Il ritorno del passato

di roxrox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

L’uomo si aggirava per le strade di Parigi, scrutando tutte le persone che incontrava, in cerca di un indizio, di un ricordo troppo a lungo sopito.
Sapeva che avrebbe dovuto cercare un alloggio per la notte ormai imminente, ma non sapeva decidersi a fermarsi. Era esausto, da giorni non faceva che cavalcare per raggiungere la città il prima possibile, fermandosi solo per far riposare il cavallo, ed ora che ci era arrivato sentiva quasi una punta di delusione: nel suo cuore vedeva Parigi come la fine della ricerca, le sue speranze gli facevano credere che l’avrebbe ritrovata nel momento in cui avesse varcato le soglie della città, ma ora si rendeva conto di ciò che aveva sempre inconsciamente saputo, cioè che l’arrivo a Parigi era solo l’inizio, non la fine della sua sofferenza.
Da quando aveva recuperato la memoria, qualche mese prima, non riusciva a capacitarsi di aver vissuto per così tanto tempo lontano da lei, senza aver alcuna sua notizia, ed ora la sua lontananza lo stava straziando.
Da Londra, dove abitava, era tornato nel loro paese natale, nella valle della Loira, e lì una anziana signora che lavorava al castello l’aveva indirizzato dall’unica persona che sapesse che fine aveva fatto: Sebastien, il fratello del suo migliore amico, gli aveva detto in gran segreto che lei non era morta come tutti pensavano, ma era a Parigi ed era diventata moschettiere, facendo credere a tutti di essere un uomo.
Un uomo! Un moschettiere! Ma stiamo scherzando? Lei, la fanciulla più dolce e innocua di Francia? Non era possibile… Certo, non era mai stata remissiva come le altre donne che conosceva, era vivace e spensierata, decisa a non farsi mettere sotto da nessun uomo, e la sua abilità con la spada era fenomenale (aveva imparato bene dal maestro, pensò con una punta di orgoglio, dato che lui le aveva insegnato ad usarla…), ma da lì a farsi passare per un uomo… Come poteva nascondere la sua bellezza? I suoi splendidi capelli biondi, soffici come seta, quegli occhi azzurri che sembravano rispecchiare le profondità marine, quelle sfumature verdi che assumevano nei giorni di pioggia, che ricordavano i prati della Loira, il suo meraviglioso seno, piccolo ma splendidamente proporzionato, le sue mani bianche e affusolate che nulla avevano della rozzezza maschile, le gambe lunghe e snelle, che mai sarebbero parse quelle di un uomo, i piccoli piedi delicati che lui tanto amava, mai e poi mai sarebbero potuti sembrare maschili…
Si portò una mano al petto, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Tutte le volte che la ricordava così la sofferenza gli attanagliava il cuore, privandolo dell’aria e impedendogli di respirare. Cosa avrebbe dato per poterla stringere nuovamente tra le braccia, perché lei gli dicesse nuovamente quelle parole dolcissime che sapeva riservare solo a lui… Il pensiero che lei avesse potuto dimenticarlo, essersi rifatta una vita e non volerne più sapere di lui non lo sfiorava nemmeno, non perché non lo credesse possibile, ma perché anche solo immaginarlo gli procurava una angoscia senza pari, e aveva deciso di non pensarlo neppure, se così fosse stato sarebbe stata lei a dirglielo, e solo allora avrebbe affrontato la situazione.
Sospirò. Cominciava ad essere davvero tardi, le prime stelle mostravano la loro luce in un cielo ormai scuro, ed era inutile continuare, ormai non riusciva nemmeno più a scorgere bene i lineamenti di chi incontrava, e uno straniero a cavallo coperto da un mantello avrebbero potuto incutere molta paura nei cittadini, e lui non voleva problemi.
Scese da cavallo e si infilò nella prima locanda che trovò lungo la strada, affidando l’animale allo stalliere. Il locandiere lo accolse benevolmente, e gli mostrò una camera al piano superiore, piccola ma pulita e ben curata. Appena entrato un capogiro lo colse, e fu costretto ad appoggiarsi allo stipite della porta; rifiutò con garbo l’appoggio che il locandiere fu lesto ad offrirgli e lo rassicurò, era solo stanco, la notte precedente si sentiva talmente vicino a Parigi che non aveva neppure dormito, cambiando cavallo ad ogni posta, per poter arrivare il prima possibile, per poterla ritrovare prima…
Non cenò neppure. Si buttò immediatamente su letto e si addormentò appena posò la testa sul cuscino, mormorando il suo nome:
- Renée…-




Ciao ragazzi! Questa è la mia primissima fic, e sono un po' ansiosa, vorrei sapere cosa ne pensate. Vi prego, qualcuno perda un attimino per regalarlo a me e farmi una piccola recensioncina...
Ma tantissime grazie anche a coloro che leggeranno in silenzio, spesso l'ho fatto anch'io...
Baci baci a tutti!
RoxRox

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

- Vanno eliminati, tutti e quattro, il prima possibile! – esplose il cardinale Richelieu, mentre misurava a lunghi passi il sotterraneo in cui si trovava, insieme al capitano Rochefort e al tenente Jussac.
- Ma, vostra Eminenza, - obiettò timidamente Rochefort - se morissero improvvisamente tutti e quattro potrebbero nascere delle voci, il capitano de Treville potrebbe fare dei problemi, coinvolgere il re… -
Il cardinale si bloccò, voltandosi verso il capitano delle proprie guardie:
- Avete ragione – mormorò – ma sono stanco di averli sempre fra i piedi ogni volta che organizzo qualcosa… Tuttavia – continuò alzando la voce – almeno uno di loro deve assolutamente sparire. Vanno presi uno alla volta. Aramis al momento è sicuramente il più pericoloso, ultimamente l’ho visto entrare ed uscire spesso dagli appartamenti della regina, e D’Artagnan è troppo in vista, la sua fidanzata è la dama di compagnia della regina… Se c’è qualcuno che ha qualche documento compromettente è sicuramente Aramis… Ingaggiate qualcuno, sono sicuro che sapete dove cercare, pagatelo profumatamente ed eliminate quel maledetto moschettiere! -


Quando la mattina dopo aprì gli occhi si sentiva fresco, riposato e fiducioso. Sapeva che era inutile girovagare senza meta come aveva fatto il pomeriggio precedente, ma c’era una sola cosa da fare: Sebastien gli aveva detto che Renée era diventata un moschettiere, quindi il modo più semplice per ritrovarla era recarsi dal capitano dei moschettieri e chiedere di entrare a far parte delle guardie del re. Vaghi ricordi di racconti uditi in gioventù gli dicevano che non era così facile, che non ammettevano chiunque lo chiedesse, ma a lui non importava, gli sarebbe stato sufficiente anche solo bazzicare un po’ l’ambiente, se avesse stretto amicizia con qualche moschettiere l’avrebbe sicuramente ritrovata prima o poi.
Sorrise tra sé: non sapeva nemmeno chi fosse il capitano dei moschettieri, figuriamoci dove trovarlo!
Non gli piaceva l’idea di passare per un provinciale, ma fu costretto a chiedere aiuto al locandiere, che gli indicò la sede dei moschettieri e il nome del loro capitano, de Treville.
Giunto al palazzo, si avvicinò ad una delle guardie che presidiavano l’ingresso:
- Perdonatemi, vorrei parlare con il capitano de Treville –
- Il capitano non c’è, è in udienza dal re, e non tornerà prima del tardo pomeriggio; se desiderate potete attenderlo, ma non è sicuro che oggi venga qui –
- Vi ringrazio, ma preferisco tornare più tardi – mai e poi mai avrebbe sprecato i suo tempo seduto in una anticamera, quando avrebbe potuto girare per la città, familiarizzandosi con essa e cercando Renée. Avrebbe voluto chiedere se qualcuno la conosceva, ma Sebastien non aveva saputo dirgli il nome che aveva assunto diventando moschettiere, così preferì tacere e non chiedere nulla.
Risalì a cavallo, ringraziò la guardia e iniziò a girovagare senza meta per la città, sperando in un miracolo.
Verso l’ora di pranzo si accorse di essere tornato nelle vicinanze della locanda in cui alloggiava, e decise di mangiare qualcosa, tanto più che non metteva nulla nello stomaco da quasi 24 ore, e il suo organismo stava protestando vistosamente da un po’.
Si avvicinò all’ingresso della locanda tenendo il cavallo per le redini, pronto per affidarlo allo stalliere. Uno scoppio di risa proveniente dall’interno della locanda attirò la sua attenzione:
- Attento Porthos, nessuno è mai riuscito a mettere nel sacco Aramis in così poco tempo! –
- Questo è quello che vuole farci credere! –
Si voltò, attirato da quella voce così allegra e profonda.
E all’improvviso sentì che tutta l’aria veniva risucchiata dai suoi polmoni, e la testa prese a girargli vorticosamente, le gambe gli cedettero e fu costretto a sorreggersi all’animale. Non era possibile, non poteva essere, non credeva che fosse davvero lei!
Era seduta ad un tavolo dall’altra parte della locanda, di fronte alla finestra da cui l’aveva vista in compagnia di altri tre uomini, probabilmente moschettieri come lei. Stavano mangiando, e ridevano di ciò che aveva detto uno di loro, un tipo imponente ma dall’aspetto bonaccione.
Dio, com’era bella! Non aveva perso nulla dello splendore che aveva anni prima! Sembrava ancora un angelo disceso dal cielo, ma era cresciuta, il suo volto aveva acquistato una maturità nuova, il suo sorriso era perfino più bello, più pieno, i suoi occhi avevano perso l’innocente ingenuità di un tempo, erano più penetranti, più profondi. Non era più la fanciulla che ricordava, era diventata una donna, una splendida donna. Come diavolo facevano i parigini a non accorgersi che non era un uomo? Erano forse tutti ciechi? Come diavolo facevano a crederla un uomo? Rimase immobile, aggrappato alle redini del cavallo, in contemplazione; avrebbe potuto restare lì in eterno, solo beandosi del suo viso…
- Signore, vi sentite bene? – la voce dello stalliere lo riportò alla realtà.
- Sì, certo – si riscosse – stavo osservando quell’uomo biondo seduto laggiù, mi ricordava un vecchio compagno d’armi, ma guardandolo meglio non ne sono sicuro; sapete dirmi il suo nome? –
Lo stalliere si voltò:
- Oh, sicuro, quello è monsieur Aramis, è un moschettiere di Sua Maestà; ma voi sapete che i moschettieri spesso cambiano nome, e non so dirvi come si chiamasse in precedenza… Però vi posso dire che sono almeno 5 anni che è al servizio del re -
Aramis…
- Capisco… No, non credo che sia lui, il mio compagno dovrebbe essere più giovane. Vi ringrazio lo stesso per la vostra gentilezza –
- Mi spiace non avervi potuto dire di più –
Quanto avrebbe voluto chiamarla, entrare nella locanda, attraversarla in un lampo e stringerla tra le braccia, e non lasciarla mai più…
Ma non poteva farlo, doveva riuscire a calmarsi, evidentemente nessuno sapeva cosa nascondeva, non poteva tradirla così, chissà cosa sarebbe successo se la verità fosse venuta a galla, cosa le avrebbero fatto… No, doveva aspettare, tenerla d’occhio e trovare il momento in cui fosse stata sola, non sarebbe certo rimasta in compagnia di quei signori per tutto il giorno, solo allora avrebbe potuto mostrarsi a lei. Sperava solo di non dover aspettare a lungo, non sapeva quanto avrebbe resistito…


- Beh, signori, io devo andare, oggi pomeriggio sono di pattuglia lungo la Senna – salutò Athos alzandosi da tavola.
- Athos, aspettami – disse Aramis alzandosi a sua volta – anch’io sono di pattuglia oggi, alla porta nord, facciamo un pezzo di strada insieme –
Salutarono gli altri due e montarono a cavallo, diretti verso la Senna. La cavalcata era tranquilla, ma Aramis si sentiva a disagio, anche se non avrebbe saputo dire perché; sentì una sensazione strana dietro la nuca, si voltò di scatto ma non vide nessuno.
- Tutto bene? – chiese Athos
- Sì… - rispose incerto – Sì – riprese poi con voce più sicura – avevo l’impressione di essere osservato, ma evidentemente mi sono sbagliato. Andiamo! –
Entrambi spronarono i cavalli e si allontanarono, ciascuno nella propria direzione.


Aramis cavalcava velocemente, quelle vie erano abbastanza vuote e larghe per far correre un po’ il cavallo; si avvide in ritardo del sottilissimo filo che attraversava la strada a poco più di una spanna dal suolo, e non riuscì ad impedire che l’animale inciampasse, cadendo a terra rovinosamente e trascinando con sé il proprio cavaliere.
Si ritrovò in terra quasi senza capire cosa fosse successo. Quando riuscì a rialzarsi, un po’ intontito, si accorse di non essere solo: sette uomini si stavano avvicinando a lui con fare minaccioso. Erano tutti vestiti di nero, e portavano delle maschere che nascondevano i loro volti. Quattro di loro impugnavano una spada, tre tenevano in mano una pistola. Ma non l’avrebbero avuta vinta tanto facilmente. Sguainò la spada, e si preparò a difendersi.


Maledizione, dov’era sparita?
Era uscita dalla locanda con uno dei tre uomini, visibilmente il più anziano, anche se non superava i 35 anni, e dopo un tratto percorso insieme si erano separati e lei si era allontanata al galoppo verso il nord della città. Lui le era stato dietro per parecchio, ma poi la calca delle vie centrali di Parigi l’aveva rallentato, e l’aveva persa di vista proprio mentre la folla si diradava.
No, non l’avrebbe persa proprio adesso! Continuò a cavalcare nelle vie, deserte ora che ci si allontanava dal cuore della città, ma non riusciva a trovarla. Una strana inquietudine si impadronì di lui, e il suo vagare si fece frenetico, fino a che inspiegabilmente diventò panico; doveva trovarla, doveva assolutamente trovarla, prima di perderla per sempre un’altra volta…
Dio, quello era uno sparo!
Spronò il cavallo nella direzione del rumore.
Fa’ che non sia lei, pregava, fa’ che non sia lei, fa’ che non sia lei, fa’ che non sia lei…


Aramis iniziava a non farcela più. Quattro spadaccini erano difficili da contrastare, anche se ne aveva già messi fuori combattimento due. Non riusciva a capire perché i tre con la pistola non intervenissero, ma sapeva che prima o poi si sarebbe dovuto occupare anche di loro.
- Adesso basta – sentì dire. Ma non fece a tempo a comprendere da chi veniva la voce, perché una detonazione gli esplose nella testa, e un dolore incredibile gli investì il fianco. Il mondo attorno iniziò a sfumare, ma voleva a tutti i costi vendere cara la pelle. Tenendo una mano sul fianco ferito per tentare di fermare l’emorragia, continuò a difendersi dai due spadaccini, quelli riusciva ancora a tenerli sotto controllo.
- Ma questo non muore mai? – sentì dire alla stessa voce di prima, e in quello stesso istante seppe che stava nuovamente prendendo la mira. All’improvviso sentì un altro rumore, come di un cavallo che si avvicinava al galoppo, ed una voce che urlava. Le gambe cedettero. La spada scivolò dalla sua mano. Era finita.


Uscì al galoppo da un vicolo laterale, e voltandosi a sinistra la vide. Era sola, circondata da parecchi uomini, due dei quali erano già a terra, e si teneva con la mano un fianco; anche da lontano vide che stava sanguinando copiosamente. Non ci vide più. Urlò con quanto fiato aveva in gola e spronò il cavallo verso di loro. Gli uomini si voltarono verso di lui, e fuggirono tutti, infilandosi in stretti vicoli laterali.
La vide lasciare la spada, cadere, come un burattino a cui sono stati tagliati i fili. La raggiunse saltando giù dal cavallo ancora in corsa e la raccolse da terra, stringendola dolcemente:
- Renée… - la chiamò, ma dalle sue labbra uscì a malapena un sussurro rauco.


Tutto si era fatto nebuloso, sentiva che stava perdendo conoscenza. Si accorse appena di sbattere contro il duro pavimento dalla strada, riusciva solo a sentire il dolore lancinante che veniva dal fianco. Ad un tratto dalla nebbia che l’avvolgeva uscirono due forti braccia che la strinsero, e prese forma un volto. Quanto aveva sognato di rivederlo…! Sentì che chiamava il suo nome, e si fece forza per rispondergli:
- Francois… - mormorò – Sei venuto a prendermi… - E poi il buio.


- Renée… No, no, Renée, non sono venuto a prenderti, non come credi… Ti prego, non lasciarmi, non abbandonarmi ora che ti ho ritrovato, ti prego, apri gli occhi, guardami, sono qui… - non si era nemmeno accorto di star piangendo. Nel giro di pochi secondi si riscosse, doveva assolutamente portala via di lì, trovare qualcuno che la aiutasse, che la curasse, che la salvasse. Sentì avvicinarsi dei cavalli al galoppo, forse qualcuno avrebbe potuto aiutarlo…
Vide avvicinarsi due degli uomini che erano con lei nella locanda, quello grande e grosso e quello che sembrava un ragazzino. Non avrebbe potuto essere più fortunato. Si alzò, tenendola tra le braccia, e corse verso di loro.
Non appena li raggiunse, quello più giovane sbiancò, l’altro saltò giù da cavallo con un movimento molto più agile di quanto la sua mole avrebbe potuto far pensare:
- Dio del Cielo… - esclamò – Aramis! Che diavolo è successo? –
- Aiutatemi, vi prego – implorò Francois – è stato aggredito da alcuni uomini, e gli hanno sparato! Bisogna assolutamente trovare un medico, e curarlo! – gli sembrava tanto strano parlare di lei al maschile, ma non sapeva quanto loro fossero a conoscenza della verità. Iniziò a tremare convulsamente, ma continuò a tenerla stretta.
L’uomo prese in mano la situazione. Si girò verso il compagno, rimasto immobile:
- D’Artagnan, corri a cercare il dottor Lassonne, sai dove abita, e poi avverti Athos di quello che è successo! Noi intanto porteremo Aramis a casa sua! – Il ragazzo si riscosse, voltò il cavallo e corse via. Il moschettiere si girò poi verso Francois - Signore, montate a cavallo con lui, siete più leggero di me e in due rallenterete di meno l’animale, e seguitemi, non c’è un minuto da perdere! – detto questo, lo aiutò a salire a cavallo e porsi Aramis tra le braccia, poi saltò sul proprio e corse via, seguito a ruota dall’altro.




Cucù! Rieccomi qui! Ho aggiornato subito perchè i primi capitoli mi stanno venendo spontanei e scorrevoli, ma non sarà sempre così facile... :-)

Hatori: Grazie di avermi dedicato qualche secondino, sei la prima in assoluto...!!! Il primo capitolo era un po' corto, ma aveva la funzione di prologo... Questo è un po' più lungo, spero che ti piaccia e che continui a leggermi!!!

Ciao Ciao a tutti!!!
RoxRox

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


Giunsero velocemente a casa di Aramis, e Francois portò la sua Renée all’interno, rifiutandosi di lasciarla alle cure di Porthos, posandola sul letto, provandole il polso; batteva appena, e ogni respiro sembrava sempre essere l’ultimo. Francois le tenne la mano, scrutato da Porthos, che non capiva quel comportamento da parte di uno sconosciuto, e soprattutto non si fidava di lui; tenne sempre la mano sull’elsa della spada, pronto a sguainarla e a difendere il suo amico, se fosse stato necessario.
Il dottore giunse poco dopo. Gettò un’occhiata al moschettiere ferito e spinse entrambi fuori dalla stanza, perché doveva visitarlo e curarlo.
Nel giro di pochi minuti arrivarono anche Athos e D’Artagnan. Chiesero immediatamente a Porthos come stesse il loro compagno, ma nemmeno lui sapeva molto, il dottore non era ancora uscito dalla stanza di Aramis.
Porthos prese poi in parte i due compagni, e i tre moschettieri confabularono per un po’, gli occhi fissi su Francois, che si era lasciato cadere su una sedia, gli occhi vacui e i gomiti sulle ginocchia e le mani unite, e muoveva leggermente e silenziosamente le labbra, come se pregasse.
- Perdonatemi signore – esordì Athos, avvicinandosi a Francois – possiamo sapere il vostro nome, e cosa vi lega a tutto questo? –
Francois alzò gli occhi verso di loro
- Il mio nome è Francois Duplessis-Mornay, e sono un amico d’infanzia del vostro compagno Aramis –
Gli occhi dei tre moschettieri scintillarono pericolosamente:
- Questo vi tradisce – continuò Athos – perché vi garantisco che non potete essere un vecchio amico di Aramis, perché lui non ha vecchi amici –
“ Lo sanno…” pensò Francois. Abbassò lo sguardo e rispose:
- E se vi dicessi che sono un vecchio amico di Renée? –
I tre moschettieri rimasero interdetti, incerti su cosa fare e su cosa dire. Francois sorrise tristemente:
- E così non sapete proprio tutto… Cos’è, non siete sicuri del suo nome? –
E all’improvviso tutti e tre i moschettieri si guardarono l’un l’altro:
- Anche voi sapete? – si chiesero, quasi all’unisono.
- Non si può essere compagni per così tanti anni e aver viaggiato insieme così tante volte – disse Athos – da non capire che nascondesse un segreto, e una volta, nella camera di una locanda in cui eravamo stati costretti a prendere l’unica stanza rimasta, l’ho intravista mentre si muoveva pensando che fossi voltato dall’altra parte… Ma non le ho mai detto che sapevo… -
- Io l’ho scoperto – riprese Porthos – quando facemmo quel viaggio a Londra dal duca di Buckingham… Ricordate? Nei pressi di Amiens era stata ferita alla spalla, e la sera, quando ci siamo ritrovati, è svenuta tra le mie braccia per la debolezza e i troppi sforzi… Ho sentito qualcosa che non avrebbe dovuto esserci su un uomo… - arrossì vistosamente e la sua voce scemò fino a spegnersi – Ma anch’io non le ho mai detto nulla, se avesse voluto farcelo sapere ce l’avrebbe detto prima o poi… -
- Io l’ho vista – concluse D’Artagnan – a La Rochelle, quando combattevamo contro la Maschera di Ferro. Una freccia l’aveva colpita di striscio, e per fasciarla le ho slacciato la giubba prima che si rendesse conto di quello che stavo facendo e mi fermasse… E ho scoperto la verità. Non mi ha detto il suo nome, ma mi ha raccontato la sua storia. Il suo fidanzato era al servizio del principe Philippe, prima che si sapesse che era il fratello del re, e venne ucciso da Mansonne il giorno del rapimento del principe; dopo la sua morte, venne costretta a sposare un altro uomo, e fuggì dal suo paese; venne a Parigi e si travestì da uomo per entrare nei moschettieri, sperando un giorno o l’altro di vendicare il suo fidanzato; dopo la morte di Mansonne mi disse che aveva deciso di restare a Parigi perché non le restava più nulla da nessun’altra parte, questa ora era la sua vita, anche se in un certo senso la odiava… -
- Già… - mormorò Francois - Quale donna può accettare di buon grado di nascondere la sua femminilità in questo modo? Povera Renée, devi essere davvero disperata… – Si alzò e guardò D’Artagnan negli occhi – Quello che avete detto è tutto esatto, tranne che per una cosa, che neppure lei sa: il suo fidanzato, Francois, non è morto –
- Come – si intromise Porthos – non è morto? Eppure D’Artagnan ha detto… Ehi, un momento! Qual era il nome del suo fidanzato? E come avete detto di chiamarvi? –
Francois sorrise:
- Sì, sono io quel Francois –
- Ma… - chiese D’Artagnan – come è possibile? Lei mi ha detto che a volte ancora adesso va a depositare fiori sulla vostra tomba… -
- Vedete, questa è una cosa che ho scoperto anch’io da poco tempo. La verità è che, quel giorno, quell’uomo non mi uccise, ma la mia ferita era talmente grave che fui dato per morto. Quando John, l’anziano precettore, ci trovò, nessuno sapeva chi fosse in realtà il principe, si pensava che fosse solo un nobiluomo di campagna; così John pensò che fosse la vendetta di qualcuno che voleva Renée. Si accorse che ero vivo, ma decise di non dire nulla a nessuno, e per cercare di salvarmi mi nascose e mi fece curare senza dire nulla a nessuno, nemmeno a lei, sebbene la cosa fu molto difficile, perché le voleva molto bene, e vederla soffrire così lo straziava. Lei non vide mai il mio cadavere, credo che le fu detto che era meglio se mi ricordava come ero un tempo, e non dentro una bara. Quella che è sepolta nel cimitero di Saumur è una bara vuota. –
- Ma questo – riprese D’Artagnan – è capitato sette anni fa! Cosa è successo da allora? Perchè siete tornato solo adesso? –
- Mi ci vollero settimane prima che riprendessi i sensi e fossi i grado di capire quello che mi circondava, ma quando mi risvegliai non ricordavo nulla, avevo perso completamente la memoria. John pensò quasi che fosse un bene, ormai Renée era stata promessa ad un altro ed era meglio che io sparissi, e così mi portò in Inghilterra, dove lui era nato, e ci stabilimmo a Londra. Lì ho iniziato una nuova vita, completamente inconsapevole di chi ero stato prima. Qualche mese fa ho recuperato improvvisamente tutti i miei ricordi, e da allora sono tornato in Francia in cerca di Renée… Mi ci sono voluti mesi per rintracciarla… Ed ora la sto perdendo nuovamente… - non riuscì a continuare, la voce si spense in un singhiozzo.
- Cosa è successo – chiese affascinato Athos – perché voi recuperaste la memoria? –
- Ho rivissuto l’esperienza che mi ha portato a conoscere Renée – Francois sorrise al ricordo.
Anni prima, durante una caccia al cervo, aveva visto un magnifico animale; gli sembrava ancora di vederlo, bello forte, le corna splendidamente ramificate… Aveva preso la mira, in silenzio, facendo attenzione a non muovere nemmeno una foglia, e aveva sparato. Era talmente concentrato da non essersi reso conto dell’avvicinarsi di un cavallo. Il proiettile aveva mancato il cervo, ma si era piantato nel tronco di un albero a pochi centimetri da un meraviglioso lipizzano bianco, che si era imbizzarrito ed aveva disarcionato il cavaliere, una bellissima fanciulla bionda che cavalcava all’amazzone. Cadendo, la giovane aveva perso conoscenza, e Francois si era avvicinato a lei, spaventato. L’aveva sollevata, caricata sul proprio cavallo e portata in casa, dove aveva fatto chiamare un medico e l’aveva adagiata su un divanetto, schizzandole il volto con acqua fresca per farla riprendere. Quando aveva aperto gli occhi, insieme al sollievo aveva provato uno stordimento senza pari, gli pareva di perdersi in quell’azzurro tanto intenso. Il medico le aveva trovato solo una caviglia e un polso slogati, nulla di grave, e lei era rimasta qualche ora sdraiata su quel divanetto conversando amabilmente. Quando si era ripresa completamente lui l’aveva a malincuore riportata al suo castello. Al momento di lasciarla, le aveva preso la mano e l’aveva galantemente baciata, sollevando poi gli occhi ad incontrare i suoi. Lei gli aveva sorriso, e lui non l’aveva più lasciata.
Anni dopo, nelle campagne attorno a Londra, durante una caccia aveva visto una vivace nobildonna inglese disarcionata da un cavallo che si era imbizzarrito alla detonazione di un fucile che aveva sparato poco distante da lei, e come in un lampo aveva rivisto la sua Renée, e aveva ricordato tutto.
- E’ incredibile… - mormorò Porthos.
- Ho impiegato mesi a ritrovarla… Pensavo che lei mi avrebbe guardato, mi avrebbe abbracciato e non ci saremmo più lasciati… Mai avrei immaginato che l’avrei ritrovata solo per farmela portar via di nuovo… -
Athos gli posò una mano sul braccio:
- Non temete, è forte, ha passato molti momenti simili, ce la farà – Francois annuì e abbassò gli occhi, lasciandosi cadere sulla sedia di prima e ritornando nella stessa posizione in cui si era messo dopo l’arrivo del medico.
I minuti passarono lenti, e i quattro uomini rimasero in silenzio, in attesa.


Quando il medico uscì dalla stanza di Aramis aveva un’espressione abbattuta e tristissima:
- Cosa è successo? – chiese solo.
- E’ stata assalita – rispose Francois, incurante dello sguardo allarmato che il dottore gli lanciò; non si era neppure accorto di aver parlato di lei al femminile, mentre nessuno avrebbe dovuto sapere la verità – Quando sono arrivato era circondata da sette uomini, e le avevano già sparato. Dio solo sa che cosa volevano da lei… Ma come sta ora? Sta bene? –
- No – quella sola sillaba procurò in Francois il bisogno di risedersi, mentre la testa iniziava a ronzare – la ferita è molto grave, e ha perso moltissimo sangue. Francamente, mi stupisce che sia ancora viva. Non credo che resisterà a lungo –
- Dio, ti prego, no – balbettò Francois – no, no, no… -
- E’ sicuro, dottore? – chiese Athos con voce tremula.
- Temo di sì. Non ho mai visto nessuno sopravvivere in questo stato. Ha una fibra robusta, ma… -
Francois non lo ascoltava più. Senza dir nulla, si alzò e barcollando entrò nella camera, dove lei restava distesa, pallida, respirando a fatica. Si sedette sul bordo del letto, le prese la mano, stringendola delicatamente, e intanto le accarezzava il volto, le labbra, i capelli…
- Non mi lasciare… - mormorava, mentre le lacrime facevano capolino nei suoi occhi – Ti prego, non mi abbandonare… non ora che ti ho ritrovata… Ti prego, ti prego… Sono qui, sono qui solo per te… -
Gli altri tre moschettieri erano entrati nella stanza e lo osservavano, in silenzio, mentre il dottore era rimasto sulla porta.
- Tornerò a vederla stasera, e anche domani mattina – mormorò ancora il medico – Se c’è qualche speranza che si salvi, è una speranza che si gioca stanotte –
- Bisognerà avvertire il capitano – disse Athos, stupendo persino se stesso per la freddezza che dimostrava con quell’affermazione.
Il dottore annuì:
- Ci penso io, manderò il mio assistente a farglielo sapere – detto questo si girò ed uscì mestamente.


Francois, non abbandonarmi, Francois..
- Francois… -
Sto morendo, amore… resta con me… Dove sono le tue mani, i tuoi occhi…
- Francois… -
Dove sei…
Non posso morire senza di te… senza che tu mi tenga stretta tra le braccia, come facevi una volta… Eri qui, perché te ne sei andato? Aiutami… aiutami a morire, amore… Non mi abbandonare…
- Francois… Francois… -





Eccomi qui! Dopo questo, credo che resterò tranquilla per qualche giorno... Ho preferito portare un po' avanti la storia, giusto per far capire qualcosa... Qui non si fa sentire nessuno... sigh sob... Magari sono noiosa... sigh sob...
Speriamo almeno che qualcuno stia leggendo, anche se preferisce farlo in silenzio...
Alla prossima, ciao ciao a tuti!!!
RoxRox

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


L’alba iniziava a far luce nella stanza, e nel chiarore di quella luce Renée pareva ancora più pallida. Era sempre senza conoscenza. Erano giorni che era così. Viva e alle soglie della morte.
Non era migliorata: il dottore tornava ogni giorno a visitarla, ma ogni volta se ne andava scuotendo la testa, senza dare speranze. Non poteva guarire, non sarebbe guarita.
Ma non moriva.
Francois la osservava. Osservava i tratti dolcissimi del suo viso, l’espressione distesa che i lineamenti prendevano in certi istanti, il dolore che si contraeva su quegli stessi lineamenti, all’improvviso. E il pallore del volto affilato dalla sofferenza, scavato dalle occhiaie, le mani forti eppure fini e composte anche in quei moti inaspettati e convulsi che le facevano stringere il lenzuolo quando uno spasmo più violento lo scuoteva, e le faceva mordere le labbra con un lamento straziante. E quella voce dolorosa, leggera, fievole, quel nome che ripeteva da giorni, solo il suo nome:
- Francois… -
- Sono qui – le rispondeva ogni volta, avvicinando il suo volto a quello di lei, come per respirare la stessa aria – sono qui, non temere, non me ne vado, ti sto aspettando… -
Non aveva praticamente mai lasciato il suo capezzale. Restava lì, seduto sul bordo del letto, tenendole la mano e parlandole a bassa voce, in continuazione, guardando le ciglia chiuse e pregando di poter rivedere nuovamente i suoi splendidi occhi azzurri.
- Non ho mai visto nessuno sopravvivere in questo modo – aveva detto il dottore – Vive solo perché è la volontà che la fa resistere: ha qualcosa dentro di straordinariamente forte che la tiene attaccata alla vita, soltanto quello. Non c’è un altro motivo. E’ viva perché non vuole morire -
Il capitano era stato avvisato la sera stessa dell’aggressione, all’uscita dall’udienza con il re, e si era precipitato dal suo moschettiere. Sconvolto da ciò che era stato fatto era tornato di gran carriera dal sovrano, gli aveva raccontato l’accaduto ed aveva ottenuto il permesso di concentrare tutte le sue energie nella ricerca dei responsabili. La sera dopo in una baracca alla periferia di Parigi erano stati ritrovati i corpi di sette uomini, due dei quali feriti, tutti avvelenati, probabilmente con una bottiglia di vino che si trovava rovesciata nella stanza. Nessuno era sicuro che fossero loro gli aggressori, ma per la maggior parte degli interessati la cosa finì lì, reputavano fosse impossibile raggiungere il mandante, sempre ammesso che ce ne fosse uno, ma lo stesso non era per Athos, Porthos e D’Artagnan; avevano deciso che sarebbero arrivati alla fonte, e il capitano aveva concesso loro di continuare ad indagare, anche se al momento si ritrovavano con un pugno di mosche.
Nel frattempo si davano il cambio per stare accanto a Francois, che non ne voleva sapere di lasciare da sola la sua donna; se loro non lo avessero costretto non avrebbe mai mangiato né dormito: al mattino uno di loro si presentava a casa di Aramis e prendeva il suo posto mentre lui si buttava su una branda che avevano trasportato in quella stanza, e dormiva per non più di un paio d’ore, agitandosi continuamente. Verso mezzogiorno e all’ora di cena un altro veniva portando del brodo caldo e un po’ di carne, e restava lì mentre lui mangiava qualcosa, fino a quando verso sera tornavano gli altri due, per sapere come stava, e restavano un po’ lì, per farle sentire la loro presenza.
Il medico si era fatto raccontare chi fosse quello sconosciuto che pareva essere tanto legato ad Aramis, aveva ormai compreso che tutti e tre i moschettieri sapevano perfettamente la verità. All’inizio avrebbe voluto allontanare Francois, reputava che una tale emozione potesse essere troppo nello stato di debolezza in cui lei si trovava, ma poi aveva pensato che forse era proprio lui, con la sua voce uscita dal passato, a tenerla attaccata alla vita, nella speranza che lui fosse davvero lì con lei.
- Posso entrare? – chiese Porthos facendo capolino nella stanza.
- Monsieur Porthos – lo riconobbe Francois voltandosi verso la porta – venite pure, vi prego –
- Come sta? – domandò avvicinandosi
- E’ sempre uguale. A volte credo che stia cercando di parlarmi, che mi stia stringendo la mano, ma il dottore ha detto che sono solo spasmi… Eppure ho l’impressione che mi possa sentire, che stia lottando… -
- Dovete dormire un po’. Stendetevi, la veglierò io per qualche ora, avete bisogno di riposarvi –
Francois si alzò, ma non lasciò la sua mano:
- E’ così incredibile… Io… l’ho abbandonata anni fa, l’ho costretta ad una vita d’inferno, ed ora che sono qui non posso fare niente se non guardarla morire… Non posso… Non voglio… -
Porthos gli pose una mano sulla spalla, guardandolo comprensivo:
- Coraggio, sono sicuro che ce la farà – ma il tono poco convinto mostrava che nemmeno lui credeva a ciò che diceva.
Fu allora che, all’improvviso, accadde una cosa che li lasciò scossi, spaventati:
- Amore – aveva detto delirando Renée, gli occhi finalmente aperti, e con uno sforzo di cui il suo volto sofferente portava i segni gli aveva stretto la mano in un impulso febbrile e se l’era portata alle labbra – Amore… Sei qui… Sei venuto amore… - Il suo volto poi da pallido era diventato livido, gli occhi si erano richiusi ed era ricaduta esanime sul cuscino.
- Renée… - Francois era caduto in ginocchio accanto al letto, tremando, accarezzandola dolcemente con le lacrime agli occhi – Sono qui, amore, sono qui, non ti lascio, non temere… Non me ne vado… Sono qui con te… -
Porthos, impietrito e finalmente speranzoso, non aveva cuore di staccarlo da lì per metterlo a dormire, così lo lasciò fare, e mormorando un – Vado a chiamare il medico – corse fuori. Rientrò pochi minuti dopo, aveva incontrato il dottor Lassonne appena uscito di casa, e lo aveva trascinato dentro mandando il suo giovane assistente a chiamare Athos e D’Artagnan, raccontando l’accaduto in poche smozzicate parole.
Francois dovette essere sollevato di peso da Porthos per portarlo fuori dalla stanza per permettere al dottore di visitare Aramis e cambiarle le fasciature, perché lui non voleva andarsene, temeva che la sua Renée aprisse di nuovo gli occhi senza che lui fosse lì accanto. Fuori dalla camera si lasciò scivolare su una sedia, gli occhi incollati a quella porta chiusa, recriminando di non essere lì con lei.
Athos e D’Artagnan arrivarono come cicloni una decina di minuti dopo, e si fecero raccontare l’accaduto da un fiducioso Porthos, che pareva aver riacquistato buona parte del suo proverbiale ed inesauribile ottimismo.
Il dottore uscì poco dopo e li guardò come se non potesse crederci:
- Mi sbagliavo, per fortuna – sorrise.
Francois sentì la gioia che lo avvolgeva in ondate calde:
- Dottore, volte dire che… -
- Ce l’ha fatta, ora che ha ripreso conoscenza penso che possa esser considerata fuori pericolo. Va assistita con molta cura adesso, se non volete che peggiori ancora e rischi nuovamente di morire, ma se seguirete alla lettera le mie istruzioni se la caverà –
Francois si sentì mancare, e solo l’intervento provvidenziale di Porthos che gli circondò le spalle con un braccio gli impedì di cadere a terra. D’Artagnan ballava per la stanza, Athos stava stringendo la mano del dottore, ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto.
- Non ringraziatemi. Il merito è tutto della sua forza di volontà, che ha lottato contro la morte e l’ha tenuta in vita – Si voltò poi verso Francois, con un’espressione triste ma decisa sul volto – Ora, signore, devo chiedervi un sacrificio enorme –
- Dite pure, dottore, nessun sacrificio sarà troppo grande –
- Dovete lasciare immediatamente questa casa, e non farvi più vedere qui finché non sarà completamente guarita –
- No! – l’urlo uscì come un ruggito dalla bocca di Francois – No, non potete chiedermelo! Perché? Io voglio restare con lei, nessuno me lo impedirà! –
- Sentite – il dottore prese una sedia, lo fece sedere e si sedette accanto a lui; sapeva che non sarebbe stato facile convincerlo, ma in quel momento era molto importante – Voi per lei siete morto, e nella sua testa siete poco più di un sogno, un angelo sceso dal cielo per aiutarla. Molto probabilmente siete voi ad averla salvata, lei sentiva la vostra voce come un richiamo ed ha fatto di tutto per raggiungerla, ma se dovesse riprendere coscienza di ciò che la circonda e vi vedesse lì, nella migliore delle ipotesi crederebbe di essere impazzita; in ogni caso, sarebbe un’emozione tale da poterla uccidere, è troppo debole per affrontare qualunque cosa diversa dal normale. Deve restare il più tranquilla possibile, fino a che non avrà recuperato tutte le sue forze. Voi credete che rivedendovi potrebbe restare tranquilla? –
- No – convenne Francois con un filo di voce. Una singola lacrima rotolò sulla sua guancia, staccandosi e cadendo sulle sue mani, poggiate sulle ginocchia – Voi credete che sparendo per un po’ la aiuterò? –
- Ne sono sicuro – sorrise il medico; c’era riuscito – Voi non dovete sparire per sempre, solo per qualche tempo, finché lei non sarà abbastanza forte per tornare da voi –
Gli occhi di Francois erano lucidi, ma quando si alzò era tranquillo:
- Posso salutarla un’ultima volta? –
Il dottor Lassonne si affacciò alla camera di Renée:
- Sì, ora dorme – si voltò nuovamente verso Francois – Coraggio, è solo per poco –
Francois annuì, entrò e si sedette sul bordo del letto, nella sua solita posizione. Scostò una ciocca dalla fronte della sua amata e le baciò la mano:
- Ciao piccola – mormorò – Io adesso me ne devo andare, e per un po’ non potrò restare qui con te, ma ti prometto che tornerò, e allora staremo insieme per sempre. Non preoccuparti, solo qualche giorno e poi non ti lascerò mai più… -
Si alzò ed uscì a testa bassa, oltrepassando il dottore.
- Sentite – gli disse Porthos – se volete potete stare da me in questi giorni, ho una camera in più per… beh, ho una camera in più, e potreste occuparla voi – arrossì leggermente, mentre D’Artagnan ridacchiava, rivolgendosi a Francois:
- La camera in più – disse con aria complice – è per le sue donne, che talvolta vanno a trovarlo –
- Oh no – esclamò Francois guardando Porthos – non potrei mai disturbarvi così! Alloggerò in una locanda! –
- Voi credete davvero che potrei distrarmi con le donne quando Aramis è tra la vita e la morte? No, non sono così cinico –
Francois sospirò sconsolato: Porthos ancora non si fidava di lui:
- D’accordo, vi ringrazio –
- Ora che voi non la accudite più – si intromise il medico - le servirà comunque una presenza costante accanto, almeno fino a che non si sarà ripresa completamente. Io non posso restare qui, quindi voi dovrete alternarvi accanto a lei –
- Certo dottore – rispose Athos – ce ne occuperemo noi, non temete –
Athos rimase, mentre Francois e Porthos uscirono di casa insieme a D’artagnan e al dottore, separandosi ed andando ciascuno per la propria strada.
Porthos condusse a casa il suo nuovo ospite; erano già andati qualche giorno prima alla locanda per riprendere i suoi pochi bagagli. Lo accompagnò nella sua stanza: era piccola, ma luminosa e comoda.
- Beh – esclamò allegramente Porthos – non è esattamente il palazzo del Louvre, ma è sempre meglio che dormire sotto uno dei ponti della Senna, no? –
- Perché ancora non vi fidate di me? – La domanda colse alla sprovvista il moschettiere:
- Ma cosa state dicendo? –
- Non vi siete fidato di me sin dal primo momento, ed ora mi volete qui per tenermi sotto controllo, non è vero? –
Porthos sospirò:
- Sentite – cominciò sedendosi sul letto – Non ho intenzione di mentirvi: è vero, all’inizio non mi fidavo di voi, siete comparso dal nulla, non sapevo che foste e quali fossero le vostre intenzioni. Del resto, la prima volta che vi ho visto eravate con uno dei miei migliori amici, che era ferito e stava morendo: voi avete detto che era stato aggredito e che i suoi assalitori erano fuggiti, ma io non potevo sapere se stavate dicendo la verità o se mentivate perché eravate stato colto in flagrante e cercavate di salvarvi la pelle. Ho preferito tenervi d’occhio, anche questo è vero, ma non certo adesso: siete rimasto completamente solo con lei per tutti questi giorni, se aveste voluto farle del male lo avreste fatto e poi sareste sparito. Ma siete rimasto, e le avete salvato la vita, e la vostra storia riguardo il fatto di essere sopravvissuto ed aver perso la memoria… Possibile che non aveste abbastanza fantasia da inventare qualcosa di più credibile? No, è talmente ridicola ed inverosimile da essere sicuramente ed assurdamente vera. Per quel che mi riguarda, fino a prova contraria voi siete davvero chi dite di essere, e meritate la mia fiducia – lo guardò e sorrise. Francois era commosso, e ricambiò il sorriso:
- Grazie –
- Ora è meglio che vi stendiate e che riposiate un po’, credo che non facciate un sonno come si deve da quando siete giunto a Parigi. Io non vi disturberò, tra poco devo uscire perché oggi pomeriggio sono di guardia al palazzo reale, e devo andare dal capitano de Treville, quindi resterò fuori fino a stasera –
- D’accordo, credo di avere davvero bisogno di dormire. Grazie ancora –
- Smettete di ringraziarmi, sono io a dover ringraziare voi per quello che avete fatto per Aramis. Beh, ora vado, a stasera! – Agitò la mano in un gesto di saluto ed uscì. Francois si gettò sul letto ancora vestito, e si addormentò profondamente.





Ciao a tutti!

Visto? Mi hanno spostato di categoria... Colpa mia, un piccolo equivoco sulla differenza tra shounen e shounen ai... :-)

Cooooooooooooomunque, eccovi un altro capitoletto. Non succede molto, ma a me piacciono particolarmente le parti tragiche, volevo allungare un po'... Spero che non vi sia venuto il latte alle ginocchia... :-)

Hatori: Sono felice che continui a leggere e che ti piaccia come scrivo. Spero che anche questo capitolo ti invogli a passare di qui più spesso... :-)

Anny0411: Mi hai inquietato! E' difficile che si conosca il vero nome dell'autore, prima di notare che eri tu avevo preso il saluto come una minaccia (del tipo: so chi sei e verrò a prenderti molto presto...)... :-)  Eh sì, è una storia che non viene mai approfondita molto, e finisce troppo male per i miei gusti (sai, io solo storie a lieto fine...), quindi ho preferito ribaltare la situazione e dare a tutti una seconda possibilità... Spero che ti piaccia anche il seguito (ma non ti darò nemmeno un anticipino piccolo piccolo...) e che tu continui a leggere... Altrimenti la minaccia la attuo io... :-P

Grazie a tutti, alla prossima!!!!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


- Siete degli idioti! – tuonò il cardinale Richelieu rivolto al suo capitano delle guardie ed al tenente che lo accompagnava – Avevate un incarico così semplice, dovevate trovare qualcuno che eliminasse un moschettiere e pagarlo perché lo facesse! Era tanto difficile? Ed invece avete trovato una banda di incapaci e smidollati, che in sette quasi si facevano tenere testa da uno e che sono fuggiti all’arrivo di un altro uomo, invece di eliminare uno scomodo testimone! Così adesso Aramis è sopravvissuto, è tra la vita e la morte da più di due settimane e fa la parte dell’eroico moschettiere assaltato da aggressori che non sono riusciti ad eliminarlo, portando gloria a tutto i corpo dei moschettieri! Sapete cosa mi ha detto il re gongolante quando ha saputo tutto? “Nessuno elimina i miei moschettieri, sono i migliori uomini di Francia. Le vostre guardie al confronto sono ancora delle reclute”! Ah! Sono circondato da imbecilli! –
- Almeno ora non potranno più parlare – si intromise una tranquilla voce femminile che usciva da un angolo in ombra – né raccontare chi li ha mandati –
- Milady de Winter – si voltò Richelieu – spero che almeno voi non mi deluderete. Avete qualcosa per me? –
- Certo, Vostra Eminenza – la donna uscì dall’ombra e si avvicinò al cardinale – Ho alcune informazioni riguardo all’uomo che frequenta i moschettieri dal giorno dell’aggressione ad Aramis, quello che si è preso cura di lui. Pare che sia sbarcato in Francia sei settimane fa al porto di Calais, scendendo da una nave che veniva dall’Inghilterra, e che non abbia esibito alcuna referenza. Da Calais si è recato in un piccolo paese nella valle della Loira, dove ha fatto alcune domande riguardanti la figlia del vecchio conte, scomparsa sei anni fa e probabilmente morta. Non ha ovviamente trovato nulla, e poi si è diretto verso Parigi. Non sono ancora riuscita a scoprire cosa lo lega ad Aramis, ma ce la farò –
Il cardinale sorrise:
- Milady, i vostri informatori sono incredibili. A volte ho il dubbio che siano scesi a patti con il diavolo, per sapere tutte queste cose –
- Sono solo tanti e ben distribuiti su tutto il territorio francese. E sono uomini molto bravi –
- Di sicuro molto migliori dei miei – esclamò Richelieu scoccando una occhiata rabbiosa a Rochefort e Jussac, che erano ancora in piedi e non avevano più detto una parola
– Comunque - riprese Milady de Winter – l’assenza di referenze potrebbe essere sfruttata a nostro favore –
- Già… - riprese il cardinale, un ghigno dipinto sul volto – Nessuno dall’Inghilterra ha garantito per lui, e per quel che sappiamo potrebbe essere una spia, magari del duca di Buckingham, infiltratosi per arrivare alla regina… Ed anche il fatto che si sia avvicinato ai moschettieri più vicini a lei… Il fidanzato della sua dama di compagnia fa parte di loro… Rochefort! – esclamò improvvisamente. Il capitano si irrigidì sull’attenti:
- Sì, Eminenza? –
- Trovate il modo di accusare quell’uomo di spionaggio, o di qualunque altra cosa lo possa portare nelle mie carceri! Chissà che non si possa negoziare con quei moschettieri la sua liberazione… E comunque, avremo sempre un ostaggio… -


Era passata una settimana prima che riprendesse conoscenza, ed altri giorni prima che prendesse coscienza di ciò che la circondava e fosse di nuovo in grado di parlare.
- Come ti senti? – le aveva chiesto D’Artagnan la prima volta che aveva aperto gli occhi fissandoli nei suoi con un po’ di lucidità. Aveva risposto:
- Stanco… - ed aveva chiuso gli occhi per lo sforzo.


- Cosa è successo? – era stata la prima cosa che aveva detto.
- Ti hanno aggredito in sette, e ti hanno sparato – disse D’Artagnan – Io e Porthos abbiamo sentito lo sparo e siamo accorsi senza sapere che eri tu, e ti abbiamo trovato per terra. Ti abbiamo portato a casa ed abbiamo chiamato il dottor Lassonne, che ti ha curato. Ti ci sono volute quasi due settimane per riprenderti un po’ –
- Sì… ora mi ricordo… ma voi li avete visti? –
- Appena in tempo perché non ti sistemassero del tutto. Ma avevano il volto coperto, e a quanto pare ci tenevano molto a non far sapere che erano, perché sono fuggiti senza neanche combattere. Il giorno dopo sono stati trovati sette cadaveri in una baracca, avvelenati da una bottiglia di vino, e due erano feriti, ma nessuno da se erano quelli che ti hanno aggredito, anche se io, Athos e Porthos ne siamo quasi sicuri. Abbiamo pensato che qualcuno li avesse assoldati per ucciderti e poi li abbia eliminati per essere certo che non avrebbero parlato, ma non sappiamo nulla di certo –
- Quindi… mi avete salvato la vita… -
D’Artagnan era palesemente in imbarazzo, a disagio:
-Lascia perdere, tutti per uno e uno per tutti, ricordi? –
Aramis sorrise. Poi parve ricordare qualcosa che la feriva, perché il sorriso scomparve, lasciando sul suo volto un’espressione sognante ma sofferente:
- Sai, l’ho visto… -
D’Artagnan sentì un nodo che gli stringeva lo stomaco:
- Chi hai visto? – si sforzò di chiedere, anche se già sapeva la risposta.
- Francois… Quando sono stata ferita, mi sono resa conto di cadere, ed ho visto la sua faccia, come se lui fosse chino su di me, e mi chiamava… Ho creduto che fosse la mia ora, e che fosse venuto a prendermi… Poi è diventato tutto buio, e io vagavo senza una meta, ma spesso lo sentivo che mi chiamava, e cercavo il più possibile di raggiungerlo, volevo disperatamente andare da lui… - una lacrima scese dai suoi occhi – Sai, non era nemmeno come lo ricordavo… Sembrava… Cresciuto, come se questi anni fossero passati anche per lui…-
- Lo hai chiamato spesso mentre deliravi. Ma adesso devi restare giù, oppure peggiorerai di nuovo –
Aramis non rispose, guardava fisso il soffitto. D’Artagnan era uscito dalla stanza, allora, perché vedeva che aveva bisogno di star sola; era tornato poco dopo, e l’aveva trovata addormentata, provata dalla fatica e dal dolore. E da quei ricordi.


- Come sarebbe a dire “scomparso”? – la voce di D’Artagnan la scosse improvvisamente dal suo sonno, subito zittita da Athos:
- Abbassa la voce, D’Artagnan, potresti svegliarla – Svegliarla? Non stavano certamente parlando di lei! Come poteva Athos sapere…
- Sentite, non so cosa sia successo – disse Porthos – ma quando ieri sera sono tornato a casa Francois non c’era; ho pensato che fosse andato in chiesa a pregare un po’, l’ha fatto qualche volta da quando abita da me, e sono andato a letto, ma stamattina quando mi sono alzato ho visto che non era neppure rientrato stanotte. L’ho cercato un po’ lì intorno, ma non c’è traccia di lui, e nessuno ha visto niente. Non so che dire –
Francois… di cosa stavano parlando? Chi era quel Francois che abitava da Porthos e che era scomparso… Abitava da Porthos… e dove? Nella sua stanza per le amanti?
- Non è possibile – riprese la voce di Porthos - che ci abbia fregati tutti ed abbia tagliato la corda… Lo abbiamo visto quando era qui con lei, come le teneva la mano, la accarezzava e le parlava, come piangeva… Io ero qui quando lei si è svegliata e lo ha chiamato amore, ho visto i suoi occhi… Era sincero, era lui, e la amava davvero… E in questi giorni, a casa mia, si agitava come un animale in gabbia, voleva tornare da lei, e quello che gli dicevo io gli bastava a mala pena, si vedeva che soffriva da morire… Athos, non se n’è andato di sua volontà, è successo qualcosa, e noi dobbiamo scoprire cosa –
Cosa stavano dicendo? Di chi parlavano? Che cosa era successo? Era lui… chi? Chi era questo Francois che abitava a casa di Porthos e che aveva assistito per giorni una donna che amava (e non era lei, su questo non c’erano dubbi, anche perché l’unico a sapere la verità era D’Artagnan…), da cui era stato allontanato ma che voleva rivedere? E che ora era scomparso? Che cosa stava succedendo?
Non li sentiva più, ma era certa che fossero ancora lì tutti e tre, in silenzio; magari stavano pensando a qualcosa, forse si stavano guardando l’un l’altro in cerca di una idea, di una soluzione…
Non poteva più aspettare, doveva andare da loro e farsi spiegare tutto. Cercò di alzarsi, ma non appena si mosse tentando di mettersi seduta un dolore lancinante le trafisse il fianco; la vista le si offuscò, e ricadde pesantemente sul letto senza trattenere un gemito. In pochi secondi i suoi tre compagni le erano accanto, e Athos la sollevò leggermente per riadagiarla sul cuscino:
- Che fai? – le chiese – Non ti muovere, lo sai che sei ancora troppo debole e non devi fare sforzi. Che volevi fare? –
- Venire da voi – rispose con un filo di voce – E sapere di chi stavate parlando – Sentì il braccio di Athos, che ancora la sorreggeva, irrigidirsi, mentre D’Artagnan non poté reprimere un moto di sorpresa –
- Non… non è nulla – balbettò Porthos fingendosi allegro e noncurante – non parlavamo di nessuno in particolare, stavamo chiacchierando così, del più e del meno… -
- Storie! – lo interruppe Aramis debolmente; allora Porthos sperava che li avesse sentiti parlare ma non avesse capito quello che dicevano… - Parlavate di un uomo, un certo Francois, che abita da te e che è scomparso, e parlavate di una donna, di cui è innamorato e da cui è stato allontanato… Devo continuare e vi devo ripetere parola per parola? –
- Non è necessario – mormorò Athos – abbiamo capito. Ma – riprese con vigore – non te ne devi preoccupare, è una cosa da nulla, e non conosci queste persone, stiamo solo cercando di aiutarle, non è niente, davvero… - la sua voce si smorzò. Gli occhi di Aramis erano sempre stati terribilmente espressivi, ed ora gli dicevano che era inutile continuare, la farsa era finita ed Aramis non credeva ad una sola parola.
- E da quando voi conoscete a Parigi qualcuno che non conosco io? E da quando Porthos ospita un uomo in casa? E dove, nella stanza che tiene per le sue donne? E perché tutto questo è successo proprio in questi giorni? E perché se non vi avessi sentito mi avreste nascosto tutto? – chiuse gli occhi, vedendo la sua camera girarle intorno. Era ancora troppo debole, e lo sforzo era stato eccessivo – Se non me lo dite voi, sarò costretto a cercare altrove le risposte… -
Porthos la guardò:
- Va bene –
- Porthos! – lo richiamò D’Artagnan – No! –
- Ma l’hai sentita? La conosco abbastanza per sapere che farà quello che ha detto! – Aramis spalancò gli occhi di colpo e li fissò su D’Artagnan: l’hai sentita? La conosco? Porthos stava parlando al femminile… Ma Porthos non sapeva… Non poteva sapere…
- Cosa gli hai detto? – chiese allarmata all’amico. Athos sospirò:
- D’accordo. Allora iniziamo da questo – si sedette sul bordo del letto.
- Voi fate quello che volete – disse D’Artagnan – ma io vado a chiamare il dottor Lassonne –
- Non è necessario – proferì la voce del dottore. Si voltarono tutti e lo videro sulla porta della camera – Stavo venendo a vedere come stava e a cambiare le fasciature. Perché volevate venire a chiamarmi? –
- Penso – rispose Athos – che sia venuto il momento di raccontare tutto. Ci ha sentito parlare mentre credevamo che dormisse, ora sa le cose a metà, se non diciamo tutto cercherà risposte altrove… -
Aramis non credeva alle proprie orecchie:
- Anche voi, dottore? Allora tutti sanno tranne me? –
- Va bene – capitolò il medico – ditele tutto, io resterò qui se ci fosse bisogno di me –
Athos si voltò verso Aramis, ed iniziò a raccontare:
- Per prima cosa, io e Porthos sappiamo la verità su di te, che sei una donna. No – la prevenne, mentre già lei guardava D’Artagnan con occhi di fuoco – non è stato lui a dircelo. Lo abbiamo scoperto da soli, molto prima di lui, sono anni che lo sappiamo entrambi, anche se tra di noi non ne avevamo mai parlato. E’ venuto tutto alla luce in questi giorni. Quando sei stata aggredita, non sono stati Porthos e D’Artagnan a salvarti, loro sarebbero arrivati troppo tardi; è stato un altro uomo, uscito dal tuo passato: è stato Francois –
Aramis era allibita:
- Francois? Ma chi… Francois? –
- Il tuo Francois – si intromise D’Artagnan
- Il mio… Francois…? – Aramis sorrise; se ne avesse avuta la forza sarebbe scoppiata a ridere – Beh, chiunque fosse, vi ha preso in giro. Il mio Francois è morto –
- No, non è morto – riprese Athos – Ci ha raccontato quello che gli è successo: tutti lo hanno dato per morto, ma l’anziano precettore si è accorto che era ancora vivo, quindi l’ha nascosto per curarlo. Quando si è ripreso aveva perso la memoria; tu ormai eri promessa ad un altro, stavi per sposarti, così non ha detto nulla e l’ha portato in Inghilterra, dove hanno iniziato una nuova vita. Quando qualche tempo fa Francois ha improvvisamente ritrovato la memoria, ha deciso di tornare in Francia per cercarti. E’ arrivato a Parigi e ti ha ritrovata giusto in tempo per salvarti da quelli che ti hanno aggredita –
- E’ ridicolo… –
- Ma è la verità –
- Sentite, io vorrei che tutto ciò che mi avete detto fosse vero, non sapete quanto lo vorrei… – la voce le si spezzò in un singhiozzo. Chiuse gli occhi, non voleva piangere proprio ora, davanti ai suoi compagni e al medico – Ma Francois… è morto sette anni fa, ed io non posso e non voglio illudermi che qualcosa di impossibile possa succedere proprio a me… -
- Ci ha raccontato alcune cose di te… Renée… - Aramis riaprì gli occhi, con un’espressione sorpresa. Athos sorrise – E’ stato lui a dirci il tuo nome. E ci ha raccontato altre cose, ad esempio di come vi siete conosciuti, che tu sei caduta da cavallo perché si era imbizzarrito a causa di un proiettile che lui aveva sparato e che si era piantato in un albero accanto a te, che sei svenuta e lui ti ha portato nel palazzo del principe Philippe per curarti… -
Il respiro di Renée si stava facendo affannoso, sembrava non avere più aria. Il dottore si avvicinò, preoccupato.
- Pensaci – le disse Porthos – hai mai visto il suo cadavere? –
- No… no… - annaspò lei – Sir John, il precettore del principe Philippe, mi impedì di vederlo… Mi disse che avrei dovuto ricordarlo com’era quando era vivo e mi sorrideva, non quando non avrebbe più potuto sorridermi… -
- Mi hai detto – si accostò D’Artagnan – che l’hai visto mentre eri ferita, pensavi di averlo sognato, ricordi? Mi hai anche detto che non era come lo ricordavi, che sembrava che questi sette anni fossero passati anche per lui… -
- Francois… - Renée impallidì, come se improvvisamente fosse tornata del tutto in sé, e l’avesse assalita la violenza di un ricordo capace di sopraffarla – Francois… - esclamò con un tono carico di dolore e di paura, alzandosi all’improvviso su un gomito.
Il dottore le si avvicinò con sollecitudine e la sostenne. La aiutò a riadagiarsi piano sui cuscini perché il suo viso, nel movimento brusco, era impallidito e si era contratto in una smorfia di dolore.
Poi scosse la testa:
- Dovete restare tranquilla adesso, non muovetevi, non potete fare sforzi… -
Ma lei non lo ascoltava; guardava gli altri, i suoi compagni:
- Dov’è? – chiese – Dov’è adesso? Perché non è qui con voi? –
- E’ colpa mia – rispose il medico; la tenne per le spalle mentre parlava – Temevo che rivederlo mentre eravate così debole avrebbe potuto farvi più male che bene, avevo paura che l’emozione e lo shock vi avrebbero uccisa, così quando siete stata fuori pericolo gli ho imposto di restare lontano da voi, giusto il tempo necessario per farvi riprendere le forze… Lui ha capito e si è fatto da parte… -
- E’ venuto a casa mia – continuò Porthos – Era agitatissimo, avrebbe voluto stare con te, ma si tratteneva, diceva che avrebbe resistito perché poi sareste stati insieme per sempre… Aspettava ogni sera il mio ritorno per sapere quanto stavi migliorando… -
Renée iniziò a tremare: sentiva che c’era un “ma” in arrivo, e la cosa la spaventava.
- Ma ieri sera quando sono tornato non era a casa. Mi è sembrato strano, ma ho pensato che si fosse attardato in chiesa, ci andava spesso a pregare per te da quando era da me, non mi sono preoccupato e sono andato a letto. Ma stamattina quando mi sono svegliato non c’era, e si vedeva che non era nemmeno tornato per la notte… Non so dove sia… -
- Ma lo troveremo! – esclamò D’Artagnan, più per cercare di non agitarla che perché ci credeva davvero – E’ tutto appena successo, ci serve solo il tempo di capire cos’è accaduto, e arriveremo da lui per riportartelo. Tu devi solo stare tranquilla –
- No – Renée era sempre più pallida, perché cercava di divincolarsi dalla presa del medico, che per le spalle la teneva inchiodata al letto – Io… devo cercarlo… voglio venire con voi… Io… devo vederlo… - la voce si affievolì e si spense, e lei si abbandonò, gli occhi chiusi, svenuta. Aveva abusato delle sue forze.
- Trovatelo – mormorò il medico alzandosi – trovatelo il prima possibile, e portatelo qui, oppure lei si ucciderà nel tentativo di andare a cercarlo –





Eccomi qui! Porto via solo un attimo per ringraziare chi sta continuando a leggere, anche se non si fa sentire... sigh sob...
Alla prossima! Ciao ciao!
RoxRox

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


Francois gemette. Da giorni, ormai, era chiuso ed incatenato in quella piccola cella, ed ancora non sapeva chi ce lo stesse tenendo, e non afferrava bene il perché.
Era stato arrestato un pomeriggio mentre, uscito dall’abitazione di Porthos, si stava recando in chiesa a pregare. Era stato accerchiato da uomini che indossavano delle divise rosse simili a quelle dei moschettieri; uno di loro, evidentemente il capo, si era fatto avanti e gli aveva puntato contro una pistola:
- Vi dichiaro in arresto – aveva detto – accusato di spionaggio e complotto con l’Inghilterra –
Spionaggio? Complotto? Ma andiamo! Era ridicolo! Ma prima che potesse dire qualcosa qualcuno lo aveva colpito alla testa; quando aveva aperto gli occhi si era ritrovato in quel tugurio, e da lì non era più uscito. Comprendeva il ciclo dei giorni in base ai pasti che gli venivano portati.
Il secondo giorno che era lì era entrato un uomo e si era piazzato a gambe larghe davanti a lui:
- Che legame avete con il moschettiere Aramis? E’ una spia come voi? –
Francois aveva capito immediatamente che la verità non era la risposta migliore:
- Nessun legame particolare, ed io non sono una spia –
- Ah no? Ed allora come mai siete venuto in Francia dall’Inghilterra, e al momento dello sbarco non avete esibito alcuna referenza? – gli aveva dato un calcio nell’addome, e si era avvicinato a pochi centimetri dal suo viso – Chi siete in realtà? –
Francois aveva recuperato il sangue freddo:
- Non lo so. Il primo ricordo che ho risale a pochi anni fa, quando mi sono risvegliato in un letto, e un uomo mi ha detto di avermi trovato ferito per strada. Non ricordavo, e non ricordo nulla, della mia vita precedente, se non che sono parigino. Ho lavorato fino a che non ho avuto abbastanza soldi, e sono venuto in Francia a cercare il mio passato –
- Questa è una menzogna! – aveva urlato l’uomo, e gli aveva sferrato un altro calcio. Francois si era raggomitolato con un lamento di dolore – Se le cose stanno così, cosa ci facevate in casa di un moschettiere? –
- Cercavo un alloggio dove stare intanto che continuavo le mie ricerche, e lui aveva una stanza in più che restava vuota. Mi chiedeva meno di una locanda per l’affitto, e ho deciso di accettare –
- E Aramis? Anche lui aveva una stanza che restava vuota? – sottolineò la domanda con un altro calcio, questa volta sulla bocca.
- Monsieur Porthos – boccheggiò Francois sputando sangue - mi ha proposto… di… pagarmi… la prima settimana di affitto… prendendomi cura di un loro compagno che era rimasto… ferito… in un attacco di briganti… -
- Sono tutte bugie! – altro calcio – Voi siete una spia al servizio dell’Inghilterra e della regina! Va bene – aveva poi ripreso – voi non volete parlare, ma non è un problema. Troverò da solo ciò che voglio sapere su di voi. Nel frattempo – si piegò in un inchino beffardo – resterete nostro gentile ospite in questa confortevole cella – detto questo, aveva girato i tacchi e se n’era andato. Non l’aveva più visto. Ma sapeva che non era finita.


C’era voluto molto tempo perché riuscisse a riprendersi un po’, parecchio tempo. Ma era sorretta da una volontà fortissima, una forza che le veniva da dentro.
Un giorno Porthos entrando nella sua camera dopo aver salutato il dottore l’aveva trovata in piedi, vestita, vicina alla porta.
- Ehi! Dove credi di andare? – le aveva chiesto.
- Fuori – aveva risposto lei, e si era mossa per uscire.
- Brava, ottima idea! Così completi l’opera di quello che volevano farti la festa! – l’aveva trattenuta per un braccio, e Renée gli si era accasciata addosso.
- Io devo andare – l’aveva sentita ripetere, ad occhi chiusi.
L’aveva sollevata e distesa sul letto di nuovo, poi si era seduto sul materasso, accanto a lei – Ascolta – aveva iniziato con un tono il più possibile calmo, e conciliante – io so che la fuori c’è chi ti sta molto a cuore, lo sappiamo tutti, sta a cuore anche a noi, e stiamo facendo di tutto per trovarlo. Ma tu in queste condizioni non puoi andare proprio da nessuna parte. Il dottor Lassonne è stato chiaro: devi riguardarti, e per un bel po’ di tempo, se vuoi guarire. Il fatto che tu adesso stia appena meglio di quand’eri moribonda non significa affatto che tu possa alzarti dal letto e andartene in giro per la città –
Lei lo aveva guardato stancamente:
- Tu non capisci… - aveva mormorato.
- No, è vero, non capisco, perché mai ho passato quello che stai passando tu, e ne ringrazio il Signore. Ma se ti succede qualcosa perché noi ti abbiamo permesso di fare follie, chi glielo spiega a Francois quando torna? –
- Lui è là fuori, forse ha bisogno di me, ed io me ne resto qui in un letto… Lo lascio solo e me ne sto qui con le mani in mano… -
Porthos aveva stretto la mano a pugno:
- Non è solo. Ci siamo anche noi - aveva sorriso, facendole l’occhiolino – Andiamo, vedrai che te lo riporteremo. Cos’è, non ti fidi più di noi? –
Allora anche lei aveva incurvato le labbra, in una pallida imitazione di un sorriso, e aveva chiuso gli occhi.


- Francois! Francois! –
Lo aveva gridato, nell’oscurità: un grido disperato che proveniva da dentro, che il dolore aveva portato dal sonno alla superficie della notte, al buio della stanza, alla solitudine del letto su cui giaceva. Ma non si era svegliata: continuava, semicosciente, ora, a ripetere quel nome in un mormorio, un rantolo sfinito e flebile:
- Francois… -
Athos si era destato e, alzandosi dalla branda che avevano sistemato vicino al suo letto aveva fatto luce accendendo una candela sul tavolo. Si era accostato a lei e le aveva posato una mano sulla fronte: scottava.
La febbre, di nuovo. Athos scosse il capo preoccupato. Era tornata a stare male, quel giorno, dopo essersi alzata e aver cercato di uscire: sembrava quasi quando era stata portata a casa all’inizio. Ma il dottore aveva detto che non sarebbe stato facile.
- Francois, dove sei, Francois… - Delirava ancora.
- Sta’ calma, Renée. Sta’ calma. Hai la febbre –
Non era un buon segno, non lo era affatto. Ma Renée abusava delle sue forze, e doveva succedere: cercava spesso di alzarsi, era in uno stato di agitazione continua. E di sofferenza, che non si placava.
- Renée, torna in te, stai delirando – disse. Poi fece per voltarsi, per alzarsi dalla sedia accanto al letto su cui si era seduto e prendere un panno bagnato da metterle sulla fronte.
- Aspetta… -
Si girò, a quell’invocazione: Renée gli aveva afferrato il braccio con una mano. Lo guardava ansimando:
- Devi trovarlo… - disse respirando a fatica.
- Sì, sì… certo, lo troveremo, non ti preoccupare, ce la faremo… -
Lei girò il capo, stremata, pallida:
- Francois… torna da me… -
Lui andò a prendere un panno, lo bagnò con acqua fredda, glielo posò sulla fronte:
- Calmati, Renée, devi far passare la febbre, non devi agitarti più. Lo troveremo, e te lo porteremo qui. Te lo prometto, ma sta’ calma. Devi stare calma, calma… -


D’Artagnan era seduto accanto a lei quando aveva aperto gli occhi. Era mattino inoltrato, e il sole entrava a fiotti dalla finestra aperta, accompagnato da una piacevole brezza che le accarezzava il viso.
- Come ti senti? – le domandò il moschettiere, ma lei non rispose.
- Lo avete trovato? – chiese invece. D’Artagnan abbassò lo sguardo.
- Non ancora… -
- Ma avete qualcosa? Un indizio, un nome, qualunque cosa… - il silenzio di D’Artagnan fu più eloquente di mille parole – No… non avete nulla… Nessuno sa nulla… - Si era portata le mani al viso - Che è successo? – e le era uscito un gemito dalle labbra, mentre le mani scivolavano sulla bocca e nei suoi occhi si accendeva un’espressione di subitaneo terrore – Che ti hanno fatto? Dio mio, cosa ti hanno fatto, Francois… - Poi aveva cercato di alzarsi, immediatamente, ed era rimasta seduta sul letto, tremando, pallidissima. Aveva stretto i pugni sopra il lenzuolo e si era alzata con uno sforzo incredibile. Aveva perso l’equilibrio, la testa che girava, e sarebbe caduta a terra se D’Artagnan non l’avesse sorretta:
- Renée, calmati! Cosa vuoi fare? –
- Devo andare, ti prego… - aveva detto stremata, gli occhi chiusi.
- Lo sai che non sei in condizione di muoverti… -
- Aiutami ad andare, aiutami… -
- Non posso Renée, ragiona, per favore. Stai troppo male per alzarti. Se ti aiutassi ti aiuterei a morire, non a trovarlo –
- Non importa se devo morire, non importa… ma devo trovarlo. Devo sapere la verità, adesso… -
- Renée, ascolta… lo troveremo noi Francois, ci penseremo noi… Ma tu non devi alzarti, non puoi davvero, Renée… Cerca di ragionare –
La sentì mancare tra le sue braccia, allora, accasciarsi di nuovo sul letto. La guardò, ed aveva un’espressione disperata sul viso, mentre scuoteva la testa:
- No, non è possibile, non posso… -
Si inginocchiò vicino a lei, allora, e la prese per le braccia:
- Non temere, te lo riporteremo, lo troveremo, ma ti prego, devi riguardarti - Riposati e mangia qualcosa, Renée. Cerca di non agitarti, per favore. Non risolverai niente agitandoti. Devi fidarti di noi, e mentre aspetti guarire. Te lo porteremo qui, e potrete stare insieme, perché starai meglio, allora -


I giorni seguenti trascorsero molto lentamente, con ore fatte di sgomento, di supposizioni, di angosce che non sembravano mai abbastanza nere. Nella immobilità forzata e nel senso di impotenza frustrante che invece di scemare aumentava col passare del tempo, Renée pensò quasi di impazzire. Sognava spesso di lui, e quando era sveglia la mente gli si rivolgeva con dolore, con desiderio. Contava i giorni, ma non sapeva quanti giorni li separavano, e stringeva il lenzuolo con frustrazione e rabbia.
Una mattina, mentre dormiva ancora, Athos era uscito di casa. L’aveva lasciata nelle mani di D’Artagnan e si era diretto verso il palazzo dei moschettieri, per incontrarsi con Porthos.
A metà strada notò una figura nell’ombra, e riconobbe George Fourier.
Fourier era una guardia del cardinale, e godeva di un’ottima posizione, anche se non aveva accesso diretto al primo ministro. Anni prima, quando era ancora un ragazzetto orfano che viaggiava verso Parigi in cerca di fortuna accompagnato dalla sorella, Athos e Porthos li avevano salvati dalle mani di una banda di fuorilegge che li avevano assaltati per rapinarli di tutti i suoi pochi denari e fare chissà cosa alla fanciulla, e lui aveva giurato di consacrare loro la propria vita. Era entrato nelle guardie di Richelieu, e li informava di ogni cosa di cui venisse a conoscenza.
Alzò gli occhi, incrociando lo sguardo con quello di Athos, poi si voltò e si infilò in un vicolo stretto e maleodorante. Il moschettiere smontò da cavallo e lo seguì, inoltrandosi nel dedalo di viuzze che costituivano il cuore medievale della città, fino a che entrarono furtivamente in un portone.
- Buongiorno Athos –
- Buongiorno George. Avete qualcosa per me? –
- Sì, anche se ormai purtroppo la notizia è vecchia di giorni, ma ero in licenza per raggiungere alcuni parenti –
- Non importa. Ditemi ciò che sapete –
- Nelle carceri del palazzo del cardinale da parecchi giorni c’è un nuovo prigioniero, una sorta di sorvegliato speciale, perché ha sempre una guardia fuori dalla porta della sua cella –
- Un nuovo prigioniero? – Athos si fece improvvisamente attento – Chi è? E come mai è prigioniero? –
- Vi dirò, pare che nessuno abbia capito esattamente il perché. E’ stato detto che è una spia inglese, ma nessuno ci crede –
- Nessuno ci crede? E come mai? –
- Beh, per prima cosa è smaccatamente francese, non potrebbe passare per un inglese neppure se in Inghilterra ci fosse nato, inoltre se fosse stato una spia sarebbe finito semplicemente nelle prigioni cittadine, e non nelle carceri segrete del cardinale, incatenato e sorvegliato a vista. Inoltre il capitano Rochefort va da lui ogni due giorni, e quando se ne va è sempre più arrabbiato, e il prigioniero è stato visibilmente picchiato, e sta sempre peggio. No, è sicuramente qualcuno a cui il cardinale tiene particolarmente, qualcuno di pericoloso, o qualcuno di cui vuole servirsi, da cui vuole qualcosa, anche se nessuno conosce i suoi scopi –
- Ma voi l’avete visto? Che aspetto ha? –
- Ho guardato ieri sera nella sua cella quando gli ho portato la cena. Dovrebbe avere più o meno la vostra età ed è castano. Non so dirvi l’altezza, perché era disteso sul pagliericcio, ma era sicuramente snello e ben proporzionato, un bell’uomo –
- E’ lui – mormorò Athos passandosi una mano tra i capelli.
- Lo conoscete? –
- Sì. E’ una storia un po’ lunga, ed ora non ho tempo, devo assolutamente ritrovare Porthos e parlare con lui, ma quell’uomo non è certamente una spia inglese, anche se per alcuni anni ha vissuto in Inghilterra, e deve assolutamente uscire da quella cella –
- E come pensate di fare? –
- Ancora non lo so, ve l’ho detto, prima devo parlare con Porthos e D’Artagnan. Voi siete libero stasera o siete di guardia? –
- Questa sera sono libero, e a vostra disposizione, se vi servo –
- Bene, allora ritroviamoci qui alle nove –
- D’accordo. A stasera – detto questo Fourier indossò il mantello, si calò il cappuccio sugli occhi e, controllato che non ci fosse nessuno in giro, uscì in strada e scomparve. Athos uscì poco dopo, rimontò a cavallo e lo spronò al galoppo verso il palazzo del capitano dei moschettieri, ansioso di parlare con il compagno.
“Ce l’abbiamo fatta” pensava, mentre correva per le strade parigine “L’abbiamo trovato… Aramis, l’abbiamo trovato! Non temere, tra poco lo riporteremo da te…”

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Non fu facile trovare il modo di raggiungere Francois. Athos, Porthos e D’Artagnan passarono quasi tutta la notte curvi insieme a Fourier su quel tavolo, su cui giaceva una mappa sommaria delle prigioni del cardinale che Fourier aveva disegnato in gran fretta quel giorno. Con Renée era rimasta Costance, utilizzando la scusa di voler far dormire i tre tutti per una notte intera; i moschettieri speravano che non ci fossero problemi, ma non avevano altra scelta, dovevano essere presenti tutti e tre alla stesura del piano per far evadere Francois.
Sarebbe stato rischioso, e tutti e cinque avrebbero rischiato la vita se fossero stati scoperti, ma era l’unica cosa da fare.
Bisognava aspettare ancora un giorno, perché Fourier doveva avere il turno di notte, che era certamente il più lungo e lasciava loro più tempo per agire, ed inoltre di notte le prigioni erano molto meno frequentate.
Avrebbero voluto avvisare Renée, ma preferirono non farlo: avrebbe certamente voluto venire anche lei, e non era ancora nelle condizioni di potersi muovere, ed inoltre non volevano darle false speranze, nel caso in cui la missione non fosse riuscita.
- Ce la faremo? – sospirò D’Artagnan all’alba, dopo la partenza di Fourier, allungandosi sulla sedia e stiracchiandosi.
- Dobbiamo farcela – rispose Athos – o Renée non ce lo perdonerà mai –
- Oh andiamo – esclamò Porthos, ottimista come sempre – abbiamo un piano perfetto, un infiltrato nel palazzo del cardinale, e una amica che ci ucciderà se non lo tiriamo fuori di lì. Quindi lo libereremo, perché ci teniamo alla pelle – risero – E’ mattina. Che ne dite di mangiare qualcosa? –

La notte si era stesa nuovamente su Parigi, quando Porthos uscì dalla casa di Renée, lasciandola addormentata alle cure di Costance, e si diresse verso il palazzo di Richelieu. Poco distante incontrò Fourier, che già indossava la divisa delle guardia del cardinale; non ci fu nemmeno bisogno di parole, entrambi sapevano già cosa fare.
Porthos rimase dov’era, mentre Fourier voltò l’angolo e si trovò esattamente di fronte ad un ingresso secondario del palazzo, quello che portava proprio alle prigioni. La porta era piantonata da due guardie. Porthos, spiando restando nascosto nell’ombra della notte, aguzzò gli occhi e intravide Athos e D’Artagnan che spuntavano dai folti cespugli delle aiuole che decoravano la parete esterna del palazzo, uno a destra e uno a sinistra dell’ingresso; ci si erano nascosti nel tardo pomeriggio, durante l’ultimo cambio della guardia, quando gli uomini di Richelieu erano distratti e per strada c’era abbastanza via vai da non prestare attenzione a singole persone. Porthos sorrise: erano ormai nascosti da qualche ora, e probabilmente le loro gambe erano martoriate da crampi; tra poco la loro tortura sarebbe finita. Fourier si avvicinò alle guardie all’ingresso, e le salutò a voce un po’ troppo alta:
- Ehilà! Tutto bene? –
- Ah, una notte fin troppo tranquilla – rispose una delle due.
- Meglio, molto meglio. Sono appena tornato dal mio paese, e non ho alcuna voglia di attaccar briga. Spero solo che mi aspetti un’altra noiossissima nottata a sonnecchiare seduto davanti alla cella del prigioniero, con le mani sulla pancia e i piedi sul tavolo –
D’Artagnan e Athos uscirono il più silenziosamente possibile dai loro nascondigli e si avvicinarono alle guardie, ma loro non li notarono, presi com’erano dalla chiassosa conversazione di Fourier. Si accorsero degli intrusi quando ormai era tropo tardi, e vennero colpiti contemporaneamente con grossi bastoni. Trascinatili sotto un vicinissimo ponte, vennero velocemente spogliati e lasciati alle cure di Porthos, che li legò mani e piedi, restando lì a controllarli. Athos e D’Artagnan infilarono le loro divise, nascondendo i capelli sotto i cappelli piumati, in modo da non essere riconosciuti alla fioca luce notturna, e si misero al posto delle due guardie, immobili, in attesa. Fourier li oltrepassò ed entrò nel palazzo.
Si aggirò nei cunicoli finché non arrivò alla cella del prigioniero da controllare, dove un altro uomo stava evidentemente addormentandosi su una sedia. Si riscosse sentendolo arrivare:
- Finalmente! Ti sembra l’ora? Il mio turno è finito un quarto d’ora fa! –
- Oh, andiamo, non rompere! - Fourier salutò toccandosi la tesa del cappello mantenendo il viso in ombra e parlando con voce contraffatta, perché non fosse facilmente riconoscibile.
- Ehi, ma che hai alla voce? –
- Oh, nulla di particolare, sono andato dai miei parenti qualche giorno e mi sono beccato un bel raffreddore. Tutto bene qui? –
- Oggi è particolarmente tranquillo, da quando sono arrivato non si è ancora mosso. Se non lo avessi sentito tossire due volte avrei controllato che non fosse morto. Oh beh, è tutto tuo. Buonanotte – si riaddentrò nell’ombra dei cunicoli, diretto all’uscita.
Fourier agitò la mano e si lasciò cadere sulla sedia, mettendosi evidentemente comodo. La guardia uscì dal palazzo passando davanti ad Athos e D’Artagnan senza notare nulla e se ne andò. I due moschettieri si scambiarono un’occhiata e parvero riprendere a respirare.
Fourier aspettò un quarto d’ora prima di muoversi, per essere sicuro che non ci fosse nessuno in giro. Si alzò, prese le chiavi della cella e aprì la pesante porta di ferro. Il prigioniero si girò alla luce delle torce che entrava dalla porta aperta; lo guardò con occhi ostili, ma non disse nulla. Fourier gli si avvicinò e cominciò ad aprirgli i ceppi:
- Voi siete Francois? Mi mandano Athos e Porthos –
- Conoscete Athos e Porthos? – chiese stupito il prigioniero con voce fievole.
- Non temete. Sono una guardia del cardinale, ma sono amico di Athos e Porthos, e sono qui per portarvi fuori – nel frattempo aveva finito di liberarlo delle catene – Sentite dolore? Riuscite a camminare? –
Si alzò a fatica e mosse qualche passo:
- Mi fa male un po’ dappertutto, ma posso camminare –
- Perfetto. Non dite e non fate nulla, qualunque cosa accada, soprattutto se incontriamo qualcuno, e venite con me –
Uscirono dalla cella, richiusero la porta e si incamminarono in silenzio. Guadagnarono l’uscita senza incontrare nessuno, e si allontanarono dando appena un’occhiata alle guardie all’ingresso, che a Francois parve di riconoscere, ma come aveva promesso si limitò a camminare seguendo il suo salvatore. Respirava profondamente, godendosi l’aria fresca della notte e la libertà. Durante la prigionia non aveva fatto altro che pensare alla sua Renée, ed ora non poteva non guardarsi intorno, sperando ed allo stesso tempo temendo di vederla uscire dall’ombra.
Camminarono per poco, arrivando alla Senna e si infilarono sotto un ponte. Francois intravide una sagoma imponente, ed avvicinandosi riconobbe Porthos. Comprese di essere al sicuro, e sorrise.
- Allora – chiese Porthos avvicinandosi – come è andata? –
- Molto bene – rispose Fourier sorridendo – gli altri stanno arrivando –
- Eccoci – esclamò una voce alle loro spalle. Francois si allarmò riconoscendo le divise delle guardie del cardinale, ma si rasserenò quando si avvide che erano Athos e D’Artagnan, e comprese:
- Le guardie all’ingresso… - mormorò.
- Esatto – rispose D’Artagnan levandosi la divisa – Uff, finalmente! Non ne potevo più di indossare questo schifo! –
- Non dirlo a me! – disse Athos che, appoggiato alla muratura del ponte, piegava e distendeva alternativamente prima una gamba e poi l’altra – Restare in quei cespugli tutte quelle ore mi ha fatto credere di non poter più riuscire a stare in piedi! E ora – si rivolse a Portos – ridammi i miei abiti, per favore –
Porthos si voltò e raccolse gli abiti degli altri due moschettieri, che si rivestirono. Francois notò che nel frattempo Fourier si era spogliato e girato di spalle offriva i polsi a Porthos, che glieli legò. Si sedette poi accanto ai corpi di altri due uomini ancora svenuti, che Francois non aveva ancora notato, e lasciò che il moschettiere gli legasse anche le caviglie, come agli altri due.
- Ma… - mormorò Francois – perché lo legate? –
- Dobbiamo proteggerlo – rispose Porthos, mentre finiva di legare il nodo.
- Già – disse Athos – lui è una guardia del cardinale Richelieu, ma se si scoprisse che ci ha aiutato per lui potrebbero essere guai seri, ma se si fa trovare qui assieme ai compagni sembrerà che sia stato aggredito con loro, e nessuno avrà sospetti su di lui –
- E’ meglio muoverci – si intromise D’Artagnan – prima che qualcuno ci scopra o uno di questi due si svegli –
- Monsieur D’Artagnan ha ragione – disse Fourier – Andate, prima che qualcuno vi veda –
Francois si chinò e lo guardò negli occhi:
- Vi ringrazio di avermi liberato, non so per quanto ancora avrei resistito –
Athos si inginocchiò accanto a Francois, e posò una mano sulla spalla di Fourier:
- Grazie per il vostro aiuto. Stanotte avete salvato più di una vita innocente –
Fourier sorrise:
- Sapete che ho un debito con voi, avete salvato mia sorella, e non farò mai abbastanza per ripagarvi. Andate ora, e che Dio vi assista –
Athos e Francois si alzarono e seguendo gli altri due si addentrarono nella notte, sparendo in fretta dalla vista di Fourier. Egli attese finché non sentì suonare le campane di Notre Dame, dopo di che iniziò ad agitarsi, cercando di liberarsi, chiamando i compagni svenuti a gran voce e prendendoli a calci, per quanto poteva:
- Brissac! Brissac! Maledizione, Brissac! Mortmart! Svegliatevi, idioti! Mortmart! Coppia di imbecilli! –
Il più vicino iniziò a muoversi, risvegliato probabilmente più dai calci che dalle imprecazioni del compagno:
- Fourier! Ma che diavolo… Cos’è successo? –
- E’ successo che tu e quel beota del tuo amico siete due incapaci! Aspetta solo che riesca a parlare con il capitano Rochefort! Siete messi lì apposta per controllare la strada e lasciate che dei delinquenti si avvicinino e mi prendano alle spalle, e prendano anche voi! Imbecilli! Ma dove guardavate, invece di fare il vostro lavoro? –

Francois seguiva i tre moschettieri che camminavano in silenzio per le vie della città. Appena usciti dal ponte aveva cercato di parlare con loro per ringraziarli, ma un cenno del capo di Athos gli aveva fatto capire di tacere.
Giunti ad un incrocio si fermarono:
- A mezzogiorno – mormorò solo Athos. Gli altri annuirono, e finalmente si sorrisero. Si salutarono con un cenno del capo e si separarono: Porthos si tirò dietro Francois e si diresse verso casa, mentre Athos e D’Artagnan svoltarono verso la casa di Renée.
Quando entrarono in casa, Porthos si lasciò cadere pesantemente su una sedia:
- Ah – sospirò infine – è fatta, fantastico! –
Francois si sedette di fronte a lui e lo guardò negli occhi:
- Grazie –
- Ah, lasciate stare i ringraziamenti, chi lo spiegava a Renée che vi avevamo lasciato sparire un’altra volta? E poi ci siamo affezionati a voi –
- Lei come sta? –
Porthos sorrise vedendo la luce di preoccupazione nei suoi occhi:
- Sta bene. Si sta riprendendo con la velocità del fulmine, ma è ancora molto debole, e soprattutto si agita troppo, cerca sempre di alzarsi, non si riposa come dovrebbe. Vedete, il fatto è che sa di voi… -
- Sa di me? E come è possibile? Il dottore si era tanto raccomandato… -
- Sì ma… beh ecco… il giorno che ho scoperto che eravate scomparso… - e gli raccontò tutta la storia, dall’inizio alla fine – ecco perché è così agitata, vorrebbe alzarsi e venire a cercarvi, non vede l’ora di vedervi ma sotto sotto teme che voi siate un impostore, che tutto questo non sia vero, e questo dubbio la sta lacerando… Non vi dico la fatica a tenerla tranquilla, non capisce che così facendo rallenta solo la sua guarigione… Ma domani vi porteremo da lei, e forse si calmerà – sorrise – Beh, adesso è meglio se entrambi andiamo a dormire, io sono distrutto e credo che voi non riposiate adeguatamente da parecchi giorni. Coraggio, domani sarà tutto finito e potrete finalmente riabbracciarvi – Si alzò, battè una mano sulla spalla dell’altro e con un sonoro sbadiglio lo trascinò nella sua camera, poi entrò nella propria, si buttò sul letto e si addormentò immediatamente.
Anche Francois si buttò subito sul letto, ma non riusciva a prendere sonno. Continuava a pensare alla sua Renée, e al momento in cui avrebbe potuto abbracciarla, ai suoi splendidi occhi, che finalmente lo avrebbero guardato e riconosciuto, lucidi e consapevoli di chi lui fosse… Non vedeva l’ora di essere lì con lei. L’aveva persa già sette anni prima, aveva temuto di perderla una seconda volta quando era stata ferita, ma aveva lottato come una leonessa, e ne era uscita, e presto sarebbe guarita. Era fiero di lei, e aveva bisogno di dirglielo. Non si rese nemmeno conto che stava scivolando nel sonno, e si addormentò come un sasso.





Ciao a tutti!
Sono molto lenta con gli aggiornamenti, ma fidatevi, prima o poi arrivano...

genesis: Grazie! Se è un lieto fine non te lo posso dire, altrimenti mi brucio il finale (e forse anche perchè non l'ho ancora deciso...)... ;-) Fammi sapere se ti piacciono le evoluzioni... Alla prossima, ciao!!!

Grazie a quelli che leggono in silenzio, siete pochi ma buoni!!! ;-)
Ciao ciao!
roxrox

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


- Bene bene – disse il dottor Lassonne sollevandosi dopo aver finito di cambiare le fasciature – vi state riprendendo benissimo. Continuate così –
- Allora – replicò Renée speranzosa – posso alzarmi ed uscire? –
- Adesso non esagerate – la redarguì – come pensate di uscire, se ancora non riuscite a stare in piedi? No, potete provare a restare seduta un po’ se qualcuno vi sostiene, ma nulla di più. Non pensateci nemmeno – rispose allo sguardo disperato di Renée – se cercate di strafare adesso rischiate di mandare a monte tutti questi giorni di paziente lavoro e attesa. E’ questo che volete? –
- Io… devo andare… -
- Lo so che vorreste alzarvi e uscire, ma dovete resistere, avere fiducia nei vostri compagni moschettieri, e nel frattempo impegnarvi per guarire –
- Ma… -
- No, niente “ma”, assolutamente no – si voltò ed aprì la porta per lasciare entrare Athos, poi salutò e se ne andò. Athos si avvicinò sorridendo:
- A quanto pare stai molto meglio –
- No, dato che il dottore non mi lascia alzare –
- Andiamo, vedrai che presto potrai andare dove vuoi –
- L’unico posto dove vorrei andare è a cercare Francois –
Athos sospirò, ma sembrava più disteso e sereno rispetto ai giorni precedenti.
- Ehilà! – esclamò la voce di D’Artagnan dall’altra stanza – disturbo? –
- Affatto – rispose Renée – vieni pure –
- Stavo andando a pranzare – disse il moschettiere entrando nella camera – e ho pensato di passare a vedere come stavi, dato che stamattina sarebbe venuto il dottore –
- Dice che vado meglio, ma ancora non mi lascia alzare. Non ne posso più… – Renée chiuse gli occhi, cercando di impedire alle lacrime di scendere, e non poté vedere Athos e D’Artagnan scambiarsi uno sguardo di intesa e sorridersi. D’Artagnan si avvicinò alla finestra, guardò fuori, si voltò verso il compagno ed annuì sorridendo.
- Avanti – esclamò Athos – caccia via la tristezza. Se vuoi guarire, bisogna seguire i consigli del dottore. Forza, – le passò un braccio attorno alle spalle – vuoi provare a metterti seduta? –
Renée aprì gli occhi e li fissò in quelli dell’amico. Annuì, e si mosse per alzarsi. Aiutata dall’amico, si alzò e immediatamente si piegò in due, gemendo per il dolore. Athos la strinse:
- Coraggio – le mormorò – è questione di un attimo, adesso il dolore passa –
- Ehi – tuonò la voce di Porthos dalla porta di ingresso – c’è qualcuno in casa? –
- Siamo qui – rispose D’Artagnan – vieni pure –
Renée alzò lo sguardo per salutare l’amico. E improvvisamente smise di respirare. Athos la sentì tremare, e la strinse maggiormente, ma lei si staccò all’improvviso, si alzò dal letto e corse da sola verso la porta, senza alcun appoggio:
- Francois! – gridò, al colmo della gioia, mentre il suo uomo le tendeva le mani. Poi la stanza iniziò a girare, le gambe le cedettero, e cadde tra le sue braccia, piangendo. Lui la sorresse, e la guardò pieno d’amore:
- Sono qui… - mormorò
- Francois… Francois… Sei qui… Dio mio, sei qui… - nascose il volto nel suo petto, ma lo rialzò subito, come se temesse che smettendo di guardarlo potesse sparire. Gli altri tre moschettieri si mossero per uscire, e lasciarli da soli.
- Aspettate – li fermò Renée – Voi mi avete ridato la vita, la felicità, e Francois. Grazie, grazie di tutto. Restate qui con noi –
- No – sorrise Athos – ora dovete restare soli, e non vogliamo intrometterci. Noi andiamo a pranzo, poi torneremo al lavoro, così vi lasciamo in pace. Torneremo stasera, se non disturbiamo, per vedere come stai –
- Voi non disturberete mai – rispose Francois – non potrò mai ringraziarvi abbastanza per tutto ciò che avete fatto –
- Ah, smettetela di ringraziare – esclamò Porthos – Siamo solo contenti di rivedervi felici –
- Beh, ora andiamo – si intromise D’Artagnan, iniziando a spingere fuori i compagni. Poi si girò e si inchinò con un sorriso – Signori, i moschettieri del re non vi disturberanno più. A stasera – strizzò l’occhio, fece un saluto scherzoso e se ne andò con gli altri due.
Francois sollevò Renée tra le braccia come se fosse una piuma e, senza staccare gli occhi da quelli di lei, la depose dolcemente sul letto, e iniziò ad accarezzarle il volto, i capelli, le labbra, le spalle:
- Renée… Amore mio… -
- Francois… Oh Francois… Sei tu… Sei qui… Amore mio, amore mio…  -
Entrambi balbettavano frasi incomprensibili, e Renée non smetteva di guardarlo, di toccarlo, incredula:
- Ma come è possibile? Sei sceso dal cielo per tornare da me? Non ti piaceva proprio il paradiso? –
- L’unico paradiso che conosco è questo, qui con te… Ma non sono sceso dal cielo, non ci sono mai arrivato. Vedi, la verità è che… -
- No – lo interruppe lei – non mi interessa, non voglio saperlo, non adesso. Me lo racconterai, ma non adesso, ora voglio solo restare qui con te, voglio guardarti, stringerti, non voglio lasciarti mai più… -
- Ma devi sapere… Non voglio che tu pensi che ti ho abbandonata… Perché io non lo avrei mai fatto… -
- Non ho mai pensato che tu mi abbia abbandonata… Mai… Neppure un momento, e non lo penso tutt’ora. So che ci sono validissimi motivi per cui tu sei sparito per sette anni, che non lo avresti mai fatto di tua volontà. Athos, Porthos e D’Artagnan mi hanno detto qualcosa, e tu mi racconterai tutto, ma non ora – le sue labbra… Dio, le sue labbra… le aveva sognate tanto in quei mesi… sembravano chiamarlo, attirarlo… Si avvicinò a lei, titubante, temendo che potesse respingerlo. Ma lei non lo fece. Le diede un bacio lieve, solo sfiorando le labbra con le labbra, e fremette quando si accorse che lei stava rispondendo. La strinse forte, allora, e il bacio si fece più intenso, più passionale, più profondo, in un tripudio di gioia, di sospiri che si confondevano l’un l’altro, due anime che si ritrovavano dopo tanti anni e che sembrano non essersi mai allontanate…
Quando interruppero il bacio rimasero vicinissimi, un lieve sorriso aleggiante sul volto:
- Mi sei mancato… - mormorò Renée in un soffio
- Anche tu… -
- Beh – rispose lei alleggerendo l’atmosfera – almeno negli ultimi mesi –
- Sì, certo – rise lui, ma senza muoversi – negli ultimi mesi, almeno in quelli! Ma non solo: in questi anni non sono mai stato completamente felice, non sapevo il perché, Dio, non mi ricordavo neppure di te, eppure sentivo che mi mancava qualcosa, qualcuno, e questo mi impediva di essere felice… Ora lo so, e mi fa male pensare di averti dimenticata per tanti anni, averti lasciata sola, quando non avrei mai voluto separarmi da te… Perdonami… -
Lei gli accarezzò la guancia sorridendo:
- Non hai nulla da farti perdonare. Tutto ciò che è successo non è colpa tua, non è mai stata colpa tua. Qualcuno ci ha messo la mano, non so, il destino forse, ma a me non importa, non più. Ora sei qui, e noi abbiamo sconfitto chiunque volesse il nostro male, tutto il resto non conta –
- Già… Qualcuno ha fatto di tutto per remare contro di noi… Ma ora è finita e, se tu lo vorrai, io sarò onorato di starti accanto per il resto della mia vita, come ti ho promesso sette anni fa, ma stavolta non verrò mai meno alla mia promessa, te lo giuro –
- Ne sono sicura… - gli occhi di entrambi erano lucidi di gioia e commozione.
- Ora cerca di dormire un po’. Sei ancora debole, ed hai bisogno di riposare. D’Artagnan, Athos, Porthos ed il dottor Lassonne mi farebbero fuori se ti permettessi di strapazzarti e di peggiorare ancora, dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per farti guarire un po’ per volta –
- Ma io non voglio dormire, non adesso. Ho troppa paura che tutto questo sia un sogno, e temo di non ritrovarti qui quando riaprirò gli occhi. Voglio guardarti, non voglio vederti sparire di nuovo -
Allora Francois, restando seduto sul bordo del letto, si piegò e poggiò la testa sul suo petto:
- Facciamo così. Io resto qui, non mi muoverò finchè non ti risveglierai, se vuoi puoi tenermi stretto per impedirmi di scappare, ma ti giuro che non lo farò –
Lei sorrise:
- D’accordo – gli cinse le spalle con le braccia, gli pose una mano sul capo intrecciando le dita ai suoi capelli, accarezzandolo leggermente, e chiuse gli occhi. Poco dopo Francois sentì il suo respiro regolarizzarsi e le mani che si fermarono, e capì che si era addormentata. Permise ad una lacrima di scivolare sul lenzuolo, e chiuse gli occhi sorridendo.


Athos entrò per primo in casa di Renée, quella sera. Stava per salutare ad alta voce, quando il profondo silenzio lo insospettì. Fece un cenno agli altri due, che già conversavano chiassosamente, e li zittì. In punta di piedi si avvicinò alla camera da letto e guardò dentro. Sorrise, intenerito, e fece cenno ai compagni di avvicinarsi e guardare. Renée e Francois dormivano: lui era seduto sul bordo del letto e le posava la testa sul petto, mentre lei lo abbracciava teneramente, le mani tra i suoi capelli. Si vedeva quanto fossero felici.
- Da quanto tempo credete che stiano dormendo? – chiese D’Artagnan quando si ritirarono nella stanza accanto per non svegliarli.
- Non lo so – rispose Porthos – ma spero che sia poco, o Francois sarà tutto un dolore quando si alzerà da quella posizione, è davvero tremenda –
- Temo che siano lì da parecchio – disse Athos – Beh, per lo meno finalmente dorme tranquilla –
- Già – riprese Porthos – ma forse dovremmo svegliarli per farli mangiare, dubito che oggi abbiano pranzato, avevano altro a cui pensare, e non so come Francois mangiasse in prigione, ieri sera ero talmente stanco che non ho pensato a dargli nulla, e comunque probabilmente entrambi non mettono nulla nello stomaco da almeno 24 ore… -
- Potremmo aspettare un po’, tanto è presto, oppure potremmo svegliare solo Francois, Renée ha bisogno di riposare… -


Quando Renée si svegliò, la prima cosa di cui si rese conto erano i capelli del suo uomo tra le sue dita, e il dolce peso della sua testa sul suo petto. Sorrise. Allora non era solo un sogno… Lo strinse leggermente, e lui si mosse, come se si stesse svegliando. Voltò la testa verso l’alto e la guardò negli occhi:
- Ben svegliata –
- Sei… ancora qui… -
- Ti avevo promesso di non muovermi fino a che non ti fossi svegliata, e così ho fatto. Non intendo più mancare ad alcuna promessa – si sollevò a sedere a fatica, con un gemito di dolore, e si massaggiò le reni muovendo la testa in circolo – ma ti prego, non farmi più dormire così a lungo in quella posizione, o la prossima volta non riuscirò ad alzarmi –
Renée rise:
- Eh, è l’età che avanza… -
- Ehi! Sono passati sette anni, ma non sono ancora vecchio! –
Risero insieme, felici di essersi ritrovati.
- Oh, bene! – trillò vivace la voce di D’Artagnan, mentre i tre moschettieri entravano nella camera attirati dalle risate – Vi siete svegliati! Stavamo giusto decidendo se lasciarvi dormire o svegliarvi per farvi mangiare! –
- Ciao a tutti! – sorrise Renée – Bentornati! –
- Allora – si avvicinò Athos – come stai? –
- Molto meglio, grazie a voi. Adesso potrei anche alzarmi ed uscire saltellando –
- Eh no! – rise Porthos – tu da lì non ti muovi, almeno fino a che non lo dice il dottore! Hai finito le scuse per muoverti prima del tempo! –
- E se continui – aggiunse D’Artagnan con aria fintamente minacciosa – ti portiamo via Francois e non te lo facciamo più rivedere fino a che non metti giudizio e non capisci cosa devi fare –
- Tu provaci – rispose Renée con lo stesso tono – e ne pagherai le conseguenze. Ho già dimostrato di essere capace di uccidere per lui… -
- Ops… Avevo dimenticato quel piccolo episodio… - Risero insieme.
- Comunque – riprese Porthos – vista l’ora io comincio ad avere una fame da lupo! Aramis, ti dispiacerebbe se te lo portassimo via per un po’, giusto per farlo mangiare? –
Renée lanciò una occhiata allarmata a Francois.
- Non ti preoccupare – le sorrise lui – Non me ne vado, rimango qui -
- Resto io qui con te – disse Athos – mangerò più tardi –
In quel momento lei si rese conto della situazione, e rise leggermente:
- Assolutamente no! Non mi renderò ridicola tenendoti qui, e non voglio qui nessuno. Andate tutti a mangiare, ma poi portate qualcosa anche a me, in effetti ho fame anch’io –
Francois sorrise nuovamente e le carezzò i capelli:
- Allora vado a cenare, ma ti prometto che tornerò presto con qualcosa anche per te – le si avvicinò e con un sorriso mormorò – Non sei ridicola, sei solo terribilmente dolce… -





Eccomiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!
Sì, va bene, lo so, ci ho messo 9 mesi per questo capitolo... Ho praticamente dovuto partorirlo... Domando scusa a tutti...
Però oggi mi ci sono messa e ho già quasi pronto il prossimo capitolo, non dovrò affrontare un'altra gravidanza... :-P

Bene, passo a ringraziarvi uno per uno:

genesis: niente anticipazioni... Come vedi, nemmeno io sono costante nella pubblicazione, mi manca il tempo, l'ispirazione, la capacità di scrivere... Grazie, a presto (speriamo), ciao!

EDVIGE86: Grazie! Tranquilla, non ho intenzione di chiudere con questa fic, ho già abbastanza in testa come proseguirà, ma poi quando mi metto davanti al computer non so come scrivere quello che vorrei... Bah... Alla prossima, ciao!

lady lina 77: Ehi, quanti complimenti! Grazie! Sai, leggere la tua fic mi ha dato la scossa per scrollarmi di dosso l'apatia che mi aveva presa per questa storia, e l'ho ripresa in mano con rinnovato vigore... ;-P Così mi ci sono messa subito, stasera devo recensire la tua, che tra l'altro mi piace moltissimo... ;-) Quanto a D'Artagnan e Constance... onestamente, lei mi piace poco, è un po' troppo donnina svenevole per i miei gusti, ma vedrò di accontentarti... Grazie ancora, a presto, ciao!

Tetide: Grazie! Anche a me dispiace che ci sia così poco su questo anime, è stato una delle mie prime passioni... Beh, è il caso che ci mettiamo d'impegno e portiamo avanti questa sezione, allora... ;-P Sotto con la scrittura! Mi raccomando, io mi ci rimetto, ma aspetto anche la tua fic... Alla prossima, ciao!

king3: Grazie! Visto? Ci ho messo un po', ma alla fine li ho fatti ritrovare... per ora... forse... hi hi hi... *risatina sadica* Spero che nonostante ci abbia messo mesi ad aggiornare, tu continui a leggermi e che la storia continui a piacerti... Grazie ancora, ciao!

Un grazie speciale a quelli che hanno messo questa fic tra le seguite. Grazie a EDVIGE86 e a jenny123.
Un grazie enorme a quelli che hanno messo questa fic tra le preferite. Grazie quindi a fulmy, lady lina 77 e ShessomaruJunior.

Grazie anche a quelli che leggono in silenzio.
Alla prossima, baci baci a tutti!
roxrox

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