I segreti di Londra

di Padmini
(/viewuser.php?uid=100927)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arriva il circo! ***
Capitolo 2: *** La grande sera ***
Capitolo 3: *** Il furto ***
Capitolo 4: *** Un amico mancante ***
Capitolo 5: *** Ansia e tranquillità ***
Capitolo 6: *** Segreti svelati ***
Capitolo 7: *** La cassaforte ***
Capitolo 8: *** Il corso del fiume ***



Capitolo 1
*** Arriva il circo! ***


Arriva il circo!




Se dovessi paragonare la mia vita ad un elemento naturale sceglierei un fiume.

Un fiume non sta mai fermo e non è mai uguale a se stesso, a tratti è impetuoso, la corrente fa scorrere la vita rapidamente, con salti e corse sfrenate, che ti lasciano senza fiato per la sorpresa, in altri casi è tranquillo e placido, quasi noioso. Un fiume inoltre non è una linea retta che parte dalla sorgente e arriva al mare, ha mille curve e devia quando meno te lo aspetti.

Questa è la mia vita e così è sempre stata. Non appena mi abituavo all'andamento degli avvenimenti, noiosi o avventurosi che fossero, tutto prendeva una nuova direzione. Incontravo anse, paludi, cascate, che trasformavano ciò che era certo, lasciandomi con la sorpresa e la necessità di dovermi adattare di volta in volta a ciò che mi accadeva.

Accadde tutto in pochi giorni, come spesso mi succedeva. Il fiume della mia vita scorreva sereno e tranquillo per mesi e mesi, poi qualcosa di inatteso e sempre sorprendente lo faceva deviare, certe volte lentamente, certe altre con un salto vertiginoso che mi lasciava senza fiato. Come quando scoprii le origini dei miei veri genitori o quando vidi sparire la luce dagli occhi della donna che per tutta la vita che avevamo vissuto insieme avevo chiamato madre, anche quell'estate segnò per sempre la mia vita e in un modo del tutto inaspettato, come da tradizione.

Quando finalmente credevo di aver compreso una persona, questa sconvolgeva le mie certezze, mostrandomi ciò che fino a quel momento, per pigrizia o per paura, non avevo voluto vedere.

Erano trascorsi alcuni mesi da quando avevamo aiutato Orazio a scagionare il suo amico, il Capitano Hirst, dalle accuse che lo avevano quasi portato sula forca. L'emozione di quei giorni sembrava essere partita con Arsène, che era tornato da suo padre per lavorare nel circo.

Io e Sherlock continuavamo a frequentare la scuola e a vederci di tanto in tanto alla caffetteria, dove bevevamo litri e litri di cacao, ma sentivo che senza il nostro amico non era la stessa cosa. Anche Sherlock era cambiato, come sempre cambiava quando Arsène non era presente. In quel periodo però sembrava ancora più diverso del solito. Era chiuso in se stesso, taciturno e a tratti freddo, ma conservava sempre quel piglio di pazzia che gli permetteva di fare cose impensabili, nelle quali mi coinvolgeva, con mio rammarico sempre meno spesso. Sembrava che volesse ritagliarsi un'intimità tutta sua, uno spazio personale per riflettere. Ovviamente, o forse non così tanto, quando ci incontravamo per il nostro cacao, mi raccontava le sue avventure: le sessioni di tiro al bersaglio nella vecchia stazione abbandonata, la catalogazione dei tipi di terriccio che trovava nelle varie zone di Londra, lo studio delle impronte delle scarpe e dei copertoni delle ruote delle carrozze e delle biciclette, nonché la memorizzazione della mappa di Londra, dal viale più ampio al vicolo più stretto.

I giorni trascorrevano tutti uguali, tra lezioni di canto e piacevoli chiacchierate con Sherlock, il cui carattere sembrava cambiare di giorno in giorno, sfuggendo dal mio controllo e dalla mia comprensione. Non potevo sapere però che presto la sequenza di albe alternate a tramonti che sembrava dipanarsi davanti a noi senza avvenimenti degni di nota sarebbe stata bruscamente interrotta da dei fatti che avrebbero invertito tutto ciò di cui ero sicura.

L'avventura iniziò con l'arrivo a Londra del circo di Theophraste Lupin.

 

Non era una cosa così eccezionale che il circo del nostro amico facesse tappa anche a Parigi, ma per me e Sherlock era un avvenimento da non perdere, non tanto per poter ammirare le mirabolanti acrobazie dei trapezisti o la maestosità degli animali, ma perché potevamo rivedere Arsène.

Eravamo entrambi seduti nelle nostre poltrone alla caffetteria quando leggemmo sul giornale l'annuncio che presto la città sarebbe stata illuminata dal circo.

“Hai visto, Sherlock?” gli domandai, facendogli vedere la pagina “Arsène tornerà presto in città!”

Ero euforica, facevo fatica a stare ferma sulla sedia, e mi aspettavo una reazione simile anche da parte del mio amico, ma mi sorprese. Fissò a lungo il foglio mentre nei suoi occhi si sussegguivano una serie di emozioni, così rapidamente che feci fatica a seguire il corso dei suoi pensieri. Infine, forse con una certo sforzo, sorrise.

“È fantastico, Irene” mormorò, alzandosi in piedi “Ora ti chiedo scusa, ma devo andare o mia madre mi verrà a cercare ...”

Non mi diede il tempo di rispondere e se ne andò, ma io ero così eccitata per il ritorno del mio amico che nulla mi avrebbe potuto distrarre. I giorni successivi mi sarei pentita di quella mia superficialità. In quel momento però non sentivo e non vedevo nulla che non fosse la prospettiva di incontrarmi nuovamente con il mio amico.

 

Una settimana più tardi, mentre ancora in città non c'era traccia del tanto desiderato circo, ricevetti una visita inaspettata. A dir la verità speravo in un'incursione notturna da parte di Arsène, ormai lo conoscevo abbastanza bene da sapere che era troppo impaziente da poter aspettare il giorno successivo per potermi vedere, e la cosa non poteva che riempirmi di gioia.

Stavo dormendo, placidamente stesa nel mio letto, quando sentii il cigolio della finestra che si apriva. Mi misi subito in allerta, non si poteva mai sapere chi o cosa potesse entrare, ma riconobbi immediatamente la sagoma del mio amico e mi rilassai. Raccolsi alla cieca la vestaglia e, assicuratami che mi coprisse decentemente, accesi la lampada che tenevo sul comodino e gli corsi incontro. Non fece in tempo a dire alcunché perché lo abbracciai e anche lui, dopo un istante di sorpresa, ricambiò la stretta.

“Arsène! Sapevo che saresti venuto a trovarmi!” esclamai gioiosa, pur mantenendo un tono di voce bassa, perché né mio padre né il signor Nelson potessero sentirmi.

Lui sciolse l'abbraccio solo per potermi guardare in viso.

“Non avrei potuto mancare a questo appuntamento per nulla al mondo!” mormorò lui con un sorriso malizioso.

“Non avevamo nessun appuntamento, signoru Lupin!” risposi io, fingendomi offesa.

“Come no! Forse non lo avevamo formalmente, ma ogni qualvolta metto piede a Londra mi sento in dovere di farti una visita notturna, mia cara ...” mi spiegò lui, facendomi tanto di occhiolino.

“Sei stato anche da Sherlock?” gli chiesi, credendo che mi avrebbe risposto di sì, ma si fece scuro in volto.

“No, da lui non vado quasi mai. Dorme con sua sorella, rischierei di svegliarla. Venire a trovare te è meno rischioso e molto più piacevole, te l'assicuro!” mi sussurrò, con quel piglio da conquistatore che lo aveva sempre contraddistinto. Non pensai male, la sua era una ragione più che valida per non andare a trovare Sherlock, ma in quel momento, in fondo al mio cuore, un sentimento di tristezza si era impiantato come un seme e, proprio come avrebbe fatto una pianta, sarebbe cresciuto fino a diventare incontrollabile. In quel momento, ovviamente, non ci pensavo.

“Domani verrai in caffetteria?” domandai a bruciapelo, vedendo che si stava già lentamente muovendo verso la finestra.

“Certo, non preoccuparti. Purtroppo potrò stare pochissimo perché, almeno i primi giorni, dovrò aiutare a montare il tendone”

Gli sorrisi, incapace di trovare una risposta decente. Ero così felice che fosse in città che la mia mente sembrava annebbiata e, come spesso accadeva, Arsène le diede il colpo di grazia. Dopo essersi allontanato da me di qualche passo si avvicinò con un balzo e mi sfiorò le labbra con un bacio, che ricambiai appena perché lui era già tornato sul balcone.

“Buonanotte, mia dolce dama” soffiò dolcemente “è stato un piacere rivederti”

Io restai immobile, sopraffatta da troppe emozioni, e lo lasciai andare via senza proferir parola. Solo dopo qualche minuto, quando finalmente riebbi il controllo di me, mormorai una debole risposta.

“Anche per me …”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La grande sera ***



La grande sera




Solo per miracolo riuscii ad addormentarmi quella notte. Dopo l'emozione che mi aveva dato l'incontro con Arsène avevo temuto di non riuscire a prendere sonno per almeno due giorni, invece mi svegliai riposata ed energica come al solito, felice di poter condividere i giorni a seguire con il mio amico. Stranamente, ma forse non poi così tanto, in quei momenti non pensavo ad altri che ad Arsène, forse perché lo vedevo così poco, al contrario di Sherlock che incontravo quasi ogni giorno.

Sapevo che ci sarebbe voluto del tempo prima che il circo fosse pronto per lo spettacolo, ma nel frattempo continuato a vivere le mie giornate, pur consapevole della presenza in città di una persona che le avrebbe rese emozionanti e memorabili.

La mattina continuavo a seguire le mie lezioni e il pomeriggio mi recavo alla caffetteria per condividere con i miei amici qualche ora di piacevole compagnia. Arsène era sempre allegro, galante e pieno di storie da raccontare dal momento che, viaggiando con suo padre o anche per conto suo, vedeva tanti luoghi nuovi e conosceva persone nuove. Più cresceva più il suo fascino aumentava. Il suo viso sempre abbronzato e sorridente, il suo fisico che sembrava essere stato scolpito da un artista e le sue battute sempre così divertenti che mi facevano piegare in due dal ridere, anche se non sarebbe stato il caso in pubblico. Tutto ciò scatenava in me una girandola di emozioni che oscuravano il resto. Fu incredibile come passare il tempo con lui lo facesse accelerare così, prima che me ne accorgessi, arrivò il giorno tanto atteso.

Avevo preparato mio padre e sapeva che sarei andata a vedere lo spettacolo. Lui non era mai stato amante del circo, perciò mi impose di farmi accompagnare dal signor Nelson, che accettò volentieri, soprattutto per poter vedere Arsène in azione nella pista, perché fino a quel momento lo aveva sempre visto solo durante le nostre stravaganti avventure.

 

Come programmato, ci trovammo il pomeriggio in caffetteria per la consueta tazza di cacao tutti insieme, ma ad una certa ora ci separammo, Arsène per mettere a punto i dettagli della sua esibizione, Sherlock, Orazio e io per ritirarci per la cena. Il circo era stato montato appena fuori Londra, nella brughiera di Hampstead, perciò decidemmo di prendere una carrozza e di cenare in una trattoria lì vicino.

Una volta che Arsène, che aveva beneficiato del nostro passaggio fino ai tendoni, proseguimmo il viaggio e ci lasciammo scaricare di fronte ad una locanda che a prima vista sembrava ideale per noi.

Io, lo ammetto, nonostante fossi sempre stata un'attenta osservatrice, quel giorno non avevo notato il viso di Sherlock, perciò rimasi a bocca aperta per lo stupore quando Orazio, nell'intimità della tavola che avevamo occupato per la cena, espose i suoi dubbi riguardo l'umore del nostro amico.

“Qualcosa non va, Sherlock?” gli chiese con nonchalance, versandogli da bere “Da quando l'ho vista oggi pomeriggio mi è sembrato di pessimo umore e più il suo amico Arsène rideva e scherzava, più lei si faceva scuro in volto”

Aveva parlato con naturalezza, senza giudizio nella voce, lasciando a lui la possibilità di spiegare la ragione del suo comportamento. Dal canto mio non mi ero resa conto di nulla. Arsène mi aveva ammaliata con la sua personalità e solo Orazio, sempre abituato a dover osservare ogni dettaglio e anche più cose alla volta, aveva colto il suo umore tetro. Sherlock non si scompose e rispose con la stessa disinvoltura.

“Sto bene. Ero solo pensieroso. Il fatto è che ...”

Restò con la bocca aperta, come se volesse pronunciare una 'a', ma non proseguì la frase subito, esitò qualche istante, in cerca delle parole giuste da pronunciare.

“Il fatto è che mia sorella non sta molto bene. Avrebbe voluto venire con noi ma ha la febbre. Tutto qui. Era triste per essere rimasta a casa, ma tra qualche giorno sarà già guarita.”

Per confermare ciò che aveva appena affermato sorrise, ma subito dopo rivolse lo sguardo alla cameriera che si era avvicinata al nostro tavolo con le ordinazioni. Io avrei dovuto incoraggiarlo a dire la verità, a sfogarsi finalmente con noi, ma in quel momento ero troppo eccitata per ciò che stava per accadere che non prestai attenzione a lui e nemmeno alla cena, che mangiai distrattamente, non badando neppure alle occhiatacce critiche del signor Nelson.

Potevo avvertire nell'aria l'eccitazione elettrica che precedeva uno spettacolo come quello che stavamo per vedere.

 

Poco più tardi, dopo una breve passeggiata, giungemmo al circo. Sperai di intravedere Arsène entrando, ma c'era così tanta gente che si accalcava all'entrata che mi sentii persa, perciò cercai solamente di aggrapparmi al signor Nelson o a Sherlock per non perdermi tra la folla. Cercando la mano dell'uno o dell'altro incontrai invece la presa salda e rassicurante di Arsène. Mi voltai e vidi che ci aveva raggiunti tra le persone in fila per comprare il biglietto.

“Muovetevi!” ci esortò, trascinandomi via, assicurandosi naturalmente che anche Sherlock e Orazio ci seguissero “Vi ho preso i posti in prima fila! Mio padre non vuole assolutamente che paghiate il biglietto, non dopo quello che avete fatto per lui!”

Solo quando finalmente raggiungemmo i nostri posti riuscii a ringraziarlo a dovere.

“Tuo padre è molto gentile, Arsène” mormorai, accomodandomi “Sinceramente non credo che ...”

“Non parlare” mi zittì lui, facendomi l'occhiolino “Mio padre ci è riconoscente ancora da quando lo abbiamo scagionato dall'accusa di omicidio e voleva sdebitarsi in qualche modo, perciò goditi lo spettacolo e non preoccuparti!”

Gli sorrisi e lo osservai mormorare qualcosa all'orecchio di Sherlock, che sogghignò in risposta, e correre via verso il retro del palcoscenico, dove di certo si celavano gli artisti che ci avrebbero deliziati quella sera.

Ormai era tutto pronto. Ci volle ancora una decina di minuti perché tutti gli spettatori occupassero le panche e l'ingresso fosse chiuso. Due artisti, che riconobbi come due trapezisti, chiusero le tende e tutto si fece buio. D'istinto cercai la mano di Sherlock e la strinsi forte, emozionata. Pian piano si accesero le luci, dapprima lentamente, poi tutte insieme, e la pista venne illuminata. Mi voltai verso il mio amico e, non voglio nasconderlo, con una certa sorpresa, lo vidi sorridere per la prima volta da parecchi mesi. Sorrisi a mia volta e non lasciai la presa, sorprendendomi ancora di più del fatto che mi piaceva quel contatto con lui.

Pochi istanti dopo comparve, in groppa ad un cavallo senza sella, Theophraste. Si esibì in una serie di acrobazie una più audace dell'altra, infine saltò giù e congedò il cavallo con un fischio, rispedendolo dietro le quinte.

“Madames et Monsieur, benvenuti al grande circo di Theophraste Lupin!”

Strinsi di più la mano a Sherlock, mentre la musica riempiva il tendone, facendomi battere forte il cuore. Lo spettacolo stava per avere inizio.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il furto ***


Il furto



 

Tenevo ancora la mano di Sherlock quando comparve, al centro della pista, Teophraste Lupin. Era vestito elegantemente ma in modo eccessivo, con abiti scelti per attirare l'attenzione, dai colori sgargianti e carichi di lustrini. Rimasi affascinata osservandolo e lasciai la mano di Sherlock, attirata da tutti quei colori e da quelle luci che, come per incanto, mi trascinarono nella magia del circo.

“Benvenuti!” esclamò di nuovo “Stasera vedrete qualcosa che mai in vita vostra vi siete sognati, qualcosa di incredibile e strabiliante!”

Sentii mormorii eccitati attorno a me e notai che, in mezzo alla folla, c'erano molte persone che non averei esitato a definire benestanti. Evidentemente l'aspettativa di vedere le mirabolanti esibizioni degli artisti di Teophraste aveva attirato persone da tutte le classi sociali. La visione di tutte quelle persone insieme mozzava davvero il fiato, ma non quanto ciò a cui stavamo per assistere.

“Per prima cosa voglio presentarvi i miei migliori amici! Vengono direttamente dall'Africa e sono ansiosi di conoscervi!! Vi presento i Re della Savana! I Leoni!!”

Trattenni il fiato e afferrai nuovamente la mano di Sherlock senza guardare, tanto ero presa da ciò che stavo vedendo. Richiamati dalla voce di Teophraste, un leone e una leonessa entrarono in pista e, dopo una serie di passeggiate in cerchio per farsi ammirare in tutta la loro bellezza dagli spettatori, andarono a sedersi ai fianchi del loro Maestro.

“Vi presento Adamma e Aftab!” gridò e i due, come se capissero che stava parlando di loro, si alzarono su due zampe per salutare il pubblico.

Era uno spettacolo fantastico. Teophraste riusciva ad ammantare di magia anche il più piccolo gesto, ammaliandoci.

Fece esibire i suoi leoni facendo sembrare i suoi gesti e i suoi comandi tanto semplici da far pensare allo spettatore che non potesse esserci niente di più naturale e ovvio che comunicare con quelle bestie feroci solo con gli sguardi e i movimenti delle mani. I felini infatti lo seguivano obbedienti e docili come cagnolini, pur mantenendo la loro aura di mistero e pericolo.

Lo spettacolo era quindi iniziato alla grande, ma l'esibizione dei leoni non era che una briciola di ciò che avremo visto, infatti subito dopo si esibirono i trapezisti, i pagliacci, due contorsioniste e un domatore che condusse in pista e fece giocare mezza dozzina di elefanti. Alla fine, come coronamento della serata, durante la quale tutti erano rimasti con il fiato sospeso, arrivò Arsène. Non lo avevo mai visto così bello. Il suo fisico scolpito era messo in evidenza da una tuta aderente e il suo sorriso era il solito, furbo e affascinante. Trasportava un carrello sul quale erano infilzati delle clave e dei bastoni con degli stracci avvolti sulla sommità. Iniziò con dei “banali” esercizi con le clave, facendole volare in alto per poi afferrarle in pose sempre più estreme, le posò e continuò lo stesso gioco con le palle e poi con dei cerchi. Solo alla fine, quando ormai il pubblico si era assuefatto da quello spettacolo, tirò fuori la sua carta migliore. Raccose le torce, prese un fiammifero e, attirando la nostra attenzione con quel suo sguardo magnetico, le accese tutte insieme, per continuare il suo esercizio di giocoleria.

Fu meraviglioso. Mi voltai un attimo e vidi che anche Sherlock, al mio fianco, era rimasto affascinato da quei giochi fatti con il fuoco. Le torce volavano dalle mani di Arsène come strane farfalle e ricadevano nelle sue mani obbedienti. Di tanto in tanto poi il nostro amico si esibiva anche come mangiafuoco e allora trattenevamo il fiato vedendo quelle lingue di fuoco ferire l'aria.

Quello ovviamente era il numero conclusivo, che ci fece battere le mani per buoni dieci minuti.

Avrei continuato ad applaudire ancora e ancora, mentre gli artisti continuavano a inchinarsi tutti insieme sul palco. Ad un certo punto però notai, non molto distante da me, una donna in evidente difficoltà. Si guardava attorno alla ricerca di qualcosa, infine lanciò un grido disperato, che non lasciava presagire nulla di buono.

“Al ladro! Al ladro! Mi hanno derubata!!”

L'uomo al suo fianco, che probabilmente era il suo fidanzato, cercava di consolarla e di convincerla che forse aveva solo perso ciò che riteneva rubato, ma era evidente che anche lui ormai si era reso conto dell'evidenza. Come un virus infettivo, la paura del furto contagiò quasi tutti i presenti che si erano recati lì con oggetti di valore o denaro e infatti altre grida di orrore si levarono all'interno del tendone, segno che la donna sfortunata che aveva urlato per prima non era l'unica vittima del ladro. Fu proprio lei, furiosa, a richiamare gli agenti di polizia disposti attorno alle uscite i quali, sentendo ciò che era accaduto, si erano prontamente attivati per impedire al fantomatico ladro di uscire dal tendone. Nel giro di pochi minuti le uscite furono sbarrate dagli uomini di Scotland Yard. Io e Sherlock, seduti ai nostri posti, sbuffammo e anche Orazio iniziò a dare segni di cedimento. Eravamo stanchi e, nonostante l'eccitazione per lo spettacolo, avevamo solo voglia di tornare a casa. Quel contrattempo era veramente seccante ma, per nostra fortuna, non durò a lungo. Un Ispettore arrivò una mezz'ora più tardi e, aiutato dagli agenti, diresse le operazioni. Prese la parola dal centro della pista, come aveva fatto Teophraste solo un paio d'ora prima, e spiegò che tutti i derubati avrebbero dovuto recarsi a Scotland Yard il giorno successivo per sporgere denuncia e loro avrebbero fatto di tutto per recuperare il maltolto.

Dal momento che noi non avevamo nulla che potesse essere rubato scivolammo fuori dal tendone assieme a tutti quelli che erano nella nostra stessa situazione. Avrei voluto salutare Arsène ma lui, così come tutti gli altri artisti del circo, era tenuto sotto controllo da alcuni agenti armati di manganello, che li fissavano come se avessero scritto “colpevole” in fronte. Sapevo che lui e i suoi compagni erano abituati a simili trattamenti, ma non potei non provare rabbia per ciò che erano costretti a subire. Lo salutai con un cenno della mano e un sorriso, che lui ricambiò, spavaldo come suo solito.

Una volta fuori Orazio chiamò una carrozza per farci portare a casa, ma sia io che Sherlock eravamo troppo concentrati su ciò che era appena accaduto per accorgercene. Lui lo notò e richiamò la nostra attenzione posando le sue grandi mani sulle nostre spalle.

“Ragazzi, tornate in voi, dobbiamo tornare a casa. So che volete aiutare il vostro amico, ma per il momento non potete fare altro che lasciar lavorare gli agenti di Scotland Yard. Agendo impulsivamente non fareste altro che peggiorare la sua situazione, credetemi. Se dovessero accusarlo di furto potrete sempre pensare di scagionarlo, ma per il momento la situazione è davvero troppo caotica perché voi possiate gestirla.”

Lo guardammo sorpresi perché, come al solito, era riuscito a leggere i nostri pensieri. Tuttavia aveva altre sorprese in serbo per noi.

“Domani mattina torneremo qui, così potrete trovare le informazioni di cui avete bisogno per aiutare il vostro amico.

Io e Sherlock ci guardammo negli occhi, annuimmo e restituimmo lo sguardo a Orazio.

“Come al solito ci capisci più di chiunque altro, Orazio” mormorò il mio amico con un sorriso “In effetti stasera sarebbe inutile indagare, c'è troppa gente in giro.

Come per confermare le sue parole salì a bordo della carrozza, seguito da Orazio e da me. Quando fummo soli, isolati dal mondo esterno dal rumore degli zoccoli del cavallo sul selciato, Orazio decise di rivolgergli finalmente una domanda che, da quello che potevo vedere dal suo viso, aveva trattenuto per tutta la sera.

“Hai ragione a dire che vi capisco più di chiunque altro, Sherlock” disse, guardandolo severamente negli occhi “Perciò vorrei che ti confidassi con noi. È da oggi pomeriggio che sei strano e nemmeno durante lo spettacolo mi sei sembrato mai veramente rilassato. Vuoi dirci se c'è qualcosa che non va?”

Guardai prima Orazio, poi Sherlock, terrorizzata. Pensai immediatamente alla sorellina del mio amico, che sapevo malata, e mi chiesi se non ci stesse nascondendo qualcosa. Gli rivolsi anch'io uno sguardo arrabbiato e gli presi una mano, animata dall'urgenza di sapere.

“Avanti, Sherlock!” lo esortai, stringendo più forte “Qualcosa non va? Si tratta di tua sorella?”

Lui non rispose subito. Arrossì vistosamente e distolse lo sguardo, rimuginando chissà quali brutti pensieri rivolti a Orazio che aveva svelato il suo malessere che io, con mio sommo disappunto, non ero riuscita a individuare. Solo dopo qualche minuto, quando ormai eravamo quasi giunti davanti a casa sua, si decise a farci sentire la sua voce.

“Non ho nulla che non vada. Oggi ero solo un po' stanco per il carico di studio scolastico. Tutto qui”

Sospirai perché era evidente che era una bugia. Sherlock, sempre rivolto a scoprire la verità, era un ottimo attore ma un pessimo bugiardo, almeno per le cose che lo riguardavano personalmente, e ogni menzogna poteva facilmente essere smascherata. Tuttavia, per nostra sfortuna, non ci fu possibile indagare oltre. La carrozza si fermò davanti a casa sua e lui scese rapidamente degnandoci solo di un rapido “A domani”, prima di correre via.

Io e Orazio ci scambiammo uno sguardo perplesso, ma decidemmo di lasciarlo stare almeno per quella sera. Se avesse voluto sarebbe venuto lui da noi … o da me, pensai con un sorriso. In fin dei conti eravamo amici e gli amici si dicono sempre tutto … o almeno era ciò che credevo quella sera.

Orazio diede il nostro indirizzo al cocchiere così raggiungemmo a nostra volta casa, dove fummo accolti dalla cameriera e da mio padre, visibilmente preoccupati per il ritardo. Fu facile spiegare il perché di quel rientro tardivo e, nonostante entrambi avessero ancora tante domande da farci, ci lasciarono andare a dormire, vedendoci esausti per la giornata appena trascorsa.

Salutai mio padre e Orazio e mi chiusi in camera mia. Mezz'ora più tardi ero distesa supina sul letto con lo sguardo fisso sulla parete, incapace di dormire. Continuavo a ripensare ad Arsène, al suo spettacolo e a come poi era stato trattato dagli agenti di polizia. Nonostante la situazione non fosse delle più rosee mi aveva sorriso, sicuro di potersela cavare, come sempre, sapendo anche di poter contare sui suoi amici. Solo alla fine, poco prima di prendere definitivamente sonno, ripensai a Sherlock e al suo sguardo triste, che lo aveva accompagnato durante tutto il giorno e che solo Orazio aveva notato, ma a quel punto ero troppo stanca ed erano successe troppe cose, così finii per addormentarmi senza pensare più a nulla.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un amico mancante ***


Un amico mancante

 

 

Il cielo che accolse il mio primo sguardo il mattino successivo non avrebbe potuto essere più distante dal mio umore. Anche se durante la notte il sonno e qualche sogno avevano allontanato la mia mente dagli avvenimenti del giorno precedente, non appena mi alzai e aprii le finestre bastarono quei pochi passi per ricordare ciò che era accaduto. Il furto, Arséne e tutti i suoi colleghi del circo accusati, forse ingiustamente, la tristezza di Sherlock. Mi ritrovai però a mettere quest'ultima in secondo piano rispetto a ciò che affliggeva Lupin e non mi sentii in colpa. Se il problema di Sherlock era sua sorella io non avrei potuto fare nulla per aiutarla ma se potevo fare qualcosa per aiutare Arséne non avrei esitato un istante, anche perché sapevo che era una cosa nella quale anche Sherlock credeva. Rincuorata da quel pensiero positivo, mi vestii e scesi per fare colazione. Per esperienza e, soprattutto, ricordando il metodo seguito da Sherlock, cercai di non agitarmi come facevo quando stavo per immergermi in una di quelle avventure che contraddistingueva la nostra amicizia. Mangiai con calma, quasi come se fosse stata una mattina qualsiasi. Orazio, che stava servendo la colazione, annotò con un sorriso compiaciuto il mio comportamento e mi premiò con una fetta supplementare di pane imburrato. Solo quando vidi che l'ora dell'appuntamento con Sherlock si avvicinava, mi alzai e andai a cambiarmi e finii giusto in tempo quando sentii il campanello al piano inferiore che mi avvertiva dell'arrivo del mio amico.

Scesi le scale quasi correndo, ignorando l'occhiata rassegnata di Orazio, e andai ad aprire.

Sherlock non sembrava più allegro rispetto al giorno precedente ma in quel momento credetti, forse per non dovermi sforzare di essere gentile, che fosse solo pensieroso.

“Non abbiamo tempo da perdere” disse, senza preoccuparsi di salutare, cosa con la quale ormai avevo imparato a convivere “Arséne ci aspetta al circo e ci aiuterà ad intrufolarci per trovare eventuali indizi. Muoviti.”

Non mi diede il tempo di rispondere e si allontanò, dando per scontato che lo avrei seguito. Erano quelli i momenti in cui lo avrei tranquillamente strozzato o preso a botte, ma mi limitai a sospirare e a corrergli dietro, non senza aver gridato ad Orazio, con suo sommo disappunto, che sarei tornata per pranzo.

Avevamo deciso di andare per conto nostro perché cercare di passare inosservati con un omone come lui sarebbe stato decisamente difficoltoso, soprattutto in un luogo così ben sorvegliato com'era il tendone del circo in quel momento.

Camminammo in silenzio, uno accanto all'altra, per qualche isolato prima di incontrare una carrozza. Solo quando salimmo a bordo e ci ritrovammo nell'intimità dell'abitacolo, mi arrischiai a parlare. Credetti di volergli chiedere cosa avesse intenzione di fare per prima cosa, una volta arrivati, invece dalla mia bocca uscì un'altra domanda, quasi senza che me ne rendessi conto.

“Mi spieghi cosa avevi ieri?” domandai, forse con troppa enfasi “Ammetto di non essermi accorta del tuo disagio, ma tu non mi hai aiutato a capire che stavi male! Insomma, si può sapere qual'è il problema?”

Lo vidi esitare e arrossire, era evidente che quella mia domanda, e forse anche il tono con cui l'avevo posta, lo avevano messo profondamente a disagio. Non mi aspettavo che rispondesse, infatti incrociò le braccia al petto e si incupì.

“Adesso non abbiamo tempo per queste cose” mormorò guardando fuori dal finestrino “Dobbiamo capire chi è o chi sono gli autori di quei furti.”

“Credi che possano essere più di uno?” domandai, leggermente stupita.

“Non lo escludo” rispose lui senza nemmeno voltarsi “Non possiamo escludere nulla al momento perché le uniche informazioni che possediamo sono che ci sono stati svariati furti durante lo spettacolo. La polizia crede che sigillare il tendone prima dell'uscita degli spettatori e impedire agli artisti di allontanarsi sia stato sufficiente per bloccare i ladri ma temo che, nonostante i loro sforzi, non abbiano ancora trovato la refurtiva né i ladri.”

Il suo tono era serio e sembrava che fosse piuttosto sicuro di quell'affermazione. La cosa mi rassicurò parecchio, soprattutto perché voleva dire che anche lui credeva che Arséne e i suoi compagni erano innocenti. Sorrisi, rincuorata da questa ipotesi perché, sebbene provassi una sconfinata fiducia verso Arséne, la consapevolezza del fatto che suo padre, oltre ad essere un bravissimo acrobata, fosse anche un ladro, mi aveva fatto temere che potessero essere coinvolti in qualche modo. Il fatto che Teophraste fosse innocente era ovvio perché l'avevo visto in pista tutto il tempo e non avrebbe avuto modo di rubare nemmeno una monetina da quelli della prima fila. Quel pensiero mi rasserenò così tanto da non farmi notare che, nonostante tutto, il viso di Sherlock era ancora cupo, ma l'avrei capito più tardi.

 

Arrivammo a destinazione molto rapidamente e vedemmo che l'area che circondava il tendone era ancora presidiata dagli agenti di Scotland Yard. Ci avvicinammo fingendo di dover andare da tutt'altra parte, in realtà cercando il nostro amico. Non tardammo molto e dopo pochi minuti lo trovammo che camminava nervosamente avanti e indietro accanto al tendone, il viso contratto in una smorfia di rabbia e preoccupazione. Non facemmo in tempo a chiamarlo che lui, voltandosi per caso, ci intravide e ci corse incontro. Per prima cosa mi abbracciò stretta per qualche istante e, mentre ricambiavo la sua stretta, sentii pian piano la tensione diminuire nei suoi muscoli fino a fargli tirare un sospiro di sollievo. Quando si allontanò vidi che anche la sua espressione era più tranquilla e fiduciosa.

“Sapevo che sareste venuti! Non so come ringraziarvi!” esclamò, concedendosi un sorriso.

“Siamo amici.” rispose semplicemente Sherlock e io non potei che annuire.

“Esatto, siamo amici e ci aiutiamo a vicenda. Siamo convinti che siate tutti innocenti e ...”

“Non ho mai detto questo, Irene” mi interruppe Sherlock guardandomi male “Siamo qui per scoprire la verità, e questo non comprende obbligatoriamente al fatto che tutti loro siano innocenti!”

Non ci vidi più. Intravidi appena il viso smarrito di Arséne al mio fianco perché mi voltai rapidamente verso Sherlock e lo colpii con violenza sul viso con un ceffone che gli fece perdre per un istante l'equilibrio e lasciò un segno rosso sulla sua guancia altrimenti pallidissima.

Si portò una mano alla guancia offesa e mi fisso stupito.

“Non capisco il tuo comportamento, Irene ...”

“Siamo amici, lo hai detto tu, se non sbaglio!” gridai, senza riuscire a frenare la mia rabbia “Non puoi pensare che Arséne o uno dei suoi colleghi abbia commesso quei furti! Hai detto anche che probabilmente si tratta di qualcuno totalmente esterno alla compagnia!”

“Non ho mai detto questo” sottolineò lui, guardandomi con freddezza “Ho semplicemente ipotizzato che la polizia non avrebbe ritrovato né la refurtiva né il ladro con il metodo che ha usato. Fino a quando non troveremo il vero responsabile e saremo sicuri al cento per cento della sua colpevolezza non potrò escludere nessuno, nemmeno gli spettatori.” concluse, guardando poi Arséne, forse sperando di ricevere man forte da parte sua. Stavolta però doveva aver fatto male i conti perché anche lui, rosso in viso per la rabbia, lo colpì con un pugno allo stomaco.

“Ha ragione Irene, credevo che fossimo amici, ma se arrivi addirittura a dubitare di me ...”

Non riuscì a terminare la frase, tanto era forte la rabbia che provava per Sherlock, il quale si era piegato a metà per il dolore. Mi prese bruscamente per un braccio e mi trascinò via. Lo lasciai fare per qualche passo, ancora tramortita da ciò che era accaduto e, dopo aver lanciato una breve occhiata a Sherlock, che forse era anche più scosso di noi, mi adeguai al suo passo di marcia e lo seguii poco distante, dietro ad un albero.

“Non posso credere a quello che ho appena sentito!” esclamò, con irritazione crescente e tremando per l'ira “Dubita di me! Dubita di me!” era arrabbiatissimo e non potevo certo biasimarlo.

Dalla nostra posizione vedevo ancora Sherlock che, ancora tramortito dallo schiaffo e dal pugno, ci fissava da lontano addolorato. Non ci badai. Aveva detto una cosa gravissima e, almeno in quel momento, sentivo che la strada per perdonarlo sarebbe stata molto lunga. Restai ad osservarlo per qualche istante, finché non si decise e si allontanò, probabilmente per cercare da solo gli indizi. A quel punto mi voltai verso Arséne e gli presi la mano.

“Non badare a lui, troveremo noi i veri colpevoli!” esclamai guardandolo negli occhi. Ero più che certa che non potesse essere colpevole, né lui né gli altri della compagnia.

Arséne annuì e sembrò rilassarsi.

“Ti ringrazio Irene” mormorò, e mi abbracciò stretta ancora una volta.

“Non preoccuparti, sono tua amica e starò dalla tua parte qualsiasi cosa accada”

A quel punto lo vidi esitare per un istante, ma il dubbio fu presto sostituito da un sorriso radioso.

“Hai ragione. Hai perfettamente ragione. Qualsiasi cosa accada, noi saremo … amici ...” mormorò infine e, con sorpresa, colsi una certa delusione nel suo tono di voce.

Lasciai comunque perdere, non avevo nessuna voglia di dover risolvere altri problemi che non fossero collegati al furto avvenuto la sera precedente. Avevo intuito già da tempo che Arséne provava per me qualcosa di più di una semplice amicizia e, per quanto lo ricambiassi, sapevo che non era quello il momento per parlarne. Annuii per confermare ulteriormente quelle parole e mi sfregai le mani.

“Bene. Direi che possiamo iniziare. Per prima cosa, sai cosa hanno scoperto gli agenti di Scotland Yard?” gli domandai, lanciando un'occhiata agli uomini in divisa che si aggiravano attorno al tendone.

“Nulla, assolutamente nulla!” esclamò lui, esasperato “Non hanno trovato nemmeno una moneta che non facesse parte dell'incasso della serata, eppure gli spettatori che avevano denunciato il furto avevano parlato di orologi, gioielli, interi portafogli!” scosse la testa ridendo “Eppure, nonostante tutto, continuano a guardarci come se fossimo noi i ladri!”

Sentii un brivido scorrere lungo la mia schiena e Arséne non poté fare a meno di notarlo.

“Che ti prende?” mi chiese infatti, posandomi una mano sulle spalle “Stai male?”

“No, sto bene, solo ...”

Mi voltai verso il punto in cui avevamo lasciato Sherlock e sospirai.

“Ciò che hai detto corrisponde esattamente a ciò che aveva pensato Sherlock”

“Cosa vuoi dire?” mi chiese, sorpreso quanto me.

“Anche lui ha pensato che la refurtiva non si trovasse all'interno del tendone e io avevo creduto che intendesse che vi riteneva innocenti ...”

“Siamo innocenti!” disse lui, quasi offeso.

“Lo so, lo so! Per questo mi ero arrabbiata con lui, ma ...”

“Niente 'ma', Irene. Sherlock ha dubitato di me e tanto mi basta. Ora, dobbiamo pensare come agire?” domandai, sperando che avesse una risposta, ma ottenni solo una stretta di spalle.

“Non lo so, a dire il vero ...” mormorò lui, sospirando sconfortato “Aspettavo che arrivasse Sherlock per avere qualche idea … Prima mi hai visto camminare avanti e indietro nervosamente proprio perché non avevo idea di cosa fare! La refurtiva è sparita, tutti si reputano innocenti e la polizia presidia il tendone. Non possiamo fare nulla!”

Era evidente la sua frustrazione, e lentamente sentii salire anche la mia. Sospirai e, seppur con molta riluttanza, mi ritrovai a concludere che, senza il nostro geniale amico, non saremmo riusciti a trovare la soluzione al nostro enigma. In quel momento la rabbia nei suoi confronti e la preoccupazione per il guaio di Arséne mi avevano perfino fatto dimenticare che anche lui aveva un problema di cui non voleva parlarmi.

“Cosa facciamo allora?” chiesi infine, anche se mi costava non poca fatica “Andiamo a cercarlo?”

Arséne si limitò ad annuire sospirando, così uscimmo dal nostro nascondiglio e ci aggirammo nei dintori per cercarlo. Facemmo il giro del tendone una decina di volte, insieme e poi separatamente, dentro e fuori, prima di renderci conto che non c'era nulla da fare. Sherlock era scomparso.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Ansia e tranquillità ***


Ansia e tranquillità

 

 

Quando, dopo aver cercato separatamente un'ultima volta, io e Arséne ci ritrovammo davanti all'ingresso del tendone, i nostri reciproci sguardi ci fecero immediatamente capire il risultato delle ricerce.

“Niente?” domandai, sperando ingenuamente che avesse buone notizie.

“Niente.” confermò lui, scuotendo la testa amareggiato “Se ne sarà andato a casa a badare a sua sorella, dopo quello che gli abbiamo detto ...”

Dal suo tono di voce e dall'espressione del suo viso sembrava addirittura dispiaciuto per ciò che era accaduto. Lo guardai stupita e non esitai ad esternare i miei dubbi.

“Spero che tu stia scherzando!” esclamai, afferrandogli un braccio “Hai sentito cosa ha detto prima, vi ha accusati di ...”

“Non lo ha fatto.” mormorò, interrompendomi “Sai anche tu come è fatto Sherlock, è razionale, non esclude nessuna possibilità fino alla fine e …” sospirò e si nascose il viso con la mano, come se si vergognasse di se stesso “... non aveva tutti i torti. Non possiamo sapere se uno degli altri abbia compiuto quei furti, almeno finché non troveremo il vero colpevole.”

Restai in silenzio qualche minuto, riflettendo su quelle parole, infine annuii rassegnata. Aveva ragione in effetti, Sherlock non aveva accusato nessuno, semplicemente aveva sottolineato come non potessimo escludere nessuna possibilità e soprattutto non farci influenzare dai sentimenti. Era una sua caratteristica, e lo sapevo, non farsi coinvolgere dalle emozioni, soprattutto durante le nostre avventure, durante le quali, per puro spirito di sopravvivenza avevamo imparato a dubitare di tutti. Mi passai la mano tra i capelli, sentendomi profondamente a disagio.

“Hai ragione, in effetti … F-forse dovremmo andare a casa sua e chiedergli scusa … credi che ci perdonerebbe?” chiesi, pur avendo poche speranze in merito.

“Possiamo provare” rispose lui, stringendosi nelle spalle “Ma francamente non saprei nemmeno da che parte iniziare … Non sono tanto bravo a chiedere scusa” ammise infine.

“Forse ...” iniziai, ricordando il disagio di Sherlock di quegli ultimi due giorni “Potrei chiedergli come sta sua sorella, mi sembrava piuttosto preoccupato per lei sia ieri che stamattina.”

Arséne mi squadrò per qualche istante e pensai che stesse valutando la mia proposta, infine annuì.

“Va bene. Va bene. Direi che è perfetto, almeno spero.” Si guardò attorno qualche istante, poi mi prese per mano e mi sorrise “Siamo amici, ci perdonerà se ammettiamo di aver sbagliato, giusto? Conosco Sherlock da anni e so per certo che non è per niente permaloso.”

Rincuorata da ciò sorrisi a mia volta e, ricambiata la stretta di mano, seguii Arséne fuori dal perimetro del circo. Riuscimmo a sgattaiolare fuori dalla recinzione senza farci vedere dagli agenti, che soprattutto avrebbero fatto problemi con Arséne, sapendo che faceva parte della compagnia del circo e, chiamata una carrozza, ci facemmo condurre verso casa sua.

 

Pagammo il vetturino e ci avvicinammo alla porta di casa di Sherlock. Non era un luogo al quale mi ero avvicinata molto spesso perché il mio amico odiava parlare o renderci partecipi della sua famiglia, e anche nelle rare occasioni in cui ci era capitato di dover passare di lì non ero mai riuscita ad andare più in là della porta. Destino fu che nemmeno quella volta riuscimmo ad oltrepassare l'ingresso, perché ci accolse suo fratello maggiore, Mycroft, che ci squadrò per un istante, prima di aggrottare le sopracciglia.

“Cosa ci fate qui?” ci domandò, con l'impazienza di chi è stato sottratto al suo lavoro.

“Stiamo cercando Sherlock” disse Arséne semplicemente.

“Credevo che fosse con voi” rispose lui, guardandosi per un istante indietro “Sono sicuro che non è tornato a casa da stamattina.”

Quelle parole ci raggelarono. Non lo avevamo visto allontanarsi dal tendone e non era tornato a casa. Arséne e io ci guardammo un attimo negli occhi e vedemmo il panico dilagare per un istante. Mycroft intuì che c'era qualcosa che non andava, ma preferì non intromettersi. Allora credetti che fosse per fiducia nei nostri confronti, oggi sono più propensa a pensare che fosse semplicemente troppo pigro.

Lo salutammo dicendo che lo avremmo cercato e ci allontanammo mentre man mano la preoccupazione cresceva in noi. Fatto qualche passo ci fermammo e vidi chiaramente la paura nel volto di Arséne. Non lo avevo mai visto così e la cosa preoccupò anche me, forse più del necessario.

“Dove credi che ...”

“Non lo hanno rapito.” dichiarò, con una fermezza nella voce che in qualche modo mi rassicurò, anche se per poco “Ne sono certo, altrimenti ci avrebbe lasciato qualche indizio laggiù, per farsi trovare, non credi? Siamo suoi amici e ...”

“... e lo abbiamo trattato malissimo” conclusi con un sospiro “Non credo che si fidi più di noi, dopo quello che gli abbiamo fatto.”

Arséne scosse la testa, come se una simile prospettiva non potesse avere posto nella sua mente, ma il suo sgaurdo tradiva una paura che non riusciva a confessare.

“Non abbiamo tempo per certe cose, ora” disse infine, prendendomi per mano e trascinandomi via “Dobbiamo cercarlo, ovunque sia!”

Era evidente il panico nella sua voce, nonostante cercasse con tutte le sue forze di nasconderlo, così gli strinsi la mano a mia volta e gli sorrisi.

“Lo troveremo.” dissi, e forse bastò per rassicurare sia lui che me.

 

Cercammo ovunque ci venisse in mente. Alla caffetteria, in biblioteca, a casa mia, a casa di Arséne, al giornale per il quale pubblicava i suoi enigmi, nei suoi nascondigli preferiti, nella vecchia stazione della metropolitana dove si esercitava nel tiro al bersaglio con la pistola, al porto, nei vari ospedali … fino a quando capimmo che era davvero sparito nel nulla. Lo avevo già intuito in passato, ma in quei momenti cominciavo a capire davvero che nessuno avrebbe potuto trovare Sherlock Holmes se lui non lo avesse voluto.

Solo a tarda sera, affamati e tristi, decidemmo di interrompere, almeno momentaneamente, le nostre ricerche. Avevamo camminato tutto il giorno, eppure la preoccupazione difficilmente ci avrebbe fatto fermare per riposare. Tornammo sconfitti al tendone dove, da dietro il cordone di agenti che ancora sorvegliavano la zona, ci attendeva un preoccupatissimo Theophraste.

“Si può sapere dove siete stati?!” ci domandò venendoci incontro “Ero in ansia!”

“Papà, eravamo andati a ...” cominciò Arséne, leggermente a disagio.

“ … cercare i ladri, i veri ladri!” conclusi io, togliendogli l'imbarazzo di dover confessare che avevamo litigato con Sherlock.

Theophraste annuì pensieroso e afferrò il figlio per una spalla.

“Questa situazione non è propizia per i nostri affari. Tutti ci credono dei ladri e nessuno si fiderà più di noi, anche se siamo innocenti.”

Arséne rimase immobile, pallido come un fantasma, in un silenzio che da solo denunciava quanto fosse a disagio. Mi sentivo esattamente come lui perciò, dal momento che non potevamo fare nulla per cambiare quella situazione, pensai che non ci avrebbe fatto male rilassarci un po'.

“Che ne dici di andare a prenderci una tazza di cacao?” domandai, cercando di sorridere.

“Credo che sia un'ottima idea!” mi diede man forte Theophraste “Andate pure e cercate di rilassarvi un po', va bene?”

Era evidente quanto Theophraste si sforzasse per rassicurarci, ma sembrava che nulla potesse ridargli il sorriso. Il recente furto e il litigio con Sherlock lo avevano prostrato. Lo afferrai per un braccio e lo trascinai via.

 

Restammo in silenzio fino a quando non fummo sufficientemente lontani per poterci parlare intimamente.

“Andiamo, Arséne, abbiamo anche noi bisogno di stare bene. Continuare a tormentarti così non ti farà bene anzi, ti impedirà di ragionare razionalmente e ...”

“Zitta, per favore, zitta!” gridò lui, fermandosi all'improvviso e portandosi le mani ai capelli “Stai zitta ...” sussurrò poi “Tu non …” si interruppe per qualche istante e lasciò cedere le braccia lungo il corpo, rassegnato o semplicemente stanco “C'è … c'è una cosa che devo dirti ...” mormorò infine, quasi balbettando.

Arséne non aveva mai balbettato in vita sua, era sempre stato sicuro di sé, fiero, intraprendente, anche nelle situazioni più incredibili, eppure in quel momento era rosso per l'imbarazzo e tremava come una foglia. Lo abbracciai stretto e lo cullai appena per cercare di farlo stare meglio.

“Non mi sembra il caso di starcene qui. Adesso andiamo a berci il cacao e lì mi dirai tutto, ma solo quando ti sarai completamente rilassato, va bene? Noi siamo amici, Arséne, qualsiasi cosa tu abbia da dirmi non cambierà nulla tra di noi!”

Lo sentii annuire e respirare profondamente per calmare i pensieri, ma solo dopo qualche minuto si staccò da me e mi sorrise o, meglio, finse di sorridermi.

“Come vuoi tu. Mi fido. Siamo amici, vero? Qualsiasi cosa accada siamo … amici ...” sussurrò infine, e fu proprio quell'ultima frase a farmi sospettare ciò che volesse confidarmi e che, in cuor mio, avevo sempre desiderato di voler sentire pronunciato da lui.

Dal primo momento in cui avevo posato gli occhi sui suoi avevo sentito un legame speciale. Era sempre stato gentile e galante con me e il sapore dei nostri baci permaneva nelle mie labbra come qualcosa della quale non avrei potuto mai liberarmi, né volevo farlo. Nonostante non fosse veramente il caso di essere felici, notai che mi fu quasi impossibile trattenere un piccolo sorriso di soddisfazione e gli presi la mano. Non so come recepì questo mio messaggio non verbale, ma strinse a sua volta e mi fece sentire felice come non accadeva da giorni.

 

Passeggiammo in silenzio, tenendoci per mano e percependo il reciproco respiro. Il cielo era velato da un leggero strato di nuvole che comunque permettevano di scorgere le stelle e l'aria era piacevolmente fresca. Tutto sembrava perfetto, eravamo come in una bolla in cui esistevamo solo noi due e nessun altro. Desiderai che quella passeggiata non finisse mai ma, mentre la presa della mano di Arséne si faceva via via più dolce, sintomo che anche lui si stava pian piano lasciando andare, ci avvicinammo alla caffetteria. Eravamo rilassati, finalmente dopo parecchie ore di tensione, ma nulla avrebbe potuto prepararci a ciò che ci sarebbe accaduto davanti al camino, seduti nelle nostre solite poltrone.

Una folata di vento particolarmente fredda ci convinse a interrompere la passeggiata e ad entrare. Quasi senza rendercene conto, come fosse una cosa automatica, e forse lo era proprio, ci avvicinammo al nostro angolino. Era un tavolino rotondo davanti al caminetto, dove ci ritrovavamo sempre perché era caldo d'inverno, fresco d'estate e sufficientemente isolato per permetterci di parlare in intimità. Ormai eravamo totalmente a nostro agio e forse fu proprio per quel motivo che restammo senza fiato e senza parole quando, seduto comodamente sulla sua solita poltrona, scuro in volto ed evidentemente immerso nelle sue riflessioni, trovammo Sherlock.

Il nostro amico ci fissava torvo in viso e, almeno per quello che avevo imparato da lui, il suo sguardo non prometteva nulla di buono.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Segreti svelati ***


Segreti svelati

 

Lo sguardo di Sherlock era cupo come il suo umore. Ci fissava arrabbiato, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia aggrottate. Davanti a lui stava una tazza di cacao che ancora fumava, segno che era arrivato lì da poco. Sebbene fossimo preoccupati per quel suo sguardo truce ci accomodammo, rasserenati dal fatto che stesse bene.

“Dove ...” iniziò Arséne, ma Sherlock gli impedì di parlare.

“Vi ho visti mentre mi cercavate, ma sinceramente non avevo nessuna voglia di essere trovato.” rispose lui, intuendo la domanda che gli avrebbe fatto.

Arséne e io ci guardammo negli occhi per un istante, poi rivolgemmo a lui i nostri sguardi più dispiaciuti.

“Ti volevamo chiedere scusa” mi affrettai a spiegare, prima che mi interrompesse “Ci siamo resi conto di aver sbagliato a prendercela così tanto per ciò che hai detto, in fin dei conti non hai accusato ness-”

“Stai zitta, Irene. Stai zitta.” mi interruppe, leggermente seccato ma pur mantenendo un certo autocontrollo.

Trattenni il fiato e sentii Arséne, al mio fianco, fare lo stesso. Cercai di rilassarmi, anche se mi risultava particolarmente difficile. Sherlock, come al solito, non ci rendeva le cose facili, ma eravamo noi dalla parte del torto, così presi un profondo respiro e mi accomodai davanti a lui, imitata da Arséne. Sherlock doveva evidentemente dirci qualcosa, così per farci perdonare lo avremmo ascoltato fino in fondo, senza interromperlo. Il nostro amico guardò per un attimo la tazza con il cacao fumante e la spostò sul tavolino nella mia direzione.

“Bevila tu, sembri infreddolita” disse e, sebbene sul suo viso ci fossero ancora i segni della tensione che provava nei nostri confronti, il suo tono fu dolce e conciliante “Quello che sto per dirvi fa più male a me che a voi, ve lo posso assicurare.” disse infine, abbandonandosi di più sulla poltrona e chiudendo gli occhi.

Arséne e io ci guardammo negli occhi ancora una volta e quando li vidi sentii un brivido correre lungo la schiena. Arséne, che ai miei occhi era sempre apparso senza paure, era pallido e tremava come una foglia. Aprii la bocca per dire che forse il cacao era meglio se lo bevesse lui, ma la richiusi immediatamente e, presa la tazza, mi ci nascosi per evitare che si notasse il rossore dovuto all'imbarazzo dietro il vapore del cacao. Sherlock sospirò e abbassò lo sguardo. Strinsi le mani sulla tazza quando vidi che, seppur impercettibilmente, gli tremava il labbro inferiore. Immaginai che anche la voce sarebbe stata tremolante, ma era ferma e decisa come al solito.

“Vi ho visti quando siete venuti a cercarmi, ma … ero arrabbiato, deluso, triste ...” iniziò e vidi che stringeva a sua volta le mani sui braccioli della poltrona “Mi sono nascosto per impedirvi di trovarmi, ma soprattutto per verificare un'ipotesi che aveva preso forma nella mia testa la sera precedente. Sapevo che avrei potuto farlo esclusivamente da solo, così mi sono nascosto e ho aspettato che ve ne andaste per continuare le indagini, ovviamente senza farmi vedere dagli agenti.”

Si interruppe nuovamente e si morse il labbro inferiore. Ciò mi fece preoccupare ancora di più perché raramente Sherlock si lasciava andare alle emozioni e se ciò stava accadendo in quel momento doveva essere a causa di un motivo più grande della litigata con noi.

“Per prima cosa ho cercato di immaginare come il ladro sia riuscito a rapinare così tante persone in così poco tempo e soprattutto in un'area tanto vasta. Se si fosse mosso sulle gradinate sarebbe stato notato, così ho scartato quell'ipotesi. L'unica soluzione possibile era che si fosse impossessato dei beni arrampicandosi sugli spalti di legno … ma da sotto. Le panchine sono montate in una struttura di legno che è aperta sulla parte inferiore, ma solo una persona molto agile avrebbe potuto spostarsi rapidamente e silenziosamente e soprattutto rubare i gioielli e il denaro degli spettatori. Appurato ciò mi sono avventurato sotto la struttura e ho trovato un oggetto molto interessante ...”

Si interruppe e tirò fuori dal taschino un gemello ancora leggermente sporco di terra.

“Questo si trovava per terra, sotto la struttura delle gradinate, esattamente dove doveva essere.”

Arséne e io ci scambiammo un'occhiata ma io distolsi lo sguardo, ancora a disagio per il viso pallido dell'amico.

“Ovviamente, sotto la struttura c'erano molte impronte, quelle degli operai che l'avevano montata, ma ce n'era una serie che non aveva nulla a che fare con le altre. Erano più recenti, e proprio seguendo quelle impronte sono riuscito a trovare il gemello. Il ladro, una volta terminato il furto, è fuggito fuori dal tendone, approfittando della distrazione del pubblico che in quel momento era concentrato sullo spettacolo. Ho seguito le tracce sul terreno e dove queste si sono interrotte sono riuscito a ricostruire il cammino percorso dal ladro.”

Non riuscii a trattenermi e, posata la tazza di cacao ormai quasi vuota, mi sporsi verso di lui.

“Quindi vuol dire che sai dov'è la refurtiva? L'hai già trovata?!” domandai, eccitata.

Sherlock annuì tristemente.

“Non solo so dov'è la refurtiva, dal momento che nel sacco che ho trovato c'erano gioielli, orologi e denaro e soprattutto il gemello mancante” disse, indicando quello che stava sopra il tavolo “So anche chi è il ladro. L'avevo sospettato ieri sera, ma dopo ciò che ho visto oggi … non posso che confermare le mie ipotesi.”

Sentii mancarmi il respiro per un istante. Lo sguardo triste di Sherlock si era fatto ancor più tetro e ciò spaventò ancor più del viso atterrito di Arséne. La risposta era lì, davanti ai miei occhi, eppure mi rifiutavo di vederla.

“Vorrei evitare di dire come sono arrivato a queste conclusioni ...” continuò sospirando, ma stavolta fu interrotto da Arséne che, nascosto il viso dietro le mani tremanti, iniziò a mormorare.

“V-va bene. Hai ragione tu. Hai ragione e so anche cosa hai pensato per arrivare a questa conclusione.”

Mi voltai bruscamente verso di lui, ancora cieca a ciò che stava accadendo, una cecità ottusa, dettata dal mio desiderio di equilibrio. Arséne risollevò lo sguardo e mi fissò con aria sinceramente colpevole.”

“È per questo che ho colpito Sherlock, è questo che volevo dirti prima di entrare … io …” esitò un istante, ma presto il coraggio che da sempre lo aveva contraddistinto tornò, ma in forma diversa, permettendogli di confessare il suo crimine. L'orgoglio però gli impedì di far narrare a Sherlock come erano andate le cose e fu lui stesso a dirci cosa aveva fatto.

“Sapevo che il mio spettacolo sarebbe stato l'ultimo, così ne ho approfittato e, come ha detto Sherlock, ho derubato gli spettatori da sotto, per non farmi vedere.”

Si interruppe un istante e si rivolse a Sherlock, come un allievo che guarda verso il professore in cerca di approvazione per una risposta corretta.

“Immagino che tu abbia pensato che abbia accuratamente evitato di rubare nelle vicinanze dei vostri posti perché, nonostante la mia abilità, avrei fatto fatica a distinguervi al buio dagli altri spettatori, vero?”

Sherlock annuì in silenzio, ma era evidente dal suo sguardo che in quel frangente il fatto di essere nel giusto non lo riempiva della minima gioia.

“È andata così. Il tuo ragionamento era giusto. Solo una persona agile, un acrobata, avrebbe potuto fare ciò che ho fatto io, inoltre solo io avrei potuto nascondere la refurtiva in quella vecchia casa abbandonata, e tu lo sapevi … ed è così … Inoltre la mia reazione di poco fa deve averti fatto capire che avevo la coda di paglia, vero?” si interruppe ancora e lo fissò con occhi imploranti “Se farò in modo che la refurtiva venga ritrovata dagli agenti di Scotland Yard … tu non mi denuncerai, vero?”

Sherlock lo guardò dapprima sorpreso, poi contrariato.

“Se avessi voluto denunciarti lo avrei già fatto.” disse con molta serietà “Sono venuto qui nella speranza di potervi incontrare e di poter parlare con te. Volevo che sapessi ciò che avevo scoperto, tutto qui. Sei mio amico, Arséne. Non voglio denunciarti e nessuno saprà ciò che hai fatto a meno che tu non lo voglia. Fai ciò che devi. Se vuoi un consiglio, getta il sacco sulla riva del Tamigi. Non potranno stabilire quando vi sia arrivato e penseranno che sia giunto spinto dalla corrente da un luogo sconosciuto.”

Arséne annuì in segno di approvazione, ma a quel punto Sherlock si alzò e mosse qualche passo verso la porta. Fui io a fermarlo.

“Dove vai adesso?” gli chiesi, in preda al panico di trovarmi in quella scomoda situazione.

Da una parte c'era Arséne, divorato dai sensi di colpa ma che sembrava vedere una luce in fondo al tunnel nel quale si era cacciato; dall'altra c'era Sherlock, ancora scombussolato per aver scoperto che il suo migliore amico era un ladro e per chissà quali altri problemi che andavano forse al di là di quel furto.

“Lasciami, Irene. Voi mi avete chiesto scusa, è vero, ma …” scosse la testa e mi diede le spalle per impedirmi di vedere il suo volto, che in quel momento doveva essere rosso per l'imbarazzo “Non so se sono disposto a perdonarvi. Voi due ...”

Lasciò la frase in sospeso e si voltò. Era effettivamente arrossito, ma anche di rabbia, e vidi nei suoi occhi mille parole che però in quel momento erano per noi incomprensibili. Voleva dire tante cose, glielo leggevo nello sguardo, ma non riuscivo a coglierle. Mi chiesi se mai avesse voluto confidarsi con noi, ma la risposta arrivò anche troppo bruscamente.

“Non cercatemi più, per piacere. È … difficile per me.”

Non ci diede il tempo di rispondere e, pagato per me il cacao, uscì in strada. Lui ora era al freddo e noi davanti al calore del camino, ma stranamente sentii un brivido scendere lungo la schiena, un brivido di paura. Le mie certezze si stavano rapidamente sgretolando davanti ai miei occhi e ciò mi spaventava. Mi voltai lentamente verso Arséne, impaurita da ciò che avrei potuto vedere e soprattutto per il timore di vedere una persona diversa, non l'Arséne che avevo sempre conosciuto e, sentii mancare un battito a quel pensiero, amato.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La cassaforte ***


La cassaforte

 

Mi resi conto in quel momento di essere stata tremendamente ingenua. Ancora una volta avevo creduto di aver trovato un terreno solido sotto i piedi, invece mi ritrovavo a galleggiare su una zattera malmessa in un torrente impetuoso. Non avevo appigli a cui aggrapparmi e tutto mi sembrava mostruosamente spaventoso. Ero paralizzata, incapace di muovermi fisicamente, mentre i pensieri invece turbinavano come foglie impazzite durante una tempesta. Lentamente, e con una certa fatica, mi voltai verso Arséne. Il mio amico, perché non potevo non pensare a lui come a un mio amico, e lo fissai, cercando in lui qualcosa che fino a quel momento non avevo ancora visto. Sforzo vano, non vidi nulla se non il sorriso beffardo che conoscevo tanto bene, tuttavia inquinato da una vaga sensazione di insicurezza, nella quale potevo riflettermi come davanti ad uno specchio.

Il silenzio che era calato su di noi era pesante e doloroso così, seppur con molta fatica, riuscii a romperlo.

“Arséne ...” esitai, ormai avevo rotto il ghiaccio, dovevo proseguire o non ce l'avrei più fatta “Quando abbiamo scoperto che tuo padre è un ladro non ti abbiamo abbandonato, ti abbiamo aiutato a scagionarlo e ora anche Sherlock non ti ha denunciato per permetterti di rimediare al tuo errore.”

Sentivo di essere sulla giusta strada, le parole uscivano dalla mia bocca spontaneamente, forse perché sgorgavano direttamente dal cuore. Arséne mi sorrise e mi prese la mano. La tensione si sciolse come neve al sole e finalmente il suo sorriso fece diradare la nebbia che era calata tra di noi. Erano bastate poche parole e il sentimento che trasmettevano per liberarci da paure e incertezze.

“Abbiamo fatto un patto, un giuramento che va oltre tutto, oltre tutti. Siamo amici e saremo sempre amici, qualsiasi cosa accada e ...”

In quel momento mi tornò alla mente Sherlock e il suo desiderio di non vederci più e insieme il suo disagio nei giorni precedenti. Tutti quei pensieri tornarono insieme e mi fecero barcollare. Arséne se ne accorse subito, infatti mi prese la mano e mi sorrise come solo lui sapeva fare.

“Non preoccuparti, va bene? Prima di tutto … Irene, prima di tutto ti devo chiedere scusa. Vi ho mentito e ho fatto una cosa spregevole. Non so nemmeno io perché ho deciso compiere quei furti, forse volevo solo emulare mio padre, fargli capire che sono fiero di lui nonostante tutto ...” scosse la testa e si passò una mano tra i capelli “Non so se accadrà ancora, ma di certo non vi mentirò più, te lo prometto.”

Avevo imparato a riconoscere le bugie di Arséne e, se nelle ore precedenti avevo notato qualcosa in lui che avevo ingenuamente scambiato per amore invece di capire che si trattava di senso di colpa, in quel momento mi rendevo perfettamente conto che era sincero. Annuii e ricambiai la stretta, ma la spina nel mio cuore continuava a fare male. Pensavo a Sherlock, alla sua tristezza, a come ci eravamo separati, al tono della sua voce mentre ci diceva che per lui era troppo difficile. Sentivo di avere a disposizione tutti gli indizi per trovare la soluzione di quell'enigma, ma mi sfuggivano tra le mani.

“Sherlock ha appena risolto un caso, giusto?” dissi “Ora noi dobbiamo risolverne un altro. Porteremo i gioielli dove ci ha suggerito lui e poi … ci occuperemo del suo problema.”

 

Ormai il cacao era freddo, così lo lasciai lì e uscii con Arséne, diretti a casa sua. Ci cambiammo il più rapidamente possibile e, approfittando delle ombre della notte che pian piano stavano calando sulla città, ci avvicinammo ai pressi del tendone, vestiti completamente di nero, con il sacco di juta pieno dei preziosi rubati da Arséne. Gli agenti di polizia pattugliavano, seppur in forma minore, il perimetro del circo. Non c'erano più così tanti poliziotti come la sera precedente, semplicemente si accertavano che gli artisti del circo non si allontanassero troppo dal luogo del furto. Riuscimmo ad arrivare senza farci notare fino alla riva del Tamigi e, come ci aveva suggerito Sherlock, depositammo il sacco contenente la refurtiva in un punto in cui difficilmente sarebbe stato portato via dalla corrente e tornammo indietro facendo attenzione a non lasciare impronte o indizi riconducibili a noi. Fatto questo ci dividemmo, senza parlare ma con un sorriso, ed entrambi tornammo a casa per riposare. Erano state ore interminabili e faticose e avevamo bisogno di ricaricarci, soprattutto dal punto di vista emotivo, perché la missione non era ancora finita. Avevamo recuperato i gioielli e nessuno sarebbe stato incriminato per il furto, la polizia avrebbe creduto che il ladro, fuggendo, avesse preso ciò che con tanta fatica aveva accumulato, e Arséne sarebbe stato nuovamente libero. Avevo immaginato che quel passo, il restituire i gioielli scomparsi, sarebbe stato il più difficile da compiere, invece riuscimmo a fare tutto senza alcuna difficoltà. Non sapevo, o mi rifiutavo di riconoscere, che la cosa più difficile da affrontare doveva ancora arrivare e che, nonostante non si presentasse davanti a noi come una minaccia fisica di morte, ci avrebbe messi a dura prova e avrebbe cambiato per sempre il nostro rapporto.

 

Tornata a casa non mi preoccupai nemmeno di cambiarmi, entrai semplicemente, consapevole del fatto che l'unico ad accogliermi a quell'ora tarda sarebbe stato Orazio. Non sapeva come si erano evolute le indagini sul furto aveva promesso di coprirmi per la mia assenza durante tutto il giorno. Dovevo avere una pessima cera perché non mi rimproverò per il mio aspetto ma mi venne incontro preoccupato come raramente lo avevo visto.

“Signorina Irene! Cosa vi è successo? Siete ferita? I vostri amici stanno bene?” mi domandò senza darmi il tempo di rispondere ad una domanda alla volta.

In risposta scossi la testa e gli porsi la borsa dove tenevo gli abiti che portavo prima del cambio. Non avevo voglia di parlare, non avevo voglia di nulla che non fosse un bagno caldo e il mio letto.

“Domani, Orazio … è tutto risolto, ma … sono successe troppe cose …” mormorai, con una voce così stanca e vecchia che per un momento nemmeno io riconobbi come mia “Sto bene!” mi affrettai a sottolineare tuttavia, per non farlo preoccupare “Sono solo stanca, domani … domani ti racconterò tutto.”

Lo lasciai non del tutto convinto e continuai a pensare, mentre mi preparavo il bagno, mentre stavo in ammollo nell'acqua calda e poi, più tardi, mentre mi godevo il tepore delle coperte. Nonostante avessi cercato di rilassarmi, la testa continuava a pulsare e sentivo un peso opprimente sullo stomaco, qualcosa che mi faceva sentire terribilmente a disagio. Ad un certo punto pensai che non mi sarei più addormentata ma pian piano, quasi inconsapevolmente, scivolai tra le braccia di Morfeo.

 

La notte trascorse tranquillamente, forse troppo, ma il mio sonno fu agitato e pieno di sogni che la mattina dimenticai ma che mi lasciarono addosso una fastidiosa sensazione di malessere. Mi sentivo come se fossi appena uscita da una malattia, debole e stanca nonostante le ore di sonno. Il pensiero di Sherlock mi tormentava così tanto che a stento gustai la colazione.

Arséne e io ci eravamo dati appuntamento per quel pomeriggio per discutere sulla situazione e programmare un agguato ai danni di Sherlock. Sapevamo che, se non voleva essere trovato, riuscire a parlare con lui diventava una missione alquanto ardua, ma contavamo sull'effetto sorpresa.

Stavo giusto per andare a cambiarmi, quando fui fermata da Orazio. Non capitava spesso che insistesse tanto per parlare con me, ma in quel momento sapevo di dovergli una spiegazione. Ci aveva aiutato in molte occasioni e meritava di sapere cosa era accaduto e cosa ancora stava accadendo al nostro trio.

“Mi aspetti in salotto” mi disse, mentre già iniziava a sparecchiare la tavola della colazione “Tra un minuto sarò da lei.”

Lo ringraziai con un sorriso, qualche minuto per raccogliere le idee era proprio ciò di cui avevo bisogno. Mi accomodai sulla poltrona e attesi. L'unico rumore era il ticchettio della pendola, tic, tac, tic, tac, tic … che fu interrotto, forse troppo presto, da quello dei passi di Orazio. Alzai lo sguardo e lui era già lì.

“Non dovete avere problemi con me, signorina Irene. Consideratemi come una pagina del vostro diario, ciò che mi direte non uscirà mai da me”

Gli sorrisi, felice di quella sicurezza, ma un istante dopo le ombre dei pensieri mi incupirono il volto.

“Abbiamo scoperto il ladro, Orazio” iniziai e attesi un attimo, poi continuai “Abbiamo litigato con Sherlock perché sosteneva che il ladro potesse essere chiunque, anche gli artisti del circo, ma poi è stato proprio lui a scoprire il vero colpevole. Non c'è stato nessun pericolo, se ti può tranquillizzare, perché il ladro era proprio Arséne …”

La voce mi si spense in gola. Anche se ormai avevo creduto di aver archiviato quel capitolo, dirlo nuovamente ad alta voce mi procurò uno strano effetto. Arséne, il mio amico, era un ladro. Eppure anche Theophraste lo era, ma non avevo smesso di stimarlo e nemmeno avrei smesso di voler bene ad Arséne. Orazio sembrò intuire i miei pensieri e mi sorrise a sua volta, rassicurandomi. Non sembrava voler giudicare il mio amico per quello che aveva fatto e ciò mi fece bene.

“Avete risolto la cosa? Come sta lui, ora?”

“Lui è pentito di quello che ha fatto e ha restituito i gioielli. Ovviamente nessuno sa che è stato lui, li abbiamo lasciati …”

“Sulla riva del Tamigi” concluse Orazio.

Lo guardai stupita, ma solo per qualche istante perché capii immediatamente cosa doveva essere successo.

“Il giornale, giusto?” chiesi, illuminandomi.

“Esatto. Stanotte, durante un giro di perlustrazione, uno degli agenti di guardia al tendone ha trovato la refurtiva. Non c'era nessuna traccia che potesse far pensare a qualcuno così, dal momento che tutti i gioielli e i preziosi erano lì, Scotland Yard ha deciso di chiudere il caso. Da quel che ho letto gli artisti del circo sono stati completamente scagionati e partiranno a giorni perciò, qualsiasi cosa dobbiate fare tu e Arséne, vi conviene farla molto alla svelta.”

Il contenuto dell'articolo non mi sorprese, ma le ultime parole di Orazio mi lasciarono a bocca aperta. Fu proprio lui a risolvere il mio dubbio.

“Non serve essere il vostro amico Sherlock per capire che non avete dormito bene stanotte e che, nonostante tutto, il problema del furto non è l'unica cosa che vi assilla.”

Annuii in risposta e sospirai, di sollievo per Arséne e di preoccupazione per Sherlock.

“Il vostro amico Sherlock sta bene, dovete solo aiutarlo a … tirare fuori ciò che ha dentro.”

Lo sguardo di Orazio si fece serio, riflessivo e io mi sporsi verso di lui, stupita e curiosa allo stesso tempo. Com'era possibile che lui potesse vedere qualcosa che noi, che eravamo i suoi migliori amici, non avevamo visto?

“Già da qualche tempo lo sospetto, ma il suo comportamento in questi ultimi giorni mi dà da pensare.” Si fermò per pensare qualche istante, poi mi guardò negli occhi “Mi dica cosa è successo ieri.”

Trattenni il fiato. Ripercorrere gli avvenimenti del giorno precedente non era esattamente ciò che desideravo fare, ma non avevo scelta. Presi un profondo respiro, riordinai le idee e cominciai.

“Quando abbiamo pensato che sospettasse degli artisti del circo io gli ho dato una sberla e Arséne, che forse aveva paura di essere stato scoperto, un pugno sullo stomaco. Lì ci siamo separati, perché eravamo così tanto arrabbiati con lui o, meglio, io ero arrabbiata e Arséne spaventato, ma ragionando con calma abbiamo capito che, per risolvere il problema, non potevamo fare a meno del suo aiuto ...”

“Quindi lo avete cercato ...” continuò Orazio per me.

“Esatto!” esclamai “Lui ci aspettava alla caffetteria ed è stato proprio lì che è crollato tutto!”

Mi presi la testa tra le mani, tremando leggermente per il ricordo del viso del mio amico mentre ci raccontava ciò che aveva scoperto e, seppur gentilmente, ci pregava di non cercarlo più.

“Lui … lui non sembrava arrabbiato, forse deluso. Ha atteso di poter parlare con Arséne per permettergli di risolvere il danno senza conseguenze ma ... ora non vuole più vederci.”

Orazio restò in silenzio qualche istante, poi sorrise e mi posò una mano sulla spalla. Non ero abituata a simili gesti di comprensione da parte sua, ma gli fui grata per quello.

“Vada a parlare con Mycroft” mi suggerì “Lui saprà sicuramente quando e dove vi converrà parlare con lui. Anche se sembrano non andare molto d'accordo, Mycroft tiene a suo fratello e si preoccupa per lui. Se lo incontrerete in una situazione favorevole avrete successo, ma ricorda che è una cassaforte, dovrai fare parecchia pressione per convincerlo ad aprirsi.”

Sorrisi, leggermente più positiva circa la missione che ci aspettava, ma pur sempre spaventata dal pensiero di ciò che avrei potuto trovare aprendo quella cassaforte.

Orazio guardò l'ora e annuì.

“Credo che, se si sbriga arriverà al Diogenes Club prima di pranzo e in questo modo potrà scambiare due parole con lui.”

Non attesi oltre. Gli sorrisi di gratitudine e corsi di sopra per prepararmi. Una ventina di minuti dopo ero in carrozza, diretta al club di Mycroft.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il corso del fiume ***


Il corso del fiume

 

Mentre la carrozza mi portava a Pall Mall, dove aveva sede il club esclusivo di cui Mycroft faceva parte, cercavo di pensare a cosa dirgli. Non mi ero mai sentita particolarmente a mio agio con lui, sia perché ogni volta in cui ci incontravamo Sherlock non nascondeva i suoi sentimenti nei confronti del fratello, ma soprattutto perché lo avevo sempre visto come una persona molto chiusa e riservata. Non sarebbe stato facile chiedergli di aiutarmi, ma sapevo quanto tenesse al suo fratellino e che ciò lo avrebbe spinto a dirmi ciò che poteva essermi utile per svelare finalmente quel mistero riccioluto che era il mio amico Sherlock.

Arrivai a destinazione troppo presto, o forse fu solo una mia impressione, perché ancora non avevo bene in mente cosa gli avrei detto. Presi un profondo respiro ed entrai. Stavo per chiedere all'usciere di chiamarmi il signor Holmes, ma lui mi precedette e mi porse un blocco e una penna. In quell'istante mi ricordai dell'assoluto divieto di parlare in quell'edificio, salvo per la stanza degli ospiti, e scrissi il messaggio. L'usciere lo prese e, posatolo su un vassoio d'argento, andò a consegnarlo al destinatario mentre io già mi dirigevo verso la sala dove lo avrei atteso.

Ero entrata da pochi minuti e già mi aggiravo impaziente tra le poltrone e gli scaffali, quando entrò Mycroft Holmes. Mi fece cenno di sedermi e obbedii, mentre lui si accomodava davanti a me. Mi fissava in silenzio, ma dal suo sguardo, così simile a quello del fratello, capii che già sapeva perché mi trovavo lì.

“Non dovrà espormi il suo problema, miss Adler” mi disse, rompendo il ghiaccio che io non mi ero ancora azzardata a sfiorare “So esattamente cosa vuole sapere.”

Il rumore della porta che si apriva lo fece interrompere e voltare verso il cameriere che ci stava portando il tè. Restammo in silenzio mentre ci venivano riempite le tazze e solo quando fummo nuovamente soli mi sporsi verso di lui e aprii la bocca per parlare, ma ancora una volta mi precedette.

“Ci sarebbero due cose che potrei fare” disse, prendendo tra le mani la sua tazza fumante, per poi posarla valutando che il tè era evidentemente ancora troppo caldo per poter essere bevuto “Potrei dirle cosa succede a mio fratello, dirle perché si è comportato così, spiegarle quali pensieri si aggirano in quella sua testa ...” lasciò la frase in sospeso e restò ad osservare la mia reazione a tale proposta “ … ma in realtà ciò che credo lei voglia sapere, e che anch'io sono convinto sia la cosa migliore, è come poterlo chiedere direttamente a lui. Mio fratello è un ragazzo molto sveglio, ma altrettanto chiuso per quanto riguarda i suoi stessi sentimenti. Posso solo supporre cosa sia successo tra di voi in questi giorni e ti assicuro che non denuncerò Arséne per quello che ha fatto …”

Sbiancai, chiedendomi come facesse a sapere dell'identità del ladro, ma ancora una volta Mycroft mi sorprese.

“Non preoccuparti, e soprattutto non avere mai dubbi su mio fratello. Non è stato lui a rivelarmi ciò che sospettavo e che la tua reazione ha confermato. Mi è bastato osservarlo e leggere il giornale di oggi. Niente di più facile.”

Sospirai di sollievo e solo allora, da quando avevo messo piede al Diogenes Club, mi azzardai a parlare.

“Allora … cosa possiamo fare?” domandai, senza riuscire a celare la preoccupazione.

“Innanzitutto non avere timore di affrontarlo. Quando andrete a parlargli si terrà sulla difensiva e probabilmente vi attaccherà, ma ciò non dovrà scoraggiarvi. In secondo luogo, dovete scegliere il momento più favorevole, per impedirgli di poter fuggire. Vi consiglio di andare a cercarlo qui ...”

Si alzò e andò allo scrittoio, dove scrisse su un pezzo di carta un indirizzo. Tornò indietro e me lo restituì per poi prendere in mano la tazza di tè.

“È la palestra presso la quale si tengono i suoi allenamenti di scherma. Oggi pomeriggio sarà lì fino alle sei. Quando fa sport si stanca parecchio e quando è stanco fisicamente è anche più debole mentalmente. Forse, se avrete fortuna e userete le giuste tattiche, riuscirete a strappargli una confessione. Il segreto con lui è essere insistenti.”

Annuìì e presi a mia volta la tazza di tè. Restammo in silenzio qualche minuto, sorseggiando la bevanda calda, infine mi alzai e mi congedai.

“La ringrazio, signor Holmes. Spero che ...” inizia, ma lui mi interruppe ancora una volta.

“Andrà tutto bene, signorina Adler.” rispose lui e, incredibilmente, mi sorrise.

 

Uscii dal Club rigenerata. Le parole di Mycroft e soprattutto la fiducia che sembrava riporre in me mi avevano dato nuova energia. Ora sapevo dove trovare Sherlock e sapevo che avrei avuto una possibilità di parlargli. Chiamai una carrozza e mi recai immediatamente da Arséne.

Come aveva previsto Orazio, il tendone era già per un terzo smontato e tutti si davano un gran daffare per la partenza. Anche Arséne era tra gli operai e in quel momento stava aiutando a sistemare le attrezzature dei trapezisti. Quando mi vide si fermò e lanciò un'occhiata ai suoi colleghi, i quali dovevano essere già stati informati del mio arrivo perché annuirono e lo lasciarono venire da me. Mi raggiunse trafelato, per la stanchezza del lavoro ma soprattutto per la preoccupazione.

“Andiamo a bere qualcosa così potremo parlare con più calma?” mi domandò, senza nemmeno salutarmi.

Normalmente mi sarei arrabbiata, ma in quel caso capii che l'amicizia di Sherlock aveva la priorità per lui.

“Sì” risposi, con un sorriso “Ci sono alcune cose che devi sapere”

Senza attendere risposta mi avviai verso la strada, dove ancora ci attendeva la carrozza. Lui mi seguì docile, impressionato dalla mia sicurezza, e in breve arrivammo alla caffetteria.

Ci facemmo portare due tazze di cacao e, rassicurati da quel luogo, ci lasciammo andare in confidenze e rassicurazioni. La paura di quei giorni svanì e anche i sentimenti che avevo provato nei confronti di Arséne. Mentre parlavamo lo vidi tornare a guardarmi come un tempo, quando pensavo che fosse innamorato di me. Se avevo avuto qualche dubbio nei suoi confronti in quel momento capii che il suo comportamento era dettato dalla paura di essere scoperto, ma ora che quell'ostacolo non c'era più era tornato l'Arséne di sempre, galante e premuroso.

Gli raccontai della chiacchierata con Orazio e poi di ciò che mi aveva detto Mycroft e, senza quasi che ce ne rendessimo conto, arrivò l'ora di recarci da Sherlock. Pagammo la consumazione e, chiamata una carrozza, ci facemmo portare all'indirizzo della palestra.

 

Erano quasi le sei quando Sherlock uscì dall'edificio. Era palesemente esausto, ma qualcos'altro gli incupiva il viso oltre alla stanchezza. Era così preso dai suoi pensieri che quasi non si accorse di noi o, se lo fece, finse di no. Non ci facemmo scoraggiare dal suo atteggiamento e ci avvicinammo di corsa per non farlo scappare.

“Sherlock!” gridai “Fermati! Ti prego!”

“Fermati! Per favore!” aggiunse Arséne, ma lui non diede cenno di volersi fermare.

Lo raggiungemmo e fu proprio lui ad afferrarlo per un braccio.

“Vuoi fermarti o no?” gli urlò contro, strattonandolo.

Per un momento temetti una sua reazione violenta, ma si limitò a voltare la testa per evitare il nostro sguardo e mormorò.

“Lasciami, Arséne. Vi ho chiesto di non cercarmi più.”

Arséne lo strattonò violentemente e lo costrinse a guardarlo negli occhi.

“Non ti lascio andare, sai perché? Perché voglio capire cos'hai contro di noi! So che ti abbiamo ferito e ci siamo arrabbiati con te, ma credo che ora tu possa perdonarci, non credi?”

Sherlock restò impassibile, ma dal colorito che stavano prendendo le sue guance capii che in realtà stava reprimendo la rabbia. Si liberò dalla presa e ci fissò in silenzio per qualche minuto, per far calare l'ira e poterci parlare senza gridare, o almeno così sembrava.

“Volete che vi dica tutta la verità?”

Sobbalzai. La sua solita calma era per un istante svanita e pensai che, se fosse stato una belva feroce, non avrebbe esitato ad aggredirci. Per prima cosa si rivolse ad Arséne e lo fissò con disgusto a malapena celato da un'apparente indifferenza.

“È da qualche tempo che ti osservo, Arséne. Da quando hai scoperto che tuo padre è un ladro sei cambiato. All'inizio non ci avevo dato peso, credevo che fossi solo sconvolto da quella scoperta, invece con il passare del tempo mi è stato sempre più chiaro che in realtà aspiravi ad emularlo.”

A quel punto Sherlock fece un passo in avanti. Il disprezzo che provava nei confronti dell'amico era ormai palese e temetti per un istante che lo avrebbe preso a pugni.

“Questa volta ho dovuto rimediare e dire ciò che avevo scoperto, ma non è la prima volta che commetti un furto e non sarà nemmeno l'ultima. Posso solo sperare per te che migliorerai e non ti farai più beccare così! Questa volta ti ho aiutato perché non volevo che ne andassero di mezzo i tuoi amici del circo, ma sinceramente mi ripugna pensare di doverti difendere mentre fai delle azioni così basse!”

Quelle parole mi spaventarono e soprattutto mi spaventò Sherlock. Non avevo mai sentito così tanta rabbia da parte sua. Vidi Arséne abbassare lo sguardo, colpito da tanta violenza emotiva.

“Sherlock … ragiona … anche suo padre è un ladro, eppure lo hai aiutato in passato e non hai perso la stima che avevi in lui ...”

Non feci in tempo a terminare la frase che lo sguardo di fuoco di Sherlock si posò su di me.

“Ecco, lo sapevo! Li difendi sempre!” tremava e credetti per un attimo che stesse per piangere “Cosa ti fa pensare che non abbia perso la stima che avevo per lui? L'ho aiutato perché il mio unico obiettivo è scoprire la verità e, nonostante fosse colpevole del furto, non era un assassino!”

“Sherlock … calmati, per piacere ...” mormorai, più intimorita che mai dal suo atteggiamento.

“No, non mi calmo e a questo punto non smetterò di parlare fino a quando non avrò chiarito ogni cosa.”

Prese un profondo respiro e ci guardò, prima Arséne, poi me, infine parlò.

“Credevo di poter essere tuo amico, ma ora so che non posso più continuare a ignorare il fatto che sei un ladro e che in futuro non ti limiterai più a rubare cose da poco conto come cibo o qualche spicciolo. Avevo avuto il sospetto che volessi fare le cose sempre più in grande qualche tempo fa, ma ciò che hai fatto durante lo spettacolo mi ha dato la conferma definitiva.”

Fece una pausa, poi si rivolse a me, che ero raggelata dalla sorpresa.

“Per quanto riguarda te, Irene, sapevo che saresti stata dalla sua parte, nonostante tutto. Lui è quello che va contro la legge eppure lo difendi. Avrei anche altre cose da dirti, ma non so se meriti di conoscerle.”

A quel punto si interruppe e sospirò, amareggiato. Pensai che fosse il momento più propizio per parlare, ma lui riprese.

“Mi dispiace, ma non posso essere vostro amico e ora sapete anche il perché. Per piacere, lasciatemi in pace.”

Detto questo, ci guardò ancora una volta negli occhi, ci diede le spalle e si allontanò.

Arséne e io ci guardammo negli occhi. Non c'era più niente da fare o da dire. Era finita, la nostra amicizia con Sherlock era finita per sempre. Arséne e io ci allontanammo, io diretta a casa e lui al tendone del circo, ma entrambi tramortiti da ciò che era accaduto.

 

Il giorno successivo Arséne ripartì con suo padre. Credetti che, come sempre faceva, sarebbe rimasto qualche giorno in più per stare con me, ma si scusò e mi disse che voleva stare solo, lontano da tutto ciò che gli ricordava quello che era stato il suo migliore amico. Non protestai e, nonostante avessi la morte nel cuore, lo lasciai andare.

I mesi successivi provai a scrivergli e lui mi rispose un paio di volte, ma sempre molto sbrigativamente e dopo smise del tutto.

Trascorsero gli anni e presto dimenticai. Continuai a cantare e ben presto divenni professionista.

Non incontrai più né lui né Sherlock, anche se sentii parlare molto di loro, Arséne per i suoi furti e per il soprannome di “Ladro Gentiluomo” e Sherlock per i successi dei suoi casi come detective. Aveva ragione, lui e Arséne erano destinati a diventare rivali.

 

Oggi sono allegra. Anche se ciò che mi aspetta mi ha fatto tornare alla mente questi ricordi dolorosi, so che mi divertirò. Sono passati tanti anni e sono accadute molte cose, ma io sono sempre libera e testarda. Il principe di Boemia, che aveva promesso di sposarmi, dovrà pagare per avermi ingannata. Non si spezza così il cuore di Irene Adler e la si passa liscia. Al piacere per questa mia piccola vendetta si associa il fatto che, ne sono sicura, avrà chiesto l'aiuto di Sherlock per recuperare la fotografia che, se resa pubblica, stroncherebbe il suo matrimonio.

Sono felice perché lo rivedrò e perché, finalmente, sposerò l'uomo che amo. Fuggiremo insieme e non ci sarà più spazio nella mia vita per principi ingannatori o detective codardi. Sì, Sherlock è stato un codardo, ma forse io lo sono stata più di lui perché non l'ho spronato a confidarsi.. Ha avuto paura dei suoi sentimenti e io anche più di lui. Lui mi ama, mi ha sempre amata e sempre lo farà, glielo lessi negli occhi quel giorno, quando mi disse addio. Ora però è troppo tardi. Godfrey mi aspetta per celebrare le nostre nozze.

 

 

 

FINE …

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

?

 

 

 

Eh, no! Non finisce solo qui! Dovete sapere che, quando ho iniziato a scrivere questa storia, mi sono posta il problema di come finirla. Io avevo in mente un finale, ma qualcosa mi frenava. Non poteva assolutamente finire così, non sarebbe stato canonico! Avrei storpiato totalmente i personaggi di Sherlock Holmes, Irene Adler e Arséne Lupin!

La mia mente era in lotta tra due finali, così ho deciso di scriverli entrambi e di lasciare a voi il piacere di scegliere quello che più vi piace. Ovviamente prima vi ho fatto prendere un colpo con questo angst, ma molto più canonico, ora però mi farò perdonare con quello che state per leggere … o lo metto in un altro capitolo … ? Va bene, sono stata già abbastanza cattiva, lo metto qui ;)

Ricominciamo da quando Irene e Arséne incontrano Sherlock dopo la scherma. Questo è ciò che vorrei che accadesse.

 

 

 

 

 

 

Arrivammo relativamente presto fuori dalla palestra dove sapevamo si allenava Sherlock, giusto in tempo per vederlo uscire. Sembrava tranquillo, ma era evidente che qualche pensiero lo stava tormentando, nonostante lui cercasse di sembrare distaccato, o almeno così credetti. Ci avvicinammo e, proprio come mi aveva detto Mycroft, riuscimmo a coglierlo di sorpresa. Ci fissava stupito, come se non capisse se fosse uno scherzo o la realtà. Arséne approfittò del suo disorientamente e lo trascinò via, lontano dalla strada. Li seguii, leggermente in ansia per quello che stava per accadere. Una volta arrivati Sherlock sembrò riprendersi e riuscì a liberarsi dalla stretta di Arséne.

“Vi avevo chiesto di non cercarmi più!” esclamò, rosso per la rabbia e forse anche un po' per la stanchezza “So che non è la prima volta che rubi, Arséne, e so altrettanto bene che non sarà l'ultima. Stavolta non volevo che coinvolgessi gli altri del circo, per questo ti ho aiutato, ma non voglio più avere a che fare con un ladro e ...”

Non fece in tempo a terminare la frase che lo raggiunse un ceffone, stavolta da parte di Arséne.

“Stai zitto, per piacere! Zitto! Stavolta sarai tu ad ascoltare, almeno all'inizio, perché poi sarai tu a dover parlare … ma non per cacciarci … noi ...”

Era evidente che Arséne non sapeva bene da che parte iniziare, così mi feci avanti e lo supportai.

“Sappiamo che, oltre al fatto del furto di Arséne, c'è altro che vuoi dirci, vero? Non è solo quello!”

Stavo per continuare, ma la risata di Arséne mi interruppe. Sherlock e io ci voltammo a guardarlo

“Ascoltami bene, non è la prima volta che ti comporti così e so che ciò che non ha a che vedere con il furto. Va bene, forse ti scoccia il fatto che ti abbia mentito, ti do tutte le ragioni di questo mondo, ma la realtà è un'altra. Lo so io, lo sai tu … e per una volta potresti essere sincero, perché non devi vergognarti di nulla!”

Sherlock era sempre rosso, ma mi sembrò di cogliere una sfumatura diversa. Non era più rabbia ma imbarazzo. Anch'io però ero disorientata e non esitai a farlo notare.

“Di cosa stai parlando, Arséne?” chiesi, fissandolo “Di cosa non si deve vergognare?”

Stava forse parlando di quel problema che affliggeva Sherlock e di cui tutti, a parte me, si erano accorti? Arséne continuò imperterrito, ma stavolta si rivolse a me.

“Irene, noti niente quando siamo insieme? Ti sembra che Sherlock sia in qualche modo diverso?”

Non mi aspettavo che mi coinvolgesse e soprattutto che mi facesse una domanda del genere, ma in quel momento mi resi conto di un pensiero che, forse da troppo tempo, avevo accantonato.

“In effetti ...” mi voltai verso il mio amico e lo osservai con attenzione “Quando ci sei tu … lui sembra più pensieroso, più chiuso quasi … come se ...”

Il lampo della rivelazione arrivò improvviso e doloroso. Gelosia. Sherlock era geloso di Arséne.

Era ovvio che quando il nostro amico francese veniva a trovarci mi dedicassi molto a lui e festeggiassi la sua presenza, ma non avevo mai pensato, almeno fino a quel momento, che Sherlock potesse essere geloso. In effetti più di una volta mi aveva manifestato il suo affetto ed era perfino arrivato a parlare di me come la sua fidanzata, ma allora avevo creduto che fosse uno scherzo, un modo per confondere coloro che volevano farmi del male, quel giorno all'incontro clandestino di boxe. Uno dopo l'altro, come uno strano domino, i ricordi tornarono e mi sovvenne anche quel bacio rubato, che avevo erroneamente collegato con il disorientamento dovuto al dolore dopo che, per difendere me, era stato pestato a sangue da un gruppo di ragazzini. Tutti i pezzi stavano lentamente andando al loro posto, tranne uno. Io amavo Arséne e lui amava me e tra di noi non ci sarebbe stato spazio per lui. Era dunque per questo che desiderava interrompere la nostra amicizia? Aveva paura di dover soffrire vedendoci insieme e felici? Eppure, ero davvero convinta di ciò? Ero davvero innamorata di Arséne? Più volte mi ero sentita in conflitto, separata dai sentimenti che provavo per entrambi i miei amici perché, me ne rendevo conto in quel momento, anche ciò che provavo per Sherlock poteva essere definito amore. Più volte mi ero trovata vicina a Sherlock e lui era stato capace di scaldarmi il cuore ma, forse per paura, avevo accantonato quei sentimenti che sembravano essere più reali, e per questo più spaventosi, di quelli che poteva provare Arséne per me. Forse ero ancorata ad un sogno che era più rassicurante della realtà.

Restammo in silenzio qualche minuto, ma alla fine fui proprio io a rompere il ghiaccio.

“Sherlock … mi dispiace, ma ...”

Lasciai la frase in sospeso e mi rivolsi ad Arséne, sperando che mi aiutasse a completare la frase, dicendo che ci amavamo, ma lui mi rispose con uno sguardo smarrito.

“Ma … cosa?” domandò.

Aggrottò le sopracciglia per un istante, poi sembrò capire perché le rialzò e mi sorrise.

“Irene … credo che tu abbia frainteso ...” si portò una mano dietro la nuca, imbarazzato “Io non sono innamorato di te. Mi piace fare il galante, ma lo faccio con tutte! Ovviamente tu sei speciale!” si affrettò a dire, temendo una mia scenata di gelosia “ … ma sei una buona amica, la mia migliore amica, ma … niente di più.”

Quelle parole parole mi raggelarono. Mi ero dunque sbagliata? Cos'erano tutti quei baci? Quegli sguardi intimi? Illusioni? Ancora una volta fu Arséne a parlare.

“Mi dispiace, ma se c'è qualcuno che è innamorato qui ...” si rivolse a Sherlock e gli diede una gomitata “Avanti! Sarai anche il più intelligente ma in quanto a coraggio in certe situazioni mi sembri un po' scarso!” scoppiò a ridere e posò una mano sulle spalle di entrambi.

“Vi lascio soli, devo andare ad aiutare mio padre per il viaggio, però vorrei vedervi domani mattina prima di partire!”

Ci fece l'occhiolino e, prima che potessimo dire alcunché, scappò via.

Ora toccava a noi, eravamo soli, imbarazzati e spaventati. Stavo per parlare, ma stavolta fu Sherlock a esprimersi, finalmente libero dalle sue paure. Il suo sguardo era limpido e sembrava che, nonostante sapesse che forse sarebbe stato rifiutato, non gli importasse. L'unica cosa che voleva era essere totalmente sincero con me.

“Ti ho regalato io la catenina, entrambe le volte” iniziò, facendomi ricordare quando avevo iniziato a farmi domande sul mio rapporto con loro “Quando vedo come guardi Arséne, lo ammetto, divento triste perché sono geloso, so che non mi guarderai mai così e ciò mi rende triste perché ho paura che ...”

Lo interruppi. Ero stanca di tutte quelle paure e ciò che volevo era solo essere felice. Lo interruppi nel solo modo che ritenni opportuno per poterlo zittire e per sradicare, una volta per tutte, le sue paure.

Lo baciai.

Ero stata baciata tante volte da Arséne, una sola da lui, ma era la prima volta che io baciavo qualcuno, e quel qualcuno era proprio Sherlock.

Fu un bacio casto, molto dolce, ma anche profondo. Lo sentii rilassarsi pian piano e sorridere sotto le mie labbra. Solo allora, quando fui certa che avesse recepito il messaggio, mi azzardai a parlare.

“Lo ammetto, credevo di essere innamorata di Arséne e credevo che lui fosse innamorato di me. Tu sei sempre stato molto più riservato e timido di lui e forse è per questo che fino a questo momento non ho capito ciò che provo per te. Io ...”

“Io ti amo, Irene ...” mi interruppe lui “ … ma non credevo che tu ...”

“Ti amo anch'io, Sherlock ...” mormorai, e lo abbracciai stretto “Sei il mio migliore amico e ti amo e Arséne è il mio migliore amico e gli voglio tanto bene.”

Scoppiai a ridere, sembrava impossibile ma, dopo la tempesta, era arrivato il più bello degli arcobaleni a illuminare il cielo. Pensai ad Arséne e al suo sorriso quando ci aveva salutati. Lui era felice del nostro amore così come noi lo eravamo della sua amicizia.

Riaccompagnai Sherlock a casa o, meglio, fu lui ad accompagnare me.

Durate il tragitto parlammo molto, lui mi confessò molte cose che non mi aveva mai rivelato, mormorii che fino a quel momento erano rimasti solo nella sua testa. Si liberò di molti pesi e anch'io mi sentii più leggera.

La mia vita aveva preso una svolta inaspettata, ma ero felice. Avevo un amico e un fidanzato e tutti e tre eravamo finalmente riusciti a trovare quell'armonia che stava per sfuggirci di mano.

Lo lasciai con un bacio a fior di labbra e un sorriso, certa che il futuro ci avrebbe riserbato sempre nuove avventure da vivere insieme.

 

 

FINE!

 

 

Stavolta per davvero! Grazie per aver letto fino a qui. Un abbraccio

MINI

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2746651