Doncaster Fire × Larry Williard Stylinson.

di Elis17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Special Day. ***
Capitolo 2: *** Rino! ***
Capitolo 3: *** Would you like some hot choccolate? ***
Capitolo 4: *** Week-end. ***
Capitolo 5: *** A bit like Beatrice. ***
Capitolo 6: *** Irish Pub. ***



Capitolo 1
*** A Special Day. ***


 


 
Capitolo1: A Special Day.


Eleanor continuava a spingere, sempre di più, incitata dalla persona che più amava, spingeva, stringeva forte i denti, a volte facendoli collidere tra loro provocando un dolore che era niente a confronto di quello che provava in quel momento.
Strizzava nella mano sinistra quella del ragazzo, le sue unghie entravano quasi nella carne dell'altro, la pelle delle loro mani era sudata, scivolosa, la presa dolorosa per lui.
La ragazza cercava di usare gli incitamenti come punto di forza, ad ogni consiglio, ad ogni stretta di mano, ad ogni carezza sulla fronte o ad ogni bacio sulla tempia, questa spingeva, buttava la testa all'indietro, arricciava le dita dei piedi e spingeva, prendeva aria e poi, di nuovo, spingeva.
Il ragazzo al suo fianco la supportava come mai aveva fatto prima, le era sempre stato accanto, l'aveva amata per quella che era ed ora, nella fase più importate, più bella e più dolorosa della sua vita, era lì, con lei e non la stava abbandonando come qualunque ragazzo al posto di lui avrebbe fatto.
Le sopracciglia aggrottate, gli occhi lucidi, le rughe sulla fronte, le urla strazianti, le imprecazioni sussurrate, erano tutti sintomi del dolore che provava e la donna cinquantenne che le stava tra le gambe sembrava capire tutta la situazione, cosa provava, come se l'avesse già sperimentata sulla propria pelle, la guardava incoraggiandola con lo sguardo, la fissava, prima lei e poi là sotto dove iniziava ad intravedersi qualcosa.
La signora esultò, incoraggiandola ancora di più e così anche il giovane continuò, con un po' più di ardore questa volta.
Cazzo!” imprecò a denti stretti la giovane sul lettino, in quella stanza troppo bianca, troppo pura, che da lì a poco sarebbe stata macchiata.
Da cosa? Di certo non solo dal sangue.
Non ne poteva più di tutto quel dolore, era straziante, l'attesa agognante e la tortura era una morte troppo lenta da sopportare.
Voleva smettere e lasciare tutto al destino e sapeva che sarebbe accaduto, quel dolore non derivava solo da quella piccola creatura che da lei voleva uscire, era il dolore della consapevolezza, ma no, non ne aveva paura, sapeva che tutto le cose negative che si sentono ai giorni d'oggi non sarebbero mai accadute.
Sapeva tutto lei, a soli diciassette anni sapeva cose che nemmeno la signora davanti a lei conosceva.
Sapeva che sarebbe accaduto.
Sapeva come sarebbe andata dopo.
Sapeva che non sarebbe stato facile per il suo amore.
Lo sapeva e basta, sesto senso?
Si prese un momento di pausa, giusto qualche secondo, solo per poter degustare tutto, per sentire la voce squillante e preoccupata del suo amato, la voce stridula e fastidiosa dell'ostetrica, il 'bip' incessante della macchina posta alla sua destra, voleva annusare quello che la circondava, l'odore ripugnate e pungente del sangue, quello schifoso ed odioso dei medicinali, dei disinfettanti, voleva vedere ancora gli occhi del ragazzo che l'adorava, neanche fosse una Dea greca, voleva gustare ancora le sue labbra, sentire la sua sottile barba pungergli le mani o il volto o, ancora meglio, il collo.
Si voltò a guardare quel semplice ragazzo che gli aveva reso la vita migliore in tutti i suoi aspetti.
Non ce la faccio.” sussurrò semplicemente ed il ragazzo la guardò fissa negli occhi, capendo male, ovviamente.
Sorrise divertito e a lei si fermò il cuore, ecco, era quello di cui aveva bisogno, un semplice sorriso ed in seguito della sua voce.
Certo che ce la fai, su, sono qua, spingi!” La incitò nuovamente stringendole ancora più forte la mano e lei spinse.
Ma lei, sì, lei non parlava di non riuscire a portare al termine tutto quello che le stava accadendo in quel preciso istante.
Lei... beh capita prima o poi, no?
Eccola, la vedo!” Esclamò quella vecchia, entrambi i ragazzi iniziavano ad odiarla.
Più forte! Manca poco! Ancora un po'! Dai!” Continuava a ripetere ed ad ognuna di queste stupide e ripetitive incitazioni la ragazza spingeva riuscendo nella sua impresa.
Ce l'aveva fatta!
Sorrise sfinita.
Il ragazzo le baciò ripetutamente le tempie dedicandole dolci parole come “Sono orgoglioso di te”, “Sono sicuro che abbiamo fatto un bel capolavoro”, “Ora siamo in tre” oppure qualcosa di molto più provocante come: “Se vuoi ne facciamo un altro” ed entrambi risero mentre la ragazza rispondeva a tutte le sue frasi mentalmente.
Grazie, amore, anche io”, “Ovvio, guardaci, siamo i migliori”, “Io...”, “Lo rifarei anche cinquanta, ma solo con te”.
Mentre gli sorrideva calorosamente sentirono delle dolci urla e la giovane scoppiò a piangere.
Era stremata, non ce la faceva più, era stanca e l'unica cosa che voleva fare era riposare e lo avrebbe fatto, presto.
La signora sporse sull'addome della giovine il piccolo pargolo, annunciando con calore che era un maschio.
Come? No, doveva essere una bambina!” esclamò il ragazzo.
Sarà bello come il papà!” disse la ragazza, la voce ormai un sussurro poco udibile mentre le sue orecchie si riempivano di quelle bellissima grida, il dolce peso di quella creatura su di lei, gli occhi pieni di lacrime mentre osservava i piccoli occhi di suo figlio, gli stessi del suo ragazzo che osservò poco dopo e vederlo sorridere mentre guardava le persone più importanti della sua vita le fece mancare l'ennesimo fatidico battito di cuore.
Il piccolo era infagottato in una calda coperta azzurra.
Foto!” esclamò la signora e i giovani genitori si avvicinarono, le tempie le une contro le altre, le guance accaldate appiccicate tra di loro per via del sudore ed il piccolo appena arrivato tra loro.
Un braccio del papà reggeva la mamma e l'altro loro figlio, come a racchiudere il piccolo quadro familiare, l'ultimo, per l'esattezza.
La mamma teneva stretto al suo petto, sul suo cuore, con una debole stretta, il piccolo di appena tre chili.
Ti amo” si dissero contemporaneamente e sorrisero tra loro con un'intesa pazzesca che solo tra amanti può esistere.
Il giovane, dopo che la foto fu scattata, prese in braccio il figlio e lo osservò bene da vicino; le guance paffute e arrossate, la pelle delicate, gli occhi così simili ai sui e quei pochi, pochissimi, capelli scuri.
Era bellissimo.
La cosa più bella che avesse mai visto.
La giovane madre vedendo padre e figlio così vicini si coricò sfinita sul lettino, sussurrando qualcosa così che solo il ragazzo potesse sentirla, sorrise un'ultima volta e poi si addormentò per sempre, troppo stanca per resistere ancora.
Dio l'aveva sostenuta e le aveva promesso quell'ultimo momento e lei lo aveva vissuto al meglio.
Tutte le sue emozioni sparirono, non sentì più niente, forse, e dico forse, una piccola stretta intorno al suo dito indice, poi, tutto svanì.
Quando il giovane si voltò a guardarla era ormai troppo tardi, il volto di lei era rilassato come non mai, le gote pallide e non più rosa come le ricordava, le labbra di un rosa sfocato che mai avrebbe immaginato esistesse, le palpebre calate a coprire i suoi grandi occhi marroni, i capelli lunghi scompigliati e quella smorfia così simile ad un sorriso felice.
Sarai un meraviglioso papà William, ne sono sicura...”




William ricordava quel momento fin troppo bene, era come il suo film preferito, rivedeva tutte le immagini, ne conosceva a memoria le battute, le scene che si susseguivano tra di loro ormai con monotonia: erano sempre e solo quelle.
Quante volte abbiamo guardato il nostro film preferito sperando che alla fine qualcosa cambi, che il finale non sia lo stesso, che il nostro personaggio preferito non muoia?
Quante? Tante, e anche William lo aveva fatto.
La parte più brutta per lui era realizzare che quello che stava revisionando per l'ennesima volta non era un film, ma la realtà, la sua vita; se si fosse girato non avrebbe trovato nessuna ragazza dai lunghi capelli castani a fissarlo; coricato a fianco a lui, su quel letto singolo, non c'era nessuno.
Però, se si voltava una cosa poteva notarla, a fianco del letto a muro, c'era una culla bianca, posizionata al centro della stanza, gli faceva venire in mente che la sua ragazza non era realmente morta e che qualcosa di lei viveva ancora.
William si era trovato, così all'improvviso, un ragazzo padre di soli ventidue, quasi ventitré, anni.
La sua ragazza era deceduta tre anni prima per parto a soli diciassette anni.
William si sentiva in colpa per tutto: i genitori della ragazza l'avevano sbattuta fuori di casa dopo aver scoperto della gravidanza, così, William, l'aveva ospitata a casa sua, nella sua stanza, con il consenso dei suoi genitori e quest'ultimi l'aveano accolta come un'altra delle loro figlie.
Gli mancava.
Gli mancava come l'aria, come l'ossigeno, sembrava quasi avesse un bisogno mal sano di lei, era droga vivente per lui.
Gli mancavano i suoi gesti, i suoi grandi occhi, le sue labbra piene, le sue esili braccia e il suo minuto corpo.
Gli mancavano le parole di conforto che lo aiutavano sempre, la sua risata sempre genuina, la sua voce vellutata e così dolce, pacata.
Gli mancavano le sue e le loro azioni abituali.
Gli mancavano i loro momenti, fatti solo di loro e del piccolo, gli mancava vederla gironzolare per casa mentre si teneva la schiena con la mano appoggiata sul fianco, le spalle curvate all'indietro e la pancia che sporgeva ormai da tempo.
Gli mancava averla la notte coricata al suo fianco, sentire il calore che il corpo di lei emanava, il suo profumo così delicato.
Gli mancava aver possibilità di immaginare che sarebbero stati una bellissima famiglia, lui, Eleanor ed il piccolo, il solo pensare che sarebbero potuti andare tutti e tre al cinema, al parco giochi, ai giardinetti, sapere che sarebbero potuti andare a vivere in una casa tutta loro, dove i genitori avrebbero avuto una camera da letto per loro e il nuovo arrivato una stanzetta tutta sua dove poter giocare ed invitare magari qualche amichetto.
Avrebbero potuto avere, chissà, forse, uno o altri due figli, dopotutto a William piacevano le famiglie numerose, proprio come la sua, ormai era abituato ad avere al suo fianco tantissima gente che lo amava; ma ora all'appello ne mancava una, anche se allo stesso tempo un'altra, molto più piccola, si era aggiunta.
E a lui da una parte andava bene così, se non ci fosse stato quel piccolo esserino ora non avrebbe niente di più vero a ricordargli la sua defunta futura moglie.
Perché sì, aveva preso qualche giorno prima del parto la decisione di chiederle di sposarlo, di vivere insieme, di avere altri bambini, di avere dei nipoti successivamente e voleva invecchiare con lei e morire con lei.
Invece lei lo aveva lasciato da solo, a marcire nella sua stanza, nel suo letto.
A farlo rinascere era stato solo suo figlio, ogni volta che lo fissava, molte volte con sguardo severo - dopotutto era stata colpa sua, ma non glielo avrebbe mai fatto pesare – gli ricordava sempre di più tutto quello che era capitato, i momenti belli e quelli brutti che gli aveva fatto passare, ma lo amava, perché era lì con lui, almeno il piccolo non lo aveva abbandonato come aveva fatto la madre.
Lui si sentiva abbandonato.
Un moto di rabbia lo attraversò da parte a parte, il cuore batteva forte, le budella ribollivano, gli occhi bruciavano, le sopracciglia aggrottate gli dolevano, le guance gonfie pronte a sputare fuori un urlo che reprimeva da troppo tempo.
Guardò il soffitto e tutto quello che sentì furono i gorgogli di suo fogli, un piccolo allarme che lo avvertiva che il piccolo si stava svegliando dal suo riposino pomeridiano.
Soffiò forte invece di urlare e si precipitò a vedere quello spettacolo della natura che tanto amava osservare.
Ecco, quella era una delle sue parti preferite del suo film preferito: vedere il figlio fare qualsiasi azione abituale era una visione quasi divina, era una cosa così naturale e così magica allo stesso tempo.
Lo amava, più della sua stessa vita, avrebbe fatto di tutto per lui, avrebbe anche sacrificato la propria vita per la sua.
Lo osservò per bene, imprimendo nella sua mente quella scena.
Il piccolo starnutì facendo così sbattere la testa sul sottile cuscino, stiracchiò le gambe, le piccole dita dei piccoli piedini si arricciarono e si tesero qualche secondo, le esili braccia si sollevarono al fianco della testa mentre il bambino di appena due anni sbadigliava spalancando quella piccola bocca a forma di cuore ed aprendo gli occhietti azzurri.
William perse un battito e la prima cosa che fece fu prendere il figlio da sotto le ascelle, sollevarlo e appoggiarlo sul suo petto e facendo posare la testa del piccolo sulla spalla indietreggiò andandosi a ricoricare sul letto.
Era la sua posizione preferita, amava stare così con suo figlio, sentire il suo dolce peso sul petto e la sua piccola vocina vicina all'orecchio.




Il ragazzo e suo figlio rimasero per minuti, forse ore, in quella posizione.
Furono interrotti dal suo cellulare che squillava.
Il giovane non voleva muoversi o rompere quel momento magico che tra loro si era creato, così lasciò che il cellulare continuasse a squillare, lasciò che 'Uncover' venisse interrotta di punto in bianco dalla persona che dall'altro capo della linea cercava di rintracciarlo.
Girò il viso per guardare suo figlio appoggiato con la testa sulla sua spalla e fissò i suoi occhi in quelli del bimbo così simili ai suoi.
Si fissarono e William sorrise nel vederlo così attento a succhiarsi il piccolo pollice.
Il piccolo rise nel vedere il papà felice e William si perse nell'osservarlo; gli occhietti luccicanti e sorridenti, i denti piccoli e bianchi che spiccavano sul suo incarnato scuro.
Il cellulare riprese a squillare e le note della sua canzone preferita si sparsero qua e là inondando tutta la camera.
William si sporse verso il comodino sistemato al fianco del letto e leggendo il mittente che lampeggiava sulla schermata rispose subito.
“Mamma” disse con voce apatica, quella donna aveva interrotto un momento importante della vita sua e di suo figlio.
“Tesoro! Perché non hai risposto, è successo qualcosa?” domandò subito Johanna, sua madre, partendo prevenuta.
La donna, dopo la morte della giovane Eleanor, era perennemente preoccupata per suo figlio e suo nipote, ma aveva sempre e comunque in volto un radioso sorriso.
E come biasimarla?
William non si era mai lamentato, non aveva mai pianto, non era mai scoppiato in un impeto di ira dopo il grave accaduto.
Era, semplicemente, rimasto in silenzio, anche davanti alla tomba, alla sepoltura, era rimasto in un religioso silenzio che veniva spezzato raramente per osservare e sussurrare dolci parole al figlio di pochi giorni.
No, non era di certo depresso, solo non voleva esternare al mondo intero le sue emozioni, a cosa importava alla gente se lui era triste o incazzato?
Faceva la differenza?
Provava rabbia, tanta rabbia, i genitori di Eleanor non si erano presentati al funerale, la funzione l'avevano pagata tutta loro, i Calder non avevano fatto una piega nemmeno quando avevano saputo che la loro unica figlia era in procinto di partorire, non si erano fatti sentire nemmeno quando William aveva comunicato loro il nome del nipote.
Quei brutti bastardi avevano abbandonato la loro bambina, perché sì, Eleanor era ancora una bambina, era piccola, diciassette anni non sono tanti, devi ancora crescere, esplorare il mondo, capire chi sei, conoscere gente, renderti conto che non tutto fa schifo, ma che qualcosa di bello al mondo c'è.
Erano entrambi piccoli, erano due bambini che avrebbero dovuto crescere un bambino.
Si potrebbe dire che la giovane Eleanor abbia fatto tutte le sue esperienze in un solo anno.
Si era innamorata dell'affascinante William, aveva consumato con lui tutte le sue prime esperienze, dal primo bacio alla prima volta, era persino rimasta incinta, ma niente e nessuno li aveva scalfiti in alcun modo, erano rimasti sempre e comunque loro due ed il loro amore, non si erano mai abbandonati a vicenda in nessuna delle loro complicate situazioni.
Erano forti, insieme.
Già, insieme, peccato che non lo fossero più da più di due anni, forse quasi tre.
Ma che giorno era?
“Tesoro mi stai ascoltando?” chiese dopo aver parlato per interi minuti la madre.
“No, scusa, ripeti?” chiese quasi scocciato, aveva anche interrotto i suoi pensieri!
Si stava seriamente incazzando.
“Ti stavo dicendo che sta sera non torno per cena e che rimango da Robin, va bene? Guardi tu le ragazze?” chiese, neanche fosse lui l'uomo di casa o il padre delle sue sorelle.
Beh si, forse era lui l'uomo di casa, ma questo non doveva essere un pretesto per affibbiare a lui il carico di non solo suo figlio ma anche di quattro sorelle.
“Si si come vuoi tu.” la liquidò, ma non riuscì a chiudere la conversazione che la donna lo richiamò.
“William?” ora era gentile e meno agitata ed il grande cuore di William si sciolse.
“Si mamma?”
“Stai bene?” William non voleva sentire sua madre con quel tono di voce, ogni volta gli faceva male, il cuore sembrava venir sbranato da tanti piccoli denti affilati di una belva a lui sconosciuta.
“Si mamma, sto bene!” e questa volta il tono che usò suo figlio fu più pimpante, meno freddo e un poco, giusto un po', più allegro.
“Bene, augurami una buona serata!” esclamò lei facendolo ridere.
“Tutto quello che vuoi, l'importante è che non torni incinta!” si, era un argomento delicato quello, ma era sua madre e di lei si fidava, con lei poteva scherzare tranquillamente.
“Che figlio ingrato!” rise lei amaramente.
“Un figlio ingrato che ti ha donato un bellissimo nipotino, modestamente!” rise ancora lui.
“Un bellissimo nipotino che oggi compie tre anni!” esclamò lei ancora più raggiante.
Quanto amava sua madre? Tanto.
Ecco che giorno era!
“Eh già, il mio campione cresce così velocemente, come passa in fretta il tempo, eh?” domandò retoricamente William, ma sua madre gli rispose lo stesso.
“Troppo velocemente, tu hai già quasi ventitré anni, Charlotte diciassette, Felicité quindici e le gemelle undici.”
“Oddio, non ricominciare di nuovo con questa storia, lo so che ogni anno che passa dobbiamo aggiungere un numero in più!” scherzò lui, il tono così allegro quasi a non riuscire a riconoscerlo nemmeno lui stesso.
“Si, e la mamma ne ha quasi quarantacinque, mio Dio come sono vecchia!” esclamò lei fintamente giù di morale.
“Una bellissima vecchia!” cercò di arruffianarla lui.
“Ruffiano!” rise lei, appunto.
“No, ma va, che dici mamma?” rise di gusto e con lui sua mamma.
“Ti voglio bene, amore.”
“Ti voglio bene anch'io mamma.”
Finì la chiamata tastando lo schermo del suo Samsung.
Guardò il figlio che lo stava fissando, si erano fissati per tutta la conversazione.
Il piccolo era un tipo di poche parole, ne combinava una dietro l'altra e si divertiva a giocare con le zie gemelle.
“Andiamo Campione? Abbiamo un compleanno da festeggiare io e te!” esclamò prendendo in braccio il figlio per non farlo cadere, si alzò e poi mise per terra il piccolo.
Si fissarono, l'uno dall'alto al basso, l'altro dal basso all'alto.
La differenza di altezza era pazzesca, il piccolo amore di papà, pur avendo ben tre anni, era alto fino al ginocchio di William.
“Allora? Che facciamo di bello oggi?” William stravedeva per suo figlio, era tutto per lui, era il ricordo vivente e presente di qualcosa che era ormai passato da anni, era vita, era amore, era felicità; la sua vita, il suo amore e la sua felicità.
Il grande amore della sua vita lo fissava senza dire niente e continuando a succhiarsi il piccolo pollice.
“Dovrai smettere prima o poi no?” chiese retoricamente, ma qualche secondo più tardi si ritrovò a ridere da solo dopo aver immaginato suo figlio, che con la voce di un uomo di cinquanta anni, gli rispondeva di “No”.
Il bambino continuava a fissarlo senza dire una parola, come sempre.
“Dai, andiamo!” lo incitò il papà girandolo verso la porta e spingendolo dolcemente con una mano sulla schiena verso questa.
Gli tenne la mano mentre scendevano le scale della piccola villetta dove vivevano in sette, lui, suo figlio, sua madre e le sue quattro sorelle.
Arrivò al piano di sotto, più precisamente in salotto, a petto nudo, a coprirlo solo i pantaloni lunghi della tuta e cinque paia di occhi a fissarlo; uno di questi con astio gli altri quattro con adorazione.
Di William si poteva dire tutto, ma non che non fosse un ragazzo brillante e tremendamente bello.
Castano e occhi azzurri, corporatura normale, forse troppo esile, e muscoli al punto giusto.
Ma la parte più bella di lui era il carattere, o la voce, dipendeva dai punti di vista.
Gli occhi delle cinque ragazze davanti a lui si spostavano con frenesia da lui a suo figlio per poi tornare su di lui e così per qualche secondo.
Sia lui che suo figlio erano delle visioni da venerare, un papà davvero tanto bello e un figlio tremendamente adorabile.
Se amavi uno di conseguenza amavi anche l'altro, o per un motivo o per l'altro.
La sorella, Charlotte, continuava a fissarlo in attesa mentre le sue compagne di classe lo guardavano con la bava alla bocca.
Adolescenti arrapate, pensò il giovane.
La situazione era davvero esilarante per William, si tratteneva dal ridere in faccia a quelle piccole mocciose la cui ispirazione era solo scopare, non sapeva cosa significasse vivere e tanto meno accudire un figlio.
“E' pieno inverno, hai intenzione di andare in giro per casa conciato così?” chiese arrabbiata Charlotte.
“Ma io ho caldo” si lamentò proprio come un bambino mentre un sussurro simile ad un “anche io inizio ad avere caldo” si velò nella stanza facendo scoppiare a ridere tutti tranne che Charlotte e il suo nipotino preferito – non che ne avesse altri, comunque.
“Se vuoi apro una finestra, Minnie!” esclamò lui ridendo e scherzando con la ragazzina di appena diciassette anni.
Charlotte e le sue amiche avevano la stessa età che Eleanor aveva tre anni fa.
Era da ben tre anni che non rideva così tanto in una sola giornata.
Quello doveva di certo essere un giorno speciale, suo figlio compiva tre anni, tre anni erano passati dalla morte della sua ragazza, chissà cos'altro il destino gli avrebbe prospettato quel giorno.
“No no, tranquillo, basta che ti metti una maglia” rise la ragazza nervosa, rossa in volto.
“Ah si, certo, io mi devo coprire per non far sentire caldo a te, mi sembra logico.” scherzò ancora.
“Ragazze, mi tenete un attimo il piccolo? Mi vado a vestire va, non vorrei mai che questa stanza diventasse una sauna.” scherzò ancora e questa volta anche Charlie scoppiò a ridere.
Quanto adorava suo fratello? E suo nipote? Tanto.
Le ragazze iniziarono subito a rigirare come un calzino il piccolo, che per l'esattezza era vestito proprio come il suo papà, mentre William saliva le scale per tornare in camera sua.
“Allora, vediamo qua cosa abbiamo.” parlò ad alta voce William tra sé e sé.
Trovò un maglione di lana blu sulla sedia girevole della sua scrivania e lo indossò.
Si voltò e per poco non ebbe un infarto: sulla soglia della porta della sua stanza c'era Minnie, la compagna di classe che pochi minuti prima aveva avuto un attacco di caldo.
“Minnie! Mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò sconcertato.
Cosa ci faceva quella ragazza lì?
“Scusa, non era mia intenzione.” si scusò subito lei, lo sguardo puntato verso il suo viso.
“Dimmi, avevi bisogno di qualcosa?” chiese, non poteva semplicemente scollarsi da lui?
“Ecco io... volevo solo un secondo parlarti, non volevo darti fastidio.” riprese subito la parola, sembrava quasi avesse intuito il fastidio nei suoi confronti, eppure Will non aveva fatto nessuna smorfia, era rimasto in silenzio aspettando una risposta, era così semplice leggerlo?
“No tranquilla, scusami, dimmi pure!” affermò riprendendo il controllo.
“Ecco vedi, si beh... tu...”
“Io?” chiese dubbioso.
E adesso che aveva fatto lui?
“Beh si, mi piaci, cioè, si, si, mi piaci!” affermò la ragazza, si torturava le mani, lo sguardo passava dal soggetto dei suoi sogni a tutta la stanza senza mai fermarsi.
William rimase spiazzato da quella dichiarazione.
Non pensava di certo che la piccola Minnie, la stessa che aveva visto crescere perché era la migliore amica di sua sorella, si fosse presa una cotta per lui.
Era basito.
Non sapeva che dire, le parole gli erano morte in bocca.
“Okay, scusami, non avrei dovuto dirlo, non... fai finta che io non abbia detto niente, grazie per avermi ascoltata ma questa conversazione non è mai avvenuta, okay? Tranquillo, ora me ne vado, ciao!” la ragazza parlò velocemente, si girava in continuazione a vedere se arrivava qualcuno.
Se ne stava per andare quando William la bloccò per un braccio.
La fissava e Minnie si sentiva in soggezione, quasi a disagio.
La ragazza sperava tanto in un assenso di affermazione, magari dei sentimenti ricambiati, no okay, quello era troppo anche per lei da concepire, ma forse un qualcosina di positivo... poteva almeno sperare o ancora meglio sognare, no?
Il ragazzo la fissava senza dire una parola, questa situazione non andava dimenticata, no, andava solo sistemata.
“Da quanto va avanti questa storia, Minnie?” chiese solamente mentre la sua mano arrivò fino a sfiorarle la mano poi il suo tocco si volatilizzò proprio come l'amore della sua vita aveva fatto con lui.
“Da... quando avevo più o meno dodici anni, forse tredici...” Minnie incrociò le braccia al petto, sotto al seno prosperoso facendo in modo che questo si alzasse ancora di più.
William spostò velocemente lo sguardo dal movimento che le sue mani, le sua braccia – ed i suoi seni – avevano compiuto e rifletté.
Tutta quella situazione era dannatamente sbagliata, tutta.
“Senti... io ne sono davvero tanto lusingato Minnie, ma non posso, non so se comprendi la situazione...” domandò.
“Io... beh si, ma...” provò a dire, forse a giustificare quell'amore non corrisposto.
“No Minnie, nessun ma! Ho ventitré anni, tu diciassette, sei la migliore amica di mia sorella e per me, per quanto tu possa essere una bella ragazza” lei sorrise distrattamente e tristemente “rimani questo per me, una delle mie sorelle, da proteggere ed amare come tale, lo so, queste parole ti fanno male... non piangere ti prego, ma è così, e cosa più grave sono anche padre!” esclamò spiegando tutta la situazione.
La ragazza era scoppiata a piangere, non singhiozzava, non si lamentava, sul suo bellissimo viso si vedevano solo gli occhi rossi e le lacrime solcare i suoi alti zigomi.
William la teneva le mani sul viso e le asciugava le lacrime con i pollici mentre la fissava dritto negli occhi.
Ecco, Minnie si era innamorata non del suo aspetto quanto del suo carattere.
“Vedrai che troverai un altro coglione più bello di me, anche se questo è difficile, più intelligente, anche questo molto difficile, con un carattere migliore del mio, questa poi, e che ti tratterà come una principessa!” scherzò e la ragazza rise.
“Sei più tranquilla ora?” le chiese, dopo tutto l'amava, proprio come amava Charlotte, Félicité, Phobe e Daysi, le sue sorelle.
“Hai ragione, difficile trovare un ragazzo migliore di te, ma ci proverò, tu non sarai mica l'unico perfetto a questo mondo, no?” chiese ridendo.
“Mi offendo così! Certo che sono l'unico perfetto!” affermò abbracciandola.
“Sei il miglior fratello che non ho mai avuto!” e quella era la cosa più dolce che aveva mai sentito dire nei suoi confronti.
“Le tue sorelle sono davvero fortunate ad avere un fratello come te.” se quella ragazza sarebbe andata avanti a dire quelle cose, William sarebbe scoppiato a piangere.
“Hei, lo sai, se hai bisogno di una spalla io ci sono, anche Charlotte, ma se hai bisogno di un parere diverso da quello di quella pesta io ci sono, davvero!” scherzò ancora dicendo anche una mera verità.
“Grazie William, davvero, ne terrò conto!” gli disse la ragazza stringendolo ancora più forte.
“Lo sai? Regali davvero dei bei abbracci!” rise lei staccandosi da lui.
“Allora sarò il tuo orsacchiotto da abbracciare come e quando vuoi!” rise lui.
Quella sì che era una bella giornata.
“Sarai il mio Boo Bear!” rise ancora di più lei, le lacrime ormai secche ed il trucco colato sulle guance rosse.
“Bene, allora sarò il tuo Boo Bear!” affermò con convinzione lui spalancando le braccia ed aspettando che Minnie si catapultasse tra esse.
Si abbracciarono e ridendo e scherzando scesero le scale.
“Solo, Will, non dirlo a nessuno, per favore.” lo scongiurò e lui si chiuse la bocca con una zip immaginare.
Arrivarono nel piccolo salottino che ancora ridevano e Charlie si accorse di loro.
“Più che una pipì ti è venuta la diarrea, quanto ci hai messo?!” esclamò lei notando i due che se la ridevano ancora.
“E' che mi sono persa, non trovavo il bagno!” inventò su due piedi una balla.
“Cosa?! Ma se praticamente vivi qui!” rimase spiazzata Charlotte da quella risposta mentre notava che William e Minnie ridere guardandosi.
Sapeva della cotta della sua migliore amica, allora, poteva essere che...?
No, non poteva essere.
Charlotte era sempre più confusa.
“Sì, si è persa e l'ho riportata di sotto!” rise ancora lui, gli occhi lucidi.
Da quanto non lo vedeva così felice? Tanto.
“Cosa è successo di sopra?” domandò cercando di captare qualcosa di strano, ma quella situazione era tutta strana!
I due, William e Minnie, si fissarono per poi ridere e sorridersi a vicenda mentre Will prendeva in braccio il figlio.
“Io e il mio Campione usciamo!” informò tutto il gruppo, poi come se si fosse appena ricordato fece dietro front e parlò nuovamente.
“Ah Charlotte, mamma ha detto che dorme da Robin, siamo solo noi, non combinate disastri, se volete ragazze potete fermarvi tutte a dormire!” esclamò lasciando perplessa e sconvolta Charlotte che continuava a fissarlo.
“Ehm, okay?” balbettò sua sorella.
William non usciva e non invitava nessuno a casa da anni, con il figlio stava sempre a casa, in camera sua, il massimo dove andava con lui era il giardinetto che si affacciava sul vialetto di casa Tomlinson o all'asilo.
Le uniche persone che lo andavano a trovare a casa erano i cugini James e Ruth.
Era felice di vederlo così, certo, ma si ricordava che giorno fosse quello?
Così lo seguì.
“Willie! Posso sapere che hai? Ti sei fatto? Hai bevuto? Stai bene?” chiese Charlie.
“Certo! Mai stato meglio! Perché?” chiese un po' confuso, voleva solo uscire con suo figlio.
“Lo sai che giorno è oggi?” domandò Charlotte, era confusa, non capiva.
“Certo! Che domande, il mio Campione compie tre anni! Dobbiamo festeggiare, solo io, lui e...” e non finì la frase.
“E... volevo portarlo da Eleanor.”
Da quanto in quella casa non si sentiva più il suo nome? Tanto.
“Willy, sai dove si trova ora El?” e quel nomignolo?
“Charlotte, hai capito male, non sto impazzendo, so cosa è successo tre anni fa, lo so che Eleanor è morta, lo so, cazzo se lo so! Voglio solo far uscire mio figlio, voglio fargli vedere il mondo, non lo porto mai ai giardinetti e oggi voglio fargli un bel regalo, voglio... voglio solo essere felice e ricominciare, El rimarrà sempre nel mio cuore e nei miei ricordi, ma voglio essere forte e felice per il piccolo.” spiegò.
“Oh William!” esclamò Charlotte abbracciandolo.
Quanti abbracci aveva ricevuto quel giorno ed erano tutti bellissimi.
William aveva sempre adorato gli abbracci.
“Andate e divertitevi, io e le ragazze ci mettiamo comode ed ordiniamo poi delle pizze per sta sera, va bene?” chiese sciogliendo l'abbraccio e fissando per bene i loro occhi, così identici.
“Certo! Adesso esci che dobbiamo cambiarci!” rise.
“Come se non vi avessi mai visti nudi eh!” rispose lei a tono con un ghigno dispettoso in volto.
“Dettagli!” rispose chiudendole la porta in faccia mentre il piccolo rideva e batteva le manine.
“Amore! Come siamo felici io e te insieme eh!” esclamò guardando il figlio mentre lo poggiava a terra.
Andò all'armadio e prese dei jeans stretti neri, un maglione di lana rosso, delle calze bianche di lana e le sue adorate Vans nere.
Prese le stesse cose per il figlio, comprate su misura per il piccolo su internet.
Si vestivano sempre uguali i due, o per meglio dire, il padre vestiva il figlio come sé stesso e si divertiva a farlo!
Vestì prima il figlio e poi si cambiò lui.
Mise ad entrambi una sciarpa verde al collo ed un cappello grigio di lana sui loro capi.
Chinandosi, William, baciò il piccolo naso del figlio e questo rise di gusto buttando indietro la testa e lui sorrise.
Scesero di nuovo le scale e tornando in salotto un coro di urla sdolcinate si velò.
“Ma che carini, vestiti uguali!” esclamò Minnie.
“Ovvio!” affermò William guardandola.
“Okay, noi andiamo, non date un party hard per favore!” rise.
Prese il suo giubbotto e lo infilò e così fece con il figlio mentre le ragazze li guardavano in adorazione.
“Tuo figlio è più bello di te, lasciatelo dire Tommo!” rise Minnie.
“Eh lo so! Secondo te perché mi porto dietro lui al parco?” scherzò William facendo ridere tutte le ragazze.
“Bene, Charlotte dove sono le gemelle?” chiese dubbioso.
“Sono di sopra in camera loro a giocare.”
“Daysi! Phoebe! Scendete!” urlò per farsi sentire al piano di sopra.
Dopo qualche istante sentirono dei piedini sbattere sul parquette e due testoline bionde far capolino nella stanza.
“Volete venire con me al parco o chiamare una vostra amichetta e farla venire a dormire?” chiese lui chinandosi verso le gemelle per arrivare alla loro altezza.
“Possiamo fare entrambe le cose?” domandarono entrambe,
“Sì! Andiamo al parco e...” iniziò Daysi.
“E poi andiamo a prendere Didì!” finì Phoebe.
William le guardò analizzando la situazione.
Gli unici maschi in casa sarebbero stati lui e suo figlio.
E dov'era il problema?
Più erano e meglio sarebbe stato!
“Okay, vado a chiamare la mamma di Didì, contente? Ora andatevi a vesti, veloci!” disse battendo le mani in modo da incitarle a muoversi.
“Charlotte, oltre alle pizze ordina anche una torta al cioccolato, Coca-Cola, Fanta e vai a comprare, dolci, patatine, caramelle al supermarket qua sotto insieme alle tue amiche, questa sera si festeggia sul serio!” spiegò velocemente mentre prendeva il telefono e digitava il numero di casa della famiglia della piccola Didì.
Mentre il telefono squillava sentiva le voci delle ragazze che si mettevano d'accordo su cosa prendere.
“Pronto?” chiese una voce forte.
“Lilibeth! Sono William, si ricorda di me vero!?” chiese scherzando.
“William, certo! Come stai, tesoro?”
“Bene, lei?”
“Oh dammi pure del tu! Bene, di cosa hai bisogno figliolo?”
“Volevo chiederle se potevo prendere in ostaggio sua figlia per sta notte, festeggiamo i tre anni di mio figlio e ho detto alle gemelle che chiamavo la piccola Didì, può venire?” chiese di botto, senza lasciarla parlare.
“Oh ma tanti cari auguri! Certo, quando passi a prenderla?”
“Prima di cena, verso le sei e mezza, le va bene?” chiese per sicurezza.
“Ma certo, mi fa molto piacere!”
“Okay, gliela riporto poi domani nel pomeriggio!” affermò.
“Certo, nessun problema, almeno io e mio marito...” iniziò a parlare, ma William la interruppe.
“Okay, sono felice per lei e suo marito, ma non mi interessa!” rise.
“Ma cosa hai capito giovanotto! Così possiamo guardarci in pace quel nuovo programma televisivo! Sempre a pensare male voi giovani d'oggi! Ma dimmi te!” rise la signora Lilibeth.
“Oh okay, mi scusi, cioè, scusami, beh ora vado, passo più tardi!”
“Va bene, a dopo!” e Lilibeth riattaccò.
Le gemelle fecero capolino davanti a lui nell'esatto istante in cui lui chiuse la chiamata.
“Siamo pronte!” esclamarono in coro.
“Bene, andiamo.”
Guardò l'orologio che segnava le tre di pomeriggio.
Era inverno, ma a Doncaster il sole era alto nel cielo.
“Noi andiamo!” urlò alle ragazze mentre si metteva sul collo il figlio, lasciando così a penzoloni i piccoli piedi del bimbo sul suo petto mentre questo si appigliò ai suoi capelli lasciati liberi del cappello.
Prese per mano le gemelle, un da una parte e una dall'altra, e si diressero verso i giardinetti dall'altra parte della via.
Arrivati oltre il grande recinto che racchiudeva tutti i giochi lasciò che le bambine corsero verso la casetta di legno piena di scivoli e di tappeti dove poter saltare.
Si inginocchiò, fregandosene altamente se i pantaloni si sarebbero sporcati, e fece scivolare il figlio da dietro il suo collo a davanti a lui facendolo scendere.
Lo portò per mano vicino alle altalene e lo fece sedere sul seggiolino.
Si posizionò davanti a lui e lo spinse, prima piano, poi sempre più forte.
Non lo aveva mai visto così felice, era bellissimo, tutto coperto, solo gli occhi sorridenti in vista.
Alzava in alto le mani e voltava il capo verso l'alto ad osservare il cielo nuvoloso.
Sentiva distintamente la sua esile vocina emettere strani suoni di felicità e la sua gioiosa risata.
Un grande sorriso apparve sul volto di William.
Amava suo figlio e amava Eleanor per averglielo donato.
Dopo un po' il bimbo, per quanto amasse quell'attrazione, si stufò e volle scendere lasciando il posto ad una bambina che lo osservava sorridente, era castana, i capelli lunghi e pieni di boccoli, gli occhi verdi e le gote rosse.
William fece scendere il figlio, che si aggrappò subito ai pantaloni dal padre senza allontanarsi, e aiutò la bambina, che avrebbe dovuto avere su per giù la stessa età di suo figlio, a salire sull'altalena.
Dopo aver fatto salire la bimba prese il figlio per mano e lo portò ai tappeti dove vi erano le gemelle che continuavano a saltare felici.
La bimba che aveva aiutato poco prima li raggiunse e la osservò.
William le sorrise e aiutò sia lei che il figlio a salire su uno dei tappeti.
Iniziarono tutti e quattro a saltare felici e notò che la bimba continuava a stare vicino a suo figlio.
Che lo conoscesse?
“Gemma!” sentì urlare alle sue spalle, si voltò di scatto per vedere da dove arrivasse l'urlo e notò un ragazzo correre verso di loro.
Si fermò davanti al tappeto dove stavano i quattro bambini e osservò la scena con discrezione.
“Gemma! Quante volte ti ho detto di non allontanarti? Eh? Quante? Dio santissimo, mi hai fatto prendere un colpo, non farlo mai più, capito? Mai più!” il ragazzo riccio continuava a parlare mentre accarezzava le guance della piccola Gemma.
William si sentì in dovere di intervenire, vedeva la piccola Gemma – ora conosceva il suo nome – terrorizzata e triste allo stesso tempo.
“Dio santo! E se ti fosse successo qualcosa?” chiesa ancora il tipo.
“Hei amico, calma sta bene, era qui, è qui!” esclamò William posando una mano su una spalla del ragazzo.
“Eh? Oh grazie! Grazie davvero, l'ho persa di vista!”
“Tranquillo non è successo nulla!”
“Si, si!”
“Eddy! Ma c'eva Mimì!” esclamò la piccola Gemma.
“Chi?” chiese stizzito il riccio.
“Mimì!” esclamò di nuovo sbuffando per poi indicare il figlio di William.
“Lo conosci?” chiesero in coro William e il ragazzo dagli occhi verdi.
“Uffa!” disse la bimba, il labbro inferiore sporgente e le braccia incrociate al petto mentre sbuffava ancora.
“Okay okay, stai calma!” rise il riccio.
“Comunque” il riccio si voltò verso William “io sono Edward!” esclamò sorridendo e mostrando delle adorabili fossette che gli bucavano le guance.
“William” rispose semplicemente porgendogli la mano, Edward gliela strinse subito, una presa forte e decisa, bene.
“Willie! Willie! Willie!” iniziarono a chiamarlo in coro le gemelle ed il piccolo.
“Eh?” chiese voltandosi di scatto, era rimasto incantato a fissare il ragazzo davanti a lui.
“Dobbiamo andare da Eleanor!” dissero in coro le gemelle.
“Ah si!” disse sovrappensiero.
Edward ci era rimasto un po' male, sentire un nome femminile in una discussione non era un punto a suo favore.
Chiedere a Gemma di cercare di avvicinare William e Max non era stato un buon piano e scoprire che era etero era ancora peggio.
Un po' ci sperava però.
“Sono tutti tuoi?” chiese sconvolto.
“Eh si! E non sono finiti.” rise William.
“Dio santo, ma come fai a sopportarli? Io a momenti sotterro Gemma!” rise.
A William non piacque per niente quella battuta, ma ci passò sopra e rise anche lui.
“Ci ho fatto il callo!” scherzò mostrando le mani.
“Sono comunque bellissimi, i tuoi fratelli, intendo!” disse il ragazzo osservando uno per uno.
William non ci aveva pensato, ma suo figlio poteva anche essere scambiato per suo fratello, ma non voleva che qualcuno lo pensasse, suo figlio era suo e soltanto suo, o al massimo, suo e di Eleanor.
“Grazie, ma solo le gemelle sono le mie sorelline lui è...” Edward non lo lasciò finire che parlò al posto suo.
“Ah, gli zii ti hanno affibbiato pure il cuginetto, capisco!” rise.
“No, veramente volevo dire che è mio figlio.” spiegò sorridendo con gentilezza.
Edward lo guardò spiazzato.
“Davvero?!” esclamò.
“Eh si.”
“Ah, oddio... ehm scusami, io non lo sapevo.”
“Ma figurati, non scusarti!” rise.
“Ma lui ti ha chiamato...”
“Willie, si lo so, quella peste segue le gemelle!” rise guardandoli.
“E' comunque bellissimo, davvero, tu e la tua ragazza dovreste esserne orgogliosi!” esclamò stupito e complimentandosi con sincerità.
“Ehm si, ne sono... cioè siamo orgogliosi di lui.” balbettò, ma davvero, non ce la faceva a parlare di un morto come se fosse vivo, soprattutto se era la sua ragazza.
“No, okay, si ne siamo entrambi orgogliosi, ma lei non... lei non è qui, ecco, non so se mi sono spiegato.”
Ma perché ne stava parlando con un perfetto sconosciuto?
Forse sconosciuto no, conosceva il suo nome dopotutto, ma cambiava qualcosa?
“Sì, lo vedo che non è qui!” rise ingenuamente l'altro.
“No, voglio dire che è morta!” esclamò, forse con un po' di rabbia, non lo aveva mai detto davanti a suo figlio.
“Oh... ah! Oddio, scusami, non ci ero arrivo, mi... mi dispiace, davvero!”
E sì, gli dispiaceva, ma c'era una parte di lui, tanto piccola, che luccicava facendogli notare il fatto che forse era single.
Sì, era un fottuto egoista.
“Ehm Eleanor?” chiese con titubanza.
“Sì, Eleanor.” rispose con orgoglio.
“Papà?” lo chiamò il figlio.
“Sì, amore?” Si girò subito a guardarlo.
Ed il piccolo gli sorrise solo, assomigliava così tanto alla sua mamma.
“Senti, oggi è il compleanno di mio figlio, lo so, ci siamo appena conosciuti, ma ti va di portare la piccola alla festa? Tanto i piccoli a quanto pare si conoscono già.” disse rivolgendo la parola al riccio e parlando velocemente.
E come faceva Edward a rinunciare ad un'opportunità del genere?
La prima volta che lo aveva visto era il primo giorno d'asilo di Gemma ed era subito rimasto affascinato da William.
Lo vedeva sempre la mattina che portava il figlio e il pomeriggio quando andava a riprenderlo.
Fortuna volle che Gemma e Max fossero in classe insieme, ma non si era mai presentata l'occasione per farci anche solo amicizia.
Così colse l'occasione al volo.
“Ehm si, perché no? Va bene se vengo anche io?” chiese subito, dopotutto doveva badare alla sorellina.
“Certo, più siamo meglio è!” rise alzando la mano in aria per farsi dare il cinque, cosa che Ed fece subito sorridendo.
Se William doveva iniziare di nuovo a vivere doveva partire subito col piede giusto e qual è il metodo migliore se non fare amicizia?
“Okay, ehm suonate al campanello Tomlinson per le sette, okay? Abitiamo lì!” informò il ragazzo indicando l'abitazione.
Non avrebbe mai rinunciato a portare suo figlio da sua madre solo per una nuova amicizia.
“Okay, allora noi andiamo a prepararci.” sorrise Edward prendendo per mano Gemma e facendola scendere dai tappeti.
“Bene, a dopo! Ciao!”
“Ciao!”
“Bene, andiamo anche noi piccoli!” affermò prendendo di nuovo sul suo collo suo figlio e le gemelle per mano.
Uscirono dal grande recinto e si diressero verso il cimitero di Doncaster.
Il cielo si era scurito, le nuvole erano grigi e minacciavano pioggia, ma a lui non interessava.
Entrarono attraversando il portone in ottone e si diressero subito verso la zone del prato.
Lasciò le mani delle gemelle e fece scendere il figlio mettendolo di fronte ad una fredda e lucidissima lapide dove era incorniciata una foto di una giovane ragazza sorridente.
Si chinò e indicò la foto al figlio e alle gemelle.
“Bambini, questa è Eleanor, Max, questa bella ragazza è la tua mamma e ricorda...” incominciò fissandolo negli occhi “...ti ama tanto quanto ti amo io e io ti amo tanto.”
“Bella.” disse solo il piccolo Max mentre osservava la foto della madre.
“Sì, era davvero tanto bella.” disse William con gli occhi lucidi.
“Max saluta la mamma, oggi è il vostro giorno.”
“Ciao mamma, ti voglio bene!” esclamò Max avvicinandosi alla lapide calpestando il terreno che copriva la tomba.
Guardò la foto, si avvicinò ad essa e la baciò per poi ripeterlo.
“Ti voglio bene, mamma.”
Anche io amore.”
“Anche la mamma te ne vuole.” rispose William scoppiando a piangere per la prima volta dopo tre anni dalla morte della sua amata.
Prese di brutto il figlio e se lo portò sul petto e lo strinse forte a sé.
“La mamma ci ama, tanto!” disse ancora e continuava a ripeterlo.
Sì, vi amo tanto amori della mia vita, siete forti.”
Le gemelle si erano appiccicati a loro e li proteggevano, li abbracciavano e li consolavano.
“Willie, dobbiamo andare da Didì!” dissero Daysi ed Phoebe contemporaneamente, non sopportavano più quella situazione.
“Oh si, certo!”
“Eleanor, oggi facciamo una grande festa sai? Il nostro amore compie ben tre anni, fagli gli auguri, su!”
Auguri amore, la mamma ti ama!”
“Sento!” disse felice Max.
“Cosa amore? Cosa senti?” chiese sconvolto, che la sentisse anche lui?
“Mamma, la sento!” e rise, ancora di più di quando andava sull'altalena, era felice, piangeva e rideva contemporaneamente.
“Si amore, anche io!” e William sorrise nel vederlo così felice.
“Eleanor, ci senti? Sta sera siamo in tanti, io, Max, i cugini James, le gemelle, Didì, Felicité, Charlotte e le sue amiche e la prima amichetta di Max, Gemma e suo fratello Edward! Ora andiamo a prendere Didì che è già tardi eh!” Disse salutando con la mano la lapide e così fecero anche il figlio e le gemelle.
“Ciao Eleanor!” urlarono quasi le gemelle.
“Ciao mamma, ti voglio bene!” era la sua frase preferito ormai e a William andava bene così.
William riprese sul collo Max e per mano le gemelle e si diressero verso casa della piccola Didì.
Sì, quello era di sicuro un giorno speciale.

 
















 
Sera!

Più che altro dovrei dire notte!
Ma sono dettagli!
Parliamo subito della storia, è la prima Larry, o per meglio dire Williard,
che pubblico, era solo per informarvi lol
Dico subito che shippo Larry ma che non odio le Elounor Shipper e gli Elounor in generale,
infatti nella storia Eleanor ha un ruolo davvero molto importante e lo si intuisce subito.
Mi ero davvero stufata delle fan fiction Larry che usavano il personaggio di
Eleanor come la stronza di turno o quella che Louis odia sempre,
quindi eccomi qua a darle un ruolo come si deve, a parere mio.
La storia è abbastanza forte quindi se siete deboli di
cuore e particolarmente dolci fate voi hahahah
Vi chiedo gentilmente di lasciare una recensione con un vostro parere,
è davvero importante per me e ve ne sarei davvero molto grata!
Grazie ancora a chi è arrivato a leggere fino a qua,
per me è stato un parto scriverlo e spero di risentirvi presto!
Su Twitter sono @LookAfterYou17.
Su Wattpad sono @Elisaku.
Qui potete trovare le mie altre fan fiction in corso:
Num3ro Sbagliato.
La Ragazza Onnipotente.
Buona notte Williard Shipper e Willionor Shipper!


Elisaku.

 

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Capitolo 2
*** Rino! ***



 
Capitolo2: Rino!


 

Edward non aveva ancora realizzato il tutto.
Era incredulo, sembrava un bellissimo sogno, non poteva credere ai suoi occhi.
Impossibile.
Non poteva crederci, davvero si trovava davanti a casa Tomlinson?
Osservava la villetta di due piani che lo fronteggiava, le tegole marroni, le pareti bianche e la porta di un beige chiarissimo che quasi pareva bianco.
Era un'abitazione delicata, sobria, dava un senso di sicurezza e protezione, ma non ad Edward che continuava a strizzare la mano della povera piccola Gemma che si lamentava ogni tanto.
La piccola continuava a dondolarsi sui piedini per cercare di scacciare il freddo che nelle ossa le penetrava.
Edward, dal canto suo, iniziava a sentire caldo, l'ansia lo avvolgeva e lo riscaldava proprio come un abbraccio di sua madre faceva ogni volta.
Solo che il calore non era lo stesso, il primo lo angosciava e lo faceva rimuginare ogni tre per due su ogni azione che avrebbe fatto da lì a poco, l'altro lo rilassava, lo aiutava con sé stesso e oltre a protezione donava anche fiducia.
Edward adorava sua madre Anne, era forse una delle poche persone più care che aveva, oltre a Gemma, sua sorella, e a suo padre, Des.
Gli era parso strano che la madre gli avesse dato il via libera per andare ad un'improvvisa festa di compleanno insieme alla sorellina.





Edward era entrato in casa con un sorriso da ebete stampato in faccia, le fossette bucavano le sue paffute guance, gli occhi verdi gli brillavano, i denti bianchi erano stati esposti per tutto il tragitto dal parco fino a casa.
Anne non era mica stupida, conosceva i suoi figli come le sue tasche, non le era stato difficile capire che era successo qualcosa di fenomenale al figlio.
E, ammettiamolo, era davvero curiosa di sapere di cosa si trattasse!
Così, cercò di indagare, ma non gli fu neanche dato il tempo di mettersi in azione che si era ritrovato il figlio seduto davanti all'isolotto della cucina con il sorriso sulle labbra e le braccia incrociate che appoggiavano sul bancone.
E lei, proprio come suo figlio, non aveva perso tempo e si era asciugata subito le mani con lo straccetto rosso dopo aver finito di lavare i piatti e si era seduta comoda di fronte ad Edward.
Se qualcuno li avesse visti da fuori sembravano uno specchio che rifletteva quasi la stessa immagine.
Impossibile, quei due si assomigliavano così tanto!
Dai, racconta!” lo spronò subito Anne senza aspettare che il figlio facesse qualcosa.
Okay, Anne era assatanata di pettegolezzi, soprattutto se questi si trattavano dei suoi figli.
Edward aveva trasformato il suo sorriso in una morsa che scaricava la sua tensione sul rosso labbro inferiore mentre cercava imbarazzato le parole giuste da usare.
Si guardò in giro ispezionando minuziosamente che nessuno li stesse ascoltando, o per meglio dire spiando e prendendo un profondo respiro parlò.
Mentre eravamo al parco Gemma ha incontrato un suo compagno di classe e il suo papà ci ha gentilmente chiesto se volevamo partecipare alla festa di compleanno di suo figlio, così siamo tornati subito a casa per prepararci.” spiegò il ragazzo guardando il ripiano lucido dell'isola.
Anne era confusa, cosa c'era di grandioso in questo?
Perché suo figlio andava in giro sorridendo come se fosse drogato per un motivo così futile?
La donna non riusciva a collegare il tutto, mancavano ancora dei piccoli tasselli per completare il puzzle, e sarebbe stato meglio per Edward che lo avesse fatto subito e di suo spontanea volontà o avrebbe dovuto sottostare al solito terzo grado di mamma chioccia.
Anne alzò un sopracciglio e lo fissò con sguardo truce, sembrava tanto volesse esprimere con quell'espressione un po' di sufficienza.
Tutto qui?” domandò, appunto, guardandolo impassibile.
Beh... no.” sorrise imbarazzato Edward.
Ah ecco, mi pareva! Beh? Che aspetti? Mica ti pago per avere delle informazioni, ragazzo!” rise la donna cercando di mettere il figlio in una situazione di conforto così che potesse confidarsi con lei.
Edward si sentì meglio a sentire la risata della madre, rimaneva, però, comunque imbarazzato.
Il ragazzo aveva già parlato di William alla madre, il problema era che non le aveva detto nome, cognome, ma solo che accompagnava il fratellino all'asilo.
Il punto era che non sapeva come dire alla madre che aveva scoperto un paio di informazioni sul ragazzo misterioso di cui parlava ogni tanto, praticamente tutti i giorni, con sua madre.
Si fece mentalmente una scaletta delle cose da dire.
Ehm... ti racconto dall'inizio va!” affermò e vide la madre illuminarsi.
Spara!” esclamò Anne.
BOOM!” gridò simulando un boato.
Inutile dire che poco dopo gli arrivò uno schiaffo dalla madre in pieno volto per via dello spavento.
Lui rideva.
Ma sei impazzito?” domandò allibita “Mi hai fatto prendere un colpo!” rise poi con lui.
Allora... abbiamo incontrato al parco il ragazzo di cui ti parlo sempre.” iniziò e la madre annuì con fervore per poi fargli un cenno per spronarlo a continuare con il discorso.
Uhm... si... io e Gemma ci siamo avvicinati e abbiamo parlato con lui, cioè, io e lui abbiamo parlato!” esclamò tutto contento, sembrava quasi fiero di sé stesso.
Come biasimarlo, era riuscito a parlare con il ragazzo che gli piaceva da quasi un anno!
Okay, e vi siete presentati?” chiese la donna impaziente.
Beh, certo, mica inizio a parlare così con qualcuno senza prima presentarmi come fa qualcuno di mia conoscente qui presente!” rise, ma la donna non si sentì per niente toccata.
Capita a tutti di chiacchierare con qualcuno alla cassa del supermercato, no?
Ingrato!” risero insieme.
Ho scoperto che si chiama William...” la madre lo interruppe.
Oh, che bel nome!” esclamò lei tutta contenta battendo le mani.
Sì mamma, ma fammi finire!” Edward fulminò con lo sguardo la madre che smise subito di sorridere.
Di cognome fa Tomlinson e a quanto pare ha un sacco di sorelle.” concluse, tralasciando il particolare più importante.
Tomlinson... Tomlinson?
Ad Anne era sembrato quasi familiare quel cognome, lo aveva di sicuro già sentito, ma non ci fece più di tanto caso, era un banale cognome, uno dei tanti. Doncaster era una piccola cittadina ed era normale per la gente conoscersi tra di loro o anche solo sentire e risentire nomi e cognomi.
Il punto era che, se Doncaster era una piccola cittadina, le voci giravano in fretta.
Anche tu hai una sorella.” si ritrovò a dire di punto in bianco Anne.
Il figlio la guardò stralunato, a volte la donna diceva cose senza senso o ripeteva delle ovvietà che erano già state dette e ridette.
Comunque? Stavi dicendo?” chiese accavallando le gambe e sedendosi più comoda su quello stupido sgabello in legno.
Uhm? Ah sì, che ha tante sorelle e che mi ha invitato alla festa di compleanno di Max, sia a me che a Gemma.” il ragazzo si guardava in giro cercando di sfuggire allo sguardo della madre.
Max? E chi è Max?” domandò confusa la donna, ci stava capendo sempre meno.
Max, il compagno di classe di Gemma!” sorrise con innocenza.
Eccolo lì, il tassello che mancava.
COSA?” urlò la donna?
No, aspetta, credo di aver capito male, William Tomlinson è il nome del ragazzo di cui mi parli sempre.” iniziò ed Edward annuì solamente.
Hai scoperto che la madre ha sfornato un numero non preciso di figlie e poi hai incontrato quest'altro tizio che ti ha invitato, o per meglio dire, vi ha invitato, a te e a tua sorella, alla festa del compleanno di suo figlio, giusto?” il discorso non aveva un vero e proprio filo logico, la donna cercava di raccapezzarsi nelle parole del figlio, ma davvero, non ci aveva capito molto.
O almeno, ci era arrivata, ma credeva di aver capito male.
Uhm... veramente William e il padre del bambino che ci ha invitati alla festa di compleanno di Max sono la stessa persona, mamma.” spiegò con calma il ragazzo sorridendo cercando di addolcire lo stato d'animo della madre.
COSA?” urlò per la seconda volta Anne ed Edward sbuffò annoiato.
Cosa c'è da capire? Ti faccio un disegnino?” scherzò il ragazzo, ma la madre era seria.
Stai scherzando, vero?” domandò angosciata.
No, ma dove è il problema, scusa?”
Stai scherzando, vero?” chiese di nuovo la donna, il volto mutato in una smorfia confusa e le mani che si toccavano con frenesia.
No, perché?” ora quello confuso era Edward.
Amore, ti sei preso una sbandata per uno che ha un figlio. Un figlio, questo sta a significare che ha anche una ragazza, o peggio ancora una moglie, tesoro, quel ragazzo è etero!” Anne lo guardava negli occhi cercando di fargli capire quello che stava dicendo.
Ma non c'era bisogno di spiegazioni, Edward lo sapeva già che William era etero, non ci voleva una scienza per capirlo.
Ma sapeva anche che era single e che la sua ragazza era morta.
Mamma, lo so, ma io non ho mica detto che mi ci voglio sposare con questo, ti avevo solo detto che mi piaceva, punto, finito lì.” sorrise imbarazzato.
Beh, non era proprio finita lì, Edward ci era rimasto male a scoprire che il ragazzo era padre, ma, come aveva appena detto alla madre, non voleva mica sposarselo, voleva anche solo essergli amico, dopo tutto sembrava un così bravo ragazzo.
Anne non era convinta e glielo si leggeva in faccia.
E cosa vuoi fare?” la donna tastò piano il terreno.
Andare alla festa di compleanno di Max!” esclamò battendo le mani e sorridendo proprio come aveva fatto quando avevano iniziato tutta la discussione.
E' la prima festa di compleanno a cui è stata invitata Gemma, dovresti vederla, è davvero esaltata solo all'idea di partecipare!”
Secondo me qui quello esaltato sei tu!” rise Anne prendendosi gioco di suo figlio.
Mamma!” si lamentò il ragazzo, ma poi sorrise.
Okay, okay, potete andare.” acconsentì Anne alzandosi dallo sgabello e rimettendosi davanti al lavello per continuare a pulire i piatti.
Edward la imitò e si avvicinò a lei abbracciandola da dietro.
Grazie mamma.”
Fai attenzione Ed, potresti uscirne scottato.” commentò.
Edward annuì e sorridendo si limitò ad andare in camera della sorellina.





La piccola Gemma indossava un vestitino verde che andava in tinta con i suoi grandi occhi.
Era stato Edward ad aiutarla a cambiarsi, le aveva tolto i vestiti sporchi con cui era andata al parco e poi insieme avevano deciso cosa farle indossare.
Le aveva, poi, pettinato i lunghi scuri capelli ricci in una treccia un po' sfatta.
Edward, dopo averle messo delle ballerine rosa ai piedi, le aveva coperto gli occhi e l'aveva sistemata davanti allo specchio.
“Sei bellissima, piccola!” aveva esclamato togliendo la sua grande mano dal suo visino.
La piccola aveva spalancato gli occhi, aveva fatto svolazzare le ciglia e aveva riso di gusto dalla felicità, aveva anche battuto le mani.
Edward era rimasto ammaliato dalla bellezza di quel piccolo esserino.
La debole stretta sulla sua grande mano si fortificò e lui spostò lo sguardo verso il basso e sorrise alla sorellina che era impacchettata in un giubbotto rosa mentre in testa portava un cappellino rosso delle Barbie.
“Bussa!” asserì la piccola.
“Uhm.” annuì Edward poco convinto.
Si avvicinarono insieme alla porta di casa Tomlinson e suonarono.
William, quando erano al parco gliela aveva indicata con tranquillità annunciando “Bussate al campanello Tomlinson.”
E così stavano facendo.
Quando William gli aveva detto quello Edward si era morso forte la lingua per non rispondere con tranquillità che già lo sapeva.
Sì, lo sapeva già, gli era capitato per sbaglio di seguirlo dopo aver preso Gemma all'asilo e di aver deviato poi strada una volta scoperto dove abitava l'oggetto dei suoi sogni.
No, okay, lo aveva seriamente stolkerato fino a casa, neanche fosse una fan con il proprio idolo, ma tanto non aveva fatto del male a nessuno, quindi qual era il problema?
La porta difronte ai due si aprì mostrando molto probabilmente una delle tante figlie sfornate dalla signora Tomlinson.
La ragazza era poco più bassa di lui, i capelli biondi – molto probabilmente tinti – le arrivavano ai fianchi e gli occhi azzurri lo osservavano.
Sorrise imbarazzato.
Aveva aperto la bocca per parlare, ma non era uscito niente da essa per via del ragazzo che aveva gentilmente spostato la finta bionda da parte per guardare chi era alla porta.
I loro occhi si incrociarono e William sorrise.
“Edward! Gemma! Entrate, non vorrete prendere ancora freddo!” esclamò prendendo per un braccio il riccio e portandolo non solo dentro casa, ma direttamente nella grande cucina.
Edward rimase colpito, quella cucina era grande due volte la sua!
William li guardava in attesa mentre gli occhi di tutti gli ospiti si posavano sul ragazzo e sulla bambina.
I due ragazzi si fissavano, uno attendeva mentre l'altro era confuso.
“Me li vuoi dare i cappotti o avete freddo?” chiese ridendo il ragazzo osservando i due fratelli difronte a lui.
“Mettiti a petto nudo Tommo, magari riscaldiamo l'atmosfera!” rise una ragazza dai lunghi capelli castani che era appena entrata in cucina con altre ragazze.
Quella non era di sicuro una delle sorelle di William, una sorella non si sarebbe mai rivolta con una battuta del genere al proprio fratello. O si?
Edward nel suo piccolo sperò di sì.
Tutti i ragazzi riuniti in sala risero mentre Edward si guardava spaesato in giro.
Perché doveva mettersi a petto nudo?
Era così evidente che Edward fosse gay?
“Oh sta zitta Minnie!” rise William spintonandola.
Minnie? Che razza di nome era?
Edward era sempre più confuso.
“Oddio no! Minnie non ha bisogno di altre saune!” rise la stessa ragazza che aveva aperto la porta ad Ed.
“Lottie!” la riprese quella Minnie.
“Comunque...” William si girò verso Edward che velocemente e impacciato tolse il cappotto prima alla sorella e poi a sé stesso per passarli a William e sorridergli grato.
“James!” esclamò William.
Due ragazzi si girarono verso di lui, erano completamente diversi, uno aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi – sicuramente tinti – mentre l'altro aveva gli occhi di un castano chiaro e i capelli dello stesso colore.
“Eh?” chiesero entrambi confusi.
“Rendetevi utili e portate i cappotti in camera mia, appoggiateli sul mio letto.” spiegò brevemente il ragazzo sbattendo in faccia ai due i cappotti.
I due ragazzi lamentandosi obbedirono.
Ed Edward era sempre più confuso.
Ma in quella famiglia erano tutti tinti di biondo?
E quanti erano in quella casa?
Improvvisamente vide correre per tutta la cucina tre testoline bionde.
Due di loro le riconobbe come le gemelle viste al parco, ma la terza non l'aveva mai vista.
“Hei, hei, hei! Ferme tutte e tre! Venite qua terremoti!” le richiamò William.
Edward era rimasto fermo dove era stato messo da William poco prima, non si muoveva, proprio come la sorellina, gli si era attaccata alla gamba.
La prese in braccio ed in quel momento sentì delle urla provenire dal gruppo delle ragazzi di prima.
Le ragazze guardavano in sua direzione, o per meglio dire, fissavano la sorellina.
“Che amore!” “Che carina!” “Oddio è adorabile!” continuavano ad esclamare, la bambina spaventata si era aggrappata al petto del fratello.
“Ragazze smettetela! La state spaventando, povera piccola!” le riprese William.
Possibile che riuscisse a gestire tutto quel casino?
In quanti erano?
Si guardò in torno ed iniziò a contare: tre bambine, cinque ragazze, Max, lui, la sorella, William ed i due ragazzi.
Ma in quel momento entrò un'ennesima ragazza, capelli lunghi e castani ed occhi azzurri.
Oddio, ma ci stavano tutti?
“Edward, guarda che puoi sederti, mica ti mangiamo eh!” scherzò William.
Il ragazzo annuì e l'unico posto che trovò era vicino al gruppo delle ragazze.
Sospirando si avvicinò a quelle e si sedette sulla sedia tenendo in braccio Gemma che, spaventata, nascose il bellissimo visino nell'incavo del collo del fratello.
I due ragazzi di prima rientrarono in cucina e si sedettero ai loro posti.
Edward sperò vivamente che gli invitati fossero finiti tutti perché, davvero, odiava la confusione e quello che c'era in quella stanza era il caos assoluto.
William scontrò le mani tra esse per richiamare l'attenzione di tutti e i presenti si girarono verso di lui che sorrise ad ognuno di loro.
“Allora, fra poco arriva la pizza!” tutti esultarono.
“Uhm... Edward! Per te e Gemma ho prese due margherite, non sapevo i vostri gusti, quindi...” William non finì la frase che subito Edward lo interruppe.
“Tranquillo, nessun problema, va benissimo margherita, grazie!” sorrise.
Le ragazze al suo fianco stavano letteralmente morendo, Edward era davvero carino, capelli castani e ricci, occhi verdi e non troppo alto, un bel sorriso e delle adorabili fossette.
La ciliegina sulla torta era poi avere la piccola Gemma tra le braccia.
Il ragazzo si sentì fissato.
Non conosceva nessuno, non sapeva cosa fare, cosa dire o comportarsi.
Non sapeva i nomi di chi aveva accanto, quanti anni avevano e chi fossero.
Chi c'era lì presenti?
Amici? Parenti? Cugini? Fidanzati? Fidanzate?
Edward non si sentiva tanto a suo agio e William se ne accorse e subito lo affiancò.
William fece alzare Minnie e sedendosi fece sedere la ragazza sulle sue gambe, cosa che Edward non gradì così tanto.
Che poi, che problemi si faceva Edward? William non era nessuno per lui e la ragazza che aveva sulle gamba poteva essere una delle tante sorelle per quello che lui poteva sapere o anche solo immaginare.
William e le ragazze guardavano i ragazzi e solo allora Edward si ricordò della busta che Gemma teneva tra le mani.
Il ragazzo prese la busta e con imbarazzo sorrise verso William e gliela consegnò in mano annunciando “Il regalo per Max!”.
William rimase stupito, non si aspettava che il ragazzo arrivasse con un regalo, nessuno era venuto con un regalo, né le ragazze, né i ragazzi, nemmeno William stesso aveva fatto un regalo a suo figlio, certo, se non contiamo la festa di compleanno.
Charlotte, Minnie, Sarah, Caroline e Madison guardavano Edward con la stessa espressione di William: sorpresa.
“Ho qualcosa in faccia?” domandò allora Edward confuso?
Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Non capiva.
William rise mentre le ragazze sorrisero nel vederlo così felice.
“No no! E' che nessuno ha pensato ai regali, abbiamo solo pensato ad organizzare la festa e basta, sei l'unico ad averlo portato!” sorrise William prendendo la busta.
“Oh...” Edward non sapeva davvero che dire, doveva riprendersi il regalo?
“Davvero, grazie, non dovevi, Max sarà entusiasta, grazie!” sorrise davvero felice William.
E... Dio! Che sorriso!
Edward rischiava un attacco di cuore o di saltare addosso al ragazzo direttamente se questo non avesse smesso di essere così... così William, ecco!
“Ma figurati!”
Si sorrisero e William cercò di intavolare una conversazione iniziando col presentare Edward a tutti i presenti.
William aveva deciso di far aprire il regalo a Max dopo il taglio della torta, rigorosamente al cioccolato.
“Edward, queste pazze sono Charlotte, mia sorella...” William indicò la bionda tinta di prima “Minnie, la sua migliore amica...” spostò la mano verso la ragazza dai lunghi capelli castani seduta su di lui “Sarah, Caroline e Madison.” finì indicando altre tre ragazze che li sorrisero.
“A me e mio figlio ci conosci già...” sorrise “... I due ragazzi laggiù si chiamano entrambi James e sono cugini.” i due gli fecero entrambi un cenno con la mano quasi a voler dire che erano presenti all'appello.
“I tre terremoti biondi che hai visto prima sono Phebe, Daysi, le gemelle e la loro amica Didì.” l'intero gruppo rise.
In quell'esatto instante fece, per la seconda volta, il suo ingresso la ragazza dagli occhi blu e con i capelli castani.
“Ah sì, mi stavo dimenticando di Felicité, l'altra mia sorella!” scherzò, la ragazza in questione si girò e fece la linguaccia al fratello che rise ancora di più.
“Edward, piacere!”
Gemma si sentì messa un po' da parte, così si mise più comoda sulle gambe del fratello e fece 'ciao ciao' con la piccola mano.
“E lei è Gemma!” sorrise orgoglioso.
William allungò entrambe le mani sul viso di Gemma e le pizzicò le guance già di per sé rosse mentre la piccola sorrideva e mostrava a tutti i presenti le fossette.
Era l'esatta copia del fratello, solo più piccola.
“Papà!” urlò Max correndo verso di lui e saltandogli sulle gambe.
Il ragazzo emise un urlo che di virile aveva ben poco e tutti scoppiarono a ridere.
Anche Edward si concesse una risata, soprattutto per scaricare un po' la tensione che il suo corpo tratteneva da quando era entrato in quella casa.
“Si si, ridete, amore vai a saltare sulle palle dei cugini James!” esclamò ridendo mettendo per terra il figlio che corse subito verso i due cugini, ma invece di saltare loro in braccio batte il cinque ad entrambi lasciando il padre a bocca aperta.
“Bastardo!” esclamò William.
“William!” Lo richiamarono tutti.
“Papà!” urlò poco dopo il piccolo ridendo.
William scherzava, ma bastardo lo era per davvero.
Improvvisamente il campanello suonò e tutti rimasero in silenzio esplodendo poi tutti con un “Pizza!”.
Mentre William e i cugini si dirigevano verso la porta, Edward notò che tutti si stavano prendendo posto intorno alla grande tavola.
Non sapeva cosa fare, dove muoversi e dove sedersi.
“Edward?” lo richiamò Charlotte.
“Vieni, Gemma si siede vicino a Max e tu vicino a lei, va bene?” chiese sorridendo con premura.
Charlotte era una ragazza davvero premurosa, un po' sopra le righe, completamente diversa dalla sorella Felicité, ma lo stesso dolce.
“Uhm... Certo!” sorrise impacciato mettendo seduta sulla sedia Gemma e sedendosi poi lui al fianco della piccola.
William e i due cugini fecero il loro ingresso con tanti scatoloni di pizza tra le mani.
I tre ragazzi distribuirono le pizze e si sedettero ai loro posti inforcando coltello e forchetta per iniziare a mangiare.





Tutti i presenti in casa Tomlinson avevano finito di mangiare la pizza accompagnata dalle solite bevande gassose.
Erano tutti felici, il sorriso in volto, la battuta sempre pronta, le risa che risuonavano tra quelle mura che sembravano non aver più quell'aria cupa che da anni ormai aleggiava.
La tristezza sembrava aver fatto 'Puff!', sembrava completamente sparita e a William non interessava se 'sembrava', a lui bastava essere felice in quel momento, gli andava bene, non voleva pensare al giorno dopo o a cosa sarebbe successo più in là col tempo, voleva godersi quel giorno, e lo stava facendo.
Erano ancora tutti riuniti intorno alla grande tavola e continuavano a ridere e scherzare tra di loro.
Max non aveva mai visto così tanta gente girargli intorno quando era dentro quella casa, era il nido di papà e figlio Tomlinson e non poteva immaginare che tutta quella gente potesse entrare dentro quella casa.
Si sentiva piccolissimo quando si guardava intorno, si sentiva il più piccolo, ma si era reso poi conto che non era l'unico e che Gemma era presente e così aveva passato la serata, prima della cena, a giocare con lei a rincorrersi, a nascondino o con le zie.
Il bambino era davvero felice e tutti lo avevano notato.
I due anni precedenti li avevano passati in famiglia, non avevano invitato nessuno, erano solo Max, papà William, nonna Jay e le zie, come sempre d'altronde.
William non capiva cose gli fosse successo quel giorno, tanto da portarlo ad invitare gente in casa e di festeggiare il compleanno di Max tutti insieme.
Ma, qualsiasi cosa lo avesse portato a fare tutto quello, ne era felice.
William era finalmente felice, e anche Max lo era.
Edward si guardava in torno ora un po' più tranquillo e senza quell'ansia che prima gli attanagliava le budella.
Scherzava e rideva con i cugini James e qualche volta scambiava qualche piccola battuta con le ragazze che cercavano sempre di attirare la sua attenzione.
Ma come facevano a non notare il suo disinteresse nei loro confronti?
Non ci voleva poi così tanto a capire che fosse gay, lo aveva praticamente tatuato in faccia, ma a quelle ragazze sembrava quasi non importare.
Tutto di lui sembrava urlare 'Mi piace il cazzo' o anche qualcosa tipo 'Mi piace prenderlo in culo', forse delle frasi così forti avrebbero convinto quelle diciassettenni con gli ormoni a puttane a lasciarlo stare e a scollarsi da lui.
Ma si trattenne dall'urlarlo, non avrebbe solo shoccato le ragazze, ma anche i cugini James, ma soprattutto William, che adesso lo stava chiamando con tono gentile.
“Edward.” William posò una man sulla spalla del ragazzo mentre questo si voltava già al suono della sua voce.
“Si?” okay Edward, respira, ha solo detto il tuo nome! Suvvia!
Patetico, ecco come Edward si sentiva, patetico.
Patetico, sì, ma cazzo che voce.
E mentre William gli domandava qualcosa continuava ad ascoltare il suono della voce e lo immaginava appena sveglio la mattina, magari basso e roco, o quando riprendeva il piccolo Max, chissà, forse quasi rabbioso o puntiglioso, o quando giocava col figlio, quando giocavano con le macchini e che, per farlo divertire, faceva versi strani come rombi o boati di esplosioni.
O magari... magari quando era a letto, magari con lui, magari mentre...
“Edward?” William lo guardava stranito, era da un po' che aveva notato che il ragazzo non lo ascoltava e lo fissava solamente, così si era fermato ed era rimasto in silenzio aspettando una reazione del più piccolo.
Il riccio scosse la testa e riportò lo sguardo su William un po' imbarazzato.
“Uhm?”
“Ti stavo chiedendo se potevi aiutarmi a portare i piatti, le posate e la torta.” concluse sbuffando divertito.
“Le ragazze ti hanno rincoglionito? Ad un certo punto non le stavi nemmeno più ascoltando!” rise William battendogli una mano sulla spalla.
“Uhm sì, mi hai fatto un favore chiamandomi di qua!” scherzò anche lui mentre si avvicinava ad un mobile in legno scuro per prendere dei piattini blu e le posate abbinate.
“Immagino, a volte possono essere logorroiche!” William si aggirava per la cucina in cerca dell'accendino per poi trovarlo poco dopo nello stesso punto in cui si trovavano i piatti che Edward aveva preso.
Si ritrovarono improvvisamente fin troppo vicini ed Edward non sapeva che fare, beh certo, la soluzione migliore era rimanere immobili e non sbilanciarsi troppo.
William dal canto suo non sembrava affatto infastidito da quella vicinanza – non che Edward lo fosse.
Il ragazzo più grande continuava a spiegare al più piccolo cosa dovevano fare.
“Allora, io accendo le candeline, tu spegni le luci del salottino, l'interruttore è dietro a questa parete.” spiegò a bassa voce indicando poi la parete citata.
Edward annuì e si avvicinò alla parte con piattini e posate in una sola mano mentre si appiattiva al muro aspettando un segnale da William.
Il liscio accese le tre candeline blu e si voltò immediatamente verso Edward facendogli segno di spegnere le luci, proprio come stava per fare.
Il silenzio calò nella stanza, i due ragazzi si sorrisero mentre entrambi avanzavano nella stanza intonando 'Happy birthday to you'.
Tutti cantarono la canzoncina battendo le mani tenendo il ritmo mentre William posava davanti al visino stupefatto del figlio la torta al cioccolato.
Gli occhi di Max erano spalancati, le pupille dilatate, la bocca fine aperta e le guance paffute si arrossarono.
Tutti finirono la canzone mentre William diceva al figlio di soffiare sulle candeline che continuavano a suonare.
Max si sporse in avanti e soffiò forte spegnendo la fiamma e facendo smettere le candele di suonare.
Tutti applaudirono mentre lui rimaneva estasiato a fissare il fumo che la candele rilasciava, si innalzava lento, si attorcigliava su sé stesso e poi sfumava scomparendo.
“Tanti auguri amore di papà!” esclamò William baciando la fronte del piccolo Max.
Max sembrava incantato da tutto, si guardava intorno e non aveva mai visto così tanta gente lì, solo per lui, lo incitavano a spegnere nuovamente le candele, osservava di nuovo il fumo scomparire verso l'alto, spostava lo sguardo su tutti i presenti e poi rise di gusto, buttò la testa all'indietro e sbatté le mani fra loro applaudendosi da solo.
William non era l'unico a rimanere incantato nell'osservare quella scena, ma anche Edward e la piccola Gemma rimasero affascinati da quella piccola creatura.
Non avevano mai visto un bambino così felice il giorno del suo compleanno, non ne avevano mai visto uno così estasiato nell'avere la gente che lo ama intorno.
Edward comprendeva solo in quel momento che quel bambino era speciale, era davvero importante per quella famiglia, che tutti lo amavano e lo veneravano quasi.
Ma come biasimarli?
Era l'unica cosa che rimaneva della ragazza di William, donna che lui aveva amato e rispettato.
Edward si sentì quasi uno stupido, cosa ci faceva lui lì?
Perché non aveva rifiutato l'invito lasciando così la famiglia a festeggiare in intimità?
Stupido, stupido, stupido! Continuava a ripetersi, proprio come una mantra.
Un'improvvisa voglia di scappare, di prendere in braccio Gemma e di uscire sbattendo la porta lo assalì.
Lui lì non centrava nulla, eppure si sentiva davvero bene lì, tra quelle mura e tra quelle persone di cui conosceva solo il nome e a cui aveva attribuito una possibile età.
Edward passava a William i piccoli piatti mentre il più grande tagliava la torta e la distribuiva a tutti presenti.
“A Gemma non darla, fa metà con me!” lo avvertì il ragazzo mentre gli passava un ultimo piatto per poi prendere la sorellina in braccio per farla sedere sulle sue gambe.
Gemma scalciò appena per sedersi più comoda mentre William passava loro il piatto con dentro un fetta di torta.
Il silenzio veniva spezzato ogni tanto da qualche parola, per lo più sussurrata, o da qualche verso smielato da parte delle ragazze mentre papà William imboccava Max, o quando era Edward a farlo con Gemma.
Edward iniziava a sentirsi male, da lì a poco avrebbe vomitato, ne era sicuro.
Tutte quelle attenzioni da parte di quelle ragazze iniziavano a dargli fastidi, ma non potendo fare molto si limitò a sorridere loro ogni volta che queste parlavano.
La sorella di William gli si avvicinò e sussurrò qualcosa al ragazzo, questo annuì e Charlotte scomparve oltre la porta.
Tornò qualche secondo dopo con in mano la busta di Edward e la posò davanti agli occhi di Max.
Edward si sentì davvero male questa volta.
Il respiro corto, le gambe tremanti, le braccia immobili, gli occhi spalancati e la bocca dischiusa.





Edward si ritrovò nella sua stanza poco dopo aver parlato con sua madre.
Si guardava intorno in modo spaesato, incredulo.
Aveva qualcosa allo stomaco, sentiva quasi di star dimenticando qualcosa.
Quante volte aveva provato quella sensazione? Sensazione assai fastidiosa.
Lo torturava dentro, sapeva che non poteva lasciarla torturarlo, doveva capire di cosa si stava dimenticando, se avesse lasciato perdere avrebbe rischiato di arrivare alla festa e di accorgersi solo lì quanto importante fosse la cosa di cui si stava dimenticando.
Ma cosa era?
Doveva mentalmente ricapitolare tutta la situazione.
Aveva incontrato William, ne aveva scoperto il nome e il fatto che avesse un figlio di nome Max e che quella sera a casa del ragazzo per cui aveva un cotta ci sarebbe stata una festa di compleanno.
Una festa di compleanno.
Ecco!
Di solito ad una festa di compleanno non si poteva mica andare a mani vuote.
Ma cosa portare?
Non poteva di certo preparare uno dei suoi soliti dolci, era troppo tardi, non avrebbe fatti in tempo.
Regalare al bambino qualcosa di Gemma gli sembrava non tanto carino, anche perché tutte le cose di Gemma erano per lo più rosa o pompose.
Si guardò un'ultima volta in giro, poi qualcosa attirò la sua attenzione.
Lì sul suo letto.





Edward, per la seconda volta, volle alzarsi e scappare da quella casa.
Ma cosa cazzo gli era passato per la testa in quel preciso istante?
Continuava ad imprecare mentalmente mentre il piccolo Max scartava il suo regalo.
Il cuore prese a martellargli nella cassa toracica.
Cosa fare?
Nulla, ecco cosa poteva fare.
Era impotente difronte a tutta quella situazione, gli venne quasi da piangere.
Non poteva aver regalato a quel bambino – che per lui contava davvero poco - proprio quello.
Era importante per lui.
Ma cosa cazzo aveva fatto?
Il mondo gli stava crollando addosso.





Edward aveva circa sette anni quando sua nonna Mary aveva posato davanti ai suoi grandi occhi verdi quel pacco regalo.
Era il primo febbraio del 2001, il giorno del suo settimo compleanno.
Mary aveva circa settant'anni ed Edward era il suo unico nipotino allora, così aveva deciso di fargli davvero un bel regalo.
Il bambino gli aveva detto più volte cosa avrebbe voluto per il suo compleanno, ma né mamma Anne, né papà Des volevano comprarglielo perché a detta loro 'Siamo già pieni di pupazzi in casa, Eddie!'.
Ma nonna Mary era di buon animo e vedere il piccolo Ed così preso da uno stupido pupazzo non lo aveva mai visto, così, perché non accontentarlo?
E quando aveva scartato quella carta verde se lo era ritrovato davanti; un pupazzo a forma di rinoceronte, grande una trentina di centimetri, marrone scuro e con il corno, l'interno delle orecchie e la base delle zampette di beige.
Aveva adorato quel pupazzo dal primo giorno in cui l'aveva visto nella vetrinetta di un punto 'Toys'.
Se ne era letteralmente innamorato, adorava i rinoceronti, erano i suoi animali preferiti, adorava vederli in televisione in uno stupido documentario.
E ritrovarselo lì davanti era un sogno bellissimo per lui, un sogno che si realizzava.





Sua nonna Mary era morta la settimana dopo e quel pupazzo era l'unica cosa che gliela ricordava, era il suo pupazzo preferito e ogni tanto, quando si sentiva solo o quando gli mancava la sua nonna, lo prendeva e lo stringeva al suo petto fregandosene di sembrare un bambino o peggio ancora una ragazzina adolescente.
Adorava sua nonna e mai l'avrebbe dimenticata.
Ma così facendo avrebbe rotto qualcosa che c'era solo fra lui e sua nonna.
Max continuava ad osservare davanti ai suoi occhi il pupazzo a forma di rinoceronte stranito.
Ecco, aveva fatto una cazzata.
Quel bambino non avrebbe mai capito cosa – o chi – fosse quel pupazzo, non lo avrebbe mai trattato con i guanti come faceva lui tutti i giorni, non avrebbe sorriso nel vederlo, non lo avrebbe mai tenuto fra le sua braccia nel vano intento di risentire vicino a sé una persona a lui cara.
Tutti i presenti erano rimasti in silenzio ad osservare il piccolo, Edward compreso.
Tutti erano su un filo in bilico, erano straniti, proprio come il piccolo Max.
Erano straniti non per il regalo, ma per la reazione del bambino.
Ma poi, così, all'improvviso, esplose urlando 'Rino!'.
Edward era sconvolto, Rino era il nome che aveva affibbiato a quel pupazzo ed ora il bambino aveva fatto lo stesso.
Rino, lo aveva chiamato Rino.
“Cosa?” domandò Charlotte confusa, ponendo la domanda che tutti i presenti si stavano facendo.
Rino! Rino! Lo chiamerò Rino!” esclamò Max felice.
Rino! Rino! Lo chiamerò Rino!” aveva detto Edward, solo le labbra si erano mosse, a tempo con la voce di Max.
E Félicité se ne era accorta, era stata l'unica ad accorgersene.
Edward sorrise ampiamente, forse aveva pensato male di quel bambino di soli tre anni.
Forse aveva affrettato le cose, forse lo aveva giudicato male.
Quella morsa allo stomaco svanì e sorrise accettando che, sì, aveva fatto la scelta giusta.
“Max, ringrazia Edward, te lo ha regalato lui!” sorrise William al figlio indicando poi il ragazzo dai capelli ricci che in quel momento stava mettendo a terra Gemma.
Non seppe come, ma si ritrovò addosso il bambino che lo abbracciava, gli aveva stretto le piccole braccia al collo, si era seduto su di lui e aveva appoggiato la testa sulla spalla del ragazzo mentre “Rino!” sussurrò ancora.














 
Giorno!

Belle mie, come state? Io tutto bene!
Come promesso – a me stessa a dir la verità – eccomi qua, a metà agosto.
Okay, manca domani per essere a metà agosto, ma sono solo dettagli inutili! lol
Volevo aggiornare tra oggi e domani per farvi gli auguri di Ferragosto, ma visto che domani non potevo postare avevo deciso di farlo oggi, beh? Sono qui! Esultate dai! Hahahah Allora, cosa ne pensate del capitolo? Ve gusta? Io ero tipo in lacrime, tutta queste cose sono fin troppo smielate anche per una tipa come me! lol Diciamocelo, il capitolo fa abbastanza cagare, non è per niente uguale a come lo avevo progettato! Beh sì, io prima di scrivere i capitoli per interi – la stesura, intendo – mi faccio prima una bozza dei vari avvenimenti e in questa bozza c'era la festa di compleanno, era presente il regalo ma non la parte finale, la fine era completamente diversa da quella scritta nel capitolo che avete appena letto. Ma, lo ammetto, mi piace come l'ho fatto terminare, anche perché non mi piaceva l'altra, sembrava fin troppo affrettata! Uhm, poi, devo dirvi delle cosette quindi vado a punti sennò poi me le dimentico:
1 – Volevo rispondere a due domande che mi erano state poste nelle recensioni del capitolo precedente in modo tale da spiegare il tutto: La storia non ha come tema il sovrannaturale, Max e William non hanno dei poteri e non possono comunicare con Eleanor.
Non vi è mai capitato? Quando muore una persona a voi cara non vi capita di vederla ancora gironzolare per casa o di sentire la loro voce che vi chiama? No? A me si! Hahahah *non prendetemi per pazza, grazie* Ed è normale, l'abitudine ti porta a questo, e a chi non è mai capitato mi dispiace perché davvero è una cosa bellissima, sembra quasi che la persona che è morta sia accanto a voi.
Pooooi, l'altra domanda riguarda la scelta dei nomi, ovvero William ed Edward.
Ho scelto di usare i loro secondi nomi non perché sono trasgressiva o alternativa – sì anche per quello, ma dettagli – ma perché ho letto così tante fan fiction Larry che non solo ho perso il conto, ma a volte le confondo tra loro perché i personaggi sono sempre loro.
Quindi la scelta dei nomi è perché non vorrei che la fan fiction che state leggendo sia la solita Larry, mi dispiacerebbe sapere che confondiate la mia storia con un'altra proprio come capita di fare a me. (Cosa che mi sembra davvero crudele anche solo da parte mia).
Volevo che vi rimanesse nel cuore come La Williard, la fan fiction Larry su William ed Edward, quella dove i nomi usati non sono gli stessi, dove le avventure non sono del solito Louis o del solito Harry.
Lo so, è una cagata ma io ci tengo davvero tanto a questa storia, non potete nemmeno immaginare quanto mi stia impegnando a scriverla e sapere che qualcuno la dimentichi un po' mi fa stare male e sapere anche che questo piccolo, ma importante dettaglio, vi possa portare ad amarla mi rende davvero entusiasta.
Non so se mi sono spiegata bene, se non avete capito ditemelo che nella recensione ve lo rispiego!:)
2 – Voglio ringraziare le ventuno persone che hanno recensito lo scorso capitolo, le sei persone che hanno messo la storia tra le preferite, le cinque persone che l'hanno messa tra le ricordate e le tredici che hanno messo la fan fiction tra le seguite. Non ho mai avuto tredici persone che seguono una mia storia già dal primo capitolo e, davvero, non potete capire quanto questo mi renda felice!

Su Twitter sono @LookAfterYou17.
Su Wattpad sono 
@Elisaku.
Qui potete trovare le mie altre fan fiction in corso:
Num3ro Sbagliato.
La Ragazza Onnipotente.

Me la lasciate una recensione con un vostro commento? É davvero importante per me sapere cosa ne pensate, davvero, davvero tanto! Per faaaavore! *faccia da cucciola adorabile*

Alla prossima e...
Buon Ferragosto amori miei!

Elisaku.

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Capitolo 3
*** Would you like some hot choccolate? ***











Capitolo3: Would you like some hot choccolate?








 
 
William ed Edward si conoscono ormai da un mese.
Beh, forse 'conoscersi' è davvero una parola grossa e l'unica cosa che sanno l'uno dell'altro è nome, cognome e qualche parentela, ma secondo Edward questi sono solo dettagli, e per lui non si 'conoscono' solo da un mese, ma da quasi un anno.
O almeno, Eddie lo aveva già adocchiato da tempo.
Adocchiato, si è preso proprio una sbandata, o forse, possiamo anche semplicemente chiamarla cotta, perché amore, di certo, non è.
Le uniche volte che si incontrano i due sono all'uscita e l'entrata davanti all'asilo dove si recano tutte le mattine Gemma e Max.
E tutto quello che fanno è avvicinarsi, salutarsi, chiacchierare fino a quando il cancello in ottone non si apre, aspettare che i bambini entrino, salutarsi e, uno tornare a casa, mentre l'altro si dirige a scuola.
Ma quella mattina cambia qualcosa.
Edward è un ragazzo abbastanza mattiniero, infatti è lui che sveglia la sorella, che le prepara la colazione, che la aiuta a vestirsi e che la accompagna poi a scuola.
William, dal canto suo, adora oziare, gli piace rigirarsi nel letto per ore senza fare niente se non riflettere, rimuginare, pensare.
E pensa, pensa a tutto, e non è solo un semplice pensare, pensa, scava a fondo, cerca di capire come qualcosa possa accadere, come tutto sembri girare intorno a lui, come le cose accadino senza neanche aspettarsele, senza neanche volerle, senza neanche un minimo di preavviso, giusto per prepararsi psicologicamente a ciò che possa succedere.
Ma a quanto pare tutto questo non può avvenire e William si chiede il perché.
Perché accadono certe cose, come la morte della sua ragazza.
Perché è rimasto solo, anche se solo non è, ha famiglia e amici vicino che lo sostengono, ma questo non basta, perché è lì che entra in gioco Max, suo figlio, unica ragione di vita, persona per cui, ammazzerebbe o si toglierebbe la vita.
Perché la gente muore, ma questa è una domanda tanto banale quanto profonda ed importante.
Perché la gente muore?
Qualcuno se lo è mai chiesto?
“Sì” è la risposta, ma la risposta alla prima domanda qual'è?
Oh, ma ce ne sono.
“Perché Dio non è buono.”, “Perché c'è qualcuno lassù che ha più bisogno di quella persona che di noi.”, o semplicemente la più banale, “Perché è il ciclo della vita.”.
E lì William si blocca, torna bambino a quando a scuola studiava scienze.
Nasce, cresce, si nutre, si riproduce e si muore.
E poi passava al secondo passaggio, tornando adulto, nel presente, con ventitré anni che gli pesano sulle spalle, e sono solo ventitré.
Eleanor è nata.
Eleanor è cresciuta.
Eleanor si è riprodotta. - un po' crudele da dire così, ma ehi! È la verità.
E poi, Eleanor è morta.
Però, nella natura umana, si è sempre pensato che è prima il genitore a morire e poi il figlio, perché procheando ha dato vità già ad un altro essere vivente.
Il ciclo della vita.
Ma c'è un intoppo.
Max, figlio, è sopravvissuto, Eleanor, madre. no.
Max, figlio, è sopravvissuto, Eleanor, figlia, no.
E William se lo chiede.
Non sarebbero dovuto morire prima i – bastardi – genitori di Eleanor?
Eleanor è morta senza sapere cosa significasse realmente vivere, certo, ha dato alla luce un bellissimo bambino, ma non ha potuto goderselo, non ha potuto vederlo crescere, non lo ha aiutato quando, in camera di William, muoveva i primi passi, quando per la prima volta 'Mamma!' ha detto, non ha potuto godere, insieme a William, della loro vita, non vedrà mai William invecchiare, Max sposarsi e avere dei figli.
Ma, perché il 'ma' c'è!, Eleanor non potrà mai vedere suo figlio morire, e questo, pensa William, forse è l'unica cosa giusta in tutta quella merda che risulta la sua vita, o quella merda che risulta il ciclo della vita.
E a William sembra impossibile che il ciclo della vita possa ricominciare, o anche solo riprendere da dove si era interrotto: dalla morte di Eleanor.
Quel giorno, William, non si rende conto che sta ricominciando tutto da capo e che con 'tutto' si intende proprio tutto, o che tutto si sta per ripetere daccapo.
Beh, forse non proprio tutto.
William quel giorno arriva stranamente in anticipo e lì, davanti al cancello in ottone dell'asilo, trova un Edward svogliato e una piccola Gemma assonnata tra le braccia del fratello.
Si sorridono da lontano, mentre il maggiore si avvicina a loro stringendosi nel suo cappotto verde militare.
“Giorno” si salutano contemporaneamente sorridendosi, poi, come due cretini.
O almeno, Edward sorride davvero come un abete, ha davanti ai suoi occhi l'oggetto – o per meglio dire, la persona – dei suoi desideri, è proprio lì, davanti a lui e lo sta salutando.
Edward è decisamente alla sua prima cotta. Uhm, sì, decisamente.
Gemma dal canto suo inizia a non sopportare quei due individui, portano via troppo tempo a suo fratello, tempo che di solito usavano per stare insieme e giocare al parco.
Edward passava davvero molto tempo insieme alla piccola Gemma, la adora, per lei farebbe tutto, è la sua piccola.
Non è vero che nell'ultimo mese non è stato con la sorellina, anzi, passa le sue intere giornate con lei.
Certo, le passa insieme a lei, ma non con lei; passa le giornate tra le nuvole, porta fin troppo più spesso in giro Gemma solo con la speranza di incontrare William da qualche parte.
Si offre per buttare l'immondizia, si offre ad andare a fare la spesa, si offre a portare Gemma fuori, tutto con l'intento di poter anche solo dire un semplice 'ciao' al ragazzo.
Sì, è decisamente cotto.
A Gemma, per quanto piccola e per quanto possa capire tutto quello che le capita intorno, non va affatto bene.
Suo fratello non sta realmente con lei, la sfrutta, e lo ha capito perfino lei che ha solo tre fottutissimi anni.
Per questo quando sente la voce di William avvicinarsi sempre di più si stringe con più forza al petto del fratello.
Quei due hanno interrotto un loro momento, ancora.
Ma, quando William si avvicina per accarezzarle la guancia rossa per il freddo, entrambi i fratelli non possono fare altro che sospirare.
Non sanno, nessuno dei due, cosa William abbia di tanto attraente, e non è l'aspetto fisico, è qualcosa di più profondo, di più sentimentale, è affetto, affetto fraterno, è l'affetto di un genitore.
È dolce, delicato, passionale e tremendamente vero.
Edward sospira perché William si è decisamente troppo avvicinato a lui sfiorando con la mano il suo mento per accarezzare la piccola.
Un tocco delicato.
Uno sfioramento, quasi impercepibile.
Gemma sospira perché è piccola e qualsiasi attenzione le va bene, ma William Tomlinson è William Tomlinson, ed il suo tocco è come quello di suo padre, ma ancor più delicato, con la paura di farle del male e di darle fastidio perché stava riposando.
E William sorride, perché è un po' come vedere lui e Max allo specchio la mattina appena alzati nel bagno di camera sua, è un po' come vedersi con un'altra prospettiva e pensa, di nuovo.
Allora è quello che la gente vede quando sono insieme, che siano uno spettacolo della natura, perché Gemma ed Edward sono davvero belli da vedere insieme e, chissà perché, non si stancherebbe mai di vederli.
Beh, forse, pensa, potrebbero diventare il suo nuovo film preferito.
Ma poi scuote leggermente il capo e 'Che cazzata...' pensa.
“Com'è?” domanda William allontanandosi da entrambi ed accarezzando dolcemente il capo del figlio che, attaccato alla sua gamba sinistra, osserva la piccola Gemma aspettando che scenda dalle braccia del fratello, ma questo non accade.
Max la scruta cercando di intravedere, tra la lana del cappello e il tessuto sintetico del cappottino, il paffuto viso della bimba, ma, ahimè, non ci riesce.
Prova alzandosi sulle punte, ma, dandosi troppo slancio, rotola atterra.
William si appresta ad alzarlo e a toccarlo da tutte le parti per accertarsi che non si sia fatto male seriamente, ma tutto quello che si è procurato è il palmo della manina un po' sbucciato.
“Ti fa male?” chiede il padre con apprensione, lo sguardo preoccupato puntato negli occhi del piccolo che, con un sorriso a trentadue denti, sorride e nega con il capo.
William sospira e, ormai abituato a questi improvvisi ruzzoloni dal parte del figlio, tira fuori dalla tasca della giacca un piccolo cerotto blu che poggia con delicatezza sulla zona lesa della manina.
Edward li osserva, proprio come Gemma, che è spuntata solo dopo aver sentito un piccolo lamento, con meraviglia, 'Dio', pensa, 'quanto sono belli'.
Il ragazzo si rialza prendendo in braccio il figlio che, felice di poter finalmente vedere la bambina, batte le mani.
“Ciao!” urla Max verso Gemma che, infastidita dall'urlo di Max, si copre le orecchie, ma poi, con un sorriso, lo saluta.
I due ragazzi più grandi si sorridono e iniziano a chiacchierare aspettando l'apertura dei cancelli dell'asilo mentre i due bambini si osservano studiandosi l'un l'altro.
I genitori intorno a loro aumentano col passare del tempo, c'è chi rimprovera il figlio, c'è chi gioca con lui facendo smorfie per rubare un sorriso al figlio, ci sono papà che accompagnano i figli a scuola e ci sono madri che osservano con delicatezza ed amore materno i proprio bambini.
E, William, di nuovo, pensa.
Max non sentirà mai su di sé quello sguardo.
Si guarda in giro e non può fare altro che rimanerci male, non può far finta che il problema non esisti, c'è e si nota.
Ed Edward, per quanto possa essere un ragazzo nella fase adolescenziale, lo nota, nota il panico, la paura, il dolore e la preoccupazione negli occhi di William.
E non sa da dove esce tutto quel coraggio, ma gli fa male il cuore, una maligna stretta lo distrugge lentamente, e non può stare zitto e fare finta di nulla.
Così “Sei un magnifico padre, William.” sussurra all'indirizzo del ragazzo che con sgomento sbarra gli occhi, ma poco dopo si riprende e con occhi lucidi gli sorride di cuore ringraziandolo.
“Grazie, ne avevo bisogno.” sussurra e sembra quasi un segreto quello che dice, perché lo dice in modo strascicato, stanco e un po' meno deluso di sé stesso.
Ne ha bisogno perché poche volte se lo sente dire e perché pensa di non esserlo.
Ma, quando sente quelle parole dette da Edward, ci crede e non sa il perchè, ma ci crede.
Entrambi i ragazzi si ricompongono solo quando sentono una piccola campanella squittire, segno che l'asilo sta aprendo i cancello.
Tutti i genitori si apprestano ad accompagnare i propri figli davanti alla maestra di riferimento e salutandoli scappano al lavoro.
Lavoro.
William non ha un lavoro, è per questo che vive in casa di sua madre Johanna.
William deve mettersi all'opera e trovarsene uno, trovare un piccolo appartamente ed iniziare seriamente a vivere come una famiglia con suo figlio.
Ma di tempo ce ne vuole prima che lo trovi e che guadagni abbastanza.
Per adesso si fa bastare quello che ha.
William ed Edward accompagnano Gemma e Max da Loren, l'insegnante dei bambini e salutandoli si allontanano, uno triste perché abbandona il figlio in quella sottospecie di prigione, l'altro più sereno perché ora potrà tornarsene a casa e riposare, dopotutto è sabato anche per lui.
Ma, William, dopo essersi salutati si volta di nuovo indietro e “Edward” lo richiama, il ragazzo si volta confuso e “Ti va una cioccolata calda?” domanda.
Edward accetta, contento che almeno quel giorno non lo abbia lasciato andare via senza nemmeno richiamarlo.






Ti va una cioccolata calda?” domanda William alle spalle di quella bella ragazza dai lunghi capelli mossi e castani, dagli occhi grandi e marroni, occhi da cerbiatta.
La sovrasta, in altezza, è sicuramente più piccola di lui.
William ha diciannove anni quando per la prima volta chiede alla ragazza di uscire insieme.
Si sono conosciuti un mese prima, uscivano con lo stesso gruppo di amici.
William conosce i cugini James dal liceo, James, non quello biondo tinto, ma l'altro, ha una sorella che molte volte si porta appresso quando escono con gli amici di lui.
Quella volta, Ruth, decide di portare con sé la sua migliore amica, Eleanor.
E così avviene anche le volte successive.
William è da più di un mese che osserva quella ragazza e, preso da uno spasmo di coraggio, le si avvicina e, senza neanche richiamare la sua attenzione,la invita ad uscire, o per meglio dire, la invita a prendere insieme una cioccolata calda.
La ragazza, sentendosi chiamata in causa, si volta guardandosi attorno con insicurezza.
Sta davvero parlando con lei?
William ritorna in sé e, guardandosi anche lui attorno con imbarazzo le ripropone la domanda.
Ti va una cioccolata calda?” e le sorride un po' meno sicuro, che non voglia?
Ruth, che non si è persa nulla di quella scena sorride e, spintonando l'amica verso il ragazzo, che se la ritrova improvvisamente tra le braccia, accetta per lei con un 'Certo che le va!”.
Il ragazzo sorride entusiasta, anche se la ragazza che ha parlato non è la stessa a cui a chiesto, così, distaccandosi dal gruppo si avviano, solo loro due, verso un bar vicino al centro di Doncaster.
Trattamela bene.” lo ha ammonito Ruth prima di lasciarli andare e William le ha sorriso, forse un po' intimorito da quella leggera minaccia.
Camminano fianco fianco senza parlarsi o sfiorarsi, l'imbarazzo tra i due è palpabile e l'aria si taglia con u coltello affilato, dio, ci vorrebbe un argomento di cui parlare.
E William ci pensa, ma Eleanor fra il primo passo mentre lui si sente così stupido.
Allora...” comincia “...dove mi porti?” chiede con voce soffice, delicata.
A bere una cioccolata calda?” domanda ironico.
Eleanor ride e la tensione tra i due si smorza un po'.
Ti piace la cioccolata calda, vero?” chiede per sicurezza il ragazza.
Ci manca solo che non le piaccia!
Certo! Che domande!” esclama risoluta lei lasciando a bocca aperta lui.
Mi scusi Miss, come se avessi fatto domande inappropriate!” esclama William, le mani alzate, il tono teatrale.
Ma che domande inappropriate, non mi hai mica chiesto se sono vergine!” esclama sorridendo scherzosa la ragazza.
Perché lo sei?” domanda William e... Sì! Quella è una domanda inappropriata, la vede arrossire e sorride un po' compiaciuto.
Sfacciato, ecco come era William Tomlinson.
Beh, si può sempre rimediare, no?” scherza ancora, non notando il nervosismo della ragazza che fa dietro front per tornare dal gruppo da cui si erano distaccati esclamando un “E io che pensavo ti interessasse la cioccolata calda!”.
Che?” balbetta William bloccandola per un polso e per farla voltare di nuovo verso di lui.
Hei, guarda che stavo scherzando, non mi permetterei mai...” la guarda, dritto negli occhi di lei ed è sincero.
La ragazza annuisce e tornano a camminare in silenzio.
Okay, Ruth lo rovinerà di sicuro quando verrà a scoprire cosa è successo.
Devo rimediare, si dice.
Eccoci!” esclama il ragazzo fermandosi davanti a Busters.
Busters, sul serio?” domanda concisa la ragazza.
Ehm... si? Non va bene?” ci manca solo che il posto le faccia schifo.
Ti prego, portami da Starbucks!” esclama con un dolce sorriso.
E quasi William ci casca.
Scherzi? Io odio quel posto!” esclama risoluto con un cipiglio sulla fronte.
E io odio Busters!” esclama la ragazza.
Sono uno difronte all'altra e chiunque passi di fianco a loro la prima cosa che pensa è che sono fratelli, sono così simili.
Non puoi fare la parte della dolce ragazza e accettare con serenità il luogo in cui ti porta il tuo cavaliere?” domanda con un po' di astio nel tono William.
Eleanor sgrana gli occhi e “Cosa? Scherzi, vero? Tu, un cavaliere? Non vedo il suo destriero!” afferma la ragazza che si fa beffa di Willie.
E, Dio, già la adora.
Il mio nobile destriero è nascosto.” afferma tranquillamente con un sorriso malizioso.
Tu, non lo hai detto sul serio!” esclama la ragazza, ma invece che arrossire ride di gusto contagiando così anche William.
Dai, per sta sera ti accetto Busters!” dice Eleanor avanzando verso la porta del bar.
Uhm... quindi ci sarà una seconda uscita, Miss?” domanda con gusto.
Vedremo!” lo tiene sulle spine, William sbuffa mentre la segue all'interno del locale.
I due si siedono ad un tavolino, al quanto appartato per la felicità di William, ed ordinano le loro cioccolate calde.
Aspettano in silenzio le ordinazioni e quando arrivano cercano, imbarazzati, di intavolare, non proprio una discussione, quanto una piccola conversazione, giusto per non sembrare degli idioti che bevono una cioccolata calda guardandosi solamente, ecco.
E William ci prova ad intavolare quella piccola conversazione, dopotutto non conosce quasi nulla della ragazza che ha di fronte.
Allora...” incomincia “...come ti chiami, Miss?” domanda William scherzando, ma la ragazza non si accorge della nota ironica nel tono del ragazzo, così sbarra gli occhi, dischiude la bocca e lo guarda stralunata.
Cioè... tu mi hai invitata fuori senza sapere il mio nome?” chiede sconcertata posando la tazza che aveva tra le mani sul tavolino tra di loro per osservarlo bene.
Certo che no, Adriana!” scherza ancora, ma Eleanor continua a fissarlo.
Scherzi, vero?”
No.”
Tu scherzi!”
Su cosa, Adriana?”
Fanculo, io me ne vado!” esclama la ragazza alzandosi, ma William è più veloce e afferrandola per il polso la blocca: “Eleano... risiediti!” è un piccolo ordino, ma il suo tono è dolce e canzonatorio.
Eleanor si risiede con uno sbuffo per scaricare la tensione e poi scoppia a ridere.
William gliel'ha fatta proprio sotto il naso.
Il ragazzo rimane affascinato, Dio, Eleanor è così bella, tenera e fin troppo piccola per lui, ma, ahimé, lo ha fregato alla grande già da un mese.
Comunque...” riprende il discorso William, questa volta un pochino più serio.
Che poi, parliamo di William Tomlinson, quando mai è serio?
É sempre con la battuta pronta, strappa sorrisi alla gente e migliora le giornate a tutti.
William è solare, è divertente, è adrenalina allo stato puro e chi ha la fortuna di viverlo tutti i giorni non sa davvero cosa significhi.
William è fatto così, o lo si ama o lo si odia.
Dimmi.” lo sprona Eleanor.
Quanti anni hai?” beh, dai, questo può almeno chiederlo, no?
Uhm...”
Ci stai pure a pensare?” chiede ridendo William.
Sedici.” sussurra imbarazzata Eleanor, sa che William è sicuramente più grande di lei.
Tu?” vuole una conferma, quanto avrà? Ventuno? Ventidue anni?
Diciannove!” esclama, quasi orgoglioso.
Sei grande!” esclama la ragazza, ma William lo prende come un complimento infatti “Ma grazie!” esclama sorridendo felice.
No, sei grande nel senso di età, non di carattere o di personalità!” smorza il suo entusiasmo Eleanor facendolo smettere di sorridere.
Beh, William non è solo divertente, è anche testardo, orgoglioso ed un po' egocentrico.
Il suo ego è il suo punto debole, ed Eleanor lo ha punzecchiato.
Quindi non sono grande?” chiede e, davvero, ha bisogno di sentirselo dire, sarebbe capace di torturarla fino a quando la ragazza non lo ammetta.
Uhm...”
Scherzi, vero?”
Nah!”
No no, tu scherzi!”
No no!”
Sono io quello che se ne va, adesso” esclama offeso, ma continuando a scherzare.
È divertente come le situazioni si ribaltino!” ride la ragazza.
Certo che sei stronza, eh!”
Bel complimento al primo appuntamento!” fa l'offesa mettendo su un adorabile broncio.
Beh, cosa vuoi che ti dica, che sei bellissima? Lo sai già, no?” la guarda con sufficienza.
Ma la ragazza rimane un po' sorpresa, bella? Bellissima? Nessuno le ha mai fatto un complimento del genere e... davvero, William lo pensa?
Lei è bella, bellissima?
Ma mi ha vista? Pensa Eleanor.
Che?” domanda, appunto.
'Che' cosa?”
Bellissima?Ma scherzi?”
No, perché?”
William odia quando uno risponde con un0altra domanda alla sua, ma Eleanor è fin troppo adorabile quindi lascia passare.
Aspetta, tu pensi di non esserlo, scherzi, vero? É impossibile che tu possa pensare il contrario!” risponde stralunato, gli occhi sgranati a fissarla, la bocca aperte e le mani in aria.
Io...”
No, tu, nulla, sei bellissima, punto e basta!” esclama il ragazzo ed Eleanor vorrebbe solo sotterrarsi dall'imbarazzo.
Uhm... okay” risponde un po' impacciata.
Okay? Senti, quando una persona ti fa un complimento o la guardi con sufficienza come a dire “Si sapeva già” oppure la ringrazi! Su prova!”
Eleanor lo guarda con sgomento, sta scherzando vero?
Non guardarmi così, su!”
Beh... grazie William, nessun ragazzo mi aveva mai fatto un complimento.” sussurra la ragazza mentre lo guarda fisso negli occhi, riconoscente.
E William rimane scioccato, è impossibile che nessun ragazzo l'abbia mai notata, cioè, non è che vuole essere volgare, ma quella ragazza è da sbattere al puro.
Beh... forse sbattere al muro non l'affermazione migliore da usare, ma, cazzo, Eleanor è davvero bella, bella esteriormente ed interiormente.
Uhm... mi sembra strano, ma okay, ti credo! Quindi, ti piace la cioccolata?”
Uhm... si! Ma la prossima volta andiamo andiamo sul serio da Starbucks! Okay?” esclama ridendo.
Okay.”








Okay.
Ormai William si era abituato ed aveva iniziato ad adorare Starbucks, per questo, dopo aver invitato Edward per un cioccolata calda, si erano subito diretti verso il centro per andare proprio in quel locale.
“Io amo Starbucks!” aveva esclamato il ragazzino battendo le mani sotto al mento.
William lo osservava sconcertato, era bello e pareva tanto un bambino.
“Io preferisco Busters, ma sono contento di aver fatto centro.” sussurrò un po' sconvolto il più grande.
William era letteralmente sconvolto.
Edward ed Eleanor erano così simili e William se ne sarebbe accorto fin troppo tardi.
“Uhm... di Busters mi piacciono solo i muffin al cioccolato!” e William era d'accordo con lui, quei muffin erano davvero buoni.
“Quindi, entriamo?” chiese entusiasta Eddie mentre William annuiva in assenso.
Edward si guardava in giro, sembrava un bambino nel suo parco-giochi preferito.
Cavolo! È solo Starbucks! pensò William.
Si sedettero in un dei tanti tavolini liberi e mentre aspettavano l'ordinazione chiacchieravano.
Edward estrasse il cellulare dalla tasca degli skinny jeans neri e lo posò sul tavolino attivando il WiFi.
Gli arrivarono un paio di notifiche dall'applicazione di twitter, alcuni rt, alcuni preferiti, tweet di personaggi che seguiva e delle risposte ai suoi tweet.
“Hai Twitter?” domandò incredulo William.
“Uhm si...” rispose imbarazzato il ragazzino.
“Dai dammi il nick che ti seguo!” esclamò il maggiore estraendo il cellulare e facendo il login.
“Eh? Ah... uhm, okay, sono Edward_Styles.” borbottò, e più che un borbottare era un balbettio.
“'Kay... fatto!” esclamò William e dopo qualche secondo Edward ricevette la notifica che subito ricambiò con un sincero sorriso.
Ma entrambi se ne pentirono subito dopo.
Beh dai, insomma, Twitter era popolato da gente a loro sconosciuta e potevano, quindi, scrivere cosa passava loro per la mente.
William scriveva tweet su come si sentiva, su Eleanor, su Max, sulle sue sorelle, su sua madre e suo padre.
Scriveva sulla sua vita, a volte facendo anche delle battute o prendendo per il culo i suoi familiari.
Il problema erano i tweet rivolti ad Elanor ed al suo account, la citava senza ricavere nessuna risposta, proprio come quando la chiamava al telefono.
La chiamava solo per sentire la sua segreteria telefonica, per risentire la sua voce.
Ciao a tutti, qui sono Eleanor e William che parlano!”
Ciaaaaooo!”
Sh, zitto, amore!”
Ma hei!”
Lo sai che ti amo!”
Uhm... anch'io!”
Coooomunque, questa è la mia segreteria telefonica, lasciate un messaggio dopo...”
Dopo lo schiocco del nostro bacio!”
Smack.
Sì, la registrazione era lunga e, Dio, quanto l'amava quella maledettissima registrazione, l'aveva anche registrata come audio sul suo cellulare e nei giorni più brutti, solo per deprimersi un altro po', l'ascoltava.
Edward, dal canto suo, twittava frasi di canzoni dei suoi cantanti preferiti, a volte parlava della sua amatissima sorellina, pubblicando foto e video divertenti su di loro, altre volte 'fangirlava' sul ragazzo che gli piaceva: William.
Eh sì, tutto questo era dannatamente imbarazzante per i due che cercavano di non far notare all'altro la situazione solo per non offendersi a vicenda.
Edward avrebbe di sicuro ficcanasato tra i tweet del ragazzo, giusto per conoscerlo un po' di più e, no, di questo non si sarebbe pentito, ma si sarebbe sentito male, avrebbe fatte sue le emozione che quelle scritte erano impresse nel web.
William sarebbe stato un po' più restio forse, delicato ecco, ma di sicuro non si sarebbe perso i tweet del più giovane.
Quando arrivarono le loro tanto attese cioccolate calde si ripresero ed in silenzio iniziarono a sorseggiarle.
“Uhm... quanti anni hai, Edward?” chiese poggiando la tazza sul tavolino davanti a lui per poi passare il fazzolettino sulle labbra.
È inutile dire che Edward morì con quel gesto?
Vabbeh, lo fece.
“Eh? Ah, sì! Diciannove” mentì spudoratamente.
Diciassette era il numero giusto, ma dirgli la verità avrebbe portato molto rischi.
Se Edward avesse detto la verità a William lo avrebbe considerato un bambino, un ragazzino o peggio ancora un moccioso.
Anche perché i diciassette li aveva compiti due mesi prima.
“Sicuro?” chiese William scrutandlo.
“Okay, ne ho appena fatti diciotto, ma mi sto dirigendo verso i diciannove!” scherzò con imbarazzo.
William annuì un po' più convinto.
“Ehm... tu?” Max non era l'unico problema.
Definire Max un problema non era carino, ma di sicuro impediva al riccio di avvicinarsi al ragazzo.
Ma chiariamolo subito, Edward adorava quel bambino, era la fotocopia del padre ed era bellissimo.
L'età faceva, e tanto!
“Ventitré.” sorrise orgoglioso.
Merda!
Contiamo, si disse mentalmente Eddie, Diciassette, diciotto, diciannove, venti, ventuno, ventidue e ventitré.
Sette, sette fottutissimi anni li dividevano.
E... porca merda! Erano troppo.
“Vai ancora a scuola?”
“Uhm... sì!” esclamò.
“Hai la grandissima botta di culo di non andare a scuola il sabato, io non l'ho avuta!” si lamentò con una smorfia il più grande.
L'altro rise.
“Non c'è nulla da ridere, ragazzino!” scherzò ancora.
Ragazzino.
Dio, a Edward piaceva così tanto quell'epiteto uscito dalla bocca del più grande.
Potrei farci l'abitudine, si disse.
Rise di gusto.
“Se ridi ancora mi offendi.” dichiarò William ed Edward sentendo quello si bloccò di colpo, sembrava quasi che qualcuno stesse giocando con i suoi muscoli facciali continuando a schiacciare un interruttore.
On.
Off.
On.
Off.
Edward si accigliò, non era sua intenzione offenderlo, così “Scu-sa... non vole-vo offenderti.” balbettò, ma William rise e “Stavo scherzando, piccoletto.”
Eh beh, 'piccoletto' era troppo.
Sarebbe morto di lì a qualche secondo se il ragazzo difronte a lui lo avesse ancora definito in qualche modo così dolce.
“Ah.” rispose soltanto, riprese tra le mani la grande tazza in cui era stata versata la cioccolata calda e, portandosela davanti al volto per berla, si coprì il viso rosso per l'imbarazzo.
Lo aveva fregato.
E, Dio, amava anche quella parte del carattere di William.
Sì, la sua ora era decisamente troppo vicina.
William era una debolezza.
William, invece, si stava divertendo davvero tanto a metterlo in quella scomoda situazione.
Il piccola inspirava troppa tenerezza e sì, William ne stava approfittando.
Non capiva cosa succedeva, ma quando Willie era con il ragazzino qualcosa in lui scattava.
Non lo conosceva per niente, aveva anche appena scoperto che aveva solo diciotto anni, sapeva il suo nome, il suo cognome, che avesse una bellissima sorellina e un account Twitter.
No, decisamente, non si conoscevano, ma ormai qualcosa accadeva dentro di lui ogni volta che lo incontrava da qualche parte.
Non sapeva cosa fosse e ci pensò su un attimo.
Tenerezza?
Tranquillità?
Felicità?
Serenità?
Affetto?
Affetto...
Che provasse affetto per quel ragazzino?
Lo conosceva da solo due mesi e già gli voleva bene?
Davvero? Seriamente? Possibile?
Era capitato anche con Eleanor, tempo due, tre mesi e se ne era innamorato.
Okay, ora non esageriamo, si disse.
Gay non lo era e mai lo sarebbe stato.
Così, con quei pensieri decretò che, sì, gli voleva bene e che sarebbe stato davvero felice ad averlo come amico.
Amico.
Era una parola che amava.
Da quanto non si faceva degli amici, da quanto non stava con gli amici che di più amava, proprio come i cugini James o Ruth?
Anni.
E si era stancato di tutta quella monotonia, così, d'impeto, decise che una di quelle sere avrebbe chiesto ai cugini James di bere un birra insieme che avrebbe invitato anche il suo nuovo amico.
Si sentiva un bambino all'asilo, decretare così che ora erano amici.
Sorrise al pensiero ed Edward vedendolo così spensierato sorrise di rimando.
William non seppe bene come gli uscissero quelle parole, ma la bocca parlò da sola non connettendosi al cervello, aveva il bisogno di esprimerlo.
“Adesso che siamo amici ti torturerò a vita, sappilo.”
Amici.
Ore? Edward guardò l'ora sul cellulare: 10.24 am.
Edward Styles, deceduto alle ore 10.24 am.
William non poteva decidere così del suo destino, della sua morte e della sua rinascita.
“Amici?” si riprese intontito Edward dopo essere risorto dallo shock iniziale.
“Sì, amici, non vuoi?” chiese deluso e triste William.
“SìCertoCheVoglio!” quasi urlò il piccolo fissandolo.
“Uhm... grazie, nessuno ha mai reagito così dopo che gli ho chiesto di essere mio amico, ne sono lusingato.” rispose.
Ecco, magari poteva rimanere nella fossa in cui si era sotterrato prima.
Edward era arrossito di botto.
Dopo qualche secondo però scoppiarono a ridere.
Risero di gusto, come se intorno a loro non ci fosse nessuno, risero per espellere la tensione che c'era tra loro, per eliminare la nostalgia di momenti passati, risero perché William ne aveva davvero bisogno.





Usciti dal locale Edward ricevette una chiamata.
“Signor Styles?” domandò una voce metallica fin troppo femminile.
“Si?” domandò confuso.
William lo fissava incerto.
“Sono la maestra di Gemma, sta male e i suoi genitori non possono venire a prenderla, potrebbe passare lei?”
Che? Gemma stava male?
“Cosa? Cioè, sta bene, che ha? Febbre?” chiese timoroso il ragazzo.
William vedendolo in quella situazione prese il cellulare dalle mani del ragazzo che lo guardava scioccato.
“Maestra? Sono il padre di Tomlinson, arriviamo subito, prepari entrambi i bambini.” dichiarò chiudendo la telefonata, passò il cellulare al proprietario che ancora intontito si fece trascinare fino alla scuola dei due bambini.
Quando arrivarono trovarono i piccoli seduti sulle scalinate interne dell'edificio con al loro fianco la maestra.
Erano entrambi impacchettati per bene nei loro vestiti e Max cercava di far sorridere la bambina a cui continuava a gocciolare il naso.
Si avvicinarono a loro e la maestra si alzò andando loro incontro.
“'Giorno.” salutò, ma Edward si diresse verso la sorellina prendendola in braccio e coccolandola.
“Cos'ha?” si voltò verso l'insegnante.
“Ha la febbre alta, si lamenta di avere dolori al pancino e ha vomitato la merendina.” li informò.
“Gemma, hai freddo? Andiamo a casa, su!” le disse calmo Edward baciandole la fronte e sentendola calda.
“Scotti!” esclamò.
“Signorino Styles, i suoi mi hanno pregata di riferirle che sono fuori il fine settimana per lavoro.” lo riprese con dolcezza la ragazza.
“Che? E io adesso che faccio?” panico, quello era decisamente panico.
William, che si era avvicinato al figlio per salutarlo e prenderlo per mano, si voltò verso il ragazzo e la maestra.
“Me ne occupo io, signora maestra, non si preoccupi, torni pure in classe.” le sorrise e l'altra, ammaliata, fece come detto solo dopo averli salutati.
Uscirono e per strada rimasero in silenzio.
Si ritrovarono poco dopo davanti a casa di William, il riccio era confuso.
“Entrate e niente storie!” sorrise loro facendoli accomodare.
“Allora, capiamoci...” iniziò William dopo essersi seduti davanti ad una tazza di puro The inglese e aver messo i piccoli a letto – in quello di William, ovvio.
Edward annuì sorseggiando il suo the.
“I tuoi sono fuori città e tu sei in crisi catatonica perché non sai cosa fare, giusto?” domandò retorico William.
“Si, ma...”
“Sh! Parlo io!” lo interruppe il più grande.
“Capita spesso che stiano fuori il fine settimana?”
“No, forse un volta ogni due, tre mesi.” spiegò.
“Tua sorella è mai stata male in sola tua presenza?” chiese chiarimenti.
“No, è per quello che non so cosa fare!”
“Okay, calmo, visto che i tuoi sono fuori e Gemma sta male rimanete qua a dormire, okay? Parlo io con mia madre, la spedisco fuori di casa dal compagno e vi lascio la mia camera mentre io sto in quella di mia madre, chiaro?” decretò, orgoglioso della sua idea.
“Cosa? No, non se ne parla, non voglio disturbare cos...” provò il piccolo.
“Hei! Te l'ho detto prima no? Ora siamo amici, ed io aiuto sempre i miei amici!” specificò il ragazzo.
“E poi, se non ti dispiace, sono padre e sono più esperto di te in campo di influenze!” rise.
No, non gli dispiaceva affatto.
Beh, forse poteva andargli bene così.
Sicuramente.









 
Hei!
 
 
Ciao belle!
Cooooome state?
Non ho voglia di fare uno spazio autrice troppo lungo, non voglio darvi fastidio,
così dirò solo le cose più importanti.
Partiamo dal fatto che sono imperdonabile e che sono solo al capitolo tre
e già faccio ritardi di pubblicazione.
Ma vorrei spiegarvi, ho un paio di problemi, il computer mi sta andando a puttane
e non so per quanto ancora reggerà,
ho ricominciato anche io la scuola e da quest'anno vado
anche il sabato e quindi mi toglie fin troppo tempo da dedicare alla mie passioni – tra cui Doncaster Fire.
Adoro scrivere questa storia e mi dispiace sapere che vi faccio aspettare quasi un mese e mezzo per un cazzo di capitolo che è pure corto in confronto agli altri.
Ah si, avendo aspettato anche così tanto nella pubblicazione ho perso
due lettori e per quanto mi dispiaccia me lo merito perché non ho adempito ad un mio obbiettivo
e ora ne pago le conseguenze con maturità.
Ringrazio le 12 persone che hanno messo la mia storia tra le preferite,
le 7 ricordate e le 23 preferite, possono sembrare poche,
ma per me sono tante, mi spiego:
non ho mai avuto così tanti lettori ad una mia storia con soli tre capitoli.
E ne sono davvero felice! Aw *-*
Ringrazio le 43 recensioni che mi sono servite per cercare di migliorare!
Beh, più che GRAZIE non posso fare o dirvi altro, perché davvero non ci sono parole!
Passiamo ad altro lol
Su Twitter sono @LookAfterYou17 , l'ashtag per la Fan Fiction
(nel caso vogliate dirmi qualcosa in merito) è #DoncasterFireWilliard.
Che ne dite di lasciarmi una recensione con un commento, pensiero, critica, su questo capitolo?
La storia vi sta prendendo? Ve gusta? Vi divertite a leggerla? Qualche commosso? Hahahah
Uhm sì, io non sono una Elounor Shipper, ma quanto sono teneri i Willionor?
E i Williard? *coro di aw*
Cazzo, fangirlo sulla mia stessa Fan Fiction, sono da madhouse HAHAHAHAHAH
Okay, credo che sia arrivato il momento di smettere di sclerare.
Uhm si proprio!
 
Beh? Me lo lasciate un commentino?
*faccia da cucciola*
 
Spero a presto!
Baci,
Elisaku.

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Capitolo 4
*** Week-end. ***


 






 
Capitolo4: Week-end.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
William, da brava persona che mantiene le sue promesse, stava parlando con sua madre della situazione in cui era finito Edward senza neanche saperlo.
William e Johanna avevano sempre avuto un buon rapporto che si era intensificato soprattutto negli ultimi tre anni, causa la morte di Eleanot e grazie alla nascita del piccolo Max.
Edwaed era in camera di William con i due bambini e aspettava il ritorno di William un po' in ansia, sinceramente pensava di essere sbattuto fuori di casa a pedate nel culo – anche se avrebbe preferito altro in esso -, dopo tutto a causa sua Jai sarebbe dovuta andare via da casa sua per lasciare entrare un estraneo in casa – beh proprio estraneo non lo era, ma Jai non lo conosceva ancora bene, quindi sì, era un estraneo.
Il punto era che Eddie non conosceva per niente il nobile cuore di Johanna; quella donna aveva sfornato una squadra di calcio, okay, non proprio una squadra di calcio, ma ci mancava poco, cinque figli non erano pochi, due in arrivo – ma questo ancora, i figli Tomlinson non lo sapevano - e poi aveva un nipote, che viziava assai.
Quindi non si aspettava che William tornasse nella propria stanza con un sorriso in volto e la barba che pizzicava sulle guance magre.
“Per mia madre non ci sono problemi!” sorrise mentre passa ad Edward il termometro per fargli misurare la febbre alla sorellina.
Il più piccolo teneva la sorellina in braccio mentre la cullava per calmarla.
Aspettarono in silenzio qualche minuto con in sottofondo i rumori della casa, Jai stava preparando una borsa per il suo week-end con il suo amorevole compagno, Max stava giocando con le macchinine e la faceva collidere tra di loro mentre Gemma si lamentava stancamente dei dolori al pancino.
Il termometro emise un flebile bip ed Edward lo tolse da sotto il braccio di Gemma passandolo William dopo aver letto e mormorato un “Trentotto.” strascicato.
“Uhm...” iniziò William “Preparo la cena e le facciamo una puntura per abbassare la febbre e poi le diamo delle vitamine.” affermò alzandosi dal pavimento dove si era seduto poco prima.
Gemma sgranò gli occhi ed iniziò ad intonare dei continui “No, no, no, no!” spaventata dalla puntura.
“Shh” mormorava il fratello per calmarla.
“Hei” la chiamò William, la piccola sì voltò verso di lui sentendosi chiamata in causa.
“Facciamo così: facciamo cena, facciamo la puntura e poi scegli una merendina dalla dispensa come dolce, ci stai?” la voce calma e carezzevole.
Edward si sentiva male, insomma, continuava a dire 'noi' o a parlare al plurale, sembravano tanto una famiglia, lui, William ed i piccoli, cavolo era tutto fin troppo sdolcinato.
Scosse la testa cercando di riprendersi mentre la sorellina annuiva più tranquilla.
“Bene! Allora io vado a preparare la cena, voi intanto rilassatevi un po', si?” chiese retorico e senza aspettare una vera e propria risposta da parte di Edward o di suo figlio uscì dalla stanza per dirigersi in cucina.
Il piccolo si guardava in giro, sorrise nell'osservare quanto Max somigliasse a suo padre.
Si guardò in torno alla ricerca di qualcosa, una foto, un cellulare o qualcosa che mostrasse lui un frammento di ricordo che riguardasse la giovane Eleanor, così, solo per il gusto di togliersi quella curiosità.
Max assomigliava di più a William o ad Eleanor?
Continuò a guardarsi attorno per qualche minuto fino a che non guardò sul comodino di fianco al letto; vi era, sopra a questo, un portafoto in legno color mogan che andava perfettamente in tinta con il resto della camera del ragazzo.
Si avvicinò al comodino con ancora Gemma in braccio e prese tra le mani il portafoto osservando il contenuto di questo.
La foto raffigurava tre persone in primo piano, una ragazza, un ragazzo ed un bambino davvero piccolo, Edward constatò che doveva essere la piccola famiglia Tomlinson mai venutasi realmente a creare.
Nella foto William teneva in braccio il piccolo Max ancora in fasce, al fianco del ragazzo vi era una ragazza, sicuramente più piccola di Willie, che sorrideva raggiante e stanca, la fronte era ancora imperlata di sudore, gli occhi marroni stanchi con le occhiaie marcate, il viso pallido e le labbra screpolate, i capelli lunghi, ondulati e castani erano scompigliati in grandi boccoli sfatti; aveva l'aria di chi aveva passato un travaglio lungo e doloroso.
William, dal canto suo, sembrava tranquillo, felice, aveva un piccolo accenno di sorriso e la barba incolta.
Max era tra le braccia del papà e pareva in un limbo di serenità.
Edward osservava la foto con aria corrucciata, le sopracciglia aggrottate, la lingua posata a sinistra dell'angolo inferiore, la bocca semichiusa e gli occhi socchiusi: era concentrato.
Spostava gli occhi da Max al William nella foto e da Max alla Eleanor nella foto: scrutava ogni particolare, captava ogni piccolo movimento del bambino, ogni smorfia e ogni dettaglio cercando di capire a chi dei due assomigliava.
Sussultò quando sentì una voce alle sue spalle parlare con tono calmo.
“A me.” parlò William, in piedi sull'uscio della porta, le braccia incrociate, così come le gambe e la spalla destra appoggiata allo stipite della porta.
Edward lo guardava come se lo avesse beccato con le mani nel sacco, colpevole!
“Max, intendo, assomiglia di più a me.” si spiegò meglio.
“Oh” mormorò il ragazzino rimettendo a posto la foto dove era prima.
“Scusa, non intendevo ficcanasare in giro ero solo...” mormorò Eddie.
“La curiosità non è una bella cosa.” lo rimproverò Tomlinson.
Edward era molto probabilmente diventato rosso dalla vergogna, non sapeva che dire, dove mettere le mani e tanto meno dove posare lo sguardo.
“Io... ecco...” dai su Styles, inventati una scusa!
“Ma se non si è curiosi alla tua età quando lo si sarà, no?” William probabilmente pensava tra sé e sé o semplicemente esponeva un suo quesito ad alta voce.
“Si chiamava Eleanor,” iniziò il discorso il più grande “aveva diciassette anni, è morta di parto, complicazioni – imitò delle immaginarie virgolette in aria – hanno detto i medici.” concluse, una punta di rabbia nel tono della voce.
“Io... vuoi parlarne? Cioè, so di non essere un tuo grande amico, non ci conosciamo nemmeno da tanto tempo e non so nulla di te, ma se vuoi...” Edward guardava di sfuggita William per vedere una sua reazione mentre parlava velocemente, gesticolava con una mano, intanto con l'altro braccio sorreggeva una Gemma addormentata.
William lo osservava con attenzione, aspettò qualche secondo per poi parlare.
“Ci sono voluti pochi mesi perché io mi innamorassi di Eleanor e qualche secondo per impazzire nel vedere mio figlio, quindi penso che il tempo sia futile quando si parla di voler bene o di amare le persone che ti circondano, hai ragione, non mi conosci e io non conosco te, ma sie mio amico, anche se ci frequentiamo, da quanto? Due, tre mesi? Eppure lo sei, sei mio amico e per quanto sembri strano ti voglio bene, tanto quanto ne voglia ai cugini James o a Ruth, ormai sei parte integrante della mia vita e quella di Max e delle mie sorelle. Ti ringrazio davvero tanto, ma penso che te ne parlerò più avanti, cerca di capirmi, è un argomenti delicato. E, comunque, è bello sapere che al mondo ci sia ancora gente curiosa e dolce come un ragazzino come te Edward, prima scherzavo, puoi ficcanasare quanto vuoi.” Edward lo guardava sconcertato, forse solo ora si rendeva conto di quanto grande, adulto e maturo fosse William, gli aveva appena fatto un breve, ma bellissimo discorso nel quale gli aveva accennato qualcosa su di lui e gli aveva detto di tenere a lui.
E gli aveva anche fatto dei complimenti!
“Beh... grazie, suppongo e scusa, non volevo forzarti a dirmi qualcosa.”
“Di nulla, grazie a te per esserti offerto come spalla di conforto.” sorrisero entrambi mentre Johanna faceva il suo ingresso nella stanza.
“Oh, eccovi!” sorrise amorevole osservando tutti e quattro.
“Dan è qua sotto, vi saluta tutti, io scappo, non date fuoco alla casa, mi raccomando!” scherzò.
“Oh! Ehm... grazie mille signora e mi scusi per il distur...” Jai non lasciò terminare la frase ad Edward.
“Tranquillo ragazzo! È tutto a posto! Prenditi cura di tua sorella, godetevi il week-end e non chiamatemi per nessun motivo al mondo, finalmente io e Dan potremmo stare tranquilli per un po' insieme, magari daremo un party hard!” Esclamò la donna scherzando e ridendo da sola, il figlio la osservava divertito, Edward un po' meno, forse più sconcertato, Max batteva le manine felice e Gemma dormiva indisturbata.
“Va bene mamma, non ci interessa se tu e Dan farete sesso sfrenato, ora puoi anche andare, passa un bel fine settimana, si?” rise William.
“Certo!” Esclamò abbassandosi per posare un bacio sulla guancia al figlio uno sulla fronte del ragazzino il quale rimase colpito, gli occhi sgranati e la bocca a cuore aperta.
“Ah! Non farti problemi ragazzino e non chiamarmi signora, altrimenti qui dentro non ci rimetti piede! Capito?”
William adorava sua madre, era una Santa, era una donna da venerare, aveva fatto tanto per tutti i suoi cinque figli e ora faceva tanto per lui e Max.
Il ragazzo sapeva bene di aver preso il carattere della madre e in varie occasioni lo dimostrava e ne andava anche orgoglioso, non era da tutti mettere allegria alla gente anche solo con un sorriso.
“Sissignor... ehm! Certo! Grazie!” si corresse balbettando il più piccolo.
“Johanna, ma puoi chiamarmi Jai, ora vado, ciao piccoli!” uscì dalla stanza canticchiando qualcosa di incomprensibile.
“Tua madre è sempre così...”
“Espansiva? Comica? Divertente?” William la stava praticamente descrivendo.
“Fantastica, opterei più per fantastica.”
“Oh! Beh sì!” rise Will.
“Tu sembri aver preso da lei.” Eddie lo guardava fisso negli occhi.
“Grazie!” esclamò.
Okay, fai passi avanti Styles, sei riuscito a fargli anche un complimento e a strappargli un sorriso che mozza il fiato, si il tuo, ma ora magari respira, uhm?
Edward doveva darsi una calmata, una regola o non sarebbe arrivato al giorno seguente.
“Comunque, la cena è pronta, scendiamo?” William prese per mano Max mentre Gemme sostava ancora tra le braccia del fratello.
Edward continuava a rimuginare, sì, Johanna era davvero fantastica, e amorevole.
Arrivati in cucina trovano tutta la famiglia Tomlinson già seduta a tavola, i piatti già pieni.
Edward si accomoda alla destra di William, alle loro sinistre sono posti i due bambini.
Le sorelle di William li osservano, o per meglio dire, osservano Edward e la piccola Gemma.
Charlotte era in adorazione, fissava il ragazzo con insistenza mettendolo in soggezione, Félicité accortasene le rifilò una gomitata nelle costole distogliendo la sua attenzione e cominciando a bisticciare.
Phoebe e Daysi giocavano tra di loro mentre mangiavano, Charlotte e Félicité chiacchieravano tra di loro, William tagliava la carne a Max ed Edward imboccava la piccola Gemma che era avvolta in una coperta per rimanere al caldo.
Ci fui poi un momento di silenzio nel quale si sentì solo un flebile tic proveniente da un cellulare, tutti si fermarono guardandosi intorno per cercare di capire da dove era provenuto lo squillo.
“Oops! È il mio, scusatemi!” Edward tirò fuori dalla tasca il cellulare notando che era un messaggio della madre.
 
 
 
“Buona sera, amore! Tutto bene lì? Ringrazia ancora William da parte mia!
Ci sentiamo poi domani, un bacio.”
 
 
 
“Mia madre ti ringrazia ancora.” sussurrò Ed voltandosi verso William sorridendogli imbarazzato.
William annuì tranquillo e tornò a dare da mangiare a suo figlio mentre il ragazzo più piccolo rispondeva a sua madre.
 
 
“Ciao mamma! Tutto bene, voi? A domani, notte.”
 
 
Scrisse velocemente la risposta da sotto il tavolo, cambiò poi rapidamente la chat e senza farsi notare digitò un “Sono a casa sua!!” abbastanza imbarazzato e felice.
La cena continuò così per un po', le sorelle più grandi si alzarono poco dopo andando nella loro camera mentre le gemelle rimasero con loro a tavola aspettando che William desse loro il solito dolcetto post cena quando Jai non era a casa.
“Allora piccole, prima del dolcetto facciamo la puntura a Gemma così poi lo può mangiare anche lei, si?” affermò William iniziando a sparecchiare la tavola.
Edward si alzò da tavola e aiutò William anche se quest'ultima cercava di farlo desistere, ma fu invano.
Finito di sparecchiare le gemelle seguirono i ragazzi ed i bambini su nella camera di William.
Edward fece coricare a pancia in giù Gemma sul letto mentre le accarezzava la piccola schiena, le gemelle erano sedute per terra con Max e mangiavano già tutti e tre il loro snack.
William si era invece diretto nel piccolo bagno al fondo del lungo corridoio per prendere il materiale per fare la puntura.
Tornò in stanza ed appoggiò il tutto sul comodino preparando la siringa, si girò poi verso Edward per passargliela, ma il ragazzo spostava lo sguardo da William alla siringa con cofusione.
“Io non ho mai... fatto una puntura in vita mia.” ammise in imbarazzo, di queste cose se ne occupava sua madre, non lui.
“Oh! Oh, okay, allora la faccio io?” William esitò, perché comunque quella bambina era solo una compagna di classe di Max, si okay, era la sorella di Edward, ma non era come le sue sorelle o suo figlio, quindi non era pienamente convinto, ma si sedette comunque al posto di Edward e aspettò che il ragazzo tirasse giù i pantaloni e le mutandine che la piccola Gemma indossava.
Prende l'ovatta impregnata di alcool e la strofina sulla natica destra con delicatezza.
La bambina sospirava tranquilla perché sapeva che William sarebbe stato delicato, lo sentì dalla leggera pressione con cui il ragazzo la accarezzava.
“Allora, piccola, dopo vuoi un po' di latte caldo con dei biscotti, solo i biscotti o una di quegli snack che Max e le gemelle stanno sgranocchiando?” William parlava con calma, il tono della voce dolce e carezzevole mentre faceva la puntura alla piccola.
“Finito!” esclamò premendo piano l'ovatta sul piccolo sedere della bambina.
“Di già?” esclamò la piccola alzandosi per vedere dove William la stava ancora toccando.
“Sì!” sorrise.
Sua madre usava anche la stessa tattica, accarezzare, parlare di qualsiasi argomento che possa piacere al bambino in questione, fare la puntura e tutto era finito, indolore e rapido, con tanto di premio dopo!
Sorrise orgoglioso degli insegnamenti di sua madre.
“Come cazzo hai fatto?” chiese sbalordito Edward mentre rivestiva la piccola.
“Hei!” lo riprese William sentendo la brutta parola usata.
“Scusa, ma tu... Con noi Gemma è un uragano, sbraita, si dimena e c vuole ognu volta quasi un'ora per farle una cavolo di puntura!” spiega mentre guarda William e la sorella.
William gli fece un occhiolino mente si lucidava per finta le unghie, le controllava e poi si toglieva della polvere immaginaria dalle spalle.
“Anni di allenamento, ragazzino!” scherzò.
“Ho quattro sorelle più piccole e un figlio, quando mamma non era casa dal lavoro mi occupavo io di loro.” spiega mentre passa uno snack a Gemma che se lo gusta per bene mentre chiacchierano del più e del meno.
Dopo che Gemma ha finito di mangiare William spedisce le gemelle nella loro cameretta e si dirige verso l'armadio dove tira fuori quattro pigiami, due piccoli per i bimbi e due grandi per loro.
Porge ad Edward la coppia di pigiami, rigorosamente uguali solo uno più grande e l'altro più piccolo e lascia la stanza per farli cambiare mentre lo si dirige con Max nella camera della madre.
Cambiò sé stesso ed il figlio per poi sedersi con lui sul letto della nonna.
“Allora? Sei di poche parole sta sera!”
“Gem sta male!”
“Sta male, si, tu? Come stai?”
“Voglio giocare! Con Gemma!”
“No, Gemma sta male.”
“Ma io voglio giocare con lei!”
“Max! No! Sta male e deve riposare, ora andiamo di là, tu non fai i capricci e giochiamo io e te, okay? Vuoi giocare con papà, si?”
“Sì!”
William prese per mano il figlio e lo riportò in stanza, ma prima di entrare bussò e quanto sentì un flebile “Avanti” entrò.
Quando aprì la porta rimase a bocca aperta: Edward era in piedi che ciondolava da un piede all'altro con Gemma tra le braccia, la cullava, un po' a destra, un po' a sinistra, la piccola teneva il capo poggiato sulla spalla dal fratello, le braccia abbandonate tra il petto largo di Eddie e quello proprio, gli occhi chiusi, la bocca aperta, il nasino rosso; russava leggermente.
Erano vestiti uguali, Edward e la piccola, e poi c'erano lui e Max che indossavano un altro paio di pigiama, ma anche loro vestivano simile.
Fissò il ragazzo e la bambina e ne rimase colpito, erano così belli insieme, così piccoli, entrambi, così dolci e teneri, erano una visione celestiale, il cuore di William si sciolse, gli occhi si fecero lucidi e le mani, la destra teneva ancora Max per la sua piccola manina, iniziarono a tremare e lo stomaco, Dio, gli doleva, gli doleva, sì, ma in un modo quasi piacevole, il cuore batteva veloce.
“È crollata!” mormorò sorridendo all'indirizzo di William mentre cullava ancora la piccola.
William, rimasto senza parole annuì solamente.
“Siete bellissimi...” e probabilmente lo mormorò talmente basso che Edward non lo sentì, ma lo sentì eccome! Ma rimase comunque in silenzio, arrossendo timidamente stringendo ancora più forte sua sorella al petto.
Il più piccolo si spostò poi verso il letto e posò delicatamente la sorellina sotto le coperte, gliele rimboccò e si girò verso William che li osservava incantato.
Siete bellissimi...
Doveva essersi rincoglionito per bene!
Ma come gli era uscita una frase del genere? E meno male che Edward non lo aveva sentito, si certo, come no!
Toc Toc.
William si voltò di scatto verso la porta lasciando la mano del figlio che si andò a sedere vicino a dei lego.
“Félicité.” sorrise “Dimmi.”
“Mamma non c'è quindi... potresti firmarmi dei voti?”
“Certamente, passa qua.” le strappò il diario dalle mani mentre “La delicatezza, proprio” l'apostrofava la sorella.
 
 
 
Moda e costume: 8+
 
 
 
“Dammi il cinque sorellina, sono orgoglioso di te!” esclamò alzando il palmo in aria aspettando una risposta che non tardò ad arrivare, si sorrisero e Fizzie si riprese il proprio diario, girò i tacchi – e non si fa per dire, la ragazzina girava per davvero con i tacchi per casa – e, dando la buona notte a tutti, se ne andò.
Beh, non proprio, voltò solo l'angolo della porta e si fermò ad ascoltare ed a spiare – sì, spiare, che c'è? - i due ragazzi.
Fizzie frequentava un liceo artistico che si trovava fuori dalla cittadina di Doncaster, ogni mattina prendeva il treno alla stazione e andava a scuola, non si lamentava di doversi alzare presto di farsi quasi un'ora di treno, sua madre pagava l'abbonamento annuale, la scuola – e non solo la sua – e lei era felicissima di aver la possibilità di andare in una scuola che le piaceva.
Voleva diventare una Stylist e nemmeno un'ora di treno all'andata e un'ora di treno al ritorno da scuola l'avrebbero fermata dall'intraprendere quella carriera.
Johanna era fenomenale, manteneva cinque figli e un nipote, pagava bollette, passava del tempo con i figli e aveva un compagno che l'amava.
Era indaffarata, sì, ma tra un lavoro e l'altro riusciva a sistemare sempre tutto.
William le era così tanto debitore, ma non sapeva che fare, se continuare gli studi interrotti e fare un lavoro che gli piacesse o andare direttamente a lavorare per guadagnare qualche soldo in più.
Per il momento, Jai, voleva solo che William si rimettesse e che tornasse a vivere, come prima.
E, Johanna... beh una mamma certe cose le capisce, no?
Sapeva che William stava risorgendo, c'era quasi, mancava solo una piccola spinta.
E questo Félicité l'aveva capito meglio di tutti.
Poteva parere strano, impossibile, disgustoso per certi versi, innaturale, non normale, ma era così.
Edward era quel qualcosa.
Era normale per lei vedere certe situazioni, ragazzi effeminati, più depilati di gatti Sphynx, più femminili di sua sorella Charlotte, ragazzi che seguono fin troppo la moda, sì, quella femminile.
Era normale nel suo mondo fatto di 'Seguire la moda'.
Dopotutto frequentava un liceo artistico, per lei era normale vedere omosessuali o lesbiche.
Certo, non si sarebbe aspettata che un ragazzino potesse sconvolgere così la vita di suo fratello.
Non sarebbe stato affatto facile, no, ma lei era lì e se il fratello aveva bisogno lei sarebbe arrivata anche solo con uno schiocco di dita.
Fizzie restò lì ancora per qualche secondo ad osservare i due che per terra giocavano con i lego insieme al suo nipotino, poi si diresse con tranquillità verso camera sua e di Lottie.
Si tolse le sue amate Frav nere, costatele sudore e fatica per ottenerle, e le ripose di fianco al suo armadio per poi sedersi sul suo letto a gambe incrociate, la gonna corta le si alzò mostrando le mutandine con delle papere stilizzate per trama – che c'è? Le piacevano! - e le parigine le scivolarono sotto il ginocchio.
Si tirò su le maniche della camicia di cotone fin sopra i gomiti e sospirò.
“Cosa ti tortura così tanto, sorella?” scherzò Charlie.
“Uhm... come ti sembra Edward?” chiese, il gomito poggiato sul ginocchio, il palmo della mano a chiudere il contorno del suo mento adornato da una leggera fossetta.
Aveva il mento a culo, si okay, problemi? Non era colpa sua, ma di suo padre Mark.
Dio quanto le mancava suo padre.
“È davvero un bel ragazzo, perché?” la ragazza si voltò dando le spalle allo specchio dove si stava facendo delle foto per far vedere alle sue amiche l'outfit con cui si sarebbe vestita il giorno dopo per uscire con loro.
“Oooooh! Qua qualcuno si è preso una cotta!” rise la più piccola tra le due.
Se Charlotte si era per davvero presa una sbandata per quel ragazzo era fottuta, ne sarebbe certamente rimasta delusa.
Era palesemente gay, il suo Gay Radar glielo segnalava forte e chiaro.
“Ma smettila, stronza!” rise l'altra atterrando la sorella sul letto iniziando poi a prenderla a cuscini in faccia.
Continuarono a scherzare ancora per molto così.
 
 
 
Dall'altra parte William cercava di far addormentare Max senza realmente riuscirci.
Sono questi i momenti in cui vorrebbe Eleanor accanto, in modo tale da poter lasciare a lei le redini delle punizioni.
Oh! Willie odia le punizioni, non metterebbe mai in castigo suo figlio, era troppo bello per essere condannato a tre giorni senza dolce dopo cena!
Suvvia era un bimbo di tre anni; sì, un bimbo di tre anni che continuava a fare i capricci e a frignare senza interrompesi un momento.
William sbuffava e faceva la voce grossa “Basta Max! Max! Max, papà si sta davvero arrabbiando, è tardi e devi andare a nanna!”
“No! Non voglio!”
“Non mi interessa ciò che vuoi! Ora andrai a letto, su! In camera della nonna, dai!”
“Noooo!”
“Bas...”
“Max...” Edward interruppe la voce di William che lo guardava un po' tra l'arrabbiato e il confuso.
Suvvia, era suo figlio sa come comportarsi, cosa ne sa quel ragazzino?
Ma lo osservava comunque in silenzio mentre gli sorrise chiedendogli scusa.
Edward si abbassò, inginocchiandosi e puntellandosi sui talloni, si avvicinò a Max e gli sorrise, il bimbo ricambiò con esitazione perché non capiva cosa Eddie volesse da lui.
Il ragazzo si guardò intorno e poi adocchiò quello che stava cercando, si alzò e si avvicinò al lettino piccolo posto al centro della camera.
Si chinò sul lettino e prese tra le mani Rino e se lo strinse un po' al petto, gli mancava, gli mancava nonna Mary e il suo adorabile pupazzo.
Si voltò e tornà da Max che lo osservava con gli occhi grandi e azzurri.
Si sedette sulla moquette rossa con le gambe incrociate e Max lo imitò.
“È passato un po' di tempo da quando ti ho regalato questo pupazzo, vero?” domandò e il piccolo annuì con fervore, il sorriso in volto e gli occhi ancora spalancati.
“E come si chiama?” chiese ancora.
“Rino!” urlò quasi il piccolo e sorrise allungando le mani verso il peluche, ma Eddie non glielo passò ancora, lo tenne ancora per sé come vorrebbe fare realmente.
“Sai, Rino, è speciale! Era il mio pupazzo preferito e io l'ho regalato a te, me lo aveva donato mia nonna quando ero piccolo, sai cosa di cosa è capace Rino?” chiese, il tono dolce.
Max scosse la testa con fervore.
William li guardava e non capiva cosa Edward stesse facendo, ma li osservava e sono bellissimi.
Sono bellissimi...
“É speciale...” ripeté Edward “sa scacciare via i brutti sogni e quando non hai sonno sa farti tanta compagnia, puoi raccontargli tutto quello che vuoi e lui lo custodirà, puoi abbracciarlo e dormirci la notte senza vergognartene perché solo tu e lui lo saprete. Ci hai mai dormito insieme?” chiese ancora.
Il piccolo scosse ancora il capo.
“No? Come no!? Io prima di regalartelo ci dormivo sempre insieme! Ti va di dormire con lui? Nel lettone di nonna con papà, si?” chiese sorridendogli e William capì.
Dio, pensò, Eleanor sei tu? Potrei morire da un momento all'altro, so che avresti fatto per certo la stessa cosa.
E, no! Nessuna Eleanor, era semplicemente Edward e lo stava aiutando con suo figlio, proprio come lui lo aveva aiutato con la sorella che dorme indisturbata nel suo letto.
Max si voltò verso il padre che prontamente gli sorrise incoraggiante.
“Posso papà?” domandò e il padre annuì ancora senza parole.
Edward era sorpreso quando Max lo abbracciò, ma ricambiò felice e gli passò il piccolo Rino.
Max strinse tra le mani il pupazzo e corse fuori sul corridoio e sparì dietro la porta della stanza di nonna Johanna.
“Davvero dormivi con quel pupazzo fino a qualche mese fa?” chiese William ed Edward non sapeva che rispondere, così optò per la verità.
“Tu non andarlo a raccontare in giro, ho una reputazione da difendere.” scherzò ridendo e Will rise forte.
“Sei unico!” esclamò e lo abbracciò, così senza pensarci.
“Buona notte!” sorrise William mentre si districava dall'abbraccio.
“Dolce notte.” sussurrò Edward sorridendogli.
 
 
 
[8.30 p.m.] “Edward?”
 
[8.45 p.m.] “Edward? Cosa significa che sei a casa sua?”
 
[9.00 p.m.] “A casa sua, di chi?”
 
[9.30 p.m.] “Oh! A casa sua? Sua?”
 
[10.00 p.m.] “Eddie! Dai, non tenermi sulle spine.”
 
[10.15 p.m.] “'Fanculo, Eddie!”
 
[10.16 p.m.] “Edward* ho sbagliato, volevo scrivere Edward, non Eddie!”
 
 
 
Edward sorrise e “Notte, J.” digitò spegnendo poi il cellulare.
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
Notte!
 
 
Non starò qua a raccontarvi tutti i motivi per cui non ho aggiornato, sarebbero troppo e non voglio inventare scuse come 'Mi si è rotto il computer' o 'Non mi andava internet', perché mentirei spudoratamente,
anche perché la connessione è integra e il mio PC non è ancora volato dalla finestra.
L'unica cosa che dirò è che mi sono presa l'impegno di scrivere questa difficilissima fan fiction e che voglio portarla a termine, con pro e con contro, con difficoltà e momenti belli, non è un bel periodo,
ma non voglio far pena a nessuno, questa fan fiction è stata iniziata scrivere solo per poter far star bene la gente ed appassionarla,
la scrivo per voi che leggete, per chi ha voglia di spendere un po' del proprio tempo per i miei scritti,
scrivo per chi in questi mesi di assenza mi ha aspettata e per chi mi ha abbandonata, ha fatto bene perché anche io l'avrei fatto,
abbandonare una fan fiction che non viene continuata è normale, ma doloroso, o almeno spero.
Spero anche che chi se ne sia andato un giorno ritrovi la voglia di rileggere la mia fan fiction.
Spero, ancora, che questo capitolo, per quanto faccia schifo, vi piaccia almeno un po',
perché è stato un travaglio scriverne la bozza e scriverlo 'meglio' in seguito.
Vorrei solo dire che se non mi vedete per un po' di tempo non pensiate
che vi abbia abbandonati perché vi penso sempre, entro tutti i giorni su EFP
anche solo per leggere e ogni volta l'occhio mi cade sulla mia storia.
Quindi grazie a tutti, davvero, spero di trovare un vostro commento al capitolo :)
Questo è il mio account Twitter    @LookAfterYou17.
 
P.S.: A chi avrà scritto Edward? ;)

 
 
Buon Anno Nuovo !
 

 
Elisaku.

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Capitolo 5
*** A bit like Beatrice. ***


 










Capitolo5: A bit like Beatrice.








 
Edward entrò puntuale come un orologio svizzero nella classe di letteratura inglese.
Il professore era già seduto sulla sieda dietro la cattedra, il capo chino su uno dei suoi libri di poesia preferito, gli occhiali a scivolargli sul naso, il mento a scavare nel palmo della sua mano alla ricerca di un appoggio per poter sorreggere il capo calvo e lucido, l'altra mano intenta a gesticolare; non degnava i propri alunni di nessuno sguardo aspettando che la campanella di inizio lezioni suonasse, stava intonando – e sì, anche cantando – alcuni versi di qualche importate opera letteraria.
Molti allievi lo guardavano con occhi stralunati, altri schifati e altri ancora straniti da tale personaggio, ma lo stesso non si poteva dire di Edward, no, proprio no, Edward adorava, amava e stimava al centodieci per cento quel professore.
L'uomo non era di certo pazzo, no, era solo affascinato ed appassionato a tutto ciò che la letteratura poteva donargli.
Amava anche il suo lavoro, insegnare per lui era tutto, beh, forse non proprio tutto: prima dell'insegnamento venivano, come dargli torto, la letteratura, i più importanti letterati e la sua famiglia, sì, l'ordine era giusto, o forse no, dipendeva da come si alzava la mattina, se sentendo il leggero russare della moglie, se ascoltando i borbottii sommessi dei figli che si preparavano per andare a scuola o se intonando qualche verso di uno di quei capolavori, come lui continuava a definire, che tanto amava.
Era italiano, si era trasferito lì qualche anno prima, cosa ci facesse lì, a Doncaster, per Edward rimaneva ancora un mistero.
L'Italia era bella, non ci era mai stato, ma dai racconti che l'insegnate narrava doveva davvero esserlo.
Egli era abituato ad insegnare agli alunni italiani il grande capolavoro della Divina Commedia, Dante ed il suo amore platonico – Edward aveva scoperto infine che tale non era e, sospirando, si era detto che se Dante ci era riuscito, attraversando la Selva Oscura, l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, anche lui ce l'avrebbe fatta – per Beatrice, Petrarca e il suo amore per Laura e molte altre poesie che la mattina in classe, proprio come in quel momento stava facendo, intonava.
Edward, che amava andare a scuola e che grazie a quell'insegnate amava anche la letteratura, si sentì fortunato ad avere un insegnante italiano che spiegava loro non solo la letteratura inglese, ma anche quella inglese,
dando così ai suoi alunni una più ampia cultura sulla sua materia.
Edward amava la letteratura, era la sua materia preferita e, insomma ammettiamolo, aveva avuto davvero una grande botta di culo – e non era una battuta – a ritrovarsi quell'uomo dietro la cattedra e non uno stupido e buzzurro nano che pensava solo a guadagnarsi lo stipendio senza realmente trasmettere loro qualcosa, proprio come gli era capitato gli anni scorsi.
L'uomo ed i ragazzi – okay, molti di loro non lo avevano considerato più di tanto quando lo aveva chiesto – si erano accordati che almeno una volta a settimana avrebbero “chiacchierato” sulla letteratura italiana.
Edward ne era più che entusiasta!
Si erano messi di comune accordo che, il lunedì, il tema sarebbe stato proprio quello: Letteratura italiana.
Ed era proprio lunedì.
Edward era appena tornato dal week-end più bello di tutta la sua vita e pensò che iniziare la scuola così fosse bellissimo.
Edward amava la letteratura, uhm, ci avrebbe fatto su qualche pensiero.
Era lunedì ed Edward si era seduto in prima fila proprio davanti alla cattedra in modo tale da poter seguire.
Aveva appoggiato lo zaino di uno scolorito azzurro sul banco e da esso aveva poi tirato fuori l'astuccio, estraendo evidenziatore, matita e gomma, il diario e una piccola versione della Divina Commedia – rigorosamente in italiano – che si era procurato in vista di ogni lunedì mattina.
Gli allievi avevano più volte affermato con arroganza o chiesto con insistenza e confusione il motivo della scelta del professore di leggere l'opera in lingua originale e lui sorridendo e senza scomporsi minimamente aveva affermato qualcosa come “Perché leggerla nella vostra lingua così storpiando la sua bellezza? Le opere in lingua originale sono sempre le migliori perché tali sono state scritte e tali rimangono. Non sempre un termine o una frase ha lo stesso significato da una lingua all'altra e traducendola svanisce tutta la magia del racconto, non è più La Divina Commedia, come in questo caso, ragazzi, ma sarà qualcosa come la brutta copia di essa! Certo, ci sono persone che sono riuscite a tradurla il più simile possibile, ma non sarà mai la stessa. Per esempio... prendete Shakespeare, quanto belle sono le sue opere? Io le ho lette in italiano, ma ho avuto anche la possibilità di leggerle in lingua originale e ammettiamolo, il fascino sta tutto nel come l'autore l'ha scritte e pensate! Questa è la mia teoria, poi possiamo guardare il lato pratico: in italiano, come in inglese d'altronde, esistono i dialetti e molte cose sono già difficili da interpretare per un italiano medio, immaginate dover leggere e parafrasare ogni verso dalla lingua volgare all'italiano che oggi esiste, non è semplice, perché già lì esistono versioni diverse, ora prendete queste opere e traducetele in tutt'altra lingua! Significa stravolgere tutto! Non è semplice per niente fare questo lavoro. E poi ammettiamolo, sono i grandi delle diverse letterature che tutti noi conosciamo, nessuno è migliore di loro!”
E così tutta la classe aveva rinunciato, non si erano procurati, come Eddie aveva fatto, una versione italiana dell'opera, beh, a dirla tutta nemmeno nella loro lingua, anche solo per seguire un minimo.
Ma comunque c'era il signor Wilson che traduceva per loro alla bene meglio buona parte del racconto; egli interpretava i personaggi, imitava i loro stati d'animo, narrava il racconto con enfasi, si immedesimava nei protagonisti e tutto sembrava così reale: il dolore straziante e l'amore puro, tutto veniva così raccontato bene da poterlo sentire sulla propria pelle.
Ed Edward amava quando la gente leggeva per lui libri, quando la madre gli raccontava da piccolo le favole ed ora, a quasi diciassette anni, adorava sentire quelle parole fuoriuscire dalle labbra del professore e prendere una reale piega.
Quindi impaziente aspettava che il professore iniziasse ad andare avanti con il racconto.
Il professor Wilson era tipico iniziare un discorso e portarlo a termine dopo averne iniziati altri dieci, quindi Edward sapeva già che avrebbe perso il filo di uno dei tanti discorsi, proprio come in quel momento, non si era accorto che l'insegnate aveva già iniziato la lezione.
O almeno, se ne era accorto, ma si era distratto quasi subito, troppo intento a cercare di prendere appunti su quello o su quell'altro, appuntava termini che il professore scriveva alla lavagna, con la matita traduceva i versi che più lo affascinavano o semplicemente iniziava a farsi i suoi soliti viaggi mentali.
“Caro, Styles!” lo aveva destato il professore dai suoi pensieri.
Eddie aveva captato qualcosa dell'argomento del giorno, ma non aveva ben compreso se ciò che il professore avesse appena detto fosse un suo pensiero o se fosse quello di Dante.
Così velocemente pensò a quello che il signor Wilson aveva detto.
“Penso...” Eddie non ricordava bene se aveva parlato in prima persona, ma tanto doveva solo riordinare le idee per una possibile domanda.
“... che l'amore sia un qualcosa di silenzioso, di talmente tanto personale da non poterlo urlare ai quattro venti, forse non sarebbe nemmeno giusto dirlo alla persona che ami, perché è una cosa tutta tua, che solo tu concepisci. E' logico che amare qualcuno significa volerlo sperimentare, viverlo e... beh sì, diciamo anche praticarlo, dire a tutti quello che ti succede dentro, come ti senti leggero, le così dette “farfalle nello stomaco”, ma ognuno vive il suo amore per una persona in modi diversi. E, se ci pensate, lo so, sono ripetitivo, questo vi porta alla conclusione che è una cosa personale, di noi stessi che nessuno può concepire, forse solo la persona che vi ricambia, o forse nemmeno lei! Ad esempio, io amo mia moglie, mi manca perché è da un mese che non la vedo, vive in Italia, ma tutti i giorni ci chiamiamo e sentire la sua voce è qualcosa di così... bello! Ma neanche! Perché è indescrivibile! E' qualcosa che va oltre i concetti umani, è qualcosa di talmente astratto da divenire concreto nell'esatto istante in cui ti accorgi di provarlo, e l'unica cosa che vuoi fare è viverlo, perché non c'è cosa migliore, tutto il resto diventa futile! Ma voi, ragionateci sopra, ragazzi, il vostro amore, volete viverlo con la persona che amate, mica volete sperperarlo donandolo a chi non conoscete perché “voglio urlare al mondo intero che ti amo!”, no! L'amore è qualcosa di privato, vuoi donare tutto te stesso solo ed unicamente alla persona per cui provi tali sentimenti!”
Edward, ripensando al discorso appena tenuto dal signor Wilson pensava che fosse un po' contrastante, insomma, aveva appena spiegato che l'amore è una cosa che si deve tenere per se stessi e lui aveva appena proclamato ad una classe di quasi trenta studenti di amare sua moglie!
Ma dopo tutto era il professor Wilson, queste cose erano da lui, se le sarebbe dovute aspettare.
“Allora, amico mio, Edward, tu cosa mi dici, sei innamorato, si?” E, okay, si aspettava qualsiasi domanda, ma non una del genere.
Edward non era tipo da diventare rosso per l'imbarazzo, non arrossiva mai, o nel caso succedeva doveva essergli stato posto un quesito davvero imbarazzante, come in quel momento.
William.
Era tutto a quello che stava pensando.
Gli piaceva da ormai un anno e qualche mese.
Okay, gli piaceva da un anno, due mesi, tre giorni, cinque ore e... e poi aveva perso il conto di minuti, secondi e nano secondi o microsecondi, insomma, non siate pignoli, a lui interessava la letteratura, mica la fisica!
Pensava a come rispondere, riflettendo su tutto, il prof di fronte a lui lo osservava con un sorriso amichevole in modo da incoraggiarlo, mentre cercava anche di captare qualche segnale che gli affermasse la sua teoria.
“E' un segreto, non dovrei dirglielo, insomma, lo ha appena affermato lei stesso!” e bravo Styles, ti sei parato per bene il culo – e no, nemmeno questa era una battuta – pensò.
“Touché.” rispose sorridendo tornando poi a spiegare da dove derivasse il termine appena nominato.
“Ma dai, qualcuno ha profanato il tuo culo, Styles?” Grimshaw, e chi altri.
Nicholas Grimshaw, anni venti, bocciato enne volte, ripetente del terzo anno da altrettanti enne volte, era il solito rompi coglioni omofobi del cazzo – Uffa, un po' di autoironia ragazzi, sono solo pessime battute, ridete! - che si divertiva a passare le giornate a fare squallidi scherzetti da bambini a qualsiasi persona gli girasse.
Edward pensava anche avesse in camera sua le foto di praticamente tutti gli alunni della scuola e che, giocando a freccette, scegliesse così la persona da torturare.
Sfortuna volle che quel giorno fosse capitato proprio Eddie.
“Nessuno, Nick, ma lo stesso non penso si possa dire del tuo.” Edward era rimasto sconcertato dalle sue stesse parole, non aveva mai dato conto alle battutine di quello stronzo, non gli dava credito, era stupido rispondere alle sue provocazioni, ma per Dio! Che soddisfazione vedere quella faccia da cazzo – okay, forse Edward avrebbe fatto bene ad iniziare a smettere di fare ironia su tutto ciò che centrasse con i cazzi – sconvolta, inorridita ed incazzata dalle sue parole!
“Tu, lurido figlio di putt...” ma ahimé non era riuscito a completare la frase, perché il buon Wilson aveva assistito a tutto senza dire una parola, così “Oh Grimshaw, stia zitto ed incassi il colpo per una volta buona, sto facendo lezione e la sua voce, simile al nitrire di un cavallo, la sta offendendo!” e forse il prof non si riferiva solo alla sua lezione, ma anche alla dolce ed intoccabile Anne.
Edward sorrise vittorioso mentre sistemava tutta la sua roba nello zaino dato che la campanella era appena suonata.
Schivando i suoi compagni uscì dall'aula senza neanche salutarli, non aveva fatto amicizia perché “J, sono troppo noiosi!”.
Si diresse nell'aula tre dove lo aspettavano due ore consecutive di matematica, materia che odiava profondamente e poi di certo “la nana con gli occhiali” non aiutava di certo ad alimentare la sua passione sfegatata per quella noiosissima materia!
Quella donna non sapeva spiegare, aveva uno strano accento americano, il che la diceva già lunga, balbettava ad ogni vocale e marcava fin troppo la “S” ogniqualvolta lo richiamava.
Era alta – o per meglio dire, bassa – poco più di un metro e quarantacinque, Edward non era tanto alto , forse un metro e sessanta, la professoressa doveva sempre alzare lo sguardo verso l'alto per guardarlo negli occhi.
Non aveva proprio voglia di ascoltare quella sottospecie di topo, così, dopo essersi seduto all'ultimo banco infondo a sinistra, vicino alle grande finestra, tirò fuori dalla tasca il suo cellulare.
Cliccò sull'applicazione dei messaggi, aprì una nuova chat e si bloccò ad osservare la rubrica.
Caso volle - si certo Edward, diamo la colpa al Destino – che si ritrovasse sotto la “W” e che il nome di William spiccasse come un faro su uno scoglio circondato da un mare in tempesta.
Gli venne in mente uno stupidissimo pensiero, uno da film americani, uno da ragazzina alle prime armi con la sua prima cotta.
Che poi ammettiamolo, Edward era alle prime armi, era un ragazzino ed era preso dal suo primo grande amore, etero, ma questi erano solo piccoli ed insignificanti – si, certo, come no – dettagli.
Continuava a ripetersi che sì, poteva inviargli uno stupido messaggio, no?
Oh, fanculo!

[10:31 a.m.] “Giorno, disturbo?”

La risposta arrivò quasi subito, non lasciò nemmeno che il cellulare finisse di vibrare che aprì subito il messaggio.

[10:40 a.m.] “Edward? E' successo qualcosa? Gemma sta meglio? No, per niente! Stavo preparando la colazione per me e Max :)”

E, cazzo, quella era una dannatissima faccina sorridente!
Edward si guardò intorno per vedere se qualcuno lo stesse fissando nel suo momento di crisi.
E quel tono da fidanzato preoccupato? Oddio!

[10:43 a.m.] “No, tutto a posto, mi annoiavo. Che mangiate di buono? Gemma sta benone, a proposito, grazie ancora! ;)”

Oddio, ma tutta quell'audacia Edward da dove usciva?
Oh andiamo! Una faccina che fa l'occhiolino!

[10:51 a.m.] “Ti annoi? Ma non sei a scuola? Cioccolata calda per Max e te rigorosamente inglese per me! Hahah Oh, ancora? Ma figurati, a proposito, quando volete venire tu e Gemma siete i benvenuti! Così ho anche un pretesto per sbattere fuori di casa mia madre! xD”

Edward non si stava appuntando che a William piaceva “rigorosamente” il te inglese, davvero, no!
Il ragazzo sorrise euforico, lo stava invitando, ancora, a casa sua! Aw!

[10:56 a,m,] “Sì, ho due ore di matematica, ma la odio quindi non la calcolo, e no, William, non era una battuta! Certo, perché no! Grazie!”

[11:04 a.m.] “Eddie, non ti facevo così trasgressivo hahahah Comunque, i cugini James mi hanno chiesto di invitarti a prendere una birra questo sabato in un pub irlandese sotto casa loro, ci saresti? Se vuoi puoi portare un tuo amico, più siamo e meglio è! Ovvio, tu ti prenderai una Coca-Cola hahah”

Appuntamento! No, okay, adesso non esageriamo, quello non era per niente un appuntamento, ma lo stava pur sempre invitando ad uscire!
Avrebbe chiesto a J, sulla strada di ritorno da scuola, di venire con lui.
Sbagliava o William stava flertando con lui?
Rideva, metteva faccine, lo invitava ad uscire e faceva anche battutine!
Oh, il cuore di Edward non sarebbe sopravvissuto alla mattinata, non sarebbe nemmeno riuscito a dire addio a J!

[11:10 a.m.] “Certo! Mi piacerebbe moltissimo, magari mi fai assaggiare poi un sorso di birra dalla tua, così almeno non possiamo dire che io l'abbia realmente bevuta! Hahah!”

Oddio, bere dallo stesso bicchiere, faceva così tanto da... fidanzatini, i quali non erano.
Sì, Edward sapeva sempre come auto demolirsi.

[11:13 a.m.] “Okay, allora li avverto! ;) Ti mando poi io un messaggio con scritto l'ora e dove ci troviamo, così andiamo insieme visto che non sai dove abitano!”

Inspirava, espirava, inspirava ed espirava.
Il suo povero e giovane cuoricino sarebbe scoppiato se William avrebbe continuato ad essere così William.

[11:15 a.m.] “D'accordo! :) Ringraziali per l'invito!”

[11: 23 a.m.] “Certo, sarà fatto! Ma ora torna a prestare attenzione alla lezione di matematica piccolo trasgressivo! Ci sentiamo più tardi! :)”

[11:25 a.m.] “Peccato sia finita da un po'! Hahah ciao :)”

Adesso aveva anche un soprannome!
Non era dei più teneri o amorevoli, ma era il suo.
E, poi, si sarebbero sentiti più tardi!
William, in piedi nella cucina di casa Tomlinson, stava cambiando nella rubrica del cellulare il nome con cui aveva salvato il ragazzo, da “Edward Styles” a “Piccolo Trasgressivo”.

[11:34 a.m.] “All'uscita da scuola io e te parliamo.”

[11:41 a.m.] “Perché, di solito cosa facciamo, giochiamo a poker con le vecchiette del pullman?”

[11:45 a.m.] “Idiota.”




“Mi ha praticamente friendszonato, capisci?” aveva esclamato dopo un po' Edward in direzione del suo compagno di scuola, non si erano nemmeno salutati che il riccio aveva subito iniziato a raccontare tutto il week-end appena passato.
Compagni di scuola, sì, perché di classe non lo erano, per loro sfortuna.
Edward e J, come adorava chiamarlo Eddie, si erano conosciuti al primo anno di liceo, il preside aveva richiesto alle matricole di recarsi nella grande palestra della scuola per presentarsi e per illustrare ai nuovi allievi tutta la scuola e i corsi extrascolastici.
Erano seduti vicini nella navata centrale, Edward continuava a borbottare tra sé e sé squallide battute sull'uomo vestito con giacca e cravatta quando J era inevitabilmente scoppiato a ridere catturando così l'attenzione del ragazzo.
Si erano sorrisi ed avevano così iniziato a chiacchierare continuando a prendere per il culo lo strano accento americano - di grazie erano in Inghilterra! - del preside.
Quando poi l'assemblea era finita e si stavano per lasciare per recarsi ognuno nelle proprie aule si erano ovviamente scambiati i numeri di telefono con la promessa di risentirsi nell'arco della giornata.
La loro era una semplice amicizia tra compagni di scuola, non erano migliori amici, - anche se J era l'unico amico che Edward aveva – nessuno dei due si era confidato su chissà quali intimi argomenti, ma ovviamente si raccontavano di tutto.
Edward aveva comunque messo al corrente il ragazzo sul suo orientamento sessuale per non finire in un secondo momento in disaccordo, e poi lui era l'unico – oltre a sua madre – a sapere della sua cotta per William.
Edward adorava Jawaad.
Jawaad era un ragazzo semplice, era nato il 12 gennaio del millenovecentonovantotto, aveva tre bellissime sorelle, di nove, dodici e quattordici anni, dai lineamenti dolci e asiatici, la madre, una seducente donna di trentotto anni, era un'infermiera di nome Patricia, mentre il padre, Yaser Malik, era un semplice impiegato cinquantenne, viveva in Pakistan, paese natale dell'intera famiglia Malik, dove lavorava.
Jawaad aiutava la madre in casa con le faccende domestiche, accompagnava la mattina le sorelle a scuola.
Nel tempo libero, quelle poche ore che riusciva a ritagliare solo per sé stesso dopo aver aiutato le sorelle con i compiti, disegnava.
Amava l'arte, per lui essa era aria, puro ossigeno con cui condividere la propria vita, la sua esistenza, riusciva a crearsi dei suoi spazi immaginari dove potersi rifugiare, dove poter esprimere tutto sé stesso, senza essere giudicato.
Dipingeva, ritraeva volti e paesaggi, i suoi quaderni di scuola erano colmi di bozzetti, le sue mani sempre sporche di carboncino ed i suoi abiti macchiati di vernice.
Il suo portapenne gremitava di matite, pastelli e pennelli.
Le pareti della sua cameretta erano ricoperte di fogli disegnati, quadri da lui dipinti, non c'erano poster, e le mensole delle libreria straboccavano di fumetti della Marvel.
Avrebbe sempre voluto poter andare ad una scuola di belle arti, ma i suoi genitori, con i bassi stipendi che avevano, non se lo potevano permettere, per questo motivo Jawaad sperava di riuscire a vincere la borsa di studio con i suoi alti voti per una delle scuole d'arte più importante dell'Inghilterra.
C'era solo una bellissima pecca, i suoi pensieri non erano occupati solo ed esclusivamente dall'arte, ma anche da Louise Edwards, soggetto preferito di Jawaad, i bozzetti raffiguravano quasi sempre la ragazza, il suo volto, le che cammina, lei con la divisa scolastica, lei con gli occhiali, lei con la treccia, lei, lei e solo lei, beh non solo lei.
“Povero piccolo cespuglio.” lo prese in giro il ragazzo più grande prendendo sotto braccio il capo dell'altro e strofinando con la mano destra la cute dei riccio facendolo così lamentare.
“Si si, ridi pure di me, intanto William ed io parliamo, al contrario di qualcuno.” Edward sapeva sempre come rigirare il coltello nella piaga. Piccolo stronzetto.
“Senti, ci sto lavorando su, okay?”
“Quindi tu con 'ci sto lavorando su' intendi dire che una delle ragazze più carine della scuola non sa nemmeno della tua esistenza?” gli fece notare il riccio.
“Sarai bastardo eh!” risero entrambi prendendosi a gomitate i fianchi.
“Oh oh! Ma guarda un po' chi c'è!” esclamò Eddie facendo cenno con il capo a J alla destra del ragazzo.
Proprio in quel momento stava passando poco vicino a loro la ragazza per la quale Jawaad stravedeva, indossava la divisa scolastica, la gonna a balze dondolava leggere ad ogni passo della ragazza, i capelli... oh cazzo!
Jawaad spalancò comicamente gli occhi, i bellissimi cappelli della ragazza non erano più lunghi fino alla vita come prima, ma le contornavano il viso pallido – molto pallido se messo a confronto con la pelle mulatta del ragazzo –, le ricadevano sulla piccole spalle.
E cazzo!, non erano più biondi, erano... lilla!
Edward guardava a scena divertito da tutto, se Jawaad si fosse girato verso di lui lo avrebbe forse trovato per terra, le mani sulla pancia, le lacrime agli occhi e la risata che risuonava in tutto il cortile della scuola mentre si rotolava per terra.
Jawaad continuava a fissare la ragazza che giratasi verso di lui gli sorride spensierata mentre fissa il suo sguardo in quello di lui, gli fa un cenno con il capo che lui ricambia prontamente con un gesto pacchiano della mano – okay, ammettiamolo, la stava muovendo convulsamente-.
Convulsamente le sue mani tremano, la voglia irrefrenabile, di ritrarla anche così, con quel nuovo taglio di capelli, è semplicemente fantastica; Jawaad sta semplicemente sudando freddo, il suo perfetto ed alto ciuffo che tutte le mattine si sistema con maniacale attenzione potrebbe afflosciarsi sulla sua alta fronte.
Ed Edward ride.
Jawaad non capisce quanto tempo sia passato dall'esatto momento in cui lui e Louise si sono fissati e salutati, resta comunque il fatto che lo stanno ancora facendo, anche se sia lui che la ragazza stanno camminando in direzioni opposti, voltano i loro capi l'uno verso l'altro per non perdersi, danno anche le spalle al loro gruppo di amici pur di non perdersi, ma poi tutto finisce peché una ragazza richiama l'attenzione di Louise su di lei e questa si gira.
La osserva ancora, giusto per imprimersi meglio nella testa ogni singolo dettagli di quello che è successo cosicché possa ritrarre il loro primo saluto appena arrivato a casa.
Ed Edward, che osserva ancora tutta la scena si chiede se Jawaad sia un po' come Dante – okay, forse molto più bello -.
Dante scrisse di Beatrice, descrisse cosa lui provava quando la vedeva, quando la osservava rivolgere il saluto alle persone e così facevo un po' Jawaad, lui la osservava e la ritraeva in azioni abituali, proprio come faceva il poeta.
Uno con le parole, l'altro con dei semplici tratti.
Uno scriveva, l'altro dipingeva.
“Jawaad.” lo richiamò il ragazzo, gli schioccò le dita davanti agli occhi e questi si risvegliò da un bellissimo sogno.
J prese per il braccio l'altro ragazzo e lo trascinò, letteralmente, fino al garage di casa sua, alzò la saracinesca ed accese le luci, che lampeggiarono per qualche secondo.
“Che... ci facciamo qui?” chiese confuso Edward.
Okay che sarebbe dovuto andare a casa del moro, ma non nel suo garage.
“Devo...” iniziò a spiegarsi il pakistano, ma non concluse, troppo impegnato a tirare fuori da dietro un grande armadio in legno una tela enorme da dipingere.
La prese, la sistemò sul treppiedi in legno vecchio e sporco di vernice secca, prese dei pennelli, dalle più svariate misure, le tempere e sistemò il tutto su uno sgabello, anche questo in legno e sporco di vernice, ne prese un altro, molto più altro in confronto all'altro e ci si sedette sopra, poi si voltò semplicemente verso Edward osservandolo con sguardo critico.
“Che c'è?” chiese timidamente, lo sguardo a vagare per il monolocale e le grandi mani, non adatte ad un ragazzo di soli diciassette anni, nei jeans.
“Non ho mai dipinto davanti a qualcuno.” asserì l'altro.
“Ehm... okay, se ti dà tanto fastidio vado a casa...” propose titubante.
“No, ti ho invitato e quindi resterai, sarebbe da maleducati chiederti di andartene e io non sono maleducato.” decise.
“No, non lo sei.” confermò.
“Quindi che si fa?” riprese parola Edward, ma Jawaad non lo considerò più di tanto.
“Ti infastidisce se dipingo? Intanto se vuoi puoi raccontarmi del tuo dannatissimo etero preferito.”
“Potrei offendermi, ma no, non mi reca alcun disturbo.” sorrise.
“Bene, quindi? Eravamo arrivati alla parte in cui ti friendszona.” sorrise J girandosi verso lo sgabello più basso, scelse un pennello dalla punta fine e lo intinse poco nell'acqua per poi prendere un po' di colore nero ed iniziare a dipingere il sinuoso corpo della fanciulla.
“Alora, sì, okay...” balbettò un poco mentre con lo sguardo trovò uno sgabello in ferro, ci si sedette sopra ed iniziò semplicemente a raccontare tutto, gesticolava con le mani, rideva e sorrideva da solo, l'altro ragazzo, ovviamente in ascolto ed attento, era preso dal suo nuovo dipinto.
“Verrai con me?” chiese dopo quasi un'ora e mezza di parlantina Edward.
“Dove scusa? Non vedi che sono occupato ora come ora?” le sopracciglia aggrottate, gli occhi disi sulla tela e le mani che si muovevano con destrezza.
“Ma non ora, coglione! Ma mi hai ascoltato?”
“Certo, forse ho solo tralasciato la parte in cui continuavi a descrivere quanto era dolce e tenero William con suo figlio Max, anzi no, ho ascoltato anche quella parte. Ricapitolando: ti ha invitato a bere una birra... Coca-Cola, insieme a due certi cugini dal nome gemello? Erro?” sorrise compiaciuto il mulatto un po' perché sapeva di aver fatto centro con il discorso e un po' perché il dipinto gli stava riuscendo bene.
“Non erri, quindi? Verrai con me?”
“Se proprio devo...” spostò per qualche secondo lo sguardo sul ragazzo alla sua destra per poi ridere leggermente alla faccia stralunata e sgomenta dell'altro.
“Certo che devi!” risoluto, bravo Edward!
“Uhm... okay, ma solo se mi compri un pacchetto di Twix domani alle macchinette della scuola.” gli fece un occhiolino e tornò a sfumare i corti capelli lilla della Louise del suo dipinto.
“E va bene! Ti sta venendo davvero bene, complimenti!” esclamò stupito Eddie.
Jawaad sorrise, quella tela gliela aveva regalata suo padre qualche anno prima, i suoi genitori non navigavano nell'oro e aveva così deciso di tenere quell'enorme tela per dipingere un evento per lui importante, e quale miglior evento se non quello del saluto della sua non sua Louise, o Beatrice?




[19:31 p.m.] Buona sera! I cugini James mi hanno detto che ci vedremo all'Irish Pub sotto casa loro per le 9:30 p.m. di sabato prossimo, ci mettiamo poi d'accordo per andare insieme, buona cena. William. xx
















 
Hei !

Buona sera Bellissime!
Dai non è passato tantissimo tempo dall'ultima pubblicazione!
Ho scritto questo capitolo in una o forse due settimane, spero mi sia venuto bene,
all'inizio mi faceva davvero schifo, ma con l'aggiunta degli Jouise (Zerrie)
penso di averlo migliorato ed anche allungato.
Spero che il paragone con Dante e la Divina Commedia e con La Vita Nova non vi annoino,
ci ho messo davvero tanto impregno e fatica!
Che dire, è un piccolo capitolo di passaggio dove c'è l'entrata in scena di Jawaad (Zayn)
Mi dispiace, ma nessuno ha indovinato chi era MUHHAHAH
Coooomunque! Spero davvero il capitolo vi piaccia e che invogli
le lettrici silenziose a dirmi un loro piccolo, ma importante, parere!
Vi ringrazio infinitamente perché siete aumentate
e sono così felice che questa storia vi piaccia e che la stiate leggendo,
ci sto mettendo tutte le mie forze nel
renderla migliore dello schifo che ho in mente.
Ho ragionato un po' e la storia non sarà affatto corta, all'inizio pensavi di scrivere
 tra i 15 barra 17 capitoli, ma mi sono resa conto che non bastano per nulla,
il perché lo scoprirete andando avanti con la storia, sperando vada avanti hahahah
Basta spazio autrice!
Buona notte belle.




Happy Birthday Edward!



Elisaku.

 

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Capitolo 6
*** Irish Pub. ***






Capitolo6: Irish Pub.



 

Edward e Jawaad dopo essere usciti da scuola si erano recati a casa del primo per passare il pomeriggio insieme in vista dell'appuntamento non appuntamento che sarebbe avvenuto la sera stessa.
Il riccio era a dir poco elettrizzato, okay, William non lo aveva invitato per un appuntamento solo per loro due, ma era sempre meglio di niente, avrebbe passato la sera con lui, Jawaad, i cugino James e dei loro amici.
Un sabato sera diverso dal solito, finalmente.
L'unica cosa che gli dispiaceva di tutta quella situazione era lasciare a casa Gemma a vedere da sola i cartoni animati della Disney che di solito guardavano insieme.
Era una piccola specie di tradizione la loro, mettevano un DVD oppure una cassetta e vedevano il cartone del giorno, poi Gemma si sarebbe accoccolata ad Edward ed avrebbero dormito insieme, come ogni sabato.
Ecco, in quel preciso istante, quando Edward realizzò questo, gli si spezzò un po' il cuore.
Insomma era una cosa che facevano sempre, ma per colpa di una sua stupida infatuazione – forse tanto stupida non era - per un ragazzo padre avrebbe rovinato per un sabato la loro dolce quotidianità.
Ora si trovava in camera insieme a Jawaad e ai sensi di colpa che prontamente l'amico aveva cercato di mettere a tacere con frasi del tipo “Tranquillo Eddie, tua sorella non se lo ricorderà quando sarò grande e non te lo rinfaccerà, assicurato!”, “Ma si dai, è solo un sabato!” oppure “Edward! Non stai partendo per andare in guerra, cazzo, solo non passi due ore con lei a vedere uno stupido film della Walt Disney, e diciamocela tutta!, sei anche un po' grandicello per certi cartoni! E poi tranquillo, appena arrivi a casa dormi insieme come fate ogni stupidissimo sabato!”.
Edward si era un po' calmato, ma si era lasciato scappare un borbottio riguardo al fatto che non si è mai grandi per un cartone della Disney.
Che poi Jawaad amava l'arte e i cartoni erano disegni in movimento, non dovevano forse affascinare J? Bah.
Si erano in fine sorrisi ed erano passati ad un'estenuante partita a Fifa.
“Okay, sono in crisi!” aveva affermato Edward bloccando la partita, il moro aveva poi sbuffato guardandolo con cattiveria; insomma stava vincendo!
“E' solo una patetica scusa perché stai perdendo, Styles! Riavvia la partita! Ti straccio e poi ne riparliamo! Su!”
“No, ti giuro che non è per la partita!” sorrise “Sono davvero sull'orlo dei nervi!” spense la console lasciando il povero Malik sbigottito.
“Non l'hai davvero spenta.” chiese, il tono atono senza nessuna inclinazione nella voce, la sua mente stava solo elaborando un continuo CalmaCalmaCalma.
“Sì, perché?”
“Perché? Spero tu stia scherzando. Sei morto.”
“Ma perché?”
“Perché? Spero tu stia scherzando! Stavo per vincere una battaglia contro di te!”
“Guarda che è un po' ovvio, sai? Il secondo giocatore sono io.”
“Sì, ma contro di te!” lo indicò J “Io perdo sempre quando gioco con te e per una volta che stavo pe vincere ti fai bruciare il culo per una stupida uscita di gruppo, vorrei sottolineare di gruppo, e mi spegni la console? Stavo vincendo, cazzo!”
“Tranquillo, la prossima volta ti lascio vincere!” ghignò Edward.
Il moro lo guardava dall'alto al basso, J era seduto sul pavimento mentre Edward era stravaccato come una balena spiaggiata sul suo letto da una piazza e mezza.
“Ragazzi, a tavola!” li richiamò Anne dal piano di sotto.
“Arriviamo!”
Jawaad buttò con stizza il joystick sul letto dell'amico ed entrambi si avviarono al piano inferiore.
“Lasagne!” li aveva accolti Anne in cucina mostrando loro la teglia.
Sorrisero entrambi leccandosi i baffi – si fa per dire, nessuno dei due li aveva, solo J aveva un piccolo accenno di barba -.
“Papà?” chiese Edward, il posto affianco al suo era vuoto e non apparecchiato.
“Torna tardi, gli anno chiesto di rimanere qualche ora in più per finire non so quale lavoro.”
“E tu non mangi?”
“No, lo aspetto, tanto torna fra un'oretta. Non fare quella faccia cucciolo, non muoio se mangio un'ora dopo, mangiate voi bambini!” scherzò Anne.
Dio quanto adorava sua madre.
“Va bene, tu vai pure a riposarti, ci penso io a Gemma.” Eddie sorrise alla madre incoraggiandola a seguire il suo invito.
“Va bene, ma non mandate a fuoco la cucina e Gemma, mi raccomando, mangia tutto!” li rimproverò bonaria.
“Si mamma.” la piccola era sconsolata e triste, con la forchetta spostava un po' di qua e un po' di là la sua piccola porzione di lasagne.
“Ti chiamo poi quando stiamo per uscire, okay?” la informò il figlio e la donna annuì.
Anne andò in camera sua e di suo marito ed Edward posò lo sguardo sulla sorella intristendosi anche lui alla scena.
“Gemma...” la prese da sotto le ascelle e la fece sedere sulle cosce e le tirò indietro i capelli biondi per vederla bene in volto, dal canto suo la piccola non voleva essere toccata perché si sentiva tradita.
Edward le fece il solletico e la piccola mollò la presa dalla forchetta ed iniziò a divincolarsi per farlo smettere, anche se in realtà quelle attenzioni le piacevano da morire.
Eddie si bloccò dopo qualche secondo e le prese il viso tra le mani grandi e le sorrise.
“Mi vuoi bene?” le chiese guardandola.
“Si, ma...” la piccola cercò di non guardalo e abbassò lo sguardo verso Jawaad che osservava la scena con meraviglia.
“Ma?”
“Ma... posso venire con te!?” gli chiese guardandolo di nuovo negli occhi sperando in un sì.
“Gemma...” la riprese il fratello.
“Lo sai che non sono io a decidere e poi lì saremo tutti grandi e ti annoierai, non c'è Max.” la informò.
“Ma è sabato!” e quella piccola frase faceva capire tutto.
Edward, è sabato e di sabato tu e tua sorella guardate un film della Disney.
Edward, è sabato e di sabato tu e tua sorella dopo aver guardato un film della Disney dormite insieme.
Insomma, Edward, è sabato!
Il ragazzo non sapeva che fare, per lui non c'erano problemi, ma la madre avrebbe sicuramente detto di no.
“Gemma, no, lo so che è sabato, ma solo per oggi esco con i miei amici e tu resterai a casa, guarderai il film e appena arrivo a casa ci mettiamo a letto insieme e me lo racconti! Ti va?” gli propose il fratello, ma non vedendola convinta gli mormorò un flebile “Per favore” nell'orecchio.
La bimba gli sorrise e, restando sulle gambe del fratello, continuò a mangiare la sua porzione di lasagne.
Jawaad era affezionato ad entrambi i fratelli Styles, insomma, aveva avuto la fortuna di vedere la pancia di Anne crescere, sentire i primi pianti di Gemma, i primi passi e le prime parole, ormai J era di casa, pareva tanto un terzo figlio acquisito nel tempo!
“Allora, cosa vuoi guardare sta sera?” domandò il riccio stropicciando le guance paffute della sorellina.
La Sirenetta!” esclamò battendo le manine.
“Cosa?! Ma lo abbiamo già visto la scorsa settimana!”
“E allora?” lo riprese “Tanto tu sta sera non ci sei, posso guardare quello che voglio!” incrociò le braccia al petto mettendo su un adorabile broncio.
“Perché non ti guardi un porno, allora?” aveva sussurrato Jawaad per sdrammatizzare, fallendo miseramente.
“Jj!” lo rimproverò Edward.
“Un pollo?” domandò confusa la piccola di casa.
“Sì! Un pollo! Qualche cartone sulle galline!” propose Jawaad cercando di rimediare al danno.
“Le galline sono brutte!” aveva ribattuto.
“Cosa? Guarda che si offen...” non terminò la frase che Eddie gli diede uno scappellotto sul retro del collo.
“Ahia!”
“Zitto!”
“Okay, ma stai calmo.”
“Gemma, ti metto La Sirenetta, okay? Io e Jawie ci andiamo a cambiare intanto.”
“'Kay.” aveva mormorato la piccola.
“Sei tu quello che si deve fare bello, mica io!” lo schermì.
“Te ne arriva un'altra!” lo fulminò con lo sguardo.
“Dio amico, fatti una sega e placa gli ormoni!”
Per chissà quale motivo Gemma rise e i due più grandi la guardavano scioccati, non poteva sapere cosa significasse 'farsi una sega', era troppo piccola!
“Ma così si fa male! E spruzza tutto il sangue! Come in Saw!” aveva esclamato, prima ridendo e poi schifata.
Saw? Eddie che cosa fai vedere a tua sorella?” l'amico lo guardò sconvolto, insomma, aveva solo tre fottuti anni!
“L'ha voluto vedere lei! Ha insistito e gliel'ho fatto vedere, così capiva perché non doveva guardarlo!”
“E il risultato è?” domandò osservando Ed stendere Gemma sul divano del salotto, accendere la televisione e mettere nel videoregistratore la cassetta.
“Che mi ha obbligato a vedere tutta la serie!” rise.
“Sul serio?”
“Sì, sul serio.”
Ed si guardò in giro facendo mente locale su cosa dovesse fare.
L'orologio segnava le otto e mezza, doveva prepararsi e alla svelta.
Guardò l'amico e con lo sguardo indicò le scale, improvvisamente iniziarono a correre ridendo, facendo a gara a chi arrivava prima.
Arrivarono contemporaneamente bloccandosi sull'uscio della porta, i loro corpi erano incastrati e non sarebbero mai riusciti a passare insieme.
“Okay, hai vinto.” mormorò Ed e subito l'amico si spostò per farlo passare sorridendo vittorioso.
“I migliori vincono sempre, Styles.” rise di gusto e “Vatti a preparare frocetto dalle cinquanta sfumature.”
“Cos'è, la versione gay di Cinquanta Sfumature Di Grigio?” domandò Ed buttando si sul letto ridendo.
“Sì, ti piace? È il mio best seller, che ne dici?” chiese J prendendo dalla scrivania dell'amico il suo adorato blocco da disegno per metterlo al riparo nel suo zaino.
Quell'album non doveva essere visto da nessuno.
“Dico che lo leggerei molto volentieri!” rise ancora.
“Sei euforico, riccio, quando hai qualcosa lo sai che devi passarmela.” lo rimprovera bonario ed ironico Jj facendogli un occhiolino.
“Non mi faccio di nessuna sostanza, Malik.” lo informa, già, come se non lo sapesse.
“Sei così al naturale? Oh povero mondo!” rise buttandosi su di lui.
“Alzati scemo che mi devo cambiare.” lo spintonò e questo ruzzolò per terra.
Andò verso l'armadio e, aprendo le ante, si fermò a contemplarlo, neanche fosse l'opera più bella mai esistita e “Lo sai vero che dentro l'armadio non c'è William Tomlinson, ma che arriverà esattamente tra dieci minuti?”
“Ho dieci fottuti minuti per cambiarmi?” strabuzzò gli occhi e “Che mi metto? Malik aiutami, parca troia!” imprecò all'indirizzo dell'amico che, ancora per terra, se la rideva sotto i baffi – nel vero senso della parola, Malik avrà anche avuto solo diciassette anni, ma era già provvisto di una folta barba che lo rendeva dannatamente sexy e più grande, non dimentichiamoci delle mani sempre incrostate di pittura e gli occhiali da lettura sul naso, era l'orgasmo puro per ogni adolescente che lo incontrava per strada.
“Calmo, prendi gli skinny jeans neri, ti fasciano il culo, la camicia bianca, è semi trasparente quindi accentua i pettorali che non hai e... tieni, prendi le mie Vans, hai detto che le indossa sempre quindi se le indossi è un punto a tuo favore, vestiti e poi vieni in bagno, dovrei avere del gel nello zaino, facciamo qualcosa per migliorare quel cespuglio che ti ritrovi al posto dei capelli.” parlò velocemente Jawaad sfilandosi le scarpe e rovistando nello zaino pieno di disegni alla ricerca del gel e “Trovato.” parlò tra sé e sé.
Ed non ragionò molto su i movimenti che effettuò, li fece e vasta, come un automa, prese i pantaloni e la camicia e li poggiò sul letto.
Si spogliò e, con fatica, s'infilò gli stretti pantaloni che, guardandosi allo specchio dell'armadio, sì, gli fasciavano il culo.
Si tolse la maglia che aveva tenuto tutto il giorno e si mise la camicia ed abbottonò i bottoni lasciandone tre, se non quattro, aperti a far intravedere il petto.
Infilò le scarpe senza legare i lacci, ma inserendoli direttamente nella scarpa.
Si guardò e... beh, non era niente male.
Andò in bagno dove Malik lo intimò a sedersi sulla tavoletta del cesso e così fece.
“Fermo.” in pochi movimenti J aveva domato la folta castana chioma di Ed portando all'indietro i ricci e lasciandoli morbidi sul capo in modo tale da esporre meglio il volto squadrato dell'altro.
Eddie si specchiò e “Sono un gran fico eh!” rise e Jawaad lo prese in giro “Sì, rischio di diventare frocio se ti fisso ancora un po'.” e così Ed si morse il labbro e con fare sensuale mosse i fianchi imitando un amplesso.
“Potrei venire solo guardandoti!” Malik portò una mano alla fronte fingendo di svanire.
Scoppiarono a ridere, che idioti.
Le loro risate furono smorzate dal suono del campanello, che alle orecchie di Ed parve assordante.
Inspirò ed espiro mentre il suo amico lo pigliava per le spalle e lo spingeva giù dalle scale recuperando lo zaino e i cellulari di entrambi passando all'altro il suo.
Anne era in salotto seduta a fianco di sua figlia e guardava i due ragazzi indossare delle giacche per coprirsi dall'aria primaverile.
Madre e figlio si guardarono e non c'era bisogno di parole, lo sguardo di Anne chiedeva tacitamente di fare attenzione, di non buttarsi troppo in tutta quella situazione di cui giorno per giorni si stava circondando e anche semplicemente di far attenzione a guardare la strada, era solo un semplice sguardo che racchiudeva tutte le paure e le incertezze della donna.
Ed Edward le vedeva bene, infatti annuì rassicurandola con uno dei suoi migliori sorrisi.
“Ciao mamma, a dopo Gem.” salutò le donne della sua vita
“Ciao Anne.” salutò Malik, ormai erano in confidenza.
Uscendo dalla porta di casa si ritrovarono difronte William Tomlinson in tutta la sua bellezza.
Jawaad guardò l'amico sperando che non svenisse davanti a cotanta bellezza e, accertatosi di ciò, salutò per primo il ragazzo con una stretta di mano presentandosi.
“Jawaad Malik, piacere.” sorrise a bocca aperta mostrando i denti bianchi, la lingua tra essi.
“William Tomlinson.” sorrise anche lui stringendo ben forte la mano del ragazzo.
Si comincia bene.
“William!”
“Edward.” si salutarono entrambi sorridendosi, nessuna stretta di mano, nessun abbraccio e nessun bacino sulla guancia, niente di niente, solo i loro nomi sussurrati con sorrisi luminosi sui loro volti.
Era così stupido, ma allo stesso tempo così intimo.
“Va bene se Jj viene con noi? Oggi è rimasto da me per dei compiti e...” Ed non finì la frase che William lo interruppe con un “Certo! Più siamo meglio è!” e sorrise raggiante.
“Bene, andiamo?” William annuì e si diresse per primo seguito poi dai ragazzi.
Ed era rimasto solo due o tre passi indietro per studiare l'abbigliamento di William, dire che si era soffermato cinque minuti buoni ad osservargli il culo era un eufemismo, quei fottuti skinny jeans neri gli fasciavano le gambe muscolose alla perfezione, forse erano fin troppo stretti, come cazzo faceva a camminare? Continuava ad osservargli il culo, davvero no riusciva a staccarci gli occhi di dosso, era tondo e, Dio, quelle chiappe sarebbero davvero state bene nelle sua grandi mani.
Una giacca di Jeans blu gli fasciava le spalle esili, era magro, segnato in volto, le occhiaie gli scurivano i grandi occhi azzurri.
Quando alzò lo sguardo per guardargli il capo notò William osservarlo sorridendo, non aveva la barba, senza pareva molto più giovane, ma ammettiamolo, ad Eddie la barba incolta che William era solito parlare la preferiva.
“Tutto bene?” domandò Ed giusto per intavolare una discussione, Jawaad li guardava lasciando che parlassero tra di loro intervenendo solo ogni tanto.
“Sì, Max ha fatto i capricci per tutta la giornata, non voleva lasciarmi andare, fortuna che ci sono le ragazze che lo hanno distratto con il pupazzo che gli hai regalato tu!” e quello era un sorriso di gratitudine.
“Siamo arrivati, comunque.” informò i ragazzi facendoli entrare nell'Irish Pub.
L'Iish Pub era, proprio come faceva capire il nome, un pub irlandese, i gestori erano irlandesi, i camerieri anche ed era collocato in una zona della città dove vi vivevano una moltitudine di irlandesi, questo, però, non significava che non vi fossero persone di altre nazionalità, anzi, il locale straboccava di inglesi, irlandesi – per via di una partita di calcio che veniva mandata in televisione quella sera – ed anche di qualche turista italiano e francese, aveva notato Edward quando era entrato.
Il locale aveva luci soffuse che puntavano verso l'alto, queste emanavano un'atmosfera calda ed accogliente, le pareti erano tinte di ocra, i mobili in legno scuro, le sedie scricchiolavano appena, chissà da quanto fosse aperto quel locale.
Edward si guardò ancora intorno, ad un tavolo vi erano un italiano ed un inglese, forse amici di vecchia data, l'inglese parlava in un italiano alquanto basilare, il giusto per farsi comprendere dall'amico, in un altro tavolo vi erano una coppia che Edward invidiò un po', tre o quattro tavolini, di quelli alti con sgabelli altrettanto alti, erano occupati da ragazzi che erano vestiti di tutto punto, con giacca e cravatta, che stonavano con tutto il resto del locale, forse imprenditori di un'azienda, altri cinque o sei tavoli, di quelli ad altezza bacino, erano posti in un angolo abbastanza isolato per lasciare intimità a dieci ragazzi ed una ragazza che giocavano a giochi da tavolo o di ruolo, Edward li sentì mormorare qualcosa come: “Il mio ranger utilizza nascondersi per prepararsi all'attacco, tiro sull'abilità D20.”.
“Nerd.” li prese per il culo William ed il ragazzino gli rise.
Dopo aver superato tre porte – il locale era munito di tre larghi stanzoni – i ragazzi arrivarono all'ultimo stanzone dove ad un tavolo largo e di forma circolare erano seduti i cugini James e le loro ragazze.
I cugini James notarono subito William e si alzarono salutandolo con un pacca sulla spalla.
“Hei William!” lo salutarono le due ragazze senza alzarsi dal posto continuando poi il loro discorso interrotto.
Edward le guardò ed i suoi occhi parvero incrociarsi: le due indossavano lo stesso vestito con la differenza che uno era nero con i pois bianchi e l'altro bianco a pois neri, portavano la stessa capigliatura, una coda alta che cadevano rispettivamente una sulla spalla destra della ragazza di sinistra e l'altra sulla spalla sinistra della ragazza di destra.
Entrambe erano di pelle nera, i lineamenti dei loro volti erano dolci e sensuali, gli occhi da cerbiatte.
No, non erano gemelle, ma erano maledettamente simili.
Edward notò che erano molto più grandi di lui, forse anche di William e dei cugini James stessi.
Ai James piacevano le donne mature, non superavano i ventisette anni, comunque.
Il ragazzo ci passò sopra e si voltò verso i due cugini e sorrise grato ringraziandoli per l'invito.
“Cosa? Senza offesa, ma noi non ti abbiamo invitato...” iniziò uno e “...non avevamo neanche pensato a te!” finì l'altro.
Eddie era confuso, William gli aveva detto che lo avevano invitato, si voltò verso Will e lo guardò con le sopracciglia corrugate.
Che lo avesse invitato lui? Il pensiero gli passò davanti come un fulmine a ciel sereno, i suoi occhi si spalancarono dallo stupore, mentre Jawaad dietro di lui gli pizzicava il fianco scherzosamente, ridendo sotto i baffi – okay non li aveva, ma la barba aleggiava sulle sue guance.
“Beccato.” sorrise Will nervoso grattandosi il retro del collo imbarazzato.
“Beh grazie!” sorrise grato.
Era felicissimo, William lo aveva invitato, okay, non era un appuntamento, ma aveva pensato a lui.
Lo aveva pensato.
Forse un po' troppo per i gusti di William, quel ragazzino gli era entrato sotto la pelle, gli scorreva nelle vene, la sua voce rimbombava nella sua testa ed il suo cuore batteva forte, un senso incondizionato di protezione lo assaliva ogni volta che lo vedeva e lo stomaco gli doleva.
Faceva male, ma era piacevole.
Si sorrisero ancora mente Jawaad sbuffava, ci mancava solo che fosse il così detto terso incomodo.
“Accomodatevi, su!” li incitarono i cugini per poi chiedere cosa volessero.
“Una bionda media.” ordinò William mentre si sedeva, lo seguirono in ordine Edward e Jawaad.
I posti al fianco di William e Jawaad erano vuoti, i cugini James erano seduti ai lati delle loro ragazze, che aspettassero qualcuno?
“Una Coca-Cola ed un toast?” ordinò Eddie, ma la sua parve una domanda.
“Me lo stai chiedendo? Tranquillo puoi prendere quello che vuoi eh.” scherzò James Castano.
“Uhm.” annuì il ragazzino non tanto convinto.
“Tu?” chiese James castano fissando negli occhi Jawaad.
Si osservarono per un paio di secondo e “Una Sprite, grazie.” rispose Jj alla domanda mordendosi il labbro.
Quel ragazzo è veramente bello pensò Jawie, e, davvero, stare con Edward gli faceva male.
Lui non era gay, quindi: Louise, Louise, Louise...
“Okay, andiamo J.” per un momento Jawaad pensò si riferisse a lui, ma notò subito che James Biondo si era alzato così se ne fregò.
Improvvisamente starnutì, cercò nello zaino un fazzoletto e si soffiò il naso.
“Williaaaaam!” tutto il tavolo si girò verso l'entrata e una ragazza con i capelli biondi a caschetto, montatura spessa nera sul naso all'insù e seno prosperoso si avvicinò abbracciando il ragazzo con calore.
“Ruth! Come stai?” domandò ricambiando l'abbraccio.
“Ora che ti vedo benissimo.” scherzò la ragazza facendogli l'occhiolino, il suo braccio era ancora intorno al collo di lui ed il seno appoggiato leggero sul suo petto.
E Staccati... E se gli sguardi potessero uccidere, Edward sarebbe un assassino da mettere dietro le sbarre.
Jawaad se la stava ridendo sotto i baffi fino a che William non salutò una ragazza dai capelli lilla arruffati e corti fino alle spalle.
“Louise, ancora con questa pazza stai? Scappa finché sei in tempo!” rise baciandole le guance rosate.
Louise.
Tutti si erano alzati per salutare i nuovi arrivati, ma il mondo si blocco per qualche istante quando Louise e Jawaad si fissarono, occhi leggermente sgranati, a dire i loro nomi contemporaneamente, auto-stupendosi che l'uno conoscesse il nome dell'altra.
“Vi conoscete?” domandò James Castano.
“Andiamo nella stessa scuola.” mormorò Edward risolvendo i dubbi di tutti.
Eddie guardò l'amico che stava sbavando, sì, sbavando.
“Asciugati la bavetta, amico.” lo prese per il culo.
Si guardarono e risero piano.
Ognuno si sedette al proprio posto, c'era chi beveva e chi stuzzicava patatine e popcorn offerti dai cugini, Edward morsicava ogni tanto il suo toast mentre William beveva a canna la sua bionda.
“Vuoi?” domandò Will porgendo al ragazzino la sua birra.
Edward la prese e se la portò alla bocca saggiandone un sorso, si staccò e si leccò il labbro inferiore ripescando da esso una gocciolina sfuggitagli, i suoi occhi non si erano staccati neanche per un secondo dal viso di William che, in silenzio, lo aveva fissato.
William in una frazione di un secondo si sentì morire e rinascere, gli occhi di Edward erano incredibilmente verdi, ma non un banale verse, né un verde prato, assomigliavano tanto al fondo di una bottiglia di vetro, le sue gote erano rosa e sulla guancia destra aleggiavano tre piccoli nei, le sue labbra erano inconcepibilmente rosse, come poteva un ragazzo avere le labbra di un colorito così accesso?
Il suo sguardo, poi, era passato sul collo di Edward, il pomo d'Adamo si era mosso leggermente verso l'alto ed era tornato al suo posto.
E poi nulla, Edward aveva sorriso mettendo in mostra le sue adorabili fossette bucando le guance.
“A-allora?” borbottò il più grande tossicchiando.
“Mi piace.” annuì.
Eh... anche a me... aveva pensato, Dio riprenditi William, è un ragazzino, un ragazzino!
Certo, il suo cervello, che ora era messo a dura prova, non comprendeva quale fosse il problema maggiore, il fatto che fosse un ragazzino - essere inferiore ai diciotto e maggiore ai sedici anni –, che fosse un ragazzo – essere con attributi esterni annessi – o, ancora, che fosse entrambi.
Fottitene gli rivelò una vocina che conosceva da anni, e no, non era la sua coscienza.
Tutti avevano assistito alla scena e Ruth, la sorella di James Castano, si era bellamente intromessa mettendo la mano sulla coscia di William.
Edward e Ruth si stavano fissando, Dio, cosa era quella? Una sfida? A quanto pare lo era.
“Adesso che la mia migliore amica si è fatta da parte pensi che potremmo...?” Ruth stava ancora fissando Edward, ma la sua domanda era riferita a William.
Cosa? Che centra la sua migliore amica, ora? Edward era confuso, guardò William e lo scoprì ad avere la sua stessa espressione.
“Non nominare Eleanor.” rispose perentorio William.
Eleanor? Perché cazzo dove essere sempre presente anche da morta?
Edward abbassò lo sguardo da quello di Ruth, non solo perché si sentì infinitamente stronzo ad aver fatto un pensiero simile, ma anche perché aveva capito il gioco che quella ragazza stava facendo.
Tutto il tavolo lo aveva capito, ripresero a chiacchierare.
William e Ruth stavano parlando di qualcosa che Eddie non comprese, troppo preso a pensare alla piccola, leggera ed infima frecciatina che quella ragazza gli aveva scoccato.
Ruth non stava marcando il territorio, poteva sembrare, certo, ma non era quello ciò che voleva trasmettere.
William era un ragazzo, era padre ed era adulto, ecco cosa voleva intendere.
Ed Edward non aveva più guardato William per tutta la serata, si erano scambiati si e no qualche frase, giusto perché Willie era rimasto totalmente spiazzato da tutta la situazione e dal fatto che il ragazzino non avesse più spicciato parola, non aveva nemmeno più visto il suo contagioso sorriso.
Possibile che ogni singolo individio che girava attorno a quei due ragazzi comprendesse appieno la situazione, mentre William non capiva un emerito cazzo di quello che Edward provasse nei suoi confronti? Bah.
E se da una parte tutto andava una merda, dall'altra c'era qualcuno che stava sorridendo come un'ebete.
Jawaad, infatti, al suo fianco aveva Louise che stava chiacchierando con le due ragazze che parevano gemelle.
Era bellissima.
Indossava una camicia con trama scozzese che le arrivava fin sopra il ginocchio, le faceva da vestitino, e forse lo era, ma Jawie non era stupido e quella era sicuramente una normalissima camicia dalla taglia sbagliata.
I capelli corti le incorniciavano il volto lasciandole il collo scoperto e alla mercé di tutti, Jawaad sperò principalmente alla sua.
Il colore lilla dei capelli accentuava maggiormente l'azzurro dei suoi occhi.
Forse Jawaad avrebbe dovuto realmente smettere di sbavare.
Jawaad si riprese solo per cercare di ridestare Edward dall'accaduto, faceva battutine squallide o lo stuzzicava pizzicandogli la pancia, ma nulla, il suo amico era impassibile e continuava semplicemente a mangiucchiare il suo toast che sembrava non finire mai.
Amelia e Danielle, le due gemelle non gemelle, avevano iniziato un discorso tra loro lasciando in disparte Louise che, guardandosi attorno, notò i cugini James parlare della partita che la trlevisione trasmetteva, Ruth che cercava in tutti i modi di estrapolare un appuntamento a William e che Jawaad era intento a far sorridere Edward, anche lei si era accorta che quel ragazzino si era innamorato di William.
Era evidentemente evidente!
Abbassò gli occhi sulle sue gambe notò uno zaino aperto sotto il tavolo, da esso sbucavano solo un portapenne un libro di storia dell'arte ed un quaderno.
Come a suo solito non si fece problemi a prendere il quaderno e ad aprirlo per vederne il contenuto.
Sfogliando le pagine del quaderno c'erano appunti e piccoli disegni di supereroi o di oggetti vari, ma andando avanti con le pagine notò un cambio radicale dei disegni, essi, infatti, ritraevano una ragazza, sempre la stessa.
I disegni ritraevano la ragazza che camminava, che correva, con la divisa scolastica, vestita con abiti normali, insieme alle sua amiche e seduta su un muretto, in tutti i disegni era di schiena
Proseguì a sfogliare il quaderno e finalmente trovò alcuni ritratti della ragazza.
Louise era sconvolta.
Quei disegni ritraevano lei, lei con i capelli lunghi, con i capelli legati, un cerchietto tra essi, lei con gli occhiali da sole, poi quelli da vista, lei che sorrideva, che camminava con lo zaino in spalle, lei con una gonna a balze, lei, lei e ancora lei.
Louise non sapeva se rimanere sconvolta, dopo tutto c'era qualcuno che la fissava e la ritraeva a sua insaputa, o se rimanerne affascinata, i ritratti erano bellissimi anche solo se abbozzati.
La pagine scorrevano davanti ai suoi occhi, fino a quando il quaderno non si chiuse davanti a lei con un scatto, alzò il volto verso il ragazzo davanti a lui e si fissarono.
Jawaad era rosso in faccia, insomma, quello era il suo unico segreto, possibile che proprio la ragazza di cui era innamorato dovesse scoprire di quei disegni?
Che merda.
“Lo sai che è maleducazione frugare tra le cose degli altri?” domandò il ragazzo.
“Lo sai che è da denuncia quello che tu fai? Si chiama stolking.” rispose a tono la ragazza.
“Io non ti seguo da nessuna parte!” alzò appena la voce lui, ma nessuno del tavolo li stava considerando, le loro mani erano ancora sul quaderno.
“A me pare di sì.”
“No, se no troveresti foto di te in mutande e reggiseno in camera tua, e qua non ce ne sono, al massimo sei seduta ad un bar.” commentò Jaw.
“Chi mi assicura che i disegni con me in intimo tu non li abbia appesi alle pareti della tua cameretta da nerd represso?” chiese Louise con in viso un dolce ghigno.
“Potrei sempre mostrarti la mia camera.” sorrise lui e poi continuò “E comunque solo perché seguo la Marvel non significa che sono un nerd e per di più represso!” esclamò mettendo su un adorabile broncio.
“Accetto.”sorrise “Passami il tuo cellulare.” ordinò ed il ragazzo glielo mise tra le mani, un leggerò suono illuminò il cellulare di lei avvisandola dell'arrivo di un messaggio.
“Fatto.”
Si fissarono per qualche secondo, poi James Castano catturò la loro attenzione esclamando: “Dio, Tommo, trovati qualcuna e scopatela!”
Ruth stava per rispondere a tono con una delle sue solite battutine, ma Edward, lasciando tutti stupiti, la precedette.
“Nah, tranquilli, ci penso io a lui.” e fissò per un secondo negli occhi la biondina, oh sì, quella era proprio una sfida.
Ma chi l'avrebbe vinta?
Poi spostò lo sguardo negli occhi blu di William che era rimasto in silenzio, proprio come tutto il resto del tavolo, pochi secondi dopo era poi scoppiato a ridere e si era catapultato su Edward abbracciandolo e ridendo con lui disse: “Come potrei mai tradirti?”
Tutto il tavolo rise di gusto anche se un po' in imbarazzo.
Marchiare il territorio, bravo Eddie, lo stai facendo nel modo giusto, si disse.
Jawaad gli rifilò una gomitata nelle costole e rise di nuovo.
Rimasero a chiacchierare ancora per un po', ma notando che era l'una passata si salutarono e si divisero per tornare ognuno a casa loro.
“William mi accompagni?” chiese Ruth.
“Uhm.” William era rimasto un po' sulle sue, dopo tutto era andato lì con Edward, quindi di conseguenza sarebbero dovuti tornare indietro insieme, no?
“E Louise?” sviò il discorso.
“Oh io vado da questa parte.” si affrettò a dire la ragazzina, indicò la via opposta alla quale sarebbe andata la bionda.
“Anche io vado da quella parte, vengo con te!” esclamò Jawaad sorridendo ampiamente, felice di poter passare ancora un po' di tempo con la ragazza.
“Okay, andiamo?”
“Certo.” e si incamminarono lasciando indietro William, Ruth ed Edward.
I cugini James e le loro rispettive ragazze sarebbero rimasti al pub fino alle tre di notte, orario di chiusura.
“Andiamo, Wils?” marcò il nomignolo Ruth, quello era il nome con cui lo chiamava Eleanor.
No, quello era un colpo basso.
“Ruth accompagno Eddie che è minorenne e devo riportarlo a casa sano e salvo, su, non fare storie.” la stava per salutare, ma Edward parlò: “ Tranquillo William, sono un ragazzo so difendermi nel caso dovesse succedermi qualcosa, Ruth è una ragazza.” e finì la frase.
Edward sorrise vedendo la bocca spalancata della ragazza, sì, Edward aveva appena dato non solo della ragazzetta a quella lì, ma anche della debole.
Debole perché stava cercando in tutti i modi di confondere William e di metterlo in crisi, Edward se ne era accorto, e quella era una mossa da persone deboli, colpire i punti più sensibili, ma William non reagiva e così ci aveva pensato lui.
“Sicuro?” chiese titubante il più grande guardandolo negli occhi.
“È sicuro, te lo ha appena detto.” rimarcò le sue stesse parole Ruth.
Quella ragazza gli stava glia sui coglioni.
“Uhm... okay, mandami solo una messaggio quando sei arrivato.”
“Certo!” Eddie sorrise ampiamente nel vedere la preoccupazione e l'affetto che William provava per lui.
Per adesso si sarebbe fatto bastare quello.
Per adesso, come se in futuro sarebbe potuto cambiare qualcosa, certo.
Entrambi si voltarono dandosi le spalle, William era preoccupato, Edward un po' ferito e Ruth sorridente.
Camminò per un paio di isolato e quando arrivò davanti a casa Anne gli aprì la porta salutandolo con un bacio sulla fronte.
Si era dovuta alzare appena sulle punte, suo figlio continuava a crescere.
Stava crescendo, e quando si cresce si prendono forti schiaffi in volto.
Entrò in camera e trovò Gemma sul suo letto che dormiva con tra le esili braccia la custodia de La Sirenetta, sorrise intenerito.
Si spogliò e rimanendo in boxer si coricò vicino alla sorella.
Prese il cellulare e scrisse un messaggio a William.

[01:33 a.m] “Sono arrivato, buonanotte :)”

Aspettò qualche minuto e il suo cellulare vibrò.

 

[01:41] “Ruth mi ha baciato”

Edward, lo sapeva già, perdeva in partenza.


















 

Buongiorno!

Sono finalmente tornata e mi sento una morda a lasciarvi uno spazio autrice, per questo lo farò bello corto!
Mi scuso davvero tanto per l'assenza di tre, se non quattro, mesi, ma ho avuto problemi personali e mi ero accorta di avere tre materie sotto, così ho cercato di rimediare a tutto e questo ha causato la mia assenza qua su EFP.
Come potete vedere sono riuscita anche a riscrivere tutto il capitolo che il pc mi aveva eliminato, certo, non è bello come quello precendente, ma sono abbastanza soddisfatta.
Voi cosa ne pensate? Spero tanto possiate lasciare un commento per dirmi cosa pensate di 'Irish Pub'.
Dopo questo capitolo non so quanto i prossimi possano piacervi, e non perché saranno scritti di merda, ma proprio per quello che succederà.
Non so quando sarà il prossimo aggiornamento, vi spiego il motivo: è da tre anni che sto lavorando ad una storia e quest'anno l'ho ripresa in mano per correggerla e finirla e nulla vorrei riuscire a terminarla e portarla a quelche editore.
Speriamo bene!
Dio, sarebbe la realizzazione di un sogno.
Ora basta! hahahahah
a presto, spero!


Elisaku.

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