Fragili

di Mconcy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Fragili

Capitolo 1






Sono passati due mesi.
Due mesi da quando abbiamo sparso le sue ceneri.
Due mesi da quando ho deciso che sarei andato avanti e che l'avrei fatto per lei.

Quello che è successo in questo breve periodo di tempo è stato davvero una boccata d'aria fresca per me, perché ora le cose vanno bene. Io sto bene. Nonostante non sia stato facile riprendere in mano la mia vita, io l'ho fatto. Ho dovuto ricostruirmi a piccoli pezzi, uno dopo l'altro.

Credo di essere fortunato, comunque.
Il lavoro mi tiene impegnato per la maggior parte della giornata. Johanna, che ora è il mio superiore, mi ha affidato l'incarico di sovrintendere ai lavori di ricostruzione dei vecchi quartieri disastrati della città. Ultimamente mi sto occupando delle abitazioni vicine alla palude. Oltre a seguire i lavori, che per quella zona consistono più che altro in restaurazioni interne e non in costruzioni vere e proprie, mi preoccupo anche di assegnare i nuovi nuclei abitativi alle famiglie provenienti dalla Periferia che hanno deciso di vivere in città.

Negli ultimi tempi i trasferimenti sono sempre più frequenti. In Periferia, infatti, la guerra non è ancora finita. Alcuni gruppi di ribelli GD non hanno intenzione di abbandonare le armi continuando a sostenere la necessità di una guerra e rendono la vita difficile sia al nostro corpo di polizia, sia agli abitanti che vorrebbero venire in città.

Christina lo sa meglio di me. Lei lavora in un ufficio che aiuta proprio queste persone. Spesso raggiunge il confine della città per prelevare i nuovi arrivati e portarli al Centro di Accoglienza, una struttura che abbiamo costruito apposta per loro qualche mese fa. È stata un'idea di Johanna.

Io e Christina stiamo insieme da poco più di un mese ormai. A volte mi stupisco di come siano andate a finire le cose. Ma io ci tengo a lei. Mi è stata vicina come nessun altro in questi anni perché in parte poteva capire il mio dolore. Mi ha visto piangere, mi ha visto perdere me stesso e mi ha visto lottare.
Ma è stata lei che mi ha aiutato a ritrovare la strada.
Anzi, l'abbiamo ritrovata insieme.

Non mi soffermo mai a fare paragoni. Christina non potrà mai essere come Tris, questa è una delle poche cose di cui sono assolutamente certo. Ma va bene così.
Christina è diversa. Christina è il mio tranquillante. La sua franchezza mi da stabilità, mi aiuta a rimanere connesso con la realtà.

Lo ripeto. Sono fortunato.

Sono fortunato ad avere un lavoro che mi distrae dai ricordi e dai pensieri distruttivi. Sono fortunato ad avere Christina, che mi ha aiutato e continua a farlo ogni giorno.

È pensando a questo che la chiamo. In questi giorni è stata impegnata al confine, ma questa sera tornerà in città. Io dovrò lavorare fino a tardi in ufficio, ma voglio comunque sentirla e dirle che domani potremmo vederci per pranzo.

Attendo che mi risponda guardandomi intorno. Il piccolo ufficio provvisorio in cui lavoro da qualche settimana si trova a due passi dalle abitazioni in via di ristrutturazione, vicino alla palude. Da qui posso controllare che i lavori di restauro e i trasferimenti procedano senza intoppi. È un po' piccolo, lo ammetto, ma c'è tutto quello che mi serve per lavorare. Spesso rimango qui a dormire grazie alla brandina che tiro fuori dal piccolo sgabuzzino. La finestra, poi, dà sulla palude.
Si intravede la ruota panoramica.

"Pronto?"
Christina ha risposto al telefono.
"Hei, Chris."
"Hei! Come va?" Mi chiede con tono leggero.
Ci penso un attimo.
"Sai, sto proprio bene." rispondo con sincerità. "E tu?"
Lei accenna una risata.
"Tutto procede. Quando torno ti devo raccontare una cosa! Non puoi capire che ridere oggi... I camion possono essere parecchio pericolosi per quelli della Periferia. Soprattutto quando..."
"Chris" la interrompo mentre mi spunta un sorriso. Potrebbe continuare a parlare al telefono per ore, ma devo lavorare stasera. "Torna presto"
Segue un momento di silenzio. Poi una risata, la sua.
"Si che torno presto. Tra mezz'ora parte il convoglio. Ci vediamo domani" dice con dolcezza, e so che anche lei ora sta sorridendo.
"Ci incontriamo a pranzo? Così mi racconti per bene." Propongo allungandomi all'indietro sulla sedia pieghevole.
"Certo! L'unica cosa è che dovresti venire a prendermi al Centro di Accoglienza. Domani ho il turno di mattina."
"Perfetto, ci vediamo lì."
"Buonanotte Quattro, non lavorare troppo, mi raccomando..." dice con voce divertita.
"Sai che lo farò..." la prendo in giro prima di darle la buonanotte e attaccare.

Christina è una dei pochi che riesce ancora a farmi sorridere un po'. Non è stato facile decidere di metterci insieme, anche se i nostri amici, Cara in particolare, ci hanno supportato molto. Forse ce lo aspettavamo entrambi, era prevedibile, ma inizialmente mi sentivo un traditore. Non potevo dimenticare Tris in quel modo, mi dicevo.
Però io avevo bisogno di Christina, come lei di me. Avevamo bisogno l'uno dell'altra per andare avanti. So che Tris avrebbe voluto che andassi avanti.
Avrebbe voluto che fossi felice.

Mi resi conto che non l'avrei mai dimenticata, era impossibile. Christina lo sapeva allora e lo sa anche adesso. Ci sosteniamo e ci aiutiamo non per dimenticare, ma per sopportare l'ombra di dolore che il passato proietta dentro di noi. Siamo due persone mutilate che si sostengono a vicenda.

Dalla finestra vedo il sole scomparire nella palude. Prendo un fascicolo dallo schedario alla mia destra e comincio a darmi da fare tra moduli, richieste e autorizzazioni. Tutte scartoffie che mi distraggono dai pensieri.
Eppure oggi sono sereno come non lo ero da tanto tempo. Sento che le cose possono davvero andare bene. Vedo una piccola luce di speranza all'orizzonte.

Sono passati due mesi. Ed io sono ancora qui.







EDIT 9/8/14
Mi è stato fatto notare che il carattere di alcuni capitoli era follemente piccolo... scusate, non sono molto pratica di html XD
Comunque, dopo aver passato qualche ora su un sito pieno di lezioni per usare il linguaggio html (precisando che ancora faccio schifo), ho deciso di provvedere e di modificare la grafica dei capitoli. Spero che i vostri occhi tornino normali XD
Un saluto

Mconcy


Date un'occhiata alle altre storie sulla mia pagina:
-"Invincibili", la raccolta di extra su "Fragili" dal punto di vista di Tris
-"And There She Was", one-shot a sé stante su Divergent
-"Fino a dieci", one-shot introspettiva sull'amicizia fatta di dialoghi al telefono

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Fragili

Capitolo 2






La mattina mi sveglio indolensito. È colpa della brandina, non è il massimo della comodità.  Guardo fuori dalla finestra sbattendo ripetutamente gli occhi e mi accorgo che il sole è più alto di quanto mi aspettassi. Mi sporgo fino ad arrivare alla scrivania e controllo il mio orologio: le 10:26. Ho dormito un sacco.

Rimango un attimo interdetto. Era da tempo che non dormivo fino a tardi. Negli ultimi tre anni mi sono sempre svegliato all'alba, puntualmente. Tra gli incubi e l'insonnia non dormivo mai più di 4 o 5 ore a notte.

Mi rendo conto non solo di aver dormito tante ore, ma anche di aver dormito benissimo. Una notte senza sogni. Una notte di tranquillità.

Mi alzo con comodo e mi preparo ad uscire. Oggi non lavoro, quindi ho tutto il tempo di passare a casa e farmi una doccia prima di andare a prendere Christina al Centro di Accoglienza. Prima di lasciare l'ufficio ripongo la branda nello sgabuzzino e sgranocchio una barretta ai cereali per placare il mio stomaco.

Raggiungo la macchina e mi dirigo a nord del fiume, dove si trova il mio appartamento ufficiale. Ufficiale perché in realtà passo molto più tempo in ufficio e al Centro di Accoglienza che a casa mia.

In compenso Evelyn ha trovato nel mio appartamento un ottima sistemazione provvisoria. Deve ancora trovarsi una casa tutta sua, ma nel frattempo mia madre vive da me. A me sta bene, è una buona occasione per continuare a conoscerci e approfondire il nostro rapporto. Ogni tanto mi sento in imbarazzo, un po' impacciato. Non so bene come ci si debba comportare con una madre, ma faccio del mio meglio.

Parcheggio nello spiazzo sotto casa e chiudo la macchina. Ormai possiamo permettercela tutti, qui a Chicago. Le strade sono state riparate, così come i semafori e i segnali. È stata ripristinata persino la metropolitana, anche se per ora si limita a coprire solamente il centro città. 

Quando finalmente entro nel mio appartamento trovo Evelyn impegnata a chiudere una delle sue valigie. 

"Vai da qualche parte?" chiedo incuriosito ancor prima di richiudermi la porta alle spalle.

Evelyn sussulta e si gira di scatto.

"Tobias, non ti avevo sentito" dice con un sospiro di sollievo. "Ho provato a chiamarti in ufficio un oretta fa, ma non mi hai risposto."

Mi avvicino togliendomi la giacca a vento leggera. 

"È successo qualcosa?" 

Lei mi guarda con un sorriso incerto.

"No, no. Niente di preoccupante." mi dice vedendo il velo di apprensione sul mio viso. "Volevo solo darti una bella notizia."

Mi massaggio il collo e la guardo per incitarla a proseguire.

"Beh, ecco... ho trovato un appartamento." dice cauta. "Cioè, è una bella notizia, no? Voglio dire, non mi trovo male qui, ma prima o poi dovevo lasciarti la tua privacy..."

Le metto una mano sul braccio fermandola da tutto quel gesticolare frenetico.

"Mamma. Va tutto bene, è una buona cosa." le sorrido il più rassicurante possibile. "Mi faceva piacere averti qui, ma sono contento che ti sia trovata un posto tutto tuo."

Lei sembra rilassarsi. 

"Infatti, hai ragione. È comunque non andrò lontano, l'appartamento è proprio a due passi dal Centro di Accoglienza." mi spiega con entusiasmo. "Posso traferirmi già domani."

Annuisco contento. Anche mia madre si sta inserendo nella nuova società. Sono due mesi che è tornata in città e ha già un lavoro. Ora anche una casa.

"Senti, mi faccio una doccia così più tardi vado a prendere Christina al Centro di Accoglienza." annuncio tranquillo.

"Va bene. Ci vediamo stasera a cena?"

Annuisco. "Potresti preparare anche per Chris? La volevo invitare..."

Lei mi sorride e mi risponde che non c'è problema. Così la lascio preparare le sue cose e vado a farmi una doccia calda.

Magari riuscirà ad alleviare un po' di dolore al collo.

 

 

Arrivo al Centro di Accoglienza che sono le 13:40. 

L'enorme struttura si sviluppa su due soli piani in altezza, ma si estende per molti isolati. Da fuori assomiglia ad una sorta di magazzino, ma in realtà è una struttura molto pratica.

Oltre ad avere numerose camere per il soggiorno provvosorio, tutte al piano superiore, il Centro dispone di un'ala ospedaliera dotata di sala operatoria. Chi viene dalla Periferia non è mai in ottime condizioni di salute, anzi, a volte sono piuttosto critiche. Al piano terra, quindi, oltre all'ambulatorio, si trova anche la grande mensa comune e gli uffici dei dipendenti. Spesso collaboro con loro per assegnare gli appartamenti ai nuovi arrivati.

Attraverso l'atrio salutando le poche persone che incontro e riconosco. Passo poi per la mensa che a quest'ora è sempre caotica. 

Alla fine arrivo a destinazione: la zona di carico e scarico merci e di accoglienza convogli. Si tratta di un'enorme garage nel quale si accede direttamente dall'esterno grazie ad una serie di grandi saracinesche, così da rendere le transizioni molto più facili. Il tetto coperto di finestre e le saracinesche di robusta plastica trasparente permettono di usufruire dell'illuminazione naturale per gran parte del giorno.

Christina è lì che mi aspetta. 

Appena mi vede lascia lo scatolone che stava trasportando e mi corre incontro buttandomi le braccia al collo con un sorriso. Rispondo all'abbraccio e accenno una risata che rimbomba nel garage.

"Bentornata" 

Lei si stacca di qualche centimetro dal mio petto e mi lascia un bacio a fior di labbra. 

"Ciao anche a te!" dice allegra. "Visto che ci sei, perché non mi aiuti a mettere in magazzino gli ultimi scatoloni così poi ce ne possiamo andare a pranzo?" 

Annuisco e la precedo verso il camion parcheggiato a qualche metro da noi.

"Com'è andata al confine?" le chiedo mentre afferro uno degli scatoloni più pesanti.

"Bene direi. Ieri sera abbiamo portato circa una ventina di persone, hanno riempito due camion. In più come vedi siamo riusciti a portare un po' di provviste dalle campagne e dai laboratori." 

Finisco di svuotare il camiom dell'ultima scatola imballata e mi scuoto la polvere dalle braccia e dalle mani.

"Ho visto che dieci dei nuovi arrivati hanno già un'assegnazione..." mi dice mentre usciamo dal garage e ripercorriamo a ritroso i vari corridoi.

"Si, Johanna mi ha chiesto di velocizzare le procedure. Non vuole lasciare per troppi giorni queste persone al Centro. A meno che non abbiano particolari necessità mediche, vuole che si stabiliscano subito nelle nuove case."

Christina ci pensa su un attimo. 

"Credo che sia una cosa giusta. Possono iniziare ad ambientarsi già da subito almeno. E poi il Centro è sovraffollato, accellerare le assegnazioni ci farà respirare un po'." si gira verso di me e sorride. 

Dopo poco sorrido anche io. Arriviamo in mensa che ci stiamo ancora guardando. Ci prendiamo per mano e attraversiamo la sala. 

La mensa è senza dubbio il locale più grande di tutto il Centro. Alle pareti laterali si trovano lunghi tavoli per il buffet, mentre al centro sono disposti una cinquantina di tavoli di varie dimensioni per le consumazioni. In mensa mangiano sia i nuovi arrivati che i dipendenti, ma non è raro trovare qualche intruso proveniente dai vicini laboratori di ricerca.

"Insomma, cos'era quella cosa esilarante che dovevi raccontarmi?" 

Alla mia domanda Christina si illumina e sul suo viso si fa strada un enorme sorriso divertito.

"Oh certo! Rido ancora adesso solo al pensiero! Allora, devi immaginare la scena! Ieri mattina all'alba stavamo facendo scendere un gruppo di persone della Provincia dai camion e uno di loro..."

Un fracasso improvviso interrompe il racconto di Christina. Ci giriamo entrambi di scatto verso la fonte del rumore. 

Davanti a noi, a circa 5 metri di distanza, mi accorgo che una ragazza ha fatto cadere un vassoio rovesciando tutto il cibo, ora sparso indistintamente sul pavimento.

Alzo gli occhi su di lei e il sangue mi si gela nelle vene. 

Tutto comincia a girare intorno a me, la gente, i tavoli, le voci. Tutto si mischia in un indefinito vortice di rumore e colori. 

Io quegli occhi li conosco bene. Io li conosco. 

Non è possibile. Non è possibile.

Cosa sta succedendo?

Anche Christina si è fermata e non parla più. Distinguo solo la pressione delle nostre mani ancora intrecciate. 

Non riesco a muovermi. Vedo solo quegli occhi che mi guardano a loro volta e intorno solo confusione. 

Nella mia testa vortica un solo pensiero, un nome. Non riesco a parlare, però. Ho la gola secca, il corpo rigido, gli occhi fissi nei suoi.

Un nome. 

Tris 

Tris

Tris

La voce non mi esce. Le cose girano. 

Ad un tratto qualcosa mi riporta alla realtà. 

Una spallata di un inserviente. Molto lentamente riesco a percepire l'ambiente intorno a me.

Interrompo il contatto con i suoi occhi e la guardo da cima a fondo. Ha la tuta dell'ambulatorio, quella del nostro Centro. Le mani sono pallide e ricoperte di lividi. Le bocca aperta in un espressione di stupore. Sembra più magra. Fragile.

I capelli biondi legati in una coda scomposta. 

Incontro di nuovo i suoi occhi e noto che anche lei mi sta osservando come ho fatto io. Mi guarda attentamente, come se fossi un miraggio. Guarda la mia mano intrecciata a quella di Christina e poi guarda lei con la stessa espressione di stupore che devo avere anche io.

Mi guarda ancora negli occhi.

È lei. È lei. Ne sono certo. Non è possibile ma dev'essere così. 

La testa ora mi pulsa incessantemente e sento che sto per svenire. 

Christina fa per lasciarmi la mano, ma io non glielo permetto. La stringo più forte ancora. Ho bisogno che mi tenga. Sento di poter sprofondare da un momento all'altro.

Cerco ancora una volta di dire il suo nome. Mi rimbomba nella testa ma non riesco a parlare. 

Christina fa un passo avanti e da voce ai miei pensieri. La voce incrinata, le mani tremanti. Non so quanto tempo sia passato da quando il vassoio è caduto. Anni forse. 

"Tris... ?"

Lei sussulta, poi guarda Christina negli occhi. 

"Sono..." la voce le si incrina, è quasi un sussurro. Accenna un colpo di tosse per schiarirsi la gola. "Sono io"

È la sua voce, è la sua, è la sua.

È Tris.

Se è possibile la testa riprende a girare ancora più di prima. Troppo rumore intorno a me, troppo poco ossigeno.

Sento le gambe molli. Guardo ancora una volta i suoi occhi.

Tris è viva.

E questa è l'ultima cosa che penso, prima che il buio mi avvolga.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Fragili

Capitolo 3






Al risveglio sento un dolore al collo. Di nuovo. 

Sbatto gli occhi velocemente per mettere a fuoco l'ambiente intorno a me. C'è tanta luce. Rumori ovattati.

La testa è pesante e la gola mi brucia un po'. Mi rendo conto di essere sdraiato in un letto.

Quest'ultima consapevolezza fa strada nella mia mente ad un'idea: ho sognato. 

 

Quella non era veramente... Tris. Era tutto un sogno, un lungo e confuso sogno. 

Me lo ripeto più volte ad occhi chiusi per convincermene. Dev'essere per forza così. 

Mi chiedo come mi sento ora che so di aver sognato. Sono contento? Sono sollevato? Non lo so.

Lei era lì, proprio lì. Sembrava così reale. I suoi occhi erano così veri, niente in confronto a come li ricordavo. 

Ma io ero lì con Christina. E le stringevo la mano. 

No, no, no. Quello era un sogno. Dormivo e basta.

Troppo caos, troppe domande. Il mal di testa mi distrae dai miei pensieri e, dopo qualche secondo, lo fa anche una voce.

"Quattro... ci sei?"

Per una frazione di secondo il mio cuore si illude di riconoscere la voce di Tris, ma il mio cervello lo riprende subito. Tris non mi avrebbe mai chiamato Quattro, non più. E poi Tris è morta, mi ripeto, è stato solo un sogno. Un sogno.

Apro gli occhi e trovo Christina. È seduta su una sedia vicino al mio letto e mi tiene una mano. Il suo sguardo preoccupato mi spinge a dare un'occhiata più attenta alla stanza in cui mi trovo. Sono nell'ala ospedaliera del Centro di Accoglienza. 

Il Centro di Accoglienza. 

La confusione mi scuote il cervello. Perché sono al Centro se stavo solo sognando? Perché Christina mi guarda con quello sguardo preoccupato? Perché sono così nervoso?

Qualcosa comincia a crescere dentro di me. Sono tante sensazioni: ansia, paura, speranza.

"Chris..." La voce mi esce rauca probabilmente per la gola secca che mi ritrovo. Ma io devo sapere. Devo chiederle cosa sta succendendo.

"Chris.." ritento dopo essermi schiarito la voce "era... lei?" 

Ho ancora paura a pronunciare il suo nome, come se dicendolo potessi svenire di nuovo, cadere ancora nel vortice di dolore che mi ha accompagnato per questi anni.

Christina evita il mio sguardo puntando il suo sul tavolino accanto al mio letto. 

"È meglio se bevi qualcosa..." dice con accondiscendenza lasciandomi la mano per afferrare un bicchiere. Io non glielo permetto. Riafferro velocemente il suo polso e la guardo dritta negli occhi.

La testa pulsa come non mai, ma mi costringo a rimanere concentrato. Voglio sapere se mi sono inventato tutto, se era solo un sogno oppure se quello che ho visto era davvero reale. Se lei è viva o no. Devo assolutamente sapere.

"Christina, ti prego."

"Quattro..." prova a dire, ma la interrompo prima che eviti di nuovo la mia domanda.

"Devo sapere. Ti prego, dimmi la verità... Era lei?" la voce mi si incrina un poco. 

Christina mi guarda in modo indecifrabile. Non so cosa stia pensando, cosa stia provando. Registro solo la sua risposta, due lettere.

"Sì"

Di nuovo tutto gira e tutto sembra cadermi addosso. Come è possibile? 

Tris

Era lei, lì nella mensa. La mia mente stava lottando violentemente col mio cuore. La parte razionale suggeriva che no, non era possibile. L'avevo vista al Dipartimento. Avevo sentito il freddo della sua pelle. Non respirava, era inerme. David le aveva sparato, punto. 

La mia parte emotiva stava letteralmente esplodendo. Quegli occhi erano i suoi. Quei capelli, quelle mani, quel corpo. L'avevo riconosciuta senza dubbi. 

La confusione aumentava di secondo in secondo, ma ora tutto quello che volevo fare era alzarmi ed uscire di lì. Dovevo stare da solo, pensare ad altro per permettere alla mia mente di tornare lucida.

Mi alzo senza dire una parola e ignoro le proteste di Christina. 

Devo.

Solo.

Uscire.

Mi fiondo fuori dalla porta e barcollo un po' per il corridoio. Ho ancora la testa che mi gira, ma non voglio farci caso. 

Christina mi rincorre e mi prende per un braccio costringendomi a guardarla.

"Ho avvertito Johanna. Sta venendo qui per farle alcune domande. Tu devi stare calmo, non puoi uscire in queste condizioni." Il suo tono è quasi duro, ferito. 

"Ho bisogno di stare da solo. Non voglio vedere nessuno..." biascico mentre la guardo e tento di farle capire. 

"Non vuoi..."

"No." So cosa stava per dire e no, non volevo vederla. Non ora. Non prima di essermi schiarito le idee.

Lei sospira e si passa una mano tra i capelli. 

"D'accordo, chiedo a qualcuno di riaccompagnarti."

Non so come, ma dopo un'oretta mi ritrovo nel mio ufficio. Non ricordo chi mi ha accompagnato e nemmeno come lo ha fatto. Tiro fuori nuovamente la brandina e mi ci sdraio ad occhi chiusi.

Non penso a nulla. 

 

 

Non so per quanto tempo sto fissando il soffitto. Ore credo. 

Mi sento più tranquillo adesso. Il panico e la confusione che sentivo prima, ora si sono affievoliti. Sto cercando di mantenere il respiro regolare, la mente lucida.

Ripenso a Tris e a quello che abbiamo passato insieme. Ripenso al quartier generale degli Intrepidi, al Pozzo, al ring di combattimento. Ripenso ai Pacifici, agli Eruditi e a Jeanine Matthews. Il Dipartimento, Uriah, Zeke, l'obitorio. Sono tutte immagini che riaffiorano nella mia testa. Avevo accantonato tutto questo, mi faceva solo soffrire. 

Ora non lo so. Se Tris è davvero viva, non so cosa pensare. Un'unica domanda mi tormenta:

Com'è possibile?

I miei pensieri vengono interrotti dallo scatto di una serratura e dal cigolio della porta d'ingresso. Mi alzo di getto rendendomi conto del sole ormai in procinto di tramontare.

"Tobias" La voce di Johanna mi giunge dolce e pacata. Alzo lo sguardo e incontro il suo volto attraversato dalla cicatrice.

Mi risiedo sulla brandina con un sospiro. Chi pensavo che fosse?

"Tutto bene?" mi chiede con gentilezza. Io annuisco, incapace di parlare. 

"Sono stata al Centro questo pomeriggio. Tu eri già uscito." dice dopo qualche minuto di silenzio. "Mi hanno chiamato e mi hanno raccontato cosa è successo." 

Mi guarda dispiaciuta. Sa che ho perso conoscenza e che sono scappato in stato confusionale. 

"Sono venuta per dirti che ho parlato con...lei" 

Questa frase mi fa alzare lo sguardo di scatto. Vedendo che non ho ancora intenzione di pronunciare parola Johanna continua tranquillamente.

"Volevo assicurarmi di persona che non fosse solo un malinteso. Quando ho capito che quella ragazza era davvero... Tris... le ho chiesto di spiegarmi cos'era successo." Osserva le mie reazioni e decide di continuare.

"Penso sia giusto che parli con lei per sapere i dettagli della cosa. Io ti dirò solo in generale quello che è successo." 

Fa qualche passo verso di me e si siede alla mia destra sulla branda. Curioso che ne lei, ne Christina hanno messo in dubbio il fatto che io voglia sapere cosa sia successo, che la voglia vedere. È vero, forse. Io voglio sapere cos' è successo, ma possibile che nessuno si renda conto che non sono ancora pronto a scoprirlo ora?

"Tobias. Da quello che mi ha raccontato e da quello che mi ha confermato il comandante dello squadrone che l'ha trovata, Tris è stata rinchiusa in una sorta di cella nella Periferia. Era in una palazzina diroccata, vicino al ex quartier generale di un gruppo di GD rivoltosi."

Mi sforzo di capire, di stare concentrato, ma è difficile far fermare le cose che cominciano a girarmi intorno. L'ufficio non si ferma. Ho ancora i giramenti.

Sembra sia questo l'effetto che il solo nominare Tris ha su di me. Dopo tre anni di immobilità, tutto gira.

"Quando lo squadrone ha fatto irruzione nel quartier generale ha trovato decine di persone rinchiuse in celle e ha cominciato a perlustrare anche gli altri palazzi lì intorno. Quando hanno trovato Tris era a malapena cosciente. A detta di Tris stavano facendo dei test su di lei."

Dei test? Per cosa? E poi Tris si è -quasi- sacrificata per loro. Non era loro nemica. 

I lividi. 

Era coperta di lividi.

Johanna deve aver letto la confusione nei miei occhi e riprende a parlare. 

"Tobias," sospira pesantemente "non voglio confonderti più di quanto lo sia ora e non voglio nemmeno costringerti a fare delle cose che non ti sentiresti di fare. Ma io ti consiglio di parlare con lei."

Mi tocca un braccio con fare amichevole.

"Era sconvolta. Ti aveva appena rivisto dopo tre anni. Sono riuscita a parlare con lei solo per poco tempo ed era molto confusa."

Annuisco al nulla, lo sguardo fisso fuori dalla finestra. 

Tris è qui.

Johanna si alza piano e poggia la mano sulla maniglia della porta. 

"Parlale domani. Farà bene ad entrambi." 

Mi schiarisco la voce. "D'accordo."

È già con un piede fuori dalla porta quando si gira e mi dice: "Ah, dimenticavo... ho detto ai ragazzi di occuparsi da soli dei nuovi che arrivano domani. Ci penseranno loro ad indirizzarli ai nuovi appartamenti. Tu prenditi un giorno per te."

Detto questo scompare dietro la porta lasciandomi solo e confuso.

Mi sdraio di nuovo e chiudo gli occhi. Ha ragione Johanna: ho bisogno di parlarle. Devo vederla di nuovo. 

Magari mi saprà dare delle risposte. Magari mi guarderà di nuovo, mi abbraccerà di nuovo. 

Mi addormento quasi subito, spossato da quella giornata così intensa. L'ultima cosa che vedo è il sole scomparire nella palude e la ruota panoramica avvolta da una luce arancione.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Fragili

Capitolo 4






Mi sveglio verso le 10:00. Sembra che in questi giorni tutto quello che ho fatto sia stato svegliarmi, svenire, risvegliarmi, dormire, svegliarmi ancora. 

Ho fatto strani sogni stanotte. Nemmeno li ricordo, ma la sensazione di pericolo, paura e confusione mi è rimasta sulla pelle. So bene perché li ho fatti. La ragione è una sola, una persona: Tris.

Johanna mi ha consigliato di parlarle e anche se è difficile voglio farlo. 

Non so di cosa ho paura esattamente. Forse mi sembra ancora tutto così irreale che mi aspetto di essere smentito da un minuto all'altro. Ho paura di constatare che in realtà quella non sia lei. Ho paura di illudermi, forse. Non voglio stare ancora male.

So anche che non posso nemmeno vivere col dubbio e quindi devo affrontare la situazione. 

Mi alzo in fretta, con una strana energia addosso. Ignoro la testa che fa ancora un po' male e mi dirigo alla macchinetta per farmi un caffè. Decido di andarmi a fare una doccia a casa e di tornare, poi, al Centro d'Accoglienza per parlare con lei. Con molta probabilità la troverò in ambulatorio. 

 

Finisco di mangiare uno dei muffin rimasti nel contenitore di vetro che ogni tre giorni rifornisco con i dolci di Dave, il fornaio che abita qui vicino. Prendo le chiavi ed esco dall'ufficio. 

Sono ancora di spalle intento a chiudere la porta a chiave quando sento un camion arrivare e parcheggiare nello spiazzo alle mie spalle. Devono essere i nuovi arrivati. 10 persone da quel che so. 

Johanna ha detto che i ragazzi, ovvero i miei aiutanti, si sarebbero preoccupati di mostrare le abitazioni al posto mio.

Osservo le persone scendere dal retro del furgone, alcune si guardano intorno incuriosite, altre diffidenti. C'è una famiglia di 3 persone che si tiene per mano e avanza cauta nel piazzale. 

Mi ricordo di come fu strano tornare in città e vivere senza fazioni. Mi sembrava mancasse un'organizzazione. Non avevo più una definizione. Qual'era il mio ruolo nella società?  

Col tempo, però, ho capito che in realtà era proprio quello il punto. Ero io a scegliere il mio ruolo, il mio posto nel mondo. E non avevo limiti per farlo. Niente più scelte obbligate e comportamenti imposti. Io decido di essere ciò che voglio essere.

 

Ora cosa sono?

 

Chiudo la porta dell'ufficio che dà direttamente sulla strada e cerco con lo sguardo la mia macchina. Ancora non ricordo chi mi ha accompagnato qui, ieri. Ha usato la mia macchina visto che è qui, ma non ho la minima idea di dove siano le chiavi.

"Ehi, Quattro!"

Uno dei ragazzi che lavora con me si avvicina correndo. Si chiama Thomas e ha più o meno la mia età. Non lo conosco bene, ma comunque ogni tanto scambiamo due chiacchiere.

"Ieri un tizio del Centro di Accoglienza ti ha riportato qui con la tua macchina e mi ha affidato le chiavi. Voleva che te le dessi appena ti fossi svegliato, quindi... eccole qui."

Mi porge il mazzo tintinnante di chiavi con un sorriso enorme. 

"Grazie Thomas"

"Di niente, Capo!" 

Sempre sorridendo, Thomas corre via verso la piccola folla di persone vicino al camion. 

Mi dirigo con calma alla macchina mentre i pensieri ricominciano ad affollare la mia mente. La doccia può aspettare, devo assolutamente vedere Tris.

 

Cosa le dirò?

Come mi dovrò comportare?

Come reagirà lei?

 

Sono queste le domande a cui cerco di dare una risposta mentre percorro le strade di Chigago in direzione del Centro. Sono queste le domande a cui non riesco a trovare risposta.

Entro sospirando nell'atrio del Centro di Accoglienza. La pressione che avverto sul petto è devastante. 

Mi avvicino alla reception con l'intenzione di chiedere informazioni sulla stanza di Tris, ma la ragazza dietro il bancone non mi dà il tempo di parlare.

"Ciao Tobias, ti stavo aspettando"

La ragazza mi rivolge un sorriso. Non la conosco bene, solo di vista, per cui mi limito ad un cenno della testa.

"Johanna mi ha avvertito del tuo arrivo. Cerchi una certa Tris, vero?"

Annuisco un po' disorientato. Tutti sanno quello che voglio. Tranne me.

La ragazza fruga in mezzo a decine di scartoffie e ne tira fuori un biglietto.

"Ecco. Settore ospedaliero, stanza 22"

Mi porge il foglietto spiegazzato.

"Grazie, me lo ricordo" rifiuto scuotendo il capo.

Lei sorride ancora e mi saluta con aria comprensiva.

 

Stanza 22. Settore ospedaliero.

Le mani mi sudano, la testa sembra piena d'acqua.

Sto per rivedere Tris.

 

Mi immetto nel lungo corridoio dell'ambulatorio e mi fermo davanti alla stanza 22. Metto una mano sulla maniglia e fisso la porta verde acqua davanti a me.

Un respiro. Due respiri.

Entro.

 

Spingo la porta di lato e do un'occhiata all'interno. Noto il letto sfatto, vuoto. Alcuni vestiti, forse una tuta del reparto ospedaliero, è gettata a terra in un angolo. Non c'è nessuno.

Delusione e sollievo combattono dentro di me per avere la meglio e tutto quello che riesco a fare è rimanere immobile sulla soglia, la mano ancorata alla maniglia della porta. 

 

Solo in quel momento mi rendo conto di una porta bianca sulla parete di sinistra. Me ne rendo conto perché si apre.

Da quello che deve essere il bagno ne esce Tris: capelli bagnati, pantaloni della tuta neri e canotta grigia.

Si friziona i capelli con un asciugamano e ha lo sguardo perso nel vuoto.

Involontariamente trattengo il respiro desiderando di sparire e, al tempo stesso, di farmi vedere da lei.

 

Quasi subito si accorge di non essere sola e la vedo sussultare dallo spavento. I suoi occhi si fissano nei miei, increduli. 

Ancora una volta la stanza comincia a girare lasciandomi i suoi occhi come unici punti fermi.

Ancora una volta tento di dire il suo nome, ma non riesco a far uscire quelle quattro lettere.

 

Restiamo a fissarci per minuti. Poi è lei a parlare per prima. L'emozione nella voce e negli occhi.

"Tobias"

 

Ed è in questo momento che sento qualcosa sciogliersi dentro di me. Sento allentarsi la morsa che attanaglia il mio cuore. Sento il sangue scorrere di nuovo nelle vene. 

Un pezzo di ghiaccio in mezzo al deserto, ecco cosa sono. 

 

Forse per questo motivo, non ne sono sicuro, decido di parlare anche io.

"Ciao"

Mi rendo conto della banalità della mia uscita, così continuo ad improvvisare.

"Tu... voglio dire... come stai?"

 

La vedo spostare freneticamente il peso da un piede all'altro prima di rispondermi.

"Sto bene, ora. E tu?"

"Io vado avanti."

Annuisce, palesemente a disagio. Mi rendo conto di stare ancora stringendo la maniglia della porta.

"Scusami," dice di scatto "entra pure. Perdonami il disordine, ma ero in doccia."

Mentre chiudo finalmente la porta dietro di me Tris raccatta i vestiti sporchi sul pavimento e li getta in un sacco. Poi mi fa cenno di sedermi su una sedia vicino al letto.

Faccio qualche passo incerto per raggiungere la sedia e mi lascio cadere, ancora intontito.

 

Sto davvero parlando con Tris.

 

Tris si siede di fronte a me, sulla branda che ha per letto. Si torce le mani e si sistema continuamente i capelli in un gesto di pura ansia. 

Sono in ansia anche io. Dopo tre anni durante i quali la credevo morta, eccomi seduto ad un metro da Tris. In questo momento i miei sentimenti, così come i miei pensieri, creano un vortice indistinto di sensazioni dentro di me. Voglio toccarla e sentire di nuovo la mia pelle a contatto con la sua, ma ho paura. Ho paura che nel momento in cui mi avvicinerò, lei evaporerà. Scomparirà così come è apparsa.

 

"Credo che tu voglia sapere cos'è successo..." inizia lei guardandomi con occhi lucidi. La voce le trema e sembra sul punto di cedere ad ogni sillaba. 

Guardo le sue mani intrecciarsi tra di loro per poi sciogliersi di nuovo. Sono coperte di lividi, come le braccia e ogni centimetro di pelle scoperta che riesco a vedere.

 

Cosa ti hanno fatto, Tris?

 

Non so perché e nemmeno con quale forza, ma all'improvviso allungo una mano e prendo una delle sue. Un respiro spezzato anticipa un tremito che percepisco chiaramente sulla sua pelle.

Sento un calore irradiare prima il mio braccio, poi il mio petto, infine tutto il corpo. Il contatto con la sua pelle mi dà un'energia tutta nuova che mi spinge a prenderle anche l'altra mano. Sfioro con delicatezza e attenzione i suoi lividi cercando stupidamente di alleviare le sue sofferenze solo con questo gesto.

 

Alzo piano lo sguardo col cuore a mille. Trovo un paio di occhi lucidi di lacrime fissarmi con intensità.

Finalmente riesco a dire quello che avevo incastrato in gola da quando l'ho incontrata, nella mensa del Centro.

 

"Tris"

 

Non so di preciso cosa sia successo dopo. So solo che ci siamo mossi entrambi, spinti dalla stessa voglia di sentire l'uno la pelle dell'altro. Ci siamo ritrovati lì, tra il letto e la sedia, stretti in un abbraccio frenetico e senza tempo.

Niente domande, niente ansie a dividerci. Solo io e lei, due esseri resi fragili dal dolore.

E tanto vuoto da colmare.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Fragili

Capitolo 5






Un'eternità più tardi ci ritroviamo uno vicino all'altra, spalle al muro. La sua testa abbandonata sulla mia spalla, le nostre mani perennemente intrecciate.

Non abbiamo più parlato. Solo il rumore dei singhiozzi e dei sospiri ha spezzato il silenzio asettico della stanza.
Ora quello che sento è un gran senso di pace. Sono rilassato, tranquillo. Sono come svuotato, ma nello stesso tempo riempito. Sono leggero eppure presente.
È una consapevolezza strana. Forse è quella che deriva dal tornare a respirare, a vivere.

Tris alza la testa dalla mia spalla e mi guarda. Osserva il profilo del mio volto, i miei capelli. Poi torna sui miei occhi e appoggia la testa al muro. "Mi sono svegliata in una stanza, tre anni fa."
È così che inizia il suo discorso.

Aggrotto le ciglia, immediatamente attento alle sue parole.
"Intendo dopo quello che è successo al Dipartimento." continua lei distogliendo lo sguardo. "Non c'erano finestre, solo due brande consunte e una porta d'acciaio sempre chiusa."

Mi stringe poco la mano, forse per cercare il coraggio di continuare. Non credo di poterle essere di aiuto ora. Sono terrorizzato da quello che potrebbe dirmi.

"Mi venivano a prendere quasi ogni giorno. Persone con i volti coperti, sia donne che uomini a giudicare dalla corporatura. Mi portavano in un'altra stanza quasi uguale alla mia cella e mi legavano ad un letto. Poi cominciavano... ad iniettarmi dei sieri."
Alza lo sguardo su di me e riesco a riconoscere la vecchia Tris. Quello sguardo determinato appartiene solo a lei. So che sta per raccontare una parte dolorosa e che vuole essere forte. Coraggiosa.

"Mi provocavano diverse reazioni. Alcuni mi davano fortissime allucinazioni, altri fortissimi dolori. Nella maggior parte dei casi, comunque, svenivo dalla sofferenza e mi risvegliavo di nuovo nella mia cella."
Deglutisco a fatica.

Quanto hai sofferto, Tris?

Mi sento impotente di fronte a quello che ha passato, tanto che mi ritrovo a dover abbassare lo sguardo. Questo però non basta a cancellare l'immagine dei lividi sulle sue braccia.
Lei continua con voce ferma ma piatta.

"Mi picchiavano piuttosto spesso e non so il perchè. Non parlavano quasi mai, tantomeno facevano domande. In realtà tutto quello che ricordo di questi tre anni sono episodi di questo tipo."
Prende un respiro. Sembra combattuta. Apre la bocca per dire qualcosa, ma poi evidentemente cambia idea richiudendola e scuotendo la testa.
Non mi lascia il tempo di chiedere.

"Una settimana fa uno squadrone del corpo di polizia di Chicago è riuscito a penetrare nel quartier generale dei GD ribelli che tenevano rinchiusa me e altre persone. Sembra che la palazzina fosse stata abbandonata già da qualche ora, per cui non hanno trovato nessuna resistenza. Questo mi è stato raccontato qualche giorno fa, visto che ero semi-incosciente quando mi hanno trovato."
Tremo un po' prima di riuscire a parlare. Sento che devo giustificarmi in qualche modo. Uno strano senso di colpa si diffonde nelle ossa.
Devo spiegarle

"Io ti ho vista. Nell'obitorio del Dipartimento. Eri... fredda e immobile."
Sento una leggera pressione schiacciarmi i polmoni, succese sempre quando ricordo quel giorno.
Ora sono io a stringere la sua mano.

"Ci hanno dato le tue ceneri... Voglio dire, è evidente che non fossero le tue, ma... Cioè..."
Mi sto incartando da solo.
Tris mi guarda con attenzione facendomi sentire totalmente vulnerabile. Lei mi conosce, forse meglio di me stesso. Lei sa che ho sofferto. Vede che ho sofferto.

"Sono stati tre anni terribili. Il primo soprattutto. Mi sentivo talmente solo e perso."
Fisso la porta del bagno in cerca di qualche parola giusta da usare per dire quello che sto per dire, ma non credo ci sia. Così la dico e basta.

"Christina è quella che mi è stata più vicina in questo periodo di tempo. Era la mia spalla, il mio punto di riferimento."
Sento Tris irrigidirsi e la capisco. Ha visto che ci tenevamo per mano in mensa.

"Noi... Cioè... Noi due..."
"Voi state insieme, ora. Vero?"
Completa la frase per me con una strana nota nella voce. Non riesco ad identificarla. Dolore? Delusione? Rassegnazione?
Annuisco piano.

"L'ho capito quando vi ho visto in mensa, ieri." accenna un pallido sorriso e ritira lentamente la sua mano dalla mia.
È a disagio.
Tris è a disagio con me.

"Sono contenta che tu sia andato avanti, devi sapere che non te ne faccio una colpa." continua lei con un po' di impaccio. "Sono contenta che vi siate aiutati a vicenda. Ho pensato tanto a voi mentre ero rinchiusa e ho sperato con tutta me stessa che foste felici. Davvero."
Mi guarda negli occhi con determinazione. Nelle sue iridi vedo sfumature di dolore e non riesco a sopportarlo, non posso vederla stare male. Questa volta, inoltre, sono io la causa.
Le riprendo la mano e la guardo serio. Anche se solo per pochi secondi di lontananza, mi è mancato il contatto con la sua pelle.

"Tris..." prendo un respiro. "Io..." Probabilmente non saprò mai cosa avrei detto a Tris se avessi avuto la possibilità di continuare il discorso. Stavo parlando d'impulso, senza pensare più di tanto.

Ma la porta sul corridoio si è aperta esattamente in quell'istante, stroncando sul nascere le parole che stavo per pronunciare.
Un medico alto e robusto fa il suo ingresso nella stanza, seguito da un'infermiera bassina e cicciottella.
Io e Tris ci alziamo in piedi con una certa fretta guadagnando un'occhiata perplessa dei due medici.

"Signorina Prior... Buongiorno. Come si sente oggi?" chiede l'uomo senza nemmeno guardarci. È tutto preso dalla cartellina che tiene tra le mani.

"Molto meglio." è la risposta di Tris.
"Dobbiamo fare gli ultimi accertamenti e provvedere alle ultime medicazioni. Più tardi potremmo dirle se è pronta o meno ad uscire di qui." Il medico mi lancia uno sguardo eloquente. Devo andarmene.
Guardo Tris un'ultima volta mentre l'infermiera corpulenta mi sospinge verso il corridoio. Abbiamo ancora tante cose da dirci, troppe spiegazioni da dare.

Prima che la porta mi venga chiusa in faccia Tris mi dice:
"Devo parlare un'altra volta con Johanna. Ci vediamo."

E poi più nulla. Il verde acqua della porta occupa tutto il mio campo visivo. Mi sento senza scopo ora. Vago per il corridoio ripensando a Tris e a quello che ci siamo detti.
Sono confuso da morire. Nessuno sa cosa le sia successo al Dipartimento, nessuno sa il perchè del suo rapimento. Nessuno sa cosa succederà d'ora in poi.

Risalgo in macchina ripensando a quello che Tris ha detto riguardo a Christina. È contenta che sia andato avanti. É contenta che io sia felice.

Sono felice?

Poggio la fronte sul volante, incapace di dare un ordine ai miei pensieri. Ora come ora voglio solo scappare da qualche parte e non farmi più vedere.
Con un sospiro mi raddrizzo sul sedile e metto in moto la macchina. Mi viene in mente un solo posto dove dovrei essere ora. Ho un dovere nei confronti di una persona. E anche delle responsabilità.
Percorro le tortuose strade di Chicago fino a quando non lo vedo stagliarsi nel cielo, possente e imperturbabile.

L'Hancock.






NOTE FINALI: 

Salve a tutti! Volevo rubare un po' di pixel per ringraziare tutti voi che state seguendo la storia. Il primo capitolo ha superato le 100 visualizzazioni e sono davvero piacevolmente sorpresa! 
Grazie anche a tutti quelli che hanno recensito e che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite.
Un saluto!

Mconcy

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Fragili

Capitolo 6






Gli ultimi piani dell'Hancock sono stati ristrutturati due anni fa. Il tetto è stato riparato solo da qualche mese e ora al posto della voragine è stata sistemata un scala a chiocciola che porta direttamente ad una porta sull'esterno.
Il cavo della zip-line è ancora al suo posto, ma chiaramente le imbracature sono state tolte per evitare altre azioni spericolate.
La nuova società ci tiene alla vita di noi cittadini, dicono.

Negli ultimi due mesi, quando mi trovavo nei pressi dell'Hancock pensavo a quell'ultima volta sulla zip-line. Le ceneri di Tris sparse nel vento e i volti commossi ma sorridenti dei miei amici.
Ora, mentre percorro l'atrio silenzioso dell'immenso grattacielo, l'unica cosa a cui penso è l'assurdità di quel ricordo.
Abbiamo celebrato qualcosa che ancora non era scomparso. Abbiamo sparso nell'aria qualcosa che, con molta probabilità, era semplicemente polvere.

Bugie su bugie. È sempre stato così. A partire dal sistema delle fazioni e dal motivo per cui necessitavamo di una recinzione fino alle ragioni delle azioni del Dipartimento. E anche oltre. La morte di Tris, la fine della guerra, l'uguaglianza tra Geneticamente Puri e Geneticamente Danneggiati. Tutte bugie.

Stranamente mi viene da ridere. È una risata nervosa e un po' inquietante che riempie l'ascensore mentre raggiunge gli ultimi piani dell'Hancock.

Purtroppo però non c'è molto di divertente in questa storia. Me ne rendo conto quando le porte dell'ascensore si aprono su un corridoio, portandomi a pochi metri dalla persona con cui devo parlare.
La realtà delle cose si abbatte su di me come un macigno facendomi perdere immediatamente il sorriso.

Il corridoio davanti a me presenta due porte, una davanti all'altra. La prima conduce all'appartamento di Zeke e Shauna. L'altra a quello di Christina. Oltre a loro, qui all'Hancock si sono trasferiti anche George e Amar, ma ad un piano differente.

Muovo qualche passo in direzione della seconda porta, quella di Chris. Busso quattro volte.
Non ho preparato nessun discorso. Voglio solo parlare con lei di questa situazione. Sono talmente confuso che anche solo provare ad organizzare nella mia mente qualcosa da dire richiede uno sforzo eccessivo.
Mi conviene affidarmi all'istinto, anche se non ha sempre funzionato come si deve.

"Chris non c'è"

Una voce familiare mi fa sussultare. Mi volto e trovo Zeke affacciato alla sua porta, un sorriso rassicurante sul viso.

"Dov'è?" chiedo perplesso.
Zeke si stringe nelle spalle.

"È partita stamattina col convoglio delle 7:00. Altri profughi della Periferia da portare in città."
Mi avvicino a lui ancora confuso.

"Non mi aveva detto che doveva lavorare..."
"Sì, beh, si è offerta volontaria all'ultimo minuto. Sembrava essere con la testa su un altro mondo."
Già, un mondo dove i morti tornano a vivere.

"Hei Quattto, non ci pensare, le donne sono fatte così! Essere lunatiche fa parte della loro natura..."
Un sorriso sghembo gli attraversa il volto.

"Zeke! Guarda che ti ho sentito!"
Riconosco la voce di Shauna proveniente dall'interno dell'appartamento. Zeke ride di gusto.

"Vieni, Quattro, perché non pranzi con noi? Come vedi Shauna è di ottimo umore oggi..."
Accetto volentieri l'invito di Zeke ed entro nell'appartamento.

La casa di Shauna e Zeke è parecchio disordinata. Il problema è che Shauna non ha ancora il pieno controllo delle sue gambe, nonostante i tutori le permettano di camminare abbastanza agevolmente. Zeke sicuramente non contribuisce a tenere in ordine l'appartamento. Il risultato è un salone che sembra appena uscito da una guerra, così come tutte le altre stanze eccetto la cucina, unico spazio interamente gestito da Shauna e quindi ordinato e pulito.

Appena metto piede in cucina Shauna mi abbraccia e mi saluta con entusiasmo.
"Quattro! È un po' di tempo che non ci vediamo! Come stai?"
Non sapendo cosa rispondere eludo la domanda.
"Come stai tu? Mi sembri in forma!"

Lei arrossisce appena e mi guarda con un enorme sorriso.
"I tutori funzionano benissimo. Certo, ancora non ho riacquistato la piena mobilità delle gambe, ma come vedi sto in piedi e cammino. Per me già è tantissimo."

Le sorrido sinceramente contento. Se lo merita davvero. È una brava ragazza e come tutti noi ha sofferto a causa della ribellione.
Zeke interviene in quel momento.
"Ho invitato Quattro a pranzo, l'ho trovato tutto solo qui fuori... c'è un posticino anche per lui?"

Shauna annuisce felice e ci fa accomodare al tavolo del salone. Poco dopo ci riempie i piatti con delle bistecche grigliate e sistema varie altre pietanze al centro tavola.

"Insomma, come ti va il lavoro, Quattro?" domanda Shauna dopo qualche minuto di silenzio.

"Bene, direi. I lavori proseguono spediti e quasi ogni giorno accogliamo nuove persone."
Zeke sbuffa platealmente, ma senza alzare lo sguardo dal piatto.
"Saresti perfetto per il corpo di polizia, Quattro. Lo dico per te, fratello. A stare in un ufficio ci si annoia da morire..."
Sorrido amaramente e inchiodo lo sguardo alla bistecca.

"No, grazie. Con quelle cose ho chiuso. Non ero poi così tanto responsabile come credevo."
Un silenzio imbarazzato cala su di noi.

La faccenda di Uriah è ancora una ferita per Zeke. Rimarginata, certo, ma pur sempre presente sotto forma di cicatrice. Zeke mi ha perdonato tanto tempo fa e di questo gliene sono grato. Si è dimostratodimostrato un vero amico, al contrario mio che ho ucciso suo fratello per uno stupido piano.
Di solito non ne parliamo apertamente. Siamo ancora amici, ma quella vicenda peserà per sempre sul nostro rapporto.

È Shauna a rompere il silenzio e ad alleggerire l'atmosfera.
"Lascialo stare, Quattro. Zeke non riesce a stare lontano dall'azione nemmemo per un minuto. Orgoglio maschile suppongo."
Accenna una risata seguita poi a ruota dal diretto interessato.

"Intrepido una volta, intrepido per sempre!" dice con orgoglio. Il sorriso ricompare sul suo viso e io riprendo a respirare.

"A proposito di lavoro, oggi non avevi niente da fare? Che ci fai da queste parti?" mi chiede il mio amico addentando un altro boccone.

"Johanna mi ha dato una giornata libera. Ero venuto a parlare con Christina, non sapevo fosse partita."
Mi rabbuio quasi subito e i miei amici se ne accorgono.

"Quattro," inizia Shauna. "C'è qualcosa che non va?"
Zeke si unisce a lei poco dopo.
"È per Christina? Ci sono dei problemi?"

Lascio passare qualche secondo, poi sgancio la bomba.

"Tris è tornata."
Due facce attonite mi fissano con insistenza.

"In che senso?" domanda Zeke molto confuso dopo qualche secondo.

Cerco di trovare una risposta sensata, ma è impossibile visto che tutta questa faccenda è totalmente assurda.
"Nel senso che è qui, a Chicago. E non è mai morta."
Se dovessi utilizzare un solo aggettivo per descrivere le loro facce in questo momento sceglierei "basite".
Mi guardando entrambi come se fossi pazzo, così inizio a raccontare loro tutto quello che è successo, dall'incontro in mensa fino alla chiacchierata di un'oretta fa.

"Nemmeno lei sa bene cosa sia successo e tanto meno perché. Parlerà con Johanna e si farà spiegare alcune cose, suppongo. Ora come ora è tutto quello che so." concludo io riportando l'attenzione sul piatto semi vuoto davanti a me.

L'ora successiva la passo a rispondere alle loro domande su come mi sento e cosa ho provato rivedendola. Non sono riuscita a rispondere a tutte, ma Zeke e Shauna si sono dimostrati comprensivi e hanno tentato di distrarmi cambiando argomento e facendo qualche battuta fra loro.

Così, dopo un lungo abbraccio da parte di Shauna, Zeke mi accompagna alla porta per lasciarmi tornare a casa.
"Cos'hai intenzione di fare con Christina?" mi chiede serio una volta in corridoio.
"Non lo so, Zeke, sono così confuso. Ho bisogno di parlarle assolutamente."
Lui annuisce concentrato.

"Quattro, ti parlo da fratello, lo sai. Io voglio bene a Tris, ma voglio bene anche a Christina e non voglio che soffra ancora. Ne ha passate tante anche lei e non si merita altre delusioni."
"Lo so, hai ragione."
"Pensa bene a quello che fai e cerca di non ferirla. In questi tre anni vi siete sostenuti a vicenda e vi siete dati la forza di andare avanti. Non dimenticarlo."

Sospiro e lo guardo con gratitudine. Lui mi sorride leggermente e mi posa una mano sulla spalla infondendomi coraggio.

"Non lo farò."

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Fragili

Capitolo 7






Alla fine non sono riuscito ad incontrare Christina, e non perchè i miei tentativi di chiamarla e dirle di raggiungermi per parlare siano stati pochi.

In realtà al telefono non mi ha mai risposto e a casa è tornata soltanto stamattina. A quel punto, comunque, avevo già ricevuto una chiamata da parte di Johanna, che mi esortava a raggiungerla in ufficio per discutere di una questione importante, molto importante.

Così mi sono fatto una doccia e sono uscito alla volta del palazzo del governo, un nuovo edificio nei pressi dell'ex quartiere degli Eruditi, lasciandomi momentaneamente alle spalle la faccenda Christina.

Ma ora, mentre l'ascensore mi trasporta fino al quinto piano mi fermo a pensare a quante cose siano successe in così pochi giorni. La ricomparsa di una sola persona mi ha mandato letteralmente nel panico. La confusione, ormai compagna inseparabile, è riuscita a dissolvere in un battito di ciglia lo scudo di pace che mi ero costruito con tanti sforzi in tre anni, lasciando spazio ad un uragano di emozioni che porta un solo nome: Tris.

Mi chiedo cosa dovrei fare con Chris. Non posso lasciarla, abbandonarla a se stessa. Non sarebbe giusto. Lei c'è stata per me quando più ne avevo bisogno. Ora, se me andassi, la distruggerei.

Ma anche Tris ha sofferto. Non posso nemmeno immaginare cosa ha dovuto sopportare in questi anni.
Come posso far finta di niente?

È difficile prendere delle decisioni in merito, ci sono troppe cose in ballo.

Le porte dell'ascensore si aprono con uno scampanellio su un corridoio luminoso. Avanzo sicuro verso la porta in fondo ad esso, la sala riunioni, ed entro nella stanza cercando di ricacciare i pensieri in un angolino della mia mente.
Johanna non mi ha detto di cosa si trattava, suppongo di lavoro.

Ma quello che trovo una volta dentro mi paralizza: ci sono quasi tutti.

Vedo Johanna, intenta a parlare con Zeke di fronte ad uno schermo sulla parete in fondo. Christina è in un angolo, con lo sguardo puntato su qualcosa dall'altra parte della stanza. Seguo il suo sguardo e noto che quel qualcosa è Tris, evidentemente a disagio, che parla con due stupite Shauna e Cara, impegnate a toccarla di continuo come ad accertarsi che non sia un miraggio.

Nel momento in cui metto piede nella stanza sei paia di occhi mi scrutano di scatto, chi comprensivo, chi preoccupato, chi indecifrabile.

"Che succede qui?" chiedo rivolto soprattutto a Johanna.

Gli oggetti dei miei pensieri mi si sono materializzati davanti.

"Ciao Quattro, sei arrivato! Bene, ora possiamo iniziare..."
Johanna si esibisce in un tiratissimo sorriso di circostanza che peró non smorza la mia rabbia.
Detesto essere tenuto all'oscuro delle cose.

"Iniziare cosa, esattamente?"
La mia voce suona tagliente. Johanna si schiarisce la gola mentre gli altri ammutoliscono.

"Dobbiamo parlare tutti insieme di una questione importante. Vi prego, sedetevi, così posso spiegare il perchè della vostra convocazione." La sua voce è più autoritaria, ora. Vedo, infatti, le persone intorno a me muoversi per cercare un posto.

Mi siedo ad uno degli estremi del lungo tavolo di vetro dopo una leggera esitazione. Davanti a me, qualche metro più in là, all'altro estremo del tavolo, siede Johanna affiancata a destra da Zeke e più al centro da Shauna. Chris mi si siede accanto, mentre sulla sinistra rimangono Cara -più vicina al mio estremo del tavolo- e Tris.

Sono piuttosto confuso. Cosa ci facciamo tutti qui?

Sembrano tutti molto allegri, probabilmente per aver rivisto Tris.

Tutti tranne Christina. La vedo pensierosa e ansiosa. Lancia occhiate preoccupate a Tris, per poi abbassare lo sguardo sul tavolo quasi con fare colpevole.

Non mi guarda negli occhi nonostante io la stia guardando, così allungo una mano sotto il tavolo e afferro la sua. Lei sussulta e mi lancia uno strano sguardo confuso.
Continuo a fissarla per un po', cercando di calmarla e di calmarmi, come è sempre success in questi tre anni quando ci stringevamo le mani, fino a quando non sento un calore improvviso sul collo.
Di punto in bianco mi sento a disagio e riesco a capire perchè. È lo sguardo bruciante di Tris.
Lo colgo solo per un istante, girandomi in fretta verso di lei. Prima che si volti improvvisamente verso Johanna riesco a vedere il dolore nei suoi occhi. Un dolore talmente intenso da bruciarmi la pelle a distanza.

Lascio la mano di Christina cercando di dissimulare il disagio che mi avvolge e mi sistemo meglio sulla sedia.
La situazione non mi piace. Johanna ha in mente qualcosa e in più questa cosa coinvolge me, Christina e Tris.
Male, molto male.

"Bene, benvenuti a questa piccola riunione. Vi ringrazio per essere venuti." Johanna si alza in piedi e poggia una mano sulla spalla di Tris.

"Andrò subito al sodo... Tutti quanti avete avuto modo di salutare Tris. Nessuno di noi si sarebbe mai aspettato una cosa del genere, ma siamo comunque contenti di riaverla fra noi."
Le sorride incoraggiante e prosegue il suo discorso.

"È chiaro che la sua ricomparsa ci ha lasciato tutti senza parole. Siamo molto confusi, perchè quella che credevamo essere una situazione irreversibile, ovvero la sua morte, si è dimostrata... una farsa."

Continuo a non capire dove voglia arrivare. Lo sappiamo tutti di essere confusi e attoniti di fronte a Tris che "torna alla vita". Cosa serve ricordarlo?
Mi sto innervosendo.

"Per farla breve, Tris mi ha chiesto aiuto. Nemmeno lei è a conoscenza di tutti i dettagli della storia, ma vorrebbe sapere. Vuole sapere cos'è realmente successo tre anni fa e vuole anche capirne il perchè."

Ci guarda uno ad uno, facendo una pausa ad effetto.
Mi rendo conto che il sangue non affluisce più alle mie dita. Il motivo è che sto stringendo i pugni talmente forte da avere le nocche bianche.

Perchè questa storia mi irrita?

"Io ho accettato di aiutarla e ho chiamato voi qui presenti per chiedervi di unirvi a noi. Siete le persone che più di ogni altro conoscono gli avvenimenti di quel giorno. Molti di voi hanno preso parte al piano per rovesciare il Dipartimento e vorrei ricostruire insieme a voi, se vorrete aiutarci, gli eventi che hanno portato alla scomparsa di Tris."

Un lieve brusio si alza dal tavolo.
Tris ha lo sguardo puntato sul muro di fronte a se e sembra persa in un altro mondo tutto suo.

Johanna si schiarisce la voce.
"Faremo delle ricerche e cercheremo di collegare i fatti in maniera logica. Ho invitato qui il comandande dello squadrone che ha salvato Tris qualche giorno fa. verrà la prossima settimana per aggiornarci sulla situazione in Periferia e raccontarci quello che sa sui movimenti ribelli."
Sospira rumorosamente e ci rivolge un sorriso rassicurante.
"La domanda è: siete con noi?"

Silenzio.
Tutti si fissano a vicenda, molto a disagio.

Cosa ci sta chiedendo Johanna?
Di rivivere il giorno che ha stravolto le nostre vite? Di rivivere il dolore di quegli attimi che vorremmo cancellare dalle nostre memorie?
Fin dove si spingeranno per scoprire la verità?

Nella mia mente c'è solo il bianco totale. Non so cosa fare, sembra tutto un grande incubo. Il passato che ritorna e chiede giustizia.

Spinto da non so quale impulso alzo lo sguardo trovando quello di Tris già fisso nel mio.

Il potere di quegli occhi su di me è immenso. Posso leggere le sue emozioni come lei può leggere le mie.
Come successe quel giorno, quando si buttò dal tetto del quartier generale degli intrepidi per atterrare sulla rete, il suo sguardo mi risveglia. Mi fa sentire vivo, anche ora, in questo bianco ufficio e con un peso enorme sul petto.
È come se mi trasmettesse adrenalina direttamente nelle vene e mi desse la spinta per agire. Mi fa venire i brividi.

Ci guardiamo per un tempo che sembra infinito.
Poi, nel silenzio più totale, sono io a parlare per primo.
"Io ci sto..."

I nostri sguardi non si lasciano nemmeno quando gli altri, incoraggiati dal mio esempio, dichiarano di voler aiutare Tris.

In effetti è proprio quello il punto. A Tris serve aiuto.
E io devo aiutarla. Ha bisogno di me.

Johanna sorride leggermente e si siede di nuovo.
"Benissimo. Mi fa molto piacere che volete aiutarci."
Tocca piano il braccio di Tris e lei sussulta, rompendo il contatto visivo con me.

"Grazie davvero, ragazzi. È molto importante per me..." dice Tris con imbarazzo.

Tutti si sbrigano a tranquillizzarla e ad elargire sorrisi. Tutti tranne me e Christina.
Sento tornare il nervosismo e faccio qualche passo nella la stanza, mentre Johanna comunica che per oggi è tutto. Ci farà sapere per l'incontro col comandante.

Zeke, Shauna e Cara lasciano la sala riunioni, forse intuendo la tensione, mentre vedo Christina avvicinarsi a Tris.
Sto per raggiungerle quando Johanna mi prende per un braccio e mi trascina fuori accostando la porta.

Non le lascio il tempo di dire una parola.
"Perchè non me lo avevi detto?"

"Scusami, non ho voluto caricarti di altre pressioni."

"Altre pressioni? Johanna, questa situazione è molto delicata per me. Ti chiedo, per favore, di mettermi al corrente dei tuoi futuri piani riguardanti la faccenda di Tris d'ora in poi."
La mia voce trasuda nervosismo e rabbia da tutti i pori.
Johanna annuisce seria.
"Lo farò, ti terrò aggiornato."

Sospiro allentando la tensione. Faccio per rientrare nella sala riunioni quando Johanna mi ferma per la seconda volta.

"Sai, Quattro, era da un po' che non ti vedevo... arrabiato." mi dice scrutandomi con attenzione.

"Che vuoi dire?"
Mi guarda ancora un po'. Poi sorride.
"Voglio dire che ti stai risvegliando."
Detto questo se ne va, lasciandomi da solo nel corridoio con quella frase ancora nella testa.

Ho capito di cosa parla.
In questi tre anni mi sono spento, riducendomi ad una pallida imitazione del vecchio Quattro.
In effetti sono stato una persona piuttosto piatta, senza alcun sentimento forte, nel bene e nel male.

Quand'è l'ultima volta che mi sono arrabbiato? Quand'è l'ultima volta che mi sono innervosito?

Un'altra domanda subentra al posto delle precedenti.

Ma perchè mi sono innervosito?

Non so dare una risposta a tutti questi interrogativi, meno che mai ora che mi ritrovo a due passi da Tris e Christina.

Mi avvicino silenziosamente alla porta accostata e sbircio dentro la sala riunioni.
Tris e Christina sono in piedi, una di fronte all'altra. Parlano semplicemente, ma si vede che sono tese entrambe.
Cerco di capire cosa dicono.

"Quello che voglio farti capire è che non mi voglio mettere in mezzo..." le dice Tris gesticolando un po'. "Sono contenta per voi, sul serio. Non metterò nessuno di fronte ad una scelta, semplicemente mi farò da parte."

Capisco che sta parlando della nostra situazione. Non vuole mettersi in mezzo tra me e Christina.

Perchè mi sento perso ora?

"Tris... Io mi sento in qualche modo in colpa..." comincia Christina, ma Tris la interrompe abbracciandola di getto.

"Non farlo. Sono contenta per te. Ti meriti tutto questo e non devi renderne conto a me." quasi le sussurra in un orecchio non sciogliendo l'abbraccio. "Mi sei mancata."

"Anche tu, Tris"

Entrambe singhiozzano un po' continuando a tenersi strette. Lascio passare un po' di tempo e poi, non sapendo che fare, busso alla porta e la apro. Cerco di non dare a vedere quanto quella scena mi abbia turbato e mi stampo un minuscolo sorriso sul volto.

Le ragazze si separano subito e si asciugano le guance un po' umidicce.

"Scusate, vi ho interrotte..." mi scuso con impaccio.

Tris è la prima a riscuotersi.
"No, no... Tranquillo, io stavo per andare via."
Raccatta le sue cose sul tavolo mentre mi avvicino verso il centro della stanza.

"Se volete parlare io..."
È Christina questa volta a parlare, ma Tris interrompe anche lei.

"Figurati Chris. Meglio se vi lascio da soli, avete bisogno di parlare tra di voi. Ci vediamo presto."
Accenna un sorriso molto tirato e mi passa accanto diretta verso la porta. In quei secondi noto gli occhi lucidi e le lacrime che hanno ricominciato a riversarsi sulle guance.

In qualche modo capisco che non sta piangendo dalla commozione. È qualcos'altro, qualcosa che smuove anche me.

Sento una fitta al petto.
Lei piangeva per me.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Fragili

Capitolo 8






Nella sala riunioni rimaniamo solo io e Christina. 
Davanti agli occhi ho ancora l'immagine di Tris che corre via, lanciandosi nel corridoio vuoto. 
Da quando è tornata abbiamo parlato seriamente soltanto una volta. 

Mi giro verso Christina e la trovo in piedi, le braccia strette intorno al corpo.
Questo è il momento di parlare.
"Ti sono venuto a cercare ieri, all'Hancock" inizio dopo un po'. "Zeke mi ha detto che eri in Periferia."

Lei annuisce.
"Scusami, dovevo avvertirti."

"Non mi hai risposto al telefono."
Forse suono più duro di quanto vorrei essere, ma tento di recuperare dopo aver preso un bel respiro. "Se c'è qualcosa di cui vuoi parlare, puoi farlo, lo sai. Non mi evitare."

Chris abbassa lo sguardo e mi si avvicina.
"Scusami, ma tutta questa situazione mi sconvolge..."

Già, non è l'unica.
Sospiro e mi passo una mano fra i capelli.

"Cosa vogliamo fare, Quattro?"
Christina ora mi guarda con decisione. 

"Cosa intendi?" le chiedo per prendere tempo. In realtà so bene cosa vuole sapere, ma il problema è che non so risponderle. 
Credevo di aver preso una decisione dopo la chiacchierata con Zeke all'Hancock, ma gli eventi di qualche minuto fa hanno sconvolto ancora una volta i miei propositi.
È Tris che mi sconvolge, non c'è niente da fare. 
Ma anche Johanna mi ha spiazzato. Si è accorta di un mio cambiamento e mi ha fatto pensare molto.

Ma ora Christina vuole giustamente una risposta.

"Intendo tra me e te. Come la mettiamo tra di noi?"

Tentenno un po'.
Volevo tanto parlarle e ora non so cosa dirle?
"Senti Chris, io ci tengo a te, e lo sai. So che questa cosa è difficile, ma ci siamo sempre aiutati a vicenda. Ne abbiamo passate di peggiori insieme in questi tre anni." 
Mi rendo conto che è un po' sconclusionato come discorso, ma sto cercando di esprimere sinceramente quello che sento.
"Non posso lasciarti Chris, non lo farò. Non voglio farti del male."

Lei aggrotta le sopracciglia pensando alle mie parole.
"Qui non è questione di ferire, Quattro."

Mi guarda seria, ma io non capisco. Scuoto leggermente la testa per incitarla a spiegarsi meglio.
Lei sospira, frustrata.

"Tu hai detto che non puoi lasciarmi perchè mi feriresti." Dice facendo un passo verso di me.
"È come se fosse un dovere nei miei confronti!"

Faccio per parlare ma lei continua.
"Quattro, tu dovresti stare con me perchè lo vuoi, non perchè devi. I tuoi sentimenti per me dovrebbero convincerti a rimanermi accanto, non la paura di farmi male."

Apro la bocca per rispondere, ma la richiudo quasi subito incapace di trovare qualcosa da dire. 
Le sue parole mi hanno distrutto. 
La vedo stringersi nella sua camicia verde scuro e scuotere tristemente la testa.

"Ho sempre saputo che non avresti mai dimenticato Tris. Non ho mai avuto la pretesa di sostituirla.". Mi si avvicina e mi prende le mani. "Ora il tuo cuore ti dice di tornare da lei, ma la tua mente lo frena per dovere nei miei confronti, è così o no?"

È così o no?

Non riesco a guardarla. Mi sento malissimo.
"Non lo so Chris, non so cosa mi stia succedendo."
La mia voce è bassissima. Mi stupisco che lei l'abbia sentita.
Mi stringe un po' di più le mani e mi costrige a guardarla.

"Mi faresti più male restando con me solo per dovere." 
Anche questa è una pugnalata. So di farla soffrire, ma in un modo o nell'altro la ferirei lo stesso. 
Prendo un respiro.
"Non voglio che tu..."

Non riesco a finire la frase, che la porta si apre di scatto. Ci giriamo entrambi verso la persona che ci ha interrotti.
Alto, capelli scuri spettinati, sguardo perso, camicia abbottonata male.
Caleb.

"Lei dov'è?" è la prima cosa che chiede alternando lo sguardo da me a Christina.

"Caleb, che ci fai qui adesso?" chiede Chris ancora un po' scossa.

"Dov'eri andato a finire? La riunione si è conclusa da un po'." domando io piccato. Sembra che non si riesca a fare un discorso serio senza interruzioni.

Caleb calma il respiro accellerato, probabilmente per la corsa che ha fatto per venire fin qui a giudicare dalla violenza con cui ha aperto la porta.

"Pensavo di non farcela a tornare in tempo dalla Periferia, per questo avevo detto a Johanna che non sarei venuto. Ho saputo solo un minuto fa che... Cioè, ho incontrato Cara qui sotto e mi ha detto... Voglio dire, so che Tris..."
Si incarta da solo cercando di spiegarsi.
"Insomma, lei dov'è?"

Io e Christina ci guardiamo perplessi.

"È uscita cinque minuti fa...  Non l'hai incontrata in ascensore?"

"È uscita? E dov'è andata?" chiede ancora Caleb ignorando la domanda di Christina. Sembra un cavallo scalpitante.

"Non lo so, sarà tornata al Centro di..."
Non finisco la frase che Caleb è già uscito sul corridoio correndo a più non posso.

Ultimamente lavora spesso al confine della città per testare alcuni suoi ritrovati scientifici sulle coltivazioni degli ex Pacifici. In effetti nemmeno avevo notato la sua assenza prima.

Christina raccoglie le sue cose abbandonate su una sedia e fa per andare via.
"Ora devo andare anche io Quattro. Tra 10 minuti ho il turno al lavoro." 
Annuisco anche se vorrei poter finire il discorso che avevamo iniziato.

Sto malissimo per come mi sono comportato e vorrei rimediare in qualche modo.

"Ci sentiamo, d'accordo?" 
La sua voce ha qualcosa di strano. Tristezza forse? Non lo so.
Però vorrei che sparisse.

"Ciao Chris..."

Esce anche lei dalla stanza, lasciandomi completamente solo.
Mi siedo su una sedia accostata al muro e abbandono la testa sulle mani, i gomiti poggiati sulle ginocchia.

Non so che fare. Decido di valutare la situazione.
Se lasciassi Christina lei starebbe male, soffrirebbe per me.
Ma se rimanessi con lei solo per dovere lo capirebbe e soffrirebbe ancora di più.
In ogni caso le farei male.

Ripenso a quello che le ha detto Tris qualche minuto fa, quando erano sole.
Si sarebbe fatta da parte perché vuole che siamo felici. 
Non mi avrebbe messo di fronte ad una scelta, ha detto.

Eppure perché sento comunque di doverne fare una? 
Sta succedendo tutto troppo in fretta.

Comincio ad avere mal di testa, così mi alzo ed esco da quella stanza troppo opprimente.
Raggiungo la mia macchina e mi dirigo in ufficio. Oggi devo lavorare, niente più permessi speciali.

Fortunatamente il pomeriggio mi trovo a dover supervisionare alcuni lavori nei cantieri, cosa che mi distrae dai pensieri. 

Verso la sera torno in ufficio e vedo uno dei ragazzi dell'accoglienza venirmi incontro.

"Ciao capo." mi saluta.

"Qualche novità? Altri arrivi?" 
Cerco le chiavi nella tasca e le infilo nella serratura.

"Sì, domani mattina altre tre persone. Ti ho lasciato la documentazione sotto la porta."

"Bene, grazie. A domani, allora." lo congedo velocemente. Il ragazzo saltella via raggiungendo un gruppetto di persone sul marciapiede opposto.

Entro in ufficio e trovo una cartellina sul pavimento davanti alla porta. La raccolgo e, dopo essermi sistemato alla scrivania, la apro scorrendo i nomi dei nuovi arrivati che domani accompagnerò nelle loro nuove case.

Lo sguardo si fissa su un nome, lo stesso che sta occupando costantemente i miei pensieri da qualche giorno a questa parte.

Prior, Beatrice
Nucleo abitativo 46E

 

Rileggo qualche volta quelle due righe per convincermi di non essermi sbagliato. Non cambia nulla, sono sempre lì.

Bene.
Beatrice Prior verrà ad abitare a meno di 100 metri dal mio ufficio, e lo farà domani.

Sembra che il concetto di "tempo per pensare" non mi appartenga.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Fragili

Capitolo 9






Questa mattina dovrò accogliere Tris nella sua nuova abitazione.
Abitazione che tra l'altro si trova a circa 50 metri dal mio ufficio. Il balcone è visibile dalla mia finestra.

Mi sveglio già con l'ansia. 
Sono tornato a casa, ieri sera. Ho trovato un biglietto da parte di mia madre che mi ricordava il suo nuovo indirizzo e mi ringraziava per l'ospitalità. 
Ed io accoglierò Tris. Niente da fare, è un pensiero fisso.

Sono qui in piedi tormentandomi le mani, battendo il piede e controllando costantemente l'ora.
Sono ancora più nervoso di quando, due giorni fa, sono andato a parlarle al Centro di Accoglienza. 
Forse perché ora mi rendo pienamente conto che lei è davvero qui, insieme a noi, e che la sua presenza mi sta influenzando.
Comunque sia i fatti sono questi. Sono tremendamente nervoso e il mio unico pensiero è:
"Tris sarà qui a minuti e io dovrò accoglierla."

Da lontano vedo arrivare Kyle e Trent, due ragazzi che lavorano per me. Il primo è un tipo silenzioso, serio. Non l'ho mai visto sorridere e a malapena l'ho sentito parlare di lavoro.
Trent invece è la persona che in questi anni mi ha conosciuto di più. Sempre nei limiti della mia passività lavorativa, è chiaro. Ogni tanto, comunque, abbiamo scambiato qualche parola e ho imparato ad apprezzare la sua personalità amichevole ma non invasiva.

Mi si affiancano entrambi, Kyle rigorosamente in silenzio, Trent cominciando a parlare del tempo.

Lo ascolto poco stavolta. Sono totalmente concentrato sulla strada.
Aspettiamo qualche altro minuto, poi un camioncino azzurro con il logo del Centro sbuca da dietro l'angolo e parcheggia nella piazzetta.

Prendo grossi respiri e consegno a Kyle e Trent i documenti dei due nuovi arrivati che, insieme a Tris, entreranno nelle loro nuove case. 

Le portiere del furgoncino vengono spalancate. Per primo esce un uomo sulla settantina, agile per la sua età. Continua a sorridere nonostante gli manchi qualche dente. Vedo Kyle avvicinarsi e condurlo senza tanti preamboli ad una delle palazzine ristrutturate.

La seconda ad uscire è una donna trentenne. Trent si presenta entusiasticamente e le fa cenno di seguirlo in una via qui vicino.

Infine scende lei.
Indossa dei pantaloni grigio scuro e una canotta nera che lascia intravedere il tatuaggio dei tre corvi sulla clavicola. Ha legato i capelli in una coda di cavallo.

Per un momento mi sembra di essere tornato al quartier generale degli Intrepidi, quando la vedevo gironzolare per i corridoi, allenarsi in palestra, scherzare in mensa con i suoi amici.

Sembra la vecchia Tris, la mia Tris. Ed è bellissima.

Si guarda intorno incuriosita ed incrocia il mio sguardo. Da come sgrana gli occhi e schiude la bocca sembra che non si aspettasse la mia presenza.

Mi avvicino velocemente e prendo il suo borsone nella navetta.
"Ciao Tris."

Mi guarda confusa mordicchiandosi un labbro.
"Tu... Lavori qui?"

Annuisco, incapace di trattenere un piccolo sorriso.
"Bel cambiamento, vero?"

La precedo verso la palazzina e le faccio cenno di seguirmi.
"Ti mostrerò la tua nuova abitazione."

Lei non dice nulla. Mi segue fino al portone, poi dentro l'ascensore. 
Noto che cerca di starmi più lontana possibile e questa cosa mi tormenta.
Vorrei poterla abbracciare liberamente, come se questi tre anni non fossero esistiti, tanto più ora che mi sembra essere tornato ai nostri primi tempi. 

"Questa è la tua copia delle chiavi. Se la perdi o se rimani chiusa fuori, il duplicato puoi venirlo a chiedere a me o ai ragazzi. Teniamo sempre un mazzo di riserva nel mio ufficio."

Apro la porta dell'appartamento e la lascio entrare per prima. Poso il borsone vicino all'entrata e richiudo la porta.
La casa è una sorta di open space. Salone, cucina e ingresso sono tutti uno stesso ambiente e sono illuminati da una grande vetrata che porta sul balcone.
La porta della camera è a destra rispetto alla cucina mentre il bagno si trova sulla sinistra della casa.

Tris si guarda intorno silenziosamente.

"Non è grandissima, ma nemmeno minuscola. Starai bene qui." dico in tono rassicurante. Poi aggiungo:
"La lavanderia è giù nel seminterrato ed è condominiale. Per ora, comunque, siete solo in quattro ad abitare qui, quindi non dovresti trovare file."
Sorrido cercando di camuffare il disagio che il suo silenzio mi provoca.

Dopo qualche altra occhiata alle stanze Tris si gira finalmente a guardarmi.

"Grazie Tobias."
"Di niente."
Rimaniamo a guardarci a distanza, forse per qualche minuto.
Poi lei si siede sul divano lì vicino e si passa stancamente una mano sul viso.

"Tutto bene?" chiedo avvicinandomi di qualche passo.

Lei annuisce ancora con gli occhi chiusi.
"Sì, sono solo un po' stanca. Sono successe un bel po' di cose ultimamente." Allarga le braccia ad indicare la casa. "Ora dovrò abituarmi anche a questa novità.."
Mi rivolge un sorriso tirato.

Chissà perché ad ogni frase che pronuncia mi sento tirato in causa. Anche io sono una novità? Sono cambiato ai suoi occhi?
Mi rispondo da solo quando ricordo che in teoria io ora sto con Christina, lavoro come assistente di un politico e mi sto adattando ad una società che lei non ha potuto vedere nascere.
Non sono più il vecchio Quattro.

Decido di cambiare argomento.

"Hai incontrato Caleb ieri?"
Vado a sedermi sul divano vicino a lei.

"Sì, mi ha raggiunto al Centro di Accoglienza. È stato strano."

"In che senso?"

"Ha cominciato a scusarsi e ad abbracciarmi senza tregua. Si è scusato per tutto quello che ha fatto, e quando dico tutto intendo proprio ogni cosa. Ti dico solo che è partito da quando avevamo 4 anni."

Ridiamo insieme, bisognosi di scaricare la tensione di questi giorni.
Mi rendo conto che non ridevo da tantissimo tempo.
Più o meno tre anni.

"Me lo immagino..."

Aspetto un po' e poi le faccio una domanda.
"Com'è tornare qui dopo tre anni?"

Lei mi guarda confusa.
"Voglio dire, per noi è stato una sorta di shock. Ma per te com'è stato?"

Sembra pensare un po' alla mia domanda.
"All'inizio non vedevo l'ora di arrivare qui." comincia misurando le parole. "Quando mi hanno trovato in quella cella ero felicissima perché sapevo di tornare da t... Da voi." 
Si è corretta all'ultimo, ma ho intuito cosa voleva dire.
Pugnalata nel petto.

"Non che non lo sia anche ora. Anzi, sono contenta di avervi rivisto." Mi sorride pallidamente. "Ma sai, non avevo messo in conto che le cose cambiano. Tre anni sono tanti e tornare qui è come entrare in una realtà familiare, ma allo stesso tempo completamente nuova."

Non riesco a smettere di guardarla. Ha lo sguardo concentrato, ma una posa rilassata. I tre corvi sulla clavicola sono ancora lì, in volo verso il suo cuore.

"Quindi direi che è strano e... destabilizzante." 
Si gira verso di me e mi guarda in modo indecifrabile.
"Decisamente destabilizzante."

La voce mi esce da sola, guidata da quello sguardo magnetico.
"Tris..."

Dei colpi sulla porta fanno sussultare entrambi. Per l'ennesima volta non riesco a completare ciò che voglio dire e non posso fare a meno di insultarmi sottovoce quando riconosco la voce di Trent chiamarmi da dietro la porta.

Sospiro.
"Scusami... Devo andare."

Tris si alza di scatto, il viso in fiamme.
"Non ti preoccupare. Grazie ancora."

Mi accompagna alla porta e si tormenta le mani aspettando che io esca.

È stato un momento strano per entrambi. Abbiamo parlato normalmente, come due vecchi amici che non si vedono da un po'. 
Ero tranquillo. 
Tutta l'ansia che avevo si era sciolta quando l'avevo vista. 
E quello sguardo. Quelle parole che non ho avuto la prontezza di dire.

Afferro la maniglia e faccio per uscire, ma poi cambio idea.
Mi giro di nuovo verso di lei e, spinto da qualche impulso, le prendo una mano avvicinandola a me. 
Le lascio un bacio sulla fronte inspirando il suo profumo.

"Ciao Tris."
La lascio andare ed esco velocemente non avendo il coraggio di guardarla in faccia.

Trent mi dice qualcosa riguardo ad un malfunzionamento, ma io non lo sto ad ascoltare. Sento ancora il calore della sua pelle, la sua consistenza, il suo profumo.
È un tuffo nel passato, ma è reale, assolutamente presente.

Ripenso solo a Tris e sorrido.
Non la smetto più di sorridere.





NOTE FINALI:
Salve a tutti!
Volevo cogliere l'occasione per ringraziare tutti i lettori che spendono tempo (e pazienza) dietro a questa storia. Sono davvero contenta che il primo capitolo abbia da poco superato le 200 visite, quindi grazie mille a tutti, soprattutto a chi recensisce la storia e mi da una spinta notevole! :)
Volevo inoltre avvertire che per qualche giorno non potrò aggiornare ai miei soliti ritmi... Dovrò infatti affrontare la morte gli esami di maturità e avrò un tantino da fare. Speriamo bene... XD
Un saluto a tutti!
Alla prossima! se sopravvivo

Mconcy

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Fragili

Capitolo 10






Alla fine, dopo quattro giorni dalla prima riunione, Johanna si è fatta viva. Ha contattato il comandante dello squadrone con cui Tris voleva parlare e ha organizzato un incontro.

Oggi quindi ci vedremo di nuovo nella sala riunioni dell'ufficio di Johanna e tenteremo di ricostruire i fatti.

Nei giorni scorsi ho visto Tris pochissime volte. Ho avuto da fare con Johanna per alcune questioni burocratiche e ho dovuto aiutare mia madre ad arredare il nuovo appartamento.

Inoltre lei sembra evitarmi. Quando non può farlo, si limita ai saluti di rito e poi scappa via.
Probabilmente sta mettendo in pratica quello che aveva detto a Christina, ovvero che si sarebbe fatta da parte.

Con Christina non ho più parlato della nostra situazione. È partita un'altra volta per la Periferia, offrendosi volontaria per tutta la settimana. 
Fortunatamente oggi sarà presente alla riunione con il Comandante.
Non so perché tengo tanto al fatto che lei ci sia. La nostra relazione è in crisi ed è sull'orlo della rottura, ma non voglio che la nostra amicizia faccia la stessa fine.

Per il resto non so cosa voglio.
Mi sono reso conto di non meritare una persona come Chris. Sta soffrendo per causa mia, eppure non mi è ostile. 
Io per lei non ho fatto nulla.

Il mio comportamento è estremamente immaturo, come quello di un ragazzino alle prese con le sue prime cotte. 
Ma purtroppo non posso fare più di tanto. È il fattore Tris che mi confonde e mi sconvolge. L'ha sempre fatto.

Quindi ora sono qui nel corridoio davanti alla porta della sala riunioni, con un peso sul petto e un cerchio alla testa.
Sono tutti già arrivati, lo so perché li ho visti entrare mentre mi nascondevo dietro un angolo.

Ho voglia di entrare lì dentro e di rivedere gli occhi di Tris, di chiedere a Christina come sta.
Tuttavia ho paura che non succederà quello che desidero. Tris eviterà il mio sguardo come in questi giorni e capirò subito lo stato d'animo di Chris, senza che le chieda nulla, appurando che sta soffrendo per causa mia.
Ecco. Questo è ciò che succederà realmente.

Indugio sulla porta ancora un po', infine prendo un respiro ed entro.

La saletta è più affollata della scorsa volta. Oggi si sono uniti a noi anche Caleb, George e Amar. In più noto subito l'imponente presenza del Comandante.

"Quattro. Eccoti finalmente. Il Comandante ha poco tempo a disposizione, sbrigati ad entrare."
Johanna mi accoglie così, lanciandomi un'occhiata ammonitrice.

Mi accorgo che le sedie non hanno la disposizione dell'ultima volta, intorno al tavolo, ma sono dislocate su un lato della stanza un po' alla rinfusa. Il tavolo è stato addossato alla parete opposta, lasciando spazio al Comandante e ai suoi 100 chili di massa muscolare.

Mi siedo sulla prima sedia che incontro, capitando accanto a Shauna. Vedo Tris qualche sedia più in là. Come previsto mi lancia un'occhiata, poi evita con decisione il mio sguardo, cominciando a mordicchiarsi il labbro.

Christina è dietro di me e stranamente ha una posa rilassata e sembra a suo agio. Mi saluta con un cenno della mano abbozzando un sorriso.
È la solita Chris.
Niente di più, niente di meno.

"Bene. Ora che siete tutti, ragazzi, vi presento il Comandante Connor Pohe. Oggi si è gentilmente messo a disposizione per noi. Siete liberi di fare delle domande."

Johanna lascia il centro della stanza al quarantenne Comandante Connor Pohe. È una montagna di uomo, capelli corti rasati ai lati, mascella sporgente e occhi neri. Oggettivamente è un uomo molto brutto, ma la sua stazza e le decine di medaglie che porta attaccate alla divisa scoraggerebbero chiunque a prenderlo in giro.

Rimaniamo tutti in silenzio, aspettando forse che lui dica qualcosa, un sorta di introduzione. Alla fine è Tris, con lo sguardo determinato che conosco bene, a parlare per prima.

"Salve." inizia attirando la sua attenzione. "Sono Tris Prior, la prigioniera che avete salvato dalla Periferia una settimana fa."

Il Comandante annuisce.
"Mi ricordo di te."

Trattengo una risata e così fanno anche altri di noi. Il comandante Pohe ha una voce orrenda. Sembra quella di un adolescente, solo che su una bestia di comandante come lui fa un effetto decisamente strano.

Tris rimane un attimo spiazzata, poi si riprende con una scrollata di capo.
"Sì, ecco... Volevo sapere di più riguardo a quella missione. Insomma, come siete arrivati all'edificio in cui mi avete trovata? Chi mi teneva chiusa lì dentro?"

Il Comandante assume un'aria solenne e si schiarisce la voce. 
Come se servisse a qualcosa.

"Credo che questo sia lo scopo principale per cui sono qui: darvi delle informazioni su quella missione." 
Si appoggia col fondoschiena al tavolo dietro di lui e incrocia le braccia tendendo la giacca della divisa all'inverosimile.

"Quello che posso dirvi è che la missione aveva come obiettivo il quartier generale di un gruppo organizzato di ribelli GD. Questo edificio abbandonato è situato alle estrema Periferia, dove le battaglie per sopprimere le rivolte sono ancora in corso."

Tris annuisce, totalmente concentrata sul racconto.

"Quando abbiamo fatto irruzione nell'edificio non abbiamo trovato alcun ribelle. Solo prigionieri tenuti in stanze chiuse a chiave." 
Alza gli occhi verso di lei.
"Ti abbiamo trovato nella palazzina accanto, anch'essa vuota se non per quattro o cinque prigionieri come te."

Zeke prende la parola.
"Ma cosa vogliono queste persone? Perché Tris?"

Il Comandante si passa una mano sulla fronte.
"Sinceramente, non ne abbiamo idea. Entrambe le palazzine sembravano essere state arrangiate a laboratori. Nei piani inferiori sono stati trovati materiali medici, come siringhe, garze, medicinali."
Tutti stanno elaborando le informazioni appena ricevute. Soprattutto Caleb, seduto vicino a Tris, sembra assorto in un mare di pensieri tutti suoi. 

"Loro facevano dei test"
È Tris a parlare. Il Comandante la fissa immediatamente incuriosito.
"In che senso?"

Lei prende un respiro e si fa coraggio stringendo la mano del fratello. Quello che sta per raccontare deve averla segnata.
"Quasi ogni settimana mi venivano a prendere e mi iniettavano dei liquidi, dei sieri."
Questa parte della storia me l'aveva già raccontata. Istintivamente il mio sguardo si posa sulle decine di lividi che le segnano le braccia, mentre lei continua a raccontare delle sue reazioni ai sieri e di come si svegliava nella sua stanza dopo essere svenuta durante i test.

Il Comandante la ascolta con la fronte aggrottata, battendo ritmicamente l'indice destro sul braccio sinistro.

"Anche altri prigionieri hanno riportato la stessa versione dei fatti. Hanno raccontato di esperimenti sulle loro persone, e tutti presentano lividi e ferite come te."
Il Comandante pronuncia questa frase con leggerezza, ma l'effetto che ha su Tris è immediato. Si stringe le braccia al corpo cercando forse di coprire i segni delle percosse e distoglie lo sguardo.
Mi si stringe il cuore.

Cosa ti hanno fatto?

Segue un momento di silenzio. 

"Dove sono stati portati gli altri prigionieri?" chiede ancora Tris con un tono quasi preoccupato.

Il Comandante scrolla le spalle.
"I più gravi sono rimasti alla nostra base operativa ai confini della Periferia. Avevano bisogno di cure immediate e non potevano affrontare un viaggio così lungo per tornare in città."

"E gli altri?"
Tris sembra impaziente, ora. La vena di preoccupazione nella sua voce mi fa pensare al peggio e non so perché.

"Gli altri sono venuti in città con il tuo stesso convoglio, quindi sono stati portati al Centro di Accoglienza. Perché me lo chiedi?"

Tris si mordicchia un labbro.
"Ha per caso una lista di queste persone?"

Il Comandante Pohe la guarda con circospezione, poi si gira verso il tavolo estraendo una cartellina da una sacca militare.
Gliela porge sospettoso.

Tris apre in fretta il fascicolo e sfoglia la decina di pagine che lo compongono con preoccupazione. Quando arriva alla fine aggrotta la fronte.
"Tutto qui? Solo queste persone?"

Connor Pohe annuisce.
"Esatto."

"Nessun altro?"

Il Comandante assume un aria confusa di fronte all'insistenza di Tris. Un po' tutti ci chiediamo cosa stia cercando.

"Sì. Undici persone compresa te." ribadisce con un po' di stizza. Fa per continuare a parlare ma Tris lo interrompe di nuovo.

"La palazzina è nelle vostre mani ora, giusto? È possibile visitarla?"

Mi giro di scatto verso di lei. Cosa vuole fare? 
Sento la preoccupazione crescere dentro di me. 
Il Comandante è un po' spaesato. Non si aspettava una richiesta simile.

"L'estrema Periferia è ancora un campo di battaglia, tuttavia il palazzo è relativamente sicuro, dato il numero di soldati che sorvegliano la zona." Si ferma un attimo ad osservare quella ragazza determinata che gli sta di fronte e sorride sardonico. "Stai per caso chiedendo un passaggio, ragazzina? Cosa stai cercando?"

Tris lancia un'occhiata a Johanna, che noto essere un po' in apprensione per la situazione. Sa qualcosa che io non so.
Una decina di secondi di silenzio e Tris si alza in piedi con decisione.

"Voglio tornare laggiù."

"No..." 
Mi rendo conto di essere stato io a parlare. Ho detto ad alta voce quello che mi passava per la testa, ovvero un tremante e preoccupato "no".

Tris mi ignora puntando il suo sguardo in quello del Comandante Pohe.

"Lei mi ci può portare?"

È una follia. Tris vuole tornare in Periferia? Dove le hanno fatto del male e dove non sono di certo finiti i pericoli dovuti alla guerra?
Mi sento svenire. È troppo pericoloso.

Il Comandante sembra valutare seriamente la sua richiesta. Dopo qualche secondo risponde:
"Perché no... Dovrò tornare lì tra qualche giorno. Se per te è tanto importante rivedere quella topaia, non sarò certo io ad impedirtelo." 

Cosa? Ho sentito male, devo aver sentito male.
È troppo pericoloso, la guerra e tutto il resto.
No, no, no. Non sta succedendo di nuovo.
Non posso perderla di nuovo.

Tris invece annuisce convinta.

"Dovrai rispettare delle condizioni, però. E a dettarle sarò io." continua il comandante portando la situazione sempre di più al limite della follia.

Stavolta non riesco a trattenermi e scatto in piedi raggiungendo Tris.
"No, Tris, ma cosa dici? Non puoi farlo! È troppo pericoloso."

Dato che sono di fronte a lei è costretta a guardarmi e quello che vedo nei suoi occhi mi spaventa: decisamente troppa determinazione.

"Non sono affari tuoi, Tobias."

"Invece sì, sei ancora debole! Finirai per peggiorare la tua situazione!"

"Tobias..."

"No, non puoi andartene! La guerra è ancora in atto, sarebbe un suicidio senza una preparazione adeguata!"

Tutti quanti si sono fermati a guardarci in assoluto silenzio. Tris barcolla un attimo, ma si riprende subito dopo aver preso un lungo respiro.
Ora qualcosa cambia nel suo sguardo. 
Rabbia.

"Ma cosa vuoi da me!" grida facendo un passo nella mia direzione. "Ti ho detto che non sono affari tuoi! Non è di me che dovresti preoccuparti ora!"
Mi da una spinta in pieno petto, presa dalla rabbia del momento. Mi sbilancio leggermente all'indietro, sconvolto dalla sua reazione.
"Sto solo cercando di proteggerti, Tris, non pos-..."
Alzo la voce anche io, ma Tris mi interrompe sovrastandomi col suo grido.
"Non sei mio padre, Quattro! Non sei nemmeno il mio fidanzato, non più. Te lo ripeto, cosa diavolo pretendi da me?"

Un'altra spinta e i suoi occhi si riempiono di lacrime. 
"Lasciami stare, Quattro, lasciami stare! Io così non ce la faccio."

Un singhiozzo le scuote le spalle e sembra scuotere anche il mio cuore. Non so cosa fare, mi sento uno schifo.
La sto facendo soffrire, di nuovo. Il suo sguardo è pieno di dolore e non riesco a sopportarlo.

Allungo lentamente una mano verso di lei, ma si sposta velocemente, arretrando verso la porta.
"Non mi toccare."
Quando raggiunge l'uscita ha ormai il viso rigato dalle lacrime.
"Non mi toccare..."

Rimango lì a fissarla mentre velocemente mi gira le spalle e scompare dietro la porta, correndo nel corridoio.

Mi sento come svuotato, ora. Dentro di me il nulla. Bianco.
Il silenzio mi circonda, rendendo la situazione quasi surreale.

Lei stava scappando da me.
Io le ho fatto del male.
Lei non vuole che la tocchi.
Mi ha chiamato Quattro.
Non sono il suo fidanzato.


I pensieri sconnessi che rimbalzano nella mia mente vengono interrotti da un'irritante voce adolescenziale.

"Che caratterino la bionda!" 
Commenta quell'idiota del Comandante Pohe. 
Mi giro verso di lui con aria ostile. È anche colpa sua se Tris metterà a rischio la sua vita. Avrebbe dovuto fermarla, non si è nemmeno ripresa del tutto dagli ultimi traumi.

"Devi avergli fatto qualcosa di davvero brutto se non ti vuole più ved-."

Il Comandante non riesce a finire la frase che io mi sono già scaraventato su di lui colpendolo alla mascella con un destro ben assestato.
Non so cosa mi sia preso.
Sono solo accecato dalla rabbia.

Rabbia nei confronti di questa sottospecie di uomo, che permette alla gente di mettere a repentaglio la propria vita.
Rabbia nei confronti di Johanna, che sicuramente sapeva della richiesta di Tris e non ha detto niente per dissuaderla.
Rabbia nei confronti della guerra, che continua a rendere la vita delle persone un inferno, dentro e fuori la città.

Rabbia per tutti questi tre anni in cui mi sono annullato, mi sono spento e non mi sono più riacceso.
Rabbia per lei, per Tris, che soffriva e andava avanti per me, mentre io tentavo di andare avanti senza di lei.

In quel pugno ci sono tre anni di sentimenti repressi, emozioni soffocate e lacrime versate. In quel pugno ci sono io, il Tobias che sono diventato ora.
E sono finalmente vivo.

Non faccio in tempo a ritirare la mano dolorante che il Comandante mi colpisce in pieno viso spaccandomi il sopracciglio.
Vedo nero per qualche secondo e cado all'indietro, ma mi rialzo quasi subito per gettarmi su quel bastardo con la voce da ragazzino. 
Due braccia mi afferrano al volo impedendomi di sfogare nuovamente la rabbia che sento in corpo. È Zeke, che insieme a George e Amar si è messo in mezzo a noi per evitare una rissa.

"Bastardo!" urlo con tutto il fiato che riesco a tirare fuori dalla gola. "Sei un lurido bastardo!" 

Mi dimeno come un'anguilla nelle braccia di Zeke, fino a che non comincia a girarmi la testa per il colpo ricevuto.
Mi affloscio a terra, sfinito ed emotivamente provato.

Zeke mi lascia andare vedendo il mio stato e corre dall'altra parte della stanza dove voci indistinte si alzano, urlano, tremano. 
Colori e luce, tutto quello che vedo.

Stanno litigando forse. Ma a me non importa. 
Mi sento leggero, ora. Sento di essermi liberato di qualcosa di opprimente, un peso sul petto.

Capisco che Johanna aveva ragione: mi sono svegliato.
Anzi, meglio. Mi sono acceso.
Sono finalmente vivo, presente. E ho voglia di urlarlo al mondo.

Passano minuti, forse una quindicina. Sono rimasto lì, addossato al muro della sala riunioni a sorridere di me stesso, mentre qualche metro più in là la discussione non accenna a finire.

Vedo qualcuno chinarsi davanti a me. Non riesco a distinguere bene chi sia. Ho la vista appannata e il sangue della ferita al sopracciglio un po' ovunque.

"Quattro, devi andare da lei."

La sua voce mi scuote. È Christina.
Che ci fa qui con me? Dovrebbe odiarmi, ora. Ho reagito per proteggere Tris, ho dimostrato chiaramente di tenerci ancora a lei. 
Perché mi parla ancora?

"Chris..."
"Mi hai capito?"
"Cosa?"
"Devi andare da lei, ora. Era a piedi, se prendi la macchina arrivi in tempo per impedirle di chiudersi in casa."

Collego quello che mi sta dicendo con quello che è successo.
Christina mi sta dicendo di andare da Tris. Mi sta dicendo di andarle a parlare.

"Ma... Noi.." tento io. Lei sorride.
"Quattro. Non fartelo ripetere un'altra volta. Vai. Da. Lei."

Mi tira su in piedi prendendomi per un braccio e mi spinge verso la porta con poca grazia.
"Su, forza! A questo gruppo di teste calde ci penso io."
Mi fa l'occhiolino e mi chiude la porta in faccia lasciandomi nel corridoio.

Rimango un attimo interdetto. Questa non me l'aspettavo. 
Christina è la migliore amica che potevo chiedere.
Mi rendo conto di essere stato un idiota. Tris se n'è andata e io non l'ho seguita. Ora però non posso permettere che soffra, non più.

Mi giro verso l'ascensore con rinnovata energia e determinazione. Comincio a correre decidendo di prendere le scale. Esco dal palazzo del governo e salgo in macchina come una furia.
Ora il mio obiettivo è Tris.
Non posso perdere tempo, Chris ha ragione.

Premo sull'acceleratore e sfreccio via dal parcheggio. Sento l'adrenalina nelle vene come non la sentivo da tanto tempo.
Mentre vedo i palazzi scorrermi velocemente accanto penso solo a Tris e sorrido.

Sono vivo. 
Sono schifosamente vivo.
E sto andando da lei.





NOTE FINALI:
Eccomi qui, sono ancora viva.
Finalmente sono riuscita ad aggiornare con questo capitolo, che credo sia un po' più lungo del solito. :)
Che dire? Grazie mille a tutti voi che leggete/seguite/recensite la storia, come sempre.
Il prossimo capitolo non so quando arriverà per lo stesso motivo della scorsa volta: gli esami. -.-"
Comunque sia vi consiglierei di non perdervelo, chissà che non succeda qualcosa XD
Bene, ho finito queste noiosissime note finali. Vi saluto e ci si legge (spero) alla prossima!

Mconcy

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Fragili

Capitolo 11






Le strade di Chicago non mi sono mai sembrate così lunghe. 

Non finiscono mai e c'è sempre un fastidioso semaforo che spunta fuori dal nulla e frena la mia corsa.

 

Sono impaziente ed elettrico. Devo assolutamente raggiungere Tris e devo dirle tutto.

Dirle che mi preoccupo per lei perché ancora ci tengo e perché non voglio perderla di nuovo. 

Dirle che mi ha risvegliato dal coma in cui ero caduto in questi tre anni, e che solo lei poteva farlo, perché il suo sguardo è unico e bellissimo.

 

Voglio dirle che mi è mancata più di quanto un essere umano possa comprendere e che non la lascerò andare un'altra volta. Mi prenderò cura di lei.

 

Ho talmente tante cose nella testa che non mi rendo conto di aver preso in pieno un paletto nel parcheggio di fronte al mio ufficio.

Sono arrivato. 

 

Scendo dalla macchina velocemente e con poca grazia notando qualche persona osservarmi basita. Ho appena distrutto il cofano della mia auto, ma non mi interessa.

 

Mi dirigo a passo spedito verso il palazzo di Tris. Appena giro l'angolo la vedo.

 

È intenta ad aprire il portone d'ingresso borbottando parole incomprensibili. Le si è incastrata la chiave nella serratura.

 

"Tris!"

 

Si gira di scatto verso di me e spalanca gli occhi. Si sbriga ad aprire il portone forzando un po' la serratura, così mi lancio in una corsa a perdifiato per raggiungerla.

 

Riesco ad infilare un piede proprio qualche secondo prima che il portone si chiuda ed entro nel palazzo senza più fiato.

 

"Tris! Aspetta!"

 

La vedo correre per le scale e la seguo. Col ritmo di quattro gradini a passo arrivo al corridoio di Tris e la afferro per un polso con un balzo felino.

 

"Tobias, lasciami."

La sua voce è ferma e bassa. Io tento di riprendere fiato e mi posiziono di fronte a lei impedendole di scappare ancora. 

Le lascio il polso come mi ha chiesto e mi appoggio al muro con una mano. 

Respiro pesantemente mentre dico ancora una volta il suo nome per farmi guardare negli occhi.

 

Lei alza lo sguardo e sgrana gli occhi.

"Che ti sei fatto?" mi chiede con una faccia tra il preoccupato e l'arrabbiato.

 

Mi rendo conto solo ora della condizione in cui mi sono presentato. 

Sono senza fiato, ho un sopracciglio spaccato e del sangue che continua ad uscire dalla ferita. Ho lo sguardo allucinato e i capelli probabilmente in una condizione pietosa.

 

Fantastico.

 

"Non è niente" dico scrollando il capo. 

Faccio per parlare di nuovo ma lei prende un fazzoletto dalla tasca della giacca e me lo porge con stizza.

 

"Tieni."

 

Rimango un attimo spiazzato dal suo gesto, poi prendo velocemente il fazzoletto e mi tampono la ferita, asciugandomi anche un po' il viso dal sangue.

 

"Tris, devo parlarti." dico dopo un po'. 

 

"Ti ho già detto che quello che faccio non sono più affari tuoi."

Assume di nuovo un tono freddo e distaccato. Quasi non mi guarda in faccia.

 

"Invece lo sono!" urlo io esasperato. 

Deve guardarmi, non può ignorarmi.

 

Lei si passa una mano fra i capelli, sospirando. Si sta trattenendo, ma io voglio che tiri fuori tutto quello che pensa.

 

"Non è di me che devi preoccuparti, ora."

 

"Ti riferisci a Christina?" le chiedo, diretto.

Lei mi guarda sorpresa. Forse non si aspettava che affrontassi così la questione. 

Esulto interiormente per essere riuscito a catturare il suo sguardo.

"Anche prima, nella sala riunioni. Tu stavi parlando di Christina, vero?" continuo io mettendomi il fazzoletto semi-insanguinato in tasca.

 

Tris sposta il peso da un piede all'altro e aggrotta la fronte. Si mordicchia il labbro valutando cosa dire. 

Alla fine decide di sputarmi in faccia la verità.

 

"D'accordo, vuoi parlarne a tutti i costi?" alza la voce fronteggiandomi. "Bene, okay. Sì, mi riferivo a Christina, la tua ragazza."

 

"Io e Chris-" provo a dire.

 

"Non dire cavolate, Tobias!" mi interrompe lei gridando. "Ti ho detto già che capisco la situazione, che sono contenta per voi e che non mi metterò in mezzo. Cosa vuoi da me adesso?"

È di nuovo sull'orlo delle lacrime.

 

"Voglio parlarti di noi." rispondo piano. La sua fragilità emotiva mi destabilizza.

 

Scuote la testa con vigore alla mia proposta.

"Forse tu non capisci che non voglio farlo. Io sto male, Tobias. Non riesco a starti accanto perché ogni volta che ti guardo penso che le cose sono cambiate e che non posso agire come vorrei!"

 

Mi muovo a disagio di fronte alla disperazione nella sua voce.

"Mi... mi dispiace per que-"

Mi ferma di nuovo.

"Non devi dispiacerti. È andata così, dovevo aspettarmelo."

 

Fissiamo entrambi lo sguardo sul pavimento. È un momento molto delicato e so che devo dirle una volta per tutte che non ho intenzione di abbandonarla ancora.

Lei prende un respiro e mi guarda con uno sguardo stanco.

"Senti, lascia perdere." inizia."Non ti sto accusando o giudicando, se è questo che pensi. Rispetto la tua decisione, ma vorrei che tu rispettassi la mia."

 

"Quale?" balbetto in preda al panico.

 

"Devi lasciarmi stare, Tobias. Non posso starti vicino, ho bisogno di riprendermi da questa situazione e devo occuparmi di alcune cose in Periferia." 

È seria. È stramaledettamente seria.

 

No, non posso farlo. Io non mi allontanerò da lei. Io ho bisogno di lei. Io la amo.

 

"Fallo per me." continua lei. "Fallo per il mio bene. Non farmi soffrire ancora."

 

Una fitta in pieno petto mi toglie il respiro. Non voglio farla soffrire, ma voglio starle vicino.

E lei deve capire. 

 

"Va via Tobias." 

 

Mi scansa e comincia ad armeggiare con le chiavi per aprire la porta di casa.

 

"Tris." la richiamo, ma lei mi ignora.

La raggiungo con due passi e le poso una mano sul braccio.

"Non posso starti lontano."

 

Continua a non guardarmi inserendo la chiave nella serratura, ma dal sussulto che ha avuto capisco che non è così indifferente come vuole far credere.

 

"Tris."

 

Gli occhi le si riempiono di lacrime mentre abbassa la maniglia e apre di poco la porta.

 

Non riesco più a controllarmi, così afferro a mia volta la maniglia e la tiro di nuovo verso di noi, richiudendo la porta.

 

Tris si gira e cerca di protestare, ma non le do il tempo di articolare una frase perché la attiro a me e immediatamente la bacio. 

 

Sento il rumore metallico delle chiavi di casa sua che cadono al suolo, mentre con delicatezza le accarezzo una guancia e continuo a baciarla dolcemente, con calma, per non perdermi nemmeno un attimo di quel momento. 

 

Mi stacco quasi subito, stordito dal suo sapore. La guardo negli occhi trovando tutto lo stupore e tutta l'intensità che devono esserci anche nei miei.

 

Ho agito d'impulso, senza pensare. 

E per una volta ne sono contento.

 

Rimaniamo lì a guardarci per qualche secondo, poi lei si allontana velocemente, riafferra le chiavi dal pavimento e si chiude dentro casa sbattendo velocemente la porta.

 

Silenzio.

 

Non so cosa pensare, ora. 

Rimango lì imbambolato.

Sento il mio corpo tremare mentre fisso la porta dietro la quale è sparita Tris.

 

Che cosa ho fatto?

Ho rovinato tutto?

 

Cerco di dare una risposta ai mille interrogativi che mi si affollano in testa. Mi ha respinto? L'ho spaventata?

 

Non riesco a pensare in questo momento, sono troppo confuso da tutte le emozioni che sembrano scorrermi nelle vene.

È stato tutto così veloce che mi gira la testa. O forse non è per questo.

 

Dopo tre anni, un bacio di Tris. 

Non ricordavo cosa mi provocasse.

I miei ricordi sono così insulsi al confronto. 

Devo essere impazzito perché, nonostante sia appena scappata via, mi viene da sorridere. E da piangere.

Non lo so, ho troppe emozioni da gestire ora.

 

All'improvviso sento un'altro rumore, una porta che si apre.

Non realizzo che la porta in questione è la stessa che si è chiusa qualche secondo fa, finché una figura bionda non esce fuori velocemente e mi butta le braccia al collo unendo le sue labbra con le mie.

 

Stringo immediatamente il suo corpo tra le mie braccia e rispondo con energia al suo bacio.

 

In questo momento non capisco più niente. Sono talmente felice e stordito ed euforico e vivo.

La sensazione delle sue labbra sulle mie è qualcosa di indescrivibile.

 

Tris si aggrappa a me con una forza incredibile e così faccio io, facendo però attenzione ai suoi lividi.

 

"Nemmeno io riesco a starti lontana..." mi sussurra tra un bacio e l'altro.

 

Sorrido sulla sua bocca e le accarezzo la schiena sopra la maglietta.

 

Barcolliamo dentro casa ancora allacciati mentre il bacio si fa più profondo e bisognoso.

Non riesco a staccarmi da lei nemmeno per un istante. Sento che il vuoto che questi tre anni hanno scavato dentro di me si sta riempiendo piano piano.

 

Non so come, ma urtiamo il divano cadendoci malamente sopra. Mi sistemo meglio per non pesarle addosso.

 

Devo riprendere fiato, così mi stacco malvolentieri da lei e prendo a baciarle lentamente la mandibola. La sento sospirare e stringermi più forte.

 

È solo a questo punto che realizzo cosa sta succedendo. Ci sono io e c'è Tris.

E non è uno dei tanti sogni che ho fatto qualche fortunata notte lontano dagli incubi durante questi tre anni.

Non è nemmeno un'allucinazione.

Tris è qui con me. È reale.

Posso sentire il suo cuore battere contro il mio. Lei non è morta.

 

"Mi sei mancato così tanto..." mi dice in un orecchio. La sua voce è talmente sincera da star male.

 

Non trattengo più quello che ho dentro e lo dico.

"Ti amo."

 

Quelle due parole liberano qualcosa dentro di me. Un'ondata di emozioni mi travolge con violenza facendomi rabbrividire.

 

La sento trattenere il respiro e mi rendo conto che lo sto facendo anche io. 

Mi alza il viso per guardarmi negli occhi.

 

"Dillo un'altra volta."

Una lacrime sfugge al suo controllo, rigandole il viso.

La asciugo con il pollice, sorridendo come non ho mai fatto in tutta la mia vita.

 

"Ti amo, Tris."

Mi sembra di rivivere quel momento di una vita fa, quando per la prima volta ha detto di amarmi.

Tris sorride a sua volta con gli occhi lucidi.

 

"Ti amo anche io." 

 

E a quel punto non c'è stato nient'altro.

Nient'altro che si possa dire a parole, perché un insieme di lettere non riuscirebbe ad esprimere nemmeno un infinitesimo di quello che ho provato.

Nient'altro. Solo io e lei. Insieme.

 

Fragili, ma invincibili.





NOTE FINALI:
Bene, eccoci qua. Spero di non avervi deluso con questo capitolo, perché sinceramente non ne sono soddisfatta.
L'ho modificato tante volte, ma niente... non mi piace :/
Grazie ancora a tutti quelli che seguono la storia! "Fragili" è entrata nelle Storie Popolari della sezione e sono contentissima!!! **
Alla prossima!

Mconcy

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Fragili

Capitolo 12






"Tobias..." 
Quello di Tris è solo un basso mugolio, ma che mi scuote nel profondo.

Do un'occhiata alla finestra e noto che il sole si sta lentamente immergendo nella palude ormai bonificata. Un'intensa luce rossa illumina il profilo di Tris.

Ci siamo rannicchiati sotto le coperte del suo letto. 
Si era addormentata vicino a me, sul divano, così ho deciso di portarla in camera sua. Dopo averla presa in braccio l'ho adagiata sul letto, per poi tornare a sdraiarmi vicino a lei e tenerla stretta.

Forse ha dormito per qualche ora. 
Io no, affatto. 
Sono rimasto a guardare alternativamente lei e il soffitto, pensando a quanto può essere imprevedibile la vita.

Ora che si è svegliata sta letteralmente strusciando il suo viso contro il mio petto nudo. 
La stringo un po' di più passandole un braccio intorno alle spalle.

"Sei tra noi, Tris?" le chiedo sorridendo.
Lei ridacchia un po'

"Ero stanchissima... Non ho dormito molto queste notti."

"Tranquilla, dormi pure quanto vuoi, mi piace sentirti russare..." la prendo in giro. Sono palesemente di buonumore e non ci vuole un Erudito per capirne il motivo. 
Mi basta avere Tris vicino, il resto non è importante.

"Prima di tutto io non russo..." precisa lei alzando la testa dal mio petto e guardandomi storto. "E seconda cosa direi che il tempo di dormire è finito perché io e te dobbiamo proprio parlare."

Sospiro di rassegnazione, ma mi aspettavo una cosa del genere. Sarebbe bello non doversi preoccupare del resto, ma purtroppo c'è un mondo intorno a noi che esige la nostra attenzione. 
Tris continua a parlare dopo un sonoro sbadiglio.

"Vorrei iniziare con una domanda..."

"Okay." 
Mi preparo ad affrontare l'"argomento Christina" cercando mentalmente la spiegazione migliore possibile.

"Perché ti sei fatto questo tatuaggio?"
Sono un attimo spaesato dalla domanda di Tris, ma poi capisco a cosa si riferisce.
In punta di dita mi sfiora il fianco all'altezza dell'ombelico e delinea il contorno del corvo stilizzato tatuato sulla mia pelle.

Vuole sapere di quel tatuaggio...

Tris lo osserva curiosa.
"Non me lo ricordavo..."

Annuisco velocemente. Ora sono un po' in imbarazzo.
"Sì, ecco, l'ho fatto un annetto fa..."

Tris mi guarda, avida di informazioni. Le sfioro la clavicola dove ancora volano i suoi tre corvi.

"Per ogni membro della tua famiglia che hai lasciato indietro." dico ricordandole il significato del suo tatuaggio.
Poi guardo il mio.

"Quella eri tu Tris." rivelo superando la vergogna e guardandola in viso. "Tu eri la mia famiglia."

I suoi occhi mi scrutano, come se volessero leggere dentro di me qualcosa che le mie parole non hanno rivelato.
Dopo un po' mi avvolge in un abbraccio, nascondendo la sua testa nell'incavo del mio collo.

"Scusami Tobias..."
"E per cosa?"
"Per averti abbandonato."
"So che non volevi farlo."
"Ma l'ho fatto."

Le alzo la testa guardandola dritta negli occhi.
"Ora sei qui, d'accordo. E stavolta sarò io a non lasciarti andare."
La abbraccio di nuovo e le lascio un bacio sotto l'orecchio.
Voglio che questa storia non sia più un problema per noi. Abbiamo sbagliato tutti quanti, ma dobbiamo ricominciare e dobbiamo farlo senza rimorsi.

"Ecco, a proposito di questo..." riprende lei qualche minuto più tardi. "Dicevo sul serio riguardo al tornare in Periferia."

Mi irrigidisco subito e lei deve accorgersene, perché si affretta a chiarire:
"Non voglio mettere in pericolo inutilmente la mia vita. Ho solo bisogno di controllare una cosa importante."

Mi muovo un po' a disagio. 
Posso dirle che non voglio che vada?
Risulterei possessivo?

"Perché vuoi tornare?" decido di chiedere.
Lei tentenna un po' e si stacca da me per guardarmi in faccia.

"C'è... una persona." dice. "Una persona che devo trovare."

Una persona? E chi diamine è? 
Deglutisco più volte cercando di buttare giù il panico che mi blocca la gola.
Perché Tris arriverebbe a rischiare la vita per lei?

"Si chiama Ethan. Era il mio compagno di cella."
Ah bene, è un lui.

Devo convincerla a stare alla larga dalla Periferia e dagli scontri. Non mi interessa di questo Ethan, non a tal punto da mettere a repentaglio la vita di Tris.

"Perché ti interessa tanto questo Ethan? La Periferia non è un campo giochi e lo sai bene. I rischi sono altissimi."
Forse sono stato un po' brusco, ma magari servirà a far capire a Tris quanto non sia d'accordo con la sua decisione.
Se non si sia già capito.

"Mi ha aiutato tantissimo, Tobias. Le rare volte che ero cosciente mi era sempre vicino e faceva di tutto per farmi sentire meglio."

Una fitta di gelosia mista a rimpianto mi coglie in pieno petto.
Per tre anni ho dovuto vivere senza Tris, con la convinzione di averla persa per sempre.
Ora vengo a sapere che c'era qualcun altro che si prendeva cura di lei. Qualcuno che svolgeva il mio compito. 

Prendo un respiro.

"Ha detto il Comandante Pohe che hanno trovato in tutto undici persone. Se non lo hai trovato tra quelle..."
Tris mi ferma.

"Lo so, ma io devo fare un tentativo. Potrebbe essere rimasto lì in Periferia, magari all'ospedale da campo. Magari l'hanno dimenticato e non l'hanno schedato come gli altri."

Vedo che questa cosa le sta molto a cuore e mi chiedo se ci sia dell'altro.
"È solo per questo? Vuoi trovarlo perché è stato gentile con te?"
La mia voce suona leggermente accusatoria, ma Tris sembra ignorare questo particolare.
Mi guarda negli occhi e scuote la testa.
"No, non è solo per questo."

Mi preparo al peggio e distolgo lo sguardo.

"Lui è l'unico ad aver visto in faccia uno dei rapitori."

Sul momento credo di aver capito male, ma poi realizzo e mi volto di scatto tornando a guardarla.
"Ah." è l'unico suono che mi esce.

"Cosa credevi?" mi chiede lei aggrottando le sopracciglia. 

Mi rendo conto di essere stato un'idiota.
"Niente, tranquilla... Ha visto in faccia un rapitore?"

Lei mi guarda un po' perplessa, ma poi sospira e lascia andare la testa sul cuscino. 
"Sì, una volta. Erano venuti a prendermi per l'ennesima volta, ma ero davvero a pezzi, quasi incosciente. Ero ancora sotto shock per i test precedenti che già volevano farne di nuovi." 
La sento rabbrividire e istintivamente le prendo una mano tra le mie.

"Ethan ha reagito, inizialmente solo protestando, poi tentando di fermarli. Nella colluttazione è riuscito a strappare il passamontagna ad uno dei rapitori che aspettava sulla porta. L'ho rivisto qualche giorno dopo, quando lo hanno riportato in cella pieno di lividi e con una gamba rotta."
Vedo il suo sguardo perdersi e capisco che sta rivivendo quei momenti. Non dev'essere piacevole.

"Mi ha detto che era una donna, una ragazza piuttosto giovane. Mi ha raccontato che dietro suo ordine è stato portato in un'altra stanza, dove è stato picchiato ripetutamente."

Tris conclude il racconto tornando a guardarmi. Io non proferisco parola.
"Lo voglio trovare. È stato gentile con me ed è a conoscenza di un'informazione preziosa."

Valuto la situazione con un po' più di lucidità.
Mi ritrovo a capire i motivi di Tris. Vuole scoprire la verità sui suoi rapitori e per farlo ha bisogno di questa persona, l'unica che l'abbia protetta in questi tre anni. 
Sono sicuro che anche io, nella sua stessa situazione, avrei voluto saperne qualcosa in più. Le hanno rubato tre anni di vita.

Annuisco soprappensiero. Forse possiamo trovare una soluzione. In definitiva non dispiacerebbe neanche a me capirci qualcosa in più di questa faccenda.

"Voglio venire con te." dichiaro con decisione.
Lei fa per protestare, ma non glielo permetto, sarò irremovibile su questo punto.

"Niente da fare, non ti lascerò un'altra volta. Da come ne parli questa cosa sembra importante, quindi, se non posso dissuaderti a partire, verrò con te, che ti piaccia o no."

Tris sospira, ma non riesce a trattenere un sorriso.
"Grazie."
Mi lascia un bacio a fior di labbra e mi guarda con gratitudine.
Le sorrido cercando di infonderle sicurezza, nonostante l'angoscia per il dover tornare in una zona di guerra mi chiuda lo stomaco.

"Certo, dovrò convincere quell'idiota del comandante Pohe, ma non credo sarà un problema."

Tris perde il sorriso.
"È stato lui a ridurti così? Vi siete picchiati?"
Guarda la mia ferita al sopracciglio con preoccupazione, passandoci il pollice per valutarne la gravità. Ormai non sanguina più, quindi non credo sia così terribile.

"Sì, ma anche lui si ritroverà con un bel livido viola sulla mascella... Non è niente di grave." la rassicuro, ma lei continua a lanciarmi sguardi ammonitori.

"Dobbiamo disinfettarla."
"No, Tris..."
"Sì invece. È meglio, fidati. Non è così lieve come credi."

Mi arrendo al suo tono deciso, così, dopo esserci entrambi rivestiti, mi lascio trascinare in bagno, dove Tris mi fa sedere sul bordo della vasca.
Prende del cotone da uno sportello e una boccetta di liquido verde da un cassetto.

"Quindi la riunione è finita così?" mi chiede mentre si china e comincia passare il cotone imbevuto di disinfettante sulla ferita.
Brucia un po', ma ignoro il dolore.

"Non lo so. Dopo la piccola rissa ci hanno separato ed è nata una discussione con gli altri. Non ho sentito bene cosa stavano dicendo." 
Mi chiedo se è il caso di dirle di Christina, visto che l'argomento non è ancora uscito. Alla fine decido che è meglio parlarne una volta per tutte.

"Poi Christina mi ha buttato fuori dalla stanza, sollecitandomi a seguirti." 

Tris sussulta, rimanendo col batuffolo di cotone a mezz'aria.
"Che... che cosa?" mi chiede tentando di riacquistare un contegno.

"Christina mi ha detto di sbrigarmi a venire da te. È stata molto convincente." confermo con un mezzo sorriso.
Tris annuisce con aria pensierosa, ma non accenna a parlare.

"Le ho parlato, qualche giorno fa. Volevo chiarire la nostra situazione." inizio titubante. Le dirò tutta la verità, anche quella più scomoda.
"Avevo deciso di non lasciarla. Mi sentivo così in colpa nei suoi confronti. Era un mio dovere restare con lei, impedirle di soffrire per causa mia."

Tris smette di disinfettarmi la ferita e mi guarda con una aria talmente colpevole che mi affretto a proseguire.
"Ma Chris aveva capito già. Aveva visto il mio cambiamento dopo che tu eri tornata. Mi ha detto che avrebbe sofferto di più se fossi rimasto con lei per senso del dovere. Mi ha detto anche che aveva capito che, nonostante la mia mente si opponesse, il mio cuore mi spingeva da te."

La afferro piano per la vita e la faccio sedere sulle mie gambe.
"Aveva ragione, Tris."

Ci scambiamo uno sguardo serio, uno sguardi fatto di paure, rimorsi, speranze e incertezze.
Tutto ciò che abbiamo dentro lo esterniamo con quello sguardo, cercando un ancora di salvezza negli occhi dell'altro.

Rimaniamo così parecchi minuti, poi evidentemente troviamo quell'appiglio che cercavano, perché quasi all'unisono sorridiamo.

Sento sciogliersi quel groviglio enorme di sentimenti negativi che mi avviluppava il cuore da tanto tempo. 
Forse le cose possono aggiustarsi, tornare come prima.
Forse potremo dimenticare e ricostruire, andare avanti insieme.
Sono solo speranze, lo so, ma non mi sono mai sembrate così reali.

Ci avviciniamo lentamente, unendo le labbra in un lungo bacio pieno di quelle speranze che nutriamo entrambi.

Sento le sue mani fra i capelli e come sempre quando Tris mi sfiora mi vengono i brividi.
Mi stacco di qualche centimetro.

"Hai finito di disinfettare la ferita?" le chiedo, consapevole della mia voce spezzata.
Lei sorride e annuisce mordendosi un labbro.

"Bene, allora sarà meglio che ti riporti di là..."
La prendo in braccio e mi incamminano verso la camera non riuscendo a trattenere una risata divertita.

Tris avvicina le labbra al mio orecchio con un sorriso enorme sul volto.

"Sono proprio d'accordo con te..."





NOTE FINALI:
E rieccomi qui... :P
Capitolo di passaggio e di spiegazioni... Spero non faccia tanto schifo :/
Mi auguro di aggiornare presto, vi prometto che ci proverò.
Un grazie a tutti quelli che leggono la mia storia, in particolare a tutti i gentilissimi recensori che mi danno un forte impulso per continuare e migliorare la storia!! :D
GRAZIE!!
Bene, alla prossima!

Mconcy

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Fragili

Capitolo 13






Il camion su cui stiamo viaggiando percorre bruscamente le strade della Periferia facendoci perdere l'equilibrio ad ogni minuscola imperfezione del terreno. 

Siamo in viaggio da circa due ore e mezza. Ormai manca poco all'accampamento del Battaglione 385, il battaglione del Comandante Pohe.

Sono seduto su una cassetta di munizioni sul retro del veicolo. Affianco a me Tris si mordicchia le unghie e lancia occhiate fugaci a Christina, seduta di fronte a noi sull'altro lato del camion.
Zeke e Amar stanno chiacchierando vicino all'apertura posteriore reggendosi ai legacci della copertura in tela. Non hanno problemi a stare in piedi nonostante la pessima guida del soldato al volante.
Abitudine suppongo.


Alla fine abbiamo convinto il Comandante a portare quasi tutto il nostro gruppo in Periferia. Johanna è stata fondamentale. Ha parlato con calma al Comandante e in qualche modo gli ha strappato un consenso. 
Io, Tris, Zeke, Christina e Amar ci siamo uniti al convoglio diretto al campo base del 385esimo, mentre Caleb, Cara, Shauna e George sono rimasti a Chicago, chi per lavoro, chi per scelta.
Zeke, Christina e Amar si sono offerti volontari per accompagnarci e probabilmente sono stati accettati perché ex Intrepidi, come me in definitiva, e quindi capaci di maneggiare un'arma.

Non ho più parlato con il Comandante dopo la rissa. Ci siamo limitati a delle occhiate taglienti, senza però andare oltre.

Tris sembra già nervosa di suo e non voglio peggiorare la situazione con stupide scazzottate.

Il camion fa una brusca sterzata a sinistra facendomi quasi cadere a terra. Mi tengo ad una fune del telone e afferro Tris per un braccio, appena in tempo per non farla rotolare sul metallo duro del camion.

"Grazie..." mi dice in un sussurro.
La vedo molto a disagio e, nonostante riesca ad immaginare il perché, le chiedo se c'è qualcosa che non va.
Lei lancia uno sguardo davanti a sé e riprende a tormentarsi le mani.

"Non vorrei ferire Christina..." rivela dopo un po' tenendo la voce bassa. "Non lo so, mi sento in colpa a stare qui con te..."

Dopo il nostro rappacificamento ufficiale, una settimana fa, io e Tris non abbiamo avuto modo di parlare ancora della questione.
Forse sarebbe più corretto dire che non abbiamo voluto parlarne.
Chris si comporta normalmente, anche se vedo che sta soffrendo. Lei ovviamente nega ogni cosa, ma ormai la conosco troppo bene per non sapere che sta male.
Con Tris non ha più parlato seriamente, un po' per il lavoro, un po' per l'evidente imbarazzo. 

Un'altra sterzata brusca.
Prendo una mano di Tris e la stringo leggermente decidendo di fare un ragionamento logico per tranquillizzarla. Lei si gira a guardarmi.

"Si è offerta di venire, sapeva quello che stava facendo."
Evidentemente non funziona molto, perché Tris annuisce appena tornando a guardare altrove.
In effetti se non ne sono sicuro nemmeno io, come posso convincere lei?

"Va a parlarle." le dico subito dopo.
Tris si gira di scatto con una faccia terrorizzata.

"C-cosa?" 

"È meglio se le parli, vedrai che non morde..." 
Le sorrido rassicurante, ma lei sembra sempre più in ansia.
Eppure credo che sia la soluzione più giusta al momento. Non metterà immediatamente le cose apposto, ma sarà sicuramente un passo avanti.

Vedo Amar passare di fronte a noi per raggiungere il Comandante Pohe nella cabina di guida, così colgo l'occasione per lasciare un po' di spazio a Tris.

"Io vado a parlare con Zeke. Magari tu e Chris potreste farvi compagnia per qualche minuto." dico ad alta voce alzandomi velocemente.
Tris mi fulmina con lo sguardo, mentre Chris mi lancia un'occhiata confusa.

Ignoro entrambi e barcollo verso l'apertura posteriore reggendomi a qualsiasi cosa mi capiti a tiro.
Evidentemente sono fuori allenamento. 
Oppure il soldato guida proprio da cani.

"Stai sguazzando in un bel laghetto di casini, amico mio..." mi accoglie Zeke con un ghigno stampato in faccia.
Scuoto la testa, divertito.
"Le cose si sistemeranno..." dichiaro più con speranza che con convinzione. Lui si lascia sfuggire una breve risata.

"Te lo auguro." 

Rimaniamo in silenzio qualche minuto, osservando la strada polverosa che ci stiamo lasciando dietro.
Poi Zeke apre bocca di nuovo.

"Christina è una ragazza fantastica, lo sai, sì? Sta sopportando una brutta situazione."

Faccio per ribattere, forse con una giustificazione o sicuramente con qualcos'altro di patetico, ma Zeke continua imperterrito.

"Non ti sto accusando, Quattro. Chris mi ha raccontato come sono andate le cose e come avete affrontato l'argomento."
Si gira verso di me, guardandomi serio.

"Non voglio entrare nel merito della questione e non lo farò. Voglio solo dirti che sei fortunato ad avere una persona come Christina, che nonostante tutto ti sta ancora accanto."

Annuisco alle sue parole. 
Ha ragione. 
Chris è davvero incredibile.

Lancio un'occhiata alle mie spalle per vedere come stanno andando le cose.

Vedo Christina con un sorriso sulle labbra intenta a parlare con una Tris decisamente più rilassata. Le osservo ridere timidamente e per un attimo sorrido anche io, troppo speranzoso per darmi un contegno.
Spero vivamente che le cose tornino come prima anche fra loro. 
Mi sento responsabile dei loro problemi e delle loro sofferenze. Non vorrei essere anche il responsabile della fine della loro amicizia.

Con mio stupore vedo Tris alzarsi e sedersi accanto a Christina. Ora ha assunto un'aria seria, muove nervosamente le mani.
Christina la guarda concentrata, ferma come una statua.

Mi chiedo cosa si stiano dicendo mentre una leggera preoccupazione mi invade il petto. 
Poi però Chris accenna un sorriso e si sporge ad abbracciare Tris, inizialmente rigida e a disagio.
Si scioglie anche lei dopo qualche secondo e l'abbraccio si fa più stretto. 

Distolgo lo sguardo, sentendomi un intruso di fronte al loro affetto.
Anche Zeke ha osservato la scena e ora mi sta guardando con divertimento misto a stupore.

"Beh, sembra che per una volta tu abbia ragione, Quattro!"

Sbuffo contrariato.
"Per una volta?!"

Zeke scuote il capo fingendo rassegnazione.
"Lo so che è difficile da accettare, leggendario Quattro, ma sai benissimo che sono io il saggio consigliere dalla risposta sempre pronta... E ovviamente ho sempre ragione." conclude con superiorità.

Faccio per ribattere, ma Amar ci raggiunge velocemente e chiama Zeke in cabina.

"Cosa c'è?" chiede quello ancora col sorriso sulle labbra.
"Problemi con la ricezione del segnale..." spiega Amar mantenendosi sul vago.

Zeke mi fa l'occhiolino e si allontana col nostro ex istruttore verso la cabina di guida.

Rimango da solo qualche istante, poi decido di tornare da Tris e Christina. Prendo posto dove ero seduto qualche minuto fa e le due ragazze smettono all'istante di parlare.
Le guardo confuso.

"Cosa c'è? Ho interrotto qualcosa?"

Tris e Christina si guardano per un istante per poi tornare a rivolgermi uno sguardo neutro.
"No, assolutamente." risponde Tris alzandosi con disinvoltura e tornando vicino a me.

Noto Christina sorridere sotto i baffi, così rinuncio a qualsiasi tentativo di scoprire cosa stavano dicendo.
Quando due ragazze complottano qualcosa non c'è verso di scoprire di cosa si tratti.

Zeke in quel momento.
"Ci sono dei problemi con le trasmissioni. Non riusciamo a comunicare con il campo, tantomeno a ricevere segnali. Probabilmente è un guasto ai sistemi di comunicazione."
La sua voce non è affatto preoccupata, quindi credo non sia niente di grave.

"Comunque siamo quasi arrivati. Tenetevi pronti a scendere." ci annuncia tornando in cabina.

Il furgone compie una serie di brusche sterzate per poi fermarsi, cinque minuti dopo, in uno spiazzo circondato da edifici abbandonati.

Raccogliamo i nostri zaini e ci prepariamo ad uscire.
Mentre salto giù dal camion sento il Comandante Pohe sussurrare tra sé un'imprecazione poco carina con la sua voce da ragazzino.

Seguo il suo sguardo e sgrano gli occhi.
Fiamme.
Solo ed esclusivamente edifici in fiamme.

Davanti al camion si estendeva l'accampamento del 385esimo battaglione, che ora consiste in un ammasso di materiali bruciati dal fuoco ancora vivo.

Si sentono scoppiettii in lontananza e un odore acre, odore di armi e polvere da sparo.
Mi si gela il sangue delle vene.
Cosa sta succedendo?

Vedo Tris e Christina intente a scendere dal camion, ancora confuse e ignare della piena portata della situazione.

Improvvisamente il Comandante Pohe scatta verso di noi lanciando un urlo agghiacciante.
"Tutti a terra!"

Balzo nuovamente nel camion trascinando Tris e Christina giù con me, sul metallo freddo del cassone. 

Passano pochi secondi, se non istanti.
Poi l'esplosione.
E un fischio assordante.

 

 

Comincio a sentire caldo, troppo caldo.
Alzo gli occhi, intontito dall'esplosione. Il telone del camion sta prendendo fuoco.

Vedo Tris e Christina guardarsi intorno con sguardo allarmato. Tris mi grida qualcosa, ma tutto quello che sento è un alto fischio.
Cerco di leggere il labiale, ma lei parla troppo veloce, presa forse dal terrore del momento.

Ci alziamo il più velocemente possibile cercando di rimanere lontani dal fuoco, mentre l'odore pesante della plastica bruciata penetra nelle nostre narici.
Spingo Christina per incitarla a scendere, ma lei si blocca di scatto e torna verso l'interno del camion.

Grido qualcosa per fermarla, qualcosa che non riesco a sentire, ma poi uno strattone mi tira giù violentemente dal camion in fiamme.
È il Comandante Pohe che mi ha afferrato per la maglietta, mentre con l'altra mano ha preso Tris per il polso.

Ci spinge verso un vicolo vicino.
Piano piano il fischio si fa più debole e ricomincio a sentire i rumori intorno a me.

Sento il Comandante sbraitare contro qualcosa e di punto in bianco tornare indietro.

È tutto così veloce. Non faccio in tempo a girarmi per verificare che Chris sia dietro di noi, che una serie di colpi ci fa abbassare immediatamente la testa. Non riesco a capire da dove vengano, vedo solo i bossoli volare intorno a me.

Corriamo verso il vicolo che ci aveva indicato il Comandante e seguiamo la stretta stradina fino ad una porta che conduce ad un seminterrato. Zeke la sta tenendo aperta per noi con una mano, mentre con l'altra ci fa cenno di sbrigarci.

Anche questa volta non faccio in tempo a guardarmi indietro, che qualcuno ci piomba alle spalle e ci spinge violentemente nel seminterrato facendoci inciampare sui gradini.

La porta si richiude seccamente.
Ora siamo avvolti soltanto dal buio.

Sento i rumori dei nostri respiri affannati, segno che l'udito sta riprendendo a funzionare correttamente. Cerco a tentoni il braccio di Tris e infine lo trovo.

In quel momento si accende una luce.

Passa qualche secondo prima che il terrore si insinui tra i nostri sguardi accesi dall'adrenalina.

Io, Tris, Zeke, Amar, il Comandante e il soldato alla guida del camion.
Nessun altro.

Ci fissiamo per qualche secondo, poi Zeke da voce ai pensieri di tutti noi.

"Dov'è Christina?"





NOTE FINALI:

Ok! Una notizia buona e una cattiva! La buona è che il periodo degli esami si è finalmente concluso! **
La cattiva è che questo capitolo fa schifo, lo so... Vi chiedo scusa, ma in questi giorni avevo la testa da un'altra parte e quindi è uscito un mezzo schifo.
Perciò vi lascio e spero di rivedervi alla prossima con un capitolo più decente...
Saluti!

Mconcy

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Fragili

Capitolo 14






Dov'è Christina?

La domanda di Zeke sembra rimbombare in quel buio scantinato, provocando brividi di consapevolezza in ognuno di noi.

Era dietro di me, sul camion. Poi però il Comandante ci ha spinti verso il vicolo e l'ho persa di vista.
Racconto quello che è successo al piccolo gruppo in penombra, ricevendo in cambio occhiate pensose.

Il Comandante Pohe prende un rumoroso respiro, poi ci guarda con stizza.
"La ragazza è rimasta nel furgone. Ho tentato di tirarla fuori, ma per poco non mi ritrovo il cervello bucherellato."

Sputa a terra, incurante della mezza dozzina di sguardi disgustati intorno a lui.
"Non ho potuto fare altro, se non tornare indietro e mettermi in salvo." continua riprendendo a fissarci.

Sembra seccato dalla situazione, infastidito dal contrattempo. 
Inutile dire che la sua voce fa sembrare il suo racconto quello di un ragazzino con troppa immaginazione.

Purtroppo però è tutto vero.

"Chi ci ha attaccato?" chiede Tris, con lo sguardo determinato che tanto la caratterizza.

"Ribelli. Di questo sono sicuro." risponde Pohe con noncuranza.

Ci guardiamo in silenzio per un minuto buono, cercando di pensare alla nostra prossima mossa.
Poi il Comandante sembra rinsavire e comincia a slacciarsi il giubbotto estraendone varie pistole. Lo stesso fa con alcune cinghie legate in vari punti delle gambe.

Ne consegna una ciascuno a Zeke e Amar. Poi viene verso di me e Tris con un'arma per mano.
Le gira dalla parte del calcio e ce le porge.

Tentenniamo entrambi.

"Vi conviene prenderle, qui non si scherza ragazzini... Sapete usarle o no?"
Sorvolo sul termine con cui ci ha chiamati e fisso l'arma con circospezione.

Sono anni che non sparo. Sono anni che non tocco una pistola.
Non volevo avere più nulla a che fare con queste cose e ora, per l'ennesima volta, sono di fronte ad una scelta forzata.

Comincio a sudare freddo e non oso muovere un muscolo per assecondare le stupide iniziative del Comandante.
Poi però vedo un movimento alla mia destra e realizzo che Tris ha appena allungato una mano e ha afferrato la pistola.

"Certo che sappiamo usarle" dice con tono sicuro, tradito soltanto dal tremore delle sue mani.
Mi guarda subito dopo e quello che leggo nel suo sguardo è rassegnazione.
Non abbiamo scelta.

Prendo anche io la mia pistola, rabbrividendo al contatto col metallo freddo e ostile, ma in qualche modo familiare. Sembra pesare tantissimo nelle mie mani. 
Deglutisco a vuoto.

"Bene, quello che dobbiamo far-" 
Il Comandante viene interrotto da un brusco botto. 
Un soldato armato fino ai denti ha spalancato con un calcio la porta di metallo alle nostre spalle, entrando come una furia nel seminterrato e puntandoci contro il fucile che tiene fra le braccia.

"Gettate le armi e buttatevi a terra!" dice mentre altri cinque o sei soldati gli si affiancano velocemente.

Istintivamente porto il dito sul grilletto e tendo i muscoli, pronto a difendermi.
Non mi aspettavo una reazione del genere, soprattutto dopo l'indecisione iniziale per prendere questa maledetta pistola.
Evidentemente aveva ragione Zeke.
Intrepido una volta, Intrepido per sempre.

Vedo con la coda dell'occhio che anche Tris è scattata sull'attenti. 
Devo proteggerla, non posso permettermi di perderla ancora.

"Soldato Swool." è l'unica cosa che dice il Comandate Pohe dalla penombra.

L'uomo che è entrato per primo si rilassa gradualmente e abbassa il fucile seguito poco alla volta dagli altri.
"Comandante? È lei, signore?"

Il Comandante non risponde e si fa largo tra di noi raggiungendo il soldato. 
"Cosa sta succedendo, soldato?"

Quello che dev'essere il soldato Swool addrizza la schiena. Ora riesco a vedere il suo viso con più chiarezza.
Non deve avere più di 25 anni.

"Signore, i Ribelli ci hanno attaccato un'ora fa. Hanno assaltato gli edifici mentre un gruppo armato ha distrutto l'accampamento."

Pohe sembra impassibile.
"Quali edifici?"

"L'ex quartier generale, signore. E hanno posizionato degli uomini sui tetti degli edifici adiacenti. Quasi tutto il battaglione si è rifugiato in questo edificio." 
Il soldato parla molto velocemente e con una certa ansia nella voce. 

"Perché quasi tutto?"
"I Ribelli ci hanno separato. Una trentina di uomini è rimasta bloccata all'ex quartier generale mentre gli insorti spingevano noi verso questo edificio."

Tutti noi rimaniamo in silenzio mentre Pohe si passa una mano sul mento, pensando ad una strategia.
"Va a chiamare il sottotenente Walt. Riunione straordinaria tra 2 minuti."

Swool abbassa il capo.
"Sì, Comandante"

I soldati ci fanno cenno di seguirli su per delle strette scale fino ad una stanza piuttosto grande. Le finestre presenti su un solo lato sono state coperte con delle lastre spesse di metallo. La luce proviene unicamente da alcune fioche lampade a led sul soffitto.

Aspettiamo un minuto scarso nel silenzio della sala, interrotto solamente dai regolari scoppiettii provenienti dall'esterno.
Poi Swool ricompare, seguito da una donna di circa quarantanni, piuttosto magra. Sembra troppo esile per essere una sottotenente dell'esercito. 
Il lineamenti delicati del viso ispirano serenità, non timore come ci si aspetta da un soldato.

"Questa è Carol Walt, il mio sottotenente." la presenta Pohe rimanendo appoggiato al muro.

La donna ci rivolge un sorriso, poi si gira a guardare il Comandante, in attesa di ordini probabilmente.
Pohe comincia a dare istruzioni riguardo alle varie squadre. Da quello che ho capito l'obiettivo è raggiungere il quartier generale e respingere l'attacco da lì.

"Questo è tutto." conclude Pohe accompagnando la frase con un gesto.
"Voi resterete qui fino al mio ritorno." aggiunge girandosi verso di noi.
Il sottotenente Walt annuisce e fa per uscire dalla stanza, ma Tris la ferma.

"Dobbiamo trovare Christina. Era con noi sul camion ed è probabile che sia rimasta lì." dice guardando prima il sottotenente, poi il Comandante.

La donna lancia un'occhiata a quest'ultimo, che rimane impassibile, poi si gira verso il soldato Swool.
"Soldato, prendi cinque uomini e scorta questi due ragazzi al furgone. Affido a te il comando della spedizione."
Anche la sua voce è delicata, totalmente inadeguata per un sottotenente.

Il soldato Swool annuisce rapidamente e ci dice di seguirlo. 
Saluto con un cenno la Walt, ma non mi curo del Comandante che, sempre più indifferente alla questione, controlla il caricatore della sua pistola, appoggiato con la schiena al muro.

Swool ci conduce in un'altra stanza dove cinque soldati stanno lucidando le loro armi. L'unica fonte di luce è una lampadina quasi esaurita che non mi permette di vedere bene in faccia i nostri accompagnatori.

Mi sento sempre più agitato per questa cosa. L'attacco, le armi, Christina che rimane indietro: è tutto così veloce.
Non ero pronto.
Mi sento la testa pesante e lo stomaco in subbuglio.

Tris invece sembra avere i piedi per terra. Ha quello sguardo.
Quello che aveva quando si allenava alla residenza degli Intrepidi. 
Quello che aveva quando se n'è andata, tre anni fa, al Dipartimento.
E mi spaventa. Perché nulla ferma quello sguardo.

Swool informa gli altri delle nuove direttive e dopo pochi minuti siamo di nuovo nello scantinato, pronti ad uscire allo scoperto e a recuperare Christina. Ci hanno dato dei giubbotti antiproiettile per sicurezza.

Mentre un soldato apre la porta che dà sul vicolo, fermo Tris e la trascino in un angolo del seminterrato.
Ho bisogno di mettere in chiaro delle cose.

"Tris, ti prego, non agire d'impulso. Non c'è bisogno di mettere la tua vita in pericolo." 
Il mio sguardo preoccupato deve averla convinta della serietà della richiesta, ma ciò non le impedisce di innervosirsi.

"Non ho intenzione di morire, se è questo che pensi. Non di nuovo. Mi rendo conto da sola dei pericoli che stiamo correndo." mi dice piccata.

Io sospiro frustrato. 
"Non voglio dire questo. Voglio solo... Cioè... Io..."
Non riesco a trovare le parole giuste per far sembrare la cosa meno patetica, così sospiro di nuovo e vado dritto al punto.
"Non voglio perderti di nuovo Tris, non ora che ti ho appena ritrovato. Io ho bisogno di te..."

Lei rimane in silenzio a guardarmi per una manciata di secondi. Il suo sguardo mi dà un'energia nuova.
"Tobias." dice improvvisamente poggiando una mano sulla mia guancia. "Non andrò da nessuna parte." 

Mi abbraccia piano, lasciandomi un bacio dietro l'orecchio. La stringo anche io.
"Non ti lascio." ripete.

Swool ci interrompe bruscamente, facendoci cenno di uscire. Siamo rimasti solo noi. 
Tris annuisce e mi precede.

Fuori l'aria è pesante. Fumo, polvere, metallo fuso.
Sento distintamente i colpi di arma da fuoco non così lontani. Il Comandante Pohe deve aver dato inizio al contrattacco.
Ci servirà da diversivo almeno.

Ci avviciniamo ad armi spianate alla carcassa bruciata del furgone, ma non sembra esserci nessun Ribelle nei paraggi.
"Chris" chiamo io a bassa voce.

Non ricevo risposta e salgo sul retro del camion, trattenendo il respiro per evitare di annusare l'odore di metallo bruciato.
"Chris" ripeto un po' più forte.
Niente.
Non c'è nessuno qui dentro.

Un brivido di terrore percorre la mia spina dorsale.
È morta, penso.
È morta qui dentro.

Mi blocco lì, in mezzo ai resti bruciacchiati del veicolo. Un dolore in pieno petto mi scuote facendomi perdere l'equilibrio per un attimo.

"Tobias!" 
È la voce di Tris. Ma è così lontana.

Chris è morta.

"Tobias!" 
Ancora Tris. 
Stavolta mi sento scuotere un braccio. La guardo non mettendola a fuoco.

"L'abbiamo trovata!"
La recepisco in ritardo, ma quella frase mi risveglia. 

"C-che...?" 
"Christina, l'abbiamo trovata! Che ti prende? Stai male?" 
Il suo tono agitato mi riporta definitivamente alla realtà.

Chris è viva. L'hanno trovata, è viva.

Scuoto la testa in risposta a Tris, ma lei mi guarda per niente convinta. Sospira e mi trascina giù dal camion.

Ad una decina di metri da noi Swool cerca di sollevare un corpo da dietro un cassonetto della spazzatura. Riconosco i capelli di Chris.

Corro incontro al soldato mettendo la sicura alla pistola e infilandomela nei pantaloni. Prendo cautamente Chris tra le braccia e tento di parlarle.
"Chris, mi senti. Chris..."
È messa male. Ha alcune bruciature profonde che sanguinano ancora, una gamba sulla quale spicca un livido viola scuro. Del sangue le cola dal naso.

In risposta ricevo solo un mugolio indistinto, ma mi basta. Sorrido riprendendo a respirare.
"Tieni duro Chris."

Swool riprende a correre verso il vicolo e noi altri lo seguiamo in silenzio.
Quando finalmente arriviamo al seminterrato Chris riprende conoscenza.

"Quattro..." biascica mentre la adagio sul materasso consunto che ci hanno appena portato.

"Sta arrivando un medico, Chris, stai giù." dico deciso. 
Sembra seguire le mie indicazioni, infatti si sdraia sul materasso e chiude gli occhi, gemendo ogni tanto dal dolore. 

Poco dopo arriva un medico. Io e Tris ci allontaniamo di qualche passo e lasciamo lavorare l'equipe che si è portato dietro.

Passano i minuti, forze una mezz'ora. Chris si addormenta subito dopo le prime cure. 
Io e Tris rimaniamo qui, seduti contro il muro, aspettando qualche novità sull'esito della battaglia.

Non penso a niente.
Solo che questa guerra mi fa schifo.


Ad un certo punto la porta si apre di scatto e un malconcio Comandante Pohe fa il suo ingresso nel buio stanzino.
Zoppica leggermente sulla gamba sinistra e ha i pantaloni sporchi di sangue all'altezza del polpaccio.
"È finita. Li abbiamo respinti e ora stanno battendo in ritirata."

Tris si alza immediatamente in piedi.
"Cosa volevano? Perché l'attacco?" chiede con urgenza.

Pohe la squadra circospetto. Solo dopo un po' si decide a parlare.
"Volevano recuperare dei nastri. Avevano un sistema di telecamere a circuito chiuso all'ex quartier generale. Noi non ci eravamo accorti delle microcamere, ma evidentemente avevano registrato cose compromettenti se sono venuti a riprendersele."

Tris si mordicchia il labbro. Sta macchinando qualcosa nel suo cervello, ne sono sicuro.
"Li seguirete?" chiede infatti con aria di sfida.

"Sì, stiamo organizzando una squadra di ricognizione. Una volta che avranno seguito i Ribelli e avranno scoperto il nuovo quartier generale, i miei uomini ci manderanno le coordinate e saremo pronti ad attaccare."  

Sul viso del Comandante si fa strada un sorrisetto irritante.
"Perché me lo chiedi, ragazzina?"

Guardo Tris pensando alla stessa domanda.
Ma purtroppo, dentro di me, so già la risposta.

E infatti, quando Tris risponde, il mio cuore si ferma.

"Voglio venire con voi."





NOTE FINALI:
Eccoci di nuovo! Questo capitolo volevo renderlo diversamente, ma sembra che ultimamente non me ne vada bene una -.-"
Comunque volevo ringraziare tantissimo tutti voi lettori ** ho superato le 550 visite con il primo capitolo e sono stabile nelle storie popolari! **
Il merito è tutto vostro, quindi GRAZIE A TUTTI **
Bene, detto questo vi saluto!

Mconcy

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Fragili

Capitolo 15






"Voglio venire con voi."


Le quattro parole che più mi aspettavo di sentire, ma che paradossalmente temevo di più.
Era ovvio che Tris sarebbe voluta andare con loro. Me l'ha detto, sta cercando una persona e andrà fino in fondo per trovarla.

Mentre fisso gli occhi di Tris ritorno indietro nel tempo di tre anni. Ritorno a quella sera, nel mio vecchio appartamento alla residenza degli Intrepidi, dopo la morte di Marlene.
Le avevo chiesto di non consegnarsi agli Eruditi, le avevo chiesto di farlo per me.
La sua risposta quella sera fu: "Te lo prometto."

Ed era una bugia.

Ora Tris mi sta guardando, implorandomi con gli occhi di capirla. Ma mi sento strano come allora.
È possibile che per lei io valga così poco da gettarsi per l'ennesima volta nelle braccia del nemico senza pensare a me?
Potevo capire il voler venire fin qui, ma addirittura prendere parte ad un'operazione militare!
Non valevo tanto da farle cambiare idea nemmeno tre anni fa?

"Ragazzina, credo che tu stia esagerando." è la perentoria risposta del Comandante alle sue richieste.

Comincio a vagare per la stanza con lo sguardo. I miei occhi si posano su Chris, distesa in un angolo di quel polveroso scantinato, inerme.
Devo proteggere anche lei.

"Non creerò problemi." assicura Tris non smettendo di guardarmi. "Devo trovare una persona."

Il Comandante aggrotta le ciglia, irritato.
"E tu pensi di poter sostenere un'azione di guerra? Forse non ti rendi conto di quanto la Periferia sia cambiata in questi tre anni. La tua preparazione da Intrepida non basterà davanti ad un gruppo di Ribelli come questi..."

Tris distoglie lo sguardo da me e lo punta in quello del Comandante Pohe. Io seguo la scena in silenzio, immobile.
Quasi non respiro.

"Non le sto dicendo che voglio partecipare all'attacco come soldato." riprende Tris con convinzione. "Quello che voglio è poter venire con voi fino al quartier generale. Niente di più, niente di meno."

Questa volta sono io ad aggrottare le sopracciglia.
Ma cosa sta dicendo?
Tutto questo discorso non avrebbe senso per chiunque conoscesse Tris.
Lei non aspetterebbe che l'attacco si concludesse per andare a cercare quell'Ethan. Non è da lei.
Sono sicuro che ha qualcosa in mente, ma purtroppo Pohe non la conosce come me.

Il Comandante scuote la testa lasciandosi sfuggire un ghigno.
"Sei testarda, ragazza."
Si volta nella mia direzione e mi guarda con aria di sfida, probabilmente percependo dalla mia espressione il mio disappunto.

Torna a guardare Tris e allarga le braccia.
"D'accordo."

Le mie speranze vanno in frantumi.

"Potrai rimanere con il gruppo che si fermerà al punto di osservazione quando noi sferreremo l'attacco." continua Pohe imperterrito.

Tris annuisce soddisfatta. Vedo una luce di determinazione nei suoi occhi.
Ha già un piano, ne sono sicuro.
Devo parlarle da solo e metterla alle strette.

"Per ora resta qui con la tua malconcia amica. Aspetteremo che la squadra di ricognizione ci comunichi la posizione, solo allora partirai con noi."
Pohe guarda l'ora sul quadrante che porta al polso e fa una smorfia.

"Ora devo andare, la squadra di ricognizione non si organizza da sola. Vi manderò Swool a comunicarvi le novità." dice lanciando un'occhiata indifferente a Chris.
Poi gira sui tacchi ed esce dallo scantinato zoppicando.

Io e Tris rimaniamo in piedi a guardarci. L'aria fra di noi si è fatta pesante. Inspiro profondamente e rilasso le spalle.
"Era il tuo obiettivo fin dall'inizio?"
La mia voce esce piatta e distante, ma la delusione e la rabbia mi fanno tremare le mani.

Tris non abbassa lo sguardo.
"Ovviamente no, non mi aspettavo di ritrovarmi nel bel mezzo di un attacco..."

"Ma non hai esitato a lanciartici in mezzo."

Lei scuote la testa e finalmente guarda altrove.
"Non voglio partecipare all'attacco."

Schiocco la lingua e sposto il peso da un piede all'altro.
"Tris, pensi che non abbia capito? Non rimarrai ferma ad aspettare che l'attacco finisca, ti conosco."
Faccio tre passi verso di lei e le prendo le mani con vigore, ma senza stringerle.
"Cosa hai in mente? Perché vuoi mettere in pericolo la tua vita di nuovo?"

Tris si avvicina di più a me. Fissa lo sguardo nel mio cercando disperatamente di farmi capire.
"Non... Voglio solo trovarlo, nient'altro." balbetta. Poi la sua voce diventa più sicura. "Devo riuscire a tirarlo fuori dal quartier generale prima che i Ribelli decidano di scappare e portarsi dietro i prigionieri, come è successo l'ultima volta."

Qualcosa mi infastidisce in quello che ha detto, ma non saprei spiegare cosa, così tento la via della logica.
"Tris, non sai nemmeno se è tenuto lì..."

"Dove altro lo terrebbero?"

Scuoto la testa.
"E perché dovrebbero portarlo con loro ancora una volta? È solo un prigioniero."

Tris sospira.
"Anche io lo ero. Eppure mi hanno lasciato lì. Ethan era nella mia stessa cella, avrebbero potuto prendere anche me, ma non l'hanno fatto. Volevano lui allora, e lo vorranno anche adesso."

Mi passo nervosamente una mano tra i capelli allontanandomi di un passo.
Questo scantinato si sta facendo troppo piccolo e soffocante.

"È troppo pericoloso, Tris. Guarda Chris com'è ridotta per essersi solo avvicinata al campo di battaglia!" Con un gesto indico la mia migliore amica - la nostra migliore amica - addormentata sul materasso nell'angolo.
"Dobbiamo occuparci anche di lei."

La scarsa luce dello scantinato tremola leggermente mentre il silenzio si insinua tra di noi.
Tris mi guarda con un'espressione rassegnata.
"Non ti sto obbligando a venire con me, Tobias. Resta qui se vuoi, ma io devo andare. Devo tirarlo fuori di lì."

Inizialmente credo di aver sentito male.
Vuole andare senza di me? Pensa che io l'abbandonerei così?
Un pizzico di delusione raggiunge il mio cuore, impedendomi di rispondere a quella assurdità.
Tris va avanti.

"Lo so che vuoi occuparti di Christina. Vorrei farlo anche io, credimi, ma so che qui sarà in buone mani e ho davvero bisogno di salvare Ethan. Non ti dirò di venire con me se non vuoi farlo."
Si dirige verso la porta guardando a terra e infine aprendola.
"Scusami" dice prima di scomparire nel corridoio.

Rimango solo con Chris in questo scantinato polveroso, così mi siedo vicino al materasso e mi abbandono sullo schienale.

Devo decidere se rimanere con Christina per occuparmi di lei o andare con Tris e assecondare il suo folle piano solo per assicurarmi di proteggerla.

Non sono d'accordo con lei, è una cosa assurda. Pensa davvero di avere più possibilità dell'esercito di Pohe di tirare fuori Ethan da lì?
Se non andassi con lei cambierebbe idea?
Questo non credo, lei andrebbe lo stesso.

Devo decidere, non c'è niente da fare.
Rimanere o partire.

Non vorrei fare nessuna delle due cose.
In questo momento vorrei solo tornare a casa.

**


Dopo un giorno di inseguimento, la squadra di ricognizione ci ha inviato notizie sulla posizione del quartier generale dei ribelli. Non è lontano da dove siamo ora, perciò il Comandante Pohe ha deciso di partire il prima possibile per cogliere i Ribelli impreparati e ancora deboli dopo l'ultimo scontro.

Sono sdraiato sulla mia branda, una delle tante che sono state sistemate provvisoriamente nei corridoi del palazzo. Dall'altro lato del corridoio c'è Chris, ancora debole, che dorme profondamente sdraiata su un fianco.

Io non riesco a dormire. Intorno a me sento i respiri pesanti dei soldati che occupano le altre brande. Loro devono riposare perché domani all'alba dovranno partire per attaccare i Ribelli.
Io non so cosa farò.

Tris l'ho vista poco e niente dopo la nostra chiacchierata nello scantinato. Io mi sono preso cura di Christina, mentre lei probabilmente si sarà preparata a partire.
La sua branda è quella davanti alla mia, quindi mi basterebbe allungare un braccio per toccarle le caviglie.

Non lo so, non lo so.
Mi sembra tutto un errore. Vedo il pericolo ovunque e sono spaventato da quello che potrebbe succedere.
Restare qui sarebbe peggio. Non sapere cosa le starà accadendo mi farebbe cadere nell'ansia più totale.
È mio dovere proteggerla, non la posso lasciare.
Se non posso impedirle di andare, dovrò limitare i danni partendo con lei.

Lancio un'occhiata a Chris nel buio. Distinguo soltanto il contorno del suo corpo. Lei starà bene qui, anche senza di me. I dottori si prenderanno cura di lei e ci saranno anche Zeke e Amar. Di loro mi fido.

Sospiro e le chiedo mentalmente scusa per la decisione che ho appena preso.

Mi alzo piano dalla branda cercando di non fare rumore e faccio qualche passo nell'oscurità. Riesco a malapena a raggiungere la branda di Tris e, dopo aver tastato il bordo del materassino per assicurarmi di non ritrovarmi con il sedere sul pavimento, mi siedo accanto a lei.

Tris sussulta dalla sorpresa, ma poi la sento rilassarsi quando sussurro il suo nome.
Mi sdraio accanto a lei, ricoprendo poi entrambi con le coperte leggere. Lei si sistema meglio per farmi spazio e si lascia circondare dalle mie braccia.

Lascio passare qualche secondo per godermi il calore del suo corpo contro il mio. Poi le sussurro:
"Sono ancora dell'idea che il tuo piano sia troppo pericoloso e assolutamente insensato, ma io vengo con te, su questo non si discute."
Lei si stringe ancora di più a me passandomi le braccia intorno al collo.
"Grazie" sussurra nel mio orecchio.

Cerco nel buio i suoi occhi e li trovo, luminosi e bellissimi come sempre.
"Promettimi almeno che faremo attenzione e che non rischieremo inutilmente la vita."

La vedo annuire, solo un'ombra che si muove nell'oscurità. Poi si avvicina e posa le sue labbra sulle mie. È solo uno sfioramento leggero, ma mi fa rabbrividire istintivamente.
Le accarezzo la schiena sotto la maglia e la sento sospirare. I suoi muscoli si rilassano.
Mi lascia un ultimo bacio e si accoccola di nuovo tra le mie braccia, addormentandosi poco dopo.

Alla fine mi addormento anche io nonostante il fastidioso presentimento che qualcosa andrà male.


La mattina dopo, all'alba, siamo già sul convoglio che ci porterà al nuovo quartier generale dei Ribelli.
Nessuno parla durante il viaggio. I soldati si scambiano sguardi carichi di adrenalina.

Quando scendiamo dal camion insieme al Comandante Pohe, un soldato con i capelli sparati in aria ci accoglie sorridendo.
"Buongiorno Comandante! Siamo pronti a scatenare la guerra!"
Per essere mattina presto questo tipo è parecchio su di giri. Pohe lo squadra con indifferenza e indica la valle davanti a noi.
"È tra quegli edifici?"

Il soldato annuisce e ci indica un palazzo grigio scuro, sulla sinistra della cittadina abbandonata. Il sole è ancora basso, quindi possiamo contare sul buio per nascondere la nostra presenza.
"Il quartier generale è quello lì. La città non è abitata, quindi quelli che incontrerete sono tutti Ribelli."

Pohe annuisce e si gira verso di noi.
"Voi resterete qui. Potrete seguire l'attacco, ma scenderete a valle solo quando ve lo dirò io, ovvero quando tutto sarà finito."

"Tra quanto attaccherete?" chiede Tris, ignorando le raccomandazioni del Comandante.

"Meno di mezz'ora, il tempo di organizzarci."
Detto questo il Comandante si volta e raggiunge un gruppo di soldati riuniti intorno a delle cartine. Il soldato dai capelli sparati lo segue saltellando.

Dò un'occhiata intorno a me.
Siamo su una collina non molto elevata punteggiata da alberi. Alla nostra sinistra un fitto boschetto scende lungo tutto il versante della collina arrivando fino a valle, quindi ai piedi della cittadina.
Vedo che anche Tris sta osservando il boschetto con aria concentrata.
Ad un certo punto si gira verso di me e mi trascina dietro ad un camion.
"Dobbiamo andare ora. Arriveremo a valle attraversando il bosco, così non daremo nell'occhio."

Sospiro, sempre più contrariato.
"Come faremo con le armi? Saremo solo noi?"

Tris scuote la testa.
"No, in realtà no..."

La guardo alzando le sopracciglia per incitarla a continuare. Lei tentenna.

"Zeke e Amar si sono nascosti in uno dei furgoni. Verranno con noi."

"Cosa?"
Loro dovevano stare con Christina, dovevano prendersi cura di lei!
È anche per questo motivo che ho accettato di supportare il folle piano di Tris.
Lei sembra leggermi nella mente.
"Non ho gliel'ho chiesto io, Tobias. Appena hanno saputo non mi hanno dato altra scelta."

Mi passo nervosamente una mano tra i capelli. Questa cosa finirà male.
Dal retro di un camion a qualche metro di distanza escono i due ragazzi di cui stavamo parlando. In mano hanno delle armi che probabilmente hanno trafugato dalle casse del veicolo.
Li vedo guardarsi intorno. Quando incrociano il nostro sguardo Tris fa loro cenno di entrare nel boschetto, e così fanno.
Fortunatamente, o sfortunatamente, tutti i soldati sono concentrati sull'organizzazione dell'operazione e non si curano di noi. Sono riuniti in gruppi e si passano armi o si allacciano i giubbotti antiproiettile.

Per precauzione, comunque, ci guardiamo intorno anche noi.
Piano piano ci avviciniamo al limitare del bosco e quando ci rendiamo conto di non essere visti, ci intrufoliamo tra gli alberi.

Troviamo Zeke e Amar ad aspettarci ad una quindicina di metri dall'inizio del bosco.
"Dovevate restare con Chris" è la prima cosa che dico appena ci avviciniamo. Il mio tono è palesemente accusatorio.
Questa cosa mi manda in bestia.

Zeke scuote la testa.
"Starà benissimo anche senza di noi. I medici si prenderanno cura di lei."
Mi schiaffa in mano un fucile e mi supera per dare a Tris un'arma.
Ingoio il risentimento ed espiro chiudendo gli occhi. Faremo i conti più tardi.

Alla fine ci mettiamo in cammino e dopo una decina di minuti e tante erbacce sotto gli scarponi raggiungiamo il limitare del bosco, a valle.
Il quartier generale è a due isolati da qui, lo vedo in lontananza.

"Ci saranno delle guardie. Come faremo ad entrare?" chiedo con scetticismo.

Zeke fruga nelle tasche dei suoi pantaloni e ne tira fuori un foglio spiegazzato con un sorriso.
"Ho preso in prestito una di queste."

Apre quella che si rivela essere una piantina del quartier generale. È un po' approssimativa, ma ci permette di individuare delle entrate secondarie e meno in vista.
Tris propone di entrare da una porta sul lato sinistro dell'edificio dato che il Comandante Pohe attaccherà da destra rispetto alla nostra posizione.

Ci portiamo più vicini all'entrata e notiamo subito tre guardie armate a sorveglianza della porta.

Sento il nervosismo mischiarsi all'adrenalina.
Ho paura, è vero. In fondo sono anni che non partecipo attivamente ad azioni come queste.
Ma sento una strana energia, qualcosa di familiare.
È come se fossi tornato un Intrepido.

Attendiamo dei minuti.
Tris vuole entrare nel momento stesso in cui il Comandante attaccherà, così da poter sfruttare il trambusto come diversivo.
Ci siamo nascosti dietro un muro diroccato, ad una quindicina di metri dal nostro obiettivo.

All'improvviso sentiamo un'esplosione in lontananza.
Un grido e poi il caos.
Il battaglione ha dato inizio all'attacco.
Vediamo decine di Ribelli uscire dall'edificio e correre verso la fonte del frastuono.
Il rumore di scoppiettii e detonazioni raggiungono anche noi, a circa 300 metri dal fronte della battaglia.

Tris ci guarda e annuisce, segnale che è arrivato il momento di entrare in azione.

Amar e Zeke sono i primi ad uscire allo scoperto. Si gettano di lato e colpiscono due delle tre guardie, ferendole alle gambe.

Nessuno fa caso a noi, nemmeno quando superiamo il muro diroccato ed io mi ritrovo a sparare al braccio dell'ultima guardia rimasta.
Tutti escono dall'entrata principale e si riversano nelle strade, gridando cose incomprensibili.

Io, Tris, Amar e Zeke raggiungiamo la porta secondaria, nascosta rispetto alla strada, e cerchiamo di aprirla e suon di calci.

Alla fine Zeke spara sulla serratura e sfonda con una spallata la lastra di metallo.
Il frastuono dovuto agli spari diminuisce d'intensità una volta entrati nell'edificio.
Ci ritroviamo in una stanza semi-vuota. Solo qualche sedia qua e là riempie il grande ambiente scarsamente illuminato.
C'è odore di medicinale piuttosto fastidioso.

Una volta appurato che in giro non c'è nessuno, Tris abbassa il fucile e si gira verso di noi.
"Okay," dice respirando profondamente. "dobbiamo ragionare. Le prigioni non hanno finestre, quindi devono trovarsi sotto terra oppure al centro dell'edificio, lontano dai muri esterni."

Amar annuisce.
"La cartina non è molto precisa, ma mi sembra più plausibile che tengano i prigionieri sotto terra. Avrebbero meno probabilità di scappare."

Tutti annuiamo, d'accordo con il suo ragionamento, ma ovviamente ci rendiamo conto che non possiamo essere sicuri al cento per cento.
Tris prende un respiro e si mordicchia le labbra.
"D'accordo, proviamo nei sotterranei. Anche io ero rinchiusa sotto terra, ne sono sicura. "

Ci muoviamo tutti in sincrono verso l'unica altra porta della stanza.
Mentre Zeke la apre con vigore sento l'ansia crescere dentro di me. Ho mal di testa, l'odore dei medicinali persistentemente nelle narici e un nervosismo a pelle che potrebbe distruggermi i muscoli da quanto li tende.
Non perdo di vista Tris nemmeno un istante.
Il mio obiettivo ora è proteggerla e questa è l'unica cosa che mi mantiene lucido.

Seguiamo una serie di corridoi fino ad una rampa di scale. Zeke elimina altre due guardie e ci precede. Scendiamo una ventina di gradini e arriviamo davanti ad un lungo e largo corridoio pieno di porte su entrambi i lati.
Una decina di Ribelli ci sentono arrivare e dal fondo del corridoio cominciano a sparare senza sosta nella nostra direzione.

Io e Tris ci rifugiamo dietro ad una scrivania mentre Zeke e Amar si lanciano in avanti rispondendo al fuoco. Colpisco tre guardie alle gambe, Tris ne fa fuori altre due.
La vedo tremare ogni volta che torna al riparo per ricaricare la pistola. Il suo sguardo è perso, sull'orlo del crollo.
Quanto la capisco...

Dopo qualche minuto gli spari cessano. Le guardie sono a terra, inermi, ma sono vive. Sparavamo per ferire, non per uccidere.

Amar ha una ferita poco profonda al braccio, mentre Zeke è stato colpito allo stomaco, ma si è salvato grazie al giubbotto antiproiettile.

Ci riuniamo tutti e quattro nel corridoio con le imprecazioni di Zeke in sottofondo. Deve aver preso una bella botta.
"Bene," inizia Tris "abbiamo avuto fortuna. Queste devono essere le prigioni, ma ora devo trovare Ethan."
Noto gli sportellini su ogni porta di metallo, probabilmente per passare il cibo senza entrare nelle celle, e convengo che abbiamo avuto fortuna.

Né Zeke né Amar fanno domande, quindi deduco che sappiano già la storia di Ethan.

"Io e Amar faremo la guardia sulle scale. Voi sbrigatevi, fate uscire tutti quanti da questo scantinato puzzolente..." dice Zeke tornando indietro e appostandosi a metà della rampa di scale.

Tris comincia a gridare.
"Ethan! Ethan, dove sei?"

Inizio a sfondare le porte che trovo sul mio cammino con qualche calcio ben assestato. Alcune sono vuote, altre sono occupate da una persona o due. Sono tutte in brutte condizioni, ferite o tumefatte.
Le aiutiamo ad uscire, una ad una. Le portiamo ai piedi delle scale e diciamo loro di non agitarsi, che presto le porteremo fuori di qui.

Alla fine manca solo una porta in fondo al corridoio e Tris la butta giù senza troppi problemi.
"Ethan!" grida gettandosi dentro la cella.
Lascio andare un ragazzo che ho accompagnato fino alle scale e raggiungo la cella in pochi passi.

Tris sta abbracciando un ragazzo sulla trentina, capelli lunghetti biondo cenere, semi-disteso su un materasso logoro. Non riesco a vedere i suoi occhi, ma noto che è pieno di lividi e ferite. Eppure è cosciente.
"Tris..." mormora lui staccandosi dalla mia ragazza e guardandola con riconoscenza.

"Dobbiamo uscire di qui, forza sbrigati! Parleremo più tardi..." si riprende lei alzandosi e aiutandolo a fare lo stesso.

Ethan incrocia per la prima volta il mio sguardo e accenna un sorriso.
Io non faccio altrettanto, mi limito ad aiutare Tris a portarlo fuori dalla cella.
Arriviamo alla rampa delle scale e incitiamo la decina di persone malandate a salire. Zeke e Amar in testa, io e Tris in coda, scortiamo il gruppo gradino dopo gradino.

Ci vogliono parecchi minuti prima di raggiungere il piano terra. Percorriamo a ritroso i vari corridoi abbattendo il più velocemente possibile le decine di guardie che tentano di fermarci. Erano tutte dirette alle prigioni, segno che Tris non si era sbagliata. Volevano eliminare i prigionieri o portarli via con loro.

Usciamo all'aperto una ventina di minuti dopo, facendo attenzione di non essere visti dai tanti Ribelli che si rifugiano nel quartier generale affollando l'entrata principale.
I prigionieri non riescono a camminare velocemente, ma non possiamo restare qui ancora a lungo. Gli spari e le esplosioni si fanno sempre più vicine.

Conduciamo il gruppo al boschetto e ci nascondiamo tra i cespugli e i fitti alberi, seguendo la scena da lontano.

Alcuni soldati guidati dal Comandante Pohe entrano nel quartier generale e fanno irruzione. Distinguo da lontano la chioma sparata del soldato che ci ha accolto al punto d'osservazione.

Ormai la vittoria è assicurata, penso.
Ad un tratto però una luce intensa mi colpisce gli occhi, seguita da un fortissimo boato. Lo spostamento d'aria mi scompiglia i capelli e sono costretto a voltarmi, mentre Tris urla di abbassare la testa.
Dev'essere stata una bomba.
Torno a guardare in direzione del quartier generale, ma rimango spiazzato.

Nulla.
Non c'è più nulla.

Le macerie fumanti dell'edificio hanno preso il posto della struttura di cemento.
Un'esplosione ha spazzato via tutto.

Guardo Tris, stupita quanto me da quanto accaduto e mimo con le labbra il nome che rimbomba nella mente di entrambi.

Il Comandante Pohe.





NOTE FINALI:
E scusate il ritardo... Davvero, perdonatemi! :(
Purtroppo il capitolo era bello lungo e in più dopo l'esame ho avuto un po' da fare coi festeggiamenti XD
Comunque sia spero che il capitolo vi piaccia visto che come al solito non mi convince...
Con il prossimo aggiornamento vi metterò al corrente di un'idea che mi sta rimbalzando da un po' nella mente, così potrete darmi le vostre opinioni :)
Grazie per tutto e alla prossima!

Mconcy

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Fragili

Capitolo 16






Il Comandante Pohe non è più uscito da quell'edificio.
È morto insieme ai 26 soldati e ai 73 Ribelli rimasti nel palazzo.

Il quartier generale è saltato in aria per mano loro, dei Ribelli. Ormai sconfitti, intendevano eliminare ogni traccia dei loro esperimenti, mettendo a repentaglio la loro stessa vita.

La notizia della morte di Pohe mi ha lasciato senza parole.
Era un uomo possente, stabile. Sembrava invincibile con quella sua aria di indifferenza verso il mondo.
Eppure non è stato così, e la cosa mi ha turbato.

Avevamo avuto la conferma della sua morte durante il viaggio di ritorno grazie al resoconto di Swool. Il soldato ci ha anche informati del ritrovamento di un misero fascicolo contenente cartelle cliniche e annotazioni sulle reazioni di alcuni prigionieri ai sieri sperimentali.
Solo uno dei tanti fascicoli ormai andati distrutti.

Quindi Tris aveva ragione.
Erano dei test quelli che conducevano su di lei, anche se il motivo per cui li facevano ci è ancora sconosciuto.
Anche su un'altra cosa Tris aveva avuto ragione: il suo folle piano.
Dovevo ammettere che aveva funzionato e che ci aveva permesso di mettere in salvo delle persone che sicuramente sarebbero morte nell'esplosione.

Forse è per questo che quando il sottotenente ci ha trovati nel bosco non è andata su tutte le furie. Anzi, ci ha ringraziato per aver salvato delle vite e ci ha lodato per il nostro coraggio.

La cosa mi ha infastidito un po'. È l'ennesima volta che mi ritrovo nel torto, mentre l'intuito di Tris si rivela sempre vincente.
Era una cosa pericolosa, non coraggiosa a mio avviso.
Ma qualsiasi cosa avrei potuto dire, avrei sbagliato, quindi me ne sono stato zitto.


Christina si è ripresa abbastanza bene. Per tutto il tragitto verso Chicago l'ho tenuta vicino a me sul camion, con la testa appoggiata alla mia spalla. Tris, invece, mi sedeva di fronte, tenendo la testa di uno stordito Ethan in grembo. Ogni tanto gli parlava a bassa voce, rassicurandolo e accarezzandogli i capelli biondi.
Il suo sguardo era preoccupato. Trasmetteva tutta l'ansia che doveva provare dentro di lei.
Aveva paura di perderlo.

I nostri occhi si sono incrociati un paio di volte durante il viaggio, ma io puntualmente guardavo altrove, incapace di reggere quel grigio-azzurro così intenso.
Non so cosa mi sia preso, semplicemente mi sentivo male solo a guardarla.
Quel momento, in fin dei conti, rappresentava l'essenza dei tre anni passati lontani.

Lei e Ethan, a difendersi e a guardarsi le spalle a vicenda.
Io e Christina, a sostenerci uniti nel dolore.
Tra di noi, una distanza. Non così grande ed insormontabile come mi avevano fatto credere, ma pur sempre palpabile, reale.

Questo è ciò che ci ha resi fragili. Questo è ciò che volevo dimenticare per andare avanti.
E in quel momento si è ripresentato prepotentemente davanti ai miei occhi, impedendomi di riuscire a guardare Tris senza soffrire.

Fortunatamente il viaggio non è stato lunghissimo. Siamo arrivati a Chicago senza intoppi e ci siamo subito fatti portare al Centro d'Accoglienza.

Ora siamo qui fuori, nel corridoio dell'ala ospedaliera, ad aspettare che il dottore esca dalla stanza di Ethan dopo aver finito i controlli.

Christina è tornata a casa, invece Tris è con me, ma è come se fossimo da soli. Non la guardo, tantomeno le parlo.
Mi sento così inadeguato in questo momento che vorrei sparire e rinchiudermi nel mio ufficio, tenendo tutto fuori.
Tris, dal canto suo, non invade i miei spazi e si limita a lanciarmi delle occhiate preoccupate. Si mordicchia il labbro in continuazione fino a farlo sanguinare.

Ad un certo punto il medico apre la porta della stanza e ci dà il permesso di entrare.
Tris non se lo fa ripetere due volte e lo supera velocemente scaraventandosi dentro.
Io la seguo con calma.

Si è seduta di fianco al letto di Ethan e gli ha preso una mano.
"Ciao"
"Tris... Ma come hai fatto?" biascica lui cercando di tirarsi su. Lei lo spinge delicatamente contro il letto.
"Stai giù, non sforzarti."

Ethan apre gli occhi e per la prima volta ne posso osservare il colore. Sono verdi, molto chiari. Sembrano occhi sinceri, grandi e dalle linee morbide.
Non so perché questo particolare mi irrita ancora di più.

"Grazie, per tutto." dice guardando Tris con gratitudine. "Non dovevi rischiare la vita per me..."

"Invece sì," risponde lei. "Tu lo hai fatto."
Si sorridono a vicenda e devo distogliere lo sguardo per non rompere qualcosa addosso al muro.

"Lui dev'essere Tobias."

La sua frase mi coglie impreparato. Lui mi conosce?
Annuisco un po' rudemente e facendolo scoppiare in una breve risata.
"Tris mi ha parlato tantissimo di te. Ti avrei riconosciuto anche tra un milione di persone per quanto erano dettagliati e frequenti i suoi racconti."
La voce limpida di Ethan mi colpisce come uno schiaffo in pieno viso.

Tris gli ha parlato di me.
Tris pensava a me.

Non so cosa dire, così abbasso lo sguardo osservando con interesse i lacci dei miei scarponi.

Dopo qualche secondo di silenzio Tris riprende a parlare.
"Facevano dei test su di noi. Dopo l'attacco hanno trovato un fascicolo pieno di annotazioni."

Ethan annuisce.
"Sì, me ne ero accorto."

"Perché hanno portato via solo te? Intendo la prima volta che l'esercito li ha attaccati..."
La domanda di Tris provoca una strana espressione sul volto del ragazzo. Forse è confuso perché non si aspettava di dover rispondere subito a certe questioni.

"Scusami se ti parlo dei test in un momento come questo, ma ho bisogno di sapere. " tenta di riparare Tris.

Il biondo sospira e si passa una mano tra i capelli.
"Tris, tu ti ricordi che effetto avevano i sieri su di te?" le chiede serio.
Guardo Tris e la vedo annuire.
"Sì, più che altro mi creavano allucinazioni, dalle quali uscivo sempre stanca e provata fisicamente."

Ethan stringe le labbra per un secondo.
"Ecco, diciamo che tu eri piuttosto resistente a quei sieri. Li combattevi e ne uscivi sempre, anche se conciata male, me lo ricordo."

Una fitta in petto.
Lui se lo ricorda, io no.

"Tris, il motivo per cui io ero sempre cosciente quando ti svegliavi... era che io, a quelle robacce, ero totalmente immune."

Lo sguardo di Tris si perde nel vuoto e so che sta metabolizzando la cosa.
"Tu eri il miglior campione." dice dopo un po'. "È per questo che ti hanno tenuto. Se trovavano qualcosa che aveva effetto su di te, avrebbe avuto effetto anche sugli altri!"

Lui annuisce pensieroso mentre il silenzio si protrae per qualche secondo.
"Ma per co-"
Tris non finisce la frase che lui la interrompe.
"Non lo so. Sinceramente non lo capisco neanche io lo scopo di questi sieri."

Tutta questa storia mi ricorda Jeanine.
Voleva creare sieri contro i Divergenti, contro persone che non potevano essere controllate perché pensanti con la propria testa.
I Ribelli si impegnavano contro qualcuno che non si piegava ai loro intrugli. Forse sieri per controllarli o per far loro del male.
Ma perché?

Rimaniamo qualche ora qui al Centro, Tris ad occuparsi di Ethan, che potrà uscire oggi stesso, io a girovagare per le stanze, cercando di smaltire questa pesantezza che mi è caduta addosso da stamattina.
Tra l'altro devo farmi una doccia, è da ieri, dall'attacco, che non mi cambio.

Alla fine Ethan viene fatto uscire. È ancora piuttosto debole e rimbambito dai medicinali, ma io e Tris riusciamo a trascinarlo fino alla mia macchina.
Johanna mi ha detto di dargli un appartamento subito e di pensare successivamente alle pratiche.

Così parcheggio fuori dal mio ufficio e faccio un salto da Trent per prendere le chiavi che mi servono.
L'unico mazzo che aveva era quello del palazzo di Tris.Prendo una chiave senza pensarci troppo e torno alla piazzola.

Mi carico il borsone che hanno dato ad Ethan e faccio segno ai due di seguirmi.

Alla fine l'appartamento si rivela essere sullo stesso piano di Tris.
Percepisco un senso di fastidio che mi fa tendere i muscoli.

Apro la porta senza troppa grazia e faccio entrare Ethan sorretto da Tris. Quest'ultima lo conduce al letto e lo aiuta a sdraiarsi.
"Grazie... Ancora." mugola sistemandosi sul cuscino. Ci guarda entrambi e sorride.

Non riesco a sopportare a lungo quella vista, così annuisco seccamente ed esco dalla stanza.
"Ti aspetto da te Tris" urlo una volta fuori dalla porta.
Raggiungo velocemente l'appartamento di Tris e mi chiudo dentro facendo un grosso respiro.

Ma perché non riesco a comportarmi normalmente quando c'è lui in giro?
Sono nervoso marcio, ho le tempie che mi scoppiano e non riesco a togliermi dalla testa quel cretino biondo che sorride a Tris ogni cinque dannati secondi!

Sembra perennemente allegro, anche nei momenti in cui una persona normale crollerebbe al suolo, provato da giorni di sforzi fisici e mentali.

Dovrebbe regolarsi, perché non a tutti piace vedere la sua felicità sprizzare da tutti i pori.

Andassero a quel paese, lui e quella sua aria affidabile.
Oggi proprio non è giornata.

Nemmeno una decina di minuti e la porta di casa si riapre, lasciando entrare una Tris dai lineamenti stanchi.
Mi trova seduto per terra, con le spalle appoggiate al divano. Arriva davanti a me e si passa una mano tra i capelli.

"Ha detto che quando si rimetterà in forze proverà a descrivermi la rapitrice che ha visto in faccia. Magari riusciamo a fare un identikit accurato."
Rimango impassibile alle sue parole e fisso il vuoto davanti a me.

"Cosa ne pensi di lui?" chiede imperterrita Tris. "Quali sono le tue impressioni?"

Basta, non voglio parlarne ora. Ne ho la testa piena dei suoi stupidi occhi verdi e dei suoi sorrisi da bambino felice.
Non mi interessa di lui.
"È okay." mi limito a rispondere con voce piatta. "Scusa Tris, ora sono stanco. Vado a farmi una doccia se non ti dispiace, poi tolgo il disturbo."
Mi alzo e mi dirigo in camera dove prendo alcuni vestiti puliti che avevo lasciato giorni prima nell'armadio. Faccio per raggiungere il bagno, ma Tris mi blocca l'accesso parandomisi davanti.
"Tobias, cosa c'è?"

"Niente, te l'ho detto, è stanchezza..."
Provo a schivarla e ad entrare lo stesso, ma lei mi spinge indietro.
Mi sfugge un sospiro.

"Non è solo quello, Tobias. È da ieri che non mi guardi in faccia. Scappi via all'improvviso e non parli. Ora mi dici cosa sta succedendo, perché non ti lascerò andare."

Alzo gli occhi su di lei e mi sento completamente esposto al suo sguardo.
Mi sta leggendo dentro, lo vedo. Quel grigio mi scruta con attenzione, cercando di scoprire cosa si nasconde dietro il mio evitarla a tutti i costi.

"È per lui?" chiede ancora aggrottando le ciglia.
Distolgo lo sguardo arrendendomi alla sua insistenza.
"Okay, sì, è per lui."

"Cosa c'è che ti infastidisce?"

Mi muovo nervosamente sulle punte dei piedi. Sono imbarazzato e stizzito.
Non riuscirei a mentirle, capirebbe subito che le starei nascondendo la verità.
Lascio passare dei secondi cercando di organizzare un discorso equilibrato e logico.
Poi ovviamente non ci riesco.

"Lui c'era, d'accordo?!" alzo la voce, tornando a fissarla. "Lui è stato con te per tre anni, anni in cui io ero lontano e ignoravo persino che tu fossi viva."

Tris non batte ciglio, anzi, continua a guardarmi concentrata. Socchiude leggermente gli occhi, segno che sta riflettendo.
"Dovevo esserci io al posto suo, non lui! Io dovevo proteggerti, io dovevo consolarti."
Io dovevo amarti, penso. Ma non dico nulla.
Non so che cosa provi quella testa bionda per Tris, ma i suoi sorrisi non mi convincono.
O forse mi convincono troppo.

"Oggi, sul camion, mi è sembrato di tornare a tre anni fa. Io e Chris da una parte, tu e lui dall'altra. Separati di nuovo, ma questa volta dal ritorno del tuo passato. Un passato di cui io non ho potuto far parte."

Sto dando sfogo a tutte le mie frustrazioni, alle mie paure. Sento la rabbia fluire e dissolversi sempre di più. Frase dopo frase.

"C'è una parte di te che non mi appartiene, Tris. Doveva essere mia, invece è stata sua."

Queste ultime frasi le pronuncio con la voce spezzata.
Probabilmente mi sono espresso male. Non volevo fare la figura del maschio dominatore che segna il territorio. So che Tris non è di nessuno, ma quello che volevo intendere era che avrei voluto prendermi le mie responsabilità nei suoi confronti, quando invece lo ha fatto lui al mio posto.

Devo deglutire più volte per far tornare la mia gola umida.
Ora mi gira la testa. Molto forte.

Dopo avermi osservato per qualche minuto Tris stringe le labbra e si avvicina.
"Non c'era giorno che non condividessi con te, lì dentro." inizia afferrando il bordo della mia giacca militare. "Parlavo di te in continuazione, ti pensavo costantemente e mi costringevo a resistere per tornare qui insieme a te."

Le mani le tremano un po'.
Vengo invaso da un senso di calore e di casa che non saprei spiegare. Non a parole.

"Non pensare mai che ci sia qualche aspetto della mia vita dal quale tu sei escluso. Non farlo, perché non è così."
Ha abbassato gli occhi, in imbarazzo.
Si sta aprendo come ha fatto poche volte e questo mi fa dimenticare il resto. Vedo solo lei, contornata da figure sfocate.

"Io voglio renderti partecipe di tutto, Tobias, tutto quanto. E ricorda che nessuno può sostituirti, nemmeno quando siamo lontani e ti sembra di perdere momenti della mia vita."

Finalmente i suoi occhi grigi tornano nei miei.
"Tu sei con me, sempre e comunque."

Mi manca il respiro.
Tris è riuscita a sconvolgere tutto, ancora una volta.
I dubbi che avevo, dissolti nel nulla. Le sue parole sono talmente sincere da lasciarmi a bocca aperta.
Non potrei descrivere l'uragano di emozioni dentro di me. Troppe e troppo forti.

So solo che quando le nostri mani si incontrano, tremiamo entrambi.

Passano dei secondi. Dei minuti.
Ad un tratto voglio sentirla più vicina, così mi sporgo e la abbraccio semplicemente.
La tengo stretta chiudendo gli occhi contro i suoi capelli e cercando di trasmetterle tutto quello che mi sta facendo provare in questo momento.

Quando siamo insieme le cose scompaiono. Per un po' siamo solo io e lei, Tobias e Tris.
E mai come in questo momento lo siamo.

Non so perché, ma questo abbraccio mi fa sentire come se tutti i pezzi si stiano rimettendo a posto.
Sembra che questi tre anni non siamo mai passati, perché io e Tris ci incastriamo alla perfezione.
L'ho sempre detto che uniti siamo più forti.
E questa ne è la dimostrazione.

Lentamente ci allontaniamo, ma non faccio in tempo a ritrovare i suoi occhi, che le nostre labbra si incontrano.
Quello che parte come un dolce sfioramento diventa in pochi secondi qualcosa di sconvolgente.

Dal tepore al calore.
Dalla scintilla al fuoco vivo.

Le sue mani risalgono fino ai miei avambracci e si arpionano alle cinghie della giacca.
Percepisco l'urgenza nei suoi gesti, urgenza che assecondo subito, spingendola piano verso il bagno.

Ecco, ora non capisco proprio niente.

Comincio a slacciarle la giacca militare che indossa da ieri e lei fa lo stesso con me, mentre in contemporanea scalciamo via le ingombranti scarpe.
Entriamo malamente nella vasca e tiriamo la tenda.
Sono troppo concentrato sul collo di Tris e sul suo profumo che non mi accorgo del rumore della doccia. Solo quando mi ritrovo i capelli e la maglietta completamente bagnati mi rendo conto che Tris ha aperto l'acqua.
Mi sorride con gli occhi e si tuffa nelle mie braccia.

Sento i suoi capelli sul collo e le sue mani sui fianchi. Le lascio un bacio sulla fronte per poi scendere lentamente verso la bocca.

L'acqua si fa troppo calda, o forse sono io che la percepisco così, quindi mi sporgo e regolo meglio la temperatura del getto.

Abbiamo i vestiti fradici e pesanti. Mi tolgo velocemente i pantaloni, ormai zuppi, e lo stesso fa lei.
Nel momento stesso in cui mi riavvicino sento un fastidioso rumore nelle orecchie. Qualcosa che mi lascia spaesato per un istante.

Sulle prime non riesco ad identificarlo. Mi sembra un ronzio lontano. Sicuramente la situazione sta alterando le mie percezioni.

Dopo due secondi lo sento di nuovo, lo stesso.

Tris sospira, seccata.
"Ignoralo, è il campanello."

Mi afferra per il collo e torna a baciarmi. Non duriamo più di due secondi che il campanello suona nuovamente.

"TRIS! APRI, SONO CALEB!"

La voce di Caleb ha l'effetto di un mattone in faccia. O di una doccia fredda, a seconda delle interpretazioni.

Ha urlato così forte che si sarà fatto sentire persino dal Centro di Accoglienza.

Io e Tris ci guardiamo con rassegnazione. Ora l'acqua in faccia non sembra più così piacevole.

"Faccio subito..." dice uscendo dalla vasca.
Chiudo l'acqua e la fermo.
"Tris, forse è meglio se ti asciughi... e ti vesti."

Lei mi sorride e fruga in un cassetto sotto al lavandino. Ne tira fuori un asciugamano e me lo lancia.
"Già, anche tu..."

Caleb si è seduto sul divano del salone. Ha un'espressione parecchio preoccupata e sembra sull'orlo di una crisi di nervi.

Io e Tris sediamo di fronte a lui. Lei si è messa un accappatoio, mentre io, non avendo un cambio di pantaloni a portata di mano, ho dovuto optare per un pareo improvvisato con un asciugamano. Ovviamente Caleb non ha capito l'antifona ed è entrato in casa prima che potessimo obiettare.

Sono chiaramente stizzito dall'intrusione, eppure la sua espressione mi preoccupa.
Non l'ho mai visto così.

"Scusatemi, sono corso qui appena ho saputo che eravate tornati."
Si muove nervosamente sul posto e punta su di noi i suoi occhi cerchiati dalle occhiaie. È probabile che non abbia dormito.

"Cos'è successo, Caleb?" chiede Tris aggrottando le sopracciglia. Si sta rendendo conto anche lei dello strano comportamento di suo fratello.

"N-niente..." balbetta con poca convinzione. Sembra essere sul punto di dire qualcosa, ma alla fine ci rinuncia. Scuote la testa e prende a fissare il pavimento.

"Volevo solo sapere come state. Mi hanno detto dell'attacco... e niente..."

Io e Tris ci scambiamo un'occhiata scettica.
Sicuramente c'è qualcosa sotto.
Tris fa finta di niente e comincia a riassumergli tutto quello che è successo ieri.
Sembra tutto così semplice raccontato in quel modo. Un evento dopo l'altro, passo dopo passo.

"E quindi io e Tobias siamo tornati qui. Stavamo giusto per farci una doccia..."
Così Tris conclude il suo racconto.

Lo sguardo di Caleb rimbalza velocemente tra me e Tris. Poi finalmente un'ombra di comprensione gli attraversa il viso.
"Oh... Sì, certo..." dice alzandosi di botto. "Cioè, io tolgo subito il disturbo... Ero solo..."
Caleb inizia a blaterare cose incomprensibili, colto dall'imbarazzo.

Tris si alza gli mette una mano sulla spalla e lo rassicura.
"Tranquillo, non c'è problema. Mi sembravi preoccupato per qualcosa, sei sicuro che è tutto qui?"

Lui tentenna e si scompiglia i capelli, già spettinati tra l'altro, con le dita.
"Domani vorrei parlarvi, se possibile."

Tris annuisce.
"Certo. Vuoi venire qui?"
"No!" grida Caleb facendoci sussultare. Si schiarisce la voce e abbassa il tono. "No, vorrei che veniste al laboratorio, da me."

Mi sembra una richiesta piuttosto strana. Caleb non mi ha mai invitato a visitare i laboratori. Per essere precisi non ha invitato mai nessuno. Quello è il suo mondo ed appartiene solo a lui.

Tris gli sorride e lo accompagna alla porta. Nonostante cerchi di apparire tranquilla, lo vedo che è confusa quanto me.
"Sicuro, verremo in mattinata, d'accordo?"
Lui annuisce alla domanda della sorella ed esce goffamente dall'appartamento.

"Allora a domani..." ripete, una volta nel corridoio.
"Ciao Caleb." lo salutiamo quasi simultaneamente io e Tris.

Finalmente la porta viene richiusa.
Tris sembra pensare a qualcosa, ha lo sguardo perso nel vuoto e la mano ancora sulla maniglia.

"Sembrava preoccupato." me ne esco io dopo un po'.
Lei rinsavisce e mi guarda.
"C'è qualcosa sotto." mi appoggia andando verso il bagno. "Domani lo scopriremo. Sarebbe stato inutile spingerlo a parlare."

"Dove vai?" chiedo io voltandomi nella sua direzione.

Lei si ferma sulla porta e mi rivolge un sorriso furbo.

"Dov'eravamo rimasti?"





NOTE FINALI:

Buonasera :)
Eccolo qui, il sedicesimo capitolo. So che ve lo aspettate ma... non mi piace -.-" quando mi rileggo mi prenderei a librate in faccia.
Ma okay! Tralasciando questo... XD

Ci stiamo avvicinando alla fine! Avevo fatto una scaletta, ma poi ho compresso due capitoli in uno e quindi l'ho stravolta.
La scorsa volta vi avevo accennato di un'idea che mi passa per la mente da una settimanella XD
Poiché questa storia è raccontata dal punto di vista di Tobias, mi sono resa conto che c'è bisogno di dare un po' di spazio anche a Tris e al suo modo di vedere le cose.
Avevo già accennato che non mi piacciono particolarmente i cambi di pov nello stesso capitolo, quindi stavo pensando di scrivere a parte qualcosa dal punto di vista di Tris.
Sarà una mini raccolta di tre o quattro capitoli che racconteranno alcuni momenti che in Fragili non si sono visti, o sono stati solo accennati (ad esempio il risveglio di Tris nella cella, oppure l'incontro con Caleb, il chiarimento con Chris...).
Insomma, devo ancora decidere cosa inserire, ma vorrei scriverla dopo la fine di Fragili e pubblicarla come un'altra storia. Una sorta di extra.

Bene, dopo tutto questo sproloquio vi lascio. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate quindi spero di incontrarvi nell'angolo recensioni :)
Come sempre grazie mille a tutti quanti!
Un saluto.

Mconcy

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Fragili

Capitolo 17






"Aspetta, ne lascio un po' anche per Tobias..."

Una voce ovattata mi trascina fuori lentamente dal mondo dei sogni. È quella di Tris, ci metterei la mano sul fuoco.

Solo la sua voce mi tranquillizza in questo modo, mi dà sicurezza e mi fa sentire a casa.

Mi muovo nel letto, sciogliendo i muscoli indolenziti e accorgendomi di essere solo.

Sollevo lentamente le palpebre per permettere ai miei occhi di abituarsi alla luce insistente del mattino.

Sono in camera di Tris, nel letto sfatto.

La voce che avevo sentito proviene dalla cucina, ora la percepisco meglio.

"Hanno fatto un bel lavoro qui in città." dice un'altra voce limpida.

Mi sveglio del tutto non appena riconosco a chi appartiene. Se prima ero rilassato, ora sono teso come una corda di violino.

Mi tiro su velocemente e infilo una maglietta pulita.

Sento delle risate e mi sbrigo ad allacciare anche le scarpe.

Barcollo fino alla porta della camera semi-aperta e la spingo del tutto, facendo la mia comparsa in salone.

Tris ed Ethan sono seduti al bancone della cucina con delle tazze in mano. Quando mi vedono hanno ancora il sorriso sulla faccia.

"Ehi, buongiorno!" mi saluta Tris. Poco dopo anche Ethan sventola la mano in aria rivolgendomi un sorriso.

"Ti ho lasciato il caffè, l'ho appena fatto."

Annuisco a Tris e mi avvicino al tavolo con passo strascicato. Sono ancora intontito per via del risveglio repentino, per cui non rifiuto la tazza di caffè che Ethan mi porge una volta seduto.

Biascico anche un 'grazie' in risposta.

"Ho detto ad Ethan che poteva fare colazione con noi visto che ieri non c'è stato tempo di comprare qualcosa da mangiare."

Annuisco ancora e mi forzo ad essere gentile.

"Hai fatto bene."

Mi riesce anche di sorridere, forse un po' debolmente, ma è comunque un ottimo traguardo considerando che in questo momento vorrei buttarlo fuori dalla finestra.

Non si può stare un attimo tranquilli, diamine. Ogni due minuti spunta fuori qualcuno che vuole parlare con Tris.

Mentre inizio a sgranocchiare un biscotto la mia ragazza si alza e fa il giro del bancone.

"Vado a vestirmi, così possiamo andare da Caleb." mi informa passandomi una mano tra i capelli.

La osservo camminare fino alla camera e chiudersi la porta dietro.

"Sei fortunato ad avere una come Tris al tuo fianco."

Quella voce allegra mi perfora il timpano, ricordandomi di essere rimasto solo con il suo possessore.

Mi giro verso Ethan, fissandolo in quei grandi occhi verdi.

Lui sorride tranquillamente, in una maniera che sembra anche sincera.

"E anche lei è fortunata ad avere te. Si vede che ci tieni."

Sgrano gli occhi di fronte ad un palese complimento. Mi sta dicendo che è contento per noi?

"Comunque non ci siamo presentati a dovere. Io sono Ethan, piacere."

Il biondo mi porge una mano e attende che gliela stringa. Come al solito non mi sento molto a mio agio in situazioni del genere. Ancora non riesco a regolare bene la stretta, e sono sicuro di aver sbagliato anche ora, ma Ethan sembra non farci caso.

Non si toglie quel sorriso dalla faccia.

"Quindi tu sei il famoso Tobias Eaton, anche detto Quattro il leggendario."

"Ti ha parlato molto di me?" chiedo, rivolgendogli per la prima volta in assoluto la parola.

"Direi di sì. Posso dire di conoscerti."

Questa cosa mi mette un po' a disagio. Lui sa tutto di me ed io non so niente di lui.

"Visto che mi conosci così bene perché allora non mi parli di te?"

Volevo assumere un tono più accusatorio, ma la sua allegria è disarmante. Sembra una persona sincera. Anche se vorresti prenderlo in antipatia, non riesci a non farti contagiare da quella sua aria rilassata e affabile.

"Hai ragione, sono quasi uno sconosciuto per te..."

"Togli il quasi."

I suoi occhi sembrano divertiti dalla mia provocazione. Annuisce e si sistema meglio sulla sedia.

"Ero un Pacifico, quando ancora esistevano le fazioni. Trasfazione Candido."

"Perché?" mi esce spontaneo. Forse è una domanda un po' invadente, ma sinceramente non mi interessa offenderlo.

Fino a prova contraria è lui lo sconosciuto nella cucina di Tris, non io.

"Questioni di famiglia." risponde più serio. Noto che perde il sorriso per un istante, riacquistandolo subito dopo.

È stata solo un'ombra, ma su una persona così è piuttosto facile farci caso.

"Come ti hanno preso?" continuo a chiedere io.

"Ho avuto dei problemi tra i Pacifici che non sto qui a spiegarti. Sono dovuto scappare per i campi e sono finito in Periferia. È stato lì che mi hanno preso. Qualche giorno dopo il mio arrivo, per strada."

Ancora una volta i lineamenti del suo viso di contraggono, e capisco che questo argomento è piuttosto spinoso.

Finisco il mio caffè e torno a fissarlo. Il biondo sospira e si sporge verso di me assumendo una posa confidenziale.

"Senti, Quattro, so che la domanda che più vorresti farmi è un'altra..."

Il suo è un chiaro tentativo di cambiare argomento, ma lo assecondo, visto che la sua insinuazione mi ha incuriosito.

"E cioè?"

"Vuoi chiedermi che intenzioni ho con Tris. Sbaglio?"

La sua voce non è seccata, al contrario. Sembra quasi una domanda posta ingenuamente, capitata per caso tra una chiacchiera e l'altra.

Io non rispondo.

"Volevo rassicurarti. Non la vedo in quel modo... È più una sorella per me."

Mi sfugge una piccola risata.

"Quello è l'unico modo in cui la puoi vedere, mio caro Ethan."

Scoppia a ridere anche lui e in qualche modo mi sento più leggero.

Vorrei non fidarmi di questo belloccio dagli occhi verdi che è stato al fianco di Tris per ben tre anni.

Eppure non ci riesco. Più provo ad odiarlo e più fallisco.

Ha qualcosa che ispira fiducia. Uno sguardo limpido, una voce chiara. È sincero, e questo mi basta.

Comincio a rilassarmi e la conversazione si sposta su altri argomenti meno ostici.

Parliamo della città, di come sia cambiata, fino a quando Tris non sbuca dalla camera, vestita e pronta per andare.

Mi alzo, e prendo le chiavi della macchina nel cassetto del mobile vicino alla porta.

"Ethan, perché non vieni con noi? Non credo che per Caleb ci saranno problemi se porteremo un amico."

No, non è stata Tris a parlare. Sono stato io. La mia ragazza, infatti, sgrana gli occhi, sorpresa, mentre Ethan non si scompone e mi rivolge un ennesimo sorriso.

"Certo, mi farebbe piacere. Sono ancora un po' malandato, ma riesco a camminare."

Precede entrambi uscendo dall'appartamento ed io lo seguo sistemandomi con una mano i capelli spettinati.

"Tu..." dice Tris passandomi accanto "Tu mi lasci senza parole."

Sorrido e le faccio l'occhiolino.

Oggi mi sento stranamente felice e leggero.

Niente potrà rovinare questa giornata, ne sono certo.

I laboratori si trovano vicino a quella che un tempo era la recinzione della città.

Alcuni edifici sono stati ristrutturati appositamente per i nuovi centri di ricerca e ora il complesso assomiglia tanto all'ex quartier generale dei Pacifici.

Tante costruzioni basse in legno, piene di finestre e lucernari, disposte intorno ad una piazza ben curata.

Caleb si occupa delle nuove tecniche in ambito agricolo, perciò, una volta arrivati, seguiamo le indicazioni fino al padiglione C, quello adibito alle ricerche sulla produzione agraria.

All'ingresso chiediamo di Caleb ad una ragazza che sta trasportando delle cartelle, ma non abbiamo bisogno di una risposta.

"Tris!"

La voce di Caleb rimbomba nell'atrio dell'edificio facendoci voltare all'unisono verso di lui.

Indossa un camice bianco dal colletto storto e malamente ripiegato. Con i capelli scuri sparati in aria e gli occhi arrossati, Caleb si avvicina a noi correndo giù dalle vicine scale.

Squadra Ethan con sospetto e congeda la ragazza a cui avevamo chiesto informazioni.

"Ciao, tu devi essere Caleb. Io sono Ethan." si presenta il biondo rivolgendogli un sorriso.

Caleb ricambia con un cenno del capo, poi si gira verso Tris.

"Possiamo fidarci di lui?"

Tris lo guarda come se fosse pazzo.

"Sì, certo, era in cella con me. Ma che sta succedendo, Caleb? Mi cominci a preoccupare..."

Il ragazzo si guarda intorno con circospezione, poi torna con lo sguardo su di noi.

"Non qui. Seguitemi."

Si volta facendo svolazzare il camice e salendo due a due i gradini delle scale.

Noi tre ci scambiamo un'occhiata perplessa, ma alla fine lo seguiamo.

Caleb ci conduce per una serie di corridoi luminosi pressoché vuoti, fino ad una porta contrassegnata da una targhetta: 27C.

Estrae una chiave dal taschino interno e la apre velocemente.

"Venite, questo è il mio laboratorio."

Le luci si accendono con uno scatto e per la prima volta possiamo ammirare il luogo di lavoro di Caleb.

La stanza è enorme, piena di scaffali e lunghi tavoli. Sembra speculare se la si taglia per lungo.

Da un lato i grandi tavoli e le mensole colme di boccette sono ordinati alla perfezione, precisi fin nel dettaglio.

Dall'altro lato vige il caos. Fogli svolazzanti, strumenti fuori posto, libri aperti e non riposti. Qualsiasi cosa.

"Qui ci lavoro con Cara. Quella è la sua parte, questa è la mia..." dice il moro indicando prima i bei tavoli ordinati, poi quelli sommersi dagli oggetti.

Ora capisco.

Caleb si ferma davanti ad un tavolo sommerso da quaderni e ci guarda con nervosismo.

Si tortura i capelli ogni due secondi e lascia vagare lo sguardo da me a Tris, poi ad Ethan, infine di nuovo a Tris.

"Caleb cosa devi dirci? Ora sono piuttosto preoccupata." sbotta Tris dopo qualche minuto di silenzio.

In effetti il suo comportamento innervosisce anche me. Tutto questo mistero è assurdo.

Il moro prende un respiro.

"Okay, okay, hai ragione." inizia gesticolando come un matto. "Vi ho chiamati qui perché devo mostrarvi una cosa. Una cosa che ho scoperto."

Nessuno di noi fiata mentre Caleb si affretta a chiudere la porta a chiave.

"Io... Beh... Io in questi giorni mi ero fatto un'idea sul rapimento di Tris. Quando mi hanno raccontato dei Ribelli e degli esperimenti, diciamo che ero arrivato ad una conclusione..."

"Quale?" lo sollecita Tris.

"Che i tuoi rapitori dovevano essere ex Eruditi."

Caleb lo dice come se fosse un segreto impronunciabile, ma l'effetto che ha su di noi è immediato.

Tutti rimaniamo in silenzio.

Vuole parlarci di quella questione. Una ferita ancora aperta, terreno instabile.

"Almeno i vertici, intendo. Non aveva senso che dei semplici ribelli di Periferia senza alcuna base scolastica rapissero delle persone solo per sottoporle a dei test."

Il ragionamento fila e vedo che anche Tris ed Ethan iniziano a prendere Caleb sul serio.

"Okay e con questo?" chiede Ethan aggrottando la fronte.

"Con questo niente, era solo una mia supposizione" risponde tagliente Caleb. Lo guarda con astio per qualche secondo, poi fissa Tris.

"Supposizione che si è rivelata corretta."

Ora siamo confusi.

Che Caleb abbia scoperto qualcosa? Sa chi è a capo dei Ribelli che hanno rapito Tris?

Mi sembra improbabile.

"Venite." dice, attraversando a grandi falcate la stanza. Raggiunge un armadietto di metallo attaccato al muro di fondo.

"Questo è l'armadietto di Cara. Anche io ne ho uno, ci teniamo gli oggetti personali che vogliamo lasciare qui."

Si fruga nelle tasche lanciando continue occhiate alla porta.

"Ecco, io non volevo farlo. Cioè, è capitato... Lei lo aveva lasciato aperto ed era andata in bagno ed io non dovevo venire in laboratorio ma avevo dimenticato degli appunti..."

Non ci sto capendo molto. Non riesco a collegare l'armadietto di Cara con il resto. Che cosa c'entra ora?

"Caleb, vai al sodo." lo invita Tris. Ora ha un'espressione seria in volto, quasi irriconoscibile.

Il fratello prende un respiro.

"Okay, in pratica io ho... io ho visto dei fascicoli."

"Dei fascicoli?" gli faccio eco.

Tutto qua?

"Sì, della roba strana, sicuramente non del laboratorio. Voglio dire, noi non usiamo quelle cartelline gialle, noi le usiamo azzurre o blu..."

Caleb si sta agitando e non capisco ancora il perchè.

Scambio un'occhiata con Tris, che sembra invece più consapevole di me della situazione.

"Cosa c'era in quei fascicoli, Caleb?" chiede, infatti, senza giri di parole.

Caleb la guarda e fa una pausa.

"Meglio se vedete con i vostri occhi..."

Con la chiavetta che aveva tirato fuori dalla tasca forza la serratura dell'armadietto e dopo un colpo secco riesce ad aprirlo.

Come mi aspettavo anche l'interno è ordinato alla perfezione. Nella parte inferiore c'è una pila di vestiti ripiegati con cura, mentre in quella superiore troviamo oggetti personali, un pettine, delle forcine, qualche pacchetto di fazzoletti, roba del genere.

Dei fascicoli neanche l'ombra.

"Caleb, qui non c'è nessuna cartella." faccio presente al moretto spettinato accanto a me.

Lui mi scansa e si mette ad armeggiare con la parete di fondo dell'armadietto.

"C'è un doppio fondo." spiega ansioso lui.

Si sente uno scatto metallico, poi Caleb stacca quello che dev'essere un finto pannello di acciaio e allunga una mano all'interno della fessura lasciata scoperta.

Ne tira fuori tre o quattro cartelle giallognole.

"Non avevo intenzione di impicciarmi. Solo che avevo notato un'incongruenza nelle misure. Da fuori l'armadietto appariva più capiente. Volevo solo... Cioè..." tenta di spiegare con imbarazzo.

Lancia un'ennesima occhiata alla porta, poi passa i fascicoli a Tris.

Lei ne apre uno.

Sulla prima pagina c'è solo un numero. Cinque cifre, nero su bianco.

Nessuno di noi sembra capirci niente, così Tris va avanti a sfogliare.

La sua espressione passa da confusa a scioccata in pochi secondi. Si paralizza su una pagina in particolare, mentre le mani cominciano a tremare.

"Tris" la chiamo, sentendo l'ansia salire.

Che cosa le prende?

Lei mi ignora.

"Ethan..." dice invece con voce spezzata. "Questa è la tua cartella."

Il biondo la guarda, serio in volto. Forse è la prima volta che lo vedo così.

Si porta dietro di lei e butta un occhio sul fascicolo.

"C'è tutto." continua Tris perdendo lo sguardo nel vuoto. "Dal primo all'ultimo test. Le date delle somministrazioni, le tue reazioni, tutto."

"Come fai a sapere che è la sua cartella?" chiedo confuso.

Tris torna indietro di qualche pagina e gira la cartella verso di me.

Quello che leggo mi lascia stupito.

Sono i dati di Ethan. Nome, cognome, data di nascita, fazione d'appartenenza, caratteristiche fisiche. Qualsiasi cosa.

C'è anche una foto scolorita incollata in un angolo del foglio. Ethan sembra più giovane, probabilmente la foto risale al periodo scolastico.

Tutto questo mi manda in confusione. Queste sono vere e proprie cartelle cliniche, diari di esperimenti condotti su degli uomini.

Le altre due cartelle sono identiche, tranne per le persone a cui appartengono. Due ragazze di cui non riconosco la faccia. Sono più brevi rispetto a quella di Ethan, e ora che so della sua immunità ai sieri mi spiego anche il perché.

Però mi sfugge ancora qualcosa. Mi sembra di aver tralasciato un particolare.

Alzo lo sguardo su Caleb e la verità mi colpisce in pieno petto.

Cara.

Le cartelle erano nascoste nell'armadietto di Cara.

Cara sapeva degli esperimenti.

Cara, probabilmente, collaborava agli esperimenti.

Non è possibile.

Di colpo il mio sguardo si sposta sul corpo tremante di Tris.

È sconvolta.

Continuo a negare l'evidenza.

Non è possibile, ci dev'essere un errore.

Non Cara, non lei.

Cara.

Ci ha nascosto la verità per tre anni.

Ha sparso le presunte ceneri di Tris insieme a noi.

Ha pianto con noi la sua morte.

E invece lei sapeva tutto.

I tuoi rapitori dovevano essere ex Eruditi. Almeno i vertici, intendo. Non aveva senso che dei semplici ribelli di Periferia senza alcuna base scolastica rapissero delle persone solo per sottoporle a dei test.

Risento la voce di Caleb nella mia testa, ma stavolta il discorso di poco fa non mi sembra così insensato.

Cara era un'Erudita, sapeva cosa stava facendo.

"Il blocco di emergenza..." sussurra fra sé Tris. I suoi occhi sono ancora persi nel vuoto. "Lei doveva addormentare il personale di controllo e spegnere le luci, invece è partita la procedura del blocco di emergenza..."

Non capisco a cosa si riferisce. Sono talmente stupito da non riuscire a fare altro che guardare uno ad uno i miei compagni, analizzando le loro reazioni.

Nella mia testa una sola frase:

Non Cara

Improvvisamente lo scatto di una serratura alle nostre spalle ci fa girare in contemporanea verso la porta d'entrata.

Caleb impallidisce all'istante.

Una ragazza dalla chioma bionda fa il suo ingresso con disinvoltura nel laboratorio.

Quando la riconosco impallidisco anch'io.

È Cara.

Si ferma sulla porta, le chiavi ancora infilate nella serratura. Ci squadra da lontano dapprima confusa. Poi nota i fascicoli in mano a Tris e la sua espressione si fa gelida.

"Cosa state facendo qui? Se non sbaglio è il mio armadietto quello che avete scassinato."

Queste sono le prime parole che riesce a pronunciare. Quasi non riconosco la sua voce: è fredda, calcolata. Ad un'occhiata più attenta, però, riesco a percepire la tensione nei suoi muscoli.

"Cosa stavi facendo tu?" sputa Tris schiaffando i fascicoli sul petto di Caleb. La fissa con astio e sorpresa.

"C'eri tu dietro tutto questo."

Cara finge indifferenza, ma non si muove dalla porta.

"Non so di cosa stai parlando..."

Caleb prende coraggio e la affronta.

"Queste cartelle erano nascoste nel tuo armadietto, Cara."

Lei non batte ciglio e sulla stanza cala il silenzio. Rimaniamo a fissarci per qualche minuto.

"Io ti ho visto."

La voce di Ethan riecheggia finalmente nel laboratorio, ponendo fine a quella lotta di sguardi. Mi volto verso di lui e noto che è pallido e instabile sulle gambe, ma negli occhi ha l'acciaio.

"Nella cella, eri tu. Ti ho tolto il passamontagna e ti ho visto in faccia."

Con la coda dell'occhio vedo Tris che distende e richiude ripetutamente i pugni. È immobile e tesa, messa davanti al fantasma che l'ha tormentata per tre anni.

Un fantasma che considerava sua amica.

Cara ha un cedimento. Le trema il sopracciglio e la presa sulle chiavi nella serratura si fa più forte.

Io e Tris siamo mossi dallo stesso istinto e facciamo un passo verso di lei. Purtroppo come noi abbiamo agito d'impulso, lo fa anche Cara.

La bionda si scuote immediatamente e richiude la porta uscendo nel corridoio. Si sente di nuovo lo scatto della serratura e poi un colpo. Corriamo tutti e quattro alla maniglia, ma ovviamente quella si abbassa a vuoto sotto la nostra pressione.

"Caleb, le chiavi, sbrigati!" grido allungando una mano verso di lui.

Caleb si fruga in tasca e mi passa il mazzo.

"È quella blu."

Velocemente infilo la chiave nella serratura e provo a girare, ma niente. Sembra incastrata dentro.

Ci prova anche Tris e infine Ethan. È quest'ultimo che capisce il problema.

"Ha spezzato la chiave dall'esterno. Bisogna sfondare la porta."

"Ci penso io" dico spostando gli altri di lato.

Colpisco una prima volta la porta sulla serratura. Si sente uno scricchiolio, ma la porta regge.

Un secondo calcio, poi un terzo.

Al quarto calcio il legno cede e la porta si spalanca con un tonfo.

Ci riversiamo velocemente nel corridoio vuoto.

A qualche metro da noi, sul pavimento, è stato abbandonato un camice bianco, sicuramente quello di Cara.

Di lei, però, nemmeno l'ombra.

Questa è la prova che non ci sono stati malintesi. Cara è scappata, confermando la sua colpevolezza.

Non so cosa pensare. È talmente assurdo.

"Quattro!" mi chiama Caleb alle mie spalle.

Lo raggiungo, affiancandolo vicino alla finestra alla fine del corridoio. Guardo giù.

Una macchina grigia sta uscendo velocemente dal parcheggio sotto di noi. Le ruote sgommano sul brecciolino.

"È la macchina di Cara..." mi spiega Caleb.

Cara, la ragazza che mi ha sempre consigliato nei momenti di crisi.

Cara, la sorella di Will.

"Non possiamo lasciarla andare così!" esclama Tris indicando la macchina che si allontana piuttosto in fretta.

"E cosa vorresti fare? Inseguirla?" chiede Ethan con stupore. Si appoggia al muro, cercando di riprendersi dalla sforzo della corsa. È ancora debole. "Lo sai che non riusciresti mai a riprenderla..."

"Perché, hai un'idea migliore?" lo fronteggia lei.

In quel momento mi viene in mente una persona. Qualcuno che potrebbe davvero aiutarci.

Mi allontano dalla finestra e attraverso velocemente il corridoio.

I tre mi guardano confusi.

"Io sì..."





NOTE FINALI:

Bene, poiché le cose da dire sono un po', farò una lista per non dimenticarne nessuna! XD
1. Innanzitutto la storia volge al termine. Ho programmato altri due capitoli più l'epilogo.
2. Grazie mille a tutti quelli che seguono la storia, che la inseriscono tra le preferite e che la recensiscono. Mi è preso un colpo quando ho visto "Fragili" al sesto posto tra le preferite! ** Lettori, è tutto merito vostro, quindi GRAZIE! ** inoltre il primo capitolo è a quota 700 visualizzazioni... E lo so che i numeri contano poco... Ma cavoli! Doppiamente grazie! :D
3. Non so se l'ha notato qualcuno, ma ad un certo punto ho scritto "scioccata". Bene, dovete sapere che sono andata in crisi perché non sapevo quale fosse la forma più corretta XD alla fine ho scoperto che è questa, "scioccata". Okay, forse non ve ne frega niente, ma io sono rimasta scioccata (XD) perché credevo si scrivesse tipo "shockata".
Vabbe... Ignoratemi...
4. Non so cosa ho combinato con l'html stavolta... Probabilmente il carattere di scrittura è diverso. Ho provato a correggerlo, ma niente -.-" chiedo perdono...

Bene, scusate per il delirio...
Vi saluto che è meglio... Alla prossima!

Mconcy

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Fragili

Capitolo 18






Scendo velocemente le scale avendo in mente solo il mio obiettivo: impedire a Cara di fuggire. E c'è un'unica persona che può aiutarmi ora.

Devo superare lo shock perché non ho tempo di pensarci. In questo momento devo solo sistemare la situazione.
Un passo alla volta, mi ripeto.

Arrivo di corsa nell'atrio del padiglione C, dove pochi minuti fa avevamo chiesto informazioni sul laboratorio di Caleb. Mi guardo intorno alla ricerca di una reception o di una qualsiasi postazione per le informazioni, ma non trovo nulla del genere.

L'ampio ingresso è vuoto, come d'altronde sembra essere l'intero edificio.
Aspetto qualche secondo, non sapendo cosa fare.
Poi sento dei passi veloci dietro di me e mi volto. Un gruppo di persone in camice attraversa rapidamente l'atrio.
Hanno tutti l'aria distratta, persa in altri mondi. Io, però, non ho tempo.

Fermo un uomo brizzolato sulla quarantina, rigorosamente in camice bianco, che cammina in coda al gruppo.
"Scusi, ho urgentemente bisogno di un telefono. Sa dove posso trovarlo?" chiedo facendo pressione sul suo braccio.

L'uomo mi guarda stranito e si sistema gli occhiali, poi indica un corridoio dietro di me.
"In fondo troverà un telefono pubblico..."

Lo ringrazio e corro nella direzione che mi ha appena indicato, abbandonandolo lì su due piedi. Raggiungo il telefono appeso al muro che sono senza fiato.

Un passo alla volta.

Alzo la cornetta e digito a memoria un numero, sforzandomi di ricordare.
Attendo.

"Pronto?" mi risponde una voce che conosco.
Sorrido. Il numero è esatto.

"George..." dico, ansimando un po' dalla fatica.
"Quattro, sei tu?"
Sento dei rumori in sottofondo, come dei colpi sordi. Deve trovarsi in una palestra o qualcosa di simile.
George addestra le forze di polizia ed è diventato un pezzo grosso nell'ambiente.
Per questo mi serve il suo aiuto per impedire a Cara di fuggire.

"Sì, sono io. Senti, George, devi assolutamente ascoltarmi..."
George mi interrompe ancor prima di iniziare a spiegare.
"Quattro, sono al lavoro e ho parecchio da fare..." dice lui sbrigativamente. "Ci possiamo senti-"

"No, è importante." lo fermo con voce decisa. "Ascoltami bene."






La Centrale di Polizia di Chicago è stata costruita due anni fa.
È un edificio squadrato e asettico, adatto al suo scopo: trattenere chi commette dei reati.

Ho guidato fin qui nel totale silenzio. Gli altri hanno approvato la mia idea, ma la tensione che c'è nell'aria potrebbe essere tagliata con un coltello.

Anche ora che stiamo aspettando in uno dei tanti corridoi della Centrale, nessuno parla.
Tris si è seduta in un angolo e ha lo sguardo fisso nel vuoto. Ogni tanto dice qualcosa sottovoce, parole che non riesco a sentire o a capire.
Caleb cammina avanti e indietro con esasperante nervosismo. Si passa ripetutamente una mano fra i capelli e aggrotta la fronte, pensando a chissà che cosa.
Ethan invece si è seduto su una sedia e aspetta pazientemente, osservando ogni tanto Tris, a qualche passo da lui.

Infine ci sono io, appoggiato al muro accanto ad una finestra.
Sono teso come tutti, ma spero che George abbia agito in fretta.
Gli ho raccontato cosa è successo e gli ho chiesto di organizzare dei posti di blocco, soprattutto in prossimità del confine.
L'unica speranza, per Cara, è tornare in Periferia, dai ribelli superstiti. Lì sarebbe più facile nascondere le sue tracce.
George mi ha assicurato che avrebbe pensato a tutto lui e mi ha chiesto di aspettarlo alla Centrale, dove siamo ora.

Ormai sono due o tre ore che bivacchiamo in questo corridoio, ma di lui o di Cara nessuna notizia.

Voglio tanto sentire cosa avrà da dire quando la prenderanno.
Perché l'ha fatto?
Perché rapire delle persone per torturarle in quella maniera?
Perché Tris?

Le mie domande devono essere le stesse di Caleb, che non riesce a stare fermo un minuto.
Non sopporto più il suo avanti e indietro, perciò quando mi passa accanto per l'ennesima volta lo afferro per la camicia e lo tiro vicino alla finestra.

"Piantala, mi dai sui nervi..." gli intimo quasi ringhiando.
Lui mi rivolge uno sguardo dispiaciuto, così cerco di riparare.
"Scusa, ma siamo tutti nervosi, e se tu continui a fare così peggiori la situazione..."

Caleb abbassa il capo e annuisce al pavimento appoggiandosi al muro di fianco a me.

Mi viene da pensare a quanto sia cambiato negli anni questo ragazzo, ormai diventato uomo.
È stata dura per lui convivere con il rimorso e con la colpa per la morte di Tris sulle spalle. Sono sincero, anche io ho fatto la mia parte nell'accusarlo di quanto successo.
Eppure, nonostante tutto quello che ha fatto in passato, ora non riesco a vederlo come lo sporco traditore di un tempo, e nemmeno come il colpevole della morte di Tris.
Tris l'ha perdonato e avrei dovuto farlo anche io a suo tempo. Purtroppo sono arrivato a questa conclusione solo dopo anni.

"Hei, Caleb..." lo chiamo, spinto dall'ondata dei miei pensieri.
Lui si gira con sguardo assente.
"Grazie per oggi. Hai aiutato Tris e sei stato determinante nello scoprire la verità."
Gli do una pacca sulla spalla e cerco di sorridere.

Caleb fa a sua volta un sorrido timido e si passa nervosamente una mano tra i capelli.
"Glielo dovevo."

Annuisco e torno a guardare fuori. Dopo qualche secondo, però, lui continua.
"Le voglio bene, Tobias. Davvero."
Lo osservo attentamente. Questa è una delle poche volte in cui Caleb si apre con me. Anzi, con qualcuno in generale.

"Non so se riuscirò mai ad essere perdonato del tutto." continua. "Lei dice di averlo fatto, ma so benissimo che il passato non si cancella con uno schiocco di dita."
Sorride amaramente e rivolge lo sguardo a sua sorella, ora alle prese con un preoccupato Ethan che tenta invano di parlarle.

"Quello che so è che non sprecherò altro tempo e proverò fino alla fine a ricostruire un rapporto con lei. È mia sorella e non voglio perderla un'altra volta."
Mi guarda, le guance in fiamme e gli occhi brillanti. È convinto di quello che dice, si vede che ha messo il cuore in queste parole.
Non posso fare altro che sorridergli.
"Spero che tu ci riesca, Caleb."

Ci scambiamo un'ultima occhiata, poi ci allontaniamo definitivamente.
Troppa emotività nell'aria, e né io né lui siamo tipi troppo sentimentali.
Decido quindi di andare a vedere come sta Tris, da sola ora che Ethan si è arreso al suo silenzio.

Faccio per avvicinarmi a lei e chinarmi alla sua altezza, ma l'ascensore in fondo al corridoio si apre lasciando uscire un trafelato George, seguito da un gruppo di poliziotti in divisa.
Stanno scortando Cara, la riconosco dalla sua chioma bionda. La spingono in una stanza e chiudono la porta dietro di loro.

L'hanno presa.

George ci raggiunge in pochi secondi e Tris balza in piedi, improvvisamente attenta e concentrata.

"George..." lo saluto una volta vicino.
"Tobias."
Mi muovo inquieto notando la sua espressione tesa mentre saluta gli altri. Prende un respiro.
"L'abbiamo bloccata mentre tentava di passare il confine. Era diretta in Periferia."
Annuisco. Lo immaginavo.
"Sembra fuori di sé, una pazza. Non l'ho mai vista così..." continua lui.
Caleb lo ferma.
"É violenta?"

"No," scuote la testa George. "non violenta. Ha perso la ragione. Sembra essere sull'orlo di un crollo emotivo o qualcosa del genere."
Si strofina gli occhi col dorso della mano, chiaramente stanco e provato.

"Grazie per l'aiuto." dico riconoscente. Senza di lui Cara sarebbe già scappata in Periferia.

Lui sorride debolmente.
"Non c'è di che."

"La interrogherete?" domanda Tris all'improvviso. È la prima cosa sensata che dice da due ore a questa parte. Comincia a preoccuparmi seriamente.

"Sì, tra cinque minuti. Potete assistere se volete. Quella porta conduce ad una stanza adiacente alla camera degli interrogatori." dice indicando una porta nera nel corridoio. "Ci vediamo lì tra poco."

George ci rivolge un fugace sorriso e ci supera velocemente sparendo dopo poco dietro ad una porta a scorrimento.

Caleb ed Ethan si avviano verso la porta nera che ci ha indicato, e così fa anche Tris, ma io la fermo.
"Aspetta." dico posandole una mano sul braccio.
Lei si ritrae, come scottata. Mi lancia un occhiata vuota.

"Non ora."

Mi lascia da solo al centro del corridoio e sparisce anche lei dietro quella stupida porta. Rimango spiazzato per qualche secondo.

Non mi vuole parlare.

Scuoto la testa, troppo scosso per pensare a cosa dovrei fare in questo momento con Tris, e raggiungo gli altri nella stanza dove assisteremo all'interrogatorio di Cara.
Meglio lasciarle i suoi spazi, per ora.

Un passo alla volta, Tobias. Un passo alla volta.

L'ambiente è buio. L'unica illuminazione proviene dalle spie di alcuni monitor e dalle poche lampade poste all'altezza dei piedi. Da un lato, alla nostra destra, la parete è costituita da un enorme vetro, chiaramente unidirezionale, dal quale si può osservare una stanzetta ben illuminata (al contrario della nostra), nella quale vedo Cara, seduta ad un tavolo di acciaio.
Il suo sguardo è fisso, la bocca è piegata in uno strano sorriso.
Ha i vestiti in disordine e i capelli scompigliati, caratteristiche che non avrei mai associato a Cara.

Ha ragione George, sembra un'altra persona.

Nella nostra stanzetta entrano tre o quattro poliziotti. Qualcuno si apposta dietro ai computer sistemati sulla parete opposta alla porta, altri alle nostre spalle.
Si sentono dei bip prolungati, poi nella sala interrogatori entra finalmente una donna. Una poliziotta anche lei, corporatura normale, capelli molto corti rossi, divisa in ordine. Impeccabile.
Si siede di fronte a Cara, quindi dalla nostra posizione le vediamo entrambe di profilo.
La gamba di Cara ha un fremito.

"Mi chiamo Olga Boone e sono qui per interrogarla." esordisce la donna con voce alta e sicura.
Inizialmente Cara non si scompone e risponde a tutte le domande di rito della Boone sulle sue generalità. Il suo nervosismo è tradito solamente dal tremito costante delle sue gambe e dallo sguardo allucinato in perenne ricerca di qualcosa su cui posarsi.

"Bene, veniamo al dunque." dice alla fine la poliziotta richiudendo il fascicolo che si era portata dietro. "Signorina, lei è accusata di aver supportato o addirittura di aver guidato un movimento di Ribelli nella Periferia. Inoltre è accusata di aver trattenuto e torturato ben 27 cittadini di Chicago."
Fa una pausa e inclina leggermente la testa di lato.
"Sappiamo benissimo entrambe che quel numero, in realtà, non rispecchia la reale quantità di persone che ha utilizzato per i suoi scopi. La recente distruzione della maggior parte dei fascicoli dei prigionieri le è stata utile, in fin dei conti."

Cara fissa un punto imprecisato alle spalle della donna e deglutisce vistosamente.
"Non ho nulla da dire." sono le uniche parole che escono chiare dalla sua bocca.

La Boone non demorde.
"Qualcosa da dire ci sarebbe. Innanzitutto può spiegare cosa ci facevano questi nel suo armadietto ai laboratori della città."
Tira fuori i fascicoli che Caleb ci ha mostrato stamattina e li sbatte sul tavolo.

Cara butta un occhio sulla carta giallastra della cartellina, poi torna a guardare davanti a sé.
"Non ho nulla da dire." ripete con lo stesso tono di voce.

"Questo atteggiamento non le sarà di aiuto. La sua omertà non le risparmierà di certo la prigione."

Cara sussulta alle parole secche della Boone. Ora le palpebre le tremano vistosamente, così come le labbra.

Nel buio della saletta lancio un'occhiata a Tris, a qualche metro di distanza da me.
Mi preoccupa la sua espressione. È persa nel vuoto, assente. Guarda Cara, ma non la sta ascoltando veramente.
Le braccia, lunghe sui fianchi, sono tese e pallide.

Non so se dovrei avvicinarmi, soprattutto dopo il tentativo fallito di prima.
Vorrei capire cosa le passa per la mente, ma ho paura di fare qualcosa di sbagliato.
Questa storia di Cara la sta mettendo parecchio in crisi.

I miei dubbi vengono messi da parte quando Cara, stavolta con voce tremante, chiede:
"Se parlo avrò dei vantaggi?"

La poliziotta dai capelli rossi annuisce lentamente.
"Ci posso lavorare..."

Cara pensa un altro po' in silenzio. La sua mente da Erudita sta valutando i pro ed i contro. Alla fine sospira, sconfitta.
"Che cosa vuole sapere?"

La Boone sorride impercettibilmente.
"Tutto." dice. "Inizi con lo spiegarmi qual era il suo ruolo all'interno del gruppo."
Si sistema meglio sulla sedia e appoggia gli avambracci al tavolo.

Cara la osserva con quello che definirei uno sguardo di puro odio. Poi inizia a parlare, e ora più di prima mi sembra un'altra persona, una persona che non conosco.

"Facevo parte del gruppo che era a capo del movimento."
"Quindi aveva un certo potere tra i Ribelli..."
"Non vi era una vera e propria gerarchia, ma, sì, ero piuttosto influente."
La sua voce mi arriva piatta e senza particolari inflessioni, quasi indifferente.
Realizzo che si è arresa.

Il suo atteggiamento è cambiato radicalmente. Se prima tremava come una foglia, ora è ferma in una posizione rilassata. Parla come se le cose che sta raccontando non le avesse nemmeno vissute in prima persona.
Un'automa. Ecco cosa sembra.

"Qual era l'obiettivo del movimento? Perché i rapimenti?"

A questa domanda Cara tentenna un po'. Non vuole rispondere.
Alla fine, dopo un sospiro, si decide a continuare.
"Lo avranno sicuramente riferito le persone che avete preso dal nostro quartier generale, ma comunque effettuavamo dei test."

"Che tipo di test?"

"Iniettavamo dei sieri. Non erano molto diversi da quelli che venivano utilizzati anni fa, quando ancora vigeva il sistema delle fazioni. Allucinazioni, simulazioni, alterazione delle percezioni."
Mentre elenca gli effetti dei sieri guarda per un attimo verso di noi, verso il vetro che a lei deve sembrare uno specchio.
"Morte."

Tris ha un tremito. Ethan corruga la fronte e sposta il peso da un piede all'altro.
Cara sa che la stanno guardando. E loro sanno quello che ha fatto.
"Ma non solo." continua. "Studiavamo anche il patrimonio genetico dei soggetti."

"Quindi voi testavate dei sieri potenzialmente letali su persone sane... e ne studiavate le caratteristiche genetiche. Perché?"

Cara fa roteare il collo, come a volerlo rilassare.
"Perché era necessario."
"Necessario a cosa?"
La Boone si sta spazientendo. Cara la guarda, l'atteggiamento palesemente di sfida.

"A fermare questa assurdità."
Non faccio in tempo a pensare a cosa si riferisca con "questa assurdità", che lei riprende subito.

"Quello che è successo al Dipartimento, tre anni fa, non ha cambiato niente. Io lo sapevo, noi lo sapevamo."
Il suo sguardo è follia pura.
"Dovevamo fermarli."

"A chi si riferisce?"
Cara si gira verso il vetro, questa volta mantenendo fisso lo sguardo.
"A loro." dice con semplicità.

Noi? Cosa c'entriamo noi?

"Il piano per sabotare il Dipartimento era un'idea loro. Credevano di promuovere un clima di uguaglianza tra Geneticamente Puri e Geneticamente Danneggiati."
Scuote la testa con disprezzo.
"In realtà non sarebbe stato mai possibile."

La Boone la guarda con stupore.
"Fino a prova contraria grazie oggi il nostro governo è composto sia da GP che da GD. Siamo arrivati a questo punto grazie agli avvenimenti di tre anni fa. Non è uguaglianza questa? Convivere tutti insieme a avere gli stessi diritti?"

Cara butta fuori una risata amara.
"Ovviamente no. Io sono una scienziata, e so di cosa parlo. La scienza non sbaglia, un GD rimarrà sempre un GD."

"E con questo?" chiede la poliziotta sempre più confusa.

"Con questo?" sussurra Cara sgranando gli occhi. Poi alza la voce. "Con questo?! I GD sono condannati all'inferiorità! Non è distruggendo il sistema delle fazioni e giocando alla democrazia che dimenticheremo le differenze."

La Boone rimane in silenzio con la bocca semi-aperta.
Il discorso di Cara non ha senso. Ciò che è successo tre anni fa, il sacrificio di Tris e tutto il resto, ha portato ad una svolta nella nostra società. Una svolta positiva.
Certo, ci sono cose che vanno ancora sistemate, ma siamo sulla strada giusta. Sicuramente non ci preoccupiamo della differenza tra GD e GP. Non è esattamente la prima cosa che chiediamo quando conosciamo una persona.
I problemi sono altri.

"Quindi..." riprende la Boone dopo qualche minuto di silenzio. "Quindi il movimento voleva arrivare all'uguaglianza... come? Torturando persone innocenti?"

Cara sembra spazientita dalla scarsa perspicacia della poliziotta. Si sistema delle ciocche di capelli dietro l'orecchio e comincia a spiegare lentamente, scandendo le parole e sottolineando i concetti con i gesti delle mani.

"Il movimento doveva innanzitutto creare una resistenza contro le forze di polizia di Chicago. La Periferia era l'unico luogo in cui poteva nascere il progetto Purificazione dei Geni e non potevamo permetterci di perderla."

"Il progetto Purificazione?" chiede la Boone interpretando la confusione di tutti noi.
"Dei Geni, esatto. Quello era, appunto, il secondo obiettivo del movimento, la vera uguaglianza."
Cara assume un atteggiamento di sufficienza e sospira platealmente, come se dovesse spiegare qualcosa di complicato ad un bambino.

"Stavo sviluppando un nuovo siero." dice con orgoglio. "Un siero che agisce anche sui geni."

Caleb, affianco a me, soffoca una risata e aggrotta la fronte.
Cara continua.
"I test venivano condotti su persone aventi una particolare resistenza ai sieri. Volevo arrivare ad un composto che avrebbe funzionato con assoluta certezza, niente eccezioni."

"Un siero che avrebbe riparato i geni danneggiati dei GD..." le fa eco la Boone.
"Esatto. Li avrebbe portati alla purezza genetica." Fa una pausa. "Di conseguenza all'uguaglianza genetica."

Sulla stanza cala il silenzio.
Sono senza parole.
Mi sembra di rivivere quei giorni al Dipartimento. Anche allora era tutta una questione di geni, di chimica, ma nessuno si preoccupava di considerare le persone come tali.
Cara non si rende conto dell'assurdità di quello che dice. Sta ragionando solamente con gli occhi della scienza, ancora una volta.
Torturare delle persone per l'uguaglianza genetica. Questa è la sua giustificazione.
Per lei siamo tutti formule chimiche, ammassi di atomi senza personalità.

Ma dov'è finita la Cara che conoscevo?
La Cara che mi consigliava, che mi faceva sfogare, che si preoccupava per me.
La Cara che ha pianto la morte di Will, che ha sostenuto Christina quando la verità è venuta fuori.

Un ricordo mi scatena una fitta nel petto.
È stata Cara a dirmi che Tris non ce l'aveva fatta.
È stata lei.


Un moto di rabbia e delusione mi coglie all'improvviso, manifestandosi nella voglia di rompere qualcosa. La Boone, però, si riprende, e mi distrae dai pensieri distruttivi che mi passano nella mente.

"Vorrei farle un'altra domanda." dice portandosi un dito alle labbra. "Parliamo del rapimento di Beatrice Prior."

Tris sussulta ed io con lei. Sta toccando un tasto delicato.
Comincio a battere freneticamente la punta del piede a terra, ma nonostante stia facendo un rumore piuttosto fastidioso, nessuno si azzarda a dirmi niente.

"Ha detto che servivano persone aventi una certa resistenza ai sieri per poter trovare una formula che avrebbe funzionato con assoluta certezza. Ma perché proprio lei? Era... una sua amica, è corretto?" azzarda la Boone alzando un sopracciglio.

Cara diventa ansiosa da un momento all'altro. Comincia a battere il piede a terra, freneticamente.
"Io..." balbetta. "Voglio dire, Tris era un obiettivo facile."
"Cosa intende?"
"Intendo dire che conoscevo già la capacità di Tris di resistere ai sieri, ne aveva dato prova più volte, quindi volevo studiare il suo patrimonio genetico già da un po'."
Deglutisce.
"Lei è stata la prima persona a cui ho pensato, è chiaro. Inoltre conoscevo il piano per mettere fuori gioco il Dipartimento ed è stato semplice sabotarlo. Non sono riuscita completamente nel mio intento, ma devo dire che le circostanze alla fine mi hanno aiutato."

Comincio a capire. Collego i fatti che mi hanno raccontato con quello che sta dicendo e mi sembra di avere finalmente un quadro più chiaro delle cose.
Sicuramente Cara non sapeva che Tris si sarebbe sacrificata al posto di Caleb, ma alla fine le è stato utile, perché la sua finta morte le ha permesso di rapirla senza destare sospetti.
Nessuno la cercava più.

"È sicura che il motivo sia solo questo?" chiede ancora la Boone. Cara non risponde e le rivolge uno sguardo confuso.
"Non vorrei essere azzardata, ma siamo a conoscenza dello spiacevole incidente che ha portato alla morte di suo fratello, Will se non sbaglio. Beatrice Prior ne è stata responsabile a causa delle circostanze."

Il miei occhi cercano subito Tris. La trovano tesa più di prima.
È immobile, in attesa di una qualche risposta da parte di Cara.

Vorrei avvicinarmi, devo avvicinarmi.

Cara prende un respiro e chiude i pugni.
"Le cose il più delle volte si dimenticano, agente Boone." dice senza espressione. "Quasi mai si perdonano."


Non posso più stare fermo qui, non dopo questa frase.
Immagino cosa sta pensando Tris in questo momento, e si sbaglia.

Cara ha detto l'unica cosa che avrebbe abbattuto definitivamente Tris.
Non doveva parlare di perdono. Non doveva farlo.

Faccio un passo verso Tris nel buio sussurrando il suo nome. I suoi occhi catturano i miei per un istante, poi si perdono.
In un baleno si volta e corre alla porta, uscendo nel corridoio.
"Tris!" la chiamo urlando. Lei mi ignora richiudendo la porta con un tonfo.

Deciso a raggiungerla corro anche io, sbattendo involontariamente contro la spalla di George, che evidentemente non avevo visto entrare.
Una volta in corridoio non trovo nessuno.

Mi guardo intorno più volte, ma di Tris nemmeno l'ombra.
Impreco a bassa voce, incapace di pensare lucidamente.

Devo aiutarla.

Qualche secondo dopo sento un rumore alle mie spalle. Poi una voce.
"Tobias..."





NOTE FINALI:

Prima di tutto... SCUSATE! Sono in ritardo rispetto al solito, ma ho avuto alcuni problemi. Oltre alla connessione, che non mi aiutava per niente, sono stata indecisa fino all'ultimo su questo capitolo.
Non sono soddisfatta di come sia uscito... In primo luogo perché avrei voluto spiegare tantissime cose che avevo tutte nella testa, ma che non ho potuto inserire per non fare un capitolo-minestrone ultra lungo. -.-" in secondo luogo perché non credo di essere riuscita a spiegare nemmeno quello che ho messo dentro.
Chiedo perdono e vi ringrazio se l'avete sopportato fino alla fine...
Il prossimo capitolo sarà L'ULTIMO CAPITOLO!! poi ci sarà l'epilogo :)

Un grazie speciale a tutti quelli che continuano a lasciarmi bellissime e divertentissime recensioni! Siete una grande spinta :)
Ora basta, ho finito... XD
Un saluto a tutti e alla prossima!!

Mconcy

Ps: se avete bisogno di chiarimenti dopo questo capitolaccio chiedete pure, vi capisco -.-"

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Fragili

Capitolo 19






"Tobias..."

La voce limpida della persona alle mie spalle mi provoca un fremito di rabbia.
Tris se n'è andata, è scappata via, e ora non ho tempo di discutere con nessuno.
Devo pensare a dove possa essere diretta.

"Hei, mi senti?"
Una mano sulla spalla mi fa scattare in avanti, desideroso di sottrarmi a quella stretta.
Mi volto, trovandomi faccia a faccia con Ethan. La sua vista scatena un'ondata di rabbia che attraversa lentamente il mio corpo.
Inspiro ed espiro per calmarmi.
Non sarebbe conveniente prenderlo a pugni qui nel corridoio della Centrale...

"Cosa diavolo vuoi, Ethan?" ringhio stringendo i pugni. Lui sembra serio.
"Io volevo..."
"Non ho tempo ora." lo interrompo bruscamente. "Devo trovare Tris, quindi togliti dai piedi."

Mi giro e faccio qualche passo nel corridoio, ma lui mi raggiunge un po' zoppicando e mi si para davanti con decisione.
"Vengo con te."

Ho sentito male. Devo aver sentito male.
Cosa vuole questo idiota ora? Anzi, qualsiasi cosa sia non mi interessa, deve piantarla di intromettersi nella mia vita e in quella di Tris.

"Senti, non hai capito. A Tris ci penso io." Gli punto un indice al petto. "Tu stanne fuori, non sono cose che ti riguardano."

Ethan non sembra intimorito dalle mie parole, anzi, con un secco schiaffo sposta il mio dito dal suo petto.
"Invece lo sono eccome." dice alzando il mento coraggiosamente. "Ci sono stato io lì dentro con lei, per ben tre anni. So cosa ha passato e voglio aiutarla."

In un lampo lo afferro per il colletto della camicia e lo sbatto contro il muro del corridoio. Lui fa una smorfia di dolore, ma ora come ora sono accecato dalla rabbia e non me ne frega niente dei suoi problemi fisici.

"Non-" cerca di dire Ethan, ma la pressione che faccio su di lui e il dolore che sicuramente sta provando non lo fanno proseguire.
Allento la presa e soffoco un insulto.
Devo darmi una calmata.

Ethan si schiarisce la gola e tenta ancora una volta.
"Non voglio prendere il tuo posto, te l'ho già detto..."

"Le tue azioni dimostrano il contrario." dico perentorio. Ethan chiude gli occhi con fare esasperato.
"Voglio solo aiutarla, Tobias! So cosa sono stati questi tre anni per lei e voglio supportarla, proprio come vuoi fare tu. Dobbiamo trovarla!"

Sento che sto per scoppiare. Vorrei poter rispondergli che non è così, che ci sono stato io al suo fianco quando ne aveva bisogno, ma non posso farlo.
Perché c'era lui.
Lui al mio posto.

Mi sento talmente impotente ora. Ho paura che tutta la rabbia e il risentimento che ho in corpo mi faranno esplodere da un momento all'altro.
Voglio fare qualcosa, devo fare qualcosa.
Ma non so come muovermi.

Questo imbecille biondo sa più di me quello che ha passato Tris e potrebbe davvero aiutarla in questo momento.
Ma la consapevolezza brucia. Brucia come cenere viva sulla pelle.

Tra l'altro il problema principale ora non è nemmeno questo. Il problema è capire dove stia andando Tris.
Lo faccio presente a Ethan.
"Non sappiamo dov'è diretta."
Il mio tono di voce fa sembrare questa constatazione una resa definitiva.
In effetti è così, nonostante l'idea non mi entusiasmi non posso impedire a Ethan di cercarla.
Lui la aiuterebbe meglio di me?

Mentre mi faccio questa e tante altre domande, Ethan fa un colpo di tosse.
"Potresti.." dice indicando il suo collo con uno sguardo. Le mie mani sono ancora strette intorno al suo colletto e tremano di nervosismo.
Lascio andare la camicia di Ethan e faccio un passo indietro nel corridoio per permettergli di riprendersi. Lui si massaggia il collo e la schiena, poi mi guarda di traverso.

"Probabilmente è tornata agli appartamenti. Non vedo nessun altro posto in cui possa rifugiarsi." ragiona ad alta voce. "E poi non è nemmeno completamente lucida, quindi è plausibile che sia tornata a casa."

Scuoto la testa poco convinto.
Tris non è stupida, sa benissimo che il primo posto in cui la andremmo a cercare sarebbe il suo appartamento o i dintorni di esso. Vuole stare da sola ora, quindi deve aver pensato ad altro.
Un posto sicuro, nascosto, magari fuori mano. Un posto in cui lei si sia sentita sicura.

Passo in rassegna le vecchie costruzioni ancora in piedi a distanza di anni. La sua vecchia casa nel quartiere che una volta era degli Abneganti è stata demolita insieme alle altre.
Oramai, dopo tre anni, le funzioni dei vari edifici della città sono cambiate radicalmente. Molti palazzi inoltre sono stati distrutti.
Beh... tutti o quasi.

Un'idea si fa strada nella mia mente e si fissa lì, prepotentemente.
L'ex quartier generale degli Intrepidi.

Non è stato demolito, ma per via della sua scarsa funzionalità è stato abbandonato a se stesso.
Le varie entrate sono state chiuse e il palazzo di vetro è stato transennato.
Non si sa quale sarà il destino del nostro vecchio quartier generale, se la demolizione o la ristrutturazione, ma comunque per ora nessuno si avvicina più di tanto a quell'edificio che è stato testimone e protagonista della rivolta.

Sorrido, sicuro di aver trovato la soluzione al dilemma.
Tris sta andando lì, ne sono quasi certo.

Ethan osserva la mia espressione sollevata e storce la bocca.
"Cosa c'è?" mi chiede.

"Io ho un'altra idea. Ho in mente un altro posto."

Stringe le labbra e riflette un po' sul da farsi, poi annuisce una volta, deciso.
"Okay, allora verrò con te. Se sei sicuro di trovarla mi fido di te."

Lo guardo stupito. Questo non me lo sarei aspettato. Ero già pronto ad un lungo ed estenuante litigio su chi e dove l'avrebbe trovata. E invece no, Ethan si fida di me.
Guardo questo ragazzo dagli occhi verdi e sinceri con curiosità e anche un po' di ammirazione. L'ho quasi picchiato, eppure rimane qui a sorridermi apertamente, pronto a cercare Tris insieme a me.
È un alieno.

Lui sembra capire quello che mi passa per la testa e mi da una pacca sulla spalla.
"Forza, non perdiamo tempo. Avremo tempo di discutere su tutte le mie straordinarie qualità."

Mi precede nel corridoio mentre annuisco al nulla.

Lui si ferma davanti all'ascensore, chiaramente incapace di affrontare una rampa di scale nelle sue precarie condizioni, e così faccio io.

Mentre scendiamo velocemente verso il piano terra comincio a pensare a come raggiungere il quartier generale. Sicuramente potremmo prendere la mia macchina, ma quanto ci metteremmo?

Quando usciamo finalmente dalla Centrale l'aria fresca mi colpisce in pieno viso e mi infonde una bella dose di forza.
Mi guardo intorno, cercando di pensare come avrebbe fatto Tris.
Era a piedi, sconvolta.
Cosa avrà fatto?

Un fischio familiare mi distrae dalle mie congetture. Ad una ventina di metri i binari della ferrovia tagliano l'isolato passando accanto alla Centrale di Polizia per poi virare verso il centro città. Un rumore che conosco bene mi avverte che sta per arrivare un treno.
Ecco come ha fatto.
Tris deve aver pensato alla stessa cosa. La nostra vecchia residenza è piuttosto lontana da qui e sicuramente avendo visto i binari avrà deciso di raggiungerla alla vecchia maniera. Veloce e sicura.

Speranzoso, quindi, corro verso i binari e salgo sulla banchina di legno accanto alla quale oggi si ferma il treno.
"Sbrigati!" urlo ad Ethan, impacciato mentre tenta di salire dopo di me. Gli allungo una mano e lo tiro su velocemente.
Pochi secondi dopo una ventata mi scompiglia i capelli e un vagone si ferma proprio davanti a noi.
Apro la porta spingendo il pulsante sul lato e salgo nella carrozza seguito a ruota dal biondo.

Non appena metto piede lì dentro vengo invaso da centinaia di ricordi. Alcuni belli e altri meno.
Quando il treno riprende la sua corsa mi aggrappo alla maniglia e guardo fuori come facevo un tempo.

"Scappa"
"La mia famiglia"

Non smetterò mai di stupirmi di fronte al profilo della città al calar della sera. I palazzi sono invasi da una densa luce arancio-rossa che rende l'atmosfera di Chicago molto suggestiva.
Semplicemente bellissima.

"Ti ho quasi uccisa. Perché non mi hai sparato, Tris?"
"Non potevo. Sarebbe stato come sparare a me stessa."
"Devo dirti una cosa. Forse sono innamorato di te. Aspetto di esserne sicuro per dirtelo, comunque."
"Molto premuroso da parte tua. Dovremmo trovare un foglio di carta così potresti fare una tabella, o un grafico o che so io."
"Forse sono già sicuro, è solo che non voglio spaventarti."
"Pensavo mi conoscessi meglio."
"Va bene. Allora... ti amo."

Sospiro debolmente.
Cosa starà pensando Tris in questo momento?
Si sarà davvero rifugiata alla nostra ex residenza?
Cosa le dirò quando (e se) la troverò?
Mi chiedo se sarò in grado di aiutarla e sostenerla in questo momento.

"Ne hai abbastanza, Rigida?"
"No."
"Occhi aperti, allora."

Mentre i ricordi si affollano nella mia mente il treno fa una brusca curva a sinistra e penso a quello che ci aspetta d'ora in poi.
La verità è venuta a galla, e nonostante faccia male, con essa si è chiusa una parentesi a lungo tenuta aperta.
In poche parole siamo di fronte alla vera fine delle nostre vite precedenti. Tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora ci ha portati a questo momento, al capolinea di questo capitolo di storia.
Pensavo che si fosse concluso tre anni fa, ma come al solito Tris non è una persona prevedibile, nemmeno quando di tratta della sua morte.

"Sii coraggiosa, Tris. La prima volta è sempre la più difficile."

Ma ora può smettere di lottare. È finita.
La sua guerra è finita.

Il treno stride sui binari e poco a poco capisco che ci stiamo avvicinando.
Avvisto il palazzo di vetro e il tetto della residenza, dal quale gli iniziati si dovevano gettare il giorno della Scelta.
Mentre il treno si avvicina scorgo una sagoma proprio su quel tetto. È solo un puntino nero, ma che diventa ogni secondo sempre più grande.
Quando il treno costeggia il tetto la riconosco.
È Tris, seduta sul cornicione.

Mi attivo in fretta e penso ad un modo per raggiungerla.
Il treno non si fermerà quindi l'unico modo è saltare, come ho sempre fatto.

Ethan, che per tutto il viaggio era rimasto accasciato a terra, ora mi guarda confuso.
"Che vuoi fare?"

"È Tris, lì sul tetto. Dobbiamo saltare."
Lui sgrana gli occhi e mi raggiunge con cautela.

"Sei pazzo?! Io non posso farlo, sono già rotto di mio! Non so nemmeno se riuscirei a centrare il tetto!" grida indicando il palazzo con un gesto della mano.

Il nostro vagone è ormai al limite del tetto, non c'è tempo da perdere.
"È l'unica soluzione, Ethan. Dobbiamo sbrigarci."

Ethan mi fissa per qualche secondo, poi fa un passo indietro.
"Vai tu." dice con un piccolo sorriso. "Io aspetterò la prossima fermata e tornerò indietro."

Lo guardo un po' spaesato. Ha insistito per venire fin qui e ora si tira indietro?
"Vorrei farcela, ma sarebbe un suicidio. Sono sicuro che saprai aiutarla meglio di me, Tobias." continua lui annuendo convinto.
Non so perché, ma ora mi sento stranamente vulnerabile.

"Grazie Ethan." gli dico impacciato. Non ho il tempo per rispondere all'enorme sorriso che mi rivolge, e dopo aver preso una piccola rincorsa, senza pensare, salto.
Rimango in aria per qualche secondo che sembra un eternità.
Poi atterro duramente sul tetto, rotolando qualche metro a causa della mia scarsa reattività.
Sono fuori forma, lo so.

Mi alzo dolorante e mi spazzolo i vestiti alla meno peggio con le mani. Guardo il treno allontanarsi, e con lui la chioma bionda di Ethan. Mi sembra di vedere ancora il suo persistente sorriso mentre il treno si allontana, ma potrei anche sbagliarmi. Mi giro verso Tris, prendendo un grosso respiro.

Ora capisco perché ho reagito in quel modo poco fa, quando Ethan ha deciso di rimanere sul treno.
Era perché in realtà io non volevo affrontare Tris da solo. Me ne sto rendendo conto solo ora.
Ho paura.

Paura di dire qualcosa di sbagliato.
Paura di non saperla capire abbastanza.
Paura di fare un passo falso e perderla di nuovo.
Paura di non essere all'altezza.
Paura di farla soffrire.

In questo momento il mio soprannome dovrebbe essere qualcosa come Trentotto, non Quattro.

Alla fine decido di avvicinarmi comunque. Tris non sembra avermi notato, perché rimane girata di spalle, a cavallo del cornicione, con una gamba a penzoloni nel vuoto e l'altra verso l'interno.

Ethan saprebbe cosa dire ora?

Mi avvicino ancora, mancano forse cinque o sei metri.

Ethan avrebbe paura come me?

"Anche tu hai paura di me, Tobias?"
"Sono terrorizzato."
"Forse non ci sarai più nel mio scenario della paura."

Quattro metri circa. Il vento le scompiglia i capelli.

Ethan si sentirebbe all'altezza?

"Non puoi non avere nessuna paura, ricordi? Perché ci sono cose a cui tieni."
"Lo so."

Tre metri. Le mani mi tremano.

"È stato qui."
La sua voce sovrasta il debole rumore del vento e mi raggiunge bassa e calda come è sempre stata.
Mi fermo dove sono e aspetto che parli ancora.
Lei però non lo fa e passano dei secondi.

"Cosa?" chiedo con voce incerta.
Tris ancora non si gira.

"È stato qui che ho fatto la mia scelta."

Mi avvicino lentamente e la affianco buttando un occhio nel vuoto.
Dove prima si apriva la voragine che portava alla rete, ora sono state messe delle tavole di legno a copertura.
Hanno chiuso anche questa entrata.

Tris finalmente mi guarda e posso leggere tutta la stanchezza riflessa nei suoi occhi.
"Quando ho saltato da questo tetto, ho detto addio una volta per tutte alla mia vecchia vita, a Beatrice Prior e a tutto ciò che ero." Mi prende una mano intrecciandola con la sua, fredda. "Sono scesa dalla rete come Tris, una persona nuova e soprattutto diversa."

"Come ti chiami?"
"Ehm..."
"Pensaci bene, non potrai più cambiarlo dopo."
"Tris"
"Prima a saltare: Tris! Benvenuta tra gli Intrepidi."

La sua voce ha qualcosa di spento. Mi guarda fisso negli occhi, grigio contro blu, dandomi modo di provare solo in minima parte quello che ha dentro di lei.
Sofferenza.

"Una persona orrenda." conclude seria tornando a guardare davanti a sé.

Io agisco d'istinto e le stringo la mano.
"No, Tris. Tu non sei una persona orrenda e potrei provartelo in molti modi."

Lei non risponde e continua a fissare il vuoto.
Mentre tento di trovare le parole giuste per convincerla che si sta sbagliando, lei mi prende alla sprovvista e mi tira verso il cornicione.

"Vieni." dice soltanto.
Io faccio subito resistenza e comincio a tremare.
"Tris..." la chiamo, tentando di ricordarle che stare seduto sul cornicione di un tetto non è mai stata un'esperienza eccitante per me.
L'effetto è immediato: sento immediatamente la gola chiudersi e le mani sudare. La vista comincia ad annebbiarsi.

Lei tira più forte.
"Ci sono io."

Prendo un grosso respiro e mi convinco a farlo per lei.
Devo aiutarla, devo essere forte per lei ora.
Mi siedo anche io a cavalcioni di fronte a lei evitando come la peste di guardare giù.
Comincia a girarmi la testa e devo chiudere gli occhi per calmarmi.

"Sei umana, Tris? Stare così in alto... Non ti spaventa neanche un po'?"

Tris, però, mi prende anche l'altra mano e stringe forte, strappandomi un sospiro liberatorio.

"Ehi. L'abbiamo superato."
"Tu me l'hai fatto superare."
"È facile essere coraggiosi quando le paure non sono le tue."

È incredibile l'effetto che mi fa.
Mi concentro sui suoi occhi mentre il respiro torna lentamente a farsi regolare.

Tris rimane a guardarmi per un po', in silenzio, poi torna a parlare.

"Sai cos'ho pensato quando David mi ha sparato?"
Rimango di sasso.
"Ho pensato che sarei stata perdonata per tutto quello che avevo fatto. Quel gesto mi avrebbe fatto guadagnare il perdono."
Ride amaramente.
"Ne ero convinta, sai. Eppure mi sbagliavo."

"No." la contraddico immediatamente io. "No, Tris. Non devi continuare a portarti la colpa di tutto sulle spalle."

Mi avvicino un po' di più e le stringo le mani, stavolta tentando di dare coraggio a lei. Ignoro i miei stupidi polmoni, che sembrano funzionare poco e niente quando mi trovo in alto.
"Quello che hai fatto ha portato a tutto questo, ad una società più libera e a delle persone più libere."
Lei abbassa lo sguardo sulle nostre mani intrecciate e scuote impercettibilmente la testa.
"Quello che ho fatto non ha concluso la guerra. Evidentemente non è stato abbastanza neanche per guadagnare il perdono di Cara..."

Mi mordo le labbra e tento di riattivare la salivazione.
"L'hai vista anche tu! Era fuori di testa! Per lei non esiste altro che la scienza."

"Ma ha anche detto che le cose difficilmente si perdonano." Alza la testa per guardarmi negli occhi. "Non ha dimenticato quello che ho fatto a Will. Non c'è nulla di scientifico in questo."


Sospiro, esasperato.
Avevo sperato che quella fosse una faccenda chiusa. Persino Christina l'ha perdonata quando ha visto gli effetti delle simulazioni, ha capito che Tris non aveva scelta.
O che comunque non aveva avuto la lucidità di pensare.

"Non puoi continuare ad incolparti per la morte di Will. È vero, ne sei responsabile, ma hai fatto quello che avrebbero fatto tutti nella tua posizione."

"Potevo scegliere di ferirlo." mormora.

"Ma non hai avuto la prontezza di farlo. Difficilmente la si ha in momenti come quelli, Tris."
Il mio tono è leggermente esasperato. Tris mi guarda intensamente e mi accarezza con disperazione le dita delle mani.

"Non lo so." cede con voce rotta. "Non lo so, sono così stanca e confusa e... sento un peso addosso di cui non riesco a liberarmi. Non so nemmeno se è questo che mi turba..."

"Noi siamo a posto, sai? Io e te. Okay?"
"Nient'altro è a posto."
"Ma noi sì."

Il suo sguardo si fa lucido e acquoso, pronto ad aprire la strada ad un fiume di lacrime. Lei però si trattiene, sbattendo velocemente le palpebre e respirando a fondo.

La guardo, lasciandomi trasportare dal mare di emozioni e ricordi che mi scorre dentro, e provando a parlare direttamente al suo cuore inizio il mio discorso.
"Tris, tu sei la persona più forte e coraggiosa che conosco. E sei anche un'inguaribile altruista. Ti spendi per gli altri e ti carichi dei loro pesi anche quando non dovresti."
La mia voce è seria, sincera. Le prendo il volto fra le mani, costringendola a guardarmi. I suoi occhi si fanno ancora più lucidi. E sono bellissimi.

"Tobias. Sono io."
"Tris."

Una lacrima le riga il viso, ma io ormai devo dirle tutto, devo farle capire che non ha nessuna colpa. Non sa quanti meriti ha, quante cose ha fatto.

"Come hai fatto?"
"Non lo so. Ho solo sentito la tua voce."

"Guardami, Tobias..." mormora a voce bassissima, interrompendo il flusso di parole che avevo intenzione di dirle. "Guarda cosa sono diventata. Sono un insieme di frammenti, di pezzi delle mie vecchie vite che non riesco più a tenere insieme." Mi lancia uno sguardo triste. "Forse ero coraggiosa, una volta. Ora non so più cosa sono."

"Avevi ragione. Lo so chi sei. Avevo solo bisogno che me lo ricordassi."

Sospiro di fronte al suo conflitto interiore e cerco di respirare a pieni polmoni, non solo perché l'altezza lo rende difficile, ma anche perché sto male.
Sto male perché lei soffre. E perché ho troppi ricordi che si affollano nella mia mente.
Ma ora io devo ricordarle chi è Tris.

"So che questi tre anni sono stati un inferno." ritento io. "Non posso capire fino in fondo quanto tu sia stata male e questo mi fa stare da schifo, perché vorrei capirlo, Tris. Vorrei capirti come fa Ethan, avendo vissuto le stesse cose con te, seppur orribili."
Prendo fiato mentre nei suoi occhi leggo una strana sorpresa.
"Quello che capisco è che hai bisogno di tempo per assimilare la realtà dei fatti. Nessuno si aspettava quello che è successo oggi ed è stato orribile. Ma io sarò qui. Voglio starti accanto, per sostenerti e per aiutarti a ricostruire qualcosa da ora in poi. Io e te, Tris, come abbiamo sempre sperato."

"Non vedo l'ora che arrivi domani, quando sarò tornato e tu avrai fatto quello che devo e potremo decidere cosa fare dopo."
"Ti so già dire che prevederà un bel po' di questi."
"Ti amo."
"Ti amo anch'io. A presto."

Un tremito le scuote le spalle. Mi avvicino ancora di più, ormai incurante dell'altezza e delle mie stupide paure.

"Perché sei fantastica, Tris." dico con voce tremante. "Sei il mio fuoco, la mia energia, sei vita allo stato puro. Mi hai svegliato una volta, tre anni fa, e lo hai rifatto ancora, la settimana scorsa, quando sei tornata improvvisamente da me. Mi svegli ogni giorno, ogni volta che mi guardi negli occhi."

"La paura non ti paralizza, ti accende. L'ho visto. È affascinante. A volte vorrei solo... rivederlo. Vedere come ti accendi."

Ci fissiamo per secondi interminabili, mentre lascio che il significato delle mie parole sgusci lentamente fra di noi e si radichi nel profondo del suo cuore.
"E non sono l'unico a pensarla così, credimi."

Lei distoglie lo sguardo e scuote leggermente la testa.

"Caleb ti vuole bene. È vero, ha fatto cose totalmente illogiche in passato, ma è cambiato tantissimo e ci tiene moltissimo a te e alla tua opinione di lui."
Sul suo viso vedo l'ombra di un sorriso che mi spinge a continuare.
"E anche Christina è dalla tua parte. Nonostante tutto quello che è successo si è dimostrata la stessa amica che avevi lasciato anni fa. Ti sosterrà, ne puoi stare certa."

Arrivato a questo punto devo costringermi ad ingoiare una bella quantità di gelosia e risentimento per proseguire.
"E credo non ci sia bisogno di menzionare quel bamboccio di Ethan..."
I suoi occhi ritrovano i miei in un lampo.
"Sai bene che tiene molto a te..." dico a fatica. Poi aggiungo: "Forse anche troppo..."
Il mio tono e la mia espressione devono parlare da soli, tanto che Tris scoppia in una piccola risata che porta in secondo piano le lacrime ancora fresche. Sorrido anche io, consapevole della figura del geloso che ho appena fatto.
Non mi interessa, è la verità.

"Comunque lo sai che ci sarà sempre per te. Vuole ancora proteggerti."
Ripenso alla nostra conversazione in corridoio e per un attimo sono contento che ci sia Ethan con noi. Lui ci tiene davvero a Tris e mi sento sicuro sotto quell'aspetto.
So che la proteggerebbe in qualsiasi caso.
Ovviamente questo pensiero mi sfiora solo per pochi secondi. Sotto moltri altri aspetti il bel visino affascinante del biondo non mi tranquillizza proprio per niente...

"E poi" continuo io "ci sono tutti gli altri. Zeke, Shauna, Amar, George, Johanna. Ognuno di loro sa chi sei veramente."

"Lo so." dice Tris dopo qualche secondo. Sta pensando a qualcosa di lontano, perché la vedo assorta in pensieri tutti suoi.
Le lacrime ricominciano a scendere.

"Ora hai bisogno di rimettere a posto i pezzi." riprendo comprensivo. Le afferro il volto con entrambe le mani, delicatamente, e la costringo a guardarmi. "Sono qui per te, ti aiuterò. Voglio starti vicino e sostenerti, Beatrice Prior. Conta su di me per qualsiasi cosa tu ti senta di fare per sentirti meglio. Picchiami, urlami contro, sfogati, non parlarmi. Qualunque cosa...."
Le asciugo una lacrima con il pollice destro.
"... io ci sarò."

"Sarò io la tua famiglia, ora."

Le mie mani tremano quando finisco di parlare. Probabilmente ho fatto un discorso sconclusionato, senza un filo logico, ma non importa. Ho lasciato uscire quello che avevo dentro e ce l'ho messa tutta per farle capire che è grazie a lei se siamo tutti qui ora. Se io sono qui, ancora vivo.

Tris rimane in silenzio per altri secondi infiniti. Mi chiedo se sia riuscito a farle capire che non è sola, che non è un mostro e che potrà ricostruire la sua vita da ora in poi.
Se vorrà la ricostruiremo insieme.

All'improvviso un singhiozzo rompe il debole fischio del vento fendendo l'aria come una spada.
Poi succede tutto insieme.

Tris si accascia sul mio petto e comincia a piangere, ma stavolta sul serio.
Sento subito la maglia inumidirsi, ma non mi interessa. La stringo tra le braccia e affondo il viso nei suoi capelli.
Lei non smette più, è un fiume in piena. La sua schiena è scossa da singhiozzi e respiri spezzati.
Stringe sempre più forte e la lascio fare. Mormora parole che non riesco a capire perché costantemente interrotte da singulti e perché attutite dal mio petto.

Continuo ad accarezzarle la schiena per minuti e minuti, lasciando che qualche lacrima sfugga anche al mio controllo.

"Non è necessario che nascondi il dolore. Ci sono solo io, qui."

È esattamente in questo momento che mi rendo conto che mi sbagliavo.
Pensavo che la guerra di Tris fosse finita, che la mia guerra fosse finita.
E invece no, non è così.

La sua guerra è appena iniziata.
Perché la vita è così, ci sarà sempre qualcosa contro cui lottare, sempre. Quello che cambierà saranno solo i nemici e le ragioni per cui tenteremo di sconfiggerli.

Ora Tris dovrà lottare contro i fantasmi del suo passato, contro i suoi sensi di colpa e i suoi rimorsi.
Mentre si aggrappa a me con disperazione so che dovrà lottare per costruirsi una nuova vita, o forse per ricostruire quella vecchia.

Ma anche io mi aggrappo a lei, perché quello che conta, ora, è che non sarà sola. L'importante è affrontare le battaglie insieme, uno al fianco dell'altro.
L'ho già fatto una volta, tre anni fa. Ci siamo appoggiati a vicenda, io, Chris, Zeke, Shauna e gli altri.
Ora dovrò aiutare Tris a fare lo stesso.

"Ho bisogno di te, Tobias." mormora tra un sussulto e l'altro, la voce rotta.
"Sono qui..." le sussurro nell'orecchio. "Sono qui."

È così, siamo tutti fragili in un modo o nell'altro. Rischiamo di cadere e romperci all'improvviso, ognuno per colpa delle proprie debolezze.
Eppure ognuno di noi può trovare qualcuno che lo aiuti a non crollare o che lo aiuti a incollare di nuovo tutti i pezzi.

Ed è allora che non siamo più solo fragilI.
È allora che diventiamo anche forti.
Diventiamo invincibili.

A questo penso mentre la stringo sempre più forte su quel cornicione, mentre premo con forza le mie labbra sulle sue, mentre le asciugo le lacrime con i pollici.
Ed è sempre per questo che una volta prese le sue mani le sussurro ancora:

"Sii coraggiosa, Tris."





NOTE FINALI:

PER DINDIRINDINA! CE L'HO FATTA!
Okay, vi chiedo scusa. Il ritardo è impressionante.
Purtoppo ho avuto degli impicci. Prima di tutto, essendo in vacanza, non ho avuto il wifi... la rete cellulare inoltre è un miracolo da trovare.
Comunque sono riuscita ad aggiornare e questo è l'importante.
Dopo svariati cambiamenti (altro problema) ecco l'ultimo capitolo. Spero di non avervi deluso, non sono sicura del risultato -.-"
Il prossimo capitolo sarà l'epilogo, quindi ci siamo quasi. Come sempre voglio ringraziare tutti voi lettori per il supporto!
Per quanto riguarda l'extra di cui avevo parlato, si intitolerà "Invincibili" e arriverà ad Agosto se tutto va bene :)
Bene, un saluto e alla prossima!

Mconcy

Ps: le citazioni della serie le ho inserite con un criterio :) spero si capisca!

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Capitolo 20
*** Epilogo. ***


NOTE INIZIALI:

Scusate il ritardo... di nuovo.
Non andrò a cercare scuse, vi dirò la verità: avevo paura di aggiornare.
C'erano molte aspettative per l'epilogo, e rileggendo non mi sembrava affatto all'altezza. Ho cambiato così tante volte idea che fino all'ultimo mi sono chiesta se aggiungere o meno alcune cose che sarebbero state determinanti.
Alla fine il risultato è questo.
Spero sia buono come meritate.
Ci vediamo giù ;)
(Scusate ancora)






Fragili

Epilogo.






Sono passati due mesi.
Due mesi da quando Tris ha scoperto la verità.
Due mesi da quando ho deciso che sarei andato avanti e che l'avrei fatto con lei.

È buffo, lo so.
È davvero buffo come una sola parola possa cambiare radicalmemte il significato di una frase, anzi, di una vita intera. Perché ora Tris è con me. E avanti ci andiamo insieme.

Penso spesso al fatto che se Tris non fosse ricomparsa, sicuramente la mia vita, oggi, sarebbe diversa. Molto diversa.

Cosa sarebbe successo tra me e Chris?
A cosa avrebbe portato l'esperimento di Cara?
Il Comandante Pohe sarebbe ancora vivo?
E io sarei ancora qui?

Non lo so. Sono tutti interrogativi ai quali è impossibile dare una risposta. E forse ora è anche inutile impegnarsi a cercarla.

Come avrebbero detto gli Abneganti, i sensi di colpa devono servire solo ad aiutarci a fare meglio la prossima volta. Quindi non sono tanto dispiaciuto di portarmi dietro le cicatrici di quello che è successo e di quello che ho fatto.
Sono le mie cicatrici, e ho imparato a considerarle preziose.


***

"Tris! Non sbirciare! Guarda che ti vedo!"

Faccio velocemente il giro della mia macchina e apro la portiera dal lato del passeggero.

"Non puoi pretendere che rimanga buona se non mi dici niente!" si lamenta mentre la aiuto ad uscire dal veicolo. Una volta fuori si sistema meglio la benda che le ho imposto di mettere sugli occhi e borbotta qualcosa.
Ho organizzato una piccola sorpresa per lei e non voglio che capisca nulla fino a quando non saremo arrivati.

"Ci siamo quasi, vieni con me..."
Le prendo la mano, sperando di convincerla a lasciarsi guidare senza troppe storie. Davanti a noi si erge l'Hancock, imponente e silenzioso come è sempre stato. I nostri passi rimbombano nel parcheggio vuoto.
È ormai sera, tra pochi minuti il sole dovrebbe tramontare.
Ottimo.

Trascino Tris fino all'ascensore dell'alto grattacielo e spingo il bottone dell'ultimo piano, aspettando che le porte si richiudano.

Con la coda dell'occhio vedo Tris sorridere.
"Cosa c'è?" le chiedo, divertito.
"Niente." risponde con poca convinzione.
Sospiro.
"Hai capito dove siamo, vero?"
"Forse..."

Niente da fare, è troppo sveglia per le mie banali sorprese. Scuoto la testa cercando di essere positivo. Anche se ha capito dove siamo posso sempre contare sul mistero del perché siamo qui. Almeno lo spero.

Dopo qualche minuto le porte dell'ascensore si aprono con un cigolio, e io trascino Tris lungo il corridoio dell'ultimo piano dell'Hancock.
Controllo ancora che non abbia spostato la benda dagli occhi, ma lei sembra essersi arresa alla mia follia. Anzi, ora sfoggia persino un sorriso divertito.
"Siamo arrivati." dico aiutandola a salire le scale e aprendo la porta sul tetto. Tris incespica un po', ma alla fine giunge sana e salva alla terrazza del grattacielo.

L'aria fresca mi scompiglia i capelli mentre la conduco al parapetto. Mi assicuro di farle dare le spalle alla porta, poi allento la presa sui suoi fianchi e mi allontano di qualche passo.
"Ora puoi togliere la benda."

Tris slega il pezzo di stoffa con uno sbuffo e finalmente lascia vagare lo sguardo sul panorama davanti a sé.
Chicago, immersa nella densa luce arancio-rossa del tramonto.
E il sole, che si tuffa lentamente nella palude creando un bellissimo riflesso sulla superficie dell'acqua ormai limpida.
Proprio oggi si sono conclusi i lavori di bonifica della palude, e persino da quassù si può sentire il brusio proveniente dalla folla di persone radunate intorno a quello che ormai posso chiamare lago.
La città sembra viva sotto di noi.


Tris rimane incantata, uno strano sorriso sul volto, e il suo sguardo si perde come al solito. Non mi azzardo a domandarmi cosa stia pensando, perché so che non troverei mai una risposta.
Comunque mi avvicino un po' a lei, schiarendomi la voce.
"Niente male, eh?"

Tris si gira piano verso di me, fissandomi in silenzio. Il grigio dei suoi occhi sembra brillare di sfumature arancioni, liquido e intenso. Così intenso che mi fa girare la testa.
Senza dire una parola fa un passo verso di me, eliminando la poca distanza che ci separava e cingendo i miei fianchi con le sue piccole braccia. Mi stringe forte, seppellendo il viso nell'incavo del mio collo.
"Erano anni che non vedevo Chicago da quassù..." sussurra nel vento.

Istintivamente le accarezzo i capelli, perdendomi nel calore di quell'abbraccio.
Solo dopo qualche secondo di silenzio, che mi sembra così poco, Tris si allontana. Mi guarda fisso, di nuovo, ma stavolta c'è altro nei suoi occhi. Qualcosa che mi sconvolge e che mi fa dimenticare il resto.
Ho come la sensazione che qualcosa mi stia sfuggendo... ma ora non riesco proprio a preoccuparmene. Non con Tris a due centimetri che mi guarda in quel modo.

Ci avviciniamo all'unisono, senza mai rompere il contatto visivo. È proprio quando le nostre labbra si sfiorano che sento uno fastidioso rumore: qualcuno si è schiarito la gola.

Qualcuno.
Ah, già.
Ecco cosa mi stava sfuggendo.

Tris sussulta e si volta di scatto verso la porta, sgranando gli occhi subito dopo.
Christina, Caleb, George, Amar, Zeke e Shauna sono in piedi a qualche metro da noi, dall'altra parte del tetto, e tutti hanno un sorriso enorme sul volto. Tutti, in effetti, fanno parte della sorpresa. O meglio, ne erano la parte principale...
Avevo detto loro di salire sul tetto senza farsi sentire mentre distraevo Tris, e devo ammettere che ci sono riusciti alla perfezione.

Nessuno si muove o parla, fino a quando Zeke non poggia a terra una struttura di legno, che si rivela essere un tavolo pieghevole, e ci appoggia con poca delicatezza una busta stracolma di cibo e bevande.
"Volevate iniziare la festa senza di noi?"

Dopo un attimo di smarrimento Tris si apre in un sorriso e corre a salutare la mezza dozzina di persone che sono venute qui per lei.

In effetti negli ultimi tempi non ci siamo visti molto. Almeno non tutti insieme.
Zeke, George, Amar e gli altri hanno ripreso regolarmente i loro rispettivi lavori, e così abbiamo fatto anche io e Christina, pur restando vicino a Tris il più possibile.
Chi ha avuto più problemi è stata proprio lei.
Non è stata bene dopo la confessione di Cara. È stato come se qualcosa si fosse rotto dentro di lei, e ogni giorno, più volte al giorno, ha dovuto far fronte a degli attacchi di panico piuttosto forti.
La notte dormiva pochissimo. La sentivo muoversi in continuazione al mio fianco, fino a quando non la prendevo fra le braccia e il suo respiro si faceva regolare.
Non è uscita spesso di casa, e non ha voluto sapere cosa è successo a Cara. Sa che è stata punita per quello che ha fatto, ma la sua conoscenza dei fatti si limita a questo.
Non sa che Cara ha collaborato con la polizia e che per questo il suo "soggiorno" in prigione è stato agevolato da parecchi privilegi.
Io comunque non insisto mai sul punto.

È ormai una settimana che gli attacchi di Tris sono cessati. Ovviamente non si è ancora ripresa del tutto, e forse non lo farà mai. Mi basta guardarla negli occhi per capire in quali mondi è persa, se sta tornando in quella cella oppure se sta pensando a Will, a Cara o persino ad Al.
Ora, però, sono tranquillo. Non sta affatto pensando al passato, lo vedo dal suo sguardo luminoso. È felicemente presa dal presente, dai suoi amici, che sono venuti qui per lei. E questa per lei è una grande vittoria.

Mentre gli altri preparano i tavoli e il cibo, mi appoggio al parapetto, guardando Tris ridere e parlare con Shauna e Amar.
Quasi non noto Chris avvicinarsi.

"Missione compiuta..." dice, appoggiandosi vicino a me.
Le sorrido annuendo.
Non so a cosa si riferisce, se allo sguardo stupito di Tris o al fatto che sono riusciti ad entrare di soppiatto cogliendoci alla sprovvista. Ad ogni modo la mia missione era quella di riportare il sorriso sul volto di Tris e di farle passare qualche ora senza troppi pensieri negativi. Guardandola sembra che ci sia riuscito.

Chris si gira verso di me e apre la bocca per dirmi qualcosa, ma in quel momento la porta del tetto si apre di nuovo.
Tutti gli sguardi dei presenti sono puntati sul ragazzo che è appena arrivato. La sua chioma bionda brilla al sole.

"Ethan!" esclama Tris sgranando gli occhi.

"Ethan?" esclamo io, aggrottando la fronte.

Lui mi ignora, rivolgendo un ampio sorriso alla mia ragazza. Tris non ci pensa due volte e corre ad abbracciarlo. Anche gli altri si avvicinano a salutarlo e finalmente il silenzio che era calato su di noi viene sostituito dalle chiacchiere dei miei amici.

Lancio uno sguardo perplesso a Christina.
Avevo invitato Ethan, davvero. Ma lui aveva detto che non sarebbe riuscito a venire. Ora lavora nei vari ambulatori della città - e della Periferia- come assistente di un medico militare. Spesso lascia Chicago per qualche giorno, e mi aveva appunto detto che oggi doveva sbrigare delle faccende in Periferia.
Era una settimana che non lo vedevo, ma ora eccolo qui.

Christina mi sorride.
"Ti stavo giusto per dire che Ethan mi aveva chiamato qualche ora fa per dirmi che era riuscito a liberarsi e che stava venendo qui."
Scuoto la testa, non riuscendo a trattenere un sorriso.

"Sono contento che sia venuto." dichiaro con convinzione.
Ed è vero.
Ethan è stato determinante nel processo di guarigione di Tris. Non sono state poche le volte che è corso da noi nel cuore della notte per tranquillizzare Tris o semplicemente per farla sfogare. Ho accettato il fatto che in quella cella c'era anche lui, e che quindi in certi casi il suo aiuto è più indicato del mio.
Non sono arrabbiato con lui. Gli sono molto riconoscente.

Ormai la sua presenza al fianco di Tris non mi da più così fastidio. So che per lei è un amico, una persona importante, e io lo accetto.
Quando si avvicina per salutarmi gli do un'amichevole pacca sulla spalla e gli rivolgo un bel sorriso.
"Sono contento che tu sia venuto."
Lui mi guarda, piacevolmente sorpreso.
"Grazie per avermi invitato, Tobias."
Noto Tris osservarci da lontano, col sorriso negli occhi.



Mentre il sole sparisce nella palude, osservo i miei amici mangiare, parlare, scherzare tra di loro.
Io passo il resto della serata qui, appoggiato al parapetto, ad osservare le facce rilassate delle persone a cui voglio bene. Ogni tanto Tris mi lancia un'occhiata divertita e io ricambio, realmente felice.
Quella luce che tanto amavo nei suoi occhi sta finalmente tornando.

Non so quanto rimango lì, ma le luci del tramonto sono quasi del tutto scomparse quando Zeke comincia a battere un pugno sulla porta di metallo del tetto per attirare la nostra attenzione.
"Un'attimo di attenzione, prego!"
Dopo qualche secondo il brusio si attutisce e Zeke inizia a parlare.
"Volevo solo dire due parole." Si schiarisce la gola con vigore e ci guarda uno ad uno. "Oggi siamo qui per Tris, per darle il bentornato ufficiale nel mondo dei vivi."

Scuoto la testa. Zeke e il suo tatto...
Tris però sta ridendo come tutti gli altri, quindi mi rilasso anche io. In effetti evitare la questione per sempre non risolverebbe le cose.

"Ma vorrei anche ricordare chi oggi non può essere con noi."
La risata generale si spegne all'istante mentre Zeke si fa serio e prende qualche respiro.

"Vorrei che questa serata sia dedicata a loro."
Nessuno parla. Anche se sono passati anni fa ancora male pensare a tutti quelli che non ci sono più. Sono tanti, troppi.

Zeke si schiarisce ancora la gola.
"Ad Uriah." dice con voce tremante.
I miei pensieri corrono a quella stanza di ospedale al Dipartimento. Alla spina staccata e al battito del suo cuore che si spegneva piano piano. Alle mie colpe.

Dopo qualche secondo anche Shauna si fa avanti, e con le lacrime agli occhi pronuncia il nome di suo sorella.
"A Lynn."

"A Marlene." aggiungo io. E altri volti si affiancano a quello di Uriah nella mia mente.

Christina annuisce con lo sguardo perso.
"A Will."

Tris trema e scambia un'occhiata con Caleb.
"Ai nostri genitori." dice lui deciso.

Alla fine anche George si riscuote.
"A Tori."
Tori, che avrebbe potuto rivedere suo fratello. Per poco, per davvero poco, non ce l'ha fatta.

Con la coda dell'occhio vedo Ethan spostare nervosamente il peso da un piede all'altro. Ha un'espressione tirata, che non ho mai visto su di lui e che sinceramente non gli avrei mai attribuito.
Tris incontra il suo sguardo e gli dice qualcosa usando il labiale.
È una sola parola, ma non riesco a capirla.
Ethan invece sorride debolmente e annuisce.
Evidentemente anche Ethan ha le sue cicatrici, un passato che non conosciamo.

Nel silenzio più totale Zeke passa un braccio intorno alle spalle di Shauna e sorride debolmente. Anche Tris si avvicina e mi abbraccia. Per qualche minuto rimaniamo in silenzio, presi dai nostri ricordi.
Alla fine ci scambiamo uno sguardo colmo di significato e ci stringiamo forte, sostenendoci a vicenda.
"A tutti loro..."




Ci sono molti motivi per cui potrei dire che le cose stanno andando meglio.
Potrei dirlo perché ora Tris è con me e il peggio è passato.
Potrei dirlo perché Chris è rimasta la persona che stimavo e l'amica su cui poter sempre contare.
Potrei dirlo perché mia madre si è finalmente ambientata nella nuova società, e sta cercando in tutti i modi di riallacciare i rapporti con me.
Potrei dirlo perché Cara è stata finalmente imprigionata e la verità è venuta a galla una volta per tutte liberandoci dall'ultima bugia di cui eravamo schiavi.
Potrei dirlo perché ognuno di noi, singolarmente, sta dando un senso nuovo alla sua vita, o almeno ci sta provando.

Ma non lo farò. Non dirò che i motivi per cui nutro ancora speranza sono questi.

C'è stato un momento, quella sera, in cui ho capito.
Quando a notte fonda, su quel tetto, tutti si sono presi per mano e hanno gridato a squarciagola nel buio e hanno riso senza sosta, e quando anche Tris ha preso la mia mano e mi ha sussurrato che mi amava, in quel momento ho capito che c'è un motivo più profondo per cui posso dire che le cose si sistemeranno.
Un motivo molto semplice.

Il fatto è che siamo qui insieme.
Io, Tris, Zeke, Christina, tutti noi. Siamo insieme.
Affrontiamo le cose insieme, e le superiamo tenendoci per mano.

Quindi, sì, ho speranza nel futuro. Sono convinto che un giorno ogni cosa tornerà al suo posto. Grazie a tutte le persone che ho al mio fianco posso dire che non riempirò i vuoti, ma che li sopporterò e magari imparerò ad apprezzarli. Ed aiuterò Tris a fare lo stesso.
E un giorno so che ci guarderemo dritti in faccia e diremo: "Ce l'abbiamo fatta."
Io lo spero. Anzi, ne sono sicuro.

Sono passati due mesi.
E noi siamo ancora qui.
Insieme. Vivi.










NOTE FINALI:
Okay. Siamo arrivati alla fine :)
Al termine di questo piccolo viaggio quello che spero è di avervi fatto emozionare almeno un po' e magari di avervi fatto anche sorridere. Spero sinceramente che questa storia vi sia piaciuta :)

"Fragili" è nata per caso, quando in un momento di stress ho iniziato a scrivere. Era qualcosa che facevo per calmarmi e rilassarmi, e non avrei mai pensato che dai primi capitoli, postati quasi per gioco, sarei arrivata all'epilogo con così tanta aspettativa e sostegno (Il primo capitolo ha superato le 1000 visualizzazioni **)
Quindi grazie a tutti quelli che hanno letto questa storia. Grazie mille.

Vorrei ringraziare anche tutti quelli che hanno inserito Fragili tra le storie preferite, ricordate e seguite. Siete gentilissimi!

Inoltre vorrei riservare un ringraziamento speciale a tutti quelli che mi hanno lasciato una o più recensioni nel corso della storia. Siete voi che mi aiutate di più a migliorare.

Grazie a HOPE, che è stata la prima in assoluto a recensire!
Grazie a Priscilla_Corvonero, Grazia Pucci, tris_four, cat_princesshp, dandhg, ViaColVento, Llucre_B7, SusyTris KatnissHazel e a Petals Open to the Moon.
Grazie a Cristiana Malfoy, Roxy_HP e a 9_LaDY_aSHe_4, che mi ha lasciato una recensione davvero costruttiva facendomi aprire gli occhi su cose che non avevo notato prima e dandomi così la possibilità di migliorarmi :)
Grazie a _Alis_Chan_, che ha segnalato Fragili per le storie scelte. Comunque andrà, grazie mille!
E poi grazie alle sempreverdi della recensione, ovvero:
-marty2212, con la quale "ci leggiamo alla prossima" :)
-Tris_Eaton, che mi recensisce dai primissimi capitoli ;)
-_Giuls17_, che nonostante gli esami ha trovato il tempo di recensire fin dai primi capitoli
-roxy_xyz, che adora i personaggi che io odio XD e dalla quale aspetto ancora la storia sul cane della simulazione U.U la leggerei comunque perché mi piace un casino come scrive :)
-hilly_spoponlates, che mi ha sempre lasciato delle recensioni attente e che mi ha fatto persino pubblicità XD spero che un giorno inizi a scrivere anche lei :)

Bene, credo di aver finito :)
Ci vedremo presto con gli extra di Fragili e poi si vedrà...
Spero che vi piaccia la fantascienza perché nel frattempo mi è venuta qualche idea malsana per le prossime storie... XD
Si salvi chi può!

GRAZIE, GRAZIE e GRAZIE!
Come sempre un saluto.
Alla prossima.

Mconcy



EDIT 19/08/14
Ho pubblicato "Invincibili", l'extra di Fragili!
Potete trovarlo nella mia pagina autrice :)

Date un'occhiata alle altre storie sulla mia pagina:
-"And There She Was", one-shot a sé stante su Divergent
-"Fino a dieci", one-shot introspettiva sull'amicizia fatta di dialoghi al telefono

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