Nuova vita al 221B di Baker Street

di Monkey_D_Alyce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Cambio casa, cambio vita ***
Capitolo 2: *** 2. Una sfida che può costare la vita ***
Capitolo 3: *** 3. Una vita movimentata ***
Capitolo 4: *** 4. Il Gioco delle Ombre ***
Capitolo 5: *** 5. Would you go to bed with me? ***
Capitolo 6: *** 6. Exciting life ***
Capitolo 7: *** 7. Cioccolata e cornetto ***



Capitolo 1
*** 1. Cambio casa, cambio vita ***


Nuova vita al 221B di Baker Street

 


1° capitolo: Cambio casa, cambio vita
 
 
Era una giornata uggiosa sulla città di Londra.
Ma questo non importava a nessuno. I cittadini svolgevano le loro abituali mansioni come se niente fosse.
C’era chi aspettava il bus per andare in ufficio, oppure chi camminava sotto all’ombrello per le vie della città avendo come meta il mercato.
Una giornata normale, insomma.
Tutto era avvolto dallo stesso velo monotono che dava vita a quella tranquilla cittadina.
Peccato che qualcuno non la pensasse allo stesso modo…
 
“Maledizione! Proprio a me doveva capitare una giornata coì schifosa?!? Ma come diavolo fa tutta questa gente  sopportare questa maledettissima pioggia?!?” imprecò a mezza voce Nami, cercando di coprirsi con il suo gilè trasandato.
Nonostante avesse i capelli corti, quelli le si erano appiccicati al viso, facendola irritare più di quanto già non fosse.
 
Era partita da New York per cambiare vita.
Non ne poteva più di tutta quella gente ipocrita che pensava solamente alla droga e alle donne.
Abitava in un piccolo quartiere di Brooklyn assieme al suo ex-fidanzato.
La vita non l’aveva risparmiata: al lavoro veniva trattata malissimo, benché fosse una di quelle poche persone che lavorava onestamente e che non corrompeva il capo mostrando le belle gambe o il seno prosperoso.
Ma quello era niente in confronto alla sua quotidianità a casa: viveva con un fidanzato che la violentava ogni volta che beveva o si drogava, o meglio, sempre.
Era talmente stufa che una notte (parliamo di quella appena trascorsa), mentre il suo fidanzato si era addormentato dopo le ore di sesso forzato con lei, si era vestita, aveva “sbattuto” nel piccolo trolley quei pochi vestiti che le erano capitati in mano ed aveva preso il primo volo per Londra con una parte di soldi del suo ultimo stipendio.
Durante il volo aveva pensato di aver fatto la cosa giusta, che ne era valsa la pena.
Le era sempre piaciuta Londra e l’aveva visitata un paio di volte quando ancora andava a scuola.
Aveva fatto la cosa giusta.
 
“Forza Nami! Non sarà di certo un po’di pioggia ad abbatterti! Certo, il tempo non è quello che ti aspettavi, ma che ci vuoi fare?” si era incoraggiata incamminandosi verso la stazione di un bus, accendendo il suo cellulare nel frattempo.
Le arrivarono un mucchio di messaggi e avvisi di chiamate perse da un suo collega di lavoro e dal suo ex-fidanzato.
Di sicuro, la stavano minacciando di venire al lavoro o di ritornare a casa.
Poco importava.
Non rimpiangeva per niente la sua scelta “improvvisa”.
Dopo circa cinque minuti di “vagabondaggio” arrivò alla stazione del bus, fermandosi a fissare un volantino di un locale in affitto che sarebbe stato condiviso con altri due inquilini.
“221B di Baker Street…sembra interessante! Devo solamente far cambiare i soldi e posso presentarmi!” esclamò in un improvviso impeto di felicità, attirando l’attenzione dei curiosi, che la guardarono con disapprovazione.
Lei non ci badò e cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di una banca nei paraggi, che scovò quasi subito di fianco ad un’edicola dietro di sé.
“Scusi se la disturbo, signore: mi saprebbe indicare dov’è Baker Street?” chiese ad un uomo vicino a lei.
Era vestito con abiti piuttosto pesanti per quella stagione.
Un largo giubbotto blu scuro gli copriva la parte superiore del busto, facendolo somigliare all’omino della Michelin.
Indossava pantaloni, anche essi scuri, e scarponi da montagna, mentre un berretto nero gli copriva parte del viso.
“E’ dall’altra parte della città. Dovrà prendere l’autobus delle 15.25, signorina” le rispose non degnandola di uno sguardo.
“La…ringrazio” lo salutò Nami allontanandosi con passo svelto, dirigendosi verso la banca.
Quell’uomo era veramente strano, pensò voltandosi ancora una volta verso di lui, ma era già sparito nel nulla, facendole correre un piccolo brivido lungo la spina dorsale.
 
Cambiò i soldi in fretta e furia, per poi andare in un piccolo bar a prendere una tazza di caffè caldo durante l’attesa.
“Le 15.20. Spero solamente che le informazioni di quello sconosciuto fossero esatte…” mormorò sorseggiando un altro goccio di caffè bollente.
Aveva un effetto veramente rilassante su di lei. Le bastava sentire quel liquido scorrerle lungo la gola e già le si distendevano i nervi.
Si alzò dal tavolino lasciando i soldi per saldare il conto e si diresse verso la fermata del bus, dove già si vedeva il mezzo di trasporto fermarsi.
“Ho fatto la cosa giusta” si ripeté per l’ennesima volta, partendo per la sua prossima meta.
 
Dopo circa un quarto d’ora di viaggio, raggiunse la sua destinazione, chiedendo all’autista di fermarsi.
Doveva ammettere che nonostante gli sguardi freddi e impassibili, le persone londinesi erano cordiali e si senti un poco rincuorata, proseguendo con una nuova forza verso l’indirizzo che si era predisposta.
“Chissà che tipi sono i coinquilini…” pensò a voce alta, suonando il campanello della dimora.
 
221B faceva parte di un gruppo di case a schiera, semplice ma molto carina.
Il suo indirizzo in metallo color ottone “spiccava” sul legno verde scuro (quasi nero) della porta a forma d’arco, mentre una finestra la affiancava poco lontano.
 
“Oh, salve!” rispose calorosamente all’appello una donna sulla sessantina ma dall’aspetto abbastanza giovane.
Aveva corti capelli biondi e gli occhi scuri.
Portava un vestito lungo fino alle ginocchia con motivi floreali e uno scialle rosa chiaro a coprirgli le spalle e le braccia.
“Buongiorno, signora! Sono qui perché ho letto il suo annuncio!” ricambiò Nami con lo stesso tono.
“Sono molto contenta che sia qui! Ma venga dentro! Sarà molto stanca e infreddolita!” la invitò la signora facendosi da parte, mostrandole così, parte della casa.
A parte la soglia dell’ingresso, il pavimento era rivestito da una moquette abbastanza chiara, per poi estendersi fino al salotto, “arricchito” dal divano in pelle marrone, da un tavolino in legno e dalla libreria.
Poteva vedere anche le scale che davano al piano superiore.
“Ti posso dare del tu, mia cara?” domandò la signora chiudendo la porta alle sue spalle dopo che Nami fu entrata.
“Ma certo! Nessun problema!” rispose regalandole un sorriso.
“Come ti chiami?”
“Nami, signora! Piacere di conoscerla!” si presentò porgendole la mano.
“Mrs. Hudson! Il piacere è tutto mio!” ricambiò la stretta lei.
“Ascolta mia cara: Sherlock e il suo amico John non sono ancora tornati. Nel frattempo ti posso offrire una tazza di thè e informarti sull’affitto!” le propose Mrs. Hudson, lasciando per un attimo Nami sorpresa.
I suoi nuovi coinquilini erano due maschi…come potevano essere?
Antipatici? Cattivi? Drogati? Alcolizzati?
Quelle domande cominciarono a invadere la mente della ragazza, facendola rabbrividire ancora una volta, proprio come era successo con quello sconosciuto alla fermata del bus.
La Signora Hudson la spinse con delicatezza verso la scale che davano al piano superiore, dicendole di aspettare nel salotto sulla sinistra, mentre lei avrebbe preparato il thè e i biscotti.
 
Esegui senza dire una sola parola, per poi gironzolare per le varie stanze: salotto con vicina quella che faceva da cucina e soggiorno , tre camere da letto, di cui due occupate e un bagno abbastanza spazioso.
Non doveva preoccuparsi più di tanto, alla fine.
Dopo aver messo il trolley nella sua nuova stanza, ritornò al punto di partenza, aspettando Mrs. Hudson vicino alla finestra del salotto, che dava su un’altra strada poco trafficata e altre innumerevoli case.
“Eccomi Nami! Scusa se ti ho fatto attendere troppo!” la richiamò dai suoi pensieri la signora, entrando con un vassoio su cui erano poggiate due tazze di thè e un piattino con dentro qualche biscotto.
“Non si preoccupi! Ho avuto il tempo di ambientarmi un po’!” la perdonò Nami raggiungendola per aiutarla.
“Sei molto gentile, mia cara! Sono sicura che ti divertirai tantissimo assieme a Sherlock e John! Sono due bravi ragazzi! Avranno la tua età più o meno! Lavorano tantissimo in questo periodo! Hanno un caso da risolvere!” le spiegò la Hudson prendendo due sedie e mettendole accanto ad una delle due poltrone che “troneggiavano” per tutto la stanza.
Erano poste una di fronte all’altra. L’unica cosa che le divideva era il tavolino in legno scuro.
“Un caso?” chiese Nami in cerca di spiegazioni, che non tardarono ad arrivare.
“Ma certo! Sherlock fa in consulente investigativo, mentre John fa l’infermiere, anche se aiuta molto Sherlock nel lavoro. Ma dimmi di te! Hai viaggiato molto per arrivare sino a qui?”
“Beh…sì…vengo da New York, Brooklyn”- disse Nami con una nota di malinconia e delusione nella voce- “Ho voluto cambiare vita perché…perché…non me ne va di parlare…mi dispiace molto”
“Oh, piccola mia! Non ti devi scusare! Vedrai che stando qui ti cambierai la vita in meglio, te lo assicuro!” la rassicurò Mrs. Hudson poggiando il thè sul tavolo, avvolgendole le spalle con un braccio, regalandole un abbraccio caldo e un po’materno.
Nami credette alle sue parole e si lasciò “coccolare” dalla gentile signora, sorseggiando il suo thè mentre la Hudson parlò di alcune delle mirabolanti avventure di Sherlock e John e dell’affitto che sarebbe stato condiviso in futuro con i due ragazzi…
 
 
Quando rientrarono a casa erano le 18.03 e Sherlock si rese conto da subito che c’era una “nuova presenza” al piano di sopra. Una…donna…
Era confermato dal fatto che non aveva mai sentito la Signora Hudson canticchiare allegramente, andando su e giù per i due piani della dimora, inoltre si sentiva un lieve profumo maschile mischiato ad un’altra fragranza più forte, molto dolce.
Era sicuramente di una ragazza.
“Mrs. Hudson! La vedo di buon umore, stasera!” osservò John salutandola.
“Eccome se lo sono! Finalmente non sarò più l’unica donna che abiterà in questa casa!” esclamò in risposta al settimo cielo, fermandosi di fronte a loro.
“Unica…donna? Credo di non capire…” disse con una nota di incertezza John, facendo roteare gli occhi al cielo a Sherlock.
“John. Abbiamo una nuova coinquilina. Per di più è giovane” gli spiegò con fare saccente, provocando un moto di interessamento al suo amico.
“Sherlock ha ragione!” gli diede man forte Mrs. Hudson.
Come volevasi dimostrare.
Nulla era mistero per l’infallibile Sherlock Holmes!
Anche se non lo dimostrava apertamente, si sentiva “onnipotente” quando spiegava le sue deduzioni: aveva un’intelligenza superiore agli altri, come affermava lui.
La sua mente non smetteva di elaborare informazioni un solo minuto, a detta sua, dando così un grande contributo a Scotland Yard nei casi difficili.
Era un ragazzo giovane, alto e magro.
I suoi capelli ricci gli davano un’aria sbarazzina, messi in contrasto dai suoi occhi color ghiaccio e dalla sua pelle nivea.
Vestiva con un completo scuro elegante, tenendo la camicia aperta sui primi due bottoni superiori.
Il tutto era accompagnato da una sciarpa azzurro scuro e un cappotto lungo, indossati quando usciva per lavoro.
John Hamish Watson era più basso di Holmes e aveva un fisico piuttosto muscoloso.
In confronto al suo amico, aveva una “mente normale”, ma abbastanza intelligente, secondo il parere di Sherlock.
Aveva capelli biondi e occhi azzurri.
Vestiva in modo semplice e un po’sportivo per comodità.
 
“Q-quindi hanno accettato la sua offerta…Mrs. Hudson?” chiese ancora per assicurarsi che fosse tutto vero.
“Ma certo che sì!” sbottò spazientita, agitando la mano in un moto di stizza.
“Inoltre sta uscendo dalla sua camera proprio ora, John. Avrà appena finito di farsi la doccia” osservò Sherlock, cominciando a salire le scale verso il piano superiore.
“E- e tu come lo sai, Sherlock?” gli domandò Watson.
Anche se ci era abituato, certe volte non poteva fare a meno di sorprendersi un poco per le sue brillanti deduzioni.
Lo lasciavano a bocca parte tutte le volte.
“E’ piovuto fino a poco tempo fa, John. Non aveva l’ombrello e si è bagnata. Elementare” ribatté con fare ovvio, non degnandolo di uno sguardo, entrando nel salotto del piano superiore senza aspettare l’amico e la signora.
“Ma come lo sai?” domandò con fare insistente, raggiungendolo.
“Il pavimento all’ingresso presenta impronte di scarpe da ginnastica e gocce intorno ad esse, ma non c’è traccia di gocce che tralascerebbero gli ombrelli tenuti in mano o di fianco o davanti, inoltre, parte dello scialle della Signora Hudson è ancora umido. Si sarebbe potuto asciugare, ma non tenendolo steso si asciuga in molto più tempo” spiegò Sherlock togliendosi la sciarpa e il cappotto, poggiandoli sull’attaccapanni, seguito a ruota da John.
“Incredibile, dico…”
“Oh, mia cara! Entra pure, così ti presenterai ai tuoi coinquilini!”.
Mrs. Hudson interruppe il commento adulatorio di John, richiamando così l’attenzione di tutti e due sulla figura ferma sullo stipite della porta.
 
Si era fatta una bella doccia rilassante e si era cambiata gli abiti, indossando dei pantaloncini corti fino a metà coscia e un top sportivo a maniche lunghe, che le lasciava scoperti la spalla sinistra e parte della sua pancia piatta.
Osservò i due ragazzi con un po’di timore, cercando però, di non darlo a vedere.
Era abbastanza orgogliosa, anche se certe volte dimostrava il contrario, facendosi proteggere dagli altri quando aveva paura.
Era una delle sue caratteristiche: sfrutta gli altri e vivrai ancora un po’.
 
“Così tu devi essere Nami” ruppe il ghiaccio con una delle sue deduzioni Sherlock, lasciandola sorpresa, dandosi della stupida subito dopo: avrà letto il nome sulla collana che mi ha regalato Nojiko in passato.
Pensò avvicinandosi un poco verso di loro.
“Esatto! Tu devi essere Sherlock!” rispose a sua volta, sorridendo mestamente.
“Sherlock…c-come hai fatto a scoprire il suo nome? Mrs. Hudson non l’ha mai detto…” osservò John con fare pensieroso, volgendo prima un’occhiata al suo amico e poi alla giovine che stava ferma di fronte a loro.
“L’ha letto sul mio ciondolo” Nami precedette il consulente detective, mostrando a John l’oggetto preso in questione.
“Wow! A quanto vedo esistono anche persone che sono in grado di pensare prima di parlare!” si complimentò Sherlock guardandola dritto negli occhi, mettendola in soggezione.
La ragazza non riusciva a capire cosa provasse in quel momento il detective: se ammirazione o disprezzo.
“Sherlock, smettila” lo rimproverò debolmente John, massaggiandosi le tempie.
Non voleva sorbirsi altre sue deduzioni con lo scopo di far scappare quella ragazza in meno di due secondi.
Almeno per quella volta poteva contenersi, cercando di essere educato e cortese.
Cosa che invece non accadde.
“Hai accento americano, però sono della idea che tu sia di New York. Ti piacciono le girandole e i mandarini, ma questo era più che comprensibile dal tuo tatuaggio sul braccio sinistro, ma deve essere per forza legato alla tua infanzia assieme alla tua famiglia, soprattutto con tua sorella. Infatti indossi ancora, dopo molto tempo, la collana che ti ha regalato.
Sei voluta diventare indipendente e trovarti un lavoro, infatti, facevi la giornalista e ti davi molto da fare, anche se quel lavoro non ti piaceva: lo si capisce dalle tue mani, inoltre, continui ad infilare la mano nella tasca posteriore dei pantaloni, quasi cercassi il tuo taccuino degli appunti.
Sei partita ieri notte in fretta e furia, dopo aver avuto rapporti sessuali (hai un succhiotto sul collo). Potrebbe essere stato il tipico incontro da una botta e via, ma io non credo, altrimenti avresti sopportato tutto, persino il tuo lavoro deludente.
Avevi un fidanzato possessivo e che ti costringeva a fare ciò che lui voleva, stando zitta e buona.
Ed è così, che hai voluto rischiare: partendo verso una nuova città, prendendo i vestiti che ti sono capitati in mano e l’ultimo tuo stipendio. Ho dimenticato qualcosa?” disse tutto d’un fiato il consulente, lasciando tutti a bocca aperta, soprattutto Nami.
Sherlock la considerava come una piccola vendetta per averle rubato le parole di bocca poco tempo prima, inoltre, voleva scoprire di più sul suo comportamento.
Non che provava una certa attrazione nei suoi confronti. Voleva solamente sapere la sua reazione e sapere se sarebbe scappata a gambe levate, lanciandogli insulti coloriti.
La ragazza boccheggiò due o tre volte, per poi stringere i pugni con talmente forza da farsi sbiancare le nocche.
Di certo non bastava quel detective da strapazzo per farle cambiare idea: aveva sopportato di peggio, persino umiliazioni veramente sfiancanti.
“E’…stata la più bella presentazione che abbia mai sentito…ti sei mostrato per ciò che realmente sei: un uomo che si crede chissà chi, facendosi vedere il re del mondo intero con delle stupide deduzioni del cavolo. Hai sbagliato solamente una cosa: intrometterti nei miei affari.
La prossima volta…vedi di farti i cazzi tuoi, detective dei miei stivali” ribatté con tono acido, uscendo dalla stanza per andare in camera sua, sbattendo violentemente la porta.
 
Nel salotto calò un silenzio di tomba, rotto solamente dai sospiri di John e Mrs. Hudson.
“Hai esagerato” disse John guardandolo con rimprovero.
Aveva superato davvero il limite, quella volta.
“Non posso essere che d’accordo!” rincarò la dose la Signora Hudson, sbattendo il piede a terra in un moto di stizza e delusione.
“Ho solamente detto ciò che pensavo, o meglio, la verità” si difese senza battere ciglio Sherlock.
Aveva avuto una bella lezione! Mai interromperlo quando stava per parlare, rubandogli le parole di bocca.
“Sherlock! Tu lo hai fatto per vendicarti! D’accordo! Come ha detto Nami ti vuoi credere il re del mondo. Sempre. Ma hai superato il limite! Voglio che tu le chieda scusa!”
“Se l’è meritato”
“Piantala di essere così egoista! La conosci da nemmeno cinque minuti e già la tratti come un cane!”
“Non hai capito ciò che ho detto poco fa? Ti ridevo dire la storia della sua vita, scrivendoti pure il libro? John! Usa il cervello!”
“Chiedile. Scusa. Non lo ripeterò un’altra volta!” e detto questo, se ne andò dalla stanza e dalla casa, andando a farsi un giro per le vie della città.
Doveva schiarirsi le idee e far pentire Sherlock di ciò che aveva detto.
Di sicuro non avrebbe funzionato, perché Sherlock non provava sentimenti, a detta sua.
Forse aveva ragione.
Per l’ennesima volta.
Per l’ennesima, maledettissima, volta.




Angolo di Alyce: Salve a tutti!
Ok, questa è una delle tante idee malsane che mi sono passate per la testa.
Ho deciso di "affidare" Nami nelle mani del grandissimo Shelrock Holmes e del suo caro amico John Watson!
Ci sarà da divertirsi!
Ad una prima occhiata, Nami e Sherlock hanno subito dato giudizi senza nemmeno conoscersi.
E al povero John tocca rimediare.
Bisognerebbe fargli un monumento per la sua infinita pazienza.
Non ho nient'altro da aggiungere.
Ci si legge al prossimo capitolo!
Buonanotte a tutti!
Alyce :)

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Capitolo 2
*** 2. Una sfida che può costare la vita ***


2° capitolo: Una sfida che può costare la vita

 
 
Rimase per un tempo che le parve infinito a fissare la sponda del letto, seduta comodamente a gambe incrociate sul materasso, annoiata e arrabbiata.
Lei era venuta solamente per cercare un po’di pace, non per farsi raccontare la storia della sua vita da quel detective antipatico e impertinente!
 
Qualcuno cominciò a bussare insistentemente alla porta, facendola sobbalzare.
“Nami, tesoro! Sono le 19.45! Non hai fame?” le chiese Mrs. Hudson restando fuori dalla camera della ragazza.
Lei non aveva fame.
Non ne aveva affatto!
Si stava “nutrendo” del suo odio, nei confronti di qualcuno, che le attraversava il petto in una morsa gelida e calorosa allo stesso tempo.
“No, Mrs. Hudson. Non si preoccupi per me. Sto benissimo!” sibilò stringendo i pugni attorno ad un cuscino trovato lì per lì, “strozzandolo”.
“Ti prego, cara! Cerca di ragionare! Avrai mangiato pochissimo! Potresti ammalarti, se non sei in forze!” la rimproverò dolcemente la cara signora entrando dentro la sua stanza, sedendosi sul bordo del letto.
“Non m’importa…” cercò di desistere Nami con gentilezza, volgendo lo sguardo altrove.
Mrs. Hudson prese una mano tra le sua, in un gesto comprensivo.
“Non dire così. Sbaglio, o volevi cambiare completamente vita?” le chiese sorridendole dolcemente, frantumando la corazza che si era creata la ragazza.
Aveva ragione.
Non poteva comportarsi così.
Aveva deciso di voltare pagina, no?
E allora, perché non cominciare, lasciandosi alle spalle quello stupido diverbio avuto con Sherlock?
“John è rientrato?” domandò realmente incuriosita, sentendosi un po’in colpa per essere stata una parte della causa della sua reazione, che non fu delle migliori…
“Oh, sì! È tornato poco fa! Era ancora un po’arrabbiato e ha ancora litigato con Sherlock!” le rispose.
“Mi dispiace…” si rabbuiò di colpo, abbassando lo sguardo.
“Tesoro mio! Non devi preoccuparti di nulla! Quelli litigano e fanno pace come se nulla fosse! Vedrai che domani saranno amici come prima!” la rassicurò sollevandole il viso con due dita, guardandola dritto negli occhi.
“Andiamo?” insisté quindi Mrs. Hudson, facendo sbuffare divertita la ragazza, che la segui di sotto verso il suo soggiorno.
 
Appena entrò nella stanza incrociò lo sguardo freddo e indifferente del consulente detective, che Nami ricambiò con piacere, “fulminandolo”.
“Mrs. Hudson, la devo aiutare con la cena?” si propose gentilmente la ragazza.
“Oh, no! Sei l’ospite d’onore questa sera! Non è vero, John?” disse lei, cercando man forte da parte di Watson.
“Assolutamente sì! Siediti pure, Nami!” disse il biondo alzandosi dal suo posto per poi scostarle la sedia, in modo tale che lei si potesse sedere.
“Grazie mille, John!” lo ringraziò.
Così, mentre John e la Signora Hudson finivano i preparativi per la cena, lasciarono nelle mani del Destino Sherlock e Nami.
Lui continuava a fissarla con insistenza, volendola metterla in soggezione.
Lei cercò di sembrare il più annoiata possibile, mettendo un braccio sul tavolo, appoggiando il viso sopra la mano, mentre con l’altra picchiettò nervosamente sul ripiano in legno.
“C-credo…”- Sherlock richiamò l’attenzione di Nami con il suono concitato della sua voce, facendola sobbalzare- “Credo di doverti delle scuse…q-quindi…”
“Ti dispiace” terminò per lui, facendo l’indifferente.
Un po’, però, si sentiva contenta: Sherlock si stava scusando, cosa molto difficile per lui.
Holmes non sapeva se essere contento per essersi tolto un peso dalle spalle o essere irritato per il fatto che la ragazza gli aveva rubato, per l’ennesima volta, le parole di bocca.
Decise di sorvolare sulla cosa, non ritenendola importante e per far contento John, una buona volta.
Lui non provava sentimenti.
Già, provare qualcosa, era orribile.
Figuriamoci chiedere perdono a qualcuno per aver detto una cosa “innocente”, dimostrando, con orgoglio, la sua intelligenza.
“Già…hai…indovinato” osservò il ragazzo muovendo la testa nervoso.
“Beh…diciamo che non ho indovinato…era palese…”
“Come, prego?”
“Era…lasciamo perdere. E’ meglio!” sbottò Nami passandosi una mano sulla fronte con fare stanco.
Non voleva avere un’altra discussione con lui.
Meglio lasciarlo cuocerlo lentamente nel suo brodo.
Però…c’era una cosa che le assillava come un picchio che batte contro un albero, la mente: come faceva, Sherlock, ad avere degli amici?
Insomma! Se trattava, tutte le volte, le persone in quel modo, non credeva che arrivasse tanto lontano.
Di sicuro, qualcuno, lo detestava!
 
Qualcuno cominciò a suonare il campanello, risvegliando i due dal loro status di pensieri.
Nami e Sherlock si alzarono contemporaneamente, per poi dirigersi assieme verso l’ingresso: lui davanti, lei dietro.
La rossa si accorse della cosa e pensò che forse era meglio se stava al suo posto, rimanendo zitta e buona.
Sherlock aprì la porta rapidamente per poi esclamare: “Lestrade! Ti stavo aspettando!”
“Come diavolo facevi…lasciamo perdere! C’è stato un altro caso di omicidio. Un’altra ragazza dai capelli rossi” lo informò concitato, entrando in casa, seguita da una sua collega.
Nami, come se fosse stata presa in causa, rabbrividì, appiattendosi contro il muro, come a voler fondersi con esso.
Sherlock si diresse verso il salotto, seguito a ruota dai due agenti di Scotland Yard, per poi fermarsi:
“Nami, non vieni?” le chiese con fare beffardo, irritando un poco la ragazza che, riluttante raggiunse il gruppo.
“Nami? Sherlock, ma…” domandò la collega di Lestrade.
“No, Donovan. E’ la nostra nuova coinquilina!” la interruppe stizzito il consulente, fulminandola con lo sguardo.
Donovan era una donna dalla carnagione scura con capelli neri riccioli e occhi marroni.
Non era molto alta e si vestiva con jeans e una camicetta, oppure con una maglietta accompagnata da un maglioncino.
Portava un giaccone pesante grigio chiaro.
Era sempre stata una donna abbastanza ficcanaso e irritante.
Si credeva intelligente e superiore a tutto e a tutti.
Peccato che Sherlock la “smontava” in meno di due secondi, mettendola in riga.
Lestrade era un uomo dai capelli brizzolati e occhi scuri.
Era abbastanza alto e magro.
Si vestiva sempre in modo elegante, come Sherlock, indossando un cappotto abbastanza lungo.
Lui cercava di non far scoppiare una lite tra Sherlock e Donovan, facendo da mediatore.
Non sopportava di vederli attaccarsi come cane e gatto anche in situazioni veramente critiche.
“Nuova…coinquilina? Mi complimento con te, signorina! Sei stata una delle pochissime donne a non fuggire da questo detective egoista e saccente!”- si complimentò Lestrade, porgendole la mano- “Sono Greg!”
“Nami, piacere!” ricambiò lei con presa incerta.
Dov’era finito tutto il suo coraggio?
“Greg!”- lo richiamò Donovan, facendolo voltare di scatto verso la sua collega- “I suoi capelli…”
Lestrade si rigirò verso Nami, per poi boccheggiare più e più volte, mentre la “vittima” si preoccupava ogni singolo secondo che passava.
“Ti prego…dimmi che non sono naturali” la supplicò con voce stridula, scuotendola lievemente per le spalle.
“Sono naturali, invece…perché?” chiese fissandolo senza capire.
“Nel caso di cui mi sto occupando, sono coinvolte vittime dai capelli rossi o sul rossiccio (come i tuoi), venendo strangolate, vestite e truccate come bambole di porcellana.
Le foto vengono inviate ai loro famigliari, con delle frasi filosofiche sulla vita e la morte legate al colore rosso. Ne sono già state uccise dodici” le spiegò brevemente Sherlock, scombussolando nel profondo l’animo della ragazza, che si ritrovò a fissare con occhi spaventati il pavimento.
“Perché proprio le rosse…?” riuscì a chiedere con un filo di voce, ma riuscendo a farsi sentire dal detective.
“Deve essere una specie di vendetta o qualcosa del genere…” le rispose ancora, con tono neutro.
In quel momento arrivarono John e Mrs. Hudson, che andarono incontro al ragazzo.
“Greg! Un altro omicidio?” domandò preoccupato Watson, avvicinandosi lentamente a lui.
“Sì…ed ha ancora i capelli rossi…”
“Oh, Signore del Cielo!”- esclamò inorridita la Signora Hudson, correndo verso Nami, abbracciandola con forza- “Ma allora…lei è in pericolo di vita!”
La ragazza non spiccicò parola, continuando a tenere lo sguardo fisso sul pavimento.
Non riusciva a reagire.
Non riusciva a spiegarsi il motivo per cui delle donne, molto probabilmente innocenti, venissero uccise e truccate come se fossero dei giocattoli.
Chi poteva avere un’idea così malsana in testa? Chi?
E se fosse stata presa di mira anche lei? Cosa avrebbe fatto?
Dopo tutto il tempo in cui aveva dovuto subirsi le torture da parte del suo ex fidanzato e lo stress psicologico del lavoro, ed era riuscita a scappare…ora… correva il pericolo di essere uccisa…
Come poteva accettare tutto questo? Come?
Lei non voleva più scappare!
Non dopo esser riuscita a rifarsi una vita!
Certo, era ancora agli inizi, ma meglio poco che niente!
 
“Voglio…voglio aiutarvi!” disse allontanandosi con un gesto dall’abbraccio di Mrs. Hudson, guardando i presenti uno per uno, negli occhi.
“E’ troppo pericoloso!” cercarono di farla desistere Greg e John.
“Va bene!” le diede man forte, invece, Sherlock, lasciando sorpresi tutti, soprattutto il suo amico e la Signora Hudson.
Pensarono che era un suicidio: Nami era appena arrivata, dopo essersi lasciata alle spalle un passato tormentato, inoltre, era rossa naturale di capelli.
Solamente un pazzo, avrebbe accettato l’offerta della ragazza!
Si poteva tralasciare il fatto che Sherlock poteva sembrare un malato di mente solamente perché teneva delle teste di cadavere dentro al frigo e impiccava in mezzo al salotto (in bella vista) dei fantocci per ragionare, ma questa cosa…era inconcepibile, ecco!
“Sherlock! Cerca di ragionare, per favore!” s’infervorò John, parandosi davanti a lui, come convinto del fatto che se lo avesse guardato negli occhi, lui, avrebbe desistito dalla sua scelta folle.
“Si è proposta lei. Io non c’entro, sta volta” commentò indifferente il detective, indicando la rossa.
“Oh, ma andiamo! Nami! Ti prego di non ragionare come Sherlock! Per favore, ritira la tua offerta e stai a casa, al sicuro!” le ordinò perentorio Watson, mentre Donovan e Lestrade aspettavano il verdetto finale con fare nervoso, sbuffando in continuazione.
Il tempo stringeva e un’altra vittima poteva essere uccisa in qualsiasi momento, anche in quel preciso istante.
“Mi dispiace, ma ho già fatto la mia scelta. Non mi tirerò indietro per nessun motivo!”  disobbedì correndo al piano superiore per prendere la sua giacca, pronta ad uscire.
John sospirò affranto, pensando di essere andato a vivere non solo con un detective dotato di super intelligenza e massimo egoismo, ma ora, anche con una ragazza veramente testarda e che sapeva il fatto suo.
Sherlock sorrise impercettibilmente a quella reazione, contento anche del fatto, che finalmente avrebbe “testato” le capacità deduttive della nuova arrivata al 221B di Baker Street.
 
Tornò subito dopo, infilandosi in fretta e furia la sua giacca di pelle con il cappuccio, chiudendo la cerniera fino a metà torace.
“Sono pronta!” esclamò emozionata per quella strabiliante e alquanto strana avventura.
“Molto bene! Lestrade! Andiamo!” sentenziò Holmes prendendo il suo lungo cappotto dal braccio di Mrs. Hudson, che nel frattempo, era corsa a prendere sia quella di Sherlock che di John.
John, non avendo più voce in capitolo, si limitò a seguire il gruppo, stando però vicino a Nami.
Non voleva che le succedesse qualcosa.
I due agenti sfrecciarono con le auto della polizia, mentre i tre ragazzi del 221B presero un taxi chiamato dal consulente detective.
Nonostante l’abitacolo fosse spazioso, si dovettero stringere un pochino per non essere d’intralcio a nessuno.
Nami fissava il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino, immaginando cosa avrebbe visto.
Un mucchio di domande fecero capolinea nella sua mente, inquietando un poco il suo animo.
Fortunatamente, si era ricordata di prendere il suo taccuino, per smorzare la tensione che le aleggiava nel cuore.
Scarabocchiò varie parole chiave, scrivendo anche le domande che riteneva più importanti…
“Hanno un limite d’età, queste vittime?” chiese cercando di rimanere il più fredda possibile di fronte alla situazione.
“Hanno più o meno tutte la tua stessa età. Vent’anni” le rispose non degnandola di uno sguardo Sherlock, osservando però, di sottecchi, quello che lei annotava, come una brava studentessa.
Pensò che quel vizio le fosse venuto appena entrò nel giornalismo, in modo tale che non dimenticasse le cose più importanti, ricadendo sui suoi articoli: abbastanza sintetici e con le giuste informazioni.
Nami, per un breve attimo si chiese come facesse Sherlock a sapere la sua età, ma decise di lasciar scorrere la cosa, poiché non era così importante, in fondo.
“Potrebbe essere legato ad un suo parente mancato a vent’anni…” osservò concentrandosi il più possibile.
“A causa di una donna dai capelli rossi? E’ una buona deduzione, ma è banale e sbagliata. I dettagli, Nami. Anche quelli di cui non sospetteresti mai”  cercò di aiutarla.
Si concentrò di più, pensando a varie e bizzarre motivazioni: poteva essere a causa di un rifiuto riguardo ad una dichiarazione, oppure per un altro tipo di vendetta legato al lavoro…
“L’assassino potrebbe anche farlo per puro divertimento…ma non vedo nessun collegamento con le donne dai capelli rossi!” sbottò grattandosi lievemente il capo con la biro.
“Forse…le piacciono le rosse” s’intromise John, non provocando però, nessuna reazione da parte dei due.
“E’ troppo scontato, ti pare?” domandarono all’unisono, spaventando Watson, che si fece piccolo piccolo contro il sedile del taxi.
Con chi diamine aveva a che fare?!?
 
Giunti al luogo destinato, scesero velocemente dal mezzo, raggiungendo gli agenti sulla scena del crimine.
La vittima si trovava dentro ad una stanza d’albergo, adornata con vari fronzoli e servizi costosi di porcellana.
Era seduta sul materasso, mentre la schiena poggiava contro una sponda del letto: aveva un lungo abito rosso sangue e delle scarpe a tacco basso laccate dello stesso colore.
I capelli lisci, rossi accesi, erano acconciati in due codini bassi.
Il viso era truccato in modo abbastanza pesante, facendo rendere la pelle bianca come il latte, in netto contrasto con il rossetto cremisi e l’ombretto color carne scuro.
I suoi occhi erano vitrei e inespressivi, proprio come quelli delle bambole, mentre un sorriso faceva capolinea sul volto.
Tra le mani teneva un biglietto color rosa pesca:
 
“C’è una differenza, rispetto agli altri casi riscontrati. La frase scritta sul biglietto è diversa: Toglierò l’ultima rosa rossa dal giardino. Questa sarà la più bella e completerà la mia bellissima creazione. Ma solamente quest’ultima spiccherà tra tutte.” disse con tono grave Lestrade, girando nervosamente per la stanza.
John guardò Sherlock come in cerca di risposte, ma lui sembrò indifferente alla cosa.
Nami, invece, rimuginò su quelle parole, continuando però, a guardare la povera ragazza uccisa.
“Sherlock. Dobbiamo catturare l’assassino prima che commetta anche l’ultima opera!” sbottò Greg arrabbiato per richiamarne l’attenzione.
“Lestrade, taci. Mi stai disturbando” disse gelido, fissandolo per un istante negli occhi.
L’agente rimase a dir poco scioccato, ma tacque, facendosi consolare un poco dalla sua collega Donovan.
“Deve essere un maniaco della perfezione…” osservò sottovoce Nami, notando che tutto era perfetto, ma il consulente la smentì in un batter d’occhio.
“L’assassino soffre perennemente il freddo. Se ci fai caso, nonostante voglia essere “perfetto”, il trucco del rossetto è sbavato verso un angolo, anche se ad una prima occhiata non si nota”
La ragazza osservò meglio e dovette dargli ragione, mentre un’idea le balenò in testa.
I suoi ricordi corsero verso la figura che quella mattina le aveva indicato la strada per raggiungere Baker Street.
Era vestito in modo troppo pesante per quella stagione.
Era ancora autunno, non inverno.
Erano a malapena a metà Ottobre.
Quella figura le sembrò ancora più inquietante di quanto già non fosse.
Strano. Veramente strano.
“La gente, qui…si veste in modo pesante, anche se è autunno?” chiese titubante al gruppo, facendo scorrere una rapida occhiata su ognuno di loro.
“No. Tutto sommato, ci si veste ancora con abiti leggeri” le rispose Donovan sicura, guardandola in modo perplesso.
Non sapeva del perché la ragazza avesse fatto quella domanda così…fuori dall’argomento, in un certo senso.
“Tu hai visto l’assassino…” s’intromise Sherlock riducendo gli occhi a due fessure.
Nami deglutì rumorosamente, cercando di dare una risposta convincente, ma l’unica cosa che sapeva fare in quel momento era stare zitta e muta come un pesce.
“Potrebbe farne un identikit!” esclamò raggiante Lestrade, facendo agitare ulteriormente la ragazza.
Dio solo sapeva, quanto in quel momento, lei voleva pestare Holmes a sangue, finché non gli implorava pietà.
Capiva che aveva un’intelligenza fuori dal comune, ma che affermasse cose che parevano non stare né in cielo né in terra, no.
Proprio no.
“I-Io non ne sono sicura…la mia è solamente un’ipotesi!” cercò di difendersi, invano.
Sherlock, però, era ben disposto a metterle in continuazione il bastone tra le ruote, complicando la situazione.
Ogni momento che passava lo odiava sempre più.
Affermò che Nami mentì e che invece era ben sicura che l’assassino fosse l’uomo che aveva visto.
Ma lei non la pensava affatto così: era un’ipotesi.
Una semplice ipotesi, diamine!
Forse si era sbagliata e aveva preso un granchio!
Come poteva saperlo, lei?!?
Perché il detective non cercava di ragionare?!?
 
“Come lo hai conosciuto? Ah! Aspetta! Lo hai incontrato alla stazione del bus e ci hai parlato. Gli hai chiesto indicazioni per Baker Street e ti è sembrato un tipo sospetto, soprattutto perché aveva il viso coperto. Solo che hai deciso di non farci caso perché nessuno lo degnava di uno sguardo nonostante il suo strano atteggiamento di stare in mezzo alla gente. Ho dimenticato qualcosa?” chiese fissandola con occhi intensi, mettendola in soggezione.
Tra l’altro, alla fine, non aveva chiesto: “Ho sbagliato qualcosa?”, ma “Ho dimenticato qualcosa?”
Quel detective la stupiva ogni volta di più.
Solo che voleva rendergli pan per focaccia…e l’idea l’allettava parecchio.
“Sì! Di che colore erano i vestiti che indossava?” domandò quindi, mentre il suo alter-ego saltava dalla felicità per la sua piccola vittoria.
Guardò intorno alla stanza e notò che c’erano pochi colori scuri, tra cui, quello dei vestiti dell’uomo o presunto assassino.
“Scuri: blu e nero”
“Nami, è vero quello che dice?” -chiese Greg concitato, ricevendo un segno d’assenso come risposta- “Come diavolo hai fatto?”
Erano rimasti allibiti da quell’esatta deduzione.
Tutti, tranne qualcuno.
“Gli occhi. Ho semplicemente seguito la direzione dei suoi occhi…” cominciò, ma venne interrotto sul più bello, facendolo imbestialire un poco.
Non amava essere interrotto durante una delle sue spiegazioni.
“Quando si pone una domanda ad una persona, di solito, questa vaga lo sguardo altrove, indicando, in un certo senso, la risposta, tradendosi con le proprie mani. Di solito è un gesto involontario, ma certe volte può anche essere un chiaro segno d’aiuto” terminò Nami con fare indifferente.
Lo aveva imparato facendo la giornalista: estrapolare le informazioni con qualsiasi mezzo, utilizzando tutti e cinque sensi.
Solo così si scopriva la verità.
E la cosa funzionava.
 
I presenti fissarono i due ragazzi con una certa ammirazione, soprattutto la rossa: era difficile tenere testa a Sherlock Holmes.
Tutti pensarono che avesse trovato pane per i suoi denti, ma non sapevano se era una buona o cattiva cosa.
Potevano entrare in competizione, diventando completamente asociali, cercando di risolvere i casi da soli: oppure potevano essere di grande aiuto a Scotland Yard.
La faccenda era piuttosto complicata.
 
Sherlock gettò un’occhiata glaciale alla ragazza che aveva osato togliergli le parole di bocca.
Come gli era saltato in mente, prima, di dargli dei consigli?
Solamente un pazzo, lo avrebbe fatto.
All’improvviso, un’idea gli baleno alla mente, facendolo sorridere tronfio.
Si avvicinò velocemente alle spalle di Nami, avvicinando il viso al suo orecchio destro, per poi sussurrare:
“Ti propongo una sfida. Tu contro di me, in questo caso. Vincerà chi prima avrà trovato l’assassino, cosa già ovvia, a dir il vero. Che ne dici?”
Rimase un poco perplessa, passando ad osservare i presenti nella stanza.
Lei voleva solamente risolvere il caso, solo che quella sfida la allettava moltissimo, soprattutto per il fatto perché avrebbe dimostrato al consulente detective di che pasta era fatta.
Ma la sua parte razionale le continuava a ripetere che era una stupida sfida, in cui c’era in gioco la vita di una persona.
E con le vite umane, non si giocava.
Nemmeno per scherzo.
“Non posso. La posta in gioco è troppo alta. Una donna potrebbe morire da un momento all’altro!” sibilò a denti stretti, facendo sorridere ancor di più il ragazzo in modo beffardo.
Forse poteva sembrare troppo capriccioso, ma non voleva rinunciare.
Sapeva benissimo che, nonostante tutto, Nami era orgogliosa, quindi, bastava semplicemente “schiacciare il tasto giusto” e avviare la macchina.
“Non è che hai paura? Guardali. Guardali tutti. Ti ammirano solamente perché mi tieni testa. Ma forse, hanno preso un granchio…” ribatté strafottente, cosa che fece irritare la ragazza.
Voleva guerra?
Benissimo.
“Accetto la sfida!” rispose girandosi di scatto verso di lui, trovandolo incredibilmente vicino al suo viso.
Poteva vedere ogni singola caratteristica dei suoi occhi e del suo viso: dagli occhi alle labbra.
“Molto bene. Che la partita abbia inizio, allora!” esclamò stringendole la mano, come sancire quel loro patto segreto, come fanno i bambini appena hanno compiuto una marachella e non vogliono rivelarla a nessuno, lasciando tutti perplessi.
Uscirono insieme dalla camera d’albergo e sempre insieme uscirono dal palazzo.
I loro passi erano veloci ma perfettamente coordinati.
I loro sguardi erano fissi su un punto davanti a loro.
Le loro menti elaboravano le informazioni, cercando di trovare una pista.
Solamente uno dei due poteva vincere.
Uno di loro due avrebbe perso miseramente.
Potevano sembrare simili, ma i loro sentimenti erano così differenti: lui era sempre freddo e impassibile, ma lei aveva una tempesta dentro di sé.
Si era pentita dello sbaglio che aveva commesso.
Perché, uno volta ogni tanto, non lasciava stare l’orgoglio e dava ascolto alla sua parte razionale?
Perché?
 
Si divisero: Sherlock a destra, Nami a sinistra.
Nessuno dei due si voltò indietro per guardare l’avversario.
Lestrade, Donovan e John si precipitarono fuori e li guardarono non sapendo cosa fare.
Nessuno aveva capito cosa stava succedendo a quei due.
John non capiva perché si comportassero quasi come cane e gatto.
 
Nami cominciò le sue ricerche, fermandosi un attimo a guardare le informazioni racimolate.
L’ultima donna che era stata uccisa si chiamava Amelia Jessica Wrighter.
Bisognava cominciare a chiedere in giro se qualcuno la conoscesse ed, eventualmente, chiedere altre informazioni sul luogo di lavoro o ai suoi colleghi.
Passò così, dieci minuti in vari bar, dove incontrò vari amici della vittima.
Scoprì che era una ragazza simpatica, ma piena di problemi finanziari.
La ditta per cui lavorava si stava fallendo e si era rifugiata nell’alcool, rovinandosi la vita.
Usciva ogni volta con un nuovo ragazzo, ma da alcuni mesi aveva cominciato a frequentare un uomo che l’aveva presa sotto la sua ala protettiva.
Chiese l’indirizzo di dove abitava quest’uomo e chiamò un taxi per arrivare più in fretta.
Suonò varie volte il citofono e, dopo due minuti qualcuno venne a rispondere:
“Chi è?” domandò la voce, facendo irrigidire Nami.
Non era quella dell’uomo che aveva incontrato quella mattina…
“Sono un’amica di Amelia!” esclamò cercando di essere il più convincente possibile.
Il cancello sì apri con un lieve cigolio e la rossa entrò a passo spedito verso la villetta in cui abitava il fidanzato della Wrighter.
 
“Cosa porta un’amica della mia fidanzata, qui? E’ successo qualcosa?” chiese l’uomo mostrandole il suo volto: era un uomo sulla quarantina con capelli biondi e occhi azzurri.
Portava un completo elegante, ma era stropicciato in più punti.
Molto probabilmente era rientrato a casa da poco, inoltre, la sua ventiquattrore era appoggiata di fianco alla porta, simbolo che appena entrato in casa, stava suonando il citofono.
“Oh, niente di che! Mi ha chiesto di venire per avvertirla che stasera non verrà, perché fa un’uscita a quattro con le sue amiche!” spiegò tentando di dimostrarsi impassibile.
 
L’uomo, a quelle parole, sbarrò gli occhi per un attimo, ma si riprese subito:
“Non mi ha avvertito. Peccato! Ma venga! Le offro una tazza di thè, così si potrà un attimo riposare!” la invitò spingendola delicatamente verso il soggiorno spazioso.
“Non ce n’è bisogno! Devo proprio andare!” si ribellò lei, ma senza successo.
L’uomo le cinse il collo con un braccio, iniettandole qualcosa, e lei cadde a terra, con gli arti paralizzati e lo sguardo fissò davanti a sé.
Non riusciva ad emettere alcun suono dalla bocca, quasi come se avesse perso la sua voce.
Riusciva solamente ad emettere gemiti strozzati.
“Sai. È ora che una ficcanaso come te faccia una bella dormita! So per certo che Amelia ci ha lasciati più di dodici ore fa! Tu non sei una sua amica, perché me le ha presentate tutte. E ti posso assicurare che ne aveva davvero poche. Sogni d’oro!” disse l’uomo colpendole la testa contro il freddo pavimento, facendola svenire.





Angolo di Alyce: Buonasera a tutti!
Ecco a voi il secondo capitolo!
Come potete ben vedere Nami si mette subito nei guai e tutto perché ha accettato una sfida di Sherlock.
Però, ha avuto anche un po'ragione: quando c'è di mezzo l'orgoglio non c'è nulla da fare.
Cosa accadrà? Sherlock cosa farà? E il nostro caro John come la prenderà?
Tutto, nel prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione!
Alyce :))))))))))))

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Capitolo 3
*** 3. Una vita movimentata ***


3° capitolo: Una vita movimentata
 

 
 
Una mano le colpì ferocemente il viso, svegliandola dal suo sonno forzato.
Scosse la testa per vari secondi, come a voler far finire quel senso di sbandamento che provava appena svegliata.
Sentì il viso freddo come il ghiaccio, mentre sentiva la guancia destra bruciarle terribilmente.
Era come se qualcuno le avesse gettato addosso un secchio d’acqua gelata.
Ma non era solamente quella sensazione a metterla a disagio.
Scoprì di avere nuovi abiti a coprirle il corpo: un lungo vestito rosa pesca di seta le abbracciava il seno e l’addome con estrema eleganza, lasciando “libere” le gambe fino in fondo.
Era un vestito con le maniche corte a sbuffo bianche di pizzo.
Se fosse stata in piedi, avrebbe toccato terra con l’orlo della sottana, ma stando seduta, le si potevano vedere anche un poco di caviglia.
Ai piedi calzava ballerine color rosa chiaro, con un vistoso fiore finto sulla punta.
I capelli, ora, non erano più lisci, ma mossi, a parte la frangia.
Si sentiva veramente come una di quelle bambole di porcellana che si vedono in vetrina.
 
“Finalmente ti sei svegliata! Come ti sei permessa di mentirmi sul fatto che Amelia fosse ancora viva?!?” la rimproverò con tono duro l’uomo che l’aveva colpita.
Non riusciva nemmeno a muovere liberamente le mani, Nami.
Le avevano legato i polsi dietro lo schienale della sedia.
“Sei un bastardo! Come hai potuto uccidere tutte quelle donne, eh?!? Cosa ti avevano fatto?!?” domandò inalberandosi, cercando di strappare quella corda che la teneva prigioniera per i polsi.
Lui si mise a ridere sonoramente, lasciando interdetta la ragazza,
Non riusciva a capire che cosa ci fosse di così divertente.
“Io non avevo niente contro di loro. Io, aiutavo solamente mio fratello nella sua opera!” le rispose prendendole il viso tra le sue mani calde.
“Come? T-tuo fratello?” chiese ancora, sbarrando gli occhi dallo stupore.
Quindi, non c’era solamente l’assassino, ma c’era anche un complice.
Le era sembrato troppo semplice e scontato, trovare l’assassino in quel fidanzato.
Solo lì, in quel momento, capì tutto...
 
Sherlock era tornato sulla scena del crimine, da solo, ed ora, stava esponendo tutto ciò che ebbe scoperto durante le sue ultime ricerche per completare il caso.
Era fatta! Nami aveva perso contro di lui, ovvio.
Nessuno poteva batterlo, naturalmente.
“Aspetta un attimo, Sherlock!”- lo interruppe Lestrade avvicinandosi a lui- “Stai dicendo che questo assassino lavora in coppia?”
“Sì, George. Ho detto così!” si stizzì il detective fulminandolo con lo sguardo.
“Greg!” lo corresse Lestrade non badando alla sua occhiataccia.
“Irrilevante. Come dicevo: il complice, le attira, cercando di diventare il fidanzato o il migliore amico delle vittime e, poi, al momento giusto, le porta al vero assassino e il gioco è fatto! E so anche il motivo per cui l’assassino prende proprio le rosse” -continuò Sherlock lasciando tutti col fiato sospeso- “Lo fa per un motivo religioso, o meglio, pagano…”
 
“Sai, mio fratello odia le streghe. E’ per questo che uccide le donne con i capelli rossi naturali. Da piccolo gli hanno insegnato di stare lontano da quelle donne e lui, di conseguenza, ha assimilato e fatto da sé una specie di rito di…purificazione…uccidere tredici donne con i capelli rossi naturali, in modo da scongiurare l’ordine delle streghe…” le spiegò l’uomo, lasciandola visibilmente scioccata.
Tutto quello che aveva sentito era un’assurdità.
Era tutto collegato alle streghe… come poteva essere vero?
Era…era…assurdo e irreale.
 
“Potevi anche evitarle di spiattellarle ogni cosa” disse una voce famigliare, richiamando la sua attenzione.
Era l’uomo che aveva incontrato quella mattina alla fermata del bus.
“Tanto sta per morire, no? Che differenza fa?” gli domandò in risposta, non suscitandogli alcuna reazione, preso com’era dalla figura di Nami.
“Perché le bambole?” domandò a quel punto con tono ansioso.
Doveva cercare di vivere ancora un po’.
Forse, qualcuno sarebbe arrivato a salvarla.
Ma era solo un’ipotesi…
Solo un’ipotesi.
“Oh, quello gliel’ho suggerito io. Sai, il senso dell’estetica conta, al giorno d’oggi” esclamò l’uomo che l’aveva paralizzata e colpita alla testa poche ore prima.
Nami cercò di restare calma, pensando ad un modo per fuggire da morte certa: aveva a che fare con un fanatico che odiava le streghe ed un uomo che pensa al senso dell’estetica in un omicidio.
Erano semplicemente dei pazzi, ma potevano essere anche molto pericolosi.
“Perché sono io, l’ultima che dovresti uccidere?” domandò guardando il volto coperto del vero assassino.
La metteva ancora un poco in soggezione, ma in confronto alla sua rabbia e frustrazione, era niente.
“Per sbaglio, tu, mi hai toccato, stamattina. E questa è una cosa che non sopporto! Ti rendi conto? Essere toccato da una strega!” esclamò inorridito, prendendo un filo di nylon trasparente, per poi avvicinarsi lentamente al collo della ragazza.
Nami cercò di dimenarsi, ma era tutto inutile: il fratello le fermò la testa e lui ebbe modo di avvolgergli la sua arma, cominciando a stringere.
Si sentì soffocare e annaspò per cercare aria, inoltre, la gola le faceva terribilmente male.
Sputò fuori alcune parole con estrema difficoltà, ma tentò varie volte di alzare il volume della sua voce, finché non urlò:
“Sherlock!”
 
Il detective guardò fuori dal finestrino del taxi, mentre davanti al mezzo sfrecciavano veloci le auto di Scotland Yard con le sirene spiegate.
John continuava a tamburellare nervosamente le dita sul suo ginocchio, continuando a sospirare dall’agitazione:
“Calmati. Andrà tutto bene” cercò di calmarlo Sherlock, ma senza successo.
Watson si arrabbiò tantissimo: voleva strozzare il suo amico, in quel momento, per la cosa sconsiderata e suicida che aveva rivelato quando ancora erano nella stanza d’albergo.
Era venuto a sapere che Sherlock e Nami si erano sfidati, avendo come vincitore chi scopriva prima l’assassino.
Inutile dire che quasi gli venne un colpo al cuore a quelle parole.
“Sherlock. Ti rendi conto della gravità della situazione? Nami è in pericolo per colpa tua!” gli inveì contro, lasciando, però, il consulente indifferente alla cosa.
“Non capisco dove sia il problema: ho mandato un mio amico a seguirla ed ora la stiamo andando a salvare. Ti prego di calmarti” gli suggerì non degnandolo di uno sguardo.
Ammise a se stesso che forse era stato un po’troppo avventato lanciare quella sfida, ma diamine!
La cosa era estremamente eccitante per lui!
Correre e salvare delle vite appena in tempo, quando quasi stava per accadere l’inevitabile era una cosa che aveva dell’afrodisiaco.
“Come faccio a calmarmi?!? Una ragazza, nonché nostra coinquilina, sta per essere uccisa! Non ti tocca minimamente la cosa?” chiese John scocciato, guardandolo con cipiglio alterato.
Odiava la sua estrema calma in un momento cruciale come quello: Nami poteva essere già morta o in fin di vita e tutto, per una stupidissima sfida!
“John. Ti devo rispiegare…”
“Sì, ho capito che hai mandato uno dei tuoi tanti amici senza tetto a controllarla! Ma perché non lo avete detto prima?!? Forse, tutto questo non sarebbe successo!” sibilò stringendo convulsamente i pugni.
“Siamo arrivati” decretò Sherlock dicendo all’autista di fermarsi, per poi scender velocemente dal taxi, correndo verso il capannone disabitato.
Non si trovava molto lontano da Londra.
Inizialmente, quel capannone fu utilizzato da una compagnia di importi come magazzino per oggetti arrivati dall’Africa e Brasile, ma poi la compagnia fallì e la struttura venne abbandonata.
Era un posto piuttosto allettante per commettere un omicidio lontano dagli occhi della città e da possibili “intrusioni”.
Entrò al suo interno, costatando che nonostante fosse abbastanza coperto, faceva molto freddo.
Notò che gli agenti di Scotland Yard erano posizionati abbastanza lontani da dove si trovava l’assassino, così decise di andare avanti, non badando ai continui richiami da parte di Lestrade di tornare indietro.
 
“Così tu sei il famoso Sherlock. Sai, la tua amichetta ha urlato più volte il tuo nome. Per colpa sua non sono riuscito a concludere la mia opera!” sentenziò scocciata una voce camuffata, molto probabilmente coperta da una sciarpa.
Sherlock non lo vide da nessuna parte, ma capì subito che si trovava dietro ad una colonna del capannone, mentre per terra, di fianco a lui, c’era Nami.
“Spero per te che sia ancora viva, Rick Lager. Vedo che te e tuo fratello avete seguito le orme della vostra famiglia: una banda di fanatici che odia le streghe. Patetici” ribatté il detective ridendo divertito da quella faccenda.
I fratelli Lager erano veramente due pazzi, come il resto della loro famiglia.
“Tu non puoi capire!” gridò saltando fuori allo scoperto, tenendo la ragazza ferma tra le sue braccia.
Faticava a stare in piedi e più volte, l’assassino fu costretto a sollevarla, tenendo il filo di nylon attorno al suo collo, come minaccia per tenere lontano il detective.
Aveva ancora le mani legate dietro la schiena ed era semicosciente, mentre il suo respiro era irregolare, smorzato qualche volta da qualche gemito di dolore.
Il suo viso era molto provato e il trucco era sciolto a causa del sudore e qualche lacrima bastarda che usciva contro la sua volontà, formando lunghe scie di mascara e eyeliner lungo le sue guance e anche il collo.
Aprì lentamente gli occhi, scorgendo la figura sfocata di Sherlock e sorrise felice.
 
“Questa, è una strega! Merita di morire!” urlò ancora Rick Lager, irritando Holmes.
Si stava annoiando: non era la persona che si aspettava.
Pensava di divertirsi, ma quel pazzo fanatico continuava a farneticare cose senza senso.
Si guardò in giro, alla ricerca di suo fratello e lo vide ad uno dei piani superiori mentre imbracciava un fucile puntato contro di lui.
Cominciò a digitare un messaggio da inviare a Lestrade sul suo cellulare, tenuto ben nascosto da una delle tasche del suo lungo cappotto.
 
Mark Lager.
Piano superiore a sinistra, ore 10.
Armato di fucile. Due colpi.
 
“Se odi così tanto le streghe, poi, sarai costretto ad ucciderti. Ti ricordo che ne tiene una in ostaggio. Non hai paura? Potrebbe maledirti per il resto dei tuoi giorni” disse a quel punto ghignando sommessamente.
Lager parve pensarci un po’ su, per poi far cadere sul pavimento il corpo della ragazza.
Prese il filo di nylon e si avvolse il collo per strozzarsi, mentre suo fratello si alzò di scatto, buttando a terra il fucile e cominciò ad urlare contro di lui per farlo ragionare.
Distratti, Scotland Yard riuscì a fermare entrambi e li portò in centrale, mentre Lestrade fece chiamare un ambulanza per Nami.
John corse verso il corpo inerme della ragazza, accertandosi le sue condizioni:
“Per fortuna non è in pericolo di vita” affermò tirando un sospiro di sollievo, togliendosi la giacca in modo da coprire Nami dal freddo.
“Ne ero certo” disse Sherlock avvicinandosi, guardando il viso rilassato di lei.
“Come hai fatto a farlo desistere? Cioè, come lo sapevi?” chiese Greg realmente incuriosito.
“Oh, è stato molto semplice. Oltre ad essere un tipo che pativa molto il freddo era anche molto insicuro e facilmente suggestionabile. Elementare” spiegò brevemente il detective, aggiustandosi il bavero del cappotto.
Lo faceva quasi sempre, quando risolveva un caso: era un modo come un altro per porre la parola “Fine” al caso.
 
L’ambulanza arrivò dopo circa dieci minuti e caricò Nami su una barella, per poi essere trasportata in Ospedale, accompagnata da John.
La tennero in osservazione giusto per quella notte, per assicurarsi che stesse bene, per poi dimetterla la mattina seguente.
“Lo sai che mi hai spaventato a morte?” la rimproverò con tono dolce John, facendole indossare ancora momentaneamente la sua giacca appena furono fuori dall’infrastruttura.
“Andiamo. Non esagerare! Sono viva, no? Però, la prossima volta ci penso su due volte prima di essere una possibile vittima di un assassino” gli rispose sorridendo di gusto, smangiucchiando un biscotto al cioccolato dell’Ospedale.
Nonostante non fosse dei migliori, si accontentò lo stesso, data la sua fame.
“Già!”- rise di cuore Watson, per poi fermarsi all’improvviso, come colto di sorpresa- “Cosa intendi con “la prossima volta”? Vorresti aiutarci nei casi?”
Nami, come colta in flagrante, arrossi violentemente, girando lo sguardo altrove: nonostante l’esperienza vissuta in prima persona la notte prima, si era “divertita”, in un certo senso.
Sapeva che non era un gioco, ma la cosa le metteva quel brivido d’eccitazione come quando si sta per provare una cosa fuori dal comune.
“Avrai capito male, caro il mio Dottor Watson!” esclamò saltellando come una bambina.
“Come fai a sapere che sono un dottore? Non te l’ho mai detto!” disse con fare sconcertato.
“Ah, tranquillo! Me lo ha rivelato Mrs. Hudson! Inoltre, tutti, qui all’Ospedale, ti chiamavano “dottore”!” rispose noncurante, facendo scuotere la testa a John con fare sconsolato.
Certe volte, anche le cose più ovvie gli sfuggivano.
Sherlock aveva ragione: doveva usare di più il cervello!
Pensò, per poi rimangiarsi tutto: anche quando non era presente, quel detective le aveva sempre vinte!
 
Arrivarono al 221B con il primo taxi che chiamarono, venendo accolti dalle lacrime della Signora Hudson, che abbracciò Nami come se non ci fosse stato un domani, facendola sorridere.
“Su! Su! Non c’è bisogno di piangere, Mrs. Hudson!” la consolò regalandole un sorriso radioso, facendo calmare la donna un poco.
“Hai rischiato la vita! Mi sono preoccupata tantissimo!” si difese asciugandosi le ultime lacrime con un fazzoletto di stoffa già bagnato.
Doveva ammettere che, nonostante fosse li da pochissimo tempo, si era già affezionata alla cara signora come se fosse stata una specie di nonna che non aveva mai avuto.
A rompere quel breve attimo di imbarazzo ci pensò lo stomaco di Nami, brontolando lievemente, facendola arrossire fino alla punta delle orecchie:
“Ho mangiato a malapena un biscotto. Mi dispiace tantissimo!” si giustificò a bassa voce, facendo scoppiare l’ilarità di John e Mrs. Hudson.
 
Sherlock gli raggiunse al piano inferiore, guardandoli con indifferenza, per poi incrociare gli occhi della rossa, ancora vestita con l’abito che le avevano fatto indossare la notte prima.
“Vedo che ti sei ripresa” la “salutò” sorridendo beffardo, guardando la linea sottile e quasi invisibile che attraversava il collo roseo di Nami.
Lei abbassò lo sguardo non sapendo cosa dire: si stava chiedendo chi avesse vinto la sfida.
Era una cosa che le stava assillando la mente.
“Naturalmente, ho vinto io” disse il detective come avendole letto nel pensiero.
“Ah, sì? Come mai? Non mi sembra che tu abbia trovato l’assassino!” ribatté piccata, sospirando pesantemente, mentre Mrs. Hudson e John continuavano a fissarli preoccupati: avevano paura che si potessero picchiare da un momento all’altro.
O meglio. Avevano paura che Nami potesse saltare addosso al consulente detective per picchiarlo.
“Non hai avvertito la polizia.” la informò Sherlock ghignando sommessamente, facendola irritare.
“Non era negli accordi.” si difese puntandogli il dito contro, riducendo gli occhi a due fessure.
Sherlock scosse la testa divertito, per poi affermare candidamente: “Ma io non ho neanche detto che non lo era”
Dire che la ragazza non sapeva come controbattere era un eufemismo: era arrabbiata, scocciata e delusa, inoltre, le dava fastidio il fatto di rimanere senza parole per farla pagare a quel detective da strapazzo.
Imprecò sottovoce, allontanandosi dai presenti, per poi rifugiarsi in camera sua per prendere un cambio d’abiti e andarsi a fare una bella doccia rilassante, in modo tale da schiarirsi le idee sulla situazione.
Aveva molte cose a cui pensare, soprattutto per il fatto che doveva andare a cercare un nuovo lavoro, altrimenti sarebbe rimasta a corto di soldi.
 
Uscì dalla doccia sentendosi come rinata, per poi avvolgersi l’asciugamano intorno al corpo e prese il suo cellulare per controllare se avesse ricevuto messaggi o chiamate.
Inutile dire che era strapieno di messaggi scritti e vocali minacciosi da parte del suo ex.
Il suo collega, invece, non l’aveva più richiamata.
Meglio così.
Pensò pettinandosi i corti capelli rossicci, mentre alla mente rivide il ricordo del caso risolto:
“Ho davvero ancora litigato con Sherlock per un caso?” si chiese ad alta voce, poggiando il pettine sul ripiano, ricominciando a vestirsi, per poi uscire dal bagno, incontrando una persona ormai ben conosciuta.
“E tu cosa ci fai qui? Non mi dirai che mi stavi spiando!” sbottò inalberandosi, poggiando le mani sui fianchi.
“Prego? Io non stavo spiando nessuno. Volevo…ringraziarti per il tuo…aiuto fornitomi durante lo scorso caso…anche se l’ho risolto e ho vinto io la sfida…” tentò di dire Sherlock con una certa nota di stizza nella voce.
“Non lo pensi davvero!” ribatté “mettendolo con le spalle al muro”, sorridendo arrogante.
“Appunto. Solo che mi ha costretto John” aggiunse lui completamente d’accordo con la coinquilina.
“Vabbè, non mene importa niente. Esco per un po’!” annunciò alzando di un poco la voce per farsi sentire da John e Mrs. Hudson, correndo in camera per mettersi le scarpe e la giacca, prendendo con sé anche la borsetta.
“Nami! Dovresti restare a riposo! Devi pure fare colazione!” la rimproverò John dal salotto, mentre sorseggiava il suo thè tranquillamente.
“Mi annoio! Vado a cercarmi un lavoro!” non lo ascoltò e prosegui verso l’uscita del 221B.
“Prendi il taxi!”
“Farò due passi!”
“Perché devi contraddirmi?!?” gridò Watson, ma era troppo tardi.
La ragazza era già lontano, ma Sherlock la scrutò dalla finestra cominciando a suonare il violino, riempendo il locale della sua dolce melodia, inebriando l’udito dei presenti.
“Non lavorerà con noi?” chiese il consulente detective rivolto al suo amico.
“Sherlock. Non puoi costringerla. Inoltre, non guadagnerà niente!” cercò di farlo ragionare John.
“Oh, andiamo. Hai capito anche tu che le è piaciuto!” esclamò smettendo di suonare il suo strumento, guardandolo per alcuni attimi, per poi ritornare con lo sguardo fisso sulla strada.
Il medico non replicò, sapendo che era tutto inutile tentare di convincerlo.
 
Nami camminò per un bel tratto di strada, finché una macchina non le si affiancò, mettendola in allarme, anche se non lo diede a vedere.
La portiera posteriore della vettura si apri come un chiaro cenno di salire.
Sulle prime, non seppe cosa fare e cominciò a guardarsi in giro, ma poi si decise e, racimolando un po’di coraggio, salì.
 
“Buongiorno, Nami. Spero di non averla spaventata” la salutò un uomo di bell’aspetto.
Si capiva che era una persona facoltosa, molto facoltosa.
Era vestito con un completo elegante chiaro e una camicia bianca.
Al suo fianco vi era un ombrello ben lavorato appoggiato al sedile.
Aveva capelli sul marrone rossiccio, gli occhi erano azzurri e seri, nonostante sorridesse.
Nami pensò di averlo già visto da qualche parte e cominciò a guardarlo senza aver risposto all’uomo.
“Come mai mi guarda a quel modo?” le chiese fissandola a sua volta.
“Chi è lei?” domandò non facendo caso alla sua domanda.
“Certo che ha una bella faccia tosta, lo sa? Non ha ancora risposto a nessuna delle mie frasi. Non ha importanza sapere chi sono, in questo momento.”
“Lo è per me”
“Sta rispondendo come John Watson quando ci siamo incontrati per la prima volta. Anche lei, seguirà Sherlock Holmes?” chiese realmente incuriosito, suscitando lo stupore della ragazza.
In meno di uno giorno aveva conosciuto molte persone e vissuto a stretto contatto con la Morte, dato che stava per essere uccisa da un fanatico che odiava le streghe.
“Come fa a conoscere Sherlock?”
“Diciamo che sono una persona che si preoccupa per lui”
“Io l’ho già vista da qualche parte, ma non ricordo dove…è abbastanza famoso, se non mi sbaglio” osservò la ragazza prendendosi il mento con due dita con fare pensieroso.
L’uomo sorrise per l’ennesima volta, decidendo di andare subito al punto:
“Sono qui per metterla in guardia. Una volta presa la strada, non potrà più tornare indietro. Si capisce molto che le è piaciuta l’esperienza di ieri sera. Solo che è in giro per le strade di Londra per cercare un lavoro…perché?” disse con fare tranquillo, facendo sobbalzare Nami dalla sorpresa.
Quello sapeva tutto sul suo conto e lei a malapena cercava di riconoscerlo, perché diamine!
Lo aveva già visto, eppure non si ricordava dove!
“Come fa a sapere tutte queste cose?” domandò guardandolo a fondo negli occhi, come voler scoprire qualcosa.
“Beh! Fa parte del mio lavoro, dopotutto! Ma tornando a noi: perché sta cercando un lavoro?”
“Di certo non posso dipendere da John e Sherl…ma a lei cosa interessa?!?”
“Cosa vorrebbe fare?”
“Ma non ha risposto alla mia domanda!!!”
“Proprio come ha fatto lei poco fa, Nami”
“Ma…Cristo Santo! Di sicuro non vorrei fare più la giornalista…mi piacerebbe aiutare le stazioni meteorologiche o aiutare nella cartografia…” decretò arrendendosi, sospirando pesantemente.
“Capisco. Ritorni a casa, deve riposare. So che è stata promossa con voti alti alla scuola di geografia che ha frequentato a Washington. Metterò una buona parola per lei e la contatterò. Ora vada” la informò facendole segno di poter scendere da quella vettura lussuosa.
“Sì, andrò. Non vorrei beccarmi un altro bell’acquazzone…aspetti…come mi contatterà?” chiese incuriosita mentre apriva la portiera.
“Che domanda! Molto probabilmente la chiamerò sul suo cellulare, ma c’è il rischio di farsi rintracciare da Sherlock. Ora devo proprio andare: mi aspetta un’importante riunione”
“Mi può dire almeno il suo nome?”
“Mycroft. Buona giornata, Nami” rispose salutandola.
La ragazza boccheggiò varie volte, come colta di sorpresa durante una marachella e non seppe cosa dire: aveva capito chi era.
Mycroft Holmes: uomo di politica e a stretto contatto con la Regina d’Inghilterra.
Sapeva che era un tipo molto serio nel suo lavoro e che non permetteva fallimenti di nessun genere.
Oltre ad averlo letto sui giornali, sua sorella continuava a parlarne in continuazione, affermando di quanto fosse bravo e potente.
Solo che le era venuto un dubbio.
Un grande dubbio: che fosse un parente di Sherlock?
Stava per chiudere lo sportello dell’auto, ma bloccò la sua azione sul nascere:
“Che tipo di relazione c’è tra lei e Sherlock?” domandò a bruciapelo, facendo sgranare per pochissimi attimi gli occhi di Mycroft.
“Molto complicata” rispose deglutendo la saliva, girando lo sguardo altrove.
Nami capì all’istante e ghignò divertita, ricordandosi di come lei e Nojiko, certe volte, litigavano (qualche volta giunsero persino alle mani) per un non nulla: una volta si picchiarono per un ultimo pezzo di cioccolato rimasto nella confezione.
“Capisco. Nonostante certe volte, potremmo sembrare capricciosi, noi, i più piccoli della famiglia, avremmo sempre ragione. Bye!” lo salutò regalandogli un sorriso birichino, per poi scappare in tutta fretta lontano dall’auto.
Naturalmente, non è che abbia avuto del tutto ragione: sapeva che certe volte i fratelli più piccoli, oltre ad essere capricciosi (non sempre), volevano avere ragione anche quando erano in torto marcio.
C’era passata pure lei.
Ovviamente, poi, pagava le conseguenza con la vendetta di sua sorella maggiore.
 
Ripercorse la strada a ritroso, correndo come una furia.
Dei nuvoloni carichi di pioggia stavano incombendo sulla città di Londra, “colorandola” di una sfumatura triste e fredda.
L’aria si stava facendo più fredda e il vento cominciava ad alzarsi.
Le persone si coprivano con i loro cappotti, nel tentativo di ripararsi il più possibile, mentre i genitori correvano per le strade affollate per portare i loro figli a scuola in tempo.
Nami schivava tutta quella massa con grande agilità e destrezza, quasi fosse una cosa normale.
Delle piccole e minute goccioline cominciarono a far capolinea sulla Metropoli, bagnando le strade e i suoi passanti.
Quasi tutti aprirono i propri ombrelli, mentre la ragazza si mise a correre più forte percependo i polmoni bruciare un poco assieme alla gola.
La sottile ferita della notte prima pizzicò man mano che l’aria la colpiva con violenza, ma Nami decise di farci poco caso, svoltando a destra.
Poteva prendere un taxi, ma non voleva.
Tanto, mancava ancora poco al 221B…
 
Si fermò davanti all’uscio con il fiato corto, appoggiando le mani sulle ginocchia per riposarsi, inclinandosi in avanti.
La pioggia si era fatta più fitta, così come il ritmo della città.
Dopo essersi un po’ripresa dalla folle corsa, aprì con uno scatto la porta, per poi entrare e salire velocemente le scale per il piano superiore.
Cominciò a sentire un suono melodioso di un violino diventare sempre più forte, fino a che non giunse in salotto, restando sbigottita: Sherlock suonava il violino.
Le sue dita lunghe e affusolate tenevano l’archetto con delicatezza e maestria e sembrava accarezzasse le corde dello strumento.
Il suono che ne usciva era a dir poco meraviglioso.
Un lungo brivido piacevole percorse la schiena della ragazza, facendola deglutire a vuoto.
“Vedo che hai trovato lavoro in fretta” osservò Sherlock non degnandola di uno sguardo, continuando a suonare imperterrito.
“Già…” sussurrò guardandolo incantata, per poi scuotere la testa per ridestarsi.
Si sentì una stupida.
In quell’istante aveva una voglia matta di darsi uno schiaffo per il suo comportamento da ebete di fronte al detective.
“Dov’è John?” chiese deviando l’argomento in tempo dirigendosi in cucina per prendersi una tazza di caffè.
“E’ andato al lavoro dodici minuti fa. Perché?” domandò a sua volta, facendo stupire Nami dalla sua precisione.
“Così…non hai nessun caso da risolvere?”
“Al momento no. Sto giusto suonando per rompere la noia…”- disse continuando a guardare fuori dalla finestra, finché un’altra delle sue idee non gli balenò alla mente, smettendo di suonare- “Ti va di giocare?”
La ragazza deglutì ancora cercando di bere il suo beneamato caffè senza strozzarsi.
L’aveva colta di sorpresa.
Un’altra volta.
E poi l’aveva spaventata il modo in cui aveva posto la domanda: la sua voce aveva assunto un tono basso e profondo, soprattutto la parola “giocare”, facendola sprofondare.
“H-ho da fare” si difese bevendo un altro sorso di caffè, cercando di parere il più irritata possibile.
Cosa che invece non le riuscì molto bene: sembrava volesse scappare.
“Menti” controbatté subito l’altro, spaventandola ancor di più.
“Affatto” tentò di difendersi.
“Sì, invece. Lo si capisce dal tono della tua voce e la mano ti trema impercettibilmente. Hai paura di perdere, di nuovo?” chiese beffardo, avvicinandosi a lei.
Lo guardò non sapendo cosa fare: quel completo scuro e così perfettamente aderente al suo corpo alto e snello lo faceva sembrare una pantera pronta a cacciare la sua preda.
Per non parlare dei suoi occhi color ghiaccio.
Vispi, attenti e furbi.
Dannatamente furbi.
Entrò nel panico più totale: il suo cuore batteva all’impazzata e il respiro stava accelerando man mano che il tempo passava.
“Non ho paura…” mormorò insicura, stringendo convulsamente la tazza che teneva in mano, quasi a cercare di aggrapparsi a quel piccolo appiglio.
“Sì, invece. Le pupille ti si sono dilatate, inoltre, hai il fiato corto, eppure, ti sei ripresa dalla tua corsa di poco fa. Ah. Non dimentichiamoci del tuo tono di voce. Si è abbassato notevolmente. Ho dimenticato qualcosa?” chiese accarezzandole lievemente il viso con due dita, facendola sobbalzare a quel tocco così leggero.
Non aveva nemmeno la forza per ritrarsi da quell’Inferno.
I suoi occhi erano incatenati a quelli di Sherlock e le sue gambe le parevano gelatina.
La sua parte razionale le stava urlando di staccarsi e di non ascoltare quella provocazione, ma l’altra parte le diceva di controbattere con la stessa moneta, facendogliela pagare.
Proprio com’era successo al caso della scorsa notte.
“L’apparenza inganna, Sherlock. Io non ho paura. Dimmi: a cosa vuoi giocare?” domandò avvicinandosi a lui, assumendo l’espressione dell’indifferente.
In cuor suo sperava che non fosse “Il gioco delle ombre”.
“A Cluedo. Penso sia un ottimo test per misurare a fondo le tue capacità deduttive. Che ne dici?” le propose sorridendo come un bambino.
Nami trasse un leggero sospiro di sollievo, cosa che non sfuggì al detective:
“A cosa pensavi di così spaventoso?”
“Al gioco delle ombre…” rispose senza nemmeno pensarci, accorgendosi subito dopo dell’errore che aveva commesso.
Sherlock ci pensò un po’su, per poi ghignare sommessamente:
“Leggi le creepy pasta?” chiese continuando a ghignare.
“Ero capitata per caso in quel sito…” si irritò un poco, sbuffando lievemente.
“Ed hai avuto paura…” concluse saccente, facendola arrabbiare.
“Non ho mai avuto paura!” sbottò inviperita.
“Dimostramelo. Altrimenti perché hai tirato un sospiro di sollievo?”
“Così, perché mi andava! E non ti dimostrerò un bel niente.” concluse statuaria.
“Perché hai paura. Te lo si legge in faccia, Nami”
“Non. Ho. Paura!”
“Allora niente in contrario se stasera ci giochiamo” concluse dirigendosi verso il salotto, facendo percorrere un brivido di terrore alla ragazza.
Non che lei ci credesse, sia ben chiaro, ma ammesso che quegli essere demoniaci esistessero per davvero, che cosa avrebbe fatto?
Sarebbe stata costretta a giocare, come dicevano le regole, altrimenti rimandava alla notte successiva o moriva.
Non le sembrava una buona idea.
“Se vuoi posso giocare tutto il tempo con te a Cluedo!” cercò di farlo desistere raggiungendolo frettolosamente.
Il consulente detective parve un po’indeciso, per poi affermare candidamente:
“D’accordo. Ma stasera giocheremo al “Gioco delle ombre”. Voglio vederti urlare”
Nami non sapeva se mettersi a piangere o gettarsi dalla finestra, risparmiandosi quella tortura.
“Così non vale! E poi, come facciamo? Le regole dicono che non ci possono essere altre persone a meno che non giochino anche loro. John potrebbe farcela, ma Mrs. Hudson?” chiese con una piccola nota di  vittoria nella voce.
“Tranquilla. M’inventerò qualcosa” le rispose beffardo, distruggendo così, tutta l’autostima della ragazza.
Possibile che riuscisse sempre a contraddirla?
“Sherlock!”
“Puoi sempre ritirarti. Giocherò da solo”
“Non ci penso proprio! D’accordo! Stasera giocheremo!”
 
Sherlock pensò che si sarebbe divertito.
Lui, a quel gioco, ci aveva giocato una miriade di volte e non era mai successo nulla di che.
Però, sapeva come movimentare la serata.
Di sicuro, Nami non avrebbe approvato ciò che aveva in mente.
D’altronde, lui non era un pazzo.
Era semplicemente un sociopatico iperattivo.
Solo un sociopatico iperattivo.







Angolo di Alyce: Buon Sabato a tutti! :D
Come potete ben vedere, Nami accetta ogni sorta di sfida che il nostro carissimo Holmes le propone, inoltre, ha incontrato Mycroft :D
Ho grandi progetti per lui...muahahahahahahahah.
Ok, ritorno in me ^^'
Chiarisco una piccola cosa: quando Nami vede avvicinarsi Sherlock come una pantera (cosa che se sarebbe successa a me sarei crollata sul pavimento con occhi trasognati e un'espressione come questa   :Q_______________________) non è che le piaccia, cioè, forse un po' (?), ma principalmente è timore.
Ok, spero che abbiate capito questo mio pazzo delirio xD
Passiamo al nostro fatidico "Gioco delle Ombre": la considero una cosa molto interessante e che mi piacerebbe scrivere (W le creepy pasta!)
Quindi vorrei un vostro parere: se scrivo il capitolo (sempre se lo vogliate, altrimenti faccio un salto temporale e scrivo subito i fatti del giorno dopo, accennado ai sentimenti che i protagonisti hanno provato), la metto come Special o un capitolo normale (cioè: 4. Il Gioco delle Ombre)?
A voi la scelta!
Ci si vede al prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione a tutti!
Alyce :)))))))))))))))))

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Capitolo 4
*** 4. Il Gioco delle Ombre ***


4° capitolo: Il Gioco delle Ombre

 
 
Nami trascorse il resto della mattinata a giocare con Sherlock a Cluedo finché John non rincasò.
Sembrava piuttosto di buon umore, nonostante fuori ci fosse cattivo tempo da deprimere persino il più allegro della Terra.
“Stasera non sarò a casa, ragazzi. Non aspettatemi alzati” li informò armeggiando con una pentola della cucina mettendoci dentro l’acqua per poi scaldarla sul fornello.
“Appuntamento con Sarah?” chiese il consulente detective iniziando a riporre i cartellini e la tavolata del Cluedo.
“Non ti si può nascondere nulla, eh? Comunque sia, sì. Dormirò da lei” gli rispose prendendo dalla credenza una confezione di pastasciutta.
Nami gettò un occhiata d’intesa a Sherlock, che ricambiò con un sorriso beffardo e divertito.
“Quindi andrai con lei al lavoro? Cioè, non tornerai a casa per la colazione, giusto?” domandò a sua volta la rossa, facendo accendere una sorta di lampadina al medico.
C’era qualcosa che cuoceva in pentola.
E la cosa, non gli piaceva per niente.
“Come mai tutte queste domande? Mi sembra di essere ad un interrogatorio di Scotland Yard” osservò fissandoli sospettoso: Sherlock mantenne lo sguardo fisso su quello di John, mentre la ragazza rideva nervosamente agitando una mano come a scacciare una mosca.
Disse solamente che era una semplice curiosità e che non doveva preoccuparsi.
Inutile dire che John non ci credette molto, ma decise di far scorrere la cosa.
Non voleva rovinarsi la serata con Sarah per colpa di qualche idiozia dei suoi due coinquilini.
Erano maggiorenni e vaccinati.
Potevano cavarsela tranquillamente senza la sua supervisione.
 
Sherlock, nel pomeriggio, alle 15.30, usci di casa, con l’intento di procurarsi il materiale necessario per il gioco di quella notte e qualcosa in più per movimentare la cosa.
Una cosa presa da un suo amico fidato.
John, invece, uscì verso le 17.30, raccomandando a Nami di non fare nulla di insensato e di far desistere Sherlock da qualunque esperimento che richiedeva persone vive.
Nami, dal canto suo, gli rispose candidamente che avevano già programmato la serata, facendo altre partite a Cluedo.
Magari fosse stato per davvero così!
Più l’ora si avvicinava, più lei diventava nervosa e abbastanza irascibile, tanto che dovette andare dalla Signora Hudson per andare bere un thè con biscotti.
Il caffè, se lo sarebbe tenuto per l’avventura che stava per affrontare.
 
Appena Sherlock rientrò, alle 20.30, consigliò, o meglio, ordinò a Mrs. Hudson di andare a dormire da una sua amica, dicendole che quella notte, lui e Nami, avevano un gran da fare, facendo sorridere mestamente l’anziana signora.
Cosa che fece incuriosire non poco il detective.
“Perché ha sorriso in quel modo?” domandò alla ragazza non appena Mrs. Hudson uscì di casa per “lasciarli soli soletti” come aveva detto lei.
“La prossima volta, Sherlock, vedi di usare frasi che non contengano doppi sensi, per favore!” lo rimbeccò lei fulminandolo con lo sguardo, per poi andare a leggere il resto delle “istruzioni” del gioco.
Non che non se le ricordasse, ma voleva essere sicura e pronta mentalmente.
“Hai le cinque candele?” gli chiese osservandolo mentre tirava fuori l’occorrente.
“Sì” rispose automatico lui, mostrandogliele con un ghigno stampato in viso.
“Un oggetto affilato?”
“Assolutamente”
“Sangue?”
“Sì. L’ho preso da un maiale che era stato appena sventrato da un macellaio. Lo vuoi vedere?”
“No, grazie. Mi fido. Hai la polvere di ossa?”
“Oh, sì! L’ho presa in prestito, o meglio, rubata da una tomba di una persona morta circa cinquant’anni fa”
“Oh, Signore del Cielo! Hai davvero profanato una tomba?!?” chiese inorridendo, mettendosi la mano davanti alla bocca per non farsi cadere la mandibola.
“Perché? Che c’è di strano?” chiese lui perplesso, facendo scuotere il capo della ragazza in modo esasperato.
“Ti rendi conto che potremmo essere arrestati?!?” gli sibilò contro avvicinandosi a lui e prendendolo per il colletto della camicia.
“Oh, tranquilla. Non aveva parenti. Non se ne accorgeranno mai”
“Fai bello tu a parlare!!! Credo che morirò stasera a causa tua!!!” lo incolpò staccandosi da lui, mettendosi le mani fra i capelli.
“Vuoi ritirarti?”
“No! Affatto!”- disse cambiando subito opinione, facendolo sogghignare- “Ce l’hai l’accendino?”
“Oh, no! Me lo sono dimenticato! Ma certo che ce l’ho! Secondo te come facciamo ad accendere le candele? Con la forza del pensiero?”
“Potrebbe essere un’idea…”
“Ma non fare domande stupide! Tu, piuttosto, hai preparato il caffè?”
“Sì. Bisogna solamente scaldarlo”
“Molto bene. Non hai mangiato, vero?” le chiese Sherlock guardandola con un poco di disprezzo, facendola irritare.
“Ma certo che no! Non vorrei vomitare. Certo, forse c’è il pranzo di stamattina, ma oramai, le sei ore di digestione dovrebbero essere passate. Se vomito, vomito del caffè e perdo un po’di energie” gli rispose stizzita, incrociando le braccia al petto.
Il consulente non le rispose.
Avevano ancora un mucchio di tempo prima che il gioco iniziasse, quindi era meglio prepararsi.
Iniziò ad aprire tutte le porte delle stanze, comprese quelle del piano superiore e inferiore.
Durante la fuga dovevano avere accesso libero ovunque, così da non entrare nel panico nel tentativo di aprire una porta.
 
Fu così che aspettarono pazientemente le 23.45, mentre la caffettiera cominciava a fischiare, annunciando che il caffè era pronto.
Nami fece per alzarsi, ma Sherlock la fermò, dicendole che ci avrebbe pensato lui.
Preparò le due tazze versandoci dentro quel liquido così scuro da sembrare pece mettendoci di nascosto un po’ di polverina colorata per poi mescolarla in modo da discioglierla.
Portò le due tazze in salotto, dandone una alla ragazza, che bevve il caffè abbastanza velocemente, così come Sherlock.
 
Cominciarono a comporre il triangolo di sangue, appoggiando le candele accese agli angoli.
Dopo aver compiuto il primo passo, spensero tutte le luci e qualsiasi oggetto elettronico, per poi ritornare e accendere le loro personali candele, cospargendole con un po’ di polvere d’ossa bagnata del loro sangue.
 
“Sei pronta?” chiese Sherlock guardandola con la coda dell’occhio, nel caso avesse ripensamenti.
“Quando vuoi” gli rispose in un sussurro, facendolo sorridere mestamente.
Si sarebbe divertito sicuramente.
Eccome, se si sarebbe divertito.
 
Quando fu scoccata la mezzanotte cominciarono a recitare la formula per tre volte, prima che succedesse qualcosa:
Helusion! Daemoniacas umbras tres occurrunt!” dissero in coro, mentre qualcosa intorno a loro cominciò a prendere forma, iniziando a girare vorticosamente facendoli perdere i sensi per un minuto intero…

 
“Ti sei svegliata, finalmente” la richiamò Sherlock con tono annoiato, stando alzato in piedi.
Nami si prese la testa fra le mani, massaggiandosi il bernoccolo che si era procurata cadendo per terra.
Il consulente le mostrò un biglietto che teneva in mano, facendole percorrere un brivido di paura lungo la schiena.
Era troppo tardi per tornare indietro: era sulla pista e doveva ballare sino in fondo.
Sul biglietto c’era scritto:

 
Benvenuti al Gioco delle Ombre!
La vostra esperienza si baserà su tre prove: fuga, silenzio e paura.
Dovrete giocare sino in fondo, se non volete rimandare a domani o morire miseramente.
Che il divertimento abbia inizio…

 
“Cristo…” mormorò Nami tremando impercettibilmente, dopo aver letto il messaggio, affiancandosi a Sherlock.
Dire che aveva paura era un eufemismo.
Non era nemmeno terrorizzata.
Si sentiva estremamente a disagio, come se qualcuno li stesse osservando da dietro le spalle.
Nami si girò di scatto, ma non trovò nessuno.
Successivamente, girò la testa a sinistra e fu qui, che i suoi occhi si fecero vitrei: c’era un essere di forma umanoide, ma sembrava intoccabile.
Si vedeva chiaramente la parte superiore del corpo, ma non aveva gambe.
I suoi occhi erano di un rosso acceso e dalla sua bocca spuntavano denti aguzzi e anormali.
Inoltre, era completamento nero: non aveva volto se non fosse stato per il fatto che aveva occhi e bocca e il resto del corpo era come assemblato alla testa.
Nami iniziò a stringere convulsamente il braccio del detective, cercando di richiamarne la sua attenzione.
“Che c’è?” le chiese non degnandola di uno sguardo.
“I-il demone…Sherlock…c’è un fottutissimo demone sulla sinistra…è dietro la tua poltrona…” gli rispose indicandolo.
“E non è l’unico…ci sono anche gli altri due…” aggiunse il ragazzo cercando di tenerli osservati entrambi.
Era come se non si potessero muovere.
Loro ti osservavano a loro volta, finché, all’improvviso, quello sulla sinistra non inclinò la testa da un lato, facendo sobbalzare la ragazza dalla sorpresa.

 
Signorina…non sa che è maleducazione fissare?” chiese ghignando malignamente, mostrando un sorriso storto, reso ancor più terrificante dalla sua dentatura.

 
Nami trattenne il fiato.
La voglia di urlare era tantissima: il suo cuore parve correre in una corsa frenetica all’ultimo battito, il suo respiro si fece pesante.
Non riusciva a dire niente.
Dalla sua bocca le uscivano solamente suoni disconnessi e impercettibili.

 
L’essere avanzò di un passo, trapassando con estrema facilità la poltrona del consulente detective.
Nami indietreggiò e si scontrò contro il corpo di Sherlock.
“Che fai?” le chiese irritato, cercando di non perdere l’equilibrio.
“Dobbiamo scappare…il demone si è avvicinato!” gli mormorò aggrappandosi a lui per il braccio, che prima stringeva convulsamente, facendolo irrigidire.
“La cosa si fa interessante…” commentò continuando a tenere lo sguardo fisso sugli altri due demoni, facendo arrabbiare di non poco la ragazza.
“Sei scemo?!? Vuoi farti possedere e ammazzare, per caso???” gli inveì contro, alzando il tono della voce.
Sherlock le mimò di tacere, lanciandole un’occhiataccia, che la fece rabbrividire.
Lei, proprio non lo capiva.
Che senso aveva finire il gioco così, se non si muovevano e scappavano?
“Sherlock…”- gli sussurrò vicino all’orecchio- “Hai paura, per caso?”
“Affatto” rispose senza esitare, domandandosi cosa c’entrava avere paura o meno in una situazione come quella.
“Vuoi stare qui tutta la notte? Non senti il brivido eccitante attraversarti la colonna vertebrale al solo pensiero di scappare e riuscire ad ingannarli?”
“Certo che sì! Ma secondo me ci trovo più gusto se lo facciamo usando la testa!”
“Potremmo scappare, intanto? Per favore?”
“Me lo stai veramente domandando, Nami?”
“Cazzo, Sherlock! Ti sto supplicando!”
“Hai rinunciato per davvero al tuo orgoglio?”
“Sta’ zitto! Si stanno avvicinando!”
“Paura?”
“Affatto!”
“Se vuoi correre, perché mi stai tenendo convulsamente il braccio?”
La ragazza si accorse della gaffe che aveva commesso e arrossì un poco, nonostante i demoni si stavano avvicinando inesorabilmente a loro.
Si staccò con un gesto, farfugliando varie scuse, mentre il consulente la guardò con divertimento.
Gli piaceva metterla in completo imbarazzo e mettergli il bastone tra le ruote.
Voleva vedere fino a che punto Nami tenesse un certo comportamento.
Voleva sapere i suoi limiti.
Era un caso, così come lo era stato John quando si erano incontrati.
Voleva scoprire tutta la verità su di loro, ecco tutto.
Lo faceva più che altro per tenersi lontano dalla noia.

 
“Cosa faresti, se loro mi prendessero?” gli domandò a bruciapelo, fissandola negli occhi.
“Cercherei di salvarti…” gli rispose incerta, guardandolo a sua volta.
Sinceramente, si chiedeva il perché Sherlock avesse posto una richiesta così…assurda.
“Peccato. Io no” ribatté girandosi e scappando a gambe levate, lasciandola sola.

 
Ora, erano tre contro uno.
Nami era rimasta allibita e non sapeva nemmeno il perché non tentasse anche lei di scappare.
Forse aveva sbagliato tutto, nella sua vita.
Aveva sbagliato a scappare dall’America, dal suo ex fidanzato e dalle sue torture, dal quel lavoro che tanto detestava.
Tutto.
Non ci stava capendo più niente.
Aveva caos e tempesta dentro alla sua mente e dentro al suo animo.

 
Alzò la testa, guardando gli altri due demoni.
Il secondo, come il primo, aveva forma umanoide.
Però, a differenza degli altri, era una donna.
La sua pelle era candida come la neve al chiaro di Luna e i suoi capelli mossi, lunghi e dorati le ricadevano sciolti dolcemente sulla sua schiena.
I suoi occhi erano completamente neri, in contrasto con quella figura così eterea.
Indossava un lungo abito bianco con le maniche lunghe e svolazzanti.
Il demone allungo una sua mano affusolata come a voler toccare Nami, ma poi la ritrasse, rivolgendole uno sguardo di stupore misto a paura.

 
Sei così confusa…perché tanto odio e ribrezzo verso tutto e tutti?” le chiese chinando il capo da un lato.
La sua voce era così dolce e pura che Nami avrebbe voluto starla a sentire per ore e ore, crogiolandosi in un limbo così strano e piacevole che le metteva il cuore in pace.

 
Tsk! Tutti gli umani sono fatti così! Provano solamente odio! Sono delle creature così insignificanti e disgustose!” rispose il terzo demone, risvegliandola dal suo stato semi conscio.
Lo fissò per alcuni attimi, osservandogli tutte le caratteristiche.
Non era un umano, ma un animale simile ad un coyote.
Era più grande di un lupo e il suo pelo dai riflessi castano chiaro producevano una sorta di gioco di luci.
Le iridi dei suoi occhi erano rosse cosparse qua e là da alcune chiazze color oro.
Il suo sguardo trasmetteva puro disprezzo e ripugnanza quando la guardava.
Alle sue parole, Nami ci pensò un po’ su, pensando che per certi versi, il terzo demone aveva ragione: le persone uccidono altre persone solamente per divertimento o vendetta, ma mai per un giusta causa.
Perché, anche se qualcuno ti ha fatto un torto, devi saper perdonare, perché la miglior vendetta è il perdono.

 
Doveva reagire.
In fin dei conti, era un gioco, no?
Quindi, perché stare lì impalata, alla loro completa mercé?
Divagò con lo sguardo verso la porta, calcolando approssimativamente quanti metri potevano mancare a quella via di fuga.
Gettò una rapida occhiata sulle tre figure, per poi raccogliere da terra, molto lentamente, il contenitore con dentro la polvere di ossa.
Il primo e il terzo demone si fiondarono su di lei, cosicché, Nami, ebbe il tempo di farli sparire, per poi scappare a gambe levate verso il terzo piano.

 
Non c’era mai stata e questo la metteva a disagio.
Per dirla meglio, lei conosceva a malapena tutta la casa.
Questo era a suo svantaggio, ma anche per i demoni, lo era.
Vide delle porte aperte, mentre sentì dei passi riecheggiare dalle scale.

 
Nami…perché non vieni da me? Ci divertiremo, insieme…” la invitò con fare suadente il secondo demone dalle sembianze di donna, facendola sobbalzare.
Senza pensarci, corse dentro alla penultima stanza in fondo a destra, cercando di fare il minimo rumore possibile.
Aveva paura.
Ma era anche quella paura che ti faceva ridere istericamente, se lo volevi.
Il cuore le martellò nel petto talmente forte che ebbe il timore che si potesse sentire, finché una mano non si poggiò delicatamente sulla sua spalla.
Stette per cacciare un urlo, ma l’individuo le tappò la bocca, mentre con l’altro braccio la teneva ferma per la vita, facendola entrare ancor più nel panico.
“Shhh…Non urlare…” le sussurrò rassicurante Sherlock all’orecchio, tranquillizzandola un poco.
Lentamente, si staccò da lei, prendendola per mano per poi nascondersi dietro ad una trave di legno molto larga e robusta.
La stanza era del tutto vuota, a parte una piccola scrivania di legno e un divano in stile vintage.
Era stata una bella idea nascondersi lì dentro.
Nami si voltò a guardare Sherlock, intento a fissare la porta aperta per aver la situazione sotto controllo.

 
“Sherl…” iniziò lei con voce bassa, ma il ragazzo la fermò prima che disse qualcos’altro, negando con la testa.
Lei voleva solamente sapere se quello che aveva detto poco prima era vero.
Quel dubbio la mandava nel panico, avendo paura che il consulente detective la tradisse mandandola tra le grinfie dei demoni.
Il suo respiro aumentò notevolmente senza farlo apposta, richiamando l’attenzione di Sherlock.
Si girò verso di lei, tenendo, però, un’occhiata distratta all’uscio della stanza.
Si avvicinò a lei con passi leggeri diminuendo la distanza che li separavano, ritrovandosi quasi attaccato a lei.
Le pupille di Nami si dilatarono come quelle di un gatto quando è minacciato da qualcosa o sta per attaccare una preda.
Il detective dedusse che la ragazza si stava spaventando per le parole che gli aveva detto poco prima.
Forse era stato un po’troppo meschino con lei, ma si era promesso di animare la serata.
Alla fine del gioco si sarebbe scusato.
Per tutto.
“Calmati, altrimenti ci scopriranno” le ordinò in un sussurro, facendole abbassare il capo colpevole.
Tentò di regolare il respiro, pensando a qualcosa che le donava pace e tranquillità, come quando da piccola mangiava i suoi amati mandarini seduta su uno sdraio sotto un albero, mentre il vento le scompigliava dolcemente i capelli.
S’impresse nella mente quella scena per poi prendere un respiro profondo e calmare il suo panico che fino a pochi attimi prima le attanagliava il petto, “stringendole” i polmoni in una stretta morsa d’acciaio.

 
Venite fuori…ci divertiremo insieme…” disse la voce del demone, facendo sobbalzare i due ragazzi dalla sorpresa.
Quell’essere era incredibilmente vicino.
I suoi passi riecheggiavano lungo il corridoio, per poi entrare nella stanza in cui si erano nascosti Nami e Sherlock.
La sua figurava sembrava annoiata e incredibilmente triste.
Passò vicino alla trave.
Il consulente detective cercava di tenere i nervi saldi, mentre la ragazza tratteneva il fiato.
Era talmente agitata che manco sentiva l’impellente bisogno di prendere ossigeno.

 
All’improvviso, comparvero anche gli altri due demoni, ghignando malignamente per il gesto a dir poco inappropriato di Nami, giurando di vendicarsi.
A quelle parole, alla ragazza scappò un singulto, facendo scattare sull’attenti i demoni.
Sherlock, dal canto suo, scosse la testa indignato, osservando mentalmente di quanto fosse soggetta ad emozioni e provocazioni.

 
Sono qui…tutti e due…” affermò con una risata profonda e agghiacciante il demone dalle sembianze di un coyote.
Già…non vedo l’ora di far pentire a quella ragazzina maleducata di avermi scacciato” aggiunse il primo demone che aveva rivolto la parola a Nami.

 
Lei, dal canto suo, pensò che tutti ce l’avevano con lei e che non riusciva a combinare qualcosa di giusto una volta ogni tanto.
Che aveva fatto di male?!?

 
Sherlock, nel frattempo, aveva preso un po’di polvere d’ossa, in modo tale che se due di loro li avessero attaccati, li avrebbe fatti sparire, per poi scappare e rifugiarsi in un’altra stanza.

 
Bu!” li spaventò il primo demone, materializzandosi di fronte a loro.
Senza neanche sfiorarli li spinse allo scoperto facendoli cadere rovinosamente a terra, mentre gli altri due demoni li guardavano indifferenti.

 
Complimenti!”- decretò il demone avvicinandosi pericolosamente a loro- “Avete vinto il primo gioco
“Impossibile”- lo contraddisse Sherlock rialzandosi- “Le due ore non sono ancora scadute”
Vedi…”- lo ragguardò il demone con le sembianze di donna- “Per noi è facile ingannare voi umani. Siete così travolti dalle varie emozioni che perdete la cognizione del tempo e della realtà
Anche Nami si alzò, cominciando a fissare la donna: “Ma sembrano passati solamente dieci minuti!”
Esclamò senza non poca sorpresa.
Il detective guardò il suo orologio da polso, accorgendosi che però, i demoni avevano ragione.
Infatti, erano le ore 2.13

 
Ora passiamo al secondo gioco. Il mio preferito” -sentenziò il demone coyote ghignando sommessamente- “Il silenzio…
Avrete cinque minuti per nascondervi, in cui non sentiremo né vedremo niente, dopodiché, verremo a cercarvi e se vi troviamo…soffrirete di forti allucinazioni per il resto del gioco.
Non dovrete urlare né parlare. Qualunque cosa succeda…” spiegò il primo demone con fare teatrale.
Il gioco…ha inizio…

 
Senza nemmeno pensarci corsero fuori dalla stanza.
Sherlock sapeva un ottimo nascondiglio, dove per un po’ di tempo sarebbe stato difficile trovarli.
Indicò a Nami di seguirlo con gesto della mano e lei annui come per dire che aveva capito.

 
Camminarono fino ad una stanza posta sulla sinistra e ne raggiunsero il centro.
Il ragazzo allontanò la rossa da sé spingendola delicatamente per una spalla per non farle perdere l’equilibrio.
Aprì una botola posta sul soffitto, facendo uscire le scale per salirci.
Diede la precedenza alla ragazza, per poi guardarsi intorno per assicurarsi che uno dei demoni non avesse mentito, per poi guardare l’orologio.
Avevano ancora due minuti per nascondersi.
Salì velocemente e con un colpo delicato chiuse la botola, mentre Nami lo aspettava pazientemente.
La stanzetta era di media grandezza ed era piuttosto disordinata, piena di bauli vecchi e libri ricoperti da polvere e ragnatele.
Nell’angolo, vi erano posizionati un grosso armadio a quattro ante completamente bianco con rifiniture color oro, mentre, alla sua sinistra vi era una grossa scrivania ricoperta da uno spesso velo di polvere.
Sherlock aprì la quarta anta dell’armadio sulla sinistra.
Dentro vi erano un mucchio di vestiti vecchi da uomo e da donna, ma di grande bellezza.
Erano appesi a degli attaccapanni in legno, mentre per terra vi erano riposte delle lenzuola completamente bianche.
Il consulente fece cenno a Nami di entrare, avendo come movente la mancanza di tempo.
Avevano ancora una trentina di secondi.
La ragazza entrò con un po’di timore, seguita a ruota dal ragazzo, che chiuse l’anta delicatamente, lasciando un spiraglio di luce per far entrare l’aria.
Si sedette per terra, nascondendosi con i lenzuoli e gli abiti.
Nami prese posto vicino a Sherlock, eseguendo il suo stesso stratagemma.
Calò un profondo silenzio.
Era veramente opprimente non poter fare nulla se non respirare e sbattere gli occhi.

 
All’improvviso sentirono delle urla agghiaccianti disumane e delle sadiche risate provenire dal resto della casa.
Sembrava che qualcuno stesse torturando delle persone senza pietà.
Si poteva persino sentire dei colpi di frusta e la pelle che si lambiva sotto il colpo di quell’arma.
Qualche volta, capitò anche il rumore di ossa spezzate e grida ancora più forti.
Nami non poté fare a meno di mettersi una mano davanti alla bocca per evitare di urlare.
A stento tratteneva dei conati di vomito, reso ancor più difficile dall’aria di chiuso che alleggiava in quell’armadio.
Alle urla si aggiunsero pure dei singhiozzi e dei pianti disperati e dolorosi.

 
Salvatemi! Vi prego!” pregò la voce continuando a piangere e urlare.

 
Delle calde lacrime cominciarono a solcare il viso di Nami.
Chiuse prepotentemente gli occhi e si tappò le orecchie, diminuendo un poco quella tortura.

 
Sherlock, invece, se ne stava con lo sguardo fisso davanti a sé, indifferente.
Anche se sembrava molto reale, tutto quello che sentiva era solamente una finzione.
Guardò la ragazza seduta di fianco a sé accucciata vicino alla parete.
Il consulente pensò che certe volte le persone erano veramente deboli, anche difronte ad una mera menzogna e Nami, ne era la prova.

 
Un rumore di pesanti catene che strusciavano per terra sostituì le urla, accompagnati da voci smorzate di bambini che piangevano e chiedevano aiuto.

 
Holmes sgranò leggermente gli occhi, pensando che quei demoni sapevano bene come toccare i punti deboli, facendo impazzire la gente.
Chi mai si sarebbe rifiutato di aiutare un bambino in difficoltà?
Si rigirò verso Nami e notò che si stava convulsamente tirando indietro i capelli dal viso dondolando leggermente avanti e indietro.
Era visibilmente scioccata e molto triste.
Molto probabilmente, si sentiva in colpa per non poter fare nulla.

 
Passò un’ora intera, dove i rumori e i lamenti si trasformavano man mano, diventando sempre peggiori.
Nami, ad un certo punto, quasi scappò fuori dal loro nascondiglio, certa di aver sentito la voce di sua sorella che le implorava aiuto e degli spari riempire tutto il 221B, per poi sentire il silenzio assoluto.
Sherlock fu costretto a tenerla ferma con tutto il corpo e tappargli la bocca, mentre la ragazza si dimenava come un’anguilla, tentando qualche volte di colpirlo al mento  con la propria testa.
La dovette legare con un lenzuolo, imbavagliarla e coprirle tutta la testa con una federa per farla calmare del tutto.
Dapprima fece ancora una certa resistenza, ma poi si arrese alla forza del consulente detective, stando ferma e buona di fianco a lui, con la testa appoggiata sul petto del ragazzo, ascoltando solamente i suoi respiri e il battito del suo cuore.
La sua mente era come avvolta da un velo nero, non facendole pensare niente.
Era tutto così piacevole che quasi si dimenticò del resto del mondo…

 
Fu svegliata di soprassalto da uno Sherlock piuttosto scocciato, che la guardò con fare beffardo non appena le tolse la federa che aveva usato per coprirle la testa.
Nami respirò una lunga boccata di aria fresca, constatando poi, di non essere più nel nascondiglio.
“D-dove siamo?” chiese in un sussurro, cercando di alzarsi dal pavimento su cui era stesa.
“Abbiamo vinto il secondo gioco. Ora dobbiamo fare il terzo” le rispose il consulente detective alzandosi a sua volta.
Erano ritornati nel salotto dove avevano iniziato il gioco.
I tre demoni li stavano aspettando pazientemente, dando loro il tempo di riprendersi, o meglio, di far riprendere Nami del tutto i sensi.
“Perché non mi hai svegliato prima?” chiese un poco irritata la ragazza, facendo sbuffare Holmes.
“Elementare, Nami. Eri così tranquilla. Non volevo perdere per colpa tua, sai?” ribatté indispettito.
La ragazza non disse niente per non far scattare il suo istinto omicida nei confronti del ragazzo, volgendo il suo sguardo verso i tre demoni.

 
Che il terzo gioco abbia inizio” annunciò il secondo demone inclinando la testa da un lato in modo sinistro.

 
All’improvviso, i demoni scomparvero, lasciando completamente soli Sherlock e Nami.
Si guardarono intorno guardinghi, cominciando a vagare per le varie stanze della casa; il consulente detective a sinistra, la rossa a destra.

 
Nami, sperò in cuor suo di riuscire a portare a termine il gioco, preparandosi mentalmente per la dura prova che la stava aspettando proprio dietro all’angolo.
Scese le scale e si diresse verso il salotto della Signora Hudson, facendo attenzione a dove metteva i piedi.
Era buio pesto e non vedeva nient’altro che la luce filtrante dalla tenda della finestra.
Sentì uno spostamento d’aria dietro di se e un ghigno sommesso che la fecero rabbrividire.
Si girò di scatto ma non vide nulla…

 
“Nami…” la richiamò una voce estremamente famigliare.

 
I suoi occhi divennero vitrei e il suo corpo si fece rigido.
Non sapeva cosa fare.
Si sentiva bloccata.
Impaurita.
Un topo in trappola.

 
“Nami…perché sei scappata da me?” chiese ancora la voce.
Quella volta era molto vicina.
Quasi come se fosse proprio dietro di lei.

 
In un moto di coraggio, si volse verso la voce, vedendolo.
Era lì.
Il suo peggiore incubo era lì.
Non era cambiato per nulla.
Aveva ancora i capelli neri lunghi spettinati.
I suoi occhi azzurri erano pieni di rabbia e odio.
Il suo ghigno riusciva ancora a metterla in soggezione.
Il suo corpo la sovrastava in altezza, rendendolo ancor più spaventoso con i suoi vestiti sgualciti e la pistola che si portava sempre appresso nel cinturone dei jeans.

 
La rossa boccheggiò più volte, mentre gli occhi color nocciola si fecero lucidi.
Indietreggiò di due passi, convincendosi del fatto che lui non era reale.
Ma lui sembrava così vero, dannazione!
 
L’uomo si avvicinò a lei, diminuendo velocemente le distanze tra loro.
Le toccò delicatamente uno zigomo con un dito, avvicinando le sue labbra a quelle di lei, dandole un bacio violento, mordendole varie volta il labbro inferiore, tanto da farlo sanguinare.
 
Nami cercò di ritrarsi, ma lui le intrappolò le spalle con le sue mani forti, staccandosi da lei di poco:
 
“Cara mia. Tu non potrai mai scappare da me…io sono il Grande Arlong
 
Sherlock si trovò davanti al demone dalle sembianze del coyote, scrutandolo molto attentamente.
 
Di cosa può aver paura il Grande Sherlock Holmes?” chiese quello con fare beffardo, non scatenando, però, nessuna reazione da parte del giovane.
 
“Le mie paure le affronto ogni volta. Non puoi nulla contro di me” gli rispose freddo, ghignando.
 
Già! Ti credi così forte! Tu menti a te stesso! Di una cosa hai paura, o meglio, un nome…” continuò il demone imperterrito, girandogli attorno in continuazione, come volerlo attaccare da un momento all’altro.
 
Sherlock non rispose, facendogli cenno di proseguire con la sua “teoria”.
 
La tua paura è Moriarty
 
Nami riuscì a scappare dalle grinfie di Arlong, correndo al piano superiore, chiudendosi nella sua camera da letto.
O almeno era…
 
Della sua stanza non c’era rimasto più nulla.
Il pavimento si era trasformato in terra arida e polverosa.
Le pareti non esistevano più, lasciando spazio ad un cielo plumbeo e soleggiato.
Davanti a sé vedeva un mucchio di mezzi bellici e corpi inermi stesi a terra.
Persino i suoi vestiti erano cambiati.
Indossava una divisa a maniche lunghe mimetica.
Ai piedi calzava degli stivali neri molto sporchi e sul capo teneva un elmetto legato con un cinturino sotto al mento.
Portava sulle spalle un grosso zaino che quasi la fece cadere all’indietro, mentre imbracciava un fucile.
Si chiese come mai fosse nel bel mezzo di una guerra, ma soprattutto dov’era.
 
Corse in avanti, schivando per un pelo un uomo che la stava per attaccare.
Stava patendo un caldo terribile e i suoi movimenti erano goffi e limitati a causa dell’enorme peso che trasportava.
Raggiunse una Jeep inutilizzabile, accovacciandosi vicino ad altri soldati, mettendosi a guardare l’orizzonte attraverso i finestrini rotti.
 
“Nami! Per fortuna sei arrivata! Mi hai fatto preoccupare a morte, sai? Non fare mai più una cosa simile!” la rimproverò una voce calda e rassicurante.
La ragazza si girò e trovò John intento a sparare a dei nemici che stavano correndo verso di loro.
“John! Sei…qui…” osservò sorpresa, guardandolo con un misto di sollievo e paura.
Le tremavano terribilmente le gambe e il cuore stava pompando a mille.
“Certo che sono qui! Dove dovrei essere…”
 
“Via! Scappiamo! C’è una bomba!” gridò un soldato facendo segno agli altri di andarsene alla svelta.
 
Watson prese la ragazza per le spalle come a volerla difendere da possibili altri attacchi e si misero a correre a perdifiato vero un muretto mezzo distrutto, nascondendosi temporaneamente.
La bomba esplose, provocando un’enorme onda d’urto, che costrinse  i due ragazzi e altri tre uomini a chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie.
 
“Maledizione! Ne arrivano altri!” sbottò un ragazzo sulla ventina, sparando a coloro che arrivavano.
“Vado avanti! Voi, copritemi le spalle!” dichiarò un altro, alzandosi e mettendosi a correre.
“Michael! Non fare stronzate e torna qui!” gli urlò John.
 
Si staccò da Nami e si guardò intorno come a volersi assicurare che non ci fosse qualcuno o qualcosa di estremamente pericoloso, finché non vide una jeep andare dritto verso Michael, per poi girare bruscamente.
 
“MICHAEL!” gridò John a perdifiato, per poi vedere il ragazzo cadere in avanti.
 
I compagni di Watson cominciarono a colpire con le loro armi i nemici, abbattendoli uno ad uno, mentre John correva verso l’amico riverso a terra.
 
Nami, come guidata da un sesto senso, si alzò e corse verso di loro per aiutarli, affiancandosi al medico.
Il ragazzo, Michael, era disteso in una pozza di sangue, mentre dalla bocca sputava rantoli di dolore e parole incomprensibili.
 
“Michael! Michael! Ascoltami! Resta con noi. Adesso cercherò di curarti!” gli promise John prendendolo tra le braccia, prendendogli il volto in una mano per poterlo guardare.
 
La rossa si accorse che la pallottola gli si era conficcata nel petto e che non si poteva far più nulla per salvare quel ragazzo.
In quel momento si sentì impotente e inutile.
Il suo sguardo si posò sulla figura di John.
Piangeva sommessamente abbracciando il corpo spirato di Michael.
 
“John…” cercò di chiamarlo, ma lui la precedette, appoggiando il corpo del ragazzo sul terreno.
Aveva le mani sporche di sangue e continuava a guardarsele, per poi pulirsi gli occhi dalle lacrime con la manica.
“Lo so, Nami. Lo so…aveva solamente diciannove anni. Diciannove, Nami. Era solamente un ragazzo, dannazione!”- sbottò alzandosi in piedi, avvicinandosi alla ragazza lentamente- “Non azzardarti a morire. Sono stato chiaro?!?”
 
La rossa rimase colpita dalle sue parole così piene di preoccupazione e frustrazione.
Pensò che la guerra era davvero inutile e stupida.
Non aveva nemmeno la forza per mettersi a piangere o vomitare l’anima per ciò che vedeva: tutti quei corpi distesi a terra, senza vita.
Quante vite umane erano state sacrificare?
Quante?!?
 
Nell’aria c’era l’odore del sangue e della polvere da sparo.
La polvere bruciava gli occhi e inzaccherava tutti i vestiti e il viso dei soldati.
Lo sguardo degli uomini era freddo e distaccato: si poteva notare che avevano visto tutto.
Non si poteva piangere più di tanto per un amico scomparso.
Bisognava andare avanti, superare il dolore in fretta e continuare a combattere.
Combattere e uccidere.
Persino gli occhi di John erano piuttosto indifferenti, nonostante avesse pianto fino a pochi secondi prima.
 
Nami abbassò lo sguardo, come colpevole di qualcosa, per poi venire abbracciata di slancio dal soldato:
“Ti prego. Non morire. Per nessun motivo.”
 
All’improvviso, calò il buio più totale e i due non riuscirono più a sentire né a vedere nulla…
 
“Forza! Svegliatevi!” gridò una voce, dando un pugno in pieno stomaco ai due ragazzi legati alle sedie.
 
Emisero dei forti gemiti e si svegliarono bruscamente, vedendo, dapprima, tutto sfuocato.
Un uomo aspettava pazientemente che si riprendessero del tutto per dare inizio all’interrogatorio.
 
“Chi diavolo sei?” riuscì a chiedere John stringendo i denti dal dolore infertogli allo stomaco.
“Non te ne deve fregare un cazzo! Piuttosto, voi due! Cosa ci facevate in terreno nemico? Cosa cercavate di sottrarci?!?” domandò l’uomo gridando, alzando il viso di John per i capelli, tirandoglieli fortemente.
“Lascialo stare!” gli ringhiò contro Nami dopo aver preso piena coscienza di sé.
Non aveva più addosso l’intera divisa, se non i pantaloni e la canottiera bianca smanicata.
Lo stesso valeva per Watson.
“Perché? Ti duole il cuore vederlo soffrire?” ghignò vittorioso l’uomo, avvicinandosi alla ragazza.
 
Aveva la pelle molto scura, mentre i suoi occhi e i suoi capelli erano color pece.
Indossava una divisa militare aperta sul davanti, lasciando intravedere parte del petto e le sue piastrine.
Alla cinta portava una pistola, mentre nella mano sinistra portava un pugno di ferro.
Fumava un sigaro cubano, espirando il fumo sul viso dei suoi prigionieri, facendoli tossire, mentre lui rideva sguaiatamente.
 
Nami lo fissò truce, per poi sputargli in pieno viso, facendolo innervosire.
Gli tirò un pugno con la sinistra, facendole sputare sangue misto a saliva.
Le aveva rotto il labbro.
 
“Lasciala stare, bastardo!” gridò John tentando di liberarsi dalla stretta morsa delle corde che lo immobilizzavano.
“Dimmi cosa ci facevate qui, e io la lascerò stare!” lo ricattò l’uomo.
“Non dirglielo…John…” lo pregò Nami in un sussurro, guadagnandosi un’occhiata colma di scuse da parte del ragazzo.
La ragazza nemmeno lo sapeva, perché erano lì.
Lei non sapeva perché era lì, nel bel mezzo di una guerra.
Ma non gliene importava granché.
 
“Fottiti, figlio di puttana” gli rispose Watson, facendo roteare gli occhi al cielo all’uomo.
“Tsk! Voi soldatini del cazzo pensate solamente all’orgoglio e alla vostra patria! Che branco di idioti! Allora spero che vi godiate le torture da parte dei miei uomini!” li salutò andandosene dalla stanza, lasciando entrare altri due soldati.
 
Cominciarono a torturali senza pietà, picchiandoli a sangue in viso e provocandogli numerosi tagli su tutto il corpo, imbrattando di sangue denso i loro abiti stracciati.
Non parlarono.
Non piansero.
Non chiesero pietà.
Non emisero nemmeno un gemito di dolore…
 
Dopo mezz’ora, si ritrovarono stesi a terra in una cella fredda, illuminata dalla luce forte della lampada, ferendo loro gli occhi.
Si sentivano le membra a pezzi.
Respiravano a fatica, emettendo dei rantoli.
Molto probabilmente avevano un bel po’di costole rotte.
 
“N-Nami…”- la richiamò dolorosamente John, cercando di avvicinarsi, strisciando sul pavimento- “Sei ancora abbastanza intera?”
La ragazza guardò la luce forte della lampada, sorridendo tristemente- “La guerra fa schifo, John…”
“Lo so, Nami. Ma…lo facciamo per proteggere la nostra patria e per cercare di aiutare i civili che vivono dentro alla guerra…”
“Uccidendo altre persone… è buffo il mondo” aggiunse ridendo sommessamente, per poi piegarsi su se stessa, sentendo le forze venirgli meno.
“Nami!” gridò  affiancandosi velocemente a lei, per quanto le ferite glielo permettessero, tastandole il polso.
Stava diminuendo troppo velocemente.
“John…vivi. Fatti una nuova vita e allontanati da questa cazzo di guerra!” gli disse aggrappandosi alla canotta dell’uomo per poi ricadere senza vita sul pavimento…
 
Si ritrovò di nuovo dentro alla sua stanza, viva e vegeta.
Continuò a guardarsi intorno, ma non c’era traccia della cella e di John.
Non c’era più nulla, se non il demone dalle sembianze femminili.
 
“H-ho perso?” gli chiese timorosa, ancora scossa dall’allucinazione che aveva vissuto.
Tranquilla. Però, devo ammettere che te la sei cavata piuttosto bene. Di solito le persone impazziscono subito correndo a destra e a manca continuando ad urlare” ammise sorridendole dolcemente, per poi farle cenno di seguirla…
 
Quello…poteva definirsi un vero e proprio incubo.
Londra era completamente vuota e dimenticata.
Camminava per le sue strade in cerca di qualcosa per riuscire ad uscire da quell’allucinazione, ma tutto quello che vedeva erano strade, palazzi e ancora palazzi.
Continuò così per un bel pezzo, finché non incappò in una figura del tutto coperta.
 
“Chi sei?” gli chiese freddo, avvicinandosi a lui.
“Come chi sono? Sono io! Il tuo più Grande fan! Moriarty!!!” esclamò quello con fare teatrale, facendo ridurre gli occhi a due fessure a Sherlock.
Non capiva cosa ci faceva li…
“Lo sai che questa…realtà non è troppo lontana? Tu ridurrai così Londra! Starai solo. Senza amici. Senza anima viva. Completamente solo…” continuò ridendo, compiendo una giravolta su se stesso.
Sherlock rise.
Rise perché sapeva che non era vero ciò che gli stava dicendo.
“Vedrai che riuscirò a farti smettere di ridere! Non sto scherzando, Sherlock! Stai in guardia. Potrei essere ovunque. Potrei essere chiunque, tanto che sarai costretto a non fidarti più di nessuno…ci vediamo…detective” lo salutò per poi sparire.
 
Tutto si distorse e Sherlock tornò alla realtà, ritrovandosi di nuovo davanti al demone coyote.
“Vedo che la tua allucinazione non ha avuto l’effetto sperato…” osservò il consulente investigativo con una nota di spavalderia nella voce.
Il demone scoppiò a ridere sonoramente, irritando non poco il ragazzo.
“Che c’è di così divertente?” chiese cercando di restare calmo.
“Sherlock. Tu non hai capito. Hai notato che la tua allucinazione non è durata nemmeno un’ora? E’ vero. Tu non hai bisogno della paura. Quello che ti ho mostrato è un avvertimento per il futuro. Comunque sia, avete vinto. Sia tu, che la ragazzina” decretò senza tante cerimonie.
 
Nami entrò nel salotto, affiancandosi a Sherlock, restando in religioso silenzio.
 
Ora, i demoni, erano lì.
Di fronte a loro, aspettando la loro richiesta.
 
Il consulente guardò la ragazza di sottecchi, notando che qualcosa la turbava nel profondo.
“Io non ho bisogno di esprimere desideri. Lascio la scelta a te, Nami” disse andandosi ad accomodare sulla propria poltrona, lasciando la rossa alla sua scelta.
 
“Sparite…per sempre…” mormorò stringendo i pugni e quelli eseguirono senza fiatare, scomparendo dietro una nuvoletta di fumo leggera.
 
Nami andò a coricarsi sul divano, esausta, cominciando a fissare il soffitto, mentre Sherlock la guardava divertito, poggiando il mento sulle mani intrecciate tra loro.
 
“Non credo che tu voglia rifare quest’esperienza, non è vero?” le domandò a bruciapelo, tagliando il silenzio.
“Mai più. Ho visto John…” affermò guardandolo a sua volta, sospirando pesantemente.
 
Londra era ancora avvolta dall’oscurità e solamente i lampioni, illuminavano l’interno della casa con la loro luce arancione forte, regalando un po’di visibilità ai sue ragazzi.
 
Sherlock le fece cenno con la testa di andare avanti e Nami non se lo fece ripetere due volte.
“Ero…eravamo in guerra…un suo amico è morto…piangeva e poi mi ha detto: Non azzardarti a morire…Sono stato chiaro?
Anche se poi è ritornato il soldato serio e impassibile di prima…si vedeva che era arrabbiato e deluso.
Siamo stati catturati e torturati fino a ridurci in fin di vita…l’ho lasciato al suo destino, morendo…” gli spiegò sinteticamente con il tono della voce un po’incrinata.
Voleva piangere a dirotto e continuare a chiedere scusa a John.
Sapeva che era stata solamente un’allucinazione, ma a lei sembrava di non aver visto cosa più vera.
“Era solamente un’allucinazione. Non era reali. Ti chiedo scusa, Nami…” disse Sherlock fissando avanti a se, incuriosendo la rossa di un poco.
 
Si alzò e si sedette sulla poltrona di John, aspettando che proseguisse con il suo discorso.
“Tutto quello che hai visto e sentito…non era reale…”
“Lo so…erano delle allucinazioni…”
“No, non intendo questo. Anche i demoni lo erano…”
“Sherlock…ma che stai farneticando?” gli chiese Nami ridendo nervosamente, ma vedendo che Sherlock non aveva la sua stessa reazione, si allarmò.
 
“Nami. Ti ho drogata. Anche io mi sono drogato. Tutto quello che abbiamo visto non era reale






Angolo di Alyce: Buonasera a tutti!!!
Siete liberi di trucidarmi e...e...quel che volete voi! ^_^''
Parto subito con il dire che Nami è un po' OOC, perchè, come avrete visto, non si è messa ad urlare a squarciagola appena aveva visto i demoni o cose simili.
Però, ho cercato anche di renderla umana e non come Sherlock, ovviamente.
Forse questo capitolo è un po' pesante e, se avete delle critiche, le comprenderò perfettamente.
Ho scritto "Il Gioco delle Ombre" in un solo capitolo, perchè altrimenti, se lo avrei spezzetato, i capitoli sarebbero risultati piuttosto brevi ed insensati.
Spero mi perdoniate (si inchina).
Tornando a noi!
Abbiamo scoperto che il fidanzato, o meglio, ex fidanzato di Nami è Arlong!
Ve l'aspettavate?
Se no, a chi avevate pensato come ex?
Per quanto riguarda Sherlock...non ho nulla da dire...vi è risultato un po' OOC?
Cosa succederà nel prossimo capitolo?
Come ragirà Nami, sapendo di essere stata drogata da Sherlock?
Tutto, nel prossimo capitolo!!!
Ringrazio, inoltre, chi mi recensisce (un grosso bacio per voi) e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate!
GRAZIE MILLE!!!!!!
Ciao e un strasuperbacione!
Alyce :))))))))))))))

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Capitolo 5
*** 5. Would you go to bed with me? ***


5° capitolo: Would you go to bed with me?

 
 
A quelle parole, Nami rimase allibita.
Non riusciva a dire o fare nulla di concreto.
Dentro di lei pervadeva una tempesta burrascosa: rabbia, indignazione, stupidità nei suoi confronti per aver creduto a tutto quello che aveva visto o sentito.
Voleva picchiare Sherlock a sangue, continuandogli a dare dei pugni sul suo volto finché non si sarebbe riempito di ematomi e sangue.
Voleva gridare e distruggere tutto.
Forse era ancora sotto gli effetti della droga, pensò ad un certo punto, guardando fuori dalla finestra, osservando le piccole goccioline di pioggia scivolare in lunghe scie arzigogolate sui vetri.
Pioveva a dirotto e il cielo era nero come pece.
 
“Perché?” chiese all’improvviso, tornando a guardarlo, per quanto l’oscurità glielo permettesse.
“Volevo movimentare la giornata. Mi stavo decisamente annoiando” le rispose accavallando le sue lunghe gambe con eleganza, facendo irritare ancor di più la ragazza.
Sembrava la stesse sfottendo.
“Solamente perché ti annoiavi? Solamente perché ti annoiavi?!? Ma ti sembra una cosa da fare? Dannazione, Sherlock! Era tutto così fottutamente reale! Te ne rendi conto?!?” gli inveì contro, avvicinandosi velocemente al detective, prendendolo successivamente per il colletto della camicia, sollevandolo di un poco dalla sua posizione.
 
Gli occhi di lui erano inespressivi e freddi in confronto a quelli della ragazza.
I suoi erano pieni di rabbia e odio.
 
“Certo che me ne rendo conto. Ma la cosa è irrilevante: siamo vivi e vegeti, mi sembra” la rimbeccò lui prontamente, facendola sobbalzare un poco.
Purtroppo aveva ragione, gliene doveva dare completamente atto.
Ma non giustificava del tutto il suo gesto sconsiderato: lei non si era mai drogata e poteva rischiare di andare ancora una volta all’Ospedale.
“Per quanto ancora sarò sotto i suoi effetti?” domandò cambiando completamente discorso, mantenendo, però, la sua posizione, senza scomporsi di un millimetro.
“Ancora quarantasei minuti, circa. Ho fatto in modo tale che la tua somministrazione non risultasse troppo pesante” rispose indifferente, sostenendo il suo sguardo.
“Certe volte sei davvero odioso!” commentò acida per poi mollare la presa sul colletto della camicia, accorgendosi di averla stropicciata un poco, ma decise di non farci caso.
 
Uscì dal salotto nella più totale oscurità, rischiando di cadere molte volte.
Entrò nella sua camera da letto, lasciando la porta aperta, e si cominciò a spogliare, rimanendo solamente in intimo.
 
Sherlock, avendola seguita con passo felpato, rimase a guardare i movimenti fluidi del corpo di Nami, intenta ad allungarsi sulle punte dei piedi per prendere un pigiama dal suo armadio.
“Finito di squadrarmi come se fossi una carcerata?” gli domandò distrattamente infilandosi una t-shirt nera abbastanza lunga da coprirle una piccola parte delle cosce.
“Non ti stavo squadrando. Ti stavo osservando” la corresse lui rivolgendole un piccolo sorriso di scherno, facendola innervosire più di quanto già non fosse.
“Attento Sherlock. Mi prudono terribilmente le mani e potrei non rispondere delle mie azioni future per ciò che hai fatto!” sibilò a danti stretti, mettendosi coricata sul letto a pancia in su.
Il ragazzo la raggiunse, stando fermo e dritto in piedi, cominciando ad osservare ogni dettaglio del viso: dalla sua frangetta che le ricadeva ribella e sbarazzina sulla fronte e parte degli occhi color nocciola alla sua bocca sottile e distesa in una leggera linea dritta.
 
“Tanto non lo farai, Nami. Sei ancora troppo sconvolta dagli eventi per picchiarmi” la derise lui con un ghigno stampato in faccia.
“Tsk! Che antipatico strafottente e…e…psicopatico malato di mente!” lo insultò girandosi a pancia in giù, incrociando le braccia sotto al mento, facendo ondeggiare distrattamente le gambe avanti e indietro.
“Non sono uno psicopatico malato di mente! Sociopatico iperattivo!” sbottò lui offeso, regalandole un’occhiata truce.
“E ne vai fiero? Contento tu!” sbuffò lei infastidita, facendo roteare gli occhi al cielo al consulente detective.
Possibile che non riuscissero avere una discussione civile e seria?
Perché si mettevano a litigare come due bambini capricciosi neanche avessero rubato loro i giocattoli?
“Assolutamente! Il mio cervello è un hard disk in continuo funzionamento: non si stanca mai” ribatté con una nota di orgoglio nella voce, facendo sospirare la rossa pesantemente.
“Però agli altri non pensi mai, vero?!? Fai soffrire la gente a tuo piacimento, provando piacere non appena la gente grida per lo spavento o piange perché si sentono deboli!” gli fece notare guardandolo dritto nei suoi occhi color ghiaccio.
I suoi occhi erano uguale all’animo di quel ragazzo: freddi e privi di empatia.
“Oh, ti sbagli, invece! Io mi limito ad osservare in modo distaccato. Io non provo nulla. Non so che cosa sia la felicità, l’amore o la paura. Io vivo solamente per il mio lavoro e cerco di non annoiarmi con futili sentimentalismi” le spiegò lui per nulla toccato, chinandosi sulle sue ginocchia, osservando così, ogni singolo lineamento di lei.
Il suo volto trasmetteva più di mille parole, e i suoi occhi così grandi e dal color intenso e caldo si mettevano in profonda competizione con il suo viso.
Le molte volte che li aveva visti, leggeva sempre curiosità e un comportamento birichino, proprio come quello di una bambina.
Ma in quel momento erano occhi di una ragazza sicura di sé e che sapeva tener testa a chiunque.
Era bramoso di sapere come avrebbe reagito.
Voleva sapere la sua reazione, gustandosi il suo viso scioccato e indignato.
Nami si avvicinò al viso di Sherlock tanto che poteva sfiorargli uno zigomo con la punta del naso.
Le loro bocche quasi si toccavano.
 
“Sai cosa ti dico, consulente investigativo dei miei stivali? Che sei solamente uno stronzo privo di cuore. Mi chiedo come John ti possa essere amico…” gli disse in un sussurro, per poi allontanarsi velocemente da lui, come impaurita, rimanendo, però, a fissarlo.
Il ragazzo sorrise enigmatico.
“Tu non sai nulla di me” ribatté solamente, guardando la porta aperta per un momento per poi riposare lo sguardo sulla ragazza.
“Ah, già! L’abito non fa il monaco! Però tu sei l’unico caso contrario!” ringhiò con una punta di sarcasmo nella voce.
Più lo conosceva, più lo detestava.
“Tsk! Certe volte sei davvero ingenua e stupida, ragazzina…”
“Ho vent’anni! Non sono una ragazzina!” rispose Nami a quell’insulto velato, digrignando i denti e masticando imprecazioni a Sherlock.
“Come hai detto tu: l’abito non fa il monaco” la derise lui facendola infuriare.
 
In meno di due secondi, la rossa gli saltò addosso, facendolo cadere per terra all’indietro, per poi sedersi sopra di lui e prenderlo per il colletto della camicia.
Dalla sua gola continuavano a salire dei ringhi gutturali, neanche fosse stato un gatto alla vista di un cane.
Aveva una voglia incredibile di “regalargli” un bel pugno sul naso e sputargli in un occhio.
Sapeva di essere una ragazza piuttosto manesca, ma era anche molto paziente.
Solamente lui, quel maledettissimo detective, aveva il misterioso “potere” di fargli perdere le staffe.
Non sapeva cosa provava nei suoi confronti.
Non lo odiava, né gli stava simpatico, ora che ci pensava meglio.
Era un bel dilemma: non era a Londra da nemmeno settantadue ore, eppure, aveva già vissuto incredibili avventure.
Una cosa mai successa prima.
Certe volte voleva picchiarlo a sangue, altre, ringraziarlo per la sua fottuta indifferenza nei suoi confronti.
 
“Fallo.” le ordinò perentorio Sherlock, distendendo le braccia sul pavimento freddo, dandole carta bianca.
 
Nami si risvegliò dai suoi pensieri e rimase interdetta per pochi attimi, il tempo di dare a Sherlock di capovolgere le posizioni: lei sotto, lui sopra.
Sapeva di essere abbastanza leggero, ma decise comunque di non sedersi su di lei, sfruttando le sue ginocchia per tenersi in equilibrio, non gravando il suo peso sul corpo della ragazza.
Si chinò, appoggiando le mani sul pavimento ai lati della testa della rossa, “imprigionandola”, e avvicinò al viso quel tanto che bastava per sentire il fiato di Nami sul suo volto.
“E’ questo quello che succede a chi prova dei sentimenti o emozioni: esita” le spiegò non spostandosi di un millimetro.
 
Nami, a differenza di lui, era estremamente scioccata: farsi prendere così alla sprovvista dal ragazzo che in quel momento odiava.
Anzi!
Era scioccata dal fatto che non riusciva ad odiarlo…
Non era odio, quello che provava…e questo la mandava in completa confusione.
Da non dimenticare anche il fatto che da seduta comodamente su Sherlock era passata ad una posizione stesa supina sotto Sherlock.
 
“N-Non c’è nulla di male ad essere umani. Ora, spostati!” esclamò semi scandalizzata, facendolo ghignare divertito.
“E chi ti dice che mi sposterò?” le domandò guardandola con una luce sinistra negli occhi, avvicinando le sue labbra al lobo del suo orecchio, sfiorandolo appena, facendo sobbalzare un poco la rossa.
“Te l’ho ordinato io!” cercò di dimenarsi, ma quello, neanche dava il minimo segnale di volersi spostare.
“Mmh…interessante deduzione, ma non funzionerà”
“Ho altre armi da sfruttare!” lo ammonì lei, addolcendo la voce di un poco.
“La seduzione non funzionerà, te lo garantisco”
“E chi ha detto che avrei usato la seduzione?” domandò lei arrossendo un poco, facendolo sogghignare divertito.
Nami fece un sorrisetto storto e, approfittando della situazione, fece scivolare il consulente detective sotto di lui, sorprendendolo per pochissimi secondi prima di ritornare serio e composto.
Avvicinò il viso a quello di lui, puntandogli un dito contro il petto, cominciando a farlo scendere lungo la camicia fino allo stomaco:
“Vedi che avevo ragione?” lo rimproverò divertita, facendo sorridere Sherlock.
 
John tornò a casa correndo, letteralmente.
Era preoccupatissimo.
Aveva il fiato corto e il suono del battito del suo cuore gli rimbombava a mille nella testa.
Le gambe erano terribilmente doloranti e calde, neanche stessero dentro alle fiamme dell’Inferno.
Aveva una punta allucinante, ma lui non ci fece minimamente caso, occupato com’era ad aprire la porta del 221B con mani tremanti, imprecando non poco quando la chiave cercò di scappargli dalla presa un paio di volte.
Salì le scale a due a due…
Dentro all’edificio regnava il completo silenzio e l’oscurità, facendo intimorire ancor di più il povero Watson.
 
All’improvviso, dei ghigni e delle parole mezze sussurrate gli giunsero alle orecchie, proveniente dalla stanza di Nami.
Con cautela si avvicinò alla camera…la porta era aperta…
 
Con i pugni ben pronti, si piazzò di scatto sullo stipite della porta, osservando la scena decisamente sorpreso:
“Mio Dio…ho…ho interrotto qualcosa?” chiese imbarazzato, guardando con insistenza la posizione della rossa sul consulente investigativo: era seduta comodamente sul bacino del ragazzo con un dito puntato sullo stomaco di Sherlock.
 
“C-Come?” domandò Nami senza realmente capire, osservando prima se stessa e poi il detective.
 
“H-Ho chiesto…se…se vi ho interrotto. Noto che siete in una posizione un po’…ecco…” cercò di spiegargli indicando loro in continuazione, scuotendo la testa in continuazione, sentendosi un emerito idiota.
 
Nami, accortasi di cosa John stesse cercando di dire, arrossì violentemente, per poi alzarsi di scatto, allontanandosi dal ragazzo su cui era seduta…comodamente
“Non è come sembra…John. Io e Sherlock n-non stavamo facendo né stavamo per fare niente. S-Stavamo litigando…” tentò di dire fissandosi i piedi, mentre Sherlock si alzò dalla sua posizione.
 
“Oh, sì, certo!”- disse John sorridendo, per poi ritornare serio e scandalizzarsi un poco- “Eravate seduti l’una sull’altro in una posizione…Mio Dio! Siete peggio di due bambini, voi due! Capisco che non stavate facendo nulla, vi credo. Ma vi chiedo di stare attenti. Per favore, state attenti, altrimenti le voci cominceranno a circolare velocemente”
La rossa, a quelle ultime parole, sobbalzò, ricordandosi del discorso che le aveva fatto John nell’allucinazione durante il gioco, ordinandole di non morire.
Lo guardò con aria colpevole, per poi riabbassare lo sguardo, facendo insospettire John:
“Nami…è successo qualcosa, per caso?” le domandò avvicinandosi con cautela, fino a ritrovarsi a pochi passi da lei.
Sherlock restò in assoluto silenzio, mettendosi le mani in tasca, osservando la scena con sguardo inespressivo.
 
“N-No, no, no! Non è successo nulla! Sono solo un po’stanca!” si giustificò con la sua bugia, facendo sospirare pesantemente il medico militare:
“Lo sai che stai mentendo, vero?” -gli chiese guardandola con rimprovero, facendola annuire lievemente- “Io non vi capisco! Sherlock non ha ancora spiccicato parola, il che mi preoccupa: non ha nessun caso da risolvere e quando è annoiato comincia a parlare su quanto sia intelligente e di quanto siano brillanti le sue deduzioni. E tu, Nami! Spiegami cosa diavolo è successo! Ho chiamato al telefono un mucchio di volte e nessuno mi ha risposto!
Dimmi cos’è successo. Ora!” la minacciò bruscamente, puntandole un dito contro.
John aveva capito benissimo che quella non era stata una serata/nottata passata a giocare a Cluedo.
Lo notò dal fatto che Sherlock era troppo silenzioso e Nami dal suo comportamento da colpevole.
Incrociò le braccia al petto, aspettando le dovute spiegazioni dalla rossa con calma, cercando di non gridare la sua frustrazione.
 
“Beh…ecco…” cominciò Nami torturandosi l’orlo della maglietta con le mani, mordendosi in continuazione il labbro inferiore.
Prese due respiri profondi e tentò di comporre nella sua mente un discorso logico e semplice nonostante il suo stato d’animo agitato.
“A-abbiamo giocato…” cercò di dire deglutendo più volte, sorprendendo John non poco.
 
Non si spiegava il suo comportamento così eccessivo per un gioco.
Forse lei non intendeva un gioco qualunque…
Pensò concentrato, per poi imbarazzarsi un pochino.
“Ma scusa…non avevi detto che non avevate fatto nulla di…eh?” le domandò gesticolando un poco.
 
“Appunto! Non abbiamo fatto un gioco… cioè! Non abbiamo fatto nulla del genere, John!”- s’infervorò la ragazza, alzando di un poco il tono di voce- “Diciamo che ci…siamo sballati e abbiamo giocato al “Gioco delle Ombre”!”
Disse tutto d’un fiato, guardandolo dritto negli occhi.
Non era stato semplice: quella misera spiegazione non era nulla di che, ma si poteva comprendere il concetto, no?
Pensò nel tentativo di tranquillizzarsi, riprendendo a respirare.
 
“Ok. Che diavolo è il “Gioco delle Ombre”? E cosa intendi con “sballati”? Vi siete drogati, per caso?” chiese con un filo di voce, deglutendo a vuoto.
Continuava a ripetersi che no, aveva sentito male, che Sherlock e Nami non si erano drogati con chissà quale schifezza.
Si sbagliò.
Eccome se si sbagliò.
“Sì, John. Ho messo io stesso dell’allucinogeno dentro ai nostri caffè. Nami non lo sapeva. Per tua informazione il “Gioco delle Ombre” è un gioco in cui si richiamano dei demoni e si affrontano varie prove: fuga, silenzio e paura…”
“Ok, ok, ok! Basta così! Ho sentito abbastanza. Ora Sherlock: mi spieghi perché cazzo vi siete drogati?!? O meglio, tu hai drogato tu stesso e Nami. Ti rendi conto che potevate rischiare la vita?!? Siete due incoscienti! E poi: perché Nami ha quell’espressione sul volto da che sono entrato?!? Cosa cazzo è successo di così grave da rid…”
“Ero in guerra. Con te, John. Afghanistan” lo interruppe Nami bruscamente, fermando all’istante la ramanzina del medico.
 
Dentro alla stanza calò un pesante silenzio.
La tensione era palpabile a pelle.
John non sapeva cosa dire o fare: era sconvolto.
Non solo per il fatto che Nami avesse “vissuto” in una qualche maniera le immagini atroci e devastanti della guerra, il calore cocente del Sole che ti penetrava a fondo fin dentro l’organismo, facendoti ansimare e delirare come un malato…oppure…il restare a stretto contatto con la Morte…
Era sconvolto anche dal fatto che non sapeva cosa aveva visto.
Per puro sbaglio, forse, aveva azzeccato appieno il luogo dove aveva prestato servizio in guerra.
Cos’altro aveva “colto” di quell’esperienza? Cosa?
 
“C-Che cosa…hai…visto?” riuscì a chiederle, cominciando a sentire l’ansia attanagliargli il petto e il respiro farsi irregolare, contando anche il fatto che il cuore stava battendo all’impazzata come un cavallo imbizzarrito.
Lo stomaco iniziò a contorcersi, facendolo irritare un poco.
 
“Morte…polvere e un ragazzo che moriva…noi che venivamo torturati e imprigionati dal nemico…” gli rispose trattenendo le lacrime, sentendo la voce incrinarsi.
 
John, a quelle parole, rimase basito.
C’era un fondo di verità, in ciò che Nami aveva detto.
Certo, non era stato catturato e torturato, ma un ragazzo era morto tra le sue braccia.
Aveva solamente diciannove anni.
Non poteva dimenticarsi la smorfia di dolore che accompagnò il ragazzo tra le spire della Morte.
Era una figura che gli sarebbe rimasta impressa fino alla fine dei suoi giorni.
 
“Come si chiamava…il ragazzo che hai visto morire…?” domandò ancora, chiudendo gli occhi per prepararsi all’inevitabile.
 
“Michael” ribatté con un fil di voce, mentre una lacrima le solcò lentamente una guancia.
 
John trasse un respiro profondo, sconfortato da quella rivelazione.
Ciò che aveva risposto la rossa era vero.
Dannatamente vero.
Il ragazzo, Michael, morì per poter proseguire sulla linea nemica, chiedendo ai suoi compagni di coprirgli le spalle.
Fu tutto inutile richiamarlo all’ordine, supplicandolo di tornare indietro, di ragionare.
Gli urlò di non fare stronzate, di non compiere quel gesto suicida.
Non lo ascoltò e quel diciannovenne ne pagò le conseguenze, facendo sentire Watson terribilmente in colpa, rimproverandosi il fatto di non essere stato un buon superiore e di non saper comandare i suoi uomini a dovere.
Avrebbe dovuto inseguirlo, proteggerlo dall’attacco dei nemici, sacrificandosi per lui.
 
Ora non sapeva che fare.
Nella sua mente si ripeté il fatto, che a causa sua, le persone stavano male, in un modo o nell’altro.
Adesso, alla sua lista, si era aggiunta pure Nami.
Perché non veniva mai ascoltato?
Gli aveva raccomandato di non fare sciocchezza, invece, era accaduto tutto il contrario.
 
Continuò a darsi dell’idiota e dello sciocco finché non sentì un corpo schiacciato al suo, due braccia esili circondargli il collo e una testolina rossiccia nascondersi nell’incavò del suo collo, cominciando a sentirlo un poco umido.
Nami era andato da lui per abbracciarlo al fine di dargli un po’di conforto, ma non solo quello.
In quell’abbracciò c’era un mix di scuse e affetto fraterno che non aveva mai avuto.
Da nessuno.
Nemmeno da sua sorella Harriet.
Lui e sua sorella non si erano mai voluti bene. Avevano passato tutto il tempo ad odiarsi e litigare per cose futili.
Quindi, quel gesto inaspettato, fu una grande sorpresa per John.
Sulle prime, s’imbarazzò, boccheggiando un poco, ma poi, sentendo quelle braccia stringerlo ancor di più ma delicatamente, gli scaldò il cuore e ricambiò l’abbraccio, avvolgendo il suo arto destro attorno alla vita di Nami e la mano sinistra poggiarsi delicatamente sul capo di lei, affondando le dita tra quei soffici capelli profumati.
 
“Comunque sia…”- riprese John dopo alcuni secondi, non mollando comunque la presa sulla ragazza- “Fate ancora una cosa del genere e vi giuro che non la passerete liscia. Sono stato abbastanza chiaro?”
Sentì Nami annuire e poi volse lo sguardo verso l’investigatore.
“Sherlock?”
“…Va bene. Ma mi stavo annoiando e mi è parso…”
“No, no, no. Non rovinare il momento Sherlock, perché altrimenti non rispondo più dei miei pugni. E non m’importa se sei ancora sotto gli effetti dell’allucinogeno” lo rimbeccò zittendolo all’istante.
 
Dopo quella discussione decisero di prendersi una buona tazza di thè e dei biscotti, complice il fatto che oramai erano le sei del mattino.
John doveva farsi una doccia e sbarbarsi prima di andare in ambulatorio e Sherlock non aveva nessuna intenzione di dormire.
Nami non era da meno, considerando che non avrebbe preso sonno neanche sotto l’effetto di un sonnifero.
Non dopo quello che era successo.
Non ne avrebbe risentito dato che era abituata a cose peggiori che non dormire per una notte.
 
Si accoccolò sulla poltrona di John ancora in “pigiama”, avvicinando le gambe al petto, avvolgendole con le sue braccia, fissando il paesaggio fuori dalla finestra.
Nonostante piovesse ancora, il cielo si era ingrigito, “perdendo” il nero della notte che lo aveva caratterizzato poco tempo prima.
 
Sherlock, invece, si era seduto sulla sua poltrona cominciando a pulire il suo violino con cura e delicatezza, richiamando l’attenzione della ragazza, osservando rapita i suoi movimenti eleganti e pratici.
 
Chissà come si comporta Sherlock a letto quando è con una donna…o con un uomo! Forse è gay… No, no, no! Nami, non divagare! Piuttosto usa un termine generico per entrambi i sessi!”- pensò scuotendo energicamente la testa, mentre il consulente investigativo la osservava di sottecchi, capendo dal suo comportamento a cosa stava pensando. Un ghigno gli attraversò il volto, ma la ragazza non se ne accorse, presa dai suoi pensieri- “Forse tratta le persone che vanno a letto con lui come sta facendo con il suo violino, oppure no…forse è un dominatore! Ma che vado a pensare??? Mica ci devo andare a letto insieme!
Si rimproverò nella mente dandosi un pizzicotto sul braccio come punizione.
“Nami, stai bene?” le chiese con fare beffardo Sherlock, risvegliando la ragazza.
Arrossì vistosamente per i suoi pensieri sul ragazzo e distolse lo sguardo dalle sue mani e dal violino.
“Assolutamente!”  disse accennando un sorriso nervoso.
 
“Sicura? A me non sembra dato il tuo comportamento di ventidue secondi fa:  scuotevi la testa come a rimproverarti di qualcosa e ti sei data un pizzicotto sul braccio, forse per ritornare a pensieri più “normali”, inoltre, quando ti ho richiamato, sei arrossita e hai distolto il tuo sguardo dalle mie mani e dal violino. Stavi pensando come fossi a letto, vero?” la mise alle strette ghignando furbescamente, puntandole contro l’archetto dello strumento musicale.
Nami, per l’ennesima volta, voleva saltare addosso a Sherlock e riempirlo di pugni, ma si trattenne.
Se voleva vincere contro di lui, doveva reggergli il gioco e lo avrebbe fatto.
 
“Ma che bravo!”- si complimentò sorridendo melliflua, mettendo in allerta Holmes- “Rispondi, allora!”
Lo sfidò guardandolo con occhi sinistri e maliziosi, leccandosi le labbra in modo calcolato.
“Che intendi?” le domandò interessato, piantando i suoi occhi color ghiaccio in quelli nocciola di lei.
In fin dei conti, lo divertiva: sapeva usare il suo cervello a dovere e gli teneva testa.
Certo, quella ragazza aveva molto da migliorare, ma era sulla buona strada.
Doveva ammettere che “capitavano” le persone giuste nel 221B di Baker Street: prima il medico militare tornato dalla guerra in Afghanistan, John Watson, ed ora, questa ragazza dai capelli rossi, Nami, arrivata a Londra per dare una svolta alla sua vita tormentata dal lavoro e dal suo ragazzo possessivo e poco di buono.
Non poteva chiedere di meglio, Sherlock.
 
“Oh, sai benissimo cosa intendo! Sei stato a dir poco brillante con la tua deduzione sui miei pensieri. La mia domanda era rivolta proprio a questo argomento che tu hai tratto in ballo, Sherlock!” ribatté Nami appoggiando la testa sulle ginocchia vicine al petto, inclinandola contemporaneamente da un lato, continuando a sorridere indisturbata.
Sherlock la guardò più a fondo e sorrise contento della sfida muta che ella gli aveva lanciato.
Sapeva come sconfiggerla in un solo colpo, mettendola in imbarazzo.
Bastava solamente una semplice domanda o…invito.
“Se lo vuoi sapere, perché non provi?” le chiese accavallando sensualmente le gambe, riponendo il violino e l’archetto nella loro custodia, poggiandola sul tavolino, per poi ritornare con l’attenzione su di lei.
 
Nami, per un breve momento, fu come presa in contropiede e non seppe cosa rispondere.
Quel ragazzo sapeva “rimetterla in riga” in pochi attimi, umiliandola, in un certo senso.
Non si doveva abbattere!
Se doveva perdere, avrebbe perso con dignità!
Tanto valeva rischiare il tutto per tutto.
 
Vuoi?” si offrì senza pensarci ulteriormente, mantenendo la sua posizione.
“Io ti ho già invitato” le rispose appoggiandosi allo schienale della sua poltrona, incrociando le mani sotto al mento.
Pensava si fosse ritirata, invece voleva andare avanti.
La faccenda diventava interessante per il consulente investigativo.
 
“Se la metti così, lascio a te la prima mossa. Fatti avanti” lo sfidò abbassando il tono di voce, facendogli cenno con l’indice della mano di avvicinarsi.
Sherlock sorrise malandrino, sporgendosi verso di lei, toccandole leggermente parte della gamba.
Inutile dire che a Nami scappò un brivido lungo la spina dorsale mentre sentiva alcune goccioline di sudore imperlarle la fronte.
 
“Prima le signore…” ammiccò infine il ragazzo, allontanandosi.
La rossa si sentiva in trappola, ma aveva deciso lei di andare avanti con quella sfida.
Si doveva fare coraggio.
Non che le dispiacesse tutta quella situazione, in un certo senso.
Sherlock Holmes era affascinante anche se era un sociopatico iperattivo e uno stronzo egoista.
Ma non provava nulla nei suoi confronti, o meglio, doveva ancora capirlo…
 
Si alzò con estrema eleganza dalla poltrona di John e mentre si avvicinava a lui, un’idea le balzò alla mente.
Si accomodò sulle gambe del moro e lo attirò verso di sé attraverso il colletto della camicia.
“Ti dispiace se rimandiamo a dopo? Sai, John potrebbe uscire dal bagno da un momento all’altro…” gli sussurrò vicinissimo all’orecchio sinistro di lui.
Il profumo dei capelli di Sherlock la inebriava, “ubriacandola” un poco.
Sentiva un formicolio piacevole percorrerle tutto il corpo.
Non aveva mai sentito una sensazione così.
 
“Perché? Hai paura, Nami?” la sfidò sollevandole un lembo della maglietta che usava come pigiama, sfiorando con lentezza parte della coscia e del fianco, scoprendo quella pelle incredibilmente morbida e vellutata.
 
La rossa sussultò a quel contatto così ravvicinato e “intimo”, sentendo un altro brivido far fremere il suo corpo, facendo ghignare vittorioso il consulente.
Non. Doveva. Arrendersi.
 
“Io non ho affatto paura. Il mio era solo un consiglio…” sussurrò riprendendo il controllo di se stessa, iniziando a mordicchiare dolcemente il lobo del detective.
“Oh, beh! Puoi stare tranquilla, allora” ribatté prendendo il mento di Nami tra due dita, interrompendo l’operato della ragazza, avvicinando così i loro visi.
I loro respiri si mescolavano tra loro e i loro occhi non smettevano di guardarsi con profondità.
 
Non sapeva che le prendeva.
Non riusciva a spiegarsi i suoi gesti: aveva preso il volto di Sherlock tra le mani, cominciando a fargli lente carezze sulle guance e gli zigomi; la sua fronte era appoggiata su quella di lui e i loro nasi si toccavano.
C’era solamente un’“inesistente” distanza tra le loro labbra.
Trovava gli occhi di Sherlock semplicemente fantastici, anche se la stavano sfidando a farsi avanti.
Sarebbe rimasta a guardarli per ore e ore, nonostante la loro arroganza.
 
“Che aspetti?” le chiese calmo, facendola sorridere lievemente.
“Sei impaziente, eh?” lo schernì facendogli l’occhiolino.
“Per amor del Cielo, Nami! Io posso stare qui quanto vuoi, guardandoti. Però mi faresti pensare che vuoi tirarti indietro” osservò fintamente dispiaciuto, facendo roteare gli occhi alla ragazza.
“Ti ho già detto che non mi sarei tirata indietro!”
“E allora fatti avanti” la incitò accarezzandole delicatamente il mento per poi passare sulle sue labbra sottili.
“Non ho paura”
“Davvero? Dimostramelo”
“D’accordo. Non tornerò indietro!”
“Ti sto sfidando, infatti. Voglio vedere quanto rischieresti pur di vincere. Avanti. Fallo
“Vincerò, te lo assicuro!”
“Fammi perdere, allora”
“Sì. E te ne pentirai!”
 
John, tempo prima, era arrivato nel soggiorno, osservando divertito la scena.
Battibeccavano in continuazione, ma nessuno si decideva a porre fine a quell’amorevole disaccordo.
Incrociò le braccia al petto, scuotendo lievemente la testa.
Erano proprio due bambini.
Purtroppo, non poteva andare avanti oltre, così, decise di intervenire, rischiarandosi la voce.
Nami e Sherlock si voltarono contemporaneamente, guardando John come se fosse stato un padre che aveva scoperto sua figlia fare sesso con un estraneo.
 
“Non è come sembra!” esclamò Nami stringendo la camicia di Sherlock.
“Invece lo sembra eccome!” la smentì subito il consulente investigativo, facendola sobbalzare e innervosire.
 
“Appunto” aggiunse Watson sorridendo mestamente cercando di trattenere le risa.
 
“Taci! Non è vero, Sherlock!” gli inveì contro voltandosi verso il riccioluto.
“Come sarebbe? Sbaglio, o mi stavi per baciare? Hai detto che non ti tiravi indietro!”
“Lo so! Infatti non mi sono tirata indietro!”
“Giusto. E allora perché stai smentendo quello che stavi per fare?”
“Non lo smentivo! Sei tu che hai iniziato con quella deduzione sui miei pensieri!”
“Quindi è colpa tua! Perché se stata tu, a fare simili pensieri!”
“No, bello! E’ colpa tua che stavi pulendo il violino in quel modo!”
“E allora non dovevi guardarmi!”
“Sei stato tu ad iniziare!”
“Che dovevo fare? Annoiarmi?”
“Potevi leggere un libro!”
“Ah, sì? E chi lo sa! Forse avresti iniziato a fare pensieri su come sfogliavo un libro, paragonandolo al sesso!”
“Ma che ti salta in mente? Credo che la droga abbia effetti devastanti sulla tua mente!”
“Hai iniziato tu! Sei stata tu a fare pensieri di un certo genere!”
“E di chi è la colpa? Tua!”
 
“Ok, ora basta!” sbottò al limite della pazienza John alzando il tono di voce.
 
I due, come ordinato loro, smisero di litigare e guardarono in parti opposte.
John sbuffò lievemente, rivolgendo loro un’occhiata bonaria:
“Mi promettete che, durante la mia assenza, non farete nulla per cui dovrei chiamare Lestrade o Mycroft?”


Sherlock, come colto in flagrante, si irritò non poco, guardando il suo amico biondo con espressione indecifrabile:
“Non occorre. Sappiamo badare a noi stessi” disse con fare freddo e distaccato, non smuovendosi di un millimetro.
D’altra parte, come poteva? Nami era ancora seduta su di lui.
Avrebbero ripreso la discussione non appena il medico se ne fosse andato.
 
“Nami. Posso contare su di te questa volta o mi devo aspettare qualche altra sorpresa?” gli chiese diffidente Watson, non badando minimamente al commento del suo coinquilino sociopatico iperattivo.
 
La ragazza sobbalzò e si morse il labbro inferiore, voltandosi a guardarlo:
“Tu puoi contare su di me! E’ colpa di Sherlock!” si difese indignata per poi trattenere un gridolino di dolore a stento: il ragazzo le aveva dato un forte pizzicotto al fianco.
Dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per trattenere i due lacrimoni agli angoli degli occhi.
 
Gliela avrebbe pagata.
Si sarebbe vendicata di lui e nessuno l’avrebbe fermata.
Poco ma sicuro.





Angolo di Alyce: Buonasera!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ma quanta aria di sfida nell'aria, gente!
Ma...torniamo seri (soprattutto io, dato che la mia pazza mente sta già fantasticando su qualcosa tra Sherlock e Nami)!
Partiamo dal titolo!
E' spunto della canzone "Would you..?" dei "Touch and go" e significherebbe: Vuoi venire a letto con me?
E credo che in questo capitolo abbia molto senso, dato che Sherlock "invita" Nami a farsi avanti...vi svelo un piccolo segreto: Il nostro Carissimo Holmes non intendeva solo un bacio, ma anche del sesso, ovvio...ma solo per sfida...e attrazione.
Punto due: Nami e Sherlock NON si amano!
Sono solamente curiosi e...attratti l'uno dall'altra.
Come avrete notato, Nami, odia Sherlock in un primo momento, ma poi non sa cosa realmente prova: questa è una dimostrazione del fatto che è veramente confusa.
Povera ragazza, sono cattiva nei suoi confronti. -.-''
E passiamo al nostro eroe! (rullo di tamburi) JOHN WATSON!!!!!!!!!!
Diciamo che lui si sente padre/fratello nei confronti dei nostri Nami e Sherlock, considerandoli due bambini che amano giocare e litigare.
Lui è un'anima pia. Fosse per me, gli avrei già fatto mille monumenti per la sua comprensione e...bontà.
E' veramente un Santo.
Non ho altro d'aggiungere!
Ci si vede al prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione a tutti!
Alyce :))))))))))))))))))))))))))))))))

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Capitolo 6
*** 6. Exciting life ***


6° capitolo: Exciting life

 
 
Dopo che John se ne fu andato, Nami e Sherlock restarono a lungo a fissarsi dritto negli occhi.
Lui stava aspettando di concludere la sfida mentre lei, lo guardava con aria truce, pensando di ucciderlo solamente con la forza di uno sguardo.
Purtroppo per lei, non funzionò…
 
“Allora? Vuoi concludere questa sfida sì o no?” le domandò con fare derisorio il consulente detective, regalandole un sorriso che “sapeva” di sadico.
“Dopo quello che mi hai fatto? Tsk! Neanche per sogno!” rispose lei, facendo per alzarsi, ma il giovane Holmes, con un colpo di remi, invertì le posizioni, bloccando la ragazza tra la poltrona e lui.
I loro corpi erano come incastrati perfettamente tra loro, cosa che non sfuggì alla rossa.
Le sue guance assunsero una lieve tonalità di rosso, sentendosi lievemente in imbarazzo.
 
“Che c’è Nami? Non vorrai tirarti indietro!” sussurrò Sherlock inclinando di un poco la testa da un lato, prendendo tra due dita una ciocca di quei capelli rossicci.
“Non ho mai detto questo” lo contraddisse sicura, cominciando ad accarezzargli uno zigomo.
“Ho tutto il tempo. A te la scelta” la sfidò guardandola attentamente, come a volerle scrutare l’anima.
Nami si avvicinò molto lentamente alle sue labbra, decisa a porre fine a quel gioco assurdo che avevano iniziato per passare il tempo.
Sherlock sorrise mestamente, convinto del fatto che, molto probabilmente, alla fine, la ragazza si sarebbe tirata indietro.
Mancava solamente un insignificante spazio e le loro labbra si sarebbero unite.
 
All’improvviso, lo squillo di un cellulare richiamò l’attenzione dei due ragazzi.
“E’ il tuo” disse il consulente investigativo, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il telefono di lei.
Inutile dire che la sua espressione era confusa e anche molto irritata.
“Avevi il mio telefono?” domandò come per accertarsi che fosse un’altra delle allucinazione.
Peccato.
“A dire il vero sì. Vuoi rispondere? E’ un numero privato” osservò Sherlock impensierendosi un poco, riducendo gli occhi a due fessure.
 
Sapeva di essere un ottimo ladro, infatti, aveva “rubato” (ma glielo avrebbe restituito) il cellulare della ragazza, per sapere qualcosa in più sul suo conto.
Aveva controllato la rubrica e vi aveva trovato i numeri di alcuni, secondo lui, migliori amici, quello di sua sorella e quelli dei suoi genitori.
La domanda era: Nami è uscita pochissime volte, e in tutte, non ci aveva messo più di quarantacinque minuti. Chi mai la chiamerebbe?
 
“Grazie, Sherlock!” sbottò Nami riprendendosi il suo telefono, per poi rispondere.
Scostò malamente il detective da una parte e si alzò, allontanandosi un poco dal detective, in modo tale che non sentisse la sua conversazione.
Molto probabilmente era Mycroft.
 
“Pronto?”
 
“Ciao, Nami. Hai ottenuto il posto in una stazione di meteorologia non lontana da Londra.
Inizierai a lavorare tra due giorni. Va bene?”
 
“Ah! Ciao…Micky! Qui tutto bene! Tu, come stai?” rispose Nami con un po’di titubanza, sperando nell’idea che Mycroft avesse capito il suo messaggio velato.
 
“Ho capito. Sei con Sherlock. Ti da così tanti grattacapi?” domandò leggermente divertito.
La ragazza gli avrebbe risposto volentieri che avrebbe ucciso suo fratello, dopo, facendolo passare per un tragico incidente, ma si trattenne.
 
“A dire il vero sì…avevo ricevuto l’invito da parte di Nelly circa…una settimana fa!”
 
Certo che deve essere un’impresa riuscire a trovare le parole adatte da dire difronte a mio fratello in così poco tempo”
 
“No, non ci voglio andare al suo matrimonio. Sai bene quanto mi stia antipatica! Fa tanto la gentile e poi si rivela solo una stronza!”
 
“Ti avevo avvertito che stare dietro a mio fratello non sarebbe stato facile, cara Nami.”
 
“Lo so, lo so che ho sbagliato anch’io! Ma è quella che continua a fare casini su casini!”
 
“Del tipo?”
 
“Fa l’oca fingendosi sbadata e con la testa fra le nuvole!”
 
“Questa è difficile…ti ha coinvolto in qualcosa…e con la frase “con la testa fra le nuvole” mi viene in mente solo la…vi siete drogati?”
 
“No.” a quella domanda detta con un tono un pochino frustrato, Nami negò molto in fretta, mordendosi la lingua più volte, ripetendosi il fatto che doveva stare zitta sul fatto degli allucinogeni che aveva assunto assieme a quel sociopatico iperattivo di Sherlock.
 
“Menti.”
 
La rossa sobbalzò sul posto, deglutendo un bolo di saliva a vuoto, cominciando a sentire le mani sudaticce.
“Ho detto che non vengo, punto. Ciao, Micky!”
 
E riattaccò in fretta e furia.
Respirò profondamente, cosicché potesse calmarsi un poco, ma, appena si girò urtò contro il petto di Sherlock con il suo naso, sobbalzando lievemente dalla sorpresa.
Alzò lo sguardo verso il viso del ragazzo con fare perplesso, mentre quello si avvicinò velocemente a lei, riducendo le distanze, fino a far sfiorare le loro labbra.
 
“Che cosa voleva mio fratello da te?” domandò lui con fare indagatore.
“N-Non era tuo fratello…” rispose Nami automaticamente, continuando a tenere gli occhi fissi su quelli di Sherlock, non riuscendo a muoversi di un millimetro.
Sentiva le sue labbra pizzicare piacevolmente a quel leggerissimo contatto con il consulente investigativo.
Era come paralizzata.
“No? Beh, mi sembra strano, sai? Hai un’amica che ti chiama attraverso un numero privato e si chiama Micky. Mio fratello si chiama Mycroft. Hai usato una specie di linguaggio in codice, pensando che mio fratello avrebbe capito tutto, dato che è un uomo importante del Governo e proprio perché è mio fratello. Solamente lui chiama con numeri privati le persone, a parte me e John” le spiegò lui brevemente, lasciandola un poco sconvolta.
“Wow…” riuscì solamente a dire la ragazza, dandosi mentalmente della stupida pochi attimi dopo.
In fondo, doveva essere abituata alle brillanti deduzioni di Sherlock, no?
Allora perché gli aveva fatto una sottospecie di complimento, quando prima “detestava” i suoi modi di fare?
 
Anche Sherlock rimase sorpreso dall’inaspettata reazione della rossa: era convinto del fatto che gli avrebbe ribadito di farsi i cazzi suoi, oppure che lo mandasse al diavolo.
Doveva ammettere che quella ragazza non era così prevedibile come credeva.
Però, mancava un’ultima cosa da spiegare per poter concludere in bellezza la sua esatta deduzione.
“E-E poi non ti ho mai detto di avere un fratello…” aggiunse spostando lo sguardo altrove, allontanandosi, per non sentirsi un po’troppo “osservato”.
 
Nami si accorse dell’errore che aveva commesso e abbassò i suoi occhi color nocciola sul pavimento, sentendosi incredibilmente stupida.
“Tutto quello che hai detto corrisponde…era tuo fratello…”
“Lo so… ha offerto anche a te dei soldi per tenermi sotto controllo?”
A quella domanda, la rossa, rimase vagamente perplessa, ma decise di passare oltre a quella questione, suggerendo a se stessa di non indagare su cose inutili.
“A dire il vero no. Mi ha cercato un lavoro. Non so il perché”
“Tsk! Sempre il solito” mormorò Sherlock sottovoce, richiamando appieno l’attenzione della ragazza su di sé.
“Come?”
“Uhm, no, niente. Vatti a vestire, Lestrade è qui fuori e sta per venire da noi. Non credo sia una bella idea andare ad indagare su un nuovo caso in pigiama, se così si può chiamare” osservò Sherlock squadrandola da capo a piedi, facendola arrabbiare un poco.
“Mica sono nuda, comunque!” sbottò lei frustrata, cominciando a dirigersi verso la sua camera per andarsi a vestire.
“Non ti posso dare torto, ma se giri in quel modo per una città come Londra…rischi grosso, ti pare?” disse lui seguendola.
“Sì, va bene. Hai ragione. Ora, se non ti spiace, chiudo la porta. Sai com’è, c’è la privacy!” lo assecondò lei con fare malandrino, regalandogli uno sguardo vagamente malizioso e sarcastico al tempo stesso.
 
Il rumore dei passi di Mrs. Hudson, rientrata da poco dalla casa di una sua amica, riecheggiò lungo la scalinata che separava i loro appartamenti, seguita dall’ispettore Lestrade e Donovan.
 
“Sherlock!”- la richiamò concitata la Signora, facendosi scoprire difronte alla porta della stanza della nuova coinquilina- “Ci sono visite per te! Che ci fai lì, comunque???”
 
“Niente, Mrs. Hudson. Sto aspettando che qualcuno esca dalla sua camera per poter andare a risolvere il caso affidatomi da Gary Lestrade” rispose lui per nulla turbato dalla situazione, facendo volgere gli occhi al cielo alla signora in un moto di disappunto, accompagnato da un pesante sospiro.
“Greg” lo corresse invece l’ispettore, facendo scuotere la testa alla sua collega Donovan.
Ogni volta che si vedevano, doveva assistere ad un battibecco.
“Irrilevante” commentò freddo il consulente investigativo.
 
“Calmatevi. Mi raccomando Sherlock: fai un buon lavoro e vedi di non far cacciare Nami nei guai!” lo riguardò Mrs. Hudson andandosene verso il suo appartamento, infastidendo il ragazzo.
Mica era un babysitter!
 
“Nami! Hai intenzione di starci fino a Natale?” domandò Sherlock incrociando le braccia al petto, irritato da tutta quella situazione.
Non è che avesse bisogno di una altro cervello per lavorare.
La ragazza gli serviva solamente come ascoltatrice ed, eventualmente, come propria e vera assistente.
 
“Ascoltami bene, principino dei miei tacchi! Tutti hanno il diritto di cambiarsi!!!” sbottò Nami infuriata, aprendo con uno scatto la porta della camera, raggiungendo così il piccolo gruppo.
Si era vestita con una felpa pesante tutta rossa e dei pantaloncini di jeans lunghi fino a metà coscia, accompagnata da dei collant neri e All Stars blu cobalto.
I suoi occhi traboccavano d’ira e frustrazione e la sua voce era ridotta ad un sibilo acuto.
 
“Finalmente! Era ora che uscissi, ragazzina! Lestrade, possiamo andare!” esclamò Sherlock felice come un bambino difronte a delle caramelle.
Scese velocemente le scale, infilandosi nel frattempo il lungo cappotto, la sua sciarpa blu e i suoi guanti di pelle.
 
I due agenti si guardarono per un momento, per poi guardare la figura di Nami ferma sulla soglia della sua camera.
Era come imbambolata.
“Nami…tutto bene?” domandò l’ispettore Lestrade leggermente preoccupato, avvicinandosi alla ragazza.
 
“Io l’uccido!!!”  urlò digrignando i denti, per poi allontanarsi da loro due e raggiungere il consulente investigativo con fare scocciato.
 
“Quanto la comprendo” commentò stancamente Sally Donovan, cominciando anche lei a scendere le scale, accompagnata da un Lestrade piuttosto perplesso.
“Magari ci farà l’abitudine…certo…è un po’meno paziente di John, ma…” aggiunse Greg, ma venne interrotto dalla voce del detective riccioluto.
 
“Vi volete muovere? Sono impaziente” disse Sherlock dalla porta d’ingresso, affiancato da una Nami piuttosto irritata.
 
Lestrade cominciò a pensare che doveva tenere sotto stretta sorveglianza i due ragazzi, se non voleva che accadesse qualcosa di spiacevole.
O meglio.
Doveva tenere sotto controllo Nami affinché non saltasse addosso a Sherlock per riempirlo di botte e strangolarlo con le sue stesse mani.
Quella ragazza era davvero strana: aveva scatenato qualcosa nel consulente investigativo e Greg non si riusciva a spiegare cosa.
Sapeva solamente che la guardava sempre con sfida e con divertimento, come se avesse trovato una specie di giocattolo complicato ma allo stesso tempo interessante.
 
Appena furono tutti fuori dal 221B di Baker Street, l’aria frizzantina inondò i loro visi mentre gocce di pioggia fine bagnavano leggermente i loro abiti.
Sherlock chiamò un taxi per poi salirci, seguito a ruota da Nami, preceduti dai due agenti di Scotland Yard con le loro volanti.
 
“Quando inizierai?” domandò il consulente investigativo alla ragazza, facendola voltare di scatto.
Pensò a cosa intendesse con quella domanda, però, non trovando altro collegamento se non il lavoro, rispose un po’titubante:
“Tra due giorni”
“Immagino che ti divertirai un mondo a fare previsioni meteorologiche” commentò sarcastico il ragazzo, sorridendole con fare beffardo.
“Sentiamo: come ci sei arrivato?” chiese Nami incrociando le braccia al petto.
“Oh! Nulla di che: ho notato che sulla scrivania della tua stanza hai risposto molti libri sul tempo e alcuni sulla geografia. Ho dedotto che ti piacessero questi due campi, soprattutto il primo. Sono più che certo che tu abbia richiesto un lavoro specifico che riguardassero le tue materie preferite, Nami” spiegò lui per nulla toccato dallo sguardo diffidente della rossa nei suoi confronti.
“Sei un po’troppo curioso per i miei gusti” commentò lei punzecchiandolo con un sorrisino birichino stampato sul volto.
“Dovresti saperlo! In fin dei conti non siamo così diversi, altrimenti avresti rifiutato il mio invito a venire con me sul caso! Giusto…mia carissima giornalista dai capelli rossi?” osservò fintamente sorpreso.
“Ex…giornalista. In effetti sì…mi incuriosisce parecchio il lavoro che fai…è…”
“Interessante?”
“Uhm… sì…più o meno”
“Più o meno, dici? Per me esistono solamente i “sì” o i “no”. Non trovi questo lavoro interessante…affascinante”
“Anche”
“Allora non va bene nemmeno questo come aggettivo” disse ricominciando a pensare, facendola ridacchiare un poco.
Le piaceva il suo modo di pensare in completo silenzio.
Era come rinchiuso in un mondo tutto suo pieno zeppo d’informazioni.
“Devo dire che questa è un’ottima sfida!” esclamò gioioso Sherlock, sorprendendo la ragazza un poco.
“Non credo di essere così complicata. Prova a pensare in modo soggettivo, Sherlock. Hai dedotto quasi tutto della mia vita, sai anche capire i miei stati d’animo sul momento, ma rimanendo obiettivo solo sull’aspetto fisico. Quello che vedi è solamente una facciata, una maschera di una parte della realtà” replicò Nami con calma.
“Mi stai per caso aiutando?” chiese il consulente investigativo con un sopracciglio alzato dalla curiosità.
“Non hai bisogno del mio aiuto, lo sai bene…diciamo che è semplicemente un’osservazione innocua!” rispose la rossa facendogli l’occhiolino, per poi scendere dal taxi che nel frattempo si era fermato dietro la volante di Scotland Yard sul luogo del nuovo caso.
Sarebbe stata una nuova avventura…






Angolo di Alyce: Buonasera a tutti!
So di essere in un ritardo tremendo, ma diciamo che ho avuto poco tempo per scrivere.
Vi chiedo umilmente perdono! (si inchina)
Come potete vedere, Nami e Sherlock sono completamente due bambini pestiferi: lui la punzecchia e lei lo asseconda.
E il povero Greg Lestrade promette a se stesso di tenerli d'occhio...aggiungeteci John e Mycroft e vedrete anche voi che si sta formando una specie di squadra speciale :D
Li trovo piuttosto carini e divertenti. Voi come li trovate?
Diciamo che hanno motivi diversi per tenerli sotto controllo:
Greg perché non vuole perdere Sherlock nel caso Nami abbia istinti omicida;
John perché è amico di Sherlock e perchè ora, tiene anche a Nami;
Mycroft...perché è Mycroft xD
No, dai, a parte gli scherzi!
Mycroft lo fa perchè dopo quello che le ha rivelato una rossa di nostra conoscenza per telefono mediante linguaggio in condice (lo ha fatto involontariamente. Non era previsto che lo avvertisse del gioco che aveva fatto insieme al giovane Holmes sotto allucinogeni), li terrà SOTTO STRETTA SORVEGLIANZA!!!
Un po' lo comprendo: Mycroft è pur sempre il fratello maggiore di Sherlock, no?
Ci si vede al prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione a tutti!
Alyce :)))))))))))))))))))))))))))))))))))

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Capitolo 7
*** 7. Cioccolata e cornetto ***


7° capitolo: Cioccolata e cornetto

 
 
Arrivarono sulla scena del crimine, rimanendo senza parole: una donna era stata uccisa sul ciglio della strada e, successivamente, le era stato tolto il cuore.
Nami rimase allibita, trattenendo un conato di vomito con tutte le sue forze, mentre Sherlock aveva già cominciato ad osservare il corpo con la sua lente d’ingrandimento portatile.
 
“Abigaille Flatcher, trent’anni. Faceva la prostituta dalle parti St Paul’s Cathedral. Ora del decesso: 4.30 di stamane. Le hanno tolto il cuore con estrema precisione, nonostante fosse buio” affermò Lestrade guardando con attenzione l’operato del consulente investigativo, incrociando le braccia al petto.
 
Holmes si alzò, assottigliando lo sguardo, come se non capisse qualcosa, il che, non sfuggì a Nami.
 
“A cosa stai pensando?” gli domandò avvicinandosi a lui, guardandolo di sottecchi.
“Perché uccidere una persona affetta di Sindrome di Noonan?” chiese a sua volta, facendola impensierire.
Non se ne intendeva molto di medicina, ma da qualche parte, una volta, aveva letto che una delle cause di quella Sindrome era un difetto cardiaco congenito.
Nami si chiese del perché uccidere quella donna: vendetta? Rabbia come quella che provava quel serial killer verso le streghe? Cosa?
 
La rossa si mise ad osservarla, notando che non portava alcuna fede al dito, né ve ne era traccia, ma poteva essere fidanzata con qualcuno, anche se il fidanzato, doveva sapere che lo tradiva, in un certo modo…
Fissò il viso della vittima: era sereno e sorrideva.
Dedusse che conosceva il suo assassino, o forse era stata narcotizzata prima dell’omicidio.
 
“Avanti: ti ascolto” la risvegliò dai suoi pensieri Sherlock, facendola sobbalzare dalla sorpresa.
Perché chiedeva il suo parere?
“Perché?” domandò con una certa nota di diffidenza, facendolo sorridere mestamente.
“Semplice: voglio un tuo parere, mi pare ovvio” decretò per nulla toccato dalla reazione della ragazza, guardandola a fondo negli occhi.
Voleva metterla al lavoro e testare ancora le sue capacità.
A differenza dell’ultima volta, in questo caso, lei vi avrebbe partecipato fin dall’inizio, o dal prologo.
Proprio come in una storia…
 
Nami sospirò pesantemente, scuotendo un poco la testa con fare sconsolato.
Sicuramente, Sherlock, l’avrebbe presa in giro, affermando quanto poco osservasse e non desse caso ai dettagli.
“Come hai detto tu, la vittima soffriva di Sindrome di Noonan: bassa statura, scoliosi, fronte spaziosa… Non era sposata…” cominciò lei, ma venne interrotta dal detective.
“Cosa ti fa pensare che non fosse sposata? Poteva togliersi la fede quando andava al lavoro” affermò con tono sicuro, al fine di metterle i bastoni tra le ruote: la rossa aveva ragione, ma almeno doveva spiegargli (anche se lui già lo sapeva) il perché di quella osservazione.
“No. Anche se le persone sposate si tolgono la fede, rimarrà comunque una leggera linea più chiara sulla pelle, a meno che non si siano sposate da poco. Non la porta nemmeno al collo come fanno di solito i vedovi” controbatté un poco irritata, facendo ghignare il consulente investigativo.
“Che altro?” chiese ancora incitandola a parlare con un gesto della mano.
“Non credo che l’assassino abbia ucciso la donna per vendetta sentimentale”
“Su questo concordo anch’io.  Devo ammetterlo: sei stata abbastanza brava, anche se hai omesso dei dettagli”- a quelle parole, Nami, sospirò pesantemente, pensando che quel ragazzo superbo non avrebbe mai cambiato il suo atteggiamento nei suoi confronti. La considerava come una mocciosa alle prime armi e che non aveva capito niente dalla vita, anche se lei, ne aveva capito fin troppo…- “La vittima non ha cercato di ribellarsi al suo omicida e lo conosceva piuttosto bene: per terra ci sono due sigarette consumate, indice che hanno parlato per un po’ di tempo…”
“Sherlock: come fai a sapere che sono le loro? Non le abbiamo fatte analizzare!” lo fermò Lestrade, guardandolo stupito negli occhi.
 
Nel frattempo, la rossa si avvicinò ai due mozziconi, mettendosi a guardarli con attenzione.
La prima sigaretta era più corta ed era stata spenta calpestandola.
La seconda, a differenza della prima, no.
Si era spenta con il tempo…
Si riavvicinò velocemente alla vittima, guardandole sotto le scarpe: erano presenti lieve tracce di cenere sotto la punta delle scarpe della vittima.
Molto probabilmente era stata assassinata mentre fumava la seconda sigaretta.
Non avrebbe avuto senso se anche l’omicida avesse fumato.
Non poteva essere stato così stupido da lasciare DNA alle mercé di Scotland Yard.
 
“Teoria plausibile” disse Sherlock con voce roca vicino all’orecchio di Nami, facendola sussultare da quella vicinanza così intima.
Era talmente concentrata da non averlo sentito arrivare dietro di sé.
“Non ho detto niente!” si giustificò lei  con voce leggermente strozzata, alzandosi dalla sua posizione e rivolgendo lo sguardo altrove cercando di darsi un contegno, sperando di non essere arrossita come un’adolescente.
 
“E’ vero, però lo pensavi” disse il giovane Holmes, ghignando malizioso.
 
Nami non controbatté, sapendo che aveva ragione.
Era inutile avviare una discussione, avrebbe vinto lui.
 
Cominciò a guardarsi intorno, costruendosi una specie di mappa mentale con tutte le informazioni necessarie.
 
La donna era stata uccisa in una strada che dava sul St. Paul’s Cathedral.
Nessuno se ne era accorto.
Nessuno si era accorto che in quel frangente veniva commesso un omicidio.
Qualcuno doveva pur passare da quelle parti.
Era impossibile che non ci fossero testimoni.
O quel killer era molto fortunato o aveva fatto bene i suoi calcoli.
 
Nami cominciò a vagare senza una meta, immersa completamente nei suoi pensieri.
Gli edifici la sovrastavano in tutta la loro grandezza, mentre la Cattedrale le “guardava” le spalle come un Guardiano nella notte.
Il cielo si vedeva in strisce sottili, coperte in parte dai tetti delle case e dei negozi.
Era piuttosto opprimente come spazio e molto abitato…
 
 
Un ragazzino correva a perdifiato, non guardando mai davanti a sé.
Le persone e gli agenti di polizia lo guardavano in modo perplesso, altri cercavano di fermarlo.
Era vestito con vestiti sgualciti e rattoppati in più punti.
La maglia che gli copriva l’esile busto gli faceva da veste fino alle ginocchia, mentre i suoi pantaloni lo facevano incespicare sui suoi stessi piedi, talmente erano lunghi.
I suoi capelli color castano scuro, lunghi fino al collo, gli ricadevano davanti alla faccia sporca di nero.
I suoi occhi vispi e neri come la pece fissavano a intervalli irregolari l’asfalto e le persone che lo circondavano o gli andavano addosso.
 
Riposò ancora una volta il suo sguardo sulla gente, non accorgendosi in tempo di una ragazza dai capelli rossi che camminava per i fatti suoi.
In meno di tre secondi si ritrovò  a sbattere contro quel corpo femminile, cadendo rovinosamente a terra.
 
Nami riuscì a reggersi in equilibrio per un pelo, agitando le braccia per ritornare ad una postura eretta.
 
“Ehi, marmocchio! Sta’ più attento la prossima…volta…” lo sgridò la ragazza irritata, ma quando lo vide rannicchiato a riccio su se stesso, in preda ai tremiti, lo guardò sconvolta.
 
La sua mente vagò nei suoi ricordi, vedendo scorrere davanti a sé le immagini di quando Arlong la maltrattava a piacimento, mentre lei, ancora giovane ragazza ingenua, subiva in silenzio, tremando in continuazione, proprio come faceva quel ragazzino in quel momento.
 
La rossa s’inginocchio difronte a lui e, senza accorgersene, lo avvolse in un abbraccio caldo e rassicurante, accarezzandogli dolcemente i capelli e la schiena, mentre il piccolo si lasciava andare a poco a poco, stringendosi ancor di più contro la figura di Nami, stropicciandole convulsamente la felpa rossa, impregnandola di lacrime.
 
“Calmati. Va tutto bene. Sei al sicuro, ora” lo rassicurò ella, sussurrando quelle parole in modo materno.
 
Sherlock e Lestrade, seguiti a ruota da alcuni agenti di polizia, la raggiunsero, guardando quella scena un po’sorpresi.
Il giovane consulente investigativo non capiva tale atto d’affetto, restando impassibile come sempre.
 
“Nami, lo conosci?” gli chiese Greg affiancandola.
Senza staccare la presa da quel corpo piccolo e fragile, guardò l’ispettore girando un poco la testa:
“No, non lo conosco. Mi è venuto addosso…” gli rispose in tono serio e calmo.
 
Il ragazzino alzò di un poco la testa, guardando il viso della rossa con curiosità mista a diffidenza.
Era contento di aver trovato qualcuno che sembrava avesse capito ciò che provava, ma aveva paura che gli si rivolgesse contro, consegnandolo a quell’uomo privo di pietà.
A fatica comprendeva ciò che dicevano quelle persone così serie ad eccezione della ragazza, che in confronto a loro, sembrava il fuoco in persona.
Se aveva capito bene, si doveva chiamare Nami…
Un uomo si avvicinò velocemente a loro due, stretti ancora nell’abbraccio, e lo scrutò a fondo con i suoi occhi color ghiaccio, impaurendolo un poco.
La rossa guardò l’uomo dagli occhi di ghiaccio in modo truce, sibilando parole veloci e un po’arrabbiate.
 
“Lo stai spaventando, Sherlock!” masticò tra i denti, volendolo uccidere con lo sguardo.
“Lo sto solamente guardando!” sbottò a sua volta il riccioluto, guardando la rossa allo stesso modo.
“Che insensibile!”
“Allora perché tu lo abbracci se non lo conosci? Non ha senso!” osservò Sherlock sbuffando lievemente.
Nami si rabbuiò di colpo, ma si trattenne di tirargli uno schiaffo sul volto davanti a tutti.
Non voleva aggravare la situazione, né spaventare il piccolo.
Sapeva che un gesto avrebbe influenzato moltissimo il comportamento del ragazzino.
C’era passata anche lei, d’altronde: in quei momenti la mente era come offuscata e le parole si riducevano a monosillabi sconnessi e incomprensibili.
 
Si alzò lentamente, lasciando il ragazzino “scoperto” dal calore, ma non durò molto.
La ragazza gli porse la mano e lui, insicuro la strinse, alzandosi con un po’di fatica.
 
Si allontanarono dal resto del gruppo, mentre Nami faceva vagare lo sguardo alla ricerca di un bar.
 
“Dove stai andando, Nami? Dobbiamo portarlo in centrale! Non sappiamo perché lui sia qui, né perché sia ridotto a quel modo!” esclamò Greg Lestrade nel tentativo di fermarla, ma lei si girò e lo guardò con occhi spenti:
“No.” rispose seccamente, per poi voltarsi e dar loro le spalle…
 
L’ispettore rimase a bocca aperta, non aspettandosi una reazione simile da parte della rossa.
Non riusciva a spiegarsi che le era preso.
Camminava tenendo il piccolo per mano, rimanendo nel silenzio più totale.
Il ragazzino non era da meno: teneva il capo basso e qualche volta la sua presa sulla mano di Nami si faceva più stretta, come a voler sciupare un po’di dolore.
 
“Ma che le è preso?” mormorò strabuzzando leggermente gli occhi.
Sally Donovan gli era a fianco, le braccia incrociate sotto al seno mentre guardava con disinteresse quelle due figure così diverse, ma al contempo simili.
“Molto probabilmente vuole farlo riprendere dallo shock. Ma come può? Non è uno psicologo!” osservò Donovan, riconoscendo in quella ragazza testarda il carattere di Sherlock.
Il consulente investigativo, invece, rimaneva zitto, avendo dedotto che quel comportamento assunto dalla rossa era dovuto al suo passato…
 
Continuarono a camminare per dieci minuti finché non raggiunsero un bar che dava sulla strada principale.
Nami si fermò davanti alla porta d’ingresso chiusa, guardando distrattamente le persone al loro interno, per poi posare lo sguardo sul ragazzino.
Gli sorrise radiosa, per poi invitarlo ad entrare.
“Andiamo?” gli chiese con dolcezza, tranquillizzando un poco il più piccolo.
 
Anche se non aveva capito quello che aveva detto, dedusse che lo aveva invitato ad entrare in quel locale pieno di persone che parlavano tranquillamente bevendo o mangiando qualcosa.
In effetti, aveva una certa fame.
Non mangiava dalla sera prima.
Quando aveva visto quell’uomo uccidere la donna senza pietà era rimasto impietrito.
Non aveva visto altro, dato che era scappato via, terrorizzato e incredulo da quel che era successo.
 
“Obrigado (1)*” disse chinando lievemente la testa in avanti, facendola sorprendere un poco.
 
Nami era contenta.
Non solo perché le aveva rivolto la parola, ma anche perché in parte aveva capito del perché si sentiva smarrito.
Solo che non capiva il perché non conoscesse la lingua inglese.
Aveva capito che era straniero e questo, lo confermava anche la sua carnagione scura e il colore dei capelli e degli occhi, anche se in un primo momento non ci aveva fatto caso.
Da quanto tempo risiedeva a Londra?
Aveva un mucchio di domande da porgli, ma non gli sembrava il momento migliore.
Però, una cosa doveva saperla: il suo nome.
 
“Nami” disse alcuni secondi dopo, indicandosi, facendogli capire cosa intendeva.
“Baltazar” ribatté eseguendo lo stesso gesto di lei.
 
La ragazza sorrise felice di quel primo passo compiuto con successo e poi entrarono nel bar.
Dopo essersi seduti su due sgabelli alti vicino al bancone, Nami ordinò due cioccolate calde, per poi girarsi verso il suo nuovo piccolo amico, domandando con vari gesti cosa volesse mangiare, ricevendo come risposta un cornetto alla crema, mentre lei lo prese al mandarino.
 
Il ragazzino si guardò un po’in torno, vagando con lo sguardo sui quadri appesi alle pareti color panna.
Raffiguravano di tutto: dai paesaggi di boschi e paesini sperduti a foto di Londra, completando il tutto con degli animali come cani e gatti.
Nonostante l’aspetto rustico e semplice, quel luogo di medie dimensioni era accogliente e non troppo claustrofobico.
Le persone che chiacchieravano allegramente gli ricordarono con nostalgia gli abitanti delle favelas di Rio, pieni di entusiasmo e gioia di vivere, nonostante le condizioni in cui riversavano.
Adorava correre per quelle stradine assieme agli altri ragazzi, giocando e scherzando a fare gli eroi.
La sua casa gli mancava da morire, così come i suoi amici e parenti…
 
Il suono della tazza ricolma di cioccolata posata sul tavolo richiamò la sua attenzione, mentre vi si aggiungeva anche il piattino su cui era adagiato il cornetto.
 
Assaggiò quella leccornia con gusto, mentre lacrime di gioia premevano per uscire dai suoi occhioni neri.
Da quando era venuto ad abitare a Londra, doveva chiedere l’elemosina per comprarsi qualcosa da sgranocchiare oppure mangiava gli scarti di cibo buttati dalla gente perché non aveva più fame.
Si poteva considerare il ragazzo più felice della Terra grazie a quell’Angelo dai capelli rossi che gli aveva dato calore e un buon pasto per sfamarsi.
Bevve un sorso di cioccolata, per poi ritrovarsi con la lingua fuori dalla bocca in cerca di aria perché si era scottato.
La rossa rise di gusto, coinvolgendo subito dopo anche lui, mentre il lieve bruciore andava scemando.
 
“Ehi! Bevi con calma, non abbiamo fretta” lo rimproverò Nami dolcemente, per poi fargli cenno di soffiare sopra la bevanda bollente.
Baltazar seguì il consiglio e bevve un altro sorso di cioccolata, questa volta senza scottarsi la lingua.
 
“E’ muito bom (2)*” disse addentando un altro pezzo di cornetto.
 
La ragazza lo guardò con tenerezza, paragonandolo al suo migliore amico.
 
Rufy, forse non s’ingozza come te quando mangia, però ha la tua stessa innocenza e dolcezza…” pensò con malinconia, prima di mettere da parte i ricordi e tornare a mangiare assieme a quel ragazzino entrato con prepotenza nella sua vita…
 
 
(1)* Grazie
(2)* E’ molto buono






Angolo di Alyce: Siete liberi di uccidermi!!!! :D
So di essere in un ritardo pazzesco e mi dispiace, dico davvero!
Sapevo cosa scrivere ma non come (si gratta il capo, imbarazzata)
Sarò sincera: le prime frasi che scrivevo sono state difficili da scrivere, ma poi ho ritrovato confidenza con il capitolo e ta da!!!
Non affermo che il capitolo sia bello, secondo me fa schifo, inoltre, è anche corto!!
Ripeto: siete liberi di uccidermi! xD
Questo è un po' un capitolo di transizione, soprattutto perchè entra in gioco il nostro piccolo Baltazar: quanto lo adoro *^*
E Sherlock che un po' gelosetto lo è, è da coccolare, insomma! xD
Avverto che Balti (gli ho già dato il soprannome xD) è un personaggio abbastanza primario, ma ci sarà per pochi capitoli, anche se pensavo di farlo entrare definitivamente nel cast.
Voi che ne pensate?
Mi farebbe piacere una vostra opinione!
Dico anche che Balti è Brasiliano, anche se lo avrete già capito dal nome della città "Rio", di conseguenza, Balti parla portoghese.
Io non lo parlo e nemmeno Nami lo sa (non voglio che appaia come una Marie Sue: dolce, bella, buona e che sa tutto? Ma manco no! Forse bella sì, e che capisce la situazione di Baltazar, ma dolce non lo è! Al limite solo con Balti...Già le facevo conoscere la SIndrome di Noonan, figuriamoci -.-''), quindi ci affidiamo a Google Traduttore, sperando che le traduzioni siano giuste ^_^''
Non ho altro d'aggiungere!
Ci si vede al prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione!
Alyce :))))))))))))))))))))))))))))))))

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