Normal again

di Utrem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ritorno al buio ***
Capitolo 3: *** Primo giorno - Mattina ***
Capitolo 4: *** Primo giorno - Sera ***
Capitolo 5: *** Primo giorno - Notte ***
Capitolo 7: *** Secondo giorno - Mattina ***
Capitolo 8: *** Secondo giorno - Notte ***
Capitolo 9: *** Terzo giorno - Mattina ***
Capitolo 10: *** Terzo giorno - Notte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Normal again.



Vacillava.
Lo sapeva da quella mattina. Da quando aveva visto una goccia di caffelatte traboccare dalla tazza. La perfetta similitudine.
Lo negava, ritenendolo impossibile. Ma, anche mentre negava, continuava a vacillare.
Sarebbe bastata una combinazione di circostanze, anche non troppo particolare.
Un corridoio buio attorno a lei; porte socchiuse; forme indistinguibili.
La perdizione la trapassò in un istante.
Procedette tranquilla in quell’oscurità rimpicciolita, caduca, fittizia, e si sentì a casa. Sicura. Felpata e rapida. Sinuosa e scattante. Mordente e fatale.
Fece slittare un piede in avanti, con cautela, usando l’altro come perno.
Attendeva un suono. Un segnale. Un riscontro.
Sentiva l’odore acre della putrefazione, il cigolare d’una porta in lontananza.  I suoi sensi guizzavano da un punto a un altro, senza sosta. Instancabile.
D’istinto gettò una mano in avanti, ma non toccò nulla: invece si sbilanciò e fece sfregare una ciabatta sul pavimento, emettendo così un lungo, strano e acuto fischio.
A seguire tale evento, uno scrosciare di applausi proveniente dalla TV, nel salotto.
Buffy s’irrigidì. Sbuffò. Aveva la testa annebbiata e non sapeva dove girarsi, cosa fare.
Fece due eterni passi e si ritrovò sulla soglia della stanza. Intravide una nuca – quella di Ryan – sbucare dal divano.
Gli occhi, anormalmente disabituati alla luce, le si offuscarono al rinnovato contatto con essa. Non se ne sorprese.
Si sentiva strappata e rattoppata in un posto a cui non apparteneva.
Percepiva i muscoli pulsare ed esplodere, a causa dell’ozio e dell’inattività.
Che le stava succedendo?
Si strinse il petto con vigore. Il freddo la intirizziva e i brividi la percuotevano a ogni battito di ciglio, ma lei era forte abbastanza.  Poco importava che ci fosse un altro paio di braccia ben disposto a eseguire lo stesso lavoro. Il fulcro del suo sviluppo, della sua individualità era la sua forza. Come poteva averlo mai dimenticato? Come si stava consumando? A cosa badava, più? Chi la attorniava? Perché?
Soffiò per l’ennesima volta, gli occhi umidi. Avrebbe voluto rannicchiarsi in un angolo a singhiozzare e a piangere, disperatamente, per prendere meglio consapevolezza del suo stato, e soffocarsi nel rimorso di aver rinunciato ad essere…
“Buffy! Stai bene? Hai freddo? Siediti sul divano, c’è una coperta” Ryan la chiamò, un’espressione costernata che gli sfigurava il volto.
Le sue braccia si slegarono.
Si avvicinò al divano e vi si immerse, coccolata dai cuscini e dalle effusioni.
Si era ripristinata in tempo. Stava bene, benissimo in verità, anche se era ovviamente scioccata dai pensieri aberranti appena avuti. Era stata evidentemente raccattata da una temporanea follia.
Salutava due anni di felicità con Ryan, il suo futuro marito e ne riviveva ogni singolo giorno in quel suo abbraccio, che da sola non era in grado di fornirsi. Il suo calore la faceva ridere e sanava il battere dei denti. I suoi occhi erano luce abbagliante, puri come un vestito bianco.
Equipararsi a una cacciatrice brancolante nella notte, perennemente sola, equivaleva a una condanna a una permanenza nell’ Inferno.
Lei amava il suo Paradiso. Il suo imperfetto Paradiso.
Gli sorrise, e lui ricambiò.
Le voci del buio muggirono ed infine tacquero.

 

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Capitolo 2
*** Ritorno al buio ***


Normal again.



Buffy si svegliò di soprassalto.
Nell’atto, dimenò le gambe e scostò le lenzuola, facendone atterrare un lembo ai suoi piedi.
Aveva il respiro affannoso e le narici dilatate. Era già vigile, quasi guardinga.
Tastò con naturalezza la liscia schiena di Ryan, sdraiato al suo fianco, e poi si girò per verificare l’ora.
Le sue sopracciglia balzarono in alto: erano le tre.
Un pizzicore strano, familiare la colse, e nuovamente il peso del vacillare del giorno trascorso si abbatté su di lei.
Quella era la sua ora. La sua chiamata. Non poteva sottrarvisi.
Contrasse tutti i muscoli, li tese di nuovo e si sedette silenziosamente sul materasso, levando prima con previdenza la coperta, per evitare di scoprire (svegliare) Ryan.
La sua mano sbottonò i due bottoni della camicia da notte, abbozzando la realizzazione di assurde intenzioni, ma non volle comunque fermarla.
Inspirò profondamente, portando l’altra a distendersi sul petto.
Il controllo che l’aveva dominata per due anni non poteva averla abbandonata nell’arco di una singola, normale giornata.
Ci doveva essere un modo per ristabilirlo definitivamente.
I battiti si fecero più frequenti. Premette la mano più a fondo ed percepì il pulsare dell’arteria nel polso congiungersi a essi.
L’altra, la ribelle, fremeva, lottando prepotentemente per proseguire la sua opera.
Forse una maniera c’era.
Si alzò, i capelli sciolti che caddero a spezzarle il volto.
Si approssimò alla cassettiera, con timore e diffidenza.
Sgranchì e aprì la mano ribelle, agguantò la manopola.
Così, divisa a metà tra impazienza e terrore, con gesti subitanei e veloci, il lieve respiro di Ryan addormentato come sottofondo, si preparò per recarsi al cimitero.

-

Correva, quasi, senza mai voltarsi, senza mai esitare. Era obbligata a liberarsi di questo fardello, questo sfizio che l’aveva ghermita un giorno valso due anni interi.
Man mano che si avvicinava i lampioni si diradavano, lasciando spazio all’immensa volta celeste e alle sue stelle.
Le strade non erano battute, relegate a un misero abbandono, indistinte dal marciapiede.
Buffy era già stata al cimitero di Mountyville due o tre volte – sufficienti a farle memorizzare il cammino – esclusivamente per accertarsi che non vi fossero demoni di alcun tipo. In verità, già Giles e Willow avevano provveduto a perlustrare il territorio per lei, due anni prima ormai, e le cose non avrebbero dovuto essere cambiate; a ogni modo, Buffy si convinse che questa visita fosse solo la conveniente coincidenza fra la realizzazione d’una sottospecie di desiderio ed un semplice controllo.
Willow e Giles… da quanto non li vedeva… avrebbe dovuto telefonare, informarsi sulle loro missioni… Dawn era con loro… sarebbe stato bello e opportuno, oppure no… non in quel periodo.
Tutta intrisa nelle sue nostalgiche elucubrazioni, a malapena notò i cancelli del cimitero dispiegarsi davanti a sé. Le si ruppe il respiro.
Chiuse gli occhi. Doveva cedere e mutare nella cacciatrice. Era una necessità, giunta sino a quel punto.
Con sua sorpresa, le riuscì particolarmente facile.
Acuiti tutti i sensi, si arrampicò con annoiata agilità su per un cancello e poi balzò nuovamente a terra.
Per qualche attimo, l’immagine di Ryan dormiente fluttuò nella sua mente e poi, naturalmente, svanì.
Il punzecchiare del paletto nella sua scarpa era più che mai forte, rinvigorito dalla prolungata assenza dello stesso.
Tese in avanti il piede e la gamba sinistri, tenendo il destro più ritirato, con funzione di perno.
Ecco materializzata la fantasticheria nel corridoio.
L’oscurità, quella vera, l’avvolgeva, punteggiata di tombe scrostate, grigie ed illeggibili.
Rispetto al cimitero di Sunnydale, questo era decisamente più piccolo e trascurato. Stava ora al suo giudizio capire se fosse più o meno movimentato.
Vi si inoltrò, il percorso ben preciso in testa, con un occhio di riguardo per le tombe la cui terra odorava di fresco.
Nulla.
Proseguì, senza mai abbassare la guardia, per nessun motivo, occupando una faccia della sua attenzione alla ricerca di cripte, possibili contenitori di nidi.
Non ce n’erano.
Non c’era niente, in verità.
Pure fuori allenamento, era in grado di riconoscere zone a interesse ‘vampirico’ e lì non ve n’era l’ombra.
Ne era certa.
Si sentiva enormemente rasserenata, ma non poteva ammetterselo. Si trovava ancora al centro del cimitero e, le piacesse o no, doveva ancora essere la cacciatrice. Almeno, quella notte ancora.
Sospirò, incespicando. Non poteva tornare indietro.
Rimaneva ancora una sezione da esplorare – anche se appariva silenziosa al pari delle altre.
Inavvertitamente, abbassò l’avambraccio congiunto alla mano che doveva reggere il paletto. Svogliata, esattamente quello che non doveva essere. Che non avrebbe mai dovuto essere… poco importava che fosse l’unica cacciatrice o una su un milione. Mai.
A coronare questo rimprovero, le parve di udire un tonfo.
Si fermò e puntò l’orecchio nella sua direzione.
Veniva dalla parte sud, a qualche sepolcro di distanza.
Deglutì, temendo il principio d’un nuovo incubo.
Era possibile che i demoni si fossero nascosti molto bene, agendo indisturbati per tutto quel tempo. Era possibile, sì.
Poteva essere la sua fine.
Il rumore c’era stato. Da scoprire, chi o cosa l’avesse prodotto.
Pareva scalza, tanto leggeri erano i suoi passi. Il paletto era a portata di indice e medio: uno scatto del polso e sarebbe scivolato esattamente tra quelle dita.
Occhi dietro la testa, pause ritmiche nell’incedere: nessun nuovo segno di non-vita.
Finché…
“AHI!”
Un sonoro urlo scosse Buffy come una bufera.
Si accucciò a terra e prese a strisciare con calma verso l’ubicazione della fonte, che aveva prima individuato con correttezza.
La voce, però, le era apparsa familiare…
“Non riesco a crederci. Sono incastrato. Non è possibile! Aspetta, aspetta un attimo… forse, se tiro prima fuori il gomito… AAAH!”
Il timbro era esattamente identico, così come l’ombra…
Un groppo le occluse la gola.
Rimase bocconi, a terra, i pugni chiusi di fianco alle guance.
Un’allucinazione. Un incantesimo. Il Primo?
Le pensò tutte.
Aprì e richiuse gli occhi, si pizzicò, si schiaffeggiò.
Stava ancora dormendo, possibile? Un sogno. Un incantesimo che faceva diventare i sogni realtà. O li faceva apparire reali.
Di qualsiasi cosa si trattasse, ciò che vedeva era Spike – o perlomeno, i suoi arti – che spuntavano da una bara, mentre lui si dimenava come un pazzo nel disperato intento di tirarsene fuori.
“E se invece prima spostassi il ginocchio in orizzontale, così… AAAH! Dannata bara, non le fanno più larghe e confortevoli come ai vecchi tempi… colpa dei maledetti ambientalisti. Loro e loro campagne anti-disboscamento. Lesinano sulla legna per risparmiare ‘vite’, salvare l’atmosfera… ovviamente nessuno pensa mai ai non-morti… un giaciglio per dormire, un paio di… Buffy”.
“Spike” rispose lei, con semplicità.
Nell’impetuoso tentativo di alzarsi, si scontrò con lo spesso legno e picchiò la testa.
Buffy notò che aveva trattenuto delle urla di dolore al contatto, probabilmente per via della sua presenza. Tuttavia, per compensarle, sciorinò una serie di impressionanti bestemmie a bassa voce.
Non c’era illusione alcuna. Era proprio lui.
Si sporse sulla bara aperta, così che la potesse vedere meglio.
Era passiva e totalmente sfiatata. Persisteva nel fissarlo, gli occhi lucidi e spalancati, mordendosi a tratti il labbro inferiore.
Mille parole le salivano sulla punta della lingua e mille ne scendevano. Muoveva appena il collo, il mento, il mignolo verso di lui, e subito lo ritraeva.
Dal canto suo, Spike era pressoché immobile, – anche perché incastrato – fatta eccezione per le palpebre, che battevano a intervalli ben precisi. Un esilissimo sorriso gli definiva le labbra livide, più sottili di quanto ricordasse; anche le guance erano più spigolose e scavate, ed i capelli più lunghi, scuri ed arruffati. Forse non era tinto, ma non lo avrebbe saputo dire con sicurezza. I suoi occhi parevano piccoli e rotondi vetri rinfrangenti la luce lunare; li teneva socchiusi, a generare uno sguardo che si atteggiava a seducente, ma non poteva celarsi sbalordito.
Erano distanti meno di un metro, ma ciò che davvero li separava era una spessissima cortina d’imbarazzo, eretta da tutte le emozioni sorte all’improvviso che non potevano nascondere l’uno dall’altro.
Buffy studiò con zelo Spike. Inizialmente lo vide sornione, ma intuibilmente felice; tuttavia, passato qualche minuto, assunse un’espressione molto premurosa e preoccupata ed abbassò le sopracciglia – dove, Buffy notò, era scomparsa la leggendaria cicatrice.
Sussultò. Era così sconvolta che a malapena sapeva riconoscere il suo stesso stato d’animo. La sua stessa espressione.
Cercò di concentrarsi e, con un po’ d’impegno, si comprese.
Era spaventatissima, stordita dall’ammucchiarsi di troppe emozioni in poco tempo, e l’averlo sentito, o l’averlo visto, non avrebbe saputo distinguere più chiaramente la causa, l’aveva scombinata talmente che avrebbe voluto fuggire via. Ma, rifletté, non se lo meritava.
Inghiottita parecchia saliva, riuscì a racimolare coraggio sufficiente per sussurrare: “Come… sei… finito… qui?”.
Il sorriso premuroso di Spike si spense.
Contrasse la mascella, come usava sempre fare nei momenti di tensione, e aprì la bocca, emettendo un breve rantolo. I suoi occhi cerulei erano vagamente scintillanti di lacrime, chissà se per dolore o commozione.
Buffy si sporse un pochino di più, intenerita e rassicurata dall’aver capito che era terrorizzato tanto quanto lei.
“Io… l’amuleto, mi ha riportato in vita. Che io lo volessi o no. È … lungo e complesso da raccontare. È che… mi sono invischiato in una sorta di…dannato affare, molto tempo fa, che mi sta procurando non pochi problemi, come se non ne avessi già avuti abbastanza per conto mio…” spiegò, con voce molto roca.
“Stai bene?” Buffy si preoccupò, mettendogli istintivamente una mano sul freddo petto.
“Sì. Be’, suppongo di sì. Ho ancora la mia anima ed i miei rimpianti, se è quello che intendi chiedermi. Diciamo che per un non-non-morto, non posso lamentarmi, anche se l’essere tornato in vita da delle ceneri mi ha lasciato degli acuti reumatismi ed uno sgradevole senso di bruciore in certe aree.”
“Vedrai, si indeboliranno col tempo. Dopotutto, resuscitare può essere mortalmente stressante” scherzò Buffy, continuando a carezzargli il petto, per rompere il ghiaccio.
“Abbiamo già molta esperienza in quel campo, noi due” aggiunse Spike ironicamente, rilassato dal suo tocco delicato.
“Già! Io però direi che… basta, tu che dici? Voglio dire, so che tecnicamente siamo già pronti per una terza volta, ma… ahahah! Dateci il tempo di respirare! Ahahah!” Buffy replicò, scoppiando a ridere in un accesso d’isteria, dato dal nervosismo.
“Ahahah! Debbo assentire! Almeno il tempo di re-imparare a respirare! Ahahah! E la parte divertente è: io non respiro già più da cent’anni! Ahahah!” Spike esclamò, partecipando con entusiasmo all’esagerata risata.
“Oh cielo, è vero! Ahahahahahah!”
Erano totalmente fuori controllo. Buffy batteva i pugni sulla bara, mezza coricata per terra, mentre Spike si sganasciava così brutalmente da percepirne le pareti vibrare.
D’un tratto, Buffy fu sul punto di perdere l’equilibrio dall’agitazione; Spike allora tentò di allungarsi per tirarla a sé e risparmiarle le caduta, ma fallì e rimediò invece una formidabile zuccata.
“OOOH! PORCA P%$!&*”
L’ilarità sprigionata pareva non essere mai esistita. In un lampo, Buffy si riassestò in piedi, sobbalzando letteralmente per assisterlo. Si sentiva colpevole. Si era completamente dimenticata del fatto che fosse ancora incastrato lì dentro. Si consolò tuttavia col pensiero che probabilmente, in un momento del genere, quella era diventata anche per lui l’ultima delle preoccupazioni.
“Mi dispiace, mi dispiace! Ti tiro fuori di lì immediatamente! Un secondo solo…”
Seppure fosse annichilita e distratta dall’ansia, Buffy riuscì comunque a spezzare parte della robusta cassa e a far rotolare fuori uno Spike stordito e contuso, più nell’orgoglio che nel corpo.
La sua paura ebbe però una vertiginosa ascesa quando notò che graffiava il terreno con le unghie, faticando a reggersi.
“Oh, Spike! Sei ferito! Mi dispiace tanto, ma non mi ero neppure accorta che…”
“Sto benissimo amore, non ti dar pena per me! Lasciami  solo… un po’ di tempo, per… aggiustarmi… completamente… ecco” la rassicurò Spike, recuperando la posizione eretta con un indefinibile sforzo, tutto sfogato in struggenti ed innumerevoli espressioni facciali, rivolte al suolo così che lei non le notasse.
“Come nuovo!” esclamò infine, rialzatosi definitivamente, allargando le braccia e piegando leggermente le gambe.
“Sicuro? Voglio dire, se avessi bisogno di qualcosa…” Buffy si propose istintivamente, fortemente dubbiosa sull’affidabilità del suo stato di salute.
“Buffy, fidati, avrò più cura di me stesso di quanta abbia dimostrato d’averne finora. Nell’immediato futuro, perlomeno. Cercherò una bara più confortevole dove sistemarmi, mi nutrirò dei gatti randagi nei dintorni, applicherò acqua fredda dove la pelle scotta ogni tanto e poi, quando sarà ora di partire… chissà cosa mi accadrà…ma devo correre il rischio. Ho preso un impegno e devo mantenerlo, a prescindere da… tutto. È così che va. Non posso cambiare le regole” spiegò, imponendosi almeno un mesto sorriso.
Buffy non poté resistere.
L’aveva appena ritrovato e già doveva fare i conti col fatto che avrebbe dovuto perderlo di nuovo.
Dopo tutti i sacrifici che aveva compiuto, in nome di ideali che sapeva non potevano più appartenergli, la sofferenza era ancora la sua corona. Una corona di spine.
Sorda alle voci che le ricordavano di come questo potesse nuocere al suo attaccamento a Ryan e alla sua nuova, normale vita, si approssimò al viso di Spike e gli inumidì le labbra con un bacio.
“Sono ancora qui con te” gli ricordò, il naso adiacente al suo, qualche ciocca di capelli che raggiungeva il suo petto.
Lui sbatté gli occhi, incredulo.
Cercò il suo fianco col palmo, ma un crampo gli trafisse il braccio e fu costretto a fermarsi.
Non poteva mai toccarla. Mai raggiungerla.
Inibendo la rabbia e risoluto a lottare, raccolse le sue mani e le strinse, accarezzandole col pollice. Buffy ricambiò la stretta, imprimendovi la stessa forza. Era seria e, con la testa piegata da un lato, spiava il rapido comparire e scomparire delle sue rughe d’espressione mentre la guardava.
Il suo volto era da incorniciare. Così radioso, così felice di rivederla che una, due lacrime clandestine le attraversarono la guancia.
Anche lei era felice di rivederlo. Rivederlo vivo. No, vivo no perché non era vivo, ma presente e vicino a lei. Più di quanto lui o lei medesima potessero immaginare. Lo era davvero.
In un’oasi di tranquillità e ritrovata gioia, con molta emozione, Spike portò alla bocca una delle sue mani. Tuttavia, nell’istante in cui lo fece, il suo labbro si graffiò e iniziò a sanguinare.
Aveva baciato il metallo.
“Hai un anello al dito” affermò, mollando sbrigativamente la presa, a occhi chiusi, annegando in flutti di vergogna.
Tale verità sferzò Buffy come mai prima di quel momento.
Lo aveva. Eccome se lo aveva. Per moltissime buone ragioni, prima fra tutte perché il suo amore per Ryan era sincero. L’aveva rigenerata e aveva scacciato tutti i suoi demoni, permanentemente. Per questo non poteva ringraziare altri, se non lui.
Indietreggiò deglutendo, esitante ad abbassare lo sguardo su colui che dopotutto, perseguitato ancora da chissà quali fantasmi, era così devoto, così onesto, e l’aveva resa partecipe – no, protagonista, di una così grande emozione, un attimo prima.
Non c’era amore. Più lo scrutava, più se ne convinceva.
Cosa c’era allora, però?
Il suo cuore palpitava all’impazzata. Le lacrime di commozione si erano appena asciugate. Era sciolta dalla mortificazione; avrebbe voluto scaldarlo, abbracciarlo, tenerlo, ma al contempo era bloccata lì, del tutto impotente.
Tanto affetto e tanta fiducia.
Questi c’erano, sicuramente, e lui già lo sapeva.
Combinati, originavano in lei qualcosa di caldo e forte, che avrebbe potuto essere amore – e lo era stato? – ma che non lo era in quel momento.
Perché lo fosse, realizzò, mancava sicuramente qualcosa. Ignorava cosa, ma se lo sentiva.
Forte delle conclusioni raggiunte, si decise ad affrontarlo nuovamente e si risolse a parlargli, con chiarezza, di tutto :
“Spike… ho fatto una scelta, due anni fa. Ho discusso con i membri della Scooby Gang e ho deciso di destituirmi da cacciatrice. Definitivamente. È stata dura persuaderli ad accettare questa mia decisione, ma alla fine ce l’ho fatta e adesso sono normale, libera ed amata sinceramente come mai lo sono stata nella mia vita. È incredibile. Sono fidanzata con uomo chiamato Ryan, ho un posto di lavoro fisso con le vacanze pagate e vivo in una piccola città dove i demoni dimorano solo nei film e nei libri. Questo… questo è quello che ho sempre desiderato. Questa è la ricompensa per quello che ho dovuto tollerare per così tanti anni, per il bene che sono stata obbligata a fare a mio discapito. Adesso ci sono tante balde, fresche ragazze pronte a sostituirmi, che non dovranno sopportare quello che ho sopportato, anche per merito mio. Quindi… mi sono legata indissolubilmente a tutta questa immensa gioia, cosicché possa non finire mai. Ci sposeremo tra due settimane”
Spike aveva seguito ogni sua parola, ogni suo intervallo con la più lusingante attenzione, come ipnotizzato, le braccia parallele all’addome.
Quando si rese conto che era il suo turno per replicare, non si scompose affatto.
“Buon per te” si limitò a dire, anche se un guizzo sospetto albergava nei suoi occhi.
Buffy lo interpretò come delusione e aggiunse subito, anche se con più indecisione:
“Mi dispiace per… adesso, ma… sappi che… io tengo molto a te. Davvero tanto. Tantissimo, infatti. Per questo voglio… vorrei che lasciassi che io ti aiuti. Vorrei starti vicino, finché non parti”
Spike era impassibile e non dava alcun segno di reazione. Buffy tentò comunque di non farsi scoraggiare e proseguì:
“Conosco… un posto, vicino a casa mia, dove potresti sistemarti per un po’ di tempo. È comodo, riparato dal sole ed è prossimo a un parcheggio interamente popolato da gatti randagi. Posso procurarti lenzuola, coperte e cuscini e qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno… be’, a parte le sigarette”
“Davvero?” Spike parve piacevolmente sorpreso dalla sua proposta, e Buffy traboccava di soddisfazione. Forse era davvero riuscita ad evitare di rovinare tutto.
“Sì! La notte ti posso venire a fare visita, anche se non per molto, magari, e verso il tardi. Se poi eventualmente non potessi venire, ti lascerei un messaggio con su scritto qualche indicazione. Va bene?”
“Fantastico! Mostrami la strada, allora!” Spike aveva veramente ritrovato il buonumore. Buffy non poteva essere più fiera di sé.
“Certo!”
Così, i due iniziarono ad incamminarsi verso il luogo designato, approfondendo un po’ innaturalmente la conversazione.
“Sai, in verità avevo già in mente di sistemarmi in un posto alternativo al cimitero. Si tratta di un breve tratto delle fogne, un po’ in periferia. È poco umido e silenziosissimo. Tuttavia, penso che il tuo mi piacerà un po’ di più. Le fogne puzzano, sono piene di ratti e… be’, sono fogne, quindi…”
“Oh, questo posto non puzza! E… decisamente non è una fogna. Si tratta dell’appartamento dell’ex portinaio. Quando se n’è andato, ha serrato tutto e così nessuno ci è mai più entrato. Tuttavia, l'amministrazione continua a pagare le bollette, forse nella speranza che venda. Non so esattamente come sia o quante stanze ci siano, ma, dopo una bella ripulita, dovrebbe andar bene. Ah, non so se ci siano dei ratti, ma prometto che se ci sono provvederò personalmente alla derattizzazione. ”
“Grazie, è un pensiero gentile, ma so come occuparmi dei ratti. Giusto una settimana fa, nelle fogne, sono riuscito a sterminarli tutti in meno d’una notte!”
“Ah, davvero? E come hai fatto? Hai usato molti gatti?”
Spike la guardò, un attimo perplesso.
“No, non ho usato gatti”
“E come allora, scusa?”
Gli occhi di Spike s’ingrandirono ancor di più.
“Chiaramente li ho mangiati, Buffy”
“Oh…” Buffy si sentì improvvisamente molto stupida. “Certo! Aspetta… ma tutti?”
“Sì, tutti!” Spike urlò, spazientito “Avevo fame, va bene?! Sono un vampiro, ho un fabbisogno giornaliero di calorie molto elevato! E poi sai com’è, non puoi chiedere il menù quando ti trovi rintanato in uno schifoso buco!”
Buffy rimase senza parole. Un po’ impaurita, decise che sarebbe stato meglio interrompere quell’insulso discorso. Si sentiva già abbastanza in colpa di per sé.
“Non ci sono gatti, da quelle parti” Spike continuò, con tono molto sereno. Il modo in cui la guardava suggeriva che si fosse pentito d’avere alzato la voce, ma Buffy era troppo immersa nella sua autocommiserazione per accorgersene “Anche se, ripensandoci, se ci fossero stati avrebbero fatto scomparire i ratti. Dunque, meglio così. Non è che poi io li disdegni così tanto, i ratti. Sono un ottimo spuntino. È solo che, sai, sono particolarmente attento a lasciare la mia impronta nell’aspetto e nell’arredamento della zona in cui vado ad abitare ed un branco di luridi, malandati topi non è esattamente il massimo per ricreare un’atmosfera ordinata. Buffy, sei silenziosa. Qualcosa non va?”
Buffy alzò lo sguardo, spaesatissima. Non aveva più prestato la minima attenzione a quello che aveva detto e lo credeva furioso con lei.
“Mi dispiace” squittì, con voce un po’ roca.
“Per cosa?” Spike era confuso.
Buffy sottintese tutto in uno sguardo, le pupille dilatate.
Lui capì e decise di non risponderle. Dopotutto, aveva ogni ragione per essere risentito con lei. E lo sarebbe anche stato, se solo lei avesse smesso di penetrarlo con quegli occhi così dannatamente grandi e tristi.
Dimostratisi troppo sconvolti per intavolare una conversazione, si ammutolirono del tutto fino a quando non furono giunti a destinazione.
“Ci siamo, finalmente” Buffy annunciò, e con un poderoso calcio aprì la porta e svelò una grande stanza, ben decorata e che non sembrava necessitare di grandi ristrutturazioni. Era solo un po’ datata e impolverata.
“Le luci funzionano, non ci sono finestre, niente ratti, qualche bel tappeto… sì, direi che va benissimo. Grazie”
Sentirglielo dire fu per Buffy fu un grande sollievo. “Di niente! Ti porto cuscini, lenzuola e coperte, allora”
“Ok, ok, grazie ancora. Io… io ora vado a cacciare qualche gatto nel parcheggio, se non ti dispiace. Tu porta pure tutto e poi torna a casa, al resto penso io”
Spike aspettò soltanto un’occhiata d’assenso e poi volò fuori dalla stanza e giù per le scale.
Buffy sospirò. Evidentemente non era più in grado di tollerarla.
“Va bene! Ci vediamo domani sera, ok?” gridò, sperando che la sentisse. Ma non ricevette risposta: era già troppo lontano. Oppure l’aveva ignorata.
A passi pesanti prese a salire i gradini. Le sarebbe piaciuto rimanere ancora un po’ con lui, aspettare che si aprisse e le rivelasse quali problemi lo attanagliavano, ma l’aveva respinta. Lei e la sua scelta. Il nuovo lavoro, Mountyville, Ryan…
Ryan.
Buffy appoggiò una mano sulla fronte, come per sancire il suo definitivo rinsavimento.
Ma cosa aveva fatto?!
I pochi frammenti di quella notte che riuscì a far combaciare le puntarono tutti il dito, senza preavviso, tramortendola quasi.
Non riusciva a crederci. Si toccò di nuovo la fronte. Era rovente.
Avrebbe fatto meglio a tornare a letto, subito.



Nota:
Il modo in cui Spike è tornato in vita è di mia invenzione. Può essere quindi considerato AU rispetto al differente sviluppo dell'evento che si ha in "Angel".

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Capitolo 3
*** Primo giorno - Mattina ***


Normal again.



Era in stallo.
Sopravvissuta a una notte quasi del tutto insonne, si sentiva come in transizione.
Poteva pendere da una parte, o dall’altra. Stare in mezzo era eloquentemente sbagliato, ma era preferibile allo strappo netto che doveva apprestarsi a fare.
Il lato da tagliare era ovvio, ma in quella notte aveva dimostrato che non sarebbe stata disposta a sceglierlo con leggerezza. Eppure, eppure…
D’un tratto, si accorse che la luce dello schermo del computer si stava spegnendo.
Con un disperato scatto del polso diede uno scossone al mouse, evitando che partisse lo screensaver dei tubi che s’intrecciano giusto per un pelo.
Batté la schiena contro la sedia, sollevata.
Quel salvaschermo le faceva incrociare gli occhi. Non lo poteva soffrire.
“Ehi, Buffy”
Alzò lo sguardo.
La sua collega e amica Alice era appena sopraggiunta, il sorriso dolce spezzato da una leggera piega verso il basso.
“Ehi!” ricambiò esilmente il saluto, dandole un affrettato bacio sulla guancia “Scusa, ma sto portando a termine una cosa, piuttosto importante e che mi porto dietro da decisamente troppo tempo, quindi se vuoi che parliamo dovrai aspettare finché-“
“No, no! Volevo solo vedere come stai. Ho incontrato Ryan un secondo fa ed ha detto che non hai battuto ciglio stanotte, ma hai deciso di presentarti lo stesso, quindi io… sai, hai tutto il diritto a non stare bene e, sapendo come girano le cose qui e le conseguenze per chi osa prendersi un giorno di vacanza – avevi tutto il diritto di prendertelo, sai! – e dato che io non ho alcuna faccenda da sbrigare, pensavo che-“
“No! Non pensarci neppure!” Buffy si oppose, facendo oscillare a destra e a sinistra la mano aperta “Io… sto bene e non voglio assolutamente caricarti del lavoro che ho addosso! Stai scherzando?! Figuriamoci! Faccio io! Torna pure alla tua postazione e bighellona senza pensieri!”
Alice si rabbuiò moltissimo. Buffy cercò di dissuaderla con i gesti e le espressioni più accomodanti possibili, ma lei era irremovibile. Quasi rise, tanto era lusingata come al solito dal suo disinteressato altruismo. Nessuno era come lei: le voleva proprio tanto bene.
“Ascolta: Mr. Keaton è là, lo vedi, girato? Non resterà così ancora per molto ed io devo immediatamente tornare a posto prima che mi veda… dai, Buffy! Oggi non mi pesa, lo sai, te l’ho detto! L’unica cosa che devi fare è passarmi la-“
Buffy notò le punte delle scarpe di Keaton iniziare a volteggiare appena in tempo: un buffetto sul braccio di Alice e questa si scaraventò sulla sua sedia mentre raggiungevano i 110 gradi di rotazione. Ai 180, l’impiegata Alice Talley era regolarmente seduta, piedi sotto la scrivania e dorso aderente allo schienale, ligia a eseguire il suo operato senza ammissione d’interruzioni. E così, come sempre, il controllo di Keaton fluiva liscio come l’olio, senza che lui avesse la minima idea di quante increspature corressero sotto il tappeto.
Buffy ridacchiò. In verità, Mr. Keaton non era così terribile, neppure sul piano umano. Era uno dei bracci destri del boss, Mr. Reilly, uomo tutto d’un pezzo, non particolarmente rigido di per sé, ma abituato a vincere sempre e smodatamente.
Dopo la dipartita senza eredi del creatore della proficua Russell’s Home Designing, abbreviata RHD sui camion, furono in molti fra i suoi intimi dirigenti a concorrersi il suo posto: Mr. Reilly fu il più rapido. Non era mai stato fra tutti il più affiatato a Mr. Russell, né il più talentuoso e neppure il più scaltro o ambizioso: semplicemente, per un vario concatenarsi di avvicendamenti, gli era piombata la possibilità nelle mani e lui era stato intelligente abbastanza da coglierla. Da quel momento, la fortuna aveva preso a perseguitarlo: finanziamenti, raccomandazioni, richieste di lavoro, tanto che l’azienda non fallì, anzi, finì per ingrandirsi e godere del doppio dei guadagni.
Mr. Keaton, tuttavia, che non era mai stato baciato dalla dea bendata, diversamente da Reilly, provvedeva con costanza ad “aiutare” la sua fortuna facendo leva sul lavoro continuato di dipendenti qualificati – e sul proprio – nella speranza che il bene di cui stavano tutti fruendo non andasse mai a perire. Nonostante ciò, a tu per tu era un uomo decentemente affabile e comprensivo, quella persona che avrebbe facilmente provato empatia per una più problematica, piuttosto che disprezzo: anche se Buffy avesse messo Ryan nella condizione di riferirgli della sua assenza, non sarebbe stato poi così sconveniente come Alice, un po’ timidamente, credeva, ma sicuramente avrebbe preso a guardarla con occhio un po’ più critico e severo, il che, se si poteva evitare, era meglio. La sua opinione su di lui era generalmente variabile: a volte, quando si prolungava in esagerati e pomposi rimproveri a lei o a un collega, spargendo un po’ di fasullo terrore, non poteva sopportarlo, pur sapendo che le effettive ripercussioni lavorative sarebbero state minime; il più delle volte, invece, ne era divertita e lo considerava innocuo.
Dal canto suo, però, Alice ne era terrorizzata ed in sua presenza si obbligava sempre a un assurdo stakanovismo, che però finiva per urtarla. Più volte Buffy le aveva parlato, rassicurandola, ma lei non si smuoveva, e persisteva nel fomentare questa sua paura con leggende e macchinazioni che non avevano né capo né coda.
Improvvisamente, una nuova minaccia dello schermo le ricordò che aveva del lavoro da terminare. In qualità di segretaria, Buffy si occupava di semplici documenti dell’archivio, così come Alice e gli altri, una ventina di persone in tutto. I veri e propri designers alloggiavano nell’ufficio al piano di sopra, il quale, si narrava, fosse provvisto del tanto agognato distributore d’acqua. La prima cosa che saltava all’occhio ai segretari appena assunti nella RHD infatti non era tanto il cipiglio di Keaton, il grigiore un po’ malsano delle stanze o la ristrettezza dei servizi igienici, bensì la mancanza di quel bene primario, indispensabile a ogni ufficio americano che si rispettasse, in quanto parte integrante della pop culture riguardante gli addetti alla burocrazia. Tutti, immancabilmente, lamentavano la sua assenza e c’era persino chi desiderava una promozione unicamente – o quasi – per usufruirne ed entrare nella setta dei privilegiati.
Ryan era nell’ufficio designers e, in tutta confidenza, aveva svelato a Buffy che il distributore non c’era neppure lì. Ma non lo avrebbe mai rivelato a nessuno: sarebbe stato amorale e perlopiù un’inusitata cattiveria privare i colleghi di una cospicua fetta di motivazione ad andare avanti, ogni giorno, in quell’ufficio.
“Buffy…”  Un sussurro rilasciato da qualche scrivania indietro le scivolò nell’orecchio.
“Durante la pausa pranzo, Betty. Ora ho da fare” replicò Buffy, con un tono un po’ più duro di come l’avrebbe voluto rendere. Si trascinava quel lungo e laborioso lavoro da tempo e, anche se non aveva data di scadenza, toglierselo era divenuto per lei ogni giorno più urgente. “E poi c’è ancora Keaton…”
“Keaton è a telefono, e sai meglio di me che quella roba lì non la controlla mai nessuno, sanno a malapena che esiste! Io una cosa del genere l’ho iniziata tre mesi fa e l’ho finita ieri senza rimpianti! Comunque cinque minuti dalla macchinetta del caffè, te lo prometto, solo cinque minuti…”
Buffy sbuffò, inevitabilmente persuasa dalla testarda amica.
“Ok, arrivo”
Un minuto speso a salvare i progressi fatti e sgattaiolò via, per raggiungere l’angolino dove da sempre si consumavano breaks più o meno proibiti. Betty ne era la regina, talvolta in grado di redigere piani che coinvolgevano l’intero ufficio pur di dare un attimo di pace a un collega stremato o sconsolato o di discutere quelle che lei scherzosamente appellava ‘faccende vitali’ con le proprie amiche, sotto il naso di Keaton. Non erano tuttavia mancate delle maliziose soffiate ai suoi danni da parte di alcuni, che pensavano alla sua superficialità come a qualcosa di pestilenziale e brontolavano per le marachelle lavorative per cui era famigerata e in cui era frequentemente immischiata. Buffy non riusciva a capirli: le manovre di Betty non urtavano mai nessuno, anzi, e rimbrottarla in nome di una rigida etica del lavoro le pareva assurdo. Era una brava ragazza, con maniere sempre affabili e cordiali con tutti e che lavorava in quell’ufficio da quattro anni, da prima che Reilly fosse venuto a sostituire Russell: il suo era un modo di svagarsi, un’innocua evasione dalla quotidianità e dalla ripetitività della scrivania, che andava più a vantaggio degli altri che al suo.
Non si sorprese affatto quando vide che l’aveva ampiamente anticipata e l’attendeva, tirandosi pazientemente indietro i corti ricci neri.
“Ed eccoti qui! Innanzitutto ho visto Ryan con Alice prima e m’ha riferito che stanotte non stavi tanto bene…”
“Appunto, non stavo! Ora sto bene: mangio, cammino, respiro! È tutto a posto!”
“D’accordo, ma Ryan-“
“Ryan si preoccupa sempre troppo! Mi direbbe di rimanere a casa anche se mi fossi solo tagliata un dito con un foglio! Non statelo a sentire!”
“Volevo solo dirti, Buffy, se magari vuoi riposarti un po’ da qualche parte in attesa della fine del turno, io ti posso coprir-“
 “Betty, no! Smettila! Mannaggia, siete tutti pazzi qua dentro. Seriamente! Lasciatemi in pace, è tutto a posto! Voglio dire, chi non ha passato una notte in bianco nella propria vita?!”
“Buffy, dopo che ho partorito Grace ho passato molte notti in bianco e mi sarei uccisa se fossi dovuta andare al lavoro il giorno dopo! Su, ciccia, accetta che si faccia qualcosa per te! Già sei voluta venire, in più hai delle occhiaie lunghe sino al mento e parli biascicando! Pensi che non se accorga nessuno? Ryan era fuori di sé, stamattina! La verità è che Alice ti ha un po’ influenzato con le storie su Keaton e adesso anche tu ti sei messa a stralavorare per compiacerlo!”
“No!” Buffy esclamò, pentendosi del volume nello stesso istante in cui parlò “O… ok, potrebbe essere così, ma io non me ne vado. Non me ne voglio andare”
Era sincera. Uscire, anche solo per un quarto d’ora, le avrebbe riportato alla mente tutto quello su cui aveva rimuginato in una pietosa notte che, bene o male, il lavoro le stava facendo scordare.
Fortunatamente, Betty diede segno di rispettare la sua scelta.
“Va bene, va bene. Però mi lasci fare qualcos’altro per te? E qui non mi puoi assolutamente dire di no” ammiccò sorridendo, le ampie fossette in mostra.
Buffy non poté esimersi dal partecipare al sorriso. Quando Betty parlava così significava una sola cosa: stava per giungere uno dei migliori momenti della giornata.
“Dov’è?” chiese, le braccia conserte.
“Nel corridoio. Dimmi solo a che ora vuoi che vi vediate”
“All’una, cioè quando scatta la pausa, orientativamente. Digli che potrebbe dovermi aspettare per qualche minuto, anche se cercherò d’essere il più celere possibile”
“Benissimo! Vado e torno. Tu invece fammi il favore di dire ad Alice che il facchino biondo effettuerà la consegna della nuova fotocopiatrice all’una e mezza e quindi, se vuole vederlo, deve un po’ spicciarsi alla mensa”
“Capito! Consideralo fatto! Ciao!”
“Ciao, ciao! Riguardati! Ah, e se ci dovessi ripensare, l’offerta resta valida!”
Non aveva neppure finito di parlare che le sue gambe già si muovevano agilmente verso una porta sconosciuta.
Buffy si chiedeva sempre come riuscisse a districarsi così abilmente fra lavoro e frivolezze, senza mai perdere il filo dell’uno o delle altre. Era risaputo che avesse buona memoria e la sapesse impiegare nelle più diversificate circostanze, fosse per ricordare il contenuto di tutti i cassetti dell’archivio o il numero di telefono – appunto, del facchino avvenente dell’azienda, per il quale Alice aveva più volte espresso apprezzamento, dopo averlo sbirciato ‘per sbaglio’ nel cellulare del suddetto una volta sola. Fatto sta che conosceva ogni scorciatoia nell’edificio a menadito, ed era specializzata in particolare in quelle conducenti dall’ufficio segretari a quello designers: era in grado di spostarsi dall’uno all’altro nel tempo di uno starnuto. Molti si chiedevano come diamine facesse: i suoi trucchi non erano noti a nessuno, neppure a Buffy o ad Alice. Tuttavia, aveva soddisfatto così tanti loro desideri grazie alla misteriosa tecnica che non avrebbero mai osato lamentarsi della sua ermetica segretezza al riguardo.
Così Buffy, con sufficiente circospezione, l’occhiolino fisso su Keaton, tutto preso nella conversazione telefonica, ritrovò la via per la sua postazione, risoluta a terminare il lavoro arretrato una volta per tutte.

-

Generalmente, la naturale quiete che ristagnava nell’ufficio segretari della RHD era tale che il fruscio insolito di un foglio, la pressione secca di un tasto o la caduta di una matita erano sufficienti perché l’attenzione di tutti – e soprattutto di Keaton – si precipitasse sull’autore dell’estraneo rumore, il quale di solito rimediava restando perfettamente immobile, possibilmente col respiro trattenuto, per svariati minuti. D’altronde, pure questo succedeva assai di rado, dato che di solito chi aveva vissuto quest’esperienza per l’eternità a venire si ritirava nell’incredulità di come potesse essere stato capace di una così micidiale rottura di quel vergine silenzio. La stessa Betty, esclusi i momenti in cui comunicava brevemente con Buffy ed Alice o svolgeva le sue commissioni, il più delle volte pareva quasi non esserci.
C’erano però dei peculiari momenti, in cui l’estro di ribellione di tutti pareva risvegliarsi e si andava a generare una tensione che l’episodio prima descritto avrebbe solo provveduto ad aumentare.
Difatti, all’esatto scoccare delle dodici e cinquanta, ciascuno degli impiegati subiva un brivido, il cui rinculo attraversava ogni angolo remoto del corpo, lasciando terra bruciata al suo passaggio.
La fase subito seguente prevedeva un incrementare notevole della pressione, a cui poteva essere annesso un tamburellare insistente di dito sul tappetino del mouse, o, variante, della penna sul legno della scrivania.
Keaton medesimo, pur sforzandosi di aumentare il controllo allo scopo di prevenire sfoghi non necessari ed improduttivi d’ansia da parte dei dipendenti, non poteva resistere al mitico richiamo della pausa pranzo e su cinque minuti ne spendeva almeno due a camminare avanti e indietro guardando per terra, o a platealmente fissare l’orologio, in attesa dell’epico scoccare della lancetta piccola.
Dal canto suo, due giorni su sei, quando le pause pranzo coincidevano ed i designers non dovevano recarsi da nessuna parte, Buffy aveva un motivo in più per fremere d’impazienza e trovava enorme difficoltà a mantenere la calma. Di solito, si aiutava mormorando un motivetto o lasciando sadicamente che quell’orribile screensaver la rendesse strabica.
Due minuti. Molti prendevano a sospirare a intervalli, facendosi dei cenni perché non ci fosse troppa gente a farlo nello stesso momento. Alice faceva del suo meglio per non irretire Keaton, adottando metodi totalmente innocui per scacciare via la frenesia, come mettere l’indice sulle labbra o tenere la testa fra le mani malferme. Come Buffy, aveva delle preferenze per le pause pranzo, ed erano quelle che precedevano l’arrivo dei facchini, che di solito approfittavano dell’assenza dei dipendenti per concludere i loro traslochi. Fra loro infatti c’era sempre Jason, il bel biondo, che Alice seguiva con ogni pretesto ma con cui, sino a quella data, non era ancora riuscita a scambiare più di una parola di cortesia.
Un minuto, trenta secondi. Si ripristinava la calma, forse per senso di colpa, ma ognuno si metteva in posizione tale da garantirsi una partenza spedita, per avvantaggiarsi sugli altri. Betty si corrucciava, il capo chino, probabilmente riordinando mentalmente la tabella dei suoi innumerevoli impegni. Anche se per indole avrebbe dovuto essere quella più portata a emozionarsi per l’approssimazione della pausa, generalmente preferiva affrontarla in tranquillità, velocizzandosi poi in itinere.
L’una. Keaton, con proprio personale sollievo e soddisfazione, sollevava il campanellino e lo faceva trillare.
Si sprigionava così un ammontare di energia sufficiente a sollevare l’edificio e farlo librare in aria. I quadricipiti, finalmente riattivati dopo ore di intorpidimento, imploravano d’essere contratti. Si levava un vociare imponente che scuoteva le mura e faceva tremare i corrimani. Scatti improvvisi dei gruppetti riformati tagliavano facilmente la strada degli assunti da poco, spesso obbligandoli a sostare in un angolo in punta di piedi.
Ma in quel giorno, in quel particolare giorno, Buffy aveva troppa fretta per farsi intimidire.
In un lampo, sgusciò via dalla sedia, pattinò sino all’uscita, muovendosi costantemente di fianco, fece i gradini a cinque a cinque e volteggiò in mezzo al corridoio.
L’ufficio designers era considerevolmente più grande rispetto al loro e anche più fornito. Lì, gli ispettori erano ben quattro, molto più cagneschi e addestrati di quanto Keaton avrebbe mai potuto sognare d’essere. Ossessionavano Ryan: ogni giorno avevano da riprenderlo, per qualche motivo. Eppure era diligente e molto abile. Buffy l’aveva conosciuto due anni prima, quando aveva necessitato di un rinnovamento del mobilio nella sua nuova casa a Mountyville e si era rivolta alla RHD, la più affidabile e conveniente azienda del posto, che aveva inviato lui insieme a una collega, Giselle. Fra i due, lui si era dimostrato il più socievole, capace e convincente: con un colpo d’occhio aveva indovinato tutti i punti deboli della casa ed il giorno dopo la truppa era già arrivata per cominciare a lavorare. Sin da subito, Buffy sapeva che avrebbe spinto oltre la dimensione cliente-venditore e lo aveva accettato, entusiasta. Adorava come si prendeva gioco di lei, come la irretiva, come le parlava. Si fidanzarono una settimana dopo essersi conosciuti. Alla fine, successe che, conclusi i lavori di ristrutturazione generale e restyling della dimora, Ryan ne fu così soddisfatto che scherzosamente disse che gli sarebbe piaciuto trasferircisi. Buffy lo prese alla lettera e non era passato neppure un mese che vivevano insieme, neppure due che lui le aveva chiesto di sposarla.
Mancavano due settimane, ormai. Solo due settimane, e sarebbe stata sua moglie. Buffy Barnes. Non suonava male…
D’un tratto lo vide sbucare dalla porta, guardando nell’altra direzione, fingendo per gioco di non averla vista.
“No, qui non c’è traccia di Buffy. Dovrò 'aspettarla per qualche minuto'. Speriamo che sia un modo per abbreviare il ritardo al matrimonio!”
Gli saltò sulla schiena, trattenendo un risolino, le gambe attorcigliate alle sue.
“Rettifico: vuole spaccarmi la schiena cosicché sia solo lei a mantenere la famiglia”
“Ehi! Avresti preferito che stessi ancora male? Questo era un modo per dimostrarti che sono pimpante e pronta all’azione!” Buffy replicò, scendendo con un salto.
Ryan non rise, la bocca serrata, come faceva sempre quando lei non prendeva le cose seriamente.
“L’unica azione  per cui dovresti essere pronta è infilarti in un letto per recuperare le ore che non hai dormito” obiettò, un po’ amareggiato.
“Ancora con questa storia? No! Non mi faccio fare il lavoro, non vado a casa, non vado a letto! Dateci, un, taglio! Non funzionerà!” Buffy si indispettì, scrollando i capelli biondi nell’impeto di parlare.
“Va bene, ho capito. Non vuoi parlare con Keaton, ci andrò io!” e gonfiò il petto sul punto di partire, ma lei lo interruppe con la mano.
“No, no! Non è quello il motivo!”
“E allora, cos’è?” Ryan sbottò, schiaffeggiandosi i fianchi.
“Non voglio andare a casa” Buffy rispose, sinceramente.
Ryan la fissava, la bocca ancora serrata, le braccia conserte.
Poi riprese a parlare:
“Buffy… insonnia a parte, io avrei bisogno che tu restassi a casa, oggi. Ed il perché è che sto disegnando una cosa… una sorpresa per il nostro matrimonio e volevo l’opinione degli invitati, di Alice e di Betty specialmente, che è la tua damigella d’onore. Un piccolo dono architettonico, in stile RHD, a cui stiamo lavorando. Ero deciso a tacere su questo, ma, dato che-“
“Ryan” Buffy era totalmente senza parole “Ma è…magnifico! Io… sai… non potevo immaginare, tu…questo… tanto… chiederò a Keaton… oddio…” lui la baciò d’impeto, stringendole gentilmente i fianchi.
“Betty e Alice lo sapevano? Tu glielo hai detto! D’ah, avrei dovuto immaginare che gatta ci covava! Sposerò una volpe. Una volpe alta, bruna e bugiarda!” Buffy lo rimbrottò, dandogli dei buffetti su entrambe le guance.
“Ed io sposerò una ficcanaso. Pure a sua insaputa!” si abbracciarono. Assaporando il calore della stretta, Buffy si colmò di lui e non sarebbe riuscita pensare ad altro, neppure con uno sforzo. 

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Capitolo 4
*** Primo giorno - Sera ***


Normal again.



Si diceva che rompere uno specchio portasse ben sette anni di guai.
Spike ghignò.
Tale leggenda derivava dalla credenza che nel riflesso della persona fosse insita un’importante parte della persona stessa.
Sulla base di ciò, in teoria, per un vampiro privo di riflesso non sarebbe dovuto  sussistere alcun pericolo; di conseguenza, rotto o meno, lo specchio era del tutto innocuo.
Questo però generava in lui un dilemma. Se fosse stato umano, o comunque fosse riuscito a far apparire il proprio riflesso su quella superficie, nella medesima condizione, rompere lo specchio avrebbe davvero apportato una qualche materiale differenza alla sua vita?
Stavolta rise deliberatamente. Sette anni di guai costituivano una sciocchezza confrontati alla sua eternità di irreparabili, dannatissime disgrazie.
Soltanto il resoconto degli ultimi due giorni andava ben oltre le capacità di quella superstizione, vera o falsa che fosse.
Resuscitato dall’amuleto, si era ritrovato ad arrancare per un chilometro buono, nudo e mezzo orbo, nelle fogne più buie e squallide di quella maledettissima città. Poi, all’improvviso, manna del cielo, aveva scorto un tombino. Tuttavia, non c’era una scaletta, o comunque un mezzo, per raggiungerlo. Così, dopo numerosi balzi ed altrettante testate, era finalmente riuscito ad appendervisi, a sfondarlo con un pugno e a uscire di lì.
Avrebbe cantato vittoria, se solo non fosse stato ancora completamente svestito, lezzo, lurido e maleodorante e non avesse avuto una fame che gli divorava l’anima, letteralmente. Fortunatamente – il sarcasmo trapela dalla parola, poiché Spike conveniva che non c’era alcuna fortuna in ciò –era riuscito a ovviare a questi problemi con discreta velocità: approfittando della zona isolata, aveva usato una fontanella per pulirsi il meglio possibile, si era abbigliato scoperchiando un cassonetto contenente vestiti usati per la carità e si era saziato– come aveva riferito a Buffy – nutrendosi di tutti i ratti che era riuscito a scovare. Successivamente, stufatosi delle fogne, aveva atteso la notte successiva per cercare una sistemazione temporanea in una bara del cimitero locale, ed il resto era storia – che non voleva ricordare assolutamente.
E che nell’atto di respingere si era ora fissato in testa di nuovo, come un cretino.
Chiuse gli occhi e si morse il labbro, contraendo con stizza i muscoli della mascella.
Piegò un po’ la testa ed estrasse con cautela due pelucchi che gli erano scivolati nell’orecchio. Rimirandoli, decise che forse era opportuno distrarsi indignandosi per il resoconto di quella giornata, anche quello davvero notevole.
Dopo aver speso un’ora inutile del proprio tempo a cercare gatti che erano scappati chissà dove, era ritornato all’appartamento poco prima che albeggiasse. Non avendo Buffy portato la biancheria ed i cuscini puliti promessi, aveva optato per sfruttare come giaciglio uno dei tappeti polverosi del soggiorno, doveva aveva trascorso deprimenti ore insonni, sino a quando non vi aveva rinunciato per impiegare un tempo indefinito a rinfrescare le zone del corpo che gli bruciavano con abbondante acqua, cercare di riordinarsi i capelli con una forchetta in assenza d’un pettine, mordersi le nocche dall’impellente, devastante fame, guardare passivamente la TV – che non aveva manco il via cavo –,  inventare una volgarissima e vergognosa poesia a rima incatenata sulla sua inopportuna iella e, appunto, disinfestarsi dai pruriginosi pelucchi del tappeto, abbarbicatisi un po’ ovunque sul suo corpo.
Proprio mentre ripassava con astio le sue inconcludenti attività giornaliere, però, gli sovvenne un’illuminazione.
Ringalluzzitosi d’un tratto, marciò in cucina, tenendo inavvertitamente due dita incrociate: fu confermata.
Erano le sei di pomeriggio.
Il sole era calato e poteva evadere da quel bilocale infernale per andare a caccia.
Lì per lì si sentì così contento che volle baciare l’orologio, ma alla fine la brama per il cibo prevalse e sbatté furiosamente la porta dietro di sé, facendosi strada, un po’ zoppicante per i lividi del giorno prima, verso il parcheggio.
Era immacolato. Non c’era anima viva: gli unici rombi d’auto udibili erano in lontananza. Meglio: c’erano due gatti spelacchiati, appollaiati su dei cofani, ignari del loro misero destino.
Allora c’era anche per lui uno sprizzo di speranza, dopotutto.
Intraprese la strada lunga per stanarli, così che credessero che fosse completamente disinteressato a loro e fosse lì solo di passaggio.
“Mi spiace, piccole palle di pelo, ma stasera a cena per ospite c’è papà Spike!”
Funzionò. Nessuno dei due girò l’infingarda testolina.
L’unico vantaggio delle scarpe di tela: quello di garantire che ogni suo passo si mimetizzasse deliziosamente nel silenzio circostante.
Nell’incedere, si scoprì più furtivo, subdolo, incattivito di quanto si fosse aspettato: chiaramente la fame lo guidava con maggiore spietatezza del solito, ma non ne fece un gran dilemma. L’anima gli aveva restituito abbastanza controllo – e senno – da non pensare nemmeno al sangue umano.
Ecco, ne aveva uno davanti. Comodamente sdraiato, gli dava la schiena. La pelosa coda fluttuava nel freddo vento di quella sera, cingendogli a tratti l’addome.
Il metodo più conveniente di cattura comprendeva necessariamente il fattore sorpresa: così, caricata ogni fibra del suo corpo, mani in avanti, mutò faccia e si avventò in scivolata sullo sventurato micio, che disperato si dimenò inutilmente nella sua presa, più sfuggevole d’una dannata saponetta.
Ma Spike aveva già sfoderato i canini e si accingeva ad azzannarlo, quando intravide per caso i fari di un’auto sfiorarli.
Diamine. Il languore gli doveva aver tappato occhi e orecchie, perché normalmente se ne sarebbe accorto prima.
Rapidissimo, smise la faccia demoniaca e si alzò in piedi ma, un po’ per istinto e un po’ per presunta astuzia, non lasciò andare il gatto.
Ne scese un uomo di alta statura, che richiuse con un colpo secco la portiera e gli si piazzò davanti, un po’ sfrontatamente.
“Cristo! Ma lo vede che qui passano le macchine?! Se l’avessi stirata mi sarei ficcato in un mare di casini ed è l’ultima cosa che… aspetti, ma perché ha un gatto in mano?”
Spike era sbalordito. Farsi quasi investire da un pallone gonfiato con un gatto in mano non era la piega che si aspettava la sera avrebbe preso.
“P-perché…” balbettò, facendo passare al vaglio ogni possibile alibi alla ricerca del meno assurdo “Perché, chiaramente, io sono un gattaro”
Nello stesso momento in cui pronunciò quella frase, Spike sentì il suo amor proprio scemare, scemare, scemare, fino a diventare un inesistente puntino microscopico.
“Un che?!” esclamò il tizio, alterato, mettendo le mani sui fianchi.
“Gattaro. Parola che definisce una persona che dedica la propria vita alla cura dei gatti. Io… mi stavo giusto preoccupando di questo qui… siccome l’ho visto denutrito e…” Spike fu obbligato a fermarsi, interrotto da un feroce gorgoglio dello stomaco. Se lì c’era un povero diavolo denutrito, quello era lui.
“Un gattaro? Veramente?” l’uomo aveva messo su un sorriso di scherno, ma era ancora recuperabile. Sembrava sinceramente incuriosito.
“Sul serio! Probabilmente non ne ha mai sentito parlare, poiché respingiamo per principio ogni tipo di pubblicità o sponsorizzazione, ma siamo un gruppo affiatato di colleghi molto affezionati ai felini; infatti sono stati proprio loro ad assegnarmi questa zona – il parcheggio, per inteso. La nostra missione è far sì che tutti i gatti di Mountyville abbiano pari diritti, a prescindere che siano randagi o casalinghi, maschi o femmine, di razza o bastardini, giovani o… be’, vecchi, ed il nostro motto è: ‘Se un gatto ti ghermisce, tu porgi l’altra guancia… perché probabilmente te lo sei meritato’”
Concluso il discorso, Spike si rammentò che aveva ancora il collo del micio stretto in mano e così si affannò precipitosamente a simulare una goffa carezza.
“Be’… è interessante!”
Annuì con vigore, internamente sbalordito. Impossibile, se l’era bevuta sino in fondo! Anche la stronzata del motto! Che razza di dementi circolavano. Non che lui non fosse credibile, anzi, però…
“Ma… allora perché prima ci è saltato addosso?”
Ecco, appunto. Strano che fosse andata così bene. Avrebbe stonato col resto di quella giornata di m*&%!...
“È un allenamento. Il gatto ne ha bisogno, in quanto predatore. Noi gattari non trascuriamo nessuna loro necessità”
Lo sconosciuto spostò il labbro inferiore verso il naso a sovrastare l’altro, assentendo col capo.
Spike si era fossilizzato nella posizione in cui lo aveva trovato, con occhi supplichevoli, nella vana speranza che se ne andasse, lasciandolo finalmente banchettare in pace.
“Gattaro… questa non l’avevo mai sentita! I miei complimenti! Non si finisce proprio mai d’imparare” gli strinse la mano con forza, inebetendolo ulteriormente “Vorrà dire che la rivedrò qui in giro in questi giorni! Che ne direbbe se le facessi un pensierino, portandole due scatolette? Le dispiacerebbe?”
“No, no! Sarebbe molto gentile da parte sua!” Spike rispose frettolosamente, fingendo un gratissimo sorriso.
“Adesso scusi, ma devo andare a casa, altrimenti Buffy diventerà una piaga! Voglio dire, sa come sono le donne… non sono mai puntuali e si ostinano a pretendere sempre che lo siamo noi uomini!”
All’udire ‘Buffy’, gli occhi di Spike triplicarono tempestivamente il diametro. Eccolo dunque, il dannato Angel III… simpatico quanto lui, non c’era dubbio. Forse anche di più, il che non era mica un’impresa da tutti.
“Sì sì, certo, si figuri, non vorrà fare tardi! Parcheggi pure, mi levo di mezzo” alzò gli occhi, contemplando la triste ironia delle sue ultime parole.
“Buonasera!” lo salutò Ryan, rimettendosi al volante e sfrecciando via.
Spike alzò un braccio in aria con la mano semiaperta, per poi percuotersi il bacino con la stessa non appena fu fuori dal suo campo visivo.
Al diavolo! Proprio una buona sera, proprio. Ed il bello doveva ancora venire: la ‘piaga’ doveva ancora presentarsi!
Afferrando il gatto per la collottola, sfoggiò nuovamente i canini e voracemente lo addentò.



Nota:
Il modo in cui Spike è tornato in vita è di mia invenzione. Può essere quindi considerato AU rispetto al differente sviluppo dell'evento che si ha in "Angel".

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Capitolo 5
*** Primo giorno - Notte ***


Normal again.



“Come hai trascorso il pomeriggio, poi?” Ryan chiese a Buffy, mentre, ormai del tutto afflosciati, traevano sonnolenza dalla morbidezza del sofà e dalla monotonia di una squillante voce femminile proveniente dal televisore.
“Divinamente. Mi sono messa in pigiama e ho perso tempo seduta in cucina a mangiare biscotti al cioccolato. Sì, biscotti in pigiama. È tutto” rispose lei, vagamente divertita dalla banalità delle sue parole.
“Oh be’, vedi che ti ha giovato andare a casa, alla fine? ‘Biscotti in pigiama’ è la migliore prospettiva che si può avere per un pomeriggio. Ti sto sinceramente invidiando” Ryan borbottò, un attimo prima di sciogliere le catene ad un prepotente e profondo sbadiglio.
“Ti sei stancato parecchio oggi?” Buffy si informò impensierita, buttando la schiena all’indietro per schiacciarsi contro il cuscino.
“No no, non molto in verità. Cioè sì, ma ne è valsa la pena” Ryan rispose, sorridendo e occhieggiando la consorte, che lo stava denudando con uno sguardo indagatore “Ahah, finiscila! Non penserai mica che mi lascerò sfuggire qualcosa?! Non sono così inetto. Saprai tutto a tempo debito. Non possiamo continuare a parlare di biscotti?”
“Su, almeno dimmi se è stato apprezzato dalla gran giuria! Betty ed Alice che ne pensano?” Buffy insistette, artigliando la stoffa dall’eccitazione.
“È piaciuto, ed è tutto quello che ti basta sapere” tagliò corto Ryan, distogliendo lo sguardo, spazientito. Buffy tuttavia era talmente invaghita dall’idea della sorpresa che prese a scimmiottarlo, nella speranza di irretirlo abbastanza da strappargli un ulteriore dettaglio, ma fu inutile e dovette arrendersi. Si sentiva un po’ delusa, dopo quel pomeriggio consumato a fluttuare leggiadramente tra le sue fantasticherie per il matrimonio, che erano ovviamente ancora inconsistenti e quindi poteva rimodellare e rivivere quante volte le garbava. I biscotti ed il pigiama avevano solo contribuito a rendere l’atmosfera ancora più favolosa.
“Piuttosto... sai, prima, mi è successa una cosa strana nel parcheggio…” Ryan iniziò, con un tono volutamente intrigante per sviare definitivamente la sua attenzione.
“Ah, sì? Racconta, sono tutt’orecchi!” lo accontentò Buffy, spegnendo la TV e rinunciando definitivamente a portare avanti quel capriccio.
“Stavo guidando alla ricerca di un posto dove parcheggiare, quando per poco non ho fatto secco un tizio. Ho frenato e gli ho chiesto che diavolo stesse facendo, lì fermo in mezzo alla strada. Poi mi sono accorto che imbracciava un gatto randagio: gli ho domandato il perché e pensa, lui mi ha detto che di mestiere fa il gattaro! Ahahah! Sul serio! Il bello è che io in principio non gli ho creduto, ma lui mi ha fatto sorbire un tale panegirico sul suo lavoro che poi mi è venuto il dubbio che non lo fosse davvero! In fondo, chi è chi si inventerebbe qualcosa del genere?”
Ryan non se ne rese conto, ma non appena ebbe concluso di enunciare innocentemente l’interrogativo finale, il colore del viso di Buffy mutò radicalmente colore, le sue pupille si ingrandirono sino a oscurare quasi totalmente l’iride ed il rivestimento del divano a portata d’unghie si stropicciò e si spezzò, cucitura dopo cucitura.
“Che c’è? Hai idea di chi possa essere? È veramente un gattaro?” la interpellò con curiosità, stimolato dall’espressione sibillina che aveva assunto.
“No, no, non lo so! Voglio dire, sembra… strano! Un gattaro?! No, no, non credo proprio… cioè, teoricamente ci sono tanti gatti a Mountyville, quindi la richiesta ci sarebbe anche, ma non credo proprio sia questo il caso… ” Buffy replicò subito , evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo, investita da un terrificante senso di colpa nei suoi confronti.
Ryan prese a sganasciarsi dalle risate, una mano che gli tappava il viso, mentre Buffy si sporse in avanti, stringendo e comprimendo le arcate di denti l’una contro l’altra, le narici dilatate.
Che cosa aveva combinato? O meglio, che intenzioni aveva?
Quel…
Buffy chiuse gli occhi, travolta da un putiferio d’emozioni discordanti, che finirono per farla semplicemente sospirare.
“Va be’, io vado a letto, dai. Ho un sonno pazzesco! Poi mi raggiungi, ok?” Ryan annunciò, baciandola velocemente e rizzandosi in piedi, lo strascico del riso ancora sulla bocca.
“Sì…” Buffy annuì debolmente, troppo piano perché la potesse udire, toccandosi le guance scottate dall’ira con le dita.
Si pentì di non aver dormito, quel pomeriggio, poiché adesso era ben lungi da potersi concedere il lusso di farlo. Almeno avrebbe potuto approfittarne per effettuare qualche visita di precauzione, per ammonirlo allo scopo di prevenire questi spiacevoli eventi: ad un certo punto sicuramente aveva avuto quelle intenzioni. Tuttavia, aveva preferito accantonarle in favore di quel dolce far niente, costituito da sogni e biscotti. Aveva preferito percepirlo vincolato a una dimensione separata, che non la riguardava ed in cui si sarebbe eventualmente inoltrata solo quella notte, e per breve tempo. Le era piaciuto immaginare che questa dimensione fosse impenetrabile per lei e anche per lui, presumendo ottusamente che in quel misero stato, volente o nolente, non avrebbe potuto apportare alcun significativo danno alla sua rinnovata e appagante vita.
Si era sbagliata. Vi era penetrato e non avrebbe smesso, se lei non fosse intervenuta.
Alzò lo sguardo da terra, impuntando i piedi e chiudendo i pugni, risoluta a riparare a tutto non appena Ryan si fosse addormentato.

-

Con suo sollievo, non dovette aspettare molto.
Ryan pareva aver avuto una giornata particolarmente estenuante e si assopì neppure dieci minuti dopo essersi infilato sotto le coperte.
Buffy spiava palesemente il decorso del suo stato di veglia, ansiosa di porre fine alla tortura di rimanere sdraiata e comoda e nel contempo totalmente vigile.
Non appena il suo sonno si fu infittito abbastanza da poter sentirne il respiro, Buffy poggiò una gamba a terra e fece leva su di essa per scattare in piedi, con un’agilità e una determinazione che la sorpresero un po’. Più volte infatti la stanchezza l’aveva assalita, pure pesantemente: solo la motivazione a ricollocare il limite fra le due dimensioni era riuscita a persuaderla a non cedere.
Si cambiò rapidamente, senza prestare troppa attenzione agli abiti che si metteva o a come pettinava i capelli; poi agguantò le chiavi di casa e le infilò piano nella serratura, costringendosi a non emettere rumore nel girarle. Aprì la porta, evitando ogni tipo di cigolio; la richiuse con la stessa procedura e corse giù per le scale e in direzione del parcheggio, accumulando una velocità sufficiente da distrarla dal rimorso provato per quello che aveva fatto e si accingeva a fare, quando improvvisamente si imbatté in lui.
“Buonasera, ‘piaga’!” la salutò con evidente sarcasmo, reggendo le carcasse di un paio di gatti sulla spalla con una mano ed il mozzicone di una sigaretta accesa nell’altra.
“Come ti sei permesso?!” Buffy lo accusò saettandolo con gli occhi socchiusi, il labbro inferiore gonfio e tremante.
“Dillo a lui! È così che ti chiama, apparentemente. Oh cielo, non mi dire che è uno dei vostri nomignoli segreti… l’altro qual è, allora? ‘Malaria’?”
Buffy stese un braccio per smaltire la stizza che minacciava di farla impappinare e proseguì:
“Tu pensi di poter fare ciò che vuoi, vero? Vivere nell’appartamento, vederti con me la notte…è come un’autorizzazione! Tutto questo per te è una gigantesca fonte di intrattenimento e non vedi l’ora di sguazzarci dentro! Io… confidavo che ragionassi abbastanza da non venire a collidere col mio spazio e, specialmente, da non intrometterti nella mia relazione con Ryan, e invece a un giorno dal tuo arrivo vengo a sapere che avete fatto conversazione!”
Nell’ascoltarla, Spike aveva stirato orizzontalmente la bocca nel tentativo di preservare la serietà, ma quando aveva finito i suoi nervi ticchettavano e gli bastò ripetersi a mente due parole della sua ramanzina per spanciarsi letteralmente dalle risate.
Buffy abbassò il mento ed inforcò i fianchi con le mani tese, esterrefatta.
“Tu credi… che io sia andato nel parcheggio… in concomitanza col suo arrivo… per incontrarlo! Ahahah! Se qui c’è qualcuno che sragiona, certamente non sono io! È stata soltanto una dannatissima coincidenza! Se davvero avessi voluto manipolarlo, sicuramente non mi sarei ridotto a raccontargli una balla così penosa! A proposito, ci ha creduto?”
“Smettila!” Buffy esplose, sentendosi improvvisamente indifesa.
“Di fare che?” Spike non aveva capito. Fece un ultimo tiro e fu istintivamente sul punto di calpestare la cicca, ma poi si rammentò d’avere le scarpe di tela e la spense col dito.
“Non c’è da scherzarci allegramente su! Non avresti dovuto essere in giro a quell’ora, non capisci? Non avresti dovuto incontrarlo. Era l’ultima cosa che volevo…”
“Ma era anche l’ultima cosa che volevo io! Vedi? Che senso ha discutere quando potremmo sfogarci piangendo uno sulla spalla dell’altra? Accidenti, le ho finite” Spike brontolò, frugando a vuoto nel pacchetto “Piuttosto, non mi hai ancora detto se c’è cascato! Sono davvero curioso!”
Buffy alzò gli occhi al cielo e si morse il labbro, indecisa su come articolare la domanda. Poi disse:
“Ieri, quando ti ho fatto quel lungo discorso sui cambiamenti di questi ultimi due anni, mi sei stato a sentire?”
“Certo che ti son stato a sentire!” Spike ribadì, offeso, facendo oscillare pericolosamente i cadaveri sul petto nell’impeto della risposta.
“Bene. Allora, te ne prego, comportati di conseguenza e fai sì che non capiti più una cosa del genere, neppure per sbaglio. So che non è dipeso da te, ma te lo domando per favore. È meglio per tutti e due”
Ciò detto, Buffy girò i tacchi e si ridiresse rapidamente verso il proprio appartamento.
“Oh, no! Non penserai di andartene così, tesoro!” Spike tuonò, venendole dietro per un breve tratto.
“È quello che intendo fare, invece; e non chiamarmi ‘tesoro’” Buffy replicò , fredda e rigida, senza voltarsi, senza arrestarsi.
“D’accordo, allora. Ti parlerò da qui. È preferibile che tu stia a sentire, ma anche questo, come d’altronde tutto il resto, è a tua personale discrezione” Spike insistette, posizionandosi di fronte agli ultimi gradini, gli occhi che cercavano la chioma bionda , ormai scolorita e distante nel buio “Ho ascoltato molto attentamente il tuo discorso ieri, e lo capisco e lo rispetto. Sappi che io ti supporterò sempre, qualsiasi decisione tu prenda , perché conoscendoti so che sarà sempre riflettuta e ponderata. In cambio, però, ti chiedo per favore di ascoltare il mio discorso. Un po’ meno di cinquant’anni fa, il 4 febbraio 1955, ho espresso un desiderio in presenza di un demone della vendetta. Non era un periodo molto brillante per me: un nugolo di streghe mi aveva reso del tutto impotente come vampiro e questo fatto aveva allontanato da me Drusilla, Angelus e Darla. Di punto in bianco, parvero non avere più alcuna considerazione per me: ero diventato debole, per loro, in tutti i sensi. In preda all’agonia e alla disperazione, vagai inutilmente per un anno intero alla ricerca della mia forza perduta, quando improvvisamente mi imbattei in questo demone, nel territorio che oggi corrisponde appunto a Mountyville. In lui trovai la migliore occasione che avessi mai avuto per riscattarmi contro i miei sire: col giusto desiderio, avrei potuto dar prova d’essere un vero campione. Così mi ritrovai a comunicare il dannato desiderio: in cinquant’anni avrei affrontato la più grande minaccia alla quale chiunque, uomo o demone, si fosse mai esposto, nello stesso posto in cui lo avevo espresso. Il demone lo esaudì e presto la notizia si sparse capillarmente ovunque, impressionando moltissimo tutti, quei tre compresi: tanto è vero che mi riaccolsero e lavorammo insieme per ripristinare la mia forza vampirica. Tornando al presente: come sai, i demoni della vendetta, dopo che hanno acconsentito ad esaudire un desiderio, non possono assolutamente permettersi di lasciarlo incompiuto o verrebbero meno alle proprie maledette regole. Così suppongo d’esser stato resuscitato da lui tramite l’amuleto, in un modo che mi è sconosciuto, cosicché possa vedere realizzato il mio disgraziato desiderio fra, esattamente, tredici giorni. ”
Buffy scese nuovamente gli scalini, con passo lento e cadenzato, seguendo con zelo i suoi movimenti.
Si era interrotto e aspettò con pazienza che lei si riavvicinasse abbastanza da distinguerne i lineamenti per continuare:
“Quando dici che questo è tutto ciò che hai sempre desiderato e che ti sei stancata di combattere… io non ho scelta. Non ho una vita normale e gioiosa in cui rifugiarmi. Non ho neppure una vera vita. Fra tredici giorni dovrò presentarmi là, pesto, dolorante e con l’anima a complicare le cose, per fronteggiare l’ignoto. Non ho idea di cosa mi aspetta, non un indizio, non un aiuto da parte di nessuno. Ahah, chi vorrebbe aiutare me? Non piaccio a nessuno quando non sono un mucchietto di polvere. Dunque, Buffy, mi spieghi che interesse potrei avere nel metterti i bastoni fra le ruote quando l’unica cosa a cui ambisco al momento è un paletto di legno per accelerare quest’inutile, dannato processo?!”
Buffy si ritirò nuovamente nella penombra, intimidita e colpita dal freddo proveniente da fuori. Era piazzato lì, gli occhi luccicanti, la mascella contratta, le labbra sporgenti, a rinfacciarle quanto era stata ingiusta. Aveva promesso di stargli vicino, eppure lo stava allontanando, usando ogni possibile pretesto. Era ben cosciente del perché lo stesse facendo, ma era corretto, considerando che sarebbe sopravvissuto solo sino al giorno del suo matrimonio? E se invece avesse vinto? Gli avrebbe ugualmente concesso di abitare in quell’appartamento in pianta stabile? Lo avrebbe scacciato? Espulso dalla città? Lui avrebbe accettato di andare? Dove? E se fosse uscito malconcio dalla battaglia, se fosse stato privato di qualche potere? Come avrebbe contrattato con lui? Avrebbe lasciato che si isolasse da qualche parte, a vivere in condizioni meschine? In una fogna a nutrirsi di ratti, magari? O che si disperdesse da qualche parte del globo, senza nessuno, con il peso della sua reputazione da William il Sanguinario  a tormentarlo ogni volta che si fosse imbattuto in una vecchia conoscenza? Drusilla, per esempio? Cosa sarebbe successo se l’avesse visto con un’anima?
“Buffy…” l’apparizione di Spike vicino al suo viso troncò bruscamente il flusso delle angosciose domande “Buffy, io dovrei davvero andare a disfarmi di questi gatti… stanno iniziando a decomporsi”
“Sì… certo… vai! Io invece faccio un salto a casa mia a prenderti cuscini, lenzuola e coperte… prometto che questa volta li porto sul serio” scherzò fiaccamente Buffy, che in realtà stava incontrando qualche serio ostacolo a staccarsi da quella posizione.
“Uhm, ok. Ci vediamo domani…”
Un po’ riluttante, Spike indietreggiò di qualche passo, per poi voltarsi senza ripensamenti e procedere a passo spedito verso l’uscita dell’edificio.
“Spike!” Buffy esclamò, allungandosi sulla ringhiera nella sua direzione.
Al suono della sua voce s’irrigidì, come spaventato. Poi si girò, un’espressione scocciata e polemica dipinta sullo smagrito viso.
“Cosa? Che c’è?”
“Domani potrei comprare delle braciole e prepararti un misurino di sangue di maiale” propose Buffy, con un mezzo sorriso d’incoraggiamento.
“Sì… niente male, come idea. Ricorda i vecchi tempi” commentò Spike, col tono più neutrale che era in grado di produrre.
“Già! E poi ti leverà dall’impiccio di uccidere i gatti… sai, sarà un po’ difficile che tu riesca a portare avanti la bugia del gattaro se persisti nel nutrirtene” Buffy notò, facendo trapelare disgusto e ironia dalla voce.
“Ahahah! Ci ha creduto, lo sapevo! Ti consiglierei, mentre cucini le braciole, di infilargli un po’ di sale in zucca: chissà, potrebbe fargli bene!”
Buffy scosse la testa e roteò gli occhi. “Buonanotte, Spike”
“’Notte, Buffy”
Aprì la porta del palazzo e la richiuse con un colpo secco, che rimbombò per le scale e sancì un’altra fine.
Buffy stette immobile per un po’, quasi in imbarazzo, a guardarsi le mani. L’incontro non aveva decisamente avuto l’esito previsto. Ne contemplò lo scorrimento nella sua memoria da spettatrice, inizialmente con una sorta di piacere, finché la storia di Spike non si espanse, sino a prevalere su tutto il resto. Fortemente decisa a schivare tutte le sensazioni che vi erano connesse, ripercorse celermente la scala, fissando come unico impegno mentale il recupero di coperte e cuscini.


ATTENZIONE: per via di una numerazione errata da parte di EFP, il capitolo 6 NON È REGISTRATO e, per avanzare nella lettura della storia, è necessario PASSARE MANUALMENTE AL CAPITOLO 7. I capitoli sono consecutivi, non c'è alcun capitolo mancante: è solo un bug di EFP.


Nota:
Il modo in cui Spike è tornato in vita è di mia invenzione. Può essere quindi considerato AU rispetto al differente sviluppo dell'evento che si ha in "Angel".

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Capitolo 7
*** Secondo giorno - Mattina ***


Normal again.



Lo stordimento giunse con rapidità, abituandolo presto all’alterazione dei sensi.
Una brezza ambivalente lo accarezzò e lo percosse allo stesso tempo, mentre, lentamente ma inesorabilmente, cominciò a perdere diottrie, fino a non riuscire più a distinguere le forme a un palmo dal suo naso.
Colto da un confortante e familiare istinto, frugò nelle tasche dei pantaloni e ne estrasse un paio di occhiali ormai datati, la cui montatura però non sembrava essere stata mai scalfita e le cui lenti erano ben chiare e trasparenti.
Solo dopo averli indossati, capì di trovarsi di fronte ad un alto e ampio specchio, che gli mostrava il luminoso riflesso di William.
Quello vivo e vegeto.
Spalancò la bocca dallo stupore, e la sua controparte fece lo stesso.
Allora si tastò ovunque con circospezione e sospetto, facendo urlare ogni nervo, finché non s’imbatté nei battiti del suo stesso cuore alla sinistra del petto.
Vivo.
“Sono vivo” sussurrò basito, quasi impercettibilmente per le sue stesse orecchie per istinto di protezione nei confronti di quella fragile e meravigliosa scoperta: aveva infatti la forte impressione che dicendo anche una sola parola sbagliata avrebbe potuto cancellarla.
Il suo entusiasmo fu ancor più accresciuto quando vide comparire, come uno spirito, sua madre Anne. Tuttavia non appariva altrettanto radiosa: anzi, nella sua espressione sorniona si poteva scorgere un velo di preoccupazione, un cupo presagio che William non volle assecondare. Al contrario, le si accostò, desideroso più che mai di condividere con lei la sua gioia.
“Madre! È un miracolo, madre! Respiro! Sto respirando!”
Si batté il petto col pugno e poi soffiò, a mo’ di dimostrazione.
“Sento il sangue pulsare nelle vene e sono pervaso di vitalità e voglia di ricominciare! Perché adesso posso ricominciare! Sono ancora giovane e prestante, pronto ad imparare e a lavorare di nuovo! Madre, madre, perché non esulti anche tu?”
Lei gli diede cinicamente la schiena, senza emettere un suono, senza esalare respiro. Pareva come giacere in piedi, rigida e impassibile a ogni cosa: eppure William le era vicino come non le era stato da tanto tempo.
Ben lungi dall’arrendersi, le afferrò delicatamente le spalle e le diede un lieve scossone.
“Madre? C’è forse qualcosa che ti turba? Non ti senti molto bene? O forse è il mio blaterare che ti infastidisce? Devi perdonarmi, ma sono a dir poco estatico e… be’, fuori controllo”
Le spalle dell’anziana erano sottili e frangibili quanto un capello, così decise di ritrarre le mani per evitare di ferirla e, nel farlo, ebbe occasione di osservarla meglio tramite il riflesso dello specchio.
Aveva la pelle diafana e grinzosa, le labbra secche e tirate, lo sguardo vacuo e languido, ogni suo osso era concavo e incavato ed indossava una larga vestaglia di lino, che ne accentuava la malsana magrezza.
La sua scontrosità e apparente mancanza di loquacità impensierirono William, che inizialmente, accecato dal giubilo per aver ritrovato il proprio calore corporeo, non aveva compreso appieno quanto fosse avvizzita e malata. Era una sua responsabilità.
Così si risolse a parlarle dei propositi che aveva appena formulato sul suo futuro:
“Mi impiegherò nel settore economico come mio padre e ti renderò orgogliosa, madre, te lo prometto. Faticherò tutti i giorni: mi recherò in banca la mattina nelle ore più propizie, farò affari con gli azionisti, mi butterò nei settori più trascurati per farli rinascere e farò onore alla fortuna che la nostra famiglia ha accumulato nei tempi d’oro. Mi prenderò cura di te tutti i giorni e potrai sempre contare sul mio aiuto, tutte le volte che ne avrai bisogno. Questa è una promessa! Madre? Madre? Ti prego ascoltami, rispondi!”
Non ricevette alcuna reazione.
William quasi singhiozzava mentre abbracciava la donna, totalmente apatica e inerte.
Perché si comportava così? Eppure aveva giurato di migliorare non solo per lei, ma anche per sé stesso. In questa vita nuova, avrebbe reso fieri entrambi, avrebbe…
D’un tratto, si liberò con violenza dalla sua amorosa stretta e lo colpì in pieno viso.
Sbigottito, William abbassò la nuca dall’umiliazione e dal dolore, mille inadeguate scuse soffocate tra i denti, quando udì la sua voce carica d’agonia:
“Tu sei morto, William. Non ricordi perché?”
Gemette, basito da quel gesto e da quelle dure parole, pronunciate con un timbro ed un vigore inimmaginabile per lo stato in cui lei aveva mostrato di trovarsi prima.
“È vero, madre, ma adesso-“
Fu interrotto da un inaspettato levarsi di fiamme, che in brevissimo tempo la arsero viva davanti ai suoi occhi, lasciando come traccia una scia di polvere fumante.
William si coprì la bocca con la mano, in preda al terrore, e inciampando capitombolò all’indietro.
Nel rialzarsi, penetrò con la testa in una densa e opprimente coltre di fumo, prodotto dell’orrenda combustione. Iniziò a tossire convulsamente, inframmezzando l’accesso con pietosi singulti, letteralmente asfissiato dalla nuova devastante perdita di lei.
Dopo che la nebbia si fu diradata, si accorse d’essere in un immenso spazio, gremito di gente che conosceva e non conosceva. In realtà, i volti erano troppo fitti perché li potesse discernere bene, ma un sesto senso gli suggeriva con certezza ogni loro identità.
Tutti lo guardavano e tutti ridevano di lui.
Deliberatamente e senza freni, colmi di malizia e crudeltà.
Si accanivano, lo indicavano e, accorati, lo insultavano, lo assillavano con interminabili e giuste accuse.
Per un attimo William indagò, il cuore in gola, alla ricerca d’uno spiraglio sufficiente a costituire una via di fuga, ma fallì. Era distratto dal clamore e da un fulminante, atroce malessere.
Strozzato dalla vergogna, camminava a stento, in una sorta di solitaria processione, mentre un’indeterminata folla divisa in due blocchi lo scherniva, esprimendo disprezzo, disgusto, odio.
La tortura non finiva mai.
Mai.
Le voci, gli echi delle risate, delle battute e degli improperi al contrario si approssimavano sempre di più, tanto che riusciva quasi a capire chi li producesse ed il loro senso.
Riuscì a stento a chiudere i timpani e bloccarli, ma una domanda trapassò ineluttabilmente tutte le sue difese e William non avrebbe saputo dire se provenisse da dentro o da fuori di lui:
“Chi sei tu?”
Non poteva ignorarla, ma neppure considerarla.
Prese a correre, goffamente e disperatamente, ma a ogni falcata le sue gambe erano più deboli, più dure da smuovere.
Così, nella foga, gli occhiali caddero a terra e si ruppero.
Il sentiero davanti a lui perse definizione e lui non seppe più dove andare.
Si chinò con terrore a raccogliere il vetro spezzato, consapevole di ciò che quella sbadataggine avrebbe potuto suscitare.
Raggomitolato a terra, schiacciò le palpebre e corrugò la fronte, ormai troppo stremato per opporsi e pronto a cedere.
Proprio in quell’istante, mentre era dilaniato dal chiasso, squartato delle risate sempre più forti, la domanda si ripropose, molto più tonante e prepotente:
“CHI SEI TU?!”
“Nessuno! Non sono nessuno! Per favore…” accettò, in ginocchio, la testa conficcata tra le gambe.
Improvvisamente, il mondo attorno s’acquietò e il silenzio spaccò l’aria.
William riaprì gli occhi con curiosità, il peso dell’amarezza ancora gravoso sulle spalle, per scoprire lo stesso spazio, deserto, e che aveva recuperato un’ottima vista.
Superato l’iniziale smarrimento, si fece cullare in un delizioso sentimento di sollievo, che lo fece rialzare con leggerezza e sorridere.
Non aveva motivo di sorridere, pensò, ma gli era impossibile trattenersi.
Avanzò tranquillo, addirittura spensierato, per diverso tempo, quando casualmente s’imbatté nello stesso specchio di prima.
Vi si piazzò davanti senza ambizione, senza speranza, senza mai separarsi dal sorriso ottenuto: il suo riflesso era scomparso.
Non se ne rammaricò affatto, anzi, ciò generò in lui smisurata gratitudine, al punto che sferrò un colpo tale da frantumarlo in mille pezzi.
Non si spaventò quando vide Drusilla, coperta da una candida veste che le arrivava sino ai piedi, avvicinarsi a lui col suo passo trasognato.
William rabbrividì di piacere al contatto del suo collo con quelle dita sottili e attese, quasi con impazienza, che gli parlasse, che lo ammaliasse, finché:
“Per cosa vivi, William? Non vedi che adesso puoi riposare in pace?”
Si guardò attorno e vide le stesse persone di prima. I loro corpi erano stati sgozzati, smembrati e disseminati ovunque e l’odore del sangue sparso gli pungeva dolcemente le narici.
Nessuno lo additava o lo insultava più.
William sorrise, ed il sorriso mutò in un ghigno, e il ghigno mutò in una faccia demoniaca, che ruggì di piacere.
“Pace…” ripeté esultante e l’affondò eccitato sul collo del cadavere più vicino, mentre si levava un divertito battito di mani…

Spike si svegliò di soprassalto.
Scandalizzato dall’affluire dei dettagli del sogno, si premette i canini.
Erano sguainati e al tocco facevano male.

-

Buffy si schiacciò le palpebre con l'indice e il pollice d'una mano, lasciando che l’altra slittasse col mouse sino allo spigolo della scrivania.
Non poteva più soffrire quei documenti. Fortuitamente, il giorno prima aveva portato a termine quell’odioso lavoro arretrato, altrimenti la mole di scartoffie che aveva per le mani avrebbe raggiunto proporzioni macroscopiche.
Era da aggiungere che quel giorno, essendo Ryan fuori dall’ufficio, mancava di quel momento di stacco e rigenerazione che sempre aveva il potere di rovesciare il suo umore. Non aiutava il fatto che si fosse solennemente ripromessa di non ritornare più sulle sue fiabesche ipotesi per la sorpresa, quasi per superstizione.
Sbuffò impotente sullo schermo. In verità il suo lavoro, anche svincolato dall’affetto che provava per i colleghi, dall’ambiente e dal salario più che soddisfacente, non le dispiaceva affatto, anzi: lo trovava piuttosto gratificante. Si trattava principalmente di semplici mansioni di segretaria e archivista, ma alle volte si trovava coinvolta in piccole sfide ed enigmi che si divertiva un mondo a districare. Per esempio, una volta ad Alice era stato assegnato un compito che si sarebbe addetto di più a un correttore di bozze: richiedeva infatti che cambiasse il nome di un cliente in alcune ricevute salvate, essendovi un caso di omonimia con un truffatore seriale attualmente ricercato a Mountyville. Keaton l’aveva spronata a farlo con massima fretta, affermando che l’avventore si era già dichiarato consenziente e che, seppure anche delle eventuali indagini erroneamente basate su questo dato si sarebbero concluse con un buco nell’acqua, fosse terribilmente sconveniente che la polizia gettasse un occhio sospettoso sulla RHD, anche solo per tempo limitato.
Alice, tremendamente intimorita dalla pressione di Keaton, aveva chiesto aiuto a Buffy, che si era così prodigata insieme a lei nella scelta di un nome convincente. Facendo uso della sua migliore creatività, se ne era inventato davvero esilarante e perlopiù anche credibile. Così si erano messe al lavoro, interrompendosi di tanto in tanto per ammirare la figura che faceva in mezzo a tutte quelle formule seriose e tentando invano di calmare una Betty totalmente fuori controllo. A lavoro terminato, Keaton aveva effettuato personalmente la revisione e, anche se tra una rotazione d’occhi e un tic nervoso, si era persino complimentato con loro per lo zelo dimostrato. Buffy ne era stata molto orgogliosa e aveva sperato che questi rinforzi aiutassero Alice a sconfiggere la paura che serbava per Keaton: tuttavia, questa li attribuì esclusivamente al suo impegno, persuadendosi che avesse parlato al plurale solo per pigrizia.
Scosse la testa al ricordo, mentre la sua mano giaceva mollemente sul mouse, le unghie che ne grattavano irrefrenabilmente la superficie plastica.
Doveva compilare ancora quindici pratiche e, anche se tanti dati erano già stati inseriti, erano pur sempre quindici pratiche.
Mosse la rotellina del mouse verso di lei e le fece scorrere, in una seccata e contenziosa contemplazione.
Quel giorno, il fatto che la sua noia fosse così esasperata e ben radicata non era per niente accidentale. Avrebbe dovuto costituire una specie di distrazione, ma, realizzò presto, finiva soltanto per accentuare il problema.
Doveva ammettere quel sentimento. Lo aveva riposto in fondo alla gola sin dall’inizio del turno e si rifiutava ancora di riesumarlo, futilmente: prima o poi sarebbe emerso.
Così, con tetra solennità, lo ammise.
Quella mattina Ryan era stato accoppiato con Giselle Lefevbre e lei era gelosa. O meglio, in un certo senso preoccupata.
Giselle era la collega che lo aveva accompagnato quando si erano incontrati la prima volta per l’ispezione della sua casa. Era una ragazza francese, alta e taciturna, con labbra rosse molto piene ed uno sguardo malinconico. Per l’intera durata della visita le aveva a malapena rivolto la parola, ostentando un cipiglio quasi risentito. Non era mai stata apertamente maleducata con lei, ma da quel momento in poi aveva sempre avuto la sensazione che la scrutasse di sottecchi con una sorta d’alterigia.
Ma non era Giselle in sé il punto focale della questione, quanto il suo rapporto con Ryan: infatti, apparentemente lui era l'unico in grado di spezzare la corazza della sua chiaccherata scontrosità. Dal canto suo, Ryan era molto intimo e affettuoso con lei e, per sua stessa definizione, fra loro vi era una buona amicizia. Sebbene nessuno le avesse mai riferito riguardo anche a solo un accennato flirt tra i due, quando li sapeva insieme Buffy rizzava sempre le antenne e faticava a mantenere il controllo.
Inutile a dirsi, Alice e Betty nutrivano una profonda antipatia per Giselle e, pur non avendoci mai conversato, quest’ultima affermava sempre con sicurezza che era la spocchia fatta a persona e si prestava a spiarla ogniqualvolta ne avesse la possibilità. Buffy in cuor suo sapeva che si trattava solo di una sua immatura esagerazione, dato che non conosceva neppure Giselle ed i due non si frequentavano nemmeno così assiduamente, ma non poteva fare a meno di sussultare non appena veniva a conoscenza di una loro affiliazione.
“Li ho visti sbucare dall’uscita ed erano sufficientemente distaccati. Lei però mi è sembrata più agghindata del solito: una combinazione, chiaramente” aveva brontolato Betty qualche ora prima.
“Non importa se si gonfia quei labbroni con la pompetta della bici pur di impressionarlo: lui non la avvicinerebbe comunque per paura di sgonfiarli!” aveva replicato Buffy, ridendo.
Adesso però, stupidamente, non rideva.
Conficcò le mani nelle tempie, stizzita, ignorando i conseguenti e pruriginosi spostamenti dei suoi capelli.
Aveva fiducia in Ryan, ovviamente, e tutte queste insensate riflessioni erano frutto della scottatura avuta da Riley ed Angel. Ne era più che sicura e difatti riconosceva con chiarezza la minaccia.
Era una spina, una maliziosa piccola spina priva di fondamento che, alle volte, amava punzecchiarla e infastidirla, intessendosi non richiesta ed invisibile nella sua felicità. Accadeva di rado, ma poi subito si ricordava che per estrometterla bastava un semplice bicchier d’acqua.
Come un vestito bianco.
Buffy sistemò il busto in modo da renderlo aderente allo schienale e con opportune ditate sciolse buona parte dei nodi nelle ciocche che aveva acciuffato.
Ci sarebbe voluto molto di più per abbatterla.
Con un gesto, Alice segnalò che Keaton l’aveva puntata e lei accolse di buon grado l’invito a tornare serenamente a occuparsi delle sue faccende quotidiane.

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Capitolo 8
*** Secondo giorno - Notte ***


Normal again.


Quel torpore, quel delicato torpore, era unico e ineguagliabile.
Buffy lasciò sdrucciolare la schiena sudata sul materasso, come per far le fusa, gli arti che gradualmente, con moti lenti, facevano attorcigliare le coltri.
Si scoprì, ma solo un poco, perché potesse godere nuovamente della sensazione di un soffio caldo sul suo petto nudo. Poi liberò la mano dal groviglio delle coperte, la sollevò e la appoggiò sul dorso di Ryan, come era spesso solita fare. C’erano volte, però, in cui le sue dita erano più mobili, la sua pelle più malleabile e quel gesto assumeva un aspetto diverso: diveniva istintivo e magnifico.
Quella volta era merito suo.
Infatti, la sua accoglienza era stata gelida. Non accadeva di frequente e si premurava sempre di far trasparire il motivo. Ryan non si scomponeva mai: con grande calma smantellava la sua barriera d’indifferenza e iniziava a pretendere le sue domande. Allora lei si sfogava, facendo lunghi discorsi e cercando di non ignorare nessuna condizione. In reazione, lui si spiegava minuziosamente, sfoderando dettagli schiaccianti, che finivano per cambiare colore alla discussione. Raggiunto così il tanto agognato punto d’incontro si procedeva col sequel, ovvero i meritati festeggiamenti, che solevano protrarsi a lungo. Ryan si addormentava per primo, ma non era una regola rigida.
Buffy sbatté le palpebre, ancora tiepida e pervasa di sue carezze, quando avvertì una cosa. Un bitorzolo, un corpo estraneo sulla superficie liscia della sua schiena, aveva notizie per lei.
Come spinta da uno spasmo involontario, ritrasse la mano e fece una mezza giravolta sotto il peso del piumino per controllare l’ora.
Tre e mezza.
Emise un rantolo soffocato e si strabuzzò gli occhi con i pugni, la bocca aperta.
Se ne era completamente dimenticata.
Doveva cogliere un intervallo tra i sospiri ancora incerti di lui, vestirsi e scendere giù.
Così fece, reprimendo la sonnolenza e la scarsa voglia che ne derivava.
“Alla fin fine è solo questione di dargli il misurino e alleviargli la fame. Fatto ciò, posso tornarmene a letto” continuava a ripetersi scalino dopo scalino, reggendo la tazza fredda con mano tremante.
Arrivata a destinazione, bussò due volte con la mano libera, non troppo forte cosicché il sangue collezionato con tanto zelo non traboccasse.
“Spike! Sono io! Posso entrare?”
Seguì mezzo minuto di silenzio, al punto che Buffy era sul punto di incamminarsi nella direzione del parcheggio quando udì la risposta – un profondo grugnito che rassomigliava un “Sì”.
Inizialmente il suo tono di voce la sconcertò un po’, ma poi fece spallucce, consigliandosi di non farsi troppe domande, e si introdusse nell’appartamento.
Tuttavia, la sorpresa non tardò a reimpossessarsi di lei: infatti, notò che non si presentava né più pulito né meno caotico dell’ultima volta in cui vi era stata. Anzi, se si poteva considerare possibile, il disordine era aumentato ancor di più.
Passò velocemente in rassegna ogni angolo del soggiorno e vide che non c’era.
“Q-qui in camera” Fece capolino dal nulla un nuovo grugnito, ancora più soffocato e indefinito del primo.
Buffy corrugò la fronte, spazzando via la sua raccomandazione e cedendo ufficialmente le redini all’ansia.
Era a letto? Di notte? Perché non aveva risistemato l’appartamento? Rassettato i tappeti? Perché aveva rovesciato tanto drasticamente le proprie abitudini?
E perché parlava così?
Mozzato il capo d’un nuovo inquietante flusso di domande, si inoltrò furtivamente nella stanza, molto attenta a non far cigolare la porta.
Il buio era totale.
La luce era spenta e non c’erano finestre.
Tuttavia, Buffy riuscì a orecchiare un lieve ondeggiare di lenzuola, unito a un bizzarro gorgheggio, una serie di singhiozzi legati insieme.
Socchiuse la porta, così che potesse almeno intravederlo, e rimase molto più interdetta di quanto si sarebbe aspettata.
Spike giaceva inerte sul letto, gli occhi piantati sul soffitto, coperto sino alle narici;
era fermo, ma affatto tranquillo: Buffy, con l’aiuto della luce dell’altra stanza, scorse l’umidità nei suoi occhi e sul suo viso, imperlato di tensione e quieta sofferenza.
“Ehi…” iniziò, col tono più soffice e delicato che fosse in grado di emettere “Ti ho portato il sangue di maiale. E una cannuccia… come ti avevo promesso, quindi se vuoi, è qui. Ehm… dove te lo…”
“In frigo, in cucina” Spike terminò la frase, sforzando una pronuncia corretta. Insoddisfatto del risultato, passò i minuti seguenti a schiarirsi la gola e a battersi il petto con la mano.
Buffy esitò un po’, poi obbedì, richiudendo la porta dell’elettrodomestico con una sorta di smorfia. Ritornò dunque nella stanza con la stessa cautela di prima, incapace di staccare lo sguardo dal suo viso. Era sciupato e particolarmente pallido, quasi… malaticcio.
“Va tutto bene?” azzardò, rendendo di proposito la sua voce musicale e armoniosa.
Spike non rispose. Sospirò, il petto che assumeva definizione sotto le coltri.
“Al diavolo” mormorò sottovoce, dopo averle soffiate via dalle labbra. Inevitabilmente, ci ricaddero sopra, ma non le scostò più.
Tutto questo gettò Buffy in una inaudita spirale di preoccupazione. Non aveva la minima idea di quale problema avesse e la terrorizzava. La terrorizzava il solo pensiero che, di qualunque problema si fosse trattato, sarebbe stato compito uso occuparsene, e l’occuparsene avrebbe recato complicazioni, e…
“Cosa c’è, Spike?” ritentò con tono diverso, spazientito ed indignato.
Improvvisamente, lo vide tirare tutto da parte, fare leva sulle braccia e sollevare il busto nella sua direzione. Incrociò gli occhi con lei, con un’espressione di profondo disappunto.
Buffy adesso marcava ogni sua mossa, ogni suo piccolo, insignificante spostamento. Sentiva la minaccia palpitare, stringere quando si mostrava disattenta, rimandare quando faceva scattare lo sguardo di nuovo e lo fissava, senza battere ciglio, senza mancare nulla.
“Ho fatto un brutto sogno. Un incubo” spiegò placido, lasciando che la smorfia mutasse in un sorrisetto d’autocommiserazione.
Buffy non poteva crederci.
“Tutto qui?!” esclamò, incredula “Davvero?! Tutta questa sceneggiata per un incubo? Vuoi per caso che ti dia un bacino sulla fronte e ti rimbocchi le coperte?”
Spike rimase di stucco e la fulminò.
“Tu…oh, tu pensi che sarei rimasto infagottato qui tutto il giorno se fosse stato un semplice incubo?! Dio, Buffy, a volte sei così irritante! Chiaramente non era un incubo: è la cosa, quella cosa che affronterò in meno di due settimane, che inizia a lasciare impronte su di me”
“Impronte? Spiegati meglio” In realtà Buffy avrebbe preferito restare il più possibile lontana dalla questione, ma quel suo sguardo avvilito le strappava più compassione del dovuto. D’altronde, si persuase, finché era in giro tutto ciò che riguardava lui riguardava anche lei.
“C’era una sorta di messaggio, occultato nel sogno, anche se non saprei dirti con chiarezza quale fosse. Era troppo realistico, troppo ben pianificato per essere casuale. Inoltre, al mio risveglio, mi sono toccato i canini e ho scoperto… che… li avevo involontariamente sguainati”
Buffy piegò la testa da un lato, riflettendo sul fenomeno da lui descritto.
“Non lo hai fatto di proposito?”
“No! È stata la cosa! Sai cosa ne penso io?! Penso che mi voglia usare come bestia da guerra, così come aveva fatto il Primo! Pertanto, in questi giorni, me ne starò qui, immerso nell’ozio, senza vedere nessuno, affinché fallisca!” Spike sbottò, battendo colpi sul materasso ogni volta che metteva l’accento su una parola.
“Sei sicuro che sia così?” Buffy tentennava. Non era molto convinta dalla sua decisione e la considerava deleteria per il suo già seviziato stato d’animo.
“Non può essere altrimenti!” replicò Spike alzando i gomiti, indispettito dalla sua riluttanza ad accettare quanto aveva detto.
“Il Primo non ha mai cercato di manipolarti durante i sogni! Forse le sue intenzioni sono diverse. Cerca di descrivermelo, così ci possiamo ragionare meglio” Buffy insistette, malcelando un po’ d’ansia.
“Ehm…” Una rovente folata d’imbarazzo fece avvampare Spike, facendogli coprire nuovamente il petto. “Non penso sia necessario.”
“Cosa?! Certo che è necessario! Come credi che possa analizzare il comportamento di questa creatura o demone che sia se non prendo in considerazione tutti i dati disponibili?!”
“Il sogno era molto… potrebbe non piacerti” confessò Spike, in un soffio. “Io lo odio. Ci ho rimuginato tutto il giorno…”
“Spike, me lo devi raccontare, volente o nolente! Non hai nulla di cui vergognarti! Mi hai appena detto che non è dipeso da te!”
“Lo so, ma comunque… era… molto… intimo. Molto… personale. C’era mia madre, Drusilla e… c’ero io, ed io ero… c’era, c’era questa frase ricorrente: ‘Chi sei tu?’ e poi lei mi ha detto che non valeva la pena vivere per essere deriso da loro, per essere debole, e io li ho… li ho uccisi. Li ho uccisi. Sono stato io”
Spike parlò biascicando piano, senza osare guardarla in faccia, neppure per errore. Buffy, al contrario, lo fissò con molta intensità. Gli ossuti, appuntiti lineamenti del suo viso non ebbero mai un attimo di pace, tirandosi e rilassandosi senza posa, mentre il chiarore dei suoi occhi fu offuscato e annerito dalle tenebre della sua rivelazione.
Si morse il labbro e per un attimo guardò in basso. Avrebbe voluto chiedergli ulteriori dettagli per restringere il campo, ma una robusta empatia la frenava. Si limitò invece a dire:
“Coraggio, Spike. Da come mi hai spiegato, è stato tutta una macchinazione di quest’entità sconosciuta. Non è giusto che tu te ne attribuisca la colpa”
“Ma la colpa è mia! Io mi sono lasciato controllare!” sbottò lui d’un tratto, scuotendo le coperte nell’impeto “E lo sai perché? Lo sai perché? Perché mi sono rammollito. Mi sono ammosciato da quando sono sbucato da quella fogna. Ho perso tempo a piangere sulle bruciature, a contare i lividi, a maledire un Dio in cui non credo neanche e non mi ha mai neppure sfiorato l’idea che forse, forse stessi sbagliando. Sì, perché forse questa sarà una battaglia persa, ma mi presenterò per combattere, non per fuggire! Sai che ti dico, Buffy? Sono stufo di marcire qui dentro. Da domani inizierò ad allenarmi.”
La sua decisione improvvisa la sconvolse. Non le dispiaceva che il suo umore fosse migliorato, ma non riteneva neppure saggia un’inversione così radicale dell’atteggiamento.
“Sì, capisco, ma-“
“Comincerei adesso, ma sono ancora troppo malconcio. Le ferite stanno migliorando, comunque: entro domani sarò in forma. Ah, Buffy… mi aiuteresti?”
“Cosa?”
“Mi aiuteresti ad allenarmi?”
“Cosa?!” Questo secondo ‘cosa’ fu decisamente più vigoroso ed espressivo del primo, ma Spike lo interpretò col senso di quest’ultimo per sua convenienza.
“Lotteresti con me? All’arma bianca, principalmente, o con paletti, come preferisci. Allora, lo faresti?”
Buffy indietreggiò, la bocca semiaperta. Spike pendeva letteralmente dalle sue labbra e la implorava con acute acrobazie dello sguardo.
La proposta era impensabile. Il solo contemplarla le incrociò le viscere. Dopo due anni di inattività, di rifiuto… non poteva. Semplicemente non poteva.
Eppure aveva ragione. Aveva bisogno di allenamento e non c’era nessun avversario di prova auspicabile, oltre a lei. Se si fosse rifiutata, avrebbe dovuto rinunciarci e così perdere ogni stralcio di difesa di cui poteva disporre.
“D’accordo” acconsentì, con un’inavvertita striatura di tenerezza nel tono.
Spike sembrò non udire subito la sua risposta e per un po’ continuò a guardarla. Poi disse flebilmente:
“Grazie”
“Prego” rispose Buffy, altrettanto piano, gonfiando le guance in una specie di sorriso. Se ne sarebbe pentita, forse, probabilmente, ma aveva scelto ormai. Si sentiva spaesata: quello scambio di sguardi l’aveva un po’ stranita, al punto che non s’era accorta che Spike, nell’impeto della nuova risoluzione, si era scoperto eccessivamente.
“Non ti eccitare troppo, però” le scappò, e come chiarimento diede un’occhiatina d’infinitesimale durata, accompagnata da una risatina sardonica.
Spike comprese subito e s’affrettò a riparare alla nudità involontaria, il ghigno che le era tanto familiare stampato sul viso. Non poteva negarlo: un po’ le era mancato, tra tutti quei musi lunghi. Non lo aveva mai visto sorridere sinceramente, in quei giorni.
“Oooh, che scandalo! Be’, in effetti, ora che mi ci fai pensare, vedere due uomini diversi in deshabillé in meno d’un’ora può essere compromettente, nella tua condizione. Una disonorevole macchietta sul tuo certificato di castità. Ma non importa: sotto la scorza Ryan è un amabile mollaccione. Un paio di carezze e sarà di nuovo ai tuoi piedi… a meno che tu mi chieda espressamente di non parlargliene. Posso?”
“Spike!” Buffy lo interruppe, grattandosi a più riprese il mento con gli incisivi per reprimere il divertimento “Come hai fatto a capirlo?”
“Cosa? Ah…”
Tuttavia, Buffy non attese nemmeno la sua risposta, perché nel frattempo le era pervenuta un’illuminazione scioccante:
“O mio Dio! Ci hai spiato?! Ti prego, non dirmi che ci hai spiato, perché allora-”
“Spiato…  ma come diavolo avrei fatto?! E a che scopo, poi?! No, l’ho semplicemente intuito dal nuovo succhiotto che hai sul collo” Spike affermò, indicandolo sfrontatamente.
“Un… succhiotto?!” Buffy si toccò con frenesia e raggelò nello scoprire che effettivamente c’era.
“La ferita odora di fresco. Ah, e non fare l’innocentina, dato che probabilmente è stata una tua idea. Non che tu te ne debba vergognare! È risaputo: le vecchie abitudini sono dure a morire”
“Spike!” Stavolta, Buffy fece del suo meglio per apparire severa, e funzionò. “Non è appropriato che tu parli della mia vita sessuale con Ryan come se parlassi del meteo di oggi! Sono cose strettamente personali e, soprattutto, non sono affari tuoi!”
“Ehi, io dico sempre la verità. Non importa quanto sia scomoda.”
Quasi.
Scoppiò a ridere, irrefrenabilmente. Si schiaffeggiò le ginocchia e si scompigliò i capelli.
“Tu… dici sempre… la verità…! Ahahah! Fossi in te starei attento alle gambe: sono già abbastanza corte!”
“Aspetta… hai appena detto che sono basso?!” Spike esclamò impermalito, infilandosi rapidamente i jeans.
“Ahahah! Forse…!”
“Ah sì?! Oh, ma da che pulpito! Proprio tu, che quando compri gli abiti devi andare nella sezione per bambini!”
Al sentirlo, Buffy si rabbuiò e mise le braccia conserte, immettendo una buona dose d’ironia in ogni gesto per nascondere la ferita. Non se l’era aspettato.
Questa volta era il turno di Spike per ridere – e rise, facendo tintinnare allegramente la zip dei jeans mentre tentava di tirarla su, nonostante il conseguente tremore.
“Nella botte piccola c’è il vino buono” replicò poi, dopo essersi presa il tempo necessario a recuperare la sicurezza persa.
“Buffy, se bevessi sapresti che non conta tanto la bontà, quanto la quantità. Di una botte piccola non me ne faccio nulla”
“Buono a sapersi! La botte se ne va, allora. Troverai il sangue suino nel frigo. Buonanotte” Buffy si congedò, quando sentì Spike afferrarle il gomito.
“Ehi! Non te la sarai mica presa per la storia del vino, vero? Perché non era riferito-“
“No no, non darti pena! È solo che devo andare a letto ora: sono davvero stanca e domani ho una lunga ed impegnativa giornata di lavoro. Se non vado adesso, domani allo specchio farò la conoscenza con un bel paio di gigantesche occhiaie.”
“Oh… sono sicuro che te la caverai comunque. Voglio dire, un tempo avevi due lavori… lo ‘stress’ di adesso non è neanche comparabile!”
Buffy aggrottò la fronte e bruscamente si liberò dalla sua gentile presa. L’intento di Spike non era certamente quello di criticarla, ma Buffy si offese e, soprattutto, s’arrabbiò. Non solo con lui, ma con i vizi e i vezzi del suo nuovo ego, le comodità che l’avevano resa diversa da una cacciatrice. Le gioie, gli eventi, la pigrizia, la superficialità, la…
Fu un sentimento subitaneo, ma così intenso che la gelò in piedi e le arrotolò la lingua. Se ne era resa conto, aveva capito, ma l’orgoglio recondito in lei era ancora forte e vi lottava strenuamente contro, stravolgendola.
“Per fortuna non è più così” rispose, con tono piatto e occhi martoriati da sonno ed emozione. “Buonanotte, Spike”
“Buonanotte…” ricambiò lui con un sorriso intontito. Non pareva essersi accorto di niente, ed era un grande bene. Non era più in grado di trattenersi lì neppure per un secondo. Uscì dall’appartamento a lunghi passi, sbattendo la porta, e precipitò in un pianto ridondante e liberatore.



 Nota:
Il modo in cui Spike è tornato in vita è di mia invenzione. Può essere quindi considerato AU rispetto al differente sviluppo dell'evento che si ha in "Angel".

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Capitolo 9
*** Terzo giorno - Mattina ***


Normal again.


Il tempo s’era fermato.
Buffy era curva sulla scrivania, a rileggere le prime righe di un paragrafo di un documento per la decima volta, senza comprenderne ancora il senso.
Non era attenta, tantomeno concentrata su ciò che non stava facendo.
Quella notte aveva dormito: aveva sfruttato le poche ore che le erano rimaste a disposizione; quella mattina s’era alzata, s’era rinfrescata nella vasca, aveva fatto colazione, s’era lavata i denti, s’era vestita, aveva raccolto le proprie scartoffie, aveva baciato Ryan e si era recata al lavoro.
Eppure il tempo s’era fermato. Non era in ufficio, non c’era nessuno: era appena uscita dall’appartamento di Spike e piangeva sul corrimano, trafitta da quello che le aveva detto. Non era trascorso un minuto da quel momento, altrimenti come avrebbe potuto lo strazio essere rimasto immutato? Ore di sonno, a cui inevitabilmente seguiva il superamento del confine che divideva le due dimensioni, avrebbero dovuto provvedere, perlomeno, a mitigarlo. A far cessare i singhiozzi e i ripensamenti. Eppure era tutto lì, vivido e presente, appiccicoso e soffocante.
Era una vita facile ora, la sua? Forse. Forse era diventata più semplice, sì. Meno scura, spiovente e stratificata. Più chiara, pianeggiante e uniforme, ma non aveva tagliato fuori quella parte di sé. La parte di sé che l’aveva resa unica, temeraria ed energica come mai avrebbe potuto sognare d’essere, anni prima. Era ancora lì: la poteva toccare, la poteva assaporare, se lo desiderava.  Era soltanto… in letargo. S’era sacrificata, come spesso era solita fare. Lo aveva fatto per la sua stessa integrità. Per il suo bene.
Lui l’aveva giudicata, però. Involontariamente, forse, ma lo aveva fatto. Quando mai non la giudicava? Quando mai non giocava con le parole per confonderla? La caparbietà e l’imperturbabilità con cui articolava ogni accusa, ogni battuta, ogni complimento, ogni opinione erano disarmanti. Lo erano sempre state e l’aveva sempre odiato per questo. Le parole erano il suo punto forte, ma quando era Spike a tenderle le trappole, vi ci cadeva subito e, quando le riconosceva, spesso era troppo tardi. A peggiorare il tutto, ogni volta che era lei a cercare di manipolarlo, nel reagire si dimostrava sempre meno ingenuo di quello che avrebbe sperato.
Spike… era stato lui! Lui aveva disinnescato tutti i suoi dubbi, nutrito e ingrassato i suoi problemi! Se non avesse trovato lui in quel cimitero desolato, si sarebbe levata definitivamente il capriccio di quella notte dalla testa! Se lui non si fosse prostrato ai suoi piedi pur di accattivarla, di farle provare compassione, sarebbe stata libera da quell’idea incontemplabile che le suggeriva di telefonare e mentire a Giles pur di ottenere informazioni su quel demone! Oh, e pensare che se lui cinquant’anni prima non avesse fatto l’ennesima stupidaggine, adesso sarebbe stato…
morto.
Da due anni.
Buffy sbuffò sullo schermo del computer, un attimo prima di sfiorare quell’inammissibile conclusione. Il flusso delle riflessioni doveva fermarsi lì, senza aprire nulla di nuovo. Era una necessità. I giri compiuti dalle lancette erano un segno inequivocabile che il passato era stato assemblato in un certo modo, mentre la costruzione del presente era ancora in attesa e richiedeva la sua partecipazione. Pertanto, doveva imporsi di smettere di rimuginare, di protestare…
“Buffy?” Alice la chiamò con la sua voce suadente. Buffy sentì di non aver mai amato così tanto perdere il filo dei suoi pensieri.
“Qualcosa non va, Buffy?” continuò l’amica, appostandosi vicino a lei con premura e un po’ d’ansia.
“No… sto bene…” replicò, tradendo con una voce roca e debolissima il perfetto falso sorriso che era le riuscito di riprodurre.
Alice chiaramente era troppo sensibile per non accorgersene e mise una delle mani soffici sulla sua, rivolgendole uno sguardo leggero e traboccante di comprensione.
“Dimmi cosa c’è” la intimò con un po’ d’involontaria ed empatica tensione, rafforzando la presa.
“Non potremmo discuterne più tardi? Sai, Keaton è-“
“S’è dileguato. È salito di sopra per parlare col boss. Buffy, dobbiamo parlarne. So che dobbiamo parlarne. Lo vedo dalla tua espressione … mi dispiace” Alice insisté, così costernata dal suo stato che le guance paffute parevano smagrite.
“Non me la sento adesso, Alice, e poi… e poi è qualcosa che devo affrontare da sola. Scusa, ma non penso tu mi possa aiutare” chiarì, con tono instabile nel primo tratto e deciso verso la fine.
“Ok, ma… io, io non… non sono coinvolta? Tu non ce l’hai con me, vero?” Alice non mollò, arrossendo e dibattendosi pur di non sembrare troppo emotiva.
Buffy rise alla sua strampalata affermazione.
“Ahahah! Ma certo che no! Vieni qui” l’abbracciò, appoggiando la testa su una sua spalla e stringendola con calore. Aveva un buon profumo ed era calda. “Questa è una faccenda che riguarda solo ed esclusivamente me… insieme ad un’altra persona, che non conosci e mi sta facendo penare. Ma sistemerò tutto. Non c’è nulla da preoccuparsi”
Alice si sciolse dall’abbraccio, parecchio interdetta.
“Un’altra persona? Vuoi dire, un uomo? Ryan lo sa?” chiese, ad un tratto per niente saziata e confortata dalle informazioni che le aveva fornito.
Buffy esitò un po’. Era spiazzata da come si stesse approssimando a conoscere la verità, ma allo stesso tempo il poter condividere la propria sofferenza con qualcuno l’avrebbe liberata di buona parte di quel greve peso.
Infine si risolse a rispondere, con calma effimera:
“Sì, ma non in quel senso… non è coinvolto con me in quel senso. Dobbiamo solo… mettere in chiaro una cosa. Un paio di cose. Non s’è intromesso in nulla, lo giuro. Provvederò a tutto. Però ti prego, Ryan non lo sa… non farne parola con lui. Per favore. Non l’accennare neanche”
Alice fece cenno di sì col capo e, ancora una volta, la sorprese. Anche se aveva negato, era chiaro che lei aveva inteso che stesse parlando di una sorta di ex. Eppure, appariva sorpresa ma non delusa. Rispettava il suo silenzio e le stava dando un fisico e silenzioso supporto, accarezzandole le mani e tenendole gli avambracci. Nel suo volto leggeva solo dolcezza, compassione. Buffy non avrebbe mai saputo esprimere in parole quanto era grata per aver incontrato quella ragazza. Un tempo, le era piaciuto considerarla, a torto, una seconda Tara, ma adesso la identificava come persona a sé stante. Aveva instaurato con lei un rapporto ancora più profondo di quello che aveva avuto con l’altra donna e la stimava infinitamente.
“D’accordo. Rimarrà fra noi, non mi metterò più in mezzo. Senti… oggi, se ti va, dopo il lavoro, potremmo prendere qualcosa da bere insieme e rilassarci un po’, senza ritornare sull’argomento ovviamente. Che ne dici?” propose Alice, con delicatezza.
“Ehi, è un’idea magnifica! Perfetto! Grazie, Alice, grazie”
L’amica se ne andò senza più proferire parola, mentre Buffy recuperava man mano tutto il risentimento abbandonato in un angolo e che s’era ripromessa di non riprendere più – ma di questo s’era dimenticata. Constatò invece che il confronto con Alice aveva sgombrato la sua mente d’ogni indecisione. I suoi ragionamenti erano molto più fluidi adesso, al punto che la soluzione pervenne con impensabile rapidità: quella notte si sarebbe allenata con lui, sì, gliele avrebbe date di sante ragione, e negli intervalli gli avrebbe rinfacciato tutte, tutte le sue colpe.
Finalmente poteva dedicarsi a una seria lettura di quel paragrafo.

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Capitolo 10
*** Terzo giorno - Notte ***


Normal again.



Inspira espira, inspira espira.
Inspira, espira; inspira, espira.
Inspira; espira. Inspira; espira.
Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Buffy constatò che, dopo l’esercizio delle notte precedenti, ricordava quasi a memoria le tappe del rallentamento del respiro del fidanzato. Provò a fare un pronostico della durata di ognuna e si rivelò del tutto accurato. Inoltre, abituata com’era ora a fare le ore piccole, la sonnolenza le annebbiava meno la testa ed i suoi pensieri erano più lucidi.
Si inumidì i denti con la lingua, salda e sensibile sul materasso morbido e sotto le coperte pruriginose.
Era serena: serena, nella sua rabbia. Per la prima volta dopo tanto tempo aveva una sola missione, un obiettivo principale ben definito che relegava inevitabilmente tutti gli altri alla condizione di secondari: picchiare Spike, così da fargli imparare a tacere nei momenti opportuni.
Un allenamento! Con lei! Chissà quanto si compiaceva di quell’idea! Poteva vederlo: rideva e si sfregava le mani con quel ghigno, così tronfio, così sfrontato, così tipicamente suo; “Sarà un vero spasso” si ripeteva, affumicandosi i polmoni vuoti con una stecca di Marlboro!
Sì, in effetti lo sarebbe stato, convenne, ma non per lui.
Si accarezzò le nocche di ambo le mani con gli indici e lasciò riposare le palpebre per l’esiguo tempo rimanente. Non mancava molto prima che Ryan cedesse al suo sonno pesante caratteristico e le spianasse la strada: a occhi chiusi, lo poteva quasi odorare. Quando avvenne questo scatto, non fu colta impreparata: i suoi sensi lo avevano preveduto con largo anticipo.
Scese dal letto in punta di piedi, lo sguardo già rivolto verso la porta; sistemò i capelli in una coda, stringendo bene il laccio affinché un eventuale scioglimento della presa di questo non la distraesse; si mise una maglia nera larga, tagliata sulle spalle e ampi pantaloni di velluto, per avere maggiore libertà d’azione; infilò un paio di stivaletti col tacco spesso, inimitabili sia per l’estetica, sia per i calci formidabili che le avrebbero permesso di sferrare.
Deglutì: era pronta, si sentiva pronta. Lei era sempre pronta, si rammentò: era una Cacciatrice, formalmente la Cacciatrice, solo precocemente ritirata. Un professore, un muratore o un commissario in pensione non solo non smettono di saper svolgere il proprio lavoro, ma nella gran parte dei casi ne sono più esperti di tutti quelli ancora di ruolo messi assieme.
Scivolò fuori dall’appartamento con guizzi e finte simili a quelli che avrebbe adoperato in battaglia, superò la prima rampa di scale con un salto in discesa e la seconda scavalcando il corrimano e cadendo sulle ginocchia, in perfetto equilibrio.
L’adrenalina le solleticava già i lobi delle orecchie, tempestava nei polsi frementi, contraeva quadricipiti e glutei pulsanti. Non poteva più resistere.
In quello stato, bussare le parve irrisorio: decise invece di spalancare la porta con una pedata risoluta. Una minaccia, un assaggio.
Puntualmente, la voce dell’avversario s’alterò in reazione:
“Buffy, ma sei tu?! Che diamine ti prende?!”
“Avevi detto di volerti allenare” lo canzonò, morsicando avidamente la violenta vibrazione sarcastica nel suo tono di voce “Che c’è? Non è forse questa l’atmosfera che cercavi?”
“Sì, ovvio, ma non per questo è il caso di far cascare dal letto l’intero dannato palazzo!” Spike confermò, l’irritazione che prese colore nelle sue gote livide “A ogni modo, tenevo a dirti una cosa…Buffy… non devi per forza sacrificarti per me. Ho impiegato le ore di luce in cattività ad allenarmi da solo e, a dire il vero, mi sento abbastanza in forma. Ho scoperto di potermela cavare, se mi ingegno un po’. Quello che sto tentando di dirti è… so del tuo recente cambio d’abitudini, del tuo nuovo lavoro e dello sposino, e non ti posso certamente biasimare se fare a botte con me nel cuore della notte non è attualmente la tua massima aspirazione. Così, per quanto mi sarebbe molto utile una prova pratica, puoi pure tornare a casa, se lo desideri. Non ti giudicherò”
Buffy trasalì ed in risposta chiuse i pugni ancor più tenacemente, le lunghe unghie conficcate nei palmi. Una vampata di furia le arroventò il viso, mentre si accingeva a perpetuare le intenzioni mescolate per l’intera giornata.
“Tornare a casa? Mi stai invitando ad arrendermi? È quello che stai suggerendo?! Buffy ha una vita felice, non sventra più vampiri nel tempo libero e quindi è automaticamente debole?! È questo quello che pensi, Spike?!”
“Ehi, abbassa la cresta! Io non-“
La sua giustificazione in extremis fu interrotta da un potente gancio di Buffy, che lo spedì contro la parete opposta della stanza.
“Hai proprio una bella vena umoristica: dici di non giudicarmi quando non fai altro che parlare di me e dei problemi che supponi che io abbia! Tu, che meno di tutti ne hai la licenza! Non sei il mio psicanalista, William! Al massimo io sono la tua badante, con tutte le pene che mi stai facendo passare per starti dietro!”
In due falcate lo raggiunse, lo afferrò per il bavero della già malridotta maglietta e lo appese al muro.
“Cristo, Buffy, prendi una pastiglia per la pressione! Io non-“
“Ahahah! Dovrei calmarmi?! Dopo tutto quello che è successo?! Perché? Non credo proprio!” replicò, piantandogli una ginocchiata negli stinchi come conferma.
Spike strinse i denti e gemette, ferito e innervosito dall’attitudine ingiustamente abusiva della donna. Tuttavia, trattandosi solo di due colpi e non essendo ancora particolarmente agonizzante, reagire usando la sua stessa moneta gli sembrava un’opzione deprecabile, così tentò di ragionare:
“Ascolta, non ho la più pallida maledetta idea di quello di cui tu stia parlando, ma se adesso ti ho detto di andare a casa è a causa della smorfia schizzinosa che hai fatto ieri, un attimo dopo che ti ho illustrato la mia proposta! Non volevo insinuare nulla, per l’inferno, sei tu che ci hai voluto leggere dentro chissà quali… mortali offese o che altro! Pensavo di farti un piacere!”
Buffy era esterrefatta.
Lo stava rifacendo. La voleva confondere di nuovo.
Tenendogli fermo il petto con una mano, gli falciò il viso con un destro tanto micidiale da far quasi fare un giro completo al suo collo.
“Non dire più niente!” gli intimò, digrignando i denti “Non giocare con la mia mente Spike, non ti permettere! Non proferire più una singola parola o giuro che ti pianto questo stivale giù per la gola!”
Il nuovo colpo era stato molto più forte dei precedenti. Spike aveva sentito entrambe le arcate dei denti sbatacchiare al contatto e gli si erano rovesciati gli occhi.
“Ma sì, prego! Continua pure a menarmi gratuitamente e a comportarti da pazza furiosa! Tanto l’ho capito che è quel periodo del mese!”
Non esagerava. Buffy era cieca dalla rabbia, quasi ferale. Non ricordava d’averla mai vista così, neppure nei loro scontri da nemici: come la maggior parte dei lottatori professionisti, prediligeva mantenere la calma a prescindere per raggiungere un’elevata concentrazione. Irriconoscibile: era pericolosamente visibile da quanto non combattesse più, e Spike ne era terrorizzato.
“Giusto! Io ti sto menando, ma tu non stai reagendo! Quanto tapino sei diventato, Spike?! Pensavo che questo fosse un tuo allenamento! Sarei io, quella debole?!”
“Sì, lo sei!” Spike ruggì fermamente in risposta, impressionato lui medesimo dal timore incusso dal suo tono di voce. Buffy abbandonò la presa immediatamente, tutta tremante.
Non era impaurita. O, perlomeno, reputava di non esserlo affatto. Confondeva vittoria e sconfitta, tristezza e soddisfazione e anche se aveva solo una vaga percezione di farlo, bloccava prepotentemente tutto e lo sostituiva con indefessa aggressività.
“Ti senti, quando parli?! Sei emotiva, suscettibile oltre ogni misura! Ricorri alle legnate perché non sai come replicare, ti impensierisci perché temi di non saper affrontare le situazioni! Devi aver combinato qualcosa di grave, Buffy, perché ti riconosco a malapena!” proseguì, facendola indietreggiare di proposito con un passo minaccioso e una malignità che scoprì di non poter trattenere “Tu sei debole eccome!”
Buffy mise le braccia conserte. Aveva assorbito e rigettato tutto, sia perché era bruciante dell’infuriare del momento, sia per contraddirlo.
“Oh be’, allora vorrà dire che ho bisogno di allenamento! Ma la domanda è: di noi due, chi ne ha più bisogno? Muoio dalla voglia di scoprirlo! Tu no?”
Spike le lanciò un’occhiata in tralice difensiva, che non poteva però celare lo sconcerto. Era già schierata, in una posizione che le garantiva libertà di movimento, gli avambracci leggermente protesi in avanti.
Voleva picchiarsi con lui, a tutti i costi: era evidente ed era assurdo. Era una pessima decisione, un’orribile decisione, lo sapeva: eppure l’accontentò, perché sentì che non poteva esimersi dal farlo.
Ammiccò un istante e poi le afferrò le spalle. Buffy cercò di opporsi, ma lui le impegnò braccia e gambe in una finta e la fece girare con un colpo di mano: approfittò infine del secondo guadagnato per colpirla con un calcio sulla parte bassa della schiena, cosicché fosse costretta ad un brutto atterraggio. Difatti, ebbe una lenta ripresa che le impedì di ripartire come avrebbe voluto: Spike le fu sopra prima che potesse muovere un muscolo. Troppo sicuro di avere il bersaglio assicurato, quest’ultimo però calcolò male i tempi e Buffy riuscì a bloccare il pugno con un braccio e a stringerlo in una morsa sferzante fra le ginocchia puntute. Spike guaì e lei non tardò ad avvantaggiarsi con una gragnuola di colpi perfettamente mirati. Non appena si presentò abbastanza ferito da lasciarla andare – dopo più tempo del previsto, Buffy si rialzò senza esitazione e, ricordando nitidamente il suo insopportabile parlare a vanvera, lo sferzò con due fendenti col tacco: uno in mezzo alle gambe e uno sulla testa. Spike si accasciò sul pavimento, stordito dalle gravi lesioni.
Buffy gli si approssimò, intenzionata a colpire ancora, ma lui non pareva davvero essere più in grado di rialzarsi.
Si sentì percossa di nuovo, ma stavolta da un freddo e pungente rimorso. Le parve che la sua saliva si fosse solidificata in un cubetto di ghiaccio.
Stava ancora scrutando apprensivamente quella testa bionda, quella schiena inerte, quando si sentì mozzare il fiato. Spike s’era voltato a una velocità incommensurabile e le aveva piazzato da terra un tremendo calcio nell’addome. Così, le sue difese erano state irrimediabilmente penetrate e fu un burattino nelle sue mani: vendicò ogni singolo colpo che gli aveva inflitto prima con straordinaria precisione, a un ritmo che lei, realizzò presto, non sapeva tenere. Dopo aver subito per un po’, riuscì a pararne qualcuno per il rotto della cuffia e nel mentre ebbe occasione di guardarlo in faccia: aveva mutato aspetto.
Lo stupore la lasciò talmente interdetta da farle abbassare stupidamente la guardia. Per un attimo arrivò addirittura a invocare pietà con lo sguardo, ma il muso feroce non ne ebbe e le perforò la mascella con un cazzotto che la spedì di testa contro il muro.
Buffy sospirò e valutò a fatica i danni, scoprendo con orrore d’essersi fatta seriamente male, per i suoi standards.
Eppure non era normale, non poteva essere normale. Quante volte era stata colpita così? Innumerevoli, e aveva sempre recuperato la forza per rialzarsi.
Perché non era così anche adesso?
Scrutò con risentimento il volto di Spike, nuovamente umano. Era a bocca aperta, attonito: sembrava essere diventato d’un tratto ancora più pallido e smunto del solito.
“Che è successo?” le chiese ingenuamente, con voce acuta e innaturale.
“Non lo so” ammise Buffy, portando una mano dietro la testa per esaminare col tatto la ferita “Tu mi hai… mentre io, prima… be’, non avresti dovuto essere…”
“Non l’ho fatto di proposito… farti male di proposito!” Spike spiegò traumatizzato, pronunciando così rapidamente le stesse parole da far sembrare che stesse recitando uno scioglilingua “C’è qualcosa che non va, qui. Cosa non va?”
Si scambiarono sguardi increduli per più d’un minuto, istupiditi. Percepivano come il dissolversi d’una cortina che aveva alterato loro la vista sino a quel momento.
“Sono stata io… o sei stato tu?” Buffy continuò, rialzandosi penosamente.
“Io…” rispose lui vergognosamente, correndo ad aiutarla.
“No… entrambi!” obiettò lei, rifiutando gentilmente il suo soccorso e ripristinando lentamente loquacità “Qualcosa ci ha posseduto, Spike. Ci ha fatto lottare insieme perché ci ferissimo…”
Lui piegò la testa su un lato in riflessione, quando fu scosso da una raggelante rivelazione.
“Il demone!” concluse, senza mai richiudere la bocca “Il demone schifoso mi ha fatto il lavaggio del cervello! Anche a te… perché anche a te, però?”
“Eppure non sembrava. Era tutto così… naturale! Il mio risentimento con te, il litigio, la lotta … è come se mi avesse trasformato, mi avesse fatto comportare in un modo diverso, ma non troppo perché potessi accorgermene. Solo ora a distanza capisco d’essere stata eccessiva senza motivo, il che mi porta a imputare il demone… ma con quale potere strano avrebbe potuto farlo?”
“Quel demone di m*£$a ha coinvolto anche te, te!” Spike ormai s’ era perso nei suoi vivaci improperi e non la stava ascoltando “Di tutte le persone su questo mondo, ha scelto di gettare anche te nella mischia, solo per il gusto di farmi dare in escandescenze! Scommetto che non sarà altrettanto compiaciuto quando metterò la sua testa mozzata sulla parete come trofeo di caccia! Anzi, potrei vivisezionarlo e usare le sue viscere per farmi delle collane! Oppure strizzargli i bulbi viscidi coi pollici e costringerlo ad assaggiarli! O-“
“Spike, ti prego, basta! Sto cercando di ragionare!” Buffy lo riprese, seccata “Ieri hai avuto quell’incubo devastante e ti sei risvegliato con i canini sguainati; poi hai fatto la proposta dell’allenamento, così, all’improvviso, originando convenientemente il pretesto per uno scontro fisico; in qualche modo, il demone deve avermi fatto accanire terribilmente con te, cosicché ti volessi picchiare; poi ti ha posseduto, facendoti assumere la forma predatrice, in modo che fossi spinto a danneggiarmi. In poche parole, sta pianificando di distruggerci mettendoci costantemente l’uno contro l’altro”
“Ma che teoria brillante! Ovviamente questa pappardella era indispensabile per capirlo! E comunque non ha nessuna importanza perché, adesso che abbiamo assistito agli effetti della sua influenza, impediremo alla dannata bestia di avviluppare i suoi tentacoli attorno al nostro cervello un’altra volta!” Spike sentenziò, con una risolutezza precaria e poco convincente.
“Come fai a esserne sicuro?! Non sappiamo neppure molto bene come funziona tutto questo meccanismo super-iper-malvagio atto a renderci super-iper-malvagi… più o meno! Dio, è così…  dovremmo metterci sotto ed effettuare delle ricerche per arrivare a capire effettivamente qualcosa! Oh aspetta, aspetta, lo so… Spike, potresti cercare di ricontattare il demone della vendetta che ha esaudito il tuo desiderio!”
“Hm, buona idea! È un vero peccato però che quei tizi non siano il tipo da lasciare il proprio numero di cellulare ai clienti!”
Buffy alzò gli occhi al cielo. “Intendevo dire che potresti andare a cercarlo! Conosci a menadito tutti i ritrovi della gente come lui, no? Chiedi informazioni in giro e magari riesci a scovarlo e a estorcergli qualcosa!”
“Oh be’, sì, quello potrei farlo. Viaggiare è sempre rigenerante. D’altronde, dopo quello che ho fatto stasera è meglio che non mi faccia vedere per un po’, qui in giro” Spike acconsentì, col capo lievemente chino.
“Ma non sei stato tu!” Buffy replicò con forza “Così come non sono stata io prima a… lo sai, fare la pazza furiosa! E poi non è nulla di tragico, solo un graffietto. L’impatto mi ha un po’ sviato sulla gravità della ferita. Oltretutto, neanche tu hai una gran bella cera. Non hai neppure la sfortuna di doverlo verificare domani mattina allo specchio!”
“Già!” rise lui, senza però apparire minimamente felice “Affidarsi all’intuito è vitale se si è vampiri, anche quando si bada al proprio aspetto”
Buffy si unì alla risata, chinando il capo per nascondersi.
“Cosa?” Spike non aveva capito.
“La freddura! ‘Vitale’? ‘Per i vampiri’? Non l’hai fatta di proposito?” Buffy appariva delusa, ma nel contempo il sapere spontanea la battuta aumentava il suo divertimento.
“Ah… no” confermò lui, cercando di partecipare alla sua distrazione, pur avendo ben altri pensieri. Sospirò rumorosamente. “Suppongo di dovermene andare, allora. Meglio partire adesso che temporeggiare e magari ritrovarsi con qualche altra brutta sorpresa”
“Giusto.”
“Non ho neppure l’ingombro della valigia. Non c’è nulla di utile, qui… a parte il cuscino o i tappeti, ma quelli non posso portarmeli dietro”
Buffy gli fece eco con un sospiro fragoroso. La conversazione si stava spegnendo, la mezzora precedente era stata tremenda, nuovi pericoli erano sicuramente in agguato e gli occhi di Spike erano due torbide pozze di rimpianto. Le sue labbra si stavano tormentando, mentre non riusciva a risolversi a parlare.
“Quando tornerò” iniziò poi, sopprimendo l’insicurezza accennata prima “Tu ed io, saremo ancora…”
“Partners? Certo!” Buffy finì al suo posto, forzando un po’ di falsa allegria per contrastare la sua cupezza.
“… amici?” Spike rettificò, ripristinando un po’ del timore previo al suo prendere parola.
Buffy restò attonita alla sua domanda. Spike… un suo amico? Il solo pensarlo era strano, per usare un eufemismo. Eppure, visti i loro recenti trascorsi, il loro rapporto rassomigliava più di tutti quello d’una amicizia. Una vecchia amicizia, per la precisione. Quel tipo di amicizia disinteressata, forte senza essere forzata, che raramente si riesce sia a ottenere che a mantenere, che tollera le divergenze ed i contrasti in favore della stessa, poiché la si sa essere più importante.
Era una descrizione perfettamente calzante per la loro relazione. Pareva quasi assurdo, ma era così. Era davvero così.
“Sì. Saremo ancora amici”
“Perché prima hai detto che ti pesa badare a me, ed io non vorrei essere solo un peso” proseguì, senza poter alleggerire la pesantezza del suo tono.
“Non è vero. Non ero io, quella”
“Ma a te pareva d’esserlo, Buffy. Come fai a saperlo con sicurezza?”
“So che tu non sei un peso per me”
Spike esplorò preoccupato e un po’ tentennante i suoi occhi, temendo che avesse raccontato una bugia per rassicurarlo, ma vide solo limpida e rassicurante onestà. Ne fu più che grato, quasi estasiato: era come se lo avesse appena aperto, avesse sondato con zelo tutto l’interno e l’avesse accettato, con tutte le sue imperfezioni, tutti i suoi difetti. Fu per lui una sensazione nuova, nuova ed incredibile, da cui avrebbe faticato a riprendersi. Non era quella che aveva sempre sognato e che desiderava con ardore da anni, ma era comunque un meraviglioso regalo.
“Allora vado” annunciò, ancora ubriaco di esultanza, e si diresse verso la porta, proibendo all’emotività di uscire fuori dagli argini. Buffy lo seguì da presso, ansimante per la stanchezza ma anche svincolata dalla collera malsana di prima, che aveva vissuto così intensamente e realisticamente.
“Stai attento” la raccomandazione le scivolò sulla lingua.
 “Starò attento” promise lui, forzandosi a un atteggiamento compassato. Dopotutto, la stava per lasciare.
“Sarebbe utile se avessi un modo per aggiornarmi anche mentre sei via… ma apparentemente nemmeno i vampiri sono tipi da cellulare ed io non ne ho di scorta, a meno che-”
“Cercherò un telefono. Dimmi il tuo numero” Spike la interruppe: non poteva farsi scappare l’occasione.
“*************. Sei sicuro di riuscire a ricordartelo?”
“Ho una buona memoria”
“Bene. Suppongo che dobbiamo salutarci…” rilevò lei, lasciando trapelare il dispiacere dalla voce.
“Già… ci vediamo, Buffy”
“…presto?” soggiunse, ponendo un forte accento sull’importante parola.
“Be’, dipende da quando riesco a stanarlo. Se ci riesco, per inteso. Quelle bestie sono brave a non farsi trovare, se vogliono”
“Ok… ciao”
“Ciao…”
Spike esitò qualche secondo, il tempo di fissarsi in mente il viso della ragazza un’ultima volta, poi prese a incamminarsi.
Buffy incrociò le braccia, mentre sentiva la tristezza pervaderla nel guardarlo partire. Quel viaggio avrebbe potuto benissimo durare undici giorni: dopodiché, sarebbe stato direttamente faccia a faccia con quell’entità sconosciuta e non avrebbe più avuto modo di rivederlo. Certo, c’era possibilità che riuscisse a raccogliere informazioni in tempo, ma la carta da visita di quest’ultima, ‘la più grande minaccia a cui chiunque, uomo o demone, si fosse mai esposto’, faceva intendere che non ce ne fosse riguardo a una vittoria. In più, la questione del controllo metteva in discussione la sua, forse la loro incolumità anche in quel lasso di tempo. Perché anche lei…? Perché gli era legata oppure perché vi era, in qualche modo, direttamente coinvolta? Non ne aveva idea, ma in cuor suo sperava di non esserci dentro fino al collo, perché potesse far fede al suo impegno con Ryan, alla sua rinascita. Forse era stata un’allucinazione, forse non ci aveva davvero nulla a che fare, forse la partenza di Spike avrebbe davvero riportato le cose alla normalità, almeno per lei: perché in fin dei conti, per quanto affetto e compassione potesse serbare per Spike, la normalità era ancora quello che voleva.
Il barlume di speranza dato dall’ultima ipotesi la riportò sui gradini, ed infine a casa. 

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