La speranza è l'ultima a sciogliersi

di PandoraEvans_888
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un giorno come altri (o quasi) ***
Capitolo 2: *** Una fredda compagna di banco? ***



Capitolo 1
*** Un giorno come altri (o quasi) ***


Capitolo 1 (PdV Elsa/Anna)
 
 
 
Elsa fece la sua solita treccia mentre era davanti allo specchio in camera sua e in perfetto orario.
Si guardò allo specchio dopo aver completato l’opera, controllando che tutto fosse a posto. I suoi capelli bianchi erano perfettamente tenuti nella treccia a lisca di pesce, che la ragazza aveva iniziato a portare da qualche mese. Ormai era il suo marchio di fabbrica.
Si diresse verso l’armadio e ci rovistò dentro, alla ricerca dei vestiti che aveva preparato la sera prima. Sicura di chi fosse stato, gridò: - Anna! –
Quella bofonchiò qualcosa da sotto le coperte e non rispose.
A quel punto Elsa perse la pazienza e si diresse verso il letto della sorella, che, ignara di tutto, dormiva beatamente. I suoi capelli color arancia erano sparati in tutte le direzioni, formando un nido inestricabile di nodi. Solo una ciocca bianca sfuggiva al nido, restando posata sulla guancia di Anna. La sorella maggiore afferrò le coperte del letto di Anna e le tolse con uno scatto.
Dopodiché andò alla finestra in fondo alla stanza e la spalancò, facendo entrare tutto il freddo di una mattina d’inverno.
-Sveglia! Dove sono i miei vestiti? – urlò alla sorella.
Per colpa di quella dormigliona rischiava di essere in ritardo.
Anna per tutta risposta si alzò come uno zombie, riprese la coperta e tornò a dormire.
Elsa alzò gli occhi al cielo e tornò alla caccia dei suoi vestiti. Dopo una ventina di minuti ne trovò altri e con quelli in mano si diresse in bagno, lasciando volutamente la finestra aperta.
Lasciata sola, Anna aprì gli occhi e si alzò con tutta calma. Si trascinò fino alla finestra, la chiuse rabbrividendo per il freddo. Aprì il suo armadio, opposto rispetto a quello della sorella. Frugò un po’ e dal fondo prese i vestiti di Elsa, e raggiunse la sorella in bagno.
-Tu! – esclamò Elsa vedendo i suoi amati vestiti.
-Beh… tu hai sempre tante cose da metterti… mentre io no. – ribatté Anna per niente
spaventata dalla rabbia della sorella.
Non le avrebbe mai fatto del male, almeno non volontariamente.
-Ah, lascia stare. Sei in ritardo. Io non ti aspetto. – concluse Elsa, uscendo dal bagno vestita di tutto punto.
Anna alzò le spalle e finalmente controllò l’orologio: 7:45. Sì. Era in ritardo.
Si preparò a razzo e in un baleno si vestì, dopodiché uscì insieme alla sorella, che nonostante tutto la stava aspettando, con uno sguardo scocciato.
A metà strada si accorse che non aveva preso la borsa con i libri e fece per tornare indietro.
       -    Ferma – la bloccò Elsa – te l’ho presa io. – aggiunse porgendole la sua borsa colma di libri.
       -    Come facevi a sapere cosa mi serviva? –
       -    Conosco il tuo orario meglio di te. – sbuffò la sorella.
Anna afferrò la sua borsa e se la mise a tracolla. Poi osservò Elsa. Senza di lei Anna sarebbe uscita senza scarpe o guanti nei mesi invernali o borse o anche gli stessi vestiti, un migliaio di volte.
Da tre anni ormai era diventata come sua madre, da quando i loro genitori erano morti.
Elsa l’aveva messa in guardia da Hans, un giovane prestante che l’aveva poi ferita, facendole rischiare la morte, mentre non aveva esitato ad accettare Christoff, l’attuale ragazzo di Anna. Ma in tutto questo tempo lei non era mai riuscita a trovare qualcuno per Elsa. Sembrava che nessun ragazzo era in grado di capire quanto sotto una maschera di rigidità si nascondesse una ragazza fragile e gentile. Ogni giorno che passava, Elsa sembrava sempre più chiusa in se stessa, e questo era accentuato dal fatto che quello sarebbe stato il suo ultimo anno.
Nel frattempo Elsa si sistemò per l’ennesima volta i suoi guanti, lunghi fino al gomito e ricamati d’oro. Era stata sua madre a farli, poco prima del suo incidente ed Elsa non se li toglieva mai.
Neanche sotto la doccia avrebbe voluto farlo, ma per non rovinarli e per non rompere tutto quanto nello stesso momento aveva optato per dei guanti in lattice.
La sua era più necessità che altro. Nessuno era mai riuscito a capire perché lei avesse questo “dono”, ma sul nasconderlo tutti erano stati più che d’accordo.
Lei era pericolosa.
Sapevano solo che neanche Anna doveva venirne a conoscenza, figurati le altre persone. Elsa era stata soprannominata “regina dei ghiacci”, soltanto che non sapevano fino a che punto avessero ragione. Lei era veramente la regina dei ghiacci.
Camminavano fianco a fianco in silenzio, quando un turbine di vestiti passò accanto a loro, per poi fermarsi di scatto.
-Buongiorno! – esclamò Christoff, il ragazzo di Anna, poggiando il suo zaino a terra per correre ad abbracciarla e baciarla.
-Buongiorno anche a te, tesoro! – rispose felice Anna, ora perfettamente sveglia.
Elsa si scansò, lasciando loro un po’ d’intimità. Alzò un sopracciglio, con un’espressione all’apparenza altezzosa, ma in realtà sofferente.
Anche lei voleva avere una relazione del genere.
A suo tempo, quando Anna voleva sposare Hans dopo averlo appena conosciuto, lei l’aveva rimproverata dicendo che non poteva sposare un uomo appena conosciuto, ma dentro di lei avrebbe voluto la stessa cosa. Innamorarsi a prima vista di un ragazzo, senza pensare a quello che sarebbe potuto succedere se lei lo avesse sfiorato.
Girò la testa per non vedere lo spettacolo che agli altri sarebbe potuto sembrare tenero; per lei invece era doloroso.
-Tutto bene? – chiese una voce alle sue spalle.
-Cosa? – esclamò Elsa sorpresa, girandosi di scatto.
Davanti a lei stava un ragazzo con i capelli argentei, gli occhi azzurri e l’espressione preoccupata. Teneva lo zaino su una spalla sola, la sua maglietta azzurra era decorata con dei pinguini e i pantaloni marroni che indossava erano strappati in più punti.
-E tu sei? – chiese timidamente Elsa, mentre cercava di non sentire le voci alle sue spalle, che già spettegolavano. Poteva immaginare che cosa dicessero: “La regina sta dando confidenza a qualcuno!” o “Il ghiaccio del suo cuore si sta sciogliendo!”. Non riuscivano a capire che se lei li teneva a distanza era per il loro bene.
-Jack Frost, piacere – si presentò lui, allungando la mano, dopo aver poggiato lo zaino.
-Ehm… io non credo che sia necessario…. – tergiversò lei.
-Cosa? – chiese lui inclinando la testa da un lato.
-La stretta di mano. – tagliò corto Elsa, incrociando le braccia.
-Perché? –
-Ecco…. – disse lei lanciando uno sguardo di supplica verso sua sorella.
Solitamente Anna la salvava da certe situazioni, pur non sapendo il perché, ma diceva a tutti che Elsa non sopportava il contatto fisico.
A quel punto una voce irritante si levò dalla folla di studenti che infestavano il parco: - La regina non si smentisce mai! Sempre fredda come il ghiaccio! – esclamò, seguito da tutti gli altri.
Era l’ex ragazzo di Anna, Hans, che non si sa come, era riuscito a rimanere nella scuola dopo quello che aveva fatto. Elsa lo guardò con un’espressione ferita, ma non disse nulla.
Si girò solamente verso Jack e disse: - Ecco. Come ha detto lui, io sono la regina di ghiaccio, meglio che tu lo sappia fin dall’inizio. Devi essere nuovo, se non mi conosci. –
Jack non disse niente e dopo aver raccolto la sua borsa, si avviò verso il portone della scuola.
Ben presto anche tutti gli altri seguirono il suo esempio, compresi Anna e Christoff.
Elsa rimase un momento indietro. Invece di seguire gli altri voltò a sinistra e si avviò verso il bosco poco distante dalla scuola.
Quando fu abbastanza lontana dalla scuola, poggiò la sua borsa, si tolse con cura i guanti di sua madre, che poi poggiò delicatamente sullo zaino e chiuse gli occhi.
Fece un respiro profondo e ripeté tra sé e sé: - Celare. Domare. Non lasciare che nessuno veda. Non farlo sapere a nessuno. – era come un mantra che usava per calmarsi.
Poi piano piano aprì una mano, la stese verso l’erba ancora umida e fece un altro respiro profondo.
Dalla sua mano scaturì un lampo azzurro che fece ghiacciare istantaneamente tutta l’area intorno alla sua mano. Elsa con calma richiuse la mano e tutto tornò come prima.
Elsa sorrise soddisfatta. Riusciva ancora a dominare i suoi poteri.
A volte andava via per qualche ora e si rifugiava in quel bosco, dopo la scuola, per scaricare il nervoso o capire se poteva controllare ancora il ghiaccio; soprattutto quando la giornata si faceva troppo pesante e lei sentiva un formicolio alle mani, segno che non si sarebbe potuta trattenere a lungo, allora chiedeva di andare in bagno e invece si rifugiava lì.
Aveva come la sensazione che quel giorno avrebbe avuto bisogno di venire lì ancora più del solito. Angolo dell'autrice Allora, questa, come si può ben vedere, è la mia prima storia, quindi siate clementi con me. Non ho ancora bene in mente come continuarla, ma spero che vi piaccia, insomma. Ok, non so più cosa dire. Beh, buona lettura.

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Capitolo 2
*** Una fredda compagna di banco? ***


Capitolo 2 (PdV Jack)
 
Quel giorno era iniziato nel migliore dei modi.
Nuova scuola, nuova vita, no?
Si era trasferito da poco nella città di Arendelle e non vedeva l’ora di uscire di casa. I suoi genitori adottivi avevano insistito affinché lui restasse in casa finché non fosse iniziata la nuova settimana. Non era ancora riuscito a capire il perché.
O meglio, lo capiva, ma secondo lui era decisamente troppo.
Ok, poteva evocare il ghiaccio, e allora? Non è che non fosse in grado di controllarsi. Anzi, in tutta la sua vita non aveva avuto problemi di quel genere.
Finalmente il weekend era finito e lui poteva mettere il naso fuori. Aveva salutato distrattamente i suoi genitori per poi correre fuori.
Non sarebbe mai stato così felice di andare a scuola. Ma in quel caso scuola significava libertà.
Arrivò leggermente in anticipo, non avendo fatto colazione e si sedette su un muretto accanto al cancello, in attesa. La gente non sembrava malaccio, a prima vista. Quando decise che forse era il momento di entrare, si avviò verso il portone spalancato della scuola, ma mentre camminava verso la sua meta una ragazza si girò bruscamente e sbatté contro di lui.
-Tutto bene? – chiese Jack.
La ragazza lo guardò con gli occhi azzurri spalancati e gli chiese spaesata: - Cosa? –
Aveva una lunga treccia bianca, posata sulla sua spalla sinistra e i suoi occhi erano azzurro ghiaccio, come i suoi, solo molto più grandi e innocenti.
A prima vista sembrava una ragazza ordinata, di quelle che hanno una lista dei propri vestiti nell’armadio, o di quelle che se devono andare in vacanza iniziano a pensare alla valigia una settimana prima. Indossava una semplice maglietta celeste, leggermente larga, con una collana a forma di sole. I suoi jeans erano stretti, mettendo in risalto le sue lunghe gambe.
Non male.
-Tu chi sei? – chiese.
-Jack Frost, piacere. – le tese la mano.
Lei tergiversò un po’ e lanciò uno sguardo fugace a una coppia poco lontano da loro, come una richiesta d’aiuto che non arrivò.
Poi una voce sconosciuta chiarì tutto, almeno secondo lei e il resto della scuola. Ma per lui era ancora un mistero. Fece finta di nulla, e proseguì per la sua strada, ma era deciso a scoprire chi fosse esattamente, non solo il nome con cui era conosciuta.
 
 
Dopo aver cercato la sua classe per dieci minuti buoni, entrò finalmente in quella giusta: 5 D. promettente, considerando che avrebbe passato poco meno di un anno con quelle persone.
Raddrizzò la schiena, si sistemò lo zaino su una spalla per l’ennesima volta, non riuscendo a portarlo su due e tentò di apparire sicuro di sé.
Piacere di conoscervi io sono Jack Frost. Mi sono appena trasferito dalla città di Helsinki e rimarrò qui per tutto l’anno, pensò ripassando il suo discorso.
Ecco. Andava bene. Se voleva sembrare un povero sfigato.
Doveva sembrare più sicuro.
Fece un respiro profondo e aprì la porta.
Nessuno gli prestò la minima attenzione, presi com’erano dal chiacchierare e spettegolare sugli avvenimenti di pochi minuti prima.
Solo una ragazza era da sola e guardava la finestra. Quando entrò, si girò e lui la riconobbe.
Era la ragazza di ghiaccio. Il posto accanto a lei era vuoto.
Si avvicinò timidamente a lei e le chiese: - Posso? –
Lei lo fissò per un po’, come a dire: “Seriamente?” e poi semplicemente alzò le spalle e si girò dall’altra parte. Jack rimase un po’ stupito, ma lo prese come un sì.
-Ehi, io non lo farei, se fossi in te. – lo ammonì un ragazzo che si era accorto di lui.
-E perché? – chiese. Nessuno gli poteva dire cosa fare e cosa non fare.
-Non vorrai che ti geli il cuore! – rispose lui scoppiando a ridere.
I suoi amici lo seguirono a ruota e Jack si girò verso la vittima, vedendo che guardava insistentemente fuori, come se non la riguardasse.
- Di quello non mi preoccuperei. Piuttosto, hai i calzini di colore diverso, te ne sei accorto? – gli disse squadrandolo.
Il poverino divenne tutto rosso e biascicò qualcosa.
-Cosa? – chiese mettendo la mano destra sull’orecchio – la tua vocina da femminuccia non mi è arrivata. Non ho capito. –
Quello divenne ancora più rosso e corse via dalla classe.
-Per così poco…. – disse scuotendo la testa.
-Per tua informazione, hai appena fatto scappare via il figlio del preside. – gli disse una voce alla sua sinistra.
Si girò e vide la ragazza che lo guardava con uno sguardo freddo.
-Ah, sì? – ribatté – tanto meglio. –
Lei lo guardò per un altro po’ e poi gli chiese: - Sei nuovo, vero? –
-Si vede molto? –
-Sinceramente? Sì. –
-E da cosa? –
Forse era il suo look, con quei capelli chiari e la maglietta con i pinguini? A Helsinki era l’ultima moda, ma chissà ad Arendelle come andavano le cose.
-Se ti stai chiedendo se è il tuo aspetto, la risposta è no. –
-Ma come hai fatto? – chiese sorpreso.
-Ti leggo nel pensiero. – rispose lei tutta seria.
-Prego? –
E pensare che in quel momento stava pensando che era sexy!
99 scimmie saltavano sul letto, una cadde in terra e si ruppe il cervelletto! 98 scimmie… si mise a pensare.
- Hahahaha! Ma ci hai creduto sul serio? – rise lei, sorridendo.
Jack la guardò estasiato per un po’, poi tornò con i piedi per terra e disse, fingendosi offeso: - Ecco, no! Ma cosa vai a pensare! –
-Certo, ammettilo, ci hai creduto. –
-Prima non eri così colloquiale. – la rimbrottò lui.
-Mi hai fatto tornare il buon umore, tutto qui. – rispose lei.
-Quindi ora posso sapere il tuo nome? – chiese lui speranzoso.
-Se proprio ci tieni – disse lei, rabbuiandosi un po’ – io sono Elsa Harende. –
Ok, era partito.
Il suo cervello si rifiutava di connettere. Era come se quel nome lo avesse già sentito, da qualche parte. Non ricordava tutto del suo passato, almeno non ancora, quindi era possibile che l’avesse già conosciuta. 
Forse gli veniva in mente qualcosa…
Magari l’estate di molti anni prima, due bambine, una silenziosa e schiva e l’altra loquace e allegra, simili e diverse allo stesso tempo. Un caldo sole di agosto, un’improvvisa nevicata e poi…
La testa gli iniziò a far male da impazzire; gli pulsava tantissimo.
-Jack? Tutto bene? – gli chiese Elsa, avvicinandosi a lui, ma senza toccarlo.
In un attimo, dopo aver sentito la sua voce, tutto si calmò.
-Certo, ogni tanto mi vengono certi attacchi – disse, tentando di mantenersi sul leggero.
Meglio non iniziarle a raccontare il suo passato, sarebbe stato troppo oscuro.
Elsa inaspettatamente sorrise quasi senza pensarci avvicinò la sua mano alla spalla di Jack, per rassicurarlo, poi i loro sguardi s’incrociarono e lei tolse la mano di scatto, come se avesse preso una scossa.
Jack la guardò con uno sguardo interrogativo, ma lei non diede spiegazioni. Si limitò a scuotere le spalle e a dirgli: - La lezione sta per cominciare. Dovresti andare al tuo posto. –
Lui la guardo senza capire e disse: - Questo è il mio posto. –
-Sicuro? – lo guardò con un misto di fiducia e sospetto.
-Sicuro. –





Angolo dell'autrice
Allora, questo è il secondo capitolo (ma dai??!) e non so veramente cosa dire. Ecco, il mio sogno è sempre stato quello di leggere una storia da entrambi i punti di vista. Quando leggevo un libro pensavo sempre:" E lui? Che cosa sta pensando?" . Ormai era un chiodo fisso e mi sono ripromessa che se mai avessi scritto qualcosa, avrei fatto in modo di scrivere da entrambi (o più) i punti di vista. Quindi eccoci qua! La storia sta prendendo forma (si, certo, basta che ci credo) e niente, spero che vi sia piaciuta! Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto questa storia, anche se silenziosamente, non sapete cosa vuol dire per me leggere che così tante persone la leggono! 
Bene, alla prossima! 

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