The Girl of The Dark City

di The Mad Tinhatter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Escaping ***
Capitolo 2: *** Hatching ***
Capitolo 3: *** Meeting ***
Capitolo 4: *** Discovering ***
Capitolo 5: *** Just a bad dream ***
Capitolo 6: *** Gone Away ***
Capitolo 7: *** Saviour ***



Capitolo 1
*** Escaping ***


The Girl Of The Dark City

 

The Girl of the Dark City

Cap.1: Escaping

Alicia era a casa sua, seduta davanti al focolare. Era stata una giornata tranquilla, e lei ne era rimasta quasi turbata. In effetti, era TROPPO tranquilla. Lei abitava a Urù’baen, ed era difficile trovare giornate come quelle, in cui apparentemente la vita sarebbe sembrata come quella di un paesino fuori dall’Impero. Poi, lei… dopo l’inizio della missione di suo padre, ancora si stupiva del fatto che lei, sua madre e suo fratellino Almayer fossero ancora vivi. Fortuna che la sua sorella maggiore, Kristen, era andata via da quella città molto tempo prima… non che Alicia avesse paura della morte o cosa, l’unico motivo per cui non aveva seguito suo padre nella missione era perché lui le aveva detto che comunque era troppo giovane e avrebbe fatto meglio a restare a proteggere la madre e il fratello nel caso fosse stato scoperto tutto. Il padre di Alicia aveva insegnato alla ragazza come difendersi usando arco e spada, dato che, a parte Kristen, era la più grande dei figli, e suo fratellino aveva appena sette anni. Le aveva insegnato qualche parola dell’antica lingua, anche se lei non sapeva affatto che farsene poiché non possedeva alcun potere magico e inoltre, almeno di quei tempi, dubitava di poter incontrare un elfo.

Quell’eccessiva tranquillità la preoccupava. La preoccupava tantissimo. Sentiva che qualcosa di brutto, di terribile stava per succedere, ma non sapeva quando, dove e come.

La porta dell’ingresso principale si aprì fragorosamente, e Alicia mise istintivamente la mano sul pugnale, che teneva sempre in tasca.

- Cosa, succede, figliola? Sembra che sia appena entrato Galbatorix in persona! – disse Eloisa, la madre di Alicia, che era appena entrata e che reggeva con le braccia un pesante cesto pieno di frutta e patate. Dietro di lei si stagliava una figurina esile, molto simile alla madre: Almayer.

- Niente, mamma… vuoi una mano? – rispose Alicia, cercando di suonare tranquilla, mentre si alzava dalla poltrona e aiutava la madre a portare la cesta in cucina.

- Dobbiamo farci bastare questa roba per un po’ di tempo, i viveri della città stanno scarseggiando e tra poco anche le patate ci costeranno una fortuna – disse Eloisa, non appena le due ebbero posato la cesta sul grande tavolo della cucina.

- Si, mamma… vorrà dire che dovremo eliminare metà pranzo – rispose Alicia, sospirando. Poi scostò i lunghi capelli corvini (che avevano la cattiva abitudine di finirle davanti agli occhi) e scoprì il suo viso: un paio di occhi viola rilucevano sul suo viso, accompagnati da un piccolo naso e da una bocca a forma di cuore.

Tra le due ci furono alcuni secondi di silenzio, poi Alicia chiese: - Hai ricevuto notizie di papà? –

- No, tesoro. E la cosa comincia a preoccuparmi. Ho paura che il prossimo messaggio sarà di addio… o non arriverà mai - .

Alicia rimase un po’ sbigottita. Sua madre non era mai stata così poco speranzosa. Evidentemente anche lei era estremamente preoccupata.

- A volte mi chiedo perché l’abbia lasciato andare – continuò Eloisa, buttandosi seduta sulla grande poltrona dell’ingresso – salone, la stessa dove prima sedeva Alicia.

- L’ha fatto per il bene di tutti – disse Alicia – soltanto grazie a lui, a Faolin e a quell’altra sarà possibile sconfiggere Galbatorix. E ora ci vorrà qualcuno che gli sottragga gli altri due oggetti che non sono suoi. Non so chi sarà, ma spero che abbia successo. - .

La donna e la ragazza rimasero in silenzio, quasi in attesa…. Poi…

- Ahi! – urlò Alicia.

- Che succede? – chiese allarmata Eloisa.

- N-non lo so – disse Alicia.

Poi, accadde qualcosa di strano: Alicia cominciò a sentire una voce… ripeteva un messaggio, ma la voce era ancora troppo bassa per poter essere sentita… poi la voce aumentò di volume, e Alicia potè sentire cosa diceva. Riconobbe subito la voce di suo padre.

Alicia, figlia mia, ho brutte notizie da darti. La nostra spedizione è stata scoperta. Arya è stata catturata, a me e a Faolin restano ormai pochi secondi di vita… e anche le vostre vite sono in pericolo, perché oramai Galbatorix sa ciò che voi sapete. Se non volete essere catturate, torturate e uccise, scappate via, più in fretta che potete!

Alicia scosse il capo.

- Che è successo, figliola? – chiese Eloisa.

- Era papà – rispose Alicia, ancora troppo sconvolta per piangere – dice che… che sta per morire… e dice che dobbiamo scappare, e al più presto! –

La donna si avvicinò alla figlia, e la abbracciò. – Non… non… scherzi, vero?-

- No, mamma, no… -

- E perché dovremmo scappare? –

- La spedizione è stata scoperta, e hanno catturato… Arya. Mamma, noi sappiamo tutto della spedizione, la prima cosa che Galbatorix farà sarà quella di catturarci e torturarci per estorcerci tutto quello che sappiamo. Dobbiamo scappare - .

Odiava ammetterlo, ma in quel momento scappare era il modo migliore per salvarsi. Combattere non sarebbe servito a niente, una ragazzina, seppur ben allenata, non avrebbe mai potuto competere con un soldato addestrato. Magari con una guardia, quello si, ma non un esercito!

Le due donne, quindi, si affrettarono a prendere almeno le cose essenziali per la loro vita fuori da Urù’baen: soldi, viveri e qualche vestito. Alicia prese anche la sua spada e il suo arco, le altre due armi che possedeva, oltre al pugnale, sempre nascosto nella sua tasca sinistra e sempre pronto all’uso.

Alicia mise la spada nel suo fodero, che portava a mò di cintura sul suo vestito, si mise l’arco in spalla, poi prese per mano il fratellino. Insieme alla madre uscirono, nascoste dal buio della notte senza luna di Urù’baen. La città sembrava morta, soprattutto a quell’ora, dove le uniche luci accese erano le lanterne delle osterie, che però non emanavano abbastanza luce da permettere di vedere un palmo di naso più avanti dei propri occhi.

Stavano per raggiungere le mura della città, quando sentirono dietro di loro un rumore metallico, come pezzi di ferro che scontrano tra di loro. Alicia pensò a delle armature, ma sperò che la verità non fosse quella.

Poi, una luce abbagliante travolse il gruppo di fuggitivi da dietro. Era come se un enorme falò fosse stato acceso alle loro spalle.

- Fermatevi! – gridò una voce profonda, sicuramente appartenente ad un soldato – Fermatevi e giratevi. Ordini del re Galbatorix - .

Alicia, sua madre e suo fratello fecero finta di niente, anzi, corsero più velocemente. Ma non bastò. Alicia si sentì afferrare il braccio, poi cadde a terra. Infine sentì un forte dolore alla testa. Poi il nulla.

*

Alicia aprì gli occhi. Provò a muovere le braccia e le gambe, ma non ci riuscì. Era legata, e l’avevano spogliata delle armi. Cercò di mettere a fuoco la stanza in cui si trovava. Come ben poteva immaginare, si trovava in una cella. Una fredda e buia cella. E non sapeva nemmeno che fine avessero fatto sua madre e suo fratello. Sperò soltanto che fossero vivi, o magari… anche già liberi…. Ma quest’ultima ipotesi era certo la più improbabile.

La ragazza cercò di liberarsi. Provò a muoversi, a contorcersi, ma le corde erano così dure e così legate strette che le era impossibile muoversi anche di un solo centimetro. Provò a rilassarsi e a non pensare a cosa ne sarebbe stato di lei poco tempo dopo, ma non le fu possibile. Infatti era appena entrata una guardia. Si aspettava che fosse venuta per ucciderla, o farle del male, ma non fu così. Con grande stupore della ragazza, la guardia prese la spada, e la usò per tagliare le corde.

Alicia si alzò in piedi. Le gambe e le braccia le facevano male. Sicuramente era rimasta svenuta per almeno un paio di giorni, vista la difficoltà che aveva nel camminare.

- Muoviti, ragazzina! – disse la guardia, con voce minacciosa – Il re vuole parlare con te, e subito! –

Prese il braccio della ragazza, e la condusse fuori dalla cella. Alicia vide che, mano a mano che procedevano, altre guardie si univano a loro. Cosa pensava Galbatorix, che una ragazza come lei, oltrettutto disarmata, sarebbe stata pericolosa? La ragazza, involontariamente, si mise la mano sul fianco. E si rese conto che Galbatorix aveva avuto ragione a radunare per lei tutte quelle guardie. Dopotutto, non era disarmata. Le restava, lì, in tasca, il suo pugnale… e con quello sarebbe riuscita ad uccidere minimo due guardie….

Frenò l’impulso di tirare fuori l’arma e uccidere i suoi carcerieri: non sarebbe certo riuscita ad ucciderli tutti, inoltre era certa che nel palazzo erano presenti altre guardie, e l’ipotesi di fuggire era inconcepibile, almeno in quel momento.

Alicia quindi si lasciò condurre. La portarono in una grande stanza dalle pareti color rosso sangue e con parecchie porte. Al centro della stanza vi era un ciclopico trono ricoperto da un drappo cremisi. Nonostante sopra non ci fosse nessuno, Alicia era sicura che si trattasse del trono di Galbatorix, e questo certo non la rassicurava.

La ragazza e le guardie rimasero in attesa per una decina di minuti, poi una porta, una delle tante, si aprì.

Non appena Galbatorix entrò, tutte le guardie si misero in ginocchio, il capo rivolto a terra. Solo Alicia era rimasta in piedi, la schiena eretta e la testa alta, quasi a dimostrare di non avere paura.

- Andate via, lasciatemi solo con la ragazza – ordinò il re alle guardie. Queste ultime scattarono come se avessero avuto un porcospino nel sedere, e corsero fuori dalla stanza. Così Alicia era sola con Galbatorix, il quale la fissava minaccioso.

- Ragazzina, sai perché sei qui? – disse il re, assumendo un tono di voce tanto duro e imperioso da far prostrare chiunque, ma non Alicia, che rimase in piedi.

- No – rispose Alicia, cercando di suonare convincente.

- Allora credo proprio che abbia bisogno che qualcuno ti chiarisca le idee, prima di incontrare la morte. Tu sei qui perché il tuo caro padre ha partecipato ad un attentato alla mia persona, autorità e al mio potere. Quest’attentato riguardava un uovo, hai presente, ragazzina? Ebbene si, cara, quest’uovo era mio, e tre di loro, compreso tuo padre, me l’hanno rubato. E sai che rubare è reato, vero? –

- Quell uovo non era vostro. Non era di nessuno, e voi ve ne siete appropriato illegalmente – rispose Alicia, cercando di restare calma, ma lasciando trasparire comunque rabbia e rancore.

- Calma, ragazzina, calma. Non vorrai certo lasciar scivolare la tua unica speranza di salvezza, vero? Ebbene, ho qualcos’altro da dire, prima che tu possa scegliere tra la morte e la vita. Tuo padre e quell’uovo erano diretti da qualche parte, vero? So che sai dove, ragazzina. È ormai noto a tutti noi l’amore di tuo padre nel confidarsi con la famiglia… ora, dimmi a chi era destinato quell’uovo - disse il re, modulando il tono di voce in modo da sembrare amichevole, quasi paterno.

- Si, so dove e a chi doveva portare l’uovo. Ma si scordi che io possa dirvelo. Resterò muta come un pesce. Non tradirò il segreto –

- Neanche se ci fosse in gioco la tua vita e quella della tua famiglia? –

- No – disse Alicia, emettendo un lungo sospiro.

- Ebbene, se tu non mi dici ciò che voglio, tu morirai appena uscirai da questa stanza, e tua madre e tuo fratello resteranno a vita nelle mie prigioni. A te l’ardua scelta –

- Come se servisse a qualcosa! So che ci farete morire comunque –

- Bene, io ti ho dato la facoltà di scegliere. Sei sicura? –

Alicia rimase un paio di secondi a pensare. Non pensava a Galbatorix come ad un uomo di parola. Se avesse detto qualcosa, probabilmente Galbatorix avrebbe comunque fatto uccidere lei, sua madre e suo fratello, e avrebbe passato il suo tempo e impegnato i suoi soldati alla ricerca della persona predestinata, fino a provocare la morte sua e, magari, di tutta la sua famiglia, o del suo paese…

E così, prese la sua decisione. Qualche lacrima cominciò a rigare il suo volto.

- Meglio morire, piuttosto che vedere uno stupido giullare tiranno spadroneggiare su tutto ciò a cui tengo – disse la ragazza duramente, poi chiuse gli occhi, aspettando la morte.

Ma Galbatorix non le fece niente. Gridò: - Magog! Vieni! - .

La guardia che aveva portato via Alicia dalla cella si presentò nella stanza.

- Ai vostri ordini, mio signore – disse la guardia, prostrandosi davanti al trono.

- Porta via questa ragazza da qui – disse Galbatorix – e uccidila con la tua lancia. Non voglio spargimenti di sangue, qui - .

La guardia prese Alicia per un braccio, e fece per portarla via. Mentre attraversavano la porta opposta a quella da cui erano entrati, Galbatorix disse: - E mi raccomando, falle più male che puoi. È questa la punizione contro gli ingrati come lei - .

Alicia e la guardia attraversarono la porta, che conduceva ad un lungo corridoio. La ragazza, nonostante la paura, potè vedere sulla faccia della guardia un’espressione di rabbia, mista però ad una strana indecisione. Alla fine strattonò ancora più bruscamente il suo braccio, e quasi la buttò dentro la prima stanza a sinistra.

Sembrava una specie di armeria. Alle pareti erano appesi archi, spade e balestre, e al centro della parete davanti a lei c’era una sorta di piedistallo, sopra al quale era poggiata quella che pareva essere una grosso ovale di pietra rosa. Alicia guardò meglio le armi alle pareti. Sembravano molto buone e resistenti, nonostante non avesse la possibilità di osservarle più da vicino.

E poi, sulla parete destra della stanza, la ragazza si accorse di un particolare: tra il nero delle spade e degli archi, spiccava il marrone chiaro di un altro arco. Accanto a questo, riluceva il viola della lama di una spada. Alla ragazza quasi scappò un urletto di gioia. Erano le sue armi. E, accanto a queste, c’era una piccola borsa di pelle. La sua borsa.

Prima che la guardia riuscisse a chiudere il portone metallico della stanza, Alicia fece in tempo ad osservare meglio il piedistallo davanti a lei, e la pietra che vi giaceva sopra. Sgranò gli occhi. Quella non era una pietra… Alicia aveva ricevuto abbastanza istruzione da suo padre da capire che non lo era. Era un uovo. Un uovo di drago, per essere precisi.

La guardia chiuse il portone, facendo un fracasso terribile. Un secondo dopo, era parato davanti alla ragazza, brandendo la lancia come un macellaio brandisce la mannaia.

- Ragazzina mia, sei stata troppo imprudente… e ora… morirai! – disse, poi fece per buttarsi contro di lei.

Alicia subito scansò il colpo di lancia, facendo quasi cadere in avanti l’uomo.

- Cosa credi, che io mi faccia uccidere tanto facilmente? – disse, ridendo. Poi tirò fuori la sua arma, il pugnale. La guardia provò di nuovo ad attaccarla, ma lei si scansò di nuovo. Poi, con un gesto fulmineo, ficcò il pugnale nel petto dell’uomo, che urlò di dolore prima di cadere a terra, senza vita, in un lago di sangue.

Alicia rimase in piedi davanti al cadavere, e impallidì. Le urla dell’uomo sicuramente avrebbero fatto accorrere tutti i soldati della reggia, e lei doveva scappare immediatamente. Si rese conto, in una frazione di secondo, che il palazzo era sconfinato, e che lei non sapeva né dove si trovasse, né, tantomeno, il modo più veloce per uscire.

Si avvicinò alla parete, e prese le sue cose. Poi si avvicinò al piedistallo con l’uovo.

Cosa avrebbe dovuto fare? Andarsene senza prenderlo, e rendere tutto ciò per cui la sua gente combatteva inutile, o prenderlo, entrare nella storia, ma correre almeno il doppio dei rischi che già stava correndo?

Non aveva molto tempo per pensare. Già sentiva passi e voci, provenienti dalla stanza del trono.

Prenderlo o non prenderlo? Prenderlo o non prenderlo?

Alicia emise un profondo respiro, e prese l’uovo tra le mani. Avrebbe passato la sua vita fuori da Urù’baen a cercare qualcuno che il drago di quell’uovo avrebbe trovato idoneo. Aprì la sua borsa e, tra i morbidi vestiti, pose l’uovo. Poi chiuse la borsa, e se la mise in spalla. Aprì la porta, e si preparò alla fuga.

Fortunatamente il corridoio era abbastanza lungo e buio, così le guardie, anche se fossero state all’inizio del corridoio, non l’avrebbero vista.

Corse dalla parte opposta rispetto a quella da cui era entrata, verso l’ignoto. Quando arrivò alla fine del corridoio, vide che sulla destra vi era una ripida scala a chiocciola in discesa, fiocamente illuminata da delle lanterne. Alicia non ci pensò su molto, e cominciò a scendere.

La scala era lunghissima, e continuava a girare, in una spirale strettissima. Dopo un po’ Alicia si sentì girare la testa.

Ma non doveva cadere, non doveva… sentiva il clangore delle armature, di sopra, ed era sicurissima che, dopo aver setacciato ogni singola stanza, i soldati si sarebbero diretti verso le scale. Se si fosse fermata, l’avrebbero presa….

Infine, la scala finì.

Davanti alla scala c’era una porticina. Alicia l’aprì, non sapendo cosa potesse trovarci dentro, ma al contempo non avendo altra scelta.

Nella stanza dove era entrata, esattamente come in quella da cui era uscita, c’erano delle armi. Ma queste armi non avevano nulla a che fare con quelle che c’erano nell’altra stanza. Mentre quelle della stanza precedente erano di ottima fattura e curate nel minimo dettaglio, queste ultime erano piuttosto rozze, anche se parevano resistenti. Ora che ci pensava, Alicia poteva scommettere l’uovo che trasportava nella bisaccia che quelle erano le armi destinate alle guardie. E le venne in mente una geniale idea….

Prese una delle armature, e se la infilò. Per l’altezza le andava bene, ma le stava leggermente larga. Meglio, avrebbe potuto nascondere la bisaccia con l’uovo. Poi prese un fodero da spada, e ci infilò dentro la sua, infine se lo legò in vita. Non avrebbe potuto tenere comodamente l’arco, ma anche per quello aveva un’idea. Per completare poi il travestimento, si raccolse i lunghi capelli neri sulla testa, e si infilò un elmo. Infine uscì, reggendo in mano l’arco.

Trovò davanti a lei un gruppo di soldati.

- Hai trovato qualcosa? – chiese una di queste. Almeno il travestimento aveva funzionato, pensò Alicia.

- Si – rispose la ragazza, camuffando la voce, aiutata anche dal fatto che l’elmo la soffocava parecchio, rendendola più indefinibile.

- Cos’hai trovato? – continuò la guardia.

- Il suo arco –

- Bene. Ora dobbiamo sapere dov’è finita lei. Venite - . Tutti i soldati, Alicia compresa, si avvicinarono.

La guardia tirò fuori una pergamena, e la aprì. Alicia sorrise, sotto l’elmo. Era proprio quello che ci voleva. L’uomo aveva tirato fuori una mappa della reggia.

- Noi siamo qui – indicò la guardia, puntando col dito su un quadrato della mappa.

- Direi che è meglio se ci dividiamo, nel cercare quella stupida ragazza - .

Gli altri soldati andarono subito via, seguendo l’ordine, ma Alicia e la guardia con la mappa rimasero lì.

- Non ti ho mai visto da queste parti, uomo – disse la guardia – sei nuovo? - .

Alicia annuì.

- E allora, se non vuoi finire nelle segrete del castello cercando quella ragazzina, è meglio se tieni questa mappa. E, mi raccomando, fammela riavere, o saranno guai. L’ho stilata io personalmente, e non voglio che vada perduta - .

Così dicendo, la guardia diede ad Alicia la mappa, poi se ne andò. La ragazza tirò un sospiro di sollievo. Ora aveva una mappa del castello, ora poteva fuggire!

Srotolò la pergamena, e la osservò. Era divisa in cinque riquadri, ciascuno contrassegnato da un numero. – 1, 0, 1, 2, 3. Alicia ricordò dove la guardia aveva puntato il dito, e vide che era nel riquadro – 1. Non le ci volle molto a capire che i numeri stavano ad indicare i piani del palazzo. Quindi, in quel momento, si trovava nei sotterranei. Per arrivare all’uscita, doveva semplicemente salire le scale. E fu ciò che fece.

Finite le scale, tornò nel corridoio da cui era da poco uscita. Si rese conto, osservando più attentamente, che quella da cui era uscita non era l’unica porta: erano varie le aperture che si aprivano dalla parete. Guardò di nuovo la mappa. Per l’uscita, doveva prendere la terza porta a sinistra.

Entrò nella suddetta porta, e si ritrovò in un corridoio lunghissimo, illuminato a giorno da delle torce. La ragazza si coprì gli occhi: infatti era rimasta per un paio d’ore nella semioscurità, e ora tutta quella luce la infastidiva.

Lentamente i suoi occhi si abituarono alla luce, e potè osservare ciò che stava sulle pareti. Queste erano dipinte di rosso acceso, e su di esse erano disegnati, con oro puro, draghi e Cavalieri, tutti con un espressione tanto minacciosa da incutere paura.

La ragazza sospirò, e si sforzò di non guardare le pareti mentre attraversava il corridoio. Poi, dopo una decina buona di minuti, si ritrovò davanti ad un’altra porta, intarsiata d’oro, anch’essa recante disegni di draghi. Attraversò la porta.

Si ritrovò davanti a quello che pareva un grande salone d’ingresso. Davanti a lei stava il portone principale, il portone della salvezza. Ma c’era un piccolo problema…

Due guardie erano appostate accanto al portone, e la squadravano, sospettose. Lei fece ugualmente per avvicinarsi al portone, ma le guardie la bloccarono.

- Cosa c’è? – chiese lei, confidando nella sua voce soffocata.

- Chi sei? – chiese una delle sentinelle.

- Sono una guardia, come voi –

- Davvero molto divertente – disse l’altra sentinella – ma poco convincente. Si da il caso, infatti, che ci abbiano appena informato della scomparsa dell’armatura di un nostro collega… e ci hanno chiesto di far togliere l’elmo a chiunque tenti di uscire… sapete, con una ragazzina fuorilegge in libertà… -

- Bene – disse Alicia. La ragazza si tolse l’elmo, poi, con uno scatto fulmineo, sfoderò la spada e colpì le due sentinelle: la prima, al collo, la seconda, al ventre.

- Contenti, adesso? – disse la ragazza, rivolta ai due uomini rantolanti. Poi si voltò, verso il portone. Lo aprì. E uscì, verso la libertà.

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Per quanto riguarda i personaggi che ho inserito, appunto, nello spazio "Personaggi", devo precisare che si tratta solo di qualcosa di indicativo, perchè, a dire il vero, i personaggi dell'elenco sono presenti un pò tutti (più, ovviamente, altri personaggi inventati)... solo che nell'elenco manca la voce "un pò tutti"...

Detto questo, leggete e commentate!

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Capitolo 2
*** Hatching ***


 

Cap. 2: Hatching

Alicia corse velocemente fuori. Era libera, almeno lei era libera! Corse velocemente, diretta ai cancelli della città. Non si era ancora tolta l’armatura, per sicurezza, e pensava che, forse, almeno nei pressi di Urù’baen, avrebbe fatto meglio a tenerla indosso. Mentre correva, passò davanti a casa sua. Quando era uscita da lì, qualche giorno prima, non le aveva nemmeno dato addio. Ma non c’era tempo. E poi lo sapeva, quello non era un addio. Sarebbe stata costretta a tornarci, prima o poi. Ciò che la legava a quel luogo era più forte di lei, nonostante fosse molto scomodo. Corse avanti, decisa a voltare pagina, a pensare alla sua nuova vita, da vagabonda e girovaga. Arrivò ai cancelli, e anche lì c’erano delle guardie.

- Dove vai, uomo? – chiese una delle guardie, un uomo poco più che trentenne dalla scura barba folta.

- Devo uscire dalla città. Ordini del re – disse Alicia, sperando ardentemente che la sua bugia non venisse scoperta.

- Passa, allora – disse l’altra guardia.

Alicia tirò un sospiro di sollievo. Era parecchio contenta di non essere stata costretta ad uccidere anche loro. Ormai, quante erano le persone che aveva ucciso? Tre, e già la sembravano troppe. Sospirò ancora. Ci avrebbe dovuto fare l’abitudine. Ormai aveva preso la sua decisione. E se doveva difendere l’uovo, doveva essere disposta ad uccidere i suoi nemici. E quell’uovo era la cosa più importante che possedeva, più importante della sua stessa vita. La schiusa di quell’uovo, in qualsiasi momento fosse accaduta, avrebbe segnato il destino di tutta Alagaesia. E se l’uovo fosse finito in mano al nemico, sarebbe stata la fine.

La ragazza continuò a camminare, il sole che stava cominciando a picchiare sopra di lei. Quando era partita, si stavano accendendo le prime luce dell’alba, ma erano ormai passate parecchie ore… Sapeva che l’armatura avrebbe potuto garantirle una protezione in più, ma ormai era mattino fatto, e stava morendo dal caldo. Così decise di togliersela, e restare col leggero abito che aveva sotto. Abbandonò l’armatura dietro ad un cespuglio, poi prese la sua bisaccia. Si era ricordata solo ora che era stata tra le mani del nemico, e che i soldati avrebbero potuto prenderle qualcosa. Frugò, e notò con sollievo che l’enorme quantità di vestiti aveva nascosto soldi e viveri, oltre che spazientito i soldati, che certo non se ne sarebbero fatti nulla di abiti da donna.

Alicia si rimise la borsa sulle spalle, si legò la spada alla vita, prese l’arco e continuò il suo viaggio per le pianure.

Il punto brutto della faccenda era il fatto che Alicia non aveva pensato a dove volesse andare. Mentre camminava, cominciò a fare congetture su come avrebbe potuto muoversi, e, passato mezzogiorno, dopo quattro ore di cammino, concluse che avrebbe fatto bene a dirigersi verso una qualche città di mercanti, come per esempio Teirm. Poi si sarebbe unita ad una carovana di mercanti, che avrebbe toccato con ogni probabilità tutte le città più importanti dell’Alagaesia, rendendole abbastanza agevole il compito di portatrice dell’uovo. Certo, il suo lavoro sarebbe stato parecchio difficile, specie perché non voleva essere scoperta, ma aveva un piano anche per questo. Era però un piano così strano e rischioso che, quando si sedette all’ombra del primo albero che aveva trovato per mangiare e riposare, si chiese se il sole l’avesse per caso fatta delirare.

Avrebbe semplicemente allestito una sorta di bancarella, dove avrebbe messo in mostra l’uovo. E avrebbe invitato la gente a toccarlo. Alicia sapeva abbastanza della mentalità popolare da pensare che tutti l’avrebbero considerata una buffonata, ma forse proprio per questo avrebbero acconsentito. Naturalmente il tutto aveva anche un secondo fine; dato che avrebbe fatto pagare una minima somma per toccare l’uovo, avrebbe potuto guadagnare qualche soldo per vivere. Del resto, i viveri che si era portata da casa non sarebbero durati per l’eternità.

Mentre sgranocchiava un pezzo di pane, prese la borsa, e ci frugò dentro. Era sicura di averla portata….

Prese un rotolo di pergamena, e lo aprì. Davanti a lei stava una mappa di Alagaesia, dono di suo padre. La osservò. In quel momento doveva essere ancora nei pressi di Urù’baen. Vide quanto le mancava per raggiungere Teirm. E si accorse che la strada era troppa, e che non ce l’avrebbe mai fatta, se non avesse trovato un adeguato mezzo di trasporto. Data la fretta, la ragazza pensò bene di non restare lì ancora per molto, e si rimise in cammino.

Ma purtroppo la sua resistenza non era certo illimitata, e comprese ben presto che in quelle condizioni non sarebbe andata da nessuna parte. Le ci voleva soltanto un piccolo, minuscolo colpo di fortuna….

E questo arrivò.

Alicia si era fermata un attimo per riprendere fiato, quando sentì delle urla, e uno scalpiccio di zoccoli.

La ragazza si voltò, allarmata, e sfoderò la spada. Ma, non appena esaminò la scena, si rese conto di non averne bisogno.

Una donna correva, con una sella tra le mani, e davanti a lei stava una sorta di cavallo bianco. Non era proprio un cavallo, perché pareva, da lontano, che dalla fronte gli uscisse qualcosa… qualcosa di color bianco panna….

Alicia si avvicinò alla scena, e sgranò gli occhi, piena di stupore. Quell’animale era tutto, tranne un cavallo. Era un puro, bellissimo unicorno.

La donna urlava all’unicorno: - Sissi, dai, torna qui! Ti ho appena presa, e già ti comporti male! - .

Così, era un unicorno imbizzarrito. Alicia si avvicinò di più, cautamente. Sapeva come domare i cavalli imbizzarriti, ma non sapeva se la sua strategia avrebbe funzionato anche sull’unicorno….

Ma non ci fu bisogno di alcuna strategia. Non appena vide Alicia, Sissi si bloccò, e tese il suo collo ad Alicia, come se volesse che la accarezzasse. Alicia allungò la mano, tremante, e la accarezzò. Sissi si lasciò accarezzare.

La donna sua proprietaria corse verso di lei, trafelata.

- Prova a montarla, ragazza, così magari mi aiuti a riportarla in paese! – disse, e le lanciò in mano la sella.

Alicia legò la sella a Sissi, poi ci salì sopra. L’unicorno non fece storie, e si lasciò montare.

- Incredibile – disse la donna – io non sono mai riuscita nemmeno a toccarla, e tu… riesci a montarla! –

Ad Alicia venne una brillante idea. Se la donna non riusciva a montarla, allora, forse…

- Buona donna, se volessi comprarle Sissi, che cifra dovrei darle? – chiese Alicia, disposta quasi a spendere tutti i suoi soldi per quella formidabile bestia.

- è un animale magnifico, anche se non sono mai riuscita a montarlo. Quindi… -

- Settecento corone possono bastare? Prendere o lasciare –

La donna rimase pensierosa qualche secondo. La bestia forse valeva qualcosina più di settecento corone. Ma, per una giovane che aveva speso tutti i suoi risparmi in un sogno che nemmeno riusciva a domare, settecento corone erano una cifra buona per cominciare a rifarsi.

- E sia – rispose la donna – settecento corone per la mia Sissi - .

Alicia, raggiante, tirò fuori dalla sua bisaccia il sacchetto delle monete, tirò fuori settecento corone e le diede alla donna, che si allontanò, anche lei contenta.

La ragazza scese da Sissi, e raccolse le sue armi. Poi montò di nuovo Sissi, e partì.

Come già aveva potuto vedere osservando come scappava dalla donna, Sissi era velocissima. Con lei il viaggio per Teirm, invece di durare mesi, sarebbe durato solo qualche settimana.

Cavalcarono assieme tutto il pomeriggio. La resistenza dell’animale era incredibile, sembrava non volesse fermarsi. Fu solo sul calar della notte che Sissi mostrò qualche segno di cedimento. E anche Alicia cominciava ad aver sonno. Così si fermarono, nei pressi di una foresta. Alicia posò le sue cose, e andò a tagliare un po’ di legna per accendere un falò e cuocere un po’ della carne che si era portata. Riuscì a raccogliere abbastanza legname da creare un fuoco discreto. Mise la carne a cuocere, poi la mangiò, gustandosela fino all’ultimo boccone perché forse quella sarebbe stata una delle ultime volte (almeno, prima di arrivare a Teirm) in cui ne avrebbe potuto assaporare. Bevve un po’ d’acqua, poi arrangiò, con qualche ramo d’albero e foglie, un piccolo rifugio per la notte. Legò Sissi ad un albero e prese tutti i suoi averi, poi entrò nel rifugio. Prese una coperta che si era portata da casa, si sdraiò e la avvolse attorno a sé. E, nonostante la stanchezza della giornata, prese faticosamente sonno.

*

Alicia era in una sorta di dormiveglia, quando sentì un rumore, un crac abbastanza forte, ma un po’ soffocato. Aprì gli occhi, e mise a fuoco ciò che la circondava. I suoi occhi si soffermarono sulla bisaccia. Tremolava, come se dentro ci fosse stato un piccolo essere che stava per morire di freddo. La ragazza, piuttosto stupita, aprì la borsa, e la frugò, per cercare la fonte del rumore.

E la trovò.

Sgranò gli occhi, quando si rese conto di cosa fosse.

L’uovo.

Una crepa si era formata sulla liscia superficie, e si stava diffondendo, dando vita ad altre piccole crepe….

Incredibile.

L’uovo si stava schiudendo, proprio lì, tra le sue mani… era lei la prescelta. Era lei l’individuo destinato a quell’uovo….

Posò l’uovo per terra, ancora piuttosto incredula. Le crepe si erano diffuse tanto da ritorcersi su se stesse. Infine, un grosso frammento dell’uovo saltò in aria, finendo tra le mani di Alicia. Dove prima stava quel frammento, ora stava una testolina viola scuro. Altri frammenti saltarono, e dopo la testolina apparvero anche degli arti, anteriori e posteriori….

In meno di dieci minuti, davanti ad Alicia stava un piccolo draghetto viola.

La ragazza guardò sbigottita la bestiolina davanti a lei. E così, ora era Cavaliere… era destinata ad entrare nella leggenda….

Accarezzò il drago, e sentì una sorta di scossa che la pervadeva tutta, dalla mano sinistra con cui stava toccando il drago alla punta del piede destro. Come la ragazza staccò la mano, la scossa terminò. Alicia si guardò la mano. Lentamente, una striscia d’argento le percorreva il palmo, restando lì, indelebile, a marchiare la sua mano. Era il gedwey ignasia… ciò che suo padre le aveva detto essere il simbolo dei Cavalieri, e un po’ il catalizzatore della loro magia.

Magia! In quel momento Alicia si rese conto che, col drago, sarebbero arrivati anche poteri magici… ricordava quando suo padre, dopo averle insegnato a leggere e a scrivere, le aveva fatto leggere i libri delle gesta dei Cavalieri… incantesimi che aveva sempre sognato di poter fare….

Scrollò vigorosamente la testa, e tornò alla realtà. Riconosceva certo il fatto che non avrebbe mai potuto emulare le gesta di Eragon, il primo dei Cavalieri, o di Vrael, il loro capo più ricordato, senza un adeguato addestramento. Al momento, aspettando oltrettutto che il drago crescesse, e il suo potere aumentasse, forse sarebbe riuscita ad evocare qualche fiammella, o spostare un granello di sabbia, ma nulla di più. E dove avrebbe trovato qualcuno che la istruisse, che la rendesse capace di combattere degnamente? Lei sapeva che per fare incantesimi occorreva sapere l’antica lingua, e la sapeva quasi parlare con tanta scioltezza quanta ne aveva nel parlare la lingua con cui era cresciuta, ma ignorava gli altri segreti arcani della magia. E poi, come avrebbe fatto a nutrire e allevare il drago? Suo padre le aveva insegnato abbastanza da renderla idonea al combattimento senza che però si riducesse ad una rude barbara, e fornendole basi solide di storia, geografia e grammatica dell’antica lingua, ma certo non avrebbe mai potuto immaginare di doverla rendere adatta a diventare Cavaliere di drago. Le sue attuali conoscenze l’avrebbero resa capace di affrontare il viaggio verso Teirm portando l’uovo e proteggendolo, non di combattere per la salvezza del mondo, come si sentiva in dovere di fare. Per non parlare poi del fatto che sicuramente era l’unico Cavaliere in circolazione. E che, se già Galbatorix la cercava senza uovo di mezzo, vedendo che una delle sue uova erano scomparse si sarebbe accanito ancora di più. E se per caso qualcuno avesse scoperto il drago, avrebbe mobilitato tutto il suo esercito per cercarla.

Mentre Alicia era assorta nei suoi pensieri, il draghetto cominciò a muoversi per tutta la capanna, esplorando il luogo in cui aveva visto la luce per la prima volta. Poi, uno dei suoi occhi, viola come le sue squame, si posò su Alicia. Alicia si ridestò, e si avvicinò al drago. Poi provò a prenderlo in braccio. Il drago oppose un po’ di resistenza, poi si lasciò portare in braccio. La ragazza, poi, lo lasciò andare, e lui non esitò ad uscire. Alicia prese l’arco e la spada, poi lo seguì.

L’aria frizzante del mattino le riempì i polmoni, come una ventata di libertà. Il drago ora trotterellava sull’erba, e sembrava molto felice.

Ma Alicia doveva andare a caccia; infatti la carne che le era avanzata non poteva bastare sia per lei che per il drago (che, oltrettutto, in breve sarebbe diventato enorme, e il suo appetito sarebbe cresciuto di conseguenza). Così dovette porre fine alla grande gioia della bestiola, e la legò ad un albero lì vicino. Poi andò a caccia.

Tornò un paio d’ore dopo, reggendo un paio di conigli e alcuni uccelli commestibili. Slegò il drago, poi gli lanciò un coniglio e alcuni uccelli, che l’animale divorò con gran gusto. Anche Alicia mangiò, poi però fu costretta a ripartire.

- Dobbiamo partire subito, se non vogliamo arrivare a Teirm tra due mesi – disse Alicia, rivolta al drago. Nonostante l’uovo si fosse schiuso, non aveva abbandonato l’idea di raggiungere Teirm. Del resto, era più facile trovare uno stregone o qualcosa del genere in una grande città, piuttosto che vagando per i boschi.

Comunque, non si aspettava alcuna reazione del drago a questa frase. E ciò che vide la stupì.

Il draghetto, dopo aver ascoltato la sua frase, fece ciò che pareva un piccolo cenno di assenso. Alicia certo non credeva che il drago la potesse capire già dal primo giorno, ma continuò a parlargli, giusto per esporre la sua idea a qualcuno, anche se non le poteva rispondere.

- Chiederò a Sissi di andare piano, così potrai starci dietro - . Il draghetto annuì di nuovo.

Così la ragazza montò Sissi e, mormorandole qualche parola che, per esperienza, sapeva essere adatta a guidare un cavallo. Certo, era cosciente del fatto che gli unicorni fossero animali diversi dai cavalli, ma non sapeva che altro fare… e poi, le parole funzionavano…. L’unicorno camminava molto lentamente, tanto da permettere al draghetto di stare vicino alla sua padrona. Durante la lunga e lenta cavalcata, Alicia ne approfittò per rilassarsi e per pensare. Ancora non credeva a quello che le stava accadendo. Se fosse stata capace, se non l’avessero scoperta e catturata immediatamente, sarebbe entrata nella storia… o sarebbe entrata nella storia comunque? Del resto, era la prima ragazza Cavaliere….

*

Le giornate seguenti furono, nel complesso, abbastanza monotone. Cavalcare, pranzare, cavalcare, cenare e dormire. L’unica cosa che riusciva a mantenere veramente viva Alicia era l’osservare la crescita del suo drago: in una settimana era letteralmente raddoppiato in lunghezza e in larghezza; mentre prima Alicia riusciva addirittura a prenderlo in braccio, ora il solo pensiero le sembrava una pazzia. Ma non doveva stupirsi tanto, del resto le antiche ballate narravano di enormi bestioni sputafuoco.

Le squame del drago, che, non appena era uscito dall’uovo, erano di un viola così scuro da sembrare nero, avevano assunto uno splendido color ametista brillante, rendendo l’animale ancora più bello e maestoso.

Alicia aveva pensato più volte ad un nome per il suo drago, ma era veramente una scelta ardua. Prima di tutto, non sapeva nemmeno se fosse maschio o femmina. Secondo, era pressappoco impossibile dargli un nome che lo definisse totalmente. Comunque, ogni nome che pensava lo comunicava, a voce, al drago. Questi le rispondeva a cenni, e, fino a quel momento, nessuno dei nomi proposti pareva soddisfarlo. Durante quei lunghi giorni di viaggio Alicia si chiese spesso se e quando il suo drago avrebbe cominciato a risponderle in modo diverso dal fare cenni con la testa. I poemi sui Cavalieri che aveva sempre letto parlavano di lunghi dialoghi tra draghi e Cavalieri: era la verità, o solo una stupida invenzione creata per aumentare la maestosità e la grandezza dei draghi?

La risposta non si fece attendere molto.

Una sera, dopo aver mangiato, Alicia decise di andare a dormire immediatamente. Questo non accadeva da molto tempo, dato che la ragazza aveva preso l’abitudine di parlare col suo drago, prima di dormire. Ma quella giornata era stata particolarmente estenuante; nonostante il suo drago avesse ormai imparato a cacciarsi il cibo da solo, erano capitati in un punto in cui era piuttosto arduo trovare animali da cacciare, anche solo per procurarsi un magro pasto; così Alicia decise per una volta di non sprecare troppe energie col drago, e preferì dormire, e recuperare le energie.

La ragazza sperava in un sonno tranquillo e ininterrotto, ma non fu accontentata. Infatti, fu svegliata da una voce piuttosto stridula, che però non sembrava provenire da fuori del rifugio dove dormiva. Non si sentiva alcun eco, e ciò sarebbe parso strano per una voce proveniente dall’esterno. La foresta dove si trovavano era infatti completamente deserta, e la voce era abbastanza acuta da provocare comunque un eco.

Accanto ad Alicia non vi era nulla che potesse emettere quel suono. La ragazza pensò ad una possibile provenienza della voce, e ciò che concluse la sbalordì. La voce proveniva dalla sua testa.

Alicia…
- Si? – rispose la ragazza, uscendo fuori. Il drago la guardava, gli enormi occhi viola fissi su di lei.

Alicia… non devi urlare tanto per rispondermi… pensa le tue risposte… io le avvertirò…

Va bene.

Alicia… perché stasera non hai dialogato con me? Mi piacevano molto, le nostre conversazioni.

Io… tu… scusa… ma… ero… stanca…

Capisco.

Ma… tu… tu sei… il mio drago?

No, non sono un drago.

Allora sei Sissi, l’unicorno?

No. Ripeto: non sono un drago.

Ma allora… cosa… cosa sei?

Ascolta la mia voce, dovresti capirlo.

Alicia continuò ad ascoltare la voce, ma questo non le diceva niente; se non era il drago, allora…

Chi sei? Dove sei?

Sono davanti a te, proprio qui. Ma non sono un drago…

Ma io… davanti ho un drago!

No. Avanti, è un problema che ti sei posta molte volte, durante il nostro viaggio. Non dare per scontata la risposta alla tua domanda proprio adesso…

Cosa si era sempre chiesta Alicia durante il viaggio? Beh, che nome dare al drago… poi… certo, ovvio… se fosse maschio o femmina!

Allora… non sei un drago, quindi sei una dragonessa, giusto?

Ci sei arrivata, finalmente.

Bene. E io che stavo pensando tutti nomi da drago…

Già… mi hai elencato tutti i migliori nomi da drago che esistano… ma pochi da dragonessa, e non mi piacevano.

C’è… c’è qualche nome in particolare che ti piace? Io ormai ho esaurito la mia fantasia… un nome che mi piaceva molto era Jessica, ma tu non eri d’accordo….

Fammici pensare… ci sono vari nomi che mi piacciono… ma credo proprio di dover fare una scelta….

La dragonessa rimase un po’ silenziosa e pensierosa. Poi parlò, così all’improvviso che Alicia sobbalzò.

Ecco, credo proprio di aver scelto.

Che nome hai scelto?

Ho scelto… Zelda. Ti piace?

Io… si, è molto bello. Non ci avevo mai pensato. Va bene, ora sei Zelda.

Alicia sorrise. Finalmente la sua dragonessa aveva un nome… finalmente poteva condividere i suoi pensieri con lei, sapendo che sarebbe stata veramente capita… lei l’avrebbe consigliata nelle sue scelte, avrebbe condiviso i suoi sentimenti… avrebbe incrementato i suoi poteri….

Grazie per avermi liberata.

La dragonessa, esattamente come prima, aveva parlato così all’improvviso da spaventare Alicia.

Prego, Zelda. Era il mio dovere, dopotutto. Ho visto l’uovo, non potevo far altro che portarlo via.

Non sono in molti quelli che avrebbero fatto una scelta simile in così poco tempo e sapendo che la posta in gioco sarebbe stata la propria vita. Ti ho scelta per questo. Una personalità come la tua non è fatta per trasportare un uovo da un posto all’altro.

Alicia si stupì parecchio. La dragonessa era uscita dall’uovo solo da qualche settimana, e già dimostrava più saggezza del più anziano tra gli elfi.

Non potevo lasciarti in balia di Galbatorix. Sarebbe stato deleterio per tutta Alagaesia, sarebbe stato come se ci fossimo tutti arresi all’Impero, senza nemmeno provare a combattere.

Hai ragione, Alicia. Ma c’è gente che a queste cose non ci pensa, e avrebbe pensato solo a salvarsi la pelle.

Ma così sarebbe morto comunque, prima o poi!

Lo so, lo so. Ma, ripeto, c’è gente che non ci pensa.

Dopo quest’ultima frase, la dragonessa si allontanò. Alicia ritornò nel suo piccolo rifugio. Incredibilmente, prese subito sonno.

*

Quando, il mattino dopo, Alicia uscì dalla sua improvvisata capanna, trovò Zelda che l’attendeva.

Dai, preparati, pelandrona! Dobbiamo partire!

A quanto pareva, la dragonessa pareva piuttosto impaziente di partire.

Si, un attimo….

Alicia prese uno degli ultimi pezzi di carne secca che restavano, e lo mangiò come colazione. Poi sellò Sissi, e fu pronta per partire.

La dragonessa pareva molto impaziente di condividere i suoi pensieri.

Tu e Sissi partite a tutta velocità… io provo una cosa. A proposito, dove dobbiamo andare?

A Teirm. Voi draghi conoscete Alagaesia già da quando siete nell’uovo?

Non proprio. Infatti, per arrivare a Teirm, avrò bisogno del tuo aiuto. Ma, se tutto va bene, dovremmo essere lì entro stasera, massimo domani!

Va bene… allora andiamo!

Sissi non era ancora partita, quando, Alicia assistette a qualcosa di straordinario: Zelda aveva spiegato le sue ormai enormi ali, si era data una piccola spinta con le zampe posteriori, e si era alzata in volo. Si muoveva nell’aria con tanta naturalezza che sembrava si fosse allenata una vita. Ma Alicia sapeva che non era così.

Vi seguirò in volo, voi correte!

Così Alicia spronò Sissi, e l’unicorno partì, a tutta velocità.

Cavalcarono per tutto il mattino, poi si fermarono per pranzo. Zelda ritornò a terra, e mangiò con la sua padrona. Subito dopo la dragonessa toccò la mente di Alicia, come aveva fatto tante volte durante quel mattino.

Beh, hai voglia di lasciar perdere quell’unicorno e cavalcare me?

Si, ma… beh, Sissi come farà? Non possiamo permetterci di perderla, dato che non potrò sempre cavalcarti. E poi… ti ci vuole una sella, le tue squame sono troppo dure.

Va bene… allora, per quanto riguarda Sissi, so che gli unicorni possiedono un senso dell’orientamento incredibile. Lei sa che tu devi andare a Teirm, quindi andrà a Teirm. Se poi non ne sei sicura, puoi dirle dove andare con la mente. Per quanto riguarda la sella, beh, se hai delle pelli, o delle stoffe, posso spiegarti come fare.

Alicia prese alcune delle stoffe e delle pelli che si era portata da casa, e, seguendo le istruzioni della dragonessa, riuscì a costruire una sella decente. Quindi la legò a Zelda, e si preparò a montarla.

Salì sulla dragonessa, e la strinse forte al collo. Intanto comandò a Sissi di andare avanti. L’unicorno partì, a tutta velocità.

Pronta? disse la dragonessa.

Vai…

Allora… via!

Alicia avvertì lo scatto delle zampe posteriori, e si resse ancor più saldamente per non rischiare di cadere. L’aria le sferzava il volto, ma questo non le dava fastidio. Pochi secondi dopo, erano sospese a mezz’aria, così veloci che la natura sottostante pareva soltanto una macchia verde indefinita.

Zelda era così felice di avere Alicia con sé, che cominciò a fare varie acrobazie aeree. Alicia faticava a tenersi salda, ma era felice. E libera, più libera di come fosse mai stata in tutta la sua vita. E poi, ad una velocità simile, sarebbero arrivate a Teirm in pochissimo tempo! E dire che, soltanto tre settimane prima, Alicia pensava di impiegarci mesi!

Ti piace?

Si, Zelda. È incredibile… finalmente mi sento libera, veramente libera…

È normale sentirsi liberi, quando si vola. Avevo proprio voglia di sgranchirmi le ali.

Sembra che ti sia allenata per una vita.

No. Queste cose si imparano d’istinto. Non hai nemmeno idea di cosa significhi volare bene.

Beh, se non è questo….

No, non lo è. Tutti i draghi sarebbero capaci di farlo. Ma non vedo l’ora di trovare qualcuno che mi insegni le tattiche fondamentali di volo.

Già, pensò Alicia. Non poteva certo pensare che i draghi sapessero tutto da subito. E ora, dove lo trovavano qualcuno che insegnasse a Zelda ciò che doveva sapere? La ragazza espose il problema alla dragonessa.

Non ti preoccupare, ragazza. Al momento riusciremo a cavarcela anche così. L’importante è che tu trovi qualcuno che ti istruisca, poi al resto ci si può pensare in un altro momento.

Volarono per tutto il pomeriggio, e si fermarono soltanto al tramonto. Non appena poggiò piede a terra, Alicia sentì una sorta di capogiro, e dovette appoggiarsi alla dragonessa per non cadere.

È normale sentirsi un po’ male dopo il primo volo, Alicia… ci farai l’abitudine.

Il malessere di Alicia, fortunatamente, durò soltanto pochi secondi, poi la ragazza ritornò completamente in forze, e riuscì anche a tagliare un po’ di legna per fare il fuoco. Poi prese l’ultimo pezzo di carne, e lo mangiò quasi tutto, lasciandone soltanto un po’ per la colazione e confidando nel fatto che l’indomani sarebbero arrivati a Teirm, e avrebbe potuto comprare dei viveri.

Non fece in tempo a finire di mangiare, però, che cominciò a piovere. Goccioloni grossi come noci cominciarono a cadere dal cielo, e spensero il fuoco. Ben presto il clima si fece freddo. E Alicia aveva bisogno del fuoco. Ma poi ricordò una delle peculiarità dei draghi…

Zelda…

Si?

Sapresti… riaccendere il fuoco?

No. Devi sapere che noi draghi non nasciamo come bestioni sputafuoco. Diciamo che abbiamo il fuoco dentro, ma non possiamo buttarlo fuori prima di aver compiuto un anno di vita. Mi dispiace.

Già… perché ora avrei proprio bisogno del fuoco, se non voglio morire di freddo!

Beh, se vuoi… puoi dormire sotto la mia ala, dovrebbe farti caldo… ma comunque… giusto per vedere… potresti evocare il fuoco con la magia!

Zelda aveva ragione… ora possedeva poteri magici, e tecnicamente poteva evocare il fuoco… doveva solo pronunciare la corrispondente parola dell’antica lingua… ecco…

- Brisingr! – esclamò la ragazza, dirigendo verso la legna il palmo della mano sinistra, quella col gedwey ignasia. Una grande fiamma rosa scaturì dal legno, illuminando il territorio circostante e gli occhi increduli di Alicia.

Notevole, davvero, disse la dragonessa.

Alicia era ancora troppo stupita. Certo non si aspettava quella fiammata. Si aspettava soltanto un paio di fiammelle, ma niente che potesse scaldarla o fornirle luce.

Passato lo stupore iniziale, Alicia cominciò a sentirsi stanca. L’incantesimo l’aveva un po’ sfiancata, del resto era la prima volta che faceva una magia.

Non preoccuparti, Alicia, è normale essere un po’ stanchi dopo il primo incantesimo che si fa. Ora vieni qui, e dormi. Ne hai proprio bisogno.

La ragazza non se lo fece ripetere due volte, e si coricò, coperta dalla possente ala della dragonessa.

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Capitolo 3
*** Meeting ***


 

 

Ecco a voi un nuovo capitolo! E vorrei anche ringraziare tutti coloro che stanno commentando... GRAZIE!!!!

Cap. 3: Meeting

Il mattino dopo, Alicia si svegliò completamente in forze. Toccò l’ala della dragonessa per avvertirla che si era svegliata, e Zelda aprì la grande ala. Non appena si fu alzata, Alicia scrutò l’orizzonte. A poche miglia di distanza si poteva vedere Teirm, e Alicia non vedeva l’ora di arrivarci.

Da che parte della città entrerai?

Zelda era dietro di lei, anche lei scrutando l’orizzonte. Alicia le rispose prontamente.

Non credo che dovrei entrare dall’ingresso principale. Io direi di aggirare un po’ le mura, e entrare da una delle porte laterali.

Va bene. Adesso, chi di noi devi cavalcare? Me o Sissi?

Sissi. Sarebbe meglio non lasciarla troppo sola, nonostante mi fidi. E poi, meglio che vedano un unicorno piuttosto che un drago. Siamo ricercate. Non dimenticare che sono evasa dalle prigioni di Galbatorix rubandogli un uovo di drago. Mi stupisco che non ci sia già alle calcagna. E dovrò stare attenda anche in città, non si sa mai.

Già, hai ragione. Ma… beh, hai un paio di guanti, o qualcosa del genere? Perché se non stai poco poco attenta ti si vede il gedwey ignasia, e allora capirebbero tutto.

Dovrei avere delle bende, da qualche parte. Farò finta di avere la mano fasciata.

Così, la ragazza prese un paio di bende dalla borsa, e le avvolse attorno alla sua mano sinistra. Ora che avevano deciso cosa fare, erano pronti a partire.

Alicia sellò Sissi, e partì. Intanto Zelda seguiva in volo.

Mano a mano che andavano avanti, verso la città, l’ambiente cambiò: mentre prima Alicia poteva vedere soltanto bosco e natura incontaminata, ora si cominciavano a vedere le mura di una grande città. Certo, non era tanto grande quanto Urù’baen, ma sembrava molto più solare e allegra. Alicia guardò ciò che la circondava, estasiata.

Ma, dopo un’ora passata cavalcando e ancora nessuna porta in vista, le mura stavano cominciando a diventare monotone. E poi, neanche un rumore! L’udito di Alicia, che era anche piuttosto fino, non percepiva nulla, oltre allo scalpiccio degli zoccoli di Sissi e al cinguettio degli uccelli, che ormai sentiva sempre da più di un mese, e che ormai non la entusiasmava più di tanto.

Poi, l’orecchio di Alicia fu colpito da dei rumori, provenienti dal bosco. Sembravano delle voci…. Alicia abbandonò l’idea di entrare subito a Teirm, la curiosità di sapere chi stesse parlando, specie dopo un periodo in cui non aveva conversato o sentito altra voce se non quella di Zelda, era troppo forte. Si avvicinò.

Ora riusciva a comprendere cosa stessero dicendo le voci. Erano due persone che stavano parlando. Una era quella di un uomo un po’ avanti con gli anni, ma non troppo. L’altra era quella di un ragazzo.

- Provaci ancora! Vedrai che prima o poi riuscirai a farlo bene! – disse l’uomo.

- è inutile, Brom. Credo… credo di aver bisogno di un po’ di riposo, l’avrò provato almeno dieci volte! – rispose il ragazzo.

- Un’ultima volta, ci scommetto che ci riesci! – .

Alicia smontò dall’unicorno. Voleva avvicinarsi ancora di più, e non poteva stare a cavallo di Sissi. Avrebbe fatto troppo rumore.

Sbirciò sopra un cespuglio. Ora riusciva a vedere l’uomo e il ragazzo.

L’uomo sembrava essere di mezza età, aveva i capelli brizzolati e indossava una specie di pesante tunica di pelle. Stava incitando il ragazzo il ragazzo a fare qualcosa, anche se Alicia non capiva bene cosa.

Il ragazzo, invece, sembrava non avere più di sedici anni. Aveva i capelli color castano chiaro, e indossava abiti da caccia, pur non sembrando un cacciatore. In quel momento teneva in mano una pietra.

Dopo l’incitazione dell’uomo, il ragazzo disse qualche parola, che Alicia non capì. Poi lanciò in aria la pietra. Questa, almeno, agli occhi di Alicia, rimase un po’ per aria, poi ricadde nella mano del ragazzo.

Un momento.

Non era fisicamente possibile, la pietra sarebbe dovuta ricadere subito. Allora cos’era? Beh, poteva darsi che i suoi occhi si fossero immaginati tutto, magari che fossero rimasti fermi per una frazione di secondo….

Alicia, senza volerlo, sbuffò. Si coprì la bocca con le mani, sperando che né l’uomo né il ragazzo l’avessero sentita.

Ma non fu così.

L’uomo si girò di scatto, e poi disse: - Qui c’è qualcuno che ci sta spiando. Vado a vedere chi è - .

Alicia si abbassò, mentre l’uomo si avvicinava al cespuglio dove era nascosta. Poi tentò di tornare indietro. Ma, sfortunatamente, inciampò su una radice scoperta, e cadde all’indietro, facendo molto più rumore di quanto volesse. Alicia provò a rialzarsi, ma non ci riuscì. Le si era incastrato un piede nella radice.

L’uomo scostò il cespuglio, e la vide, riversa a terra. Lottò per non ridere.

- Ho trovato lo spione. Vieni, Eragon! – disse l’uomo, rivolto al ragazzo, che ora era seduto per terra.

- Chi è, Brom? – rispose il ragazzo, restando seduto.

- Ti ho detto di venire! –

Il ragazzo si avvicinò, e vide la ragazza per terra. E che nemmeno poteva rialzarsi. E scoppiò a ridere.

- Si può sapere cosa avete da ridere? – disse Alicia, piuttosto sgomenta.

- Già, ha ragione. Perché non le dai una mano a rialzarsi, ragazzo? – disse l’uomo, cercando di restare serio.

Il ragazzo arrossì, e aiutò Alicia a liberare il piede. Poi le porse una mano, per aiutarla a rialzarsi.

Quando Alicia si rimise in piedi, l’uomo era tornato veramente serio.

- Bene, visto che, nonostante tu ci stessi spiando, noi ti abbiamo dato una mano, puoi concederci almeno il piacere di sapere come ti chiami? – disse l’uomo.

- Mi chiamo Melissa – disse Alicia, forse un po’ troppo frettolosamente. Aveva deciso di nascondere il suo nome, per prudenza. Non si fidava di due stranieri appena incontrati. – E voi, chi siete? - .

- Io mi chiamo Eragon, e lui è Brom – rispose prontamente il ragazzo, aggiudicandosi un’occhiataccia da parte dell’uomo.

- Si, io sono Brom – disse l’uomo.

- Sei diretta a Teirm? – chiese Eragon.

- Si – rispose Alicia. Del resto, non c’era nulla di male nel dire che andava a Teirm.

- Anche noi. Beh, se vuoi, puoi raggiungere la città insieme a noi, vero Brom? –

- Si, va bene – rispose Brom. Perché non farla venire con loro, almeno fino alla porta della città? Sembrava affidabile, anche se un po’ troppo curiosa.

- Allora… verrò con voi! – disse la ragazza, non sapendo nemmeno perché. O forse lo sapeva. Era rimasta quasi tre settimane a viaggiare da sola, e desiderava un po’ di compagnia umana.

- Quando entreremo? – chiese Alicia.

- Entreremo in città domani, di mattina presto. Ora la città è troppo affollata, e non possiamo permetterci di vedere troppa gente – disse Brom.

- Allora passeremo la notte qui? – chiese Alicia.

- Credo proprio di si, Melissa – rispose Eragon, che, tutto sommato, non pareva lamentarsi.

- Bene. Aspettate un attimo, vado un attimo di là - .

Alicia tornò dove aveva lasciato Sissi, felice per aver trovato qualcuno con cui fare quattro chiacchiere. Non sapeva ancora se fidarsi o no di loro, anche se propendeva di più per la prima ipotesi. Inoltre, sembrava che entrambi nascondessero qualcosa….

Non volevano essere visti, esattamente come lei. Sembravano anche loro dei ricercati dall’Impero. Chissà perché, poi. Sembravano piuttosto innocui.

Perché, lei sembrava per caso pericolosa? Non si sentiva tale, anzi, se non fosse stato per il fatto che era un’evasa e che possedeva un drago, sarebbe potuta essere una tranquilla ragazza qualsiasi.

Quando arrivò da Sissi, ne approfittò anche per contattare Zelda.

Zelda?

Eccomi, rispose la dragonessa. Pareva piuttosto eccitata.

Ho trovato qualcuno che ci accompagni a Teirm. Un uomo e un ragazzo. Possiamo fare con loro la strada fino alle porte, che ne dici?

Tu la puoi fare. Io preferirei non farmi vedere. Comunque sai che ho visto…

- Melissa! Vieni! – gridò Eragon.

Scusa Zelda… io vado. Parliamo dopo, se vuoi…

Oh, va bene, rispose la dragonessa, piuttosto scocciata.

Alicia raggiunse Eragon. Non appena arrivò, il ragazzo sorrise. Sembrava felice al solo vederla. Sicuramente anche lui avrà passato molto tempo parlando solo con Brom, pensò Alicia, quindi il fatto di stare con qualcuno che bene o male aveva la sua età doveva renderlo felice.

- Ti va di accompagnarmi a caccia? Purtroppo dobbiamo procurarci il pranzo… - disse Eragon.

- Si, aspetta un attimo che prendo l’arco – rispose Alicia.

- No, no… io intendevo dire come spettatrice… non importa, puoi anche venire con me e non fare niente, io riesco a cacciare per tutti –

- No, Eragon. Mi piace usare l’arco, e diciamo che me la cavo. Caccio anch’io, oggi. Lo sto facendo tutti i giorni da circa un mese, e non vorrei perdere l’abitudine –

- Se lo dici tu… - . Eragon rimase un po’ di stucco. Se si voleva essere gentili con un ospite, o con un compagno, lui pensava fosse meglio non farlo cacciare… e poi, una ragazza! Le ragazze del suo paese non avrebbero mai cacciato nulla, aspettavano sempre gli uomini. Questa, invece….

Si addentrarono nel bosco, gli archi pronti a scoccare le loro frecce. Si appostarono dietro un cespuglio, pronti a cacciare qualunque cosa fosse commestibile.

Un cervo attraversò la loro visuale, e si bloccò proprio davanti al cespuglio, a circa trenta metri di distanza dalla loro postazione.

- Scommetto che ora lo prendo – mormorò Eragon alla ragazza, scagliando una freccia contro il cervo. Ma lo mancò. Forse la distanza era troppa, forse la freccia era difettosa… e dire che lui era anche bravo….

Il cervo stava scappando, ma Eragon lo vide cadere a terra, senza vita, un secondo dopo. Cosa l’aveva colpito? Eragon si girò. Alicia, o Melissa, come la conosceva lui, era lì, che reggeva in mano il suo arco come se avesse appena scagliato una freccia.

- Tu… - disse Eragon, piuttosto stupito.

- Si, io – rispose Alicia – l’ho colpito proprio dritto al cuore, scommettiamo? –

- Ma come… io non ci sono riuscito… -

- E dire che mi volevi solo come spettatrice – disse lei, sorridendo, mentre si avvicinava al cervo. Eragon la seguì.

Giunsero vicini al cervo. Una freccia era conficcata nel suo petto, lì dove c’era il cuore.

- L’hai colpito proprio… proprio lì dove dicevi… ma come… come hai fatto? – disse Eragon, la voce colma, stavolta, di ammirazione.

- Ho mirato, semplicemente –

- Ed era anche in movimento! Era… era impossibile! –

- Non lo era, se sono riuscita a colpirlo –

- Va bene, non era impossibile. Ma difficile si! –

- Si, va bene, era difficile. Ma ora dovremo portarcelo via, non possiamo aspettare che si decomponga lodando come l’ho ucciso – rispose Alicia, forse in tono troppo spiccio.

- Faccio io. Tu l’hai cacciato – disse Eragon, caricandosi il cervo sulle spalle.

Mentre ritornavano da Brom, parlarono poco. Eragon era ancora stupito dalla bravura della ragazza, e non solo da quello. La guardò. Era esile e delicata, eppure possedeva la forza di braccia necessaria per lanciare una freccia lontano. Chissà quali altri segreti nascondeva!

Le guardò i capelli corvini, che ondeggiavano, in balia della leggera brezza. Le guardò gli occhi, d’un viola intenso. Erano stupefacenti. E i suoi lineamenti….

La ragazza si voltò di scatto verso Eragon. Il ragazzo distolse velocemente lo sguardo e arrossì. Sperò solo che lei non se ne fosse accorta. Scosse la testa. Non ci doveva pensare. Tanto lei se ne sarebbe andata, di lì a breve, e non l’avrebbe mai più vista. Ma era carina, e sembrava simpatica. Ed era una brava cacciatrice, oltrettutto.

Ritornarono nel grande spiazzo da cui erano partiti.

Brom osservò il cervo con gran piacere.

- Finalmente oggi si fa un pasto decente! – disse l’uomo, felice.

- Si – disse Eragon – ed è tutto merito suo! Pensa, Brom, una sola freccia, veloce e pulito. E il cervo era pure in movimento! –

- Si, si, va bene. Non c’è bisogno che mi esalti tanto, potrei soltanto aver avuto fortuna! – disse Alicia, un po’ imbarazzata. Non le andava di essere lodata così tanto.

La carne fu arrostita sul fuoco che Brom nel frattempo aveva preparato, e fu mangiata. Poi rimasero tutti e tre seduti accanto al fuoco.

- Da dove vieni? – chiese Brom.

- Da Gil’ead – rispose Alicia. Ormai stava trovando così facile il mentire… del resto, non poteva dire di provenire da Urù’baen… se l’avesse fatto, poteva scommettere su Zelda che l’avrebbero allontanata, credendola, magari, una spia.

Poi continuò: - Come mai tutte queste domande? –

- Brom è un uomo molto diffidente, Melissa. Vuole sapere con chi abbiamo a che fare – rispose Eragon.

- Perché, tu non lo vuoi sapere, Eragon? – chiese Brom.

- Si, ma… -

- Bene. Allora lascia che faccia alla ragazza tutte le domande che servono. È vero, voglio sapere con chi abbiamo a che fare. se così non fossi, Eragon, probabilmente nessuno di noi due sarebbe ancora qui, pronto a parlare con questa ragazza – rispose Brom, un po’ scontrosamente, poi tornò a parlare con la ragazza.

- Perché sei qui a Teirm, ragazza? –

- Perché… io… devo andare a trovare mio zio, che sta in città - .

Anche Eragon la guardò in maniera strana. Brom la scrutò, come se volesse guardarle attraverso.

- Strano. Una ragazza, tutta sola, che percorre la strada da qui a Gil’ead. Neanche un parente? – domandò Brom, un po’ sospettoso.

- No, tutta sola. Mio padre è morto, e mia madre è dovuta restare in casa con mio fratello - . La voce di Alicia si incrinò leggermente, e la ragazza sperò solo che Brom non l’avesse percepito. Se solo Brom e Eragon avessero saputo….

- Ho capito – continuò Brom. – E quanto tempo ci hai messo per arrivare fin qui? - .

- Tre settimane circa –

- Tre settimane? Difficile, anche a cavallo –

- Ma… la mia Sissi è un unicorno, è molto più veloce di ogni cavallo –

- Va bene. Per oggi basta con le domande. Se vuoi, puoi osservare me e Eragon che ci esercitiamo con la spada - .

- Va bene – rispose la ragazza. Dopotutto, non c’era niente di male ad osservare un duello senza intervenire.

Quindi la ragazza si sedette sull’erba, attese l’inizio del duello. Sia il ragazzo che l’uomo, però, prima di duellare, si addentrarono nel bosco. Poi uscirono, con le loro spade. E il duello cominciò. Le lame cozzarono, producendo una cascata di scintille. Già, scintille. Alicia trovò questo vagamente strano, così come la strana barriera rossa che ricopriva le spade. Si, era una barriera. Le lame, se si osservava attentamente, non si colpivano tra di loro, era solo un’illusione creata dalla velocità. Ma gli occhi di Alicia, che in parte, così come tutto il suo essere, avevano acquisito caratteristiche elfiche, a volte riuscivano a fermare le immagini, per qualche secondo; e lei fece questo, volendo godersi il duello un po’ più al rallentatore. E così vide che le due lame non si toccavano. Era impossibile, nemmeno il migliore degli elfi avrebbe avuto così tanto controllo della sua spada. Quei due nascondevano qualcosa….

Il duello durò tutto il pomeriggio, e Alicia si stupì molto della resistenza dei due. Lei, forse, sarebbe riuscita a combattere per tutto quel tempo senza riposarsi, ma dopotutto lei non era da considerarsi una normale ragazza umana. Aveva molto di elfico, forse perché era stata così tanto a contatto con suo padre…. Si toccò le orecchie. Adorava la loro forma, non completamente tonda, ma nemmeno a punta come quelle, ad esempio, di suo padre. Anche quello era un segno dell’influenza elfica, e sperava che non fosse tanto evidente.

Eragon si era seduto accanto a lei. Ansimava, ma non come un normale umano dopo un combattimento lungo ed estenuante come quello.

- Bravi, tutti e due – disse Alicia, rivolta al ragazzo.

- Grazie… ma Brom è stato più bravo – rispose Eragon, sorridendo.

- No, siete stati magnifici tutti e due… non so proprio come abbiate fatto, avete combattuto per tutto il pomeriggio! –

- Mesi di allenamento… e poi, c’eri tu – rispose lui.

- Io? – disse lei, sorridendo.

- Beh, si… - rispose il ragazzo, arrossendo un po’ – insomma, se c’è qualcuno che ti guarda, cerchi sempre di dare il meglio di te stesso, o no? –

- Già – rispose Alicia, pensando però che il ragazzo, in fondo, non le avesse proprio detto le verità….

Poco dopo, anche Brom si unì a loro.

- Vabbè – disse il ragazzo, un po’ avvilito, alzandosi per prendere la legna per fare il fuoco.

Dopo un po’, un piccolo fuocherello stava al centro della radura dove si trovavano, e sopra al fuoco stava la carne che avrebbero mangiato per cena.

Cenarono in silenzio, Eragon che sorrideva ad Alicia, dall’altra parte del fuoco. Brom, invece, aveva la solita espressione pensierosa che l’aveva caratterizzato fino a quel momento.

Poi finirono di mangiare, e fu soltanto allora che Brom disse: - Bene. È arrivato il momento di costruirci i nostri rifugi per stanotte. Melissa, se vuoi un rifugio separato, non hai che da chiedere: io e Eragon saremo ben lieti di costruirlo anche per te, vero, ragazzo? –

- Certamente – rispose il ragazzo.

- Grazie – disse Alicia – ma credo di non avere bisogno del vostro aiuto. Ho costruito rifugi per tre settimane, potrei fare anche il vostro in meno di mezz’ora -.

Eragon la guardò, sbalordito. Una ragazza che non solo rifiutava l’aiuto di due uomini (se lui poteva essere considerato tale, essendo solo un ragazzo), ma si offriva di fare anche il loro lavoro? Per lui era inaudito, abituato com’era alle donne tutte casa e mercato che aveva conosciuto a Carvahall.

La osservò, mentre portava in braccio un sacco di rami. Era stufo di ripeterlo a sé stesso… ma quella ragazza era così esile… come faceva a trasportare tanti rami, e dare l’apparenza di non avvertirne nemmeno il peso? Forse era soltanto brava a nascondere la fatica. Si avvicinò per aiutarla.

E allora notò qualcosa. Le sue orecchie. Erano strane. Non erano tonde, come quelle di una qualsiasi ragazza. Avevano una piccola, graziosa protuberanza, che poteva sembrare una punta smussata. Non facevano altro che aumentare la particolarità di quella bellezza, che lo aveva preso quasi da subito.

Giunse accanto a lei.

- Vuoi aiuto? – le chiese.

- No, grazie, Eragon. Ce la faccio da sola, davvero. Non mi pesa niente, non preoccuparti – rispose lei.

- Sicura? –

- Si, Eragon. Mi sembra che tu ti stia preoccupando un po’ troppo, sai? Prima la ferita alla mano, poi questa legna… sono una ragazza forte. Ho vissuto da sola con un unicorno per tre settimane. So come cavarmela. Perciò, ora vai, e aiuta Brom - .

Eragon rimase attonito ancora una volta. Era… era impossibile. Lei era davvero tanto forte da poter sollevare tutta quella legna? Non era troppo normale. C’era qualcosa che non gli quadrava. E anche la ferita… cosa c’era di male a mostrare una ferita ad una mano? A meno che non fosse stata qualche strana ferita, qualcosa di inguardabile, o di segreto… o nemmeno una ferita….

Il ragazzo, un po’ pensieroso, tornò da Brom, e lo aiutò a costruire il rifugio. Intanto osservava Alicia (per lui, Melissa), che metteva assieme i rami, costruendosi il rifugio ad una velocità incredibile.

- Per me, nasconde qualcosa. Stacci attento, Eragon – disse Brom.

- A… cosa? – rispose il ragazzo.

- Melissa, zuccone! Sembra affidabile e insospettabile, lo so, ma secondo me ci sta nascondendo qualcosa. E non so se sia buono o cattivo, quel qualcosa –

- Cosa te lo fa pensare? – domandò Eragon, anche se la pensava come Brom.

- è troppo veloce, e troppo forte. Noi siamo in due, e ancora non abbiamo finito di costruire il rifugio. Lei, da sola, ha già finito. E poi… la ferita. Anche quella, secondo me, nasconde qualcosa di più grande –

- Peccato non poter averla vicino di più… così potremmo capire cos’ha –

- Hmm… - .

Furono interrotti da Alicia, che disse loro: - Buonanotte -, poi entrò nel suo rifugio, portandosi dentro anche delle coperte.

- Ci scommetto che la vuoi con noi anche per qualche altro motivo… - disse Brom, per la prima volta nella sua vita malizioso.

- Beh… - fece Eragon, arrossendo – è una brava cacciatrice, può tornare utile… -

- Ragazzo… si vede lontano un miglio… la trovi misteriosa, carina e, oltrettutto, è tanto diversa dalle ragazze che hai conosciuto a Carvahall… e ci scommetto che non ti piace solo la sua abilità nell’usare l’arco… -

- Beh… ehm… -

- Colpito e affondato, ragazzo! Beh, peccato che da domani dovremo separarci da lei… -

- E se ci fosse anche una minima possibilità che resti con noi? – chiese il ragazzo.

- Impossibile, Eragon. La nostra missione è troppo rischiosa, e lei, per quanto forte, non può venire senza motivo. Inoltre, ha anche lei una strada da percorrere. Anche se sto cominciando a dubitare anche di quella. È impensabile il portarla con noi. Se poi tutto ciò che ha detto fosse vero, sarebbe crudele strapparla dalla sua famiglia per condurla in una missione dalla quale non sa se ne uscirà viva o morta. Tutti hanno un punto debole, anche lei, nonostante appaia come una fortezza inespugnabile. E penso che sia molto legata alla sua famiglia, come tutti noi, del resto. Penso che chiederle di seguire noi, che, dopotutto, per lei siamo ancora degli sconosciuti, e separarla dalla sua famiglia senza che ce ne sia il bisogno, sarebbe un po’ troppo - .

Brom pose l’ultimo ramo, e il loro rifugio fu pronto. I due ci entrarono dentro, e si addormentarono.

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Capitolo 4
*** Discovering ***


 

Cap. 4: Discovering

Il mattino dopo, Alicia fu svegliata da Zelda.

Come va?

Tutto bene, Zelda. Tra poco si riparte, immagino.

Si. Sai… volevo dirti una cosa.

Spara!

Ecco, ieri ho visto…

- Melissa! - . Eragon la stava chiamando, da fuori. Alicia interruppe il contatto con la dragonessa.

Scusa, devo andare…

Oh, sempre la solita…

Alicia uscì. Vide Eragon, in piedi, che brandiva la spada e faceva qualche movimento.

- Brom dov’è? – chiese Alicia.

- Dorme ancora. E non voglio svegliarlo – rispose il ragazzo.

- Beh, se ti va… - propose Alicia – prima di partire, possiamo fare un piccolo duello con la spada, no? –

- Si – rispose il ragazzo, un po’ spiazzato dalla richiesta. Una ragazza che voleva duellare? Stava scherzando?

- Va bene – continuò Eragon – ma prima passami la tua spada, la devo sistemare - .

Alicia gli diede la sua spada, e lui scomparve, come il giorno prima, tra gli alberi. Tornò poco dopo, e diede la spada ad Alicia. Alicia la prese, e la osservò. Una sottile membrana rossa circondava il filo della spada. La ragazza si chiese come fosse possibile. Ma non lo chiese ad Eragon.

- Bene. Sei pronto? – disse lei, mettendosi in guardia.

- Si – rispose, il ragazzo, mettendosi anche lui in guardia.

- Allora, via! – fece la ragazza, e i due cominciarono a duellare.

Eragon si stupì della bravura della ragazza. Era incredibilmente veloce, e riusciva sempre a parare i suoi colpi. Sembrava, quasi, che stesse giocando con lui, tanto sembrava non avvertire la fatica. E maneggiava la spada con tanta naturalezza, che avrebbe potuto benissimo essere il prolungamento del suo braccio.

La ragazza continuò a duellare. Era bravo, il ragazzo, ma non abbastanza da poter competere con una nelle cui vene scorreva sangue elfico, purtroppo per lui.

Le lame si scontravano, emettevano scintille, sembrava che stessero sputando energia, il braccio di Eragon bruciava come se gli avessero dato fuoco, ma la ragazza non accennava a mostrare segni di fatica. Ed era bella anche duellando… si ritrovò a pensare Eragon. Pensiero sbagliato. Nel formularlo si era distratto, e la spada della ragazza aveva scontrato con la sua con tanta forza che Zar’roc volò via dalla sua mano destra e andò a finire dieci metri più in là. E non fu solo quello.

Improvvisamente Eragon cominciò a sentirsi la mano con cui prima aveva retto la spada molto fresca. Strano, perché ne aveva nascosto il palmo con un guanto. Abbassò gli occhi sulla mano. Ecco, il guanto non c’era più.

Alicia guardò la mano senza guanto di Eragon. Il ragazzo aveva sempre portato i guanti, in sua presenza, ma lei non si era mai posta il problema di chiedergli perché. Forse ora cominciava a capire. C’era qualcosa, su quella mano destra, che emanava uno strano brillore argenteo. Alicia poteva dire di aver già visto qualcosa di simile… sulla sua mano sinistra.

Non era possibile. Ma era vero. In quell’attimo in cui il ragazzo era rimasto attonito davanti alla sua mano senza guanto, Alicia aveva osservato abbastanza da capire. Eragon… era anche lui un Cavaliere… anche lui aveva il gedwey ignasia… come lei….

Il ragazzo nascose più in fretta che poteva la mano. Raccolse il guanto, e se lo infilò, veloce come un fulmine. Ma non era facile fregare Alicia.

- Eragon… cos’hai sulla mano? – chiese Alicia.

- Io… nulla, perché? – rispose il ragazzo, arrossendo.

- No, perché ho visto qualcosa brillare… -

- No! Cosa te lo fa pensare? –

- Avanti… hai sempre tenuto i guanti, davanti a me. Non l’avresti fatto senza motivo, vero? –

- Ma… - .

Alicia si avvicinò al ragazzo.

- Allora… si, devo proprio ricorrere ad altre maniere… diciamo che… se tu mi fai vedere cos’hai sulla mano destra… io ti faccio vedere qualcos’altro… - . La sua voce era diventata bassissima, ed Eragon potè a stento capire le ultime sei parole. Ma, non appena le ebbe percepite, queste rimbombarono nel suo cervello, come se fossero state urlate.

La guardò dal basso verso l’altro a bocca aperta, poi disse: - C-cosa mi fai vedere? - .

- Oh, NON certo quello che stai pensando – disse la ragazza, e gli diede un piccolo scappellotto in testa – Aveva ragione, la mia sorellina, quando diceva che tutti gli uomini cercano sempre una scusa per pensare male… no, ma ho QUALCOS ALTRO da farti vedere, che potrà ugualmente interessarti –

- Ehm… - disse il ragazzo, rosso come un peperone - … cosa… - .

- Vuoi sapere cos’ho veramente alla mano sinistra? Allora tu dimmi cos’hai alla mano destra. Fidati di me, Eragon. A quanto pare, siamo entrambi sulla stessa barca - .

Il ragazzo sospirò. La curiosità era troppo forte. Portò avanti la mano destra, e, lentamente, tolse il guanto. Poi girò la mano, rivolgendo il palmo verso il cielo. Il gedwey ignasia riluceva, colpito dai primi raggi del sole mattutino.

- Bene. Ora, se vuoi, puoi togliere la benda dalla mia mano, come tanto desideravi di fare ieri – fece Alicia, porgendo ad Eragon la mano sinistra.

Eragon prese la mano, un po’ tremante, e cominciò a svolgere la benda.

Non appena osservò il palmo della mano della ragazza sobbalzò, lasciando cadere il pezzo di tela per terra. Un altro gedwey ignasia riluceva, assieme al suo. Rimase per almeno un minuto in silenzio, inspirando ed espirando, per riprendersi dallo shock.

- Quindi, siamo in due, giusto? – chiese il ragazzo, a mezza voce.

- Si – rispose la ragazza, sorridendo.

- C-come si chiama il tuo drago? – continuò il ragazzo.

- Zelda. È una dragonessa –

- Anche io ho una dragonessa. Si chiama Saphira –

- Forse lei e Zelda si conoscono. Ieri Zelda era molto eccitata, esattamente come sarebbe potuta essere se avesse scoperto l’esistenza di un altro dei suoi simili –

- Probabile… beh, forse è meglio dirlo a Brom, che ne dici? –

- Si, penso che sia meglio. Così lo svegliamo, anche. E poi, ho un sacco di altre cose da dirvi, prima di partire. Ed è meglio che le ascoltiate tutti e due assieme –

- Va bene. Vado a svegliare Brom – disse Eragon.

Incredibile, pensò il ragazzo, mentre si avvicinava alla sua piccola capanna per svegliare Brom. Melissa… Cavaliere? Come lui? Ma allora… forse avrebbe potuto seguirli!

- Brom! Sveglia! – esclamò il ragazzo, entrando nella capanna.

- C-che succede? – chiese Brom, alzandosi, ancora un po’ assonnato.

- Oh, non ci crederai… vieni! –

Brom uscì.

- Allora, si può sapere cosa succede? – chiese l’uomo, un po’ contrariato.

- Non ci crederai Brom. Melissa… oh, vabbè, queste cose non si possono spiegare a parole. Fagli vedere la mano, Melissa! – esclamò Eragon, trascinando Alicia verso Brom.

Alicia levò in aria la mano sinistra, e la pose proprio sotto gli occhi di Brom. L’uomo le prese la mano, e la avvicinò ancora di più ai suoi occhi, per esaminarla.

- Incredibile… anche tu… beh… insomma… è… magnifico – disse Brom, evidentemente troppo scioccato.

- Si, anch’io, Brom. Ma ora, calmatevi tutti e due. Ho qualcos’altro da dirvi, di molto importante. Qualcosa su di me – disse Alicia.

- Dicci tutto – fece Eragon.

- Allora… tanto per cominciare… vorrei dirvi che la maggior parte di ciò che ho detto su di me è falsa. Vi ho nascosto la mia vera identità, per precauzione. Ma ora, mi sento abbastanza sicura da dirvi chi sono veramente.

Tanto per cominciare, io non mi chiamo Melissa. Il mio vero nome, quello con cui tutti mi conoscono è Alicia. Poi… io Gil’ead non l’ho neanche mai vista, quindi è impossibile che sia nata e che venga da lì. No, io vengo da Urù’baen. Non per questo dovete considerarmi una spia pericolosa, anzi. La mia famiglia è una delle tante, in quella città, che lottano in segreto contro Galbatorix, che cercano di minare la sua dittatura dalle fondamenta, essendo poi così vicine. Quindi, fidatevi di me.

Ancora un paio di cose, poi credo di aver finito. Se sono qui a Teirm, non è perché devo far visita a qualcuno. A dire il vero, io non ho zii, almeno, qui in Alagaesia. Avevo deciso di viaggiare fin qui per motivi legati alla mia storia; ma questa, se volete, posso raccontarvela mentre viaggiamo verso Teirm - .

Eragon e Brom la guardarono, ancor più a bocca aperta di prima. E così, lei non era la ragazza che pensavano di conoscere… e veniva da una città maledetta….

- Va bene… ehm… Alicia – disse Brom – grazie per averci raccontato tutto - .

- Di niente, Brom. Mi dispiace di non aver potuto dire subito la verità, ma di questi tempi non ci si può fidare di nessuno… - rispose la ragazza.

- Ne sappiamo qualcosa – disse Eragon.

- Bene – disse Brom – ora dobbiamo solo ripartire, e arrivare a Teirm - .

- Già – rispose Alicia – ma come faremo ad entrare? Non credo che lascino il cancello sguarnito, sebbene non sia quello principale - .

- Hai ragione, Alicia. Ma io ho un’idea… vedrete poi quando arriveremo. Ma intanto mettiamoci in viaggio, così ci puoi raccontare la tua storia – rispose l’uomo.

Alicia si diresse verso l’albero a cui aveva legato Sissi, per slegarla e cavalcarla. Ma, a quanto pare, l’unicorno non aveva gradito il fatto di essere stato immobilizzato, così si dimostrò piuttosto riluttante a seguire Alicia. Nitriva e scalciava con rabbia, e Alicia faticò nel trascinarla nello spiazzo dove prima aveva dormito.

Brom e Eragon erano già lì, e stavano sellando i cavalli, che parevano perfettamente tranquilli.

- Oh, ti prego, calmati! – disse Alicia a Sissi.

- Nervosetto, vero? – domandò Brom.

- è una lei, Brom. Si chiama Sissi. Beh, evidentemente non ha gradito di essere stata legata ad un albero per tutta la notte –

- Beh, allora prova a comunicare con lei con la mente. Dille che non intendevi farle del male, e che sei stata costretta a porre un limite alla sua libertà – disse Brom.

- E come faccio? – chiese Alicia.

- Puoi comunicare con Sissi attraverso il pensiero, come fai con la tua dragonessa. A dire il vero, puoi comunicare col pensiero con qualunque essere vivente. Anche con un essere umano - .

- Questo non lo sapevo. Ora provo - .

Alicia provò a toccare il pensiero dell’unicorno. Trovò nel cervello dell’animale una tempesta di emozioni e sensazioni, qualcosa di tumultuoso che avrebbe spaventato qualcun altro, ma non lei.

Calma, Sissi, calma. Scusami per quello che ho fatto, ma sono stata costretta. A nessuno piace la prigionia, questo lo so. Ma non potevo lasciarti libera, potevi scappare. Ora però calmati, dobbiamo ripartire.

Io non scappo, Alicia.

La risposta dell’unicorno spiazzò Alicia. La sua voce era pura e cristallina, e aveva preso il posto del tumulto di sentimenti.

Ho capito. Scusa, ma non lo sapevo.

Non importa. Sappi però che, se un padrone mi piace, io lo seguirò sempre, e mi fermerò con lui. Sono un unicorno, non un qualsiasi cavallo. Ricordatelo.

La voce cessò di risuonare nella mente di Alicia, e la ragazza interruppe il contatto.

- Che succede? – chiese Eragon, osservando la faccia stupita della ragazza.

- è che… Sissi mi ha risposto, quando le ho parlato – rispose Alicia.

- Strano. A noi non succede, con i cavalli – disse Eragon.

- Ma Sissi non è un cavallo. È un unicorno – disse Alicia.

- Già. Ci dev’essere qualcosa, nella sua natura, di superiore rispetto ai cavalli. Che non è soltanto il corno che porta in fronte. Sei fortunata, Alicia, ad avere una cavalcatura così – disse Brom.

- Grazie – rispose Alicia.

- Di niente. Ma ora, sarà meglio partire. Avvisate i vostri draghi, affinché si mettano in viaggio e si nascondano bene. Magari potrete uscire dalla città per fare loro visita nel pomeriggio. Ma attenti, perché al calar del sole i cancelli vengono chiusi, e vengono riaperti solo l’indomani mattina. Perciò, se non volete dormire fuori… - disse Brom.

- Non che non ci sia abituata – disse Alicia, sorridendo e montando sul suo unicorno. Intanto pensò a mettersi in contatto con Zelda.

Zelda?

Si? La dragonessa parve un po’ fredda e distaccata.

Tu e Saphira andate a nascondervi da qualche parte vicino alle mura… noi stiamo entrando in città.

Saphira? Come fai a sapere di Saphira?

Semplice. Eragon, il ragazzo che è con me, è anche lui un Cavaliere. E ieri, il tuo tono di voce era così eccitato che non ho potuto fare a meno di associarlo con l’incontro con Saphira.

Sei perspicace, ragazza. Ma ora vai.

La dragonessa interruppe il contatto, e così Alicia potè partire.

Eragon, Alicia e Brom partirono.

- Allora, ci racconti come sei finita qui? – chiese Eragon.

- Si, subito. Ma vi avverto, sarà un po’ lungo. Diciamo, tanto da non annoiarvi fino ai cancelli di Teirm – disse Alicia.

- Allora… tutto è cominciato circa un mese fa, a casa mia. Ero preoccupata per mio padre. Dovete sapere, infatti, che mio padre faceva parte di una scorta il cui compito era quello di trasportare un uovo di drago dalla terra degli elfi a quella dei Varden, e viceversa. Naturalmente questo compito comportava molti rischi; se Galbatorix avesse scoperto tutto, in men che non si dica avrebbe trovato la scorta, ucciso i suoi componenti e preso l’uovo. Ecco, mentre ero a casa, mio padre mi mandò un messaggio mentale. Diceva che tutto il piano era stato scoperto, che erano stati attaccati da un esercito e che ormai gli restavano pochi secondi da vivere. E disse che anche io, insieme a mia madre e mio fratello, ero in pericolo, quindi di organizzare subito una fuga da Urù’baen. E così facemmo. Io, mia madre e mio fratello raccogliemmo viveri e vestiti, e cercammo di uscire dalla città. Ma le guardie di Galbatorix furono più veloci: ci stordirono e ci catturarono.

Mi risvegliai dentro una cella, spogliata delle mie armi e della mia borsa, e legata ai polsi e alle caviglie. Poi, nella mia cella entrò una guardia. Pensavo che fosse venuta per darmi cibo, o addirittura per uccidermi, ma non u così. Mi slegò, e mi disse che Galbatorix voleva parlare con me. Non appena mi slegò, controllai le mie tasche, senza farmi vedere, e notai con sollievo che almeno il pugnale me l’avevano lasciato.

Giunsi davanti a Galbatorix. Evidentemente lui non sapeva tutto della missione di mio padre, e voleva carpirne quanto più possibile. Così cominciò a farmi delle domande, ma io mi rifiutai di rispondere. Lui allora disse alla guardia che mi aveva accompagnato di condurmi in un’altra stanza e di uccidermi. La guardia mi portò nella stanza accanto, ma non riuscì ad uccidermi. Avevo con me il pugnale, e con quello lo uccisi. Poi osservai la stanza dove mi trovavo.

Era un deposito di armi. Al centro della stanza c’era, però, un piedistallo, sul quale c’era una pietra rosa, che poi riconobbi essere un uovo di drago. Poi osservai le pareti, ricoperte di armi. Tra queste riconobbi anche le mie armi, e la mia borsa. Presi tutto, poi mi soffermai sull’uovo. Non sapevo se prenderlo o no. Alla fine decisi di prenderlo, e magari di viaggiare per Alagaesia alla ricerca di qualche futuro Cavaliere.

Infine, scappai dalla fortezza, indossando un’armatura che avevo trovato, per non farmi riconoscere. Così, riuscii a scappare dalla città.

Decisi di raggiungere Teirm, per cominciare. Mi sarei potuta unire ad una carovana di mercanti, e così girare tutta Alagaesia. Avanzai a piedi per un paio di giorni, abbandonando però l’armatura. Ma capii che la mia resistenza non era illimitata, e che a piedi non sarei andata da nessuna parte. In questo mi aiutò un piccolo colpo di fortuna.

Un giorno vidi una donna che tentava di domare un unicorno, appunto Sissi, ma inutilmente. Accorsi per aiutarla, e Sissi obbedì ai miei ordini. Così, comprai Sissi, e potei proseguire.

Qualche notte dopo fui svegliata da uno strano rumore proveniente dalla mia borsa. Scoprii così che l’uovo di drago che portavo si stava schiudendo. Così, diventai Cavaliere. Decisi comunque di proseguire verso Teirm. Volevo trovare infatti qualcuno disposto ad istruirmi.

E così ho viaggiato fino a Teirm, per trovare qualcuno che potesse adempiere a questo… e proprio ieri vi ho incontrati - .

Eragon e Brom rimasero un po’ spiazzati dal racconto della ragazza. In effetti, nessuno di loro aveva mai avuto a che fare con una sorta di giovane guerriera come quella. Generalmente, tutte le ragazze di quell’età che conoscevano non pensavano ad altro che imparare a cucire e far da mangiare, e commentare l’aspetto fisico di tutti i giovanotti del paese. Nessuna di loro avrebbe mai avuto il coraggio di viaggiare da sole per più di mezza giornata. Ma, a quanto pareva, questa era diversa.

E, per di più, pensò Eragon, possedeva la grazia e la bellezza di una fanciulla elfica. A meno che….

- Scusa – fece Eragon – ma se tuo padre si occupava di portare l’uovo dagli elfi ai Varden… allora o era un elfo, o un Varden, giusto? –

- Hai pensato bene, Eragon. Era un elfo – rispose la ragazza.

Allora… era un’elfa….

- Ma allora… tu sei un’elfa… - disse Eragon, meravigliato.

- No, non lo sono. Mia madre è un’umana - .

- Capisco – rispose il ragazzo, comunque senza parole.

Intanto stavano per raggiungere il cancello di Teirm.

- Come dobbiamo fare? Non credo che ci lasceranno entrare senza problemi – chiese Alicia, mentre si avvicinavano ai cancelli della città.

- Voi lasciate fare a me. Poi improvvisate – disse Brom.

Giunsero davanti alle guardie.

- Chi siete? – chiese una delle due sentinelle.

- Mi chiamo Neal – disse Brom, cercando di non suonare troppo intelligente.

- Bene. E questi due, chi sono? – continuò la guardia.

- Io sono Evan – disse Eragon – sono suo nipote, e lei è… -

- Io sono sua sorella Melissa – disse Alicia.

- E cosa siete venuti a fare qui? – chiese ancora la guardia.

- Veniamo a far visita ad un nostro zio. Sa, Neal è molto vecchio, e non sono molte le occasioni per abbandonare il paese. Aveva paura di non riuscire più a vederlo un’altra volta – rispose prontamente Alicia.

- Bene, bene, passate. Ma state attenti - .

Entrarono a Teirm. Soltanto quando si furono addentrati abbastanza nella città, osarono proferire parola.

- Hai mentito bene – disse Eragon ad Alicia.

- Grazie, ormai mi ci sono abituata. Se non ne fossi stata capace, a quest’ora nemmeno sarei qui a parlare con te – rispose la ragazza.

Osservarono la città. Il suo aspetto non era rassicurante, e nemmeno accogliente. Le case erano piccole, e tutte strette tra di loro. I loro tetti si stagliavano come una piramide su per il cielo, diventando più alti mano a mano che si andava avanti verso la fortezza. Quasi nessuno circolava per la città, e la maggior parte di quelli che lo facevano, fissavano i nuovi arrivati con diffidenza. Persino i bambini avevano un non so che di triste.

- Perché le case sono disposte così? – chiese Alicia.

- Tattica militare, ragazza. Basta che gli arcieri si pongano sui tetti più alti, per poter difendere la città – rispose Brom.

- Bene. Allora, che ci facciamo qui? – chiese di nuovo Alicia.

- Oh, il ragazzo non te l’ha detto? Dobbiamo andare a trovare un mio vecchio amico, che forse ci potrà dare una mano. Ora però dobbiamo cercare una taverna, per chiedere informazioni – rispose ancora Brom.

Girarono un po’ per la città, e infine entrarono in una vecchia taverna. La prima impressione di Alicia nell’entrare non fu delle migliori. Il locale era sporco, le finestre tanto appannate che non entrava nemmeno un po’ del forte sole che picchiava all’esterno. Faceva un caldo pazzesco, e l’aria era viziata e puzzolente. Sicuramente questa condizione di poca igiene aveva avuto delle ripercussioni sugli affari: l’osteria, infatti, era completamente vuota, a parte per la presenza dell’oste e di un altro uomo, seduto ad uno dei tavoli.

Brom si avvicinò al bancone, seguito da Eragon e da Alicia. L’oste, che stava strofinando un sudicio bicchiere con un ancora più sudicio straccio, alzò lo sguardo verso di loro, e li fissò, con aria interrogativa.

- Cosa volete? – chiese l’uomo, un po’ scontrosamente.

- Vorremmo sapere dove abita Jeod – chiese Brom.

- Oh, e così io dovrei sapere chi abita in ogni singola casa di questo mondo? Vai a disturbare qualcun altro, vecchiaccio! – ribattè l’oste, scocciato.

- Oh, no di certo, ma credo che queste ti faranno diventare molto più gentile – rispose Brom, posando alcune monete sul banco.

- Hmm, credo che così vada meglio – disse l’oste, alzando la mano per prendere le monete.

Ma non fece nemmeno in tempo a toccarle, che una voce disse: - Oh, smettila, Gareth. Non disturbarti, credo che glielo potrei dire io. Come se fosse così difficile, poi… - .

L’unico avventore, seduto in un tavolo immerso nel buio dall’altra parte della stanza, si era mosso, e faceva cenno al terzetto di avvicinarsi.

I tre gli ubbidirono, e si avvicinarono al suo tavolo. Brom si riprese le monete, lasciando l’oste attonito.

- Salve – disse l’uomo – io sono Martin - .

- E noi siamo Neal, Evan e Melissa – disse Brom.

- E così, cercate Jeod? –

- Si –

- Bene… Jeod abita nel quartiere ovest della città, proprio accanto ad Angela, l’erborista. Comunque, se avete intenzione di fare affari con lui, vi consiglio di stare attenti – disse Martin.

- Come mai? – chiese Brom.

- è che gli affari non gli stanno andando più bene come una volta. Gli si salvasse almeno una nave… ma no, dieci ne partono e nessuna ritorna… con tutte quelle merci… -

- I pirati si stanno divertendo, immagino –

- Pirati? Oh, no, non credo proprio. I pirati non attaccano così tanto e in maniera così mirata… ed è un bel po’ che non se ne vedono in giro. Qualcuno dice che si tratta di stregoneria, soprattutto i marinai - .

- E tu cosa dici? – chiese Eragon.

- Io? Diciamo che non ne ho la più pallida idea. E, a meno che non abbia la sfortuna di trovarmi su una di quelle navi - .

- E tu, insomma, lavori per mare? – chiese Alicia.

- Oh, no. Non ho più l’età, e poi, con questa mano… - la sua mano destra aveva due dita mozzate - … beh, credo di poter far poco. Diciamo che i comandanti mi ingaggiano per armare le loro navi contro i pirati. È un bel lavoro, ma al momento non sto lavorando molto - .

- Bene. Grazie per le informazioni – disse Brom, e si alzò. Eragon e Alicia lo seguirono, ed insieme uscirono dall’osteria.

- Beh, almeno sappiamo dove andare – disse Brom, cercando un modo per orientarsi.

- Si – disse Alicia – Il punto è che non sappiamo comunque da che parte andare… da dove siamo entrati? - .

- Dal cancello est. Quindi, dobbiamo procedere nella direzione esattamente opposta a quella da cui siamo entrati – rispose Eragon.

- Quindi, tirare dritto rispetto al cancello – disse Alicia.

- Si, più o meno – disse Eragon, arrossendo.

Procedettero nella direzione che avevano deciso, e, mano a mano che andavano avanti, cominciarono a notare un cambiamento nel paesaggio. Le case, mano a mano che procedevano, cominciavano a diventare sempre più ricche e adornate, anche esteriormente.

Arrivarono poi dinanzi ad una porta, sopra alla quale stava un’insegna dai colori vivaci, rosso, verde e blu, che recava scritto: "Angela l’Erborista".

- Bene, ci siamo, qui c’è l’erborista – disse Brom.

- E ora? Che facciamo, restiamo qui impalati ad aspettare che questo Jeod esca di casa e ci veda? – domandò Alicia.

- No, certo – le rispose Brom – dobbiamo solo cercare… o chiedere informazioni - .

Proprio in quel momento, qualcuno uscì dall’erboristeria. Era una donna, dai lunghi capelli neri ricci, che indossava un abito verde e uno strano copricapo colorato. La donna reggeva in una mano un libro, ma pareva molto più interessata ad osservare la rana che reggeva in mano. Intanto borbottava tra sé e sé parole tipo: "Rana… rospo… quindi, se questo rospo è una rana… niente rospi… solo rane… ma se questo è un rospo…"

- Deve essere l’erborista, Angela – mormorò Eragon.

- Sembra un po’ tocca, a dire il vero – sussurrò Brom, attento a non farsi sentire.

Alicia annuì, poi si fece avanti.

- Scusa – disse la ragazza, rivolta all’erborista. La donna quasi sobbalzò.

- S-si? - fece l’erborista.

- Ecco… sapresti dirci dove abita Jeod? –

- Certo che lo so. E chi non lo sa? –

- Beh… noi non lo sappiamo… quindi, ce lo diresti, per favore? –

- Certo. Proprio laggiù, nella casa qui a fianco –

- Grazie – disse Alicia.

- Prego. Vi serve qualcos’altro? –

- No, grazie. Arrivederci - .

Alicia raggiunse gli altri due.

- Bene, ora sappiamo dove andare – disse.

Raggiunsero la porta che era stata indicata loro, e bussarono. Attesero qualche minuto, poi la porta si aprì.

Una giovane donna, bionda e pallida, aveva aperto. Se di aprire si poteva parlare, poi, dato che aveva appena socchiuso la porta, il tanto necessario per mostrare il suo viso e per vedere quello dei visitatori.

- Salve – disse la donna, un po’ sgarbatamente – cosa volete? - .

- Vorremmo parlare con Jeod. Abita qui? – domandò Brom.

- Si, è mio marito. Ma non posso chiamarlo, ora. Ha di meglio da fare –

- Oh, davvero? Comunque, gli dica che uno dei suoi vecchi compagni è passato a salutarlo –

- Va bene – rispose la donna, e chiuse la porta, bruscamente.

Dopo un po’, un uomo aprì la porta. Non sembrava molto giovane, sembrava avere all’incirca la stessa età di Brom. Indossava abiti piuttosto sfarzosi, che però erano abbastanza sgualciti.

L’uomo si bloccò sulla porta, e li guardò, stupito. Sembrava non riuscire a trovare parole per accoglierli. Infine parlò.

- B-Brom… s-sei tu? – disse l’uomo.

Brom fece un cenno, come per zittirlo.

- Non pronunciare il mio nome, Jeod. Nessuno deve sapere che sono qui – rispose Brom.

- Io… non sapevo che fossi ancora vivo… avresti potuto farmelo sapere… -

- Non posso spiegarti nulla, almeno, non qui. Chiunque potrebbe sentirci –

- Bene. Allora vi porterò in qualche posto più sicuro. Piuttosto, chi sono questi due? –

- Si chiamano Eragon e Alicia – mormorò Brom, con voce appena percettibile – ma qui in città usano falsi nomi, esattamente come me. D’ora in avanti, chiamami Neal. E i ragazzi sono Evan e Melissa - .

- Bene – disse Jeod – ora, aspettate un attimo – e rientrò in casa.

- Secondo te, dove andremo? – disse Alicia a Eragon.

- Non so. Certo non in una locanda, sarebbe rischioso anche se fosse vuota come quella di prima. E poi, gli osti hanno sempre le orecchie lunghe – rispose il ragazzo.

Jeod uscì.

- Bene, ora possiamo andare – disse l’uomo.

Si incamminò, insieme con Brom, Alicia e Eragon. Si avvicinarono sempre di più alla fortezza.

- Chissà cos’ha intenzione di fare – mormorò Eragon.

Ma, per quanto il mormorio potesse essere sottile, Jeod lo udì.

- Rispondo subito al tuo interrogativo, ragazzo. Dovete sapere che il signore di Teirm ha obbligato tutti i mercanti a condurre i loro affari qui, nella fortezza. Beh, sicuramente è più difficile essere spiati, la sicurezza è molto buona – rispose l’uomo.

Entrarono nella fortezza, e legarono i cavalli ad un anello di ferro lì vicino. Poi varcarono una porta, che dava su un corridoio.

L’ambiente era molto umido, e tutti cominciarono a sentirsi un po’ appiccicaticci e bagnati. E, inoltre, faceva anche freddo. Furono tutti molto felici, quando uscirono dal corridoio.

Erano entrati in un grande studio.

La stanza era molto meno umida del corridoio che avevano lasciato. Era piuttosto ricca, e un bel fuoco scoppiettava in un camino, situato in un angolo della stanza. Eragon e Alicia subito si sedettero accanto al fuoco, tendendo le mani per potersi scaldare.

- Bene, Brom. Credo che tu abbia molto da raccontarmi. È passato molto tempo da quando ci siamo lasciati. E devono esserne cambiate, di cose, se ti stai mettendo a fare il professore con questi giovani. Da quando eravamo a Gil’ead, vent’anni fa or sono, non ho mai sentito una storia avvincente raccontata bene. Immagino tu debba aiutarmi a recuperare il tempo perso - .

- Certamente, amico mio. Beh, immagino tu voglia sapere cosa è successo dopo la nostra… separazione… vero? –

- Direi di si –

- Bene. Dopo tutto ciò che è successo, ho provato a cercarti. Quando capii che il mio tentativo era vano, beh, decisi di stare un po’ in città. E, guarda un po’, proprio quando avevo perso le speranze, ecco che trovo proprio ciò che ci occorreva! Dopo, però, continuare a cercarti sarebbe stato troppo rischioso. Così lasciai la città, e andai da qualcuno che potesse meglio custodire il nostro tesoro. Loro lo nascosero, e promisi loro di badare a chiunque, prima o poi, l’avesse ricevuto. Ma prima di allora, nessuno avrebbe dovuto sapere che ero vivo. Nemmeno tu, Jeod. Così mi nascosi a Carvahall, e continuai a vivere facendo il cantastorie - .

- Quindi, forse ora quel momento è arrivato, vista la compagnia –

- No, certo. Solo che ho notato, dalle mie parti, qualche movimento… strano… e così ho deciso di indagare. Eragon e Alicia erano sulla stessa strada, così hanno deciso di seguirmi –

- E cos’è successo? Di che movimenti strani parli? –

- Rà’zac, Jeod. Hanno ucciso lo zio di Eragon, e lui vuole vendicarsi. Ma non sappiamo come trovarli –

- E se cercate qualche indicazione da me, non l’avrete certo. Non so dove sono i Rà’zac, e non conosco nessuno che possa, o anche se lo sapesse, voglia dirvelo –

- Abbiamo un indizio, Jeod. Dobbiamo soltanto sapere come andare avanti. E credo che tu possa aiutarci –

Brom tirò fuori dal mantello una piccola fiaschetta di metallo.

Alicia, un po’ sorpresa, si alzò dalla sua poltrona, e si avvicinò a Brom. Voleva vedere cosa ci fosse nella fiaschetta. Riconobbe il liquido rosso. Olio di Seithr, trattato con la magia. Una sola goccia sarebbe bastata per far morire bruciato un essere umano. Suo padre gliene aveva parlato, una volta o due. Lei sapeva che era un liquido studiato per bruciare solo e soltanto carne animale, lasciando intatto tutto il resto. Il pensiero di questo l’aveva sempre fatta inorridire, e rabbrividì mentre si avvicinava per esaminare la fiaschetta.

- Dove l’hai trovato? – chiese Alicia a Brom.

- Strada facendo, Eragon ha raccolto la fiaschetta. Per fortuna ha solo testato la sua efficacia su un dito, senza berlo – rispose Brom.

- Ma è stato mio zio a subirne gli effetti – mormorò Eragon, senza però muoversi dalla poltrona.

- Tornando al nostro discorso – disse Brom, rivolto nuovamente verso Jeod – per sapere dove si trovano i Rà’zac, dobbiamo sapere da dove proviene questa boccetta. Bisogna soltanto guardare nei registri dei commerci, tutto qui. E tu puoi aiutarci, Jeod, solo tu - .

- è un’impresa impossibile, amico mio. Io possiedo qui solo i registri dei miei commerci, e sono già tanti. Immaginate di dover guardare quelli di tutti i mercanti. Come se poi fosse possibile guardarli. Solo l’amministratore di Risthart può consultarli, non certo noi mercanti –

- Bene. Allora è meglio prenderci un po’ di tempo per pensare. E poi, abbiamo proprio bisogno di riposarci – rispose Brom.

- Potrete pernottare a casa mia. Non è per me un problema ospitare un mio vecchio compagno e i suoi giovani amici – disse prontamente Jeod.

- Ma ora… Eragon e Alicia, non è forse arrivato il momento di andare a vedere se i cavalli stanno bene? Sono rimasti soli per troppo tempo – disse Brom, conducendo i due ragazzi fuori dalla stanza.

La porta si chiuse di scatto, e Alicia ed Eragon rimasero fuori, nell’umido corridoio.

- Beh, hanno trovato un bel modo per tenerci all’oscuro di qualcosa… farci uscire! – disse Alicia, arrabbiata.

- Già, e non è giusto. Ah, ma io conosco un bel modo per rendere la barriera di questa porta inutile – disse Eragon.

- Non vorrai mica… origliare? – rispose la ragazza, piuttosto sgomenta. Se c’era una cosa che odiava fare, questa era origliare. Ma, intanto, la curiosità la stava rodendo.

- Thverr stenr un atra eka hòrna! – mormorò Eragon. Dopo pochi secondi, però, il ragazzo si ritirò, deluso.

- Non ci riesco – disse Eragon, scuotendo la testa.

- Se vuoi, posso provarci io – disse Alicia.

- Ma se tu ci riesci, poi, potrai sentire solo te! – disse il ragazzo.

- Beh, allora dopo ti dirò cosa hanno detto… forse… - rispose la ragazza, e pronunciò le parole magiche.

Eragon vide varie espressioni attraversare il volto della ragazza: trionfo, stupore e tristezza. Ad un certo punto, però la ragazza scosse la testa, e parve tornare in sé. Fu allora che Eragon ritenne opportuno fare la sua domanda.

- Allora? Cosa si sono detti? – domandò Eragon.

- Ora non te lo dico. Stanno per uscire, quindi non c’è abbastanza tempo - .

Infatti, i due uomini uscirono poco dopo.

- I cavalli come sono? – chiese Jeod.

- Stanno benissimo – rispose Alicia.

Ripresero i cavalli, e uscirono dal castello. Mentre Brom e Jeod parlavano tra di loro, Eragon ne approfittò.

- Allora? – mormorò alla ragazza – Cosa si sono detti? - .

Alicia emise un lungo sospiro. – Tanto per cominciare, Jeod, in qualche modo, aiuta i Varden, e rifornisce il Surda. Ma le sue spedizioni non stanno andando a buon fine, pare che ci sia qualcosa che le ostacoli. E Jeod ha detto che faremmo meglio ad andare a Tronjheim –

- Tronjheim? – disse Eragon.

- Si. Tronjheim. Se non mi sbaglio, è la capitale dei nani. Ma non crearti questi problemi, ora. Brom ha detto di no. Ha detto che tutti cercherebbero di influenzarci, e non saremmo al sicuro. E Jeod ha detto che manderà un uomo fidato dai Varden… e come dono gli porterà l’anello di Brom… un dono della regina… - . la voce di Alicia si bloccò. La regina… quella regina….

- Regina? Che regina? – mormorò Eragon, sorpreso, ma Alicia non gli rispose. Era già andata avanti, e si era unita a Brom e Jeod. Eragon non potè far altro che seguire il suo esempio.

- Ecco, se cercate una bottega, quella laggiù è l’ideale. Alta qualità a basso costo. E per mangiare, so io dove andare – disse Jeod.

Lasciarono i cavalli nella stalla di Jeod, poi seguirono l’uomo fino ad una grande caverna. Non appena entrarono, un’ondata di calore e rumore li investì. La taverna era piena, ma riuscirono comunque a trovare un tavolo libero. Si sedettero, e attesero l’arrivo del tanto agognato cibo. Alicia si aspettava qualcosa di buono; del resto, erano secoli che non faceva un pasto decente. E il cibo arrivò: carne di maiale, con contorno di patate, carote e mele.

Eragon e Alicia rimasero una mezz’oretta buona ascoltando Brom e Jeod che si raccontavano tutte le ultime novità, ma dopo un po’ si stufarono.

- Secondo me è meglio andare a vedere cosa combinano le nostre due bestioline, non trovi? – mormorò Eragon ad Alicia.

- E le chiami bestioline? Comunque si, va bene – rispose la ragazza.

Eragon e Alicia si alzarono, e il ragazzo disse: - Noi andiamo a prendere una boccata d’aria. Sapete, per digerire - .

- Va bene – disse Brom – Ma state attenti - .

- E tornate prima che il sole tramonti! – disse Jeod.

- Non preoccupatevi – disse Alicia, e lei e Eragon uscirono.

Non appena chiusero la porta dell’osteria, Alicia scoppiò a ridere. Eragon la guardò per un attimo. Guardò le sue labbra, increspate in un sorriso, e i suoi denti, bianchi e diritti. Rimase un po’ incantato. Era perfetta…

Poi ritornò in sé, e fece la domanda più logica che avesse potuto fare.

- Perché ridi? –

- Oh, ma li hai visti… Jeod e Brom! Sembravano tipo mamma e papà… premurosi… ma alquanto ridicoli! Neanche mia madre mi faceva queste raccomandazioni, se uscivo di casa… e la tua? Cosa faceva? –

- La mia? – disse Eragon, rabbuiandosi – Se solo l’avessi mai conosciuta… - .

- Oh… mi dispiace… io… non volevo… -

- Non importa. Non è colpa tua. Lei… se n’è andata… e poi… è morta, per quello che ne so…. Ma ora lasciamo perdere questi discorsi, e andiamo a cercare Saphira e Zelda –

- Va bene… sicuro che non ne vuoi parlare? –

- Si… non preoccuparti… - .

Uscirono dalla città. Poi, guidati dalle due dragonesse, arrivarono ai piedi di una rupe. Saphira e Zelda erano in cima alla rupe.

Eragon cominciò subito ad arrampicarsi sulla rupe. Alicia, invece, si guardò intorno. Poco più in là, vide un sentiero che portava in cima alla rupe. Percorse il sentiero, e in poco tempo arrivò in cima.

Ciao, Zelda.

Ciao. Ti presento la mia amica, Saphira.

La voce di Saphira entrò nella mente di Alicia.

Ciao, Alicia. Piacere di conoscerti.

Il piacere è tutto mio, Saphira. Ma ora vai ad occuparti del tuo Cavaliere, pare che sia in difficoltà.

In effetti, Eragon si trovava ancora a metà della rupe, bloccato per mancanza di appigli per arrampicarsi.

Stupido ragazzo. disse Saphira, volando per aiutare Eragon. Interruppe il contatto, così Zelda e Alicia rimasero sole.

Beh, come va, Alicia?

Abbiamo trovato compagnia.

Beh, anche una bella compagnia.

In che senso, una bella compagnia?

Eragon… un giovane ragazzo all’incirca della tua età… mi pare proprio una bella compagnia!

Oh, non esageriamo… è solo un ragazzino… e poi, tu lo sai, lui non ha certo la mia età!

Certo che lo so. Anche se non me l’hai espressamente detto lo so. Ma, beh, la differenza non è troppa e, vista la sua posizione, maturerà. E allora, io ti dico che sarà perfetto.

Sii, seria, per favore…

Certo, certo. Intanto credo che sia lui a ritenerti perfetta.

Cosa te lo fa pensare? Non sei stata tutto il tempo con me per vedere i suoi comportamenti.

Oh, no, certo. Ma ho un po’… diciamo… frugato tra i tuoi ricordi… e ho visto cosa hai fatto oggi… e diciamo che il ragazzino si è proprio comportato bene!

Oh, beh… certamente.

Vabbè, ragazza, ora parliamo di altre cose. Quanto resteremo qui?

Un paio di giorni, penso. Quanto non lo so. Mi spiace di non essere con te.

Anche a me dispiace. Ma cos’altro puoi fare?

In effetti….

E comunque… cos’hai deciso di fare, ora?

Cioè?

Beh, seguirai Eragon e Brom, oppure continuerai da sola?

Credo che li seguirò. Sai, inseguono più o meno il mio stesso obiettivo. E sono comunque una buona compagnia.

Capisco.

Non ti dispiace, vero?

No, anzi. Sarà magnifico volare con un’amica mia simile.

- Alicia! - . Eragon stava richiamando l’attenzione della ragazza.

Ora devo andare, Zelda. A domani.

Ciao, piccola mia. E buonanotte.

Alicia interruppe il contatto con la dragonessa, e andò da Eragon.

- Ci conviene incamminarci. Il sole sta tramontando – disse il ragazzo.

I due si incamminarono, e rientrarono nella città che quasi era buio fatto.

- Beh, ora… dove si va? – domandò Eragon.

- Il tuo senso dell’orientamento fa cilecca, vero? Meno male che qui ci sono io – rispose Alicia.

Poi continuò. – Allora… la taverna è laggiù, in quella strada. La fortezza è proprio davanti a noi. E la casa di Jeod dovrebbe essere proprio a metà strada – e indicò al ragazzo la direzione indicata, poi cominciò a correre.

- Scusa – disse Eragon.

Alicia si bloccò. – Che c’è? – disse.

- è che se corri così non riesco a seguirti. È troppo buio, e non c’è nemmeno una luce – disse il ragazzo.

- E cosa vorresti, che ti tenga per mano e che ti conduca fino a casa di Jeod? – disse la ragazza.

- No, no… solo che tu cammini un po’ più vicina –

- Oh, va bene! – disse Alicia, e si avvicinò al ragazzo.

Eragon la vide avvicinarsi, una figura scura nella notte. E come era vicina, riuscì anche a osservare il suo viso, la sua espressione un po’ scocciata. Era davvero molto bella. Macchè bella, era meravigliosa….

- Avanti, non stare lì come uno stoccafisso, andiamo! – gli disse Alicia.

Lui, lentamente, si riprese. Troppo lentamente. Ancor più scocciata, Alicia prese il ragazzo per un braccio, e cominciò a trascinarlo con sé. Solo dopo qualche momento Eragon cominciò a reclamare la libertà per il suo braccio dalla stretta di Alicia.

Alla fine, arrivarono davanti a casa di Jeod. Bussarono, e ad aprire loro la porta fu un giovane maggiordomo.

Furono fatti entrare, poi furono condotti fino allo studio di Jeod.

Entrarono, e videro che Brom e Jeod erano dentro, e che li stavano aspettando.

- Ce ne avete messo, di tempo – disse Jeod.

- Già. Ci dispiace – rispose Eragon.

Alicia non proferì una parola. Era troppo occupata nell’osservare le pareti della stanza. Erano piene di libri, di varie forme e dimensioni. Lei amava leggere, e un posto come quello significava semplicemente il paradiso.

- Ti piace leggere? – domandò Jeod alla ragazza, che stava lì, a bocca aperta, ammirando le numerose librerie.

- Si, molto – disse lei.

- Beh, allora ti divertirai, leggendo nei registri – disse Brom.

- Quello non so, ma… beh, ci proverò –

- Certo. Perché per te ed Eragon ci sarà proprio un sacco da fare. Mi auguro che anche ad Eragon piaccia leggere, giusto, ragazzo? – continuò Brom.

- Non posso saperlo, Brom – disse il ragazzo, la voce bassa e piuttosto imbarazzato.

- Come, non puoi saperlo? – domandò Brom.

- Non so leggere, Brom – rispose il ragazzo, diventando rosso.

Brom emise un lungo sospiro.

- Questo è un bell’ostacolo. Duro, ma non impossibile da superare. Ti insegnerò io, in questi giorni. E Alicia ti aiuterà. Beh, non acquisirai la velocità di un lettore assiduo, ma riuscirai a capire il contenuto dei registri - .

Eragon assunse un’espressione un po’ spaventata. Imparare qualcosa del genere in un paio di giorni? Era impossibile!

Alicia, forse, riuscì a capire cosa stesse pensando. Allora gli si avvicinò, e gli disse: - è normale essere un po’ spaventati. Ma vedrai, sarà facile. Ed è anche bello. Sia imparare, ma poi, soprattutto, leggere. Un libro può soddisfare molti tuoi desideri di conoscenza. Se vuoi sapere qualcosa, o cerchi di viverla di persona, o la cerchi in un libro. E credo che spesso quest’ultima opzione sia l’unica, e anche la meno rischiosa - . Poi gli sorrise.

Eragon vide il suo dolce sorriso, e capì che non doveva avere paura.

- Sarei molto felice se tu imparassi a leggere, davvero – continuò la ragazza.

L’avrebbe resa felice… i pensieri di Eragon spaziarono. Immaginava il futuro prossimo… avrebbe imparato a leggere… e lei sarebbe stata felice… e probabilmente lui avrebbe rivisto quel sorriso… il suo sorriso… avrebbe fatto qualunque cosa per poterlo rivedere una seconda volta… anche imparare a leggere in due giorni, certo.

Mentre Eragon pensava, Alicia aveva preso in mano uno dei libri, e lo stava sfogliando. Lui le si avvicinò.

- Di cosa parla quel libro? – domandò.

- Parla della nostra storia. Della mia, della tua… di quella di tutti. È la storia di questa terra, di Alagaesia. È un volume rarissimo, non l’ho mai letto. A quanto pare mio padre non è mai riuscito a metterci le mani su… o forse si, ma non me l’ha mai detto – rispose la ragazza, sempre continuando a sfogliare. Poi arrivò ad una pagina, scritta con elegante inchiostro dorato. Il titolo della pagina era scritto in rosso.

Alicia sorrise, un po’ tristemente, e cominciò a leggere, con gli occhi, le prime righe. Ricordava benissimo quel poema, lo ricordava come se fosse stato il giorno prima l’ultima volta che l’aveva sentito, recitato da suo padre. Ricordi della sua infanzia, e della sua adolescenza… suo padre, che cantava, quasi ininterrottamente, per tre giorni. Era magnifico, e molto emozionante. Suo padre era sempre stato bravissimo nel cantare, soprattutto quel poema. Parlava della guerra tra draghi e elfi, ed era quasi una lezione di vita. Per evitare di rifare lo stesso errore.

Ma Alicia considerava quest’ipotesi molto stupida. Almeno, ora che aveva conosciuto la grandezza e la bellezza dei draghi. E nemmeno riusciva a capire come si fosse mai potuto commettere uno sbaglio simile.

Qualche lacrima cominciò a velare gli occhi di Alicia, mentre andava avanti nel leggere. La voce di suo padre risuonava nella sua mente mano a mano che leggeva, e lei non riusciva a resistere, a ricacciare indietro quel ricordo…. Chiuse di scatto il libro, come se bastasse solo quello per chiudere quell’altro libro… il grande e triste libro dei ricordi… ma fu inutile. La voce ancora rimbombava nelle sue orecchie… e lei piangeva, sempre di più…. Il libro cadde per terra, con un tonfo sordo. Non ce la faceva più, non poteva restare lì….

Sotto gli occhi stupiti di Eragon, Brom e Jeod, Alicia corse fuori dalla stanza, senza nemmeno raccogliere il libro da terra. A quello pensò Eragon.

- Ma che le prende… - mormorò, rimettendo il libro nella libreria. Poi uscì anche lui fuori dalla stanza, alla ricerca di Alicia, e di qualche spiegazione.

Trovò la ragazza, seduta su un divanetto, nel corridoio. Stava piangendo, il volto seppellito tra le mani. Le si avvicinò, lentamente, poi si sedette anche lui sul divanetto.

- Cosa ti succede? – le domandò, a voce bassa.

La ragazza si scoprì la faccia, poi si asciugò le lacrime. Infine si voltò verso Eragon, e lo guardò negli occhi. I suoi occhi, pieni di lacrime, e più viola che mai, e gli occhi del ragazzo, un po’ trepidanti e un po’ dispiaciuti, di un bel color nocciola scuro.

- Scusami… - rispose lei, la voce rotta e ancora intrisa di pianto - … ma non ce l’ho fatta… quel poema… mi ricordava… mio padre… lui lo cantava sempre… gli piaceva molto –

- Io non… non lo sapevo… io… mi dispiace… -

- Oh, non preoccuparti. Mi sono comportata come una stupida – disse la ragazza.

- No. Non dirlo neanche per scherzo – disse Eragon. Poi la abbracciò. Era l’unico modo per farle capire che lui le era vicino.

Alicia sentì le braccia del ragazzo che la avvolgevano. In condizioni normali, forse, l’avrebbe respinto, ma ora… ora che aveva bisogno di qualcuno che la sostenesse…. Si lasciò abbracciare, dolcemente.

Eragon, lentamente, sciolse l’abbraccio. Ma che gli era preso? Immaginava già la faccia della ragazza, sicuramente stupita, e anche un po’ arrabbiata. Ma non si aspettava certo quello sguardo.

Alicia lo guardò negli occhi, di nuovo. Non era arrabbiata. Anzi, gli sorrideva. Gli sorrideva, gli occhi, il volto velati da una dolce tristezza.

- Grazie – disse la ragazza.

- D-di niente – rispose debolmente il ragazzo. Era lui, quello stupito.

Alicia tirò su col naso.

- Meglio cambiare argomento, forse – disse la ragazza – Hai qualche idea per quei registri? - .

- Si, penso di si. Ma devo chiedere a Brom se si può attuare - .

- E di cosa si tratta? –

- Lo saprai a tempo debito. È qualcosa che riguarda la magia… quindi potrai esserci utile. Anzi, più utile di me, forse –

- No. Saremo utili tutti e due – disse Alicia, proprio nel momento esatto in cui la porta accanto si apriva. Jeod e Brom ne uscirono.

- Beh, direi proprio che è arrivata l’ora di dormire! Il maggiordomo vi mostrerà le vostre stanze. E il bagno è qui, a destra. Così domattina potrete lavarvi senza usare quegli scomodi lavabi che trovereste in qualsiasi locanda. Detto questo, buonanotte! – disse Jeod, e scomparve in una stanza accanto allo studio.

Il domestico li condusse su per le scale, poi in un piccolo corridoio, che aveva tre porte.

- Queste sono le vostre stanze – disse il maggiordomo, e se ne andò.

Non appena il maggiordomo scomparve, Eragon si rivolse a Brom.

- Brom… per quanto riguarda i registri, avrei un’idea… -

- Benissimo. Ma entriamo prima in una di queste stanze, è meglio non parlare di certe cose in un corridoio - .

Così entrarono nella stanza. Era calda ed accogliente, con un grande letto dalle lenzuola bianche e una piccola credenza.

- Ora puoi continuare a parlare, Eragon – disse Brom.

- Ecco… sai se c’è un modo per evocare l’immagine di qualcosa che non puoi vedere? – domandò il ragazzo.

Alicia sgranò gli occhi per la meraviglia. Come aveva fatto a non pensarci?

- Si, in effetti c’è. Questo metodo si chiama cristallomanzia. Ma non agitatevi troppo. Non fa al caso nostro, al momento. Certo, con la cristallomanzia si possono evocare immagini che al momento non si hanno davanti, ma devono essere immagini di cose già viste. Nel caso volessi cercare di sapere dove si trova qualcuno, non potrai usare questo metodo, a meno che tu non sia abbastanza fortunato da aver già visto quel luogo. E anche per un libro vale la stessa cosa. Poi, nel caso tu volessi evocare l’immagine di una pagina di un libro già letto, non potresti farlo, a meno che il libro non sia aperto a quella pagina – rispose Brom.

- E come mai non si possono evocare immagini di cose mai viste? – domandò Alicia, piena di interesse.

- Perché questo tipo di magia funziona così. Non puoi divinare qualcosa che non conosci –

- E come si fa ad evocare l’immagine? Nell’aria? – domandò Eragon.

- Potresti, certo. Ma richiederebbe un enorme dispendio di energia. Sarebbe meglio proiettare l’immagine su uno specchio, o sull’acqua –

- E noi, saremmo capaci di farlo? – domandò Alicia – Sai, vorrei sapere almeno come stanno mia sorella, mio fratello e mia madre. È da molto che non ho notizie di loro –

- E io vorrei sapere qualcosa su mio cugino, Roran – aggiunse Eragon.

- Non ora, non stanotte. Nessuno dei due, neanche tu, Alicia. Ma vi insegnerò comunque le parole - .

- E quali sono? – domandò Alicia.

- Draumr kòpa – disse loro Brom – ecco le parole. Ma ora, è meglio che entrambi andiate a dormire. È tardi, e siamo tutti stanchi - .

Eragon e Alicia uscirono dalla stanza.

- Buonanotte – disse Alicia al ragazzo, e chiuse la porta della sua camera dietro di sé.

*

Il mattino dopo, Alicia fu svegliata da una voce un po’ scontrosa.

- Ti ho comprato dei vestiti nuovi, ragazza. Non sopporto la gente che indossa dei luridi straccetti in mia presenza. Li ho posati sulla sedia. Vedi di metterteli. E lavati bene. Le saponette esistono per questo - .

Era Helen, la moglie di Jeod, la prima persona che, il giorno prima, avevano visto in casa di Jeod, quella che aveva aperto loro la porta.

Alicia si alzò dal letto e, mentre la donna girava per la stanza aprendo, controvoglia, le finestre, si avvicinò alla sedia, per osservare i vestiti. Era un bell’abito da viaggio, color verde smeraldo. Almeno aveva buoni gusti, la donna.

- Grazie – disse Alicia.

- Oh, come se l’avessi fatto per buon cuore. È che non sopporto gli straccetti, neanche addosso ai miei ospiti. Anche se forse questo è troppo. Ah, se non fosse stato per mio marito… certo, non avresti indossato gli stracci di ieri, nemmeno per sogno, ma nemmeno quest’abito da signora. Già i soldi non ci bastano per tirare avanti decentemente… figurati se mi devo preoccupare anche di ogni forestiero che passa di qui – disse la donna, uscendo dalla stanza.

Alicia prese i vestiti, poi uscì dalla stanza. Un fragoroso russare invadeva il corridoio; sicuramente gli altri due stavano ancora dormendo della grossa.

Scese, e si diresse verso il bagno. Prima di entrare, anche per cercare di rompere il silenzio di quella casa, urlò: - Io entro in bagno! - .

La sua voce rimbombò sulle pareti, e poco dopo le giunse una risposta, proveniente dal piano superiore: - E chi se ne frega! - . era ancora Helen.

Alicia, sicura che tutti avessero compreso, entrò in bagno. Richiuse la porta, senza nemmeno preoccuparsi di chiudere la porta. Del resto, qualunque persona con un minimo di educazione avrebbe almeno bussato per sapere se era libero.

Il bagno di Jeod era una grande stanza. Accanto ad una delle pareti stava la vasca, di ceramica bianca, con relativo rubinetto. Accanto alla vasca stava un piccolo tavolino di marmo, sopra al quale, in appositi incavi, erano sistemate le saponette. Anche il pavimento era in marmo. Gli asciugamani, invece, erano su un banco di legno accanto alla vasca. Sopra al banco c’era un grande specchio dal bordo dorato finemente lavorato.

Alicia aprì il rubinetto, e riempì la vasca d’acqua. Poi prese alcuni asciugamani e li posò sul banco in marmo. Infine si spogliò, ed entrò nella vasca. Prese una delle saponette dal banco. Solo che, al tatto, quella che aveva preso non sembrava per niente una saponetta. Era morbida, e un po’ spugnosa. E anche scivolosa, come una saponetta usata. Tanto scivolosa che, pochi secondi dopo, cadde dalle mani di Alicia, e sprofondò nell’acqua.

Immediatamente, tutta la superficie dell’acqua divenne un turbinio di bolle, e di schiuma. A Alicia piaceva, aveva sempre adorato la schiuma. Giocò un po’ con le bolle, poi cominciò a lavarsi.

Si stava passando il sapone sulle braccia, quando sentì qualcosa. Un cigolio.

La porta si era aperta. Un ragazzo, dall’aria piuttosto assonnata, fece capolino. Ma non appena vide chi c’era, sgranò gli occhi.

- Aaaaaaaaah!! Che ci fai qui?? – gridò Alicia, fortunatamente coperta dalla schiuma.

Eragon rimase lì, a bocca aperta.

- Esci subito da qui! – gridò Alicia.

Eragon decise di approfittarne della situazione.

- Beh, a dire il vero… io vorrei proprio farmi un bel bagno… - cominciò il ragazzo scherzosamente - … insomma… potrei uscire, e aspettare che tu finisca… oppure… sai… fare anch’io il bagno… - .

- Scemo, idiota e cretino! – urlò lei, a voce ancora più alta, prendendo una delle saponette e lanciandola contro Eragon. Un centro perfetto, dritto dritto sulla fronte. La saponetta esplose, ricoprendo il ragazzo di sapone. Sapone abbastanza urticante per gli occhi, vista la reazione del ragazzo, che scattò all’indietro, le mani sulla faccia, ormai fuori dalla stanza.

La visione fece scoppiare a ridere Alicia, che mormorò: - Harvati hildenol – facendo chiudere la porta ermeticamente.

Ciò non le impedì di sentire la voce di Brom, che da sopra gridava ad Eragon: - Mai essere troppo audace con le donne, ragazzo mio! - . E rise ancora di più.

Ringrazio ancora tutti coloro che stanno commentando... siete davvero in tanti, non pensavo che la storia riscuotesse tanto successo!

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Capitolo 5
*** Just a bad dream ***


 

Cap. 5: Just a bad dream

Dopo essere uscita dal bagno, Alicia scese per fare colazione. Come arrivò nella sala da pranzo, vide soltanto Eragon, che stava mangiando un pezzo di pane e bevendo del latte. Lei lo guardò, ancora arrabbiata per quello che era successo poco tempo prima.

Si sedette, e attese. Era sicura che, in meno di un minuto, sarebbe arrivato il solito maggiordomo per chiederle cosa volesse, quindi evitò di chiedere al ragazzo davanti a lei, al quale, peraltro, non aveva nemmeno intenzione di rivolgere la parola.

Il maggiordomo arrivò, portando con sé latte, pane e miele. Alicia cominciò a servirsi, proprio mentre Eragon finiva. Il ragazzo si alzò e, senza una parola, uscì dalla stanza.

Alicia continuò a mangiare, sola. Si meravigliò del fatto che Brom e Jeod non fossero ancora scesi.

Poco dopo Eragon ritornò, vestito con nuovi abiti. Si schiarì un po’ la voce, poi disse: - Alicia, Brom e Jeod sono usciti, e ci hanno detto di fare ciò che vogliamo, dato che saranno assenti per tutto il giorno. Quindi… beh, uscire per Teirm è sicuramente meglio di restare a ciondolare per casa –

Alicia annuì. – Va bene – disse.

I due uscirono, in silenzio.

- Sei ancora arrabbiata per stamattina? – domandò Eragon, mentre camminavano lungo la via principale.

- Oh, no – disse lei, sempre molto seria.

- Beh, da come ti comporti, sembra proprio di si –

Lei fece uno scatto fulmineo, e si parò proprio davanti al ragazzo.

- Come no – disse, scocciata – entri in bagno mentre sono nella vasca, e vorresti entrarci anche te! Guarda, sono al colmo della felicità! –

- Scusami… ma tu potevi anche chiudere a chiave! –

- E tu potevi anche bussare, maleducatone! –

- Va bene, scusami… è che mi dispiace litigare con te –

- Come se a me facesse piacere –

- Appunto. Potresti benissimo metterci una pietra su –

- Non saprei, sai? E se questo ti facesse pensare che puoi ripetere il tuo errore quante volte vuoi? –

- No, no di certo. Prometto –

- Giura! –

- Giuro! –

- Così va meglio – rispose lei, e accennò un sorriso.

Girarono per Teirm tutto il giorno, entrando in qualsiasi bottega volessero. Pranzarono in una delle tante taverne della città, poi continuarono la loro visita alla città. Fu solo a metà pomeriggio che decisero di ritornare a casa di Jeod.

Quando arrivarono nella strada dove abitava Jeod, la loro attenzione fu attratta dall’insegna dell’erborista.

- Che dici, entriamo? Non mi dispiacerebbe darci un’occhiata – disse Alicia, avvicinandosi alla porta della bottega.

- Va bene – le rispose Eragon.

Eragon e Alicia entrarono nella bottega. Era molto buia e polverosa, e i due ragazzi fecero fatica ad orientarsi nella stanza. Dopo un po’, però, riuscirono a distinguere qualcosa di ciò che li circondava.

Nella stanza vi erano un sacco di strani marchingegni, molte pergamene e varie bilance. Le pareti erano coperte da grandi scaffali, ciascuno diviso da cassetti. Su ogni cassetto c’era un disegno, una runa, forse. Al centro della stanza c’era un bancone, e dietro al bancone una porta, coperta da un lungo telo rosso.

Mentre osservava il posto, Alicia sentì una voce, dentro la sua mente.

State attenti, voi due.

Cos’era? Lei ed Eragon, che probabilmente aveva sentito anche lui la voce, si guardarono intorno, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che potesse avere la capacità di parlare loro nella mente. Alicia si rivolse subito verso un grande pappagallo appollaiato su un trespolo lì accanto, ma le bastò passarci accanto e toccarlo per capire che era imbalsamato.

Poi, nella penombra, vide un gatto. Era più grosso dei gatti comuni, ed era nero come l’ebano. I suoi occhi rossi scintillavano, mentre si muoveva verso di loro.

Miagolò sonoramente, e Alicia ed Eragon poterono vedere i suoi denti: i canini erano molto più sviluppati di quelli degli altri gatti, e sembravano delle zanne.

Alicia aveva capito di cosa si trattasse. Un gatto mannaro. Ma, a quanto pareva, Eragon non aveva capito, e si guardava attorno, allarmato.

- Cos’è che sta parlando? – domandò il ragazzo.

- Oh, io lo so. Se tu non lo sai, non è colpa mia – rispose Alicia.

E così, hai capito cosa sono, disse il gatto.

Si, rispose la ragazza.

Bene… ora dovrò naturalmente sforzarmi per farlo capire anche al tuo amichetto…

Alicia assistette poi ad una scena estremamente comica: vide Eragon che, in preda al panico, brandiva una bacchetta di legno. Dopo pochi secondi, però, la bacchetta emanò una sorta di scossa elettrica, che fece sobbalzare Eragon e che lo fece cadere a terra, dolorante.

Alicia rise, di gusto e anche molto rumorosamente.

Il gatto, dopo un po’, si avvicinò ad Eragon, e gli saltò sul petto. Eragon lo guardò, quasi terrorizzato, e si calmò solo quando il gatto scese.

Intanto Alicia rideva ancora.

- Che hai da ridere? – disse Eragon, un po’ scocciato.

- Ehi, attento a non rivolgerti a me con quel tono di voce – rispose Alicia, divertita – Potrei arrabbiarmi di nuovo - .

- Beh, almeno, a te l’ha detto come si chiama? –

- No, questo no –

- Si chiama Solembum, comunque. E vedi? Io sono stato tanto gentile da dirtelo. Se mi fossi comportato come te… -

Le sue parole furono spezzate dal cigolare della porta in fondo al negozio, dietro il bancone. Il telo si mosse, sventolando, e scoprendo l’erborista proprietaria del negozio, Angela.

- Salve – disse la donna.

- Salve – risposero Eragon e Alicia.

- Vedo che stavate parlando con Solembum –

Entrambi annuirono.

- Vi trova simpatici. Dice che tu, ragazza, sembri molto sveglia e perspicace, e che tu, ragazzo, seppure un po’ zuccone, hai molto da dimostrare. Dice che entrambi farete strada. Ah, e mi ha detto chi siete, anche se voi non gliel’avete detto. Perciò, cari Eragon e Alicia, cosa siete venuti a fare qui? Volete dare un’occhiata, o volete qualcosa di preciso? – disse Angela.

- Oh, non vogliamo nulla di particolare, solo dare un’occhiata. Non ci servono erbe – disse Alicia.

- Oh, ma io non vendo solo erbe! Cioè, si, anche e soprattutto quelle, ma, su richiesta, posso anche predirvi il futuro. Se volete, non avete che da chiedere –

- Oh… beh… non so che cosa potrai vedere nel nostro futuro… ma comunque… proviamo… cosa ne dici, Alicia? – disse Eragon.

- Va… va bene… - rispose la ragazza.

- Sicuro – disse Angela – vi predirò il futuro, ma uno per volta. Cominciamo da te, Eragon? Bene. Vieni di là, nel retrobottega. Tu aspetta qui, Alicia - .

Angela si trascinò dietro Eragon, e lo condusse al di là della porta dietro il bancone.

Eragon ritornò. Aveva un’aria un po’ strana. Chissà cosa deve avergli detto, pensò Alicia.

- Ora tocca a te, Alicia – disse Angela, sbucando fuor dalla porta.

Alicia entrò nella stanza, un po’ tremante.

Era entrata in una sorta di anticamera; una piccola stanza con un tavolino e due sedie. C’era un forte profumo d’incenso, che bruciava in una specie di lanterna appesa al soffitto.

- Siediti – disse Angela.

Alicia obbedì. Dopo poco tempo si sedette anche Angela. Aveva in mano un sacchetto di cuoio.

- Sono ossa di drago, e sono molto potenti. E, soprattutto, sono sicure. Bello o brutto che sia, quello che ti dirò sarà davvero il tuo destino – disse la donna, indicando il sacchetto. Alicia annuì.

Allora Angela aprì il sacchetto, e gridò: - Manin! Wyrda! Hugin! - . Poi lanciò il contenuto del sacchetto sul tavolo. Le ossa scintillavano.

- Bene… molto bene…. Questa lettura non sarà troppo facile, vedo… ma nemmeno troppo complicata. Vedi questo simbolo? Rappresenta il viaggio. Un lungo viaggio, vedo, senza stabilità. Non riesco a capire se il viaggio sarà eterno, o solo molto lungo… avrai una vita lunghissima, o quasi eterna, ma non totalmente felice… affronterai un periodo di sofferenze molto intense… che non so come, quando e se terminerà… il teschio… ahi, brutto segno… qualcuno che ami farà una scelta sbagliata, che ti causerà una forte sofferenza…. Ecco, poi, il cuore, la spada e la corda… amerai qualcuno, prima o poi… qualcuno che ti sarà molto vicino, in quel momento. Soffrirai a lungo per quest’amore, per lui rimpiangerai qualcosa che non hai fatto, e combatterai strenuamente per abbattere ogni ostacolo all’unione dei vostri cuori. Per questo, penserai anche di combattere qualcuno che, invece, non farà altro che aiutarti.

Poi, un’ultima cosa. Ecco, vedi? Il libro… segno del passato e della memoria… e la lacrima, segno del dolore… scoprirai il passato di qualcuno a te molto vicino e molto caro, ma non ti piacerà –

Alicia sospirò. Se quello era il suo destino… l’avrebbe accettato.

- Ecco, ho finito – disse Angela – puoi andare - .

Alicia salutò la donna, poi ritornò nella bottega. Eragon la stava aspettando, il volto ancora molto pensieroso.

- Finito? – disse lui.

Alicia annuì. Non aveva molta voglia di parlare.

I due ritornarono a casa di Jeod, percorrendo il tragitto in silenzio. Bussarono alla porta, e fu Jeod stesso ad aprirla.

- Bentornati – disse, facendoli entrare.

Li condusse poi nel suo studio, dove ad attenderli c’era anche Brom.

- Beh, com’è andata la vostra giornata? – domandò Alicia.

- Malissimo. L’amministratore ai commerci non ci ha accordato il permesso a guardare nei registri. Ha addirittura rifiutato il sacchetto di monete che stavo per dargli, pensa – rispose Brom, piuttosto alterato.

- E ora, cosa faremo? – domandò Eragon.

- Credo proprio che dovremmo fare da noi, sai? Intanto ti insegnerò a leggere, poi vedremo - .

Scesero a cena, nella sala dove, qualche ora prima, avevano fatto colazione. Mangiarono con Helen e Jeod, ma sembrò che tutta la naturale allegria di Jeod fosse svanita in presenza della moglie.

Mangiarono in silenzio, scambiandosi ogni tanto qualche sguardo. Jeod parve piuttosto imbarazzato, ma non ebbe il coraggio di rompere il silenzio.

Fu un sollievo per tutti quando Jeod si alzò dal tavolo.

Brom, Eragon e Alicia non esitarono ad imitarlo, e salirono nelle loro stanze. Dopo essersi augurati la buonanotte, i tre si chiusero ciascuno nella propria camera.

*

Alicia si cambiò, e si avvicinò al lavabo, che, nonostante la presenza del bagno nella casa, era comunque presente. Si lavò la faccia. Il contatto della sua pelle con l’acqua le fece venire un’idea.

Chiuse a chiave la porta. Non voleva rischiare. Sapeva che forse quello non era il momento giusto per farlo, ma la sua curiosità era troppo alta.

Alzò il palmo sinistro, e lo diresse verso l’acqua.

- Draumr kòpa – disse, indirizzando i suoi pensieri verso sua sorella, Kristen.

L’acqua si mosse leggermente, poi cominciò a cambiare colore. Sembrò come se quell’acqua fosse appena stata usata per dipingere ad acquerello. Poi i colori si riordinarono.

Alicia vide sua sorella, a cavallo. Accanto a lei stava un’altra persona, che però Alicia non potè identificare, ma che vide solo come una sagoma scura. I due si trovavano vicino ad un enorme edificio scuro, dove sicuramente Alicia era già stata, vista la chiarezza dell’immagine.

Kristen e l’altra persona confabulavano tra loro. Poi Alicia vide Kristen che scagliava qualcosa verso l’alto.

Alicia pensò di aver visto abbastanza. Diresse il suo pensiero, invece, verso suo fratello Almayer.

L’immagine cambiò. Stavolta mostrava un bambino, seduto sul pavimento di una cella.

Alicia riconosceva quella cella. Era quella dove anche lei era stata rinchiusa.

Il bambino, Almayer, aveva una strana espressione in volto. Una sorta di inquietudine, di preoccupazione. Non paura, no. Alicia sapeva bene che suo fratello era molto coraggioso, e che non si sarebbe mai perso d’animo.

Poi, l’espressione del bambino cambiò. Una sorta di sorpresa attraversò il suo volto. Almayer si voltò verso la finestrella della cella, e si alzò.

Alicia cominciò a sentire le sue energie andarsene, ma, prima di interrompere l’incantesimo, voleva vedere anche sua madre. Quindi, pensò a lei.

L’immagine cambiò di nuovo.

Vide sua madre, Eloisa. I suoi abiti erano ormai ridotti a brandelli, ed era molto più magra di prima. Ma, sicuramente, non aveva perso l’energia. La donna si trovava nella sala del trono di Galbatorix, ed era trattenuta da due guardie. Galbatorix parlava con lei, e lei rispondeva, urlando, sicuramente di rabbia. Poi Galbatorix mosse la mano, e disse qualcosa alle guardie. Queste portarono via la donna, dirigendola verso una stanza lì accanto.

Alicia interruppe l’incantesimo, respirando profondamente. E così almeno sapeva come stavano le persone a lei più care. Ora il bello era sapere chi fosse la persona che era con Kristen, cosa avesse provocato tanto stupore in suo fratello, e che cosa si fossero detti sua madre e Galbatorix.

Ma decise che quello non era il momento di pensarci. Si infilò sotto le coperte, e si addormentò.

*

Alicia stava sognando. Stava volando con Zelda, ed era immersa nell’oscurità. Sentiva un forte clangore di armature, e forti grida strazianti. Ogni tanto vedeva delle luci, come se fossero stati accesi dei fuochi. Udiva grida di battaglia, forti e chiare. Lei stessa, così come Zelda, indossava una pesante armatura.

Poi Zelda atterrò, e nel momento esatto in cui toccava terra, una forte luce colpì gli occhi di Alicia. E vide Eragon, davanti a lei, che brandiva una spada. Combatteva contro un’ombra scura, che contrastava la luce abbagliante. Ad un certo punto, però, Alicia vide l’oscurità colpire il ragazzo, proprio sulla schiena, e un dolore lacerante le colpì il cuore. Scese da Zelda, urlando disperata. Cadde in ginocchio, accanto al ragazzo. Non avvertì il dolore alle ginocchia causato dalla caduta. Sentiva soltanto quel dolore tremendo al cuore, che non le dava pace. Prese la mano del ragazzo, mentre continuava ad urlare….

Alicia si svegliò di soprassalto. Urlava e piangeva, ancora prigioniera del suo incubo. Il dolore al cuore era ancora lì, ma si stava lentamente affievolendo. Piano piano stava rientrando nella realtà. Perché aveva reagito così? Lei voleva bene ad Eragon, ma… era troppo….

Qualcuno bussò alla porta. Alicia, ancora sconvolta e piuttosto tremante, si alzò, e aprì. Davanti a lei c’era Eragon, che reggeva una candela.

- Che succede? – chiese, allarmato. – Ti ho sentita urlare, e sono venuto per vedere se era tutto ok - .

- Si, tutto bene. Ho solo… ho solo fatto un brutto sogno, tutto qui – rispose lei.

- Anche tu hai avuto un sonno agitato? – domandò Eragon.

- Perché, anche tu hai fatto un brutto sogno? – disse Alicia.

- Non proprio, ma non è stato nemmeno piacevole… beh, ti va di scendere e parlarne davanti ad una tazza di tè? - .

- No, grazie, Eragon. Preferisco dormire un altro po’. E non preoccuparti - .

- Va bene. Beh, buonanotte – disse lui, poi chiuse la porta.

Alicia ritornò a letto. Non sapeva nemmeno perché avesse rifiutato quell’invito. Forse per quel sogno. Ma dai. Dopotutto era solo un sogno. Ma era così vivido, e così forte…. O forse era perché era ancora un po’ arrabbiata con lui per gli avvenimenti di quella mattina. Si, forse era per quello.

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Capitolo 6
*** Gone Away ***


Ora... cambio di scenario!

Cap. 6: Gone Away

Era mattina presto, e Kristen si stava preparando per uscire di casa. Da quando aveva lasciato Urù’baen viveva a Yazuac, un piccolo paesino a nord. Era felice di essersi trasferita. Meglio vivere in quel piccolo paesino, piuttosto che restare in quella grande città. Aveva tentato di convincere la madre e la sorella a seguirla, ma loro avevano rifiutato, avevano preferito restare in città con suo padre, Glenwing. Lei, però, aveva preferito andarsene senza di loro. E ora viveva lì, in quella casupola di Yazuac.

In quel momento si stava preparando per uscire. Doveva andare a Daret, a far visita ad una sua vecchia amica.

Si vestì, poi uscì dalla sua stanza. Nella sala da pranzo c’erano una donna, e un bambino.

La donna si chiamava Michelle, ed era alta e magra. Sembrava molto giovane, in realtà aveva circa l’età della madre di Kristen, Eloisa. Suo marito era morto tanti anni prima, in circostanze misteriose. Michelle aveva accolto Kristen quando era arrivata, e da allora lei e suo figlio avevano cercato in tutti i modi di farla sentire a casa.

Il bambino, figlio di Michelle, si chiamava Francis, e aveva circa tre anni. In quel momento scorrazzava attorno al tavolo, mentre la madre preparava la colazione.

- Buongiorno Kristen – disse Michelle – ecco la colazione - .

Kristen prese la ciotola di latte che Michelle le porgeva, si sedette, poi bevve, accompagnando il latte con dei biscotti fatti in casa. Ogni tanto Francis si avvicinava al tavolo, e prendeva un biscotto dal vassoio. La madre lo guardava, torva.

- Ne hai già mangiati abbastanza prima, Francis – gli disse.

- Ma no, lascialo fare – disse Kristen, baciando il bimbo sulla fronte e porgendogli un altro biscotto.

Kristen finì di mangiare, poi si alzò dal tavolo.

- Quanto resterai via? – chiese Michelle.

- Dovrei essere di ritorno stasera. Non preoccupatevi. Non sto certo partendo per la guerra – rispose Kristen.

- No, ma di questi tempi… sai, è sempre pericoloso mettersi in viaggio, ormai - .

Kristen riusciva a capire Michelle. Del resto, il mistero della morte di suo marito stava nel fatto che lui era partito, e mai più tornato. Dopo un paio di giorni, però, un contadino del posto ne ritrovò il cadavere, vicino al paese, e aveva dato l’allarme. Quindi era piuttosto naturale la preoccupazione di Michelle.

- Non preoccuparti – continuò Kristen – so badare a me stessa - .

- Posso venire con te? – strillò Francis a Kristen, beccandosi un’occhiataccia da parte della madre.

- No, meglio di no, Francis. Il mio cavallo non può portarci tutti e due – rispose Kristen.

Michelle sorrise. – Allora, a dopo – disse, mentre Kristen usciva.

Kristen chiuse la porta della casa, e si diresse verso la piccola stalla. Si diresse verso il suo giovane cavallo, Zoccolodiferro, e lo sellò. Poi ci montò sopra e, cavalcando, uscì dalla città.

*

Kristen tornò soltanto verso sera. La sua amica era stata molto felice di vederla, tanto da riempirle la bisaccia con pane, dolci e, addirittura, un pezzo di carne secca e una bottiglia di vino. Michelle sarà contenta, pensò Kristen, mentre entrava in città.

Uno strano presentimento la invase. La città era troppo silenziosa. Nonostante fosse sera, e tutti sicuramente fossero a casa, quel silenzio era innaturale, quasi tetro. Le luci delle case erano accese, ma sembrava che nessuno fosse dentro. Kristen continuò ad andare avanti, fino ad arrivare al centro della città. Quando arrivò nella piazza centrale, non potè fare a meno di urlare. Lo spettacolo che si presentava davanti a lei… era terribile….

Davanti a lei stava un mucchio di cadaveri, ancora gocciolanti di sangue. Al centro del mucchio era piantata una lancia, dove era conficcato un altro cadavere. Smontò da cavallo, tutto il suo essere scosso da una muta disperazione. Si avvicinò a quel mucchio di cadaveri, e osservò di nuovo quello conficcato nella lancia. Era Francis. Francis, il bimbo che qualche ora prima le aveva chiesto se poteva andarsene con lei. L’avesse portato via con sé….

Kristen cadde in ginocchio, il volto sepolto tra le mani, invasa dalla più tremenda disperazione. Riconobbe altre persone: Michelle, il fornaio, l’oste, il medico, la guaritrice… tutti i paesani. E nessuno mostrava la minima scintilla di vita. Tutti morti. Ma cosa, o chi aveva potuto uccidere tutte quelle persone, avere soltanto il coraggio di alzare un’arma contro qualcuno, contro un uomo, una donna, un bambino?

Urgali, pensò Kristen. Solo creature come quelle, senza un cervello e senza un’anima, avrebbero potuto compiere un’azione simile senza apparente motivo. Cosa avevano fatto i paesani per meritare una morte simile? Nulla. Vivevano in pace, lontani dal trambusto delle città, e ancor più lontani dalle intricate e complesse faccende riguardanti il potere.

Ma ora, un altro pensiero si fece largo nella mente di Kristen. Dove andare? Cosa fare? Ormai era rimasta sola, e non poteva restare lì. Qual’era la cosa più logica da fare?

Kristen lo sapeva, sapeva la risposta a quella domanda, anche se non aveva effettivamente voglia di farlo. Sarebbe dovuta ritornare a Urù’baen, e ricongiungersi ai suoi genitori e ai suoi fratelli.

E sapeva che, anche se non l’avesse voluto, sarebbe stato quello il suo destino. Tutta colpa di quell’antica magia, quella regola antica che nessuno era mai riuscito ad eludere… quella stupida legge di Galbatorix….

Quando Galbatorix prese possesso di Urù’baen, ordinò, per mezzo della magia, che chiunque abitasse o nascesse ad Urù’baen non potesse andare a vivere stabilmente da nessun altra parte. In molti avevano provato ad andarsene, ma senza successo; prima o dopo tutti erano ritornati in quella maledetta città. E ora toccava anche a lei… sarebbe dovuta ritornare….

Però, se proprio doveva farlo, doveva anche muoversi: sicuramente quel luogo non era più sicuro, e lei, sfortunatamente, non aveva armi con sé. E, anche se le avesse avute, non avrebbe saputo maneggiare qualcosa di più di un pugnale. Decise che almeno quello poteva permetterselo, e, suo malgrado, entrò nella bottega del fabbro, deserta, per prenderne uno. Così fece, poi uscì di nuovo.

Accarezzò Zoccolodiferro, poi ci montò sopra, e uscì, galoppando, dalla città.

*

Kristen galoppava, diretta verso sud, verso Urù’baen. Il raggiungere la città non era una cosa che la entusiasmava più di tanto, ma sapeva che avrebbe dovuto fare così. Ma al momento non doveva pensarci. Prima di vedere Urù’baen, sarebbero trascorse settimane di viaggio, e Kristen immaginava che non sarebbero stati giorni piatti come i primi dieci minuti. Quindi, avrebbe certamente avuto tante altre cose a cui pensare.

Prima di tutto, avrebbe dovuto trovare un posto per passare la notte, e dove rifornirsi di viveri. Purtroppo non vi erano altre città nei paraggi, quindi si sarebbe rassegnata a dormire all’aperto. Per quanto riguardava i viveri, sarebbe tornata dalla sua amica, a Daret. Era l’unica cosa possibile, al momento.

Arrivò il momento di fermarsi. Kristen tirò fuori due pietre focaie, e le usò per accendere un piccolo fuoco bruciando delle sterpaglie. Infine si stese per terra e, tentando di non pensare a quanto fosse duro il terreno e al fatto che potessero attaccarla da un momento all’altro, si addormentò.

Si risvegliò che era già mattino; anche se l’alba era passata da poco. Con gli occhi un po’ assonnati, Kristen cercò nella sua borsa qualcosa da bere e da mangiare. Ricordò a se stessa di ringraziare ancora una volta la sua amica per i doni del giorno prima, in quanto in quel momento erano le uniche cose commestibili che possedeva.

Finì di mangiare e, piuttosto rinvigorita, Kristen si rimise in viaggio. Arrivò a Daret verso mezzogiorno.

Kristen attraversò a cavallo la città, poi giunse alla casa della sua amica. Il suo nome era Isolde, ed era la figlia di uno dei funzionari più potenti ed influenti della città. Abitava in una grande villa nella periferia della città. Kristen lasciò il cavallo nel grande cortile della casa, poi bussò.

Ad aprire fu Isolde.

- Ciao, Kristen! Come mai sei di nuovo qui? – disse la ragazza.

- Ho avuto qualche problema in paese. Ma forse è meglio che non te ne parli qui, per strada – rispose Kristen.

- Si, hai ragione… forse è meglio entrare – disse Isolde, e condusse Kristen dentro casa.

La sala dove erano entrate era enorme; era il salone della casa. Il pavimento e le colonne erano in marmo bianco, e una lunga scala di ferro battuto portava ai piani superiori. Isolde fece accomodare Kristen sul grande divano bianco al centro della stanza.

- Allora, raccontami tutto – disse Isolde.

Kristen le raccontò tutto, di come era tornata in paese e di ciò che aveva visto. Isolde assunse un’espressione inorridita e sorpresa.

- Fortuna che eri qui, Kristen – disse ancora Isolde.

- Già… grazie per avermi invitata, e grazie anche per i doni che mi hai fatto… anche se non ho viaggiato molto, per ora, sono state le uniche cose che ho potuto mangiare – rispose Kristen.

- Oh, di niente. Piuttosto, ora cos’hai intenzione di fare? –

- Tornerò dai miei parenti, ad Urù’baen –

- Davvero? Ma non è pericoloso? –

- Si, ma la mia famiglia è l’unico punto di riferimento che ho, per ora. A parte questa casa, ma non posso stare qui in eterno –

- Quando hai intenzione di ripartire? –

- Domani, sicuramente. Resto qui giusto il tempo per rifornirmi, poi me ne vado. Mi fermerò a Gil’ead, credo, poi andrò dritta verso Urù’baen. E dovrei arrivarci tra tre settimane, Urgali permettendo –

- E come farai? Non possiedi armi. Il tuo viaggio è una pazzia –

- Lo so. Ma anche se avessi qualche arma, non saprei come usarla –

- Capisco. Ma devi per forza viaggiare? –

- Si. Anche stare qui non sarebbe sicuro. Come hanno fatto una strage a Yazuac, potrebbero farla anche qui –

- Ma… allora, il popolo? Come si fa? Non si può far spostare un’intera città senza dare nell’occhio –

- Beh, un’intera città no. Tu puoi venire con me, anche se non saprei cosa fare per la tua famiglia –

- Mio padre è partito, assieme a mia madre. Non torneranno prima di domani. E comunque, senza offesa, non voglio viaggiare fino ad Urù’baen. È sempre molto pericoloso. Ma potrei fermarmi a Gil’ead. C’è una mia zia, lì. Potrei andare da lei, e starci un poco –

- E per i tuoi genitori? Come farai? –

- Lascerò loro un messaggio. Dirò loro di raggiungermi a Gil’ead –

- Va bene. Ti lascerò a Gil’ead, allora – rispose Kristen.

- Perfetto. Ora vado a preparare la borsa, poi partiamo subito – disse Isolde.

- Sei sicura? In fondo non ti sto costringendo –

- Non preoccuparti. Erano mesi che stavo attendendo quest’occasione per lasciare la monotonia di questa città. Non potrà farmi che bene –

- Si, ma se veniamo attaccate? Cosa faremo? –

- Ah, ma allora il pericolo sarebbe per entrambe. Tanto vale che anche tu resti qui. E ora fammi preparare la borsa. Preferirei partire subito – disse Isolde, e sparì su per le scale.

Kristen si accasciò sul divano. Ma cos’aveva in testa quella ragazza? Di certo non si sarebbe aspettata quella reazione da lei. Aveva pensato che avrebbe rifiutato di lasciare casa sua, che non avrebbe avuto voglia di viaggiare. E invece no. Voleva scappare dalla monotonia, cercare la morte. Almeno lei, Kristen, era stata costretta a scappare. Invece Isolde no. E fortuna che non aveva accettato di raggiungere Urù’baen, altrimenti Kristen avrebbe pensato che fosse seriamente impazzita.

Isolde ritornò poco dopo.

- Siamo pronte? – disse, con tono serio.

- Si. Andiamo – rispose Kristen.

Le due ragazze uscirono dalla casa, e Isolde si diresse verso un grande capanno sul retro della casa. Da lì ne uscì con un bellissimo cavallo bianco.

- Ti presento Codazzurra - disse Isolde, indicando il cavallo.

Kristen sorrise. Era davvero un bell’animale.

Lei e Isolde poi montarono sulle proprie cavalcature, e uscirono dalla città.

*

- Tra quanto tempo dovremmo arrivare a Gil’ead? – domandò Kristen.

- Domani, spero. Ho fatto questo tragitto altre volte, e non ci ho mai impiegato più di una giornata - rispose l’altra.

Stavano cavalcando da ormai due ore, e il paesaggio era sempre lo stesso: erba, alberi e campagna. Non un villaggio, o nemmeno un’abitazione, o anche soltanto un’anima viva, a parte qualche animale selvatico. Le due giovani stavano cominciando a spazientirsi, e volevano incontrare qualcuno che potesse perlomeno parlare con loro. Certo, erano in due, e parlavano tra di loro, ma non era rimasto molto da dirsi.

Arrivò la notte, e le due dovettero fermarsi per strada.

- Cosa facciamo? È arrivata la notte, e non abbiamo neppure una coperta per ripararci! – disse Isolde, allarmata.

- Semplice. Accendiamo un fuoco, e dormiamo per terra. È ciò che ho fatto io ieri notte – rispose Kristen.

- Cosa? Dormire per terra? Io… non credo… - .

Ecco, pensò Kristen, la sua vecchia amica Isolde era tornata. Insomma, Isolde era ricca, e poco abituata a trascorrere la notte all’addiaccio. Kristen era ormai abituata a vivere in un ambiente povero e semplice, perciò non si preoccupava più di tanto.

- Su, fatti coraggio. Sarà solo per questa notte, giusto? Poi, quando sarai a Gil’ead, dormirai in un letto caldo e comodo. Ma ora, aiutami ad accendere il fuoco – le disse Kristen.

Isolde fece prima una faccia inorridita, come se l’idea di dormire per terra le facesse incredibilmente schifo, poi si rassegnò, sbuffò e aiutò Kristen ad accendere il fuoco.

Qualche minuto dopo un mucchio di sterpaglie bruciava sotto i loro occhi.

- Sarà abbastanza caldo? – chiese Isolde.

- E dai… non morirai mica di freddo! – le rispose Kristen, scherzosamente.

- Sicura? –

- Certo! Cosa credi, che il fuoco accanto a cui ho dormito ieri fosse molto più caldo? E, come puoi ben vedere, sono ancora viva e sana come un pesce! - .

Queste ultime parole bastarono a convincere Isolde, che disse: - E va bene - , poi si stese per terra, e chiuse gli occhi. Kristen la imitò, e si addormentò.

Il giorno dopo Kristen si svegliò all’alba. Vide che Isolde ancora dormiva. E dire che nemmeno voleva addormentarsi, pensò Kristen. Si avvicinò all’amica addormentata. Stava proprio dormendo della grossa…. Doveva trovare un modo per svegliarla che la tenesse vigile e che le impedisse di assopirsi a cavallo… qualcosa di molto forte….

Si guardò intorno, e, spostandosi un po’ dai resti del fuoco, trovò una piccola sorgente d’acqua. Allora prese dalla bisaccia la bottiglia che la stessa amica le aveva dato, e la riempì d’acqua. Poi si avvicinò all’amica addormentata, e le buttò addosso tutta l’acqua della bottiglia.

- Ma che, sei matta? – strillò Isolde, svegliandosi di soprassalto, il vestito bianco tutto bagnato, i capelli biondi che le si appiccicavano al viso grondante d’acqua.

Kristen rise.

- Non c’è nulla da ridere! Mi beccherò anche un malanno, per questa doccia… - continuò Isolde, cercando di scrollarsi via l’acqua.

- E dai… ti asciugherai a cavallo… -

Isolde sospirò, poi sorrise.

- Hai la mia salute sulla tua coscienza – disse, scherzosamente, poi montò a cavallo.

Kristen fece lo stesso, poi le due ripartirono.

*

Videro Gil’ead soltanto dopo il tramonto. Gil’ead era una grande, popolosa città. Kristen, che ormai si era disabituata alle dimensioni di Urù’baen, guardò stupita quell’enorme gruppo di case e palazzi.

E fu ancora più stupefacente quando entrarono: ormai la notte stava scendendo, e luminosi fuochi venivano accesi all’esterno delle case. Uomini, donne e bambini vociavano per strada. Ogni singolo abitante fissava le due nuove arrivate, e il fatto che fossero a cavallo non aiutava certo a farle passare inosservate.

- Dov’è casa di tua zia, Isolde? – domandò Kristen, piuttosto ansiosa di raggiungere un ambiente chiuso e con un numero limitato di persone dentro.

- Mia zia abita proprio qui vicino. La sua casa è lì, in quella via a destra – rispose Isolde, e passò davanti all’amica per farle da guida.

In breve arrivarono davanti ad una grande casa. Non sembrava un’abitazione di gente ricca, ma senza dubbio non era nemmeno di un contadino. La casa aveva un piccolo cancello, che dava su un cortile pieno di erba e varie piante. E poi, proprio in mezzo al giardino, stava la casa.

Nel cortile stava giocando un bambino. Reggeva in mano un cavallino di legno, e si divertiva a muoverlo per tutto il giardino. Ma, al sentire gli zoccoli dei cavalli delle due ragazze avvicinarsi, decise di prestare attenzione alle copie viventi del suo giocattolo.

Accanto a lui stava una donna sulla quarantina, che guardava sorridente il bambino che giocava.

- Mamma, mamma! È arrivata Isolde! – gridò il bambino alla donna.

La donna voltò il suo sguardo verso i due cavalli che si stavano avvicinando, e riconobbe la nipote. Il suo sorriso si allargò ancora di più, mentre andava ad aprire il cancello alle due ospiti.

Kristen e Isolde entrarono con i cavalli, e si fermarono al centro del cortile.

Non appena Isolde scese dal cavallo, corse ad abbracciare la zia e il cugino.

- Kristen, questi sono mia zia Lisa e mio cugino Mish – disse Isolde, presentando all’amica gli altri due.

- Molto piacere – disse Kristen, stringendo la mano alla donna e facendo una carezza al bimbo.

- Mi fa molto piacere, Isolde, che tu sia venuta. Ma ora, entriamo tutti dentro, così parliamo un po’ davanti ad una tazza di tè caldo – disse zia Lisa, poi vide gli abiti sgualciti ed ancora umidicci di Isolde, e disse: - Isolde, cosa è successo? Sei tutta bagnata –

- Niente, zia… ti racconto come entriamo –

- Ma poi cambiati! –

Kristen, Isolde, la zia e Mish entrarono dentro la casa. L’ambiente era caldo ed accogliente, e proprio nella stanza d’ingresso stava un piccolo camino acceso con davanti tre piccole poltrone.

- Accomodatevi – disse la zia, indicando le poltrone.

Le ragazze si sedettero, mentre Lisa preparava delle foglie di tè in una piccola teiera.

- Allora, Isolde – continuò Lisa, mettendo la teiera sul fuoco – come mai sei qui? E come mai hai portato con te anche la tua amica? –

Isolde cominciò a raccontare alla zia tutto ciò che era successo, lasciando però alcune parti del racconto a Kristen, che aveva vissuto in prima persona tutta la faccenda.

- E così – disse Lisa a Kristen – vorresti andare ad Urù’baen? –

- Si, Lisa. Ho intenzione di partire domani mattina, dopo essermi rifornita di viveri –

- Ragazza mia, è troppo rischioso. Una donna, sola, a fare un viaggio che nemmeno un soldato oserebbe fare, per raggiungere cosa? La città del nemico –

- E dove vive la mia famiglia. Ho intenzione di ricongiungermi alle persone che mi sono più care –

- Ma così non farai altro che metterti in pericolo! Hai visto tutto quello che hanno fatto nel tuo paese? figuriamoci cosa potranno fare se sapranno che sei sopravvissuta! –

- Non m’importa. Uniti si vince, dice un detto. E se mi riunirò alla mia famiglia, senza dubbio sarò più forte che non qui. Mio padre è un elfo, è capace di proteggere me, mia madre, mia sorella e mio fratello –

- E così, sei una mezzelfo, giusto? Allora perché sembri così… umana? – domandò il bambino, che fino a quel momento era rimasto zitto. La madre lo fulminò con lo sguardo.

- Perdonalo, Kristen… è solo un bambino, non sa che dice… -

- Non preoccuparti, Lisa. Mish, io si, sono una mezzelfo, ma evidentemente ho preso più da mamma… e poi, anche la vicinanza al mondo elfico conta molto. Io non sono mai stata molto vicina a mio padre, nonostante io gli voglia un mondo di bene. Lui si occupava di armi, di poemi… da lui ho imparato solo le nozioni fondamentali, come saper leggere e scrivere, e come maneggiare un pugnale, ma null’altro. Quella che trascorre molto tempo con lui è mia sorella. Ha soltanto tre anni in meno di me, ma è una spadaccina formidabile, e ha letto un sacco di poemi elfici. Lei si che sembra una mezzelfo… anche fisicamente – rispose Kristen, mentre Mish la guardava, rapito.

- Bene, una mezzelfo… sei proprio a posto, Kristen… se ti trovano e scoprono chi sei, sono guai! Ma se vuoi partire, fai pure. Tu, Isolde… non mi dire che parti anche tu! – disse Lisa.

- No, zia. Resterò un po’ con te, qui, almeno finchè le acque non si saranno un po’ calmate… -

- Brava, nipotina mia… anche se non so se Gil’ead resterà sicura a lungo… ogni tanto qualche ufficiale passa di qua, per riferire messaggi da parte del re… e non sembrano affatto messaggi per cui gioire –

- Per esempio? – domandò Isolde.

- Per esempio… il re ha ordinato che tutti gli uomini che siano capaci di brandire una spada o una qualsiasi arma siano arruolati nell’esercito. Perché credi che tuo zio non sia in casa, ora? È appena partito, e potrebbe non tornare mai più – rispose la zia.

- Mi dispiace – disse Kristen.

- Ah, e poi… ti ricordi, Isolde, quel castello, appena fuori dalla città? –

- Si, zia. Mi ricordo anche che mi avevi detto che un giovane vi si era rifugiato, e non ne aveva fatto più ritorno –

- Giusto, nipotina. Ebbene, mentre le mura fino a qualche settimana fa erano grigie come l’acciaio, ora sono diventate nere come la fuliggine. E spesso si sentono strani rumori provenire da lì. Non so cosa stia succedendo dentro quel castello, ma credo che non sia nulla di buono - .

- Chissà… solo entrando nel castello si potrebbe capire… - disse Isolde.

- E toglietevi dalla testa di poterlo fare! Tra te, Kristen e Mish non so più come fare per dissuadere la gente dall’essere imprudente! –

- Ma infatti non stavo pensando di farlo – rispose Isolde.

- E dico bene, ragazza! L’aspetto di quel posto mi dice proprio che non faresti in tempo a mettere un piede oltre il portone che saresti già cibo per cani! –

Kristen dovette ammettere che aveva ragione. Qualunque cosa si aggirasse da quelle parti, non sembrava molto rassicurante. E se avesse raggiunto la città? La ragazza cominciò a pensare che dopotutto l’idea di raggiungere Gil’ead non fosse stata poi tanto geniale.

- Meglio che nessuno di noi si occupi di queste faccende. Del resto, nessuno è ancora stato aggredito… e immagino che, nel caso qualcuno andasse a sbirciare, la… cosa… che c’è là dentro non sarebbe molto contenta… meglio che nessuno vada, se non vuole diventare la rovina della città! – continuò Lisa.

- Hai ragione, zia, hai ragione. Meglio lasciare la situazione così piuttosto che peggiorarla cercando di migliorarla –

- Che giro di parole, cugina! A Daret si imparano tutte queste parole? – disse Mish.

Isolde sorrise alla domanda del cugino.

- Si. Un giorno, se vieni, ti insegno tutto – disse la ragazza.

- No, non voglio. Sa troppo da grandi – replicò Mish.

- Infatti è da grande che imparerai a parlare così. Ma ora, a quest’età, i bambini devono imparare che questa è l’ora di dormire, vero Mish? – disse Lisa, che d’improvviso parve ansiosa di mandare a dormire il bambino.

- Ma mamma… io vi voglio ascoltare! –

- No, Mish. A letto –

- Uff… almeno accompagnami! - .

La donna finse di sbuffare, e uscì dalla stanza insieme al bambino.

Kristen e Isolde rimasero sole.

- Sei sicura di voler restare qui? – fece Kristen.

- Si, Kristen. Del resto, non è più pericoloso di continuare il viaggio con te. E poi, mica devo stare qui in eterno! –

- Hai sentito? Stanno arruolando uomini per la guerra! Capisci, la GUERRA! Arriverà prima o poi anche qui, e distruggerà tutto! Devi andartene –

- No, Kristen. Secondo la tua idea, non basterebbe che io ti segua! –

- Ah, no? –

- No, Kristen. Anche se io me ne andassi, resterebbero ancora migliaia di innocenti che meriterebbero di vivere. E allora, cosa fai, cerchi di convincere tutta Gil’ead a seguirti? La maggior parte di questa gente è ignorante, non sa che le battaglie che verranno combattute da questi uomini potrebbe toccarla da vicino. Pensano che siano battaglie lontane… e inoltre, dato che questi uomini stanno combattendo per l’Impero, molte donne pensano di essere al sicuro, qui… ma non sanno che, dopo o durante la guerra, Galbatorix cercherà di annientarli comunque –

- Quindi, resti? –

- Si, Kristen. Se resto qui, con ogni probabilità morirò… ma almeno sarò vicino a mia zia, a mio cugino… se scappo, penseranno che non voglia loro bene… intanto, morire qui o morire a Urù’baen è la stessa cosa… -

- Va bene. Rispetto la tua decisione, Isolde –

- Mi mancherai, Kristen –

- Anche tu, Isolde – .

Lisa ritornò.

- Accidenti, Mish non voleva proprio dormire… - disse la donna.

- I bambini… sono sempre così – disse Kristen.

- Me ne sono resa conto – disse Lisa – Ma… beh, cosa avete deciso? –

- Io me ne vado, domani – disse Kristen – ma Isolde resterà qui - .

- Bene – disse Lisa, guardando la nipote. Poi si rivolse di nuovo a Kristen.

- Sei sicura, Kristen, di non voler restare qui ancora un po’? –

- No, Lisa, no. Domani mattina mi alzerò presto, e partirò verso la mia destinazione - .

- Come vuoi. Ma forse, visto che dovrai partire presto, è meglio che tu vada a dormire –

- Va bene, Lisa –

- Allora seguimi, ti mostrerò dove dormire… -

Lisa si alzò, e Kristen la imitò, e la seguì. La condusse lungo una piccola rampa di scale, che portava ad un pianerottolo, su cui davano tre porte. Lisa varcò quella proprio davanti a loro, e Kristen entrò.

- Ecco, questa è la tua stanza – disse Lisa.

La stanza non era molto grande, ed era arredata in maniera molto semplice: un letto, una scrivania con uno specchio davanti, e una sedia. Sulla scrivania era posato un catino colmo d’acqua, e qualche asciugamano, un po’ rammendato e piuttosto sottile.

- Se vuoi lavarti, c’è il catino. Gli asciugamani non sono proprio nuovi, ma in questo periodo è molto difficile procurarsi roba di alta qualità senza spendere una fortuna – disse Lisa, sinceramente dispiaciuta.

- Non importa – rispose Kristen, sorridendo. Fino a quel giorno aveva vissuto in un ambiente non troppo confortevole, quindi non erano un paio di asciugamani rammendati a darle fastidio.

- Buonanotte, Kristen. E buon viaggio – disse Lisa, abbracciando la ragazza come se fosse anche lei, come Isolde, una sua nipote.

Lisa chiuse la porta, e Kristen rimase sola nella stanza. In quell’attimo, quell’istante in cui aveva sentito la porta chiudersi, una marea di pensieri cominciò ad affacciarsi nella mente di Kristen. Pensò a sua sorella, Alicia, a sua madre, al suo fratellino, a suo padre… pensò a cosa avrebbero potuto dire nel rivederla… aveva sentito, nelle storie che le venivano raccontate, di famiglie che si ricongiungevano… alcune ritornarono a vivere felici, altre no… suo fratello, cosa avrebbe fatto nel rivederla? Erano ormai passati tre anni dal giorno in cui era partita, e lui aveva soltanto quattro anni… magari nemmeno si ricordava più di lei… l’avrebbe trattata come un’estranea, o l’avrebbe accettata subito come sorella? E anche Alicia… avrebbe mai accettato di riaverla accanto? O l’avrebbe accusata di essere una vigliacca, una che fugge di fronte al pericolo?

I pensieri della sua famiglia la assalirono come fantasmi dimenticati… in quell’attimo si rese conto di quanto le mancassero tutti quanti….

Si sedette sul letto, e si mise a piangere. Si rese conto di quanto fossero stati vuoti quegli anni… erano stati sicuri, ma vuoti… Michelle non avrebbe mai potuto farle da madre, né Francis da fratello….

Si asciugò le lacrime. Piangere le sembrava così stupido….

Si lavò, poi si mise addosso il cambio che si era portata da casa. Infine, si buttò sotto le soffici coperte, e si addormentò.

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Capitolo 7
*** Saviour ***


Cap. 7: Saviour

Il mattino dopo Kristen si svegliò presto. Uscì dalla camera, intenzionata a partire subito, ma poi pensò che non poteva abbandonare Isolde, Lisa e Mish senza nemmeno salutarli. Così cominciò a girare per le stanze. C’era poca scelta: di sicuro le altre due porte del pianerottolo dovevano essere le camere. Aprì la prima, e vide un grande letto. Sul letto dormivano Lisa e Mish. Il bambino era teneramente abbracciato alla madre.

Non appena Kristen si avvicinò loro, Lisa aprì gli occhi, lentamente.

- Ciao, Lisa – mormorò Kristen, cercando di non svegliare Mish.

La donna si alzò lentamente seduta sul letto, e abbracciò la ragazza.

- Ciao, Kristen. Fai… fai attenzione, ad Urù’baen.

- Non ti preoccupare. Prima o poi tornerò.

Le due sciolsero l’abbraccio, e Kristen si avvicinò a Mish. Il bambino dormiva placidamente. Kristen si chinò su di lui, e gli baciò la fronte.

Poi uscì dalla stanza.

Si diresse verso la camera di Isolde, che di sicuro era quella accanto.

La ragazza giaceva sul letto, gli occhi aperti. Non appena Kristen entrò, il volto di Isolde si mosse verso di lei.

- Ciao, Kristen – disse Isolde, alzandosi.

Kristen le andò incontro, e la abbracciò.

- Ciao, amica mia – disse Kristen – ci rivedremo presto, non preoccuparti….

Rimasero abbracciate per qualche minuto, poi Kristen sciolse l’abbraccio, e con un ultimo – Ciao – varcò la porta.

Scese le scale, poi uscì. L’aria frizzante del primo mattino le sferzava il volto, mentre slegava Zoccolodiferro, lo montava e usciva dal cancello.

Attraversò tutta la città a cavallo; le strade erano deserte, come se Gil’ead fosse stata una città fantasma.

La situazione non cambiò quando uscì dalla città. Fortunatamente si poteva scorgere un boschetto a qualche metro da lì: attraversarlo sarebbe stato un ottimo rimedio alla noia.

Kristen sorrise, pensando che per entrare nel bosco probabilmente non avrebbe dovuto galoppare per più di un’ora. Ma si sbagliava. Era mezzogiorno quando arrivò ai margini della piccola foresta.

Kristen vi si addentrò senza indugiare, pensando così di sfuggire anche al sole battente.

L’ombra la investì: solo pochi raggi solari riuscivano a penetrare lo spesso strato di foglie. Sembrava quasi notte. E, come Kristen potè constatare, il bosco non era poi tanto piccolo.

Fortuna che ad animarlo c’era il rumore di una leggera brezza che accarezzava le foglie, e il vociare degli animali che avevano scelto il bosco come loro dimora. Kristen sorrise. Per quanto cupo, quel bosco le dava un’incredibile sensazione di libertà.

Improvvisamente, però, il silenzio cadde sul bosco. Gli animali non vociavano più.

Zoccolodiferro cominciò a scalpitare e a nitrire incontrollabilmente. Kristen tentò inutilmente di calmarlo.

Poi, la ragazza avvertì un altro rumore tra le foglie: rumore di passi, e clangore di armature. E non poteva fare niente per nascondersi.

Tirò fuori il pugnale, sperando in un nemico facile da abbattere.

Speranza inutile: un Urgali spuntò tra le fronde degli alberi. Era armato di arco. Non solo. Altri Urgali stavano spuntando, e la stavano accerchiando.

Kristen si sentì perduta. Cosa avrebbe potuto fare?

Vide uno degli Urgali che incoccava una freccia. La stava per lanciare verso di lei.

Kristen fu spinta da una sorta di implacabile disperazione: confusa e spaesata, lanciò il pugnale, dritto verso il cuore dell’Urgali, con la massima forza che le fosse possibile.

Lo colpì. L’Urgali cadde a terra.

Non appena l’essere prese contatto col terreno, però, una freccia colpì Kristen al braccio. La ragazza cadde dal cavallo. Vide un’altra persona a cavallo che si avvicinava, poi perse i sensi.

*

Kristen aprì gli occhi. Era stesa a terra, adagiata su un mantello. Provò ad alzarsi in piedi, inutilmente. Tutto il corpo le doleva, a partire da quel braccio che le avevano colpito, che ora era fasciato.

- Piano, ragazza, piano – disse una voce, che veniva da lì accanto.

Kristen udì dei passi, poi sentì qualcuno che le toccava il braccio. Voltò la testa per vedere chi fosse. Quella persona era un giovane più o meno della sua stessa età, dai capelli neri e dagli occhi di ghiaccio. Nonostante il dolore e un certo shock, Kristen potè notare che era molto bello. Questo, però, non la spingeva a dargli subito fiducia.

- C-chi sei? – domandò lei, un po’ spaventata.

- Mi chiamo Murtagh – disse il ragazzo – e tu? Posso sapere il tuo nome?

- K-kristen – disse lei, cercando di alzarsi.

- Piano, Kristen, piano. Resta un po’ sdraiata, tranquilla. Non puoi muoverti, ora.

- C-cosa mi è successo?

- Hai ucciso un Urgali col tuo pugnale, poi sei stata colpita, e hai perso i sensi. Fortuna che c’ero io, altrimenti non so che fine facevi.

Kristen sorrise.

- Grazie… - disse.

- E di che? – le disse Murtagh – Pura fortuna. Ero solo al posto giusto nel momento giusto….

- Grazie comunque….

- Ora però riposa. Poi, magari, potremmo scambiare quattro parole, va bene?

- Va… va bene.

Kristen chiuse gli occhi, ma non riuscì ad addormentarsi. Il dolore era quasi passato, ma non era certo quello a tenerla sveglia.

Aveva avuto molta fortuna. In altre condizioni non sarebbe mai sopravvissuta. Certo, con solo un pugnale….

Avrebbe dovuto imparare a utilizzare una spada, o un arco. Avrebbe chiesto a Murtagh, magari le avrebbe insegnato qualcosa. Certo, e poi? Dove la trovava una spada?

Dopo un po’ Murtagh tornò accanto a lei.

- Prova a rialzarti – disse il ragazzo – ora non dovrebbe più farti male.

Kristen provò a rialzarsi. Sentì soltanto una leggera tensione al braccio ferito e un leggero tremore alle gambe una volta in piedi, ma per il resto stava bene. Si tenne ad un albero, per riprendere stabilità.

- Prova a camminare, ora – continuò Murtagh.

Kristen si staccò dall’albero, ma ancora le gambe le tremavano un pochetto; una radice scoperta incontrò i suoi piedi, e lei barcollò. Murtagh, prontamente, la afferrò, e la sostenne.

Kristen girò lo sguardo, rivolgendolo per un secondo al volto del giovane.

Fu un attimo.

Quegli occhi di ghiaccio penetrarono nei suoi occhi nocciola… qualcosa, come un raggio di sole, entrò dentro di lei, ed esplose nel suo cuore. Non aveva mai provato nulla di simile… sentì le guance scaldarsi, il cuore battere….

- Beh, se camminare ti fa quest’effetto, allora è meglio che tu ti sieda – disse Murtagh.

- Perché? Che effetto mi ha fatto?

- Sei tutta rossa – rispose lui, sorridendo.

- Oh, non è nulla… ce la faccio, non preoccuparti – disse la ragazza, alzandosi definitivamente in piedi, e camminando senza più incertezze.

- Bene. Tra poco si farà buio, perciò credo sia opportuno fermarci. Almeno potremmo chiacchierare con più calma e conoscerci meglio….

Già, pensò Kristen. Conoscerlo meglio. Perché forse avrebbe capito cosa le era successo, cos’avevano quegli occhi di tanto… tanto… oh, non sapeva nemmeno come definirli.

Murtagh accese un piccolo fuoco, e mise a cuocere un pezzo di carne.

- Su, siediti qua davanti – disse il ragazzo.

Kristen gli obbedì, e si sedette anche lei davanti al fuoco.

- E così, dove pensavi di dirigerti, prima che ti attaccassero? – domandò improvvisamente Murtagh.

- A Urù’baen. È la città dove abita tutta la mia famiglia.

- Un ritorno a casa, insomma….

- Si.

- Sei tra i ribelli?

- Scusa?

- La tua famiglia, intendo.

- Si. Mio padre lavora per i Varden, e mia sorella si prepara a seguire le sue orme….

- E tu?

- Io? Sono scappata da lì, per mantenermi al sicuro. Non potevo vivere bene, pensando di poter morire da un momento all’altro.

- E come mai ora stai facendo ritorno?

- Il paesino dove abitavo è stato attaccato mentre ero fuori. Quando sono tornata, nessuno era rimasto vivo. Così ho deciso di raggiungere Urù’baen. La mia famiglia è ora l’unico punto di riferimento che ho.

- Capisco….

- E tu? La tua famiglia, i tuoi affetti… dove sono?

- Io? Io non ho una famiglia. Mio padre, morto. E mia madre non so dove sia. Mi ha abbandonato ad una nutrice quando avevo solo tre anni. Di lei, ricordo solo il nome. Penso che ormai, visti gli anni che sono passati, il ricordo sbiadito del suo volto non serva più a nulla. E dire che la mia nutrice mi diceva sempre che era una gran donna.

- E come si chiamava?

- Mia madre? Selena.

- Però, una gran donna. Ma ti ha abbandonato….

- La mia nutrice mi ha detto che ha avuto delle buone ragioni per farlo. Ma quando le ho chiesto quali fossero, silenzio.

- E tuo padre?

- Questo… questo… non posso raccontartelo. Non ora. È troppo… troppo… personale….

- Oh… scusami.

- Non preoccuparti. La tua era una domanda legittima. Avevi tutto il diritto di farlo.

- Va bene. Piuttosto… qual è la tua destinazione?

- Rà’zac.

- Li stai cercando?

- Si. Ma diciamo pure che sono anche loro a cercare me….

- Sei… sei in pericolo, allora?

- Non ora… non ti devi preoccupare per questo. Non credo che abbiano intenzione di colpirmi proprio in questo momento….

Lei sorrise. – No, speriamo di no….

La carne era pronta. Murtagh ne porse un pezzo alla ragazza, che la divorò. Del resto, non mangiava nulla dalla cena del giorno prima.

Ripensò a tutto quello che le era successo in solo un paio di giorni… aveva visto un sacco di gente morire, aveva rischiato lei stessa la vita, ed era fuggita dalla monotonia del paese. E in più aveva incontrato anche questo Murtagh. Il suo salvatore.

- Posso farti una domanda? – fece la ragazza.

- Fai pure – rispose Murtagh.

- Il mio pugnale… l’hai recuperato?

- Si, eccolo.

Il ragazzo tirò fuori dalla tasca del mantello il pugnale di Kristen, e glielo porse.

- Grazie….

- Era tuo, cosa potevo fare? E comunque, ti consiglio di cambiare arma.

- Si, certo, lo stavo pensando anch’io… ma dove la trovo un’altra arma?

- Sei fortunata, Kristen. Io ho sempre la sana abitudine di portarmi dietro sia una spada che un arco… scegli solo quale dei due vuoi.

Kristen riflesse un attimo. Alla fine optò per l’arco.

- Bene. Allora ti insegnerò come si usa. E questa sarà la tua arma.

Il ragazzo frugò tra la sue cose, che erano lì accanto, e ne tirò fuori un bell’arco. Lo porse alla ragazza, che lo prese con mani tremanti.

Era un’arma bellissima, di pregiata fattura. Kristen provò ad impugnarlo, come per tirare, ma Murtagh la bloccò.

- Non oggi, Kristen. Con quel braccio non concluderai nulla – disse.

- Oh… va bene – rispose lei, posando l’arco.

- E ora, forse ci conviene dormire.

- Si, hai ragione….

La ragazza si spostò un po’ più lontana dal fuoco, che le sembrava troppo caldo, quindi si coricò per terra, e chiuse gli occhi.

- Oh, Kristen… non puoi dormire così! – disse il ragazzo, togliendosi il mantello e coprendo Kristen.

- Credi che abbia freddo? Non preoccuparti.

- Guarda che non mi costa nulla… dormirò io scoperto.

- Ma non….

- Zitta e dormi.

La ragazza sbuffò, poi chiuse di nuovo gli occhi, e si addormentò.

Anche Murtagh si era coricato, ma non riusciva a dormire.

E non era per il freddo. Era fin troppo abituato a dormire accanto a un semplice fuoco, sulla nuda terra.

Non poteva fare a meno di fissarla, la ragazza che aveva salvato. La vedeva, gli occhi placidamente chiusi, i capelli castani, venati di rosso, che ricadevano sulla sua guancia, e quel suo sorriso tranquillo… era uno scorcio di pace nel suo mondo, scosso da sofferenze, e fughe, e battaglie.

Ma era anche determinata la tipa. Imparare a usare l’arco non era certo una cosa da niente. Era, forse, più difficile dell’imparare a maneggiare una spada. Ma lei aveva scelto quell’arma.

E poi, fu costretto a dire a sé stesso, era anche carina, molto carina….

Sorrise. Quello era uno dei pochi sorrisi che aveva fatto, da quando era partito. Il suo viaggio non era stato fatto di attimi felici, o tranquilli. A parte forse quello.

*

Il mattino dopo Murtagh si svegliò che il sole non era ancora del tutto sorto. Ormai era diventata un’abitudine, per lui. Kristen, invece, dormiva ancora.

Murtagh la guardò. Era ancora più placida della sera prima. Povera ragazza, quante ne aveva passate… la strage nel suo paese, il viaggio, l’attacco… e tutto da sola. Forse con lui si sarebbe sentita al sicuro, chissà. Ma, Rà’zac o no, di una cosa era sicuro: non l’avrebbe lasciata continuare da sola, sarebbe stato quasi come commettere un omicidio. Un altro attacco così, e non avrebbe resistito.

Kristen aprì lentamente gli occhi. Si accorse che il ragazzo la stava guardando.

- Ehi – disse, assonnata – non credo che in me ci sia tutta questa cosa da guardare….

- C’è molto più di quanto credi, Kristen.

- Ah, davvero? – disse lei, ridendo – Allora aspetta che impari ad usare l’arco, e vedrai….

- Bene. In tal caso, credo che non ti insegnerò ad usarlo. Non voglio farmi male con le mie stesse mani!

- Guarda che scherzavo!

- E tu guarda che l’avevo capito….

- Siamo pari, allora….

- Bene. E ora, muoviamoci.

Kristen prese l’arco, e cercò le frecce.

- No, Kristen. Non puoi usarlo ora. Tra qualche giorno, quando il braccio sarà guarito. Ma ora, andiamo – disse Murtagh.

Kristen rimise l’arco nella custodia, poi montò a cavallo. Lei e Murtagh partirono assieme, e cominciarono, a cavalcare alla stessa velocità. Così poterono stare vicini, e chiacchierare tranquillamente.

- Come mai abiti ad Urù’baen? – domandò Murtagh.

- La mia famiglia è lì da generazioni, da prima che Galbatorix salisse al potere. E dopo che questo è accaduto, ci è stato impossibile andare a vivere da qualche altra parte – rispose la ragazza.

- Come mai questo?

- Non lo sai? Galbatorix, quando è salito al potere, ha evocato una magia che vieta a chiunque fosse nato ad Urù’baen in seguito, o chiunque ci vivesse al momento in cui la magia è stata evocata, di abbandonare la città per sempre. In pratica, io e la mia famiglia siamo costretti, prima o poi, a tornare laggiù.

Murtagh rimase un attimo pensieroso. Anche lui, come quella ragazza, era nato ad Urù’baen. Ed era scappato, per evitare gli influssi maligni di quel posto, che avrebbero potuto corromperlo. Era forse costretto a ritornarci? La sua anima, la sua coscienza, erano ancora minacciate?

- E nessuno ha mai fatto qualcosa per ribellarsi? – domandò il ragazzo.

- E come ci si può ribellare ad una magia? Molte persone sono scappate dalla città, e sono anche riuscite a vivere per molti anni lontano da questa. Ma quando stavano cominciando a pensare che forse avevano sconfitto la maledizione, quando meno se lo aspettavano… ecco che il destino li ha riportati laggiù. Un esempio potrei essere io. Sono fuggita alla ricerca di sicurezza… e non avendola trovata, sono costretta a tornare da dove ero partita.

- Non ti preoccupare. Non correrai pericoli. Ti accompagnerò io laggiù.

- Grazie, Murtagh. Ma credo che tu non debba… sai, tra un paio di giorni, quando il mio braccio sarà guarito, riuscirò anche a cavarmela da sola….

- No, Kristen. E se ti accadesse un altro incidente come quello di ieri? Non potrei mai perdonare a me stesso di averti lasciata da sola, ad andare incontro alla morte.

- Se proprio insisti….

Kristen sorrise.

E Murtagh non dimenticò mai quel sorriso.

Lo rivide quella notte, nei suoi sogni. Cosa gli stava accadendo? Lui era sempre così freddo, distaccato… ora, invece, aveva incontrato Kristen. E aveva sentito subito un legame crearsi tra di loro. Forse perché, in fondo, erano molto simili. Forse perché, in fondo, erano la stessa anima….

Quella notte, Kristen dormì ben poco. Ricordava ancora quegli occhi di ghiaccio, così forti e penetranti. Ogni volta che li scrutava, erano come un getto d’acqua fresca quando si ha caldo. E sentiva che, in fondo, quegli occhi avevano aperto i suoi. Qualcosa era cambiato, in lei. Vedeva ciò che la circondava sotto una luce diversa. Vedeva affacciarsi accanto a lei un altro mondo. Il mondo di Murtagh. Le pareva un mondo tanto oscuro, tanto pieno di misteri e di zone d’ombra, tanto pieno di ignoto. Ma, al contempo, pareva tanto simile al suo….

Le restava soltanto una cosa da fare, una decisione da prendere.

Fare come era suo solito, e restare fredda e distaccata, o buttarsi a capofitto in quel nuovo mondo, e cercare di scoprire tutte le sue meraviglie?

In cuor suo, aveva già deciso cosa fare.

*

Il giorno dopo si svegliarono entrambi molto presto. Non parlarono molto tra di loro. C’era qualcosa che li faceva tacere, ma al contempo qualcosa li univa. Come se fossero stati capaci di capirsi senza pronunciare una sola parola. Sorridevano, entrambi. Ma il loro era un sorriso strano. Era come se capissero qualcosa. Come se capissero che qualcosa era cambiato dal giorno prima. O che, forse, era stato sempre così.

Il silenzio venne rotto soltanto di sera, davanti al fuoco acceso.

- Quando potrò cominciare, con l’arco? – domandò Kristen.

- Domani, massimo dopodomani. La tua ferita non era profonda, ed è quasi guarita. E poi, devi imparare prima di arrivare ad Urù’baen. Dopodichè, purtroppo, non potrò restare con te. Dovrò seguire la mia strada….

- Non puoi entrare ad Urù’baen? Eppure, se stai cercando Rà’zac, lì dovresti trovarne.

- Non è come credi. Sai, ho sentito delle voci in giro, che penso proprio siano vere.

- Che voci?

- Ho sentito che a Galbatorix siano state rubate due delle tre uova di drago che possedeva. Con queste voleva creare un piccolo esercito di Cavalieri. Pensa che aveva chiesto a me di essere uno di loro. Ma io rifiutai.

- Conoscevi Galbatorix?

Murtagh si rese conto improvvisamente del peso della notizia che si era lasciato sfuggire. Pensò se dovesse raccontarle tutta la verità. Alla fine decise di si.

- Si, lo conoscevo. Per via di mio padre, sai. Era uno dei Rinnegati. Il capo, più precisamente. Morzan. Essendo suo figlio, sono sempre stato a contatto con Galbatorix. Non ho mai approvato le sue scelte, ma, non so come e perché, il suo ambiente mi sembrava… come dire… sicuro. Ma non quando, proponendomi di diventare Cavaliere, ho capito le sue vere intenzioni. Voleva fare di me uno strumento di morte….

- Ma, scusa… le uova non possono schiudersi a comando, che io sappia.

- Galbatorix usa la magia nera. Pochi conoscono i suoi segreti, e Galbatorix è tra questi. Evidentemente c’è un incantesimo capace di far schiudere le uova a comando. Comunque, quando Galbatorix mi espose il suo piano, io rifiutai, e riuscii a scappare in un tempo utile affinché non mi beccassero subito. Ora capisci perché i Rà’zac non possono trovarsi ad Urù’baen. La metà di loro è alla ricerca delle uova, e l’altra metà mi sta dando la caccia….

- Ora… capisco. Quindi immagino che comunque l’idea di entrare ad Urù’baen non ti attiri affatto.

- Già. Ma comunque, come tu hai detto, sarò comunque costretto a tornarci, alla fine.

- Quindi, alla fine, i nostri destini si incroceranno di nuovo?

- Si, credo proprio di si….

- Speriamo.

Il ragazzo guardò la ragazza. Era uno sguardo molto intenso, quasi come se volesse frugarle nel cuore. Lei si sentì avvampare, e distolse lo sguardo.

- Vado… vado a dormire – disse la ragazza, e si preparò un giaciglio per dormire. Murtagh invece rimase ancora un po’ in piedi, a guardarla mentre dormiva. Era uno spettacolo magnifico, forse la cosa più bella che i suoi occhi avessero visto in quei giorni. Un’isola d’amore in quei giorni d’odio.

Si, era proprio fatta per lui, come un angelo caduto dal cielo per salvarlo dal buio. E lui doveva raccogliere quest’ultima occasione….

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