. Elsa aveva ingannato se stessa, credendo che l’unico uomo in grado di farla sentire immortale al minimo sfioramento di labbra avesse finto tutto.
 Mai il suo cuore durante le ultime settimane aveva provato tanto calore quanto in quel momento. Quasi percepiva il tocco delle mani di Hans, il sangue bollente di lui che scaldava il suo corpo mentre l’uno si avvicinava all’altra, il bacio intraducibile in parole.
 Hans non era il colpevole. Hans era innocente. Hans mi voleva per davvero gridò internamente. Hans era sincero. Hans diceva la verità.
 E mentre veniva spintonata all’interno della cella, ricordò per un attimo il viso della killer. La donna dagli occhi e la pelle scura e capace di uccidere al minimo contatto. E non era la prima volta ch’ella si trovava nelle Isole del Sud. Quando la serratura scattò e lei fu reclusa, capì quale fosse il nome dell’assassina dei Westergard.
La principessa Bhumi.

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Capitolo 25
*** Venticinque ***


Venticinque

Le celle delle Isole del Sud erano ben diverse da quelle di Arendelle. Mentre il vecchio castello di Elsa conteneva stanze dalle porte di legno e pareti di pietra, qui invece, per qualche ragione, apparivano più fredde. Le sbarre si estendevano dalla soffitta al pavimento, permettendo a chi era intrappolato di essere toccato dall’aria esterna che soffiava, ma senza concedere la possibilità di scappare via. Le mura erano rivestite di roccia solo da un lato, così da costringere i prigionieri a guardarsi soffrire a vicenda. Elsa era dell’opinione che si trattasse di un concetto molto più barbaro rispetto a quello su cui si basava il carcere di Arendelle, ma, d’altro canto, non le era mai importato granché del benessere dei detenuti, prima di essere entrata lei stessa in rapporti stretti con uno.
 Riteneva che l’unico vantaggio della situazione fosse che loro quattro erano allineati in un’unica riga: Hans, Anna, se stessa e Kristoff. Eccetto che per il tedio che derivava dalla distanza che vi era fra l’uno e l’altro, la struttura aerea delle celle facilitava la comunicazione.
 In seguito a una breve riunione con la sorella, Anna suggerì a Hans di sciogliere le sbarre. Quando lui ci provò, però, non accadde nulla. Ne fu confuso, ma Elsa sapeva perché non aveva funzionato. I genitori di Hans avevano avuto le stesse preoccupazioni di suo padre e di sua madre: la prigione era dotata di un sistema di sicurezza intrinseca. Ma non espresse la scoperta ad alta voce. Non c’era bisogno di rendere più tetre le circostanze in cui si trovavano.
 E sebbene fosse stata segregata in un carcere straniero, Elsa non poté fare a meno di sentirsi un po’ sollevata. Essendosi riunita con Anna e avendo saputo che i loro forse-futuri-fidanzati erano ancora vivi, per lei fu come tirare un sospiro di sollievo dopo averlo trattenuto per una settimana. E Hans, oh, Hans. Da quando erano stati rinchiusi lei gli aveva parlato a malapena, ma non aveva smesso di osservarlo nemmeno per un secondo. Hans camminava su e giù per la sua cella, le sopracciglia corrucciate e il broncio in viso.
 Avrebbe voluto raccontargli mille cose, ma non aveva idea di dove cominciare. Dall’istante in cui ammetteva che a un certo punto aveva perso tutta la fiducia che riponeva in lui? Che una piccola parte di sé aveva sempre dubitato della sua innocenza? Ne era consapevole, Hans era troppo concentrato a escogitare piani di fuga, per cui al momento ogni argomento di cui avrebbe voluto discutere si sarebbe trasformato in chiacchiere senza senso.
 «Ne era sconvolto, lo sai?» mormorò Anna. Le due erano appoggiate alle sbarre della cella dell’altra, mentre Kristoff aveva un braccio posato sul volto e stava senza dubbio dormendo e Hans premeva la fronte contro il muro per la frustrazione.
 «Uhm?»
 «Il giorno in cui ce ne siamo andati da Arendelle» spiegò. «Dopo che io e Kristoff siamo giunti alla nave senza di te, abbiamo dovuto fare del nostro meglio per impedirgli di buttarsi in acqua. I suoi occhi erano così… disperati. Voglio dire, abbiamo tutti temuto il peggio quando tu non ti sei unita a noi sebbene ci fossimo allontanati dal regno, ma lui ne era distrutto».
 Le iridi di Elsa si posarono su colui che scostò il capo dalle sbarre e lo gravò sui propri palmi, inspirando profondamente e a lungo. Quando lei gli aveva detto addio e lui le era parso freddo e distante… quando lui aveva annunciato la sua intenzione di ripartire da zero e di gettarsi alle spalle praticamente ogni ricordo della sua vita che la riguardava… era stata una sceneggiata. Aveva recitato il ruolo dello spassionato in modo tale da troncare con lei nella migliore maniera possibile. Quando lei aveva creduto che lui avesse confessato di non averla mai nemmeno voluta, Hans era rimasto stravolto quanto Elsa, se non anche di più.
 «Siamo stati seguiti da una nave, ma Hans le ha dato fuoco e noi siamo riusciti a scappare» continuò Anna. «E per tipo due giorni interi, lui in sostanza non ha spiccicato parola. Cioè, non che io sia una fonte affidabile, dato che per la maggior parte del viaggio sono stata incollata a Kristoff. A bordo è… meno spaventoso di come lo immaginassi. Ma non ero in grado di convincere me stessa che non sarebbe successo nulla di brutto».
 Giusto, la fobia di Anna verso le navi traeva origine da quanto era accaduto ai loro genitori. «Oh, Anna…»
 «No, no, me… me la sono cavata benone. Kristoff mi è stato accanto, proprio come mi aveva promesso. Era sempre pronto a sorreggermi ogni qualvolta mi sentivo schiacciata e tutte le mattine si assicurava di accompagnarmi da uno di quei tizi che sanno predire il tempo meteorologico. Una volta è capitato che quello là ci avesse garantito la pioggia, eppure gocciolò a malapena».
 Anna guardò verso l’uomo dormiente al di là della spalla di Elsa, l’amore che le traboccava dal viso. «Ti dovrei ringraziare, sai? È grazie a te se ci siamo incontrati».
 «Secondo te, è pronto a impegnarsi?»
 Anna sbeffeggiò la sorella, rivolgendole le spalle. «Siamo rimasti bloccati su una nave per più di una settimana, con il dubbio che tu fossi morta, e pensi che abbiamo considerato la possibilità di un matrimonio?»
 Elsa scosse le spalle, un sorrisetto minuscolo che le incurvava gli angoli della bocca.
 «Be’, non che abbia ricevuto notizie. Lui mi ama e io lo amo tantissimo, ma…» Anna arricciò le labbra. «Non so. Non ho idea di cosa lo intimorisca».
 Elsa si sporse in avanti e strinse la mano ad Anna, il cui leggero sorriso si allargò per la gratitudine, e la principessa si poggiò alle sbarre con un sospiro.
 «E tu? Che mi sono persa?»
 Elsa inalò, le guance gonfie di aria. «Da dove comincio?»
 Descrisse la lotta e la sua caduta, il polso rotto e la corona rubatale da Ingvalda, la negoziazione della sua reclusione con i principi delle Isole del Sud e tutti coloro che aveva conosciuto sulla nave. Anna ascoltò intenta, dall’inizio fino al resoconto delle avventure di quella mattina. Anche lei trovò bizzarro il curioso dettaglio notato da Elsa.
 «Aspetta, ferma un attimo» la interruppe la principessa. «Peter è l’ottavo, no? E Jørgen il settimo. Ma allora perché l’assassina tallonava Peter? Qualcosa non quadra».
 «Non so perché all’improvviso abbia cambiato il suo modus operandi» rispose Elsa. «Però, prima del vostro arrivo, l’ho vista in volto. E so esattamente di chi si tratta».
 «Cosa?» Hans si unì alla conversazione. Prima sedeva con la schiena premuta contro le sbarre, ma si era girato talmente velocemente da far intuire a Elsa che lui in realtà aveva ascoltato l’intera chiacchierata. «E tu sai chi è?»
 Elsa annuì e Anna si spostò leggermente per permettere a Hans di partecipare. «Non ci siamo mai presentate formalmente l’una all’altra, ma mesi fa me ne hai parlato tu».
 Lui la fissò con le sopracciglia corrucciate, confuso, come se il nome fosse scritto sopra la testa di Elsa.
 «La principessa Bhumi» lo delucidò lei. «La principessa di Aruna».
 Hans raddrizzò la schiena in automatico. Aprì bocca, ma non emise un suono.
 «Chi?» chiese Anna.
 «La principessa Bhumi di Aruna possiede dei poteri magici e Hans intoppò in lei dieci anni fa. Non si salutarono amichevolmente. È capace di controllare la vita e la morte».
 «Che, sul serio?» meditò Anna. «È terrificante. Mi piace!»
 «Ma si era limitata a testare la sua magia su una pianta» osservò Hans. «Tu dici che è in grado di far crescere e morire anche gli esseri umani?»
 «Non lo so, ma giuro che si tratta di lei. A meno che tu non sia al corrente di qualche altra donna indiana con l’abilità di ammazzare con il proprio tocco. Ha semplicemente sfiorato i marinai sulle loro braccia o sulle loro fronti e quelli sono caduti a terra, deceduti».
 Hans scosse il capo. «Ha ucciso i miei fratelli. Ha ucciso i miei fratelli e li ha guidati ad Arendelle e ha incastrato me… Ha incastrato me per l’omicidio di mio padre».
 Elsa era zitta. Adesso l’averlo dubitato la faceva stare male. La reazione che aveva avuto Hans alla notizia del padre era stata genuina, avrebbe dovuto esserne conscia. Avrebbe voluto confortarlo.
 «Sono trascorsi dieci anni e passa. E per tutto questo tempo ce l’ha avuta con me? Stermina la mia famiglia perché da piccolo l’ho fatta piangere?» domandò Hans, sulla difensiva. «È assurdo!»
 La situazione non aveva senso sotto quasi tutti i punti di vista. Una vendetta contro le azioni di un Hans quattordicenne non avrebbe mai condotto a conseguenze tanto drammatiche come lo schema elaborato dalla principessa Bhumi.
 «Non capisco» mormorò lui.
 «Ma lo scopriremo» gli promise Anna, rivolgendosi prima alla sorella e poi all’ex fidanzato. «Riusciremo a escogitare un piano per uscire di qui, daremo un calcio in culo a questa principessa dei miei stivali e salveremo Arendelle da quella malvagia vecchietta rugosa di Ingvalda».
 Elsa ammirava l’ottimismo di sua sorella, che guardava alla metà piena del bicchiere, e non aveva il coraggio di spiegarle che sarebbe stato difficile evadere di prigione, dato che verrebbero uccisi subito se si fossero avvicinati a Bhumi e Ingvalda aveva il pieno diritto di reclamare il trono a causa dell’irresponsabilità di Elsa.
 Ma a quanto pareva, non avevano bisogno di architettare una fuga. Non trascorse un secondo dall’incoraggiante discorso di Anna, che Jørgen attraversò velocemente il corridoio con un’espressione pazza e agghiacciata in viso e le mani tremanti che Elsa scorse persino a tre metri di distanza.
 I detenuti tacquero mentre Jørgen faceva un’entrata che attirò i loro sguardi, ma il principe era muto. Per diverse volte schiuse la bocca, ma chiudendola subito dopo e rimanendo in silenzio. Il suo volto era pallido come la morte.
 «Che c’è?» lo sollecitò Elsa, alzandosi dal pavimento.
 Jørgen scosse la testa e finalmente replicò: «M-morti. Sono— sono— era in camera sua e gli avevo parlato giusto prima. E poi è morto e Christian ed Anderson sono morti e… ho trovato questo».
 «Aspettate» lo bloccò Elsa con fermezza. «I vostri fratelli sono morti?»
 Jørgen annuì, gli occhi che si arrossavano ulteriormente di secondo in secondo. Aprì bocca ed emise un suono soffocato, poi se la coprì con una mano. Lungo di essa iniziarono a scorrere le sue lacrime, come un fiume sopra dei sassi.
 Nonostante ciò, Jørgen allungò un pezzo di carta che aveva in precedenza piegato e accartocciato. Anna e Hans cercarono di sbirciare il foglietto che Elsa ricevette dal settimo principe.
 La lettera era stata scritta di pugno dalla stessa mittente che aveva inviato i biglietti appuntati ai cadaveri di re Lewis e del resto dei fratelli deceduti. Tutto quello che diceva era: “Al fortunato numero sette e allo sfortunato numero tredici, fate un salto alla Calanca di Cruorenero¹”.
 Elsa scrutò l’invito, prendendosi il tempo per digerirlo.
 «Che cosa dice?» domandò Kristoff, che si era svegliato quando Jørgen si era intrufolato nel carcere.
 «La donna che ha spedito questa missiva esige la presenza di Jørgen e Hans alla Calanca di Cruorenero» rispose Elsa, alzando lo sguardo e puntandolo sul settimo principe in lacrime.
 «Che sarebbe la Calanca di Cruorenero? Mi pare un po’ criptica come informazione» rimarcò Anna, leggendo le parole attraverso le sbarre della cella.
 «La Calanca di Cruorenero è una delle isole orientali» spiegò sommessamente Hans, mezzo pensoso. «Vi è situata una caverna dove, meno di cento anni fa, fu scoperta un’intera setta magica. Il nostro bisnonno la distrusse e, riguardo alle vittime, dichiarò che si trattavano di persone assolutamente malefiche, tant’è che quel giorno le spade dei soldati si sporcarono di sangue nero».
 Il gruppo si zittì.
 «È una scelta bizzarra come punto d’incontro per una persona dotata di poteri» additò Elsa.
 «Penso che sia il suo modo per mandarci nel pallone» suggerì Anna.
 «Funziona» farfugliò Jørgen. «N-non so chi sia questa “donna”, ma non ho più idea di come comportarmi. Tu e io siamo gli ultimi Westergard rimasti, Hans, visto che anche nostra madre è scomparsa da mesi e non ha dato ulteriori segni di vita. Io… io non so perché sono stato risparmiato. Non ci capisco niente».
 Jørgen aveva un’aria talmente sconfitta da far ritirare a Elsa ogni proposito di serbargli contro del rancore.
 «Lasciateci uscire, Jørgen» lo pregò lei con delicatezza. «Noi vogliamo fermare la killer, così come la volete fermare voi. Hans non è il colpevole, ve lo garantisco».
 Jørgen scosse il capo, cercando di negarlo. «No, no, siete stata voi a condurre qui l’omicida! Avete ucciso Peter e Christian ed Anderson e i nostri fratelli e nostro padre e… e tu…» Jørgen osservò Hans, che aveva gli occhi fissi sul fratello maggiore.
 «Credi davvero che abbia ucciso nostro padre?» chiese Hans, la voce che era appena un sussurro. «Mi sarei sacrificato per lui, piuttosto che venire a sapere che il suo cadavere è comparso sulle spiagge di Arendelle. Non sono neanche riuscito a fare visita al suo corpo».
 Jørgen taceva. Riconosceva le motivazioni di Hans. «Io… tu…»
 «Lasciateci uscire» lo supplicò Elsa. «Possiamo porre fine a questa faccenda».
 Il settimo fratello sostenne una lotta interna prima di abbassare le palpebre. «Quanti uomini volete che vi metta a disposizione?»
 Elsa e Hans si rivolsero degli sguardi luminosi. Nel farlo, il cuore di Elsa si capovolse, come se lei fosse una ragazzina con una cotta.
 Jørgen si affrettò a procurarsi le chiavi e a liberare tutti e quattro i prigionieri dalle loro celle. Anna e Kristoff si riunirono con un bacio; quando tuttavia Elsa si volse verso Hans, lo contemplò mentre lui parlava a bassa voce con Jørgen, che annuiva e si asciugava le lacrime. Conversarono, annuirono ed esitarono per un momento, poi Hans offrì una mano nella direzione del fratello maggiore. Jørgen la esaminò per un istante e la rigettò e catturò il minore in un forte abbraccio. Hans, colto di sorpresa, rischiò di cadere. Ma Jørgen lo stringeva vigorosamente ed Elsa pensò che Hans non avesse scampo. Non poté fare a meno di sorridere: i due fratelli, che prima si odiavano tanto, adesso erano arrivati al punto di abbracciarsi. Vedere che al mondo era rimasto almeno un briciolo di bene le scaldò il cuore.
 Dopo essersi separato da Hans, Jørgen prese l’iniziativa. Annunciò che avrebbe chiamato velocemente alla raccolta i suoi uomini: il mattino del giorno successivo sarebbero partiti alla volta della Calanca di Cruorenero.
 I cinque percorsero il corridoio che portava all’uscita della prigione, Jørgen che illustrava i dettagli che andavano rivisti. Elsa, la penultima della fila, sobbalzò dalla sorpresa quando una mano calda scivolò tra le sue dita. Si guardò di lato verso l’uomo che le camminava affianco, che invece aveva le iridi indirizzate in avanti. Lei si morse il labbro, certa di essere avvampata. Si era dimenticata del calore che irradiava Hans, dopo essergli stata lontana tanto a lungo.
 «Ciao» gli disse sommessamente.
 Hans le lanciò un’occhiata veloce e lei notò che gli erano apparse due chiazze rotonde di rossore sulle guance. Cercò di non sorridere troppo.
 «Elsa, volevo solo—»
 «No, no, no» lo interruppe. «Non voglio discuterne. Lo faremo più tardi. Prendimi per mano e dimmi che ti sono mancata».
 Lui aprì bocca, un sorrisetto che si sostituì all’espressione emozionata di prima. «Mi sei mancata, Elsa».
 Elsa non fu più in grado di contenere il sorrisone. «Anche tu mi sei mancato». Sono felice che tu non sia chi credevo che fossi avrebbe voluto aggiungere. Ma adesso non aveva il tempo per preoccuparsene.





¹ Nell’originale inglese, “Blackblood Bay”. Ho fatto del mio meglio per preservare l’allitterazione. La parola “cruore” è un vecchio termine che descrive il sangue che scorre da una ferita.

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Capitolo 26
*** Ventisei ***


Note della traduttrice (Hiraeth): prima che me lo chiediate – no, nel prossimo capitolo non si vede niente, haha. Sette capitoli rimasti!


***



Ventisei

La vista dell’alba dal castello della famiglia reale Westergard era mozzafiato. Quando era mattina presto, Elsa non resisteva all’affacciarsi dalla finestra per ammirare i rosa e i blu scintillanti nel cielo, l’aria gelida del tardo autunno che crepitava. Mentre Jørgen e Hans parlavano del viaggio – se erano partiti in tempo, avrebbero raggiunto la Calanca di Cruorenero il pomeriggio del giorno successivo –, Elsa lasciava vagare la mente, osservando i lavoratori che caricavano sulla nave le provviste essenziali. Si chiese se le scorte che avevano sarebbero bastate per il viaggio di ritorno e poi rifletté cupamente che il viaggio di ritorno avrebbe potuto non esserci affatto.
 La lettera criptica della principessa Bhumi non rivelava niente e sollevava più interrogativi di quanti non ne rispondesse. Elsa avrebbe quasi voluto che Jørgen non l’avesse trovata, così da non essere costretti a dirigersi alla Calanca di Cruorenero per ottenere delle informazioni. Forse, non risolvendo il mistero, sarebbero sopravvissuti. Partendo in direzione di Bhumi, invece, non avevano alcuna garanzia della loro incolumità.
 L’ex regina distolse lo sguardo dalla costa per indirizzarlo agli uomini nella stanza, che sorreggevano le tazzine del loro tè mattutino e mormoravano. Elsa notò che erano seduti l’uno accanto all’altro sulle alte sedie, i busti protesi, come farebbero due fratelli. Nonostante non sorridesse nessuno dei due, conversavano senza urlare e ciò era abbastanza perché il cuore di Elsa si scaldasse. Non tutti avevano il rapporto che aveva lei con Anna, ma erano comunque progressi da celebrare.
 Hans alzò il viso per incontrare lo sguardo di Elsa, come se avesse udito distintamente che i pensieri di lei erano rivolti a lui. Le sorrise, un luccichio negli occhi che era insieme strano e familiare. Una volta usciti di prigione, Elsa aveva avuto rare occasioni di vederlo ed era per questo che avvertiva la differenza. Gli sorrise di rimando, arrossendo e guardando il proprio tè appoggiato sul tavolo, il vapore che danzava nell’aria glaciale del mattino.
 Si strinse nella mantella che aveva addosso, mordendosi il labbro e lanciando di traverso un’ulteriore sbirciata veloce al principe minore. Perché avvampava e sentiva il bisogno di agire con discrezione? Aveva già conquistato il suo cuore e lui le apparteneva. Ma ora la loro relazione era così diversa. Nei carceri di Arendelle, una piccola parte di entrambi sapeva che si erano affezionati all’altro per pura questione di prossimità e occorrenza. Ora che erano là fuori nel vero mondo, cambiava tutto. Hans non doveva niente a Elsa. Ed Elsa non aveva più la facoltà di offrirgli il trono: era stata privata della corona. Se avesse saputo che lei non era più la regina Elsa, Hans l’avrebbe rintracciata con la stessa determinazione?
 Il suo umore peggiorò, il dubbio che abbassò gli angoli della sua bocca. No, non poteva più avere quel genere di pensieri. Non dopo quello che era successo e non quando li attendeva la prospettiva dei misteri della Calanca di Cruorenero. Tornò a fissare l’aurora, le nuvole che davano un tocco di non so che al dipinto a olio. Il mondo era pieno di esplosioni di colore ed Elsa sospirò. Per adesso, almeno, lei era al sicuro. Per adesso era a palazzo e beveva una tazza di tè fumante e scrutava l’alba e aveva Hans che le sorrideva quasi timidamente. Per adesso non c’era niente che non andava e lei ne assaporò ogni singolo dolce momento.
 Non più di un’ora dopo, Anna – mezza spogliata e i capelli che erano un garbuglio annodato – fece il suo ingresso con aria assonata per annunciare a Elsa che una donna era venuta a vestirle. L’ex regina lasciò la stanza con la sorella, ma non senza scoccare una seconda occhiata a Hans, che annuì in risposta. Si erano scambiati a malapena un paio di parole da quando si erano ritrovati ed Elsa rimuginò tra sé e sé, chiedendosi se avrebbero mai più ricominciato a parlarsi di nuovo.
 I capi che vennero dati a lei e ad Anna erano della regina Carol, la castellana che era sparita diversi mesi prima. La cameriera esitò un po’ a consegnarglieli, ma gemette che, essendo quella un’idea di Jørgen, il quale era il prossimo nella linea di successione, non aveva altra scelta.
 L’abito della regina scomparsa non calzava a Elsa: era troppo largo. Invece ad Anna il suo stava meglio, grazie alle curve più sinuose della principessa, ma assomigliava a una tenda. Nonostante ciò, erano due vestiti incantevoli, anche se Elsa era costretta a tirare su il busto di continuo se non voleva denudarsi.
 A metà mattina i due fratelli, le due sorelle e Kristoff erano pronti per salire a bordo. Elsa notò la frequenza con cui i Westergard continuavano a guardarsi alle spalle, verso il loro castello. Erano consapevoli dei rischi che correvano decidendo di recarsi alla Calanca di Cruorenero. C’era una grossa possibilità che questa fosse l’ultima volta che avrebbero visto il palazzo. Ma presto la nave partì, allontanando progressivamente il gruppo dalla casa dei principi.
 Si avviarono verso est, in opposizione al percorso del sole, che si issava nel cielo in direzione occidentale. Anna e Kristoff fecero quattro chiacchiere con Elsa, mentre l’unica cosa che l’ex regina agognava era starsene al freddo e scrutare il mare. Per cui trascorse la maggior parte del resto della giornata contemplando l’oceano e meditando.
 L’acqua era ammaliante. Calma e prorompente allo stesso tempo. Ora che schizzava amichevolmente contro il legno della nave, Elsa non riusciva a credere che avesse inghiottito i suoi genitori. Fissava il viso dell’assassino dei suoi genitori e non provava alcuna paura. L’indomani Hans sarebbe stato capace di fare altrettanto?
 Fin troppo presto, il sole tornò a tinteggiare il cielo, adesso con le sfumature dell’arancione e del rosso che parevano un lontano incendio appiccato in paradiso. Anna si unì a lei sul ponte, rabbrividendo nel suo scialle e lamentandosi dell’insensibilità di Elsa al freddo. Diversi membri dell’equipaggio si aggregarono sulla coperta per ammirare il tramonto, sapendo che avrebbe potuto trattarsi dell’ultimo. Elsa vide Jørgen e Kristoff conversare, il montanaro che rideva educatamente per qualcosa che era o forse non era davvero divertente, al quale aveva reagito così perché era troppo educato per comportarsi altrimenti.
 «Cosa credi che succederà domani?» chiese Anna sommessamente, i denti che battevano mentre lei si stringeva maggiormente nello scialle. «Hai paura?»
 Elsa scandagliò la folla alla ricerca di una chioma bruciante e quasi scarlatta, ma senza individuarla. Fu colpita da una chimera terrificante: e se l’assassina riuscisse a uccidere Hans? Ma non appena ebbe quel timore, capì che era una stupidaggine. Eppure l’orrore che s’insediava nel suo cuore era autentico. E se si realizzasse il suo presentimento?
 «Sono terrorizzata» sussurrò Elsa.
 Anna squadrò la sorella e si morse il labbro. «Già».
 Il sole infine abbandonò il campo visivo, lasciandosi dietro una traccia di luce fantasma lungo l’orizzonte. L’acqua si oscurò, assumendo la tonalità di un indaco scuro. Anna baciò la buonanotte alla sorella, accompagnando Jørgen e Kristoff che s’incamminavano verso le loro stanze: delle sei cabine presenti, ne erano state rese disponibili cinque, in cui si erano già tutti accomodati. Elsa osservò il mare un’ultima volta, prima di seguire la massa già dispersa di persone e dirigersi al suo alloggio.
 Ma prima di raggiungere la porta, le sue dita si sospesero sopra la maniglia. Voleva parlargli. La mano si chiuse a pugno e lei la ritrasse. Elsa era atterrita all’idea del giorno dopo. Una volta tornato il sole, Hans avrebbe potuto essere già morto. E proprio adesso che Elsa aveva scoperto che era innocente. Doveva parlargli.
 Sgattaiolò silenziosamente in direzione della stanza di Hans. Non avrebbe permesso al resto dell’equipaggio di vederla mentre s’introduceva di notte nella camera del principe. Vi arrivò rapidamente e bussò forte sul legno. Udì un «Entrate» soffocato provenire dall’interno.
 Prima di insinuarsi dentro, lo trovò seduto alla scrivania, intento a studiare una grande cartina con sopra attaccate delle puntine. Lui era vestito a fresco, un mantello che lo proteggeva dal freddo. Aveva una mano tra i capelli e la scorreva tra le ciocche ardenti. La sua concentrazione si ruppe quando alzò lo sguardo, le sopracciglia sollevate. Raddrizzò la schiena e la fissò, mentre Elsa era all’ingresso, le dita ancora salde alla maniglia.
 «Ciao» gli disse con un sorrisino.
 Hans continuò a fissarla di rimando e alla fine replicò: «Ciao», fino a quando non si schiarì la gola e si alzò. «Uh, entra» offrì, indicandole la propria sedia.
 Elsa si chiuse la porta alle spalle, ma rifiutò la proposta. Hans riprese posto alla scrivania.
 «Io, uh, sto lavorando su… una mappa» balbettò lui. Perché era nervoso?
 «Su cosa?»
 «Be’, sto piazzando una puntina su tutti i luoghi in cui erano i miei fratelli nel momento del loro omicidio» spiegò, annuendo alla cartina. «E una per ogni volta in cui è stato reperito un corpo ad Arendelle. Sto indagando per scoprire se è plausibile che Bhumi sia riuscita a depositarvi i corpi così velocemente senza che quelli marcissero».
 Hans si rilassò man mano che le parole filavano. «Non capisco. Come faceva a sapere che ero in prigione quando tutti erano convinti che fossi morto? E perché ha incastrato me? Non ha senso».
 «Forse domani otterremo le nostre risposte» suggerì Elsa, le mani allacciate.
 Lui volse lo sguardo su di lei, gli occhi scintillanti. «Non so che accadrà domani».
 Elsa strinse la labbra e scosse la testa. Sulla stanza calò un silenzio agghiacciante, mentre i due guardavano a terra.
 Lei finalmente disse: «Grazie. Per aver badato a mia sorella».
 «Ringrazia Kristoff». Hans si scrollò di dosso le attenzioni. «È rimasto tutto il tempo con lei».
 «Ma tu avevi la possibilità di abbandonarli. Avevi dichiarato che saresti andato alla ricerca di terre sconosciute e… ma non ne avevi mai avuto l’intenzione. Lo hai detto solo perché mi stavi proteggendo, giusto?»
 Lui era impacciato, il rossore che s’impadronì del suo volto. «Non… non potevo rivelarti i miei piani per catturare l’omicida. Essere freddo con te, Elsa, mi ha ucciso. Ero tentato a implorarti di venire con me, ma ero consapevole dei pericoli e dell’inattuabilità e… be’, eccoci qui. Non ottengo mai nulla con le bugie, vero?»
 Elsa stirò le labbra, scuotendo il capo e tirandosi la treccia. «Quel giorno il mio mondo è crollato a pezzi».
 Hans sussultò come se lei lo avesse schiaffeggiato. «Lo so. Non ho giustificazioni. Sono perfettamente d’accordo con te se vuoi che il nostro rapporto resti platonico».
 L’espressione di Elsa s’incupì. «Che?»
 Hans batté le palpebre. «Non… non è così che stanno le cose? Insomma, dopo averti causato tanti guai—»
 Elsa iniziò a ridere e Hans tacque immediatamente, stupito.
 Quando riuscì a controllarsi, lei sorrise e chiarì: «E io che pensavo che non mi avresti più accettata perché avevo perso la corona. Non immagini quanto mi sia preoccupata».
 «Cosa?»
 «Hans, è da tanto che non ci vediamo. Non ti rendi conto che morivo dalla smania di baciarti ancora? Non adesso che sei l’unica persona per cui ho provato questi sentimenti. Non dopo che hai confessato di volermi come nessun altro. E nemmeno io ho voluto nessun altro come te e—»
 Hans l’aveva fissata, spalancando la bocca come se a Elsa fossero spuntate le ali. Senza rompere il contatto visivo, si alzò dalla scrivania e si diresse a grandi falcate verso di lei, prendendole il viso tra le mani e zittendola con un bacio.
 Il corpo di Elsa prese fuoco. E mai come in quel momento era felice di bruciare, agguantandogli la nuca e abbreviando lo spazio tra i due. Hans la stringeva forte, le mani che vagarono dal volto ai fianchi di Elsa, attirandola a sé. E lei non sopportava la distanza, annullandola ulteriormente.
 Alla fine Hans si staccò ansante, essendosi dimenticato di respirare.
 «Io ti amo» boccheggiò, abbassandosi per baciarla di nuovo; tuttavia, non appena le loro labbra si sfiorarono, Elsa si scostò con gli occhi sgranati.
 «Tu cosa?» gli chiese, il cuore che batteva forte.
 «Io… io ti amo» mormorò lui, avvampando. «Scusa… è troppo, è troppo—»
 «Tu mi ami» ripeté Elsa, incapace di trattenere il sorriso. «Tu mi ami. L’altra volta avevi detto di volermi».
 Hans scosse la testa. «Ti amo da impazzire, Elsa. Avrei dovuto ammetterlo prima».
 Elsa non poté più patire la divisione e cancellò nuovamente la distanza, serrando le palpebre e concentrandosi solo su di lui. Solo su Hans, solo sull’uomo che non solo la voleva, l’amava.
 Lottarono, scindendosi e riunendosi e avanzando alcuni passi per non perdere l’equilibrio, ma improvvisamente Elsa scivolò e, con un urletto, rovinò sul letto della stanza. Osservò con meraviglia Hans, che le era caduto addosso, le braccia che sostenevano il suo peso e mettevano i due in una posizione equivoca. Lui divenne incredibilmente paonazzo.
 «Io— mi dispiace, io—» Tentò di alzarsi e scusarsi, ma Elsa lo afferrò per la camicia e lo avvicinò a sé, impedendogli di sottrarsi al suo appiglio e impedendogli di separare le loro labbra.
 Finalmente lo liberò per riprendere fiato. Improvvisamente ebbe un’idea – un’idea che la fece arrossire, sebbene l’avesse già considerata diverse volte. L’aveva soppesata ancor prima che si scambiassero il primo bacio, ma scartandola subito.
 Adesso, però… adesso la situazione era diversa. Hans non era più un prigioniero ed Elsa non aveva più una reputazione da tutelare. Aveva poco da perdere se seguiva quell’istinto che le infiammava il gelido corpo. Questa potrebbe essere la nostra ultima notte sussurrò una vocina e alla sola ipotesi Elsa si fece coraggio.
 «La porta ha una serratura?» disse affannosamente.
 La faccia di Hans assunse il colore dei suoi capelli. La guardò con un’espressione seria, famelica, carica di anticipazione.
 «Ne sei sicura?» le chiese. «Non abbiamo con noi i guanti e non sappiamo cosa succederebbe se—»
 «Al diavolo le conseguenze» replicò Elsa a bassa voce. «L’unica cosa di cui mi preoccupo in questo momento è se la porta ha una serratura».
 Se Hans aveva altre obiezioni, di certo non le fece presente. «Vado… vado ad accertarmene?» domandò, lo sguardo congelato su quello di Elsa. Aveva risposto al suo interrogativo inespresso.
 Lei annuì, il cuore che batteva cinque volte più rapidamente del normale. Per un ultimo istante Hans si chinò su di lei per incontrare le sue labbra – l’atmosfera era già cambiata, Elsa lo percepiva –, prima di alzarsi e controllare la porta.
 Come si scoprì, c’era una serratura.

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Capitolo 27
*** Ventisette ***


Ventisette

Il giorno dopo, circa un’ora prima del calar del sole, avvistarono la Calanca di Cruorenero.
 Quel mattino Elsa si era svegliata nel letto dell’uomo che, nonostante tutto, amava ancora. Per un istante aveva messo in dubbio le intenzioni di Hans, se lui le fosse davvero affezionato o se l’avesse solo usata per una notte… no, aveva deciso di farla finita con i sospetti. La diffidenza avrebbe mandato in rovina il loro rapporto. Mille pericoli stavano per approcciarsi e lei era già sicura dell’amore di Hans: lui glielo aveva provato. Elsa gli si era accoccolata vicino e aveva chiuso gli occhi, avendo concluso che, se fossero riusciti a sopravvivere e a vedere l’alba, a quel punto avrebbero superato l’ostacolo peggiore. Lei amava lui e lui amava lei e ciò era sufficiente.
 Se qualcuno avesse o meno avuto l’impressione che la notte precedente l’ex regina non si trovava nella propria cabina, nessuno ne parlò. Anna era irrequieta e non era capace di restare sullo stesso lato della nave per più di un paio di minuti. Era persino più nervosa di Elsa e Hans. Certo, il loro stress era stato alleviato la notte prima…
 Ma quando fu avvistata la mezzaluna della terra che abbracciava l’acqua, lo stomaco di Elsa cominciò ad attorcigliarsi. Erano giunti alla Calanca di Cruorenero. Non sapevano che li aspettasse. Alla battagliola individuò Hans, che osservava la costa con uno sguardo risoluto. Prese posto accanto a lui, avvolgendogli la mano con le proprie dita e stringendogliela per dargli conforto.
 «Non mi sembra giusto» commentò Hans, distogliendo gli occhi dalla baia per incontrare quelli di Elsa. «Il sole è troppo splendente, l’atmosfera è troppo frizzante. La giornata è troppo serena per andare alla Calanca di Cruorenero».
 «Forse è segno» suggerì lei, «che la situazione si aggiusterà».
 Hans era scettico, il viso nuovamente rivolto alla terraferma. «Non ho idea di che ci attenda. Tu verrai con me, vero?»
 «Ovviamente».
 «Bene. Ti voglio al mio fianco».
 Un sorrisino spuntò sulle labbra di Elsa.
 «Sai, se quando mi imprigionasti quest’estate mi avessi rivelato che, da lì a sei mesi, sarei salpato insieme alla regina di Arendelle verso la Calanca di Cruorenero e avrei affrontato l’assassina della mia famiglia, ti avrei creduta pazza».
 «L’ex regina» lo corresse.
 «Secondo me un giorno tornerai a regnare. Naturalmente, se non ti opponi a un colpo di stato…»
 Lei sorrise e lo spintonò con leggerezza. «Non intendo mettere Arendelle sotto assedio!»
 Elsa concordava, il sole era un po’ troppo splendente. Gli angoli della sua bocca si abbassarono, mentre la quiete s’impadronì dell’aria. Le loro mani rimasero intrecciate e nel mare freddo l’insenatura si stagliava allegramente dinanzi.
 «Ad Anna però deve essere restituita la carica» mormorò Elsa. «Non sono disposta a farla pagare per gli errori che ho commesso io. Ha sacrificato fin troppo per le mie follie. Voglio che sia lei ad avere la corona».
 Hans era silenzioso ed esaminava il volto di colei il cui nome non aveva alcun valore per il trono, ma che per lui valeva ogni cosa. «Se ce la faremo, prometto che Anna diventerà regina».
 Lei lo scrutò, l’espressione fiduciosa. «Lo giuri?»
 «Sul miserevole onore che mi rimane, te lo giuro» dichiarò, prendendole una mano e posandola sul cuore.
 Elsa tentò di trattenere un sorriso mordendosi il labbro, ma non ne fu in grado, ridendo e riprendendosi la mano. Entrambi erano senza guanti e, ogni qualvolta la sua pelle fredda era a contatto con quella calda di Hans, era scossa da brividi piacevoli.
 «Guardaci, due nobili corrotti che lavorano per un futuro migliore» scherzò lei.
 Un marinaio dall’altra parte del ponte urlò che il principe Jørgen richiedeva che tutti gli prestassero attenzione. Elsa scoccò un’ultima occhiata alla baia, prima di recarsi da Jørgen.
 «E adesso andiamo a incontrare il terzo del nostro trio» borbottò Hans, anche lui con gli occhi che indugiarono sulle acque luccicanti dell’insenatura.
 Il profilo di Jørgen si stagliava nel centro della coperta, i piedi poggiati su una scatola per innalzarlo. L’equipaggio gli si radunò attorno e Hans ed Elsa ebbero difficoltà a farsi strada tra la folla per occupare il loro posto accanto al principe. Jørgen annunciò che la nave era troppo capiente perché si avvicinasse granché alla costa. Una lunga serie di caverne circondavano quella zona dell’isola, con aperture troppo strette per attraccare il naviglio. A Jørgen occorrevano due piccole barche per Hans, se stesso e otto ulteriori persone incaricate ad accompagnare i fratelli Westergard.
 Elsa si offrì immediatamente volontaria. Seguirono Kristoff e Anna, Anna che garantì a un’Elsa apprensiva delle loro capacità di cavarsela. L’abilità della ragazza come spadaccina e gli anni trascorsi da Kristoff come venditore di ghiaccio erano qualità che li rendevano preziosi. Altri cinque marinai si unirono al gruppo e, fin troppo presto, giunsero a destinazione.
 La Calanca di Cruorenero incuteva ben meno timore se paragonato a quanto suggeriva il nome. Il sole faceva risplendere l’acqua blu e, da un lato, le sabbie argentee scintillavano. Un’imponente parete di pietra separava l’acqua dalle coste dell’isola, tranne che per una piccola rientranza nella barriera, alta all’incirca tre metri. Elsa non riuscì a intravedere cosa ci fosse al di là di quel confine. La luce rivelava delle rocce e forse una spiaggia, ma si sarebbe dovuta approcciare per esserne sicura.
 I dieci furono calati in barche a remi, il resto dell’equipaggio che augurò loro buona fortuna ma di cui solo la metà appariva fiduciosa sulle loro probabilità di far ritorno, il che demoralizzò Elsa. Tuttavia erano arrivati fino a quel punto e non avevano più alcuna possibilità di ritorno.
 Vogarono via dalla nave e verso la rientranza nel muro. Elsa, seduta accanto a Hans, gli afferrò la mano per incoraggiarlo. Lui pareva essere nelle condizioni di averne bisogno quanto lei.
 Oltre al muro di roccia c’era una baia minuta e giusto alcuni metri di sabbia che conducevano a una grotta incombente e circolare. Il cuore di Elsa si arrestò quando vide una donna abbandonare le ombre della caverna per avviarsi in direzione della luce del sole. Era la principessa Bhumi.
 Aveva addosso un manto color cremisi, che le attorniava il collo a mo’ di sciarpa e le fasciava la figura come un vestito. Questa volta non aveva coperto il viso e aveva un leggero sorriso in faccia. Le viscere di Elsa si contorsero, la realtà della situazione che finalmente la colpì allo stomaco. Perché stava sorridendo? Hans le strinse la mano talmente forte che, se in quel momento avesse ancora avuto la voce in gola, Elsa avrebbe strillato.
 Le barche attraccarono e, non appena a terra, Anna sguainò la spada.
 «Via le armi» ordinò subito Bhumi.
 Anna assottigliò lo sguardo, ma Hans le domandò di obbedire. Con riluttanza, Anna rinfoderò la spada, le dita però salde sull’elsa.
 «La principessa Bhumi di Aruna, presumo» salutò Hans, camminando e piazzandosi di fronte al gruppo, dato che Jørgen era paralizzato dalla paura.
 «Come lo avete scoperto?» chiese Bhumi, il sorriso che crebbe sulle sue labbra. «Sono stata molto cauta a non lasciare tracce».
 «Perché ci avete condotto qui?» pretese di sapere Hans. «Perché avete ucciso i membri della famiglia Westergard?»
 «Ritengo che sia la mia partner quella con le risposte» replicò Bhumi. «Sarete molto interessati a incontrarla».
 «Che sia lei ad accoglierci, allora».
 La principessa scosse il capo. «Temo che sia irremovibile riguardo alla sua decisione di restare dentro la grotta. Solo il settimo e il tredicesimo hanno il permesso di proseguire».
 «E se li accompagnassimo lo stesso?» s’informò Anna, incapace di zittirsi.
 «Semplice, vi toglierò la vita» ribatté Bhumi con un sorriso, al che Elsa s’incupì.
 «Indietro, Anna» comandò Hans. «Verremo con voi».
 Jørgen aveva l’aria di preferir sostenere qualsiasi altra cosa al mondo, eccetto la prospettiva di addentrarsi nella buia caverna con Bhumi e suo fratello. Elsa era consapevole del fatto che i due non erano in grado di cavarsela da soli. Per cui avanzò di un passo prima che Hans protestasse.
 «Concedetemi la facoltà di seguirvi».
 Hans le si avvicinò immediatamente. «Elsa, no. Resta qui e appura che siano tutti al sicuro. Prometto che tornerò».
 «Hai detto che mi volevi al tuo fianco».
 «E infatti lo voglio, ma non provocare Bhumi» sussurrò. «I suoi piani ci sono ignoti».
 «Ed è esattamente per questo che intendo seguirvi» bisbigliò lei di rimando, cercando con tutte le sue forze di resistere alla tentazione di baciarlo. Al contrario, gli diede le spalle e si girò verso la nemica. «Principessa Bhumi, io sono Elsa, l’ex regina di Arendelle, il regno dove avete scelto di abbandonare i cadaveri».
 Gli occhi della principessa Bhumi s’illuminarono in segno di riconoscimento. «Ah, la regina Elsa. Mi è dispiaciuto apprendere della vostra destituzione. Non ho nulla contro di voi e mi scuso per aver utilizzato il vostro paese: non era niente di personale».
 «Be’, invece voi mi avete dato motivo per esservi contro» rimbeccò Elsa, sollevando una mano, il palmo volto in alto e rilasciando un leggero turbinio. «Sono colei che vi ha inseguito la notte in cui avete depositato il sesto principe Charles ad Arendelle e colei che ha combattuto contro di voi sulla nave».
 Il sorriso di Bhumi si dissipò. «Avevo sentito dire che eravate la regina delle nevi, ma non ero certa dell’autenticità delle voci… forse dovreste venire con noi».
 Elsa annuì, guardando Hans che aveva morso il labbro per la frustrazione. L’ex regina sapeva di averlo scontentato, ma aveva giurato di essergli affianco e non si sarebbe tirata indietro.
 «Portate anche me» insistette Anna. «Posso—»
 «Anna» la placò Elsa. «Rimani qui. Ci pensiamo noi. Ce la caveremo». Si dirisse verso Anna e la strinse in un abbraccio che la principessa non si era aspettata.
 «Elsa, io—»
 Elsa la interruppe e mormorò: «Se non facciamo ritorno entro il tramonto, introduciti nella grotta con una truppa».
 Anna si zittì e, quando Elsa si ritrasse dall’abbraccio, la principessa annuì. «Okay. Fa’… fa’ attenzione, Elsa».
 Elsa assentì, trattenendo le lacrime che minacciavano di cadere. Andò da Hans, che adesso aveva accanto un Jørgen iperattivo. Bhumi ammirò la formazione innanzi a sé e fece un cenno d’approvazione. «Coraggio, seguitemi, prego».
 La donna si diresse verso il buio d’inchiostro della caverna e cominciò a camminare. Jørgen stava in guardia, un tantino agitato, ma Hans lo esortò a entrare. Il fratello maggiore si schiarì la gola e annuì nobilmente, seguitando poi la principessa. Elsa fu la seconda e Hans chiuse la fila.
 «Principe Hans, di fronte a me» ordinò Bhumi. Hans si scambiò un’occhiata con Elsa, ma obbedì. «Potreste accendere una fiamma? Vorrei sapere dove sto mettendo i piedi. Non azzardate alcunché, però, perché siete fin troppo conscio di cosa sono capace. Mi basta un tocco».
 Hans non rispose, ma una sfera di fuoco apparì, gettando delle ombre sul suo viso. Lui non gradiva le circostanze e restò silenzioso.
 «Grazie» attestò Bhumi, rimettendosi a guidarli. Adesso che era lei l’ultima, Elsa continuava a guardarsi alle spalle, verso i raggi del sole distanti dalle profondità della grotta oscura e ammuffita. Non riusciva a respirare.
 «Ho il permesso di parlare?» chiese Hans da davanti. Elsa gli rivolse l’attenzione. Si rese conto che ora Hans gestiva molto meglio le situazioni di difficoltà. Solo qualche mese prima avrebbe provato d’impulso di bruciare viva Bhumi.
 «Se ne vale la pena sprecare il vostro fiato» acconsentì Bhumi.
 «Perché avete ucciso i miei fratelli?»
 Lei rise. «Be’, ammetto che in realtà avevo dispute in sospeso con ben pochi Westergard. Tuttavia ho scoperto il piano che stavate tramando per impossessarvi di tutti i regni legati dal patto commerciale e ho trovato che eliminare ogni singolo fratello fosse nel miglior interesse di tutti».
 «E mio padre?»
 «Oh, non è stata mia l’idea» replicò, ma si rifiutò di spiegare.
 Quella fu l’unica conversazione che vi fu durante il percorso. Elsa fu lasciata alle proprie ponderazioni e allo sporadico lieve sussulto da parte di Jørgen, che le era dinanzi e che rischiò d’inciampare nelle pietre del pavimento irregolare. La caverna era troppo buia per lei, perfino con la luce di Hans. Avrebbe voluto corrergli incontro, ma forse ciò avrebbe arrestato il battito del suo cuore già martellante. Si chiese come facesse Bhumi a sapere del potere del fuoco di Hans…
 Finalmente si vide in lontananza una luce in fondo al tunnel tortuoso. Elsa era più nervosa che mai: stavano per arrivare. Chi li aspettava nell’area illuminata? La partner di Bhumi li attendeva, l’altra donna dotata di magia che aveva scorto la notte dell’omicidio di Charles. E se lei fosse persino più brutale di Bhumi? E se stesse progettando di ucciderli, proprio come coloro che erano morti alla Calanca di Cruorenero? La tensione che era stata alleviata il giorno prima tornò di colpo tutta in una volta e lei anelava a costruirsi una corazza di ghiaccio attorso a sé.
 Entrarono nella caverna, le torce che rischiaravano le pareti di roccia. Oltre a due letti fuori posto e a una sedia, lo spazio davanti a loro era vuoto. Una figura si stagliava non troppo in là e si nascondeva nell’ombra. Quando la figura – una donna – notò Bhumi e i tre che erano con lei senza scelta, andò loro incontro in segno di saluto.
 Elsa non la conosceva. Aveva i capelli quasi completamente grigi, eccetto che per qualche ciocca castana che si aggrappava ancora al colore originale. Aveva delle rughe in faccia che rivelavano apertamente l’età della proprietaria e che, malgrado ciò, non sbiadivano i suoi occhi verdi scintillanti. Indossava un abito simile a quelli delle Isole del Sud. In testa portava qualcosa: assomigliava terribilmente a una corona…
Oh realizzò Elsa, la testa che iniziò a girare. Oh.
 La sua reazione fu molto più calma rispetto a quella dei fratelli. Hans si bloccò immediatamente sul posto, la mano che continuava a emanare una fiamma. Cacciò un suono strozzato, ma Elsa non poteva distinguere la sua espressione dalla posizione in cui era. Jørgen, d’altro canto, corse subito in direzione della donna. Urlò e cercò rifugio tra le sue braccia. «M-madre!» rantolò, le lacrime che scorrevano a fiumi. «Credevo che fossi… credevamo fossi morta. Tutti gli altri… tutti gli altri sono morti, madre».
 La donna sorrise. «Oh, Jørgen, è così bello rivederti, caro¹. È passato tanto tempo».
 «Madre, la principessa Bhumi ti ha intrappolata qui? Ti ha fatto del male? Oh, gliela—»
 La donna rise. «Jørgen, ssh, calmati, per favore. Bhumi non mi tiene prigioniera».
 E Jørgen si tolse immediatamente dalla stretta delle sue braccia, rendendosi conto, più in ritardo rispetto a suo fratello ed Elsa, che sua madre era complice di Bhumi.
 La regina Carol delle Isole del Sud – l’unica Westergard il cui corpo non era stato ritrovato per mesi – era la seconda mente che si celava dietro lo sterminio di massa della famiglia reale.
 Elsa se ne infischiò delle conseguenze e sgattaiolò silenziosamente al fianco di Hans. Lui fissava la madre, gli occhi rossi come i capelli e la mascella che tremava. Era lì lì per perdere il controllo, Elsa lo sentiva. Ma non intervenne: si fidava dei suoi nervi saldi.
 «M-madre?» balbettò Jørgen con una risatina. «Sei… eri..? L’hai aiutata a uccidere la nostra famiglia?»
 «Oh, be’, sembra orribile quando la metti così» ironizzò la regina Carol, roteando gli occhi con un’espressione lieta. «La principessa e io siamo giunte a un compromesso che soddisfacesse le esigenze di entrambe, ecco tutto».
 «Io… tu, no… non—» Jørgen soffocò, incapace di digerire la notizia, che lo aveva colpito come una palla di cannone.
 Hans inspirò, tremante dalla rabbia. Elsa non lo aveva mai visto così adirato. Provò ad avvicinarglisi, ma lui parve aver intuito le sue intenzioni e si diresse a grandi falcate verso sua madre, la mano in fiamme da cui adesso mulinavano monumentali ondate di fuoco che rivaleggiavano quelle degli oceani.
 La regina lo notò e alzò un sopracciglio nella sua direzione. «Ah, Hans. Fossi in te non lo farei. Mi basta una parola e per te è finita».
 Hans si fermò, ma il respiro era pesante ed emise un grido colossale, scagliando il fuoco verso il lato vuoto della caverna. Le fiamme sfrecciarono contro la parete di pietra, arricciandosi sulla sua superficie strinata e annerita.
 «Padre non ha mai fatto niente di male» urlò Hans. «Era l’unica persona a cui è mai importato di me e lo hai ammazzato. Hai incolpato me del suo assassinio!»
 «Hans, smetti di strepitare» scattò la regina, scoccandogli un’occhiataccia. «Prima concludo i miei affari con te e meglio è».
 «Prima concludi—» ripeté Hans, poi ruggì e generò un’altra sfera di fuoco. Ma questa volta la lanciò direttamente verso sua madre.
 Elsa trattenne il fiato, mentre la regina Carol ebbe un sorrisetto in volto prima di essere avvolta dai riccioli delle fiamme. Ma quando riapparve la roccia carbonizzata, non c’era traccia della regina. Nessun segno, niente cenere, come se lei—
 «Oh, avrei dovuto farti uccidere prima» si crucciò una voce dall’altro lato della caverna. Tutti si girarono per vedere la regina perfettamente incolume con le braccia incrociate.
 Ma certo, aveva i poteri magici. Le due che erano scomparse dalle vicinanze della cascata durante quella notte. Ma se Carol aveva i poteri..?
 I nervi di Hans cedettero e lui cadde sulle proprie ginocchia. Non aprì bocca.
 «Tu… hai i poteri?» mugolò Jørgen. «Ma… ma ci hai insegnato… che la magia è il male. Ci hai detto che chi la possiede è il male».
 «Tu…» fu tutto ciò Hans riuscì a sussurrare prima di collassare a terra completamente, la testa china e il respiro affannoso.
 «Piantala di fare il melodrammatico» lo sgridò, poi si dileguò e risbucò nel punto precedente. «Non sono stata io a inventare il mito secondo il quale la magia è il male, ma ammetto di essere stata molto convincente».
 «Ci hai fatto odiare nostro fratello» bisbigliò Jørgen, voltandosi verso Hans, che piangeva sconfitto. Lo guardò come se lo stesse guardando per la prima volta, realizzando finalmente che forse la magia non era tanto deprecabile quanto pensava.
 Elsa era in uno stato di shock assoluto. Avrebbe voluto essere di conforto a Hans, ma non le spettava il diritto. La situazione in cui si trovavano non la riguardava. L’unica cosa che poteva fare era assistere alla vicenda con le mani in mano mentre assottigliava furtivamente la distanza tra lei e Bhumi.
 «Accomodati pure». La regina Carol prese una sedia per Jørgen e si disinteressò del figlio minore, ancora raggomitolato sul pavimento di pietra. Jørgen non si sedette. La regina Carol sorrise, ma la piega sulle sue labbra era troppo maligna per essere d’incoraggiamento.
 «Lasciami spiegare».





¹ In italiano non si usa il superlativo relativo tanto di frequente come in inglese, ovviamente, per cui con il passaggio da una lingua all’altra la sfumatura non traspare, ma nell’originale in quel momento Carol chiama Jørgen “my dearest”, “il più caro”, perché è il suo figlio preferito.

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Capitolo 28
*** Ventinove ***


Ventinove

Il principe Hans delle Isole del Sud era morto.
 Elsa adesso capiva perché Hans fosse stato tanto inorridito quando lei era tornata in vita. Mentre guardava lo spettacolo raccapricciante e il cadavere steso a terra, rifletté che non si trattava della prima volta che osservava la sagoma inanimata di qualcuno che le era caro. L’immagine di Anna al fiordo colpì Elsa come un mattone. Le sue ginocchia tremavano, ma lei era talmente concentrata su Hans da non notare il fremito dei propri muscoli. La sua bocca cacciò uno strillo e lei incespicò per raggiungere l’uomo.
 Non prestò alcuna attenzione a Bhumi, la cui figura si stagliava sulle spoglia della propria vittima. Elsa era completamente intorpidita. Vedeva solo Hans. Quando si avvicinò al corpo, cadde sulle ginocchia. Sebbene ce la stesse facendo tutta per trattenersi, si accorse che il ghiaccio aveva cominciato a diffondersi per il pavimento, incrinandosi e circondando i resti di Hans. Una leggera neve cadeva pigramente, invece di rimanere sospesa nel vuoto come accadeva normalmente quando Elsa era sconvolta.
 Prese la mano di Hans, posandola sul proprio grembo. Lui pareva dormiente. Una fredda lacrima gli si posò sulla fronte mentre Elsa scuoteva la testa per l’incredulità.
 «Vi prego, ridatemelo» implorò con voce rotta.
 «Quel che è fatto è fatto» sentenziò Bhumi, le parole gravi e risolute.
 Elsa cercò di farle cambiare idea, accarezzando i capelli di Hans con una mano vacillante. «Voi non volete questo. Nel vostro profondo, sapete che è sbagliato». In gola aveva un bruciore terribile e un groppo le aveva incrinato il timbro.
 «Voi non non conoscete i miei desideri» ribatté la principessa. «Siate felice per essere stata risparmiata».
 Elsa scosse il capo e poi lo poggiò contro la fronte del defunto, il petto che si gonfiava per i singhiozzi. «Vi prego, ridatemelo. Dovete farlo».
 Sebbene Elsa non riuscisse a scorgerla, Bhumi stava rimuginando. Se davvero era senza cuore, se ne sarebbe andata non appena avesse ucciso colui che le aveva rovinato la vita. Eppure era rimasta.
 «Ringraziatemi» replicò infine Bhumi. «Ha rovinato la vita anche a voi. È lui la causa della vostra destituzione».
 La corona era irrilevante. Elsa ormai l’aveva quasi scordata. Finché Anna era sana e salva, avrebbe sacrificato tutte le corone che c’erano al mondo per regalarle a Ingvalda. «Non è stata solo colpa sua».
 «Quest’uomo ha tentato di uccidervi!» insistette Bhumi con disprezzo. «Come potete essere così ingenua? Vi ha guardato con occhi dolci e chiesto scusa? Come avete fatto a perdonarlo con tanta facilità?»
 Elsa negò, mantenendo salda la sua presa su Hans con l’impressione che, se lo avesse lasciato crollare al suolo, lo avrebbe perduto per sempre. Chinò la testa e pianse silenziosamente, le due fronti congiunte. Non sapeva come rispondere.
 «Siete patetica» mormorò Bhumi ed Elsa intuì che stava per voltarle le spalle.
 Avrebbe dovuto essere furiosa. Avrebbe dovuto attaccare la principessa, trafiggendole il cuore con uno stalattite, ma non ne era capace. Non possedeva una goccia di rabbia, ora che stava annegando in un mare di angoscia assoluta. Inoltre, con Bhumi fuori gioco, non avrebbe più avuto alcuna possibilità di resuscitare Hans. Ma forse, con un discorso convincente… Aveva un’ultima chance per persuadere la principessa omicida.
 «Io non l’ho perdonato».
 I passi si fermarono.
 «Che?»
 Elsa inspirò profondamente. «Non ho mai perdonato Hans per ciò che ha commesso. E non importa cosa faccia, non importa quanto mi supplichi, io non lo perdonerò mai».
 Bhumi era muta. Elsa ebbe il timore che se ne fosse andata e si girò verso il punto in cui si trovava la principessa. Ma lei era ancora lì, il volto che esibiva sentimenti contrastanti.
 «Non gli avete mai concesso il perdono. Eppure lo difendete» osservò lentamente, gli occhi assottigliati mentre cercava di capire.
 Elsa aveva difficoltà a contemplare le spoglia che reggeva senza che le venisse da vomitare. Mai aveva avuto il desiderio di stringere nuovamente il cadavere di qualcuno che le era caro: due volte erano già troppo.
 «Hans ha tentato di uccidermi e aveva intenzione di abbandonare mia sorella tra le braccia della morte. Un tempo credevo che farlo marcire in prigione fosse la sua giusta punizione. Ma… le circostanze sono mutate. Mi ha raccontato la sua storia. Avevamo poche cose in comune, ma quello che ci accomunava ci ha unito. E sono del parere che Hans sia diverso dall’uomo che era un anno fa e che non sia più il ragazzino che vi ha fatto piangere».
 Bhumi incrociò le braccia, la stoffa del manto che gettava ombre sul viso. Le parole di Elsa avevano iniziato ad aprire una breccia all’interno della sua coscienza.
 «Non lo perdonerò mai per l’uomo che era. Niente può scusarlo. Ma non si può modificare il passato. Dovete comprendere che il delitto per cui lo avete condannato ha perso il suo valore: adesso lui sta provando a rimediare agli errori compiuti».
 Elsa notò Bhumi arricciare il labbro, mordendolo in maniera pensosa, e sperò per il meglio.
 «Vostra sorella» chiese Bhumi, la voce bassa e sommessa, «approva la vostra relazione con il suo aspirante omicida?»
 Elsa soffocò una risata piagnucolosa. «Oh, no, niente affatto. Si sforza di non rivolgergli il saluto e il suo fidanzato lo tratta anche peggio. Ma si rendono conto di quello di cui sono capace e che sono consapevole delle mie azioni. E si rendono conto che, se io sono felice, Hans deve essere cambiato».
 La principessa era di nuovo silenziosa, le labbra contratte. Come poteva considerare l’idea di mandare in fumo tutto ciò per cui aveva tanto faticato? Il corpo di Hans tra le mani tremanti di Elsa diventava sempre più pesante a ogni secondo che trascorreva.
 «Quella vile donna, Carol» rispose infine Bhumi, «ha intenzione di conquistare i dodici paesi dell’accordo. Non ero in grado di uccidere i gemelli a Corona senza l’aiuto di Carol, per cui ha ancora con sé due forti soldati. Non le permetterò di attuare il suo piano».
 «Noi vi aiuteremo» la implorò Elsa, internamente grata a Bhumi per averle offerto una seconda possibilità per convincerla. «Consentiteci di combattere contro la tirannia. Ma ridatemi Hans».
 «Cosa proponete in cambio?» domandò Bhumi con le braccia conserte e un’espressione che indicava come, dentro di sé, la principessa era sicura che in seguito avrebbe rimpianto quella decisione.
 «Hans sarebbe lieto di assistervi nella disfatta di Carol. Vi forniremo navi, uomini e—»
 «Siete a conoscenza della prossima mossa di Carol?» la interruppe Bhumi.
 Hans non era mai stato invitato ad ascoltare i dettagli del progetto che Carol aveva architettato per impadronirsi degli altri regni: se interrogato al riguardo, non sarebbe stato di alcuna utilità. Elsa vide l’opportunità sfuggirle dalle mani. Meditò freneticamente, alla ricerca di qualcosa che li avvantaggiasse. Quello di cui avevano bisogno era uno dei Westergard… o nove fratelli e un re.
 «Rianimando i fratelli, vi prometto che riusciremmo a entrare nella mente di Carol».
 Bhumi si allarmò al mero suggerimento. «Neanche per sogno. Non lascerò che quegli oppressori ritornino e continuino a infestare queste terre».
 «E se non riacquistassero mai pienamente il controllo? Teneteli per alcuni anni al vostro servizio come castigo. Quando sentiranno parlare dell’immediatezza con cui la madre si è disfatta di loro, passeranno dalla nostra parte».
 «E se non lo facessero? E se si schierassero contro di me?»
 «Allora avrete il diritto di riprendervi le loro vite» le assicurò Elsa con fermezza. Stava scommettendo sui destini altrui nonostante non ne avesse le facoltà, ma era una donna disperata. Era sul punto di resuscitare le spoglia che aveva tra le braccia.
 Bhumi rifletté ancora e l’attesa fu pura tortura. Elsa era incuriosita dalla battaglia interna dentro la coscienza della principessa.
 «Non permettete al mondo di indurirvi il cuore, Bhumi» disse Elsa sommessamente, senza prestare attenzione alle lacrime che le colavano dal mento al pavimento di pietre e che si trasformavano a mezz’aria in ghiaccio, gocciolando e frantumandosi a contatto con il suolo. «Vi prego, da strega a strega».
 Finalmente la principessa cedette. «Allontanatevi dal cadavere».
 A Elsa balzò il cuore in gola. Annuì e posò con cura il capo di Hans a terra, indietreggiando a sufficienza in modo da consentire a Bhumi di lavorare, ma abbastanza vicino da poter accorrere al fianco del principe nell’istante in cui avrebbe inspirato aria.
 Bhumi osservava il corpo, un’espressione sprezzante in viso. Elsa si augurò che non stesse avendo ripensamenti.
 «Sia chiaro, una volta ridatovelo, accertatevi che non mi faccia del male» ordinò Bhumi, gli occhi assottigliati. «Mi fornirete la vostra nave e cominceremo immediatamente a dare la caccia a Carol. E se non manterrete la vostra parola, ucciderò voi e tutti i Westergard».
 Subito Elsa annuì. La posta in gioco non era mai stata tanto alta, ma era la prima volta che si sentiva davvero sicura di sé.
 Con un sospiro, Bhumi si voltò verso Hans, abbassandosi e picchiettandolo sulla guancia con il minimo sfioramento del dito.
 Le orecchie di Elsa non conoscevano suono più dolce del rantolo disperato di Hans. Bhumi arretrò attentamente di un passo, mentre Elsa si precipitava al fianco dell’uomo. Dai suoni che emetteva, Hans assomigliava a un animale morente ed Elsa piangeva e si aggrappava e gli stringeva la mano perché non si arrischiava di cingerlo per il busto.
 Probabilmente i due stavano facendo proprio una bella figura davanti a Bhumi. Elsa aveva mille ciuffi ribelli che le sfuggivano dalla treccia, ma che s’infischiava di scostare, e il vestito prestatole al palazzo delle Isole del Sud le pendeva dalle spalle come un lenzuolo della taglia sbagliata. Hans sembrava aver passato un inferno, specie perché si era appena ridestato. A coronare il quadro, aveva i capelli scompigliati, una pelle pallidissima e la faccia spaventata.
 Tuttavia in quel momento Elsa si disinteressava delle apparenze: si limitava a singhiozzare e a ridere mentre Hans respirava, dato che negli ultimi minuti era stato esanime. Aveva l’aria nei polmoni ed era l’unica cosa che contava.
 «Elsa?» sussurrò lui tra un ansito e l’altro.
 «Sì. Sì, sono Elsa» gli rispose. «Siamo vivi, tranquillo».
 Hans allungò la mano libera e le circondò la cintola, trascinandola a terra con lui e recuperando il fiato. Lei non aveva nulla di cui lamentarsi e lo abbracciò delicatamente.
 «Bhumi?» le domandò.
 «È qui, però—»
 Prima che riuscisse a terminare la frase, si accorse di una chiazza sfocata in movimento e si volse verso l’entrata della caverna. Lì, ansante e armata con una spada, c’era Anna, che cercava indubbiamente Bhumi. Elsa si ricordò di averla sollecitata a introdursi nella grotta al tramonto.
 Si levò in piedi e salutò Anna. Non avrebbe mandato in fumo il compromesso per colpa della lealtà della sorella. «Anna! Anna, è tutto a posto! Non aggredirla!»
 Anna si accorse di Elsa e abbassò cautamente la lama, anche se era felice di vederla sana e salva. Poi notò Hans sul pavimento, che aveva difficoltà a sedersi e si reggeva con l’ausilio della gamba di Elsa.
 «Lei è qui?» boccheggiò lui, riferendosi a Bhumi. «Dobbiamo…» Non concluse l’interrogativo, ma sul suo palmo apparve una debole fiamma.
 «No» replicò Elsa. «Non siamo più contro la principessa Bhumi. Abbiamo un accordo».
 Hans occhieggiò Elsa come se lei lo avesse condannato di nuovo a morte. «Tu cosa
 «Annullo la missione di salvataggio?» interruppe Anna dall’ingresso della caverna.
 Elsa confermò e Anna annuì, per poi tornare nel corridoio dove la truppa attendeva presumibilmente il segnale per attaccare.
 Bhumi, che finora era rimasta in disparte e aveva studiato silenziosamente il dispiegamento degli eventi, assunse il comando. Uscì dalle ombre e sollevò il mento. «Alzatevi. Ce ne andiamo».
 Hans era chiaramente sgomento, ma non reagì grazie all’avvertimento di Elsa. La guardò supplichevole, chiedendole cosa stesse accadendo, ma Elsa scosse la testa e lo aiutò a issarsi. Lui aveva le gambe che vacillavano e si appoggiò a Elsa. A lei la cosa non pesò.
 La neve caduta quando Hans era privo di sensi aveva iniziato a scomparire, lasciando solo rimasugli di polvere fredda sul pavimento di pietra che Elsa sperava di non dover più calpestare.
 Bhumi li aspettava all’entrata della caverna. Non pareva granché contenta e non lo era nemmeno Hans. «Sbrigatevi. Partiremo domani all’alba».
 La principessa girò i tacchi e si addentrò nel passaggio buio. Elsa e Hans la tallonarono, lenti e tremanti.
 «Che sta succedendo?» sibilò Hans a Elsa.
 La mente di Elsa fu varcata da un milione di pensieri. Che per pura disperazione avesse stipulato un patto folle? Non lo ricordava. Scosse il capo.
 «Qualcosa di buono, mi auguro».

Senza sorprendere nessuno, all’equipaggio non piacque avere a bordo Bhumi. E a dire la verità, non piaceva neanche a Elsa. Non si fidava di un’esperta omicida dalla morale flessibile e incline a rompere le proprie promesse. Ma paragonate a un paio di giornate spese in sua compagnia, la vita di Hans era più preziosa.
 Elsa avrebbe voluto raccontare a Hans, Anna e Kristoff di quello che era avvenuto all’interno della grotta. Tuttavia, non appena s’imbarcarono, i marinai la tempestarono di domande ed erano turbati dall’assenza di Jørgen e dalla comparsa della principessa di Aruna.
 Elsa si morse il labbro. La scrutavano tutti con un’aria stanca, fredda e confusa. Avevano il diritto di essere informati. Ma non era convinta della colpevolezza della regina Carol, non ancora. E non le avrebbero creduto. Era costretta a modificare il resoconto.
 Quel pomeriggio era stato all’insegna delle decisioni prese d’istinto ed Elsa si disse che la situazione non poteva peggiorare più di così, anche comportandosi di nuovo impulsivamente. Spostò una piccola cassa e vi montò sopra, torreggiando sulla folla.
 «Silenzio, prego» annunciò, agitando le braccia per zittire la massa. Eppure ottenne l’obiettivo molto facilmente: ognuno era interessato a ciò che aveva da comunicare.
 «Sono trascorsi mesi da quando il principe Jørgen e il principe Hans hanno iniziato a perdere i loro genitori e i loro fratelli e stasera abbiamo scoperto il movente e le identità dei fuorilegge. La famiglia Westergard avrà finalmente la sua vendetta!»
 La gente esultò, anche se alcuni erano ancora confusi e si scambiavano mormorii tra loro. Per quanto riguardava il lavoro legale e praticamente ogni dovere reale, Elsa sapeva di non essere stata una brava regina, ma era molto abile davanti a un pubblico. Conosceva le parole esatte per accontentare il popolo nonostante venisse tradita dalle sue azioni.
 «Sfortunatamente, il vostro principe Jørgen è stato catturato da un orribile traditore delle Isole del Sud» proseguì ed esplose una nube di sussurri sconvolti. «Non è morto, non spaventatevi! Ma è diventato la pedina di una partita che abbiamo intenzione di vincere! Salveremo il principe e faremo capire a quegli assassini che noi non molliamo mai!»
 Eruppe un altro coro di giubilo, inferiore di volume e più dubbioso. Hans la osservava con un’espressione strana, quasi divertito sotto il tormento e la fatica che provava. Elsa tentò di non ricambiare lo sguardo per non perdere la motivazione.
 «Ma ho qui con me una persona che è in grado di rimediare ai nemici del vostro regno. E con i suoi poteri magici può far tornare in vita la famiglia reale!»
 La dichiarazione fu seguita da un brusio smarrito e un parlottio sbigottito. Elsa rivolse un’occhiata alla principessa indiana, i cui occhi erano sgranati. Evidentemente non si era aspettata di venire dipinta sotto una luce positiva.
 «La principessa Bhumi di Aruna desidera aiutarvi a correggere i torti commessi dal demonio che ha rapito il principe Jørgen. È capace di resuscitare i defunti ed è disposta—»
 «Non è lei la donna che vi ha condotto all’interno della grotta?» urlò un marinaio, presumibilmente uno di quelli che avevano accompagnato il gruppo in barca.
 Elsa strinse le labbra, mentre tra la folla si sparsero ulteriori borbottii. Bhumi pareva un po’ preoccupata, quasi nervosa.
 «La principessa stava facendo il doppio gioco con il furfante» ribatté Elsa, lì lì per esporre la verità per intero. «Giura che l’unica cosa che vuole al momento è consegnare alla giustizia il vero criminale».
 Ci furono altri pispigli, solidali ma comunque inquieti.
 «È per caso una negromante?» gridò qualcuno.
 Elsa era al corrente del livello di intolleranza sopra la media che la popolazione della Isole del Sud serbava contro la magia. Ma adesso al comando c’erano lei e Hans: i cittadini erano obbligati a prestare almeno un po’ di rispetto nei confronti di essa.
 «La principessa Bhumi è qui per elargire soccorso» affermò Elsa con una nota decisiva. «Vi riconsegnerà il vostro re e i vostri principi. Vi suggerisco di accogliere le sue richieste».
 La folla borbottò, concordando con Elsa, anche se molti nutrivano sentimenti contrastanti.
 «Partiremo domani mattina» concluse. «Siete congedati».
 L’equipaggio si diresse verso le zone letto bofonchiando e ci furono coloro che sulla strada per andarci squadrarono Bhumi ed Elsa. Era ovvio che si fidavano unicamente di Jørgen. Chi li sovrintendevano in quell’istante? Il principe traditore e l’ex regina di Arendelle. Il vuoto di autorità era disorientante. Ma per stasera ci avrebbero dormito sopra.
 Anna si precipitò da Elsa non appena lei scese dalla cassa. «Non può essere finita così, raccontami tutto».
 Elsa sorrise e strinse Anna in un abbraccio, felice che lei stesse bene. Durante l’ora scorsa si era resa conto della facilità con cui si potevano perdere i propri cari.
 «Le colpevoli dei delitti sono la madre di Hans e Bhumi. La regina Carol possiede dei poteri magici e tiene ostaggio Jørgen per impadronirsi del mondo».
 Anna strabuzzò gli occhi. «Che?»
 «È una lunga storia: ti spiegherò meglio domani» mugugnò. «Ho bisogno di una dormita».
 Sebbene Anna sembrasse sul punto di esplodere, annuì e sospirò profondamente. Augurò a Elsa la buonanotte e si unì a Kristoff per discutere delle informazioni ottenute prima di andare a letto.
 Questo la lasciò con Hans e Bhumi. Elsa li notò mentre cercavano di stare il più lontano possibile l’uno dall’altra, entrambi con delle facce estremamente a disagio. Elsa provò a sorridere alla principessa.
 «Potete soggiornare nella cabina del principe Jørgen» offrì Elsa, inclinando la testa per mostrare la strada a Bhumi.
 Bhumi passò da agitata a dura come la pietra. «Guidatemi».
 Elsa la condusse alla stanza, auspicandole un buon riposo e ricevendo un’occhiataccia disorientata e una porta sbattuta in faccia. Sperò che, trattandola con cortesia, Bhumi non avrebbe cambiato idea.
 Hans, che le aveva seguite, circondò Elsa da dietro con le proprie braccia. La sonnolenza di Elsa crebbe immediatamente e lei gemette, abbassando le palpebre.
 «Che è accaduto?» domandò Hans. «Che è accaduto dopo che sono morto?»
 Elsa era ritrosa a parlarne. Invece cominciò a camminare, sciogliendo l’abbraccio e prendendolo per mano. «Stanotte resta in camera mia, ti chiarirò ogni dubbio».
 Hans era leggermente sorpreso. «Oh. Quindi..?»
 Elsa sorrise, le guance che si arrossarono. «Non oggi. Solo… rimani con me. Voglio sentirti respirare».
 Quando entrarono nella cabina, lui le strinse la mano. «Per te, non smetterò mai di farlo».

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Capitolo 29
*** Ventotto ***


Ventotto

«Bhumi, mi faresti il favore di cominciare?» chiese la regina e la principessa annuì, allontanandosi da Elsa per spostarsi nell’area della caverna dove stavano i Westergard. Davanti a Elsa si trovavano una regina data per dispersa e dotata di poteri magici, una principessa più sanguinaria di quanto Hans aveva sostenuto che fosse e due principi agghiacciati, chi più inorridito dell’altro.
 «Incontrai vostro fratello Charles ad Aruna» iniziò a raccontare Bhumi. «Cercava di aprirsi una breccia per ottenere il trono. Ma io lo smascherai e lo torturai fino a quando non mi rivelò il vostro grande progetto. Quindi presi le redini della situazione per rimediare agli errori di questa famiglia. Avrei salvato tutti i paesi che stavano per cadere nelle mani dei Westergard».
 «Bhumi catturò me e il re» proseguì la regina Carol. «Annunciò che stava per giungere la fine del nostro regno del terrore e che avrebbe assassinato tutti i nostri figli». Rise come se quello fosse stato un equivoco da niente e non un eccidio. «E io le dissi: “Ti prego, non averla a male con loro. Puoi avere Charles e il re, ma risparmia gli altri”».
 «E allora li uccisi» terminò Bhumi, un sorriso graffiante sulle labbra. «La regina Carol mi portò in un luogo remoto dove deporli: alla Calanca di Cruorenero».
 Hans si riscosse dal suo stato di apatia. Non c’era un angolo del suo viso che non fosse terso dalle lacrime. «Li avete uccisi in questa caverna?»
 «Vostro padre esalò il suo ultimo respiro proprio qui».
 Hans emise un suono strozzato e incavò talmente forte le unghie nei propri palmi da far temere a Elsa che sarebbero sanguinati.
 «Eppure non fui soddisfatta quando mi resi conto che si trattava della stessa famiglia che mi aveva ospitato nel loro castello diversi anni addietro. La stessa famiglia il cui figlio mi aveva tormentato perché possedevo dei poteri magici. Mi siete costato molto più di quanto voi non crediate. Vi voglio morto».
 «Io pensavo lo fossi già. Ero certa che fossi perito in mare» spiegò la regina. «Ma Bhumi mi convinse a dare un’occhiatina a dove ti nascondevi, giusto per esserne sicure. E ammirate, quando mi concentrai su di te e mi teletrasportai, arrivammo ad Arendelle! Scoprimmo che ti tenevano prigioniero: ero stupefatta. Così ci fu un cambio di piani».
 «Incastrarvi per gli omicidi affinché le nostre fedine risultassero completamente pulite» illustrò Bhumi, passeggiando con indifferenza mentre parlava. «Una semplice strategia: la regina mi avrebbe fatto da trasporto, trasferendomi nella dimora di ogni principe, che avrei eliminato e abbandonato ad Arendelle con allegato un biglietto con la vostra firma. La protesta generale sarebbe stata meravigliosa. Forse non vi avrei nemmeno dovuto toccare, visto il potenziale oltraggio che si sarebbe scatenato.
 «Per primo esibimmo il re. Decidemmo che disporre i corpi per ordine di nascita sarebbe stato di maggiore impatto».
 «Io non sono pazza». La regina Carol si rivolse ai suoi figli. «Mi riterrete spietata per aver permesso che i vostri fratelli soccombessero. Ma era tutto parte di un disegno. Ho concluso che, se avessi lavorato abbastanza, lei avrebbe stipulato un patto con me. E l’ha fatto. Ha promesso che, dopo Charles, avrebbe accantonato i tuoi fratelli minori e che avrebbe risparmiato te, Jørgen caro. Escludendo lui, ha accettato di fermarsi». Annuì brevemente in direzione di Hans.
 Elsa era esterrefatta dall’insensibilità della donna. Hans l’aveva descritta come una pessima madre e come una crudele manipolatrice. Ma Elsa non avrebbe mai immaginato che potesse spingersi a tanto.
 «E ho persino convinto quest’angelo di principessa a ridestare il resto dei tuoi fratelli. E una volta finita qui, andremo ad Arendelle e ci riprenderemo tutti, tranne Charles, purtroppo. Lui non era negoziabile».
 «L’hai… l’hai aiutata ad ammazzare i tuoi stessi figli?» sussurrò Jørgen.
 «Era solo una situazione temporanea, caro».
 «Li hai guardati morire?» ringhiò Hans. «Ci hai goduto
 «Sta’ zitto» scattò la regina. «Non sei nella posizione per ribattere. Saluta tuo padre da parte mia».
 «Sei malvagia» mormorò Jørgen, scuotendo il capo e incespicando all’indietro, rischiando di inciampare nella sedia.
 «Jørgen… tesoro, non contrariarti: mi sono assicurata che non ti facesse del male! Non avrei mai consentito che il mio figlio preferito restasse ferito. Ora, perché non ci ricongiungiamo con i tuoi fratelli là fuori? La principessa Bhumi si occuperà di Hans e poi partiremo e recupereremo i tuoi fratelli».
 Bhumi s’irrigidì di colpo. A Elsa l’idea della regina Carol parve assurda. Credeva che i suoi figli fossero..?
 «Là fuori non ci sono i nostri fratelli» replicò Jørgen, timoroso di sua madre. «Siamo gli unici rimasti».
 La regina Carol era spiazzata. «Cosa?»
 Bhumi fece del suo meglio per rimanere impassibile. Quella scena la deliziava.
 La regina non aveva un’aria molto felice sapendo di essere stata ingannata. Si girò con una faccia velocemente avvampata dalla collera. «Bhumi. Avevamo un patto: ti saresti fermata al settimo!»
 «E l’ho fatto» rispose la principessa. «Ho risparmiato il tuo settimo fortunato».
 «Non è così che ci siamo messe d’accordo!» sputacchiò la regina. «Riportami i miei figli adesso!»
 Bhumi incrociò le braccia e scosse la testa. «No. Accontentati di quello». Il suo sguardo divenne gelido come la pietra. «Riflettici due volte prima di provare a conquistare i regni altrui».
 «Oh, squallida—» iniziò a insultare la regina, ma Bhumi la interruppe con una mano distesa, il dito puntato in avanti.
 «Carol, non ti dispiacerebbe se toccassi te o tuo figlio, vero?» La regina non ribatté, ma le lanciò occhiatacce. «Ti consiglio di levarti dai piedi. Considerati fortunata se ti lascio scappare. I rapporti di diplomazia tra Aruna e le Isole del Sud cessano per sempre».
 La regina era rossa dalla furia. Elsa capì da chi l’aveva ereditato Hans. «Bene» latrò. «Ma non finisce qui. Mai tradire Carol Westergard. Nelle prigioni di Corona mi avanzano due figli: due malviventi che ti rovineranno la vita. Puoi tenerti gli altri! Me ne bastano tre per impadronirmi del mondo
 Carol afferrò Jørgen per il polso e lui urlò. Si voltò verso Elsa, la paura che gli stravolgeva il viso, prima di scomparire insieme alla madre, come se non ci fossero mai stati.
 Sulla caverna calò il silenzio. Elsa era in grado di sentire solo il battito del suo cuore e quello che supponeva si trattasse del respiro di Hans, che ansimava pesantemente. Guardò Bhumi con gli occhi sgranati, all’oscuro di che aspettarsi. La principessa di Aruna aveva le braccia conserte e non un capello ribelle sfuggiva dal suo manto. Aveva un’espressione troppo compiaciuta per essere appena stata minacciata dalla regina Carol.
 La principessa improvvisamente scrutò Elsa, come se fosse consapevole di essere osservata dall’ex regina. Se fosse stata un’altra occasione, Elsa avrebbe distolto lo sguardo, leggermente in imbarazzo per essere stata colta in fallo. Invece continuò a studiarla, sforzandosi di capire a cosa mirasse Bhumi. Che avesse mentito anche sull’uccidere Hans? Era un sogno inverosimile, ma forse…
 «E voi cosa c’entrate?» domandò Bhumi, analizzando Elsa. «Perché la regina che ha incarcerato Hans è venuta a supportarlo? Vi ha corrotto? Ricattato? Siete libera di andarvene, i vostri debiti sono pagati».
 Avendo difficoltà a elaborare quelle parole, Elsa si concesse un momento per riflettere, per poi scuotere il capo. «No» fu tutto ciò che disse.
 La principessa alzò le sopracciglia. «Non vi difendete, regina delle nevi?»
 «Lasciatela in pace» l’avvertì Hans, crollato sulle proprie ginocchia. Elsa mosse lo sguardo da Bhumi all’uomo, che pareva aver affrontato guerre intere sebbene ciò che avesse affrontato negli ultimi minuti erano delle confessioni. «Lei non ha niente a che fare con gli affari della mia famiglia».
 Era una menzogna palese e Bhumi la fiutò. «Dunque la regina di Arendelle non è immischiata con il ritrovamento dei cadaveri comparsi nel suo regno?»
 Con una certa fatica, Hans si levò dal pavimento di roccia. «Non avete nulla contro di lei, non coinvolgetela».
 Bhumi inclinò il capo. «Ooh, comincio a credere diversamente. Lei è speciale, principe Hans? Il prigioniero rinnegato si è preso una cotta per la regina? Oh, ma che cosa interessante, non è vero? La famiglia Westergard è piena di ipocriti. Voi e vostra madre siete così avversi alla magia da condannare coloro che la possiedono, eppure vi siete innamorato di lei?»
 Si voltò in direzione di Elsa con un sorriso cospiratorio, come se solo loro due fossero in grado di percepire l’ironia. Elsa non ricambiò. «E voi che ne pensate? Vi rendete conto che questo miserabile, orribile—»
 «Sì» replicò Elsa, troncando la donna. «Sono al corrente dei suoi sentimenti. E ne sono onorata». Hans adesso era in piedi ed Elsa cercò con tutte le sue forze di restare tranquilla, mentre si dirigeva con calma verso il principe.
 Gli occhi di Bhumi si affilarono dalla confusione. «Temo… temo di non comprendere. Carol mi ha detto che Hans ha provato a conquistare Arendelle e che, dopo aver tentato di assassinare vostra sorella, aveva una spada volta al vostro collo. È corretto?»
 Elsa si morse il labbro. «Sì… ma è cambiato molto da allora». Si avvicinò a Hans e gli allungò una mano perché lui gliela afferrasse. Lui gliela prese con riconoscenza, stringendogliela come se ne dipendesse la sua vita. E dopotutto, forse era vero. Se Elsa riusciva a far parlare Bhumi, Hans avrebbe potuto coglierla di sorpresa, lanciarle contro del fuoco e insieme sarebbero scappati via.
 «Non vi capisco» obiettò Bhumi, guardando le mani congiunte con disgusto. «Tuttavia non torcerò un capello a voi. Pertanto fatevi da parte. Se mi ostacolate, vi ucciderò».
 Elsa si spostò davanti a Hans. Tese le braccia in fronte a lui in maniera protettiva, formando una barriera umana. «No. Non lo toccherete».
 «Elsa» sussurrò Hans. «Spero che tu abbia—»
 «Morirà in ogni caso» lo interruppe Bhumi. «Toglietevi di mezzo».
 «Un piano?» bisbigliò Elsa, ignorando Bhumi. «Più o meno. Quasi». Contava sulla propria velocità per costruire un muro di ghiaccio e distanziare se stessa e Hans da Bhumi in caso venissero attaccati. Magari rinchiudendola dentro la caverna l’avrebbero bloccata alla Calanca di Cruorenero, sfuggendo alla sua furia. Più Elsa ci ragionava sopra, più ne era certa. Il suo cuore spiccò il volo: finalmente sarebbero stati fuori pericolo.
 «Ne sei sicura?» domandò Hans.
 Elsa si girò per lanciargli un’occhiata e garantirglielo con un sorriso. Ma nell’istante in cui si voltò, il viso di Hans si contorse dall’orrore. Elsa non ebbe il tempo per volgersi, ma si rese subito conto del proprio raccapricciante errore. Non ebbe il tempo per costruire un muro di ghiaccio. Non ebbe il tempo per agire.
 L’unica cosa che Elsa avvertì fu un freddo dito contro il collo, poi il nulla.

Aveva l’impressione che qualcuno le avesse riempito i polmoni con il piombo. Elsa annaspò come se in vita sua non avesse mai respirato. Stava fissando la soffitta della caverna – quando era caduta a terra? Una voce echeggiò nelle sue orecchie: una risata? Elsa emise un suono strozzato e continuò ad affannarsi, provando a rammentare quello che era avvenuto.
 Lei era in una grotta, era alla Calanca di Cruorenero con Hans e Jørgen— no, solo Hans. Jørgen era stato portato via dalla madre, che possedeva dei poteri magici. Elsa ricordò di essere… deceduta. La principessa Bhumi l’aveva toccata: lei era deceduta. Elsa era deceduta.
 Strizzò gli occhi, la luce delle torce che divampò maggiormente. La luce delle torce… ma come faceva a vederla?
 Le risate si protrassero ed Elsa riconobbe Bhumi. L’ex regina osò sedersi, nonostante le vorticasse la testa e si sentisse dolorante.
 Hans, che solo alcuni attimi prima era dietro di lei, aveva la schiena contro il muro. Indietreggiando, era finito per cadere a terra e in faccia gli si era congelata un’espressione inorridita. Pareva un uomo che avesse perso ogni cosa. La luce delle torce divampava perché Hans aveva perso il controllo delle sue emozioni.
 Le risa cessarono. «Sapete, sono capace di rendere tutto questo molto più divertente. I morti non restano morti per sempre».
 Elsa guardò Bhumi, che le era vicino, il profilo che si stagliava sull’ex regina.
 «Per cui noi due non abbiamo fretta, Hans» sibilò Bhumi. «Sono in grado di prendere le cose con quanta più calma e sofferenza voi riusciate a concepire».
 Hans tentò di parlare, ma si limitava ad aprire e chiudere la bocca, che copriva con la mano per lo shock. Se Elsa non fosse già consapevole della sua devozione, glielo avrebbe rivelato lo sguardo che aveva negli occhi in quell’istante.
 «Lei è importantissima, giusto?» chiese Bhumi, le dita che si libravano sopra la testa di Elsa, sfidando Hans a controbattere.
 «Vi prego, non fatele ancora del male» la implorò, cercando di alzarsi in piedi. «Sono cambiato. Non sono più quel ragazzino che vi ha preso in giro alle Isole del Sud. Mi dispiace. Se voi—».
 «Non m’importa se siete cambiato, quello che è successo è successo!» lo contestò, il tono più aspro rispetto a prima.
 «Non posso rimediare in qualche—»
 «Non potete rimediare!» urlò Bhumi. «Non potete rimediare a ciò che è accaduto!»
 Si trattava di qualcosa di più terribile delle prese in giro. Le dita sopra Elsa si chiusero in un pugno e poi si distesero. Il rancore di Bhumi era motivato da cause ben più profonde di quanto avessero anticipato.
 «Avete… avete detto che abbiamo tutto il tempo che volete» rimarcò Hans con cura. «Vi prego. Prima di uccidermi, spiegatemene il perché».
 Bhumi si sforzò a rifiutare la proposta. Finalmente, dopo aver atteso a lungo, il momento che tanto bramava era giunto. Ma la prospettiva di spiattellare la verità era troppo irresistibile.
 La principessa cedette, ma senza abbassare la guardia. «Quando la mia famiglia lasciò le Isole del Sud, mio padre, il sultano di Aruna, era talmente furibondo che tagliò i ponti con il mondo esterno. Ma non si adirò solamente con la vostra famiglia, ma con me. Credeva che io avessi esagerato e che avessi rovinato i nostri rapporti internazionali! Era colpa mia se l’accordo era andato a rotoli. Avevo dieci anni, che crimine avevo commesso?»
 Gli occhi di Bhumi bruciavano dalla rabbia che non era diretta unicamente a Hans. La luce delle torce incorniciò le ombre del suo viso.
 «Fui punita diventando il boia di Aruna. Mio padre voleva insegnarmi la crudeltà della gente. Ladri, adulteri, assassini: tutti condannati al mio tocco. Sosteneva di avere buone intenzioni, ma avevo dieci anni! Ed ero costretta ad ammazzare ogni criminale di Aruna. Mio padre era dell’opinione che si trattasse del metodo più efficiente, niente sangue versato! Era così semplice!» Bhumi iniziò a ridere senza divertimento, una risata che reggeva il fardello degli anni.
 «Fui il boia di Aruna per nove anni e mio padre aveva ragione: imparai la crudeltà della gente. E imparai io stessa a esserlo. Perché dopo due anni mi feci apatica. Mi disinteressavo degli occhi supplichevoli o delle preghiere o delle giustificazioni. Non m’importava di nessuno. Tuttavia pensavo sempre a quel ragazzino che mi aveva forzato in quella posizione, il principe Hans delle Isole del Sud. Avete distrutto la mia vita. Hanno tutti paura di me, persino mia madre. Sono tutti convinti che io sia senza cuore. E forse non ce l’ho più. Me lo avete reciso dal petto, Hans Westergard».
 Bhumi si bloccò, trattenuta da un’idea improvvisa. Le sue labbra s’incurvarono ed Elsa era certa che non consistesse in nulla di buono.
 «Oh…» sospirò, il tono di voce frivolo. «Mah, temo proprio che non vi ucciderò, Hans. La giustizia poetica è una vendetta più dolce».
 «Bhumi» l’ammonì lui.
 «Mi avete reciso il cuore dal petto, Hans Westergard» ripeté lei. «E se vi ricambiassi il favore?»
 Elsa percepì la presenza della mano di Bhumi sopra la propria testa. L’ex regina, terrorizzata, chiuse le palpebre per rimanere in controllo delle proprie emozioni. Le lezioni con Hans l’avevano aiutata, ma non era nemmeno lontanamente pronta all’eventualità della morte.
 «Bhumi, vi prego, non fatelo» la scongiurò Elsa senza respiro. «Ricordatevi della tristezza, della paura che voi—»
 «Non mi avete ascoltato quando ho detto che non m’importa più? Per me uccidere è come bere un bicchiere d’acqua! E oh, quest’omicidio mi ricompenserà per gli anni trascorsi».
 «Bhumi, non fatelo» ringhiò Hans.
 Elsa avvertì le dita di Bhumi che erano sul punto di sfiorarle i capelli, quando una repentina onda di calore la fece sussultare e spalancare gli occhi. Bhumi si era lanciata all’indietro, lontana da Elsa di almeno un metro e mezzo.
 Hans si avvicinò a Elsa, la faccia precedentemente spaventata e agghiacciata che ora esibiva pura collera. Le sue sopracciglia erano aggrottate, i suoi denti in bella mostra e inspirava, come se anche lui come Elsa fosse appena tornato dall’aldilà. Aveva gettato al vento la cautela ed era determinato ad arrostire la mano di Bhumi prima che lei toccasse Elsa ancora una volta.
 Elsa annaspò e saltò in piedi. Si avvinghiò a Hans, adesso capendo perché prima lui si fosse stretto a lei come ancora di salvezza.
 Lo sguardo di Bhumi si affilò. «Va bene, Westergard. Colui che odiava la magia e che mi ha rovinato la vita. Voi contro di me».
 Hans abbracciò forte Elsa, poi balzò all’azione, scagliando sfere di fuoco contro Bhumi, che le schivò tutte, evitandole proprio come aveva evitato gli attacchi di Elsa quando si erano scontrate al porto delle Isole del Sud. Di certo era veloce, quello non lo si poteva negare.
 Hans fendette l’aria con gesti taglienti e di colpo la luce sparì.
 «Venite a prendermi!» urlò, la voce che rimbombò contro le rocce della caverna.
 Ma non ci fu alcuna risposta. Non un suono che provenisse da Bhumi, neanche un sussurro. Elsa cominciò ad agitarsi.
 «Hans» lo chiamò, con l’intenzione di chiedergli di riaccendere le luci.
 Le fiamme delle torce tornarono a danzare, ma Elsa gridò quando vide che nel buio Bhumi era sgattaiolata alle spalle di Hans, conoscendo perfettamente la sua posizione. E con un semplice tocco, prosciugò la vita dal volto di Hans e il corpo del principe cadde a terra con un tonfo angosciante.

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Capitolo 30
*** Trenta ***


Trenta

Prima di partire per Arendelle, la nave fece una piccola sosta alla capitale delle Isole del Sud. Essendosi aspettati meno di una settimana di viaggio, la compagnia si ritrovò con una severa mancanza di provviste. Inoltre, tre dei fratelli e alcuni membri dell’equipaggio erano in attesa di essere rianimati. Per cui programmavano di trattenersi brevemente al castello, per poi cominciare il viaggio di due settimane verso Arendelle. Elsa si chiedeva come avessero fatto tutti a credere che l’assassina dei Westergard fosse riuscita a commettere i suoi delitti senza usare la magia.
 Bhumi non conversava con nessuno. Nessuno la vide uscire volontariamente dalla sua cabina e nessuno era abbastanza stupido da domandarle il perché. Elsa tornò a mettere in dubbio l’accordo che aveva stretto con la donna. Davvero aveva concesso l’immunità a un’omicida? Cercò di giustificare la situazione ricordandosi che le persone che Bhumi aveva ucciso stavano presto per resuscitare, ma, con delle vite in ballo, aveva la sensazione di aver stipulato un patto con il diavolo.
 Anna era stranamente… silenziosa. Ultimamente Elsa non aveva prestato tantissima attenzione alla sorella, ma la principessa rapita di Arendelle sembrava avere svariate grane per la testa. Elsa avrebbe potuto buttarsi e chiederle se avesse bisogno del suo aiuto; tuttavia, dopo ciò che era accaduto, era consapevole che Anna era in grado di cavarsela da sola.
 Hans, d’altro canto, non smetteva di blaterare. Continuava a meravigliarsi del fatto che Bhumi avesse concordato per ridestare la sua famiglia. A quanto pareva, si era lasciato i trascorsi con i suoi fratelli alle spalle. Elsa non faceva a meno di sorridere, mentre lui s’interrogava ad alta voce su cosa avrebbe detto a loro e su come avrebbero reagito ai piani di Carol. Però, soprattutto, non smetteva di rallegrarsi per suo padre.
 «Insomma, la prima volta che ho rubato una nave per andare ad Arendelle mi sono sentito malissimo, ma solo perché sapevo che mio padre avrebbe disapprovato» sproloquiò Hans. Mancava una notte perché la nave attraccasse ai porti del castello. «Ero dell’avviso che prima o poi mi avrebbe perdonato, dopo aver conquistato un regno ed esserne ritenuto degno da madre. Ma… non l’ho più rivisto».
 Elsa sedeva sul letto, sciogliendosi i capelli e spazzolando le onde mosse. Osservava Hans che andava su e giù per il pavimento, strofinandosi le dita e creando piccole scintille innocue. Il fuoco scoppiettò e divampò nelle sue mani ed Elsa ebbe il dubbio che lui non se ne rendesse conto.
 «L’opportunità di parlargli ancora… wow» esclamò, si fermò e spense le fiamme chiudendo la mano a pugno. «È stato difficile perdere l’unica persona di cui sentivo di potermi davvero fidare».
 Elsa guardò le lenzuola, proseguendo a ravviarsi la chioma. Doveva essere bella la prospettiva di una chiacchierata con un genitore che reputavi perduto per sempre.
 Hans rise sommessamente. «Era l’unico—» Girò i tacchi, arrestandosi quando si accorse che Elsa ovviamente non condivideva la sua gioia. La comprensione lo colpì come una pietra.
 «Oh. Mi… dispiace. Non mi ero accorto—»
 Elsa scosse il capo, perdonandolo. Sollevò lo sguardo per incontrare la sua espressione in colpa e sorrise lievemente. «Va tutto bene. Sono felice per te».
 Hans non rispose, ma sfregò di nuovo le dita insieme, nervosissimo. «Anche se Bhumi non mi ridesse mio padre, avrei comunque te con cui confidarmi. Sei l’unica con cui io sia riuscito a esprimermi con onestà».
 Era vero anche il contrario. Quando Elsa aveva perso i suoi genitori, non aveva avuto nessuno con cui aprirsi – oltre ad Anna, che considerava troppo pura e innocente per caricarla di un tale peso. Persino dopo l’avventura durante l’estate della sua incoronazione, aveva ancora molto su cui lavorare con lei. Era sua sorella, ma molte volte non capiva Elsa. Hans, invece, sì. Sebbene le loro esperienze non fossero identiche, il modo con cui gestivano i problemi e affrontavano il mondo intorno a loro collimava più di quanto non coincidesse con i metodi altrui.
 La treccia di Elsa era completamente sfatta e le ciocche ribelli le coprivano il viso. Hans le si avvicinò e le scostò i ciuffi con le mani calde, sorridendole dall’alto. Tenne le dita tra i suoi capelli, scorrendo gentilmente i propri polpastrelli lungo la sua cute. Lei abbassò le palpebre, appagata.
 «Hai salvato la mia famiglia» mormorò lui. «Non so come ci sia riuscita, ma hai convinto un’assassina ad accantonare il suo rancore e risanare la famiglia Westergard».
 Elsa tralasciò che al momento dell’accordo il suo senso del giudizio era stato compromesso. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riavere Hans con sé.
 Lui le sfiorò la fronte con le proprie labbra. «Sono l’uomo più fortunato al mondo».
 Elsa ruppe la quiete e rise, aprendo gli occhi. Hans era un po’ confuso, la mano che smise di accarezzarle la chioma. Non aveva alcuna idea di quanto fosse melodrammatico.
 «I tuoi discorsi sono da manuale» rimarcò Elsa, ridendo e posando la mano sul mento di Hans per guidarlo delicatamente in un bacio.
 Lui lo accettò, ma si staccò con le sopracciglia aggrottate. «Non ti do l’impressione di essere spontaneo?»
 Elsa rise di nuovo, attirandolo accanto a sé sul letto. «Per niente. Ma sei perfetto così».
 Sperò che il resto della notte trascorresse senza che venisse pronunciata alcuna parola, loro due che si baciavano e basta, ma Hans si tolse nuovamente, una leggera apprensione nello sguardo. «Cosa penserà mio padre di noi due?»
 «Sei proprio un esperto nel rovinare l’atmosfera» replicò Elsa, ma sorrise e lo zittì con un altro bacio; questa volta per davvero.

Il giorno successivo fu il più freddo di quell’anno. Hans si chiedeva tra sé e sé se avrebbe nevicato ed Elsa prometteva di essere in grado di proteggere la nave dai pericoli del clima rigido. A lei non dispiaceva il gelo, ma notò come gli altri si fossero infagottati più del solito.
 Quel pomeriggio, prima di ormeggiare, la principessa Bhumi fece un’inaspettata comparsa sul ponte. Nei dintorni calò il silenzio e la folla si scostò, così da isolare la principessa al centro. Lei incrociò le braccia e strinse le labbra. «Non fissatemi come se fossi un fantasma» ordinò Bhumi. «Voglio solo prendere una boccata d’aria».
 I marinai la osservarono nervosi e sulle spine, ma tornarono con riluttanza al lavoro. Elsa, che era da parte con Hans, scambiò un’occhiata con il principe prima di andare incontro all’ospite.
 Bhumi non parve sorpresa dalla presenza di Elsa, ma non ne era nemmeno entusiasta. Con la schiena dritta superava Elsa in altezza di quasi mezzo metro. L’ex regina cercò di non farsi intimorire dalla differenza di stazza e dal potere mortale dell’altra.
 «Quando arriveremo a destinazione?» chiese Bhumi con una voce borbottante.
 «Tra un’ora come minimo».
 Irritata, la donna sospirò, il respiro che si trasformò in nuvolette nell’aria gelida. «Si è così dolorosamente lenti viaggiando per mare. Con Carol, almeno, potevamo arrivare dappertutto all’istante. E in tal modo non ci vogliono secoli per sbrigare i propri affari».
 Elsa scrollò le spalle, mentre un vento soffiava nella loro direzione. Bhumi rabbrividì, stringendo ulteriormente le braccia e chinando la testa.
 «Avete freddo?» le domandò Elsa.
 «No» scattò lei. «Indosso il jilbāb e il hijab: sto bene».
 Ma non fu molto convincente. Bhumi tentava di nascondere i propri fremiti, ma senza successo.
 «Forza» suggerì Elsa, mostrandole la via. «Andiamo a procurarvi qualcosa di caldo con cui coprirvi».
 «Ho detto che sto bene» mormorò Bhumi, ma intendeva chiaramente il contrario. Per un attimo accantonò l’orgoglio per seguire Elsa.
 L’ex regina guardò velocemente Hans, annuendo per comunicargli che aveva la situazione sotto controllo. Lui avrebbe preferito accompagnarle, ma ricambiò il cenno. Elsa condusse Bhumi via dal centro affollato della nave e verso la propria camera, dove era sicura che tra i vestiti presi in prestito aveva anche dei mantelli.
 Raggiunsero la cabina e lei aprì la porta, facendole strada dentro la stanza leggermente più tiepida. Bhumi entrò e parve sentirsi immediatamente meglio con il minuscolo cambio di temperatura.
 Elsa aprì il grosso baule delle vesti della regina Carol. «Sono certa che qui dentro ci sia una cappa o uno scialle» esclamò rovistando.
 Scartò un abitino color smeraldo e uno mirtillo pieno di pieghe, cercando qualcosa di lontanamente pesante.
 «Da quanto tempo state insieme, voi e il principe?»
 Il quesito inaspettato da parte di Bhumi colse di sorpresa ed eccitò Elsa. Se i loro rapporti erano migliorati al punto che Bhumi era disposta a rivolgerle la parola, allora lei era soddisfatta. O almeno non preoccupata della propria incolumità.
 «Uhm, be’, da soli due mesi circa, in realtà. È arrivato ad Arendelle quattro mesi fa. Ma sembra esser passato molto più tempo».
 Bhumi era indecifrabile. «Come avete iniziato a parlarvi?»
 Elsa si morse il labbro, intuendo che c’era qualcosa in ballo. «Lui, uhm, in realtà non facevamo che urlarci contro a vicenda. Mi ha detto che aveva bisogno di una nave. Credo che abbiamo iniziato a parlarci quando ci siamo resi conto di quanto fossimo simili».
 Gettò via un orribile panno giallo e si soffermò su un adorabile vestito color lampone prima di tornare al proprio compito. «Avevamo vissuto le stesse vicende a causa della magia, eravamo obbligati a domarla come se si trattasse di qualcosa di malvagio. Siamo stati entrambi cresciuti con la paura o l’odio verso i nostri poteri. E adesso stiamo piano piano imparando ad abituarci a non indossare i guanti».
 «I guanti?»
 Le dita di Elsa sfiorarono un tessuto lanuginoso… finalmente! Tirò fuori una stola marrone scuro foderata di pelle e tenuta insieme con dei bottoni di ottone di color spento. «I nostri genitori li usavano per arginare la magia. E funzionavano, ma ci hanno lasciato delle ferite dentro».
 Elsa si levò in piedi e scosse la polvere dallo scialle, poi si girò e lo consegnò alla principessa. «Eccovelo».
 Bhumi se lo avvolse attorno come una coperta, ma non perse l’interesse per la storia di Elsa. «Hanno tentato di sottomettere i vostri poteri?»
 L’ex regina si accomodò sul letto e annuì. Era solo leggermente imbarazzata dal fatto che fosse seduta sullo stesso letto che aveva condiviso con Hans la notte scorsa.
 «I miei problemi hanno avuto origine durante la mia infanzia. Avevo sette anni. Mia sorella Anna adorava giocare con me e la magia» cominciò a spiegare Elsa, ritrovandosi a raccontare a Bhumi della propria vita. La principessa, però, non appariva annoiata. Le stava dimostrando per la prima volta di essere una persona vera e propria, dotata di empatia.
 Chiacchierarono per un po’, prima che un membro dell’equipaggio bussasse alla porta e si scusasse per la sua intrusione, ma voleva avvertirle che la nave si stava approcciando al castello e che si preparavano ad attraccare tra mezz’ora.
 Bhumi, che aveva ascoltato attentamente, pareva avere la mente occupata da mille pensieri. Elsa si alzò e andò a chiudere il baule.
 «So che era una delle condizioni del nostro accordo, ma vi ringrazio per averlo accettato» disse Elsa sommessamente.
 «Accettato cosa?»
 «A rianimare i fratelli» rispose con una leggera scrollata di spalle. «È molto… nobile. Io credo nelle seconde possibilità».
 «Questa famiglia ha bisogno di accaparrarsi tutte le seconde possibilità che è capace di ottenere» borbottò Bhumi. Elsa cacciò una risata e cercò di nasconderla, fino a quando non vide il lieve sorriso di Bhumi. Allora, dopotutto, la donna aveva un senso dell’umorismo. Forse Bhumi aveva avuto un passato difficile, ma Elsa sapeva che il suo cuore non era di pietra come sosteneva che fosse.
 Le due uscirono dalla cabina, non esattamente amiche, ma con il minor numero possibile di risentimenti. Bhumi si strinse nel manto caldo e seguì l’ex regina sul ponte, da dove potevano ammirare il palazzo delle Isole del Sud che troneggiava sul fiordo luccicante.
 Il grande piano consisteva nell’aspettare per alcune ore dopo il tramonto e poi scendere dalla nave per andare a ridestare i principi e i marinai che erano periti qualche giorno prima. Alcuni membri dell’equipaggio informarono gentilmente Elsa che la nave avrebbe ormeggiato al tramonto e che per allora sarebbe stata ispezionata da delle guardie – per ragioni di sicurezza, ovviamente. Per cui Hans, Bhumi, Anna, Kristoff ed Elsa si nascosero nella sottocoperta, vicino alle brande e alle calzature. I quattro europei parlavano a voce bassissima intorno alla candela accesa, attendendo il via libera per mettersi all’opera. Bhumi continuava ad avvinghiarsi allo scialle, ascoltando silenziosamente i bisbigli degli altri intorno alla luce del lume.
 Finalmente un mozzo scese giù dai gradini di legno e li autorizzò a uscire. Dalle informazioni ricavate, si scoprì che i corpi dei principi e dei marinai erano adagiati in delle bare disposte nella sala vuota del trono, i consiglieri e i nobili che aspettavano di trovare un degno erede che decidesse del destino dei cadaveri.
 Il gruppo salì velocemente le scale, i stomaci tesi per la curiosità e l’emozione. Elsa scrutò Bhumi, le cui sopracciglia erano aggrottate. Lei era probabilmente la più nervosa. La principessa aveva messo in chiaro che non voleva avere una folla intorno mentre esercitava i propri poteri; pertanto Hans aveva decretato che solo loro cinque sarebbero stati al suo fianco. La delusione dell’equipaggio per essere stato escluso era evidente, ma gli ordini furono obbediti.
 Si recarono velocemente e silenziosamente in direzione del castello durante le prime ore notturne. Il lungomare era freddo e cheto. L’intera isola sembrava essere in lutto. Elsa pensò che forse il castello era disabitato e che non avrebbero avuto alcun problema a raggiungere le casse.
 Venne velocemente smentita quando Hans l’afferrò e l’attirò a sé nelle ombre, facendo febbrilmente segno agli altri di seguirlo. Dopo che Anna, l’ultima della fila, lasciò la zona rischiarata, scorsero delle pattuglie che circoscrivevano il perimetro del palazzo. I cinque respiravano a fatica mentre le guardie transitavano e giravano l’angolo.
 «Siamo costretti a passare per l’entrata della servitù» mormorò Hans, mollando finalmente la presa su Elsa. «Per di qua».
 Avanzarono verso la porta di legno sbiancata dal sole. Hans provò a aprirla, ma era serrata. Mantenne l’appiglio sulla maniglia e dopo un istante la fuse e fu in grado di tirarla via. La porta si aprì su un corridoio tenuemente illuminato. Hans li esortò a introdursi, conducendo la successione.
 Kristoff fischiò quando superò la serratura, che si stava raffreddando rapidamente ma che non era più riconoscibile. «Sono felice di essere dalla sua parte».
 Hans allungò la mano in avanti servendosene come una torcia e li guidò per il corridoio, oltrepassando le cucine e immettendosi nell’ala più calda del castello. Il principe diede un’occhiata all’atrio cautamente e lo attraversò con circospezione. A quel punto uscirono dall’andito, grati per la presenza di luce e calore.
 «Dov’è la sala del trono?» chiese Bhumi.
 Hans fece un gesto alla propria sinistra e iniziò a correre. Doveva essersi improvvisamente reso conto che stava per rivedere i suoi fratelli.
 Continuarono a zigzagare nel castello, quando il cuore di Elsa si arrestò nel momento in cui incontrarono una guardia. Quella aveva un’espressione stupita quanto la loro, ma subito si scagliò all’attacco, proclamando: «Alt!»
 Prima che Bhumi commettesse impulsivamente l’ennesimo omicidio, Elsa pestò un piede sul pavimento, una traccia di ghiaccio che si diffuse e congelò le gambe della sentinella a terra. Lui era shockato e tentò di liberarsi, ma invano. Cominciò a gridare, allora Elsa sollevò una mano e gli sigillò le labbra con uno spesso strato di ghiaccio. Si sentì in colpa alla vista del panico negli occhi dell’uomo, ma Anna le batté una pacca una schiena ed esclamò: «Brava!», al che il rimorso dell’ex regina scomparve quasi del tutto.
 Il gruppo scappò via dal soldato, accelerando il passo in caso venisse dato l’allarme nel palazzo. «Bhumi, lascia a me le guardie» le comunicò Elsa mentre si affrettavano. «Non vogliamo che—»
 «Risparmia il fiato» ansimò Bhumi fiondandosi in avanti.
 Raggiunsero la sala del trono. Era sorvegliata da due sentinelle, che furono subito immobilizzate al muro e intrappolate in bolle di ghiaccio che soffocavano loro la voce. Hans fece loro strada sciogliendo nuovamente le serrature delle porte e presto si addentrarono all’interno della stanza buia e colma della presenza della morte.
 Elsa bloccò le porte alle loro spalle e Hans andò alla ricerca di lanterne che potessero aiutarli nel processo. Bhumi si torceva le mani e fissava le bare, più nitide sotto la luce delle lucerne.
 «Okay» asserì Hans, spegnendo la fiamma nella propria mano. «Vi tirate indietro, principessa?»
 Lei non pareva pronta, ma mantenne il mento in su. «Ovvio che no. Se voi non rispetterete il patto, avrò la gioia di uccidervi ancora una volta».
 La cassa di Peter era adagiata nel centro della stanza barocca, dipinta di verde scuro e con sopra incisa frettolosamente la scritta “Principe Peter”. Hans fece per rimuovere il coperchio, ma esitò. Guardò Elsa per chiederle silenziosamente aiuto. Lei si precipitò dall’altro lato del feretro e annuì, assistendolo nell’elevamento della copertura.
 Dentro c’era un corpo immacolato, che, grazie alla maledizione, dall’aspetto non si sarebbe detto morto da neanche un giorno. Bhumi si avvicinò nervosamente, le mani congiunte.
 «Mi… mi avete garantito che non sarò aggredita» delucidò Bhumi.
 «Assolutamente» confermò Elsa. Così la principessa si sporse e picchiettò gentilmente la guancia dell’uomo con un dito.
 Le palpebre del principe si spalancarono, mentre lui ritornava in vita. Emise un suono strozzato e un rantolo e intanto provò anche a parlare. «Assassina! Mi ha preso! Ha preso S-Silje».
 «Peter» lo chiamò Hans e, mentre Elsa lo osservava, la felicità gli ridisegnò i tratti del viso. Era sì recente, ma gli si poteva leggere l’ammirazione nei confronti del fratello in faccia, lo sguardo sollevato e il sorriso grato. «Peter, sei vivo».
 Peter non accolse la situazione in maniera molto positiva. Cacciò un rumore incomprensibile, sforzandosi di levarsi in piedi e di venire fuori dalla cassa. «Hans! Perché sei— Sei per caso morto? Siamo stati tutti ammazzati!»
 «In… un certo senso» rispose Hans, la contentezza che non gli lasciò mai le labbra. «Ma siamo vivi. Siamo stati resuscitati».
 «Di che diavolo stai—» iniziò a commentare lui, poi si congelò quando vide Bhumi, che si teneva a distanza. «È… è lei! È lei la killer! M-mi ha ucciso!»
 «Peter» ribatté Elsa, «sono trascorsi cinque giorni dal vostro omicidio. È una storia lunga, ma la principessa Bhumi è dalla nostra parte. Credetemi. Stanotte riporterà tutti in vita».
 Peter smise improvvisamente di opporsi. «Tutti? Ci sta riportando in vita? Quindi… quindi Silje..?»
 Elsa sorrise. «Sì, anche Silje».
 Peter si volse verso Bhumi, che aveva gli occhi sgranati ed era pronta a difendersi. Ma lui le disse: «Vi ringrazio».
 Bhumi, evidentemente shockata, si limitò a deglutire e annuire. «Procediamo… procediamo con il prossimo».
 Cassa dopo cassa, i marinai si risvegliarono agitatissimi e dovettero essere calmati da Anna e Kristoff. Il principe Peter trovò la semplice bara in legno di Silje e convocò la principessa: «Principessa Bhumi, aiutatemi».
 Elsa trattenne Hans, incapace di sopprimere l’allegria. Hans, sebbene confuso, non oppose resistenza e studiò Bhumi che si approcciava.
 «Chi è questa Silje?» chiese lui a Elsa. «Non l’ho mai sentita nominare».
 «È il suo primo ufficiale» replicò, squadrando Peter che attendeva con emozione. «Ho sempre pensato che fossero semplicemente due buoni colleghi, ma la maniera con cui pronuncia il suo nome adesso…»
 Udì un ansito proveniente dall’altro lato della stanza e scrutò Peter che cadeva in ginocchio e si appoggiava al feretro di Silje, il volto che si illuminò come se fosse al sole.
 «C-capitano?»
 «Primo ufficiale» ricambiò il saluto, afferrandole la mano e stringendogliela nella propria.
 Elsa posò la testa contro il braccio di Hans. «La morte rivela davvero le nostre priorità».
 Silje rideva mentre recuperava il fiato e si accomodò meglio. Poi attirò il capitano subito a sé in un bacio. Elsa si morse la lingua per evitare di ridere.
 «Guarda un po’» ridacchiò Hans. «Galeotta fu la morte».
 Bhumi, realizzando di non essere più necessaria, si allontanò velocemente dalla coppia in imbarazzo. Elsa lasciò il fianco di Hans per accompagnarla alla bara del principe Christian.
 L’atmosfera allegra nella stanza cozzava contro la tetra presenza delle casse. E nonostante ogni risvegliato era intontito e almeno un po’ furioso nei confronti di Bhumi e Hans e probabilmente anche Elsa, il sollievo di avere ancora aria nei polmoni era maggiore.
 Una volta rianimato Anderson, l’uomo passò diversi minuti a festeggiare con i propri fratelli prima di notare Elsa. Era lui il Westergard che aveva fatto visita a Elsa sulla nave e le aveva chiesto consigli su come comportarsi con suo figlio, che aveva cominciato a disseminare i primi indizi di poteri magici. Lei aveva rimpianto non avergliene potuto parlare, ma adesso aveva una nuova possibilità.
 «Signorina Elsa» la omaggiò lui. «Ho sentito dire che siete stata voi a convincere la principessa a riportarci in vita. Io… non so cosa dire oltre che mi dispiace e che avete la mia eterna gratitudine».
 «“Mi dispiace”? Per cosa?» chiese Elsa, arrossita.
 «Per aver considerato la magia malvagia» rispose lui, scuotendo il capo. «Che razza di padre sarei se condannassi mio figlio per avere un dono? Vorrei tornare indietro nel tempo così da trattare meglio tutti coloro che possiedono dei poteri. Specialmente mio fratello».
 «Be’…» tergiversò Elsa. «Non proprio tutti, temo».
 Doveva raccontare loro dei piani della madre. Con l’ultimo marinaio ridestato, Bhumi aveva terminato il giro. A quel punto Elsa domandò ad Anderson di scusarla perché aveva un annuncio da fare.
 Trascinò Hans con sé su per gli scalini del piano rialzato dove stavano i troni. Il chiacchierio confuso ed eccitato s’interruppe quando Elsa richiamò l’attenzione della folla.
 «Cittadini e principi delle Isole del Sud» proclamò, «ribenvenuti nel mondo dei vivi. Sono certa che molti di voi in questo momento siano disorientati».
 «La principessa Bhumi è passata dalla nostra parte, ma non era lei l’unica assassina». Hans andò dritto al punto. «Difatti collaborava con nostra madre, la regina Carol».
 Un brusio fragoroso soffocò la dichiarazione. «Ascoltatemi!» fu la pretesa di Hans, malgrado venne accolta con ben poca compiacenza. «Nostra madre possiede dei poteri magici. È capace di comparire e scomparire a suo piacimento. Ha aiutato Bhumi perché pensava di essere in una posizione di vantaggio ed era disposta a sacrificare ciascuno di voi».
 Una rivolta sembrò sul punto di scoppiare ed Elsa era sempre più preoccupata. Anna e Kristoff, in mezzo alla gente, tentarono di placarla, ma invano.
 «Silenzio!» Una voce ruvida zittì la massa. Elsa vide la principessa Bhumi prendere posto accanto a Hans. «Il vostro principe ha ragione. Carol Westergard vi ha sacrificato e ha intenzione di impadronirsi del mondo. Ha instillato in voi le nozioni sbagliate, ma è giunta l’ora di rimediare ai vostri errori».
 Nessuno la contraddisse, ma nessuno l’appoggiò. Infine, qualcuno gridò: «Io credo a loro».
 Elsa individuò la padrona della voce: Silje, che si aggrappava al braccio del principe Peter. L’alta donna incrociò lo sguardo di Elsa e annuì. Peter, distogliendo gli occhi dal proprio primo ufficiale e rivolgendolo ai tre sui gradoni, urlò: «Io credo a loro».
 Tra l’equipaggio si sparsero dei bisbigli, finché un’altra voce profonda si unì: «Io credo a loro!» Anderson fece un cenno nella loro direzione, mostrando il suo sostegno. E presto seguirono anche Christian e poi i marinai, sebbene loro fossero motivati dai loro reali, che avevano fede nella regina esiliata, nel principe condannato e nella principessa omicida.
 Ed Elsa non si era mai sentita veramente una regina come in quell’attimo, mentre era accanto a Hans e ascoltava il coro che recitava: «Io credo a loro!»

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Capitolo 31
*** Trentuno ***


Trentuno

Ai soldati occorse diverso tempo per superare il ghiaccio che sigillava le porte e irrompere all’interno della sala del trono e, nel vedere i tre principi e i molteplici marinai in vita, svennero. Fortunatamente, però, quando arrivarono altre sentinelle, Peter prese il controllo della situazione. Coloro che avevano gli stomaci di ferro e che non persero i sensi rimasero affascinati. Peter diede ordine di trattare Elsa, Hans, Bhumi, Anna e Kristoff con il rispetto più rigoroso. Essendo lui il fratello vivo più anziano, spettava a lui ereditare la corona.
 Ordinò inoltre che i marinai con familiari venissero condotti alle loro dimore in lutto. Lui nel frattempo avrebbe preparato una dichiarazione per i curiosi cittadini da proclamare il mattino dopo. Silje era tra quelli che se ne andarono, rientrata a casa per visitare la madre e i tre fratelli minori impazienti di riaverla con loro. Prima di lasciare il palazzo, cinse Elsa in una stretta e salutò Peter con un lungo, avido abbraccio.
 Mentre la stanza veniva sgombrata, Anderson riunì i suoi fratelli perché aveva una confessione da fare. Hans più tardi raccontò a Elsa che Anderson aveva ammesso timidamente di avere un figlio con una donna che sperava di sposare. Era sembrato sorpreso quando era stato accolto da parole di sostegno e domande come perché non ce lo hai detto prima? e, qualunque fossero stati i suoi pensieri in quel momento, era stato al settimo cielo e aveva annunciato di voler tornare dalla sua famiglia, portandosi con sé alcune guardie e un sorrisone in faccia.
 Malgrado l’urgenza per fermare la regina Carol, servirono due giorni per reperire e caricare di scorte una nave con destinazione Arendelle. Fu radunato un equipaggio e furono procurate delle provviste. Elsa, Silje, Bhumi e i quattro fratelli formarono una sorta di comitato a capo della missione. Arendelle era la loro prossima rotta, dove avrebbero resuscitato il resto dei fratelli e re Lewis. Elsa temette che Bhumi si rifiutasse di farlo, dato che ne aveva già rianimato taluni. Dopotutto, aveva concordato al patto purché le venissero forniti i dettagli sul progetto e sul modus operandi di Carol. Invece era ansiosa di contribuire alla loro causa, condividendo puntualmente le proprie nozioni e opinioni su come avrebbe agito Carol.
 Il parere generale era che la regina stava attendendo il posto giusto al momento giusto per cominciare a muoversi. Non aveva paura di aspettare e tenere il mondo con il fiato in sospeso perché i suoi piani funzionassero. Loro si tenevano pronti all’evenienza di un suo eventuale attacco. A Elsa veniva la pelle d’oca ogni qualvolta meditava su come potesse sbucare fuori e rapire uno di loro da un momento all’altro. Forse l’ex regina avrebbe fatto meglio a concentrarsi sull’incarico.
 Presto il naviglio era stipato ed Elsa si ritrovò a scrutare la sagoma del palazzo delle Isole del Sud che si allontanava. Ora era ancora spaventata, ma si sentiva leggermente più calma. La famigerata assassina era sì a bordo, ma dalla loro parte. I tre fratelli uccisi erano di nuovo in vita e trattavano Hans come uno di loro: Elsa aveva notato, osservando i cambiamenti nel suo atteggiamento, che lui adesso era molto più felice. E quello senza neanche menzionare la loro recente tolleranza verso la magia. Dopo la rivelazione di Anderson e il fatto che era la magia l’unica ragione per cui avevano nuovamente l’aria nei polmoni, i fratelli avevano iniziato a correggere i propri errati ideali. Non esattamente un completo dietrofront, ma ci stavano lavorando sopra. La situazione stava migliorando.
 Il viaggio fluì senza grosse novità. Elsa e Anna trascorsero interi pomeriggi insieme, ora che non potevano affrontare il pericolo immediato. Anna di recente era stata silenziosa ed Elsa fiutò qualcosa nell’aria quando lei nominò Kristoff e Anna rispose a monosillabi e non con un colossale monologo su come Kristoff fosse fantastico perché aveva i calzini che combaciavano o qualcos’altro di irrilevante. Elsa non commentò in alcunché modo e si tenne i propri sospetti per sé.
 Bhumi si sciolse ulteriormente alla sua presenza. Ancora non era il genere di persona da cercare costantemente la compagnia della regina delle nevi o d’ammettere di essere sua amica, ma le sorrideva e a volte persino rideva. Bhumi parlava anche a Silje e ai fratelli, anche se non interpellava Hans a meno che non ce ne fosse assolutamente bisogno. Il tredicesimo principe non sembrava dispiaciuto della cosa.
 La relazione tra Hans ed Elsa era finalmente salda. Fin troppo a lungo avevano avuto i loro alti seguiti da bassi mastodontici. Tuttavia, in quel periodo, proprio mentre erano nell’occhio del ciclone, avevano recuperato l’equilibrio nel loro rapporto. Nessuno dei due dubitava dei sentimenti dell’altro. Conversavano spesso, condividevano le loro paure, speranze, scoperte: dividevano molto più che un letto. Elsa non avrebbe mai immaginato quanto fosse magnifico essere fusi a qualcuno sia nel corpo che nell’anima.
 Infine, dopo quella che era parsa una breve gita piacevole, la nave entrò nel fiordo di Arendelle. Elsa aveva le farfalle nello stomaco per la prima volta da parecchio tempo. Stava per tornare a casa per davvero, la casa da cui era stata scacciata via. Si era quasi dimenticata di aver perso la corona per colpa di Ingvalda. Cosa sarebbe successo se fosse stata catturata? Ingvalda l’avrebbe gettata nelle prigioni?
 Hans doveva aver percepito il suo disagio e si assicurò di essere al suo fianco mentre si approcciavano al porto. Il piano era simile a quello usato alle Isole del Sud: arrivare ai cadaveri il più velocemente possibile e risvegliarli. I fratelli erano sicuri che, nell’evenienza finissero nei guai con le guardie, sarebbero riusciti a motivare la loro visita con facilità, in quanto diverse settimane prima avevano ottenuto legalmente la custodia di Elsa.
 Quando scesero dalla nave, stava nevicando – veramente, non a causa di un incantesimo di Elsa. Lei e Anna avevano indossato dei mantelli con dei cappucci per nascondersi da coloro che le avrebbero ovviamente riconosciute. La maggior parte della gente era rimasta al riparo delle loro case per sfuggire al freddo, però, il che preservò il loro anonimato e accelerò la rapidità della missione.
 Grazie a qualche miracolo, il gruppo non si fermò neanche una volta durante il tragitto verso il piccolo cimitero accanto alla cascata. I fratelli erano preoccupati del decadimento delle carcasse, ora che erano passati mesi dai loro omicidi. Bhumi garantì che i decessi che provocava somigliavano piuttosto a un sonno esanime. Peter e Christian scavarono la terra con delle vanghe lasciate intorno – probabilmente dai becchini che volevano risparmiarsi la fatica, data la quantità di spoglie che era comparsa ad Arendelle. Presto toccarono la bara di Lewis con un tonfo e la riportarono in superficie, tutti con il fiato in sospeso mentre Bhumi apriva il coperchio.
 Elsa, avvinghiata al fianco di Hans per sostenerlo, si ritrovò a strizzargli la mano nell’attesa che suo padre si riunisse ai vivi. Il tredicesimo principe aveva un’espressione ansiosa, afflitta, eccitata e si era morso il labbro talmente forte da sanguinare.
 Bhumi esitò, squadrando l’uomo anziano con il rimorso nello sguardo. Elsa capì che aveva finalmente realizzato la gravità delle sue azioni. La principessa senza cuore ne aveva uno, dopotutto. E con un sfioramento del dito sulla guancia, re Lewis sollevò le palpebre e inspirò aria.
 Hans mollò la presa su Elsa, precipitandosi da suo padre. Anche gli altri fratelli si avvicinarono, ma nessuno era evidentemente disperato di ricongiungersi con l’uomo come Hans.
 Re Lewis tossì e ansimò, ma si mise seduto sulla cassa di legno e batté le ciglia per la sorpresa. Hans, che, come Elsa notò, aveva già le lacrime che scorrevano, rideva dalla gioia più pura.
 «Padre» esclamò, la voce attenuata. «Oh, padre!»
 Gli occhi di Lewis si spalancarono e lui si voltò verso il figlio e lo strinse al petto. «Oh, figliolo! Sono in paradiso?» Batté di nuovo le ciglia, rendendosi conto del luogo in cui sedeva e delle persone intorno a lui. «Perché ci sono tanti dei miei ragazzi qui?»
 Hans rise ancora e si asciugò il viso rosso. «Padre, non sei più morto! Ti abbiamo resuscitato! Sei vivo».
 Il re era talmente shockato da sembrare sul punto di morire sul serio. «Oh, Cielo!»
 Elsa adesso comprendeva il contrasto che c’era tra le personalità dei genitori di Hans. Mentre i figli aiutavano l’uomo a issarsi in piedi, Elsa si accorse che era lievemente più basso della moglie, con lo sguardo più dolce e la pelle con più rughe. La sua postura era meno intimidatoria, le ginocchia piegate così da apparire più docile rispetto al resto dei Westergard. Aveva una barba in disordine e i baffi erano punteggiati da sprazzi di rosso in mezzo ai peli brizzolati. Il suo modo di parlare era più affettuoso e aveva gestito l’idea della resurrezione in maniera così pacata che Elsa afferrò perché Hans lo avesse descritto con termini tanto affettuosi.
 Re Lewis uscì dal feretro e fu catturato immediatamente dalle braccia di Hans. Il principe si abbarbicò al padre come se non avesse intenzione di lasciarlo mai più, seppellendo il volto rigato dalle lacrime nella spalla dell’uomo. Il re era perplesso, ma sorrise e ricambiò l’abbraccio.
 «Se io sono vivo… cosa ci fai tu qui, Hans? Sei annegato più di un anno fa» chiese, staccandosi gentilmente dal figlio.
 «Non sono perito in mare, padre. È… è una lunga storia. Ma dobbiamo risvegliare gli altri».
 «Gli altri?» domandò il padre, girandosi per vedere le tombe allestite in fretta e furia e individuando Bhumi, che era fuggita il più velocemente possibile dalla scena commovente e aveva già iniziato a scavare nella tomba successiva. «Oh! È tornata a prendermi! La principessa Bhumi è qui!»
 Il re protesse il figlio più giovane dalla donna, allargando le braccia. Hans sorrise e soffocò la propria ilarità. «Padre, va tutto bene» gli assicurò, abbassandogliele. «La principessa Bhumi è nostra alleata. Sono passati alcuni mesi dal tuo omicidio».
 «Oh!» esclamò Lewis. «Ci sta riportando in vita?»
 «Sì».
 Annuì in maniera curiosa e la faccenda finì lì. Ed ecco perché Lewis era una persona piacevole e poteva essere considerato da alcuni un sempliciotto.
 Bhumi andava in giro, donando vita ai principi ad uno ad uno. Peter, Anderson e Christian davano per lo più il benvenuto ai loro fratelli ridestati, mentre Hans era in disparte. Dopotutto, i fratelli maggiori erano stati assenti dal mondo per mesi e molti di loro probabilmente erano ancora convinti che fosse Hans il responsabile dei loro decessi. Dal canto suo, lasciò che fossero gli altri a dimostrare la sua innocenza mentre lui restava con il padre, raccontandogli le proprie vicende e mettendolo al corrente della missione.
 Elsa rimase a distanza da loro, essendo conscia del legame che li univa e sapendo che sarebbe stata la terza ruota del carro. Per cui diede una mano pure lei ad alzare in piedi i rianimati e spiegare le attuali circostanze ai barbuti fratelli, nessuno dei quali pareva contento alla prospettiva di essersi perso mesi interi. Anna e Kristoff si autonominarono le ufficiose guardie del corpo di Bhumi, assicurandosi che la principessa non venisse aggredita da qualche Westergard un po’ isterico. Lei li ringraziò silenziosamente.
 Dopo che Campbell, Francis, John, Aleksander e Louis furono risvegliati, Elsa percepì una mano sul proprio braccio e si voltò per vedere Hans accompagnato da suo padre. Hans era radioso dalla gioia e sorrideva con una felicità che Elsa non gli aveva mai scorto in faccia. La differenza tra lui e il carcerato delle prigioni di Arendelle era quasi allarmante.
 «Padre» proclamò lui, «voglio presentarti—»
 «Regina Elsa» concluse re Lewis, gli occhi che scintillavano. Accanto a suo figlio, la parentela era inequivocabile. Avevano le stesse facce ovali e gli stessi nasi a punta e le stesse chiazze di rossore sulle guance. Lewis aveva ilari iridi verdi e un viso non appesantito dalle rughe. «Cielo, siete la donna che ha salvato mio figlio, giusto?»
 Elsa non poté trattenere un sorriso e annuì e allungò una mano. «È un onore incontrarvi, Vostra Maest—»
 Ma invece di stringerle la mano, l’uomo la cinse in un abbraccio. Lei emise un suono sorpreso e guardò Hans, che era paonazzo e rideva da oltre la schiena del re. Elsa si sentiva… scaldata. Come se suo padre fosse resuscitato, come se lei fosse parte della famiglia. E chi lo sapeva: forse un giorno lo sarebbe diventata.
 «Vi ringrazio» mormorò il re delicatamente, mantenendo il contatto. «Non esistono modi con cui io vi possa ringraziare per esservi presa cura di mio figlio».
 «Il piacere è mio, Vostra Maestà».
 Il re si staccò, tenendo le dita sulle braccia di Elsa mentre l’ammirava. «Cielo, Hans. Come sei riuscito ad conquistare il favore della regina di Arendelle? Sei l’uomo più fortunato al mondo».
 Hans si fece piccolo piccolo, oltremodo imbarazzato. Il calore sciolse i fiocchi di neve intorno a lui. Si scosse la vergogna di dosso e batté delle pacche sulle spalle di entrambi.
 «Non lo avrei mai sognato» disse, il volto ancora avvampato. «Le due persone più importanti per me che finalmente s’incontrano. Non avete idea di quanto sia stupefacente. Vorrei che questo momento durasse per sempre».
 Però Anna convocò Elsa in quanto c’era bisogno del suo intervento e la regina delle nevi dovette scusarsi da padre e figlio. Era giunto il turno dell’ultimo principe ancora seppellito, Charles: il sesto, il cui obiettivo era stato aprirsi una breccia verso il trono di Aruna. Era l’unico oltre a Hans con il quale Bhumi aveva problemi personali.
 «Bhumi sta avendo difficoltà a ridestare Charles» spiegò Anna con le braccia conserte, una frecciatina sottintesa.
 «Ci sto provando, d’accordo?» scattò Bhumi. Il suo profilo si stagliava sulla bara con all’interno un corpo tuttora morto. Elsa scommetteva che lei non avesse fatto nemmeno un tentativo. «È solo che… sto cercando di ricordare perché è necessaria la sua esistenza».
 Elsa guardò Bhumi argutamente. «Bhumi, non era niente di personale. Quando ha tentato di conquistare Aruna stava eseguendo gli ordini di Carol».
 Bhumi aveva le sopracciglia aggrottate, ovviamente frustrata, ma accantonò la testardaggine. «Sia chiaro, subirà un processo per i suoi crimini contro Aruna».
 Elsa annuì, nonostante si sentisse leggermente in colpa per aver sacrificato il principe. Ma era certa che anche lui avrebbe preferito vivere ed essere punito piuttosto che rimanere due metri sotto terra.
 Con un sospiro che si trasformò in una nuvoletta, Bhumi resuscitò l’ultimo Westergard. I fratelli si precipitarono subito a calmare l’uomo colto dal panico. Bhumi non pareva granché felice, ma lanciò un’occhiata a Elsa e sorrise – solo un pochino. Aveva finalmente rimediato ai danni che aveva commesso e aveva l’impressione di essere stata liberata da un grosso peso sul petto.
 Hans si avvicinò e sfiorò la spalla a Elsa. «Ce l’hai fatta» sussurrò. «Hai salvato i Westergard».
 «Mancano ancora tre fratelli, però» replicò Elsa, spostando il peso da un piede all’altro e squadrando la neve che cadeva di fronte alla cascata. «Spero che Jørgen stia bene».
 «Jørgen è sempre stato il preferito di Carol» osservò re Lewis, apparso al fianco di Hans mentre scrutava i propri figli che festeggiavano con un Charles meravigliato. «Non gli farebbe mai del male».
 «Era disposta a rinunciare al progetto al quale aveva dedicato la sua vita» mormorò Hans. «Ormai lei per noi è completamente imprevedibile».
 Elsa avrebbe voluto chiedere a Lewis la sua opinione su come agire, ma un urlo di Anna la distrasse. Sua sorella stava fissando qualcosa in direzione del fiordo e del castello, puntando il dito nel vuoto innevato.
 «Uhm… non voglio allarmare nessuno, ma quella non è la bandiera—»
 «Delle Isole del Sud?» terminò la frase una nuova voce sbucata fuori da sopra la cascata. Tutti si voltarono e videro tre uomini – due robusti e uno più mite – accanto a un’anziana donna con una corona sulla testa e la parola “vendetta” incisa nello sguardo. «Già, proprio così».
 Non c’era il tempo per architettare la prossima mossa contro Carol: lei era già lì.

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Capitolo 32
*** Trentadue ***


Trentadue

Per essere una donna sulla sessantina, Carol Westergard sembrava talmente giovane da poter rispedire tutti nelle proprie tombe senza neanche sudare. Le sue dita erano serrate sul braccio del suo settimogenito, il quale lottava per districarsi. I capelli grigi della regina erano annodati perfettamente in una crocchia, ma, con le linee che le incidevano la pelle agli angoli dello sguardo e con le labbra incurvate, appariva pazza.
 Dietro a lei c’erano i gemelli, Jacob e Wilhelm, non affettuosamente soprannominati “i gemelli Stabbington¹”. I due uomini robusti somigliavano in tutto e per tutto a dei criminali. Uno aveva una benda sull’occhio e l’altro una barba incolta con delle basette che rivaleggiavano quelle di Hans. Entrambi avevano delle grosse occhiaie, malgrado l’esaltazione alla prospettiva di essere fuori di prigione. Non c’erano dubbi sul perché fossero stati chiamati “Stabbington¹”, a giudicare dai coltelli all’interno delle fodere fisse alle loro cinture.
 E la mano nelle grinfie della madre era quella di Jørgen. Aveva una faccia disperata che supplicava aiuto, ma che si illuminò quando vide il padre. Esaminò la folla davanti a sé e traeva gioia nel fare il conto di tutti i fratelli vivi. Era evidente che voleva precipitarsi da loro e andarli ad abbracciare ad uno ad uno, ma glielo impediva la stretta mortale al polso.
 Per quanto riguardava Carol, scandagliava l’oceano dei figli e dei loro salvatori con un’espressione indecifrabile. Strinse le labbra, innegabilmente riflettendo sulla mossa successiva. Elsa aveva l’impressione di star osservando un predatore.
 «Cielo» disse infine Carol. «Ragazzi miei, come siete silenziosi!»
 Nessuno aprì bocca. Coloro che erano stati appena risvegliati erano ovviamente dilaniati dalla titubanza su chi seguire. Carol si era presa cura di loro sin dalla nascita e li aveva guidati al successo. Ma dopo aver dormito un sonno durato mesi di cui era lei responsabile, la gratitudine si era smorzata. Certo, era difficile non percepirla come la padrona della situazione, paragonata al marito sbigottito e con la schiena piegata.
 «Come hai fatto a raggiungerci?» urlò qualcuno: Elsa si accorse che era Peter.
 «Ma nell’unico modo, naturale» replicò Carol. «Siamo giunti fin qui da Corona via nave. Proprio adesso, tesoro. Veniamo a portarvi via da questi criminali».
 Peter non se la beveva, ma gli altri sì. Elsa notò che alcuni dei più grandi occhieggiavano il più piccolo con sospetto e disprezzo e Bhumi con rabbia e paura.
 «Lei—» tentò di avvertirli Jørgen, ma Carol gli stritolò la mano e lui strillò dal dolore prima di zittirsi, protestando silenziosamente. Anche solo quel gesto mandò un chiaro messaggio.
 Anderson, le cui sopracciglia erano aggrottate, gridò: «Hai usato la magia per arrivare fin qui, vero?»
 Carol scrollò le spalle, consapevole dell’impossibilità del continuare con quella sceneggiata. «Non per l’intero tragitto, ovviamente. Siamo giunti fin qui via nave. Dopotutto, se fossimo semplicemente spuntati nella sala del trono sarebbe stato difficile guadagnarsi il favore della regina Ingvalda».
 A Elsa le parole “regina Ingvalda” bruciarono un po’, ma Anna pareva assolutamente furiosa. Persino Hans aveva la mascella irrigidita.
 «Ragazzi miei, voi sapete del nostro progettuccio» proferì Carol, voltandosi verso ognuno dei suoi bambini, saltando Hans e suo padre a pie’ pari. «I nostri nomi passeranno alla storia. Non esisteranno persone più ricche di noi, no?»
 Non ricevette risposta alcuna e pertanto abbassò le sopracciglia. «Sono qui per soccorrervi. Tornate da mamma. Possiamo ritenere quest’incidente come una vittoria, nemmeno la morte può sconfiggere i Westergard! Non avete nulla da dire?»
 Ma nessuno si mosse. I fratelli si squadrarono a vicenda, borbottando e mormorando tra loro. Un timbro flebile si erse su tutti e re Lewis avanzò di un passo.
 «C-Carol, il tuo regno del terrore ha fine» asserì. «Non puoi seppellire i tuoi figli e pretendere di ricevere in cambio il loro affetto».
 Carol affilò lo sguardo, le rughe che trasformarono il volto in una cacofonia furiosa di linee. «Non puoi parlare a bassa voce e pretendere di ricevere in cambio l’attenzione del mondo. I miei figli non talloneranno un tappetino».
 Hans, che era accanto a Elsa, si irrigidì. «Non permetterti di rivolgerti così a padre!»
 «Mi aspettavo di meglio dalla straniera» ribatté velenosamente al suo erede più giovane. «Speravo che si prendesse finalmente cura di te».
 Bhumi, solo a qualche passo di distanza, era fumante. Aveva l’aria di voler saltare subito addosso all’anziana donna. Ma i due omoni dietro a Carol l’avrebbero sicuramente contrastata.
 «Non verremo con te» dichiarò qualcuno ed Elsa vide che si trattava di Charles. Charles, che era stato l’ultimo a resuscitare, era risolutamente ritto in piedi. «Non ci hai mai considerato come delle persone vere e proprie, ma solo come dei pezzi della tua scacchiera. Non hai mai chiesto il nostro consenso per far parte del tuo gioco, ti sei limitata a scaraventarci dentro e basta».
 L’affermazione fu seguita da un chiacchiericcio di discussione. Carol era sorpresa e fissava storto il suo sestogenito, mentre Bhumi lo scrutava meravigliata.
 «Ci hai fatto credere che la magia fosse il male» aggiunse Anderson, la voce che sovrastava sul trambusto. «Ci hai raccontato che nostro nonno uccise decine di persone dotate di poteri alla Calanca di Cruorenero e che versò il loro sangue nero per il bene dell’umanità. Tuttavia pure tu sei dotata di poteri, nonostante ci abbia incoraggiato a biasimare nostro fratello. Il sangue di Hans è nero? Il sangue di mio figlio è nero solo perché è capace di comunicare con gli animali?»
 Il sermone scatenò il rancore nella folla. La madre aveva insegnato loro a tormentare Hans, li aveva riempiti di menzogne e li aveva utilizzati come pedine. Elsa cominciò a scorgere un bagliore di speranza in mezzo alla nebbia della disperazione.
 «Ci hai sacrificato» brontolò Campbell, il primogenito dai capelli già grigi. «Hai consentito a quella donna di ucciderci e hai meramente cambiato strategia. Per te non siamo che elementi di ricambio».
 «Non verremo con te» ripeté John, che aveva una folta barba bruna e delle spesse sopracciglia. «Questa volta staremo con padre».
 E molto presto coloro che erano liberi dalla morsa di Carol insorsero. L’anziana regina era furiosa.
 «Bene! Guarda quanti guai hai causato, Hans. Se solo fossi annegato come tutti ci auguravamo».
 Gli aveva saettato addosso un dardo verbale, ma il viso di Hans rese chiaro che lui indossava un’armatura. Anche le facce degli altri Westergard mostravano apertamente l’opinione che avevano dell’“amore” della madre.
 «Non ho bisogno di nessun altro, se non del mio Jørgen e di Wilhelm e Jacob» sogghignò lei. «Spartiremo la nostra somma senza includervi. E se non ne foste al corrente, la signorina Elsa e vostro fratello Hans sono entrambi traditori di Arendelle! Se siete fatti della loro stessa pasta, allora compiete tradimento. Sono sicura che ci siano celle a sufficienza per tutti coloro che spezzano il cuore alla loro cara madre».
 Puntò loro il dito contro, quasi come se stesse per scagliare un incantesimo. «Jacob e Wilhelm, acciuffate i ribelli».
 Nessuno si mosse, però. Gli occhi feroci dei gemelli si erano fatti empatici e i due si adocchiavano a vicenda, dubbiosi su come agire. Carol, con il fuoco nello sguardo, si voltò per sgridarli e Jørgen colse l’opportunità per scappare. Strappò il braccio dagli artigli di Carol e si fiondò verso Elsa e gli altri.
 Carol fissava Jørgen, shockata e genuinamente affranta. «Jørgen!»
 «Madre, sei pazza» disse, scuotendo il capo. «Non puoi fare preferenze tra i tuoi figli. Ti abbandono». Si rivolse ai suoi fratelli minori. «Jacob, Wilhelm, non restate con lei. È disposta a sfruttare le vostre vite a suo vantaggio: prima o poi anche voi diventerete superflui».
 I gemelli studiarono la madre, poi si guardarono reciprocamente e fecero la loro decisione. Entrambi si allontanarono dalla madre furiosa, che pareva apprestarsi a scaraventare mille maledizioni sull’intera famiglia.
 «Vi ho cresciuti per quarant’anni e sono ripagata con il tradimento più assoluto da ciascuno di voi? È questo il ringraziamento che merita un genitore?»
 «Non sei mai stata un vero genitore» ribatté Hans, il tono forte ora che era nella maggioranza.
 Carol digrignò i denti, ma improvvisamente incurvò le labbra in un sorriso e rise. «Sebbene non mi ami nessuno, ho ancora la magia a mio favore». Estrasse un piccolo pugnale dalla tasca del vestito, scorrendo gentilmente un dito lungo la lama e sanguinando. Gli occhi di Elsa sgranarono. Carol era completamente matta.
 «Anche noi abbiamo la magia dalla nostra» replicò Hans. «Se ci ammazzi, torneremo in vita».
 «Uhm» s’intromise piano Bhumi, mordendosi il labbro. «Io… io non sono in grado di farlo con i cadaveri che non ho ucciso personalmente».
 Hans ci rimase di sasso. «Voi cosa?»
 Carol rise, rumorosamente e assolutamente folle. «Se non passerete dalla mia parte, tornerete sotto terra».
 «Che senso ha avere i vostri poteri se non potete resuscitare qualunque cadavere?» chiese Hans incredulo a Bhumi.
 «Non è colpa mia!» si difese lei. «Ve l’ho detto, quello che provoco somiglia più a un sonno profondo!»
 E poi Carol scomparì da dov’era, causando il panico generale. Con un grido improvviso, Bhumi evitò un coltello tiratole contro la schiena. Una Carol squilibrata le si era materializzata alle spalle. Bhumi si lanciò all’azione nonostante indossasse un vestito e non la sua divisa da assassina. Tentò di avventarsi sulla regina, ma quella svanì prima che la principessa riuscisse nell’impresa.
 Un urlo fulmineo perforò l’aria e tutte le teste si girarono verso Francis, il secondo nella linea di successione. Aveva un’espressione terrificata in volto e una macchia cremisi gli si diffondeva sul petto. Elsa aveva già assistito a un omicidio di Bhumi e pertanto riconobbe il significato della vacuità negli occhi di Francis.
 Quando il principe cadde al suolo, ognuno iniziò a sbraitare e a schiamazzare. «Francis!» «Mio Dio, ha pugnalato Francis!» «Ha ucciso suo figlio!» «Ci ammazzerà tutti!»
 Anna corse verso Elsa e le afferrò il braccio, informandola: «Vado a cercare i rinforzi!», poi filò via il più velocemente possibile.
 Il cuore di Elsa martellava mentre Hans le faceva da scudo umano. Carol ripuliva con calma l’arma sporca del sangue del suo secondogenito, completamente indifferente.
 «Sei un mostro, Carol» boccheggiò Lewis, l’orrore e l’angoscia che gli disegnavano i tratti mentre osservava il corpo del suo figlio morto – e morto per davvero.
 Carol non aprì bocca, ma alzò lo sguardo, sorrise e si dissolse. Sconvolti, tutti cominciarono a fuggire e gli Stabbington sguainarono i loro pugnali e passarono quelli di riserva agli altri.
 La regina si mostrò d’un tratto dietro a Lewis, la lama pronta a colpire la pelle delicata della sua nuca. Subito Hans si separò da Elsa e saltò addosso alla madre con una sfera di fuoco nelle mani. Carol si dileguò, a un secondo dall’essere divorata dalle fiamme. Lewis latrò e balzò, ma non versò sangue. Hans era furioso e sulla difensiva, come nell’istante in cui Bhumi aveva minacciato di togliere la vita a Elsa. Non aveva intenzione di farsi portare via suo padre. Quando Carol apparve da tergo ad Aleksander, i suoi fratelli lo avvisarono in coro e lui fu in grado di schivare il contatto con il coltello prima che Carol sparisse nuovamente.
 Anche Elsa si preparò a combattere, ma re Lewis arrancò nella sua direzione. «Signorina Elsa, signorina Elsa, dovete… dovete prenderle la corona».
 «Prenderle… cosa?» chiese lei, guardando Carol che provava a uccidere Christian. Il principe fu trafitto superficialmente al braccio, ma scampò al pericolo.
 «La corona! Dovete prenderle la corona!» la pregò. «Sottraetegliela e ruotate il gioiello più grande, quello rosso!»
 «R-ruotare il gioiello?» ripeté Elsa, la mente confusa.
 «Sì, è un sistema di sicurezza!» spiegò il re, girandosi alla ricerca di sua moglie. Lei spuntò accanto a Charles. Bhumi, che era la persona più vicina a lui, spalancò gli occhi e balzò in suo soccorso, entrambi finendo per rotolare via dalla ferita che Carol avrebbe potuto assestargli alla schiena. La regina si eclissò e Bhumi si ritrovò addosso all’uomo che solo qualche attimo prima avrebbe lasciato volentieri morto e sepolto.
 «Mi avete salvato!» ansimò Charles.
 Bhumi si issò rapidamente in piedi e si distanziò da lui.
 Ricordandosi delle parole del re, Elsa ribadì: «Un sistema di sicurezza?»
 «Ruotando la pietra, la circonferenza della tiara si espande, intrappolando Carol. Dovete strappargliela di mano!» disse il re. «Ho sempre creduto di doverla fermare nel caso iniziasse a usare la magia a fin di male! Questa è l’unica cosa che l’arresterà».
 Elsa si rese conto che il piccolo, mite Lewis Westergard si era comportato esattamente come i suoi genitori: aveva creato un dispositivo di difesa. Lewis ne aveva commissionato uno “giusto in caso ce ne fosse il bisogno”, così come le manette nelle prigioni di Arendelle erano servite a imprigionare le mani a Elsa. L’ex regina si chiese momentaneamente se, avendo lei stessa dei poteri, fosse la cosa giusta approfittarsi di un tale congegno.
 I dubbi l’abbandonarono quando Carol si manifestò di fronte al suo quintogenito, Louis, e gli infilzò il pugnale nello stomaco prima che lui le potesse sfuggire. Il dolore negli occhi del principe mentre urlava e crollava ricordò a Elsa che tali marchingegni esistevano per una ragione. Facendone uso lei non violava l’umanità di coloro che possedevano la magia, ma impediva a una pazza di ammazzare tutti i suoi figli.
 Carol sparì dopo aver ritratto il coltello con un fruscio malato. Il fratelli si afflissero per il caduto. Hans era furioso e la sua sagoma emetteva vapore.
 La regina si rivelò improvvisamente alle spalle di Elsa. Lei sussultò ed evitò la lama, agitando il braccio per gettare a terra la corona dal cranio della donna. Sibilò quando il pugnale le scalfì il braccio, tagliandole la pelle in profondità e realizzando una pungente lesione. Ma non appena udì il suono della tiara che sbatteva sul suolo ricoperto di neve, capì di avere l’opportunità di portare a termine il compito che le aveva assegnato il re.
 Come fasciatura temporanea passò uno strato di ghiaccio sul braccio leso, poi afferrò il diadema dorato e prese tra le dita la gemma più grande, quella centrale. Hans ruggì e scagliò del fuoco proprio al di sopra di Elsa, dove stava per attaccarla Carol. Le punte dei capelli di Elsa bruciarono leggermente, ma lei si issò in piedi con la corona saldamente tra le mani.
 Di colpo avvertì qualcosa di freddo e pungente contro la propria nuca. Le si congelarono i muscoli.
 «Riconsegnatemi la corona» sibilò Carol.
 «Elsa!» gridò Hans, pronto a lanciare fiamme, ma arrestandosi quando suo padre lo bloccò.
 «Se nuoci a me, arrostirai viva anche la tua bella signorina» ribatté Carol. Il coltello premette ulteriormente contro la cute di Elsa e lei cacciò un breve strillo. Colarono alcune gocce di sangue.
 «Elsa!» gridò ancora Hans, impotente e disperato.
 «Vi rido la corona» ansimò Elsa, provando ad allontanarsi dal pugnale senza che la regina lo notasse. Roteò rapidamente il brillante, con un piccolo ticchettio che solo lei sentì.
 «Forza, ora» sputò Carol ed Elsa le allungò lentamente il copricapo. Come una vipera, Carol si buttò sulla tiara e ritrasse il coltello dal collo di Elsa, che incespicò all’indietro, tornando finalmente a respirare, e guardò la regina che posava sul capo lo strumento attivato.
 All’inizio non accadde nulla e l’ansia stritolava Elsa allo stomaco. Carol cominciò a ripulire il pugnale usando il proprio abito e a scandagliare la folla. Ma il diadema si sollevò da sopra la sua testa, la circonferenza che si ampliò in maniera drammatica. Carol sgranò gli occhi ma, prima ancora che potesse chiedere cosa le stesse succedendo, il cerchio aureo cadde e si compresse di nuovo, intrappolandole le mani ai fianchi, le dita aggrappate al pugnale e all’angolo della gonna che aveva sollevato.
 Carol strillò, poi ringhiò dalla rabbia mentre si dibatteva contro la delimitazione. «Che storia è questa? Cosa mi avete fatto? Non riesco a scomparire!»
 Elsa si scostò ancora e si scontrò contro il corpo dell’uomo che l’amava più di chiunque altro al mondo. Hans la cinse tra le braccia, stringendola come per proteggerla da Carol.
 «Elsa, stai bene? Ti ha ferita?» le domandò, voltandola per ispezionarle la faccia.
 Lei glielo lasciò esaminare, notando che con lo strato di ghiaccio sull’avambraccio la lacerazione si era coagulata. Hans l’accarezzò ed Elsa si toccò la nuca, dove aveva sanguinato solo un po’. «Sto bene. Sono… Sono salva, Hans. Siamo salvi, adesso».
 Circondò le guance di lui con le dita, sorridendo. «Hans, siamo salvi».
 Lui scrutò Carol che si opponeva all’ostacolo e parve accorgersi solo allora che, in qualche modo, erano riusciti a debellare la sua minaccia. Si sforzò di pensare a qualcosa da dire, ma senza successo. Elsa rise e si limitò a baciarlo. Entrambi erano vivi.
 Dopo un attimo Hans si staccò, i palmi posati ancora sulla pelle di Elsa mentre osservava la madre. Lei urlava e lottava come una pazza per liberarsi.
 «Sei stato tu a creare questo congegno, Lewis! Hai avuto intenzione di sconfiggermi fin dal principio! Non mi hai mai sostenuto!» inveì.
 Re Lewis aveva un’espressione triste ma determinata. «L’unica scelta che avevo era quella di fermarti, Carol».
 «Scommetto che desideri segretamente che io sia morta
 «No, Carol» rispose gentilmente Lewis. «Non sono stato io a permettere gli omicidi della mia compagna e dei nostri figli».
 Sul viso di Carol si intravide per un istante una traccia di rimorso, ma tornò subito a dimenarsi e a strillare.
 «Il sistema di sicurezza non le sta… non le sta facendo del male, vero?» chiese Elsa, ritirando le mani dal volto di Hans e girandosi verso il re.
 «Oh, no, non è stato ideato per farlo» replicò Lewis. «La blocca nel punto in cui si trova e le impedisce di utilizzare i propri poteri».
 «Eccole il ringraziamento per tutti gli anni trascorsi con i guanti» commentò Hans con la fronte arcigna e corrugata, uno sguardo senza pietà negli occhi. Strinse forte la mano di Elsa.
 «Credete che per me sia finita? Credete di avermi distrutta?» latrò Carol. «Non ho lavorato per quarant’anni perché le cose finissero così! Troverò una maniera per svincolarmi e farò fuori te e tuo padre e la tua donna e—»
 Elsa congelò insieme le labbra a Carol, soffocandole in gola ogni parola spietata. Lei tentò di gridare, ma invano.
 «Se solo in passato vi avessimo avuta con noi» bofonchiò Lewis. «Quarant’anni con lei e questa è la prima volta che tace».
 Presto Anna arrivò con una truppa, per poi realizzare che la minaccia era stata già neutralizzata. Accorse da Elsa per assicurarsi della sua incolumità, poi da Kristoff, che le garantì di essere illeso.
 «Qualcuno può spiegarmi quello che è accaduto?» chiese il capitano delle guardie.
 Re Lewis avanzò di un passo prima che Elsa potesse ribattere. «Signore, la donna intrappolata è Carol Westergard, che ha commesso dei crimini contro il regno di Arendelle così come negli undici restanti paesi legati al patto commerciale. Arrestatela, ma vi raccomando di tenerle la fascia addosso: possiede dei poteri magici ed è altamente pericolosa».
 Il comandante squadrò il vecchietto di sbieco, apparentemente non riconoscendo nessuno dei fratelli, né il re. «Chi siete voi per darmi tali ordini?»
 Lewis raddrizzò la schiena, il mento un po’ più in su. Sebbene fosse un uomo fragile, diffondeva un’aria di nobilità. «Re Lewis Westergard delle Isole del Sud. Sono appena stato resuscitato, pertanto temo di non avere più tempo da sprecare».
 Alcune sentinelle davano l’impressione di essere sul punto di svenire, altre sussultarono rendendosi conto di chi si trattassero tutti gli uomini sparsi per l’innevato cimitero di ripiego. Il capitano si scusò velocemente per la propria insolenza, gli occhi sbarrati mentre studiava la famiglia precedentemente morta.
 Carol borbottò in segno di protesta adocchiando tutt’intorno e fu portata via dalle guardie. Il capitano invitò Re Lewis a discutere dei fatti con la regina Ingvalda all’interno del castello e lui lo assecondò calorosamente. Ma il soldato vide Elsa alle sue spalle e la identificò immediatamente.
 «Regina— ehm, signorina Elsa. Siete stata esiliata da Arendelle» chiarì. «Ingvalda non sarà felice di—»
 «Quest’incantevole donna mi accompagna» lo interruppe il re. «E voglio che lei e i miei figli mi accompagnino a palazzo senza ulteriori disagi».
 La guardia era disorientata. «Io… Io, naturalmente, Vostra Altezza». Cominciò a incamminarsi e a guidarli e Lewis si voltò verso Elsa con un luccichio negli occhi.
 Mentre si dirigevano in direzione del luogo che in passato era stato casa sua, Elsa si sentiva nervosa. Dopo aver sconfitto il nemico, quella era la loro marcia della vittoria. La perdita di Francis e Louis era evidente, bastava esaminare il lutto silenzioso del re, ma lui continuò a incedere regalmente malgrado la debolezza.
 Elsa si ritrovò a stringere di nuovo la mano di Hans, mentre i due si avviavano insieme verso il fato che li attendeva.





¹ Confesso che la prima volta che ho letto questo capitolo non avevo fatto il collegamento e avevo già iniziato a lambiccarmi per trovare una soluzione al gioco di parole; poi l’ho googlato e ho scoperto che si trattavano dei due fratelli mascalzoni di Rapunzel e che non mi occorreva adattarlo, haha. Ad ogni modo, per chi non lo sapesse, “to stab” in inglese significa “pugnalare”.

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Capitolo 33
*** Trentatré ***


Note della traduttrice (Hiraeth): ed eccoci all’ultimo capitolo! Aaah, che emozione. È stata una soddisfazione immensa tradurre questa fanfiction, ma ammetto che è anche un sollievo terminarla. Rimane però in uno stato perenne di revisione, dato che ogni volta che la rileggo trovo sempre degli erroracci da correggere, haha.
 Se vi chiedete perché dopo la maratona di capitoli che c’è stata verso la fine di giugno ho postato gli ultimi due solo adesso e se vi chiedete perché mai in generale c’è stata quella maratona di capitoli, è perché avevo intenzione di festeggiare il secondo anniversario di questa traduzione (il 3 luglio) postando il capitolo 33; ma non riuscendoci, ho adocchiato il 13 luglio perché, ehi, guarda un po’, è l’ideale, Hans e Jørgen (13/07)! Sì, purtroppo tengo a queste sottigliezze idiote — e ignoro completamente il vero anniversario di tPatS, il 22 aprile.
 Voglio ringraziare per aver recensito tutti coloro che hanno recensito, ma in particolare hera85, mergana e stevvy_jj, perché ho custodito ogni commento e il feedback ricevuto mi ha rischiarato le giornate.
 Voglio inoltre ringraziare Call it Maglc, perché, duh, è una grande per aver scritto tPatS, e mia sorella (❤), perché è fantastica per avermi sopportata quando le rompevo sui termini migliori da usare.
 Smetto di occupare spazio augurandovelo per l’ultima volta: buona lettura!


***



Trentatré

Per qualche ragione, Elsa aveva creduto che il castello di Arendelle nel frattempo fosse cambiato. Era stata sicura che con la sua assenza la sua casa d’origine aveva alterato il proprio aspetto. Eppure, mentre la conducevano verso i corridoi familiari con gli stessi esatti dettagli marchiati nella sua mente, si accorse che ogni cosa era rimasta uguale. Era lo stesso palazzo dove Anna aveva perso la propria memoria, lo stesso dov’erano morti i loro genitori, lo stesso di adesso. Pensare che con la sua mancanza qualcosa sarebbe mutato era stato da stupidi.
 Quando s’infilò all’interno della sala del trono, la neve cadeva all’esterno delle finestre. Questa volta, invece di essere una prigioniera incatenata, era legata a Hans, stringendogli la mano e vivendo l’euforia della loro vittoria quasi universale. Non importava quello che avrebbe detto o fatto Ingvalda, Elsa era consapevole della grandezza delle azioni compiute da loro quel giorno. Finché Hans aveva suo padre e la sua famiglia, lei era a posto.
 La sala del trono era fredda e illuminata e le guardie erano allineate lungo il suo perimetro, chiamate da una Ingvalda probabilmente smarrita. La donna sedeva sul seggio ed Elsa avvertì solo una fitta di dolore e di rabbia quando vide la corona posata sulla sua testa. Ingvalda pareva invecchiata – le zampe di gallina le raschiavano la pelle e, notando l’espressione permanentemente preoccupata in viso, Elsa si chiese cosa fosse successo durante il suo esilio. Al ricordo del suo bando tuttora in vigore, strizzò ulteriormente la mano a Hans.
 Re Lewis, i fratelli e il resto dell’entourage entrarono e si fermarono di fronte alla sovrana. Anna fu l’ultima a mostrarsi e, quando lo fece, Ingvalda trasalì. Elsa scommise che fosse sconvolta all’eventualità di dover cedere il dominio, ma la custode si alzò in piedi con gli occhi spalancati e ansiosi.
 «Siete viva!» rantolò Ingvalda. «Ero certa che vi avessero uccisa. Io… Io…»
 «Non osate». La calorosa e gentile Anna la interruppe, sorprendendola. «Sono al corrente di quello che avete fatto a Elsa e io non tollero che le sia torto un capello».
 Elsa, che si teneva a distanza, assisteva alla scena con sentimenti contrastanti. La passione di Anna le scaldava il cuore, dimostrando che, nonostante tutto, l’una avrebbe difeso l’altra fino alla fine. Ma Ingvalda… Elsa non aveva un’opinione precisa di lei.
 Quell’anno la regina delle nevi aveva incontrato due tipi di persone assetate di potere: Ingvalda e Carol. All’inizio Ingvalda le era sembrata un’assoluta tiranna, il peggio del peggio. L’aveva cacciata e le aveva sottratto la corona. Era per caso diversa da Carol, arguta, omicida e che erano riusciti a sconfiggere poco prima? Qualche settimana fa, Elsa avrebbe detto che le due erano praticamente sorelle. Ma adesso cominciava a rendersi conto che Ingvalda era di tutt’altra specie. Era sì avida del comando, ma solo perché desiderava accertarsi che la legge venisse rispettata in modo attento e appropriato. E, in verità, Elsa si distraeva troppo facilmente e non aveva la preparazione che occorreva per continuare a regnare. Ingvalda aveva agito scorrettamente, ma Elsa aveva pietà di lei.
 «Anna» l’ammonì con delicatezza, «va tutto bene».
 Sia Anna che Ingvalda si girarono verso la donna, chi più stupefatta dell’altra. Ingvalda si sentiva in colpa ed era imbarazzata e Anna grugnì con riluttanza e annuì in direzione della custode, ma non ribatté.
 «Vostra Maestà», re Lewis prese il controllo della situazione, «temo che vi spettino degli opportuni chiarimenti».
 Ingvalda esaminò la fila composta da fratelli e affiliati, dopodiché assentì senza aggiungere successive parole.
 Lewis raccontò di Carol e di Bhumi e del perché ad Arendelle fossero comparsi dei cadaveri. Spiegò che Hans era stato incastrato e di come c’entrasse con la vicenda la magia, la quale era simultaneamente la causa e la soluzione dei loro problemi.
 «Vi chiedo di tenere prigioniera Carol nei vostri carceri per i delitti commessi contro Arendelle e contro tutti i paesi vincolati al patto commerciale» concluse Lewis. «Lasciate salpare me e i miei figli con i corpi dei nostri caduti, affinché possiamo tornare finalmente a casa».
 Senza la minima esitazione, Ingvalda rispose: «Sì. Vi concedo le scorte e le provviste necessarie per raggiungere la vostra destinazione e vi giuro che coveremo la criminale ad Arendelle».
 Lewis fece un cenno con un sorriso amabile. «Vi ringrazio, Vostra Maestà».
 E la faccenda finì lì. Elsa era meravigliata dall’assenza di discordia, dopo che a lungo la vita le era parsa una sequela di scontri dopo scontri. Furono assegnate delle stanze per la notte al gruppo, che fu invitato a una sontuosa cena per poi stabilire la partenza al giorno dopo.
 Hans seguì Elsa nella sua ex camera, dove niente era stato toccato durante il suo esilio.
 «Non ho mai considerato l’idea di tornare qui» confessò Elsa sommessamente, scorrendo le dita sopra il comò, il letto, ogni cosa intorno a sé.
 «Di certo è adatto a una regina» commentò Hans.
 Elsa si diresse verso la porta del balcone. Schiuse la serratura e spalancò le ante, mettendo piede sulla superficie ricoperta di neve. Posò le mani sulla ringhiera mentre ammirava i fiocchi che cadevano, danzando e ricoprendo con un velo bianco la cascata. Chiuse gli occhi e ascoltò l’acqua che scorreva, sentendo l’aria gelida che l’accerchiava. Con una fitta di nostalgia, ebbe la smania di fuggire via.
 Alzò le palpebre quando avvertì una presenza calorosa dietro a sé. Permise a Hans di circondarla con le braccia e appoggiare il capo sulla sua spalla.
 «Qui fuori è bellissimo» mormorò lui.
 Elsa canticchiò, concordando pienamente e traendo piacere dal tepore che l’avvolgeva come una bella coperta. «Mi mancherà».
 «Allora hai già deciso?» Hans rise. «Stavo per domandarti se avessi intenzione di restare ad Arendelle».
 Elsa sorrise leggermente. Le loro menti erano in sintonia. «Ci ho pensato. Per un attimo ho sperato di rimanere. Arendelle sarà sempre la mia casa, però…»
 Si bloccò, scrutando ancora la cascata. Si ricordò di come mesi fa si fosse rifugiata lì, dopo aver discusso di cavalli e di avventure con lo strano prigioniero. Si ricordò di aver desiderato di scappare. La stessa sete di avventura la riempiva in quel momento, mentre realizzava che l’esperienza provocata da Carol era sul punto di giungere a una fine. E lei non voleva che finisse.
 «Però?» la invitò a proseguire Hans.
 «Però mi hai promesso che mi avresti insegnato a cavalcare».
 Il principe era confuso.
 «Quando eri ancora nella tua cella, mi hai parlato del tuo cavallo e di quanto amassi cavalcare e io ti ho rivelato di non averlo mai provato. Mi hai garantito che un giorno me lo avresti insegnato» chiarì Elsa. «Non posso stare senza di te e tu devi riacquistare familiarità con i tuoi fratelli, giusto?»
 «Elsa» disse lui con una voce flebile, come se sapesse di dover rifiutare l’offerta, ma non ne avesse il coraggio.
 Elsa tuttavia scosse la testa. «Qui non c’è più spazio per me. Ho perso la corona e nell’ultimo periodo ho assaporato troppe volte il gusto dell’imprevisto. Non sono più in grado di vivere con tranquillità: devo imparare a montare a cavallo».
 Fissò nelle iridi Hans – che in faccia aveva un sorriso che non riusciva a nascondere – e lo baciò. «Me lo prometti?»
 Lui la strinse in un abbracciò e sorrise ulteriormente contro le sue labbra. «Te lo prometto».

Fin troppo presto a suo parere, Elsa si ritrovò ai moli di Arendelle, pronta a lasciarsi alle spalle una gran parte di se stessa. La neve del giorno prima aveva smesso di cadere, ma era ammassata in cumuli sul suolo, uno strato sottile sotto le suole delle sue scarpe. Il fiordo sgombro era invitante e terrificante e vasto ed Elsa fu costretta a regolarizzare il respiro. Stava per cominciare un nuovo capitolo della sua vita.
 Udì il suono di qualcuno che le si avvicinava. Passi regali, un’entrata silenziosa: poteva trattarsi di una sola persona. Elsa si girò per confermare i propri sospetti inerenti a Ingvalda, un mantello che l’attorniava delicatamente per tenerla al caldo. La donna sollevò il viso ma non aprì bocca, senza troncare il suo cammino.
 Ingvalda era muta quando la raggiunse. Elsa era disorientata.
 «Ingvalda» la salutò piano.
 «Elsa» ricambiò lei con un lieve gesto, il volto a terra. «Io… io non so che dire».
 Si arrestò nuovamente, senza incrociare il cipiglio di Elsa. L’ex regina si rese conto che Ingvalda stava tentando di scusarsi.
 «Io…» Ingvalda ci riprovò. «Ho sbagliato a scacciarvi. È stato noncurante e poco professionale. Ero in ansia per la nazione e la sua sicurezza e ho creduto—»
 «Non mi servono le vostre giustificazioni» contestò gentilmente Elsa. «Non ne ho bisogno».
 Ingvalda tacque e assunse un’aria colpevole. «Sì, naturalmente».
 «Vi perdono» riprese Elsa. «Avete errato, ma siamo entrambe consce della mia incapacità a governare».
 «Oh, non intendevo—»
 Elsa sorrise e l’azzittì agitando la mano. «No, va bene. È per il bene del regno».
 Ingvalda teneva lo sguardo in giù. «Sospetto di non potervi restituire la corona. Una volta reo di tradimento, un monarca non può essere riabilitato. È la legge».
 Elsa squadrò ancora il mare infinito, l’acqua che rifletteva il grigio monotono del cielo nuvoloso. «Ne sono informata. Mi allontanerò da Arendelle. Ma visto il favore di cui mi siete debitrice, vi do una condizione da seguire».
 «Sì?»
 «Così come non siamo mai state vicine, prendete Anna sotto la vostra ala» intimò Elsa, costringendo Ingvalda a guardarla negli occhi per farle capire di essere seria. «Istruite Anna e fate il meglio che potete, il più affettuosamente possibile, e assicuratevi che lei apprenda esattamente l’importanza del governare. Anna sarà la regina più giusta e più premurosa che Arendelle abbia conosciuto».
 Ingvalda batté le palpebre. «È tutto qui?»
 «Sì» replicò, studiando l’oceano. «E se al mio ritorno Anna non sarà perfettamente educata, vi farò presente la mia disonesta espulsione».
 «Ovviamente» rispose Ingvalda, un filo meno elettrizzata. Le toccava lavorare duramente per rimediare ai torti commessi, ma era per i migliori interessi di Anna. Elsa avvertì una fitta di dolore alla prospettiva di abbandonarla, ma non poteva far altro per lei.
 «Elsa!» urlò una voce, come a comando. Elsa si volse e vide Anna che correva a tutta birra nella sua direzione. La principessa rallentò per non sbattere contro la sorella, ma dovette aggrapparsi a lei per non perdere l’equilibrio.
 «Anna», Elsa rise, «non me ne vado adesso. Non lo farei mai senza salutarti».
 «Lo so, lo so» disse, recuperando il fiato, le guance arrossate a causa del freddo. «Ero preoccupata di non riuscire a beccarti. Devo fare qualcosa di molto importante».
 Anna era ansiosa, persino nervosa. Saltellava spostando il peso da un piede all’altro, come se fosse sul punto di esplodere.
 Elsa corrucciò la fronte, confusa. «Che devi fare?»
 «Vedrai» canticchiò Anna, voltandosi. Kristoff la tallonava rapidamente, a sua volta seguito dalla maggioranza dei membri dell’equipaggio e coloro che provenivano dalle Isole del Sud.
 Tutti si fermarono in prossimità delle tre donne. Ingvalda si unì alla folla ed Elsa individuò immediatamente Hans, rivolgendogli un cenno. La gente parlottava e Anna si schiarì rumorosamente la gola.
 «Ehi a tutti» richiamò. «Prima che mia sorella e buona parte di voi se ne vadano per sempre, devo fare un annuncio importante».
 Il silenzio cadde sulla massa, che osservava la donna dai capelli rossi raccolti e uno sfarzoso vestito rosso.
 «Mio sorella per me è tutto» iniziò a proclamare Anna. «Ha sempre auspicato il meglio per me, ha sempre cercato di proteggermi e, se calcolassi il suo valore in lingotti d’oro, prosciugherei tutti i caveau al mondo. Se non fosse stato per lei e i suoi poteri magici, Arendelle non avrebbe mai affrontato l’inverno durante l’estate di due anni fa. E se non fosse mai successo, io non avrei mai incontrato Kristoff Bjorgman».
 Gli occhi dei presenti si girarono con una bruciante curiosità verso il montanaro biondo e dalla voce carezzevole che diventava man mano sempre più rosso. Aveva l’aria di volersi far piccolo piccolo nel proprio cappotto per l’imbarazzo, ma le guance di Anna erano avvampate e lei non smetteva di sorridere. Gli si avvicinò e lo attirò a sé.
 «Quest’uomo mi ha insegnato tanto. Mi ha insegnato a prendere le vita con calma, ad accontentarmi e a non buttarmi a capofitto. E ho tentato e tentato e tentato di essere paziente, Kristoff. Ma Elsa sta per lasciarci e preferirei che anche lei fosse presente in questo momento, perciò…»
 Anna s’inginocchiò inaspettatamente, tirando fuori dalla tasca del suo mantello una scatoletta – una custodia. Elsa si emozionò subito e non era capace di stare ferma mentre guardava l’intera marea di persone che iniziava a tripudiare e a gioire. Kristoff era rosso come un pomodoro e si copriva la bocca con le mani.
 «Kristoff Bjorgman, mi vuoi sposare?»
 Lui dava l’impressione di star per morire, ma annuì, completamente ammutolito. Anna sorrise e si erse in piedi, balzando addosso all’uomo e baciandolo. I fratelli esultarono e gridarono dall’emozione ed Elsa si accorse di aver provocato una seconda nevicata.
 La coppia ricevette le felicitazioni di ognuno e c’era un’atmosfera di risate e di contentezza. Elsa scorse Bhumi nel trambusto. Anche la principessa aveva ottenuto da Ingvalda una nave e un equipaggio e aveva intenzione di avviarsi qualche giorno dopo la partenza del naviglio diretto alle Isole del Sud. In sua compagnia c’era un Charles impacciato e dall’espressione colpevole che ad Aruna avrebbe scontato le proprie pene servendola. Ma Elsa sapeva che la sentenza non era minimamente tanto crudele quanto Bhumi insisteva che fosse: lei era cambiata e la trasformazione era evidente.
 Elsa andò ad accomiatarsi da Bhumi e a ringraziarla per tutto. Se non fosse stato per lei, dopotutto, nulla di ciò sarebbe successo. La donna indiana contraccambiò la riconoscenza e si complimentò con la principessa e il montanaro.
 Tra tutta quella felicità e commozione, Elsa perse la cognizione del tempo e improvvisamente si ritrovò sulla nave con Anna che la stringeva forte.
 «Mi mancherai tantissimo» mormorò la principessa e futura regina. «Eravamo distanti quando eravamo vicine e adesso siamo vicine malgrado la distanza».
 Anna fece qualche commento incomprensibile mentre tuffava il viso nella spalla di Elsa. Quando rizzò la schiena, aveva i lucciconi agli occhi, ma sorrideva.
 «Che giornata lunga, eh?» rimarcò. «Chi avrebbe immaginato di finire qui?»
 Elsa cinse di nuovo sua sorella in un enorme abbraccio e poi la dovette di nuovo salutare. Molte lacrime e diversi “Arrivederci!” più tardi, la nave era carica e salpò in mare, fino a quanto Anna, Kristoff e tutti coloro che erano venuti a sventolare i loro fazzoletti divennero granelli sull’orizzonte da cui spiccava la figura del castello che un tempo era stato casa sua.
 Qualche ora dopo, il tramonto ricoprì il cielo come una tenda. Sebbene nella frizzante notte invernale facesse freddo, i dieci fratelli rimasti, il re ed Elsa si erano riuniti sul ponte, ascoltando le esperienze descritte da ciascuno nei loro istanti prima di essere uccisi da Bhumi. Uno dopo l’altro, i principi si alzarono in piedi di fronte al loro pubblico, raccontando drammaticamente il modo con cui si erano approcciati al loro decesso.
 «Avrei giurato che non ci fosse nessuno dietro di me, ma quando mi girai» narrò John, il terzogenito, reinterpretando in maniera comica la paura che aveva provato, «sentii dei passi! Cominciai a correre – ero terrorizzato! Era un fantasma, ne ero sicuro! E poi mi volsi un’ultima, fatidica volta…»
 Elsa s’era accoccolata contro Hans, non perché aveva bisogno che lui la scaldasse, ma perché amava la sua compagnia. Dall’altro lato c’era Jørgen, con cui era stata lieta di riunirsi.
 «Bam!» urlò d’un tratto John. «Era finita. E dire che l’ultima cosa che pensai fu che non avrei più avuto la possibilità di mangiare quel fagiano».
 Il pubblico rise e applaudì mentre John s’inchinava e tornava a sedersi.
 «Nessun altro?» chiese il primogenito, Campbell. «Jørgen?»
 Il settimo scosse il capo. «No, non sono mai stato ucciso. Non ho storie da raccontare».
 Tutti lo fischiarono, ma risero. Anche Elsa rise quando Jørgen scosse le spalle, adducendo la buona sorte al suo essere il fortunato numero sette.
 «E se Elsa si esibisse?» suggerì Anderson.
 I fratelli si zittirono e guardarono il principe più giovane e la donna che lui cingeva. Hans s’irrigidì istintivamente e la strinse ulteriormente.
 «Che?» domandò Elsa.
 «Sfoggia i tuoi poteri del ghiaccio» la delucidò lui. «Vediamo cosa sai fare con la magia».
 «Oh» rispose Elsa, dando dei colpetti al braccio di Hans per fargli comprendere che lei approvava. Lui non ne era felice, ma la liberò dalla propria presa. «Be’, se proprio lo vuoi».
 «Sì» la incitò Christian. «E anche Hans!»
 Gli occhi di Hans erano più spalancati della luna. Elsa intuiva quello che gli ronzava in testa. È uno scherzo?
 Lo dovettero percepire anche gli altri, perché iniziarono a esortarlo e incoraggiarlo. Hans, che sedeva inerte come una lumaca, ci mise un po’ a rendersi conto che lo stavano sollecitando a prendere posto accanto alla sua donna sorridente. Si levò goffamente in piedi e si diresse da lei, il timore in faccia.
 «Vogliono che utilizzi la magia» sussurrò a Elsa, incredulo.
 Lei gli sorrise per rassicurarlo. «Lo so».
 E con un’occhiata, lui sembrò capire che andava tutto bene. Per la prima volta in vita sua, i suoi fratelli volevano vedere quello di cui era capace. Volevano che lui usasse la magia e non lo stavano deridendo. Era surreale.
 Elsa si distanziò da lui di qualche passo. Erano trascorsi mesi dalle lezioni, ma era certa che avrebbero presto ritrovato l’equilibrio.
 Raddrizzò le dita, la neve e il ghiaccio che si arricciarono lungo e intorno a esse, esplodendo nell’aria come una tenue nebbia. Hans, malgrado la leggera insicurezza, sollevò il palmo da dove nacque un fuoco ruggente. I presenti esclamarono in coro: «Oooh».
 Elsa mosse entrambe le mani, creando fiocchi e nevischi che oscillavano come foglie nel vento, mentre Hans sferrava piccole fiamme nelle gelide scintille. Disegnarono fiori, petali di fuoco e di ghiaccio che cadevano ma che scomparivano prima di toccare terra.
 Hans era più che deliziato all’idea di essere finalmente sostenuto dalla sua famiglia, ma presto nei paraggi non ci fu più nessuno oltre che lui ed Elsa. Neanche la superficie che pestavano era quella della nave: c’erano solo loro due. Creavano e ballavano in schizzi incantevoli e strani che si completavano a vicenda da qualsiasi prospettiva. La loro magia era bellissima e assistere ai loro poteri insieme era come ammirare splendide sequenze di vita allineate in una perfetta armonia. Era uno spettacolo compiuto e ciò che contava ora – tutto ciò contava – erano loro due che danzavano nel fuoco e nel ghiaccio.

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