Driven to tears

di Fragolina84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dovremmo dare feste più spesso ***
Capitolo 2: *** Un piccolo assaggio di paradiso ***
Capitolo 3: *** Perché non me l'ha detto subito? ***
Capitolo 4: *** Ma non poteva scegliersi qualcun altro? ***
Capitolo 5: *** Non mi farai mai del male ***
Capitolo 6: *** I guai sono appena iniziati ***
Capitolo 7: *** Loki… è stato qui ***
Capitolo 8: *** Non doveva andare così, ma l'hai voluto tu ***
Capitolo 9: *** Addio... ***
Capitolo 10: *** Ci tiene in pugno, Nick ***
Capitolo 11: *** Lo sapevo che sarebbe stato dalla nostra parte ***
Capitolo 12: *** Non puoi vincere contro di me, Anthony ***
Capitolo 13: *** Non lasciare la mia mano ***
Capitolo 14: *** Questo futuro non è per niente male ***



Capitolo 1
*** Dovremmo dare feste più spesso ***


La storia nasce da una frase della Vedova Nera durante la battaglia di New York.
Di fronte ad una super astronave aliena, la ragazza scuote la testa e dice:
"Non mi sembra l'ideale per una festa".
Così mi sono chiesta: cosa sarebbe l'ideale per una festa tra Avengers?
Il primo capitolo è nato così, il resto è frutto di una mente malata di Avengers!
Buona lettura!

 


Il sole del pomeriggio illuminava Villa Stark, l’enorme residenza accucciata sul bordo della scogliera di Malibu, con l’oceano Pacifico che rumoreggiava inquieto sotto di essa.
Bruce fu il primo ad arrivare e Victoria gli aprì personalmente la porta.
«Ciao, Bruce» disse, porgendogli la guancia da baciare.
L’uomo solitamente indossava abiti che sembravano di una taglia più grande, abbinati a camicie di colori improponibili, ma quella sera portava i jeans e una camicia a fiori in stile hawaiano. Un bel cambiamento rispetto al solito. Dovremmo dare feste più spesso.
«Ciao, Victoria. Sono un po’ in anticipo, ma devo vedere un paio di cose con tuo marito» disse e lei annuì.
«Sì, Tony mi aveva avvisato che saresti arrivato. È nel seminterrato» replicò e Bruce si diresse verso la scala, ma un gridò lo fermò.
«Zio Bruce!»
Elizabeth si precipitò giù dal piano superiore. A sei anni era una bimba molto più sveglia della media: evidentemente la genetica era quella di suo padre. Ma era pur sempre una bambina e, dato che le visite di Bruce e degli altri Avengers erano diventate sempre più frequenti, per lei erano diventati tutti zii. Sapeva che suo padre e gli altri erano supereroi, persone chiamate ad una responsabilità più grande, investite di un “privilegio orribile” come aveva detto Tony una volta, ma gestiva la cosa con molta maturità.
La settimana prima, ad esempio, i suoi compagni di classe, venuti a passare il pomeriggio in piscina, le avevano chiesto se potevano vedere le armature di suo padre.
«Mi dispiace» aveva risposto Elizabeth, «ma non ho accesso al laboratorio di mio padre, dove sono custodite».
In realtà non era vero: Lizzy aveva accesso ad ogni angolo della casa. Era Jarvis a decidere se una stanza era o meno sicura per lei e quindi poteva anche capitare che le impedisse di entrare nel seminterrato, se Tony stava pasticciando con i suoi giocattoli. Ma Elizabeth, sebbene né Victoria né Tony gliene avessero mai parlato, aveva deciso autonomamente di mantenere un basso profilo, in quell’occasione: nonostante tutte le stranezze derivanti dal solo fatto di essere una Stark, e di avere per occasionali compagni di gioco la compagine di guerrieri più forti del mondo, voleva almeno provare a comportarsi come una bambina normale.
Elizabeth si lanciò fra le braccia di Bruce che la prese in braccio. Victoria non era mai del tutto tranquilla quando Lizzy era in braccio a Bruce. Sapeva che se Tony avesse avuto il minimo sospetto che la cosa sarebbe potuta sfuggirgli di mano non gli avrebbe mai permesso nemmeno di oltrepassare il cancello della tenuta, e sapeva anche che Bruce non si sarebbe mai avvicinato alla piccola se avesse temuto di perdere il controllo, ma lei aveva visto cosa poteva fare Banner nei panni della sua seconda identità e provava un leggero senso di inquietudine.
«Ciao, principessa» esclamò Bruce. «Sei pronta per andare in piscina?» chiese, notando il costume color corallo che indossava.
«Sì. Vieni anche tu?» chiese.
«Più tardi, forse. Ora devo vedere tuo padre» rispose, mettendola a terra e osservandola mentre sfrecciava via, seguita da Zoey, la sua tata.
«Esuberante come Tony, eh?» rilevò.
«Chiamala esuberanza» mormorò la donna, mentre sentivano gli strilli della bambina e lo scroscio dell’acqua della piscina.
Qualcun altro stava scendendo dal piano di sopra e Bruce alzò lo sguardo preoccupato. Eccettuata la famiglia Stark, non amava molto stare in mezzo alla gente, per paura di finire per perdere il controllo, sicché decise di muoversi per raggiungere Tony, ma si bloccò quando comparvero un paio di gambe snelle sui gradini più alti.
Violet, la sorella di Victoria, era appena arrivata: si era presa qualche giorno di vacanza per stare con loro, sostanzialmente perché per lei Villa Stark era un centro benessere gratuito. Indossava un pareo colorato con un asciugamano gettato sulla spalla e l’e-book reader in mano, pronta per raggiungere la nipote in piscina. Notò Victoria ed il suo ospite e sorrise.
«Salve» disse semplicemente, ma il tono di voce era morbido come seta.
Era la copia più giovane di Victoria, anche se, ora che aveva tagliato i capelli, la somiglianza era un po’ mitigata. Eppure il fisico era lo stesso, gli occhi erano della stessa tonalità di verde e la bellezza dei tratti delicati era la medesima.
«Violet, ti presento il dottor Bruce Banner. Bruce, mia sorella» li presentò velocemente Victoria, lanciando un’occhiataccia a Violet.
Bruce le strinse goffamente la mano mormorando un saluto. Violet sorrise di nuovo: «Piacere di conoscerla» disse e si voltò per andarsene. Victoria ebbe l’impressione che esagerasse il movimento del bacino.
«Scendo da Tony» disse Bruce e si fiondò giù per le scale.
Victoria decise che doveva dire due parole a sua sorella ma Jarvis l’avvisò che la cuoca chiedeva di lei, perciò la donna raggiunse la cucina e si dimenticò di Violet.
Per quella sera Tony aveva voluto organizzare una grigliata con i suoi amici che, eccettuato Bruce che si era presentato prima, sarebbero arrivati di lì a qualche ora e la cuoca voleva sapere quanta carne mettere a marinare per il barbecue.
«Non so mai quanta prepararne, quando vengono gli amici del signor Stark» si lamentò.
«Rosalind, per quanta ne preparerà, sarà sempre troppo poca» ridacchiò Victoria, ricordando le cene precedenti. «Abbiamo due energumeni di un metro e novanta che mangiano sempre come se fosse l’ultima volta; Bruce che deve avere lo stomaco estensibile e Clint che non vuole mai essere da meno» enumerò. «Quindi non si preoccupi e ne prepari parecchia, di certo non andrà sprecata».
 
Victoria si stava allacciando i sandali quando Tony salì in camera.
«Sei in ritardo» gli fece notare, mentre lui si spogliava velocemente.
«Lo so, colpa di Bruce» borbottò, ammucchiando i vestiti sul pavimento. «Sai bene che perde la cognizione del tempo quando è in laboratorio».
Victoria sapeva che stava parlando di se stesso, attribuendo la colpa a Bruce. Peccato che lei sapesse benissimo chi dei due perdeva la testa quando era impegnato a giocare con la fisica e la chimica.
«Sbrigati a fare la doccia: io scendo a intrattenere i tuoi ospiti» disse, soffiando un bacio immaginario verso di lui.
Udì la risata argentina di Violet ancor prima di arrivare in salotto e affrettò il passo. Era seduta sul divano accanto a Bruce e lo guardava con gli occhi verdi esageratamente spalancati; mentre li raggiungeva, la vide mentre gli dava un leggero buffetto sul ginocchio.
«Non vai a prepararti, sorellina?» domandò, dato che indossava ancora il costume e il pareo, e vide lo scintillio nello sguardo di Violet: il diminutivo non era di suo gradimento.
Si voltò verso Bruce, mostrando i denti perfetti in un sorriso altrettanto perfetto: «Ci vediamo più tardi, Bruce».
Si alzò e salì in fretta la scala che portava al piano di sopra.
«Vieni, accomodiamoci in giardino mentre aspettiamo gli altri» disse Victoria, senza accennare alla scenetta di cui era stata testimone, guidandolo fuori.
Sul curatissimo prato ai bordi dell’enorme piscina della villa – dove Elizabeth stava ancora sguazzando – era stato predisposto un gazebo che avrebbe potuto benissimo contenere un centinaio di persone. Su un lato del gazebo c’era un enorme barbecue che il personale della cucina stava accendendo in quel momento mentre, dall’altra parte, un cameriere in camicia bianca e papillon gestiva un bar fornito di tutto.
«Elizabeth, credo sia il caso che tu esca di lì, se non vuoi che ti spuntino le branchie e le squame» disse Victoria.
«Le squame? Come la Sirenetta? Sarebbe forte!» esclamò la bambina, raggiungendo il bordo della vasca e facendosi aiutare da Zoey, che la avvolse in un telo.
Clint e Natasha arrivarono in quel momento. Elizabeth si liberò dalla stretta della tata e corse incontro ai nuovi arrivati.
«Ciao, Occhio di Falco» esclamò, mentre lui si abbassava per prenderla in braccio. «Sai, credo di avere un’altra moneta infilata nell’orecchio».
«Un’altra?» domandò lui. Sollevò la mano destra ed Elizabeth rimase immobile. Lui le sfiorò l’orecchio e fra le dita gli comparve una moneta da un dollaro. «Devi fare più attenzione quando fai il bagno nei dollari».
La bambina ridacchiò.
«Ora fila via, signorina» la rimproverò Victoria.
Elizabeth salutò Natasha e corse in casa, mentre Zoey la rincorreva.
«Vi prego di scusarla» mormorò Victoria, ma Barton scosse la testa.
«Ma figurati! È adorabile». Natasha parlò per entrambi e sorrise.
Natasha Romanoff non lo faceva quasi mai. La russa di ghiaccio che quando combatteva con gli Avengers, unica donna della squadra, assumeva il nome di Vedova Nera, seminava sorrisi con la stessa generosità di un avaro. Gli unici che Victoria aveva visto dipingersi sul suo volto erano quelli che rivolgeva a sua figlia e a Barton.
La donna non poteva fare a meno di chiedersi come mai nessuno degli Avengers avesse mai notato che Nat e Clint stavano insieme. Quando ne aveva parlato con Tony, lui era scoppiato a ridere.
«Hai una fantasia surriscaldata, Vicky» le aveva detto. «Quei due non stanno assolutamente insieme».
Clint Barton era uno dei primi agenti reclutati dallo S.H.I.E.L.D. e uno dei suoi primi incarichi era stato quello di terminare Natasha. La donna era una macchina da guerra, addestrata superbamente nelle arti marziali, e una spia di grande talento. Per lo S.H.I.E.L.D. era un personaggio scomodo e Clint era stato mandato a ucciderla, ma aveva deciso diversamente, intercedendo poi perché lo S.H.I.E.L.D. la accogliesse nelle proprie file. I due avevano fatto coppia perché dotati di abilità molto simili ma, a detta di Victoria, non era l’unica ragione. Possedevano un’intesa che non era solo frutto di addestramento e anni di combattimenti spalla a spalla.
Jarvis avvisò che era arrivato anche il Capitano Rogers, che li raggiunse in giardino, e si stavano salutando quando gli ultimi ospiti, Thor e Jane Foster, arrivarono alla villa. Steve Rogers frequentava da un paio d’anni una biondina di New York, Beth Jenkins. La ragazza faceva la cameriera in un bar all’epoca dell’attacco alla città ed era rimasta così impressionata dalle eroiche gesta di Captain America che era andata a cercarlo per ringraziarlo personalmente di averle salvato la vita.
Si erano frequentati per qualche tempo e si erano accorti che tra loro stava nascendo qualcosa. Stavano insieme da allora, ma quella sera la ragazza doveva lavorare e non aveva potuto prendersi una serata libera anche perché lei e Cap erano tornati solo qualche giorno prima da un viaggio in Italia.
Si unì a loro anche Violet – che secondo Victoria era truccata in modo un po’ troppo sofisticato per una informale grigliata tra amici – e, finalmente, Tony fece la sua comparsa.
«Ehilà, è arrivata la primadonna!» esclamò Rogers.
C’era un rapporto tutto particolare tra Tony e Steve. Quando erano in battaglia, Tony sottostava senza fiatare agli ordini del Capitano, riconoscendo la sua autorità. Ma quando erano “in borghese”, non mancavano l’occasione per stuzzicarsi e pungersi con battutine di quel genere. In realtà, si stimavano l’un l’altro e nessuno dei due avrebbe esitato a mettere la propria vita nelle mani dell’altro.
«Non ricominciate, vi prego» proruppe Thor, rovesciando gli occhi nelle orbite.
«Tranquillo, semidio. Sono troppo superiore per raccogliere queste insinuazioni» mormorò Tony con il suo sorriso più innocente. Poi invitò i suoi amici ad avvicinarsi al bar, lasciando che ordinassero ciò che preferivano. Violet prese in disparte la sorella.
«Bruce è uno degli amici speciali di Tony, vero?» chiese sottovoce.
«Il dottor Banner è uno scienziato e a volte lavora con Tony» replicò Victoria, aggirando la domanda.
Ma Violet non era disposta a mollare così in fretta: «Ma è uno degli Avengers, vero?» chiese, abbassando ancor di più la voce.
«Sai che non posso parlare di queste cose».
C’era voluta tutta l’influenza di Tony per far sì che Victoria fosse messa a parte di ciò che accadeva in seno allo S.H.I.E.L.D., una delle organizzazioni più segrete della Nazione. Alla fine, Fury aveva ceduto, consentendo che le mogli o le fidanzate degli Avengers fossero a conoscenza di ciò che succedeva, vincolandole però alla segretezza. Victoria e Jane erano tra le pochissime civili che avevano un codice di accesso personale ai file dello S.H.I.E.L.D.
Violet sogghignò: «Il fatto che tu non ne possa parlare conferma che è uno di loro» mormorò, con gli occhi scintillanti, girandosi verso di lui.
«Togliti quell’espressione dalla faccia» rimbeccò e Violet tornò a guardarla.
«Non capisco di cosa stai parlando».
«Bruce è un boccone troppo grosso per te, credimi».
Meglio mettere subito in chiaro la cosa, prima che degenerasse. Violet fece un gesto con la mano, come a voler scacciare i timori della sorella, ma riuscendo solo a rafforzarli.
«Oh, la mia è solo curiosità, sorella». Socchiuse gli occhi, posandosi un dito sulle labbra. «Mi chiedo chi sia la sua seconda identità. Thor lo escluderei: per quel poco che ho visto in tv mi sembra più probabile che sia quell’energumeno biondo a cui sta abbarbicata quella ragazza» borbottò, indicando Jane.
Gli Avengers facevano di tutto per passare inosservati, non riuscendoci quasi mai. Qualcuno riusciva sempre a rubare qualche immagine di loro, facendole poi fare il giro del mondo. Ma se Tony cavalcava da tempo l’onda mediatica del successo e della notorietà, lo stesso non si poteva dire degli altri.
«Quella ragazza, come dici tu, è uno dei migliori astrofisici di questo mondo» spiegò.
«Secondo me potrebbe essere Captain America» proseguì Violet come se non l’avesse udita. Poi schioccò le dita, come colpita da una folgorazione: «Dev’essere Occhio di Falco!» esclamò.
Victoria nascose un sorriso: buffo che Violet li avesse nominati tutti meno quello che effettivamente era.
«Ora piantala di fare supposizioni. Stasera sono soltanto gli amici di Tony, ok?» concluse, invitandola a prendere posto a tavola.
La cena fu piacevolissima. L’atmosfera era rilassata e gradevole, la conversazione stimolante e mai banale. Elizabeth rimase al centro dell’attenzione di tutti finché si arrampicò in braccio a sua madre e si addormentò.
«Vuoi che la porti a letto?» le chiese Tony, accarezzando la testa della figlia appoggiata al petto di Victoria.
«No, ci penso io» mormorò.
Elizabeth, dopo un intero pomeriggio in piscina, era talmente spossata che non si mosse nemmeno quando Victoria le infilò il pigiamino e la mise a letto, coprendola con il lenzuolo. Le baciò la fronte: «Sogni d’oro, principessa» la salutò.
Spense la luce e lasciò la porta socchiusa. «Jarvis» disse semplicemente.
«Già fatto, signora», rispose il computer.
Victoria sapeva che Jarvis stava attivando tutti i protocolli di sicurezza. Alieni, dei, altre dimensioni, aveva detto Tony una volta, voglio evitare il più possibile che mia figlia entri in contatto con cose del genere. Perciò, la stanza di Lizzy era più sicura del caveau di una banca e Jarvis vigilava incessantemente sulla sua protezione.
Victoria tornò in giardino. I suoi ospiti si erano spostati sui divani, dove Jane stava discutendo animatamente con Bruce.
«Ma se il vuoto arcaico continuasse a nucleare materia-energia, potrebbe generare sempre nuovi universi» disse la donna.
Banner annuì: «Non è un’ipotesi da escludere. Quando materia e antimateria si slegano dal vuoto, vengono ad esistere anche nel tempo. Quindi, analogamente, si può pensare che il vuoto arcaico produca continuamente nuovi universi».
Victoria sedette accanto a Tony che la cinse con un braccio.
«Di che parlano?» chiese, faticando a seguire il discorso infarcito di termini tecnici.
«Cosmologia quantistica» spiegò Tony. «Roba da supercervelloni: se non fossi un genio, faticherei anch’io a seguirli». Poi colpì la spalla di Bruce con un pugno scherzoso. «Vuoi far venire mal di testa a tutti?»
Bruce si strinse nelle spalle: «Scusate, a volte ci lasciamo trasportare dall’entusiasmo».
L’arrivo di Thor sulla Terra aveva dato nuova linfa a tutta una serie di teorie fantascientifiche sui Ponti di Einstein-Rosen e sull’astrofisica in generale, tutto materiale che Jane stava attualmente studiando.
«E i tuoi libri, Victoria?» chiese Steve.
«Vanno alla grande» replicò la donna. «Anche se ora, con una serie di supereroi a piede libero, la fantasia sta diventando realtà, e a chiunque basta accendere la tv per ritrovarsi catapultato in un mondo fantastico».
 Al primo Luna Blu, pubblicato oltre cinque anni prima, erano seguiti Luna Rossa e Luna Argento, quest’ultimo appena apparso nelle librerie. Tutti e tre avevano riscosso molto successo e Victoria stava ora lavorando ad un nuovo progetto basato, guarda caso, sulle avventure di un affascinante supereroe che indossava un’armatura rossa e oro.
«Quindi il prossimo sarà una specie di biografia di qualcuno che conosciamo» commentò Steve. «Mi dispiace, ma questo proprio non lo comprerò».
«Se non capisci nulla di letteratura, non è colpa di nessuno» borbottò Tony. «D’altronde è chiaro che i tuoi gusti sono rimasti fermi ad Agatha Christie».
Captain America era nato a cavallo tra le due Guerre Mondiali e aveva combattuto contro l’Hydra, la divisione scientifica dell’esercito tedesco. Per salvare il suo Paese si era inabissato con un futuristico jet carico di missili tra i ghiacci dell’Artico, rimanendo ibernato fino a sei anni prima, quando era stato ritrovato e reclutato dallo S.H.I.E.L.D.
«Avresti dovuto fare il comico, sai Stark?» replicò Steve e le schermaglie proseguirono finché Thor non si alzò.
«Personalmente starei ad ascoltarvi per ore, ma Jane domattina ha un’importante conferenza e abbiamo già fatto tardissimo» disse.
Il gruppo si sciolse e gli Stark accompagnarono gli amici alla porta.
«Ci vediamo presto» li salutò Tony. «Non troppo presto, però» aggiunse.
Scherzava ovviamente, ma fino ad un certo punto: la maggior parte delle volte in cui si vedevano era per risolvere qualche problema che di solito comportava un viaggio in ospedale e tanta paura per Victoria.
Rogers se ne andò in sella alla sua moto, Nat e Clint a bordo di un’auto con i contrassegni dello S.H.I.E.L.D., Jane e Thor con il SUV nero che Tony aveva offerto al laboratorio di ricerca della dottoressa Foster spiegando che non poteva sopportare che, quando si trovavano a Villa Stark, la donna arrivasse con quello “scassatissimo furgone bianco”.
«Sicuro che non è un problema?» chiese Bruce e Tony scosse la testa.
«Ho detto a Bruce che può fermarsi qui stanotte» spiegò a Victoria «così domattina possiamo riprendere a lavorare in laboratorio senza perdite di tempo».
«Non c’è problema, Bruce» commentò la donna. «Abbiamo talmente tante stanze qui che di alcune ignoro perfino l’esistenza».
«Però dovrai prestargli una camicia da notte» scherzò Tony, ma l’altro sogghignò.
«Non ce n’è bisogno, Tony: dormo nudo».
Tony si coprì gli occhi con una mano: «Non c’è bisogno che io sappia proprio tutto di te, fratello» esclamò.

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Capitolo 2
*** Un piccolo assaggio di paradiso ***


Giorni tranquilli e assolutamente normali a casa Stark.
Godiamoci la normalità perchè le cose presto cambieranno.
Buona lettura e grazie per ogni commento vorrete lasciarmi.

 


Elizabeth Stark andava alla scuola elementare locale. Victoria si era opposta strenuamente ad iscriverla ad una scuola privata.
«Io sono cresciuta nella scuola pubblica, e non mi pare fosse così male» aveva sentenziato quando lei e Tony ne avevano parlato.
Così Elizabeth era stata iscritta alla Juan Cabrillo Elementary School, dove Aaron la accompagnava ogni mattina. Certo, la bambina era l’unica che arrivasse a bordo di una limo blindata e che avesse un bodyguard personale, ma Aaron era perfetto e le assicurava protezione senza diventare ingombrante.
Un venerdì pomeriggio, quando ormai mancavano poche settimane alla fine della scuola e l’estate cominciava già a mostrare la sua promessa, Victoria scelse la R8 e-tron nel parco macchine di Tony e andò a prendere personalmente Elizabeth all’uscita della scuola. La faccia che fece la piccola quando la vide ferma accanto all’auto rossa fiammante di suo padre fu impagabile.
Lasciò cadere lo zaino sul vialetto e le corse incontro. Victoria si abbassò e la prese in braccio.
«Ciao, mamma!» esclamò. «Come mai sei venuta a prendermi tu?»
«Pensavo che potessimo andare a Beverly Hills, fare un po’ di shopping e magari, prima di tornare a casa passare a farci belle, visto che stasera torna papà».
Tony era partito tre giorni prima in compagnia di Pepper, la sua infaticabile assistente, per un viaggio di lavoro. Dopo una breve parentesi anni prima in cui Tony aveva perso la testa cedendo la carica di Presidente a Pepper, le cose erano ritornate a posto. Tony era tornato a capo della compagnia fondata da suo padre e, anche se non erano più gli armamenti ad uscire dai suoi magazzini, le Stark Industries erano all’avanguardia nel campo della ricerca sulle energie pulite.
«E Aaron?» chiese la bimba preoccupata.
«Può farsi bello anche lui» scherzò Victoria, strizzando l’occhio al bodyguard che aveva raccolto lo zaino di Elizabeth e si era avvicinato.
«Problemi, signora?»
«No, Aaron. Ma c’è un cambiamento di programma: io e Lizzy vogliamo concederci un pomeriggio tra ragazze. La bimba viene con me, tu ci seguirai con la limousine».
Raggiungere la cittadina della contea di Los Angeles richiedeva un viaggio di circa tre quarti d’ora e Victoria non aveva fretta, ben decisa a godersi quel momento di intimità con sua figlia, libera da bodyguard e tate. Ma si accorse ben presto che qualcosa non andava: Elizabeth era chiusa e taciturna.
«Va tutto bene, tesoro?» chiese ad un certo punto.
«Sì» rispose la bambina, ma si girò in fretta osservando fuori dal finestrino.
«È successo qualcosa a scuola?» sondò la donna e l’esitazione che ebbe Elizabeth prima di negare fu sufficiente a confermarlo.
«Cos’è successo, piccola?» insisté Victoria.
«Oggi Sandy mi ha detto una brutta cosa» capitolò alla fine.
Sandy era la biondissima figlia insopportabilmente snob dei signori Miller. Victoria non aveva ancora avuto il piacere di conoscere Randolph, ma le erano bastati un paio di incontri con la sua signora, Bridget Miller, una donna che di naturale aveva – forse – il colore degli occhi.
La signora in questione, se di signora si poteva parlare, era stata classificata tra le antipatie di Victoria il giorno in cui si erano incontrate per la prima volta.
Era il primo giorno di scuola di Elizabeth, e Tony e Victoria l’avevano accompagnata alla Juan Cabrillo, dove erano presenti anche tutti gli altri genitori, compresa la procace signora Miller, che aveva puntato Tony da che era sceso dall’auto.
Da quando stava con Tony, si era dovuta suo malgrado abituare a come le donne si aggirassero attorno a suo marito come api intorno ad un favo. Non era colpa di Tony, che non faceva nulla per incoraggiare tali manifestazioni, e la cosa scivolava su Victoria lasciandola quasi sempre indifferente. Il fastidio che poteva provare scompariva di fronte alla certezza che Tony amava lei e non guardava nemmeno le altre.
Ma quel giorno, quando Bridget Miller si era avvicinata a Tony e gli aveva posato sull’avambraccio una mano carica di anelli e dalle unghie lunghe laccate di rosso, schiacciandogli il seno rifatto contro il bicipite e sporgendo le labbra siliconate in un broncio, l’irritazione aveva raggiunto un livello considerevole.
«Ciao, Tony» aveva mormorato la donna con voce suadente. «Hai accompagnato tua figlia a scuola?»
«Abbiamo accompagnato nostra figlia a scuola» aveva precisato Victoria, ma Bridget l’aveva ignorata.
«Spero che la mia Sandy e tua figlia diventino grandi amiche» aveva detto invece, sporgendosi ancor di più verso di lui. Victoria aveva temuto che il seno debordasse dalla vertiginosa scollatura.
Prima che Tony potesse replicare lo aveva preso per mano e l’aveva allontanato dalla presa della donna, piazzandosi fra i due.
«Posso presentarle mia moglie Victoria, signora Miller?» aveva pronunciato Tony, sogghignando divertito di fronte al comportamento di Victoria.
«Victoria Stark, piacere mio» aveva sibilato lei, calcando bene sul cognome.
Tony si era quasi strozzato cercando di mascherare la risata che gli era salita in gola: Victoria era molto fiera della propria indipendenza e non usava quasi mai il cognome di suo marito. Non che non fosse fiera di essere sua moglie, ma non voleva passare per una privilegiata, ben sapendo che non c’era porta che quel nome non potesse aprire.
Però stavolta lo aveva fatto, come a voler marcare il territorio, e Tony si era sentito lusingato da quella cosa: nessuna donna aveva mai dimostrato le stesse cose nei suoi confronti. No, la frase non era formulata correttamente: era lui che non aveva mai dato il tempo a nessuna di dimostrare quelle cose.
Bridget a quel punto non aveva più potuto ignorarla: aveva socchiuso gli occhi, come se accettasse la sfida. In realtà, secondo Tony, non c’era sfida. Victoria era una bellezza pura e naturale, senza difetti, ed era brillante e intelligente; Bridget era una bambola di plastica, finta e insipida.
«Molto lieta» aveva mugugnato, lanciando un’ultima occhiata a Tony, e girandosi per andarsene, ondeggiando sui tacchi e sbattendoli con malagrazia sul marciapiede.
«Sei gelosa» aveva costatato Tony.
«Non sono gelosa di quella lì».
«Sì, è quello che ho detto io» aveva ghignato Tony.
Victoria ritornò al presente. «Liz, sai bene che tipo è Sandy».
La donna aveva fatto di tutto per non far trapelare la sua antipatia per la famiglia Miller, ma Lizzy era abbastanza intelligente da capire da sola con chi aveva a che fare e Sandy Miller non era nella lista degli amici ammessi a Villa Stark, circolo che stava diventando più esclusivo di un golf club.
«Sì, lo so. Però mi ha dato fastidio».
«Che ha detto?»
«Che papà è uno sbruffone e un libertino pentito».
Ecco il punto dolente: Sandy aveva osato toccare Tony. Non c’era persona sulla Terra che potesse prendersela con Tony senza scatenare l’ira di miss Elizabeth Maria Stark.
Era evidente che ciò che Sandy aveva detto era qualcosa che aveva sentito in casa; non era certo farina del suo sacco. «E tu cosa le hai detto?» chiese.
«Che è una stupida e che probabilmente non conosce neanche il significato di quelle parole».
Victoria represse il sorriso che le salì spontaneo alle labbra: «Non avresti dovuto darle della stupida» la rimproverò invece.
«Sì, infatti per quello le ho chiesto scusa» replicò.
«E tu lo sai cosa significano quelle parole?» domandò, mentre la bambina giocherellava con la cintura di sicurezza.
«Sì. Secondo Sandy papà sarebbe uno che si vanta di cose che non ha fatto». Girò lo sguardo verso la madre: «È giusto?»
«Sì, sbruffone significa quello. E ti sembra che Sandy abbia ragione?»
«Certo che no!» esclamò con veemenza, dando uno strattone alla cintura. «Il mio papà è un supereroe e Sandy non dovrebbe aprire bocca».
Il mio papà è un supereroe. Chissà quanti bambini lo pensavano del proprio padre. Nel caso di Elizabeth però corrispondeva proprio alla realtà.
«E libertino pentito che significa?» incespicando un po’ sulla parola.
Questa è più tosta da spiegare.
«Significa che papà ha avuto, diciamo, diverse fidanzate in passato».
«Ma è stato prima di incontrare te» osservò la bambina.
«Sì, esatto. Prima ancora di diventare Ironman».
«E allora? Che problema ha Sandy?» esclamò.
Il problema di Sandy sono i suoi genitori, avrebbe voluto dirle, ma si morse la lingua.
«Ora ascoltami, Elizabeth. Mamma e papà sono personaggi pubblici. Ciò significa che sono sempre sotto l’occhio delle telecamere e dei giornalisti, e la gente guarda tutto ciò che facciamo».
Era un discorso che avevano già affrontato quando Elizabeth aveva chiesto come mai lei doveva andare a scuola con Aaron che la seguiva dappertutto mentre gli altri bambini no.
«Papà è il presidente di una grande azienda e tu sai bene che è molto ricco. E questo, purtroppo genera invidia».
«Cioè le altre persone sono gelose di quello che abbiamo?»
«Sì, è così. Non tutti possono andare a Beverly Hills quando vogliono a bordo di una costosa fuoriserie come facciamo noi. E allora dicono quelle cose poco carine su tuo padre. E su di me».
Elizabeth rimase in silenzio, ponderando sulle parole che aveva appena udito.
«Sai cosa puoi fare?» disse ad un certo punto Victoria. «La prossima volta che qualcuno dice qualcosa del genere a proposito di Tony devi guardare negli occhi la persona che ha parlato e dirgli: il mio papà sarà anche uno sbruffone ma ha salvato il mondo più di una volta, e quindi ha salvato la vita anche a te e ai tuoi genitori».
La bambina ci pensò su per qualche istante.
«Mi piace questa risposta, sai?» decretò alla fine e Victoria ridacchiò, mentre parcheggiava la R8 targata Stark16 in un posto libero.
«Bene! Allora che ne dici di un bel gelato, tanto per dimenticare Sandy?»
Vagabondarono per Rodeo Drive, seguite a brevissima distanza da Aaron che non le perdeva d’occhio, ridacchiando dei vestiti assurdi esposti in alcune vetrine ed entrando in una miriade di negozi. Elizabeth volle comprare una cravatta nuova per Tony e si impegnò per far impazzire la commessa di Armani alla ricerca della carta da regalo perfetta per il suo papà, prova che la donna sopportò con stoicismo. Quando finalmente consegnò il pacchetto perfettamente avvolto nella carta prescelta, a Victoria non sfuggì il sospiro di sollievo che emise.
Dopo la sosta dal parrucchiere, ritornarono alla macchina, ed Elizabeth sancì che quello appena trascorso era uno dei migliori pomeriggi della sua vita.
Alla fine, Tony ritardò il rientro, trattenuto dagli affari, ed erano quasi le undici quando entrò in casa, sciogliendo il nodo della cravatta.
«Bentornato, signor Stark» disse automaticamente Jarvis.
«Ciao, Jay».
Victoria si alzò dal divano e gli andò incontro.
«Ciao, signora Stark» mormorò lui, posando le labbra sulle sue.
«Sei stanco?» chiese la donna, cingendogli i fianchi e tendendosi all’indietro per guardarlo in viso.
«Sì, non è stata la trattativa facile facile che io e Pepper ci aspettavamo». Si strofinò gli occhi. «Adesso ho solo voglia di togliermi l’abito del presidente e stare un po’ con te. Lizzy?» chiese e lei si scostò, indicando il divano.
«Ha provato ad aspettarti sveglia, ma non ce l’ha fatta. Però mi ha fatto promettere che, nel caso si fosse addormentata, avrei dovuto lasciarla lì finché non fossi tornato».
Tony si avvicinò al divano: Elizabeth dormiva profondamente e sospirò quando le accarezzò il viso. Il pacchetto regalo era sul tavolino davanti a lei.
«La porto a letto» disse, prendendola delicatamente in braccio.
«Ti aspetto in camera».
Mentre saliva le scale, Elizabeth aprì appena gli occhi.
«’ao, papà» mormorò.
«Ciao, piccola. Continua a dormire, ci vediamo domani».
«Ti ho… ‘eso… ‘egalo» biascicò, in dormiveglia.
«Sì, ho visto. Grazie, amore. Lo apriamo insieme domani, ok? Ora dormi».
La bambina non rispose. Tony la mise a letto, baciandole la guancia rosea. Poi raggiunse Victoria in camera da letto. Si tolse la giacca, sistemandola sulla poltrona, mentre la donna gli si avvicinava.
«Lascia fare a me» disse, togliendogli i gemelli e sbottonandogli la camicia, baciandolo ad ogni bottone.
«Sembra quasi che avesse voglia di vedermi, signora Stark» scherzò lui, affondando il viso nei suoi capelli.
«Un po’» ammise lei. «Ti sto preparando il bagno», disse poi.
«Entri in vasca con me?» chiese, prendendola per mano e trascinandola in bagno senza attendere la sua risposta.
«Se Giuseppe sapesse che ho intenzione di sciupare il suo lavoro, mi ammazzerebbe» mormorò la donna, riferendosi al parrucchiere, ma seguì Tony.
Lui entrò nella vasca, appoggiando la schiena alla parete, osservando Victoria che si spogliava e si appuntava i capelli sul capo con qualche forcina. Poi sedette nell’acqua delicatamente profumata di agrumi e appoggiò la schiena al suo petto, mentre lui le stringeva le braccia attorno.
Si sistemò in modo che il minireattore non le premesse contro la spina dorsale e posò il capo sulla spalla di Tony, abbandonandosi al piacere di quella intimità. Aveva capito che Tony non aveva voglia di parlare quella sera, sicché si accontentò di rimanere all’interno del suo abbraccio, cullata dal suo respiro ritmico e regolare.
Dopo quello che le parve un tempo lunghissimo, quando l’acqua cominciava ormai ad essere più fresca sulla pelle, Victoria mosse la testa, girandosi lentamente a guardarlo.
«Dimmi» disse lui, senza aprire gli occhi, la testa reclinata all’indietro.
«Niente. Pensavo ti fossi addormentato».
Aprì gli occhi e la guardò. «No, mi stavo solo rilassando. Non sono più abituato a starti lontano, avevo bisogno di sentirti vicina».
Victoria sollevò una mano gocciolante e gli accarezzò la guancia, attirandogli poi la testa verso la propria. Tony fu stranamente delicato, muovendo le labbra in modo lento e sensuale, e stringendola a sé con tenerezza.
Era uno di quegli istanti eccezionali che ogni tanto capitano nell’universo, meraviglioso nella sua perfezione come un allineamento planetario: era un momento in cui non servivano parole, in cui sentivano di essere una cosa sola anche senza unirsi fisicamente, quell’attimo straordinario in cui due cuori battono allo stesso ritmo.
Un piccolo assaggio di paradiso.

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Capitolo 3
*** Perché non me l'ha detto subito? ***


Violet, la sorella di Victoria, si sta cacciando nei guai.
E toccherà alla più matura cercare di rimediare.
Ma con gli Avengers, ogni azione ha delle conseguenze...
Buona lettura a tutti voi.
E fatemi sapere cosa ne pensate!
Grazie

 

Il mattino seguente fu Elizabeth a svegliare i suoi genitori, arrampicandosi sul loro letto e sedendosi senza troppi complimenti sulla pancia di suo padre. Entrambi si svegliarono di soprassalto.
«Ciao papà!» gridò, gettandosi su di lui e stringendolo in un abbraccio.
«Ehi, vacci piano, principessa!» borbottò Tony ancora mezzo addormentato, mentre Victoria si scioglieva dall’abbraccio del marito e si allontanava un po’, giusto per evitare di essere travolta dall’entusiasmo della bambina.
«Devi aprire il tuo regalo» intimò, sventolandogli la scatola sotto il naso. «Jarvis, un po’ di luce, per favore» ordinò poi, con lo stesso piglio di suo padre, tanto che Victoria ridacchiò.
«Subito, miss».
Le vetrate che davano sull’oceano si schiarirono, lasciando passare la luce del sole. Victoria sbirciò l’ora sul comodino: «Ma si può sapere che cosa ci fai sveglia alle sette di sabato mattina?» chiese.
«Papà deve aprire il suo regalo» esclamò, saltellando di nuovo su di lui e cavandogli una smorfia.
«Tesoro, non resterà molto di tuo padre, se non ti calmi un po’» commentò Victoria.
«Ma lui è Ironman!» asserì Elizabeth.
«Ah, era ovvio» constatò Victoria, girandosi sul fianco e sollevandosi su un gomito.
«Tecnicamente lo sono solo quando indosso l’armatura…» provò a dire Tony, ma Elizabeth non gli permise di parlare.
«Dai, papà!»
«Va bene» capitolò, sollevandosi e mettendosi a sedere sul letto, sempre con la bambina addosso.
Elizabeth gli porse il pacchetto e rimase ad osservare mentre lo scartava. Tony ci mise del suo e l’apertura del regalo richiese almeno cinque minuti, ma alla fine la cravatta emerse dalla sua confezione. Elizabeth aveva scelto un modello in seta beige con la scritta in corsivo Giorgio Armani in grigio chiaro ripetuta in diagonale.
«È veramente molto bella» approvò Tony. «Grazie, piccola».
«L’ho scelta io da sola, sai papà? Anche la carta per il pacchetto l’ho scelta io».
«Sì, e la commessa non dimenticherà facilmente entrambe le esperienze» sogghignò Victoria.
«Devi provarla» ordinò Elizabeth.
«Senza camicia?» obiettò lui, ma dato che Lizzy insisteva la accontentò, annodando la cravatta attorno al collo, lisciandola sul torace nudo.
«Sì, è proprio bella» sentenziò la bimba, piegando la testa di lato. Poi lo fissò con quegli occhi verdi così simili a quelli di sua madre, posandogli le mani sul petto. «Sei tutto mio oggi, vero papà?» chiese e Tony fece una smorfia.
«Nel pomeriggio devo lavorare, tesoro. Viene zio Bruce» disse e, quando vide l’espressione della bambina, si affrettò a proseguire: «Ma faremo presto, vedrai. E domani ti prometto una giornata indimenticabile».
«Promesso promesso?»
«Sì, promesso» disse ed Elizabeth gridò di gioia e gli saltellò di nuovo in grembo, strappandogli un’altra smorfia di dolore.
«Lizzy, perché non scendi a fare colazione?» intervenne Victoria. «Io e papà ci vestiamo e ti seguiamo subito, ok? Così non perdiamo neanche un minuto di questa giornata».
«D’accordo» accettò la bambina, scendendo dal letto e sparendo di corsa.
«Sei tutto intero?» chiese Victoria.
Tony, con il capo appoggiato alla testata del letto e gli occhi chiusi, sogghignò: «Mi sembra di sì, ma credo che là sotto non funzioni più nulla».
«Vogliamo provare?» chiese la donna in tono malizioso, afferrandolo per la cravatta e attirandolo verso di lei.
«Mmm, qualcosa deve essersi salvato» mugugnò, schiacciandola sotto di sé. Una sensuale risata vibrò nella gola di Victoria, accendendogli i sensi sicché si abbassò per baciarla, ma prima di riuscire a sfiorarle le labbra fu interrotto da un grido proveniente dal piano di sotto.
«Mamma! Papà!»
«Ci sono momenti in cui non riesco proprio a ricordare perché l’abbiamo messa al mondo» scherzò lui, baciandola e saltando giù dal letto.
«A cosa state lavorando tu e Bruce di così importante?» chiese Victoria mentre si vestivano.
«Stiamo verificando alcuni dati che ci ha fornito Jane. Secondo lei potremmo essere in grado di costruire un macchinario come quello che hanno su Asgard e che serve ad aprire il Bifröst».
«E pensi che si possa fare?»
Lui inarcò un sopracciglio: «Se ci sono riusciti loro, ce la posso fare anche io». Poi tornò serio: «Scherzi a parte, si tratterebbe di un balzo avanti notevole per la nostra tecnologia e aprirebbe una nuova era per le esplorazioni spaziali. Significherebbe poter raggiungere luoghi che al momento sono per noi impossibili da visitare a causa della loro distanza. Certo, siamo ancora in alto mare: stiamo solo valutando calcoli e ipotesi. Thor si è anche offerto si portarci su Asgard per farci esaminare l’apparecchio di persona». Tony infilò la maglietta, spettinandosi. «Sarebbe una bella vacanza, anche per te e Lizzy».
Un grido risuonò dal piano di sotto. «È una fortuna che Bruce avesse un altro impegno stamattina o tua figlia mi avrebbe linciato», commentò Tony.
Mentre scendevano, Tony chiese se Violet era ancora da loro.
«Sì, ma non aspettarti di vederla sorgere dalle sue stanze prima di mezzogiorno» commentò Victoria.
«Signora» intervenne Jarvis. «La signorina Johnson è già uscita».
Stupita, Victoria scrutò il cielo limpido fuori dalle finestre.
«Preparati» disse al marito, «che tra poco il tempo virerà verso la burrasca».
Fecero colazione tutti e tre insieme; poi Tony ed Elizabeth uscirono e Victoria non li vide più per tutta la mattinata. Si ritirò nel suo studio, mettendosi al computer e cercando di far muovere il suo personaggio nel mondo fantastico che aveva creato per lui. Di solito, quando lavorava al suo libro, Elizabeth sedeva sul tappeto davanti alla scrivania, impegnata nei suoi giochi e la interrompeva di tanto in tanto. Quel giorno invece lavorò in tutta tranquillità per un paio d’ore, finché vide passare Violet fuori dalla porta aperta.
«Ciao, Vi» la salutò. «Sei uscita presto stamattina».
«Sì, sono andata a fare colazione al Coffee Beans» replicò la sorella, defilandosi in fretta. Era un comportamento abbastanza strano, se unito al fatto che si era alzata così presto, ma Victoria non ebbe tempo di farsi ulteriori domande perché Elizabeth comparve sulla porta in costume da bagno.
«Vieni in piscina con noi, mamma?»
Tony comparve dietro di lei, a mani giunte: «Ti prego, mamma» fece con voce chioccia, imitando il tono implorante di un bambino.
«Ho veramente tanto da fare» replicò la donna.
«Ti prego» esclamarono entrambi in coro e lei scoppiò a ridere.
«Devo assolutamente finire questo capitolo».
«Almeno vieni a lavorare a bordo piscina. Così quando hai finito puoi fare un paio di tuffi con noi» propose Tony e Victoria accettò. Indossò un bikini blu elettrico e gli occhiali da sole, legò sui fianchi un pareo bianco e si accomodò su una chaiselongue, con il computer portatile posato sulle gambe.
Tony ed Elizabeth ruzzavano in piscina, sollevando schizzi e spruzzi. Lizzy si arrampicava sulle spalle di suo padre e si lanciava in acqua e Victoria era sicura che le risate dei due si sentissero chiaramente fino a Los Angeles.
Quando gli schizzi colpirono le gambe di Victoria, Elizabeth si scusò. Accadde di nuovo qualche minuto più tardi e di nuovo la bambina si scusò. Alla terza replica, Victoria si accorse che era Tony a suggerirle di schizzarla.
«Stark, questa è associazione a delinquere» disse lei, posando il computer e sollevando gli occhiali sulla testa.
«Cosa significa, papà?» chiese Elizabeth, in braccio al padre.
«Significa che la mamma è molto contenta di noi due» disse, sollevando la mano in modo che Lizzy potesse dargli il cinque. Ma la bimba stava guardando Victoria che si era alzata, aveva sciolto il pareo e posato gli occhiali sulla sdraio.
«Se fosse contenta non avrebbe quell’espressione» contestò Elizabeth.
Victoria si tuffò dal bordo della piscina, scivolando sott’acqua. Tony fece sedere Elizabeth sul bordo della vasca e si voltò, proprio mentre la donna riemergeva davanti a lui. Lui assunse l’espressione più innocente che poté: «Tesoro, stavamo solo scherzando» disse.
Lei non rispose: gli posò le mani sulle spalle e si diede lo slancio fuori dall’acqua. Tony non era ben bilanciato e finì sotto, mentre Lizzy rideva. Tony si riprese subito e l’afferrò per la vita, trascinandola sotto con sé. Riemersero abbracciati e Tony la baciò teneramente sulle labbra.
«Tua figlia ci guarda, Tony» mormorò.
«E allora è meglio che ci allontaniamo prima che io perda del tutto il controllo» replicò lui, con uno sguardo malizioso.
La lasciò andare e si voltò verso Elizabeth che batteva le mani ancora seduta a bordo vasca.
«Dai, principessa: siamo riusciti a trascinare mamma in piscina, tu che fai?»
«Posso fare la bomba?»
«E sia, ma non chiamarla bomba» borbottò. Tony aveva avuto un paio di esperienze interessanti con le bombe e il solo pronunciare la parola lo infastidiva un po’.
Elizabeth indietreggiò di qualche passo, mentre Victoria le raccomandava di fare attenzione a non scivolare. Corse verso l’acqua: arrivata al bordo della piscina spiccò un balzo, raccogliendo le gambe contro il petto e chiudendo gli occhi. Colpì la superficie con un tonfo sonoro, sollevando una bella onda, e riemerse quasi subito, nuotando verso Tony che la prese in braccio. «Brava la mia sirenetta!» esclamò.
Trascorsero insieme il resto della mattinata. Elizabeth era la bambina più felice del mondo: adorava suo padre e ultimamente era stato così impegnato che riuscire ad averlo tutto per sé per una mattina intera le sembrava un sogno.
All’ora di pranzo, la cuoca mandò loro un cestino da pic-nic colmo di cibo e consumarono un delizioso pasto freddo all’ombra del gazebo. Avevano appena finito di pranzare quando Jarvis avvisò dell’arrivo di Bruce, che li raggiunse fuori.
Victoria si accorse subito che qualcosa non andava.
Bruce le aveva dato spesso l’impressione di qualcuno che non si sentisse a proprio agio nella propria pelle, e lei sapeva – da ciò che le aveva raccontato Tony – che per certi versi era vero. Bruce conviveva con la consapevolezza che dentro di sé abitava qualcun altro, qualcuno che non era controllabile e viveva di vita propria.
Quando gli Avengers erano stati reclutati per la prima volta, Tony conosceva il dottor Banner di fama. Ben presto i due si erano resi conto di avere molto in comune, di parlare la stessa lingua, per così dire, e avevano cominciato a frequentarsi anche al di fuori della squadra. Poi, man mano che gli anni passavano e le missioni si susseguivano, si era sviluppato un ottimo rapporto tra tutti i membri del team: Tony e Bruce avevano cominciato a collaborare con la dottoressa Foster, Thor era più spesso sulla Terra che su Asgard mentre Cap e la coppia Clint-Natasha, pur se reclutati a tempo pieno dallo S.H.I.E.L.D., trovavano sempre il tempo per una cena tra amici.
La fiducia in se stesso di Bruce era cresciuta pian piano e Victoria l’aveva visto cambiare lentamente, diventando più rilassato e tranquillo ogni volta che entrava a Villa Stark. Ma quel giorno le parve di avere davanti il vecchio Bruce. Quello che si stringeva nelle spalle quasi a volersi fare più piccolo per non farsi notare, quello che giocherellava nervosamente con gli occhiali da vista. Sembrava imbarazzato, ma Victoria non ne capiva il motivo.
Rimasero a chiacchierare per un po’, finché Tony non si scusò e andò a farsi la doccia e cambiarsi. Anche Bruce si alzò. «Ti aspetto in laboratorio» disse, e si defilò, come se non volesse restare da solo con Victoria.
La donna sospirò: gli Avengers erano personaggi strani che bisognava imparare a comprendere e anche allora era difficile conoscerne ogni sfaccettatura. Forse Bruce era semplicemente già concentrato su ciò che doveva fare con Tony, chissà.
La donna si alzò e sparecchiò, mettendo tutto nel cestino.
«Dai, Lizzy: andiamo a farci la doccia».
Victoria affidò la bambina a Zoey perché l’aiutasse a lavarsi e vestirsi e consegnò il cestino alla cuoca facendole i complimenti per il pranzo. Mentre stava per imboccare la rampa di scale per salire in camera, udì una risatina. Credendo che Elizabeth le avesse disobbedito e fosse scesa in laboratorio con suo padre tornò sui propri passi e scese un paio di scalini.
Non fu sicura di ciò che vide poi. Violet era a metà scala, ma le dava le spalle. Teneva le braccia sulle spalle di Bruce che era un paio di scalini sotto di lei. Era lei che aveva riso, attirando l’attenzione di Victoria, e Bruce le stava sorridendo di rimando, come Victoria non gli aveva mai visto fare da quando lo conosceva.
Appena l’avevano udita scendere si erano scostati in maniera così repentina che non era sicura di aver visto davvero ciò che aveva visto. Eppure avrebbe potuto giurare che si stessero baciando. Erano entrambi in evidente imbarazzo ma Violet si riprese subito.
«Grazie di avermi sistemato il braccialetto, Bruce» esclamò a voce un tantino troppo alta, facendo tintinnare il monile d’oro che aveva al polso.
«Oh, figurati» rispose lui, come se non avesse idea di cosa stesse parlando.
Violet risalì in fretta le scale, sfiorò la sorella e sparì. Victoria rimase per un momento a fissare Bruce; poi si girò e seguì Violet. Tony stava scendendo le scale, ma Victoria lo ignorò. Bloccò Violet sulla porta della sua stanza, l’afferrò per un polso e la trascinò dentro.
La spinse al centro della stanza e chiuse la porta.
«Che diavolo stai combinando?» la investì.
«Non so di cosa parli, Vic» replicò l’altra, esibendosi nell’espressione più candida del suo repertorio.
«Non fare tanto l’innocentina con me. Non ci casco».
Violet si voltò verso la finestra: «Non capisco perché la fai tanto lunga» disse.
«Oh, aspetta un secondo». Victoria fu colpita da un pensiero improvviso: «Sei uscita con lui stamattina. Sei andata a fare colazione con lui».
Ricordava che Tony le aveva detto che lui e Bruce non si erano incontrati quel mattino proprio perché aveva un impegno.
Sua sorella si girò a guardarla: «Sì, e allora? Non capisco quale sia il tuo problema».
No, lei non lo capiva. Era solo una ragazzina e non sapeva niente di quel mondo.
«Ti avevo detto di lasciar perdere, mi pare» mormorò sconvolta.
«E io non ti ho ascoltata. Lui mi piace, Vic. Mi piace davvero. Occhio di Falco è…»
«Lui non è Occhio di Falco». Eccolo lì, il problema. Lei non sapeva chi davvero fosse in realtà Bruce.
«Allora è Captain America! Strano, me lo figuravo più alto».
«Non è Cap» replicò Victoria. La confusione si dipinse sul volto di Violet.
«Non capisco…» mormorò confusa.
«No, non capisci. E ti stai infilando in una cosa troppo grande per te, Violet».
Violet piantò i pugni sui fianchi. «Ma si può sapere che problema hai, Vic? Cos’è? Sei gelosa?». Victoria rimase a bocca aperta di fronte a quella affermazione, ma sua sorella non aveva finito. «Vuoi essere l’unica ad avere il supereroe?»
«Non ti rendi conto di quello che dici, vero? Per te è tutto un gioco. Non sai cosa significa stare a casa ad aspettarlo senza sapere se tornerà. Non sai cosa significa dover curare le sue ferite quando rientra da una missione. Credi che stare con un supereroe sia uno sballo, ma non lo è. Per la maggior parte del tempo è paura e ansia». Sembrava che Violet non avesse considerato la cosa sotto quel punto di vista e tacque, sicché Victoria proseguì. «Quando mi sono innamorata di Tony, lui non era ancora Ironman. Anche se diventarlo non ha cambiato ciò che provo per lui, non è stato facile accettarlo, quando ha cominciato a tornare con l’armatura bucata dai proiettili».
«Oh, santi numi!» esclamò la ragazza. «Non so neanche se arriveremo insieme alla fine del mese e tu alludi già a una vita insieme» e rise.
«Ecco, vedi, è tipico di te: gettarti in qualcosa a testa bassa, senza considerare le conseguenze, pensando solo a te stessa. Non puoi trattarli come le altre persone, perché non lo sono. Sono uomini pronti a sacrificare tutto per gli altri, ma così fragili che basta un nulla per mandarli in pezzi».
«Che sarà mai!» strepitò sorridendo, facendo un gesto noncurante con la mano.
Victoria però non aveva nessuna voglia di sorridere. «Che sarà mai?» ripeté. «Già, perché tu non sai chi è in realtà Bruce». Non aspettò che lei replicasse: «Jarvis!»
«Signora, non credo di poter…» cominciò a dire il computer, ma la donna lo bloccò.
«Usa il mio codice d’accesso. Mi assumo la responsabilità di ciò che sto facendo».
«Sì, signora».
Il megaschermo che era appeso ad una parete si accese da solo.
«Vuoi sapere chi è in realtà Bruce Banner? Guarda» disse Victoria, indicando lo schermo.
Quando lo vide, Violet si coprì la bocca con la mano. Erano immagini forti, quelle che sfilavano sullo schermo, e mostravano Hulk, l’alter ego di Banner, mentre faceva strage di alieni durante la crisi di New York di tre anni prima. Victoria osservava la reazione di sua sorella e la vide scuotere la testa.
«Perché non me l’ha detto subito?» sussurrò.
«Perché sapeva che la tua reazione sarebbe stata questa».
Seguì un lungo momento di silenzio, finché Victoria ordinò a Jarvis di spegnere il televisore. Violet sedette sul letto, tenendo la testa girata dall’altra parte, fissando l’oceano che scintillava sotto il sole.
«Mi dispiace, Vi» disse semplicemente.
«Puoi lasciarmi un po’ da sola, per favore?»
Victoria avrebbe voluto consolarla, ma sapeva che Violet era molto gelosa dei propri spazi. Così uscì, chiudendo delicatamente la porta.

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Capitolo 4
*** Ma non poteva scegliersi qualcun altro? ***


Victoria è molto preoccupata dalla piega
che sta prendendo la storia di sua sorella e Bruce Banner.
La cosa la porterà ad immischiarsi ma mettersi contro Hulk
non è mai una buona idea.
Buona lettura...
e, se vi piace, commentate, gente!
Grazie


«Beh, era ora che tua sorella si svegliasse un po’» commentò Tony, mentre accettava il bicchiere di Margarita che lei gli porgeva. «Francamente non capisco questa tua contrarietà, non è certo una bambina».
Victoria si era pentita di averne parlato con Tony più o meno nel momento esatto in cui aveva aperto bocca. Non era stato possibile nasconderglielo perché la conosceva bene e aveva capito che qualcosa la turbava. Così gli aveva rivelato che aveva beccato Violet a baciarsi con qualcuno, senza specificare chi: era evidente che omettere il chi toglieva un bel po’ di drammaticità all’intera faccenda.
«Era inevitabile che si sentisse offesa e se ne andasse, non avresti dovuto ficcanasare nei suoi affari».
Violet era partita un paio d’ore dopo il diverbio con Victoria. Le aveva chiesto se poteva usare il jet di Tony per tornare a New York e Victoria aveva cercato in ogni modo di farle cambiare idea, ma senza successo.
«Non ne voglio parlare, ok?» aveva sbottato alla fine. «Allora, posso prendere questo aereo o devo chiamare l’American Airlines?»
E se n’era andata, anticipando la fine della sua vacanza.
«Io non ho ficcanasato proprio per niente» replicò Victoria, posando il bicchiere di frizzante prosecco italiano.
«In fondo, non credo fosse la prima volta che baciava un ragazzo» sogghignò lui.
No, decisamente doveva dargli quell’informazione in più.
«Si stava baciando con Bruce» sputò alla fine. Banner se n’era andato, sicché poteva parlare liberamente.
«Oh, ma allora conosciamo anche il nome del fortunato» proruppe Tony, che evidentemente non aveva capito a chi si riferisse. «È uno della zona?» chiese.
Victoria rimase ad osservarlo finché lui non distolse lo sguardo. «Ho detto una cosa tanto stupida?» si domandò.
«Si stava baciando con Bruce Banner» ripeté lei, scandendo bene il nome, e stavolta arrivò a segno, tanto che il Margarita gli andò di traverso, facendolo tossire. «Adesso capisci un po’ più la mia preoccupazione?»
«Sei sicura di aver visto bene?»
Lei annuì. «Sì, sicura. E stamattina è uscita a fare colazione con lui».
«L’esuberanza di Violet mischiata con la timidezza di Bruce: è un bel cocktail» giudicò lui. «Vorrei esserci quando scoprirà che il suo timido professore è in realtà la macchina da guerra più efficiente che abbiamo» aggiunse, ghignando divertito. Probabilmente stava già pensando a come prendere in giro Bruce.
«Voi prenderla un po’ seriamente, per favore?» sbottò la donna, colpendolo alla spalla. «È proprio per questo che se n’è andata».
«Credo di non seguirti più, dolcezza».
«Le ho fatto vedere le immagini» confessò. «Jarvis, ti dispiace?»
Jarvis ripropose le immagini che aveva mostrato a Violet.
«Fury ti farà deportare in Siberia, quando se ne accorgerà!» esclamò, posando il bicchiere. «Sono documenti riservati, non avresti dovuto divulgarli».
«Non li ho divulgati. Ho solo cercato di far capire a Violet in che razza di storia si stava imbarcando».
«Con che diritto?»
Victoria si alzò in piedi e rovesciò il vino nel lavello: improvvisamente non ne aveva più voglia. «Con il diritto che mi spetta, dato che sono l’unica famiglia che le è rimasta».
Il padre di Victoria era morto d’infarto quando Violet aveva appena due anni, tanto che non se lo ricordava neanche. Sua madre se n’era andata sei anni dopo, stroncata dall’alcool, lasciando una ragazzina di otto anni nelle mani di una Victoria appena diciottenne. Victoria aveva in pratica cresciuto sua sorella, senza abbandonare i propri sogni e riuscendo anche a laurearsi, ed era naturale che provasse un forte senso di protezione verso di lei.
«Non è facile, sai?»
«Cosa? Badare a Violet?»
«No, essere tua moglie».
«Ah, ti ringrazio» disse Tony, alzandosi a sua volta e posando il bicchiere ormai vuoto.
«Hai capito cosa intendo. Non è facile essere la moglie di un supereroe. Quando vai in missione, non so mai se tornerai né in che condizioni. Nel caso di Bruce questo problema non esiste, dato che è praticamente indistruttibile, ma è incontrollabile. Se perdesse il controllo mentre è con lei?»
Tony ci pensò su un poco. «L’autocontrollo di Bruce è migliorato, ma è vero che non è perfetto». Scosse la testa, strizzandosi gli occhi con le punte delle dita. «Ma non poteva scegliersi qualcun altro?» borbottò, e Victoria sospirò.
«Mi dispiace per Bruce. Ma non posso permetterle di infilarsi in questa cosa».
Elizabeth arrivò dal piano di sopra, pronta per la cena, e mise fine alla discussione.
Nei giorni seguenti, Victoria tentò più volte di contattare sua sorella, ma Violet rifiutò tutte le chiamate. La cosa non fece altro che accrescere la sua convinzione: Violet era ancora una ragazzina, incapace di reagire in modo responsabile.
Sei giorni dopo la loro discussione, Bruce tornò a Villa Stark. Doveva incontrarsi con Tony ma questi era stato chiamato in ufficio da Pepper per un’emergenza, sicché aveva dovuto allontanarsi.
«È andato via pochi minuti fa, non ha fatto in tempo ad avvisarti».
«Non c’è problema. Lo chiamo stasera». La salutò e fece per andarsene, ma si fermò sulla porta. «Come sta Violet?» chiese poi, senza voltarsi.
«È tornata a New York venerdì scorso» rispose, un po’ stupita che avesse deciso di affrontare l’argomento. «Sta bene, credo».
«Credo?» ripeté, voltandosi: l’espressione sul suo viso non lasciava presagire nulla di buono.
«Non risponde alle mie telefonate» spiegò. «Ma Jarvis ha controllato e sta bene» si affrettò ad aggiungere.
«Già, nemmeno alle mie» sussurrò Bruce. Poi alzò lo sguardo verso di lei, con espressione colpevole. Si era reso conto di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire.
Victoria rimase stupita quanto lui dalla rivelazione e tacque. Bruce chiuse la porta e tornò da lei, sedendosi sul divano.
«Io e tua sorella siamo usciti insieme un paio di volte».
Quindi non c’era stata solo quella colazione al Coffee Beans.
«È carina e mi piace parlare con lei». Sorrise, con lo stesso sorriso che lei gli aveva visto stampato sul volto quando lo aveva sorpreso in compagnia di Violet, sugli scalini che portavano al laboratorio. «Non avevo mai parlato così tanto con una persona da quando…»
Da quando quella maledetta esplosione di raggi gamma mi ha trasformato in un mostro, voleva dire, ma non lo fece.
«Mi aveva detto che sarebbe rimasta qui a Malibu anche questa settimana» proseguì, «ma quando ho provato a chiamarla sul cellulare non mi ha mai risposto e ora tu mi dici che è via da una settimana».
A Bruce mancavano evidentemente diversi pezzi di quella storia. Non sapeva che Victoria si era intromessa tra loro due e ora, per la prima volta, ebbe l’impressione di aver sbagliato. L’uomo sembrava davvero colpito dal comportamento di Violet, come se si fosse aspettato che quella storia potesse trasformarsi in qualcosa di più. E la sua successiva affermazione, glielo confermò.
«Sai, pensavo che stavolta… cioè, lei è già dentro a questo mondo, conosce Ironman e tutto il resto. Pensavo che sarebbe stato più semplice dirle chi sono in realtà».
Victoria avrebbe voluto essere a chilometri di distanza, in quel momento. Aveva sbagliato tutto, doveva dare ragione a Tony. Si era intromessa pensando di fare il bene di Violet. L’aveva fatto in buona fede, certo: ma si era messa fra di loro e non avrebbe dovuto.
«Lo sa già» disse senza pensare. Lui taceva e Victoria sollevò lo sguardo. Bruce non la stava guardando: aveva la testa china, osservava le proprie mani.
«Che cosa… come? Come ha fatto a saperlo?»
«Gliel’ho detto io». Anche Victoria stava fissando le sue mani e le vide contrarsi a pugno quando pronunciò quelle parole. «Era confusa, pensava che tu fossi qualcun altro e ho dovuto metterla…» cercò di spiegare, ma lui la interuppe.
«Metterla in guardia da me?» disse, e a Victoria non sfuggì la sfumatura roca che aveva assunto la sua voce.
«Ora calmati, Bruce. Sai che non è così» provò a dire, ma l’uomo scattò in piedi all’improvviso. Victoria si spaventò e si alzò a sua volta, allontanandosi da lui.
«E com’è?» gridò, e già era l’altro che parlava.
Victoria si era augurata di non assistere mai alla trasformazione di Bruce, ma osservò orrendamente affascinata mentre i muscoli sulla schiena e le braccia di Banner si gonfiavano a dismisura. La camicia che indossava si strappò e i brandelli caddero a terra.
Bruce gridò di nuovo, inarcando la schiena, le mani contratte ad artiglio, mentre il suo corpo veniva deformato dalla trasformazione. Victoria era rimasta imbambolata davanti a quello spettacolo, ma si riscosse e ordinò a Jarvis di chiamare Tony.
«Lo sto già facendo, signora» replicò il computer, ma era troppo tardi.
L’ultimo barlume di coscienza si spense negli occhi di Bruce. Ora era in tutto e per tutto l’altro, Hulk. Victoria indietreggiò ancora e lui la fissò con quello sguardo che non aveva niente di umano. Il cuore le batteva a mille, ma cercò di mantenere la calma.
Fece un altro passo indietro ma inciampò sullo spigolo del tavolino e cadde. Il vaso di rose bianche si rovesciò, l’acqua fuoriuscì bagnando il tappeto e i fiori si sparpagliarono. Nonostante la mole, Hulk fu un fulmine e si gettò su di lei. Victoria alzò le braccia per proteggersi, rendendosi conto di quanto labile fosse quella protezione davanti alla furia di Hulk.
«Fermati!» gridò. «Per Violet».
Incredibilmente, Hulk si bloccò. La donna sbirciò cautamente e lo vide che torreggiava su di lei, leggermente piegato come se non fosse in grado di stare perfettamente eretto. Ansimava e stringeva convulsamente i pugni simili a pesanti magli, ma nei suoi occhi c’era qualcosa di diverso. Si era fermato quando aveva nominato Violet, come se quel nome avesse suscitato qualcosa in lui.
Poi, con gesto repentino, sbatté i pugni sul pavimento e l’intera casa tremò. Girò su se stesso e si lanciò contro la finestra. La sfondò senza rallentare e si gettò nell’oceano, scomparendo.
Victoria rimase a terra, ansimando mentre l’adrenalina pompava ancora nelle sue vene. Aveva corso un rischio terribile con Hulk: non aveva dubbi che a quel bestione di tre metri sarebbe bastato usare un’infinitesima parte della sua forza per liberarsi di lei.
La macchina da guerra più efficiente che abbiamo, così l’aveva definito Tony, e solo ora capiva quelle parole. Lei l’aveva visto in azione a New York, ma quell’esperienza non era stata nemmeno paragonabile al fatto di trovarselo di fronte, trasformato dalla sua stessa furia.
«Signora, il signor Stark è in linea».
Jarvis interruppe i suoi pensieri e la voce preoccupata di Tony la riscosse.
«Vicky, che succede? Jarvis mi ha detto che c’è un problema con Bruce».
Brian accorse, seguito dal personale della casa. La donna tentò di rimettersi in piedi, ma le tremavano le gambe e dovette aggrapparsi al divano per riuscire a sollevarsi. Brian la sorresse, aiutandola a sedersi sul divano.
«Victoria, ci sei?»
«Sì, sono qui» rispose con voce flebile e incerta.
«Qual è il problema?»
«Bruce sa perché Violet se n’è andata. E sa anche che è colpa mia».
«Se n’è andata da una settimana e non ha fatto domande. E comunque, come farebbe a sapere che le hai rivelato la sua seconda identità?»
«Perché gliel’ho appena detto» replicò, preparandosi alla sfuriata di Tony.
Tony rimase in silenzio per un tempo talmente lungo che lei pensò che avesse già indossato l’armatura e si stesse precipitando a casa.
«Cosa mi stai dicendo, Vicky? Che hai telefonato a Bruce dicendogli: ehi, amico! Ti ricordi la mia cara sorellina Violet? Beh, sappi che le ho detto che in realtà sei una montagna di muscoli verdastra alta tre metri e incapace di controllarsi. Sì, per questo se n’è andata… dimmi che mi stai dicendo questo».
Victoria strinse i denti. L’adrenalina nel sangue stava evaporando velocemente e lei non si sentiva più così baldanzosa.
«Sì, più o meno. Solo che non gliel’ho detto al telefono». Victoria raccolse una rosa caduta a terra e la posò sul tavolino, meravigliandosi che la sua mano tremasse tanto. «Era qui» sussurrò.
«COSA?» La voce di Tony fu terribile e Victoria fu sollevata che fosse a Los Angeles. «Mi stai dicendo che Bruce era lì accanto a te e tu hai pensato di sparargli addosso una notizia del genere?»
«Mi ha chiesto di lei e non ho potuto mentirgli».
«Lui come l’ha presa?» chiese seccamente.
«Beh… diciamo che avremo bisogno di una nuova vetrata in salotto» disse lei, voltandosi a guardare la devastazione che il gigante aveva operato.
«Aspetta un attimo» sbottò Tony. «Banner si è trasformato?»
«Sì».
«Non muoverti, sto arrivando» disse lui senza dire altro.
«Tony…» provò a dire, ma lui aveva già riattaccato.

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Capitolo 5
*** Non mi farai mai del male ***


Victoria si è intromessa nella vita
di sua sorella Violet e, seppur in buona fede,
ha provocato uno sconvolgimento nel team Avengers.
Ora tocca a Tony rimediare...


Tony camminava avanti e indietro e i pezzi delle vetrate infrante scricchiolavano sotto i suoi piedi come granelli di zucchero. Victoria non l’aveva mai visto così arrabbiato. Non con lei, almeno.
Victoria era rannicchiata sul divano. Nonostante l’estate fosse già iniziata, la donna si era avvolta in una coperta e stava soffiando via il vapore da una tazza di tè, bevanda che stava sorseggiando lentamente.
Appena tornato, Tony si era sincerato che stesse bene. Poi aveva mandato via Brian e Harriet, la donna delle pulizie che stava rassettando, e si era piazzato davanti a Victoria.
«Mi spieghi che senso ha che io mi dia da fare per proteggerti quando tu ti metti in pericolo da sola in questo modo?» aveva detto.
Sarebbe stata meno spaventata se l’avesse sentito urlare e inveire contro di lei: quel tono di voce calmo e tranquillo la metteva in soggezione.
«Mi dispiace, Tony» aveva replicato.
«Ah sì? Beh, potevi pensarci prima. Prima di dire a Hulk che ti sei intromessa nella sua vita privata. Mi dispiace adesso non basta».
Aveva ragione. Si era comportata da irresponsabile, peccando della stessa leggerezza di cui aveva accusato Violet: non si era preoccupata delle conseguenze che avrebbe potuto scatenare.
Gli Avengers erano eroi già entrati nella leggenda, persone straordinarie capaci di caricarsi in spalla un missile e dirottarlo nello spazio o di combattere fino allo stremo contro ogni previsione di vittoria per salvare tanto gli amici quanto l’umanità sconosciuta. E poi erano capacissimi di perdersi in un bicchiere d’acqua e di sbarellare per cose da poco. Tanto erano forti e invincibili in battaglia quanto erano fragili nella vita privata. Victoria e Jane lo sapevano bene perché erano loro a curare le ferite – fisiche e psichiche – dei loro uomini.
«Sai cosa sarebbe potuto succedere?» aveva chiesto Tony, il tono di voce reso duro e severo dalla preoccupazione e dallo spavento.
«Non è successo niente di grave» aveva obiettato e lui si era limitato a fissarla, girando poi lo sguardo sui resti delle finestre che affacciavano sull’oceano.
«Sì, questo è niente. Ma poteva andare molto peggio di così. Poteva ucciderti».
«Ma non l’ha fatto».
«Pensa per un secondo se l’avesse fatto» aveva replicato Tony. «Adesso io sarei un uomo distrutto, tua figlia sarebbe orfana di madre e Bruce passerebbe il resto della sua esistenza a sentirsi in colpa».
«Ho già detto che mi dispiace» aveva sbottato, irritata.
«E io ti ho già detto che non basta!» aveva gridato lui.
Da quel momento, nessuno dei due aveva più detto nulla e Tony aveva preso a passeggiare nervosamente per il salotto.
«Dobbiamo trovarlo, Tony» disse lei ad un certo punto, incapace di sopportare oltre quel muro di silenzio.
«Dobbiamo? Credo che tu abbia già fatto abbastanza per oggi».
«Senti, ho sbagliato, lo ammetto» sbottò lei, gettando via la coperta e alzandosi in piedi. «Ho sbagliato a mettermi tra loro e ho mancato di tatto quando ho parlato con Bruce». La donna aggirò il divano e si avvicinò al marito. «Ma lui si è fermato quando ho nominato Violet. Significa che non è completamente incontrollabile. Significa che quel che prova per lei è autentico».
«E quindi?» chiese lui. «Che cosa cerchi di dirmi?»
«Che forse quei due hanno diritto ad una possibilità».
«Ma se fino ad un’ora fa hai tentato di suicidarti per impedire che si frequentassero».
Aveva appena finito di parlare quando entrambi avvertirono il pulsare ritmico di un elicottero.
«Nick sta arrivando» constatò Tony. Lo aveva avvisato mentre tornava a casa, raccontandogli che Hulk era fuggito chissà dove.
L’elicottero nero dello S.H.I.E.L.D. atterrò sulla pedana dell’eliporto e Nick, con l’immancabile pastrano nero, scese dal mezzo seguito dal capitano Rogers.
«Che hai combinato stavolta, Stark?» gli chiese Nick entrando in casa.
«Ah, no!» disse Tony, sollevando le braccia. «Io non c’entro nulla, stai parlando allo Stark sbagliato».
«Vedi di piantarla, Tony!» proruppe Victoria. Poi si girò verso Nick. «È stata colpa mia».
Spiegò brevemente ciò che era successo: sua sorella e Bruce che uscivano insieme e lei che rivelava a Violet che Bruce era Hulk.
«Non ti abbiamo dato un codice d’accesso perché tu possa divulgare informazioni riservate» la rimproverò Fury.
«È quello che le ho detto anche io» rincarò Tony.
Victoria era piuttosto stanca di essere continuamente ripresa da tutti per il suo errore. «Sentite, adesso basta. Ho fatto un errore di valutazione, sono felice che a voi non capiti mai. Ai comuni mortali, sì. Pagherò quel che devo pagare» esplose. Poi abbassò la voce: «Ad ogni modo, non è questo il punto: dobbiamo concentrarci su Bruce ora. Dobbiamo trovarlo».
Steve annuì. «Sappiamo già dov’è. Appena Tony ha dato l’allarme abbiamo attivato il GPS che gli abbiamo impiantato». Prima della battaglia di New York, Hulk aveva perso il controllo sull’Helicarrier dello S.H.I.E.L.D. precipitando a terra. Dopo quell’esperienza, l’organizzazione chiesto a Bruce se poteva impiantargli un piccolo transponder, in modo da poterlo localizzare in casi simili. Bruce aveva acconsentito, a patto che il microchip venisse attivato solo in caso di necessità. Appena ricevuta la segnalazione da Tony, Fury aveva dato ordine di attivarlo.  «Non è andato molto lontano» concluse. «È nella Death Valley».
«Posticino ameno e incantevole» borbottò Tony.
«È un posto in cui può stare solo, senza fare del male a qualcuno» rilevò Victoria.
«Andiamo a riprenderlo» esclamò Fury.
«Prepara l’armatura, Jay» ordinò Tony, mentre Rogers e Fury uscivano per raggiungere l’elicottero in attesa. Victoria li seguì.
«Ehi, dolcezza: dove credi di andare?» disse Tony, bloccandola.
«Io ho fatto il casino e io intendo rimediare» spiegò la donna.
«No, no! Tu te ne starai buona buona ad almeno quattrocento chilometri da Hulk. Il che significa che resti qui. Noi andiamo a riprenderlo».
Victoria aprì la bocca per replicare, ma Tony fece scivolare le mani lungo le sue braccia: «Lo so che vuoi solo dare una mano. Ma davvero non so in che condizioni lo troveremo. Quando saremo sicuri che è, come dire, stabile, lo riporteremo qui così potrete chiarirvi. Ok? Ti va bene come soluzione?»
La donna sospirò, ma Tony aveva ragione. «Va bene, vi aspetto qui».
«In realtà, dato che è probabile che i vestiti di Bruce siano ormai a brandelli, Tony non vuole che tu possa fare confronti».
Tony non si voltò nemmeno.
«Non mi ha mai spaventato alcun confronto, caro il mio Mister Ghiacciolo. Tu piuttosto: non puoi continuare ad andare in giro dicendo che è colpa del freddo, dato che ti hanno scongelato da ormai sei anni» replicò. Poi le sfiorò le labbra con un bacio leggerissimo e si rivolse a Fury: «Voi andate avanti, io metto l’armatura e vi raggiungo».
Victoria uscì e osservò l’elicottero involarsi sopra la casa e mettersi sulla rotta per la Death Valley. Pochi secondi più tardi Ironman emerse dal seminterrato, prese quota e seguì l’apparecchio nero dello S.H.I.E.L.D.
Quando rientrò in casa, avvertì subito uno strano rumore. Era una leggera vibrazione intermittente. Sembrava un cellulare ma non era il suo.
«Jarvis, da dove viene questo rumore?»
«C’è un cellulare sotto il divano, signora. È quello del dottor Banner».
Victoria si chinò e lo raccolse. Il cellulare doveva essergli scivolato dalla tasca quando si era trasformato e ora stava squillando, anche se in modalità silenziosa. Sul display c’era il nome di Violet e la donna si affrettò ad aprire la comunicazione, prima che riattaccasse.
«Violet, sono Victoria. Ti prego, non riagganciare».
Sua sorella rimase in silenzio, evidentemente spiazzata dal fatto che avesse risposto lei.
«Oh Vi, ero così preoccupata. Perché non rispondevi alle mie chiamate?» proseguì.
«Ero arrabbiata con te» rispose.
«Lo so» affermò Victoria, «e avevi tutti i motivi del mondo per esserlo. Ho commesso un errore e ti chiedo scusa. Non avrei dovuto intromettermi».
Violet tacque, poi trasse un lungo sospiro. «Grazie. Significa molto per me». Ci fu un altro lungo momento di silenzio. «Senti» esclamò poi la giovane, «io però ho chiamato Bruce. Perché rispondi tu?»
Victoria le raccontò ciò che era successo con Bruce. «Quando ha capito che ero stata io ad allontanarvi, Bruce si è trasformato. Era molto arrabbiato, ma quando ho fatto il tuo nome, si è fermato».
«Significa che stava per aggredirti?»
«Mi sono già presa la mia parte di rimproveri da Tony. Comunque non è successo niente, ma Bruce è fuggito. Tony e Cap sono andati a riprenderlo».
«Vic, a proposito di Bruce… io non so cosa mi stia succedendo» cominciò Violet con tono esitante, come se avesse paura lei per prima di ammettere certe cose di fronte a se stessa. «Sono tornata a New York per stare a distanza, per provare a vedere le cose da un’altra prospettiva. Ma lui mi manca, Vic. E non mi importa nulla se è Hulk. Voglio dire… non penso che sarà facile, ma devo almeno provarci».
Victoria sorrise. «Siamo sempre state complicate, noi Johnson» commentò.
«Hai ragione» replicò la sorella, e Victoria avvertì il sorriso anche sulle sue labbra. «Scusami un momento» disse poi.
Victoria la sentì parlare con qualcuno. «È libero? Bene, mi porti al 10880 di Malibu Point».
«Violet, ma dove sei?»
«All’aeroporto. No, a dire la verità sono appena salita su un taxi. Sto venendo lì».
Questo le dava la possibilità di provare a sistemare le cose. Hulk a parte, Bruce era una splendida persona e si meritava un po’ di serenità. Non avrebbe mai dimenticato il sorriso che aveva sul viso il giorno che li aveva sorpresi sulle scale: era come se finalmente avesse trovato un equilibrio, un punto fermo nella sua vita così imprevedibile.
Bruce si era autoimposto una solitudine necessaria a tenerlo lontano dai guai, ma nessuno era fatto per stare da solo. E forse Violet, nonostante gli anni di differenza, poteva essere il suo porto sicuro, così come Victoria lo era per Tony. In fondo, nessuno si sarebbe mai aspettato quel cambiamento da parte di Tony Stark: eppure il playboy da “dieci ragazze per me” era diventato un marito fedele e un padre straordinario.
Quando l’elicottero dello S.H.I.E.L.D. toccò terra di nuovo nei pressi della villa, trasportava un passeggero in più. Bruce indossava una tuta dell’organizzazione e seguì Fury fino alla porta di vetro della casa.
Ironman atterrò accanto a loro, sollevando la visiera. Non disse nulla, ma Bruce capì.
«Tranquillo, Tony. Sono calmo ora».
«Lo so» rispose l’altro, sottintendendo che non gli avrebbe permesso di avvicinarsi a Victoria con il sospetto che potesse perdere il controllo.
Entrarono in casa e Victoria andò loro incontro.
«Mi dispiace».
Lo dissero entrambi, all’unisono, guardandosi negli occhi. Ed entrambi sorrisero. Poi Bruce sollevò un braccio, la mano aperta tesa davanti a sé.
«Mi scuso per quello che è successo prima. Non avrei dovuto reagire in quel modo, è stato assolutamente deplorevole. Mi spiace se ti ho spaventata e…» gettò un’occhiata verso le vetrate distrutte, «mi rincresce aver combinato questo disastro».
Victoria scosse la testa. «È stata colpa mia» disse semplicemente, stringendosi nelle spalle e stava per aggiungere qualcosa quando Tony la fermò.
«Vi prego, ora basta. Se qualcuno dirà ancora “è colpa mia” o “mi dispiace”, lo ucciderò con le mie mani. Fortunatamente non è successo nulla, Vicky sta bene, Bruce l’abbiamo recuperato e vivremo tutti felici e contenti». Si volse per metà, osservando i vetri infranti. «Tutti felici e contenti meno le mie vetrate!»
Victoria si avvicinò a Bruce, tendendogli il cellulare. «Dev’esserti caduto dalla tasca» disse, rendendoglielo.
«Grazie».
«Ti ha cercato qualcuno, prima».
«Chi?» chiese lui.
«Io» disse una voce, e Bruce alzò lo sguardo. Violet era rimasta nascosta dietro la parete, sicché nessuno l’aveva vista. Ora si fece avanti e Victoria notò il volto di Bruce: c’erano gioia, ansia, perplessità e un altro considerevole campionario di espressioni.
«Scusa se non ho risposto alle tue chiamate» disse Violet, avvicinandosi a lui. «Ero un po’ fuori di testa. Ma per quanto cercassi di toglierti dalla mente, riapparivi sempre. Così mi sono decisa a tornare».
Fece un altro passo verso di lui che si ritrasse. Lei si bloccò: pareva che avessero dimenticato di non essere soli ed era come se esistessero soltanto loro due.
Violet sorrise. «Non mi importa chi sei, Bruce. Hulk non sarà un problema, perché per me tu sei Bruce Banner».
«Tu non sai… non voglio farti del male».
La ragazza sorrise di nuovo. Poi corse da lui e gli gettò le braccia al collo. «Non mi farai mai del male, io lo so» disse.
Lui le posò le mani sui fianchi, quasi timoroso che andasse in pezzi. Poi la baciò.
Tutti distolsero immediatamente lo sguardo. Victoria si avvicinò a Tony e gli posò le mani sul petto coperto dall’armatura: «Sei ancora arrabbiato con me?»
«Non riesco mai ad essere arrabbiato con te, lo sai» replicò. «Mi fai ammattire, ma sei tutta la mia vita» mormorò, baciandola.
Quando alzò gli occhi, Bruce e Violet se ne stavano ancora completamente persi in se stessi e Tony sogghignò. «Potete baciarvi anche voi due, se vi fa piacere» disse, rivolto a Steve e Nick che se ne stavano impalati presso la porta.
La faccia di Nick di fronte a quella battuta fu assolutamente impareggiabile.
«Penso che possiamo anche togliere il disturbo» esclamò Rogers.
«Sì, solo un momento» rispose Fury. Poi si avvicinò a Violet che se ne stava accanto a Bruce tenendogli la mano. «Signorina Johnson, non serve che le dica che tutto ciò che riguarda gli Avengers deve restare sotto il massimo riserbo». Lanciò una rapita occhiata a Victoria prima di proseguire: «Ciò che sua sorella le ha mostrato non doveva essere divulgato, così come qualsiasi notizia su di loro. Lo S.H.I.E.L.D. è un’organizzazione segreta e avremmo piacere che rimanesse tale ancora per un po’».
«Falla finita, Nick» sbottò bonariamente Tony.
«Se leggerò un solo accenno a questa storia sulla sua pagina Facebook» proseguì il direttore, «ne risponderà a me personalmente».
«Ho capito, direttore» disse semplicemente la ragazza, alzando il mento quasi a volerlo sfidare.
Fury rimase a fissarla per qualche istante. Poi annuì come se fosse contento di ciò che aveva visto e girò sui tacchi.
«Andiamo, Steve».
Steve salutò e uscì, seguendo Fury a bordo dell’elicottero le cui pale presero a roteare lentamente acquistando progressivamente velocità e facendoli alzare nella morbida luce del crepuscolo.
Tony sospirò mentre li osservava volare incontro al tramonto. «Vado a togliermi l’armatura. Tesoro, ti spiace avvisare la cuoca che stasera abbiamo ospiti?»
Si avviò per scendere nel seminterrato e, quando fu vicino a Bruce, gli circondò le spalle con un braccio e lo trascinò con sé: «Vieni giù, cognatino, che ti spiego un paio di cosette sulle sorelle Johnson».

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Capitolo 6
*** I guai sono appena iniziati ***


Il titolo di questo capitolo è assolutamente evocativo.
I guai iniziano da qui e forse c'è qualcuno che sta tornando
dal passato per mettere scompiglio nella perfetta vita degli Stark.
Buona lettura!


Due mesi trascorsero a velocità supersonica, quasi come se qualcuno avesse premuto il tasto di avanzamento rapido.
La scuola finì e iniziarono le vacanze estive. Elizabeth aveva ottenuto risultati eccellenti, molto al di sopra della media, cosa che aveva reso entrambi i suoi genitori molto fieri di lei. Aveva uno spirito di osservazione molto sviluppato e un’intelligenza pronta e acuta quanto quella di suo padre.
Victoria aveva terminato la bozza del suo manoscritto e l’aveva inviata ad Ashley per i primi commenti. Le vendite del Ciclo della Luna – così era stata chiamata la trilogia che era stata il suo debutto come scrittrice – andavano ancora forte, regalandole la grande soddisfazione di vedere apprezzato il suo lavoro.
Tony, con l’aiuto di Pepper e di una pressoché infinita schiera di assistenti e collaboratori, amministrava le Stark Industries con nuova freschezza e nuovo brio. La sezione armamenti era completamente chiusa ormai, ma non una sola persona era stata licenziata perché in esubero: Tony aveva riqualificato ogni sezione perché si occupasse di un settore completamente nuovo, dalla ricerca sull’energia pulita derivante dall’utilizzo del reattore Arc, alla sperimentazione spaziale sui ponti di Einstein-Rosen.
Violet era tornata a New York, al suo lavoro e alla sua vita. Vita che ora era arricchita da un certo dottor Bruce Banner con il quale si frequentava regolarmente. Victoria non avrebbe mai pensato di vedere un tale cambiamento nel timido professore: sembrava un altro, e doveva ammettere che la vicinanza con Violet gli aveva senz’altro giovato.
Sul fronte Avengers, tutto taceva. Ognuno di loro – eccettuato Hulk, ma lui era sempre un caso a parte e veniva convocato solo quando le cose si mettevano davvero male – aveva indossato i panni della propria seconda identità in qualche occasione, ma si era trattato di occasioni sporadiche, che peraltro non avevano richiesto l’intervento del team al completo.
Quel silenzio da parte dello S.H.I.E.L.D. era qualcosa a cui ci si poteva anche abituare, pensava Victoria. Ma, dato il tempo che ormai aveva trascorso insieme a Tony, avrebbe dovuto sapere che quella era soltanto la quiete prima della tempesta.
In una calda domenica pomeriggio di luglio, Bruce si presentò alla Villa. La famiglia era in piscina e lui li raggiunse attraversando a piedi il prato curatissimo. Tony e Victoria erano in costume, distesi sulle sdraio, mentre un’abbronzatissima Elizabeth giocava in piscina con una schiera di ragazzini della sua stessa età.
«Ciao, zio Bruce!» esclamò, salutandolo con la mano e ritornando a rivolgere la propria attenzione agli altri ragazzini in piscina quando lui rispose con un cenno e un sorriso.
Bruce raggiunse gli Stark e sedette sulla chaiselongue accanto a quella su cui era semisdraiata Victoria. Tony si sollevò su un gomito: «Per me è troppo tardi, ma tu sei ancora in tempo per salvarti da questa orda di ragazzini indemoniati» scherzò.
Victoria rise, ma poi vide l’espressione seria e tesa di Bruce e si rabbuiò, sollevando gli occhiali da sole sul capo.
«Che succede, Bruce?» domandò. «Violet sta bene?»
Lui fece un gesto con la mano, quasi a voler scacciare i suoi timori. «Sì, Vi sta bene. Ci sono problemi da Asgard» concluse, abbassando la voce.
Il mondo aveva vissuto una seconda ondata di terrore. Ad essere attaccata era stata Greenwich e i danni erano ancora ben visibili. Una nuova invasione aliena aveva messo a ferro e fuoco la città e solo la determinazione di Thor, unita alla scienza della dottoressa Foster, avevano evitato il peggio. Ormai il mondo avrebbe dovuto abituarsi al passaggio di quegli strani esseri di altre dimensioni.
«C’entrano qualcosa i fatti inglesi, immagino» replicò Tony, ora mortalmente serio.
«Sì, esatto. Lasciate che vi spieghi, vi mancano diversi pezzi di questa storia».
Raccontò brevemente di come la dottoressa Foster fosse stata “infettata” dall’Aether, una fonte di potere ad altissima concentrazione. Il potente Elfo Oscuro Malekith, da tempo alla ricerca dell’Aether, avvertendone il risveglio, aveva cercato di impossessarsene. Il suo scopo era far precipitare l’universo all’oscurità delle origini.
«Ma non è riuscito nei suoi propositi, grazie al nostro amico Thor» commentò Tony.
«Sì» confermò Bruce, «ma non il nostro problema non è l’Aether e neanche Malekith. Il problema è Loki».
Victoria rabbrividì istintivamente al solo sentire pronunciare quel nome. Loki era il fratello di Thor, l’artefice dell’invasione aliena di tre anni prima che aveva quasi raso al suolo New York. La donna sapeva che Thor aveva preteso di riportare Loki su Asgard per fargli affrontare la giustizia del suo paese natio.
«Loki è in una prigione di Asgard e di là non si muoverà fino alla fine dei suoi giorni» replicò Tony. Bruce non rispose.
«È in prigione, vero Bruce?» domandò Victoria.
«Non più» precisò Banner.
Victoria sbiancò. Tre anni prima Loki l’aveva usata facendola diventare una marionetta controllata dal Tesseract, l’aveva costretta a combattere contro Tony e nell’occasione lei gli aveva rotto due costole.
«Se è uno scherzo, non è per nulla divertente, Bruce» commentò Tony, alzandosi dalla sdraio e sedendo su quella di Victoria, dal lato di Bruce. Lanciò un’occhiata ai bambini che giocavano nell’acqua – ma Zoey, la tata di Lizzy, era lì e non li perdeva di vista un secondo – e accarezzò la gamba della moglie.
«Non potrei essere più serio di così» disse Bruce, togliendosi la giacca e slacciando l’ultimo bottone della camicia. «Dopo che gli Elfi Oscuri hanno attaccato Asgard, Odino ha sancito la chiusura del Bifröst. Ma l’Aether rischiava di uccidere Jane e Loki era l’unico in grado di uscire da Asgard senza l’ausilio del Ponte». Bruce fece una pausa, come se avesse paura di rivelare il resto. «Così Thor l’ha liberato, facendolo uscire dalle segrete in cui era prigioniero».
In seguito, Malekith era riuscito a sottrarre l’Aether dal corpo di Jane, racchiudendolo nel proprio e scegliendo la Terra come punto di partenza per la riconquista del buio.
«Lo ucciderò!» esclamò Tony. «Semidio o no, lo ucciderò».
«Ha dovuto farlo, non aveva scelta» lo difese Bruce. «Tu non lo avresti fatto per Victoria?» chiese. «Io non l’avrei fatto per Violet?»
Tony non rispose: sapevano tutti che non c’era nulla che non avrebbero fatto per proteggere le proprie donne.
«Dov’è Loki adesso?» chiese Victoria.
«Loki è morto nello scontro con Malekith nel Mondo Oscuro» rispose Bruce.
«Mi spiace per Thor, che ha sempre creduto che Loki potesse redimersi, ma qui non verseremo lacrime per quel maledetto asgardiano».
Fu Tony ad esprimere quel concetto, ma Victoria era pienamente d’accordo. Tuttavia, c’era qualcosa che non tornava: se davvero Loki era morto, perché Bruce aveva una faccia che diceva qualcosa tipo “i guai sono appena iniziati”?
Tony arrivò alla stessa conclusione nel medesimo momento.
«Tu però hai ancora la faccia da funerale, il che significa che la brutta notizia non è certo la morte di Loki».
Bruce scosse la testa: si tese in avanti, appoggiando le braccia sulle cosce e giocherellando con gli occhiali da vista.
«Il corpo è scomparso» disse poi. «E, meno di cinque ore fa, lo S.H.I.E.L.D. ha registrato un intenso picco di energia simile a quella emessa dal Tesseract».
Victoria si sollevò di scatto: «Lui è qui?» domandò con angoscia.
«Non lo sappiamo, purtroppo. Il momento energetico è stato così breve che i miei strumenti non hanno rilevato la firma gamma in modo soddisfacente».
«Perché veniamo a saperlo solo ora?»
«Thor pensava che fosse morto».
La donna lanciò un’occhiata nervosa verso Elizabeth che, ignara di tutto, sguazzava allegramente in piscina.
«Se lui è qui, siamo in pericolo. Loki non è uno che perdona, né dimentica». Victoria si mise a sedere a gambe incrociate. «Tony, noi gli abbiamo messo i bastoni fra le ruote e questo fa di noi dei bersagli. Di certo siamo nella sua lista delle vendette».
Tony l’avvicinò e le accarezzò le braccia. «Vicky, devi stare tranquilla. Non gli permetterò di avvicinarsi a te. Non una seconda volta».
«Non è per me che sono preoccupata» disse la donna, accennando con il capo verso la piscina.
«Elizabeth è al sicuro e continuerà ad esserlo» replicò Tony, ma lei scosse la testa.
«Il potere di Loki è troppo forte, Tony. Ne abbiamo già avuto un assaggio. Se dovesse arrivare a lei…» disse, ma Tony non la lasciò proseguire.
«Ehi, tesoro» esclamò prendendole delicatamente il viso tra le mani. «Ora calmati, ok? La cosa importante ora è fare in modo che Elizabeth non si accorga della nostra preoccupazione. Affronteremo la cosa insieme e vedrai che andrà tutto a posto».
Victoria non ne era convinta. Se davvero Loki era tornato sulla Terra, significava che aveva trovato nuovi alleati potenti e la donna sapeva che era capace di tutto. Lo aveva visto all’opera, aveva visto il suo potere, aveva sperimentato sulla propria pelle la sua forza.
Ma voleva disperatamente aggrapparsi alle parole di Tony, credere che tutto sarebbe andato per il meglio e che le difficoltà non li avrebbero inseguiti di nuovo. D’altro canto, Tony era sempre così deciso, così determinato, da dare sempre l’impressione di essere invincibile. Fatto prigioniero in Afghanistan, contro ogni previsione era riuscito a salvarsi e a fuggire. Aveva sconfitto la pazzia di Stane. L’aveva salvata dalla follia di Christopher Roberts. Aveva giocato una partita a dadi con sorella Morte riuscendo, con un piccolo aiuto dall’aldilà di suo padre, ad uscirne vincitore. Aveva salvato New York due volte, la prima da un attentato dinamitardo e la seconda da un’ondata di orribili alieni richiamati dall’adorabile Loki.
Era un sopravvissuto e lo sarebbe sempre stato. E finché Victoria ed Elizabeth fossero state al suo fianco, sarebbe sceso fino all’inferno per proteggerle. Anche se Victoria sospettava che il demonio in persona avrebbe avuto un po’ di timore ad accogliere un farabutto come Tony.
«Nessuno di noi permetterà che vi succeda qualcosa» aggiunse Bruce. «Loki non toccherà né te, né la piccola».
«Ciò non toglie però che dobbiamo scoprire se Loki è tornato e cos’ha in mente» osservò Tony e Bruce annuì.
«Sì, per questo sono qui. Fury ci vuole al più presto sull’Helicarrier».
«Quanto presto?» chiese Tony e, considerata per un momento l’espressione dell’amico e il suo silenzio, si rispose da solo: «Ho capito, vado a prepararmi».
Bruce sbirciò l’orologio. «Puoi fare con calma: hai circa un’ora e mezza prima che il trasporto dello S.H.I.E.L.D. venga a prenderci. Ho detto che possono atterrare sulla piattaforma dell’eliporto. Ho fatto bene?» gli gridò dietro, mentre Tony si era già avviato per andare in casa.
«Certo! Ormai quella piattaforma lì la usa praticamente solo Fury. Dovrò mettergli in conto il noleggio!»
Elizabeth lasciò i suoi amici e la raggiunse.
«Che succede, mamma?» chiese con tono grave.
Non era possibile tenerle nascosto qualcosa. Era sveglia e aveva intuito che qualcosa non andava.
«Niente, tesoro». Victoria si costrinse a stamparsi il suo sorriso migliore sul volto. «È solo che papà è stato convocato dallo S.H.I.E.L.D. e dovrà andare».
La bambina si voltò verso Bruce. «Per questo sei qui, zio?»
«Sì, piccola» replicò. «Mi dispiace».
Quando il futuristico velivolo con i contrassegni dello S.H.I.E.L.D. arrivò da sud-ovest, la masnada di ragazzini che stava facendo merenda in riva alla piscina abbandonò qualsiasi interesse per i giochi e per il cibo e rimase con il naso per aria ad osservare il mezzo che sorvolava la tenuta e si posava con delicatezza sulla piattaforma.
La rampa posteriore si aprì. Bruce salutò Victoria ed Elizabeth e salì sul mezzo, sedendosi su un sedile e allacciandosi la cintura di sicurezza.
Tony si fermò in prossimità della piattaforma. Teneva in braccio Elizabeth e il Mark 56 camminava al suo fianco. Tony ordinò alla propria armatura di salire sul velivolo e quella eseguì, bloccandosi in piedi in un angolo.
«Torni presto, vero papà?» chiese Elizabeth, accarezzandogli il viso.
«Prima che posso, piccola. Promesso».
L’abbracciò e la bambina gli strinse le braccia al collo, schiacciando la guancia contro la sua.
«Ora va’, torna dai tuoi amichetti» disse Tony, mettendola a terra. Elizabeth esitò un secondo e lui vide i suoi occhioni verdi farsi umidi e lucidi: pensò che se si fosse messa a piangere in quel momento, avrebbe mandato tutto all’aria e avrebbe detto a Bruce di andare da solo. Ma Elizabeth era una bambina straordinaria e ricacciò coraggiosamente indietro le lacrime. Sorrise, soffiò un bacetto nella sua direzione e corse via.
Tony si girò verso Victoria. «Vieni qui» disse, aprendo le braccia. Victoria si lasciò abbracciare, modellandosi sul suo corpo.
«Sta attento, ok?»
«Anche tu» replicò lui. «Qui sei al sicuro, Jarvis sa come gestire la casa in mia assenza e ho già avvisato Happy di potenziare la sicurezza. Però dovrai annullare tutti gli impegni pubblici».
Lei annuì: «Non ne ho molti in questo periodo, ma li annullerò».
«Non credo che starò via molto: se davvero Loki è tornato, ho l’impressione che abbia fatto di tutto per restare nell’anonimato, quindi non è pronto o non vuole colpire ancora. Vorrei portarvi con me, ma Lizzy è già abbastanza scombussolata dal continuo vedermi partire e non credo che sarebbe una buona idea».
«Tranquillo, staremo benissimo» affermò Victoria, ostentando una sicurezza che non provava.
«Sì, capito: tornerò presto» replicò lui, sorridendo.
Posò dolcemente le mani ai lati del suo viso e l’attirò verso di sé. Appoggiò le labbra sulle sue, mentre lei gli faceva scivolare le mani sui fianchi e gli circondava la schiena. Era un bacio di quelli che inebriano, di quelli in cui la passione rimane sotto la superficie e c’è solo voglia di essere amati. Di quelli che ti lasciano stordito come dopo una sbronza.
Quando si staccarono, Tony ansimava leggermente. «Tornerò prima di presto!» esclamò, strappandole un sorriso.
«Ti chiamo appena posso» disse, baciandole castamente le labbra e salendo sull’aeromobile. Rimase a guardarla mentre la rampa si richiudeva, poi prese posto accanto a Bruce. Allacciò la cintura e appoggiò la testa alla paratia.
«Non è facile, vero?» disse Bruce senza guardarlo, mentre il velivolo prendeva lentamente quota, decollando in verticale.
«Ogni volta faccio più fatica a lasciarle» rispose Tony, chiudendo gli occhi.

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Capitolo 7
*** Loki… è stato qui ***


Se ancora c'è un dubbio su chi possa essere
il misterioso nuovo nemico degli Avengers,
sarà svelato in questo capitolo.
Ma che cosa ha in mente il pazzo semidio di Asgard?
Buona lettura!

 


A bordo dell’Helicarrier dello S.H.I.E.L.D. la tensione si tagliava con il coltello.
Erano rinchiusi in quell’immensa nave volante di acciaio da due giorni e Tony aveva l’impressione che non avessero fatto alcun passo avanti. Gli strumenti di Bruce avevano rilevato altre sette flebili scie, inconsistenti emissioni di energia dal Tesseract, ma erano state talmente evanescenti da essere impossibili da tracciare.
Tre ore prima c’era stata un’ottava emanazione. Era durata qualche millesimo di secondo in più e Bruce aveva rilevato che proveniva dall’Iowa. L’agente Romanoff era partita immediatamente con altri tre agenti, ma da un’ora e mezza avevano perso ogni contatto con la squadra.
Mezz’ora prima, Clint aveva chiesto di essere mandato in soccorso dei colleghi. Fury aveva acconsentito: Natasha era l’agente migliore che avessero e l’assoluto silenzio radio e il fatto che fossero spariti dai radar dello S.H.I.E.L.D. era abbastanza inquietante.
«Nick, dobbiamo fare qualcosa». Fu Steve a parlare. «Sembra quasi che Loki stia giocando a nascondino e la faccenda non è per nulla positiva».
Erano tutti seduti attorno al tavolo sul ponte di comando della nave. All’appello rispetto alle solite riunioni mancavano soltanto Nat e Clint.
«Non sappiamo neanche se è davvero Loki» commentò Fury, l’unico in piedi. «Speravo che Natasha potesse portarci qualche informazione in più». Si girò verso Thor. «Tu che ne pensi?»
Thor si stropicciò gli occhi con le dita. «Ho visto mio fratello morire, ho stretto tra le braccia il suo cadavere. Pensavo che questo fosse sufficiente per escluderlo dai giochi. Ma con Loki non si può mai sapere. Potrebbe essere stato un trucco».
«Se il Tesseract è su Asgard, può essere solo lo scettro di Loki ad emettere quei picchi di energia» affermò Bruce. «La firma gamma è troppo particolare, troppo specifica».
«Ci sono altre reliquie che hanno lo stesso potere?» chiese Tony.
Thor scosse la testa. «Se ci sono, non sono su Asgard, né sono registrate nella nostra storia».
«Quindi dobbiamo partire dal presupposto che Loki sia tornato sulla Terra o che qualcuno stia pasticciando con il suo scettro. Scettro che, se non sbaglio, sarebbe dovuto restare in mano allo S.H.I.E.L.D.» considerò Stark.
Nick strinse i denti: non gli piaceva dover ammettere i propri fallimenti. «Abbiamo trovato e neutralizzato la falla nella sicurezza, ma purtroppo lo scettro era già andato».
«Ormai non serve a nulla rivangare ciò che è successo, Tony» cercò di mediare Steve e Tony si appoggiò allo schienale.
«Sì, avete ragione. Scusatemi. È che avere quel bastardo – senza offesa, Thor» aggiunse precipitosamente «in giro per il mio pianeta mi dà enormemente fastidio».
Un insistente trillo si diffuse sul ponte. L’agente Maria Hill si chinò su una consolle.
«È Occhio di Falco» disse, digitando alcuni comandi. «Clint, sei in linea. Parla pure».
«Abbiamo trovato il velivolo utilizzato dai nostri. È precipitato».
La voce di Clint era terribile.
«Sopravvissuti?» chiese Nick con voce tombale.
«Negativo» rispose Clint. «I corpi dei nostri tre agenti sono qui. Di sicuro hanno tentato di difendersi, ma sono stati sopraffatti e massacrati. Non c’è traccia di Nat».
All’udire il tono di voce di Barton, nessuno degli Avengers dubitò per un solo istante che provasse qualcosa per l’agente Romanoff.
«Stiamo provando a ricostruire l’accaduto. I miei stanno cercando di verificare se tutto questo sangue appartiene anche a Nat. Resta in linea».
La comunicazione venne messa in standby.
«Nick, qui la cosa si fa sempre più ingarbugliata. Non riesco a pensare a nessuno talmente tosto da prendere di sorpresa Natasha» asserì Tony. «Neanche Loki!»
Prima che Nick potesse rispondere, Barton chiese di nuovo la linea.
«C’è una minima traccia di sangue appartenente a Nat. È sulla paratia vicino alla rampa posteriore, come se le avessero sbattuto la testa contro il bordo per tramortirla».
«Ok, Barton. Recuperate i corpi, la scatola nera e tutto ciò che può essere utile. Se il velivolo non è più utilizzabile, distruggetelo. Poi tornate immediatamente qui, dobbiamo cercare di capire cos’è successo e se c’è una possibilità di ritrovare Natasha viva».
«Ricevuto» confermò laconicamente Barton e chiuse.
Un silenzio teso si diffuse in plancia. Chiunque avesse assaltato l’aeromobile dello S.H.I.E.L.D. sapeva esattamente come colpire. Tony trovava strano che Natasha si fosse fatta prendere alla sprovvista: lui l’aveva vista in azione e sapeva che era letale.
«Signore?»
La voce di Jarvis gli risuonò nell’orecchio attraverso l’auricolare.
«Dimmi, Jarvis».
«Ho perso il contatto con la villa».
«Che significa, Jay?» domandò.
«Non riesco né a vedere né a sentire nulla, signore».
Non era ancora veramente preoccupato ma Tony alzò il capo e fissò Nick.
«Ho bisogno delle immagini satellitari di casa mia» disse e Nick si girò verso Maria, annuendo.
La donna digitò alcuni comandi e sul piano della scrivania davanti a Tony vennero proiettate le immagini. Un violento temporale infuriava su Malibu, coprendo la vista della casa con una impenetrabile coltre di nubi.
«Thor?» disse semplicemente Tony, ma l’altro scosse la testa.
«Non sono sempre io la causa di tuoni e fulmini, fratello».
«Ho bisogno di sapere cosa sta succedendo» disse, facendo cenno a Maria di alzarsi. Sedette alla console e iniziò a digitare velocemente sulla tastiera.
«Non capisco» disse ad un certo punto.
«Che succede, Tony?» chiese Fury, ma Stark non rispose, continuando a digitare. Non riuscì ad accedere al sistema di telecamere a circuito chiuso della casa, ma solo a quelle esterne.
«È come se fosse saltata la corrente elettrica, ma è impossibile. Abbiamo due generatori di emergenza capaci di tenere accese le luci di tutta Malibu per almeno dodici ore».
Le immagini mostravano la casa completamente buia. I lampioncini che circondavano la dimora erano spenti e non si vedeva nemmeno una lucina brillare in casa. La pioggia batteva con violenza sui vetri. Tony provò a zumare con la telecamera ma la quantità d’acqua che cadeva dal cielo non gli permetteva di avere una visione chiara.
Solo Jarvis era ancora online perché ad alimentare il suo nucleo era un reattore Arc posizionato sotto la villa.
«È assurdo» mormorò, e fece per prendere il cellulare nella tasca per chiamare Victoria. Proprio in quel momento il cellulare squillò. Il volto sorridente e bellissimo di sua moglie apparve sul display.
«Vicky, che sta succedendo?» domandò, ma la linea era molto disturbata e non riuscì a capire se lei gli avesse risposto.
«Vicky, mi senti? Come mai non sono entrati in funzione i generatori?»
Poi la sentì e il cuore perse un battito. Tony aveva ormai visto parecchia gente morire e non avrebbe mai dimenticato quegli ultimi respiri affannati prima dell’inevitabile fine, quei rantoli soffocati di chi sta cercando di dire qualcosa, un’ultima parola.
Si alzò in piedi di scatto: la sedia dietro di lui non si rovesciò soltanto perché era imbullonata al pavimento.
«Victoria!» gridò.
«Loki… è stato qui». La voce della donna era talmente flebile che quasi si perse le sue parole. Ma poi arrivarono a segno, una per una. Loki era di nuovo sulla Terra, in cerca di vendetta, e aveva scelto la più facile, la più scontata.
Gli passarono per la testa mille pensieri ma uno, terribile, sovrastava tutti gli altri: non avrei dovuto lasciarle. Si impose di stare calmo.
«Vicky, dov’è Loki?» domandò e la sentì ansimare nel microfono. Non avrebbe mai dimenticato quel suono, non avrebbe mai scordato quel sospiro esalato come se fosse l’ultimo.
«Ha preso… Elizabeth».
La linea cadde improvvisamente e Tony rimase immobile, annientato da quella rivelazione. Loki di Asgard, il suo nemico era stato a casa sua. Aveva preso sua figlia e aveva fatto chissà cosa a sua moglie. Ebbe un violento capogiro e sarebbe caduto se Nick non lo avesse sorretto.
«Tony! Ehi, che sta succedendo?»
Scosse la testa come per schiarirsi le idee ma non riusciva a togliersi dalla mente due paia di occhi verdissimi e due cascate di riccioli ramati. Nick lo scosse.
«Tony!» disse di nuovo e stavolta l’uomo si riscosse.
«Loki è stato a casa mia. Ha preso mia figlia e… Victoria…» non riusciva a dirlo, non voleva nemmeno pensarci.
Con mano tremante compose di nuovo il numero di Victoria ma non riuscì a prendere la linea. Nel frattempo, Nick diede ordine di invertire la rotta dell’Helicarrier e di dirigere verso Malibu.
Cadde la linea ma lui provò di nuovo. Stavolta il telefono squillò, ma nessuno rispose.
«Tony, che è successo a Victoria?» chiese Bruce, avvicinandosi all’amico.
Tony scagliò il cellulare sul pavimento, mandandolo in pezzi.
«Non lo so. È ferita, sicuramente. Non ha detto molto, ma era sofferente e…»
E a quest’ora potrebbe essere già morta, suggerì la sua mente e lui sussultò come se l’avessero fisicamente colpito.
«Devo fare qualcosa». Tony aveva l’impressione che una parte del suo cervello si fosse spenta e non funzionasse. Pensare gli risultava difficile, come un computer che non avesse RAM a sufficienza per affrontare l’esecuzione di un programma.
«Non può essere» esclamò Thor. «Mi ha mentito di nuovo, si è preso gioco di me per l’ennesima volta. Temo che stavolta sia sceso sulla Terra per mera vendetta. Gli abbiamo rovinato i piani a New York e ora vuole vendicarsi».
Lei non è morta, lei non è morta. Continuava a ripeterselo, come se quello bastasse per farlo avverare. Ma anche nella disperazione di quel momento, le parole di Thor gli penetrarono dentro.
 Gli abbiamo rovinato i piani e ora vuole vendicarsi. Improvvisamente il piano di Loki gli fu chiaro.
«Le colpirà tutte» mormorò e tutti si girarono verso di lui.
«Che intendi, Tony?» chiese Steve.
«Jay, prepara l’armatura» ordinò. La parola perdente non era nel vocabolario di Tony. Non avrebbe permesso a Loki di vincere, avrebbe lottato fino alla fine e oltre, se possibile. Poi si voltò verso i suoi compagni. «Loki agogna vendetta e sa che nonostante i nostri superpoteri, siamo tutti umani. Ci colpirà dove fa più male, nei nostri affetti. Ha preso Nat per colpire Barton e ha attaccato le mie donne per ferire me. Violet, Jane e Beth sono in pericolo».
Il Mark 56 entrò in plancia guidato da Jarvis e si fermò accanto a Tony. L’armatura si aprì e Tony si posizionò in modo che gli si potesse chiudere intorno. Appena fu pronto, sollevò il visore.
«Io devo andare, Nick. Ho già perso troppo tempo» disse. «Le ragazze devono essere messe al sicuro, sempre che non sia troppo tardi».
Calò il visore davanti agli occhi e fece per uscire.
«Vengo con te», disse Thor.
Tese la mano e Mjolnir, che era appoggiato sul tavolo, volò verso di lui.
«Non sei obbligato. Assicurati piuttosto che Jane…» cominciò Tony, ma Thor non lo lasciò proseguire e gli posò una mano sulla spalla.
«Di Jane si occuperà lo S.H.I.E.L.D. e poi tu non puoi andare da solo, anche se non credo che Loki sarà tanto stupido da restare lì ad attenderci. Io sono l’unico che può seguirti in volo. Andiamo!»
S’involarono fianco a fianco, ad una velocità che li rendeva due meteore. Mentre erano in volo verso Malibu, i sospetti di Tony trovarono conferma. Violet non rispose alle chiamate di Bruce e quando chiamò la sua coinquilina si sentì dire che Violet non era rientrata quella sera dopo il lavoro. La ragazza era preoccupata ma Bruce le disse di stare tranquilla e riattaccò. Dentro di sé però ribolliva di rabbia.
«Stai bene, Bruce?» disse Fury, che lo stava tenendo d’occhio.
«Sì, sto bene. Non perderò il controllo. Non ora» disse con aria truce.
Anche Steve provò a chiamare Beth. Il cellulare risultava staccato. Chiamò il bar in cui la ragazza lavorava e gli dissero che aveva ricevuto una chiamata urgente e se n’era andata precipitosamente. Non aveva detto a nessuno di cosa si trattava ma era parsa piuttosto agitata. L’uomo ringraziò e chiuse la comunicazione. Il cellulare chiuso nel suo pugno scricchiolò e s’incrinò mentre lo stringeva con forza.
«Metto l’uniforme» disse solamente e si allontanò.
Maria tentò di contattare Jane, ma l’esito fu lo stesso. Scoprì che l’auto di Jane era stata coinvolta in un incidente ed era finita in un basso canyon. L’auto era stata recuperata, ma non il corpo. Chiamò Thor e gli comunicò la cosa. Il semidio non rispose talmente a lungo che la Hill chiese se doveva ripetere la comunicazione.
«No, ho capito. Siamo sulla villa» replicò.
Thor usò i propri poteri per calmare la tempesta che scemò improvvisamente. Il silenzio che seguì il frastuono del temporale fu assordante. Atterrarono sul prato e Tony vide subito i corpi di due dei suoi uomini riversi sull’erba fradicia.
Non avrebbe voluto entrare in quella casa: dentro di sé sapeva cosa avrebbe trovato e non voleva dover scendere a patti con quella verità. Eppure, non appena atterrarono, si fiondò all’interno.
La villa era perfettamente in ordine, anche se buia. Alla luce del reattore che gli brillava sul petto, Tony vide Happy riverso a terra, contro il muro. Entrambi corsero da lui e Thor gli sentì il polso.
«Respira ancora» disse.
«Jay, chiama un’ambulanza» ordinò.
«Subito, signore».
Doveva avere una gamba ed entrambe le braccia fratturate, ma era vivo e respirava. Tony si alzò in piedi.
«Vicky! Dove sei?» gridò ma non ricevette risposta. Girò lo sguardo per la stanza e vide il ritmico lampeggio del cellulare di sua moglie che segnalava la chiamata persa. Era a terra, accanto al divano. E da dietro il tavolino posizionato vicino al divano spuntava un braccio, sottile e affusolato, con una mano dalle unghie curate e regolari.
«Victoria!» gridò e corse da lei.
Le nuvole si erano diradate e la luce della luna entrava dalle vetrate, rischiarando la scena. Giaceva sul pavimento, supina. Il viso bellissimo era sereno e disteso come quello di certe Madonne dipinte dai grandi pittori dei secoli passati. Era pallida, ma Tony lo attribuì all’argentea luminosità della luna. C’era una macchia scura sul pavimento: sapeva di cosa si trattava, ma il cervello non riusciva ad elaborare il concetto.
Improvvisamente la corrente ritornò e le luci sfolgorarono in tutta la casa, illuminando anche Victoria, come se fosse su quel palcoscenico che aveva calcato da attrice quale era stata. Tony aprì l’armatura e ne uscì, ma non si mosse.
Sotto quella luce così accecante dopo il buio, era impossibile non capire. Ciò che il buio aveva celato, era diventato chiarissimo. Quella grande pozza scura era sangue, il suo sangue. Aveva formato una macchia sotto il suo corpo, rapprendendosi sotto di lei come scura melassa, imbevendo il tappeto bianco. Non poteva essere che un corpo umano ne contenesse tanto, considerò Tony.
Aveva uno squarcio scuro sulla spalla sinistra, appena sotto la clavicola, un’orrida ferita con i bordi anneriti e bruciacchiati.
Era arrivato troppo tardi e ora era un uomo distrutto. L’aveva lasciata sola e avrebbe pagato quella decisione per tutta la vita.
Cadde in ginocchio, ma non aveva il coraggio di toccarla. Voleva continuare a ricordare la calda setosità della sua pelle, non voleva sentire sotto le dita la gelida immobilità della morte.
Thor fu al suo fianco e si chinò su di lei. Prima che riuscisse a impedirglielo – non voleva sentir pronunciare quelle terribili parole che l’avrebbero costretto ad accettare l’inevitabile – Thor le provò il polso.
«È…»

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Capitolo 8
*** Non doveva andare così, ma l'hai voluto tu ***


Cos'è successo a casa Stark?
Come ha fatto Loki a superare
le misure di sicurezza atte a proteggere
Victoria ed Elizabeth?
E quale sarà la sorte di entrambe?


Victoria sedeva alla sua scrivania, cercando di tradurre in lunghe serie di caratteri ciò che la sua fantasia le suggeriva. Le parole si susseguivano come colonne di nere formiche sulla pagina virtuale del programma.
La finestra era aperta per lasciar passare la fragrante aria estiva, carica di profumi di fiori e frutti, che portava con sé il sentore di sale dell’oceano, e Elizabeth giocava con le Barbie sul tappeto.
La donna strinse gli occhi a fessura e alzò il capo: cercava nella mente una parola che sembrava volerle sfuggire. Gettò lo sguardo fuori dalla finestra, come a voler cercare in cielo la risposta, e lo vide arrivare.
Il temporale si presentava come un fronte compatto di nuvole scure e avanzava velocemente. La villa sulla scogliera non era nuova a quegli assalti, capricci dell’Oceano Pacifico che pacifico in realtà non era mai stato. Le nubi cumuliformi avanzarono, nascondendo il sole, accelerando repentinamente la venuta della sera.
«Jarvis, cosa dicevano le previsioni per oggi?» domandò la donna ed Elizabeth distolse l’attenzione dai suoi giochi.
«Alta pressione su tutta la zona, signora».
«Beh, direi che quella cosa è tutto fuorché alta pressione» commentò lei, indicando il pauroso temporale in arrivo. Si vedevano le saette lampeggiare dentro quella massa ribollente ed Elizabeth si avvicinò alla madre.
«Ho paura» disse con voce tremante.
«Non c’è nulla di cui preoccuparsi, siamo perfettamente al sicuro qui» rispose Victoria. Spense il computer e si alzò. Prese in braccio la bambina, posandola sul fianco e stringendola con il braccio attorno alla vita. Elizabeth si aggrappò a lei come una scimmietta.
«Su, su. Che direbbe il tuo papà se ti vedesse così impaurita da un semplice temporale?» la rimproverò bonariamente Victoria, gettando un’altra occhiata fuori dalla finestra.
La velocità con cui quella perturbazione si stava avvicinando era impressionante, aveva un che di innaturale. Il vento cominciò a ululare intorno alla villa, e Victoria si affrettò a chiudere la finestra. Il fronte temporalesco era quasi sopra di loro e l’oceano rumoreggiava e spumeggiava, infrangendosi violentemente contro gli scogli.
«Ti va un gelato, piccola?»
Doveva tentare di distrarla perché sentiva la tensione di quel piccolo corpo contro il suo e non voleva che sua figlia crescesse con qualche paura. Era la figlia di Tony Stark e negli anni a venire ne avrebbe viste parecchie di cose strane. Un temporale non doveva diventare un ostacolo.
La bambina annuì, stringendosi ancor di più a sua madre quando il tuono brontolò irato fuori dalle finestre. Victoria scese le scale e decise che avrebbero mangiato il gelato direttamente in cucina che era posizionata dall’altro lato rispetto all’oceano: la massa della villa avrebbe nascosto il grosso del temporale.
Il tuono squassò di nuovo la casa ed Elizabeth strinse ancor più la presa intorno al collo della madre.
«Che gusto, Lizzy? Fragola e limone o panna e cioccolato?» chiese la donna.
«Panna e cioccolato» mugugnò la bambina contro il suo collo.
«Ah, non sento se parli così appiccicata a me. Su la testa e dimmi bene cosa vuoi».
Elizabeth sollevò il capo e ripeté la sua scelta.
«Approvo senz’altro! Panna e cioccolato è proprio quello che ci vuole in caso di temporale» commentò allegramente Victoria, tentando si alleggerire l’atmosfera.
La voce di Jarvis fu quasi coperta dal fragore dell’ennesimo tuono. «Signora, rilevo…» iniziò, ma non riuscì a continuare.
Le luci si spensero improvvisamente, facendo piombare la casa nella più completa oscurità. Elizabeth si strinse di nuovo a Victoria che tentò di tranquillizzarla.
«Tranquilla, tesoro. Vedrai che ora partiranno i generatori di emergenza».
Da quando si era trasferita a Villa Stark, Victoria non aveva mai visto saltare la corrente. Non aveva idea di cosa ci fosse di preciso sotto la casa (per quel che ne sapeva lei poteva esserci anche una centrale nucleare) ma quando tutta Malibu era al buio, casa loro sfolgorava sempre di luci.
Eppure quella volta la corrente non tornò.
«Perché la luce non torna, mamma?» piagnucolò Elizabeth.
«Non lo so, piccola. Forse il guasto è più grave del previsto».
Happy entrò precipitosamente in casa. Era bagnato fradicio, i capelli incollati al cranio.
«Qualcosa non va. Sono saltati tutti i sistemi e Jarvis è offline. Non riesco a contattare né Brian né nessuno degli altri». Happy si passò una mano sul volto, liberandolo dalle gocce di pioggia. «Non so cosa stia succedendo, ma non voglio correre rischi. Scendiamo nel rifugio».
Sotto la villa Tony aveva fatto costruire una sorta di rifugio antiatomico. Le pareti erano di cemento armato, spesse un metro e mezzo. La porta era una lastra di solido acciaio spessa almeno cinquanta centimetri e il bunker era attrezzato per assicurare la sopravvivenza di una decina di persone per almeno un anno.
Victoria ne aveva vissute troppe per mettersi a questionare e fece per seguire Happy. L’ennesimo lampo illuminò la notte e lei vide diverse sagome muoversi furtivamente nel buio fuori dalla casa. Ma non fu quello a spaventarla a morte e a immobilizzarla.
Happy fu sollevato da terra. Si teneva il collo come se una mano invisibile lo stesse strangolando e Victoria si accorse che quella mano non era invisibile, ma perfettamente reale. Happy sembrava impotente di fronte a quella forza e fu scagliato lontano, con la stessa facilità con cui Elizabeth avrebbe gettato via un giocattolo rotto.
Colpì il muro dall’altro lato dell’immenso salotto e rimase a terra, immobile.
Victoria spinse la testa di Elizabeth contro il proprio collo, in modo da impedirle di vedere ciò che stava succedendo, stringendola al petto. Ma non era quello l’orrendo spettacolo che non voleva farle vedere. Ciò che la terrorizzava prese forma nel buio davanti ai suoi occhi.
Era l’incubo che l’aveva tenuta sveglia per diverse notti dopo New York.
Era l’immoralità personificata.
Era Loki.
Non poteva scorgerne i tratti, ma ne conosceva le movenze e, semmai ci fosse stato un dubbio, la luminescenza azzurrina del suo scettro era sufficiente a fugarlo.
«Bentrovata, Victoria».
La sua voce risvegliò in lei un terrore cupo, una paura che le avrebbe ridotto le gambe in gelatina. L’unica cosa che non le permise di piombare a terra fu il corpo tremante di Elizabeth che stringeva fra le braccia. Non aveva idea di come – senza Tony, senza Happy e senza Jarvis era completamente indifesa – ma avrebbe lottato per salvarla, anche se fosse stato il suo ultimo atto in questa vita.
Loki batté lo scettro sul pavimento e le lampade della casa presero a brillare di un’ultraterrena luce blu.
«Ti sono mancato?» chiese, allargando le braccia.
«Non ho pianto quando te ne sei andato. Né quando ho saputo che eri morto» disse lei, cercando di caricare la voce di autorità, anche se le sembrava che fosse stridula e penosa. «Per quanto la notizia mi sembri ormai prematura e priva di fondamento».
Loki sorrise, socchiudendo gli occhi e assumendo un’aria da rettile. «Mio fratello e tutti voi avete cantato vittoria troppo presto, mia cara».
«A quanto pare» prese atto la donna. «Che cosa ci fai in casa mia? Cosa vuoi?» sbottò poi.
«Non è evidente ciò che sto cercando?» disse Loki con quella odiosa voce melliflua. «Il tuo prezioso Tony e quel patetico manipolo di disperati radunati da Fury mi ha messo i bastoni fra le ruote. E contro ogni mia previsione sono riusciti a distruggere le idee che avevo per il vostro insulto pianeta. Ora io cerco una cosa che, come si dice qui da voi, va gustata fredda per poterla apprezzare». Fece un passo verso di lei e Victoria indietreggiò.
Il sorriso gli incurvò di nuovo le labbra. «Lo sai che non puoi fuggire, vero?»
Victoria indietreggiò ancora. Il suo cervello stava freneticamente cercando una soluzione, ma sapeva bene che non ce n’erano. Era intrappolata in casa propria, sola, senza possibilità di difendersi con una bambina di sei anni stretta al petto. Fissò il suo nemico negli occhi e tentò un’altra tattica.
«Ti prego, Loki: lascia andare Elizabeth. Prendi me, ma lascia stare lei».
Elizabeth la strinse freneticamente: dubitava che sarebbe riuscita a staccarla da sé.
Loki strinse le labbra che formarono una linea sottile e dura e scosse la testa: «Non è un’opzione da considerare. Vi voglio entrambe e vi avrò entrambe». Poi si chinò verso di lei e abbassò la voce, conferendole un tono suadente e affascinante che tanto stridette con le parole che seguirono: «Voglio guardare Tony negli occhi e vedere la disperazione farsi strada dentro di lui quando capirà che vi avrà perse entrambe».
Non c’era possibilità di sfuggirgli. Loki era pazzo, ma soprattutto era malvagio e assetato di vendetta: non avrebbe ceduto.
«In ginocchio!» esclamò, raddrizzandosi in tutta la sua statura.
Victoria non si mosse. Non sapeva se sfidarlo fosse una buona idea, ma qualsiasi cosa avesse fatto, l’esito di quello scontro era già scritto.
«Mi inginocchio solo di fronte al mio Dio. E non sei tu» rispose.
«IN GINOCCHIO!» gridò lui, talmente forte che la sua voce parve una cannonata. Batté con forza lo scettro sul pavimento e Victoria si sentì trascinare verso il basso da una forza sovrumana. Si ritrovò inginocchiata a terra, ad un paio di metri da Loki, immobilizzata dalla sua magia. Elizabeth cominciò a piangere.
«Shh, tesoro» sussurrò, cercando di calmare i singhiozzi della bambina. «Tranquilla. Mamma è qui. Andrà tutto bene».
Si rendeva conto che erano bugie, ma le avrebbe sostenute fino alla fine. Se la morte fosse arrivata, Elizabeth non l’avrebbe vista. Poi tornò a guardare Loki.
«Non puoi pensare di sfiorarla anche solo con un dito e sperare che lui non ti troverà» disse. «Non sai niente di lui, non sai cosa può diventare se vede minacciato il suo mondo. Ed Elizabeth è il suo mondo».
«Oh, ma io desidero ardentemente che lui mi trovi». Loki si avvicinò. Lei non poteva sfuggirgli, bloccata dalla sua magia. Protese lo scettro e con il manico le sollevò la testa, per guardarla negli occhi. Sorrise si nuovo. «Sono ancora convinto che tu sia fatta per regnare, mia cara».
Lei non replicò, limitandosi a fissarlo negli occhi, e la sicurezza di Loki sembrò vacillare. D’improvviso diventò serio e fece un cenno con il capo a qualcuno celato nell’oscurità dietro di lei.
Victoria si sentì afferrare per le braccia. Elizabeth le fu strappata via e iniziò a gridare, divincolandosi fra le braccia di una figura scura.
«Loki, no! Ti prego!» implorò la donna, cercando di liberarsi dalla ferrea presa che si era serrata attorno alle sue braccia. Ma aveva già fatto i conti con quella forza sovrumana – lei stessa ne era stata investita, una volta – e sapeva che lottare non serviva a nulla.
«Loki, lascia andare Lizzy. Ti prego. Fa’ di me ciò che vuoi, ma non toccare mia figlia» supplicò di nuovo. Elizabeth continuava ad urlare e ad invocare sua madre e ognuna di quelle grida era un dardo infuocato che le trafiggeva il cuore.
«Falla stare zitta o la uccido qui, seduta stante». Parole terribili, pronunciate da Loki con calma, come a volerle imprimere a forza nella mente di Victoria.
«Lizzy, devi calmarti ora. Andrà bene. Papà ci troverà presto e ci porterà lontano da qui. Tra poco sarà tutto finito». Continuò a rabbonirla per un po’ e finalmente la bambina si calmò. Singhiozzava ancora ma non urlava più: si limitava a guardare sua madre con quei grandi occhi lacrimosi arrossati dal pianto. Non era mai stata più orgogliosa di lei.
«Portatele via» ordinò Loki e l’energumeno che la tratteneva la spinse verso l’uscita.
Victoria non poteva permettere che accadesse. Doveva darle una possibilità. Sapeva che Elizabeth era in grado sbloccare la porta del seminterrato anche in assenza di corrente e raggiungere il rifugio da sola. Tony l’aveva istruita per bene, quasi prevedesse qualcosa del genere.
Smise di dibattersi e scattò improvvisamente in avanti. Il suo aguzzino fu colto di sorpresa e perse la presa su un braccio. Victoria si girò fulminea, e scagliò il piede in avanti. Tony aveva fatto in modo che fosse addestrata a dovere per difendersi: caricò il colpo con tutta la forza sviluppata in palestra e lo abbatté contro il ginocchio dell’uomo, piegandoglielo all’indietro. Sentì la rotula uscire dalla sua sede e l’uomo cadde a terra.
Victoria non attese di vederlo stramazzare sul pavimento: si voltò e corse verso Elizabeth. Erano vicine alla scala che conduceva al seminterrato: se fosse riuscita a strapparla dalle mani dell’uomo che la teneva prigioniera avrebbe potuto gridarle di scendere e raggiungere il bunker. Lì forse sarebbe stata al sicuro anche da Loki.
Si sentiva una leonessa pronta a tutto per difendere il proprio cucciolo. Magari sarebbe morta nel tentativo ma avrebbe dato una possibilità ad Elizabeth.
Tese la mano, ma Loki comparve tra lei ed Elizabeth. Giocava sporco: aveva usato la magia per materializzarsi davanti a lei. Sollevò lo scettro e Victoria ne sentì la punta aguzza penetrare nella carne, sulla spalla. Lo slancio della sua disperata corsa la portò in avanti cosicché la punta si conficcò in profondità, uscendo sulla schiena, vicino alla scapola.
Elizabeth urlò di nuovo: nonostante la scarsa luce aveva visto ciò che era successo e sapeva anche lei cos’era quella macchia scura che si stava allargando sulla camicia di sua madre.
Victoria crollò in ginocchio, sempre con lo scettro di Loki piantato come un arpione nel corpo di un pesce. La sfera luminosa le sfiorò la pelle, ustionandole la carne. Il dolore era qualcosa di vivo che pulsava dentro di lei come un organismo dotato di vita propria.
Loki ritirò lo scettro e la donna scivolò a terra. Cercò di sollevarsi, ma il dolore la costrinse a bloccarsi. Ansimava, mentre sentiva il sangue colare dallo squarcio sulla spalla.
«Lasciala andare. Per favore, lascia andare Lizzy» scongiurò e Loki piegò un ginocchio, abbassandosi su di lei.
«Non doveva andare così, ma l’hai voluto tu. Ora non posso lasciare andare tua figlia: mi resta solo lei per la mia vendetta».
«Sei morto, Loki» sibilò lei.
«Anche tu» replicò, con un’inaspettata ombra di qualcosa – sembrava compassione, anche se Victoria sapeva che non poteva essere – negli occhi.
Si rialzò e fece un cenno all’uomo che teneva ancora saldamente bloccata Elizabeth che si avviò verso la porta. Victoria tentò di nuovo di alzarsi ma tutto il lato sinistro del suo corpo era come paralizzato, inutilizzabile.
«Mamma! Mamma!» seguitò a gridare la bambina, finché le sue grida si affievolirono man mano che si allontanavano. Le luci blu che Loki aveva fatto accendere si affievolirono e si spensero, facendola piombare nel buio. Tutta quella drammatica scena si era svolta in pochi istanti e Victoria era certa che Jarvis avesse già avvertito Tony che erano isolati.
Doveva chiamarlo e dirgli che Loki era davvero tornato e, soprattutto, che aveva preso Elizabeth. Sul divano c’era la sua borsa, in cui teneva il cellulare. Se fosse riuscita a raggiungerlo, avrebbe potuto chiamare Tony.
Lentamente si girò sulla pancia a prese a strisciare verso il divano. Il dolore arrivava a ondate, minacciando di sopraffarla e di farle perdere conoscenza. Serrò i denti e continuò a trascinarsi sul pavimento, lasciando dietro di sé una scia di prezioso sangue. La ferita la stava indebolendo, la perdita di sangue era notevole.
Quando fu finalmente arrivata, si rese conto che non aveva la forza per alzarsi. Afferrò la tracolla della borsa e la tirò verso di sé. Lo sforzo fu sovrumano, ma alla fine la borsa le rovinò addosso. Recuperò il cellulare, mentre la vista si sfuocava. Strinse gli occhi e scosse la testa. Doveva fare quella telefonata.
«Tony» sussurrò accanto allo smartphone che avviò la chiamata.
Tony rispose dopo il primo squillo. «Vicky, che sta succedendo?»
Quella voce amata le rimbombò nelle orecchie e le lacrime presero a scorrere dai suoi occhi. Si rese conto che forse la sentiva per l’ultima volta.
«Vicky, mi senti? Come mai non sono entrati in funzione i generatori?»
Una nuova potente fitta di dolore le attraversò la spalla e rantolò. Tony se ne accorse e lei lo udì gridare disperatamente il suo nome.
«Loki… è stato qui». La sua voce era talmente stentata che non sapeva neanche se lui riuscisse a sentirlo.
«Vicky, dov’è Loki?» chiese lui, ma era troppo tardi.
Victoria sentiva il buio ghermirla fra le sue braccia. Lo desiderava, ormai. Sapeva che in quell’oblio avrebbe trovato un po’ di pace. Ma c’era un’ultima cosa da dire, prima che tutto potesse concludersi.
«Ha preso… Elizabeth» mormorò, con la voce più chiara che riuscì a trovare dentro di sé.
Un fulmine colpì la casa e la linea cadde. Victoria non aveva più la forza di reggere il cellulare che le scivolò di mano. La sua visione si restrinse finché l’oscurità si richiuse su di lei che reclinò il capo all’indietro, chiudendo gli occhi.

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Capitolo 9
*** Addio... ***


É in questo capitolo che si spiega il titolo.
Qui Tony sarà "spinto alle lacrime"...
il perchè lo scoprirete leggendo, quindi vi auguro
buona lettura e ringrazio chiunque stia seguendo questa storia.

 

«È… viva, Tony!» esclamò Thor.
Non poteva essere. Non con tutto quel sangue sparso sul tappeto. Non con quel pallore sul viso. Allungò una mano, meravigliandosi di quanto gli tremasse. Le sfiorò la guancia ed era calda. Era ancora viva.
«Il polso è debolissimo però. Non so…»
«Cosa non sai? Se sopravvivrà?»
Thor si girò verso di lui.
«Su Asgard possiamo guarirla. Credo che ormai sia l’unico modo per salvarla. L’unica cosa di cui non sono certo è che sopravviva al Bifröst».
«Non abbiamo scelta» disse Tony. Quel desolante momento di aridità provato prima era stato spazzato via, sostituito dalla sua solita, incrollabile determinazione.
Con estrema delicatezza prese sua moglie fra le braccia. Nel movimento la ferita riprese a sanguinare, macchiandogli l’armatura.
Uscirono dalla casa, mentre in lontananza si sentivano già le sirene dell’ambulanza.
«Resto io qui. Tu va’».
Thor reclinò il capo all’indietro, alzando lo sguardo verso il cielo ora libero dalle nubi.
«Heimdall! Apri il Bifröst» chiamò.
Heimdall era il guardiano del Ponte del Bifröst che da secoli vigilava sul passaggio degli dei, gettando lo sguardo sui nove regni e proteggendo Asgard.
«Reggila forte. Potresti sentirti un po’ scombussolato quando arriverai, ma passerà in fretta. Le nostre guaritrici penseranno a lei».
«Grazie, Thor» disse Tony.
Improvvisamente fu investito da un fascio di luce che sfolgorava di tutti i colori dell’arcobaleno. Il Bifröst era aperto. Si sentì sollevare e schizzò verso l’alto ad una velocità che non aveva mai sperimentato. Intorno a sé vedeva stelle e costellazioni e capì di stare viaggiando nello spazio.
Chinò il capo su Victoria.
«Presto sarà tutto finito, piccola. Resisti».
Senza rendersene praticamente conto si ritrovò su Asgard e barcollò, stordito da quel viaggio strano e velocissimo. Si ritrovò in una camera circolare le cui pareti smisero lentamente di vorticare mentre le osservava. Davanti a lui, su una pedana rialzata, un colosso d’uomo con un’armatura dorata e un elmo dotato di corna stava estraendo uno spadone da un foro ai suoi piedi.
«Benvenuto su Asgard» disse, scrutandolo con dei luminosissimi occhi dorati. «Io sono Heimdall, il guardiano dei mondi».
Tony fece un cenno con il capo, ancora troppo intontito per rispondere.
Una giovane donna si fece avanti: era una splendida mora, capelli ondulati sciolti sulle spalle e occhi scuri. Aveva l’aspetto e il portamento di una guerriera e, considerato anche che indossava un’armatura simile a quella di Thor, probabilmente lo era davvero.
«Io sono Sif. Thor mi ha avvisata che sareste arrivati» disse. Si avvicinò e posò una mano sulla fronte di Victoria. «Dobbiamo fare in fretta. Vieni con me».
Uscirono da quella strana stanza. Quando i suoi occhi si furono abituati alla luce, Tony non poté fare a meno di guardarsi intorno. Si trovavano su un ponte fatto di un materiale sconosciuto che scintillava dei colori dell’arcobaleno e che correva per chilometri sospeso sul mare, verso una grande struttura vagamente triangolare, formata da guglie e torri, che aveva tutta l’aria di un palazzo reale.
A fianco del ponte c’era una specie di barca. Era sospesa a qualche metro dal ribollire delle onde e sulla poppa erano applicate delle specie di ali che gli ricordarono quelle che il mito posizionava sulle caviglie di Mercurio, il messaggero degli dei.
Sif lo accompagnò alla barca, aiutandolo a salire a bordo. Tony sedette sul lato di babordo, appoggiando Victoria sulle proprie gambe. La testa le ciondolava all’indietro e lui la sorresse teneramente. Sif diede un ordine secco al timoniere e la barca si mosse velocemente in direzione del palazzo.
«Dunque Loki non è morto» disse la donna.
Tony scosse la testa. «No, è ancora vivo. Ma non lo sarà per molto» mormorò.
«Mi dispiace per ciò che ha fatto alla tua donna».
«Sarebbe bastato questo per ucciderlo. Ma ha preso mia figlia e pagherà un conto salato, te lo garantisco».
«Fa’ attenzione a non sottovalutarlo » replicò lei, mentre quello strano mezzo di trasporto entrava in città e saliva di quota. «Loki è un avversario pericoloso».
«Mai quanto un uomo che ha quasi perso tutto».
La barca si fermò accanto ad una balconata e Sif si alzò in piedi. Tony la seguì, trasportando senza sforzo Victoria, cercando di ridurre i sobbalzi e gli scossoni per evitare di aggravare le sue già precarie condizioni.
Sif lo accompagnò fino ad una porta chiusa su cui bussò. Aprì una donna di mezza età, vestita di una toga azzurrina, i capelli raccolti in un’elaborata acconciatura.
«Vi stavamo aspettando» disse, guardando Tony e Victoria fra le sue braccia. «Venite, presto» aggiunse, scostandosi dalla porta per lasciarla passare.
La donna ordinò a Tony di adagiare Victoria su una lastra luminosa e le sistemò le braccia lungo i fianchi. Comparvero altre donne, tutte vestite allo stesso modo, che circondarono Victoria.
Quella che li aveva accolti e che sembrava la gran sacerdotessa del clan passò le mani con i palmi aperti ad una spanna dal corpo di Victoria, con gli occhi chiusi. Tony non aveva idea di cosa stesse facendo, ma rimase in silenzio. Thor lo aveva mandato lì e si fidava ciecamente di lui, sicché non avrebbe interferito. Tolse l’armatura e attese.
La sacerdotessa – o quel che era, non si era nemmeno presentata – sollevò le mani e sopra il corpo di Victoria apparve una specie di radiografia in 3D. Tony vide il cuore di Victoria pulsare lentamente e notò quanto vicino al muscolo cardiaco fosse affondato il colpo di Loki. Pochi millimetri più in basso e l’avrebbe uccisa sul colpo.
Poi il suo sguardo fu attirato da qualcos’altro, qualcosa di talmente minuscolo che avrebbe potuto passare inosservato, ma non ai suoi occhi. Victoria era incinta.
Probabilmente nemmeno lo sapeva – quel piccolo girino non doveva avere più di tre settimane – ma la testa e il corpo si intuivano già chiaramente.
La donna notò la direzione del suo sguardo e scosse la testa. «Mi spiace, ma per lui non possiamo più fare nulla» mormorò.
Tony accusò il colpo. Lui e Victoria sarebbero dovuti diventare genitori di nuovo e invece Loki aveva distrutto quella piccola vita. La lista dei peccati di Loki grondava sangue e si allungava sempre più: Tony non vedeva l’ora di ergersi a giudice e carnefice. Strinse i pugni e ricacciò indietro le lacrime. Non poteva permettersi di cedere ora, doveva rimanere concentrato su ciò che doveva fare: ritrovare Elizabeth. Poi avrebbe preteso giustizia.
«La ferita è grave e la donna è molto debole» disse la guaritrice, rivolgendosi a lui senza voltarsi.
«Potete guarirla?» chiese Tony.
Non ricevette risposta, ma il cerchio di donne si strinse attorno a Victoria, celandola del tutto ai suoi occhi. In quella specie di immagine olografica sospesa vide che, sotto l’effetto della magia delle sacerdotesse, la ferita si stava richiudendo.
La minuscola creatura nel ventre di sua moglie si trasformò in una sfera luminosa che uscì dal suo corpo. Rimase sospesa sopra di lei per qualche istante poi si spostò verso Tony che tese la mano, sfiorandola. Sentì un piccolo cuore battere freneticamente e una morsa di commozione gli stritolò il petto. Era un maschio, lo avvertì nel profondo del proprio essere.
Poi la sfera si mosse e, mentre lui osservava, volò fuori dalla finestra, dove si dissolse. Minuscoli granelli luminosi restarono in sospensione per qualche istante, poi volarono via e lui li osservò fermarsi tra le stelle che in quel cielo alieno erano visibili anche di giorno.
Addio… piccolo mio.
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e riportò l’attenzione su quanto accadeva nella stanza. Il processo di guarigione durò qualche minuto poi le donne si allontanarono dal corpo supino di sua moglie.
Tony si precipitò al suo fianco, prendendole la mano e accarezzandole la fronte. Attraverso la camicetta squarciata, vide la pelle perfettamente rimarginata, senza alcun segno dell’orrenda ferita che gliel’aveva quasi portata via.
«Grazie» mormorò Tony rivoltò al cerchio di donne che aveva salvato la vita di Victoria.
Chinarono appena il capo tutte insieme, accettando silenziosamente i suoi ringraziamenti.
Sif si avvicinò: «Perché non si sveglia?» domandò. Era abituata a ben altri esiti dopo gli interventi delle guaritrici, ma la gran sacerdotessa si affrettò a tranquillizzare entrambi.
«Ha perso molto sangue e non è abituata alla nostra magia. Ci vorrà tempo prima che possa svegliarsi. Ma sta bene, credetemi».
Tony prese in braccio Victoria e seguì Sif lungo quegli immensi corridoi. La guerriera lo introdusse in una grande stanza le cui finestre affacciavano sulle montagne che circondavano Asgard. Depose Victoria su un enorme letto – sembra che in quel mondo tutto fosse gigantesco – e le scostò i capelli dal viso. La sua espressione non era più sofferente e sembrava che stesse semplicemente dormendo, cosa che probabilmente era vera.
Un’ancella si presentò con un catino e una pezzuola e fece per spogliare Victoria e lavarla dal sangue che si era seccato sulla sua pelle, ma Tony la fermò.
«Lo faccio io. La prego» mormorò e fu lasciato solo.
La spogliò, gettando sul pavimento gli abiti strappati e insanguinati; bagnò la pezzuola nel catino e cominciò a lavarle il corpo.
Quando l’ebbe ripulita, il suo corpo fu di nuovo perfetto e bellissimo come era sempre stato. Non c’era traccia della ferita, nemmeno una cicatrice a ricordarne la posizione.
La vestì con gli abiti che erano stati preparati nella stanza e la adagiò sul letto. Aveva appena finito quando udì bussare.
«Avanti» disse e Sif entrò.
«Ci sono notizie da parte di Thor» disse la donna e quando ebbe la sua attenzione proseguì. «Loki ha lasciato un messaggio per te e gli altri Avengers. È tempo che tu torni sulla terra».
Tony si voltò verso Victoria: «Non voglio lasciarla, e tuttavia devo farlo. Mi sento dilaniare perché sono costretto a scegliere tra lei ed Elizabeth e il cuore è lacerato dentro di me. So che devo andare, so che devo trovare Lizzy al più presto; e tuttavia voglio che mi trovi qui quando si sveglierà».
Sif gli strinse la spalla: «Possiamo tenerla in stato d’incoscienza finché non tornerai. Non sarà un problema e non le recherà alcun danno».
Tony acconsentì e si chinò su Victoria.
«Vado a riprendere nostra figlia. Poi tornerò a prenderti». La baciò sulle labbra. «Ti amo» sussurrò.
Poi si raddrizzò, indossò l’armatura e uscì, seguendo Sif. La guerriera lo riaccompagnò da Heimdall che aprì il Bifröst per lui. Tony li ringraziò entrambi per l’aiuto, raccomandò a Sif di badare a Victoria e sparì.

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Capitolo 10
*** Ci tiene in pugno, Nick ***


Victoria è viva e grazie alla medicina asgardiana è sana e salva.
Ma Loki tiene in ostaggio Elizabeth e le donne degli Avengers
e molto presto si metterà in contatto con loro per dettare le sue condizioni.
Cari amici, vi auguro buona lettura e attendo i vostri commenti.
Grazie!


«Fammelo vedere di nuovo» disse Tony.
Si trovavano tutti sul ponte dell’Helicarrier: Tony, tornato da Asgard da meno di un’ora; Thor, con il martello posato davanti a sé; Steve, che indossava la sua uniforme a stelle e strisce; Clint, con l’arco di traverso sulla schiena; Bruce, che giocherellava con i suoi occhiali da vista.
Ciò che Tony e tutti loro avevano temuto si era rivelato vero: Loki aveva quasi ucciso Victoria e rapito Elizabeth, insieme a Jane, Beth, Natasha e Violet. Poi aveva lasciato loro un video messaggio.
Come aveva richiesto Stark, la Hill fece partire le immagini che presero a scorrere sui loro schermi.
Il video messaggio che Loki aveva fatto recapitare loro mostrava un luogo buio, forse un magazzino o un bunker sotterraneo. Più probabile che fosse un bunker, ragionò Tony, più difficile da individuare. Infatti non c’erano ancora riusciti.
La telecamera zumava su una serie di celle. Sembravano gabbie per animali, chiuse da sbarre di ferro, piuttosto anguste. Dentro ognuna di esse c’era una delle loro donne.
La prima ad essere inquadrata fu Natasha. Era l’unica ad essere legata alle sbarre con una catena di acciaio che le impediva di muoversi liberamente. Non che ne avesse possibilità: era seduta con la schiena contro le sbarre, con la testa ciondoloni. Dovevano averla picchiata – aveva un bernoccolo bluastro sulla fronte e del sangue sul viso – e probabilmente la tenevano sedata. Di tutte le ragazze degli Avengers, lei era quella pericolosa e Loki lo sapeva bene.
La cella a fianco della sua era l’unica occupata da due persone e Tony strinse i pugni come ogni volta in cui aveva visto quel video. Violet era seduta per terra e non sembrava ferita ma solamente scossa. Teneva in braccio Elizabeth che stava chiaramente dormendo, il corpo abbandonato contro il petto della zia. L’incertezza di sapere se stesse davvero bene lo rodeva dentro, ma ragionò che Violet non sarebbe stata così tranquilla se la nipote fosse stata ferita.
La telecamera proseguiva nella sua carrellata, mostrando la cella successiva in cui era prigioniera Beth. Sedeva per terra, abbracciandosi le gambe con le braccia, la testa appoggiata sulle ginocchia. Era voltata verso Violet e probabilmente stavano parlottando perché, anche se non c’era audio, vedeva la cognata rispondere ogni tanto.
L’ultima cella era occupata da Jane. Era l’unica che non era seduta e passeggiava nervosamente avanti e indietro, come una leonessa in gabbia. Tony la conosceva e sapeva che era un vero peperino e sicuramente aveva fatto ammattire i carcerieri. Aveva un livido scuro su uno zigomo, forse dovuto all’incidente in seguito al quale era stata rapita.
Le immagini sfumarono al nero e la presenza odiata e detestata di Loki riempì lo schermo. Era seduto su una specie di trono – in perfetto stile con la sua megalomania – e stringeva lo scettro nella destra.
«Carissimi amici» iniziò a dire e Tony non poté impedirsi di colpire il tavolo con il pugno chiuso.
«Scusate» disse poi, «ma mi infastidisce da morire questo personaggio».
«È ciò che vuole» commentò Steve.
«Vengo a voi con questo messaggio per rassicurarvi che le vostre ragazze stanno bene e nessuna di loro è stata ferita. A parte l’agente Romanoff, ma ha opposto resistenza ed è stato inevitabile».
Tony evitò di alzare gli occhi e guardare Barton. Quando era tornato dalla ricognizione nell’Iowa, Barton aveva ammesso che lui e Natasha stavano insieme. Era la sua donna e Loki evidentemente se n’era accorto prima di tutti loro. Forse era stato in seguito a quel colloquio con lei quando era prigioniero dell’Helicarrier, quando Fury l’aveva mandata a parlare con l’asgardiano per scoprire cosa avesse in mente.
«È l’unica sedata perché è troppo focosa per i miei gusti. Ma non per i tuoi evidentemente, vero Barton?»
Barton non mosse un muscolo, sebbene Tony intuisse che dentro ribolliva di rabbia, come tutti loro.
«La tua Beth è deliziosa, sai Cap?». La voce di Loki era insinuante e ossessiva. Li provocava, li sfidava, fomentava la loro rabbia per poterla poi usare contro di loro. «Era così preoccupata quando i miei le hanno telefonato dicendole che eri rimasto vittima di un incidente mentre eri in missione per lo S.H.I.E.L.D.»
Era stata quella la scusa con cui avevano attirato la ragazza lontana dal suo posto di lavoro. Poi l’avevano caricata su un’auto e portata via, senza che nessuno si accorgesse di nulla.
«E ora veniamo a te, mio caro fratello». Loki si rivolgeva ora a Thor. «La dottoressa Foster ha un carattere davvero burrascoso. Non credo che basti Mjolnir per controllarla, vero? Non mi era sembrata tale su Asgard, ma forse l’Aether la condizionava troppo. Sono stato lì lì per farla legare e sedare come la Romanoff, dopo che ha preso a graffi e morsi i miei uomini».
Loki ridacchiò e tutti loro sentirono il tuono brontolare, mentre un fulmine lampeggiava tra le nubi.
«Chiedo scusa» borbottò Thor, concentrandosi per far cessare il temporale.
«Tu, mio caro dottor Banner, mi hai davvero stupito. Pensavo che non avresti mai trovato nessuno in grado di andare oltre il tuo, diciamo, problema».
Bruce si alzò in piedi e Tony guardò preoccupato verso l’amico che prese a misurare il ponte a grandi passi, mentre Loki continuava nella sua tirata.
«E invece sembra che la signorina Johnson abbia perso la testa per un paio di bicipiti verdognoli. Chi l’avrebbe detto, eh?»
«Bruce» mormorò Tony.
«Sto bene. Devo solo sbollire un po’, ma sono calmo» disse, ma la sua voce roca diceva il contrario.
«Ho tenuto il meglio per ultimo» disse Loki, guardando direttamente in camera. Tony si irrigidì, ben sapendo ciò che sarebbe seguito.
«Sai, Anthony, mi è sinceramente dispiaciuto uccidere tua moglie. Avrei voluto averle entrambe nella mia collezione, le tue donne». Rise.
«Lo ammazzerò stavolta, Thor. Te lo giuro, non mi fermerai» mormorò truce.
«Non vedo perché dovresti avere tu quest’onore» borbottò Bruce.
«Non sarà nemmeno tuo, doc» disse Steve, fissando torvamente lo schermo davanti a sé.
«Signori, per favore!»
Fury li interruppe, prima che la discussione diventasse insostenibile.
Nessuno si scusò, ma tornarono a guardare i monitor. Si erano persi la frase successiva, ma avevano visto quel video abbastanza volte da averlo imparato a memoria.
A conti fatti, Vicky si è dimostrata coraggiosa come una regina. Peccato che il suo sacrificio sia stato vano.
Sentire che Loki usava quel diminutivo con lei, quando era solo e soltanto lui a chiamarla Vicky, lo fece fremere di rabbia.
«Detto ciò, tua figlia ha il suo stesso cuore – e la sua bellezza – e, se ho ben capito, il tuo stesso genio. È un peccato che continui a chiamare te o sua madre, per quanto l’abbia vista crollare davanti ai suoi occhi».
Chissà quanto doveva essere spaventata Elizabeth. Era una bambina di appena sei anni, ed era stata strappata via dalla sua famiglia, aveva visto sua madre ferita e quasi uccisa e ora era prigioniera in una gabbia, come un animale.
«Potrei restare ore a parlare, ma il tempo stringe e non ho ancora abbandonato i miei gloriosi propositi per voi».
«La prossima volta che lo incontro gli dico due parole su dove può ficcarsi i suoi gloriosi propositi» borbottò Tony.
L’espressione di Loki cambiò improvvisamente, quasi avesse sentito il suo commento.
«Stark!» abbaiò. «Tra un’ora esatta chiamerò sul tuo cellulare e tu e i tuoi amichetti dovrete essere pronti a fare ciò che vi dirò. O comincerò ad ucciderle. Magari partendo dalla più piccola, che ne dici?»
Il video si spense improvvisamente, lasciando quel commento maligno nell’aria.
Tony si lasciò andare all’indietro, coprendosi gli occhi.
«Ci tiene in pugno, Nick» sospirò.
Avevano tentato di rintracciare l’origine del messaggio, ma né Jarvis né lo S.H.I.E.L.D. erano riusciti a risalire alla fonte. Loki era furbo e, dato che era stato in grado di operare simultaneamente ben cinque rapimenti, doveva essere circondato da una forza sorprendente che di certo aveva reclutato grazie ai poteri oscuri dello scettro.
«Se dobbiamo credergli, tra meno di cinque minuti chiamerà e sapremo cosa vuole» replicò Nick, ma Tony sbuffò.
«Non farà differenza. Non posso parlare per gli altri, ma se mi dirà di spararmi un colpo in testa pur di lasciarla libera, lo farò. È mia figlia, Nick».
«È prematuro parlarne, Stark. Vediamo di scoprire prima cosa vuole e soprattutto dove si trova. Poi faremo tutte le valutazioni del caso».
A mezzanotte in punto, il cellulare di Tony – il nuovo cellulare di Tony, che aveva sostituito quello che lui stesso aveva rotto scagliandolo a terra – che era posato sul tavolo davanti a lui, squillò. Il numero del chiamante era nascosto e sia Jarvis che gli analisti dello S.H.I.E.L.D. si attivarono subito per rintracciare la chiamata.
Tony lasciò il cellulare posato sul tavolo e premette un pulsante. Il computer si attivò, rimandando il segnale in vivavoce, in modo che anche gli altri potessero sentire.
«Stark» disse Tony.
«Buonasera, Anthony» rispose Loki. Era impossibile non riconoscere quella voce: sembrava il sibilo di un serpente. Ma Tony avrebbe senz’altro preferito la compagnia del rettile.
Aveva una tremenda voglia di chiedere notizie di sua figlia, ma s’impose di non farlo. Nessuno di loro poteva mostrare debolezza: Loki sapeva già dove colpire con disarmante chiarezza, non era il caso di dargli ulteriori appigli.
«Sei puntuale» prese atto Tony.
«Come la morte. Si dice così?»
Tony sorvolò, evitando di commentare: «Cosa vuoi, Loki?»
«Intanto lasciami salutare il resto degli Avengers che sicuramente è in ascolto». Nessuno rispose. «Oh, non c’è nessuno che abbia voglia di salutarmi?» chiese Loki, fingendo rammarico. «Neanche tu, fratellone?» aggiunse, ma Thor non si mosse nemmeno.
«Ti ho fatto una domanda semplice, Loki: cosa vuoi?»
«Quanta fretta, Stark! Non mi chiedi nemmeno notizie di tua figlia?»
«Sarà meglio per te che stia bene, o non ci sarà posto nei nove regni dove potrai rifugiarti».
«Sta benissimo. Così come tutte le altre ragazze». Un impercettibile sospiro di sollievo percorse la fila di Avengers. «E il fatto che continuino a stare bene dipenderà da voi».
Tony girò lo sguardo intorno, ma tutti gli analisti che stavano lavorando per rintracciare la chiamata scossero la testa.
«Per favore, dì ai tuoi di smettere di provare a rintracciarmi». Si intuiva un sorriso sarcastico sulle labbra di Loki mentre pronunciava quelle parole. «Tra non molto vi dirò io dove trovarmi».
Tony fece cenno di continuare a provare e si appoggiò al tavolo a braccia conserte.
«Senti, Loki: smettiamo di menarla per le lunghe. Sappiamo tutti che è noi che vuoi, quindi lascia andare le ragazze. Non ti servono».
Loki rise. «Mi servono eccome. Non potrei mai farvi fare ciò che ho in mente di farvi fare senza di loro. Mi servono come assicurazione. Si potrebbe dire che vi tengo per le palle, Tony. No, non è corretto: in realtà vi tengo per il cuore».
Tony non rispose.
«A proposito di cuore: il tuo dovrebbe essere straziato a quest’ora. Vedovo, eh? Così giovane, che peccato! Beh, poco male: adesso puoi tornare ad essere il playboy di sempre, non è vero Stark?»
L’uomo scattò in piedi, piantando i pugni sul tavolo. «Ti ammazzerò per quello che hai fatto, Loki. Te lo giuro» urlò. «Ti farò a pezzi e li spargerò nell’universo, tanto per essere sicuro di non vederti tornare dal regno dei morti stavolta».
Il fatto che Victoria fosse sana e salva su Asgard, lontano dalle grinfie di Loki (pur se quest’ultimo non lo sapeva), non gli importava: quello era l’uomo che era entrato in casa sua l’aveva ferita e lasciata dissanguare sul pavimento. E ora osava parlare di lei in quei termini: Tony vedeva rosso, infuriato come il toro davanti alla cappa del matador.
Steve si alzò in piedi e lo raggiunse, mentre lui continuava a inveire contro Loki che, da parte sua, non fiatava nemmeno. Infilò un braccio sotto quello teso di Tony, piegò il gomito e lo trascinò via dal tavolo.
«Lasciami, Steven!» urlò Tony, divincolandosi.
Steve lo tenne contro di sé senza sforzo. «Non dargli questa soddisfazione, Tony» gli sussurrò all’orecchio. «Non permettergli di usare il tuo dolore contro di te, non dargli nulla a cui aggrapparsi».
Tony si rilassò, smettendo di agitarsi. «D’accordo» mormorò, «puoi lasciarmi ora».
«Sicuro?» chiese l’amico.
L’altro annuì e Captain America lo lasciò. Tony tornò ad avvicinarsi al tavolo e trasse un lungo respiro per calmarsi.
«Sei ancora lì?» chiese.
«Papà?»
La vocetta di Elizabeth lo fece sussultare. Non si era aspettato che Loki gli permettesse di parlarle.
«Tesoro! Sono papà! Piccola, stai bene?» disse concitatamente, timoroso che Loki interrompesse quel contatto.
«Sì, sto bene. Papà, quando vieni a prendermi?» domandò la bambina con voce tremante.
«Presto, Lizzy. Molto presto. Tu però devi essere forte e non piangere. Papà sarà presto lì da te, ok?» disse, cercando di infonderle attraverso quelle parole tutto il coraggio di cui aveva bisogno.
«La mamma… sta bene?»
Sebbene se l’aspettasse, non era in grado di rispondere a quella domanda. Avrebbe voluto dirle che Victoria era viva e guarita, al sicuro, ma non poteva permettere che Loki subodorasse qualcosa. E non poteva nemmeno dirle che era morta, confermando ciò che Loki pensava fosse vero: non poteva spezzare in quel modo il cuore di sua figlia. Mentre rifletteva, indeciso su cosa rispondere, Loki tornò a farsi sentire.
«Sei patetico, lo sai?» disse. «Avresti dovuto dirle la verità. Guarda cos’è successo a me, quando Odino mi ha rivelato ciò che mi aveva taciuto per anni».
Tony strinse i denti per impedirsi di riprendere ad insultarlo.
«Adesso basta, Loki» esclamò. «Smettiamola di giocare e vediamo di concludere questa storia». Sperò che il suo avversario non riuscisse a sentire il tremito che lui avvertiva nella propria voce. «Che dobbiamo fare?»
«Conosci Treasure City?» disse l’altro.
Si trattava di una città fantasma del Nevada, nata sull’onda della frenetica corsa all’oro e abbandonata da quasi centocinquant’anni, quando i filoni sotterranei si erano esauriti. Era uno dei territori più aridi e inospitali della zona e non era strano che Loki avesse scelto di stabilirsi proprio lì.
«Sì, la conosco».
«Bene. Vi aspetto lì tra un’ora. Solo voi cinque. Chiaro?»
Era ovvio che chiedesse loro di presentarsi da soli. Tony si chiese che cosa avesse in mente e cosa avrebbe chiesto loro di fare.
«Se ho solo il sospetto che ci siano con voi agenti dello S.H.I.E.L.D.» proseguì Loki, «le uccido. Non sto scherzando».
«D’accordo» acconsentì Tony.
«Verrete con un solo velivolo, che piloterà Barton. Arrivate con un solo minuto di ritardo e ci saranno conseguenze. Quando sarete sul sito, i miei uomini vi daranno indicazioni per l’atterraggio e vi porteranno da me. Una volta qui vi darò le informazioni necessarie a liberare le ragazze».
Tony lanciò un’occhiata a Barton che annuì.
«Ok. Altro?»
«Se penserete soltanto di provare a fare uno dei vostri giochetti, lo saprò e…» iniziò Loki, ma Tony non lo lasciò proseguire.
«Va bene. Abbiamo capito, Loki. È tutto?»
«È tutto. Bon vojage» replicò l’altro e riattaccò.
Non appena la comunicazione fu chiusa, balzarono tutti in piedi.
«È una trappola» disse Fury.
«Sì, ma non abbiamo scelta» rilevò Thor. «Farà ciò che ha detto e nessuno di noi può permetterlo».
«E io non posso permettervi di mettere in pericolo l’unico team di guerrieri in grado di opporsi a qualsiasi cosa abbia in mente Loki».
Tutti si bloccarono.
«Nick,» intervenne Rogers in tono conciliante, «non abbiamo tempo per questa discussione. Ogni minuto che perdiamo è un minuto di vita in meno per loro».
Tony sapeva cosa stava pensando Nick: cinque persone non erano nulla nell’economia del mondo. Se avesse dovuto scegliere se salvare cinque donne o il mondo intero, la scelta sarebbe stata oltremodo scontata. Discorsi comprensibili, finché non si parlava di tua figlia o della tua donna. In quel caso le cinque persone erano infinitamente più importanti del mondo intero, perché quello stesso mondo cessava di avere significato senza di loro.
«Quando saremo lì ci inventeremo qualcosa, ma devi lasciarci andare».
Fury parve voler replicare, ma poi osservò i loro volti: se avesse impedito loro di andare, si sarebbero ribellati. Sull’Helicarrier non c’era nulla che avrebbe potuto opporsi a quei cinque straordinari eroi. I loro volti erano duri e le espressioni risolute: ci avrebbero messo poco a mettergli a soqquadro la nave e a prendere un velivolo. In tal modo lui sarebbe rimasto senza i suoi e non avrebbe più potuto contare sull’appoggio degli Avengers.
«E sia» consentì infine.
Si mossero tutti per gli ultimi preparativi, ma Tony li richiamò indietro.
«Qualsiasi cosa accada, Loki dovrà essere mio» disse.
Fu Thor a parlare per tutti: «Tony, non è questo il momento per lasciarci accecare dalla vendetta. Credo che…»
«Victoria era incinta» dichiarò. Tutti tacquero, e lui li sfiorò con lo sguardo uno ad uno. «Non lo sapevamo, ma lei aspettava un bambino. Mio figlio. Un figlio che Loki ha ucciso». Nessuno ancora si azzardava a parlare. «Non vi sto chiedendo il permesso. Vi sto comunicando una verità: Loki è mio» scandì.
Thor abbassò il capo, riconoscendo la sua autorità. Si rendeva conto che non c’era modo di recuperare Loki. Non più. Lui non sarebbe stato in grado di ucciderlo. Tony Stark sì.

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Capitolo 11
*** Lo sapevo che sarebbe stato dalla nostra parte ***


Gli Avengers non hanno scelta: se vogliono riabbracciare
le loro donne, devono obbedire alle richieste di Loki.
Ma forse hanno ancora qualche asso nella manica...

 
 
«Cinque minuti all’obiettivo» disse Barton dalla cabina di comando del piccolo aereo che stava pilotando.
Volavano in silenzio teso da circa cinquanta minuti, mentre un display sulla plancia scandiva i minuti che mancavano all’appuntamento con Loki.
Ognuno di loro aveva indossato la propria armatura e preparato le proprie armi. Solo Bruce era ancora in abiti civili, anche se indossava i nuovi pantaloni che Tony aveva studiato per lui.
Tony si sporse in cabina di pilotaggio, gettando uno sguardo di sotto, alla piana desertica e desolata che scorreva sotto il mezzo. Barton accese le luci d’atterraggio alla cui luce poterono vedere i resti di Treasure City: edifici abbandonati e fatiscenti che il deserto stava reclamando, cercando di far sparire quella piccola cicatrice che gli umani avevano lasciato in superficie.
C’erano diversi uomini in tenuta da combattimento, equipaggiati di armi automatiche. Due di loro avevano degli strumenti luminosi con cui segnalarono a Barton dove atterrare. Appena il mezzo si posò sul terreno, Barton aprì la rampa posteriore.
Prima ancora di uscire, i mercenari li circondarono, sbraitando ordini e gridando imprecazioni.
«Con calma, ragazzi» mormorò Tony, rivolto agli uomini intorno a loro. «Vorrei evitare di dovermi ammaccare subito l’armatura».
Vennero sospinti verso l’imboccatura di un pozzo, mentre un ascensore cigolante e ferruginoso, risaliva in superficie. Presero posto sull’elevatore, che scricchiolò sotto il loro peso. Uno dei mercenari parlò nell’auricolare e iniziarono a scendere nelle profondità della terra.
«Mio fratello l’ha studiata per bene» mormorò Thor all’orecchio di Steve. «Non credo che i miei fulmini funzioneranno qua sotto».
L’elevatore si fermò dopo una lunga discesa: dovevano essere parecchi metri sotto la superficie. I mercenari armati fecero loro segno di proseguire. Imboccarono un cunicolo semibuio, rischiarato solo da alcune lampade fissate alla roccia.
Finalmente la galleria si aprì in una grande stanza il cui soffitto si perdeva nell’oscurità. A destra dell’ingresso c’era una struttura prefabbricata, forse un magazzino per gli attrezzi, mentre a terra strisciavano dei binari che arrivavano da un cunicolo a sinistra e proseguivano perdendosi nel buio davanti a loro.
Sulle loro teste c’erano argani per la movimentazione dei carichi e lungo le pareti correvano dei nastri trasportatori che in origine dovevano essere serviti a spostare le scorie della miniera. Tutto era ricoperto di polvere e alcuni tratti del nastro erano crollati a terra, probabilmente a causa dei supporti ormai arrugginiti.
C’erano molti uomini lì: Loki doveva averli reclutati con lo scettro perché i loro occhi scintillavano di una sinistra luce azzurrina.
«Benvenuti».
La voce odiata di Loki risuonò nell’oscurità. Tony e gli altri si fermarono in mezzo alla caverna. «È un piacere avervi qui. Siete stati puntuali e avete rispettato le mie istruzioni alla lettera. Bravi!»
Nessuno rispose. «Oh andiamo, signori! Non è questo l’atteggiamento giusto».
«Loro dove sono, Loki?» tuonò Thor.
Una risatina echeggiò nel buio. Un potente riflettore si accese, illuminando le gabbie. Erano tutte lì, così come le avevano viste nel video, rinchiuse peggio di animali, che si coprivano gli occhi per difenderli dalla luce improvvisa. Nat era ancora incatenata, mentre le altre erano libere e si avvicinarono alle sbarre quando videro i loro uomini.
Nessuna di loro gridò né ebbe alcuna reazione tranne la piccola Elizabeth che chiamò suo padre, pigolando come un pulcino. Violet si affrettò a prenderla in braccio e a calmarla. Né Tony né nessun altro si mosse, sebbene l’istinto di tutti loro gridasse di lanciarsi sulle ragazze per liberarle.
«Quanta disciplina, miei invincibili eroi. Credevo che la vista delle vostre donne ingabbiate bastasse a farvi perdere il controllo. A qualcuno di voi, quantomeno».
Tony sbirciò Bruce, e lo vide stringere i pugni che divennero verdognoli. Prima che potesse parlare però, l’uomo controllò la trasformazione e le mani ritornarono del loro colore normale.
«Fatti vedere, Loki!» gridò Thor alle ombre.
Altre luci si accesero. Loki apparve: era all’interno di una struttura rialzata posizionata sopra le gabbie, che doveva essere stata un ufficio, forse la sala di controllo per quel posto di scambio sotterraneo. Il malvagio fratello di Thor li scrutava da dietro i vetri sporchi dell’installazione, con quell’irritante sorrisetto che Tony non vedeva l’ora di fargli sparire dalla faccia.
«Siamo qui, Loki» disse Tony. «Abbiamo fatto ciò che volevi. Ora lasciale andare».
«Sempre precipitoso, Stark! Abbiamo tutto il tempo che vogliamo e prima di mantenere fede alla mia parola, voglio fare quattro chiacchiere con voi».
Tony si morse la lingua, ma stava per dirgli che lo sapevano tutti benissimo che lui non aveva una parola. Cercò di frenare la propria impazienza e di stare tranquillo, per quanto la vista di sua figlia dietro le sbarre fosse insopportabile.
«Vi chiederete come mai io vi abbia fatti venire proprio qui, in questo luogo desolato e dimenticato dagli dei. Ebbene, qui sotto c’è qualcosa di cui ho bisogno. Non penso sia saggio darvi troppe informazioni né voglio farlo. Ad ogni modo, ciò che è custodito in queste profondità è affar mio. Il vostro compito in questa storia, ciò che dovrete fare per riabbracciare le vostre fanciulle, è semplicissimo».
La sua voce era ipnotica e suadente e Tony si ritrovò a sperare che quelle parole fossero vere, che davvero ci fosse un modo semplice per riavere indietro sua figlia e le altre. Poi si riscosse: la richiesta di Loki sarebbe stata terribile e non poteva farsi conquistare dalla sua malia.
«Vedete» proseguì Loki, uscendo da quella specie di ufficio e passeggiando su una passerella di metallo «quando ho tentato di invadere questo pianeta con i Chitauri, in parte ho peccato di presunzione. Pensavo che dagli insignificanti umani non sarebbe sorto nessuno in grado di contrastarmi».
Loki si fermò e sorrise: era proprio sopra la prima gabbia, quella dov’era prigioniera la Romanoff. Tony, il volto celato all’interno del casco, continuava a guardarsi intorno: i mercenari armati erano molti e, se gli Avengers avessero fatto un solo passo falso, avrebbero rivolto le armi verso le ragazze. Prima ancora che riuscissero a muovere un passo, le avrebbero fatte a pezzi.
«Mi ero sbagliato» riprese Loki. «Avrei dovuto ascoltare di più Padre Tutto, vero Thor? Quando ci diceva che Midgard  [1] ha enormi potenzialità».
Thor non rispose e Loki si strinse nelle spalle e proseguì.
«Ad ogni modo, questa razza di insignificanti insetti ha risollevato la testa e grazie a voi eroi, è riuscita a distruggere il mio piano e la mia armata». Loki sospirò.
Di nuovo, silenzio. Gli Avengers erano in attesa di capire dove Loki volesse andare a parare.
«Poco male» riprese Loki. «Non ho ancora rinunciato a diventare re. Ma per farlo, purtroppo, ho bisogno del vostro aiuto. Buffo, vero?» ridacchiò.
«Non puoi essere re, Loki» spiegò Thor. «Non è così che funziona. Midgard non è come gli altri regni».
Loki sventolò una mano. «Sciocchezze, fratello. Tutti i regni hanno bisogno di un re. E io sono quello di cui la Terra ha bisogno». Si mosse di nuovo, con quella camminata lenta e indolente, facendo risuonare gli stivali sulla passerella. «Non te ne rendi conto? Perché credi che continuino a scannarsi a vicenda in questo modo? È perché nessuno li sta governando. Ciò che dovrete fare voi è peraltro molto semplice: mi basterà che restiate girati dall’altra parte».
«Cosa?» sbottò Steve.
«C’è un nuovo esercito, una nuova armata. E io sono pronto a guidarla alla conquista del vostro pianeta. Ma ho bisogno che voi rinunciate ai vostri poteri di supereroi per un po’. Non ho intenzione di sterminare la vostra razza, questo è certo».
«Oh sì, è ovvio» intervenne Tony con voce tagliente. «Ti servono degli schiavi, non è così?»
«Dettagli, Anthony. Importa davvero che siano schiavi? O importa di più che siano vivi?»
«E quindi dovremmo lasciarti fare, permetterti di conquistare il nostro mondo senza sparare un colpo?» chiese Steve.
«Esatto! Lasciate che io prenda il controllo e non reagite. Vedendo che voi vi arrendete, il resto dell’umanità si rassegnerà e non ci sarà inutile spargimento di sangue».
«Sai che ti dico?» intervenne Tony. «È un ottimo piano. Sì, è geniale». Si rivolse agli altri Avengers. «Non vedo dove sia il problema: in fondo non abbiamo alcun debito di riconoscenza verso nessuno». Tony si mosse, camminando lentamente davanti alla fila dei suoi amici. Poi si fermò davanti a Steve, voltando le spalle a Loki. «Ciò che conta è salvare le ragazze e se per farlo basta voltarsi dall’altra parte, perché no?»
Tony non era del tutto tranquillo: stava voltando le spalle al suo nemico. Lui era protetto dall’armatura, ma il fatto di non riuscire a vedere sua figlia lo metteva in ansia. Fortunatamente, le sue parole ottennero l’effetto voluto: Loki si voltò appena verso l’uomo che stava alla sua destra.
«Lo sapevo che sarebbe stato dalla nostra parte».
Ma Loki si sbagliava: Tony aveva soltanto coperto Captain America. All’improvviso Ironman si spostò, lasciando campo libero a Steve che lanciò qualcosa verso le gabbie in cui erano prigioniere le ragazze. Si trattava di un piccolo apparecchio che volò preciso verso le gabbie. Colpì quella di Beth e finì a terra. Non appena colpì il terreno, il dispositivo si accese, proiettando una specie di schermo davanti alle celle.
Erano passati tre anni dall’attacco dei Chitauri e lo S.H.I.E.L.D. non era rimasto a dormire per tutto quel tempo. Aveva studiato a fondo il Tesseract, con l’aiuto del professor Selvig, della dottoressa Foster e di Bruce, e sviluppato diverse tecnologie. L’apparecchio utilizzato da Steve era un distorsore spazio-temporale: creava una sorta di portale simile a quello che Loki aveva aperto per far giungere sul loro pianeta gli orribili Chitauri. Quel portale avrebbe assorbito i colpi delle armi convenzionali e quelli dello scettro di Loki, mandandoli ad infrangersi nel nulla. Finché fossero rimaste lì dietro, le ragazze sarebbero state al sicuro.
Ciò che accadde in seguito, fu talmente veloce che Tony ne colse coscientemente solo dei frammenti.
Bruce si trasformò in una montagna di muscoli verde e avanzò a balzi in mezzo ai nemici armati, fiondandosi a proteggere il lato destro delle gabbie, dove il portale non arrivava. Era invulnerabile ai proiettili e, finché fosse rimasto lì, nessuno si sarebbe avvicinato. Tony registrò che gli speciali pantaloni che aveva progettato avevano retto benissimo al cambio di dimensioni.
Con Hulk che proteggeva le ragazze, il resto degli Avengers era libero di dedicarsi a ripulire quel posto. Nessuno di loro si fermò un attimo a pensare che quelli davanti a loro erano esseri umani: non potevano permettersi di farlo perché, controllati da Loki, non avrebbero concesso clemenza.
Tony udì Loki gridare ordini, furioso per essere stato ingannato, mentre lui, Thor e Captain America cercavano di mettere fuori combattimento il maggior numero di nemici possibile e l’arco di Barton cantava la sua melodia. Alcuni di quegli sventurati provarono a sostenere una delle cariche di Hulk: volarono in tutte le direzioni come bambole di pezza, ma Tony ne ammirò il coraggio.
La scaramuccia durò qualche minuto poi il silenzio si fece assoluto.
«Dov’è Loki?» chiese Thor.
L’asgardiano era sparito subito dopo che i suoi avevano cominciato a sparare, scomparendo in uno dei cunicoli con un manipolo di guardie armate.
Tony disattivò il distorsore e fece un cenno a Hulk che divelse in fretta le sbarre delle celle e le ragazze si trascinarono fuori. Tony uscì dall’armatura e s’inginocchiò a terra, mentre Elizabeth gli correva incontro. Aprì le braccia e la bambina vi si rifugiò. Piangeva disperata e Tony ci mise un bel po’ per calmarla, accarezzandole dolcemente la schiena e la testa, sussurrandole parole rassicuranti.
Quando provò a staccarla da sé, la bambina gli si aggrappò ancora di più.
«Sono qui adesso, tesoro. Nessuno ti farà del male».
Finalmente riuscì ad allontanarla da sé e le asciugò le lacrime con i pollici. Le porse il fazzoletto e l’aiutò a soffiare il naso.
Thor gli posò una mano sulla spalla. «Dobbiamo andare, Tony. Le ragazze resteranno con Nat, le porterà fuori di qui».
Ovviamente, quelli dello S.H.I.E.L.D. erano già arrivati e avevano messo in sicurezza l’esterno.
Tony annuì e si voltò verso la bambina. «Ascoltami, tesoro: ora papà deve andare» cominciò, ma non poté proseguire perché la bambina scuoteva violentemente il capo.
«Non voglio stare da sola» singhiozzò la piccola.
«Non sarai da sola. Nat e le zie staranno con te finché non tornerò».
«NO!» gridò Elizabeth, gettandogli le braccia al collo. «Non voglio che tu vada via».
Tony alzò lo sguardo verso Thor, allargando le braccia in segno di impotenza. Sentiva quel piccolo corpo tremante stretto al suo e la rabbia e l’odio montavano. Li tenne dentro di sé, proteggendoli come avrebbe fatto con la fiamma di una candela in mezzo ad una bufera. Gli sarebbero serviti più avanti, quando avesse incontrato Loki.
Si alzò in piedi, tenendo la bambina contro di sé, e raggiunse Natasha che, con le altre ragazze, se ne stava in disparte dopo che ognuna di loro aveva salutato il proprio uomo.
«Lizzy, ascoltami per favore. Io devo andare adesso. Devo prendere gli uomini che ti hanno fatto questo, per essere sicuro che non torneranno ancora».
«Ma io non voglio che tu vada, papà». Lizzy gli teneva la testa tra la spalla e il capo, parlando contro il suo collo. «Non voglio che ti facciano male».
«Ehi, papà è o non è Ironman?» chiese con un mezzo sorriso. «Nessuno può fare del male a tuo papà», eccetto prendendosela con te e tua madre, pensò dentro di sé. «E poi non vado da solo. Ci saranno gli zii con me».
Lizzy alzò timidamente il capo, guardando uno ad uno quei favolosi guerrieri e poi fissando gli occhi pesti e arrossati in quelli di suo padre.
«Voglio che torni da me, papà» disse poi e Tony la strinse forte al petto.
«Lo farò, bambolina. Promesso».
Natasha si avvicinò.
«Vieni, piccola» disse, tendendole le mani. Elizabeth passò fra le braccia di Nat.
«Jarvis» chiamò Tony e il computer fece avanzare il Mark 56. Tony si posizionò e l’armatura si chiuse intorno al suo corpo.
«Te la affido» disse a Nat che annuì. «Ci vediamo fra un po’» mormorò poi alla bambina, accarezzandole delicatamente il viso.
Poi, prima di cambiare idea di fronte a quei grandi occhi verdi, girò sui tacchi e corse via, seguendo gli altri Avengers.
 

[1] Midgard è il nome della Terra nella mitologia norrena

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Capitolo 12
*** Non puoi vincere contro di me, Anthony ***


É la resa dei conti.
Loki e il suo esercito riusciranno a sconfiggere gli Avengers?
O saranno gli eroi più forti della terra a vincere lo scontro?
Buona lettura e... recensite, please!
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate!
Grazie

 


Si misero all’inseguimento di Loki, scendendo nelle profondità della miniera abbandonata. La temperatura salì e l’aria si fece più umida. Finalmente il cunicolo si aprì in una vasta camera sotterranea e tutti rimasero a bocca aperta.
Davanti a loro c’era un’immensa struttura di forma piramidale, ricoperta di strani segni simili agli ideogrammi cinesi. I simboli erano debolmente illuminati.
«Hai idea di cosa sia?» chiese Tony a Thor.
Thor fece un passo avanti, cercando di abbracciare tutta la costruzione con lo sguardo. «Non lo so, ma ho già visto quei simboli: è un’antica scrittura di Niflheimr. Purtroppo non so cosa vogliano dire».
Sulla facciata della piramide rivolta verso di loro si apriva un grande portale che in quel momento era aperto e sembrava invitarli ad entrare. Si fecero avanti e, mentre passavano sotto l’arco d’ingresso, Tony si guardò intorno: «Credo di non essere mai entrato in un buco meno invitante di questo!»
Pochi metri dopo essere entrati, si trovarono in una grande sala ipostila. Davanti a loro c’era un portale identico a quello che avevano appena oltrepassato. Grosse colonne sostenevano il soffitto, quasi interamente ricoperte degli stessi geroglifici luminosi che avevano visto sulla facciata.
C’era una sorta di sentiero tracciato davanti a loro che puntava dritto verso la porta di fronte. Sui lati di quel passaggio c’erano delle grate, da cui proveniva la luce aranciata che illuminava l’interno. Tony si avvicinò e guardò in basso: parecchi metri sotto di loro ribolliva un lago di lava fusa.
«Mio Dio, che razza di posto è questo?» si chiese.
Avanzarono cautamente sul passaggio di pietra che comunque era solidissimo. Il calore che saliva dalle grate era terribile. Varcato il portale si ritrovarono su un pianerottolo soprelevato e quando si affacciarono sul ciglio, videro la lava sobbollire sotto di loro.
Una decina di metri più in basso, sul lato opposto, c’era una piattaforma identica. Su di essa però si vedeva un piedistallo di pietra su cui brillava qualcosa. La luminosità azzurrina lasciava pochi dubbi.
«Non è meraviglioso?»
Si voltarono all’unisono. Loki era lì e non era solo. Attorno a lui c’era una moltitudine di strane creature antropomorfe: avevano gambe possenti e braccia nerborute, ma le somiglianze con il genere umano terminavano lì. Non avevano pelle: si vedevano le fasce muscolari e i tendini come se fossero state scuoiate. La testa era quella di un animale, con gli occhi gialli e lunghi denti a sciabola.
Se ne stavano raggruppate intorno a Loki, in piedi o accucciate. Un paio di esse ringhiarono e una si tese in avanti, latrando contro Hulk che rispose ruggendo la sua furia.
«Buono, Bruce» raccomandò Tony sottovoce.
«I soldati che vedete qui» spiegò Loki, «sono solo una parte di quelli che sto risvegliando».
«Che diavolo! Perché non ci attacca mai con una moltitudine di bionde mozzafiato? Prima i Chitauri e ora queste… belve senza pelle» borbottò Tony.
«Erano qui da millenni, in attesa di qualcuno che li guidasse. In attesa di me» disse l’asgardiano, con il sorriso viscido che Tony odiava.
«Ti trovi sempre compagnie meravigliose, sai Loki?» gli gridò e le belve rumoreggiarono.
«Avremmo potuto fare questa cosa senza spargimento di sangue» disse Loki, ignorando il suo commento. «Ma voi avete fatto la vostra scelta e non mi lasciate alternativa».
Loki fece un gesto con la mano destra e la sua armata di strane creature balzò avanti, attaccando gli Avengers.
«Vi ucciderò!» gridò sovrastando il frastuono della battaglia. «E quando sarete morti esporrò i vostri cadaveri nelle città, in modo che la gente sappia che vi ho sconfitti. Quando si arrenderà, io sarò pronto per regnare».
Nessuno degli Avengers aveva voglia di ascoltarlo, né d’altronde avevano tempo di farlo. Quelle creature non erano particolarmente difficili da uccidere, ma erano forti e veloci. Attaccarono in gruppo, muovendosi a salti e balzi, e gli Avengers ebbero di che impegnarsi nella battaglia.
Tony si liberò di tre nemici, uccidendone due e mandando il terzo a precipitare nel lago di lava. Un quarto nemico lo attaccò, facendolo cadere all’indietro. Tony lo tenne a distanza puntandogli il braccio contro il collo. La bestia spalancò le fauci, ringhiandogli contro, e sfiorandogli la visiera con le zanne.
«A cuccia, bello!» esclamò, posando un palmo contro lo sterno della bestia e facendo fuoco con uno dei repulsori. Le aprì un buco nel petto e la creatura rantolò, rovesciando gli occhi nelle orbite e cadendo di lato.
Tony si rialzò e si guardò intorno. Thor menava pugni e faceva roteare Mjolnir, colpendo a destra e a sinistra. Al suo fianco, Captain America usava il suo scudo rotondo per colpire le creature mentre Occhio di Falco usava il suo arco e centrava infallibilmente i suoi bersagli. E Hulk… beh, era Hulk!
Loki non partecipava alla battaglia e si limitava ad osservare, ordinando alle creature come e dove colpire. Mentre Tony lo osservava, vide sorgere da dietro di lui un’altra ondata di guerrieri senza pelle che si gettarono nella mischia.
Tony colpì a destra e a sinistra. «Cap, lo scudo!» gridò poi e l’altro reagì immediatamente. Girò lo scudo e Tony diresse verso di lui il raggio dei repulsori. Lo scudo riflesse l’energia intorno, facendo strage di nemici, ma già un’altra massa ne stava arrivando.
«Stiamo prendendo la cosa dalla parte sbagliata, temo» disse Tony, preparandosi a resistere all’ennesima carica.
«Dobbiamo neutralizzare lo scettro» gridò Thor, sfruttando lo slancio della creatura che lo stava attaccando per catapultarla giù dalla piattaforma. «Sono convinto che l’origine sia lì».
«Ci pensò io» disse Tony, sfruttando i razzi per alzarsi in volo. Si gettò oltre il bordo della piattaforma, atterrando su quella sottostante pochi secondi più tardi.
Al centro c’era un piedistallo di pietra, ricoperto di simboli incomprensibili che brillavano e palpitavano di luce. Il manico dello scettro era piantato al centro del supporto e la sfera azzurra sulla testa riluceva sinistra.
Tony fece un passo avanti, per avvicinarsi al congegno, ma una voce lo fermò.
«Non un passo in più, Tony».
Loki aveva visto Ironman lanciarsi di sotto e sapeva che sarebbe arrivato allo scettro. Non poteva permettere che il meccanismo che aveva messo in moto venisse fermato prima del risveglio completo della sua armata. Gli esseri che stavano combattendo in quel momento non erano che l’avanguardia di una forza favolosa che gli avrebbe permesso il dominio sulla Terra e, chissà, di tentare la sortita su Asgard e sugli altri regni.
Perciò, protetto dai suoi, aveva attraversato la battaglia, lanciandosi di sotto prima che gli Avengers avessero la possibilità di fermarlo ed era atterrato a pochi passi da Ironman.
«Ora basta con i trucchetti, Loki» disse Tony. «Mettiamo la parola fine su questa cosa».
Dieci metri più in alto, la voce di Steve risuonò fino a loro.
«Stark! Stiamo arrivando».
«NO!» gridò Tony di rimando. «Lui è mio».
«Sbruffone» replicò Loki e su lanciò su di lui.
Tony si era scontrato con Thor, prima che la causa degli Avengers li unisse, e si aspettava la stessa forza eccezionale, ma restò comunque sconcertato dalla carica che si abbatté su di lui. Cedette terreno, scivolando sulla pietra e facendo sprizzare scintille con gli stivali dell’armatura. Loki ghignò.
Tony s’insinuò sotto la sua guardia, colpendolo con un pugno che Loki incassò senza quasi avvertirlo. L’asgardiano reagì con una testata che lo mandò a rotolare all’indietro. Si rimise in piedi con una capriola, ma Loki gli era già addosso, martellandolo di colpi.
Lottarono corpo a corpo. Alcune stoccate sferrate da Tony andavano a segno e lui sentiva Loki grugnire e sbuffare provando la massima soddisfazione, ma la maggior parte venivano incassate senza reazioni. Per contro, Loki continuava a menare fendenti che gli ammaccavano l’armatura.
Rotolarono a terra, avvinghiati come amanti. Loki conquistò la posizione di vantaggio, schiacciandolo sotto di sé.
«Spiacente, tesoro: mi è sempre piaciuto di più stare sopra» esclamò Tony e lo accecò con i repulsori, scrollandoselo di dosso e rialzandosi.
Si fiondò contro l’avversario, bloccandolo contro la parete e percuotendo violentemente finché vide il sangue scorrere. Esitò, per una frazione di secondo, ma Loki la sfruttò: si liberò dalla sua presa e lo colpì al volto che, fortunatamente, era coperto dalla maschera. Sentì comunque la pelle lacerarsi sullo zigomo e fu catapultato all’indietro.
Si rese conto che, fino a quel momento, Loki aveva solo scherzato: si era divertito a giocare con lui. Si sentì sollevare e si ritrovò in ginocchio. Lo vide a circa un metro da sé: stava usando la magia e Tony era impotente. La sua armatura non rispondeva ed era obbligato a sottostare al volere di quel pazzo alieno.
«Davvero pensavi di riuscire a battermi, patetico uomo di latta?» sibilò, asciugandosi il sangue che gli colava dal naso.
«Giochi sporco, come sempre» boccheggiò Tony, cercando disperatamente di riprendere il controllo dell’armatura, ma rendendosi conto che non poteva nulla contro la magia del suo avversario.
«No, questo è giocare sporco» replicò l’altro e Tony vide la sua immagine cambiare. Si ritrovò a fissare gli occhi verdi di Victoria e il cuore prese a martellargli nel petto.
Era vestita come il giorno in cui Loki l’aveva ferita e lo guardava dritto negli occhi, sorridendogli dolcemente. Tony sapeva che era solo un’illusione, ma quando tese una mano verso di lui, fu tentato di muoversi per afferrarla.
Poi il corpo di Victoria sussultò e sul petto le comparve una vistosa macchia di sangue che si allargò sul tessuto chiaro della camicetta. Quell’allucinazione gridò, con la voce di sua moglie, e lui si sentì trafiggere da mille lame.
«Perché, Tony?» sussurrò la voce nella sua testa. «Perché non eri lì?».
Mi dispiace, avrebbe voluto dirle. Avrei dovuto essere lì per proteggere te ed Elizabeth e invece non c’ero ed entrambe avete pagato per la mia mancanza. Ma non riusciva a parlare e la vide mentre si accasciava a terra e la pozza di sangue si allargava sotto di lei.
Chiuse gli occhi e abbassò il capo.
«Hai sentito, Anthony?» mormorò Loki al suo orecchio. «Hai sentito tua moglie? Gemeva come una cagna quando l’ho uccisa».
Ma lei non era morta. È vero, non era lì per proteggerla quando Loki era arrivato a lei, ma l’aveva salvata. Contro ogni speranza, l’aveva salvata, e ora lei lo stava aspettando su Asgard, sana e salva.
Tony spalancò gli occhi. Se solo Loki avesse potuto vedere quegli occhi brillare di cieca furia, avrebbe chiuso la bocca, ma l’asgardiano proseguì, incurante della bestia che stava scatenando.
«E sai che farò ora? Sistemati voi cinque penosi eroi, andrò a cercare tua figlia e le riserverò lo stesso trattamento che ho riservato a sua madre. Non puoi vincere contro di me, Anthony. Non potrai mai. Mi prenderò tutto ciò che è tuo».
Il pugno di Tony si strinse. Con una forza che non sapeva di possedere si mosse, rimettendosi in piedi, infrangendo il maleficio di Loki.
«Non è possibile!» esclamò questi dietro di lui. Tony girò su se stesso e lo guardò negli occhi.
«Semidio o no, sei morto, asgardiano» disse con voce vibrante di furia e lo colpì. Stavolta il pugno andò a segno e Loki fu spinto violentemente all’indietro, colpì la parete e scivolò a terra.
Tony si voltò verso il congegno.
«Jarvis!» ordinò semplicemente.
«Energia al massimo livello, signore».
Dal minireattore sul torace partì una scarica di energia potentissima che infranse le barriere magiche che Loki aveva eretto attorno al suo scettro e colpì la sfera azzurra che si disintegrò, sotto gli occhi stupefatti del suo nemico.
Con un rombo terribile che parve risalire dalle profondità della terra, l’intera struttura tremò. La piattaforma su cui stavano oscillò pericolosamente.
«Maledetto bastardo!» gridò Loki, pazzo di rabbia e si scagliò nuovamente contro di lui.
Tony saltò per evitarlo, fece una capriola in aria e atterrò in perfetto equilibrio. Loki puntò i piedi contro la parete opposta e tornò di nuovo verso di lui, ma Tony scartò di lato. Fu troppo lento e il suo avversario lo afferrò e lo scagliò lontano. Ironman urtò la parete con tanta forza che l’aria gli uscì di colpo dai polmoni, lasciandolo sfiatato.
Si rialzò a fatica, mettendosi carponi, mentre Loki si avvicinava.
«Hai soltanto guadagnato un po’ di tempo per te e la tua stupida razza» sbraitò Loki, gli occhi folli nel viso pallido. «C’è altro, molto altro, su questo pianeta».
Loki si avvicinò ancora, deciso a finirlo. Ma aveva fatto male i suoi conti. Tony sollevò appena una mano e usò di nuovo i repulsori per accecarlo. Funzionò e Loki rimase stordito per un attimo, sufficiente a Tony per raggiungerlo e afferrarlo saldamente.
Lo scaraventò con violenza contro la parete. Loki, istupidito dal colpo, rimase a terra. Sopra di lui si aprì una profonda fenditura verticale che il terremoto allargò ancora di più. Tony si posizionò e lanciò una scarica di energia repulsor contro la parete, facendola sgretolare e crollare sul corpo dell’asgardiano.
La piattaforma, già indebolita dalle scosse, cedette e Tony usò i razzi per restare in volo stazionario e osservare il corpo del suo nemico precipitare di sotto e piombare nel lago di lava bollente dove scomparve, lasciando appena uno sbuffo di vapore.
Tony rimase qualche secondo ad osservare, quasi aspettandosi di vederlo ricomparire. Poi prese quota, raggiungendo gli altri.
La distruzione dello scettro aveva di fatto ucciso tutte le strane creature che ora giacevano a mucchi e cataste, scomposte nelle pose in cui erano morte.
«Mi dispiace» disse Tony, rivolto a Thor.
«Hai fatto ciò che andava fatto» rispose l’altro. «Ora usciamo di qui, prima che crolli tutto».

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Capitolo 13
*** Non lasciare la mia mano ***


Loki è sconfitto.
Tony può riprendere in mano
la propria vita e, soprattutto,
riabbracciare sua figlia e sua moglie.


Quando, ammaccato e dolorante, Tony si trascinò fuori da quel buco, Elizabeth strillò di gioia. Nat la mise a terra e la bambina corse da suo padre che, uscito dall’armatura, si chinò per abbracciarla.
«Sei tornato!» esclamò lei, baciandogli il viso insanguinato.
«Come promesso» sussurrò lui.
La prese in braccio e si sollevò a fatica.
«Torniamo a casa, ora» disse, ma Elizabeth scosse la testa e gli occhi le si riempirono di lacrime.
«Non voglio tornare a casa».
«Perché, amore?»
La bambina non rispose subito, nascondendo il viso sotto il suo mento come un animaletto spaventato. «Perché non voglio vedere che la mia mamma è morta».
«Oh, tesoro» esclamò Tony, facendole alzare la testa per guardarla negli occhi. «La mamma non è morta».
«Ho visto che era ferita. Ho visto che è caduta. Poi quell’uomo strano mi ha portata via» singhiozzò la bambina.
«Non è morta. Quando sono arrivato a casa era ancora viva. Zio Thor mi ha permesso di portarla su Asgard e lì l’hanno curata. Tua madre sta benissimo, Lizzy. Devo solo andarla a prendere».
«Davvero?» chiese la bambina, la speranza che le accendeva gli occhi.
«Non ti mentirei mai su una cosa del genere. Possiamo andare a casa adesso?»
La bambina annuì e gli posò la testa sulla spalla.
Alzatisi in volo da Treasure City, gli Avengers e le ragazze tornarono a Villa Stark – che in assenza del padrone era stata opportunamente ripulita – dove Tony mise a disposizione tutte le stanze della casa perché potessero rifocillarsi.
Tornare su Asgard non si dimostrò semplice come la prima volta. Elizabeth non voleva saperne di lasciarlo andare. Era ancora tremendamente spaventata dall’esperienza vissuta e non voleva stare lontana da lui.
Le aveva spiegato che doveva assentarsi per qualche tempo per andare a prendere Victoria e che non sarebbe stata sola perché tutti gli Avengers sarebbero rimasti lì, ma non c’era stato verso di farla ragionare. La piccola gli aveva proposto di portarla con sé, ma non era certo che fosse una buona idea: non voleva scombussolarla più di quanto già non fosse.
Alla fine Elizabeth aveva avuto una violenta crisi di pianto. Era ancora molto scossa per ciò che era successo e Tony sospettava che le sarebbe servito un aiuto psicologico per superare la cosa. L’aveva presa in braccio e cullata finché, spossata dagli eventi delle ore precedenti, non si era addormentata.
Quando Natasha era comparsa in salotto, si era seduta accanto a lui.
«Resto io con lei: tu va’ a prendere tua moglie» disse.
«Stai bene?» mormorò Tony e la donna annuì.
«Mi secca che siano riusciti a beccarmi. È la prima volta che succede. Forse sto invecchiando».
«Siamo tutti esseri umani, Nat. Beh, eccetto Thor» puntualizzò. «Non è sbagliato, ogni tanto, riconoscerlo».
«Hai ragione» sospirò.
Tony si alzò lentamente, adagiò Elizabeth sul divano e andò a cercare Thor.
Quando Heimdall aprì il Bifröst, gli sembrò che il viaggio fosse molto più veloce di quello precedente. Forse ci si abituava a quella velocità stordente.
Fu accompagnato nella stanza in cui aveva lasciato sua moglie. Victoria era nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciata e la cosa lo allarmò, ma la sacerdotessa che l’aveva portato lì lo rassicurò.
«Sua moglie sta bene, è perfettamente ristabilita».
Il corpo di Victoria era circondato da una specie di aura dorata semitrasparente che fluttuava su di lei come un velo.
«È per proteggerla e mantenerla incosciente» spiegò la donna e tese la mano. La strana copertura scomparve.
«Dovrebbe svegliarsi tra qualche minuto» mormorò. Tony la ringraziò e lei lo lasciò.
Rimase in attesa che lei aprisse gli occhi. Guardò fuori dalla finestra ripensando alle ultime ore. Le aveva lasciate sole e il male era arrivato fino a loro. Aveva quasi perso Victoria e ciò gli aveva fatto capire, semmai ne avesse avuto bisogno, quanto l’amava. Lei l’aveva cambiato, facendolo diventare un uomo migliore e, soprattutto, gli aveva dato Elizabeth.
La sua bambina era forte e sarebbe stata in grado di superare quella prova. Ma doveva trovare una soluzione. Loki non era più un problema, ma ne sarebbero sorti altri e lui voleva la migliore protezione per la sua famiglia. E aveva già in mente qualche cambiamento.
Stava ancora osservando quella strana città aliena quando udì un sospiro. Si volse e Victoria era finalmente sveglia. Si precipitò al suo fianco proprio mentre lei girava la testa e incrociava il suo sguardo.
«Tony!» sussurrò.
«Sono qui» replicò lui.
La donna spalancò gli occhi e si sollevò a sedere di scatto. «Elizabeth!»
Quasi lo gridò, ma Tony le prese il viso tra le mani. «Sta bene. È a casa, sana e salva» si affrettò a dirle.
«Ma Loki…»
«Loki è morto. L’ho ucciso io stesso e stavolta mi sono accertato che fosse vero. Non potrà più toccarvi. Credimi, mentre eri incosciente ti sei persa un bel po’ di cose».
Victoria abbassò il capo, scostò la veste e accarezzò la pelle perfettamente rimarginata della spalla.
«La ferita…»
«È parte delle cose che ti sei persa».
Victoria si guardò intorno. «Ma dove siamo?» chiese. «E questi vestiti?»
Tony sedette sul letto al suo fianco e le accarezzò il viso. «Siamo ad Asgard. Lascia che ti racconti cos’è successo nelle ultime ore».
Lei si sedette meglio sul letto, in attesa.
«Dunque» iniziò Tony, «quando sono arrivato alla villa, dopo quella tua…» e si interruppe. «No, aspetta» aggiunse poi, tendendosi verso di lei.
La baciò, sentendo quelle labbra morbide e carnose modellarsi sulle sue. Le fece scivolare la mano sulla guancia, infilandola fra i suoi capelli e trattenendole la testa contro la propria. Quando si staccarono, rimasero qualche istante ad occhi chiusi, fronte contro fronte, finché Tony le sfiorò il naso con il proprio.
«Mi sei mancata, Vicky» sospirò, prima di riprendere il racconto.
Le spiegò di come l’avesse trovata in un lago di sangue, e di come Thor avesse proposto di guarirla su Asgard. Le raccontò delle guaritrici e di come avessero operato su di lei per sanare il suo corpo. Poi era dovuto tornare sulla Terra per occuparsi di Elizabeth, lasciandola lì, in una sorta di coma. E infine le raccontò lo scontro con Loki nella miniera abbandonata.
Omise soltanto di aver scoperto che era incinta. Gliel’avrebbe detto, ma voleva che prima tornasse sulla Terra e potesse riabbracciare Elizabeth: pensare a ciò che aveva le avrebbe permesso di accettare ciò che aveva perso.
«Ti va di tornare a casa?» le domandò e lei sorrise e annuì, saltando giù dal letto.
Prima però volle ringraziare personalmente le guaritrici e Tony l’accompagnò. Poi salirono sulla barca alata e Victoria rimase a bocca aperta mentre attraversavano Asgard.
Quando l’aiutò a sbarcare accanto al macchinario del Bifröst, lei si concesse un’ultima occhiata a quel favoloso regno.
«Dobbiamo tornarci» disse, con tanto entusiasmo che lui scoppiò a ridere, la prima vera risata che si concedeva da un po’.
«Ricordatene quando avrai attraversato il Bifröst
L’imperturbabile Heimdall chinò il capo in segno di saluto quando la vide.
«Asgard le sta a pennello» disse, riferendosi al suo abbigliamento e Tony si rassegnò al fatto che lei riuscisse a fare conquiste in tutti i nove regni.
«Spero di tornare in circostanze più piacevoli» replicò la donna.
Heimdall usò la spada per aprire il Bifröst. Il macchinario si mise pesantemente in moto, cominciando a vorticare, acquistando sempre maggiore velocità. Le pareti sferiche iniziarono a muoversi e il cono che sovrastava la struttura si spostò, finendo per puntare verso la Terra. Quindi, con un rombo sommesso, il cono emise una potente scarica di energia che venne sparata nell’universo.
«Grazie di tutto, Heimdall» disse Tony.
«A presto» rispose l’altro.
Tony prese per mano la moglie.
«Ti avverto: sarà una folle corsa sulle montagne russe. Non lasciare la mia mano».
Furono catapultati nello spazio, viaggiando ad una velocità che nessun mezzo umano avrebbe mai potuto avvicinare. Quando “atterrarono” nel giardino della villa, Tony si piegò in due, scuotendo la testa per schiarirsela.
«Stai bene?» chiese con voce incerta.
«Che cosa meravigliosa! Non vedo l’ora di rifarlo» esclamò lei e Tony si alzò di scatto.
Victoria stava benissimo, gli occhi scintillanti e il sorriso sulle labbra.
«Sei impossibile» affermò lui. Poi si raddrizzò e le cinse le spalle con un braccio. «Vieni, tua figlia ha bisogno di vederti».
Si avviarono sul prato ma avevano fatto solo pochi passi che Elizabeth uscì correndo sulla veranda.
«Mamma!» gridò, lanciandosi sul prato verso di loro.
Victoria si abbassò, il vestito che si allargava attorno a lei come la corolla cerulea di un fiore, e spalancò le braccia in cui la bambina si rifugiò.
«Stai bene, mamma?» chiese la piccola, sepolta nell’abbraccio di Victoria.
«Sto benissimo, amore».
La bambina scoppiò a piangere. «Avevo tanta paura che tu fossi…»
Victoria le fece alzare il viso, guardandola negli occhi. Grossi lacrimoni traboccavano dalle palpebre e scendevano sulle guance.
«Sono qui e sto bene. È tutto finito adesso, nessuno ci farà più del male».
Tony si inginocchiò accanto a loro.
«Non posso promettervi che non accadrà più. I nostri nemici sono forti e sono molti. Ma, qualsiasi cosa accada, non permetterò mai a nessuno di farvi del male» giurò, abbracciandole entrambe.

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Capitolo 14
*** Questo futuro non è per niente male ***


Avete ragione: sono sparita troppo a lungo,
ma impegni personali e di lavoro mi hanno impedito di postare l'ultimo capitolo.
Ad ogni modo, eccolo qui.
Gli Stark tornano alla normalità, ma Tony vuole assicurarsi che
quanto accaduto non succeda mai più,
e che la sua famiglia rimanga al sicuro.
E per farlo c'è un solo modo...
A voi... e commentate, please!

 


Villa Stark tornò lentamente alla normalità.
Gli Avengers, che avevano atteso il ritorno di Victoria, se ne andarono. Ognuno di loro era ansioso di restare da solo con la propria donna e Tony li comprendeva benissimo.
Elizabeth non si staccò da loro per tutto il giorno. A breve Tony ed Elizabeth avrebbero dovuto pensare di affiancarle una psicologa per superare quel momento.
Quel giorno Tony fece ogni cosa sua figlia gli chiedesse: nemmeno lui aveva molta voglia di staccarsi dalla piccola. Era stato troppo vicino a perdere tutto e nel suo intimo nascondeva il pensiero oscuro che un giorno potesse accadere davvero. Ma non sarebbe successo quel giorno e poteva ragionevolmente pensare di potersi godere la compagnia di Victoria ed Elizabeth.
L’obiettivo del giorno era stancare il più possibile la bambina, in modo che a sera piombasse in un sonno profondo e senza sogni. Non voleva che ricordasse i terribili eventi della giornata.
Ci riuscì, ma quando la portò a letto le lasciò una lucina accesa, chiedendo a Jarvis di tenerla d’occhio e avvisarlo di qualsiasi stranezza.
«Sì, signore».
Si allarmò quando non trovò Victoria in camera da letto, ma poi la sentì muoversi in bagno e si tranquillizzò: forse Elizabeth non era l’unica che avrebbe dormito con la luce accesa quella notte.
Mentre l’aspettava armeggiò con il telescopio, poi rimase in piedi, vicino alla finestra, a guardare uno spicchio di luna che si specchiava sulla superficie calma dell’oceano, perso nei propri pensieri. Non la sentì arrivare e sussultò leggermente quando lo abbracciò da dietro, passando le braccia sotto le sue e posandogli i palmi sul petto. Si strinse a lui, posando la fronte contro la sua schiena.
«A che pensi?» gli chiese.
Tony posò le mani su quelle di lei. «Che sono andato ancora troppo vicino a perdervi» disse, abbassando la testa e baciandole le dita intrecciate alle proprie.
Victoria lo fece voltare verso di sé.
«Ti prego, non tormentarti così. Ne abbiamo già discusso. Tutto questo è inevitabile, come diventerà inevitabile per mia sorella o per chiunque orbiti attorno agli Avengers. Io però sono sicura di una cosa: qualsiasi cosa succeda, tu e gli altri sarete lì per proteggerci».
Tony le accarezzò il viso, posandole dolcemente una mano sulla guancia.
«C’è qualcosa che devo dirti» annunciò.
Sedette sulla poltrona, e lei gli sedette in braccio.
«Ho come l’impressione che non sia una cosa bella» disse lei, seria.
Lui distolse un attimo lo sguardo, raccogliendo le parole giuste. Non ne trovò.
«Quando ti ho portata su Asgard, eri in fin di vita» cominciò. «La ferita era vicinissima al cuore e tu avevi perso così tanto sangue che l’unico modo per salvarti era affidarti alle loro guaritrici». L’uomo sospirò. «Ero lì mentre quelle donne usavano i loro poteri su di te».
Cercò di spiegarle della proiezione 3D che aveva visto, anche se non fu facile perché era una tecnologia totalmente aliena.
«Che stai cercando di dirmi, Tony?» chiese lei. «C’è qualcosa che non va in me?».
«No, Vicky. Quello che sto cercando di dirti è che…» Fece una pausa e fissò gli occhi nei suoi. «Eri incinta, tesoro» disse, il più dolcemente possibile.
Lei rimase immobile. Vide passare ombre nei suoi occhi mentre considerava la notizia sotto ogni aspetto. Poi aggrottò la fronte e guardò in basso, verso la sua pancia assente.
«No… io non…» disse, rialzando lo sguardo.
«Lo so: non lo sapevi. Sarà stato di appena tre settimane».
Lei abbassò di nuovo lo sguardo, lasciando che i capelli le nascondessero il viso, e posò una mano sul ventre liscio e piatto. Tony non era sicuro che avesse capito. Coprì la mano con la propria.
«Per lui era troppo tardi, Victoria. Il bambino non ce l’ha fatta».
Lei annuì e una lacrima le cadde dal viso. «Quindi Loki ha ucciso qualcuno nella nostra famiglia» disse.
Tony sentì il cuore scoppiare di pena e tormento. «Vieni qui» sussurrò, attirandola verso di sé. Lei posò il capo sulla sua spalla e lui la circondò con le braccia. Victoria pianse in silenzio per quel bambino non nato, bagnandogli la maglietta di lacrime. Non c’era nulla che lui potesse dire, poteva solo starle talmente vicino da condividere quel dolore con lei, sperando che diventasse meno pesante.
Era un bene che lei non si fosse ancora accorta di essere incinta, che non avesse visto quella sfera luminosa, che non avesse sentito quel piccolo cuore battere frenetico. Il dolore sarebbe stato ancora più straziante.
Quando i singulti si placarono, Tony la stava ancora tenendo stretta, accarezzandola come aveva fatto con Lizzy solo poche ore prima.
«Sai cosa trovo terribile?» gli chiese poi, la voce ancora rotta dal pianto.
«Che cosa?»
«Che di lui, o lei, non ci resti nulla».
«Era un lui» disse Tony.
«Come lo sai?» chiese la donna.
«Non so spiegartelo. Ma era un maschietto, ne sono sicuro» affermò. «E comunque non è vero che non abbiamo nulla» disse. La fece alzare e la portò al telescopio, invitandola a guardarci dentro. Lei era perplessa. «Fidati» disse lui.
«Vedi quelle quattro stelle al centro della lente?» le chiese quando abbassò la testa. «Una, quella centrale, due giorni fa non c’era».
«Non capisco cosa…»
Poi drizzò la testa lentamente, guardandolo negli occhi.
«I frammenti di quella sfera luminosa sono saliti in cielo, si sono fissati tra le stelle» spiegò lui.
La vide sorridere: aveva capito.
 
Tony osservava New York risplendere di luci sotto di lui. Dall’attico della Stark Tower poteva godere di una vista mozzafiato su una delle città più straordinarie del mondo.
Erano trascorsi circa tre mesi dalla morte di Loki e quella sera, per la prima volta, avrebbero lasciato Elizabeth da sola con Zoey. La bambina sembrava essersi ristabilita del tutto dalla brutta avventura, anche se di notte capitava che Tony e Victoria dovessero alzarsi per svegliarla dagli incubi e cullarla finché non si riaddormentava.
Victoria aveva lasciato una lista di raccomandazioni lunga quanto la Route 66 e si era convinta definitivamente ad andarsi a preparare solo quando aveva visto l’imponente spiegamento di uomini che Happy aveva reclutato per la protezione della piccola in loro assenza.
Sorseggiò lentamente il suo whisky, mentre aspettava sua moglie. Lei e le altre ragazze erano uscite nel pomeriggio a fare shopping – con la carta di credito illimitata di Stark – per prepararsi all’evento di quella sera.
L’uomo tolse un granello di polvere dalla giacca. Indossava un completo scuro ricamato su cui erano stati applicati alcuni minutissimi strass che catturavano le luci e risplendevano. Sapeva che Victoria non sarebbe stata del tutto d’accordo con quell’abbigliamento.
Si voltò quando la sentì dietro di sé e rimase senza fiato. Sua moglie indossava un abito color vinaccia, con scollo a V, molto attillato. La fascia sotto il seno era tempestata di Swarovski che brillavano come piccole stelle, così come l’allacciatura dietro il collo. L’abito le arrivava a metà coscia ed era profondamente scollato sulla schiena.
«Non ti piaccio?» chiese civettuola, piroettando davanti a lui.
Lui posò il bicchiere, facendo un paio di passi verso di lei.
«Se non fossi un uomo sposato, ti prenderei in braccio in questo preciso momento, ti porterei in camera e farei l’amore con te fino a domattina».
Victoria rise, ma fece un passo indietro: conosceva il suo uomo, e conosceva quello sguardo. Significava: faremo tardi al concerto.
«Ha ragione, signor Stark» mormorò, reggendogli il gioco. «Sua moglie la ucciderebbe. Ora sarebbe meglio andare».
«Sì, dovremmo andare» replicò, continuando però ad avanzare verso di lei.
Quando si accorse che lei non poteva più indietreggiare, la schiena premuta contro la vetrata, si passò la lingua sulle labbra. Victoria sentì un brivido di pura elettricità scorrerle in tutto il corpo, ma si costrinse a mantenersi lucida.
«Tony».
Lui ormai le era addosso e l’afferrò per i fianchi.
«Cosa?»
«Dovremmo davvero andare» disse, ma lui rispose con un mugugno indistinto.
Si abbassò su di lei, bloccandola contro il vetro, sfiorandole la pelle con le labbra appena dischiuse. Victoria sentì il suo respiro, sulla tempia, sulla guancia, sull’orecchio, mentre il proprio si era fatto affannoso: Tony sapeva benissimo come farla impazzire.
L’uomo mosse una mano, sollevandole il mento con due dita. Non la baciò, limitandosi a farle sentire il proprio respiro sulle labbra, allontanandosi leggermente quando lei muoveva la testa per congiungere le labbra con le sue.
Mi hai provocato? Bene, ora supplicherai.
Nessuna donna, mai, l’aveva acceso in quel modo e aveva continuato ad accenderlo dopo la prima volta. Per tutte le altre aveva perso interesse quasi subito: poche erano restate nel suo letto per due notti consecutive, pochissime per tre, nessuna per quattro. Ma bastava uno sguardo di quegli occhi verdi per scatenarlo, facendogli perdere letteralmente la testa. Erano sposati da sei anni e la desiderava ancora con lo stesso identico fervore della prima volta.
«Sai una cosa?» sussurrò lui.
«Cosa?»
«Dobbiamo proprio andare». Si allontanò e Victoria rimase per qualche istante contro il vetro, ad occhi chiusi. Quando li riaprì, ansimava ancora come se avesse corso.
Tony non l’aveva più guardata, dirigendosi verso l’ascensore e premendo il pulsante di chiamata. Lei raccolse la pochette e lo raggiunse. Salirono sull’ascensore e rimasero fianco a fianco, senza toccarsi, mentre l’elevatore si metteva in moto.
Improvvisamente lei si alzò in punta di piedi. «Non ce la faresti a fare l’amore con me fino a domattina» gli sussurrò all’orecchio.
La mano di Tony scattò velocissima e premette il pulsante di blocco. Le luci dell’ascensore si spensero, tranne una luce rossa d’emergenza.
«Scommettiamo, dolcezza?»
Usò il proprio corpo per spingerla indietro, incuneando un ginocchio fra le sue gambe. La baciò, stavolta sul serio, profondamente. Victoria gli si aggrappò mentre lui faceva scivolare le mani sul suo corpo, insinuandosi sotto il bordo del vestito e facendoglielo risalire sulle cosce.
«Tony!» Aveva cercato di fermarlo, prima di perdere totalmente il controllo. «Così faremo tardi sul serio», aggiunse.
«Colpa tua».
«Tony! Non vorrai farlo qui!» esclamò.
Lui alzò la testa. «L’ascensore è mio: se ho voglia di farci l’amore con mia moglie, sono libero di farlo. Però hai ragione: non possiamo restare rinchiusi qui fino a domattina. Torniamo di sopra».
Si mosse per premere il pulsante dell’attico ma Victoria gli abbassò il braccio, ridendo.
«Mi dispiace di aver messo in dubbio le tue prestazioni. Non lo farò mai più. Ma ora dobbiamo andare. Dobbiamo passare a prendere gli altri».
Le regalò un sorriso malizioso e, senza una parola, riattivò l’ascensore. Quando le porte si aprirono nell’atrio, Tony si abbassò verso il suo orecchio.
«Non è finita. Più tardi ti darò una lezione, signorina».
Lei girò appena la testa, sbattendo lentamente le ciglia. «Oh, è quello che spero» sussurrò.
Per quella serata, Tony aveva noleggiato un Hummer H2 Limousine, in modo che potessero andare tutti insieme, e il mezzo era già fermo davanti alla Stark Tower. Presero posto sui lussuosi divanetti in pelle e raccolsero per via il resto degli amici.
Il Beacon Theatre era strapieno di gente quella sera. Una sezione della platea era stata riservata ai VIP e Tony era in prima fila, con Victoria al suo fianco. Accanto e dietro di loro c’erano gli Avengers, con rispettive fidanzate. Le ragazze erano tutte meravigliose nei loro abiti da cocktail al braccio dei loro uomini in abito elegante.
«Ehi, Stark!»
Tony si voltò: Bruce Springsteen era a due passi da loro. I due si strinsero la mano.
«Ehi, Boss! Ti trovo in forma» aveva detto Tony e l’altro scoppiò a ridere.
«Sì, anche tu» rispose, guardando però Victoria.
«Carino!» esclamò Tony. «Ti sarei grato se la smettessi di rovistare nella scollatura di mia moglie». Springsteen si era allontanò con una risata e loro si accomodarono.
Quella sera, Tony era stato invitato al concerto che Sting aveva organizzato per il suo sessantesimo compleanno. L’uomo e la star britannica erano amici da tempo e Tony gli aveva chiesto se poteva portare un po’ di amici. Sting aveva acconsentito e ora erano tutti lì a godersi quella splendida musica e una carrellata di ospiti davvero notevole.
Quando Tony si scusò con Victoria dicendo di doversi assentare per qualche minuto, lei non ci fece caso. Non sapeva mai pienamente cosa gli frullasse per la testa. Pensava di essere ormai abituata alle sue stranezze, ma nel momento in cui lo vide comparire sul palco, rimase a bocca aperta.
«Figlio di puttana!» esclamò Rogers dietro di lei, e Victoria sorrise.
Tony salì sul palco a passi lenti e se ne impadronì immediatamente. Il pubblico lo riconobbe e gridò, mentre lui si inchinava davanti a Sting, baciandogli la mano.
La canzone era Driven to tears, un successo un po’ datato dei Police, che Victoria sapeva essere una delle sue favorite. Tony si voltò verso l’orchestra, applaudendo. Poi mise le mani in tasca, le strizzò l’occhio e iniziò a cantare. La folla esplose in delirio.
Tony si muoveva sul palco a ritmo con la musica mentre la sua voce, calda e graffiante, riverberava nel teatro.
«Ti hanno mai detto che tuo marito è piuttosto sexy?» le chiese sua sorella e Victoria annuì.
«Qualche volta!»
Tony saltellava sul palco e batteva le mani e Victoria vide i piccoli strass cuciti sulla sua giacca mandare bagliori: Tony Stark sapeva sempre come attirare l’attenzione su di sé.
La canzone arrivò al culmine, che lui e Sting cantarono insieme, allo stesso microfono. Poi, mentre Sting lo ringraziava della sua partecipazione, Tony gli fece un inchino e si girò verso l’orchestra, dandole lo stop. Poi si girò verso il pubblico, fece un secondo inchino e scivolò via dal palco.
Quando tornò al fianco della moglie, lei lo guardò stupita.
«Volevo farti una sorpresa» disse.
«Ci sei riuscito» replicò lei, sfiorandogli le labbra con un bacio.
Quando la festa terminò – dopo che le ragazze obbligarono Tony a presentarle ad un buon numero di star presenti – tornarono tutti a bordo della limo. Nonostante l’ora tardissima, Tony diede istruzioni all’autista di portarli alla Stark Tower.
«Come mai ci fermiamo lì?» chiese Jane.
«Ho una proposta da farvi».
Raggiunsero l’attico e si accomodarono sul divano, mentre Victoria serviva loro l’ultimo scotch o una tazza di caffè: lei sapeva cosa Tony si stava preparando a dire e sapeva che il caffè sarebbe stato necessario.
«Allora, di che proposta si tratta?» chiese Thor, mettendo un braccio intorno alle spalle di Jane.
«Credo di interpretare il pensiero di tutti quando dico che tre mesi fa, quando Loki ha preso le nostre donne, ci siamo sentiti tutti estremamente coinvolti».
Vide negli occhi dei suoi compagni che, per quanto lui fosse stato colpito più duramente, era stato lo stesso per tutti loro. Steve baciò la tempia di Beth e Bruce prese delicatamente la mano di Violet.
«È più che evidente che, in questo modo, finiamo per mostrare il fianco ai nostri nemici e non possiamo permetterci di essere così vulnerabili. Se non ci fossimo trovati tutti sull’Helicarrier dello S.H.I.E.L.D. quando Loki ha attaccato, non sarebbe riuscito a prenderle tutte».
«Che proponi?» chiese Steve.
Tony schioccò le dita e Jarvis accese il maxischermo.
«Ecco a voi Avengers Hall».
Le immagini sullo schermo ultrapiatto appeso al muro mostravano il progetto di un’enorme villa. Steve riconobbe l’abitazione di Malibu eppure c’era qualcosa di diverso: era molto più grande e articolata, almeno tre volte più grande di quanto già non fosse.
«Che significa?» chiese Bruce, osservando le immagini che scorrevano davanti ai suoi occhi: anche lui aveva riconosciuto solo in parte la villa sulla scogliera.
«La villa di Malibu potrebbe diventare il nostro quartier generale» disse Tony e le sue parole furono seguite da un lungo silenzio. «So che è un grosso passo per tutti, e capisco che possa disorientare, ma ci ho pensato a lungo e questo è il modo più semplice per proteggere ciò che amiamo».
«Fury lo sa?» chiese Natasha, girandosi verso di lui.
«Sì» annuì Tony. «Lo sa e approva. Secondo lui averci tutti in un unico posto renderebbe meno complicata la logistica. Ogni volta che ha bisogno di noi deve rintracciarci in capo al mondo».
Di nuovo tutti tacquero.
«Allora, che ne dite?» chiese alla fine.
«Non so» disse Steve. «Parli di vivere insieme, nella stessa casa, ventiquattr’ore su ventiquattro. Non credo che la tua faccia sia la prima che voglio vedere appena sveglio».
Tony sogghignò. «Nemmeno io voglio beccarti a gironzolare nudo per casa mia, credimi. In pratica sono cinque appartamenti separati – sei, se contiamo anche quello di Pepper – indipendenti al cento percento. Ci sono aree comuni per gli Avengers e per lo svago, ma ogni abitazione è a se stante».
«Credi davvero di riuscire a costruire quella cosa?» domandò Barton, indicando l’enorme villa.
«È possibile, fidati. Non ve l’avrei nemmeno presentata se non fosse fattibile».
Sedette sul bracciolo del divano, accanto a Victoria che gli si appoggiò alla coscia.
«Io e Tony dovremmo solo rinunciare a qualche metro quadrato di casa, ma ne abbiamo anche troppi» aggiunse la donna.
«E che ne sarà del nostro lavoro?» chiese Violet e Beth annuì: entrambe lavoravano a New York, una in un negozio di animali, l’altra come cameriera in un bar.
«Ci siamo permessi di muoverci anche in questo senso» intervenne Victoria. «C’è uno splendido negozio di animali in centro a Malibu che si sta preparando a vendere. È grande tre volte quello di New York» disse, rivolta alla sorella.
«Quanto a te» disse all’indirizzo di Beth, «la tua laurea in economia basta e avanza per qualsiasi posto alle Stark Industries e ce ne sarebbe uno vacante come assistente personale del responsabile marketing che si sta preparando a godersi la pensione e ha bisogno di qualcuno che lo sostituisca».
«Per te, invece, sempre che tu lo voglia» disse Tony a Jane, «c’è un posto come direttore della nuova sezione astrofisica delle Stark Industries. Avrai alle spalle la stabilità del gruppo per le tue ricerche e l’aiuto del dottor Banner e del sottoscritto per qualsiasi necessità». Indicò Thor con un cenno del capo. «E potrai tenerti tra i piedi questo bietolone che sembra piacerti così tanto» ridacchiò.
«A noi non hai pensato, eh?» chiese Barton.
«Oh sì, mio caro» replicò Tony. «Per te c’è un posto da direttore della sicurezza del gruppo, così che Happy possa tornare a concentrarsi solo ed esclusivamente sulla mia famiglia. E per la tua dolce metà» celiò, rivolto a Natasha, «sono sicuro che ha un curriculum talmente ricco che potrà fare ciò che vorrà nella mia azienda. Sono quasi sicuro che non abbiamo nessuno che parla latino tra i dipendenti».
«Memento audere semper [1]» disse la donna con il sorriso sulle labbra.
«Appunto! E comunque vostro compito sarà quello di mantenerci in contatto con lo S.H.I.E.L.D. e organizzarci in caso di chiamata».
Nessuno parlava nell’attico di Stark e lui pensò che forse aveva esagerato. In fondo non aveva alcun diritto di prevalere in quel modo, non poteva imporre ai suoi amici quel cambiamento di vita.
«Sentite» disse alla fine, schioccando di nuovo le dita e facendo spegnere il televisore, «non pretendo una risposta immediata. Pensateci su, so che per molti di voi è un cambiamento importante».
«Quando abbiamo pensato questa cosa» intervenne Victoria, «abbiamo considerato il benessere delle nostre famiglie, di quelle che già abbiamo e di quelle che verranno. La vostra forza è l’unione e stare tutti insieme ha degli innegabili vantaggi. Ma sentitevi liberi di decidere con la massima serenità, la nostra è solo una proposta».
Captain America alzò una mano e Victoria inarcò un sopracciglio. «Con la mano alzata? Sul serio, Cap?»
Beth ridacchiò.
«Dì pure» concesse Victoria, con il sorrisino indulgente di una maestra elementare.
«È proprio necessario chiamarla Avengers Hall?»
«Sì, quel nome non mi convince proprio» aggiunse Thor.
Tony sorrise: «Va bene. Il nome lo sceglieremo insieme ma, dato che la casa è mia e i soldi per l’ampliamento ce li metto io, avrò diritto all’ultima parola: non voglio trovarmi ad abitare alla Cap House o a Midgard Manor!»
«E potrò portare Lilly?» chiese Violet, riferendosi al suo Yorkshire.
«Basta che non venga a fare i suoi bisognini nel mio laboratorio».
«E potremmo scegliere noi l’arredamento interno?» domandò Jane.
«Certo. Sarà casa vostra a tutti gli effetti»
«E potremo usufruire della piscina?» s’informò Beth.
«Sì, quella fa parte delle aree comuni».
«E potrò avere un laboratorio tutto mio?» volere sapere Jane.
«Sì, non penso sia un problema». Tony cominciava a perdere la pazienza di fronte a quel bombardamento di domande e si alzò in piedi, bloccando Natasha che stava aprendo bocca.
«E se vuoi le pareti della tua stanza dipinte di color rosa confetto, per me va bene» disse e tutti scoppiarono a ridere.
Victoria rise con loro ed ebbe una sorta di visione sul futuro. Vide la villa, grande e maestosa così come le era apparsa la prima volta che aveva visto i nuovi progetti di Tony. Vide se stessa, a fianco dell’uomo che amava, in compagnia degli Avengers. E vide una schiera di ragazzini correre sul prato e giocare in piscina: erano i loro figli, fratelli di sangue o solo di giochi della sua Elizabeth.
, pensò, questo futuro non è per niente male.

L'idea di Tony Stark che partecipa al compleanno
di Sting nasce da un fatto realmente accaduto,
ossia la partecipazione di Robert Downey Jr alla suddetta festa,
dove canta davvero Driven to Tears.
Se voleve godervelo, il video è su Youtube.
Arrivederci!

 
 

[1] Ricorda di osare sempre

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