Go The Distance di SHUN DI ANDROMEDA (/viewuser.php?uid=19740)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
FMA
Fandom:
Fullmetal
Alchemist
Rating:
Arancione
Personaggi/Pairing:
RoyEd, Un Po' Tutti
Tipologia:
Long-Fic
Genere:
Sentimentale, Malinconico,
Drammatico, Avventura
Avvertimenti:
Post-Shamballa, basata sulla prima
serie dell'anime e non su manga e/o Brotherhood.
Disclaimer:
Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò
che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente
storia, non mi appartengono.
Dedicata
a tutte le ragazze della divisione RoyEd. Mi dispiace, sono un po'
arrugginita ma vedrò di impegnarmi a fondo per scrivere qualcosa di
decente.
GO
THE DISTANCE
PROLOGO
La
ripresa della conoscenza fu, per Edward Elric, dolorosa.
Sentiva
il petto alzarsi ed abbassarsi nel tentativo, da parte dei suoi
polmoni, di inspirare avidamente aria e, ad ogni movimento, poteva
quasi giurare di sentire le proprie costole spaccarsi in mille
pezzettini di osso e poi rimettersi assieme come uno scherzo crudele,
pronte a farlo soffrire ancora al prossimo inspirare.
La
testa, poi, sembrava esplodergli, faticava anche solo a restare
sveglio; in bocca aveva ancora il gusto ferroso del sangue e non
sentiva più i denti, figuriamoci la faccia.
Un
pestaggio da manuale, neppure ricordava cosa fosse successo...
Aveva
discusso con due o tre avventori un po' troppo brilli nel pub in cui
lui e Al avevano pernottato sulla strada per Londra...
AL!
Come
se il nome del fratello gli avesse infuso nuove energie, Edward
scattò seduto e, gemendo per il dolore inflittogli dalle ferite,
cercò di mettere a fuoco l'ambiente che lo circondava: l'esperienza
lontana nel tempo di un soldato rimasto a lungo, fisicamente, lontano
dal campo di battaglia ma mentalmente sempre pronto alla lotta lo
spinse istintivamente a poche e semplici azioni.
Indosso
non aveva nessuno dei propri vestiti, solo una scomoda casacca
bianca.
Il
letto su cui si trovava era una semplice brandina come quelle
militari su cui tante volte si era trovato disteso in passato; Ed
fece una smorfia mentre osservava con attenzione la stanza, spoglia e
bianca.
Era
un ospedale e la sua testa doveva aver preso una bella botta se, per
un attimo, aveva estratto dai cassetti del passato un così triste
ricordo: credeva di essersi ormai abituato alla cosa.
Ormai
sarebbe stata quel mondo la loro casa... Non sarebbero mai tornati ad
Amestris e quello era un ospedale come un altro, non una struttura
militare.
Ciò
gli fece tornare in mente prepotentemente Alphonse.
Dove
diavolo era suo fratello?
La
camera era avvolta nella penombra ma il suo era l'unico giaciglio ivi
presente.
Chiunque
li avesse portati lì, sempre se avesse condotto con sé anche il
fratello minore, doveva averli messi in due ambienti separati.
Un'improvviso
giramento di testa e la mancanza di qualunque energia bastò però
per far desistere il maggiore degli Elric dal tentare di alzarsi per
andare in ricognizione: doveva essere veramente conciato male...
Istintivamente,
cercò di sollevare entrambe le braccia ma solo una rispose
all'appello.
Coprendosi
gli occhi con l'avambraccio, gemette: come diavolo avrebbe fatto
adesso?
Non
tentò neppure di muovere le gambe, la sensibilità che stava
ritornando ai suoi arti gli fece capire che, allo stesso modo del
braccio, anche l'Automail alla gamba era stato portato via: chiunque
fosse stato, voleva assicurarsi che gli fosse impossibile fuggire.
Mano
molto ben giocata, doveva ammetterlo.
Ma
non era ancora detta l'ultima parola.
All'improvviso,
udì qualcuno armeggiare con la porta e si irrigidì, imponendo al
proprio corpo una totale immobilità: doveva raccogliere quante più
informazioni possibili e non voleva farsi vedere sveglio.
Regolarizzando
il respiro come quello di una persona profondamente addormentata,
egli tese le orecchie, udendo due voci parlare a bassa voce e con
concitazione: “Le lastre sull'altro giovane sono buone, avete già
chiamato qualcuno per parlare con loro?” una donna, probabilmente
di mezza età.
“Sì,
dottoressa, abbiamo mandato una copia delle cartelle cliniche
complete di fotografie come da procedura, possiamo solo aspettare.
Purtroppo, casi del genere sono molto comuni negli ultimi tempi.”.
Casi
del genere?
“Lo
comprendo, ogni due giorni veniamo chiamati per soccorrerne un paio,
la situazione ormai sta sfuggendoci di mano. Abbiamo dovuto isolare
quest'ala dell'ospedale apposta per ricoverare tutte le vittime.”.
Isolare?
Che
avessero contratto qualche strana malattia?
E
se anche Al...?
Un
dolore improvviso al petto gli mozzò il respiro in petto e gli
strappò un gemito, udibilissimo.
“E'
sveglio?”
La
domanda inopportuna non tardò quindi ad arrivare.
Edward
sospirò, era inutile continuare a fingere.
Lentamente,
alzò le palpebre, trovandosi immerso in una tenue luce proveniente
da una piccola lampada, che prima non aveva notato, poggiata su di un
piccolo comodino alla propria sinistra.
“Mio...
fratello...” rantolò.
“L'altro
ragazzo, intende?” un viso stranamente familiare fece capolino nel
suo campo visivo e, accanto ad una donna effettivamente di mezza età,
comparve una giovane infermiera dalla cuffietta candida.
Ed
annuì, incapace di proferire verbo: la gola secca gli doleva.
“Non
si preoccupi, è nella stanza accanto e sta bene... Ora pensi solo a
riposare, presto le spiegheremo tutto.”
L'altra
donna annuì prima di fare un passo in avanti: “Ha preso una brutta
botta in seguito alla caduta e le abbiamo diagnosticato anche una
serie di fratture non imputabili alla sopracitata caduta, ha una vaga
idea di come se le sia fatte?”.
Il
giovane chiuse per un momento gli occhi, lasciando che frammenti vari
di ricordi gli tornassero alla mente: effettivamente...
“Ci
siamo accapigliati con... due persone... forse tre... ce l'avevano
con noi, erano ubriachi...” sebbene qualcosa fosse chiaro, il resto
era del tutto nebuloso...
“Abbiamo
un appuntamento a Londra... Quando posso andarmene?” chiese quindi,
stancamente: “E dove sono i miei Auto... le mie protesi?” si
corresse rapidamente.
L'occhiata
che si scambiarono, nonostante la confusione, non sfuggì a Edward.
“Senta,
la situazione è ancora piuttosto critica.” confessò la più
anziana delle due: “Ha una ferita sul volto che ha fatto infezione,
non credo che possiate venir dimessi presto. Senza contare le
fratture. E poi, i militari gradirebbero scambiare due parole con lei
e con... suo fratello, esatto?”.
I
militari?
“Non
capisco... Cosa vuole l'esercito inglese da noi...? Se temono che
siamo spie tedesche, posso assicurarle...”
“No,
no, non è nulla di tutto questo... E' solo che...”
Ora,
la pazienza non era una dote della famiglia Elric, men che meno del
loro primogenito: Edward non era stupido, capiva che c'era qualcosa
che non andava.
“Cosa
sta succedendo?” chiese, con il piglio militare di un ex Alchimista
quale era: “Ho il diritto di sapere cosa mi sia successo e per
quale motivo io e mio fratello ci troviamo in un ospedale senza
potercene andare con le nostre gambe. E dove sono state portate le
mie protesi?”
Le
due donne restarono in silenzio per alcuni secondi, poi fecero un
profondo sospiro.
“Credo
proprio che il vostro appuntamento a... Lontra debba venir spostato a
data da destinarsi. E non aveva alcun tipo di protesi addosso quando
siete stati ritrovati, devono avergliele portate via prima”
l'infermiera sembrava essere impallidita di colpo.
Okay,
storpiare il nome della propria capitale, per un inglese, era
veramente grave.
A
meno che...
Il
cuore iniziò a battergli forsennatamente nel petto, la mano gli
tremava senza controllo mentre una strana energia, lungamente
rimpianta, gli fluiva nelle vene assieme al sangue.
Gli
occhi si riempirono di lacrime.
Era
veramente possibile...
“Ora
si calmi, faremo del nostro meglio per aiutarla.” la voce
dell'infermiera sembrava sinceramente preoccupata e spaventata ma lui
non le diede retta.
Lui
non aveva bisogno di essere aiutato, se veramente la sua sensazione
era corretta.
“Dove
mi trovo?” chiese con un filo di voce, alzando i grandi occhi
dorati e puntandoli sulle due donne.
“E'
in un ospedale militare... in una città di nome Central City.”.
§§§
Il
luogotenente Falman attendeva il messo dall'Ospedale Centrale sotto
il porticato del Comando Militare di Central City fumando una
sigaretta: pioveva ed era impaziente di tornare al caldo dell'ufficio
della guardia principale e finalmente concludere quelle pratiche che
da giorni si portavano dietro.
Quella
storia era assurda.
Vato
non era un Alchimista ma aveva avuto abbastanza a che fare con
Alchimisti da capire quando le cose cominciavano ad andare male per
colpa di qualche spostato con capacità fuori dal proprio controllo.
Insomma,
ne avevano passate di tutti i colori in passato, soprattutto quando
c'erano ancora i fratelli Elric.
“Sarebbe
bello che foste qui, ragazzi.” disse, alzando gli occhi verso il
cielo: “Il vostro aiuto sarebbe prezioso.”
E
non era una bugia: da un paio di mesi a quella parte, erano scomparse
e continuavano a scomparire sempre più persone mentre ne
riapparivano altre, in stato confusionale e terrorizzate.
Dal
alcuni interrogatori, era venuto fuori che non c'era una logica in
queste scomparse e nelle successive riapparizioni: ma su di una cosa
si era certi, quelle persone non appartenevano al loro mondo.
Da
lì, il passo verso l'ipotesi che provenissero dall'altra parte del
Portale era breve.
Fin
troppo vividi erano ancora infatti i ricordi della grande crisi di
sette anni prima, durante la cui battaglia erano stati visti per
l'ultima volta Edward e Alphonse Elric.
E
la loro presenza,oltre che di conforto, sarebbe stata di notevole
aiuto per uscire da quel ginepraio senza senso; molte cose erano
cambiate, purtroppo e anche le persone lo erano: ma nonostante tutto,
come se fosse stata una promessa silenziosa ad unirli, lui e gli
altri erano rimasti fedeli a loro stessi e alla strada che avevano
intrapreso anni prima.
Lui,
Kain, Breda, Riza...
Le
truppe si sfaldano, vengono trasferite e spesso le amicizie rischiano
di inaridirsi; eppure il tempo aveva risparmiato la loro famiglia –
e una mano dall'alto aveva contribuito a non separarli – e ora
speravano di essere pronti ad affrontare questa nuova minaccia.
Lo
dovevano a troppe persone.
“Luogotenente!”
Il
filo dei suoi pensieri venne però interrotto dalla voce squillante
del messo, un ragazzotto dai capelli rossi e dalla pesante casacca
verde che correva attraverso la piazza deserta se non per qualche
raro collega che correva per non bagnarsi.
Era
una giornata relativamente tranquilla, a parte per la notizia di una
nuova comparsa repentina.
Da
quel poco che sapeva, due giovani erano precipitati giù dal cielo e
dritti nel fiume: solo l'azione rapida di un gruppo di passanti aveva
impedito che annegassero.
Vato
lanciò per terra la sigaretta ormai spenta e fece cenno al
ragazzotto di raggiungerlo all'asciutto, si era avvicinato abbastanza
da notare la voluminosa sacca che stringeva tra le braccia.
“Hai
fatto presto.” constatò il militare, passandogli una salvietta per
asciugarsi i capelli e liberandolo dall'ingombro del bagaglio.
Il
giovane ringraziò con un cenno del capo e la prese tra le mani
tremanti: “La dottoressa Grunwald è stata perentoria, mi ha detto
di portarvi queste cartelle con la massima velocità possibile. Si è
anche raccomandata di dirvi che i nuovi pazienti avranno una prognosi
discretamente lunga, non erano conciati bene.”.
“Conseguenze
della caduta?” chiese il luogotenente, estraendo il plico di fogli
dalla loro copertura.
“No,
signore. La dottoressa pensa che siano ferite derivate da un
pestaggio, ha rilevato fratture multiple, traumi di varia natura e
uno zigomo spaccato. Sono due, avranno a malapena una ventina d'anni
a testa e sembrano molto provati, dovevano essere viaggiatori, tra le
loro cose hanno rinvenuto una valigia con pochi vestiti maleodoranti
e un paio di fotografie tutte sbiadite e praticamente indecifrabili,
anche la documentazione che avevano è illeggibile. Non sappiamo
neppure i loro nomi.”.
Falman
scorse rapidamente i primi fogli, vergati nella calligrafia stretta
della dottoressa che il Comandante aveva messo a capo della divisione
sanitaria preposta a quella situazione: era una prima anamnesi delle
condizioni dei due pazienti - buttata giù alcune ore prima a seguito
della loro entrata all'Ospedale - e ricalcava in pieno il succinto
rapporto a voce del messo.
“Santi
numi,” esclamò stupito: “Ma come è possibile riportare ferite
del genere?”
“E
c'è di più, sembra che alcune fratture non siano state curate a
dovere, fratture piuttosto vecchie tra cui un serio trauma alla testa
riscontrato al più anziano. Mi creda, l'essersi ritrovati sbalzati
da questa parte non sarà mai peggio di quello che hanno vissuto.”.
“C'è
una loro fotografia?” chiese il militare.
“Certo,
è sul fondo assieme all'ultima diagnosi e alla prescrizione della
prognosi definitiva.”.
Sotto
quella pioggia battente, il cuore di Falman si fermò.
Non
riusciva a credere a ciò che i suoi occhi vedevano.
Certo,
erano diversi dall'ultima volta in cui li aveva visti – il tempo
doveva essere trascorso anche per loro, e molto dolorosamente – ma
non aveva dubbi che i visi addormentati e tumefatti che erano
raffigurati nelle fotografie fossero quelli di Edward e Alphonse
Elric.
Che
il Destino volesse beffarsi di loro ancora una volta?
“Luogotenente...
Tutto bene?” azzardò il giovane con voce preoccupata.
Falman
annuì frettolosamente e si strinse al petto i fascicoli con mano
tremante: “Torna dalla dottoressa e dille di non fare nulla sino al
nostro arrivo. Questa è una faccenda della massima importanza, mi
sono spiegato?!” gridò e, senza neppure salutare, corse
all'interno dell'edificio.
Era
tarda mattinata e tutti i colleghi di stanza all'HQ erano nei propri
uffici a compilare scartoffie quindi l'atrio era deserto quando Vato
fece irruzione con veemenza, facendo trasalire l'ufficiale alla
reception.
Ma
lui non si fermò e, anzi, cominciò a correre attraverso i corridoi
del primo piano con la mente e il cuore in subbuglio: era una
speranza flebile, certo, ma quel viso era inconfondibile anche sotto
i lividi, le cicatrici e la lieve barba incolta, le occhiaie e l'aria
sperduta.
“Ragazzi!
Ci sono grandi novità!” gridò trafelato, spalancando senza troppe
cerimonie la porta dell'ufficio comune: “Devo parlare con il
Comandante!”.
Quattro
paia di occhi si voltarono verso di lui, confusi e sorpresi: “Che
succede?” chiese Kain, raccogliendo da terra i fogli che gli erano
caduti per lo spavento, “Amico, non ti fa bene correre così.” lo
rimproverò Breda, inginocchiandosi ad aiutare il compagno più
giovane.
Riza
Hawkeye, da parte sua, gli rivolse un'occhiata di fuoco mentre Havoc,
con passo lento e cadenzato, lo raggiungeva: “Che ti prende? Il
Comandante è fuori ufficio per una riunione, lo sai.”.
“Dobbiamo
contattarlo e farlo tornare subito qui!” esclamò con gli occhi
spalancati: “Sono loro! Sono tornati!”.
Le
facce dei suoi colleghi e amici di sempre rimasero con la stessa
sfumatura di confusione di poco prima.
“Cosa
stai blaterando?” lo apostrofò Riza, alla quale gli ultimi anni
avevano donato un viso ancora più affilato.
Per
tutta risposta, Vato estrasse le fotografie dai fascicoli e le lanciò
in mezzo alla stanza: “Voglio dire,” disse, prima di inspirare
profondamente, “Che le ultime vittime di queste misteriose comparse
potrebbero essere due nostre vecchie conoscenze. Ora possiamo andare
a chiamare il Comandante Mustang?!”
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
FMA
GO
THE DISTANCE
CAPITOLO
1
“Spero
che sia una cosa importante.”
Roy
Mustang camminava a passo svelto lungo il corridoio del terzo piano
del HQ dietro ad una giovane tenente, la stessa che si era affrettata
ad andare a chiamarlo, interrompendo la riunione tra lui e i Generali
di stanza a Central City per fare il punto su quella crisi che
Amestris stava faticosamente affrontando.
“Conosco
il luogotenente Falman da tanti anni e, mi creda, non l'ho mai
sentito così agitato come quando mi ha chiamata
all'interfono. Ha
semplicemente detto che era fondamentale che lei tornasse subito in
ufficio, ha detto che ci sono importanti novità.”.
Con
un sospiro, il Comandante Supremo aumentò il passo,
immergendosi nei
propri pensieri: non faticava a crederlo, anche lui conosceva bene
Vato e sapeva che non era nel suo carattere agitarsi.
Era
razionale e calmo ed erano queste sue caratteristiche a renderlo la
mente pensante della squadra, difficilmente accadeva qualcosa che
poteva metterlo in crisi.
Quando
giunsero infine davanti alla porta dell'ufficio, la tenente lo
salutò
con un leggero inchino e si congedò da lui, lasciandolo solo.
Con
la mano sulla maniglia, si concesse qualche secondo per respirare:
non lo faceva spesso in quel periodo, troppe erano le cose da fare e
di cui occuparsi.
Quella
situazione era paradossale: aveva dovuto far isolare un'intera ala
dell'ospedale Centrale per accogliere le misteriose e sconosciute
persone comparse negli ultimi tempi e nessuno sembrava essere in
grado di capire cosa stesse accadendo e perchè.
Nè
tantomeno c'era qualcuno in grado di trovare una soluzione a siffatto
stato di cose.
Le
persone continuavano a scomparire e al loro posto ne riapparivano
altre.
C'erano
famiglie distrutte dal dolore, spezzate e Roy Mustang si sentiva
sperduto anche se faceva di tutto per non darlo a vedere.
Diamine,
era a capo di quel Paese e l'avrebbe tenuto assieme ad ogni costo.
Istintivamente,
la sua mano andò a toccare il rigonfiamento della sua tasca,
dove
sapeva esserci quella che, per tutti, sembrava ormai una reliquia del
passato e che, invece, era per lui impossibile da ritenere tale.
Un
piccolo orologio d'argento ormai fermo da parecchi anni che
simboleggiava quanto lui stesso avesse perso nel corso del tempo: lo
Scambio Equivalente non risparmiava nessuno, neppure il grande Roy
Mustang.
Con
tali pensieri in mente, amari come il primo giorno in cui li aveva
formulati, l'Alchimista di Fuoco entrò nell'ufficio,
trovandolo
stranamente calmo e silenzioso.
E
trovando i propri sottoposti incredibilmente pallidi, seduti in
bell'ordine alle proprie scrivanie.
Cosa
mai poteva esser accaduto di così grave da ridurli al
silenzio, loro
che non stavano zitti neppure sotto tortura?
Subito,
nella mente di Mustang cominciarono ad affollarsi le peggio ipotesi:
era scomparso qualcuno dei loro cari? Effettivamente erano un paio di
giorni che non vedeva il Generale Armstrong e che non si fermava a
casa di Gracia ed Elycia per il solito tea pomeridiano...
Ed
era almeno una settimana che non sentiva Winry Rockbell.
“Comandante,
per fortuna è tornato.”
Riza
Hawkeye era forse la donna più forte che Mustang conosceva,
dopo
Gracia, e vederla così inquieta, con il piccolo Black Hayate
II tra
le braccia, lo rendeva ancora più nervoso: anche il cucciolo
sembrava a disagio, forse era lo stato d'animo della padrona ad
influenzarlo.
“Ragazzi,
cosa succede?” chiese lui, poggiando il mantello sul primo
tavolo a
disposizione.
I
presenti si guardarono di sottecchi, erano evidentemente tormentati e
ciò acuì l'ansia del Comandante.
“Stamattina
è arrivato questo dall'Ospedale Centrale.”
esordì Falman con una
cartella di fogli tra le braccia, era stato lui ad annunciare la
notizia ai colleghi e si sentiva in dovere di dare la stessa notizia
al proprio Comandante: “E' avvenuta una nuova comparsa
misteriosa e
le vittime sono state portate subito dalla dottoressa Grunwald che se
ne sta prendendo cura.”
Roy
annuì: “Sì, lo sapevo. E
allora?”
Con
mano tremante, Vato estrasse dall'involto un paio di fotografie e
gliele consegnò: “Questi sono i loro
visi...” bisbigliò.
Quando
i suoi occhi misero a fuoco i lineamenti raffigurati nelle immagini,
Roy Mustang sentì il proprio cuore fermarsi nel petto
assieme al
respiro.
La
prima reazione fu quella di sentirsi le gambe diventare
improvvisamente molli e incapaci di reggere il suo peso ma si fece
forza e riuscì ad impedire al proprio corpo di collassare su
sé
stesso e pertanto di svenire poco elegantemente dinanzi ai propri
uomini; reggendosi al bordo del tavolo per non accartocciarsi poco
dignitosamente per terra, Mustang riuscì a mantenere
l'equilibrio.
Ma
lo stupore rimase, assieme ad una buffa sensazione di calore e
aspettativa nel petto che minacciava di affollargli gli occhi di
lacrime.
Con
espressione sperduta, alzò lo sguardo verso i compagni, i
cui occhi
erano – solo in quel momento lo notò –
lucidi: “E' vero...?”
chiese Mustang con un filo di voce.
Tutti
annuirono.
“Anche
noi non ci credevamo...” ammise Kain: “Ma non ci
sono dubbi.”.
“Sono
tornati.” aggiunse Havoc, aveva le mani tremanti e non
riusciva
neppure ad accendersi una sigaretta: “Ma sono conciati male,
Capo.
Devono averne passate di tutti i colori.”
Mustang
non rispose, troppo concentrato a osservare i visi tumefatti dei due
fratelli mentre la sua mente già formulava ipotesi
– una più
strana dell'altra – e stilava una lista di ordini.
Non
sapeva neppure quantificare la gioia che gli gonfiava il cuore al
pensiero di poter rivedere quei due ragazzi che tanto avevano fatto
per Amestris, e per lui.
Soprattutto
quell'indisponente ragazzino che era l'Acciaio che ricordava e che
non era mai riuscito a dimenticare.
Quale
miracolo glielo aveva riportato?
Quali
dolorosi avvenimenti l'avevano ridotto in quelle condizioni?
Ci
avrebbe pensato dopo, decise: la cosa più importante, ora,
era
metterli al sicuro e fare in modo che si riprendessero.
“Capo,
cosa facciamo?” chiese Breda, che era rimasto in silenzio
fino a
quel momento.
I
compagni annuirono determinati.
Mustang
sospirò, poi si avvicinò al telefono
più vicino e sollevò la
cornetta: “Credo che la risposta sia logica.” disse
solo,
componendo un numero; i presenti rimasero col fiato sospeso per
qualche istante, poi...
“Centralino?
Mi passi l'interno della dottoressa Grunwald.”.
§§§
“C-Come
sarebbe a dire?” sussurrò Edward, incredulo per la
notizia che gli
era stata appena comunicata: “S-Siamo davvero tornati a
casa... ad
Amestris?” mormorò a sé stesso,
guardandosi le mani; erano
bruciate e fasciate in più punti ma, dalle dita, sentiva
provenire
una strana energia, la stessa che gli percorreva tutto il corpo.
Alchimia...
Le
due donne lo guardarono stupefatte: “C-Come fa a conoscere
quel
nome?” chiese con un filo di voce l'infermiera; anche la
più
anziana annuì, muovendo un passo in avanti e troneggiando
sul
giovane ferito.
Quando
Edward alzò gli occhi verso di lei, ella li vide pieni di
lacrime,
lacrime che scivolavano senza controllo lungo le guance senza che il
proprietario facesse nulla per fermarle, così come i
singhiozzi che
ne facevano sussultare ritmicamente le spalle.
“Non
capite... Sigh...” Edward sembrava fuori di sé,
gioia e commozione
si mischiavano all'incredulità e al timore che quello fosse
tutto un
sogno oppure il piano di qualcuno per farlo impazzire: già
Noah si
era dimostrata in grado di leggere la sua mente ed i suoi sogni, come
poteva essere sicuro che non ci fossero altre persone come lei,
dotate del medesimo dono?
“Cerchi
di spiegarci...” l'infermiera si era inginocchiata al suo
capezzale, conscia della necessità di confortare quel poco
più che
ragazzotto che le ricordava tanto suo fratello minore.
“Se
questa è davvero Amestris... Se siamo a Central
City...” rantolò,
senza aria per i singhiozzi e le lacrime: “Siamo tornati a
casa...”
“Mi
faccia capire, lei e suo fratello... Siete di qui?” anche la
dottoressa sembrava genuinamente stupita, e forse anche sconvolta.
Edward,
con gli occhi puntati su entrambe, annuì, sorridendo felice:
“Il
mio nome è Edward Elric, ero un Alchimista. Mio fratello si
chiama
Alphonse. Siamo nati a Reseembool... Ah, accidenti!”
esclamò,
asciugandosi una volta per tutte le lacrime con la manica del camice,
“Non so esattamente quanti anni siano passati dall'ultima
volta che
ho rivisto questo mondo ma, mi creda, sono felice di essere
qui...”
sussurrò.
Le
due donne si scambiarono un'occhiata sconvolta: nessuno sentiva
più
parlare del Fullmetal Alchemist da qualche anno, ormai ed era
difficile riconoscerlo in quel viso stanco e tumefatto, sotto quella
lieve barba incolta.
“Senta,
ho sentito tutto quello che vi siete dette quando siete entrate.
Posso provarvi chi sono. Basta che chiamate il colonnello...”
Ma
le sue parole vennero interrotte da un bussare frenetico alla porta e
dall'entrata di un giovane inserviente: “Dottoressa Grunwald!
Dottoressa Grunwald!” gridò questi, agitando i
lunghi capelli
rossi, “Samuel è tornato dalla consegna, non so
cosa sia successo
ma pochi secondi fa ha chiamato il Comandante Supremo in persona! Ha
detto che ha ricevuto i documenti e che gli ultimi due
soggetti...”
si bloccò non appena notò che uno dei suddetti
“soggetti” era
sveglio e vigile.
“Va
bene, Wil.” la dottoressa si alzò e gli
andò incontro: “Andrò
a sentire cosa vuole da noi il nostro illustrissimo
Comandante.”
disse, facendo per uscire.
“Non
è necessario, doc. In effetti... Sta venendo
qui...” pigolò il
nuovo arrivato: “E' proprio questo che volevo dirle. Il
Comandante
ha detto che sarebbe venuto personalmente a sincerarsi delle
condizioni dei nostri nuovi ospiti. E Samuel, che ha consegnato i
documenti, mi ha riferito che il luogotenente Falman gli ha detto che
è diventata una faccenda della massima importanza e di non
fare
nulla.”
Quel
nome fece fare una tripla capriola nel petto al cuore di Edward.
Falman?
Vato
Falman?
La
dottoressa sospirò, congedò l'inserviente e poi
si voltò verso Ed:
“Il Comandante è un maledetto
impulsivo.” disse, come se volesse
scusarsi, “Ma è una brava persona. Non so molto di
faccende
militari ma ho lavorato al suo fianco per qualche tempo ed è
stata
una bella esperienza.” aggiunse.
“E
chi è...?” domandò con un filo di voce.
“E'
una sua vecchia conoscenza, direi.” il viso della donna si
aprì in
un sorriso sincero: “E' l'Alchimista di Fuoco, Comandante
Supremo
Roy Mustang.”
Per
un istante, nella stanza calò il silenzio, poi dalla bocca
dell'Elric più anziano proruppe uno scroscio allegro di risa
assieme
ad una piccola lacrima.
“Quel
Colonnello!” esclamò, per la prima volta dal suo
risveglio era
sollevato, quasi felice malgrado il dolore: “Alla fine ce
l'ha
fatta!”.
All'improvviso,
si sentì incredibilmente stanco, come se tutta la tensione
del mondo
gli fosse scivolata fuori, lasciando unicamente stanchezza.
“Ora
riposi, quando arriverà lo porterò qui. Nel
frattempo, cerchi di
dormire e.. bentornato a casa...” sussurrò la
dottoressa,
rimboccandogli le coperte.
Edward
annuì: era al sicuro, non doveva più combattere.
Era
finalmente tornato a casa.
§§§
“Mi
sembra incredibile.” esordì l'infermiera una volte
uscite dalla
stanza: “Ho sentito molte storie sul Fullmetal Alchemist ma
mai mi
sarei immaginata una cosa del genere.”.
Doc
Grunwald annuì, pensierosa: “Si erano perse le sue
tracce già
dieci anni fa, poco dopo la caduta del Comandante Bradley, poi vi fu
una voce che girava durante l'invasione di quegli strani esseri,
sette anni fa, durante l'assedio del Comando. Si diceva che, a capo della Resistenza Militare, ci
fossero entrambi i fratelli Elric e che avessero combattuto in prima
linea al fianco del Comandante Mustang e ai suoi ma poi, da allora,
nessuno ebbe saputo più nulla, l'intera faccenda fu
classificata
sotto segreto militare e basta. Se è vero quello che si dice
in
giro, cioè che siano finiti in un altro mondo...”
“Potrebbero
aiutarci a comprendere cosa stia succedendo!”
esclamò con fervore
la giovane.
“E'
ciò che penso anche io.” confermò
l'altra.
Le
due donne allungarono il passo verso l'ingresso principale
dell'Ospedale: volevano essere presenti all'arrivo dei militari.
“Deve
essere stato un sollievo.” riprese l'infermiera:
“Non deve essere
stata un'esperienza piacevole la loro... Hanno entrambi traumi
pregressi notevoli, temo che possano avere delle ripercussioni a
carattere psicologico.”.
“Hai
ragione, cara. Devo parlare chiaramente al Comandante, non possono
fare sforzi di alcun tipo e riempirli di domande non gioverebbe alla
loro salute.” decretò ella con decisione.
“Allora
si spiegano molte cose. Come ad esempio i moncherini e il delirio
sulle protesi. Si riferiva ai leggendari Automail.”.
“Mia
cara, hai letto troppi giornali di pettegolezzi.” sorrise
Grunwald:
“Comunque sì, sulle prime pensavo fossero segni di
torture, il che
non sarebbe poi stato tanto sbagliato, vedendo il resto del corpo. Ma
ora sono quasi certa che fossero i segni lasciati da innesti per
Automail. Eppure non v'era traccia di nulla del genere... Che glieli
abbiano strappati?”
“Che
prospettiva ributtante.”
“Ma
concreta.”.
Nel
mentre della chiacchierata, la coppia giunse finalmente nell'ingresso
principale, appena in tempo per assistere all'entrata di un manipolo
di militari.
La
squadra del Comandante Supremo, con lo stesso alla sua testa.
Roy
Mustang sembrava pallido, notarono entrambe, più pallido del
solito
al punto che sia la sua folta capigliatura nera che la benda
sull'occhio svettavano incredibilmente sulla sua carnagione.
Al
suo fianco, la tenente colonnello Riza Hawkeye e poi dietro il resto
della truppa, il luogotenente Falman era inconfondibile.
Le
due andarono loro alacremente incontro:
“Benvenuti.” disse la più
anziana con un rispettoso inchino, “Lei è la
signorina Maya Ross,
è la mia assistente. Comandante, abbiamo scambiato due
parole con il
più anziano delle nuove vittime. E' risultato
essere...”
“Non
qui, dottoressa.” la zittì Mustang con un cenno
della mano:
“Andiamo nel suo ufficio, lì parleremo meglio e
più comodi, mi
creda.”
“Sì,
certo. Cara.” asserì Grunwald, voltandosi poi
verso la più
giovane: “Ti affido il compito di andare a controllare
l'altro
ragazzo.” disse ella, “Se qualcuno dei suoi lo
desidera, possono
scortarla.” aggiunse, rivolgendosi al Comandante.
Mustang
annuì e subito dal gruppo si staccarono Havoc, Breda, Kain e
Falman
che andarono a fare quadrato attorno alla più giovane; con
un
sospiro, Riza restò al fianco del suo superiore,
raccomandandosi
agli altri con un solo sguardo.
Era
chiaro che, per quanto anche a lei premesse sincerarsi delle
condizioni dei due Elric, reputava di primaria importanza
l'accompagnare il Comandante.
“Possiamo
andare.” comandò Mustang, seguendo la dottoressa.
Nell'ingresso
rimasero l'infermiera e il resto della truppa.
“Seguitemi.”
disse infine lei con gentilezza: “L'ala che abbiamo isolato
è un
po' distante da qui ma non ci vorrà molto tempo, posso
assicurarvelo.” aggiunse, muovendo un paio di timidi passi
verso il
corridoio più lontano; in silenzio, i militari le andarono
dietro e,
in breve, il gruppetto lasciò l'ampio ambiente rumoroso per
spostarsi verso angoli decisamente più tranquilli e
semi-deserti;
non incontrarono nessuno, né malati né dottori e
fu quando, dopo
una decina di minuti di cammino, giunsero davanti ad una porta
piantonata da due colleghi in divisa che infine qualcuno di loro si
decise a parlare.
“C-Come
stanno?” chiese Kain preoccupato.
“Il
più giovane è quello in condizioni migliori, a
dire la verità.”
ammise lei, esibendo il proprio tesserino sanitario prima di entrare
nel reparto: “Almeno fisicamente, non ha fratture
così gravi come
il fratello. Ma non si è ancora svegliato dall'anestesia
dell'operazione. Abbiamo dovuto estrargli una pallottola dalla spalla
e una dalla gamba ma sono state estrazioni rapide e relativamente
indolori.” disse ella.
I
presenti si irrigidirono.
“Mentre
invece l'altro si è svegliato, ci ha confermato chi
è e sembrava
seriamente commosso all'idea di essere qui. Poi si è
riaddormentato
poco prima che voi arrivaste, ma sembrava semplicemente esausto.
Niente di cui preoccuparsi troppo.” spiegò,
fermandosi quindi
dinanzi ad un'altra porta, lucida e chiusa.
“Eccoci
qui. Dentro questa stanza c'è Alphonse.” e
indicò quella che
aveva dinanzi: “Mentre in quella accanto c'è
Edward.”.
Subito
dopo, ella abbassò la maniglia ed entrò.
L'interno
era avvolto nella penombra ma risaltava con estrema facilità
il
guizzare dorato di un paio di occhi assonnati ma aperti:
“C-Chi
c'è?” pigolò una voce roca dal letto,
“D-Dove sono...?”
chiese ancora.
Con
un sospiro, l'infermiera fece cenno ai militari di aspettare un
attimo fuori, poi fece un paio di passi in avanti: “Il mio
nome è
Maya, tu sei Alphonse vero?” chiese con tono rassicurante.
La
figuretta rannicchiata a letto annuì impercettibilmente:
“Dov-Dov'è
mio fratello...?”
“Edward
è nella stanza qui accanto che dorme, non devi avere paura.
Va tutto
bene.”.
Alphonse
sembrava ancora più piccolo, con tutti quei lividi in volto
e i
graffi coperti da cerotti e bende; alle spalle della donna, Havoc e
compagni stringevano i pugni senza avere la forza di parlarsi: ma di
una cosa erano certi, l'avrebbero fatta pagare a chiunque avesse
fatto quello scempio.
“Senti,
ho portato un paio di amici che vorrebbero salutarti, possono
entrare?” chiese incoraggiante: “Sono persone che
sono venute
apposta per te.” aggiunse.
Troppo
confuso e ancora mezzo frastornato per capire esattamente quello che
la donna gli aveva detto, Al annuì e Maya fece un cenno ai
quattro
in attesa, che si portarono accanto al letto in silenzio e in
bell'ordine.
“Ciao,
Alphonse.” salutò per primo Havoc con un vago
sorriso commosso:
“E' bello vederti in salute, piccoletto.” aggiunse
Breda, sbucato
da accanto il collega biondo, “Al-kun, ti porterò
un gattino da
abbracciare, se ne trovo uno.” la promessa di Kain giunse
solo
attraverso la voce del suddetto, troppo basso per riuscire a farsi
vedere oltre la muraglia di corpi dei compagni.
Falman,
per tutta risposta, lo sollevò di peso e lo portò
avanti, riuscendo
anche a entrare a propria volta nell'affollato quadretto.
“Bentornati,
ragazzi. Ci mancava il vostro chiasso e le vostre cazzate.”
sorrise
Vato, sincero.
Allibito,
Alphonse restò in silenzio per parecchi minuti, incapace di
proferire verbo mentre la sua mente realizzava che, primo, quelli
dinanzi a lui erano veramente i loro vecchi compagni e, secondo,
erano – pur non capendo come – tornati a casa.
Quando
infine realizzò del tutto la situazione, non
riuscì a trattenere un
pianto liberatorio, lacrime di sollievo e di liberazione da un incubo
che li aveva tormentati per anni.
Si
lasciò cadere in avanti mentre mani affettuose facevano a
gara per
sorreggerlo e donargli una spalla a cui appoggiarsi:
“Sfogati,
Alphonse, lascia uscire tutto...”.
§§§
Quando
infine Roy Mustang li raggiunse, accompagnato da Riza e dal dottor
Grunwald, ciò che si trovò davanti fu una scena
che gli fece
balzare il cuore in gola.
Ricordava
la tenerezza di quel ragazzetto, così simile al fratello
nell'aspetto ma così diverso nel carattere: e vederlo
piangere sulla
spalla di Kain mentre questi gli dava piccoli colpetti sulla schiena e
Breda armeggiava con il rubinetto dell'acqua, probabilmente per
versargliene un bicchiere, lo riempì di un misto di orgoglio
e
tristezza.
Ma
era così che voleva che la sua squadra lavorasse, era
così che
aveva sempre lavorato: una squadra che non abbandona un proprio
compagno esattamente come lui non aveva mai abbandonato nessuno dei
suoi durante la guerra.
“Hai
permesso ad Edward di andarsene, però...”
Ignorando
volutamente la propria coscienza, non voluta e non richiesta in quel
momento, egli fece il proprio ingresso trionfale: “Non avrei
mai
pensato, un giorno, di dirlo, ma rivedere i fratelli Elric in
città
è un piacevole colpo alla cupa monotonia della vita qui da
queste
parti.” cercava di scherzare ma le parole faticavano ad
uscire
dalla gola, bloccate da uno strano magone di origine ignota.
Al
alzò la testa e gli rivolse un timido ma sinceramente
affettuoso
sorriso: “Buongiorno, Comandante. Mi hanno detto che ci sono
alcune
novità.” replicò mentre Kain lo faceva
distendere su di una pila
di comodi cuscini.
“Già,
mio caro. Ma nulla di troppo difficile da ricordare, potrebbe farcela
persino quel tonto di tuo fratello Acciaio.”
“Chi
sarebbe il tonto, Colonnello, no anzi, Comandante Supremo dei miei
Automail mancanti?”
A
quella voce, seppure debole ma incredibilmente familiare, Roy Mustang
si voltò di scatto.
Sulla
porta – sorretto da Vato e Jean – c'era Acciaio,
con l'ombra di
un sorrisino fedifrago sulle labbra sottili, brandiva persino una
stampella con la mano di carne: “Se vuole che il nostro
reincontro
dopo cinque anni si concluda con il suo ricovero, resti dove si trova
mentre prendo la mira. Siamo anche nel posto giusto!”.
Note
dell'Autore:
Grazie
a Nemesi, Leouch VI e Dan2002 che hanno avuto il fegato di leggere
nonostante io
sia rimasta lontana dal fandom per, boh, quasi cinque anni. Grazie
davvero.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
GO
THE DISTANCE
CAPITOLO
2
Roy
Mustang restò qualche secondo immobile, senza proferire
parola, poi scoppiò a ridere, e la sua risata era sincera,
pura e piena di tante parole non dette e della bellezza del
reincontro a cui stava assistendo, incredulo nel proprio cuore.
“Acciaio,
ti trovo più basso del solito.” scherzò.
Evitando
agilmente una pantofola, il Comandante si posizionò dietro ad
una sedia e batté la mano sul morbido cuscino che c'era sopra:
“Forza, portatelo qui, che sembra più pallido del
lenzuolo. Non vorrei che la dottoressa ci cacciasse per
maltrattamenti sui pazienti minorenni.”
L'occhiata
che Edward gli lanciò fu di fuoco: “Comandante, non
scherzi troppo che questo
moccioso può
ancora prenderla a calci in culo quando più gli pare, anche
senza una gamba.”.
Havoc
rise sommessamente mentre lo aiutava a muoversi: “Stia attento,
Capo, non racconta bugie!” esclamò, “Ha un mucchio
di energie per essere così malmesso, mi chiedo cosa mangi a
colazione per essere così attivo.”
“Militari
in salmì.” dichiarò solennemente il biondo,
accomodandosi sulla sedia.
Breda
rischiò seriamente di strozzarsi nel tentativo di trattenere
le risa, il viso di Kain si spalancò in un sorriso mentre
Riza, rimasta accanto alla porta con la dottoressa, si concedeva una
lieve smorfia di sollievo sul viso stanco: negli ultimi anni, si era
convinta che mai sarebbe stata di nuovo felice come in passato,
quando erano tutti di stanza a East City con le sporadiche visite dei
fratelli Elric che portavano allegria in una vita grigia in divisa.
Eppure,
per un attimo, le parve che il tempo non fosse trascorso affatto: si
rivide più giovane, accanto a quelle persone che avevano
rimesso a nuovo un cuore che – alle volte - anche lei si
scordava di avere; ma questo c'era eccome. Il suo cuore attendeva
solo il lampo giallo di un paio di occhi che simboleggiavano una
giovinezza determinata e disperata di un ragazzo che aveva lottato
per tutta la propria vita e che loro - forse inconsciamente - avevano
cinto di affetto e comprensione, di amicizia e calore.
Quel
calore che, forse, loro stessi avevano dimenticato nella monotonia di
giornate tutte uguali, nel trauma di una guerra che li aveva privati
di ogni umanità.
Ma
la semplice normalità che Ed e Al portavano con loro, come il
vento del Sud che porta con sé la primavera, alleggeriva i
loro animi, li rendeva di nuovo umani mentre scherzavano e si
prendevano in giro a vicenda: Riza leggeva molte cose nei visi dei
suoi compagni ma, sopra ogni altra cosa, nei loro occhi vedeva una
nuova forza infiammarsi e una rinnovata fiducia nel proprio mondo e
nella propria vita.
Ora
i pezzi erano veramente tornati tutti al loro posto.
“Fratellone...
Hai visto?”
Con
la coperta sulle gambe e i cuscini dietro la schiena, Al era sveglio
e vigile, malgrado gli facesse male ancora più o meno
dappertutto; Edward sospirò e annuì, allungando la mano
per accarezzare quella del più giovane, appoggiata mollemente
sul lenzuolo: “Spero per voi che non abbiate terrorizzato
troppo Al.” aggiunse, osservando con aria falsamente severa
Kain e Breda, i quali si affrettarono a scuotere la testa in un
chiaro cenno di diniego.
“Figurati!
Al è un bravo bimbo e noi non lo terrorizzeremmo mai!”
esclamò il rosso: “E' vero!” aggiunse Fury senza
però riuscire a trattenere un sorriso; erano allegri, felici
di essere di nuovo assieme, notò il Comandante che era ancora
coi gomiti poggiati allo schienale della sedia su cui era accomodato
Edward.
Ci
sarebbero state molte cose di cui parlare in un prossimo futuro ma
non aveva fretta, non c'era fretta.
“Dobbiamo
trovare una soluzione per i tuoi Automail, Edward.” Falman
diede voce al pensiero generale riscontrabile negli sguardi
addolorati ogniqualvolta qualcuno di loro incrociava con gli occhi i
moncherini visibili da sotto la casacca ospedaliera: “E' vero.”
diede manforte Jean, aveva visto ciò che restava degli arti
del più giovane privi degli innesti, aveva visto le garze
macchiate di sangue e poteva solo immaginare il dolore che questi
poteva aver provato e che doveva ancora provare.
L'Elric
maggiore annuì, col cuore che gli era balzato in gola
all'idea: “Potremmo chiamare un artigiano specializzato in
Automail.” iniziò cautamente Mustang.
“Comandante,
non si formalizzi, non è da lei fare quella faccia da pesce
lesso... Se dovete chiamare Winry, fatelo...” lo stomaco del
ragazzo si contrasse, a metà tra l'aspettativa di rivedere una
persona cara a cui era legato e l'ansia per la reazione della ragazza
con cui era cresciuto, l'irritante sorella dalla chiave inglese in
testa facile.
“Winry-san
potrebbe anche raggiungerci in fretta.” Kain sembrava d'accordo
con Ed: “Si è trasferita in città ed è
molto più facile per lei venire qui.”
L'occhiata
che gli lanciarono tutti fu emblematica: c'erano delle cose che
avrebbero dovuto dire ai due ragazzi ma non in modo così
brutale.
“Non
datevi pensiero... Sono piuttosto intelligente, dopotutto...”
le parole un po' malinconiche dell'Elric maggiore colsero di sorpresa
il resto della truppa; voltatisi in simultanea, videro un lampo
doloroso nelle pupille dorate del più giovane ma niente
lacrime: “Sono passati un po' di anni, in effetti... Quando è
successo?” chiese con un filo di voce senza mollare la mano di
Alphonse, il fratellino tremava.
“Due
anni fa. Pinako-san era piuttosto anziana e se lo aspettavano in
molti; siamo andati a Resembool al funerale e poi abbiamo aiutato
Winry-san a impacchettare le proprie cose e a trovare un alloggio in
città e un locale per avviare la propria attività.”.
Le
parole di Riza rassicurarono Edward e Alphonse: “Vi ringrazio,
allora. Immagino che non debba essere stato facile...” mormorò
il maggiore con espressione assente prima di alzare lo sguardo e
incrociare quello del Comandante, “E credo di dover ringraziare
soprattutto lei. E' stato lei a convincerla a lasciare Resembool e a
venire qui, esatto? L'avrà convinta dicendole che sarebbe
stata la fornitrice ufficiale di Automail per l'esercito o qualcosa
del genere.”
Roy
Mustang sussultò: il suo segreto era stato rivelato
Il
moro scoppiò a ridere e nascose il viso tra le mani prima di
ricambiare l'occhiata del suo giovane sottoposto: “Sei
intelligente, Fullmetal. Come hai fatto a indovinare?”
Quest'ultimo
scrollò le spalle: “Winry non se ne sarebbe mai andata
senza un motivo, soprattutto non avrebbe mai lasciato la zia, e le
parole di Fury-san mi hanno dato conferma della cosa. Ve ne sono
grato.” disse solo, prima di chiudere gli occhi, esausto.
Qualche
istante dopo, sia Ed che Al erano caduti addormentati.
“Voi
restate qui, io vado a fare una telefonata.” disse
all'improvviso Mustang, girando sui tacchi per non vedere ancora quel
volto tumefatto: non sarebbe riuscito a trattenersi e giurò,
una volta di più, a sé stesso che avrebbe scovato il
responsabile non solo di quelle ferite ma soprattutto avrebbe preso a
ceffoni chiunque fosse stato a strappare con tale violenza gli
innesti, lasciando il ragazzo in balia del dolore.
Non
se ne meritava altro.
Forte
di quella rinnovata risoluzione, il Comandante uscì
all'esterno in cerca di un telefono.
§§§
“ANDREW!
RISPONDI A QUEL DANNATO TELEFONO!”
Con
un sussulto spaventato, un ragazzotto coi capelli rossi e le
lentiggini mollò il cacciavite – che cadde a terra con
un riverbero metallico – e si precipitò all'apparecchio
situato nell'ufficio del proprio capo.
Con
le mani ancora sporche di grasso, sollevò la cornetta e la
posizionò tra orecchio e spalla di modo da poter, al contempo,
finalmente ripulirle dalla lordura: “Rockbell Automail, come
posso aiutarla?”
“Reinher-kun?
Sono Mustang. Cercavo Winry.”
Il
ragazzo spalancò gli occhi ma si impose di non balbettare per
l'ennesima volta: non sapeva controllarsi, quell'uomo lo metteva in
soggezione ed era già da un po' che giungevano in officina
quelle telefonate; Rockbell-san era una brava persona – forse
un po' troppo passionale e appassionata nel proprio lavoro – ed
era anche un'ottima costruttrice di Automail e Andrew – suo
assistente da due anni – le era molto affezionato.
Ma
non si era ancora abituato a quelle telefonate così personali
tra il Comandante Supremo e il suo capo: spesso si era ritrovato a
fantasticare su come si fossero conosciuti ma non era mai riuscito a
formulare un'ipotesi sensata, né tanto meno era mai riuscito a
estrapolarle qualcosa.
“Gl-Gliela
passo subito!” gridò il ragazzo prima di coprire il
microfono con la mano: “Rockbell-san! Rockbell-san! E'
Mustang-sama!” strillò.
Qualche
istante dopo, di corsa, giunse Winry Rockbell, i lunghi capelli
tenuti fermi da una fascia e da una coda e un top con pantaloncini a
coronare il tutto: non era cambiata poi molto dall'ultima volta che i
fratelli Elric l'avevano vista.
“Comandante,
a cosa devo l'onore di una sua telefonata?” chiese con tono
scherzoso: “Sì, mi rendo conto di non essermi fatto
sentire molto spesso in questa settimana.” replicò
Mustang dall'altra parte della linea, “Ma sono state giornate a
dir poco pesanti.” confessò l'uomo, in quel momento
poggiato contro la scrivania di Doc Grunwald, “Ti ho chiamata
per chiederti di raggiungermi subito qui all'Ospedale Centrale.
Abbiamo bisogno del tuo aiuto.”.
A
quelle parole, la giovane strinse il pugno: “E' successo
qualcosa di grave?” bisbigliò con voce incrinata.
“Grave
non è la parola che userei, piuttosto direi importante. In
ogni caso, abbiamo bisogno di un set di Automail. Un braccio destro e
una gamba sinistra.”
Il
cuore della ragazza ebbe un tuffo ma si impose di non darci peso:
“D'accordo, anche i rispettivi innesti, vero?”
“Esatto.”
“Ricevuto,
ho solo bisogno di alcune misure...”
“Quelle
non te le saprei dire, è meglio che tu venga personalmente a
verificare...”
Rockbell
si appuntò mentalmente quali attrezzi prendere e quali
lasciare a casa e al tempo stesso cercava di calmare i battiti
convulsi del proprio cuore: dopotutto, se fosse stato Edward, il
Comandante glielo avrebbe detto, vero?
“Winry,
sei ancora lì?”
Riscossasi
improvvisamente dal filo dei propri pensieri, ella si affrettò
a rassicurare il proprio interlocutore: “S-Sì,
certamente! Ha ancora qualcosa da dirmi oppure posso cominciare a
raccogliere i ferri del mestiere e raggiungervi direttamente lì?”
Ci
fu un attimo di silenzio dall'altra parte della linea poi la voce di
Mustang giunse a lei stanca e sfibrata: “No, direi che non c'è
nient'altro. Ti pregherei di fare più in fretta possibile
però, è una situazione veramente delicata e sei la sola
in grado di darci una mano.”
La
ragazza annuì: “Solo una cosa...” disse, incerta
su come continuare e su come articolare le proprie parole e i
concetti che le vorticavano in testa, “E' proprio sicuro che
vada tutto bene?”
“Ne
parleremo quando sarai qui, per ora devi fidarti di me ancora una
volta.”
Winry
sospirò, sconfitta: “D'accordo. Datemi mezz'ora e mi
farò trovare nell'atrio.”
“Manderò
qualcuno a prenderti. A presto e, Winry, grazie davvero.”
§§§
Quando
infine Mustang rientrò nella stanza di Alphonse, non si stupì
troppo nel trovare un secondo letto accanto a quello del ragazzo più
giovane e neppure si scompose più di tanto nel vedere i suoi
uomini attorno ad un basso tavolino intenti a parlare fittamente:
avrebbe potuto scommettere la sua carica sull'argomento della loro
discussione ad occhi chiusi.
E
infatti, al suo arrivo, Havoc su tutti si fece avanti con aria seria:
“Dormono entrambi, Capo. Sono crollati praticamente subito. E'
riuscito a chiamare Winry-san?” chiese il biondo.
Il
Comandante annuì: “Sì, ci raggiungerà qui
tra poco. Avrei bisogno di qualcuno che vada a prenderla. Chi è
che farà il primo turno di guardia ad Acciaio e a suo
fratello?” chiese quindi.
Ci
fu un momento di impasse imbarazzata da parte dei militari, i quali
si scambiarono un'occhiata smarrita; Roy, accortosi della cosa, non
potè fare a meno di ridere: “Jean, sono passati quasi
otto anni da quando ho deciso di rendervi la mia squadra. Ormai ho
imparato a conoscervi e potrei giurare che vi stiate mettendo
d'accordo per tenere sotto controllo queste due calamite ambulanti
per i guai.”
Jean
sospirò: “Falman e Kain si sono offerti di coprire il
primo turno. Possiamo andare io e Riza a prendere Winry-san.”
Mustang
era d'accordo: “Va bene. Solo, assicuratevi che nessuno vi
segua e aspettatemi fuori dalla stanza. Bussate tre volte e io
uscirò, ci sono cose da spiegarle prima.”
“E'
giusto.”
Nella
stanza cadde uno strano silenzio, il tempo sembrava venir scandito
dal basso respiro dei due giovani addormentati e nessuno sembrava
avere troppa fretta di spezzare quell'attimo di pace ed equilibrio.
Erano
tutti stanchi, ancora intimoriti dal futuro - e frastornati per la
notizia che aveva rischiarato loro la giornata in un modo tanto
repentino e intenso - ma c'era qualcosa che aveva ripreso ad ardere:
come se quel gradito ritorno avesse rinvigorito le braci quasi spente
all'interno dell'animo del team e avesse restituito a tutti un
briciolo di speranza
Certo,
sapevano che non sarebbe durata a lungo: tante erano ancora le cose
da fare e di cui occuparsi, ma adesso sapevano di avere una seppur
piccola possibilità di uscire ancora una volta vittoriosi da
una situazione critica.
Non
erano più soli.
NOTE
DELL'AUTRICE:
Grazie
di cuore ai miei recensori e a chi segue senza palesarsi. Sono
contenta di riuscire di nuovo a scrivere come un tempo su uno dei
miei fandom di adozione.
Dal
prossimo capitolo non solo si entrerà maggiormente nell'azione
ma Ed e Al rivedranno alcuni vecchi amici: e non solo Winry ma anche
una certa coppia di mamma e figlia...
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
GO
THE DISTANCE
CAPITOLO
3
Quando
Winry Rockbell entrò nell'atrio dell'Ospedale Centrale,
carica di
borse e attrezzi, non ebbe alcuna difficoltà nel riconoscere
i
propri accompagnatori, i quali sembravano chiacchierare
tranquillamente tra loro al centro della sala: “Riza-san!
Havoc-san!” gridò, cercando di attirarne
l'attenzione.
I
due militari alzarono di scatto la testa e la videro, affrettandosi
quindi a raggiungerla: “Grazie di essere qui.”
disse subito la
donna con tono visibilmente sollevato e un'espressione quasi allegra
sul volto, “Dai a me quelle borse, sembrano
pesanti.” si offrì
invece lui, tendendo le mani.
Winry
gliele affidò con sollievo: “Grazie, lo sono, ad
essere sincera.
Visto che il Comandante non mi ha dato misure o indicazioni, ho
preferito portare tutto il materiale necessario qui di
persona.”
dichiarò, non le sfuggì lo sguardo inquieto che i
due compagni si
scambiarono e si ripromise di chiedere delucidazioni, anche allo
stesso Mustang se necessario.
“Allora,
andiamo... Dobbiamo camminare un po' prima di arrivare...”
azzardò
Havoc, conducendo il trio verso lo stesso corridoio da cui erano
passati qualche ora prima assieme alla signorina Maya.
Una
volta di più, durante gran parte della marcia, restarono in
silenzio: Jean portava senza problemi i bagagli dell'ingegnere, Riza
camminava accanto alla ben più giovane donna e quest'ultima
taceva,
immersa nei propri pensieri, non credeva che fosse una coincidenza.
Prima
il Comandante spariva per una settimana quando non era trascorso
giorno senza che egli la chiamasse anche solo per sincerarsi come
stesse – Winry sospettava si sentisse in colpa per Edward e
Alphonse e quindi lo lasciava fare, le faceva quasi piacere, in
effetti, avere contatti con forse l'unico che fosse mai riuscito a
conoscere più o meno a fondo le persone che, per lei, erano
state
come fratelli – poi riappariva con una sbrigativa telefonata,
le
chiedeva di raggiungerlo in Ospedale per un set di Automail che,
guarda il caso, erano una gamba sinistra e un braccio destro.
Winry
Rockbell non era ingenua: sentiva che c'era qualcosa che non andava e
quelle misteriose scomparse e ricomparse... La giovane aveva un'amica
in Ospedale, si erano conosciute durante uno dei suoi interventi per
le forze militari ed ella si era sfogata con lei: certo, forse non
era stato poi molto corretto rivelare ad un civile certe cose ma la
ragazza in questione era così stanca e sotto pressione che,
sulle
prime, Winry non aveva minimamente preso in considerazione le
conseguenze di tale sfogo.
Solo
dopo che le erano stati rivelati i deliri delle persone misteriose
che erano comparse al posto di altre - deliri e confessioni che
parlavano di altre città, di un mondo dove non esisteva
l'Alchimia –
fu solo allora che Rockbell capì e la consapevolezza l'aveva
colpita
come un pugno violento nello stomaco.
Alphonse
gliene aveva parlato – lo ricordava chiaramente –
prima di
correre a Central City ormai cinque anni prima: nulla le impediva a
quel punto di sperare.
“Eccoci,
siamo arrivati.”
La
voce stanca di Jean Havoc risuonò nel corridoio deserto e
silenzioso
e Winry alzò la testa: si trovavano davanti ad una porta
lucida ma
chiusa.
Dinanzi
ai suoi occhi, il militare bussò tre volte e, qualche
secondo dopo,
da essa uscì il Comandante.
“Benvenuta.”
la salutò lui con un sorriso sincero, tendendole la mano per
stringergliela: “Grazie...” riuscì a
dire soltanto lei,
ricambiando il saluto.
“Sono
venuta prima che ho potuto e ho portato anche numerosi ferri del
mestiere.” disse, sentendosi infinitamente stupida: l'aveva
già
detto al telefono ma non sapeva cosa altro dire, quella sensazione di
disagio e aspettativa la rendeva nervosa e incapace di dire qualcosa
di più arguto.
“Riza,
Jean, potete entrare un attimo? Devo parlare con Winry.”
I
due militari si guardarono poi annuirono e lasciarono il corridoio,
da lì, la ragazza poteva vedere un letto e alcune divise
all'interno, che il resto del Mustang Team fosse lì?
“Cosa
deve dirmi?” chiese poi lei, una volta richiusasi la stanza;
Mustang sospirò e si poggiò alla parete, cercando
di raccogliere le
parole: “Ci sono alcuni avvertimenti che devo darti, prima di
entrare. Primo fra tutti, ti pregherei di tenere per te quello che
vedrai e le parole che udrai, almeno fino a quando non te lo
dirò
io. Poi, devo confessarti che potresti avere un piccolo
shock,” il
cuore di Winry ebbe un tuffo a tali parole, “e
terzo...”
“Comandante...”
bisbigliò lei: “Mi dica la
verità...”.
“Non
è semplice...”
“Si
tratta di... loro... vero? Comandante, la prego, me lo
dica...”
Gli
occhi di Winry si riempirono di lacrime mentre si aggrappava alla
casacca di Roy e lo guardava fisso nell'unica pupilla spalancata e
smarrita: “Se si tratta di Edward, voglio saperlo, e ora!
Voglio
sapere se sta bene, se c'è anche Alphonse... Me lo deve dire
ora,
Comandante... Mi ha chiesto di creare due Automail, un braccio e una
gamba, non deve essere un caso!” gridò ella.
“Winry,
per favore.... Smettila di piangere.”
Una
voce roca e conosciuta la fece sobbalzare e voltare di scatto: sulla
soglia, sorretto da Jean e Vato e visibilmente esausto e affaticato,
c'era Edward Elric; la giovane ebbe un secondo sussulto nel vederne
il corpo magro e rappezzato di cerotti e bende e si sentì
morire nel
vedere che mancavano i suoi due arti artificiali.
“Ed...”
bisbigliò con le lacrime che le scivolavano lungo le guance:
“Edward...” ripetè, incapace di pensare
ad altro che a quella
visione.
“Winry...
Sto bene... Non c'è bisogno di preoccuparsi per
me...” disse lui
con gli occhi velati di sonno: “Al è qui dentro...
Stiamo
bene...”.
Rockbell
non riuscì più a trattenersi e gli
gettò le braccia al collo:
“Brutto fratellino idiota!” gridò con
voce soffocata dalla
spalla del ragazzo più grande, “Cosa ti
è successo...?” chiese,
col viso nascosto nel collo di Ed.
“Troppe
cose...” sussurrò lui, era stanco ma sentiva di
dover rincuorare
Winry, rassicurarla sulle loro condizioni; e poi, non pensava di
essere in grado di rivivere ogni cosa, non così presto
almeno.
Aveva
bisogno di ancora un po' di tempo.
Le
mani tremanti di Mustang si poggiarono sulle spalle dei due giovani e
il Comandante sorrise ai loro visi pallidi e solcati da lacrime:
“Non
è il caso di parlare qui fuori.”
dichiarò, stringendo lievemente
la presa su quella di Edward, “Entriamo, su.”.
Winry
si asciugò vigorosamente le lacrime e annuì,
precedendo l'Elric
maggiore all'interno, il cui viso sembrava infinitamente più
sereno:
“Forza, Edward, andiamo anche noi.” disse Havoc,
cingendogli
gentilmente i fianchi col braccio, “Non ti fa bene zompettare
in
giro in queste condizioni.” aggiunse, facendo un cenno a
Falman,
che aveva accolto il corpo esausto del compagno più giovane,
lasciatosi cadere all'indietro per la debolezza.
Con
cautela, i due soldati lo riportarono in stanza mentre Mustang, con
aria circospetta e guardinga, osservava attentamente il corridoio:
una volta assicuratosi che non vi fosse nessuno nei paraggi, si
richiuse la porta alle spalle e si avvicinò ai sottoposti,
assiepati
attorno alla branda su cui era stato deposto il giovanotto
semi-svenuto.
Alphonse
dormiva ancora, pareva non essersi accorto di nulla.
Winry
era inginocchiata a terra, intenta a frugare in una delle borse che
si era portata dietro ma senza proferire verbo: era ancora sotto
shock, ma il Comandante e tutti potevano giurare di vedere un vago
sorriso tremulo sulle sue labbra tenute strette, forse per impedire
alle lacrime di scendere ancora e ancora.
Quando
infine la situazione sembrò calmarsi – e Breda e
Kain si furono
defilati all'esterno per andare a chiamare l'infermiera –
Rockbell
alzò la testa e si avvicinò al letto, tra le mani
aveva un metro da
sarta: “Ora ho bisogno di aiuto.” disse, voltandosi
verso Jean,
“Scosta la coperta e aprigli la casacca. Devo prendere le
misure.”.
Havoc
obbedì senza proferire parola, ignorò gentilmente
il sussulto che
la ragazza ebbe nel vedere il corpo pesantemente fasciato di Edward e
fu rapido a ricoprirlo una volta conclusasi l'operazione.
Winry
si appuntò alcune cifre su di un logoro blocchetto e
restò qualche
istante con lo sguardo perso nel vuoto: “E'
cresciuto.” notò
infine con tono velato di affetto, “Non è
più il solito
tappetto... E' diventato alto quasi quanto me.”.
“Non...
sono... piccolo...” rantolò il ferito.
Una
risata sommessa serpeggiò tra i presenti: “Certe
cose non cambiano
mai...” disse Riza con un sorriso sincero; Roy
annuì, incapace di
dire alcunchè, non era ancora riuscito a sincerarsi
personalmente
dell'estensione delle ferite dei due ragazzi ma la vista di tutti
quei bendaggi lo fece avvampare di rabbia.
“Credo
di poter ricostruire gli innesti in tempi brevi, dovrò
mettere in
pausa alcuni altri progetti ma voglio che Ed abbia la
priorità su
tutto.” affermò lei determinata:
“Sarebbe fantastico.” ribatté
Havoc, “Ora però il problema è un
altro...” si intromise Riza.
“Che
genere di problema c'è, Tenente Colonnello?”
La
voce della dottoressa Grunwald fece voltare tutti i presenti, i quali
videro la donna – accompagnata dall'assistente –
con dietro Breda
e Kain: “Che problema?” ripeté ella,
vedendo che nessuno
sembrava intenzionato a rispondere.
“Si
riferiva senza alcun dubbio alla possibilità che i fratelli
Elric
vengano presto dimessi, probabilmente – come tutti noi
– è
preoccupata per questa situazione di crisi e si chiedeva come fare
con la mancanza di posti letto disponibili, dato il grande numero di
ricoverati. Certo, se venisse accettata la proposta che il Comandante
ha inoltrato...” intervenne Mustang con nonchalance,
ammutolendo
tutti.
Doc
Grunwald sospirò, fulminando con lo sguardo l'Alchimista di
Fuoco –
che mantenne comunque la propria espressione sbruffona – il
quale
ne resse tranquillamente lo sguardo: “Venivo appunto a
riferirvi
della decisione della responsabile medica dei due pazienti, che per
inciso sarei io. Sono stata informata che avete interpellato
un'artigiana per ripristinare le protesi del signor Elric.
Signorina.” disse, rivolgendosi quindi a Winry,
“Prima di
installare qualsivoglia innesto per Automail, gradirei scambiare due
chiacchiere con lei, magari davanti ad una tazza di tè
mentre le
illustro l'estensione dei danni ai nervi, solo a quel punto potremmo
concordare insieme una via d'azione per restituire a Edward l'uso
degli arti. Direi che, almeno per qualche tempo, non sarà
possibile
effettuare operazioni di questo tipo.”.
La
ragazza annuì determinata: “La
ringrazio.” disse solo con un
rapido inchino.
“Poi
veniamo a noi, Comandante. Tra tre giorni, non uno di meno, le
farò
pervenire le pratiche di dimissione, ho deciso che la convalescenza
potrebbe essere più rapida e confortevole in un ambiente
familiare e
riservato quindi autorizzo la presa in custodia da parte sua dei
nostri due pazienti qui.” concluse con un sorriso.
Roy
Mustang si lasciò andare ad un risata trionfale:
“Le sono
infinitamente grato, dottoressa.”.
“Non
mi faccia pentire della mia scelta, però.”
“Non
si preoccupi, non succederà.”
Ella
si guardò attorno con aria soddisfatta, poi fece un cenno a
Maya ed
entrambe uscirono, lasciando il Team da solo.
A
squadrare Mustang.
Il
quale seguitava a sorridere come un bambino.
“Quindi
era questo il suo piano, capo?” chiese Breda, il primo ad
avere il
coraggio di rompere il silenzio stupefatto dei compagni.
“Lasciamo
soli questi due per qualche anno e ce li ritroviamo conciati per le
feste, ho pensato che, in quanto ufficiale di grado superiore, fosse
mio dovere occuparmene, sia mai che ci rimangano sulla
coscienza.”
disse lui con tono fintamente indifferente: “Però
suppongo che
avrò bisogno di aiuto, gestire Fullmetal e suo fratello
è una
missione da task force speciale.”
Jean
scoppiò palesemente a ridere: “Non ha tutti i
torti, Capo!”
esclamò lui, “Sa come si dice dalle mie parti? Ci
vuole un
villaggio intero per crescere un bambino.”
“Quindi
Acciaio sarebbe un bambino?”
“Beh,
magari non d'età ma, suvvia, si è sempre cacciato
in una marea di
guai! Lo sappiamo tutti!”
Le
chiacchiere e i commenti durarono ancora per qualche minuto ma
Fullmetal non battè ciglio, doveva essere proprio sfinito;
quando
infine Mustang si chinò a recuperare il mantello, Riza, Jean
e Breda
si attivarono per aiutare Winry a recuperare i propri attrezzi:
“Ora
lasciamoli riposare.” ordinò il Comandante con
espressione seria,
“Tra quanto dovrete darvi il cambio?” chiese,
rivolto ai due
militari che sarebbero rimasti, “Vi faremo sapere quando
avremo
bisogno di farci sostituire, non datevi pensiero.”
ribattè Vato,
accomodandosi su di una sedia, “Ci fa solo che piacere fare
loro
compagnia.” sorrise Kain.
Mustang
annuì: “Per qualunque cosa, fatemi chiamare, siamo
intesi?”
I
due sottoposti annuirono e lui sospirò, col cuore
infinitamente più
leggero, prima di voltarsi verso Winry: “Ti riaccompagno in
officina?” chiese; ma ella scosse la testa, asciugandosi una
lacrima fuggiasca, “Non si preoccupi, ho la macchina qui
fuori.
Torno da sola e mi metterò subito all'opera.”
“Vuoi
che venga con te?” si offrì Riza: “Se il
Comandante non ha nulla
in contrario, il mio turno sarebbe finito tre ore fa...”
La
giovane Rockbell soppesò per un attimo la proposta, poi
annuì: “Va
bene, grazie. Reinher-kun deve essere già tornato a casa e
un po' di
compagnia non mi dispiacerebbe.”.
Mustang
approvò la richiesta della sua assistente e in breve la
stanza si
svuotò, lasciando i due Elric addormentati e al sicuro.
§§§
Era
tardo pomeriggio quando Elycia, uscita da scuola, trovò ad
attenderla una faccia familiare.
“Roy-ojisama!”
gridò la ragazzina, correndo incontro al Comandante Supremo,
che la
attendeva nel cortile dell'istituto scolastico con un coloratissimo
ombrello in mano, ombrello che cozzava con il pastrano scuro che
indossava l'ufficiale.
L'uomo
le sorrise e, quando la piccola lo ebbe raggiunto, la
abbracciò con
forza: “Mamma è a casa, vero?” chiese
lui, caricandosela in
braccio.
Ad
Elycia piaceva lo zio Roy, tantissimo. Le ricordava il suo
papà.
“Sì,
mi aspetta.” rispose lei.
“Ti
va di venire a casa con me? Sono in macchina.” le chiese.
Elycia
ci pensò su un attimo: certo, era bellissimo correre con gli
stivaletti da pioggia nelle pozzanghere ma anche farsi portare in
giro dallo zio era fantastico...
Decise
che poteva anche rinunciare a bagnarsi come un pulcino, per una
volta: “Vengo con te!” esclamò con un
gran sorriso.
Mustang,
con la cartella della nipotina acquisita sulla spalla e la piccola
ancora aggrappata al suo collo, si diresse quindi verso la macchina,
posteggiata poco lontano, e caricò Elycia sul sedile del
passeggero
prima di riporre lo zainetto nel portabagagli.
Quando
rientrò nell'abitacolo, aveva tutti i capelli inzuppati ma
sorrideva.
“A
casa! Mamma ti starà aspettando con una tazza di cioccolata
calda.”
Il
viaggio durò una decina di minuti – complice anche
il traffico –
e quando si fermarono al di fuori della villetta che era la residenza
della famiglia Hughes, Roy vide chiaramente la figura di Gracia alla
finestra che, notandolo, aveva alzato la mano in segno di saluto
prima di sparire.
“Aspetta
a scendere, prendo l'ombrello.” disse l'ufficiale alla
piccola, che
annuì.
Qualche
minuto dopo, i due suonarono alla porta e subito la vedova Hughes
comparve sulla soglia: “Buongiorno signora, ho trovato questa
piccina in giro, è per caso sua?” disse l'uomo con
tono scherzoso.
“Mamma,
mamma! Hai visto?! Roy-ojisama è venuto a
prendermi!” rise la
bambina.
Gracia
fece un leggero inchino: “Grazie, signor caporale.”
“Sa,
signora... In verità mi avrebbero promosso...”
“Ah,
mi scusi... Colonnello.”
Era
un gioco che facevano tra loro ogni volta che si vedevano: Gracia era
molto riconoscente a Roy, lo vedeva come una sorta di fratello
maggiore molto protettivo e poi era così legato ad Elycia...
“Forza,
entrate.” disse infine lei, lasciando passare la figlioletta
zompettante.
“Credevo
che non ci saresti più passato a trovare.” disse
la donna,
aiutandolo a levarsi il soprabito, “Ho sentito cosa sta
succedendo
in città, non avete ancora indizi?” chiese quindi,
a bassa voce
per non farsi sentire dalla bambina.
Mustang
scosse la testa: “Non proprio, abbiamo forse una pista ma
dobbiamo
aspettare. Ci sono però delle novità. Alcune
persone sarebbero
molto felici di vedere te e la bambina e mi chiedevo se questa sera
oppure domani vi andrebbe di venire con me a far loro visita.”
Gracia
sgranò gli occhi: “E chi sarebbero?”
chiese curiosa.
“Un
cane randagio senza fissa dimora, piuttosto antipatico a dire il
vero, e un gattino.”
A
quelle parole, la donna si portò la mano alla bocca, aveva
capito:
“Li avete ritrovati?!”
“Diciamo
che ci sono caduti in braccio tra capo e collo, li hanno ripescati
dal fiume in cui erano precipitati e li hanno soccorsi prima di
portarli al Centrale. Sono piuttosto malconci e credo che vedervi
potrebbe essere una distrazione sufficiente per restituir loro almeno
una parvenza di sorriso.”
La
donna si asciugò gli occhi lucidi poi sorrise e prese le
mani di
Mustang, stringendogliele: “Maes adorava quei ragazzi e, per
me,
sono stati come due figli in più... Io magari non
potrò fare
granchè ma voglio star loro vicino quanto
possibile.”
“Lo
capisco, Gracia, lo capisco perfettamente. Possiamo andare a fare
loro un saluto più tardi.”
“Certo,
avete chiamato Winry-chan?”
“Sì,
ha già visto Acciaio e ha perfino preso le misure per dei
nuovi
Automail.”
“Elycia
sarà felicissima di vederli.”
NOTE
DELL'AUTRICE:
Grazie
infinite alla mia beta _Kurai_ per l'aiuto enorme che mi sta dando e
grazie anche a Nemesi.
Sono
contenta che la storia si stia sviluppando così bene.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
GO
THE DISTANCE
CAPITOLO
4
Guardandosi
attorno con aria vispa, Elycia Hughes entrò nell'atrio
dell'ospedale
che era ormai tarda serata, la manina stretta a quella della mamma e
dello zio acquisito.
“Perchè
siamo venuti qui?” chiese lei, puntando i grandi occhioni
azzurri
sul Comandante: “Me lo hai promesso, zio Roy.”
s'imbronciò,
arricciando il nasino.
A
quella vista, il Fuhrer per poco non scoppiò a ridere ma si
limitò
a sorriderle e a inginocchiarsi per raggiungere la sua altezza:
“Voglio farti incontrare due persone che ti vogliono tanto
bene e a
cui farebbe tanto piacere vederti.” disse.
“Ma
non potevano venire a casa nostra?” chiese ancora la piccola
con
espressione dubbiosa.
“No,
Ely. Si sono fatti male e non possono muoversi di qui.”
Gracia
giunse in soccorso di Mustang, il quale le fu estremamente grato: non
era abituato ad avere a che fare coi bambini, temeva di dire cose che
avrebbero potuto turbare la piccola, la quale sgranò gli
occhietti e
si strinse nelle spalle.
“Mamma,
allora perché non abbiamo fatto i biscotti? Magari gli
sarebbero
piaciuti.” chiese quindi alla madre.
“Perchè
ai dottori non piacciono i biscotti.”
“Ma
che cosa triste!”
A
quel punto, Roy non resistette più e se la caricò
in braccio:
“Andiamo, che ci stanno aspettando.” concluse,
guidando le due.
Ed
era vero: poco prima di uscire di casa si era assicurato di chiamare
i propri uomini e di avvertirli che stava arrivando con due fanciulle
molto speciali al seguito.
Confusi,
Jean e Breda avevano cercato di saperne di più ma Mustang li
aveva
liquidati con un semplice “Vedrete.”
e aveva riattaccato.
Ora,
con la bambina in braccio e Gracia al fianco, il Comandante
percorreva a passo svelto il corridoio deserto che ormai conosceva
praticamente a memoria: buffo come un luogo possa diventare
rapidamente il centro del tuo mondo nel giro di qualche ora.
Muovendosi
rapidamente e con passo silenzioso, i tre visitatori
raggiunsero in breve la vetrata che separava il reparto dal resto
dell'edificio.
I
militari, appena li videro, rivolsero loro un saluto: “Tutto
a
posto, Comandante.” disse uno dei due, quello che pareva il
più
giovane, “Falman e gli altri sono ancora dentro e nessuno ha
gironzolato da queste parti.”.
Mustang
annuì: “Ottimo lavoro, fate buona
guardia.” disse, congedandosi
infine prima di entrare.
Dopo
un'altra manciata di minuti, finalmente raggiunsero le due porte, al
cui esterno trovarono Breda e Kain i quali non riuscirono a non
lasciarsi sfuggire un sussulto sorpreso nel vedere la coppia di madre
e figlia: “Buonasera, ragazzi.” trillò
Gracia, sistemandosi lo
scialle sulle spalle, “Siamo venuti a vedere come stanno i
due
animaletti domestici.” sogghignò Roy, prima di
voltarsi verso
Elycia.
“Ti
ricordi di Edward e di suo fratello?” le chiese quindi l'uomo.
Alla
piccola si illuminarono gli occhi: “Il fratellone
Edward?!”
esclamò, divincolandosi per scendere:
“C'è veramente il
fratellone qui dentro?!” chiese, indicando febbrilmente la
porta
alle spalle dei due soldati.
La
mamma le sorrise: “Sì, ma devi stare calma. Si
sono fatti male e
hanno bisogno di riposare.” disse lei.
Elycia
annuì vigorosamente: “Farò pianissimo.
Ma voglio vedere il
fratellone Edward!” il suo tono non ammetteva repliche.
Breda
si lasciò scappare un sorriso: era bello vedere quella peste.
“Ti
accompagno io, Ely-chan.” si offrì Kain,
tendendole la mano: “E'
al sicuro con me, Comandante, Gracia-san.” aggiunse il
giovane
ufficiale.
La
vedova Hughes sorrise: “Non potrei immaginare nulla di meglio
per
lei.” confermò, dando un bacio sulla testa alla
figlia prima di
farla andare.
Nel
corridoio restarono solo i due soldati e la donna mentre tra di loro
cadeva un silenzio strano, stanco e pieno di domande e
preoccupazioni. Fu infine la voce di Heymans, esausta, a rompere
quella fragile tranquillità:
“La dottoressa Grunwald
è passata un altro paio di volte, Edward è stato
definitivamente
trasferito in questa stanza assieme ad Alphonse. Ha chiamato
Hawkeye-san e ha detto che resterà con Winry-san per
stanotte.”
Mustang
assorbì le informazioni con estrema rapidità e
già la sua mente
stava organizzando piani e progettando ordini da dare al più
presto:
“Ottimo lavoro, ragazzi. Sapevo di poter contare su di voi.
Notizie
di altri ritrovamenti?”
Il
sottoposto scosse la testa: “Niente, abbiamo però
richiesto che
venisse rafforzata la sorveglianza in giro per la città e
Sheska-san
dovrebbe già essersi messa al lavoro.”
“Allora
se è lei ad occuparsi delle cose, sono
tranquillo.” decretò
infine Mustang, dando il braccio a Gracia: “Vi affido la
sorveglianza qui fuori, per qualunque cosa, lanciate una voce e vi
raggiungo.” concluse.
§§§
Quando
Elycia e il suo accompagnatore entrarono all'interno della stanza, la
prima cosa che fece Jean, vedendoli, fu di lanciare la sigaretta
fuori dalla finestra e sorridere alla piccola visitatrice:
“Guarda
guarda chi è venuto a trovarci!” disse a voce
tenuta bassa, in
considerazione dei due feriti che riposavano.
Con
un sorrisino, la bambina annuì e agitò la manina
in un cenno di
saluto prima di concentrarsi unicamente sul letto più
vicino, tra le
cui coltri si poteva distinguere il viso pallido del maggiore dei due
Elric.
Lasciata
la presa sulla mano del militare più giovane della
compagnia, ella
si avvicinò in silenzio e, sportasi un pochino,
accarezzò la fronte
del ragazzo davanti a sé: “Edo-nii...”
mormorò Elycia,
sbirciandone i graffi sul volto, “Aru-nii...” disse
ancora,
spostando lo sguardo sull'Elric minore, nel letto accanto al
fratello.
Le
guance di Edward, poi, erano visibilmente arrossate.
“Sta
male?” chiese lei a voce bassa per evitare di svegliarlo.
Kain
si scambiò un'occhiata con i propri colleghi, poi
annuì: “Sì,
Ely-chan.” mormorò, affiancandola, “Il
dottore ha detto che ha
un po' di febbre.” aggiunse Jean, avvicinandosi.
Per
tutta risposta, la piccola fissò il proprio sguardo sul viso
tormentato del ragazzo più grande, lo stesso biondino che
aveva
conosciuto tanti anni prima, che aveva imparato ad amare come un vero
e proprio fratello maggiore; pochi minuti dopo, ella tirò
fuori
dalla tasca della giacchetta un fazzoletto di stoffa e lo
inzuppò
nella ciotola lasciata abbandonata sul vicino comodino.
Con
cura, Elycia passò la pezza umida e fresca sulla pelle
bollente del
malato, che trasse un sospiro di sollievo nel sonno.
“Visto?”
disse lei con un sorriso: “Il fratellone sta meglio
adesso.”
aggiunse con orgoglio mentre continuava nella sua accurata opera di
recare soccorso al ragazzo più grande, la leggera barba
incolta –
che nessuno sembrava aver ancora avuto tempo di radere – non
era un
ostacolo eccessivo e, sportasi meglio, la ragazzina riuscì a
ripulire anche gli ultimi residui di sangue secco celati da orecchie
e capelli spettinati.
La
porta alle sue spalle si aprì con un cigolio ma lei non si
distrasse
e Mustang e Gracia la videro all'opera; stupita e anche un poco
commossa, la madre si voltò in direzione del più
giovane dei
militari per poi staccarsi lentamente dal fianco del Comandante
Supremo, avvicinandola.
“Mamma,
il fratellone ha la febbre.” dichiarò lei a bassa
voce non appena
la donna la ebbe raggiunta: “Volevo che scendesse un
po'...”
borbottò.
La
donna, con le lacrime agli occhi, non potè più
trattenersi: gettò
le braccia al collo della figlia e la strinse forte.
Mustang,
alle loro spalle, era ugualmente emozionato dalla scena che si stava
svolgendo davanti ai suoi occhi: sapeva di aver fatto bene a portare
lì Elycia, la sua presenza sarebbe stata di sicuro aiuto.
“C-Che
succede qui?”
Un
sobbalzo improvviso accomunò tutti i presenti, che si
voltarono di
scatto verso i due letti: ma non era stato l'Elric maggiore a parlare
– ancora profondamente addormentato – quanto
piuttosto Alphonse,
i cui occhi erano velati di sonno e confusi; “C-Cosa s-state
facendo?” domandò ancora.
Jean
sospirò e, con un movimento rapido, gli rimboccò
le coperte e gli
sistemò meglio il cuscino: “Nulla, Alphonse. Siamo
qui per evitare
che vi cacciate in qualche altro guaio. E poi, avete una
visita.”
aggiunse, facendo poi un cenno alla piccola Elycia di raggiungerlo.
Uscita
dall'ombra della lampada da tavolo, la bambina mosse qualche timido
passo sotto lo sguardo sconvolto di Al: “Ciao,
fratellone...”
bisbigliò lei, “Come stai?”.
Con
aria smarrita, il minore dei due fratelli Elric alzò lo
sguardo e il
cuore gli si fermò in gola nel vedere Gracia Hughes e i suoi
occhi
pieni di lacrime.
“Ben
svegliato, Al-kun.” sussurrò la donna, che aveva
imitato la figlia
e aveva raggiunto il biondo militare: “Bevi un
po'.” disse
ancora, porgendogli un bicchiere pieno di acqua fresca.
Al
ragazzo tremavano parecchio le mani, così la donna, con fare
materno, gli avvicinò il contenitore alle labbra e
–
sorreggendogli la testa – lo aiutò a bere poche ma
sostanziose
sorsate: “Va meglio ora, vero?” chiese lei con un
sorriso.
Al
annuì piano, ancora sconvolto.
“Non
fare quella faccia da pesce lesso, Al-kun.” rise Jean,
dandogli uno
scherzoso colpetto alla spalla: “Gracia-san è
stata gentile a
passarci a trovare!” aggiunse Kain, avvicinandosi al gruppo:
“Di
nulla, spero che questi ragazzi possano venire a casa nostra, una
volta che li avrete rilasciati da questa specie di prigione.”
“Parola
mia, sono più confortevoli le celle militari.”
scherzò Breda.
Una
risata a bassa voce serpeggiò tra loro, liberando il petto
dell'Elric minore da un considerevole peso.
“Visto,
mamma?! Dovevamo fare i biscotti!” esclamò Elycia,
poggiata coi
gomiti sul materasso: “Non preoccuparti, fratellone...
Chiederò
alla signora dei gatti di farmene un po' e te li porto la prossima
volta...” sussurrò con fare cospiratorio.
Alphonse
non sapeva chi fosse questa “signora dei gatti” ma
non potè non
sorridere all'espressione amorevole della bambina.
Il
Comandante osservò con aria affettuosa i compagni
lì riuniti, che
facevano a gara per tenere Alphonse di buon umore, mentre lui stesso,
seduto accanto al letto di Acciaio, ne teneva d'occhio la
temperatura: aveva dato la propria parola alla dottoressa che non
sarebbe successo nient'altro ai quei due ragazzi e aveva tutta
l'intenzione di mantenere la parola.
§§§
“Sei sicura che non
ti dispiaccia ospitarmi per la notte?” chiese Riza
dal bagno dell'appartamento della giovane meccanica.
Winry,
impegnata a fare il letto nella stanza degli ospiti, non rispose
subito ma – una volta finito di mettere a posto i cuscini
– la
sua voce non aveva la benchè minima sfumatura di incertezza:
“Certamente, nessun problema. E' anche un ringraziamento per
oggi
pomeriggio. Vi sono davvero grata... Per tutto...” disse in
un
sussurro.
L'ufficiale
la raggiunse qualche secondo dopo, pronta per la notte:
“Winry-san,
l'abbiamo fatto volentieri.” disse lei con una sfumatura di
dolcezza nella voce, “Per il Comandante, per noi tutti...
Siete
importanti. Lo sai.”.
“Sì,
è che è strano pensare che... Che siano qui...
Che siano veramente
qui.”.
Riza
annuì, si sedette sul letto appena fatto e fece un cenno
alla
ragazza più giovane di imitarla; Winry si
affrettò ad obbedire e,
appena ebbe toccato il materasso, venne avvolta dalla stretta
possente dell'ufficiale: “Concentrati sul tuo lavoro e vedrai
che
in men che non si dica usciranno dall'ospedale e tornerà
tutto come
prima. Abbi solo un po' di pazienza...” le
sussurrò.
Aveva
sempre avuto a cuore quella ragazza, l'aveva vista diventare una
donna meravigliosa davanti ai propri occhi e, per lei, aveva sempre
cercato di essere qualcosa il più possibile vicino ad una
sorella,
sentiva di avere un legame speciale con Winry.
Le
era affezionata e voleva che fosse felice.
La
giovane artigiana si dimostrò ancora una volta
più forte che mai:
sciolse l'abbraccio, si sfregò rapidamente gli occhi per
cancellare
ogni traccia del momento di debolezza appena avuto e scattò
in
piedi, sorridendole.
“Ora
torno in laboratorio, c'è ancora molto da fare!”
esclamò con
decisione: “Stavo pensando di sperimentare un nuovo tipo di
metallo
con un innesto particolare che dovrebbe essere più leggero e
meno
doloroso da installare, i nervi sicuramente ne gioveranno
e...”
Mentre
Winry sembrava tornata la solita e spumeggiante giovane donna di
sempre, Riza la ascoltava sorridendo, finalmente rilassata.
§§§
La
stanza era buia, fredda e sporca.
In
ogni angolo, cartacce, rifiuti e chiazze di inchiostro che si
allargavano a vista d'occhio sul logoro parquet davano all'ambiente
una nota di degrado non indifferente; per non parlare dell'odore
fetido che aleggiava nell'aria, rendendola quasi irrespirabile.
I
rantoli che la figura – rannicchiata in un angolo –
faceva erano
bassi e spezzati, come se le mancasse l'ossigeno.
Stretto
nel suo pugno, illuminato dalla fioca luce di una candela consunta,
stava un pennino, intriso del sangue delle molteplici ferite che gli
percorrevano la mano e il braccio, arabeschi sanguigni che
risaltavano sulla pelle pallida che s'intravedeva sotto lo sporco di
lunghi giorni trascorsi in quella topaia.
Anche
le vesti erano strappate e inservibili ma erano le uniche che
possedeva.
Il
pennino percorreva il muro di granito, disegnando con un tratto
sottile dei segni all'apparenza mistici, figli di una cultura troppo
lontana dal mondo che lo aveva accolto, se così si poteva
dire.
Nella
sua follia, era certo che quel mondo lo avesse rapito, lo avesse
strappato alla sua vita e alla sua famiglia, spaventato dal suo
potere inenarrabile.
Era
stato perseguitato a lungo...
Ricordava
il fuoco, le armi che si abbattevano sul suo corpo, egli stesso
incapace di difendersi...
E
poi la quiete di quel luogo schifido in cui aveva trovato temporaneo
rifugio.
Ma
lui voleva vendicarsi, vendicarsi su coloro che lo avevano trattato
alla stregua di un animale e poi tornare finalmente a casa.
Finì
di compilare gli ultimi segni, poi nascose il pennino tra le vesti e
infine poggiò ambedue le mani scheletriche e tremanti sul
muro;
questi splendette per un attimo di una luce sanguigna, illuminando
tutto l'ambiente circostante.
Poi
una folata di vento violenta spense tutte le candele e la stanza
sprofondò
nell'oscurità più fitta.
NOTE
DELL'AUTRICE
Capitolo
più corto del solito perchè, a partire dal
prossimo, si entra nel
vivo della storia: ma attenzione, non è tutto oro quel che
luccica:
non fidatevi subito del vostro istinto e fate attenzione ai colpi di
sciena.
Grazie
a Nemesi e Lelouch e santa sia la mia beta Kurai.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
GO
THE DISTANCE
CAPITOLO
5
“Fratellone,
che succede?”
Alphonse
e la sua voce preoccupata scossero Edward dai suoi pensieri: i due
ragazzi erano seduti sui loro letti d'ospedale, vestiti di tutto
punto con abiti civili e in attesa dei documenti per la
“scarcerazione”; erano stati tre giorni lunghi e
difficili,
trascorsi perlopiù addormentati per lo stress e le medicine
pompate
all'interno dei loro corpi per contrastare le infezioni ma, una volta
svegli, il dolore era tale da strappare loro gemiti continui sotto
gli occhi addolorati dei loro amici lì riuniti.
Winry
passava spesso ma i due fratelli l'avevano potuta vedere solo per
pochi minuti mentre Mustang...
I
due Elric non lo sapevano con certezza ma, data la frequenza con cui
si faceva vedere da quelle parti, sospettavano che avesse trasferito
il proprio ufficio lì: non stava mai via per più
di un paio di ore.
La
dottoressa Grunwald era ottimista sul loro recupero, ma era veramente
difficile riconoscersi allo specchio: Alphonse aveva il naso rotto e
tenuto fermo da una steccatura, il braccio e la gamba da cui avevano
estratto le pallottole erano ancora fasciati ma in via di guarigione
mentre i lividi ancora non si erano riassorbiti del tutto e come se
non bastasse era costretto a gironzolare con le stampelle.
Edward
era poi, manco a dirlo, quello conciato peggio: ancora mutilato,
incapace di muoversi senza aiuto, si era sentito profondamente
umiliato nel farsi aiutare dalla giovane infermiera - quella che
aveva visto al proprio risveglio - per vestirsi.
Certo,
Jean e gli altri non li lasciavano un attimo soli ma lui non aveva
voluto che vedessero veramente le condizioni del suo corpo.
Ogni
tanto, i flash dei ricordi saltavano fuori e si palesavano ma lui
cercava di ricacciarli fermamente dal posto da cui provenivano: non
era ancora pronto per rivivere ogni cosa.
Era
terrorizzato ma cercava di non darlo a vedere per non far preoccupare
gli altri: si sentiva come scisso in due, da una parte la gioia per
essere finalmente a casa, che era enorme, ma dall'altra...
Ansia,
paura di risvegliarsi nuovamente in quell'incubo che era il mondo
lasciatosi alle spalle, incapacità di fidarsi del tutto
delle
proprie percezioni e di chi gli stava attorno.
“Nulla.”
mentì il più anziano, cercando di mostrarsi il
più possibile
convincente: “Mi stavo solo chiedendo dove andremo, ora che
ci
hanno dimessi.”.
“Magari
ci ospiterà Winry...”
“Al,
ha da lavorare, non credo abbia tempo per farci da balia.”
fece
notare il maggiore, guardando poi distrattamente fuori dalla
finestra: c'era un bel sole e si ritrovò a desiderare di
essere già
fuori, sotto la sua luce calda.
“Siete
pronti, ragazzi?!”
Con
un gran sorriso – e spingendo una carrozzella vuota
– Jean Havoc
entrò nella stanza seguito da Vato e Kain:
“Finalmente siete
liberi!” esclamò pomposamente l'ufficiale biondo,
“Tempo di
caricare Edward qui sopra e scapperemo in grande stile da questo
postaccio!”.
“Riza-san
è qui fuori che ci aspetta con la macchina!”
continuò Fury,
sistemandosi gli occhiali: “Abbiamo ordine tassativo da parte
del
Comandante di non mollarvi un attimo.” aggiunse Falman al suo
fianco, “Pena, la Corte Marziale.”.
Alphonse
ridacchiò sommessamente mentre il fratello, sbuffando,
incrociò le
braccia al petto: “Si sta prendendo un po' troppe
libertà,
quello...” borbottò, stranamente inquieto.
La
risatina di Kain e quella di Vato aumentarono la sua inquietudine.
“Allora
preparati, Edward, ne vedrai delle belle nei prossimi
giorni!”
l'entusiasmo di Jean era contagioso ma l'Elric più anziano
non
sapeva cosa aspettarsi dal futuro.
Era
stanco, disilluso, incapace di vedere anche solo il minimo bello in
ciò che lo circondava.
Si
sentiva incredibilmente solo.
Certo,
aveva sempre Alphonse e Winry, e ovviamente gli altri, ma la notizia
della morte di zia Pinako l'aveva scosso profondamente: ora veramente
non aveva più nulla, più alcuna radice...
“Edward...
Tutto bene?”
La
voce preoccupata di Kain lo fece sobbalzare per la seconda volta nel
giro di pochi minuti; si sentì in colpa per averlo ignorato
in quel
modo e, alzata di scatto la testa, la scosse con decisione:
“S-Sì...”
borbottò, “Stavo solo pensando, ti
ascolto.”.
Rassicurato,
l'ufficiale si posizionò dietro la carrozzina e fece un
cenno:
“Jean-san, Vato-san, tocca a voi.”
Edward
si sentì sollevare – “è
così leggero” pensarono Havoc e
Falman col cuore stretto nel petto – e si ritrovò
sul duro sedile
con una coperta in grembo: “Forza! E' il momento di andarcene
da
qui!”.
Come
in un sogno, attraversarono il corridoio, po un altro e ancora un
altro fino a raggiungere l'atrio, percorso in tutta fretta fino alla
porta principale e al porticato esterno, dove ad attenderli –
oltre
a Riza Hawkeye – c'erano anche due persone d'eccezione.
“Buongiorno,
Edward-san, Alphonse-san.” salutò Maya, con la
cuffietta bianca in
testa: “Sono contenta di vedervi finalmente in piedi. Beh,
più o
meno” disse la ragazza con tono genuinamente commosso e una
risatina imbarazzata.
La
dottoressa Grunwald, invece, si limitò unicamente a
sorridere: “Ho
già dato dispozioni al Comandante e manderò
spesso la signorina
Ross a vedere come procedono le cose. Fateli riposare e non
sforzateli troppo, ho già parlato con la signorina Rockbell
e mi
sono raccomandata di effettuare l'installazione non prima di una
settimana. I nervi stanno guarendo bene, hanno bisogno solo di ancora
un po' di tempo.”.
Ed
annuì e si sforzò di ricambiare il sorriso della
donna: non voleva
sembrare ingrato, in fondo aveva salvato loro la vita.
“Grazie,
doc!” esclamò Falman, armeggiando con le ruote
della carrozzella:
“Per tutto.” aggiunse l'uomo.
“Si
figuri, luogotenente. In fondo, ho fatto solo il mio dovere.”
replicò la donna con piglio orgoglioso.
Edward
fece per levarsi la coperta di dosso per restituirla ma la mano della
dottoressa lo fermò prima, posandosi delicatamente sul
ginocchio
superstite: “Non è necessario, ora dovete solo
pensare a
riprendervi. Me la restituirete quando potrete camminare con le
vostre gambe.” disse semplicemente, girando poi sui tacchi.
Con
un rapido inchino, Maya si congedò a propria volta e la
seguì a
passo svelto, lasciando il gruppetto da solo.
“E
ora?” chiese Alphonse curioso, ritto in piedi accanto a Kain.
“Ora
vi portiamo a destinazione.” fece Jean con tono cospiratorio.
Con
uno scrollare di spalle e un vago sorriso, Riza si portò
dall'altra
parte rispetto ai colleghi e li aiutò con estrema
facilità a
sollevare la sedia a rotelle mentre lo stesso Fury assisteva Al nella
discesa degli scalini.
Nel
centro del piazzale, c'era la macchina ad attenderli.
Con
rapidità, Al e Ed vennero fatti sedere sui sedili posteriori
–
Jean e Kain si misero al loro fianco – mentre Riza e Vato
occupavano quelli anteriori: la giovane ufficiale aveva preso in mano
il volante.
“Breda-san
dov'è?” chiese curioso il minore degli Elric,
guardandosi attorno
ma non riuscendo a vedere la capigliatura rossiccia del loro amico.
“Qualcuno
doveva aspettarci a destinazione, no? E poi, non ci saremmo stati
tutti a bordo.” fece notare Havoc, accendendosi una
sigaretta: “Non
preoccupatevi, in due penso ce la faranno a mettere assieme due
letti.” ridacchiò il biondo, vedendo i loro visi
pensierosi.
“Chi
c'è con lui?” Al era curioso, certo, ma non
preoccupato: si fidava
del Mustang Team, ricordava tutto degli anni passati a viaggiare per
Amestris e ricordava l'amicizia e l'affetto che questi avevano loro
riservato, non avrebbe mai dubitato della loro buonafede.
“SE-GRE-TO.”
sillabò Kain, portandosi l'indice alla bocca: “Tra
poco saremo
arrivati, comunque. Abbiate fede.”.
Il
resto del viaggio trascorse in uno strano silenzio mentre Edward,
visibilmente stanco e provato, era crollato addormentato senza che
nessuno praticamente se ne accorgesse, almeno in apparenza.
Quando
infine la macchina si fermò dinanzi ad una villetta nel
quartiere
residenziale di Central City, a pochi metri dalla dimora della
famiglia Hughes, fu Riza a scuotere l'esausto ventenne con cautela,
svegliandolo: “Ci siamo.” annunciò lei
con un sorriso mentre
Vato e Jean si prodigavano a tirare fuori dal retro la carrozzina,
“Benvenuti alla vostra nuova dimora!”
gridò Kain, mostrando con
il braccio la villetta e il giardino.
Alphonse,
scivolato fuori con cautela, si guardò attorno con
entusiasmo:
“Niisan, hai visto che bello?! Chissà chi ci
abita!”.
“Dev'essere
qualcuno che ci conosce bene, se ha accettato di ospitare due
persone come noi...” borbottò Ed, guardando
stancamente
l'edificio dinanzi a loro.
“Forza,
soldo di cacio! Sali a bordo!” sogghignò Jean.
“Non
sono piccolo...” borbottò stancamente l'Elric
maggiore,
lasciandosi aiutare ad alzarsi.
Havoc
e Falman si scambiarono un'occhiata preoccupata: la reazione che si
aspettavano era un'altra, fuoco e fiamme come in passato, non
quell'espressione sconfitta...
“FINALMENTE!”.
La
voce possente di Heymas risuonò nel cortile deserto e il
sottotenente fece la sua comparsa dalla porta della villetta: era in
borghese e sembrava aver fatto un certo numero di lavori manuali,
date le condizioni dei suoi abiti.
“Scusate
per le condizioni, ma stavamo sistemando alcune cose. Entrate
pure!”
si sbracciò lui.
“Lui
dov'è?” chiese Riza, spingendo la carrozzina di Ed.
“Ci
attende dentro, non preoccupatevi.”.
Alphonse
ed Edward si guardarono, dubbiosi: non capivano cosa stesse
accadendo.
“Forza,
ragazzi. Non vi fa bene restare qui! Entriamo!”
annunciò Jean,
aprendo il cancelletto per far passare Riza: “Presto potrete
stare
più comodi che su due brandine.”
continuò lei.
Quando
infine entrarono nel piccolo ma accogliente ingresso dell'abitazione,
saltarono subito agli occhi i lavori fatti: una rampa metallica che
portava al piano superiore e che copriva le scale, i mobili
evidentemente spostati da poco per non creare ostacoli e due divani
ancora impacchettati nel bel mezzo del salotto.
“Ce
l'avete fatta da soli?” s'informò Jean,
depositando la giacca
sull'appendiabiti più vicino:
“Certamente!” ribattè Breda,
“I
traslocatori sono stati veloci, hanno portato tutte le scatole qui in
tempi brevissimi e siamo anche riusciti a posizionare i divani senza
fare troppi danni al parquet.”.
“Avete
fatto un lavoro coi fiocchi, davvero.” constatò
Falman, imitando
il collega biondo: “Abbiamo fatto solo la nostra
parte.” scrollò
le spalle Breda con noncuranza, “Dopotutto, la parte
più tosta è
toccata a voi. La dottoressa Grunwald che dice?”.
“Ha
promesso di mandare spesso la sua assistente a verificare come
procedono le cose. Sarà da dirlo ai soldati di guardia
fuori.”.
“Glielo
comunicheremo appena possibile.”
I
fratelli Elric restarono in silenzio, benchè per motivi
diversi:
mentre Alphonse, pur se curioso, non domandava nulla per rispetto e
timidezza, Edward invece non stava a sentire nessuno dei discorsi.
Stanco,
con la testa che scoppiava per il dolore, desiderava soltanto
stendersi mentre tutti i muscoli della schiena urlavano a gran voce.
Perfino
il divano ancora impacchettato gli pareva un paradiso, al confronto
con la scomoda carrozzina.
“Ragazzi,
Acciaio sembra sul punto di vomitarmi sulla moquette. Che ne dite di
farlo sdraiare prima che accada l'irreparabile?”.
Comparso
all'improvviso sulla soglia del salotto, Roy Mustang indossava degli
abiti vecchi e logori del tutto simili a quelli del suo sottoposto,
sporchi di calcinacci e con un asciugamano attorno al collo: sul viso
imperlato di sudore svettava la benda nera; con passo sostenuto,
avvicinò Havoc e lo aiutò a sollevare il maggiore
dei due fratelli,
che venne subito adagiato con la testa sul bracciolo mentre Falman
prendeva un paio di coperte da un cesto lì vicino.
“Alphonse,
hai bisogno di aiuto?” chiese Riza con tono gentile,
rivolgendosi
con il viso verso il più giovane; ma il ragazzino scosse la
testa,
portandosi una mano al cuore che aveva preso inspiegabilmente a
fargli male: “Niisan...” mormorò con gli
occhi lucidi.
L'ufficiale
gli poggiò una mano sulla spalla con fare materno:
“Non devi
preoccuparti per lui, è in buone mani. E naturalmente anche
tu lo
sei.” sorrise lei.
Mustang
si chinò su Acciaio, esaminandolo con attenzione: ne
osservò le
labbra semiaperte, la pelle pallida e leggermente sudata sulla quale
risaltavano i graffi e le escoriazioni dei giorni precedenti, poi
passò ad esaminarne il fisico sottile e fin troppo asciutto
rispetto
a quel che ricordava. E infine sentì una fitta al petto nel
vedere
uno spazio vuoto dove un tempo si trovavano i suoi Automail.
Il
ragazzo era abbandonato contro i morbidi cuscini, semi-svenuto,
l'ombra di quello che era.
“C-Comandante...
D-dove siamo?” pigolò Alphonse all'improvviso,
tormentandosi le
mani.
“A
casa mia.” replicò questi con estrema naturalezza
mentre si
rialzava dal capezzale di Edward: “Ho pensato che forse
sarebbe
stato meglio per voi alloggiare con qualcuno in grado di prendersi
cura di voi. E siccome siete ancora in pericolo, per quanto ne
sappiamo, questa è l'unica idea che ci sia venuta in mente e
l'unica
possibilità praticabile.”.
Il
brusio di risate sommesse alle spalle del ragazzo da parte degli
altri ufficiali lo fece sorridere: “La ringrazio,
Comandante.”
disse soltanto, cercando di dissimulare, aveva capito fin troppo bene
cosa stessero architettando ed era loro grato per tutto quello che
stavano facendo.
“Forse
è meglio se noi andiamo, Fuhrer.” disse
improvvisamente Riza: “I
ragazzi avranno bisogno di riposo.”.
“Già.
Abbiamo fatto abbastanza confusione per oggi.”
notò Falman,
indossando il pastrano sopra la divisa: “Domani mattina di
buon ora
verremo a portarvi scartoffie e provviste.”
dichiarò l'argenteo
prima di uscire dalla porta.
“Le
scartoffie non sono necessarie...” cercò di
opporsi Mustang ma si
ritrovò a doversi rimangiare ogni parola a causa
dell'occhiata di
fuoco da parte di Hawkeye: “Comandante, la gestione del Paese
è
una faccenda di fondamentale importanza. Non può pensare di
affidarla a terze persone. Sia ragionevole e non faccia il
bambino.”
replicò la donna con tono serio.
Il
resto degli ufficiali precedette la collega all'esterno e infine
scoppiò a ridere così forte da farsi sentire
anche all'interno,
strappandole un sospiro: “Ora vado, prima che attirino troppo
l'attenzione.” concluse, incamminandosi verso la porta.
Una
volta fuori, Alphonse e Mustang sentirono distintamente una gragnola
di colpi di pistola contro il legno dello steccato.
“Spero
non li strapazzi troppo...” disse il Comandante con tono
rassegnato: “Io vado a farmi una doccia, Alphonse. Se hai
bisogno
di qualcosa...”.
“Non
si preoccupi. Anzi, grazie di tutto.”.
L'uomo
si lasciò sfuggire un sorriso appena accennato:
“Ci vediamo più
tardi.”.
§§§
Quando
Edward riprese infine i sensi, la prima cosa che notò fu che
non si
trovava più nel salotto di quella casa sconosciuta ma in una
stanza
da letto: era disteso sotto le coperte di un letto estremamente
comodo e, illuminata dalla luce del tramonto che entrava dalla
finestra, vedeva al proprio fianco la carrozzina.
Chi
lo aveva portato fin lì?
Forse
erano stati Havoc e compagni...
Una
fitta improvvisa al capo interruppe il filo dei suoi pensieri,
strappandogli un lamento; non si accorse neppure dell'aprirsi della
porta e notò l'ingresso di una persona solo nel momento in
cui
questa gli rivolse la parola: “Lascia che la tua mente
riposi,
figliolo. Non è il momento di lambiccarsi in pensieri
inutili.”.
Alzata
la testa di scatto, Edward incrociò lo sguardo con una
donna:
anziana, di corporatura snella e dagli occhi vispi celati dietro
spessi occhiali da vista, sembrava ammantata di una luce tenue e
familiare.
Tra
le mani reggeva un vassoio con una teiera e una tazza: “Spero
tu
abbia dormito bene. Abbiamo cercato di fare il più piano
possibile
per non disturbarti.”.
Confuso,
Acciaio si mise seduto a fatica, coprendosi il corpo con parte delle
lenzuola: “D-Dove sono? E Alphonse?!” chiese,
ricordandosi
improvvisamente del fratellino.
“Il
piccolo Al è di sotto, abbiamo fatto i biscotti. Voleva
portartene
un po' ma non riusciva a camminare bene. Quindi l'ho lasciato
tranquillo e sono salita io.” sorrise la nonnina.
Il
viso di Edward si rasserenò un poco: “Grazie...
Lei chi è?”.
“Non
mi sono ancora presentata, è vero.”
notò lei mentre poggiava il
tutto sul comodino: “Il mio nome è Marlene Richter
e sono qui per
aiutarvi.” sorrise, tendendogli la tazza tiepida,
“Bevi, prima
che si raffreddi.”.
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