In
vita
Questa
è un'opera di fantasia. Nomi,
personaggi,
istituzioni, luoghi ed episodi
sono
frutto dell'immaginazione dell'autore
e
non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi
somiglianza con fatti, scenari,
organizzazioni
o persone,
viventi
o defunte, vere o immaginarie,
è
del tutto casuale.
Bianco
ovunque, abbagliante. Un fischio sordo nelle orecchie, una morsa
pressante attorno alla testa. Giusto: aveva una testa; e quindi anche
un corpo, da qualche parte. Provò a muovere qualcosa. Seppe di
esserci riuscito quando una confusa macchia rosea invase il suo campo
visivo. Cercò di metterla a fuoco, non senza una certa difficoltà.
Si sforzò il più possibile, aumentando quel senso di vertigine che
aveva avvertito in precedenza. Una mano tesa sopra di lui. Gli ci
volle un po’ per concludere che era la sua. Sbatté le palpebre e
la testa si fece via via più leggera, svuotata. Ma un dolore
improvviso gli confermò di avere davvero un corpo. Serrò la
mascella, tentando di combattere contro il bruciore che gli
attanagliava i muscoli: gambe, braccia, torace, collo, schiena. Una
stilettata al bacino gli provocò un movimento convulso, che lo fece
sbattere con un capitombolo sul finto parquet del pavimento. In un
attimo il dolore svanì e Satana tornò presente a se stesso.
La sua nuova coscienza
lo informò dell’accaduto: era appena rinato.
L’antico Satana si
guardò attorno: era in una stanza quadrata dalle pareti di un
arancione pallido, illuminata dalla luce fioca che filtrava da dietro
le tende marroncine di una finestra. Una scrivania con pc portatile
incastrata in un angolo, sovrastata da tre mensole cariche di libri,
e dal lato opposto il letto da cui era caduto. Si alzò in piedi e
barcollò fino alle ante specchiate dell’armadio accanto alla
porta. Il suo riflesso lo colpì. Non erano avvenuti cambiamenti nel
suo aspetto, a parte le orecchie tonde e il pigiama blu con pesci
ricamati che aveva indosso. Ciondolò verso la finestra, aprì le
tende, e la spalancò. Una strada caotica e trafficata lo accolse con
il suo frastuono assordante. Calcolò la distanza dal suolo. Quarto
piano, l’ultimo (a constatare dal tetto sopra di lui) di un
appartamento modesto. Davanti e a sinistra altri palazzi. A destra..
Satana rimase impietrito, le mani strette al davanzale, la testa
inclinata da un lato.
Alla sua destra era
visibile a un occhio non umano una parte di ciò che Satana ricostruì
con la memoria. Giganteggiava possente sullo sfondo del cielo la
cupola michelangiolesca, la cui tinta grigio-azzurra sfumava
raccordandosi alla volta celeste. Nascosti e inglobati nella città,
bracci semicircolari di colonne collegavano la piazza ellittica alla
basilica. Preceduta da una scalinata a tre ripiani, la facciata
bianca rifletteva la luce e la sacralità dell’edificio. La
monumentalità del complesso sembrava accogliere con un abbraccio
universale tutta l’umanità.
San Pietro, Roma. Satana
digrignò i denti. Qualcosa in lui lo spingeva a odiare quella città
e il dio che l’aveva rilegato in quella condizione ripugnante; ma
l’indifferenza che avvolgeva il suo cuore lo portò a rilassarsi.
Si voltò chiudendo la finestra e cercò un mezzo per capire cosa
dovesse fare. Frugò nella giacca appesa all’appendiabiti e vi
trovò un documento.
Carta d’identità:
Luciano Ferro.
Altezza: 1, 84 m.
Capelli: rossi.
Occhi: neri.
Segni particolari:
cicatrice sulla schiena.
Si
toccò le scapole, dove fino a un attimo prima c’erano state le sue
ali. Quello era il suo destino: una vita mortale, privata quasi per
intero dei suoi poteri. Dio aveva detto che non glie li avrebbe
sottratti tutti: quali gli erano rimasti?
Chiuse gli occhi e
interrogò il proprio corpo. Aveva appena compreso l’impossibilità
di volare. Si concentrò.
Magia elementare: il
palmo della sua mano rimase freddo. Uno in meno.
Magia mentale: non
recepì alcun pensiero degli umani sulla strada, né rammentò le
loro identità. Due in meno.
Magia evocativa: nessun
demonietto servitore apparve nella stanza. Tre in meno.
Forza fisica: il pugno
chiuso gli restituì un messaggio positivo. Sorrise e riaprì gli
occhi. Li trovò riflessi nello specchio. Capacità seduttiva, come
sempre, al cento per cento. Conclusione: non aveva perso le sue armi
migliori.
Decise di approfondire
la ricerca di informazioni: sapeva troppo poco del luogo in cui si
trovava. Uscì lentamente dalla stanza, visualizzando ogni indizio
che si presentava. Lo accolse un corridoio buio con delle porte
chiuse. Scelse di aprire quella che supponeva lo avrebbe condotto al
bagno. Le piastrelle azzurrine gli suggerirono che aveva indovinato.
Rimandò l’indagine a quando avesse riavuto un aspetto dignitoso,
senza quell’imbarazzante tenuta da notte. Si lavò frettolosamente,
rientrò in camera e aprì l’armadio. Rimase sorpreso di trovarlo
vuoto. Gli sarebbe piaciuto vestire qualcosa di elegante ed
eccentrico… ed ecco comparire dal nulla un completo verde
bottiglia. Oh, doveva trattarsi di un piccolo regalo di Sua Altezza
Celeste.
Ammirò per un attimo il
prodotto della propria vanità, ma ebbe un ripensamento. A giudicare
dalla quantità di libri nella stanza, era previsto che fosse uno
studente, perciò era più opportuno indossarne i panni. Si tolse il
pigiama e desiderò una maglietta bianca a maniche corte, una felpa
grigia e un paio di jeans scuri attillati. Si mise le scarpe da
ginnastica nere e un braccialetto d’acciaio. Meglio di una
boutique.
Una morsa allo stomaco e
la gola asciutta lo colsero alla sprovvista: non aveva mai provato
una sensazione simile. Prima di uscire dalla camera fece
materializzare una giacca e la agganciò all’appendino,
preparandosi ad ogni evenienza. Era confuso e pieno di domande.
Stavolta dalla fessura di una porta si intravedeva uno spiraglio di
luce. C’era qualcun altro?
Aprì con cautela,
pronto a qualsiasi...
«...sorpresa!» Una
cascata di ricci rossi lo assalì con un abbraccio. Il diavolo rimase
inebetito per una frazione di secondo, poi tuonò
minaccioso:«Lasciami, donna!»
«Tanti auguri,
figliolo!» ruggì un uomo alto e pienotto dai capelli
ingrigiti.
«Che vai blaterando,
vecchio?»
«Oh, cielo!» esclamò
la signora, sbattendo le ciglia infoltite dal mascara «Non ti sarai
dimenticato che oggi è il tuo compleanno?!»
Satana squadrò gli
umani da capo a piedi. Lei era una donna in vestaglia beige sulla
quarantina passata, gracile e minuta, il viso dolce e gentile; lui un
omaccione in pigiama a righe, che sfiorava la cinquantina, un po’
stempiato, con un cipiglio vagamente severo. La sincerità dei loro
sguardi, la semplicità delle loro parole, la naturalezza dei loro
gesti: non poteva più leggere nel pensiero, ma era sicuro che quei
due lo considerassero davvero suo figlio. Non avevano reagito
all’asprezza delle sue parole: sembrava normale routine. Decise di
assecondarli; cos’altro poteva fare?
«Sono solo un po’
frastornato da questa accoglienza mattutina.» abbozzò. La donna
emise un risolino acuto e lo fece accomodare a un tavolo tondo.
Davanti a lui c’era una piccola torta di cioccolato ricoperta di
panna. I suoi presunti genitori intonarono il “tanti auguri a
te”, poi Satana spense venti candeline con un soffio. Il suo
falso padre (chiamato dalla donna “Cesare”) tagliò tre fette di
torta e le mise nei piattini che la consorte (il suo nome era
“Giada”) gli porse. Satana impugnò la forchetta, prese un pezzo
di dolce, lo portò alla bocca e lo ingoiò. Il sapore era gradevole,
ma non fu quello a sorprenderlo: si accorse invece che lo stomaco
aveva allentato leggermente la stretta. Finì la sua fetta in pochi
bocconi e si sentì molto meglio. Era dunque fame quella sensazione?
E la gola secca? La associò alla sete e ne ebbe conferma provando a
bere un sorso di coca-cola. Fece il bis della torta, imitato da quei
genitori che gli avevano affibbiato, quindi accettò con precaria
gratitudine il loro regalo: un orologio da polso, che si allacciò al
braccio sinistro.
«Hai intenzione di
uscire oggi?» gli chiese la donna sparecchiando la tavola.
«Penso di sì.»
«Non fare tardi. Domani
mattina hai il corso alle otto, vero?
«Sì.» Di cosa stesse
parlando non aveva idea.
Cesare
intervenne:«Perché non esci con quel tuo compagno... Giorgio?»
«Giovanni!» lo
corresse Giada.
«Credo che lo farò.
Vado a mettermi la giacca.» Satana si diresse in camera.
Non
appena aprì la porta sentì che qualcosa era cambiato. Finse di non
accorgersene ed entrò. Tolse la giacca dall’appendino e la mise
indosso, dando le spalle all’armadio. Tirata su la lampo, disse
senza voltarsi:«Cosa vuoi, Michele?»
«Oh! Ti eri accorto di
me?» rispose una voce lieve e vaporosa. Satana girò su se stesso,
puntando i suoi occhi neri sul riflesso dello specchio. Come si
aspettava, al posto della sua immagine a restituirgli lo sguardo
c’era un angelo dai capelli lunghi e biondi, talmente splendenti da
sembrare raggi luminosi. I lineamenti erano molto effeminati; eppure
la sua bellezza sembrava rifulgere dallo specchio, in particolare
dagli occhi blu topazio. Una sottile armatura dorata gli copriva il
petto e una spada gli pendeva dalla tunica. Satana gettò uno sguardo
a quelle ali bianche ed enormi, le ali di un arcangelo: quelle degli
angeli ordinari erano molto più piccole. Inoltre, la maggior parte
degli angeli tramuti in diavoli le perdevano; solo Satana e
Sargatanas le avevano riacquistate dopo la trasformazione. E ora il
sovrano degli Inferi le aveva perdute per sempre.
«Ti ha mandato Lui?»
«Preferisco chiamarla
Lei, lo sai.»
«Credevo fosse Gabriele
l’uccello del malaugurio!»
Michele lo studiò in
silenzio «È curioso vederti in quelle vesti.»
«E allora? Vuoi
provocarmi o riferirmi il messaggio?»
«Chiedo venia. Non
intendevo essere scortese. Comunque, da questo momento tu sarai
Luciano Ferro, un ragazzo di ventidue anni appena compiuti che
frequenta il terzo anno di Storia, antropologia e religioni
all’università La Sapienza...»
«Che ne è stato dei
miei ricordi legati a questo mondo?» lo interruppe il diavolo «Non
rammento nulla a proposito delle persone intorno a me, eppure ne ho
tentato una buona parte.»
«Si tratta di un
inconveniente dovuto alla rinascita: a breve ti tornerà la memoria.
Un recupero che metterà in pericolo tutti gli umani con cui verrai a
contatto.» Michele contrasse la mascella, contrariato dalle proprie
conclusioni «Dicevo: essendo un tipo molto schivo, le tue conoscenze
si limitano ai tuoi genitori e al tuo compagno di corso Joe. Questo
dovrebbe semplificare la ricerca del tuo cammino.»
«“Joe”?»
«Giovanni Tordo. Non
chiamarlo col suo vero nome, lo detesta. Continuerai la vita che
tutti credono tu abbia condotto finora, ma la gestirai come
preferisci.»
«Tutto qui? Non ti
aspetterai che mi comporti come un umano! A che servirebbe? Non sarò
mai uno di loro.»
«La Signora ha fiducia
in te. Crede che tu possa tornare a essere Lucifero.»
«Ma tu no.» Era uno
scenario di pensieri piuttosto chiaro. Satana aveva inquadrato
l’angelo fin da subito.
Michele inasprì lo
sguardo «No, non penso che tu possa cambiare. Un demone rimane un
demone, fino alla morte. Chi ha scelto il male sporcandosi le mani
non può lavare via il sangue come se niente fosse.»
«Quindi non credi nel
perdono.»
«Soltanto del genere
umano: loro non sanno, non hanno le nostre conoscenze. Posso
concepire che abbiano comportamenti erronei. Ma noi angeli siamo gli
araldi celesti. Abbiamo poteri al di là di ogni creatura vivente e
perciò non possiamo permetterci di sbagliare. Non è plausibile.»
«Stai dicendo che siamo
esseri superiori?» fece Satana sorridendo.
«Saresti lieto di
portarmi al peccato, ma non affermerò mai di considerarmi migliore
di qualcuno: non cadrò nella superbia come hai fatto tu. Sto
cercando di comunicarti che le nostre doti sono un dono e che
dovremmo ritenerci fortunati a possederle. Essere un angelo significa
avere delle responsabilità: se la nostra forza non venisse adoperata
in modo corretto, le conseguenze sarebbero terribili. Se tutti gli
angeli si tramutassero in diavoli, sarebbe il caos. Ma immagino che
le mie parole siano inutili. Tu non puoi cambiare.»
«Se è così che la
pensi, perché non l’hai detto al tuo Dio?»
«Non ce n’è bisogno.
Ella conosce tutto di me. Sa che avrei preferito cancellarti, ma
rispetto la Sua scelta: anche se non credo in te, io credo in Lei.»
Il volto di Michele si distese e ogni traccia di ostilità scomparve.
«Questo è tutto. Ma, Satana... prima di andarmene posso farti una
domanda?»
Il diavolo lo assecondò
con un sorriso sincero:«Dimmi pure.»
«Perché tu hai
smesso di credere?»
«Io non ho mai smesso.»
Michele ne rimase colpito, ma si ricompose in fretta. Lo salutò con
un cenno del capo e scomparve dallo specchio, lasciando spazio al
riflesso di Satana. Era così: considerava ancora Dio suo Padre. Lo
stimava e lo teneva in alta considerazione, nonostante fossero
nemici. Sospirò, prendendo il mazzo di chiavi e imboccando il
corridoio.
«Salutami tanto Gigi!»
disse Cesare dalla cucina.
«Giovanni!»
strillò Giada.
Satana
scese le scale dell’edificio (non c’era un ascensore, e che
cavolo!) fino al piano dei garage. Su una delle chiavi era inciso il
numero quattro. Cercò il box corrispondente e lo aprì. Vi trovò
una Citroen C4 di colore grigio metallizzato (probabilmente
del suo falso padre), una bicicletta con la scritta “Giada” sul
manubrio e una Kawasaki VN900 Custom nera. Girò attorno alla
moto, studiandone la linea elegante e minacciosa al tempo stesso. Un
veicolo che gli assomigliava parecchio... Doveva ammettere che anche
gli umani sapevano realizzare cose interessanti; anche se lui vi
avrebbe aggiunto un “tocco” di stravaganza. Per l’essere umano
chiamato Luciano Ferro, però, andava più che bene. Si allacciò il
casco e salì sulla moto. Infilò le chiavi nella serratura e diede
gas.
Lo accolse il ruggito
del motore. Guidò il veicolo sulla strada e subito ebbe dei
ripensamenti. Il traffico della città non gli permetteva di
sfrecciare sull’asfalto, come gli sarebbe piaciuto. In quel
groviglio di macchine, semafori e pedoni incauti gli fu impossibile
lasciarsi andare e tralasciare la frustrazione per l’umiliante
condizione in cui si trovava. La vergogna in cui Lui l’aveva
incastrato. In breve si arrese al ritmo frenetico di Roma e abbandonò
la moto al primo parcheggio individuato (o ricavato spingendo qualche
macchina). Proseguì a piedi, vagando senza una direzione precisa.
L’aria fredda gli penetrava nelle ossa e lo faceva rabbrividire. Si
sarebbe mai abituato alle debolezze umane?
Si accorse dell’ora
tarda solo quando lo sorprese la fame. Guardò il suo orologio nuovo
di zecca: l’una passata. A quel punto poteva tornare a casa.
Sembrava la scelta più ragionevole, ma si bloccò alla vibrazione
nella tasca della giacca. Cercò la causa della musichetta che
riconobbe come “Dance with
the devil” dei Breaking
Benjamin: qualcuno aveva il senso
dell’umorismo. Prese il cellulare e rispose alla chiamata.
«Pronto?»
«Ehi, Lu!»
«... Joe?»
«No, sono Tonio
Cartonio... certo che sono io, sciocchino! Chi ti aspettavi? È tutta
la mattina che non rispondi ai miei messaggi, perciò te lo dico a
voce: buon compleanno!»
«Grazie.» C’era
qualcosa in quella voce che lo insospettiva.
«Che programmi hai per
oggi? Dove vuoi festeggiare? Volevo invitare anche Samuele, ma ha
detto che deve studiare...» emise un lungo sospiro. Satana alzò gli
occhi al cielo. Ecco cosa aveva di diverso: era omosessuale. Non era
una novità per il diavolo che era sempre stato, ma non sapeva come
comportarsi da umano. Come avrebbe dovuto rivolgersi a lui? Tentò di
sembrare a suo agio in quella conversazione.
«Come va con Sam?»
L’abbreviazione del nome funzionò.
«A gonfie vele! Te l’ho
detto che l’altro ieri sono stato a cena da lui?»
«Ehm...» Forse sì,
nei suoi ricordi distorti, ma non poteva saperlo.
«Eravamo al lume di
candela. Era tutto così romantico! Cucina benissimo ed è talmente
dolce... mi batteva forte il cuore quando mi ha chiesto...»
«Per favore, Joe, evita
i particolari.» lo interruppe Satana irrigidito.
«Ops, scusa.
Dimenticavo che sei diverso. Tornando a noi, cosa hai
intenzione di fare? Oggi è il tuo giorno!»
«Devo ancora mangiare,
per il resto mi va bene tutto.»
«Il solito noioso.
Dovresti avere più entusiasmo: oggi sei un anno più affascinante!
Neanch’io ho ancora pranzato; dove sei che ti raggiungo? Ho una
voglia matta di Mc Donald e visto che a te
“va bene tutto”…»
Satana valutò la sua
posizione e la distanza che aveva interposto fra sé e la
moto:«Preferirei che mi dicessi tu dove vederci.»
Al
fast food c’era un viavai continuo di gente. Mentre si avvicinava
all’ingresso, Satana cominciò a preoccuparsi: come avrebbe
riconosciuto Joe? La risposta arrivò quasi immediata: era
impossibile non notare il ragazzo biondo e robusto che si sbracciava
verso di lui. Ne osservò il bel viso mascolino e si convinse
dell’enorme perdita per il genere femminile. Niente a che vedere
con la sua figura, certo. Era impossibile competere con lui. Non
appena si era sfilato il casco, dal parcheggio al Mc Donald
aveva fatto strage di cuori. E non si era nemmeno impegnato.
«Eccoti qua! Spero che
tu non abbia incontrato l’ingorgo che mi sono sorbito io: guidare a
Roma è un inferno.»
«Sono stato più
fortunato.» Se avesse visto il vero inferno, allora? Scelse
di introdurre la conversazione con cortesia:«Ora che ricordo, il mio
vecchio ti saluta.»
Joe sorrise. Era più
basso di Satana e meno muscoloso, ma aveva un sorriso solare e
sincero che in qualche modo lo rendeva attraente. Proprio un peccato
per le donne.
«Che aspettiamo qui
impalati? Io non ci vedo più dalla fame!»
Si misero in fila per
ordinare il menu; Joe continuava a parlare di Sam, dilungandosi sui
suoi infiniti pregi, e Satana dovette ricordargli un paio di volte
che preferiva non sapere cosa avessero fatto quando “Sam lo
aveva spinto in camera da letto”. A quel punto Joe arrossiva e
si scusava asserendo: «Non avrei dovuto dirtelo. Di solito mi
vergogno... però da adesso non mi spingerò più tanto avanti!» E
invece continuava a farlo... anche se con evidente imbarazzo. A quel
ragazzo mancava un amico che non lo giudicasse, qualcuno con cui
confidarsi, e stava riponendo fiducia nella persona sbagliata.
Rimediato il pasto
(offerto da Satana in occasione del compleanno), si sedettero per
consumarlo. Nel frattempo Joe non stava zitto un secondo. Ogni tanto
si riavviava una ciocca di capelli dietro l’orecchio o gesticolava
animatamente. Satana comprese che a parlare con lui c’era una donna
costretta nel corpo di un uomo. La sua tendenza al pettegolezzo, i
movimenti aggraziati e la voce alterata ne erano segni evidenti.
Ritenne di aver ascoltato a sufficienza Joe, comportandosi da buon
amico: era il momento di interrogarlo sfruttando il suo piacere per
la chiacchiera.
«La prima volta che ti
ho visto non pensavo saremmo diventati amici.»
«Certo che no!»
confermò Joe «Quando ti ho chiesto indicazioni per l’aula sei
rimasto zitto a fissarmi, come se ti aspettassi qualcosa da me. Ho
pensato che fossi uno svitato: con quello sguardo truce mettevi
paura! Poi ti ho visto alla prova di verifica della conoscenze e ho
capito che dovevi essere solo nervoso. Dopo ti ho offerto una gomma e
ti sei scusato per non avermi risposto. Incredibile come da quel
momento abbiamo legato.»
Satana si limitò ad
annuire, nascondendo la sorpresa per quei ricordi falsi e vividi. Che
Luciano Ferro fosse un vero essere umano e lui ne avesse preso il
posto?
«Oh, direi che ti ho
fatto aspettare abbastanza.» disse Joe porgendogli il pacchetto che
teneva appoggiato sullo sgabello accanto a lui.
«Mi stavo giusto
chiedendo se il regalo non fosse per qualcun altro.» asserì il
diavolo scartandolo.
«Era solo un piccolo
scherzo.»
Satana tolse l’involucro
ed estrasse un libro dalla copertina sgargiante; era intitolato “Il
linguaggio del corpo - Segreti e bugie”. Ringraziò l’amico,
che spiegò il motivo della sua scelta:«Ti può essere d’aiuto in
quella cosa che fai sempre.»
«Cosa?»
«Osservare le persone.
Lo stai facendo anche adesso.»
Questa volta Satana non
riuscì a celare il proprio sgomento. Da quando era rinato in quella
forma si era impegnato ad analizzare il comportamento umano. Non
possedeva più la facoltà di leggere nel pensiero, così era
obbligato a studiare le espressioni del volto, il tono di voce, i
gesti del corpo. Era un procedimento duro e complicato che richiedeva
una particolare concentrazione, specialmente mentre sosteneva una
conversazione con il suo amico. L’esperienza millenaria lo
agevolava; aveva iniziato quasi a trovarlo divertente.
Si sentì vulnerabile
per essere stato scoperto, e comprese di dover adoperare una maggiore
cautela in presenza di Joe. Dopotutto lui era immune al magnetismo
demoniaco che rendeva Satana desiderabile dal punto di vista fisico e
psicologico. Se ne era reso conto da subito, e l’unico motivo
poteva essere che era una persona dai sentimenti molto puri. Una
rarità per la contemporanea società corrotta. Forse era per quello
che Dio l’aveva scelto come suo amico. Provò un lieve rispetto nei
suoi confronti… per quanto potesse goderne un essere inferiore come
un umano.
Ripresero la
chiacchierata, mentre Satana scopriva che il giorno successivo
avrebbero frequentato insieme le lezioni. L’università sarebbe
stato il prossimo banco di prova per intensificare la sua influenza
in quel mondo. Perché la sua sfida aveva avuto inizio prima ancora
che si rendesse conto dell’effetto sortito sul genere umano dalla
sua figura: anche in quelle condizioni lui, come gli altri angeli
decaduti, risvegliava negli uomini i sentimenti più nefasti. Gli
erano stati sottratti i poteri, e la sua vita era mortale, ma la
punizione inferta lo aveva smosso dalla noia degli ultimi secoli,
risvegliando in lui la passione per la battaglia contro il Bene. Ora
il Signore delle Tenebre avrebbe condotto personalmente all’inferno
gli sventurati che ne incrociavano lo sguardo. Con i suoi occhi neri
e profondi li avrebbe risucchiati nelle viscere della Terra e
condannati quali esseri inferiori e molesti.
Avrebbe perpetuato la
sua guerra contro Dio, allo scopo di cancellare dal mondo gli insetti
che lo insozzavano con la loro lordura. Per farlo gli bastava
condurre una vita umana, un’idea che lo avrebbe disgustato fino al
giorno prima e che adesso si stava dimostrando un’inaspettata
occasione.
Nulla avrebbe placato la
sete di sangue di Luciano Ferro.
(S)parla
con l’autrice
Dia dhaoibh,
lettori!
Eccoci al
secondo capitolo: che ne pensate? Vi aspettavate la sorte di Satana?
E le sue reazioni?
Avete domande?
Liberate le vostre opinioni!
Il
nome umano del diavolo l’ho scelto per assonanza con Lucifero, ma
credo ci siate arrivati subito ^_^
Forse vi
ha mandato in confusione l’uso dei pronomi nell’incontro
fra
Michele e Satana,
in
riferimento
a Dio. Non temete: c’è una spiegazione, non si tratta di un errore
di battitura.
Fate un
salto anche sulla mia pagina facebook: Parole
Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
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