The Four Cardinal Points

di ChiiCat92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rain's Song ***
Capitolo 2: *** Flower Boy ***
Capitolo 3: *** Fyrefly ***
Capitolo 4: *** Knave of Hearts ***



Capitolo 1
*** Rain's Song ***


29/06/2014

 

Rain's Song

- Demyx -

 

Quando cadono nuove monete nella vecchia fodera della chitarra, Myde alza lo sguardo su chi è stato abbastanza generoso da privarsi di qualche spicciolo per lui e gli rivolge un sorriso.

Questa volta è una bambina dai capelli ricci, mandata dal padre che è poco distante.

Myde rivolge un sorriso anche all'uomo che si limita ad un cenno gentile del capo.

Non ci sono molte persone come lui in giro.

Decide di dedicare loro una canzone e comincia a suonare; la sua voce si alza chiara e cristallina nel vicolo. Qualcuno si ferma ad ascoltare, qualcuno lo guarda con sdegno, qualcuno gli lascia qualche moneta e allora lui torna a sorridere.

Le sue giornate sono più o meno tutte simili a questa, tutte passate in strada.

Ma quel giorno le cose sono leggermente diverse: il cielo è coperto di nuvoloni pesanti, qua e là si accendono lampi; si prospetta un temporale coi fiocchi.

Myde riesce quasi a sentire l'odore dell'acqua nell'aria; abituato com'è a vivere all'aperto ormai sa quando è il caso di correre al riparo.

Finisce di cantare la canzone che ha dedicato al signore gentile con la bambina riccia e comincia a raccogliere le monete dalla fodera infilandole attentamente in tasca. Le conta senza soffermarsi troppo e considera che non basteranno per dare da mangiare a tutti...ma se digiunasse lui allora sì.

Lo stomaco gli manda un brontolio di dissenso che viene prontamente ignorato: sono già tre giorni che digiuna, che saranno mai ventiquattro ore in più?

Ripone con cura la chitarra nel fodero e imbocca veloce la strada verso il supermercato: vorrebbe riuscire ad arrivare a fare tutto prima che scoppi il temporale.

In lontananza si sente un tuono e Myde si stringe nella sdrucita giacca di pelle per proteggersi dall'aria gelida che gli soffia contro.

Arriva al supermercato che ha già cominciato a piovigginare, le prospettive di tornare a casa asciutto si fanno minuscole.

Facendosi i conti, con i pochi soldi che ha fatto può prendere solo qualche panino e delle focacce dolci.

Sta già per andare alla cassa quando si sente chiamare a gran voce.

- Myde, Myde! - lui si blocca e si prepara a sorbirsi la solita, benevola, lavata di testa - Myde! Dio ti abbia in gloria! Ti fai sempre più magro! -

Viene praticamente assalito dalla dolcezza travolgente dell'abbraccio di una donna paffuta che gli arriva a stento al petto.

- Signora Connely, mi sono fatto più alto non più magro! -

Prova a sdrammatizzare lui, schiacciato dalla morsa della donna.

- E quando smetterai di crescere e cominciare ad ingrassare?! -

La donna appare materna e preoccupata, quindi Myde non se la sente di rispondere male.

- Presto signora Connely, lo prometto. -

- Me lo prometti tutte le volte! Ma poi ti ritrovo sempre così! - gli prende il viso scarno tra le mani e gli pizzica le guance, per il dolore gli occhi verde lime gli si riempiono di lacrime - Sei venuto a fare la spesa per i tuoi fratelli? -

- Sì signora. -

Sorride lui, mostrandole il pane e le focacce.

- E come va con la scuola? Riesci a seguire le lezioni? -

A quel punto, Myde inghiotte l'amaro che ha in bocca.

Come dire a quella gentile signora che ha smesso di andare a scuola già da un bel po'? Che vive di quel poco che riesce a guadagnare suonando per strada perché non riesce a trovare nessun tipo di lavoro neanche il più umile? Che da quando i suoi sono morti tutta la sua vita si è ribaltata?

- Tutto bene, riesco a fare tutto. -

Risponde, forzandosi a sorridere il più sinceramente possibile.

- Bene, bene! Dovrebbero prendere esempio da te i ragazzi d'oggi! Sei un ragazzo dal cuore d'oro! - la donna gli da una pacca sulla spalla, sorridendogli felice - Salutami tanto i tuoi fratellini e mangia mi raccomando! -

- Certo, certo. -

Ride lui, e cerca di scrollarsela di dosso prima che la bile gli riempia la gola e gli inasprisca il sorriso. Forse lei deve sentire il suo disagio, perché lo lascia andare e si allontana salutandolo con la mano.

- Andrà tutto bene, vedrai! -

Gli dice ancora, prima di imboccare l'uscita.

Niente va bene, niente sarebbe andato bene.

Con la magra spesa tra le braccia si avvia alla cassa, la testa pesante di pensieri e quelle parole che continuano a rimbalzare da una parte all'altra del suo cervello.

A 18 anni è troppo giovane per potersi caricare della responsabilità di quattro bambini, perché bambino lo è ancora lui.

Ma li amava troppo per permettere a degli assistenti sociali di portarglieli via, e da lì il passo di prenderne la custodia legale era stato breve.

Nonostante i sacrifici, le rinunce, la fame e la stanchezza, lui farebbe tutto esattamente come ha fatto: nessun rimpianto per i suoi fratelli.

Rivolge all'uomo alla cassa un sorriso forzato che non gli viene ricambiato, ma a lui non importa: è certo che in qualche modo la cordialità dispensata agli altri gli tornerà indietro.

Spesa tutta la “paga” guadagnata in quella giornata di “lavoro”, stringe al petto la busta e si prepara a correre sotto la pioggia che intanto ha cominciato a cadere copiosa e scrosciante.

Che meraviglia il fresco dell'acqua sul volto!

Lava via ogni stanchezza o sozzura.

Mentre tutti gli altri si coprono con ombrelli e cappucci, Myde si lascia accarezzare da quelle gocce fresche che creano melodie affascinanti colpendo gli oggetti più disparati.

Ascolta rapito il ticchettio dell'acqua su una grondaia, sul tettuccio di una macchina, persino sulla pelle del suo giubbotto: una musica che chi corre a nascondersi al coperto non può sentire.

Quasi canticchia, come se la pioggia fosse un basso ostinato su cui costruire una melodia.

Poi è un attimo, una sensazione, un brivido.

Con la coda dell'occhio, proprio lì all'entrata di un vicolo, vede una strana figura di un uomo incappucciato che lo scruta da lontano.

Si gira di scatto, ma quando gli occhi verdi inquadrano il vicolo dove aveva visto quella strana figura, l'unica cosa che vedono è pioggia e uno spazio vuoto.

Perplesso, scruta tutto intorno, ma della figura incappucciata nessuna traccia.

Non ci sono macchine abbastanza grandi dietro il cui potersi nascondere, ed è certo di averla vista in piedi e che non si stesse muovendo...come avrebbe potuto scomparire tanto velocemente?

Scrolla le spalle, forse ha semplicemente visto male!

Riprende a camminare, prima che il pane e le focacce si inzuppino, più velocemente...perché quella brutta sensazione che gli opprime il petto non l'ha ancora abbandonato.

Quando arriva a casa, non appena apre la porta, l'urlo all'unisono di vocette allegre lo accoglie, e circa tre secondi dopo viene assalito da quattro piccole bestioline bionde.

- Ehy! Piano! -

Ma è talmente contento di quell'accoglienza!

- Che hai portato oggi, fratellone?! -

Gli chiede la più piccola delle bestioline, una cosina minuscola dai grandi occhioni verdi che lo tira per una manica.

Lui le sorride dolcemente e le da un buffetto sulla testa.

- Focacce dolci per tutti. - i quattro bambini urlano un “sìììììì!!!” e stringono la presa su Myde che ormai si regge in piedi per miracolo - Allora, adesso basta, fate i bravi! -

Lui non alza mai la voce e quando succede è solo per causa di forza maggiore, i piccoli lo capiscono e lo lasciano andare.

Messi in fila davanti a lui sembrano una matrioska. Si somigliano come delle gocce d'acqua e il fatto che si scambiano poco più di due anni l'uno dall'altro aumenta l'effetto.

La più piccola, Mindy, di quattro anni, è la miniatura di Myrco, il più grande, di dieci, e Mary e Myriam, di sei e otto, si somigliano tanto da essere riconoscibili solo per la differente altezza. Certo, per l'occhio attento di Myde, ognuno di loro è diverso a modo suo, ma per chi li guarda da fuori non è così semplice. Hanno tutti capelli biondissimi e occhi verde intenso, sono le sfumature impercettibili delle iridi a renderli speciali.

Se Myde non fosse tanto giovane potrebbe passare per il loro padre piuttosto che per il fratello maggiore.

Myde li guarda sorridendo. I suoi quattro piccoli soldatini.

Come lui, anche loro sono magri, magri abbastanza da far capire che non mangiano abbastanza, ma sono anche alti, molto più dei bambini della loro stessa età, e questo un po' aiuta l'apparenza.

Hanno visini stanchi e ingenui, sono a malapena consapevoli della vita che stanno vivendo, e finché ha fiato in corpo Myde ha giurato che mai ne avrebbero sofferto.

Per questo sorride sempre, per questo è sempre felice, allegro, gioviale: per loro, per preservare la loro felicità il più a lungo possibile.

- Fratellone... - comincia Mary, le manine intrecciate dietro la schiena - ...ci hai portato anche una canzone? -

Myde sorride, annuendo piano. I bambini già fremono.

Lui non può portargli molto se non quel poco che riesce a guadagnare con le elemosina, ma i bambini non sono interessati alle cose materiali, ciò che desiderano con tutte le loro forze è la musica, quella che a Myde non manca mai.

Così ogni giorno, quando rincasa, il ragazzo fa in modo di avere una canzone nuova da cantare per loro.

- Però adesso lavatevi le manine per la cena, forza! -

I piccoli non se lo fanno ripetere e corrono via.

Myde ridacchia del loro entusiasmo.

Quei sorrisi riescono a tappargli il buco che ha nello stomaco.

Senza togliersi di dosso i vestiti bagnati va in cucina ad apparecchiare la tavola. In realtà...hanno così poco da mangiare che non sarebbe neanche necessario mettere piatti e stoviglie ma Myde vuole che i bambini imparino come si sta a tavola. Per questo si preoccupa di mettere tutto il necessario: piatti piani, piatti fondi, forchette, coltelli, cucchiai, bicchieri...

Un tempo a quel tavolo ci sarebbero stati anche i loro genitori. Ricorda le cene che facevano allora, quando tutto sembrava essere perfetto.

E dire che è bastata la distrazione di un camionista per distruggere la loro famiglia...

Myde scuote la testa, non vuole intristirsi, non adesso!

Tira su le labbra in un sorriso e si asciuga gli occhi umidi con il dorso della mano.

Su ogni piatto mette un panino e una focaccia, l'unico rimasto vuoto è il proprio, di cui neanche si preoccupa.

Mentre aspetta che i fratelli siano pronti, lui si toglie la giacca bagnata e la mette ad asciugare sull'attaccapanni.

Non ha più una stanza sua, ormai vivono tutti insieme ognuno nello spazio che riesce a ricavarsi.

Spogliatosi dei vestiti bagnati, si infila una tuta e ripone la chitarra sul lettone dove dormono.

La tira fuori dalla fodera e le lascia un po' prendere aria.

Era di suo padre, e ci è affezionato come poche altre cose al mondo.

Anche se la scambierebbe volentieri con qualcosa che possa garantire un futuro felice ai suoi fratelli.

Sospirando torna in cucina, dove già trova Myrco e Mary. Riserva ad entrambi una carezza sulla testolina bionda e intanto arrivano anche Myriam e Mindy.

Seduti tutti e cinque a tavola, Myde giunge le mani e invita con lo sguardo i suoi fratelli a fare lo stesso.

- Signore, benedici questo cibo che stiamo per prendere, e provvedi per quelli che non ne hanno, facci diventare sempre più buoni... -

- ...specialmente a Myrco. -

Borbotta Mary, a cui viene prontamente rivolta una gomitata.

- Fate i buoni. - li sgrida Myde e loro si ricompongono subito - Ti preghiamo di far sapere a mamma e papà che stiamo bene, e che sono sempre nei nostro cuori. Amen. -

- Amen. -

Rispondono in coro i bambini e poi cominciano a mangiare quello che hanno nel piatto.

Benché abbiano una fame da lupi, nessuno di loro si avventa con foga sul cibo, anzi, lo consumano con attenzione e in religioso silenzio, come se fossero consapevoli che quello potrebbe essere l'ultimo pasto per molto, molto tempo.

- Fratellone ne vuoi un pezzetto? -

Mindy gli porge un pezzo della sua focaccia e Myde le sorride con dolcezza.

- No tesoro, grazie. Ho mangiato qualcosa venendo a casa. -

Una bugia se detta a fin di bene non può essere una brutta cosa, no?

Mindy lo guarda con gli occhioni verde bosco grandi e sinceri. Scrutano dentro di lui e per un attimo si sente tanto nudo che teme che lei possa vedere qualcosa che non dovrebbe. Poi si stringe ingenuamente nelle spalle e sorride anche lei.

- Va bene. -

E finisce di mangiare la sua focaccia, sbocconcellandola lentamente.

Quando tutti e quattro hanno finito di mangiare, lo stomaco di Myde è più vuoto e dolorante che mai. Alzandosi da tavola comincia a sentire la gambe tremare, ma niente trapela dal suo sguardo o dal suo viso.

- Adesso possiamo sentire la canzone? -

Saltella Myriam, impaziente sulla sedia.

- Certo...ma prima c'è qualcosa che bisognerebbe fare. -

Myde lascia che siano i bambini a dirlo.

- Rassettare la cucina! -

Batte le mani Mary, che sa di aver detto la cosa giusta.

Il ragazzo annuisce e allora i quattro fanno del loro meglio per sistemare nella credenza i piatti che non hanno sporcato, mentre Myde raccoglie le molliche e ripiega la tovaglia.

Dopo di che i piccoli, adesso decisamente eccitati, si siedono sul tappeto del salotto e si mettono in attesa.

Myde prende la chitarra in stanza e si siede in mezzo a loro, disposti a semicerchio e già attenti per ascoltare.

- Questa qui è una canzone che mi ha ispirato la pioggia. -

Il ragazzo lascia che i bambini si concentrino sul suono scrosciante del temporale che si abbatte contro le finestre della piccola casa prima di cominciare a suonare.

L'acqua li culla, li rassicura, e lentamente le note che escono dalla chitarra di Myde aggiungono parole a quella melodia altrimenti silenziosa.

Canta sottovoce, canta di quello che la pioggia gli ha sussurrato, canta dell'acqua che lo ha rinfrescato quando aveva caldo e che gli ha lavato le ferite, canta dell'oceano che anche se è grande e vasto è comunque formato da tante piccole gocce d'acqua.

Quando finisce di suonare ha gli occhi inaspettatamente umidi e i bambini si sono addormentati, l'uno sull'altro come dei piccoli gattini.

Myde sorride e poggia la chitarra sul divano. Porta ad uno ad uno i fratelli a letto, li sistema sotto la coperta e riserva un bacio sulla fronte ad ognuno di loro.

Anche se è stanco non sente ancora il bisogno di andare a letto, per cui si affaccia alla finestra per godere un po' di quell'aria umida.

Continua a piovere e la notte non gli è mai sembrata tanto buia...o è solo sua impressione perché quei nuvoloni neri e gravidi d'acqua nascondono la luna e le stelle? O forse perché ha addosso un'ingiustificata brutta sensazione?

Il buio gli mette i brividi per cui richiude la finestra, come se la sicurezza della sua casetta possa difenderlo da tutto quanto c'è di brutto là fuori.

Fa il giro in due stanze delle quattro che compongono la casa, cercando qualcosa da mettere in ordine, ma non trovando niente che valga davvero la pena sistemare, sospira e se ne va a letto.

I bambini dormono ordinatamente, anche nel sonno hanno imparato a fare i bravi, proprio come lui gli dice sempre di fare. Gli lasciano un angolino giusto giusto per stare disteso, non comodissimo, ma meglio di niente.

Si sdraia e abbraccia Mindy, che è quella più vicina a lui, con un braccio. È talmente piccola e minuta che sembra un peluche. Lei gli si accoccola in automatico al petto sospirando tranquilla e a lui viene spontaneo sorridere.

Myde si addormenta talmente tanto in fretta da non rendersene neanche conto.

 

A svegliare il ragazzo nel cuore della notte è uno strano rumore, come di un animale che sgranocchia.

In un primo momento non ci fa tanto caso, e si gira su un fianco, cercando di riprendere sonno.

Solo che, nel voltarsi, schiaccia Myrco che reagisce come suo solito, ossia dandogli un morso dove capita prima. Stavolta gli stampa le due arcate dentali su un braccio e lui salta in aria per il dolore.

È abbastanza abituato ai morsi e ai pizzicotti di Myrco, e ormai non lo sgrida neanche più, dato che la maggior parte delle volte sono solo riflessi condizionati durante il sonno. Forse dovrebbe solo smetterla di schiacciarlo girandosi da una parte all'altra del letto e...

Crunch crunch crunch

Ancora quel suono, quello “sgranocchiamento” che l'ha svegliato! Ma da dove viene?

Si strofina gli occhi e sbadiglia per cercare di svegliarsi e mettere a fuoco la stanza.

Quando i suoi occhi sono spalancati l'unica cosa che colgono è il buio.

Buio e ancora buio.

Si sporge sul comodino e prova a far scattare l'interruttore della abat-jour. Sente click ed è già pronto a vedere la luce illuminare la stanza. Ma non succede niente. Lo fa scattare ancora e ancora ma la lampadina non vuole saperne di accendersi. Che si sia fulminata?

Allora si alza, a tentoni si dirige verso il salotto e anche lì prova a far scattare l'interruttore.

Niente.

Aggrotta le sopracciglia, perplesso.

Magari il temporale ha fatto saltare il contatore” gli suggerisce una voce nella sua testa.

Sì, potrebbe essere.

Con le mani avanti per evitare di andare a sbattere contro qualcosa cerca l'interruttore generale della corrente, vicino alla porta d'ingresso.

Sotto le dita sente perfettamente che l'interruttore risulta acceso, anche se la corrente manca.

- Ho pagato la bolletta... -

Mormora tra sé e sé, cercando di fare i calcoli.

Non possono avergli sospeso l'erogazione, è in pari con i conti! Ha pagato poco meno di una settimana prima!

Con il cervello che comincia davvero a sovraccaricarsi, Myde prova a far scattare ancora e ancora l'interruttore generale, ma...niente.

Crunch crunch crunch.

Salta in aria. Il suono di sgranocchiamento è ancora più vicino!

Si guarda intorno, terrorizzato, indeciso se correre dai suoi fratelli o se dare un'altra occhiata in giro.

Nel salotto c'è ancora la sua chitarra. Per qualche ragione la prima cosa che fa è andare a prenderla. La sensazione del legno contro il petto gli da subito una sensazione di sicurezza.

Crunch crunch crunch.

Viene dalla cucina. Si convince che si tratta di un animale, sicuramente di un animale, entrato forse da qualche finestra o da un buco nel soffitto e che ora si è messo a razziare il loro cibo.

È una rassicurazione così convincente che non si rende conto del fatto che non c'è proprio niente in casa da mangiare, e che un animale se ne sarebbe fatto una ragione e sarebbe andato subito via.

Entrato in cucina gli tremano abbastanza le gambe da avere voglia di scappare via ma quello che vede lo fa rimanere di sasso.

Quelli sul pavimento che sembrano stare divorando i mobili non sono animali, o almeno non somigliano a niente di quanto Myde ha visto nella sua vita e poi associato alla parola “animale”.

Sembrano enormi formiche nere, con occhi gialli tanto grandi e luminosi da essere gli unici punti luce in tutto quel buio.

Con il panico che gli attorciglia la gola, Myde capisce che quegli esseri non stanno mangiando ma stanno facendo sparire qualsiasi cosa toccano.

Sono loro il motivo per cui non c'è luce, il ragazzo lo capisce subito...loro l'hanno mangiata, come hanno mangiato metà della cucina che adesso è solo un pozzo oscuro.

Spingendosi indietro, Myde urta un barattolo vuoto che fa un gran rumore.

Le creature dagli occhi gialli si accorgono allora della sua presenza. Emettono uno strano verso soddisfatto, come se finalmente avessero trovato quello che stavano cercando...e prima che Myde possa fare qualcosa gli sono già addosso.

Il ragazzo sente il fiato morirgli in petto, ma la sua reazione è praticamente immediata: afferra la chitarra per la tastiera e la usa come una mazza per colpire gli esseri oscuri, dopo di che chiude la porta della cucina a chiave. Quanto può resistere? Non molto, perché vede che l'oscurità avanza, e presto divoreranno l'inutile protezione della porta chiusa.

Il ragazzo corre verso la stanza da letto, affannato.

- Presto, svegliatevi! In piedi! -

Urla, e i suoi fratelli saltano in aria come petardi.

- Che succede fratellone? -

Mormora Mary, sbadigliando.

- Infilatevi le scarpe, dobbiamo andarcene! Subito! -

Anche se nel buio non riesce a mettere bene a fuoco i faccini dei suoi fratelli, è certo che siano terrorizzati.

- Myde? -

Chiama Myrco, che mai, mai lo chiama con il suo nome se non quando è davvero spaventato.

- Non fate domande, muovetevi e basta! -

Mindy, che è la più lenta e la più piccola, non sembra capire che sta succedendo, quindi Myde se la carica sulle spalle e prende con sé anche Mary, facendo in modo di avere le braccia libere per tenere la chitarra: per qualche ragione, sa che non può lasciarla.

Myriam e Myrco sono veloci a prendere i loro zainetti pieni delle cose essenziali e con Myde imboccano subito l'uscita.

Intanto, gli esseri chiusi in cucina sono riusciti ad abbattere la porta e si stanno riversando nel salotto.

I bambini lanciano un urlo terrorizzato appena vedono quegli occhi giallo accesi che li fissano, affamati.

Sono almeno una ventina! Prima non erano così tanti!

Myde libera la strada prendendoli a colpi di chitarra, ad ogni tonk sulle teste scure sente lo strumento traballare e lanciare una debole eco di suono, come un lamento.

- Via, via! Correte! -

Myriam e Myrco non se lo lasciano dire e corrono fuori, con Myde che riesce a tenere a bada quegli esseri almeno finché non sono tutti fuori.

Ma appena arrivano in strada capiscono che non c'è nessun luogo sicuro: la città è infestata di creature nere dagli occhi gialli che divorano tutti quello che incontrano, trasformandolo in oscurità pura.

- Myde... -

Piagnucola Mindy, stretta al suo collo.

- Andrà tutto bene, tesoro. -

Dice solo lui, ma non ci crede, non ci crede più.

Myde non ha intenzione di abbandonare i suoi fratelli.

Anche se non sa dove andare continua a dire a Myriam e Myrco di correre, di correre avanti.

Ma ovunque vadano c'è solo oscurità, solo oscurità e creature dagli occhi gialli.

Cosa diavolo sta succedendo?!” pensa Myde, sempre più terrorizzato, sempre più consapevole che non c'è via d'uscita da quell'inferno buio.

- A-aaah! Myde! -

Il ragazzo vede come a rallentatore Myriam che cade a terra e una creatura artigliarle la gamba.

Lui ringhia come un animale inferocito e colpisce quell'essere con tutta la sua forza per liberare la bambina.

La chitarra, che non può davvero sopportare altri colpi, finisce con l'andare in frantumi.

Myde non ci fa neanche caso, prende Myriam tra le braccia e poi comincia a tirare per una mano Myrco.

Non sa dove andare, non sa cosa fare, tutte le strade sono piene di oscurità, un'oscurità viva che brulica di piccoli occhi cattivi.

Senza poter fare niente, Myde si ritrova circondato. È rimasta solo una strada da imboccare e lui, senza pensarci, la prende.

Dieci metri più in là si rende conto di essere entrato in un vicolo cieco.

I bambini piangono e per lui è il suono più devastante che possa esistere.

Li lascia scendere dalle sue braccia e si mette davanti a loro per proteggerli con il suo corpo.

- Myde che vuoi fare? -

Piange Mary.

- Stai indietro, state indietro tutti e quattro! -

Ha la voce così dura e fredda che non sembra neanche la sua.

I piccoli rabbrividiscono e si stringono gli uni contro gli altri.

Pochi istanti dopo, migliaia di occhi gialli e famelici riempiono il vicolo.

Gli esseri sbucano fuori dalle pareti, dal terreno, ovunque ci sia una macchia di oscurità ci sono anche loro.

Myde non ha altra arma che le sue mani e il suo amore per i suoi fratelli.

Quando le creature gli saltano addosso lui combatte, combatte come un leone, ma per quanto possa essere aggressivo, quegli esseri non muoiono, scompaiono per qualche istante...per poi ricomparire esattamente come prima.

Almeno, sembrano essere distratti dal suo disperato tentativo di difendersi, perché per il momento lasciano stare i bambini e questo da a Myde la forza per continuare a combattere.

Il dolore arriva all'improvviso, così netto e intenso che gli mozza il respiro. Sgrana gli occhi verdi e cade in ginocchio, reggendosi il petto trafitto.

Sanguina, uno di quei così l'ha artigliato con forza.

Ha ancora abbastanza energie per allontanare da sé due o tre di quelle creature, poi il dolore si fa insostenibile, così tanto che il suo cuore non regge.

All'improvviso smette di battere, e gli esseri lo sovrastano, divorandolo.

Il suo ultimo pensiero è di rabbia: perché non è stato abbastanza forte da proteggere i suoi fratelli?

Poi tutto diventa buio.

 

- Svegliati. -

È una voce profonda, oscura, una voce che gli mette addosso un senso di rispetto e paura.

Apre piano gli occhi e subito sente che qualcosa non va: non sente più battere il cuore.

Il suo sguardo si poggia sulla figura che ha davanti...ha un che di familiare, con quel cappotto nero e lungo. Dove può averlo già visto?

- Che cosa è successo? -

Sente la propria voce terribilmente atona, come se non fosse più in grado di esprimere alcuna emozione. La cosa peggiore è che non prova neanche paura per tutto quello.

- Il tuo mondo è caduto preda dell'oscurità. -

- Che vuol dire? -

La figura tace per un istante, poi risponde.

- Vuol dire che non esiste più. -

Myde vorrebbe urlare, vorrebbe disperarsi, vorrebbe piangere e impazzire ma...dentro di sé tutto tace, tutto è immobile e silenzioso.

Si porta una mano al petto dolorante, stringendolo.

- Sono morto? -

- No. -

- E allora? -

I suoi occhi verdi, più smarriti che mai, cercano quelli dell'uomo sotto il cappuccio, senza però trovarli.

- Il tuo cuore è stato divorato da creature che noi chiamiamo Heartless. Quel che è rimasto di te è tornato in vita. -

- Quindi...sono vivo? -

Fa fatica a comprendere, e il fatto di non riuscire a sentire nessuna emozione lo confonde solo di più.

- La tua è una vita di mezzo, adesso non sei né morto né vivo, né parte della luce né parte dell'oscurità, sei un Nessuno. - Myde si guarda intorno, sempre più confuso. I pensieri che gli agitano la mente sono troppo contorti per aiutarlo a capire. Non conosce il posto in cui si trova...non conosce neanche più se stesso. L'unica cosa che sa è che è il crepuscolo, che l'umidità nell'aria è molto bassa, e che l'arancione del tramonto quasi gli ferisce gli occhi. L'uomo incappucciato fa un gesto con la mano e davanti a lui si materializzano le lettere del suo nome: Myde. - Hai la possibilità di essere un nuovo te stesso. - le lettere si confondono, gli girano intorno, la luce lo acceca per un attimo e poi... - Demyx. -

- Demyx. -

Ripete lui, cercando di sfiorare la X materializzata nell'aria, ma quella sparisce subito in uno sprazzo di scintille, e lui socchiude gli occhi, infastidito dalla troppa luce.

- Vieni con me, ti darò un posto dove stare, uno scopo. Vieni con me, insieme ritroveremo il tuo cuore. -

- Il mio cuore... -

Mormora lui, tenendosi stretto il petto con una mano. Senza neanche pensarci annuisce.

L'uomo, sotto il cappuccio, sorride.

Nell'aria si apre un varco oscuro e Demyx sente per istinto di dover entrare in quel vortice di oscurità.

Mentre lo attraversa, una canzone gli riempie la mente e il bisogno di esprimerla è tanto impellente che si ritrova a canticchiarla senza accorgersene.

Quella melodia è forse familiare, forse sconosciuta, però gli ricorda la pioggia.




The Corner

Ciao a tutti e ben trovati!
Questa piccola raccolta di shot è, a tutti gli effetti, il mio ritorno nel mondo della scrittura!
Cercherò di pubblicarne una al giorno, quindi sarà una cosa facile e indolore, eh? 
Grazie a tutti e a riserirci! 

Chii
 

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Capitolo 2
*** Flower Boy ***


Flower Boy

- Marluxia -

 

Quel che gli piace della primavera non sono tanto le belle giornate, l'aria tiepida o i vestiti leggeri, ma il profumo dei fiori che si spande ovunque per le strade.

È un profumo che inebria e per chi sa seguirlo può riservare dolci sorprese.

È così che Auramil ha scoperto il giardino segreto dietro un vecchio palazzo abbandonato, un piccolo pezzetto di terra coperto da migliaia di fiori di tutti i colori.

Quando quello che ha attorno gli sembra troppo da sopportare, lui si rifugia lì, in quell'angolo dimenticato dal mondo.

Solo così riesce a sentirsi perfettamente a suo agio.

I fiori non lo giudicano, rimangono a bearsi delle sue attenzioni in silenzio, lui ne sfiora i petali, li libera delle erbacce, li nutre, e loro sembrano fremere e ringraziarlo con il loro buon profumo.

Quel giorno, i fiori selvatici accolgono il ragazzo più sconsolato che mai.

Gli occhi blu grondano lacrime e lui trema tutto come scosso da un terremoto.

Si accascia in mezzo ai papaveri, urlando disperatamente.

“Perché piangi?” gli chiedono le margherite.

“È tutto apposto, adesso calmati” sussurrano le mimose.

Ma lui, stretto nel suo dolore, non riesce a sentirli.

Il volto scarno e pallido è gonfio di lividi, le labbra sono spaccate e sanguinanti, l'occhio sinistro è talmente gonfio da non riuscire a restare aperto.

L'hanno picchiato di nuovo: ecco cosa è successo.

Il profumo dei fiori lo tranquillizza, presto le lacrime cessano di bagnargli il viso, ma i singhiozzi rimangono a scuoterlo.

La luce del sole primaverile lo sfiora con dolcezza. Quella è l'unica carezza che può sperare di ricevere.

Si asciuga piano gli occhi, cercando di non toccare troppo quello tumefatto, e si tira su a sedere.

Accarezza con un sorriso i petali di un papavero che gli tocca la gamba. È stato solo il vento a spingerlo contro di lui, ma Auramil, per soddisfare il suo bisogno di attenzioni, si convince che il fiere stia tentando di confortarlo.

- È tutto okay. - dice al papavero, la voce roca per il troppo piangere - Adesso è finita, sto bene. -

Come se quel piccolo fiore potesse capirlo.

Non è e non sarebbe stata l'ultima volta che subisce violenza, ormai aspetta di essere picchiato come si aspetta l'alba.

Ma non gli interessa neanche più: il suo corpo pian piano sta diventando insensibile. Sono i lividi e le contusioni a mostrare quanto invece stia soffrendo.

Le motivazioni di tanta aggressività sono le più disparate, e lui non le cerca neanche più. Tanto i suoi aguzzini non parlano mai.

Qualcuno se la prende con lui per il colore rosato dei suoi capelli, altri perché ama i fiori, altri ancora perché è una giornata noiosa e non c'è niente di meglio da fare.

In ogni caso vale sempre la pena picchiare il piccolo Auramil, tanto...lui non si difende.

Anche se ci provasse guadagnerebbe solo altre botte per il semplice motivo di averci provato: è un circolo vizioso dal quale non può scappare. E ormai lui è rassegnato al suo destino.

Sospira, il cuore finalmente tranquillo. Come sempre i fiori lo aiutavano a sentirsi meglio. Rivolge loro un sorriso e si prepara a tornare nel mondo, quel mondo orrendo che non lo accetta per quello che è e che è sempre pronto a sputargli contro i suoi figli più cattivi.

Attento a non schiacciare nessuno dei suoi silenziosi amici, Auramil lascia il suo piccolo giardino segreto.

Prima di uscire sbircia da un foro nella staccionata, per vedere se i ragazzi che l'hanno picchiato sono ancora nei dintorni. Accertatosi di essere solo, solleva una tavola marcia ed esce, tornando in strada.

Forse per oggi hanno smesso di dargli il tormento.

Lui è piccolo e corre veloce, capacità che gli ha salvato la vita più e più volte, ma i suoi persecutori sono davvero tenaci.

Nasconde il viso tumefatto nel cappuccio della felpa e infila le mani in tasca.

I suoi occhi blu continuano a guardarsi attorno, le gambe magre, anche se instabili, mantengono un passo il più possibile veloce: prima arriva a casa, meglio sarà.

- Eccolo! -

Al solo sentire quella voce, Auramil ha brivido tanto forte che quasi cade a terra.

- Prendetelo! -

Dice qualcun altro.

“Corri, corri!” gli sussurrano le voci dei suoi amici fiori, ancora abbastanza vicini perché possano provare ad avvertirlo.

E lui corre.

Sente il cuore esplodere per la paura ma non si ferma. Non ha più voce per urlare né lacrime da piangere, per cui si concentra solo sulla sua corsa a perdifiato.

Casa è vicina, vicina! Solo un'altra traversa e sarà salvo!

Sta già pregustando la sicurezza delle mura domestiche quando si sente tirare per il cappuccio. Nella corsa gli è scivolato via e ha creato un buon appiglio per chiunque gli fosse abbastanza vicino da prenderlo.

Gli manca improvvisamente l'aria mentre lo tirano indietro e lo sbattono sull'asfalto.

Un ragazzino grande il triplo di lui gli è sopra in un attimo e lo fissa con aria cattiva.

- Pensavi di scapparci, flower boy? - i ragazzi che gli stanno attorno ridono di gusto. Auramil trema tutto e non emette un fiato. Il ragazzo lo afferra per il bavero e lo tira a sé. - Sei talmente frocio che non riesci a dire niente? -

- Lasciami andare... -

Sussurra lui, con la voce piccola e stridula.

Altre risate da parte dei ragazzi.

- E perché? Non abbiamo finito di divertirci con te! - Auramil ansima qualcosa che la sua voce non riesce a dire, prima che un pugno in pieno stomaco gli faccia sputare una boccata di sangue - Che facciamo con questo frocetto? - chiede il ragazzo ai suoi compari, con un sorriso cattivo sulle labbra.

- Un frocio come lui dovrebbe camminare nudo, tanto del pisello non se ne fa niente. -

- Hai ragione! -

Auramil prova debolmente a dibattersi, ma comunque i ragazzi cominciano a spogliarlo, strappandogli la felpa di dosso.

Lo lasciano nudo come un verme nel bel mezzo della strada.

I passanti aggirano il gruppetto di ragazzi abbassando la testa, come se questo bastasse per far sparire il misfatto.

Nessuno verrà a salvarlo, e lui lo sa.

Con le lacrime agli occhi si rannicchia su se stesso, subendo le ingiurie di quei ragazzini senza cuore.

Piange, e più piange più lo picchiano, perché piangere è da froci.

Quando hanno fatto di lui tutto quel che volevano, lo lasciano nella polvere.

- Ci vediamo domani, flower boy. -

Gli sussurra all'orecchio il capetto del gruppo, e gli assesta un calcio.

Le risate dei ragazzi gli riempiono le orecchie finché, svoltato l'angolo, lentamente non si affievoliscono.

Auramil rimane rannicchiato su se stesso per un tempo che gli sembra infinito, il dolore anestetizza i suoi pensieri. Quando si rialza si copre come può, vergognandosi da morire.

La gente lo guarda, indignata, fingendo di non aver visto come quei bulli l'hanno picchiato e spogliato, riducendolo in quello stato.

Il piccolo corpo esile, di cui si intravvedono tutte le ossa, è gonfio di lividi, la bella pelle chiara è diventata violacea.

Riesce a raggiungere casa e a chiudersi la porta alle spalle prima di impazzire.

Il buio e il silenzio di quelle mura lo accolgono come un abbraccio. Sente l'odore delle rose provenienti dal giardino e il suo corpo tremante lentamente di placa.

Sua madre non è in casa, e lui ha tutto il tempo di nascondere quello che gli è stato fatto.

Si trascina nella sua stanza dove si mette qualcosa addosso sentendosi orribilmente sporco e sbagliato.

Poi va in bagno a sciacquarsi via dal viso ogni traccia di sangue, lacrime e dolore.

Il ragazzino che vede allo specchio, quello dal viso smunto, pallido, gli occhi privi di espressione e gioia di vivere, dall'indomabile chioma rosata, è il motivo per cui viene continuamente picchiato.

- Ti odio, flower boy. -

Si ritrova a sussurrare alla sua immagine riflessa, versando altre lacrime.

Ignora lo specchio e si concentra solo sulla freschezza dell'acqua sulla pelle. Proprio come i suoi amati fiori, anela la sensazione dissetante che trae dal bagnarsi il viso.

Si lega i capelli alla bell'e meglio e, tirando su col naso, comincia a truccarsi.

Non può fare niente per l'occhio gonfio, ma quanto meno può nascondere lividi e tagli sotto strati di ben posizionato fondotinta. Sua madre sarà troppo stanca per il lavoro per accorgersi di qualcosa.

Il trucco funziona, ma è sempre quello che sembra: un ragazzino che è stato violentemente picchiato.

Scuote la testa e cerca di allontanare dalla mente l'immagine che ha visto allo specchio. Basta, è insopportabile.

Ora deve solo essere forte abbastanza da recitare fino alla fine di quella giornata.

Ed è esattamente quello che fa.

 

L'indomani, l'idea di dover andare a scuola gli fa venire la nausea ed è quasi tentato di dire a sua madre che non si sente bene e che vuole rimanere a casa.

Ma sa che, sulla strada per la scuola, potrà fare tappa al suo giardino segreto...e questo lo fa subito sentire meglio.

Prima di scendere a fare colazione si trucca un altro po', l'occhio non sembra più così brutto...o è solo la quantità di trucco che ci ha messo sopra tra il giorno prima e quella mattina?

Non ci pensa, infila solo la tuta da ginnastica, riempie la borsa e scende giù.

- Buongiorno fiorellino. -

Lo saluta sua madre, leggera e frivola come sempre, che a malapena si accorge che cosa le succede attorno.

Auramil la invidia, per molti motivi. È molto femminile, longilinea, bella e pura come un giglio, mentre lui...lui è brutto, e messo a paragone con lei non si potrebbe credere che sono madre e figlio.

L'unica cosa che li accomuna è il colore degli occhi: entrambi li hanno blu elettrico. I capelli, a detta di sua madre, li ha presi dal padre che non ha mai conosciuto. Peccato, se ne avesse avuto la possibilità gli avrebbe tirato un calcio nelle palle: che razza di eredità sono dei capelli rosa?!

- Io vado, buona giornata. -

Si porta dietro un toast, da un bacio sulla fronte a sua madre ed esce.

Percorre la strada con ansia sempre crescente, vuole solo caricarsi dell'energia benefica dei fiori prima di affrontare un'altra terribile giornata.

Come sempre controlla bene che non ci sia nessuno prima di sollevare la tavola della staccionata e svicolare all'interno del cortile abbandonato.

Subito il profumo dei fiori gli riempie i polmoni.

È sua impressione o le piccole piantine gli rivolgono un saluto gioioso? Lo coglie nell'ondeggiare delle corolle e nel fremere dei petali.

Si siede in mezzo alle margherite e lì rimane per un tempo lunghissimo...lunghissimo e felice.

Ma sa che là fuori, nel mondo reale, il tempo sta scorrendo anche troppo velocemente e che non può crogiolarsi ancora, per cui saluta i suoi amici e abbandona il suo giardino segreto.

Nonostante tutto ha un gran sorriso sulle labbra e il profumo dei fiori gli solletica ancora il naso. Si sente quasi ubriaco da tutta quella dolcezza, tanto che non gli importa degli sguardi cattivi che, come sempre, gli rivolgono i ragazzi a scuola. Lui sorride e basta.

La campanella suona proprio quando Auramil imbocca il portone d'ingresso. Sapere che il suo giardino segreto lo aspetta dopo scuola gli da la carica...anche se a prima ora c'è ginnastica.

Imbocca il corridoio verso gli spogliatoi, sente già il vociare dei compagni.

Buona parte di loro fanno parte del gruppo di bulletti che gli danno il tormento, ma a lui non importa.

Quando entra sente tutti gli occhi addosso, cosa a cui ormai è abituato.

- Flower boy! -

Lo addita qualcuno, non vuole neanche sapere chi.

Ovviamente i suoi compagni cominciano a ridere di gusto.

- Che ci fai nello spogliatoio dei maschi? Dovresti essere in quello delle femmine! -

Gli dice qualcun altro.

Ignora, ignora, ignora. Si avvicina ad un armadietto e vi poggia dentro le sue cose. Dato che è già pronto non ha bisogno di cambiarsi per fare ginnastica, quindi fa per andare in palestra.

- Guarda che stavamo parlando con te. - il ragazzo che l'ha picchiato e lasciato nudo appena il giorno prima gli si para davanti - Oltre ad essere frocio sei anche sordo? - gli afferra un orecchio e glielo tira. Ormai Auramil non grida neanche più, fa solo una piccola smorfia e cerca di assecondare i movimenti della sua mano in modo da non provare troppo dolore - Chi ti ha mangiato la lingua? Eh? - il ragazzo gli torce l'orecchio e Auramil non fa una piega. Visto che non deve essere divertente per lui fare il bullo con qualcuno che neanche si lamenta, il ragazzo gli da una spinta e lo fa ruzzolare a terra. - Sei più inutile di un corpo morto. -

Gli dice solo, e in effetti...Auramil è così che si sente: morto.

Tutto l'ottimismo di cui i fiori l'avevano caricato...svanisce in un secondo.

 

Durante la giornata ha desiderato di essere morto, come aveva detto quel tipo, un bel po' di volte. Quando l'avevano chiuso nell'armadietto delle scope per due ore intere, quando gli avevano fatto lo sgambetto in mensa facendolo cadere addosso al suo stesso vassoio, quando gli avevano scritto sul banco con dello smalto rosa “Flower boy”.

Tutti buoni motivi per essere morto, ma ce n'era ancora uno per rimanere vivo.

Con il pensiero fisso al suo giardino, affronta tutto, sopporta tutto, e quando suona l'ultima campanella lui è il primo a scappare fuori.

Sa che anche oggi lo inseguiranno per dargli il tormento, e non vuole rendergli di certo le cose facili.

- Non scapperai frocetto. -

Sussurra alle sue spalle il capo dei bulletti di cui, sinceramente, non ricorda neanche il nome: non ci tiene per niente a sostituire informazioni importanti con una di cui non gli importa nulla.

Stringe forte al petto lo zaino con i libri e si getta nella sua corsa quotidiana contro il dolore, un buon modo per mantenersi in forma...no?

- Corri frocetto corri! -

E lui corre, ma non perché glielo dicono loro.

Gli sembra di non aver fatto molto altro durante il corso della sua vita se non correre e correre.

Correre per scappare soprattutto.

È così stanco di scappare...vorrebbe essere forte abbastanza da riuscire a rimanere e combattere.

Mentre corre si guarda indietro e facendolo inciampa nei suoi stessi piedi e ruzzola in avanti.

Va a sbattere contro le gambe di qualcuno e quando alza lo sguardo per chiedere scusa rimane paralizzato dalla paura.

L'uomo che ha davanti, avvolto da un mantello nero, ha il volto nascosto da un cappuccio, ma anche così riesce a vedere i suoi occhi gialli e penetranti che lo guardano altezzosi.

- S-scusi. -

Riesce a balbettare, dopo di che riprende a correre con il cuore che gli batte tanto forte in petto che quasi non riesce a sentire altro.

Non si chiede neanche chi diavolo fosse quell'uomo incappucciato, anzi, se lo dimentica praticamente subito, non appena un sasso gli colpisce la testa.

- Flower boy, flower boy! -

Lo canzonano i ragazzini e continuano a lanciargli i sassi.

Lui sente la paura prendergli il cuore.

Svolta l'angolo nel disperato tentativo di sfuggirgli.

Lancia un'occhiata alle sue spalle, riuscendo anche a non cadere, e vede che nessuno lo sta più seguendo.

Decide di infilarsi oltre la staccionata che delimita il suo giardino e immediatamente si sente al sicuro.

Sospira, sollevato, e si lascia cadere tra i fiori.

- Sono salvo. -

Mormora tra sé e sé, fissando il cielo azzurro che lo sovrasta. Tutto è così tranquillo e meraviglioso, il vento accarezza piano i suoi fiori e lui si sente...felice.

- Non poteva esserci posto più frocio per un frocio come te. -
Auramil si sente morire.

L'hanno seguito, l'hanno seguito! Hanno violato il suo giardino!

Il cuore gli esplode in petto, sente quasi un chiodo trafiggerlo.

- A-andatevene via! -

Alza la voce, che sembra solo stridula e roca come quella di un bambino.

I ragazzi ridono e il capo scuote la testa.

- E così è qui che ti nascondi tutti i giorni... - si abbassa e strappa una margherita da terra. Auramil può quasi sentire il dolore del fiore che viene estirpato e muore all'istante - ...dovevamo immaginarcelo da te, flower boy. -

Il ragazzo lancia il fiore per terra e lo schiaccia.

- Fermo. -

Mormora lui, gli occhi blu pieni di lacrime e rabbia.

- Ah, non vuoi che faccia del male ai tuoi fiorellini? -

Lo prende in giro il bullo che subito di abbassa e raccoglie una grande manciata di fiori che poi strappa e straccia come fossero pezzi di carta.

- Fermo, devi stare fermo! -

Urla Auramil e gli è addosso in un attimo. Peccato che lui sia tanto più piccolo di quel bullo, e tanto più debole e tanto più inesperto.

Gli viene assestato un pugno allo stomaco e si accascia sul prato che profuma di terra smossa.

- Hai osato tentare di colpirmi? - ride il bullo con aria divertita - Avete visto anche voi? - si rivolge ai cinque scagnozzi che gli vanno dietro - Il frocetto pensa di potersi ribellare! - il ragazzo lo afferra per i capelli e lo tira verso l'alto, costringendolo in ginocchio - Adesso la pagherai. Addosso ragazzi! -

Auramil, per la prima volta dopo tanto dolore, urla. Urla con tutto il fiato che ha in corpo mentre lo picchiano, mentre fanno a pezzi ogni parte di lui. Ma non urla per se stesso, urla per i fiori che loro stanno calpestando e strappando, per il suo giardino che viene distrutto insieme con lui.

Sente il gusto del sangue inondargli la bocca, un dente scheggiato gli ferisce la lingua.

Tremante e sull'orlo di perdere di sensi, Auramil si appallottola su se stesso cercando di attutire i colpi.

- Vedi che cosa facciamo dei tuoi stupidi fiori? -

Il bullo strappa davanti ai suoi occhi i suoi amati papaveri e Auramil sente il loro dolore, sente la loro sofferenza prima ancora della sua.

- Basta, fermati, fermati! -

Piange senza ritegno mentre quei bulli ridono di gusto.

Gli stanno portando via la cosa più importante che abbia mai avuto, e ridono!

Lo hanno picchiato a sangue, lo hanno riempito di insulti, lo hanno ridotto ad uno straccio, ma lui non aveva mai, mai detto niente, neanche quando il dolore era stato così insopportabile da non farlo dormire la notte, perché aveva il suo giardino, il suo angolo di paradiso in quell'inferno.

E adesso lo stavano distruggendo.

Si alza, tremante e instabile sulle gambe.

Prova a gettarsi contro il bullo, un pugno stretto dalla rabbia.

Il ragazzo lo blocca senza troppi problemi, e gli assesta una ginocchiata allo stomaco che lo fa cadere di nuovo per terra.

Sputa sangue ma si rialza ancora e ancora tenta di colpirlo.

Di nuovo viene facilmente bloccato e di nuovo viene colpito tanto da farlo ricadere.

- È inutile che continui, flower boy, non vincerai mai, non sarai mai forte abbastanza. -

Ride il bullo.

Auramil vorrebbe riuscire a muoversi, ma non sente neanche più le gambe e può solo assistere inerme alla scena di quei ragazzi che distruggono quel che resta del suo giardino.

I suoi amici fiori sono tutti morti, i corpi recisi giacciono sul terreno, calpestati e fatti a pezzi. L'odore di terra smossa sembra quello di una ferita aperta da cui gronda sangue.

Non hanno lasciato niente, neanche il più piccolo fiore, la loro distruzione ingiustificata non ha risparmiato nessuno di loro.

Auramil piange, si lamenta, il dolore del suo cuore è enorme, ingestibile.

- Adesso farai la stessa fine dei tuoi fuori, frocetto. -

I ragazzi gli sono di nuovo sopra, si accaniscono su quanto è rimasto di lui, sul suo corpicino stremato dai continui maltrattamenti.

Basta, basta, voglio morire.” urla la sua mente.

Perché non può semplicemente spegnersi e smettere di soffrire?

Lentamente, scivola verso l'oscurità, il posto più tranquillo in quell'oceano di dolore. La accetta come si accetterebbe un bicchiere d'acqua nel deserto. L'oscurità lo accoglie nel suo abbraccio, lo fa sentire al sicuro.

Il suo cuore smette di battere all'improvviso, il respiro si ferma, il suo corpo si abbandona al buio.

L'ultima cosa che i suoi occhi riescono a vedere è il colore dei petali dei fiori, che nonostante fossero stati calpestati, continuano a rifulgere.

 

Riapre gli occhi di colpo e prende fiato tossendo come dopo una lunga apnea.

Lo stordimento iniziale lo lascia inerme per un attimo, ma poi scatta in piedi.

Gli occhi blu corrono da un lato all'altro cercando punti di riferimento senza però trovarne.

Si accorge di avere i piedi immersi nell'acqua di un canale di scolo, forse, e di trovarsi in un vicolo su cui si affacciano le finestre di quello che forse è un albergo.

È lì che coglie il proprio riflesso.

Non riesce a stupirsi di ciò che vede, perché è come se tutto d'un tratto non possa più provare alcuna emozione, ma le mani vanno a toccare il viso diventato bellissimo, maturo, incorniciato da morbidi capelli rosa, poi scende a toccarsi il petto, le braccia. Sembra dotato di una forza enorme...si sente dotato di una forza enorme.

- Ben svegliato. -

Alza subito lo sguardo verso la fonte della voce.

Un uomo avvolto in un mantello nero che gli è così familiare da confonderlo.

- Chi sei? -

- Colui che ti darà una seconda chance. -

- Sono morto? - la figura scuote la testa, lentamente. Auramil si poggia una mano sul petto, non sente più il battito del cuore. - Devo essere morto per forza, non mi batte il cuore. -

Ed è un ragionamento più che lineare.

- Il tuo cuore è caduto preda dell'oscurità, bramoso di una nuova forza. Non sei né vivo né morto, anzi, sei rinato a nuova vita. - Auramil vede l'uomo allungare una mano verso di lui. Lettere luminose gli vorticano intorno e si mischiano tra loro per formare un nuovo nome. - Marluxia. - la “x” quasi brucia nell'aria. Lui prova a toccarla ma sparisce velocemente come è comparsa.

- Marluxia. - gli piace quel nome, ma fissa con un certo disappunto quella figura incappucciata - Perché dovrei fidarmi di te? -

- Perché io posso darti ciò che cerchi. Il potere, la forza, il cuore che altri ti hanno fatto perdere...un giardino da curare. - alle spalle dell'uomo si apre un varco oscuro - Sei libero di non seguirmi. -

Marluxia non aggiunge niente, quando l'uomo entra nel varco, entra dopo di lui.

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Capitolo 3
*** Fyrefly ***


*Nota dell'autrice* 
Forse questa shot è un pizzichino arancione come tematiche...bhè, io vi avvertiti(?)
Alla fine del testo troverete la spiegazione del titolo della storia (nel qual caso non fosse chiaro)

*Firefly
- Larxene -
 
Quando i bambini hanno 8 anni sognano di sposare il loro papà, perché lui è l'unico uomo che amano e che mai ameranno.
Ma Raneel a 8 anni non sogna sposare il suo papà, sogna di poterlo vedere andarsene un giorno e non tornare mai più.
La sua mamma ha provato più volte a rassicurarla, dicendole che tutto quello presto finirà, che le cose andranno meglio.
Lei non le crede, anzi, ha smesso di crederle quando suo padre l'ha picchiata tanto da non farla più svegliare.
Anche se Raneel l'aveva scossa con tutte le sue forze, anche se aveva pianto, urlato e pregato tanto, la mamma non si era più risvegliata.
L'ha lasciata da sola.
Sono passati tre mesi da allora e Raneel ha capito che se non si aiuta da sola, nessuno l'aiuterà mai.
Quindi ha preparato tutto, meticolosamente, e anche se sente male dappertutto per le botte che le ha dato suo padre, è pronta per andarsene.
Nello zainetto di plastica rosa ha messo tutto quanto una bambina come lei può ritenere essere indispensabile: una coperta, il suo gattino di peluche, dei biscotti, il succo di frutta alla mela e tutte le sue speranze.
Non sa bene che cosa troverà una volta uscita dalla porta di casa, sa solo che deve farlo o finirà come la sua mamma. E non vuole.
La piccola si affaccia oltre la soglia della sua stanza, sbirciando in salotto.
Papà, come sempre, è addormentato sulla poltrona, una bottiglia vuota stretta tra le mani. La televisione è ad un volume talmente tanto alto che anche i vicini possono sentirla. Di solito serve per coprire le urla di Raneel quando lui la picchia.
Ha un brivido di terrore e il cuoricino comincia a batterle fortissimo in petto.
No, non succederà stasera! Lei ha programmato tutto! Andrà tutto bene!
Si carica in spalle lo zainetto e desidera poter essere veloce come un lampo per percorrere il salotto e il corridoio che la separano dalla porta d'ingresso.
Comincia a camminare, un piccolo passo alla volta. Il ronfare di suo padre le riempie le orecchie, insieme con le urla sconnesse di un tipo in tv che cerca di vendere delle pentole da cucina.
Gli occhi verdi della bambina rimangono incollati sul grosso faccione del padre. Prega perché non si svegli, prega che abbia bevuto a sufficienza da farlo rimanere incosciente abbastanza a lungo da consentirle di andarsene.
Arrivata a metà strada Raneel si sente già libera. Il pavimento è ingombro di patatine e le sembra di camminare in un capo minato: ad ogni passo rischia di schiacciarne una e far saltare tutto.
La porta di ingresso è così vicina! Gli ultimi dieci passi li fa praticamente correndo. Si lancia sulla maniglia e prova a girarla ma...è chiusa, è chiusa a chiave!
Presa dal panico, non ha idea di cosa fare. Comincia ad ansimare per la paura e a sudare freddo, tanto che i capelli biondo chiaro le si sono appiccicati tutti sulla fronte.
- Andavi da qualche parte? -
Era talmente tanto impegnata nel cercare di aprire la porta che non si è accorta che suo padre si era svegliato e l'aveva raggiunta.
Gli occhi le si sgranano tanto da diventare grandi come piattini da tè. Li alza sul padre e si sente tremare tutta.
- Papà...io... -
L'uomo cerca di afferrarla per i capelli ma lei vede una via d'uscita. Piccola com'è si infila tra le sue gambe e scappa.
L'uomo ringhia ma lei riesce a svicolare e a chiudersi nella sua stanza. Fa girare la chiave nella toppa poco prima che suo padre vi si accanisca contro.
“Ti picchierà! Ti picchierà fortissimo! Non ti sveglierai più!” le dice una vocina nella sua testa e lei sente che gli occhi cominciano a riempirsi di lacrime.
La finestra! La finestra! Si lancia verso la finestra e la spalanca. C'è un gran vento quella notte e fa freddo. Il cornicione è grande abbastanza da permetterle di camminarci sopra. Raneel prende un profondo respiro e scavalca. Il vestitino rosa ondeggia paurosamente nel vento.
A piccoli passi percorre il cornicione, la schiena aderente al muro, vede le scale di emergenza come un'ultima ancora di salvezza.
- Raneel! - la faccia del padre sporge dalla finestra. Deve essere riuscito a sfondare la porta chiusa a chiave. Lei si volta, terrorizzata. - Torna subito qui piccola mocciosa o me la pagherai cara! -
- No! -
Riesce a dire lei e imperterrita continua a camminare.
L'uomo scavalca e la insegue sul cornicione.
Raneel è a pochi metri dalla scala di emergenza, il cuore le batte così forte in petto da farle male. Quando la sua manina tocca la ringhiera gelida, sa di essere salva. Si arrampica ed è sulla scala di emergenza, subito comincia a scendere verso il basso, veloce come una saetta.
- Raneel! -
L'uomo si sporge in avanti per afferrarla, ma arraffa solo aria...e perde l'equilibrio.
Raneel osserva impotente suo padre che scivola giù dal cornicione e fa un volo di cinquanta metri, schiantandosi al suolo e addormentandosi per sempre.
 
- Fanculo, me ne vado!!! -
Strilla Raneel al suo ragazzo. Ha sedici anni, e sta scappando da un altro uomo.
La sua vita è un disastro, lo è da quando suo padre è morto e la polizia l'ha affidata ai servizi sociali.
Saltellando da una famiglia all'altra, Raneel ha imparato ad essere una brava bambina, ma questo non è bastato a renderla un prodotto accettabile: era troppo grande, troppo bionda, troppo taciturna, semplicemente troppo sbagliata.
Riuscire ad avere l'emancipazione minorile è stata la sua più grande conquista. Ma il vizio di essere succube di un uomo non le è ancora passato.
- Ma dove pensi di andare, bambolina? Tornerai da me strisciando! -
Ride il ragazzo, e l'afferra per un braccio tirandola a sé per baciarla furiosamente.
Raneel sente un urlo nascerle dentro il petto. Riesce a trovare la forza per spingere via il fidanzato e per rivolgergli una sberla.
- Non sono un oggetto, Roby! -
Sta già quasi piangendo.
Il fidanzato le da una pacca sul sedere, leccandosi le labbra.
- Ricordati che mantengo io l'appartamento, e tu sei mia. -
- No! Basta! -
Si allontana, sentendo dentro di sé un dolore che ha radici ben più profonde.
Si lancia nella sua stanza e raccoglie le poche cose che ha. Adesso è molto più consapevole di quello che è e quello che deve fare, lo zainetto di plastica è diventato una valigia.
- Non andrai molto lontano. -
- Sta' zitto idiota. -
Ringhia lei. Il gattino di peluche, quello è rimasto. Lo infila in un angolo della valigia e spintona il ragazzo uscendo.
- Domani sarai affamata e infreddolita, e tornerai da me. -
- Lo vedremo! -
Urla lei, sul punto di piangere, ma non gli da la possibilità di vederla in quello stato: uscendo, neanche si guarda indietro.
Le lacrime cominciano a caderle copiose dagli occhi verdi non appena ha voltato l'angolo.
Roby ha ragione, quanto diavolo potrà andare lontano? 
Ma è così stanca di subire violenze.
Con i pochi soldi rimasti chiama un taxi e fugge via da quella parte della città, preferisce dormire all'aperto che tornare da lui.
Riesce a pagare solo parte della corsa, per cui le tocca camminare a piedi. È ancora una giornata ventosa, i capelli biondi le volano ovunque. Stretta nell'impermeabile trascina la sua valigia per strada, senza sapere dove andare, senza sapere cosa fare.
La notte prende il posto del giorno, e lei è ancora in strada.
Non ha fatto che piangere, sconsolata, pensando a quanto di sbagliato possa aver fatto nella sua vita per ridursi in quello stato.
I piedi le fanno male per il troppo camminare. Il taxi l'ha lasciata in un punto qualunque, e lei non si è sentita ancora “arrivata” per fermarsi, quindi ha continuato per quella strada, aspettando che il suo corpo cedesse alla stanchezza. Probabilmente quel momento sta per arrivare.
I suoi occhi si appoggiano su un tizio incappucciato che si trova dall'altra parte della strada. Sente addosso il suo sguardo come se volesse mangiarla o chissà cos'altro. Il terrore la prende all'improvviso e comincia ad aumentare il passo. Vuole solo sfuggire a quell'uomo incappucciato.
- Ciao. -
Alza lo sguardo all'improvviso, spaventata. Si asciuga gli occhi per evitare di far vedere le sue lacrime alla persona che le ha rivolto la parola. Una ragazza, giovane quanto lei, carina come una bambola.
Riesce a voltarsi indietro solo un attimo: l'uomo incappucciato è sparito.
- Ciao. -
Ricambia quindi, il tono di voce arrochito dai singhiozzi, ma più tranquillo.
- Ti sei persa? -
- No. -
Sapere di stare parlando con una ragazza e non con un uomo la fa sentire decisamente al sicuro. Degli uomini non si fida più, non ne vuole neanche sentire parlare.
- E allora dove vai con quella valigia? -
- Da nessuna parte, non ho un posto dove andare. -
La ragazza sgrana gli occhi, visibilmente dispiaciuta, e le rivolge un sorriso.
- Vuoi venire a stare da me per un po'? -
Raneel, che fondamentalmente cerca solo affetto e comprensione, sorride alla ragazza.
- Davvero? -
- Davvero! - le prende una mano con foga - Io sono Rin, e tu? -
- Raneel. -
- Bene, Raneel. - un altro sorriso, com'è gioviale quella ragazzetta bruna - Di qua, vieni. -
Abita in un appartamento inaspettatamente grande. Ma come potrà permetterselo?
Raneel è sorpresa da tanto lusso in un quartiere non proprio benestante.
- Ti piace? -
- Molto. -
Commenta solo, ancora troppo stupita per riuscire a dire qualcosa di meglio.
- Me lo pago con il mio lavoro. Guadagno un sacco di soldi. -
- Che lavoro fai? -
Rin fa un sorrisetto malizioso...e un po' imbarazzato.
- Bhe...diciamo che do un po' d'amore a chi me lo chiede. - Raneel sente un colpo al cuore. Una prostituta! Avrebbe dovuto immaginarlo...una ragazzina così carina con tutti quei soldi? Che altra spiegazione poteva esserci? - Non pensare male. - lei ridacchia nervosamente - Lavoro per un uomo che mi tratta molto bene, mi ha dato lui la possibilità di abitare in questo appartamento, la maggior parte dei soldi che guadagno posso tenerli, lui si tiene solo una piccola percentuale...e almeno non vivo per strada. -
La bionda fissa ancora l'appartamento, la tranquillità di quell'ambiente familiare...e non ci pensa su due volte.
- Pensi che possa lavorare anch'io per lui? -
 
Il terzo uomo della sua vita si chiama Malcom. Rin non ha mentito, tra i papponi è di certo quello più cordiale e gentile. Non gli fa mancare niente, le commissioni sono ottime, il tenore di vita è terribilmente alto. E in più c'è il sesso.
A Raneel non sembra vero, ha i soldi, un posto dove stare, delle amiche con cui condividerlo. Sì, perché Rin non è la sola a vivere in quell'appartamento enorme, insieme a lei ci sono altre tre bellissime ragazze, che sembrano create apposta per dare piacere: Alba, Rita e Joel.
Ha trovato in loro delle sorelle e delle compagne.
Dividono insieme la tristezza di una vita ai margini della moralità, e un passato che vogliono dimenticare.
Quello non è il massimo che possano desiderare, ma è pur sempre qualcosa.
Raneel non si sente particolarmente bella messa affianco a quelle dee dell'amore, è la più giovane e la più inesperta, e spesso le ragazze si prendono i suoi clienti più aggressivi per evitare che possa uscirne male.
Ha molto da imparare, e vuole fare la sua parte. In qualche modo sente che è suo dovere.
Malcom lo incontrano una volta al mese, quando viene per riscuotere la sua percentuale. È un uomo piacente, ancora giovane, dai modi gentile. Mai Raneel l'ha visto poggiare gli occhi sulle ragazze più del dovuto, nonostante il potere di vita e di morte che ha su di loro.
Forse al mondo esistono uomini gentili.
È plateale che tutte le ragazze abbiano una cotta per lui, d'altronde ha tutto quanto si possa desiderare: fascino e gentilezza. Proprio perché nessuno le ha mai trattate bene come lui, il loro amore nei suoi confronti diventa automatico.
Raneel non ne è ancora innamorata, forse perché ha passato troppo poco tempo in sua presenza, ma dopo sei mesi comincia ad aspettare con ansia il momento in cui varcherà ancora quella porta.
Nonostante il tempo passato vendendo amore, come aveva detto Rin, Raneel rimane sempre la più “incapace” del gruppo, anche se comincia ad essere più disinibita e pratica.
Il sesso non le piace, almeno, le piace per il momento necessario in cui sa di avere il potere sull'uomo, ma poi anche quel momento passa e rimane solo una questione di soldi.
Prova vero piacere solo nell'incassare le banconote accartocciate che gli uomini tirano fuori dai calzoni, soldi che probabilmente hanno messo via di nascosto dalle loro mogli o fidanzate.
Raneel ha notato questo, tutti quelli che vengono da lei a chiedere il suo amore hanno qualcuno che li ama davvero a casa.
È una cosa così strana che lei proprio non riesce a capire, ma visto che la pagano non ha bisogno che nessuno le spieghi niente.
 
- Buon anniversario! -
Rin stappa una bottiglia di champagne e ne versa una buona dose nel bicchiere che Raneel ha in mano.
- Non ci credo che è già passato un anno da quando ti ho incontrata per strada. -
Mormora Raneel, agitando il bicchiere.
In un anno sono cambiate molte cose, eppure si sente come ferma allo stesso punto.
- Un anno e sei diventata un vero fiore! -
Ride la rossa Joel, la più formosa tra le quattro.
- Vero, il primo giorno non sapevi neanche metterti l'eye-liner. -
Annuisce Rita, con la faccia seria.
- Ma smettetela! -
Sbuffa Raneel, che ora trova la forza per sorridere e comincia a bere lo champagne.
La bottiglia gliel'ha fatta trovare Malcom quella mattina, lasciando detto in un bigliettino di aprirla proprio per lei. Il fatto che lui avesse avuto quel pensiero l'aveva fatta sentire...speciale.
- A Raneel, la nostra bellissima ninfa! -
Rin alza il bicchiere e le ragazze li fanno tintinnare tra loro, urlando “cin cin!”.
Raneel non potrebbe sentirsi più felice, quello è il massimo che le è consentito provare.
- Bene, adesso non battiamo la fiacca, a lavoro bambine! -
Le mette in riga Alba, che è la più anziana non solo come età ma anche come esperienza.
Loro dicono in coro “agli ordini!” e si preparano ad affrontare un'altra lunghissima notte di lavoro.
Gli uomini non si stancano mai comprare amore.
Il primo cliente di Raneel è un ragazzino giovane, che probabilmente è anche vergine. Lei non se la sente di rubargli la purezza, ma lui insiste e alla fine lo soddisfa. La paga anche più di quanto avevano pattuito...buon per lei.
Tra lui e il secondo cliente ha qualche ora libera, così rimane a gironzolare nell'appartamento mentre le altre fanno quello che devono fare nelle loro stanze.
Quando sente suonare alla porta pensa che si tratti di qualcuno che semplicemente ha sbagliato orari: Malcom è molto preciso nell'organizzare gli appuntamenti di lavoro, che commissionano sempre a lui.
Raneel va ad aprire la porta senza chiedere chi è e si sorprende di vedere sulla soglia...proprio Malcom.
- Che sorpresa! -
Fa lei, con un sorriso.
- Ciao Raneel, buon anniversario. -
Da dietro la schiena, l'affascinante giovane tira fuori un mazzo di rose rosse. La ragazza arrossisce tutta mentre il cuore le parte in quarta in petto.
- Oh...Malcom...non...dovevi. -
- Dovevo invece. - sorride lui, che con le donne ci deve necessariamente saper fare - Sei importante per me. -
Raneel si sente andare a fuoco. Abbassa gli occhi verdi sul mazzo di rose, ne accarezza i petali. Non sa cosa dire! È tutto troppo inaspettato.
- Sei venuto apposta per questo? -
- No, molto di più. - Malcom sorride, un sorriso che potrebbe essere sugli schermi del cinema per quanto è bello - Ho organizzato questo buco tra un tuo appuntamento e un altro proprio per venire a trovarti. -
- Grazie, grazie davvero. - ha le lacrime agli occhi per la felicità, non riesce a crederci! - Sei stato così gentile! -
- Avete aperto la bottiglia che vi ho lasciato? -
- Sì, ne vuoi un bicchiere? -
Lei non sospetta niente per il semplice fatto che crede nella buona fede di Malcom, d'altronde lo reputa essere il suo salvatore, colui che l'ha tolta dalla strada e strappata da morte certa.
Il giovane annuisce e lei lo fa accomodare sul divano.
Lei gli riempie il bicchiere e glielo porta, per poi sedersi a fianco a lui, sorridendo amabile.
Malcom beve in silenzio per un attimo, dopo di che poggia gli occhi azzurri su di lei.
- In quest'ultimo hanno ti sei fatta davvero bellissima. - Raneel arrossisce appena e cerca di nascondere lo sguardo abbassando la testa, ma lui le tira su il mento con due dita in modo da tornare a fissare quei begli occhi verdi - Ti imbarazza ancora guardarmi negli occhi? Ormai siamo amici, no? -
Sorride, ed è un sorriso così affascinante che Raneel non può fare a meno di desiderare di baciarlo.
Forse lui le legge nel pensiero...perché annulla la distanza tra di loro ed è il primo a baciarla.
Sta succedendo davvero? Quante volte l'ha sognato nell'ultimo anno...?
Ricambia un bacio come se fosse una ragazzina con il suo primo amore e Malcom capisce di averla irretita.
Le sue mani vanno subito a percorrere il suo corpo, si avvicinano al seno e cercano di superare la protezione della camicetta che indossa.
Raneel, per qualche ragione, comincia a sentire una punta di panico stringerle lo stomaco.
- N-no. -
Prova a dire con un sussurro.
- Non puoi dirmi no. -
Lei sgrana gli occhi, ora terrorizzata.
Non esistono uomini gentili.
Malcom la spoglia con foga e le è sopra in un istante. Impietrita, la ragazza non riesce ad emettere neanche un verso.
Lui si insinua dentro di lei con violenza, il dolore che Raneel prova le fa spalancare la bocca in un urlo silenzioso, ma niente esce dalle sue labbra.
In balia dell'uomo, non può fare altro che sopportare e sopportare, finché lui non è soddisfatto e stanco.
- Puttana. -
Le sussurra poi all'orecchio che subito lecca facendola rabbrividire con orrore.
La lascia nuda sul divano. Lui si riveste ed esce, sorridendo, mentre lei trema e piange, sconvolta da tanto dolore...fisico e mentale.
Deve scappare di nuovo.
Si alza, i passi zoppicanti, le gambe che le fanno male. L'ha presa con tanta violenza che è tutta sporca di sangue.
Raggiunge la sua stanza, raccoglie le sue cose. Si sente come quella bambina di tanto tempo prima che aveva provato a scappare una notte con il suo zainetto.
Anche se le lacrime le offuscano la vista, prova a rivestirsi, ma appare comunque scombinata e allucinata.
Si trascina fuori dall'appartamento, ancora una volta senza sapere che cosa fare e dove andare, ancora una volta succube di un uomo.
La notte l'avvolge con il suo manto, l'oscurità la nasconde. Come vorrebbe poterne fare parte.
Si ferma a fissare il cielo buio. Ci sono solo stelle, la luna ha voltato le spalle alla Terra.
- Voglio essere buio. - piange. Cammina singhiozzando verso un vicolo, il più oscuro che trova. Si rannicchia in un angolo e nasconde la testa tra le ginocchia strette al petto. - Voglio essere tenebra. - il cuore le fa male, le fa talmente male che sembra voglia fermarsi da un momento all'altro - Voglio essere oscurità. -
Il dolore si fa atroce, ma il buio intorno a lei la ascolta. Lentamente la avvolge, affonda i suoi artigli nel suo cuore sofferente, e lo ferma.
Tutto tace all'improvviso.
 
Si risveglia in un posto tranquillo, illuminato dalla debole luce di un tramonto. Si rialza spolverandosi i calzoni e stiracchiandosi come se avesse dormito bene e a lungo. Gli occhi verdi scrutano tutto intorno, cercando di capire dove si trova e come ci è arrivata.
Si porta una mano al petto e aggrotta piano le sopracciglia. Non dovrebbe sentire qualcosa? Qualcosa tipo il battito di un cuore?
Il non sentirlo non la turba, e non la turba neanche il non essere turbata.
L'unica cosa che pensa è a dove può andare adesso.
- Potresti venire con me. - le viene automatico reagire rabbiosamente alla voce maschile alle sue spalle. Il pugno, però, viene bloccato come se neanche fosse rilevante. L'uomo che ha davanti ha il volto coperto da un cappuccio, si intravedono solo occhi gialli e brillanti. - Usa la tua forza contro i tuoi nemici, io non lo sono. -
La ragazza ringhia e salta indietro, scintille elettriche seguono il suo movimento.
- Chi sei? Che cosa vuoi? -
- Sono il signore dell'oscurità di cui hai chiesto di fare parte. -
- Non mi fido di te. -
- Non ti chiedo tanto. - l'uomo muove una mano e lettere biancastre si materializzano intorno alla ragazza, si riposizionano e una x vi si aggiunge in mezzo - Larxene, ti offro di essere donna e regina, siederai accanto a me e avrai centinaia di servitori al tuo comando. -
Lei tentenna per un attimo, ma continua a guardare l'uomo con scetticismo.
- Menti. -
- Non mento. - l'uomo apre un varco oscuro con un gesto della mano e glielo mostra - Puoi venire con me o andartene. Sarai sempre libera di andare e venire a tuo piacimento, sempre. -
La ragazza vede l'uomo avviarsi verso il varco e sa per istinto che se non lo seguirà adesso non avrà più la possibilità di valutare se dice il falso o meno.
Quindi lo segue, decisa a prendersi quello che lui gli offre. E di più.

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*Fyrefly: "firefly" è la parola inglese che traduce "lucciola" che è notoriamente un insetto elettrico, in termine dispregiativo la parola assume il significato di "prostituta"

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Capitolo 4
*** Knave of Hearts ***


Knave of Hearts*

- Luxord -

 

- Guardate e piangete: poker d'assi. -

Il fumo delle sigarette si spande leggero nell'aria. La stanza è buia e impregnata da quell'odore, a malapena si respira.

Al tavolo da poker mani frementi continuano a far ticchettare le fiches, su e giù, su e giù.

Il poker d'assi che Lourd ha appena scoperto sembra inespugnabile come una fortezza.

Due giocatori lanciano le carte insieme con un'imprecazione.

Un terzo rimane immobile, tenendo le cinque carte aperte davanti a sé.

- Beh? Che intenzioni hai? -

Gli occhi azzurri di Lourd fissano con ansia quelli castani dello sfidante. Sotto il tavolo muove nervosamente le gambe.

Non può avere un punto più alto, lo esclude.

I soldi che ci sono nel piatto gli servono, gli servono davvero.

- Scala reale. -

Il cuore di Lourd ha un tuffo quando vede le cinque carte, in ordine crescente, venire messe sul tavolo verde.

Stoico nella sconfitta, vede l'avversario prendere le fiches nel piatto con un sorriso compiaciuto.

Ha perso. Ha perso tutto.

Rimasto con poco più di qualche spicciolo, non ha speranza di poter puntare per il prossimo giro. È automaticamente fuori.

- Carte. -

Il mazziere ha già raccolto le carte, e gli fa cenno di dargli le cinque che lui tiene ancora freneticamente tra le mani.

Senza accorgersene le ha spiegazzate tutte.

- Su Lourd, ti andrà meglio la prossima volta. -

Ride quello della scala reale, crudele, con quell'espressione vittoriosa che dice tutto senza bisogno che lui apra bocca.

Lui sorride, cercando di sembrare tranquillo mentre dentro la disperazione lo scuote con violenza.

- Sì, ma per stasera ho chiuso. -

Si alza, poggiando le carte sul tavolo.

- Se te ne vai siamo solo in tre! -

Sbuffa uno dei giocatori.

- Giocate col morto. -

Commenta lui, funereo, e senza aggiungere altro lascia il tavolo.

Prima di uscire gli viene chiesto di sborsare in denaro la quota persa in fiches. Lui tentenna prendendo il portafogli, ma il buttafuori glielo strappa dalle mani e lo svuota, lasciandolo solo con i documenti e la lista dei debiti da pagare.

Uscendo all'aria aperta della notte le mani gli prudono. I vestiti gli puzzano di fumo e delusione.

Ora dovrà tornare a casa. Ora dovrà dire a sua moglie e a suo figlio che ha perso tutto quello che avevano al tavolo da poker.

Non avendo il coraggio di affrontarli, devia sulla strada del ritorno per fermarsi al bar.

Quando entra, il chiacchiericcio crea un tale frastuono da attutire i suoi pensieri. Ora con l'alcool li addormenterà del tutto, o almeno spera.

Si siede al bancone e subito una ragazza carina e mora gli si fa vicino.

- Ciao Lourd, ti porto il solito? - lui neanche risponde, fa solo un cenno del capo e la ragazza sa bene che cocktail servirgli. Il bicchiere pieno di ghiaccio gli tintinna davanti e lui comincia a centellinarlo, agitandolo di tanto in tanto. - Hai avuto una brutta serata? - gli chiede ancora la ragazza al bancone.

Lui alza piano gli occhi. Gentile e splendida come sempre, gli ricordava sua moglie da giovane, forse per questo continua ad andare in quel bar, solo per fare un tuffo nel passato, quando ancora non aveva incasinato tutto.

- Pessima. -

Dice solo, passandosi una mano sul volto pallido.

- Arriveranno tempi migliori, vedrai. -

- Me lo dici sempre, Cherry, ma non succede mai! -

Sorride lui, che quanto meno apprezza lo sforzo.

Lei ridacchia.

- Vedrai, vedrai! - ma non le crede, anche se continua a sorriderle. Beve il suo drink, e indugia con la mano al portafogli. Con cosa può pagarlo? - Lascia stare. - gli dice Cherry - Farai un'altra volta. -

- Grazie. -

Riesce solo a dire lui.

Si chiede quanto ancora potrà fargli credito prima che la licenzino.

Si alza un po' barcollante e saluta la ragazza con un cenno gentile della mano.

L'alcool non ha anestetizzato la mente come sperava, gli ha solo resto tutto inaspettatamente più chiaro.

Guadagna l'uscita cercando di calibrare il passo, di rendere la strada verso casa la più lunga possibile.

Ma per quanti giri del quartiere lui faccia, alla fine si trova davanti alla porta di casa.

Indugia, sforzandosi di sbagliare a infilare la chiave nella serratura.

Il cuore gli batte talmente tanto forte da attutire qualsiasi altro suono.

La porta cigola troppo rumorosamente. Se la richiude piano alle spalle e posa le chiavi nel portacenere all'ingresso.

Click.

Socchiude gli occhi quando la luce lo colpisce.

Sua moglie lo guarda, indignata.

- Dove sei stato? -

Domanda di rito.

- In giro. -

Risposta di rito.

La donna lo guarda con le braccia incrociate al petto. I capelli scompigliati, la camicia da notte spiegazzata, il segno del cuscino ancora evidente sul viso: chiaramente si è svegliata nel bel mezzo della notte e si è accorta della sua assenza.

- Sei andato di nuovo a giocare a carte. -

Conclude lei, senza troppe cerimonie. Non è neanche arrabbiata, è solo...stanca, glielo si legge negli occhi.

- Ho detto che sono solo andato in giro. -

Perché nega l'evidenza? Perché continua a mentirle?

Il dolore sordo al petto lo stordisce molto più dell'alcool che ha ingerito.

- In giro a buttare i nostri soldi. - la donna sospira, si passa una mano sul viso. Non piange neanche più. - Lourd, perché lo fai? Perché continui a giocarti il nostro futuro? -

- Non ho voglia di parlarne adesso, Arianna. -

Sbuffa lui, e fa per superarla. Lei gli mette i palmi aperti sul petto e lo spinge indietro.

- Quando avrai voglia di parlarne? Quando? Oggi è venuto qualcuno che chiedeva di te. Era armato, Lourd. A chi hai pestato i piedi stavolta? -

- Perché non puoi semplicemente...smetterla di darmi il tormento? -

Anche lui è stanco, stanco di dare spiegazioni che non sa dare neanche a se stesso.

Capisce di aver toccato il tasto sbagliato quando lei gli da una sberla in pieno viso.

- Darti il tormento?! Darti il tormento?! Tuo figlio, ti stai vendendo il futuro di tuo figlio e io ti darei il tormento?! -

- Non gridare. -

Le intima, perché ha troppo mal di testa per riuscire a sopportare che lei si metta a fare l'isterica senza ragione.

- Domani io e Mark ce ne andremo. Ti piace questo tormento? Ce ne andremo, e ti ritroverai a risolverti i problemi da solo. -

A quel punto, Lourd perde il senno e le afferra un braccio con forza, strattonandola.

- Non mi porterai via mio figlio. -

Ringhia lui, gli occhi iniettati di sangue.

La donna non abbassa lo sguardo anzi, se possibile, gliene rivolge uno ancor più furente.

- L'hai già perso, e neanche te ne accorgi. Stasera aveva il saggio di pianoforte, e tu dov'eri? A scommettere i soldi del suo college a poker. Almeno vincessi...! -

La rabbia lo travolge all'improvviso. Non può fermare la sua mano, e solo dopo se ne pente: colpisce la moglie dritta al volto con uno schiaffo.

Lei lancia un grido stridulo e perde l'equilibrio cadendo a terra.

Lourd sgrana gli occhi quando si rende conto di quello che ha fatto.

- Arianna...scusami. -

Con il cuore in gola si abbassa per aiutarla ad alzarsi, ma lei gli schiaffeggia la mano e lo spinge indietro.

- Non toccarmi. - sibila, le lacrime agli occhi, il volto arrossato - Vattene da questa casa, vattene prima che chiami la polizia. Porta te e i tuoi debiti lontano da noi! -

Lo spinge ancora e comincia a singhiozzare.

Lourd arretra, il cuore che gli esplode in petto. Ha davvero colpito sua moglie? È davvero colpa sua se piange così disperatamente?

Non sa cos'altro fare se non tornare sui suoi passi e lasciare quella casa, forse per sempre.

Corre, corre senza sapere dove andare, il dolore che lo assale.

Che cosa ha fatto? Come ci è arrivato a quel punto?

Era tutto così perfetto qualche anno prima! Il lavoro, il matrimonio, la paternità, l'acquisto di una grande casa: un sogno che diventava sempre più reale.

Poi il crollo inevitabile degli eventi. Era sempre troppo bello per essere vero.

La ditta per cui lavorava che chiudeva per fallimento, il conseguente licenziamento, i soldi che cominciavano a mancare, la vendita disperata di tutti i loro beni per cercare di andare avanti, e poi il gioco d'azzardo. Le carte gli davano un qualche controllo, gli davano la sensazione che il Destino fosse nelle sue mani e che potesse sfidarlo e uscirne vincitore.

Ma non era mai riuscito a vincere neanche una volta.

Lentamente aveva perso quel poco che gli era rimasto, ma non aveva smesso di giocare neanche quando il conto era arrivato a zero. Pur di continuare a giocare si era indebitato con le persone sbagliate, sprofondando sempre più nella disperazione.

E adesso questo.

Non aveva mai toccato neanche con un dito la sua amata moglie. Si sente sporco, sbagliato, si sente un mostro degno delle peggiori punizioni.

Le sue gambe lo portano fuori città, lo fanno camminare per tutta la notte.

Non fa che pensare e ripensare a quello che è appena successo.

Perché? Non riesce ancora a trovare una spiegazione e si sente solo più orribile.

Camminando i piedi calciano una moneta, sente il suo tintinnio come se fosse una campana suonata da un angelo.

Si affretta a piegarsi per raccoglierla e la guarda. Sarebbe sufficiente per un giro alle slot machine.

I suoi occhi si appoggiano dall'altro lato della strada e incontrano un casinò aperto tutta notte.

Un segno del Destino?

Stringe la moneta nel pugno e decide di rischiare.

Attraversa la strada preso da una strana foga, uno strano desiderio. Deve giocare quella moneta, deve!

Quando entra, nessuno si gira a guardarlo, tutti rimangono a fissare le macchinette, le carte, o la roulette.

Lascia che sia l'istinto a suggerirgli che slot machine scegliere, e quando ci si siede davanti si rigira tra le mani la moneta.

Ha un solo colpo.

I colori brillanti della macchinetta lo invitano a provare, le monete disegnate sulla cover di plastica gli prospettano un futuro possibile.

Potrebbe andar bene, gli dicono quei colori, quella musica, quello scintillio invitante, potrebbe andar bene e tu potresti vincere un sacco di soldi, potresti tornare da tua moglie per una volta vincitore! Lei ti perdonerebbe e tutto tornerebbe come prima!

Convinto di ciò che sente, annuisce tra sé e sé e infila la moneta nella macchinetta.

Tira la leva verso il basso e rimane immobile mentre il gioco va.

- Dai, dai, dai. -

Si ritrova a sussurrare, in bilico sullo sgabello.

Una ciliegia. È già qualcosa.

Due ciliege. Comincia a sentire il cuore battergli tanto forte in petto da fargli male.

Tre ciliegie!

La macchinetta comincia a trillare e una cascata di monete scende dall'apposito scomparto.

Lourd non riesce a credere ai suoi occhi e comincia a raccoglierle freneticamente.

Ha vinto, ha vinto!

Allora il Destino può essere sfidato e sconfitto!

Esulta dentro di sé, anche se, da bravo giocatore di poker, lascia che la sua espressione rimanga neutrale.

Le tasche dei pantaloni si riempiono di monete e sono pesanti, pesanti davvero.

Non è una gran vincita, ma il fatto che il tutto gli sia stato distribuito in monete piccole ne aumenta l'apparenza e lo fa sentire come se avesse un'enorme quantità di soldi tra le mani.

Ancora un giro, deve essere la sua notte fortunata.

Infila un'altra moneta e di nuovo tira giù la leva.

La slot machine gira e gira.

Sette.

Sette.

Sette.

Din din din!

Ha vinto di nuovo!

Una nuova cascata di monete gli riempie le tasche e una scarica di endorfine gli riempie il cervello, facendolo sentire così bene da non crederci.

Ora ha abbastanza soldi per potersi permettere una partitina a poker, la sua vera passione.

C'è un tavolo in cui si è appena liberato un posto.

Esulta ancora una volta tra sé e sé, si avvicina al tavolo e chiede di poter giocare.

Lo guardano con aria scettica, ma dato che sembra essere un ottimo pollo da spennare, lo accettano al tavolo.

Quella è la prima volta che vince.

 

Dopo aver passato tutta la notte a giocare, senza mai fermarsi, il casinò l'ha praticamente buttato fuori a calci.

Ha vinto tutto quanto di possibile c'era da vincere e per la prima volta nella sua vita ha soldi sufficienti per potersi permettere di dormire in una camera d'albergo!

Stanco, sfibrato, del tutto felice e dimentico di quello che è successo qualche ora prima, Lourd chiama un taxi e si fa portare nel più vicino albergo.

Ha addirittura il contante necessario per pagare al momento la stanza!

Entra baldanzoso dalla porta d'ingresso e, anche se sono le cinque del mattino, suona allegramente il campanello della reception.

Un giovanotto in giacca e cravatta corre subito da lui.

- Vorrei una stanza singola per la giornata di oggi, è possibile? -

E gli mostra le banconote. Sono il suo pass per un mondo che non vede da molto tempo.

- Certo signore. - il giovanotto prende la chiave della stanza numero 10 e gliela consegna - Le auguro un confortevole soggiorno. -

Sorride il ragazzo e Lourd con un cenno del capo imbocca subito le scale, ansioso di raggiungere la stanza.

Non è molto lussuosa, non è neanche grande, ma...Dio se gli sembra il paradiso in quel momento!

Si chiude la porta alle spalle e si butta a letto senza troppe cerimonie.

I soldi che gli rimangono in tasca sono sufficienti per fargli fare qualche altro giro di poker quella sera...

 

Rifocillato dalla dormita, e dopo aver chiamato il servizio in camera per farsi portare il pranzo, Lourd lascia l'albergo e torna al casinò, con il cuore sereno di chi è sicuro di vincere.

Sì, anche quella sera avrebbe vinto il jackpot e sarebbe stato sufficiente per tornare dalla sua famiglia e dimostrare che prima o poi le cose vanno meglio per tutti.

Sorride tra sé e sé, felice, ed entra al casinò.

Di nuovo nessuno lo guarda, nessuno si gira, nessuno lo degna di attenzione, ma a lui va bene così.

Giusto per riproporre la stessa situazione della notte prima, Lourd si avvicina alla stessa slot machine e gioca una moneta dello stesso taglio. Tira la leva e neanche si va venire il batticuore...è praticamente certo di quello che uscirà.

Intatti...tre ciliege!

Stavolta consapevole di quello che sta succedendo, si infila in tasca le monete e incassa la sua vincita.

Gioca una seconda volta ed escono tre sette.

Incredibile, è tutto esattamente uguale a quello che è successo la sera prima!

Non vuole forzare la mano della fortuna e lascia la slot machine, per quanto la tentazione di continuare sia veramente insopportabile.

Si siede allo stesso tavolo da poker e allo stesso posto.

- Sei ancora qui? -

Lo provoca il croupier con un sorrisino.

- Qui per vincere, sì. -

Lui invece si mantiene serio e si prepara a ricevere le sue carte.

È la seconda volta nella sua vita che vince.

Quando si alza dal tavolo lascia persone incredule e con il portafogli vuoto. La sensazione di onnipotenza che prova è qualcosa di assuefacente, quasi non vede l'ora di rimettersi a giocare.

Ma per quella notte ha finito, perché ha capito che deve fermarsi se non vuole perdere la fortuna che il Destino gli sta dando.

Decide di non chiamare il taxi e di camminare a piedi fino all'albergo.

Cammina pensando ai fatti suoi, allegro come poche volte nella sua vita. Anche se è stanco quella felicità non vuole lasciarlo.

- Tu sei Lourd? -

Salta su come una molla. Quella voce profonda lo ha colto all'improvviso.

Si volta e si trova davanti un uomo incappucciato.

La paura gli attanaglia lo stomaco tutto d'un tratto. Che sia l'uomo armato che l'ha cercato a casa qualche giorno prima?

Ma adesso i soldi per pagare ce li ha...

Con tranquillità risponde.

- Sono io. -

Anche se non vede il volto dell'uomo sotto il cappuccio sa per istinto che sta sorridendo.

- Ho saputo che ami sfidare il Destino. -

Lourd sorride istantaneamente.

- È così. -

- Vuoi giocare la partita della tua vita? - lui non riesce a chiedere altro, l'uomo lo interrompe prima di parlare - Al tavolo da poker, questa notte. -

E senza dare altri dettagli, se ne va, lasciando Lourd del tutto sconvolto.

La partita della sua vita?

Vorrebbe fermare quel losco figuro chiamandolo...ma non appena si volta quello che vede è solo la strada deserta e la luce dell'alba che comincia a rischiarare il cielo.

Percorre gli ultimi metri che lo separano dall'albergo con i pensieri che continuano a girare intorno a quella figura incappucciata.

Ma che cosa vuole da lui?

Paga per la stanza e quando entra si mette subito a letto.

Anche se si sente parecchio in ansia e nello stesso tempo in uno stato di eccitazione da adrenalina, crolla subito per la stanchezza.

 

La notte scende inesorabile e Lourd si risveglia con un unico pensiero: la partita di poker con l'uomo mascherato.

Neanche mangia, si limita a correre fuori dall'albergo verso il casinò, ben intenzionato a scoprire se l'uomo era serio quando gli aveva proposto quella sfida.

Quasi si stupisce di vederlo appena fuori la porta del casinò, eretto in tutta la sua altezza e avvolto ancora nel suo cappotto nero.

Cosa mai avrà da nascondere?

Lourd gli si avvicina con fare sicuro, anche se dentro di sé freme di paura.

- Sei venuto. -

- Io mantengo sempre la parola data. -

Dice solo l'uomo, con un tono di voce così profondo e serio che Lourd ha un brivido.

Lui lo precede dentro il casinò e si siede subito al tavolo da poker.

Lourd ha un brutto presentimento, sa che non dovrebbe sedersi a quel tavolo con quell'uomo ma...la curiosità e la bramosia di vincere la sfida con Destino sono più forti della ragione.

Si siede di fronte a lui, aspettando il momento in cui l'uomo si calerà il cappuccio...momento che non arriva: sembra determinato a tenerlo per tutta la sera.

Il mazziere comincia a dare le carte; è una partita a Poker Texano, un testa a testa tra loro due.

- Allora, per cosa giochiamo? -

Chiede Lourd. Gli vengono date le sue due carte e lui neanche le guarda: ha gli occhi fissi sull'uomo incappucciato.

- Una sola mano. Per il tuo cuore. -

Risponde l'uomo.

Una risata spontanea nasce dalle labbra di Lourd e di tutti i presenti (per lo più gente curiosa che si è avvicinata al tavolo).

- Forse non ci siamo capiti, io non sono di quella sponda. -

Ribatte Lourd con un mezzo sorriso. Qualcuno alle sue spalle annuisce in segno di fratellanza.

L'uomo incappucciato rimane per un istante in silenzio. Raccoglie le sue carte, le guarda, si muove con la massima tranquillità possibile.

- Se perdi la partita, perderai il tuo cuore, e verrai a lavorare per me nella mia Organizzazione. -

- E che cos'è quest'Organizzazione? Un covo di ricchioni? -

Ancora risate, ancora cenni di assenso. L'uomo incappucciato non ha nessuna reazione, rimane impassibile come una statua di sale.

- Hai intenzione di accettare la scommessa o no? -

Poggia le carte sul tavolo, con la faccia rivolta verso il basso in modo che nessuno possa vederle. Sembra quasi intenzionato a lasciare il tavolo.

Lourd sente una punta di panico prendergli il petto. Non può lasciarlo andare, ha questa fortissima sensazione, questo bisogno enorme di...giocare quella partita con il Destino.

- E se vinco? Che cosa succede se vinco? -

- Ti darò tutti i soldi che posseggo e potrai ricominciare da capo con la tua famiglia. -

Ecco, quella è forse la spinta che gli serviva.

È fatta, è fatta, già lo sente: ha vinto.

Finalmente una possibilità reale di uscire dalle tenebre in cui è impantanato ormai da troppo tempo.

- Va bene, accetto. -

Lo dice con tanta leggerezza che forse non si rende conto del guaio in cui si è appena cacciato.

L'uomo incappucciato fa un cenno d'assenso col capo e torna tutto assorto nelle sue carte.

Lourd guarda le sue subito dopo, il cuore che corre in petto.

D'altronde, a pensarci bene, anche se perdesse finirebbe con il guadagnare qualcosa. Quel tizio ha detto di volergli offrire un lavoro in un'Organizzazione, no? Magari è una ditta, un'azienda di qualche tipo, di certo i soldi non gli mancano se si può permettere di pagare la gente in quel modo.

Certo, avrebbe anche potuto avere poco e niente come possedimenti. Aveva detto “ti darò tutti i soldi che posseggo” ma lui effettivamente non ha idea di quanti siano quei soldi, può essere una presa in giro bella e buona. Quindi in caso di vittoria o di sconfitta ne sarebbe uscito comunque pulito.

Perché allora togliersi la possibilità di giocare?

Il mazziere posiziona cinque carte coperte sul tavolo, dopo di che gira le prime tre.

Nove di fiori, Jack di cuori, tre di cuori.

L'uomo incappucciato è il primo a fare la sua puntata. Cadono soldi sul tavolo come se fosse pioggia. Lourd ha una stretta allo stomaco...potrà rilanciare?

Si fa mentalmente i conti. Che punteggio avrà tra le mani quell'uomo per potersi permettere di fare una puntata tanto alta?

Punta anche lui, senza dire una sola parola.

Il mazziere gira la quarta carta coperta.

Cinque di picche.

L'uomo incappucciato passa. Lourd passa. Le carte girano. Il silenzio si fa pesante.

Il mazziere gira l'ultima carta.

Nove di quadri.

Lo stomaco di Lourd si attorciglia per la felicità.

Ha un punto, non un buon punto, ma è un punto.

Doppia coppia. In mano ha una J, da associare alla J e ai due 9 sul tavolo, ecco che esce la doppia coppia. Punteggio base, il più basso nel poker, ma sufficiente per consentirgli di puntare quando l'uomo incappucciato passa.

Per un secondo trattiene il fiato, se l'uomo non rilancia adesso vuol dire che il piatto è suo e che ha vinto la sfida.

Non rilanciare, non rilanciare” si ripete Lourd, anche se la sua espressione rimane neutrale, una vera e propria faccia da poker.

Ma l'uomo rilancia.

Il mazziere fissa Lourd, è stato lui il primo a puntare, quindi lui deve essere il primo a dire che punto ha in mano.

- Doppia coppia. -

Gira le sue carte e le mostra.

L'uomo incappucciato rimane in silenzio. Non si intuisce dove siano i suoi occhi o che espressione abbia o qualsiasi altra cosa. Quel suo rimanere impassibile è qualcosa di disumano. Sembra che neanche provi emozioni!

- Tris di 9. - il peggior scenario possibile: l'uomo ha in mano un 9, il che, unito con i due 9 che ci sono sul tavolo gli danno un punteggio superiore al suo - Hai perso. -

Lourd sta per dire qualcosa, qualcosa come “un altro giro!”, ma l'oscurità lo avvolge all'improvviso.

Preso dal panico, cerca di divincolarsi, scalcia, urla, ma sembra tutto inutile: quel mare di pece che gli stringe il torace gli mozza il respiro e gli rende impossibile anche solo emettere un fiato.

Prima di sprofondare del tutto e perdere i sensi, Lourd vede gli occhi gialli e soddisfatti dell'uomo fissarlo da sotto il cappuccio.

 

Quando si risveglia trema dal freddo. Deve essere notte perché tutto intorno è buio. Non si sente un solo rumore in giro. Tutto tace, fuori e dentro di lui.

Si porta una mano al petto chiedendosi che cosa mai ci sia di strano in lui, perché senta quel vuoto al posto del cuore.

- Luxord. - quella parola ha il suono di un nome, così lui si volta e trova dinnanzi a sé un uomo incappucciato che lo fissa - Sei pronto a venire con me? -

Lui piega di lato la testa. Perché mai dovrebbe andare con quell'uomo? Chi diavolo è?!

Si massaggia le tempie lentamente, sempre più confuso.

- Chi sei? -

- Sono il Destino, e tu hai perso la nostra sfida. Ora devi seguirmi. -

Lui si alza, si spolvera i calzoni, fissa la figura incappucciata.

Sì, ha ragione. Non ricorda come, quando e perché, ma sa che non mente, sa che ha realmente perso una scommessa, sa che non può tirarsi indietro.

Infila le mani in tasca e trova un mazzo di carte. Se le rigira tra le dita un paio di volte trovandole particolarmente confortanti.

- Giocheremo un'altra partita? -

Ma l'uomo incappucciato non risponde. Con un gesto della mano apre un varco oscuro e vi cammina incontro.

Anche se non ha ricevuto risposta, lui sa che un giorno sfiderà il Destino ancora una volta. E forse riavrà indietro quello che gli è stato tolto.

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Curiosità:

Knave of Hearts: fante di cuori

Punteggi nel poker in ordine crescente: coppia, doppia coppia, tris, full, colore, scala minima, poker, scala reale

Luxord gioca due tipi di poker, all'inizio quello all'italiana in cui i giocatori devono essere almeno quattro, poi il Texas Hold'em che può andare da un minimo di due ad un massimo di ventidue giocatori.

Giocare col morto: Si usa nel poker quando non ci sono sufficienti giocatori per una partita, così si danno le carte come se fosse presente un'altra persona, in modo da poter comunque giocare.


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The Corner

Con un po' di ritardo, ma eccoci arrivati alla fine!
Queste shot sono state un ottimo trampolino per riprendere a scrivere.
Nei prossimi giorni ci saranno cascate di aggiornamenti...
Grazie mille per avermi seguita e recensita,
un ringraziamento speciale a: 
Anima1992 (perché tu ci sei sempre, ti voglio un mucchio di bene amica mia)
SilverNightmare07
e, dulcis in fundo, a Claire Knight per le tue sentitissime recensioni che mi hanno davvero fatto tornare a pensare che in fondo quello che scrivo ha un senso.
A presto!

Chii

 

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