All of me.

di xmaryf
(/viewuser.php?uid=656705)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Feelings. ***
Capitolo 2: *** San Diego. ***
Capitolo 3: *** Happiness. ***
Capitolo 4: *** My life wold suck without you. ***
Capitolo 5: *** Run right into you. ***
Capitolo 6: *** Fire Breather. ***
Capitolo 7: *** Fear. ***



Capitolo 1
*** Feelings. ***


All of me.
POV COLIN.

Mi alzo, oggi è un nuovo giorno, un giorno diverso. Dovrei essere felice, eppure c'è qualcosa che non va. Penso che domani saremo a San Diego, e lei sarà accanto a me ogni istante.
Ovviamente ci vediamo ogni giorno per le riprese, la vado a prendere e la porto a casa io, ogni giorno. Il tragitto è estenuante... vorrei dire tante cose, ma non riesco.
Penso a Helen, e Evan. Non posso farle questo.
Eppure non riesco a starle lontano, è più forte di me, diamine Jen perché sei così?
Quegli occhi che mi rapiscono, mi guardano l’anima, mi scrutano. Quelle labbra caste. Quei capelli biondi con dei fili marroni che hanno il profumo più bello del mondo, di lavanda suppongo.
Ringrazio il cielo che Hook mi renda le cose facili. E’ più facile dirti quello che sento sotto mentite spoglie.
E continuo a pensare a domani, a come sarà vederla bella, libera, e spensierata fuori dal set. Lo aspetto come se fosse il mio ultimo giorno in vita e dovessi viverlo al meglio.
Meglio cambiarmi, passare da un bar, prendere due muffin, un caffè e un cappuccino come piace a lei e poi passare da casa sua e vedere se è pronta per andare a lavoro.
[…]
Arrivo a casa sua alle 6.30 del mattino. Busso e mi apre, dio sembra un angelo sceso dal cielo, i capelli biondi arruffati, gli occhi lucidi di chi si è appena svegliato, ed un sorriso che sa di buono.
“Buongiorno” ecco quel sorriso smagliante.
“Buongiorno Jen, ecco il cappuccino” sorrido timidamente.
“Poggialo sul tavolo, vado a vestirmi”
“Okay, ti aspetto qui.”
Poggio i muffin, il caffè ed il cappuccino sul tavolo e vado a sedermi, aspettando che lei si vesta.
Quella camicia da notte che arrivava a metà coscia le lasciava intravedere le gambe.
Lei non è il tipo di ragazza che lascia intravedere facilmente le sue gambe, dice che sono troppo lunghe e brutte.
Come al solito non siamo mai d’accordo.

[…]

Arriva, dopo 10 minuti d’attesa. I capelli ancora arruffati che sta cercando di trattenere in una coda mentre io rido perché non ci riesce neanche, un paio di jeans neri molto stretti che definiscono i fianchi e le gambe, una camicia nera con collo bianco, e una giacca nera molto semplice.
E’ davvero bella. Dopo circa 5 minuti ad imprecare ha deciso di lasciar stare i capelli, mettere su un cappello e di lasciarli ricadere sulle spalle.

“Sei pronta?” guardandola con un’occhiata alla Hook.
“Sì Colin, sono pronta, basta fare quegli sguardi alla Hook’’
‘’Eddai, fa parte di me’’
‘’Ma se non gli assomigli per niente’’
‘’Sssh, abbiamo gli stessi occhi o sbaglio?’’
‘’Sì, ma almeno tu hai due mani!’’
“Touché”
Ci incamminiamo, scendendo nel parcheggio, entriamo in macchina senza dire una parola, 20 minuti di viaggio senza dir nulla. Solo sorrisi e sguardi.
A volte penso di sembrare un adolescente in preda ad una cotta.
Poi ricordo di avere 33 anni, una moglie ed un figlio. E tutta la spensieratezza scivola via.

Neanche il tempo di arrivare sul set, ed arriva Josh ed inizia a stuzzicarci con le solite domande.
“Allora, com’è che tu e Jen venite sempre assieme?”
“La strada è la stessa, la mattina passo a prenderla e veniamo qui. Nulla di più, nulla di meno.”
“Mmmh, sarà. Pronto per domani?”
“Sì” – mento – in realtà non sono affatto pronto. Le luci, le telecamere, tutte quelle domande. Io e lei più vicini del solito, questo mi fa quasi male.
Passa la giornata tranquillamente, come al solito. Tante scene CaptainSwan, finiamo sempre per appartarci nel mio o nel suo camerino da soli, in modo che nessuno venga a disturbare. Parliamo, ripassiamo le battute, e  giochiamo come due ragazzini.

Abbiamo appena finito di girare, sono le 5 del pomeriggio quando Adam ed Edward ci avvisano che abbiamo 2 ore per prepararci per partire.

“Alle sette tutti qui.” esclama Edward eccitato.
Adam controbatte “Alle sette è presto, facciamo alle sette e trenta!”
“Va bene, allora sette e trenta tutti qui” continua Edward “Ah, J e Colin, puntuali mi raccomando”
“Okay” esclamiamo in coro senza neanche accorgercene.
Saliamo in macchina senza proferire parola.
Sono nervoso, ansioso. Fa parte di me, ma in questo momento lo sono più del solito.
Non parliamo per tutto il viaggio, ci guardiamo a volte. Sguardi veloci, sorrisi sfuggenti.  
Arriviamo davanti al suo appartamento, non posso non parlarle, devo fare qualcosa…ma cosa?
“Ehi Jen”
“Sì Colin dimmi”
“Ecco ehm..io..”
“Sì?”
Posso dirle quello che sento? NO! Non posso, non devo, domani saremo a San Diego per “lavoro” e poi torneremo e dovremo lavorare sul serio. Hook e Emma stanno insieme adesso, questo vale a dire che ci saranno molte scene con lei. Non posso rovinare tutto adesso.
“Ehm..Colin..Uuuh, ci sei?”
“Ahh, ehm sì, nulla volevo dirti di non perdere molto tempo”
“Sì certo! A dopo”
“Ciao..”

Torno a casa, mi sfilo i vestiti e mi vado sotto la doccia. Ci sto una buona mezz’ora, come se la doccia servisse per scrollare via tutti i pensieri e le preoccupazioni per domani.
Esco, guardo il cellulare e trovo 7 chiamate perse da Jen.
Ma che diamine succede?
La chiamo.. uno, due, cinque squilli. Nessuna risposta.
Prendo il completo per il panel, un paio di jeans, una maglietta, 2 paia di boxer, lo spazzolino e li metto in valigia. Prendo le chiavi della macchina e con fretta e furia parto, in 5 minuti arrivo a casa sua.
Busso due, tre volte. Nessuna risposta.
Decido di usare le chiavi che mi ha dato in caso di emergenza. E’ un’emergenza no?
Apro, do un’occhiata alla cucina e al salotto, non la trovo.
Vado quasi in panico.
Allora decido – a mio rischio e pericolo – di andare nella sua stanza, apro la porta di fretta, e la trovo lì.
Con i capelli bagnati, vestita solo con un asciugamano che lascia poco all’immaginazione. Sta preparando la valigia.
Ci guardiamo per pochi secondi.
“Diamine Colin che spavento, esci subito!”
“Okay.. scusa mi dispiace.”
“Mi spieghi come hai fatto ad entrare?”
“Sai, le chiavi di riserva”
“Hai usato le chiavi di riserva? Ma come ti è venuto in mente? Ma poi perché?”
“Diamine Jen, 7 chiamate perse, stavo fuori di me. Ero preoccupato..”
“Ohw.”
Si calma, e viene ad abbracciarmi. L’abbraccio più bello dell’universo. Sa di buono.
Lei stessa ha un buon profumo. Lavanda, se ben ricordo.
Ricambio l’abbraccio e la stringo a me.
Questo momento sembra infinito.
Lei si stacca un po’ bruscamente e mi guarda.
I miei occhi fissi nei suoi.
Verde e azzurro che si incrociano e si completano.

“Allora..” dice “la valigia è pronta.” La fisso incantato. “Quindi adesso…’’
“Adesso?” dico senza capire.
“Adesso dovresti girarti o uscire, dato che dovrei vestirmi”
“Oh, okay adesso mi giro.”
Mi giro, non ricordandomi che di fronte a me c’è un grande specchio.
Non lo ricordo neanche a lei. Sorrido timidamente, inconsapevole di farlo. E’ lo specchio che me lo fa notare.
Intravedo le sue curve perfettamente, la pelle chiara, morbida, e i capelli biondi mischiati al suo castano naturale che le ricadono sulle spalle. Il corpo perfetto.
Finisce di mettere il reggiseno, mi tira per un braccio “So che stavi guardando, esci!” dice ridendo.
Quei sorrisi che sanno di quotidianità.
Alzo le mani in segno di resa “Okay, okay beccato! Sto uscendo”  
Dopo 5 minuti esce, mi fissa con lo sguardo “hai visto troppo, adesso dovrò ucciderti”
Scoppiamo a ridere.
Prende le sue cose, usciamo tranquillamente e ci avviamo verso l’auto.
Durante il tragitto parliamo delle riprese della mattinata, mi chiede di Helen e Evan.
Non so cosa dire quindi cambio subito discorso.
Sono le 7.20 pm quando arriviamo sul set.

Edward e Adam ci applaudono scherzando “Oh mio dio, è un anno e mezzo che andate e venite insieme ogni mattina e sera, è la prima volta che arrivate in anticipo!”
Jen mi guarda e scoppia a ridere. Una fragorosa risata. E io rido insieme a lei.
Mi sento come se fossimo in una bolla. Solo io e lei.
Ma poi si torna alla realtà.

“Forza andiamo! L’areo parte alle 8.45 pm”
Tempo 30 minuti e siamo all’aeroporto.
Aspettiamo più o meno 20 minuti e chiamano il nostro volo per l’imbarco.
Quando c’imbarchiamo veniamo a conoscenza dei posti di volo.
Lana vicino a Josh. Io vicino a Jen.
Quattro ore di volo costantemente vicini. Non so se sia una cosa bella o una cosa brutta.
L’aereo parte, e dopo circa un’ora Jen comincia con le solite lamentele. Si lamenta sempre in questi casi…
“Colin ho sonno, secondo te ce la faccio a dormire per un’ora circa?”
“Sì, penso di sì.”
“Allora svegliami tra un’ora. Mi raccomando.”
E la vedo appoggiarsi allo schienale rannicchiata come una bambina.

Dorme, sembra un angelo. E con questi pensieri mi addormento anche io. Sognandola, o magari sognando quello che succederà a San Diego.  

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** San Diego. ***


San Diego.

POV COLIN.


Josh ci sveglia urlando “Siamo arrivati a San Diego piccioncini!” dopo due ore e mezza di sonno,  e quattro ore di viaggio accanto a lei, ma c’è qualcosa di strano. Piccioncini? Ma che vuol dire?  
Mi guardo intorno sbattendo velocemente le palpebre abituandomi alla luce che arriva da sopra i nostri posti. Lei non è più rannicchiata al suo posto come una bambina ed io non sono quasi sdraiato come quando ci siamo addormentati. Non capisco.
Poi guardo meglio.
Ha la testa appoggiata sul mio petto, ed io ho appoggiato la mia fronte ai suoi capelli. Strana posizione.
Le bacio i capelli per svegliarla e lei sussulta. Si guarda intorno e sgrana gli occhi.
“Scusa Colin, non volevo” mi dice, abbastanza intimorita.
“Tranquilla, tesoro” esclamo senza pensarci. Poi sgrano gli occhi accorgendomi di quello che ho appena detto e tento di spostarmi. Troppo bruscamente, forse. La vedo restarci un po’ male, ma cambia subito espressione. Un sorriso timido, come se si vergognasse.

Scendiamo e ci rechiamo in albergo. Pensavo ci dessero le stanze separate, dato che le dovremmo occupare solo per due notti, ma a quanto pare non è così. O almeno non per tutti…
Lana ha una stanza da sola. Josh anche. Ma io e Jennifer siamo nella stessa stanza, ironia della sorte. Colpa di Josh. Il proprietario aveva detto che c’erano solo 3 camere disponibili, di cui una con due letti. Josh mettendosi in mezzo, si è messo a scherzare “Tu e Jen siete sempre insieme, andateci voi nella stanza doppia.” Lo sta facendo apposta, me lo sento. Maledetto.
Jen acconsente senza replicare.
Appena entra nella stanza, saltella indicandomi il letto vicino alla finestra.
“Voglio quello.” dice eccitata.
“Oh, no cara Jennifer, quello è mio. Mi dispiace.” le dico per farla infuriare. E’ buffa quando si arrabbia.
“NO! Dai dai, quello è mio, lo voglio io ti prego.” fa il broncio, e fa la finta offesa per averla sfidata.
E così accetto, non intendo farla infuriare ancora di più o mi butterebbe davvero da quella finestra che tanto adora.
“Va bene, per stavolta”
“Oh che bello” urla, sorridendo a trentadue denti. E mi salta al collo abbracciandomi.
A volte sembra una ragazzina.
[…]

Dovrei fare una doccia per rilassarmi ma non credo di farcela con lei in stanza, è una cosa strana.
Però decido di provarci comunque, almeno per scrollarmi il malessere di dosso.

Non mi rendo conto del tempo che ho passato in doccia, credo sia passata un’ora, ma non ne sono proprio sicuro.
Esco dal bagno in fretta e furia ma mi blocco sulla porta quando la vedo indaffarata a cercare qualcosa da mettere per andare a dormire.
Non ha la più pallida idea che io sia dietro di lei ad osservarla attentamente, mi sento un po’ a disagio a dire il vero, ma non so dire il perché.
Di scatto si gira, mi sorride a malapena.
“Hai finito, finalmente” mi dice un po’ bruscamente. Sembra arrabbiata.
“Sì, scusa se ho perso tempo”
“Fa nulla. Adesso spostati o ti butto giù dalla finestra” mi dice ridendo.
Non so che dire e rido.
In un attimo ci blocchiamo, ci osserviamo, come un predatore osserva una preda. Strana metafora.
Io sono ancora con l’asciugamano ai fianchi.
“Vai a fare quello che devi fare in bagno, così posso vestirmi” le dico distrattamente, rompendo il silenzio.
“Sì...ehm, certo” continua a scrutarmi, sorride a malapena, arrossisce e si chiude in bagno. Non comprendo molto bene quello che sta succedendo, c’è un’atmosfera strana in questa stanza. Anzi no, c’è un’atmosfera strana intorno a noi, tra me e lei, c’è tensione.
Cerco di non farci caso e corro a vestirmi mentre lei fa una doccia.
 
POV JEN.

Quell’atmosfera, quella sensazione che ho sentito mentre ci guardavamo. Non capisco cosa stia succedendo.

Faccio la doccia e intanto rifletto, penso e ripenso a quello che sta succedendo senza darmi pace.
Dio, quanto lo odio quando mi guarda nel modo in cui mi guardava prima.
Mi rende vulnerabile. Ed io non voglio essere vulnerabile, sennò potrei farmi sopraffare dalle emozioni.
Esco dalla doccia, cercando gli abiti da mettere. Non li trovo.
Eppure ricordo di averli portati. Maledetto Colin, mi distrae!
Esco dal bagno, coperta dall’asciugamano, e lo ritrovo steso sul MIO letto in boxer, sta con il cellulare in mano.
Faccio finta di nulla perché so che vuole farmi un dispetto, prendo i miei vestiti e me ne ritorno in bagno, mi vesto ed esco di nuovo.
Stavolta lo ritrovo nel suo letto intento a fissarmi. Sì è vestito, Indossa una t-shirt bianca e dei jeans.
Mi scruta, sta attento ad ogni mia mossa.
“Che dici, mangiamo?” mi dice.
In realtà non ho fame, ma ci rinuncio “Sì dai, ho voglia di qualcosa dei fast food” dico senza farci neanche caso.
“E dove potrei prenderti qualcosa di un fast food a quest’ora della notte?” mi dice con uno sguardo accigliato.
“Oh, questo è un problema tuo, CARO COLIN.” gli dico per farlo arrabbiare.
Ma invece mi sorride, strano, di solito mi risponderebbe in men che non si dica.

Esce, e torna dopo mezz’ora con due buste del McDonald’s.
Passiamo la serata a mangiare sul mio letto, parlando, giocando.
Appena finiamo di mangiare inizia a farmi il solletico, senza alcun motivo, è estenuante.
All’improvviso, non so come ci ritroviamo l’uno sopra l’altra. Mi rende tremendamente vulnerabile, e mi da fastidio perché nessuno mi ha mai fatto l’effetto che mi fa lui.
Ci fissiamo. I suoi occhi sono come due pozze d’acqua cristallina. Non riesco a muovermi, sembro incatenata.
Sta tentando di avvicinarsi, lo vedo, ed è troppo vicino. Ma si sposta, adesso siamo guancia contro guancia, non riesco a levargli gli occhi di dosso. Ma è sbagliato, tutto questo non dovrebbe succedere. Tento di scostami e stranamente ci riesco.
“Che cosa stavi per fare?” gli dico, con un tono un po’ tra lo sconvolto e il sorpreso. Non saprei come definirlo esattamente.
“Io…nulla, non volevo. Mi dispiace.” Lo sguardo basso, si tormenta le mani come se fosse nervoso.
Poi alza il viso e mi osserva. Mi guarda come se stesse scrutando la mia anima.
“Lo volevi anche tu..” continua.
“No, non lo vorrei mai.” – mento – sì, forse lo vorrei, ma non è giusto, non è corretto. Ha una moglie, un figlio. Non posso, non devo.
Sorride. Un sorriso che sa di tristezza.
“Beh, allora andiamo a dormire.” dice, senza nessuna espressione in volto.
“Sì..buonanotte Colin.” un sorriso sfuggente e timido mi scappa, senza volere.
Maledetta me.

[…]

Mi sveglio di soprassalto, ma dalla finestra vedo che è ancora buio, guardo la sveglia e vedo che sono le 3 del mattino.
Mi giro, mi rigiro, ma non riesco a riaddormentarmi. Non dopo ieri sera.
Mi giro verso il suo letto, senza farci caso. E lo vedo, lo osservo.
Dorme profondamente, sembra un bambino. Ha un’espressione dolce e serena in volto.
Mi riaddormento guardandolo, mi trasmette tranquillità.

Mi sveglio di nuovo di soprassalto, e stavolta non è colpa mia ma di Colin che fa rumore con le valige.
“Ben svegliata dormigliona.” Sorrido. Vedo un filo di quotidianità in tutto questo.
“Ciao.. che ore sono?”
“Le 8.30!”
“Cosa?! Perché non mi hai svegliata?” grido. E gli tiro il mio cuscino.
“Ahi!” subisce il colpo senza spostarsi “Dormivi così bene, sembravi serena” dice sorridendo a malapena.
“Ohw.” Arrossisco senza volere. Ma me ne accorgo sentendo il sangue defluire alle guance.
“Alle 9 dobbiamo essere pronti, tra 10 minuti arrivano a truccarti, quindi se devi darti una lavata fai in fretta”
“Sì, certo..” dico. E mi avvio verso il bagno.

Mi truccano, mi pettinano, e mi vestono. Indosso un vestito rosso, con una gonna a ruota che arriva fino al ginocchio, davvero bello. Molto vintage.
Esco dal bagno e me lo ritrovo di fronte, vestito di tutto punto. Indossa una camicia azzurra un po’ sbottonata che lascia intravedere i peli sul petto, una giacca blu, e dei pantaloni molto scuri di cui non riesco a distinguere il colore che gli cadono sui fianchi in modo meraviglioso.
Meraviglioso? MERAVIGLIOSO?! J MA A CHE DIAVOLO PENSI?!
“Sei davvero…stai davvero bene con questo vestito” dice sorridendo.
“Ti ringrazio” dico, senza lasciar trasparire nessuna emozione, credo. “anche tu stai molto bene, comunque” continuo. Accenna un sorriso ma nulla di più.

Usciamo dall’albergo per andare nel luogo in cui si terrà il Comic Con.

La giornata passa tranquillamente, mi sento davvero felice. Rido, rido, rido senza saperne il motivo.

Il panel credo sia stata la cosa più divertente. Colin è andato fuori di testa quando hanno parlato di anime gemelle e hanno chiesto chi fosse l’anima gemella di Emma. Ha cominciato ad incitare il pubblico e ad indicarsi, sembrava una 15enne fuori di testa.
Adesso stiamo facendo delle interviste insieme, ed è divertente, mi sento libera. Non credo di aver mai avuto tanta complicità con lui come adesso. Nonostante quello che è successo ieri sera.
La tensione se n’è andata.
Non credo di aver mai riso così tanto in vita mia.
A volte mentre parla mi blocco, ad osservarlo.
Lui è sempre molto riservato e timido, ma adesso sembra una persona diversa. E mi piace.

Tra un po’ faremo l’intervista per TVLine e non so perché ma sono tesa.
Ma cerco di godermi questi momenti.
[…]

Adesso siamo con Michael Ausiello per l’intervista per TVLine sulla prossima stagione.

Finora abbiamo parlato Emma e Hook, soprattutto della loro “passione”. Di quello che hanno, di quello che provano l’uno per l’altro.
E anche della chimica che abbiamo io e Colin.
E’ stato strano. E non lo penso solo io.
Credo che Josh si sia insospettito. Scherzando ha chiesto se ci fosse qualcosa in più di una semplice amicizia tra me e Colin.
L’unica cosa che ho saputo fare in quel momento è stata ridere, senza guardarlo negli occhi. Perché so che questa domanda è difficile da sentire sia per me che per lui.
Lana è intervenuta dicendo ‘’E’ complicato” credo si riferisca a Hook e Emma. Ma non ne sono poi così sicura.
“Molto complicato” ho detto ridendo, senza neanche pensarci.
“E’ una relazione complicata” ha continuato Lana.
Credo che anche lei abbia capito qualcosa.

Mi sento tesa, felice, e divertita allo stesso tempo. Lui ha continua a stare in silenzio. Non lo guardo, perciò non vedo cosa sta facendo.
Spero che durante questi quattro minuti rimanenti non ci siano altre domande simili.

[…]

Dopo la lunga giornata siamo tornati in albergo finalmente.
Sono stanca, sento che le gambe stanno per cedere.
Mi butto sul letto, sciolgo i capelli e levo quelle scarpe infernali che ho dovuto sopportare per tutto il giorno.

Mi volto a pancia in giù, chiudo gli occhi e cerco di far riposare la mente.
Dobbiamo parlare” dice. Il cuore perde un battito.
“Di cosa?” chiedo un po’ sorpresa. O forse perplessa. In ansia direi. Perché so di cosa vuole parlare. E non possiamo parlarne adesso, non voglio.
“Di ieri sera, di Josh, di come ci guardavamo. Di tutto.” Dice tranquillamente.
“Non credo che ci sia qualcosa da dire” dico freddamente. – mentendo.
“Sì che c’è qualcosa da dire, diamine Jen ma non te ne accorgi? Ieri lo volevi anche tu. E non dire che non è vero. Vedevo come mi guardavi. Sentivo la tensione che c’era tra di noi. Non ho mai guardato nessuno così e non ho mai provato nulla del genere per qualcuno. Anche Josh si è accorto che c’è qualcosa tra me e te. Qualcosa in più di una semplice amicizia. E non è chimica, non è intesa. E’ qualcosa di diverso.”
Passione” rispondo, senza neanche rendermene conto.
“Sì, probabilmente.” Dice “fatto sta che io non posso sopportare tutto questo, è troppo, non riesco a non guardarti. Mi incanti. Quando oggi ridevi… dio, era la cosa più bella del mondo.”
“No, non farlo” dico.
“Non fare cosa?” risponde con un tono seccato.
“Non fare questo. Non parlarmi come se fossi al centro di tutto. Come se non potessi fare a meno di parlarmi, di ascoltarmi, di starmi vicino. Non deve essere così.”
“Perché? Perché ti è così difficile capire che tra di noi c’è qualcosa?”
“Perché tu hai una moglie, un figlio. E mi rendi vulnerabile, come mai nessuno ha fatto. Mi lascio sopraffare dalle emozioni e dai sentimenti. E non va bene.” gli dico, trattenendo a stento le lacrime in gola. Cerco di restare calma. Non voglio dargliela vinta. Non voglio fargli capire cosa sento adesso.
Si avvicina, mi circonda il viso con le sue mani
“Lasciati andare” mi dice.
E – un po’ titubante – mi lascio andare. Non potevo andare oltre. Ha buttato giù la mia barriera.
Lo abbraccio. Mi stringo a lui. Mi appiglio a lui, come se fosse la mia ancora di salvezza.
E stiamo così per tanto tempo.
Mi accarezza i capelli e mi bacia una tempia.
“Dai su, scendi giù a prendere qualcosa e poi andiamo a letto.” dico, rompendo il silenzio.
“Andiamo?” dice con tono sorpreso, ridendo.
“Sì, ma non per quello che pensi tu” gli rispondo ridacchiando.
“Ah sì? Va bene, come dici tu. ” sorride, mi bacia i capelli e mi fa un occhiolino. Sembra felice.
Si mette le scarpe e scende giù a prendere qualcosa. Sale su dopo trenta minuti con una borsa di un ristorante cinese.
Mangiamo sul mio letto.
“Uniamo i letti?” mi dice.
“Uhm dovrei pensarci…terrai le mani a posto?” gli dico ridendo, anche se so che terrebbe davvero le mani a posto. Lo conosco troppo bene ormai.
“Oh, certo mia signora” dice con un tono alla Hook.
Io non replico. Lo aiuto ad unire i letti.
Ci accoccoliamo vicini, lui mi abbraccia. Non riesco a dormire, sono felice ma mi sento un po’ impaurita, e non riesco a prendere sonno così continuo ad osservarlo.
Il suo volto si rilassa.
“Colin..”
“Mmmh..?” dice con un tono rilassato ma stanco.
“Grazie..” sorrido.
“Per..?” apre gli occhi e mi guarda sorpreso, non capisce.
“Non lo so, forse per tutto. Ma grazie.” Lo guardo negli occhi mentre pronuncio queste parole.
“Mmmh.. sssh, adesso dormi.”
“Buonanotte.”
“Buonanotte Jen”
E ci addormentiamo così.


*Note dell'autrice.
Salve ragazze/i. :)
Intanto ringrazio dal profondo del cuore le ragazze hanno aggiunto la mia storia tra le seguite, e chi ha recensito.
E sopratutto ringrazio WickedSwan che mi ha spinto ad iniziare a scrivere.
E HitGirl90 e Dakota Deveraux perché mi hanno spinta a pubblicare la storia quando non ne ero sicura.
Grazie di cuore.
Che dire riguardo alla storia? Tra Colin e Jennifer c'è davvero tanta tensione emotiva. Ma adesso lei è riuscita a lasciarsi andare. 
Non sono passata subito ai fatti salienti perché sto cercando di andare un po' con calma, anche se forse non sembra. Ammetto di aver stravolto un po' le cose.
Ma non vedevo l'ora di mostrare il punto di vista di Jen in tutto questo.
So che è strano che entrambi i capitoli finiscano con loro due che si addormentano ahahah, ma per adesso sto descivendo il giorno prima e durante il comic-con quindi non sapevo come concludere.
Sono troppo inesperta xD

PS: vi avviso che non so quando aggiornerò, a causa di problemi familiari. L'avevo detto in una delle recensioni del primo capitolo. ma per fortuna per adesso ci son riuscita. In ogni caso spero di poter aggiornare regolarmente la settimana prossima. Se non ci riuscissi mi scuso anticipatamente:)

Ciao:*

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Happiness. ***


Happines.

POV JEN.

Siamo tornati a Vancouver da quasi tre settimane.
Tutto sta tornando alla normalità, io e Colin non abbiamo parlato di quello che è successo a San Diego. Non perché io non abbia voglia parlarne, bensì perché non so se vuole parlarne lui, anche perché non è una cosa così importante.
Credo.
La relazione tra Killian e Emma sta andando a gonfie vele, si amano.
Non credo possa andar meglio di così, anche se mi sento vuota.
Completamente vuota.
Quando siamo tornati da San Diego ero felice, ma si sa “quello che accade San Diego resta a San Diego”

Josh e Ginny stanno girando una scena con il piccolo Neal, io sto seduta nella mia sedia a guardare le riprese. Adoro guardare le altre scene quando mi è possibile, mi rilasso.
Mentre mi rilasso inevitabilmente penso a lui, lo cerco con lo sguardo ma non lo trovo.
Di solito anche a lui piace star a guardare le altre riprese, dato che da quando è diventato regular è presente nella maggior parte delle scene.
Corro a cercarlo nel suo camerino. Provo ad aprire ma è chiuso a chiave, strano.
Decido di bussare, ho bisogno di vederlo anche solo per un secondo. Un po’ mi manca, ci siamo allontanati dopo quello che è successo 3 settimane fa.
“Colin, sei lì dentro?”
“Emh..chi è?” mi dice. Come fa a non riconoscermi?
“Jen..uhm…sono jen!” gli dico. Ma non risponde più. Quindi decido di continuare a parlargli, non mi interessa se non vuole parlarmi. Il sentirmi vuota, completamente vuota mi lacera dentro, quindi ho bisogno di parlargli perché so che è colpa sua se mi sento così.
“Volevo solo parlare di quello che è successo a San Diego.”
Sento la chiave muoversi, e apre.
“Non c’è nulla di cui parlare, sai come stanno le cose quindi è meglio lasciar perdere. Siamo solo due colleghi che interpretano due innamorati. Fine, nulla di più.” Dice con tono tra il severo e l’insicuro. Più il secondo.
Rimango basita nel sentire ciò che dice, non pensavo ne fosse capace. Ci conosciamo da due anni, ma forse non lo conosco per nulla.
“Va bene.” Dico con un filo di voce, e me ne vado rassegnata.
Non ho bisogno di lui, non ho bisogno di nessuno.
Adesso però mi sento ancora più vuota. Lo odio. O forse no.
Provo qualcosa per lui, qualcosa di strano, diverso, impossibile da definire. E mi sento in colpa, tanto in colpa. Ma mi rende felice.
Torno nel set e mi siedo di nuovo cercando di rilassarmi e lo vedo arrivare di corsa, mi osserva dall’alto in basso.
“Comunque scusa per prima..” dice.
“Capita” sorrido forzatamente e me ne vado.
Voglio che ci rimanga male, non deve soffrire. Ma deve imparare la lezione.
Mi sono accorta solo ora che mi ha seguita per tutto il corridoio fino al mio camerino.
Entro e gli chiudo la porta in faccia.
“Parlami Jennifer.” Me lo sta imponendo? Ma come si permette? “Parlami, ti prego.” Dice con tono lievemente esasperato. “Senti, quello che ho detto prima non era vero. Noi non siamo solo dei colleghi, siamo amici, ma siamo anche qualcosa di più. Qualcosa di magnifico ma strano da definire” Sto appoggiata alla porta, mi mangio le unghie non sapendo cos’altro fare.
Non voglio farlo entrare. Ma ho bisogno di sentirlo parlare con me, faccia a faccia. Senza ascoltarlo da dietro una porta.
Ultimamente è diventato un piacere sentirgli dire anche “Ciao”
Questo è tutto sbagliato.
Tutto.
Ma lo lascio entrare.
Chiudo la porta e mi giro di scatto verso di lui, lo vedo, sembra quasi disperato. Come se avesse perso qualcosa di importante. Pensa di avermi persa.
Ma non è successo e non succederà adesso. Non lo permetterò.
Così mi muovo di scatto e lo abbraccio, più forte che posso. E’ l’unica cosa che riesco a fare in questo momento.
Lo abbraccio come se fosse l’ultima volta.
Lo stringo a me, e lui ricambia l’abbraccio. Sembra sia una gara a chi abbraccia più forte, o a chi non ha intenzione di mollare.
Ma io non mollo, non con lui. Ma mi scosto con cautela per poterlo guardare in viso.
Vorrei che non fosse impossibile. Vorrei che ci fosse una possibilità per noi. Quel noi che non c’è mai stato, ma adesso, in questo momento, c’è.
Lo vedo avvicinarsi a me ma si blocca come se chiedesse il consenso.
Esito, ma poi impercettibilmente faccio sì con la testa. E si avvicina, i nostri nasi si incrociano.
Ma improvvisamente qualcuno bussa alla porta. E’ Edward.
“Allora ragazzi, siete pronti per le scene di Hook e Emma da Granny’s e per quelle dopo?”
“Sì certo, stavamo giusto provando.” sbotta lui.
Non ho intenzione di replicare.
Edward esce, e Colin si distacca bruscamente come se non fosse successo nulla. Forse è meglio così.
Ma mi guarda. Ed il suo sguardo mi intimorisce un po’.
“Andiamo?” gli dico in modo calmo, per smorzare la tensione.
Non risponde, sia avvia ad aprirmi la porta e mi fa un gesto che indica che dovrei uscire.
Gli sorrido a malapena e mi avvio. Dopo aver camminato per poco lo sento vicino. Fin troppo.
“Dopo riprendiamo il discorso” mi dice.
E mi irrigidisco. Vorrei parlare di San Diego, ma il tono in cui mi ha detto quella frase mi spaventa.

[…]

Siamo fuori dal bar di Granny. Emma è arrabbiata, e non ho capito il perché. Sono confusa. Le battute mi escono fuori che io me ne accorga.
Corro per allontanarmi da lui. Emma sta facendo quello che avrei voluto fare io poco fa con Colin.
Solo che il mio personaggio ha sempre più coraggio e determinazione di me in ogni cosa.
“Emma, dolcezza” sento Colin dietro di me.
Credo che Hook l’abbia combinata grossa stavolta.
Colin riesce a bloccarmi tenendomi per il polso. Tenta di farmi girare e ci riesce.
“Fidati di me”
Adesso non mi sembra che sia Hook a parlare con Emma ma Colin che tenta di parlare con me.
Mi allontano, non perché io voglia farlo ma perché Emma deve.

Colin – o meglio Hook – mi segue – segue Emma.

Riesce a fermarmi, non riesco neanche ad ascoltare quello che mi dice, ho la mente completamente offuscata. E’ una fortuna che io ricordi le battute.

Tempo 5 secondi e mi tira a sé, e mi bacia.
Dio, è meraviglioso.
Una sensazione mai provata prima.
E mi lascio trasportare.
Con l’uncino mi avvicina a sé, mi stringe e avvicina i miei fianchi ai suoi. Con la mano invece mi tocca i capelli.
Io senza volere, in modo naturale trattengo il suo viso con una mano, e con l’altra mi appoggio al suo petto.
Vorrei che non finisse mai.
Ci stacchiamo per un attimo per guardarci negli occhi.
Verde e azzurro che si incrociano.
E poi ci avviciniamo di nuovo l’uno all’altro. Dev’essere un bacio passionale.
Ma questo è fin troppo passionale.

E dopo pochi secondi purtroppo finisce.
Allo “stop” del regista lui si stacca bruscamente, come se nulla fosse.
E io rimango lì, imbambolata, vulnerabile. Mi sento come se gli avessi dato tutto.
Mi sento di nuovo vuota.
Riproviamo questa scena 1, 2, 5, 8, 20 volte.
Ormai non reggo più. Provo le stesse sensazioni ogni volta, ed è così sbagliato.
Alla fine dell’ultima scena lo vedo avvicinarsi a me con aria seria, mi cinge i fianchi con una mano.
“Continuiamo il discorso di prima?” mi dice sorridendo. Ma a giudicare dalla sua espressione sembra parecchio nervoso.
Sarà colpa della scena. Provare una scena del genere più e più volte è estenuante. Soprattutto considerando la tensione che c‘è tra me e lui in questo periodo.  
Annuisco senza dir nulla.
Ci avviamo verso il mio camerino.
“Sei abbastanza nervosa, si vede” dice in tono scherzoso. Ma so che non scherza per nulla. Lo dice per farmi innervosire ulteriormente.
“Non proprio.” Dico, cercando di mantenere un tono calmo.
“Oh sì che lo sei, Jen” continua, scherzando. Con uno sguardo alla Hook. Odio quando mi guarda così.
Arrivati nel camerino mi dice “Dunque, dov’eravamo rimasti?”
Non rispondo e abbasso lo sguardo.
“Intanto puoi cominciare levandoti l’uncino” dico, tentando di cambiare discorso.
“Hai ragione. Ma non cambiare discorso, non attacca” e ride. Ride in un mondo indescrivibile. E poi rido anch’io.
Ridiamo insieme. Le nostre risate si uniscono in un suono a dir poco magico. Diventano un tutt’uno.
“Prima è stato…” dice lui, rompendo quel magico suono.
“…sbagliato” dico, senza indugiare. Le parole escono senza neanche chiedere il permesso.  
“Io avrei detto magnifico, ma sì, è stato sbagliato.” dice con un filo di voce e con un tono che va dalla tristezza alla rassegnazione.
“Non voglio dire che non mi sia piaciuto ma erano Emma e Killian, non noi, e non avremmo dovuto provare quello che abbiamo provato. Per questo dico che è sbagliato.”
“Allora anche tu hai sentito qualcosa..” dice.
“..una sensazione che non potrei descrivere. Ma sì, anche io l’ho sentita” dico, in tono un po’ triste.
E lui lo capisce. Lo so perché lo vedo guardare da un’altra parte.
E so che è la cosa più moralmente sbagliata del mondo, ma vorrei dirgli che per me è lo stesso una cosa magnifica. Ma non lo faccio. Non voglio che si senta in colpa ancor di più. Quindi terrò quel senso di colpa per me.
“Allora, meglio uscire, ne riparleremo domani, adesso dovrei accompagnarti a casa” dice, interrompendo i miei pensieri.
Mentre parla non riesco a guardarlo in viso, non volontariamente. Ma giusto per non sbattere contro la porta mentre esco alzo a malapena gli occhi, e lo vedo.
Ha il viso distrutto. Gli occhi un po’ lucidi e le guance arrossate.
La cicatrice sul viso si nota più del solito.
“Certo”
Mi apre la porta e mi fa segno di uscire.

[…]

Dopo più di 30 minuti di tragitto siamo arrivati davanti al mio appartamento, non so che dire, perciò gli chiedo di salire.
“Vuoi mangiare da me?”
“No...cioè sì, se non disturbo” dice, con fare insicuro.
“No, non disturbi affatto” dico con tono tranquillo, sorridendo a malapena.
Saliamo ed inizio a preparare qualcosa.
Non so cosa preparare dato che non sono molto brava a cucinare, e quindi preparo la prima cosa che mi viene in mente, e forse una delle poche che so fare: maccheroni al formaggio.
Mentre preparo tutto, Colin è seduto sul divano e guarda la TV.
Sembra tutto così normale, così mio, così nostro.
Momenti che non credo dimenticherò mai proprio per la semplicità che li caratterizzano.
Ci sediamo a tavola e mangiamo senza dire nulla.
A volte alzo lo sguardo per vedere come si comporta. Ed a volte noto che è lui osservarmi.
Altre ancora i nostri sguardi si incrociano senza volere. Rimaniamo qualche secondo ad osservarci, ma subito dopo abbassiamo lo sguardo imbarazzati.
O almeno, io sono imbarazzata. Lui semplicemente non vorrà guardarmi negli occhi.
Iniziano le paranoie, ma tento di ignorarle il più possibile o mi mangeranno viva e mi impediranno di vivermi tutto questo.
“Così, Hook e Elsa passano molto tempo insieme!” dico, tentando di spazzare il silenzio assordante che mi impedisce di pensare lucidamente.
“E’ una domanda o un’affermazione?” mi dice, con tono tranquillo. Forse fin troppo.
“Un po’ di entrambe, credo.”
“Comunque sì, sei gelosa per caso?” dice, guardandomi con uno sguardo a dir poco provocatorio.
“Affatto” taglio corto presa quasi alla sprovvista, ma poi continuo più tranquillamente “Emma però dovrebbe esserlo”
“Non penso proprio” taglia corto anche lui.
Per tutto il resto della cena non parliamo. Forse perché abbiamo paura. Forse perché sappiamo che inizieremmo a parlare di cose che al momento è meglio evitare.
Alla fine della cena si alza da tavola prende il giubbotto di pelle che adoro e fa per andarsene.
“Aspetta” gli dico. Non mi rendo conto del tono che uso. Forse troppo piano, forse troppo forse. Ho la mente troppo offuscata per poterlo capire.
Mi accorgo che mi guarda.
So che aspetta che io glielo ridica.
“Resta” Una parola. Mille conseguenze.
So che tutto questo è sbagliato. Ma non ce la faccio, non riesco a lasciarlo andare proprio ora.
“Perché?”
Non c’è un perché. Devi restare. Con me. Adesso. Perché adesso che ti vedo qui, dentro questa casa, mi rendo conto che è vuota. E’ troppo grande per me. Quindi resta, almeno per questa notte, fammi compagnia ed aiutami a non pensare a quello che ci diremo domani. Me lo devi. E lo so, so che è tutto sbagliato, ma non posso ignorare quello che provo. Quindi per favore, resta, non lasciarmi sola in tutto questo.”   
Continua ad osservarmi, a scrutarmi. E mentre penso a quello che ho appena detto e mi distraggo un attimo, me lo ritrovo davanti. Bello come il sole. I suoi occhi hanno il colore del mare, sono vivi. Rispecchiano un senso di felicità mai visto.
Se potessi vivrei ogni istante guardando i suoi occhi, guardando lui.
Sì, resto” dice, con voce roca. Sembra felice.
E sento i miei occhi che iniziano a pungere e il sangue defluire alle guance.
Sapevo che sarebbe successo. Ma pensavo fosse per paura, tristezza, o senso di colpa.
Invece è per felicità, gioia. Qualsiasi emozione bella. Che sensazione magnifica.
Le lacrime mi bagnano le guance e senza pensarci due volte lo bacio. Un bacio che sa di tutto, sa di amore. Lui mi avvicina a se con una mano, e con l’altra mi accarezza il viso, io a mia volta gli accarezzo la schiena con le dita. E’ tutto così…spontaneo. Le sue labbra sanno ancora di formaggio. E proprio per questo mentre continuo a baciarlo scoppio a ridere.
E mentre rido, ride anche lui e le nostre risate si uniscono in un suono melodioso.
Mi giro, distratta dal cellulare che suona, ma Colin non mi lascia andare, e mentre sono sovrappensiero mi ruba un bacio.
Mi sento diversa. E forse non mi sento neanche più molto in colpa, anche se credo sia una sensazione momentanea dovuta alla carrellata di emozioni che mi ha sovrastata in una sola notte.
[…]

Passiamo la nottata a parlare e a scherzare, pur sapendo che domani dovremmo essere sul set alle 5.30 del mattino. Siamo folli.

[…]

Mi sveglio sentendo la sveglia suonare, all’inizio non mi rendo conto di dove sono.
Dopo aver strofinato gli occhi per avere una visione migliore, mi ritrovo distesa sul divano, tento di alzarmi ma non riesco. Continuo a non capire il perché, poi mi sforzo per girarmi ed osservare meglio e capisco il perché sentivo questo peso sulle spalle.
Colin è disteso in un modo tutto suo, e con metà del petto fa peso sulla mia spalla, ed ha il viso poggiato quasi sul mio petto. Ci siamo sicuramente addormentati mentre parlavamo.
Tento di scostarmi e ce la faccio, pur rischiando di cadere.
Non so se svegliarlo o meno, ma dovrei fare una doccia quindi meglio aspettare.
Faccio una breve doccia, mi vesto velocemente ed esco. E lo ritrovo ancora dormiente.
Provo a svegliarlo con dei piccoli baci sul viso. Uno, due, tre..e si sveglia.
“Buongiorno” dice, ancora con una voce stanca ma felice.
“Buongiorno” strofino il naso contro il suo collo.
“Ma che ore sono?” chiede.
“4.45 del mattino” rispondo, nascondendo un sorriso perché so che si arrabbierebbe perché non l’ho svegliato prima e ci sto anche ridendo su”
“Cosa?! Stai scherzando spero” risponde e in fretta prende il telefono per controllare che non sia vero, e continua “sono davvero le 4.45, dovevi svegliarmi, dovrei fare una doccia e dovrei cambiare i vestiti, senno’ tutti si accorgeranno di…sai cosa intendo.”
“Okay, calmo, vai a fare una doccia, io intanto preparo i pancakes”
“E i vestiti?” mi dice, un po’ alterato, un po’ in ansia.  Vedo che sta andando in panico. Così mi avvicino lentamente e lo abbraccio. So che quando va in panico ha bisogno di essere calmato, quindi ci provo.
“Metti questi, non se ne accorgerà nessuno” dico con molta calma.
“No, se ne accorgeranno e…” dice. Si sta irrigidendo. Tutti i suoi muscoli sono contratti. Non riesce neanche a muoversi o a ricambiare l’abbraccio.
“Se ti chiederanno qualcosa dirai che non avevi nulla da mettere dato che non avevi vestiti puliti” dico, ridendo contro il suo collo.
“Così penseranno che non mi lavo” dice, iniziando a ridere. E i suoi muscoli si rilassano, lo sento.
Mi stacco lievemente da lui e gli do un bacio sulla guancia,
“Dai, su, vai a fare una doccia, o crederanno davvero che non ti lavi” gli dico ridendo.
“Mi stai dicendo che puzzo?” dice con uno sguardo accigliato, ma intanto fa intravedere un sorriso.
“Io? No? Non ho mai detto una cosa simile” dico, con il tono da finta offesa, ma trattenendo una risata.
“Oh, io invece credo che tu lo stessi insinuando eccome, cara Jennifer” ride mentre me lo dice, e mi continua a guardare con uno sguardo provocatorio. E poi rifletto su quello che ha detto, e mi rendo conto che ha detto “Cara Jennifer.” E mi ricordo che quando mi chiama così sta per combinare qualcosa.
“Cara Jennifer eh?” dico, guardandolo con uno sguardo insospettito.
“Mhmh” dice, facendo sì con la testa e continuando a guardarmi con quello sguardo provocatorio.
E così mi rendo conto che mi conviene e scappare.
E corro per tutta la casa, mentre rido e inizio a buttare piccole urla di paura.
E lui corre dietro di me intento a prendermi.
“Faccio puzza eh? Allora non conviene che io ti raggiunga, cara Jennifer”
E scappo, mi diverto, rido. E tutto questo alle 4.50 del mattino.
Solo che mentre rido e corro perdo fiato, e mi fermo per un secondo.
E lui mi raggiunge, mi prende sulle spalle “mettimi giù, Colin”
“Non ci penso nemmeno” e ride, ride tanto.
“No okay, lasciami ti prego” lo supplico, mentre gli do piccoli pugni alla schiena.
E mi lascia andare. All’inizio non mi rendo conto di dove sono, molto probabilmente perché nel lasso di tempo in cui sono stata a testa in giù poggiata sulla sua spalla il sangue mi è andato al cervello.
Poi lo capisco, siamo nella doccia.
Non so che fare.
“Tranquilla, non faremo la doccia insieme, o almeno non ora” dice. E io arrossico.
E continua “ma siccome hai detto che puzzo, adesso dovrai sopportare l’acqua ghiacciata. Ma non preoccuparti, per non renderti tutto difficile me la prenderò anch’io”
“Ma io ho già fatto la doccia. E fra meno di mezz’ora dovremmo essere sul set.”
“Aspetteranno, tanto noi non siamo i primi a dover girare, oggi!”
“Sì che lo siamo” esclamo.
“Ho chiamato. E no, non lo siamo” continua a guardarmi con quello sguardo.
“Cosa?” dico, alzando un po’ il tono. Forse più del dovuto, ma sono infuriata. Anche se da una parte mi fa piacere tutta questa attenzione. Ma l’ho ammetterò mai a voce alta.
Provo ad andarmene ma non mi lascia andare. Mi tiene stretta per i fianchi.
“Non così in fretta” dice. Con un sorriso velato sul volto.
“Acqua fredda?” dico, con un tono particolarmente ansioso.
“Mhmh”
“Dio, quanto ti odio”
“Continui a peggiorare la situazione” dice, ma continua “Pronta? 1…2…3..!”
E l’acqua scende giù. Ma non me ne accorgo neanche perché sono incantata nel guardare l’acqua che scende giù su di lui. I suoi occhi che hanno lo stesso colore dell’acqua, sono cristallini. Le gocce che gli sfiorano la cicatrice sul volto. La maglia nera con scollo a V lascia intravedere i peli sul petto, bagnati anch’essi dall’acqua.
E’ una visione.
“Dovresti uscire, a meno che non vorrai assistere allo spettacolo.” Mi dice con fare provocatorio.
E ritorno in me.
“Spiritoso” continuo “vedi di sbrigarti, o niente pancakes”
“Okay okay mi arrendo faccio in un attimo.”
Ed esco.
Dovrei cambiarmi e preparare la colazione, ma non credo di farcela.
Sono troppo…non so descrivere come mi sento, troppe emozioni che mi sovrastano.
Non so se riuscirò ad affrontare la giornata con la solita calma, e so che se ne accorgeranno tutti.


Salve a tutti :) dopo tanto tempo - e mi dispiace per questo - ecco a voi il terzo capitolo, tanto atteso.
Finalmente questi due concludono qualcosa. *FESTEGGIA*
Ho fatto tutto dal punto di vista di Jen per far capire meglio quello che prova. L'altro capitolo invece ci sarà solo il punto di vista di Colin per vedere cosa prova lui - vi avverto, non sarà facile.

Oddio, vorrei che tutte ste cose succedessero anche nella vita reale, sinceramente.
Non so che dire quindi la finisco quì prima di diventare ridicola.

Ringrazio coloro che hanno recensito, e aggiunto la storia tra le segiute/preferite/ricordate.
Ci vediamo al prossimo capitolo (non so quando lo pubblicherò perché settimana prossima mio padre deve iniziare la terapia, e non so quanto durerà dato che è al primo ciclo. Spero però di poter rispettare i tempi.
Tanti baci.
- Mary.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** My life wold suck without you. ***


My life would suck without you


"You got a piece of me
and honestly
my life would suck without you."


POV COLIN

Io e Jen stiamo andando sul set.

Musica a tutto volume.
Lei che canticchia.
E io che sono felice, ma in parte anche turbato, ripensando a ieri sera.

12 ore prima
“Resta”
Cerco le parole per dirle che non ce la faccio, che non posso. Perché anche se volessi, non è giusto nei confronti di mia moglie.
La guardo, tentando di farle capire che non posso.
Ma in un certo senso vorrei lo dicesse di nuovo.
Anche se ho paura.
Perché se lo dicesse, se lo dicesse una sola volta…io potrei rimanere qui, con lei.
Non so che dire, ma non posso evitare di risponderle...“Perché?” le dico.
“Non c’è un perché. Devi restare. Con me. Adesso. Perché adesso che ti vedo qui, dentro questa casa, mi rendo conto che è vuota. E’ troppo grande per me. Quindi resta, almeno per questa notte, fammi compagnia ed aiutami a non pensare a quello che ci diremo domani. Me lo devi. E lo so, so che è tutto sbagliato, ma non posso ignorare quello che provo. Quindi per favore, resta, non lasciarmi sola in tutto questo.”  mi dice.
E io crollo.
Non posso farcela, non posso trattenermi.
Perché pur sentendomi in colpa, se non rimanessi qui con lei, lo rimpiangerei per il resto dei miei giorni.
Quindi mi avvicino a lei senza pensarci due volte.
“Sì, resto” le dico.
E la guardo. E’ così bella.
I suoi occhi mi rapiscono letteralmente, ci potrei anche scrivere una canzone parlando dei suoi occhi.
Di come mi guardano. Delle emozioni che lasciano trasparire.
E la vedo, quella felicità, che si trasforma in piccole lacrime.
Ma so che non piange per timore, o paura.
E’ semplicemente felice. Come lo sono io.
E mi bacia, a lungo. E’ un bacio spontaneo, forse siamo anche un po’ impacciati.
Infatti il suo bacio scoppia in una risata che riconoscerei in mezzo ad altre mille.
E rido anch’io.
Ridiamo insieme. Io e lei. Lei e io. Noi.

Per tutto il resto della serata, in cui abbiamo scherzato e parlato, non ho fatto altro che guardarla, osservarla, scrutarla.
Nonostante il senso di colpa, sento di essere completo. Non sentivo questa sensazione da tanto.

[…]

Mi sveglia piano piano, con attenzione, per paura che io mi possa spaventare.
Mi da qualche bacio sul collo, con le sue labbra piccole che mi solleticano. Ad ogni tocco sento brividi che salgono su per la schiena.
Vedo che ore sono.
E mi arrabbio. Dio, se mi arrabbio.
Non posso presentarmi a lavoro con gli stessi vestiti di ieri.
La gente potrebbe pensare alle cose più assurde, e non voglio. Non voglio essere fissato.
Anche se avrebbero ragione a farlo.
E mi arrabbio con lei, anche se non vorrei, anche se so che lei non ha colpa.
So che l’ha fatto per farmi dormire un po’ di più, ed è stato premuroso da parte sua. Ma ho paura.
Lei cerca di consolarmi e mi abbraccia. Mi abbraccia forte.
“Adesso vai a farti una doccia, senno’ penseranno davvero che non ti lavi”
Gliela farò pagare questa.
La rincorro per tutta la casa, e finalmente quando lei si ferma per prendere fiato, riesco a prenderla in spalla e portarla sotto la doccia.
Vorrei lasciarla qui sotto un getto di acqua ghiacciata, ma non ce la faccio. Però, dato che deve pagarla per quello che ha insinuato, tenterò ti sopportare anche io l’acqua fredda.
“Acqua fredda, eh..?” mi dice.
“Mhhmhh” dico annuendo.
“Dio, quanto ti odio” mi dice. So che non mi odierà mai davvero.
“Continui a peggiorare la situazione” le dico, solo per farla arrabbiare ulteriormente “Pronta? 1…2…3..!”
E l’acqua scende giù. Ma non ci faccio neanche caso, perché non riesco a staccarle gli occhi di dosso. I suoi occhi brillano a contatto con l’acqua cristallina.  E’ troppo bella, è così piccola. Vorrei stingerla a me, quasi per proteggerla dall’acqua. E non ha senso perché sono stato io a volerla “punire”.
Devo smettere di pensare in questo modo. Devo smettere di farle del male e consecutivamente di proteggerla.
“Dovresti uscire, a meno che non vorrai assistere allo spettacolo.” le dico con fare ironico, semplicemente per evitare che succeda qualcosa di cui potremmo pentirci.
“Spiritoso. Vedi di sbrigarti, o niente pancakes”
“Okay okay mi arrendo.. faccio in un attimo.”
Mi sorride di sfuggita ed esce.

[…]

Troppi pensieri, troppe preoccupazioni. Ma non faccio che pensare a lei, ogni singolo minuto di ogni singola ora di ogni singolo giorno.
E fa male, perché so che sono un bastardo senza cuore, so che mia moglie mi ama, so di avere un figlio. Ma come si fa a contenere ed ignorare un sentimento così forte? Vorrei che qualcuno me lo spiegasse.
Potrei chiedere vagamente a Josh, lui c’è passato con Ginnifer, anche se non c’era un bambino in mezzo.
Ricordo che una volta mi raccontò di quello che successe quando conobbe Ginny.
Diceva che amava lavorare con lei.
Proprio come io amo lavorare con Jennifer.
Ma poi tutto cambiò, e lui se ne innamorò. Lasciò sua moglie per stare con la donna della sua vita.
E vorrei sapere come ha fatto, con il senso di colpa e tutto il resto.
Ma forse l’amore può superare tutte queste cose, se è amore vero.

Vorrei chiederle di uscire stasera, per vedere se c’è davvero qualcosa di intenso tra di noi. Vorrei conoscerla meglio. Perché prima la conoscevo come un’amica, adesso so di volere qualcosa di più.
E non è sesso, non è una notte.
Voglio conoscerla fino in fondo, voglio che mi racconti le sue paure, voglio i suoi sorrisi solo per me, voglio i suoi difetti, la sua testardaggine, i suoi capelli biondi, voglio che mi dica qualsiasi cosa, voglio sapere a cosa aspira nella vita. E la voglio con me.

[…]
Siamo sul set da circa due ore, e non abbiamo ancora girato scene tra Hook e Emma per colpa mia, dato che ho chiamato Edward stamattina dicendo che avremmo ritardato per un problema all’auto. Jennifer è infuriata perché a pranzo voleva tornare a casa e non può.
E io la osservo, da lontano. Cercando di non farmi notare.
“Non la guardare così amico” mi dice Josh, avvicinandosi a me.
“Chi? Cosa?” dico, fingendo di non capire. Anche se so di cosa parla.
“Non puoi” dice, e si siede vicino a me.
“Amico, sto facendo un casino, sono un bastardo”
“Sì lo sei, ma in fondo ti capisco. Io stavo come te 3 anni fa, e adesso…”
“Ho un figlio” gli dico.
“Non cambia molto Col, se vorrai vederlo lo vedrai tranquillamente”
“Non è solo questo. Mi sento un uomo senza cuore. Sto mettendo tutta la mia vita in gioco per una donna che non so se mi amerà mai.”
“Se provi qualcosa per lei dovresti rischiare. Anche perché non vale la pena di vivere una vita che non vuoi.”
“Vorrei invitarla a cena stasera, che ne dici?” gli dico, un po’ in ansia forse. Lui è l’unico che mi può capire.
“Con così poco preavviso? Ti ucciderà. Ma fossi in te proverei comunque” dice ridendo.
“Vado, dimmi buona fortuna”
“Buona fortuna amico” e mi abbraccia. E’ l’unico amico sincero che ho al momento. Se non ci fosse Josh non so come farei.

***

“Ehi Jen”
“Ciao Colin”
“Dovrei parlarti, puoi venire un attimo dentro?”
“Che succede? Tutto bene?” dice preoccupata.
“Sì, certo, tranquilla. Ma devo chiederti una cosa”
“Okay, dimmi” continua a guardarmi negli occhi.
“Non so come chiedertelo…ehm…stasera vorresti venire a cena con me?”
“Una cenetta romantica?” mi dice, con fare scettico. Si appoggia ad un muro.
“No…cioè forse. Eddai, esci con me. Voglio stare un po’ con te.” dico mentre mi avvicino a lei stando il più attento possibile.
“Sì dai, mi sembra una buona idea..però scusa, dovrei vestirmi elegante? Ti chiedo per pura curiosità”
“Come preferisci” le dico.
Siamo naso contro naso. Ma non ho intenzione di baciarla, anche se non mi dispiacerebbe affatto.
“Adesso andiamo, dovremmo girare tra poco” le dico. Un po’ per farla incavolare dato che per una volta non ho ceduto, un po’ perché è vero che dovremmo girare qualche scena.

[…]

Sono le 19.30, abbiamo appena finito di girare, ed adesso dovrei lasciare Jen a casa per prepararsi e tornare a casa mia per fare una doccia veloce e cambiarmi.
“Quindi ti accompagno a casa così fai una doccia o la fai a casa mia?” le chiedo con un sorriso sghembo mentre saliamo in macchina.
“No, accompagnami a casa, devo truccarmi e comunque il vestito ce l’ho da me” mi dice con un sorriso a trentadue denti.. poi continua  “dato il poco preavviso”
“Okay” le dico. Sapevo che mi avrebbe detto così, me l’aspettavo.  
Passiamo tutto il tragitto a parlare dei copioni, di Emma e Hook e di lavoro in generale.

Arrivati davanti al suo appartamento, non so che fare, sono leggermente impacciato.
“Ci vediamo alle 8 e 30?” mi chiede.
“Sì..ehm, certo”
“Okay, allora a dopo” mi dice. E mi lascia un bacio casto e leggero sulla guancia.


Torno a casa e sono stanchissimo, forse sarà l’ansia.
Mi spoglio e entro dentro doccia. Provo a rilassarmi il più possibile.
E ci riesco..in parte.
Adesso che sono uscito sono un po’ più calmo, credo.
Non so che mettermi, mi sento peggio di una donna.
Decido di mettere una camicia bianca su dei semplici jeans neri.
Sono le 8. Vorrei andare adesso a casa sua ma sono indeciso. Non voglio trovarla in uno stato di confusione, rischierei di essere preso a pugni sempre per il poco preavviso.
Ma me ne frego, prendo la macchina e parto.
Arrivato al suo appartamento busso due volte e dopo due minuti mi apre.
Ha i capelli bagnati che le ricadono in fronte e sulle spalle ed è vestita solo di un asciugamano.
Dio solo sa che cosa le farei in questo momento se non riuscissi a trattenermi.
“Ciao” mi dice sorridendo.
“Io, ehm, ciao, scusa se ho anticipato…non sapevo…”
“Oh tranquillo stavo andando a vestirmi. Entra pure. Aspettami qui, faccio in un attimo”
“Certo..”
Mi siedo.
Poi mi viene in mente di proporle una cosa.
“Senti Jennifer” le urlo, dato che non sono sicuro che possa sentirmi dall’altra stanza.
“Dimmi”
“Avevo pensato che ti potresti portare dei vestiti e dormire da me, sempre se vuoi”
“Dormire da te?” mi dice usando ancora quel tono un po’ scettico.
“Sì, cioè..non intendo portarti a letto, però se vuoi puoi dormire da me”
“Vedremo, io intanto preparo i vestiti. In base a come ti comporterai stasera, deciderò” mi urla, perché è ancora in bagno.
Mi domando che diavolo possano fare le donne tutto questo tempo in bagno. I misteri della vita.
Esce dopo 10 minuti.
E’ meravigliosa.
Non ho parole.
Ha messo un vestito color avorio, semplice, che arriva fino a metà coscia. Quelle gambe.
“Sei…splendida”
“Ti ringrazio” mi dice, e sorride timidamente.
Dio, sembriamo due ragazzini.

Ho deciso di portarla in un ristorante non troppo elegante.
Sono fin troppo nervoso, ed impacciato. Non credo sia una cosa normale.
Arriviamo, e subito ci accolgono.
“O’Donoghue, ho prenotato per due”
“Signor O’Donoghue, signora O’Donoghue..accomodatevi.”
Vedo che nel mentre lei abbassa lo sguardo, si perde completamente nei suoi pensieri.
So che si sta concentrando su quelle due paroline “signora O’Donoghue”.
Il cameriere se ne va, e lei è ancora distratta..quasi assente.
“Ehi, ehi che succede?..”
“Mi ha chiamata in quel modo..ed io..non posso farlo. Mi dispiace.” Mi dice, e poi si alza di scatto e fa per andarsene.
Riesco a raggiungerla per un pelo.
La prendo per mano e cerco di darle conforto.
“So che è difficile, so che ti sembra sbagliato. Ma voglio provare, voglio vedere come sarebbe una vita con te in un prossimo futuro. E anche se so di essere un bastardo, so di sbagliare, so che non è giusto...non riesco a starti lontano. E’ più forte di me. Ci provo con tutte le mie forze. Ma i tuoi occhi, la tua testardaggine, la tua vitalità ed i tuoi sorrisi me lo impediscono”
Mi guarda. Tenta di capire se sto dicendo la verità.
Con il pollice mi accarezza la cicatrice sul volto.
“Va bene, allora proviamo”
“Aspetta Jennifer. Proviamo solo se vuoi farlo anche tu. Se non vuoi, evitiamo. Non voglio farti soffrire ulteriormente.”
“Non sto soffrendo, mi sento un po’ in colpa, tutto qui. Ma adesso voglio stare con te e non pensare ad altro”
“Okay” le dico sorridendo.

Ci sediamo ed ordiniamo da bere, e – pur non avendo molta fame – anche qualcosa da mangiare.
Lascio scegliere tutto a lei, perché credo se ne intenda più di me.

Intanto da un’altra sala si sente della musica, ed il cameriere ci dice che di là si balla…e dato che dovremo attendere un po’ prima che ci portino i piatti potremmo andare lì.
Mi alzo, senza pensarci.
“Balla con me” le dico mentre le tendo una mano.
“Cosa?” mi guarda un po’ stranita.
“Ti ho detto: balla con me”
“No, io non so ballare”
“Oh, ricorda cosa dice Hook: basta prendere un partner che sa cosa sta facendo, no? E io so cosa fare. E voglio ballare con te. Quindi vorrei che accettassi”
“Touché..Mhh, d’accordo.” Si alza e mi prende la mano.
“Brava bambina” le dico. Pensavo ribattesse ed invece nulla.
Mentre ci avviciniamo alla sala da ballo, sento le note di un lento. Ecco, è perfetto per noi.

“Bambina? Ti ricordo che ho due anni più di te” mi dice mentre ci posizioniamo per ballare.
“Shh non rovinare questi momenti”
“Io? Rovinare? Ma davvero?”
“Mmhh.”
Iniziamo a ballare, ed è così bello poterla stringere a me senza che s’incavoli. Il ballo è la scusa perfetta.
“Non pensavo fossi davvero così bravo a ballare”
“Oh io sono bravo a fare molte cose” le dico all’orecchio, sfiorandole la guancia con il naso.
Impercettibilmente ci troviamo anche fin troppo vicini per sfuggire l’uno dallo sguardo dell’altro.
E non posso fare a meno di perdermi in quegli occhi.
“Ah, davvero? Per esempio?” mi dice. Capisco subito che vuole stare al gioco.
“Potrei mostrarti un giorno” le dico con un sorriso sghembo.
“Un giorno. Forse. Magari.” Mi dice. Scandisce le tre parole in un modo un po’ ambiguo, ma cerco di non farci caso adesso.
Neanche il tempo di abituarmi a tenerla tra le braccia, che arriva il cameriere a rovinare tutto.
“Signori O’Donoghue, la cena è servita. Se volete seguirmi.”
Lei si stacca da me senza pensarci due volte.
Ma mi tende la mano. Non me l’aspettavo davvero…per me questo gesto significa più dello stare abbracciati, più del baciarla, più di tutto.
“Allora, dimmi qualcosa, cosa vuoi fare dopo Once?” mi chiede.
E meno male che ero io a volerla conoscere a fondo…
“Non ne ho idea…magari tornerò in Irlanda.”
“O magari no…” mi dice. E lì rimango un po’ stupito dalla risposta. Non me lo sarei mai aspettato.
Adesso è lei quella che sta iniziando un gioco senza alcuna uscita.
“…sì, magari no” le dico, impacciato sorridendo a malapena.
“E se venissi qualche volta con me in Irlanda?” le dico, così senza pensarci due volte.
“No..cioè non so se sarebbe opportuno”
“Non devo mica presentarti come la mia fidanzata o chissà cosa” le dico, scherzando con un sorriso sghembo che la farà infuriare come mai prima d’ora.
“Ah sì?” mi risponde con un tono calmo..fin troppo calmo.
“In teoria sì, ma questo dipende da tante cose…”
Ride tanto “Cose tipo?” mi dice.
“Cose tipo..uhm… come andrà questa serata, o magari come andrà a finire..cose così sai”
“Stai flirtando con me, Colin?” e ride di nuovo. Di questo passo non arriverò sano di mente alla fine della serata.
“Forse sì, forse no” le dico con fare provocatorio.
“Dio, quanto ti odio” mi dice, e ride, ride ancora.
“Se questo significa qualcosa tipo “io non posso stare senza di te perché la mia vita farebbe totalmente ed irrimediabilmente schifo” allora sì, ti odio anch’io”
“Aspetta..che hai detto?” mi dice un po’ sorpresa.
“Cosa? Che ti odio anch’io?” le dico, sorridendo timidamente
“No..quello prima..”
“Se questo significa qualcosa tipo?”
“Ohh, diamine smettila e fai il serio” mi dice, facendo la finta offesa.
“Io non posso stare senza di te. E non meravigliarti, perché lo sai, lo hai sempre saputo.”
“Però non me l’ha mai detto nessuno”
Vedo la sua mano sul tavolo. E con attenzione poso il mio indice su una sua nocca, ed inizio a disegnare dei piccoli cerchi. Ha una pelle così morbida.
“Io sono sincero”
“Lo so, ma ho paura” mi dice con voce tremolante, come se dovesse mettersi a piangere da un momento all’altro.
“Paura di cosa?”
“Di…legarmi a te, magari”


___________________________________________________________________________________________________________________________________


Angolo autrice.

Salve gente:) scusate il terribile ritardo T.T ma mi sono bloccata, mi dispiace tantissimo.
Questa volta vediamo tutto dal punto di vista di Colin, che insomma, sa di essere un idiota ma non puo' fare a meno di stare vicino a Jennifer. (E c'ha ragione)
L'appuntamento non è finito, ma sarebbe diventato troppo lungo da continuare, quindi la continuazione verrà pubblicata come 5° capitolo. Molto probabilmente arriverà un "nuovo personaggio" che non so se resterà o farà da comparsa casuale.
Vi anticipo che nel prossimo capitolo DOVREI modificare il rating, ma non ne sono ancora sicura. Non so quando pubblicherò il prossimo ma spero entro le due settimane che mi sono prefissata.

PS: GRAZIE GRAZIE GRAZIE A TUTTI QUELLI CHE HANNO AGGIUNTO LA STORIA TRA LE PREFERITE/SEGUITE/RICORDATE E L'HANNO RECENSITA. SIETE FANTASTICI.

PPS: -2 alla premiere di OUAT! Non vedo l'ora di vedere quei due in azione! 

Al prossimo capitolo! Baci! - Mary :*

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Run right into you. ***


[A circa metà del capitolo ho inserito una canzone che ho ascoltato mentre scrivevo la seconda parte del capitolo, se volete ascoltatela anche voi per "creare l'atmosfera" :) ]




Run right into you.


"You surround me, pull me, drown me, swallow me whole.
You turn, turn, turn, turning me on like a slow fire burn
Know that it's wrong, still I run, run, run, run right into you."


POV JENNIFER. 

“Paura di cosa?”
“Di…legarmi a te, magari”
Ed ho paura, una paura tremenda.
Ma non ho intenzione di scappare, non questa volta. Perché ho bisogno di lui. E non credo di aver mai avuto bisogno di qualcuno fino a questo punto.
“Anche io ho paura” mi dice.
Lo guardo in quegli occhi cristallini. Si vede che ha paura, forse più di me.
Forse potremmo aiutarci a vicenda.
“Eppure non sembra…all’apparenza”
“E invece…”
Sto improvvisamente sentendo troppo caldo, non riesco a respirare, ho bisogno di prendere un po’ d’aria fresca.
“Sento fin troppo caldo, perché non usciamo?” gli chiedo.
“Mmmh” mi dice con sorriso provocatorio“Non lo so…e se ci beccasse qualcuno?” continua.
“Allora…potremmo andare a casa” continuo “l’importante è che io mi levi questi tacchi infernali”
“Solo i tacchi?” mi guarda sornione.
“Ma sta zitto..” gli dico tentando di trattenere una risata.
Si alza e mi tende la mano.
Il solito gentiluomo.
“Oh no, non fare così, non otterrai nulla in cambio della tua gentilezza” gli dico prendendolo in giro.
“Non voglio nulla in cambio” mi dice con un tono serio. Ha uno sguardo corrucciato.
Avrei dovuto evitare di fare una battuta simile.
“Scusa…” gli dico, forse con un tono intimorito.
“Per..?” mi dice con un sorriso a trentadue denti.
Dio mio, quel sorriso. E’ la cosa più bella che io abbia mai visto. Potrei vivere intere giornate guardandolo sorridere.
“Per la battuta di prima”
“Ah..no tranquilla” mi dice sorridendo. Ancora. Tipo quei sorrisi che ti fanno dimenticare tutto quello che ti sta intorno.
Ci avviamo verso l’uscita. Fuori piove.  
Non me ne ero neanche accorta.
Diamine, non abbiamo neanche un ombrello.
Lo vedo intento ad avvicinarsi, come se volesse abbracciarmi. E mi allontano.
“Potrebbero vederci, non ricordi?” gli dico guardandolo male.
“Adesso è l’ultima cosa di cui m’importa. Voglio proteggerti dalla pioggia. Non vorrei mai che il mio pirata rimanesse senza la sua piccola principessa”
Rido, di nuovo, senza un contegno.
E’ uno dei miei vizi più grandi.
“Okay, scusa” gli dico, continuando a ridere.
“Basta scusarti, prima o poi avrai modo di ripagarmi” mi dice. E mi fa un occhiolino.
So cos’ha in mente.
Nonostante fuori si geli io sento ancora tremendamente caldo. Ho bisogno di muovermi, devo fare qualcosa.
“Balla con me”
“Qui, sotto la pioggia?
“Perché no? E’…rilassante”
Mi levo i tacchi, lo prendo per mano ed inizio a correre con lui al seguito e i tacchi in mano.
E rido, rido tantissimo. E’ l’unico modo che ho per sfogarmi. Perché sento le lacrime pizzicarmi gli occhi ma non voglio piangere davanti a lui. Non voglio sembrare debole.
Giro, giro e giro su me stessa mentre lui mi guarda con uno sguardo tra il perplesso ed il divertito.
“Perché mi guardi così?”
“Perché sembri una ragazzina”
“Non è vero” gli rispondo facendo la finta offesa “e poi non sono io che quando sono in pausa mi metto a saltare per tutto il set insieme a Georgina”  Colpito e affondato. Maledetto irlandese.
“Non fare supposizioni affrettate” dice con un tono che non sembra affatto scherzoso.
Ci osserviamo. Il suo sguardo che incontra il mio, preferisco non dire nulla per non iniziare una discussione infinita.
E’ lui a rompere quell’assordante silenzio “Andiamo a casa, ragazzina”
“Ti ricordo, ancora, che sono più grande di te” gli dico con un sorriso falso che farebbe rabbrividire chiunque.
“Non sembrerebbe” sta al gioco. Che bastardo.  

Arrivati a casa, lui parte diretto in camera sua, ed io non posso fare a meno di buttarmi a peso morto sul divano.
Odio i tacchi.
Odio le mie gambe.
Dio mio che dolore.
Lo vedo ritornare con una coperta in mano. Si è cambiato, indossa una maglia grigia che mette in evidenza i suoi bicipiti, e dei pantaloni neri, fin troppo stretti.
“Sei gelata e fradicia, almeno copriti”
Non vorrei neanche alzarmi più, ma dovrei andare a cambiarmi.
“Colin, sto andando in bagno a cambiarmi”
“Okay. Sai dov’è no?”
“Sì..” gli dico. E mi avvio verso il bagno. Chiudo la porta il più silenziosamente possibile e mi siedo a terra, stremata.
Sto male, sembro esaurita, e non riesco neanche più a controllarmi.
Mi sento in colpa per questa serata, per essere stata felice dopo tanto tempo.
Improvvisamente sento le lacrime che trapassano le mie guance. Come se da un momento all’altro dovessero creare dei solchi sottili ma profondi.
Ho bisogno di piangere da quando quel cameriere mi ha chiamata “Mrs O’Donoghue”...avrei voluto rispondergli: “No non sono io, sono solo una stupida idiota che sta rovinando il matrimonio di un uomo fantastico che probabilmente non mi ama neanche”
Tento di trattenere i singhiozzi per non farmi sentire.
Ma non ce la faccio, è più forte di me. Ed inizio a singhiozzare come un bambina.
Sento bussare alla porta. Dio, non lui non adesso. Ma cosa dovrei aspettarmi? Sono a casa sua.
Che stupida idiota.
“Ehi, Jen..che succede?”
Preferisco non rispondere. Dai miei sussurri potrebbe capire che sto piangendo.
Sento il cigolio della maniglia che si muove.
No, non entrare, non adesso. Ti prego. Ti supplico.
Mi porto le ginocchia al petto e mi copro gli occhi con una mano, anche se so che capirà tutto nel giro di 5 secondi.
Maledetto irlandese dagli occhi blu.
“Ehi…” sussurra.
Si inginocchia davanti a me, e mi prende le mani, intento a spostarmele dal viso.
Cerco di opporre resistenza, ma cosa può fare una piccola donna minuta contro un uomo…così? Nulla.
E ti pareva.
“Ehi..non piangere” mi dice guardandomi con gli occhi desiderosi di spiegazioni.
“Lasciami sola” gli dico piano.
“Non me ne vado.”
Silenzio.
Non riesco a dire una parola.
“Jen, parlami, dimmi che succede.” Mi dice con tono pacato.
“Vuoi sapere che succede? Vuoi proprio saperlo? Mi sento uno schifo, vorrei prenderti a pugni. Quello che ho provato stasera è stato a dir poco magico. Ma indovina? Non c’è speranza. Non c’è speranza per noi, non ce ne sarà mai, e fa male.”
Non risponde, mi osserva e basta.
Mi abbraccia, o almeno tenta di farlo dato che le mie ginocchia fanno da scudo.
“Shh, non piangere, shh”
Mi sposta delicatamente le mani dal viso, con l’indice mi alza il mento e con pazienza ed attenzione asciuga le mie lacrime.
“Non ce la faccio a vedere quel dolce viso ridotto in questo stato”
Non riesco a parlare, sembro paralizzata.
E vorrei parlare, vorrei muovermi. Ma resto ferma, semplicemente.
Non riesco ad avere il pieno controllo del mio corpo.
“Allora, adesso ti prendo in braccio, ti calmi, ti metti qualcosa di comodo così andiamo a farci una bella dormita, e domani parliamo di questa storia okay?”
Non riesco a far altro che annuire.
Mi prende con delicatezza.
Una mano sotto le ginocchia ed una a cingermi le spalle.
Mi sento così piccola.
Mi aggrappo a lui ed appoggio la testa nell’incavo del suo collo. Il suo profumo mi fa sentire a casa.
Ora come ora potrei definirlo la mia ancora di salvezza nonostante sia lui il motivo per cui sto così maledettamente male.

Mi poggia sul letto, ed esce dalla stanza. Credo sia andato a prendere la borsa.
Non riesco ancora a muovermi.

Torna e mi guarda come se fossi una bambina bisognosa di attenzioni. “Allora, adesso ti spogli da questo vestito scomodo e metti un pigiama” mi dice. Da un lato mi fa piacere; dall’altro, invece, mi fa sentire stupida. Che lo stia facendo solo perché gli ho detto quelle cose?
“Orsetti? Per la nostra serata romantica ti eri portata un pigiama con degli orsetti?” mi dice sorridendo prendendomi in giro.
E non posso far a meno di sorridere, leggermente.
“Quel sorriso…” mi dice. Quasi sbalordito.
Non dico nulla.
Ma trovo un conforto in lui che non ho mai trovato in nessuno.
“Se vuoi esco..sai..per cambiarti..”
“No..tranquillo” gli dico, ma continuo “non lo faccio apposta, credimi, ma potresti aiutarmi a tirar giù la cerniera del vestito?” gli chiedo, con evidente imbarazzo.
“sì…ehm...certo”
 
POV COLIN.
Vederla in quello stato mi ha praticamente distrutto. Vedere quel viso solcato dalle lacrime è stato straziante.
Non l’ho mai vista così…vulnerabile.

Voglio proteggerla da tutto questo. Vorrei proteggerla anche da me.  Ma sono egoista.
Sono solo uno stronzo egoista che pensa per sé. E lei soffre.
E quando mi ha detto che per noi non c’è alcuna speranza mi sono sentito morire.
E vorrei dirle che la vorrei mia per sempre, ma non riesco, forse è troppo presto. Forse è solo la paura.
Ma la voglio così tanto, così profondamente.
Si alza, ancora un po’ barcollante.
“Potresti aiutarmi a tirar giù la cerniera del vestito?”
Ecco, adesso potrei anche non essere responsabile delle mie azioni.
“sì…ehm...certo”
Mi avvicino a lei con cautela. Con delicatezza. Sembra fatta di porcellana, così fragile e delicata che la paura che si possa frantumare in piccoli pezzi mi spaventa.
L’aiuto con la cerniera ed il vestito, cadendo, le scopre completamente la schiena.
“Sei ancora un ghiacciolo”
Silenzio. Assordante silenzio.
“Sfogati”
“Cosa?” mi chiede con voce tremolante.
“Se vuoi sfogarti, se vuoi piangere, urlare, o prendermi a pugni come hai detto prima...fallo. Ci sono io qui con te, e non sarai sola, mai.”
“Abbracciami e basta”
Sì. L’abbraccio. La stringo a me come non ho mai fatto.
Adesso ha bisogno di me. Ed io ho bisogno di lei.
L’uno l’essenza vitale dell’altro.
Ho la fronte appoggiata alla sua spalla.
La bacio dolcemente e la sento annaspare al mio tocco, la vedo appoggiarsi ai bordi del letto, come se dovesse cadere da un momento all’altro.
“Dovresti metterti qualcosa addosso, o potrei davvero non rispondere delle mie azioni”
 Ride, finalmente. Oh, grazie a dio l’ho fatta ridere. Mi sento quasi una brava persona.
“Okay, girati”
Mentre si veste mi giro cercando di non farmi notare.
“Stavi guardando?”
Merda, mi ha pure scoperto.
“Io? No, assolutamente, come ti viene in mente una cosa del genere?” le dico con un sorriso furbastro stampato in volto. Mi piace troppo provocarla. Cerco di non farmi scappare una risatina o potrebbe uccidermi all’istante.
Mi guarda di sottecchi e si mette a letto. Mi metto a letto anch’io e continuo a fissarla mentre si gira e si rigira sotto le coperte.
“Adesso vuoi dirmi perché piangevi prima o devo estorcerti questa informazione a modo mio?”
“E come dovresti estorcermela? Sentiamo.”
“Oh, conosco due o tre modi…”
Mi guarda con gli occhi spalancati, e capisco che ha inteso male. O forse ha inteso benissimo.
Diamine Col, smettila di pensarci, è da quando l’hai vista in quell’asciugamano che non la smetti. Adesso è nel letto con te vestita d’un pigiama con degli orsetti, non dovrebbe farti nessun effetto.
“Tranquilla..non intendevo..”
“Sì, lo so” sussurra ed accenna un sorriso.
“Ehi vieni qui, abbracciami, forza”
L’avvolgo tra le mie braccia e la tengo stretta come se da un momento all’altro dovesse scapparmi.
“Mi sento…a casa”
“Anche io.”
“Mi pare giusto, sei a casa tua” e ride.
“Non intendevo in quel senso” le dico. Il tono di voce tremolante mi ha tradito.
Silenzio.
“Ho voglia di dormire”
“Se lo dici tu, buonanotte dolcezza” le bacio una tempia e mi sistemo in posizione laterale in modo da starle vicino e non farla scappare.
“Mhmh buonanotte, mio eroe”
Mio eroe. Mio. E il cuore perde un battito.
 
Durante la notte la sento dei rumori, sapevo sarebbe scappata, ma non mi aspettavo così presto.
“Dove stai andando, Jen?” mi giro a guardarla mentre si avvia verso la finestra.
“Credo sia meglio che uno dei due dorma sul divano, quindi, dato che è il tuo letto, ci vado io. Buonanotte”
Non voglio rassegnarmi, non adesso, la voglio vicino a me per poterla proteggere. Anche se so che sono io a farle del male. Ma non posso starle lontano, sarebbe troppo da sopportare.
“Allora cosa fai davanti alla finestra?”
“Piove..mi piace la pioggia.”
Non so cosa dire.
“Rimani, per favore. Ricordi quando mi hai chiesto di rimanere a casa tua? Ecco, io ti chiedo di rimanere in questa stanza e in questo letto con me.”
“Non credo sia una buona idea”
Mi da le spalle mentre guarda la pioggia che batte sulla finestra.
“Non ti toccherò, lo sai.”
Si volta verso di me, mi guarda “Non sei tu il problema” accenna un sorriso e si volge di nuovo alla finestra.

[http://youtu.be/bF31ZhYnhcA]

Mi alzo dal letto, non sono molto stabile a causa del sonno, ma riesco ad avvicinarmi a lei, seppur con cautela. Appoggio una mano sulla vetro della finestra e osservo con lei la pioggia.
“Dai, torna a letto”
Mi avvicino ancora più vicino a lei, quasi ad aderire il mio corpo al suo. Quasi ad intrappolarla.
“Colin…”
“Mh?”
In un attimo si gira, e ritrovo le sue labbra sulle mie. Baci furiosi, pieni di rabbia e tensione.
Quella tensione che anch’io mi porto appresso ormai da mesi, forse anni.
La sua lingua che s’intreccia alla mia. Potrei amarla qui, adesso, se solo me ne desse la possibilità.
Allontana bruscamente le sue labbra dalle mie. La scruto, per aver un cenno, per capire se è davvero quello che vuole.
Il mio corpo troppo vicino al suo. Desidero averla. Bramo la sua pelle, il suo tocco, le sue labbra.
Ci facciamo prendere dalla passione, dalla tensione. La prendo in braccio, si aggrappa a me circondando il mio collo con le braccia, e i miei fianchi con le esili gambe.
Allontanandomi dalla finestra siedo sul letto con lei a carponi su di me. Sento le sue piccole dita insinuarsi sotto la mia maglietta intenta a sfilarmela. So di doverla fermare, ma non voglio, e quindi me la sfila con una delicatezza che solo lei può possedere. Si ferma ad osservarmi, senza dir nulla.
Prendo il suo volto tra le mie mani, e la bacio, a lungo. E solo adesso mi accorgo di quanto volessi che fosse solo mia.
Mi avvicino al suo orecchio “Ne sei sicura? Sai che non si può tornare indietro”
Silenzio. Sento il suo battito accelerare. La scruto ancora, per captare un assenso o un dissenso.
Annuisce, semplicemente.
Dopo averle sfilato la maglia, inizio a baciarla avidamente.
Ma lei mi ferma iniziando il suo gioco.
Con un indice inizia a stuzzicarmi le labbra, poi, seguendo una linea, mi accarezza delicatamente la mascella, il collo, il pomo d’Adamo, le clavicole. Ed ad ogni suo tocco, un brivido mi percorre, non riesco a controllarmi. Con dei piccoli baci mi accarezza il torace. E’ una dolce, piacevole tortura.
Ma adesso è ora di fare a modo mio.

POV JENNIFER.

Mi piace torturarlo. Mi eccita vederlo andare fuori di testa. Ma neanche il tempo di guardarlo soddisfatta del lavoro che stavo facendo, che mi ritrovo stesa sul letto con lui carponi su di me. Cerco di divincolarmi ma non riesco, è troppo pesante.
“Adesso iniziamo il mio di gioco..” mi dice, con una voce roca, che mi eccita ma al contempo mi terrorizza per quello che potrebbe fare.
Mi sfila la canotta, con attenzione e lentezza. Come se volesse farmi sentire ogni emozione, ogni brivido, come se volesse che questo momento durasse in eterno.
Sento il suo fiato sul collo, inizia a lasciarmi dei piccoli bacio. Ed ad ogni bacio io sussulto.
E so che se ne accorge, ma non fa niente per evitarlo. Prova piacere nel torturarmi, nel farmi male.
E mentre mi bacia sussurra delle cose che all’inizio, essendo stordita per l’effetto che mi fa, non capisco.
“Jennifer?”
“Mmh sì?” gli chiedo, senza accorgermi del tono con cui ho risposto.
“Dimmi che sei mia”
“Mmmh” mi limito a rispondere.
“Mia, mia, mia, solo mia” ripete continuando a baciarmi il collo, e cercando di toccarmi ovunque.
Io dal canto mio, non riesco a rispondergli.
Sono consapevole di stargli dando tutta me stessa. Fisicamente e sentimentalmente. Ma non riesco ancora a dirlo apertamente.
Solo quando lo guardo negli occhi, capisco che non c’è nessun velo di malizia in quello che dice. Sembra serio, sembra volesse chiedermelo da tanto tempo, ma che ne abbia avuto l’occasione solo ora.
E continua. Continua a torturarmi con il suo tocco, la sua barba ispida che lascia dei segni sulla mia pelle, i suoi baci.
Dal collo, passa alle spalle, mi strappa via il reggiseno,
“Dimmelo Jennifer” mi dice ancora, quasi con un tono esasperato.
E continua a baciarmi nell’incavo tra i seni, poi nell’addome.
Ancora, ed ancora. Se il suo intento è farmi impazzire allora ci sta riuscendo alla perfezione.
“Colin..” dico ansimando.
“Dimmelo” dice ancora con tono esasperato.
“Sono tua, Colin, lo sono sempre stata” gli rispondo guardandolo negli occhi. Come se fossero una calamita. Come se non potessi scappare da quello sguardo. Non che io volessi scappare.
“E’ pura poesia” mi dice guardandomi incantato.
Inizio a ridere ricordandomi le battute in un intervista a San Diego, rido perché ero - sono, felice.
“Sta ridendo di me, signorina Morrison?”
“Affatto, signor O’Donoghue!” gli rispondo tentando di trattenere una risatina.
Mi guarda con un volto serio, non capendo il motivo per cui rido.
“Rido perché non è la prima volta che mi dici “E’ pura poesia”
Sorride e basta, senza dire nulla, e riprende a baciarmi tra il collo e il lobo dell’orecchio. Forse più intensamente di prima.
Lo sento sorridere nell’incavo del mio collo.“Sei sicura? Lo vuoi davvero? Perché io ne sono sicuro, ma dobbiamo volerlo entrambi o...”
Senza dargli una risposta diretta, prendo il suo viso tra le mani e riprendo a baciarlo. Tutta la tensione repressa nei mesi la riverso in quei baci.
Lascio a malincuore le sue labbra “Ho bisogno di te, adesso, quindi non domandarmelo più”
E da quella frase, da quelle 9 parole, inizia il finimondo vero e proprio.
In me che non si dica, si leva i pantaloni, e rimane anche lui mezzo nudo come me.
Lo osservo, e la prima cosa che penso è che è terribilmente stupendo. Indescrivibile. Una visione.
Inizia a baciarmi l’interno coscia, lasciando morsi qua e là, giustificandosi con un: “Voglio lasciarti dei segni in modo che chiunque ti veda mezza nuda capisca che sei mia”
Credo che non mi abbiano mai detto niente di più romantico e passionale allo stesso tempo.
E, mentre mi spoglia e lo invito ad entrare dentro di me, mentre ci uniamo, mentre i nostri corpi e i nostri cuori diventano una cosa sola, lo intimo a guardarmi negli occhi. Tutto il tempo. E mentre ci amiamo in questo letto, non riesco a staccare i miei occhi dai suoi, perché quegli occhi che mi scrutano, mi provocano e mi fanno sentire vulnerabile, adesso sono diventati la mia nuova casa.  Dopo esserci amati, dopo aver raggiunto insieme il piacere, mi accascio sul suo petto, ansimando e non riuscendo a riprendere fiato dopo quest’incredibile nottata.
Senza rendermi conto che sono le quattro del mattino e che fra due ore dovremmo andare a lavoro, mi addormento su di lui, incurante del resto.


Sento farfugliare il mio nome, ma non riesco ad aprire gli occhi, sono troppo stanca, ho troppo sonno.
“Jennifer?”
“Mmmh” non riesco a parlare, ho la bocca impastata. E pur riconoscendo quella voce che riconoscerei anche tra un miliardo di voci, non riesco a rispondergli in modo normale.
Sono a pancia in giù e sento qualcosa - o meglio qualcuno - che mi accarezza la schiena.
“Jennifer?”
“Ho sonno, voglio stare a letto oggi” riesco a farfugliare
“Oh tesoro, ti farei anche compagnia se tu volessi, ma tra dieci minuti dobbiamo andare a lavoro, quindi muovi quel bel sedere, su”
“Mmh, no.”
Apro gli occhi mi giro lateralmente. Adesso siamo l’uno di fronte all’altro, ma non ci sfioriamo neanche. Lo guardo, mi perdo nella sua infinita bellezza, e mi chiedo come possa essere così bello dopo una notte del genere.
Credo che con lui valga il detto: “Fare sesso rende più belli”.
Corruccia il viso, probabilmente non capisce perché io lo stia guardando in quel modo.
Arrossisco inconsciamente, richiudo gli occhi, e mi giro dall’altro lato.
Lo sento spostarsi, sento la sua presenza dietro di me.
“Dovrò trascinarti dentro la doccia o ti alzi senza alcun aiuto?”
Dio che vergogna.
“Io..ehm..vado”
Porto il lenzuolo con me, e provo a non guardarmi indietro. Ci provo…ma non ci riesco, è più forte di me. E mentre esco dalla stanza, continuo ad ammirarlo. E sono così concentrata che sbatto un piede contro la porta, ma nonostante tutto continuo a guardarlo e a soffrire silenziosamente per non farmi notare.

Arrivata alla doccia, mentre l’acqua tiepida scende su di me e mi lava da tutte le colpe, penso costantemente a lui, a stanotte, ai suoi occhi, alle sue labbra su di me, e ai suoi segni. E non posso far a meno di sorridere.
Canticchiando una canzone di cui non ricordo il nome, mi metto sulla punta dei piedi per tentare di prendere il bagnoschiuma, e domandandomi il perché io sia una nanerottola che potrebbe far concorrenza ai nani di Biancaneve, sento le porte della doccia aprirsi e lo vedo prendere il bagnoschiuma per me.
“Oh, al diavolo Col, ce la stavo facendo”
“Non credo proprio. Sei una nana. Una bellissima nana, aggiungerei.”
“Nella botte piccola sta il vino buono”
“Non ho alcun dubbio su quello”
Sono girata e non posso guardarlo.
“Colin, quella di stanotte era la prima ed ultima volta, adesso esci” lo intimo, con una voce insicura che non rispecchia per nulla le mie parole.
Ma lo sento avvicinarsi a me. Sento il suo petto poggiato sulla mia schiena e le sue mani cingermi i fianchi.
D’istinto mi giro verso di lui, non pensando al fatto che fosse completamente nudo.
Jennifer, non guardare, non guardare giù per nessuna ragione al mondo.
Ma a quanto pare impormi di fare una cosa non vuol dire evitare di farla.
Lui se ne accorge. Poggia la testa nell’incavo del mio collo, e sorride, mentre mi stringe a sé come se non volesse più lasciarmi andare. Così mi abbandono a lui, per la seconda volta, incurante di tutto. 


Angolo autrice.

Scusate se non ho aggiornato, ma ho avuto un blocco. Forse non sembra ma sono stata molto meticolosa nello scrivere questo capitolo. Ho curato ogni minimo particolare.
Avevo promesso di inserire un nuovo personaggio, ma non volevo privarvi della felicità per il momento "clou" del capitolo.
Ma credo inserirò questo personaggio dal prossimo capitolo. Mi scuso in anticipo.

Ringrazio coloro che lasciand recensioni ed aggiungono la storia alle seguite/preferite/ricordate. E ringrazio soprattutto coloro che mi spronano a continuare pure in momenti di "debolezza"

Al prossimo capitolo :)

-Mary

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Fire Breather. ***


HTML Editor - Full Version

 

Fire Breather.

“Big blue eyes, oh I don’t know what it means, no.
What does he want from me?”

-16/08/2014- 

POV JENNIFER. 

Dopo essermi abbandonata a lui due volte in meno di 12 ore, mi sento diversa. Totalmente e irrimediabilmente diversa. 
Il tragitto tra casa di Colin e il set lo passiamo senza parlare. Solo sospiri di sconforto, occhiate languide, e sorrisi sfuggenti.
 
Pur essendo sabato, Adam e Eddy ci hanno voluti a lavoro per iniziare a studiare i copioni tutti insieme. 
Sono convinti che siano in ritardo con la registrazione delle puntate.
Sarà difficile lavorare con Colin senza ripensare a questa notte.
Ma ci proverò.
Appena arrivati, Josh ci corre incontro con due caffè fumanti e un sorriso a trentadue denti. Che sapesse qualcosa? Non lo so, e per adesso non è importante. 
Lascio andare silenziosamente Colin per dirigermi nella mia roulotte. Voglio stare lontano da tutto e tutti, ho bisogno di pensare, di riflettere, in proposito a tutto e al niente.
Ma ho bisogno di fare mente locale per capire come comportarmi con Colin d’ora in poi. 
Sento bussare alla porta, non mi va di andare ad aprire. 
“Jen, sono io.” 
Lui. Sempre e solo lui. Ma è una maledizione? 
Non vado ad aprirgli, lo ignoro e basta. E’ più semplice. 
“Jen, vorrei parlare.” continua. 
No, io con te non voglio parlarci. Lo capisci? Più ti sto vicino e più sto male, e lo sai. 
Continuo ad ignorarlo, è meglio così.
Silenzio. 
Sento di nuovo bussare, stavolta con più forza di prima. Non più con dolcezza, ma con rabbia. 
“Apri questa porta!”
Mi alzo, barcollando per la stanchezza, e gli apro.
Entra con furia, come se volesse prendere a pugni qualcuno. E credo di non capire cosa ho fatto per meritarmi una sfuriata simile.
“Volevi parlare. Parliamo.” gli dico, con tono freddo e distaccato.
Fredda e distaccata Jen, fredda e distaccata. E’ l’unico modo per levartelo di torno.
Mi guarda e basta. Non dice nulla, perché – effettivamente – non c’è nulla da dire. 
“Sto impazzendo, pensando a ieri sera. A quello che hai detto.”
Ah, immaginavo si trattasse di questo. Ma non volevo crederci, o almeno non dopo la notte passata insieme.
“Cosa vuoi che ti dica? Che c’è speranza per noi? Non ce n’è, bisogna essere realisti. Tu hai una moglie, un figlio, una famiglia che tutti vorrebbero avere. Non farti questo, non rovinare una cosa così bella per una  notte, per uno stupido appuntamento, o perché non sai distinguere i nostri personaggi da noi.”
“Quindi è questo che pensi?” mi chiede con voce soffocata, quasi non riuscisse a dire nulla.
“E’ quello che è. E’ la realtà, ti sto semplicemente dicendo come stanno le cose.”
“Quindi cosa? Fai l’amore con me, e poi giustifichi tutto con questo?” mi chiede, ancora con voce soffocata. Ha gli occhi lucidi. 
Adesso vorrei avvicinarmi a lui, abbracciarlo, rassicurarlo. Ma non posso, non devo, perché sto facendo tutto questo per il nostro bene. Per il suo bene.
“Non abbiamo fatto l’amore.” 
“Ah, tu credi? Okay, continua a pensarla così. Mi arrendo.” Mi dice, alzando le mani in segno di resa.
Si avvicina a me e accosta la sua bocca al mio orecchio, con la barba mi solletica il lobo, ma non muove le mani. Non fa nulla.
“Guardarci negli occhi mentre urlavi il mio nome non era fare l’amore, giusto?” mi attacca.
Sento il suo fiato sul collo, un brivido lungo la schiena, le ginocchia che tremano. Cerco di ignorare l’effetto che mi fa e provo a continuare per la mia strada. Lo faccio per noi. Lo faccio per lui.
“Esci dal mio camerino.”
“No.” mi risponde con fermezza.
“Esci.” ribadisco.
“Dimmelo. Dimmi che noi hai provato nulla ieri. Dimmelo con una fermezza tale da convincermi che le tue parole sono vere. Perché al momento non ci credo; mi avvicino a te, non ti tocco neanche e tu rabbrividisci. Dimmi che non provi nulla.”
“Esci, Colin. Non te lo ripeterò di nuovo.”
“Wow, brava. Continua a rinunciare a tutto questo. Me ne vado, o potrei fare qualcosa di avventato.”
Esce dalla roulotte e io mi accascio sul divano, riesco a stento a trattenere le lacrime.
Ho paura di non riuscire a lavorare con lui come facevo prima. Ma devo provarci, riuscirci. Devo essere professionale.

Arrivati in sala conferenze, mi siedo vicino a Ginny e Josh, cercando di evitare Colin il più possibile. 
Appena seduta, alzo gli occhi e me lo ritrovo di fronte che mi guarda con uno sguardo di sfida.
Ma non mi sposterò. Continuo a fissarlo imperterrita fino a quando lui, imbarazzato, abbassa lo sguardo.
“Allora, ragazzi, avete dato già un’occhiata ai copioni?” ci chiede Adam.
Rispondo di sì, nonostante non abbia aperto il fascicolo neanche per mezzo secondo. 
“Allora, Colin e Jen, cosa ne pensate dell’appuntamento di Hook e Emma?” continua Edward.
Strabuzzo gli occhi, incredula.
Avrei dovuto leggere il copione. Cioè, avevamo parlato di un ipotetico appuntamento tra Emma e Killian, ma non pensavo avvenisse così presto.
“A-appuntamento?” chiede Colin, balbettando incredulo.
“Avete letto i copioni o no? Che ne pensate?” 
“Ci piace” diciamo in unisono, senza volerlo, e ci giriamo l’uno verso l’altro. I nostri occhi si uniscono, di nuovo.
Azzurro e verde. Verde ed azzurro. Un’unica cosa, ancora. 
Sento che mi manca l’aria. Devo uscire. 
Mi alzo dalla sedia, intenta ad andarmene. Intenta a chiudermi di nuovo in me stessa.
“Scusate, ho bisogno di aria.” 
Esco, e corro verso la mia roulotte, sento dei passi dietro di me ma li ignoro. 
Non m’importa di nessuno in questo momento, solo di me stessa. 
Entro nella roulotte e cerco di chiudere la porta, ma qualcuno mi ferma. 
Lui, sempre e solo lui.
“Che diamine ti è preso lì dentro?” mi chiede con tono freddo, distaccato.
“Avevo bisogno di prendere aria. Non riesco a respirare.” rispondo con la stessa freddezza.
“Per quale motivo?” chiede, stavolta quasi in modo più dolce.
“Perché? Perché mi guardi così. E fa male. Mi stai attorno, mi scruti, mi sfidi, mi provochi. Ed è maledettamente fastidioso. Non guardarmi come se non potessi fare a meno di farlo. Non starmi attorno, non sorridermi, non rincorr-“
Le sue labbra sulle mie, di nuovo.
“Ho bisogno di stare con te.” sussurra, tra le mie labbra.
Lo guardo, nei suoi meravigliosi occhi azzurri. E anch’io vorrei stare con lui, dio quanto lo vorrei, ma non posso. 
“Non possiamo.”
Sospira e mi lascia andare. Inizia ad accarezzarmi la guancia, con delicatezza.
Brividi. Ancora. Vorrei che non mi facesse questo effetto, vorrei evitare di annaspare al suo tocco, sarebbe tutto più facile. 
Ma ormai siamo persi, siamo fin troppo dentro questa relazione, e non ne usciremo illesi.

Esco dalla roulotte con lui al seguito. Ho il battito accelerato. Ho caldo, troppo caldo. 
Mi fermo nel bel mezzo del cortile in cui stanno tutte le roulotte, inspiro, espiro. Ma nulla, sto impazzendo.
Lui mi prende per il polso con delicatezza, mi fa girare, mi tira a sé e mi abbraccia, mi culla, quasi.
“Fa male.”
“Lo so.”
Stiamo abbracciati per un bel po’ cullati dal battito dei nostri cuori che batto in unisono. 
Spezzo per prima l’abbraccio. Mi allontano da lui, sospirando. 
“Dobbiamo rientrare, si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto.”
Non risponde, non mi guarda, inizia a camminare e basta. 

Passiamo il resto del tempo a leggere copioni, fino all’ora di pranzo. 
Mi chiudo nella mia roulotte, voglio stare da sola, con i miei pensieri, devo riflettere.
Nessuno, per fortuna, bussa alla mia porta durante la pausa pranzo, ed è un sollievo. 

Uscita dalla roulotte, Ginny mi nota da lontano, la vedo avvicinarsi. 
“Ehi Jen, volevo parlarti!” mi dice, quasi urlando, pur essendo a pochi metri di distanza. 
Aspetto che si avvicini per poterle parlare senza urlare, non ne ho la forza. Ho trattenuto talmente tante lacrime oggi da non riuscire ad alzare la voce. 
Avvicinatasi a me, Ginny mi sorride felice. Non credo di capire cosa stia succedendo. 
“Dimmi. Che succede?” 
“Nulla. Stavo pensando…Josh mi ha detto che oggi lui e Colin vogliono stare insieme davanti alla tv a mangiare pizza e a guardare quelle stupide partite. Ti andrebbe di stare insieme? Che sia a casa mia o tua non ha importanza. I ragazzi sono a casa di Colin.” 
Sapendo che se non uscissi con Ginny passerei la serata tra cioccolata e film strappalacrime…deduco che potrebbe essere una buona idea.
“Ci sto, ma…porta del vino. Ho decisamente bisogno di bere. E se vuoi invita anche Lana, Georgina, Elizabeth, e Emilie. Passiamo una serata tra donne e ci divertiamo. Alle 20 a casa mia.”
“Oddio Jen, che bellissima idea.” mi risponde Ginny con gli occhi quasi a cuoricino.
Lei ama questo tipo di serate.

Passiamo il resto del pomeriggio a leggere altri copioni.

Arrivata a casa accompagnata da Josh e Ginny, corro subito a fare una doccia veloce, mi vesto leggera dato che fa stranamente più caldo del solito. Camicetta nera, e pantaloncini che non ricordo neanche di aver comprato, e che non userei mai per uscire da casa mia dato che lasciano poco spazio all’immaginazione. 

Mentre asciugo i capelli sento bussare alla porta. 

18.30? Non possono essere le ragazze, avevamo detto alle 20. 
Apro senza pensarci due volte o senza neanche guardare dallo spioncino.
Lui. 
Di nuovo.  
Mi sento morire dentro.
E’ di spalle, e che spalle… 
Non credo si sia accorto della mia presenza. Lo vedo girarsi di scatto, ma ad un certo punto bloccarsi. 
Lo guardo confusa. 
Continua a fissarmi, scrutarmi. Si lecca il labbro inferiore come è solito fare Hook quando deve buttare giù una battutina con un doppio senso.
“Colin, che vuoi?” gli chiedo con freddezza. 
Continua a guardarmi le gambe, sbalordito.
“Dio, mi farai impazzire uno di questi giorni.” 
I pantaloncini. Dio, non c’avevo pensato, ecco il perché dello sguardo. 
Maledetto irlandese. 

Entra con furia in casa e butta il giubbotto sul divano senza averne la minima cura.
“Anzi no, sto già impazzendo. Che diamine ti sei messa?”
“Che ci fai qui?”
“Oh, nulla, sono passato a trovare la mia principessa.”
Alzo gli occhi al cielo ed accenno un sorriso. 
“Oh, tranquilla, non ti ho vista sorridere.” mi dice, sorridendo di gusto. Si morde il labbro inferiore.
Sarà lui a farmi impazzire un giorno. 
Ritorno seria, o almeno ci provo.
“Colin, ripeto, cosa ci fai qui?”
Si avvicina a me, gongolando, continua a mordersi il labbro, e questa cosa mi sta letteralmente facendo impazzire. 
“Volevo stare un po’ con te” mi dice, guardandomi serio, senza alcuna malizia.
“Sai che non possiamo stare soli nella stessa stanza.” Gli rispondo con voce tremolante.
“Perché? Perché potrei fare questo?” 
Mi bacia una palpebra, poi l’altra, poi uno zigomo, l’angolo della bocca, e poi mi lascia un leggero bacio prendendomi il labbro superiore. 
Quando penso che possa essere finita, mi scaraventa contro il muro, prendendomi alla sprovvista.
“Oppure questo..” 
Mi accarezza la coscia, dal ginocchio in su. Io non riesco a dire nulla, mi ha colto di sorpresa. 
“Colin..” provo a mantenere un tono tranquillo, anche se è difficile farlo.
“Jen..” mi guarda negli occhi, mi trafigge con lo sguardo. 
Ne ho bisogno anch’io. Ho bisogno di un’ultima volta con lui.
Ho bisogno di averlo vicino. 
“Non mi piace molto il muro della cucina, però..”
Ride di cuore.
“Mmmh, su questo possiamo porre rimedio.”

[https://www.youtube.com/watch?v=0MATKtjyJ50]

Mi prende in braccio, e io continuo a buttare gridolini per la paura che possa farmi cadere. 
“Ah, spero di non vederti in giro con questo pezzo di stoffa che chiami pantaloncini.” mi dice con tono serio.
Ma fanno così schifo le mie gambe? Cioè ne sono consapevole, però non credevo fino a questo punto.
Arrivati in camera da letto mi lascia andare delicatamente sul letto e si stende accanto a me.
Siamo distesi l’uno verso l’altro. 
“Perché? Non ti piacciono le mie gambe?” gli chiedo sussurrando. 
“No, anzi, forse mi piacciono anche troppo. Solo che non voglio tu faccia vedere questo ben di dio in giro.” Mi risponde serio.
Mi avvicino pericolosamente a lui “Sei per caso geloso?..” lo stuzzico, e sorrido con malizia. 
“Si.” risponde ancora più serio di prima.
Mi manca il respiro. Continuiamo a guardarci per un po’ senza dire nulla.
Catturo le sue labbra, ne ho bisogno. Ho bisogno di lui, con me. 
Mentre con la mano sinistra mi tiene per i fianchi, spingendomi verso di lui, con la destra accarezza un punto indefinito sulla mia nuca tanto da provocarmi brividi e tremolii in tutto il corpo. 
La sua lingua intrecciata alla mia, le mie mani sul suo petto. Mi lascio sfuggire un gemito quando si sdraia su di me, annullando la poca distanza che ci consentiva di separarci. Non che io volessi farlo, non questa volta. 
Mi fermo, ripensando alla serata con le ragazze.
“Fermo, fermo! Aspetta.” Gli dico, facendo fatica a respirare.
Mi guarda confuso mentre striscio via da sotto di lui, girandomi a pancia in giù per cercare di prendere il cellulare. 
19.15.
Diamine. 
“Pensavo che questi cosi che ti sei messa fossero un tantino più lunghi dietro. Invece…”
“Smettila Colin, ti stai comportando peggio di Hook, oggi.” 
“Sai, dico sempre che io e lui non ci somigliamo. Ma forse siamo molto più simili di quanto tu possa pensare.”
Sospiro e mi giro a guardarlo “Non so se sia una buona cosa.”
“Oh, io dico che lo è.” mi dice, stringendomi di nuovo a sé, affondando la testa nell’incavo del mio collo e ridendo come un bambino.
Sospiro.
“Colin..vai a casa, Josh sarà da te tra poco.” gli dico piano.  
“Gli ho detto di venire alle 21.” sussurra.
“Sì okay, ma le ragazze saranno qui tra meno di mezz’ora.”
Alza la testa e mi guarda negli occhi, mi sposta i capelli dietro l’orecchio, e continua a guardarmi quasi supplichevole. Poi affonda di nuovo la testa nell’incavo del mio collo.
“Si possono fare tante cose in mezz’ora” 
Rido, di cuore. Come una ragazzina. 
Mi bacia il collo. Baci leggeri, che però mi destabilizzano.
“Col-“
“Fai l’amore con me.” 
Non dico nulla, lo bacio e basta. Per adesso voglio mettere da parte la ragione, il senso di colpa, e seguire il cuore.
Con una mano mi sbottona la camicia e mi bacia ogni volta, bottone per bottone; con l’altra mano disegna piccoli cerchi all’interno della mia coscia. Il tutto lentamente, come a voler assaporare ogni momento, come a volermi far impazzire più del dovuto.
“Mhh, per quanto mi piacciano, questi non credo serviranno per quello che ho in mente.” Dice, sorridendomi e cercando di togliermi quei benedetti pantaloncini. 
E io rido ancora. 
Sono felice. E so che è una felicità momentanea.
Ma dopo esserci spogliati di tutto, vestiti e sensi di colpa, ci uniamo di nuovo.
Stavolta con più passione, con meno dolcezza ma con più bisogno, un bisogno esasperato di stare insieme, per un’ultima volta.
Guardarlo negli occhi, di nuovo, ed urlare, di nuovo. 
Perché è questo che facciamo. Non riusciamo ad urlarci contro i nostri sentimenti, ma urliamo quando facciamo l’amore. Perché è l’unico modo che abbiamo per far capire all’altro quello che proviamo.
Perché non è una cosa carnale, non lo è mai stata. Non è mai stata attrazione. 

“E’ stato..”
“Wow” è l’unica cosa che riesco a dire.
Non credo che ci siano parole per descriverlo.
Mi accoccolo sul suo petto, provando a rilassarmi per riuscire a respirare meglio.
Gli lascio un leggero bacio sulla spalla.
Sospiro.
“Resterei in questo letto, con te, per sempre.” dico.
“E allora restiamoci. Chiama le ragazze ad annulla la cena.” mi risponde con dolcezza.
“Non posso, lo sai.” sbuffo.
“Mmh..e se ti facessi le coccole per trattenerti qui con me?” mi dice, tenendomi ancora più stretta.
“Come dovrei fare a rifiutare quando mi dici queste cose?”
“Non farlo.” Mi prende il viso tra le mani e mi bacia dolcemente.
Bussano alla porta.
Dio, non avevo previsto questa cosa.
Ma non possono essere le 20, è impossibile. Guardo il cellulare: 20.10.
Quindi questo vuol dire che abbiamo passato quasi un’ora insieme? Dio.
“Vestiti.”
“Cosa? Perché?” mi chiede confuso. 
Credo sia diventato sordo, a causa mia. 
“Hanno bussato, saranno le ragazze, di certo non puoi farti vedere….così.” dico con un tono irritato.
“Mhh, sei così bella quando sei gelosa.”
Lo ignoro, mi alzo e raccolgo le mie cose da terra per vestirmi. 
Bussano di nuovo. 
Corro ad aprire. 
“Ragazze!” 
“Oh, tesoro, sei bellissima” mi dice Lana prima di darmi un bacio sulla guancia.
“Che la festa abbia inizio” esclamano Ginny e Emilie mentre mi abbracciano. Le solite festaiole. 
Entrano in casa ma si fermano a metà del salotto imbalsamate. 
All’inizio non capisco perché. 
“Signore.”
Mi giro e vedo Colin che gironzola senza maglia.
Qualcuno mi fermi dal commettere un omicidio. 
“Jennifer?..” è l’unica cosa che una delle tre – Lana – riesce a dire.
“Io..ehm..non ha l’acqua calda in casa, quindi è venuto per farsi una doccia. Vero Col?”
“Sì che ho acqua calda, Jen che diamine dici?” 
Lo fulmino con lo guardo, e lui mi sorride di rimando.
Si mette la maglia, prende il giubbotto e fa per andarsene. 
“A domani signore” dice, ma si avvicina a me “A domani mia bella fanciulla.” 
“Guida con attenzione.”
Annuisce, mi stampa un bacio in fonte ed esce. 
Vedo le ragazze ancora un po’ sconvolte.
“Ragazze?”
“Jennifer, cosa sta succedendo?” è l’unica cosa che Ginny riesce a dire.
Vedo Emilie avviarsi verso la mia camera, ma non faccio in tempo a fermarla. 
Torna sorridente, cosa che non mi sarei mai aspettata.
“E brava JenJen.” dice Emilie. 
“Perché? Cosa hai visto Em?” chiede Ginny.
Anche Ginny si avvia verso la mia camera. Non provo neanche a fermarla. 
Sono tre delle mie più importanti amiche, meritano di sapere qualcosa.
Mi siedo sul divano, guardo il vuoto. 
Lana si siede vicino a me. Mi accarezza la schiena, come se volesse confortarmi. 
Si siedono tutte intorno a me. 
“Non so che dirvi, non so che cosa sta succedendo, so solo che sono fuori di testa.”
“Jen, non dire così.” mi dice Emilie, stringendomi la mano.
“Se vuoi puoi raccontarci.” mi dice Ginny, con tono comprensivo.

“Non c’è molto da raccontare. E’ iniziato tutto da un po’, credo, o almeno sentimentalmente parlando. Ma tutto è venuto allo scoperto solo a San Diego.”
“L’ho notato” mi interrompe Lana. 
“Anche Josh” mi dice Ginny.
Wow. Lo sapevano tutti.
“E adesso perché era qui?” 
“Oggi abbiamo avuto una discussione, è venuto perché voleva vedermi.”
“E invece..” continua Emily.
“Sì..” rispondo, con voce tremolante.

POV COLIN.

Sono passato da una pizzeria lontano da casa di Jen e adesso sto tornando a casa. Sono le 20.45, e dato che Ginny è già da Jen, Josh e Ollie saranno già a casa mia. 
Sento squillare il telefono. 
E’ Josh.
“Dimmi amico.” 
“Sto arrivando a casa tua, bastardo.”
“Oh, anche io starei andando a casa..cerco di arrivare subito.”
Premo più forte sull’acceleratore. 
Delle luci che mi accecano.
Il vuoto. 

 




Note autrice.

Ecco a voi questo benedetto sesto capitolo, che per me è stato un travaglio.
E' stata dura, ma ce l'ho fatta! Yayyyy! 
Anche se devo essere sincera, è il capitolo qualitativamente inferiore tra tutti (non che gli altri siano bellissimi, eh.)

So che adesso molte di voi hanno voglia di uccidermi. Lo comprendo. 
Ma sto cercando di muovere un po' le cose con un po' di angst.
Perché io AMO l'angst. Ci vivo di angst. Mi dispiace.

Al prossimo capitolo.

Vostra, Mary.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Fear. ***


Fear.

POV JENNIFER.

Una chiamata da Josh, e il mondo mi crolla praticamente addosso.

“Ha avuto un incidente, non so come sia potuto succedere.” dice con la voce tremolante.
No.
Non è possibile, non adesso.
Sono senza parole, e non riesco a respirare.
“E’ al Vancouver General Ospital, io sto andando. Dì a Ginny che ovviamente Ollie è con me.”
Non riesco a dire nulla.
Sbatto il cellulare sul tavolo.
Ginny mi osserva “J sei sicura di star bene?” mi chiede visibilmente preoccupata.
“Ha… - ha avuto un incidente.”
Lana si alza irruentemente dalla sedia e s’inginocchia di fronte a me.
“Chi? Chi avuto un incidente? Jennifer parlami. Josh? E’ Josh?”
“No” riesco solo a dire.
Mi alzo dalla sedia, le ginocchia stanno per cedermi.
Sto male, ho voglia di piangere, urlare, prendere qualcosa, qualsiasi cosa e spaccarla. Ma non posso, devo essere forte e devo stare con lui.
Mi avvio verso la mia stanza, mi vesto con le prime cose che trovo. E prendo una sua maglia che ha lasciato il giorno del nostro appuntamento. Ha il suo profumo.
Torno in cucina e trovo Lana, Ginny e Emilie che mi guardano senza capire cosa io stia facendo.
“Devo andare al VC General Hospital” dico, con una voce apatica. Senza far trasparire alcuna emozione, perché so che se lo facessi piangerei, solo questo.
“Jen, cosa è successo?” mi rimprovera Emilie alzando un po’ il tono di voce.
“Non ce la faccio a parlare, adesso. Portatemi lì e basta.”

Durante il tragitto, in macchina c’è un silenzio assordante. L’attesa mi sta uccidendo. Tengo stretta a me la sua maglietta, solo per sentirne l’odore. Il suo. Devo sapere come sta, devo vederlo.
“Colin” dico, senza aggiungere altro, mentre stiamo per arrivare all’ospedale.
“Cosa Jen?” mi chiede Emilie.
“E’ Colin, ad aver avuto l’incidente” rispondo.
Nessuno dice nulla.
Lana mi poggia una mano sulla spalla, per confortarmi.
Emilie guidando non può fare nulla, ma so che mi è vicino con il cuore.
Ginny mi prende la mano, e me la stringe. Quasi per farmi forza.

Arrivata mi fiondo subito alla reception per sapere qualcosa, qualsiasi cosa, mentre le ragazze mi aspettano più in lontananza.
“Salve, uhm, sono Jennifer Morrison, avete ricoverato il mio….avete ricoverato un uomo sulla trentina per un incidente stradale. O’Donoghue. Vorrei sapere se sta bene.” dico velocemente, quasi mangiandomi le parole.
Ho l’ansia. Tanta ansia.
“Lei è la fidanzata?” mi chiede l’infermiera.
Diavolo no, non lo sono. Ma ho bisogno di vederlo. Perché diamine esige questa regola secondo cui possano entrare solo i familiari?
“No…ma, la sua famiglia abita in Irlanda. E l’unica famiglia che ha qui sono i-siamo noi.”
“Capisco. Si accomodi nella sala d’attesa, appena sapremo qualcosa la chiamerò.”
“Sì, ma…voglio sapere se sta bene. Sta bene vero? Si riprenderà?” chiedo con voce tremolante. Ricaccio dentro le lacrime che so che tra poco cominceranno a scendere a fiumi.
“Non lo so, signorina.”
Afflitta, mi entro nella sala d’aspetto intenta a sedermi, e trovo Josh con in braccio il piccolo Ollie. Per un attimo ci guardiamo senza dire nulla, poi trovo il coraggio di parlare.
“Sai nulla? Ti hanno detto qualcosa?”
Ginny intanto entra di corsa ad abbracciare Josh, visibilmente preoccupato.
“Non so molto. Un attimo prima stavamo parlando al cellulare e un attimo dopo ho saputo dell’incidente. Mi hanno solo detto che ha battuto la testa, e si è fatto male alla gamba.”
“La solita, vero?” chiedo accennando un sorriso.
“La solita. Sarà la seconda volta” mi risponde Josh accennando quasi un sorrido.
“La terza” puntualizzo.

Non voglio che mi scappino le lacrime che ormai trattengo da più di un’ora.
Mi siedo in una delle piccole e scomode sedie della sala d’aspetto e le mie amiche si siedono accanto a me per darmi un minimo di conforto, senza dire nulla. Conforto che non avrò mai se non saprò che diavolo gli è successo.

Dopo un’ora e mezza, un medico sulla cinquantina – che non mi è sembrato proprio un medico (sarò impazzita) – mi chiama.
Sembra sollevato. Quindi la mia ansia inizia a scemare.
“Signorina Morrison, stiamo facendo un’eccezione a parlarne con qualcuno che non è un familiare. Deve sapere solamente che il signor. O’Donoghue sta bene. Dovrà tenere il gesso per 15 giorni, poiché è solo una frattura lieve, anche se abbiamo visto che la sua gamba ha subito già varie fratture.”
“Sì, ehm, è caduto durante una scena sul set.”
“Capisco. La gamba è da tenere sotto controllo. Così come la testa, pare l’abbia sbattuta molto forte.” dice con tono comprensivo.
“Posso vederlo? La prego.”
“La stanza è la 516. Sta dormendo, ma per me va bene. Solo…non lo faccia alzare o sforzare.”

Senza dare alcuna risposta al medico corro verso la sua stanza. Me ne frego di tutto e tutti, dimentico anche di avvisarli. Ho solo bisogno di stringerlo a me.
Entro con furia nella stanza e lo trovo disteso, che dorme - e russa. E tutta la mia ansia, e le mie proccupazioni scompaiono, per dare spazio a un sollievo mai sentito.


Mi avvicino con cautela, attenta a non fare rumore. Non vorrei svegliarlo.
Tesoro mio.
E’ bello anche con la testa fasciata e dei graffi sul viso.
Gli accarezzo dolcemente la guancia e mi chino su di lui lasciandogli un bacio casto in fronte.
Bacio che avrà sentito, dato che accenna un sorriso e mugola.
“Mmmhhh”
Ecco, lo sapevo. Menomale che dovevo lasciarlo riposare.
Non apre gli occhi.
Non so se sia un buon segno o no.
Mi siedo sulla poltrona accanto al suo letto e lo guardo. Traccio il profilo perfetto del suo viso, ha le gote rosse, la barba incolta, e un piccolo graffio sulla punta del naso.

Passo più di un’ora, lì, in silenzio.
L’unica cosa che sento è il suo respiro. Ogni 15 minuti prendo la sua mano e tasto il polso per sentire i battiti.
Quella sensazione di sollievo che prima mi aveva pervaso adesso si è trasformata in preoccupazione.
Perché diamine non si sveglia?

Josh e Ginny sono passati per chiedermi se mi andava di mangiare qualcosa. Oppure se mi andava di tornare a casa, o andare a casa di Colin per prendergli dei vestiti di ricambio.
Ma non ho voglia di mangiare. Ne’ tantomeno di andare a casa mia come se nulla fosse successo. E figuriamoci di andare a casa di Colin, con il suo profumo e le sue cose.
Non quando sono emotivamente instabile come adesso.

Ho dato loro la chiave di casa mia per portarmi qualcosa di ricambio.
E ho chiesto alle infermiere una coperta per poter restare a dormire. Non me ne vado fin quando non si sveglia – probabilmente non me ne andrò neanche dopo.

Un’ora, due, tre.
Le 3.30 e non si sveglia.
Non riesco a dormire.

4.30.
Ancora nulla.

In un momento di debolezza ripenso al momento in cui in incontrai i suoi occhi per la prima volta.
Il momento in cui mi mancò il respiro per la prima volta.
Il momento in cui capì che qualcosa nella mia vita stava per cambiare, che la monotonia stava andando via, facendo spazio ad una spensieratezza portata solo da questo irlandese, che ha stravolto tutti miei piani.
E che mi ha fatto sentire….viva.

Luglio 2011.

Cammino in giro per set, cercando di combinare qualcosa. Sono i primi giorni di registrazione delle puntate della seconda stagione.
Abbiamo tempo di girovagare a vuoto solo perché Adam e Eddy stanno ancora organizzando un po’ di cose.
Intenta a scrivere un messaggio sbatto contro qualcuno, e avendo i tacchi perdo l’equilibrio, Sento di stare per cadere e istintivamente chiudo gli occhi quasi per attutire meglio la caduta.
Ma – ormai pronta a farmi male un piede - sento due mani forti sui miei fianchi.
Apro gli occhi incredula, e mi ritrovo di fronte un ragazzo, sulla 30ina, che mi guarda divertito, con gli occhi spalancati.
Dio, quegli occhi.
Mi mordo il labbro.
“Stai bene?” mi chiede tenendomi ancora per i fianchi. Io? Bene? Con te che mi guardi così? Non lo so.
Ehi, no. Fermi tutti. Io sto con Sebastian. Io amo Sebastian. Non posso perdermi in due occhi azzurri di un uomo sconosciuto.
“Io..ehm..sì, sto benissimo. Scusa, anzi. Sono parecchio maldestra.” dico, imbarazzata.
“T-tranquilla.” Mi dice, staccando impacciato le mani dai miei fianchi “Io sono Colin, piacere.” Mi dice tendendo la mano verso di me e sorridendomi.
Colin. Mh. Bel nome.
Jennifer smettila e concentrati.
“Io sono Jennifer, piacere mio.” dico, porgendogli la mano in segno di saluto.
“Ehm, dovrei parlare con Adam e Eddy, è il mio primo giorno oggi, cioè…no non è il mio primo giorno ma dovrei discutere con loro sulla storyline del mio personaggio” dice prontamente.
“Sì, sono qui in giro, magari ti aiuto a cercarli, tanto non ho nulla da fare” gli dico sorridendo.
Passiamo del tempo a parlare del più e del meno.
E io passo il tempo a perdermi nei suoi occhi azzurri quasi quanto il mare, che quando sono posati su di me, riescono a farmi sentire diversa.

Mentre sono concentrata a pensare al nostro primo incontro, lo vedo muoversi sul letto.
Finalmente.
Gira la testa verso di me, apre gli occhi lentamente, prima uno, e poi l’altro e mi guarda.
D’istinto mi alzo dalla poltrona lasciando cadere a terra la coperta, la sua maglietta che tenevo vicino a me ed il cellulare e lo abbraccio, lo stringo a me, respiro il suo profumo.
“Ooh, stai bene. Grazie al cielo.” dico con voce strozzata.
Lo bacio sulla guancia per poi lasciargli piccoli baci sul collo.
“Dolcezza, questi baci mi fanno impazzire… ma mi fai male, mi stai strozzando.”
Ecco, io come al solito esagero. Brava Jen. Fagli ancora più male.
“Oddio, scusa..io..” dico, allontanandomi da lui per la paura di fargli ancora più male.
“Scherzavo. Più o meno.”
Accenno un sorriso, mi siedo sulla poltrona accanto al suo letto, e avvicino il mio viso al suo.
Continuo a perdermi in quegli occhi, più azzurri del solito, più vivi.
“Non fissarmi così, è inquietante.”
“Invece ti fisso eccome. Ho rischiato di perderti. Guardarti è il minimo che io possa fare.” Dico, mentre lui sorride soddisfatto come un bambino che ha trovato il suo giocattolo preferito sotto l’albero, il giorno di Natale.
“Come stai? Eh?” gli chiedo.
“Io...bene...più o meno. Oh, guarda mi sono rotto di nuovo la gamba.” dice ironicamente.
“L’avevo notato.” accenno un sorriso, perché mi fa tenerezza “dormi, sarai stanco” continuo.
“Tu..piuttosto, sono le…” si ferma per controllare il cellulare “…5 del mattino, che diavolo ci fai qui?”
“Mi sono accucciata sulla poltrona e ho aspettato che ti svegliassi.”
“C-cosa?” mi chiede quasi stupito.
Non ha ancora capito che, nonostante io lo respinga in quel senso, per lui provo qualcosa di forte; e che di certo non l’avrei lasciato da solo qui.
Come potrei lasciarti da solo?
Davvero credi che io ne sia capace? Credi che non voglia amarti? Credi che non vorrei starti vicino giorno e notte?
“Sono rimasta qui. Non c’è nient’altro da dire”
Mi guarda ancora, quasi con compassione, poi fa per alzarsi.
Maledetto irlandese, se s’ammazza è colpa mia.
“Stai fermo lì o giuro che ti spezzo l’altra gamba”
Credo di parlare un’altra lingua non comprensibile a lui dato che si mette seduto e continua a guardarmi senza dire nulla, senza alcuna espressione maliziosa sul viso.
Mi guarda, e basta. Mi manca il respiro.
Semplicemente perché non vorrei mi guardasse quasi trapassandomi con lo sguardo.
“Jen..”
“Non dire nulla, per favore.”
Sospira sconfitto e prova a stendersi di nuovo sul letto.
Gli cingo le spalle per aiutarlo a stendersi con cautela, data la fasciatura in testa. Peccato che i nostri volti si ritrovano vicini. Fin troppo.
Con un dito mi accarezza la guancia, per scendere sulle labbra e tracciarne il contorno.
Non provo neanche a ribellarmi, sarebbe stupido farlo.
“Jennifer..”
Troppo vicino, sento il suo fiato sulle mie labbra.
E senza pensarci due volte mi avvento sulle sue, con foga.
Sono così morbide.
E’ come se non lo baciassi da un’eternità. Ma ne avevo un incessante bisogno.
Non provo ad approfondire il bacio. Lo faccio sia per me che per lui.

Mi sollevo barcollante, incredula, forse scossa, ma soddisfatta di quello che è appena successo.
“Vado a prendermi un caffè. Ne ho decisamente bisogno.”
Lui prova a parlare, ma non faccio in tempo a farlo finire, che sono già fuori dalla stanza.

Ho bisogno di prendere aria.
Non dovevo farlo.
Proprio no.
Io. Lui. No.

Vado al bar dell’ospedale sperando che almeno una tazza di caffè possa svegliarmi e nel contempo rinfrescarmi le idee.
Ripensare a come affronteremo tutto questo casino.
Non l’incidente, ma proprio il casino che c’è tra me e lui, questo sentimento che non se ne vuole andare.
Un sentimento che invece di scemare, diventa più forte di giorno in giorno.
E insieme a quel sentimento cresce la paura.
La paura di stare male.
Non di avere il cuore spezzato. Ma lacerato, consumato, devastato.
Perché è come se lui mi fosse entrato dentro, e questa cosa mi inquieta.

Ritorno alla realtà un po’ frastornata dai troppi pensieri, torno nella sua stanza. Trovo i dottori che lo visitano.
Una specializzanda bionda mi chiede di uscire, ma lui protesta.
“Non fa nulla. La voglio con me. Anche perché qualsiasi cosa mi diciate non riuscirò a ricordarla, quindi ho bisogno di lei comunque” dice, girandosi verso di me e sorridendomi innocentemente.
Ricambio il sorriso e mi accingo a sedermi di nuovo sulla poltroncina accanto a lui.
Appena dopo aver finito di visitarlo, una specializzanda – l’altra, quella bruna – inizia a dirmi cosa fare dopo averlo riportato a casa.
“Signorina, terremo il suo fidanzato per un’altra notte, per accettarci che non abbia lesioni interne o quant’altro. Domani mattina potrà riportarlo a casa. Come le avranno detto dovrà tenere il gesso per almeno 15 giorni, e dovrà stare a riposo per almeno 25 giorni. Quindi niente lavoro, mi dispiace. Può uscire, se si sentirà abbastanza forte da farlo. Ma in quanto al lavoro, è in base alle ore. Quante sarebbero?”
“14” le rispondo repentinamente.
La ragazza mi guarda atterrita, quasi. Eppure, il dottori dovrebbero fare almeno 17 ore al giorno, o almeno così ho imparato dal set di House.
“Quindi 15 giorni con il gesso, niente sforzi. E riguardo alla testa, potrebbe avere le vertigini per qualche giorno, quindi sarebbe meglio aiutarlo.” continua il medico.

Andati via i medici, ci guardiamo per un po’.
Non dicendo nulla, ma dicendoci tutto solo con due sguardi.
“Fidanzato” dice solo questo.
Non dico nulla per controbattere  e guardo altrove; perché per adesso, incontrare il suo sguardo sarebbe troppo devastante.
Mi torturo le mani per la troppa tensione.
Ho bisogno di respirare, di urlare.

“Non puoi rimanere da solo a casa tua.” sbotto dal nulla.
Mi guarda non sapendo cosa dire.
Dopo un po’ però prende la parola.
“Cosa dovrei fare quindi? Chiamare Helen?”
“Io..non lo so. Cioè sì. A parte quello. Sai che io ci sono, posso aiutarti, per qualsiasi cosa chiama e -”
“Lo so.” risponde “dammi la mano”
“Eh? Perché? Devo avere paura?” chiedo trattenendo a malapena una risata.
“Sta’ zitta e dammi la mano” mi risponde.
Riluttante avvicino la mia mano al suo letto, e lui la prende. Ne accarezza il palmo, poi i polpastrelli, e infine il dorso e le nocche, su cui lascia un bacio casto. Senza alcuna apparente motivazione.
“Perché?” gli chiedo.
“Perché cosa?”
“Perché stai facendo questo.”
“Perché mi piacciono le tue mani. Generalmente su di me, ma mi piacciono di per sé.”
“Idiota” rispondo, e ritiro la mano.
“Scherzavo. Volevo solo essere un gentiluomo…e volevo ringraziarti.”
“Per cosa precisamente?”
“Per essere qui, con me.”
“Se non ci fossi io, ci sarebbe tua moglie. Quella che a quanto pare non hai la forza di chiamare.”

Dopo altri minuti di assordante silenzio, decide di raccontarmi quello che sta succedendo.
Quello che succede da prima che lui si avvicinasse a me a San Diego.

A quanto pare Helen ha visto le foto che ci hanno scattato sul set della prima puntata. E non ne è stata molto contenta, insomma, non le do torto. Riguardando quelle foto, capisco perché siamo arrivati fin qui.
Capisco che questo sentimento non è nato adesso, ma si è prolungato e sviluppato nel tempo.
Ed è saldo.
Dentro di me e dentro di lui.
Talmente saldo che, a quanto pare, alla risposta della moglie ‘tieni Jennifer lontana’ lui se ne sarebbe fregato. Anzi, pare si sia avvicinato ancora di più a me.
L’unica domanda che mi pongo è se lui si sia avvinato a me per ripicca o per un sentimento vero e proprio.
Ma questa è una domanda che gli porrò quando sarà un minimo più lucido.


Martedì 17 agosto.
Durante questi giorni, tutti i ragazzi del cast sono passati a trovarlo.
Ho dovuto supplicarlo per non alzarsi dal letto. E’ un tale testardo.

Passati i controlli di routine necessari per la dimissione, adesso dovrei aiutarlo a preparare le sue cose per tornare a casa.
In due giorni l’ho aiutato a vestirsi, lavarsi – almeno il viso, dato che ha deciso di fare la doccia a casa sua perché ‘le docce degli ospedali sono scomode’
Ha battuto forte la testa, si vede.

E’ buffissimo vederlo camminare con le stampelle. Non per le stampelle in sé, ma perché non riesce per nulla, e deve sempre aggrapparsi a me.
E diciamo che mi sento parecchio importante. Mi sento un sostegno, qualcosa a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà, letteralmente.

Durante il tragitto tra l’ospedale e casa sua, non proferisce parola.
Nulla di nulla.
Si limita a guardare la strada e a sospirare. Non ha ancora chiesto nulla in proposito alla macchina.
Arrivati quasi davanti a casa mia decide, stranamente, di dire qualcosa.
“Jen, so che non puoi stare da me perché hai Ava, e perché trasferire il tuo armadio sarebbe un’impresa degna di un esperto nel settore…” dice, e nel frattempo rido “quindi pensavo…se non disturbo..potri venire da te per qualche giorno? Il tempo di riprendermi, poi non ti disturberò più.”
“Puoi rimanere per tutti i 25 giorni. Non mi faccio problemi. L’importante è che durante la notte non mi dai calci con quel gesso.” dico, tutto d’un fiato.
Sorride soddisfatto senza rispondere alla mia provocazione.

Arrivati a casa mia, lo aiuto a scendere di nuovo dalla macchina, ed attraversare il vialetto.
Per fortuna nell’androne c’è un ascensore o non saprei come farlo salire.

Entrati in casa, ava ci accoglie saltellando ed esultando.
Lui come un bambino le va incontro.
“Ciao piccolina, ma da quanto non ti vedo? Eh?” dice, provando ad abbassarsi, ma ovviamente non ce la fa, e ci rimane male.
Mi fa tenerezza.

Lo avvicino al divano e gli impongo di sedersi, prima che io ci rimetta davvero la schiena.
“Vuoi qualcosa da mangiare?”
“Non ho molta…fame” risponde con un sorriso sghembo.
Dio quanto è odioso quando fa così.
“Ti hanno dato la protezione per quel gesso in modo che tu possa lavarti quindi alzati e vai a farti una doccia, prima che ti prenda a calci in culo.”
“Non riesco a stare in piedi da solo” dice, con torno un po’ esasperato.
“Oohh, e va bene, ma toccami e giuro che ti spezzo un mano.”
Non lo farò, non gliela spezzerò, anzi.
Dio Jen, ma che vai a pensare.

Entrati in bagno lo aiuto a spogliarsi con cautela, avendo paura di fargli male.
Mi spoglio anch’io, imponendogli di voltarsi, anche se mi ha già vista nuda più volte, e mi vedrà nuda di nuovo.
Entrati nella doccia, mi avvicino a lui senza guardarlo o sfiorarlo. Ma so che non ce la fa a lavarsi da solo o a stare in piedi, è troppo debole.
“Girati!” gli dico.
“Cos’è, stiamo ribaltando i ruoli?”
Non posso fare a meno di ridere nonostante sia una battuta squallida.
Rido perché è vivo, ed è vicino a me, sano e salvo….e nudo.
Prendo il bagnoschiuma e dopo averne versato un po’ sulla mia spugna – che a quanto pare adesso è diventata anche sua – inizio a strofinargli piano la schiena.
“Attenta, le spalle mi fanno un po’ male.”
“Mi dispiace, non volevo.”
“Lo so.” mi dice in tono rassicurante.
Adesso però capisco che è lui a dover essere rassicurato.
Perché nonostante le battute, gli sguardi maliziosi, lo vedo buttato giù.
Quindi lo abbraccio, forte, per rassicurarlo. Per fargli capire che ci sono per lui, sempre. Nonostante tutto.
Lo stringo a me, e mi alzo sulle punte per baciargli la nuca.
Sento il battito del suo cuore accelerare notevolmente, ma non voglio dire nulla che possa destabilizzare l’equilibrio che si è creato tra noi in questo istante.
Voglio buttare via tutte quelle lacrime che ho trattenuto per tre giorni consecutivi, voglio stargli vicino, e piangere. Perché avrei potuto perderlo, e questo avrebbe potuto distruggermi. Ma lui è qui, di fronte a me, e anche se ridotto male, è vivo e vegeto.
“Jen..”
“Sta’ zitto. Non rovinare questo momento.”


NOTE AUTRICE.

Salve amici. Dopo tanto tempo sono riuscita ad aggiornare! E' stato peggio di un parto. Mamma mia. çç
Scusate tantissimo per il ritardo, davvero, ma tra la scuola e i problemi in famiglia non avevo possibilità di concentrarmi e scrivere un capitolo decente.
Anche questo capitolo non mi piace pienamente, forse perché fatto un po' di fretta. Non so. Credo di aver risolto la cosa un po' troppo frettolosamente. Mh.
Ma sta a voi giudicare. Quindi lasciatemi una recensione per farmi sapere cosa ne pensate. :)

Sto postando alle 00.10 del 24/12/14, quindi BUONE FESTE A TUTTI! **

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2748842