ci vuole un Demone...

di metaldolphin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** uno ***
Capitolo 2: *** due ***
Capitolo 3: *** tre ***
Capitolo 4: *** quattro ***
Capitolo 5: *** cinque ***
Capitolo 6: *** sei ***
Capitolo 7: *** sette ***
Capitolo 8: *** otto ***



Capitolo 1
*** uno ***


L'ennesima goccia d'acqua caduta dal soffitto basso di pietra antica, centrò la torcia accesa che fu scossa da un breve crepitio, ma Zoro non se ne curò.
Aveva ben altro per la testa, in quel momento.

Il corridoio sotterraneo sembrava snodarsi all'infinito e il buio lo inghiottiva in entrambe le direzioni: solo il chiarore di quel fuoco tremolante schiariva quel buio che pareva rimasto inviolato da troppi anni.
Senza una parola o qualsiasi altro suono che potesse uscire dalle labbra serrate, lo Spadaccino continuava ad avanzare, con l'eco dei pesanti stivali che risuonavano sulla roccia nuda e scivolosa per l'umidità'.

Doveva fare presto, dipendeva tutto dalla riuscita della sua missione. Ormai da più di un'ora camminava lungo quel budello sotterraneo e non aveva incontrato nulla di diverso in quella monotona galleria, né un bivio, né uno slargo. Le pareti di pietra fredda si confrontavano sempre alla stessa distanza, parallele, e nemmeno la prospettiva che si perdeva nel buio riusciva a farle incontrare.

Dopo l'ennesimo gomito, infine, un fievole chiarore lontano gli fece capire che forse era giunto alla sua meta.
Se non fosse stato così, almeno qualcosa avrebbe interrotto quell'assurda monotonia.

Giunto in prossimità di quella luce ora più consistente, allertò i suoi sensi e mise mano alla katana, preparandosi ad ogni evenienza. Di certo non sarebbe stato accolto a braccia aperte... Dopotutto, era pur sempre uno sconosciuto in territorio ostile e il suo aspetto inquietante non facilitava di certo le cose.

Il corridoio si apriva in una specie di disimpegno sulla cui parete di fondo spiccava una porta di legno massiccio, ornata di borchie metalliche e pesanti cerniere dello stesso materiale. Una torcia assicurata ad un grosso anello infisso nel muro, ardeva con luce quasi irreale, dato che sembrava non consumarsi o variare di luminosita`, a differenza di quella dello Spadaccino, che sembrava prendere vita ad ogni movimento e spostamento d'aria.

Nessuno sembrava essere nei paraggi, ma Zoro non abbassò la guardia, appoggiò l'orecchio sulla superficie lignea e si mise in ascolto.
Nulla sembrava provenire dall'ambiente celato da quella barriera.
Dato un ultimo sguardo al corridoio che proseguiva e si perdeva nella fitta oscurita`, Zoro, silenzioso come una pantera nella giungla insidiosa, tagliò il legno e il metallo dei cardini, riuscendo così ad accedere al locale senza annunciare la sua presenza.

La sala non era molto ampia, ma su essa si aprivano varie porte seminascoste da pesanti panneggi di tessuto scuro. La luce era diffusa da poche lampade di vecchia fattura e, nell'insieme, a Zoro la situazione ricordò il castello di Mihawk in cui era stato ospite, suo malgrado, per due anni, se non fosse stato consapevole di essersi addentrato nelle viscere dell'alta montagna che sorgeva proprio al centro dell'isola.

Agganciò la torcia ad un anello vuoto per avere le mani libere e cercò un qualsiasi indizio o segnale che potesse aiutarlo.
Nemmeno qui si udivano suoni che potevano tradire la presenza di alcunché di vivo.

Si affidò alla fortuna che già tante volte, forse anche troppe, lo aveva aiutato, nella sua vita fatta di avventura e pericolo.
L'enorme cicatrice che gli sfregiava il tronco, dalla clavicola sinistra alla cresta iliaca destra, ne era prova: sopravvissuto a quella tremenda prova, a volte aveva l'impressione di essere quasi invincibile. A rammentargli la sua umana fragilità era la sua vista ridotta per l'occhio ormai perduto, che lo aveva costretto ad un allenamento supplementare per ovviare con gli altri sensi al grave deficit. Grazie a quelli e al suo sviluppato haki, riuscì a percepire qualcosa dietro la porta alla sua destra, come un sospiro indefinito o l'ultimo alito di vita che sfuggiva via, riluttante, da un corpo ormai inutile.

Impugnò la Sandai Kitetsu e spalancò la pesante porta con decisione, pronto a tutto.
Diede una rapida scorsa alla camera riccamente arredata, ma l'unico occupante, un uomo ancora giovane e prestante, dai lineamenti fini e i lucidi capelli neri raccolti in una coda bassa che scendeva lungo le spalle, rimase semisdraiato sulla dormeuse, a guardarlo con aria ironicamente divertita.
Piluccava scuri acini d'uva da una ciotola d'argento con fare elegante, senza fretta, per nulla intimorito dalla presenza di Zoro.
Che fu squadrato da capo a piedi con occhio critico per qualche secondo dal padrone di casa, prima che lo sorprendesse con una frase pronunciata con nonchalance: -Guerriero, ce ne hai messo di tempo prima di scegliere la porta giusta... Sarei anche contento di vederti, ma credo che tu avresti preferito incontrare una delle mie sorelle. Sono molto belle, sai? Anche se forse non tutte amerebbero un uomo rozzo al par tuo....

Lo Spadaccino ringhio' al suo indirizzo, quindi scaraventò in aria, con un calcio, un basso tavolino elegantemente intarsiato e disse, senza preamboli: -Non mi interessano né te né le tue sorelle, belle o racchie che siano. Sono qui per riprendere solo la mia compagna!

L'altro scoppiò a ridere sonoramente, ma con grazia, come solo certi nobili sanno fare.
Pareva sinceramente divertito, non vi era alcuno scherno nel tono di quel suono ilare. Si mise in piedi ed avvicinò Zoro con passo tranquillo. Rimase ad una distanza minima ed alzò il viso per guardare il pirata, che era più alto di lui di mezza testa.

-Sei divertente, guerriero. Ma sai, visto che altri non te l'hanno detto, devo informarti che nessuno è mai uscito vivo dalla nostra residenza, uomo o donna che fosse.

La parte finale della frase aveva assunto un tono lieve di minaccia e Zoro reagì di conseguenza, sfoderando anche la Shushui senza il minimo suono e sferrando il primo colpo.

L'altro non si mosse nemmeno quando venne colpito.
Guardò con somma indifferenza la lama che lo trapassava da parte a parte, scomparendo nella scura giacca di velluto, quindi fece un passo indietro, poi un altro e si liberò dall'arma affilata.
Non una goccia di sangue macchiò il pavimento o gli abiti ed anche la katana brillava intonsa, alla luce tremolante delle candele. Sembrava che fosse passata un'eternità, ma tutta l'azione era durata pochi attimi.

Lo sconosciuto sospirò, quindi, con una certa dose di ironia, disse: -Devo avere qualcosa che non va... Non mi crede mai nessuno... E va a finire che ci rimetto sempre qualche abito che mi piace!- sbuffo', infilando sconsolato le dita nel taglio della giacca, mentre Zoro lo guardava allucinato, come se non capisse cosa fosse successo.

Improvvisamente gli tornarono in mente le parole dette dall'Archeologa, in merito ad una leggenda propria dell'isola in cui si trovavano, che narrava della popolazione locale mutata in una sola notte in qualcosa di terribile e poi sterminata dai superstiti che erano sfuggiti a quella specie di maledizione.

Evidentemente qualcuno era riuscito a sopravvivere, dato che quello strano tipo rispondeva perfettamente alle descrizioni giunte ai loro giorni: bell'aspetto, eleganza, grazia e...niente sangue, nemmeno una goccia, quando venivano colpiti da qualsiasi tipo di arma. Si nutrivano dell'essenza vitale degli altri uomini, un po' come Dracula con il sangue delle sue vittime...

Approfittando della stupita esitazione di Zoro, l'altro agì in fretta, atterrandolo con un violento colpo alla nuca, dato con una forza tale da fargli perdere immediatamente i sensi. Scomposto al suolo, lo Spadaccino rimase immobile, respirando appena, mentre una chiazza scura e viscosa si allargava sotto la sua testa, macchiando il pavimento lucido di pregiato marmo.

L'aggressore sbuffo' stizzito nuovamente.
-Maledetti mortali! Guarda tu che casino... E che spreco di energia vitale!- esclamò, chinandosi sul samurai svenuto.

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Capitolo 2
*** due ***


Un violento capogiro accolse Zoro al suo risveglio.
Non riuscì subito a capire dove fosse e a ricordare quanto accaduto, ma la situazione in cui si trovava glielo spiegò chiaramente.

Il doloroso indolenzimento degli arti superiori era dato dal fatto che reggevano il suo non indifferente peso: i polsi gli erano stati legati insieme ed erano stati appesi ad un gancio assicurato da una spessa fune ad una trave del soffitto.
L'avevano denudato, lasciandogli soltanto i boxer scuri a coprire le zone intime, ma la botta in testa sembrava essergli stata medicata, in qualche modo: sentiva cerotti o fasce che gli limitavano i movimenti della testa. Cercò di guardarsi intorno, ma la luce fioca non gli permise di vedere molto.
Però capiva che quella dove era finito somigliava molto ad una sala delle torture. Alle sue spalle percepiva una presenza, ma non sapeva dire che intenzione avesse nei suoi confronti.
Zoro si agitò cercando di allentare le funi che gli serravano i polsi, senza ottenere alcun risultato. Si fermò, ansimante per lo sforzo, rilevando di essere più debole di quanto si aspettava. Chinò il capo, sconfortato, cercando di dare aria ai polmoni dolenti per la trazione.

-Zoro...- mormorò una voce flebile ma familiare alle sue spalle. Anche se non poteva vederla, riconobbe l'oggetto della sua spasmodica ricerca. Mancava il tono squillante e autoritario, ma era indubbiamente lei.
-Nami...- rispose a voce bassa, cercando di nascondere l'apprensione -Stai bene?

Lei non rispose subito e la sua esitazione gli fece capire che qualcosa non andava.
-Cosa ti hanno fatto, Nami?- le chiese con tono fermo. Chi non lo conosceva poteva anche scambiarlo per minaccioso, ma lei sapeva bene che quella del compagno era soltanto ruvida preoccupazione.

La ragazza esitò ancora, guardando la figura del compagno trattato a quel modo. Zoro era capace di indisporla come pochi, ma era leale e valoroso, forse il più affidabile della Ciurma. Si sentì in colpa, perché era in quella situazione per lei ed avrebbe passato momenti terribili, prima di morire, Nami lo sapeva, aveva già visto cosa accadeva ai poveri sventurati che arrivavano si lì.

Zoro la sentì piangere sommessamente e la rabbia lo invase. -Cosa ti hanno fatto?- le chiese nuovamente, stizzito dalla mancata risposta di lei e dal fatto che non poteva girarsi per accertarsene di persona.
-Perché sei venuto, Zoro? Perché mi hai seguita? Adesso pagherai anche tu per i miei errori... Non potevi restare con gli altri, non...

-ADESSO STA' ZITTA, NAMI!- tuonò lui, arrabbiato per quelle parole -Non riesci proprio a capire cosa mi ha spinto qui?- le disse, poi, con tono più pacato.
Rimase muta, congelata dalle sue urla e da quell'ultima affermazione. Credeva di aver capito, ma non riusciva a comprendere, nella confusione che le permeava la testa, se la sua intuizione fosse giusta o falsata da ciò che erano state le sue aspettative negli ultimi anni.
Avrebbe tanto voluto che Zoro si interessasse a lei... Il suo recente allontanamento dalla Sunny era dato proprio dal fatto che non sperava più in un rapporto di quel tipo con lui ed aveva cercato altrove l'affetto che le era stato negato.

Non era stato difficile seguire quell'uomo di bell'aspetto e dai modi cortesi e gentili, che sembrava sempre cosa dire al momento giusto e nel modo giusto... Sapeva farla sentire bella, la metteva al centro dell'attenzione e la faceva divertire, ma diversamente da come avrebbe fatto Sanji, troppo servile e melenso: era un uomo con il giusto equilibrio tra attenzioni e rude passione.
Peccato che, nonostante gli istintivi avvertimenti dei compagni, lei avesse preferito comunque continuare ad incontrarlo... Se non altro, avrebbe visto meno quello Spadaccino ritardato e se la sarebbe spassata con quel tipo niente male.
Troppo tardi, come una mosca sul miele, si era accorta di essere rimasta invischiata in qualcosa più grande di lei...

Non parlarono più, fino a quando, un paio d'ore dopo, una porta cigolò sui cardini arrugginiti, permettendo ad un tarchiato ometto di entrare in quella stanza pressoché spoglia.
L'aspetto del tipo era dei più ingannevoli, perché sotto al trasandato aspetto, l'occhio esperto di Zoro riconobbe abilità, sangue freddo e fedeltà alla sua causa, quale che fosse. Un ghigno cattivo sul volto ricoperto da una barba di almeno tre giorni, diede al più giovane  la certezza che quella sorte di boia sapesse il fatto suo, servito con una generosa porzione di freddo cinismo e condito con una abbondante spolverata di sadica crudeltà.

Il nuovo arrivato scrutò il corpo scultoreo dello Spadaccino passandosi la lingua scura sulle labbra screpolate, pregustando già il lavoro che quel robusto ammasso di muscoli poteva sopportare senza troppi problemi.
Suo malgrado, Zoro non riuscì a reprimere un brivido di disgusto verso quell'essere, augurandogli tra sé che non avesse toccato troppo la ragazza che ansimava dalla paura dietro di lui. Anzi, non aveva bisogno del "troppo", per riuscire a vendicarla se solo aveva osato sfiorarla.

Digrignando i denti, il Samurai assottigliò lo sguardo su quell'essere ignobile, ma quello si voltò, dirigendosi verso un angolo buio della stanza.
Lo sentirono trafficare con qualcosa e poi gli si avvicinò con una piccola scatola metallica da cui si dipartivano lunghi fili che terminavano con delle pinze, anch’esse metalliche.
Non ci volle molto a capire a che tipo di supplizio stesse andando incontro… sollevatolo ancora con un doloroso strattone alla fune, in modo che non toccasse il pavimento, l’uomo gli applicò due pinze alle dita dei piedi ed abbassò una levetta che sporgeva dalla scatola metallica assieme ad un paio di manopole graduate. Zoro fu scosso da una leggera corrente elettrica, ma strinse i denti e non emise un gemito.

Guardandolo con la fronte aggrottata, il torturatore, che evidentemente non si aspettava una reazione così composta, agì su una selle manopole ed intensificò il flusso, gradualmente, sino a che lo Spadaccino non urlò per il dolore che le scosse gli procuravano. Lo strazio fu ripetuto più volte, ad intervalli di pochi minuti. Brividi di gelo scossero il torturato, non aiutato dall'umidità del luogo, né dalla scarsa presenza di abiti addosso.

In realtà quello era solo l'inizio e alle sue spalle Nami singhiozzò una volta, poi due.

Una limpida voce femminile intervenne a fermare l'azione che stava per ripetersi nuovamente. -Orco, quante volte devo dirti di interpellarmi, prima di eseguire gli ordini di mio fratello? Ora va' via di qui, servi in cucina. Fila via! - esclamò schioccandogli dietro un rapido colpo di frusta.
Lamentando il dolore il carnefice corse via, lasciando i due prigionieri con la nuova arrivata.

Ansimando per il dolore non ancora sopito, lo Spadaccino sollevò a fatica il capo per inquadrare la nuova arrivata.
Non che ci fosse molto da vedere, visto che la figura alta e flessuosa che bene si adattava alla voce udita, era ammantata da un mantello scuro e lungo sino ai piedi, provvisto di cappuccio che gettava una scura ombra sui lineamenti, celandoli per intero.

Si fece vicino a Zoro e lui poté scorgere la pelle bianca di una manina delicata che veniva estratta per passare lascivamente sui suoi addominali ben delineati. Cercò di ritrarsi da quel contatto, ma la posizione non glielo consentiva, dato che solo i suoi alluci nemmeno sfioravano il pavimento freddo.
-Che bell'esemplare di maschio... - sussurrò con voce suadente, prendendo a girargli intorno e posando lo sguardo su quei muscoli torniti.
Sembrava che stesse apprezzando un capo di bestiame in vendita o un pregiato taglio di carne appeso a frollare da un macellaio. -Quel cattivone stava per rovinarmelo senza che riuscissi a divertirmi anch'io... Credo che dovrò prendere seri provvedimenti disciplinari, con questi inetti al mio servizio. - sembrava parlare più a sé stessa che con i prigionieri, di quell'azione rapida e brutale al tempo stesso.

La nuova arrivata si rivolse a Nami: -E con questo stallone a bordo, vuoi dirmi che hai cercato altrove?- Scoppiò a ridere sguaiatamente, poi ironicamente le disse: -Sei una ragazzina senza speranza... Moriresti di fame con la dispensa colma di qualsiasi bontà, ci scommetto.
Tornò a rivolgere le sue lascive attenzioni all'uomo, sfiorandolo piano con la punta delle dita, apprezzandone la solidità e la bellezza mascolina e passò istintivamente la lingua sulle labbra, pregustando già il sapore di quella meraviglia.

Tracciò la cicatrice enorme che lo segnava su tutto il torace, regalo poco gradito da parte di Mihawk Occhi di Falco. Se era sopravvissuto ad una ferita del genere voleva dire solo due cose: che era più forte di qualsiasi altro uomo e che possedeva una tenacia da non sottovalutare.
Bene.
Le piacevano le sfide.
Da sotto lo scuro mantello estrasse un guanto dalla fattura particolare, metallico ma ben snodato in corrispondenza delle articolazioni della mano su cui calzava perfettamente. Un sommesso rumore di scatto provocò la fuoriuscita di lunghi ed affilati artigli, simili a quelli dei felini, a fare da minacciose unghie alla delicata mano. L'incappucciata lo contemplò alla fioca luce, poi protese l'arto verso Zoro e con l'indice lo sfiorò per un lungo tratto sugli addominali contratti.
Lo appoggiò appena, ma subito un taglio netto e poco profondo si aprì sulla pelle dell'uomo, lasciandone uscire abbondanti strie scure e viscose, poi la donna si abbassò sul taglio e lo pulì dal sangue vivo passandovi sopra la punta della lingua rosea, mentre dalla gola del ferito sorse un cupo ringhio.
Leccandosi le labbra sporche di liquido rosso, la sconosciuta sorrise ironica: -Magari preferiresti che fosse mio fratello a fartelo... O forse la rossa qui dietro... Che ne dici, forte guerriero?

Quello la guardò minaccioso, ma non le rispose neanche stavolta.
Allora lei si diresse verso Nami, la afferrò per i capelli con la mano priva di guanto e, con forza sorprendente, la trascinò fino a gettargliela ai piedi. -Divertitevi, finché potete... Non sono gelosa.- rise, quindi voltò loro le spalle ed andò via, chiudendo la pesante porta dietro di sé.

Zoro abbassò lo sguardo verso la compagna, che giaceva ai suoi piedi a testa bassa.
Aveva molti segni sulla pelle bianca, lasciata in gran parte scoperta dalla grigia tunichetta corta che indossava, lacera e sporca in più punti.
Ma la cosa che gli fece più male fu vedere l'inequivocabile macchia scura, ormai secca, che spiccava tra le sue gambe, tenute strette istintivamente a difendere qualcosa che ormai era perduto.

Con i polsi legati da una corda robusta, l'unico segno rivelatore del suo essere in vita era dato dal respirare ansimante proprio di chi piange cercando di non farsi sentire. Non l'aveva mai vista in quello stato e fu sommerso dai sensi di colpa per averla trattata male, poco prima, senza neanche sapere in che stato versasse.

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Capitolo 3
*** tre ***


Addolcì il tono meglio che poté e la chiamò: -Nami... Nami, mi senti?
Lei alzò il viso verso lui.

Roronoa Zoro non era un tipo da farsi trasportare dai sentimenti, ma alla vista di quel viso, così diverso da come lo ricordava, lo prese una stretta al cuore che gli tolse il respiro.
Contusa in volto, occhi e labbra gonfie, sporca di sangue e scarmigliata, quella poverina non era la Navigatrice che conosceva. Lo sguardo spento e livido differiva completamente da quello orgoglioso e fiero che sfoggiava fino a pochi giorni prima.

Degluti' a fondo, poi le parlò nuovamente, con lo stesso tono di prima. Non avrebbe voluto, ma gli era necessario il suo aiuto, se volevano salvarsi da quegli esseri spregevoli.
-Nami, riesci a metterti in piedi?- le chiese in maniera calma e dolce.
Gli occhi vacui e cerchiati di lei lo fissarono, prima che annuisse.
-Bene. Allora ho bisogno che tu lo faccia, Nami: tendi le braccia e porta i polsi vicino alla mia bocca: se riuscirò a romperle potremmo anche riuscire a salvarci.
-Ma sono troppo spesse...- osservò lei.
-Non preoccuparti, sono abituato a stringere l'impugnatura della Wado, dovrei farcela...- le spiegò, ringraziando tacitamente la propria fissazione per la tecnica a tre spade.

Finalmente convinta, Nami si rimise in piedi con qualche difficolta' e sollevò le braccia, avvicinando i polsi al viso di Zoro, che iniziò ad attaccare le funi con il forte morso, deciso ad aprirsi una via di fuga da quelle catacombe umide e buie con la Navigatrice.
Si fermava ogni tanto per riposare le mascelle e per dare modo a lei di riposare le braccia: le leggeva chiaramente in viso lo sforzo di tenerle alzate, debole com'era.
Dovette riconoscere che la ragazza ce la stava mettendo davvero tutta. Da qualche parte l'orgoglio e la tenacia che possedeva erano ancora presenti.
-Ci sono quasi, Nami...- le sussurrò, ansimante per lo sforzo.
Poco dopo lei riuscì a liberare una mano, poi l'altra.
Massaggio' i polsi indolenziti e sanguinanti per la pelle lievemente scorticata, poi la vide allontanarsi in silenzio ed un timore lo colse d'improvviso... Voleva fuggire da sola, lasciandolo lì?

Ebbe la tentazione di chiamarla, poi di mordersi la lingua, vedendola tornare indietro trascinando a fatica una forma lunga e sottile: la sua preziosa, bianca, Wado Ichimonji, che venne tirata fuori dal fodero in maniera un po' esitante e sollevata sul suo capo per recidere i legami che lo tenevano appeso al soffitto.
Fissando l'affilatissima arma, Zoro riuscì a sudare freddo per la sua vicinanza con quella lama. -Ehi, vedi di non farla cadere proprio ora...- ghigno' lui, ma lei, seppur tremante, reggendola con entrambe le mani, la tenne saldamente e tagliò di netto la corda.

Zoro, improvvisamente libero di rilassare arti e tronco, indolenziti per la lunga trazione a cui era stato sottoposto, cadde a terra con un gemito.
Consapevole di non poter perdere ulteriore tempo, strinse i denti, si rimise in piedi, aiutò anche lei a farlo e raccolse la katana.
Si diresse verso lo stesso angolo in cui l'aveva vista prenderla e trovò le altre due fedeli lame, tra altre armi ed attrezzi da tortura.
Bastò un unico colpo sferrato con la Shushui per mettere fuori uso ciò che non gli apparteneva e soddisfatto, tornò da Nami.
Le porse una mano per aiutarla ad alzarsi da terra e si avviarono con circospezione verso l'unica uscita presente in quella sala delle torture, reggendosi a vicenda.
Zoro si affacciò con circospezione ed appurò che il corridoio su cui si trovavano era deserto e del tutto simile a quello che aveva percorso per arrivare in quel luogo tetro e malsano.
Non c'erano altre porte in vista, quindi scelsero una direzione a caso e si avviarono in silenzio con due priorità: trovare l'uscita e qualcosa da indossare per affrontare il freddo e l'umidità della foresta che ricopriva quell'isola.

Raggiungere il secondo obiettivo fu più facile che realizzare il primo, naturalmente: rimediarono un paio di pantaloni e scarpe per Zoro ed un paio di scarpe per Nami, una grossa conquista se si apprestavano ad attraversare la fitta macchia di vegetazione, anche se lui avrebbe voluto farle cambiare quella veste che portava i segni di umilianti e dolorose violenze.
Più volte dovettero nascondersi presso gli ampi panneggi che ornavano le porte solitarie, sentendo echi di voci più o meno vicine, poi Nami si illuminò in viso riconoscendo l'ampio salone che avevano trovato.
-So da dove possiamo andarcene!- sussurrò al compagno.
Riconoscendole una maggiore abilità nell'orientarsi,  la seguì senza una parola. Quando riuscirono all'aperto, in un tempo relativamente breve, ai due fuggitivi non parve vera la facilità con cui erano riusciti ad evadere. 

Non avevano tutti i torti: nascosta dal pesante tendaggio, una figura alta e flessuosa rise, decisamente divertita.
-La caccia inizia, mio bel samurai...- disse piano, passandosi la lingua sulle labbra, pregustando l'ebbrezza della caccia e la gioia di abbattere la preda, quindi si voltò per andare a prepararsi: non poteva concedere loro troppo vantaggio.

Zoro, mentre cercavano di allontanarsi dall'odiato luogo, capì subito che qualcosa o qualcuno li inseguiva. Spronò Nami ad andare più veloce, ma era chiaro che lei non era abbastanza in forze per sostenere la sua andatura.
Avanzavano con difficoltà tra la fitta vegetazione che si impigliava tra gli abiti ed i capelli, ma era essenziale continuare a proseguire, ignorando i rovi che graffiavano le zone di pelle scoperta, passando sopra al dolore che le inclementi spine procuravano loro, trafiggendoli senza rimorso alcuno.

-Forza!- la incitava a proseguire, consapevole che fermarsi equivaleva a dover morire.
La strattonava duramente, tirandola per il polso, quasi senza pietà ad un occhio esterno, ma in realtà gli faceva male doverla trattare così. Era una necessità che faceva la differenza tra vivere e morire e anch'essa, rendendosene conto, non lamentava più di tanto quel trattamento così crudele.
La cosa che più importava adesso era avanzare, un passo dopo l'altro, senza tregua, ignorando tutto il resto.

Soltanto al sopraggiungere della notte, protetti dal buio, comunque insidioso per altre ragioni, si concessero una sosta diventata ormai una necessità al pari della fuga che erano stati costretti ad affrontare durante le ore di luce.
Con le ultime forze rimaste, si fecero strada tra i rami di un gigantesco albero, per essere più al sicuro tra le sue fronde.
Giunti su un ramo alto ma abbastanza largo da reggerli entrambi senza troppi problemi, si accasciarono esausti l'una sull'altro, ansimando a pieni polmoni per riprendere fiato.
La strinse sé con la forza che gli restava, ed era comunque maggiore di quella posseduta da un uomo comune.
-Mi dispiace, Nami, non avrei voluto che accadesse tutto questo...- Le sussurrò, appoggiando una guancia ispida di barba di due giorni alla tempia umida di sudore di lei. -Non preoccuparti, ti devo la vita.- affermò convinta, rilassandosi sull'ampio e protettivo torace del compagno. -...e poi sono stata io l'ingenua che si è fatta abbindolare da quell'uomo...- ammise, con un tono di amarezza nella voce.

Era proprio ciò che non capiva lui: una ragazza tosta e sveglia come lei, come aveva fatto a cadere in un inganno così banale? Ma evitò di esprimere quella perplessità ad alta voce: in quel momento gli serviva una Nami sicura di sé, non di una indebolita dai sensi di colpa...
L'aveva già rimproverata abbastanza, quando lei aveva iniziato a disperarsi per la situazione in quella specie di sala delle torture.
Adesso dovevano assolutamente riposare, non potevano rischiare un crollo fisico prima di raggiungere gli altri.

Naturalmente, quello del riposo, su di un ramo, è un concetto alquanto relativo...
Dormire sicuramente era impossibile, ma cercarono comunque di dare un po' di tregua ai muscoli dolenti.
Parlarono, a bassa voce, di tutto e di niente, scoprendosi preoccupati l'uno della sorte dell'altro, con reciproca sorpresa.

-Gli altri?- Chiese poi lei, stupita del fatto che Zoro fosse da solo.
Lui rise. -Quel bambinone di Rufy è ancora arrabbiato perché sei andata via ed ha proibito a tutti (tranne che a Sanji per la spesa), di mettere piede sull'isola, ma io ho disobbedito e sono corso a cercarti...

A quella dichiarazione poco velata, Nami, ammutolì, imbarazzata.
Non era mai stato obbediente se non verso il suo Capitano, Zoro, ma ora preferiva ignorarlo, per correre a cercarla.
Forse quella donna aveva ragione, a giudicarla una ragazzina che non si accorgeva di ciò che aveva davanti, dato che non era riuscita a comprendere quanto quello Spadaccino tenesse a lei, per quanto lo desiderasse.

Forse stordito dalla stanchezza, forse disperato per la fuga, Zoro sembrava in vena di inaspettate confessioni.
-Sai, Nami, se non fossi stata con me non sarei fuggito. Avrei voluto uccidere quell'uomo con le mie stesse mani per quello che ti ha fatto. Ma non posso pensare alla vendetta, se prima non so che sei al sicuro... Perdonami.
Stupita da quelle parole, Nami non seppe rispondere.
Quel casino l'aveva creato lei ed era lui ad esserne dispiaciuto?
Prese una delle mani che la cingevano in vita e la baciò, prima di appoggiarla e stringersela sulla guancia meno maltrattata. -Non dirlo più, Zoro. Non quando la colpa di tutto è mia: dovrei essere io a scusarmi.

Non dissero più nulla: un terrificante ululato squarciò la notte e due lupi bianchi, grandi il doppio del normale, apparvero come fantasmi nel buio, fermandosi sotto l'albero in cui avevano cercato, a quanto pare inutilmente, rifugio.
Erano a caccia, con le pupille contornate da iridi color della neve, mostrando ferocemente le enormi zanne: bramavano sangue e sarebbe stato il loro.

-Ma che delusione!- esclamò una voce femminile che si avvicinava. -Con tutto il vantaggio che vi ho dato... Siete ancora qui! Uff! Credevo chi i pirati di Cappello di Paglia fossero più furbi e forti...

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Capitolo 4
*** quattro ***


Era la stessa voce della donna che aveva apprezzato la prestanza di Zoro nella buia sala delle torture.
Ma a differenza di allora, non era più coperta dal mantello. La luce della luna, giunta quasi nella fase di maggiore splendore, rivelava una figura perfetta e femminile, dalla pelle candida e senza imperfezioni; aveva un viso dalla  forma regolare, dalle labbra naturalmente rosse e piene e profondi occhi neri contornati da lunghe ciglia.
Vestiva come una moderna Diana, antica dea della caccia, con un bianco, corto e drappeggiato peplo, fermato su entrambe le spalle e in vita da importanti fibbie d'oro ed un cordone dello stesso materiale.
I lunghi e setosi riccioli neri erano tenuti alzati da una complicata acconciatura dello stesso prezioso metallo ed in maniera sicuramente studiata, alcune ciocche le sfuggivano per sfiorare il volto e le candide spalle.
Sembrava un visione paradisiaca, con i calzari che le allacciavano tutta la gamba, facendone risaltare le caviglie perfette.
Lo stesso Zoro era rimasto incantato da tale bellezza, fino a che la voce argentina parlò di nuovo, scuotendolo da quell'assorta contemplazione.

-Ti piace quello che vedi, Spadaccino?- rise, maliziosa.
Lui ghigno', dapprima a bassa voce, poi sempre più sguaiatamente, fino a che sulla donna non apparvero i primi segni dell'ira che la pervadeva, di fronte alla sua sfacciataggine.
-Certo, sono pur sempre un uomo. Ma non vali la metà della mia compagna. Sarà pure una strozzina e strega, ma è in gamba, solare e radiosa, a differenza di te. Sai cosa vedo dietro quella bella confezione che credi di essere? Nulla. Vuoto, buio e tetro, infinitamente solo e terrificante.

Quella dichiarazione zittì entrambe le donne, l'una per il volto nuovo che scopriva nel compagno, l'altra perché mai nessun mortale aveva mai osato trattarla a quel modo.
Ma ancora non sapeva contro chi aveva a che fare. Gridò, stizzita un ordine, breve ed imperioso ed uno dei lupi balzò fino a ghermire la gamba di Zoro, facendolo precipitare al suolo, mentre l'altro non perdeva di vista, ringhiando minaccioso, Nami.

-Brutto insolente- disse, all'indirizzo dell'uomo ancora per terra, ti presento Gerd e Grith*, gli alfa dei miei lupi bianchi. Sono una bella coppia, vero? Li allevo personalmente.... Gerd! Uccidilo!- esclamò.

A quel comando, il lupo più robusto si gettò su Zoro, così veloce che quello non ebbe il tempo di sguainare le spade.
L'unica cosa in suo potere, era quella di cercare di tenere quelle spaventose ed enormi fauci lontano dal suo viso, aggrappandosi con una mano alla folta pelliccia del muso e con l'altra al collo possente dell'animale.
Sembrava proprio che il lupo stesse guadagnando terreno in quello scontro impari, poi lo sguardo del lupo incontrò l'occhio incolore dello Spadaccino e si fermò, come paralizzato.

Mentre la mora incitava il lupo a finire l'umano, la rossa, dall'alto del ramo, implorava il compagno affinché non si arrendesse.

Pian piano, alla luce spettrale della luna, accadde qualcosa che rimase a lungo nella mente della Navigatrice: fissando intensamente il lupo, Zoro lo costrinse ad indietreggiare, pochi centimetri alla volta, fino a che quello non scese del tutto dal suo corpo e una volta a terra, abbassò le orecchie e portò la folta coda tra le gambe, quindi prese a guaire.
Come nelle abitudini dei lupi, una volta sconfitto il capobranco, il vincitore ne prende il posto, così anche la compagna, Grith, mostrò allo stesso modo la sua sottomissione al pirata.
Il quale, alzandosi vittorioso dallo scontro incruento, si voltò a fissare la donna che era rimasta basita da quella manifestazione di forza.

Alzò lo sguardo per fissarlo, stupita, ed ammise: -Nessuno ha mai sconfitto i miei lupi... Chi sei, tu?- chiese ancora incredula.
Prima ancora di ottenere una risposta, si accorse di qualcosa nello sguardo dello Spadaccino, e mormorò: -Allora è vero quanto si dice di te...

Zoro rise, sprezzante.
-Ci vuole un Demone per riconoscerne un altro...- le ringhio' in viso, poi si scostò da lei ed aiutò Nami a scendere dall'albero.
La tenne stretta con un braccio attorno alla vita, quindi si rivolse all'altra donna: -Sara' meglio che non senta più parlare di voi, né su quest'isola né altrove.

Era una chiara minaccia, ma quella annuì, silenziosa. Zoro fece per avviarsi con la compagna ed i lupi accennarono a seguirlo, quindi si fermò, lasciò momentaneamente la ragazza e fissò intensamente Gerd negli occhi. -Siete liberi. Tu e il tuo branco non obbedirete più a nessuno, agirete secondo il vostro unico volere e non procurerete danno agli innocenti. Caccerete solo per fame e necessità. Va', Gerd!
Con un verso a metà tra un abbaio ed un uggiolio, la belva bianca scattò via, seguita dalla compagna.

Zoro si voltò verso la donna: -Se fossi in te, correrei a casa e non ne uscire i più... Ho detto loro di non aggredire gli innocenti, non te...- le disse con un sorriso ironico in viso -Anche se l'acciaio non vi uccide, non è detto che potenti mascelle non possano dilaniarvi... E poi scommetto che le poco amorevoli cure con cui li addestravi non le avranno certo dimenticate!

Come sorpresa da qualcosa a cui non aveva pensato, la donna gli ringhio' contro, quasi animalescamente, mostrando i canini appuntiti e perdendo gran parte della sua bellezza, oltre alla compostezza sino a quel momento ostentata, quindi si voltò e corse via, sparendo nel buio.

Come se avesse recitato una parte difficile e fosse ormai giunto alla chiusura del sipario, Zoro rilassò le spalle doloranti e scivolò al suolo con un gemito di stanchezza.
Alzò lo sguardo a Nami e la scorse poco distante, con gli occhi sbarrati, come se lo stesse vedendo per la prima volta. Lui si acciglio' e le chiese: -Cosa succede? Stai male?

In risposta lei scosse il capo, ma non gli si avvicinò e lo Spadaccino si rese conto che lei aveva paura...
Paura di lui!
E non poteva darle torto...
L'aveva visto fronteggiare un lupo enorme e batterlo semplicemente guardandolo negli occhi, poi si era rivolto a quella donna ( che donna non era ) mettendole paura con quella affermazione sui demoni...

Adesso doveva spiegarsi e farle capire: non avrebbe sopportato che si allontanasse da lui... Poteva sopportarlo dal resto del mondo, ma non da Nami.

Così le parlò, con tono serio, ma ammorbidito dalla necessità di riuscire a spiegarsi: -Nami... Ascoltami.- lei sembrò rilassare un poco le spalle, così lui fu più sicuro che non sarebbe fuggita e continuò.
-Vieni più vicino- la esortò, con un pallido sorriso e lei obbedì sedendosi ad un passo da lui.
-Capisco che tu sia rimasta intimorita da ciò che hai visto, ma posso spiegarti. Vedi, prima di venire a cercarti, Robin mi ha dato informazioni su quest'isola, che sono così antiche da sconfinare nella leggenda... Ho avuto conferma di chi fossero quegli esseri dall'aspetto umano quando mi sono imbattuto in quell'uomo e, dopo averlo trafitto, ho potuto vedere che era rimasto illeso: niente ferite, niente dolore, niente sangue. Anche il fatto che tu l'abbia seguito senza farti molti problemi, rientra nelle loro innate capacità di invitare la propria preda verso il suo destino senza troppa fatica. La loro storia risale a molti anni fa e potrà dartene un resoconto migliore l'Archeologa.

-E con il lupo come hai fatto?- gli chiese, ancora scettica.
Zoro rise.
-Nei due anni a Kuraigana, non c'erano solo Occhi di Falco e quella sguaiata di Perona con me: l'isola è abitata da una popolazione di grosse scimmie che hanno imparato dagli umani ad usare le armi e sono ferocissime... Ho imparato a domarle ed ho capito che sono in grado di farlo con molte altre belve... Se ci aggiungo la mia fama, la cosa influenza anche gli umani.

Nami allora capì: lo Spadaccino aveva usato un'astuta psicologia con quella donna, prima ridendo di lei, poi facendo leva sulla sua fama di Demone incarnato...
Scoppiò a ridere.
-Non  ti facevo così furbo, sai, Zoro?- lo stuzzicò, tornata al suo solito umore -Devo ammettere che hai spaventato anche me!
-Ti giuro che non avrei retto la parte un minuto di più: per questo preferivo fuggire. Ma una volta in gioco i lupi non ho avuto scelta.- scosse la testa lui.






*I lupi bianchi Gerd e Grith sono invenzione della fervida fantasia della scrittrice Leigh Brackett e compaiono nell'opera Skaith!, protagonista Eric John Stark. Le devo tanto e vi consiglio di cercare e leggere le sue opere, perchè meritano davvero.

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Capitolo 5
*** cinque ***


Rimasero a riposare ancora qualche ora, fino a che il cielo non schiarì.
Dormicchiarono, perché in lontananza sentivano l'ululato dei lupi bianchi e, anche se non dovevano più temerli, l'ancestrale timore umano del predatore li teneva coi sensi all'erta.
Ad un tratto quei versi agghiaccianti parvero moltiplicarsi e Zoro sorrise, anche se non per celia.

-Cosa succede? - chiese Nami.
Lui spiegò: -Sai qual è il primo dovere di un capobranco?
Nami fece segno di no.
-Tenere unito il branco... Credo che Gerth sia andato a liberare i suoi lupi.

La Navigatrice guardò nella direzione da cui pareva provenire quella canzone che faceva accapponare la pelle.
Rabbrividì: la cosa sottointendeva che i due animali erano corsi all'allevamento ed avevano avuto la meglio su chi li accudiva.
Avevano ucciso i vecchi padroni che li usavano per le crudeli cacce all'uomo?
Come se le avesse letto nella mente, Zoro disse: -Non è difficile che li abbiano cresciuti con metodi poco piacevoli... Quei lupi avranno cercato la loro vendetta, assieme alla libertà. Difficile che quei mostri siano sopravvissuti; anche se una lama nonriesce a ferirli, forse un branco di quegli enormi animali può dilaniarli fino a che le singole parti non possano sopravvivere.
Era plausibile: e, alla fine, erano stati i loro stessi strumenti di morte a fare giustizia.

Certo, con un piccolo suggerimento da parte di uno Spadaccino dai capelli verdi....

-Torniamo alla Sunny?- propose lei alzandosi e tendendogli la mano.
Zoro annuì, accettò l'aiuto e si rimise in piedi. Era quasi l'alba e non c'era più pericolo per loro: sapeva che quegli esseri non uscivano alla luce del sole.
Ammesso che ne fossero rimasti.
Le loro mani erano rimaste allacciate. Nami gli chiese: -Sara' ancora arrabbiato, Rufy?
-Naaa... Appena ti vedrà sono sicuro che ti salterà al collo, felice di rivederti.- rise lui.

Lo guardò.
Non riusciva a togliersi dalla mente le parole che il compagno aveva detto a proposito di lei a quella temibile avversaria.
Fingeva, faceva parte del suo trucco, o diceva sul serio?
Non riusciva a capirlo. Dopotutto aveva anche disobbedito al Capitano, per cercarla e riportarla a bordo.
O era soltanto perché si rendeva conto che avevano la necessità di un navigatore a bordo per proseguire il loro viaggio comune? Nami non lo sapeva, la confusione che aveva in testa non faceva altro che aumentare.

Sbuffo', attirando la sua attenzione.
-Cos'hai?- le chiese.
Lo guardò, si strinse nelle spalle e scosse il capo, indecisa su cosa dire.
Poi si accorse che lui non le aveva lasciato la mano e si sentì avvampare il viso. Gliela strinse più forte e sorrise senza guardarlo e Zoro rispose alla stretta.

-Era vero, allora?- gli disse, dopo un tratto di strada percorso.
-Cosa?- domandò lui, cadendo dalle nuvole.
-Quello che hai detto a quella strega... su di me.

Zoro non rispose subito.
Aveva detto ciò che provava istintivamente, senza mettere in conto che l'oggetto delle sue preoccupazioni era presente.
Ora gliene chiedeva conto e doveva risponderle, a scapito del proprio orgoglio.
Alzò il mento, con fare sbruffone, e rispose in modo provocatorio: -Certo, non sono mica un bugiardo patentato come qualcuna di mia conoscenza!

Stizzita, la Navigatrice fece per liberarsi dalla stretta di lui, ma non riusci a farlo: Zoro era troppo forte per lei e sghignazzava per la battutaccia che era riuscita a farla arrabbiare come previsto.
La tirò verso sé con un movimento deciso e la strinse anche con l'altro braccio, impedendole di muoversi.
Essendo entrambi provati da stanchezza e dolore, non fu necessaria molta forza e fu così che si trovarono col viso ad un palmo da quello dell'altro, a guardarsi negli occhi.
Pian piano Nami smise di fargli resistenza e rimase a fissarlo, come ipnotizzata dallo sguardo di lui, così simile a quello di quei grandi lupi bianchi e pensò che quelli, forse, guardandolo alla stessa maniera, lo avevano scambiato per uno di loro.

Si avvicinarono poco a poco, fino a che non riuscirono più a mettere a fuoco il volto dell'altro e dovettero chiudere gli occhi; poi fu il respiro caldo di entrambi a mischiarsi nell'aria fredda, fino a che le loro labbra si incontrarono, prima in un lieve assaggio, poi in un contatto più profondo, più intimo ed appagante.
Nel nuovo giorno che sorgeva, tornarono a bordo, strettamente allacciati, consapevoli delle nuove prospettive che si aprivano davanti a loro.

A bordo, fortunatamente, dormivano tutti, Archeologa e Cyborg a parte, quindi furono soltanto loro a vederla in quelle condizioni pietose.
Zoro lasciò che fosse Robin a prendersi cura di lei, ferita nel corpo e nello spirito da quei giorni di prigionia.

Frank lo guardò da dietro gli occhiali scuri, serio. Poi constatò: -Hai trovato la sorella....- alzò il pollice enorme in su a pugno chiuso e sorrise: -Sei suuuuupeerrr!!!!
Zoro sorrise, guardando la porta da cui erano sparite le due donne
-E' vero, l'ho trovata...- ammise, ma aveva usato un tono profondamente triste e il Cyborg se ne accorse.
-Però ?- chiese, perplesso.
Proprio non comprendeva la ragione per cui l'amico non ne sembrasse poi così felice.
-Hai visto in che condizioni era? Se solo fossi arrivato prima... Se solo non avessi obbedito a Rufy e l'avessi cercata prima... Le avrei risparmiato tanta sofferenza inutile.

Il Carpentiere sorrise lo stesso.
-La sorella è forte, ha superato un lungo periodo di sacrifici prima che la liberaste da Arlong, ed era anche più giovane. Anche se non hai potuto raggiungerla subito, non ti sarà meno riconoscente, l'hai comunque raggiunta e portata via.
Era vero e il Cyborg lo stava spingendo a vedere il lato positivo della situazione.
Però non poteva fare a meno di pensare che comunque, in un certo qual modo, era arrivato tardi: le avevano fatto del male e la cosa gli pesava.

Ad interrompere il corso dei suoi pensieri fu l'irruente presenza del Capitano, che apparve sul ponte della nave schiantandolo con un pugno micidiale sulla paratia più lontana.
-Questo è per aver disobbedito ai miei ordini!- esclamò rabbioso, mentre Frank insorgeva a difesa della sua preziosa imbarcazione, affinché non subisse troppi danni.

Scuotendo il capo per riprendersi dalla botta improvvisa, Zoro si alzò poggiando una mano sulla paratia di legno per sostenersi e si preparò a controbattere all'attacco.
Ma la capacità di Rufy di allungare gli arti lo colse nuovamente alla sprovvista: lo afferrò con entrambe le braccia, lo portò verso sé senza dargli il tempo di reagire e lo abbracciò così forte da fargli schizzare quasi gli occhi dalle orbite.
-E questo è per averla riportata a bordo. Non avevo capito quanto fosse in pericolo... Anche se lo so che non l'hai fatto per me.- aggiunse a bassa voce e con un mesto sorriso all'ombra del suo cappello.

Era vero e Rufy lo sapeva, l'aveva capito, in qualche modo.
Zoro non poté fare a meno di ghignare al suo indirizzo, prima che una voce poco gradita si facesse sentire da sottocoperta: -Nami-swaaaan! Sei tornata da me! Lo sapevo che quel damerino e quel Marimo non facevano per te... Te ne sei liberata in un colpo solo e sei tornata dal tuo Sanji, vero?

All'ultima parte della frase, lo Spadaccino li aveva già raggiunti ed ebbe il tempo di dire: -Sbagliato, Cuocastro, me la sono andata a riprendere, punto e basta!- sbucando alle spalle del biondino e andandosi a mettere di fianco a Nami, passandole protettivamente un braccio dietro le spalle per appiccicarsela al fianco.

Al che Sanji ebbe quasi un colpo apoplettico, dato che la ragazza non solo non protestò, ma gli si appoggiò con un gran sorriso in volto.

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Capitolo 6
*** sei ***


Chiarita la vicenda, Rufy si scusò con Nami, per aver impedito le sue ricerche già dalla prima notte in cui non era tornata a bordo: convinto che avesse preferito quello sconosciuto alla Ciurma, si era arrabbiato senza capire che lei era in pericolo.
-Siamo stati in torto entrambi.- riconobbe lei, consapevole del fatto che su quel suo anomalo allontanamento non aveva voluto sentire ragioni, nonostante gli avvertimenti dei compagni.
-Non pensiamoci più, meno male che siamo tutti qui, ormai.- concluse la saggia Robin, senza aggiungere, volutamente, il "sani e salvi" di rito... Dopotutto Sia Nami che Zoro portavano i chiari segni della brutta avventura.
-Prepariamoci a salpare, allora!- esclamò la Navigatrice, guardando al suo logpose ormai magnetizzato.

Spiegarono le vele e il galeone avanzò, fendendo con decisione le acque a ridosso dell'alta costa con la prora lignea, bagnando la parte superiore dello scafo con gli spruzzi spumosi che si staccavano dalle creste delle onde e che la decisa brezza spingeva verso l'alto.
Un profondo ululato colse la loro attenzione e si precipitarono a babordo per scrutare il costone su cui terminava la fitta foresta che ricopriva gran parte dell'isola.
Affacciati al parapetto, i Pirati scorsero all'ombra degli alti e frondosi alberi, le sagome del branco di lupi, che si stagliavano fiere contro il verde cupo che contrastava con le bianche pellicce.
Col muso in alto, il branco di Gerd e Ghrith, salutava Zoro, loro virtuale nuovo capobranco che si era conquistato la loro fiducia e il loro rispetto con la forza, ma non con la violenza.
Lo Spadaccino sorrise, affacciandosi dal parapetto, e rispose con lo stesso tono ai grandi animali, portando entrambe le mani ai lati della bocca a mo' di megafono, ululando allegro ai nuovi e terrificanti amici che si era fatto.

Mentre ripeteva quel gesto sotto lo sguardo stupito ed impaurito dei compagni, Nami lo guardava con un brivido che le percorreva la schiena: aveva scorto di nuovo nei suoi occhi la strana luce, uguale a quella che gli aveva già visto durante la lotta con il lupo ed il confronto con quella donna che voleva ucciderli... La scosse una paura simile a quella che l'aveva presa poche ore prima, che la spingeva ad allontanarsi da Zoro, come una preda che fuggiva dal suo cacciatore.

Aveva creduto alle sue rassicuranti parole, ma adesso capiva che le giustificazioni che le aveva presentato avevano il solo scopo di non farla scappare a gambe levate anche da lui.
Le risuonarono di nuovo nelle orecchie le parole di quella donna nel bosco, così attirata dallo Spadaccino: -Allora è vero quanto si dice di te...
La risposta di Zoro a quell'insinuazione non era stata da meno, ma la fatica che le aveva offuscato i sensi e la voglia di credergli avevano fatto sì che Nami tornasse a fidarsi di lui, a stargli vicino, ad... amarlo, nonostante tutto.

Come se avesse percepito qualcosa, come se fosse cambiato l'odore del vento, Zoro interruppe bruscamente il suo saluto al branco, e si voltò a guardarla, facendola sussultare.
E lei corse via, sotto lo sguardo confuso dei compagni, e lui le fu subito dietro, lasciando gli altri senza lo straccio di una spiegazione.

Con gli occhi lucidi, le pupille dilatate dalla paura, dolorante in ogni cellula del corpo dopo quanto passato, Nami sapeva che era inutile cercare di fuggire, a bordo della nave: sapeva che Zoro poteva sentirla, così risalì dalla stiva, dove si era momentaneamente rifugiata, corse rapida verso poppa e si gettò il mare, sotto lo sguardo allibito della Ciurma.
-Nami!- gridò il Capitano, mentre correva, con gli altri al parapetto, per cercare di scorgerla in acqua.

Zoro, udito il rumore del tuffo e il richiamo disperato di Rufy, in due balzi li raggiunse, con un movimento fluido ancora in corsa, sganciò le spade, portò le braccia tese davanti a sé e si gettò senza esitare tra le onde.
La successione degli avvenimenti fu così rapida da non dare tempo a nessuno di riflettere sul da farsi.

Dati i suoi trascorsi con gli uomini-pesce, la Navigatrice aveva un'invidiabile acquaticità e nuotava anche piuttosto velocemente, ma lo Spadaccino era avvantaggiato da una maggiore potenza muscolare e la raggiunse con poche, poderose, bracciate.
La afferrò per una caviglia, sordo alle sue proteste ed ai suoi calci, per avvicinarsela, con il sale in bocca e negli occhi.
Finirono entrambi più volte con la testa sott'acqua, in quella lotta sconnessa e riemergendo lei gli gridò contro di lasciarla andare, cercando ancora di spingerlo via, in piena crisi di panico.

Ma Zoro la tenne ben stretta, anche rischiando di farle male, per cercare di guardarla negli occhi.
Le portò entrambe le mani ai lati del viso, fissandola intensamente, tra le onde placide del mare in cui galleggiavano.
Nami smise di dibattersi, fissando la sua inquietante iride, così chiara da far spiccare in modo allarmante la pupilla, nera come la notte senza luna.

Perdendosi in quella notte buia, le sembrò di trovarsi e perdersi in un altro universo, cosparso di minuscole stelle lontane e luminose, un cielo nero rischiarato da miliardi di diamanti limpidi ed ipnotici, a galleggiare in un vuoto senza gravità come un pianeta legato alla sua orbita intorno ad una stella che lo manteneva in vita.

Fu riportata alla realtà dalla voce di lui, che la teneva forte per le spalle, mentre l'ombra della Sunny, che aveva effettuato un'ampia virata per tornare indietro, toglieva loro la luce del sole, avvicinandosi quanto più possibile per recuperarli senza metterli in pericolo.

-Nami!- esclamò lo Spadaccino, con la fretta di spiegarsi lontano dal resto della Ciurma, mentre erano ancora soli, tra le onde.
Lo guardò, ancora tremante.
-Nami, sono io, Zoro!- iniziò a dirle nello sguardo spaventato -Sono sempre io, sono sempre lo stesso Zoro che conosci!
La vide scuotere il capo, muta, con gli occhi umidi di pianto che si confondeva con le onde del mare, ancora timorosa di quell'uomo che credeva di conoscere, ma che aveva scoperto non essere ciò che aveva sempre creduto.
Ripeteva di essere lo stesso, ma lei non gli credeva più.
Come poteva?

Immobilizzata alla vita dalla sua stretta poderosa, contro la quale, sapeva bene, era inutile opporre resistenza, la Navigatrice fu strattonata verso l'alto, mentre li issavano a bordo grazie al braccio elastico che Rufy aveva gettato fuori bordo e a cui si era aggrappato lo Spadaccino.
Altre mani premurose li aiutarono a superare il parapetto ed una perspicace Robin la sottrasse a Zoro per condurla sottocoperta, nella loro cabina, dove avrebbe potuto calmarsi, sciacquare il sale, asciugarsi e mettere qualcosa di asciutto.

Nelle intenzioni dell'archeologa, c'era anche la possibilità di chiarire l'accaduto, se fosse riuscita a farla sfogare. Magari era ancora solo sotto shock, forse avevano sottovalutato le condizioni della ragazza, poche ore prima, forse era più traumatizzata di quanto fosse riuscita a mostrare.

Mentre Nami era sotto la doccia, la mora approfittò del suo potere per ascoltare cosa stesse accadendo in camera dei ragazzi, dove sapeva essere andato Zoro per mettere qualcosa di asciutto... Avere diversi punti di vista era sempre utile per capire meglio un problema!
Al suo orecchio sembravano essere presenti solo Rufy, Brook, Zoro e Franky... Probabilmente Chopper era in infermeria a preparare qualcosa per Nami, Sanji in cucina per il pranzo e sapeva che Usopp era di vedetta in coffa.
Stava parlando Zoro.
-...invece io credo di sapere ciò che le è preso... Ha capito che c'è qualcosa in me, che le dicerie sul mio conto non erano del tutto errate.- stava dicendo con tono amaro lo Spadaccino.

Lo Scheletro arpeggio' un malinconico accordo sulla sua chitarra, poi disse: -Ti sbagli. è solo impaurita dalla brutta avventura trascorsa e cerca qualcuno con cui sfogare la rabbia derivata dall'impotenza che si tiene dentro. Devo dire che sei il candidato perfetto per almeno due motivi, forse tre...
Robin si chiese dove volesse andare a parare, ma fu il Cyborg a dare involontaria voce ai pensieri della donna: -Cosa intendi?
Rispose Brook: -Semplice: vi conoscete da tempo e il vostro legame è forte. Ti ha rivisto nel momento più critico della vicenda in cui vi siete trovati, come hai raccontato... E poi, lasciatelo dire, fai più paura di me quando metti su quell'espressione di truce soddisfazione, quando ti prepari ad affrontare un qualsiasi nemico, minaccia o difficoltà. Lo vedo anche io... Anche se gli occhi non li ho più! Yoyoyohohohoh!

Il ragionamento del cantante non faceva una piega, anche se Robin, alla luce di recenti confidenze scambiate con l'amica, ci avrebbe aggiunto altre due o tre cosette...

Illustrazione relativa al capitolo: http://metaldolphin.deviantart.com/art/Paura-465328066?q=gallery%3Ametaldolphin%2F47696626&qo=0





N. d. A.: Mi scuso per il ritardo di questo aggiornamento, ma sono stata lontana per casini vari a casa... vedrò di leggere al più presto i vostri (sicuramente) meravigliosi racconti, recuperando e recensendo i capitoli man mano che mi aggiornerò e di postare presto la prosecuzione di questa mia.
Grazie per il vostro affetto e la vostra pazienza!

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Capitolo 7
*** sette ***


La porta si aprì e Nami uscì dal bagno, nuovamente profumata ed apparentemente più tranquilla e l'Archeologa non poté più ascoltare la conversazione tra i ragazzi. Però non ne fu preoccupata più di tanto: aveva sentito ciò che le occorreva per dipanare quella intricata matassa che era diventato il rapporto tra i due zucconi della Ciurma.
Versando del tea caldo all'amica, parlò con apparente indifferenza, mentre mescolava lo zucchero nella propria tazza.
-L'hai notato anche tu, vero? Qualcosa che inquieta in Bushido-san, intendo.

Le parole, accompagnate dal ritmico tintinnio del cucchiaino metallico contro la porcellana, andarono a segno, perché Nami alzò improvvisamente il capo per fissarla. -Lo sai?- chiese con stupore.

L'altra annuì con un cenno del capo. Poi aggiunse: -E allora? Anche se le nostre impressioni fossero fondate, cosa cambierebbe? Rimane lo stesso Bushido-san di sempre, che dorme ovunque, che litiga con il Cuoco e che ha un enorme debito nei tuoi confronti. Ah, e che ci protegge con la sua forza ogni volta che siamo in pericolo, come ha fatto negli ultimi giorni con te...

Nel silenzio che si era creato mentre la mora sorseggiava dalla sua tazza, Nami rimase interdetta da quell'osservazione fatta con tranquillità dall'amica.
-E non hai paura?- le chiese, a voce bassa.
Come poche volte Nami le aveva visto fare, Robin rise di cuore a quell'affermazione. -Perché mai dovrei averne? Anche se non avessi i poteri che mi ha dato il frutto del Diavolo, so che lui è dalla nostra parte... Sto con la Ciurma da molto meno tempo di voi, eppure non l'ho mai considerato una minaccia, qualunque cosa possano dire gli altri al di fuori di questa nave...
-Anche di me non si è mai parlato bene, eppure non ti faccio paura, vero?

Folgorata dall'ultima affermazione di Robin, Nami si morse il labbro, pentendosi di aver avviato un discorso che aveva riportato a galla il doloroso passato dell'amica.
Scosse mestamente il capo. -Hai ragione- confermò, poi disse: -Perché allora mi fa così paura?- e il suo tono era dolorosamente affranto, dato che capiva quanto quel sentimento verso il compagno fosse ingiusto.

Robin si alzò e si accoscio' davanti alla sedia su cui era la Navigatrice.
Le sorrise con una dolcezza che pochi avrebbero associato al ghiaccio dei suoi occhi.

-Non lo temi in quanto demone, Nami. Lo hai visto mille volte con quello sguardo, ogni volta che avete lottato fianco a fianco e non ti è mai importato cosa rappresentasse. Hai continuato a litigarci, a berci, a picchiarlo, mentre lui ti lasciava fare... Quale demone degno di tale nome, ci sarebbe passato sopra? E tu lo sai, l'hai sempre saputo.
-Adesso ne hai paura perché sai che tra voi c'è qualcosa; che per correre a riprenderti, nonostante tu ti fossi allontanata con un altro, ha infranto l'obbedienza verso il suo Capitano. Un uomo normale ti avrebbe mandato a quel paese per molto meno... Lui, invece, ha fiutato il pericolo, mi ha chiesto aiuto con le leggende sull'isola, dato che abbiamo capito che c'entrava qualcosa di misterioso ed è partito a cercarti. Dovresti ringraziare questa sua "capacità", perché grazie ad essa sei di nuovo con noi.

Con i grandi occhi dall'iride color del miele di castagno, Nami fissò Robin, ancora ferma davanti a lei.
Dapprima si limitò a scrutarla, però man mano che assimilava quell'idea, iniziò a sgranarli sempre più, fino a che non comprese appieno l'evidente logica della sua sorellona.

Era vero.
Non temeva tanto Zoro, quanto la consapevolezza di ciò che li legava.
Aveva avuto paura, quando le era parso scoppiarle in cuore il petto, vedendolo privo di sensi, appeso nella sala delle torture e le era successo di nuovo quando aveva affrontato quella strega ed i suoi spaventosi lupi.
E poco prima di fuggire dalla nave, era stata la stessa sensazione ad averla assalita, mentre lo guardava sorridere e salutare il branco di Gerd e Grith.

Il cuore le scoppiava in petto a causa del forte sentimento per lui, che aveva erroneamente scambiato per paura, ma che invece era amore.

Perché lei teneva a Zoro, oh sì.
E non da un tempo recente...

Si sporse ad abbracciare Robin, grata per averla aiutata a comprendere e si lasciò andare ad un pianto liberatorio, che la aiutò a scaricare la tensione accumulata.
L'altra, sollevata, la strinse a sé, lasciandola sfogare, poi la aiutò a distendersi così da farle recuperare le forze.


Nel frattempo, Zoro, fatta una doccia per liberarsi dal sale, stava sul ponte coi capelli umidi al sole, in disparte a guardare il mare che scivolava rapido sotto la chiglia della Sunny.
Le onde basse sul mare calmo si allargavano a lato della nave, che danzava con ritmo regolare su di esse con un movimento quasi ipnotico.
Di tanto in tanto si intravedeva la sagoma scura e siluriforme di un pesce affiancare lo scafo, per poi sparire nuovamente nelle profondità marine.
L'odore della salsedine riempiva le narici ormai dipendenti da quell'aroma intenso che sapeva di libertà e spazi sconfinati.

Risalita sul ponte, Robin lo osservava da lontano, vicino a Franky.
-Mi dispiace per il fratello...- stava dicendo il Cyborg, con gli occhi lucidi, conoscendo la situazione e i sentimenti dello Spadaccino.
La donna sorrise e lo rassicurò: -Non preoccuparti. Le cose si risolveranno presto!
Mentre quello la guardava stranito per la sicurezza della sua affermazione, la mora si avviò alla biblioteca con passo fermo.

Accanto a Franky arrivò Rufy.
-Cosa succede? Ci sono novità?- chiese col suo solito entusiasmo, con una canna da pesca in mano, deciso a prendere qualcosa per il pranzo.
Ma l'altro alzò le imponenti spalle in segno d'impotenza: -Non ne ho idea... Il fratello è triste, ma Robin dice che andrà tutto a posto.

Il Capitano si allargò in un ampio sorriso.
-Se lo dice lei, allora ci credo!- esclamò, avviandosi verso il suo punto preferito per pescare.

Dalla coffa, Usopp scrutava l'orizzonte. Avevano lasciato l'isola da poco e il mare poteva essere più trafficato di quello lontano dalla costa, quindi dovevano tenere gli occhi aperti nel caso in cui una nave della Marina si fosse trovata ad incrociare la loro rotta. Così il Cecchino scrutava con attenzione l'orizzonte a trecentosessanta gradi, pensando nel frattempo alle meravigliose imprese che un grande capitano come lui poteva compiere durante una navigazione pericolosa come quella nel Grande Blu che stavano affrontando.
Contemporaneamente, nella sua distorta logica di pavido, ringraziava il Cielo per il mare calmo e piatto, sgombro da navi, che assicurava una tranquilla navigazione... Riuscì a trascorrere tranquillo un paio d'ore, allietato dalla musica di Brook che strimpellava sul ponte di coperta, poi qualcosa all'orizzonte attirò la sua attenzione.

Col cannocchiale inquadrò ciò che lo interessava, superando la difficoltà di inquadrare un punto così lontano, con una lente relativamente piccola, su una nave che ballonzolava sulle onde.
Ciò che vide non gli piacque: enormi nuvole nere si addensavano rapidamente e altrettanto velocemente si avvicinavano alla loro rotta, tanto che le avrebbero incrociate a breve, come se stessero recandosi ad un appuntamento.

La prima folata cui vento umido lo avvolse, scompigliandogli abiti e capelli e riuscì a sentirvi l'odore della pioggia.
Si sporse a gridare: -Tempesta da dritta!

Subito l'equipaggio si mobilitò a fermare quanto ci fosse di mobile sul ponte e sottocoperta: l'imprevedibile caduta o il semplice spostamento di oggetti poteva essere pericoloso quanto un'arma, in quei casi.
Furono travolti dal vento e subito dopo dalla pioggia, mentre Zoro e Usopp cercavano di ammainare la vela principale dell'albero maestro. Ben presto furono bagnati fino alle ossa e l'acqua che li sferzava sugli occhi non era certo d'aiuto.
Ad un tratto, forse strattonando la cima con troppa forza, Zoro la ruppe e la vela si dispiegò nuovamente, sbilanciando l'intera nave; contemporaneamente il Cecchino perse la presa, e si ritrovò a mezz'aria, malamente aggrappato alle sartie più vicine, preda della furia degli elementi. Spaventato, riuscì solo a scendere, ma lasciando così lo Spadaccino da solo a raccogliere l'enorme vela che sventolava ribelle nella tempesta.
Ringhiando e tendendo i muscoli, cercava di riavvolgerla, assicurandola un nodo dopo l'altro, aggrappandosi al legno del pennone con la sola forza delle gambe.
I compagni, impotenti, lo guardavano con timore compiere quell'immane impresa che solo lui poteva portare a termine in quel momento, dato che il Capitano si stava occupando delle vele di poppa.

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Capitolo 8
*** otto ***


Sottocoperta, gli scossoni più violenti e frequenti destarono Nami, che appena cosciente, percepì il cambiamento di pressione atmosferica e si precipitò fuori per cercare di capire quanto fosse grave la situazione.
Era furiosa, con gli altri e con sé stessa: con i primi perché non l'avevano svegliata prima, con sé perché nel sonno profondo in cui era caduta non era riuscita ad avvertire il repentino calo di pressione che doveva esserci stato all'approssimarsi di quel putiferio.

Una frustata di pioggia mista a salsedine la accolse appena mise piede fuori, ma non se ne curò, perché il suo sguardo volò istintivamente alla grande vela che sbatteva violentemente e con gran rumore nel vento e che faceva sembrare minuscolo Zoro, mentre appollaiato precariamente si affannava a legarla.
Ne aveva fermato poco meno della metà, fino a quel momento.
Nami si portò una mano sulle labbra, come per soffocare un lamento: temeva per lui.

Il cuore le balzò in petto e le fece male entrambe le volte che lui sembrò perdere l'equilibrio, per recuperarlo subito dopo, come per miracolo e grazie all' inumana forza che possedeva.
Era sempre a loro servizio, Nami lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
Nella tempesta come nella battaglia, la sua tenacia, la sua testardaggine e la sua forza erano per la Ciurma, per lei e per chiunque ne avesse avuto bisogno... L'aveva dimostrato più volte e lei aveva avuto lo stesso timore per ciò che gli aveva scoperto negli occhi.

Che stupida era stata!

Era persino arrivata a fuggire da lui e a gettarsi dalla Sunny, per colpa di quella immotivata paura.

Continuò a fissarlo, mentre rischiava la vita per fermare quella maledetta vela... Se solo l'avessero avvertita prima, forse avrebbe potuto fare qualcosa per evitare la tempesta o cercare di sedarla.
Non sarebbe stato giusto, se gli fosse successo qualcosa adesso, ora che lei aveva finalmente compreso!

Le sembrò che fosse passata un'eternità, quando gli vide stringere con attenzione l'ultimo lembo di stoffa, fermarla con la cima ed aggrapparsi alla stessa sartia che aveva usato il Cecchino per tornare giù. Solo quando lo vide poggiare entrambi i piedi sull'erba del ponte, tirò un sospiro di sollievo e gli corse incontro, per aggrapparglisi al collo con tutta la forza che aveva.

Preso alla sprovvista, non avendola nemmeno vista salire sul ponte, lo Spadaccino perse l'equilibrio, scivolando sul fango che si era formato tra l'erba, e cadde all'indietro, portandosela appresso. Chiuse gli occhi, aspettandosi il solito pugno in testa, ma lei si limitava a stargli sopra, stringendolo, col viso bagnato a premergli tra la mandibola e la spalla, incurante della violenta pioggia e degli sguardi attoniti dei componenti della ciurma presenti alla scena.

Sembravano due lottatori nel fango, ma a loro non importava, nonostante il cielo sembrasse stesse per cadere su quel mondo bagnato sia dalla pioggia che dal mare.

Poi lei parlò e gli chiese scusa, con la voce e col cuore, ma lui non comprese.
-Non... Non preoccuparti, non mi sono fatto male- mormorò, sorpreso dall'atteggiamento di lei, inusuale per il quotidiano e ancor più strano per le vicende appena passate.
-Non mi riferivo ad ora... - specificò Nami, abbassandosi a lato del viso di lui, quasi a sfiorargli l'orecchio sinistro.
Solo allora Zoro comprese.

Che tutta la sofferenza affrontata per lei non era stata spesa invano.

Che non doveva temere di leggere la paura negli occhi di lei.

Che almeno per lei, stare accanto ad un Demone non era fonte di terrore.

Soltanto allora ricambiò la stretta della compagna, consapevole che era ormai tutto a posto.
-Non c'è problema. Non c'è più alcun problema.- la rassicurò -Però adesso sarà meglio andare ad asciugarsi, se non vogliamo beccarci un malanno. Inoltre, se non ci togliamo dalla vista di quel Cuocastro, rischia di annegare visto che tiene ancora quella boccaccia aperta sotto la pioggia.- disse, guardando in direzione del biondino, venuto fuori a causa dell'improvviso silenzio che era caduto sulla nave all'improvvisa reazione della Navigatrice, che aveva sconvolto tutti con quel con quel gesto improvviso ed impulsivo.

Rise, Nami, tirandosi su e aspettando che un infangato Spadaccino facesse lo stesso.

La vicinanza con lei, sperimentata durante quella fuga precipitosa, gli era piaciuta, l'aveva assaporata e gli era mancata, durante quelle ore di allontanamento motivate dalla paura di lui.
Ora che aveva il calore della mano di lei nella sua, avrebbe messo tutto il suo impegno per non perderla più... La strinse e Nami si voltò a guardarlo, con un sorriso; erano inguardabili per il fango che la pioggia cercava inutilmente di lavare via, ma a loro non importava.
Si diressero verso la camera con bagno che la Navigatrice condivideva con Robin, e Chopper fu chiamato con urgenza per soccorrere Sanji, colpito al cuore dalla dura e crudele realtà che vedeva Nami e Zoro come qualcosa di più di semplici compagni di Ciurma.

-Sempre disponibile a sistemare una camera per la sottoscritta?- chiese con un sospiro Robin a Franky, dopo aver seguito la coppia con lo sguardo.
L'altro, sollevando gli occhiali da sole, portati nonostante la tempesta che scuriva il cielo, sorrise lanciandole uno sguardo più che eloquente.
-Logico!- le assicurò, portando il pollice in alto sul pugno chiuso. -Preferisci un super letto singolo o matrimoniale?- chiese con un sopracciglio alzato.

Lei sorrise con una certa malizia: -Fa' un po' tu...- mormorò, passandogli davanti e alzando una mano a lisciargli brevemente l'ampio petto, facendolo arrossire vistosamente.

Ripresosi da quel gesto inaspettato, il Carpentiere le corse dietro, illuminato da un'idea improvvisa che gli era balzata alla mente.
Ma una volta davanti a lei non ebbe il coraggio di chiederle ciò che aveva osato pensare e, allo sguardo interrogativo di lei, disse, invece:-Robin! Come hai capito di Zoro?-
Lei lo guardò con i suoi occhi color del ghiaccio e sorrise: -Sai, ci vuole un Demone, per riconoscerne un altro...- mormorò la ex Bambina Demoniaca, con una luce nuova nello sguardo che poteva incutere un certo timore, se lo si osservava bene.
Ma l'altro non se ne preoccupò: quella donna sapeva usare bene l'oscura fama che la precedeva, ma per lui era e sarebbe stata soltanto e semplicemente il suo angelo.
 

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