Half: You call upon god

di Vanoystein
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Ricaduta ***
Capitolo 2: *** -Io sono diventata la morte ***
Capitolo 3: *** -Allarme ***
Capitolo 4: *** -A volte ritornano ***
Capitolo 5: *** -Solo un assassino ***
Capitolo 6: *** -Ragazza in prigione ***
Capitolo 7: *** -Tentativo di fuga ***
Capitolo 8: *** -Appesi ad un filo ***



Capitolo 1
*** -Ricaduta ***



Le strade dalla cittadina di Brooklyn erano come sempre affollate. La sera era umida ma non troppo calda, portava con sé una brezza leggera e primaverile.
I marciapiedi straripavano di persone su persone, con il sorriso stampato in viso. Le insegne dei negozi illuminavano tutto con un’esplosione di colori.
Julian camminava a passo svelto, le mani nei pantaloni dei Jeans e il cappuccio della felpa che gli copriva i capelli color miele.
Erano passati circa tre mesi da quando aveva visto Jill l’ultima volta, o meglio, si era presentato in camera sua.
Poi era sparito. Senza dare spiegazioni, sotto lo sguardo scioccato della giovane.  
All’improvviso una voce si fece strada alle spalle di Julian che si inchiodò nel bel mezzo del marciapiede di colpo.
 – Finalmente ti ho trovato. Ti ho cercato per più di una settimana. Nessuno sapeva dove diamine ti fossi cacciato. Ho chiesto ai tuoi amichetti demoni dove ti trovassi, ho cercato di capire dove si trovasse tuo padre ma niente. –
Alec.
 – Cosa vuoi ancora? Abbiamo discusso dell’accordo due settimane fa. Ne hai anche discusso con mio padre. – Sbuffò il biondo voltandosi.
– Ma volevo assicurarmi che tutta la vostra banda fosse al corrente del piano. Sai, non mi fido molto di voi demoni. – Confessò Alec, sussurrando la parola ‘’demoni.’’
Sì, era questo.
Il padre di Julian, Nathan, era un demone.
Ma Julian era un mezzosangue.
Mezzo demone.
Salvato e riportato in vita dopo la morte proprio dal padre.
  – Alec, ti prego. Non fare il santo. Neppure di te ci si può fidare più di tanto. – Rise Julian. Alec si strinse nelle spalle.
– Invece sì se si tratta di ottenere ciò che voglio. –
- Facciamo quello che vuoi tu solo perché mio padre lo vuole. –
- Solo perché Lilith lo vuole. – Puntualizzò Alec.
– Non avevo pensato al fatto che se vi venisse la malsana idea di infrangere il patto la regina dell’Inferno vi ammazzerebbe tutti. Guai a chi tocca la sua figlioletta. – Sorrise, ovviamente riferendosi a Jill. Era un sorriso tutt’altro che innocente, il suo.
– Appunto. Questo vale anche per te. –
- Non le farò del male. – Sbuffò Alec alzando gli occhi al cielo. – Ho passato due mesi a fare da balia a Jill. A fare il bravo ragazzo. A pararle il culo ogni volta. A cercare di guadagnarmi la sua fiducia. – Bofonchiò facendo una smorfia. – A questo punto non avrebbe senso farle del male. Mi serve, ricordi? Anzi, CI serve. L’unico motivo per cui questo accordo sta in piedi è perché sia io che voi demoni ci possiamo guadagnare. –
- Lo so benissimo. Dimmi piuttosto, da quanto è che non vedi Jill? –
 - Uhm, due mesi, circa. Ero stufo. Lei era diventata pesante e noiosa. Continuava a piangersi addosso come una bambinetta lamentandosi di quanto la vita facesse schifo. – Rispose con una punta di disgusto. - Mi fa pena. – Alec si passò la lingua sulle labbra secche. – Era completamente partita di testa. Si chiedeva come diamine facessi tu ad essere vivo. – Alec fece una piccola pausa prima di ricominciare a parlare. - Siete noiosi uguali. Sai, dovevo smuovere un po’ le acque. Un mese senza divertimento? Non se ne parla… -
Prima che Alec potesse continuare, Julian lo interruppe. – So cosa hai fatto. –
Alec si passò una mano tra i capelli. – E io so che far morire il suo amichetto sfigato, com’è che si chiamava? Dylan? – L’espressione di Alec diventò pensierosa. – Beh, quello, forse è stato un po’ esagerato però è stato anche divertente. Poi ci è andata di mezzo anche Nadya, poveretta. – Mugugnò con finto dispiacere. – Però è stato divertente e sai qual è la parte migliore? Che Jill non sa che dietro a tutto questo ci sono io. – Sospirò soddisfatto.
Julian ignorò completamente quell’ultimo commento di Alec, incrociò le braccia al petto. – Spiegami una cosa. Cosa c’entri tu in tutto questo? Sei un angelo, giusto? Perché stai con demoni e cerchi di aiutarci? –
Alec corrugò la fronte. – Lo sai il perché e, per la cronaca, sono caduto. Quindi quello che sto facendo ha senso, non devo la mia fedeltà a Dio. – Replicò Alec pungente. Julian mugugnò qualcosa di incomprensibile, poco convinto.– Ci vediamo appena possibile, allora. – Disse guardando Alec. – Torna da Jill e falle fare al più presto quello che deve.–
Infine si voltò, ricominciando a camminare con la testa bassa, si allontanò velocemente da Alec scomparendo nelle vie della calda città.
 
 
- Jill! Diamine! Si può sapere quanti ci impieghi? Apri questa dannata porta! – Vincent continuò a tirare forti colpi contro la porta del bagno, ormai spazientito.
Era da mezz’ora che sua sorella si era chiusa a chiave in bagno e non rispondeva ogni volta che lui le urlava contro. – Ti do dieci minuti per uscire! – Gridò ancora lui allontanandosi finalmente dalla porta.
Jill restò seduta contro la porta, le ginocchia portate al petto. La testa bassa, pastiglie in mano.
Sospirò alzandosi piano in piedi. Arrivò davanti al lavandino, poggiandoci sopra le mani.
Alzò il viso verso lo specchio. Il trucco nero era completamente colato, le aveva impiastrato tutto il viso.
Gli occhi rossi e gonfi a causa delle lacrime. I capelli scompigliati, come se non li pettinasse da giorni. – Che schifo. – Bisbigliò tra sé e sé poggiando le pastiglie sopra al lavandino.
Quei due mesi in cui Alec era stato assente erano stati un inferno. Era capitato il delirio più totale.
Dylan e Nadya erano stati vittima di un incidente stradale, insieme ad altri suoi due amici. I due, insieme a Dylan erano morti sul colpo, Nadya era in coma da un mese e non dava segni di ripresa.
Jill passava metà del giorno in ospedale, a sperare nel risveglio dell’amica e l’altra metà chiusa in casa. Non usciva più.
Vincent le gridava contro ormai tutto il giorno. Aveva nuovamente scoperto una parte di droga che teneva nascosta e si era alterato tantissimo.
Jill però ne aveva ancora, di droga. Nella sua stanza,tenuta al sicuro da suo fratello. Ormai era entrata in un circolo vizioso dalla quale non riusciva più a tirarsi fuori.
Si chiudeva in camera sua a fumare quando suo fratello usciva infischiandosene del fatto che ci fosse odore di erba o fumo in tutta la stanza.
Non mangiava ormai quasi più. Tutte le volte che suo fratello le rifilava del cibo, lei diceva che non aveva fame, tutto questo portava ad un’altra sfuriata da parte di Vincent.
Di sicuro il fatto che Alec fosse sparito nel nulla come Julian non era d’aiuto. Dal giorno di due mesi prima, quando aveva ucciso tutti quei angeli con i suoi poteri, nessuno si era fatto più vivo.
Niente angeli, niente demoni. Niente di niente. In compenso altri problemi avevano preso il loro posto.
Passava ormai tutte le notti in bianco, senza chiudere occhio, a piangere. Ormai era una delle poche e uniche cose che riusciva a fare.
– Jill! Esci! – La voce arrabbiata di Vincent la fece sussultare. Jill non gli rispose. Aprì l’anta dell’armadietto prendendo una boccietta di pillole a caso.
– Tra cinque minuti esco. Un attimo! – Rispose lei cercando di rimanere calma. Sentì il suono dei passi del fratello allontanarsi.
Sospirò aprendo poi il rubinetto riempiendo un bicchiere di vetro poggiato sul lavandino di acqua. Si mise in bocca circa sei o sette pillole per poi bere tutta l’acqua. Immediatamente si sentì girare la testa, si sedette per terra, poggiando la schiena contro la vasca.
Chiuse gli occhi. 

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Capitolo 2
*** -Io sono diventata la morte ***




Il mal di testa cominciò a farsi sentire. Jill aprì piano gli occhi, mettendo a fuoco l’immagine di una camera di ospedale. Girò piano lo sguardo.
Tanti tubicini attaccati al suo braccio e collegati a delle macchine.
La mascherina d’ossigeno le dava un gran fastidio, come se l’aria a sua disposizione si fosse improvvisamente decimata.
Erano state la troppe pillole a farla finire in ospedale.
Purtroppo, non era quello che voleva, non era quello che aveva programmato.
Sperava che dopo aver ingerito tutte quelle pillole sarebbe finito tutto. Una volta per sempre.
Invece Vincent era riuscito a trovarla senza sensi in bagno, in tempo per salvarla. Ecco quello che odiava di suo fratello.
Odiava che dovesse fare sempre l’eroe, che dovesse sempre prendersi cura di lei.
Lei voleva solo mettere un punto a quello schifo di vita che le era capitata invece lui la doveva sempre salvare.
Doveva sempre aiutarla. Ed in realtà era giusto che lo facesse.
La porta di quella piccola e triste stanza si aprì.
Si sarebbe aspettata suo fratello con un’ espressione preoccupata e angosciata stampata in viso invece si trovò davanti l’ultima persona che pensava si sarebbe rifatta viva.
– Che cosa hai combinato, uhm? – Alec scosse la testa sospirando. Chiuse la porta alle sue spalle avvicinandosi al lettino di Jill.
Quanto avrebbe voluto alzarsi dal letto, dirgliene quattro e scoccargli un bel pugno in piena faccia.
Era scomparso da due mesi, lei non aveva avuto più sue notizie e si rifaceva vivo proprio in quel momento.
Quando lei era stata a un passo dalla morte.
– Non speravo certo che ci dovessimo rincontrare in un ospedale. – Gli occhi azzurri di Alec si fecero quasi accusatori.
Jill lo fissò, si riusciva a scorgere benissimo l’arrabbiatura e il disagio nel suo sguardo.
Alec si chinò su di lei togliendole la maschera d’ossigeno dal viso.
Da vicino il ragazzo riuscì a vedere gli occhi azzurri di lei ancora arrossati e pesanti, insieme alle occhiaie marcate. – Tuo fratello è praticamente andato fuori di testa. Pensava che tu stessi ancora dormendo, solo per questo mi ha dato il permesso di entrare. – Disse.
Restò qualche secondo in silenzio, aspettandosi almeno una risposta da lei che però non arrivò. – So che sei arrabbiata, è comprensibile. Ma sono andato via perché avevo delle faccende da sbrigare. Però adesso sono tornato e non me ne vado. Sono qui. –
‘’Sì, perché sono quasi morta.’’ Pensò lei.
- Sono qui per te. – Aggiunse lui.
Disse quella frase con un tono così dolce che anche lo sguardo pungente di Jill si addolcì.
Per quanto volesse almeno rispondergli non ci riusciva, non sapeva cosa dire.
Una parte di lei era così furiosa che l’avrebbe voluto cacciare fuori a calci ordinandogli di non farsi più vedere, l’altra invece era quasi contenta di poterlo vedere di nuovo, le era mancato così tanto.
Ma poi, l’unica cosa che riuscì a fare fu prendergli la mano, stringendola nella sua.
Si era quasi dimenticata della solita scossa che la faceva sussultare ogni volta che si toccavano, non era quasi più abituata.
Strinse i denti tirando il braccio di Alec, obbligandolo a chinarsi ancora di più su di lei.
Una volta che le loro labbra furono separate solo da pochi centimetri finalmente parlò. – Marcisci all’Inferno, Alec. – Bisbigliò impassibile a denti stretti.
Subito dopo mollò la presa su di lui, allontanandolo da sé. – Dì pure a quel coglione di mio fratello di andarsene a casa. Non ho bisogno di nessuno io. – Ringhiò strappando violentemente i tubi collegati al suo braccio.
Si mise a sedere sul letto per poi alzarsi in piedi.
– Tu te ne torni dopo due mesi facendo tutto il carino solo perché stavo per crepare e credimi, sarebbe stato meglio così. Non credere che sarà la prima volta che tenterò di suicidarmi. – Disse. – Questa è solo il primo di una serie di tentativi. –
Si sarebbe sicuramente aspettata o una sfuriata da parte di Alec oppure un tentativo di farla ragionare, calmare e rimettere a letto.
Non fece niente.
Jill prese tra le mani la sua borsa nera, prendendola dall’armadio grigio davanti al suo lettino.
- Ma fai il sul serio? – Alec sembrava quasi sconcertato. – Mi spieghi che ti è passato per quella testa in questi due mesi? Ti ho sempre tenuto d’occhio, sai? Ma guardati, ti droghi tutto il giorno. Stai male giorno e notte. Sei depressa, incazzata con il mondo intero, odi tuo fratello e tenti il suicidio. Inoltre sei anche contenta di dirmi che è solo l’inizio di una serie di tentativi. -
- Beh, la mia migliore amica è morta. Credevo che anche il mio ragazzo lo fosse invece si è presentato due mesi fa davanti a me, vivo e vegeto ed è sparito nel nulla. Mia madre è morta in un incidente stradale causato da uno psicopatico che ho scoperto essere il padre di Julian. Jamie è morto per causa mia, tu sei sparito per due mesi. Dylan è morto e Nadya è in coma. Ecco. Ecco cosa mi è successo! – Gridò Jill.
Gridò talmente tanto che tutto il discorso si sentì in tutto il corridoio.
Vincent infatti irruppe nella stanza subito dopo, seguito da un paio di infermiere che si scaraventarono in preda al panico su Jill ordinandole di sdraiarsi nuovamente e di stare calma.
Un’infermiera circa sui 40 anni e leggermente robusta prese Jill per il braccio trascinandola nuovamente verso il letto.
– Mi lasci! Mi lasci ho detto! – Jill gridò ancora. Appena Vincent fece un passo avanti l’altra infermiera lo fermò.
– Uscite per favore. Entrambi. Ci pensiamo noi a lei. – La donna accennò un piccolo sorriso sia ad Alec che Vincent che uscirono esitando.
L'infermiera chiuse la porta della stanza, lasciandoli fuori. Riuscivano a sentire le proteste e i lamenti di Jill.
Sembrava quasi di essere in un ospedale psichiatrico, dove tutti i pazienti urlano fuori di sé appena i dottori cercano di fargli fare qualcosa che non vogliono.
– Ma si può sapere che diamine le hai detto? Inoltre credevo dormisse! – Vincent sbuffò stanco, incrociando le braccia al petto.
Prima ancora che Alec ebbe il tempo di rispondere il rumore di un vetro spaccato attirò l’attenzione di entrambi.
Proveniva dalla stanza di Jill. Alec si precipitò ad aprire la porta seguito da Vincent.
Restarono entrambi spiazzati.
Jill girò lo sguardo verso di loro. – Vi conviene chiudere quella porta se non volete che qualcuno inizi a fare mille domande. – Un angolo della bocca si sollevò, sorridendo leggermente.
- Che diavolo hai fatto?! – Alec si avvicinò alla finestra, con il vetro ormai in frantumi.
Vincent chiuse velocemente la porta osservando il corpo insanguinato dell’infermiera a terra. Alec si sporse dalla finestra, calpestando i pezzi di vetro sul pavimento.
Vide perfettamente il corpo dell’altra infermiera al suolo, immerso in una pozza di sangue. Jill l’aveva scaraventata giù.
– Ma sei impazzita o cosa?! – Sbottò Alec voltandosi verso di lei.
– Mi hanno dato fastidio e le ho uccise. – Jill scrollò le spalle rigirandosi tra le dita un pezzo di vetro insanguinato.
Il viso di Jill era pieno di schizzi di sangue ancora caldo. La maglietta, le braccia e le mani ne erano piene.
– Ti hanno dato fastidio?! – Le fece eco Vincent. – Stavano cercando di aiutarti! Hai ucciso delle persone innocenti! -
- Sai che perdita. – Sbuffò Jill annoiata lasciando finalmente cadere il pezzo di vetro a terra facendo ricadere gli occhi sull’infermiera bionda a terra. – Mi ha stretto troppo forte prima. Mi ha fatto male al braccio. – Si lamentò come una bambina.
Vincent alzò lo sguardo verso di lei ancora scosso. Vedeva come stava cambiando. Stava cambiando sotto i suoi occhi. Stava diventando un’altra persona.
La cosa che non sopportava? Che lui non potesse fare niente per aiutarla.

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Capitolo 3
*** -Allarme ***




Alec continuò a fare avanti e indietro per la stanza. Quella stanza di ospedale, piccola e sporca di sangue.
Segnata dal corpo dell’infermiera, macchiata di assassinio.
Era da quasi una decina di minuti che non si fermava. Pensava, pensava e pensava ad una soluzione…ma non che ci fosse niente da fare.
La voce di Vincent scosse il silenzio, sembrò rimbombare come un tuono.
- Dobbiamo andare. Se ci beccano qui adesso siamo nei casini. – Disse cercando di restare calmo, era nel panico più totale da svariati minuti.
Se c’era una cosa che lui non sapeva fare era stare tranquillo e non farsi prendere subito dall’ansia.
–Arriveranno comunque a me. Sono stata l’ultima paziente in questa stanza. – Jill roteò gli occhi al cielo.
– No. Ehm…sei stata mandata a casa questa mattina. Le due hanno avuto una discussione pesante, parecchio…direi. La bionda ha attaccato sia verbalmente che fisicamente l’altra infermiera che per un tragico incidente è caduta. L’altra, ritenendosi responsabile si è uccisa. Fine. – Intervenne Alec, improvvisando uno scenario. – Tu non c’entri. Non eri qui, eri a casa tua insieme a tuo fratello. –
Vincent borbottò qualcosa a bassa voce, poco convinto.
Alec gli lanciò un’occhiataccia, avrebbe voluto dirgli ‘’Beh, se non ti sta bene, proponi tu qualcosa.’’
Ma si trattenne, tenendo a freno la lingua.
Jill roteò gli occhi, Alec spostò lo sguardo su di lei, la esaminò per poco, poi le ordinò: – Jill, togliti la maglia. –
Per un attimo lei incrociò lo sguardo del fratello. Mugugnò, senza muoversi minimamente.
– E’ piena di sangue. – Aggiunse Alec sospirando slacciandosi la sua felpa, rimanendo con una leggera maglia a maniche corte.
Di sicuro non era molto consigliato andarsene in giro a maniche corte in pieno inverno, ma doveva per forza dare a Jill la sua felpa. – Tenersi una maglia insanguinata non è un buon modo per passare inosservati. –
- Dai muoviti. Togliti quella maglia e andiamocene. – Intervenne Vincent tenendo chiusa la porta della stanza.
Jill alzò gli occhi al cielo sfilandosi velocemente la maglietta grigia sulla quale si distinguevano immediatamente le macchie rosse, ancora fresche.
Appena se la tolse si trovò gli occhi divertiti di Alec addosso, le porse la felpa senza dire niente e lei gliela strappò dalle mani indossandola. Appena chiuse la cerniera alzò anche il cappuccio.
– Andiamo. – Disse appena Vincent aprì la porta. Uscirono velocemente tutti e tre, uno dietro l’altro. Alec chiuse nuovamente la porta.
Percorsero svelti tutto il lungo corridoio pieno di dottori e pazienti.
Si avviarono verso l’uscita ma Jill si fermò, imboccando un altro corridoio.
– Ma dove diavolo vai?! Torna qui! – Ringhiò subito Alec andandole dietro.
– Jill! Dobbiamo uscire! – Anche Vincent li seguì sbuffando.
– Devo andare a vedere come sta Nadya! -
- Ma ti sembra il momento? Ci verrai un’altra volta! – Vincent superò Alec fermando la sorella, prendendola per un braccio. – Andiamo a casa! –
Jill si divincolò subito dalla sua presa. – Ci metterò poco. –
Ricominciò a camminare, seguita dai due. Si fermarono davanti ad una porta, la numero ‘’286’’.
– Io sto fuori ad assicurarmi che non arrivi nessuno. – Borbottò Vincent appena Jill aprì piano la porta.
Sia lei che Alec si infilarono nella stanza. Quest’ultimo chiuse piano la porta, poggiandoci contro la schiena.
Jill si avvicinò lentamente al lettino sulla quale era stesa la ragazza.
La camera era divorata dal silenzio, l’unica cosa che lo squarciava era il ‘’bip’’ continuo della macchina dei battiti cardiaci, aveva almeno una decina di tubi collegati alle braccia e alla testa, inclusa la maschera d’ossigeno.
Per un momento Jill ebbe l’impressione che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro, ma no, si trattenne.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per rivedere il sorriso o gli occhi verdi di Nadia ancora una volta. Non sarebbe successo più.
Si inginocchiò vicino a lei, prendendole la mano. – Ti aspetto, okay? Ho bisogno di te. – Bisbigliò piano portandosi la mano dell’amica alle labbra. – Non lasciarmi anche tu. Devi lottare. Devi svegliarti. -
- Jill. – La voce di Alec la fece sussultare. – Ti prego, dobbiamo andare. –
Jill si alzò da terra, prima di uscire diede un ultimo sguardo all’amica, stranamente, non fece altre storie ma obbedì ad Alec.
Aprì la porta superando lui, trovando il fratello che li aspettava. Superò anche Vincent che la seguì subito dirigendosi verso l’uscita.
Alec invece restò qualche secondo di più.
Chiuse nuovamente la porta avvicinandosi al lettino. – Buonanotte, dolcezza. – Ghignò togliendole la maschera d’ossigeno e staccando il tubo della flebo.
In pochi secondi il battito cardiaco di Nadya andò a diminuirsi.
Alec uscì dalla stanza come se niente fosse, appena chiuse la porta il cuore della ragazza si arrestò.
''Sapeva qualcosa'' Era stato detto ad Alec da Julian. ''Evita che si risvegli.'' Doveva ucciderla, così da eliminare qualsiasi dubbio.
Jill invece non poteva sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista.

****

Jill entrò in camera sua sbattendo la porta. Si tolse immediatamente la felpa di Alec che era quasi il doppio di lei buttandola sul pavimento.
Si sfilò le scarpe e i Jeans sporchi. Vincent era restato fuori, Alec era sparito chissà dove. Di nuovo.
Il lato positivo era che almeno sarebbe stata un po’ da sola, senza suo fratello per un po’-infatti subito dopo si sarebbe di sicuro aspettata un rimprovero da parte sua-per tutto quello che aveva combinato.
Prese velocemente un maglione blu dall’armadio e subito dopo un paio di pantaloni scuri e li infilò, mentre goffamente usciva dalla stanza, dirigendosi verso la cucina.
Passarono pochi secondi quando fu in salotto qualcuno bussò alla porta.
Jill girò gli occhi azzurri verso la porta di legno, trascinò debolmente i piedi a terra, pensando di trovarsi davanti suo fratello invece, sulla soglia della porta e invece, c’erano due agenti in divisa.
Uno circa sui 30 anni e uno evidentemente più vecchio. Jill notò subito sulla giacca color crema di uno la spilla dorata con marchiata sopra la scritta ‘’Sceriffo.’’
- E’ lei Jillian Baker? – Domandò l’uomo, squadrando la ragazza. La sua voce era talmente roca e acuta che a Jill sembrò le avessero urlato nelle orecchie.
- Sì, perché? –
Lo sceriffo fece scorrere lo sguardo da Jill al suo collega, dietro di lui impassibile.
Poi, i suoi occhi scuri ricaddero severi nuovamente su Jill. - Dobbiamo farle qualche domanda riguardo l'incidente all’ospedale principale della città nella quale sono coinvolte due infermiere. –

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Capitolo 4
*** -A volte ritornano ***




- No. Non ne sapevo niente. Sono stata rilasciata questa mattina, prima dell’ora dell’incidente…ero qui a casa insieme a mio fratello. – Jill si torturò le mani, era nervosa, la voce tremante e titubante.
Leggeva in faccia ad entrambi i poliziotti l’incertezza, non le credevano, erano lì in salone da quasi mezz’ora.
Continuavano a porle domande su domande e lei, continuava ad inventarsi scuse su scuse.
– Tuo fratello è in casa? Vorremmo parlare anche con lui. O i tuoi genitori. – Il più giovane dei due finalmente intervenne, sospirando.
– I miei genitori sono morti e mio fratello adesso non c’è. E’ uscito. –
A quelle parole, i due poliziotti si alzarono in piedi dalle sedie contemporaneamente. – Allora per adesso va bene, ma tieniti a disposizione per eventuali altre domande. –
Jill annuì. – Va bene, certo. –Si alzò anche lei in piedi accompagnandoli alla porta. – Arrivederci. –
I due uscirono di casa entrando in auto. Una vecchia e brutta auto bianca, con la scritta ‘’Polizia’’ sulla fiancata per metà sbiadita.
Jill restò sulla soglia della porta fissando la macchina allontanarsi.
Non poteva permettere che tornassero, che trovassero indizi o che la giudicassero colpevole, alla fine.
Infatti, una volta che il veicolo fu alla fine del viale Jill allungò un braccio. Con un gesto veloce della mano fece schiantare l’auto violentemente contro un albero.
Il fumo cominciò a fuoriuscire dal veicolo, il botto dello schianto fu così acuto che ben presto le persone del vicinato corsero in strada.
Jill sorrise facendo un passo indietro, facendo finta di niente, sparì dietro la porta.
In quei due mesi era riuscita a controllare i suoi poteri, all’insaputa di suo fratello.
La cosa che più la divertiva e la faceva andare su di giri era usarli, per divertirsi o per cose che almeno lei CREDEVA fossero giuste, come quella…senza avere il minimo rimorso.
La sua parte demoniaca c’era, sepolta dentro di lei, molto in fondo.
Ma ormai lo stava capendo, stava emergendo.

Alec aprì piano gli occhi. La luce del mattino filtrava dalle due enormi finestre davanti a lui, picchiandogli in pieno viso.
Sbuffò girando la testa di lato, guardando la ragazza che dormiva come un angelo di fianco a lui.
Si chiamava Michelle, ed era più piccola di lui, almeno così Alec credeva.
Aveva dei lunghi capelli rossi che non potevano fare a meno di riportargli alla mente Dakota e dei grandi occhi azzurri che gli ricordavano Jill.
Avrebbe voluto che ci fosse lei al posto di quella prostituta tirata in macchina dalle strade della città.
Voleva Jill.
Voleva averla.
La voleva sua, solo sua.
Si tirò le lenzuola sopra la testa, coprendo i capelli scuri.
Tutta la notte l’avevano passata a fare un fracasso infernale.
Alec si era completamente perso tra bottiglie di alcool, musica a palla e sesso.
Quello che considerava divertimento. Non era la prima volta che trovava delle prostitute, non sarebbe stata neanche l’ultima probabilmente.
Le trovava così insignificanti, patetiche, stupide e la maggior parte neanche lontanamente attraenti.
Adorava invece sentirle gridare di piacere, sussurrare il suo nome.
L’unica cosa che erano capaci di fare, secondo lui.
Si era divertito ad ascoltare le sfuriate e i lamenti dei vicini durante la notte a causa di tutto il rumore e il fastidio che avevano fatto lui e Michelle.
– Che ore sono? – La voce della ragazza spezzò il silenzio.
Si era appena svegliata, si passò la mano sulla fronte quando Alec sbucò dalle lenzuola
. – E lo chiedi a me? – Pungente come al suo solito prese la sua vestaglia nera alzandosi dal letto.
Michelle lo osservò per pochi secondi, forse aspettandosi qualche bella frase dolce ma così non accadde.
Era tornato freddo e distaccato come al suo solito.
La rossa si alzò in piedi ricominciando a vestirsi restandosene in silenzio, mentre Alec fece lo stesso.
Una volta vestita e sistemata Michelle si riprese tra le mani la sua borsetta rosso fuoco avvicinandosi ad Alec, allungò una mano aspettando che la pagasse. Alec si infilò la sua maglietta osservando la ragazza.
– Già te ne vai? - Fu l'unica cosa che lui riuscì a chiedere, divertito.
- Ho altri clienti. Il mio lavoro qui è finito. – Si giustificò. – I soldi. – Lo sguardo di Alec si fece serio e tutto in pochi secondi diventò uno scenario sanguinoso.
Prese velocemente un pugnale dal comodino in parte a lui ficcandolo nella gola della ragazza.
La trapassò letteralmente, la lama sanguinante le trafisse il collo. Alec estrasse poi il pugnale ghignando, diede una leggere spinta contro la spalla di Michelle facendola cadere a terra.
La ragazza che fino a qualche secondo prima restò agonizzante, appena picchiò la testa contro il duro parquet morì sul colpo.
– Niente di personale, tesoro. – Ridacchiò soddisfatto un attimo prima di rimettere il pugnale sul comodino.
Sicuramente non sarebbe più tornato in quel appartamento.
Non si sarebbe nemmeno dovuto preoccupare del fatto che qualcuno avrebbe potuto cercare di rintracciarlo, aveva lasciato nome e cognome falsi.
Si diresse verso l’uscita, aprì la porta facendo un balzo all’indietro appena si ritrovò faccia a faccia con suo fratello che non lasciava trafelare sul viso un minimo di emozione.
Impassibile. Serio. Arrabbiato.
- Dobbiamo parlare. – Le uniche parole che uscirono dalla bocca di Noah.

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Capitolo 5
*** -Solo un assassino ***




- So cosa hai fatto. – Noah rivolse uno sguardo più che severo al fratello, continuando a camminare.
Avevano lasciato l’appartamento, Alec si era dovuto inventare una scusa per mascherare l’uccisione di Michelle.
Di certo non poteva andare a dire a Noah che aveva ucciso di sua spontanea volontà, tanto per divertirsi, una prostituta.
Camminavano per le strade della città, si erano ficcati in un vicolo buio che restava ugualmente oscurato anche se il sole batteva sulla città.
Quella frase di Noah fece riflettere Alec. ‘’So cosa hai fatto.’’
A cosa poteva riferirsi? D’altronde, Alec ne aveva combinate di ogni.
- E staremmo parlando di…? – Chiese Alec inarcando le sopracciglia.
Noah si impuntò, fermandosi di scatto. - Ginevra. –
Ginevra, sì. Uccisa, con la testa tagliata.
Morta da mesi ormai, all'insaputa di tutti.
- Non so di cosa tu stia parlando. –
- L’hai uccisa. Lo so. Lo sanno tutti. –
- Tutti chi, uhm? – Sibilò Alec. – Quei mezzi idioti all’arcata? Fate, Ninfe e caduti? Oh, sai quanto me ne frega di quello che pensano loro o di quello che pensi tu? Non avete prove. Non sapevo nemmeno che lei fosse morta. – Sbottò, mentendo.
Noah sospirò. – All’inizio non avevo dato peso al fatto che per giorni e giorni fosse sparita, anzi, credevo se ne fosse andata di sua spontanea volontà ma sai, si è fatta viva una ragazza. Sinceramente non capisco perché abbia aspettato così tanto ma ha detto di averti visto chiaramente mentre la uccidevi. –
Alec si passò una mano sul viso stringendo i denti. – Mi dava fastidio. Era una palla al piede. Avrebbe intralciato i nostri piani. –
- Vuoi dire i TUOI assurdi piani. E’ vera la tua alleanza con i Demoni? –
- Mi servono. Devono stare alla larga da Jill, lo sai che se muore il piano va a rotoli. Mi serve viva. Gli angeli sono spariti dopo lo sterminio che ha fatto e quindi ho dovuto fare un patto con i Demoni, sì. – Confessò infine Alec.
- E che cosa gli darai in cambio? –
- Niente. Insomma, lo sai, se il progetto che ho andrà a segno loro saranno i primi a guadagnarci. Beh, questo per quanto riguarda l’inizio… - Le sue labbra si aprirono in un ghigno.
Noah corrugò la fronte. – Che vuoi dire? –
- Jill crede che io non lo sappia, ma ha iniziato ad usare i suoi poteri e a controllarli. Non sa che per due mesi le sono stato addosso e l’ho controllata giorno e notte, mostrandomi solo adesso perché aveva bisogno di me. Sta diventando forte, come avevo previsto. Come volevo. Diventerà una mina vagante. Un pericolo per tutti. Una volta diventata abbastanza forte, li sterminerà tutti. Quando sarò io a deciderlo. –
Noah assottigliò gli occhi. - Ancora una volta mi chiedo come fai ad essere sicuro che tutto filerà liscio. –
- Perché va sempre tutto come ho calcolato. Come voglio io. –
- Devi smetterla. – La voce di Noah si fece severa. – Ci farai uccidere tutti. Non ti lascerò mandarci tutti allo sfracello. –
- No? – Alec ridacchiò. – Ma ti prego. Cosa vorresti fare? –
- Non ti rendi conto che ti stai fottendo da solo nel raccontarmi tutto? Non ci metterò tanto a rintracciare qualche demone che si tiene in contatto con te e a dirgli che hai intenzione di usare Jill per ucciderli tutti al momento giusto, poi sarà la volta di Vincent e Jill. Sapranno tutto. Infine, non sarà certo difficile toglierti di mezzo una volta per tutte. –
- Tu vorresti uccidere me? – Gli occhi azzurri di Alec si fecero pungenti, come la sua voce. – Se solo proverai a metterti sulla mia strada ti strapperò via gli organi, uno per uno. –
Calò il silenzio. Lo sguardo di Noah si fece serio, determinato.
Riusciva a scorgere il male negli occhi del fratello, come poteva essere cambiato così?
E invece lui, come aveva fatto ad essere stato così cieco per così tanto tempo senza capire le reali intenzioni di Alec?
Senza capire come fosse realmente?
- Ragiona. Ragiona! – Ringhiò Noah. – E’ una follia! - - Se ti azzardi a dire qualsiasi cosa a chiunque te la farò pagare. -
Noah sembrava sicuro di sé. – Non lo farai. Non puoi impedirmelo. –
A quella frase Alec scattò subito in avanti sbattendo con forza il fratello contro il muro. – Vogliamo vedere? – Ringhiò premendo il braccio contro la gola di Noah. – Te l’ho detto, se solo ci provi ti uccido. Che non ti sfiori neanche l’idea che non ne sia capace. –
Noah portò le mani sopra il braccio di Alec. Riuscì a tirargli una ginocchiata in pieno stomaco che lo fece piegare in due ed allontanarlo da lui.
Noah ansimò passandosi una mano sul collo arrossato. – Tu sei pazzo. – Era sicuro, che Alec alla fine non avrebbe fatto niente.
Nonostante le minacce, erano fratelli.
Alec si rimise subito in piedi, l’aria di sfida negli occhi.
In pochi secondi riuscì a ribaltare a terra Noah, con un gesto veloce del braccio lo fece cadere di petto, facendogli picchiare il mento sul cemento violentemente.
Vide subito il sangue macchiare il suolo. Noah mugugnò qualcosa di incomprensibile, si lamentò stringendo i denti.
– Lo sai che tra me e te tu non vincerai mai. – Alec gli mollò un calcio sul fianco, aumentando i lamenti del fratello.
Si piegò afferrando l’altro per il colletto della maglia, lo tirò da dietro, obbligandolo ad alzarsi.
– Sono stato chiaro o devo continuare? – Ringhiò Alec senza mollare la presa attorno alla maglia del fratello.
Non ebbe nessuna risposta da lui, che continuava a fissarlo impassibile, in fondo, ferito da quel comportamento che mai si sarebbe aspettato.
Alec serrò ulteriormente la mano sul colletto di Noah, senza minime esitazioni lo spinse di nuovo contro al muro, facendogli sbattere di proposito il viso che cominciò a sanguinare immediatamente.
Subito dopo lo lasciò cadere a terra gemente.
Alec osservò il fratello a terra per qualche secondo prima di girare i tacchi.
Fece un passo in avanti ma la voce di Noah lo bloccò. – Mi fai schifo. Tu non sei mio fratello. – Ansimò con un fil di voce. –
Alec si girò di nuovo verso di lui. – Hai ragione, non sono tuo fratello. – Si abbassò per terra vicino a lui. – Sono un assassino. – Ghignò ficcandogli una mano nel petto. Serrò le dita attorno al suo cuore caldo.
Vide il viso del fratello contorcersi, smorfie, dolore, ansimi e gemiti.
Glielo strappò dalla cassa toracica con forza, furiosamente, il sangue gli macchio tutti i vestiti, impiastrandogli anche il viso.
Tenne il cuore ancora pulsante in mano sogghignando.
Lo strinse nella mano aggressivamente, continuando a tenere gli occhi puntati su Noah senza vita, come se dovesse dimostrargli qualcosa.
Dimostrargli anche da morto che lui era capace di qualsiasi cosa.
Il cuore gli scoppiò letteralmente in mano. Si passò le dita sulle labbra, leccando via il sangue.
Ed era vero, lui era capace di qualsiasi cosa.

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Capitolo 6
*** -Ragazza in prigione ***




Jill era chiusa in camera sua, lo sguardo chiaro perso fuori dalla finestra e la noia che la divorava da più di un’ora.
Per un motivo o per un altro-in ogni caso-alla fine si ritrovava sempre da sola chiusa in camera a far nulla.
Era così che ormai trascorreva le giornate.
O a esercitare i suoi poteri per qualche ora, di nascosto dal fratello, oppure a fissare il cortile e poi il viale fuori dalla finestra.
E quindi, quando sentì uno stridio arrivare dal piano inferiore della casa era da sola.
Appena si mosse, per andare ad aprire la porta della sua stanza ed andare a controllare, il vetro della finestra della camera esplose verso l’interno.
I cornicioni di legno caddero a terra, sfasciandosi.
Lei si voltò di colpo, l’unica cosa che riuscì a vedere fu un fascio di luce bianco, seguito da una mano ferrea che si strinse attorno alla sua spalla.

Le prigioni delle creature sovrannaturali erano enormi.
Vecchie e buie. Si trovavano tutte sottoterra, una di fianco all’altra.
I muri erano fatti di pietra scura, quasi come la pece.
Le sbarre di metallo delle celle chiuse con una serratura che poteva essere aperta solo con un incantesimo, nessuna chiave.
L’aria era umida, impestata di un odore più che sgradevole, un vero e proprio tanfo fastidioso per l’olfatto.
Il silenzio regnava, la quiete era spezzata solo ogni tanto da dei gocciolii di acqua formatasi dalla troppa umidità.
Quando Jill riaprì gli occhi, fu questo lo scenario che l’accolse.
Non ricordava come ci fosse finita lì, ne quello che era successo a casa sua, ricordava solo una voce nella testa che continuava a ripeterle che doveva essere punita.
Punita per lo sterminio di angeli che aveva fatto parecchi mesi prima.
Si era completamente bagnata la felpa nera continuando a restare con la schiena poggiata contro il muro umido.
Le celle erano separate da strettissime ma enormi barre.
Nelle due celle in parte a lei c’erano dei ragazzi.
A sinistra una ragazza sdraiata per terra, incurante dello sporco e della polvere sul suolo.
Aveva i capelli corti completamente bagnati che si erano appiccicati alla nuca e alla fronte.
La ragazza aveva un’aria triste, malinconica e ferita, Jill riusciva a leggerglielo chiaramente in faccia.
Invece, nella cella alla sua sinistra c’era un ragazzo.
I capelli rossi spiccavano persino nell’oscurità, gli occhi blu elettrici le erano quasi sembrati familiari.
Lui continuava a lanciare sassolini verso la parete di pietra.
Era ovvia la rabbia, racchiusa in quei continui lanci tanto forti.
Jill era riuscita a scorgere le macchie di sangue sui suoi vestiti, macchie ormai secche, da tanto anche.
Le celle erano per la maggior parte piene di giovani, tutti avevano fatto qualcosa di sbagliato, infranto le rigide regole del Consiglio, fatto degli sbagli ritenuti catastrofici.
Avevano peccato.
- Che cosa avresti fatto tu, uhm? – La voce del ragazzo rimbombò nell’intera galleria di pietra.
Jill girò lo sguardo verso di lui che ancora non aveva smesso di lanciare sassolini contro il muro.
Lo fissò in silenzio con aria interrogativa, non aveva capito se si stesse rivolgendo a lei. Lui si fermò. – Sì, parlo con te, occhi di ghiaccio. – Disse voltando il viso verso di lei.
‘’Occhi di ghiaccio’’ Si, gli occhi di Jill erano di un azzurro tanto chiaro e bello che ricordavano spesso il ghiaccio.
E solo in quel momento, quando incrociò lo sguardo di lui, le parve di averlo già visto da qualche parte.
Aveva un viso familiare, ma, lei non ricordava dove poteva averlo visto. - Ho ucciso degli angeli, suppongo sia per questo che sono qui. – Rispose solamente, senza sprecarsi in troppi dettagli.
- Jillian, giusto? Tutti vorrebbero vederti. Onorato di fare la tua conoscenza. – Ridacchiò lui passandosi una mano tra i capelli rossi e lisci.
- Tutti mi vorrebbero morta. – Lei lo corresse, sbuffando.
- Ti vedono solo come un pericolo. –
Lei gli lanciò uno sguardo fulmineo. Lo guardò per pochi secondi e poi parlò ancora, cambiando discorso: - E tu invece cosa hai fatto per finire qui? – Domandò con una punta di curiosità.
- Non ho rispettato le regole, ti basta sapere questo. – La voce del ragazzo assunse di colpo un tono freddo.
Anche lui non voleva dare troppi dettagli del perchè si trovava lì, in quel postaccio. Non voleva parlarne.
Calò di nuovo il silenzio.
Jill tornò nuovamente a fissare il suolo ma il rosso riprese la parola. – Sono Cameron. –
Jill gli rivolse di nuovo uno sguardo, allargando leggermente l’angolo della bocca.
– Metà angelo, metà umano. Proprio una sfiga. – Si lamentò lui acquistando un tono scherzoso facendo sparire completamente l’acidità di pochi attimi prima.
Jill non riuscì a trattenere una risatina.
- Mio padre era un angelo. Un vero bastardo. E’ sparito quando avevo due anni. – Continuò lui.
- Stessa storia. Beh, lo sai immagino. Avere come madre la figlia di Lucifero non è proprio il massimo e anche mio padre è scomparso nel nulla a quanto ne so. Non l’ho mai conosciuto. – Rispose Jill rimanendo seria. – Ma forse è meglio così. –
Lo pensava davvero.
Sperava di non doverlo mai incontrare. In un certo senso stava ‘’bene’’ senza suo padre.
Non aveva bisogno certo di altri problemi.
Cameron si morse l’interno del labbro. - Quanto tempo dovrai stare qui? – Domandò cambiando discorso.
- Non lo so. – La voce di Jill si riempì di insicurezza. – Tanto, credo. –
Era sicura che suo fratello avrebbe cercato di tirarla fuori di lì.
Aspettava solo che arrivasse a portarla via.
Sperava che il suo viso angelico spuntasse da un momento all’altro davanti alla sua cella, doveva solo aspettare.
– Tu? – Riprese Jill. - Sono qui da due mesi. Credo che ne avrò ancora per molto. – Cameron si alzò in piedi sbuffando con un’aria scocciata.
ill si rese conto di quanto fosse alto.
Notò i jeans scuri con degli strappi sulle ginocchia che mettevano ancora più in risalto le cicatrici che gli segnavano le gambe.
Distolse lo sguardo da lui appena sentì un tonfo in lontananza. In pochi attimi vide arrivare davanti a lei Alec e Vincent.
Il viso di Jill si illuminò. – Come avete fatto ad entrare? – Scattò in piedi.
- Beh, abbiamo dovuto far saltare qualche testa. – Rispose Alec mollando un calcio alla serratura.
- E’ inutile. Non si aprirà. – Intervenne Cameron, fissando i due e stringendo le mani attorno alle sbarre della sua cella.
Alec si fermò spostando lo sguardo verso di lui. Restò completamente spiazzato. – Cameron. Cosa ci fai qui? –
Il ragazzo ghignò. – Quello che ci fa lei. – Rispose indicando Jill con lo sguardo.
- Sì, va bene, le chiacchere possiamo rimandarle a dopo? – Finalmente Vincent parlò, infastidito. – Come diamine si apre questa cella? –
- E’ chiusa con un incantesimo. Non potete aprirla. Nessuno può, a parte le guardie. – Rispose Cameron, squadrando Vincent da capo a piedi. – Ed ecco che finisce qui il magnifico piano. Già smesso di fare gli eroi per salvare la principessa prigioniera. – Ridacchiò divertito.
- Lo sai, l’incantesimo? L’hai sentito pronunciare? – Gli domandò Alec, ignorando la sua frase.
Aveva un’idea. Cameron annuì poco convinto. Alec sorrise trionfante. - Beh, non è detto che solo le guardie magari siano in grado di usare quell'incantesimo. Credo di avere la persona giusta per provare a recitarlo. – Disse facendo ricadere nuovamente gli occhi azzurri su Jill.

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Capitolo 7
*** -Tentativo di fuga ***




Passarono i minuti. Cameron cercava di insegnare le parole dell’incantesimo a Jill.
Parole mezze disordinate e in subbuglio, che lei ovviamente non riusciva a memorizzare con tanta facilità.
Vincent continuava a camminare avanti e indietro in preda al panico con la paura che potesse arrivare qualcuno.
Alec invece, se ne stava tranquillo poggiato contro le sbarre della cella di Jill.
Le braccia incrociate, la calma alle stelle, i pensieri da un’altra parte.
- Fatto! Credo…- Affermò di colpo Jill, richiamando l’attenzione di tutti e tre.
Alec si scostò dalle sbarre, Vincent si fermò e Jill posizionò le mani sulla serratura all’esterno della cella.
Lo sguardo di Alec si spostò su Cameron che fissava Jill speranzoso.
Lei cominciò a recitare l’incantesimo, ancora e ancora, sotto l’incertezza di suo fratello.
Improvvisamente sentirono un ‘’click’’, la serratura scattò, la cella si aprì.
Vincent tirò subito un sospiro di sollievo trascinando la sorella per un braccio fuori di lì. – Andiamo. – Disse lui immediatamente.
- No. Aspettate. – Ordinò Alec impuntandosi. – Jill, tiralo fuori. – Indicò Cameron con lo sguardo.
Vincent sbuffò roteando gli occhi al cielo lasciando la presa attorno al braccio di Jill che si avvicinò alla cella del ragazzo che riuscì ad aprire subito, a differenza della sua.
– Grazie, occhi di ghiaccio. – Bisbigliò lui a un tono così basso che solo Jill riuscì a sentirlo.
Subito dopo guardò Alec che si affrettò a stringerlo in un forte abbraccio.
Dall’ultima volta che si erano visti erano passati anni.
Si conoscevano da quando erano piccoli erano sempre stati complici, sempre dalla stessa parte, sempre d’accordo su tutto.
Erano uguali.
Due mine vaganti, pericolosi, bugiardi.
Cameron era sicuramente l’unica persona che conosceva a memoria tutti i segreti di Alec, l’unica persona di cui gli era mai veramente importato.
Per Alec era stato un fratello, più di Noah.
- Bellissima rimpatriata. Adesso potremmo andare? – Evidente fastidio si fece strada nella voce pungente di Vincent, fissò la scena con una punta di gelosia affiorargli dentro.
Si incamminarono subito tutti a passo svelto.
Nessuno di loro aveva voglia di altri problemi, non dovevano assolutamente imbattersi in guardie.
Dovevano solo uscire di lì il prima possibile.
Cameron e Jill seguirono a ruota Alec e Vincent, restando dietro di loro.
Camminarono per tutta la fredda galleria passando davanti a celle e celle piene di uomini e donne che si lamentavano.
Cameron ruppe il silenzio. – E’ tuo fratello, vero? – Sussurrò a Jill, riferendosi ovviamente a Vincent.
Lei annuì. – Ma non di sangue. – Precisò lui deciso.
Jill gli lanciò un’occhiataccia, per un attimo si chiese come facesse a saperlo e ad esserne certo ma poi si disse da sola che era ovvio che praticamente tutte le creature magiche sapessero della sua vita.
– Hai altri fratelli? Di sangue, intendo. – Continuò ancora lui.
Jill non smise di fissarlo. – Non che io sappia. – Rispose.
La sua mente fu attraversata da un altro pensiero. ‘’A cosa diavolo poteva interessargli?’’
Avrebbe solo voluto e forse dovuto dirgli di farsi gli affari suoi ma tacque.
- Fermi. – Alec si bloccò di colpo in mezzo alla galleria. – C’è qualcuno. –
Neanche il tempo di finire la frase che subito dopo delle guardie sbucarono dal nulla, impuntando i piedi saldamente davanti a loro.
Indossavano delle armature brillanti.
D’argento, azzardò Jill.
Sotto l’armatura dei pantaloni stretti e neri.
Erano forse circa una decina, nulla che non potessero gestire.
Le guardie avevano con sé tutti delle armi, tranne un paio che tenevano saldamente in mano degli scudi che brillavano.
Alec e Vincent estrassero dalle rispettive giacche dei pugnali che lanciarono al volo a Jill e Cameron.
I dieci uomini si scaraventarono addosso a loro, puntandogli le lame appuntite contro.
Jill riuscì a colpirne subito uno ficcandogli il pugnale nel petto, colpendo in pieno il cuore pulsante.
Avrebbe potuto usare i suoi poteri, avrebbe fatto certamente prima ma non voleva che nessuno sapesse del fatto che avesse imparato a controllarli.
La guardia sprofondò a terra privo di vita. Jill si piegò velocemente in avanti allungando la mano con l’intento di rimuovere l’arma dal corpo.
Avvertiva i ringhi, gli urli soffocati delle altre guardie.
Non ebbe nemmeno il tempo di guardarsi attorno che tutto il rumore cessò.
Improvvisamente cadde il silenzio. Jill alzò lo sguardo senza nemmeno aver recuperato il coltello.
Si rimise diritta con il cuore che le martellava nel petto.
Le sembrava di sentirlo rimbombare in tutta la galleria.
Si guardò attorno accigliata.
Tutto si era fermato. Il tempo era bloccato.
Le guardie, Vincent, Alec e Cameron erano completamente immobili come statue di marmo.
Ma non perse tempo.
Impugnò di nuovo il pugnale che gocciolava di sangue e colpì a morte tutte le altre guardie rimaste in vita, come un fulmine e prima ancora che lei potesse accorgersene il tempo ricominciò a scorrere.
Tutti e tre i ragazzi scoccarono a Jill uno sguardo confuso. – Ho...fatto qualcosa. Per sbaglio? – Jill parve incerta e scocciata anche di dare solo quella breve e stupida spiegazione.
Posarono tutti i loro sguardi sui corpi a terra.
– Allora per adesso abbiamo la strada spianata. – Disse Alec senza dar vedere il suo essere soddisfatto.
Ma invece improvvisamente qualcosa di gelida si strinse attorno alla caviglia di Jill facendola rabbrividire.
Si ritrovò sbattuta a terra prima che potesse accorgersene.
Picchiò le ginocchia, la pancia e il seno contro il duro suolo.
Vincent si voltò immediatamente verso di lei, buttandosi in avanti velocemente, ma prima che riuscisse ad afferrarla per il braccio quella cosa che l’aveva presa la trascinò via.
Jill gridò, risucchiata dall’oscurità.

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Capitolo 8
*** -Appesi ad un filo ***




Alec scattò in avanti, cominciò a correre fulmineo seguito da Vincent e Cameron. – Jill! – Gridò con tutta la voce che aveva in corpo.
Nessuna risposta.
Era tornato a regnare il silenzio spezzato solo dal rumore dei loro passi.
- Fermo! Non hai idea di dove andare! – Gridò Vincent continuando a corrergli dietro.
Alec diminuì la corsa fino a che non si fermò, stringendo i denti. – E che dovremmo fare? Lasciarla chissà dove e chissà con chi o cosa? – La voce di Alec si fece preoccupata ma accusatrice. Se fosse successo qualcosa a Jill sarebbe stato rovinato.
- No, però…-
- Come la troviamo? – Esordì Cameron interrompendo Vincent, fregandosi dell’ovvia esitazione e incertezza di quest’ultimo.
- Potrebbe essere ovunque. Noi potremmo anche perderci. – Ribattè Vincent.
- E tu ti definiresti anche suo fratello? Alla prima occasione la molli da sola invece di aiutarla solo perché ti fotti di paura? – Sbottò Cameron, pungente.
Lui diceva sempre quello che pensava, sempre.
Infischiandosi dei giudizi altrui, non aveva peli sulla lingua.
Tutto quello che gli passava per la testa, lo diceva.
Era impulsivo, non riusciva quasi mai a controllarsi.
– Beh, qui nessuno ha chiesto il tuo parere. – Ringhiò Vincent sulla difensiva.
Per un attimo Alec ebbe la sensazione che Cameron gli avrebbe dato contro, mollandogli un pugno in pieno viso.
Capì infatti che quell’idea gli balenò in viso ma comunque, non fece nulla.
Finalmente poi Cameron parlò. – Dividiamoci. – Propose lanciando un’occhiata fulminea a Vincent.
– Sì, grandiosa idea. – Disse Vincent con cupa ironia. – Poi come ci ritroviamo? –
Era già evidente che quei due non si sopportassero.
- Tu, genio, hai sempre il tuo cellulare. Io e Alec abbiamo i nostri metodi. – Sibilò l’altro di rimando.
- Va bene, muoviamoci. – Alec smussò la tensione.
Tenne stretto il pugnale nella mano, prese la direzione opposta dei due, proseguì dritto mentre Vincent imboccò la galleria a destra, Cameron quella a sinistra.
Alec camminò con passo svelto, passando davanti a celle e celle.
Uomini e ragazzi che speranzosi chiedevano il suo aiuto.
Lui se ne restò zitto osservandoli uno ad uno, gli occhi azzurri pieni di disprezzo e disgusto.
- Morirai. – Bisbigliò una voce dall’interno di una piccola cella. Alec si fermò di scatto, voltando lo sguardo verso la ragazza rinchiusa in quella cella.
Corrugò la fronte appena riconobbe quel viso. – Cosa ci fai qui? – Domandò lui assumendo un’aria stranamente soddisfatta.
- Hai ucciso mia sorella. – Bisbigliò ancora la ragazza scostandosi una ciocca di capelli biondi dal viso.
Gwen, identica a sua sorella. Ginevra.
Ad Alec infatti ricordava sempre in tutto e per tutto quest’ultima. Aveva gli stessi lunghi capelli dorati, gli stessi occhi scuri e grandi, lo stesso temperamento forte ma arrogante, la stessa capacità di dargli sui nervi.
- Quindi sei restata aggiornata anche se ti hanno chiuso in questo sudicio posto. –Ridacchiò Alec. – E’ stato divertente ucciderla. –
Fece subito per andarsene, non aveva certo tempo da perdere, soprattutto non con lei.
Ma prima che potesse finalmente andare via, diede un’ultima occhiata alla bionda che sicuramente, se avesse avuto il potere di ucciderlo all'istante, lo avrebbe fatto.
Alec aveva più nemici di quanti se ne potessero immaginare.
Qualsiasi creatura, in qualsiasi posto.
Alla fine lui la ignorò, se ne andò, scomparendo nel buio.

Vincent procedette lentamente. Ogni tanto gridava il nome della sorella ma nessuna risposta arrivava come sperava.
Non aveva camminato tanto, teneva la guardia alta e procedeva cautamente.
Infatti si impuntò appena avvertì un sibilo alle sue spalle.
Si voltò velocemente. Non c’era nessuno. Il silenzio era calato di nuovo, assordante.
Improvvisamente sentì un altro sibilo, questa volta più acuto, più vicino.
Il braccio cominciò a sanguinare, un taglio si aprì sulla sua pelle.
Strinse i denti soffocando un gemito. – Chi c’è?! – Gridò tamponandosi la ferita con la mano.
Un altro sibilo gli passò accanto.
Si voltò ancora, non c’era niente.
O almeno, niente che lui potesse vedere.
D’un tratto avvertì qualcosa di pungente conficcarsi nella sua gamba, dei denti affilati gli solcarono la carne.
Sobbalzò urlando dal dolore a squarciagola.
Il sangue cominciò a scorrere. Il morso bruciava e pulsava in una maniera impressionante.
Cominciò subito a girargli la testa, si dovette appoggiare al muro per non perdere l’equilibrio.
Tutto attorno a lui cominciò a diventare sfocato, il cuore batteva come non mai, tirandogli martellate che quasi gli facevano male.
La temperatura corporea cominciò ad alzarsi di colpo, il viso gli divenne rosso improvvisamente tant’è che iniziò a sudare e ad avvertire un calore enorme espandersi in tutto il corpo.
Gli occhi azzurri si spensero mentre un altro giramento di testa gli fece subito perdere i sensi facendolo cadere pesantemente a terra.
Quel morso, era velenoso.

Cameron correva furiosamente, aveva già attraversato una buona parte della galleria superando almeno una centinaia di celle. Ansimava come non mai.
Si fermò all’istante quando passò davanti ad una porta di acciaio che in un primo momento nemmeno aveva notato.
Indietreggiò di qualche passo poggiando la mano sulla maniglia gelata della porta che però non si aprì.
Prese un grosso respiro prima di mollare un violento calcio che spalancò la porta, facendola vibrare.
La stanza che si presentò a lui era enorme, vuota e buia rotta qua e là solamente da qualche spiraglio di luce che superava i vetri opachi delle piccole finestre poste sul soffitto.
Cameron avanzò piano, il pugnale sanguinante ancora stretto in mano.
Spalancò gli occhi appena vide un corpo posto per terra senza sensi, il corpo esile e i capelli lunghi e corvini che coprivano il viso della ragazza.
Si mosse velocemente verso di lei appena comprese che era Jill. Non era ferita, fortunatamente. C
ameron si inginocchiò di fianco a lei, tese l’orecchio per cercare di percepire il respiro che sentì subito. Era viva.
- Ti porto via di qui. – Disse in un sussurro
Ma non fece nemmeno in tempo a muoversi di un centimetro che fu travolto da una bestia che gli saltò bruscamente addosso.
Lo spinse lontano da Jill con una facilità spaventosa, facendogli strisciare la schiena contro il pavimento impolverato.
Il pugnale gli scivolò via dalla mano.
Quella bestia era un altro demone, molto simile a quello che aveva attaccato Jill in infermeria e che si era impossessato dell’infermiera Abigail all'arcata.
Enorme, con scaglie dorate e sulle zampe. I denti affilati e aguzzi. Gli occhi completamente bianchi e grandi.
Cameron assunse una calma quasi inquietante, sogghignò, posando bruscamente il palmo della mano contro il muso raggrinzito della bestia.
Si scatenò un bagliore accecante che riuscì ad allontanare la creatura che tirò un ringhio.
Il ragazzo si alzò velocemente da terra, scattando in piedi come un felino recuperò il pugnale a terra.
Si gettò immediatamente contro quel demone conficcandogli il pugnale nell’occhio aggressivamente. Un altro ringhio rimbombò nella stanza.
Cameron estrasse il pugnale vedendo il demone dimenarsi furiosamente.
Riuscì finalmente ad ucciderlo quando il pugnale gli tagliò la testa, facendola saltare di lato.
Cameron sospirò buttando l’arma a terra. Un gioco da ragazzi, almeno per lui.
Si avvicinò nuovamente a Jill tirandola su da terra, la prese stringendola tra le braccia.

Alec si fermò sospirando in mezzo alla galleria. Già non ne poteva più.
E se non avessero trovato Jill? Se fosse morta? Lui sarebbe stato fottuto.
- Jill! – Gridò ancora ricominciando a camminare.
Niente da fare, nessuna risposta ovviamente.
Si fermò poco dopo, vide Vincent a terra. – Merda! – Ringhiò avvicinandosi velocemente a lui.
Si inginocchiò per terra. – Ehi, ehi! – Ancora non aveva notato il morso che aveva sulla gamba. Appena gli diede dei leggeri colpetti sulle guance si rese conto di quanto si fosse alzata la sua temperatura corporea, scottava.
Fortunatamente gli balzò subito in testa l’ipotesi di un morso velenoso.
Lo sapeva bene, era l’unica cosa che poteva far alzare in modo elevato la temperatura.
Era velenosissimo. Causava morte certa se non veniva guarito in tempo e non si riabbassava la temperatura.
Ma come diavolo poteva far lui per aiutarlo?
Alec gli sfilò subito la giacca di pelle il più velocemente possibile, la buttò di lato assieme alla felpa grigia che gli tolse subito dopo, lo fece restare solo con una leggera maglietta a maniche corte.
Se lo caricò piano in spalla e senza il minimo sforzo si mise a correre, sfrecciando all’uscita della galleria.
A quel punto sperava solo che Cameron avesse trovato Jill.

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